And all along I believed I would find you

di virgily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


And all along I believed I would find you
Cap.1


Veloce, cullato dal vento, vegliato dalla luna. Volava nel cielo, mimetizzandosi tra le nuvole e le altre stelle che ricoprivano il manto corvino della notte. Non aveva una meta precisa, non l’aveva mai avuta. Come una amorevole carezza, la brezza scompigliò i suoi capelli argentei, candidi come neve appena caduta. Nei suoi occhi, profondi ed enigmatici, si poteva intravedere il pallido riflesso di piccole casupole di legno in mezzo al bosco di pioppi che stava appena sorvolando con distaccata malinconia. Non aveva mai avuto una casa, un luogo caldo e accogliente in cui stare. Lui non conosceva il caldo. Cominciò una lenta discesa, planando leggiadro, sorretto da quell’invisibile presenza che sentiva penetrargli nella carne, intaccandogli le ossa. Sotto i raggi della pallida luna, il candore della sua pelle assumeva una connotazione eterea, quasi trasparente per quanto fosse sottile al di sotto delle sue vesti macchiate di brina. Ed era questo quello per cui era nato: portare il gelo ovunque andasse. O almeno questo è quello che aveva sempre pensato. Con piedi nudi e passo silenzioso, affondò nell’umida terra, avanzando per i stretti sentieri della foresta, agitando il bastone ricurvo. Il giaccio intaccò le superfici delle cortecce, intorpidendone le radici. Piccole candide gemme di velluto colarono con armonica dolcezza dal cielo, accompagnandolo sino alle porte del villaggio. Camminava pesantemente, le labbra dischiuse in un triste e amaro sorriso: c’erano dei bambini, due gemelli che giocavano mansueti tra i cespugli, e alla visione di quella soffice neve i loro occhietti scuri si sgranarono di colpo, colmandosi di languido stupore. Avranno avuto al massimo otto anni, e a malapena riuscivano a camminare nei loro grandi scarponi di cuoio. Le sciarpe di lana avvolgevano i piccoli ovali, nascondendo al loro interno le labbra e le narici arrossate dal freddo. Erano basiti, folgorati da quei minuscoli cristalli che si scioglievano sulle loro guance. Erano felici. E non potevano vederlo, non potevano ringraziare colui che aveva provocato il loro ingenua meraviglia
-Ronald? Zachary?! Eccovi qui! È un’ora che vi cerco!- sottile, scandita da una lieve risata, la voce di una donna si fece avanti, mostrando al contrario una fanciulla dalla mantella rossa e le guance rosee. Quasi per istinto, avvertita quella nuova presenza, lo spirito dell’inverno immediatamente arretrò di qualche passo, nascondendosi dietro il primo albero vicino. Sapeva benissimo che comunque non sarebbe riuscita a vederlo, ma allora perché avvertiva questo bisogno di celarsi? Che fosse paura? Ma di cosa poteva aver mai paura? Di due grandi occhi verdi come una brughiera in primavera? Di una bocca fine e rossiccia? No, no di certo!
La giovane, probabilmente la sorella maggiore dei due bambini, avanzò in direzione di questi brandendo un cestino ricolmo di viveri, e da esso ne tirò furi due caramelle. Inginocchiandosi al fianco dei fratellini, glieli porse con gentilezza. E mentre di due piccoli cominciavano a scartare con foga l’involucro del colorato dolciume, lei si assicurò che le loro vesti fossero ancora presentabili e soprattutto che fossero belle calde
-Mi raccomando, non dite nulla alla mamma che vi ho fatto mangiare questi prima di cena…- disse sollevandosi da terra, lasciando che il vento le tirasse via il cappuccio purpureo che mascherava la lunga chioma bruna che andò a fluire lungo le sue spalle e le clavicole ben coperte.
-S-Si sorellona! Saremo muti come una tomba!- bofonchiò uno dei gemelli, abbassandosi con la mano guantata la pesante sciarpa di lana rossa che gli impediva di gustarsi con tranquillità il suo dolce. Alla sua espressione buffamente impegnata nel divorare la caramella, la giovane rise, nascondendo il movimento lento delle sue labbra al di là delle dita pallide e affusolate. E nel frattempo, con ambo le mani posate sulla corteccia del verde pioppo e la testa che faceva capolino dal tronco, il giovane spiritello osservò la grazia di quei gesti quotidianamente amorevoli: le carezze, i sorrisi. In un qualche senso, quella visione quasi riusciva a scaldarlo pochissimo, quasi impercettibilmente. Ma una scintilla si era accesa, non ne aveva alcun dubbio.
-Su, andiamo altrimenti papà ci sgriderà..- offrendogli ambo le mani, la ragazza afferrò quelle piccole e paffute dei due fratellini, intrecciando le loro dita con le sue
-Hai visto? Nevica!- ridacchiò l’altro gemello, che avendo trangugiato tutto d’un fiato il tanto amato dolciume, era tornato a lasciarsi incantare dalla visione di tutti quei piccoli batuffoli bianchi che continuavano a cadere dalle nuvole violacee. Arrestandosi di colpo, anche la maggiore si era fermata a guardare la neve, gustandola come delizia per i suoi occhi. Respirò profondamente, lasciandosi gonfiare i polmoni di quel freddo che quasi stava aspettando. Dischiuse gli occhi scrollandosi le spalle, sorridendo dolcemente.
-Meglio andare. Altrimenti Jack Frost ci trasformerà tutti in pupazzi di neve- si rivolse ai fratelli con tono fintamente minaccioso, fissandoli guardinga con le palpebre che si erano ridotte in due piccole fessure dalle quali i suoi occhi parevano due piccoli puntini.
-Oh no! Oh no andiamo!-all’unisono i due pargoli cominciarono a trascinarla via, portandosi dietro una nuvola di risate genuine e ingenue. E fu proprio in quel momento che il guardiano uscì dal suo nascondiglio, mostrando i segni della sorpresa sul suo viso. Lei, quella ragazza… Sapeva il suo nome. Era strano, non ricordava di aver mai sentito qualcuno pronunciarlo. La scintilla si fece sentire di nuovo, irradiandogli lo sguardo. Strinse il suo bastone tra le dita, e richiamando il vento, si librò in aria in direzione del villaggio. Lo avrebbe sorvolato tutto, in lungo e in largo sbandierando i suoi grandi occhi cristallini. Lei sapeva di lui, credeva in lui. E l’avrebbe trovata. 

Lanciandosi tra i tetti a spiovente delle Tudor Houses che si ergevano nel mezzo della foresta, lo spirito dell’inverno seguiva pedissequamente il cammino che i tre fratelli avevano percorso poco prima, correndo mano nella mano sotto quella neve che lui stesso aveva portato con sé. Sul fondo della strada, c’era la casa tirata su con legna e argilla, dal cui comignolo si levava un leggero ed ovattato fumo grigio, colmo di fuliggine. Era proprio lì che li aveva visti entrare, chiudendosi la pesante porta alle spalle. Si era avvicinato, librandosi in aria per potersi affacciare alla piccola finestra, al secondo piano dell’abitazione, dalla quale intravide la fioca luce ocra di una lanterna. Era una camera, piuttosto piccina, riempita da due piccoli letti, un comodino di legno grezzo e una poltroncina di manifattura scadente. Le gonfie coperte di lana scure racchiudevano al loro interno i corpicini asciutti e infreddoliti dei due gemelli che aveva osservato silenziosamente qualche ora prima, alle soglie del bosco. Le loro teste ricciolute e brune facevano capolino dalle morbide lenzuola, esponendo due paia di occhi curiosi e furbi, totalmente svogliati di sopirsi subito. Seduta, con il capo chino, lei era intenta a ricamare. Le gambe erano nascoste sotto la lunga e ampia gonna di mussola e velluto bluastro, le spalle abbracciate da uno scialle di lana. Ora aveva i capelli appena raccolti ai lati della testa. Dal riflesso del suo sguardo, Jack riuscì ad intravedere il colore lucido e verdognolo delle sue iridi
-Noi non abbiamo sonno!- bofonchiò uno dei fratelli, sollevandosi dal giaciglio di destra, incrociando le mani al petto, sporgendo all’infuori il labbro inferiore
-Ronald non fare i capricci. Sei un bambino grande adesso…- lo ammonì con tenerezza la maggiore, sollevando appena lo sguardo, sorridendogli appena
-Ma è vero Hannabelle! Non è colpa nostra se non siamo stanchi, oh!- imitando il suo gemello, anche il secondo bambino si sollevò di scatto. E in quel medesimo istante, il viso di Jack s’accostò ulteriormente al vetro di quella finestra che lo separava dalla scena a cui stava assistendo: ecco svelato il nome di colei che credeva in lui. Il sopracciglio fine e scuro della giovane s’inarcò verso l’alto, e le sue labbra si gonfiarono di uno sbuffo divertito e rassegnato al tempo stesso. Si levò dalla poltrona polverosa, posando sulla seduta rigida i suoi strumenti di cucito. Prese un respiro profondo, socchiudendo gli occhi, come se si stesse concentrando: s’incurvò con la schiena e le spalle verso il basso, ingobbendosi. Le mani strette al petto, con le dita fine e pallide che parevano roteare su se stesse
-Sapete che cosa succede ai bambini che non vogliono dormire le notti d’inverno in cui nevica?- domandò alzando di qualche tonalità la voce, rendendola sgradevole, inquietante. Portandosi le coperte sino al mento, i ragazzini scossero il capo
-Ai bimbi cattivi che non dormono, Jack Frost entra nelle loro camere, e li  trasforma in statue di ghiaccio! Allora, volete che lo chiami, così che vi trasformi in due piccoli ghiaccioli?- saltellando in punta di piedi, la giovane s’avviò alla finestra con tutto l’intento di spalancarla e spaventare i due piccoli
-Nooo! No ti prego no!- e con le labbra dischiuse in due piccole grandi “O”, Ronald e Zachary si nascosero sotto le coperte, promettendo di fare di bravi. Con una gentile espressione soddisfatta, la sorella fece retro front e si chinò sui loro volti, baciandogli la testa. Cingendo con le mani il lume che sostava nel mezzo del comodino in legno che separava i due lettini, la bruna osservò un’ultima volta le sue due piccole pesti, i quali erano immediatamente crollati con il capo affondato nel guanciale. L’angolo destro delle sue labbra si sollevò appena, e volgendo le spalle contro quella finestra, dalla quale uno spirito continuava a guardarla, uscì dalla cameretta per dirigersi in quella immediatamente adiacente, la sua camera. Al di fuori, irrigidendosi di colpo, Frost strinse i denti al vedere la sua esile figura fuoriuscire dal suo campo visivo. Fece un balzo ben assestato, aggrappandosi al cornicione della seconda finestra, osservando l’ambiente piccolo, piuttosto spoglio e solitario. La piccola fiammella ballava a ritmo del silenzio che l’avvolgeva, e dopo essersi svestita velocemente, ora Hannabelle restava immobile, accovacciata con le gambe al petto sopra il suo morbido giaciglio. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, lucido. La camicia da notte color panna scendeva morbida lungo il suo corpo, gonfiandosi e allungandosi lungo le coperte verdognole. Era in notti come quella, con la neve che cadeva malinconica dal cielo, la luna coperta delle nuvole e il silenzio che si faceva pesante, che la giovane si sentiva particolarmente sola. Le sue coetanee, passavano interi pomeriggi a filare e tessere, bisbigliando tra loro di baci rubati. Lei, al contrario, ricamava silenziosamente, abbassando di volta in volta lo sguardo. Era troppo pacata, tranquilla… Invisibile per essere notata da qualcuno. Voleva vivere come le sue amiche, libere, con la testa fra le nuvole, persa in cuoricini rosa, ma non le era concesso. Era la figlia del pastore del villaggio dopotutto, doveva vivere in funzione della sua famiglia. Al di là di quel vetro, Jack vide con chiarezza, il percorso invisibile di una gemma incolore lungo la sua guancia rotonda. Trattenne il fiato, posando istintivamente la mano su quella superficie liscia e trasparente, come se il suo intento fosse quello di cogliere immaginariamente quella piccola gemma con le punta delle dita. Immediatamente, dai polpastrelli vellutati del ragazzo, un freddo incessante congelò in pochissimi istanti l’intera finestra. Lo spesso strato di ghiaccio gli annebbiò la vista, impedendogli di vedere. Fece aderire allora l’intero palmo, quasi applicandovici una lieve pressione. Digrignò i denti, scocciato. Come suo solito aveva rovinato tutto, e adesso non vedeva più nulla. Un rumore curioso, e una sagoma scura apparve al di là di quella spessa barriera viscida. Jack non capì con certezza di cosa si trattasse, e quasi per assicurarsene, avvicinò il viso ad essa.
Uno sfrigolio acuto colse improvvisamente l’attenzione della piccola ancora spersa nei suoi pensieri. Sollevò lo sguardo, posando le sue iridi umide e raggianti sulla sua finestra, che in men che non si dica si cristallizzò, avvolta dal ghiaccio. Un brivido freddo le percosse la spina dorsale. Cosa stava succedendo? Cos’era quella chiazza curiosa che cominciò a macchiare la parete vitrea ormai completamente congelata? Hannabelle balzò giù dal letto, avvicinandovisi piano. Aveva paura, e si chiese seriamente se non si fosse addormentata all’improvviso e quello fosse soltanto un incubo. Facendosi sempre più vicina, riconobbe che quello era il contorno di una mano che pareva posata sul vetro ghiacciato della piccola apertura, e l’ombra disegnava le fattezze di una persona. Si abbandonò all’idea che tutto ciò che stava accadendo sotto i suoi occhi fosse soltanto un sogno, il quale tuttavia valeva la pena di essere continuato. Chi mai poteva avere il potere di volare innanzi la sua finestra? Con esitazione, le dita sottili e tremanti della ragazza sfiorarono appena quella stessa finestra, adagiando successivamente l’intera mano all’altezza di quella impressa sul vetro, facendola combaciare con quella figura. Non era la mano di un adulto, ma superava di poco la grandezza della sua, piccola, abituata a cucire, a coccolare le guance dei suoi fratelli. Probabilmente la persona dall’altro lato di quell’opaco muro doveva aver percepito la sua presenza, poiché la sua sagoma, lentamente, quasi si fece più nitida. Hannabelle aveva il fiato corto, il cuore che batteva forte nel petto. Prese un respiro profondo e con uno scatto impulsivo e repentino, passò la mano libera sulla lunghezza della finestra, ripulendola della fastidiosa condensa che le impediva di vedere chi fosse il suo visitatore notturno.
Silenzio, e il suo cuore perse un battito. Bianchi come la neve erano i capelli che incorniciavano un viso pallidissimo, dai lineamenti affilati, puramente maschili. Due cristalli di acqua purissima sostavano incastonati nelle sue cavità orbitali, e le sue labbra appena violacee si erano dischiuse di colpo. La ragazza ebbe un sussulto, e fremendo come una foglia, si scostò rapidamente da quella apertura. Inciampò sui suoi stessi passi, ritrovandosi sul pavimento con il fiatone e i brividi che le graffiavano la pelle. Per l’estenuante respirare, le sue labbra si erano seccate, e la sua gola ardeva. Si portò le mani al viso, pizzicandosi con forza le guance, sino a farle tingere di un vistoso rossore. Provò un discreto dolore. Non era un sogno: era tutto vero! Si rialzò faticosamente, con le gambe ancora tremanti che difficilmente riuscivano a sorreggere il peso del suo gracile corpo. Era ancora lì. Immobile, impietrito al di là del vetro. Chi era? Perché si trovava proprio lì, alla sua finestra? Stringendo la maniglia della finestra tra le dita, la fanciulla l’aprì lentamente, lasciandosi travolgere con silente agonia dal vento sottile e pungente che immediatamente le raffreddò le gote ancora arrossate. Nuvole opache cominciarono a fuoriuscire morbide dalle sue labbra dischiuse per lo stupore: restava sospeso in aria come se quella brezza montana in realtà lo stesse sorreggendo tra le sue invisibili braccia. Aveva un fisico molto asciutto, compatto. Tra le mani stringeva un bastone di legno con la punta ricurva, stringendolo al petto come meccanismo di difesa. Quel ragazzo pareva confuso e sbalordito quanto lei. Sollevò appena lo sguardo, affogando nuovamente in quelle iridi limpide, pure come le acque appena sgorgate di una sorgente in cima ad un monte; cristalline, come i flutti mortali al di sotto di un lago ghiacciato
-Tu, puoi vedermi?- vellutata, calda come una carezza gentile la sua voce giunse alle orecchie di Hannabelle, che sussultando appena, imbarazzata, annuì, abbassando di colpo lo sguardo. Il suo cuore ricominciò a battere, questa volta velocissimo, pulsando il sangue in ogni dove nelle sue vene. Era tutta un tremito, e non per il freddo.
Nuovamente la quiete calò su di loro, e questa volta il silenzio sembrava essere diventato palpabile, dal peso perfettamente percepibile sulle spalle e l’attaccatura del collo. Hannabelle ebbe paura, cosa doveva dire? Come si doveva comportare? Si sentiva così maledettamente frustrata che la vergogna stessa poteva logorarle le membra. Il vento si levò, trascinando con sé il misterioso visitatore notturno, il quale si allontanò piano, senza distogliere gli occhi da lei, che prendendo un coraggio nascosto nelle pareti più intime e profonde del suo stesso essere gridò appena:
-Aspetta!- aveva perfino allungato la mano, sporgendosi al di fuori della sua finestra. E quando si accorse di essere riuscita nel suo intento, spingendolo a ritornare da lei avvicinandosi ulteriormente, si portò le braccia al petto, osservando fugacemente il giovane, che agile e aggraziato volò verso di lei, fluttuando nel vuoto
-Qu-Qual è il tuo nome?- sussurrò appena, bofonchiando in preda alla timidezza, fissandosi i piedi scalzi e pallidi. I suoi capelli, come una soffice barriera color nocciola, si era parata innanzi il suo ovale candido e teso, impedendole di poterlo guardare in viso quando le rispose dolcemente:
-Jack Frost…- con un groppone in gola, Hannabelle Pierce sollevò di scatto lo sguardo. Le labbra rosse dischiuse, quasi spalancate, gli occhi sgranati. Il suo verde malinconico affondò in quell’azzurro chiarissimo portandosi via anche tutto il suo fiato, tutte le sue energie. Era lui… lì, alla sua finestra. Divertito della sua espressione totalmente sconvolta e sbigottita, un sorriso tenero e beffardo al tempo stesso si disegnò su quelle labbra appena tinte di viola per il freddo
-Chiudi la finestra ora, e vai a letto. Altrimenti di trasformerò in una statua di ghiaccio- minacciò con tono assolutamente bonario riprendendo la frase che lei stessa aveva pronunciato ai suoi fratelli, facendo nascere una piccola e melodiosa risata dalla sua bocca rosea e screpolata. Portandosi una mano al viso, nascose quel suono dolce dietro le sue dita candide, quasi translucide. Era bella, ora che pareva essersi rilassata. Cogliendo di quel breve attimo di distrazione, Jack decise che era arrivato il momento per lui di congedarsi, era tardi, e cominciava a vedere i segni del gelo schiarirle la pelle, intorpidendole gli arti
-Buona notte, Hannabelle…- e con una folata di vento, lo spirito dell’inverno si dileguò, perdendosi dietro la luce della pallida luna, unica testimone del loro incontro. In silenzio, affacciata a quella finestra, la fanciulla lo guardò scomparire. Come faceva a conoscere il suo nome? Si chiese chiudendo finalmente la finestra, lasciandosi coccolare dal caldo tepore della sua camera, affondando sotto le morbide coperte di lana. Faticò ad addormentarsi, ovunque guardasse, anche nel buio pregò di ritrovare quelle iridi di cristallo. Prima di crollare, una sola domanda sorvolò la sua mente: Sarebbe mai tornato alla sua finestra?
Con un sorriso timido, pieno di speranza, Hannabelle si addormentò.        
       

*Angolino di Virgy*
Quando ho visto il film mi sono sentita tremendamente affascianata, trascinata in uno stupore che mi mancava da un bel po. 
mi sono sentita proprio come tutti i bimbi in sala che osservavano lo schermo alternando espressioni facciali buffe e e piene di meraviglia di scena in scena...
Spero vivamente che il primo capitolo vi piaccia.
Un bacio. 
-V-

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Cap. 2
One step Closer



Quel mattino, Hannabelle si sollevò dal suo giaciglio con una curiosa leggerezza, esponendo sul suo morbido ovale un soffice sorriso. Era raggiante, luminosa… Euforica. Nessuno mai l’aveva vista in quello stato di etereo splendore di prima mattina. Camminava quasi in punta di piedi, volteggiando in camicia da notte per i corridoi di casa, svegliando con due lunghissimi e dolci baci i suoi adorabili fratellini. Coprendosi poi le spalle con il pesante scialle di lana, scese al piano inferiore, aiutando sua madre a finire i preparativi per la colazione. La signora Pierce, ancora molto giovane, era una buona donna di casa. Era da lei che la piccola aveva avuto la grande fortuna di riprendere tutto. Sostava innanzi al caminetto osservando la pentola ribollire. Nei suoi occhi, verdognoli come quelli di sua figlia, vi si potevano rispecchiare i volteggi sinuosi e lineari delle fiamme color ocra. Avvertendo la sua presenza però, la donna posò lo sguardo sulla piccola figura al suo fianco. Era diversa. Anche lei lo aveva notato
-Posso fare qualcosa per voi, madre?- domandò dolcemente, sollevando gli angoli delle labbra. C’era una strana luce che irradiava il suo giovane sguardo. Un barlume incantato, magico. Come se fosse pervasa da una felicità talmente pura e ingenua da potersi sollevare completamente  da tutto ciò che era materiale e terreno. il flusso di pensieri della signora Pierce continuò lungo a una tangente che la riportò indietro con i ricordi, alle sue memorie di ragazza. Che la sua piccola fosse stata colpita da una freccia di cupido? A giudicare dai sintomi pareva proprio di sì. Era cresciuta, la sua Hannabelle, e doveva fare fronte alla realtà
-Madre?- la ragazza la chiamò una seconda volta, cogliendo la sua attenzione
-Sono svegli i gemelli?- chiese di rimando, facendosi porgere le scodelle di candida porcellana
-Si, stanno finendo di prepararsi…-  la bruna rispose accogliendo il breve sorriso appena sorvolato sulle labbra della sua genitrice. Come piccoli cinghiali imbufaliti i più piccoli scesero pestando i piedi al suolo, giungendo ad ampie falcate per accostarsi alla tavola imbandita
-Devi andare a fare delle commissioni per me questa mattina. La prossima settimana ci sarà un ballo, tuo padre pensa che sarebbe una buona occasione e che dovresti parteciparvi. Avrò bisogno di molta stoffa-  cominciando a servire il latte caldo e fumante sotto i nasi tenuemente colorati di rosa dei gemelli, la signora Pierce osservò di sottecchi la sua primogenita; chissà che non fosse proprio un bel giovane del loro villaggio ad aver incantato il suo sguardo ingenuo?
Hannabelle sorrise, entusiasta. Amava danzare, volteggiare per il grande salone delle feste con in dosso un bel vestito, sfiorando con le sue dita sottili delle mani grandi e calde al di là dei guanti spessi. Eppure, proprio in quel momento, quando dolci memorie della sua fanciullezza spensierata annebbiavano la sua ragione, occhi cristallini e glaciali penetrarono la sua mente. Non sapeva per quale assurda ragione, ma nella sua fervida immaginazione improvvisamente una dolce fantasia sfumò nella sua testa, facendole ardere le guance. Annuì, cercando di tornare con i piedi e soprattutto la testa per terra. Non preannunciava nulla di buono lo sguardo curioso e divertito che sua madre le stava riservando
-A chi stavi pensando, mia cara?- domandò improvvisamente facendola trasalire. La brunetta abbassò appena lo sguardo, trattenendo a malapena un sorriso. Era più forte di lei, ma le pareva di udire ancora la sua voce soffice e vellutata augurarle la buona notte. Sospirò appena.
-A nessuno…- rispose semplicemente sorseggiando il latte tiepido che fluì caldo nella sua gola, riscaldandole le membra
-P-Possiamo andare con Hannabelle madre?- domandò improvvisamente Zachary, facendo riemergere il capo dalla scodella, mostrando due candidi baffetti lattiginosi
-Si! Si madre possiamo? Noi vogliamo giocare con la neve!- imitando il suo gemello, anche Ronald pregò la sua genitrice con occhi grandi e sgranati. Ed eccoli lì, a mostrare le loro faccette d’angeli disposti a tutto per  raggiungere i loro giocosi obbiettivi. La signora Pierce fece roteare le pupille, sollevando lo sguardo al soffitto, sbuffò rumorosamente, titubante
-E va bene. Ma che non siate d’impiccio a vostra sorella mentre sceglie le stoffe. Sono stata chiara?- i bambini annuirono facendo vorticare i boccoli scuri. La donna poi rivolse lo sguardo alla maggiore, sorridendogli sconsolata. Allungò appena la mano sul suo viso, carezzandole le guance. Hannabelle sorrise.

*** 

In mattinata i piccoli cristalli di velluto avevano smesso di cadere, adagiandosi strato su strato sulle zolle di fango, decorando le strade, lucidando le rive del lago, ormai ghiacciato. Jack sfrecciava velocissimo, con i capelli arruffati dal vento che lo sospingeva. Trapassava le nuvole, assaporando sulle labbra il loro neutro sapore mentre lentamente planava verso terra; rapito da quella piccola figura rivestita da una mantella rossastra, che per tutta la notte aveva osservato dormire, affacciandosi a quella finestra che era stata la guida del loro primo incontro. Hannabelle affondava i passi in quindici centimetri di candida neve morbida, brandendo un pacco di modesta misura, tenendolo stretto al petto come se stesse costudendo un tesoro. Innanzi a lei i suoi fratelli scorrazzavano come due lepri, sfidandosi senza pietà a colpi di palle di neve. Aveva lo sguardo perso in chissà quale pensiero, e pur non potendo entrare nella sua testa per prenderne parte, Jack suppose che doveva essere una visione magnifica. Infatti, la ragazza esponeva le sue grandi iridi verdi con una grazia sprezzante, e non timida. Brillavano. Scese sino a terra, seguendoli a piedi, celandosi tra gli alberi. Erano usciti dal villaggio, seguendo uno stretto sentiero innevato che portava sino alle sponde di un affollato lago ghiacciato. Doveva trattarsi di un luogo di ritrovo, dove tutti i giovani s’incontravano per giocare assieme. Risate ovattate e gridolini acuti crearono un giocoso sottofondo in cui i gemelli Pierce si lanciarono a capofitto
-Non combinate guai come vostro solito!- ammonì la maggiore restando in disparte, osservando i suoi fratellini che avevano cominciato ad avviarsi con ampie falcate lungo la superficie scivolosa della pozza congelata. Non le piaceva gettarsi in quella mischia di bambini con cui a malapena riusciva a parlare. C’erano anche delle sue compagne di scuola, si tenevano per mano reggendosi l’una con l’altra per non scivolare. Sghignazzavano e sorridevano complici, adocchiando un gruppetto di coetanei non troppo distanti da loro. Hannabelle posò le spalle sulla corteccia dell’albero vicino, continuando a guardarle mentre al contempo teneva sempre d’occhio quelle due piccole pesti. Sospirò tristemente, abbassando lo sguardo, stringendo un pelino più forte quel piccolo pacchetto legato da una cordicella grezza e sottile. Le invidiava non poco, quelle ragazzine. Una brezza gentile lasciò ondulare appena la sua pesante mantella purpurea, e nascostosi proprio dietro quello stesso fusto, uno spiritello curioso aveva approfittato della sua distrazione per avvicinarsi a lei. Sporgendosi appena riusciva a vederle il profilo, mascherato dalla calotta sollevata del cappuccio. Un sorriso si sollevò sulla bocca bluastra del giovane mentre riusciva a percepire il lieve profumo che la candida pelle della ragazzina riusciva ad emanare. Ebbe un sussulto, quella scintilla infuocata era tornata a farsi viva nel suo petto. Deglutì e portandosi una mano alle labbra, soffio con delicatezza ed eleganza in direzione della fanciulla. Dal suo palmo, dischiuso come il bocciolo di un fiore, un fiocco di neve cristallino volò come un morbido petalo, disegnando linee sinuose per aria, prima di posarsi gentile sulla gote rosea di Hannabelle. Questa, immediatamente ebbe un brivido. Un fremito lungo ed estenuante che la percosse tutta da capo a piedi. Con le dita sottili si carezzò la guancia umidiccia, percependo al tatto che quel fiocco di neve le era parso - e questo la sorprendeva alquanto- come la carezza vellutata di un casto bacio. Ebbe così la folle iniziativa di ricordare, e dunque sperare, che nulla fosse dettato dal caso, ma che quella fosse opera di colui che tanto gironzolava nella sua innocente mente. Si voltò di scatto, e non vide nulla, seppur riuscendo a intravedere con la coda dell’occhio uno spostamento improvviso. Un ghignetto divertito scheggiò la sua rosea bocca, e con intrepida emozione si portò alle spalle dell’albero, girandogli intorno più e più volte. Guardò ovunque, sbandierando i suoi grandi occhioni come fari, ma dello spiritello non vi era nessuna traccia. Si sentì quasi presa in giro da quel fantomatico nascondino quando, finalmente, venne in suo soccorso un “segno”: una rotonda, candida e compatta palla di neve, sbriciolatasi proprio contro la sua schiena. Colta alla sprovvista, si girò nuovamente, questa volta lasciandosi colpire da quella reazione inconscia tanto aspettata. Hannabelle si pietrificò, immobile, trattenendo il fiato. Tuffatasi in quelle iridi di ghiaccio, talmente pure dalle quali poteva intravederle un fondo languido e ardente, la giovane pensò di potervici affogare. Non era molto distante da lei, due o forse tre alberi più lontani; con la spalla sinistra adagiata sulla secca corteccia, le braccia conserte le quasi avvolgevano l’esile bastone ricurvo; i piedi scalzi penetravano la neve confondendosi con essa a causa del loro pallore. Hannabelle arrossì violentemente, abbassando lo sguardo.
- È strano sai?- cominciò il guardiano spezzando quel pesante silenzio che anche questa volta li stava accompagnando. La ragazza sollevò lo sguardo, ma evitò timidamente di guardarlo negli occhi rispondendo:
-Cosa?-
-Nessuno crede in me, eppure quando mi manifesto portando neve e gelo… Sono felici- scostandosi dall’altissimo arbusto, il ragazzo fece qualche passo nella sua direzione, accorciando sempre più la distanza da lei, che lentamente sentì il suo cuore battere sempre più forte
-Tu invece...- disse arrestandosi di colpo, serrando le labbra quando fu innanzi a lei. Distante, ma al tempo stesso vicino. Troppo vicino
-Io?-
-Mi pari così triste…- alla sua constatazione, più che azzeccata, la ragazza si morse il labbro inferiore provando una forte, fortissima vergogna. Strinse ancora più forte quel fagottino che teneva tra le braccia, quasi graffiandolo mentre una nuova domanda giunse alle sue orecchie:
-Perché sei triste Hannabelle?- Sembrava più bello il suo nome, se pronunciato da lui. Poi però, sbuffando piano la ragazza volse lo sguardo a tutta quella bolgia euforica di ragazzini che scorrazzavano scivolando qua e la per la patina opaca e ghiacciata. Aveva gli occhi gonfi e non voleva farsi vedere da lui con le iridi lucidate e arrossate da lacrime amare
-S-Suppongo che tu sappia meglio di me cosa si prova a sentirsi invisibili- sussurrò trattenendo a forza i singhiozzi. Oh sì, eccome che lo sapeva. Sentitosi colpito dritto al cuore, Jack si avvicinò ulteriormente, e con uno scatto impulsivo e repentino, afferrò la mano tiepida de affusolata della ragazza nella sua. A quel contatto, un nuovo brivido si arrampicò congelandole quasi l’intero braccio. Era così fredda la sua pelle, eppure vellutata. Protettiva, rassicurante
-Tu non sei invisibile Hannabelle-  affermò serio, penetrandola da parte a parte con il suo sguardo glaciale che riuscì tuttavia a fonderla completamente. Il suo cuore perse un battito, una piccola e dolcissima lacrima rigò il suo viso. Sorrise, lasciando tingere la sua pelle di un tenue rossore. Intrecciò le sue dita sottili a quelle del ragazzo, e per la prima volta gustò quel gelo non più sconosciuto
Poi, tutto a un tratto, la campana della chiesa cominciò a suonare. Tutti i bambini fermarono il loro giocoso corso, cominciando ad avviarsi con il fiato sospeso verso casa. Anche loro, per qualche infinito istante rimasero immobili, continuando a fissarsi, a stringersi la mano sino a farle diventare un tutt’uno. Ma Hannabelle sapeva bene che il suo tempo era finito, e già cominciava a sentire le vocine impastate e affannate dalle folli corse dei suoi fratelli. Sospirò, guardandosi appena le loro dita saldamente legate assieme. Sorrise dolcemente, guardandolo ancora, senza vergognarsi di sfiorargli il volto con i suoi occhi verdi
-Io credo in te, Jack…- disse piano, scandendo lentamente ogni parola con tenera precisione. Poche parole che tuttavia trasudavano di un qualcosa molto più grande e completo di sole lettere accostate l’una accanto all’altra. Stupito, compiaciuto… Stregato. Jack Frost era rimasto completamente di sasso, lasciandola andare dalla sua presa con troppa facilità. Indebolito dal suo sguardo disarmante e amorevole. La vide prelevare i gemelli, prenderli per mano, e svanire al di là del sentiero per rientrare dalle porte del villaggio. Osservò la sua mano destra, quella con cui  l’aveva stretta a se, quella con cui aveva creato il loro primo contatto. Se la portò al viso, adagiandola sulla sua pallida guancia. Sgranò gli occhi, sbalordito: era calda.



*Angolino di Virgy*
Eccomi qui! In ritardo, come sempre! -.-" 
Dovete scusarmi, sono molto lenta... Ma spero di riuscire a farmi perdonare con il nuovo capitolo!
Per quanto riguarda il primo capitolo...WOW vi piace?! DAVVERO?!?!?!?! che bellooooooooo *Saltella felice*
Hem hem... *si da del contegno*
Mi sto molto affezionando a questa storia. Non so perchè ma mi prende... Letteralmente! Non faccio altro che pensare, elaborare scene nuove.
E Inoltre, a mio malgrado, amo Jack. Veramente. U.U
Perchè per scrivere storie d'amore devi essere innamorata, almeno in parte, dei personaggi, non trovate?
Mah bando alle ciance non voglio annoiarvi più di quanto abbia già fatto!
Un dolce bacio e Buone feste a tutti!
-V- 

                   

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Cap. 3
All of my doubt suddenly goes away somehow



Lo scoppiettio dei ceppi ardenti nel camino intonavano un sottofondo monotono e familiare all’orecchio della giovane fanciulla che, in equilibrio sopra un piccolo sgabello, si stringeva le braccia nude riscaldandole con lo sfregamento delle proprie mani sulla pelle. Non appena lei e i suoi fratelli avevano varcato la soglia di casa, subito sua madre l’aveva rapita, intrappolandola su quella piccola pedana per dare inizio ai preparativi per il ballo d’inverno che si sarebbe tenuto, come di consueto, nella sala comune del villaggio. Immediatamente la signora Pierce le aveva preso le misure, spogliandola dei semplici abiti quotidiani, e la ricoprì con della soffice mussola opaca. Silenziosamente cuciva, cominciando a dar forma alla gonna, lunga e voluminosa, applicandovici la semplice stoffa color cobalto. Aveva in mente una o più idee per l’abito che le avrebbe confezionato: semplice, ma di effetto, adatto per una ragazzina che, tuttavia, era giunta forse troppo presto all’età da marito. Per un qualche istante la signora ebbe paura di quegli occhi grandi e languidi persi nel vuoto. Era così bella, e così ingenua… Probabilmente non si stava neanche rendendo conto di quello che sarebbe successo. Forse pensava che si sarebbe trattata della solita festa, dei soliti balli. Forse era smarrita nei suoi dolci pensieri, rivolti a quel “qualcuno” di cui non voleva farne il nome; perché anche se Hannabelle taceva, la signora Pierce sapeva che esisteva “qualcuno”. Ed esisteva eccome! Ma come avrebbe fatto a spiegarglielo la povera ragazza? Come poteva confidare a qualcuno che Jack Frost era reale? Che fremeva al suo solo sguardo? Sicuramente l’avrebbero rinchiusa nell’ospitale dei matti piuttosto che credere ad una follia del genere. Fu in quel preciso istante che la giovane se lo chiese: “E se fossi davvero pazza?”
Per un attimo Hannabelle cominciò a temere il peggio. Poi, sfiorandosi appena la mano sinistra, ritrovò il conforto sperato. Si erano presi per mano, o meglio lui l’aveva presa per mano. E con altrettanta foga aveva incrociato il suo sguardo, folgorandola. Sussultò in preda all’emozione scaturita dal tenero ricordare, carezzandosi la mano nel vano tentativo di percepire anche una misera parte di quel gelo che caratterizzava quella mano pallida e avvolgente. Sentì la porta d’ingresso cigolare, e con essa un soffio gentile raffreddò la sua pelle accaldata. Socchiuse gli occhi, sognante. Immaginò che fosse un abbraccio. Un suo abbraccio.
-Hannabelle!!! Per l’amor del cielo!- tuonante, imperiosa. Una voce burbera spezzò quel magico incantesimo, facendola trasalire. Sulla soglia della porta, l’uomo di nero vestito, suo padre, sostava immobile, dando le spalle a due figure che ancora esitavano ad entrare per non metterla ulteriormente a disagio. La giovane rimase in silenzio, quasi trattenendo il fiato
-Non stare lì impalata! Anche tu cara dalle qualcosa con cui possa coprirsi!- gesticolando freneticamente, intimò sua moglie a porgerle un ampio scialle di lana da farle avvolgere attorno alle spalle scoperte mentre con aria mortificata le volse le spalle rivolgendosi ai misteriosi ospiti
-Sono mortificato signor Miller- cominciò il pastore Pierce, cogliendo con quel semplice cognome, l’attenzione della sua giovane figlia. A suo malgrado infatti, la piccola Hannabelle lo aveva già sentito tante volte, ma non riusciva ad associarvi un volto. Sentì improvvisamente la mano di sua madre afferrarla per un braccio, indicandole con lo sguardo la scalinata che l’avrebbe portata al piano superiore, dritta in camera sua per prepararsi. A quanto sembrava, avrebbero avuto ospiti per tutta la serata. Senza fiatare, la fanciulla obbedì al silenzioso ordine di sua madre, e proprio quando fu quasi giunta sulla cima delle scale, un saluto inaspettato, e oltretutto indesiderato, venne alle sue spalle cogliendola impreparata
-Buona sera, Hannabelle…- era fredda, viscida. Voltandosi appena, la castana poté riconoscere il baldo giovane che era appena entrato in casa sua sfilandosi il cilindro di raso scuro. Biondi riccioli dorati colavano lungo l’ovale candido e compatto, esponendo due occhi verdi e stagnanti. Sulle sue labbra, un ghigno divertito e detestabile. Un bel ragazzo e fortemente consapevole di esserlo. Hannabelle sbiancò. Angus Miller, ecco dove aveva già sentito quel cognome:
Era un tiepido pomeriggio di Ottobre, le campane della chiesa avevano appena scandito le tre, e uscendo dalla classe di cucito e ricamo assieme alle sue compagne, Hannabelle aveva visto quel ragazzo sostare innanzi l’uscio della parrocchia assieme ad un ristretto gruppo di altri giovani, intenti a fermare le ragazze per fargli dono di fiori e vane promesse in cambio di un bacio. E lui, Angus Miller, era assai noto tra il pubblico femminile, famoso per aver rubato il primo bacio a otto delle dodici ragazze della sua classe.
“È audace e sa come far cedere una ragazza” aveva sentito bisbigliare timidamente una sua compagna. E quello stesso pomeriggio, lui l’aveva fissata intensamente al di là del grande cancello. Con passo felpato era giunto al suo fianco, ma lei aveva continuato dritto. Al contrario delle altre, Hannabelle, un po’ per la vergogna e un po’ per lo spregiudicato disinteressamento che provava nei suoi confronti, gli era “sfuggita”. E proprio per questo, lui aveva cominciato a darle il tormento, attirando in qualsiasi modo la sua attenzione. Rammentava ancora piuttosto bene il giorno in cui le rubò un fazzoletto che lei stessa aveva ricamato con estrema cura, e come ricompensa per la sua restituzione aveva preteso il suo bacio. Ma lei era stata chiara:
“Di fazzoletti posso sempre ricamarne a migliaia se solo lo volessi. Per tanto non vedo la necessità di baciarti” con autorità e cortesia lo aveva per l’ennesima volta respinto, e con la coda tra le gambe si era dileguato. Pensava che finalmente avesse adocchiato qualche altra preda, che l’avrebbe lasciata in pace. E invece, a smontare ogni sua aspettativa, lui era lì… e assieme a suo padre, signorotto del villaggio, avrebbe cenato alla sua tavola con la sua famiglia. Ancora incredula sbatté le ciglia più volte, salendo, senza rispondergli, gli ultimi gradini della scalinata che, almeno temporaneamente, l’avrebbe portata al salvo da quelle iridi inopportune puntante contro di lei. Con ampie falcate, Hannabelle entrò nella sua camera seguita a ruota da sua madre, che al contrario, espose un sorrisetto soddisfatto mentre si chiudeva la porta alle spalle. Quando si voltò però, la signora Pierce dovette fare i conti con lo sguardo adirato e sconvolto della sua prima genita:
-Cosa ci fa lui qui?- domandò cercando di moderare la voce, tremante e acuta… strozzata dal vomito di parole che le stava salendo corrodendole la gola
-Tuo padre lo ha invitato. A sentir lui, pare che questa mattina il giovane Angus sia venuto di persona in chiesa per chiedere il permesso di accompagnarti al ballo d’inverno- cominciò sua madre con tono rassicurante, prendendo la figlia per le spalle per farla sedere sul suo comodo giaciglio e farle riprendere fiato
-M-Ma io non voglio…-
-Oh suvvia Hannabelle! L’invito di un così bel ragazzo non capita tutti i giorni sai?-  ridacchiò sua madre sfiorandole il viso, scostandole i capelli bruni che come una maschera avevano coperto il suo ovale arrossato e umido
-Ha sedotto molte delle mie compagne quindi non avrà problemi ha trovare un’altra compagna- rispose acidamente, provocando gli sbuffi esasperati della sua genitrice
-Ascoltami bambina mia. Stai crescendo, e io e tuo padre vogliamo che tu sia sistemata a dovere. Ti prego, non deluderci proprio adesso- disse fissandola intensamente, facendo nascere una marea di interrogativi amari nella testa disincantata della giovane figlia.
-Avanti, mettiti un bel vestito, pettinati e scendi per la cena. Mi raccomando sempre gentile e sorridi garbatamente- sollevandosi dal letto, la signora Pierce fece per uscire dalla camera, lasciandosi alle spalle una povera Hannabelle con lo sguardo sperso nel vuoto, spaventato. Stava quasi per andarsene, ma sua figlia prontamente la fermò, chiedendole con un filo di voce:
-Cosa intendevate dire prima, madre?-
La donna si voltò piano. Esitò a parlare per qualche istante. Proprio come temeva, sua figlia non aveva alcuna idea di cosa stava andando in contro
-Intendevo dire che se al ballo tutto andrà per il meglio, allora tuo padre prenderà seriamente in considerazione l’idea di concedergli la tua mano-
Silenzio. Uscendo velocemente, sua madre chiuse la porta. Una lacrima sofferente rigò le guance di Hannabelle. Pensava a Jack.

*** 

Si era fatto buio, la luna sormontava le stelle e la liquida notte, abbracciando il giovane cullato dal vento. Per molti anni sorvolava quella cupa distesa osservando la pallida regina della sera, ponendole domante sulla sua esistenza. Quesiti a lui ancora irrisolti. E anche questa volta, mentre fluttuava immobile nell’aria, volgeva il suo angelico sguardo a quella candida rotondità muta, chiedendole in un sussurro che cosa fosse quel calore folgorante che gli attanagliava il petto. E come di consueto, Jack udì l’inquietante silenzio che spesso lo accompagnava. Sbuffò, rassegnato. Volse le spalle alla luna, gettandosi a capofitto verso terra, verso quella casa dalla piccola finestrella sempre illuminata. Ad alta velocità, l’aria fendeva i suoi argentei capelli, lasciando aderire le sue vesti con il suo corpo asciutto. Con grazia felina atterrò in piedi, avanzando ad ampie falcate per quel lungo viale che conduceva alla modesta residenza dei Pierce, passando inosservato tra quelle poche persone che ancora si avviavano per le strade a quell’ora della notte. Era invisibile, e ci aveva oramai fatto l’abitudine a quella sensazione di vuoto. Tuttavia, da quando Hannabelle era entrata a far parte della sua vita, tutto sembrava aver ricominciato ad acquistare un senso. A pochi metri di distanza dalla piccola scalinata che separava la porta d’ingresso dalla strada sterrata, Jack vide improvvisamente quella lignea parete spalancarsi lentamente, lasciando uscire due uomini, a lui sconosciuti, e subito dopo anche l’intera famiglia Pierce al completo. Veloce allora, Jack si fece più vicino, nascondendosi dagli occhi verdi della giovane Hannabelle, la quale tuttavia teneva lo sguardo perennemente basso, cupo. Nascostosi sul retro della staccionata che delineava il confine della residenza, lo spirito fece capolino, osservando ed ascoltando cosa il pastore Pierce e quelle due persone si stessero dicendo:
-Devo ringraziarvi per la vostra ospitalità. Io e mio figlio abbiamo trascorso una serata molto piacevole – aveva detto l’uomo più alto con folte basette corvine e gli occhi arrossati. Stringeva con vigore la mano del padre di Hannabelle, scuotendola con forza e autorità
-Oh noi dobbiamo ringraziarvi, signor Miller, della vostra presenza nella nostra umile casa…- aveva risposto quest’ultimo con un sorriso tirato sul volto. Poi, il giovane distinto che nel frattempo era rimasto in silenzio, improvvisamente fece un passo avanti, in direzione della primogenita del sacerdote, prendendole la mano piccola e affusolata nella sua, grande e guantata, portandosela alla bocca, baciandola. Jack sentì uno sfrigolio insolito, poi abbassando appena lo sguardo, si rese conto che erano le sue stesse mani ad aver stretto con sovraumana forza il suo esile bastone. Sentiva l’adrenalina avvelenargli il sangue. Lui, che era stato forgiato dal gelo, bruciava dalla rabbia. Si morse un labbro, trattenendo il fiato mentre tornava a guardare silenzioso quell’abominevole scenetta, che nel frattempo stava continuando ad evolversi: la fanciulla si era inchinata elegantemente, senza tuttavia concedere al baldo giovane il piacere di un suo sguardo
-Attendo con ansia la sera del ballo, Hannabelle…- un brivido percosse la giovinetta facendole inarcare la schiena per quanto fosse veemente, tanto che infine, quasi distrattamente, aveva guardato in viso il giovane Angus. Eccoli là i suoi occhi, verdi ammuffiti che sfidavano inesorabilmente il suo disgusto. Era riuscito a plagiare suo padre e sua madre, spacciandosi per l’affabile damerino cortese che non era. Ma lei sapeva chi era veramente, e non si sarebbe fatta incantare da due paroline pronunciate con sussurri ovattati. Senza proferire parola, la ragazza si limitò a sollevare appena gli angoli delle labbra, inchinandosi una seconda volta, mostrandosi timida e riverente come una vera fanciulla di buona famiglia, celando l’odio e il ribrezzo profondo che le stritolavano il cuore. Quando i due ospiti se ne andarono, la prima a sparire dalla vista del guardiano fu proprio la giovane Hannabelle, che sollevandosi l’ampia gonna color vinaccia era corsa in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle. Quando vide finalmente la luce delle candele filtrare al di là della finestra, Jack fece un balzo lasciandosi accogliere dal vento amico, che senza problemi, lo sollevò fin innanzi la trasparente vetrata. Ancora vestita, Hannabelle restava immobile, tremante in posizione fetale sul suo giaciglio. Attraverso quello spesso vetro, Jack riusciva ad ascoltare i suoi respiri affannati, i singhiozzi strozzati. Aspettandola impazientemente, la scintilla calorosa tornò ad accendergli le membra, muovendo abilmente l’istinto del giovane spirito. Posando una mano sulla finestra, con tutta sua sorpresa Jack si rese conto che fosse stata lasciata aperta, forse per pura distrazione. Con una lieve pressione allora, riuscì ad aprirla senza destare sospetti, e sporgendosi all’interno della calda camera da letto, il ragazzo soffiò piano, socchiudendo gli occhi. Dal suo gelido respiro, piccoli cristalli argentati cominciarono a vorticare per aria, come coriandoli di gelido velluto. Quando la pelle accaldata e ancora fremita della giovane percepì su di se la morbida carezza della neve, i suoi occhi verdi e lucidi si spalancarono di colpo, e sollevando il capo, osservò come magicamente stesse nevicando nella sua camera. Incredula, il suo sguardo si posò sulla splendida figura seduta sul davanzale della finestrella aperta, lasciandosi catturare dalle sue iridi limpide e dolci
-Jack!- sollevandosi di scatto la giovane si asciugò sgraziatamente gli occhi, non accorgendosi che nel frattempo il giovane aveva già messo piede in camera sua, e agilmente l’aveva raggiunta. Nuovamente i loro occhi furono una cosa sola, e sebbene in quel momento la testa della ragazza era ormai perduta in affascinanti visioni, riuscì comunque a comprendere le parole che fuoriuscirono dalle labbra dello spiritello:
-Cosa ti è successo? Perché piangi?- in preda alla vergogna, la castana abbassò violentemente lo sguardo. Con quale coraggio gli avrebbe confessato tutto?
-Hannabelle?- sibilò il suo nome, afferrandole il viso per il mento, sollevandole lo sguardo. Ecco allora che un vomito di parole colse nuovamente le labbra della fanciulla, costringendola a vuotare il sacco. Non appena ebbe finito, lacrime amare continuarono a colare lungo le sue guance, e in preda all’imbarazzo cominciò a temere che quella magnifica creatura scappasse da lei, lasciandola sola. Jack era rimasto impietrito, senza parole. Non aveva previsto l’esistenza di un altro. Ora concepiva la sua rabbia come gelosia. No, non avrebbe permesso a nessuno di portargli via l’unica persona che credeva in lui. Ebbe così una brillante idea- che concepita dalla mente di Jack Frost sicuramente si sarebbe rivelata folle- e portandosi in piedi tese la mano cadaverica alla giovane affermando audacemente:
-Vieni con me- sbalordita e ancora confusa, la castana rimase sulle sue per qualche attimo interminabile. Cosa doveva fare? Cosa voleva fare? Subito si lasciò cogliere dall’incertezza, dai dubbi. Aveva paura, non voleva rischiare, o almeno così credeva. Poi, mossa da una forza più forte dei bisbetici consigli del suo cervello, mescolò per una seconda volta la sua mano con quella quel guardiano, vibrando al contatto con quella piacevole pelle fredda. Quasi piroettando, Hannabelle volteggiò elegantemente finchè non sentì la terra mancarle da sotto i piedi, finendo tra le braccia del ragazzo, che fissandola intensamente le domandò:
-Ti fidi di me?- una scossa elettrica le graffiò tutte le terminazioni nervose, facendola vacillare. Sentì il cuore esploderle nel petto mentre le guance si tingevano di un colore simile alla porpora. Respirò profondamente, deglutendo senza fare rumore mentre spontaneamente le sue braccia si stringevano dietro il collo del giovane
-Sì- il suo fiato parve la morbida carezza di quelle labbra che si erano mosse per lui. Sorridendo divertito allora, Jack Frost prese la rincorsa, ed effettuando un salto ben assestato, volò via da quella camera, portandosi con se anche la sua preziosa amica. Non appena aveva percepito il vento gelido sfiorarle la pelle, Hannabelle aveva chiuso gli occhi, nascondendo il viso nell’incavo della clavicola del ragazzo. Sentiva le budella come rigirarsi, e il cuore smettere di battere regolarmente per due o forse tre volte. Tremava in un misto di terrore e freddo, ma l’unico pensiero che vegliava su di lei per consolarla, era il fatto che Jack non avrebbe permesso che le fosse successo qualcosa
-Apri gli occhi Hannabelle, guarda!- la incitò quasi canzonatorio. Dischiudendo piano le palpebre allora, la piccola Pierce sussultò per lo stupore: il suo villaggio pareva un piccolo agglomerato di tetti scuri e fiaccole brillanti; vide il bosco e il brillante lago ghiacciato nel quale vi si poteva scorgere un misero riflesso della luna. La notte sembrava una calda trapunta impreziosita di diamanti, e la luna splendeva illuminandole lo sguardo incantato
-Jack tutto questo è… Bellissimo- sentiva gli occhi gonfiarsi per la commozione dopo quella splendida vista. Stava volando, e ancora non ci credeva. Lo spirito sorrise e s’innalzarono sino a una nuvola, e facendola scendere delicatamente dalle sue braccia, le fece posare i piedi su quel spumoso cumulo opaco, e tenendole le mani come una neonata che ancora non sa camminare, Jack le fece provare la solleticante sensazione di passeggiarvici sopra. E la sua Hannabelle finalmente rise, e il suono intonato e melodioso della sua voce quasi gli rallegrò l’animo. Nei suoi occhi verdi inoltre, vi vide una luce abbagliante, piena di gioia. Era lui la sua gioia, e solo ora se ne rendeva conto. Freneticamente, mossa da un irrefrenabile impulso, Hannabelle sciolse il legame tra le loro mani, e miracolosamente fece dei piccoli passi contro di lui, accorciando le loro distanze. Ma quando stava per perdere l’equilibro, subito allora Jack la lasciò cadere su di sé, lasciando che uno spesso strato di soffice candore li avvolgesse , l’una sull’altro, come una morbida coperta. Sogghignarono a crepapelle, ma quando le traiettorie dei loro sguardi coincisero ancora, il silenzio piombò a incudine su di loro. A cavalcioni sul suo grembo, Hannabelle rimaneva seduta a fissare il giovane sdraiato sotto di lei. I suoi capelli e la sua pelle quasi si confondevano con il pallore della nuvola, ma i suoi occhi brillavano come diamanti. Dal canto suo, invece, Jack osservò con minuziosa curo ogni particolare di quel roseo ovale: gli occhi grandi e languidi; le labbra fine e ben disegnate, le gote vellutate. Come onde increspate, i suoi capelli bruni colavano lungo le spalle e le clavicole sottili. Chinandosi su di lui, Hannabelle si mosse quasi con ingenua malizia, sognando di posare le labbra su quelle violacee del ragazzo. Poi, chissà per quale strano motivo- probabilmente la timidezza- affondò il viso nei suoi pettorali, adagiandosi si di lui come un morbido cuscino. Era freddo, ma se si concentrava appena, riusciva a percepire un suono leggiadro: il lento, lentissimo, battito del suo cuore. Ecco allora cos’era quella favilla rovente. Il cuore di Jack si stava scongelando
-Oh Jack. Come vorrei che tutto questo n-non finisse mai…- bofonchiò appena mentre uno sbadiglio ostile gonfiava le sue labbra, e le sue palpebre cominciavano a farsi pesanti, a chiudersi quasi meccanicamente. Lo spirito portò le sue mani sui suoi fianchi, facendole saline sinuosamente fin sulla schiena piatta della ragazza stesa sul suo corpo. Immerse le mani nella sua folta chioma, lasciandosi scivolare le vellutate ciocche tra le sue dita. Per pochi secondi, dediti alla più totale ed inebriante contemplazione di quel momento assolutamente perfetto, Jack incassò con gioia il silenzio. Come se con lei tra le braccia non sentisse più la necessità di trovare la risposta alle sue domande. Sussultando, Jack la strinse poco più forte a se, lasciandole un casto bacio sulla testa per poter assaporare il suo semplice profumo
-Rimani con me allora…- disse –Non lasciarmi- inevitabilmente si sentì egoista. Come poteva lui strapparla dalla sua famiglia? Condannarla al freddo e al gelo per il resto dei suoi giorni? Eppure non aveva resistito; per la prima volta si sentiva felice, completo. Le sue dita scivolarono sul suo viso, carezzandolo con dolcezza. Hannabelle si era sopita poco prima e la sua preghiera non aveva minimamente sfiorato il suo udito. Un sorriso amaro si disegnò sulle labbra di Jack. Forse, per il momento, era meglio così.

*Angolino di Virgy*
Mi reputo soddisfatta! Il capitolo sostanzialmente mi piace abbastanza, e spero che sia lo stesso anche per voi!
Vorrei ringraziarvi di tutto cuore per le recensioni dei capitoli precedenti! Sapere che la storia vi piace mi incita a scrivere ancora di più!
Spero di leggere anche qualche vostro parere riguardo questo ultimo capitolo, e nel frattempo vediamo se riesco a postare il prima possibile il quarto capitolo! XD
Un bacio
-V-  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Cap.4
Heart beats fast, colors and Promises


Notte fonda, il cielo limpido, scheggiato da stelle brillanti. La luna filtrava dalle tende, illuminando appena i due lettini nei quali i gemelli stavano dormendo con le labbra dischiuse e grondanti sul cuscino. Fu proprio in quel momento, quando la quiete pareva un velo sottile posato su di loro, che sotto i loro piccoli giacigli una nuvola di zolfo nero cominciò a gonfiarsi con intrepida ansia, fuoriuscendo dai materassi per addensarsi e diventare un’ asfissiante agglomerato di cenere. E la nube scura prese forma, e da essa due grandi occhi metallici spiccarono nel buio, risaltando tutta l’immensa figura evanescente. L’essere fuoriuscito dall’oscurità aveva un viso affilato, torvo, specchio esatto della sua anima cupa e malvagia. Un ghigno malevolo si dipinse sulla sua bocca fina, e avvicinandosi  ai due bambini li osservò con gusto, contemplando i loro esili corpicini contorcersi sotto le coperte in preda a chissà quale incubo succulento. Ed era questa la sua natura: spaventare e tormentare i sogni dei bambini innocenti. Perché? Beh, essenzialmente… ci provava gusto. Per Pitch, infatti, non esisteva piacere più appagante dei gridolini striminziti dei bambini in preda ad una visione orrenda. Perché il terrore era come adrenalina pura che lo accecava, scorrendogli caldo nelle vene. Sospirò, avvicinandosi malinconicamente verso quella finestra dalla quale poteva osservare la luna con occhi colmi di sfida. Un sovrano dimenticato da secoli ormai non poteva neanche considerarsi tale. E Prima o poi lui, il re degli incubi si sarebbe vendicato. E l’avrebbe fatta pagare a tutti, lei compresa. Poi, a cogliere come per sorpresa la sua attenzione, vide qualcosa svolazzare in cielo. Una piccola macchiolina scura che lentamente si faceva sempre più nitida e ben definita. In un primo momento si chiese se fosse stata la fatina dei denti, poi però ricordò benissimo che erano passati anni da quando smise di entrare in servizio, lasciando tutto il lavoro alle sue piccole e insignificanti fate. Sgranò gli occhi e riconobbe due persone: un baldo giovane e una ragazzina sopita tra le sue braccia; Jack Frost e la dolce Hannabelle Pierce, che a giudicare dalle fattezze doveva essere ben cresciuta. Erano passati anni da quando aveva smesso di tormentarla, penetrando nella sua mente per giocarle cattivi scherzi. Oh sì, l’uomo nero era stato particolarmente cattivo con lei quando era più piccina. Ricordò quasi con dolce malinconia quando una notte, proprio come quella, era sbucato da sotto il suo lettino, osservandola dormire beata: con i capelli arruffati sul cuscino, le labbra distese in un tenero sorriso. E quando entrò in azione, disturbando il suo tenero sogno, la piccola non aveva battuto ciglio. Non una smorfia, neanche uno scatto impulsivo. Solo una lacrima, una gemma pura e cristallina che le rigò il viso. E con ingenuo stupore Pitch l’aveva raccolta, sfiorandole la pelle con le sue mani fuligginose e spettrali. Portandola alle labbra il re degli incubi aveva saggiato quella liquida goccia stillava dai suoi occhi socchiusi. Era salata, eppure sentiva come un retrogusto affasciante: un condensato di paura allo stato puro. Ed era talmente prelibato che cominciò a farle visita regolarmente, fin quando non vennero alla luce i suoi fratellini. Ben otto anni erano trascorsi, e adesso Hannabelle non pareva più una bambina. Riemergendo dai suoi ricordi, osservò lo spirito del gelo intrufolarsi con la giovane tra le braccia nella sua camera da letto. Si chiese cosa ci facesse uno scavezzacollo come Frost assieme ad una come lei e successivamente:  “Chissà se le sue lacrime conservano ancora lo stesso sapore?” e con un ghigno arguto sulla bocca affilata, Pitch svanì.
In quel medesimo istante, Zachary e Ronald si svegliarono contemporaneamente, madidi di sudore e le piccole labbra spalancata alla disperata ricerca di aria. Avevano gli occhi arrossati, sul punto di piangere. Tremavano come mai avevano fatto prima. E tutto ciò che gli venne in mente in quel momento, l’unica via di conforto, fu Hannabelle.
 
Con passo felpato, facendo attenzione ad ogni suoi minimo movimento, Jack era tornato in quella piccola camera buia con la piccola Hannabelle tra le braccia. Era caduta in un sonno profondo, riusciva a sentire il suo soffice respiro carezzargli il collo, penetrandogli la carne, giungendo alle ossa.  Con ampie falcate, lo spirito lasciò andare il corpo esile della bella addormentata, curandosi di coprirla per bene. Aveva preso freddo, e di certo non voleva che si ammalasse. Rimboccandole le lenzuola, Jack si concesse un momento per osservarla dormire; i capelli bruni frastagliati morbidamente sul guanciale, la linea dritta nel naso, le ciglia scure, il disegno sinuoso del contorno labbra. La sua pelle pallida cominciava lentamente a prendere un colorito più roseo, più caldo. Sospirò sentendosi infervorare dentro. Tutto quello che stava provando era difficile, per lui, da spiegare. Non gli era mai capitato prima. Si chiese se fosse grave  provare un così devastante calore nel petto. Incapace di darsi una risposta, guardò un’ultima volta la ragazza dormiente sotto di lui. Sorrise, chinandosi lentamente verso di lei. Era più forte di lui, attirato da un rifrenante  desiderio nascosto. Pochi centimetri, il suo odore era forte, tangibile. Facendosi sopraffare dall’istinto, Jack posò le labbra sulla guancia della giovane. Immobile, percependo il suo calore sulle labbra. Socchiuse gli occhi, come desideroso di prolungare quel piccolo contatto. Si chiese se si sarebbe mai allontanato. Doveva, ma non voleva. Lentamente quel morbido tepore tornava ad affievolirsi, e Jack sapeva che doveva sollevare la bocca dalla sua pelle se non voleva lasciarle una bruciatura da freddo in pieno volto.
Un mugugno leggero sibilò dalle labbra fine della ragazza e Jack si sollevò di scatto, non l’avrebbe svegliata ma con quel casto bacio sarebbe rimasto impresso nei suoi sogni, se Sandy gli avesse concesso questa grazia. Rimase ancora qualche istante immobile sul suo giaciglio, sfiorandole i soffici capelli. Sarebbe rimasto tutta la notte a vegliare su di lei, ascoltando il suono dei suoi respiri. Poi, facendolo trasalire, la porta d’ingresso alla sua camera si spalancò di colpo. I due gemelli, con sua sorpresa si erano svegliati, e rimanevano immobili sulla soglia della camera con occhi assonnati e al tempo stesso indagatori. I due, infatti, non appena avevano posato piede all’interno della modesta camera da letto con tutta l’intenzione di svegliare la loro sorellona, ecco che si erano fermati con i lamenti soffocati in gola: Hannabelle era lì, che dormiva nel suo letto. Eppure, sfregandosi le mani sugli occhi, si accorsero che la finestra era stata lasciata aperta, e sul pavimento ancora si scorgevano delle minuscole gemme innevate che lentamente si scioglievano al suolo. Rimasero in silenzio, chiedendosi cosa potesse mettere in relazione questi ultimi elementi curiosi. Poi, dando una gomitata al fianco del gemello, Zachary si accostò al fratello, sussurrandogli piano: Jack Frost.
Il tempo di un battito di ciglia che dal nulla un ragazzo dalle sembianze elfiche era comparso ai loro occhi. Steso al fianco del corpo della loro amata sorella, lo spirito li stava fissando con i suoi grandi occhi glaciali con altrettanta sorpresa e incredulità. Jack sgranò gli occhi, non gli piaceva il modo con cui quei due lo stavano fissando: stupiti e quasi intimoriti da lui
-Voi mi vedete?- domandò scostandosi appena da Hannabelle, facendogli cenno di avvicinarsi, certamente era l’ultima persona al mondo che desiderasse mettere quelle due piccole creature a disagio. Facendo qualche passo in avanti, i gemelli quasi a tempo annuirono contemporaneamente, stringendosi le mani al petto. Se si concentrava un poco, Jack sarebbe riuscito a sentire i loro giovani cuore battere freneticamente.
-V-Vuoi trasformare Hannabelle in una statua di ghiaccio?- domandò improvvisamente Ronald imbronciandosi
-No ti prego non farlo! Lei è sempre gentile con noi. Ci vuole bene…- lo imitò Zachary. Disarmato dalle loro ingenue preghiere, Frost ebbe lo stimolo del riso che gli disegnò un piccolo ghigno divertito sulle labbra. Senza rispondergli, abbassò lo sguardo constatando che fortunatamente Hannabelle dormiva ancora. Sorrise.
-No, non ne ho alcuna intenzione. Anche con me è sempre stata gentile… – sollevandosi definitivamente dal piccolo giaciglio, afferrando il suo fido bastone. Seguendolo con lo sguardo, Ronald e Zach lo osservarono sporgersi per la finestra prima di lanciargli un’ultima occhiata, questa volta però, facendoci più attenzione, i due bambini si accorsero di una luce folgorante che irradiava i suoi occhi chiari
-Tornerai?-  domandarono all’unisono.
-Sì- disse allungando uno sguardo malinconico e languido alla bella addormentata –Io ci sarò sempre- e con queste parole, lo spirito volò via, pendendosi nella notte, sopendosi tra le nuvole. I due giovani Pierce si guardarono, complici della loro meraviglia. Poi, con passo felpato e il fiato sospeso, si arrampicarono sulla branda di Hannabelle, infilandosi tra le sue coperte alla ricerca di quel calore familiare e dolce che certamente gli avrebbe conciliato il sonno. Effettuarono ogni movimento con cura, lasciando sognare la maggiore in una marea di folli visioni, e comodamente trovarono riposo tre le sue braccia.
-Zachy?- bofonchiò il più piccolo dei gemelli
-Si?-
-Secondo me lui le vuole bene…- constatò sogghignando appena, lasciando colorire di un roseo perlato le sue gote paffute
-Come mamma e papà?- gli domandò improvvisamente il fratello mettendolo quasi in difficoltà
-No…- affermò convinto –Molto di più…-
Così i fratelli Pierce trascorsero il resto della notte insieme, stretti l’uno all’altro, avvolti dalle ali protettive e amorevoli di Hannabelle. Sognarono.

*Angolino di Virgy*
Perdonatemi per il spaventosi ritardo, ma con il ritorno a scuola, la marea di compiti ecc. non trovo mai un momento libero per concentrarmi e scrivere!
Comunque, bando alle ciance, parliamo di cose serie u.u
Sono contenta che anche il terzo capitolo vi sia piaciuto, non sapete quanto mi rende felice!
In riferimento al nuovo capitolo... Beh finalmente mi sono concessa di sviluppare un pochino (poco poco però xD) la vera trama della storia che ho in serbo per voi :)
Spero che vi piaccia, da questo momento in poi, la VERA storia ha inizio.
Un bacio
-V-    
 

             
                   

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Cap. 5 "Every breath, every hour has come to this..."



Con la venuta del mattino, quando i tre fratelli si svegliarono, meraviglia e stupore si mescolarono assieme, lasciando il cuore della piccola Pierce immerso in una intrepida ballata. I suoi fratelli avevano visto Jack, o almeno così le avevano detto. E con sua sorpresa, non si erano degnati neanche di porle una domanda. Si aspettava i classici “come?”, “quando?” e “perché?”. Tuttavia, i due gemelli sapevano che Hannabelle aveva sempre creduto in lui che aveva sempre avuto ragione sulla sua esistenza, e non gli serviva da sapere altro.
-Portaci da lui Hannabelle!- esclamò d’un tratto il piccolo Zachary, seguito a ruota dal fratello, e facendole gli occhioni dolci la scongiurò:
-Si, ti prego! Giochiamo tutti insieme!- agguantandosi alla sua vita, i due pargoli si erano stretti a lei con prese così salde e forti da farle mancare il respiro. Che doveva fare? Sarebbe stato giusto accontentarli? Poi, improvvisamente, le parole di Jack tornarono alla sua mente assieme a quel dolce ricordo che aveva del loro incontro sulle rive del lago ghiacciato:
“Nessuno crede in me”
Aveva gli occhi cupi, tristi quando aveva pronunciato quelle amare parole. “No…” pensò Hannabelle “Non più”. Carezzò amorevolmente le ricciolute chiome dei suoi fratellini, e sollevando i loro sguardi i piccoli scrutarono il soffice sorriso dipinto sulle sue labbra:
-Vestitevi. Andiamo a giocare…- immediatamente, neanche fosse stato il giorno di natale, i gemelli Pierce vennero pervasi da una gioia quasi infinita. Sgambettarono agili come due gazzelle fuori dal giaciglio della loro sorella maggiore, correndo nelle loro stanze per andarsi a preparare. Quel giorno, se lo sentivano, sarebbe stato memorabile.

***

Quella stessa mattina, Jack Frost restava immerso nella stessa nuvola lattiginosa che aveva cullato il suo corpo stretto al corpo della piccola Hannabelle la notte passata, cercando affannosamente anche un misero segno che portasse il ricordo di quella magica notte. Tuttavia le sue ricerche, risultarono ben presto vane. Doveva accontentarsi dei suoi ricordi, di quelle piacevoli visioni che non riusciva a fermare nella sua testa. Sospirò piano, trattenendo il fiato, sperando che assieme ad esso sarebbe riuscito anche a fermare i suoi pensieri, focalizzandosi in quel microsecondi in cui tutto si trovava in un perfetto equilibrio: stesi l’una sull’altro, avvolta dalle sue braccia come la cosa più preziosa che possedesse. Poi, gli sguardi increduli dei suoi fratellini. Credevano in lui. Grazie a lei, Jack stava imparando a non sentirsi più solo… Invisibile. Sentì delle voci inconfondibili farsi largo nel suo tenero rimembrare. Si affacciò dalla morbida nuvola, osservando il villaggio sottostante, e come un falco immediatamente i suoi occhi puntarono una gracile figura dalla mantella rosso porpora, e due bambini seguirla a ruota. Si avviavano mano per mano all’interno del bosco ancora innevato, soli… quasi alla ricerca di un posto appartato dove stare in santa pace senza che occhi indiscreti gli dessero fastidio. E quella visione, per il giovane spiritello, fu come un dolce invito. Strinse il bastone ricurvo tra le mani, e immediatamente si lanciò a capofitto nel vuoto, lasciandosi guidare dalla brezza. I fratelli erano ormai giunti in un modesto spiazzo nel centro del bosco, e immergendo le mani tra la candida neve, i più piccini avevano cominciato a costruire un piccolo pupazzo di neve, mentre gli occhi di Hannabelle li osservava. Come suo solito, era rimasta a guardarli mentre giocavano allegramente, restandone in disparte. S’inginocchio piano, immergendosi nella soffice distesa bianca che la circondava. Con dolcezza, afferrò con ambo le mani una piccola porzione di quella chiara bellezza, quasi cullandola. La neve, chissà per quale motivo, era diventata improvvisamente una delle meraviglie che il mondo celava all’occhio dell’uomo. Improvvisamente, la neve era diventata un simbolo di speranza anche per lei. La neve portava Jack, e Jack era la sua gioia. Con lo sguardo fisso sulle sue mani che lentamente si arrosavano, tramutando i piccoli fiocchi perlacei in acqua, due mani pallide sbucarono dalle sue spalle, posandosi con una morbida carezza sulle sue, quasi accogliendole amorevolmente. Tornando con i piedi sulla terra ferma, Hannabelle si accorse di ritrovarsi nuovamente avvolta dalle braccia del guardiano, la schiena che aderiva contro il suo petto. Ebbe un brivido, e non era dovuto dal freddo. Voltò appena il capo, e con la coda dell’occhio scorse il viso dello spirito ad una distanza spaventosamente ravvicinata al suo. I suoi occhi limpidi brillavano. Uno sfrigolio improvviso tra le sue mani catturò poi la sua attenzione, e sbarrando gli occhi, Hannabelle osservò con le labbra spalancate in una grande “O” come , per incanto, la neve oramai quasi totalmente disciolta si stava tramutando in una piccola scultura di ghiaccio: la corolla dischiusa di una rosa. Hannabelle sollevò gli angoli delle labbra, lasciandone fuoriuscire un sussulto per la sorpresa, poi tornò a guardare Jack dritto negli occhi, annegando nelle sue iridi cristalline
-J-Jack…- sussurrò, sognante. Scostandosi appena, il giovane le sistemò  una ciocca bruna dietro l’orecchio, scoprendole il viso. Le gote erano tinte di un caldo rosa, i suoi occhi verdi erano lucidi. Senza dire una parola, il ragazzo dalla chioma argentea si chinò sull’ovale morbido della giovane, accorciando sempre di più la distanza che separava le loro labbra dal fondersi assieme. E mano a mano che si avvicinava, il battito cardiaco della fanciulla rallentò drasticamente. Hannabelle socchiuse gli occhi, ascoltando il suono del suo fiato gelido che le raffreddò le guance accaldate. Erano lì, ad un passo dal diventare una cosa sola, e già pregustavano l’uno il sapore della bocca dell’altra. Malauguratamente, cogliendoli di sorpresa, qualcosa li fermò: una palla di neve, spiaccicatasi dritta in testa al guardiano. Immediatamente i due si voltarono a fissare i gemelli, che sghignazzando preparavano tra le mani piccole a affusolate altre munizioni. Jack sospirò, facendo roteare gli occhi al cielo. Ci era quasi riuscito, si stava lasciando andare. Dal canto suo, Hannabelle ridacchiò appena all’espressione buffa che il viso del suo bel guardiano aveva assunto:
-Okay piccole pesti questa me la pagate!- e sollevandosi di scatto, Jack Frost si scagliò contro di loro, ingaggiando una vera e propria battaglia.
La giovane Pierce osservò i tre giocare per tutto il resto della mattinata, sentendosi un calore così amorevole e rassicurante nel petto, da farle credere che niente sarebbe più andato storto.
Ma si sbagliava, perché l’ingenua non poteva sapere che occhi viscidi e stagnanti la stavano osservando, nascosto tra le fronde di un cespuglio. Preso da un insolito attacco di timidezza, Angus Miller aveva seguito la giovane che ossessionava la sua mente sino a quello spiazzo, spiandola. E aveva visto tutto, fremendo quando “per magia” tra le mani della bella figlia del pastore si era plasmata una piccola scultura di lucente giaccio. Era disarmato, rabbrividito. Cominciò quasi ad avere paura. Nella sua testa, un unico pensiero: “ Strega!”      


*Angolino di Virgy*
Perdonatemi! T_T oltre che essere moooooolto in ritardo, il capitolo è anche mooooolto corto. 
Spero solo che la sua lunghezza non influisca sulla qualità! purtroppo sta passando un periodaccio, e per scrivere un po' in santa pace
devo fare letteralmente a botte con il mio cervello fuso :S
Grazie comunque per starmi vicino, continuando a leggere questa storia che per me significa molto.
Spero che vi piaccia
Un bacio a tutti
-V- 

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Cap. 6: The Nightmare King

Quella notte, Jack era rimasto in quella piccola cameretta, illuminata a malapena dalla fioca luce di una candela, aspettando che la sua dolce Hannabelle si addormentasse tra le sue braccia, avvolta tuttavia da uno spesso strato di coperte affinché non patisse il gelido amore che lo spiritello sprizzava da ogni poro. Le palpebre calate, le labbra appena dischiuse, il colore tenue della sua pelle, le onde brune che colavano lungo le sue spalle e il cuscino; Jack studiò con attenzione ogni piccola sfaccettatura di quel bel viso accoccolato al suo petto. Se faceva attenzione, riusciva a percepire un dolce tepore scaturire dal corpo della fanciulla, e un battito ritmico e armonico entrargli nella testa. Con delicatezza, senza destarla dal suo riposo, il giovane la cullò amorevolmente, distendendola comodamente sul suo morbido giaciglio. Osservarla mentre dormiva era la parte che preferiva di più delle sue giornate. Le carezzò i soffici capelli, sollevando appena l’angolo destro delle sue labbra:
-Buona notte Hannabelle- sussurrò piano, scostandole una ciocca ribelle dal viso. Come i petali di un fiore, le dita sottili della ragazza cercarono la mano pallida dello spirito, stringendola. Hannabelle dischiuse pesantemente gli occhi, fissandolo in quelle iridi cristalline, nelle quali le parve per la prima volta di intravedere il candido disegno di un fiocco di neve.
-Buona notte, Jack…- rispose con un sibilo, tornando nel mondo dei sogni, e la mano ancora stretta a quella di Frost. Il ragazzo rise appena sotto i baffi, cucciandosi quel tanto che gli bastava per poterle baciare una guancia, proprio all’angolo delle sue labbra. Mugugnò appena, ma non si svegliò. Fu allora che lo spiritello decise, a malincuore, di dileguarsi. Quanto sognava di poter trascorrere un’intera notte abbracciato a quell’esile figura, ma lei era troppo fragile, e debole. Troppo umana per poter sopportare quel freddo che intaccava persino l’animo gentile e tormentato del povero Jack. Forse, quello era il prezzo da pagare per un sentimento così forte e devastante. Prese il suo fido bastone, e abbandonandosi alla stretta affettuosa, e per certi versi materna, del vento Jack Frost volò via, verso quella nuvola così lontana dalla sua Hannabelle e così vicina alla Luna, sua silenziosa e misteriosa compagna.
Tuttavia, Jack non poteva immaginare che non appena avrebbe lasciato quella spoglia camera da letto, una folata di vento, sibilando come un inquietante e viscido verso animale, spegnesse quella piccola fiammella che conferiva un’atmosfera calda e ambrata all’ambiente. Ora il buio aveva preso il sopravvento, e con esso uno strano vapore sulfureo e polveroso, sbucando proprio da sotto il letto della piccola Pierce, si gonfiò senza sosta, lasciando intravedere l’asciutta figura di un’ombra maligna e perfida. Dopo ben otto anni, Pitch il re degli incubi era finalmente tornato in quella stanza misera, al cospetto di colei che per molto tempo aveva considerato la sua “favorita”. Negli occhi del re, un luccicore dorato folgorò il suo sguardo non appena posò gli occhi sulla fanciulla che riposava nel suo letto, e un ghigno sadico si scolpì sulle sue labbra fine. Era solo una bambina l’ultima volta che l’aveva vista, rannicchiata in se stessa, regalandogli l’ultima lacrima pregiata che Pitch ebbe modo di assaggiare. Adesso invece, Hannabelle ai suoi occhi era una giovane donna, il cui fascino stava ormai cominciando a sbocciare mostrando i suoi seducenti frutti: una pelle chiara e sottile che quasi brillava sotto le carezze dei raggi di luna, delle labbra rosee e succose, capelli lunghi e fluenti che incorniciavano le spalle e lo scollo della camicia da notte, risaltandone il seno appena accennato. Con ampie falcate, lo spirito fu in un attimo al fianco del suo piccolo giaciglio, totalmente incurvato contro la bella figura. Con le punte delle dita cineree e arcuate, sfiorò con delicatezza il viso roseo e vellutato della ragazza, percorrendo lentamente tutta la curvatura della gote tonda, immergendo la mano tra i suoi capelli sottili. Con avidità, si portò una ciocca scura al viso, assaporandone con ingordigia il dolce profumo che emanava. Un lamento ovattato della ragazza lo fece scostare appena, convinto che da un momento all’altro si sarebbe svegliata; tuttavia si trattò di un falso allarme, e sollevando l’angolo sinistro delle labbra, il re degli incubi accorciò nuovamente la distanza tra i loro corpi. Portandosi a pochi centimetri dal suo candido ovale, Pitch soffiò della cenere sul viso della giovane che inevitabilmente lo respirò:

“Il rombo di un tuono squarciò la quiete che aleggiava sul suo piccolo villaggio, e un boato si propagò con intensità facendo tremare la terra. Gli occhi della piccola Hannabelle si aprirono, e trattenendo il fiato si sollevò di scatto per la paura. Non ebbe neanche il tempo di riflettere che a piedi scalzi raggiunse la piccola finestrella della sua camera, la sua anta si muoveva ansiosa in balia del forte vento. Con forza riuscì a tenere ferma quella piccola apertura, e sporgendosi con cautela osservò silenziosamente affannata, il grande diluvio che aveva reso la visuale pressoché scarsa. Era passato moltissimo tempo dall’ultima tempesta, ma di certo non era il fatto in se a sconvolgerla tanto, quanto più lo sciogliersi della neve, che come per magia stava svanendo dalla sua vista, mutandosi in una viscida e melmosa poltiglia di fango e detriti. Un sussulto la fece fremere dalla testa ai piedi. Se c’era una cosa che aveva imparato era che senza la neve Jack non si sarebbe fatto vivo. Un pensiero incessante e tremendo allora invase la sua mente: che Jack se ne fosse andato? Perché mai lo avrebbe fatto? Non le aveva parlato del suo volere di andarsene, da quel che ricordava, ma allora perché non era neanche venuto a salutarla? Magari si stava soltanto sbagliando. Forse Jack non era andato via, ma stava solo riposando lassù nel cielo, avvolto in una di quelle nuvole miserabili e ricolme d’acqua. Eppure sentiva un vuoto, proprio nel suo petto; una ferita dolorosa che le stava facendo provare una lenta e struggente agonia.”
 
  Pitch restava immobile, ricurvo su di lei, fissandola intensamente. Un sospiro lungo e straziato gonfiò le labbra piccole della fanciulla, che senza neanche accorgersene, lasciò stillare dalle sue palpebre chiuse una gemma incolore che luccicò appena sotto il riflesso della luna. Gli angoli della bocca del re s’incurvarono verso l’alto, e con bramosia portò le dita sul suo morbido viso, catturando quella piccola lacrima che con desiderio bevve. Una scossa di lento e inesorabile piacere lo percosse tutto, facendogli provare un’euforia mai provata prima. La paura che provava quella ragazza lo aveva sempre affascinato, e stentava a credere che avanzando con l’età la qualità del suo terrore potesse diventare una vera e propria delizia per il suo animo. Improvvisamente però, risvegliandolo da quel breve attimo di assoluta estasi un sussulto familiare lo fece voltare di scatto, posando lo sguardo sulla piccola figura raggomitolata sotto le coperte: la schiena contro la testiera del letto, le gambe al petto, gli occhi spalancati e fissi su di lui che lo guardavano con un misto di curiosità e spavento. Il re degli incubi fece per dire qualcosa, ma non ci riuscì. Con sua sorpresa, per la prima volta dopo i secoli bui, qualcuno lo vedeva.
-T-Tu…- sussurrò piano la fanciulla, stringendosi le coperte al petto –Perché ti vedo ogni volta che faccio un brutto sogno?- domandò affannosamente, cercando di trattenere un grido di terrore che senz’altro avrebbe udito tutto il suo villaggio.
-Semplice…-rise lui –Perché io sono il re degli incubi- L’ombra nera sogghignò malevola, indietreggiando appena. Hannabelle vide la silhouette slanciata dell’uomo svanire nell’oscurità della sua cameretta, ma quei grandi occhi spietati luccicavano di una tenue luce dorata. Un chiarore talmente smorto da scomparire ben presto nel buio. La piccola Pierce respirava ancora faticosamente, e sebbene non riuscisse più a vederlo, lei sapeva che in realtà non era andato via. Lui era lì, lo sentiva. La osservava sornione e divertito, rideva per il pallore che scoloriva le sue gote. Il cuore cominciò a galopparle in pieno petto, e sebbene fosse pienamente consapevole che l’idea che le era venuta in mente di certo non era delle più sagge, Hannabelle scostò velocemente le lenzuola e presa da uno scatto impulsivo scese dal suo letto, avvicinandosi lentamente alla finestra. Forse, la luce della luna l’avrebbe protetta. A piedi nudi, sentendo il legno scricchiolare ad ogni suo passo, la bruna sbandierava il suo sguardo vigile e attento in ogni meandro della cameretta, pronta ad aspettarsi il peggio. Si inumidì le labbra, continuando a camminare, sentendosi solleticare le caviglie. Se c’era qualcosa che non si aspettava, certo era trovarsi della sabbia sul pavimento della sua stanza. Portò gli occhi al suolo, osservandosi letteralmente circondata da quella massa di cenere e pulviscoli scuri, ignara del fatto che era caduta in una trappola dalla quale non sarebbe riuscita a scappare. Come per magia infatti, quella sabbia cominciò a ruotarle intorno, creando come dei tentacoli che si intorcinarono attorno alle gambe, salendo lentamente lungo tutto il suo corpo.  la fanciulla non ebbe neanche il tempo di gridare che con un tonfo si ritrovò a terra, e tutta quella sabbia sopra di lei che pareva soffocarla, man mano prendeva la forma di quell’uomo dagli occhi maligni che aveva appena dato inizio al peggiore dei suoi incubi. Pitch ora torreggiava su di lei, immobile sopra il suo grembo, con le mani serrate attorno i polsi stretti della ragazza, pressandoli al suolo ai lati della sua testa. Un timido raggio di luna vegliò su quella tragica scena, e Hannabelle tremò quando vide l’uomo cucciarsi violentemente su di lei, arrestandosi di colpo a pochi centimetri dl suo viso: aveva dei lineamenti affilati e rigidi, un riso beffardo e diabolico. E i suoi occhi erano cupi, pieni di dolore e oscurità.
-Che cosa vuoi da me?- sibilò la giovane, lasciando sgusciare un’ennesima lacrima dai suoi occhi. Non ottenne alcuna risposta da lui, ma sussultò quando sentì le sue labbra calde posarsi sulle sue guance, saggiando le sue lacrime. Hannabelle cominciò a fremere sotto il corpo accaldato e nuovamente pervaso dai brividi dell’eccitazione del re, che compiaciuto della sua ingenua e affascinante reazione, prolungò quel contatto, lasciandole una scia di baci dalla curvatura delle gote fino all’incavo del collo, per poi salire nuovamente e immergere il viso tra i suoi folti capelli castani, ricercando il suo lobo sinistro:
-Tu sei molto preziosa, Hannabelle Pierce…- sussurrò con voce bassa e roca, facendola singhiozzare. Per non perdersi il privilegio di bagnarsi le labbra con quelle gemme portatrici di squisita paura, Pitch Black tornò a dissetarsi su quelle guance ormai arrossate dal pianto.
-Farò di te la mia regina…- soffiò sul suo visetto dolce e spaventato nelle breve pause tra un bacio e l’altro. Un brivido freddo percosse la giovane dalla testa ai piedi, e come di rimando immediatamente la primogenita dei Pierce cominciò a dimenarsi con tutte le sue forze sotto il corpo forte e prestante del re degli incubi. Miracolosamente, Hannabelle riuscì a liberarsi una mano, e con un possente schiaffo in pieno volto, che risuonò per l’intero ambiente, la fanciulla riuscì a scostare Pitch dal suo corpo. con il volto appena chino per il colpo subito, l’uomo osservò la giovane sotto di lui fissarlo con occhi brillanti che lo scrutavano in cagnesco:
-Io non sarò mai la tua regina- disse, mentre la sua cassa toracica si sollevava ritmicamente e un sorriso si dipingeva sulla faccia cinerea del re.
-Sei una fanciulla combattiva, piccola Hannabelle. E questo mi piace…- e con una velocità imprevista, Pitch portò le mani ai fianchi della giovane, stringendola al suo petto. Impulsivamente la ragazza serrò gli occhi e trattenne il fiato. Ma poco dopo, quando riaprì spaventata le palpebre, si ritrovò nuovamente sul suo letto, le coperte tirate sino al petto, e il re degli incubi che le teneva il viso per il mento, accorciando lentamente le distanze tra i loro volti:
-So essere molto paziente, Hannabelle. È solo questione di tempo, e tu sarai mia…- un bacio sulla fronte, perché sapeva che anche volendolo, in quel esatto frangente impossessarsi delle labbra piccole e rosee della fanciulla sarebbe stato troppo facile. La ragazza impetrò a quel nuovo contatto, sbiancando come un lenzuolo. Una nuova minaccia incombeva su di lei, che inerme e senza alcuna via di fuga, poteva soltanto ammirare quell’ombra scura e molesta sogghignare nuovamente, e come polvere svanire al di sotto del suo letto. 

*Angolino di Virgy*
Finalmente sono riuscita ad aggiornare anche questa fic, perdonatemi per il grendissimo ritardo, ma tra esami blocco dello scittore ecc. alla fine mi sono letteralmente persa! Ma visto che oggi è il mio ultimo giorno di ozio e domani comincio l'università, ho pensato che sarebbe stato gratificante aggiornare una delle mie fic preferite. Ma passiamo a noi: il titolo, rispetto agli altri è differente, proprio perchè il capitolo in sé è diverso. Piuttosto che soffermarmi sulla "coccolosità" e il "Tanto LOVE" di Hannabelle e Jack ho pensato di creare un malsano, e perchè no? anche torbido se vogliamo così definirlo, primo incontro tra Hannabelle e Pitch Black (perchè mi piace anche lui, e perchè si può permettere di essere viscido e schifosamente attraente al tempo stesso). Spero solo che vi piaccia, e che non abbia deluso le vostre aspettative. Commentate, e fatemi sapere se sto continuando un buon lavoro o sto mandando tutto a farsi benedire! 
Grazie per la lettura.
Un bacio.
-V-

 

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