20th Century Breakdown

di _Any
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mia generazione è zero ***
Capitolo 2: *** Il mio nome è nessuno ***
Capitolo 3: *** Sei in rovina ***
Capitolo 4: *** Non mi importa se non importa a te ***
Capitolo 5: *** Svegliami quando finisce settembre ***
Capitolo 6: *** Ho una malattia molto grave (Vyol's special chapter) ***
Capitolo 7: *** Mi sento così inutile nella città dell'assassinio! ***
Capitolo 8: *** Al centro della Terra ***
Capitolo 9: *** Voglio solo vedere la luce! ***
Capitolo 10: *** Stavo solo sognando (Mike's special chapter) ***
Capitolo 11: *** Non c'è nessun posto come casa (quando non hai nessun posto dove andare) ***
Capitolo 12: *** Ragazzina ***
Capitolo 13: *** Prendi il giorno ***
Capitolo 14: *** Ragazzina, tu, sporca bugiarda! ***
Capitolo 15: *** Rabbia e amore (Billie Joe's special chapter) ***
Capitolo 16: *** Dove sono finite tutte le rivolte? ***
Capitolo 17: *** Boulevard of Broken Dreams (Tré Cool's special chapter) ***
Capitolo 18: *** Sei il chiaro di luna della mia vita, tutte le notti (Evelyn's special chapter) ***
Capitolo 19: *** Amore brutale ***
Capitolo 20: *** Salve sconosciuto, sono un disastro! ***
Capitolo 21: *** Il tempo della tua vita ***



Capitolo 1
*** La mia generazione è zero ***


11 settembre 1982


«Papà, papà! Dove stiamo andando?»

«A trovare una persona.»

«Chi è?»

«Non l'avete mai conosciuto. Basta domande.»

«Ma mamma... se non l'abbiamo mai conosciuto perché lo andiamo a trovare?»

«...»


30 agosto 1988


«Mamma, cos'è quella faccia preoccupata?» chiesi entrando in camera di mia madre insieme a mia sorella.

«Piccole, abbiamo un problema.» iniziò al quanto preoccupata. «Vedete, per motivi di lavoro domani dovrò partire.» concluse lasciando cadere sul suo letto un foglio di carta stampato.

«Cosa?» chiese mia sorella incredula.

«E dove vai?»

«Devo andare nella sede aziendale di Cupertino. Non vi preoccupate, non uscirò nemmeno dalla California. È solo che rischio il trasferimento e per almeno un mese dovrò vedermela lì. Se non lo facessi potrei anche essere licenziata.»

«E allora perché questa preoccupazione? Dopotutto è un posto abbastanza vicino...» mi rassicurai.

«Beh, ecco... sembra che debba stare via da casa per molto tempo.»

«Molto... quanto?»

Un attimo di silenzio.

«Un mese.» disse infine.

«Un mese?!» io e mia sorella ci guardammo perplesse. «Un mese... perché tanto?» chiesi.

Nostra madre sospirò.

«Perché se non lo faccio rischio di essere licenziata, ma al contrario, se eseguo tutti gli ordini del direttore Jobs allora potrò addirittura essere promossa.» sorrise lei soddisfatta.

«È così importante? Intendo dire... hai già una buona posizione nell'azienda, guadagni molto. C'è davvero bisogno di andartene così a lungo? Potresti anche stare via solo un paio di giorni e rinunciare alla promozione...» mormorò mia sorella.

«Lo so che avete paura a rimanere da sole, ma sono sicura che ve la caverete. Vi ho anche comprato dei cellulari in modo che potremo telefonarci sempre.» disse rassicurante nostra madre porgendoci due scatole.

«Devono essere costati moltissimo...»

«Sì, ma ce lo possiamo permettere piccole. Forza! Ce la faremo!» sorrise raggiante la mamma.


Quella sera stessa aveva già tutte le valigie pronte. Sembrava così strano pensare che la mattina dopo io e mia sorella Evelyn saremmo state sole in casa...

Nostro padre era morto cinque anni prima, quindi eravamo abituate a vivere in questa “comunità femminile” dove nostra madre faceva sempre di tutto per passare molto tempo con noi.

Pensavo che non avrebbe mai accettato di andare a lavorare fuori, ma se aveva deciso di farlo voleva dire che era davvero un'opportunità grossa.

Evelyn sembrava terrorizzata alla prospettiva di rimanere da sola con me.

«Ehi, Evelyn! Cos'è quella faccia?»

«La stessa tua.»

«Non in quel senso. Intendo dire, perché sei triste? La mamma potrebbe avere una grande opportunità, noi invece potremo passare un sacco di tempo insieme!»

«Passiamo già un sacco di tempo insieme!» rise lei.

«Beh, potremo passarne insieme ancora di più. E potremo divertirci un po'. Per esempio potremmo guardare la TV fino a molto tardi, no? E fare rumore senza preoccuparci.»

Evelyn rise di nuovo.

«Hai una strana idea del rimanere da sole. Secondo me non cambierà proprio niente. Faremo sempre le stesse cose.»

«A maggior ragione non c'è motivo di avere paura, no?» risi abbracciandola.

Evelyn era la cosa più preziosa che avessi.

Era la mia sorella maggiore.

Anzi, la mia sorella gemella maggiore.

Amavo il nostro rapporto: al contrario di molti fratelli che sembra non si sopportino, io e Evelyn ci amavamo alla follia. Lei mi dava un senso di protezione che con altri non provavo, mi faceva sentire al sicuro.

Eravamo fatte per completarci, dopotutto era così che eravamo nate.

All'inizio eravamo una cosa sola, ma poi ci separammo, chissà perché.

E così siamo nate in due da una sola cellula.

«Ah, comunque non è che potremo fare molto tardi, Alice.» mi disse improvvisamente.

«Perché?»

«Tra due giorni inizia la scuola.»


31 agosto 1988


«Mi mancherete. Fate attenzione e non fate stupidaggini.» raccomandò nostra madre. «E guardatevi a vicenda. È per questo che siete in due, no?» sorrise.

«Andrà tutto bene, mamma. Non faremo niente di stupido.» la rassicurò Evelyn.

E dopo pochi minuti mamma uscì ed eravamo sole in casa.

Non so perché ma un senso di solitudine mi invase quasi all'istante al suono della chiusura della porta.

Forse perché nostra madre era sempre stata la nostra guida. Anche senza papà era sempre stata grandiosa per non farci mancare nulla.

«Già ti manca?» chiese Evelyn.

«Un po'.»

«Dai, allora vai a prepararti che usciamo a fare la spesa. A meno che tu non voglia morire di fame.»

«Eh già, tocca a noi farla. Almeno possiamo scegliere cosa mangiare.» sorrisi un po' malinconica.


Il supermercato era uno dei posti più belli ad agosto.

C'era una frescura che mi faceva sentire come se mi fossi appena svegliata dopo un lungo sogno confusionario.

Evelyn prese una foglietto e lo strappò a metà, poi me lo passò.

Era una lista della spesa.

«Ci dividiamo, così faremo prima, ok?»

Annuii.

Così presi un carrello e mi diressi verso una qualsiasi delle file di scaffali.

Dopo poco avevo già preso metà delle cose della lista, quando improvvisamente avvertii una vibrazione proveniente dalla mia borsa.

La aprii e scoprii che era il telefono che mi aveva dato mia madre il giorno prima. Il numero che lampeggiava sul display non lo conoscevo e la cosa mi mise a disagio.

Solo mamma poteva conoscere il mio numero e quello di Evelyn, quindi doveva essere lei che magari stava usando un telefono diverso dal suo, no?

Lo avvicinai all'orecchio.

«Pronto?»

«...»

Non rispondeva nessuno, sentivo solo suoni di sottofondo. Stavo per chiudere quando sentii una voce.

«... Alice...»

Non era la mamma. Era una voce maschile.

«C-chi è?» chiesi spaventata.

Qualcuno aveva rubato l'agenda di mamma?

«Sono tuo cugino.» la voce era affannata. Sembrava che avesse appena smesso di correre.

«Come? Come hai avuto il mio numero?»

Lui sbuffò innervosito.

«Ho un amico che lavora dove fanno 'sta roba, dove fanno i numeri, ma non è importante. Ho visto tua madre lì e ho chiesto a lui tutto, ok? Senti, ho bisogno che tu venga al 7-11.» spiegò frettolosamente.

«Cos'è il 7-11?»

«Come cos'è? È un capannone che si trova vicino al centro commerciale 7-11, vicino al parcheggio.» disse come se stesse spiegando la cosa più ovvia del mondo.

«E come ci arrivo?»

«Chiedi informazioni. Io ti posso aspettare fino alle 3:00 e non oltre. Ah, e vieni da sola.» disse chiudendo senza aspettare risposta quella strana telefonata.

Ma chi diamine era? Non mi aveva neanche detto il suo nome.

Mi guardai intorno spaesata e poi corsi immediatamente a cercare Evelyn spingendo il grande carrello.

«Evelyn!» gridai appena la vidi.

«Alice! Perché corri così?»

«Ti devo parlare...»


«Ha detto proprio... “tuo cugino”?»

Annuii.

«E tu cosa avresti intenzione di fare?»

«Non saprei... da un lato questa cosa mi spaventa, però se è davvero nostro cugino...» iniziai senza sapere neanche io dove volevo arrivare.

«Se è davvero nostro cugino è meglio evitare. Non so se ti ricordi cosa ci disse la mamma il giorno del funerale di papà.» mi interruppe freddamente lei.

Subito dopo il funerale di nostro padre, nostra madre era entrata in camera mia e di Evelyn. Io e mia sorella eravamo sconvolte e piangevamo tutte le nostre lacrime mentre ci sembrava di sprofondare nel nero più totale.

«Vi ricordate quei ragazzi che c'erano con noi?» chiese lei.

«I nostri cugini?» chiese Evelyn di rimando.

«Esatto. Dovete evitarli. Quella è una famiglia disastrata, non dovrete più avere nulla a che fare con nessuno di loro.» ordinò categoricamente.

Non mi era chiaro il perché di quell'ammonimento, ma al momento ero troppo sconvolta per poter avere la forza di chiedere spiegazioni e sicuramente anche Evelyn si sentiva così.

Il giorno dopo già me ne ero dimenticata.

«Si tratterebbe solo di andare a vedere però. Intendo dire, è un nostro parente e dalla voce sembrava in difficoltà. Se fosse in pericolo...»

«Sempre se è davvero quello che dice di essere. Non ha detto neanche il suo nome.»

«Allora vieni con me, Evelyn! Insomma, non ci può fare niente se siamo in due.» esclamai all'improvviso facendola sobbalzare.

«Non ti aveva chiesto di andare da sola?»

«Non importa... è la minima precauzione che devo prendere.»

Evelyn sospirò.

«Non posso lasciarti andare via così. Ovvio che ti accompagno.» mi prese per mano mia sorella.


Era da circa mezz'ora che fissavo il numero di chi mi aveva chiamato sul display luminoso del cellulare.

Era un telefono fisso sicuramente e dalle prime cifre si capiva che forse si trattava di qualcuno del quartiere di Rodeo.

«Alice, se dobbiamo essere lì massimo alle 3:00 ci conviene andare...» mi esortò Evelyn.

«Arrivo.» dissi alzandomi dal divano di casa e raggiungendola.


«Dov'era l'appuntamento?» chiese mia sorella.

«Al 7-11.» risposi senza esserne troppo sicura.

«E che cosa sarebbe?»

«Mi ha parlato di un capannone vicino al parcheggio di un centro commerciale... non saprei.»

I nostri passi mostravano timore sempre maggiore.

Passo dopo passo, ritmicamente, la sicurezza vacillava rischiando di svanire definitivamente.

Ci stavamo dirigendo verso il quartiere di Rodeo con la massima cautela. Rodeo era famoso per essere un covo di gente pericolosa e la sola idea era terrificante.

Anche se era pieno pomeriggio.

«Credo ci convenga chiedere informazioni.» dissi, anche se non si vedeva un essere umano per metri.

«Ma non c'è nessuno a quest'ora! A chi vuoi chiedere?»

«Beh, posso sempre...» iniziai quando inciampai e istintivamente mi afferrai a qualcosa che dopo pochi secondi capii essere la giacca di un tipo spuntato da chissà dove. «Ah... mi scusi...» dissi imbarazzatissima.

«Scusi, lei sa dov'è il 7-11?» accorse mia sorella prontissima.

Mi aveva salvata.

«Il 7-11? Certo. Sto andando in quella direzione, se volete vi accompagno.» sorrise confidenziale il tipo.

«Grazie mille.» dicemmo io e mia sorella in coro.

Il ragazzo si incamminò.

«Siete gemelle?» chiese.

«Sì.» rispose Evelyn.

«Siete proprio due gocce d'acqua. Dev'essere divertente avere una persona identica a te, puoi sostituirti e farti sostituire in continuazione.» continuò a parlare socievolmente.

Non sembrava pericoloso per fortuna, forse era solo un po'... logorroico.

Dopo pochi minuti arrivammo al centro commerciale.

Lui aveva continuato a cercare di chiacchierare, ma io e mia sorella rispondevamo a monosillabi. Eravamo troppo tese per poterci preoccupare di fare amicizia.

Ma avevamo mai fatto amicizia con qualcuno?

Il pensiero mi fulminò all'improvviso.

No. Non c'era nessuno che potessimo definire davvero amico, al massimo conoscente.

«Eccoci qui.» sorrise davanti al centro commerciale.

«Grazie mille.» ringraziai salutandolo.

Ci avviammo al parcheggio del centro commerciale e dopo poco vedemmo un capannone abbandonato poco distante.

Su una delle pareti c'era un graffito con la scritta “Il centro della Terra” e sotto uno più piccolo “Casa è dov'è il tuo cuore”.

«Sei pronta?» chiesi ad Evelyn.

«Sì. Nel caso sia un malintenzionato dobbiamo essere preparate a correre.» mormorò spingendo la porta. Aveva paura.

Il capannone era buio e soprattutto... vuoto.

Lasciai la porta aperta per far trapelare un po' di luce solare.

Non c'era nessuno all'interno.

«... Nessuno? Ci hanno fatto uno scherzo?» chiese Evelyn.

«... Sembrerebbe...» dissi muovendo qualche passo in avanti. «Ma avrebbe fatto tutta quella fatica per trovare il mio numero solo per uno scherzo?» pensai a bassa voce.

Improvvisamente si sentì molto chiaramente un tonfo secco.

«Alice io ho paura!» disse Evelyn muovendo qualche passo incerto.

«Non ti avevo chiesto di venire da sola?» sbucò dal nulla un ragazzino.

Mi trattenni a stento dall'urlare per la sorpresa.

«Quindi saresti tu?» chiese mia sorella.

«Certo che sono io. Chi altro doveva essere? Ve lo avevo detto che sono vostro cugino.» continuò senza dire il suo nome.

Io non riuscivo a riconoscerlo né a ricordare il suo volto.

Aveva capelli neri e occhi di un verde smeraldo. Era una di quelle persone che quando si incontrano anche se per poco si ricordano. Mi sembrava troppo assurdo.

«Ehm... e perché mi hai chiesto di venire in questo posto?» chiesi incerta.

Lui si fermò e pensò bene alle parole da dire.

«Beh... mettiamola così.» sorrise allargando le braccia come per circondare tutto quel posto. «Vi chiedo asilo politico.»

__________________________________________Authoress' words

Ehm... Ciao!

So che come primo capitolo non è il massimo, che uno quando legge un primo capitolo dovrebbe dire: "Wow! Che figa 'sta storia!" e soprattutto che sembra una storia uguale a tutte quelle lì con le ragazze superfighe che si fidanzano con uno dei Green Day... ma non lo è!

Ok, vi dico le cose come stanno. Questa è in assoluto la prima volta che tento di scrivere una storia romantica e ho deciso di pubblicarla perché se non so almeno il parere di qualcuno non capirò mai cosa c'è di buono e cosa c'è di male in quello che ho scritto.

Comunque parlando d'altro senza che mi venga l'ansia... l'hai notato? L'azienda di Cupertino di cui parla la madre all'inizio del capitolo altro non è che la Apple che ha sede a Cupertino in California nella Silicon Valley. ;)

Ultima cosa. Alice si pronuncia "Elis" mentre Evelyn si pronuncia esattamente così come si scrive. :)

Scusatemi, devo riversare qui tutta la mia ansia repressa. xD

Bye!

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Capitolo 2
*** Il mio nome è nessuno ***


31 agosto 1988


«Io ancora non ci posso credere.» mormorò mia sorella scoraggiata in piedi davanti alla porta di casa mentre il nostro sconosciuto cugino raccoglieva la sua roba.

In effetti come darle torto?

Una persona mai vista prima ci aveva detto di essere nostro cugino e aveva chiesto ospitalità per un tempo indeterminato per motivi che si rifiutava di dire.

Certo, avremmo potuto dirgli di no, di andare a cercare “asilo politico” da un'altra parte, ma di fronte a questa risposta aveva reagito dicendo che allora sarebbe rimasto al 7-11 senza neanche prendere lontanamente in considerazione l'idea di tornare a casa.

E il fatto che fosse davvero qualcuno che ci conoscesse era certo, l'aveva dimostrato, non potevamo semplicemente abbandonarlo al suo destino come un oggetto.

Anche se ancora non sapevamo come si chiamava.

«Ecco la tua stanza.» disse mia sorella spingendo la porta di una delle camere per gli ospiti che avevamo.

Senza dire una parola lui entrò dentro e gettò senza troppa cura il suo borsone sul letto. Al contrario, mi colpì il fatto che avesse appoggiato con grande delicatezza quello che sembrava essere il fodero di una chitarra.

Calò un silenzio imbarazzante, sembrava che tutti volessero dire qualcosa, ma nessuno aveva il coraggio di farlo.

Guardai Evelyn negli occhi, anche per lei valeva lo stesso.

Improvvisamente, non so bene perché, si voltò e si allontanò anche lei senza dire nulla.

«Ehm... scusami...» iniziai senza sapere bene cosa dire.

«Sì?» mio cugino si voltò verso di me smettendo di riversare il contenuto del suo borsone sul letto.

«S-senti, so che ti sembrerò una stupida, ma... non è che potresti dirmi come ti chiami?» chiesi imbarazzatissima.

Dopotutto se le cose fossero continuate in quella direzione di sicuro non si sarebbe mai presentato, anche perché era convinto che sia io che mia sorella sapessimo il suo nome.

«Come?» mi guardò a metà tra il divertito e il perplesso. Poi scoppiò a ridere e il mio imbarazzo salì alle stelle.

Avevo serie difficoltà a capirlo.

Ero abbastanza convinta di essere arrossita.

In quel momento sembrava di ottimo umore, mentre pochi minuti prima sembrava nel più profondo sconforto.

Forse era semplicemente troppo diffidente per potersi aprire? Come un animaletto che è costretto a camminare su un terreno sconosciuto dovendo avere paura ad ogni passo.

«Né tu, né Evelyn vi ricordate il mio nome eppure mi ospitate in casa?»

«Pensavamo di poterci fidare dato che ci conosci.»

«Anche se fossi uno stalker potrei dimostrare di conoscervi.» mi ammonì.

«... Sei uno stalker?» chiesi ingenuamente.

«Dovrei essere uno stalker idiota per dirlo così. Anche se sono convinto che gli americani siano un popolo di idioti, io non arrivo a questi livelli.» ridacchiò.

Ero io l'americana idiota lì in mezzo.

«Scusa...» mormorai imbarazzata.

«Comunque sono tuo cugino Billie Joe.» mi rispose infine.

Billie Joe?

Il nome mi era familiare, ma com'era possibile che non ne ricordassi il volto? Dopotutto i suoi fratelli li ricordavo tutti.

Ci avrei pensato più tardi.

Comunque di sicuro era imparentato con la sottoscritta. Del restoriusciva a distinguere me e mia sorella senza problemi e conosceva il nome di nostro padre.

Nemmeno io, forse, lo avevo più pronunciato dopo la sua morte.


«Dobbiamo trovargli una sistemazione e risolvere in fretta questa faccenda.» concluse seccamente Evelyn.

«Trovargli una sistemazione? E dove? Non dire assurdità.»

«Non lo so... hai intenzione sul serio di tenerlo finché mamma non lo scoprirà?» alzò la voce Evelyn.

«Hai intenzione sul serio di abbandonarlo in mezzo alla strada?» risposi con lo stesso tono di voce innervosito.

Lei si interruppe per qualche secondo, cercando qualcosa da dire.

«... Hai ragione. Però tra un mese, quando mamma tornerà... Uff. Dobbiamo solo sperare che qualsiasi sia il suo problema si risolva entro il 30 settembre.» mormorò sconfortata.

«Magari se scoprissimo qual è potremmo aiutarlo.»

«Quasi non apre bocca, dubito che lo dirà anche perché ha detto molto esplicitamente che non ha intenzione di parlarne.» disse mia sorella tra sé e sé.

«In un mese c'è tempo abbastanza.» le sorrisi.

Dopotutto era solo un essere umano come me e mia sorella, riuscire a ragionare con lui non sarebbe stato impossibile, no?


1 settembre 1988


«Sei pronta per il primo giorno di scuola?» chiesi allegramente ad Evelyn.

«Certo!» mi sorrise mia sorella. «Quello non pronto più che altro sembra nostro cugino. Ancora non si è svegliato...» disse con tono di rimprovero mentre si portava alle labbra una tazza piena di latte.

In effetti anche io ero sveglia da almeno un quarto d'ora e il fatto che lui non accennasse minimamente a volersi alzare era un po' preoccupante.

«Forse dovremmo... svegliarlo?» chiesi incerta.

«Perché non lo fai tu? Dopotutto se non sbaglio vi siete parlati anche di più... e ho paura che mi possa sbranare.» rise Evelyn.


«Ehi... Billie Joe?» lo chiamai, ma ovviamente non mi arrivò nessuna risposta.

Ero entrata in camera sua cercando di non fare nessun rumore che potesse disturbarlo e solo in quel momento mi resi conto che era stata una stupidaggine dato che il mio obiettivo era proprio svegliarlo.

Lui non si muoveva di un millimetro.

Solo il respiro gli faceva alzare il petto a intervalli regolari.

Dormiva a pancia in su come Evelyn e teneva le braccia conserte sul torace.

Mi immobilizzai a fissarlo per qualche minuto.

Sospirai.

Così non andava bene, dovevo svegliarlo, non contemplarlo.

Mi decisi, così gli presi la spalla e lo scossi senza troppa violenza finché non aprì gli occhi infastidito.

«Che ore sono?» chiese col tono di chi vuole uccidere qualcuno.

«Le 6:30.»

«Perché così presto?»

«La scuola...»

«Oggi non vengo.»

«Ma è il primo giorno!» protestai sconvolta.

«E quindi?» rispose dandomi la schiena.

«Quindi il primo giorno devi venire. È importante.»

Lui si rigirò a guardarmi, poi si sedette fissandomi dritta negli occhi.

«Capirai. Fosse per me neanche ci andrei a scuola.» scandì bene le sillabe per farmi cogliere ogni minima sfumatura a due millimetri dal mio viso.

«Ma non è per te.» ribattei rigida.

«Quanto sei insistente.» sbuffò allontanandosi e lasciandosi cadere sulle lenzuola.

Dopo pochi secondi riaprì gli occhi e si rialzò.

«Oramai non ho neanche più sonno.» disse scendendo dal letto.

Senza rendermene conto sorrisi trionfante.


Fuori dai cancelli della scuola c'era un'enorme folla. Contrariamente alla maggior parte delle persone, avevo sempre trovato bellissima l'atmosfera che c'è prima di entrare il primo giorno di scuola.

Si incontrano persone che non si vedevano da mesi, c'è un'atmosfera di eccitazione e curiosità e sempre un grande ottimismo elettrico nell'aria.

Billie Joe si era allontanato per andare da un suo amico, così io ed Evelyn ci ritrovammo come al solito sole in fila per ritirare i nostri orari scolastici in segreteria.

Nostra madre faceva sempre in modo che avessimo lo stesso orario ogni anno, in modo che potessimo stare insieme a tutte le lezioni. Era sempre molto bello, studiare insieme, capirci all'istante...

Sarebbe stato un disastro se non fosse stato così.

«Ehi Evelyn! Alla prima ora abbiamo letteratura!» esclamai entusiasta all'idea di iniziare dalla nostra materia preferita.

«Come letteratura? Sul mio foglio c'è scritto che dobbiamo fare storia...» disse lei guardando il mio foglietto.

Li avvicinammo e una terribile certezza ci assalì: non avevamo neanche una sola materia in comune.

Fantastico.


La giornata era iniziata nel peggiore dei modi.

E sembrava non migliorare neanche lontanamente.

Al suono della campana io ed Evelyn ci separammo e fui subito assalita dal senso di solitudine.

Intorno a me c'erano solo gruppi di amici, persone che avevano qualcuno accanto a loro.

Nessuno era solo come me in quel momento.

Forse stavo solo esagerando il tutto, ma nella mia testa era così terribile, non ero abituata dopotutto.

Avevo mai fatto qualcosa senza mia sorella?

Probabilmente no e se mai era accaduto non ne avevo neanche memoria.

Forse era sbagliato, ma avevo un bisogno disperato di qualcuno a cui appoggiarmi.

Anche nell'aula dove ero appena entrata non c'era nessuno che conoscessi neanche lontanamente, così nonostante fossero tutti in piedi andai a sedermi nel fondo dell'aula incurvandomi sulla sedia, quasi come se volessi nascondermi.

La campanella suonò di nuovo ad indicare che i cinque minuti di tempo per raggiungere le aule erano terminati.

Dopo pochi istanti tutti gli studenti avevano preso posto e una donna sulla sessantina aveva fatto il suo ingresso in classe.

«Buongiorno.» salutò con la voce di chi non ha la minima voglia di lavorare. «Io sono la professoressa Harris e vi insegnerò letteratura. Adesso farò l'appello.» annunciò prendendo il registro.

Lesse poche righe poi si bloccò e guardò un punto indefinito dell'aula.

«Armstrong!» chiamò all'improvviso.

Sobbalzai.

«Come al solito non c'è... oh, ma guarda. Ce n'è un altro. Come se uno solo non ne bastasse.» disse guardando il registro. «Chi di voi è l'altro Armstrong?»

Ammetto che quella donna mi faceva un po' paura, sembrava particolarmente propensa all'isteria.

Alzai molto timidamente la mano.

«I-io...»

«Ah, sei tu? L'anno scorso che media avevi in letteratura?»

«A, professoressa...» dissi sempre più imbarazzata dato che tutti i presenti in classe avevano puntato gli occhi su di me.

Già qualcuno aveva iniziato a mormorare cose come “secchiona” o “ma chi si crede di essere?”.

«Bene, bene... questo sarà da verificare. Per caso conosci l'altro Armstrong? Non è che siete... imparentati?» lo disse con un tono confidenziale, quasi come se fosse stato un crimine da confessare.

Improvvisamente la porta della classe si aprì e io potei solo ringraziare dato che questo aveva spostato l'attenzione generale da me.

«Ah... Armstrong. Stavamo giusto parlando di te. Anche il primo giorno arrivi in ritardo?» disse la professoressa infastidita.

Billie Joe non rispose, ma dopo un rapido sguardo alla classe, a grandi falcate venne a sedersi accanto a me.

Com'era prevedibile non aveva un buon rapporto con i professori.

Per fortuna la professoressa non ebbe l'idea di riprendere a tormentare uno di noi due, ma pensò che era meglio iniziare la lezione.

«La Harris ti ha dato fastidio?» mi chiese di punto in bianco.

«Beh... no, mi ha solo un po' spaventata.»

«Adesso ti punterà fino al primo test per via del tuo cognome, Alice Armstrong.»

Fantastico.

Chissà perché lo sospettavo.

La giornata continuava in maniera sempre peggiore.


«Ehi! Ma io ti conosco!» esclamò davanti a me un ragazzo imponente due ore dopo nell'aula di matematica.

«Come?»

«Sì, ti conosco. Non so dove ci siamo incontrati ma di sicuro ti conosco. Aspetta, forse ti ho vista quando...»

La campanella lo interruppe, anche se non ne aveva per niente voglia andò a prendere posto e così feci io.

In effetti anche a me il suo viso non era totalmente nuovo, ma evidentemente avevo una pessima memoria, non riuscivo a ricordarmi chi fosse.

Sembrava che fosse rimasto concentrato su di me fino alla fine dell'ora, quando subito venne nella mia direzione.

Non sentii neanche cosa aveva da dire che subito mi confusi tra la folla e sgattaiolai fuori dall'aula.

Non era per niente un buon metodo per fare amicizia, ma in quel momento non me ne importava nulla.

Volevo solo stare con Evelyn, non m'importava nient'altro!

Sapevo che stavo per avere una crisi di panico, possibile che da sola sapessi resistere così poco?

Quanto ero stupida all'epoca.


La mensa era affollatissima.

Avevo appena iniziato ad abituarmi all'assenza di Evelyn proprio in quel momento in cui stare con lei.

La cercai con gli occhi ma non vidi nessun volto conosciuto.

Anzi no, due volti conosciuti mi vennero incontro. Uno era quello di mio cugino e l'altro era quello di quel ragazzo che sosteneva di conoscermi.

«Ehi tu!» mi puntò immediatamente il dito contro. «Mi sono ricordato di dove ti ho vista.» annunciò con solennità.

«Davvero?»

«Scusa... vi conoscete?» chiese Billie Joe al ragazzo.

«In verità no, non so neanche come si chiama.» disse lui. «Però ieri mi ha chiesto informazioni per il 7-11 e l'ho accompagnata insieme alla sua sorella gemella.»

Lo guardai meglio.

Cavoli, come avevo fatto a non accorgermene? La crisi d'astinenza da Evelyn era così forte da farmi perdere totalmente la memoria?

«Ah... È vero. Grazie mille per ieri.» gli sorrisi con gentilezza.

«Figurati! Io sono Frank, ma puoi chiamarmi Tré.» mi sorrise lui avvicinandosi un po' troppo alla sottoscritta.

«Ehm... Piacere, Frank!» dissi cercando di allontanarmi indietreggiando.

Immediatamente il ragazzo si rivolse a Billie Joe.

«Mi ha chiamato Frank nonostante le abbia detto di chiamarmi Tré. Che carina! Possiamo tenerla?»

Ma cosa...?

«Guarda che non è un cane. È mia cugina e al momento è lei che tiene me.» gli rispose Billie Joe ridendo.

«Oh... quindi è lei la famosa cuginetta. Ti va di mangiare con noi oggi?»

«Ehm... ecco... dovrei andare da mia sorella. Grazie comunque.» tentai di andarmene da quella situazione mentre cercavo con gli occhi Evelyn.

Dove diamine era?

Improvvisamente la vidi che mi veniva incontro.

«Alice! Vieni, ho fatto amicizia con dei ragazzi!» mi sorrise trionfante.

«Un giorno riuscirò al mangiare col mio cagnolino.» sbuffò Frank imbronciato.

Mia sorella lo guardò interrogativa per qualche secondo, poi mi prese per mano.

«Dai, andiamo.» mi sorrise rassicurante, così mi lasciai alle spalle le preoccupazioni.


«Eccomi Aileen. Ti presento mia sorella Alice.» disse Evelyn a una ragazza seduta al tavolo dove mi aveva portata.

«Siete davvero identiche!» mi strinse la mano.

«Ciao. Felice di conoscerti.» la salutai, poi mi sedetti di fronte a lei.

Sul suo volto c'era più trucco che pelle scoperta, ma non risultava troppo sgradevole. Effettivamente mi sembrava veramente bellissima e mi sentii un po' a disagio di fronte a lei.

Un altro ragazzo chiamò Evelyn, che mi lasciò da sola con la sconosciuta.

Di nuovo.

I suoi capelli biondo platino e mossi contornavano con dolcezza un volto perfetto dove i suoi occhi celesti risplendevano come piccole gemme.

«Beh, raccontami un po' di te.» esordì appoggiandosi al tavolo.

«Non ho molto da dire...»

«Ah, no? Non hai un hobby, un genere musicale che ti piace...?»

«No, non ascolto molta musica. A volte sento un po' la radio, ma non ho mai avuto un CD o una cassetta.»

«E i ragazzi? Che ragazzi ti piacciono?»

Mi colse decisamente alla sprovvista.

«Ehm... non saprei!»

«Come no? Non ti sei mai messa con qualcuno?»

«No...»

«Ehi, guarda che sei grande oramai. Hai 15 anni, no?»

Sinceramente non pensavo che a 15 anni una persona fosse grande per fidanzarsi.

«Però ho visto che frequenti la gang di Two-Dollar Bill.»

La gang dello scontrino da due dollari? Che diamine voleva dire?

«... Non so di cosa tu stia parlando...» mormorai imbarazzata.

«Il tuo amichetto.» disse indicando alle mie spalle. Mi voltai e vidi un tavolo con sedute cinque persone: mio cugino, il suo amico Frank, due altri ragazzi di cui non conoscevo il nome e una ragazza.

Mi voltai di nuovo verso Aileen.

«Spaccia canne. A due dollari l'una. Tutti nella scuola lo chiamano Two-Dollar Bill.» pronunciò quelle parole lentamente con un tono di voce quasi confidenziale. «Ti converrebbe lasciarli perdere, sai? Insomma, a meno che tu non voglia diventare una punk evitata da tutti.»

Quelle parole mi colpirono come una pugnalata.

Certo, non mi ero ancora legata così tanto a mio cugino, ma sentirne parlare così mi fece male. Quel giorno tutto era più grande di me.

Non avrei dovuto sentirmi così vuota, stavamo parlando solo di Billie Joe, no? Però in lui c'era qualcosa di strano che non riuscivo a capire razionalmente.

Però nella mia stupida, inutile debolezza, tutto quello che potei fare fu solo annuire in silenzio.

___________________________________Authoress' words

In questo capitolo non succede molto, però se l'avessi saltato, fidatevi, avrei solo fatto un errore.

Sapete, scrivere una storia è un po' come suonare: bisogna prendersi i tempi giusti. Non bisogna correre, non bisogna rallentare, ma bisogna mantenere il tempo e a volte prendersi delle pause per poi riattaccare con la solita energia.

Sì, ho scritto tutto ciò solo per giustificarmi. Ahahahah!

Beh, che dire? Grazie di cuore a tutti quelli che hanno letto e ora dirò una cosa che mi ero dimenticata di dire nel capitolo precedente:

Questa storia è dedicata a Lally_Weasley, che mi ha fatto sganasciare dalle risate davanti al PC a leggere i suoi messaggi e che mi ha involontariamente consigliato.

Grazie!

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Capitolo 3
*** Sei in rovina ***



1 settembre 1988


Perché?

Era l'unica parola che avevo nella testa in quel momento.

Perché Evelyn mi aveva abbandonata?

No, no. “Abbandonata” non era la parola giusta. Lei non si era neanche resa conto di averlo fatto probabilmente.

«Alice? C'è qualcosa che non va?» mi chiese mentre tornavamo da scuola.

«No, niente...»

«Andiamo, lo sai che non ci credo.» mi disse guardandomi preoccupata.

Fare la sostenuta non serviva a niente, mi conosceva troppo e sinceramente non avevo troppa voglia di discutere.

«Mi sono sentita un po' sola oggi.» confessai subito sospirando.

«Mi dispiace, ma l'ho fatto solo per noi.» mi sorrise.

«In che senso?»

«Per avere degli amici. Se fossimo state tutto il tempo vicine ignorando gli altri, beh, non saremmo riuscite a fare amicizia con nessuno. Ci conviene anche perché siamo in classi separate.»

Sembrava che tra di noi fossi l'unica a non importarsene degli amici.

«Che ne pensi di Aileen?» mi chiese all'improvviso.

«Aileen? Uhm... beh... sai, mi sembra un po'... come dire... falsa?» confessai imbarazzata.

Quella ragazza non mi piaceva per niente: sembrava badasse un po' troppo alle apparenze e per di più aveva fatto dei commenti decisamente poco carini su persone che conoscevo.

Le persone così mi mettevano sull'attenti, mi spaventava l'idea di frequentarle.

«Davvero? Però io penso che sia solo apparenza. E comunque è simpatica. Dalle una possibilità.» mi prese per mano Evelyn.

«D'accordo...»

Ma dentro di me ero ancora turbata da quelle parole su Billie Joe.

Non andava bene così.

Un perdente, ecco come lo descriveva.

Un ragazzino che aveva bisogno di darsi un tono spacciando canne dando solo l'ulteriore dimostrazione di quanto un perdente fosse.

Chissà se Billie Joe sapeva di quello che gli altri pensavano di lui?

Ah, cavoli! Ma perché mi preoccupavo tanto?

Non capivo perché, ma irrazionalmente sentivo qualcosa che ci accomunava. Non sapevo cosa, ma le nostre anime erano legate.

Chissà come.


2 settembre 1988


«Armstrong!»

«Ci risiamo... quale dei due, professoressa?» chiese annoiato Billie Joe.

«Umpf. La ragazza.» rispose la professoressa Harris.

«Sì?» chiesi intimidita.

«Fino a dove sei arrivata l'anno scorso?»

«William Shakespeare, professoressa.»

«Benissimo. Ci troviamo.»

Mi rilassai.

Non sembrava volermi uccidere.

Non ancora.

«Visto? Ti chiama ogni cinque minuti solo per vedere se sei attenta.» borbottò Billie Joe mentre scribacchiava qualcosa su un foglietto spiegazzato.

«Ehm... a proposito...»

«Sì?» mi chiese senza neanche voltarsi a guardarmi.

«Perché hanno tutti questi pregiudizi nei tuoi confronti? Gli insegnanti, dico...»

«Non sono solo gli insegnanti.»

Allora ne era consapevole.

Eppure non faceva nulla per migliorare la sua immagine.

«Comunque è per vari motivi. Numero uno: sono un punk. Tutti i punk vengono trattati così. Veniamo chiamati “perdenti” e forse lo siamo davvero. Però sai una cosa? Li accontenterò. Sono un perdente? Bene, sarò il re dei perdenti.»

Lo guardai affascinata.

Era incredibile come riusciva a non importarsene del giudizio delle persone. Da un lato questa sua caratteristica lo faceva sembrare forte, sicuro di sé, ma dall'altro lato non sarebbe mai stato una persona come le altre.

Ma ne aveva davvero bisogno?

Dopotutto aveva degli amici, no?

Scossi la testa.

Stavo ragionando come una stupida.

Non ero la protagonista di un romanzetto rosa in cui avevo il compito di salvare dalla perdizione il protagonista maschile, no?

Mi stavo davvero preoccupando troppo.


«Ciao.» mi salutò un ragazzo che non avevo mai visto prima alla seconda ora. «Posso sedermi qui?» chiese indicando il posto vuoto accanto a me.

Annuii in silenzio.

Aveva i capelli castani e gli occhi chiari, ma non erano celesti. Erano più che altro... color ghiaccio.

«Mi chiamo Michael Pritchard.» si presentò gentilmente.

«Alice Armstrong.» ricambiai.

Si sedette accanto a me, poi mi rivolse di nuovo la parola.

«Sei la cugina di BJ, vero?»

«Sì...»

«In che rapporti siete tu e lui?» chiese incuriosito sostenendosi il mento con la mano.

«Beh... ci conosciamo appena...»

«Davvero? Non si direbbe...»

Mi fissò per qualche secondo senza dire nulla.

Sembrava volesse sapere qualcosa da me, ma dovette pensare un po' a che parole usare prima di arrivare al punto.

«Senti, mi potresti fare un piccolo favore?»

«Ovvero?» chiesi perplessa.

«Oggi potresti mangiare con noi?» continuò senza inutili giri di parole.

Rimasi un attimo confusa.

«Come? Perché mi chiedi una cosa del genere?»

«Non c'è un motivo preciso.» mi rispose guardandomi attento alle mie reazioni. «Giuro che terrò Tré buono.» tentò di rassicurarmi.

Non riuscii a trattenermi dal ridere.

Effettivamente quello era uno dei motivi per cui avrei preferito evitare.

Pensai al giorno prima, a come mi aveva chiamata “cagnolino” e involontariamente anche a come Evelyn mi aveva ignorata, alla falsità dei suoi nuovi amici, alle parole di Aileen.

«Beh... per una volta...» gli sorrisi.

Evelyn si stava impegnando a trovare qualche punto di riferimento, qualche volto amico, ma nulla mi vietava di cercarne qualcuno anch'io.

Dopotutto non avrei mai potuto sentirmi a mio agio con una come Aileen.

E poi quel ragazzo di nome Michael era decisamente rassicurante rispetto a tutti gli altri che avevo incontrato fino a quel momento.

Almeno sembrava tranquillo.

«Lo prometti?» mi chiese.

«Lo prometto.» confermai.


All'ora dopo mi presentai volontariamente in ritardo, tutto per evitare di avere incidenti con quel Frank del giorno prima.

Non sapevo bene perché, ma l'avevo immediatamente visto come un tipo potenzialmente folle.

Così arrivai indenne all'ora di pranzo.

Non appena misi piede nella mensa, vidi Evelyn corrermi incontro.

«Alice! Finalmente sei arrivata! Aileen mi ha chiesto di te.» sorrise felicissima.

«Ah... Evelyn... sai, avevo pensato... siccome tu ti stai impegnando tanto per trovare degli amici forse dovrei fare lo stesso invece di rimanere a guardare, così ho promesso a un ragazzo che ho conosciuto oggi che avrei mangiato con lui.» spiegai imbarazzata.

Tutte le mie convinzioni erano crollate da sole.

Quanto era difficile parlare faccia a faccia con le persone, dannazione!

«Come? È perché ieri sono stata tutto il tempo con Tyler?»

Ecco come si chiamava il nuovo amico di mia sorella.

«Dai, Alice! Mi dispiace, cercherò di fare più attenzione, però vieni con noi.» mi pregò Evelyn.

Mi faceva male lasciarla così, ma...

«Mi dispiace, l'ho promesso. Non so bene cosa mi passava per la testa, scusami. Sono stata una stupida.» mi scusai sinceramente.

«Ok allora... Però pensaci meglio la prossima volta, ok? Allora ci vediamo dopo scuola.» mi salutò.

Mi sentivo in colpa.

Cavoli.

Mi voltai cercando con lo sguardo qualche volto conosciuto, poi individuai mio cugino e Michael.

Mi sbrigai a prendere qualcosa da mangiare, poi mi avvicinai lentamente al loro tavolo e mi fermai dopo averlo raggiunto senza dire una parola.

Tutti i presenti erano intenti a ridere per qualcosa e solo dopo una trentina di secondi qualcuno mi rivolse la parola.

«Ciao Alice, alla fine sei venuta.» mi salutò Michael.

«Già...» annuii un po' abbattuta.

«Ciao...» salutò mio cugino senza troppo entusiasmo.

«Non ci posso credere, alla fine potrò pranzare con il mio cagnolino!» sorrise Frank in preda all'euforia.

Ma perché proprio io dovevo fare il cane, perché?

«Ma dai, Tré! Guarda che se vuoi conquistare una ragazza non puoi trattarla come un cane!» lo riprese una tipa seduta al tavolo porgendomi la mano. «Piacere, io sono Viola Thompson, ma gli amici mi chiamano Vyol.» mi sorrise.

«Piacere, Alice Armstrong.»

Aveva i capelli nerissimi raccolti in una coda. Anche i suoi occhi erano scuri e cerchiati di matita nera.

C'era anche un altro ragazzo, ma non si presentò, non mi disse nulla.

Mi sedetti a tavola con loro.

Mi stupii immediatamente: c'era un'atmosfera totalmente diversa rispetto a quella del giorno prima con gli amici di Evelyn.

Con quel gruppo di persone considerate vincenti c'era tensione, c'era la preoccupazione di apparire perfetti.

Dopotutto, Evelyn me l'aveva detto, Aileen era stata eletta “ragazza più bella della scuola”, era ovvio che dovesse mantenere a tutti i costi la sua posizione.

Al tavolo degli sfigati punk invece c'era un'atmosfera rilassatissima. A nessuno di loro importava di apparire in un certo modo. Dicevano le cose che pensavano, per quante stupide potessero essere.

Era fantastico.

«Allora, per quanto riguarda oggi con le prove...» esordì Billie Joe parlando in tono solenne e serio.

«Ti prego, non mi parlare di prove!» rispose l'unico ragazzo di cui ancora non conoscevo il nome seccato.

«Di che prove state parlando?» chiesi incuriosita.

«Delle prove degli Sweet Children.» mi rispose Frank. «La band di BJ, Mike e Al.» sorrise.

Avevano anche una band?

«Sono bravissimi!» gridò Vyol eccitata. «Sul serio! Vado a vedere le loro prove tutti i giorni e sono sempre fantastici! Non mi stancherei mai di guardarli!»

Il ragazzo che sembrava si chiamasse Al sospirò.

«Sì, certo. Se potessi anche suonare sarebbe meglio.»

Tutti si zittirono.

Sembrava che fossi l'unica a non sapere di cosa stesse parlando.

Poi per la prima volta si rivolse a me.

«Scusami se non mi sono presentato. Sono John Kiffmeyer, in arte Al Sobrante. Sarei il batterista della band, ma non posso suonare alle prove: l'anno scorso sono stato bocciato e da allora quella stronza di mia madre mi impedisce di andare a provare e di suonare nei locali. Però faccio ancora parte della band, se dovessimo registrare un CD o un non-so-cosa non me ne fregherebbe niente e lo farei, sia chiaro.» concluse ribadendo la sua posizione. «E al momento vengo sostituito da Tré, il mio insegnante di batteria.»

Insegnante? Non era un po' giovane per fare l'insegnante di qualche cosa?

«Dai John, resisti ancora un po', porta a casa qualche C e potrai fare quello che ti pare!» gli sorrise tentando di confortarlo Vyol.

«Comunque stavo dicendo...» riportò su di sé l'attenzione mio cugino. «Ho deciso di fare il grande passo questo sabato.» annunciò con maestosa solennità.

«Cosa? Così presto?» chiese Mike disorientato.

«L'importante è che vada bene a sua maestà Frank Edwin Wright III.» rispose Billie Joe con una sorta di ironico inchino.

«A me va benissimo.» rispose Frank sorridendo con sicurezza. «Anche se proviamo solo da pochi giorni sono perfettamente in grado di debuttare con voi dal vivo.»

«Aaah! Allora sabato suonerete di nuovo?» chiese Vyol entusiasta.

«Così pare.» le sorrise Billie Joe.


«Stai cercando qualcuno?» mi chiese Vyol all'uscita di scuola. Avevamo l'ultima ora insieme, così non ci eravamo ancora separate.

«Sì, la mia sorella gemella.»

«Hai una sorella gemella? Che figata! Dev'essere bellissimo!»

«Infatti lo è.» le sorrisi.

«Allora immagino che sia quella tipa identica a te.» mi disse indicando Evelyn in lontananza.

«Evelyn!» le corsi immediatamente incontro. Lei si voltò piano guardandomi con aria assente.

«Ehi Alice...» mi salutò con un sorriso spento.

Anche Vyol mi raggiunse subito.

«Ciao! Io sono Viola Thompson, ma i miei amici mi chiamano Vyol.» le sorrise.

«Piacere mio, io sono Evelyn.» le rispose con gentilezza mia sorella.

«C'è qualche problema? Ti vedo strana...» le chiesi un po' preoccupata.

«Niente di importante...» disse guardando Vyol facendomi chiaramente intendere che voleva parlarmi da sola.

«Ehm... Vyol? Potresti lasciarci un minutino da sole?» le chiesi imbarazzata.

«Oh, certo! Nessun problema!» sorrise senza essersi offesa neanche un po'. Detto questo saltellò via.

Cavoli, quanto era esuberante!

«Beh, ecco... sarei stata invitata a una festa.» iniziò mia sorella.

«E ti sembra un problema?» le sorrisi. «Mi sembra un'ottima cosa!»

«Sì, però solo io... Aileen mi ha detto che ti stai facendo vedere un po' troppo con il gruppetto di Two-Dollar...»

«Billie Joe. Per favore, chiamalo Billie Joe.» la interruppi senza neanche pensare.

Mia sorella mi fissò perplessa.

«Beh... comunque ha detto che tu non puoi venire. Però ho già deciso che se queste sono le condizioni farei meglio a lasciar perdere e a stare con te.» disse con uno sguardo triste.

«Evelyn, no! Preferisco sapere che sei felice da un'altra parte piuttosto che averti triste con me.» le dissi guardandola negli occhi. «Voglio che tu vada.» mentii spudoratamente.

Io volevo che lei rimanesse con me, ma allo stesso tempo non la volevo triste. Se avessi dovuto seguire solo i miei sentimenti, la mia parte più egoista avrebbe preso facilmente il sopravvento, ma il mio senso del dovere mi spinse a mentire in quel modo.

«Dici sul serio?» chiese Evelyn sorridendo.

Annuii.

«Grazie!» mi abbracciò felice. «Allora tornerò presto, però devo già andare con Aileen dato che mi ha chiesto se posso prepararmi con lei.» mi sorrise.

Di già?

«Ah... ok.» le sorrisi falsamente. «Allora tornerò a casa da sola, non importa.»


Sola di nuovo.

Sembrava fosse il mio destino in quel periodo.

Cavoli, era davvero una pessima sensazione, la sensazione di star perdendo il mio unico punto di riferimento.

Già mia madre era dovuta partire, ora anche mia sorella aveva intenzione di abbandonarmi? Sentivo freddo, non avevo voglia di fare niente... mi sarei volentieri lasciata cadere su una panchina qualsiasi o magari un muretto solo per lasciarmi prendere dalla tristezza.

Sarei caduta definitivamente in depressione se l'entusiasmo di Vyol non mi fosse venuto a sbattere violentemente addosso.

«Alice! Hai finito di parlare con tua sorella? Ehi, cos'è quel muso lungo?» trotterellò verso di me.

«Niente, Evelyn va a una festa a cui io non posso accedere e quindi sono sola...» mugugnai senza troppa voglia di dare spiegazioni..

«Ah, sì, la festa di Aileen, tutti i tipi “cool” ne parlavano oggi... Davvero va alla festa? Allora vuol dire che sei libera! È meglio così!»

«Libera per cosa, scusa?» le chiesi senza reale interesse.

«Ehi, già te ne sei dimenticata?» mi rimproverò. «Le prove!»

«Le prove? Che c'entriamo noi con le prove?»

«Diciamo che assistiamo e facciamo da pubblico. Non accetto che tu dica di no e non hai neanche la scusa dello studio: domani è sabato.»

Ero in trappola.


E così scoprii la vera funzione del 7-11: una sala prove.

Io e Vyol ce ne stavamo sedute sulle nostre stesse cartelle dato che non c'era altro, mentre la band di cui nemmeno ricordavo il nome sistemava gli strumenti.

Come previsto, Al era andato via mentre Frank era al suo posto alla batteria.

«A proposito, come hanno detto che si chiamavano come band?» chiesi a Vyol.

«Sweet Children, ma stanno cercando un altro nome. Se ti viene qualche idea suggerisci!» sorrise lei.

Le nostre chiacchiere furono interrotte da un accordo poderoso sulla chitarra.

«Ok, direi che sei accordata.» disse Billie Joe tra sé e sé. «Tutto pronto?» si rivolse a Mike e Frank.

«Certo!» rispose Frank. «Sì, ci siamo.» confermò Mike.

Senza aspettare neanche un secondo il batterista attaccò con una rullata a cui si unirono gli altri due membri della band. La melodia era semplice, ma era anche ipnotizzante.

Il ritornello ripeteva ossessivamente la stessa frase: “Perché vuoi lui?”.

Le parole parlavano di una persona, forse una ragazza, totalmente innamorata di qualcuno ma allo stesso tempo non sapeva se fosse giusto o sbagliato questo amore.

Neanche il tempo di rendermi conto di quello a cui stavo assistendo che mio cugino attaccò un assolo con la sua chitarra.

Cavoli, non me l'aspettavo che fossero a questi livelli.

Anche se era durato poco, era davvero incredibile!

Stavo cominciando a capire perché Vyol si esaltasse tanto.

Al termine della canzone a Frank sfuggì una bacchetta che mi andò a finire in testa.

«Ahi!»

«Oh, scusami. Però non sarebbe figo se lo facessi al concerto?» chiese il batterista.

«Lanciare le bacchette in testa alla gente?» chiese Mike.

«Beh, non in testa, però sì!»

Il resto del tempo andò avanti così, tra una canzone e l'altra, non riuscivo a smettere di stupirmi.

Certo, erano solo prove, si fermavano spesso per chiarire meglio cosa dovevano fare, però quando suonavano le canzoni per intero era davvero incredibile.

Così tanto incredibile che alle sette di sera eravamo ancora lì.

Erano passate due ore e mezza dall'inizio delle prove e la band era esausta, così decisero che per quel giorno era abbastanza.

Uscimmo fuori e ci infilammo in una piccola stradina davanti alla quale un cartello indicava “Christie Road”.

Era un luogo piuttosto appartato e solitario, ma non per questo ostile.

Immediatamente notai la grande presenza di cose come poster attaccati alle pareti e scritte sui muri, non sembrava neanche di essere all'aperto.

Tutti i presenti si sedettero su delle brandine o divanetti ormai distrutti che c'erano lì, poi Billie Joe tirò fuori dalla tasca una bustina di plastica trasparente ripiena di un qualcosa di indefinito di colore marroncino che passò a Frank, il quale, sapendo perfettamente cosa fare, prese un pezzetto di carta, vi riversò sopra il contenuto della bustina e iniziò ad... arrotolarla?

«Uhm... cos'è?» chiesi ingenuamente.

«Canne!» annunciò Frank mostrandomi il risultato del suo lavoro con orgoglio. «Ne vuoi una?»

«Ah... No, grazie!» mi affrettai a rispondere.

«Guarda che sei l'unica qui a non approfittarne.» mi sorrise Vyol.

«Non importa.» risposi convinta.

Dopo poco tutti i presenti erano lì circondati dal fumo.

Era incredibile come riuscissero a dire le cose più assurde sotto l'effetto di quella roba!

Beh, certo, il più folle rimaneva sempre Frank, che continuava a chiamarmi cagnolino arrivando addirittura a chiedermi di dargli la zampa...


«Senti... non è che ti andrebbe di venire al nostro concerto di domani?» chiese Billie Joe mentre tornavamo da soli verso casa.

Sembrava avesse riacquistato lucidità, dopotutto erano quasi le dieci, era passato parecchio tempo da quando aveva fumato quella roba.

«Concerto?»

«Sì, spesso il sabato suoniamo al Rod's Hickory Pit, un localo a Vallejo.»

«Vallejo? E come dovrei arrivarci a Vallejo?»

«Non ti preoccupare, ci accompagnerà il padre di Tré.»

«Beh, non saprei... mi piacerebbe, ma allo stesso tempo vorrei parlarne con mia sorella.» gli sorrisi gentilmente.

Billie Joe sospirò.

«Non sei proprio capace di fregartene, eh?»

«Come?»

«Tua sorella si sta facendo una vita e non ha bisogno di chiedere il permesso a te, perché non fai lo stesso?»

Mi zittii.

Era vero, non era solo una mia sensazione: Evelyn si stava facendo degli amici a cui io non interessavo e che non avrei mai frequentato.

«Forse perché se non lo facesse almeno una di noi due ci separeremmo definitivamente.»

«È come un amore a senso unico, non te ne rendi conto?»

«Forse hai ragione, ma... al momento mi va bene così.» conclusi fermandomi davanti al cancello del giardino di casa.

Mi bloccai.

Sulla porta c'era Evelyn in compagnia di uno dei ragazzi del gruppo di Aileen, sorridente come non mai.

«Ma guarda. Ha addirittura fatto una conquista.» commentò sarcastico Billie Joe spingendo il cancelletto e avviandosi verso di lei. Io lo seguii confusa.

«Ciao Evelyn.» salutò fermandosi.

Il ragazzo sconosciuto si voltò squadrando perplesso mio cugino.

«Vi conoscete?» chiese confuso.

«Ah... ecco, è una storia un po' complicata...» iniziò Evelyn con voce imbarazzata.

Perché voleva negarlo?

«Siamo cugini.» spiegò in due parole Billie Joe.

Evelyn rimase in silenzio a fissarlo con un misto di rabbia e preoccupazione.

«Oh... Beh, allora io vado. Ci vediamo, Evelyn.» salutò frettolosamente il ragazzo che probabilmente aveva pensato che era meglio allontanarsi prima che la situazione esplodesse.

«Ciao, Tyler.» lo salutò Evelyn.

Solo quando quel ragazzo ebbe attraversato il cancello del giardino mia sorella si rivolse a Billie Joe e me.

«Cosa ci fate insieme?» mi chiese con un ringhio sommesso Evelyn.

«Sono andata a vedere le prove della loro band.» risposi preoccupata dal tono furibondo di mia sorella.

Non si era mai rivolta a me così.

«Davvero? Allora domani usciamo con Aileen, l'ho convinta a farti venire.» disse con un tono che non ammetteva repliche afferrandomi violentemente per mano.

Non l'aveva mai fatto, io non volevo uscire con Aileen!

«N-no!» urlai senza neanche pensare.

Sia lei che Billie Joe mi fissarono perplessi.

Silenzio.

Dovevo dire qualcosa.

Dannazione, stavano entrambi solo aspettando che parlassi!

«Domani vorrei... andare a Vallejo, Evelyn.»

_________________Authoress' words

NON HO TEMPO!

È QUASI MEZZANOTTEEEEEEEE!

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Capitolo 4
*** Non mi importa se non importa a te ***


3 settembre 1988


«Come stai oggi?» fu la prima frase che mi disse mia sorella quel giorno. Il suo tono era incerto.

«Non saprei.» risposi sinceramente mentre mi versavo il latte nella tazza. «Come al solito, direi.»

«Sei arrabbiata con me?» chiese timorosa Evelyn.

«Non credo. No.» negai con calma.

Lei sospirò.

«Cosa ci ha preso? Ieri sera eravamo entrambe fuori di noi.» mormorò sconfortata.

«Scusami per aver urlato a quel modo.» dissi a bassa voce.

«No, scusami tu per averti strattonata.»

Era sinceramente pentita.

Passarono secondi insopportabili di silenzio totale, solo il tintinnare dei cucchiaini e delle tazze ogni tanto riempiva quell'atmosfera insopportabile.

Non avrei potuto resistere oltre.

«D'accordo. Pace fatta, abbiamo entrambe esagerato, neanche si fosse trattato di chissà quale questione di vita o di morte!» le sorrisi rassicurandola. Evelyn sorrise a sua volta, ma con meno convinzione.

«A dire il vero... Alice io vorrei davvero che tu provassi a fare amicizia con Aileen. Davvero, non è cattiva! Non capisco perché tu non voglia provarci nemmeno.»

Perché non volevo provarci?

«Se io facessi una cosa del genere... anche tu dovresti tentare di fare amicizia con BJ.» le risposi logicamente. Sapevo benissimo che non lo avrebbe mai fatto, volevo solo farle capire che lo stesso valeva per me.

«BJ?» mi fece notare lei.

BJ?

Senza rendermene conto avevo iniziato a chiamarlo così anche io?

Guardai Evelyn negli occhi con uno sguardo malinconico. Era la prima volta che ci capitava, ma non potevamo più fare finta di nulla.

Io e mia sorella non saremmo mai state d'accordo su qualcosa e stavolta era inutile anche solo provarci.


«Cazzo.» esordì finemente BJ.

Era la ventesima volta in dieci minuti che diceva quella parola.

Lo fissai interrogativa.

«Cazzo.» ripeté gettandomi un'occhiata.

«Hai paura?» azzardai.

«Non per me. Questa è la primissima volta che Tré suona con noi dal vivo.» disse passeggiando nervosamente avanti e indietro nel grande soggiorno. «Giuro che se ci fa perdere la reputazione l'ammazzo con le mie mani. Cazzo.» concluse.

Risi, ma qualcosa non mi convinceva.

Capivo che ci tenesse alla band e alla sua reputazione, ma ero convinta che BJ fosse nervoso anche per qualcos'altro... ma non riuscivo a capire cosa.

E forse nemmeno lui lo sapeva.

La porta bussò in quel preciso istante distogliendo tutti dai propri pensieri.

Evelyn scattò immediatamente in piedi appoggiando su un tavolino il libro che stava leggendo e corse ad aprire la porta con un sorriso soddisfatto.

Probabilmente aspettava Aileen, ma con sua grande delusione si trovò davanti il volto sorridente di Vyol.

«Sorpresa! Sei pronta, Alice?» esordì la ragazza tentando di abbracciare mia sorella che indietreggiò.

«... Io sono Evelyn.» rispose lei decisamente infastidita.

Ecco cosa può succedere quando hai una sorella perfettamente identica a te.

«Ciao Vyol, che ci fai qui?» chiesi alzandomi dal divano e andandole incontro. Evelyn tornò a leggere.

«Ciao.» la salutò seccamente Billie.

Vyol ignorò tutti i presenti tranne la sottoscritta.

«Credo di averti capita, sai? Tu sei una di quelle persone che non se ne importano niente neanche del loro stesso aspetto fisico, vero? Ma Vyol ha la soluzione!» dichiarò orgogliosa mostrando una borsettina rossa.


Dopo pochi secondi stava già rovistando nel mio armadio.

Ovvio, mio e di Evelyn.

«Vyol, non c'è bisogno che tu cerchi qualcosa, posso anche andare così...» cercai di fermarla.

«Non se ne parla. Stiamo per vedere un concerto! Non puoi andare vestita come se stessi per fare un compito di matematica! Immagino che se tu avessi degli occhiali te li saresti messa anche oggi.»

Beh... sì?

«Ecco! Niente vestiti da brava bimba educata! Niente merletti, niente colori!» esultò trovando una lunga maglia nera con sopra disegnata una bomba a mano.

«Ah... quella. Mi ricordo che me l'ha regalata mio padre, ma mamma mi ha sempre vietato di metterla. Dice che è troppo da maschiaccio e poi la bomba è un simbolo di violenza...»

«Ma stai scherzando? È bellissima!» me la sventolò sotto il naso.

In effetti dovevo ammettere che non era male, mi piaceva il contrasto di colori tra il nero della base e il bianco brillante della bomba.

«Ok, me la proverò.» sollevai le mani in segno di resa.

Insieme a quella fui obbligata a mettere dei jeans piuttosto stretti che seguivano la linea delle gambe in maniera decisamente scomoda.

Eppure la mia amica sembrava decisamente entusiasta.

«E ora... Tocco finale!» disse estraendo una matita nera dalla sua borsetta rossa.

«No! Anche il trucco no!» indietreggiai.

«Perché no?»

«Fa male alla pelle e poi truccarsi è come mettersi una maschera, è come se mentissi a tutti quelli che mi vedono! No, mi sta bene così la mia faccia!»

«... Ma non rompere!» rise immobilizzandomi contro la parete. «Adesso chiudi gli occhi e lascia fare alla sottoscritta.»


Non riuscivo a guardarmi nello specchio.

No, ero troppo diversa.

Occhi celesti cerchiati di nero, boccoli biondi che cadevano sopra una maglia con sopra una bomba a mano insanguinata...

No, era troppo.

«Sono sicura che tutti gli altri apprezzeranno.» mi sorrise Vyol. «Stai benissimo così.»

Gettai un'altra occhiata allo specchio ripromettendomi di non distogliere lo sguardo troppo in fretta.

Neanche quello era più lo stesso.

Avevo perso totalmente il mio viso dolce che tanto mi piaceva, avevo un'aria aggressiva.

«Non sembro io...»

«No, sembri sempre tu. Non è che le persone hanno un solo aspetto, le persone possono avere quanti aspetti vogliono. Lo sai? Quelli che ti chiedono di descriverti con un aggettivo ti chiedono di fare una cosa impossibile. Una persona ha dentro di sé tutti gli aggettivi, solo che alcuni si sviluppano più di altri.»

La guardai perplessa.

«È una cosa che ho letto da qualche parte, non pensare che sia opera mia.» rise, ma notai un lieve rossore sulle sue guance.

«Ah, ecco.»

«Come? Vuoi dire che pensi che non sia in grado di fare un ragionamento profondo?» fece finta di offendersi.

«Beh... diciamo che è strano che tu dica quelle cose così all'improvviso.» risi anche io.


«... Alice?» fu la reazione del batterista provvisorio degli Sweet Children quando mi vide nel soggiorno. «Che avete fatto al mio cagnolino?»

Sospirai scoraggiata.

Probabilmente era arrivato insieme a Mike mentre ero sopra con Vyol.

«Invece di pensare al tuo cagnolino pensa a quello che devi fare oggi su quel fottuto palco.» lo zittì BJ con un tono rabbioso.

Era davvero intrattabile...

«Ehi, signor Armstrong, non mi starà dicendo che siamo nervosi?» lo stuzzicò Frank.

«Lascia perdere, Tré. È sempre così prima di un concerto.» disse Mike. «Comunque stai molto bene, Alice.»

«Infatti. Anche se non sei più il cagnolino di una volta il tuo padroncino ti vorrà sempre bene.» ricominciò Frank.

Qualcosa mi diceva che l'unica cosa che potevo fare era rassegnarmi e iniziare ad abbaiare.


Dopo poco il padre di Frank venne a prenderci con un... camion per la vendita dei libri?

«Ragazzi, vi presento la Bookmobile!» sorrise fiero il batterista.

«Un camion per vendere libri?» chiese Billie perplesso quanto me.

«Sì, ma li ho tolti tutti da dentro. È l'unico mezzo che ho trovato in grado di portarci tutti insieme agli strumenti. In auto sarebbe stato troppo scomodo.»

«Ma come diavolo hai fatto a procurartela?» chiese Mike perplesso.

«Ah, beh... conosco un po' di gente nel traffico di mezzi... avrei potuto prendere un camper, ma questa qui mi piaceva di più!» sorrise raggiante il batterista.

Traffico di mezzi?

Frank mi faceva sempre più paura, ma pensai che era meglio non commentare.

Dalla Bookmobile scese un uomo sulla cinquantina dai lunghi capelli così chiari che non avrei saputo dire se fossero biondi o bianchi.

«Piacere, sono il padre di Frank.» si presentò. «E il vostro autista ufficiale. Forza, montate su prima di perderci l'inizio del concerto.»


Il Rod's Hickory Pit non sembrava per niente un locale raccomandabile: era buio, angusto e pieno di gente venuta lì solo per ubriacarsi.

«Noi andiamo dietro le quinte, voi cercate di essere in prima fila.» ci salutò Billie prima di raggiungere gli altri membri della band.

«Faremo del nostro meglio, scateneremo un gran casino.» gli sorrise Vyol.

Il ragazzo annuì, poi si allontanò.

Dopo pochi secondi lei mi prese per mano e mi guidò verso un tavolino vicinissimo al palco senza dire una parola.

«Da qui ci godremo lo spettacolo senza problemi. Però quando tocca a loro dobbiamo alzarci in piedi. Dobbiamo scatenare l'inferno, capito Alice?»

Annuii.

«Suoneranno anche altre band?»

«Sì, ovviamente sì. I nostri suoneranno mezz'ora, ma un giorno vedrai che faranno concerti anche da quattro ore!»

«Quattro ore? Dovrebbero essere delle star internazionali per farlo!»

«Lo saranno, io ci credo.» disse la mia amica con convinzione. «Se non ci si crede è impossibile riuscirci.» mi sorrise.

«Allora ci crederò anch'io.» le sorrisi di rimando.


Sul quel palco salì una band di universitari e una band di ragazzi della nostra età.

Avevano qualcosa che mancava, non era molto divertente ascoltarli. Eppure non capivo cosa.

«Sai cos'è che gli manca?» mi chiese Vyol.

«Sinceramente no.»

«La presenza. La presenza scenica. Non parlano con il pubblico, il cantante è troppo immobilizzato dalla paura, non si sbilanciano. È un concerto punk, dannazione! Non si possono comportare come band pop di bassa categoria.»

Effettivamente aveva ragione.

Il cantante della seconda band era fermo sul palco, aveva paura di muoversi e cantava a bassa voce.

Persino quando terminò l'esibizione non salutò il suo pubblico, infatti sembrava che nessuno si fosse reso conto del fatto che avessero finito.

Dopo di loro finalmente salirono sul palco gli Sweet Children.

Vyol immediatamente scattò in piedi urlando, così mi alzai anch'io.

Senza neanche parlare, subito iniziarono a suonare.

Sì, era diverso.

La musica era avvolgente, fantastica, più movimentata e meglio arrangiata.

Ma soprattutto i ragazzi non stavano un attimo fermi.

Billie andava continuamente avanti e indietro, si rivolgeva al pubblico che lo ringraziava gridando con tutta la sua forza, Mike faceva gioco di squadra con BJ, mentre Frank era semplicemente incredibile: sembrava immobile ma suonava a una velocità vertiginosa.

Cominciavo a capire perché lo chiamassero Tré Cool: poteva significare “molto figo”, ma anche “molto freddo”.

Era l'unico batterista che conoscessi che suonava a quel modo, senza agitarsi inutilmente solo per attirare l'attenzione. Molto freddo, appunto.

Era incredibile il fatto che nonostante la maggioranza delle persone fossero ubriache, tutti li adorassero.

Ovviamente io non facevo eccezione.

Alla fine dell'esibizione Frank gettò entrambe le sue bacchette tra il pubblico entusiasta.

Era stato veramente incredibile il modo in cui erano riusciti a giostrarsi la folla, facendo in modo che non sembrasse una cosa da esaltati urlare, rispondere ai continui richiami dal palco.

Sì, ci credevo davvero, BJ.


Fuori dal locale mi sentii di congelare per un attimo. Oramai mi ero abituata al calore provocato da quella folla di gente, eppure il clima era ancora estivo.

Trovavo sempre che fosse una sensazione bellissima quella di provare quei piccoli brividi senza sentire davvero freddo.

Era tipico dell'estate.

Ma l'estate se n'era già andata, era già settembre.

Io e Vyol ce ne stavamo in silenzio ad aspettare. Non ci eravamo ancora dette niente dopo la fine dello spettacolo.

Non sapevo perché, ma era come se avessi trovato un sogno in cui credere, anche se non riguardava me. Ma lo volevo, volevo davvero che quei tre ragazzi arrivassero a raggiungerlo.

Ci credevo! Dannazione, era la prima volta che credevo così in qualcosa!

Forse ero solo esaltata, ma era semplicemente una sensazione fantastica, troppo per poter pensare di moderarmi o di tornare con i piedi per terra.

Improvvisamente si aprì la porta sul retro del locale da cui uscirono gli Sweet Children.

«Siete stati grandiosi!» scattò immediatamente Vyol.

«Avevi dei dubbi?» sorrise con grande sicurezza Frank sudatissimo.

Non sapevo cosa dire, ma sorridevo come una stupida, non riuscivo a smettere.

Anche Billie e Mike si guardavano sorridenti e soddisfatti, ma non parlavano.

«Di sicuro eravate i migliori, davvero fantastici.» dissi alla fine con dolcezza.

«Questo significa che mi darai la zampa senza fare storie?» subito ricominciò Frank avvicinandomisi.

Oh, beh, per una sola volta glielo avrei anche potuto concedere, almeno così forse avrebbe smesso con quella storia.

Sospirai e appoggiai la mia mano sul suo braccio.

«Bau.» dissi senza convinzione, ma al batterista sembrò bastare dato che sorrise con grande soddisfazione.

«Ehi ragazzi!» disse il padre di Frank venendoci incontro. «Datemi gli strumenti così inizio a caricarli sulla Bookmobile, così mi potrete raggiungere quando volete.»

«Ok. Grazie mille signor Wright.» disse Billie porgendogli la sua chitarra. Mike fece lo stesso con il suo basso.

«Ok, non fate troppo tardi e complimenti per lo spettacolo!» disse l'uomo allontanandosi con i due strumenti.

Assaporai con calma l'atmosfera incredibilmente rilassata che c'era. Tutta la preoccupazione di quella mattina era sparita nel nulla.

«E adesso?» chiese Mike.

«Adesso il solito.» sorrise Billie avviandosi verso un muretto lì vicino e sedendocisi sopra.

«Ancora canne?» chiesi perplessa.

Ebbi una sgradevole sensazione di ritorno alla realtà.

«Sai, dopo lo stress del concerto...» tentò di giustificare la situazione Vyol.

«Ma... quella roba non fa bene e poi non mi sembra una giustificazione.» ribattei timidamente.

«Dai, non esagerare. Nessuno ti obbliga a prenderle anche tu, no?» mi rispose Mike.

«Infatti, Alice!» si schierò Vyol.

«Ma...»

«Oramai tu fai parte del gruppo, ma sappi che non abbiamo bisogno di una seconda madre qui.» mi rimproverò mio cugino stringendo tra le dita una canna.

Dopo pochi minuti eravamo di nuovo circondati dal fumo. Si rideva per ogni cosa e in preda all'ilarità generale tutti dicevano le cose più stupide.

Ma a loro non importava.

Solo io continuavo a seguire il corso dei miei pensieri, continuavo a ripetere mentalmente le parole di mio cugino sillaba per sillaba.

Sappi che non abbiamo bisogno di una seconda madre qui”.

Aveva pronunciato la parola “madre” con insolita durezza, ma pensai che alla fine era normale: dopotutto era scappato di casa, non poteva essere altrimenti.

Dannazione, stavo di nuovo facendo la figura dell'idiota.

Sapevo perfettamente di essere arrossita e questo non faceva che peggiorare le cose.

Ero veramente ridicola.

Ero ridicola perché non mi sentivo davvero parte del gruppo.

Ero ridicola perché tentavo di cambiarli.

Ero ridicola perché ancora me ne importava così tanto!

Ero ridicola, ma a loro non importava niente.

Loro mi consideravano parte del gruppo anche se non ero una punk, anche se non riuscivo ancora a lasciarmi andare.

Ero ridicola, ma non doveva importarmene se non importava a loro.

Non mi importa se non importa a te, era questa la filosofia del gruppo.

Sospirai.

Non mi importa se non importa a te” ripetei mentalmente più e più volte, finché quella frase non iniziò a rimbombarmi nella testa, rendendomi per un attimo estranea al contesto.

«Billie, sei venuto davvero?»

Una voce femminile affannata interruppe il corso dei miei pensieri.

Mi voltai.

Una donna sulla cinquantina era lì davanti a mio cugino stravolta, gli occhi increduli.

Quella donna era la zia Ollie.

Era la madre di Billie Joe.

_______________________Authoress' words

Hola!

Vedete come vi voglio bene? Non vi abbandono nemmeno se sono in un paesino di montagna senza connessione Internet andando nella piazza del aese in cui c'è il Wi-Fi a congelarmi le dita!

Che dire di questo capitolo? L'ho scritto tutto in un giorno infatti è incredibile che sia riuscita a finirlo.

Non mi senti più le dita, mi chiedo come farò se dovessi perderle. Sicuramente inizierei a sbagliare tutte le lettare cime se stessi scravenduo ad ochki chiusi e poi mi fermerei all'impravvis...
*l'autrice ha perso momentaneamente l'uso delle dita, siete pregati di lasciare una recensione dopo il segnale acustico.
...
BEEEEEEEEEEEP!*

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Capitolo 5
*** Svegliami quando finisce settembre ***


3 settembre 1988


«Ciao mamma.» disse BJ senza guardare la donna appena arrivata.

Ci furono dei secondi di silenzio, tutti i presenti sembravano improvvisamente tesi.

E anche io avevo la sensazione che non sarebbe finita bene.

«Billie...» iniziò zia Ollie senza saper bene cosa dire. «Torna a casa, per favore.» sentenziò recuperando quel minimo di autorità che una madre dovrebbe avere.

«Tornare?»

«Senti, so che ci sono stati dei problemi, ma tutto si può risolvere! Siamo una famiglia, no? Io non capisco perché tu ce l'abbia tanto con...»

«Con un uomo che tenta di spacciarsi per mio padre?» ringhiò rabbiosamente mio cugino scendendo dal muretto. «Credi davvero che io possa respirare la stessa aria di quel verme?» ringhiò ancora più forte.

Ci furono degli attimi di spaventoso silenzio.

L'aria era tesissima, non si riusciva a sopportare.

«Billie, lui ti vuole bene quanto te ne voglio io...»

«Certo. Questa è una bugia. Ogni singola parola che hai detto è stata una bugia da quando lui è morto!» esplose furibondo lui.

Zia Ollie rimase paralizzata per qualche secondo.

Sapeva che era una battaglia persa.

«Sei mio figlio... Anche se te ne vai rimani mio figlio. Ti prego, torna a casa...» disse con gli occhi velati di lacrime, la voce meno sicura.

Non reggeva più.

«Mi dispiace.» rispose seccamente mio cugino dandole le spalle e incamminandosi verso la Bookmobile.

Tutti i presenti erano immobilizzati in silenzio.

«Forse dovremmo andare...» azzardò Vyol.

«Scusatemi.» intervenne allora zia Ollie. «Ho interrotto i vostri festeggiamenti. Andate pure, non vi preoccupate.» disse con una punta di freddezza, ma con la voce ancora tremante.

Non aspettò nemmeno una risposta, semplicemente si voltò e rientrò nel locale.

Doveva essere davvero difficile quella situazione per lei, ma allo stesso tempo non voleva risolvere il tutto con la violenza, costringendo Billie a tornare a casa.

Gli stava lasciando la possibilità di decidere da solo, una cosa che mia madre non aveva mai fatto.

Ci incamminammo tutti verso la Bookmobile senza dire una parola. Il silenzio era davvero imbarazzante.

Anche per tutto il viaggio parlammo poco, fingendo che fosse tutto normale e non fosse successo niente, ma era troppo evidente che BJ fosse di pessimo umore.

Il padre di Frank ci accompagnò ognuno davanti a casa propria, così appena scesi alla nostra “fermata” lui finalmente mi parlò.

«Alice?» mi chiese con tono di voce stanco e ancora un po' amaro.

«Sì?»

«Prima di andare a casa e incontrare Evelyn...» iniziò interrompendosi.

«Vuoi sfogarti?» gli chiesi comprensiva.

Mi guardò perplesso.

«Sfogarmi? Non intendevo quello. Volevo solo dire che volevo prima andare da qualche altra parte...»

«Appunto, per allentare la tensione e sfogarti, no?» gli chiesi di nuovo leggermente confusa.

Lui sospirò iniziando a fare qualche passo.

«Tu come reagiresti se tua madre decidesse all'improvviso di sposare qualcun altro?» mi chiese con falsa leggerezza.

In realtà era una domanda importante per lui, quanto per me.

«Beh... non saprei. Penso che sarei felice per lei, no? Dopotutto se lei è felice è meglio per tutti.» risposi con altrettanta leggerezza.

«Se il tuo patrigno fosse una persona normale.»

«Sì...»

«E se invece fosse un verme che continua a nominare tuo padre solo per dirti che se ti vedesse adesso sarebbe deluso da te?»

«...»

Era davvero così?

«Non l'ho raccontato nemmeno ai ragazzi, ma il motivo per cui sono scappato... beh, non è semplice. Quell'essere non faceva altro che riprendermi qualsiasi cosa facessi solo per dirmi che mio padre sarebbe stato deluso. Non dovrebbe neanche essere autorizzato a pronunciare il nome di mio padre! All'ennesima volta non ho retto più.» disse con tutto il suo disprezzo.

«E cosa hai fatto?» chiesi preoccupata già intuendo come era andata a finire.

«Ci siamo azzuffati. Non che mi importi molto sinceramente. L'unica cosa che mi interessa è non respirare la stessa aria di quell'essere.»

Rimanemmo di nuovo in silenzio, solo il suono dei passi riempiva l'aria.

Non era facile, non era facile per niente.

Io... avrei voluto aiutarlo, davvero, ma non sapevo neanche da dove cominciare.

«Io non so come reagirei. Io non ho mai avuto a che fare con una situazione simile. Penso che non sarei capace di ribellarmi come hai fatto tu, penso che starei zitta in un angolo a soffrire in silenzio. Però dentro di me vorrei avere la forza di agire come te.» dissi con tutta la sincerità di cui ero dotata.

Lui mi osservò senza voltarsi, ebbi la sensazione che le sue labbra si fossero incurvate in un impercettibile sorriso, ma non ne ero troppo sicura.

«Mia madre non ha mai avuto un vero lutto. Dopo poco tempo già stava con quel verme viscido.»

«È per questo che le hai detto che le sue erano solo bugie?»

«Credi che abbia mai fatto qualcosa per cercare di non far esplodere la situazione? Ovviamente no, ha sempre cercato solo di compiacerlo. Ha sempre liquidato il tutto con dei semplici luoghi comuni, lasciandogli fingere di essere mio padre.»

«Volevi davvero molto bene a tuo padre...» mi lasciai sfuggire senza neanche rendermene conto.

Lui sembrò avere un attimo di imbarazzo.

«Mio padre... è morto il 10 di settembre. È stato quello il giorno in cui ti ho vista per la prima volta.» disse all'improvviso.

Lo fissai perplessa.

Cosa?

«Certo, non ci siamo quasi neanche parlati. Devo ammetterlo, mi sono comportato da bambino in quella situazione. Rinchiudendomi nel bagno a quel modo, come se potesse risolvere qualcosa...» commentò leggermente imbarazzato.

Improvvisamente ricordai.

Sei anni prima, l'11 di settembre andammo al funerale dello zio Andy.

Io avevo conosciuto tutta la famiglia dello zio, ma non avevo visto uno dei suoi figli che si era rinchiuso nel bagno.

Sua sorella Anna aveva tentato di tirarlo fuori di lì, ma l'unica risposta che aveva avuto era...

«Svegliami quando finisce settembre.» mormorai a bassa voce senza farmi sentire.

Era la prima volta che riuscivo a intravedere i sentimenti di BJ e sicuramente non era abituato ad aprirsi così con nessuno.

Ed era proprio per questo che nei giorni successivi ci avvicinammo sempre di più in una sorta di complicità mista a riservatezza.

Non fraintendermi, lo sai meglio di me.

Non facevo domande, né tu mi avevi parlato di altro.

Era solo... l'atmosfera che era cambiata. Non c'era più quella tensione che aveva sempre caratterizzato quei giorni.

Però, credimi, quell'atmosfera era molto più importante di qualsiasi altra cosa per me.


14 settembre 1988


«Davvero? E che aspettavi a dirlo?» mi chiese Frank perplesso al tavolo della mensa.

«Beh, non pensavo fosse così importante... effettivamente me ne ero dimenticata anche io.»

«Come fai a dimenticarti del tuo compleanno?» chiese il batterista perplesso. «Devi iniziare a ricordarlo a tutti quelli che incontri almeno una settimana prima per avere dei regali degni di questo nome. È una regola fondamentale.» sentenziò con tono solenne.

«Hai intenzione di organizzare qualcosa?» chiese Vyol.

«Evelyn ha detto che vorrebbe organizzare una festa con i suoi amici.»

«Sarebbe a dire il gruppetto delle cheerleader e del club di football?» chiese Billie di fronte a me.

Annuii.

«Quindi mi chiedevo se per caso vi andrebbe di venire... Lo so che odiate quella gente, però... ecco, potremmo anche starcene per conto nostro come se non ci fossero.» sussurrai timidamente.

«Ovvio. Un buon padroncino non si dimentica del compleanno del suo cagnolino.» disse Frank che dopo una settimana e mezzo ancora non aveva smesso con quella faccenda.

«E basta con questa storia!» esclamò Vyol all'improvviso dandogli un colpo sulla schiena, ma facendo questo gli andò di traverso un pezzo di carne.

Il batterista iniziò a tossicchiare, non riusciva più a respirare.

«... Iuto...! … Lice!» tentò di chiamarmi in soccorso mentre stava soffocando.

Subito mi alzai e corsi verso di lui, gli diedi cinque colpi tra le scapole, ma siccome non cambiava nulla gli cinsi l'addome con le braccia e spinsi con tutta la forza che avevo verso di me tra gli sguardi perplessi di tutti i presenti.

Finalmente riuscì a sputare il pezzetto di cibo.

Mia mamma mi aveva insegnato a farlo... per fortuna.

«Tutto bene?» gli chiesi leggermente affannata.

«Gra-grazie...»

«Wow! Alice! Ti ho appena trovato un soprannome!» esclamò Vyol dimenticandosi già del batterista.

«Come?»

«Sì! L'ha detto Tré! Lyss! Non suona bene?»

«Tu pensi ai soprannomi! Ma lo sai che ci stavo rimanendo secco per colpa tua? E poi sono io che l'ho chiamata così, il merito è mio!»

Per fortuna si era ripreso.

«Tornando a cose serie, quando sarà la festa?» chiese Mike interrompendo i deliri del batterista.

«Cose serie?! Ma l'avete capito o no che stavo morendo?!» protestò di nuovo Frank sconsolato.

«Sei sopravvissuto, no? Quindi non c'è bisogno di preoccuparsi ancora.» gli rispose BJ ridendo.

«A quando la festa?» chiese Vyol.

«Il giorno stesso del compleanno, quest'anno capita di venerdì, no?» risposi sorridendo.


In quei giorni non c'erano stati avvenimenti significativi, però le cose stavano andando decisamente bene.

Cominciavo a sentirmi davvero parte del gruppo: andavo ogni giorno alle loro prove e oramai iniziavo a capire con chi avevo a che fare.

Anche loro mi trattavano come se fossi sempre stata parte del gruppo e questo, se prima mi dava fastidio, adesso mi faceva stare bene.

Non avevo mai avuto degli amici, avevo sempre pensato che fossero una cosa inutile, dato che avevo Evelyn.

Non sapevo, però, che l'amicizia fosse così.

Si stava insieme solo per farlo, non c'era bisogno di dimostrare niente a nessuno.

Si stava insieme solo per respirare, finalmente.


16 settembre 1988


Evelyn canticchiava a bocca chiusa mentre finiva di sistemare gli ultimi dettagli sul tavolo nel soggiorno.

«Fatto!» sorrise luminosa dopo aver finito.

«Adesso devi solo andare a prepararti.» le sorrisi.

«Già, tra non molto arriveranno tutti. Sono nervosissima!»

«Perché? È solo una festa, no?»

«Già, ma stasera dovrò rispondere a Tyler.» disse questa frase con noncuranza.

«Rispondere? Intendi che...?» iniziai perplessa.

«Mi ha chiesto di mettermi con lui!» cinguettò Evelyn. «Ero convinta di avertelo detto.»

«Veramente no...»

...

Una cosa così importante... non me l'aveva detta.

Cosa stavo diventando per Evelyn?

Dannazione...

«E tu cosa pensi di fare?»

«Beh... io non ne ero molto sicura, però...» iniziò arrossendo. «Credo che gli dirò di sì. Lo sai, Alice? Credo di essermi innamorata ed è fantastico.» sorrise.

Non hai idea di quant'era bella quando era così felice.

Ma non riuscivo a partecipare della sua felicità neanche un po'.

Io non ne sapevo niente. Lei si era innamorata e io non lo sospettavo neanche lontanamente. Eppure io credevo di sapere tutto di lei, almeno quanto lei sapeva di me.

Sentii un brivido di freddo assalirmi, come uno spiffero d'aria gelida proveniente da dentro di me.

«Io vado a prepararmi.» dissi correndo in camera nostra.

Era una sensazione strana, come se avessi voluto piangere senza lacrime, come se avessi voluto farlo solo con l'anima, senza il corpo, senza cambiare espressione, senza disturbare nessuno.


Un trillo deciso, fastidioso e decisamente inopportuno mi rimbombò nelle orecchie.

«Devono essere arrivati i miei amici.» si alzò Evelyn in piedi.

Aveva un abito nero corto che era continuato da un velo sempre nero che arrivava fino a terra.

Le stava benissimo.

Per quanto riguardava me... beh, io avevo un abitino bianco semplicissimo con la punta delle maniche ad ali di pipistrello, niente di speciale.

Non avevo voglia di essere notata, avrei voluto solo starmene in un angolo da sola, ma dovevo andare giù, lo sapevo benissimo.

Seguii Evelyn nell'ingresso.

Dietro la porta c'era tutto il gruppetto dei vincenti e dei fighi della scuola, ovviamente.

Aileen era la prima della fila che subito abbracciò Evelyn affettuosamente.

«Ciao Evelyn! Stai benissimo così! Che ti avevo detto?»

«Haha! Sì, avevi ragione, Ally.» le sorrise mia sorella di rimando sciogliendosi dall'abbraccio.

«Ah, ciao Alice.» mi salutò poi il capitano delle cheerleader senza nemmeno guardarmi.

«Ciao Aileen.» tentai di sorriderle gentilmente.

E dopo poco tutti gli invitati erano nel soggiorno.

Evelyn aveva comprato insieme a me dei CD il giorno prima. Io non ne capivo niente, ma lei sapeva quali erano le canzoni che andavano di più di moda.

Molti ballavano, io me ne stavo appoggiata al muro sconfortata.

Sinceramente non mi sembrava il mio compleanno.

Erano passati solo sedici giorni dalla partenza di nostra madre e tutto era già cambiato.

Da quando i nostri compleanni erano solo la nostra famiglia riunita sembrava passata un'eternità.

«Hai intenzione di rimanere qui tutto il tempo?» una voce mi distolse dai miei pensieri. «Non hai per niente l'aria di divertirti, ma potresti permettertelo, sai? Sei carina dopotutto.» disse Aileen con la sua solita spavalderia.

«Ciao Aileen.» sospirai. «Credevo che anche chi non è carino potesse permettersi di divertirsi.»

Lei scoppiò a ridere.

«Ma no, non intendevo quello. Intendevo i ragazzi! Guarda lì.» disse indicando uno degli invitati. «Scommetto che uno come Andrew non si tirerebbe indietro, ti sta fissando da un bel po'!» mi fece l'occhiolino.

«Non mi va di provarci con qualcuno senza conoscerlo.» dissi sinceramente.

«Uffa! Quanto sei scocciante! Diamine, tua sorella sembra più sveglia di te. Senza offesa.»

«Figurati.»

Era la classica persona che non pensava prima di parlare e si scusava dopo di quello che le era sfuggito.

«Comunque neanche Evelyn lo farebbe.» puntualizzai.

«Questo è vero, ma almeno non se ne sta in disparte contro un muro. Ah, già! Mi ero dimenticata, a te piacciono i punk, vero?»

«Sono miei amici...»

«Sì, non ci fare troppo affidamento. Dopotutto da uno che spaccia canne non puoi aspettarti molto.»

Diamine, quanto mi dava sui nervi!

«Sai, me lo ricordo: il primo anno di scuola io e Two-Dollar Bill avevamo storia dell'arte insieme.» disse poi. «Il primo giorno di scuola già seppe come attirare l'attenzione. Arrivò in ritardo e quando la professoressa gli chiese di dare una giustificazione, lui rispose di aver avuto problemi con la donna della sua vita. Sai chi era?»

Scossi la testa.

«Una chitarra. Una certa Blue. Ovviamente doveva essere sotto l'effetto di qualche canna, una persona normale non direbbe mai una cosa simile.»

Sorrisi a quel pensiero.

«Conosco Blue.» le risposi con leggerezza. «E posso confermare che il loro è vero amore.»

Lei mi fissò perplessa, ma prima che potesse rispondermi il campanello della porta trillò, ma stavolta il suono sembrava allegro e frizzante.

«Scusami, devo andare ad aprire.» le rivolsi un ultimo sorriso prima di correre via.

Non era da me rispondere con quella leggerezza e quella... ironia? Ma dopotutto che altro potevo fare? Avevo capito che se volevo evitare di stare male ogni volta, non dovevo mai prendere sul serio quello che mi diceva Aileen.

E poi, appunto, non mi importava!

«Alice! Quanto hai intenzione di metterci per aprire?» mi sgridò Vyol appena mi vide.

Senza neanche ascoltarla l'abbracciai.

«Ehi, cos'è quest'affetto improvviso?» mi chiese BJ.

«Non saprei... mi... mancavate.» sorrisi con tutta la dolcezza di cui ero capace.

Mi sentivo davvero euforica.

«Sei sicura di non essere stata maltrattata dagli amichetti di tua sorella?» mi chiese Billie.

«Sicurissima.»

«Oh, ma che diamine, non ci deve essere per forza un motivo se ci fa le feste!»

E di nuovo.

Fare le feste.

Perché non dire “essere felice”?

No, oramai ero ufficialmente il cane di Frank.

Almeno ero preparata psicologicamente.

«Tré, a proposito. Sai cosa devi fare.» lo interruppe Mike.

Oramai lui e Vyol si occupavano di interrompere sempre i deliri del batterista sul nascere.

Avrei dovuto ringraziarli un giorno.

«Sissignore. Vado subito. Ma non possiamo aspettare un attimo? Siamo appena arrivati ed anche in ritardo!»

«No, tra poco arriveranno gli altri, quindi vai ora.» intervenne BJ.

«Ok! Tornerò in un lampo!» sorrise Frank riaprendo la porta di casa e correndo via.

Aveva detto... “gli altri”?

Fissai interrogativa mio cugino.

Interrogativa? No, “terrorizzata” era la parola giusta.

«Ho chiamato qualche amico, spero non ti dispiaccia.»

«Cosa? Quanti?» chiesi sconvolta.

«Mah... saranno una quindicina...» contò Vyol sulle dita.

«Cosa?!»

«Ah, non ti preoccupare abbiamo preparato una sorpresina in compenso!» sorrise lei.

«All'inizio non ti piacerà, però alla fine sarà uno dei tuoi migliori ricordi.» aggiunse Mike.

Cosa?

Cosa?!

«Non ti preoccupare, ok? Faremo tutto noi.» mi sorrise Billie.

«Sul serio, ne varrà la pena.» aggiunse Mike convinto.

«Piuttosto, dove avete intenzione di farlo?» chiese Vyol.

«Direi che il posto migliore sarebbe la mia stanza... non è molto grande ma...» le rispose BJ.

«Potreste usare il materasso! Sai che figata!» esclamò lei.

Ero sempre più confusa.

I tre continuarono a parlare del luogo dove fare questa cosa ancora per qualche minuto, tentai di seguirli per trovare un qualche indizio, ma la faccenda suonava sempre più ambigua.

«Ok! Allora sarà il materasso!» annunciò trionfante Vyol che aveva convinto gli altri due della sua idea.

Cosa diamine si poteva fare su un materasso?!

In quel momento rientrò Frank facendosi aprire da BJ.

«Eccomi qua! Potreste darmi una mano almeno a prendere la vostra roba?» chiese.

Mi affacciai dalla porta per cercare di capire qual era la sorpresa e rimasi letteralmente senza parole.

Sul pianerottolo c'erano otto borse nere di cui cinque erano valigie da viaggio.

BJ ne afferrò una, Mike ne prese un'altra insieme alla fodera del suo basso.

Cosa?

Quelli erano i loro strumenti?
Nelle restanti valigie c'era... una batteria smontata?

«In questi casi sono sempre io quello che ha più problemi.» disse Frank iniziando a portare dentro le valigie rimaste.

«Procediamo al regalo?» chiese Mike.

«Regalo?» chiesi.

«Sai, da dove vengo io ai compleanni di solito si fanno dei regali. È un'usanza curiosa, ma è divertente!» mi rispose sarcastico mio cugino.

«Lo so, solo non sono abituata.»

«Ehi, di' un po' Lyss, ma tu li avevi degli amici prima di incontrare BJ?» chiese Frank innocentemente.

«Ma ti sembra il modo di chiederlo?!» lo rimproverò Vyol.

«Scusa! Non pensavo fosse vietato.» ribatté Frank difendendosi.

Diamine, era da un po' di giorni che quei due litigavano sempre perché lei lo accusava di avere poco tatto nei miei confronti.

«Ragazzi, non vi sembra di esagerare?» chiese Mike. «Diamole il regalo piuttosto.»

«Giusto.» disse BJ prendendo una delle borse e aprendola. Dentro c'erano quattro pacchetti.

«Te ne abbiamo fatto uno ciascuno. A te la scelta di quale aprire per primo.»

«Grazie mille!» sorrisi sinceramente.

Prima di sceglierne uno li esaminai con lo sguardo.

Erano tutti di dimensioni diverse, decisi di prendere il più grande per primo, lo soppesai con le mani e lo scartai.

All'interno c'era una piccola borsetta piena di trucchi, una trousse.

«Lo avevo detto che avrebbe preso prima il mio regalo! Ora sganciate i soldi!» esultò Vyol.

«E che cazzo, sei prevedibile, hai iniziato dal più grande, Alice!» mi rimproverò sconsolato BJ allungando una banconota a Vyol e lo stesso fecero gli altri.

Avevano scommesso persino su quello!

Scoppiai a ridere.

Erano incredibili.

«Comunque quella la devi usare, chiaro? Se non lo fai giuro che vengo fin qui e ti obbligo io!» mi ammonì Vyol.

«Lo farò, giuro!» le sorrisi.

Presi in mano un regalo più piccolo e lo scartai.

Il pacco conteneva un walkman con delle cuffie per ascoltarlo.

Questo doveva essere di BJ.

«Mi avevi detto che non hai mai ascoltato musica, è ora di cominciare.» il suo sembrava un ordine.

«Appena possibile comprerò delle cassette e lo farò.» gli risposi sinceramente felice.

Intravidi Mike sorridere.

Erano rimasti solo due pacchi. Uno grande e uno piccolissimo.

Proseguii scegliendo il più grande.

Dentro c'erano cinque cassette.

«Cosa? Ma è fantastico! Ora non ho neanche bisogno di comprarle!» esclamai felice.

«Non solo, tra quelle ce n'è anche una fatta da noi.» disse Mike orgoglioso del suo regalo.

La trovai, l'unica con la scritta fatta con un pennarello: “Happy b-day Lyss!”.

«Non vedo l'ora di ascoltarla!»

«Anche io! Non è giusto che a te facciano un regalo del genere e a me niente. Vi ricordo che io sono la vostra fan numero 1 ufficiale!» protestò Vyol facendo ridere tutti.

Rimaneva un solo regalo, di Frank.

Non osavo immaginare cosa potesse esserci.

Qualche cosa assurda, sicuramente.

Ma dovetti ricredermi.

Nel pacchetto c'era uno scatolino di gioielleria e dentro c'era una piccola e luminosa collana il cui ciondolo era l'elegante scritta “Lyss”.

Rimasi letteralmente paralizzata.

Una cosa così sobria... da Frank?

«È bellissima...» commentai senza parole.

Tutti i presenti erano perplessi quanto me.

«Sono felice che ti piaccia la tua medaglietta.» sorrise lui con leggerezza.

«Medaglietta?!» la mia sorpresa svanì in un lampo.

«Non ci posso credere...» mormorarono Vyol e BJ all'unisono.

«Tré, ho la sensazione che dovresti andare in un ospedale psichiatrico a farti un giretto. Conoscendoti è un miracolo che tu non ci abbia messo il tuo numero di telefono!» commentò Mike.

«Oh, no. Quello ho preferito evitarlo, sarebbe costato troppo.»

Scoppiai a ridere mentre la indossavo.

Oramai avevo capito che da quei pazzi avrei dovuto aspettarmi di tutto.

Ma il meglio doveva ancora venire, vero?


«Aspettate un attimo! Sarebbe questa la sorpresina?» chiesi rincorrendoli per le scale che portavano alle stanze da letto.

«Sì! Idea mia!» rispose BJ dalla sua stanza.

«Si nota, tu hai lo strumento più leggero! Anzi, non l'hai nemmeno dovuto portare, ce l'hai già qui!» si lamentò Frank.

«Dai che ne varrà la pena!» sorrise Vyol.

«Ma siete impazziti? Volete fare un concerto usando il letto come palco?!» chiesi arrivata nella stanza.

«Esattamente.» confermò Mike.

«Sarà fantastico! Il Bedroom Concert! Suona fighissimo!» disse Vyol. «E poi tra poco arriveranno gli altri!»

Appena lo disse il campanello della porta trillò di nuovo.

«Vengo con te.» disse mio cugino seguendomi al piano di sotto.

Appena aprii la porta mi trovai di fronte una gruppo piuttosto grande di persone tra cui riconobbi solo Al.

Senza neanche bisogno di parlare subito si riversano tutti dentro, molti di loro invasero il soggiorno.

«Io vado su a sistemare gli strumenti. Tra poco verrò a chiamarvi.» mi disse BJ prima di sparire di nuovo.

Corsi in soggiorno sperando che non fosse successo niente.

Tutti i tipi cool della scuola avevano un'aria spaesata, mente i punk sembravano perfettamente a loro agio.

Cercai con lo sguardo mia sorella, ma quando la trovai rimasi immobilizzata.

Era in un angolo insieme a Tyler immersa in un bacio appassionato.

A vederla così... mi sentivo una stupida bambina in confronto.

Era cresciuta più in fretta di me, non riuscivo a muovermi.

Mi appoggiai al muro sconsolata guardando punti a caso della sala, tentando di concentrarmi su quelli che ballavano per far passare il tempo.

Passarono due o tre canzoni allo stereo, non avevo ascoltato con troppa attenzione, quando mi sentii chiamare.

Evelyn era di fronte a me.

«Alice?»

«Ciao Evelyn...»

«Perché la sala è invasa da punk?»

«È stato BJ a invitarli, mi spiace.»

«BJ? Ma chi gli ha dato il permesso di fare una cosa del genere?»

In quel momento Billie entrò nel soggiorno.

«Di sopra è tutto pronto!» annunciò a tutti i presenti.

Tutti i punk si diressero in massa verso le scale, alcuni dei cool fecero lo stesso trascinati dalla folla.

«Cosa è che è pronto?» chiese mia sorella.

«Un concerto...» dissi con un filo di voce.

Evelyn mi fissò per qualche secondo senza sapere cosa dire.

«D'accordo. Va bene. Che facciano quello che vogliono. Oggi non mi va di litigare.» concluse la questione dopo un silenzio decisamente imbarazzante.

Non potevo crederci! Davvero non si era arrabbiata più di tanto?

«Ti va di venire su a vedere?» chiesi timidamente approfittando delle sue parole.

Lei rimase spiazzata, si guardò intorno e notò che anche quasi tutti i suoi amici erano andati di sopra.

«D'accordo.» sospirò alla fine.

Le sorrisi.

Era la prima volta da giorni che facevamo qualcosa insieme.

Finalmente avrei potuto farle vedere che nostro cugino valeva qualcosa!

Salimmo le scale insieme ed entrammo nella stanza di BJ affollatissima. Ci facemmo strada fino alla prima fila di persone dove raggiungemmo Vyol.

BJ era in piedi sul materasso insieme a Mike mentre il povero Frank aveva dovuto mettersi sul pavimento accanto al letto.

«Buonasera!» esclamò Billie nel microfono. «E benvenuti a tutti al primo Bedroom Concert della storia!»

________________________________Authoress' words

Buongiorno a tutti!

Cavoli credo il capitolo scorso abbia battuto un record di recensioni per un quarto capitolo!

Grazie, grazie, grazie infinite! Siete stati tutti fantastici!

Beh, che dire? In questo capitolo Alice ed Evelyn fanno 16 anni! Che cariiine! Auguriiiii! Hahaha! Mi sono affezionata un sacco alla carineria e all'innocenza di Alice, anche se certe volte esagera penso che sia uno dei personaggi a cui mi sono affezionata di più.

Ma non temete! Anche se mi ci sono affezionata non farò in mado che diventi una Mary-Sue rendendole la vita perfetta.

Anzi, lei non immagina neanche che guai deve ancora passare...

Vi lascio con questo minimo di suspance!

A domenica prossima!

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Capitolo 6
*** Ho una malattia molto grave (Vyol's special chapter) ***


Attenzione: da adesso in poi inizieranno a esserci ogni tanto (non tutti isieme, tranquilli) dei capitoli speciali dove il punto di vista passa da Alice a un altro personaggio della storia. Questi capitoli saranno un po' più riflessivi perché hanno lo scopo di far capire un po' anche i segreti che non verrano mai rivelati nel corso della storia se non qui.


16 settembre 1988


In quel momento vidi entrare Alice e sua sorella, mano nella mano, nella stanza.

Strano, ero convinta che non fossero più in così buoni rapporti.

Se dovevo essere sincera un po' ci speravo.

Ero egoista, ma ero anche umana. Tutti sono egoisti nel loro piccolo, quindi anche io mi permettevo di esserlo, senza neanche pensarci troppo... perché avrei dovuto?

Se Alice avesse iniziato a frequentare gli amici della sorella, come sarebbe diventata?

No, non sarebbe mai diventata come loro.

Sì, era debole, ma non fino a questo punto.

E poi se anche avesse iniziato solamente a cambiare... Beh, l'avrei fermata, con tutte le mie forze.

Tanto che mi importava dell'odio di Evelyn?

Assolutamente niente, come non mi era mai importato di nient'altro se non dei miei obiettivi e dei miei amici. Quelli veri.

Lyss mi raggiunse, senza parlare mi toccò la mano.

Mi voltai a guardarla, aveva un sorriso radioso che non le avevo mai visto.

«Vyol, tutto bene?» mi chiese alzando la voce per farsi sentire nella folla.

«Mi pare logico che sto bene! Stiamo per assistere al Bedroom Concert!» esclamai improvvisamente allegra, come sempre d'altronde.

«Buonasera!» disse BJ provocando un applauso eccitato della piccola folla che in quella stanzetta sembrava enorme. «E benvenuti a tutti al primo Bedroom Concert della storia!»

Urlai come una bambina eccitata, ma... non potevo farne a meno!

Diamine, amavo i loro concerti!

Amavo vedere il modo in cui suonavano e il modo in cui erano in grado di tenere il pubblico tra le loro dita.

Perché era questo che succedeva. Noi, il pubblico che avevano davanti, eravamo dipendenti da ogni loro minimo gesto, da ogni singola nota.

O almeno, questo era quello che succedeva a me.

BJ attaccò con alcuni accordi stoppati alla chitarra con un ritmo cadenzato e incalzante. Tré gli fece immediatamente da supporto con la batteria insieme a Mike.

Diamine, conoscevo alla perfezione quella canzone!

«Lo so che le cose diventano più difficili quando non riesci a togliere il coperchio dal fondo del barile!» cantai insieme a BJ stonando anche un po', ma non mi importava.

Era una cosa totalmente irrazionale. E chi credeva di poterlo spiegare, chi credeva di doversi controllare... in realtà era solo un idiota che stava sprecando la sua vita.

Diamine! Avevo solo 15 anni! Pensare di non divertirsi a quell'età era da veri idioti! Per ottenere cosa poi? Prima o poi la maturità sarebbe arrivata lo stesso, per me come per loro.

E allora perché non divertirsi nel frattempo?

Ecco come la pensavo.

I giocatori di football, le cheerleader... erano tutti così. Non sapevano e non volevano divertirsi. Dicevano che il loro modo di divertirsi era essere “grandi”, essere “popolari”.

Ma cosa significava?

Per me niente.

Passarono una, due, tre canzoni... persi il conto quasi immediatamente.

Improvvisamente, la chitarra attaccò più aggressiva che mai.

BJ si mosse con uno scatto facendo oscillare Mike sul materasso.

Si avvicinò alla punta del letto calandosi sul pubblico, anzi, su di noi.

Sorrisi, l'entusiasmo stava prendendo tutti i presenti.

Cantava e suonava in quella strana posizione, non commetteva un solo errore.

Ci guardava con attenzione, come se avesse voluto memorizzare il volto di tutti.

Improvvisamente arrivò il ritornello.

Compì un altro scatto repentino, si voltò improvvisamente verso Alice guardandola dritta negli occhi, come se avesse voluto cantare quella canzone solo per lei.

«Non lasciarmi, non lasciarmi.» le cantava.

Si sorridevano, come se quel momento fosse stato loro.

Il tono di BJ era mutato, la sua voce più dolce.

E i miei occhi velati di lacrime.

No, non aveva senso.

Non aveva senso!

Mi sentii andare nel panico, cosa stava succedendo?

La testa iniziò a girarmi.

Diamine.

Non avrei dovuto andare a Christie Road prima di andare da Alice.

E non avrei dovuto farmi quella canna.

E quella birra.

Sentii il mio stomaco contorcersi brutalmente.

Cazzo, avevo bisogno di un... fottuto bagno!

«Alice...» chiamai al termine della canzone.

Alice si voltò verso di me, la vidi impallidire.

«Vyol, cos'hai?» chiese preoccupata, ma non voleva davvero la risposta. Mi prese per mano e mi trascinò al buio fino a una stanzetta bianca e gialla.

Mi chinai sulla tazza, una spinta partì dal mio stomaco, vomitai l'anima.

«Vyol! Dovrei avere qualcosa per il mal di stomaco nell'armadietto dei farmaci... ehm... posso lasciarti da sola?» chiese Alice... anzi, Lyss seriamente preoccupata.

Annuii, lei si voltò e corse via veloce.

Mi lasciai andare lungo la parete.

Ridotta in quello stato, dovevo fare schifo.

Mi odiavo, mi odiavo, mi odiavo con tutta l'anima in quel momento.

Sì, perché sapevo benissimo il motivo del mio malessere.

Sapevo benissimo che canne e birra c'entravano poco.

Sapevo che in realtà mi avevano salvato, perché se non fossi corsa nel bagno così mi sarei messa a piangere come un'idiota.

No, la verità era una sola.

Io non amavo farmi le canne.

Io non amavo essere sempre la più allegra lì in mezzo, la stupida e superficiale Viola.

C'era una sola cosa che amavo.

Ed era Billie Joe Armstrong.

Non capivo bene perché, ma già il primo giorno di scuola qualcosa di lui mi aveva rapita.

Non era particolarmente bello, né incredibilmente gentile e affabile.

Era semplicemente, incredibilmente forte.

Sì, me lo ricordavo benissimo.

Il primo giorno si presentò a scuola in ritardo.

Con una chitarra sulle spalle

La Harris già aveva deciso di odiarlo, solo per quel gesto, ma aveva stranamente deciso di dargli una possibilità.

«Tu sei... Armstrong? Come mai sei in ritardo il primo giorno?» chiese con acidità.

Lui si guardò intorno annoiato, lei attendeva.

«Ho avuto problemi con la donna della mia vita.» disse con una scrollata di spalle.

«La donna della tua vita? Quanti anni credi di avere?! Ne avrai a malapena 14!» gridò la Harris già spazientita.

«Potrebbe offendersi, guardi che è qui.» disse picchiettando il fodero che aveva sulle spalle.

«Stai parlando... di una chitarra, Armstrong?»

«Ha un nome. Si chiama Blue. Le ripeto, potrebbe offendersi. A lei piacerebbe essere chiamata “una donna”?»

Ricordo solo che la gente già parlava male di lui, dicevano che era uno che non avrebbe combinato nulla, che probabilmente non gliene importava nulla della scuola.

E forse era proprio questo che mi attirava.


Nei giorni successivi cercai di capire come avvicinarmici.

Sapevo (o almeno intuivo) che non si poteva diventare amica di uno così con la stessa leggerezza di sempre.

Un po' seguendolo quando potevo, un po' basandomi su quello che sentivo dire scoprii che frequentava solo punk.

E soprattutto i suoi amici erano solo maschi.

E questa non era una buona cosa per una ragazzina ordinaria come me.

Avevo sempre avuto difficoltà a relazionarmi con i ragazzi, ma adesso mi sembrava addirittura impossibile.

Non avevo idea di come ragionassero, non avevo idea di come parlassero e non conoscevo nessuno di loro a cui poter chiedere.

Neanche un padre, perché ero la figlia di un fottuto tradimento.

E ovviamente lui aveva deciso di tornare dalla moglie dopo aver scoperto che mia madre era incinta.

Stronzo.

Pensavo di non avere altre possibilità: dovevo diventare anche io una punk, almeno in apparenza. L'importante era non farsi beccare per una o due settimane, giusto il tempo di diventare loro amica.

Feci delle ricerche sull'argomento, mi tinsi i capelli di nero con tanto di punte rosse, iniziai a truccarmi pesantemente.

Quasi mi facevo paura per il mio aspetto così aggressivo.

Dopotutto capivo Alice, forse perché per natura ero come lei: impacciata, debole, senza personalità, ma al contrario di lei avevo deciso di combattere tutto questo, anche fingendo. Prima o poi mi ci sarei abituata e la bugia sarebbe diventata la verità.

Certo, era solo apparenza, non sapevo neanche quale fosse l'ideologia dei punk.

Ma sembrava bastare: già i primi giorni dopo questo cambiamento radicale mi ritrovai gli occhi incuriositi di BJ puntati addosso.

Forse si stava chiedendo da dove ero saltata fuori, dato che non mi aveva mai degnata di uno sguardo.

E poi un giorno finalmente avvenne.

Trovai il coraggio di rivolgergli la parola.

Mi avvicinai a lui al suono della campana, prima di uscire dall'aula.

Avevo bisogno di un argomento, uno qualsiasi, giusto per iniziare a parlare.

Decisi di puntare sulla musica, dopotutto se definiva una chitarra “la donna della sua vita” di sicuro non mi avrebbe snobbata su quell'argomento.

Vero?

«Ah... Senti... è da un po' che volevo chiederti... sei un musicista per caso?» gettai la domanda con leggerezza senza riuscire a guardarlo negli occhi.

Si voltò a guardarmi.

«Tu sei...?»

«Viola.»

Ovviamente non si ricordava nemmeno chi fossi.

«Sì. Suono in una band, sono il chitarrista e provvisoriamente il cantante. Preferirei non farlo, ma in mancanza di altro...»

Era fatta.


Inizialmente andavo quasi in panico alla presenza dei suoi amici. Non ero abituata a stare con i maschi, poi erano addirittura in tre, ogni tanto se ne aggiungeva un quarto.

Però ero brava a recitare, loro non sospettavano niente.

A volte attribuivano i miei atteggiamenti un po' strani alla timidezza, dato che ero la più piccola.

Giorno dopo giorno mi abituai alla loro presenza fino a considerarla totalmente normale.

E... diamine. Non capivo neanche io se il fatto che amassi la loro musica fosse obiettivo o fossi solo troppo innamorata.

Davvero, dissimulavo alla perfezione, ma avevo i brividi e il sudore freddo ogni volta che BJ mi rivolgeva un sorriso.

Vederlo in quel modo mi faceva sciogliere le ginocchia.

Mi sentivo come se fossi diventata improvvisamente una demente, tutti i miei pensieri andavano a lui in ogni momento della giornata, sentivo il bisogno fisico di sentirlo vicino.

E brividi, brividi sempre per lui.

Ma non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo.

Mi andava bene così, dopotutto. Non sentivo il bisogno di dichiararmi.

Non avrebbe avuto senso correre il rischio di rovinare almeno l'amicizia che si era creata e poi non avevo neanche motivo di essere gelosa dato che non aveva ragazze che gli ronzassero intorno.

Volevo solo la sua felicità e sapevo che almeno al momento ancora non ne facevo parte.


«Vyol! Vyol!» Alice entrò nella stanza correndo. «Hai vomitato ancora?» mi chiese aiutandomi ad alzarmi.

«Sì, ma sto meglio.» la rassicurai.

«Sicura?» disse riempiendo un bicchiere d'acqua e gettandoci dentro una compressa. «Questo qui dovrebbe farti passare il bruciore. Di solito l'effetto arriva dopo una ventina di minuti.»

Era stata quell'amorevole scenetta di poco prima a devastarmi a quel modo.

Non potevo sopportare l'idea che BJ potesse innamorarsi della mia migliore e unica vera amica, non dopo tutto il tempo che avevo perso solo per arrivare a parlargli!

Non dopo che avevo dedicato a lui tutto quello che ero.

Se non l'avessi mai incontrato, sarei stata una persona totalmente diversa, tutto quello che ero era esclusivamente colpa sua!

«Senti Alice...» iniziai timorosa.

«Sì? Ti senti di vomitare ancora?»

«No, no... volevo chiederti... Senti, qual è il tuo tipo di ragazzo?»

Alice mi fissò perplessa.

«Il mio tipo di ragazzo?!» chiese di rimando colta decisamente alla sprovvista. «Non saprei proprio!» disse sulla difensiva arrossendo leggermente.

E questo non faceva che innervosirmi.

«Come fai a non saperlo? Non ti sei mai presa nemmeno una cotta?» chiesi senza crederle troppo.

«Sì, non mi sono mai presa nemmeno una cotta. E sinceramente non riesco nemmeno a immaginare come possa essere un ragazzo che mi possa piacere, nemmeno fisicamente.» disse a bassa voce per l'imbarazzo passandomi il bicchiere con la compressa ormai sciolta nell'acqua.

Bevvi quella roba granulosa e orribilmente amara tutta d'un sorso tappandomi il naso per sentirne di meno il sapore.

«Pensi che ti potrebbe mai piacere uno... non lo so... come Billie?» trovai il coraggio di chiedere alla fine.

Alice mi fissò con aria decisamente disorientata.

«Vyol, perché queste domande? Non ti ho mai vista così... seria.»le sue parole erano barcollanti.

«Era solo per chiedere, per fare due chiacchiere.» risposi alzando le spalle, il mio tono di voce freddo come il ghiaccio.

Sembrò credermi.

«Uno come Billie...?» ripeté pensando attentamente a cosa rispondere.

Sentivo un'elettricità fortissima pervadermi in ogni angolo, una paura maniacale e ossessiva mi stava facendo tornare la nausea e la voglia di vomitare.

Stavo per cedere di nuovo quando rispose.

«Mi dispiace, non riesco proprio a pensare a lui in quel senso.»

Mi bloccai.

Non riusciva a pensare a lui in quel senso?

Eppure in quel periodo erano sempre appiccicati!

«Come?»

«Intendo dire... è mio cugino, non riesco a immaginarlo come qualcos'altro, nemmeno usandolo come esempio.»

Dopo qualche secondo di silenzio scoppiai a ridere.

Sembravo una pazza isterica, ma la mia era una risata liberatoria.

Erano cugini! Come avevo fatto a dimenticarlo? Era anche consanguinei!

Ero un'idiota! Cazzo!

Non avrei dovuto preoccuparmi di quella faccenda nemmeno per un secondo!

«Vyol, sei sicura di stare bene?» chiese Lyss mentre mi alzavo.

«Sì! Sto benissimo! Dannazione, speriamo che il concerto non sia già finito!» esclamai abbracciandola.

Ero tornata quella di sempre, la solita allegra e stupida Vyol.

La solita Vyol che credeva di essere finta, frutto della sua stupida cotta, ma in realtà era esattamente uguale a quella vera.

Non esiste un vero “noi” e un falso “noi”.

Gli eventi ci cambiano, ma lo fanno sempre per davvero e mai per finta.

Un cambiamento è un qualcosa che avviene sotto la pelle, che mano a mano ci fa crescere oppure no, ma qualsiasi cosa faccia è vero.

Billie Joe Armstrong mi aveva cambiata.

Aveva cambiato la ragazzina inutile e senza interessi trasformandola in quella Viola Thompson che tutti conoscevano.

Ecco, era colpa tua BJ, colpa tua di tutte le nottate in bianco, di tutti i miei sospiri e di tutto quello che ero ed avevo fatto fino a quel momento.

Colpa? No, era un merito. Era tutto merito tuo, mi avevi salvata dalla mediocrità.

Allora grazie, BJ.

Grazie con tutto il cuore.

_________________________________________Authoress' words

Allooora! Che ne pensate dei capitoli speciali? Vi fanno cagare? Vi piacciono? Continuo a farli? Li trancio via senza pietà?

Hahaha! Ho un sacco di domande!

E poi vi piacciono gli occhi di Vyol? Ho preso una foto da Internet e l'ho un po' modificata. Io me la immagino esattamente così. Che ve ne pare?

Bon! Io mi ritiro a studiare greco, se questi capitoli vi fanno cagare ditemelo senza mezze misure, ok?

Bye-bye!

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Capitolo 7
*** Mi sento così inutile nella città dell'assassinio! ***



17 settembre 1988


Non ricordo precisamente dove, ma da qualche parte avevo sentito dire che tutte le cose belle sono destinate a finire.

Non capivo perché.

Perché dovevano finire e basta? Era una matematica certezza? Anche se non c'era ancora motivo di dirlo?

Forse perché tutto finisce prima o poi?

E se... alle cose belle fossero successe semplicemente cose migliori?
Era così che volevo vivere, con un po' di ottimismo augurando sempre il meglio a me e a chi volevo bene.

Non persi mai questa piccola luce, nemmeno nel periodo che stavo per affrontare proprio in quei giorni.

Uno dei più bui della mia vita.


«Buongiorno. Dormito bene?» mi chiese Evelyn appena aprii gli occhi.

Mugugnai annuendo.

Mi sollevai lentamente dal mio letto costringendomi a farlo.

La sera precedente ero andata a dormire molto tardi e così anche Evelyn.

Non capivo come riusciva ad avere tutta quell'energia appena sveglia...

«Possiamo parlare adesso?» mi chiese con un tono lievemente inacidito.

Ecco. Era arrivato il momento.

Sapevo che prima o poi l'avrei dovuta affrontare.

Avrei dovuto tenere duro e fare appello a tutto il mio coraggio per affrontarla.

Era fin dal giorno prima che lo sapevo.

«Dimmi.» mi sollevai coraggiosamente dal letto guardandola negli occhi.

«È a proposito di ieri.» temporeggiò lei.

«Sì?» insistetti decisa a non cedere.

Non dovevo fuggire, era il momento di affrontare le mie responsabilità.

«Ti rendi conto che hanno usato un letto come palcoscenico?» esplose nervosamente.

«Sì. È stata un'idea decisamente originale.» risposi fingendo indifferenza.

«Alice, è stata una follia! Ma che gente stai frequentando? Tra poco telefonerà la mamma per farci gli auguri, cosa le possiamo dire?» chiese Evelyn perdendo la pazienza definitivamente.

«Sicuramente non che ospitiamo BJ.»

«Certo, certo. Mi riferisco alle tue amicizie! Non possiamo dirle che frequenti dei... punk!»

Rimasi interdetta.

«Lo sai, si preoccuperebbe troppo! Dopotutto sono gente pericolosa...» insisté.

«No, questa è una bugia. Non è vero niente.»

«Ah, no? Chi è che spaccia canne in questa casa? Chi è che ieri ha alzato il gomito fino a vomitare miseramente in bagno?» si bloccò in attesa di una risposta che non arrivò. «Alice, diamine! Ho paura per te! Non puoi dire non siano pericolosi! Ti voglio un bene dell'anima e non voglio vederti ubriaca o in una via a fumarti quella roba!»

La guardai negli occhi.

Aveva paura per me, tutto qui.

Lo avevo sempre saputo, ma ultimamente mi stavo comportando come se non fosse stato così, come se il suo fosse stato solo egoismo.

Lei mi voleva bene, tutto qui. Ed era troppo facile incolparla per questo.

Dopotutto non avrebbe avuto motivo di comportarsi a quel modo se non per questo motivo.

Ma oramai non potevo più rinunciare ai miei primi veri amici.

Dopotutto Evelyn aveva solo bisogno di una garanzia, no?

«Ti va di stringere un patto allora?» le chiesi addolcendo il tono di voce.

«Patto?»

«Sì, per farti stare tranquilla. Se dovessi mai trovarmi in una situazione di pericolo come alcool, droga o qualsiasi altra cosa possa farmi del male...» ripensai bene a quello che stavo per dire. «Smetterò immediatamente di frequentarli. Tutti.»

Ecco.

L'avevo detto.

Dopotutto ero sicurissima del fatto che non avrei mai fatto uso di sostanze stupefacenti, né di alcool, quel patto mi conveniva in quel momento.

«In cambio voglio che tu la smetta di tentare di controllare la mia vita sociale. Ok?» conclusi porgendole la mano.

«Come? Dici sul serio? In questo caso accetto, non posso crederci!» disse Evelyn immediatamente ancora un po' perplessa stringendomi la mano.

Era fatta.

«E dirò a mamma che tu frequenti i miei stessi amici se dovesse chiedermelo. E fidati, quasi sicuramente lo farà. Ok?» aggiunse dopo.

In effetti aveva ragione: nostra madre amava sapere tutto della nostra vita, amava controllare quello che poteva, aveva bisogno di sicurezza e conferme costantemente assicurandosi persino di farci avere lo stesso identico orario scolastico e stavo iniziando a sospettare che lo avesse sempre fatto non solo per affetto, ma anche per farci controllare a vicenda.

Nessuna delle due avrebbe mai potuto andare contro la sua volontà.


Quando risentii la voce di nostra madre per telefono sentii una sensazione di freddo dentro.

Mi accorsi improvvisamente che mi mancava.

Come avevo fatto a non rendermene conto prima?

«Ciao Alice. Tanti auguri!» esordì facendomi un attimo sobbalzare.

«Grazie, mamma.»

«Come sta andando senza di me?» mi chiese con un tono di voce allegro.

«Bene, mamma. Come al solito, ma ci manchi. Tanto.» sorrisi lievemente imbarazzata.

La spavalderia di poco prima era sparita al suono della sua voce.

Non ce la facevo a mentire, non potevo farlo.

«Anche tu, piccola. Mi mancate tutti i giorni. Ma tu hai tua sorella, no?»

Già.

Almeno in teoria.

«Già. Ma mi manchi lo stesso.» mia madre rise dall'altro capo del telefono.

«Come va con i vostri nuovi amici? Evelyn mi ha detto che vi vedete con alcuni membri del club di football!»

«Ah... Bene... Sono simpatici.» mentii.

«Tutto qui? Non sembri entusiasta...»

Diamine! Non potevo fare un tono di voce così tanto... sprezzante! Ero sempre stata una pessima attrice!

«No, è solo che ho litigato con...» dovevo tirare fuori un nome qualsiasi. «Aileen.»

«Come mai? Evelyn sembrava entusiasta di lei.»

Ahi.

Non potevo dire la verità, ma stavo andando nel panico!

Mia madre era troppo sospettosa per non rendersi conto che qualcosa non andava!

«Ehm... È proprio per quello! Sono gelosa! Insomma, Evelyn sta sempre con lei e a volte mi lascia in disparte per parlare di cose che riguardano solo loro due.» dissi forzando enormemente quella storia.

«E cosa fai in questi casi?» rispose mia madre con tono leggermente sospettoso.

«Beh... parlo con altri amici...» dissi tentando disperatamente di non farmi tradire dalla mia voce insicura.

Diamine, diamine! Dovevo solo convincermi che quello che stavo dicendo fosse vero! Non era troppo difficile, perché non ci riuscivo?!

«Davvero? Allora hai anche tu un migliore amico! Come si chiama?» riprese mia madre dopo qualche secondo di silenzio improvvisamente rilassata.

Aveva deciso di credermi... tirai mentalmente un sospiro di sollievo.

«B... Bill!»

«Bill?»

Mi sentivo un'idiota.

“Bill” suonava troppo simile a “Billie”, avrei dovuto dire un nome totalmente diverso!

«Bene, allora salutami questo Bill. Ora devo tornare al lavoro, il presidente Jobs mi aspetta tra poco in riunione. Ti voglio bene piccola, siamo già a metà del mese. Vedrai che tornerò prestissimo!»

«Ciao mamma.» salutai con un sospiro di sollievo.

Avevo superato la prova.

Se prima all'inizio avrei voluto non staccarmi mai dal telefono, alla fine non vedevo l'ora di liberarmi di quello che mi era sembrato un interrogatorio terribilmente duro.

Sì, ma mi sentivo terribilmente in colpa: avevo mentito spudoratamente e prima o poi sarebbe venuto a galla. Quando sarebbe tornata avrebbe scoperto che non era mai esistito nessun Bill e che non ero stata amica di Aileen neanche per dieci minuti.

E, cavoli, sapere che mia madre era lì, lontana, che ancora aveva fiducia in me quando non lo meritavo mi faceva stare male...


19 settembre 1988


Quel giorno la Harris era decisamente in ritardo.

Strano, di solito era precisa come un orologio svizzero, tanto da farmi sospettare che si appostasse fuori dalla porta della classe per minuti interi solo per poter entrare nel preciso istante in cui la campanella suonava.

Però ero felice che fosse così tanto in ritardo, avevo leggermente paura di farmi vedere: anche se poco, avevo usato la trousse di Vyol, ma sembrava che nessuno ci facesse caso più di tanto e questo in parte mi tranquillizzava.

BJ era seduto accanto a me intento a scarabocchiare qualcosa su quello che un tempo doveva essere un diario.

«Stai tranquilla, la Harris non verrà oggi.» mi disse senza troppa attenzione.

«Come? N-non stavo pensando a quello... E comunque come fai a esserne tanto sicuro? L'ho incontrata stamattina, è venuta a scuola.» obiettai.

«Beh... Ho sentito dire che ha avuto qualche problemino tecnico.»

Non capivo a cosa si riferisse ed ero decisa a non fare domande, ma dopo quasi quaranta minuti la risposta arrivò da sola.

«Armstrong!» l'urlo della professoressa lacerò le pareti mentre entrava in classe affannata.

Era accompagnata dal preside.

Tutti gli studenti corsero ai loro posti in pochi secondi.

«Sì?» chiese Billie serafico appena ci fu un minimo di silenzio.

«Tu... razza di...! Non posso credere che tu sia arrivato a tanto!» ringhiò la professoressa.

Ero paralizzata. Non capivo di cosa stesse parlando.

«Professoressa, cosa avrei fatto?» chiese lui con un sorriso perfettamente rilassato.

«Signor Armstrong, lei ha messo del lassativo nel caffè della professoressa.» disse il preside con calma flemmatica.

«Cosa? Io?» chiese Billie fingendo sorpresa.

Alcuni in classe ridacchiarono.

«È inutile che fingi! Sei stato visto dai bidelli!»

Billie storse la bocca in un'espressione di delusione mormorando un lievissimo “merda”.

Cosa aveva fatto?! Non potevo crederci!

Perché aveva fatto una cosa del genere? Che senso aveva in quel momento?

«Pertanto, lei è ufficialmente in punizione.» annunciò il preside. «E intoltre, insieme a chiunque abbia preso una F all'ultimo compito, verrà assegnato a un tutor a scelta della professoressa.»

Quelle parole mi colpirono come una pugnalata.

Il primo compito era stato il 12 settembre, era una semplice relazione sui personaggi di Shakespeare nel “Sogno di una notte di mezza estate”.

Eravamo solo a inizio anno, non so bene perché ma trascinata dall'entusiasmo BJ e Mike non avevo aperto libro.

Il preside uscì dall'aula.

La Harris aveva campo libero, passeggiò con un sorriso trionfante tra i banchi consegnando i compiti.

Non volevo sapere il mio voto, dannazione!

Ma il compito mi fu quasi lanciato davanti, girandosi con uno svolazzo mostrando una lettera cerchiata di rosso.

Una F.

Non potevo crederci.

Come avrebbe reagito Evelyn? Una F non era classificabile come situazione di pericolo, no?

La Harris mi guardò con aria minacciosa.

«Non si direbbe proprio che tu gli anni precedenti avessi una A, signorina. Non in questa materia almeno.»

Stavo per piangere, sentii la gola stringersi, l'incapacità di formulare un pensiero sensato.

«Ehi, calmati. È solo una F.» tentò di rassicurarmi mio cugino a bassa voce notando il mio stato d'animo.

«Solo una F? Io non la penserei così! Sarai assegnato a un tutor che ho scelto molto attentamente tra gli studenti con i migliori voti e se non prenderai almeno una C al prossimo compito mi pagherai lo scherzetto del detergente e non te la caverai con una semplice mattinata in presidenza! Ora che hai visto il compito vai!» gridò la professoressa indicando la porta dell'aula.

Billie obbediente si alzò totalmente indifferente, sotto il mio sguardo perplesso.

Evidentemente non era la prima volta che finiva lì e sicuramente non era la prima volta che era la Harris a mandarlo.


La presidenza era un luogo che metteva tensione per sua stessa natura.

Quell'ambiente così bianco come un ospedale e quel silenzio così fastidioso mentre io e mio cugino attendevamo pazientemente che arrivasse il nostro tutor... già, nostro, perché si era deciso di assegnare due studenti a ciascun tutor abbinati in ordine alfabetico.

In mensa al nostro tavolo né io né BJ avevamo toccato l'argomento. Mio cugino aveva solo detto che quel giorno non ci sarebbero state prove perché sarebbe stato in punizione.

Dei presenti nessuno si era stupito, sembrava che tutti sapessero del suo “innocente scherzetto”.

A quanto pareva, Mike aveva fatto da complice in quella faccenda, ma i bidelli non avevano fatto il suo nome, quindi non aveva avuto nessun tipo di conseguenza.

Nonostante la paura dovevo dirlo ad Evelyn.

La incrociai nel corridoio della mensa.

«Evelyn... oggi tornerò tardi a casa.»

«Ancora prove?» chiese lei senza troppo interesse.

«No... Ho preso una F al primo compito e sono stata assegnata a un tutor che mi aiuti a recuperare.» dissi senza il coraggio di guardarla negli occhi e arrossendo miseramente.

«Cosa?! Una F?!» mi chiese incredula. «Alice, non ti riconosco più! Persino i tuoi voti sono cambiati adesso?!» aveva detto istericamente costringendomi a guardarla negli occhi. «Ti prego! Torna quella di una volta! Torna a essere quella di sempre! Quella dal carattere dolce e con dei voti almeno sufficienti!»

«Evelyn, non sono cambiata...»

«Sì invece! Un tempo ti importava della scuola!»

Mi ammutolii.

Sì, era vero, un tempo davo molta più importanza alla scuola, ma stava cambiando qualcosa.

Perché in quel periodo le cose a cui tenevo erano diventate improvvisamente inutili?

Che mi stava prendendo?

«Un tempo... un tempo non avevo degli amici, mi importava della scuola perché era l'unica cosa che avevo dopo la famiglia.» trovai il coraggio di dire.

Quando la scuola è la tua vita ti importa solo di quello, quando una cosa prende tutto il tuo tempo diventa la tua ragion d'essere.

E in quel momento non era così.

Io non ero nata per la scuola.

Però, anche se lo avevo capito, quella situazione spaventava anche me.

Non volevo finire così, volevo tornare ad avere i voti che avevo negli anni precedenti, ma allo stesso tempo non volevo chiudermi in casa a studiare senza uscire più come in passato!

«Alice... è colpa di quella gente se stai diventando così!» ringhiò mia sorella istericamente.

«Evelyn... Hai ragione, sono stata una stupida, ma non sono cambiata. Sono sempre io, sono sempre tua sorella! Non sono le persone che frequento a stabilire chi sono. Vedrai che risolverò anche questo!» le dissi tentando di rassicurarla, ma nemmeno io ero convinta di quello che dicevo.

Si era calmata dopo poco, ma il problema rimaneva.

E così mi ero trovata nella presidenza ad aspettare senza sapere neanche io cosa sarebbe accaduto.

Il preside era uscito a occuparsi di qualche faccenda burocratica lasciando me e mio cugino da soli.

Billie sembrava essere perfettamente a suo agio sulla sedia davanti alla scrivania di legno nero, mentre io provavo un forte senso di inquietudine.

Improvvisamente la porta si aprì, Frank fece il suo ingresso con la sua solita andatura rilassata.

«Tré? Che cazzo ci fai qui?» chiese BJ perplesso dopo pochi secondi.

«Oh, ciao BJ. Ciao Lyss.» salutò. Sembrava si fosse abituato a chiamarmi così. «Sono qui per i voti. Sembra che le F abbiano fatto una strage.» mormorò con aria sconfortata e decisamente annoiata.

«Hanno preso persino me...» dissi con tutta la tristezza di cui ero capace.

Mi sentivo decisamente scoraggiata, come se non avessi potuto prendere un voto più alto di quello.

Sentivo di meritarmelo e sentivo che la mia carriera scolastica era finita.

Stavo deludendo tutti, dai professori ai familiari.

«Oh bene. Siete tutti qui.» disse il preside entrando nella saletta.

Scattai immediatamente in piedi, ma fui l'unica a farlo.

Mi sentivo un'idiota.

«Bene, allora vi presento il vostro tutor.» disse.

Mi guardai intorno.

«Scusi, ma di chi parla?» chiese BJ con cautela.

«Lei e la signorina avete preso una F, l'unica persona a non dover recuperare qui dentro mi sembra il signor Wright, giusto?»

Eh?


«Tu avresti sul serio voti così alti?!» chiese Billie incredulo nel 7-11 dopo la scuola.

«Non posso crederci...» mormorai.

«Ehi, calmatevi. L'apparenza inganna! Il fatto di avere voti alti non significa mica che io sia cambiato all'improvviso! Sono sempre io! Sono sempre il vostro batterista-clown-idiota preferito! Nonché l'unico! E poi anche tu non mi sembravi una da F, eppure...» disse Frank rivolto a me.

«Io nemmeno lo credevo...» dissi scoraggiata.

E così quel batterista-clown-idiota era il nostro tutor.

Mi sembrava così assurdo dover accettare una cosa simile!

Insomma... era sempre stato troppo folle, troppo per poter essere davvero il nostro insegnante!

«Beh, in ogni caso è perfetto, no?» intervenne Billie ripresosi dalla sorpresa. «Il nostro tutor è Tré, non cambierà assolutamente nulla allora. Da domani potremo provare come al solito. Non c'è bisogno di preoccuparsi!» sorrise rilassato.

«Ehm... veramente no.» interruppe i suoi sogni ad occhi aperti il batterista con una sfumatura di timore nella voce.

Una cosa l'avevo imparata anche io: contraddire BJ sulla musica era pericoloso.

«Come sarebbe a dire “no”?» chiese Billie con un'espressione piuttosto minacciosa.

«Sarebbe a dire che se tu prenderai un'altra F, toccherà prenderne una anche a me!» si lamentò.

«Capirai... Io ci vivo con le F.»

«Certo!» disse Frank alzando la voce con un tono lievemente più autoritario. «Tu sei convinto che il tuo futuro sia nella musica, però nella musica c'è solo una parte dei musicisti del pianeta. Hai mai pensato che potresti non arrivarci? Se dovessi fallire, cosa farai?» tentò di farlo ragionare il batterista.

«Stai insinuando che io non sia abbastanza capace?» chiese Billie irrigidendosi.

«No, puoi anche essere il migliore al mondo, BJ, ma spesso i migliori non vengono nemmeno presi in considerazione! Cazzo, lo sai meglio di me che è il mercato a governare tutto! Se non vendi abbastanza vieni cacciato via senza troppi complimenti. Puoi iniziare a fare quello che vuoi davvero solo quando oramai sei qualcuno, ma prima di quello sei solo merda per loro.»

I toni si stavano scaldando un po' troppo.

«E anche se ci arrivassi potrebbero passare anni. Spacciare canne non basterà. Cosa farai?» chiese Frank con una serietà che non gli avevo mai visto addosso.

Anche BJ aveva un'espressione perplessa, era... disorientato.

«Non saprei, non è necessario andare al college per lavorare.» ribatté Billie senza un minimo di interesse. Il suo tono di voce era sempre più pericoloso.

Eppure Frank non sembrava minimamente spaventato.

Continuò spavaldo.

«Certo, se ti accontenti di qualsiasi cosa.» disse provocatorio. «Io no, sinceramente non mi accontento. Non mi fraintendere: anche io do tutto il mio impegno con la musica, ma se dovessi fallire? Non posso rischiare di morire di fame.» parlò lentamente prendendosi una piccola pausa. «Io non proverò finché non sarò sicuro che prenderai quella fottuta C!» concluse con imperante serietà mista ad una punta di esasperazione. «Se vuoi provare senza batteria, fai pure.»

Lo fissai incredula.

La sua serietà... era troppa per lui!

Sul suo volto non c'era nulla che lasciasse pensare che stesse scherzando.

Che fine aveva fatto la sua solita allegria? In qualche modo avevo sempre saputo che in buona parte era calcolata, che non poteva essere naturale, eppure non me l'aspettavo.

Era come se una parte di me ci avesse sempre creduto fino in fondo, una parte di me molto superficiale ovviamente.

In qualche modo mi ci ero abituata e per questo per me era normale vederlo sempre così, impegnato a fare il bravo padroncino con il suo cane oppure a dire stupidaggini senza senso.

Nella mia testa era sempre stato un'idiota, una persona che non avrebbe mai combinato niente... e invece quel giorno avevo avuto un grande schiaffo morale.

Mi sentii in colpa per quello che avevo pensato di lui.

Non solo si era dimostrato essere una persona normale, ma per di più era anche uno dei migliori della scuola!

In effetti non capivo perché si era sempre comportato a quel modo, appunto, come un clown.

Il suo obiettivo era far ridere, ma perché?

Non lo capivo, avevo sempre pensato che il modo migliore per essere accettato dagli altri fosse essere seri, eppure sembrava che lui non la pensasse così.

Forse non c'era neanche un vero motivo, forse gli piaceva semplicemente veder sorridere gli altri attorno a lui.

Scossi la testa per ritornare alla realtà.

In quel periodo mi perdevo un po' troppo nei miei pensieri... dovevo smetterla.

Billie non reagiva, continuava a fissare Frank senza proferire parola.

La sua espressione era furibonda.

«Senti, BJ, siamo tutti nella stessa barca: io te ed Alice. Per una volta navighiamo.» sospirò Frank cercando di convincerlo. «Il vento c'è, basta spiegare le vele e vedere dove arriveremo.»

A quelle parole mi sentii improvvisamente motivata.

Iniziavo ad apprezzare anche questo aspetto di Frank, in fin dei conti quel suo modo di fare non stonava per niente.

Non aveva senso scoraggiarsi così! Se avevo preso quella F era stato solo per colpa della mia stupidissima voglia di non studiare! Io non ero da F e lo avrei dimostrato!

E come aveva appena detto Frank, bastava spiegare le vele. Anche se il vento mi avesse portata in direzione diversa da quella che volevo, almeno potevo dire di essere arrivata da qualche parte.

«Sì, ha ragione. Purtroppo questa non è una faccenda che riguarda solo te, BJ. Diamoci dentro, ce la possiamo fare!» intervenni all'improvviso con entusiasmo interrompendo il silenzio.

«Brava cagnolina! Questo è lo spirito giusto!» sorrise Frank accarezzandomi la testa. «Ce la faremo! Basta crederci! E per ogni risposta esatta, in premio un biscottino!»

Ecco, ora lo riconoscevo.

E stranamente mi resi conto che per un attimo avevo temuto di perdere quella sua assurda idiozia.

Se fosse andata via, mi sarebbe mancata.

Strano da pensare, dato che avevo sempre pensato di non sopportarla, ma a quanto pareva apprezzavo entrambi i suoi modi di fare.

Billie mi guardò con uno sguardo penetrante, si perse un attimo, poi finalmente annunciò la sua decisione.

«E d'accordo... ma non aspettatevi troppo però! Lo faccio solo perché altrimenti vi metterei nei guai. E soprattutto niente biscottini!» cedette.

«Ma che c'entri tu? Non sei il mio cane! Io parlavo con Lyss!» sorrise Frank.

Non potei fare a meno di sorridere.

La F era stata una di quelle cose brutte, decisamente.

Ma tutto finisce.

Avrei sorriso ai momenti difficili prendendoli in contropiede e avrei riconquistato quello che meritavo.

Tutto sarebbe tornato alla normalità, poco alla volta.

Certo, almeno credevo.

Lo sai, non immaginavo nemmeno tutto quello che avrei dovuto sopportare prima di riuscire ad afferrare di nuovo quella luce.

_______________________Authoress' words

Questo capitolo l'ho scritto più o meno tre volte: non mi piaceva mai!

Comunque vi do una piccola avvertenza: finora abbiamo mantenuto un tono da commedia allegra piena di sclero con molte scene che andavano sul demenziale. Bene, immagino che dalle ultime righe si sia capito che invece da adesso in poi la storia diventerà un po' più seria. Non dico triste, perché non la classificherei come drammatica. Quindi non vi preoccupate, non vi farò piangere, non ci saranno cose strappalacrime eccetera eccetera.

Semplicemente più seria, quindi non spaventatevi! :D

Ora vado a studiare. :)

Visto? Vi voglio talmente tanto bene che, nonostante io sia più o meno nella stessa situazione scolastica di Billie, appena sveglia penso prima a pubblicare! :D

Sono due ore e mezza che sto davanti al PC! D: Ok, mi do una mossa! ^w^"

A domenica prossima, domenica in cui sarà finito il quadrimestre! *balletto della felicità*

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Capitolo 8
*** Al centro della Terra ***



20 settembre 1988


Mancavano solo dieci giorni al ritorno di mia madre.

Dieci giorni per recuperare una F.

Con l'aiuto di Frank.

Suonava decisamente demoralizzante.

Ma non importava. Non era il mio tutor a determinare il mio voto, né nessun altro.

Ero solo io che mi sarei impegnata con tutte le mie forze.

Certo... a dire il vero sembravo l'unica a pensarla così al 7-11.

Billie aveva promesso che avrebbe fatto qualcosa per cercare di migliorare, ma a guardarlo sembrava che volesse fare l'esatto contrario.

Se ne stava seduto sulla sua cartella accarezzando distrattamente le corde della sua chitarra con il libro di letteratura davanti.

«Stai capendo qualcosa?» chiese improvvisamente Frank.

«Credi sul serio che questa roba mi servirà?» rispose BJ.

Frank sospirò.

«Riguardo a cosa? Nella vita non ti servirà un cazzo di quello che studiamo a scuola, sono d'accordo, ma per recuperare una fottuta F ti servirà eccome!» lo riprese il batterista.

«Non ce la farò mai. Non ha senso sforzarsi così.» disse Billie che già aveva cambiato idea.

«Eh no! Te lo avrò detto duemila volte! Se fai così ci andrò di mezzo anche io! Che cazzo, BJ!» il batterista iniziò a perdere le staffe e in effetti come biasimarlo? Billie si comportava come un bambino che non vuole affrontare i propri problemi!

Frank tirò un sospiro cercando di non esplodere.

«Senti, nanerottolo malefico, puoi anche non prendere una A, ma almeno prova a fare quello che puoi!» perse le staffe definitivamente, pareva che lo sforzo fosse stato inutile.

Billie lo fissò con aria decisamente pericolosa, aprì la bocca per dire qualcosa ma lo interruppi giusto in tempo.

«E-ehi, calmatevi... il test è stato fissato per il 26, no? Abbiamo quasi una settimana intera!» cercai di fermare l'ennesimo litigio sul nascere.

Solo in quel giorno ne avevo visti almeno tre, e chissà quanti ce ne sarebbero stati ancora.

I due si fermarono all'istante dopo le mie parole.

«D'accordo... scusami, Alice.» disse BJ dopo qualche secondo.

«Ma perché chiedi scusa a lei?! Sono io che prendo una F se la prendi tu!» ricominciò a lamentarsi comicamente il solito, vecchio, idiota Frank.

Tirai un sospiro di sollievo. L'atmosfera era tornata leggera come al solito.

«Da cosa dobbiamo iniziare?» chiese Billie ignorando totalmente il batterista.

«Beh, è solo il Sogno di una Notte di Mezz'estate il problema per quel che mi riguarda...»

«Beh, se è solo un argomento ci metteremo anche meno di una settimana...» valutò Frank.

«Solo quello?» chiese BJ in un'espressione di ammirazione e stupore.

«Tu non apri libro da... tipo tre anni, vero?» chiese scoraggiato Frank. «Ma perché proprio a me doveva capitare?! Alice, fuggiamo insieme! Prendiamo un treno e scappiamo finché siamo in tempo!» iniziò un'interpretazione degna di una tragedia greca.

«Non hai abbastanza soldi per prendere un treno e scappare da qualche parte.» obiettò BJ.

«Alice ha abbastanza soldi per entrambi.» sorrise Frank.

«E lasciarmi da solo con Evelyn? Meglio studiare!» ammise BJ ridendo.

Era inutile anche solo rimanerci male: oramai lo sapevo che la rottura tra mio cugino e mia sorella era insanabile, mi ero abituata anche a quel genere di battute.

«Però, ti prego, risparmiami di doverti far fare anche il programma degli anni scorsi.» scosse la testa Frank.

«Lo sai, fosse per me ti risparmierei di farmi fare tutto.» rispose Billie stringendo gli occhi per leggere meglio il libro che aveva davanti.

«Anche io me lo risparmierei...» intervenni.

Entrambi mi guardarono.

«Da quando dici che non vuoi studiare, tu?» chiese Frank. «Stai diventando un cagnolino strano, lo sai?»

«Ehi! Guardate che a nessuno piace studiare! Anche i secchioni preferirebbero fare altro. Il fatto che mi impegni non significa che mi piaccia farlo!» dissi arrossendo.

Il semplice fatto di essere fissata da più di una persona contemporaneamente mi faceva sentire idiota e mi metteva in imbarazzo, dovevo sforzarmi troppo solo per trovare la forza di parlare.

«E poi non sono un cane!» trovai il coraggio di dire per la prima volta.

Billie e Frank si guardarono negli occhi.

«Non ci credo. Il mio cagnolino è nella sua fase di ribellione! Eppure indossa la medaglietta tutti i giorni...» ricominciò teatralmente Frank.

«Davvero, hai tutta la mia comprensione. Quando si ribellano è un brutto periodo per qualsiasi padrone... Devi sforzarti di comprenderla di più!» disse BJ tenendogli il gioco.

Sbuffai.

«Uff... Bau...»


Quel breve attimo di idiozia collettiva durò poco.

Non si sa come, Billie si decise a studiare.

Leggeva il libro ad alta voce e ogni tanto ripeteva alcune frasi giusto per chiedere se aveva capito bene, anche se continuava a lamentarsi più o meno ogni cinque minuti solo per ricordarci che se fosse stato per lui non lo avrebbe fatto.

Mi chiedevo davvero cosa tu avessi nella testa in quel momento, sai? Riuscivi a pensare solo alla musica, del resto non ti importava. Ne ero sicura: se ti avessero chiesto di scegliere tra il vivere bene e con molti soldi in un mondo senza musica e il morire all'istante... beh, avresti scelto la seconda.

Non lasciavi le corde di Blue neanche per un secondo, anche senza suonarla.

Per quel che riguardava me subito aprii il libro e notai con soddisfazione che quell'unico argomento che dovevo recuperare non era neanche troppo difficile.

Nulla era troppo difficile quando mi impegnavo e in quel momento ero decisa a far sparire quella F nel nulla, senza lasciar traccia.

Anche perché se mia madre fosse stata convocata e fosse tornata in anticipo la situazione sarebbe diventata piuttosto difficile da gestire e probabilmente sarebbe degenerata.


«In effetti è vero...» disse la voce di Frank distraendomi dalle pagine del libro.

«Cosa?» chiesi.

«Che la band deve cambiare nome in fretta.»

«State di nuovo pensando alla musica?!» chiesi in tono esasperato.

«Oh, dai Lyss! Sarò il vostro insegnante ma un attimo di pausa ogni tanto serve!» disse il batterista cercando di convincermi.

«Non credo proprio...» mormorai. «Quando interrompo, anche se solo per cinque minuti, non riesco ad andare avanti. Sentite, forse da domani dovrei provvedere da sola al mio studio.» dissi con tono severo.

BJ sbuffò.

«Cavoli, Alice, oggi sei proprio insopportabile...» disse sinceramente.

Eh no, anche questo no.

Stavo per rispondergli, ma improvvisamente mi bloccai.

Aveva ragione: stavo per dirgli qualcosa di impulsivo e poco carino, in effetti anche io mi sarei trovata insopportabile al suo posto.

… Volevo solo impegnarmi seriamente, cosa c'era di male? Nulla! E forse era proprio per questo che dovevo provvedere da sola, senza che nessuno mi distraesse.

Sospirai.

«... Mi dispiace.» abbassai lo sguardo.

«Non ti preoccupare Lyss, se hai qualche problema puoi anche continuare a casa per conto tuo.» mi disse con gentilezza Frank.

Da quando era il nostro tutor aveva mostrato un lato più serio e anche più maturo.

Dopotutto doveva obbligare uno come BJ a studiare!

E la cosa non mi dispiaceva affatto, cominciavo a capirlo meglio.

«Basta che ci leviamo questa cosa di torno il prima possibile.» disse Billie nervosamente.


22 settembre 1988


Erano tre giorni che me ne stavo chiusa in casa a studiare o al 7-11, sempre a studiare.

Stavo sempre sotto i libri e avevo qualche attimo di pausa solo nel sonno.

No, nemmeno, perché oramai anche di notte sognavo gli argomenti studiati.

Però questo mi gratificava: significava che quelle cose erano entrate nella mia testa e non ne sarebbero uscite tanto facilmente.

Ma almeno mancava poco, solo due pagine e avrei terminato tutto quello che c'era sul libro su quel dannato Sogno di una Notte di Mezza Estate.

Due pagine da ripetere per l'ultima volta e poi avrei concluso quell'agonia.

Pochi secondi.

Tre...

Due...

Uno...

«Fine!» esclamai esausta.

Guardai l'orologio, l'1:00.

Evelyn mi guardò perplessa da dentro alle coperte.

«Cos'è quest'entusiasmo? È notte fonda...»

«Ho finito di studiare! Da adesso fino al test mi basterà solo ripetere ogni tanto!» sorrisi come se avessi appena compiuto l'impresa più difficile al mondo.

Beh, in effetti per me era così... no?

E ci avevo messo solo tre giorni!


23 settembre 1988


«Ehi, ciao! È da un po' che non ci si vede!» mi salutò una voce familiare.

«Oh! Ciao Al!» salutai Al Sobrante all'inizio della quarta ora di quel giorno. «A dire il vero ci vediamo tutti i giorni a quest'ora.» obiettai.

«Già, ma non ci siamo mai detti molto. Ho sentito che sei finita nei guai con la Harris, eh?»

«Purtroppo sì...»

«Non ti preoccupare. Quella è mezza schizzata. Sarebbe capace di mettere F davvero a chiunque senza neanche dare spiegazioni. Però ai recuperi in genere è più morbida. Ci guadagna solo ad esserlo. Fa vedere al preside che è in grado di far recuperare gli studenti e ci guadagna paga extra.» mi spiegò rassicurandomi.

«Non ho paura: ho studiato davvero tanto per finire quelle pagine il prima possibile.»

«Davvero? Come mai? Non era meglio dividersele e farne un po' ogni giorno?» mi chiese incuriosito dal mio metodo.

«Beh... Non credo che avrei mai sopportato l'idea di uscire di casa con l'ansia di avere ancora da studiare. No, meglio così. Sono passati solo due giorni ma mi mancano un po'...»

«Cosa?» mi chiese.

«Sai... non so come spiegarlo... quelle giornate, insomma. Quelle passate con i miei amici, quelle in cui si dicono un sacco di stupidaggini così. Senza motivo.»

«Quelle sono le canne.» rise Al.

«Sì, esatto! Quando il fumo è talmente tanto che anche il cielo sembra verde! Come un giorno verde!» dissi vedendo chiaramente l'immagine di quel cielo smeraldino nella mia testa. Ero talmente entusiasta quel giorno... mi potevo permettere anche qualche piccolo delirio!

«Un... giorno verde hai detto?» mi chiese lui perplesso.

«Sì.» annuii.

«Ma sei un genio!» quasi gridò entusiasta.

«Ehm... perché?»


«BJ! BJ!» vidi Al correre incontro a mio cugino in mensa.

Stavo finendo di prendere il cibo, osservavo la scena poco più in là.

«Cos'è questa fretta?» chiese Billie, nervoso.

«Ho un nome fantastico per la band!» disse il batterista.

«Un nome?» chiese Mike improvvisamente interessato.

«Sì. Che ne dici di Green Day?» scandì con entusiasmo Al.

«... Green Day?» chiese Vyol.

«Ti riferisci alle canne per caso?» chiese Frank ridendo.

«Cazzo, ma è fantastico!» esclamò Billie entusiasta.

Inizialmente non capivo bene perché quel nome piacesse tanto.

E poi tecnicamente l'avevo anche inventato io...

Ci pensai.

Effettivamente era facile da ricordare e saltava all'occhio. Era uno di quei nomi destinati al successo.

Decisamente più di Sweet Children.

«Cazzo, è bellissimo!» sobbalzò Vyol.

«Infatti sì! Trasmette... energia! E ci rappresenta in pieno!» sorrise Mike.

«In effetti vi starebbe proprio bene.» intervenni avvicinandomi al tavolo.

«Ehi cagnolina!» sorrise Frank vedendomi. «Oggi tua sorella mi ha detto che hai già finito con lo studio!»

«Hai delle ore in comune con mia sorella?» chiesi perplessa.

«Sì! L'ora di storia! A dire il vero di solito non ci parliamo, ma oggi le ho chiesto come stava andando.» sorrise. «Il tuo padroncino è orgoglioso di te!» mi accarezzò la testa mentre mi sedevo.


«Questa roba è totalmente senza senso.» sbuffò Billie lasciando cadere il libro di letteratura nel 7-11.

Ero andata insieme a loro per vedere come procedeva il recupero e anche per dare una mano se ce ne fosse stato bisogno.

Già, ma sembrava che le cose non andassero proprio nella direzione giusta...

«Come sarebbe a dire “Cosa vuole esprimere l'autore dicendo che il cielo era blu”?! Voleva dire che il fottuto cielo era blu! Che cazzo di risposta dovrei dare?!» obiettò prepotentemente.

Frank sospirò.

«Hai ragione... ma ci sono delle metafore nascoste...» iniziai a dire.

«Le metafore se le sono inventate gli autori del fottuto libro!» mi interruppe.

«Calmati BJ. Cos'hai? In questo periodo sei... te la prendi persino con Lyss!» mi difese Frank.

«Oh, scusami. Mi dispiace tanto.» disse sarcasticamente mio cugino. «Dimenticavo che essendo una ragazza con te devo comportarmi in maniera diversa, non è vero?»

«Non è questo, idiota! Sei sempre nervoso e ti arrabbi anche con chi non ha fatto nulla! Cos'è? Tidà fastidio solo la sua presenza?»

Improvvisamente mi sentii tesa, come se fossi stata in pericolo.

Diamine, era vero. L'avevo notato anch'io e questa cosa mi faceva stare male.

Billie era decisamente nervoso in quel periodo e spesso scaricava le sue crisi di nervi su di me come in quel momento.

Non ne capivo il perché, dato che altre volte faceva l'esatto contrario, ovvero cercava di rassicurarmi se ero giù di morale, come se avesse voluto aiutarmi, appunto.

Era totalmente senza senso.

Possibile che fosse lo studio a ridurlo così?

Si stava impegnando, lo vedevo, ma sembrava che proprio non riuscisse a fare di più.

«Ti manca così tanto provare?» chiesi timidamente.

Lui mi fissò con uno sguardo... quasi con odio.

«Mi sembra ovvio.» disse acidamente.

«BJ. Invece di perdere tempo ti conviene continuare a cercare di capire perché il fottuto cielo era blu, d'accordo?» si innervosì anche Frank.

«D'accordo, d'accordo. Come vuole, sua maestà.» sbuffò mio cugino riprendendo in mano il libro.

Diamine, era una situazione che stava diventando insostenibile.

Volevo solo capire perché, Billie, non era chiedere troppo.


24 settembre 1988


«Finalmente sabato... Quel rompiscatole di Tré almeno oggi non mi frantumerà i coglioni.» esordì molto finemente mio cugino quella mattina.

«Immagino che non suoniate questo sabato, vero?» gli chiesi mentre facevamo colazione.

«No.» rispose acidamente. «Oggi mi vedo con Al. Pare che stia andando meglio ultimamente, almeno può permettersi di uscire. E ricomincerà a suonare con noi.»

«Oh, è fantastico! Finalmente tornerà a essere uno dei vostri!» sorrisi. «Intendo, la band tornerà al completo!»

«Già. Almeno.» rispose mio cugino senza alcun entusiasmo.

Silenzio.

«Senti Billie... volevo chiederti una cosa da un po' di giorni.» dissi prendendo un po' di coraggio.

«Cosa?»

«P-Perché ultimamente ti comporti come se mi odiassi?» chiesi imbarazzata.

Lo vidi fissarmi perplesso a quella domanda.

«I-Intendo dire... sembri sempre nervoso, non capisco... non credo che sia solo lo studio a farti questo effetto... Almeno credo!» ma possibile che bastava quello sguardo a mandarmi in panico totale?

Lui scoppiò a ridere, ma la sua sembrava una risata forzata.

«Ma io non ti odio! Hahaha! Figuriamoci, e come potrei?»

Non capivo, non riuscivo a credergli.

«Scusami, non credevo che sembrasse così. Sto solo un po' rotto di palle ultimamente, tutto qui. Anzi, ti va di venire con me e Al? Viene anche Mike.»

...

Restava il mistero.


Era la prima volta che uscivo con loro senza Vyol e Frank.

Quella sembrava essere a tutti gli effetti una riunione di band.

Al era in ritardo, così io, Billie e Mike ce ne stavamo ad aspettare a Christie Road.

Quel posto faceva sentire protetti come pochi, era incredibile! Solo il 7-11 gli poteva fare concorrenza.

Billie se ne stava seduto su una vecchia poltrona dentro a un piccolo porticato.

«Anche a te Al ha detto che aveva qualcosa di importante da dirti?» chiese mio cugino a Mike.

«Qualcosa di importante? No. Mi ha detto solo che oggi dovevamo vederci qui.»

«Bah... quello è tutto strano.» mormorò Billie.

«Si sarà fatto qualcosa come al solito prima di chiamarci.» rise Mike.

«O è in crisi d'astinenza da noi.» rise a sua volta BJ.

«Eccomi!» disse una voce ansimante. Al era all'ingresso della strada, doveva aver corso.

«Che fine avevi fatto?» chiese Mike.

«Niente di importante.» disse lui calmandosi e avvicinandosi.

Mi gettò uno sguardo fugace.

«Ciao Alice. Come mai anche tu qui?» non sembrava molto contento della mia presenza.

In effetti anche io mi sentivo un'intrusa in quel momento.

«Le ho chiesto io di venire. Comunque non perdiamo tempo e dicci tutto.» rispose Billie al posto mio.

Lo ringraziai mentalmente per non avermi lasciata a balbettare come un'idiota una risposta improbabile.

Al prese un grande respiro prima di iniziare a parlare.

«Ragazzi vi dovevo dire delle cose importanti...» disse con un tono di voce che lasciava intendere che io non dovevo assolutamente essere lì.

«Beh, diccele allora.» rispose Billie senza capire volutamente.

Al sospirò guardando Mike sperando in un qualche tipo di complicità, ma il bassista non disse nulla.

«Sentite... è difficile da dire.» iniziò.

«È così seria la faccenda?» chiese Mike.

«Qualsiasi cosa sia la devi dire. Che tu lo faccia adesso o dopo la devi dire comunque quindi datti una mossa.» disse Billie lievemente innervosito.

Ecco un'altra cosa che mio cugino non sopportava: le attese inutili.

«Beh... Sentite, per dirla breve credo che lascerò la band. Definitivamente.» disse troppo in fretta.

Un attimo di silenzio.

… Eh?

«Cosa?!» chiese Billie incredulo.

«Al, sei impazzito del tutto? Studiare ti fa male sul serio!» disse Mike sconvolto.

Anche io non potevo crederci.

«Perché?» chiesi.

«Calma, calma! Non adesso... intendo dire... quando finirà la scuola. Alla fine dell'anno prossimo insomma.» tentò di calmarli senza troppi risultati.

Non capivo che senso aveva prendere una decisione del genere con tanto anticipo.

«Perché?! Cazzo, perché? Vuoi avere una data di scadenza ora?!» chiese Billie iniziando a perdere le staffe.

«Ragazzi, dopo la scuola dovrò pensare al college... davvero, ci divertiamo, ma dove stiamo andando? Insomma...» Al sembrava veramente debole in quel momento.

«Sono stati i tuoi a mettertelo in testa, vero?» lo interruppe Mike.

Al abbassò lo sguardo sconfitto.

«Ragazzi, guardiamo la realtà. Perché dovremmo arrivare da qualche parte? Siamo solo tre dei tanti che ci provano. Non arriveremo mai a niente, non abbiamo i soldi, non abbiamo quello che vogliono le case discografiche.»

«Al, sei un perdente.» disse Billie con il disprezzo nella voce. «E non un perdente qualsiasi. Hai scelto di esserlo. Non posso credere che arrivi a questo pur di far contenti i tuoi fottuti genitori! A cosa ti sei ridotto?!»

BJ aveva perso decisamente le staffe.

Io me ne stavo inerme, non sapevo cosa fare e sinceramente mi sentivo fuori luogo.

E poi una piccola parte di me lo capiva. Io al posto di Al cosa avrei fatto?

Era facile pensare di ribellarsi, non era facile farlo. Dopotutto i genitori sono le uniche persone capaci di aiutarti davvero in caso di difficoltà.

Ma ovviamente Billie non la pensava così e neanche Mike.

La band prima di tutto.

«Al, non puoi fare quello che ti pare e suonare anche?» chiese Mike.

«Io vorrei andare al college dopo la scuola... non ce la farei.» disse il batterista con un filo di voce.

«Fantastico. Quindi adesso abbiamo un solo fottutissimo anno di tempo?! Abbiamo anche la data di scadenza? Sai che me ne faccio di un solo fottuto anno?» ricominciò Billie infuriato. Sembrava fosse pronto ad ammazzarlo sul posto.

«BJ adesso basta! Le cose stanno così, smettila di fare i capricci come un bimbo!» trovò la forza di reagire il batterista tentando di provocarlo.

«Non posso credere che tu abbia anche il coraggio di criticare! Cazzo, Al! Ci hai delusi. Molto.» si schierò Mike.

Il batterista non poteva sopportare altro.

Sgranò gli occhi infuriato.

«Bene. Vi ho delusi? Allora, scusate il disturbo. È stato un piacere.» si voltò iniziando ad andarsene. «E se proprio volete continuare a suonare per tutta la vita senza un soldo e senza fregarvene del vostro futuro chiedete a quell'idiota di Tré. Sicuramente ne sarebbe entusiasta.» concluse andandosene.


26 settembre 1988


In quei giorni Billie era stato ancora più intrattabile e stavolta non potevo proprio avere nulla da ridire.

Era ovvio che stesse così dopo quello che era successo con Al.

Certo, continuavo ad avere il sospetto che ci fosse qualcos'altro sotto, considerando che in effetti stava così da ancora prima di avere quella notizia, ma in ogni caso non potevo permettere ai miei pensieri di condizionarmi.

Quello era il giorno del test.

Si sarebbe svolto di pomeriggio in orario extra-scolastico.

La professoressa ci consegnò dei fogli nell'aula gelida, domande a risposta multipla.

Scrissi il mio nome rapidamente sulla carta leggermente macchiata dalla fotocopiatrice e lessi le prime tre domande.

Al aveva ragione, alcune erano fin troppo facili. Certo, a volte contenevano dei trabocchetti, ma per capirlo bastava solo leggerle con attenzione più di una volta.

E così a fine giornata ero stanca, ma sicurissima di aver fatto del mio meglio.

«Come è andata?» chiesi a mio cugino uscendo da scuola.

BJ non rispondeva, aveva un'aria decisamente distratta.

«Billie?» lo chiamai.

«Che c'è?» mi chiese ritornando alla realtà, con aria decisamente innervosita.

«Ti ho chiesto come è andata...»

Rispose solo con una scrollata di spalle.

«Non ne ho idea.»

Arrivati ai cancelli della scuola mi avviai per andare verso la fermata dell'autobus che ci avrebbe riportati a Berkeley da Pinhole Valley, dove si trovava il liceo pubblico più vicino a casa, ma lo vidi indugiare.

«Tutto bene?»

«Senti Alice... devo vedermi con Mike qui per andare alle prove. Dobbiamo riprendere con Al e con quello che è successo non ne ho neanche voglia, quindi oggi vai a casa da sola.»

«Alle prove? Non posso venire come al solito?» gli chiesi perplessa.

«Hai promesso ad Evelyn che saresti tornata subito dopo il test, no?» mi chiese alzando un sopracciglio.

«È vero...» ricordai.

Mi stava evitando, era evidente... normalmente mi avrebbe detto di fregarmene di mia sorella e invece adesso stava addirittura cercando una scusa per allontanarmi!

… Mi venne quasi voglia di piangere.

«Allora a domani...» lo salutai rattristata.

Mi stavi nascondendo qualcosa, ne ero sicurissima.

Ero timida, impacciata, maldestra... ma non così tanto stupida da non capirlo.

Cadde qualche goccia di pioggia.

Sospirai.

E intanto settembre stava finendo.

___________________________________Authoress' words

Buonpomeriggio! Ci ho messo un sacco a fare questo capitolo, sarà che ho un sonno bestiale... Voglio dormireeeee! >.<

Comunque, gente, oggi è il Giorno della Memoria!

Avete mai letto la poesia "Se questo è un uomo"? A me personalmente piace molto, mi sembra un ottimo modo per ricordare. :)

Never forget.

Even if it's painful.

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Capitolo 9
*** Voglio solo vedere la luce! ***



26 settembre 1988


Il pullman quel giorno era affollatissimo per via del maltempo.

Sospirai guardando la pioggia battente fuori dal finestrino.

In quei giorni tutto era strano.

Intorno a me sentivo che qualcosa stava andando per il verso sbagliato, ma allo stesso tempo sentivo che questa cosa non poteva essere controllata da me.

Ero impotente, ininfluente e inutile.

Servivo solo a far divertire un po' gli altri come un cagnolino.

Diamine, Frank aveva ragione.

L'autobus si fermò alla mia fermata, Berkeley.

Scesi a passo lento, gettai un'occhiata fugace al cielo ingrigito.

Non sapevo neanche io bene perché, ma guardare il cielo mi metteva sempre di buon'umore, anche quando era nuvoloso.

Era semplicemente bello.

Senza neanche rendermene conto sorrisi e cominciai ad andare verso casa con passo più energico.

Socchiusi gli occhi e inspirai profondamente.

Andava decisamente meglio.

Era il momento perfetto per ascoltare della musica, così aprii una tasca della mia cartella, tirai fuori il walkman che avevo ricevuto per il mio compleanno e ne indossai le cuffiette.

Stavo per premere il tasto “play” quando vidi qualcosa che attirò la mia attenzione: dall'altro lato della strada, proprio di fronte a me, Mike e Vyol passeggiavano tranquillamente spensierati.

Rimasi un attimo perplessa.

Cosa ci faceva Mike lì? Billie mi aveva detto che dovevano provare! E invece il bassista se ne stava lì a passeggiare come se... come se non ci fosse stata alcuna prova in programma!

Iniziai a correre per cercare di raggiungerlo, attraversai la strada velocemente da incosciente.

«Mike!» lo chiamai, lui si fermò.

«Alice! Perché stai correndo così?» mi chiese notando il mio affanno.

«Cosa stai facendo qui?» gli chiesi riprendendo fiato.

«Niente... stavo solo facendo due passi con Vyol...» mi rispose perplesso.

«Tutto bene?» chiese Vyol preoccupata.

«Ti sei dimenticato delle prove!» gli dissi, ma il mio tono era piuttosto insicuro.

I due si scambiarono uno sguardo, poi Vyol mi guardò perplessa.

«Oggi non c'erano prove... A proposito... dov'è Billie?»


Non potevo crederci! Non aveva senso!

Perché Billie mi mentiva a quel modo?

Se voleva stare da solo poteva anche dirmelo, non c'era bisogno di arrivare a tanto!

Non sapevo come sentirmi, se arrabbiata o preoccupata.

Sì, perché anche se mi aveva mentito a quel modo doveva esserci un motivo, mi rifiutavo di credere il contrario.

Avevo raccontato quello che era successo a Vyol e Mike.

Entrambi erano preoccupati.

Mike non aveva idea di cosa potesse star succedendo e nemmeno Vyol.

«Cazzo, dobbiamo andare a cercarlo! Potrebbe essergli successo qualcosa!» si allarmò lei.

«Vyol, non esagerare, dai. Non siamo in un film. Probabilmente non gli è successo proprio niente.» tentò di rassicurarla Mike.

«Ok, ma io voglio andare a cercarlo, almeno per chiedergli spiegazioni. Ultimamente è davvero strano e poi ha mentito gratuitamente ad Alice! Non è da lui!» disse la ragazza afferrandomi il polso e trascinandomi verso la fermata del bus.


«Quel nano idiota.» mormorò durante il tragitto.

«È da un po' che si comporta in maniera strana... ho paura che possa essere nei guai.» dissi con l'amaro in bocca.

Non riuscivo a parlare normalmente, mi sentivo troppo triste per come stavano andando le cose.

Mi evitava, ma io non sapevo di avergli fatto qualcosa di male... eppure qualcosa doveva essere successo! Ma cosa potevo farci? E se il suo comportamento fosse stato scatenato non da me? Non potevo farci niente, quella prospettiva era anche peggiore!

«Appena lo trovo lo ammazzo!» esplose lei.

«Calma... sicuramente ha avuto qualche ragione per fare così...» dissi senza alcuna convinzione.

Lei mi guardò, fissò il suo sguardo nel mio con indignazione.

«Cazzo, Alice! Ti ha detto una palla clamorosa e neanche ti arrabbi?!»

«... Il semplice fatto che non lo insulti non significa che non mi sia arrabbiata... Certo che lo sono, ma prima voglio capire cosa sta succedendo, prima di trarre ogni conclusione.» anche se a dire il vero più che arrabbiata mi sentivo... depressa.

Io ero un essere umano.

Volevo solo non sbagliare, volevo solo capire.

Se solo tu avessi parlato allora! Mi avresti risparmiato un bel po' di guai, sai?

Ma... a pensarci bene se tutte quelle cose non fossero successe... cosa sarei io adesso?

Ne sono successi di guai per colpa di una stupida F, vero? E in effetti non posso neanche dire di essermene pentita.

Alla fine sono felice di aver vissuto tutti quei problemi, uno per uno.

Mi hanno resa quella che sono.

Anzi, ci hanno permesso di essere quello che siamo.

Le esperienze sono sempre esperienze.

Belle o brutte che siano.

L'autobus si arrestò con uno scossone.

«Andiamo.» disse Vyol alzandosi all'istante.


Era passata almeno un'ora, oramai mi sentivo stanca e demotivata.

Avevamo vagato a caso per tutte le strade intorno alla scuola di Pinhole.

«Diamine! Dove cazzo ti sei cacciato, nano malefico?» chiese Vyol in un lamento.

«Non lo troveremo mai.» mormorai. «È da un'ora che lo cerchiamo, è inutile. Magari non gli è successo proprio niente e stiamo solo esagerando.» mi scoraggiai sentendomi idiota.

Non era successo niente, Mike aveva ragione.

Perché mi ero agitata tanto?

Era una stupida bugia, niente di più.

Nessuno ci avrebbe sofferto quindi che importava?

Quell'atmosfera di quei giorni mi stava uccidendo lentamente...

Vyol annuì.


«B-Billie!» rimasi spiazzata vedendolo nel soggiorno.

Mio cugino era tranquillamente stravaccato sul divano con un occhio pesto, gli abiti sporchi di qualcosa che somigliava a fango e tutta l'aria di essere appena stato picchiato.

«Che c'è?» mi chiese guardandomi nervosamente.

«Che ti è successo?»

«Non si vede?» disse acidamente.

Quel modo di fare nei miei confronti era insopportabile.

«È molto semplice: posso sopportare tutto, ma non che mi si tocchi mio padre. E quel bastardo lo ha fatto. Non mi sembra difficile. Esattamente come quel verme che vive in casa mia.» ringhiò furibondo mio cugino.

«Chi è “quel bastardo”?» chiesi perplessa.

«Un tipo del club di football, un certo Tyler mi sembra.»

Eh?!

«Il ragazzo di Evelyn?» chiesi sconvolta.

«Non saprei.» rispose lui alzando le spalle.

Come avrei dovuto reagire?

Tutta quella storia era semplicemente assurda! Non aveva senso!

Però... non potevo neanche arrabbiarmi.

Dannazione, come avrei reagito io se avessero toccato mio padre? Anche il mio era morto dopotutto.

Ricordai delle parole di mia madre, l'imperativo di non avere niente a che fare con i miei cugini, Billie soprattutto.

Mi sentii quasi di soffocare.

Perché proprio con Tyler?

E soprattutto, perché proprio in quel momento doveva succedere una cosa del genere?!

Era il 26 settembre, dopo solo quattro giorni mia madre sarebbe tornata.

Cosa sarebbe successo? Billie dove sarebbe andato?


27 settembre 1988


Non sapevo bene perché, ma quella mattina a scuola avevo la sensazione che qualcosa non andasse. Mi sentivo quasi... osservata? Persone che non mi avevano mai rivolto la parola avevano iniziato ad avvicinarmisi parlandomi, facendomi domande.

«Sei piuttosto agitata oggi.» iniziò mio cugino osservandomi.

Sembrava che stesse gradualmente tornando a considerarmi come un essere umano dotato di sentimenti quel giorno.

La sera precedente, dopo cena, aveva ripreso a parlarmi quasi come prima. Mi aveva raccontato di preciso cosa era successo.

Tyler era stato molto pesante. Per ridere un po' con i suoi amici aveva detto a Billie che suo padre probabilmente si era suicidato intuendo che merda sarebbe diventato il figlio. E poi si era corretto dicendo che non era possibile che un poveraccio come un camionista potesse nutrire troppe speranze per il figlio.

Nonostante non fossero indirizzate a me, quelle parole mi fecero male come una pugnalata nello stomaco.

Come poteva una persona essere così meschina, come?

«Non saprei... ho la sensazione di essere osservata...» gli risposi a bassa voce come se avessi avuto paura che qualcuno mi stesse ascoltando.

Non sapevo neanche io perché, ma mi sentivo come se ogni mio piccolo gesto potesse essere registrato da qualcun altro e usato contro di me.

«E allora? Che ti osservino pure, non stai facendo niente di illegale.»

Era vero, ma non ci riuscivo così razionalmente.

«D'accordo, cercherò di ignorare questa sensazione.» cercai di rilassarmi. Almeno ci potevo provare.

Non stavo facendo niente di sbagliato, anche se fossi stata osservata davvero non avevo bisogno di nascondere niente.

Eppure non mi era mai successo prima e forse era questa la cosa che mi inquietava di più... dopotutto non ero mai stata troppo suggestionabile e quell'atmosfera mi faceva solo temere che qualcosa sarebbe successo.


Quella sensazione mi stava uccidendo.

Non ero riuscita ad eliminarla neanche durante la lezione.

Camminando nei corridoi della scuola sentivo le persone pronunciare il mio nome.

Stava diventando un'ossessione, era solo una stupida sensazione, non poteva condizionarmi così tanto!

Dovevo solo calmarmi.

Non era vero niente, niente di niente.

Eppure le mie orecchie non ne volevano sapere, continuavano a percepire suoni che assomigliavano preoccupantemente al mio nome e cognome.

«Ehi, Alice!» mi salutò Mike amichevole nell'aula di storia dell'arte.

«Ciao Mike.» salutai a mia volta.

«Ehi, che cos'è quella faccia?» mi chiese notando la mia espressione preoccupata.

«Nulla, ho solo... una sgradevole sensazione.»

«Cioè?»

«Non lo so! Mi sento osservata, come se tutti parlassero di me!» dissi nervosamente.

«Sai, oggi ho anche io questa sensazione.» mi confessò.

«Davvero? Perché dovrebbero osservarci secondo te?» chiesi fissando il vuoto.

«Dovresti saperlo meglio di me. Tyler, no? Il capitano del club di football viene picchiato da un punk. È la prima volta che succede una cosa del genere.» disse illuminandomi.

Cavoli, era vero! Era quello il motivo!

«Alla fine voi e quelli “cool” vi siete sempre scontrati solo a parole.» realizzai. «Ma io cosa c'entro?»

«Ti fai vedere sempre con noi in giro, anche se non sei propriamente punk sei nostra amica.»

Ah, perfetto. Quindi la cosa valeva anche per me.

Almeno non ero sola.

«Mal comune mezzo gaudio.» sospirai.

Bene.
Le cose andavano sempre peggio.

Dovevo solo sperare di non incrociare tentativi di vendetta.


«Ehi, tu.» disse una ragazza con un volto familiare.

«Sì?» chiesi.

«Tu sei la cugina di Two-Dollar Bill, vero?» mi chiese incrociando le braccia, sollevando un po' un generoso décolleté messo in mossa da una altrettanto generosa scollatura.

Annuii.

«Ha! Chi ti credi di essere, stronzetta?» rise avvicinandomisi.

«Eh? Io? N-nessuno!» indietreggiai perplessa da quella reazione repentina.

«Sì, come no. Prima fate tanto i re degli sfigati, adesso vi permettete pure di avvicinarvi a noi. Il tuo cuginetto ha osato avvicinarsi al capitano! E sai una cosa divertente? Two-Dollar Bill le ha prese di brutto!»

Doveva essere una cheerleader.

«Voi non dovreste neanche respirare la nostra stessa aria, capito?» continuò.

Cosa?

Perché? Che senso avevano quelle parole?

«No, non capisco.» dissi sinceramente.

«Oh, cos'è che capisci allora? Eh? La lingua del dolore la capisci?» chiese afferrandomi i capelli e tirandomeli con forza.

Caddi a terra rovinosamente, ma lei continuava a tenere i miei ricci nella sua mano.

Diamine, faceva troppo male...

«Ahi! L-lasciami! Cosa vuoi che faccia?» chiesi sentendomi gli occhi bagnati di lacrime.

«Voglio che tu ti senta umiliata davanti a tutti.»

«Lo sono.» dissi lasciando scendere qualche lacrima.

Sentii qualche risata fredda come il ghiaccio intorno a me.

Ero ridicola.

«Hahaha! Lo sei! Lo sei! Bene, piccoletta, questo era solo un avvertimento. Se ci tieni tanto a non farti male ti conviene convincere i tuoi amichetti a non fare più niente, altrimenti ne riparleremo.» sorrise allontanandosi soddisfatta.

Ero sconvolta.

Non volevo tornare in classe, volevo andare a casa. Non avevo il coraggio di concentrarmi sulle lezioni.

Non ero arrabbiata con Billie, no.

Quello che stava succedendo mi stava facendo capire sempre di più che aveva ragione. Quelle persone erano... erano loro a non meritare di respirare la nostra stessa aria.

Erano loro che erano in torto!

Erano loro quelli pericolosi!

Erano loro quelli con cui non volevo avere nulla a che fare, e mai lo avrei fatto!

Stavo respirando affannosamente sul pavimento, la gente intorno a me che non se ne importava... chiedevo aiuto con gli occhi, ma nessuno aveva il coraggio di guardarmi.

Dovevo calmarmi, inspirai profondamente.

Dovevo rialzarmi da sola.

Uno... Due... Tre respiri.

Appoggiai le mani a terra, diedi una spinta e barcollando un po' mi rimisi in piedi.

Socchiusi gli occhi.

Sospirai, poi li riaprii.

Era passato, non dovevo mettermi a piangere.

Stavo bene.


Arrivò l'ora di pranzo, nessuno aveva saputo quello che era successo.

Ero stata piuttosto brava a fingere che tutto andasse bene.

C'era una sola differenza in me.

Adesso quando guardavo una cheerleader sul mio volto compariva puro disprezzo.

Non potevo più sopportarle, non potevo più perdonarle.

Sì, ma oramai Evelyn era una di loro.

Non avrei mai potuto disprezzare mia sorella, ma lei non le avrebbe mai abbandonate.

Per lei erano le sue più grandi amiche.

E poi se anche le avesse mollate... cosa avrebbe avuto in cambio?

Mi faceva male ammetterlo, ma era la dura verità.

Io e Evelyn eravamo diverse. Non potevamo essere la stessa cosa.

Non potevamo stare con le stesse persone, non potevamo amare e odiare le stesse cose.

Niente rimane uguale, tutto cambia... ma perché così velocemente?

Mi sentii afferrare il polso con una stretta quasi dolorosa.

Mi voltai, mia sorella era davanti a me nel corridoio che portava alla mensa.

«Alice, devo parlarti.» mi disse con tono duro.

«Immagino.» risposi con gli occhi bassi.

Oh, sì, stavo solo aspettando che me lo dicesse.

«Cosa sta succedendo? Oggi ho litigato con Melissa. Stava parlando di te, diceva che è guerra aperta contro i punk. E poi... Billie ha picchiato Tyler! Cosa sta succedendo? Perché?»

«Billie...» ricordai le parole di mio cugino. «B-Billie aveva ragione...» dissi scoraggiata senza guardarla negli occhi.

«Alice, perché lo sostieni così? Lui non aveva ragione! Lui ha usato la violenza contro una persona che non gli aveva fatto niente di male.»

«Ha offeso pesantemente suo padre...» continuai a non guardarla.

«Non è abbastanza per scatenare una reazione del genere.» disse caparbiamente lei.

No, non capiva.

Non poteva continuare così.

«Devi dirmi chiaramente cosa pensi, Alice. Non devi difenderlo solo perché gli vuoi bene. Cosa ti sta succedendo?»

Aveva ragione.

Dovevo dirle chiaramente cosa pensavo.

Per quanto male le potesse fare.

La guardai negli occhi.

«Vuoi sapere cosa penso? Beh... Sono io a chiedertelo, Evelyn! Cosa sta succendo?» mi ripresi totalmente. Non potevo sopportare oltre, mi sentivo infuocata.

«Cosa vuoi dire?»

«Che sono i tuoi amici a star creando scompiglio. Perché?»

«È stato quell'idiota di nostro cugino a toccare il mio ragazzo a dire il vero!» alzò il tono lei.

«Tyler ha toccato suo padre, Evelyn. Perché l'ha fatto?» chiesi infuriata.

Era la prima volta che mi rivolgevo così a mia sorella, cosa mi stava prendendo?

«E quindi? Alice, stai impazzendo? Non ti ho mai vista così!»

«Evelyn, non capisci?! Come ti sentiresti se insultassero nostro padre?!» chiesi alzando anche io il tono di voce.

«Me ne fregherei! Alice, diamine, è morto!» urlò.

Rimasi paralizzata.

Erano parole dure e fredde come il ghiaccio.

Anche lei si fermò, iniziò a respirare affannosamente.

Vidi i suoi occhi farsi lucidi.

«V-veniva da una famiglia assurda... e anche lui era assurdo. Non stiamo bene solo con mamma? Che senso ha picchiare qualcuno per difendere la dignità di un morto?» disse.

Non capivo bene perché, ma si mise a piangere.

Non disse nient'altro, dopo qualche secondo si allontanò.

Sembrava spaventata dalla mia reazione.

No, lei sbagliava.

Evelyn si stava sbagliando!

Non era la dignità di un morto quella che doveva essere difesa, ma era semplicemente un ricordo.

I ricordi sono preziosi e se qualcuno tenta di contaminarli deve essere fermato.

Io non avrei mai lasciato che qualcuno forzasse i miei.

No, e nemmeno Billie.

Finalmente avevo capito.

Non ero triste per il litigio con Evelyn. Mi sentivo quasi... liberata.

Liberata?

Ero quasi felice di averle fatto del male, di averla fatta piangere.

Non lo capivo neanche io...

Era sbagliato, no? I miei pensieri erano “cattivi”, no?

Sì. Era sbagliato, ma... era una sensazione stupenda.

__________________Authoress' words

Cavolo, la storia sta prendendo una piega drammatica. o.o

Scusatemi! Non volevo che fosse così tanto triste, ma a quanto pare è più forte di me! Tutte le mie storie finiscono sempre così! Mi sento in colpa!

Vi autorizzo a picchiarmi però uno alla volta, se no mi faccio troppo male. u.u

Ringraziando al cielo il prossimo capitolo non sarà così triste, quindi resistete un altro po'!

Vedete, il punto è che era necessario che prima o poi succedesse qualcosa che facesse in modo che Alice spezzasse il suo legame morboso con Evelyn e considerando quanto sono legate quelle due non poteva essere qualcosa di futile, quindi sappiate che non poteva andare altrimenti.

Bye!

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Capitolo 10
*** Stavo solo sognando (Mike's special chapter) ***


27 settembre 1988


La porta del bar in cui mi trovavo tintinnò aprendosi.

Gettai un'occhiata, ma la persona che era appena entrata non era quella che aspettavo.

Quella mattina a scuola Alice mi aveva chiesto di vederci. Sinceramente non sapevo il perché di quella richiesta, né perché volesse parlare proprio con me, ma non importava.

Me ne stavo tranquillamente seduto a un tavolino di legno leggermente illuminato da alcune lampade di un colore giallastro quando una folata di vento e un altro scampanellio mi spinsero a voltarmi di nuovo.

Alice mi corse incontro di fretta.

«Ciao Mike, scusami per il ritardo!» disse sedendosi di fronte a me con un po' di fiatone.

«Non c'è bisogno che ti scusi.» le sorrisi. Era incredibile come nonostante fossimo amici continuava a usare tutti quei convenevoli, come se fossimo due sconosciuti.

Alice si sedette frettolosamente, sembrava piuttosto imbranata in quel momento.

«Di cosa volevi parlarmi?» le chiesi non appena si fu sistemata.

Lei sospirò rumorosamente, ancora col fiatone.

«Di tutto. Ho bisogno di mettere ordine perché ho una gran confusione in testa.» disse scuotendo i capelli. «Scusami per averlo chiesto proprio a te, immagino che sia piuttosto noioso...» disse imbarazzata.

«Dipende da come la metti, se ti impegni puoi anche farne un bel romanzo.» la feci ridere.

«Allora mi impegnerò, promesso.»

Mettere ordine...

In che senso?

Speravo che non volesse chiedermi...

«Partiamo dal comportamento di BJ ultimamente.»

Ecco.

Perché proprio quello?

«In che senso?» chiesi fingendo ingenuità.

«Nel senso che... non hai la sensazione che ultimamente sia strano? Insomma, ho la sensazione che mi stia quasi... come dire... evitando! Sembra che a momenti mi odi addirittura! Non capisco. Tu sei il suo migliore amico, secondo te perché lo fa?» chiese sperando in una mia risposta sincera.

Sincera? Avrei voluto, ma non potevo.

«Tu dici? Sai, forse è semplicemente un brutto periodo. Magari è solo nervoso. Ha dovuto studiare molto e non ha neanche potuto suonare. Sai, di solito la musica fa scaricare i nervi.» cercai di mentirle.

Alice si fermò un attimo a pensare alle mie parole, poi il suo sguardo si fece triste.

«Pensi che sia bastato così poco a farlo diventare così intrattabile?» mi chiese scoraggiata. «Da un lato sono felice che non gli sia successo niente di grave, però mi sembra davvero strano.»

Era troppo sospettosa.

«Io non ci sprecherei troppe energie.» dissi con indifferenza.

«Anche quello che ha combinato con Tyler... sembra che non abbia pensato minimamente alle conseguenze di quello che ha fatto.» continuò imperterrita ignorandomi.

Per la prima volta capivo cosa significava la frase “una ragazza quando inizia a pensare è inarrestabile”.

«Credo che avrei reagito allo stesso modo. Immagino ti abbia raccontato cosa gli ha detto Tyler...» lo difesi.

«Sì. Anche io.» annuì lei. «Su questo non ci sono dubbi. Tyler è stato spregevole. Non pensavo che il ragazzo di mia sorella fosse capace di fare una cosa simile solo per apparire figo agli occhi dei suoi amici.»

«Allora di quali conseguenze parli?» le chiesi incuriosito.

«Beh, ad esempio adesso i cool ci perseguiteranno, immagino. Non sarà divertente anche perché sono la maggioranza.» abbassò lo sguardo.

«Perseguitare... al massimo diranno qualche cosa sul nostro conto e in ogni caso essere la minoranza è un onore.» puntualizzai.

«Non credo che si tratti solo di qualche parola...» disse lei continuando a non guardarmi. Ero sicuro di averla vista arrossire leggermente.

«Cosa intendi dire?»

«Beh... ecco... sai, sono sicura che non esiterebbero a vendicarsi in qualche modo. Magari usando la violenza...» parlava in maniera molto vaga, ma ero sicuro che alludesse a qualcosa di preciso.

«Ti hanno fatto qualcosa?» le chiesi iniziando a preoccuparmi.

Lei mi guardò, sgranò gli occhi arrossendo.

«N-no! Figurati! Cioè, diciamo che sono stata trattata un po' male da una cheerleader, mi ha fatto un po' male, ma non si può dire che mi abbia picchiata...»

«Cosa ti ha fatto?» chiesi preoccupato.

«Niente, ti ho detto. Mi ha tirato un po' i capelli e mi ha fatta cadere a terra, tutto qui. Più che altro mi ha umiliata pubblicamente minacciandomi, è questo che mi ha dato più fastidio.» commentò sempre più rossa in viso.

Cosa? Perché non l'aveva ancora detto a nessuno? Se lo avesse saputo BJ l'avrebbe uccisa!

E anche io ero preoccupato per lei! Dopotutto Alice sembrava così indifesa, così piccola...

...

Forse era proprio per questo che non aveva voluto parlarne, per evitare di scatenare una vera e propria guerra?

Doveva essere così: la cosa le bruciava, avrebbe voluto reagire, ma era semplicemente troppo tranquilla e razionale per volerlo davvero.

Ecco, al contrario di Billie lei pensava anche troppo alle conseguenze.

«Mi ha detto che se fosse successo di nuovo qualcosa di simile ci saremmo riviste. Credo che lo abbia fatto sperando che lo dicessi a BJ per spaventarlo, ma non ci casco. Non lo farò.» disse annuendo con decisione.

Esattamente come immaginavo.

«Una cosa del genere non è da tenere per sé.» obiettai.

«Invece sì! Insomma, se lo dicessi potrei scatenare una enorme reazione a catena. Da vendetta nasce vendetta, ma se manterrò il silenzio non permetterò che questa catena possa continuare. Lo sai, Billie è impulsivo su queste cose.»

«Non avevi detto che non gli importava di te?» chiesi arrivando al punto della questione.

Alice esitò, per un attimo non seppe cosa rispondere.

«Beh, credo che lo farebbe almeno per orgoglio personale.» disse incerta alla fine.

Risi.

In un solo mese era riuscita a capire molti aspetti della personalità di BJ con grande precisione, era incredibile.

«Comunque, per favore, non glielo dire.» ritornò al punto.

Sospirai.

«D'accordo. Non parlerò.» mi arresi.

Lei sorrise.

«Questa è l'ultima volta che lo faccio.» si lasciò andare lungo lo schienale della sedia, più rilassata.

«Cosa?» chiesi incuriosito.

«Sottomettermi. Sai, credo che Frank abbia ragione.» sorrise.

«Ti sei convinta anche tu di essere un cane?» risi.

Inaspettatamente annuì.

«Ma come?» le chiesi sempre ridendo.

«Il cane è un animale che si sceglie un padrone, poi gli rimane fedele qualsiasi cosa succeda. In parole povere si sottomette sempre.» disse con una serietà totalmente fuori contesto. «Io sono un cagnolino ora.»

«E il tuo padrone è Evelyn.» trovai un appiglio di serietà.

Quella conversazione stava diventando assurda.

Alice annuì.

«Esattamente.»

«Questo non piacerà a Tré.»

«Però oggi ho litigato con lei.» continuò. «Lei continua a sostenere imperterrita il suo ragazzo. Dice che BJ ha sbagliato a reagire in quel modo perché difendere la dignità di un morto è inutile.»

«Tua sorella è piuttosto cinica.» non riuscii a trattenermi.

«Io credo che non sia inutile perché non è la dignità di un morto a dover essere difesa, ma la dignità del ricordo. Anche se credo che lei non pensi fino in fondo le parole che ha detto. Semplicemente ha paura di perdere i suoi amici. Se si schierasse dalla parte di BJ probabilmente le cheerleader la abbandonerebbero.» prese una piccola pausa. «E se lo facessero sarebbe solo un'ulteriore prova della loro falsità.»

Credo che fosse la prima volta che vedevo il disprezzo negli occhi di Alice.

«Però non posso dire che sia facile. Mi sento in colpa per aver litigato con lei e soprattutto mi sento in colpa nel pensare di non voler assolutamente tornare sui miei passi.»

«Ma scusa, sentirti in colpa non vuol dire che invece vuoi proprio tornare sui tuoi passi?» chiesi perplesso.

«Te l'ho detto che ho una gran confusione in testa...» abbassò lo sguardo lei.

«E quindi cosa hai intenzione di fare?» chiesi incuriosito.

«Ignorare i sensi di colpa?» chiese.

«Dovresti esserne sicura però.»

«Allora voglio ignorare i sensi di colpa.» ripeté cercando di apparire sicura. «Voglio smettere di essere un cagnolino e voglio diventare un essere umano.»

«Tré se la prenderà parecchio, sai?» sorrisi.

«Più che offendersi credo che continuerà ad ignorare le mie decisioni e continui a trattarmi come al solito. Mi sono totalmente arresa con lui.» sospirò ridacchiando.

E non sembrava neanche che le dispiacesse.

«Beh, indossi anche la “medaglietta”, non puoi lamentarti.» dissi indicando la collana che indossava tutti i giorni.

«Anche se è una “medaglietta” mi piace un sacco! Non c'è niente di male se la metto e poi finché non ci mette il suo numero di telefono non ha prove.» rise, ma la sua espressione rimaneva tesa.

«Comunque non preoccuparti troppo. Nessun litigio è infinito. Vedrai che con Evelyn le cose si sistemeranno e tutto tornerà al posto giusto presto. Oramai il peggio è passato, no?» tentai di rassicurarla.

Lei annuì.

Effettivamente dovevo ammettere che quel periodo era insopportabile anche per me. Tutto stava prendendo una piega imprevista.

Inoltre dopo solo tre giorni la madre di Alice sarebbe tornata. Non ero sicuro del fatto che Billie fosse pronto a tornare a casa.

Anzi, che noi fossimo pronti per tornare a casa, dato che avevo ottenuto il permesso per prendere in affitto una stanza in casa sua.

Ma lui era scappato, quindi la cosa era stata rimandata.

E come biasimarlo? Anche io non vedevo l'ora di abbandonare la casa della mia madre adottiva.

Certo, solo di mia madre, dato che aveva divorziato da mio padre adottivo quando avevo sette anni.

Due persone come loro non avrebbero dovuto avere il permesso per adottare un bambino, non erano mai stati dei buoni genitori. Si preoccupavano solo di quello che riguardava loro senza preoccuparsi minimamente di me.

Per loro esisteva solo il linguaggio delle urla, non ragionavano. Non potevo nemmeno parlare con loro, sapevo che mi avrebbero zittito urlando. Fin da quando avevo dieci anni pensavo che me ne sarei andato presto.

Poi incontrai Billie e quando lo sentii parlare di musica capii che io e lui un giorno avremmo combinato qualcosa di grande.

Poi la sua famiglia ha avuto problemi economici, hanno messo in affitto una stanza della casa e ovviamente mi sono immediatamente presentato.

Come avrei potuto farmi sfuggire una simile occasione?

«Vorrei diventare come Vyol.» sospirò Alice.

«Vuoi pensare solo ai ragazzi?» chiesi ridendo.

«No! Non in quel senso!» scoppiò a ridere anche lei. «Sai, lei non si preoccupa quasi mai. E poi sa difendere la sua dignità. Non è debole come me. Dei ragazzi non mi interessa! Non mi è mai interessato!» disse arrossendo un po'.

«Guarda che non dovresti vergognartene.» risi.

«Perché? Tu pensi solo alle ragazze?» mi chiese allora lei.

«Diciamo che più che altro ogni tanto penso a una ragazza.» ammisi.

Alice mi fissò perplessa.

«Davvero? E chi è?» chiese con evidente curiosità. «Ti ho tormentato finora, hai il diritto di parlare un po' anche tu.» sorrise giustificandosi.

«Segreto.» risi.

Tutto potevo immaginare, tranne che Alice potesse essere una persona curiosa.

La ragazza l'avevo incontrata il primo anno di liceo.

Credo che avesse attirato la mia attenzione forse per la sua... goffaggine? I primi tempi era poco più di una bambina che sognava ad occhi aperti.

Poi era cresciuta, non era più goffa, era forte, capace di difendersi ma non aveva smesso di sognare.

Lei mi considerava il suo migliore amico, ma niente di più.

Lo metteva continuamente in chiaro dicendomi che le piaceva un altro. Mi chiedeva consigli e mio malgrado gliene davo senza secondi fini.

Sognava ad occhi aperti, sapeva benissimo che la persona di cui era innamorata non ricambiava i suoi sentimenti, ma non se ne importava. Continuava a sperare che lui facesse qualche passo verso di lei, che si dichiarasse, perché lei non lo avrebbe mai fatto, non ne aveva il coraggio.

Raccontai alcune di queste cose ad Alice, che mi ascoltava con attenzione.

«Perché non le hai mai detto che ti piace allora?» mi chiese.

«L'ho fatto.» le sorrisi.

Un giorno decisi che gliel'avrei detto, non perché credessi di avere qualche speranza, ma solo perché volevo liberarmi di quel peso.

Glielo dissi senza giri di parole.

Lei si bloccò guardando dritto davanti a sé, poi iniziò a parlare di tutt'altro ignorando totalmente le mie parole.

Inizialmente non riuscivo a capirlo.

Insomma, perché fare finta di non aver nemmeno sentito?

Che senso aveva?

Rifiutarmi le sarebbe stato facile, le sarebbe bastato ricordarmi che lei stessa mi aveva parlato della persona di cui era innamorata.

Eppure...

«Non lo capisco neanche io.» commentò Alice. «Immagino che sia difficile dire di no, è una sensazione orribile quella di sapere che ciò che dirai farà soffrire una persona... ma far finta di niente è a dir poco scorretto.»

«Sì, infatti anche io lo pensavo. Poi ho capito che il problema è proprio il fatto che lei sia una sognatrice.» le spiegai un po' malinconicamente.

Lei era una sognatrice.

Anche troppo.

Non aveva avuto una vita facile, mi aveva raccontato che ce l'aveva fatta solo cercando di far finta che tutto quello che le era successo non fosse accaduto davvero.

Era abituata a rimuovere tutto ciò che era doloroso dalla sua mente, o almeno a fingere di averlo rimosso per poter aspettare di poterlo cancellare col tempo.

Ecco perché.

Ci misi molto tempo a capirlo e ad accettarlo.

Ma non riuscivo ad odiarla.

Una parte di me continuava a capirla e a volerle rimanere vicino.

In un certo senso, era come se l'unica cosa che la rendesse felice fosse il suo sogno ad occhi aperti. E io non volevo che rinunciasse alla sua felicità.

Volevo che continuasse a sognare se questo la rendeva felice.

Anche perché semplicemente non avevo il coraggio di abbandonarla, aveva bisogno di qualcuno che proteggesse quel suo sogno.

Anche se prima o poi sarebbe finito.


«Dove vai adesso?» chiesi ad Alice fuori dal bar.

«Mi sono tranquillizzata, adesso posso andare a casa senza aver paura di essere uccisa.» sorrise con aria ingenua.

«E se Evelyn riprendesse il discorso di oggi?» chiesi.

«Farò valere le mie idee! Niente più cagnolini! Sarò un essere umano anch'io!» sorrise euforica. «Grazie mille Mike. Avevo proprio bisogno di sfogarmi e scusami ancora per averti fatto perdere tutto questo tempo.»

«Ti ho detto che non devi scusarti. Solo i cagnolini si scusano per ogni cosa.» risi.

«Ma... Beh, non importa. Grazie!» sorrise salutandomi e correndo via.

La fissai per qualche secondo, sorridendo anch'io.

Quella ragazza aveva un sorriso davvero contagioso, pensai voltandomi.

Sospirai e iniziai a camminare a passo lento in direzione di casa, molto più sereno.

Non avevo voglia di andarci, ma non avevo altro posto dove andare.

E poi quel giorno avrei anche potuto sopportare qualche urlo senza motivo, d'altronde tutto sembrava preannunciare la fine di quel periodo così assurdo.

Tutto sarebbe andato per il meglio.

Per tutti, o forse no?


________________________Authoress' words

Ho sonno. Ho un sonno che non immaginate nemmeno.

Questo capitolo in fin dei conti è una chiacchierata. xD Alla fine non succede niente di rilevante.

Ve lo giuro, non sto cercando di allungare il brodo. u.u

Nel prossimo capitolo succederanno tantissime cose, ve lo prometto! :D

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Capitolo 11
*** Non c'è nessun posto come casa (quando non hai nessun posto dove andare) ***


27 settembre 1988


Dopo quella chiacchierata mi sentivo come rinata.

Avevo trovato la persona giusta per parlare, ero tornata di buon umore nonostante tutti gli eventi di quella strana giornata.

Che ancora non erano finiti.

Non sapevo bene neanche io perché avessi chiesto a Mike di vederci, ma la mia testa... era così confusa!

Quando le cose succedono tutte insieme, non si riesce neanche a capirne bene l'ordine, a capirne il motivo.

Scossi la testa.

Avevo riflettuto molto prima di chiamare Mike, e a convincermi di questa cosa era stato il litigio con Evelyn.

Sì, ok, avrei dovuto fare pace con lei, però non potevo accettare di fare tutto ciò che voleva solo per compiacerla. Quel giorno una ragazza che neanche conoscevo mi aveva fatto del male e anche se a Mike avevo detto il contrario, dentro di me tutto ciò bruciava e mi faceva male.

Se prima mi importava solo di non dare nell'occhio e non dare fastidio a nessuno, ora invece la mia strada si era fatta più ambiziosa: volevo essere felice e stare bene anche con me stessa, senza dover mentire solo perché lo voleva qualcun altro.

Solo un obiettivo mi doveva guidare adesso: non essere un cagnolino.

In un certo senso mi sentivo un po' ridicola a pensarlo. Certo, non potevo cambiare da un giorno all'altro, però mi dovevo impegnare per farlo almeno un po' alla volta.

Anche se questo avrebbe sicuramente portato dei litigi tra me e mia sorella.

Dovevo iniziare a pensare anche a quello che volevo io, non solo a quello che volevano gli altri.

Ma... era difficile, avevo sempre preferito anteporre la felicità altrui alla mia accontentandomi di una felicità surrogata.

No, non poteva continuare così.

Arrivai a casa, aprii la porta con un sorriso.

Entrai dentro, ma né nell'ingresso, né nel soggiorno c'era nessuno.

Che Billie fosse fuori non mi stupiva, ma non sapevo che Evelyn dovesse uscire.

Mi lasciai sprofondare nel divano scaricando finalmente il peso della cartella, quando notai un foglietto di carta ripiegato sul tavolino di fronte a me.

Mi alzai e lo presi tra le mani, sopra c'era scarabocchiato il mio nome.

Mi sentii di svenire.

Era inquietante, non poteva essere l'ennesima brutta notizia.

Lo aprii cercando di rimanere calma, sopra c'era la scrittura di Billie.

Gli era successo qualcosa?


Ciao Alice. Oggi ho incontrato mia sorella, Anna.

È venuta a portarmi dei messaggi di mia madre, mi ha detto che vorrebbe riprovarci insieme.

Ho sempre odiato questo modo di parlare a frasi fatte, ma alla fine ho accettato perché oramai la situazione a casa sta diventando pensante sia per te che per me.

Anche tra te ed Evelyn le cose non stanno andando bene.

Stando a quello che mi ha detto, a casa mia sembra che si sia trovato una sorta di equilibrio, anche se continuerò a non perdonare quel bastardo del mio patrigno. In ogni caso è già il 27 settembre, tra tre giorni avrei comunque dovuto sloggiare.

Appena sarà possibile me ne andrò, so che non sarò felice con quella famiglia, ma non posso fare altro per ora.

Grazie.

-BJ”


Non potevo crederci.

I miei occhi si riempirono di lacrime.

Lui... non ci sarebbe stato più...

Ero sola in casa di nuovo?

Come se tutto fosse stato solo un sogno... era finito!

Perché?! Perché te ne eri andato così?! Non potevi almeno aspettarmi, parlarmi?

Mi sentivo stupida, ma mi sarebbe mancato terribilmente averlo in giro per casa, le battute velenose tra lui e mia sorella ogni mattina, il suo sostegno.

Perché proprio quel giorno?

Perché proprio in quel momento?

Era totalmente irrazionale, ma una sensazione di freddo mi avvolse mentre cercavo di riprendermi e ricordare che l'avrei continuato a vedere a scuola.

Una voce nella mia testa iniziò a dirmi che in realtà a lui non importava niente di me e che aveva finto di essere mio amico solo per assicurarsi l'ospitalità, che era per questo che in quell'ultimo periodo mi aveva evitata.

Qualsiasi cosa stesse nascondendo BJ, Mike la sapeva, ma non me l'avrebbe mai detta.

Non ero una punk come loro, non ero allegra e spigliata come loro.

Ero diversa.

Ero diversa dalle cheerleader, ma anche da loro.

Diversa da tutti terribilmente sola.

«Dannazione!» mormorai tra me e me.

«Sei tornata?» mi fece voltare la voce di mia sorella da sopra alle scale.

«Evelyn!» la guardai stupefatta. «Billie... se n'è andato?» chiesi sentendomi debole ogni secondo di più.

Non ce l'avrei mai fatta ad affrontarla.

«Sì. Ha pensato che fosse meglio così, ha detto che in ogni caso nostra madre sarebbe tornata tra soli tre giorni e che se lo avesse trovato qui non sarebbe stato bello per nessuno.»

… E aveva dannatamente ragione.

Ma avevo paura di rimanere sola. Non capivo perché, avevo bisogno della sua presenza, era l'unica cosa che mi assicurava che non sarei mai stata abbandonata, perché lui aveva bisogno di me almeno quanto io avevo bisogno di lui.

Evelyn sospirò, si voltò e tornò nel corridoio del piano di sopra.

Che mi aspettavo?

Era sempre stata rancorosa, non poteva aver dimenticato il nostro litigio così in fretta.

Se solo Billie avesse aspettato ancora! Mi aveva lasciata totalmente sola ad affrontarla, o forse era proprio per questo che se n'era andato? Quanto c'era di Evelyn nella sua decisione di andarsene in anticipo?

Sentii aumentare la velocità del mio battito cardiaco... rabbia?

Raccolsi la mia borsa e salii le scale.

Non appena arrivai nel corridoio c'era una gran quantità di polvere nell'aria che mi fece starnutire, ma non ci feci caso.

Aprii la porta della nostra stanza ed entrai distrattamente.

Mi sembrava diversa dal solito, ci misi qualche secondo a capirlo.

«Evelyn... perché...?» iniziai perplessa.

«Cosa? Mi sembra semplice. La tua roba è fuori dalla stanza perché a giudicare da quello che è successo oggi io e te non dovremmo condividerla.»

Cosa?

Ma era totalmente senza senso!

«Per così poco?» rimasi bloccata.

«A te può sembrare poco, per me non lo è. Sono arrivata al limite Alice! Non posso più fare finta che vada tutto bene! Faresti meglio ad andare nella stanza di Billie, dato che preferisci lui a me.»

No, no, stava delirando.

Non poteva star dicendo sul serio!

«Evelyn, smettila, riportiamo tutte le cose al loro posto! Non è successo niente di grave, siamo solo in disaccordo su una cosa, non c'è bisogno di...»

«No! Io ho paura di te! Vuoi startene con i tuoi amichetti? Siete pericolosi! Stai diventando come loro! Anche tu inizierai a fare quelle cose! Inizierai a drogarti a essere violenta...» continuò a parlare, non la seguivo più.

No.

No, no.

Non poteva pensarlo davvero.

Non aveva senso.

Il mio battito cardiaco aumentò ancora.

Dovevo andarmene, dovevo aspettare che si calmasse così avrei potuto farla ragionare.

Indietreggiai di qualche passo, aprii la bocca, ma non uscì alcun suono.

Mi sentii una stupida.

Avevo paura, di nuovo! Non riuscivo a dire niente, la mia testa era vuota, non potevo farcela.

Ero un cagnolino, d'altronde... ero nata così, no? Non potevo farci niente, no?

Ero un cagnolino, non ci potevo fare niente... o forse no?

Forse dovevo solo cedere all'istinto di mordere? Solo per una volta... dovevo abbandonare totalmente la mente, niente pensieri, non c'erano più.

Iniziai a respirare piano, socchiusi gli occhi...

Forse... era giusto così...

Evelyn continuava a parlare, la ascoltavo poco, sosteneva che i suoi amici erano migliori.

I suoi amici... quella ragazza che voleva vendicarsi era sua amica?

Non volevo avere nulla a che fare con quella gente!

No!

Volevo urlare e spingerla via!

Il mio istinto mi stava gridando di combattere!

«Sta' zitta!» urlai senza preavviso, senza rendermene conto.

Evelyn mi guardò sconvolta.

«Sai che ti dico? H-hai ragione! Sto diventando come loro forse, proprio perché penso che abbiano ragione. La gente come Aileen e i suoi amichetti non meritano di respirare la mia stessa aria, sono solo un mucchio di maschere false! Preferisco stare con i tuoi odiati punk piuttosto che essere il tuo cagnolino per tutta la vita!» dissi lasciandomi andare totalmente.

Non ne potevo più, anche se il mio tono era ancora da imbranata era quello che pensavo davvero.

«E cosa credi di fare? Sei la mia sorella gemella, viviamo insieme, non puoi evitarmi!» rise istericamente lei.

«Dici questo, ma mi vuoi fuori dalla tua stanza. Immagino non ti cambierebbe nulla se mi avessi fuori dalla tua vita!» gridai correndo dentro la stanza dove Evelyn aveva portato la mia roba e chiudendomi a chiave.

Stavo esagerando?

Ma non potevo più tornare indietro...

Sì, avevo capito cosa fare!

Iniziai a prendere alcune cose utili dagli scatoloni da trasloco che aveva usato Evelyn e le infilai nella mia cartella di scuola alla rinfusa.

«Alice? Alice? Cosa significa? Cosa vuoi fare?» chiese lei. «Ok, forse ho esagerato. D'accordo, rimettiamo le cose al loro posto, non c'è bisogno che ti arrabbi così.»

Sembrava spaventata, alla fine era questa la sua vera natura: debole, almeno quanto me.

Avevo voglia di piangere, ma non potevo farlo in quel momento.

Non risposi, quando ebbi finito riaprii la porta.

«Cosa vuoi fare?» mi chiese Evelyn scossa.

«B-basta!» balbettai. «N-non p-possiamo continuare così. D-dovremmo stare separate per un po', hai ragione.» cercai di dire sembrando risoluta, ma in realtà ero terrorizzata all'idea di quello che stavo per fare.

Forzai il mio corpo ad agire contro la mia paura, mossi un passo dopo l'altro, via, verso la porta di casa.

Corsi come non mai per raggiungerla, come se fosse stata la porta per la felicità.

Evelyn mi afferrò il braccio, ma io non mi fermai.

Lei mi lasciò, aprii la porta, uscii, la richiusi e continuai a correre.

L'avevo fatto?

Ero scappata!

Sì, avevo abbandonato la mia casa, quella dove ero e sarei sempre stata un cagnolino!

Mi sentii euforica, euforica perché ero libera.

Libera!

E non sarei tornata, non così presto!

Perché io mi ero ribellata!

E non avevo intenzione di tornare.


Sentivo freddo.

Cosa stavo facendo?

Ero impazzita?

La strada era buia, non sapevo dove andare.

Avevo perso il conto del tempo che avevo passato a camminare in quelle strade deserte, senza neanche pensare a dove andavo.

Arrivavo a un bivio, le mie gambe si muovevano da sole e proseguivo.

Prima o poi mi sarei dovuta fermare, ma allo stesso tempo non potevo tornare a casa sconfitta senza neanche aver combattuto.

Combattere... per cosa?

Non mi sembrava neanche vero quello che stava succedendo.

Tutte quelle cose in una sola giornata, non potevo reggere oltre.

Avevo perso tutti i miei appoggi.

Era quello il prezzo da pagare per essere libera?

Perdere tutte le sicurezze in un solo momento, tutte le cose importanti...

Ero sola, totalmente sola.
Non avevo più Evelyn, né Billie.

Vagavo senza meta in quel viale solitario, come si fa in un sogno.

Ma il mio era un sogno spezzato.

La testa mi girava, vedevo tutto muoversi in maniera nitida e confusa allo stesso momento.

Quanto tempo era passato?

Dovevo tornare a casa.

Sospirai.

Cosa potevo fare dopotutto? Non potevo certo rimanere in mezzo alla strada per tutta la notte, poteva anche essere pericoloso.

Ogni tanto qualcuno si muoveva, mi veniva un colpo al cuore.

Avevo paura.

Mi lasciai cadere su una panchina vicina a me, mi rannicchiai su me stessa.

Se fossi tornata a casa avrei ammesso la sconfitta, non avrei più potuto ribellarmi. Sarebbe stato terribilmente umiliante.

Sentii gli occhi farsi umidi, ma che me ne importava? Non mi importava più niente!

Singhiozzai forte, anche di me stessa non mi importava niente! Potevano farmi quello che volevano, non sarebbe cambiato nulla. Rimanevo sempre e solo un essere inutile.

Mi odiavo in quel momento.

«Lyss? Sei tu? Cosa stai facendo qui a quest'ora?» mi chiamò una voce familiare.

Alzai gli occhi, Frank era davanti a me.

Sbattei le palpebre umide perplessa.

«Che ci fai qui?» gli chiesi con un filo di voce.

«Ehi, non vale! Te l'ho chiesto prima io!» obiettò.

Come avrei potuto spiegarglielo? Io per prima non capivo il senso di tutto quello che accadeva.

«Beh...» abbassai lo sguardo. «Stavo per tornare a casa... però mi sono un po'... ecco...» non riuscivo a continuare, ma lui non mi interrompeva. «In realtà non volevo perché s-sono scappata. Ma non ho un posto dove andare! Non ho niente più. Oramai non ho più Evelyn, anche Billie se n'è andato. S-scusa.» singhiozzai di nuovo, non riuscivo a parlare.

Ero decisamente patetica.

«È umiliante...» mormorai. «Stavo pensando di rimanere qui, anche se è pericoloso. Non mi importa niente di quello che mi succederà, qualsiasi cosa sia.» conclusi cercando di smettere di singhiozzare come una stupida.

Frank non rispondeva.

Dopo qualche secondo trovai il coraggio di alzare lo sguardo, giusto per capire perché non parlava.

Immaginavo che avrebbe cercato di scherzare, che avrebbe sdrammatizzato, invece...

«Conosco un posto dove potresti sistemarti.» disse infine.

Sgranai gli occhi.

«Cosa?»

«Sì... Certo, non è proprio il massimo, ma almeno non dovresti correre pericoli.» mi sorrise salvandomi.


«Mi stai dicendo che qui c'è una stanza?» chiesi perplessa.

«Sì, proprio qui.» disse spingendo una porta del 7-11 che avevo sempre creduto fosse di un vano-magazzino.

Mi affacciai a guardare l'interno.

Beh, una stanza... dentro c'erano un materasso gettato a terra e una cassa di legno con sopra una lampada di quelle da due dollari.

«Ma allora... perché Billie non si è messo qui quando è scappato?» chiesi perplessa.

«Anche io se avessi un'alternativa a questo materasso polveroso cercherei di evitarlo.» disse come se fosse stata una cosa ovvia.

Entrai in quella stanza-sgabuzzino guardandomi intorno perplessa.

Di sicuro era meglio che stare su una panchina per la strada, almeno...

Dovevo solo ringraziare.

«Beh... allora grazie mille.» sorrisi timidamente. «Mi hai salvata stavolta.» dissi arrossendo per l'imbarazzante silenzio che era calato.

«Oh, di niente! Nessun padroncino può rimanere indifferente se il suo cagnolino è in difficoltà!» disse lui come da copione, però non era rilassato come al solito, anche il suo tono sembrava un po' teso.

«Ehi! Sono scappata di casa, non sono più un cagnolino...» dissi cercando di non farci caso.

«Eh no, magari per Evelyn, ma sei sempre il mio cagnolino.» disse abbracciandomi con naturalezza.

Rimasi paralizzata, tesa come una corda di violino.

Non appena alzai lo sguardo, in meno di un secondo trovai le sue labbra poggiate sulle mie.

Sgranai gli occhi.

Era odore di alcool quello che sentivo?

Avrei voluto fare qualcosa, ma non ci riuscivo.

Sentivo il tempo dilatarsi, il mio cuore rallentare sempre di più o forse accelerare talmente tanto da non riuscire ad avvertire tutti i battiti.

Ancora oggi me ne chiedo il perché ma, è imbarazzante ammetterlo, lo lasciai fare.

Dopotutto l'avevo detto. Non mi importava nulla di quello che mi sarebbe successo, avevo solo bisogno che qualcuno mi prendesse e mi rassicurasse.

Perché non lasciare che fosse lui a farlo?

Così chiusi gli occhi.

______________________________Authoress' words

SBAM!

Nessuno si aspettava che potesse succedere qualcosa del genere, vero? Certo, a parte le persone a cui l'ho raccontato. xD

Sì, la storia sta prendendo una piega sempre più strana e... oscura direi. u.u Mi dispiace, gente, però lo sapete, la vita non è mai tutta rose e fiori e in un posto come Rodeo ancora meno. Infatti il mio intento fin dall'inizio era di creare una storia che sembrasse tutta rose e fiori come quelle delle bimbominkia per poi portarla a essere qualcosa di... crudo? Non so che parola usare.

Se non vi siete scandalizzate/shockate ci vediamo la prossima settimana! :D

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Capitolo 12
*** Ragazzina ***



27 settembre 1988


Non ricordo molto di quella notte.

Ricordo solo alcune sensazioni.

Era tutto così... così assurdo!

Lo sai, è imbarazzante dirlo, ma lo lasciai fare.

Lasciai che prendesse possesso di me, del mio corpo e di tutto quello che mi apparteneva.

Ma non me ne importava.

Anzi, in un certo senso speravo che qualcuno mi prendesse, mi portasse via da quella situazione, mi dicesse che non dovevo preoccuparmi.

E in effetti lo fece.

Anche se quello non era il modo giusto per farlo, ma non importava. Ero disposta a perdonarlo.

Ascoltai tutte le sue parole, lasciai che usasse il mio corpo come preferiva.

Lasciai che quella girandola di sensazioni così contraddittorie mi avvolgesse, la dolcezza dei baci, la violenza del desiderio.

E poi il buio, la stanchezza, il bisogno di riposarmi, un po' di amarezza.

Non volevo pensarci.

Non ancora.


1 ottobre 1988


Un trillo.

Un altro.

Che fastidio.

Affondai la testa nel cuscino cercando di ignorarlo.

Non ci riuscivo.

Presi il mio cellulare e lo nascosi sotto la federa per non sentirlo più.

Sospirai.

Mia madre mi aveva chiamata almeno dieci volte solo quella mattina.

Già, doveva essere tornata e doveva aver scoperto della mia fuga, ma non ero intenzionata a tornare a casa.

Stare al 7-11 non era poi così male, era piuttosto tranquillo e avevo tutto lo spazio che volevo per me.

Non potevo neanche dire di sentirmi sola, dopotutto Tré veniva a trovarmi più o meno ogni due giorni.

Certo, le sue intenzioni erano sempre le stesse, ma alla fine era l'unico appiglio che avessi.

Sai, credo sia stato in quel momento che ho capito che il mito della ragazza forte è solo una fantasia.

Non esiste una persona capace di vincere tutto e tutti da sola, si ha sempre bisogno di un qualche appoggio, di un motivo per combattere, almeno ideale.

Mi ero ribellata alla mia famiglia, tu mi avevi abbandonata, non potevo continuare totalmente sola, non sarei sopravvissuta se ci avessi provato.

La mia unica scelta era affidarmi proprio a lui, l'unico che almeno, dopo aver appagato i suoi desideri, era disposto ad ascoltarmi.

E così feci, non mi importava del prezzo da pagare.


5 ottobre 1988


Sbadigliai.

Quel giorno avevo deciso che sarei tornata a scuola, almeno per non insospettire i professori della mia assenza, dopotutto ero sempre stata una studentessa modello fino all'anno prima.

Inoltre, se la Harris non mi avesse vista presto avrebbe scaricato la colpa su BJ e poi avrebbe potuto contattare mia madre. E lei non doveva sapere dei miei rapporti con lui...

Dovevo evitarlo e far credere che, almeno a scuola, tutto andasse bene.

Chiusi la cartella con decisione ed uscii.


«Alice?!» mi guardò incredulo mio cugino.

«Ciao Billie.» sorrisi sinceramente felice di vederlo.

«Che diamine ci fai qui?» chiese avvicinandomisi per niente contento. «Intendo... non è che non sia contento di vederti, ma è pericoloso farti vedere qui! Ho saputo che sei fuggita di casa, se tua sorella ti vedesse potrebbe avvertire tua madre.»

«Non credo che succederà.» gli risposi tranquillamente.

«... Alice, finora le ha tentate tutte pur di impedirti di fare quello che volevi.» mi ricordò perplesso dalla mia calma.

«No, non lo farà di nuovo.» dissi con sicurezza. «Sai, tempo fa io e lei abbiamo stretto un patto: finché non finirò in una situazione di pericolo lei non interferirà con la mia vita. La conosco abbastanza da dire che sicuramente non lo infrangerà.» sorrisi.

Ero sicura che non mi sarebbe successo niente.

Mio cugino mi fissò un attimo basito, come se stesse valutando se credere alle mie parole o no, poi si rilassò.

«D'accordo, se nei sicura...» sospirò non del tutto convinto. «Dopotutto la conosci meglio di me. Ah, a proposito, la Harris crede che tu abbia avuto l'influenza dalla settimana scorsa.» mi fece l'occhiolino.

Sorrisi.

La giornata iniziava nel migliore dei modi.


«Buongiorno! Bentornata tra noi!» sorrise smagliante Tré appena mi vide.

Non potei fare a meno di arrossire miseramente e abbassare lo sguardo.

Sapeva già che quel giorno sarei tornata a scuola, e io sapevo che l'avrei visto, non aveva senso reagire a quel modo.

«Ti siedi vicino a me per una volta? Per favore!» mi chiese con un'espressione da bambino capriccioso.

Non riuscii a non pensare che lo trovavo tenero.

«Ah... ehm... ok...» mormorai a malapena sedendomi immediatamente.

Se fossi rimasta un secondo di più in piedi sarei svenuta dall'imbarazzo, ne ero sicura.

Certo, stare in classe accanto a lui non mi aiutava molto in effetti, ma se non l'avessi accontentato probabilmente avrebbe iniziato a lamentarsi, forse si sarebbe anche arrabbiato.

E questo era assolutamente da evitare.

Iniziai a tirar fuori libri e quaderni cercando di stare calma, ma mi sentivo il suo sguardo addosso, mi sentivo troppo osservata.

«Perché mi fissi così?» gli chiesi dopo aver appoggiato il diario sul banco.

«Non ho niente da fare...» mi rispose alzando le spalle.

Senza senso.

Totalmente senza senso.

Non che fosse una novità...

«E poi notavo che hai delle occhiaie.» aggiunse dopo qualche secondo di silenzio.

«Cosa?»

«Dormi troppo poco la notte, decisamente.» commentò con voce innocente. Non ne sono sicura, ma mi era sembrato che nel dire quella frase, un sorrisetto compiaciuto avesse attraversato il suo volto.

Mi sentii avvampare.

Avrei avuto fiumi di parole da dire, ma sapevo che qualsiasi cosa avrei detto sarebbe suonata come una giustificazione, sarei sembrata ridicola.

Semplicemente aprii il libro di matematica cercando di trovare qualcosa di abbastanza interessante da non farmi pensare a quella situazione.

… Sospirai, niente da fare! Equazioni e parabole non avevano nessun fascino, non potevo scappare!

Dannazione, era troppo imbarazzante!

Insomma, sì, era vero, io mi ero concessa già per tre volte, ma non volevo essere considerata come una... insomma, come una prostituta!

Certo, probabilmente per lui non ero molto di più e mi stava anche bene, a patto di non essere trattata a quel modo.

Sì, ok, avrei dovuto impedire in tempo tutto quello che era successo, però... non ero capace di dire di no, in certe situazioni. Quando voleva ottenere qualcosa sapeva come far tacere il mio cervello.

Non ragionavo più.

Era come se ne sentissi il bisogno anche io stessa!

Era spaventoso.

Avevo paura di me.

Non avevo scusanti, ero solo una stupida.

Eppure c'era qualcosa di anomalo, di diverso da prima: improvvisamente avevo iniziato a sentire il bisogno di stargli vicino, avevo il desiderio di prenderlo per mano.

Totalmente irrazionale.

E senza senso.

Come tutto, del resto.

Cosa mi stava prendendo?

Non ero mai stata così... pensai alla parola “attratta” per completare la frase, ma non era il caso.

No, no. Non potevo sentirmi attratta da lui.

E poi perché avrei dovuto? Fin da subito cercavo di evitarlo, non avevo mai provato alcun tipo di attrazione, neanche lontanamente.

Ma cosa diamine stavo pensando?!

Lo guardai.

Anche lui mi stava osservando divertito.

Cavoli.

Dovevo sembrargli una schizzata, ero troppo nervosa!

Improvvisamente tutto il vociare dei miei compagni di classe cessò, il professore era entrato.

«Per fortuna...» commentai.


8 ottobre 1988


«Vyol...» pronunciai il suo nome quasi come un lamento in punto di morte.

«Alice, non fare quella voce! Sembra che tu stia morendo, mi fai paura!» mi guardò lei perplessa. «Sei pallida. Stare qui al 7-11 non ti fa bene.» commentò.

Era venuta a trovarmi per non farmi sentire troppo sola.

A scuola era andato tutto a meraviglia dalla quarta ora in poi.

Avevo incrociato mia sorella dopo giorni, ma mi aveva detto solo:

«Io e te non ci siamo mai incontrate, ok? Non voglio avvertire nostra madre del fatto che può trovarti a scuola. Voglio che torni a casa da sola: ho capito che costringerti a fare qualcosa sarebbe inutile. Però cerca di far presto, ci manchi tanto.»

Sinceramente non mi aspettavo una simile dolcezza da parte sua, ma ne ero stata molto felice. Voleva dire che le cose stavano tornando piano piano al posto giusto e che non mi portava rancore per il nostro litigio.

Ma non sarei tornata, non subito almeno.

«Non è che hai la febbre?» Vyol mi mise una mano sulla fronte riportandomi alla realtà.

«La febbre? Sì! Se avessi la febbre si spiegherebbero un po' di cose...» mormorai.
Lei storse il naso.

«Mi spiace, sei fredda come un cadavere. Si può sapere cosa ti succede? Non ti ho mai vista così tanto giù di morale!» mi guardò sinceramente preoccupata. «Stai mangiando qui dentro?»

«Ho il centro commerciale proprio accanto, certo che mangio!» la rassicurai.

«E allora? Che hai? C'è qualcosa che ti preoccupa?» insisté.

Sospirai.

«Non lo so.»

«Sì che lo sai! Però non me lo vuoi dire perché è qualcosa di imbarazzante. Dai! Siamo migliori amiche! Qualsiasi cosa sia giuro che non riderò!» cercò di rassicurarmi.

Sì, era vero, lo sapevo perfettamente.

Quel pensiero mi stava martellando da giorni oramai, non ne potevo più.

Era una cosa semplice dopotutto, ma era così stupida!

Ma mi dovevo liberare di quel peso!

«Beh... ecco... a dire la verità... ho f-fatto delle cose un po'... ecco... s-sconce...»

«Cosa?! Dici sul serio?! Non ci posso credere! E con chi?» chiese lei sorridendo come se le avessi appena dato un'ottima notizia.

Ma perché reagiva così? Era una cosa buona secondo lei?

«Ehm... C-con Tré...» mi sentii di svenire dicendo quel nome.

Non ebbi il coraggio di alzare lo sguardo.

«Dici davvero?» mi chiese con un tono sorprendentemente calmo all'improvviso. «Alice, immagino tu lo sappia che lui è... ecco, un tantinello...»

«Si fa tutte quelle che incontra.» l'aiutai a finire la frase.

«Già. Non ti dà fastidio?»

«Un po'... ma già lo sapevo fin da subito. L'unica cosa che mi darebbe fastidio sarebbe essere presa in giro, ma lui non l'ha mai fatto.»

Parlarne con Vyol mi stava facendo sentire meglio, mi sentivo già molto più rilassata.

Era vero, Tré correva dietro a chiunque si mostrasse disponibile a concedersi, ma almeno non aveva mai fatto finta di provare qualcosa per me, il che era un'ottima cosa.

«Capisco... in parole povere questa cosa continuerà per un po'?»

Annuii.

«Sai, a dire la verità ho provato a immaginare di dirgli di no, di dirgli che non ho mai voluto questa cosa fino in fondo, però l'idea di litigarci non mi piace per niente.» dissi con la massima sincerità. «Non ho per niente orgoglio, vero?» risi timidamente.

«Già. Te ne servirebbe un po'.» sorrise anche lei. «E sentiamo, cos'è che ti piace di lui?» mi chiese tornando alla solita allegria.

«Eh?»

«Andiamo, Lyss! Da come ne parli si direbbe proprio che sei cotta di lui!»

Arrossii violentemente.

«N-no! Aspetta! Non giungiamo a conclusioni affrettate!» cercai di bloccarla.

«Certo, allora perché non vuoi dirgli di no, scusa? Anche se glielo dicessi, come amico non lo perderesti. È evidente che da lui vuoi qualcosa di più.» sorrise sicura di avermi incastrata.

La guardai senza parole.

Cosa avrei potuto dire?

La sola idea di innamorarmi in generale mi dava fastidio, l'idea di innamorarmi di Tré era ancora peggio.

E poi perché avrei dovuto iniziare a provare attrazione verso di lui di punto in bianco?

Non aveva senso!

«Hehe! Arrenditi! Non c'è niente di male, no?» sembrava addirittura contenta di quello che stava dicendo.

«Beh... è presto per dirlo! Non lo so cosa sta succedendo, ma qualsiasi cosa sia mi sta solo confondendo le idee. Mi sembra di non capire più niente di tutto quello che succede! Anche oggi, a scuola, stavo per svenire! Devo smetterla di pensare a questa cosa!» iniziai a delirare.

«Dici? Ma così scapperai dai tuoi problemi! Devi pensarci invece!» rise lei.

«No, farlo mi confonde solo le idee!»

Iniziai a sentirmi veramente imbarazzata, probabilmente il mio viso aveva già raggiunto il color pomodoro maturo.

Vyol riuscì a smettere di ridere.

«Ok, cerchiamo di tornare serie. Tu ti sei fatta Tré... e poi? È cambiato almeno qualcosa ora tra di voi, no?»

«Mi sembra ovvio.» risposi senza capire con precisione dove volesse andare a parare.

Vyol sospirò.

«Non posso leggerti nella mente, però se ti fossi davvero presa una cotta per lui non dovresti vergognartene.»

Aveva cambiato strategia.

«A istinto, cosa pensi di lui?»

Cosa pensavo...?

Che era il mio padroncino...

No, questo no! Stavo delirando davvero se la prima cosa che mi veniva in mente era quella!

Beh...

«Che è un batterista...?»

«Non intendevo cose ovvie! Questo lo penso anche io, scema!» rise Vyol.

Ma facevo così tanta pena?

Chiusi gli occhi, a volte quando lo facevo riuscivo a entrare in quella dimensione del dormiveglia in cui non si fa troppo caso a quello che si dice. Volevo che fosse una parte di me più profonda a parlare, che non si imbarazzasse di sé stessa, senza quella stupida inibizione.

Sospirai.

Iniziai a calmarmi.

Vyol rimaneva in silenzio.

«Penso di essere in qualche modo attratta da lui.» dissi senza preavviso, senza pensare.

Essere attratta”, come suonavano ridicole quelle parole a pensarci.

Sembrava che non fosse vero niente, come se potessi svegliarmi da un momento all'altro e scoprire che non era successo nulla.

Sarebbe stato davvero bello, avrei avuto un'altra possibilità su tutto, oppure scoprire che in realtà non avevo nessun cugino fuggito di casa e che non l'avevo mai incontrato prima.

Avrei potuto scoprire che non avevo mai litigato con mia sorella e che non era mai cambiato niente.

Avrei potuto scoprire che non era mai esistita quella ridicola storiella del cagnolino e che anche i Green Day erano solo un frutto della mia mente.

Avrei potuto scoprire che non era cambiato nulla nella mia vita e che, aperti gli occhi, mi sarei trovata ancora al primo settembre, senza neanche ricordare con precisione di quel lungo sogno.

E invece era tutto meravigliosamente vero, quello che stavo vivendo, dal primo all'ultimo istante.

Era un bel problema.

____________________Authoress' words

Non solo mi assento per due settimane, ma per di più pubblico anche un capitolo dove non succede niente!

Autorizzo esplicitamente effe_95 e Ga_chan a picchiarmi. Solo loro perché mi conoscono di persona e dopo un po' avrebbero pietà di me. u.u

Che dire... sto piangendo come una demente perché ho letto un volumetto di un manga altamente drammatico in cui il mio personaggio preferito fa una bruttissima fine! ç_ç Ci starò male per tutto il giorno anche se già lo sapevooooooo!

...

Vado a deprimermi. :'(

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Capitolo 13
*** Prendi il giorno ***



10 ottobre 1988


«Allora? Come vanno le cose?»

«Puoi immaginarlo...» mormorai lievemente a disagio.

«Sei tu che mi hai chiamato, immagino per parlarne...» obiettò Mike dall'alto lato del tavolo.

Mi sembrava di aver già vissuto quella situazione.

Sospirai.

In realtà volevo distrarmi, non confondermi le idee ulteriormente pensandoci.

«A te invece come vanno le cose?» chiesi cercando di cambiare argomento.

«Come al solito.»

«Ah sì? E la ragazza misteriosa di cui mi hai parlato?» chiesi tentando disperatamente di farlo parlare al posto mio.

Mike sospirò.

«Come al solito anche quello.» sorrise amaramente. «Di solito non sei così curiosa.»

Beh, sì, ma dovevo trovare qualcosa su cui concentrarmi... anche se lui sembrava non capirlo. No, Mike puntava proprio a farmi parlare invece.

Quello che dovevo e volevo evitare, appunto.

«È normale essere curiosi per una cosa del genere, specie quando non nomini mai il suo nome di proposito. Mi fai pensare di conoscere questa persona.» dissi con leggerezza.

«Infatti è così.» ridacchiò imbarazzato Mike.

Sgranai gli occhi.

Questa poi! Non l'avrei mai immaginato!

«Davvero? Sei serio? Ora mi preoccupo...» iniziai a cercare di identificare la ragazza misteriosa tra tutte quelle che conoscevo.

Non voleva dirmi il suo nome... non poteva essere!

«Sì, ma non ti preoccupare, non sei tu.» rise Mike forse per la mia espressione terrorizzata all'idea.

Eh già, l'avevo sospettato, ma ringraziando al cielo potevo star tranquilla.

Non che Mike avesse qualcosa che non andava, ma già stavo avendo troppi problemi in quel momento.

Già avevo una persona che mi stava causando un bel po' di preoccupazioni.

Una parte del mio cervello tentò di far venire fuori quel nome.

La soppressi all'istante.

«Sarebbe impossibile, ti vedo più come una sorella oramai.» sorrise rassicurante il bassista.

«Ah, bene...» mi tranquillizzai. «Sono parente di tutta la band oramai.» risi.

«Parente di tutta la band?»

«Eh sì! Sono cugina di Billie, sorella tua e...» mi bloccai.

«Più che parente, direi che potresti ufficialmente considerarti l'amante di Tré.» disse Mike con non-chalance, come se quella frase fosse stata perfettamente normale, come se fosse stato ovvio che lui lo sapesse.

Perché?!

Quel neurone che avevo soppresso era tornato in vita, evidentemente.

«C-che ne sai tu di questo?!» chiesi diventando color pomodoro.

Mike scrollò le spalle.

«Diciamo che ho qualche fonte.»

Fonti?

...

Le uniche due persone che ne erano a conoscenza erano Vyol e Tré stesso.

Era stato lui? Ma aveva detto di non averne parlato a nessuno...

Dovevo dubitare di Vyol?

«Mettiamola così: sono più il suo cagnolino che altro.»

«L'ultima volta che siamo venuti in questo bar hai affermato il contrario.» osservò Mike.

Era vero.

Questo mi faceva sentire ogni secondo sempre più stupida.

Avevo parlato tanto e non avevo risolto nulla.

Anzi, avevo anche peggiorato le cose.

Brava, Alice, ottimo lavoro.

«Hai ragione, ma a quanto pare la vita contando solo su me stessa non fa per me. Finisce sempre che mi affido a qualcuno e finisce sempre che questo qualcuno se ne approfitti.» dissi abbassando lo sguardo perso. «Sto iniziando ad odiarmi. Davvero tanto.»

Hai presente quei momenti in cui ti sembra di essere in una situazione talmente complicata che l'unica soluzione sarebbe sparire da tutti quelli che conosci e ricominciare da capo da un'altra parte?

In quel momento mi sentivo così.

E immagino che in questo momento ti senta allo stesso modo anche tu, non è vero?

«Lyyyyss! Buongiorno!» sorrise radioso Tré entrando nel bar.

Al suono della sua voce sentii il mio cuore fermarsi, i miei muscoli irrigidirsi, i miei occhi sgranarsi.

«Che ci fa lui qui?» chiesi sussurrando a Mike con la voce più acuta di un'ottava.

Anche lui mi fissò totalmente disorientato.

«Non ne ho idea.» mi rispose perplesso quanto me.

Tré si avvicinò al nostro tavolo sedendosi accanto a me frettolosamente.

«Ho chiesto a Billie dov'era Mike e sono venuto a cercarti sperando che fossi con lui... cos'è quella faccia da cadavere?» mi chiese con un sorriso affannato.

«Niente... sono solo perplessa. Perché mi cercavi?» risposi cercando di mantenere la calma.

«Beh... Mike, tu già sai.» si rivolse fugacemente al bassista.

Ah, ecco. Era stato proprio Tré a parlarne con Mike invece.

«Senti, Lyss... anche tu, Mike... Dovete stare attenti: BJ non deve sapere niente, ok? Mai niente.» disse con un'aria lievemente preoccupata fissandomi dritta negli occhi.

«Ehm... perché?»

«Perché... senti. Io e lui stavamo parlando prima che venissi qui e... io ho provato, così, per curiosità, a chiedergli come avrebbe reagito se tu avessi iniziato a vederti con qualcuno e mi ha detto che gli avrebbe spaccato la faccia. Quello mi ammazza, vero Mike?» si rivolse al bassista.

«Già. Dovresti stare attento. Billie è di parola su queste cose.» commentò Mike rigirando il suo caffè tranquillamente.

Fissai perplessa entrambi.

Come faceva a mantenere quella calma? Io mi sentivo di morire!

… Anzi, quella situazione iniziava ad essere quasi fastidiosa.

«Mi sembra ovvio.» sospirai apatica.

«Io non ho parlato finora e non lo farò.» Mike rassicurò il batterista.

Tré sospirò di sollievo, ma non ebbe neanche il tempo di calmarsi.

Scampanellio, folata di vento, la voce di mio cugino.

«Parlare di cosa?» chiese BJ entrando nel bar.

Ma perché stavano venendo tutti lì?

«Ciao Billie, sei molto in anticipo!» lo saltò Mike perplesso. «Comunque di nulla di importante... della tipa che si sta facendo Tré ultimamente.» disse il bassista troppa sincerità, senza neanche pensare.

Lo fissai con occhi sgranati.

Aveva intenzione di dirglielo?!

«Ah, non mi interessa.» disse Billie facendo tirare a me e Tré un sospiro di sollievo all'unisono. «Ciao Lyss! Tutto bene al 7-11?» mi chiese cordialmente.

«Sì... come mai qui?» chiesi sperando che il pavimento potesse avere una botola per inghiottirmi.

«Sono venuto per andare alle prove con Mike, non sapevo ci foste anche tu e Tré.» rispose tranquillamente. «Comunque va tutto bene?» mi chiese di nuovo.

«Ti ho già detto di sì...» ripetei perplessa.

Billie non era il tipo che ripeteva due volte la stessa cosa.

«Bene. Non so perché mi era venuto il sospetto che qualcuno ti stesse ronzando attorno. Se dovesse succedere ci penso io e gli spacco la faccia.» disse con un'aria leggermente imbronciata rivolto al caffè di Mike.

Ok.

Se iniziava a parlare col caffè forse Tré aveva ragione a preoccuparsi.

Diamine, non doveva scoprirlo, per nulla al mondo.


11 ottobre 1988


Passavo le giornate a pensare a quanto fosse tutto sbagliato, ma alla fine non riuscivo a smettere di agire a quel modo.

All'inizio non capivo perché, poi mi rendevo conto che il semplice stare abbracciata a lui a quel modo mi faceva stare meglio per tutto.

Era piuttosto divertente il modo in cui stavo diventando una ragazzina sdolcinata. Non era da me, ma evidentemente c'erano anche altri aspetti del mio carattere che neanche io conoscevo.

In un certo senso non era cattiva tutta quella situazione.

Insomma, sì, era una cosa clandestina, sbagliata, ma mi bastava che quel neurone dannato si svegliasse per farmi vedere tutto al contrario.

La situazione non era più immorale, era solo elettrizzante.

Era naturale.

Forse era stato proprio lui a convincermi di quelle cose?

Poi uscivo, lo vedevo con altre ragazze.

Sentivo un vuoto, una rabbia.

Gelosia, gelosia che non avevo mai provato per niente e per nessuno, eccola che nasceva e si diffondeva ovunque nel mio corpo.

Esattamente come in quel momento.

Tré sorrideva a una ragazza dai capelli rossi e ricci, molto più bella di me.

Lei si muoveva in maniera sinuosa e provocante, cosa che lui gradiva molto.

«Alice? Tutto bene?» mi chiese Vyol notando il mio sguardo.

«... Sì.»

Forse io e Vyol non saremmo dovute uscire con la band...

«Non mentire! Dovresti dirgliene quattro a quello stronzo!» cercò di incoraggiarmi lei.

«E cosa dovrei dirgli?» risi amaramente. «Non sono la sua ragazza, ha il diritto di comportarsi così con chi vuole. Alla fine la colpa è mia, che non gli ho mai detto di no. Quindi non ho motivo per arrabbiarmi.»

Vyol sospirò.

«Non credevo fosse così rigida la situazione.»

«E invece lo è.»

«Dovresti smetterla di concederglielo allora. Dovresti dirgli che non lo vuoi vedere più in quel modo.» cercò di immedesimarsi in me.

«Sai una cosa buffa?» iniziai a ridere, quasi istericamente. «Non voglio! Voglio che tutto resti così, ora come ora. Mi sta bene. Mi sta stranamente bene. Non mi importa. Voglio solo che qualcuno mi ascolti ogni tanto e lui lo fa.»

«Nessun altro lo fa?» mi chiese leggermente offesa forse.

«Certo, ma... non lo so. Ha qualcosa che nessun altro ha e non capisco cosa sia.» mormorai rattristata.

«Lo so io cosa. Semplicemente ha il fatto di essere lui. Tu ti sei innamorata.» disse Vyol abbracciandomi. «E non hai idea di quanto sia brutta questa cosa. Credo che anche per me, innamorarmi sia stata la cosa peggiore che mi sia mai capitata.» disse con amarezza. «Stiamo vivendo la stessa situazione, anche io ho bisogno di parlare. Aiutami.» disse debolmente.

Stava piangendo?

Nonostante tutto non riuscivo a pensarla come lei. Io stavo bene, davvero.

Stavo bene...

__________________________________________________Authoress' words

Da quant'è che non mi faccio vedere? E per di più torno con un capitolo brevissimo per i miei gusti.

Vi chiedo scusa, a tutti. Ho avuto una quantità di problemi veramente enorme tra nonne in ospedale che dovevo andare a trovare la domenica, professoresse di Greco che mettono due senza alcun motivo (seriamente, mi ha messo due un giorno in cui non sono stata interrogata né mi ha fatto domande e l'ho anche scoperto solo per caso), band che vanno a scatafascio, paura, panico, crisi adolescenziali... Però mi sento rinata. Dichiario: io, Arianna M (non diciamo il cognome. xD) oggi rinasco. Oggi non sono più il cagnolino di nessuno, non sono spaurita e non ho bisogno di sottomettermi agli altri per vivere!

MAI PIU'!

Scusate lo sfogo personale, ma ne avevo bisogno. xD

Se mi venisse in mente di sparire di nuovo sgridatemi su Ask: http://ask.fm/BluePastels

P.S. Una specie di Bedroom Concert al mio compleanno è stato realizzato! :D

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Capitolo 14
*** Ragazzina, tu, sporca bugiarda! ***



11 ottobre 1988


«Va meglio ora?» chiesi osservando Vyol preoccupata.

«Sì, grazie. Sembro un'idiota in questo momento, eh?» chiese lei asciugandosi gli occhi con un fazzoletto.

Le sorrisi.

«No. Sembri solo vera. Non puoi essere sempre forte, no?»

Mi fissò perplessa, mi abbracciò dopo poco.

«Lyss! Sei davvero la mia migliore amica! Davvero pensi che possa andar bene anche se sono così debole?»

«Sarà che sono come te, ma a me non dà fastidio. Anzi, mi piaci di più così.» sorrisi spontaneamente.

La ragazza forte non esiste e Vyol ne era la conferma.

Eravamo uscite da quello sporco e rumoroso pub senza dire niente a nessuno. Ne avevamo bisogno.

«Ehi, Lyss... ti posso chiedere una cosa?» parlò Vyol alzandosi da quel muretto dove era seduta, ricompostasi un po'.

«Dimmi.»

«Se tu fossi totalmente cotta di qualcuno e sapessi che questo qualcuno non prova niente per te a parte l'amicizia... cosa faresti?»

Mi venne da ridere.

Somigliava a quello che stava succedendo a me.

«Niente, credo.» scrollai le spalle. «Penso che sia piuttosto umiliante combattere per una partita persa. Preferisco ignorare la battaglia finché non finisce da sola.»

«Così perdi di proposito.» obiettò perplessa dalla mia risposta.

«Ma la battaglia è già persa, no? Quindi è inutile anche combattere. A meno che non ne valga davvero la pena, ma a cosa serve farsi male per qualcosa che non esiste?» dissi spontaneamente.

Vyol annuì.

«Ho capito. In parole povere non gli diresti niente.» disse guardando un punto indefinito. «È più o meno quello che sto facendo da due anni.» confessò.

Non sapevo se chiederle chi fosse la persona di cui parlava o no.

Avevo paura di sembrare una ficcanaso, ma i suoi occhi continuavano a fissarmi aspettando qualcosa da me.

Ne aveva bisogno.

«Chi è?» chiesi allora.

«Non so se posso dirtelo...» guardò in basso.

Eh già, a volte le persone sono così: vogliono solo lasciarsi dagli altri a fare qualcosa, in modo da non sentirsi responsabili delle scelte prese.

Sarebbe tutto più semplice, no?

Basterebbe dire che è stato qualcun altro a obbligarmi, così non avrò nessuna responsabilità anche se ho commesso uno sbaglio.

E se invece è stata la scelta giusta posso prendermene il merito.

Niente di più facile.

«Dai, puoi dirmi tutto! Pochi minuti fa hai detto che sono la tua migliore amica, no?» insistei.

«E va bene...» sospirò lei convincendosi subito. «Mi piace un sacco Billie.» disse troppo velocemente. «Ecco, l'ho detto.» arrossì. «Ma mi sento ridicola. Lui pensa solo alla musica, alla sua Blue e io sono l'ultimo dei suoi pensieri.»

Billie?

Questa poi...

«Ascolta, con lui non è una battaglia persa.» tentai di tirarla su.

«Dici?» mi guardò scettica.

«Una battaglia è persa quando sai che già gli piace un'altra, ma non è questo il caso.» cercai di rassicurarla.

Silenzio.

Vyol mi fissò negli occhi qualche secondo prima di abbassare di nuovo lo sguardo.

La sua espressione indecifrabile, i suoi occhi profondi e forti.

«... D'accordo, forse hai ragione. Arriverà il giorno che avrò il coraggio di dichiararmi e in quel momento lo farò.» mi sorrise. «Che ne dici? Magari lo farò quando la band otterrà qualcosa di importante, come se fosse una scommessa.»

«Sì, ma non aspettare troppo, o ti scapperà.» le sorrisi di rimando.

Sembravamo le due protagoniste di uno di quei telefilm che trasmettevano nel primo pomeriggio sulle reti nazionali.

Stupide, perse in questioni romantiche di poco conto e anche un po' frivole.

Ma in un certo senso era bello, era bello avere un'amica con cui condividere anche dei momenti un po' senza senso senza doversi sentire in imbarazzo.

Certo, non ero troppo tagliata per quel genere di cose, ma potevo sempre imparare.

Dopotutto mi ero innamorata, no?

Lo dovevo solo ammettere a me stessa, poi sarebbe stato tutto più semplice.

Mi ero innamorata.

Mi ero innamorata.

Mi ero innamorata.

Mi stavo fissando quel semplice concetto in testa, non era così difficile e poi non c'era niente di male, no?

Anzi, era meglio così. Fare quelle cose senza amore sarebbe stato decisamente peggio.

E non da me, soprattutto.

Eh già, ma chi ero io dopotutto?

Non mi riconoscevo più, ma non importava.

Forse pensavo semplicemente troppo e mi riempivo la testa di stupidi pensieri su di me che non avevano neanche fondamento.

Io ero Alice Armstrong e cambiavo ogni giorno.

Potevo essere stata una studentessa modello, ma poi avevo preso una F.

Ero stata rinchiusa dentro casa attaccata a mia sorella per tanto tempo, ma poi ero scappata.

Ero stata una ragazza razionale e molto attenta, ma poi avevo ceduto troppo facilmente di fronte a un ragazzo che aveva evidentemente bevuto.

Eppure nessuno aveva mai pensato di chiamarmi con un nome diverso per tutte queste cose.

Mi venne da ridere di nuovo.

Io ero io, era l'unica cosa che non poteva cambiare in me.

E questo mi faceva sentire incredibilmente serena.


«Ehi, Lyss, che fine avevi fatto stasera? Tu e Vyol siete sparite all'improvviso...» chiese Tré mentre gli aprivo la porta del 7-11.

«Vyol non si sentiva tanto bene...» non ebbi il tempo di concludere la frase che già fui catturata da un bacio improvviso.

Tutta la tensione accumulata poco prima sparì in una frazione di secondo.

Chiusi gli occhi, senza pensare.

Mi sentivo bene, non c'era niente da fare.

«E tu come stai?» mi chiese con dolcezza.

«Benissimo, grazie.» gli sorrisi mentre lo lasciavo entrare.

Era davvero strano che fosse lì quella sera, davvero non me lo aspettavo.

Forse l'altra tipa l'aveva lasciato senza niente di fatto?

Beh, non importava.

Certo, non riuscivo a togliermela dalla testa, ma Tré era lì e non mi stava prendendo in giro, non potevo dirgli nulla.

Mi baciò di nuovo con una dolcezza un po' violenta, mentre con le mani mi accarezzava sotto la maglia.

Mi strinsi a lui, mi spinse contro il muro mordicchiandomi il collo.

«... Ti amo...» sussurrò vicino al mio orecchio.

Inizialmente non capii, pochi secondi dopo un neurone in me realizzò il significato di quelle parole.

E non mi piaceva, neanche un po'.

«... Come?» gli chiesi cercando di riacquistare la lucidità.

«Ho detto che ti amo.» ripeté come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo.

Era consapevole di quello che aveva detto.

Sentii la mia testa andare in confusione.

Non potevo crederci.

Ma volevo farlo.

Non dovevo!

Non so da dove provenne quella forza, non volevo farlo, ma le mie braccia lo spinsero improvvisamente con violenza, allontanandolo da me.

«Tré, ti rendi conto di quello che stai dicendo?» lo fissai perplessa.

«Perché?» mi guardò senza sapere come reagire.

«Stai dicendo che mi ami... e non è vero!» lo guardai piuttosto innervosita.

«Perché?» mi chiese sempre più confuso. «Non potrebbe essere vero?» chiese.

Sentii il sangue salirmi alla testa.

No, era troppo.

Era arrivato il momento della presa in giro, ma io non volevo lasciarmi sottomettere così!

«Non puoi dirmi una cosa del genere quando poche ore prima stavi cercando di portarti a letto la rossa del pub!» iniziai a scaldarmi un po' troppo.

Lui mi guardò leggermente smarrito, evidentemente anche lui aveva bisogno di riprendere lucidità.

Forse aveva bevuto di nuovo?

«Aspetta, non ho fatto niente di male! Insomma, tu non ti sei mai lamentata, no?» iniziò a difendersi.

Certo.

Era un suo diritto comportarsi così.

Ma ero davvero disposta ad accettare così quella situazione?

No, era evidente. Quella sera ero stata male, male per lui. E gelosa.

No, non volevo!

«Ma mi prendi in giro se dici una cosa del genere! Io accetto tutto, tutto, davvero! Ma non che tu mi prenda in giro così! Per il resto puoi farti chi vuoi!» sentivo il battito cardiaco accelerare sempre di più, la testa confusa. Mi sembrava di essere in un sogno, non nella realtà.

«Ok, scusa! Scusa! Non dirò più niente!» disse lui piuttosto spazientito.

Ecco, fantastico.

Nella sua testa ero esattamente uguale a tutte le altre.

Chissà quante volte aveva detto loro di “amarle”...

«Adesso possiamo riprendere?» mi chiese innervosito dalla mia reazione.

«... No!»

Non volevo essere una semplice sgualdrina per lui!

Ma come avevo potuto diventarlo, che mi aveva preso?

Ero cambiata, di nuovo, in quel momento. Non ero più disposta ad accettare tutta quella situazione.

«Perché? Che altro c'è, Lyss? Ti ho detto che mi dispiace, non volevo farti arrabbiare.» cercò di addolcirmi con quell'espressione da bimbo che aveva.

«Perché tu mi consideri alla pari di quella rossa di stasera! E io non voglio!» abbassai lo sguardo.

Ero arrabbiata, con la situazione.

«Così? Di punto in bianco?» mi chiese senza sapere come reagire.

Stetti in silenzio troppo tempo, forse un minuto intero in cui osservavo i miei stessi occhi riempirsi di lacrime.

Sì, era vero, non avevo mai reagito, quindi dal suo punto di vista sembrava che fossi impazzita all'improvviso.

Ma che stavo combinando?

«Sai qual è il problema?» gli chiesi guardandolo con le lacrime agli occhi.

«Cosa?» mi chiese preoccupato vedendomi in quello stato.

Volevo che tutta quella storia finisse.

Volevo tornare a casa mia!

«... C-che mi sono innamorata di te!» dissi con tutto il coraggio che avevo.

«... Cosa?» lo vidi vacillare.

Mi sentivo male, avevo la nausea.

Ero troppo nervosa, forse.

Sentivo freddo, mi faceva male la testa.

«Mi sono innamorata di te...»


12 ottobre 1988


«Non ne ho bisogno.» mormorai con poca convinzione.

«Forse tu no, ma io sì.» rispose Billie caparbio.

«Ti ho già detto tutto quello che dovevo dire.» insistei.

«E io ti ho già detto che secondo me mi nascondi qualcos'altro.»

Era la persona più testarda della terra, non c'era niente da fare.

Sospirai.

«Non c'è un motivo. Mi mancava casa mia.» mentii spudoratamente.

«Non è vero. Se ti mancasse casa non ci sarebbe bisogno di disperarsi a quel modo, ti basterebbe tornare e basta. Ti ho trovata al 7-11 che piangevi come una fontana, un po' troppo per essere solo nostalgia.» obiettò aprendo la porta di casa sua.

Era la prima volta che vedevo il posto dove viveva, il posto da cui era scappato.

Certo, non si poteva dire che fosse elegante, ma non era così male.

Appena aprì la porta potei vedere un piccolo soggiorno arredato con mobili scuri. Una ragazza dai capelli nerissimi, mia cugina Anna, stava leggendo sul divano.

«Dove sono tutti?» chiese mio cugino entrando.

Lei alzò gli occhi dal libro.

«David è al lavoro, Allen è in camera sua e Holly e Marcy sono fuori con degli amici.» rispose meccanicamente.

Mi squadrò qualche secondo, forse per identificarmi.

«Ehi, ma tu sei Alice?» chiese poi alzandosi e venendomi incontro.

«Ciao, Anna.» salutai semplicemente.

«È da una vita che non ci si vede!» sorrise mia cugina radiosa.

«Già. Scusa, ma adesso dobbiamo andare.» tagliò corto Billie.

Anna alzò gli occhi al cielo.

«Lascialo perdere, quello è tutto matto.» mi sussurrò sorridendo e salutandomi con la mano.

Aveva un volto molto solare, non potei fare a meno di sorriderle a mia volta prima di seguire Billie verso camera sua e di qualcun altro dei suoi fratelli.

Appena fummo dentro si lasciò cadere disordinatamente su uno dei due letti, io mi sedetti su quello accanto.

Non parlava, si limitava a fissarmi in attesa che dicessi qualcosa.

Ripensai alle sue parole il giorno prima, a come aveva minacciato chiunque mi si fosse avvicinato.

Però volevo dire la verità. Dopotutto in un certo senso ero costretta e mentire avrebbe solo peggiorato la situazione.

Diamine, era così difficile trovare la forza di interrompere quel meraviglioso silenzio...

Presi aria, come se avessi dovuto compiere un grande sforzo.

«In realtà avevi ragione.» iniziai.

«Su cosa?» improvvisamente si mise a sedere attento a ogni mia parola.

«Sospettavi che qualcuno mi stesse creando problemi, no?»

Vidi un lampo fugace nei suoi occhi verdi, l'espressione indecifrabile.

Rimanemmo ancora un po' in silenzio, non riuscivo a sostenere il suo sguardo.

«Chi?» chiese dopo pochi secondi che mi sembrarono ore.

«... Tré.» dissi con un filo di voce.

Lo vidi sgranare gli occhi, osservarmi immobile per qualche attimo.

Non mi doveva fissare a quel modo... La situazione era già piuttosto imbarazzante di suo, così mi sentivo solo peggio.

«Che cosa?» era incredulo.

«Mi sentivo sola, ero scappata di casa, tu te n'eri andato e c'era solo lui. Credo avesse bevuto.» spiegai, tentando disperatamente di giustificarmi.

«Cosa è successo?» chiese, il suo tono di voce quasi spaventato da quello che avrei potuto rispondere.

«Ho perso la mia verginità.» non so come riuscii a dirlo con tanta naturalezza.

Silenzio.

Tempo incessante.

Voglia di morire soffocata, in modo da non dare più problemi a nessuno.

Paura solo di guardarlo in faccia.

«... Mi avevi detto che andava tutto bene o sbaglio?» mi chiese all'improvviso.

Alzai gli occhi, il suo tono era stato troppo secco, pericoloso.

«Sì...» ammisi.

«E ora mi stai dicendo che invece stavi male. O forse ti sei semplicemente divertita a fare la ribelle finché potevi?» mi chiese sarcastico.

Lo fissai perplessa.

«Che intendi dire?»

«Intendo dire che se solo avessi voluto, avresti potuto impedire questa cosa fin dall'inizio. Ma non lo hai fatto e ora mi stai confidando che avevi iniziato a pentirtene prima ancora di iniziare. Complimenti.» la sua voce era piuttosto alterata.

«... Forse sono troppo debole.» abbassai lo sguardo, mi stavo sentendo male.

«È facile usare questa scusa. Sai chi è debole? Chi non è in grado di ragionare, chi non è in grado di pensare alle conseguenze di quello che sta per fare. Ecco, quello è debole. Ma tu non sei così e non cercare di raccontarmi che non ci hai pensato. È stata una tua scelta quella di stare a questo gioco.»

«Mi stai accusando di tutto?» lo fissai sempre più messa all'angolo.

Sentii una fitta allo stomaco, iniziò a girarmi la testa.

«Ti sto dicendo che sei una sporca bugiarda, cazzo! Mi hai mentito a questo modo e ora mi stai dicendo che in questi giorni sei diventata il giocattolino perverso di Tré... solo perché ti sentivi sola! Se le cose stanno davvero così... hai ragione. Non c'è niente da fare, sei debole e rimarrai sempre il suo cagnolino, rassegnati.» disse duro e freddo come il ghiaccio.

Sentii lo stomaco contorcersi, una stretta decisa che mi fece sobbalzare.

D-dovevo vomitare, dannazione!

Mi alzai all'improvviso, corsi più veloce che potevo nel bagno più vicino chinandomi sul water.

Non uscì niente, ma rimasi comunque lì ansimante, con lo stomaco che continuava in quella stretta.

Era tutta colpa del nervosismo, ma non volevo tornare nell'altra stanza.

Dannazione, ma che stavo facendo?

Ero un'idiota, solo una stupida, debole ragazzina!

Non sarei mai diventata una persona forte, non era per me.

Le parole di Billie erano state dure, fredde, come una lama che mi si conficcava lentamente nella ferita già aperta da qualcun altro.

Aveva ragione, su tutto, ma non riuscivo ad affrontarlo.

Lui era forte, io no.

Io dovevo solo stare al mio posto, chiusa in casa, vicino a mia sorella.

Era l'unico modo che avevo per stare al sicuro.

Passarono i minuti, sentii un rumore sordo sul muro adiacente al bagno, poi dei passi.

«Alice? Posso entrare?» chiese Billie spingendo la porta.

«... Sì...» mormorai piano.

Spinse delicatamente la maniglia ed entrò con uno sguardo diverso rispetto a quello di poco prima, sembrava più calmo.

«Ho esagerato e mi dispiace.» furono le prime parole che sentii.

«No, hai ragione. È tutto vero quello che dici.» dissi senza riuscire a guardarlo negli occhi.

«Aspetta, fammi finire. Ho esagerato, ma in realtà c'è un motivo se mi sono incazzato tanto. E, avevi ragione, anche per il fatto che nell'ultimo periodo ti ho evitata.»

Cosa?

Alzai lo sguardo perplessa, non riuscivo a credere alle mie orecchie.

Perché?

__________________________________Authoress' words

COMICON!

Ieri sono stata al Comicon e mi sono divertita un sacco! *w* C'era un sacco di roba figa in vendita e c'erano soprattutto tantissimi cosplayer! Io amo i cosplayer! Ho fatto un sacco di foto! E ho comprato un sacco di roba! *W*

Ok, ora mi calmo.

Volevo ringraziarvi tutti, perché grazie al link di Ask che cho messo nell'ultimo capitolo, ho scoperto che siete in tantissimi a leggere questa storia, anche se non recensite.

Grazie, grazie, grazie!

Ora vi faccio vedere una tazza troppo figa che ho comprato ieri:

  

Non è fighissima? :D

Ora vi saluto, ci vediamo al prossimo capitolo!

YOOOOO!

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Capitolo 15
*** Rabbia e amore (Billie Joe's special chapter) ***



12 ottobre 1988


E poi mi guardava in quella posizione pietosa, chinata sul cesso di casa.

Probabilmente era anche colpa mia se in quel momento stava così male, forse avrei dovuto controllarmi.

E invece no.

Mi sono incazzato, ma come biasimarmi?

Tutto avrei potuto immaginare, ma non che si fosse lasciata usare da Tré a quel modo.

Ma una parte di me continuava a sentirsi responsabile, perché avevo preso le distanze da lei, avevo fatto in modo che fosse sola.

Quando poi volevo solo il contrario.

«C'è un motivo se mi sono incazzato tanto. E anche per il fatto che nell'ultimo periodo ti ho evitata.» dissi mentre la osservavo freddamente.

Alice si rialzò, mi guardò dritta negli occhi.

Sostenni il suo sguardo, stranamente non provavo alcun tipo di imbarazzo.

«Però vorrei parlarne in camera mia.» aggiunsi.

Lei annuì, così dopo pochi minuti tornammo al punto di partenza.

«Perché?» mi chiese timidamente dopo essersi seduta di fronte a me.

La guardai, mi venne da ridere, forse era solo nervosismo.

Le sorrisi.

«Davvero non ci arrivi?» le chiesi con fare ironico, ma lei non colse questa sfumatura della mia voce.

«No, mi spiace...» disse timidamente.

Sembrava spaventata.

Non sarebbe mai cambiata, alla fine, dopo tutto quello che le era successo, era sempre la stessa.

«Ok, mettiamola così allora.» dissi guardandola dritto negli occhi. «Penso di essere attratto da te.» dissi con tranquillità, come se stessi dicendo una cosa ovvia.

La vidi sobbalzare.

«I-in che senso?» chiese terrorizzata.

«Più o meno come tu sei attratta da Tré.» risposi con un po' più di serietà.

Era incredibile come era stato facile dirlo, credevo che avrei avuto avrei provato imbarazzo e invece quella situazione era talmente surreale che mi sembrava quasi che non fosse vero nulla.

Mi tranquillizzava.

Sì, però in effetti forse l'avevo detto con troppa superficialità.

Perché stavo tentando di difendermi?

In realtà non era così semplice.

Fin da quando ero fuggito, Evelyn non aveva fatto altro che trovare nuovi modi per rompere le scatole.

E poi c'era lei che ha cercato di aiutarmi, voleva capirmi.

Sinceramente avevo sempre provato una certa fiducia istintiva verso Alice, anche in classe, anche se non era propriamente una punk, non fuggiva via appena mi vedeva.

Era una di quelle classiche persone per le quali si prova sempre affetto, anche senza motivo.

Però, andando avanti, ho finito per “affezionarmici” troppo.

Quando prendemmo quella F me ne ero già reso conto e non volevo assolutamente che la situazione peggiorasse.

Come si dice, occhio non vede, cuore non duole.

Così cercai di frenare ogni singolo pensiero che la riguardasse. E non era facile, soprattutto perché era nel 7-11 con me la maggior parte della giornata.

Senza neanche rendermene conto ho iniziato a comportarmi come se avessi voluto evitarla, anche se alla fine non era questo il mio obiettivo.

Ho iniziato a sperare inconsciamente che potesse non venire alle prove, che avesse un contrattempo e non potesse incontrarci.

Anzi, incontrarmi.

Ma lei se n'è accorta.

Mi ha chiesto spiegazioni.

E cosa avrei potuto dirle?

Di certo non la verità.

Di solito non mi facevo tanti problemi con le ragazze, ma c'era un piccolo dettaglio che mi impediva di dirle qualsiasi cosa: Alice è mia cugina.

E soprattutto è troppo innocente per poter solo concepire l'idea di mettersi con un suo parente.

No, non sarebbe da lei.

In ogni caso, quando lei me lo chiese, non mi resi ancora conto di quanto l'avessi lasciata sola.

Almeno prima aveva me come amico, in quel momento però mi aveva perso.

Ricordo precisamente la sera in cui me ne andai, lasciandola sola definitivamente.

Le avevo lasciato un biglietto, ma in realtà non avevo ancora finito di portare via la mia roba, così tornai verso sera per completare il trasferimento.

Mi aprì la porta Evelyn con gli occhi arrossati e gonfi, sembrava sconvolta.

«Ah, sei tu...» disse come se sperasse che fosse chissà chi.

«Devo prendere la mia roba.» dissi fingendo di non notare la sua espressione stravolta. «Dov'è Alice?» chiesi dopo essere entrato nel soggiorno.

Sentii Evelyn sospirare rumorosamente a quelle parole.

«Appunto... non ne ho idea.» disse forse iniziando a piangere.

«In che senso?» chiesi senza capire.

«... È scappata! È scappata di casa! Esattamente come hai fatto tu! Io lo sapevo che sarebbe finita così a frequentare uno come te, dannazione!» iniziò a piangere istericamente.

Sgranai gli occhi.

Scappata.

Scappata!

Era solo una ragazzina sola, dove cazzo poteva essere andata?!

«Perché?! Cos'è successo?!» chiesi allarmato.

Il sangue mi ribolliva nelle vene, non riuscivo a crederci.

Non poteva essere vero!

«... Perché dice che io e lei non possiamo più vivere insieme. È cambiata, ma non volevo fare niente di male...» iniziò a singhiozzare Evelyn.

Mi ricordo che non persi tempo, che uscii immediatamente per andare a cercare Alice, ma non la trovai da nessuna parte.

Era stata colpa mia.

Colpa mia e del mio biglietto del cazzo, dannazione!

Ed era anche colpa del fatto che l'avevo evitata, da bravo coglione quale sono.

Controllai ogni angolo di quel buco che era Rodeo, ma di lei non c'era traccia.

Me la ritrovai tranquilla una settimana dopo a scuola, come se non fosse accaduto nulla di strano.

Non potevo credere di vederla così.

Era serena, mi raccontò della sua fuga, del fatto che Tré l'aveva portata al 7-11.

Ovviamente aveva sorvolato su qualche dettaglio, ma in quel momento non l'avevo neanche sospettato.

Era tornata, stava bene, aveva un posto più o meno sicuro in cui stare.

Era solo questo che importava.

Eppure c'era ancora qualcosa che non andava, era... diversa. Non capivo neanche io perché, ma sembrava più disinvolta, come se fosse successo qualcosa che la faceva sentire più sicura di sé.

Nei giorni successivi mi ricordo che Tré mi aveva fatto una domanda piuttosto strana: mi aveva chiesto come avrei reagito se qualcuno avesse toccato Alice.

Toccare Alice?

Chiunque l'avesse fatto, l'avrei distrutto, in qualsiasi senso intendesse Tré.

Anche se quella domanda era un po' strana, non sospettavo minimamente che il toccatore mascherato potesse essere proprio lui, uno dei miei migliori amici.

Che poi, tra parentesi, sapeva anche quello che provavo per mia cugina, come lo sapeva Mike del resto.

In quel momento mi sembrò solo strana quella domanda, così all'improvviso, ma mi sentii rassicurato dalle parole di Alice, dopotutto mi aveva detto che andava tutto bene.

Tutto bene...

Tutto bene un cazzo!

Ora me la ritrovavo lì, davanti a me.

Distrutta, fragile, non aveva più voglia di combattere per nulla.

Era lì, seduta che mi guardava come a chiedere cosa potesse farci.

Tutto era successo scivolandole addosso.

Questo era quello che vedevo guardandola in quel momento.

Ma la cosa peggiore era che non era così.

Alice.

Quello che era successo era successo solo perché lei l'aveva permesso.

Dannazione!

Perché?!

Non potevo far altro che prendermela con lei, sgridarla, ma come potevo farlo quando era lei stessa a soffrire per quella situazione?

Ragazzina, ragazzina... Tu, sporca bugiarda!

Quando ti eri sentita sola non avevi avuto problemi a lasciarti usare, lasciarti usare come un cane senza padrone, ma alla fine sei venuta a piangere da me.

Cazzo!

E poi... si era fatta usare da Tré, dannazione!

Cosa avrei dovuto fare?

Se avessi potuto solo seguire il mio istinto, non mi sarei fatto troppi problemi a farlo nero, fargli male fino a vederlo sanguinare e chiedermi pietà.

Ma era il batterista della mia band, nonché uno dei miei migliori amici.

Un amico traditore, in ogni caso.

Io gli avevo confessato di provare qualcosa per Alice e lui mi aveva ripagato della fiducia approfittando del fatto che gli avevo detto che non avrei comunque voluto mettermi con lei.

Stronzo anche lui!

Tutta quella storia era colpa di entrambi, era colpa della complicità di un clown più furbo di quel che voleva far credere e di una ragazzina troppo debole per difendersi.

Una ragazzina che in quel momento era di fronte a me, con gli occhi gonfi di lacrime e le guance rigate di mascara.

Lacrime di mascara che non l'avrebbero aiutata.

No, perché lei non voleva.

Semplice.

Voleva continuare a ferirsi, voleva continuare a soffrire solo perché era l'unico modo che aveva per scontare la sua colpa.

«Billie, non so come...» iniziò lei senza guardarmi.

Mi venne da ridere, ma dal nervosismo.

Lo sapevo, lo sapevo perfettamente.

«Lo so.» cercai di rassicurarla.

Lei mi fissò interrogativa.

«Infatti, anche se ti ho detto questo... beh, non voglio assolutamente che tu pensi alla possibilità di metterci insieme. Non voglio.» dissi semplicemente.

Il suo sguardo era perplesso.

«Allora perché me lo hai detto?» mi chiese senza capire.

«Perché... se non l'avessi mai detto sarei sempre stato un perdente. Solo un perdente non è onesto neanche sui suoi sentimenti, prima o poi dovevo farlo.» dissi come se fosse stata una cosa ovvia.

In realtà non lo era.

La vidi annuire e abbassare di nuovo lo sguardo.

Sospirai.

Non potevo fare nulla.

Potevo solo ferirmi con lei, cercare di aiutarla anche se lei non voleva.

«Senti, Billie... stavo pensando una cosa.» disse all'improvviso ritrovando la forza di guardarmi.

«Cosa?» chiesi distraendomi dai miei pensieri, rimanendo un attimo paralizzato dal luccichio nei suoi occhi.

«... Senti, io credo che dovrei tornare a casa mia.» disse in un sussurro timido.

Sentii il mio battito cardiaco accelerare un attimo, ma non dovevo arrabbiarmi, no.

Chiusi gli occhi, trattenendo per un attimo il respiro.

«Mi sembra giusto.» dissi con un piccolo sforzo.

Dopotutto non c'era altro posto dove potesse essere protetta.

Il 7-11 non era il luogo adatto, la metteva continuamente a rischio.

«E... credo di non dover interferire più.» aggiunse.

«In che senso?» chiesi perplesso.

«Cosa pensi di Tré adesso?» mi chiese a sua volta.

Cosa potevo pensare?

«Tante cose... che è uno stronzo, un idiota, che lo vorrei morto...» iniziai a elencare con rabbia crescente a ogni parola.

«E questo per colpa mia.» mi interruppe quasi immediatamente. «E io non voglio che una band meravigliosa come la vostra non sia più in sintonia solo perché io sono una stupida.» disse con uno sguardo stanco. «Forse non dovrei vedere nessuno di voi per un po'.» concluse sospirando.

Cosa?

«Alice, ora non esagerare. Le cose possono sistemarsi senza che tu debba...»

«Billie, per tutto il tempo che ho tentato di fare qualcosa ho solo combinato disastri, uno più grande dell'altro.» disse scoraggiata. «Non voglio rischiare di combinarne altri.»

«E così non vuoi vivere solo per paura di morire?» le chiesi innervosito.

Ovviamente la mia era una domanda ironica, ma lei annuì.

Non potevo crederci.

E così, alla fine, non era lei ad aver perso me, ma io ad aver perso lei.

Assurdo.

Non potevo pensare di non vederla più solo perché Tré si era divertito un po' troppo.

«Anche se non dovessi vederci più oramai quello che è successo è successo. Non è così semplice. Anche se tu dovessi sparire continuerei a pensare quelle cose di Tré.» dissi riuscendo a controllare un po' la mia rabbia.

«Ma sarei comunque fonte di tensione, no? Senza di me riuscirete a tornare come prima più facilmente.»

«Non riusciremo a tornare come prima! Lo capisci o no? Non si può semplicemente fingere che il passato non sia mai esistito!» alzai la voce.

Perché anche questo?

Non aveva senso!

«Ti prego! Cerca di capire! Se non ti va bene questa spiegazione, allora pensa che sono sparita perché sono stata io a volerlo, perché volevo stare da sola. Sono io a voler tornare come prima.» mormorò tristemente.

Mi bloccai.

Che potevo dirle?!

Dannazione, se la metteva in questi termini non potevo neanche tentare di fermarla.

Era decisa a farlo.

«Non te lo lascerò fare.» dissi senza avere neanche bene idea di come mantenere la parola.

«Aspetto che tu me lo impedisca.» disse allora, più ferma.

Anche lei non voleva più discutere.

Restammo in silenzio per un po'.

Non dicemmo più nulla, finché non si alzò per andarsene.

Non l'accompagnai neanche alla porta, anche se avrei dovuto.

Semplicemente mi lasciai abbandonato da solo nella stanza.

Ed ecco che un altro pezzo della mia vita andava a farsi fottere.

In una sola mossa avevo perso sia lei che i Green Day e non era neanche colpa mia.

Una parte di me voleva pensare che avesse ragione a volersene andare, dopotutto era solo lei la causa di tutto quello che stava succedendo.

Non avrei mai dovuto incontrarla, pensai.

Non sarei mai dovuto scappare di casa.

Sospirai.

No, così non andava bene.

Cercare di cambiare il passato era impossibile, tutto ciò che potevo fare era cercare la via d'uscita da quell'imbuto in cui ci eravamo intrappolati tutti.

Anche se sarebbe stato difficile, da qualche parte quella storia doveva finire.

E avrei cercato quella fine con tutte le mie forze.

Da solo.

___________________________Authoress' words

Mi fanno malissimo gli occhi. Non so perché, mi sento come se dovessi piangere, ma non ho la minima voglia di farlo. o.o Che stia diventando allergica a qualcosa?

Coooomunque... Ce l'abbiamo fatta! Abbiamo raggiungo le 100 recensioni! *w*

Grazie mille a tutti quelli che hanno contribuito a raggiungere questo risultato! *w*

E un grazie tutto speciale a Ga_chan che è diventata una bravissima attrice e mi ha veramente emozionata nell'interpretazione dei miei personaggi due giorni fa! :)

Tanto lo so che tu leggi prima le note qui sotto e solo dopo leggi il capitolo, cara. u.u

Bye-bye!

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Capitolo 16
*** Dove sono finite tutte le rivolte? ***



12 ottobre 1988


Non volevo essere vittimista, davvero.

Semplicemente pensavo davvero di aver creato anche troppi guai.

Avevo tentato di essere come loro, di essere come Billie, Mike, Tré e Vyol.

E cosa avevo ottenuto?

Avevo rischiato seriamente di creare problemi alla band, li avevo allontanati gli uni dagli altri e tutto perché ero solo un'inetta.

Ecco.

Una stupida, stupida ragazzina impotente.

Che ci potevo fare?
Sembrava che qualsiasi cosa tentassi fossi destinata a fallire, a fare del male ad altre persone! E non lo volevo, no che non lo volevo, pensai scuotendo la testa sconfitta.

Sospirai.

Dovevo solo fare finta di niente, quando si accetta di perdere la battaglia non ci dev'essere posto per l'orgoglio.

Anzi, non ci dovrebbe essere fin dall'inizio, così decisi di fare una cosa che avrei dovuto fare molti giorni prima.

Bene, andava bene così.

Più o meno...


«Alice!» mi trovai immediatamente le braccia di mia sorella al collo. «Non ci posso credere! Sei tornata a casa!» disse in un gridolino soffocato. «Lo sapevo che non avrei dovuto forzarti, che saresti tornata da sola!» sorrise radiosa staccandosi.

«Già...» mormorai senza troppo entusiasmo.

Eccomi lì, totalmente fuori luogo.

Evelyn era la persona più felice del mondo a vedermi e io...

Io?

«Alice! Disgraziata che non sei altro!» la voce di mia madre mi fece rabbrividire e mi distolse dai miei pensieri.

Già, mi ero dimenticata che avrei dovuto affrontare anche lei.

«Ciao mamma.» dissi entrando in casa con gli occhi bassi.

«“Ciao”?! Sei sparita! Tu e tua sorella, si può sapere che vi siete messe in testa?!» gridò infuriata.

Perché aveva usato il plurale? Ero io quella che era fuggita, no?

«Mamma, dai, non ti arrabbiare... sta benissimo, no?» tentò di calmarla mia sorella.

«Evelyn, sta' zitta! Anche tu eri d'accordo con lei, no?!»

Ma di che stava parlando?

«Solo... non volevo che la costringessi a tornare... Volevo che lo facesse da sola, per questo non ti ho detto dov'era...» mormorò lei abbassando lo sguardo.

Cosa?

Mi aveva coperta?

Possibile?

Grazie, Evelyn.

Solo in quel momento mi resi di nuovo conto di quanto lei fosse importante per me.

Potevamo non essere d'accordo, ma dopotutto nessuno ci obbligava a essere uguali.

Era ed è mia sorella e anche se non aveva mai approvato tutta quella storia, mi aveva coperta.

Grazie, pensai sorridendo.

«Che hai da essere contenta ora? Si può sapere perché sei fuggita così?» interruppe i miei pensieri mia madre.

«... Beh... Ho litigato con Evelyn e...»

«E ti sembra una motivazione valida?!» non mi lasciò finire.

Il suo atteggiamento mi stava innervosendo: dov'era finita la libertà di espressione in quella casa?

«Beh, ecco...»

«E non ho finito, signorina! A questo punto credo anche che a telefono tu mi abbia detto un mucchio di bugie! Come pensi di giustificarti?!» urlò.

Basta, volevo esprimermi!

«E lasciami parlare!» dissi a voce più alta.

«Allora hai qualcosa da dire?» non si lasciò intimidire.

«... Sono scappata perché ho litigato con Evelyn perché non mi sentivo libera, libera di essere una persona diversa da lei...»

La situazione era diventata troppo stretta e mi sentivo soffocare... e poi mia sorella aveva fatto quel gesto così perfido, cacciarmi dalla mia stessa stanza.

Però quando ero fuggita era cambiata, mi aveva coperta, aveva rischiato per me.

Forse non avevo combinato solo guai, forse avevo ottenuto qualcosa...

«E in effetti ho sbagliato, ho causato un sacco di problemi a tutti, però... non volevo fare del male.»

Mia madre mi fissò perplessa.

«Hai altro da dire?» mi chiese visibilmente nervosa.

«Non credo.» di certo non le avrei raccontato tutto quello che mi era successo.

Lei sospirò, la sua voce si addolcì all'improvviso.

«Hai compiuto un'azione irresponsabile, dovrei punirti, ma sono troppo contenta di rivederti sana e salva.» cedette abbracciandomi anche lei.

Ricambiai l'abbraccio ma mi venne un po' innaturale.

Ringraziai debolmente, ma quasi non me ne importava.

Dopo poco già stavo riportando la mia roba nella mia... nostra stanza.

Non ero più abituata a quell'ambiente.

«Alice?» mi chiese Evelyn guardandomi.

«Sì?»

«Cosa ti è successo? Sei... triste. Ti è successo qualcosa che ti ha costretta a tornare?»

Mi veniva voglia di piangere.

«Evelyn... è successo che... Avevi ragione tu!» confessai con la voce rotta.

«... Ragione?» ripeté incredula.

«Su tutto!»

«Non sei scappata proprio per dimostrare il contrario?» mi chiese perplessa.

«... Ho sbagliato...» dissi senza forze mentre mi sentivo sempre più giù.

Non riuscivo a formulare un pensiero sensato, ma in quel momento non me ne importava.

«Anche sui punk?» mi chiese con durezza nella voce.

«Sì, su tutto...»



14 ottobre 1988


C'era qualcosa che non andava.

Mi sentivo decisamente in disordine.

Mi ero presa due giorni di assenza da scuola e in quel momento mi trovavo a fissare apaticamente il soffitto della nostra stanza.

«Hai intenzione di rimanere così tutto il giorno?» chiese Evelyn.

«Più o meno.» risposi monocorde.

«Andiamo! Eri tu quella allegra tra noi due un tempo!» mi venne vicino.

Mia sorella era molto cauta con me: soppesava ogni parola che mi diceva da quando ero tornata. Aveva paura di sbagliare di nuovo, di farmi fuggire via, ma forse in fondo sapeva che non l'avrei mai fatto ancora.

Aveva persino accettato quello che avevo combinato con Tré senza rimproverarmi e questo era strano.

Ah... diamine, chissà Tré che aveva pensato quando gli avevo detto che mi ero innamorata di lui! Forse aveva pensato che ero solo una stupida... che cosa penosa.

«Allora?»

«Non ho voglia di fare niente.» mormorai socchiudendo gli occhi.

«Uff! Se non fai niente continuerai a pensarci! Devi impegnare la mente!» mi rimproverò con dolcezza.

«Pensarci? A cosa?» chiesi fingendo indifferenza.

«A Tré!» disse con ovvietà.

Ecco.

Ma perché mi capiva così bene anche dopo tutto quel tempo?

«Forse hai ragione... ci stavo pensando.» ammisi a bassa voce.

«Appunto.»

«Però stavo pensando anche agli altri. Insomma, anche se sono sparita e ora non mi dovrebbe riguardare più... ecco, mi sento in colpa nei confronti di Billie e anche di Mike. Ho rovinato tutto...»

«Non ricominciare, Alice.» mi fermò lei. «Quando sei tornata mi hai detto più volte che è stata tutta colpa tua, però... ecco, proprio tu mi hai insegnato che non è mai troppo tardi per rimediare, con la tua fuga ad esempio.»

«Ma sono tornata col parere opposto.»

«Sei solo depressa. Aileen dice...»

«Oh no, Aileen no!» risi tra me e me.

«Lo so che non la sopporti, però dice che solo mostrandoti forte e pensando di esserlo sarai vincente. Non mi sembra una stupidaggine.» mi rimproverò con dolcezza lei.

Era la prima volta che pensavo che Aileen avesse detto qualcosa di giusto.

«E come si fa ad essere forti?»

Già... come si fa?

Sono sicura che in questo preciso momento te lo stia chiedendo anche tu.

Lo devi scoprire da solo, perché altrimenti è solo finzione, è un qualcosa che ti viene da dentro.

L'ho capito solo molto dopo.

«Beh... non lo so... forse...» iniziò Evelyn ma fu interrotta dal suono del campanello della porta.

«Vado io!» sentii la voce di mia madre.

Io non mi mossi dal letto, invece mia sorella si affacciò dalle scale per vedere chi fosse.

La vidi avere un piccolo sussulto.

«Vieni!» disse pochi secondi dopo tirandomi giù dal letto in un lampo afferrandomi per il braccio.

«Ahi! Sei impazzita?» chiesi perplessa e dolorante.

«Vieni!» ripeté semplicemente trascinandomi sulle scale.

La scena a cui dovetti assistere era piuttosto singolare.

«... Hai bisogno di qualcosa?» chiese mia madre con freddezza nel soggiorno, davanti alla porta.

«Sì, non ho fatto filone a scuola per niente, devo vedere Alice.» rispose un coraggioso e ridicolo Billie.

Istintivamente mi venne da ridere.

Il giorno prima mia madre aveva trovato una cordiera da chitarra elettrica nella stanza per gli ospiti e ne aveva chiesto a me e a mia sorella la provenienza.

Evelyn, invece di mentire, aveva detto tutta la verità assumendosene la responsabilità, dicendo addirittura che era stata lei a voler ospitare Billie.

Un gesto davvero eroico.

Nostra madre aveva reagito male, ma non quanto alla mia fuga, quindi ce l'eravamo cavata solo con una breve ramanzina.

Alla fine, sembrava che non fosse così grave il fatto che avessimo ospitato una persona in difficoltà, sicuramente era meno pericoloso che scappare.

Anche se comunque si era arrabbiata, più con Billie che con noi perché sosteneva che anche la mia fuga fosse solo colpa sua.

Era lui il principale colpevole per mia madre.

Secondo lei io ero solo stata traviata da “quel pessimo elemento” di mio cugino.

Ma adesso lui era tornato sul luogo del delitto.

«Se permetti, zia Liz...» disse entrando in casa senza neanche aspettare il suo consenso.

Subito lo seguirono un tranquillo Mike e una intimorita Vyol.

«Scusi...» disse lei cercando di non dare nell'occhio.

«Dove credi di andare? Non mi sembra di avervi dato il permesso di entrare.» ringhiò mia madre.

Billie si voltò fissandola acidamente.

«Puoi anche dirmi di andarmene, ma porterò con me Alice. Non puoi impedirmi di parlare per sempre, come hai sempre cercato di fare.» rispose senza alcun timore prima di voltarsi di nuovo e dirigersi a passo sicuro verso le scale.

Mia madre rimase allibita.

Non si aspettava che le rispondesse.

Pareva proprio che l'irascibilità fosse una caratteristica di famiglia...


«Che ci fate qui?» chiesi come prima cosa quando fummo tutti nella mia stanza.

«Ti siamo venuti a trovare, che c'è di strano?» disse Billie con noncuranza.

«E la vieni a trovare di venerdì mattina quando dovresti essere a scuola?» chiese Evelyn di rimando.

«Sbaglio o anche tu dovresti esserci?» rispose velenoso mio cugino fissandola con sguardo omicida.

Non c'era niente da fare: si odiavano.

«Ehi, datevi una calmata. Non siamo venuti qui a litigare.» li interruppe Mike prima ancora che si mettessero a discutere e mentalmente lo ringraziai.

Billie sospirò.

«Ok, ok... Per prima cosa siamo qui per farti capire che è inutile che tu ci eviti. Te l'avevo detto che non te l'avrei permesso.» disse mio cugino concentrandosi su di me.

«Come?» chiesi perplessa.

«Lyss, non puoi sparire dal mondo! Non è vero che causi solo guai, insomma!» intervenne Vyol che fino a quel momento era rimasta in silenzio. «Billie ci ha raccontato quello che vi siete detti, ma io penso che non sia vero niente! E poi qual è il problema? È solo Tré che non vuoi vedere, ma noi non c'entriamo niente!»

Erano venuti fino a lì solo per quello?

Era un gesto davvero... dolce.

«Però ho combinato tutti quei guai...» dissi demoralizzata.

«Alice, tutti sbagliano. Questo non significa che sei segnata a vita, però.» intervenne Mike con tono rassicurante.

«Mettiamola così: per come stanno le cose al momento sei l'unica cosa che ci permette di mantenere la sanità mentale. Se ci abbandoni impazziamo tutti e le cose non migliorerebbero.» disse secco Billie. «Tutta questa fottutissima situazione non è colpa tua, mettitelo in testa.» scandì bene ogni sillaba guardandomi negli occhi.

Ecco.

E ora che dovevo fare?

Per una volta che non volevo fare scelte, ecco che venivo costretta a prenderne altre.

Mi voltai verso Evelyn, seduta vicino a me. Lei mi guardava con un'espressione che non riuscivo a decifrare del tutto: sembrava preoccupata, ma rassicurante allo stesso tempo.

«Beh... io... insomma, vorrei solo evitare di creare tensioni...» dissi quasi balbettando.

«In tal caso...» intervenne Evelyn. «Evita solo di vedere Tré, non vedo perché dovresti punire anche loro per una cosa che ha combinato solo quell'idiota.» concluse.

Come?

Stava dando ragione a Billie?

«Per una volta dici cose sensate, anche se ci hai messo un mese intero per farlo.» non perse l'occasione mio cugino.

«Senti, a me interessa una sola cosa: che Alice stia bene. Volevo che la sua felicità dipendesse da me. Ho sbagliato un bel po' di cose, ma adesso, se quello che la fa stare bene è legato a voi... mi va bene.» ammise con aria sconfitta.

Non potevo crederci.

Con la mia fuga era cambiato davvero tutto!

A fatica la riconoscevo, ero riuscita a spezzare quelle catene che mi legavano!

«Quanto ci possiamo fidare di te?» chiese Billie inquisitorio.

«Sì, però non ricominciate a litigare come al solito. Abbiamo capito che vi schifate, però adesso stiamo cercando di metterci d'accordo e lei ci ha dato il suo appoggio. Basta.» li interruppe Vyol innervosita.

Anche se quell'aspetto sarebbe sempre rimasto invariato, pensai sorridendo.

«Stai un po' buono tu.» intervenne anche Mike. «Allora, per quanto riguarda Tré adesso non dovrebbe causare troppi problemi perché sembra che per lui le cose siano rimaste invariate. Lo sai com'è, come al solito ci prova con tutte quelle che vede con una predilezione per una tizia rossa.» disse.

Ahi.

Una pugnalata proprio in quel momento, quando stavo iniziando a riprendermi.

«Come al solito...» dissi senza scompormi troppo.

Mi faceva male sentire cose del genere, ma non potevo non aspettarmelo.

Che influenza poteva mai aver avuto su di lui il pianto del suo cagnolino?

Non ero mai stata nient'altro e non avevo mai fatto niente per diventare qualcosa di più.

Ero stata stupida e dopotutto mi rendevo conto che lui non aveva tutti i torti perché non mi aveva mai promesso qualcosa in più a quello che mi aveva dato.

Cosa mi aspettavo?

Non lo sapevo neanche io.

«Già, però ultimamente lo abbiamo visto un po' strano...» intervenne Vyol.

«Strano poi. Normale direi.» disse acidamente Billie. «È solo tornato sulla Terra.»

«No, Billie, è proprio strano.» disse Mike. «Non è da Tré non parlare per una giornata intera e stare sempre per conto suo a pensare.»

«In effetti durante educazione fisica si è lasciato colpire da una pallonata in piena faccia senza quasi reagire...» ci ripensò mio cugino.

«Billie!» lo sgridai istintivamente.

«Lascialo perdere, è da un po' che ha la luna storta, è insopportabile.» sbuffò Vyol. «Sta di fatto che sembra che viva sulle nuvole e pensiamo che c'entri qualcosa quello che è successo tra voi...»

«Impossibile.» dissi secca. «Come avete detto anche prima, per lui le cose sono rimaste invariate. Figuriamoci, non mi ha mai promesso niente, quella in torto sono io. Può fare quello che vuole per quel che mi riguarda.»

Vidi tutti i presenti scambiarsi sguardi fugaci, come se avessero potuto comunicarsi i loro pensieri in quel modo.

Silenzio, imbarazzantissimo silenzio.

Mi sentivo un'idiota se facevano così...

«Beh, allora penso che la proposta di Evelyn vada bene.» interruppe quella pesante atmosfera Billie con tono solenne.

«Cioè?» chiese Evelyn stessa confusa.

«L'hai detto tu: Alice starà con noi come al solito, ma ci eviterà solo quando sarà presente Tré.»

«Ma così finirete per isolarlo... insomma, se ne accorgerà.» obiettai.

«È esattamente quello che voglio.» quasi sussurrò Billie adombrandosi.

Ed ecco che riemergeva il lato vendicativo, il più spaventoso di lui.

«Ma...» iniziai non sapendo che dire. «... Non importa.» lasciai perdere sotto lo sguardo di tutti i presenti.

«Ehi, Alice, se c'è una cosa che davvero devi ancora imparare è che nel mondo non si va avanti a buoni sentimenti. Devi imparare anche a far male alle persone se è necessario.» disse Evelyn.

«Ha ragione, Lyss. Tré deve stare distante da te per un po'. Siamo tutti d'accordo su questo e siamo anche d'accordo sul fatto che non devi rimanere sola per colpa sua. Se l'unico modo per ottenere queste cose è farlo star male... beh, va bene.» concordò Vyol.

Sospirai.

Aveva ragione, ma perché doveva sempre rimetterci qualcuno? Era così ingiusto!

Sembrava che tutti avessero deciso all'unanimità per me.

Ma alla fine, non era esattamente quello che volevo? Avere la comodità di non decidere, per poter scaricare la colpa su qualcun altro e per poter non preoccuparmi di quello che sarebbe successo?

Eppure una parte di me non voleva questo.

Ma qualcuno avrebbe dovuto compiere una scelta quel giorno. L'unico modo per evitarlo sarebbe stato morire e sinceramente non ero così depressa da prendere in considerazione una simile ipotesi.

«E va bene...» mi arresi alla volontà di tutti.

__________________________________Authoress' words

Allora, non è che sono sparita dal mondo, è che la settimana scorsa ero in viaggio con la scuola e siccome non avevo un PC dietro non ho potuto pubblicare.

Chiedo venia.

Stavolta non ho molto da dire se non che devo studiare, che sto mangiando un gelato morendo dal freddo (???) e che ho sonno. :3

A domenica prossima! ;)

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Capitolo 17
*** Boulevard of Broken Dreams (Tré Cool's special chapter) ***



16 ottobre 1988


Era... un po' strano.

Insomma, la situazione era diventata un pelino complicata per il sottoscritto.

Avevo combinato un bel guaio, anche se in fin dei conti non era neanche totalmente colpa mia.

Ero anche piuttosto confuso.

Forse sarebbe più semplice se partissi dall'inizio?

Lyss era una mia amica, fin da quando l'avevo incontrata la prima volta mi era sembrata indifesa come un cagnolino... sembrava una persona che aveva bisogno di aiuto e Billie era piuttosto incuriosito da lei.

Era entrata ufficialmente nel nostro gruppo, era uscita con noi spesso e nonostante fosse un po' rigida di carattere, stava piano piano accettando di lasciarsi andare.

Poco alla volta.

Era piuttosto timida, sembrava una secchioncella perfettina all'inizio, ma in realtà sapeva adattarsi alle situazioni meglio del previsto.

Si era adattata al punto da prendere una F come BJ.

Quella era stata la causa di tutto.

Questo perché la F aveva costretto me, lei e Billie a passare molte ore insieme.

Certo, a me non importava nulla, ma quell'idiota di BJ ha iniziato a provare per lei un certo interesse e ha iniziato ad evitarla.

E lei ovviamente si era sentita sola.

Poi si era ribellata, pensava di non avere nulla da perdere, ed era scappata.

Era scappata ed era rimasta sola e abbandonata.

La trovai, la aiutai, la portai in un luogo sicuro.

Ricordo che non ero molto lucido, ricordo che non provavo nulla per lei oltre l'amicizia... però quella situazione... lei sembrava così timida e questo, non so perché, mi faceva venire voglia ancora di più di averla.

Io non avevo la lucidità per fermarmi e lei non aveva la forza per impedirmi di farlo.

E così andò la prima volta.

Il giorno dopo mi resi conto a mente fredda di cosa era accaduto, ma lei non sembrava arrabbiata... anzi, sembrava che la cosa non le dispiacesse.

Non le avevo mai detto che sarei stato con lei, che lei sarebbe stata l'unica, ma a lei andava bene... anzi, sembrava che ogni giorno di più cercasse la mia presenza, che lo desiderasse.

Pensai che semplicemente anche lei volesse quel contatto fisico, tutto qui.

E poi qualche giorno dopo Billie confessò a me e Mike di provare qualcosa per lei.

Bene!

Ma oramai i giochi erano fatti, non potevo più tirarmi indietro e inoltre il nano malefico aveva anche detto che non avrebbe voluto mettersi con lei! Insomma, prima o poi Lyss avrebbe comunque fatto qualche esperienza con qualcuno, perché avrei dovuto lasciarla perdere?

Poi qualche giorno dopo ci fu il disastro.

Lyss mi aveva confessato di essere innamorata di me.

Come avrei dovuto reagire?

Insomma, era una mia amica, non volevo ferirla, ma sembrava proprio impossibile.

Lei mi chiese di andarmene e io lo feci... da bravo idiota.

Il fatto è che non sapevo davvero che fare, avevo bisogno di pensarci a mente lucida...

E ci stavo ancora pensando dopo giorni.

Intanto sembrava che gli altri avessero saputo tutto, si capiva dal fatto che improvvisamente i nostri rapporti si erano ridotti al minimo (e dal fatto che Billie mi aveva tirato una pallonata in pieno viso a educazione fisica senza nessun motivo apparente).

L'atmosfera era davvero pesantissima e questa cosa non mi piaceva neanche un po'!

Insomma, a me piaceva ridere, facevo l'idiota di proposito perché mi piaceva la leggerezza... e guarda cosa mi era capitato, l'esatto opposto di quello che volevo!

«Tré?»

«Che c'è?» chiesi a Charlie che mi fissava davanti a me.

«È da un po' che ti vedo assente... va tutto bene?» chiese avvicinandomisi.

«No... va tutto bene...» mentii sorridendole.

Charlie era una ragazza che avevo conosciuto qualche giorno prima in un pub.

Diciamo che era passata subito al sodo e la cosa non mi dispiaceva. Era bella, molto e totalmente disinibita.

In quel momento mi trovavo a casa sua, nella sua camera, seduto sul suo letto.

«Questo è l'importante, certe volte mi preoccupi.» sorrise baciandomi con le sue labbra carnose e perfette.

Risposi immediatamente al bacio lasciando perdere i miei pensieri.

Lei si mise a cavalcioni su di me.

«Allora? Hai intenzione di approfittare dell'assenza dei miei o no?» mi chiese provocante.

«Certo che sì.» le risposi mentre già le infilavo le mani sotto la maglia.

Era semplicemente perfetta.


C'era qualcosa di strano.

Sì, ma non riuscivo a capire cosa.

Era stato fantastico, Charlie era veramente brava, eppure mi sentivo piuttosto giù.

Non ne capivo neanche io il motivo, forse ero solamente stanco di tutta la situazione che si era creata, forse non dovevo pensarci e basta.

Uff... era da mesi che non mi capitava di stare così.

Quando andava tutto bene, quando c'era ancora Lyss, nessuno stava così, c'era sempre una certa allegria.

Sorrisi ripensando alla sua festa di compleanno.

Era stata più o meno un mese prima, lei non voleva che suonassimo in casa sua... ma la sua opposizione era finta, in un certo senso.

Lei sapeva di volerlo.

Era stata una serata decisamente divertente, anche la sua reazione al mio regalo.

Portava quella collana più o meno tutti i giorni, neanche in quel periodo se l'era tolta.

Già, anche se probabilmente mi odiava.

Ed era proprio questo il problema: lei mi odiava, ma io non odiavo lei.

No, non dovevo pensarci o il tutto sarebbe stato ancora più deprimente.

Mi sentivo davvero impotente.


19 ottobre 1988


Erano giorni che ci stavo pensando e avevo stabilito una cosa: quella situazione non andava bene per niente.

No, volevo reagire, volevo fare qualcosa per risistemare tutto.

Sì, il problema era cosa però.

Solo di questo ero sicuro: non potevo rimanere in quel casino per sempre.

Ma come potevo fare?

Lyss non si sarebbe fidata di me facilmente e Billie invece si sarebbe sempre schierato con lei.

E anche Vyol e Mike.

Ok.

Ero fregato.

Mi venne da ridere pensando a quanto fosse ridicolo il tutto.

E poi perché era successo tutto quel casino?

Per due semplici, stupide parole.

Un “ti amo”, tutto qui.

Ma che diamine.

Ok, non ero molto lucido, ma Lyss aveva davvero esagerato quella volta.

Ecco, dovevo essere io quello arrabbiato, però non ci riuscivo.

Era... così fragile quella ragazza! Insomma, non potevo arrabbiarmi col mio piccolo cagnolino, no?

Sì, mi stavo arrampicando sugli specchi per giustificare sia me che lei.

Non era la strada giusta.

No, forse uscire un po' mi avrebbe chiarito le idee, anche se era notte.

Beh, dopotutto non era la prima volta che lo facevo, così mi decisi, presi una giacca leggera ed uscii di casa senza neanche avvertire i miei.

Non so bene perché, ma quella sera mi sembrò di essere uscito per la prima volta dopo mesi.

Arrivai al parco, ma c'era gente, così imboccai una stradina in cui non ero mai stato prima, la più vicina a dove mi trovavo.

Era simile a tutte le altre strade di Berkeley, ma aveva un non-so-che di diverso contemporaneamente.

Era... strana.

Faceva venir voglia di seguirla fino in fondo, anche se non sapevo dove portava.

C'era qualcosa di mistico in quel viale.

Sospirai e iniziai a camminare ritmicamente, senza rallentare, né velocizzarmi.

Piano, un passo dopo l'altro.

C'era un silenzio inquietante e meraviglioso allo stesso tempo, che mi faceva solo venir voglia di continuare senza interrompermi.

Doppia grancassa, rullante, cassa, rullante... scandivo mentalmente i miei passi mentre osservavo la mia ombra.

Quanto avrei voluto avere una batteria in quel momento, solo per sentire quel ritmo ancora meglio.

Ma non potevo e quel viale mi stava imponendo di continuare a camminare.

Inspirai l'aria fresca a pieni polmoni e cercai di concentrarmi.

Prima cosa di cui ero sicuro: né io né Lyss avevamo pienamente ragione.

Seconda cosa: lei mi odiava.

Terza cosa: in realtà aveva detto di amarmi.

Quarta cosa: non avevo l'appoggio di nessuno.

Che casino.

Ma perché Lyss mi odiava? Perché era convinta che di lei non mi importasse niente, mi risposi mentalmente.

Ma non era così.

Lei era mia amica, non mi era indifferente vederla soffrire così.

Sì, certo, ero stato anche piuttosto egoista, era un po' nella mia natura.

E poi quella sera, quella in cui avevamo litigato, non ero neanche molto lucido: anche se temporaneo l'effetto delle canne si fa sentire.

E le avevo detto che la amavo.

Eh già...

Le avevo detto che la amavo quando poi quel giorno stesso avevo incontrato Charlie per la prima volta.

Se tra me e Lyss non fosse successo niente, probabilmente non mi sarei neanche più ricordato chi fosse Charlie.

Aspetta, che stavo dicendo... anzi, pensando?

Beh... magari non era una stupidaggine.

Charlie e Lyss erano molto diverse dopotutto.

Charlie era provocante, sicura di sé, perfetta, una dea da questo punto di vista.

Lyss... era Lyss.

Mi venne da ridere.

Non c'era niente di particolare in Lyss.

Era solo... come dire... lei stessa.

Era semplice, timida e impacciata, però mi piaceva lo stesso.

Di Charlie in effetti non me ne importava niente, neanche in quel momento: lei diceva di voler stare sempre e solo con me, anche lei mi aveva detto di amarmi, ma non mi importava. Insomma, non sapeva neanche quand'era il mio compleanno! Sapeva solo che ero un batterista, che quindi ero uno “figo”.

Probabilmente del resto neanche le importava.

A pensarci era bello sapere che invece Lyss era mia amica, anche se spesso la andavo a trovare solo per farmela, dopo parlavamo sempre.

Lei mi raccontava molte cose e mi ascoltava quando a parlare ero io.

Ecco, questo Charlie non lo faceva, però non mi importava.

Anzi, credo che se Charlie avesse iniziato a fare la fidanzatina amorevole l'avrei solo trovata irritante.

Vidi una luce in fondo al viale, probabilmente era finito.

Peccato, sarei tornato alla luce e al rumore.

Quando giunsi alla fine sbucai vicino a un sottospecie di belvedere, guardando giù dalla ringhiera si vedeva una distesa di campagna enorme.

Veniva quasi voglia di urlare, come gesto liberatorio.

«Ah!» sentii una voce poco più distante, mi voltai e vidi Charlie intenta a slinguazzarsi un tizio.

Beh, sembrava si stessero divertendo, notai.

Avrei potuto far finta di niente, ma...

«Buonasera.» salutai con la mano, totalmente indifferente.

Charlie si volto e mi fissò perplessa.

Mi venne da ridere guardando lo stupore e la vergogna nei suoi occhi.

«T... Tré! Che ci fai qui?»

«Una passeggiata, non avevo niente da fare.» dissi con tranquillità.

«E-ehi! Chi è questo tizio?» chiese il ragazzo che era con lei.

«Piacere, mi chiamo Frank Edwin Wright III. E tu?»

«Ma si può sapere che vuole questo qua?» reagì l'altro senza neanche rispondermi.

Che maleducato.

«Amore, non è nessuno di importante.»

«Amore?» scoppiai a ridere. «Aspetta un attimo, tu sei fidanzata?»

«Sì, è la mia ragazza e quindi?» chiese il tipo.

No, questo era troppo.

Scoppiai a ridere istericamente.

Ma era mai possibile?

Era questo l'“amore” che Charlie provava per me?!

«La tua ragazza? Amico, mi dispiace per te, ma Charlie è venuta a letto con me un bel po' di volte, in questi ultimi giorni. Fossi in te non ci perderei troppo tempo con una così.» dissi ridacchiando.

Vidi Charlie diventare rossa di rabbia.

«Tré! Si può sapere cosa stai dicendo?!»

La sua voce mi fece cambiare umore, al divertimento per quella situazione assurda subentrò l'irritazione.

Che diritto aveva una troia come lei di essere arrabbiata?

Forse era quella la sensazione che aveva provato Lyss?

Anche se di Charlie non me ne importava niente era comunque una brutta sensazione, la sensazione di essere stato usato.

Cavoli, iniziavo a sentire la rabbia salire.

«Dico la verità.» dissi con voce irritata.

«Ma Tré...» iniziò lei.

Eh no, cara mia, non potevi mica sperare di uscirne così.

E poi, pensandoci bene, ma chi era che l'aveva autorizzata a chiamarmi così?

«Non mi chiamare Tré.» la interruppi. «Solo alcune persone lo possono fare e una troia come te di certo non rientra tra queste.» dissi con calma.

Lei sgranò gli occhi, iniziò a parlare con voce acuta, come un'oca starnazzante.

«Beh, allora chi è che lo può fare? Hai mai avuto una ragazza che non fosse una troia, eh?» mi provocò lei.

Sentii il sangue salirmi al cervello all'improvviso, il battito cardiaco accelerare come se fossi appena stato ferito.

«Non insultarla!» alzai la voce istintivamente.

Mi bloccai un attimo, perplesso.

Cosa?

Che stavo dicendo?

«Di chi stai parlando?» mi chiese lei con un sorriso bastardo sulla faccia.

Io... non lo sapevo.

Era da tutta la sera che stavo pensando solo a lei, ma non era mai stata la mia ragazza, no?

Alice non era una troia, non lo era mai stata.

Era... l'esatto contrario, perché avevo pensato a lei?

Ero confuso, volevo solo andarmene di lì e liberarmi una volta per tutte di quella situazione.

«Chiunque sia, perché non vai da questa tipa allora? E poi, scusami, ma se ti piace così tanto perché sei venuto a letto con me?» mi provocò ancora Charlie.

Perché?

Perché non me ne importava niente.

Ma allora perché in quel momento mi sembrava orribile quello che avevo fatto?

Forse perché solo in quel momento avevo capito cosa significava essere usati?

Dannazione, sentivo un bisogno disperato di andarmene, di andare da Lyss e di scusarmi.

L'avevo davvero trattata come il mio cane senza rendermene conto, ero stato un coglione!

Mi voltai, senza neanche rispondere a quella stronzetta.

«Devo andare.» dissi frettolosamente, non potevo rimanere lì un minuto di più.

«Come?! Dove vorresti scappare?» cercò di fermarmi lei, ma la ignorai. Non volevo più sentire la sua vocetta e le sue giustificazioni.

Rientrai nel viale, iniziando a ripercorrerlo al contrario.

La mia camminata non era più lenta, era un ritmo rapido, una marcia solenne.

Cassa, rullante, tom, cassa, rullante, tom, tom, ripetevo mentalmente sempre più rapidamente.

Iniziai a ridere, senza motivo.

Mi sentivo liberato.

Libero!

Non mi importava, non mi importava di Charlie!

Senza rendermene conto io non vedevo l'ora di poterla abbandonare e avevo avuto l'occasione per farlo!

Ero stato un coglione, un coglione a usare Alice come Charlie aveva fatto con me.

Ora capivo.

Vedevo tutto più chiaramente.

Dovevo parlarle e dirglielo.


«Si può sapere cosa diamine fai tu qui?!» mi chiese Evelyn perplessa sulla porta di casa sua.

«Devo parlare con Alice.» dissi con il fiatone.

«E hai corso per farlo?» chiese lei senza credermi.

«È piuttosto urgente.»

«Mi spiace per te, ma Alice non c'è.» fece un sorrisetto bastardo iniziando a chiudere la porta.

«Aspetta, sai dov'è?» la bloccai infilando di scatto il piede tra l'ingresso e il muro.

Lei riaprì e mi guardò innervosita.

Non avevo mai sopportato Evelyn e in quel momento era ancora peggio.

Aveva uno sguardo deciso e pieno di odio nei miei confronti.

Persino lei sapeva tutto.

«Senti, parliamoci chiaro: io so dov'è, ma non te lo dirò, d'accordo? L'hai fatta soffrire anche troppo e se hai voglia di creare qualche altro danno... beh, scordatelo. Non te lo lascerò fare.» mi disse con rabbia.

«Non ho intenzione di creare problemi. Le voglio solo parlare.» insistei.

Ci fissammo per qualche secondo in silenzio.

«Vai a raccontarlo a qualcuno che si fidi di te. Io non sono la persona giusta.» concluse chiudendo definitivamente la porta con uno scatto.

Sentii l'entusiasmo scemare.

La voglia di fare sparire.

Eccomi di nuovo solo come un coglione.

Iniziò a farsi spazio una sensazione pesante.

Per un attimo me ne ero dimenticato.

Alice mi odiava.

Giusto.

E così anche tutti gli altri.

E io non odiavo né lei né nessuno di tutti loro.

Non sapevo neanche io cos'era quello che provavo in quel momento.

Era solo un turbinio confuso.

Cosa stavo combinando? Mi ero lasciato prendere da un'emozione senza controllarla.

Cosa volevo dirle?

Perché volevo parlarle?

Era perché volevo uscire da quella situazione?

Lyss, dannazione, che mi stava succedendo?

Sentivo solo il bisogno di fare in modo che non soffrisse più, dannazione!

Cercai di calmarmi.

Inspirai lentamente.

Piano...

Una cosa l'avevo capita: non avrei mai potuto sostituire Alice in nessun modo.

Anche con Charlie una parte di me aveva sempre saputo che qualcosa non andava.

Charlie sembrava perfetta, ma non provava nulla nei miei confronti, come io non provavo nulla per lei.

Con Alice invece era l'opposto.

Era fragile, troppo, però era lei, l'avrei sempre riconosciuta tra mille.

E in quel momento volevo lei e nessun'altra.

Oh, no...

Capivo perfettamente come si era dovuta sentire, stavo iniziando ad odiarmi da solo per quanto fossi stato un'idiota.

Sospirai, feci qualche passo indietro nell'erba umida di quel giardino.

Non aveva senso, avevo solo bisogno di sentire la sua voce, di vederla sorridere...

... E a giudicare dai miei pensieri sdolcinati mi stavo anche innamorando di lei.

________________________Authoress' words

Questo capitolo è stato moooolto difficile da scrivere quindi spero che non faccia schifo.

Anche perché dopo il concerto sono ancora mezza rincoglionita e credo di essere diventata psicolabile a causa della scuola.

Beh, spero di rimettermi con le vacanze! ^w^

Beh... sappiate che vi amo tutti, ma purtroppo devo correre che sono in ritardo di mezz'oraaaaaaaaaa! Hahaha! Gabba mi ucciderà! ;)

E sappiate che quei tre dal vivo sono stati la più bella esperienza della mia vita finora, soprattutto il sorriso che mi ha rivolto Billie a un certo punto guardandomi dritta negli occhi. *w*

Beh... che dire... a domenica prossima allora!

P.S. Lally rimettiti che mi mancano i tuoi scleri! D:

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Capitolo 18
*** Sei il chiaro di luna della mia vita, tutte le notti (Evelyn's special chapter) ***



19 ottobre 1988


Incredibile quanto una persona potesse essere cocciuta.

Sembrava che davvero non si rendesse conto di quanto stava facendo male a una ragazza indifesa come mia sorella.

Chiusi la porta con uno scatto, non sentii più niente.

Si era arreso, finalmente.

Appena mi voltai vidi Alice che scendeva le scale.

«Tutto bene?» chiese tristemente.

«Diciamo...» risposi.

Rimanemmo un secondo a fissarci, poi lei abbassò lo sguardo, come se avesse fatto un pensiero sbagliato.

«Chi era?» chiese leggermente incuriosita.

Il suo viso era un po' rasserenato.

Stava davvero sperando che fosse lui?

Era incredibile! Quel tipo l'aveva fatta soffrire come non mai e lei ancora sperava di rivederlo!

«Io proprio non le capisco le persone così, quelle che non vogliono imparare dai propri errori.» dissi freddamente.

Alice sussultò.

«D-dici a me o a lui?» chiese timidamente.

«A entrambi. Tu stai continuando a sperare di vederlo e lui nel frattempo vuole incontrarti di nuovo.» risposi lapidaria.

Negli occhi di mia sorella passò una strana luce che li illuminò per un secondo.

«Perché? Perché vuole incontrarmi?» chiese allora agitata e incredula allo stesso tempo.

Perché?

Perché voleva prenderla in giro di nuovo, era ovvio.

«A dire il vero non lo so. Dici che se tornasse dovrei lasciarlo entrare?» le chiesi.

Se mi avesse risposto di sì avrei cercato di farla ragionare, ma almeno volevo lasciarle un minimo di possibilità di scelta.

Se c'era una cosa che avevo capito in quel periodo era che tentare di controllarla avrebbe portato solo dolore a entrambe.

E io volevo bene a mia sorella, davvero tanto.

Non potevo vederla soffrire così.

Lei si rabbuiò, abbassò lo sguardo non sapendo neanche lei che rispondere.

«Alice, mi dispiace dirlo, ma Billie Joe ha ragione: probabilmente Tré vuole aggiustare le cose con la band e ha capito che per farlo deve prima riuscire ad ottenere la tua fiducia. Non ti lasciar prendere in giro così, per favore.» dissi cercando di farla ragionare.

Lei mi guardò con uno sguardo triste, sospirò e chiuse gli occhi, come se stesse per fare qualcosa che non voleva.

«Non farlo entrare allora. Digli sempre che non ci sono e se vuoi inventati qualche posto dove dovrei essere, ma solo se sono in casa.» mi rispose con un tono di voce insicuro e barcollante.

Ecco, si stava di nuovo forzando a fare qualcosa che non voleva.

Però... ecco, questa volta sembrava davvero la cosa giusta da fare.

Non ce la facevo a vederla così, ma non potevo aiutarla in altro modo.

Dannazione!

In ogni caso sarebbe servito a poco: il giorno dopo sia io che lei saremmo dovute tornare a scuola e lei lo avrebbe incontrato a lezione!

«Come facciamo con le assenze? Mamma non ce ne concederà ancora troppe e se non ricordo male tu hai l'ora di matematica con lui, giusto?» le chiesi allora.

«Ehm... non saprei... non si può saltare solo quella lezione?» chiese ingenuamente lei.

«Ma è a metà giornata, come fai? Dovresti uscire e poi rientrare un'ora dopo.» obiettai.

Lei sospirò scoraggiata, era troppo triste per farsi venire una buona idea.

«Come vorrei che qualcuno mi sostituisse...»


20 ottobre 1988


«Alice, sei pronta?» chiesi rivolta alla porta del bagno della scuola.

Parlare da sola con le piastrelle di ceramica bianca mi faceva sentire un'imbecille.

«U-un attimo, ci sono quasi.» sentii la voce di mia sorella leggermente smorzata attraverso la porta.

«Sì, però sbrigati, non è da me fare tardi a lezione, devi cercare di essere realistica.» risi dando un colpetto sulla porta bianca.

Possibile che fosse tutto di quel colore in quel posto? Sembrava un ospedale!

«Non ti preoccupare! Ti conosco abbastanza da poter interpretare una perfetta Evelyn!» la sentii ridere a sua volta. «Hai avuto un'idea fantastica questa volta!» rise di nuovo entusiasta.

Sì, in effetti era una cosa piuttosto divertente e la stava prendendo come un gioco.

Sentirla ridere di nuovo era una sensazione meravigliosa, anche se era solo l'ilarità di un momento.

Finalmente sentii lo scatto della porta ed Alice uscì dal bagno.

«Come sto?» mi chiese sfoggiando i vestiti che avevo indossato fino all'ora prima.

«Bene... ma sbaglio o ti vanno un po' larghi? Cavoli, ma ti hanno fatto mangiare al 7-11?» chiesi perplessa.

«Sono dimagrita troppo? Non me n'ero accorta.» mormorò perplessa lei.

Ma come aveva fatto a non accorgersene?

«Ti conviene metter su qualche kilo.» le sorrisi.

Lei aprì la bocca per dire qualcosa, ma la campanella ci interruppe.

«Ci conviene andare.» dissi con tono rassicurante.

«Sì, ma... solo una cosa. A lezione vicino a chi mi devo mettere?» mi chiese mentre apriva la porta per uscire.

«Beh... di solito mi metto vicino ad Aileen e se non c'è vicino a Melissa.» le risposi.

«... Devo proprio?» chiese scoraggiata.

«Devi essere realistica e dovrai anche parlarci. O questo, o Tré. Scegli tu.» le ricordai il motivo per cui lo stavamo facendo.

«Ok... d'accordo. Però, sai, ti riconoscerà subito. Almeno a questo ci arriva.» sorrise arrossendo leggermente.

Era proprio innamorata.

«Dai, andiamo. Io di solito non faccio ritardo.» le sorrisi.

«Oh... Sì, sono pronta!» disse all'improvviso con entusiasmo.

Ecco la Alice che volevo vedere!


Mi guardai intorno.

L'aula era la stessa dove anche io facevo matematica, ma il professore non si vedeva ancora.

Cavoli, avevo detto ad Alice dove sistemarsi, ma io? Dove mi dovevo mettere?

Non mi restava che aspettare che tutti si fossero seduti e vedere quale sarebbe stato l'unico posto vuoto rimasto, sperando che non ci fossero assenti.

Cercai di non fare nulla che attirasse l'attenzione su di me, così quando suonò la campanella potei identificare la mia postazione.

Già, ma notai anche che mia sorella si era sempre seduta vicino a quel dannato batterista.

Diamine.

Mi avrebbe riconosciuta subito.

Mi avvicinai a lui mentre osservava perplesso ogni mio movimento, ma aspettò che mi sedessi prima di parlarmi, a bassa voce, in modo da non farmi scoprire subito.

Gentile da parte sua.

«Così sì che mi confondete...» commentò ironicamente. «Alice mi odia a tal punto?» chiese rattristandosi.

Lo fissai perplessa.

Come previsto mi aveva riconosciuta immediatamente, non si era neanche dovuto sforzare!

Lui guardava il banco mentre giocherellava con una penna, sembrava davvero abbattuto.

«Cosa dovrei dirti?» gli chiesi non sapendo davvero che rispondere.

«Per ora nulla. Aspetterò il momento in cui riuscirò a parlarle.» disse tirandosi su e guardandomi negli occhi. «Lo sai, non siete così identiche come sembrate.» mi sorrise.

Davvero, non lo capivo.

«Già.» commentai perplessa.

«Non mi lascerai mai un'occasione per farlo, vero?» mi chiese all'improvviso.

«... Come possiamo fidarci?» dissi con calma cercando di non far scaldare i toni.

Insomma, aveva fatto soffrire mia sorella in ogni modo e adesso voleva anche vederla.

Per cosa poi non si sapeva.

Voleva parlarle, ok, ma io ero convinta che volesse solo risistemare le cose con la band.

Che diamine.

L'avrebbe usata di nuovo, di sicuro!

Magari stava per succedere qualcosa di importante per cui aveva bisogno di stare in armonia con Billie e gli altri e per questo aveva bisogno di Alice.

Sì, ma si stava illudendo.

Non avrei lasciato che soffrisse di nuovo, volevo solo proteggerla!

«Credi che sia così facile? Non ho nessuna prova del fatto che tu non voglia solo...»

«Datti una calmata, ho detto che voglio parlarle e non mi sembra ci sia qualcosa di male in questo. Non sai neanche cosa voglio dirle!» protestò lui.

«No, ma considerando i precedenti posso immaginarlo!» iniziai ad alzare la voce.

«Davvero? E di che si tratta? Me lo sai dire o hai dimenticato la sfera di cristallo a casa?»

No.

Questo era troppo.

Mi stava dando della ciarlatana?

«Come ti permetti, razza di...» iniziai infuriata.

«Non ti conviene usare certi termini in classe.» mi bloccò lui.

«Ti senti forte a fare così? Stai solo peggiorando la tua posizione!» ripresi a un tono di voce più basso.

«Tu non sai cosa le voglio dire. Mettitelo in testa, Evelyn: non hai il controllo del mondo. Non puoi sapere tutto quello che accade, cosa pensano le persone e non puoi stabilire come vadano le cose, chiaro?!» si innervosì anche lui.

Sì, lo sapevo.

Lo sapevo già da un po', allora perché quelle parole mi rimbombarono in testa, come se fossi stata colpita da una pugnalata?

Forse perché fino a quel momento quello era stato il mio unico modo di aiutare mia sorella?

Forse perché oramai, una volta accettato quel fatto, sarei rimasta priva di armi?

Come potevo fare a renderla felice se non così?

«E poi... non mi sento per niente forte.» disse con un tono più malinconico.

Cosa?

Proprio adesso aveva intenzione di abbattersi?

«Andiamo, perché dovrei voler parlare con tua sorella se non me ne importasse niente di lei?» mi chiese con un tono di voce calmo, guardandomi all'improvviso dritta negli occhi.

Feci seriamente fatica a reggere quello sguardo da cane bastonato, ma dovevo riuscirci.

«Non sono stupida, mr. Wright. Lasciami indovinare: per colpa di mia sorella ora non sei in buoni rapporti con Billie e Mike, giusto?»

Lui annuì.

Bene, mi stava ascoltando seriamente.

«Questo significa che l'unico modo per riconciliare le cose con la band è attraverso Alice, giusto? È questo il tuo obiettivo.»

«Cosa? Se volessi solo riconciliarmi con BJ e Mike cercherei di parlare con loro, non cercherei Alice...» iniziò a protestare lui.

«Ah sì? Forse però hai fretta. Magari c'è qualcosa di importante di mezzo. Sta per succedere qualcosa con i Green Day?» dissi sempre più tagliente.

«Beh... sì. Grazie a un mio vicino di casa siamo riusciti ad ottenere di fare una serata al 924 Gilman Street. Ed è solo una valutazione, diciamo che da come andrà quella serata dipenderanno le successive, però...»

Cosa?

Gilman Street?!

Ne avevo sentito parlare come un locale selettivissimo, a cui era quasi impossibile accedere.

Certo che doveva essere veramente bravo come batterista.

«Capisco, buona fortuna allora!» sorrisi soddisfatta.

Lui mi fissò perplesso.

«Mi stai prendendo in giro? Questo non c'entra niente con tua sorella! Anche senza di lei stiamo continuando con le prove e tutto il resto! Se voglio vederla è solo perché...»

«Signor Wright? Cos'è questa agitazione?» chiese la voce imponente e nervosa del professor Jones mentre entrava in aula.

Tré mi lanciò uno sguardo di odio puro, ma non poté far altro che mormorare un patetico "scusi" e fingere di seguire la lezione, anche se in realtà anche durante il resto dell'ora non fece altro che continuare a lanciarmi occhiate fugaci e a scarabocchiare sul suo quaderno.

Ero decisamente soddisfatta.

Perfetto!


«Cosa?! Ha insistito ancora?» chiese Alice perplessa dopo il mio racconto.

Eravamo nella mensa, avevamo preso un tavolo solo io e lei per non essere infastidite.

Lei continuava a rigirare il suo cibo senza avere la minima voglia di mangiare.

Si concentrava su dettagli inutili, osservava le briciole di pane, ogni tanto prendeva un sorso d'acqua.

Io non avevo mai provato una sensazione simile, quando mi ero fidanzata con Tyler era stato lui a dichiararmisi e io avevo accettato all'inizio perché credevo che il mio fosse amore. Solo dopo avevo capito che non avevo davvero idea di cosa significasse essere innamorati, solo dopo avevo iniziato a provare davvero quel sentimento.

Alice invece stava soffrendo molto, ma tentava di essere forte. Non voleva cedere e voleva dimostrare di non aver bisogno degli altri per andare avanti.

Però... quanto sarebbe durato?

«Già, ma io non ci credo neanche un po'. Abbiamo anche litigato in classe...» ricordai leggermente infastidita.

Alice rimase per un attimo persa con lo sguardo, poi sorrise malinconicamente fissando il pavimento.

«Non mi posso fidare neanche un po', eh?» chiese con un filo di voce.

Cosa?

«Intendo dire... una parte di me vorrebbe fidarsi. Io lo vorrei.» la vidi rabbuiarsi. «Ma ho paura, non posso farlo.» sospirò.

Lei non ce la faceva più, non voleva resistere più.

E io?

Cosa avrei dovuto fare?

Avrei voluto essere la sua protettrice, avrei voluto aiutarla e difendersi da tutto il male, ma... non potevo controllare il mondo.

Quel batterista almeno su questo aveva ragione.

Io volevo solo che lei stesse bene, ma sembrava che in ogni caso ciò non fosse possibile!

La scelta era tra il farsi usare e il reprimere i propri sentimenti e sinceramente nessuna delle due ipotesi mi allettava.

Cosa potevo fare?

Cosa?

Cavoli, mi veniva da piangere.

Volevo solo aiutarla ma mi sentivo così impotente!

«Alice...»

«Sì?» alzò lo sguardo lei.

«Ti prego, devi dimenticarlo!» dissi scoraggiata.

«Come?» chiese lei perplessa.

«Insomma, non ce la faccio più a vederti così! Ti rendi conto che anche se cedessi staresti male comunque?» le chiesi con voce triste.

Lei annuì mestamente.

«Però non è facile, Evelyn. È come se ti chiedessi all'improvviso di odiare Tyler: ci riusciresti?» mi chiese tirandosi un po' su.

«Ovvio che no, ma lui non mi ha fatto niente di male.» obiettai.

«Esatto, è così. Però anche se ti avesse fatto del male... beh, non sarebbe semplice comunque accettare di odiarlo.» sorrise malinconicamente lei.

Rimasi ammutolita.

Sì, era vero, era dannatamente vero.

«È come se in questo momento vivessi una sorta di apatia, non so se capisci che intendo.» aggiunse dopo qualche secondo iniziando finalmente a mangiare.

«Sì, capisco.» la osservai mentre tagliava la sua fetta di carne con delicatezza.

Sembrava che non avesse più neanche forza fisica oramai.

Non ne potevo più.

«Senti, Alice, io ho capito una cosa.» dissi con più decisione.

«Cosa?» chiese lei.

Sospirai.

Sì, non dovevo fuggire dalla realtà delle cose.

Avevo sempre pensato di essere la felicità di mia sorella, ma ero solo stata molto egoista.

Chiunque abbia questo genere di pretese lo è, dopotutto.

E anche il fatto che fossimo gemelle non c'entrava niente.

«Io non posso controllare il mondo: non posso capire cosa pensi e non posso controllarti e sai perché? Perché io non sono la tua felicità.» iniziai.

«Beh... questo lo so.» sorrise lei.

«Questo però non vale solo per me. Vale per tutti.»

«Nessuno ha la felicità nel fratello gemello?» chiese lei.

«Intendo dire che la tua felicità... sei tu, Alice. Non dipende da me, ma neanche da nessun altro. Tu devi essere felice per conto tuo, non per merito di quello lì!»

Alice mi fissò un attimo disorientata.

«Io... e anche lui possiamo far parte della tua felicità, ma non essere la felicità stessa. Capito?»

Lei annuì.

«Quindi, per favore, riprenditi e combatti, non ti far sottomettere da nessuno perché sei viva e la vita si vive una volta sola. Se in questa ti lascerai sottomettere non avrai un'altra possibilità. Devi essere felice adesso e ogni volta che ne avrai l'occasione!» dissi.

Senza rendermene conto stavo esprimendo tutto quello che pensavo di mia sorella.

Da quando nostra madre era partita tutto era stato più difficile, ma ci aveva fatto crescere.

Anche io avevo fatto un sacco di sbagli, ma non volevo compierne più.

Alice rimase ammutolita, a fissarmi in silenzio.

Improvvisamente mi sorrise, luminosa, per la prima volta dopo mesi.

Quant'era bella quando sorrideva così!

«Ho capito! Mi hai aperto gli occhi, lo farò! Non ho bisogno di qualcun altro, non è vero che sono più debole degli altri. Voglio essere felice, anche per te! Anche io voglio essere parte della tua felicità!» sorrise come una bambina.

Sì! Sì! Finalmente!

«Però adesso ho ancora bisogno di te.» sorrise più imbarazzata subito dopo.

«Certo, solo non devi permettere che una sola persona ti condizioni la vita. Ehi, se spegni la luce è ovvio che non vedi più i colori, no?»

«Già.» annuì lei.

Ecco come avrei potuto aiutarla ad essere felice, non dovevo prendere decisioni per lei, non dovevo costringerla a fare niente.

Fin dall'inizio bastava solo aiutarla ad accendere l'interruttore, farle vedere che la luce esisteva.

Era lei, poi, quella che avrebbe visto i colori.

Era lei quella che magari avrebbe scelto i suoi preferiti.

Era lei quella che li avrebbe presi e poi li avrebbe portati con sé.

______________________________Authoress' words

HofrettaedevocorreredaGa_chansennòmiuccideallaprossimascusateseilcapitolofaschifociao.

P.S. Gli occhi di Evelyn sono automaticamente anche gli occhi di Alice dato che sono gemelle. :)

P.P.S. In questo capitolo c'è meno introspezione del solito perché è Evelyn a parlare e come molti di voi avranno capito, lei è una tipa molto fredda e non comprende bene le emozioni degli altri e neanche le sue. :)

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Capitolo 19
*** Amore brutale ***



11 novembre 1988


Dondolavo dolcemente la mia testa al ritmo della canzone che stavo ascoltando sul walkman che mi ero stato regalato al mio compleanno.

Lo usavo spesso quand'ero da sola e quella canzone era diventata una delle mie preferite.

Già, ma che cosa strana, non mi ricordavo neanche come si chiamava!

Però era dolce, le parole erano romantiche e il motivo ricordava una ninna-nanna.

Era così rilassante, mi faceva dimenticare dei miei problemi e mi faceva sentire il mio cuore più forte... Palpitava al ritmo delle mie canzoni preferite, era questa la magia della musica.

Sorrisi.

Dovevo solo ringraziare Billie per avermelo fatto scoprire, anzi, l'avrei fatto, non me ne dovevo dimenticare.

Passo dopo passo finalmente giunsi davanti a casa sua e bussai senza togliermi le cuffiette.

Dopo poco Anna mi aprì e dovetti a malincuore sfilarmele a metà canzone.

Beh, era la quinta volta che la ascoltavo quel giorno, in fondo forse poteva bastare.

«Ciao Alice! Chiamo Billie.» mi sorrise affabile mia cugina.

«Grazie Anna.» le sorrisi di rimando mentre entravo in casa.

Mi appoggiai al divano mentre aspettavo, nel frattempo mi guardavo intorno.

Nell'ultimo periodo avevo perso i contatti con i miei sensi, con i dettagli delle cose. Ero rimasta troppo concentrata su me stessa dimenticandomi quasi dell'esistenza del mondo esterno.

E questo era sbagliato, molto

Mi ero dimenticata di quanto potesse essere bella la semplicità del mondo.

Già, mi ero dimenticata che ero viva, in un certo senso.

Mi stavo riprendendo in fin dei conti.

Sorrisi.

Ok, non mi ero ripresa ancora del tutto, lo ammetto, ma dovevo provarci.

La mia felicità non doveva dipendere dagli altri, solo questo dovevo ricordare.

Sospirai.

Però quasi tutte le notti sognavo Tré, da più di un mese oramai.

E spesso pensavo a lui.

E provavo il desiderio bruciante di parlargli.

Già, ma più questo desiderio diventata forte più sarebbe stato pericoloso avvicinarmici davvero, perché ci sarei cascata ancora più facilmente.

Evelyn mi diceva spesso la frase “occhio non vede, cuore non duole”, ma sembrava che quella semplice regola per me funzionasse all'inverso.

«Alice? Andiamo?» sobbalzai sentendo la voce di mio cugino.

Era vicino a me e non me ne ero neanche accorta!

«Scusami, non ti avevo visto!» risi di me stessa facendo sorridere anche lui. «Andiamo, che siamo in ritardo.» mi alzai e mi avviai verso la porta.


«Buongiorno! Siete in ritardo!» mi rimproverò Vyol appena ci vide arrivare.

«Colpa mia.» ammise Billie fin da subito.

«E ti pareva! Alice non è mai in ritardo! Sei troppo precisa.» mi rimproverò Vyol.

«Cosa? Devo ritardare di proposito? Non ha senso!» risi.

Vyol sorrise a sua volta, poi mi prese per mano.

«Devo dire una cosa in privato a Lyss, voi due rimanete qua e approfittatene per dirvi cose da ragazzi.» disse solennemente, poi mi trascinò via, un po' più lontano in modo che non potessero sentirci.

«Come va?» mi chiese dopo aver controllato di essere al riparo da orecchie indiscrete.

«Come al solito.» alzai le spalle in segno di resa, leggermente imbarazzata.

Avevo capito a cosa si riferiva.

Vyol sospirò, sembrava combattuta come se non sapesse decidere se parlare oppure no.

Mi guardò con occhi seri, troppo seri.

«Tra una settimana lo rivedrai.» mi disse poi, incerta.

Eh?

Sentii il mio cuore accelerare, il sangue scorrere troppo velocemente, dovevo essere diventata tutta rossa.

«C-cosa?» forse era stata solo un'allucinazione?

«Sì, però non c'è bisogno che tu gli parli. A meno che tu non voglia, ma lo sai...» precisò lei senza sapere come continuare.

Ok, era tutto vero.

In parole povere lo avrei visto, ma sarebbe stato da lontano.

«Lo so.» annuii tristemente. «Perché lo vedrò?» le chiesi leggermente incuriosita.

«Questo te lo devono dire Billie e Mike, altrimenti non c'è gusto!» sorrise lei.

Allora doveva essere qualcosa che riguardava la musica.

Bene.

«Allora andiamo.» dissi con un filo di voce voltandomi verso gli altri due.

Ci avvicinammo, a quanto pare stavano discutendo della stessa cosa dato che li sentii parlare di “un'occasione importante e pericolosa”.

«Di che parlate?» chiesi facendo notare la mia presenza.

I due si lanciarono uno sguardo d'intesa, poi Billie mi sorrise.

«Abbiamo ottenuto un live al Gilman Street.» annunciò solennemente.

Eh?!

Ma... erano mesi che ci provavano!

«Cosa?! Ma è fantastico!» dissi portandomi le mani alla bocca per lo stupore.

«Visto? Se te lo avessi detto io non avrebbe fatto lo stesso effetto.» mi fece l'occhiolino Vyol.

Mi ricordai di quando li sentii la prima volta a Vallejo. Da quel momento avevo sempre tifato per loro e quella notizia mi aveva reso euforica!

«Come lo avete ottenuto? Non vi avevano rifiutati quando ci avete provato la prima volta?» chiesi allegramente.

Vidi Mike fissare Billie, poi tornò su di me.

«Beh... a dire il vero sì... è merito di Tré se l'abbiamo ottenuto.»

Era quasi un mese che non sentivo quel nome. Insomma, oramai quasi tutti quando parlavano di lui usavano altre parole, come se fosse stato un tabù, come se potesse fare male.

«Tré suona lì già da cinque anni con i Lookouts!, quindi è grazie alle sue conoscenze che siamo riusciti a farci concedere una serata di prova. Se andrà male però ci toccherà tornare al Rod's Hickory Pit.» mi spiegò il bassista.

«Per questo motivo abbiamo bisogno della tua presenza, Alice. Abbiamo bisogno di quanto più pubblico possibile.» concluse Billie.

Beh, in effetti era da parecchio che non mi facevo vedere ai loro live e di questo mi sentivo anche parecchio in colpa. A dire il vero era Billie stesso che mi chiedeva di non farmi vedere in giro per evitare il batterista, però non avevo mai insistito più di tanto.

Di solito il sabato aspettavo l'ora in cui avrebbero iniziato il concerto e poi ascoltavo la cassetta che mi avevano regalato, quella in cui suonavano dal vivo.

Era l'unica cosa che mi tirava un po' su.

Però, adesso, avrei finalmente avuto l'occasione di rivederlo... non sapevo neanche io che sentimento avrei dovuto provare.

Felicità, paura?

Forse avrei dovuto provarli entrambi.

Felicità, perché una parte di me voleva incontrarlo da tanto, troppo tempo. Una parte di me doveva incontrarlo, mi sentivo come se tutto tendesse a quello, come se solo facendolo avessi potuto risolvere tutti i miei problemi.

Paura, perché se solo gli avessi parlato sarei stata in pericolo.

Sapevo già che i miei neuroni si sarebbero azzerati e che avrei finito per combinare un altro guaio.

Erano quelli i momenti in cui invidiavo la razionalità di Evelyn.

«... Stavo pensando...» iniziai timidamente. «I-insomma, è passato quasi un mese e... f-forse potrei anche smettere di evitarlo così! Non faccio lezione di matematica da troppo tempo ormai, no? I-immagino che si sarà anche dimenticato di me nel frattempo, dopotutto non è che provasse qualcosa per la sottoscritta!» dissi quasi squittendo per l'imbarazzo.

Ma che cavolo stavo dicendo?!

«Lyss, non dire così...» iniziò Vyol dolcemente.

«Non se ne parla. Il problema fondamentalmente non è lui, ma sei tu. Saresti capace di cascarci di nuovo.» disse duramente Billie.

Ahi.

Quelle parole furono una pugnalata nello stomaco.

Fredde e dure come poche.

Ero sempre io la debole della situazione, eh? Questo non era ancora cambiato a quanto pareva.

«Alice, tu non devi sentirti costretta, ma obiettivamente devi essere forte per riuscire a parlargli. Non puoi farlo come se non fosse successo niente, capisci?» disse Mike interpretando in maniera più morbida le parole di Billie.

Beh, dopotutto era vero...

Avevano dannatamente ragione.

«Io non riesco a perdonarlo fino in fondo, Lyss. Sai anche perché.» disse mio cugino lapidario.

«Eh? Gliel'hai detto?» gli chiese Mike perplesso.

«Cosa? Cosa le hai detto?» chiese Vyol preoccupata dal tono serio di mio cugino, ma lui si limitò a scuotere la testa e a mormorare un “niente” sommesso, prima di incamminarsi.

«Dovevamo andare al pub, no?» aggiunse voltandosi verso di noi dopo qualche passo, così iniziammo a camminare tutti dietro di lui.

Già, Billie si era innamorato di me, ma spesso me ne dimenticavo dato che riusciva a comportarsi in maniera del tutto normale con me. Aveva un incredibile autocontrollo su questo, mi chiedevo come facesse.

Era davvero da stimare, di sicuro gli costava un grande sforzo, ma alla fine voleva solo che io fossi felice.

Grazie, Billie, devi perdonarmi per tutto quello che ti ho fatto passare.


19 novembre 1988


La giornata era iniziata normalmente.

Già, c'era solo un po' di nervosismo elettrico nell'aria... giusto quel po' che mi faceva contorcere lo stomaco e mi faceva sentire viva.

Sì, lo sapevo, non mi sarei neanche avvicinata a Tré, però... anche solo il fatto che l'avrei visto e che l'avrei avuto vicino mi faceva quell'effetto.

Avrei voluto parlargli, pensai sospirando, ma non l'avrei fatto: nessuno voleva che facessi una cosa del genere, ero l'unica.

Però, dopotutto, anche lui voleva parlarmi, no? Forse avrei dovuto lasciargli una piccola possibilità...?

No, non dovevo ragionare così!

Proprio per colpa di quei pensieri così stupidi non potevo non comprendere Billie... dopotutto me l'aveva detto più volte: era rischioso per me farlo, ci sarei cascata di nuovo.

Non potevo non dargli ragione.

Per come mi sentivo in quel momento mi sarebbe bastato un solo gesto per lasciarmi usare di nuovo, persino l'essere usata mi mancava!

Forse gli altri l'avevano capito e forse era per questo che si comportavano tutti in maniera così delicata con me: facevano attenzione alle parole che usavano quando mi parlavano, mi guardavano attentamente, come se volessero studiare le mie reazioni.

Pensandoci bene... era anche un po' fastidioso.

Insomma, perché dovevo essere la debole della situazione? Magari, dopo tutte quelle esperienze, ero anche maturata, no?

Insomma, non era possibile che fossi rimasta sempre ferma allo stesso punto... era vero, fin da piccola ero stata quella che non imparava dagli errori, però sentivo che qualcosa era cambiato.

Era tutto così diverso!

Non ero più la ragazzina che si accontentava solo di Evelyn.

Non ero più la ragazzina che obbediva a tutto ciò che veniva detto dalla madre.

Non ero più quella che pensava che gli amici fossero una perdita di tempo e non ero neanche quella che si sarebbe sempre sottomessa al volere degli altri.

Io non ero più Alice, non quella, almeno.

Io ero Lyss, ed ero un'altra persona.

Ero Lyss, avevo dei sentimenti ed erano forti.

Mi stavano facendo battere il cuore sempre di più, mi rendevano viva.

Alice aveva solo dormito per anni, Lyss si era svegliata all'improvviso e voleva vivere.

Sospirai.

Già, ma sembrava che agli occhi degli altri non fosse cambiato nulla.

Anche Evelyn mi fissava di continuo, come se avesse temuto che sarebbe successo qualcosa di pericoloso da un momento all'altro, preoccupata.

Era da tutta la mattina che lo faceva.

Di solito ero contenta di ricevere le sue attenzioni, eppure persino con lei provavo una sensazione di fastidio.

«Tutto ok?» le chiesi leggermente innervosita, mentre mi passavo un po' di matita sugli occhi.

«Eh? Sì. Mi stavo solo un po' preoccupando per te...» disse intimidita dal mio tono di voce.

Ok, ero stata un po' troppo dura.

«E perché?» le chiesi più dolcemente. «Non sto andando a suicidarmi, sto solo andando a un concerto... e sono anche sicura che sarà meraviglioso!» sorrisi voltandomi verso di lei.

Evelyn sospirò, si alzò dal letto su cui era seduta, mi si avvicinò, mi fissò negli occhi.

«D'accordo, non voglio metterci mano e non voglio dirti niente. Solo una cosa: fatti valere.» mi sorrise.

Mi mancò per un attimo il respiro.

«Sì, ma non la fare così drammatica! È solo un concerto!» parlai con un filo di voce.

Lei mi sorrise di nuovo, ma non mi rispose.

Ecco perché mi trattavano come una bambina bisognosa di una guida: perché mi comportavo da tale.

Sembravo debole, parlavo da debole, reagivo da debole.

Odiavo questa cosa con tutta l'anima, anche perché nella mia testa non volevo essere così, nella mia testa riuscivo ad essere diversa, ma solo lì. Con gli altri mi comportavo solo come loro volevano che mi comportassi, non riuscivo a fare altrimenti.

E ovviamente loro mi trattavano di conseguenza, mi “proteggevano”, ma io desideravo farmi male da sola, chissà perché.

No, in realtà non volevo farmi male.

In realtà nella mia testa c'era ancora la speranza di poter risolvere le cose “sbagliando” di nuovo.

Che pensiero assurdo, ma chissà cosa sarebbe successo se solo avessi ceduto all'istinto...


«Lyyyyss!» Vyol corse ad abbracciarmi fuori dal Gilman.

Per un attimo mi mancò il respiro, tanto era energico la sua stretta.

«Ehi, Vyol!» la salutai spingendola un po' per non soffocare.

«Sei pronta? Io sono agitatissima! Sarà un concerto al Gilman! Avranno un'ora di concerto! Capisci? Un'ora! È tantissimo!» iniziò a saltellare come al solito.

«Lo so!» le sorrisi, ma non riuscivo ad entusiasmarmi quanto lei.

Mi sentivo in ansia, come se stessi per affrontare un esame.

Dovevo scacciare quella stupida sensazione, dannazione, ma cercare di calmarmi non faceva altro che accelerare il mio battito cardiaco.

Dovevo respirare piano, dovevo riuscirci.

Improvvisamente la porta si aprì con uno scatto. Il rumore mi fece voltare e vidi Billie uscire infuriato dal locale.

Che stava succedendo?

Vyol smise di saltellare, Mike uscì seguendo mio cugino.

«Ascolta, non è detto che volesse davvero...» iniziò il bassista.

«Un'ora e mezzo fa?! E poi guarda tu stesso! Non c'è! Non c'è da nessuna parte! Lo vedi?! No! Come non lo vedrà nessun altro! E sai che ti dico? Stavolta è l'ultima se non lo trovo!» urlò con tutta la rabbia che aveva.

«Magari c'è stato solo un contrattempo...» tentò di nuovo Mike.

«Non è possibile! Fidati! È esattamente come sembra! I contrattempi non durano tanto!» urlò più forte mio cugino.

«Billie, calmati! Non puoi fare una scenata qui fuori!» alzò la voce anche Mike.

«Sì che posso! Cazzo! Non è possibile che per una fottuta volta che abbiamo un po' di fortuna, succede questo! È normale?! Come fai a rimanere impassibile?» ringhiò ancora lui.

«Sono incazzato quanto te, sto solo cercando di non farlo sapere a tutta Berkeley!»

Io e Vyol ci fissammo perplesse.

Lei era sconvolta quanto me, non riuscivamo a capire cosa fosse successo.

«Ehm... Ciao ragazzi! Che succede?» azzardò Vyol fingendo di non aver sentito niente avvicinandosi con me al seguito.

Billie sollevò lo sguardo, ci fissò entrambe, poi si guardò intorno come per cercare di calmarsi.

Improvvisamente mi guardò dritta negli occhi.

«... Quel coglione di Tré è uscito a prendere una boccata d'aria.» borbottò cercando di non perdere le staffe.

«Ehm... e quindi?» chiesi io perplessa.

«È andato a prendere una boccata d'aria un'ora e mezzo fa.» spiegò Mike.

Io e Vyol sgranammo gli occhi.

«E se non si presenta possiamo anche dire addio al Gilman, non ci daranno un'altra fottuta possibilità! Saremo confinati a Vallejo per il resto della vita! Cazzo!» rialzò la voce BJ.

No.

Non era possibile.

«... Tra quanto inizierà il concerto?» chiesi all'improvviso.

«Tra 45 minuti.» rispose Mike incerto.

No, avevo avuto un'idea davvero stupida, non potevo davvero dire una cosa del genere.

«... Vado a cercarlo!»

Ecco.

L'avevo detto sotto gli occhi perplessi di tutti.

Perfetto!

____________________Authoress' words

Hi!

E così mancano solo due capitoli alla fine, eh? Cavoli, meglio non pensarci.

E così la nostra Lyss si è decisa e stavolta definitivamente! ^w^

Beh, ci stiamo avvicinando al finale, aspettatevi i fuochi d'artificio! ;)

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Capitolo 20
*** Salve sconosciuto, sono un disastro! ***



19 novembre 1988


«Cosa? Non se ne parla, andrò io a cercarlo.» tentò di fermarmi Billie.

Lo so, stavi solo cercando di proteggermi, ma oramai non ce n'era bisogno.

Prima o poi sarebbe dovuto arrivare il momento in cui l'avrei incontrato, anche se tutti continuavano ad opporsi.

«BJ, il concerto è in pericolo e abbiamo solo 45 minuti! Se proprio ci tieni cercalo anche tu, non possiamo permetterci di perdere altro tempo a discutere!» dissi muovendo qualche passo indietro, poi mi voltai e iniziai a correre.

Sì, sì, sì! Finalmente mi stavo liberando di quel velo di protezione così pesante che mi avevano imposto!

Solo ora capivo che io avevo sempre voluto farlo, avevo sempre voluto incontrare Tré, ma non avevo mai avuto il coraggio di cedere al mio istinto.

Che stupida!

Correre a quel modo mi stava liberando di tutto, a ogni passo cadeva un peso da me.

Un passo, cadde la mia paura.

Due passi, cadde la mia inettitudine.

Tre passi, cadde la mia indecisione.

Cadevano e di certo non sarei tornata indietro a raccoglierle.

Ero libera per la prima volta in tutta la mia vita!

Avevo preso una decisione da sola, seguendo l'istinto, senza neanche ragionare ed era perfetto così!


Mi fermai ansimante, di Tré non c'era traccia.

Controllai l'orologio, mancavano 38 minuti all'inizio del concerto.

Ripresi un attimo fiato, mi sentivo scoraggiata.

Avevo pensato che fosse probabile che si trovasse in quel posto, dopotutto il 7-11 era stato un rifugio per tutti noi per un bel po' di tempo.

Forse però era troppo ovvio, dopotutto lui aveva deciso di sparire, forse aveva scelto un posto più nascosto.

La mia corsa doveva riprendere, non avevo tempo.


Meno 30 minuti, bussai alla porta di casa sua.

Mi aprì una ragazza, supposi fosse sua sorella.

«Sì? Chi sei?» mi chiese.

«Tr... Frank è in casa?» chiesi col fiatone ignorando totalmente la sua domanda.

«Eh? Cosa? No... Ma chi sei, scusa?» mi chiese di nuovo perplessa.

«Grazie mille, perdona il disturbo!» la ignorai correndo già via.

Non avevo tempo per fermarmi a presentarmi, dannazione.

Dovevo correre, correre via da quella situazione!

Se l'avessi trovato mi sarei lasciata dietro tutto quello che ero stata prima, non mi importava di nient'altro.

Avevo tentato molte volte di combattere la mia debolezza, avevo sempre fallito.

Ma non quella volta!


Meno 27.

La mia corsa disperata stava iniziando a farsi troppo pesante.

Il mio corpo mi implorava di fermarmi.

Non ce la facevo più a continuare.

Ero al parco, mi lasciai cadere su una panchina, quella su cui lui mi aveva trovata quando ero fuggita di casa.

Quella da cui era iniziato tutto.

La mia testa mi diceva di correre ancora, di continuare per non fallire di nuovo.

Mi diceva che dovevo essere io a trovarlo, non doveva essere Billie o un altro di loro.

Ero io quella che aveva qualcosa da dirgli.

E non sapevo neanche cosa, a pensarci bene.

Cercai di riprendere fiato, non ce la facevo più.

Ero immersa nel silenzio di quella giornata quasi invernale, il vento mi stava facendo rabbrividire e la tensione non contribuiva a farmi stare meglio.

Dannazione.

Perché non lo trovavo?

Non avevo idea di dove cercare ancora.

Dove diamine si era cacciato?

Mi chinai in avanti, respirando affannosamente.

Notai un piccolo sassolino a forma di cuoricino tra la ghiaia sotto la panchina.

Ecco a cosa mi aveva portato innamorarmi, a quella esasperazione!

Non ne potevo più, non ne potevo più di niente!

Dannazione!

Diedi un violento calcio all'indietro a quello stupido simbolo che mi stava causando tanti guai. Quest'ultimo partì, lo seguii con lo sguardo e solo allora notai un viale che non avevo mai visto prima.

Possibile? Vivevo in quella zona da anni, come facevo a non essermene mai accorta?

Aveva un qualcosa di... mistico, era inquietante.

Mi alzai dalla panchina, ancora un po' stanca, mi ci avvicinai.

Era come tutte le strade di Berkeley, non aveva niente di strano, però sembrava diverso allo stesso tempo.

Ho sempre pensato che tutte le cose succedono per un motivo nella vita, anche l'aver trovato quella strada, in quel momento, magari significava qualcosa.

Non era un pensiero razionale, ma non avevo nulla da perdere, non avevo idee su dove cercare ancora.

Mossi qualche passo, piano, non ne potevo più di correre.

Mi sentivo stanca, mi girava un po' la testa per la fatica, al punto che improvvisamente mi sentii mancare il terreno sotto i piedi.

Caddi a terra, in maniera ridicola.

«Ahi...» mormorai mettendomi seduta.

Sospirai.

Guardai dietro di me.

Non ero semplicemente caduta, ero inciampata.

Beh, almeno non stavo così tanto male da non avere più il senso dell'equilibrio.

Senza neanche alzarmi mi avvicinai al sasso che mi aveva fatto finire a terra.

Si trovava dentro il terreno e aveva un colore marroncino.

Non era un sasso, era un qualcosa di seppellito, avevo davvero paura di aver capito cosa fosse.

Mi feci coraggio, estrassi quell'oggetto dalla terra.

Lo tirai velocemente fuori e quella assurda certezza mi assalì.

Sì, era quello che pensavo.

Una bacchetta da batteria.

Impallidii stringendola nella mano.

Che significava?

Un gesto così strano e in un certo senso estremo, cosa poteva significare?

Perché Tré avrebbe dovuto fare una cosa del genere?

Forse era per lasciare una traccia?

Ora sì che ero preoccupata.

Mi alzai, con le poche forze che mi rimanevano.

Dovevo raggiungerlo, ovunque fosse.

Raccolsi la bacchetta, me la infilai in borsa.

Ricominciai a correre, anche se sbandando. Non riuscivo a mantenermi perfettamente in equilibrio, ma ero disperata, non potevo fare altro.

Inizia a percorrere quello strano viale, lasciavo che la strada scorresse veloce, anche se sembrava non finire mai.

Non c'era nulla lì, non c'erano case, non c'erano persone.

C'era solo il silenzio, la città sembrava lontana kilometri da me.

A ogni passo la tensione, la mia tensione, cresceva.

Avrei corso fino allo scadere del quarantacinquesimo minuto se necessario, non potevo arrendermi!

Quasi non riuscivo più a pensare, quasi non mi importava più di niente.

Non sapevo perché avesse fatto tutto ciò, ma dovevo trovarlo!

Improvvisamente vidi una luce in lontananza, quel viale buio era finito.

Finalmente la luce del sole.

Mi fermai per riprendere un attimo fiato.

D-dannazione...!

Avevo il cuore che batteva a una velocità vertiginosa, mi girava la testa!

La corsa e poi anche l'emozione mi stavano facendo quell'effetto?

B-beh, nessuno aveva detto che Tré fosse esattamente alla fine del viale, perché stavo reagendo così?

Era solo il pensiero di rivederlo che mi riduceva in quello stato?

Era un mese che non lo incontravo, anche se volevo.

Mi era stato impedito dalla mia stupida testa e anche da chi voleva aiutarmi.

Non ero arrabbiata con chi ci aveva provato, dopotutto avevano solo cercato di farmi stare bene.

No, no.

Ero arrabbiata col fatto che non ero stata in grado di capire fin da subito cosa dovevo fare.

Ma oramai era tardi e il passato non potevo cambiarlo.

Ma il futuro sì.

Ed era quello che avrei fatto quel giorno, pensai facendomi forza.

Feci quei pochi passi che mi separavano dall'uscita del viale con decisione.

Eccomi, ero lì.

Ero pronta, finalmente.

Lasciai che la luce del sole mi accecasse un attimo.

Rimasi senza fiato.

Non avrei immaginato che dopo quel viale buio e solitario si aprisse un belvedere che dava sui monti intorno alla città e le campagne.

Era... bellissimo!

Faceva venire voglia di urlare!

Già, ma mi trattenni.

Sentii il mio cuore fermarsi quando vidi Tré pochi metri più in là, seduto sul muretto.

Tra le mani stringeva una canna o qualcosa di simile, guardava giù osservando il panorama.

Feci qualche passo verso di lui, nel silenzio, anche se la mia testa stava per scoppiare.

Immaginare di incontrarlo e averlo davanti per davvero era molto diverso, dopotutto.

Diamine, che confusione!

Cosa era che dovevo dirgli?

Ah, già, il concerto... me ne stavo dimenticando.

Che stupida.

Improvvisamente lui sospirò, iniziò a canticchiare qualcosa. Era una canzoncina sulle canne.

«Rolla, rolla, rolla una canna, girala alla fine, accendila, fatti un tiro e passala ai tuoi amici.» intonò senza distogliere lo sguardo dal paesaggio, poi si portò quella roba alle labbra e l'accese.

Sospirai, rumorosamente per il nervosismo.

Mi sentì.

Si voltò.

Rimanemmo entrambi paralizzati.

Ecco, ci stavamo guardando. Era da troppo tempo che non ci vedevamo.

«Lyss...?» mormorò lui perplesso.

Annuii facendo qualche passo in avanti verso di lui.

Già, ero proprio io.

Il cagnolino era tornato.

«Beh, è da un po' che non ci si vede, eh?» chiese lui con un tono di voce stranamente allegro, come se non fosse successo niente di niente in tutto quel tempo.

Quel modo di parlare mi diede decisamente fastidio.

Certo, non mi aspettavo che mi accogliesse con chissà quale cerimonia, ma il fatto che addirittura fingesse indifferenza mi diede fastidio.

Però... c'era qualcosa di anomalo nel suo modo di parlare.

Sembrava... esausto, come se non ce la facesse più neanche lui a reggere tutta quella situazione.

I suoi occhi erano stanchi.

«Cosa ci fai qui?» chiese dopo aver dato una boccata a quella canna.

Cosa ci facevo lì?

No, non era il momento di lasciarmi prendere dall'emozione.

Non dovevo più essere il cagnolino, non dovevo dimenticarmene.

«Vorrei chiederti la stessa cosa.» dissi con un tono di voce indefinito. «Perché sei sparito così? Il concerto inizierà tra meno di mezz'ora e con la tua fuga stai mettendo in pericolo...» iniziai.

«Ah, ho capito.» fui interrotta.

Iniziai a preoccuparmi, negli occhi di Tré era passato un fulmine di nervosismo.

Scese dal muretto, mi si avvicinò.

«Quando sono io a cercarti perché ti voglio parlare, ricorri ai mezzi più assurdi pur di evitarmi arrivando addirittura a sostituirti con tua sorella...» iniziò con un tono di voce sempre più pericoloso. «Ma se è Billie ad aver bisogno di me... allora cambia tutto, eh? Addirittura corri pur di trovarmi in tempo, giusto?» disse con rabbia guardandomi dritta negli occhi.

Cosa?

Abbassai lo sguardo intimidita.

D-dovevo solo riportarlo al Gilman, non dovevo perdere troppo tempo.

Forse avrei dovuto solo dargli ragione e muovermi a riportarlo lì?

«Comunque non ho intenzione di far saltare il concerto.» precisò all'improvviso, come se avesse letto nei miei pensieri.

Lo guardai perplessa, colta in fallo nella mia mente.

Perché? Perché doveva mettermi così in difficoltà? Voleva vendicarsi del fatto che per colpa mia non c'era più lo stesso rapporto di prima con gli altri?

Mi odiava, adesso?

«Io non volevo evitarti.» mormorai con la voce strozzata.

C-che diamine stavo dicendo?

Era patetico, non potevo parlare così all'improvviso.

Tré si allontanò di qualche passo da me.

«Lo so.» disse con voce totalmente diversa dopo.

Cosa?

Che... significava quel tono?

Alzai gli occhi interrogativa.

Che strana atmosfera.

Mi sembrava di essere in una sottospecie di sogno.

Forse era solo perché avevo il cuore che batteva troppo velocemente, forse era solo perché mi girava un po' la testa, ma tutto mi sembrava così evanescente, come se nulla fosse stato vero.

Né io né lui parlavamo in quel momento, dovevo dire qualcosa!

«Senti... di cosa mi volevi parlare?» gli chiesi all'improvviso, non sapendo neanche io dove presi il coraggio per farlo.

«Come?» chiese Tré colto alla sprovvista.

«Mi volevi parlare, no? L'hai detto anche tu adesso.» gli ricordai.

Mi fissò per qualche secondo, poi scoppiò a ridere all'improvviso di una risata lievemente isterica.

«Sai una cosa? Non ne ho la più pallida idea!» disse allontanandosi un po' da me.

«Come?»

«Davvero, è passato un mese e non ho capito bene neanche io cosa è che voglio dirti!» scosse la testa.

Incredibile.

La stessa identica cosa che era successa a me.

Non aveva senso!

«Lyss? Posso chiederti una cosa?» mi chiese all'improvviso dopo altri secondi di tesissimo silenzio, gettando via quello che era rimasto della canna.

«Sì?» chiesi timidamente.

Ed ecco che il mio tono di voce si faceva di nuovo debole.

«Tu... sei ancora innamorata di me?» mi chiese cogliendomi totalmente alla sprovvista.

Ma che razza di domanda era?!

Non volevo rispondergli e farmi di nuovo prendere in giro!

«C-che ti importa?» chiesi all'improvviso innervosita. «I-insomma, non c'è bisogno che ti preoccupi di una cosa del genere. N-non avremmo neanche dovuto iniziare a parlare di queste cose, l'unica cosa che ci dovrebbe importare adesso è il concerto, quindi...» iniziai a parlare senza fermarmi.

Ok, stavo andando in panico totale.

«Che te ne importa del concerto adesso? Ti ho già detto che non ho intenzione di farlo saltare, ma non credo che sarò in condizione di fare una buona esibizione se ci vado con tutti questi pensieri per la testa.» mi bloccò lui.

Ah, bene, mi ricattava.

Ma che credeva di fare?

Farmi anche prendere in giro così era troppo.

«... N-no, ok? Ci tieni proprio a saperlo? Allora ti dico di no!» dissi con voce troppo acuta.

Ma che diamine mi prendeva?

Ero di sicura arrossita miseramente, che figura.

Mi voltai iniziando a camminare come se avessi voluto andarmene.

«Perché menti così?» mi bloccarono le sue parole.

Mi voltai di nuovo verso di lui, arrabbiata.

«Chi sei tu per dire se mento o no? Ora sei così presuntuoso da non riuscire ad accettare che una delle tue ragazze non ci tiene più così tanto a te?» ringhiai quasi.

I miei pensieri stavano uscendo dalla mia bocca senza che neanche riuscissi a razionalizzarli.

Che mi prendeva?

«Io ci tengo a te!» mi disse lui raggiungendomi. «Qual è il tuo problema?» disse afferrandomi il polso, impedendomi di allontanarmi ancora. «Credi di essere troppo debole? È per questo che hai paura dei tuoi stessi sentimenti e lasci che siano gli altri a decidere per te? Chi ha deciso che mi devi odiare? Evelyn o Billie?» disse con rabbia anche maggiore della mia.

«Non ha senso quello che dici!» mi sentii quasi di svenire, la mia voce era uno squittio.

«Sì invece, lo sai benissimo!» mi strinse il polso più forte.

Ahi... faceva male...

«Mettitelo in testa una volta per tutte, Alice: tu non sei debole!» disse allentando la presa fino a lasciarmi.

«Tutti dicono e pensano il contrario, non ho mai fatto qualcosa per essere forte, mi sono sempre lasciata sopraffare dagli eventi!» gli dissi sentendomi la testa scoppiare.

«Sei stata tu a decidere di ospitare Billie, sei stata tu a decidere di staccarti da tua sorella, sei tu che sei scappata di casa e sei tu che hai trovato la forza di dirmi quello che pensavi, di dirmi che la situazione non ti andava bene. Sono gli altri che hanno deciso che tu sei debole, ma non è mai stato vero, Lyss! Anche io ci avevo creduto e anche tu.» disse lui, la sua voce era forte come non l'avevo mai sentita. Era davvero convinto di quello che stava dicendo.

Io ero... forte?

«Voglio solo sapere cosa pensi davvero, non voglio sapere cosa pensano gli altri, Alice.» concluse sospirando alla fine. Era esausto, come me.

Io...

Aveva appena affermato l'esatto contrario di quello che avevo pensato per anni, ero confusa! Cosa avrei dovuto dirgli?

Diceva che ero forte, ma ero sempre stata solo una stupida debole, no?

No?

N-non capivo!

Non capivo più niente!

No, no, no, non dovevo fare così.

Non importava del passato.

Io volevo essere forte, non importava com'era il mio passato.

Era nel presente che dovevo agire, questo contava.

Magari lui aveva ragione.

Io ero forte.

Io sono forte.

Alzai lo sguardo, trovai il coraggio di guardarlo dritto negli occhi nonostante il rossore pietoso sul mio viso.

Cosa pensavo davvero?

«Io ti amo.» confessai, senza neanche pensare.

Non avevo balbettato, l'avevo detto sul serio?

«P-però non mi lascerò usare.» dichiarai subito dopo abbassando lo sguardo.

«... Non voglio usarti. Non avrebbe senso.» disse lui allontanandosi un po'.

«Vuoi fare finta di niente allora?» chiesi con un filo di voce.

Tré vacillò, sembrava indeciso.

Che gli aveva preso? Era stato così sicuro di sé fino a quel momento, così aggressivo...

Anche lui abbassò lo sguardo, solo dopo un po' parlò.

«Non ci arrivi proprio, eh? Non hai proprio messo in conto la possibilità che potessi innamorarmi anche io di te?» confessò a bassa voce, quasi come se stesse parlando tra sé e sé.

Eh?

Come?

Mi sentii di svenire, non avrei retto quella conversazione ancora a lungo.

«Ti comporti come se di te non me importasse nulla, lo hai sempre dato per scontato, ma in realtà io ci tengo a te, Lyss.» aggiunse poi.

N-non potevo crederci.

Scoppiai a ridere, istericamente.

Tré mi fissò perplesso, preoccupato dal mio scoppio improvviso.

Era... questo?

Tutta quella tensione accumulata per questo?

«Non ci posso credere! Non ci posso credere! Era questo che mi volevi dire e io ho fatto di tutto pur di impedirtelo?» risi per l'ironia di quella situazione.

No, no, dovevo calmarmi, probabilmente sembravo del tutto impazzita in quel momento.

Improvvisamente la tensione si era allentata.

Altro che atmosfera romantica, quella conversazione era stata un incubo!

Mi venne quasi da piangere. Quando non c'è più la tensione della rabbia, tutto si trasforma in depressione.

«Sono un'idiota! Sono una dannata idiota!» riuscii a malapena a calmarmi dopo qualche secondo.

Rimasi in silenzio come una stupida, volevo dire qualcosa ma non riuscivo più a parlare.

Lasciai solo che le braccia di Tré mi stringessero.

Meglio, molto meglio.

Era solo di quello che avevo bisogno.

«Scusami. Sono un disastro.» gli sussurrai.

«Come se io fossi molto meglio.» mi sorrise lui rassicurante, prima di appoggiare con delicatezza le sue labbra sulle mie.

Finalmente.


«Che cazzo di fine avevi fatto razza di coglione?!» urlò Billie non appena ci vide arrivare.

«Ah, ecco, diciamo che l'atmosfera era un po' tesa e avevo solo bisogno di rilassarmi un po' e poi qui al Gilman non si può fumare quindi...» iniziò Tré con nonchalance.

«Non me ne fotte un cazzo di quello che volevi fare! Giuro che se non suoni decentemente ti spacco la grancassa sulla testa!» esplose mio cugino provocando le risate di tutti.

Alla fine anche lui cedette e scoppiò a ridere per le sue stesse parole.

La tensione era svanita del tutto per la prima volta dopo mesi.

Era... meraviglioso!

«Dai, diamoci una mossa. Dobbiamo iniziare tra pochissimo.» sorrise Mike. «Voi due andate a prendere posto.» aggiunse poi guardando me e Vyol.

«Vi voglio in prima fila, mi raccomando!» mi fece l'occhiolino Tré.

«Ah, già!» mi ricordai all'improvviso. «Hai “perso” questa prima.» gli sorrisi porgendogli la bacchetta trovata a terra.


«Ehi, Lyss, ma si può sapere che è successo tra voi due?» mi chiese Vyol mentre ci facevamo spazio tra la folla del Gilman.

«Parliamo dopo il concerto, ok?» le risposi sbrigativa.

Ora avevo bisogno solo di rilassarmi un po'.

Il Gilman non era molto grande, eppure era affollatissimo. Era l'unico locale punk di Berkeley rimasto dopo la chiusura del Mabuhay Gardens e il Farm, forse era per quello che vi si era riversata tanta gente così in fretta.

Dopo poco si accesero le luci sul piccolo palco, i Green Day fecero il loro ingresso prendendo i loro posti immediatamente.

Attaccarono subito con una canzone. Sì, la conoscevo era “1'000 hours”! Era una delle mie preferite!

Iniziai a cantare insieme a Vyol.

Erano in pochi a conoscerli, però anche chi non sapeva le parole delle canzoni si muoveva a ritmo, tutti erano coinvolti.

Come sempre era stupendo!

Amavo il fatto che inizialmente la canzone fosse solo con voce, chitarra e grancassa, che solo dopo esplodesse davvero. Creava tensione, creava aspettativa.

Perfetto!

Ovviamente non ci fu neanche un errore, tutti sembravano perfettamente a loro agio.

Billie ringraziò il pubblico dicendo che non poteva credere di non essere più solo il ragazzino che ascoltava, di essere finalmente dall'altra parte, il pubblico reagì con un boato.

No, dovevano permettergli di continuare a suonare lì, lo meritavano.

Nonostante tutta la tensione di poco prima, erano di nuovo lì più forti.

Erano tornati ed erano grandiosi!

E... beh, per una volta me ne presi anche un po' il merito, per una volta non avevo rovinato tutto come era accaduto in passato.

Perché io... ero forte!


Con un ultimo accordo e un'ultima rullata sui tom, il concerto finì.

Era stato semplicemente grandioso, non c'era troppo da dire.

Dopo qualche minuto la gente iniziò ad uscire dal locale, a muoversi.

Afferrai la mano di Vyol.

«Andiamo nel backstage?» le chiesi.

«Sì! Ah... Lyss? Credo che... vorrei parlare di quella cosa a Billie.» rispose lei quasi sottovoce mentre iniziavamo a camminare.

Non la potevo vedere dritta in viso, ma immaginai che stesse arrossendo.

Cosa?

Voleva... dichiararsi?

In quel momento?

Non poteva! Billie provava dei sentimenti nei miei confronti e lei neanche lo sapeva!

Dovevo dirle qualcosa?

«Ehm... Vyol...»

«Non ti preoccupare! Giuro che non farò scenate anche se mi dovesse dire di no. Io glielo voglio dire.» iniziò lei sognante.

«Vyol non è una buona idea dirglielo in questo momento.» risposi secca.

Lei si bloccò.

«Alice, perché mi dici questo?» mi chiese perplessa.

«S-siamo appena usciti da un periodo di forte tensione, credo che non sia il momento adatto...» cercai di giustificarmi.

«Ma io... insomma, sono anni che aspetto e avevo detto che mi sarei dichiarata solo quando avrebbero ottenuto qualche cosa di importante con la band, ricordi?» mi chiese.

«Sì, me lo ricordo, però oggi secondo me è meglio evitare.» cercai di convincerla disperatamente.

«Se non è oggi sarà domani, capirai che cambia! Io lo voglio fare!» si lamentò lei. «Davvero, non capisco perché ti preoccupi tanto!» disse lasciandomi la mano. «Sono stanca di aspettare.» concluse con tono drammatico prima di correre nel backstage lasciandomi indietro.

Diamine, perché era così impulsiva?

Sì, lo sapevo, in quel momento le sembrava la cosa giusta da fare, probabilmente era anche lei un turbinio di sentimenti confusi...

Però forse era giusto così.

La scelta era tra il lasciare che si dichiarasse e l'impedirglielo per sempre.

Prima o poi l'avrebbe fatto e non avrebbe neanche aspettato troppo a lungo.

Anche lei aveva fatto una scelta e non volevo fermarla.


«Alice, che fine avevi fatto?» mi chiese Mike appena riuscii ad entrare.

«Ho perso Vyol nella folla, scusate.» sorrisi.

Sentii il suono della porta sul retro che si chiudeva.

A quanto pare era già partita all'attacco.

Troppo tardi.

«Lyss! Com'è andata?» mi saltellò incontro Tré.

«Benissimo!» sorrisi un po' sovrappensiero.

«... Sicura?» chiese notando la mia espressione.

«Sì, sì! Scusami, oggi è stata una giornata un po' stancante.» sorrisi.

Potevo solo sperare che non la prendesse troppo male.


La porta si riaprì.

Vyol entrò dentro il backstage con gli occhi rossi e col trucco un po' sciolto, Billie la seguì subito dopo richiudendo la porta.

Era accaduto quello che temevo.

«Vyol! Che è successo?» le chiese Mike sinceramente preoccupato appena la vide.

«Lascia stare, ne parliamo dopo.» rispose lei con un sorriso un po' malinconico.

Immediatamente mi avvicinai a Billie.

«Che vi siete detti?» gli chiesi a bassa voce, anche se riuscivo già a immaginarlo.

Billie sospirò.

«Mi si è dichiarata e l'ho rifiutata. Starà male per un po', forse verrà da te a piangere dicendo che la sua vita è finita e che è destinata a rimanere sola... è più o meno quello che ha detto a me.» mi rispose con lo stesso tono di voce per non farsi sentire.

«E tu che le hai risposto?»

«Che non ha il diritto di dirlo, lei non è sola. Mike le muore dietro e lei lo ignora. Lui le si è addirittura dichiarato e lei non gli ha neanche risposto.»

Eh?

Cosa?!

Era lei la ragazza segreta di Mike?

Improvvisamente caddi dalle nuvole e a stento mi trattenni dal cacciare un urletto di stupore.

Ma certo, era ovvio! Tutto tornava così! Ero stata un'idiota a non capirlo prima!

«Anche se non vuole stare con lui non ha il diritto di dire che è sola. E poi, sai... non è finita finché non sei sottoterra, no?» mi sorrise Billie.

Gli sorrisi a mia volta.

«Giusto.» gli dissi semplicemente senza aggiungere nient'altro.

Era così che volevo ragionare.

Per quanto nella vita ti possa andare male, finché sei vivo, finché hai una famiglia, degli amici che ti vogliono bene, una sola persona nel mondo che pensa di amarti... beh, allora vale la pena di combattere perché non è finita finché non sei sottoterra, non è finita finché non è troppo tardi.

«Ah, comunque, Billie... volevo solo ringraziarti, per tutto l'aiuto che mi hai dato in questo periodo. Grazie.» gli sorrisi dolcemente.


«E... quindi al 99% ci fanno suonare di nuovo lì.» concluse il suo calcolo statistico Tré mentre mi riaccompagnava a casa dopo che tutti gli altri se n'erano andati: Vyol era uscita con Mike e Billie invece doveva andare in un'altra direzione, quindi eravamo rimasti solo noi due.

«Beh, è ottimo, no?» sorrisi.

«Già! E c'è anche il 78% di probabilità che tra un paio d'anni i Green Day saranno famosi con regolare contratto discografico.» sorrise anche lui.

«Ora non esagerare.» gli risposi ridendo.

«E perché no? Se non ci credi certe cose non si avverano.» mi riprese.

«Ok, ok. Allora mi preparo. Tra un paio d'anni sarò la cugina di un cantante famoso in tutto il mondo!» esclamai.

«Ti conviene farti autografare qualcosa nel frattempo, sai quanti soldi potresti farci?» scherzò Tré facendomi scoppiare a ridere di nuovo.

«Allora domani ti porto un po' di cose da firmare, ok?» sorrisi aprendo il cancelletto del giardino di casa mia.

Già ero arrivata e non me ne ero neanche accorta...

«Questo significa che domani ci vedremo?» mi chiese lui seguendomi nel giardino.

«Se ti va...» gli sorrisi fermandomi davanti alla porta di casa.

Mi voltai, Tré mi sorrise, poi appoggiò le sue labbra sulle mie con delicatezza.

Chiusi gli occhi.

«Allora a domani, Lyss.»

Nota: questo non è l'ultimo capitolo.

_________________________________Authoress' words

Alloraaaa! Questo capitolo è molto più lungo dei precedenti, sono ben nove pagine.

Non ho molto da dire se non che sono esausta e sto scrivendo da ore.

E che a quanto pare ho tendenza al fluff. u.u

Bene, a parte questo, vi dico che vi aspetto domenica prossima con l'ultimissimo capitolo, stesso giorno, stesso sito, non potete sbagliare!

Yeeeeeeh!

*sviene per la fatica*

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Capitolo 21
*** Il tempo della tua vita ***



2 gennaio 2013


Uno scossone mi fa sobbalzare un attimo.

Scuoto la testa.

Non è niente, è normale che ogni tanto succeda, penso dondolando un po' la testa e riappoggiandomi allo schienale del mio sedile.

Guardo alla mia sinistra, Evelyn sta con gli occhi chiusi e le cuffiette nelle orecchie.

Forse anche lei ieri notte non ha dormito.

Non so perché, ma il pensiero mi fa sorridere.

Almeno non sono l'unica che si è emozionata per questa cosa, penso socchiudendo gli occhi.

Il treno è così tranquillo, il vagone è solo nostro e la luce del mattino non mi dà fastidio, anzi, mi rilassa.

L'espressione di Evelyn si contrae, apre gli occhi piano.

«Che succede?» le chiedo osservandola.

«Uhm... si è fermata la musica.» mugola tirando l'iPod fuori dalla borsa.

Per un secondo ripenso al mio vecchio walkman, quello che ho conservato a casa.

La tecnologia è cambiata molto in tutto questo tempo.

Sul piccolo schermo di quell'aggeggio appare il logo di American Idiot, sorrido vedendolo.

«Però, abbiamo cambiato musica?» ridacchio.

«È inutile che gioisci, le canzoni sono belle dopotutto. È solo per quello.» risponde secca lei, forse un po' imbarazzata perché colta “in flagrante”.

Come se fosse un reato poi ascoltare le loro canzoni.

Dopo un po' sospira, si toglie le cuffiette.

«Che ore sono?» mi chiede.

«Le 9:00, probabilmente siamo quasi arrivate.» le sorrido.

«Di già?» chiede perplessa.

Eh già, manca davvero poco, eh?

Cavoli, al solo pensiero sento un brividino di emozione che mi corre lungo la schiena.

Non sto andando a fare niente di strano, me lo devo solo ricordare.

Ah... niente da fare. Il mio cervello non vuole proprio saperne dell'idea di mantenere la freddezza.

Evelyn sospira.

«Lisa non mi ha fatto chiudere occhio stanotte...» si lamenta.

«Oh, come mai?» le chiedo incuriosita.

«Beh, sai, l'idea che starò via due settimane non le andava molto giù.» sorride.

È felice che sua figlia sia così legata a lei dopotutto.

«Ha solo 11 anni, è normale.» sorrido intenerita.

«Già, anche se molti ragazzini sono freddi e distaccati in questa età, lei non lo è. Ha molto di te, sai?» mi squadra con lo sguardo tipico di una madre.

Annuisco un po' malinconicamente.

Evelyn ha avuto una vita perfetta finora: è sposata e ha una figlia che probabilmente è la cosa più tenera e dolce che il pianeta abbia mai visto.

E io... beh, io sono sola.

È umiliante in effetti ammetterlo, ma Jake, il mio ex mi ha mollata poco prima del nostro ipotetico matrimonio.

Già.

Precisamente due giorni prima l'ho scoperto un'altra donna di cui non so neanche il nome: non aveva il coraggio di lasciare una delle due, così gli ho tolto il peso di dover prendere una decisione e l'ho lasciato io.

Che vigliacco, almeno non mi sono sposata con la persona sbagliata.

Già, anche se razionalmente lo so, questa cosa continua a farmi male.

Sì, è un'idiota, però... insomma, mi ero innamorata di lui.

Oramai è passato molto tempo, ma non sono mai più stata con nessun altro. Dopo quest'esperienza tutti mi sembrano così superficiali, interessati a qualcosa che non sono io.

Non è stato un bel momento e sarebbe meglio non pensarci a meno che non voglia deprimermi proprio ora.

E non è il caso.

Per niente.

Oramai ho 41 anni, in teoria avrei già dovuto avere una famiglia, dei figli... e invece no.

Almeno però ho un lavoro abbastanza decente: sono una psicologa abbastanza conosciuta e amo lavorare con gli adolescenti, quelli che credono di non avere speranza.

Mi accusano di essere ingenua certe volte, perché voglio vedere le cose in positivo, ma gli ingenui sono loro, quelli che si vogliono nascondere dietro un semplice “tanto è impossibile” prima di tentare ogni cosa.

Sospiro.

«Sei nervosa?» mi chiede Evelyn.

«Dovrei?» cerco di dissimulare.

In realtà ogni volta che ci penso sento un'emozione crescente, come una ragazzina che va al concerto del suo cantante preferito.

«Smettila di far finta di niente! Guarda che lo so.» mi riprende lei con dolcezza.

«Cosa sai?» le chiedo continuando a guardare il mio cellulare tentando di distrarmi.

«Che non è facile rientrare nella vita di una persona... soprattutto se non la vedi da venticinque anni.»

Colpita e affondata.


«Aspetta... non lo so, fai qualcosa! Fatti riconoscere!» cerco di dire nel cellulare cercando di farmi sentire nonostante il rumore della stazione.

«Oh, aspetta... potrei sventolare qualcosa in aria! Guarda, sono quella che agita quella borsa nera! Mi vedi?» una voce squillante mi risponde.

Mi sforzo e finalmente la vedo, una donna in lontananza che saltella sul posto agitando un oggetto indefinito.

«Sì! Ti ho vista, ora ti raggiungiamo!» sorrido trionfante chiudendo la telefonata.

Prendo per mano Evelyn e inizio a farmi spazio tra la gente che corre chissà dove.

«È quella tipa laggiù?» mi chiede mia sorella.

Ed ecco la prima persona che incontro dopo venticinque anni precisi.

Diamine, che imbarazzo, chissà cosa dovrei dire per rompere il ghiaccio?

Oramai non faccio più parte della sua vita, forse non avrei mai neanche dovuto contattarla...?

No, no.

C'è un motivo se ho preso un treno per arrivare fino ad Oakland, non posso tirarmi indietro alla prima difficoltà.

Annuisco e finalmente la raggiungiamo.

«Aliiiiiiiice!» corre Viola saltandomi letteralmente al collo.

«E-ehi...!» mormoro lievemente imbarazzata.

Si stacca e mi sorride.

Cavoli... ha ancora la stessa energia di quando avevamo 16 anni... è incredibile, penso sorridendo.

«Ciao Evelyn! Sono felice di rivedervi dopo tutto questo tempo! Che fine avevate fatto che non mi trovavate?» chiede allegramente.

Sorrido rilassata.

Con lei non c'è bisogno di rompere il ghiaccio.

«Beh, avevamo preso l'uscita sbagliata e stavamo andando in direzione opposta a te.» sorrido di me stessa e della mia fretta iniziando a camminare verso la città, verso Oakland, finalmente!


«Oh bene, già hai fatto tutto allora!» sorride Evelyn.

«A-aspetta un attimo Viola, non mi hai detto niente!» dico perplessa.

«Beh, mi sembrava ovvio che dovessi avvertire anche loro, no? E poi scusa, se non volevi farlo perché saresti venuta fin qui?» mi chiede la nostra guida mentre ci riposiamo un attimo al tavolino di un bar.

«Ah, e poi mi dà fastidio essere chiamata Viola, non puoi chiamarmi semplicemente Vyol come l'ultima volta che ci siamo viste?» mi sorride con un velo di malinconia. «Non credo che adesso chiamerai quei due Michael e Frank, no?» mi provoca un po'.

Michael e Frank?

Decisamente no, sarebbe un po' troppo freddo...

Ah, dovrei farmi un po' meno problemi, dopotutto loro non danno la minima importanza a queste cose!

«No, sarebbe un po' troppo.» sorrido allo stesso modo.

«Comunque quando e dove li incontreremo?» chiede mia sorella guardandomi.

«Tra mezz'ora... a casa di Tré.» dice Vyol.

«A casa?!» sussulto.

«Che c'è di strano? Sai, non è una grande idea incontrarci fuori considerando che le fan sono ovunque.» dice lei a bassa voce.

Giusto, certe volte mi dimentico della loro fama, di quello che sono diventati.

«Ha ragione, Lyss.» dice Evelyn prima di portarsi alle labbra il suo caffè.

«Sì, non ci avevo pensato, scusate.» sorrido un po' falsamente.

È così triste certe volte pensare a come le cose siano cambiate.

Non rivedrò mai più Christie Road.

Non rivedrò mai più quei tre pazzi che non facevano altro che suonare e fumare canne tutto il giorno.

Non vedrò mai più l'ira e l'amore.

Non c'è più niente, ora c'è la maturità di tre uomini adulti.

E io...?

Anche io sono maturata, no? Non dovrei lamentarmi.

Cosa darei per tornare indietro, per cambiare il mio presente dal passato.

Avrei potuto avere una vita fantastica e l'ho gettata via in nome della normalità.

Perché sono stata così stupida venticinque anni fa?

Tutto è partito da quella stupida scelta che ha portato al fallimento della mia vita sentimentale.

E invece mi devo limitare ad accettare il passato senza neanche chiedermi il senso delle cose, come un dogma.

O peggio, mi devo limitare a non pensarci, a far finta che non sia mai esistito... forse sarebbe meglio.

No, no. Non posso.

Fingere che non sia mai esistito è un errore, è lo stesso errore per cui ho deciso di fare questo viaggio.

Scuoto la testa.

Io sto bene.

Il tempo continuerà a scorrere anche se non sono io a deciderlo, le cose succederanno e io ci sarò.

E non serve che cerchi di prevederle in anticipo.

Tanto non potrei riuscirci, in ogni caso.

Sono ad Oakland, sto per rivedere delle persone che vorrei rincontrare da una vita, cosa può esserci di sbagliato in questo?

Io ho un compito!

«Lyss, stai bene? Ti vedo pensierosa...» mi richiama all'attenzione Vyol.

Sorrido.

«Mai stata meglio!» dico e stavolta sono sincera.

Non puoi cercare di aiutare qualcuno se ti trovi nel suo stesso problema, non puoi far capire a una persona la bellezza della vita se tu stesso vuoi la morte.


Vyol, sbuffando, mi passa davanti e preme quel pulsante dorato accanto alla porta d'ingresso della casa.

Poco prima io ed Evelyn avevamo posato i nostri bagagli in albergo, ora siamo davanti casa di Tré, dove Vyol ha fissato l'incontro.

Cuore, ti prego, fermati.

Davvero, non puoi battere a duemila km/h solo per questo stupido campanello.

Faccio un passo indietro, non voglio essere la prima persona a essere vista appena verrà aperta la porta dopotutto!

Sento dei passi, piuttosto frettolosi all'interno.

La porta si apre, d'istinto mi sposto ancora più indietro, lasciando che sia Vyol a essere lì davanti al posto mio.

«Ciao Vyol!» saluta cordialmente Mike, solo dopo qualche secondo nota me ed Evelyn. «Alice, Evelyn! Bentornate!» sorride luminoso.

Abbraccia Evelyn, che lo saluta cordialmente.

Sono emozionata, sono così felice di rivederlo per davvero!

Abbraccia anche me e a quel tocco mi sciolgo un po'.

Oh, al diavolo tutto!

«Mike! Sono felice di rivederti!» sorrido anche io.

Non ho paura.

«Tutto qui?» ride lui dopo avermi lasciata. «Sparisci per venticinque anni e non aggiungi altro?»

Rido anch'io, ora sono totalmente rilassata.

Tutti i torti non ne ha!

«Vuoi che ti racconti la storia della mia vita qui fuori?» gli rispondo ridacchiando.

«No, no. Anche perché c'è Tré che vi sta aspettando dentro.» ci ricorda.

Eh già, dopotutto questa è casa sua, penso sorridendo.

«A proposito, perché quell'idiota non si è ancora fatto vedere?!» lo rimprovera a distanza Vyol. «Questa è casa sua o sbaglio? Dovrebbe almeno accogliere le nostre ospiti prima che pensino che siamo troppo maleducati e scappino via!»

«Sì, ma è troppo occupato a fare l'idiota per darsi un minimo di contegno.» commenta Mike lanciando uno strano sguardo a Vyol, a metà tra il serio e il divertito.

Decido di lasciar perdere.

Mi limito solo a guardare timidamente Evelyn, la quale mi stringe per un attimo la mano.

«Stai tranquilla, quello che vuoi fare è un bel gesto, non è per niente una cosa stupida.» mi sussurra all'orecchio.

Già, non è una cosa stupida, è solo che mi sento fuori luogo, come se facessi parte di un altro mondo in questo momento, anche se cerco di comportarmi normalmente.

«Allora, volete entrare?» chiede Mike riportandomi alla realtà.


«Tu!» mi indica Tré non appena mi vede causandomi un piccolo infarto.

Io?

«Sì...?» chiedo piuttosto incerta.

Non risponde, mi si avvicina passo dopo passo, ha uno sguardo piuttosto innervosito se non arrabbiato.

C-che ho fatto di male?

Mike e Vyol ridacchiano, Evelyn si allontana un po' come se volesse mettersi a distanza di sicurezza.

Ora sì che mi sento idiota.

Tré è davanti a me, mi guarda con quello sguardo che mi fa sentire sempre più piccola.

Per un attimo mi manca il respiro.

Improvvisamente mi sento in colpa.

Hai ragione, Tré, non avrei dovuto fare quello che ho fatto venticinque anni fa, ma ora è tardi per...

Mi abbraccia.

All'improvviso.

Non sento più il mio cuore battere.

«Lyss, che fine avevi fatto? Sei sparita di punto in bianco!» si lamenta un po' dopo.

Ah... ehm...

È... normale, è normale che sia così cordiale, eppure qualcosa mi blocca.

Ok, credo di aver semplicemente perso la facoltà di parlare.

Forse il problema è solo che non voglio rispondere a questa domanda?

Ma lo so che anche se evitassi continuerebbe a chiederselo, non lo dimenticherebbe così facilmente.

«Certo che tu non sei proprio capace di salutarla normalmente, eh?» lo rimprovera Vyol.

«Ringrazia solo che non abbia ricominciato con quella storia...» dice Mike.

«Ah, quella del cane? Tempo due giorni e vedrai che ricomincerà. Quanto scommettiamo?» sorride lei allegramente.

«Ah, sì, certe cose non cambiano e poi perderebbe la sua comicità se non lo facesse.» commenta il bassista divertito.

Ma che diamine...?!

Tré scoppia a ridere e io faccio lo stesso.

Ok, per una volta essere un cane mi ha salvata da una spiegazione che preferire non dare.

Mi dispiace, non voglio risponderti e se proprio lo devo fare non qui almeno...

Lui mi sorride.

«Allora, di cosa dovevamo parlare?» si avvicina a un divano nel soggiorno e si siede davanti a un tavolino.

Tutti i presenti fanno lo stesso, così io ed Evelyn ci mettiamo di fronte a quei tre.

Devo parlare, prendo un respiro.

Tutti stanno in silenzio e mi guardano, incuriositi.

Dopotutto avevo già detto a Vyol che avrei dovuto parlare a tutti loro di una cosa.

«Ecco, il motivo per cui sono venuta ad Oakland e per cui ho dovuto vedervi è questo.» dico mostrando il frutto del mio lavoro. «Ho bisogno del vostro aiuto.»


«Ok, a me va bene.» Mike è il primo a parlare dopo la mia spiegazione.

«Davvero?» sorrido.

Per un attimo ho temuto di sembrare ridicola, ho temuto che la mia idea potesse sembrare infantile.

«In effetti hai ragione, la situazione è esattamente come pensi. D'accordo, anche io lo farò... anche se sarà un po' imbarazzante.» si unisce a noi Tré. «Però... non potevi scegliere un momento migliore?!» mi rimprovera con quello sguardo da bimbo che solo lui sa fare.

Rido.

Non è cambiato così tanto in fondo.

«Mi dispiace, mi sembrava il momento più adatto per te.» mi giustifico. «E comunque il piano non si cambia, quindi o accetti di farlo così o niente.» sorrido sentendomi importante.

«Io la mia parte già l'ho fatta.» sorride Evelyn. «Anche se non sono stata brava come Lyss.»

«Ok, a questo punto lo farò anche io, ma sappi che ti odierò per sempre per la parte che hai scelto per me.» ride Vyol.

Sì, è andata!

Ce l'ho fatta, hanno accettato davvero!

«Grazie davvero, non pensavo che avreste deciso di farlo fin da subito.» sorrido con dolcezza.

«Ma di che, figurati! In questo momento siamo come una squadra, no?» ride Tré.

Sì, esatto, siamo una squadra, è questo lo spirito migliore!

«Allora, avete due settimane di tempo, quindi dovete dividervelo in questo tempo. Potreste tenerlo per cinque giorni ognuno, ce la dovreste fare.» dico col tono di chi sta proclamando qualcosa di importante.

«Perfetto, allora lo prendo prima io.» annuncia Mike. «Dato che voi due vi lamentate, almeno così avrete più tempo per pensarci.»

Perfetto!


8 gennaio 2013


Io ed Evelyn abbiamo incontrato Mike, Vyol e Tré quasi tutti i giorni successivi.

Certo, di solito non stavamo molto fuori, ma in ogni caso dopo i primi tre giorni già mi sentivo molto più tranquilla.

All'inizio temevo che avrei finito per fare la parte dell'emarginata perché dopo tutto questo tempo potevo essere vista come appartenente a un altro mondo. Sono rimasta sorpresa, invece, del fatto che non è stato per niente così, del fatto che quasi immediatamente mi hanno accettata come se non fosse passato neanche un giorno.

E così la prima settimana è volata, Mike ha concluso la sua parte e ha passato il testimone a Vyol che ci sta lavorando in questi giorni.

Oggi ci siamo incontrati di nuovo, ma Evelyn è rimasta in albergo perché non si sente troppo bene, si è un po' raffreddata.

Mike e Vyol sono andati via e Tré mi sta riaccompagnando a casa. Ha insistito per farlo, anche se gli ho detto che non importava.

Tutto ciò mi ricorda terribilmente momenti passati.

Già, ma è diverso.

Mi sento stranamente tesa.

Avevo intuito il perché di quell'insistenza, così nonostante lui non abbia ancora parlato, non riesco a sentirmi a mio agio.

«Ho capito che non ne vuoi parlare...» inizia Tré guardando un punto lontano.

Ecco.

Ecco perché.

«Infatti.» mormoro ribadendo la mia posizione.

Rimane un attimo in silenzio.

«Vorrei solo sapere perché, è solo una curiosità. Dopotutto è passato tanto di quel tempo che non dovresti esserne così spaventata, no?» sorride cercando di sdrammatizzare.

In effetti ha ragione, però è così imbarazzante...

«Sai, avevo paura che ti fosse successo qualcosa. Improvvisamente hai deciso di sparire, eppure stavamo insieme, no?» si muove sul filo dei suoi ricordi.

«Non è successo niente di importante, te lo assicuro.» sospiro.

Mi sto comportando come una ragazzina, che fine hanno fatto i miei 41 anni?

Forse è solo che quando sono con loro ritorno un po' con la testa al passato?

Chissà, forse è anche positiva come cosa.

«Come vuoi.» si arrende lui scrollando le spalle.

Odio rivangare quel ricordo, ma forse dovrei dargli almeno una spiegazione, lo merita, anche se dirgli le cause del fallimento della mia vita sentimentale sarebbe piuttosto umiliante.

Sospiro e mi faccio coraggio.

«Mi sono solo presa una cotta per quell'idiota che avrebbe dovuto essere mio marito.» dico con un filo di voce.

Ripensare a lui fa male.

Anche ora.

Ecco perché non lo volevo dire.

Tré mi fissa per un attimo perplesso.

«Sai, tu non c'eri mai, oramai avevate addirittura un contratto discografico, facevate dei tour a cui ovviamente non potevo accedere, anche perché la strada che avevo scelto era quello dell'impegno scolastico e dello studio. Lui mi aveva promesso amore eterno in un momento in cui ero molto depressa e forse è stato questo a farmi innamorare.» mi prendo un attimo di pausa, Tré non mi interrompe e ascolta attentamente. «Mi ha mollata due giorni prima del matrimonio, si è innamorato di un'altra. E la mia vita sentimentale da allora è stata un disastro. Evelyn si è sposata ed è felice, io sono totalmente sola e abbastanza inutile per la società. Ecco quanto.» dico un po' nervosamente alla fine.

Silenzio.

Ok, forse dovrei cercare di sembrare meno patetica, ma alla fine è così che mi sento.

Posso solo dire che il lavoro mi va bene, nient'altro.

Non ho una famiglia, fondamentalmente, solo qualche amica qua e là.

E oramai non posso neanche dire di avere chissà quale futuro davanti, non sono più una ragazzina.

Diamine, non dovrei pensarci, mi sento una morsa allo stomaco.

Oramai sono adulta e ho quasi voglia di piangere.

«Ehi, non sei inutile. Guarda solo quello che stai facendo.» mi sorride Tré dandomi un colpetto sulla mano per richiamare la mia attenzione.

Alzo lo sguardo.

Come?

La sua voce è così rassicurante!

«Non sei inutile: anche adesso che hai deciso di ricomparire, non lo hai fatto per un tuo capriccio, ma per aiutare un'altra persona. Finché vuoi far del bene agli altri non sei inutile.» mi sorride.

Rimango un attimo senza fiato, mi manca il respiro, ma dura solo un secondo.

«Grazie.» gli sorrido a mia volta. «Non mi è mai stata detta una cosa del genere.» confesso imbarazzandomi un po'.


15 gennaio 2013


Spingo la porta bianca ed entro nella stanza molto lentamente.

Cavoli, ho aspettato questo momento per due settimane, sono pronta!

Beh, più o meno.

Quando sono dentro mi blocco un attimo.

Osservo in silenzio quello che mi trovo davanti.

Una stanza di riabilitazione, una stanza bianca con solo un letto, qualche sedia, una sottospecie di armadietto e un comodino.

C'è un'atmosfera terrificante.

«Ciao.» saluto un po' imbarazzata dopo secondi che sembrano ore.

Mio cugino, steso sul letto, apre gli occhi, mi guarda, rimane quasi pietrificato.

«... Alice?» non sa se crederci o no, forse.

«Sì, sono io.» annuisco.

Ci guardiamo un attimo, guardo come è cambiato dall'ultima volta che l'ho visto.

In effetti non è così diverso, solo il suo sguardo non riesco a riconoscerlo.

Mi sono abituata a vederlo in TV e nei concerti, ma averlo davanti è diverso.

«Che ci fai qui?» mi chiede poi.

Ecco, lo immaginavo: lui non è il tipo che ti chiede “perché sei sparita”, ma ti chiede “perché sei tornata”.

«Sono venuta qui per te.» confesso facendo qualche passo in avanti in questa stanzetta che somiglia tanto a quella di un ospedale. «Sai, ho visto alla TV il concerto di Las Vegas e quando ho saputo di tutto questo casino... beh, volevo fare qualcosa, non potevo rimanere lì a guardare.» sorrido malinconicamente inclinando un po' la testa di lato, squadrandolo.

Noto con dispiacere che ha un aspetto quasi trasandato, si è lasciato andare.

Come immaginavo, del resto.

Prima di quel concerto, Billie aveva abusato di alcune sostanze come tranquillanti e psicofarmaci. A quanto pare, ne ha la dipendenza e per questo è finito in questo posto, quasi costretto dalla sua famiglia e dai suoi amici.

Le usava oramai da molto tempo, anche io negli ultimi concerti avevo sempre visto un uomo energico, ma la sua era un'energia malata.

No, non era energico, era un uomo che stava male e chiedeva disperatamente aiuto.

Sul palco cantava male, camminava sbandando e aveva concluso l'esibizione di quello stupido festival prendendosela con gli organizzatori perché improvvisamente avevano accorciato il tempo concesso ai Green Day per il loro concerto e Billie aveva gentilmente sfasciato la chitarra elettrica che stava usando sul palco.

«Non ce n'era bisogno.» mormora lui. «Più di questo non si può fare niente.» dice guardandosi intorno. «Grazie comunque per la visita.»

«Aspetta, io credo di riuscire a immaginare come ti stai sentendo.» dico alzando un po' la voce.

«Davvero?» mi guarda lui con aria di sfida. «Sai che mi sento un coglione, un fallito? Lo sai, anche mio figlio prima che fossi portato qui, mi ha detto che forse fa ancora in tempo a non diventare come me, sai che significa?» dice con una punta di rabbia.

Ecco, si sta alterando.

Dannazione...

No, Billie, non devi ragionare così.

«Non si può capire quello in cui sono caduto. O almeno, non puoi capire tu che non hai mai avuto di questi problemi.» bofonchia stancamente. «È finita, non c'è nessun bisogno di combattere. L'unica cosa che mi resta e rimanere ad aspettare, non so neanche cosa.» commenta alla fine lasciandosi cadere sul letto, anche quello bianco.

«No, non è vero.» mi avvicino di qualche passo. «Non è finita finché non sei sottoterra, non ricordi?» gli chiedo.

«Quelle sono solo le parole di una canzone.» borbotta sedendosi.

«No, non è vero. Sono parole importanti invece. Stai passando un momento difficile, ti sembra che la tua vita sia finita, però, Billie, non può essere così. Tu non sei un fallito.» lo provoco un po'.

«Come fai a dirlo? Il semplice fatto che sia famoso non significa niente.» commenta lapidario.

«No, ma il fatto che tu abbia salvato delle persone significa molto invece! Non avresti potuto farlo se tu fossi solo un fallito, renditene conto.» gli dico alzando il tono di voce.

Mi guarda un attimo spaesato.

«Che puoi capire tu?» chiede con la voce di un ragazzino testardo, quel sedicenne che conoscevo che ancora vive dentro di lui. «Non ti sei mai sentita come me.»

«Anche io mi sono sentita un fallimento per molto tempo, devo ricordartelo?» chiedo innervosita.

Ora sì che ho qualcosa da dire.

«E sai una cosa? Non era vero niente. Ne sono uscita, ho combattuto. Se non lo avessi fatto cosa sarei ora? Forse non ci sarei neanche, sai? E indovina un po'? Tu mi hai salvato la vita. Se non ci fossi stato tu ora sarei ancora la schiavetta personale di Evelyn.» lo guardo con aria di sfida mettendosi a sedere.

«E come dovrei combattere secondo te, scusa? Non posso fare niente.» mi guarda innervosito anche lui.

«Combatti, anche solo nella tua testa, devi avere voglia di vivere, dannazione. Devi credere in quello che stai facendo! Ricordati di quello che hai fatto in passato, di quello che hai sofferto e di come hai superato tutte le difficoltà!» mi appello al suo buonsenso.

Silenzio.

L'atmosfera si è scaldata, ma lui non risponde.

«Sono solo belle frasi, bugie fondamentalmente.» dice apaticamente.

«Anche le tue canzoni sono bugie allora? Letterbomb è una bugia? Good Riddance è una bugia? Le hai scritte giusto per guadagnare soldi? Anche io la pensavo così, ma quando ancora credevo di essere debole! Anche a me sembrava impossibile uscirne fuori, ma poi ho scoperto che volevo vivere, Billie. Vivere, perché anche se il mondo cerca di rovinarti ci sono ancora quei sentimenti come la gioia a tirarti fuori! Se hai scritto quelle parole significa che anche per un solo secondo tu sei stato felice, hai pensato che ne valesse la pena! Cerca di ricordarlo!»

Lui mi fissa, lo sguardo duro, ma probabilmente non sa che rispondermi.

Sbuffo, apro la mia borsa, tiro fuori quell'oggetto che avevo iniziato a preparare fin dal 25 di settembre.

Glielo porgo.

«Che cos'è?» chiede spaesato.

«È... è difficile da spiegare. È solo un quaderno, ma ci ho scritto tutto quello che mi è successo da quando ti ho incontrato, c'è il racconto di come hai cambiato la mia vita e di come io stessa sono cambiata.»

«Perché me lo stai dando?» mi chiede freddamente.

«Voglio che tu lo legga, ok? Voglio che tu ti renda conto del fatto che anche quando ti senti il re dei falliti le cose possono cambiare e lo faranno solo nel momento in cui inizierai a combattere. Ti sto offrendo i miei ricordi, i miei pensieri, i miei sentimenti e non solo quelli. Ti sto offrendo anche quelli di Evelyn, di Vyol, di Mike e di Tré.» spiego cercando di addolcire il mio tono di voce con scarsi risultati.

«Che c'entrano loro?» chiede Billie smarrito, leggermente confuso.

Sì, nella fretta mi sono spiegata decisamente male, che idiota.

«Li ho incontrati e ho chiesto loro di scrivere delle pagine che avevo lasciato in bianco, dal loro punto di vista. Ne ho lasciate alcune anche per te.» spiego il perché del mio incontro con loro.

Billie non stacca gli occhi dal quadernetto, lo apre un attimo, poi lo richiude.

«Hai combattuto molto nella tua vita e probabilmente neanche te ne rendi conto. Molte persone non sarebbero capaci di fare quello che hai fatto tu. Può sembrarti una cosa stupida, ma voglio che tu ricordi tutto quello che hai vissuto in quel periodo, perché in quel momento eri forte, hai combattuto per te e anche per gli altri.» dico arrivando quasi all'esasperazione.

Ti prego, Billie, ti prego! Ho fatto tutto questo sforzo solo per te!

Avrei potuto fregarmene, avrei potuto dire che oramai eri solo un ricordo, invece ho deciso di andare contro la distanza, di tornare nel passato, di riaffrontare tutte le mie paure, provandole nuovamente, sentendo tutti quei sentimenti che avevo voluto dimenticare, solo per non dovermi chiedere se quello che stavo facendo fosse giusto o no.

Lo capisci questo?

L'ho fatto per te e se non è servito a niente... beh, non potrò far altro che sparire davvero per sempre e non voglio farlo.

Voglio stare qui, voglio tornare qui.

Non voglio dimenticare mai più.

Cavoli, credo di starmi emozionando troppo, il mio cuore va troppo veloce.

«Grazie.» dice infine, dopo un'attesa che sembra durata ore. Il suo sguardo si è rilassato.

Eh?

«Forse dovremmo riparlarne dopo che l'avrò letto, litigare adesso non serve.» dice con uno sguardo stanco indicando il quadernetto.

Piano piano il mio battito cardiaco rallenta.

Ci proverà, il mio sforzo è servito a qualcosa, ha deciso di dare una possibilità alla vita.

«Forse...» concordo con lui, cercando di non far trasparire quel fiume in piena di emozioni che ha invasa.

«Da quanto tempo sei qui?» mi chiede all'improvviso rilassato.

«Da due settimane...» rispondo un po' stralunata.

«Sei stata con loro tutto il tempo?» mi chiede sempre con lo stesso tono rilassato.

«Sì...» gli rispondo sorridendo luminosa. «Ho visto un po' la città e ho anche conosciuto la tua famiglia... mi hanno accolta decisamente meglio di quello che mi aspettavo.» aggiungo un po' imbarazzata.

«Anche se sei sparita non sei diventata un'estranea. Di sicuro sono stati tutti molto felici del tuo ritorno.» mi sorride anche lui.

«È sempre difficile cercare di rientrare nella vita di qualcuno dopo molto tempo.» commento arrossendo un po' per l'imbarazzo.

«Oh, tu sei venuta solo a fare una visita, per rientrare davvero devi farti vedere più spesso.» mi fissa con aria di sfida.

Farmi rivedere?

Beh... perché no?

Io voglio rientrare nella loro vita.

Io devo rientrare nella loro vita.

Pensavo che sarebbe stato tutto diverso, che per queste due settimane avrei respirato un'atmosfera di tensione, invece sembra quasi che il tempo non sia passato.

Per questo non voglio sparire di nuovo, sono stata bene e il fatto di avere un treno prenotato per domani mi rattrista.

«Lo farò.» affermo convinta. «Ho troppe cose qui che non voglio perdere.»

Billie accoglie le mie parole con un sorriso, inclina la testa di lato.

«Allora mi aspetto di rivederti ad Oakland, ogni tanto.»

Fine

(o forse è solo l'inizio?)

_______________________________________Authoress' words

Mio Dio, non avete idea di quello che sto provando in questo momento.

Ve lo giuro, sto per piangere.

Questa storia è stata la prima in cui ho inventato dei personaggi e la prima in cui la trama è stata inventata totalmente da me e quasi non mi sento pronta a lasciarla andare, ma purtroppo devo. Sono un po' come una mamma quando il figlio decide di andarsene di casa.

Ho il batticuore, non so se reggerò all'idea di vedere la scritta "completa" al posto della solita "in corso", però anche io penso di essere maturata con lei, con Alice mentre scrivevo.

Devo ringrazziarvi tutti per essere arrivati fin qui, per aver voluto condividere le mie emozioni. Solo grazie a voi Alice ha preso vita, solo grazie a voi è maturata e ha trovato la sua via.

Ringrazio davvero di cuore una ragazza che mi ha fatto da musa ispiratrice per il personaggi di Alice, la mia Lyss e ringrazio anche la persona a cui avevo dedicato questa storia per aver sopportato i miei scleri e per avermi incitata a non mollare mai, anche nei momenti più difficili.

Ringrazio voi e le vostre recensioni per avermi fatta ridere ed emozionare, riflettere e migliorare.

Lo so, mi sto comportando come se avessi vinto un premio Oscar, ma è il minimo che possa dire per farvi arrivare un po' dei miei sentimenti.

Grazie, grazie davvero. 

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