L'ultima battaglia tra Luce e Oscurità

di Sherazad_93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Inaspettate conoscenze ***
Capitolo 3: *** Il Male è libero ***
Capitolo 4: *** Il Cacciatore ***
Capitolo 5: *** La Concubina ***
Capitolo 6: *** La Battaglia ***
Capitolo 7: *** Visioni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Elika dove stai andando!? Non farlo! Ho bisogno di te! La piccola ha bisogno di te!”
“Devo farlo Malik.. Se non metto fine alla mia esistenza il mio popolo e il resto del mondo non sarà mai in pace fino a che Lui resta in vita! Non posso permettere che tutto ciò vada avanti anche per un solo ultimo secondo. E’ arrivato il mio momento. Tutto finisce se finisco anche io.”
Nei suoi occhi si leggeva una decisione irrefreabile. Niente sarebbe riuscito a convincere la regina Elika a non tuffarsi nelle fauci buie della bestia. Del Dio del male. Ahriman.
“Fallo per lei. Per la piccola. Elika ,non posso lasciarti affrontare tutto da sola! Allora dovrò venire con te e chi la curerà!? Chi la farà crescere!?”
Il re e la regina di Persia non erano soli… Dietro la porta della stanza dalla quale Elika stava per lanciarsi verso la morte, due occhi blu mare come quelli del padre stavano fissando la scena imperterriti. Quella piccola e innocente bambina di otto anni stava assistendo ad una scena alla quale nessun pargolo mai avrebbe dovuto partecipare. Quella bambina dalle tante,piccole lunghe trecce con gli occhi asciutti ,senza neanche un filo di lacrima stava guardando una delle scene di distruzione più atroci mai viste. Sulla ringhiera del balcone fatta di piccolissime colonne bianche c’era la mamma, non la regina per lei, che stava per buttarsi decisa nel ventre di un orrendo mostro nero e il padre la stava pregando di non farlo. Sherazad non capiva quelle parole amare, quei dialoghi insensati tra il padre e la madre. Non afferrava il significato di alcun vocabolo. Tutto le appariva assurdo. Quel corpicino racchiuso in un paio di pantaloni neri e in una casacca di uguale colore non capiva. Percepiva solo una cosa.. La fine. La fine di giochi, di sorrisi, di pianti e di sguardi che mai come nessun altro l’avrebbero potuta rassicurare.
“Elika, per favore.. Ormazd troverà una soluzione per noi. Abbiamo una bambina ormai, capirà che non possiamo lasciarla sola.. Elika siamo deboli ormai, Lui è potente.. Non sai se riusciremo a risanare tutto, tutti i giardini fertili liberando l’energia che ti rimane in un unico seme di luce!”
“Perché non hai lasciato che morissi qualche anno fa!? Perché creare tutto questo!?”
“Perché ti amavo Elika! Mi ero innamorato e non potevo lasciare che tu andassi via!”
Elika guardò dietro se. La città era distrutta e la gente guardava terrorizzata la finestra da dove lei stava per eseguire il suo ultimo lancio nella battaglia tra luce e tenebre. Tra alleati di Ormazd e alleati di Ahriman. La gente fuggiva e gridava. Sherazad era importante, la cosa più bella che le poteva mai essere capitata.. Ma era giunto il momento. Era giunto il momento di lasciare Malik e Sherazad da soli.
–Ci penserà Malik a prendersi cura della mia piccola.-
Pensò. Un ultimo pensiero disperato. Un pensiero obbligato e dettato dal suo dovere che doveva necessariamente compiere ,rivolto soprattutto alla figlia.. Quella figlia che le assomigliava come una goccia d’acqua e che aveva gli occhi color acqua marina del padre. I capelli del suo stesso colore solo che più lunghi e un viso dolce. Erano come gemelle. La somiglianza era stupefacente. Le salirono le lacrime agli occhi.
-Lo faccio anche per Sherazad. Per lasciarle un mondo migliore prima che qualche altro alleato del male liberi nuovamente le tenebre. Per lei che non ha diritto a vivere quello che ha vissuto fino a adesso. Che non deve prendere il mio posto e i poteri di Ormazd per morire. Devo farlo, adesso.-
Fu il suo ultimo pensiero. Piegò le ginocchia e si lanciò verso le fauci enormi e nere di Ahriman, drago oscuro, Signore del male, che la attendeva sotto il balcone dell’immenso palazzo. Lasciò dietro se una scia blu elettrico, segno dei poteri che Ormazd le aveva affidato per giungere ad una lotta diretta con Ahriman. Malik non stette a guardare. Si lanciò insieme alla moglie amata, vestito di bianco e oro con il mantello che si muoveva come una candida bandiera e si lasciò cadere nel vuoto. Legati dal legame di Ormazd ,automaticamente le mani di Elika giunsero a salvarlo ed entrambi scivolarono nell’antro dell’oscurità.
“Perché lo hai fatto!? Perché hai lasciato Sherazad da sola!?” urlò Elika con tutto il fiato che aveva in gola.
“Dovevamo finirla insieme.” Le ultime parole di Malik.
Con le lacrime agli occhi Elika si rese conto che i suoi poteri non bastavano a mettere al tappeto l’oscurità che si era con il tempo rafforzata. Il suo pensiero corse a Sherazad, che avrebbe dovuto affrontare le sue stesse prove, il suo stesso destino.
– Spero trovi un degno compagno di avventura.- Pensò disperata.
Raccolse tutte le sue energie nel petto e liberò da li un enorme seme di luce separato in due parti uguali che brillavano come due stelle:uno per Sherazad e uno per il suo futuro alleato per lasciare loro qualche altro anno di vita assieme dopo la sconfitta del male. Urlando disperata li gettò dentro Ahriman sperando di indebolirlo fino al momento in cui Sherazad sarebbe stata in grado di affrontarlo in una battaglia diretta. Si, non bastò a sconfiggerlo. Solo dentro la sua pancia Elika si rese conto di quanto fosse debole e di quanto lui fosse ormai molto più potente di lei. L’ombra di Ahriman era svanita dalla città, indebolita ma presto sarebbe tornata. Sarebbe tornata a riprendere un’altra vita, forse quella di Sherazad. O forse lei lo avrebbe sconfitto. Lo avrebbe forse deciso il fato. La bambina dagli occhi verdi, dopo aver visto la scena, si girò mentre alle sue spalle l’oscurità esplodeva e si indeboliva, con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi bui e profondi come pozzi. Si avviò verso l’uscita del castello con una mantella nera addosso, coprendosi il volto, lasciando scoperti solo gli occhi. Aveva appena visto i suoi genitori, la sua vita, scivolare nel buio. Morire e sacrificarsi per un mondo migliore. Quelle braccia che la cullavano erano svanite e quegli occhi verdi pieni di forza, di speranza e di amore non l’avrebbero più guardata. Il dolore era fortissimo, tanto da non lasciarle nemmeno un momento per versare una lacrima. Nell’anima di Sherazad regnava un deserto arido. Il vuoto. Il vuoto regnava in lei. In una bambina di otto anni, che dovrebbe essere solamente spensierata e cullata. Non era suo diritto, non era giusto che , piccola come era, conoscesse il vuoto, sensazione incolmabile. Cercò di non farsi vedere e agile come un felino scappò dalla reggia, senza sapere verso cosa andava incontro. Un destino che mai avrebbe dovuto affrontare.




Luce. Quello spazio sospeso era attraversato da una luce chiara,densa. Una ragazza dalla pelle ambrata e agile come un felino correva a rallentatore, come se sfuggisse da qualcosa più grande di lei…che non avrebbe potuto affrontare da sola. Si voltava indietro spesso con un volto che lasciava trasparire fretta, consapevolezza..ma non paura. Tutto si poteva affermare di quella ragazza dal viso dolce e sconosciuto; da quegli occhi verdi color del mare, profondi, vuoti come un fosso appena scavato pronto per ospitare qualcosa; qualcosa di nuovo che riempisse un vuoto profondo nell’animo… La giovane correva in questa luce densa..lattea. Poi il suo volto appariva, intero e quegli occhi verdi dominavano la sua figura. “
Aiutami.” Sussurrava sicura, ma nella sua voce vi era qualche nota supplichevole.
E tornava a correre. E a voltarsi. Poi buio. Un buio malvagio, terribile.
“Non hai che da chiedere”..una voce femminile,dal tono pacato, ma cattiva.
“Avanza la tua richiesta!”. Una voce cupa maschile, orrenda e mostruosa che gettava nel più profondo degli oblii l’animo di un uomo. “Otterrai il tuo desiderio..” sempre la voce femminile.
Poi le due voci insieme:”IN CAMBIO DEL MIO!!!”
Poi due occhi blu elettrico, simili a quelli di un pipistrello, infuriarono nelle tenebre. Sembravano delle furie divoratrici, assetate di vendetta e di morte. Eccolo, era lui: Ahriman, l’incubo di ogni notte. Il Dio delle tenebre più oscure. Chi altro poteva avere due voci se non un Dio privo di sesso, ne uomo ne donna. Poi uno scorrere di immagini: i precedenti sovrani di Persia. Elika e Malik, il padre di Elika, sovrano 18 anni prima che per primo riportò in vita Ahriman per salvare sua figlia dalla morte, poi di nuovo quella ragazza..quegli occhi verdi e un grido disperato,

“AIUTAMI!”.

Poi il risveglio, le guance imperlate di sudore freddo. La bocca che emanava respiri profondi e carichi di sgomento. Il cuore pulsava in maniera allarmante e la luce fioca e sicura della sua stanza pareva ad un tratto così spaventevole, così tetra. Aveva gli occhi rivolti verso il soffitto spento e aveva paura che da un momento all’altro quel buio potesse trasformarsi in quegli occhi terribili. Ancora quel sogno. Ancora quella misteriosa ragazza dagli occhi verdi e la pelle ambrata. Quel sorriso sghembo e furbo di una donna che è cresciuta in fretta e che si è resa conto di cosa voglia dire combattere. Quegli occhi così brillanti ma che allo stesso tempo lasciavano trasparire un enorme vuoto incolmabile. E poi una richiesta di aiuto. Un’immagine sfuocata che poi sparì per l’ennesima volta. Si svegliò, sudato. Non capiva. Un’altra volta quel sogno che da anni gli riempiva le notti. Chi era quella ragazza? Perché la sognava? Quella figura agile e sensuale come un felino ma triste ..Che cosa rappresentava? Si accasciò sul morbido lenzuolo e cercò di riaddormentarsi. Il pensiero di quella donna lo tormentava da tanto tempo anche se cercava di non darci peso, quei sogni erano qualcosa di incomprensibile e quella ragazza probabilmente nemmeno esisteva. Era tutto frutto della sua fantasia e delle sue speranze per una nuova vita dopo aver avuto un passato atroce. I genitori morti sotto i suoi occhi durante le battaglie contro le tenebre,e la perdita di una casa. I mostruosi soldati di Ahriman erano entrati nella sua abitazione distruggendo tutto e portandogli via la cosa che per lui era più cara, i suoi genitori. Aveva otto anni. Era solo un bambino. Riuscì a sfuggire in tempo dopo che le lame dei mostri trafissero i petti dei famigliari. Quegli esseri alti, gobbi, dalla pelle viscida e nera come la pece con venature blu elettrico e coperti da quel liquido mortale, la Corruzione. Un tempo erano uomini e donne. A loro tempo sono passati dalla parte delle tenebre ed esistono per un unico scopo. Servire il male. Servire e accontentare Ahriman. Per fermare e ostacolare la luce. Corruzione pura. Coperti dal quel liquido nerastro che portava morte e distruzione in qualsiasi luogo si diffondesse. Quel liquido che liberava i servi del Dio. I loro contenti e soddisfatti volti sfatti dalla Corruzione nell’uccidere quelle due persone innocenti provocò al ragazzo un tale dolore che tutt’ora gli faceva male e gli riempiva il petto di rabbia e tristezza. Da anni ormai sperava in una fine per il male, anche in una sua personale vendetta. Da qualche tempo in quei dieci anni che erano passati dalla morte dei suoi genitori, tutto sembrava essersi placato in una apparente pace. Ma tutti, lui compreso, sapevano che non era così. Il male sarebbe tornato forte. La regina Elika lo ebbe indebolito con due enormi semi di luce. Lui non vide la scena, ma giudicò quell’atto davvero di grande coraggio e di amore verso il proprio popolo. Secondo la sua opinione, non tutti i sovrani l’avrebbero fatto. Tanti erano codardi e di fronte al pericolo e alle avversità non avrebbero mai fatto una simile azione per la propria gente. Elika abbandonò tutto. Ecco, quella era l’unica cosa di cui era soddisfatto nella sua vita. Due sovrani che dettero la vita per il proprio popolo quindi, in parte, anche per salvare lui. Per il resto la sua vita non lo soddisfaceva per nulla. Preso da due contadini, doveva badare ogni giorno ad una mula, un’asina di nome Ahrma e al raccolto insieme al padre adottivo. Non che gli stessero antipatici i suoi genitori adottivi ma non sarebbero mai stati in grado di cancellare e guarire le sue ferite e a fargli dimenticare. Pensando a tutto ciò il sonno tornò a prendere il sopravvento su di lui..e tra incubi e paure si addormentò, sperando di non fare di nuovo lo stesso sogno.

NOTA AUTORE

Eccomi con il Prologo della mia prima fanfiction, recensite numerosi se avete gradito :-) Aggiornerò presto con il primo capitolo e con nuovi avvenimenti. :-)
Dato che è la prima storia che pubblico accetto commenti sia positivi, sia negativi, così migliorerò la mia scrittura :-)
A presto, spero vi piaccia! :-)

Sherazad_93

 

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Capitolo 2
*** Inaspettate conoscenze ***


Capitolo 1: Inaspettate conoscenze
Il Sole cuocente di Persia la faceva grondare di sudore sotto la veste nera.
Correva, correva verso la libertà; correva via dalle guardie reali. 
Quelle stesse che la cullavano e giocavano con lei quando era una piccola bambina.                                Una ladra, ecco come la definivano adesso in quello che era il suo regno..almeno quello che era fino a dieci anni prima, prima che scappasse..prima che fuggisse per affrontare il suo destino da sola, senza che nessuno avesse pena per lei e cercasse di aiutarla.
Voleva fare tutto in solitario,voleva adempire al suo destino senza che nessuno si facesse male per lei, come successe in passato.
Le due cavigliere d’oro che la madre le aveva donato quando aveva solo sei anni , due anni prima di morire, risuonavano nella corsa e le note di quell’armonia si alzavano tra la sabbia bollente che smuoveva con le sue veloci falcate e partivano per risuonare nello strapiombo che distava pochi metri. Le gambe parevano cederle da un momento all’altro e i polmoni non erano più in grado di reggere quel respiro affannato e ansioso.                                                                                                     
Ansioso di concludere quella corsa senza fine che era partita dal centro della città, da sotto il palazzo reale, lunga qualche centinaia di metri.                                                                                    
Sotto il velo, le labbra secche e disidratate, erano aperte formando una stretta fessura. 
Solo gli occhi aveva lasciato scoperti, quegli occhi color acqua del mare come quelli di suo padre.  
Quegli occhi incantevoli, quei pozzi vuoti.
I pantaloni le stringevano i fianchi e sulle caviglie facendola sudare ancora di più, lasciando almeno il tessuto di cotone largo sulle gambe.                                                                     
Nel corpetto largo,anch’esso di cotone, senza maniche, a metà schiena, aveva un taglio di forma triangolare che mostrava un simbolo: una stella a otto punte, il simbolo del Dio della Luce ,Ormazd.. ormai sembrava che nessuno lo conoscesse più.                                                                                    Ormazd se ne era andato da tanti anni, nessuno aveva più fiducia in lui; il popolo se lo era dimenticato, e così aveva dimenticato anche i suoi simboli.                                                                      
Il peso del dovere di Ormazd ricadeva,ora, su quella ragazza; quella ragazza che rubava frutta al mercato per poter sopravvivere nomade in qualche grotta mentre avrebbe potuto nuotare nel lusso.
Il velo che le copriva il volto le fungeva da mantello coprendole la spalla destra. 
                                   
“Fermati!!”, l’urlo di una guardia.

“Non ci sfuggirai stavolta!! È andata avanti per troppo tempo questa storia!”.
Queste grida le davano l’unico impulso per continuare a fuggire.
Erano l’unico nemico valido contro la stanchezza.                                                                        
Ecco lo strapiombo. Doveva sforzare i muscoli, già consumati dalla fatica , per compiere un balzo felino; uno di quelli che era bravissima a fare; un balzo verso la libertà. Lei era agile come un felino. Con il tempo aveva imparato a esserlo.. da sola.
In pochi secondi era riuscita a trovare le forze per seminare le guardie abbastanza da non essere vista mentre spiccava il salto.                                                                                                   
Piegò le ginocchia sfatte e si slanciò verso l’alto con le sembianze di un gatto, e come questo atterrò sui piedi, senza cadere, senza cedere alla stanchezza.                                                   
Poggiò la mano destra a terra per potersi sorreggere meglio, per darsi stabilità dopo quella infrenabile corsa. Le gambe le dolevano e tremavano paurosamente mentre la bocca coperta dal velo nero, cercava di imprigionare nei polmoni più aria possibile.                      
Gli occhi bellissimi , erano sgranati.                                                                                             Basta, non doveva cedere proprio adesso. Doveva continuare..doveva farsi forza, alzarsi e trovare un rifugio.
                                                                                                                         
“Ahrma!”.

La voce improvvisa e squillante di un ragazzo la fece riprendere e il cuore colpì il petto con forza. E se fosse stata una guardia? Rimase immobile come per mimetizzarsi, per non farsi sentire..Se fosse stata una guardia sarebbe stato troppo tardi ormai per muoversi.

“Ahrma!! Che asina testarda..È sempre la stessa storia, dannazione!!”.

In quel momento, un giovane fece capolino da una parete di roccia, ma non la vide. Continuava , comunque, ad avanzare verso di lei. Non vi era pericolo, era un paesano come un altro e non le avrebbe torto un capello. Non ce l’avrebbe potuta fare.                                    
Prima che urlasse nuovamente e attirasse con la sua voce le guardie verso lo strapiombo, la donna si alzò di corsa e non gli dette neanche il tempo di concludere una nuova frase. Le parole gli morirono in bocca.

“Ahrm..!”.

Lo afferrò violentemente per la casacca e lo sbatté alla parete di roccia sotto lo strapiombo per non farsi vedere.                                                                                                   
Si mise il dito sulla bocca per fargli cenno di tacere e si accigliò per fargli capire che se avesse parlato avrebbe fatto una brutta fine.                                                                                    
Il giovane moro, dai capelli scalati lunghi fino a quasi le spalle, guardava atterrito la giovane ragazza, senza poterne vedere il volto e proprio questo lo spaventava.  Pareva una pericolosa bandita, quindi stette zitto per paura che la sua vita potesse finire da un secondo all’altro.
Qualche attimo dopo si affacciarono le guardie reali.

“Te lo avevo detto che non era qui..Fai sempre i soliti errori!! Da quella parte!”.

La guardia maggiore aveva appena sgridato uno dei suoi apprendisti, quello che lo portava sempre sulla rotta giusta..dove la giovane riusciva a nascondersi perfettamente.
Nel frattempo, nel giovane ragazzo, al posto della paura, prese il posto una strana sensazione, una nuova emozione.                                                                                                                                      Guardò intensamente gli occhi della ragazza che lo fissava. Erano due pozzi vuoti che sembravano privi di qualsiasi emozione. Erano di un colore verde mare accecante ed erano bellissimi. Lui aveva già visto quegli occhi, vi riconosceva qualcosa. Bastò pensare poco tempo e si ricordò di quei sogni, di quella ragazza dagli occhi meravigliosi che gli implorava aiuto ogni notte.                                                      Non ebbe il tempo di dirle nulla, appena le guardie si mossero la ragazza di staccò e fuggì. 

“Aspetta!!”.

Provò a urlare il ragazzo, ma lei pareva non voler sentire niente. Continuava a compiere balzi da una roccia all’altra agile come un gatto e non voleva sentire ragione di fermarsi.

-Che strano..quegli occhi mi sono così familiari..non la lascerò fuggire via così..devo assolutamente parlarle e chiederle chi è..che strana sensazione..-.

Così, imperterrito, il ragazzo si mise a seguirla e a rincorrerla, molto meno agile di lei, ma abbastanza per raggiungerla a distanza di pochi metri.

“Aspetta ti prego!!”.

No, lei non voleva avere nessuno attorno, voleva restare da sola. Non voleva provare alcuna nuova emozione, tantomeno quella che aveva provato poco prima.                                                                Una strana sensazione che la faceva sentire legata a quel giovane che la chiamava.
Non voleva legarsi a nessuno, tantomeno ad uno sconosciuto che le chiedeva di fermarsi e sembrava interessato a lei..in dieci anni nessuno si era più interessato a lei e questo le aveva fatto comodo. Non poteva fermarsi proprio adesso.
La donna si ritrovò in uno spiazzo circondato da pareti di roccia e una piccola porta da dove poter fuggire. 

“AHAHAH! PRESA!”.

Dalle pareti saltarono giù due guardie reali. Una la bloccò, piazzandosi davanti e puntandole pericolosamente l’ascia.                                                                                                                 
L’altra stava poco più indietro. 
Il ragazzo giunse nello spiazzo giusto in tempo per fermare la seconda guardia reale e attirarla verso di se.

“Che sta succedendo qui??”.

“Cose che non ti riguardano giovanotto. Perché non te ne vai e ci lasci in pace..?Se non sarà così potrebbe finire molto male..”.

Il ghigno stampato sulla faccia della guardia faceva paura. Quegli occhi ardenti di soddisfazione erano raccapriccianti.

“Le donne non si toccano nemmeno con un fiore..figuratevi se ve la faccio aggredire con un’ascia! Ditemi cosa ha fatto e si potrà tutto risolvere in maniera pacifica!”.

La giovane non capiva..Non capiva l’ostinazione di quel ragazzo che nemmeno la conosceva.

-Vattene via testardo! Non voglio parlare con te! Non voglio avere niente a che fare con nessuno!- Pensò.

Non voleva che qualcuno morisse di nuovo, per lei. Aveva già dovuto sopportare troppe morti, le più dolorose della sua esistenza.                                                                                           
La guardia infuriò contro il giovane.

“Va bene, ho capito. Vorrà dire che ti stenderò al tappeto!!”.

Un urlo, e anche lui si lanciò in una battaglia furente contro la guardia reale.
La spada del giovane toccò con un fendente pesante, l’asta dell’ascia della guardia che per poco non lo trafisse.                                                                                                                    
Si infuriò. Cominciò a tirare fendenti pericolosi da ogni parte; lo prese per la parte inferiore del turbante e lo sbatté contro un muro di pietra.                                                          
Gli afferrò nuovamente il turbante e con forza immane lo lanciò verso l’alto lasciandolo cadere a terra.                                                                                                                      
Stremata, la guardia si alzò e provò a fendere e a affondare l’ascia,ma non riuscì. Il giovane lo riprese e lo ricacciò sul terreno, stavolta facendogli volare via l’ascia e puntandogli la lama alla gola. La guardia fuggì via con un urlo. 
                                                     
“Vedi cosa succede a mettersi contro di me!? Scappa, ti conviene..Ah, e non farti mai più vedere!”.

Mentre infuriava la battaglia, l’altra guardia, senza capire, era stata colpita da delle piccole correnti di energia azzurrina e si era ferita.                                                                         
La giovane avanzava sicura verso il suo nemico e lo spaventò.                                                          Anche questa, cominciò a correre via all’impazzata.

“Bravo, bravo! Fuggi via anche te se non vuoi volare a terra! Ma..”.

La ragazza era già partita per attraversare la porta e correva via. Proprio non ne voleva sapere.

“Nemmeno mi hai ringraziato!”. Disse ad alta voce.

Poi pensò:

-Non ti lascio scappare così.-.

Prese a correre a perdifiato anche lui. La ragazza si mise a saltare da un muro all’altro, arrampicandosi come se lo avesse fatto da sempre e corse via su un nuovo dirupo. Il ragazzo fece la stessa cosa,un po’ più lentamente e un po’ più goffamente.                                
Continuarono a correre per le pareti di roccia, fino a che non giunsero nei pressi di un ponte gigantesco. La giovane donna, in pochi secondi, lo passò correndo e si fermò. Si voltò per vedere se quel ficcanaso era dietro di lei o se era finalmente riuscita a seminarlo. No, era ancora lì. Si accigliò in maniera evidente. Pareva una furia. Si voltò verso il ragazzo, pronta a scagliargli contro qualche magia, utilizzando i suoi poteri. Strinse i pugni. Il giovane si fermo a metà ponte, la fissò intensamente. Vedeva che era furibonda, ma non gli importava. Voleva sapere chi era. Voleva dare una risposta, se era quella, a tutti quegli incubi che la notte lo tormentavano da dieci anni.                                       
Le mani della ragazza diventarono azzurrine..

“ECCOLA! BUTTATE GIÙ QUEI MASSI!”.

Ancora le guardie all’attacco. Su di una parete di roccia altissima, erano state poste in passato delle lastre di pietra, per fermare i banditi che di tanto in tanto arrivavano a saccheggiare la città. Spinte dalle guardie, le pietre cominciarono a precipitare, e mirarono proprio sul ragazzo innocente, che cominciò a correre a perdifiato verso il punto in cui si era fermata la donna.

“No!!!!”.

Urlò lei con tutti il fiato che aveva in gola. Il ragazzo non riuscì a raggiungere l’altra parte del ponte e così cadde da un’altezza mozzafiato.                                                                                 Automaticamente, la ragazza si illuminò di una luce azzurrina; si tuffò e le sue mani arrivarono a stringere quelle del ragazzo e, con un tuffo, lo salvò. Lo portò nel punto dove si era fermata lei. Quasi svenne, cadde in terra stremata. L’energia che aveva sentito nel legame con il ragazzo era stata talmente intensa da farle perdere le forze. 

“Ti senti bene?”, disse lui.

“Non ho bisogno del tuo supporto..”, sussurrò lei con una mano sul petto, ansimando.

“Invece sì. Ora come ora in queste condizioni ti faresti solo prendere dalle guardie e sai come andrebbe a finire.”.

Non aveva torto. Se avesse continuato a fare l’orgogliosa, per lei sarebbe stata la fine. Fermarsi e non prestare attenzione al ragazzo sarebbe stato fatale per lei, quindi si fece prendere in collo.

-Lo faccio solo per me stessa, per riuscire a portare a termine il mio compito-,pensò con orgoglio.

Ma continuava a non comprendere il legame evidente con quel ragazzo. Quella quantità enorme di energia che l’aveva distrutta. Quel balzo automatico. Non poteva essere. Lei voleva fare tutto da sola. Non poteva aver trovato il suo compagno, colui che Ormazd sceglie per affiancare i suoi servitori e i suoi fedeli.

-Non posso crederci, NON VOGLIO CREDERCI!-, continuò a pensare.

Fecero un tragitto a piedi, lei nelle braccia di lui. 
               
“Allora, adesso vuoi spiegarmi chi sei? Cosa era tutta quella magia?”.

“Non ti riguarda. Chi sono io non ti deve interessare, ne tantomeno devono farlo i miei poteri!”.

“Dimmi chi sei.”.

Lei lo guardò con sguardo truce. Si lasciò cadere dalle sue braccia e lo fissò.

“No!”.

Cominciò a correre con quelle poche energie che le rimanevano.
                                         
-Devo arrivare al tempio prima che lui possa vedermi..devo seminarlo.-.

Ma, dopo una breve corsa, dovette riaffrontare l’ira delle guardie.

“Pensavi di sfuggirci! Ahahah!”.

La ragazza stremata, non avrebbe potuto affrontarle nemmeno con la magia.
                                                                
“Ripeto nuovamente, che si può anche risolvere la questione a parole. Non c’è bisogno ne di utilizzare la violenza, ne di dover combattere necessariamente.”, la voce del ragazzo che ,nuovamente, l’aveva raggiunta.

-Non è possibile!-,pensò la ragazza.

Una delle due guardie, avanzò rabbiosa verso il ragazzo che disse :

“Senti, ho perso la mia asina ricca del mio raccolto, mi sono quasi caduti dei macigni addosso e sono quasi volato da un ponte.. Sono molto nervoso non ti conviene metterti contro di me..”.

“Non ti intrometterai tra noi e la ladra! E’ troppo tempo che questa situazione va avanti e i mercanti si sono stufati! O noi la leviamo di mezzo, o il mercato non si farà più e già non siamo a un buon punto con il denaro nel nostro regno!”.

“Vedremo se non mi intrometterò!!”.

Corse verso la guardia e cominciò a fendere con la spada. I colpi erano forti, precisi. Sembrava combattesse da tutta una vita. La guardia non riusciva a reggere i colpi. Il giovane la scaraventò a terra, poi la riprese e la lanciò verso l’alto per poi sbatterla ad una parete. Fuggì. L’altra non stette neanche a combattere, scappò insieme alle altre che si posizionarono su una parete di roccia.

“Non puoi continuare a sfuggirci!” Disse una di queste.

La giovane fuggì, cominciò a correre tra le rocce, seguita da quel misterioso ragazzo.         
Si rifugiò in una piccola fessura nella quale fu raggiunta da lui.

“Smettila di cercarmi!! Io non voglia avere niente a che fare con nessuno, figuriamoci con te, un pezzente sconosciuto. Levati dai piedi..!”, sibilò.

“Tu non vuoi davvero che io me ne vada..”, lui lo leggeva negli occhi di lei,ormai trasparenti per lui.

Questa frase svuotò l’animo della giovane. Nel profondo era vero. Era vero che lei non voleva più stare sola. Era vero che, alla fine, quell’incontro non lo aveva poi così sdegnato. Passarono le guardie davanti alla fessura, urlando come pazze.  Poi la ragazza si alzò e uscì. Si illuminò di una luce azzurrina. Il ragazzo capì. Collegò ogni singola immagine di ogni notte e della sua vita. Elika, regina di Persia dieci anni prima, aveva i poteri del Dio della Luce Ormazd. Era morta, ma senza aver del tutto sconfitto le tenebre. Quindi il suo destino sarebbe stato passato alla piccola figlia. Figlia così bella, che aveva fatto vedere al suo popolo dall’immenso balcone del palazzo, lì dove con Malik era stata incoronata. La piccola si chiamava Sherazad. Ora capiva finalmente chi era la ragazza che sognava, capiva la sua richiesta di aiuto. Capì di essere destinato a starle vicino. Capì che in un modo o nell’altro doveva convincerla.

“Sherazad!”, provò.

Immediatamente, la luce azzurrina che circondava la ragazza si spense. Lei rimase immobile e attonita. Gli occhi le si sgranarono. Non poteva crederci.

“E tu, come sai il mio nome!? Nessuno sa chi sono!!!!”.

“Ti sogno tutte le notti Sherazad..Da quanto i tuoi genitori sono morti. Capisci perché ti seguo? Riconoscevo i tuoi occhi. Sono io quello che Ormazd ha scelto per starti accanto nella tua missione.”.

Gli occhi di Sherazad si riempirono di lacrime. Lacrime di rabbia. Di fronte a quel sentimento si sentiva dannatamente impotente. Non poteva essere. Avrebbe dovuto avere il ragazzo al suo fianco fino a che non sarebbe morta per salvare il suo regno. Avrebbe dovuto avere necessariamente quella compagnia se voleva rigettare Ahriman nelle tenebre.Qualcuno avrebbe dovuto rischiare la vita per lei, senza via di uscita. Si arrese.

“Devo andare al tempio di Ormazd.”, si limitò a dire.

E prese a camminare lentamente, come per farsi seguire.

“Mi chiamo Dastan.”.

Sherazad non rispose. I suoi passi sembravano meccanici.                                                                 Scesero una parete di roccia, lei con un tuffo che le consentivano i poteri, lui con le unghie che alla fine sanguinarono un po’.

“Non hai qualcosa che possa alleviarmi il dolore delle scalate, visto che dovrò seguirti fino in capo al regno?”, domandò Dastan.

Sherazad ancora non poteva accettare questo fatto. Non voleva accettare che qualcuno avrebbe rischiato la sua vita per portare a termine una missione, un destino che spettava solo a lei. O forse anche a lui. Non avrebbe mai mandato giù questo fatto. Nemmeno il fatto che il giovane sapeva tutto di lei. La innervosiva, la faceva diventare potenzialmente isterica.

“Se mi segui fino al tempio ti darò un guanto particolare. Niente di più. E dovrai anche trattarlo bene, era di mio padre. Se si rovina anche solo un millimetro di quell’arnese, giuro che ti riduco a pezzi. Sai che sono in grado di farlo. Sai tutto di me, saprai anche questo.”.

Dastan rimase interdetto, con la fronte corrucciata, poi proseguì. Qualche altro passo nella sabbia bollente e il tempio di stagliò davanti a loro con tutta la sua grandezza. Il gigante si mostrò,finalmente, ai loro occhi.

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Capitolo 3
*** Il Male è libero ***


Capitolo 2: Il male è libero
Il gigante di roccia si stagliò davanti a loro, facendoli sentire, al suo cospetto, dei minuscoli esserini. Si sentivano delle nullità a confronto.
Di fronte a quell’ammasso immenso di roccia, si sentivano inutili.
Aveva un fascino e un potere impressionante.
Era una delle meraviglie più spettacolari del mondo.
La pietra era stata modellata nel tronco di un albero alto almeno come duecento uomini messi l’uno sopra l’altro. Era rigoglioso e le sue radici si andavano intrecciando di tanto in tanto nella roccia per poi conficcarsi nell’arido terreno.
Adesso le sue foglie erano più verdi rispetto ai tempi della regina Elika: segno che il potere di Ormazd era aumentato.
Sotto il tempio vi era uno spiazzo di roccia dove sopra era disegnata la mappa di tutti i Giardini Fertili presenti nel regno di Persia.  
I Giardini Fertili erano quei territori dove era custodito il potere di Ormazd.
Una volta liberato di nuovo Ahriman, si sarebbe dovuta iniziare una corsa per risanarli tutti prima che Ahriman cancellasse definitivamente il potere di Ormazd.
Ormazd e Ahriman erano fratelli..eppure alla fine il loro legame di sangue sfociò in una lotta senza precedenti che non si era mai conclusa. Questo anche a causa di qualche spudorato essere umano che per fare i suoi interessi si donò al Dio delle tenebre.
Questi esseri umani erano cinque per ora, anche se due di questi erano diventati Corrotti di Ahriman per altruismo e giuste cause
Il primo di questi era Rahìm, il Cacciatore. Rahìm era un principe che viveva nello sfarzo, nell’oro. Ebbe avuto questa possibilità di nuotare nel denaro, ma non la sfruttò per avere le più belle donne del regno, o ampliare il suo castello rendendolo immenso, o avere le armi più belle. No, la sua passione più grande era la caccia. Utilizzò i suoi denari per farsi istruire dai migliori maestri del regno e li pagò sonoramente. Cominciò a cacciare ogni giorno, senza fare altro. Passava le sue giornate a tendere l’arco e a usare il pugnale. Presto la sua sete di caccia lo consumò, lo trasformò in un mostro. Uccise e torturò ogni sorta di essere vivente che poteva incontrare nel suo territorio, sterminando ogni tipo di specie. Rahìm si divertiva a distruggere vite di esseri innocenti. Non uccise uomini però. Non fu contento, cercò un altro posto dove poter sterminare animali. Quindi partì per il regno degli Ahura, essere umani servitori di Ormazd, il popolo che era stato anche di Elika.
A questo punto Ahriman lo convocò e gli propose uno scambio: gli chiese la sua Anima in cambio di una specie difficilissima da sterminare e appunto per questo più divertente da eliminare ma anche da cacciare, l’Essere Umano.
Rahìm accettò. Il suo corpo acquistò una forma brutale. Divenne gobbo, col corpo sfatto dalla corruzione, vestito di pelli stinte, e al posto del braccio si sostituì una spada a tre lame pericolosissima e mortale. Da quel giorno non parlò più, emetteva solo dei versi, come un animale, che nessuno è mai stato in grado di decifrare.
Così Rahìm diventò il Cacciatore, il primo Corrotto.
Il secondo di questi era Arabòk, l’Alchimista. Arabòk era un bravissimo alchimista, capace di tante cose. Era un uomo intelligente e innamorato solo dei suoi studi e delle sue ricerche sui Misteri dell’Universo. Sin da quando era giovane si era perso dietro ai suoi esperimenti e studi, fino a che stava per arrivare alla conclusione. Alla definitiva fine della ricerca. I Misteri dell’Universo stavano per essere finalmente svelati dall’alchimista più capace della Città di Luce. Dall’alchimista più grande di tutta la Persia.
Un giorno fatale,però, giunse la vecchiaia e la malattia a corroderlo e a renderlo debole. Lo lasciarono impotente e incapace di continuare a studiare, così si rivolse al Dio della Luce, Ormazd.
Il Dio non ascoltò neanche una sua parola, gli rimase indifferente. Rimase indifferente davanti a una passione bruciante, viva.
Arabòk non sapeva che fare. Tentò la sua ultima possibilità, verso una strada senza ritorno, senza via di uscita che avrebbe corroso la sua natura per sempre: quella delle Tenebre.
L’alchimista implorò Ahriman di dargli la possibilità di concludere i suoi studi, di poter svelare finalmente qualsiasi Mistero dell’Universo, di poter essere immortale per continuare a studiare per sempre.
Ahriman gli donò la Corruzione, quel liquido maledetto, e disse lui che l’avrebbe potuta usare come più gli piaceva, in qualsiasi momento.
Grazie all’uso della Corruzione, Arabòk diventò immortale.
L’Alchimista prese così il controllo della Valle, un luogo ricco di conoscenza.
Anche il suo corpo si sformò: divenne un essere scheletrico altro e magro, pieno di Corruzione , avvolto in un mantello e in un cappuccio rosso con spine di osso sulla schiena.
Arabòk diventò il secondo Corrotto, l’Alchimista.
Poi, fu il turno di Desdemona, la Concubina. Desdemona era una donna davvero bellissima e abile a muoversi tra la politica delle corti un cui viveva.  Il suo modo per ottenere la ricchezza e la fama era manipolare coloro che detenevano il potere che lei tanto desiderava.
Quando poi sposò un uomo ricchissimo , sia di denaro, sia di potere, in un’altra donna nacque una gelosia immane, incontrollabile. Tale donna fece picchiare e sfigurare Desdemona che a quel punto si rivolse al Dio delle Tenebre, l’unico che poteva restituirle il potere che aveva conquistato.
Adesso impugnava un lungo scettro, simbolo del suo potere. La sua bellezze è sfigurata dalla Corruzione, pur avendo un insolito fascino. Generava delle illusioni con le quali si divertiva a confondere il nemico. Aveva una grande agilità grazie al fatto che possedeva una coda e delle zampe feline.
Desdemona divenne la terza corrotta, la Concubina.
Il quarto fu Darpak, il Guerriero. Anche Darpak era un sovrano. Era alla guida di un popolo pacifico circondato dalla violenza che stava per essere sopraffatto da nemici esterni. Un giorno Darpak udì la voce di Ahriman che gli prometteva la salvezza del suo popolo e la fine eterna del suo nemico. Per poter salvare la sua gente avrebbe fatto qualsiasi cosa, così accettò. Dopo aver sconfitto il nemico grazie al potere che Ahriman gli aveva donato, Darpak, nella sua forma ormai Corrotta non poté più tornare dal suo popolo e così si allontanò per compiere il suo dovere: servire Ahriman.
Nel frattempo il Dio delle Tenebre si divertiva amaramente con il popolo di Darpak. La povera gente subì atroci angherie e padri di famiglia furono costretti a trasformarsi in soldati Corrotti se non volevano vedere la fine delle loro famiglie.
Darpak ben presto divenne consapevole di ciò tramite alcune genti della sua popolazione che andavano a cercarlo nella torre dove si era rinchiuso. Darpak all’inizio non volle credere a ciò, Ahriman lo convinse che non era vero. Poi un giorno, arrivò una vecchia maga del suo popolo con una sfera di cristallo. La riconobbe. Dahia gli fece vedere tramite il vetro cosa stava accadendo al suo popolo. Il Guerriero cominciò picchiare le pareti per fuggire e tornare a difendere le sue genti ma ormai era troppo tardi. Le porte non si aprivano più. La maga con un incantesimo tornò indietro,non poteva portare indietro anche lui. Non poteva più salvarlo pieno di corruzione come era. Rimase lì, infinitamente sofferente, con il cuore, ormai fatto di roccia, a pezzi. Era distrutto, si sentiva terribilmente impotente, cosa che era, e questa sensazione lo rendeva matto. Dopo anni e anni si rese conto che non poteva farci niente e che ormai era costretto a servire Ahriman per l’eternità, senza possibilità di uscita.
Adesso aveva un aspetto massiccio, dalla potenza immensa. Era lento certo, ma era facile per lui sconfiggere i nemici. Ormai il suo popolo non andava più a cercarlo, a morire solo per parlargli un istante. Erano tutti morti. Da secoli ormai. Aveva una delle due braccia completamente ricoperta da rocce.
Lui era il Guerriero, il quarto Corrotto.
L’ultimo fu il padre della precedente regina Elika. Dalla morte della sua amatissima moglie, il Re Dolente si era chiuso in se stesso. Si era chiuso nel suo palazzo lasciando a marcire la sua città e il suo popolo. Gli ultimi Ahura, abbandonarono il regno. Decise di concedersi ad Ahriman quando in un attacco forte di un nemico morì la figlia, Elika.
Se Ahriman fosse stato liberato, Elika sarebbe rimasta viva e sarebbe morta solo in vecchiaia. Non accettò che anche la figlia fosse morta. Liberò il Dio delle Tenebre e da lì, Ahriman era ancora libero.
Come aspetto da Corrotto, era ricoperto di Corruzione e aveva un aspetto violaceo. E questo ultimo e quinto Corrotto, il Re Dolente, era capace di utilizzare tutti i poteri di Ahriman.
Tutto ciò Sherazad lo sapeva. Le sue visioni ormai le avevano rivelato tutto. Non c’era niente che non sapesse. Sapeva anche che l’ultimo Corrotto, il Re Dolente, era suo nonno. Le faceva male il fatto che un suo parente fosse un Corrotto, un alleato del male, ma se suo nonno non avesse fatto tutto questo, lei non sarebbe mai nata e non avrebbe mai conosciuto i suoi splendidi genitori e sua madre non avrebbe vissuto più. Si era abituata all’idea ormai e aveva paura che anche lei un giorno sarebbe potuta cascarci. Ma non lo avrebbe fatto, lo sapeva. Solo che Ahriman faceva paura a tutti.
Salirono le scalinate del meraviglioso tempio di pietra costruito nell’albero immenso.
Il tempio possedeva diverse incisioni sul muro, e cinque lunghi testi, di cui quattro rovinati dal tempo e dalle intemperie e uno nuovo, ancora ben intatto. Erano le storie dei quattro corrotti, che Ahriman si era divertito a incidere nel periodo della sua massima potenza a sfregio del fratello Ormazd.
Il tempio era posto tutto su livelli differenti, tutte pareti con sfregi che potevano essere scalate per poi ritrovarsi in una piazzola piccola o grande e dalle varie forme. La maggior parte aveva una forma a mezzo ottagono o interamente ottagonale, a somiglianza della stella a otto punte.
Dastan si fermò a leggere ogni storia dei Corrotti.

“Il Re Dolente è tuo nonno vero?”, chiese con un po’ di imbarazzo, ma con curiosità.

“Non abbiamo tempo per pensare a queste cose. Dobbiamo aprire il portone.”, sibilò Sherazad.

Dastan non parlò più per paura di subire un attacco o qualche rispostina acida della ragazza. Non voleva mettersela contro dato che avrebbero dovuto passare parecchio tempo assieme e lei era potentissima.
“Seguimi.”, disse Sherazad dopo aver osservato una piccola parete da scalare.

Cominciò ad arrampicarsi agilmente attraverso i due solchi profondi scavati nella parete.

Lui la seguì ma la raggiunse dopo un paio di minuti.
Quando arrivò in cima, nella piazzola a forma di mezzo ottagono e lunga poche braccia, trovò Sherazad che lo guardava con sguardo irato e con occhi di fuoco.
Abbassò subito lo sguardo.

“Ora vai verso quella leva e spingiamo insieme.”.

“Scusa la domanda, non vorrei irritarti. Ma io so poco e niente di questa storia quindi vorrei che tu, cortesemente, mi spiegassi perché io devo spingere questa leva. Scusa ancora il disturbo.”.

Disse questa frase con un misto tra cortesia e presa in giro.
Dentro Sherazad, il pentolone che aveva preso il posto del suo stomaco, cominciava a bollire anche troppo.

“Per aprire il tempio.”, fu la risposta secca.

“Ah, scusa se sono così idiota e non ci sono arrivato!”.

La mani di Sherazad cominciarono a emettere una luce azzurrina e gli occhi erano diventati dei veri falò.
Lo guardò con una furia accecante..poi prese il controllo di se stessa e della sua rabbia, che ormai le riempiva il petto da quando era arrivata la consapevolezza che se lo sarebbe dovuto portare dietro durante tutta la sua missione. Non era arrabbiata con lui.. era arrabbiata con Ormazd, con il suo destino. Però la sua rabbia andava a rifinire su quel ragazzo che si era così interessato a lei.. che sin dal primo momento aveva voluto aiutarla.
Lo guardò un secondo dritto negli occhi, con gli occhi lucidi e calmi.
Lui per un momento si illuse che lei gli chiedesse scusa, che cominciasse a comportarsi in modo più pacato a calmo, che questa rabbia si placasse o che almeno non si ripercuotesse su di lui.
Poi tornò a inarcare le sopracciglia e l’illusione svanì.
Spostarono insieme la dura leva di legno che sollevo una quantità piuttosto notevole di polvere. La leva era circondata da due solchi formati da due cerchi concentrici. Ogni dettaglio faceva capire che il tempio era stato costruito dai più grandi ingegneri.
Le colonne che sostenevano il piano superiore alla piazzola, parevano tremare terribilmente.
Il portone azzurro cobalto, l’unica parte colorata all’esterno del tempio tranne il muschio e le erbacce che lo ricoprivano, si aprì, si divise in due parti e si nascose nella roccia polverosa.
Sul portone del tempio, alto qualche decina di braccia, era incisa al centro la stella a otto punte di Ormazd, quella che Sherazad aveva tatuata sulla schiena, simbolo degli alleati della Luce e qualche fregio dorato.
La porta possedeva in cima la forma di una delle classiche cupole persiane.
Riscesero la parete.

“Ahi, le unghie!!”, urlò dolorante Dastan.

Sherazad lo guardò, gli si fermò un attimo accanto, poi entrò per prima nel tempio.
Passarono attraverso un corridoio di roccia altissimo, con qualche fiaccola appesa lateralmente alla parete. Sembrava diviso in parti e ogni parte aveva un arco altissimo e slanciato a forma di cupola persiana. Sulla cima della cupola persiana vi era una lanterna. Il soffitto era aperto e vi filtrava tanta luce. La luce del Sole cuocente, sotto i quali raggi correvano poco prima.
In qualche parete vi erano dei bassorilievi con immagini del Dio Ormazd. Una in cui combatteva il fratello, una in cui era rappresentato con i suoi soldati, una in cui veniva rappresentato il momento in cui si ritirava con i suoi soldati e tante altre scene tutte incise da chi ancora credeva in lui in passato.
Alla fine del corridoio, giunsero di fronte ad una porta di rame, di media altezza,con un diamante che emetteva una luce azzurra. Sopra un’incisione artistica a forma i cupola persiana.
Accanto ad essa, un anello scorrevole che andava tirato verso il basso per aprirla.
Sotto la porta era addirittura cresciuto qualche filo di erba, grazie all’energia di Ormazd che possedeva il diamante.

“E ora come si apre?”, chiese Dastan.

Sherazad andò avanti, saltò e afferrò l’anello. Ma da sola non ce la fece a tirarlo verso il basso.

“Dammi una mano avanti!!”, urlò a Dastan.

Il giovane corse verso di lei, le cinse i fianchi con le braccia e la tirò verso il basso.
L’anello scese, la porta si aprì.
Il diamante non si mosse. Rimase lì sospeso ad una corda.
Eccoli arrivati alla stanza centrale del tempio. Loro adesso, erano su di una balconata ricca di erba rigogliosa. Lungo le pareti della stanza dalla forma rotonda, vi erano dei dischi di Luce blu. La Luce di Ormazd, anche quelli circondati da piante vive.

“Ahahaha! E questo sarebbe il potere di Ormazd!? E chi ci crede più!!”, rise Dastan.

Qualche secondo dopo cadde con un tonfo sordo a terra.
Sherazad era carica di energia. Addirittura il suo mantello si sollevava in aria.

“Scusa non volevo offendere il tuo Dio!! È fasullo comunque!”.

Sherazad si calmò. Nemmeno lei era in pace con Ormazd. Per non compiere il suo dovere adesso i suoi genitori erano morti. Anche lei lo detestava, ma se non voleva mettersi contro anche lui,oltre ad Ahriman, non doveva offenderlo e doveva accettarlo.
Sotto la loro balconata, c’era una piazza circolare, e al centro l’Albero della Vita, quello che, se rotto, sprigionava Ahriman. Adesso il cristallo di cui era formato era incrinato e la sua luce era più forte, più brillante. Ormazd stava facendo sforzi per contenerlo sino all’arrivo di Sherazad che quel giorno aveva deciso di iniziare la sua missione, il suo destino.
Sempre sulle pareti si stagliavano due alto rilievi di colonne immense e possenti. Dalla parte opposta a loro un’altra balconata più piccola dove vi era una cascata di Luce.
Ai bordi dello spiazzo dove era situato l’Albero della Vita, scorreva un ruscelletto di acqua pura, che confluiva nel diametro del cerchio perfetto e passava la pianta di cristallo puro.
Sul soffitto si vedevano benissimo parti dell’albero gigante che viveva all’esterno del tempio e qualche sua radice. Sempre in cima, vi era qualche balconata sparsa con cascate di Luce azzurra.
Saltarono la balconata grande a arrivarono vicino all’Albero della Vita. Sotto di esso qualche pietra preziosissima color cobalto formava, circondata dall’oro,alcuni fregi.
Il tronco di cristallo dell’albero pareva arrotolarsi su se stesso, i rami erano privi di foglie, era ad altezza d’uomo. A metà tronco, vi era una spaccatura sottile dalla quale usciva luce e un po’ di Corruzione che rendeva l’aria impura.
Sotto, infatti, l’erba non c’era e non vi erano nemmeno più le farfalle che una volta roteavano leggere attorno all’albero.
Sherazad lo fissò intensamente.

“Dammi la spada.”, ordinò secca.

“Perché??”.

“Devo distruggere l’albero..Devo liberare Ahriman.”.

Dastan sfoderò la spada. Caricò un fendente sotto gli occhi sgranati si Sherazad.

-Lo farò io..- Pensò.

In un secondo,che sembrò eterno, l’albero fu distrutto. 
La lama passò a pochi centimetri dal volto di Sherazad che fissava,sorpresa, la scena.
Il volto corrucciato e coraggioso di Dastan, la aveva colpita. Non si aspettava un simile gesto..nessuno degli alleati di Ormazd si sarebbe messo contro o avrebbe liberato Ahriman.
I pezzi di cristallo volteggiavano nell’aria come ballerine e ricadevano stanchi a terra facendo rumore.
Tutta la Luce che prima inondava la stanza Sacra del tempio adesso era solo un ammasso di Buio denso, di vortici di Corruzione..
Dal terreno uscivano pezzi di Corruzione e l’Oscurità.

“Andiamo Sherazad! Corriamo via!”.

Il caos più totale.  Sherazad stette immobile a fissare i cicloni di Corruzione e l’Oscurità che spegneva ogni sorta di luce esistente sino a qualche istante prima.
Il suo mantello era mosso dalle correnti di Corruzione.
Dastan l’afferrò per una mano e con uno strattone riuscì a farle incominciare la corsa verso l’esterno prima che metà tempio crollasse sopra la loro testa.
Tante volte Ormazd era riuscito a tenere imprigionato suo fratello, poi se ne andava ed ecco uno sciagurato e spaccare  l’Albero della Vita…e tutto finiva nel caos più totale.
Poi un verso, un verso famelico, non umano.
Si voltarono..un Soldato di Ahriman; non era come uno di quelli che avevano ucciso i suoi genitori, ma Dastan fu comunque accecato dalla furia.
Corse verso il Soldato, cominciò a tirare giù fendenti con tutta la forza che poteva.
Il Soldato non voleva arrendersi.  In un momento di debolezza del nemico creata dalla sua ira, lo gettò a terra con un colpo di spada sulla spalla.

“Aaahh!”.

A quel punto Sherazad, rimasta immobile sino quel momento sentendosi impotente, spiccò un balzo e finì contro il petto del Soldato che andò indietro portandosi la specie di mano che aveva nel punto in cui Sherazad lo aveva colpito. Poi la donna con la magia risanò la ferita di Dastan.
Dastan lo vide indebolito e si alzò, prese il Soldato e lo schiaffò verso l’alto. In quel momento Sherazad saltò di nuovo, dette al Soldato qualche colpo con le braccia e poi con un calcio lo sbatté al terreno. Provò a rialzarsi, ma in quel momento Dastan gli conficcò la spada nel petto.
Il Soldato esplose in una nube di Corruzione.
Si guardarono..erano stati parecchio complici nella lotta.

“Andiamo prima che crolli tutto.”, disse Sherazad alla fine.

Dastan la seguì.
Saltarono da una piccola balconata all’altra, correndo talvolta sul muro.
Giunsero alla grande balconata dove erano prima, si arrampicarono lì, aprirono nuovamente con forza la porta di rame e corsero per il lungo corridoio.

“Aspetta!!”, gli urlò Sherazad.

Dastan si girò stupito, come scandalizzato dalla scelta della donna.

“ASPETTA!? Qui un Dio delle Tenebre è stato liberato, tutto sta crollando e mi chiedi anche di aspettare!?”.

Sherazad fu accecata dall’ira.

“Lo sto solo facendo per te!!!”.

E lo buttò a terra con un colpo di magia.
Dastan si alzò, con le sembianze di una furia, solo dopo comprese.
Sherazad pronunciò una strana formula, arrampicandosi sul muro e un mattone cascò al terreno.
Dal buco, prese un guanto con artigli e lo tirò al ragazzo.

“Mettitelo e corriamo via!!”.

Dastan non riusciva a mettersi il guanto. Lo fissava con gli occhi lucidi e se lo rigirava tra le mani come fosse stata una pietra preziosa che gli avrebbe potuto cambiare la vita.

“FORZA!!!”.

L’urlo potente di Sherazad lo risvegliò. Non poteva credere che avrebbe indossato il guanto del principe Malìk.
Cominciarono finalmente a correre per il corridoio. Le pareti crollavano, il pavimento anche.
Dovettero spesso saltare grandi distanze se non volevano cadere sotto la pietra ai loro piedi. Li sovrastava una nube di polvere.

“AIUTO!!”.

Dastan cadde. Il pavimento gli era crollato sotto i piedi, non era stato abbastanza veloce come Sherazad.
Lei si illuminò, saltò e con le mani arrivò a quelle del giovane e lo riportò su con se.

“Grazie..”.

Lei nemmeno lo guardò ricominciò la corsa.

“Stammi dietro!”, urlò semplicemente.

Intanto Ahriman urlava.

“PENSI DI POTERCELA FARE!!?? IO SONO LA FINE, IO SONO LE TENEBRE!!!!”.

Uscirono e la porta del tempio si chiuse. Era diventata più scura.
Tutt’intorno a loro, c’era solo buio. Il cielo era solcato da nuvole nerissime, la sabbia bianca era colorata di un grigio pastoso.
Le cupole avevano assunto un color oro che, in mezzo al buio, sembravano raggi del Sole.
Dastan cadde sull’altare davanti alla porta del tempio, distante da essa poche braccia.

“Non lo avevo visto..”, disse.

“T’importa più dell’altare o vogliamo andare sotto, a vedere la mappa, così cominceremo a fare quello che Ormazd ci ha affidato!?”.

Dastan si alzò in piedi.

“Quello che Lui doveva fare.” , sibilò.

Sherazad lo guardo malissimo, poi prese una delle due grandi scalinate.
Un urlo immane squarciò improvvisamente il cielo. La terra tremò.

“IO SONO LA FINE!!!!”

Dastan prese Sherazad per un braccio e la trascinò via a corsa. Stavolta sarebbe bastato poco a liberarlo. Non era debole come la scorsa volta.

“Non abbiamo tempo per guardare la mappa! Questa volta dobbiamo andare alla cieca! Mi spiegherai tutto più tardi quando saremo un po’ più al sicuro!!”.

Gli archi erano quattro, si infilarono nel primo che capitò dopo una lunga, matta e disperata corsa.
Sherazad lo sapeva, ma Dastan no.
Non sapeva che stava per andare contro al primo Corrotto.
Non sapeva che stava per finire nelle mani del Cacciatore.
Il Male era di nuovo libero.


NOTA DELL'AUTRICE: eccomi di nuovo :-) Scusate ma la scorsa volta mi sono proprio dimenticata di inserire la nota dell'autrice >.< Spero vi piaccia anche questo capitolo :-) Spero di avervi incuriosito ed entusiasmato :-) Accetto commenti positivi e negativi!! :-) Avverto anche che alcune informazioni le ho prese da Wikipedia e alcuni nomi, come avrete benissimo notato, non li ho tutti inventati io! :-) A presto!! :-)
Sherazad_93

 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Il Cacciatore ***


Capitolo 3: Il Cacciatore
Correvano a perdifiato per sfuggire al Male, per essere liberi dalle grinfie di Ahriman. Il cielo era completamente coperto da nuvole nere e il vento scapigliava violentemente i capelli di Dastan e il mantello di Sherazad.
Lei si stava coprendo il volto in modo che i suoi occhi non fossero ricoperti dalla tempesta di sabbia che stava invadendo la Persia.
Lui la trascinava per una mano correndo come un pazzo, col fiato spezzato.
Erano a metà corsa tra il tempio e l’arco della prima grotta, che avrebbe portato al primo Suolo Fertile da risanare quando..la terra cominciò a tremare.
I loro passi non erano più stabili sul terreno e più volte rischiarono di cadere a terra.
Continuavano comunque a correre imperterriti, senza voglia di fermarsi o di arrendersi. Ormai correre era diventato un gesto, un movimento automatico. Non sentivano nemmeno più la stanchezza. La voglia di arrivare al riparo aveva cancellato qualsiasi altro sentimento o impulso fisico doloroso. Le loro menti erano vuote, la testa lavorava solo per continuare a correre.
La terra tremava sempre di più e alle loro spalle vi era il terribile frastuono che creava Ahriman con la sua voce. Con le sue urla. Le sue urla così maligne, così orribili da spezzare il fiato, da togliere il respiro, capaci di suscitare il panico, il sentimento più buio in chi gli sfuggiva.
I cuori di Sherazad e Dastan sussultavano in maniera allarmante ogni volta che Ahriman urlava.
Sembrava si sentisse potente, troppo. Sembrava che pensasse di aver già vinto e che Sherazad correva verso un destino ormai già deciso : la sua fine e l’inizio della rinascita eterna delle Tenebre.
La terra non smetteva di tremare sotto il loro piedi, sembrava non volersi mai fermare.
Ad un tratto, una voragine immensa si aprì sotto i loro piedi, facendoli precipitare nel vuoto.
Non si vedevano nemmeno tra di loro, non percepivano più le pareti, la terra. Percepivano solo il nulla e un senso di morte angosciante.

-E’ finita..-, pensò Sherazad con un senso di impotenza, di arrendevolezza.

Pensava che il male era riuscito a sconfiggerla, a eliminare la Luce e che forse Ormazd, dopo la sua morte sarebbe tornato a pugnalare il fratello e a conficcarlo nuovamente nel suo castigo.
Poi il suo pensiero corse a Dastan, che tanto aveva combattuto quel giorno per aiutarla contro il maledetto Dio delle Tenebre e che adesso, anche lui, sarebbe morto per quell’insulsa battaglia. Per quella battaglia che altre volte, dopo di loro, sarebbe rinata in un ciclo che mai si sarebbe concluso.
Ci sarebbe sempre stato qualcuno che, preso dalla disperazione, si sarebbe rivolto ad Ahriman, che lo avrebbe nuovamente liberato.
Ci sarebbe sempre stato qualcuno che lo avrebbe sconfitto e sarebbe morto per riportare la pace.
Sherazad chiuse gli occhi. Dentro sentì un tremito disperato.
La sensazione che provò fu terribile e le ricordò il momento peggiore della sua vita.
Le tornò nel cuore quel dolore che nessuna cura avrebbe mai potuto guarire.
La morte dei suoi genitori.
La percezione del nulla. Sì, quella sensazione le ricordò quel momento in cui non versò nemmeno una lacrima di disperazione. Le versò dopo.
Poi improvvisamente un tonfo sordo. Si preparò ad atterrare,stupita.
C’era un po’ di luce che la aiutò ad intravedere un Dastan ferito e spaventato steso a terra.
Distese lievemente le braccia per preparare il suo atterraggio e così arrivò a terra.
Non si fece male, sentiva solo la roccia pungerle un po’ le mani.
Si alzò e guardò Dastan a terra. Davanti a lui solo una parete di roccia.
Non pensò a guardare ciò che aveva alle spalle.
Corse subito ad aiutare il suo compagno di “avventura”. Era sdraiato con le mani ai lati della testa,la bocca semiaperta e gli occhi incredibilmente sgranati.
Respirava a fatica e Sherazad capì che si era davvero indebolito, che non si aspettava di trovare un terreno dopo la sua caduta. Non era preparato e così piombò di peso sulla roccia appuntita e male levigata.
Sherazad pronunciò una formula e improvvisamente strisce di Luce invasero l’intero corpo del giovane a terra.
Riprese a respirare meglio e con regolarità.  Il volto riprese colore e tornò abbronzato.
Riuscì ad alzarsi e guardò Sherazad.
Lei si voltò e vide con stupore, dinnanzi a lei, un corridoio ricco di fiaccole alle pareti.
Le fiamme erano un misto di fuoco e corruzione. Sherazad si avvicinò ad una di esse, alla prima, e cominciò a tossire.
Tornò indietro.

“Lo sapevi?”, chiede Dastan.

“No.”.

Entrambi si guardarono avanti.
Il corridoio di roccia era stato scavato rozzamente. Era stretto e la luce delle lanterne lo rendeva pauroso e spettrale.
Entrambi assunsero un’espressione stupita e spaventata; poi Sherazad chiuse gli occhi.
Gli riaprì in una smorfia corrucciata e si avviò a passo coraggioso nel corridoio.
Dastan aspettò, poi la seguì.
Dopo qualche passo, Sherazad si mise una mano davanti al velo che le copriva la bocca per evitare l’entrata di troppa Corruzione nei polmoni.
Dastan cominciò a tossire, non si era tappato la bocca e comunque non aveva un velo che gli ricopriva il naso o le labbra.
Sherazad aveva il mantello, ma non voleva toglierselo, non voleva scoprirsi il volto.. Non l’aveva mai vista nessuno.
Vide in terra una pietra dai bordi rozzi e appuntiti, la prese.
Tagliò l’angolo del suo mantello.

“Legatelo attorno alla testa, copriti naso e bocca.”.

Dalle mani gli uscirono due serpenti di Luce che illuminarono la stoffa nera.
Dastan se la legò attorno e tornò a respirare aria pura. Il bavaglio pulsava ed era di una Luce azzurra intensa.
La guardò, non si era accorto di quanto era minuta e di quanto fossero nella realtà dolci i suoi occhi.

“Grazie..”, le disse dolcemente.

Lei cambiò totalmente la sua espressione; non doveva affezionarsi o farlo affezionare. Non poteva. Doveva mantenere una certa distanza. Doveva fare in modo che lui non provasse alcun sentimento per lei e anzi, essere felice della sua morte, di essersi liberato un’ingrata. Non ci doveva essere alcun ostacolo alla sua morte. L’albero non doveva essere spezzato nuovamente, come accadde in passato. Nessuno doveva impedire l’uscita del seme di Luce dal suo petto.
Gli occhi le diventarono famelici. Gli volse le spalle e continuò a camminare.

“Affetta da sbalzi d’umore!?”,disse arrabbiato.

Lei strinse i pugni e si sforzò di continuare a camminare senza voltarsi.

“Mi spieghi che ti ho fatto Sherazad, se non aiutarti!?”.

Lei si voltò, aveva gli occhi intrisi di lacrime e uno sguardo che avrebbe potuto spaventare qualsiasi essere vivente, persino Ahriman.
Lei lo sapeva il motivo, sapeva che non voleva avere nessuno accanto o a lei affezionato per non fargli rischiare la vita. Sapeva che non voleva la morte di un altro, come accadde a suo padre. Sapeva che non doveva legarsi a lui, tanto, alla fine, sarebbe morta e avrebbe provocato solo sofferenza.
Lui rimase senza fiato nel vedere quegli occhi profondi e così dolci qualche attimo prima, famelici e ricchi di lacrime amare.
Rimase a bocca aperta.
Lei si rivoltò e cominciò a camminare.
Percepì sempre più un’energia oscura. Seppe di essere vicino a qualche Corrotto. Ma non sapeva che questa volta la missione sarebbe stata totalmente diversa. Sotto terra. Non era consapevole del fatto che i Corrotti si erano riparati dalla forte Luce. Che adesso vivevano nascosti e che la sua missione sarebbe dovuta ricominciare davvero dall’inizio. Perlomeno, in qualche visione, aveva visto, da piccola, i percorsi che doveva compiere. Adesso era tutto differente. Colpa di Ahriman.

“Spero tu sia consapevole che ci stiamo avvicinando ad un Corrotto.”, disse secca.

“Ero consapevole che prima o poi sarebbe successo, ma di certo non lo sento quanto te.”.

“Non so nemmeno quale corrotto sia, non so se sia il primo o l’ultimo. Non so niente. Riparto da
zero.”.

Arrivarono alla fine del corridoio di roccia. Si affacciarono in una grotta della quale non vedevano nemmeno il soffitto.
Sherazad arrivò per prima e si mise a guardare verso l’alto.

“AAAAH!”, e svenne.

“Sherazad!!!!!!!!!!!!!”, e la toccò..e vide le sue stesse cose, i suoi stessi incubi.


 
 
“Non hai che da chiedere..Avanza la tua richiesta!! Otterrai il tuo desiderio..IN CAMBIO DEL MIO!!!!!”.
“Sai bene che cosa voglio.”.
Quegli occhi maledetti. Il padre di Elika, suo nonno.
E poi sua madre, che correva nel buio.
Poi lei che correva nella luce.
“Aiutami..”.
Poi si rimise a correre, voltandosi indietro, come fuggisse da qualcosa.
Poi un grido disperato.
“AIUTAMI!!!”.
Buio. Poi Luce alternarsi alle Tenebre e.. il Cacciatore.
Le immagini del corpo del Cacciatore si alternavano, come se lo volessero presentare.
“BUAHHH!!!!!”. Un urlo famelico e due fauci inumane spalancate.
Poi un dolore fitto al petto, dopo buio totale.



 
 
Sherazad era in ginocchio con la mano stretta al braccio di Dastan. Pareva gli volesse portare via la pelle.
I suoi occhi illuminati da una luce azzurra adesso erano rivolti verso l’alto, spalancati. La bocca aperta era coperta dal velo.
Improvvisamente tornarono verde mare. La testa le girò un attimo e cascò a terra sfatta.

“Sherazad!!!!”. Dastan non capiva cosa avrebbe potuto fare per aiutarla. Le mise una mano dietro la nuca e l’altra gliela portò al viso.

“E’…”.

“Cosa è Sherazad!?”.

“E’…Il..”.

“Il!?”.

“Il …Il Cacciatore.”.

Disse il nome del Cacciatore con un tono calmo ma che lasciava trasparire paura e disperazione.
Dastan non si impaurì, rimase impassibile, provava solo una profonda preoccupazione per Sherazad.
Lei piano piano si rialzò, aiutandosi con le braccia. Dastan la prese per le spalle e la sollevò.

“Io…Io non capisco..”, disse Sherazad.

“Cosa?”

“Io non mi ero mai vista prima nelle visioni. Capisco di aver visto il Cacciatore dato che è a pochi passi da noi..Ma non capisco perché mi sono vista da sola..”.

“Quelli sono i sogni che faccio ogni notte da quando sono bambino Sherazad. Da quando hanno ucciso i miei e i tuoi genitori. Da quando ho otto anni. Per questo penso che Ormazd te li faccia vedere.”, rispose Dastan con un sorriso dolce ma triste.

Lei lo guardò stranita. Poi si voltò e scrutò l’immensa caverna di cui nemmeno vedeva i lati..Sembrava una valle sotterranea.

“Credo si debba cominciare da quella parte..”, consigliò Dastan ad una Sherazad che pareva senza forze.

“Credo di sì..”.

Così Dastan le mise una mano sulla spalla e le andò davanti.

“Da adesso in poi starò avanti io, in modo tale che non rischi di incappare in qualche pericolo. Tu stai dietro, tanto se c’è qualche Soldato di Ahriman alle tue spalle riuscirai a percepirlo.”, affermò serio.

Cominciò a camminare con passo deciso mentre Sherazad stava a guardarlo stupita.
Non aveva voglia di controbattere, in quel momento non aveva le forze di fare nulla.
Attorno a entrambi i lati della parete circolare, c’era una strada di roccia non molto stretta, ma neanche troppo grande.
Loro presero quella a sinistra, o meglio, Dastan si tuffò con sicurezza in quella a sinistra.
La poca luce che c’era era creata dalle molte fiaccole appese alle pareti.
Si vedeva poco e male.
Dastan si interruppe improvvisamente.

“Puoi venire un secondo??”, urlò a Sherazad che era diversi metri più indietro.

Lei cercò di camminare alla svelta.

“Qualcosa ti turba!?”, disse con tono furbo.

“Sempre la solita. Qui la strada si interrompe e cominciamo ad andare verso il basso.. come si fa?”.

“Io non so dove sia il Cacciatore. So solo che quelle strade tutte divise le une dalle altre sono come scivoli. O ti tieni in equilibrio o cadi.”.

“Meno male che ci sei tu a salvarmi allora! Ahahah!”.

Sherazad infuriò. Non fece in tempo a dargli una manata che il giovane era già saltato su uno di quei pezzi di strada e stava già raggiungendo il secondo saltando e urlando come se stesse giocando.
Lei strinse i pugni per l’ennesima volta.

“Grazie per avermi aspettata dopo che sono anche caduta a terra!!”,gli urlò.

La frase spiazzò il ragazzo. Era vero, se ne era completamente dimenticato preso dalla nuova avventura.
Spalancò gli occhi pentito e non saltò alla fine della stretta striscia di roccia, piombò nel vuoto.

“IDIOTA! TE LO AVEVO DETTO!”.

Raccolse tutte le ultime forze che le rimanevano e si tuffò verso Dastan che stava precipitando velocemente.
Lo rimise su di una striscia di roccia e continuarono il percorso assieme.
Le forze, però, vennero meno a Sherazad che cadde e cominciò a scivolare sdraiata.
Dastan la prese al volo.

“Ti tengo io tranquilla!”.

Alla fine di uno scivolo si trovarono davanti ad una porta buia. Erano costretti a tuffarvisi dentro se non volevano morire.

“AAAAH!!”, urlò Dastan.

Atterrò sulle ginocchia ansimante, con Sherazad svenuta tra le braccia.
Era tutto buio lì dentro.

“Dopo tutto questo girare in tondo e saltare mi gira la testa…”.

Poggiò Sherazad  a terra e si sdraiò anche lui.

-Chissà come è senza velo..Chissà se è come nel sogno..-,pensò.

Si rialzò piano e gattonando arrivò a mettere le mani vicino al volto di Sherazad per levarle il velo. Lei spalancò gli occhi.

“COSA PENSI DI FARE!?!?”, e lo scagliò a terra con un pugno di Luce.
Davanti a loro solo un percorso buio.

Ansimava per la rabbia e corse via lungo il percorso buio pesto.

“Volevo solo farti respirare meglio Sherazad!!”.

Lei era già un pezzo avanti. Capiva che da solo non sarebbe potuto tornare indietro e che comunque non si sarebbe arreso e la avrebbe continuata a cercare affrontando qualsiasi Corrotto.
Si fermò e si fece raggiungere. Lui la guardava stupito.

“E adesso? Dove andiamo?”.

La ragazza chiuse gli occhi, si concentrò e pronunciò una formula.
Nella sua mano destra apparve una bolla di Luce e la lanciò.

“Seguiamola.”.

“Ti ho detto che io devo andare davanti, devo proteggerti da ogni pericolo.”.

“Uno di questi sei proprio tu per me a quanto pare.”, gli disse sprezzante.

Lui la guardò malissimo e le passò accanto, cercando di evitare qualsiasi inutile discussione. Sapeva come sarebbe andata a finire.
Cominciò a correre dietro la bolla di Luce. Almeno illuminava anche il corridoio.
Lo spazio era stretto e angusto e faceva mancare l’aria.

“Almeno non c’è Corruzione!”, urlò Dastan con un sorriso sghembo sulle labbra.

Sherazad lo guardava correre e guardava i suoi capelli mori scalati ondeggiare al vento.
Le piaceva. Le piaceva quel suo preoccuparsi di lei ogni attimo. Le piaceva quella furberia che lo caratterizzava. Più ci pensava…più le si spegnava il sorriso sulle labbra. Non doveva, non poteva.

“Quando diamine finisce questa corsa!? Ho caldo!”, si lamentò Dastan.

“Hai finito di lamentarti!? Questo è solo l’inizio!! Più andremo avanti più sarà peggio! Se tutto andrà bene, neanche te li immagini i percorsi che dovremo fare per arrivare all’ultima battaglia contro i Corrotti! E non ti immagini neanche l’ultima battaglia contro Ahriman!!”.

“No, semplicemente non voglio pensarci cara Sherazad! Non so come fai a mantenere tanto la calma! La perdi solo quando si parla o si tratta di me! Ahaha!”.

-Almeno la prende con filosofia, lo invidio per questo-, pensò la giovane.

Dastan si interruppe improvvisamente.

“Non vedo più niente avanti.”.

La bolla di Luce ,dopo qualche tempo, si consumava.
Sherazad si riconcentrò e questa volta le venne più facile, più naturale.
La bolla riapparve e la lanciò alla destra di Dastan che riprese a correre.
Il ragazzo interruppe di nuovo la corsa, stavolta spaventato. Era sotto un arco dal quale proveniva una luce spettrale arancione.

“Sherazad cosa è quell’affare!?”.

Sherazad accorse velocemente. E lo vide. Un Soldato, il secondo.
Era un turbine di Corruzione che, se colpito in tempo, svaniva. In quel caso il Soldato non nasceva.

“ORMAZD!!”, urlò istintivamente e dalla sua mano partì un raggio di Luce.
ll turbine scomparve.

L’urlo rimbombò.
Si affacciò per prima e scoprì di ritrovarsi in una grotta altissima, stavolta con il soffitto visibile ricco di fregi riguardanti Ahriman, caccia e spade.
Era senza fiato.

“Sherazad..”.

Lei non se ne era accorta. Era tutta presa ad osservare quel paesaggio bello, maestoso e terribile.
Solo Dastan se ne era accorto. Stava in piedi su una piazzola, una specie di piccolo promontorio di roccia con un ghigno orribile. Un mostro.

“ATTENTA SHERAZAD!!”.

Fece in tempo a muovere due passi indietro e si ritrovò faccia a faccia con il più sfatto dei Corrotti, il primo di essi…il Cacciatore.
Egli emanò dalla bocca sfatta versi animaleschi, rombanti, mostruosi.

“Beh, non era poi così difficile il percorso! Potevi fare di meglio... Rahìm!!”, gli disse con un sorriso sghembo nascosto dal velo.

Nel sentire il suo nome umano, il Cacciatore andò in bestia.
Cacciò un urlo spaventoso che fece tremare le pareti.
La piazza su cui si trovavano era circolare, formata da cerchi concentrici dipinti di rosso sangue, rosso mattone e marrone scuro con fregi incisi.

“Ma che ti sta dicendo? Come fai a capirlo!?”, disse Dastan avanzando, mettendo da parte la paura.

“Non sono cose che ti riguardano…Dastan.”, gli rispose guardando sprezzante il Cacciatore.

Il Corrotto alzò il braccio che finiva con una spada a tre lame e lo puntò su Sherazad. Era lei il vero obbiettivo.

“NO!!”, urlò lei e si parò con uno scudo di Luce.

Le sue braccia tremavano e Dastan si spaventò.

“LEVALE LE ZAMPE DI DOSSO LURIDO CORROTTO!!!”.

Dastan saltò e raggiunse la schiena dal Corrotto con la spada.
Gli fece un taglio profondo sulla schiena dal quale uscì una quantità notevole di Corruzione.
Entrambi riuscirono ad allontanarsi dal mostro e a riprendere fiato.
Sherazad lo mascherava bene, ma nel suo cuore aleggiava una paura matta e disperata.
Il Cacciatore la sovrastava. Lei era così minuta. Le sue spalle a confronto erano come quelle di un orso anzi, due volte più grandi.
Con una lieve manata sulla spalla, Dastan spinse Sherazad indietro e si piazzò davanti al Corrotto.

“Non la farai franca Cacciatore..  MAI!!!”.

All’urlo del ragazzo il Cacciatore ne cacciò un altro che fece crollare roccia dalle pareti.
Così le lame cominciarono ad intrecciarsi in una danza che presto avrebbe avuto una fine.
Il Cacciatore non era ancora così forte. Non era ancora così imbattibile. Il primo passo per la Luce non era poi così lontano.
Dastan tirava fendenti pesantissimi e graffiava il Corrotto in ogni parte del corpo indebolendolo.
Poi il Cacciatore lo afferrò con l’altro braccio ancora intatto e lo schiaffò a terra con un tonfo sordo. Alzò le lame verso il giovane e cominciò a farle ruotare meccanicamente.

“NO!!!!”, urlò Sherazad accorrendo.

Balzò sul Cacciatore portandosi dietro strisce di Luce.
Cominciò a tirare qualche calcio, qualche pugno di Luce e lo buttò a terra.

“Grazie..”, Dastan era alle sue spalle e le sorrideva.

Lei lo guardò un attimo intensamente.

“Dovere.”, affermò poi secca.

Lui rimase deluso. Avrebbe voluto più complicità in una missione difficile e terribile come quella.

“A noi..Cacciatore.”, riprese.

Il mostro urlò.
Di nuovo Sherazad vide le lame danzare, fiammeggiare nell’aria e sentiva quel rumore metallico che le dava alla testa.
Dastan era abilissimo e saltava agile per sfuggire agli attacchi pericolosi del Cacciatore.
Poi ad un tratto le tre lame riuscirono a spezzare l’unica di Dastan e gli ferirono un braccio, creando un taglio profondo.
Dastan urlò di dolore.
Sherazad guardò intensamente il Cacciatore e di nuovo gli balzò addosso, attaccandolo e facendolo cadere a terra.
Dastan raccolse le forze che gli rimanevano, spiccò un balzo e conficcò la sua mezza lama nel petto del Cacciatore.
Questo indebolito fortemente urlò in modo terribile, si alzò, li guardò con sguardo truce e fuggì.
Si tuffò addosso ad una parete di roccia creando un buco.
Scomparve.

“Se la fa sotto il caro Rahìm..ahah!!”, Dastan rise.

“Non se la fa sotto..tornerà fortissimo.”, rispose Sherazad guardando il foro che il Corrotto aveva creato nella parete di roccia.

“Che ti diceva?”.

Lei tornò normale e cercò di parlare con più tranquillità e sarcasmo possibili.

“Beh, mi ha chiesto se ero pronta all’eterna sconfitta o a morire.. queste cose qua, tipiche di ogni nemico. Scontato. Ha detto anche che era stupito del mio precoce arrivo. Troppo semplice il percorso!”.

Dastan sorrise.
Sherazad si mise all’interno del cerchio centrale della stanza circolare.
Si concentrò. E urlò con tutto il fiato che aveva in gola, sprigionando un’energia immane.

“AAAAAH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”.

Sotto il terreno cominciava a tremare mentre sopra, non visibile ai loro occhi, il terreno tornava ad essere rigoglioso e la vita tornava ad esistere.
Alla fine, cadde a terra senza forze, con le lacrime agli occhi.
Ce l’avevano fatta, il primo passo era stato compiuto.
Dastan accorse.

“Stai bene??”.

“Si..”.

Sherazad si alzò e uscì dal foro che il Cacciatore aveva creato. Si arrampicò su una parete di roccia e salì in superficie. Si guardò attorno e vide la vita. Finalmente. Vita.
Poi rivolse uno sguardo alla sua destra e in lontananza vide ancora morte.
La sua gioia si spezzò all’improvviso sapendo di essere solo all’inizio.
Dastan prese la lama spezzata e salì in superficie prima che il soffitto gli crollasse sulla testa.
Si arrampicò velocemente arrivò, giusto in tempo, in ginocchioni, ai piedi di Sherazad.

“Giusto in tempo!”, disse con sorriso sghembo mentre ricomponeva la spada come fosse un puzzle.

“C’è solo un problema..”, sussurrò triste. Era legatissimo alla sua spada. Sherazad gli vide il sorriso spegnersi sul volto e una vocina le parlò nel cuore.

Andò da lui , gli prese la spada e pronunciò una formula che avvolse le lame e le riunì. Adesso la spada era circondata da un turbine di Luce incessante. Gli guarì anche la profonda ferita sul braccio facendolo sussultare per il dolore.

“Non capisco come fa a continuare a vivere anche se è in mano a te..” ,sussurrò al giovane.

“Cosa?”, chiese lui stupito di ciò che aveva appena visto. Lei aveva appena avuto un gesto carino di sua spontanea volontà verso di lui.Incredibile.

“La Luce. La spada dovrebbe essere più resistente ma la Luce dovrebbe cessare in mano a chi non ha i poteri di Ormazd.”.

“Qui è tutto un mistero Sherazad..Credo..Credo che lo scopriremo solo andando avanti.”. Lui alzò lo sguardo e le sorrise dolce.

Lei voltò le spalle e guardò una parete di roccia che aveva di fronte.
Nuovamente Dastan rimase deluso.
Improvvisamente la parete tremò, e andò disegnandosi nella roccia una piccola porta polverosa che si aprì. In cima ad essa, si accese un cristallo di Luce luminoso.
Si potevano intravedere delle scale buie.

“Si va avanti.”, disse seria Sherazad.

Dastan, mentre continuava ad accarezzare la sua cara spada, la fissò incantato e la vide a andare avanti decisa.
Un attimo solo, poi la seguì..nel buio.




Nota dell'autrice: Sono consapevole di aver descritto un percorso semplice e povero. Purtroppo non sono pratica di descrizioni e più si andrà avanti, più faro del mio meglio :-) Sto reinventando tutte le strade per giungere ai Corrotti e non è semplice lo garantisco :-\. Sono consapevole anche del fatto che inserisco troppe sequenze narrative e faccio parlare poco i personaggi, infatti nei prossimi capitoli li farò parlare più spesso. :-) Sarei contenta di ricevere una vostra recensione per confermare o smentire quello che mi ha detto Yondaime90 nei suoi commenti :-)). Grazie per aver seguito fino a qui la mia Fic spero vi piaccia e vi appassioni davvero! :-DD
Al prossimo capitolo che spero sia meglio di questo :-( :-) ,

Sherazad_93

 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** La Concubina ***


Capitolo 4: la Concubina
Le scale di pietra si avvolgevano sempre più , in una chiocciola interminabile.
A Sherazad dolevano i piedi nudi a causa del materiale mal levigato e rozzo mentre sotto terra si poteva chiaramente sentire l’eco degli stivali di cuoio di Dastan.
Il buio si faceva sempre più denso e impenetrabile e il loro cammino non sarebbe potuto proseguire in quelle condizioni così avverse.
Nell’aria regnava un odore di chiuso, muffa e muschio che arrivava ai polmoni rendendo il tutto insopportabile.
“E’ troppo buio..non si vede niente.. non possiamo proseguire così..”, disse Dastan.
Sherazad si bloccò improvvisamente, confermando nel suo inconscio ciò che Dastan aveva appena affermato.
La paura cominciava ad attanagliare lo stomaco dei giovani e faceva tremare le loro membra.
Dastan le finì addosso. Per poco non precipitarono per la chioccola di scale.
“Attento!”.
“Io cosa posso saperne se tu ti fermi all’improvviso!? Dovevi avvertirmi..”.
Nel buio gli occhi di Sherazad divennero due piccole fessure ricche d’ira mentre i pugni stretti le tremavano. Stava reprimendo l’istinto di tirargli un pugno in faccia.
Si calmò.
Poi pronunciò una formula nella lingua arcana di Ormazd, come se quelle parole fossero scolpite nella sua mente da secoli.
Mentre sussurrava sollevò la mano destra a mezz’aria e sospeso sul suo palmo comparve un globo luminoso.
La sua luce era densa, lattea.
I raggi di luce roteavano dolcemente attorno ad un nucleo di luce luminosissimo, molto denso.
Sul soffitto, la Corruzione si tendeva sino allo spasmo verso di loro per poterli stringere nella sua morsa fatale.
La fissarono incantati e spaventati.
“Adesso proseguiamo..”, disse secca ma inquietata.
Lui la seguì.
“Queste scale non finiranno mai..”, sussurrò Dastan.
Lei si voltò; lui rimase accecato dal globo.
L’espressione irata di Sherazad si trasformò presto. Osservò ogni particolare del giovane che tanto si era sacrificato per lei.
Osservò la sua casacca, composta di lino di un color marroncino chiaro e stretta, sulla vita, da due strisce di stoffa luminosa, una arancione e una gialla.
Osservò le gambe muscolose, strette in un paio di spesse calzamaglia marroni scure e gli stivali di cuoio, l’unica cosa pregiata che possedeva.
La spada cinta al fianco nel fodero di cuoio gli donava un’aria coraggiosa e solenne ed era proprio così che lui era.
Teneva la sua mano stretta sull’elsa come se quella spada facesse ormai parte di lui, come fosse un prolungamento del suo corpo, una parte vitale senza la quale non poteva esistere.
Sul fodero di cuoio, era inciso un drago che pareva arrotolarsi attorno al fodero stesso e finiva con il suo muso infuriato che digrignava paurosi denti aguzzi.
Osservò le sue nude braccia muscolose dove ogni tanto compariva qualche taglio causato dal lavoro di contadino che svolgeva con suo padre adottivo.
E poi, la sua parte preferita: i capelli.
Quei fili sottili e neri che si muovevano al minimo soffio, al più piccolo spostamento d’aria che lo rendevano magnifico.
E quei due pozzi vuoti, gli occhi, come i suoi, solo che di un marrone intenso.
Si fissarono.
“Sherazad..”, disse Dastan.
Come era avvenuto, l’incantesimo scomparve.
“Senti, sei qui per aiutarmi o scoraggiarmi!? Perché se il tuo compito è quello di farmi impaurire o mettermi in difficoltà puoi anche tornare indietro a cercare la tua asina!”.
“A me non importa dell’asina..”.
Sherazad si bloccò.
A lui, accortosi delle parole proferite dalle sue labbra si gelò il sangue.
Ma cosa aveva detto!?
“Sono qui per aiutarti Sherazad. E non faresti altro passo nel buio senza di me.”.
S’indurì. Lei era di ghiaccio e si ripromise che da quel momento lo sarebbe stato anche lui.
“Posso farcela anche da sola!”.
“Non so cosa mi spinga a restare qui con te,testarda di una donna senza cervello. Non lo so proprio. Perché il primo uomo avrebbe levato le tende al posto di rischiare la vita per un’ingrata come te!”.
Quelle parole la ferirono in pieno. Fu come se il petto le si spaccasse sotto il colpo di un’ascia possente e massiccia
Lei sapeva che aveva quell’atteggiamento solo per nascondere il suo animo fragile.
E, dentro di se, ammise che Dastan aveva ragione. Aveva rischiato tutto per lei e lei gli aveva rivolto solo offese e risposte senza senso, brute.
Lei lo fissò. Gli occhi pieni di lacrime e sofferenza.
Il globo le si spense improvvisamente.
Scoppiò. Scoppiò in un pianto irrefrenabile, del quale si udivano appena i lievi singhiozzi.
Portò le mani al volto.
Dastan si sentì mancare. Non voleva ferirla in quel modo. Non doveva. Si sentiva terribilmente in colpa.
Indugiò qualche istante, immobilizzato dai propri sentimenti.
Poi fece qualche passo nel buio denso più che mai e appena sentì il corpo di Sherazad la strinse a se.
Lei non si mosse. Continuava a stramazzarsi il volto con le mani ma si fece stringere.
“Sai Sherazad, io e te condividiamo le stesse cose. Ci hanno tolto i genitori in maniera orribile ed egoista. Siamo soli io e te, e per quanta gente possa avere io attorno a curarmi non mi sento a casa. Il ricordo dell’assassinio della mia famiglia mi pullula nella mente ogni giorno facendomi impazzire e mi perseguita ogni notte. Ma cerco di farmi forza e sai in quali momenti faccio vedere la mia forza? Quando ammetto che sto male..quando scoppio a piangere..quando ammetto che senza il pilastro, che senza la mia famiglia sono fragile, che non sono più niente. E’ questa la forza Sherazad. Io te lo leggo negli occhi che fai la dura soltanto per nascondere un animo di vetro sottilissimo che appena due parole possono spezzare. E le mie lo hanno fatto..e mi dispiace! Mi dispiace da morire averlo fatto ma mi hai ferito anche tu e per affrontare questo cammino assieme è necessario stringerci, unirci non allontanarci..e io ci sto provando in tutte le maniere Sherazad, ma tu rifiuti..e ciò mi ferisce..”.
Sherazad tolse le mani dal volto, e lasciò che automaticamente stringessero il corpo di Dastan.
Sentiva chiaramente che le sue lacrime stavano inondando la sua sottilissima casacca e non le importava.
Si sentiva libera. Libera da un peso portato dietro da dieci anni. Per dieci anni mai una sola lacrima aveva versato.
Adesso un uomo appena conosciuto, un uomo qualsiasi era stato capace di sfondare le sue barriere e arrivarle dritto al cuore.
Si sentiva sicura, protetta. E avrebbe dovuto ringraziarlo; e così fece.
“Grazie……Dastan.”, disse con la voce spezzata.
“Addirittura il nome.. Sherazad io sono qui per te. Non so cosa mi leghi a te..ma non devi nasconderti da me..non lo fare più ..sentiti pure a casa..perchè anche io non ho più niente..”.
Mentre pronunciava quel “niente” anche la sua voce si incrinò.
Scoppiò, anche lui. Non aveva mai pianto in quei dieci anni. E lo fece, con lei.
Si chiedeva il perché, eppure non si dava risposta e quella domanda lo tormentava.
Si accasciarono a terra, stretti e stanchi. Si addormentarono e per la prima volta in dieci anni dormirono sereni e liberi.
 
Si svegliarono qualche ora dopo. Ancora regnava il buio.
Sherazad riaccese il globo; si fissarono e si sorrisero, Sherazad sotto il velo.
Era ancora sconcertata per l’accaduto e pensò che fosse stato tutto un sogno.
Si promise che sarebbe stata più serena con Dastan e ricominciarono il cammino.
La scalinata finì.
“Non ho idea di come abbiamo fatto a dormire su questa pietra scomoda!”, disse lei ridendo, finalmente.
“Nemmeno io! Ahah!”. Era contento nel sentirla ridere.
Poi lei si bloccò.
Davanti a loro un muro di terra, niente altro.
“E adesso?”, chiese Dastan sospeso.
“Non ne ho idea…Dannazione cosa ci stava a fare quella maledetta porta allora!?”.
“Aspetta, manteniamo la calma e utilizziamo il cervello..Non può finire qui, altrimenti la Magia non ci avrebbe fatto scovare la porta..giusto?”.
“Potrei dire di si..”.
“Posso provare una cosa?”.
“Cosa?”.
“Passami il globo…”. Anche lui non sapeva ciò che aveva detto eppure allo stesso tempo era certo che avrebbe funzionato.
“Potresti ustionarti gravemente o nel migliore dei casi potrebbe spegnersi, lo sai?”.
“Consapevolissimo.”.
Allora lei gli porse il globo che scivolò docile nel palmo destro di Dastan.
Rimase stupita e incantata. Come era possibile!? Il globo resisteva solo nelle mani di coloro che possedevano i poteri di Ormazd.
Non era possibile…
Anche Dastan era stupito ma allo stesso tempo si aspettava un tale risultato, senza conoscerne il motivo.
Cominciò ad osservare attentamente le pareti laterali, ricche di terra.
Terra, terra e ancora terra. Mentre stava per arrendersi vide luccicare qualcosa.
“Forse ho trovato qualcosa..”.
Sherazad lo osservò attenta.
Lui cominciò a scavare nelle pareti e ne venne fuori una piramide romboidale di oro massiccio riquadrata d’argento finissimo.
La guardò e sorrise soddisfatto.
“Premo?”, chiese.
“Che aspetti?”, chiese sarcastica lei.
Così lui premette e un’ingente parte della parete crollò, rivelando una porta identica a quella incontrata in precedenza.
Sherazad la aprì; ancora buio.
“Tieniti il globo, mi fa quasi paura averlo nella mano.”, disse lui scettico.
Lei rise tra se e se e lo prese.
Proseguirono nel corridoio.
Non durò molto la loro camminata.
Adesso si trovarono davanti una porta d’oro massiccio.
Sherazad la aprì, senza esitazione.
Lo spettacolo che si trovarono davanti fu mozzafiato.
La piazza era circolare e al centro regnava, infossata in una scavatura, una colonna di pietra bianca ricca di pietre preziosissime che finiva con una punta arrotondata.
Su di essa, ad illuminare l’ambiente, un enorme rosone composto di vetri colorati, raffigurante il dio Ahriman.
Il drago nero spalancava le fauci immense e si intravedeva la sua lingua rossa fuoco.
Le pareti erano composte di terra seminata da quelle tante pietre che riempivano la colonna.
Cominciarono lentamente a camminare attorno al centro senza scovare altra via d’uscita.
Si affacciarono per vedere il fondo, dove era situata la colonna, ma era troppo profondo.
Dopo qualche tempo, Sherazad cominciò a ribollire dalla rabbia; strinse i pugni e Dastan lo notò.
“Sherazad calmati..con la pazienza si ottiene tutto.”.
Lei non ascoltò le sue parole.
“MALEDETTO AHRIMAN!!!”.
Mentre urlava con tutto il fiato che aveva in gola, lanciò dei raggi di luce potentissimi verso il rosone che si frantumò in mille pezzi.
Il vetro rotto sembravano mille farfalle nere e bianche.
Tutto cominciò a tremare.
La terra crollò sotto i loro piedi; l’unica cosa rimasta stabile era la colonna.
Precipitarono, per la seconda volta, in un volo del quale non vedevano la fine.
Tramite un’arcana formula Sherazad afferrò la mano di Dastan e riuscì ad aggrapparsi alla colonna.
Guardò verso l’alto, la terra ancora tremante.
Si vedeva chiaramente il buco dal quale filtrava la luce, accecante ormai. Non erano più abituati.
“Ce la fai ad issarti sulla colonna?”, chiese Sherazad urlando nel caos.
“Se riesci a tirarmi su credo di sì!”.
Sherazad raccolse le sue forze e con la mano stretta a quella del giovane lo issò sulla colonna.
“Cavolo, sei forte per essere una donna!”, disse lui con sorriso sghembo.
“Te ne meravigli!?”, disse lei ghignando sotto il velo.
“Adesso rimani aggrappato alla colonna vado a fare un sopralluogo.”.
Così balzò, e s’illuminò di una luce azzurrina. Prese a volare in circolo e arrivò sul fondo.
“Voglio volare anche io!!!”, urlò Dastan divertito.
“Non è il momento!”, rispose Sherazad.
“Ho trovato una porta!”.
“Si ma vieni a prendermi !!”.
Così tornò sulla colonna e lo issò sulla schiena.
“Volevi volare!?”.
“Con tutto me stesso!!”
“Allora preparati!”.
Mentre Sherazad spiccava un balzo verso il vuoto Dastan rise felice come non mai.
I brividi per l’eccitazione gli attraversarono tutte le membra.
Atterrarono. Il luogo era illuminato grazie al buco che si era creato sul soffitto.
“Già finito??”.
Sherazad gli tirò un’occhiataccia.
“Hai ragione…”, disse lui sorridendo.
Così lei aprì la porta, di vetro.
Una scalinata portava verso l’alto ed era tutta composta di vetro.
“No, ancora scale!”., urlò Dastan.
“Possibile che voi uomini siate tutti così bambini!? Sei un ragazzo muscoloso diamine, ti fai dei problemi per due scale!?”.
“La fai facile tu che hai i poteri di un dio. Io ho solo la mia carne!”.
Non sono poi così sicura che tu non li abbia..,pensò Sherazad.
In effetti aveva sentito una scarica di energia durante il volo, mentre aveva Dastan sulla schiena. Ma non riusciva a spiegarsi il perché.
Si voltò e cominciò a salire.
Il luogo si faceva sempre più luminoso e dall’alto cominciavano a provenire odori di profumi lievi.
Alle pareti vetrate erano attaccate delle ampolle contenenti un liquido rosato che produceva fumi dal profumo talmente intenso da nauseare lo stomaco e rimanere impresso nel naso e nei polmoni.
Sherazad aveva la fortuna di avere il velo ma l’odore nauseante le arrivava lo stesso alle narici; Dastan lo sentiva molto più potente.
Sherazad si fermò, mise la mano destra davanti come per pararsi e pronunciò una formula.
Un sottile velo di luce azzurrina densa le si compose sulla mano; si voltò verso Dastan.
“Tieni, non resisterai a lungo senza quantità di ossigeno sufficiente qui dentro.”.
Dastan se lo legò e si sentì molto sollevato.
“Grazie Sherazad..”, le disse grato.
Lei fece solo un cenno col capo e proseguì.
Giunsero ad una porta di vetro, dei quali lineamenti erano ricoperti d’argento puro.
Sul vetro una targa. Diceva:
TREMATE DINANZI ALLA MIA BELLEZZA. LA REGINA DELLE REGINE. NON MI SFUGGIRETE. NON VI CONVIENE GIUNGERE AL MIO COSPETTO!”.
“Fa quasi ridere. Uno scheletro..come potrebbe attirarmi un mucchio di ossa circondato da Corruzione!?”, disse Dastan.
“Non ci giocherei tanto Dastan. Lei è capace di qualsiasi cosa.. Devi promettermi una cosa.”.
“Dimmi.”.
“La Concubina ti prometterà tante cose: immortalità, soldi, bellezza..Tu dovrai rinunciare e combatterla..me lo devi promettere. Sicuramente con me farà come mia madre.”.
“Ovvero?”.
“Mi imprigionerà e indebolirà in qualche modo. E sicuramente dovrai affrontarla da solo e spesso lei si moltiplica.”.
“Spiegami..”.
“La Concubina è capace di creare delle Illusioni. Ovvero riproduce il suo corpo ma quando la colpisci svanisce..quella è una Proiezione.”.
“Non mi sembra così difficile. Posso mantenere la promessa.”.
“Dastan…ti assicuro che è molto più complicato di quanto pensi. E’ infida e bastarda..Al pari dell’Alchimista e del Cacciatore.”.
“E del Guerriero?”.
“Lui…”.
“Lui cosa?..”.
“Te lo spiegherò quando sarà il momento..Adesso abbiamo necessità di proseguire.”.
“Aspetta..”.
Le parole gli morirono in bocca.
Sherazad aveva già aperto la porta di vetro e si bloccò.
“Premiti stretto il panno di luce contro la bocca è chiaro!?”, gli urlò.
Così lui se lo premette.
Avanzarono e quello che si trovarono davanti stava quasi per farli arrendere.
Una grotta di cristallo immensa si stagliava davanti loro e ad almeno un miglio di distanza si trovava un palazzo dalle sette colonne strette e altre, con cupole persiane dal colore rosato e con la punta d’oro.
Il fondo non si vedeva e nemmeno il soffitto.
Tutto era coperto da dense nubi profumate che facevano rivoltare lo stomaco.
“Dastan, aggrappati.”.
“Perché?”.
“Non si vede il fondo. Potremmo fare un passo e morire, o comunque finire in un abisso dalla profondità sconosciuta. Non rischierei.”.
“Voliamo!?”, chiese lui tutto contento.
“Siamo a pochi passi dalla Concubina e tu ridi!? Io sto per piangere perché so cosa aspettarmi! So che rimarrai abbindolato nonostante la promessa fatta e so che sarà bastarda con me e che se non reagirai io morirò!”.
“Scusa..”.
“Avanti aggrappati adesso!”.
Dastan la cinse forte e si accasciò sulla sua schiena assaporando ogni suo intenso profumo.
Gli piaceva giacere sulla sua schiena, gli piaceva il suo profumo ma soprattutto si sentiva pervaso da una strana energia come se da un momento all’altro avrebbe potuto staccarsi e volteggiare nell’aria come lei. Ma si trattenne. Non aveva tempo per pensare a giocare.
Avrebbe dovuto affrontare una cosa più grande di lui e non se lo aspettava.
Appena Sherazad vide uno spiazzo di marmo sotto il palazzo atterrò.
Sul marmo era disegnato Ahriman con l’oro più prezioso. Le torri erano altissime e il palazzo era caratterizzato da finestre orlate d’oro e da un portone immane di oro massiccio.
Un balcone spuntava dalla parte centrale del palazzo composto da piccole colonne d’oro a sostenere la ringhiera fatta di marmo bianchissimo.
“Lei dov’è?”, chiese Dastan.
Sono qui mio principe…”.
Dal balcone si affacciò una donna, bella come nessuna.
I capelli lisci color oro le scendevano lungo il seno voluminoso. Il ventre era del tutto scoperto e faceva intravedere un fisico da mettere i brividi.
Le gambe erano coperte da pantaloni composti da veli rosati quasi trasparenti stretti sui fianchi e sulle caviglie da elastici dorati.
La stessa cosa valeva per il seno. Il velo era quasi trasparente ed era stretto sotto il seno e sui polsi.
Un velo le copriva la bocca e lasciava trasparire due occhi azzurro cobalto.
Una corona di zaffiro regnava sul suo capo.
“Hai cambiato stile dopo che è morta mia madre vero bastarda!?”, ringhiò Sherazad.
All’improvviso dal terreno attorno alla giovane apparvero delle radici velenose che la avvolsero.
Come per sua madre solo che quella volta infliggevano un veleno mortale.
Si, mia cara. Mi sono coperta poco di più ma questo bel giovane può levarmi pure ciò che ho indosso.”.
Dastan rimase folgorato. Era bella da togliere il fiato e i seni prorompenti non passavano inosservati.
La Concubina gli si avvicinò, lui inerme di fronte alla sua bellezza.
Lei cominciò a girargli intorno accarezzandogli il volto.
“Meraviglioso giovane…rimani con me. Potrai vivere in eterno, avere me ogni volta che vorrai, avere tutte le ricchezze che desideri, vivere in questo palazzo..come rifiutare?”.
Gli si avvicinò pericolosamente al viso.
La sua voce era candida e sensuale.
Dastan immobile.
Guardava Sherazad e la Concubina e non sapeva cosa fare.
Prendendo potere e immortalità avrebbe potuto sfidare Ahriman personalmente e vendicarsi di ciò che aveva fatto ai suoi genitori e avere tutte le ricchezze desiderate e una donna bellissima.
“Dastan ti prego! Lo hai promesso! Dastan..aiuto!”, Sherazad stava piangendo.
Stava soffocando e morendo sotto effetto del veleno che le ustionava le membra. Al suono della sua voce smorzata tornò in se.
L’effetto era svanito.
“Mi vendicherò di Ahriman assieme a Sherazad e anche senza di te MALEDETTA!”, e tentò di trafiggerla con la spada.
Ma lei svanì.
Riapparve alle sue spalle orrenda come non mai.
Un ammasso di ossa nere circondate dalla Corruzione e gli occhi blu accesi di una luce oscura.
Ci ho provato bel principe..ma non sarà facile sfuggirmi!”.
Così infuriò la battaglia.

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Capitolo 6
*** La Battaglia ***


Capitolo 5: La Battaglia
Dastan si ritrovò spiazzato nel vedere quella figura così oscura ma allo stesso tempo così sensuale da mettere i brividi.
La mano rimase incollata all’elsa della spada; non riusciva a sfoderarla e a combattere.
La bocca era spalancata e il fiato mozzato.
Aveva vissuto una scena ancora più terribile e mostruosa di quella, ma percepiva comunque le membra pesanti come massi. Fu come quando rimase incantato nel vedere i suoi genitori uccisi.
La Concubina, snella e alta almeno quanto lui, gli si parò davanti, gli occhi illuminati da una luce blu cobalto accecante.
Il suo corpo sembrava come liquefatto e si intravedeva qualche ossa.
Era ricoperta di Corruzione, i vestiti le si erano strappati e restava coperto solo il seno e qualche parte delle gambe, dove muscoli vivi e pulsanti erano umidi e intrisi di quel Liquido nero.
A coprire il capo, sul quale qualche istante prima regnavano i capelli dorati, un altro velo roseo.
Era piuttosto mal ridotta rispetto alla battaglia avvenuta con Malik ma era divenuta molto più potente.
 
“Dastan! Ti prego aiut…”, la voce morì in bocca a Sherazad e parve come strozzata da qualcosa.
 
Lui si voltò verso la giovane, spaventato. Aveva paura di vederla morire da un momento all’altro per la sua cieca sete di potere che stoltamente lo aveva abbindolato come faceva con tutti gli uomini. Quella sete che lo aveva fatto attendere in balia della decisione definitiva e giusta da prendere. Quella sete che non gli aveva più fatto distinguere il Bene dal Male.
Proprio nel momento in cui si mise a correre pazzamente verso Sherazad, la Concubina si trasportò con una Proiezione dinanzi a lui.
 
“Dove pensi di andare principe!?”.
 
Ancora Dastan non riusciva a spiegarsi perché lo chiamasse principe. Forse già lo considerava il suo Re, eppure lui non aveva la minima intenzione di condividere l’eternità con quel crudele e spietato mucchio di ossa.
Con un raggio di Luce Oscura lo scaraventò all’estremità della piazzola bianca e lui si ritrovò affacciato sulle nuvole intrise di quel profumo nauseante. Si ritrovò tra il reale e l’ignoto. Non riusciva a vedere niente a causa di quella densa specie di nebbia.
La Concubina lo sovrastava e si trovava proprio davanti a lui.
Alzò una delle sue gambe marce; lo stava per lanciare verso l’abisso senza fondo; verso l’abisso della morte certa.
Poi lui pensò. Pensò alla morte della sua famiglia, una vera e proprio strage terribile ed egoista; pensò al suo compito, quello di vendicarsi di Ahriman, ma prima di tutto al fatto che dovesse aiutare Sherazad nella sua difficoltosa e impossibile missione che si sarebbe ripetuta in eterno fino a quando Ormazd non sarebbe tornato ad affrontare il fratello maligno in una lotta diretta.
Ebbe un flashback riguardante il sogno che ogni notte lo tormentava. Quel grido disperato d’aiuto e quella corsa; quei pozzi vuoti color verde mare che lasciavano trasparire un’anima al quale era stato rubato tutto con violenza. Ripensò a quella matta disperazione della ragazza, che troppo somigliava a Sherazad.
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola; sguainò la spada.
Si sollevò, urlando pazzamente; raccolse tutte le forze che aveva nel corpo.
La sua spada, quella lama tanto amata che formava come un prolungamento del suo corpo, si illuminò di una luce azzurrina.
Sentiva, nelle vene, scorrergli tutta la potenza della Natura, tutta la sua potenza morale e fisica che non aveva mai davvero sentito sino ad allora.
Tirò un fendente orizzontale, mirando alla Concubina.
Non andò a fondo, in quanto ciò a cui aveva mirato era solo una Proiezione.
Rimase interdetto, con lo sguardo accigliato e la spada afflosciata con la punta verso il terreno; il fiatone per l’urlo emesso.
L’arma metallica pulsava viva.
La Concubina era sparita e l’aura di Sherazad si stava facendo sempre più flebile.
La donna riapparve poco distante da lui, sensuale come un felino.
Le corse incontro, con tutta la violenza possibile, brandendo la spada pronta a caricare un colpo netto.
Lei immobile, un’espressione feroce e ghignante.
Un altro fendente tirato all’aria.
Strinse l’elsa della spada tanto da farsi male e sentir scricchiolare le ossa.
Lentamente la Corruzione stava assalendo vorace il palazzo e l’estremità della piazza di marmo, come se qualcuno l’avesse richiamata appositamente per assistere alla battaglia.
Era percepibile il rumore liquido nell’aria e i profumi venivano coperti da un altro odore peggiore ancora di quelli precedenti.
Le nuvole erano scomparse e al loro posto si era insediata potente la Corruzione maledetta.
Dastan ansimava, più irato che mai. Non aveva mai provato così tanta rabbia. Adesso si rendeva conto. Adesso sapeva. Era consapevole della propria missione. Non si sentiva più il ragazzo spensierato che un paio di giorni prima cercava la sua asina Ahrma. La sua infanzia era già finita da molto tempo ma adesso la sentiva definitivamente spezzata. Aveva provato a ricostruirla con tutte le sue forze, ma non era riuscito e adesso il tentativo era del tutto vano. Adesso era cambiato, adesso era uomo, un guerriero, per se stesso, per il popolo, per Sherazad. Adesso non era più un bambino e ,in fondo, non lo era mai stato.
 
“VIGLIACCA! TREMI DAVANTI AL POTERE DI ORMAZD!? NON HAI IL CORAGGIO DI AFFRONTARE UN GIOVANE!? ESCI FUORI BASTARDA!!”.
 
I capelli morbidi furono scompigliati dal sottile movimento d’aria che creò l’apparizione della Concubina.
 
“Credi che non abbia il coraggio di affrontare un mingherlino come te!? Sai quanti ne ho uccisi!!?? Ti farò provare dolore..un dolore infernale..bruciante. Mi supplicherai di ucciderti e farla finita! Tu morirai principe..tu morirai. E avverrà in poco tempo..come per gli altri.”., lo guardo feroce.
 
Nessuno poteva definirla in quel modo, e di certo non si poteva far urlare contro quelle parole da un ragazzino.
 
“Vedremo…CONCUBINA..”, disse lui ghignante.
 
“COME OSI!?”.
 
Urlato ciò. Gli scaraventò contro due raggi di Luce Nera, densi come la Corruzione.
Istintivamente, Dastan si parò con la spada e funzionò.
Attorno a lui, nei punti in cui affluivano i Raggi di Oscurità, si venne a creare uno scudo di luce azzurra, spesso, che riusciva a distruggerli.
Dastan attese, immobile, col volto teso, pronto a subire il colpo fatale.
 
-E’ finita-, pensò.
 
Poi, passato del tempo, aprì gli occhi e vide ciò che aveva davanti.
Quello scudo. Così magico, bello e dalla forma romboidale.
Sembrava composto d’aria.
Rimase a bocca aperta, a osservare quella scena dal sapore incredibile.
Appena smise di pensare al fatto che doveva difendersi  e perse la concentrazione, lo scudo cominciò ad incrinarsi in mille pezzi e scoppiò.
La Concubina si immobilizzò.
“Ma cosa..”.
Dastan era piegato a terra, ansimante.
Gli sembrava di aver compiuto una corsa senza fine e di essere arrivato allo stremo delle forze.
Poi rise.
 
“Hai visto!? Non sarà facile togliermi di mezzo…Sono sotto la Benedizione di Ormazd!”.
 
Non c’era altro modo per spiegare ciò che era avvenuto.
 
“Oh..piccolino..Ormazd, vigliacco, è fuggito!! Tu non sei sotto la protezione di nessuno, tantomeno di un’entità che si definisce dio e vi ha abbandonati tutti!! Ha abbandonato il suo popolo! Ha lasciato il suo compito alla tua fragile amichetta…che in questo momento non respira..oh..”.
 
“Come ti permetti!?”. La prese come offesa personale..
 
La Concubina rise.
 
“Come ti permetti di giudicare Ormazd!?” LIBERALA!!”.
 
“Fallo tu…”, disse.
 
Era voltata a guardare qualcosa di ignoto; gli occhi più luminosi che mai.
 
“SE NE SARAI CAPACE!”., disse voltandosi verso di lui all’improvviso, con una voce terribile;la voce di Ahriman, quella che tutte le notti lo tormentava.
 
Improvvisamente la Corruzione cominciò a trasformarsi e a divenire una miriade di soldati di Ahriman, tutti al cospetto della Concubina; erano sagome fameliche e grottesche, identici agli altri soldati che avevano incontrato in precedenza, solo che molto più grandi. La loro funzione questa volta non era quella di presidiare e proteggere un luogo. Era quella di combattere, fino alla morte.
 
“AHAHAH!”,rise malignamente.
 
Dastan si sentì spacciato. Le forze gli mancavano e da solo, senza Sherazad e i suoi poteri, non ce l’avrebbe fatta.
Si sentiva stanco dopo aver invocato casualmente lo scudo.
In segno di resa, presa la spada tra le due mani, si inginocchiò, e la conficcò a terra, gridando.
La piazzola si squarciò e il terreno si illuminò di una luce azzurra accecante.
Il giovane spalancò gli occhi e il cuore prese a pulsare forte.
La Concubina sgranò gli occhi lattescenti e i suoi soldati emisero dei versi gutturali e concitati.
Da dei turbini d’aria argentei e azzurri, provenienti dalla spaccatura nel terreno, si materializzarono dei soldati possenti e dalle sembianze umane.
Erano cinque, quanti quelli della Concubina.
 
“MALEDETTO!! SEI TORNATO! ERI TU!! ADESSO CAPISCO!!”.
 
Dastan non capiva. Si guardò attorno atterrito; stava per cadere al suolo.
Uno dei suoi soldati lo sollevò, il più possente di essi.
“Mio Signore..Combatto io per lei! Mi dica pure cosa devo fare e lo metterò immediatamente in atto!”.
Dastan si riprese e guardò i soldati. I SUOI soldati.
Li sentiva davvero suoi, come se li conoscesse da sempre.
Colui che lo aveva appena salvato dalla caduta era più alto e robusto di lui; possedeva delle spalle immani e sul suo volto vi era un accenno di barba.
Possedeva un’armatura sulla quale era inciso lo stesso identico drago che aveva Dastan sul fodero.
Non aveva l’elmo come gli altri guerrieri che possedevano il classico pennacchio sulla testa. Avevano tutti un’espressione cupa, forte e decisa.
Dastan si sentì potente.
“FINIAMOLA. ADESSO.”.
I soldati partirono potenti all’attacco. I guerrieri azzurri, quasi trasparenti, della Luce e quelli delle Tenebre.
La Concubina non si mosse. Dastan le tirò dritto un fendente nel ventre e lo trapassò con foga, urlando.
Tirò la spada verso l’alto per aggravare e affondare meglio il colpo e dalle membra della nemica fuoriuscì una luce blu fortissima.
Poi, dopo lo scontro, tutto esplose in un luce bianca accecante.
Come la battaglia infuriò, si concluse. Pochi attimi, pochi piccoli istanti che avevano permesso a Dastan di sentire cosa volesse dire percepire il potere scorrergli nelle vene. Nel sangue.
Tornò debole, strutto, finito come se un macigno gli fosse precipitato addosso.
Il terreno tremava sotto i suoi piedi.
Nel bianco denso e latteo, a pochi passi da lui, giaceva Sherazad inerme. Era addormentata dal potente veleno e le si vedevano chiaramente i polsi lacerati dalla pianta scomparsa.
“SHERAZAD!! SVEGLIATI TI PREGO!!”, le lacrime agli occhi.
Non voleva tornare di nuovo solo, non adesso. Non adesso che aveva trovato qualcuno con cui sentirsi pieno.. non adesso che aveva bisogno anche lui di avere delle risposte.
La voltò, respirava a malapena. Il corpo molle tra le sue braccia. Non si muoveva.
Appena la prese in collo, tutto tornò colorato ma il colorito dei polsi avvelenati e tagliati peggiorava.
 
-Aspetta, vediamo se funziona..-, pensò.
 
“Mi dispiace farti del male Sherazad..spero solo di guarirti..anche a costo della mia vita.”.
 
Sfoderò la spada e tagliò i polsi di Sherazad cercando di concentrare la sua energia.
Funzionò per l’ennesima volta, pur essendo debole. La lama si illuminò e i polsi tornarono coloriti. Si notavano solo delle cicatrici.
Poi la riprese, ma era ormai distrutto..troppa energia..aveva sprecato troppe forze.
Il veleno era ormai bruciato e non scorreva più grazie al grande potere di Dastan, inconsapevole di possederlo.
Tentò di arrampicarsi ai muri di terra per risalire verso l’alto, dove già si erano formate delle crepe nelle quali poter passare.
Non ce la fece. Il suo corpo cedette.
Si lasciò cadere nel vuoto, ma non lasciò la presa su Sherazad.
Pensò ancora una volta che fosse finita, che la morte gli avrebbe inghiottiti inesorabilmente. Almeno lui; Sherazad sarebbe rimasta immortale fino a che non le avrebbero risucchiato l’aura. E una buona metà le era stata portata via.
La guardò, disperato.
Poi un tonfo sordo. Si sentì ghiacciato fino alle ossa. In un istante i polmoni gli si riempirono d’acqua. Si riprese e trovò le sue ultime forze.
Sherazad le era scivolata e stava precipitando negli abissi.
Non sapeva se fosse mare o lago. Se fossero sotto terra o fuori.
Ma voleva salvarla.
Nuotò con le ultime energie che aveva; la prese e la strinse a se più forte che mai.
Tornò a galla.
Tossiva disperatamente e sarebbe potuto affogare da un momento all’altro.
Ma controllò anche la tosse. Avrebbe fatto di tutto per portare a termine quella missione.
Si trascinò a riva, con il corpo di Sherazad svenuto.
Finalmente sulla sabbia.
Le accarezzò il viso. Lei non aveva ingerito acqua poiché aveva il velo ma dato che era zuppo, istintivamente le scoprì il volto lasciando intravedere anche gli zigomi, la bocca.
Sorrise, col fiatone..era bella da togliere il fiato.
Non poté godersi la vista della ragazza, poiché cominciava a vedere sfuocato.
Sputò acqua e sangue.
Poi si accasciò accanto a lei. Accanto alla compagna di quel terribile incubo.
E alla luce di qualche Sole che regnava su di loro, si addormentò distrutto.
Tutto fu buio.


Nota dell'autrice: scusate se vi ho fatto attendere così tanto per questi nuovi capitoli! :-( Ma adesso che mi sono spuntate delle idee un po' più adatte sono riuscita a buttare giù qualcosa! :-) Grazie per la vostra attenzione! Ve ne sono davvero grata! :-) Ripeto che accetto consigli sul mio modo di scrivere e sulla storia senza problemi anzi mi farebbe molto piacere qualche vostro commento! :-)
Al prossimo capitolo! :-)
P.S: Scusate se ho fatto un po' di macello nell'impostazione della scrittura o altro ma non ricordavo più come lo avevo impostato le scorse volte ed ero talmente concentrata a inserire il nuovo capitolo che non ci ho guardato minimamente :-/
A presto! :-)

Sherazad_93

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Capitolo 7
*** Visioni ***


Capitolo 6: Visioni

Passò qualche ora e Dastan si risvegliò. Si alzò e guardò alla sua destra e alla sua sinistra con le tempie che pulsavano paurosamente.

Si portò le mani alla testa e le passò tra i capelli portandoseli dietro e allisciandoli.

Poi accasciò violentemente le mani al suolo e sbuffò. I vestiti ancora umidi.

Ripensò all’accaduto e pensò fosse stato tutto un sogno strano; tutto frutto della sua mente.

Stava cercando qualcosa che potesse dargli le prove di ciò che ara avvenuto, qualcosa di tangibile che gli potesse accertare quanto era successo.

E tutt’ora non riusciva a capire e voleva darsi delle risposte.

Si riportò le mani alla fronte, incapace di pensare davvero a fondo e di concentrarsi.

Era ancora stremato. Poi però ricordò. Ricordò di quando aveva bruciato i tagli nei polsi a Sherazad e aveva eliminato il veleno.

 

-Se lei ha le cicatrici, ciò che penso sia avvenuto sarà certificato..-, pensò mirando dritto dinanzi a se.

 

Si riportò le mani alla testa dolorante, poi si voltò verso Sherazad, col volto scoperto, i capelli ancora coperti dal velo nero.

Strisciante, le si avvicinò per vederla meglio, per ammirare quella bellezza mozzafiato ancora più grande della Concubina.

Aveva il viso piuttosto allungato con le mascelle marcate. Il labbro superiore era più fine di quello inferiore, più carnoso.

Il naso era minuto. La pelle terrea e bronzea, le labbra appena più chiare. La pelle di sua madre.

Le accarezzò il viso.

Da quanto era bella sembrava fosse stata fatta su misura, fosse stata creata da qualcuno.

Respirava lentamente, però era rilassata.

Al suo tocco Dastan percepì la sua energia crescere; lentamente si stava riprendendo.

Poi le toccò il petto nel punto in cui poteva chiaramente sentire il cuore battere; sapeva che era immortale fino a che possedeva i poteri però volle comunque assicurarsi che stesse bene. Gli venne spontaneo, come gesto naturale, come se lei fosse una persona qualunque e non la Prescelta di Ormazd, l’immortale.

Poi le prese il capo e la sollevò fino ad avere il suo busto tra le braccia e decise di toglierle anche il mantello fradicio d’acqua.

Senza tutto il velo, lo spettacolo era mozzafiato.

Le lunghe trecce le attraversavano la schiena, e di tanto in tanto si poteva osservare qualche riflesso biondo alla luce.

Erano zuppe e tutte tirate indietro. Le accarezzò. Era davvero bellissima.

La ragazza più bella che avesse mai visto. Ed era lei. La donna che ogni notte lo tormentava nei sogni.

Finalmente lo sapeva. Continuò ad ammirarla con un misto di incanto e paura; sapeva che lei non avrebbe preso bene la sua indecisione di fronte alla Concubina e il fatto che le aveva scoperto viso e capelli.

Si preparò al peggio. Alla furia cieca della ragazza, ma la sua bellezza cancellò ogni cattivo pensiero.

La sua pelle era liscia senza alcuna imperfezione. Se la immaginò sveglia, con gli occhi aperti, con quel verde che sarebbe spiccato in mezzo a quella pelle bronzea.

Se la immaginò vestita da Regina, quale era, e gli vennero i brividi.

A quel pensiero, la fronte si corrugò.

 

-Ma cosa sto facendo..-,pensò.

 

La distese di nuovo sulla sabbia senza pensare a ricoprirla, anzi, le tolse totalmente tutto il mantello. E lo lasciò al sole.

Le trecce castane distese sull’oro della sabbia.

La riguardò un istante appena e sorrise.

Poi si guardò attorno.

Davanti a loro, un laghetto dalle rive poco profonde; verso il centro si inabissava e diveniva di un blu cupissimo.

Non era molto disteso; all’incirca poteva essere mezzo miglio e , alla sua sinistra, sorgeva un promontorio di roccia.

Si innalzava potente e pareva un pericoloso gigante pronto ad attaccarli.

La roccia di cui era composto, aveva un colorito marrone chiaro ed esso, alto almeno cento braccia, se non di più, finiva con una punta non troppo spigolosa.

Era come se fosse un immenso trampolino su quello specchio d’acqua dagli abissi indefiniti e sconosciuti.

Non aveva mai sentito parlare ne visto tale luogo in nessuna cartina geografica.

Pensò di essere morto. Pensò davvero di essere nel regno oltremondano e di non avere speranza di ritorno.

Chiuse gli occhi, si diede un pizzicotto sul braccio abbastanza forte e urlò di dolore.

Era vivo. E già questo era un passo avanti.

Riprese a fissare incantato il promontorio. Al di sopra di esso, proprio vicino alla sua punta, sorgeva un agglomerato di casette piuttosto minute. Da un paio di esse usciva del fumo.

 

-Come è possibile che questo terreno sia rimasto intaccato e in pace…? Come è possibile che sia abitato…? Sono fuggiti tutti. Nessuno si trova più nel Regno di Persia ormai.. saranno tutti scappati a rifugiarsi in qualche luogo sicuro..qui no..perché?-, pensò.

 

Aveva davvero troppe domande che gli ronzavano per la testa adesso e percepiva chiaramente che, quest’ultime, non avevano intenzione di dargli pace.

Continuava ad osservare a bocca aperta quello spettacolo così misterioso e ingannevole.

Gli sembrò talmente impossibile una tale situazione che temette fosse frutto di qualche brutale scherzo di Ahriman o dei suoi Alleati..Magari di uno dei quattro Corrotti; o fosse solo un’allucinazione dovuta allo svenimento.

Poi guardò verso l’alto, esasperato da tutte quelle domande che lo assalivano.

Si rese conto che erano in una grotta. Il soffitto era ricco di stalattiti che si confondevano con la roccia scavata.

Era la caverna più grande che avesse mai visto. Avrebbe potuto contenere la più grande città di tutta la Persia. La città dove era situato il Palazzo Reale.

Tale scavatura nella roccia, non poteva essere stata certo opera dell’uomo.

Era qualcosa di troppo grande, troppo potente e maestosa per essere stata elaborata da menti e braccia mortali.

Era sicuramente opera della Natura, invincibile e incontrastata, con “menti” e “braccia” più potenti di quelle dell’uomo. Infinitamente più potenti.

L’uomo non avrebbe mai potuto superare la devastante e meravigliosa mente della Natura.

Era uno spettacolo terribile e mozzafiato allo stesso tempo.

Chissà quale calamità aveva creato un tale Divino spettacolo.

Chissà quale caos aveva scaturito una simile crepa nella roccia più interna, così meraviglioso e possente, e aveva lasciato in piedi solo quel promontorio che pareva potesse crollare da un momento all’altro. Quello magari si era semplicemente creato con il tempo, però il tutto aveva un fascino misterioso tangibile.

Sorrise, e pensò a quanto fosse piccolo a confronto con quello sconfinato Universo.

A quanto fosse debole di fronte anche a solo un soffio di vento.

Il cuore gli batteva forte e si sentiva come unito a quel posto.

Come se al posto dei piedi avesse delle radici conficcate sino nel più profondo antro di quella terra e sentisse pulsare il suo cuore.

Come se sentisse pulsare il Cuore della Natura.

Poi un soffio di vento lo risvegliò.

Percepì nuovamente le vesti fradice.

Si tolse la casacca e rimase a petto nudo. Aveva il fisico scolpito come quello di un vero guerriero e i muscoli erano ben visibili. In tutti quegli anni in cui era rimasto orfano doveva essersi addestrato per la sua vendetta; ed effettivamente era accaduto proprio questo.

La gettò sulla sabbia distratto. Il polso destro era circondato da una cinghia di cuoio.

Si lascò i pantaloni e gli stivali per evitare scene imbarazzanti al risveglio di Sherazad e si avvicinò alle rive del lago.

Temeva potesse trattarsi di acqua infetta o acida, che quindi avrebbe potuto consumargli le membra in un solo piccolo istante.

Ma sentiva davvero il bisogno di lavarsi, di ripulirsi da tutto quello che aveva affrontato, di lavarsi via tutte quelle domande che lo tormentavano e concedersi qualche istante di riposo.

Si accucciò piegando le ginocchia e l’istinto prevalse.

Portò la mano all’acqua e la sensazione che nacque fu strabiliante.

Era troppo tempo che non vedeva un’acqua così pura, perfetta.

Era fresca al punto giusto ed era proprio quello che desiderava.

Portò la mano bagnata ai capelli e li lavò un po’.

Si bagnò il petto, il collo e l’addome.

Era un ragazzo bellissimo. Si sciacquò anche il viso e con quei capelli tirati indietro era davvero affascinante.

Non fece in tempo a rilassarsi.

 

“TU!!!”, un urlo alle sue spalle.

Il cuore gli si fermò. La sua voce irata era inconfondibile. L’avrebbe riconosciuta fra mille. Ma se lo aspettava.

Si voltò con gli occhi sgranati e la pelle improvvisamente lattea e il fiatone per la paura.

 

“Sherazad io..”, provò.

 

“TU MALEDETTO!!!! AVEVI PROMESSO!!! AVEVI PROMESSO DANNAZIONE!! INVECE STAVI PER ABBANDONARMI!!! TU MI HAI TOLTO LA MASCHERA!! MI HAI TOLTO IL VELO!! IO NON VOLEVO TU MI VEDESSI!! IO NON VOLEVO ESSERE VISTA MAI DA NESSUNO!!”.

 

Gli si avvicinò, la voce rotta dal pianto nervoso e le lacrime che le rigavano il volto.

Caricò il corpo e proprio mentre la mano toccò il viso di Dastan fu percorsa da un dolore tale che le parve gli organi le si spaccassero uno ad uno.

Urlò. Un urlo straziante che rimbombò nella caverna. La testa chinata in avanti inginocchiata a terra per il dolore, Dastan che le teneva la mano che stava per sferrare il colpo.

“SHERAZAD!”, provò a farla rinvenire.

Poi lei voltò la testa verso l’alto e i suoi occhi divennero luminosi come quelli della Concubina.

Anche Dastan si indebolì e cadde in ginocchio.

Poi, un’altra dimensione prese possesso di loro.

 

 

“Siamo deboli ormai mia Cara..dobbiamo allearci e fare in modo che quella maledetta di sua figlia muoia prima ancora di battere uno solo di noi..dobbiamo escogitare qualcosa..”.

 

Un uomo di spalle dal mantello rosso e un copricapo dello stesso colore.

Le immagini era sfuocate. Sulla schiena, le ossa uscivano come armi affilate e letali.

 

“Hai ragione Arabok. Dobbiamo trovare assolutamente un modo spietato per eliminare la fanciullina. L’ho vista tramite la mia magia. E’ in compagnia di un bel giovane.”, la sua voce era accattivante.

 

Arabok, l’Alchimista stava muovendo confusamente le braccia ossee e coperte di Corruzione. Ogni tanto qualche spiffero di fumo colorato lo attraversava e qualche tintinnio pervadeva l’aria.

Poi,  si fermò.

 

“Dobbiamo trovare un modo per eliminare lui…Una volta tolto di mezzo il suo aiuto lei sarà una facile preda.”.

 

La Concubina rise.

 

“Scommetto che ti è già balenato qualcosa in quella mente malvagia..”, rise Arabok.

 

“Hai colto nel segno, caro Arabok. Tu, che sei un maestro nelle pozioni, potresti creare un fluido che mi renda bella come un tempo..come prima che mi alleassi con il più Potente. Così potrei attirarlo meglio nella trappola. Bellezza più immortalità. Il potere ha sempre occupato il sogno di ogni essere umano. Non rifiuterà.”.

 

“Sei davvero meschina Desdemona. Ti faccio i miei complimenti. Abbiamo fatto una cosa giusta a riunirci noi che abbiamo poteri magici. Stiamo arrivando a risultati inaspettati. Quella bestia di Darrot non ragionerà neanche più. Non arriverà nemmeno a compromessi con il Guerriero, Thymiar. Lui se ne sta sempre rinchiuso nella torre a pensare al suo maledetto popolo.”

 

“Pensiamo a noi Arabok. Adesso dobbiamo pensare a noi due.”

 

L’Alchimista si voltò. La sua immagine era offuscata e non era visibile. Quella della Concubina lo era chiaramente.

L’unica cosa visibile di Arabok era un’ampolla che aveva tra le mani, contenente un fluido giallo pulcino.

 

“Tieni, oh bellissima. Che il potere della mia pozione ti doni la bellezza.”.

 

Così lei bevve, avida.

Un turbine nero l’avvolse e ciò che ne venne fuori fu una donna da far venire i brividi.

Quella donna che proprio loro avevano visto.

L’Alchimista le si avvicinò. Rise.

Lo fece anche lei.

 

“Grazie, Arabok. Non te ne pentirai e il favore ti ritornerà.”

 

“Ah, Desdemona..un’ultima cosa..”

 

Lei si voltò, bella e sensuale.

 

“Tieni, applica anche questo filtro alla tua pianta divoratrice..l’ho trovato proprio mentre rovistavo tra le mie ampolle.”

 

Lei sorrise, maligna.

 

“Sei grande Arabok, non sai nemmeno quanto.”.

 

Così si voltò e sparì in una nebbia offuscata.

Due occhi blu e famelici si chiudevano in due fessure fatali e una risata maschile pervase l’ambiente.

 

 

-Pensa se davvero mi concedessi all’eternità; potrei vendicarmi di Ahriman e diventare suo nemico interno e consumarlo dalle viscere..fingendo di allearmi, stando con la Concubina, potrei vendicare la morte dei miei genitori. Potrei fare qualsiasi cosa e porre fine a tutto e torturare coloro che mi hanno tolto la mia vita, la mia infanzia e la mia felicità.- le parole dei pensieri di Dastan risuonavano nel vuoto. Poi un lampo gli balenò alla mente

-Guardala Dastan, la pianta le sta lentamente risucchiando l’energia e presto morirà, le hai promesso. Non importa la vendetta. Non serve a niente non cancellerà mai il vuoto che ti ha lasciato la loro morte. Lei è stata l’unica che è riuscita a farlo e le hai promesso il tuo aiuto nella missione. No, non l’abbandonerò, ne ora ne MAI. Qualsiasi cosa mi possa promettere questa maledetta, pur essendo bellissima, Sherazad è più importante.-.

 

 

Entrarmi tornarono nel reale e caddero, Sherazad sopra Dastan.

Piangeva, piangeva disperata. Non sapeva il motivo per il quale il ragazzo aveva tanto atteso. Pensava fosse la solita sete di potere che, famelica, prende l’animo degli uomini e li fa impazzire. Quella sete che fa perdere il lume della ragione e fa compiere azioni che non dovrebbero essere compiute o che non avresti mai pensato di fare.

Non pensava fosse per la sua famiglia, che violentemente gli avevano strappato, togliendogli ogni sorta di felicità.

Era pentita adesso per quello schiaffo.

Lui era rimasto sconvolto dalle visioni avute e sentiva i suoi singhiozzi e la voce rotta dal pianto.

La strinse forte.

 

“Scusa Dastan! Io non lo sapevo giuro! Mi dispiace!! Perdonami…Lo avrei fatto anche io..Ti dovrei solo ringraziare..”.

 

“Non preoccuparti..comprendo a pieno la tua reazione. Era naturale. Sherazad, non sei sola. Io non ti abbandonerò mai. Te l’ho promesso e ho esitato solo perché si trattava della mia famiglia. A me non importa di lei, ne delle ricchezze, ne dell’eternità anche se sinceramente un po’ ci ho pensato ma sono umano anche io. A me importa che tu possa trovare pace..e che lo possa fare anche io.”.

 

Lei alzò lo sguardo e lo fissò dritto negli occhi.

-Eccoli, finalmente..-,pensò Dastm.

Era contento di vedere quegli occhi. Trasmettevano le stesse cose che lui aveva dentro e lei provava la stessa sensazione. Non si vergognava di essere senza velo, anzi si sentiva come a casa. Sentiva come se si era tolta un peso. Si accorse di essere sopra il corpo metà nudo di Dastan e arrossì, anche se con la sua pelle bronzea non si notò nemmeno.

Si distaccò e si sedette accanto a lui sulla spiaggia. Le trecce sciolte di mossero e lui rimase incantato.

Lei lo notò e lo fissò. Si fissarono intensamente.

Lei lo guardò, tutto. Quel corpo così bello e muscoloso, i capelli bagnati e tirati indietro. Le sue labbra fine e quegli occhi castani. La pelle poco abbronzata.

Era bello, bello davvero.

Lui pensò la stessa cosa. Avrebbe voluto vederla in altri panni, che lasciassero trasparire anche il suo corpo oltre che il viso.

Per lui, Sherazad era come un luogo da esplorare. Avverso all’inizio, ma se riuscivi a capire come comminarvi ti sentivi a casa.

E così stava succedendo.

 

“Perché mi guardi?”, gli chiese lei.

 

“Sono così brutta senza velo..?”, rise. Abbassò lo sguardo verso la sabbia e si guardò i piedi.

 

Lo fece anche lui e rise. La riguardò.

 

“Io faccio un tuffo, ne ho davvero bisogno.”, le disse dolce e imbarazzato.

 

Lei lo vide alzarsi e muoversi agile. Si tolse gli stivali, ma non i pantaloni.

Lei si sentiva i panni zuppi.

 

“Aspetta.”, disse.

 

Lui si voltò, un’espressione interrogativa.

 

“Vuoi fare un tuffo?”, gli disse con sorriso sghembo.

 

Lui sorrise. Lei si alzò, gli prese la mano.

 

“Vieni con me..”, gli disse.

 

Così correndo per la frenesia lo portò in quel punto dove dalla sabbia sorgeva il promontorio.

Lo fece faticare. Scalarono tutta la roccia a piedi nudi ma Sherazad era talmente euforica che non sentiva nemmeno il dolore della pietra.

Entrarono nella cittadina; non c’era una strada precisa che vi portasse ma solo roccia.

Le casupole erano basse e gli abitanti, vestiti semplicemente, li guardarono un po’ sconcerti e con arie interrogative.

Sherazad rise di tutto ciò, e continuò a correre.

Passarono attraverso fumi, odori e parole. Un odore di pane e dolci pervadeva la cittadella composta di almeno una ventina di casupole e i bambini si ricorrevano assieme ai loro animaletti.

Sherazad un po’ li invidiò. Invidiò la loro infanzia. Ma si soffermò poco anche su questo.

Passarono attraverso lo stupore e lo sgomento della gente.

Giunsero al picco, al trampolino sull’abisso.

 

“Ti tuffi?”, gli chiese ridendo come una bambina. Sembrava avesse ritrovato la sua infanzia.

 

Lui la guardò con gli occhi sgranati.

 

“Sherazad sei impazzita!? Non vedi quando è alto!? Ci ammazziamo!!”.

 

“No, Dastan. Non se sarai con me. Finchè siamo insieme nessuno dei due può morire.”, gli disse rassicurante.

 

Lui le si avvicinò. Si fissarono. Poi lei guardò il soffitto della grotta. Chiuse gli occhi e aprì le braccia. Si lasciò cadere dal dirupo.

A Dastan si fermò il cuore. E adesso!? Se moriva!?

 

“SHERAZAD!!!!!”, urlò.

 

Un tonfo sordo pervase la grotta. Un rumore d’acqua.

 

“DANNAZIONE!”, urlò di rabbia. Poi si tuffò.

 

Mentre si tuffava si sentiva libero e provò una leggera eccitazione nell’essere consapevole che da un momento all’altro lui e Sherazad sarebbero stati soli sotto l’acqua, senza che nessuno li potesse vedere.

Non se lo spiegava, ma ne rise. Ne rise follemente. Aveva le braccia aperte e poco prima di cadere le chiuse per completare il tuffo di testa.

Sott’acqua se la trovò davanti, con i panni larghi che ondeggiavano e le trecce che sembravano tentacoli. Si guardarono.

Poi lei prese a nuotare.

Lui la seguì, matto.

C’erano tantissimi pesci colorati e le alghe verdi ondeggiavano come le trecce di Sherazad.

Nuotava come una sirena. Una sirena bellissima ,pensò Dastan.

Il fondo non si vedeva.

Riuscì a prenderle la casacca e la tirò a se. Il fiato che cominciava a mancare.

La strinse forte e lei ricambiò. Si guardarono. Sorrisero. Avvicinarono i volti naso a naso.

Poi, stando fermi, l’acqua li riportò a galla. Respirarono affannati e si separarono.

 

“Andiamo sul bordo della grotta!”, urlò Sherazad.

 

Lui annuì e nuotando giunsero alla spaccatura rotonda che dava origine a quello spettacolo sotterraneo meraviglioso.

Il lago si interruppe e si arrampicarono sul piccolo bordo di roccia, come fosse una piscina.

Lei si mise a sedere per prima e cominciò a guardare ciò che c’era all’esterno.

Lui la raggiunse e fece lo stesso.

Fuori, tutto era risanato. Gli uccelli volteggiavano alla luce del tramonto e il Sole colpiva le loro pelli.

Gli occhi di Sherazad erano diventati quasi come due Smeraldi.

Ansimavano per la nuotata ma lo spettacolo era strabiliante.

Gli alberi sui colli erano rigogliosi e le pareti di roccia, sulle cime, erano ricche di verdi prati.

Le melodie intonate dai colorati volatili erano armoniose e facevano si che i loro animi fossero trasportati altrove, in un mondo migliore, magari.

Improvvisamente, un uccellino che batteva le ali alla velocità della luce, si fermò davanti Sherazad. Aveva il piumaggio dal colorito rosso e qualche piuma delle ali fucsia e il becco arancio.

Cantava davanti Sherazad e lei porse il dito. L’uccellino si posò e le camminò lungo il braccio facendole il solletico.

Dastan rise quando l’uccellino posò il muso sul viso di Sherazad.

 

“Sei così bella e magica che anche la Natura ti apprezza..”,le disse.

 

Lei lo guardò.

 

“Non sono come dici tu, purtroppo.”.

 

“Guarda quello che lei hai fatto.”.

 

E le fece notare che l’aveva risanata, che l’aveva resa di nuovo forte, viva e bella.

Poi un canto. L’uccellino volò via.

Dopo che ebbero osservato quello spettacolo di colori si rituffarono nella acque e giunsero sulla spiaggia.

Tra risa e scherzi la notte giunse, e tutto riposò.


Nota dell'autrice: ecco il nuovo capitolo che è un po', se così si può definire, di transizione, dove faccio conoscere meglio i personaggi tra di loro e li faccio avvicinare dal punto di vista morale. Lo trovo noioso io stessa però ci ho messo impegno e quindi lo pubblico lo stesso sperando che possa piacervi e suscitarvi curiosità ^_^
Ribadisco che accetto commenti positivi a negativi magari per scrivere meglio!! ^_^
Grazie per l'attenzione.
Ringrazio Yondaime90 e Loryblackwolf per avermi fatto i complimenti e avermi consigliato come evolvere la mia storia !! ^_^ Grazie davvero!
Al prossimo capitolo!

Sherazad_93

 

 

 

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