20th Century Breakdown di _Any (/viewuser.php?uid=118877)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mia generazione è zero ***
Capitolo 2: *** Il mio nome è nessuno ***
Capitolo 3: *** Sei in rovina ***
Capitolo 4: *** Non mi importa se non importa a te ***
Capitolo 5: *** Svegliami quando finisce settembre ***
Capitolo 6: *** Ho una malattia molto grave (Vyol's special chapter) ***
Capitolo 7: *** Mi sento così inutile nella città dell'assassinio! ***
Capitolo 8: *** Al centro della Terra ***
Capitolo 9: *** Voglio solo vedere la luce! ***
Capitolo 10: *** Stavo solo sognando (Mike's special chapter) ***
Capitolo 11: *** Non c'è nessun posto come casa (quando non hai nessun posto dove andare) ***
Capitolo 12: *** Ragazzina ***
Capitolo 13: *** Prendi il giorno ***
Capitolo 14: *** Ragazzina, tu, sporca bugiarda! ***
Capitolo 15: *** Rabbia e amore (Billie Joe's special chapter) ***
Capitolo 16: *** Dove sono finite tutte le rivolte? ***
Capitolo 17: *** Boulevard of Broken Dreams (Tré Cool's special chapter) ***
Capitolo 18: *** Sei il chiaro di luna della mia vita, tutte le notti (Evelyn's special chapter) ***
Capitolo 19: *** Amore brutale ***
Capitolo 20: *** Salve sconosciuto, sono un disastro! ***
Capitolo 21: *** Il tempo della tua vita ***
Capitolo 1 *** La mia generazione è zero ***
11
settembre 1982
«Papà,
papà! Dove stiamo andando?»
«A
trovare una persona.»
«Chi
è?»
«Non
l'avete mai conosciuto. Basta domande.»
«Ma
mamma... se non l'abbiamo mai conosciuto perché lo andiamo a
trovare?»
«...»
30
agosto 1988
«Mamma,
cos'è quella faccia preoccupata?» chiesi entrando
in camera di mia
madre insieme a mia sorella.
«Piccole, abbiamo un problema.» iniziò al quanto preoccupata. «Vedete, per motivi di lavoro domani dovrò partire.» concluse lasciando cadere sul suo letto un foglio di carta stampato.
«Cosa?»
chiese mia sorella incredula.
«E
dove vai?»
«Devo
andare nella sede aziendale di Cupertino. Non vi preoccupate, non
uscirò nemmeno dalla California. È solo che rischio il trasferimento e per almeno un mese dovrò vedermela lì. Se non lo facessi potrei anche essere licenziata.»
«E
allora perché questa preoccupazione? Dopotutto è un posto abbastanza vicino...» mi rassicurai.
«Beh,
ecco... sembra che debba stare via da casa per molto tempo.»
«Molto...
quanto?»
Un attimo di silenzio.
«Un
mese.» disse infine.
«Un
mese?!» io e mia sorella ci guardammo perplesse.
«Un mese... perché
tanto?» chiesi.
Nostra
madre sospirò.
«Perché se non lo faccio rischio di essere licenziata, ma al contrario, se eseguo tutti gli ordini del direttore Jobs allora potrò addirittura essere promossa.» sorrise lei soddisfatta.
«È
così importante? Intendo dire... hai già una
buona posizione
nell'azienda, guadagni molto. C'è davvero bisogno di
andartene così
a lungo? Potresti anche stare via solo un paio di giorni e rinunciare alla promozione...» mormorò mia sorella.
«Lo
so che avete paura a rimanere da sole, ma sono sicura che ve la
caverete. Vi ho anche comprato dei cellulari in modo che potremo
telefonarci sempre.» disse rassicurante nostra madre
porgendoci due
scatole.
«Devono
essere costati moltissimo...»
«Sì,
ma ce lo possiamo permettere piccole. Forza! Ce la faremo!»
sorrise
raggiante la mamma.
Quella
sera stessa aveva già tutte le valigie pronte. Sembrava
così strano
pensare che la mattina dopo io e mia sorella Evelyn saremmo state
sole in casa...
Nostro
padre era morto cinque anni prima, quindi eravamo abituate a vivere
in questa “comunità femminile” dove
nostra madre faceva sempre
di tutto per passare molto tempo con noi.
Pensavo
che non avrebbe mai accettato di andare a lavorare fuori, ma se aveva
deciso di farlo voleva dire che era davvero un'opportunità
grossa.
Evelyn
sembrava terrorizzata alla prospettiva di rimanere da sola con me.
«Ehi,
Evelyn! Cos'è quella faccia?»
«La
stessa tua.»
«Non
in quel senso. Intendo dire, perché sei triste? La mamma
potrebbe
avere una grande opportunità, noi invece potremo passare un
sacco di
tempo insieme!»
«Passiamo
già un sacco di tempo insieme!» rise lei.
«Beh,
potremo passarne insieme ancora di più. E potremo divertirci
un po'.
Per esempio potremmo guardare la TV fino a molto tardi, no? E fare
rumore senza preoccuparci.»
Evelyn
rise di nuovo.
«Hai
una strana idea del rimanere da sole. Secondo me non
cambierà
proprio niente. Faremo sempre le stesse cose.»
«A
maggior ragione non c'è motivo di avere paura,
no?» risi
abbracciandola.
Evelyn
era la cosa più preziosa che avessi.
Era
la mia sorella maggiore.
Anzi,
la mia sorella gemella maggiore.
Amavo
il nostro rapporto: al contrario di molti fratelli che sembra non si
sopportino, io e Evelyn ci amavamo alla follia. Lei mi dava un senso
di protezione che con altri non provavo, mi faceva sentire al sicuro.
Eravamo
fatte per completarci, dopotutto era così che eravamo nate.
All'inizio
eravamo una cosa sola, ma poi ci separammo, chissà
perché.
E
così siamo nate in due da una sola cellula.
«Ah,
comunque non è che potremo fare molto tardi,
Alice.» mi disse
improvvisamente.
«Perché?»
«Tra
due giorni inizia la scuola.»
31
agosto 1988
«Mi
mancherete. Fate attenzione e non fate stupidaggini.»
raccomandò
nostra madre. «E guardatevi a vicenda. È per
questo che siete in
due, no?» sorrise.
«Andrà
tutto bene, mamma. Non faremo niente di stupido.» la
rassicurò
Evelyn.
E
dopo pochi minuti mamma uscì ed eravamo sole in casa.
Non
so perché ma un senso di solitudine mi invase quasi all'istante al suono della chiusura della porta.
Forse perché nostra madre era sempre
stata la nostra guida. Anche senza papà era sempre stata
grandiosa per non farci mancare nulla.
«Già
ti manca?» chiese Evelyn.
«Un
po'.»
«Dai,
allora vai a prepararti che usciamo a fare la spesa. A meno che tu
non voglia morire di fame.»
«Eh
già, tocca a noi farla. Almeno possiamo scegliere cosa
mangiare.»
sorrisi un po' malinconica.
Il
supermercato era uno dei posti più belli ad agosto.
C'era
una frescura che mi faceva sentire come se mi fossi appena svegliata
dopo un lungo sogno confusionario.
Evelyn
prese una foglietto e lo strappò a metà, poi me
lo passò.
Era
una lista della spesa.
«Ci
dividiamo, così faremo prima, ok?»
Annuii.
Così
presi un carrello e mi diressi verso una qualsiasi delle file di
scaffali.
Dopo
poco avevo già preso metà delle cose della lista,
quando
improvvisamente avvertii una vibrazione proveniente dalla mia borsa.
La
aprii e scoprii che era il telefono che mi aveva dato mia madre il
giorno prima. Il numero che lampeggiava sul display non lo conoscevo
e la cosa mi mise a disagio.
Solo
mamma poteva conoscere il mio numero e quello di Evelyn, quindi
doveva essere lei che magari stava usando un telefono diverso dal
suo, no?
Lo
avvicinai all'orecchio.
«Pronto?»
«...»
Non
rispondeva nessuno, sentivo solo suoni di sottofondo. Stavo per
chiudere quando sentii una voce.
«...
Alice...»
Non
era la mamma. Era una voce maschile.
«C-chi
è?» chiesi spaventata.
Qualcuno aveva rubato l'agenda di mamma?
«Sono
tuo cugino.» la voce era affannata. Sembrava che avesse
appena
smesso di correre.
«Come? Come hai avuto il mio numero?»
Lui sbuffò innervosito.
«Ho un amico che lavora dove fanno 'sta roba, dove fanno i numeri, ma non è importante. Ho visto tua madre lì e ho chiesto a lui tutto, ok? Senti,
ho bisogno che tu venga al 7-11.» spiegò frettolosamente.
«Cos'è
il 7-11?»
«Come
cos'è? È un capannone che si trova vicino al
centro commerciale
7-11, vicino al parcheggio.» disse come se stesse spiegando
la cosa
più ovvia del mondo.
«E
come ci arrivo?»
«Chiedi
informazioni. Io ti posso aspettare fino alle 3:00 e non oltre. Ah, e
vieni da sola.» disse chiudendo senza aspettare risposta quella strana telefonata.
Ma
chi diamine era? Non mi aveva neanche detto il suo nome.
Mi
guardai intorno spaesata e poi corsi immediatamente a cercare Evelyn
spingendo il grande carrello.
«Evelyn!»
gridai appena la vidi.
«Alice!
Perché corri così?»
«Ti
devo parlare...»
«Ha
detto proprio... “tuo cugino”?»
Annuii.
«E
tu cosa avresti intenzione di fare?»
«Non
saprei... da un lato questa cosa mi spaventa, però se
è davvero
nostro cugino...» iniziai senza sapere neanche io dove volevo arrivare.
«Se
è davvero nostro cugino è meglio evitare. Non so
se ti ricordi cosa
ci disse la mamma il giorno del funerale di papà.» mi interruppe freddamente lei.
Subito
dopo il funerale di nostro padre, nostra madre era entrata in camera
mia e di Evelyn. Io e mia sorella eravamo sconvolte e piangevamo
tutte le nostre lacrime mentre ci sembrava di sprofondare nel nero
più totale.
«Vi
ricordate quei ragazzi che c'erano con noi?» chiese lei.
«I
nostri cugini?» chiese Evelyn di rimando.
«Esatto.
Dovete evitarli. Quella è una famiglia disastrata, non
dovrete più
avere nulla a che fare con nessuno di loro.» ordinò categoricamente.
Non
mi era chiaro il perché di quell'ammonimento, ma al momento
ero
troppo sconvolta per poter avere la forza di chiedere spiegazioni e
sicuramente anche Evelyn si sentiva così.
Il
giorno dopo già me ne ero dimenticata.
«Si
tratterebbe solo di andare a vedere però. Intendo dire,
è un nostro
parente e dalla voce sembrava in difficoltà. Se fosse in
pericolo...»
«Sempre
se è davvero quello che dice di essere.
Non ha detto neanche
il suo nome.»
«Allora
vieni con me, Evelyn! Insomma, non ci può fare niente se
siamo in
due.» esclamai all'improvviso facendola sobbalzare.
«Non
ti aveva chiesto di andare da sola?»
«Non
importa... è la minima precauzione che devo
prendere.»
Evelyn
sospirò.
«Non
posso lasciarti andare via così. Ovvio che ti
accompagno.» mi prese
per mano mia sorella.
Era
da circa mezz'ora che fissavo il numero di chi mi aveva chiamato sul
display luminoso del cellulare.
Era
un telefono fisso sicuramente e dalle prime cifre si capiva che forse si
trattava di qualcuno del quartiere di Rodeo.
«Alice,
se dobbiamo essere lì massimo alle 3:00 ci conviene
andare...» mi
esortò Evelyn.
«Arrivo.»
dissi alzandomi dal divano di casa e raggiungendola.
«Dov'era
l'appuntamento?» chiese mia sorella.
«Al
7-11.» risposi senza esserne troppo sicura.
«E
che cosa sarebbe?»
«Mi
ha parlato di un capannone vicino al parcheggio di un centro
commerciale... non saprei.»
I
nostri passi mostravano timore sempre maggiore.
Passo
dopo passo, ritmicamente, la sicurezza vacillava rischiando di
svanire definitivamente.
Ci
stavamo dirigendo verso il quartiere di Rodeo con la massima cautela.
Rodeo era famoso per essere un covo di gente pericolosa e la sola
idea era terrificante.
Anche
se era pieno pomeriggio.
«Credo
ci convenga chiedere informazioni.» dissi, anche se non si
vedeva un
essere umano per metri.
«Ma
non c'è nessuno a quest'ora! A chi vuoi chiedere?»
«Beh,
posso sempre...» iniziai quando inciampai e istintivamente mi
afferrai a qualcosa che dopo pochi secondi capii essere la giacca di
un tipo spuntato da chissà dove. «Ah... mi
scusi...» dissi
imbarazzatissima.
«Scusi,
lei sa dov'è il 7-11?» accorse mia sorella
prontissima.
Mi
aveva salvata.
«Il
7-11? Certo. Sto andando in quella direzione, se volete vi
accompagno.» sorrise confidenziale il tipo.
«Grazie
mille.» dicemmo io e mia sorella in coro.
Il
ragazzo si incamminò.
«Siete
gemelle?» chiese.
«Sì.»
rispose Evelyn.
«Siete
proprio due gocce d'acqua. Dev'essere divertente avere una persona
identica a te, puoi sostituirti e farti sostituire in
continuazione.»
continuò a parlare socievolmente.
Non sembrava pericoloso per fortuna, forse era solo un po'... logorroico.
Dopo
pochi minuti arrivammo al centro commerciale.
Lui
aveva continuato a cercare di chiacchierare, ma io e mia sorella
rispondevamo a monosillabi. Eravamo troppo tese per poterci
preoccupare di fare amicizia.
Ma
avevamo mai fatto amicizia con qualcuno?
Il
pensiero mi fulminò all'improvviso.
No.
Non c'era nessuno che potessimo definire davvero amico, al massimo
conoscente.
«Eccoci
qui.» sorrise davanti al centro commerciale.
«Grazie
mille.» ringraziai salutandolo.
Ci
avviammo al parcheggio del centro commerciale e dopo poco vedemmo un
capannone abbandonato poco distante.
Su
una delle pareti c'era un graffito con la scritta “Il centro
della
Terra” e sotto uno più piccolo “Casa è dov'è il tuo cuore”.
«Sei
pronta?» chiesi ad Evelyn.
«Sì.
Nel caso sia un malintenzionato dobbiamo essere preparate a
correre.»
mormorò spingendo la porta. Aveva paura.
Il
capannone era buio e soprattutto... vuoto.
Lasciai
la porta aperta per far trapelare un po' di luce solare.
Non
c'era nessuno all'interno.
«...
Nessuno? Ci hanno fatto uno scherzo?» chiese Evelyn.
«...
Sembrerebbe...» dissi muovendo qualche passo in avanti. «Ma avrebbe fatto tutta quella fatica per trovare il mio numero solo per uno scherzo?» pensai a bassa voce.
Improvvisamente
si sentì molto chiaramente un tonfo secco.
«Alice
io ho paura!» disse Evelyn muovendo qualche passo incerto.
«Non
ti avevo chiesto di venire da sola?» sbucò dal
nulla un ragazzino.
Mi
trattenni a stento dall'urlare per la sorpresa.
«Quindi
saresti tu?» chiese mia sorella.
«Certo
che sono io. Chi altro doveva essere? Ve lo avevo detto che sono
vostro cugino.» continuò senza dire il suo nome.
Io
non riuscivo a riconoscerlo né a ricordare il suo volto.
Aveva
capelli neri e occhi di un verde smeraldo. Era una di quelle persone
che quando si incontrano anche se per poco si ricordano. Mi sembrava
troppo assurdo.
«Ehm...
e perché mi hai chiesto di venire in questo
posto?» chiesi incerta.
Lui
si fermò e pensò bene alle parole da dire.
«Beh...
mettiamola così.» sorrise allargando le braccia
come per circondare tutto quel posto. «Vi chiedo asilo politico.»
__________________________________________Authoress'
words
Ehm... Ciao!
So che come primo capitolo non è il
massimo, che uno quando legge un primo capitolo dovrebbe dire: "Wow!
Che figa 'sta storia!" e soprattutto che sembra una storia uguale a
tutte quelle lì con le ragazze superfighe che si fidanzano
con uno dei Green Day... ma non lo è!
Ok, vi dico le cose come stanno. Questa
è in assoluto la prima volta che tento di scrivere una
storia romantica e ho deciso di pubblicarla perché se non so
almeno il parere di qualcuno non capirò mai cosa
c'è di buono e cosa c'è di male in quello che ho
scritto.
Comunque parlando d'altro senza che mi venga
l'ansia... l'hai notato? L'azienda di Cupertino di cui parla la madre
all'inizio del capitolo altro non è che la Apple che ha sede
a Cupertino in California nella Silicon Valley. ;)
Ultima cosa. Alice si pronuncia "Elis" mentre
Evelyn si pronuncia esattamente così come si scrive. :)
Scusatemi, devo riversare qui tutta la mia ansia
repressa. xD
Bye!
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Capitolo 2 *** Il mio nome è nessuno ***
31
agosto 1988
«Io
ancora non ci posso credere.» mormorò mia sorella
scoraggiata in
piedi davanti alla porta di casa mentre il nostro sconosciuto cugino
raccoglieva la sua roba.
In
effetti come darle torto?
Una
persona mai vista prima ci aveva detto di essere nostro cugino e
aveva chiesto ospitalità per un tempo indeterminato per
motivi che
si rifiutava di dire.
Certo,
avremmo potuto dirgli di no, di andare a cercare “asilo
politico”
da un'altra parte, ma di fronte a questa risposta aveva reagito
dicendo che allora sarebbe rimasto al 7-11 senza neanche prendere
lontanamente in considerazione l'idea di tornare a casa.
E
il fatto che fosse davvero qualcuno che ci conoscesse era certo, l'aveva dimostrato, non
potevamo semplicemente abbandonarlo al suo destino come un oggetto.
Anche
se ancora non sapevamo come si chiamava.
«Ecco
la tua stanza.» disse mia sorella spingendo la porta di una
delle
camere per gli ospiti che avevamo.
Senza
dire una parola lui entrò dentro e gettò senza
troppa cura il suo
borsone sul letto. Al contrario, mi colpì il fatto che
avesse
appoggiato con grande delicatezza quello che sembrava essere il
fodero di una chitarra.
Calò
un silenzio imbarazzante, sembrava che tutti volessero dire qualcosa,
ma nessuno aveva il coraggio di farlo.
Guardai
Evelyn negli occhi, anche per lei valeva lo stesso.
Improvvisamente,
non so bene perché, si voltò e si
allontanò anche lei senza dire
nulla.
«Ehm...
scusami...» iniziai senza sapere bene cosa dire.
«Sì?» mio cugino
si voltò verso di me smettendo di riversare il contenuto del suo
borsone
sul letto.
«S-senti,
so che ti sembrerò una stupida, ma... non è che
potresti dirmi come
ti chiami?» chiesi imbarazzatissima.
Dopotutto
se le cose fossero continuate in quella direzione di sicuro non si
sarebbe mai presentato, anche perché era convinto che sia io
che mia
sorella sapessimo il suo nome.
«Come?»
mi guardò a metà tra il divertito e il perplesso.
Poi scoppiò a
ridere e il mio imbarazzo salì alle stelle.
Avevo
serie difficoltà a capirlo.
Ero
abbastanza convinta di essere arrossita.
In
quel momento sembrava di ottimo umore, mentre pochi minuti prima
sembrava nel più profondo sconforto.
Forse
era semplicemente troppo diffidente per potersi aprire? Come un animaletto che è costretto a camminare su un terreno sconosciuto dovendo avere paura ad ogni passo.
«Né
tu, né Evelyn vi ricordate il mio nome eppure mi ospitate in
casa?»
«Pensavamo
di poterci fidare dato che ci conosci.»
«Anche
se fossi uno stalker potrei dimostrare di conoscervi.» mi
ammonì.
«...
Sei uno stalker?» chiesi ingenuamente.
«Dovrei
essere uno stalker idiota per dirlo così. Anche se sono
convinto che
gli americani siano un popolo di idioti, io non arrivo a questi
livelli.» ridacchiò.
Ero
io l'americana idiota lì in mezzo.
«Scusa...»
mormorai imbarazzata.
«Comunque
sono tuo cugino Billie Joe.» mi rispose infine.
Billie
Joe?
Il
nome mi era familiare, ma com'era possibile che non ne ricordassi il
volto? Dopotutto i suoi fratelli li ricordavo tutti.
Ci
avrei pensato più tardi.
Comunque
di sicuro era imparentato con la sottoscritta. Del restoriusciva a
distinguere me e mia sorella senza problemi e conosceva il nome di
nostro padre.
Nemmeno
io, forse, lo avevo più pronunciato dopo la sua morte.
«Dobbiamo
trovargli una sistemazione e risolvere in fretta questa
faccenda.»
concluse seccamente Evelyn.
«Trovargli
una sistemazione? E dove? Non dire assurdità.»
«Non
lo so... hai intenzione sul serio di tenerlo finché mamma
non lo
scoprirà?» alzò la voce Evelyn.
«Hai
intenzione sul serio di abbandonarlo in mezzo alla strada?»
risposi
con lo stesso tono di voce innervosito.
Lei
si interruppe per qualche secondo, cercando qualcosa da dire.
«...
Hai ragione. Però tra un mese, quando mamma
tornerà... Uff.
Dobbiamo solo sperare che qualsiasi sia il suo problema si risolva
entro il 30 settembre.» mormorò sconfortata.
«Magari
se scoprissimo qual è potremmo aiutarlo.»
«Quasi
non apre bocca, dubito che lo dirà anche perché
ha detto molto
esplicitamente che non ha intenzione di parlarne.» disse mia
sorella
tra sé e sé.
«In
un mese c'è tempo abbastanza.» le sorrisi.
Dopotutto era solo un essere umano come me e mia sorella, riuscire a ragionare con lui non sarebbe stato impossibile, no?
1
settembre 1988
«Sei
pronta per il primo giorno di scuola?» chiesi allegramente ad
Evelyn.
«Certo!»
mi sorrise mia sorella. «Quello non pronto più che
altro sembra
nostro cugino. Ancora non si è svegliato...» disse con tono di rimprovero mentre si portava alle labbra una tazza piena di latte.
In effetti anche io ero sveglia da almeno un quarto d'ora e il fatto che lui non accennasse minimamente a volersi alzare era un po' preoccupante.
«Forse
dovremmo... svegliarlo?» chiesi incerta.
«Perché
non lo fai tu? Dopotutto se non sbaglio vi siete parlati anche di
più... e ho paura che mi possa sbranare.» rise
Evelyn.
«Ehi...
Billie Joe?» lo chiamai, ma ovviamente non mi
arrivò nessuna
risposta.
Ero entrata in camera sua cercando di non fare nessun rumore che potesse disturbarlo e solo in quel momento mi resi conto che era stata una stupidaggine dato che il mio obiettivo era proprio svegliarlo.
Lui
non si muoveva di un millimetro.
Solo
il respiro gli faceva alzare il petto a intervalli regolari.
Dormiva
a pancia in su come Evelyn e teneva le braccia conserte sul torace.
Mi
immobilizzai a fissarlo per qualche minuto.
Sospirai.
Così
non andava bene, dovevo svegliarlo, non contemplarlo.
Mi
decisi, così gli presi la spalla e lo scossi senza troppa
violenza
finché non aprì gli occhi infastidito.
«Che
ore sono?» chiese col tono di chi vuole uccidere qualcuno.
«Le
6:30.»
«Perché
così presto?»
«La
scuola...»
«Oggi
non vengo.»
«Ma
è il primo giorno!» protestai sconvolta.
«E
quindi?» rispose dandomi la schiena.
«Quindi
il primo giorno devi venire. È importante.»
Lui
si rigirò a guardarmi, poi si sedette fissandomi dritta
negli occhi.
«Capirai.
Fosse per me neanche ci andrei a scuola.» scandì
bene le sillabe
per farmi cogliere ogni minima sfumatura a due millimetri dal mio viso.
«Ma
non è per te.» ribattei rigida.
«Quanto
sei insistente.» sbuffò allontanandosi e lasciandosi cadere sulle lenzuola.
Dopo pochi secondi riaprì gli occhi e si rialzò.
«Oramai non ho neanche più
sonno.» disse scendendo dal letto.
Senza
rendermene conto sorrisi trionfante.
Fuori
dai cancelli della scuola c'era un'enorme folla. Contrariamente alla
maggior parte delle persone, avevo sempre trovato bellissima
l'atmosfera che c'è prima di entrare il primo giorno di
scuola.
Si
incontrano persone che non si vedevano da mesi, c'è
un'atmosfera di
eccitazione e curiosità e sempre un grande ottimismo
elettrico
nell'aria.
Billie
Joe si era allontanato per andare da un suo amico, così io
ed Evelyn
ci ritrovammo come al solito sole in fila per ritirare i nostri orari
scolastici in segreteria.
Nostra
madre faceva sempre in modo che avessimo lo stesso orario ogni anno,
in modo che potessimo stare insieme a tutte le lezioni. Era sempre
molto bello, studiare insieme, capirci all'istante...
Sarebbe
stato un disastro se non fosse stato così.
«Ehi
Evelyn! Alla prima ora abbiamo letteratura!» esclamai
entusiasta
all'idea di iniziare dalla nostra materia preferita.
«Come
letteratura? Sul mio foglio c'è scritto che dobbiamo fare
storia...»
disse lei guardando il mio foglietto.
Li
avvicinammo e una terribile certezza ci assalì: non avevamo
neanche
una sola materia in comune.
Fantastico.
La
giornata era iniziata nel peggiore dei modi.
E
sembrava non migliorare neanche lontanamente.
Al
suono della campana io ed Evelyn ci separammo e fui subito assalita
dal senso di solitudine.
Intorno
a me c'erano solo gruppi di amici, persone che avevano qualcuno
accanto a loro.
Nessuno
era solo come me in quel momento.
Forse
stavo solo esagerando il tutto, ma nella mia testa era così
terribile, non ero abituata dopotutto.
Avevo
mai fatto qualcosa senza mia sorella?
Probabilmente
no e se mai era accaduto non ne avevo neanche memoria.
Forse
era sbagliato, ma avevo un bisogno disperato di qualcuno a cui
appoggiarmi.
Anche
nell'aula dove ero appena entrata non c'era nessuno che conoscessi
neanche lontanamente, così nonostante fossero tutti in piedi
andai a
sedermi nel fondo dell'aula incurvandomi sulla sedia, quasi come se
volessi nascondermi.
La
campanella suonò di nuovo ad indicare che i cinque minuti di
tempo
per raggiungere le aule erano terminati.
Dopo
pochi istanti tutti gli studenti avevano preso posto e una donna
sulla sessantina aveva fatto il suo ingresso in classe.
«Buongiorno.»
salutò con la voce di chi non ha la minima voglia di
lavorare. «Io
sono la professoressa Harris e vi insegnerò letteratura.
Adesso farò
l'appello.» annunciò prendendo il registro.
Lesse
poche righe poi si bloccò e guardò un punto
indefinito dell'aula.
«Armstrong!»
chiamò all'improvviso.
Sobbalzai.
«Come
al solito non c'è... oh, ma guarda. Ce n'è un
altro. Come se uno
solo non ne bastasse.» disse guardando il registro.
«Chi di voi è
l'altro Armstrong?»
Ammetto
che quella donna mi faceva un po' paura, sembrava particolarmente
propensa all'isteria.
Alzai
molto timidamente la mano.
«I-io...»
«Ah,
sei tu? L'anno scorso che media avevi in letteratura?»
«A,
professoressa...» dissi sempre più imbarazzata
dato che tutti i
presenti in classe avevano puntato gli occhi su di me.
Già
qualcuno aveva iniziato a mormorare cose come
“secchiona” o “ma
chi si crede di essere?”.
«Bene,
bene... questo sarà da verificare. Per caso conosci l'altro
Armstrong? Non è che siete... imparentati?» lo
disse con un tono
confidenziale, quasi come se fosse stato un crimine da confessare.
Improvvisamente
la porta della classe si aprì e io potei solo ringraziare
dato che
questo aveva spostato l'attenzione generale da me.
«Ah...
Armstrong. Stavamo giusto parlando di te. Anche il primo giorno
arrivi in ritardo?» disse la professoressa infastidita.
Billie
Joe non rispose, ma dopo un rapido sguardo alla classe, a grandi
falcate venne a sedersi accanto a me.
Com'era
prevedibile non aveva un buon rapporto con i professori.
Per
fortuna la professoressa non ebbe l'idea di riprendere a tormentare
uno di noi due, ma pensò che era meglio iniziare la lezione.
«La
Harris ti ha dato fastidio?» mi chiese di punto in bianco.
«Beh...
no, mi ha solo un po' spaventata.»
«Adesso
ti punterà fino al primo test per via del tuo cognome, Alice
Armstrong.»
Fantastico.
Chissà
perché lo sospettavo.
La
giornata continuava in maniera sempre peggiore.
«Ehi!
Ma io ti conosco!» esclamò davanti a me un ragazzo
imponente due
ore dopo nell'aula di matematica.
«Come?»
«Sì,
ti conosco. Non so dove ci siamo incontrati ma di sicuro ti
conosco. Aspetta, forse ti ho vista quando...»
La
campanella lo interruppe, anche se non ne aveva per niente voglia
andò a prendere posto e così feci io.
In
effetti anche a me il suo viso non era totalmente nuovo, ma
evidentemente avevo una pessima memoria, non riuscivo a ricordarmi
chi fosse.
Sembrava
che fosse rimasto concentrato su di me fino alla fine dell'ora,
quando subito venne nella mia direzione.
Non
sentii neanche cosa aveva da dire che subito mi confusi tra la folla
e sgattaiolai fuori dall'aula.
Non
era per niente un buon metodo per fare amicizia, ma in quel momento
non me ne importava nulla.
Volevo
solo stare con Evelyn, non m'importava nient'altro!
Sapevo
che stavo per avere una crisi di panico, possibile che da sola
sapessi resistere così poco?
…
Quanto
ero stupida all'epoca.
La
mensa era affollatissima.
Avevo
appena iniziato ad abituarmi all'assenza di Evelyn proprio in quel momento in cui
stare con lei.
La
cercai con gli occhi ma non vidi nessun volto conosciuto.
Anzi
no, due volti conosciuti mi vennero incontro. Uno era quello di mio
cugino e l'altro era quello di quel ragazzo che sosteneva di
conoscermi.
«Ehi
tu!» mi puntò immediatamente il dito contro. «Mi sono
ricordato di dove ti ho
vista.» annunciò con solennità.
«Davvero?»
«Scusa...
vi conoscete?» chiese Billie Joe al ragazzo.
«In
verità no, non so neanche come si chiama.» disse
lui. «Però ieri
mi ha chiesto informazioni per il 7-11 e l'ho accompagnata insieme
alla sua sorella gemella.»
Lo
guardai meglio.
Cavoli,
come avevo fatto a non accorgermene? La crisi d'astinenza da Evelyn
era così forte da farmi perdere totalmente la memoria?
«Ah...
È vero. Grazie mille per ieri.» gli sorrisi con
gentilezza.
«Figurati!
Io sono Frank, ma puoi chiamarmi Tré.» mi sorrise
lui avvicinandosi
un po' troppo alla sottoscritta.
«Ehm...
Piacere, Frank!» dissi cercando di allontanarmi
indietreggiando.
Immediatamente
il ragazzo si rivolse a Billie Joe.
«Mi
ha chiamato Frank nonostante le abbia detto di chiamarmi
Tré. Che
carina! Possiamo tenerla?»
Ma
cosa...?
«Guarda
che non è un cane. È mia cugina e al momento
è lei che tiene me.»
gli rispose Billie Joe ridendo.
«Oh...
quindi è lei la famosa cuginetta. Ti va di mangiare con noi
oggi?»
«Ehm...
ecco... dovrei andare da mia sorella. Grazie comunque.»
tentai di
andarmene da quella situazione mentre cercavo con gli occhi Evelyn.
Dove
diamine era?
Improvvisamente
la vidi che mi veniva incontro.
«Alice!
Vieni, ho fatto amicizia con dei ragazzi!» mi sorrise
trionfante.
«Un
giorno riuscirò al mangiare col mio cagnolino.»
sbuffò Frank imbronciato.
Mia
sorella lo guardò interrogativa per qualche secondo, poi mi
prese
per mano.
«Dai,
andiamo.» mi sorrise rassicurante, così mi lasciai
alle spalle le
preoccupazioni.
«Eccomi
Aileen. Ti presento mia sorella Alice.» disse Evelyn a una
ragazza
seduta al tavolo dove mi aveva portata.
«Siete
davvero identiche!» mi strinse la mano.
«Ciao.
Felice di conoscerti.» la salutai, poi mi sedetti di fronte a
lei.
Sul
suo volto c'era più trucco che pelle scoperta, ma non
risultava
troppo sgradevole. Effettivamente mi sembrava veramente bellissima e
mi sentii un po' a disagio di fronte a lei.
Un
altro ragazzo chiamò Evelyn, che mi lasciò da
sola con la
sconosciuta.
Di
nuovo.
I
suoi capelli biondo platino e mossi contornavano con dolcezza un volto
perfetto dove i suoi occhi celesti risplendevano come piccole gemme.
«Beh,
raccontami un po' di te.» esordì appoggiandosi al
tavolo.
«Non
ho molto da dire...»
«Ah,
no? Non hai un hobby, un genere musicale che ti piace...?»
«No,
non ascolto molta musica. A volte sento un po' la radio, ma non ho
mai avuto un CD o una cassetta.»
«E
i ragazzi? Che ragazzi ti piacciono?»
Mi
colse decisamente alla sprovvista.
«Ehm...
non saprei!»
«Come
no? Non ti sei mai messa con qualcuno?»
«No...»
«Ehi,
guarda che sei grande oramai. Hai 15 anni, no?»
Sinceramente
non pensavo che a 15 anni una persona fosse grande per fidanzarsi.
«Però
ho visto che frequenti la gang di Two-Dollar Bill.»
La
gang dello scontrino da due dollari? Che diamine voleva dire?
«...
Non so di cosa tu stia parlando...» mormorai imbarazzata.
«Il
tuo amichetto.» disse indicando alle mie spalle. Mi voltai e
vidi un
tavolo con sedute cinque persone: mio cugino, il suo amico Frank, due
altri ragazzi di cui non conoscevo il nome e una ragazza.
Mi
voltai di nuovo verso Aileen.
«Spaccia
canne. A due dollari l'una. Tutti nella scuola lo chiamano Two-Dollar
Bill.» pronunciò quelle parole lentamente con un
tono di voce quasi
confidenziale. «Ti converrebbe lasciarli perdere, sai?
Insomma, a
meno che tu non voglia diventare una punk evitata da tutti.»
Quelle
parole mi colpirono come una pugnalata.
Certo,
non mi ero ancora legata così tanto a mio cugino, ma
sentirne
parlare così mi fece male. Quel giorno tutto era
più grande di me.
Non
avrei dovuto sentirmi così vuota, stavamo parlando solo di
Billie
Joe, no? Però in lui c'era qualcosa di strano che non
riuscivo a
capire razionalmente.
Però
nella mia stupida, inutile debolezza, tutto quello che potei fare fu
solo annuire in silenzio.
___________________________________Authoress' words
In questo capitolo non succede molto,
però se l'avessi saltato, fidatevi, avrei solo fatto un
errore.
Sapete, scrivere una storia è un po'
come suonare: bisogna prendersi i tempi giusti. Non bisogna correre,
non bisogna rallentare, ma bisogna mantenere il tempo e a volte
prendersi delle pause per poi riattaccare con la solita energia.
Sì, ho scritto tutto ciò solo
per giustificarmi. Ahahahah!
Beh, che dire? Grazie di cuore a tutti quelli che
hanno letto e ora dirò una cosa che mi ero dimenticata di
dire nel capitolo precedente:
Questa storia è dedicata a
Lally_Weasley, che mi ha fatto sganasciare dalle risate davanti al PC a
leggere i suoi messaggi e che mi ha involontariamente consigliato.
Grazie!
|
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Capitolo 3 *** Sei in rovina ***
1
settembre 1988
Perché?
Era
l'unica parola che avevo nella testa in quel momento.
Perché
Evelyn mi aveva abbandonata?
No,
no. “Abbandonata” non era la parola giusta. Lei non
si era
neanche resa conto di averlo fatto probabilmente.
«Alice?
C'è qualcosa che non va?» mi chiese mentre
tornavamo da scuola.
«No,
niente...»
«Andiamo,
lo sai che non ci credo.» mi disse guardandomi preoccupata.
Fare la sostenuta non serviva a niente, mi conosceva troppo e sinceramente non avevo troppa voglia di discutere.
«Mi
sono sentita un po' sola oggi.» confessai subito sospirando.
«Mi
dispiace, ma l'ho fatto solo per noi.» mi sorrise.
«In
che senso?»
«Per
avere degli amici. Se fossimo state tutto il tempo vicine ignorando
gli altri, beh, non saremmo riuscite a fare amicizia con nessuno. Ci
conviene anche perché siamo in classi separate.»
Sembrava
che tra di noi fossi l'unica a non importarsene degli amici.
«Che
ne pensi di Aileen?» mi chiese all'improvviso.
«Aileen?
Uhm... beh... sai, mi sembra un po'... come dire... falsa?» confessai imbarazzata.
Quella ragazza non mi piaceva per niente: sembrava badasse un po' troppo alle apparenze e per di più aveva fatto dei commenti decisamente poco carini su persone che conoscevo.
Le persone così mi mettevano sull'attenti, mi spaventava l'idea di frequentarle.
«Davvero?
Però io penso che sia solo apparenza. E comunque
è simpatica. Dalle
una possibilità.» mi prese per mano Evelyn.
«D'accordo...»
Ma
dentro di me ero ancora turbata da quelle parole su Billie Joe.
Non
andava bene così.
Un
perdente, ecco come lo descriveva.
Un
ragazzino che aveva bisogno di darsi un tono spacciando canne dando
solo l'ulteriore dimostrazione di quanto un perdente fosse.
Chissà
se Billie Joe sapeva di quello che gli altri pensavano di lui?
Ah,
cavoli! Ma perché mi preoccupavo tanto?
Non
capivo perché, ma irrazionalmente sentivo qualcosa che ci
accomunava. Non sapevo cosa, ma le nostre anime erano legate.
Chissà
come.
2
settembre 1988
«Armstrong!»
«Ci
risiamo... quale dei due, professoressa?» chiese annoiato
Billie
Joe.
«Umpf.
La ragazza.» rispose la professoressa Harris.
«Sì?»
chiesi intimidita.
«Fino
a dove sei arrivata l'anno scorso?»
«William
Shakespeare, professoressa.»
«Benissimo.
Ci troviamo.»
Mi
rilassai.
Non
sembrava volermi uccidere.
Non
ancora.
«Visto?
Ti chiama ogni cinque minuti solo per vedere se sei attenta.»
borbottò Billie Joe mentre scribacchiava qualcosa su un
foglietto
spiegazzato.
«Ehm...
a proposito...»
«Sì?»
mi chiese senza neanche voltarsi a guardarmi.
«Perché
hanno tutti questi pregiudizi nei tuoi confronti? Gli insegnanti,
dico...»
«Non
sono solo gli insegnanti.»
Allora
ne era consapevole.
Eppure
non faceva nulla per migliorare la sua immagine.
«Comunque
è per vari motivi. Numero uno: sono un punk. Tutti i punk
vengono
trattati così. Veniamo chiamati
“perdenti” e forse lo siamo
davvero. Però sai una cosa? Li accontenterò. Sono un
perdente? Bene,
sarò il re dei perdenti.»
Lo
guardai affascinata.
Era
incredibile come riusciva a non importarsene del giudizio delle
persone. Da un lato questa sua caratteristica lo faceva sembrare
forte, sicuro di sé, ma dall'altro lato non sarebbe mai
stato una
persona come le altre.
Ma
ne aveva davvero bisogno?
Dopotutto
aveva degli amici, no?
Scossi
la testa.
Stavo
ragionando come una stupida.
Non
ero la protagonista di un romanzetto rosa in cui avevo il compito di
salvare dalla perdizione il protagonista maschile, no?
Mi
stavo davvero preoccupando troppo.
«Ciao.»
mi salutò un ragazzo che non avevo mai visto prima alla seconda ora.
«Posso sedermi
qui?» chiese indicando il posto vuoto accanto a me.
Annuii
in silenzio.
Aveva
i capelli castani e gli occhi chiari, ma non erano celesti. Erano
più
che altro... color ghiaccio.
«Mi
chiamo Michael Pritchard.» si presentò gentilmente.
«Alice
Armstrong.» ricambiai.
Si
sedette accanto a me, poi mi rivolse di nuovo la parola.
«Sei
la cugina di BJ, vero?»
«Sì...»
«In
che rapporti siete tu e lui?» chiese incuriosito sostenendosi
il
mento con la mano.
«Beh...
ci conosciamo appena...»
«Davvero?
Non si direbbe...»
Mi
fissò per qualche secondo senza dire nulla.
Sembrava volesse sapere qualcosa da me, ma dovette pensare un po' a che parole usare prima di arrivare al punto.
«Senti,
mi potresti fare un piccolo favore?»
«Ovvero?»
chiesi perplessa.
«Oggi
potresti mangiare con noi?» continuò senza inutili
giri di parole.
Rimasi
un attimo confusa.
«Come?
Perché mi chiedi una cosa del genere?»
«Non
c'è un motivo preciso.» mi rispose guardandomi
attento alle mie
reazioni. «Giuro che terrò Tré
buono.» tentò di rassicurarmi.
Non
riuscii a trattenermi dal ridere.
Effettivamente
quello era uno dei motivi per cui avrei preferito evitare.
Pensai
al giorno prima, a come mi aveva chiamata
“cagnolino” e involontariamente anche a
come Evelyn mi aveva ignorata, alla falsità dei suoi nuovi
amici,
alle parole di Aileen.
«Beh...
per una volta...» gli sorrisi.
Evelyn
si stava impegnando a trovare qualche punto di riferimento, qualche
volto amico, ma nulla mi vietava di cercarne qualcuno anch'io.
Dopotutto
non avrei mai potuto sentirmi a mio agio con una come Aileen.
E
poi quel ragazzo di nome Michael era decisamente rassicurante
rispetto a tutti gli altri che avevo incontrato fino a quel momento.
Almeno
sembrava tranquillo.
«Lo
prometti?» mi chiese.
«Lo
prometto.» confermai.
All'ora
dopo mi presentai volontariamente in ritardo, tutto per evitare di
avere incidenti con quel Frank del giorno prima.
Non
sapevo bene perché, ma l'avevo immediatamente visto come un
tipo
potenzialmente folle.
Così
arrivai indenne all'ora di pranzo.
Non
appena misi piede nella mensa, vidi Evelyn corrermi incontro.
«Alice!
Finalmente sei arrivata! Aileen mi ha chiesto di te.» sorrise
felicissima.
«Ah... Evelyn...
sai, avevo pensato...
siccome tu ti stai impegnando tanto per trovare degli amici forse
dovrei fare lo stesso invece di rimanere a guardare, così ho
promesso a un ragazzo che ho conosciuto oggi che avrei mangiato con
lui.» spiegai imbarazzata.
Tutte le mie convinzioni
erano crollate
da sole.
Quanto era difficile
parlare faccia a
faccia con le persone, dannazione!
«Come?
È perché ieri sono stata
tutto il tempo con Tyler?»
Ecco come si chiamava il
nuovo amico di
mia sorella.
«Dai, Alice! Mi
dispiace, cercherò di
fare più attenzione, però vieni con
noi.» mi pregò Evelyn.
Mi faceva male lasciarla
così, ma...
«Mi dispiace,
l'ho promesso. Non so
bene cosa mi passava per la testa, scusami. Sono stata una
stupida.»
mi scusai sinceramente.
«Ok allora...
Però pensaci meglio la
prossima volta, ok? Allora ci vediamo dopo scuola.» mi
salutò.
Mi sentivo in colpa.
Cavoli.
Mi voltai cercando con lo
sguardo
qualche volto conosciuto, poi individuai mio cugino e Michael.
Mi sbrigai a prendere
qualcosa da
mangiare, poi mi avvicinai lentamente al loro tavolo e mi fermai dopo
averlo raggiunto senza dire una parola.
Tutti i presenti erano
intenti a ridere
per qualcosa e solo dopo una trentina di secondi qualcuno mi rivolse
la parola.
«Ciao Alice, alla
fine sei venuta.»
mi salutò Michael.
«Già...»
annuii un po' abbattuta.
«Ciao...»
salutò mio cugino senza
troppo entusiasmo.
«Non ci posso
credere, alla fine potrò
pranzare con il mio cagnolino!» sorrise Frank in preda
all'euforia.
Ma perché
proprio io dovevo fare il
cane, perché?
«Ma dai,
Tré! Guarda che se vuoi
conquistare una ragazza non puoi trattarla come un cane!» lo
riprese
una tipa seduta al tavolo porgendomi la mano. «Piacere,
io sono
Viola Thompson, ma gli amici mi chiamano Vyol.» mi sorrise.
«Piacere, Alice
Armstrong.»
Aveva i capelli nerissimi
raccolti in
una coda. Anche i suoi occhi erano scuri e cerchiati di matita nera.
C'era anche un altro
ragazzo, ma non si
presentò, non mi disse nulla.
Mi sedetti a tavola con
loro.
Mi stupii immediatamente:
c'era
un'atmosfera totalmente diversa rispetto a quella del giorno prima
con gli amici di Evelyn.
Con quel gruppo di persone
considerate
vincenti c'era tensione, c'era la preoccupazione di apparire
perfetti.
Dopotutto, Evelyn me
l'aveva detto,
Aileen era stata eletta “ragazza più bella della
scuola”, era
ovvio che dovesse mantenere a tutti i costi la sua posizione.
Al tavolo degli sfigati
punk invece
c'era un'atmosfera rilassatissima. A nessuno di loro importava di
apparire in un certo modo. Dicevano le cose che pensavano, per quante
stupide potessero essere.
Era fantastico.
«Allora, per
quanto riguarda oggi con
le prove...» esordì Billie Joe parlando in tono
solenne e serio.
«Ti prego, non mi
parlare di prove!»
rispose l'unico ragazzo di cui ancora non conoscevo il nome seccato.
«Di che prove
state parlando?» chiesi
incuriosita.
«Delle prove
degli Sweet Children.»
mi rispose Frank. «La band di BJ, Mike e Al.»
sorrise.
Avevano anche una band?
«Sono
bravissimi!» gridò Vyol
eccitata. «Sul serio! Vado a vedere le loro prove tutti i
giorni e
sono sempre fantastici! Non mi stancherei mai di guardarli!»
Il ragazzo che sembrava si
chiamasse Al
sospirò.
«Sì,
certo. Se potessi anche suonare
sarebbe meglio.»
Tutti si zittirono.
Sembrava che fossi l'unica
a non sapere
di cosa stesse parlando.
Poi per la prima volta si
rivolse a me.
«Scusami se non
mi sono presentato.
Sono John Kiffmeyer, in arte Al Sobrante. Sarei il batterista della
band, ma non posso suonare alle prove: l'anno scorso sono stato
bocciato e da allora quella stronza di mia madre mi impedisce di
andare a provare e di suonare nei locali. Però faccio ancora
parte
della band, se dovessimo registrare un CD o un non-so-cosa non me ne
fregherebbe niente e lo farei, sia chiaro.» concluse
ribadendo la
sua posizione. «E al momento vengo sostituito da
Tré, il mio
insegnante di batteria.»
Insegnante? Non era un po'
giovane per
fare l'insegnante di qualche cosa?
«Dai John,
resisti ancora un po',
porta a casa qualche C e potrai fare quello che ti pare!» gli
sorrise tentando di confortarlo Vyol.
«Comunque stavo
dicendo...» riportò
su di sé l'attenzione mio cugino. «Ho deciso di
fare il grande
passo questo sabato.» annunciò con maestosa
solennità.
«Cosa?
Così presto?» chiese Mike
disorientato.
«L'importante
è che vada bene a sua
maestà Frank Edwin Wright III.» rispose Billie Joe
con una sorta di
ironico inchino.
«A me va
benissimo.» rispose Frank
sorridendo con sicurezza. «Anche se proviamo solo da pochi
giorni
sono perfettamente in grado di debuttare con voi dal vivo.»
«Aaah! Allora
sabato suonerete di
nuovo?» chiese Vyol entusiasta.
«Così
pare.» le sorrise Billie Joe.
«Stai cercando
qualcuno?» mi chiese
Vyol all'uscita di scuola. Avevamo l'ultima ora insieme,
così non
ci eravamo ancora separate.
«Sì,
la mia sorella gemella.»
«Hai una sorella
gemella? Che figata!
Dev'essere bellissimo!»
«Infatti lo
è.» le sorrisi.
«Allora immagino
che sia quella tipa
identica a te.» mi disse indicando Evelyn in lontananza.
«Evelyn!»
le corsi immediatamente
incontro. Lei si voltò piano guardandomi con aria assente.
«Ehi
Alice...» mi salutò con un sorriso spento.
Anche Vyol mi raggiunse
subito.
«Ciao! Io sono
Viola Thompson, ma i
miei amici mi chiamano Vyol.» le sorrise.
«Piacere mio, io
sono Evelyn.» le
rispose con gentilezza mia sorella.
«C'è
qualche problema? Ti vedo strana...» le
chiesi un po' preoccupata.
«Niente di
importante...» disse
guardando Vyol facendomi chiaramente intendere che voleva parlarmi da
sola.
«Ehm... Vyol?
Potresti lasciarci un
minutino da sole?» le chiesi imbarazzata.
«Oh, certo!
Nessun problema!» sorrise
senza essersi offesa neanche un po'. Detto questo saltellò
via.
Cavoli, quanto era
esuberante!
«Beh, ecco...
sarei stata invitata a
una festa.» iniziò mia sorella.
«E ti sembra un
problema?» le
sorrisi. «Mi sembra un'ottima cosa!»
«Sì,
però solo io... Aileen mi ha
detto che ti stai facendo vedere un po' troppo con il gruppetto di
Two-Dollar...»
«Billie Joe. Per
favore, chiamalo
Billie Joe.» la interruppi senza neanche pensare.
Mia sorella mi
fissò perplessa.
«Beh... comunque
ha detto che tu non
puoi venire. Però ho già deciso che se queste
sono le condizioni
farei meglio a lasciar perdere e a stare con te.» disse con
uno
sguardo triste.
«Evelyn, no!
Preferisco sapere che sei
felice da un'altra parte piuttosto che averti triste con me.»
le
dissi guardandola negli occhi. «Voglio che tu
vada.» mentii spudoratamente.
Io volevo che lei rimanesse
con me, ma
allo stesso tempo non la volevo triste. Se avessi dovuto seguire
solo i miei sentimenti, la mia parte più egoista avrebbe
preso
facilmente il sopravvento, ma il mio senso del dovere mi spinse a
mentire in quel modo.
«Dici sul
serio?» chiese Evelyn
sorridendo.
Annuii.
«Grazie!»
mi abbracciò felice.
«Allora tornerò presto, però devo
già andare con Aileen dato che
mi ha chiesto se posso prepararmi con lei.» mi sorrise.
Di già?
«Ah...
ok.» le sorrisi falsamente.
«Allora tornerò a casa da sola, non
importa.»
Sola di nuovo.
Sembrava fosse il mio
destino in quel
periodo. Cavoli, era davvero una pessima sensazione, la sensazione di star perdendo il mio unico punto di riferimento.
Già mia madre era dovuta partire, ora anche mia sorella aveva intenzione di abbandonarmi?
Sentivo freddo, non avevo voglia di fare niente... mi sarei volentieri lasciata cadere su una panchina qualsiasi o magari un muretto solo per lasciarmi prendere dalla tristezza.
Sarei caduta
definitivamente in
depressione se l'entusiasmo di Vyol non mi fosse venuto a sbattere violentemente
addosso.
«Alice! Hai finito di parlare con tua sorella? Ehi, cos'è quel muso lungo?» trotterellò verso di me.
«Niente, Evelyn va a una festa a cui io non posso accedere e quindi sono sola...» mugugnai senza troppa voglia di dare spiegazioni..
«Ah, sì, la festa di Aileen, tutti i tipi “cool” ne parlavano oggi... Davvero va alla festa? Allora vuol dire che sei libera! È meglio così!»
«Libera per cosa,
scusa?» le chiesi
senza reale interesse.
«Ehi,
già te ne sei dimenticata?» mi
rimproverò. «Le prove!»
«Le prove? Che
c'entriamo noi con le
prove?»
«Diciamo che
assistiamo e facciamo da
pubblico. Non accetto che tu dica di no e non hai neanche la scusa
dello studio: domani è sabato.»
Ero in trappola.
E così scoprii
la vera funzione del
7-11: una sala prove.
Io e Vyol ce ne stavamo
sedute sulle
nostre stesse cartelle dato che non c'era altro, mentre la band di
cui nemmeno ricordavo il nome sistemava gli strumenti.
Come previsto, Al era
andato via mentre
Frank era al suo posto alla batteria.
«A proposito,
come hanno detto che si chiamavano come
band?» chiesi a Vyol.
«Sweet Children,
ma stanno cercando un
altro nome. Se ti viene qualche idea suggerisci!» sorrise lei.
Le nostre chiacchiere
furono interrotte
da un accordo poderoso sulla chitarra.
«Ok, direi che
sei accordata.» disse
Billie Joe tra sé e sé. «Tutto
pronto?» si rivolse a Mike e
Frank.
«Certo!»
rispose Frank. «Sì, ci
siamo.» confermò Mike.
Senza aspettare neanche un
secondo
il batterista attaccò con una rullata a cui si unirono gli altri due
membri
della band. La melodia era semplice, ma era anche ipnotizzante.
Il ritornello ripeteva
ossessivamente
la stessa frase: “Perché vuoi lui?”.
Le parole parlavano di
una persona, forse
una ragazza, totalmente innamorata di qualcuno ma allo stesso tempo non sapeva
se fosse giusto o sbagliato questo amore.
Neanche il tempo di
rendermi conto di
quello a cui stavo assistendo che mio cugino attaccò un
assolo con
la sua chitarra.
Cavoli, non me l'aspettavo
che fossero
a questi livelli.
Anche se era durato poco,
era davvero
incredibile!
Stavo cominciando a capire
perché Vyol
si esaltasse tanto.
Al termine della canzone a
Frank sfuggì
una bacchetta che mi andò a finire in testa.
«Ahi!»
«Oh, scusami.
Però non sarebbe figo
se lo facessi al concerto?» chiese il batterista.
«Lanciare le
bacchette in testa alla
gente?» chiese Mike.
«Beh, non in
testa, però sì!»
Il resto del tempo
andò avanti così,
tra una canzone e l'altra, non riuscivo a smettere di stupirmi.
Certo, erano solo prove, si
fermavano
spesso per chiarire meglio cosa dovevano fare, però quando
suonavano
le canzoni per intero era davvero incredibile.
Così tanto
incredibile che alle sette
di sera eravamo ancora lì.
Erano passate due ore e
mezza
dall'inizio delle prove e la band era esausta, così decisero
che per
quel giorno era abbastanza.
Uscimmo fuori e ci
infilammo in una
piccola stradina davanti alla quale un cartello indicava
“Christie
Road”.
Era un luogo piuttosto
appartato e
solitario, ma non per questo ostile.
Immediatamente notai la grande presenza di cose come poster attaccati alle pareti e scritte sui muri, non sembrava neanche di essere all'aperto.
Tutti i presenti si
sedettero su delle brandine o divanetti ormai distrutti che c'erano lì, poi Billie Joe tirò fuori dalla tasca una bustina
di
plastica trasparente ripiena di un qualcosa di indefinito di colore marroncino che
passò
a Frank, il quale, sapendo perfettamente cosa fare, prese un pezzetto di carta, vi riversò sopra il contenuto della bustina e iniziò ad... arrotolarla?
«Uhm...
cos'è?» chiesi ingenuamente.
«Canne!»
annunciò Frank mostrandomi
il risultato del suo lavoro con orgoglio. «Ne vuoi una?»
«Ah... No,
grazie!» mi affrettai a
rispondere.
«Guarda che sei
l'unica qui a non approfittarne.» mi
sorrise Vyol.
«Non
importa.» risposi convinta.
Dopo poco tutti i presenti
erano lì
circondati dal fumo.
Era incredibile come
riuscissero a dire
le cose più assurde sotto l'effetto di quella roba!
Beh, certo, il
più folle rimaneva
sempre Frank, che continuava a chiamarmi cagnolino arrivando
addirittura a chiedermi di dargli la zampa...
«Senti... non
è che ti andrebbe di
venire al nostro concerto di domani?» chiese Billie Joe mentre
tornavamo da soli verso casa.
Sembrava avesse
riacquistato lucidità,
dopotutto erano quasi le dieci, era passato parecchio tempo da quando aveva fumato quella roba.
«Concerto?»
«Sì,
spesso il sabato suoniamo al
Rod's Hickory Pit, un localo a Vallejo.»
«Vallejo? E come
dovrei arrivarci a
Vallejo?»
«Non ti
preoccupare, ci accompagnerà
il padre di Tré.»
«Beh, non
saprei... mi piacerebbe, ma
allo stesso tempo vorrei parlarne con mia sorella.» gli
sorrisi
gentilmente.
Billie Joe
sospirò.
«Non sei proprio
capace di fregartene,
eh?»
«Come?»
«Tua sorella si
sta facendo una vita e
non ha bisogno di chiedere il permesso a te, perché non fai
lo
stesso?»
Mi zittii.
Era vero, non era solo una
mia
sensazione: Evelyn si stava facendo degli amici a cui io non
interessavo e che non avrei mai frequentato.
«Forse
perché se non lo facesse
almeno una di noi due ci separeremmo definitivamente.»
«È
come un amore a senso unico, non te ne rendi conto?»
«Forse hai
ragione, ma... al momento
mi va bene così.» conclusi fermandomi davanti al
cancello del
giardino di casa.
Mi bloccai.
Sulla porta c'era Evelyn in
compagnia
di uno dei ragazzi del gruppo di Aileen, sorridente come non mai.
«Ma guarda. Ha
addirittura fatto una
conquista.» commentò sarcastico Billie Joe
spingendo il cancelletto
e avviandosi verso di lei. Io lo seguii confusa.
«Ciao
Evelyn.» salutò fermandosi.
Il ragazzo sconosciuto si
voltò
squadrando perplesso mio cugino.
«Vi
conoscete?» chiese confuso.
«Ah... ecco,
è una storia un po'
complicata...» iniziò Evelyn con voce imbarazzata.
Perché voleva
negarlo?
«Siamo
cugini.» spiegò in due parole
Billie Joe.
Evelyn rimase in silenzio a
fissarlo
con un misto di rabbia e preoccupazione.
«Oh... Beh,
allora io vado. Ci
vediamo, Evelyn.» salutò frettolosamente il ragazzo che
probabilmente aveva pensato
che era meglio allontanarsi prima che la situazione esplodesse.
«Ciao,
Tyler.» lo salutò Evelyn.
Solo quando quel ragazzo ebbe attraversato il cancello del giardino mia sorella si rivolse a Billie Joe e me.
«Cosa ci fate
insieme?» mi chiese con un ringhio sommesso Evelyn.
«Sono andata a
vedere le prove della
loro band.» risposi preoccupata dal tono furibondo di mia
sorella.
Non si era mai rivolta a me
così.
«Davvero? Allora
domani usciamo con
Aileen, l'ho convinta a farti venire.» disse con un tono che
non
ammetteva repliche afferrandomi violentemente per mano.
Non l'aveva mai fatto, io non volevo uscire con Aileen!
«N-no!»
urlai senza neanche pensare.
Sia lei che Billie Joe mi
fissarono
perplessi.
Silenzio.
Dovevo dire qualcosa.
Dannazione, stavano entrambi solo aspettando che parlassi!
«Domani vorrei... andare
a Vallejo, Evelyn.»
_________________Authoress'
words
NON HO TEMPO!
È QUASI
MEZZANOTTEEEEEEEE!
|
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Capitolo 4 *** Non mi importa se non importa a te ***
3
settembre 1988
«Come
stai oggi?» fu la prima frase che mi disse mia sorella quel
giorno.
Il suo tono era incerto.
«Non
saprei.» risposi sinceramente mentre mi versavo il latte
nella
tazza. «Come al solito, direi.»
«Sei
arrabbiata con me?» chiese timorosa Evelyn.
«Non
credo. No.» negai con calma.
Lei
sospirò.
«Cosa
ci ha preso? Ieri sera eravamo entrambe fuori di noi.»
mormorò
sconfortata.
«Scusami
per aver urlato a quel modo.» dissi a bassa voce.
«No,
scusami tu per averti strattonata.»
Era
sinceramente pentita.
Passarono
secondi insopportabili di silenzio totale, solo il tintinnare dei cucchiaini e delle tazze ogni tanto riempiva quell'atmosfera insopportabile.
Non
avrei potuto resistere oltre.
«D'accordo.
Pace fatta, abbiamo entrambe esagerato, neanche si fosse trattato di
chissà quale questione di vita o di morte!» le
sorrisi
rassicurandola. Evelyn sorrise a sua volta, ma con meno convinzione.
«A
dire il vero... Alice io vorrei davvero che tu provassi a fare
amicizia con Aileen. Davvero, non è cattiva! Non capisco
perché tu
non voglia provarci nemmeno.»
Perché
non volevo provarci?
«Se
io facessi una cosa del genere... anche tu dovresti tentare di fare
amicizia con BJ.» le risposi logicamente. Sapevo benissimo
che non
lo avrebbe mai fatto, volevo solo farle capire che lo stesso valeva
per me.
«BJ?» mi fece notare lei.
BJ?
Senza
rendermene conto avevo iniziato a chiamarlo così anche io?
…
Guardai
Evelyn negli occhi con uno sguardo malinconico. Era la prima volta
che ci capitava, ma non potevamo più fare finta di nulla.
Io
e mia sorella non saremmo mai state d'accordo su qualcosa e stavolta
era inutile anche solo provarci.
«Cazzo.»
esordì finemente BJ.
Era
la ventesima volta in dieci minuti che diceva quella parola.
Lo
fissai interrogativa.
«Cazzo.»
ripeté gettandomi un'occhiata.
«Hai
paura?» azzardai.
«Non
per me. Questa è la primissima volta che Tré
suona con noi dal
vivo.» disse passeggiando nervosamente avanti e indietro nel
grande
soggiorno. «Giuro che se ci fa perdere la reputazione
l'ammazzo con
le mie mani. Cazzo.» concluse.
Risi,
ma qualcosa non mi convinceva.
Capivo che ci tenesse alla band e alla sua reputazione, ma ero convinta che BJ fosse nervoso anche per qualcos'altro... ma non riuscivo a capire cosa.
E
forse nemmeno lui lo sapeva.
La
porta bussò in quel preciso istante distogliendo tutti dai
propri
pensieri.
Evelyn
scattò immediatamente in piedi appoggiando su un tavolino il
libro
che stava leggendo e corse ad aprire la porta con un sorriso
soddisfatto.
Probabilmente
aspettava Aileen, ma con sua grande delusione si trovò
davanti il
volto sorridente di Vyol.
«Sorpresa!
Sei pronta, Alice?» esordì la ragazza tentando di
abbracciare mia
sorella che indietreggiò.
«...
Io sono Evelyn.» rispose lei decisamente infastidita.
Ecco cosa può succedere quando hai una sorella perfettamente identica a te.
«Ciao
Vyol, che ci fai qui?» chiesi alzandomi dal divano e
andandole
incontro. Evelyn tornò a leggere.
«Ciao.»
la salutò seccamente Billie.
Vyol
ignorò tutti i presenti tranne la sottoscritta.
«Credo
di averti capita, sai? Tu sei una di quelle persone che non se ne importano
niente neanche del loro stesso aspetto fisico, vero? Ma Vyol ha la
soluzione!» dichiarò orgogliosa mostrando una
borsettina rossa.
Dopo
pochi secondi stava già rovistando nel mio armadio.
Ovvio,
mio e di Evelyn.
«Vyol,
non c'è bisogno che tu cerchi qualcosa, posso anche andare
così...»
cercai di fermarla.
«Non
se ne parla. Stiamo per vedere un concerto! Non puoi andare vestita
come se stessi per fare un compito di matematica! Immagino che se tu
avessi degli occhiali te li saresti messa anche oggi.»
Beh...
sì?
«Ecco!
Niente vestiti da brava bimba educata! Niente merletti, niente
colori!» esultò trovando una lunga maglia nera con
sopra disegnata
una bomba a mano.
«Ah...
quella. Mi ricordo che me l'ha regalata mio padre, ma mamma mi ha
sempre vietato di metterla. Dice che è troppo da maschiaccio e poi la bomba è un simbolo di violenza...»
«Ma
stai scherzando? È bellissima!» me la
sventolò sotto il naso.
In
effetti dovevo ammettere che non era male, mi piaceva il contrasto di
colori tra il nero della base e il bianco brillante della bomba.
«Ok,
me la proverò.» sollevai le mani in segno di resa.
Insieme
a quella fui obbligata a mettere dei jeans piuttosto stretti che
seguivano la linea delle gambe in maniera decisamente scomoda.
Eppure
la mia amica sembrava decisamente entusiasta.
«E
ora... Tocco finale!» disse estraendo una matita nera dalla
sua
borsetta rossa.
«No!
Anche il trucco no!» indietreggiai.
«Perché
no?»
«Fa
male alla pelle e poi truccarsi è come mettersi una
maschera, è
come se mentissi a tutti quelli che mi vedono! No, mi sta bene
così
la mia faccia!»
«...
Ma non rompere!» rise immobilizzandomi contro la parete.
«Adesso
chiudi gli occhi e lascia fare alla sottoscritta.»
Non
riuscivo a guardarmi nello specchio.
No,
ero troppo diversa.
Occhi
celesti cerchiati di nero, boccoli biondi che cadevano sopra una
maglia con sopra una bomba a mano insanguinata...
No,
era troppo.
«Sono
sicura che tutti gli altri apprezzeranno.» mi sorrise Vyol.
«Stai
benissimo così.»
Gettai
un'altra occhiata allo specchio ripromettendomi di non distogliere lo
sguardo troppo in fretta.
Neanche
quello era più lo stesso.
Avevo
perso totalmente il mio viso dolce che tanto mi piaceva, avevo
un'aria aggressiva.
«Non
sembro io...»
«No,
sembri sempre tu. Non è che le persone hanno un solo
aspetto, le
persone possono avere quanti aspetti vogliono. Lo sai? Quelli che ti
chiedono di descriverti con un aggettivo ti chiedono di fare una cosa
impossibile. Una persona ha dentro di sé tutti gli
aggettivi, solo
che alcuni si sviluppano più di altri.»
La
guardai perplessa.
«È
una cosa che ho letto da qualche parte, non pensare che sia opera
mia.» rise, ma notai un lieve rossore sulle sue guance.
«Ah,
ecco.»
«Come?
Vuoi dire che pensi che non sia in grado di fare un ragionamento
profondo?» fece finta di offendersi.
«Beh...
diciamo che è strano che tu dica quelle cose così
all'improvviso.»
risi anche io.
«...
Alice?» fu la reazione del batterista provvisorio degli Sweet
Children quando mi vide nel soggiorno. «Che avete fatto al
mio
cagnolino?»
Sospirai
scoraggiata.
Probabilmente
era arrivato insieme a Mike mentre ero sopra con Vyol.
«Invece
di pensare al tuo cagnolino pensa a quello che devi fare oggi su quel
fottuto palco.» lo zittì BJ con un tono rabbioso.
Era
davvero intrattabile...
«Ehi,
signor Armstrong, non mi starà dicendo che siamo
nervosi?» lo
stuzzicò Frank.
«Lascia
perdere, Tré. È sempre così prima di
un concerto.» disse Mike.
«Comunque stai molto bene, Alice.»
«Infatti.
Anche se non sei più il cagnolino di una volta il tuo
padroncino ti
vorrà sempre bene.» ricominciò Frank.
…
Qualcosa
mi diceva che l'unica cosa che potevo fare era rassegnarmi e iniziare
ad abbaiare.
Dopo
poco il padre di Frank venne a prenderci con un... camion per la
vendita dei libri?
«Ragazzi,
vi presento la Bookmobile!» sorrise fiero il batterista.
«Un
camion per vendere libri?» chiese Billie perplesso quanto me.
«Sì,
ma li ho tolti tutti da dentro. È l'unico mezzo che ho
trovato in
grado di portarci tutti insieme agli strumenti. In auto sarebbe stato troppo scomodo.»
«Ma come diavolo hai fatto a procurartela?» chiese Mike perplesso.
«Ah, beh... conosco un po' di gente nel traffico di mezzi... avrei potuto prendere un camper, ma questa qui mi piaceva di più!» sorrise raggiante il batterista.
Traffico di mezzi?
Frank mi faceva sempre più paura, ma pensai che era meglio non commentare.
Dalla
Bookmobile scese un uomo sulla cinquantina dai lunghi capelli
così
chiari che non avrei saputo dire se fossero biondi o bianchi.
«Piacere,
sono il padre di Frank.» si presentò. «E
il vostro autista
ufficiale. Forza, montate su prima di perderci l'inizio del
concerto.»
Il
Rod's Hickory Pit non sembrava per niente un locale raccomandabile:
era buio, angusto e pieno di gente venuta lì solo per
ubriacarsi.
«Noi
andiamo dietro le quinte, voi cercate di essere in prima
fila.» ci
salutò Billie prima di raggiungere gli altri membri della
band.
«Faremo
del nostro meglio, scateneremo un gran casino.» gli sorrise
Vyol.
Il
ragazzo annuì, poi si allontanò.
Dopo
pochi secondi lei mi prese per mano e mi guidò verso un
tavolino
vicinissimo al palco senza dire una parola.
«Da
qui ci godremo lo spettacolo senza problemi. Però quando
tocca a
loro dobbiamo alzarci in piedi. Dobbiamo scatenare l'inferno, capito
Alice?»
Annuii.
«Suoneranno
anche altre band?»
«Sì,
ovviamente sì. I nostri suoneranno mezz'ora, ma un giorno
vedrai che
faranno concerti anche da quattro ore!»
«Quattro
ore? Dovrebbero essere delle star internazionali per farlo!»
«Lo
saranno, io ci credo.» disse la mia amica con convinzione.
«Se non
ci si crede è impossibile riuscirci.» mi sorrise.
«Allora
ci crederò anch'io.» le sorrisi di rimando.
Sul
quel palco salì una band di universitari e una band di
ragazzi della
nostra età.
Avevano
qualcosa che mancava, non era molto divertente ascoltarli. Eppure non
capivo cosa.
«Sai
cos'è che gli manca?» mi chiese Vyol.
«Sinceramente
no.»
«La
presenza. La presenza scenica. Non parlano con il pubblico, il
cantante è troppo immobilizzato dalla paura, non si
sbilanciano. È
un concerto punk, dannazione! Non si possono comportare come band pop
di bassa categoria.»
Effettivamente
aveva ragione.
Il
cantante della seconda band era fermo sul palco, aveva paura di
muoversi e cantava a bassa voce.
Persino
quando terminò l'esibizione non salutò il suo
pubblico, infatti
sembrava che nessuno si fosse reso conto del fatto che avessero
finito.
Dopo
di loro finalmente salirono sul palco gli Sweet Children.
Vyol
immediatamente scattò in piedi urlando, così mi
alzai anch'io.
Senza
neanche parlare, subito iniziarono a suonare.
Sì,
era diverso.
La
musica era avvolgente, fantastica, più movimentata e meglio
arrangiata.
Ma
soprattutto i ragazzi non stavano un attimo fermi.
Billie
andava continuamente avanti e indietro, si rivolgeva al pubblico che
lo ringraziava gridando con tutta la sua forza, Mike faceva gioco di
squadra con BJ, mentre Frank era semplicemente incredibile: sembrava
immobile ma suonava a una velocità vertiginosa.
Cominciavo
a capire perché lo chiamassero Tré Cool: poteva
significare “molto
figo”, ma anche “molto freddo”.
Era
l'unico batterista che conoscessi che suonava a quel modo,
senza agitarsi inutilmente solo per attirare l'attenzione. Molto
freddo, appunto.
Era
incredibile il fatto che nonostante la maggioranza delle persone
fossero ubriache, tutti li adorassero.
Ovviamente
io non facevo eccezione.
Alla
fine dell'esibizione Frank gettò entrambe le sue bacchette
tra il
pubblico entusiasta.
Era
stato veramente incredibile il modo in cui erano riusciti a
giostrarsi la folla, facendo in modo che non sembrasse una cosa da
esaltati urlare, rispondere ai continui richiami dal palco.
Sì,
ci credevo davvero, BJ.
Fuori
dal locale mi sentii di congelare per un attimo. Oramai mi ero
abituata al calore provocato da quella folla di gente, eppure il
clima era ancora estivo.
Trovavo
sempre che fosse una sensazione bellissima quella di provare quei
piccoli brividi senza sentire davvero freddo.
Era
tipico dell'estate.
Ma
l'estate se n'era già andata, era già settembre.
Io
e Vyol ce ne stavamo in silenzio ad aspettare. Non ci eravamo ancora
dette niente dopo la fine dello spettacolo.
Non
sapevo perché, ma era come se avessi trovato un sogno in cui
credere, anche se non riguardava me. Ma lo volevo, volevo davvero che
quei tre ragazzi arrivassero a raggiungerlo.
Ci
credevo! Dannazione, era la prima volta che credevo così in
qualcosa!
Forse
ero solo esaltata, ma era semplicemente una sensazione
fantastica, troppo per poter pensare di moderarmi o di
tornare con i piedi per terra.
Improvvisamente
si aprì la porta sul retro del locale da cui uscirono gli
Sweet
Children.
«Siete
stati grandiosi!» scattò immediatamente Vyol.
«Avevi
dei dubbi?» sorrise con grande sicurezza Frank sudatissimo.
Non
sapevo cosa dire, ma sorridevo come una stupida, non riuscivo a
smettere.
Anche
Billie e Mike si guardavano sorridenti e soddisfatti, ma non
parlavano.
«Di
sicuro eravate i migliori, davvero fantastici.» dissi alla
fine con
dolcezza.
«Questo
significa che mi darai la zampa senza fare storie?» subito
ricominciò Frank avvicinandomisi.
Oh, beh, per una sola volta glielo avrei anche potuto concedere, almeno così forse avrebbe smesso con quella storia.
Sospirai
e appoggiai la mia mano sul suo braccio.
«Bau.»
dissi senza convinzione, ma al batterista sembrò bastare
dato che
sorrise con grande soddisfazione.
«Ehi
ragazzi!» disse il padre di Frank venendoci incontro.
«Datemi gli
strumenti così inizio a caricarli sulla Bookmobile,
così mi potrete
raggiungere quando volete.»
«Ok.
Grazie mille signor Wright.» disse Billie porgendogli la sua
chitarra. Mike fece lo stesso con il suo basso.
«Ok,
non fate troppo tardi e complimenti per lo spettacolo!» disse
l'uomo
allontanandosi con i due strumenti.
Assaporai
con calma l'atmosfera incredibilmente rilassata che c'era. Tutta la
preoccupazione di quella mattina era sparita nel nulla.
«E
adesso?» chiese Mike.
«Adesso
il solito.» sorrise Billie avviandosi verso un muretto
lì vicino e
sedendocisi sopra.
«Ancora
canne?» chiesi perplessa.
Ebbi
una sgradevole sensazione di ritorno alla realtà.
«Sai,
dopo lo stress del concerto...» tentò di
giustificare la situazione
Vyol.
«Ma...
quella roba non fa bene e poi non mi sembra una
giustificazione.»
ribattei timidamente.
«Dai,
non esagerare. Nessuno ti obbliga a prenderle anche tu, no?»
mi
rispose Mike.
«Infatti,
Alice!» si schierò Vyol.
«Ma...»
«Oramai
tu fai parte del gruppo, ma sappi che non abbiamo bisogno di una
seconda madre qui.» mi rimproverò mio cugino
stringendo tra le dita
una canna.
Dopo
pochi minuti eravamo di nuovo circondati dal fumo. Si rideva per ogni
cosa e in preda all'ilarità generale tutti dicevano le cose
più
stupide.
Ma
a loro non importava.
Solo
io continuavo a seguire il corso dei miei pensieri, continuavo a
ripetere mentalmente le parole di mio cugino sillaba per sillaba.
“Sappi
che non abbiamo bisogno di una seconda madre qui”.
Aveva
pronunciato la parola “madre” con insolita durezza,
ma pensai che
alla fine era normale: dopotutto era scappato di casa, non poteva
essere altrimenti.
Dannazione,
stavo di nuovo facendo la figura dell'idiota.
Sapevo
perfettamente di essere arrossita e questo non faceva che peggiorare
le cose.
Ero
veramente ridicola.
Ero
ridicola perché non mi sentivo davvero parte del gruppo.
Ero
ridicola perché tentavo di cambiarli.
Ero
ridicola perché ancora me ne importava così tanto!
Ero
ridicola, ma a loro non importava niente.
Loro
mi consideravano parte del gruppo anche se non ero una punk, anche se
non riuscivo ancora a lasciarmi andare.
Ero
ridicola, ma non doveva importarmene se non importava a loro.
Non
mi importa se non importa a te, era questa la filosofia del gruppo.
Sospirai.
“Non
mi importa se non importa a te” ripetei mentalmente
più e più
volte, finché quella frase non iniziò a
rimbombarmi nella testa, rendendomi per un attimo estranea al contesto.
«Billie,
sei venuto davvero?»
Una
voce femminile affannata interruppe il corso dei miei pensieri.
Mi
voltai.
Una
donna sulla cinquantina era lì davanti a mio cugino
stravolta, gli
occhi increduli.
Quella
donna era la zia Ollie.
Era
la madre di Billie Joe.
_______________________Authoress' words
Hola!
Vedete come vi voglio bene? Non vi abbandono
nemmeno se sono in un paesino di montagna senza connessione Internet
andando nella piazza del aese in cui c'è il Wi-Fi a
congelarmi le dita!
Che dire di questo capitolo? L'ho scritto
tutto in un giorno infatti è incredibile che sia riuscita a
finirlo.
Non mi senti più le dita, mi
chiedo come farò se dovessi perderle. Sicuramente inizierei
a sbagliare tutte le lettare cime se stessi scravenduo ad ochki chiusi
e poi mi fermerei all'impravvis...
*l'autrice ha perso momentaneamente l'uso delle dita, siete pregati di
lasciare una recensione dopo il segnale acustico.
...
BEEEEEEEEEEEP!*
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Capitolo 5 *** Svegliami quando finisce settembre ***
3
settembre 1988
«Ciao
mamma.» disse BJ senza guardare la donna appena arrivata.
Ci
furono dei secondi di silenzio, tutti i presenti sembravano
improvvisamente tesi.
E
anche io avevo la sensazione che non sarebbe finita bene.
«Billie...»
iniziò zia Ollie senza saper bene cosa dire.
«Torna a casa, per
favore.» sentenziò recuperando quel minimo di
autorità che una
madre dovrebbe avere.
«Tornare?»
«Senti,
so che ci sono stati dei problemi, ma tutto si può
risolvere! Siamo
una famiglia, no? Io non capisco perché tu ce l'abbia tanto
con...»
«Con
un uomo che tenta di spacciarsi per mio padre?»
ringhiò
rabbiosamente mio cugino scendendo dal muretto. «Credi
davvero che
io possa respirare la stessa aria di quel verme?»
ringhiò ancora
più forte.
Ci
furono degli attimi di spaventoso silenzio.
L'aria
era tesissima, non si riusciva a sopportare.
«Billie,
lui ti vuole bene quanto te ne voglio io...»
«Certo.
Questa è una bugia. Ogni singola parola che hai detto
è stata una
bugia da quando lui è morto!» esplose furibondo
lui.
Zia
Ollie rimase paralizzata per qualche secondo.
Sapeva
che era una battaglia persa.
«Sei
mio figlio... Anche se te ne vai rimani mio figlio. Ti prego, torna a
casa...» disse con gli occhi velati di lacrime, la voce meno
sicura.
Non
reggeva più.
«Mi
dispiace.» rispose seccamente mio cugino dandole le spalle e
incamminandosi verso la Bookmobile.
Tutti
i presenti erano immobilizzati in silenzio.
«Forse
dovremmo andare...» azzardò Vyol.
«Scusatemi.»
intervenne allora zia Ollie. «Ho interrotto i vostri
festeggiamenti.
Andate pure, non vi preoccupate.» disse con una punta di
freddezza, ma con la voce ancora tremante.
Non
aspettò nemmeno una risposta, semplicemente si
voltò e rientrò nel
locale.
Doveva essere davvero difficile quella situazione per lei, ma allo stesso tempo non voleva risolvere il tutto con la violenza, costringendo Billie a tornare a casa.
Gli stava lasciando la possibilità di decidere da solo, una cosa che mia madre non aveva mai fatto.
Ci
incamminammo tutti verso la Bookmobile senza dire una parola. Il
silenzio era davvero imbarazzante.
Anche
per tutto il viaggio parlammo poco, fingendo che fosse tutto normale
e non fosse successo niente, ma era troppo evidente che BJ fosse di
pessimo umore.
Il
padre di Frank ci accompagnò ognuno davanti a casa propria,
così
appena scesi alla nostra “fermata” lui finalmente mi
parlò.
«Alice?»
mi chiese con tono di voce stanco e ancora un po' amaro.
«Sì?»
«Prima
di andare a casa e incontrare Evelyn...» iniziò
interrompendosi.
«Vuoi
sfogarti?» gli chiesi comprensiva.
Mi
guardò perplesso.
«Sfogarmi?
Non intendevo quello. Volevo solo dire che volevo prima andare da
qualche altra parte...»
«Appunto,
per allentare la tensione e sfogarti, no?» gli chiesi di
nuovo
leggermente confusa.
Lui
sospirò iniziando a fare qualche passo.
«Tu
come reagiresti se tua madre decidesse all'improvviso di sposare
qualcun altro?» mi chiese con falsa leggerezza.
In
realtà era una domanda importante per lui, quanto per me.
«Beh...
non saprei. Penso che sarei felice per lei, no? Dopotutto se lei
è
felice è meglio per tutti.» risposi con
altrettanta leggerezza.
«Se
il tuo patrigno fosse una persona normale.»
«Sì...»
«E
se invece fosse un verme che continua a nominare tuo padre solo per
dirti che se ti vedesse adesso sarebbe deluso da te?»
«...»
Era
davvero così?
«Non
l'ho raccontato nemmeno ai ragazzi, ma il motivo per cui sono
scappato... beh, non è semplice. Quell'essere non faceva
altro che
riprendermi qualsiasi cosa facessi solo per dirmi che mio padre
sarebbe stato deluso. Non dovrebbe neanche essere autorizzato a
pronunciare il nome di mio padre! All'ennesima volta non ho retto
più.» disse con tutto il suo disprezzo.
«E
cosa hai fatto?» chiesi preoccupata già intuendo
come era andata a
finire.
«Ci
siamo azzuffati. Non che mi importi molto sinceramente. L'unica cosa
che mi interessa è non respirare la stessa aria di
quell'essere.»
Rimanemmo di nuovo in silenzio, solo il suono dei passi riempiva l'aria.
Non era facile, non era facile per niente.
Io... avrei voluto aiutarlo, davvero, ma non sapevo neanche da dove cominciare.
«Io
non so come reagirei. Io non ho mai avuto a che fare con una
situazione simile. Penso che non sarei capace di ribellarmi come hai
fatto tu, penso che starei zitta in un angolo a soffrire in silenzio.
Però dentro di me vorrei avere la forza di agire come
te.» dissi
con tutta la sincerità di cui ero dotata.
Lui
mi osservò senza voltarsi, ebbi la sensazione che le sue
labbra si
fossero incurvate in un impercettibile sorriso, ma non ne ero troppo
sicura.
«Mia
madre non ha mai avuto un vero lutto. Dopo poco tempo già stava con quel verme viscido.»
«È
per questo che le hai detto che le sue erano solo bugie?»
«Credi
che abbia mai fatto qualcosa per cercare di non far esplodere la
situazione? Ovviamente no, ha sempre cercato solo di compiacerlo. Ha
sempre liquidato il tutto con dei semplici luoghi comuni,
lasciandogli fingere di essere mio padre.»
«Volevi
davvero molto bene a tuo padre...» mi lasciai sfuggire senza
neanche
rendermene conto.
Lui
sembrò avere un attimo di imbarazzo.
«Mio
padre... è morto il 10 di settembre. È stato
quello il giorno in cui ti ho vista per la prima volta.» disse all'improvviso.
Lo
fissai perplessa.
Cosa?
«Certo,
non ci siamo quasi neanche parlati. Devo ammetterlo, mi sono
comportato da bambino in quella situazione. Rinchiudendomi nel bagno
a quel modo, come se potesse risolvere qualcosa...»
commentò
leggermente imbarazzato.
Improvvisamente
ricordai.
Sei
anni prima, l'11 di settembre andammo al funerale dello zio Andy.
Io
avevo conosciuto tutta la famiglia dello zio, ma non avevo visto uno
dei suoi figli che si era rinchiuso nel bagno.
Sua
sorella Anna aveva tentato di tirarlo fuori di lì, ma
l'unica
risposta che aveva avuto era...
«Svegliami
quando finisce settembre.» mormorai a bassa voce senza farmi
sentire.
Era
la prima volta che riuscivo a intravedere i sentimenti di BJ e
sicuramente non era abituato ad aprirsi così con nessuno.
Ed
era proprio per questo che nei giorni successivi ci avvicinammo
sempre di più in una sorta di complicità mista a
riservatezza.
Non
fraintendermi, lo sai meglio di me.
Non
facevo domande, né tu mi avevi parlato di altro.
Era
solo... l'atmosfera che era cambiata. Non c'era più quella
tensione
che aveva sempre caratterizzato quei giorni.
Però,
credimi, quell'atmosfera era molto più importante di
qualsiasi altra
cosa per me.
14
settembre 1988
«Davvero?
E che
aspettavi a dirlo?» mi chiese Frank perplesso al tavolo della
mensa.
«Beh,
non pensavo
fosse così importante... effettivamente me ne ero
dimenticata anche
io.»
«Come
fai a
dimenticarti del tuo compleanno?» chiese il batterista
perplesso.
«Devi iniziare a ricordarlo a tutti quelli che incontri
almeno una
settimana prima per avere dei regali degni di questo nome. È
una
regola fondamentale.» sentenziò con tono solenne.
«Hai
intenzione di
organizzare qualcosa?» chiese Vyol.
«Evelyn
ha detto
che vorrebbe organizzare una festa con i suoi amici.»
«Sarebbe
a dire il
gruppetto delle cheerleader e del club di football?» chiese
Billie
di fronte a me.
Annuii.
«Quindi
mi chiedevo
se per caso vi andrebbe di venire... Lo so che odiate quella gente,
però... ecco, potremmo anche starcene per conto nostro come
se non
ci fossero.» sussurrai timidamente.
«Ovvio.
Un buon
padroncino non si dimentica del compleanno del suo
cagnolino.» disse
Frank che dopo una settimana e mezzo ancora non aveva smesso con
quella faccenda.
«E
basta con questa
storia!» esclamò Vyol all'improvviso dandogli un
colpo sulla
schiena, ma facendo questo gli andò di traverso un pezzo di carne.
Il batterista iniziò a tossicchiare, non riusciva più a respirare.
«...
Iuto...! …
Lice!» tentò di chiamarmi in soccorso mentre
stava soffocando.
Subito
mi alzai e
corsi verso di lui, gli diedi cinque colpi tra le scapole, ma siccome
non cambiava nulla gli cinsi l'addome con le braccia e spinsi con
tutta la forza che avevo verso di me tra gli sguardi perplessi di
tutti i presenti.
Finalmente
riuscì a
sputare il pezzetto di cibo.
Mia
mamma mi aveva
insegnato a farlo... per fortuna.
«Tutto
bene?» gli
chiesi leggermente affannata.
«Gra-grazie...»
«Wow!
Alice! Ti ho
appena trovato un soprannome!» esclamò Vyol
dimenticandosi già del
batterista.
«Come?»
«Sì!
L'ha detto
Tré! Lyss! Non suona bene?»
«Tu
pensi ai
soprannomi! Ma lo sai che ci stavo rimanendo secco per colpa tua? E
poi sono io che l'ho chiamata così, il merito è
mio!»
Per
fortuna si era
ripreso.
«Tornando
a cose
serie, quando sarà la festa?» chiese Mike
interrompendo i deliri
del batterista.
«Cose
serie?! Ma
l'avete capito o no che stavo morendo?!» protestò
di nuovo Frank
sconsolato.
«Sei
sopravvissuto,
no? Quindi non c'è bisogno di preoccuparsi
ancora.» gli rispose BJ
ridendo.
«A
quando la
festa?» chiese Vyol.
«Il
giorno stesso
del compleanno, quest'anno capita di venerdì, no?»
risposi
sorridendo.
In
quei giorni non
c'erano stati avvenimenti significativi, però le cose
stavano
andando decisamente bene.
Cominciavo
a
sentirmi davvero parte del gruppo: andavo ogni giorno alle loro prove
e oramai iniziavo a capire con chi avevo a che fare.
Anche
loro mi
trattavano come se fossi sempre stata parte del gruppo e questo, se
prima mi dava fastidio, adesso mi faceva stare bene.
Non
avevo mai avuto
degli amici, avevo sempre pensato che fossero una cosa inutile, dato
che avevo Evelyn.
Non
sapevo, però,
che l'amicizia fosse così.
Si
stava insieme
solo per farlo, non c'era bisogno di dimostrare niente a nessuno.
Si
stava insieme
solo per respirare, finalmente.
16
settembre 1988
Evelyn
canticchiava
a bocca chiusa mentre finiva di sistemare gli ultimi dettagli sul
tavolo nel soggiorno.
«Fatto!»
sorrise
luminosa dopo aver finito.
«Adesso
devi solo
andare a prepararti.» le sorrisi.
«Già,
tra non
molto arriveranno tutti. Sono nervosissima!»
«Perché?
È solo
una festa, no?»
«Già,
ma stasera
dovrò rispondere a Tyler.» disse questa frase con
noncuranza.
«Rispondere?
Intendi che...?» iniziai perplessa.
«Mi
ha chiesto di
mettermi con lui!» cinguettò Evelyn.
«Ero convinta di avertelo
detto.»
«Veramente
no...»
...
Una
cosa così
importante... non me l'aveva detta.
Cosa
stavo
diventando per Evelyn?
Dannazione...
«E
tu cosa pensi di
fare?»
«Beh...
io non ne
ero molto sicura, però...» iniziò
arrossendo. «Credo che gli dirò
di sì. Lo sai, Alice? Credo di essermi innamorata ed
è fantastico.»
sorrise.
Non
hai idea di
quant'era bella quando era così felice.
Ma
non riuscivo a
partecipare della sua felicità neanche un po'.
Io
non ne sapevo
niente. Lei si era innamorata e io non lo sospettavo neanche
lontanamente. Eppure io credevo di sapere tutto di lei, almeno quanto
lei sapeva di me.
Sentii
un brivido di
freddo assalirmi, come uno spiffero d'aria gelida proveniente da
dentro di me.
«Io
vado a
prepararmi.» dissi correndo in camera nostra.
Era
una sensazione
strana, come se avessi voluto piangere senza lacrime, come se avessi
voluto farlo solo con l'anima, senza il corpo, senza cambiare
espressione, senza disturbare nessuno.
Un
trillo deciso,
fastidioso e decisamente inopportuno mi rimbombò nelle
orecchie.
«Devono
essere
arrivati i miei amici.» si alzò Evelyn in piedi.
Aveva
un abito nero
corto che era continuato da un velo sempre nero che arrivava fino a
terra.
Le
stava benissimo.
Per
quanto
riguardava me... beh, io avevo un abitino bianco semplicissimo con la
punta delle maniche ad ali di pipistrello, niente di speciale.
Non
avevo voglia di
essere notata, avrei voluto solo starmene in un angolo da sola, ma
dovevo andare giù, lo sapevo benissimo.
Seguii
Evelyn
nell'ingresso.
Dietro
la porta
c'era tutto il gruppetto dei vincenti e dei fighi della scuola,
ovviamente.
Aileen
era la prima
della fila che subito abbracciò Evelyn affettuosamente.
«Ciao
Evelyn! Stai
benissimo così! Che ti avevo detto?»
«Haha!
Sì, avevi
ragione, Ally.» le sorrise mia sorella di rimando sciogliendosi
dall'abbraccio.
«Ah,
ciao Alice.»
mi salutò poi il capitano delle cheerleader senza nemmeno
guardarmi.
«Ciao
Aileen.»
tentai di sorriderle gentilmente.
…
E
dopo poco tutti
gli invitati erano nel soggiorno.
Evelyn
aveva
comprato insieme a me dei CD il giorno prima. Io non ne capivo
niente, ma lei sapeva quali erano le canzoni che andavano di
più di
moda.
Molti
ballavano, io
me ne stavo appoggiata al muro sconfortata.
Sinceramente
non mi
sembrava il mio compleanno.
Erano
passati solo
sedici giorni dalla partenza di nostra madre e tutto era già
cambiato.
Da
quando i nostri
compleanni erano solo la nostra famiglia riunita sembrava passata
un'eternità.
«Hai
intenzione di
rimanere qui tutto il tempo?» una voce mi distolse dai miei
pensieri. «Non hai per niente l'aria di divertirti, ma
potresti
permettertelo, sai? Sei carina dopotutto.» disse Aileen con
la sua
solita spavalderia.
«Ciao
Aileen.»
sospirai. «Credevo che anche chi non è carino
potesse permettersi
di divertirsi.»
Lei
scoppiò a
ridere.
«Ma
no, non
intendevo quello. Intendevo i ragazzi! Guarda lì.»
disse indicando
uno degli invitati. «Scommetto che uno come Andrew non si
tirerebbe
indietro, ti sta fissando da un bel po'!» mi fece
l'occhiolino.
«Non
mi va di
provarci con qualcuno senza conoscerlo.» dissi sinceramente.
«Uffa!
Quanto sei
scocciante! Diamine, tua sorella sembra più sveglia di te.
Senza
offesa.»
«Figurati.»
Era
la classica
persona che non pensava prima di parlare e si scusava dopo di quello
che le era sfuggito.
«Comunque
neanche
Evelyn lo farebbe.» puntualizzai.
«Questo
è vero, ma
almeno non se ne sta in disparte contro un muro. Ah, già! Mi
ero
dimenticata, a te piacciono i punk, vero?»
«Sono
miei
amici...»
«Sì,
non ci fare
troppo affidamento. Dopotutto da uno che spaccia canne non puoi
aspettarti molto.»
Diamine,
quanto mi
dava sui nervi!
«Sai,
me lo ricordo:
il primo anno di scuola io e Two-Dollar Bill avevamo storia dell'arte
insieme.» disse poi. «Il primo giorno di scuola
già seppe come
attirare l'attenzione. Arrivò in ritardo e quando la
professoressa
gli chiese di dare una giustificazione, lui rispose di aver avuto
problemi con la donna della sua vita. Sai chi era?»
Scossi
la testa.
«Una
chitarra. Una
certa Blue. Ovviamente doveva essere sotto l'effetto di qualche
canna, una persona normale non direbbe mai una cosa simile.»
Sorrisi
a quel
pensiero.
«Conosco
Blue.» le
risposi con leggerezza. «E posso confermare che il loro è vero
amore.»
Lei
mi fissò
perplessa, ma prima che potesse rispondermi il campanello della porta
trillò, ma stavolta il suono sembrava allegro e frizzante.
«Scusami,
devo
andare ad aprire.» le rivolsi un ultimo sorriso prima di
correre
via.
Non
era da me
rispondere con quella leggerezza e quella... ironia? Ma dopotutto che
altro potevo fare? Avevo capito che se volevo evitare di stare male
ogni volta, non dovevo mai prendere sul serio quello che mi diceva
Aileen.
E
poi, appunto, non
mi importava!
«Alice!
Quanto hai
intenzione di metterci per aprire?» mi sgridò Vyol
appena mi vide.
Senza
neanche
ascoltarla l'abbracciai.
«Ehi,
cos'è
quest'affetto improvviso?» mi chiese BJ.
«Non
saprei...
mi... mancavate.» sorrisi con tutta la dolcezza di cui ero
capace.
Mi
sentivo davvero
euforica.
«Sei
sicura di non
essere stata maltrattata dagli amichetti di tua sorella?» mi
chiese
Billie.
«Sicurissima.»
«Oh,
ma che
diamine, non ci deve essere per forza un motivo se ci fa le
feste!»
E
di nuovo.
Fare
le feste.
Perché
non dire
“essere felice”?
No,
oramai ero
ufficialmente il cane di Frank.
Almeno
ero preparata
psicologicamente.
«Tré,
a proposito.
Sai cosa devi fare.» lo interruppe Mike.
Oramai
lui e Vyol
si occupavano di interrompere sempre i deliri del batterista sul
nascere.
Avrei
dovuto
ringraziarli un giorno.
«Sissignore.
Vado
subito. Ma non possiamo aspettare un attimo? Siamo appena arrivati ed
anche in ritardo!»
«No,
tra poco
arriveranno gli altri, quindi vai ora.» intervenne BJ.
«Ok!
Tornerò in un
lampo!» sorrise Frank riaprendo la porta di casa e correndo
via.
Aveva
detto... “gli
altri”?
Fissai
interrogativa
mio cugino.
Interrogativa?
No,
“terrorizzata” era la parola giusta.
«Ho
chiamato
qualche amico, spero non ti dispiaccia.»
«Cosa?
Quanti?»
chiesi sconvolta.
«Mah...
saranno una
quindicina...» contò Vyol sulle dita.
«Cosa?!»
«Ah,
non ti
preoccupare abbiamo preparato una sorpresina in compenso!»
sorrise
lei.
«All'inizio
non ti
piacerà, però alla fine sarà uno dei
tuoi migliori ricordi.»
aggiunse Mike.
… Cosa?
Cosa?!
«Non
ti
preoccupare, ok? Faremo tutto noi.» mi sorrise Billie.
«Sul
serio, ne
varrà la pena.» aggiunse Mike convinto.
«Piuttosto,
dove
avete intenzione di farlo?» chiese Vyol.
«Direi
che il posto
migliore sarebbe la mia stanza... non è molto grande
ma...» le
rispose BJ.
«Potreste
usare il
materasso! Sai che figata!» esclamò lei.
Ero
sempre più
confusa.
I
tre continuarono a
parlare del luogo dove fare questa cosa ancora per qualche minuto,
tentai di seguirli per trovare un qualche indizio, ma la faccenda
suonava sempre più ambigua.
«Ok!
Allora sarà
il materasso!» annunciò trionfante Vyol che aveva
convinto gli
altri due della sua idea.
Cosa
diamine si
poteva fare su un materasso?!
In
quel momento
rientrò Frank facendosi aprire da BJ.
«Eccomi
qua!
Potreste darmi una mano almeno a prendere la vostra roba?»
chiese.
Mi
affacciai dalla
porta per cercare di capire qual era la sorpresa e rimasi
letteralmente senza parole.
Sul pianerottolo
c'erano otto borse nere di cui cinque erano valigie da viaggio.
BJ
ne afferrò una,
Mike ne prese un'altra insieme alla fodera del suo basso.
Cosa?
Quelli
erano i loro
strumenti?
Nelle restanti valigie c'era... una batteria smontata?
«In
questi casi
sono sempre io quello che ha più problemi.» disse
Frank iniziando a
portare dentro le valigie rimaste.
«Procediamo
al
regalo?» chiese Mike.
«Regalo?»
chiesi.
«Sai,
da dove vengo
io ai compleanni di solito si fanno dei regali. È un'usanza
curiosa,
ma è divertente!» mi rispose sarcastico mio cugino.
«Lo
so, solo non
sono abituata.»
«Ehi,
di' un po'
Lyss, ma tu li avevi degli amici prima di incontrare BJ?»
chiese
Frank innocentemente.
«Ma
ti sembra il
modo di chiederlo?!» lo rimproverò Vyol.
«Scusa!
Non pensavo
fosse vietato.» ribatté Frank difendendosi.
Diamine,
era da un
po' di giorni che quei due litigavano sempre perché lei lo
accusava
di avere poco tatto nei miei confronti.
«Ragazzi,
non vi
sembra di esagerare?» chiese Mike. «Diamole il
regalo piuttosto.»
«Giusto.»
disse BJ
prendendo una delle borse e aprendola. Dentro c'erano quattro
pacchetti.
«Te
ne abbiamo
fatto uno ciascuno. A te la scelta di quale aprire per primo.»
«Grazie
mille!»
sorrisi sinceramente.
Prima
di sceglierne
uno li esaminai con lo sguardo.
Erano
tutti di
dimensioni diverse, decisi di prendere il più grande per
primo, lo
soppesai con le mani e lo scartai.
All'interno
c'era
una piccola borsetta piena di trucchi, una trousse.
«Lo
avevo detto che
avrebbe preso prima il mio regalo! Ora sganciate i soldi!»
esultò
Vyol.
«E
che cazzo, sei
prevedibile, hai iniziato dal più grande, Alice!»
mi rimproverò sconsolato
BJ allungando una banconota a Vyol e lo stesso fecero gli altri.
Avevano
scommesso
persino su quello!
Scoppiai
a ridere.
Erano
incredibili.
«Comunque
quella la
devi usare, chiaro? Se non lo fai giuro che vengo fin qui e ti
obbligo io!» mi ammonì Vyol.
«Lo
farò, giuro!»
le sorrisi.
Presi
in mano un
regalo più piccolo e lo scartai.
Il
pacco conteneva
un walkman con delle cuffie per ascoltarlo.
Questo
doveva essere
di BJ.
«Mi
avevi detto che
non hai mai ascoltato musica, è ora di
cominciare.» il suo sembrava
un ordine.
«Appena
possibile
comprerò delle cassette e lo farò.» gli risposi sinceramente felice.
Intravidi
Mike
sorridere.
Erano
rimasti solo
due pacchi. Uno grande e uno piccolissimo.
Proseguii
scegliendo
il più grande.
Dentro
c'erano
cinque cassette.
«Cosa?
Ma è
fantastico! Ora non ho neanche bisogno di comprarle!» esclamai felice.
«Non
solo, tra
quelle ce n'è anche una fatta da noi.» disse Mike
orgoglioso del
suo regalo.
La
trovai, l'unica
con la scritta fatta con un pennarello: “Happy b-day Lyss!”.
«Non
vedo l'ora di
ascoltarla!»
«Anche
io! Non è
giusto che a te facciano un regalo del genere e a me niente. Vi
ricordo che io sono la vostra fan numero 1 ufficiale!»
protestò
Vyol facendo ridere tutti.
Rimaneva
un solo
regalo, di Frank.
Non
osavo immaginare
cosa potesse esserci.
Qualche
cosa
assurda, sicuramente.
Ma
dovetti
ricredermi.
Nel
pacchetto c'era
uno scatolino di gioielleria e dentro c'era una piccola e luminosa
collana il cui ciondolo era l'elegante scritta
“Lyss”.
Rimasi
letteralmente
paralizzata.
Una
cosa così
sobria... da Frank?
«È
bellissima...»
commentai senza parole.
Tutti
i presenti
erano perplessi quanto me.
«Sono
felice che ti
piaccia la tua medaglietta.» sorrise lui con leggerezza.
«Medaglietta?!»
la
mia sorpresa svanì in un lampo.
«Non
ci posso
credere...» mormorarono Vyol e BJ all'unisono.
«Tré,
ho la
sensazione che dovresti andare in un ospedale psichiatrico a farti un
giretto. Conoscendoti è un miracolo che tu non ci abbia
messo il tuo
numero di telefono!» commentò Mike.
«Oh,
no. Quello ho
preferito evitarlo, sarebbe costato troppo.»
Scoppiai
a ridere
mentre la indossavo.
Oramai
avevo capito
che da quei pazzi avrei dovuto aspettarmi di tutto.
Ma
il meglio doveva
ancora venire, vero?
«Aspettate
un
attimo! Sarebbe questa la sorpresina?» chiesi rincorrendoli
per le
scale che portavano alle stanze da letto.
«Sì!
Idea mia!»
rispose BJ dalla sua stanza.
«Si
nota, tu hai lo
strumento più leggero! Anzi, non l'hai nemmeno dovuto
portare, ce
l'hai già qui!» si lamentò Frank.
«Dai
che ne varrà
la pena!» sorrise Vyol.
«Ma
siete
impazziti? Volete fare un concerto usando il letto come
palco?!»
chiesi arrivata nella stanza.
«Esattamente.»
confermò Mike.
«Sarà
fantastico!
Il Bedroom Concert! Suona fighissimo!» disse Vyol.
«E poi tra poco
arriveranno gli altri!»
Appena
lo disse il
campanello della porta trillò di nuovo.
«Vengo
con te.»
disse mio cugino seguendomi al piano di sotto.
Appena
aprii la
porta mi trovai di fronte una gruppo piuttosto grande di persone tra
cui riconobbi solo Al.
Senza
neanche
bisogno di parlare subito si riversano tutti dentro, molti di loro
invasero il soggiorno.
«Io
vado su a
sistemare gli strumenti. Tra poco verrò a
chiamarvi.» mi disse BJ
prima di sparire di nuovo.
Corsi
in soggiorno
sperando che non fosse successo niente.
Tutti
i tipi cool
della scuola avevano un'aria spaesata, mente i punk sembravano
perfettamente a loro agio.
Cercai
con lo
sguardo mia sorella, ma quando la trovai rimasi immobilizzata.
Era
in un angolo
insieme a Tyler immersa in un bacio appassionato.
A
vederla così...
mi sentivo una stupida bambina in confronto.
Era
cresciuta più
in fretta di me, non riuscivo a muovermi.
Mi
appoggiai al muro
sconsolata guardando punti a caso della sala, tentando di
concentrarmi su quelli che ballavano per far passare il tempo.
Passarono
due o tre
canzoni allo stereo, non avevo ascoltato con troppa attenzione,
quando mi sentii chiamare.
Evelyn
era di fronte
a me.
«Alice?»
«Ciao
Evelyn...»
«Perché
la sala è
invasa da punk?»
«È
stato BJ a
invitarli, mi spiace.»
«BJ?
Ma chi gli ha
dato il permesso di fare una cosa del genere?»
In
quel momento
Billie entrò nel soggiorno.
«Di
sopra è tutto
pronto!» annunciò a tutti i presenti.
Tutti
i punk si
diressero in massa verso le scale, alcuni dei cool fecero lo stesso
trascinati dalla folla.
«Cosa
è che è
pronto?» chiese mia sorella.
«Un
concerto...»
dissi con un filo di voce.
Evelyn
mi fissò per
qualche secondo senza sapere cosa dire.
«D'accordo.
Va
bene. Che facciano quello che vogliono. Oggi non mi va di
litigare.»
concluse la questione dopo un silenzio decisamente imbarazzante.
Non
potevo crederci!
Davvero non si era arrabbiata più di tanto?
«Ti
va di venire su
a vedere?» chiesi timidamente approfittando delle sue parole.
Lei
rimase
spiazzata, si guardò intorno e notò che anche
quasi tutti i suoi
amici erano andati di sopra.
«D'accordo.»
sospirò alla fine.
Le
sorrisi.
Era
la prima volta
da giorni che facevamo qualcosa insieme.
Finalmente
avrei
potuto farle vedere che nostro cugino valeva qualcosa!
Salimmo
le scale
insieme ed entrammo nella stanza di BJ affollatissima. Ci facemmo
strada fino alla prima fila di persone dove raggiungemmo Vyol.
BJ
era in piedi sul
materasso insieme a Mike mentre il povero Frank aveva dovuto mettersi
sul pavimento accanto al letto.
«Buonasera!»
esclamò Billie nel microfono. «E benvenuti a
tutti al primo
Bedroom Concert della storia!»
________________________________Authoress' words
Buongiorno a tutti!
Cavoli credo il capitolo scorso abbia battuto un
record di recensioni per un quarto capitolo!
Grazie, grazie, grazie infinite! Siete stati tutti
fantastici!
Beh, che dire? In questo capitolo Alice ed Evelyn
fanno 16 anni! Che cariiine! Auguriiiii! Hahaha! Mi sono affezionata un
sacco alla carineria e all'innocenza di Alice, anche se certe volte
esagera penso che sia uno dei personaggi a cui mi sono affezionata di
più.
Ma non temete! Anche se mi ci sono affezionata non
farò in mado che diventi una Mary-Sue rendendole la vita
perfetta.
Anzi, lei non immagina neanche che guai deve ancora
passare...
Vi lascio con questo minimo di suspance!
A domenica prossima!
|
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Capitolo 6 *** Ho una malattia molto grave (Vyol's special chapter) ***
Attenzione:
da adesso in poi inizieranno a esserci ogni tanto (non tutti isieme,
tranquilli) dei capitoli speciali dove il punto di vista passa da Alice
a un altro personaggio della storia. Questi capitoli saranno un po'
più riflessivi perché hanno lo scopo di far
capire un po' anche i segreti che non verrano mai rivelati nel corso
della storia se non qui.
16
settembre 1988
In
quel momento vidi
entrare Alice e sua sorella, mano nella mano, nella stanza.
Strano,
ero convinta
che non fossero più in così buoni rapporti.
Se
dovevo essere
sincera un po' ci speravo.
Ero
egoista, ma ero
anche umana. Tutti sono egoisti nel loro piccolo, quindi anche io mi
permettevo di esserlo, senza neanche pensarci troppo... perché avrei dovuto?
Se
Alice avesse
iniziato a frequentare gli amici della sorella, come sarebbe
diventata?
…
No,
non sarebbe mai
diventata come loro.
Sì,
era debole, ma
non fino a questo punto.
E
poi se anche
avesse iniziato solamente a cambiare... Beh, l'avrei fermata, con
tutte le mie forze.
Tanto
che mi
importava dell'odio di Evelyn?
Assolutamente
niente, come non mi era mai importato di nient'altro se non dei miei
obiettivi e dei miei amici. Quelli veri.
Lyss
mi raggiunse,
senza parlare mi toccò la mano.
Mi
voltai a
guardarla, aveva un sorriso radioso che non le avevo mai visto.
«Vyol,
tutto bene?»
mi chiese alzando la voce per farsi sentire nella folla.
«Mi
pare logico che
sto bene! Stiamo per assistere al Bedroom Concert!» esclamai improvvisamente allegra, come sempre d'altronde.
«Buonasera!»
disse
BJ provocando un applauso eccitato della piccola folla che in quella
stanzetta sembrava enorme. «E benvenuti a tutti al primo
Bedroom
Concert della storia!»
Urlai
come una
bambina eccitata, ma... non potevo farne a meno!
Diamine,
amavo i
loro concerti!
Amavo
vedere il modo
in cui suonavano e il modo in cui erano in grado di tenere il
pubblico tra le loro dita.
Perché
era questo
che succedeva. Noi, il pubblico che avevano davanti, eravamo
dipendenti da ogni loro minimo gesto, da ogni singola nota.
O
almeno, questo era
quello che succedeva a me.
BJ
attaccò con
alcuni accordi stoppati alla chitarra con un ritmo cadenzato e
incalzante. Tré gli fece immediatamente da supporto con la
batteria
insieme a Mike.
Diamine,
conoscevo
alla perfezione quella canzone!
«Lo
so che le cose
diventano più difficili quando non riesci a togliere il
coperchio
dal fondo del barile!» cantai insieme a BJ stonando anche un
po', ma
non mi importava.
Era
una cosa
totalmente irrazionale. E chi credeva di poterlo spiegare, chi
credeva di doversi controllare... in realtà era
solo un
idiota che stava sprecando la sua vita.
Diamine!
Avevo solo
15 anni! Pensare di non divertirsi a quell'età era da veri
idioti!
Per ottenere cosa poi? Prima o poi la maturità sarebbe
arrivata lo
stesso, per me come per loro.
E
allora perché non
divertirsi nel frattempo?
Ecco
come la
pensavo.
I
giocatori di
football, le cheerleader... erano tutti così. Non sapevano e
non
volevano divertirsi. Dicevano che il loro modo di divertirsi era
essere “grandi”, essere
“popolari”.
Ma
cosa significava?
Per
me niente.
Passarono
una, due,
tre canzoni... persi il conto quasi immediatamente.
Improvvisamente,
la
chitarra attaccò più aggressiva che mai.
BJ
si mosse con uno
scatto facendo oscillare Mike sul materasso.
Si
avvicinò alla
punta del letto calandosi sul pubblico, anzi, su di noi.
Sorrisi,
l'entusiasmo stava prendendo tutti i presenti.
Cantava
e suonava in
quella strana posizione, non commetteva un solo errore.
Ci
guardava con
attenzione, come se avesse voluto memorizzare il volto di tutti.
Improvvisamente
arrivò il ritornello.
Compì
un altro
scatto repentino, si voltò improvvisamente verso Alice
guardandola
dritta negli occhi, come se avesse voluto cantare quella canzone solo
per lei.
«Non
lasciarmi, non
lasciarmi.» le cantava.
Si
sorridevano, come
se quel momento fosse stato loro.
Il
tono di BJ era
mutato, la sua voce più dolce.
E
i miei occhi
velati di lacrime.
No,
non aveva senso.
Non
aveva senso!
Mi
sentii andare nel
panico, cosa stava succedendo?
La
testa iniziò a
girarmi.
Diamine.
Non
avrei dovuto
andare a Christie Road prima di andare da Alice.
E
non avrei dovuto
farmi quella canna.
E
quella birra.
Sentii
il mio
stomaco contorcersi brutalmente.
Cazzo,
avevo bisogno
di un... fottuto bagno!
«Alice...»
chiamai al termine della canzone.
Alice
si voltò
verso di me, la vidi impallidire.
«Vyol,
cos'hai?»
chiese preoccupata, ma non voleva davvero la risposta. Mi prese per
mano e mi trascinò al buio fino a una stanzetta bianca e
gialla.
Mi
chinai sulla
tazza, una spinta partì dal mio stomaco, vomitai l'anima.
«Vyol!
Dovrei avere
qualcosa per il mal di stomaco nell'armadietto dei farmaci... ehm...
posso lasciarti da sola?» chiese Alice... anzi, Lyss
seriamente
preoccupata.
Annuii,
lei si voltò
e corse via veloce.
Mi
lasciai andare
lungo la parete.
Ridotta
in quello
stato, dovevo fare schifo.
Mi
odiavo, mi
odiavo, mi odiavo con tutta l'anima in quel momento.
Sì,
perché sapevo
benissimo il motivo del mio malessere.
Sapevo
benissimo che
canne e birra c'entravano poco.
Sapevo
che in realtà
mi avevano salvato, perché se non fossi corsa nel bagno
così mi
sarei messa a piangere come un'idiota.
No,
la verità era
una sola.
Io
non amavo farmi
le canne.
Io non amavo essere sempre la più allegra lì in mezzo, la stupida e superficiale Viola.
C'era
una sola cosa
che amavo.
Ed
era Billie Joe
Armstrong.
Non
capivo bene
perché, ma già il primo giorno di scuola qualcosa
di lui mi aveva
rapita.
Non
era
particolarmente bello, né incredibilmente gentile e affabile.
Era
semplicemente,
incredibilmente forte.
Sì,
me lo ricordavo
benissimo.
Il
primo giorno si
presentò a scuola in ritardo.
Con
una chitarra
sulle spalle
La
Harris già aveva
deciso di odiarlo, solo per quel gesto, ma aveva stranamente deciso
di dargli una possibilità.
«Tu
sei...
Armstrong? Come mai sei in ritardo il primo giorno?» chiese
con
acidità.
Lui
si guardò
intorno annoiato, lei attendeva.
«Ho
avuto problemi
con la donna della mia vita.» disse con una scrollata di
spalle.
«La
donna della tua
vita? Quanti anni credi di avere?! Ne avrai a malapena 14!»
gridò
la Harris già spazientita.
«Potrebbe
offendersi, guardi che è qui.» disse picchiettando
il fodero che aveva sulle spalle.
«Stai
parlando...
di una chitarra, Armstrong?»
«Ha
un nome. Si
chiama Blue. Le ripeto, potrebbe offendersi. A lei piacerebbe essere
chiamata “una donna”?»
Ricordo
solo che la
gente già parlava male di lui, dicevano che era uno che non
avrebbe
combinato nulla, che probabilmente non gliene importava nulla della
scuola.
E
forse era proprio
questo che mi attirava.
Nei
giorni
successivi cercai di capire come avvicinarmici.
Sapevo
(o almeno
intuivo) che non si poteva diventare amica di uno così con
la stessa
leggerezza di sempre.
Un
po' seguendolo
quando potevo, un po' basandomi su quello che sentivo dire scoprii
che frequentava solo punk.
E
soprattutto i suoi
amici erano solo maschi.
E
questa non era una
buona cosa per una ragazzina ordinaria come me.
Avevo
sempre avuto
difficoltà a relazionarmi con i ragazzi, ma adesso mi
sembrava
addirittura impossibile.
Non
avevo idea di
come ragionassero, non avevo idea di come parlassero e non conoscevo
nessuno di loro a cui poter chiedere.
Neanche
un padre,
perché ero la figlia di un fottuto tradimento.
E
ovviamente lui
aveva deciso di tornare dalla moglie dopo aver scoperto che mia madre
era incinta.
Stronzo.
Pensavo
di non avere
altre possibilità: dovevo diventare anche io una punk,
almeno in
apparenza. L'importante era non farsi beccare per una o due
settimane, giusto il tempo di diventare loro amica.
Feci
delle ricerche
sull'argomento, mi tinsi i capelli di nero con tanto di punte rosse, iniziai
a truccarmi pesantemente.
Quasi mi facevo paura per il mio aspetto così aggressivo.
Dopotutto capivo Alice, forse perché per natura ero come lei: impacciata, debole, senza personalità, ma al contrario di lei avevo deciso di combattere tutto questo, anche fingendo. Prima o poi mi ci sarei abituata e la bugia sarebbe diventata la verità.
Certo,
era solo
apparenza, non sapevo neanche quale fosse l'ideologia dei punk.
Ma
sembrava bastare:
già i primi giorni dopo questo cambiamento radicale mi
ritrovai gli
occhi incuriositi di BJ puntati addosso.
Forse
si stava
chiedendo da dove ero saltata fuori, dato che non mi aveva mai
degnata di uno sguardo.
E
poi un giorno
finalmente avvenne.
Trovai
il coraggio
di rivolgergli la parola.
Mi
avvicinai a lui
al suono della campana, prima di uscire dall'aula.
Avevo
bisogno di un
argomento, uno qualsiasi, giusto per iniziare a parlare.
Decisi
di puntare
sulla musica, dopotutto se definiva una chitarra “la donna
della
sua vita” di sicuro non mi avrebbe snobbata su
quell'argomento.
Vero?
«Ah...
Senti... è
da un po' che volevo chiederti... sei un musicista per caso?»
gettai
la domanda con leggerezza senza riuscire a guardarlo negli occhi.
Si
voltò a
guardarmi.
«Tu
sei...?»
«Viola.»
Ovviamente
non si
ricordava nemmeno chi fossi.
«Sì.
Suono in una
band, sono il chitarrista e provvisoriamente il cantante. Preferirei
non farlo, ma in mancanza di altro...»
Era
fatta.
Inizialmente
andavo
quasi in panico alla presenza dei suoi amici. Non ero abituata a
stare con i maschi, poi erano addirittura in tre, ogni tanto se ne
aggiungeva un quarto.
Però
ero brava a
recitare, loro non sospettavano niente.
A volte attribuivano i miei atteggiamenti un po' strani alla timidezza, dato che ero la più piccola.
Giorno
dopo giorno
mi abituai alla loro presenza fino a considerarla totalmente normale.
E...
diamine. Non
capivo neanche io se il fatto che amassi la loro musica fosse
obiettivo o fossi solo troppo innamorata.
Davvero,
dissimulavo
alla perfezione, ma avevo i brividi e il sudore freddo ogni volta che
BJ mi rivolgeva un sorriso.
Vederlo
in quel modo
mi faceva sciogliere le ginocchia.
Mi
sentivo come se
fossi diventata improvvisamente una demente, tutti i miei pensieri
andavano a lui in ogni momento della giornata, sentivo il bisogno
fisico di sentirlo vicino.
E
brividi, brividi
sempre per lui.
Ma
non avrei mai
avuto il coraggio di dirglielo.
Mi
andava bene così,
dopotutto. Non sentivo il bisogno di dichiararmi.
Non
avrebbe avuto
senso correre il rischio di rovinare almeno l'amicizia che si era
creata e poi non avevo neanche motivo di essere gelosa dato che non
aveva ragazze che gli ronzassero intorno.
Volevo
solo la sua
felicità e sapevo che almeno al momento ancora non ne facevo
parte.
«Vyol!
Vyol!»
Alice entrò nella stanza correndo. «Hai vomitato
ancora?» mi
chiese aiutandomi ad alzarmi.
«Sì,
ma sto
meglio.» la rassicurai.
«Sicura?»
disse
riempiendo un bicchiere d'acqua e gettandoci dentro una compressa.
«Questo qui dovrebbe farti passare il bruciore. Di solito
l'effetto
arriva dopo una ventina di minuti.»
Era
stata
quell'amorevole scenetta di poco prima a devastarmi a quel modo.
Non
potevo
sopportare l'idea che BJ potesse innamorarsi della mia migliore e
unica vera amica, non dopo tutto il tempo che avevo perso solo per
arrivare a parlargli!
Non
dopo che avevo
dedicato a lui tutto quello che ero.
Se
non l'avessi mai
incontrato, sarei stata una persona totalmente diversa, tutto quello
che ero era esclusivamente colpa sua!
«Senti
Alice...»
iniziai timorosa.
«Sì?
Ti senti di
vomitare ancora?»
«No,
no... volevo
chiederti... Senti, qual è il tuo tipo di ragazzo?»
Alice
mi fissò
perplessa.
«Il
mio tipo di
ragazzo?!» chiese di rimando colta decisamente alla
sprovvista. «Non
saprei proprio!» disse sulla difensiva arrossendo leggermente.
E
questo non faceva
che innervosirmi.
«Come
fai a non
saperlo? Non ti sei mai presa nemmeno una cotta?» chiesi
senza
crederle troppo.
«Sì,
non mi sono
mai presa nemmeno una cotta. E sinceramente non riesco nemmeno a
immaginare come possa essere un ragazzo che mi possa piacere, nemmeno
fisicamente.» disse a bassa voce per l'imbarazzo passandomi
il
bicchiere con la compressa ormai sciolta nell'acqua.
Bevvi
quella roba
granulosa e orribilmente amara tutta d'un sorso tappandomi il naso
per sentirne di meno il sapore.
«Pensi
che ti
potrebbe mai piacere uno... non lo so... come Billie?» trovai
il
coraggio di chiedere alla fine.
Alice
mi fissò con
aria decisamente disorientata.
«Vyol,
perché
queste domande? Non ti ho mai vista così...
seria.»le sue parole
erano barcollanti.
«Era
solo per
chiedere, per fare due chiacchiere.» risposi alzando le
spalle, il mio tono di voce freddo come il ghiaccio.
Sembrò
credermi.
«Uno
come
Billie...?» ripeté pensando attentamente a cosa
rispondere.
Sentivo
un'elettricità fortissima pervadermi in ogni angolo, una
paura
maniacale e ossessiva mi stava facendo tornare la nausea e la voglia
di vomitare.
Stavo
per cedere di
nuovo quando rispose.
«Mi
dispiace, non
riesco proprio a pensare a lui in quel senso.»
Mi
bloccai.
Non
riusciva a
pensare a lui in quel senso?
Eppure
in quel
periodo erano sempre appiccicati!
«Come?»
«Intendo
dire... è
mio cugino, non riesco a immaginarlo come qualcos'altro, nemmeno
usandolo come esempio.»
Dopo
qualche secondo
di silenzio scoppiai a ridere.
Sembravo
una pazza
isterica, ma la mia era una risata liberatoria.
Erano
cugini! Come
avevo fatto a dimenticarlo? Era anche consanguinei!
Ero
un'idiota!
Cazzo!
Non
avrei dovuto
preoccuparmi di quella faccenda nemmeno per un secondo!
«Vyol,
sei sicura
di stare bene?» chiese Lyss mentre mi alzavo.
«Sì!
Sto
benissimo! Dannazione, speriamo che il concerto non sia già
finito!»
esclamai abbracciandola.
Ero
tornata quella
di sempre, la solita allegra e stupida Vyol.
La
solita Vyol che
credeva di essere finta, frutto della sua stupida cotta, ma in
realtà
era esattamente uguale a quella vera.
Non
esiste un vero
“noi” e un falso “noi”.
Gli
eventi ci
cambiano, ma lo fanno sempre per davvero e mai per finta.
Un
cambiamento è un
qualcosa che avviene sotto la pelle, che mano a mano ci fa crescere
oppure no, ma qualsiasi cosa faccia è vero.
Billie
Joe Armstrong
mi aveva cambiata.
Aveva
cambiato la
ragazzina inutile e senza interessi trasformandola in quella Viola
Thompson che tutti conoscevano.
Ecco,
era colpa tua
BJ, colpa tua di tutte le nottate in bianco, di tutti i miei sospiri
e di tutto quello che ero ed avevo fatto fino a quel momento.
Colpa?
No, era un
merito. Era tutto merito tuo, mi avevi salvata dalla
mediocrità.
Allora
grazie, BJ.
Grazie
con tutto il
cuore.
_________________________________________Authoress'
words
Allooora!
Che ne pensate dei capitoli speciali? Vi fanno cagare? Vi piacciono?
Continuo a farli? Li trancio via senza pietà?
Hahaha!
Ho un sacco di domande!
E
poi vi piacciono gli occhi di Vyol? Ho preso una foto da Internet e
l'ho un po' modificata. Io me la immagino esattamente così.
Che ve ne pare?
Bon!
Io mi ritiro a studiare greco, se questi capitoli vi fanno cagare
ditemelo senza mezze misure, ok?
Bye-bye!
|
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Capitolo 7 *** Mi sento così inutile nella città dell'assassinio! ***
17
settembre 1988
Non
ricordo
precisamente dove, ma da qualche parte avevo sentito dire che tutte
le cose belle sono destinate a finire.
Non
capivo perché.
Perché
dovevano finire e basta? Era una matematica certezza? Anche se non c'era
ancora motivo di dirlo?
Forse
perché tutto
finisce prima o poi?
E
se... alle cose
belle fossero successe semplicemente cose migliori?
Era così che
volevo vivere, con un po' di ottimismo augurando sempre il meglio a
me e a chi volevo bene.
Non
persi mai questa
piccola luce, nemmeno nel periodo che stavo per affrontare proprio in
quei giorni.
Uno
dei più bui
della mia vita.
«Buongiorno.
Dormito bene?» mi chiese Evelyn appena aprii gli occhi.
Mugugnai
annuendo.
Mi
sollevai
lentamente dal mio letto costringendomi a farlo.
La
sera precedente
ero andata a dormire molto tardi e così anche Evelyn.
Non
capivo come
riusciva ad avere tutta quell'energia appena sveglia...
«Possiamo
parlare
adesso?» mi chiese con un tono lievemente inacidito.
Ecco. Era arrivato il momento.
Sapevo che prima o poi l'avrei dovuta affrontare.
Avrei
dovuto tenere duro e fare appello a tutto il mio coraggio per
affrontarla.
Era
fin dal giorno
prima che lo sapevo.
«Dimmi.»
mi
sollevai coraggiosamente dal letto guardandola negli occhi.
«È
a proposito di
ieri.» temporeggiò lei.
«Sì?»
insistetti
decisa a non cedere.
Non
dovevo fuggire,
era il momento di affrontare le mie responsabilità.
«Ti
rendi conto che
hanno usato un letto come palcoscenico?» esplose nervosamente.
«Sì.
È stata
un'idea decisamente originale.» risposi fingendo indifferenza.
«Alice,
è stata
una follia! Ma che gente stai frequentando? Tra poco
telefonerà la
mamma per farci gli auguri, cosa le possiamo dire?» chiese
Evelyn
perdendo la pazienza definitivamente.
«Sicuramente
non
che ospitiamo BJ.»
«Certo,
certo. Mi
riferisco alle tue amicizie! Non possiamo dirle che frequenti dei...
punk!»
Rimasi
interdetta.
«Lo
sai, si
preoccuperebbe troppo! Dopotutto sono gente
pericolosa...»
insisté.
«No, questa è una bugia. Non è vero niente.»
«Ah,
no? Chi è che
spaccia canne in questa casa? Chi è che ieri ha alzato il
gomito
fino a vomitare miseramente in bagno?» si bloccò
in attesa di una
risposta che non arrivò. «Alice, diamine! Ho paura
per te! Non puoi
dire non siano pericolosi! Ti voglio un bene dell'anima e non voglio
vederti ubriaca o in una via a fumarti quella roba!»
La
guardai negli
occhi.
Aveva
paura per me,
tutto qui.
Lo
avevo sempre
saputo, ma ultimamente mi stavo comportando come se non fosse stato
così, come se il suo fosse stato solo egoismo.
Lei
mi voleva bene,
tutto qui. Ed era troppo facile incolparla per questo.
Dopotutto
non
avrebbe avuto motivo di comportarsi a quel modo se non per questo motivo.
Ma
oramai non potevo
più rinunciare ai miei primi veri amici.
Dopotutto
Evelyn
aveva solo bisogno di una garanzia, no?
«Ti
va di stringere
un patto allora?» le chiesi addolcendo il tono di voce.
«Patto?»
«Sì,
per farti
stare tranquilla. Se dovessi mai trovarmi in una situazione di
pericolo come alcool, droga o qualsiasi altra cosa possa farmi del
male...» ripensai bene a quello che stavo per dire.
«Smetterò
immediatamente di frequentarli. Tutti.»
Ecco.
L'avevo
detto.
Dopotutto
ero
sicurissima del fatto che non avrei mai fatto uso di sostanze
stupefacenti, né di alcool, quel patto mi conveniva in quel
momento.
«In
cambio voglio
che tu la smetta di tentare di controllare la mia vita sociale.
Ok?»
conclusi porgendole la mano.
«Come?
Dici sul
serio? In questo caso accetto, non posso crederci!» disse
Evelyn
immediatamente ancora un po' perplessa stringendomi la mano.
Era
fatta.
«E
dirò a mamma
che tu frequenti i miei stessi amici se dovesse chiedermelo. E fidati, quasi sicuramente lo
farà. Ok?»
aggiunse dopo.
In
effetti aveva
ragione: nostra madre amava sapere tutto della nostra vita, amava
controllare quello che poteva, aveva bisogno di sicurezza e conferme
costantemente assicurandosi persino di farci avere lo stesso identico
orario scolastico e stavo iniziando a sospettare che lo avesse sempre
fatto non solo per affetto, ma anche per farci controllare a
vicenda.
Nessuna delle due avrebbe mai potuto andare contro la sua volontà.
Quando
risentii la
voce di nostra madre per telefono sentii una sensazione di freddo
dentro.
Mi
accorsi
improvvisamente che mi mancava.
Come
avevo fatto a
non rendermene conto prima?
«Ciao
Alice. Tanti
auguri!» esordì facendomi un attimo sobbalzare.
«Grazie,
mamma.»
«Come
sta andando
senza di me?» mi chiese con un tono di voce allegro.
«Bene,
mamma. Come
al solito, ma ci manchi. Tanto.» sorrisi lievemente
imbarazzata.
La spavalderia di poco prima era sparita al suono della sua voce.
Non ce la facevo a mentire, non potevo farlo.
«Anche
tu, piccola.
Mi mancate tutti i giorni. Ma tu hai tua sorella, no?»
Già.
Almeno
in teoria.
«Già.
Ma mi manchi
lo stesso.» mia madre rise dall'altro capo del telefono.
«Come
va con i
vostri nuovi amici? Evelyn mi ha detto che vi vedete con
alcuni membri del club di football!»
«Ah...
Bene... Sono
simpatici.» mentii.
«Tutto
qui? Non
sembri entusiasta...»
Diamine!
Non potevo
fare un tono di voce così tanto... sprezzante! Ero sempre
stata una
pessima attrice!
«No,
è solo che ho
litigato con...» dovevo tirare fuori un nome qualsiasi.
«Aileen.»
«Come
mai? Evelyn
sembrava entusiasta di lei.»
Ahi.
Non
potevo dire la
verità, ma stavo andando nel panico!
Mia
madre era troppo
sospettosa per non rendersi conto che qualcosa non andava!
«Ehm...
È proprio
per quello! Sono gelosa! Insomma, Evelyn sta sempre con lei e a volte
mi lascia in disparte per parlare di cose che riguardano solo loro
due.» dissi forzando enormemente quella storia.
«E
cosa fai in
questi casi?» rispose mia madre con tono leggermente sospettoso.
«Beh...
parlo con
altri amici...» dissi tentando disperatamente di non farmi tradire dalla mia voce insicura.
Diamine, diamine! Dovevo solo convincermi che quello che stavo dicendo fosse vero! Non era troppo difficile, perché non ci riuscivo?!
«Davvero?
Allora
hai anche tu un migliore amico! Come si chiama?» riprese mia madre dopo qualche secondo di silenzio improvvisamente rilassata.
Aveva deciso di credermi... tirai mentalmente un sospiro di sollievo.
«B...
Bill!»
«Bill?»
Mi
sentivo
un'idiota.
“Bill” suonava troppo simile a “Billie”, avrei dovuto dire un nome totalmente diverso!
«Bene,
allora
salutami questo Bill. Ora devo tornare al lavoro, il presidente Jobs
mi aspetta tra poco in riunione. Ti voglio bene piccola, siamo
già a
metà del mese. Vedrai che tornerò
prestissimo!»
«Ciao
mamma.»
salutai con un sospiro di sollievo.
Avevo
superato la
prova.
Se prima all'inizio avrei voluto non staccarmi mai dal telefono, alla fine non vedevo l'ora di liberarmi di quello che mi era sembrato un interrogatorio terribilmente duro.
Sì,
ma mi sentivo
terribilmente in colpa: avevo mentito spudoratamente e prima o poi
sarebbe venuto a galla. Quando sarebbe tornata avrebbe scoperto che
non era mai esistito nessun Bill e che non ero stata amica di Aileen
neanche per dieci minuti.
E,
cavoli, sapere
che mia madre era lì, lontana, che ancora aveva fiducia in
me quando
non lo meritavo mi faceva stare male...
19
settembre 1988
Quel
giorno la
Harris era decisamente in ritardo.
Strano,
di solito
era precisa come un orologio svizzero, tanto da farmi sospettare che
si appostasse fuori dalla porta della classe per minuti interi solo
per poter entrare nel preciso istante in cui la campanella suonava.
Però
ero felice che
fosse così tanto in ritardo, avevo leggermente paura di
farmi
vedere: anche se poco, avevo usato la trousse di Vyol, ma sembrava
che nessuno ci facesse caso più di tanto e questo in parte
mi
tranquillizzava.
BJ
era seduto
accanto a me intento a scarabocchiare qualcosa su quello che un tempo
doveva essere un diario.
«Stai
tranquilla,
la Harris non verrà oggi.» mi disse senza troppa
attenzione.
«Come? N-non stavo pensando a quello... E comunque come
fai a esserne
tanto sicuro? L'ho incontrata stamattina, è venuta a
scuola.»
obiettai.
«Beh...
Ho sentito
dire che ha avuto qualche problemino tecnico.»
Non
capivo a cosa si
riferisse ed ero decisa a non fare domande, ma dopo quasi quaranta
minuti la risposta arrivò da sola.
«Armstrong!»
l'urlo della professoressa lacerò le pareti mentre entrava
in classe
affannata.
Era
accompagnata dal
preside.
Tutti
gli studenti
corsero ai loro posti in pochi secondi.
«Sì?»
chiese
Billie serafico appena ci fu un minimo di silenzio.
«Tu...
razza di...!
Non posso credere che tu sia arrivato a tanto!» ringhiò la professoressa.
Ero
paralizzata. Non
capivo di cosa stesse parlando.
«Professoressa,
cosa avrei fatto?» chiese lui con un sorriso perfettamente rilassato.
«Signor
Armstrong,
lei ha messo del lassativo nel caffè della
professoressa.» disse il
preside con calma flemmatica.
«Cosa?
Io?» chiese
Billie fingendo sorpresa.
Alcuni
in classe
ridacchiarono.
«È
inutile che
fingi! Sei stato visto dai bidelli!»
Billie
storse la
bocca in un'espressione di delusione mormorando un lievissimo
“merda”.
Cosa
aveva fatto?!
Non potevo crederci!
Perché
aveva fatto
una cosa del genere? Che senso aveva in quel momento?
«Pertanto,
lei è
ufficialmente in punizione.» annunciò il preside.
«E intoltre,
insieme a chiunque abbia preso una F all'ultimo compito, verrà
assegnato a un
tutor a scelta della professoressa.»
Quelle
parole mi
colpirono come una pugnalata.
Il
primo compito era
stato il 12 settembre, era una semplice relazione sui personaggi di
Shakespeare nel “Sogno di una notte di mezza
estate”.
Eravamo
solo a
inizio anno, non so bene perché ma trascinata
dall'entusiasmo BJ e
Mike non avevo aperto libro.
Il
preside uscì
dall'aula.
La
Harris aveva
campo libero, passeggiò con un sorriso trionfante tra i
banchi
consegnando i compiti.
Non
volevo sapere il
mio voto, dannazione!
Ma
il compito mi fu
quasi lanciato davanti, girandosi con uno svolazzo mostrando
una
lettera cerchiata di rosso.
Una
F.
Non
potevo crederci.
Come
avrebbe reagito
Evelyn? Una F non era classificabile come situazione di pericolo, no?
La
Harris mi guardò
con aria minacciosa.
«Non
si direbbe
proprio che tu gli anni precedenti avessi una A, signorina. Non in
questa materia almeno.»
Stavo
per piangere,
sentii la gola stringersi, l'incapacità di formulare un
pensiero
sensato.
«Ehi,
calmati. È
solo una F.» tentò di rassicurarmi mio cugino a bassa voce notando il mio stato d'animo.
«Solo
una F? Io non
la penserei così! Sarai assegnato a un tutor che ho scelto
molto
attentamente tra gli studenti con i migliori voti e se non prenderai
almeno una C al prossimo compito mi pagherai lo scherzetto del
detergente e non te la caverai con una semplice mattinata in
presidenza! Ora che hai visto il compito vai!»
gridò la
professoressa indicando la porta dell'aula.
Billie
obbediente si
alzò totalmente indifferente, sotto il mio sguardo perplesso.
Evidentemente
non
era la prima volta che finiva lì e sicuramente non era la
prima
volta che era la Harris a mandarlo.
La
presidenza era un
luogo che metteva tensione per sua stessa natura.
Quell'ambiente
così
bianco come un ospedale e quel silenzio così fastidioso
mentre io e
mio cugino attendevamo pazientemente che arrivasse il nostro tutor...
già, nostro, perché si era deciso di assegnare due studenti a ciascun tutor
abbinati in ordine alfabetico.
In
mensa al nostro
tavolo né io né BJ avevamo toccato l'argomento.
Mio cugino aveva
solo detto che quel giorno non ci sarebbero state prove
perché
sarebbe stato in punizione.
Dei
presenti nessuno
si era stupito, sembrava che tutti sapessero del suo
“innocente
scherzetto”.
A quanto pareva, Mike aveva fatto da complice in quella faccenda, ma i bidelli non avevano fatto il suo nome, quindi non aveva avuto nessun tipo di conseguenza.
Nonostante
la paura
dovevo dirlo ad Evelyn.
La
incrociai nel
corridoio della mensa.
«Evelyn...
oggi
tornerò tardi a casa.»
«Ancora
prove?»
chiese lei senza troppo interesse.
«No...
Ho preso una
F al primo compito e sono stata assegnata a un tutor che mi aiuti a
recuperare.» dissi senza il coraggio di guardarla negli occhi
e
arrossendo miseramente.
«Cosa?!
Una F?!»
mi chiese incredula. «Alice, non ti riconosco più!
Persino i tuoi
voti sono cambiati adesso?!» aveva detto istericamente
costringendomi a guardarla negli occhi. «Ti prego! Torna
quella di
una volta! Torna a essere quella di sempre! Quella dal carattere
dolce e con dei voti almeno sufficienti!»
«Evelyn,
non sono
cambiata...»
«Sì
invece! Un
tempo ti importava della scuola!»
Mi ammutolii.
Sì, era vero, un tempo davo molta più importanza alla scuola, ma stava cambiando qualcosa.
Perché in quel periodo le cose a cui tenevo erano diventate improvvisamente inutili?
Che mi stava prendendo?
«Un
tempo... un
tempo non avevo degli amici, mi importava della scuola
perché era
l'unica cosa che avevo dopo la famiglia.» trovai il coraggio
di
dire.
Quando la scuola è la tua vita ti importa solo di quello, quando una cosa prende tutto il tuo tempo diventa la tua ragion d'essere.
E in quel momento non era così.
Io non ero nata per la scuola.
Però, anche se lo avevo capito, quella situazione spaventava anche me.
Non volevo finire così, volevo tornare ad avere i voti che avevo negli anni precedenti, ma allo stesso tempo non volevo chiudermi in casa a studiare senza uscire più come in passato!
«Alice... è colpa di quella gente se stai diventando così!» ringhiò mia sorella istericamente.
«Evelyn... Hai ragione, sono stata una stupida, ma non sono
cambiata.
Sono sempre io, sono sempre tua sorella! Non sono le persone che
frequento a stabilire chi sono. Vedrai che risolverò anche
questo!»
le dissi tentando di rassicurarla, ma nemmeno io ero convinta di
quello che dicevo.
Si
era calmata dopo
poco, ma il problema rimaneva.
E
così mi ero
trovata nella presidenza ad aspettare senza sapere neanche io cosa sarebbe accaduto.
Il
preside era
uscito a occuparsi di qualche faccenda burocratica lasciando me e mio
cugino da soli.
Billie
sembrava
essere perfettamente a suo agio sulla sedia davanti alla scrivania di legno nero, mentre io provavo un forte senso di inquietudine.
Improvvisamente
la
porta si aprì, Frank fece il suo ingresso con la sua solita
andatura
rilassata.
«Tré?
Che cazzo ci
fai qui?» chiese BJ perplesso dopo pochi secondi.
«Oh,
ciao BJ. Ciao
Lyss.» salutò. Sembrava si fosse abituato a
chiamarmi così. «Sono
qui per i voti. Sembra che le F abbiano fatto una strage.»
mormorò
con aria sconfortata e decisamente annoiata.
«Hanno
preso
persino me...» dissi con tutta la tristezza di cui ero capace.
Mi
sentivo
decisamente scoraggiata, come se non avessi potuto prendere un voto
più alto di quello.
Sentivo
di
meritarmelo e sentivo che la mia carriera scolastica era finita.
Stavo
deludendo
tutti, dai professori ai familiari.
«Oh
bene. Siete
tutti qui.» disse il preside entrando nella saletta.
Scattai
immediatamente in piedi, ma fui l'unica a farlo.
Mi
sentivo
un'idiota.
«Bene,
allora vi
presento il vostro tutor.» disse.
Mi
guardai intorno.
«Scusi,
ma di chi
parla?» chiese BJ con cautela.
«Lei
e la signorina
avete preso una F, l'unica persona a non dover recuperare qui dentro
mi sembra il signor Wright, giusto?»
… Eh?
«Tu
avresti sul
serio voti così alti?!» chiese Billie incredulo
nel 7-11 dopo la
scuola.
«Non
posso
crederci...» mormorai.
«Ehi,
calmatevi.
L'apparenza inganna! Il fatto di avere voti alti non significa mica
che io sia cambiato all'improvviso! Sono sempre io! Sono sempre il
vostro batterista-clown-idiota preferito! Nonché l'unico! E
poi
anche tu non mi sembravi una da F, eppure...» disse Frank
rivolto a
me.
«Io
nemmeno lo
credevo...» dissi scoraggiata.
E
così quel
batterista-clown-idiota era il nostro tutor.
Mi
sembrava così
assurdo dover accettare una cosa simile!
Insomma...
era
sempre stato troppo folle, troppo per poter essere davvero il nostro
insegnante!
«Beh,
in ogni caso
è perfetto, no?» intervenne Billie ripresosi dalla
sorpresa. «Il
nostro tutor è Tré, non cambierà
assolutamente nulla allora. Da
domani potremo provare come al solito. Non c'è bisogno di
preoccuparsi!» sorrise rilassato.
«Ehm...
veramente
no.» interruppe i suoi sogni ad occhi aperti il batterista
con una
sfumatura di timore nella voce.
Una
cosa l'avevo
imparata anche io: contraddire BJ sulla
musica era pericoloso.
«Come
sarebbe a
dire “no”?» chiese Billie con
un'espressione piuttosto
minacciosa.
«Sarebbe
a dire che
se tu prenderai un'altra F, toccherà prenderne una anche a
me!» si
lamentò.
«Capirai...
Io ci
vivo con le F.»
«Certo!»
disse
Frank alzando la voce con un tono lievemente più
autoritario. «Tu
sei convinto che il tuo futuro sia nella musica, però nella
musica
c'è solo una parte dei musicisti del pianeta. Hai mai pensato
che
potresti non arrivarci? Se dovessi fallire, cosa farai?»
tentò di
farlo ragionare il batterista.
«Stai
insinuando
che io non sia abbastanza capace?» chiese Billie
irrigidendosi.
«No,
puoi anche
essere il migliore al mondo, BJ, ma spesso i migliori non vengono
nemmeno presi in considerazione! Cazzo, lo sai meglio di me che
è il
mercato a governare tutto! Se non vendi abbastanza vieni cacciato via
senza troppi complimenti. Puoi iniziare a fare quello che vuoi
davvero solo quando oramai sei qualcuno, ma prima di quello sei solo
merda per loro.»
I
toni si stavano
scaldando un po' troppo.
«E
anche se ci
arrivassi potrebbero passare anni. Spacciare canne non
basterà. Cosa
farai?» chiese Frank con una serietà che non gli
avevo mai visto
addosso.
Anche
BJ aveva
un'espressione perplessa, era... disorientato.
«Non
saprei, non è
necessario andare al college per lavorare.»
ribatté Billie senza un
minimo di interesse. Il suo tono di voce era sempre più
pericoloso.
Eppure
Frank non
sembrava minimamente spaventato.
Continuò
spavaldo.
«Certo,
se ti
accontenti di qualsiasi cosa.» disse provocatorio.
«Io no,
sinceramente non mi accontento. Non mi fraintendere: anche io do
tutto il mio impegno con la musica, ma se dovessi fallire? Non posso
rischiare di morire di fame.» parlò lentamente
prendendosi una
piccola pausa. «Io non proverò finché
non sarò sicuro che
prenderai quella fottuta C!» concluse con imperante
serietà mista
ad una punta di esasperazione. «Se vuoi provare senza
batteria, fai
pure.»
Lo
fissai incredula.
La
sua serietà...
era troppa per lui!
Sul
suo volto non
c'era nulla che lasciasse pensare che stesse scherzando.
Che
fine aveva fatto
la sua solita allegria? In qualche modo avevo sempre saputo che in
buona parte era calcolata, che non poteva essere naturale, eppure non
me l'aspettavo.
Era
come se una
parte di me ci avesse sempre creduto fino in fondo, una parte di me
molto superficiale ovviamente.
In
qualche modo mi
ci ero abituata e per questo per me era normale vederlo sempre
così,
impegnato a fare il bravo padroncino con il suo cane oppure a dire
stupidaggini senza senso.
Nella mia testa era sempre stato un'idiota, una persona che non avrebbe mai combinato niente... e invece quel giorno avevo avuto un grande schiaffo morale.
Mi sentii in colpa per quello che avevo pensato di lui.
Non
solo si era
dimostrato essere una persona normale, ma per di più era
anche uno
dei migliori della scuola!
In
effetti non
capivo perché si era sempre comportato a quel modo, appunto,
come un
clown.
Il
suo obiettivo era
far ridere, ma perché?
Non
lo capivo, avevo
sempre pensato che il modo migliore per essere accettato dagli altri
fosse essere seri, eppure sembrava che lui non la pensasse
così.
Forse
non c'era
neanche un vero motivo, forse gli piaceva semplicemente veder
sorridere gli altri attorno a lui.
Scossi
la testa per
ritornare alla realtà.
In
quel periodo mi
perdevo un po' troppo nei miei pensieri... dovevo smetterla.
Billie
non reagiva,
continuava a fissare Frank senza proferire parola.
La
sua espressione
era furibonda.
«Senti,
BJ, siamo
tutti nella stessa barca: io te ed Alice. Per una volta
navighiamo.»
sospirò Frank cercando di convincerlo. «Il vento
c'è, basta
spiegare le vele e vedere dove arriveremo.»
A
quelle parole mi
sentii improvvisamente motivata.
Iniziavo ad apprezzare anche questo aspetto di Frank, in fin dei conti quel suo modo di fare non stonava per niente.
Non
aveva senso
scoraggiarsi così! Se avevo preso quella F era stato solo per
colpa
della mia stupidissima voglia di non studiare! Io non ero da F e lo
avrei dimostrato!
E
come aveva appena
detto Frank, bastava spiegare le vele. Anche se il vento mi avesse
portata in direzione diversa da quella che volevo, almeno potevo dire
di essere arrivata da qualche parte.
«Sì,
ha ragione.
Purtroppo questa non è una faccenda che riguarda solo te,
BJ.
Diamoci dentro, ce la possiamo fare!» intervenni
all'improvviso con
entusiasmo interrompendo il silenzio.
«Brava
cagnolina!
Questo è lo spirito giusto!» sorrise Frank
accarezzandomi la testa.
«Ce la faremo! Basta crederci! E per ogni risposta esatta, in
premio
un biscottino!»
Ecco,
ora lo
riconoscevo.
E
stranamente mi
resi conto che per un attimo avevo temuto di perdere
quella sua assurda idiozia.
Se
fosse andata via,
mi sarebbe mancata.
Strano
da pensare,
dato che avevo sempre pensato di non sopportarla, ma a quanto pareva apprezzavo entrambi i suoi modi di fare.
Billie
mi guardò
con uno sguardo penetrante, si perse un attimo, poi finalmente
annunciò la sua decisione.
«E
d'accordo... ma
non aspettatevi troppo però! Lo faccio solo
perché altrimenti vi
metterei nei guai. E soprattutto niente biscottini!» cedette.
«Ma
che c'entri tu?
Non sei il mio cane! Io parlavo con Lyss!» sorrise Frank.
Non
potei fare a
meno di sorridere.
La
F era stata una
di quelle cose brutte, decisamente.
Ma
tutto finisce.
Avrei
sorriso ai
momenti difficili prendendoli in contropiede e avrei riconquistato
quello che meritavo.
Tutto
sarebbe
tornato alla normalità, poco alla volta.
…
Certo,
almeno
credevo.
Lo
sai, non
immaginavo nemmeno tutto quello che avrei dovuto sopportare prima di
riuscire ad afferrare di nuovo quella luce.
_______________________Authoress' words
Questo capitolo l'ho scritto più o meno
tre volte: non mi piaceva mai!
Comunque vi do una piccola avvertenza: finora
abbiamo mantenuto un tono da commedia allegra piena di sclero con molte
scene che andavano sul demenziale. Bene, immagino che dalle ultime
righe si sia capito che invece da adesso in poi la storia
diventerà un po' più seria. Non dico triste,
perché non la classificherei come drammatica. Quindi non vi
preoccupate, non vi farò piangere, non ci saranno cose
strappalacrime eccetera eccetera.
Semplicemente più seria, quindi non
spaventatevi! :D
Ora vado a studiare. :)
Visto? Vi voglio talmente tanto bene che,
nonostante io sia più o meno nella stessa situazione
scolastica di Billie, appena sveglia penso prima a pubblicare! :D
Sono due ore e mezza che sto davanti al PC! D: Ok,
mi do una mossa! ^w^"
A domenica prossima, domenica in cui
sarà finito il quadrimestre! *balletto della
felicità*
|
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Capitolo 8 *** Al centro della Terra ***
20
settembre 1988
Mancavano
solo dieci
giorni al ritorno di mia madre.
Dieci
giorni per
recuperare una F.
Con
l'aiuto di
Frank.
Suonava
decisamente
demoralizzante.
Ma
non importava.
Non era il mio tutor a determinare il mio voto, né nessun altro.
Ero
solo io che mi
sarei impegnata con tutte le mie forze.
Certo...
a dire il
vero sembravo l'unica a pensarla così al 7-11.
Billie
aveva
promesso che avrebbe fatto qualcosa per cercare di migliorare, ma a
guardarlo sembrava che volesse fare l'esatto contrario.
Se
ne stava
seduto sulla sua cartella accarezzando
distrattamente le corde della sua chitarra con il libro di
letteratura davanti.
«Stai
capendo
qualcosa?» chiese improvvisamente Frank.
«Credi
sul serio
che questa roba mi servirà?» rispose BJ.
Frank
sospirò.
«Riguardo
a cosa?
Nella vita non ti servirà un cazzo di quello che studiamo a
scuola,
sono d'accordo, ma per recuperare una fottuta F ti servirà
eccome!»
lo riprese il batterista.
«Non
ce la farò
mai. Non ha senso sforzarsi così.» disse Billie
che già aveva
cambiato idea.
«Eh
no! Te lo avrò
detto duemila volte! Se fai così ci andrò di
mezzo anche io! Che
cazzo, BJ!» il batterista iniziò a perdere le staffe e in effetti come biasimarlo? Billie si comportava come un bambino che non vuole affrontare i propri problemi!
Frank tirò un sospiro cercando di non esplodere.
«Senti, nanerottolo malefico, puoi anche non prendere una A,
ma almeno prova a fare quello che puoi!» perse le staffe definitivamente, pareva che lo sforzo fosse stato inutile.
Billie lo fissò con aria decisamente pericolosa, aprì la bocca per dire qualcosa ma lo interruppi giusto in tempo.
«E-ehi,
calmatevi...
il test è stato fissato per il 26, no? Abbiamo quasi una
settimana
intera!» cercai di fermare l'ennesimo litigio sul nascere.
Solo
in quel giorno
ne avevo visti almeno tre, e chissà quanti ce ne sarebbero
stati
ancora.
I
due si fermarono
all'istante dopo le mie parole.
«D'accordo...
scusami, Alice.» disse BJ dopo qualche secondo.
«Ma
perché chiedi
scusa a lei?! Sono io che prendo una F se la prendi tu!»
ricominciò
a lamentarsi comicamente il solito, vecchio, idiota Frank.
Tirai
un sospiro di
sollievo. L'atmosfera era tornata leggera come al solito.
«Da
cosa dobbiamo
iniziare?» chiese Billie ignorando totalmente il batterista.
«Beh,
è solo il
Sogno di una Notte di Mezz'estate il problema per quel che mi
riguarda...»
«Beh,
se è solo un
argomento ci metteremo anche meno di una settimana...»
valutò
Frank.
«Solo
quello?»
chiese BJ in un'espressione di ammirazione e stupore.
«Tu
non apri libro
da... tipo tre anni, vero?» chiese scoraggiato Frank.
«Ma perché
proprio a me doveva capitare?! Alice, fuggiamo insieme! Prendiamo un
treno e scappiamo finché siamo in tempo!»
iniziò
un'interpretazione degna di una tragedia greca.
«Non
hai abbastanza
soldi per prendere un treno e scappare da qualche parte.»
obiettò
BJ.
«Alice
ha
abbastanza soldi per entrambi.» sorrise Frank.
«E
lasciarmi da
solo con Evelyn? Meglio studiare!» ammise BJ ridendo.
Era
inutile anche
solo rimanerci male: oramai lo sapevo che la rottura tra mio cugino e
mia sorella era insanabile, mi ero abituata anche a quel genere di
battute.
«Però,
ti prego,
risparmiami di doverti far fare anche il programma degli anni
scorsi.» scosse la testa Frank.
«Lo
sai, fosse per
me ti risparmierei di farmi fare tutto.» rispose Billie stringendo gli occhi per leggere meglio il libro che aveva davanti.
«Anche
io me lo
risparmierei...» intervenni.
Entrambi
mi
guardarono.
«Da
quando dici che
non vuoi studiare, tu?» chiese Frank. «Stai
diventando un cagnolino
strano, lo sai?»
«Ehi!
Guardate che
a nessuno piace studiare! Anche i secchioni preferirebbero fare
altro. Il fatto che mi impegni non significa che mi piaccia
farlo!»
dissi arrossendo.
Il semplice fatto di essere fissata da più di una persona contemporaneamente mi faceva sentire idiota e mi metteva in imbarazzo, dovevo sforzarmi troppo solo per trovare la forza di parlare.
«E
poi non sono un
cane!» trovai il coraggio di dire per la prima volta.
Billie
e Frank si
guardarono negli occhi.
«Non
ci credo. Il
mio cagnolino è nella sua fase di ribellione! Eppure indossa
la
medaglietta tutti i giorni...» ricominciò
teatralmente Frank.
«Davvero,
hai tutta
la mia comprensione. Quando si ribellano è un brutto periodo
per
qualsiasi padrone... Devi sforzarti di comprenderla di
più!» disse
BJ tenendogli il gioco.
Sbuffai.
«Uff...
Bau...»
Quel
breve attimo di
idiozia collettiva durò poco.
Non
si sa come,
Billie si decise a studiare.
Leggeva
il libro ad
alta voce e ogni tanto ripeteva alcune frasi giusto per chiedere se
aveva capito bene, anche se continuava a lamentarsi più o
meno ogni
cinque minuti solo per ricordarci che se fosse stato per lui non lo
avrebbe fatto.
Mi
chiedevo davvero
cosa tu avessi nella testa in quel momento, sai? Riuscivi a pensare
solo alla musica, del resto non ti importava. Ne ero sicura: se ti
avessero chiesto di scegliere tra il vivere bene e con molti soldi in
un mondo senza musica e il morire all'istante... beh, avresti scelto
la seconda.
Non
lasciavi le
corde di Blue neanche per un secondo, anche senza suonarla.
Per
quel che
riguardava me subito aprii il libro e notai con soddisfazione che
quell'unico argomento che dovevo recuperare non era neanche troppo
difficile.
Nulla
era troppo
difficile quando mi impegnavo e in quel momento ero decisa a far
sparire quella F nel nulla, senza lasciar traccia.
Anche
perché se mia
madre fosse stata convocata e fosse tornata in anticipo la situazione
sarebbe diventata piuttosto difficile da gestire e probabilmente
sarebbe degenerata.
«In
effetti è
vero...» disse la voce di Frank distraendomi dalle pagine del
libro.
«Cosa?»
chiesi.
«Che
la band deve
cambiare nome in fretta.»
«State
di nuovo
pensando alla musica?!» chiesi in tono esasperato.
«Oh,
dai Lyss! Sarò
il vostro insegnante ma un attimo di pausa ogni tanto serve!»
disse
il batterista cercando di convincermi.
«Non
credo
proprio...» mormorai. «Quando interrompo, anche se
solo per cinque
minuti, non riesco ad andare avanti. Sentite, forse da domani dovrei
provvedere da sola al mio studio.» dissi con tono severo.
BJ
sbuffò.
«Cavoli,
Alice,
oggi sei proprio insopportabile...» disse sinceramente.
Eh no, anche questo no.
Stavo per rispondergli, ma improvvisamente mi bloccai.
Aveva ragione: stavo per dirgli qualcosa di impulsivo e poco carino, in effetti anche io mi sarei trovata insopportabile al suo posto.
… Volevo solo impegnarmi seriamente, cosa c'era di male? Nulla! E forse era proprio per questo che dovevo provvedere da sola, senza che nessuno mi distraesse.
Sospirai.
«...
Mi dispiace.»
abbassai lo sguardo.
«Non
ti preoccupare
Lyss, se hai qualche problema puoi anche continuare a casa per conto
tuo.» mi disse con gentilezza Frank.
Da
quando era il
nostro tutor aveva mostrato un lato più serio e anche
più maturo.
Dopotutto
doveva
obbligare uno come BJ a studiare!
E
la cosa non mi
dispiaceva affatto, cominciavo a capirlo meglio.
«Basta
che ci
leviamo questa cosa di torno il prima possibile.» disse
Billie
nervosamente.
22
settembre 1988
Erano
tre giorni che
me ne stavo chiusa in casa a studiare o al 7-11, sempre a studiare.
Stavo
sempre sotto i
libri e avevo qualche attimo di pausa solo nel sonno.
No,
nemmeno, perché
oramai anche di notte sognavo gli argomenti studiati.
Però
questo mi
gratificava: significava che quelle cose erano entrate nella mia
testa e non ne sarebbero uscite tanto facilmente.
Ma almeno mancava poco, solo due pagine e avrei terminato tutto quello che c'era sul libro su quel dannato Sogno di una Notte di Mezza Estate.
Due
pagine da
ripetere per l'ultima volta e poi avrei concluso quell'agonia.
Pochi
secondi.
Tre...
Due...
Uno...
«Fine!»
esclamai
esausta.
Guardai
l'orologio,
l'1:00.
Evelyn
mi guardò
perplessa da dentro alle coperte.
«Cos'è
quest'entusiasmo? È notte fonda...»
«Ho
finito di
studiare! Da adesso fino al test mi basterà solo ripetere ogni
tanto!»
sorrisi come se avessi appena compiuto l'impresa più
difficile al
mondo.
Beh,
in effetti per
me era così... no?
E
ci avevo messo
solo tre giorni!
23
settembre 1988
«Ehi,
ciao! È da
un po' che non ci si vede!» mi salutò una voce
familiare.
«Oh!
Ciao Al!»
salutai Al Sobrante all'inizio della quarta ora di quel giorno.
«A
dire il vero ci vediamo tutti i giorni a quest'ora.»
obiettai.
«Già,
ma non ci
siamo mai detti molto. Ho sentito che sei finita nei guai con la
Harris, eh?»
«Purtroppo
sì...»
«Non
ti
preoccupare. Quella è mezza schizzata. Sarebbe capace di
mettere F
davvero a chiunque senza neanche dare spiegazioni. Però ai
recuperi
in genere è più morbida. Ci guadagna solo ad
esserlo. Fa vedere al
preside che è in grado di far recuperare gli studenti e ci
guadagna
paga extra.» mi spiegò rassicurandomi.
«Non
ho paura: ho
studiato davvero tanto per finire quelle pagine il prima
possibile.»
«Davvero?
Come mai?
Non era meglio dividersele e farne un po' ogni giorno?» mi
chiese
incuriosito dal mio metodo.
«Beh...
Non credo
che avrei mai sopportato l'idea di uscire di casa con l'ansia di
avere ancora da studiare. No, meglio così. Sono passati solo
due
giorni ma mi mancano un po'...»
«Cosa?»
mi chiese.
«Sai...
non so come
spiegarlo... quelle giornate, insomma. Quelle passate con i miei
amici, quelle in cui si dicono un sacco di stupidaggini
così. Senza
motivo.»
«Quelle
sono le
canne.» rise Al.
«Sì,
esatto!
Quando il fumo è talmente tanto che anche il cielo sembra
verde!
Come un giorno verde!» dissi vedendo chiaramente l'immagine
di quel
cielo smeraldino nella mia testa. Ero talmente entusiasta quel
giorno... mi potevo permettere anche qualche piccolo delirio!
«Un...
giorno verde
hai detto?» mi chiese lui perplesso.
«Sì.»
annuii.
«Ma
sei un genio!»
quasi gridò entusiasta.
«Ehm...
perché?»
«BJ!
BJ!» vidi Al
correre incontro a mio cugino in mensa.
Stavo
finendo di
prendere il cibo, osservavo la scena poco più in
là.
«Cos'è
questa
fretta?» chiese Billie, nervoso.
«Ho
un nome
fantastico per la band!» disse il batterista.
«Un
nome?» chiese
Mike improvvisamente interessato.
«Sì.
Che ne dici
di Green Day?» scandì con entusiasmo Al.
«...
Green Day?»
chiese Vyol.
«Ti
riferisci alle
canne per caso?» chiese Frank ridendo.
«Cazzo,
ma è
fantastico!» esclamò Billie entusiasta.
Inizialmente
non
capivo bene perché quel nome piacesse tanto.
E
poi tecnicamente
l'avevo anche inventato io...
Ci
pensai.
Effettivamente
era
facile da ricordare e saltava all'occhio. Era uno di quei nomi
destinati al successo.
Decisamente
più di
Sweet Children.
«Cazzo,
è
bellissimo!» sobbalzò Vyol.
«Infatti
sì!
Trasmette... energia! E ci rappresenta in pieno!» sorrise
Mike.
«In
effetti vi
starebbe proprio bene.» intervenni avvicinandomi al tavolo.
«Ehi
cagnolina!»
sorrise Frank vedendomi. «Oggi tua sorella mi ha detto che
hai già
finito con lo studio!»
«Hai
delle ore in
comune con mia sorella?» chiesi perplessa.
«Sì!
L'ora di
storia! A dire il vero di solito non ci parliamo, ma oggi le ho
chiesto come stava andando.» sorrise. «Il tuo
padroncino è
orgoglioso di te!» mi accarezzò la testa mentre mi
sedevo.
«Questa
roba è
totalmente senza senso.» sbuffò Billie lasciando
cadere il libro di
letteratura nel 7-11.
Ero
andata insieme a
loro per vedere come procedeva il recupero e anche per dare una mano se ce ne
fosse stato bisogno.
Già, ma sembrava che le cose non andassero proprio nella direzione giusta...
«Come
sarebbe a
dire “Cosa vuole esprimere l'autore dicendo che il cielo era
blu”?!
Voleva dire che il fottuto cielo era blu! Che cazzo di risposta
dovrei dare?!» obiettò prepotentemente.
Frank
sospirò.
«Hai
ragione... ma
ci sono delle metafore nascoste...» iniziai a dire.
«Le
metafore se le
sono inventate gli autori del fottuto libro!» mi interruppe.
«Calmati
BJ.
Cos'hai? In questo periodo sei... te la prendi persino con
Lyss!» mi
difese Frank.
«Oh,
scusami. Mi
dispiace tanto.» disse sarcasticamente mio cugino. «Dimenticavo che essendo una ragazza con te devo comportarmi in maniera diversa, non è vero?»
«Non è questo, idiota! Sei sempre nervoso e ti arrabbi anche con chi non ha fatto nulla! Cos'è? Tidà fastidio solo la sua presenza?»
…
Improvvisamente mi sentii tesa, come se fossi stata in pericolo.
Diamine, era
vero. L'avevo
notato anch'io e questa cosa mi faceva stare male.
Billie
era
decisamente nervoso in quel periodo e spesso scaricava le sue crisi
di nervi su di me come in quel momento.
Non
ne capivo il
perché, dato che altre volte faceva l'esatto contrario,
ovvero
cercava di rassicurarmi se ero giù di morale, come se avesse
voluto
aiutarmi, appunto.
Era
totalmente senza
senso.
Possibile
che fosse
lo studio a ridurlo così?
Si
stava impegnando,
lo vedevo, ma sembrava che proprio non riuscisse a fare di
più.
«Ti
manca così
tanto provare?» chiesi timidamente.
Lui
mi fissò con
uno sguardo... quasi con odio.
«Mi
sembra ovvio.»
disse acidamente.
«BJ.
Invece di
perdere tempo ti conviene continuare a cercare di capire
perché il
fottuto cielo era blu, d'accordo?» si innervosì
anche Frank.
«D'accordo,
d'accordo. Come vuole, sua maestà.»
sbuffò mio cugino riprendendo
in mano il libro.
Diamine,
era una
situazione che stava diventando insostenibile.
Volevo
solo capire
perché, Billie, non era chiedere troppo.
24
settembre 1988
«Finalmente
sabato... Quel rompiscatole di Tré almeno oggi non mi
frantumerà i
coglioni.» esordì molto finemente mio cugino
quella mattina.
«Immagino
che non
suoniate questo sabato, vero?» gli chiesi mentre facevamo
colazione.
«No.»
rispose
acidamente. «Oggi mi vedo con Al. Pare che stia andando
meglio
ultimamente, almeno può permettersi di uscire. E
ricomincerà a
suonare con noi.»
«Oh,
è fantastico!
Finalmente tornerà a essere uno dei vostri!»
sorrisi. «Intendo, la
band tornerà al completo!»
«Già.
Almeno.»
rispose mio cugino senza alcun entusiasmo.
Silenzio.
«Senti
Billie...
volevo chiederti una cosa da un po' di giorni.» dissi
prendendo un
po' di coraggio.
«Cosa?»
«P-Perché
ultimamente ti comporti come se mi odiassi?» chiesi
imbarazzata.
Lo
vidi fissarmi
perplesso a quella domanda.
«I-Intendo
dire...
sembri sempre nervoso, non capisco... non credo che sia solo lo
studio a farti questo effetto... Almeno credo!» ma possibile
che
bastava quello sguardo a mandarmi in panico totale?
Lui
scoppiò a
ridere, ma la sua sembrava una risata forzata.
«Ma
io non ti odio!
Hahaha! Figuriamoci, e come potrei?»
Non
capivo, non
riuscivo a credergli.
«Scusami,
non
credevo che sembrasse così. Sto solo un po' rotto di palle
ultimamente, tutto qui. Anzi, ti va di venire con me e Al? Viene
anche Mike.»
...
Restava
il mistero.
Era
la prima volta
che uscivo con loro senza Vyol e Frank.
Quella
sembrava
essere a tutti gli effetti una riunione di band.
Al
era in ritardo,
così io, Billie e Mike ce ne stavamo ad aspettare a Christie
Road.
Quel posto faceva sentire protetti come pochi, era incredibile! Solo il 7-11 gli poteva fare concorrenza.
Billie
se ne stava
seduto su una vecchia poltrona dentro a un piccolo porticato.
«Anche
a te Al ha
detto che aveva qualcosa di importante da dirti?» chiese mio
cugino
a Mike.
«Qualcosa
di
importante? No. Mi ha detto solo che oggi dovevamo vederci
qui.»
«Bah...
quello è
tutto strano.» mormorò Billie.
«Si
sarà fatto
qualcosa come al solito prima di chiamarci.» rise Mike.
«O
è in crisi
d'astinenza da noi.» rise a sua volta BJ.
«Eccomi!»
disse
una voce ansimante. Al era all'ingresso della strada, doveva aver
corso.
«Che
fine avevi
fatto?» chiese Mike.
«Niente
di
importante.» disse lui calmandosi e avvicinandosi.
Mi
gettò uno
sguardo fugace.
«Ciao
Alice. Come
mai anche tu qui?» non sembrava molto contento della mia
presenza.
In
effetti anche io
mi sentivo un'intrusa in quel momento.
«Le ho chiesto io di venire. Comunque non perdiamo tempo e dicci tutto.» rispose Billie al posto mio.
Lo ringraziai mentalmente per non avermi lasciata a balbettare come un'idiota una risposta improbabile.
Al prese un grande respiro prima di iniziare a parlare.
«Ragazzi
vi dovevo
dire delle cose importanti...» disse con un tono di voce che
lasciava intendere che io non dovevo assolutamente essere lì.
«Beh,
diccele
allora.» rispose Billie senza capire volutamente.
Al
sospirò
guardando Mike sperando in un qualche tipo di complicità, ma
il
bassista non disse nulla.
«Sentite...
è
difficile da dire.» iniziò.
«È
così seria la
faccenda?» chiese Mike.
«Qualsiasi
cosa sia
la devi dire. Che tu lo faccia adesso o dopo la devi dire comunque
quindi datti una mossa.» disse Billie lievemente innervosito.
Ecco
un'altra cosa
che mio cugino non sopportava: le attese inutili.
«Beh...
Sentite,
per dirla breve credo che lascerò la band.
Definitivamente.» disse troppo in fretta.
Un attimo di silenzio.
… Eh?
«Cosa?!»
chiese
Billie incredulo.
«Al,
sei impazzito
del tutto? Studiare ti fa male sul serio!» disse Mike
sconvolto.
Anche
io non potevo
crederci.
«Perché?»
chiesi.
«Calma,
calma! Non
adesso... intendo dire... quando finirà la scuola. Alla fine
dell'anno prossimo insomma.» tentò di calmarli
senza troppi
risultati.
Non
capivo che senso
aveva prendere una decisione del genere con tanto anticipo.
«Perché?!
Cazzo,
perché? Vuoi avere una data di scadenza ora?!» chiese Billie iniziando a perdere le
staffe.
«Ragazzi,
dopo la
scuola dovrò pensare al college... davvero, ci divertiamo,
ma dove
stiamo andando? Insomma...» Al sembrava veramente debole in
quel
momento.
«Sono
stati i tuoi
a mettertelo in testa, vero?» lo interruppe Mike.
Al
abbassò lo
sguardo sconfitto.
«Ragazzi,
guardiamo
la realtà. Perché dovremmo arrivare da qualche
parte? Siamo solo
tre dei tanti che ci provano. Non arriveremo mai a niente, non
abbiamo i soldi, non abbiamo quello che vogliono le case
discografiche.»
«Al,
sei un
perdente.» disse Billie con il disprezzo nella voce.
«E non un
perdente qualsiasi. Hai scelto di esserlo. Non posso credere che
arrivi a questo pur di far contenti i tuoi fottuti genitori! A cosa
ti sei ridotto?!»
BJ
aveva perso
decisamente le staffe.
Io
me ne stavo
inerme, non sapevo cosa fare e sinceramente mi sentivo fuori luogo.
E
poi una piccola
parte di me lo capiva. Io al posto di Al cosa avrei fatto?
Era
facile pensare
di ribellarsi, non era facile farlo. Dopotutto i genitori sono le
uniche persone capaci di aiutarti davvero in caso di
difficoltà.
Ma
ovviamente Billie
non la pensava così e neanche Mike.
La
band prima di
tutto.
«Al,
non puoi fare
quello che ti pare e suonare anche?» chiese Mike.
«Io
vorrei andare
al college dopo la scuola... non ce la farei.» disse il
batterista
con un filo di voce.
«Fantastico.
Quindi
adesso abbiamo un solo fottutissimo anno di tempo?! Abbiamo anche la
data di scadenza? Sai che me ne faccio di un solo fottuto
anno?»
ricominciò Billie infuriato. Sembrava fosse pronto ad
ammazzarlo sul
posto.
«BJ
adesso basta!
Le cose stanno così, smettila di fare i capricci come un
bimbo!»
trovò la forza di reagire il batterista tentando di
provocarlo.
«Non
posso credere
che tu abbia anche il coraggio di criticare! Cazzo, Al! Ci hai
delusi. Molto.» si schierò Mike.
Il
batterista non
poteva sopportare altro.
Sgranò
gli occhi
infuriato.
«Bene.
Vi ho
delusi? Allora, scusate il disturbo. È stato un
piacere.» si voltò
iniziando ad andarsene. «E se proprio volete continuare a
suonare
per tutta la vita senza un soldo e senza fregarvene del vostro futuro
chiedete a quell'idiota di Tré. Sicuramente ne sarebbe
entusiasta.»
concluse andandosene.
26
settembre 1988
In
quei giorni
Billie era stato ancora più intrattabile e stavolta non
potevo
proprio avere nulla da ridire.
Era
ovvio che stesse
così dopo quello che era successo con Al.
Certo,
continuavo ad
avere il sospetto che ci fosse qualcos'altro sotto, considerando che
in effetti stava così da ancora prima di avere quella
notizia, ma in
ogni caso non
potevo permettere ai miei pensieri di condizionarmi.
Quello
era il giorno
del test.
Si
sarebbe svolto di
pomeriggio in orario extra-scolastico.
La
professoressa ci
consegnò dei fogli nell'aula gelida, domande a risposta
multipla.
Scrissi
il mio nome
rapidamente sulla carta leggermente macchiata dalla fotocopiatrice e lessi le prime tre domande.
Al
aveva ragione,
alcune erano fin troppo facili. Certo, a volte contenevano
dei trabocchetti, ma per capirlo bastava solo leggerle con attenzione
più di una volta.
E
così a fine
giornata ero stanca, ma sicurissima di aver fatto del mio meglio.
«Come
è andata?»
chiesi a mio cugino uscendo da scuola.
BJ
non rispondeva,
aveva un'aria decisamente distratta.
«Billie?»
lo
chiamai.
«Che
c'è?» mi
chiese ritornando alla realtà, con aria decisamente
innervosita.
«Ti
ho chiesto come
è andata...»
Rispose
solo con una
scrollata di spalle.
«Non
ne ho idea.»
Arrivati
ai cancelli
della scuola mi avviai per andare verso la fermata dell'autobus che
ci avrebbe riportati a Berkeley da Pinhole Valley, dove si trovava il liceo pubblico più vicino a casa, ma lo vidi indugiare.
«Tutto
bene?»
«Senti Alice... devo vedermi con Mike qui per andare alle prove. Dobbiamo riprendere con Al e con quello che è successo non ne ho neanche voglia, quindi oggi vai a casa da sola.»
«Alle
prove? Non
posso venire come al solito?» gli chiesi perplessa.
«Hai
promesso ad
Evelyn che saresti tornata subito dopo il test, no?» mi
chiese
alzando un sopracciglio.
«È
vero...»
ricordai.
Mi stava evitando, era evidente... normalmente mi avrebbe detto di fregarmene di mia sorella e invece adesso stava addirittura cercando una scusa per allontanarmi!
… Mi venne quasi voglia di piangere.
«Allora a domani...» lo salutai
rattristata.
Mi
stavi nascondendo
qualcosa, ne ero sicurissima.
Ero
timida,
impacciata, maldestra... ma non così tanto stupida da non
capirlo.
Cadde
qualche goccia
di pioggia.
Sospirai.
E
intanto settembre
stava finendo.
___________________________________Authoress' words
Buonpomeriggio! Ci ho messo un sacco a fare questo
capitolo, sarà che ho un sonno bestiale... Voglio
dormireeeee! >.<
Comunque, gente, oggi è il Giorno della
Memoria!
Avete mai letto la poesia "Se questo è
un uomo"? A me personalmente piace molto, mi sembra un ottimo modo per
ricordare. :)
Never forget.
Even if it's painful.
|
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Capitolo 9 *** Voglio solo vedere la luce! ***
26
settembre 1988
Il
pullman quel
giorno era affollatissimo per via del maltempo.
Sospirai
guardando la pioggia battente fuori dal finestrino.
In
quei giorni tutto era strano.
Intorno
a me sentivo
che qualcosa stava andando per il verso sbagliato, ma allo stesso
tempo sentivo che questa cosa non poteva essere controllata da me.
Ero
impotente,
ininfluente e inutile.
Servivo
solo a far
divertire un po' gli altri come un cagnolino.
Diamine,
Frank aveva
ragione.
L'autobus
si fermò
alla mia fermata, Berkeley.
Scesi
a passo lento,
gettai un'occhiata fugace al cielo ingrigito.
Non
sapevo neanche
io bene perché, ma guardare il cielo mi metteva sempre di
buon'umore, anche quando era nuvoloso.
Era
semplicemente
bello.
Senza
neanche
rendermene conto sorrisi e cominciai ad andare verso casa con passo
più energico.
Socchiusi
gli occhi
e inspirai profondamente.
Andava
decisamente
meglio.
Era
il momento
perfetto per ascoltare della musica, così aprii una tasca
della mia
cartella, tirai fuori il walkman che avevo ricevuto per il mio
compleanno e ne indossai le cuffiette.
Stavo
per premere il
tasto “play” quando vidi qualcosa che attirò la mia attenzione: dall'altro lato
della strada, proprio di fronte a me, Mike e Vyol passeggiavano
tranquillamente spensierati.
Rimasi
un attimo
perplessa.
Cosa
ci faceva Mike
lì? Billie mi aveva detto che dovevano provare! E invece il
bassista
se ne stava lì a passeggiare come se... come se non ci fosse
stata
alcuna prova in programma!
Iniziai
a correre
per cercare di raggiungerlo, attraversai la strada velocemente da
incosciente.
«Mike!»
lo
chiamai, lui si fermò.
«Alice!
Perché
stai correndo così?» mi chiese notando il mio
affanno.
«Cosa
stai facendo
qui?» gli chiesi riprendendo fiato.
«Niente...
stavo
solo facendo due passi con Vyol...» mi rispose perplesso.
«Tutto
bene?»
chiese Vyol preoccupata.
«Ti
sei dimenticato
delle prove!» gli dissi, ma il mio tono era piuttosto
insicuro.
I
due si scambiarono
uno sguardo, poi Vyol mi guardò perplessa.
«Oggi
non c'erano
prove... A proposito... dov'è Billie?»
Non
potevo crederci!
Non aveva senso!
Perché
Billie mi
mentiva a quel modo?
Se
voleva stare da
solo poteva anche dirmelo, non c'era bisogno di arrivare a tanto!
Non
sapevo come
sentirmi, se arrabbiata o preoccupata.
Sì,
perché anche
se mi aveva mentito a quel modo doveva esserci un motivo, mi
rifiutavo di credere il contrario.
Avevo
raccontato
quello che era successo a Vyol e Mike.
Entrambi
erano
preoccupati.
Mike
non aveva idea
di cosa potesse star succedendo e nemmeno Vyol.
«Cazzo,
dobbiamo
andare a cercarlo! Potrebbe essergli successo qualcosa!» si
allarmò
lei.
«Vyol,
non
esagerare, dai. Non siamo in un film. Probabilmente non gli
è
successo proprio niente.» tentò di rassicurarla
Mike.
«Ok,
ma io voglio
andare a cercarlo, almeno per chiedergli spiegazioni. Ultimamente
è
davvero strano e poi ha mentito gratuitamente ad Alice! Non
è da
lui!» disse la ragazza afferrandomi il polso e trascinandomi
verso
la fermata del bus.
«Quel
nano idiota.»
mormorò durante il tragitto.
«È
da un po' che
si comporta in maniera strana... ho paura che possa essere nei
guai.»
dissi con l'amaro in bocca.
Non riuscivo a parlare normalmente, mi sentivo troppo triste per come stavano andando le cose.
Mi evitava, ma io non sapevo di avergli fatto qualcosa di male... eppure qualcosa doveva essere successo! Ma cosa potevo farci? E se il suo comportamento fosse stato scatenato non da me? Non potevo farci niente, quella prospettiva era anche peggiore!
«Appena
lo trovo lo
ammazzo!» esplose lei.
«Calma...
sicuramente ha avuto qualche ragione per fare
così...» dissi senza
alcuna convinzione.
Lei mi guardò, fissò il suo sguardo nel mio con indignazione.
«Cazzo,
Alice! Ti
ha detto una palla clamorosa e neanche ti arrabbi?!»
«...
Il semplice
fatto che non lo insulti non significa che non mi sia arrabbiata...
Certo che lo sono, ma prima voglio capire cosa sta succedendo, prima
di trarre ogni conclusione.» anche se a dire il vero
più che
arrabbiata mi sentivo... depressa.
Io
ero un essere
umano.
Volevo
solo non
sbagliare, volevo solo capire.
Se
solo tu
avessi parlato allora! Mi avresti risparmiato un bel po' di guai,
sai?
…
Ma...
a pensarci
bene se tutte quelle cose non fossero successe... cosa sarei io
adesso?
Ne
sono successi di
guai per colpa di una stupida F, vero? E in effetti non posso neanche
dire di essermene pentita.
Alla
fine sono
felice di aver vissuto tutti quei problemi, uno per uno.
Mi
hanno resa quella
che sono.
Anzi,
ci hanno
permesso di essere quello che siamo.
Le
esperienze sono
sempre esperienze.
Belle
o brutte che
siano.
L'autobus
si arrestò
con uno scossone.
«Andiamo.»
disse
Vyol alzandosi all'istante.
Era
passata almeno
un'ora, oramai mi sentivo stanca e demotivata.
Avevamo
vagato a
caso per tutte le strade intorno alla scuola di Pinhole.
«Diamine!
Dove
cazzo ti sei cacciato, nano malefico?» chiese Vyol in un
lamento.
«Non
lo troveremo
mai.» mormorai. «È da un'ora che lo
cerchiamo, è inutile. Magari
non gli è successo proprio niente e stiamo solo
esagerando.» mi
scoraggiai sentendomi idiota.
Non
era successo
niente, Mike aveva ragione.
Perché
mi ero
agitata tanto?
Era
una stupida
bugia, niente di più.
Nessuno
ci avrebbe
sofferto quindi che importava?
Quell'atmosfera
di
quei giorni mi stava uccidendo lentamente...
Vyol
annuì.
«B-Billie!»
rimasi
spiazzata vedendolo nel soggiorno.
Mio
cugino era
tranquillamente stravaccato sul divano con un occhio pesto, gli abiti
sporchi di qualcosa che somigliava a fango e tutta l'aria di essere
appena stato picchiato.
«Che
c'è?» mi
chiese guardandomi nervosamente.
«Che
ti è
successo?»
«Non
si vede?»
disse acidamente.
Quel
modo di fare
nei miei confronti era insopportabile.
«È
molto semplice:
posso sopportare tutto, ma non che mi si tocchi mio padre. E quel
bastardo lo ha fatto. Non mi sembra difficile. Esattamente come quel verme che vive in casa mia.» ringhiò furibondo mio cugino.
«Chi
è “quel
bastardo”?» chiesi perplessa.
«Un
tipo del club
di football, un certo Tyler mi sembra.»
Eh?!
«Il
ragazzo di
Evelyn?» chiesi sconvolta.
«Non
saprei.»
rispose lui alzando le spalle.
…
Come
avrei dovuto
reagire?
Tutta
quella storia
era semplicemente assurda! Non aveva senso!
Però...
non potevo
neanche arrabbiarmi.
Dannazione,
come
avrei reagito io se avessero toccato mio padre? Anche il mio era
morto dopotutto.
Ricordai
delle
parole di mia madre, l'imperativo di non avere niente a che fare con
i miei cugini, Billie soprattutto.
Mi
sentii quasi di
soffocare.
Perché proprio con Tyler?
E soprattutto, perché proprio in quel momento doveva succedere una cosa del genere?!
Era
il 26 settembre,
dopo solo quattro giorni mia madre sarebbe tornata.
Cosa
sarebbe
successo? Billie dove sarebbe andato?
27
settembre 1988
Non
sapevo bene
perché, ma quella mattina a scuola avevo la sensazione che
qualcosa
non andasse. Mi sentivo quasi... osservata? Persone che non mi
avevano mai rivolto la parola avevano iniziato ad avvicinarmisi
parlandomi, facendomi domande.
«Sei
piuttosto
agitata oggi.» iniziò mio cugino osservandomi.
Sembrava
che stesse
gradualmente tornando a considerarmi come un essere umano dotato di
sentimenti quel giorno.
La
sera precedente, dopo
cena, aveva ripreso a parlarmi quasi come prima. Mi aveva raccontato
di preciso cosa era successo.
Tyler
era stato
molto pesante. Per ridere un po' con i suoi amici aveva detto a
Billie che suo padre probabilmente si era suicidato intuendo che
merda sarebbe diventato il figlio. E poi si era corretto dicendo che
non era possibile che un poveraccio come un camionista potesse
nutrire troppe speranze per il figlio.
Nonostante
non
fossero indirizzate a me, quelle parole mi fecero male come una
pugnalata nello stomaco.
Come
poteva una
persona essere così meschina, come?
«Non
saprei... ho
la sensazione di essere osservata...» gli risposi a bassa voce
come se
avessi avuto paura che qualcuno mi stesse ascoltando.
Non
sapevo neanche
io perché, ma mi sentivo come se ogni mio piccolo gesto
potesse
essere registrato da qualcun altro e usato contro di me.
«E
allora? Che ti
osservino pure, non stai facendo niente di illegale.»
Era
vero, ma non ci
riuscivo così razionalmente.
«D'accordo,
cercherò di ignorare questa sensazione.» cercai di
rilassarmi.
Almeno ci potevo provare.
Non
stavo facendo
niente di sbagliato, anche se fossi stata osservata davvero non avevo
bisogno di nascondere niente.
Eppure non mi era mai successo prima e forse era questa la cosa che mi inquietava di più... dopotutto non ero mai stata troppo suggestionabile e quell'atmosfera mi faceva solo temere che qualcosa sarebbe successo.
Quella
sensazione mi
stava uccidendo.
Non
ero riuscita ad
eliminarla neanche durante la lezione.
Camminando
nei
corridoi della scuola sentivo le persone pronunciare il mio nome.
Stava
diventando
un'ossessione, era solo una stupida sensazione, non poteva
condizionarmi così tanto!
Dovevo
solo
calmarmi.
Non
era vero niente,
niente di niente.
Eppure
le mie
orecchie non ne volevano sapere, continuavano a percepire suoni che
assomigliavano preoccupantemente al mio nome e cognome.
«Ehi,
Alice!» mi
salutò Mike amichevole nell'aula di storia dell'arte.
«Ciao
Mike.»
salutai a mia volta.
«Ehi,
che cos'è
quella faccia?» mi chiese notando la mia espressione
preoccupata.
«Nulla,
ho solo...
una sgradevole sensazione.»
«Cioè?»
«Non
lo so! Mi
sento osservata, come se tutti parlassero di me!» dissi
nervosamente.
«Sai,
oggi ho anche
io questa sensazione.» mi confessò.
«Davvero?
Perché
dovrebbero osservarci secondo te?» chiesi fissando il vuoto.
«Dovresti
saperlo
meglio di me. Tyler, no? Il capitano del club di football viene
picchiato da un punk. È la prima volta che succede una cosa
del
genere.» disse illuminandomi.
Cavoli,
era vero!
Era quello il motivo!
«Alla
fine voi e
quelli “cool” vi siete sempre scontrati solo a
parole.»
realizzai. «Ma io cosa c'entro?»
«Ti
fai vedere
sempre con noi in giro, anche se non sei propriamente punk sei nostra
amica.»
Ah, perfetto. Quindi la cosa valeva anche per me.
Almeno non ero sola.
«Mal
comune mezzo
gaudio.» sospirai.
Bene.
Le cose
andavano sempre peggio.
Dovevo
solo sperare
di non incrociare tentativi di vendetta.
«Ehi,
tu.» disse
una ragazza con un volto familiare.
«Sì?»
chiesi.
«Tu
sei la cugina
di Two-Dollar Bill, vero?» mi chiese incrociando le braccia,
sollevando un po' un generoso décolleté messo in
mossa da una
altrettanto generosa scollatura.
Annuii.
«Ha!
Chi ti credi
di essere, stronzetta?» rise avvicinandomisi.
«Eh?
Io?
N-nessuno!» indietreggiai perplessa da quella reazione
repentina.
«Sì,
come no.
Prima fate tanto i re degli sfigati, adesso vi permettete pure di
avvicinarvi a noi. Il tuo cuginetto ha osato avvicinarsi al capitano!
E sai una cosa divertente? Two-Dollar Bill le ha prese di
brutto!»
Doveva
essere una
cheerleader.
«Voi
non dovreste
neanche respirare la nostra stessa aria, capito?» continuò.
Cosa?
Perché?
Che senso
avevano quelle parole?
«No,
non capisco.»
dissi sinceramente.
«Oh,
cos'è che
capisci allora? Eh? La lingua del dolore la capisci?» chiese
afferrandomi i capelli e tirandomeli con forza.
Caddi
a terra
rovinosamente, ma lei continuava a tenere i miei ricci nella sua
mano.
Diamine,
faceva
troppo male...
«Ahi!
L-lasciami!
Cosa vuoi che faccia?» chiesi sentendomi gli occhi bagnati di
lacrime.
«Voglio
che tu ti
senta umiliata davanti a tutti.»
«Lo
sono.» dissi
lasciando scendere qualche lacrima.
Sentii
qualche
risata fredda come il ghiaccio intorno a me.
Ero
ridicola.
«Hahaha!
Lo sei! Lo
sei! Bene, piccoletta, questo era solo un avvertimento. Se ci tieni
tanto a non farti male ti conviene convincere i tuoi amichetti a non
fare più niente, altrimenti ne riparleremo.»
sorrise allontanandosi
soddisfatta.
Ero
sconvolta.
Non
volevo tornare
in classe, volevo andare a casa. Non avevo il coraggio di
concentrarmi sulle lezioni.
Non
ero arrabbiata
con Billie, no.
Quello
che stava
succedendo mi stava facendo capire sempre di più che aveva
ragione.
Quelle persone erano... erano loro a non meritare di respirare la
nostra stessa aria.
Erano loro che erano in torto!
Erano loro quelli pericolosi!
Erano loro quelli con cui non volevo avere nulla a che fare, e mai lo avrei fatto!
…
Stavo respirando affannosamente sul pavimento, la gente intorno a me che non se ne importava... chiedevo aiuto con gli occhi, ma nessuno aveva il coraggio di guardarmi.
Dovevo
calmarmi,
inspirai profondamente.
Dovevo rialzarmi da sola.
Uno... Due... Tre respiri.
Appoggiai le mani a terra, diedi una spinta e barcollando un po' mi rimisi in piedi.
Socchiusi gli occhi.
Sospirai, poi li riaprii.
Era
passato, non
dovevo mettermi a piangere.
Stavo
bene.
Arrivò
l'ora di
pranzo, nessuno aveva saputo quello che era successo.
Ero
stata piuttosto
brava a fingere che tutto andasse bene.
C'era
una sola
differenza in me.
Adesso
quando
guardavo una cheerleader sul mio volto compariva puro disprezzo.
Non
potevo più
sopportarle, non potevo più perdonarle.
Sì,
ma oramai
Evelyn era una di loro.
Non
avrei mai potuto
disprezzare mia sorella, ma lei non le avrebbe mai abbandonate.
Per
lei erano le sue
più grandi amiche.
E
poi se anche le
avesse mollate... cosa avrebbe avuto in cambio?
Mi
faceva male
ammetterlo, ma era la dura verità.
Io
e Evelyn eravamo
diverse. Non potevamo essere la stessa cosa.
Non
potevamo stare
con le stesse persone, non potevamo amare e odiare le stesse cose.
Niente
rimane
uguale, tutto cambia... ma perché così
velocemente?
Mi
sentii afferrare
il polso con una stretta quasi dolorosa.
Mi
voltai, mia
sorella era davanti a me nel corridoio che portava alla mensa.
«Alice,
devo
parlarti.» mi disse con tono duro.
«Immagino.» risposi con gli occhi bassi.
Oh, sì, stavo solo aspettando che me lo dicesse.
«Cosa
sta
succedendo? Oggi ho litigato con Melissa. Stava parlando di te,
diceva che è guerra aperta contro i punk. E poi... Billie ha
picchiato Tyler! Cosa sta succedendo? Perché?»
«Billie...»
ricordai le parole di mio cugino. «B-Billie aveva
ragione...» dissi
scoraggiata senza guardarla negli occhi.
«Alice,
perché lo
sostieni così? Lui non aveva ragione! Lui ha usato la
violenza
contro una persona che non gli aveva fatto niente di male.»
«Ha
offeso
pesantemente suo padre...» continuai a non guardarla.
«Non
è abbastanza
per scatenare una reazione del genere.» disse caparbiamente
lei.
No,
non capiva.
Non
poteva
continuare così.
«Devi
dirmi
chiaramente cosa pensi, Alice. Non devi difenderlo solo
perché gli
vuoi bene. Cosa ti sta succedendo?»
Aveva
ragione.
Dovevo
dirle
chiaramente cosa pensavo.
Per
quanto male le
potesse fare.
La
guardai negli
occhi.
«Vuoi
sapere cosa
penso? Beh... Sono io a chiedertelo, Evelyn! Cosa sta
succendo?» mi
ripresi totalmente. Non potevo sopportare oltre, mi sentivo
infuocata.
«Cosa
vuoi dire?»
«Che
sono i tuoi
amici a star creando scompiglio. Perché?»
«È
stato
quell'idiota di nostro cugino a toccare il mio ragazzo a dire il
vero!» alzò il tono lei.
«Tyler ha
toccato suo
padre, Evelyn. Perché l'ha fatto?» chiesi
infuriata.
Era
la prima volta
che mi rivolgevo così a mia sorella, cosa mi stava
prendendo?
«E
quindi? Alice,
stai impazzendo? Non ti ho mai vista così!»
«Evelyn,
non
capisci?! Come ti sentiresti se insultassero nostro padre?!»
chiesi
alzando anche io il tono di voce.
«Me
ne fregherei!
Alice, diamine, è morto!» urlò.
Rimasi paralizzata.
Erano
parole dure e
fredde come il ghiaccio.
Anche lei si fermò, iniziò a respirare affannosamente.
Vidi
i suoi occhi
farsi lucidi.
«V-veniva
da una
famiglia assurda... e anche lui era assurdo. Non stiamo bene solo con
mamma? Che senso ha picchiare qualcuno per difendere la
dignità di
un morto?» disse.
Non
capivo bene
perché, ma si mise a piangere.
Non
disse
nient'altro, dopo qualche secondo si allontanò.
Sembrava
spaventata
dalla mia reazione.
No, lei sbagliava.
Evelyn si stava sbagliando!
Non
era la dignità
di un morto quella che doveva essere difesa, ma era semplicemente un
ricordo.
I
ricordi sono
preziosi e se qualcuno tenta di contaminarli deve essere fermato.
Io
non avrei mai
lasciato che qualcuno forzasse i miei.
No,
e nemmeno
Billie.
Finalmente
avevo
capito.
Non
ero triste per
il litigio con Evelyn. Mi sentivo quasi... liberata.
Liberata?
Ero quasi felice di averle fatto del male, di averla fatta piangere.
Non lo capivo neanche io...
Era sbagliato, no? I miei pensieri erano “cattivi”, no?
…
Sì.
Era sbagliato,
ma... era una sensazione stupenda.
__________________Authoress' words
Cavolo, la storia sta prendendo una piega
drammatica. o.o
Scusatemi! Non volevo che fosse così
tanto triste, ma a quanto pare è più forte di me!
Tutte le mie storie finiscono sempre così! Mi sento in colpa!
Vi autorizzo a picchiarmi però uno alla
volta, se no mi faccio troppo male. u.u
Ringraziando al cielo il prossimo capitolo non
sarà così triste, quindi resistete un altro po'!
Vedete, il punto è che era necessario
che prima o poi succedesse qualcosa che facesse in modo che Alice
spezzasse il suo legame morboso con Evelyn e considerando quanto sono
legate quelle due non poteva essere qualcosa di futile, quindi sappiate
che non poteva andare altrimenti.
Bye!
|
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Capitolo 10 *** Stavo solo sognando (Mike's special chapter) ***
27
settembre 1988
La
porta del bar in
cui mi trovavo tintinnò aprendosi.
Gettai
un'occhiata,
ma la persona che era appena entrata non era quella che aspettavo.
Quella
mattina a
scuola Alice mi aveva chiesto di vederci. Sinceramente non sapevo il
perché di quella richiesta, né perché
volesse parlare proprio con
me, ma non importava.
Me
ne stavo
tranquillamente seduto a un tavolino di legno leggermente illuminato
da alcune lampade di un colore giallastro quando una folata di vento
e un altro scampanellio mi spinsero a voltarmi di nuovo.
Alice
mi corse
incontro di fretta.
«Ciao
Mike, scusami
per il ritardo!» disse sedendosi di fronte a me con un po' di
fiatone.
«Non
c'è bisogno
che ti scusi.» le sorrisi. Era incredibile come nonostante
fossimo
amici continuava a usare tutti quei convenevoli, come se fossimo due sconosciuti.
Alice si sedette frettolosamente, sembrava piuttosto imbranata in quel momento.
«Di
cosa volevi
parlarmi?» le chiesi non appena si fu sistemata.
Lei sospirò rumorosamente, ancora col fiatone.
«Di
tutto. Ho
bisogno di mettere ordine perché ho una gran confusione in
testa.»
disse scuotendo i capelli. «Scusami per averlo chiesto
proprio a te,
immagino che sia piuttosto noioso...» disse imbarazzata.
«Dipende
da come la
metti, se ti impegni puoi anche farne un bel romanzo.» la
feci
ridere.
«Allora
mi
impegnerò, promesso.»
Mettere
ordine...
In
che senso?
Speravo
che non
volesse chiedermi...
«Partiamo
dal
comportamento di BJ ultimamente.»
Ecco.
Perché
proprio
quello?
«In
che senso?»
chiesi fingendo ingenuità.
«Nel
senso che...
non hai la sensazione che ultimamente sia strano? Insomma, ho la
sensazione che mi stia quasi... come dire... evitando! Sembra che a
momenti mi odi addirittura! Non capisco. Tu sei il suo migliore
amico, secondo te perché lo fa?» chiese sperando
in una mia
risposta sincera.
Sincera?
Avrei
voluto, ma non potevo.
«Tu
dici? Sai,
forse è semplicemente un brutto periodo. Magari è solo
nervoso. Ha
dovuto studiare molto e non ha neanche potuto suonare. Sai, di solito
la musica fa scaricare i nervi.» cercai di mentirle.
Alice si fermò un attimo a pensare alle mie parole, poi il suo sguardo si fece triste.
«Pensi
che sia
bastato così poco a farlo diventare così
intrattabile?» mi chiese
scoraggiata. «Da un lato sono felice che non gli sia successo
niente
di grave, però mi sembra davvero strano.»
Era
troppo
sospettosa.
«Io
non ci
sprecherei troppe energie.» dissi con indifferenza.
«Anche
quello che
ha combinato con Tyler... sembra che non abbia pensato minimamente
alle conseguenze di quello che ha fatto.» continuò
imperterrita
ignorandomi.
Per
la prima volta
capivo cosa significava la frase “una ragazza quando inizia a
pensare è inarrestabile”.
«Credo
che avrei
reagito allo stesso modo. Immagino ti abbia raccontato cosa gli ha
detto Tyler...» lo difesi.
«Sì.
Anche io.»
annuì lei. «Su questo non ci sono dubbi. Tyler
è stato spregevole.
Non pensavo che il ragazzo di mia sorella fosse capace di fare una
cosa simile solo per apparire figo agli occhi dei suoi amici.»
«Allora
di quali
conseguenze parli?» le chiesi incuriosito.
«Beh,
ad esempio
adesso i cool ci perseguiteranno, immagino. Non sarà
divertente
anche perché sono la maggioranza.»
abbassò lo sguardo.
«Perseguitare...
al
massimo diranno qualche cosa sul nostro conto e in ogni caso essere
la minoranza è un onore.» puntualizzai.
«Non
credo che si
tratti solo di qualche parola...» disse lei continuando a non
guardarmi. Ero sicuro di averla vista arrossire leggermente.
«Cosa
intendi
dire?»
«Beh...
ecco...
sai, sono sicura che non esiterebbero a vendicarsi in qualche modo.
Magari usando la violenza...» parlava in maniera molto vaga,
ma ero
sicuro che alludesse a qualcosa di preciso.
«Ti
hanno fatto
qualcosa?» le chiesi iniziando a preoccuparmi.
Lei
mi guardò,
sgranò gli occhi arrossendo.
«N-no!
Figurati!
Cioè, diciamo che sono stata trattata un po' male da una
cheerleader, mi ha fatto un po' male, ma non si può dire che
mi
abbia picchiata...»
«Cosa
ti ha fatto?»
chiesi preoccupato.
«Niente,
ti ho
detto. Mi ha tirato un po' i capelli e mi ha fatta cadere a terra,
tutto qui. Più che altro mi ha umiliata pubblicamente
minacciandomi,
è questo che mi ha dato più fastidio.»
commentò sempre più rossa
in viso.
Cosa? Perché non l'aveva ancora detto a nessuno? Se lo avesse saputo BJ l'avrebbe uccisa!
E anche io ero preoccupato per lei! Dopotutto Alice sembrava così indifesa, così piccola...
...
Forse era proprio per questo che non aveva voluto parlarne, per evitare di scatenare una vera e propria guerra?
Doveva essere così: la
cosa le bruciava, avrebbe voluto reagire, ma era semplicemente troppo tranquilla e razionale per volerlo davvero.
Ecco, al contrario di Billie lei pensava anche troppo alle conseguenze.
«Mi
ha detto che se
fosse successo di nuovo qualcosa di simile ci saremmo riviste. Credo
che lo abbia fatto sperando che lo dicessi a BJ per spaventarlo, ma
non ci casco. Non lo farò.» disse annuendo con
decisione.
Esattamente come immaginavo.
«Una
cosa del
genere non è da tenere per sé.»
obiettai.
«Invece
sì!
Insomma, se lo dicessi potrei scatenare una enorme reazione a catena.
Da vendetta nasce vendetta, ma se manterrò il silenzio non
permetterò che questa catena possa continuare. Lo sai,
Billie è
impulsivo su queste cose.»
«Non
avevi detto
che non gli importava di te?» chiesi arrivando al punto della questione.
Alice esitò, per un attimo non seppe cosa rispondere.
«Beh,
credo che lo
farebbe almeno per orgoglio personale.» disse incerta alla fine.
Risi.
In
un solo mese era
riuscita a capire molti aspetti della personalità di BJ con grande precisione, era incredibile.
«Comunque,
per
favore, non glielo dire.» ritornò al punto.
Sospirai.
«D'accordo.
Non
parlerò.» mi arresi.
Lei
sorrise.
«Questa
è l'ultima
volta che lo faccio.» si lasciò andare lungo lo
schienale della
sedia, più rilassata.
«Cosa?» chiesi incuriosito.
«Sottomettermi.
Sai, credo che Frank abbia ragione.» sorrise.
«Ti
sei convinta
anche tu di essere un cane?» risi.
Inaspettatamente
annuì.
«Ma
come?» le
chiesi sempre ridendo.
«Il
cane è un
animale che si sceglie un padrone, poi gli rimane fedele qualsiasi
cosa succeda. In parole povere si sottomette sempre.» disse
con una
serietà totalmente fuori contesto. «Io sono un
cagnolino ora.»
«E
il tuo padrone è
Evelyn.» trovai un appiglio di serietà.
Quella
conversazione
stava diventando assurda.
Alice
annuì.
«Esattamente.»
«Questo
non piacerà
a Tré.»
«Però
oggi ho
litigato con lei.» continuò. «Lei
continua a sostenere
imperterrita il suo ragazzo. Dice che BJ ha sbagliato a reagire in
quel modo perché difendere la dignità di un morto
è inutile.»
«Tua
sorella è
piuttosto cinica.» non riuscii a trattenermi.
«Io
credo che non
sia inutile perché non è la dignità di
un morto a dover essere
difesa, ma la dignità del ricordo. Anche se credo che lei
non pensi
fino in fondo le parole che ha detto. Semplicemente ha
paura di perdere i suoi amici. Se si schierasse dalla parte di BJ
probabilmente le cheerleader la abbandonerebbero.» prese una
piccola
pausa. «E se lo facessero sarebbe solo un'ulteriore prova
della loro
falsità.»
Credo
che fosse la
prima volta che vedevo il disprezzo negli occhi di Alice.
«Però
non posso
dire che sia facile. Mi sento in colpa per aver litigato con lei e
soprattutto mi sento in colpa nel pensare di non voler assolutamente
tornare sui miei passi.»
«Ma
scusa, sentirti
in colpa non vuol dire che invece vuoi proprio tornare sui tuoi
passi?» chiesi perplesso.
«Te
l'ho detto che
ho una gran confusione in testa...» abbassò lo
sguardo lei.
«E
quindi cosa hai
intenzione di fare?» chiesi incuriosito.
«Ignorare
i sensi
di colpa?» chiese.
«Dovresti
esserne
sicura però.»
«Allora
voglio
ignorare i sensi di colpa.» ripeté cercando di
apparire sicura.
«Voglio smettere di essere un cagnolino e voglio diventare un
essere
umano.»
«Tré
se la
prenderà parecchio, sai?» sorrisi.
«Più
che
offendersi credo che continuerà ad ignorare le mie decisioni
e
continui a trattarmi come al solito. Mi sono totalmente arresa con
lui.» sospirò ridacchiando.
E non sembrava neanche che le dispiacesse.
«Beh,
indossi anche
la “medaglietta”, non puoi lamentarti.»
dissi indicando la
collana che indossava tutti i giorni.
«Anche
se è una
“medaglietta” mi piace un sacco! Non c'è
niente di male se la
metto e poi finché non ci mette il suo numero di telefono
non ha
prove.» rise, ma la sua espressione rimaneva tesa.
«Comunque
non
preoccuparti troppo. Nessun litigio è infinito. Vedrai che
con
Evelyn le cose si sistemeranno e tutto tornerà al posto
giusto
presto. Oramai il peggio è passato, no?» tentai di
rassicurarla.
Lei
annuì.
Effettivamente
dovevo ammettere che quel periodo era insopportabile anche per me.
Tutto stava prendendo una piega imprevista.
Inoltre
dopo solo
tre giorni la madre di Alice sarebbe tornata. Non ero sicuro del
fatto che Billie fosse pronto a tornare a casa.
Anzi,
che noi
fossimo pronti per tornare a casa, dato che avevo ottenuto il
permesso per prendere in affitto una stanza in casa sua.
Ma
lui era scappato,
quindi la cosa era stata rimandata.
E
come biasimarlo?
Anche io non vedevo l'ora di abbandonare la casa della mia madre
adottiva.
Certo,
solo di mia
madre, dato che aveva divorziato da mio padre adottivo quando avevo
sette anni.
Due
persone come
loro non avrebbero dovuto avere il permesso per adottare un bambino,
non erano mai stati dei buoni genitori. Si preoccupavano solo di
quello che riguardava loro senza preoccuparsi minimamente di me.
Per
loro esisteva
solo il linguaggio delle urla, non ragionavano. Non potevo nemmeno
parlare con loro, sapevo che mi avrebbero zittito urlando. Fin da
quando avevo dieci anni pensavo che me ne sarei andato presto.
Poi
incontrai Billie
e quando lo sentii parlare di musica capii che io e lui un giorno
avremmo combinato qualcosa di grande.
Poi
la sua famiglia
ha avuto problemi economici, hanno messo in affitto una stanza della
casa e ovviamente mi sono immediatamente presentato.
Come avrei potuto farmi sfuggire una simile occasione?
«Vorrei
diventare
come Vyol.» sospirò Alice.
«Vuoi
pensare solo
ai ragazzi?» chiesi ridendo.
«No!
Non in quel
senso!» scoppiò a ridere anche lei.
«Sai, lei non si preoccupa
quasi mai. E poi sa difendere la sua dignità. Non
è debole come me.
Dei ragazzi non mi interessa! Non mi è mai
interessato!» disse
arrossendo un po'.
«Guarda
che non
dovresti vergognartene.» risi.
«Perché?
Tu pensi
solo alle ragazze?» mi chiese allora lei.
«Diciamo
che più
che altro ogni tanto penso a una ragazza.» ammisi.
Alice
mi fissò
perplessa.
«Davvero?
E chi è?»
chiese con evidente curiosità. «Ti ho tormentato finora, hai il diritto di parlare un po' anche tu.» sorrise giustificandosi.
«Segreto.»
risi.
Tutto
potevo
immaginare, tranne che Alice potesse essere una persona curiosa.
La
ragazza l'avevo
incontrata il primo anno di liceo.
Credo
che avesse
attirato la mia attenzione forse per la sua... goffaggine? I primi
tempi era poco più di una bambina che sognava ad occhi
aperti.
Poi
era cresciuta,
non era più goffa, era forte, capace di difendersi ma non
aveva
smesso di sognare.
Lei
mi considerava
il suo migliore amico, ma niente di più.
Lo
metteva
continuamente in chiaro dicendomi che le piaceva un altro. Mi
chiedeva consigli e mio malgrado gliene davo senza secondi fini.
Sognava
ad occhi
aperti, sapeva benissimo che la persona di cui era innamorata non
ricambiava i suoi sentimenti, ma non se ne importava. Continuava a
sperare che lui facesse qualche passo verso di lei, che si
dichiarasse, perché lei non lo avrebbe mai fatto, non ne
aveva il
coraggio.
Raccontai
alcune di
queste cose ad Alice, che mi ascoltava con attenzione.
«Perché
non le hai
mai detto che ti piace allora?» mi chiese.
«L'ho fatto.» le sorrisi.
Un
giorno decisi che
gliel'avrei detto, non perché credessi di avere qualche
speranza, ma
solo perché volevo liberarmi di quel peso.
Glielo
dissi senza
giri di parole.
Lei
si bloccò
guardando dritto davanti a sé, poi iniziò a
parlare di tutt'altro
ignorando totalmente le mie parole.
Inizialmente
non
riuscivo a capirlo.
Insomma,
perché
fare finta di non aver nemmeno sentito?
Che
senso aveva?
Rifiutarmi
le
sarebbe stato facile, le sarebbe bastato ricordarmi che lei stessa mi
aveva parlato della persona di cui era innamorata.
Eppure...
«Non
lo capisco
neanche io.» commentò Alice. «Immagino
che sia difficile dire di
no, è una sensazione orribile quella di sapere che ciò che dirai
farà
soffrire una persona... ma far finta di niente è a dir poco
scorretto.»
«Sì,
infatti anche
io lo pensavo. Poi ho capito che il problema è proprio il fatto che
lei sia una sognatrice.» le spiegai un po' malinconicamente.
Lei
era una
sognatrice.
Anche
troppo.
Non
aveva avuto una
vita facile, mi aveva raccontato che ce l'aveva fatta solo cercando
di far finta che tutto quello che le era successo non fosse accaduto
davvero.
Era
abituata a
rimuovere tutto ciò che era doloroso dalla sua mente, o
almeno a
fingere di averlo rimosso per poter aspettare di poterlo cancellare
col tempo.
Ecco
perché.
Ci
misi molto tempo
a capirlo e ad accettarlo.
Ma
non riuscivo ad
odiarla.
Una
parte di me
continuava a capirla e a volerle rimanere vicino.
In
un certo senso,
era come se l'unica cosa che la rendesse felice fosse il suo sogno ad
occhi aperti. E io non volevo che rinunciasse alla sua
felicità.
Volevo
che
continuasse a sognare se questo la rendeva felice.
Anche
perché
semplicemente non avevo il coraggio di abbandonarla, aveva bisogno di
qualcuno che proteggesse quel suo sogno.
Anche
se prima o poi
sarebbe finito.
«Dove
vai adesso?»
chiesi ad Alice fuori dal bar.
«Mi
sono
tranquillizzata, adesso posso andare a casa senza aver paura di
essere uccisa.» sorrise con aria ingenua.
«E
se Evelyn
riprendesse il discorso di oggi?» chiesi.
«Farò
valere le
mie idee! Niente più cagnolini! Sarò un essere
umano anch'io!»
sorrise euforica. «Grazie mille Mike. Avevo proprio bisogno
di
sfogarmi e scusami ancora per averti fatto perdere tutto questo
tempo.»
«Ti
ho detto che
non devi scusarti. Solo i cagnolini si scusano per ogni cosa.»
risi.
«Ma...
Beh, non
importa. Grazie!» sorrise salutandomi e correndo via.
La
fissai per
qualche secondo, sorridendo anch'io.
Quella ragazza aveva un sorriso davvero contagioso, pensai voltandomi.
Sospirai e iniziai a camminare a passo lento in direzione
di casa, molto più sereno.
Non
avevo voglia di
andarci, ma non avevo altro posto dove andare.
E
poi quel giorno
avrei anche potuto sopportare qualche urlo senza motivo, d'altronde
tutto sembrava preannunciare la fine di quel periodo così
assurdo.
Tutto
sarebbe andato
per il meglio.
Per
tutti, o forse
no?
________________________Authoress'
words
Ho
sonno. Ho un sonno che non immaginate nemmeno.
Questo
capitolo in fin dei conti è una chiacchierata. xD Alla fine
non succede niente di rilevante.
Ve
lo giuro, non sto cercando di allungare il brodo. u.u
Nel
prossimo capitolo succederanno tantissime cose, ve lo prometto! :D
|
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Capitolo 11 *** Non c'è nessun posto come casa (quando non hai nessun posto dove andare) ***
27
settembre 1988
Dopo
quella
chiacchierata mi sentivo come rinata.
Avevo
trovato la
persona giusta per parlare, ero tornata di buon umore nonostante
tutti gli eventi di quella strana giornata.
Che
ancora non erano
finiti.
Non
sapevo bene
neanche io perché avessi chiesto a Mike di vederci, ma la
mia
testa... era così confusa!
Quando
le cose
succedono tutte insieme, non si riesce neanche a capirne bene
l'ordine, a capirne il motivo.
Scossi
la testa.
Avevo riflettuto molto prima di chiamare Mike, e a convincermi di questa cosa era stato il litigio con Evelyn.
Sì, ok, avrei dovuto fare pace con lei, però non potevo accettare di fare tutto ciò che voleva solo per compiacerla. Quel giorno una ragazza che neanche conoscevo mi aveva fatto del male e anche se a Mike avevo detto il contrario, dentro di me tutto ciò bruciava e mi faceva male.
Se prima mi importava solo di non dare nell'occhio e non dare fastidio a nessuno, ora invece la mia strada si era fatta più ambiziosa: volevo essere felice e stare bene anche con me stessa, senza dover mentire solo perché lo voleva qualcun altro.
Solo
un obiettivo mi
doveva guidare adesso: non essere un cagnolino.
In
un certo senso mi
sentivo un po' ridicola a pensarlo. Certo, non potevo cambiare da un
giorno all'altro, però mi dovevo impegnare per farlo almeno
un po'
alla volta.
Anche
se questo
avrebbe sicuramente portato dei litigi tra me e mia sorella.
Dovevo
iniziare a
pensare anche a quello che volevo io, non solo a quello che volevano
gli altri.
Ma...
era difficile,
avevo sempre preferito anteporre la felicità altrui alla mia
accontentandomi di una felicità surrogata.
No,
non poteva
continuare così.
Arrivai
a casa,
aprii la porta con un sorriso.
Entrai
dentro, ma né
nell'ingresso, né nel soggiorno c'era nessuno.
Che
Billie fosse
fuori non mi stupiva, ma non sapevo che Evelyn dovesse uscire.
Mi
lasciai
sprofondare nel divano scaricando finalmente il peso della cartella,
quando notai un foglietto di carta ripiegato sul tavolino di fronte a
me.
Mi
alzai e lo presi
tra le mani, sopra c'era scarabocchiato il mio nome.
Mi
sentii di
svenire.
Era
inquietante, non
poteva essere l'ennesima brutta notizia.
Lo
aprii cercando di
rimanere calma, sopra c'era la scrittura di Billie.
Gli era successo qualcosa?
“Ciao
Alice. Oggi ho incontrato mia sorella, Anna.
È
venuta a portarmi dei messaggi di mia madre, mi ha detto che vorrebbe
riprovarci insieme.
Ho
sempre odiato questo modo di parlare a frasi fatte, ma alla fine ho
accettato perché oramai la situazione a casa sta diventando
pensante
sia per te che per me.
Anche
tra te ed Evelyn le cose non stanno andando bene.
Stando
a quello che mi ha detto, a casa mia sembra che si sia trovato una
sorta di equilibrio, anche se continuerò a non perdonare
quel
bastardo del mio patrigno. In ogni caso è già il
27 settembre, tra
tre giorni avrei comunque dovuto sloggiare.
Appena
sarà possibile me ne andrò, so che non
sarò felice con quella
famiglia, ma non posso fare altro per ora.
Grazie.
-BJ”
Non
potevo crederci.
I miei occhi si riempirono di lacrime.
Lui... non ci sarebbe stato più...
Ero sola in casa di nuovo?
Come se tutto fosse stato solo un sogno... era finito!
Perché?! Perché te ne eri andato così?! Non potevi almeno aspettarmi, parlarmi?
Mi
sentivo stupida,
ma mi sarebbe mancato terribilmente averlo in giro per casa, le
battute velenose tra lui e mia sorella ogni mattina, il suo sostegno.
Perché
proprio quel
giorno?
Perché
proprio in
quel momento?
Era
totalmente
irrazionale, ma una sensazione di freddo mi avvolse mentre cercavo di
riprendermi e ricordare che l'avrei continuato a vedere a scuola.
Una
voce nella mia
testa iniziò a dirmi che in realtà a lui non
importava niente di me
e che aveva finto di essere mio amico solo per assicurarsi
l'ospitalità, che era per questo che in quell'ultimo periodo
mi
aveva evitata.
Qualsiasi
cosa
stesse nascondendo BJ, Mike la sapeva, ma non me l'avrebbe mai detta.
Non
ero una punk
come loro, non ero allegra e spigliata come loro.
Ero
diversa.
Ero
diversa dalle
cheerleader, ma anche da loro.
Diversa da tutti
terribilmente sola.
«Dannazione!»
mormorai tra me e me.
«Sei
tornata?» mi
fece voltare la voce di mia sorella da sopra alle scale.
«Evelyn!»
la
guardai stupefatta. «Billie... se n'è
andato?» chiesi sentendomi
debole ogni secondo di più.
Non
ce l'avrei mai
fatta ad affrontarla.
«Sì.
Ha pensato
che fosse meglio così, ha detto che in ogni caso nostra
madre
sarebbe tornata tra soli tre giorni e che se lo avesse trovato qui
non sarebbe stato bello per nessuno.»
… E
aveva dannatamente
ragione.
Ma
avevo paura di
rimanere sola. Non capivo perché, avevo bisogno della sua
presenza,
era l'unica cosa che mi assicurava che non sarei mai stata
abbandonata, perché lui aveva bisogno di me almeno quanto io
avevo
bisogno di lui.
Evelyn
sospirò, si
voltò e tornò nel corridoio del piano di sopra.
Che
mi aspettavo?
Era
sempre stata
rancorosa, non poteva aver dimenticato il nostro litigio
così in
fretta.
Se
solo Billie
avesse aspettato ancora! Mi aveva lasciata totalmente sola ad
affrontarla, o forse era proprio per questo che se n'era andato?
Quanto c'era di Evelyn nella sua decisione di andarsene in anticipo?
Sentii
aumentare la
velocità del mio battito cardiaco... rabbia?
Raccolsi
la mia
borsa e salii le scale.
Non
appena arrivai
nel corridoio c'era una gran quantità di polvere nell'aria
che mi
fece starnutire, ma non ci feci caso.
Aprii
la porta della
nostra stanza ed entrai distrattamente.
Mi
sembrava diversa
dal solito, ci misi qualche secondo a capirlo.
«Evelyn...
perché...?» iniziai perplessa.
«Cosa?
Mi sembra
semplice. La tua roba è fuori dalla stanza perché
a giudicare da
quello che è successo oggi io e te non dovremmo
condividerla.»
Cosa?
Ma
era totalmente
senza senso!
«Per
così poco?»
rimasi bloccata.
«A
te può sembrare
poco, per me non lo è. Sono arrivata al limite Alice! Non
posso più
fare finta che vada tutto bene! Faresti meglio ad andare nella stanza di Billie, dato che preferisci lui a me.»
No,
no, stava
delirando.
Non poteva star dicendo sul serio!
«Evelyn,
smettila,
riportiamo tutte le cose al loro posto! Non è successo
niente di
grave, siamo solo in disaccordo su una cosa, non c'è bisogno
di...»
«No!
Io ho paura di
te! Vuoi startene con i tuoi amichetti? Siete pericolosi! Stai
diventando come loro! Anche tu inizierai a fare quelle cose!
Inizierai a drogarti a essere violenta...»
continuò a parlare, non
la seguivo più.
No.
No,
no.
Non
poteva pensarlo
davvero.
Non
aveva senso.
Il
mio battito
cardiaco aumentò ancora.
Dovevo
andarmene, dovevo aspettare che si calmasse così avrei potuto
farla
ragionare.
Indietreggiai
di
qualche passo, aprii la bocca, ma non uscì alcun suono.
Mi sentii una stupida.
Avevo paura, di nuovo! Non riuscivo a dire niente, la mia testa era vuota, non potevo farcela.
Ero un cagnolino, d'altronde... ero nata così, no? Non potevo farci niente, no?
Ero
un cagnolino,
non ci potevo fare niente... o forse no?
Forse
dovevo solo
cedere all'istinto di mordere? Solo per una volta... dovevo
abbandonare totalmente la mente, niente pensieri, non c'erano
più.
Iniziai a respirare piano, socchiusi gli occhi...
Forse... era giusto così...
Evelyn continuava a parlare, la ascoltavo poco, sosteneva che i suoi amici erano migliori.
I suoi amici... quella ragazza che voleva vendicarsi era sua amica?
…
Non volevo avere nulla a che fare con quella gente!
No!
Volevo urlare e spingerla via!
Il mio istinto mi stava gridando di combattere!
«Sta'
zitta!»
urlai senza preavviso, senza rendermene conto.
Evelyn
mi guardò
sconvolta.
«Sai
che ti dico?
H-hai ragione! Sto diventando come loro forse, proprio
perché penso
che abbiano ragione. La gente come Aileen e i suoi amichetti non
meritano di respirare la mia stessa aria, sono solo un mucchio di
maschere false! Preferisco stare con i tuoi odiati punk piuttosto che
essere il tuo cagnolino per tutta la vita!» dissi
lasciandomi andare totalmente.
Non
ne potevo più,
anche se il mio tono era ancora da imbranata era quello che pensavo
davvero.
«E
cosa credi di
fare? Sei la mia sorella gemella, viviamo insieme, non puoi
evitarmi!» rise istericamente lei.
«Dici
questo, ma mi
vuoi fuori dalla tua stanza. Immagino non ti cambierebbe nulla se mi
avessi fuori dalla tua vita!» gridai correndo dentro la stanza
dove
Evelyn aveva portato la mia roba e chiudendomi a chiave.
Stavo
esagerando?
Ma non potevo più tornare indietro...
Sì, avevo capito cosa fare!
Iniziai
a prendere
alcune cose utili dagli scatoloni da trasloco che aveva usato Evelyn
e le infilai nella mia cartella di scuola alla rinfusa.
«Alice?
Alice? Cosa
significa? Cosa vuoi fare?» chiese lei. «Ok, forse
ho esagerato.
D'accordo, rimettiamo le cose al loro posto, non c'è bisogno
che ti
arrabbi così.»
Sembrava
spaventata,
alla fine era questa la sua vera natura: debole, almeno quanto me.
Avevo
voglia di
piangere, ma non potevo farlo in quel momento.
Non
risposi, quando
ebbi finito riaprii la porta.
«Cosa
vuoi fare?»
mi chiese Evelyn scossa.
«B-basta!»
balbettai. «N-non p-possiamo continuare così.
D-dovremmo stare
separate per un po', hai ragione.» cercai di dire sembrando
risoluta, ma in realtà ero terrorizzata all'idea di quello
che stavo
per fare.
Forzai
il mio corpo
ad agire contro la mia paura, mossi un passo dopo l'altro, via, verso
la porta di casa.
Corsi come non mai per raggiungerla, come se fosse stata la porta per la felicità.
Evelyn mi afferrò il braccio, ma io non mi fermai.
Lei mi lasciò, aprii la porta, uscii, la richiusi e continuai a correre.
L'avevo
fatto?
Ero
scappata!
Sì,
avevo
abbandonato la mia casa, quella dove ero e sarei sempre stata un
cagnolino!
Mi
sentii euforica,
euforica perché ero libera.
Libera!
E non sarei tornata, non così presto!
Perché io mi ero ribellata!
E
non avevo
intenzione di tornare.
Sentivo
freddo.
Cosa
stavo facendo?
Ero
impazzita?
La
strada era buia,
non sapevo dove andare.
Avevo
perso il conto
del tempo che avevo passato a camminare in quelle strade deserte,
senza neanche pensare a dove andavo.
Arrivavo
a un bivio,
le mie gambe si muovevano da sole e proseguivo.
Prima
o poi mi sarei
dovuta fermare, ma allo stesso tempo non potevo tornare a casa
sconfitta senza neanche aver combattuto.
Combattere...
per
cosa?
Non
mi sembrava
neanche vero quello che stava succedendo.
Tutte
quelle cose in
una sola giornata, non potevo reggere oltre.
Avevo
perso tutti i
miei appoggi.
Era
quello il prezzo
da pagare per essere libera?
Perdere
tutte le
sicurezze in un solo momento, tutte le cose importanti...
Ero
sola, totalmente
sola.
Non avevo più Evelyn, né Billie.
Vagavo
senza meta in
quel viale solitario, come si fa in un sogno.
Ma
il mio era un
sogno spezzato.
La
testa mi girava,
vedevo tutto muoversi in maniera nitida e confusa allo stesso
momento.
Quanto
tempo era
passato?
Dovevo
tornare a
casa.
Sospirai.
Cosa
potevo fare
dopotutto? Non potevo certo rimanere in mezzo alla strada per tutta
la notte, poteva anche essere pericoloso.
Ogni
tanto qualcuno
si muoveva, mi veniva un colpo al cuore.
Avevo
paura.
Mi
lasciai cadere su
una panchina vicina a me, mi rannicchiai su me stessa.
Se
fossi tornata a
casa avrei ammesso la sconfitta, non avrei più potuto
ribellarmi.
Sarebbe stato terribilmente umiliante.
Sentii
gli occhi
farsi umidi, ma che me ne importava? Non mi importava più
niente!
Singhiozzai
forte,
anche di me stessa non mi importava niente! Potevano farmi quello che
volevano, non sarebbe cambiato nulla. Rimanevo sempre e solo un
essere inutile.
Mi
odiavo in quel
momento.
«Lyss?
Sei tu? Cosa
stai facendo qui a quest'ora?» mi chiamò una voce
familiare.
Alzai
gli occhi,
Frank era davanti a me.
Sbattei
le palpebre
umide perplessa.
«Che
ci fai qui?»
gli chiesi con un filo di voce.
«Ehi,
non vale! Te
l'ho chiesto prima io!» obiettò.
Come
avrei potuto
spiegarglielo? Io per prima non capivo il senso di tutto quello che
accadeva.
«Beh...»
abbassai
lo sguardo. «Stavo per tornare a casa... però mi
sono un po'...
ecco...» non riuscivo a continuare, ma lui non mi interrompeva.
«In
realtà non volevo perché s-sono scappata. Ma non
ho un posto dove
andare! Non ho niente più. Oramai non ho più
Evelyn, anche Billie
se n'è andato. S-scusa.» singhiozzai di nuovo, non
riuscivo a
parlare.
Ero
decisamente
patetica.
«È
umiliante...»
mormorai. «Stavo pensando di rimanere qui, anche se
è pericoloso.
Non mi importa niente di quello che mi succederà, qualsiasi
cosa
sia.» conclusi cercando di smettere di singhiozzare come una
stupida.
Frank
non
rispondeva.
Dopo
qualche secondo
trovai il coraggio di alzare lo sguardo, giusto per capire
perché
non parlava.
Immaginavo
che
avrebbe cercato di scherzare, che avrebbe sdrammatizzato, invece...
«Conosco
un posto
dove potresti sistemarti.» disse infine.
Sgranai
gli occhi.
«Cosa?»
«Sì...
Certo, non
è proprio il massimo, ma almeno non dovresti correre
pericoli.» mi
sorrise salvandomi.
«Mi
stai dicendo
che qui c'è una stanza?» chiesi perplessa.
«Sì,
proprio qui.»
disse spingendo una porta del 7-11 che avevo sempre creduto fosse di un vano-magazzino.
Mi
affacciai a
guardare l'interno.
Beh,
una stanza...
dentro c'erano un materasso gettato a terra e una cassa di legno con
sopra una lampada di quelle da due dollari.
«Ma
allora...
perché Billie non si è messo qui quando
è scappato?» chiesi
perplessa.
«Anche
io se avessi
un'alternativa a questo materasso polveroso cercherei di
evitarlo.»
disse come se fosse stata una cosa ovvia.
Entrai
in quella
stanza-sgabuzzino guardandomi intorno perplessa.
Di
sicuro era meglio
che stare su una panchina per la strada, almeno...
Dovevo
solo
ringraziare.
«Beh...
allora
grazie mille.» sorrisi timidamente. «Mi hai salvata
stavolta.»
dissi arrossendo per l'imbarazzante silenzio che era calato.
«Oh,
di niente!
Nessun padroncino può rimanere indifferente se il suo
cagnolino è
in difficoltà!» disse lui come da copione,
però non era rilassato
come al solito, anche il suo tono sembrava un po' teso.
«Ehi!
Sono scappata
di casa, non sono più un cagnolino...» dissi
cercando di non farci
caso.
«Eh
no, magari per
Evelyn, ma sei sempre il mio cagnolino.» disse abbracciandomi
con
naturalezza.
Rimasi
paralizzata,
tesa come una corda di violino.
Non
appena alzai lo
sguardo, in meno di un secondo trovai le sue labbra poggiate sulle
mie.
Sgranai
gli occhi.
Era
odore di alcool
quello che sentivo?
Avrei
voluto fare
qualcosa, ma non ci riuscivo.
Sentivo
il tempo
dilatarsi, il mio cuore rallentare sempre di più o forse
accelerare
talmente tanto da non riuscire ad avvertire tutti i battiti.
Ancora
oggi me ne
chiedo il perché ma, è imbarazzante ammetterlo,
lo lasciai fare.
Dopotutto
l'avevo
detto. Non mi importava nulla di quello che mi sarebbe successo,
avevo solo bisogno che qualcuno mi prendesse e mi rassicurasse.
Perché
non lasciare
che fosse lui a farlo?
Così
chiusi gli
occhi.
______________________________Authoress' words
SBAM!
Nessuno si aspettava che potesse succedere qualcosa
del genere, vero? Certo, a parte le persone a cui l'ho raccontato. xD
Sì, la storia sta prendendo una piega
sempre più strana e... oscura direi. u.u Mi dispiace, gente,
però lo sapete, la vita non è mai tutta rose e
fiori e in un posto come Rodeo ancora meno. Infatti il mio intento fin
dall'inizio era di creare una storia che sembrasse tutta rose e fiori
come quelle delle bimbominkia per poi portarla a essere qualcosa di...
crudo? Non so che parola usare.
Se non vi siete scandalizzate/shockate ci vediamo
la prossima settimana! :D
|
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Capitolo 12 *** Ragazzina ***
27
settembre 1988
Non
ricordo molto di
quella notte.
Ricordo
solo alcune
sensazioni.
Era
tutto così...
così assurdo!
Lo
sai, è
imbarazzante dirlo, ma lo lasciai fare.
Lasciai
che
prendesse possesso di me, del mio corpo e di tutto quello che mi
apparteneva.
Ma
non me ne
importava.
Anzi,
in un certo
senso speravo che qualcuno mi prendesse, mi portasse via da quella
situazione, mi dicesse che non dovevo preoccuparmi.
E
in effetti lo
fece.
Anche
se quello non
era il modo giusto per farlo, ma non importava. Ero disposta a
perdonarlo.
Ascoltai
tutte le
sue parole, lasciai che usasse il mio corpo come preferiva.
Lasciai
che quella
girandola di sensazioni così contraddittorie mi avvolgesse,
la
dolcezza dei baci, la violenza del desiderio.
E
poi il buio, la
stanchezza, il bisogno di riposarmi, un po' di amarezza.
Non
volevo pensarci.
Non
ancora.
1
ottobre 1988
Un
trillo.
…
Un
altro.
Che
fastidio.
Affondai
la testa
nel cuscino cercando di ignorarlo.
Non
ci riuscivo.
Presi
il mio
cellulare e lo nascosi sotto la federa per non sentirlo più.
Sospirai.
Mia
madre mi aveva
chiamata almeno dieci volte solo quella mattina.
Già,
doveva essere
tornata e doveva aver scoperto della mia fuga, ma non ero
intenzionata a tornare a casa.
Stare
al 7-11 non
era poi così male, era piuttosto tranquillo e avevo tutto lo
spazio
che volevo per me.
Non
potevo neanche
dire di sentirmi sola, dopotutto Tré veniva a trovarmi
più o meno
ogni due giorni.
Certo,
le sue
intenzioni erano sempre le stesse, ma alla fine era l'unico appiglio
che avessi.
Sai,
credo sia stato
in quel momento che ho capito che il mito della ragazza forte
è solo
una fantasia.
Non
esiste una
persona capace di vincere tutto e tutti da sola, si ha sempre bisogno
di un qualche appoggio, di un motivo per combattere, almeno ideale.
Mi
ero ribellata
alla mia famiglia, tu mi avevi abbandonata, non potevo continuare
totalmente sola, non sarei sopravvissuta se ci avessi provato.
La
mia unica scelta
era affidarmi proprio a lui, l'unico che almeno, dopo aver appagato i
suoi desideri, era disposto ad ascoltarmi.
E
così feci, non mi
importava del prezzo da pagare.
5
ottobre 1988
Sbadigliai.
Quel
giorno avevo
deciso che sarei tornata a scuola, almeno per non insospettire i
professori della mia assenza, dopotutto ero sempre stata una
studentessa modello fino all'anno prima.
Inoltre,
se la
Harris non mi avesse vista presto avrebbe scaricato la colpa su BJ e
poi avrebbe potuto contattare mia madre. E lei non doveva sapere
dei miei rapporti con lui...
Dovevo
evitarlo e
far credere che, almeno a scuola, tutto andasse bene.
Chiusi
la cartella
con decisione ed uscii.
«Alice?!»
mi
guardò incredulo mio cugino.
«Ciao
Billie.»
sorrisi sinceramente felice di vederlo.
«Che
diamine ci fai
qui?» chiese avvicinandomisi per niente contento.
«Intendo... non è
che non sia contento di vederti, ma è pericoloso farti
vedere qui!
Ho saputo che sei fuggita di casa, se tua sorella ti vedesse potrebbe
avvertire tua madre.»
«Non
credo che
succederà.» gli risposi tranquillamente.
«...
Alice, finora
le ha tentate tutte pur di impedirti di fare quello che
volevi.» mi
ricordò perplesso dalla mia calma.
«No,
non lo farà
di nuovo.» dissi con sicurezza. «Sai, tempo fa io e
lei abbiamo
stretto un patto: finché non finirò in una
situazione di pericolo lei
non interferirà con la mia vita. La conosco abbastanza da
dire che
sicuramente non lo infrangerà.» sorrisi.
Ero
sicura che non
mi sarebbe successo niente.
Mio
cugino mi fissò
un attimo basito, come se stesse valutando se credere alle mie parole
o no, poi si rilassò.
«D'accordo,
se nei
sicura...» sospirò non del tutto convinto.
«Dopotutto la conosci
meglio di me. Ah, a proposito, la Harris crede che tu abbia avuto
l'influenza dalla settimana scorsa.» mi fece l'occhiolino.
Sorrisi.
La
giornata iniziava
nel migliore dei modi.
«Buongiorno!
Bentornata tra noi!» sorrise smagliante Tré appena
mi vide.
Non
potei fare a
meno di arrossire miseramente e abbassare lo sguardo.
Sapeva
già che quel
giorno sarei tornata a scuola, e io sapevo che l'avrei visto, non
aveva senso reagire a quel modo.
«Ti
siedi vicino a
me per una volta? Per favore!» mi chiese con un'espressione
da
bambino capriccioso.
Non
riuscii a non
pensare che lo trovavo tenero.
«Ah...
ehm...
ok...» mormorai a malapena sedendomi immediatamente.
Se
fossi rimasta un
secondo di più in piedi sarei svenuta dall'imbarazzo, ne ero
sicura.
Certo,
stare in
classe accanto a lui non mi aiutava molto in effetti, ma se non
l'avessi accontentato probabilmente avrebbe iniziato a lamentarsi,
forse si sarebbe anche arrabbiato.
E
questo era
assolutamente da evitare.
Iniziai
a tirar
fuori libri e quaderni cercando di stare calma, ma mi sentivo il suo
sguardo addosso, mi sentivo troppo osservata.
«Perché
mi fissi
così?» gli chiesi dopo aver appoggiato il diario
sul banco.
«Non
ho niente da
fare...» mi rispose alzando le spalle.
Senza
senso.
Totalmente
senza
senso.
Non
che fosse una
novità...
«E
poi notavo che
hai delle occhiaie.» aggiunse dopo qualche secondo di
silenzio.
«Cosa?»
«Dormi
troppo poco
la notte, decisamente.» commentò con voce
innocente. Non ne sono
sicura, ma mi era sembrato che nel dire quella frase, un sorrisetto
compiaciuto avesse attraversato il suo volto.
Mi
sentii avvampare.
Avrei
avuto fiumi di
parole da dire, ma sapevo che qualsiasi cosa avrei detto sarebbe
suonata come una giustificazione, sarei sembrata ridicola.
Semplicemente
aprii
il libro di matematica cercando di trovare qualcosa di abbastanza
interessante da non farmi pensare a quella situazione.
… Sospirai, niente da fare! Equazioni e parabole non avevano nessun fascino, non potevo scappare!
Dannazione,
era
troppo imbarazzante!
Insomma,
sì, era
vero, io mi ero concessa già per tre volte, ma non volevo
essere
considerata come una... insomma, come una prostituta!
Certo,
probabilmente
per lui non ero molto di più e mi stava anche bene, a patto
di non
essere trattata a quel modo.
Sì, ok, avrei dovuto
impedire in tempo tutto quello che era successo, però... non
ero
capace di dire di no, in certe situazioni. Quando voleva ottenere
qualcosa sapeva come far tacere il mio cervello.
Non
ragionavo più.
Era
come se ne
sentissi il bisogno anche io stessa!
…
Era
spaventoso.
Avevo
paura di me.
Non
avevo scusanti,
ero solo una stupida.
Eppure
c'era
qualcosa di anomalo, di diverso da prima: improvvisamente avevo iniziato a sentire
il bisogno di stargli vicino, avevo il desiderio di prenderlo per
mano.
Totalmente
irrazionale.
E
senza senso.
Come
tutto, del
resto.
Cosa
mi stava
prendendo?
Non
ero mai stata
così... pensai alla parola “attratta”
per completare la frase,
ma non era il caso.
No,
no. Non potevo
sentirmi attratta da lui.
E
poi perché avrei
dovuto? Fin da subito cercavo di evitarlo, non avevo mai provato alcun
tipo di attrazione, neanche lontanamente.
…
Ma
cosa diamine
stavo pensando?!
Lo
guardai.
Anche
lui mi stava
osservando divertito.
Cavoli.
Dovevo
sembrargli
una schizzata, ero troppo nervosa!
Improvvisamente
tutto il vociare dei miei compagni di classe cessò, il
professore
era entrato.
«Per
fortuna...»
commentai.
8
ottobre 1988
«Vyol...»
pronunciai il suo nome quasi come un lamento in punto di morte.
«Alice,
non fare
quella voce! Sembra che tu stia morendo, mi fai paura!» mi
guardò
lei perplessa. «Sei pallida. Stare qui al 7-11 non ti fa
bene.»
commentò.
Era
venuta a
trovarmi per non farmi sentire troppo sola.
A
scuola era andato
tutto a meraviglia dalla quarta ora in poi.
Avevo
incrociato mia
sorella dopo giorni, ma mi aveva detto solo:
«Io
e te non ci
siamo mai incontrate, ok? Non voglio avvertire nostra madre del fatto
che può trovarti a scuola. Voglio che torni a casa da sola:
ho
capito che costringerti a fare qualcosa sarebbe inutile.
Però cerca
di far presto, ci manchi tanto.»
Sinceramente
non mi
aspettavo una simile dolcezza da parte sua, ma ne ero stata molto
felice. Voleva dire che le cose stavano tornando piano piano al posto
giusto e che non mi portava rancore per il nostro litigio.
Ma
non sarei
tornata, non subito almeno.
«Non
è che hai la
febbre?» Vyol mi mise una mano sulla fronte riportandomi alla
realtà.
«La
febbre? Sì! Se
avessi la febbre si spiegherebbero un po' di cose...»
mormorai.
Lei
storse il naso.
«Mi
spiace, sei
fredda come un cadavere. Si può sapere cosa ti succede? Non
ti ho
mai vista così tanto giù di morale!» mi
guardò sinceramente
preoccupata. «Stai mangiando qui dentro?»
«Ho
il centro
commerciale proprio accanto, certo che mangio!» la rassicurai.
«E
allora? Che
hai? C'è qualcosa che ti preoccupa?» insisté.
Sospirai.
«Non
lo so.»
«Sì
che lo sai!
Però non me lo vuoi dire perché è
qualcosa di imbarazzante. Dai!
Siamo migliori amiche! Qualsiasi cosa sia giuro che non
riderò!»
cercò di rassicurarmi.
Sì,
era vero, lo
sapevo perfettamente.
Quel
pensiero mi
stava martellando da giorni oramai, non ne potevo più.
Era
una cosa
semplice dopotutto, ma era così stupida!
Ma
mi dovevo
liberare di quel peso!
«Beh...
ecco... a
dire la verità... ho f-fatto delle cose un po'... ecco...
s-sconce...»
«Cosa?!
Dici sul
serio?! Non ci posso credere! E con chi?» chiese lei
sorridendo come
se le avessi appena dato un'ottima notizia.
Ma
perché reagiva
così? Era una cosa buona secondo lei?
«Ehm...
C-con
Tré...» mi sentii di svenire dicendo quel nome.
Non
ebbi il coraggio
di alzare lo sguardo.
«Dici
davvero?» mi
chiese con un tono sorprendentemente calmo all'improvviso.
«Alice,
immagino tu lo sappia che lui è... ecco, un
tantinello...»
«Si
fa tutte quelle
che incontra.» l'aiutai a finire la frase.
«Già.
Non ti dà
fastidio?»
«Un
po'... ma già
lo sapevo fin da subito. L'unica cosa che mi darebbe fastidio
sarebbe essere
presa in giro, ma lui non l'ha mai fatto.»
Parlarne
con Vyol mi
stava facendo sentire meglio, mi sentivo già molto
più rilassata.
Era
vero, Tré
correva dietro a chiunque si mostrasse disponibile a concedersi, ma
almeno non aveva
mai fatto finta di provare qualcosa per me, il che era un'ottima
cosa.
«Capisco...
in
parole povere questa cosa continuerà per un po'?»
Annuii.
«Sai,
a dire la
verità ho provato a immaginare di dirgli di no, di dirgli
che non ho
mai voluto questa cosa fino in fondo, però l'idea di
litigarci non
mi piace per niente.» dissi con la massima
sincerità. «Non ho per
niente orgoglio, vero?» risi timidamente.
«Già.
Te ne
servirebbe un po'.» sorrise anche lei. «E sentiamo,
cos'è che ti
piace di lui?» mi chiese tornando alla solita allegria.
«Eh?»
«Andiamo,
Lyss! Da
come ne parli si direbbe proprio che sei cotta di lui!»
Arrossii
violentemente.
«N-no!
Aspetta! Non
giungiamo a conclusioni affrettate!» cercai di bloccarla.
«Certo,
allora
perché non vuoi dirgli di no, scusa? Anche se glielo
dicessi, come
amico non lo perderesti. È evidente che da lui vuoi qualcosa
di
più.» sorrise sicura di avermi incastrata.
La
guardai senza
parole.
Cosa
avrei potuto
dire?
La
sola idea di
innamorarmi in generale mi dava fastidio, l'idea di innamorarmi di
Tré era ancora peggio.
E
poi perché avrei
dovuto iniziare a provare attrazione verso di lui di punto in bianco?
Non
aveva senso!
«Hehe!
Arrenditi!
Non c'è niente di male, no?» sembrava addirittura
contenta di
quello che stava dicendo.
…
«Beh...
è presto
per dirlo! Non lo so cosa sta succedendo, ma qualsiasi cosa sia mi
sta solo confondendo le idee. Mi sembra di non capire più
niente di
tutto quello che succede! Anche oggi, a scuola, stavo per svenire!
Devo smetterla di pensare a questa cosa!» iniziai a delirare.
«Dici?
Ma così
scapperai dai tuoi problemi! Devi pensarci invece!» rise lei.
«No,
farlo mi
confonde solo le idee!»
Iniziai
a sentirmi
veramente imbarazzata, probabilmente il mio viso aveva già raggiunto il color pomodoro maturo.
Vyol
riuscì a
smettere di ridere.
«Ok,
cerchiamo di
tornare serie. Tu ti sei fatta Tré... e poi?
È cambiato almeno
qualcosa ora tra di voi, no?»
«Mi
sembra ovvio.»
risposi senza capire con precisione dove volesse andare a parare.
Vyol
sospirò.
«Non
posso leggerti
nella mente, però se ti fossi davvero presa una cotta per
lui non
dovresti vergognartene.»
Aveva
cambiato
strategia.
«A
istinto, cosa
pensi di lui?»
Cosa
pensavo...?
Che
era il mio
padroncino...
No,
questo no! Stavo
delirando davvero se la prima cosa che mi veniva in mente era quella!
Beh...
«Che
è un
batterista...?»
«Non
intendevo cose
ovvie! Questo lo penso anche io, scema!» rise Vyol.
Ma
facevo così
tanta pena?
Chiusi
gli occhi, a
volte quando lo facevo riuscivo a entrare in quella dimensione del
dormiveglia in cui non si fa troppo caso a quello che si dice. Volevo
che fosse una parte di me più profonda a parlare, che non si
imbarazzasse di sé stessa, senza quella stupida inibizione.
Sospirai.
Iniziai
a calmarmi.
Vyol
rimaneva in
silenzio.
«Penso
di essere in
qualche modo attratta da lui.» dissi senza preavviso, senza
pensare.
…
“Essere attratta”,
come suonavano ridicole quelle parole a pensarci.
Sembrava
che non
fosse vero niente, come se potessi svegliarmi da un momento all'altro
e scoprire che non era successo nulla.
Sarebbe
stato
davvero bello, avrei avuto un'altra possibilità su tutto,
oppure
scoprire che in realtà non avevo nessun cugino fuggito di
casa e che non l'avevo mai incontrato prima.
Avrei
potuto
scoprire che non avevo mai litigato con mia sorella e che non era mai
cambiato niente.
Avrei
potuto
scoprire che non era mai esistita quella ridicola storiella del
cagnolino e che anche i Green Day erano solo un frutto della mia
mente.
Avrei
potuto
scoprire che non era cambiato nulla nella mia vita e che, aperti gli
occhi, mi sarei trovata ancora al primo settembre, senza neanche
ricordare con precisione di quel lungo sogno.
… E invece era
tutto meravigliosamente vero, quello che stavo vivendo, dal primo
all'ultimo istante.
Era
un bel problema.
____________________Authoress' words
Non solo mi assento per due settimane, ma per di
più pubblico anche un capitolo dove non succede niente!
Autorizzo esplicitamente effe_95 e Ga_chan a
picchiarmi. Solo loro perché mi conoscono di persona e dopo
un po' avrebbero pietà di me. u.u
Che dire... sto piangendo come una demente
perché ho letto un volumetto di un manga altamente
drammatico in cui il mio personaggio preferito fa una bruttissima fine!
ç_ç Ci starò male per tutto il giorno
anche se già lo sapevooooooo!
...
Vado a deprimermi. :'(
|
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Capitolo 13 *** Prendi il giorno ***
10
ottobre 1988
«Allora?
Come vanno
le cose?»
«Puoi
immaginarlo...» mormorai lievemente a disagio.
«Sei
tu che mi hai
chiamato, immagino per parlarne...» obiettò Mike
dall'alto lato del
tavolo.
Mi
sembrava di aver
già vissuto quella situazione.
Sospirai.
In
realtà volevo
distrarmi, non confondermi le idee ulteriormente pensandoci.
«A
te invece come
vanno le cose?» chiesi cercando di cambiare argomento.
«Come
al solito.»
«Ah
sì? E la
ragazza misteriosa di cui mi hai parlato?» chiesi tentando
disperatamente di farlo parlare al posto mio.
Mike
sospirò.
«Come
al solito
anche quello.» sorrise amaramente. «Di solito non
sei così
curiosa.»
Beh, sì, ma dovevo trovare qualcosa su cui concentrarmi... anche se lui sembrava non capirlo. No, Mike puntava proprio a farmi parlare invece.
Quello che dovevo e volevo evitare, appunto.
«È
normale essere
curiosi per una cosa del genere, specie quando non nomini mai il suo
nome di proposito. Mi fai pensare di conoscere questa
persona.» dissi
con leggerezza.
«Infatti
è così.»
ridacchiò imbarazzato Mike.
Sgranai
gli occhi.
Questa poi! Non l'avrei mai immaginato!
«Davvero?
Sei
serio? Ora mi preoccupo...» iniziai a cercare di identificare
la
ragazza misteriosa tra tutte quelle che conoscevo.
Non voleva dirmi il suo nome... non poteva essere!
«Sì,
ma non ti
preoccupare, non sei tu.» rise Mike forse per la mia
espressione
terrorizzata all'idea.
Eh già, l'avevo sospettato, ma ringraziando al cielo potevo star tranquilla.
Non
che Mike avesse
qualcosa che non andava, ma già stavo avendo troppi problemi
in quel
momento.
Già
avevo una
persona che mi stava causando un bel po' di preoccupazioni.
Una
parte del mio
cervello tentò di far venire fuori quel nome.
La
soppressi
all'istante.
«Sarebbe
impossibile, ti vedo più come una sorella oramai.»
sorrise
rassicurante il bassista.
«Ah,
bene...» mi
tranquillizzai. «Sono parente di tutta la band
oramai.» risi.
«Parente
di tutta
la band?»
«Eh
sì! Sono
cugina di Billie, sorella tua e...» mi bloccai.
«Più
che parente,
direi che potresti ufficialmente considerarti l'amante di
Tré.»
disse Mike con non-chalance, come se quella frase fosse stata perfettamente
normale, come se fosse stato ovvio che lui lo sapesse.
Perché?!
Quel
neurone che
avevo soppresso era tornato in vita, evidentemente.
«C-che
ne sai tu di
questo?!» chiesi diventando color pomodoro.
Mike
scrollò le
spalle.
«Diciamo
che ho
qualche fonte.»
Fonti?
...
Le
uniche due
persone che ne erano a conoscenza erano Vyol e Tré stesso.
Era
stato lui? Ma aveva detto di non averne parlato a nessuno...
…
Dovevo
dubitare di
Vyol?
«Mettiamola
così:
sono più il suo cagnolino che altro.»
«L'ultima
volta che
siamo venuti in questo bar hai affermato il contrario.»
osservò
Mike.
Era
vero.
Questo
mi faceva
sentire ogni secondo sempre più stupida.
Avevo parlato tanto e non avevo risolto nulla.
Anzi, avevo anche peggiorato le cose.
Brava, Alice, ottimo lavoro.
«Hai
ragione, ma a
quanto pare la vita contando solo su me stessa non fa per me. Finisce
sempre che mi affido a qualcuno e finisce sempre che questo qualcuno
se ne approfitti.» dissi abbassando lo sguardo perso.
«Sto iniziando ad
odiarmi. Davvero tanto.»
Hai
presente quei
momenti in cui ti sembra di essere in una situazione talmente
complicata che l'unica soluzione sarebbe sparire da tutti quelli
che conosci e ricominciare da capo da un'altra parte?
In
quel momento mi
sentivo così.
… E immagino che
in questo momento ti senta allo stesso modo anche tu, non è
vero?
«Lyyyyss!
Buongiorno!» sorrise radioso Tré entrando nel bar.
Al suono della sua voce sentii il mio cuore fermarsi, i miei muscoli irrigidirsi, i miei occhi sgranarsi.
«Che
ci fa lui
qui?» chiesi sussurrando a Mike con la voce più acuta di un'ottava.
Anche lui mi fissò totalmente disorientato.
«Non
ne ho idea.»
mi rispose perplesso quanto me.
Tré
si avvicinò al
nostro tavolo sedendosi accanto a me frettolosamente.
«Ho
chiesto a
Billie dov'era Mike e sono venuto a cercarti sperando che fossi con
lui... cos'è quella faccia da cadavere?» mi chiese
con un sorriso
affannato.
«Niente...
sono
solo perplessa. Perché mi cercavi?» risposi cercando
di mantenere la calma.
«Beh...
Mike, tu
già sai.» si rivolse fugacemente al bassista.
Ah,
ecco. Era stato
proprio Tré a parlarne con Mike invece.
«Senti,
Lyss...
anche tu, Mike... Dovete stare attenti: BJ non deve sapere niente,
ok? Mai niente.» disse con un'aria lievemente preoccupata
fissandomi
dritta negli occhi.
«Ehm...
perché?»
«Perché...
senti.
Io e lui stavamo parlando prima che venissi qui e... io ho provato,
così, per curiosità, a chiedergli come avrebbe
reagito se tu avessi
iniziato a vederti con qualcuno e mi ha detto che gli avrebbe
spaccato la faccia. Quello mi ammazza, vero Mike?» si rivolse
al
bassista.
«Già.
Dovresti
stare attento. Billie è di parola su queste cose.»
commentò Mike
rigirando il suo caffè tranquillamente.
Fissai
perplessa
entrambi.
Come faceva a mantenere quella calma? Io mi sentivo di morire!
… Anzi, quella situazione iniziava ad essere quasi fastidiosa.
«Mi
sembra ovvio.»
sospirai apatica.
«Io
non ho parlato
finora e non lo farò.» Mike rassicurò
il batterista.
Tré sospirò di sollievo, ma non ebbe neanche il tempo di calmarsi.
Scampanellio,
folata
di vento, la voce di mio cugino.
«Parlare
di cosa?»
chiese BJ entrando nel bar.
Ma
perché stavano
venendo tutti lì?
«Ciao Billie, sei molto in anticipo!» lo saltò Mike perplesso. «Comunque di nulla di importante...
della
tipa che si sta facendo Tré ultimamente.» disse
il bassista troppa
sincerità, senza neanche pensare.
Lo
fissai con occhi
sgranati.
Aveva
intenzione di
dirglielo?!
«Ah,
non mi
interessa.» disse Billie facendo tirare a me e Tré
un sospiro di
sollievo all'unisono. «Ciao Lyss! Tutto bene al
7-11?» mi chiese
cordialmente.
«Sì...
come mai
qui?» chiesi sperando che il pavimento potesse avere una
botola per
inghiottirmi.
«Sono
venuto per
andare alle prove con Mike, non sapevo ci foste anche tu e
Tré.»
rispose tranquillamente. «Comunque va tutto bene?»
mi chiese di
nuovo.
«Ti
ho già detto
di sì...» ripetei perplessa.
Billie
non era il
tipo che ripeteva due volte la stessa cosa.
«Bene.
Non so
perché mi era venuto il sospetto che qualcuno ti stesse
ronzando
attorno. Se dovesse succedere ci penso io e gli spacco la
faccia.»
disse con un'aria leggermente imbronciata rivolto al caffè
di Mike.
Ok.
Se
iniziava a
parlare col caffè forse Tré aveva ragione a
preoccuparsi.
Diamine, non doveva scoprirlo, per nulla al mondo.
11
ottobre 1988
Passavo
le giornate
a pensare a quanto fosse tutto sbagliato, ma alla fine non riuscivo
a smettere di agire a quel modo.
All'inizio
non
capivo perché, poi mi rendevo conto che il semplice stare
abbracciata a lui a quel modo mi faceva stare meglio per tutto.
Era
piuttosto
divertente il modo in cui stavo diventando una ragazzina sdolcinata.
Non era da me, ma evidentemente c'erano anche altri aspetti del mio
carattere che neanche io conoscevo.
In
un certo senso
non era cattiva tutta quella situazione.
Insomma,
sì, era
una cosa clandestina, sbagliata, ma mi bastava che quel neurone
dannato si svegliasse per farmi vedere tutto al contrario.
La
situazione non
era più immorale, era solo elettrizzante.
Era
naturale.
Forse
era stato
proprio lui a convincermi di quelle cose?
Poi
uscivo, lo
vedevo con altre ragazze.
Sentivo
un vuoto,
una rabbia.
Gelosia,
gelosia che
non avevo mai provato per niente e per nessuno, eccola che nasceva e si
diffondeva ovunque nel mio corpo.
Esattamente
come in
quel momento.
Tré
sorrideva a una
ragazza dai capelli rossi e ricci, molto più bella di me.
Lei
si muoveva in
maniera sinuosa e provocante, cosa che lui gradiva molto.
«Alice?
Tutto
bene?» mi chiese Vyol notando il mio sguardo.
«...
Sì.»
Forse
io e Vyol non
saremmo dovute uscire con la band...
«Non
mentire!
Dovresti dirgliene quattro a quello stronzo!»
cercò di
incoraggiarmi lei.
«E
cosa dovrei
dirgli?» risi amaramente. «Non sono la sua ragazza,
ha il diritto
di comportarsi così con chi vuole. Alla fine la colpa
è mia, che
non gli ho mai detto di no. Quindi non ho motivo per arrabbiarmi.»
Vyol
sospirò.
«Non
credevo fosse
così rigida la situazione.»
«E
invece lo è.»
«Dovresti
smetterla
di concederglielo allora. Dovresti dirgli che non lo vuoi vedere
più
in quel modo.» cercò di immedesimarsi in me.
«Sai
una cosa
buffa?» iniziai a ridere, quasi istericamente. «Non
voglio! Voglio
che tutto resti così, ora come ora. Mi sta bene. Mi sta
stranamente
bene. Non mi importa. Voglio solo che qualcuno mi ascolti ogni tanto
e lui lo fa.»
«Nessun
altro lo
fa?» mi chiese leggermente offesa forse.
«Certo,
ma... non
lo so. Ha qualcosa che nessun altro ha e non capisco cosa
sia.»
mormorai rattristata.
«Lo
so io cosa.
Semplicemente ha il fatto di essere lui. Tu ti sei
innamorata.»
disse Vyol abbracciandomi. «E non hai idea di quanto sia
brutta
questa cosa. Credo che anche per me, innamorarmi sia stata la cosa
peggiore che mi sia mai capitata.» disse con amarezza.
«Stiamo
vivendo la stessa situazione, anche io ho bisogno di parlare.
Aiutami.» disse debolmente.
Stava
piangendo?
Nonostante
tutto non
riuscivo a pensarla come lei. Io stavo bene, davvero.
Stavo
bene...
__________________________________________________Authoress'
words
Da quant'è che non mi faccio vedere? E
per di più torno con un capitolo brevissimo per i miei gusti.
Vi chiedo scusa, a tutti. Ho avuto una
quantità di problemi veramente enorme tra nonne in ospedale
che dovevo andare a trovare la domenica, professoresse di Greco che
mettono due senza alcun motivo (seriamente, mi ha messo due un giorno
in cui non sono stata interrogata né mi ha fatto domande e
l'ho anche scoperto solo per caso), band che vanno a scatafascio,
paura, panico, crisi adolescenziali... Però mi sento rinata.
Dichiario: io, Arianna M (non diciamo il cognome. xD) oggi rinasco.
Oggi non sono più il cagnolino di nessuno, non sono spaurita
e non ho bisogno di sottomettermi agli altri per vivere!
MAI PIU'!
Scusate lo sfogo personale, ma ne avevo bisogno. xD
Se mi venisse in mente di sparire di nuovo
sgridatemi su Ask: http://ask.fm/BluePastels
P.S. Una specie di Bedroom
Concert al mio compleanno è stato realizzato! :D
|
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Capitolo 14 *** Ragazzina, tu, sporca bugiarda! ***
11
ottobre 1988
«Va
meglio ora?»
chiesi osservando Vyol preoccupata.
«Sì,
grazie.
Sembro un'idiota in questo momento, eh?» chiese lei
asciugandosi gli
occhi con un fazzoletto.
Le
sorrisi.
«No.
Sembri solo
vera. Non puoi essere sempre forte, no?»
Mi
fissò perplessa,
mi abbracciò dopo poco.
«Lyss!
Sei davvero
la mia migliore amica! Davvero pensi che possa andar bene anche se
sono così debole?»
«Sarà
che sono
come te, ma a me non dà fastidio. Anzi, mi piaci di
più così.»
sorrisi spontaneamente.
La
ragazza forte non
esiste e Vyol ne era la conferma.
Eravamo
uscite da
quello sporco e rumoroso pub senza dire niente a nessuno. Ne avevamo
bisogno.
«Ehi,
Lyss... ti
posso chiedere una cosa?» parlò Vyol alzandosi da
quel muretto dove
era seduta, ricompostasi un po'.
«Dimmi.»
«Se
tu fossi
totalmente cotta di qualcuno e sapessi che questo qualcuno non prova
niente per te a parte l'amicizia... cosa faresti?»
Mi
venne da ridere.
Somigliava a quello che stava succedendo a me.
«Niente,
credo.»
scrollai le spalle. «Penso che sia piuttosto umiliante
combattere
per una partita persa. Preferisco ignorare la battaglia
finché non
finisce da sola.»
«Così
perdi di
proposito.» obiettò perplessa dalla mia risposta.
«Ma
la battaglia è
già persa, no? Quindi è inutile anche combattere.
A meno che non ne
valga davvero la pena, ma a cosa serve farsi male per qualcosa che
non esiste?» dissi spontaneamente.
Vyol
annuì.
«Ho
capito. In
parole povere non gli diresti niente.» disse guardando un
punto
indefinito. «È più o meno quello che
sto facendo da due anni.»
confessò.
Non
sapevo se
chiederle chi fosse la persona di cui parlava o no.
Avevo
paura di
sembrare una ficcanaso, ma i suoi occhi continuavano a fissarmi
aspettando qualcosa da me.
Ne
aveva bisogno.
«Chi
è?» chiesi
allora.
«Non
so se posso
dirtelo...» guardò in basso.
Eh già, a volte le persone sono così: vogliono solo lasciarsi dagli altri a fare qualcosa, in modo da non sentirsi responsabili delle scelte prese.
Sarebbe
tutto più
semplice, no?
Basterebbe
dire che
è stato qualcun altro a obbligarmi, così non
avrò nessuna
responsabilità anche se ho commesso uno sbaglio.
E
se invece è stata
la scelta giusta posso prendermene il merito.
Niente
di più
facile.
«Dai,
puoi dirmi
tutto! Pochi minuti fa hai detto che sono la tua migliore amica,
no?»
insistei.
«E
va bene...»
sospirò lei convincendosi subito. «Mi piace un sacco Billie.»
disse troppo velocemente.
«Ecco, l'ho detto.» arrossì.
«Ma mi sento ridicola. Lui pensa
solo alla musica, alla sua Blue e io sono l'ultimo dei suoi
pensieri.»
Billie?
Questa
poi...
«Ascolta,
con lui
non è una battaglia persa.» tentai di tirarla su.
«Dici?»
mi guardò
scettica.
«Una
battaglia è
persa quando sai che già gli piace un'altra, ma non
è questo il
caso.» cercai di rassicurarla.
Silenzio.
Vyol
mi fissò negli
occhi qualche secondo prima di abbassare di nuovo lo sguardo.
La sua espressione indecifrabile, i suoi occhi profondi e forti.
«...
D'accordo,
forse hai ragione. Arriverà il giorno che avrò il
coraggio di
dichiararmi e in quel momento lo farò.» mi sorrise. «Che ne dici? Magari lo farò quando la band otterrà qualcosa di importante, come se fosse una scommessa.»
«Sì,
ma non
aspettare troppo, o ti scapperà.» le sorrisi di
rimando.
Sembravamo
le due
protagoniste di uno di quei telefilm che trasmettevano nel primo
pomeriggio sulle reti nazionali.
Stupide,
perse in
questioni romantiche di poco conto e anche un po' frivole.
Ma
in un certo senso
era bello, era bello avere un'amica con cui condividere anche dei
momenti un po' senza senso senza doversi sentire in imbarazzo.
Certo,
non ero
troppo tagliata per quel genere di cose, ma potevo sempre imparare.
Dopotutto
mi ero
innamorata, no?
Lo
dovevo solo
ammettere a me stessa, poi sarebbe stato tutto più semplice.
Mi
ero innamorata.
Mi
ero innamorata.
Mi
ero innamorata.
Mi
stavo fissando
quel semplice concetto in testa, non era così difficile e
poi non
c'era niente di male, no?
Anzi,
era meglio
così. Fare quelle cose senza amore sarebbe stato decisamente
peggio.
E
non da me,
soprattutto.
Eh
già, ma chi ero
io dopotutto?
Non
mi riconoscevo
più, ma non importava.
Forse
pensavo
semplicemente troppo e mi riempivo la testa di stupidi pensieri su di
me che non avevano neanche fondamento.
Io
ero Alice
Armstrong e cambiavo ogni giorno.
Potevo
essere stata
una studentessa modello, ma poi avevo preso una F.
Ero
stata rinchiusa
dentro casa attaccata a mia sorella per tanto tempo, ma poi ero
scappata.
Ero
stata una
ragazza razionale e molto attenta, ma poi avevo ceduto troppo
facilmente di fronte a un ragazzo che aveva evidentemente bevuto.
Eppure
nessuno aveva
mai pensato di chiamarmi con un nome diverso per tutte queste cose.
Mi
venne da ridere
di nuovo.
Io
ero io, era
l'unica cosa che non poteva cambiare in me.
E
questo mi faceva
sentire incredibilmente serena.
«Ehi,
Lyss, che
fine avevi fatto stasera? Tu e Vyol siete sparite
all'improvviso...»
chiese Tré mentre gli aprivo la porta del 7-11.
«Vyol
non si
sentiva tanto bene...» non ebbi il tempo di concludere la
frase che
già fui catturata da un bacio improvviso.
Tutta la tensione accumulata poco prima sparì in una frazione di secondo.
Chiusi gli occhi, senza pensare.
Mi
sentivo bene, non
c'era niente da fare.
«E
tu come stai?»
mi chiese con dolcezza.
«Benissimo,
grazie.» gli sorrisi mentre lo lasciavo entrare.
Era
davvero strano
che fosse lì quella sera, davvero non me lo aspettavo.
Forse
l'altra tipa
l'aveva lasciato senza niente di fatto?
Beh,
non importava.
Certo,
non riuscivo
a togliermela dalla testa, ma Tré era lì e non mi
stava prendendo
in giro, non potevo dirgli nulla.
Mi
baciò di nuovo
con una dolcezza un po' violenta, mentre con le mani mi accarezzava
sotto la maglia.
Mi
strinsi a lui, mi
spinse contro il muro mordicchiandomi il collo.
«...
Ti amo...»
sussurrò vicino al mio orecchio.
Inizialmente
non
capii, pochi secondi dopo un neurone in me realizzò il
significato
di quelle parole.
E
non mi piaceva,
neanche un po'.
«...
Come?» gli
chiesi cercando di riacquistare la lucidità.
«Ho
detto che ti
amo.» ripeté come se avesse detto la cosa
più ovvia del mondo.
Era
consapevole di
quello che aveva detto.
Sentii
la mia testa
andare in confusione.
Non
potevo crederci.
Ma
volevo farlo.
Non
dovevo!
Non so da dove provenne quella forza, non volevo farlo, ma le mie braccia lo spinsero improvvisamente con violenza, allontanandolo da me.
«Tré,
ti rendi
conto di quello che stai dicendo?» lo fissai perplessa.
«Perché?»
mi
guardò senza sapere come reagire.
«Stai
dicendo che
mi ami... e non è vero!» lo guardai piuttosto
innervosita.
«Perché?»
mi
chiese sempre più confuso. «Non potrebbe essere
vero?» chiese.
Sentii
il sangue
salirmi alla testa.
No, era troppo.
Era arrivato il momento della presa in giro, ma io non volevo lasciarmi sottomettere così!
«Non
puoi dirmi una
cosa del genere quando poche ore prima stavi cercando di portarti a
letto la rossa del pub!» iniziai a scaldarmi un po' troppo.
Lui
mi guardò
leggermente smarrito, evidentemente anche lui aveva bisogno di
riprendere lucidità.
Forse
aveva bevuto
di nuovo?
«Aspetta,
non ho
fatto niente di male! Insomma, tu non ti sei mai lamentata,
no?»
iniziò a difendersi.
Certo.
Era
un suo diritto
comportarsi così.
Ma
ero davvero
disposta ad accettare così quella situazione?
No,
era evidente.
Quella sera ero stata male, male per lui. E gelosa.
No,
non volevo!
«Ma
mi prendi in
giro se dici una cosa del genere! Io accetto tutto, tutto, davvero!
Ma non che tu mi prenda in giro così! Per il resto puoi
farti chi
vuoi!» sentivo il battito cardiaco accelerare sempre di
più, la
testa confusa. Mi sembrava di essere in un sogno, non nella
realtà.
«Ok,
scusa! Scusa!
Non dirò più niente!» disse lui
piuttosto spazientito.
Ecco,
fantastico.
Nella
sua testa ero
esattamente uguale a tutte le altre.
Chissà
quante volte
aveva detto loro di “amarle”...
«Adesso
possiamo
riprendere?» mi chiese innervosito dalla mia reazione.
«...
No!»
Non
volevo essere
una semplice sgualdrina per lui!
Ma
come avevo potuto
diventarlo, che mi aveva preso?
Ero
cambiata, di
nuovo, in quel momento. Non ero più disposta ad accettare
tutta
quella situazione.
«Perché?
Che altro
c'è, Lyss? Ti ho detto che mi dispiace, non volevo farti
arrabbiare.» cercò di addolcirmi con
quell'espressione da bimbo che
aveva.
«Perché
tu mi
consideri alla pari di quella rossa di stasera! E io non
voglio!»
abbassai lo sguardo.
Ero
arrabbiata, con
la situazione.
«Così?
Di punto in
bianco?» mi chiese senza sapere come reagire.
Stetti
in silenzio
troppo tempo, forse un minuto intero in cui osservavo i miei stessi
occhi riempirsi di lacrime.
Sì,
era vero, non
avevo mai reagito, quindi dal suo punto di vista sembrava che fossi
impazzita all'improvviso.
Ma
che stavo
combinando?
«Sai
qual è il
problema?» gli chiesi guardandolo con le lacrime agli occhi.
«Cosa?»
mi chiese
preoccupato vedendomi in quello stato.
Volevo
che tutta
quella storia finisse.
Volevo
tornare a
casa mia!
«...
C-che mi sono
innamorata di te!» dissi con tutto il coraggio che avevo.
«...
Cosa?» lo
vidi vacillare.
Mi
sentivo male,
avevo la nausea.
Ero
troppo nervosa,
forse.
Sentivo
freddo, mi
faceva male la testa.
«Mi
sono innamorata
di te...»
12
ottobre 1988
«Non
ne ho
bisogno.» mormorai con poca convinzione.
«Forse
tu no, ma io
sì.» rispose Billie caparbio.
«Ti
ho già detto
tutto quello che dovevo dire.» insistei.
«E
io ti ho già
detto che secondo me mi nascondi qualcos'altro.»
…
Era
la persona più
testarda della terra, non c'era niente da fare.
Sospirai.
«Non
c'è un
motivo. Mi mancava casa mia.» mentii spudoratamente.
«Non
è vero. Se ti
mancasse casa non ci sarebbe bisogno di disperarsi a quel modo, ti
basterebbe tornare e basta. Ti ho trovata al 7-11 che piangevi come
una fontana, un po' troppo per essere solo nostalgia.»
obiettò
aprendo la porta di casa sua.
Era
la prima volta
che vedevo il posto dove viveva, il posto da cui era scappato.
Certo,
non si poteva
dire che fosse elegante, ma non era così male.
Appena
aprì la
porta potei vedere un piccolo soggiorno arredato con mobili scuri.
Una ragazza dai capelli nerissimi, mia cugina Anna, stava leggendo
sul divano.
«Dove
sono tutti?»
chiese mio cugino entrando.
Lei
alzò gli occhi
dal libro.
«David
è al
lavoro, Allen è in camera sua e Holly e Marcy sono fuori con
degli
amici.» rispose meccanicamente.
Mi
squadrò qualche
secondo, forse per identificarmi.
«Ehi,
ma tu sei
Alice?» chiese poi alzandosi e venendomi incontro.
«Ciao,
Anna.»
salutai semplicemente.
«È
da una vita che
non ci si vede!» sorrise mia cugina radiosa.
«Già.
Scusa, ma
adesso dobbiamo andare.» tagliò corto Billie.
Anna
alzò gli occhi
al cielo.
«Lascialo
perdere, quello
è tutto matto.» mi sussurrò sorridendo
e salutandomi con la mano.
Aveva
un volto molto
solare, non potei fare a meno di sorriderle a mia volta prima di
seguire Billie verso camera sua e di qualcun altro dei suoi
fratelli.
Appena
fummo dentro
si lasciò cadere disordinatamente su uno dei due letti, io mi sedetti su
quello accanto.
Non
parlava, si
limitava a fissarmi in attesa che dicessi qualcosa.
Ripensai
alle sue
parole il giorno prima, a come aveva minacciato chiunque mi si fosse
avvicinato.
Però
volevo dire la
verità. Dopotutto in un certo senso ero costretta e mentire
avrebbe
solo peggiorato la situazione.
Diamine, era così difficile trovare la forza di interrompere quel meraviglioso silenzio...
Presi
aria, come se
avessi dovuto compiere un grande sforzo.
«In
realtà avevi
ragione.» iniziai.
«Su
cosa?» improvvisamente si mise a sedere attento a ogni mia parola.
«Sospettavi
che
qualcuno mi stesse creando problemi, no?»
Vidi
un lampo fugace
nei suoi occhi verdi, l'espressione indecifrabile.
Rimanemmo ancora un po' in silenzio, non riuscivo a sostenere il suo sguardo.
«Chi?» chiese dopo pochi secondi che mi sembrarono ore.
«...
Tré.» dissi con un filo di voce.
Lo
vidi sgranare gli
occhi, osservarmi immobile per qualche attimo.
Non
mi doveva
fissare a quel modo... La situazione era già piuttosto
imbarazzante
di suo, così mi sentivo solo peggio.
«Che
cosa?» era
incredulo.
«Mi
sentivo sola,
ero scappata di casa, tu te n'eri andato e c'era solo lui. Credo
avesse bevuto.» spiegai, tentando disperatamente di giustificarmi.
«Cosa
è successo?» chiese, il suo tono di voce quasi spaventato da quello che avrei potuto rispondere.
«Ho
perso la mia
verginità.» non so come riuscii a dirlo con tanta
naturalezza.
Silenzio.
Tempo
incessante.
Voglia
di morire
soffocata, in modo da non dare più problemi a nessuno.
Paura
solo di
guardarlo in faccia.
«...
Mi avevi detto
che andava tutto bene o sbaglio?» mi chiese all'improvviso.
Alzai
gli occhi, il
suo tono era stato troppo secco, pericoloso.
«Sì...»
ammisi.
«E
ora mi stai
dicendo che invece stavi male. O forse ti sei semplicemente divertita
a fare la ribelle finché potevi?» mi chiese
sarcastico.
Lo
fissai perplessa.
«Che
intendi dire?»
«Intendo
dire che
se solo avessi voluto, avresti potuto impedire questa cosa fin
dall'inizio. Ma non lo hai fatto e ora mi stai confidando che avevi
iniziato a pentirtene prima ancora di iniziare. Complimenti.» la
sua
voce era piuttosto alterata.
«...
Forse sono
troppo debole.» abbassai lo sguardo, mi stavo sentendo male.
«È
facile usare
questa scusa. Sai chi è debole? Chi non è in
grado di ragionare,
chi non è in grado di pensare alle conseguenze di quello che
sta per
fare. Ecco, quello è debole. Ma tu non sei così e
non cercare di
raccontarmi che non ci hai pensato. È stata una tua scelta
quella di
stare a questo gioco.»
«Mi
stai accusando
di tutto?» lo fissai sempre più messa all'angolo.
Sentii una fitta allo stomaco, iniziò a girarmi la testa.
«Ti
sto dicendo che
sei una sporca bugiarda, cazzo! Mi hai mentito a questo modo e ora mi
stai dicendo che in questi giorni sei diventata il giocattolino
perverso di Tré... solo perché ti sentivi sola!
Se le cose stanno
davvero così... hai ragione. Non c'è niente da
fare, sei debole e
rimarrai sempre il suo cagnolino, rassegnati.» disse duro e
freddo
come il ghiaccio.
Sentii lo stomaco
contorcersi, una stretta decisa che mi fece sobbalzare.
D-dovevo vomitare, dannazione!
Mi
alzai
all'improvviso, corsi più veloce che potevo nel bagno più vicino chinandomi sul
water.
Non
uscì niente, ma
rimasi comunque lì ansimante, con lo stomaco che continuava in quella stretta.
Era
tutta colpa del
nervosismo, ma non volevo tornare nell'altra stanza.
Dannazione, ma che stavo facendo?
Ero un'idiota, solo una stupida, debole ragazzina!
Non sarei mai diventata una persona forte, non era per me.
Le parole di Billie erano state dure, fredde, come una lama che mi si conficcava lentamente nella ferita già aperta da qualcun altro.
Aveva
ragione, su tutto, ma non riuscivo ad affrontarlo.
Lui
era forte, io
no.
Io
dovevo solo stare
al mio posto, chiusa in casa, vicino a mia sorella.
Era
l'unico modo che
avevo per stare al sicuro.
Passarono
i minuti,
sentii un rumore sordo sul muro adiacente al bagno, poi dei passi.
«Alice?
Posso
entrare?» chiese Billie spingendo la porta.
«...
Sì...»
mormorai piano.
Spinse delicatamente la maniglia ed entrò con uno sguardo diverso rispetto a quello di poco prima, sembrava più calmo.
«Ho
esagerato e mi
dispiace.» furono le prime parole che sentii.
«No,
hai ragione. È
tutto vero quello che dici.» dissi senza riuscire a guardarlo
negli
occhi.
«Aspetta,
fammi
finire. Ho esagerato, ma in realtà c'è un motivo
se mi sono
incazzato tanto. E, avevi ragione, anche per il fatto che nell'ultimo periodo ti ho
evitata.»
Cosa?
Alzai
lo sguardo
perplessa, non riuscivo a credere alle mie orecchie.
Perché?
__________________________________Authoress' words
COMICON!
Ieri sono stata al Comicon e mi sono divertita un
sacco! *w* C'era un sacco di roba figa in vendita e c'erano soprattutto
tantissimi cosplayer! Io amo i cosplayer! Ho fatto un sacco di foto! E
ho comprato un sacco di roba! *W*
Ok, ora mi calmo.
Volevo ringraziarvi tutti, perché grazie
al link di Ask che cho messo nell'ultimo capitolo, ho scoperto che
siete in tantissimi a leggere questa storia, anche se non recensite.
Grazie, grazie, grazie!
Ora vi faccio vedere una tazza troppo figa che ho
comprato ieri:
Non è fighissima? :D
Ora vi saluto, ci vediamo al prossimo capitolo!
YOOOOO!
|
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Capitolo 15 *** Rabbia e amore (Billie Joe's special chapter) ***
12
ottobre 1988
E
poi mi guardava in
quella posizione pietosa, chinata sul cesso di casa.
Probabilmente
era
anche colpa mia se in quel momento stava così male, forse
avrei
dovuto controllarmi.
E
invece no.
Mi
sono incazzato,
ma come biasimarmi?
Tutto
avrei potuto
immaginare, ma non che si fosse lasciata usare da Tré a quel
modo.
Ma
una parte di me
continuava a sentirsi responsabile, perché avevo preso le
distanze
da lei, avevo fatto in modo che fosse sola.
Quando
poi volevo solo il
contrario.
«C'è
un motivo se
mi sono incazzato tanto. E anche per il fatto che nell'ultimo periodo
ti ho evitata.» dissi mentre la osservavo freddamente.
Alice
si rialzò, mi
guardò dritta negli occhi.
Sostenni
il suo
sguardo, stranamente non provavo alcun tipo di imbarazzo.
«Però
vorrei
parlarne in camera mia.» aggiunsi.
Lei
annuì, così
dopo pochi minuti tornammo al punto di partenza.
«Perché?»
mi
chiese timidamente dopo essersi seduta di fronte a me.
La
guardai, mi venne
da ridere, forse era solo nervosismo.
Le
sorrisi.
«Davvero
non ci
arrivi?» le chiesi con fare ironico, ma lei non colse questa
sfumatura della mia voce.
«No,
mi spiace...»
disse timidamente.
Sembrava
spaventata.
Non
sarebbe mai
cambiata, alla fine, dopo tutto quello che le era successo, era
sempre la stessa.
«Ok,
mettiamola
così allora.» dissi guardandola dritto negli occhi.
«Penso di essere
attratto da te.» dissi con tranquillità, come se stessi dicendo una cosa ovvia.
La
vidi sobbalzare.
«I-in
che senso?»
chiese terrorizzata.
«Più
o meno come
tu sei attratta da Tré.» risposi con un po'
più di serietà.
Era incredibile come era stato facile dirlo, credevo che avrei avuto avrei provato imbarazzo e invece quella situazione era talmente surreale che mi sembrava quasi che non fosse vero nulla.
Mi tranquillizzava.
…
Sì,
però in
effetti forse l'avevo detto con troppa superficialità.
Perché
stavo
tentando di difendermi?
In
realtà non era
così semplice.
Fin da quando ero fuggito, Evelyn non aveva fatto altro che trovare nuovi modi per rompere le scatole.
E
poi c'era lei che
ha cercato di aiutarmi, voleva capirmi.
Sinceramente
avevo
sempre provato una certa fiducia istintiva verso Alice, anche in
classe, anche se non era propriamente una punk, non fuggiva via
appena mi vedeva.
Era
una di quelle
classiche persone per le quali si prova sempre affetto, anche senza
motivo.
Però,
andando
avanti, ho finito per “affezionarmici” troppo.
Quando
prendemmo
quella F me ne ero
già reso
conto e non volevo assolutamente che la situazione peggiorasse.
Come
si dice, occhio
non vede, cuore non duole.
Così
cercai di
frenare ogni singolo pensiero che la riguardasse. E non era facile,
soprattutto perché era nel 7-11 con me la maggior parte
della
giornata.
Senza
neanche
rendermene conto ho iniziato a comportarmi come se avessi voluto
evitarla, anche se alla fine non era questo il mio obiettivo.
Ho
iniziato a
sperare inconsciamente che potesse non venire alle prove, che avesse
un contrattempo e non potesse incontrarci.
Anzi,
incontrarmi.
Ma
lei se n'è
accorta.
Mi ha chiesto spiegazioni.
E
cosa avrei potuto
dirle?
Di
certo non la
verità.
Di
solito non mi
facevo tanti problemi con le ragazze, ma c'era un piccolo dettaglio
che mi impediva di dirle qualsiasi cosa: Alice è mia cugina.
E
soprattutto è
troppo innocente per poter solo concepire l'idea di mettersi con un
suo parente.
No,
non sarebbe da
lei.
In
ogni caso, quando
lei me lo chiese, non mi resi ancora conto di quanto l'avessi
lasciata sola.
Almeno
prima aveva
me come amico, in quel momento però mi aveva perso.
Ricordo precisamente la sera in cui me ne andai, lasciandola sola definitivamente.
Le avevo lasciato un biglietto, ma in realtà non avevo ancora finito di portare via la mia roba, così tornai verso sera per completare il trasferimento.
Mi
aprì la porta Evelyn con gli occhi arrossati e gonfi, sembrava sconvolta.
«Ah,
sei tu...»
disse come se sperasse che fosse chissà chi.
«Devo
prendere la
mia roba.» dissi fingendo di non notare la sua espressione
stravolta. «Dov'è Alice?» chiesi dopo
essere entrato nel
soggiorno.
Sentii
Evelyn
sospirare rumorosamente a quelle parole.
«Appunto...
non ne
ho idea.» disse forse iniziando a piangere.
«In
che senso?»
chiesi senza capire.
«...
È scappata! È
scappata di casa! Esattamente come hai fatto tu! Io lo sapevo che
sarebbe finita così a frequentare uno come te,
dannazione!» iniziò
a piangere istericamente.
Sgranai
gli occhi.
Scappata.
Scappata!
Era
solo una
ragazzina sola, dove cazzo poteva essere andata?!
«Perché?! Cos'è successo?!» chiesi allarmato.
Il sangue mi ribolliva nelle vene, non riuscivo a crederci.
Non poteva essere vero!
«...
Perché dice
che io e lei non possiamo più vivere insieme. È
cambiata, ma non
volevo fare niente di male...» iniziò a
singhiozzare Evelyn.
Mi
ricordo che non
persi tempo, che uscii immediatamente per andare a cercare Alice, ma non la trovai da nessuna
parte.
Era
stata colpa mia.
Colpa
mia e del mio
biglietto del cazzo, dannazione!
Ed
era anche colpa
del fatto che l'avevo evitata, da bravo coglione quale sono.
Controllai
ogni
angolo di quel buco che era Rodeo, ma di lei non c'era traccia.
Me
la ritrovai
tranquilla una settimana dopo a scuola, come se non fosse accaduto
nulla di strano.
Non
potevo credere
di vederla così.
Era
serena, mi
raccontò della sua fuga, del fatto che Tré
l'aveva portata al 7-11.
Ovviamente
aveva
sorvolato su qualche dettaglio, ma in quel momento non l'avevo
neanche sospettato.
Era
tornata, stava
bene, aveva un posto più o meno sicuro in cui stare.
Era
solo questo che
importava.
Eppure
c'era ancora
qualcosa che non andava, era... diversa. Non capivo neanche io
perché, ma sembrava più disinvolta, come se fosse
successo qualcosa
che la faceva sentire più sicura di sé.
Nei
giorni
successivi mi ricordo che Tré mi aveva fatto una domanda
piuttosto
strana: mi aveva chiesto come avrei reagito se qualcuno avesse
toccato Alice.
Toccare
Alice?
Chiunque
l'avesse
fatto, l'avrei distrutto, in qualsiasi senso intendesse Tré.
Anche
se quella
domanda era un po' strana, non sospettavo minimamente che il
toccatore mascherato potesse essere proprio lui, uno dei miei
migliori amici.
Che
poi, tra
parentesi, sapeva anche quello che provavo per mia cugina, come lo
sapeva Mike del resto.
In quel momento mi sembrò solo strana quella domanda, così all'improvviso, ma mi sentii rassicurato dalle parole di Alice, dopotutto mi aveva detto che andava tutto bene.
Tutto
bene...
Tutto
bene un cazzo!
Ora
me la ritrovavo
lì, davanti a me.
Distrutta,
fragile,
non aveva più voglia di combattere per nulla.
Era
lì, seduta che
mi guardava come a chiedere cosa potesse farci.
Tutto
era successo
scivolandole addosso.
Questo
era quello
che vedevo guardandola in quel momento.
Ma
la cosa peggiore
era che non era così.
Alice.
Quello
che era
successo era successo solo perché lei l'aveva permesso.
Dannazione!
Perché?!
Non
potevo far altro
che prendermela con lei, sgridarla, ma come potevo farlo quando
era lei stessa a soffrire per quella situazione?
Ragazzina,
ragazzina... Tu, sporca bugiarda!
Quando
ti eri
sentita sola non avevi avuto problemi a lasciarti usare, lasciarti
usare come un cane senza padrone, ma alla fine sei venuta a piangere
da me.
Cazzo!
E
poi... si era fatta usare da Tré,
dannazione!
Cosa
avrei dovuto
fare?
Se
avessi potuto
solo seguire il mio istinto, non mi sarei fatto troppi problemi a
farlo nero, fargli male fino a vederlo sanguinare e chiedermi
pietà.
Ma
era il batterista
della mia band, nonché uno dei miei migliori amici.
Un
amico traditore,
in ogni caso.
Io
gli avevo confessato
di provare qualcosa per Alice e lui mi aveva ripagato della fiducia
approfittando del fatto che gli avevo detto che non avrei comunque
voluto mettermi con lei.
Stronzo
anche lui!
Tutta
quella storia
era colpa di entrambi, era colpa della complicità di un
clown più
furbo di quel che voleva far credere e di una ragazzina troppo debole
per difendersi.
Una
ragazzina che in
quel momento era di fronte a me, con gli occhi gonfi di lacrime e le
guance rigate di mascara.
Lacrime
di mascara
che non l'avrebbero aiutata.
No,
perché lei non
voleva.
Semplice.
Voleva
continuare a
ferirsi, voleva continuare a soffrire solo perché era
l'unico modo
che aveva per scontare la sua colpa.
«Billie,
non so
come...» iniziò lei senza guardarmi.
Mi
venne da ridere,
ma dal nervosismo.
Lo
sapevo, lo sapevo
perfettamente.
«Lo
so.» cercai di
rassicurarla.
Lei
mi fissò
interrogativa.
«Infatti,
anche se
ti ho detto questo... beh, non voglio assolutamente che tu pensi alla
possibilità di metterci insieme. Non voglio.»
dissi semplicemente.
Il suo sguardo era perplesso.
«Allora
perché me
lo hai detto?» mi chiese senza capire.
«Perché...
se non
l'avessi mai detto sarei sempre stato un perdente. Solo un perdente
non è onesto neanche sui suoi sentimenti, prima o poi dovevo farlo.» dissi come se fosse stata una cosa ovvia.
In
realtà non lo
era.
La
vidi annuire e
abbassare di nuovo lo sguardo.
Sospirai.
Non
potevo fare
nulla.
Potevo
solo ferirmi
con lei, cercare di aiutarla anche se lei non voleva.
«Senti,
Billie...
stavo pensando una cosa.» disse all'improvviso ritrovando la
forza
di guardarmi.
«Cosa?»
chiesi distraendomi dai miei pensieri, rimanendo un attimo paralizzato dal luccichio nei suoi occhi.
«...
Senti, io
credo che dovrei tornare a casa mia.» disse in un sussurro
timido.
…
Sentii il mio battito cardiaco accelerare un attimo, ma non dovevo arrabbiarmi, no.
Chiusi gli occhi, trattenendo per un attimo il respiro.
«Mi
sembra giusto.» dissi con un piccolo sforzo.
Dopotutto
non c'era
altro posto dove potesse essere protetta.
Il
7-11 non era il
luogo adatto, la metteva continuamente a rischio.
«E...
credo di non dover interferire più.»
aggiunse.
«In
che senso?»
chiesi perplesso.
«Cosa
pensi di Tré
adesso?» mi chiese a sua volta.
Cosa
potevo pensare?
«Tante
cose... che
è uno stronzo, un idiota, che lo vorrei morto...»
iniziai a
elencare con rabbia crescente a ogni parola.
«E
questo per colpa
mia.» mi interruppe quasi immediatamente. «E io non
voglio che una
band meravigliosa come la vostra non sia più in sintonia
solo perché
io sono una stupida.» disse con uno sguardo stanco.
«Forse non
dovrei vedere nessuno di voi per un po'.» concluse sospirando.
Cosa?
«Alice,
ora non
esagerare. Le cose possono sistemarsi senza che tu debba...»
«Billie,
per tutto
il tempo che ho tentato di fare qualcosa ho solo combinato disastri,
uno più grande dell'altro.» disse scoraggiata.
«Non voglio
rischiare di combinarne altri.»
«E
così non vuoi
vivere solo per paura di morire?» le chiesi innervosito.
Ovviamente
la mia
era una domanda ironica, ma lei annuì.
Non
potevo crederci.
E
così, alla fine,
non era lei ad aver perso me, ma io ad aver perso lei.
Assurdo.
Non
potevo pensare
di non vederla più solo perché Tré si
era divertito un po' troppo.
«Anche
se non
dovessi vederci più oramai quello che è successo
è successo. Non è
così semplice. Anche se tu dovessi sparire continuerei a
pensare
quelle cose di Tré.» dissi riuscendo a controllare un po'
la mia rabbia.
«Ma
sarei comunque
fonte di tensione, no? Senza di me riuscirete a tornare come prima
più facilmente.»
«Non
riusciremo a
tornare come prima! Lo capisci o no? Non si può
semplicemente
fingere che il passato non sia mai esistito!» alzai la voce.
Perché
anche
questo?
Non
aveva senso!
«Ti
prego! Cerca di
capire! Se non ti va bene questa spiegazione, allora pensa che sono
sparita perché sono stata io a volerlo, perché
volevo stare da
sola. Sono io a voler tornare come prima.» mormorò
tristemente.
…
Mi bloccai.
Che potevo dirle?!
Dannazione,
se la
metteva in questi termini non potevo neanche tentare di fermarla.
Era
decisa a farlo.
«Non
te lo lascerò
fare.» dissi senza avere neanche bene idea di come mantenere la parola.
«Aspetto
che tu me
lo impedisca.» disse allora, più ferma.
Anche
lei non voleva
più discutere.
Restammo
in silenzio
per un po'.
Non
dicemmo più
nulla, finché non si alzò per andarsene.
Non
l'accompagnai
neanche alla porta, anche se avrei dovuto.
Semplicemente
mi
lasciai abbandonato da solo nella stanza.
Ed
ecco che un altro
pezzo della mia vita andava a farsi fottere.
In
una sola mossa
avevo perso sia lei che i Green Day e non era neanche colpa mia.
…
Una
parte di me
voleva pensare che avesse ragione a volersene andare, dopotutto era
solo lei la causa di tutto quello che stava succedendo.
Non
avrei mai dovuto
incontrarla, pensai.
Non
sarei mai dovuto
scappare di casa.
Sospirai.
No,
così non andava
bene.
Cercare
di cambiare
il passato era impossibile, tutto ciò che potevo fare era
cercare la
via d'uscita da quell'imbuto in cui ci eravamo intrappolati tutti.
Anche
se sarebbe
stato difficile, da qualche parte quella storia doveva finire.
E
avrei cercato
quella fine con tutte le mie forze.
Da
solo.
___________________________Authoress'
words
Mi
fanno malissimo gli occhi. Non so perché, mi sento come se
dovessi piangere, ma non ho la minima voglia di farlo. o.o Che stia
diventando allergica a qualcosa?
Coooomunque...
Ce l'abbiamo fatta! Abbiamo raggiungo le 100 recensioni! *w*
Grazie
mille a tutti quelli che hanno contribuito a raggiungere questo
risultato! *w*
E
un grazie tutto speciale a Ga_chan che è diventata una
bravissima attrice e mi ha veramente emozionata nell'interpretazione
dei miei personaggi due giorni fa! :)
Tanto
lo so che tu leggi prima le note qui sotto e solo dopo leggi il
capitolo, cara. u.u
Bye-bye!
|
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Capitolo 16 *** Dove sono finite tutte le rivolte? ***
12
ottobre 1988
Non
volevo essere
vittimista, davvero.
Semplicemente
pensavo davvero di aver creato anche troppi guai.
Avevo
tentato di
essere come loro, di essere come Billie, Mike, Tré e Vyol.
E
cosa avevo
ottenuto?
Avevo
rischiato
seriamente di creare problemi alla band, li avevo allontanati gli uni
dagli altri e tutto perché ero solo un'inetta.
Ecco.
Una
stupida, stupida
ragazzina impotente.
Che
ci potevo
fare?
Sembrava che qualsiasi cosa tentassi fossi destinata
a fallire, a fare del male ad altre persone! E non lo volevo, no che
non lo volevo, pensai scuotendo la testa sconfitta.
Sospirai.
Dovevo
solo fare
finta di niente, quando si accetta di perdere la battaglia non ci
dev'essere posto per l'orgoglio.
Anzi,
non ci
dovrebbe essere fin dall'inizio, così decisi di fare una
cosa che
avrei dovuto fare molti giorni prima.
Bene,
andava bene
così.
Più
o meno...
«Alice!»
mi trovai
immediatamente le braccia di mia sorella al collo. «Non ci
posso
credere! Sei tornata a casa!» disse in un gridolino
soffocato. «Lo
sapevo che non avrei dovuto forzarti, che saresti tornata da
sola!»
sorrise radiosa staccandosi.
«Già...»
mormorai
senza troppo entusiasmo.
Eccomi
lì,
totalmente fuori luogo.
Evelyn
era la
persona più felice del mondo a vedermi e io...
Io?
«Alice!
Disgraziata
che non sei altro!» la voce di mia madre mi fece rabbrividire
e mi
distolse dai miei pensieri.
Già,
mi ero
dimenticata che avrei dovuto affrontare anche lei.
«Ciao
mamma.»
dissi entrando in casa con gli occhi bassi.
«“Ciao”?!
Sei
sparita! Tu e tua sorella, si può sapere che vi siete messe
in
testa?!» gridò infuriata.
Perché
aveva usato
il plurale? Ero io quella che era fuggita, no?
«Mamma,
dai, non ti
arrabbiare... sta benissimo, no?» tentò di
calmarla mia sorella.
«Evelyn,
sta'
zitta! Anche tu eri d'accordo con lei, no?!»
Ma
di che stava
parlando?
«Solo...
non volevo
che la costringessi a tornare... Volevo che lo facesse da sola, per
questo non ti ho detto dov'era...» mormorò lei abbassando
lo sguardo.
Cosa?
Mi
aveva coperta?
Possibile?
…
Grazie,
Evelyn.
Solo
in quel momento
mi resi di nuovo conto di quanto lei fosse importante per me.
Potevamo
non essere
d'accordo, ma dopotutto nessuno ci obbligava a essere uguali.
Era
ed è mia
sorella e anche se non aveva mai approvato tutta quella storia, mi aveva coperta.
Grazie,
pensai
sorridendo.
«Che
hai da essere
contenta ora? Si può sapere perché sei fuggita
così?» interruppe
i miei pensieri mia madre.
«...
Beh... Ho
litigato con Evelyn e...»
«E
ti sembra una
motivazione valida?!» non mi lasciò finire.
Il
suo atteggiamento
mi stava innervosendo: dov'era finita la libertà di
espressione in
quella casa?
«Beh,
ecco...»
«E
non ho finito,
signorina! A questo punto credo anche che a telefono tu mi abbia
detto un mucchio di bugie! Come pensi di giustificarti?!»
urlò.
Basta,
volevo
esprimermi!
«E
lasciami
parlare!» dissi a voce più alta.
«Allora
hai
qualcosa da dire?» non si lasciò intimidire.
«...
Sono scappata
perché ho litigato con Evelyn perché non mi
sentivo libera, libera
di essere una persona diversa da lei...»
La
situazione era
diventata troppo stretta e mi sentivo soffocare... e poi mia sorella aveva
fatto quel gesto così perfido, cacciarmi dalla mia stessa
stanza.
Però
quando ero
fuggita era cambiata, mi aveva coperta, aveva rischiato per me.
Forse
non avevo
combinato solo guai, forse avevo ottenuto qualcosa...
«E
in effetti ho
sbagliato, ho causato un sacco di problemi a tutti, però... non volevo
fare
del male.»
Mia
madre mi fissò
perplessa.
«Hai
altro da
dire?» mi chiese visibilmente nervosa.
«Non
credo.» di
certo non le avrei raccontato tutto quello che mi era successo.
Lei
sospirò, la sua
voce si addolcì all'improvviso.
«Hai
compiuto
un'azione irresponsabile, dovrei punirti, ma sono troppo contenta di
rivederti sana e salva.» cedette abbracciandomi anche lei.
Ricambiai
l'abbraccio ma mi venne un po' innaturale.
Ringraziai debolmente, ma quasi non me ne importava.
Dopo
poco già stavo
riportando la mia roba nella mia... nostra stanza.
Non
ero più
abituata a quell'ambiente.
«Alice?»
mi chiese
Evelyn guardandomi.
«Sì?»
«Cosa
ti è
successo? Sei... triste. Ti è successo qualcosa che ti ha
costretta
a tornare?»
…
Mi
veniva voglia di
piangere.
«Evelyn...
è
successo che... Avevi ragione tu!» confessai con la voce rotta.
«...
Ragione?»
ripeté incredula.
«Su
tutto!»
«Non
sei scappata
proprio per dimostrare il contrario?» mi chiese perplessa.
«...
Ho
sbagliato...» dissi senza forze mentre mi sentivo sempre
più giù.
Non riuscivo a formulare un pensiero sensato, ma in quel momento non me ne importava.
«Anche
sui punk?»
mi chiese con durezza nella voce.
«Sì,
su tutto...»
14
ottobre 1988
C'era
qualcosa che
non andava.
Mi
sentivo
decisamente in disordine.
Mi
ero presa due
giorni di assenza da scuola e in quel momento mi trovavo a fissare
apaticamente il soffitto della nostra stanza.
«Hai
intenzione di
rimanere così tutto il giorno?» chiese Evelyn.
«Più
o meno.»
risposi monocorde.
«Andiamo!
Eri tu
quella allegra tra noi due un tempo!» mi venne vicino.
Mia sorella
era molto
cauta con me: soppesava ogni parola che mi diceva da quando ero
tornata. Aveva paura di sbagliare di nuovo, di farmi fuggire via, ma
forse in fondo sapeva che non l'avrei mai fatto ancora.
Aveva
persino
accettato quello che avevo combinato con Tré senza
rimproverarmi e
questo era strano.
Ah...
diamine,
chissà Tré che aveva pensato quando gli avevo
detto che mi ero
innamorata di lui! Forse aveva pensato che ero solo una stupida...
che cosa penosa.
«Allora?»
«Non
ho voglia di
fare niente.» mormorai socchiudendo gli occhi.
«Uff!
Se non fai
niente continuerai a pensarci! Devi impegnare la mente!» mi
rimproverò con dolcezza.
«Pensarci?
A cosa?»
chiesi fingendo indifferenza.
«A
Tré!» disse
con ovvietà.
Ecco.
Ma
perché mi capiva
così bene anche dopo tutto quel tempo?
«Forse
hai
ragione... ci stavo pensando.» ammisi a bassa voce.
«Appunto.»
«Però
stavo
pensando anche agli altri. Insomma, anche se sono sparita e ora non
mi dovrebbe riguardare più... ecco, mi sento in colpa nei
confronti
di Billie e anche di Mike. Ho rovinato tutto...»
«Non
ricominciare,
Alice.» mi fermò lei. «Quando sei
tornata mi hai detto più volte
che è stata tutta colpa tua, però... ecco,
proprio tu mi hai
insegnato che non è mai troppo tardi per rimediare, con
la tua fuga ad esempio.»
«Ma
sono tornata
col parere opposto.»
«Sei
solo depressa.
Aileen dice...»
«Oh
no, Aileen no!»
risi tra me e me.
«Lo
so che non la
sopporti, però dice che solo mostrandoti forte e pensando di
esserlo
sarai vincente. Non mi sembra una stupidaggine.» mi
rimproverò con
dolcezza lei.
Era
la prima volta
che pensavo che Aileen avesse detto qualcosa di giusto.
«E
come si fa ad
essere forti?»
Già...
come si fa?
Sono
sicura che in
questo preciso momento te lo stia chiedendo anche tu.
Lo
devi scoprire da
solo, perché altrimenti è solo finzione,
è un qualcosa che ti
viene da dentro.
L'ho
capito solo
molto dopo.
«Beh...
non lo
so... forse...» iniziò Evelyn ma fu interrotta dal
suono del
campanello della porta.
«Vado
io!» sentii
la voce di mia madre.
Io
non mi mossi dal
letto, invece mia sorella si affacciò dalle scale per vedere
chi
fosse.
La
vidi avere un
piccolo sussulto.
«Vieni!»
disse
pochi secondi dopo tirandomi giù dal letto in un lampo
afferrandomi
per il braccio.
«Ahi!
Sei
impazzita?» chiesi perplessa e dolorante.
«Vieni!»
ripeté
semplicemente trascinandomi sulle scale.
La
scena a cui
dovetti assistere era piuttosto singolare.
«...
Hai bisogno di
qualcosa?» chiese mia madre con freddezza nel soggiorno,
davanti
alla porta.
«Sì,
non ho fatto
filone a scuola per niente, devo vedere Alice.» rispose un
coraggioso e ridicolo Billie.
Istintivamente
mi
venne da ridere.
Il
giorno prima mia
madre aveva trovato una cordiera da chitarra elettrica nella stanza
per gli ospiti e ne aveva chiesto a me e a mia sorella la
provenienza.
Evelyn,
invece di
mentire, aveva detto tutta la verità assumendosene la
responsabilità, dicendo addirittura che era stata lei a
voler
ospitare Billie.
Un
gesto davvero
eroico.
Nostra
madre aveva
reagito male, ma non quanto alla mia fuga, quindi ce l'eravamo
cavata solo con una breve ramanzina.
Alla
fine, sembrava
che non fosse così grave il fatto che avessimo ospitato una
persona
in difficoltà, sicuramente era meno pericoloso che scappare.
Anche
se comunque si
era arrabbiata, più con Billie che con noi perché
sosteneva che
anche la mia fuga fosse solo colpa sua.
Era
lui il
principale colpevole per mia madre.
Secondo
lei io ero
solo stata traviata da “quel pessimo elemento” di
mio cugino.
Ma
adesso lui era
tornato sul luogo del delitto.
«Se
permetti, zia
Liz...» disse entrando in casa senza neanche aspettare il suo
consenso.
Subito
lo seguirono
un tranquillo Mike e una intimorita Vyol.
«Scusi...»
disse
lei cercando di non dare nell'occhio.
«Dove credi di andare? Non mi sembra di avervi dato il permesso di entrare.» ringhiò mia madre.
Billie si voltò fissandola acidamente.
«Puoi anche dirmi di andarmene, ma porterò con me Alice. Non puoi impedirmi di parlare per sempre, come hai sempre cercato di fare.» rispose senza alcun timore prima di voltarsi di nuovo e dirigersi a passo sicuro verso le scale.
Mia madre rimase allibita.
Non si aspettava che le rispondesse.
Pareva proprio che l'irascibilità fosse una caratteristica di famiglia...
«Che
ci fate qui?»
chiesi come prima cosa quando fummo tutti nella mia stanza.
«Ti
siamo venuti a
trovare, che c'è di strano?» disse Billie con
noncuranza.
«E
la vieni a
trovare di venerdì mattina quando dovresti essere a
scuola?» chiese
Evelyn di rimando.
«Sbaglio
o anche tu
dovresti esserci?» rispose velenoso mio cugino fissandola con
sguardo omicida.
Non
c'era niente da
fare: si odiavano.
«Ehi,
datevi una
calmata. Non siamo venuti qui a litigare.» li interruppe Mike
prima
ancora che si mettessero a discutere e mentalmente lo ringraziai.
Billie
sospirò.
«Ok,
ok... Per
prima cosa siamo qui per farti capire che è inutile che tu
ci eviti.
Te l'avevo detto che non te l'avrei permesso.» disse mio
cugino
concentrandosi su di me.
«Come?»
chiesi
perplessa.
«Lyss,
non puoi
sparire dal mondo! Non è vero che causi solo guai,
insomma!»
intervenne Vyol che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
«Billie ci ha raccontato quello che vi siete detti, ma io
penso che
non sia vero niente! E poi qual è il problema? È
solo Tré che non
vuoi vedere, ma noi non c'entriamo niente!»
… Erano venuti
fino a lì solo per quello?
Era
un gesto
davvero... dolce.
«Però
ho combinato
tutti quei guai...» dissi demoralizzata.
«Alice,
tutti
sbagliano. Questo non significa che sei segnata a vita,
però.»
intervenne Mike con tono rassicurante.
«Mettiamola
così:
per come stanno le cose al momento sei l'unica cosa che ci permette
di mantenere la sanità mentale. Se ci abbandoni impazziamo
tutti e
le cose non migliorerebbero.» disse secco Billie.
«Tutta questa
fottutissima situazione non è colpa tua, mettitelo in
testa.»
scandì bene ogni sillaba guardandomi negli occhi.
…
Ecco.
E
ora che dovevo
fare?
Per
una volta che
non volevo fare scelte, ecco che venivo costretta a prenderne altre.
Mi
voltai verso
Evelyn, seduta vicino a me. Lei mi guardava con un'espressione che
non riuscivo a decifrare del tutto: sembrava preoccupata, ma
rassicurante allo stesso tempo.
«Beh...
io...
insomma, vorrei solo evitare di creare tensioni...» dissi quasi balbettando.
«In
tal caso...»
intervenne Evelyn. «Evita solo di vedere Tré, non
vedo perché
dovresti punire anche loro per una cosa che ha combinato solo
quell'idiota.» concluse.
… Come?
Stava
dando ragione
a Billie?
«Per
una volta dici
cose sensate, anche se ci hai messo un mese intero per
farlo.» non
perse l'occasione mio cugino.
«Senti,
a me
interessa una sola cosa: che Alice stia bene. Volevo che la sua
felicità dipendesse da me. Ho sbagliato un bel po' di cose,
ma
adesso, se quello che la fa stare bene è legato a voi... mi
va
bene.» ammise con aria sconfitta.
Non
potevo crederci.
Con
la mia fuga era
cambiato davvero tutto!
A fatica la riconoscevo, ero riuscita a spezzare quelle catene che mi legavano!
«Quanto
ci possiamo
fidare di te?» chiese Billie inquisitorio.
«Sì,
però non
ricominciate a litigare come al solito. Abbiamo capito che vi
schifate, però adesso stiamo cercando di metterci d'accordo
e lei ci
ha dato il suo appoggio. Basta.» li interruppe Vyol
innervosita.
Anche
se
quell'aspetto sarebbe sempre rimasto invariato, pensai sorridendo.
«Stai
un po' buono
tu.» intervenne anche Mike. «Allora, per quanto
riguarda Tré
adesso non dovrebbe causare troppi problemi perché sembra
che per
lui le cose siano rimaste invariate. Lo sai com'è, come al
solito ci
prova con tutte quelle che vede con una predilezione per una tizia
rossa.» disse.
Ahi.
Una
pugnalata
proprio in quel momento, quando stavo iniziando a riprendermi.
«Come
al solito...»
dissi senza scompormi troppo.
Mi
faceva male
sentire cose del genere, ma non potevo non aspettarmelo.
Che
influenza poteva
mai aver avuto su di lui il pianto del suo cagnolino?
Non
ero mai stata
nient'altro e non avevo mai fatto niente per diventare qualcosa di
più.
Ero
stata stupida e
dopotutto mi rendevo conto che lui non aveva tutti i torti
perché
non mi aveva mai promesso qualcosa in più a quello che mi
aveva
dato.
Cosa
mi aspettavo?
Non
lo sapevo
neanche io.
…
«Già,
però
ultimamente lo abbiamo visto un po' strano...» intervenne
Vyol.
«Strano
poi.
Normale direi.» disse acidamente Billie.
«È solo tornato sulla
Terra.»
«No,
Billie, è
proprio strano.» disse Mike. «Non è da
Tré non parlare per una
giornata intera e stare sempre per conto suo a pensare.»
«In
effetti durante
educazione fisica si è lasciato colpire da una pallonata in
piena
faccia senza quasi reagire...» ci ripensò mio
cugino.
«Billie!»
lo
sgridai istintivamente.
«Lascialo
perdere,
è da un po' che ha la luna storta, è
insopportabile.» sbuffò
Vyol. «Sta di fatto che sembra che viva sulle nuvole e
pensiamo che
c'entri qualcosa quello che è successo tra voi...»
«Impossibile.»
dissi secca. «Come avete detto anche prima, per lui le cose
sono
rimaste invariate. Figuriamoci, non mi ha mai promesso niente, quella
in torto sono io. Può fare quello che vuole per quel che mi
riguarda.»
Vidi
tutti i
presenti scambiarsi sguardi fugaci, come se avessero potuto
comunicarsi i loro pensieri in quel modo.
Silenzio, imbarazzantissimo silenzio.
Mi sentivo un'idiota se facevano così...
«Beh,
allora penso
che la proposta di Evelyn vada bene.» interruppe quella pesante atmosfera Billie con tono
solenne.
«Cioè?»
chiese
Evelyn stessa confusa.
«L'hai
detto tu:
Alice starà con noi come al solito, ma ci eviterà
solo quando sarà
presente Tré.»
«Ma
così finirete
per isolarlo... insomma, se ne accorgerà.»
obiettai.
«È
esattamente
quello che voglio.» quasi sussurrò Billie adombrandosi.
Ed ecco che riemergeva il lato vendicativo, il più spaventoso di lui.
«Ma...»
iniziai
non sapendo che dire. «... Non importa.» lasciai
perdere sotto lo
sguardo di tutti i presenti.
«Ehi,
Alice, se c'è
una cosa che davvero devi ancora imparare è che nel mondo
non si va
avanti a buoni sentimenti. Devi imparare anche a far male alle
persone se è necessario.» disse Evelyn.
«Ha
ragione, Lyss.
Tré deve stare distante da te per un po'. Siamo tutti
d'accordo su
questo e siamo anche d'accordo sul fatto che non devi rimanere sola
per colpa sua. Se l'unico modo per ottenere queste cose è
farlo star
male... beh, va bene.» concordò Vyol.
Sospirai.
Aveva
ragione, ma
perché doveva sempre rimetterci qualcuno? Era
così ingiusto!
Sembrava
che tutti
avessero deciso all'unanimità per me.
Ma
alla fine, non
era esattamente quello che volevo? Avere la comodità di non
decidere, per poter scaricare la colpa su qualcun altro e per poter
non preoccuparmi di quello che sarebbe successo?
Eppure
una parte di
me non voleva questo.
Ma
qualcuno avrebbe
dovuto compiere una scelta quel giorno. L'unico modo per evitarlo
sarebbe stato morire e sinceramente non ero così depressa da
prendere in considerazione una simile ipotesi.
…
«E
va bene...» mi
arresi alla volontà di tutti.
__________________________________Authoress' words
Allora, non è che sono sparita dal
mondo, è che la settimana scorsa ero in viaggio con la
scuola e siccome non avevo un PC dietro non ho potuto pubblicare.
Chiedo venia.
Stavolta non ho molto da dire se non che devo
studiare, che sto mangiando un gelato morendo dal freddo (???) e che ho
sonno. :3
A domenica prossima! ;)
|
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Capitolo 17 *** Boulevard of Broken Dreams (Tré Cool's special chapter) ***
16
ottobre 1988
Era...
un po'
strano.
Insomma,
la
situazione era diventata un pelino complicata per il sottoscritto.
Avevo
combinato un
bel guaio, anche se in fin dei conti non era neanche totalmente colpa
mia.
Ero
anche piuttosto
confuso.
Forse
sarebbe più
semplice se partissi dall'inizio?
Lyss
era una mia
amica, fin da quando l'avevo incontrata la prima volta mi era
sembrata indifesa come un cagnolino... sembrava una persona che aveva
bisogno di aiuto e Billie era piuttosto incuriosito da lei.
Era
entrata
ufficialmente nel nostro gruppo, era uscita con noi spesso e
nonostante fosse un po' rigida di carattere, stava piano piano
accettando di lasciarsi andare.
Poco
alla volta.
Era
piuttosto
timida, sembrava una secchioncella perfettina all'inizio, ma in
realtà sapeva adattarsi alle situazioni meglio del previsto.
Si
era adattata al
punto da prendere una F come BJ.
Quella
era stata la
causa di tutto.
Questo
perché la F
aveva costretto me, lei e Billie a passare molte ore insieme.
Certo,
a me non
importava nulla, ma quell'idiota di BJ ha iniziato a provare per lei
un certo interesse e ha iniziato ad
evitarla.
E
lei ovviamente si
era sentita sola.
Poi
si era
ribellata, pensava di non avere nulla da perdere, ed era scappata.
Era
scappata ed era
rimasta sola e abbandonata.
La
trovai, la
aiutai, la portai in un luogo sicuro.
Ricordo
che non ero
molto lucido, ricordo che non provavo nulla per lei oltre
l'amicizia... però quella situazione... lei sembrava
così timida e
questo, non so perché, mi faceva venire voglia ancora di
più di
averla.
Io
non avevo la
lucidità per fermarmi e lei non aveva la forza per impedirmi
di
farlo.
E
così andò la
prima volta.
Il
giorno dopo mi
resi conto a mente fredda di cosa era accaduto,
ma lei non
sembrava arrabbiata... anzi, sembrava che la cosa non le dispiacesse.
Non
le avevo mai
detto che sarei stato con lei, che lei sarebbe stata l'unica, ma a
lei andava bene... anzi, sembrava che ogni giorno di più
cercasse la
mia presenza, che lo desiderasse.
Pensai che semplicemente anche lei volesse quel contatto fisico, tutto qui.
E
poi qualche giorno dopo
Billie confessò a me e Mike di provare qualcosa per lei.
Bene!
Ma
oramai i giochi
erano fatti, non potevo più tirarmi indietro e inoltre il
nano
malefico aveva anche detto che non avrebbe voluto mettersi con lei!
Insomma, prima o poi Lyss avrebbe comunque fatto qualche esperienza
con qualcuno, perché avrei dovuto lasciarla perdere?
Poi
qualche giorno
dopo ci fu il disastro.
Lyss
mi aveva
confessato di essere innamorata di me.
…
Come
avrei dovuto
reagire?
Insomma,
era una mia
amica, non volevo ferirla, ma sembrava proprio impossibile.
Lei
mi chiese di
andarmene e io lo feci... da bravo idiota.
Il
fatto è che non
sapevo davvero che fare, avevo bisogno di pensarci a mente lucida...
E
ci stavo ancora
pensando dopo giorni.
Intanto
sembrava che
gli altri avessero saputo tutto, si capiva dal fatto che
improvvisamente i nostri rapporti si erano ridotti al minimo (e dal
fatto che Billie mi aveva tirato una pallonata in pieno viso a
educazione fisica senza nessun motivo apparente).
L'atmosfera
era
davvero pesantissima e questa cosa non mi piaceva neanche un po'!
Insomma,
a me
piaceva ridere, facevo l'idiota di proposito perché mi
piaceva la
leggerezza... e guarda cosa mi era capitato, l'esatto opposto di
quello che volevo!
«Tré?»
«Che
c'è?» chiesi
a Charlie che mi fissava davanti a me.
«È
da un po' che
ti vedo assente... va tutto bene?» chiese avvicinandomisi.
«No...
va tutto
bene...» mentii sorridendole.
Charlie
era una
ragazza che avevo conosciuto qualche giorno prima in un pub.
Diciamo
che era
passata subito al sodo e la cosa non mi dispiaceva. Era bella, molto
e totalmente disinibita.
In
quel momento mi
trovavo a casa sua, nella sua camera, seduto sul suo letto.
«Questo
è
l'importante, certe volte mi preoccupi.» sorrise baciandomi
con le
sue labbra carnose e perfette.
Risposi
immediatamente al bacio lasciando perdere i miei pensieri.
Lei
si mise a
cavalcioni su di me.
«Allora?
Hai
intenzione di approfittare dell'assenza dei miei o no?» mi
chiese
provocante.
«Certo
che sì.»
le risposi mentre già le infilavo le mani sotto la maglia.
Era
semplicemente
perfetta.
…
C'era
qualcosa di
strano.
Sì,
ma non riuscivo
a capire cosa.
Era
stato
fantastico, Charlie era veramente brava, eppure mi sentivo piuttosto
giù.
Non
ne capivo
neanche io il motivo, forse ero solamente stanco di tutta la
situazione che si era creata, forse non dovevo pensarci e basta.
Uff...
era da mesi
che non mi capitava di stare così.
Quando
andava tutto
bene, quando c'era ancora Lyss, nessuno stava così, c'era
sempre una
certa allegria.
Sorrisi
ripensando
alla sua festa di compleanno.
Era
stata più o
meno un mese prima, lei non voleva che suonassimo in casa
sua... ma la sua opposizione era finta, in un certo senso.
Lei
sapeva di
volerlo.
Era
stata una serata
decisamente divertente, anche la sua reazione al mio regalo.
Portava
quella
collana più o meno tutti i giorni, neanche in quel periodo
se l'era
tolta.
Già,
anche se
probabilmente mi odiava.
Ed
era proprio
questo il problema: lei mi odiava, ma io non odiavo lei.
No,
non dovevo
pensarci o il tutto sarebbe stato ancora più deprimente.
…
Mi
sentivo davvero
impotente.
19
ottobre 1988
Erano
giorni che ci
stavo pensando e avevo stabilito una cosa: quella situazione non
andava bene per niente.
No,
volevo reagire,
volevo fare qualcosa per risistemare tutto.
Sì,
il problema era
cosa però.
Solo
di questo ero
sicuro: non potevo rimanere in quel casino per sempre.
Ma
come potevo fare?
Lyss
non si sarebbe
fidata di me facilmente e Billie invece si sarebbe sempre schierato
con lei.
E
anche Vyol e Mike.
…
Ok.
Ero
fregato.
Mi
venne da ridere
pensando a quanto fosse ridicolo il tutto.
E
poi perché era
successo tutto quel casino?
Per
due semplici,
stupide parole.
Un
“ti amo”,
tutto qui.
Ma
che diamine.
Ok,
non ero molto
lucido, ma Lyss aveva davvero esagerato quella volta.
Ecco,
dovevo essere
io quello arrabbiato, però non ci riuscivo.
Era...
così fragile
quella ragazza! Insomma, non potevo arrabbiarmi col mio piccolo
cagnolino, no?
…
Sì,
mi stavo
arrampicando sugli specchi per giustificare sia me che lei.
Non
era la strada
giusta.
No,
forse uscire un
po' mi avrebbe chiarito le idee, anche se era notte.
Beh,
dopotutto non
era la prima volta che lo facevo, così mi decisi, presi una
giacca
leggera ed uscii di casa senza neanche avvertire i miei.
Non
so bene perché,
ma quella sera mi sembrò di essere uscito per la prima volta
dopo
mesi.
Arrivai al parco, ma c'era gente, così imboccai una stradina in cui non ero mai stato prima, la più vicina a dove mi trovavo.
Era
simile a tutte
le altre strade di Berkeley, ma aveva un non-so-che di diverso
contemporaneamente.
Era...
strana.
Faceva
venir voglia
di seguirla fino in fondo, anche se non sapevo dove portava.
C'era
qualcosa di
mistico in quel viale.
Sospirai
e iniziai a
camminare ritmicamente, senza rallentare, né velocizzarmi.
Piano,
un passo dopo
l'altro.
C'era
un silenzio
inquietante e meraviglioso allo stesso tempo, che mi faceva solo
venir voglia di continuare senza interrompermi.
Doppia
grancassa,
rullante, cassa, rullante... scandivo mentalmente i miei passi mentre
osservavo la mia ombra.
Quanto
avrei voluto
avere una batteria in quel momento, solo per sentire quel ritmo
ancora meglio.
Ma
non potevo e quel
viale mi stava imponendo di continuare a camminare.
Inspirai
l'aria
fresca a pieni polmoni e cercai di concentrarmi.
Prima
cosa di cui
ero sicuro: né io né Lyss avevamo pienamente
ragione.
Seconda
cosa: lei mi
odiava.
Terza
cosa: in
realtà aveva detto di amarmi.
Quarta
cosa: non
avevo l'appoggio di nessuno.
Che
casino.
Ma
perché Lyss mi
odiava? Perché era convinta che di lei non mi importasse
niente,
mi risposi mentalmente.
Ma
non era così.
Lei
era mia amica,
non mi era indifferente vederla soffrire così.
Sì,
certo, ero
stato anche piuttosto egoista, era un po' nella mia natura.
E
poi quella sera, quella in cui avevamo litigato,
non ero neanche molto lucido: anche se temporaneo l'effetto delle
canne si fa sentire.
E
le avevo detto che
la amavo.
Eh
già...
Le
avevo detto che
la amavo quando poi quel giorno stesso avevo incontrato Charlie per
la prima volta.
Se
tra me e Lyss non
fosse successo niente, probabilmente non mi sarei neanche
più
ricordato chi fosse Charlie.
Aspetta,
che stavo
dicendo... anzi, pensando?
Beh...
magari non
era una stupidaggine.
Charlie
e Lyss erano
molto diverse dopotutto.
Charlie
era
provocante, sicura di sé, perfetta, una dea da questo punto
di
vista.
Lyss...
era Lyss.
Mi
venne da ridere.
Non
c'era niente di
particolare in Lyss.
Era
solo... come
dire... lei stessa.
Era
semplice, timida
e impacciata, però mi piaceva lo stesso.
Di
Charlie in
effetti non me ne importava niente, neanche in quel momento: lei
diceva di voler stare sempre e solo con me, anche lei mi aveva detto
di amarmi, ma non mi importava. Insomma, non sapeva neanche quand'era
il mio compleanno! Sapeva solo che ero un batterista, che quindi ero
uno “figo”.
Probabilmente
del
resto neanche le importava.
A
pensarci era bello
sapere che invece Lyss era mia amica, anche se spesso la andavo a
trovare solo per farmela, dopo parlavamo sempre.
Lei
mi raccontava
molte cose e mi ascoltava quando a parlare ero io.
Ecco,
questo Charlie
non lo faceva, però non mi importava.
Anzi,
credo che se
Charlie avesse iniziato a fare la fidanzatina amorevole l'avrei solo
trovata irritante.
Vidi
una luce in
fondo al viale, probabilmente era finito.
Peccato,
sarei
tornato alla luce e al rumore.
Quando
giunsi alla
fine sbucai vicino a un sottospecie di belvedere, guardando
giù
dalla ringhiera si vedeva una distesa di campagna enorme.
Veniva
quasi voglia
di urlare, come gesto liberatorio.
«Ah!»
sentii una
voce poco più distante, mi voltai e vidi Charlie intenta a
slinguazzarsi un tizio.
Beh,
sembrava si
stessero divertendo, notai.
Avrei
potuto far
finta di niente, ma...
«Buonasera.»
salutai con la mano, totalmente indifferente.
Charlie
si volto e
mi fissò perplessa.
Mi
venne da ridere
guardando lo stupore e la vergogna nei suoi occhi.
«T...
Tré! Che ci
fai qui?»
«Una
passeggiata,
non avevo niente da fare.» dissi con tranquillità.
«E-ehi!
Chi è
questo tizio?» chiese il ragazzo che era con lei.
«Piacere,
mi chiamo
Frank Edwin Wright III. E tu?»
«Ma
si può sapere
che vuole questo qua?» reagì l'altro senza neanche
rispondermi.
Che
maleducato.
«Amore,
non è
nessuno di importante.»
«Amore?»
scoppiai
a ridere. «Aspetta un attimo, tu sei fidanzata?»
«Sì,
è la mia
ragazza e quindi?» chiese il tipo.
No,
questo era
troppo.
Scoppiai
a ridere
istericamente.
Ma
era mai
possibile?
Era
questo l'“amore”
che Charlie provava per me?!
«La
tua ragazza?
Amico, mi dispiace per te, ma Charlie è venuta a letto con
me un bel
po' di volte, in questi ultimi giorni. Fossi in te non ci perderei
troppo tempo con una così.» dissi ridacchiando.
Vidi
Charlie
diventare rossa di rabbia.
«Tré!
Si può
sapere cosa stai dicendo?!»
La
sua voce mi fece
cambiare umore, al divertimento per quella situazione assurda
subentrò l'irritazione.
Che
diritto aveva
una troia come lei di essere arrabbiata?
Forse
era quella la
sensazione che aveva provato Lyss?
Anche
se di Charlie
non me ne importava niente era comunque una brutta sensazione, la
sensazione di essere stato usato.
Cavoli,
iniziavo a
sentire la rabbia salire.
«Dico
la verità.»
dissi con voce irritata.
«Ma
Tré...»
iniziò lei.
Eh
no, cara mia, non
potevi mica sperare di uscirne così.
E
poi, pensandoci
bene, ma chi era che l'aveva autorizzata a chiamarmi
così?
«Non
mi chiamare
Tré.» la interruppi. «Solo alcune
persone lo possono fare e una
troia come te di certo non rientra tra queste.» dissi con
calma.
Lei
sgranò gli
occhi, iniziò a parlare con voce acuta, come un'oca
starnazzante.
«Beh,
allora chi è
che lo può fare? Hai mai avuto una ragazza che non fosse una
troia,
eh?» mi provocò lei.
Sentii
il sangue
salirmi al cervello all'improvviso, il battito cardiaco accelerare
come se fossi appena stato ferito.
«Non
insultarla!»
alzai la voce istintivamente.
…
Mi
bloccai un
attimo, perplesso.
Cosa?
Che
stavo dicendo?
«Di
chi stai
parlando?» mi chiese lei con un sorriso bastardo sulla faccia.
Io...
non lo sapevo.
Era
da tutta la sera
che stavo pensando solo a lei, ma non era mai stata la mia ragazza,
no?
Alice
non era una
troia, non lo era mai stata.
Era...
l'esatto
contrario, perché avevo pensato a lei?
Ero
confuso, volevo
solo andarmene di lì e liberarmi una volta per tutte di
quella
situazione.
«Chiunque
sia,
perché non vai da questa tipa allora? E poi, scusami, ma se
ti piace
così tanto perché sei venuto a letto con
me?» mi provocò ancora
Charlie.
Perché?
Perché
non me ne
importava niente.
Ma
allora perché in
quel momento mi sembrava orribile quello che avevo fatto?
Forse
perché solo
in quel momento avevo capito cosa significava essere usati?
Dannazione,
sentivo
un bisogno disperato di andarmene, di andare da Lyss e di scusarmi.
L'avevo
davvero
trattata come il mio cane senza rendermene conto, ero stato un
coglione!
Mi
voltai, senza
neanche rispondere a quella stronzetta.
«Devo andare.» dissi frettolosamente, non potevo rimanere lì un minuto di più.
«Come?! Dove vorresti scappare?» cercò di fermarmi lei, ma la ignorai. Non volevo più sentire la sua vocetta e le sue giustificazioni.
Rientrai nel viale, iniziando a ripercorrerlo al contrario.
La
mia camminata non
era più lenta, era un ritmo rapido, una marcia solenne.
Cassa,
rullante,
tom, cassa, rullante, tom, tom, ripetevo mentalmente sempre
più
rapidamente.
Iniziai
a ridere,
senza motivo.
Mi
sentivo liberato.
Libero!
Non
mi importava,
non mi importava di Charlie!
Senza rendermene conto io
non vedevo l'ora
di poterla abbandonare e avevo avuto l'occasione per farlo!
Ero
stato un
coglione, un coglione a usare Alice come Charlie aveva fatto con me.
Ora
capivo.
Vedevo
tutto più
chiaramente.
Dovevo
parlarle e
dirglielo.
«Si
può sapere
cosa diamine fai tu qui?!» mi chiese Evelyn perplessa sulla
porta di
casa sua.
«Devo
parlare con
Alice.» dissi con il fiatone.
«E
hai corso per
farlo?» chiese lei senza credermi.
«È
piuttosto
urgente.»
«Mi
spiace per te,
ma Alice non c'è.» fece un sorrisetto bastardo
iniziando a chiudere
la porta.
«Aspetta,
sai
dov'è?» la bloccai infilando di scatto il piede tra l'ingresso e il muro.
Lei
riaprì e mi
guardò innervosita.
Non
avevo mai
sopportato Evelyn e in quel momento era ancora peggio.
Aveva
uno sguardo
deciso e pieno di odio nei miei confronti.
Persino
lei sapeva
tutto.
«Senti,
parliamoci
chiaro: io so dov'è, ma non te lo dirò,
d'accordo? L'hai fatta
soffrire anche troppo e se hai voglia di creare qualche altro
danno... beh, scordatelo. Non te lo lascerò fare.»
mi disse con
rabbia.
«Non
ho intenzione
di creare problemi. Le voglio solo parlare.» insistei.
Ci
fissammo per qualche
secondo in silenzio.
«Vai
a raccontarlo
a qualcuno che si fidi di te. Io non sono la persona giusta.» concluse chiudendo
definitivamente la porta con uno scatto.
Sentii
l'entusiasmo
scemare.
La
voglia di fare
sparire.
Eccomi
di nuovo solo
come un coglione.
Iniziò
a farsi
spazio una sensazione pesante.
Per
un attimo me ne
ero dimenticato.
Alice
mi odiava.
Giusto.
E
così anche tutti
gli altri.
E io non odiavo né lei né nessuno di tutti loro.
Non
sapevo neanche
io cos'era quello che provavo in quel momento.
Era
solo un turbinio
confuso.
Cosa
stavo
combinando? Mi ero lasciato prendere da un'emozione senza
controllarla.
Cosa
volevo dirle?
Perché
volevo
parlarle?
Era
perché volevo
uscire da quella situazione?
Lyss,
dannazione,
che mi stava succedendo?
Sentivo
solo il
bisogno di fare in modo che non soffrisse più, dannazione!
Cercai
di calmarmi.
Inspirai
lentamente.
Piano...
Una
cosa l'avevo
capita: non avrei mai potuto sostituire Alice in nessun modo.
Anche
con Charlie
una parte di me aveva sempre saputo che qualcosa non andava.
Charlie
sembrava
perfetta, ma non provava nulla nei miei confronti, come io non
provavo nulla per lei.
Con
Alice invece era
l'opposto.
Era
fragile, troppo,
però era lei, l'avrei sempre riconosciuta tra mille.
E
in quel momento
volevo lei e nessun'altra.
Oh,
no...
Capivo
perfettamente
come si era dovuta sentire, stavo iniziando ad odiarmi da solo per
quanto fossi stato un'idiota.
Sospirai, feci qualche passo indietro nell'erba umida di quel giardino.
Non aveva senso, avevo solo bisogno di sentire la sua voce, di vederla sorridere...
... E
a giudicare dai
miei pensieri sdolcinati mi stavo anche innamorando di lei.
________________________Authoress' words
Questo capitolo è stato moooolto
difficile da scrivere quindi spero che non faccia schifo.
Anche perché dopo il concerto sono
ancora mezza rincoglionita e credo di essere diventata psicolabile a
causa della scuola.
Beh, spero di rimettermi con le vacanze! ^w^
Beh... sappiate che vi amo tutti, ma purtroppo devo
correre che sono in ritardo di mezz'oraaaaaaaaaa! Hahaha! Gabba mi
ucciderà! ;)
E sappiate che quei tre dal vivo sono stati la
più bella esperienza della mia vita finora, soprattutto il
sorriso che mi ha rivolto Billie a un certo punto guardandomi dritta
negli occhi. *w*
Beh... che dire... a domenica prossima allora!
P.S. Lally rimettiti che mi mancano i tuoi scleri!
D:
|
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Capitolo 18 *** Sei il chiaro di luna della mia vita, tutte le notti (Evelyn's special chapter) ***
19
ottobre 1988
Incredibile
quanto
una persona potesse essere cocciuta.
Sembrava
che davvero
non si rendesse conto di quanto stava facendo male a una ragazza
indifesa come mia sorella.
Chiusi
la porta con
uno scatto, non sentii più niente.
Si
era arreso,
finalmente.
Appena
mi voltai
vidi Alice che scendeva le scale.
«Tutto
bene?»
chiese tristemente.
«Diciamo...»
risposi.
Rimanemmo
un secondo
a fissarci, poi lei abbassò lo sguardo, come se avesse fatto
un
pensiero sbagliato.
«Chi
era?» chiese
leggermente incuriosita.
Il
suo viso era un
po' rasserenato.
Stava
davvero
sperando che fosse lui?
Era
incredibile!
Quel tipo l'aveva fatta soffrire come non mai e lei ancora sperava di
rivederlo!
«Io
proprio non le
capisco le persone così, quelle che non vogliono imparare
dai propri
errori.» dissi freddamente.
Alice
sussultò.
«D-dici
a me o a
lui?» chiese timidamente.
«A
entrambi. Tu
stai continuando a sperare di vederlo e lui nel frattempo vuole
incontrarti di nuovo.» risposi lapidaria.
Negli
occhi di mia
sorella passò una strana luce che li illuminò per
un secondo.
«Perché?
Perché
vuole incontrarmi?» chiese allora agitata e incredula allo
stesso
tempo.
Perché?
Perché
voleva
prenderla in giro di nuovo, era ovvio.
«A
dire il vero non
lo so. Dici che se tornasse dovrei lasciarlo entrare?» le
chiesi.
Se
mi avesse
risposto di sì avrei cercato di farla ragionare, ma almeno
volevo
lasciarle un minimo di possibilità di scelta.
Se
c'era una cosa
che avevo capito in quel periodo era che tentare di controllarla
avrebbe portato solo dolore a entrambe.
E
io volevo bene a
mia sorella, davvero tanto.
Non
potevo vederla
soffrire così.
Lei
si rabbuiò,
abbassò lo sguardo non sapendo neanche lei che rispondere.
«Alice,
mi dispiace
dirlo, ma Billie Joe ha ragione: probabilmente Tré vuole
aggiustare
le cose con la band e ha capito che per farlo deve prima riuscire ad
ottenere la tua fiducia. Non ti lasciar prendere in giro
così, per
favore.» dissi cercando di farla ragionare.
Lei
mi guardò con
uno sguardo triste, sospirò e chiuse gli occhi, come se
stesse per
fare qualcosa che non voleva.
«Non
farlo entrare
allora. Digli sempre che non ci sono e se vuoi inventati qualche
posto dove dovrei essere, ma solo se sono in casa.» mi rispose con un tono di
voce
insicuro e barcollante.
Ecco,
si stava di
nuovo forzando a fare qualcosa che non voleva.
Però...
ecco,
questa volta sembrava davvero la cosa giusta da fare.
Non
ce la facevo a
vederla così, ma non potevo aiutarla in altro modo.
Dannazione!
In
ogni caso sarebbe
servito a poco: il giorno dopo sia io che lei saremmo dovute tornare
a scuola e lei lo avrebbe incontrato a lezione!
«Come
facciamo con
le assenze? Mamma non ce ne concederà ancora troppe e se
non
ricordo male tu hai l'ora di matematica con lui, giusto?» le
chiesi
allora.
«Ehm...
non
saprei... non si può saltare solo quella lezione?»
chiese
ingenuamente lei.
«Ma
è a metà
giornata, come fai? Dovresti uscire e poi rientrare un'ora
dopo.»
obiettai.
Lei
sospirò
scoraggiata, era troppo triste per farsi venire una buona idea.
«Come
vorrei che
qualcuno mi sostituisse...»
20
ottobre 1988
«Alice,
sei
pronta?» chiesi rivolta alla porta del bagno della scuola.
Parlare
da sola con
le piastrelle di ceramica bianca mi faceva sentire un'imbecille.
«U-un
attimo, ci
sono quasi.» sentii la voce di mia sorella leggermente
smorzata
attraverso la porta.
«Sì,
però
sbrigati, non è da me fare tardi a lezione, devi cercare di
essere
realistica.» risi dando un colpetto sulla porta bianca.
Possibile
che fosse
tutto di quel colore in quel posto? Sembrava un ospedale!
«Non
ti
preoccupare! Ti conosco abbastanza da poter interpretare una perfetta
Evelyn!» la sentii ridere a sua volta. «Hai avuto
un'idea
fantastica questa volta!» rise di nuovo entusiasta.
Sì,
in effetti era
una cosa piuttosto divertente e la stava prendendo come un gioco.
Sentirla
ridere di
nuovo era una sensazione meravigliosa, anche se era solo
l'ilarità
di un momento.
Finalmente
sentii lo
scatto della porta ed Alice uscì dal bagno.
«Come
sto?» mi
chiese sfoggiando i vestiti che avevo indossato fino all'ora prima.
«Bene...
ma sbaglio
o ti vanno un po' larghi? Cavoli, ma ti hanno fatto mangiare al
7-11?» chiesi perplessa.
«Sono
dimagrita
troppo? Non me n'ero accorta.» mormorò perplessa lei.
Ma
come aveva fatto
a non accorgersene?
«Ti
conviene metter
su qualche kilo.» le sorrisi.
Lei
aprì la bocca
per dire qualcosa, ma la campanella ci interruppe.
«Ci
conviene
andare.» dissi con tono rassicurante.
«Sì,
ma... solo
una cosa. A lezione vicino a chi mi devo mettere?» mi chiese
mentre
apriva la porta per uscire.
«Beh...
di solito
mi metto vicino ad Aileen e se non c'è vicino a
Melissa.» le
risposi.
«...
Devo proprio?» chiese scoraggiata.
«Devi
essere
realistica e dovrai anche parlarci. O questo, o Tré. Scegli
tu.» le
ricordai il motivo per cui lo stavamo facendo.
«Ok...
d'accordo.
Però, sai, ti riconoscerà subito. Almeno a
questo ci arriva.»
sorrise arrossendo leggermente.
… Era proprio
innamorata.
«Dai,
andiamo. Io
di solito non faccio ritardo.» le sorrisi.
«Oh...
Sì, sono
pronta!» disse all'improvviso con entusiasmo.
Ecco
la Alice che
volevo vedere!
Mi
guardai intorno.
L'aula
era la stessa
dove anche io facevo matematica, ma il professore non si vedeva
ancora.
Cavoli,
avevo detto
ad Alice dove sistemarsi, ma io? Dove mi dovevo mettere?
…
Non
mi restava che
aspettare che tutti si fossero seduti e vedere quale sarebbe stato
l'unico posto vuoto rimasto, sperando che non ci fossero assenti.
Cercai
di non fare
nulla che attirasse l'attenzione su di me, così quando
suonò la
campanella potei identificare la mia postazione.
Già,
ma notai anche
che mia sorella si era sempre seduta vicino a quel dannato
batterista.
Diamine.
Mi
avrebbe
riconosciuta subito.
Mi
avvicinai a lui
mentre osservava perplesso ogni mio movimento, ma aspettò
che mi
sedessi prima di parlarmi, a bassa voce, in modo da non farmi scoprire
subito.
Gentile
da parte
sua.
«Così
sì che mi
confondete...» commentò ironicamente.
«Alice mi odia a tal punto?»
chiese rattristandosi.
Lo
fissai perplessa.
Come previsto mi aveva riconosciuta immediatamente, non si era neanche dovuto sforzare!
Lui
guardava il
banco mentre giocherellava con una penna, sembrava davvero abbattuto.
«Cosa
dovrei
dirti?» gli chiesi non sapendo davvero che rispondere.
«Per
ora nulla.
Aspetterò il momento in cui riuscirò a
parlarle.» disse tirandosi
su e guardandomi negli occhi. «Lo sai, non siete
così identiche
come sembrate.» mi sorrise.
…
Davvero,
non lo
capivo.
«Già.»
commentai
perplessa.
«Non
mi lascerai
mai un'occasione per farlo, vero?» mi chiese all'improvviso.
«...
Come possiamo
fidarci?» dissi con calma cercando di non far scaldare i toni.
Insomma,
aveva fatto
soffrire mia sorella in ogni modo e adesso voleva anche vederla.
Per
cosa poi non si
sapeva.
Voleva
parlarle, ok,
ma io ero convinta che volesse solo risistemare le cose con la band.
Che
diamine.
L'avrebbe
usata di
nuovo, di sicuro!
Magari
stava per
succedere qualcosa di importante per cui aveva bisogno di stare in
armonia con Billie e gli altri e per questo aveva bisogno di Alice.
Sì,
ma si stava
illudendo.
Non
avrei lasciato
che soffrisse di nuovo, volevo solo proteggerla!
«Credi
che sia così
facile? Non ho nessuna prova del fatto che tu non voglia
solo...»
«Datti
una calmata,
ho detto che voglio parlarle e non mi sembra ci sia qualcosa di male
in questo. Non sai neanche cosa voglio dirle!»
protestò lui.
«No,
ma
considerando i precedenti posso immaginarlo!» iniziai ad
alzare la
voce.
«Davvero?
E di che
si tratta? Me lo sai dire o hai dimenticato la sfera di cristallo a
casa?»
No.
Questo
era troppo.
Mi
stava dando della
ciarlatana?
«Come
ti permetti,
razza di...» iniziai infuriata.
«Non
ti conviene
usare certi termini in classe.» mi bloccò lui.
…
«Ti
senti forte a
fare così? Stai solo peggiorando la tua posizione!»
ripresi a un tono
di voce più basso.
«Tu
non sai cosa le
voglio dire. Mettitelo in testa, Evelyn: non hai il controllo del
mondo. Non puoi sapere tutto quello che accade, cosa pensano le
persone e non puoi stabilire come vadano le cose, chiaro?!»
si
innervosì anche lui.
…
Sì,
lo sapevo.
Lo
sapevo già da un
po', allora perché quelle parole mi rimbombarono in testa,
come se
fossi stata colpita da una pugnalata?
Forse
perché fino a
quel momento quello era stato il mio unico modo di aiutare mia
sorella?
Forse
perché
oramai, una volta accettato quel fatto, sarei rimasta priva di armi?
…
Come
potevo fare a
renderla felice se non così?
«E
poi... non mi
sento per niente forte.» disse con un tono più
malinconico.
Cosa?
Proprio
adesso aveva
intenzione di abbattersi?
«Andiamo,
perché
dovrei voler parlare con tua sorella se non me ne importasse niente
di lei?» mi chiese con un tono di voce calmo, guardandomi
all'improvviso dritta negli occhi.
…
Feci
seriamente
fatica a reggere quello sguardo da cane bastonato, ma dovevo
riuscirci.
«Non
sono stupida,
mr. Wright. Lasciami indovinare: per colpa di mia sorella ora non sei
in buoni rapporti con Billie e Mike, giusto?»
Lui
annuì.
Bene,
mi stava
ascoltando seriamente.
«Questo
significa che l'unico modo per riconciliare le cose con la band
è
attraverso Alice, giusto? È questo il tuo
obiettivo.»
«Cosa?
Se volessi
solo riconciliarmi con BJ e Mike cercherei di parlare con loro, non
cercherei Alice...» iniziò a protestare lui.
«Ah
sì? Forse però
hai fretta. Magari c'è qualcosa di importante di mezzo. Sta
per
succedere qualcosa con i Green Day?» dissi sempre
più tagliente.
«Beh...
sì. Grazie
a un mio vicino di casa siamo riusciti ad ottenere di fare una serata
al 924 Gilman Street. Ed è solo una valutazione, diciamo che
da come
andrà quella serata dipenderanno le successive,
però...»
Cosa?
Gilman
Street?!
Ne avevo sentito parlare come un locale selettivissimo, a cui era quasi impossibile accedere.
…
Certo
che doveva
essere veramente bravo come batterista.
«Capisco,
buona
fortuna allora!» sorrisi soddisfatta.
Lui
mi fissò
perplesso.
«Mi
stai prendendo
in giro? Questo non c'entra niente con tua sorella! Anche senza di
lei stiamo continuando con le prove e tutto il resto! Se voglio
vederla è solo perché...»
«Signor
Wright?
Cos'è questa agitazione?» chiese la voce imponente e nervosa del professor
Jones mentre entrava
in aula.
Tré mi lanciò uno sguardo di odio puro, ma non poté far altro che mormorare un patetico "scusi" e fingere di seguire la lezione, anche se in realtà anche durante il resto dell'ora non fece altro che continuare a lanciarmi occhiate fugaci e a scarabocchiare sul suo quaderno.
Ero decisamente
soddisfatta.
Perfetto!
«Cosa?!
Ha
insistito ancora?» chiese Alice perplessa dopo il mio
racconto.
Eravamo
nella mensa,
avevamo preso un tavolo solo io e lei per non essere infastidite.
Lei
continuava a
rigirare il suo cibo senza avere la minima voglia di mangiare.
Si
concentrava su
dettagli inutili, osservava le briciole di pane, ogni tanto prendeva
un sorso d'acqua.
Io non avevo mai provato una sensazione simile, quando mi ero fidanzata con Tyler era stato lui a dichiararmisi e io avevo accettato all'inizio perché credevo che il mio fosse amore. Solo dopo avevo capito che non avevo davvero idea di cosa significasse essere innamorati, solo dopo avevo iniziato a provare davvero quel sentimento.
Alice
invece stava
soffrendo molto, ma tentava di essere forte. Non voleva cedere e
voleva dimostrare di non aver bisogno degli altri per andare avanti.
Però...
quanto
sarebbe durato?
«Già,
ma io non ci
credo neanche un po'. Abbiamo anche litigato in classe...»
ricordai
leggermente infastidita.
Alice
rimase per un
attimo persa con lo sguardo, poi sorrise malinconicamente fissando il
pavimento.
«Non
mi posso
fidare neanche un po', eh?» chiese con un filo di voce.
Cosa?
«Intendo
dire...
una parte di me vorrebbe fidarsi. Io lo vorrei.» la vidi
rabbuiarsi.
«Ma ho paura, non posso farlo.» sospirò.
…
Lei
non ce la faceva
più, non voleva resistere più.
E
io?
Cosa
avrei dovuto
fare?
Avrei
voluto essere
la sua protettrice, avrei voluto aiutarla e difendersi da tutto il
male, ma... non potevo controllare il mondo.
Quel
batterista
almeno su questo aveva ragione.
Io
volevo solo che
lei stesse bene, ma sembrava che in ogni caso ciò non fosse
possibile!
La
scelta era tra il
farsi usare e il reprimere i propri sentimenti e sinceramente nessuna
delle due ipotesi mi allettava.
Cosa
potevo fare?
Cosa?
Cavoli,
mi veniva da
piangere.
Volevo
solo aiutarla
ma mi sentivo così impotente!
«Alice...»
«Sì?»
alzò lo
sguardo lei.
«Ti
prego, devi
dimenticarlo!» dissi scoraggiata.
«Come?»
chiese lei
perplessa.
«Insomma,
non ce la
faccio più a vederti così! Ti rendi conto che
anche se cedessi
staresti male comunque?» le chiesi con voce triste.
Lei
annuì
mestamente.
«Però
non è
facile, Evelyn. È come se ti chiedessi all'improvviso di
odiare
Tyler: ci riusciresti?» mi chiese tirandosi un po' su.
«Ovvio
che no, ma
lui non mi ha fatto niente di male.» obiettai.
«Esatto,
è così.
Però anche se ti avesse fatto del male... beh, non sarebbe
semplice
comunque accettare di odiarlo.» sorrise malinconicamente lei.
Rimasi
ammutolita.
Sì,
era vero, era
dannatamente vero.
«È
come se in
questo momento vivessi una sorta di apatia, non so se capisci che
intendo.» aggiunse dopo qualche secondo iniziando finalmente
a
mangiare.
«Sì,
capisco.» la
osservai mentre tagliava la sua fetta di carne con delicatezza.
Sembrava
che non
avesse più neanche forza fisica oramai.
Non
ne potevo più.
«Senti,
Alice, io
ho capito una cosa.» dissi con più decisione.
«Cosa?»
chiese
lei.
Sospirai.
Sì,
non dovevo
fuggire dalla realtà delle cose.
Avevo
sempre pensato
di essere la felicità di mia sorella, ma ero solo stata
molto
egoista.
Chiunque
abbia
questo genere di pretese lo è, dopotutto.
E
anche il fatto che
fossimo gemelle non c'entrava niente.
«Io
non posso
controllare il mondo: non posso capire cosa pensi e non posso
controllarti e sai perché? Perché io non sono la
tua felicità.»
iniziai.
«Beh...
questo lo
so.» sorrise lei.
«Questo
però non
vale solo per me. Vale per tutti.»
«Nessuno
ha la
felicità nel fratello gemello?» chiese lei.
«Intendo
dire che
la tua felicità... sei tu, Alice. Non dipende da me, ma
neanche da
nessun altro. Tu devi essere felice per conto tuo, non per merito di
quello lì!»
Alice
mi fissò un
attimo disorientata.
«Io...
e anche lui
possiamo far parte della tua felicità, ma non essere la
felicità
stessa. Capito?»
Lei
annuì.
«Quindi,
per
favore, riprenditi e combatti, non ti far sottomettere da nessuno
perché sei viva e la vita si vive una volta sola. Se in
questa ti
lascerai sottomettere non avrai un'altra possibilità. Devi
essere
felice adesso e ogni volta che ne avrai l'occasione!» dissi.
Senza
rendermene
conto stavo esprimendo tutto quello che pensavo di mia sorella.
Da
quando nostra
madre era partita tutto era stato più difficile, ma ci aveva
fatto
crescere.
Anche
io avevo fatto
un sacco di sbagli, ma non volevo compierne più.
Alice rimase ammutolita, a fissarmi in silenzio.
Improvvisamente
mi sorrise,
luminosa, per la prima volta dopo mesi.
Quant'era
bella
quando sorrideva così!
«Ho
capito! Mi hai
aperto gli occhi, lo farò! Non ho bisogno di qualcun altro,
non è
vero che sono più debole degli altri. Voglio essere felice,
anche
per te! Anche io voglio essere parte della tua
felicità!» sorrise
come una bambina.
Sì!
Sì!
Finalmente!
«Però
adesso ho
ancora bisogno di te.» sorrise più imbarazzata subito dopo.
«Certo,
solo non
devi permettere che una sola persona ti condizioni la vita. Ehi, se
spegni la luce è ovvio che non vedi più i colori,
no?»
«Già.»
annuì
lei.
Ecco
come avrei
potuto aiutarla ad essere felice, non dovevo prendere decisioni per
lei, non dovevo costringerla a fare niente.
Fin
dall'inizio
bastava solo aiutarla ad accendere l'interruttore, farle vedere che
la luce esisteva.
Era
lei, poi, quella
che avrebbe visto i colori.
Era
lei quella che
magari avrebbe scelto i suoi preferiti.
Era
lei quella che
li avrebbe presi e poi li avrebbe portati con sé.
______________________________Authoress' words
HofrettaedevocorreredaGa_chansennòmiuccideallaprossimascusateseilcapitolofaschifociao.
P.S. Gli occhi di Evelyn sono automaticamente anche
gli occhi di Alice dato che sono gemelle. :)
P.P.S. In questo capitolo c'è meno introspezione del solito perché è Evelyn a parlare e come molti di voi avranno capito, lei è una tipa molto fredda e non comprende bene le emozioni degli altri e neanche le sue. :)
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Capitolo 19 *** Amore brutale ***
11
novembre 1988
Dondolavo
dolcemente
la mia testa al ritmo della canzone che stavo ascoltando sul walkman
che mi ero stato regalato al mio compleanno.
Lo
usavo spesso
quand'ero da sola e quella canzone era diventata una delle mie
preferite.
Già,
ma che cosa
strana, non mi ricordavo neanche come si chiamava!
Però
era dolce, le
parole erano romantiche e il motivo ricordava una ninna-nanna.
Era
così
rilassante, mi faceva dimenticare dei miei problemi e mi faceva
sentire il mio cuore più forte... Palpitava al ritmo delle
mie
canzoni preferite, era questa la magia della musica.
Sorrisi.
Dovevo
solo
ringraziare Billie per avermelo fatto scoprire, anzi, l'avrei fatto,
non me ne dovevo dimenticare.
Passo
dopo passo
finalmente giunsi davanti a casa sua e bussai senza togliermi le
cuffiette.
Dopo
poco Anna mi
aprì e dovetti a malincuore sfilarmele a metà
canzone.
Beh,
era la quinta
volta che la ascoltavo quel giorno, in fondo forse poteva bastare.
«Ciao
Alice! Chiamo
Billie.» mi sorrise affabile mia cugina.
«Grazie
Anna.» le
sorrisi di rimando mentre entravo in casa.
Mi
appoggiai al
divano mentre aspettavo, nel frattempo mi guardavo intorno.
Nell'ultimo
periodo
avevo perso i contatti con i miei sensi, con i dettagli delle cose.
Ero rimasta troppo concentrata su me stessa dimenticandomi quasi
dell'esistenza del mondo esterno.
E
questo era
sbagliato, molto
Mi
ero dimenticata
di quanto potesse essere bella la semplicità del mondo.
Già,
mi ero
dimenticata che ero viva, in un certo senso.
Mi
stavo riprendendo
in fin dei conti.
Sorrisi.
Ok,
non mi ero
ripresa ancora del tutto, lo ammetto, ma dovevo provarci.
La
mia felicità non
doveva dipendere dagli altri, solo questo dovevo ricordare.
Sospirai.
Però
quasi tutte le
notti sognavo Tré, da più di un mese oramai.
E spesso pensavo a
lui.
E
provavo il
desiderio bruciante di parlargli.
Già,
ma più questo
desiderio diventata forte più sarebbe stato pericoloso
avvicinarmici
davvero, perché ci sarei cascata ancora più
facilmente.
Evelyn
mi diceva
spesso la frase “occhio non vede, cuore non duole”,
ma sembrava
che quella semplice regola per me funzionasse all'inverso.
«Alice?
Andiamo?»
sobbalzai sentendo la voce di mio cugino.
Era
vicino a me e
non me ne ero neanche accorta!
«Scusami,
non ti
avevo visto!» risi di me stessa facendo sorridere anche lui.
«Andiamo, che siamo in ritardo.» mi alzai e mi
avviai verso la
porta.
«Buongiorno!
Siete
in ritardo!» mi rimproverò Vyol appena ci vide
arrivare.
«Colpa
mia.»
ammise Billie fin da subito.
«E
ti pareva! Alice
non è mai in ritardo! Sei troppo precisa.» mi
rimproverò Vyol.
«Cosa?
Devo
ritardare di proposito? Non ha senso!» risi.
Vyol
sorrise a sua
volta, poi mi prese per mano.
«Devo
dire una cosa
in privato a Lyss, voi due rimanete qua e approfittatene per dirvi
cose da ragazzi.» disse solennemente, poi mi
trascinò via, un po'
più lontano in modo che non potessero sentirci.
«Come
va?» mi
chiese dopo aver controllato di essere al riparo da orecchie
indiscrete.
«Come
al solito.»
alzai le spalle in segno di resa, leggermente imbarazzata.
Avevo
capito a cosa
si riferiva.
Vyol
sospirò,
sembrava combattuta come se non sapesse decidere se parlare oppure
no.
Mi guardò con occhi seri, troppo seri.
«Tra
una settimana
lo rivedrai.» mi disse poi, incerta.
…
Eh?
Sentii
il mio cuore
accelerare, il sangue scorrere troppo velocemente, dovevo essere
diventata tutta rossa.
«C-cosa?»
forse
era stata solo un'allucinazione?
«Sì,
però non c'è
bisogno che tu gli parli. A meno che tu non voglia, ma lo
sai...» precisò lei senza sapere come continuare.
Ok,
era tutto vero.
In
parole povere lo
avrei visto, ma sarebbe stato da lontano.
«Lo
so.» annuii
tristemente. «Perché lo
vedrò?» le chiesi leggermente
incuriosita.
«Questo
te lo
devono dire Billie e Mike, altrimenti non c'è
gusto!» sorrise lei.
Allora
doveva essere
qualcosa che riguardava la musica.
Bene.
«Allora
andiamo.»
dissi con un filo di voce voltandomi verso gli altri due.
Ci
avvicinammo, a
quanto pare stavano discutendo della stessa cosa dato che li sentii
parlare di “un'occasione importante e pericolosa”.
«Di
che parlate?»
chiesi facendo notare la mia presenza.
I due si lanciarono uno sguardo d'intesa, poi Billie mi sorrise.
«Abbiamo
ottenuto
un live al Gilman Street.» annunciò solennemente.
… Eh?!
Ma...
erano mesi che
ci provavano!
«Cosa?!
Ma è
fantastico!» dissi portandomi le mani alla bocca per lo
stupore.
«Visto?
Se te lo
avessi detto io non avrebbe fatto lo stesso effetto.» mi fece
l'occhiolino Vyol.
Mi
ricordai di
quando li sentii la prima volta a Vallejo. Da quel momento avevo
sempre tifato per loro e quella notizia mi aveva reso euforica!
«Come
lo avete
ottenuto? Non vi avevano rifiutati quando ci avete provato la prima
volta?» chiesi allegramente.
Vidi
Mike fissare
Billie, poi tornò su di me.
«Beh...
a dire il
vero sì... è merito di Tré se
l'abbiamo ottenuto.»
Era
quasi un mese
che non sentivo quel nome. Insomma, oramai quasi tutti quando
parlavano di lui usavano altre parole, come se fosse stato un
tabù,
come se potesse fare male.
«Tré
suona lì già
da cinque anni con i Lookouts!, quindi è grazie alle sue
conoscenze
che siamo riusciti a farci concedere una serata di prova. Se
andrà
male però ci toccherà tornare al Rod's Hickory
Pit.» mi spiegò il
bassista.
«Per
questo motivo
abbiamo bisogno della tua presenza, Alice. Abbiamo bisogno di quanto
più pubblico possibile.» concluse Billie.
Beh,
in effetti era
da parecchio che non mi facevo vedere ai loro live e di questo mi
sentivo anche parecchio in colpa. A dire il vero era Billie stesso
che mi chiedeva di non farmi vedere in giro per evitare il
batterista, però non avevo mai insistito più di
tanto.
Di
solito il sabato
aspettavo l'ora in cui avrebbero iniziato il concerto e poi ascoltavo
la cassetta che mi avevano regalato, quella in cui suonavano dal
vivo.
Era
l'unica cosa che
mi tirava un po' su.
Però,
adesso, avrei
finalmente avuto l'occasione di rivederlo... non sapevo neanche io
che sentimento avrei dovuto provare.
Felicità,
paura?
Forse
avrei dovuto
provarli entrambi.
Felicità,
perché
una parte di me voleva incontrarlo da tanto, troppo tempo. Una parte
di me doveva incontrarlo, mi sentivo come se tutto
tendesse a
quello, come se solo facendolo avessi potuto risolvere tutti i miei
problemi.
Paura,
perché se
solo gli avessi parlato sarei stata in pericolo.
Sapevo
già che i
miei neuroni si sarebbero azzerati e che avrei finito per combinare
un altro guaio.
Erano
quelli i
momenti in cui invidiavo la razionalità di Evelyn.
…
«...
Stavo
pensando...» iniziai timidamente. «I-insomma,
è passato quasi un
mese e... f-forse potrei anche smettere di evitarlo così!
Non faccio
lezione di matematica da troppo tempo ormai, no? I-immagino che si
sarà anche dimenticato di me nel frattempo, dopotutto non
è che
provasse qualcosa per la sottoscritta!» dissi quasi squittendo per
l'imbarazzo.
Ma
che cavolo stavo
dicendo?!
«Lyss,
non dire
così...» iniziò Vyol dolcemente.
«Non
se ne parla.
Il problema fondamentalmente non è lui, ma sei tu. Saresti
capace di
cascarci di nuovo.» disse duramente Billie.
Ahi.
Quelle
parole furono
una pugnalata nello stomaco.
Fredde
e dure come
poche.
Ero
sempre io la
debole della situazione, eh? Questo non era ancora cambiato a quanto
pareva.
«Alice,
tu non devi
sentirti costretta, ma obiettivamente devi essere forte per riuscire
a parlargli. Non puoi farlo come se non fosse successo niente,
capisci?» disse Mike interpretando in maniera più
morbida le parole
di Billie.
Beh,
dopotutto era
vero...
Avevano
dannatamente
ragione.
«Io
non riesco a
perdonarlo fino in fondo, Lyss. Sai anche perché.»
disse mio cugino
lapidario.
«Eh?
Gliel'hai
detto?» gli chiese Mike perplesso.
«Cosa?
Cosa le hai
detto?» chiese Vyol preoccupata dal tono serio di mio cugino,
ma lui
si limitò a scuotere la testa e a mormorare un
“niente”
sommesso, prima di incamminarsi.
«Dovevamo
andare al
pub, no?» aggiunse voltandosi verso di noi dopo qualche
passo, così
iniziammo a camminare tutti dietro di lui.
Già,
Billie si era
innamorato di me, ma spesso me ne dimenticavo dato che riusciva a
comportarsi in maniera del tutto normale con me. Aveva un incredibile
autocontrollo su questo, mi chiedevo come facesse.
Era
davvero da
stimare, di sicuro gli costava un grande sforzo, ma alla fine voleva
solo che io fossi felice.
…
Grazie,
Billie, devi
perdonarmi per tutto quello che ti ho fatto passare.
19
novembre 1988
La
giornata era
iniziata normalmente.
Già,
c'era solo un
po' di nervosismo elettrico nell'aria... giusto quel po' che mi
faceva contorcere lo stomaco e mi faceva sentire viva.
Sì,
lo sapevo, non
mi sarei neanche avvicinata a Tré, però... anche
solo il fatto che
l'avrei visto e che l'avrei avuto vicino mi faceva quell'effetto.
Avrei
voluto
parlargli, pensai sospirando, ma non l'avrei fatto: nessuno voleva
che facessi una cosa del genere, ero l'unica.
Però,
dopotutto,
anche lui voleva parlarmi, no? Forse avrei dovuto lasciargli una
piccola possibilità...?
…
No,
non dovevo ragionare così!
Proprio
per colpa di quei pensieri così stupidi non potevo non comprendere
Billie...
dopotutto me l'aveva detto più volte: era rischioso per me
farlo, ci
sarei cascata di nuovo.
Non
potevo non
dargli ragione.
Per
come mi sentivo
in quel momento mi sarebbe bastato un solo gesto per lasciarmi usare di
nuovo, persino l'essere usata mi mancava!
Forse
gli altri
l'avevano capito e forse era per questo che si comportavano tutti in
maniera così delicata con me: facevano attenzione alle
parole
che usavano quando mi parlavano, mi guardavano attentamente, come se
volessero studiare le mie reazioni.
Pensandoci
bene...
era anche un po' fastidioso.
Insomma,
perché
dovevo essere la debole della situazione? Magari, dopo tutte quelle
esperienze, ero anche maturata, no?
Insomma,
non era
possibile che fossi rimasta sempre ferma allo stesso punto... era
vero, fin da piccola ero stata quella che non imparava dagli errori,
però sentivo che qualcosa era cambiato.
…
Era
tutto così
diverso!
Non
ero più la
ragazzina che si accontentava solo di Evelyn.
Non
ero più la
ragazzina che obbediva a tutto ciò che veniva detto dalla
madre.
Non
ero più quella
che pensava che gli amici fossero una perdita di tempo e non ero
neanche quella che si sarebbe sempre sottomessa al volere degli
altri.
Io
non ero più
Alice, non quella, almeno.
Io
ero Lyss, ed ero
un'altra persona.
Ero
Lyss, avevo dei
sentimenti ed erano forti.
Mi
stavano facendo
battere il cuore sempre di più, mi rendevano viva.
Alice
aveva solo
dormito per anni, Lyss si era svegliata all'improvviso e voleva
vivere.
Sospirai.
Già,
ma sembrava
che agli occhi degli altri non fosse cambiato nulla.
Anche
Evelyn mi
fissava di continuo, come se avesse temuto che sarebbe successo
qualcosa di pericoloso da un momento all'altro, preoccupata.
Era
da tutta la
mattina che lo faceva.
Di
solito ero
contenta di ricevere le sue attenzioni, eppure persino con lei
provavo una sensazione di fastidio.
«Tutto
ok?» le
chiesi leggermente innervosita, mentre mi passavo un po' di matita
sugli occhi.
«Eh?
Sì. Mi stavo
solo un po' preoccupando per te...» disse intimidita dal mio
tono di
voce.
Ok,
ero stata un po'
troppo dura.
«E
perché?» le
chiesi più dolcemente. «Non sto andando a
suicidarmi, sto solo
andando a un concerto... e sono anche sicura che sarà
meraviglioso!»
sorrisi voltandomi verso di lei.
Evelyn
sospirò, si
alzò dal letto su cui era seduta, mi si avvicinò,
mi fissò negli
occhi.
«D'accordo,
non
voglio metterci mano e non voglio dirti niente. Solo una cosa: fatti
valere.» mi sorrise.
Mi
mancò per un
attimo il respiro.
«Sì,
ma non la
fare così drammatica! È solo un
concerto!» parlai con un filo di
voce.
Lei
mi sorrise di
nuovo, ma non mi rispose.
Ecco
perché mi
trattavano come una bambina bisognosa di una guida: perché
mi
comportavo da tale.
Sembravo
debole,
parlavo da debole, reagivo da debole.
Odiavo
questa cosa
con tutta l'anima, anche perché nella mia testa non volevo
essere
così, nella mia testa riuscivo ad essere diversa, ma solo
lì. Con
gli altri mi comportavo solo come loro volevano che mi comportassi,
non riuscivo a fare altrimenti.
E
ovviamente loro mi
trattavano di conseguenza, mi “proteggevano”, ma io
desideravo
farmi male da sola, chissà perché.
…
No,
in realtà non
volevo farmi male.
In
realtà nella mia
testa c'era ancora la speranza di poter risolvere le cose
“sbagliando” di nuovo.
… Che pensiero assurdo, ma chissà cosa sarebbe successo se solo avessi ceduto all'istinto...
«Lyyyyss!»
Vyol
corse ad abbracciarmi fuori dal Gilman.
Per
un attimo mi
mancò il respiro, tanto era energico la sua stretta.
«Ehi,
Vyol!» la
salutai spingendola un po' per non soffocare.
«Sei
pronta? Io
sono agitatissima! Sarà un concerto al Gilman! Avranno
un'ora di concerto! Capisci? Un'ora! È
tantissimo!» iniziò
a saltellare come al solito.
«Lo
so!» le
sorrisi, ma non riuscivo ad entusiasmarmi quanto lei.
Mi
sentivo in ansia,
come se stessi per affrontare un esame.
Dovevo
scacciare
quella stupida sensazione, dannazione, ma cercare di calmarmi non
faceva altro che accelerare il mio battito cardiaco.
Dovevo
respirare
piano, dovevo riuscirci.
Improvvisamente
la
porta si aprì con uno scatto. Il rumore mi fece voltare e
vidi
Billie uscire infuriato dal locale.
Che
stava
succedendo?
Vyol
smise di
saltellare, Mike uscì seguendo mio cugino.
«Ascolta,
non è
detto che volesse davvero...» iniziò il bassista.
«Un'ora
e mezzo
fa?! E poi guarda tu stesso! Non c'è! Non c'è da
nessuna parte! Lo
vedi?! No! Come non lo vedrà nessun altro! E sai che ti
dico?
Stavolta è l'ultima se non lo trovo!»
urlò con tutta la rabbia che aveva.
«Magari
c'è stato
solo un contrattempo...» tentò di nuovo Mike.
«Non
è possibile!
Fidati! È esattamente come sembra! I contrattempi non durano
tanto!»
urlò più forte mio cugino.
«Billie,
calmati!
Non puoi fare una scenata qui fuori!» alzò la voce
anche Mike.
«Sì
che posso!
Cazzo! Non è possibile che per una fottuta volta che abbiamo
un po'
di fortuna, succede questo! È normale?! Come fai a rimanere
impassibile?» ringhiò ancora lui.
«Sono
incazzato
quanto te, sto solo cercando di non farlo sapere a tutta
Berkeley!»
Io
e Vyol ci
fissammo perplesse.
Lei
era sconvolta
quanto me, non riuscivamo a capire cosa fosse successo.
«Ehm...
Ciao
ragazzi! Che succede?» azzardò Vyol fingendo di
non aver sentito
niente avvicinandosi con me al seguito.
Billie
sollevò lo
sguardo, ci fissò entrambe, poi si guardò intorno
come per cercare
di calmarsi.
Improvvisamente
mi guardò dritta
negli occhi.
«...
Quel coglione
di Tré è uscito a prendere una boccata
d'aria.» borbottò cercando
di non perdere le staffe.
«Ehm...
e quindi?»
chiesi io perplessa.
«È
andato a
prendere una boccata d'aria un'ora e mezzo fa.»
spiegò Mike.
Io
e Vyol sgranammo
gli occhi.
«E
se non si
presenta possiamo anche dire addio al Gilman, non ci daranno un'altra
fottuta possibilità! Saremo confinati a Vallejo per il resto
della
vita! Cazzo!» rialzò la voce BJ.
No.
Non
era possibile.
«...
Tra quanto
inizierà il concerto?» chiesi all'improvviso.
«Tra
45 minuti.»
rispose Mike incerto.
…
No,
avevo avuto
un'idea davvero stupida, non potevo davvero dire una cosa del genere.
«...
Vado a
cercarlo!»
Ecco.
L'avevo
detto sotto
gli occhi perplessi di tutti.
Perfetto!
____________________Authoress' words
Hi!
E così mancano solo due capitoli alla
fine, eh? Cavoli, meglio non pensarci.
E così la nostra Lyss si è
decisa e stavolta definitivamente! ^w^
Beh, ci stiamo avvicinando al finale, aspettatevi i
fuochi d'artificio! ;)
|
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Capitolo 20 *** Salve sconosciuto, sono un disastro! ***
19
novembre 1988
«Cosa?
Non se ne
parla, andrò io a cercarlo.» tentò di
fermarmi Billie.
Lo
so, stavi solo
cercando di proteggermi, ma oramai non ce n'era bisogno.
Prima
o poi sarebbe
dovuto arrivare il momento in cui l'avrei incontrato, anche se tutti
continuavano ad opporsi.
«BJ,
il concerto è
in pericolo e abbiamo solo 45 minuti! Se proprio ci tieni cercalo
anche tu, non possiamo permetterci di perdere altro
tempo a
discutere!» dissi muovendo qualche passo indietro, poi mi
voltai e
iniziai a correre.
Sì,
sì, sì!
Finalmente mi stavo liberando di quel velo di protezione
così
pesante che mi avevano imposto!
Solo
ora capivo che
io avevo sempre voluto farlo, avevo sempre voluto incontrare
Tré, ma
non avevo mai avuto il coraggio di cedere al mio istinto.
Che
stupida!
Correre
a quel modo
mi stava liberando di tutto, a ogni passo cadeva un peso da me.
Un
passo, cadde la
mia paura.
Due
passi, cadde la
mia inettitudine.
Tre
passi, cadde la
mia indecisione.
Cadevano
e di certo
non sarei tornata indietro a raccoglierle.
Ero
libera per la
prima volta in tutta la mia vita!
Avevo
preso una
decisione da sola, seguendo l'istinto, senza neanche ragionare ed era
perfetto così!
Mi
fermai ansimante,
di Tré non c'era traccia.
Controllai
l'orologio, mancavano 38 minuti all'inizio del concerto.
Ripresi
un attimo
fiato, mi sentivo scoraggiata.
Avevo
pensato che
fosse probabile che si trovasse in quel posto, dopotutto il 7-11 era
stato un rifugio per tutti noi per un bel po' di tempo.
… Forse però era
troppo ovvio, dopotutto lui aveva deciso di sparire, forse aveva
scelto un posto più nascosto.
La
mia corsa doveva
riprendere, non avevo tempo.
Meno
30 minuti,
bussai alla porta di casa sua.
Mi
aprì una
ragazza, supposi fosse sua sorella.
«Sì?
Chi sei?» mi
chiese.
«Tr...
Frank è in
casa?» chiesi col fiatone ignorando totalmente la sua domanda.
«Eh?
Cosa? No... Ma
chi sei, scusa?» mi chiese di nuovo perplessa.
«Grazie
mille,
perdona il disturbo!» la ignorai correndo già via.
Non
avevo tempo per
fermarmi a presentarmi, dannazione.
Dovevo
correre,
correre via da quella situazione!
Se
l'avessi trovato
mi sarei lasciata dietro tutto quello che ero stata prima, non mi
importava di nient'altro.
Avevo
tentato molte
volte di combattere la mia debolezza, avevo sempre fallito.
… Ma non quella
volta!
Meno
27.
La
mia corsa
disperata stava iniziando a farsi troppo pesante.
Il
mio corpo mi
implorava di fermarmi.
Non
ce la facevo più
a continuare.
Ero
al parco, mi
lasciai cadere su una panchina, quella su cui lui mi aveva trovata
quando ero fuggita di casa.
Quella
da cui era
iniziato tutto.
La
mia testa mi
diceva di correre ancora, di continuare per non fallire di nuovo.
Mi
diceva che dovevo
essere io a trovarlo, non doveva essere Billie o un altro di loro.
Ero
io quella
che aveva qualcosa da dirgli.
… E non sapevo
neanche cosa, a pensarci bene.
Cercai
di riprendere
fiato, non ce la facevo più.
Ero
immersa nel
silenzio di quella giornata quasi invernale, il vento mi stava
facendo rabbrividire e la tensione non contribuiva a farmi stare
meglio.
Dannazione.
Perché
non lo
trovavo?
Non
avevo idea di
dove cercare ancora.
Dove
diamine si era
cacciato?
Mi chinai in avanti, respirando affannosamente.
Notai un piccolo sassolino a forma di cuoricino tra la ghiaia sotto la panchina.
Ecco a cosa mi aveva portato innamorarmi, a quella esasperazione!
Non ne potevo più, non ne potevo più di niente!
Dannazione!
Diedi un violento calcio all'indietro a quello stupido simbolo che mi stava causando tanti guai. Quest'ultimo partì, lo seguii con lo sguardo e solo allora notai un viale che non avevo mai visto prima.
Possibile?
Vivevo in
quella zona da anni, come facevo a non essermene mai accorta?
Aveva
un qualcosa
di... mistico, era inquietante.
Mi
alzai dalla
panchina, ancora un po' stanca, mi ci avvicinai.
Era
come tutte le
strade di Berkeley, non aveva niente di strano, però
sembrava
diverso allo stesso tempo.
Ho
sempre pensato
che tutte le cose succedono per un motivo nella vita, anche l'aver
trovato quella strada, in quel momento, magari significava qualcosa.
Non
era un pensiero
razionale, ma non avevo nulla da perdere, non avevo idee su dove
cercare ancora.
Mossi
qualche passo,
piano, non ne potevo più di correre.
Mi
sentivo stanca,
mi girava un po' la testa per la fatica, al punto che improvvisamente
mi sentii mancare il terreno sotto i piedi.
Caddi
a terra, in
maniera ridicola.
«Ahi...»
mormorai
mettendomi seduta.
Sospirai.
Guardai
dietro di
me.
Non
ero
semplicemente caduta, ero inciampata.
Beh,
almeno non
stavo così tanto male da non avere più il senso
dell'equilibrio.
Senza
neanche
alzarmi mi avvicinai al sasso che mi aveva fatto finire a terra.
Si
trovava dentro il
terreno e aveva un colore marroncino.
…
Non
era un sasso,
era un qualcosa di seppellito, avevo davvero paura di aver capito
cosa fosse.
Mi
feci coraggio,
estrassi quell'oggetto dalla terra.
Lo tirai velocemente fuori e quella assurda certezza mi assalì.
Sì,
era quello che
pensavo.
Una
bacchetta da
batteria.
Impallidii
stringendola nella mano.
Che
significava?
Un
gesto così
strano e in un certo senso estremo, cosa poteva significare?
Perché
Tré avrebbe
dovuto fare una cosa del genere?
Forse era per lasciare una traccia?
Ora
sì che ero
preoccupata.
Mi
alzai, con le
poche forze che mi rimanevano.
Dovevo
raggiungerlo,
ovunque fosse.
Raccolsi
la
bacchetta, me la infilai in borsa.
Ricominciai
a
correre, anche se sbandando. Non riuscivo a mantenermi perfettamente
in equilibrio, ma ero disperata, non potevo fare altro.
Inizia
a percorrere
quello strano viale, lasciavo che la strada scorresse veloce, anche
se sembrava non finire mai.
Non
c'era nulla lì,
non c'erano case, non c'erano persone.
C'era
solo il
silenzio, la città sembrava lontana kilometri da me.
A
ogni passo la
tensione, la mia tensione, cresceva.
Avrei
corso fino
allo scadere del quarantacinquesimo minuto se necessario, non potevo arrendermi!
Quasi non riuscivo più a pensare, quasi non mi importava più di niente.
Non sapevo perché avesse fatto tutto ciò, ma dovevo trovarlo!
Improvvisamente
vidi
una luce in lontananza, quel viale buio era finito.
Finalmente
la luce
del sole.
Mi
fermai per
riprendere un attimo fiato.
D-dannazione...!
Avevo
il cuore che
batteva a una velocità vertiginosa, mi girava la testa!
La corsa e poi anche l'emozione mi stavano facendo quell'effetto?
B-beh,
nessuno aveva
detto che Tré fosse esattamente alla fine del viale,
perché stavo
reagendo così?
Era
solo il pensiero
di rivederlo che mi riduceva in quello stato?
Era
un mese che non
lo incontravo, anche se volevo.
Mi
era stato
impedito dalla mia stupida testa e anche da chi voleva aiutarmi.
Non
ero arrabbiata
con chi ci aveva provato, dopotutto avevano solo cercato di farmi
stare bene.
No,
no.
Ero
arrabbiata col
fatto che non ero stata in grado di capire fin da subito cosa dovevo
fare.
Ma
oramai era tardi
e il passato non potevo cambiarlo.
Ma
il futuro sì.
Ed
era quello che
avrei fatto quel giorno, pensai facendomi forza.
Feci
quei pochi
passi che mi separavano dall'uscita del viale con decisione.
Eccomi,
ero lì.
Ero
pronta,
finalmente.
Lasciai
che la luce
del sole mi accecasse un attimo.
Rimasi
senza fiato.
Non
avrei immaginato
che dopo quel viale buio e solitario si aprisse un belvedere che dava
sui monti intorno alla città e le campagne.
Era...
bellissimo!
Faceva
venire voglia
di urlare!
Già,
ma mi
trattenni.
Sentii
il mio cuore
fermarsi quando vidi Tré pochi metri più in
là, seduto sul
muretto.
Tra
le mani
stringeva una canna o qualcosa di simile, guardava giù
osservando il
panorama.
Feci
qualche passo
verso di lui, nel silenzio, anche se la mia testa stava per
scoppiare.
Immaginare
di
incontrarlo e averlo davanti per davvero era molto diverso,
dopotutto.
Diamine,
che
confusione!
Cosa
era che dovevo
dirgli?
Ah,
già, il
concerto... me ne stavo dimenticando.
Che
stupida.
Improvvisamente
lui
sospirò, iniziò a canticchiare qualcosa. Era una
canzoncina sulle
canne.
«Rolla,
rolla,
rolla una canna, girala alla fine, accendila, fatti un tiro e passala
ai tuoi amici.» intonò senza distogliere lo
sguardo dal paesaggio,
poi si portò quella roba alle labbra e l'accese.
Sospirai,
rumorosamente per il nervosismo.
Mi
sentì.
Si
voltò.
Rimanemmo
entrambi
paralizzati.
Ecco,
ci stavamo
guardando. Era da troppo tempo che non ci vedevamo.
«Lyss...?»
mormorò
lui perplesso.
Annuii
facendo
qualche passo in avanti verso di lui.
Già,
ero proprio
io.
Il
cagnolino era
tornato.
«Beh,
è da un po'
che non ci si vede, eh?» chiese lui con un tono di voce
stranamente
allegro, come se non fosse successo niente di niente in tutto quel
tempo.
Quel
modo di parlare
mi diede decisamente fastidio.
Certo,
non mi
aspettavo che mi accogliesse con chissà quale
cerimonia, ma il fatto che
addirittura fingesse indifferenza mi diede fastidio.
Però...
c'era
qualcosa di anomalo nel suo modo di parlare.
Sembrava...
esausto,
come se non ce la facesse più neanche lui a reggere tutta quella situazione.
I
suoi occhi erano
stanchi.
«Cosa
ci fai qui?»
chiese dopo aver dato una boccata a quella canna.
Cosa
ci facevo lì?
No,
non era il
momento di lasciarmi prendere dall'emozione.
Non
dovevo più
essere il cagnolino, non dovevo dimenticarmene.
«Vorrei
chiederti
la stessa cosa.» dissi con un tono di voce indefinito.
«Perché sei
sparito così? Il concerto inizierà tra meno di
mezz'ora e con la
tua fuga stai mettendo in pericolo...» iniziai.
«Ah,
ho capito.»
fui interrotta.
Iniziai
a
preoccuparmi, negli occhi di Tré era passato un fulmine di
nervosismo.
Scese
dal muretto,
mi si avvicinò.
«Quando
sono io a
cercarti perché ti voglio parlare, ricorri ai mezzi
più assurdi pur
di evitarmi arrivando addirittura a sostituirti con tua
sorella...»
iniziò con un tono di voce sempre più pericoloso.
«Ma se è Billie ad aver
bisogno di me... allora cambia tutto, eh? Addirittura corri pur di
trovarmi in tempo, giusto?» disse con rabbia guardandomi
dritta
negli occhi.
Cosa?
Abbassai
lo sguardo
intimidita.
D-dovevo
solo
riportarlo al Gilman, non dovevo perdere troppo tempo.
Forse
avrei dovuto
solo dargli ragione e muovermi a riportarlo lì?
«Comunque
non ho
intenzione di far saltare il concerto.» precisò all'improvviso,
come
se avesse letto nei miei pensieri.
Lo
guardai
perplessa, colta in fallo nella mia mente.
Perché?
Perché
doveva mettermi così in difficoltà? Voleva
vendicarsi del fatto che
per colpa mia non c'era più lo stesso rapporto di prima con
gli
altri?
… Mi odiava,
adesso?
«Io
non volevo
evitarti.» mormorai con la voce strozzata.
C-che
diamine stavo
dicendo?
Era
patetico, non
potevo parlare così all'improvviso.
Tré
si allontanò
di qualche passo da me.
«Lo
so.» disse con voce totalmente diversa dopo.
Cosa?
Che...
significava
quel tono?
Alzai
gli occhi
interrogativa.
… Che strana
atmosfera.
Mi
sembrava di
essere in una sottospecie di sogno.
Forse
era solo
perché avevo il cuore che batteva troppo velocemente, forse
era solo
perché mi girava un po' la testa, ma tutto mi sembrava
così
evanescente, come se nulla fosse stato vero.
Né
io né lui
parlavamo in quel momento, dovevo dire qualcosa!
«Senti...
di cosa mi volevi parlare?» gli chiesi all'improvviso, non sapendo
neanche
io dove presi il coraggio per farlo.
«Come?»
chiese Tré
colto alla sprovvista.
«Mi
volevi parlare,
no? L'hai detto anche tu adesso.» gli ricordai.
Mi
fissò per
qualche secondo, poi scoppiò a ridere all'improvviso di una
risata
lievemente isterica.
«Sai
una cosa? Non
ne ho la più pallida idea!» disse allontanandosi
un po' da me.
«Come?»
«Davvero,
è
passato un mese e non ho capito bene neanche io cosa è che
voglio
dirti!» scosse la testa.
… Incredibile.
La
stessa identica
cosa che era successa a me.
Non
aveva senso!
«Lyss?
Posso
chiederti una cosa?» mi chiese all'improvviso dopo altri
secondi di
tesissimo silenzio, gettando via quello che era rimasto della canna.
«Sì?»
chiesi
timidamente.
Ed
ecco che il mio
tono di voce si faceva di nuovo debole.
«Tu...
sei ancora
innamorata di me?» mi chiese cogliendomi totalmente alla
sprovvista.
… Ma che razza di
domanda era?!
Non
volevo
rispondergli e farmi di nuovo prendere in giro!
«C-che
ti importa?»
chiesi all'improvviso innervosita. «I-insomma, non
c'è bisogno che
ti preoccupi di una cosa del genere. N-non avremmo neanche dovuto
iniziare a parlare di queste cose, l'unica cosa che ci dovrebbe
importare adesso è il concerto, quindi...» iniziai
a parlare senza
fermarmi.
Ok,
stavo andando in
panico totale.
«Che
te ne importa
del concerto adesso? Ti ho già detto che non ho intenzione
di farlo
saltare, ma non credo che sarò in condizione di fare una
buona
esibizione se ci vado con tutti questi pensieri per la
testa.» mi
bloccò lui.
Ah,
bene, mi
ricattava.
Ma
che credeva di
fare?
Farmi
anche prendere
in giro così era troppo.
«...
N-no, ok? Ci
tieni proprio a saperlo? Allora ti dico di no!» dissi con voce troppo acuta.
Ma
che diamine mi
prendeva?
Ero
di sicura
arrossita miseramente, che figura.
Mi
voltai iniziando
a camminare come se avessi voluto andarmene.
«Perché
menti
così?» mi bloccarono le sue parole.
Mi
voltai di nuovo
verso di lui, arrabbiata.
«Chi
sei tu per
dire se mento o no? Ora sei così presuntuoso da non riuscire
ad
accettare che una delle tue ragazze non ci tiene più
così tanto a
te?» ringhiai quasi.
I
miei pensieri
stavano uscendo dalla mia bocca senza che neanche riuscissi a
razionalizzarli.
Che
mi prendeva?
«Io
ci tengo
a te!» mi disse lui raggiungendomi. «Qual
è il tuo problema?»
disse afferrandomi il polso, impedendomi di allontanarmi ancora.
«Credi di essere troppo debole? È per questo che
hai paura dei tuoi
stessi sentimenti e lasci che siano gli altri a decidere per te? Chi
ha deciso che mi devi odiare? Evelyn o Billie?» disse con
rabbia
anche maggiore della mia.
«Non
ha senso
quello che dici!» mi sentii quasi di svenire, la mia voce era
uno
squittio.
«Sì
invece, lo sai
benissimo!» mi strinse il polso più forte.
Ahi...
faceva
male...
«Mettitelo
in testa
una volta per tutte, Alice: tu non sei
debole!» disse
allentando la presa fino a lasciarmi.
«Tutti
dicono e
pensano il contrario, non ho mai fatto qualcosa per essere forte, mi
sono sempre lasciata sopraffare dagli eventi!» gli dissi
sentendomi
la testa scoppiare.
«Sei
stata tu a
decidere di ospitare Billie, sei stata tu a decidere di staccarti da
tua sorella, sei tu che sei scappata di casa e sei tu che hai trovato
la forza di dirmi quello che pensavi, di dirmi che la situazione non
ti andava bene. Sono gli altri che hanno deciso che tu sei debole, ma
non è mai stato vero, Lyss! Anche io ci avevo creduto e
anche tu.»
disse lui, la sua voce era forte come non l'avevo mai sentita. Era
davvero convinto di quello che stava dicendo.
Io
ero... forte?
«Voglio
solo sapere
cosa pensi davvero, non voglio sapere cosa pensano gli altri,
Alice.»
concluse sospirando alla fine. Era esausto, come me.
Io...
Aveva
appena
affermato l'esatto contrario di quello che avevo pensato per anni,
ero confusa! Cosa avrei dovuto dirgli?
Diceva
che ero
forte, ma ero sempre stata solo una stupida debole, no?
No?
N-non
capivo!
Non
capivo più
niente!
No,
no, no, non
dovevo fare così.
Non
importava del
passato.
Io
volevo essere
forte, non importava com'era il mio passato.
Era
nel presente che
dovevo agire, questo contava.
Magari
lui aveva
ragione.
Io
ero forte.
Io
sono
forte.
Alzai
lo sguardo,
trovai il coraggio di guardarlo dritto negli occhi nonostante il
rossore pietoso sul mio viso.
Cosa
pensavo
davvero?
«Io
ti amo.»
confessai, senza neanche pensare.
Non
avevo
balbettato, l'avevo detto sul serio?
«P-però
non mi
lascerò usare.» dichiarai subito dopo abbassando
lo sguardo.
«...
Non voglio
usarti. Non avrebbe senso.» disse lui allontanandosi un po'.
«Vuoi
fare finta di
niente allora?» chiesi con un filo di voce.
Tré
vacillò,
sembrava indeciso.
Che
gli aveva preso?
Era stato così sicuro di sé fino a quel momento,
così
aggressivo...
Anche
lui abbassò
lo sguardo, solo dopo un po' parlò.
«Non
ci arrivi
proprio, eh? Non hai proprio messo in conto la possibilità
che
potessi innamorarmi anche io di te?» confessò a bassa voce,
quasi come
se stesse parlando tra sé e sé.
…
Eh?
Come?
Mi
sentii di
svenire, non avrei retto quella conversazione ancora a lungo.
«Ti
comporti come
se di te non me importasse nulla, lo hai sempre dato per scontato, ma
in realtà io ci tengo a te, Lyss.» aggiunse poi.
N-non
potevo
crederci.
Scoppiai
a ridere,
istericamente.
Tré
mi fissò
perplesso, preoccupato dal mio scoppio improvviso.
Era...
questo?
Tutta
quella
tensione accumulata per questo?
«Non
ci posso
credere! Non ci posso credere! Era questo che mi volevi dire e io ho
fatto di tutto pur di impedirtelo?» risi per l'ironia di
quella
situazione.
No,
no, dovevo
calmarmi, probabilmente sembravo del tutto impazzita in quel momento.
Improvvisamente
la
tensione si era allentata.
Altro
che atmosfera
romantica, quella conversazione era stata un incubo!
Mi
venne quasi da
piangere. Quando non c'è più la tensione della
rabbia, tutto si
trasforma in depressione.
«Sono
un'idiota!
Sono una dannata idiota!» riuscii a malapena a calmarmi dopo
qualche
secondo.
Rimasi
in silenzio
come una stupida, volevo dire qualcosa ma non riuscivo più a
parlare.
Lasciai solo
che le
braccia di Tré mi stringessero.
Meglio,
molto
meglio.
Era
solo di quello
che avevo bisogno.
«Scusami.
Sono un
disastro.» gli sussurrai.
«Come se io fossi molto meglio.» mi sorrise lui rassicurante, prima di
appoggiare con delicatezza
le sue labbra sulle mie.
…
Finalmente.
«Che
cazzo di fine
avevi fatto razza di coglione?!» urlò Billie non
appena ci vide
arrivare.
«Ah,
ecco, diciamo
che l'atmosfera era un po' tesa e avevo solo bisogno di rilassarmi un
po' e poi qui al Gilman non si può fumare
quindi...» iniziò Tré
con nonchalance.
«Non
me ne fotte un
cazzo di quello che volevi fare! Giuro che se non suoni decentemente
ti spacco la grancassa sulla testa!» esplose mio cugino
provocando
le risate di tutti.
Alla
fine anche lui
cedette e scoppiò a ridere per le sue stesse parole.
La
tensione era
svanita del tutto per la prima volta dopo mesi.
Era...
meraviglioso!
«Dai,
diamoci una
mossa. Dobbiamo iniziare tra pochissimo.» sorrise Mike.
«Voi due
andate a prendere posto.» aggiunse poi guardando me e Vyol.
«Vi
voglio in prima
fila, mi raccomando!» mi fece l'occhiolino Tré.
«Ah,
già!» mi
ricordai all'improvviso. «Hai “perso”
questa prima.» gli
sorrisi porgendogli la bacchetta trovata a terra.
«Ehi,
Lyss, ma si
può sapere che è successo tra voi due?» mi chiese
Vyol mentre ci facevamo
spazio tra la folla del Gilman.
«Parliamo
dopo il
concerto, ok?» le risposi sbrigativa.
Ora
avevo bisogno
solo di rilassarmi un po'.
Il
Gilman non era
molto grande, eppure era affollatissimo. Era l'unico locale punk di
Berkeley rimasto dopo la chiusura del Mabuhay Gardens e il Farm,
forse era per quello che vi si era riversata tanta gente
così in
fretta.
Dopo
poco si
accesero le luci sul piccolo palco, i Green Day fecero il loro
ingresso prendendo i loro posti immediatamente.
Attaccarono
subito
con una canzone. Sì, la conoscevo era “1'000
hours”! Era una
delle mie preferite!
Iniziai
a cantare
insieme a Vyol.
Erano
in pochi a
conoscerli, però anche chi non sapeva le parole delle
canzoni si
muoveva a ritmo, tutti erano coinvolti.
Come
sempre era
stupendo!
Amavo
il fatto che
inizialmente la canzone fosse solo con voce, chitarra e grancassa,
che solo dopo esplodesse davvero. Creava tensione, creava
aspettativa.
Perfetto!
Ovviamente
non ci fu
neanche un errore, tutti sembravano perfettamente a loro agio.
Billie
ringraziò il
pubblico dicendo che non poteva credere di non essere più
solo il
ragazzino che ascoltava, di essere finalmente dall'altra parte, il
pubblico reagì con un boato.
No,
dovevano
permettergli di continuare a suonare lì, lo meritavano.
Nonostante
tutta la
tensione di poco prima, erano di nuovo lì più
forti.
Erano
tornati ed
erano grandiosi!
E...
beh, per una
volta me ne presi anche un po' il merito, per una volta non avevo
rovinato tutto come era accaduto in passato.
Perché
io... ero
forte!
Con
un ultimo
accordo e un'ultima rullata sui tom, il concerto finì.
Era
stato
semplicemente grandioso, non c'era troppo da dire.
Dopo
qualche minuto
la gente iniziò ad uscire dal locale, a muoversi.
Afferrai
la mano di
Vyol.
«Andiamo
nel
backstage?» le chiesi.
«Sì!
Ah... Lyss?
Credo che... vorrei parlare di quella cosa a Billie.» rispose
lei quasi sottovoce
mentre iniziavamo a camminare.
Non
la potevo vedere
dritta in viso, ma immaginai che stesse arrossendo.
Cosa?
Voleva...
dichiararsi?
In
quel momento?
Non poteva! Billie provava
dei sentimenti nei miei confronti e lei neanche lo
sapeva!
Dovevo
dirle
qualcosa?
«Ehm...
Vyol...»
«Non
ti
preoccupare! Giuro che non farò scenate anche se mi dovesse
dire di
no. Io glielo voglio dire.» iniziò lei sognante.
«Vyol
non è una
buona idea dirglielo in questo momento.» risposi secca.
Lei
si bloccò.
«Alice,
perché mi
dici questo?» mi chiese perplessa.
«S-siamo
appena
usciti da un periodo di forte tensione, credo che non sia il momento
adatto...» cercai di giustificarmi.
«Ma
io... insomma,
sono anni che aspetto e avevo detto che mi sarei dichiarata solo
quando avrebbero ottenuto qualche cosa di importante con la band,
ricordi?» mi chiese.
«Sì,
me lo
ricordo, però oggi secondo me è meglio
evitare.» cercai di
convincerla disperatamente.
«Se
non è oggi
sarà domani, capirai che cambia! Io lo voglio
fare!» si lamentò
lei. «Davvero, non capisco perché ti preoccupi
tanto!» disse
lasciandomi la mano. «Sono stanca di aspettare.»
concluse con tono
drammatico prima di correre nel backstage lasciandomi indietro.
Diamine,
perché era
così impulsiva?
Sì,
lo sapevo, in
quel momento le sembrava la cosa giusta da fare, probabilmente era
anche lei un turbinio di sentimenti confusi...
Però
forse era
giusto così.
La
scelta era tra il
lasciare che si dichiarasse e l'impedirglielo per sempre.
Prima
o poi
l'avrebbe fatto e non avrebbe neanche aspettato troppo a lungo.
Anche
lei aveva
fatto una scelta e non volevo fermarla.
«Alice,
che fine
avevi fatto?» mi chiese Mike appena riuscii ad entrare.
«Ho
perso Vyol
nella folla, scusate.» sorrisi.
Sentii
il suono
della porta sul retro che si chiudeva.
A
quanto pare era
già partita all'attacco.
Troppo
tardi.
«Lyss!
Com'è
andata?» mi saltellò incontro Tré.
«Benissimo!»
sorrisi un po' sovrappensiero.
«...
Sicura?»
chiese notando la mia espressione.
«Sì,
sì! Scusami,
oggi è stata una giornata un po' stancante.»
sorrisi.
Potevo
solo sperare
che non la prendesse troppo male.
La
porta si riaprì.
Vyol
entrò dentro
il backstage con gli occhi rossi e col trucco un po' sciolto, Billie
la seguì subito dopo richiudendo la porta.
Era
accaduto quello
che temevo.
«Vyol!
Che è
successo?» le chiese Mike sinceramente preoccupato appena la
vide.
«Lascia
stare, ne
parliamo dopo.» rispose lei con un sorriso un po' malinconico.
Immediatamente
mi
avvicinai a Billie.
«Che
vi siete
detti?» gli chiesi a bassa voce, anche se riuscivo
già a
immaginarlo.
Billie
sospirò.
«Mi
si è
dichiarata e l'ho rifiutata. Starà male per un po', forse
verrà da
te a piangere dicendo che la sua vita è finita e che
è destinata a
rimanere sola... è più o meno quello che ha detto
a me.» mi
rispose con lo stesso tono di voce per non farsi sentire.
«E
tu che le hai
risposto?»
«Che
non ha il
diritto di dirlo, lei non è sola. Mike le muore dietro e lei
lo
ignora. Lui le si è addirittura dichiarato e lei non gli ha
neanche
risposto.»
Eh?
Cosa?!
Era
lei la ragazza
segreta di Mike?
Improvvisamente
caddi dalle nuvole e a stento mi trattenni dal cacciare un urletto di
stupore.
Ma
certo, era ovvio!
Tutto tornava così! Ero stata un'idiota a non capirlo prima!
«Anche
se non vuole
stare con lui non ha il diritto di dire che è sola. E poi,
sai...
non è finita finché non sei sottoterra,
no?» mi sorrise Billie.
Gli
sorrisi a mia
volta.
«Giusto.»
gli
dissi semplicemente senza aggiungere nient'altro.
Era così che volevo ragionare.
Per quanto nella vita ti possa andare male, finché sei vivo, finché hai una famiglia, degli amici che ti vogliono bene, una sola persona nel mondo che pensa di amarti... beh, allora vale la pena di combattere perché non è finita finché non sei sottoterra, non è finita finché non è troppo tardi.
«Ah,
comunque,
Billie... volevo solo ringraziarti, per tutto l'aiuto che mi hai dato
in questo periodo. Grazie.» gli sorrisi dolcemente.
«E...
quindi al 99%
ci fanno suonare di nuovo lì.» concluse il suo
calcolo statistico
Tré mentre mi riaccompagnava a casa dopo che tutti gli altri
se
n'erano andati: Vyol era uscita con Mike e Billie invece doveva
andare in un'altra direzione, quindi eravamo rimasti solo noi due.
«Beh,
è ottimo,
no?» sorrisi.
«Già!
E c'è anche
il 78% di probabilità che tra un paio d'anni i Green Day
saranno
famosi con regolare contratto discografico.» sorrise anche
lui.
«Ora
non
esagerare.» gli risposi ridendo.
«E
perché no? Se
non ci credi certe cose non si avverano.» mi riprese.
«Ok,
ok. Allora mi
preparo. Tra un paio d'anni sarò la cugina di un cantante
famoso in
tutto il mondo!» esclamai.
«Ti
conviene farti
autografare qualcosa nel frattempo, sai quanti soldi potresti
farci?»
scherzò Tré facendomi scoppiare a ridere di nuovo.
«Allora
domani ti
porto un po' di cose da firmare, ok?» sorrisi aprendo il
cancelletto
del giardino di casa mia.
Già
ero arrivata e
non me ne ero neanche accorta...
«Questo
significa
che domani ci vedremo?» mi chiese lui seguendomi nel giardino.
«Se
ti va...» gli
sorrisi fermandomi davanti alla porta di casa.
Mi
voltai, Tré mi
sorrise, poi appoggiò le sue labbra sulle mie con
delicatezza.
Chiusi
gli occhi.
«Allora
a domani,
Lyss.»
Nota:
questo non è l'ultimo capitolo.
_________________________________Authoress'
words
Alloraaaa! Questo capitolo è molto
più lungo dei precedenti, sono ben nove pagine.
Non ho molto da dire se non che sono esausta e sto
scrivendo da ore.
E che a quanto pare ho tendenza al fluff. u.u
Bene, a parte questo, vi dico che vi aspetto
domenica prossima con l'ultimissimo capitolo, stesso giorno, stesso
sito, non potete sbagliare!
Yeeeeeeh!
*sviene per la fatica*
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Capitolo 21 *** Il tempo della tua vita ***
2
gennaio 2013
Uno
scossone mi fa
sobbalzare un attimo.
Scuoto
la testa.
Non
è niente, è
normale che ogni tanto succeda, penso dondolando un po' la testa e
riappoggiandomi allo schienale del mio sedile.
Guardo
alla mia
sinistra, Evelyn sta con gli occhi chiusi e le cuffiette nelle
orecchie.
Forse
anche lei ieri
notte non ha dormito.
Non
so perché, ma
il pensiero mi fa sorridere.
Almeno
non sono
l'unica che si è emozionata per questa cosa, penso
socchiudendo gli
occhi.
Il
treno è così
tranquillo, il vagone è solo nostro e la luce del mattino
non mi dà
fastidio, anzi, mi rilassa.
L'espressione
di
Evelyn si contrae, apre gli occhi piano.
«Che
succede?» le
chiedo osservandola.
«Uhm...
si è
fermata la musica.» mugola tirando l'iPod fuori dalla borsa.
Per
un secondo
ripenso al mio vecchio walkman, quello che ho conservato a casa.
La
tecnologia è
cambiata molto in tutto questo tempo.
Sul
piccolo schermo
di quell'aggeggio appare il logo di American Idiot, sorrido
vedendolo.
«Però,
abbiamo
cambiato musica?» ridacchio.
«È inutile che gioisci, le canzoni sono belle dopotutto. È solo
per quello.»
risponde secca lei, forse un po' imbarazzata perché colta
“in
flagrante”.
Come
se fosse un
reato poi ascoltare le loro canzoni.
Dopo
un po' sospira,
si toglie le cuffiette.
«Che
ore sono?» mi
chiede.
«Le
9:00,
probabilmente siamo quasi arrivate.» le sorrido.
«Di
già?» chiede
perplessa.
Eh
già, manca
davvero poco, eh?
Cavoli,
al solo
pensiero sento un brividino di emozione che mi corre lungo la
schiena.
Non
sto andando a
fare niente di strano, me lo devo solo ricordare.
Ah...
niente da
fare. Il mio cervello non vuole proprio saperne dell'idea di
mantenere la freddezza.
Evelyn
sospira.
«Lisa
non mi ha
fatto chiudere occhio stanotte...» si lamenta.
«Oh,
come mai?» le
chiedo incuriosita.
«Beh,
sai, l'idea
che starò via due settimane non le andava molto
giù.» sorride.
È
felice che sua
figlia sia così legata a lei dopotutto.
«Ha
solo 11 anni, è
normale.» sorrido intenerita.
«Già,
anche se
molti ragazzini sono freddi e distaccati in questa età, lei
non lo
è. Ha molto di te, sai?» mi squadra con lo sguardo
tipico di una
madre.
Annuisco
un po'
malinconicamente.
Evelyn
ha avuto una
vita perfetta finora: è sposata e ha una figlia che
probabilmente è
la cosa più tenera e dolce che il pianeta abbia mai visto.
E
io... beh, io sono
sola.
È
umiliante in
effetti ammetterlo, ma Jake, il mio ex mi ha mollata poco prima del
nostro ipotetico matrimonio.
Già.
Precisamente due giorni prima l'ho scoperto un'altra donna di cui non so neanche il nome: non aveva il coraggio di lasciare una delle due, così gli ho tolto il peso di dover prendere una decisione e l'ho lasciato io.
…
Che
vigliacco,
almeno non mi sono sposata con la persona sbagliata.
Già,
anche se
razionalmente lo so, questa cosa continua a farmi male.
Sì,
è un'idiota,
però... insomma, mi ero innamorata di lui.
Oramai
è passato
molto tempo, ma non sono mai più stata con nessun altro. Dopo
quest'esperienza tutti mi sembrano così superficiali,
interessati a
qualcosa che non sono io.
Non
è stato un bel
momento e sarebbe meglio non pensarci a meno che non voglia
deprimermi proprio ora.
…
E
non è il caso.
Per
niente.
Oramai
ho 41 anni,
in teoria avrei già dovuto avere una famiglia, dei figli...
e invece
no.
Almeno
però ho un
lavoro abbastanza decente: sono una psicologa abbastanza conosciuta e
amo lavorare con gli adolescenti, quelli che credono di non avere
speranza.
Mi
accusano di
essere ingenua certe volte, perché voglio vedere le cose in
positivo, ma gli ingenui sono loro, quelli che si vogliono nascondere
dietro un semplice “tanto è impossibile”
prima di tentare ogni
cosa.
Sospiro.
«Sei
nervosa?» mi
chiede Evelyn.
«Dovrei?»
cerco di
dissimulare.
In
realtà ogni
volta che ci penso sento un'emozione crescente, come una ragazzina
che va al concerto del suo cantante preferito.
«Smettila
di far
finta di niente! Guarda che lo so.» mi riprende lei con
dolcezza.
«Cosa
sai?» le
chiedo continuando a guardare il mio cellulare tentando di distrarmi.
«Che
non è facile
rientrare nella vita di una persona... soprattutto se non la vedi da
venticinque anni.»
Colpita
e affondata.
«Aspetta...
non lo
so, fai qualcosa! Fatti riconoscere!» cerco di dire nel
cellulare
cercando di farmi sentire nonostante il rumore della stazione.
«Oh,
aspetta...
potrei sventolare qualcosa in aria! Guarda, sono quella che agita
quella borsa nera! Mi vedi?» una voce squillante mi risponde.
Mi
sforzo e
finalmente la vedo, una donna in lontananza che saltella sul posto
agitando un oggetto indefinito.
«Sì!
Ti ho vista,
ora ti raggiungiamo!» sorrido trionfante chiudendo la
telefonata.
Prendo
per mano
Evelyn e inizio a farmi spazio tra la gente che corre chissà
dove.
«È
quella tipa
laggiù?» mi chiede mia sorella.
Ed
ecco la prima
persona che incontro dopo venticinque anni precisi.
Diamine,
che
imbarazzo, chissà cosa dovrei dire per rompere il ghiaccio?
Oramai
non faccio
più parte della sua vita, forse non avrei mai neanche dovuto
contattarla...?
No,
no.
C'è
un motivo se ho
preso un treno per arrivare fino ad Oakland, non posso tirarmi
indietro alla prima difficoltà.
Annuisco
e
finalmente la raggiungiamo.
«Aliiiiiiiice!»
corre Viola saltandomi letteralmente al collo.
«E-ehi...!»
mormoro lievemente imbarazzata.
Si
stacca e mi
sorride.
Cavoli...
ha ancora
la stessa energia di quando avevamo 16 anni... è
incredibile, penso
sorridendo.
«Ciao
Evelyn! Sono
felice di rivedervi dopo tutto questo tempo! Che fine avevate fatto
che non mi trovavate?» chiede allegramente.
Sorrido
rilassata.
Con
lei non c'è
bisogno di rompere il ghiaccio.
«Beh,
avevamo preso
l'uscita sbagliata e stavamo andando in direzione opposta a
te.»
sorrido di me stessa e della mia fretta iniziando a camminare verso
la città, verso Oakland, finalmente!
«Oh
bene, già hai
fatto tutto allora!» sorride Evelyn.
«A-aspetta
un
attimo Viola, non mi hai detto niente!» dico perplessa.
«Beh,
mi sembrava
ovvio che dovessi avvertire anche loro, no? E poi scusa, se non
volevi farlo perché saresti venuta fin qui?» mi
chiede la nostra
guida mentre ci riposiamo un attimo al tavolino
di un
bar.
«Ah,
e poi mi dà
fastidio essere chiamata Viola, non puoi chiamarmi semplicemente Vyol
come l'ultima volta che ci siamo viste?» mi sorride con un
velo di
malinconia. «Non credo che adesso chiamerai quei due Michael
e
Frank, no?» mi provoca un po'.
Michael
e Frank?
Decisamente
no,
sarebbe un po' troppo freddo...
Ah,
dovrei farmi un
po' meno problemi, dopotutto loro non danno la minima importanza a
queste cose!
«No,
sarebbe un po'
troppo.» sorrido allo stesso modo.
«Comunque
quando e
dove li incontreremo?» chiede mia sorella guardandomi.
«Tra
mezz'ora... a
casa di Tré.» dice Vyol.
«A
casa?!»
sussulto.
«Che
c'è di
strano? Sai, non è una grande idea incontrarci fuori
considerando
che le fan sono ovunque.» dice lei a bassa voce.
…
Giusto,
certe volte
mi dimentico della loro fama, di quello che sono diventati.
«Ha
ragione, Lyss.»
dice Evelyn prima di portarsi alle labbra il suo caffè.
«Sì,
non ci avevo
pensato, scusate.» sorrido un po' falsamente.
È
così triste
certe volte pensare a come le cose siano cambiate.
Non
rivedrò mai più
Christie Road.
Non
rivedrò mai più
quei tre pazzi che non facevano altro che suonare e fumare canne
tutto il giorno.
Non
vedrò mai più
l'ira e l'amore.
Non
c'è più
niente, ora c'è la maturità di tre uomini adulti.
E
io...?
Anche
io sono
maturata, no? Non dovrei lamentarmi.
…
Cosa
darei per
tornare indietro, per cambiare il mio presente dal passato.
Avrei
potuto avere
una vita fantastica e l'ho gettata via in nome della
normalità.
Perché
sono stata
così stupida venticinque anni fa?
Tutto
è partito da
quella stupida scelta che ha portato al fallimento della mia vita sentimentale.
E
invece mi devo
limitare ad accettare il passato senza neanche chiedermi il senso
delle cose, come un dogma.
O
peggio, mi devo
limitare a non pensarci, a far finta che non sia mai esistito...
forse sarebbe meglio.
… No, no. Non
posso.
Fingere
che non sia
mai esistito è un errore, è lo stesso errore per
cui ho deciso di
fare questo viaggio.
Scuoto
la testa.
Io
sto bene.
Il
tempo continuerà
a scorrere anche se non sono io a deciderlo, le cose succederanno e
io ci sarò.
E
non serve che
cerchi di prevederle in anticipo.
Tanto
non potrei
riuscirci, in ogni caso.
Sono
ad Oakland, sto
per rivedere delle persone che vorrei rincontrare da una vita, cosa
può esserci di sbagliato in questo?
Io
ho un compito!
«Lyss,
stai bene?
Ti vedo pensierosa...» mi richiama all'attenzione Vyol.
Sorrido.
«Mai
stata meglio!»
dico e stavolta sono sincera.
Non
puoi cercare di
aiutare qualcuno se ti trovi nel suo stesso problema, non puoi far
capire a una persona la bellezza della vita se tu stesso vuoi la
morte.
Vyol,
sbuffando, mi
passa davanti e preme quel pulsante dorato accanto alla porta
d'ingresso della casa.
Poco
prima io ed
Evelyn avevamo posato i nostri bagagli in albergo, ora siamo davanti
casa di Tré, dove Vyol ha fissato l'incontro.
Cuore,
ti prego,
fermati.
Davvero,
non puoi
battere a duemila km/h solo per questo stupido campanello.
Faccio
un passo
indietro, non voglio essere la prima persona a essere vista appena
verrà aperta la porta dopotutto!
Sento
dei passi,
piuttosto frettolosi all'interno.
La
porta si apre,
d'istinto mi sposto ancora più indietro, lasciando che sia
Vyol a
essere lì davanti al posto mio.
«Ciao
Vyol!»
saluta cordialmente Mike, solo dopo qualche secondo nota me ed
Evelyn. «Alice, Evelyn! Bentornate!» sorride
luminoso.
Abbraccia
Evelyn,
che lo saluta cordialmente.
Sono
emozionata,
sono così felice di rivederlo per davvero!
Abbraccia
anche me e
a quel tocco mi sciolgo un po'.
Oh,
al diavolo
tutto!
«Mike!
Sono felice
di rivederti!» sorrido anche io.
Non
ho paura.
«Tutto
qui?» ride
lui dopo avermi lasciata. «Sparisci per venticinque anni e
non
aggiungi altro?»
Rido
anch'io, ora
sono totalmente rilassata.
Tutti
i torti non ne
ha!
«Vuoi
che ti
racconti la storia della mia vita qui fuori?» gli rispondo
ridacchiando.
«No,
no. Anche
perché c'è Tré che vi sta aspettando
dentro.» ci ricorda.
Eh
già, dopotutto
questa è casa sua, penso sorridendo.
«A
proposito,
perché quell'idiota non si è ancora fatto
vedere?!» lo rimprovera
a distanza Vyol. «Questa è casa sua o sbaglio?
Dovrebbe almeno
accogliere le nostre ospiti prima che pensino che siamo troppo
maleducati e scappino via!»
«Sì,
ma è troppo
occupato a fare l'idiota per darsi un minimo di contegno.»
commenta
Mike lanciando uno strano sguardo a Vyol, a metà tra il
serio e il
divertito.
Decido
di lasciar
perdere.
Mi
limito solo a
guardare timidamente Evelyn, la quale mi stringe per un attimo la
mano.
«Stai
tranquilla,
quello che vuoi fare è un bel gesto, non è per
niente una cosa
stupida.» mi sussurra all'orecchio.
Già,
non è una
cosa stupida, è solo che mi sento fuori luogo, come se
facessi parte
di un altro mondo in questo momento, anche se cerco di comportarmi
normalmente.
«Allora,
volete
entrare?» chiede Mike riportandomi alla realtà.
«Tu!»
mi indica
Tré non appena mi vede causandomi un piccolo infarto.
Io?
«Sì...?»
chiedo
piuttosto incerta.
Non
risponde, mi si
avvicina passo dopo passo, ha uno sguardo piuttosto innervosito se
non arrabbiato.
C-che
ho fatto di
male?
Mike
e Vyol
ridacchiano, Evelyn si allontana un po' come se volesse mettersi a
distanza di sicurezza.
Ora
sì che mi sento
idiota.
Tré
è davanti a
me, mi guarda con quello sguardo che mi fa sentire sempre
più
piccola.
Per
un attimo mi
manca il respiro.
Improvvisamente
mi
sento in colpa.
Hai
ragione, Tré,
non avrei dovuto fare quello che ho fatto venticinque anni fa, ma ora
è tardi per...
…
Mi
abbraccia.
All'improvviso.
Non
sento più il
mio cuore battere.
«Lyss,
che fine
avevi fatto? Sei sparita di punto in bianco!» si lamenta un
po'
dopo.
Ah...
ehm...
È...
normale, è
normale che sia così cordiale, eppure qualcosa mi blocca.
Ok,
credo di aver
semplicemente perso la facoltà di parlare.
Forse il problema
è solo che
non voglio rispondere a questa domanda?
Ma
lo so che anche
se evitassi continuerebbe a chiederselo, non lo dimenticherebbe
così
facilmente.
«Certo
che tu non
sei proprio capace di salutarla normalmente, eh?» lo
rimprovera
Vyol.
«Ringrazia
solo che
non abbia ricominciato con quella storia...» dice Mike.
«Ah,
quella del
cane? Tempo due giorni e vedrai che ricomincerà. Quanto
scommettiamo?» sorride lei allegramente.
«Ah,
sì, certe
cose non cambiano e poi perderebbe la sua comicità se non lo
facesse.» commenta il bassista divertito.
Ma
che diamine...?!
Tré
scoppia a
ridere e io faccio lo stesso.
Ok,
per una volta
essere un cane mi ha salvata da una spiegazione che preferire non
dare.
Mi
dispiace, non
voglio risponderti e se proprio lo devo fare non qui almeno...
Lui
mi sorride.
«Allora,
di cosa
dovevamo parlare?» si avvicina a un divano nel soggiorno e si
siede
davanti a un tavolino.
Tutti
i presenti
fanno lo stesso, così io ed Evelyn ci mettiamo di fronte a
quei tre.
Devo
parlare, prendo
un respiro.
Tutti
stanno in
silenzio e mi guardano, incuriositi.
Dopotutto
avevo già
detto a Vyol che avrei dovuto parlare a tutti loro di una cosa.
«Ecco,
il motivo
per cui sono venuta ad Oakland e per cui ho dovuto vedervi è
questo.» dico mostrando il frutto del mio lavoro.
«Ho bisogno del
vostro aiuto.»
«Ok,
a me va bene.»
Mike è il primo a parlare dopo la mia spiegazione.
«Davvero?»
sorrido.
Per
un attimo ho
temuto di sembrare ridicola, ho temuto che la mia idea potesse sembrare
infantile.
«In
effetti hai
ragione, la situazione è esattamente come pensi. D'accordo,
anche io
lo farò... anche se sarà un po'
imbarazzante.» si unisce a noi
Tré. «Però... non potevi scegliere un
momento migliore?!» mi
rimprovera con quello sguardo da bimbo che solo lui sa fare.
Rido.
Non
è cambiato così
tanto in fondo.
«Mi
dispiace, mi
sembrava il momento più adatto per te.» mi
giustifico. «E comunque
il piano non si cambia, quindi o accetti di farlo così o
niente.»
sorrido sentendomi importante.
«Io
la mia parte
già l'ho fatta.» sorride Evelyn. «Anche
se non sono stata brava
come Lyss.»
«Ok,
a questo punto
lo farò anche io, ma sappi che ti odierò per
sempre per la parte
che hai scelto per me.» ride Vyol.
Sì,
è andata!
Ce
l'ho fatta, hanno
accettato davvero!
«Grazie
davvero,
non pensavo che avreste deciso di farlo fin da subito.»
sorrido
con dolcezza.
«Ma
di che,
figurati! In questo momento siamo come una squadra, no?» ride
Tré.
Sì,
esatto, siamo
una squadra, è questo lo spirito migliore!
«Allora,
avete due
settimane di tempo, quindi dovete dividervelo in questo tempo.
Potreste tenerlo per cinque giorni ognuno, ce la dovreste
fare.»
dico col tono di chi sta proclamando qualcosa di importante.
«Perfetto,
allora
lo prendo prima io.» annuncia Mike. «Dato che voi
due vi lamentate,
almeno così avrete più tempo per
pensarci.»
Perfetto!
8
gennaio 2013
Io
ed Evelyn abbiamo
incontrato Mike, Vyol e Tré quasi tutti i giorni successivi.
Certo,
di solito non
stavamo molto fuori, ma in ogni caso dopo i primi tre giorni
già mi
sentivo molto più tranquilla.
All'inizio
temevo che avrei finito per fare la parte dell'emarginata perché dopo tutto questo tempo potevo
essere vista
come appartenente a un altro mondo. Sono rimasta sorpresa, invece,
del fatto che non è stato per niente così, del
fatto che quasi
immediatamente mi hanno accettata come se non fosse passato neanche
un giorno.
E
così la prima
settimana è volata, Mike ha concluso la sua parte e ha
passato il
testimone a Vyol che ci sta lavorando in questi giorni.
Oggi
ci siamo
incontrati di nuovo, ma Evelyn è rimasta in albergo
perché non si
sente troppo bene, si è un po' raffreddata.
Mike
e Vyol sono
andati via e Tré mi sta riaccompagnando a casa. Ha insistito
per
farlo, anche se gli ho detto che non importava.
Tutto
ciò mi
ricorda terribilmente momenti passati.
Già,
ma è
diverso.
Mi
sento stranamente
tesa.
Avevo
intuito il
perché di quell'insistenza, così nonostante lui non abbia ancora parlato, non riesco a sentirmi a mio agio.
«Ho
capito che non
ne vuoi parlare...» inizia Tré guardando un punto
lontano.
Ecco.
Ecco
perché.
«Infatti.»
mormoro ribadendo la mia posizione.
Rimane
un attimo in
silenzio.
«Vorrei
solo sapere
perché, è solo una curiosità.
Dopotutto è passato tanto di quel
tempo che non dovresti esserne così spaventata,
no?» sorride
cercando di sdrammatizzare.
In
effetti ha
ragione, però è così imbarazzante...
«Sai,
avevo paura
che ti fosse successo qualcosa. Improvvisamente hai deciso di
sparire, eppure stavamo insieme, no?» si muove sul filo dei
suoi
ricordi.
«Non
è successo
niente di importante, te lo assicuro.» sospiro.
Mi
sto comportando
come una ragazzina, che fine hanno fatto i miei 41 anni?
…
Forse
è solo che
quando sono con loro ritorno un po' con la testa al passato?
Chissà,
forse è
anche positiva come cosa.
«Come
vuoi.» si
arrende lui scrollando le spalle.
… Odio rivangare
quel ricordo, ma forse dovrei dargli almeno una spiegazione, lo merita, anche se
dirgli le cause del fallimento della mia vita sentimentale
sarebbe piuttosto umiliante.
Sospiro
e mi faccio
coraggio.
«Mi
sono solo presa
una cotta per quell'idiota che avrebbe dovuto essere mio
marito.»
dico con un filo di voce.
Ripensare
a lui fa
male.
Anche
ora.
Ecco
perché non lo
volevo dire.
Tré
mi fissa per un
attimo perplesso.
«Sai,
tu non c'eri
mai, oramai avevate addirittura un contratto discografico, facevate
dei tour a cui ovviamente non potevo accedere, anche perché
la
strada che avevo scelto era quello dell'impegno scolastico e dello
studio. Lui mi aveva promesso amore eterno in un momento in cui ero molto depressa e forse è stato questo a farmi innamorare.» mi prendo un attimo di pausa, Tré non
mi interrompe e
ascolta attentamente. «Mi ha mollata due giorni prima del
matrimonio, si è innamorato di un'altra. E la mia vita
sentimentale da allora
è stata un disastro. Evelyn si è sposata ed
è felice, io sono totalmente sola e abbastanza inutile per la società. Ecco
quanto.»
dico un po' nervosamente alla fine.
Silenzio.
Ok,
forse dovrei
cercare di sembrare meno patetica, ma alla fine è così che
mi
sento.
Posso
solo dire che
il lavoro mi va bene, nient'altro.
Non
ho una famiglia,
fondamentalmente, solo qualche amica qua e là.
E
oramai non posso
neanche dire di avere chissà quale futuro davanti, non sono
più una
ragazzina.
Diamine, non dovrei pensarci, mi sento una morsa allo stomaco.
Oramai sono adulta e ho quasi voglia di piangere.
«Ehi,
non sei
inutile. Guarda solo quello che stai facendo.» mi sorride
Tré
dandomi un colpetto sulla mano per richiamare la mia attenzione.
Alzo
lo sguardo.
Come?
La sua voce è così rassicurante!
«Non
sei inutile:
anche adesso che hai deciso di ricomparire, non lo hai fatto per un
tuo capriccio, ma per aiutare un'altra persona. Finché vuoi
far del
bene agli altri non sei inutile.» mi sorride.
Rimango un attimo senza fiato, mi manca il respiro, ma dura solo un secondo.
«Grazie.»
gli
sorrido a mia volta. «Non mi è mai stata detta una
cosa del
genere.» confesso imbarazzandomi un po'.
15
gennaio 2013
Spingo
la porta
bianca ed entro nella stanza molto lentamente.
Cavoli,
ho aspettato
questo momento per due settimane, sono pronta!
… Beh, più o
meno.
Quando
sono dentro
mi blocco un attimo.
Osservo in silenzio quello che mi trovo davanti.
Una stanza di riabilitazione, una stanza bianca con solo un letto, qualche sedia, una sottospecie di armadietto e un comodino.
C'è un'atmosfera terrificante.
«Ciao.» saluto un po' imbarazzata dopo secondi che sembrano ore.
Mio cugino, steso sul letto, apre gli occhi, mi guarda, rimane quasi pietrificato.
«...
Alice?» non
sa se crederci o no, forse.
«Sì,
sono io.»
annuisco.
Ci
guardiamo un
attimo, guardo come è cambiato dall'ultima volta che l'ho
visto.
In
effetti non è
così diverso, solo il suo sguardo non riesco a riconoscerlo.
Mi
sono abituata a
vederlo in TV e nei concerti, ma averlo davanti è diverso.
«Che
ci fai qui?»
mi chiede poi.
Ecco,
lo immaginavo:
lui non è il tipo che ti chiede “perché
sei sparita”, ma ti
chiede “perché sei tornata”.
«Sono
venuta qui
per te.» confesso facendo qualche passo in avanti in questa
stanzetta che somiglia tanto a quella di un ospedale. «Sai,
ho visto
alla TV il concerto di Las Vegas e quando ho saputo di tutto questo
casino... beh, volevo fare qualcosa, non potevo rimanere lì
a
guardare.» sorrido malinconicamente inclinando un po' la
testa di
lato, squadrandolo.
Noto
con dispiacere
che ha un aspetto quasi trasandato, si è lasciato andare.
Come
immaginavo, del
resto.
Prima di quel concerto, Billie aveva abusato di alcune sostanze come tranquillanti e psicofarmaci. A quanto pare, ne ha la dipendenza e per questo è finito in questo posto, quasi costretto dalla sua famiglia e dai suoi amici.
Le usava oramai da molto tempo, anche io negli ultimi concerti avevo sempre visto un uomo energico, ma la sua era un'energia malata.
No, non era energico, era un uomo che stava male e chiedeva disperatamente aiuto.
Sul palco cantava male, camminava sbandando e aveva concluso l'esibizione di quello stupido festival prendendosela con gli organizzatori perché improvvisamente avevano accorciato il tempo concesso ai Green Day per il loro concerto e Billie aveva gentilmente sfasciato la chitarra elettrica che stava usando sul palco.
«Non
ce n'era
bisogno.» mormora lui. «Più di questo
non si può fare niente.»
dice guardandosi intorno. «Grazie comunque per la
visita.»
«Aspetta,
io credo
di riuscire a immaginare come ti stai sentendo.» dico alzando
un po'
la voce.
«Davvero?»
mi
guarda lui con aria di sfida. «Sai che mi sento un coglione,
un
fallito? Lo sai, anche mio figlio prima che fossi portato qui, mi ha
detto che forse fa ancora in tempo a non diventare come me, sai che
significa?» dice con una punta di rabbia.
Ecco,
si sta
alterando.
Dannazione...
No,
Billie, non devi
ragionare così.
«Non
si può capire
quello in cui sono caduto. O almeno, non puoi capire tu che non hai
mai avuto di questi problemi.» bofonchia stancamente.
«È finita, non c'è nessun bisogno di combattere. L'unica cosa che mi resta e rimanere ad aspettare, non so neanche cosa.»
commenta alla fine lasciandosi cadere sul letto, anche quello bianco.
«No,
non è vero.»
mi avvicino di qualche passo. «Non è finita
finché non sei
sottoterra, non ricordi?» gli chiedo.
«Quelle
sono solo
le parole di una canzone.» borbotta sedendosi.
«No,
non è vero.
Sono parole importanti invece. Stai passando un momento difficile, ti
sembra che la tua vita sia finita, però, Billie, non
può essere
così. Tu non sei un fallito.» lo provoco un po'.
«Come
fai a dirlo?
Il semplice fatto che sia famoso non significa niente.»
commenta
lapidario.
«No,
ma il fatto
che tu abbia salvato delle persone significa molto invece! Non
avresti potuto farlo se tu fossi solo un fallito, renditene
conto.»
gli dico alzando il tono di voce.
Mi
guarda un attimo
spaesato.
«Che
puoi capire
tu?» chiede con la voce di un ragazzino testardo, quel
sedicenne che
conoscevo che ancora vive dentro di lui. «Non ti sei mai sentita come me.»
«Anche
io mi sono
sentita un fallimento per molto tempo, devo ricordartelo?»
chiedo
innervosita.
Ora
sì che ho
qualcosa da dire.
«E
sai una cosa?
Non era vero niente. Ne sono uscita, ho combattuto. Se non lo avessi
fatto cosa sarei ora? Forse non ci sarei neanche, sai? E indovina un
po'? Tu mi hai salvato la vita. Se non ci fossi stato tu ora sarei
ancora la schiavetta personale di Evelyn.» lo guardo con aria
di
sfida mettendosi a sedere.
«E
come dovrei
combattere secondo te, scusa? Non posso fare niente.» mi guarda
innervosito
anche lui.
«Combatti,
anche
solo nella tua testa, devi avere voglia di vivere, dannazione. Devi
credere in quello che stai facendo! Ricordati di quello che hai fatto in
passato, di quello che hai sofferto e di come hai
superato tutte le difficoltà!» mi
appello al suo buonsenso.
Silenzio.
L'atmosfera
si è
scaldata, ma lui non risponde.
«Sono
solo belle
frasi, bugie fondamentalmente.» dice apaticamente.
«Anche
le tue
canzoni sono bugie allora? Letterbomb è una bugia? Good
Riddance è
una bugia? Le hai scritte giusto per guadagnare soldi? Anche io la
pensavo così, ma quando ancora credevo di essere debole!
Anche a me
sembrava impossibile uscirne fuori, ma poi ho scoperto che volevo
vivere, Billie. Vivere, perché anche se il mondo cerca di
rovinarti
ci sono ancora quei sentimenti come la gioia a tirarti fuori! Se hai
scritto quelle parole significa che anche per un solo secondo tu sei
stato felice, hai pensato che ne valesse la pena! Cerca di
ricordarlo!»
Lui
mi fissa, lo
sguardo duro, ma probabilmente non sa che rispondermi.
Sbuffo,
apro la mia
borsa, tiro fuori quell'oggetto che avevo iniziato a preparare fin
dal 25 di settembre.
Glielo
porgo.
«Che
cos'è?»
chiede spaesato.
«È...
è difficile
da spiegare. È solo un quaderno, ma ci ho scritto tutto
quello che
mi è successo da quando ti ho incontrato, c'è il
racconto di come
hai cambiato la mia vita e di come io stessa sono cambiata.»
«Perché
me lo stai
dando?» mi chiede freddamente.
«Voglio
che tu lo
legga, ok? Voglio che tu ti renda conto del fatto che anche quando ti
senti il re dei falliti le cose possono cambiare e lo faranno solo
nel momento in cui inizierai a combattere. Ti sto offrendo i miei
ricordi, i miei pensieri, i miei sentimenti e non solo quelli. Ti sto
offrendo anche quelli di Evelyn, di Vyol, di Mike e di
Tré.» spiego
cercando di addolcire il mio tono di voce con scarsi risultati.
«Che
c'entrano
loro?» chiede Billie smarrito, leggermente confuso.
Sì, nella fretta mi sono spiegata decisamente male, che idiota.
«Li
ho incontrati e
ho chiesto loro di scrivere delle pagine che avevo lasciato in
bianco, dal loro punto di vista. Ne ho lasciate alcune anche per
te.»
spiego il perché del mio incontro con loro.
Billie
non stacca
gli occhi dal quadernetto, lo apre un attimo, poi lo richiude.
«Hai
combattuto
molto nella tua vita e probabilmente neanche te ne rendi conto. Molte
persone non sarebbero capaci di fare quello che hai fatto tu.
Può
sembrarti una cosa stupida, ma voglio che tu ricordi tutto quello che
hai vissuto in quel periodo, perché in quel momento eri
forte, hai
combattuto per te e anche per gli altri.» dico arrivando
quasi
all'esasperazione.
Ti
prego, Billie, ti
prego! Ho fatto tutto questo sforzo solo per te!
Avrei
potuto
fregarmene, avrei potuto dire che oramai eri solo un ricordo, invece
ho deciso di andare contro la distanza, di tornare nel
passato, di riaffrontare tutte le mie paure, provandole nuovamente,
sentendo tutti quei sentimenti che avevo voluto dimenticare, solo per non dovermi chiedere se quello che
stavo facendo fosse giusto o no.
Lo
capisci questo?
L'ho
fatto per te e
se non è servito a niente... beh, non potrò far
altro che sparire
davvero per sempre e non voglio farlo.
Voglio
stare qui,
voglio tornare qui.
Non
voglio
dimenticare mai più.
Cavoli,
credo di
starmi emozionando troppo, il mio cuore va troppo veloce.
«Grazie.»
dice
infine, dopo un'attesa che sembra durata ore. Il suo sguardo si è rilassato.
Eh?
«Forse
dovremmo
riparlarne dopo che l'avrò letto, litigare adesso non
serve.» dice
con uno sguardo stanco indicando il quadernetto.
Piano
piano il mio
battito cardiaco rallenta.
Ci
proverà, il mio
sforzo è servito a qualcosa, ha deciso di dare una
possibilità alla
vita.
«Forse...»
concordo con lui, cercando di non far trasparire quel fiume in piena
di emozioni che ha invasa.
«Da
quanto tempo
sei qui?» mi chiede all'improvviso rilassato.
«Da
due
settimane...» rispondo un po' stralunata.
«Sei
stata con loro
tutto il tempo?» mi chiede sempre con lo stesso tono
rilassato.
«Sì...»
gli
rispondo sorridendo luminosa. «Ho visto un po' la
città e ho anche
conosciuto la tua famiglia... mi hanno accolta decisamente meglio di
quello che mi aspettavo.» aggiungo un po' imbarazzata.
«Anche
se sei
sparita non sei diventata un'estranea. Di sicuro sono stati tutti
molto felici del tuo ritorno.» mi sorride anche lui.
«È
sempre
difficile cercare di rientrare nella vita di qualcuno dopo molto
tempo.» commento arrossendo un po' per l'imbarazzo.
«Oh,
tu sei venuta
solo a fare una visita, per rientrare davvero devi farti vedere
più
spesso.» mi fissa con aria di sfida.
Farmi
rivedere?
Beh...
perché no?
Io voglio rientrare nella loro vita.
Io
devo
rientrare nella loro vita.
Pensavo
che sarebbe
stato tutto diverso, che per queste due settimane avrei respirato
un'atmosfera di tensione, invece sembra quasi che il tempo non sia
passato.
Per
questo non
voglio sparire di nuovo, sono stata bene e il fatto di avere un treno
prenotato per domani mi rattrista.
«Lo
farò.»
affermo convinta. «Ho troppe cose qui che non voglio
perdere.»
Billie
accoglie le
mie parole con un sorriso, inclina la testa di lato.
«Allora
mi aspetto
di rivederti ad Oakland, ogni tanto.»
Fine
(o forse
è solo l'inizio?)
_______________________________________Authoress'
words
Mio
Dio, non avete idea di quello che sto provando in questo momento.
Ve
lo giuro, sto per piangere.
Questa
storia è stata la prima in cui ho inventato dei personaggi e
la prima in cui la trama è stata inventata totalmente da me
e quasi non mi sento pronta a lasciarla andare, ma purtroppo devo. Sono
un po' come una mamma quando il figlio decide di andarsene di casa.
Ho
il batticuore, non so se reggerò all'idea di vedere la
scritta "completa" al posto della solita "in corso", però
anche io penso di essere maturata con lei, con Alice mentre scrivevo.
Devo
ringrazziarvi tutti per essere arrivati fin qui, per aver voluto
condividere le mie emozioni. Solo grazie a voi Alice ha preso vita,
solo grazie a voi è maturata e ha trovato la sua via.
Ringrazio
davvero di cuore una ragazza che mi ha fatto da musa ispiratrice per il
personaggi di Alice, la mia Lyss e ringrazio anche la persona a cui
avevo dedicato questa storia per aver sopportato i miei scleri e per
avermi incitata a non mollare mai, anche nei momenti più
difficili.
Ringrazio
voi e le vostre recensioni per avermi fatta ridere ed emozionare,
riflettere e migliorare.
Lo
so, mi sto comportando come se avessi vinto un premio Oscar, ma
è il minimo che possa dire per farvi arrivare un po' dei
miei sentimenti.
Grazie,
grazie davvero. ♥
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