Il vaso di Pandora di Hotaru_Tomoe (/viewuser.php?uid=2257)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Un brutto presentimento ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Che ho fatto di male nella vita? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Scintille... ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: ... e benzina sul fuoco ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Segnali di pace ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Forza e fragilità ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Buon Natale ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Una donna ostinata ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Mai un attimo di pace ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Il vaso di Pandora ***
Capitolo 11: *** Epilogo: Sulla collina ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1: Un brutto presentimento ***
DISCLAIMERS:
“Harry Potter” e tutti i suoi personaggi
appartengono a J.K. Rowling, Warner
Bros, Bloomsbury, Salani Editore e a chiunque altro ne detenga i
diritti. La
seguente fiction non è in alcun modo connessa con il lavoro
della Rowling né ha
alcuno scopo di lucro.
I
dialoghi sono tra virgolette, i pensieri anche, ma sono scritti in
corsivo.
Alcune formule magiche, invece, sono scritte con un carattere diverso.
DEDICA:
Questa storia è dedicata a Vale e Gegè,
potteriane d.o.c., colleghe e supporters
impareggiabili, e a tutti coloro che amano sognare ad occhi aperti: non
smettete mai di farlo! Spero che vi piaccia e che vi divertiate a
leggerla
quanto io mi sono divertita a scriverla.
CAPITOLO 1 – UN BRUTTO
PRESENTIMENTO
Il
piccolo negozio “La Gemmapietra”
si trovava a Milano, a ridosso della Darsena del Naviglio Grande, in un
quartiere
dove ancora era possibile respirare un’atmosfera
d’altri tempi, tra vecchie
case di ringhiera con gli scuri scrostati dal sole e piccoli abbaini
coperti da
tegole in cotto, piccole drogherie e negozi di dischi in cui ancora ci
si
poteva trattenere a scambiare due chiacchiere in tutta
tranquillità. Un
quartiere dove, camminando lenti nel Vicolo delle Lavandaie e lungo il
vecchio
canale o sostando su uno dei ponticelli a schiena d’asino che
lo scavalcavano,
ci si poteva rilassare, lasciandosi alle spalle, per qualche momento,
la vita
accelerata e frenetica della città.
Se
ci foste passati davanti, l’unica vetrina de “La Gemmapietra”
avrebbe probabilmente
attirato la vostra attenzione: su uno scaffale d’acciaio nero
erano posati
gioielli in argento, titanio, rame e pietre dure, tutti di pregevole
fattura,
realizzati a mano ed artigianalmente. All’interno avreste
potuto trovare anche
una gran quantità di vasi, soprammobili e piccole sculture
in giada, corniola,
malachite od ossidiana.
La
proprietaria, Oleander Silvestre, era una donna di
trent’anni, di statura e
corporatura media. La prima cosa che avreste notato di lei sarebbero
stati
senza dubbio i capelli: lisci, cortissimi e di un color prugna molto
cupo e
spento. Nessuno pensava mai che fosse quello il loro colore naturale,
nonostante le sopracciglia e le ciglia della donna avessero la stessa
improbabile tonalità, pertanto le domandavano sempre che
marca di tinta utilizzasse.
Domanda alla quale rispondeva brevemente “Una miscela di mia
creazione.” Di lei
avreste poi osservato due occhi castani, nascosti dietro grandi
occhiali dalla montatura
di metallo sottile, sareste scesi con lo sguardo lungo il naso forse un
po’
stretto, che le conferiva una voce leggermente nasale, e sulle labbra
rosate, morbide
e mai coperte di rossetto, solo, quando il freddo era più
intenso, da un velo
di burrocacao. Infine, sicuramente avreste notato le sue mani e non per
la loro
bellezza: molto robuste, per appartenere ad una donna, con le unghie corte, spesso macchiate di
smalto o solvente,
piene di spellature, calli, graffi o piccoli tagli, sempre intente a
piegare abilmente
metallo, impugnare martelli e pinzette, sfregare carta vetrata sulla
superficie
delle pietre. Intente, insomma, al loro lavoro.
La
nostra storia ha inizio in un limpido pomeriggio di giugno: Oleander
stava
consegnando una coppia di orecchini di ambra ad una ragazza, quando
entrò
un’altra cliente, la quale aspettò che la prima
uscisse e mormorò con voce
musicale alla padrona del negozio “Cerco la mia
pietra.”
“Capisco.
– Oleander
sorrise e fece cenno alla donna
di sedersi di fronte al bancone – non le spiacerà
mostrarmi un documento,
vero?”
La
cliente aprì la borsetta e le mostrò un
cartoncino bianco rettangolare, sul
quale comparvero, come scritte da mano invisibile, le seguenti parole: Mieko
Sonoda, nata il 1 agosto 1750, sirena del clan Sonoda.
“Molto
bene.” Approvò Oleander. Prese una sottile
bacchetta di legno chiaro e la agitò
in direzione della porta, la cui serratura si chiuse
all’istante, mentre le
veneziane scendevano a celare l’interno del negozio, poi si
alzò e dal retro
del negozio portò una boccetta contenente un liquido bianco
lattiginoso ed un
sacchetto di raso bianco pieno di pietre dure. Invitò la
sirena a sceglierne
una e posarla sul palmo della mano aperto.
La
ragazza obbedì, pescando un’ametista a forma di
cuore. Oleander con un
contagocce ci versò sopra due gocce della sostanza
lattiginosa, ma non accadde
nulla. La cliente provò allora con un cristallo di rocca e
dell’ossidiana, però
la padrona del negozio continuava a scuotere la testa. Al quarto
tentativo
scelse una luccicante sfera di ematite e quando Oleander
versò le gocce del
liquido, esso divenne di un brillante color celeste, come gli occhi
della
sirena.
“L’abbiamo
trovata: l’ematite aiuta a purificare ed incanalare
l’energia. Spero che lei e
la sua pietra andrete d’accordo.” Disse Oleander.
Contenta
del suo acquisto, la sirena pagò 10 falci ed uscì.
Oleander
si alzò e scomparve nuovamente nel retrobottega: un babbano
avrebbe visto solo
una nicchia, grande poco più di una cabina del telefono, due
pareti della quale
erano piene di scaffali fino al soffitto, sui quali giacevano
affastellati e
senza alcun ordine gli attrezzi ed i materiali che servivano alla
creazione dei
gioielli (in effetti Oleander era una casinista nata e mantenere una
parvenza
di ordine, di là in negozio, le richiedeva un grande
sforzo!), mentre la terza
parete era vuota, presumibilmente per muoversi meglio in quello spazio
angusto.
Ma una qualsiasi creatura, nelle cui vene scorresse un po’ di
magia, su quella
nuda parete avrebbe invece visto una porta di legno di noce, con incise
numerose formule magiche anti-intrusione. La maga la varcò
ed entrò nel
laboratorio nel quale svolgeva il suo vero lavoro: infondere la magia
negli
oggetti, in modo da creare amuleti incantati. Si mise ad impacchettare
i vari
ordinativi aveva ricevuto, guardando Petrolio, il suo corvo imperiale
che già
saltellava impaziente sugli scaffali “Lo so, lo so, hai
voglia di fare un po’
di moto. Ti accontento subito.”
Dopo
un’ora circa si udirono alcuni colpetti decisi su una delle
finestrelle del
laboratorio, ma non era Petrolio già di ritorno: un grazioso
allocco con un
piccolo foglietto di pergamena legato ad una zampa stava bussando con
il becco
sul vasistas. Oleander Silvestre non aveva poteri divinatori, ma
avrebbe
giurato che quel volatile ed il suo messaggio preannunciavano guai,
comunque
aprì la finestra e fece entrare l’animale, che
planò, silenzioso ed elegante,
sul tavolo. Sperava fosse solo il cliente che le aveva commissionato un
eliotropio
stregato, un folletto molto assillante, ma non era così.
Lesse il messaggio,
aggrottò la fronte un po’ sorpresa e
parlò con l’animale
“D’accordo, sarò lì il
prima possibile, non c’è bisogno che porti una
risposta.” Il rapace piegò il
capo in segno di assenso e volò fuori.
La
donna sospirò pesantemente: la sensazione di andare incontro
a grossi grattacapi
a passo di marcia divenne più forte, il mittente del
messaggio non si sarebbe
azzardato a far volare in pieno giorno, in città, un rapace
così vistoso, se
non ci fosse stato un motivo serio. Chiuse il negozio e andò
a prendere la sua
auto, una vecchia 500 rossa fiammante, parcheggiata nella corte interna
del
palazzo. I maghi e le streghe di sua conoscenza le rimproveravano
spesso di
avere abitudini troppo babbane, compresa quella di guardare un sacco di
quelle
cose chiamate “film” e di voler guidare un
autoveicolo. Come si poteva
paragonare – chiedevano scandalizzati – la
comodità e la rapidità di una scopa
o di una passaporta a quella trappola puzzolente e rumorosa?
Ma
Oleander faceva le spallucce: guidare era per lei
un’attività molto piacevole.
Ascoltava il motore salire di giri, schiacciava la frizione e cambiava
marcia,
lasciava scorrere il volante di pelle sotto le mani, fissava il nastro
d’asfalto che scompariva sotto le sue ruote e si distendeva
come non mai. Con
la radio in sottofondo, poteva guidare per ore senza stancarsi.
Però
quel pomeriggio il suo tragitto era piuttosto breve: percorse un tratto
dell’accidentato pavet che costeggia il Naviglio, poi si
infilò in una strada senza
uscita, tanto angusta che a malapena ci passava una macchina, stretta
tra alti
palazzi dell’inizio del Novecento, in fondo alla quale stava
un vecchio
cancello di ferro arrugginito, che pareva restare in piedi solo grazie
ai
numerosi rampicanti che nel corso degli anni vi si erano avvinghiati.
Oltre il
cancello si scorgeva un filare di tigli malaticci e striminziti, dei
campi incolti
che non vedevano da anni la mano di un buon contadino, pieni di erbacce
e
pietre e, in lontananza, una fattoria abbandonata, nelle stesse pessime
condizioni del cancello. Oleander lasciò la macchina di
fronte all’ingresso, pronunciò
la parola d’ordine “Carlus Porta” [1], lo
aprì e oltrepassò la barriera che
teneva celato al mondo esterno l’Istituto Mediolanensis, la
scuola di magia
della città lombarda, nel quale lei stessa aveva studiato da
ragazza e sua
madre prima di lei.
I
tigli, in realtà, erano nel pieno della loro fioritura ed
emanavano un profumo
dolcissimo, quasi stordente, mentre le grandi foglie creavano una
piacevole
frescura. Il vialetto di sampietrini che conduceva
all’edificio principale era
cosparso di piccoli fiori gialli e i prati che circondavano la scuola,
puliti e
curati alla perfezione, erano verdi e rigogliosi, punteggiati da vivaci
papaveri rossi e grandi margherite. Le lezioni erano finite da pochi
giorni e
la scuola era semideserta; Oleander salutò il giovane
giardiniere che stava annaffiando
una siepe di tasso con la sua bacchetta magica ed entrò
nell’edificio, salendo
fino in presidenza. Bussò alla porta e quando le fu risposto
“Avanti!” entrò.
Conosceva abbastanza bene Michele Cardano, discendente di Gerolamo [2],
fondatore
di quell’Istituto, e dopo i soliti convenevoli la donna
andò dritta al punto:
“Perché mi hai fatto chiamare con tanta urgenza?
Se è per un’altra lezione
dimostrativa agli studenti dell’ultimo anno sugli amuleti
protettivi, posso
vedere di organizzare qualcosa in settembre…”
“No,
non si tratta di questo.” rispose Cardano, un ometto magro e
completamente
calvo che si avvicinava al secondo secolo di età, mentre si
agitava a disagio
sulla sua poltrona.
“Lo
sapevo: rogne.” La donna si massaggiò la fronte
con una mano, un’espressione
disgustata sul volto, come se le fosse scoppiato d’improvviso
un gran mal di
testa.
Il
preside spalancò gli occhi “Co-come…
fai a… n-non avrai…”
“No
– sospirò Oleander – non ho usato la
legilimanzia, non ce n’è bisogno: ti
comporti come se avessi un diavolo nascosto sotto la
scrivania.”
Il
viso dell’uomo divenne paonazzo, perché in un
certo senso la sua intuitiva
ex-allieva non era andata molto lontana dal vero
“Ecco… c’è una persona che
desidera vederti.”
“E
chi sarebbe?”
“Cerca
di capire… è una faccenda delicata, importante,
altrimenti non mi sarei mai
permesso di…”
“Chi
è?” chiese Oleander, la cui voce era salita di
un’ottava per l’irritazione.
Un
uomo sulla sessantina, dai capelli bianchi e gli occhi grigi, che
indossava un
completo bordeaux a fini righe dorate ed una camicia di seta bianca si
staccò
dalla parete alle sue spalle: “Ciao nipote, ti trovo
bene.”
Un
gemito sconsolato sfuggì dalle labbra di Oleander: non aveva
affatto bisogno di
voltarsi per sapere di chi si trattava. “Barone Raginmund Von
Athala, preside
della scuola di magia di Schloss Berth.” [3]
“Come
sei formale. Non mi chiami più zio Ragin?”
Oleander
lanciò un’occhiataccia prima al preside
dell’Istituto e poi al Barone “Che sta
succedendo qui?” chiese, con la sensazione di essere piombata
in quel film
babbano: “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”
Michele
Cardano si affrettò a congedarsi “Dunque, penso
sia meglio lasciare che il
Barone ti spieghi tutto.” Ed uscì dallo studio di
gran carriera.
Lo
zio si accomodò di fronte alla donna ridacchiando:
“Forse temeva che lo avresti
trasformato in un rospo.” Di fronte all’ostile
silenzio della donna proseguì
“Ho sentito che come copertura per la tua attività
hai un negozio di
gioielleria, aperto anche ai babbani. Non hai paura di essere
scoperta?”
“No,
sono prudente.” rispose asciutta la donna.
“E
come vanno gli affari?”
“Bene,
grazie.”
“Buon
per te. Ma se ti trovassi in difficoltà, a Schloss Berth
c’è sempre un posto
per te.”
“Cos’è,
la donna delle pulizie si è licenziata?”
Il
Barone ignorò la caustica domanda, si alzò in
piedi e andò alla finestra,
scostando la tenda “Originale il tuo mezzo di
trasporto…”
Oleander
esplose “Sei venuto fin qui per criticare il mio stile di
vita? Allora potevi
limitarti a spedirmi una lettera, avresti risparmiato tempo ed energie.
E poi
mi spieghi che cos’è questa pagliacciata? Non
c’era bisogno di farmi venire qui
con l’inganno: se avevi bisogno di parlarmi, sai benissimo
dove abito.”
L’anziana
segretaria dell’Istituto Mediolanensis, il cui ufficio si
trovava di fianco a
quello del preside, sussultò. Sapeva che Oleander Silvestre
aveva un carattere
tutt’altro che pacato. Si rivolse al suo superiore
“Sicuro che vada tutto bene,
lì dentro?”
“Me
lo auguro Magda, me lo auguro.” Rispose, con un sorrisetto
nervoso, assai poco
convinto e convincente. Di certo non convinse Magda, che continuava ad
occhieggiare la porta come se dovesse esplodere da un momento
all’altro.
=================================
NOTE:
[1]
= lo so, non dite niente: è un gioco di parole
agghiacciante, me l’hanno già
detto… però non ho resistito! XD
[2]
= Gerolamo Cardano fu un medico e filosofo lombardo del ‘500.
Poiché nella sua
vita si interessò anche di astronomia e di magia, ho pensato
che sarebbe stato
il fondatore ideale di questa scuola. ^_^
[3]
= ehm, io il tedesco non lo so e non l’ho studiato, quindi
per inventare questi
nomi mi sono servita di Internet: spero di non aver scritto castronerie
ciclopiche (nel caso, correggetemi). Insomma… prendeteli un
po’ con le pinze! Raginmund
dovrebbe significare “protezione del consiglio”,
Athala “nobiltà”, Schloss
“castello”
e Berth “splendore”.
Mi
sono accorta solo alla fine della storia che il nome che ho scelto per
la mia
protagonista, Oleander, assomiglia molto a quello del signor Olivander
e me ne
sono resa conto solo perché mi ero rimessa a leggere
“La pietra filosofale”
(questo da un’idea del grado di stordimento della
sottoscritta). La cosa non è
voluta, mi piaceva come suonava e l’ho scelto per questo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2: Che ho fatto di male nella vita? ***
CAPITOLO 2 – CHE HO FATTO
DI MALE NELLA
VITA?
“Conoscendoti,
avresti eretto una barriera attorno al palazzo dove abiti, pur di non
farmi
entrare. E poi – il viso del Barone si fece serio –
è una faccenda delicata,
dovevo parlartene in un luogo sicuro.”
“E
va bene, ti ascolto.” Dopotutto aveva fatto la strada fin
lì, che almeno quella
visita avesse un senso.
“Due
mesi fa Schloss Berth ha subito un furto.”
Oleander
si strinse nelle spalle: il maniero che ospitava la Scuola
di Magia del ramo
paterno della sua famiglia custodiva molti tesori, non la stupiva che
fosse
entrato nel mirino di qualche mago malintenzionato.
“Il
furto è avvenuto nell’ala nord.”
Aggiunse suo zio.
“Ah.
– La zona interdetta a pubblico e studenti e protetta da una
potente barriera
magica eretta da suo padre – Il vecchio perde colpi. E cosa
hanno rubato, una
stele runica?” chiese, in tono ironico.
“No,
il vaso di Pandora.”
Oleander
emise un fischio di sorpresa: bel colpo! Quel vaso era un pezzo
pregiato della
collezione di antichità dei suoi parenti.
“E
per la cronaca, tuo padre non sta perdendo colpi. La barriera magica
non è
stata infranta.”
“Questo
è impossibile. Non si può entrare in quella zona
ed uscirne impunemente con un
oggetto magico senza che la barriera non registri il passaggio, nemmeno
una
persona della famiglia può farlo. Sarà stata per forza neutralizzata
in qualche modo.”
“Ti
dico che non è così: la mattina Miss Roth ha
trovato una finestra della sala
spalancata e il vaso era scomparso, ma la barriera era
intatta.”
“Non
sarà stata una bravata di qualche allievo, per potersi
vantare dell’impresa con
gli amici?”
“Lo
escludiamo: i quartieri degli studenti sono stati perquisiti da cima a
fondo e
nulla è stato trovato. Abbiamo diffuso la notizia il
più possibile, nella
speranza che venisse ritrovato, così siamo venuti a sapere
che, poco dopo la
sparizione del vaso, si sono verificati alcuni strani incidenti nei
paesi
babbani vicini.”
“Strani
incidenti?”
“Elettrodomestici
ribelli, lampioni che cadevano al suolo senza motivo, porte e finestre
che si
chiudevano o aprivano all’improvviso.”
“Potrebbero
essere poltergeists.” Disse stancamente Oleander.
Sinceramente non capiva dove
suo zio volesse andare a parare nè perché le
stesse raccontando tutte quelle
cose. Lei aveva tagliato i ponti con Schloss Berth e la famiglia Von
Athala
molti anni prima, quando, undicenne, era partita dal Tirolo alla volta
dell’Italia
per frequentare l’Istituto
Mediolanensis
e non più era mai tornata a casa, neppure per le vacanze
estive. Al termine del
ciclo di studi aveva deciso di restare lì e trovarsi un
lavoro. “Insomma, io
cosa c’entro in tutto questo?”
“Il
Consiglio di famiglia si è riunito e ha decretato a
maggioranza che sarai tu a
cercare il ladro del vaso di Pandora.”
Nella
stanza calò il silenzio. Oleander sbattè le
palpebre più volte, cercando di
assimilare l’assurdità di quella richiesta e poi
scattò in piedi “NO! No e poi
no! Mi rifiuto! Mi rifiuto categoricamente!”
Le
urla della donna fecero saltar via la lunga penna d’oca dalle
mani di Magda.
“Oh, per tutti i protettori, quale sfacciataggine! Rivolgersi
a un Barone di
così alto lignaggio con quel tono.” La donna si
sistemò gli occhialetti sul
naso e storse la bocca in una smorfia di disapprovazione.
“Il
Barone è suo zio, saprà come prenderla.
Spero…” rispose Michele Cardano;
altrimenti avrebbe dovuto pensare a un controincatesimo per trasformare
un rospo
in un essere umano.
“Oleander
ti prego, calmati – Raginmund fece cenno alla ragazza di
sedersi – e ascolta
fino in fondo quel che ho da dirti.”
La
donna camminava nervosamente per la stanza “Oh no no no no!
Ho già ascoltato
fin troppo. Perché proprio io? Non puoi chiederlo a tuo
figlio?”
“Hans
si trova presso il Ministero della Magia Cinese per svolgere alcuni
affari per
conto della nostra scuola.”
“Tua
figlia?”
“Ilda
è incinta, partorirà tra due mesi.”
“Uhm…
ehm… Markus!” Oleander cercava disperatamente di
mettere insieme una lista di
tutti i suoi parenti, che avrebbero potuto occuparsi di quella rottura
al posto
suo.
“E’
in Transilvania per uno studio antropologico sui vampiri: deve
scriverci un
libro.”
“E…
quella mezza lontana parente di papà… quel cavolo
che è… e come cavolo si
chiama… Nerella…”
“Intendi
zia Norina? E’ morta tre anni fa.”
“Ops.”
“Ascolta
Oleander, so che i nostri rapporti non sono buoni…”
“Dì
pure che sono inesistenti. E poi io non sono
un’investigatrice, sono
un’artigiana!”
“Tuttavia
questa è una richiesta che viene dal Consiglio della tua
famiglia.” Insistè l’uomo,
come se questo giustificasse tutto.
“La
mia famiglia è morta vent’anni fa.”
Rispose glaciale la maga.
“Che
ti piaccia o no, tu non sei figlia soltanto di Ortensia Silvestre. Che
ti
piaccia o no, nelle tue vene scorre sangue Von Athala, anche se usi il
cognome
di tua madre. Che ti piaccia o no, la Sacra
Regola del nostro Casato impone che le decisioni
del
Consiglio vadano accettate senza discussioni. Che ti piaccia o no, tu
ti
metterai alla ricerca di quel ladro.” Disse l’uomo
in tono autoritario,
ritenendo chiusa la questione.
Oleander
era arrabbiata al punto che le veniva da piangere. Non vedeva quella
gente da
vent’anni, si era costruita una vita per i fatti suoi, non
gli aveva più dato
fastidio, non aveva mai chiesto aiuto, neanche uno zellino, aveva messo
da
parte i risparmi lavorando ogni estate per potersi mantenere da
sola… ed ora
arrivava quella imposizione… non ne avevano alcun diritto.
Non
riusciva a capire: perché proprio lei? Per poterla
sbeffeggiare ancora una
volta se avesse fallito? O forse si trattava di una faccenda di troppo
poco
conto perché un nobile membro della famiglia Von Athala si
scomodasse? Già,
sembrava che tutti avessero di meglio da fare! Ad ogni modo sentiva il
sangue
ribollire nelle vene. Deglutì un paio di volte, per
sciogliere il nodo che le
stringeva la gola e ripetè l’antica formula usata
per accettare gli incarichi
del Consiglio di Famiglia “Conscia dell’importanza
e del prestigio
dell’incarico affidatomi, ringrazio la mia famiglia ed
accetto. Come se poi
avessi altra scelta!” esclamò sprezzante. Infatti,
un membro della famiglia si
fosse rifiutato di pronunciare la formula di accettazione entro una
settimana
dalla richiesta, sarebbe stato colto da lancinanti dolori di pancia e
si
sarebbe ricoperto di pustole verdastre fintanto che non avesse cambiato
idea.
Si
alzò per lasciare la stanza, poi si fermò: aveva
sulle labbra una domanda… non
sapeva se era il caso di farla… “Tanto,
peggio di così…”
pensò infine.
“Zio
Ragin? Ti… ti ha detto di riferirmi qualcosa? E bada bene a
come rispondi,
perché questa volta userò la
legilimanzia.”
“No,
Oleander. Tuo padre non ha nessun messaggio per te.”
“Già,
lo immaginavo.” Uscì, raggiunse di corsa la sua
macchina e si sedette al
volante, esausta come se avesse combattuto contro un drago. Si
abbandonò contro
lo schienale del sedile e chiuse gli occhi “Oh insomma, ma
che ho fatto di male
nella vita?”
Il
preside Cardano rientrò nel suo ufficio e si rivolse al suo
ospite: “Barone,
lei è assolutamente certo che sia una buona idea affidare
una missione del
genere a quella ragazza? Non è un salto nel buio troppo
azzardato? Non per
offendere – insistè l’uomo –
ma ho avuto Oleander come studentessa per 8 anni e
non era nulla di speciale. Nella media, mai un’insufficienza,
ma non è mai
stata particolarmente brillante, tranne che per la creazione di oggetti
magici,
lo ammetto, lì è sempre stata insuperabile,
infatti è l’unica materia per cui
ha seguito il corso M.A.G.O. e ha preso E… ma comunque, quel
suo carattere
ribelle… mio dio! Al Ballo dell’ultimo anno
arrivò alle mani con una
studentessa dell’alta
nobiltà…” un brivido scosse il preside,
mentre ricordava
l’episodio che aveva coinvolto anche una allieva, figlia di
una famiglia di
maghi purosangue. “E se non ricordo male pure con la madre
successe un episodio
simile. – si asciugò il sudore dalla fronte
– E’ una maledizione! Se avrà dei
figli, spero non li mandi a studiare qui, il mio cuore non reggerebbe a
un
altro incidente.”
Il
Barone ridacchiò sommessamente “Già,
già. La volta del Ballo rischiammo davvero
l’incidente diplomatico! A Schloss Berth arrivarono delle
strillettere
fenomenali, mai visto nulla del genere: Miss Roth ebbe un esaurimento
nervoso.
Oleander è tutta sua madre, sangue latino e testa calda.
Ortensia Silvestre era
una donna impulsiva, passionale, esuberante. Non mi stupisce che mio
fratello
si sia innamorato follemente di lei e non mi stupisce che non riesca a
parlare
più con la figlia, che è il ritratto vivente del
suo amore perduto. Troppo
dolore. – agitò una mano nell’aria, come
a voler spazzar via la malinconia che
si era impadronita di lui – Per quanto riguarda le
capacità della ragazza non
deve preoccuparsi: le uve tardive danno un vino delizioso.”
“Eh?”
chiese l’uomo, che del discorso del Barone non aveva colto
né il senso né
l’utilità.
“No,
nulla, pensavo solo ad alta voce.” Rispose il Barone.
Due
giorni più tardi Oleander appoggiava sfinita la testa sul
tavolo della cucina, lasciando
ciondolare le braccia lungo il corpo e chiedendosi per
l’ennesima volta che
avesse fatto di male per meritarsi quell’incarico. “Devo aver commesso qualche orrendo
crimine in una vita precedente… del
tipo che sgozzavo ridendo un intero villaggio di indigeni inermi,
sennò non si
spiega!” La superficie del tavolo era invasa da
vecchi numeri della
Gazzetta del Profeta, mappe e cartine su cui aveva segnato luoghi e
appunti, rapporti
e denunce degli ospedali e della polizia babbana su diversi incidenti
apparentemente inspiegabili.
Esistevano
diversi vasi di Pandora nel mondo magico. In effetti quello era il nome
generico di un contenitore nel quale si metteva qualcosa di insolito o
pericoloso che non doveva essere usato; poteva dunque essere paragonato
ad un
sigillo. Quello custodito a Schloss Berth conteneva un potente liquido
in grado
di far muovere gli oggetti con cui veniva in contatto o conferire loro
poteri
magici. Ma poiché la sua origine era sconosciuta e neanche i
più grandi maghi
del passato erano stati in grado di controllarne pienamente gli
effetti, un
lontanissimo antenato della famiglia sigillò il liquido nel
vaso e ne proibì
l’utilizzo: da allora nessuno aveva avuto il permesso di
aprirlo, anche solo
per studiarlo e l’oggetto era stato esposto nella sala
dell’ala nord di Schloss
Berth. L’episodio veniva citato anche nel libro
“Storia della Magia in Europa,
Volume III – Il Medioevo”.
Il
ladro si era spostato dal Tirolo alla Svizzera, dove, due settimane
prima, le
sue attività erano cessate. Non sembrava avere un obiettivo
od un bersaglio
preciso, i suoi tiri mancini colpivano indifferentemente esseri magici
e
babbani, non lasciava messaggi né rivendicazioni ed anche il
suo percorso era
privo di qualsiasi logica apparente: il giorno prima terrorizzava con
pietre
rotolanti gli gnomi di una foresta, il giorno dopo faceva impazzire una
ruota panoramica
ad una festa popolare a trecento chilometri di distanza.
Era
un rompicapo: non ci capiva niente!
“Serve
una pozione ricostituente?” chiese suo zio, vedendola in
quella posizione.
“No,
basta questo: Accio caffè.” Agitò la
bacchetta facendo levitare vicino a sé una caffettiera
fumante. Dato che la
nipote non era in vena di chiacchierare, fece per andarsene, ma lei lo
fermò
“Aspetta, zio.”
“Ti
ascolto.”
“Perché
io? Guarda, non voglio fare polemica, ma se devo rincorrere un ladro
per tutta
Europa, vorrei almeno capirne il motivo.”
L’anziano
parente annuì: “E’ giusto. La scelta
è caduta su di te per due ragioni: la
prima è che questo individuo si muove anche in territorio
babbano e nessuno di
noi ha familiarità con il mondo comune. La seconda
è che il vostro campo di
azione è lo stesso: entrambi create oggetti magici. Solo che
lui ricorre ad una
pericolosa scorciatoia, tu lo fai con il tuo impegno e la tua
conoscenza.”
“Non
adularmi, non serve a niente, tanto lo so bene che né a te
né a mio padre è mai
andato a genio che io sia diventata un’artigiana.”
Sua mamma era l’unica che
aveva sempre incoraggiato le sue creazioni e i suoi oggetti magici, fin
da
piccola: quando aveva creato quei sonagli che vibravano al passaggio di
un
fantasma, quando aveva creato una rete magica per tenere lontane le
dispettose
Nixe [1] dal laghetto del parco… era stata lei ad insegnarle
che le cose e gli
oggetti erano speciali e andavano trattati con cura, perché
il loro creatore
aveva messo un po’ di se stesso dentro di loro e rispettarli
significava
rispettare il suo lavoro. Se non fosse stata per lei, adesso
probabilmente non
farebbe quel lavoro.
Un
gufo messaggero atterrò sul davanzale
dell’abbaino, strappandola a quei ricordi
dolceamari. “Aspettavi posta?” chiese.
“No.”
Il
volatile aveva una pergamena legata alla zampa, si trattava di un
messaggio
animato, veniva da una fata di stagno della Val Vigezzo: segnalava che
un
intero boschetto di abeti in una notte si era spostato attraverso la
sua
vallata, seminando il panico tra gli animali e distruggendo due malghe.
“Sarà
lui?”
“Nipote
cara, dovrai metterti in viaggio ed accertartene. Buona
fortuna.”
La
sera stessa Oleander ascoltava il racconto concitato dalle labbra della
fata in
persona, lo sgomento che aveva provato vedendo il gruppo di alberi
migrare come
una mandria di mucche impazzita e la fatica che avevano fatto lei e le
sue
colleghe per rimettere le cose a posto prima che qualche babbano
insonne si
accorgesse del misfatto. Menomale che la stagione turistica non era
ancora al
culmine e le baite rase al suolo erano vuote.
“E
dopo quell’episodio non è più successo
nulla?”
Le
ali gialle della fata impallidirono “No, e francamente mi
auguro di non dover
rivivere più un’esperienza così
traumatizzante. Lei pensa che non ricapiterò,
vero?” la guardò speranzosa.
“E
io che ne so? Accidenti a zio Ragin,
che mi va presentando in giro come se fossi
un’esperta!” Rivolse alla creatura fatata un
sorriso molto
diplomatico “Non si preoccupi, non è mai successo.
Finora. Credo. Adesso penso
che… andrò a dare un’occhiata a questo
boschetto podista.”
“Lumen,
accompagnala!” ordinò la fata ed una lucciola si
materializzò davanti ad Oleander.
Nonostante le ridotte dimensioni, illuminava il buio come un faro.
“Oh, sapesse
come la invidio, signorina.” Disse la lucciola con la sua
vocetta sottile.
“Sul
serio?” chiese Oleander, senza troppo entusiasmo.
“Oh
sì! Lei sta vivendo una fantastica avventura, piena di
inseguimenti, azione, mistero!
Lei sta vivendo in prima persona tutto questo!” si
entusiasmò l’insetto,
ballando davanti alla maga e trasformando quell’angolo di
bosco in una piccola
discoteca, salvo poi dichiarare, nelle vicinanze del boschetto
incriminato “Io
mi fermo qua.”
“Alla
faccia dello spirito di
avventura.” Oleander si inoltrò tra
gli alberi facendosi luce con la sua bacchetta magica: sembrava un
normalissimo
gruppo di abeti, tre pigne le caddero sulla testa, ma beh…
non c’era nulla di
strano, dopotutto era in un bosco. Poi però
illuminò più da vicino una di
queste pigne: era coperta da una sostanza iridescente,
all’apparenza sembrava
resina, però non era appiccicosa, ma viscida,
dall’odore pungente di yogurt
andato a male ed evaporava piuttosto velocemente. La
allontanò dal naso con una
smorfia di disgusto, si chinò per prendere una provetta
nella sua borsa e
raccogliere quella cosa, quando una pigna la colpì con forza
su una natica. “Eh
no, questo no!” la ragazza si rizzò di scatto,
illuminando nella direzione da
dove era partita la pigna “Non ti permetto di mancarmi di
rispetto! Avanti,
fatti vedere, maiale!” Un ramo si spezzò e cadde,
qualche metro avanti a lei,
Oleander si mise a correre in quella direzione: era buio e non
notò che una
giovane pianta era piegata in modo innaturale. Appena le fu di fronte,
l’albero
scattò in avanti e la colpì in pieno petto,
sbalzandola all’indietro e
facendola atterrare in una grossa pozza fangosa. Le sembrò
che il vento,
passando tra le cime più alte, producesse una risatina
beffarda “Io ti uccido!
– proclamò Oleander – Vuoi la guerra? Ti
accontenterò.”
=================================
[1]
= creature della mitologia tedesca simile a sirene, che abitano le
acque dolci.
Note:
ok, a questo punto molti di voi staranno pensando: questa stordita ha
sbagliato
sezione, che c’entra con Harry Potter? Avete pazienza di
aspettare fino al
prossimo capitolo? Hogwarts sta arrivando ^_^
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Capitolo 3 *** Capitolo 3: Scintille... ***
CAPITOLO 3 –
SCINTILLE…
Passò
l’estate e giunse settembre, la caccia al ladro di Oleander
proseguiva, ma il
misterioso individuo era sempre un passo avanti a lei e il
più delle volte
trovava solo i resti delle sue bravate. Oleander aveva ideato un
reagente che
spruzzava sugli oggetti sospetti: se diventava di colore rosso, erano
stati
contaminati dal fluido del vaso di Pandora e si trattava del suo uomo,
altrimenti era l’azione di qualche fantasma o altro spirito.
L’idea le era
venuta dal Luminol, tanto usato nel suo telefilm preferito: C.S.I.!
Tutto
questo, però, dopo aver rischiato di far saltare per aria il
suo appartamento,
per aver sbagliato il dosaggio di pirite di Marte per il reagente e
aver dovuto
praticare Oblivion a ripetizione su vicini di casa, pompieri, vigili
urbani e
semplici passanti curiosi (i maghi obliviatori del Ministero della
Magia
italiano erano in sciopero da due settimane per una questione di
rinnovo
contrattuale).
Dall’inizio
di ottobre si trovava in Francia ed era stata affiancata nelle sue
indagini dal
signor Morlet, professore di Babbanologia dell’Accademia di
Beauxbatons.
Oleander temeva peraltro che il buon uomo i babbani li avesse visti
solo in
fotografia, perché sapeva davvero poco delle loro abitudini.
L’unica
cosa divertente della sua compagnia era che parlava come
l’ispettore Clouseau
del film “La pantera Rosa”: si esprimeva in un
italiano strascicato, dal forte
accento e la prima volta che lo sentì pronunciare la parola
“stònsa” fece uno
sforzo incredibile per non scoppiare a ridere come una matta.
Ad
ogni buon conto il signor Morlet non era un aiuto per le sue indagini,
anzi,
più spesso si dimostrava una palla al piede; come quella
mattina, ad esempio. Si
trovavano all’interno di un ospedale babbano: il giorno prima
una bimba di sei
anni disse di essere stata inseguita da un mostro fatto di fiori mentre
giocava
in un prato; scappando era inciampata e caduta rovinosamente, battendo
la testa
e rompendosi una caviglia. La polizia locale aveva trovato parecchi
fiori, in
effetti, ma ipotizzava che fossero caduti da un camion in corsa che
passava
lungo una strada lì vicino e la bambina si fosse inutilmente
spaventata per
quello. Oleander voleva accertarsi di persona se si trattava del suo
uomo e,
per passare inosservati, aveva suggerito di travestirsi da infermieri.
Con una
cartelletta in mano, fingeva di prendere appunti e agiva in modo del
tutto
spontaneo, mentre il suo compagno era impacciatissimo in quegli abiti
per lui
inusuali. La maga scosse la testa irritata, pensando che un manichino
sarebbe
stato più naturale; spruzzò il reagente sui
vestiti della bambina e su di essi
comparvero alcune macchioline rosse.
“Benissimo
– esclamò Morlet – ora che ha
verificato, possiamo andare? L’odore di questo
luogo è disgustoso.” L’uomo si premette
un fazzoletto sul naso, sembrava lì lì
per dare di stomaco.
“E’
solo disinfettante.” Oleander roteò gli occhi: ma
perché doveva portarsi dietro
quella palla al piede? “Evidentemente
in
quel villaggio di indigeni che ho sterminato c’erano un sacco
di bambini,
anziani e donne incinte…”
La
bambina si mosse nel letto, lamentandosi in preda ad un incubo. Era
pallida e
il profilo delle palpebre era arrossato per il lungo pianto.
“Povera piccola –
allungò una mano e le scostò i ricci biondi dalla
fronte – ti sei presa un
bello spavento, vero?” Oleander guardò verso il
corridoio, si accertò che
nessuno la notasse, poi si chinò su di lei e
pronunciò adagio “Legilimens.”
“Ma
cosa fa!” proruppe il professore di Beauxbatons.
Oleander
lo ignorò completamente e chiuse gli occhi, penetrando
nell’inconscio della
bambina. Come immaginava, era traumatizzata da visioni spaventose:
sognava di
annegare, trascinata sul fondo di un fiume da rovi di rose come
tentacoli di
piovra, o di essere fatta a pezzi ed inghiottita da gigantesche piante
carnivore. La maga interruppe il contatto e si sedette su una sedia,
tirando
fuori dalla borsa in tutta calma alcuni attrezzi: un cerchio di legno
di
quercia, un filo di acciaio sottile, dei granati ed un robusto
uncinetto. Il
signor Morlet la guardava come se necessitasse urgentemente di un
ricovero al
San Mungo “Mademoiselle Silvestre, è
impazzita?”
“Affatto.
Ma la bambina è terrorizzata a morte e rischia il crollo
nervoso, quindi le
costruisco un acchiappasogni che allontanerà gli incubi e la
aiuterà a guarire:
i granati sono gemme che portano gioia e tranquillità, non
lo sapeva?”
“Io
non credo proprio che si possa fare. Prima bisognerebbe consultare il
Ministero
della Magia e poi…”
“Non
sono d’accordo – lo interruppe la maga –
la bambina è in questo stato per colpa
di una magia, è nostro dovere aiutarla.”
Sentenziò, lavorando il filo d’acciaio,
al quale andava legando le pietre. La caposala si affacciò
nella stanza e
disse: “Il paziente della 4 ha
vomitato, uno di voi due deve andare a pulire.”
Oleander
non alzò gli occhi dal suo lavoro, continuando a cucire ed
intrecciare pietre e
Morlet iniziò a balbettare “Ma-ma l-lei non
penserà che io…”
“Professore
– cinguettò la donna – non
vorrà far saltare la nostra copertura, vero?”
Quella
sera si recarono sul luogo dell’incidente: gran parte dei
fiori erano spariti
chissà dove, restavano solo qua e là alcune
piantine avvizzite. “Direi che la
pista si interrompe qua.” Disse Morlet, ansioso di tornare al
sicuro, tra le
mura della sua Accademia.
“No
– disse Oleander – non questa volta. Si sta
spingendo troppo in là. O la cosa
gli è sfuggita di mano o questo individuo non si cura
minimamente delle
conseguenze dei suoi gesti; in ogni caso ho paura che presto qualcuno
dovrà
piangere dei morti.” Tirò fuori la bacchetta
magica, agitandola in direzione
dei fiori:
“Che
fate ancora qui,
io vi domando?
Ai vostri
compagni riunitevi, io vi comando!”
I
fiori si sollevarono in un turbinio e svolazzarono tutti in una
direzione,
Oleander montò a cavallo della sua scopa e li
seguì. Li vide cadere a pioggia
sopra la vecchia zona industriale della città, in
particolare attorno ad una
fabbrica abbandonata, dove erano sparpagliati anche tutti gli altri
fiori che
avevano aggredito la bambina. Oleander si guardò attorno con
circospezione,
avanzando con la bacchetta tesa, pronta a schiantare qualunque cosa si
muovesse,
ma il liquido doveva aver già finito il suo effetto.
Alzò lo sguardo
sull’insegna della fabbrica: un tempo lì si
confezionava il tè. Un vecchio
disegno scolorito dalle intemperie raffigurava un treno a vapore in
arrivo in
una stazione; sullo sfondo Buckingham
Palace. E il cartello era ancora coperto dalla limacciosa sostanza
iridescente:
la traccia più fresca che le fosse capitata fino a quel
momento. Improvvisamente
si staccò dai supporti, cercando di volare via come un
bizzarro tappeto
volante, ma Oleander gridò
“Stupeficium!” mandandolo in mille pezzi.
“Forse questa
volta so dove sei diretto.”
Ci aveva preso: il giorno dopo,
quando scese dal
treno a King’s Cross, si era da poco verificato un singolare
incidente: due
carrelli degli inservienti avevano deciso di improvvisare una gara di
Formula 1
tra i passeggeri terrorizzati, per poi andarsi a schiantare contro la
vetrina
di un negozio di souvenir. Oleander superò senza rallentare
due operai che
stavano facendo ipotesi su cosa potesse essere successo (la batteria, i
freni,
un corto circuito…) e si diresse decisa verso il binario 9 e
3/4. Ora il suo
uomo era su un’isola e aveva la possibilità di
bloccarlo lì; aveva già in mente
come fare, ma per realizzare la sua idea le serviva aiuto. Si
accertò che
nessuno la osservasse, attraversò la barriera e si
trovò sulla banchina. Sul
binario non c’era l’espresso per Hogwarts, ma un
minuscolo treno merci: “Va ad
Hogwarts?” chiese al macchinista.
“Veramente vado alle
miniere dei nani che stanno più
a nord, ma la
Scuola
è sulla strada.”
“Bene, allora credo che
dovrò chiederle un
passaggio.” E senza attendere la risposta, Oleander
buttò in vettura il
bagaglio e salì a bordo.
“Immagino
sia stato un viaggio scomodo, Oleander. Se mi avessi avvisato del tuo
arrivo,
ti avrei fatta venire a prendere da Hagrid.” Albus Silente
andò incontro alla
sua ospite, offrendole una fumante tazza di tisana ai mirtilli e frutti
di
bosco, addolcita con miele d’acacia.
Oleander
ringraziò per la bevanda e ne bevve immediatamente alcuni
sorsi: era deliziosa
“Nessun problema. Piuttosto è lei che mi deve
scusare se sono piombata qui
all’improvviso, ma è successo tutto molto in
fretta.”
Silente
conosceva di vista il padre e lo zio di Oleander (li aveva incontrati
qualche
volta a convegni dei presidi delle Scuole di Magia d’Europa)
ed era al corrente
della faccenda, avendola seguita con attenzione sulla Gazzetta del
Profeta,
così quando la ragazza gli raccontò cosa aveva in
mente, appoggiò il piano con
entusiasmo. Dato che ora il ladro si trovava su un'isola,
spiegò la maga,
posizionando quattro sfere undine ai punti più esterni della
Gran Bretagna e
sfruttando l'energia dell'oceano, poteva creare una barriera che
avrebbe
impedito al vaso di Pandora ed al suo pericoloso contenuto di uscire
dai
confini. “Resta comunque un territorio vasto da controllare,
ma sempre meglio
che rincorrerlo per tutto il Continente. Purtroppo non ho con me sfere
undine.”
“A
questo credo di poter rimediare io.” Silente aprì
tutti i cassetti della
scrivania, rovesciando sul tavolo una quantità incredibile
di oggetti e libri,
finchè da un lungo contenitore cilindrico tirò
fuori alcune sfere fatte d'acqua,
delle dimensioni di palline da golf e le passò ad Oleander,
che prese dalla
borsa un bulino e iniziò ad incidere simboli magici sulla
superficie dell'acqua.
"Poi bisogna inserire un nucleo di acquamarina, ti serve anche quella?"
"Oh
no, di gemme ne ho in abbondanza."
Silente
la lasciò lavorare, guardandola sorridente al di sopra delle
lenti a mezzaluna,
poi chiese: "E come sta tuo padre?"
Oleander
si bloccò un attimo, prima di rispondere "Bene.......
credo." con una
faccia molto eloquente.
"Oh,
ma certo, che svampito sono: tu sei in giro per l'Europa da mesi, non
l’hai
visto di recente." disse con voce comprensiva.
Le
cose non stavano proprio così, ma Oleander fu grata a
Silente per il suo tatto
e per aver evitato quell'argomento spinoso. Poi i due maghi presero una
cartina
dell'Inghilterra e posizionarono le sfere nei punti più a
nord, est, sud ed
ovest dell'isola, poi congiunsero le mani. "A te l'onore." le disse
Silente. Oleander annuì, poi pronunciò la formula
magica:
"Alzatevi,
mie dilette, e volate,
sulla riva
del
mare approdate.
Affinchè
l'emergenza venga bloccata,
a me
occorre che
una barriera sia innalzata."
Le
sfere brillarono leggermente, lievitarono fuori dalla finestra,
salirono alte
nel cielo e poi si divisero, in direzione dei quattro punti cardinali.
"La
creazione della barriera di sicuro metterà il ladro in
allarme, quindi non si
muoverà per un po'. Per stanotte sono costretta a chiederle
ospitalità, poi
domani tornerò a Londra e prenderò una camera in
albergo."
"Ah
no – disse Silente, in un tono gentile, ma che non ammetteva
alcuna replica –
per tutto il tempo che vorrai tu sarai mia gradita ospite." In un gesto
di
cavalleria le porse il braccio per accompagnarla nella sua stanza
"Anzi,
se c'è qualcosa che posso fare per te, chiedi pure."
"Ecco,
ho finito quasi tutti gli ingredienti magici ed anche il reagente che
uso per
individuare le tracce del ladro. A Beauxbatons non ho fatto in tempo a
fare
rifornimento."
"Nessun
problema, Oleander, il nostro professore di pozioni sarà
entusiasta di aiutarti."
A
quelle parole a momenti Fanny cadde dal suo trespolo.
I
primi raggi del sole filtrarono attraverso le spesse tende di velluto
bordeaux
della stanza di Severus Piton. L'uomo in realtà era
già sveglio da tempo: erano
molte notti che dormiva poco e male. Da più di un mese ormai
Voldemort non lo
mandava a chiamare, non era mai passato così tanto tempo da
quando era
riapparso sulla scena e più giorni passavano, più
Piton si tormentava: il Signore
Oscuro aveva forse scoperto i piani di Albus? Tutti i loro sforzi, le
fatiche,
i sacrifici non erano valsi a nulla? Si coprì con le mani il
viso stanco.
Ma
non era quello il suo unico tormento: il fatto era che ogni giorno
lontano da
Voldemort era per lui come una boccata d'ossigeno, creava l'illusione
di poter
avere una vita normale, di potersi dedicare solo ai suoi insegnamenti e
a
sottrarre punti a Grifondoro. Voldemort, con la sua assenza che pesava
più
della sua presenza, gli aveva messo davanti quel miraggio. Eppure lui
sapeva
che era solo un miraggio, presto o tardi lo avrebbe richiamato e quella
breve
illusione sarebbe svanita nel nulla, precipitandolo nuovamente
nell'inferno del
suo passato di Mangiamorte, in una vita in cui le sue mani grondavano
ancora
sangue e non c'era alcuna speranza per il futuro. E lui avrebbe dovuto
ancora
fingere di approvare, di provare gioia, di applaudire al Signore Oscuro
che
predicava morte e distruzione, mentre il suo cuore veniva lacerato dal
ricordo
delle molte vite che aveva spezzato.
Lord
Voldemort era anche questo per Severus Piton: il ricordo indelebile e
continuo
dei suoi crimini, di ciò che era stato, di ciò
che probabilmente sarebbe stato
per sempre. Un assassino, macchiato da colpe che nessuna espiazione
avrebbe mai
più potuto cancellare.
Questi
e molti altri foschi pensieri occupavano la mente dell'uomo mentre
finiva di
indossare il consueto vestito nero. Contrasse il viso nella sua
classica
espressione arcigna e severa e decise di scendere, prima di colazione,
nel suo
laboratorio sotterraneo, per controllare una pozione che aveva messo a
bollire
la sera prima e che ormai doveva essere pronta.
Ah,
a colazione Albus avrebbe presentato una donna che si fermava a
Hogwarts per un
po', una specie di investigatrice, gli era parso di capire.
Anche
Oleander si alzò presto, ma lei era rinfrancata da una bella
dormita (il letto
di quella stanza era il più comodo sul quale avesse dormito)
e voleva recarsi
il prima possibile nel laboratorio di pozioni. Un elfo aveva provveduto
a
lavarle i vestiti e farglieli trovare impeccabilmente stirati e appesi
dentro
l’armadio. Si ravvivò con le mani i capelli corti
ed uscì in corridoio: era
ancora presto e in giro non c’era anima viva, solo un
fantasma che volteggiava
mollemente attorno al soffitto.
Dopo
aver girato a vuoto ed essere tornata per due volte davanti alla sua
stanza,
Oleander chiese indicazioni per il laboratorio di pozioni ad uno dei
quadri,
che raffigurava una donna sulla cinquantina intenta a sferruzzare
alacremente a
maglia una sciarpa. L’indumento aveva una lunghezza
spropositata, tanto che
aveva occupato quasi tutto il quadro a fianco (il cui proprietario
aveva
pensato bene di andare a farsi un giro) e metà del suo.
“Il
laboratorio di Piton, mia cara? Perché mai a una bella
ragazza come te interessa
un posto tanto tetro?”
“Ho
bisogno di alcuni ingredienti. Lei ha detto Piton… intende
Severus Piton?”
“Sì,
mia cara. Lo conosci?”
La
donna fece spallucce “L’ho sentito
nominare.” All’epoca Oleander aveva seguito,
come chiunque altro, le cronache della caduta di
Colui-che-non-può-essere-nominato e i successivi processi ai
suoi seguaci.
Piton era uno di quelli che ne era uscito pulito, grazie ad una solida
difesa
di Albus Silente.
“Mmh…
dì, mia cara, cosa ne pensi della mia sciarpa? Credi che ad
Arthur piacerà?”
“Certamente.”
“Sempre ammesso che Arthur sia
un’anaconda
od una giraffa.” pensò.
“Il
laboratorio di pozioni, hai detto, mia cara, eh? Va fino in fondo al
corridoio,
passa dietro l’arazzo bianco, prendi la prima porta sulla
sinistra, attraversa
l’atrio e poi scendi le scale fino all’ultimo
gradino: è l’ultima porta in
fondo.”
Oleander
seguì le istruzioni e si ritrovò a scendere per
una scala che sembrava
infinita, mentre l’ambiente si faceva sempre più
umido e buio. Bussò
educatamente al pesante portone di legno massiccio del laboratorio, ma
nessuno
rispose, quindi si azzardò ad entrare “Permesso,
c’è nessuno?” La stanza era
immersa in una oscurità quasi totale, tranne che per un paio
di lampade ad olio
ed un calderone che ribolliva sul fuoco. Per evitare di andare a
sbattere da
qualche parte, tirò fuori la bacchetta ed accese le candele
della stanza. Ora
capiva perché la donna del ritratto aveva definito il
laboratorio “tetro”.
Luoghi come i laboratori di pozioni o le farmacie magiche non erano mai
particolarmente gradevoli per la vista, ma lì gli
ingredienti più macabri e
disgustosi sembravano essere messi apposta in bella vista, per
opprimere gli
studenti che durante le lezioni dovevano affollare i tavoli. Su una
cosa però
la donna dovette ricredersi: pensava che quel posto, oltre che oscuro,
fosse
anche sporco, invece il professore lo teneva molto pulito,
constatò, passando
le dita sugli scaffali. Le pareva un po’ maleducato servirsi
da sola, ma visto
che non arrivava nessuno, tirò fuori la lista di
ciò che le serviva: pirite di
Marte, legno di ginko e penne di ibis rosso. Cercò un
po’ in giro, leggendo le
etichette dei vari barattoli, ma a un certo punto si voltò,
sentendo uno strano
sibilo provenire dal calderone. Lei non era certo un’esperta
di pozioni, ma
normalmente facevano quel rumore?
Non
fece in tempo a darsi una risposta, perché il contenuto
esplose fragorosamente,
facendo schizzare il calderone fino al soffitto e spandendo
tutt’attorno un
denso fumo bluastro. Tossendo, Oleander cercò di pronunciare
la formula per far
dissipare la nebbia, ma una voce più forte e decisamente
furiosa coprì la sua,
poi un uomo alto e magro, completamente vestito di nero, fece la sua
comparsa.
“In
nome di Tolomeo! Che cos’è successo
qui?” con un solo gesto Piton fece
disperdere il fumo, guardò prima il calderone, poi la
pozione sparsa ovunque e
infine la donna che tossiva appoggiata ad uno scaffale “Chi
è lei? Cosa ci fa
qui? Chi le ha dato il permesso di entrare nel mio laboratorio? E che
diavolo
ha combinato?” avanzò velocemente verso di lei, il
mantello che gli svolazzava
alle spalle, gli occhi neri scintillanti. Dodici ore per preparare
quella
pozione e adesso questa scema la faceva saltare per aria. Aveva il
sospetto che
fosse l’ospite di Silente. Se era davvero così, si
augurava che restasse ad
Hogwarts il meno possibile.
La
scema in questione, però, non sembrava per nulla intimorita
dalla sua sfuriata
“Se mi fa una domanda per volta, forse riesco a
risponderle.” Ribattè acida,
schiarendosi la gola.
“Le
hai mai detto nessuno – la rimproverò Piton con
voce glaciale – che le cose
altrui non si toccano?”
“Io
non ho toccato un bel niente!” si difese Oleander,
guardandolo come se fosse
pazzo.
“E
allora quello come lo spiega?” il mago puntò un
indice accusatore contro il
calderone distrutto.
“Non
lo spiego, non mi ci sono nemmeno avvicinata a quell’affare.
Il liquido ha
iniziato a sibilare e poi è saltato
per…”
“Sciocchezze!
– la interruppe lui – non era una pozione
esplosiva.”
“Forse
– insinuò Oleander, indispettita per essere stata
zittita – ha sbagliato
qualcosa. Perché, le ripeto, io non…”
“Basta
così. Fuori dal mio laboratorio.”
Sibilò Piton, con gli occhi che guizzavano di
rabbia come fiamme nere.
“Ma
se lei mi lasciasse spiegare fino in f….”
insistette.
“No,
ha già fatto abbastanza.”
“Ce
l’ha per abitudine di interrompere le persone mentre stanno
parl…..”
“Solo
quando dicono cose inutili.” Concluse l’uomo,
gelido.
Oleander
gettò la spugna e si allontanò sbattendo la
porta, pensando che se fosse
restata un attimo di più, avrebbe estratto la bacchetta
magica e non per farne
uscire arcobaleni e colombe di pace. Piton ascoltò con
sollievo i passi rapidi
di quella donna allontanarsi sempre più. “Nemmeno
gli studenti del primo anno
riuscirebbero a fare un tale disastro.” Borbottava tra
sé il professore,
contrariato. Si apprestò a ripulire la pozione sparsa
ovunque, quando si
accorse che nell’aria ristagnava un odore strano, che il
preparato, esploso o
no, non avrebbe dovuto avere: colto da un dubbio atroce prese da uno
scaffale due
barattoli contenenti l’uno pelle di anguilla elettrica dei
Mari del Nord e
l’altro quella dei Mari del Sud, che era lievemente
più chiara della prima.
Qualcuno aveva invertito le etichette sui barattoli e lui,
soprapensiero, aveva
usato l’ingrediente sbagliato. Ecco il motivo di
quell’esplosione! E l’ultimo
studente al quale per punizione aveva fatto riordinare gli ingredienti
era
stato…
“NEVILLE
PACIOCK! TI FARO’ AFFETTARE ROSPI SINO ALLA FINE DEI TUOI
GIORNI!”
L’urlo
belluino di Piton fece tremare tutte le provette del laboratorio.
Nel
frattempo Calì e Padma Patil stavano cercando di raggiungere
la Sala
Grande per la colazione, ma le scale
quella mattina erano meno collaborative del solito. Le due ragazze
temevano
che, arrivando in ritardo, avrebbero fatto perdere punti alle
rispettive Case e
non sapevano cosa fare. Oleander si affiancò loro,
Calì la guardò in viso e si
strinse istintivamente alla gemella: quella donna era letteralmente
infuriata.
“Vi
avviso, non sono assolutamente dell’umore adatto per questi
giochetti.” Disse
in direzione delle scale, gli occhi ridotti a due fessure. Le scale
smisero
all’istante di muoversi, facendole passare.
Oleander
tornò verso la sua camera e la donna sferruzzante del
ritratto le chiese
“Trovato il laboratorio di pozioni, mia cara?”
“Sì.
Purtroppo sì.” E sparì nella sua stanza
per sbollire la rabbia.
“Quel
Piton! Parola mia, è l’uomo più
scontroso che abbia mai conosciuto. Povera
cara, chissà che le ha detto.” Si
lamentò la signora.
“Angela,
non impicciarti degli affari altrui come tuo solito.” La
rimbeccò Arthur, che
nel frattempo aveva ripreso possesso della sua cornice e stava piegando
la
chilometrica sciarpa della consorte.
==============================
Ringraziamenti
e commenti:
@
MistralRapsody e Arabesque: grazie di cuore, la vostra recensioni mi ha
fatto
un enorme piacere e ha spazzato via dei dubbi che avevo. Temevo infatti
di
essermi dilungata troppo nell’introduzione e nella
descrizione dei luoghi,
perciò sono contenta che vi sia piaciuta.
@Leonella:
hai ragione, scusami! Sono andata a pescare una pietra dal nome proprio
difficile, credo che nessuno la conosca. L’eliotropio
è una pietra di colore
verde scuro con sfumature rossastre. Il vasistas è quel tipo
di finestrella che
si apre dall’alto verso l’interno. Per quanto
riguarda Oleander non ce l’ha solo
con suo zio, ma con tutto il ramo paterno della sua famiglia, per
motivi che
approfondirò meglio in seguito. Comunque posso dirti che da
piccola si sentiva
poco considerata e messa in disparte da tutti tranne che da sua mamma,
inoltre
(e lo vedrai nella storia) è estremamente cocciuta, quindi
se n’è andata di
casa rifiutando di avere qualsiasi contatto con i familiari.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4: ... e benzina sul fuoco ***
CAPITOLO 4 – …
E BENZINA SUL FUOCO
Il
giorno seguente Oleander si concesse una passeggiata nel parco di
Hogwarts: in
tutti quei mesi a correre di qua e di là non aveva avuto un
solo giorno per riposarsi,
perciò pensò che non sarebbe stato male seguire
il consiglio che l’anziano
preside della scuola le aveva rivolto: “Hai l’aria
stanca: devi prenderti un
po’ di tempo da dedicare a te stessa e rilassarti. Tanto
ormai il ladro non può
attraversare la barriera.”
Tuttavia
la sorte non sembrava dell’avviso di lasciarla rilassare
troppo, così mentre
stava ammirando il lago, Oleander udì una voce che urlava
“ATTENTA!”, intravide
un’ombra scura sopra di sé ed istintivamente
sollevò la bacchetta per
proteggersi con un sortilegio scudo, ma non potè evitare che
un ragazzo e la
sua scopa le piombassero addosso dall’alto, buttandola a
terra; l’incantesimo,
però, aveva ridotto di molto la violenza
dell’impatto.
“Ohi,
ohi – si lamentò, massaggiandosi il fondoschiena
– ragazzo, ma chi ti ha dato
la patente?”
“Harry!
Harry, sei tutto intero?” Ron ed Hermione corsero verso il
loro amico.
“Sì
– rispose Harry, sistemandosi gli occhiali sul naso
– questa signora mi ha
evitato il peggio.”
“Signora?
Ti sembro così vecchia?” chiese Oleander,
mettendosi a sedere.
Harry
arrossì “Ah… ehm… mi
scusi… si-signorina?”
“Va
già meglio, ma penso che basti Oleander.”
Poco
dopo i quattro sedevano sull’erba ed Harry cercava di capire
cosa fosse
successo alla sua Firebolt “Non capisco – scosse la
testa sconsolato – a un
certo punto ho perso quota e non riuscivo più né
a frenare, né a sollevarmi di
nuovo.”
“Non
ti avranno fatto di nuovo il malocchio?” chiese allarmata
Hermione.
“No,
non era come quella volta.”
Ron
gli diede una pacca sulla spalla “Dai, non è
successo nulla. Fortuna che Piton
non ti ha visto, altrimenti avrebbe sicuramente…”
“Tolto
dieci punti a Grifondoro per questa sua bravata, signor
Potter.” Disse una voce
bassa e profonda alle loro spalle. Il gruppetto sussultò:
nessuno aveva sentito
avvicinarsi Severus Piton. Oleander lo riconobbe e prese subito le
difese del
ragazzo, fosse anche solo per indispettirlo: non aveva dimenticato come
l’aveva
zittita il giorno prima e lei non era tipo da passarci sopra “Non è successo nulla. E poi il ragazzo non
l’ha fatto di proposito.”
minimizzò con un sorriso a trentadue denti.
L’uomo
la ignorò (cosa che non le fece certo piacere) e si sporse
verso il ragazzo con
gli occhiali “Sarebbe così gentile da spiegarmi
cos’è successo, signor Potter?” domandò con voce soave.
“Io
non lo so davvero. Non riuscivo più a controllare la
scopa.” Si difese Harry.
“Non
vorrà farmi credere che il miglior Cercatore di Grifondoro
non riesce a
compiere un semplice volo lineare?” lo canzonò
Piton. Poi vide che Weasley e
Granger stavano fissando l’ospite di Albus con gli occhi
sgranati e si volse
anche lui a guardarla: aveva appoggiato l’orecchio al manico
della scopa di
Potter e stava dando piccoli colpetti con le nocche sul legno.
Corrugò la
fronte, unendosi allo stupore generale “Cosa diavolo sta
facendo?”
“Uhm…
Harry, il tuo manico di scopa si è rotto.”
“Cinque
punti in meno a Grifondoro per la sua negligenza nel controllarla,
Potter.”
Piton colse la palla al balzo.
“Ma
Harry non poteva accorgersene.” si intromise di nuovo
Oleander. Piton si girò
verso di lei con uno sguardo carico di rabbia: nessuno, nemmeno i suoi
colleghi, osavano contraddirlo così apertamente e quella
donna l’aveva già
fatto due volte nel giro di dieci minuti. Ron ed Hermione pensarono
all’unisono
che se fosse stato possibile lanciare un Petrificus Totalis con gli
occhi,
Oleander sarebbe diventata una graziosa statua di granito seduta stante.
“E,
di grazia, perché non poteva? Sta dicendo che il signor
Potter necessita di una
visita oculistica?”
Oleander
avvicinò il manico della Firebolt al professore
“Ecco, vede? Il rivestimento
esterno non presenta crepe, sembra tutto normale, ma dal rumore che fa
colpendola,
si capisce che alcune fibre interne si sono spezzate. Direi
all’incirca… qua!”
indicò il punto con un dito.
“Dev’essere
successo durante l’ultima partita di quidditch, quando i
battitori di
Serpeverde ti hanno scagliato contro quel bolide.”
Suggerì Hermione.
“Wow!
– esclamò Ron ammirato, guardando Oleander
– ma tu come hai fatto a capirlo
così in fretta?”
La
maga si strinse nelle spalle “Creare oggetti magici
è il mio mestiere, quindi
so anche ripararli.”
Piton
si girò, facendo ondeggiare l’ampio mantello nero,
scoccandole un’occhiata dal
basso in alto “A questo punto mi ritiro e vi lascio a
disquisire di bassa
manovalanza della magia. Prestate attenzione ragazzi, può
darsi che abbiate
trovato la vostra strada.” disse con tono pacato, ma grondante sarcasmo. E dopo aver
rivolto un
ultimo, ironico sorrisetto al gruppo, si allontanò, furtivo
e silenzioso come
era arrivato.
Oleander
era rimasta a bocca aperta “In pratica mi ha appena detto che
sono due braccia
rubate all’agricoltura… – si
girò verso i ragazzi per averne la conferma, non
credendo alle proprie orecchie – Quell’uomo odioso
mi ha davvero appena dato
della manovale?” urlò.
“Credo
di sì.” Confermò Harry, grattandosi la
nuca imbarazzato, perché l’uomo odioso in
questione aveva un udito finissimo e di sicuro la stava sentendo. La
rabbia
della donna era anche giustificata, ma la sua reazione era talmente
esagerata da
risultare comica.
“Non
farci caso, il professor Piton è sempre così:
odia tutti e non perde occasione
di essere sgradevole.” la rincuorò Hermione.
Oleander
continuava a gesticolare animatamente in direzione della nera figura
ormai
lontana: sembrava vittima di una tarantallegra “Come fate a sopportarlo? Insomma, non vi viene mai
voglia di… di… di…”
“Farlo
materializzare all’interno di un vulcano?”
suggerì Hermione.
“Farlo
ricoprire di pustole velenose?” incalzò Harry.
“Farlo
divorare da un drago selvatico siberiano?” concluse Ron.
“Oh
sì!” esclamarono i tre ragazzi in coro, annuendo
vigorosamente.
“Bene:
il giorno che metterete in atto uno di questi propositi, fatemi un
favore e
chiamatemi, voglio essere presente.”
“Cambiamo
discorso – disse Harry con rammarico – immagino che
la mia scopa sia da
buttare.”
“Sciocchezze,
Harry. Giovani d’oggi: se una cosa si rompe, per voi
è per forza da buttare.
Dammi qualche giorno e te la rimetto a nuovo.” Gli
allungò una manata sulla
spalla che poco aveva da invidiare a quelle di Hagrid.
Ron
porse ad Oleander la sua bacchetta, che le era caduta
nell’impatto con Harry: era
una bacchetta molto particolare, non ne aveva mai vista una
così in tutta la
sua vita. Lunga circa 30 centimetri, di
legno di bambù, sottile, leggerissima e
priva di impugnatura. Il crine di unicorno, invece di essere
all’interno della
bacchetta, come aveva sempre visto, si avvolgeva a strette spirali
attorno alla
stessa e il tutto era ricoperto da una vernice trasparente molto liscia
e
fredda. “E’ resina di alga nori – disse
Oleander per rispondere allo sguardo
curioso del ragazzo – la vernice più impermeabile
e resistente che esista.
Vent’anni e mai un graffio.”
“La
tua bacchetta sembra…… strana.”
notò Hermione. Veramente le era venuta in mente
un’altra cosa, ma dato che non era un’osservazione
troppo gentile, all’ultimo
riuscì a trattenersi.
“Esprimiti
pure liberamente, Hermione. Cosa ti sembra?”
Bacchette
così, in effetti, Hermione ne aveva viste parecchie, quando
papà Granger arriva
a casa la sera con tre porzioni da asporto del ristorante Antica
Pechino.
“Sembra… uno di quei bastoncini per mangiare il
cibo cinese.” Disse in un
soffio, sperando di non risultare troppo offensiva.
“Ed
è esattamente quel che sembra, Hermione.” Disse
Oleander alzandosi.
Alcuni
giorni dopo Oleander stava dando gli ultimi ritocchi alla riparazione
del
manico di scopa di Harry nel magazzino degli attrezzi di Hogwarts. La
porta si
aprì ed entrò Severus Piton: vista la donna,
pensò quasi di fare dietrofront,
ma ormai anche lei lo aveva notato, quindi si limitò a
sbuffare ed entrò,
cercando di ignorarla. Cosa non semplice, perché la donna
gli rivolse immediatamente
la parola con tono bellicoso: “Hogwarts è davvero
piccola.”
“Una
volta tanto sono pienamente d’accordo con lei.” Le
rispose Piton, apatico. Gli
fece piacere vedere Oleander arricciare le labbra
indispettita… in effetti era
piuttosto divertente punzecchiarla con la fine arte del sarcasmo e
vederla reagire
in modo scomposto. Non avrebbe potuto essere più plateale
nell’esprimere i suoi
sentimenti: iniziava a gesticolare (tipica cattiva abitudine italiana,
aveva
fatto notare Madama Bumb da buona inglese), le orecchie le diventavano
rosse,
spalancava i suoi grandi occhi color nocciola e strepitava…
era come un piccolo
vulcano.
Nel
frattempo Oleander aveva appeso il manico della scopa di Potter ad una
parete:
attorno al punto in cui si era rotto aveva messo una specie di
ingessatura.
“Cos’è quello?” chiese,
facendo cenno col mento.
“Anelli
di corno di narvalo. Servono a tenere immobile il legno
finchè la cera di api
boeme che ho iniettato all’interno non ripara la crepa. Oh,
ma immagino che a
un esimio professore di pozioni non interessino questi discorsi di
bassa
manovalanza.” Rispose in tono casuale, scrollandosi la
polvere di corno dal
grembiule da lavoro.
A
proposito di sarcasmo, anche a quella donna non mancava.
“E
lei perché è qui?” chiese Oleander.
Piton sollevò il calderone che aveva in
mano, lo stesso che era saltato in aria il giorno del loro primo
incontro, lo
buttò in un angolo e andò a sceglierne uno nuovo.
Con la coda dell’occhio vide
Oleander avvicinarsi al contenitore di peltro sbreccato ed esaminare
l’ammaccatura
con occhio clinico “Non c’è alcun
bisogno che lo aggiusti, ne prendo un altro……
Mi sta ascoltando?” chiese esasperato, quando vide che
Oleander continuava a
fare di testa sua ed ora armeggiava col manico dell’attrezzo.
“Non
lo faccio per lei, ma per questo povero calderone, che può
ancora rendere i
suoi servizi, a patto che trovi un nuovo padrone meno
irritabile.”
“Allora
quel padrone non sarà lei.” disse Piton, certo che
la donna avrebbe iniziato
uno dei suoi spettacoli.
Di
fatti vide Oleander inspirare per prendere fiato e gridare
“OH! Le hai mai
detto nessuno che lei è davvero un uomo…. AHIA,
ACCIDENTI!” nel tentativo di togliere
il manico dal suo alloggiamento, si era procurata una vistosa ferita
sul palmo
della mano destra. Lasciò cadere il calderone a terra e si
strinse la mano con
una smorfia di dolore.
“Che
imbranata.” mormorò Piton alzando gli occhi al
cielo.
“E’
tutta colpa sua, mi ha distratto. – lo accusò a
denti stretti – Boia, che
male!”
Piton
si frugò nelle tasche tirando fuori un fazzoletto pulito e
si avvicinò alla
donna “Mi sorprende davvero che lei abbia ancora tutte e
dieci le dita.” Prima
che Oleander potesse protestare, le afferrò il polso con
decisione e legò il
fazzoletto attorno alla ferita. Lei, per deformazione professionale,
per prima
cosa guardò le sue mani, affascinata: erano mani molto
belle, curate, con dita
lunghe, abili e veloci nello stringere la benda. Sembravano fatte
apposta per
mescere ingredienti magici e creare pozioni, peccato che fossero
così fredde...
La seconda cosa di cui si rese conto fu che Severus Piton era capace
anche di
gesti gentili, da normale essere umano, insomma. La terza fu che, da
quando lo
aveva conosciuto, per la prima volta aveva l’occasione di
osservarlo da vicino.
Incrociò i suoi occhi… caspita, erano proprio neri,
profondi come il cielo di una
notte senza luna. Per un istante, nessuno dei due parlò, poi
dalla ferita di
Oleander, che non aveva smesso di sanguinare, caddero a terra due
pesanti gocce
di sangue, che si spansero come fiori scarlatti.
PLICK
- PLICK
Piton
le guardò e ne fu turbato: nella sua mente si riaffacciarono
le stragi che
aveva compiuto quand’era Mangiamorte. Quanto sangue aveva
versato nella sua
vita? Quanti fiori insanguinati come quelli aveva fatto sbocciare?
Tanti da
ricoprire prati interi.
Serrò
le labbra sottili che tremavano impercettibilmente e si
allontanò dalla donna.
“Vada a farsi medicare da Madama Chips.”
mormorò piano.
Oleander,
sorpresa da quella reazione e dall’atmosfera tesa che si era
creata, assunse
un’aria divertita e tentò una battuta:
“Oh, la prego, non mi dica che le fa
impressione la vista del sangue.”
“In
un certo senso è proprio così.” Rispose
Piton, con una voce talmente bassa che
Oleander faticò a comprendere le parole. In quel momento non
era il solito
arrogante e freddo professore di pozioni, sembrava…
triste… e magari era a
causa della sua battuta, fatta a sproposito, come al solito!
Perché non rifletteva
mai prima di aprire bocca? Ehi, un attimo, perché si sentiva
in colpa?
Incerta
sul da farsi, Oleander si dondolò sui talloni, poi disse
precipitosamente “Professor
Piton? Ehm… ammettiamolo, noi due siamo partiti decisamente
con il piede
sbagliato. Perciò che ne dice se stendiamo un Oblivion su
tutto quanto successo
finora e ricominciamo da capo?”
Piton
raccolse un calderone nuovo e la guardò. La sua espressione
era indecifrabile,
nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa stesse pensando, gli occhi
erano
seminascosti dai lunghi capelli che gli spiovevano sul viso e non
tradivano
emozioni.
Non
riusciva a impedirsi di provare una certa curiosità nei suoi
confronti: che uomo
misterioso! Il portamento fiero,
distaccato, sprezzante e l’atteggiamento scostante inducevano
un timoroso
rispetto ed una prudente diffidenza in chiunque lo avvicinasse,
perché
solitamente le persone provano una istintiva paura per ciò
che non conoscono e
non riescono a capire. Per lei, invece, non era così. Era
stato dalla parte di
Lord Voldermort, d’accordo, ma al processo Albus Silente lo
aveva difeso,
quindi per lei era a posto e non si sentiva spaventata o a disagio in
sua
presenza.
“D’accordo,
mi sta bene – disse infine Piton, camminando verso di lei
– dimenticherò che è
entrata nel mio laboratorio senza permesso, che mi ha contraddetto due
volte
davanti ai miei studenti e che mi ha dato dell’odioso.
Accetto le sue scuse.”
La superò ed uscì, ma anche attraverso la porta
chiusa udì lo scoppio di rabbia
della donna “EHI! Torni indietro, guardi che ne manca un
pezzo! Manca il pezzo
dove lei si scusa con me… non può cavarsela
così!”
Severus
Piton si guardò attorno per accertarsi che non ci fosse
nessuno e si lasciò
scappare una risatina divertita.
===========================
Ringraziamenti
e commenti:
@MistralRapsody:
i francesi non sono molto simpatici nemmeno a me… la battuta
sul paziente che
ha vomitato l’ho messa apposta. In questo capitolo altre
scintille tra Severus e Oleander.
@Arabesque:
sì, in questa storia ci sarò
un’alternanza di momenti divertenti (spero) e
altri più seri. Per vedere le cose muoversi tra i
due, però,
dovrai aspettare ancora un po’.
@La Castellana:
quasi quasi mi
dispiace per Neville (mi piace come personaggio), ma era
l’unico che poteva
fare un pasticcio del genere.
Ah,
se qualcuno beccasse questa storia anche su Manga.it, sono sempre io
che l’ho
scritta, anche se con un nick diverso e sono leggermente diversi anche
i
capitoli in qualche punto, perché man mano che posto, faccio
modifiche (non
sono mai soddisfatta fino in fondo U_U ).
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5: Segnali di pace ***
CAPITOLO 5 – SEGNALI DI
PACE
Il
mese seguente trascorse abbastanza tranquillamente: tre volte Oleander
dovette
recarsi a Londra, Bristol e Glasgow per verificare degli eventi
sospetti, ma
non si trattava del ladro del vaso di Pandora: in un caso si trattava
di un
mago che aveva esagerato con un incantesimo “Gratta e
netta”, rendendo la sua
casa trasparente, negli altri due di ingressi non autorizzati dal
Ministero
della Magia di creature di un’altra dimensione
spazio-temporale.
La
stagione autunnale trascorse rapidamente: aceri e castagni videro le
loro
foglie mutare in un rosso ed un giallo acceso che incendiò
di colori la
brughiera, ma quando i colori si spensero, assumendo un’opaca
tonalità marrone
e le foglie iniziarono a cadere al suolo in una pioggia incessante, si
intuì che
l'inverno si stava avvicinando a grandi passi. Verso la metà
di novembre i
primi fiocchi di neve caddero su Hogwarts e gli allievi della scuola di
magia
erano sempre più elettrizzati, perché le vacanze
di Natale si avvicinavano.
Da
quando Oleander aveva riparato la scopa di Harry, la voce si era sparsa
tra gli
studenti e così, alla spicciolata, c'era chi andava da lei
per un amuleto, una
pietra magica o per far riparare qualche oggetto. Persino Ron vide la
sua bacchetta
magica tornare come nuova, dopo che una pianta carnivora della serra di
Erbologia, particolarmente restia a farsi potare, gliela aveva
mangiucchiata
tutta, e lei stava facendo l’abitudine ai ritmi di quella
vita.
La
sola cosa che la disturbava erano le lettere che arrivavano
periodicamente via
gufo da Schloss Berth chiedendo notizie ed aggiornamenti in merito alla
situazione. Anche da lontano si sentiva gli occhi di tutta la famiglia
puntati
addosso, lei non aveva ancora risultati concreti da mostrare e la cosa
la
innervosiva terribilmente, perché in fondo le sarebbe
piaciuto risolvere il
caso e poterli guardare trionfante dicendo: “Ce
l’ho fatta!” Dimostrare, almeno
una volta, che valeva qualcosa.
Ma
poi le bastava entrare nella Sala Grande di Hogwarts e il suo malumore
spariva:
Silente e tutti gli altri professori erano molto gentili con lei. Tutti
tranne
Severus Piton, ovviamente: nonostante le buone intenzioni, i loro
battibecchi
non erano cessati, anche se ormai si era abituata anche a quelli. Anzi,
si
sentiva stranamente dispiaciuta se almeno una volta al giorno non aveva
l'occasione di scambiare alcune battute caustiche con lui.
Le
loro reciproche punzecchiature erano uno spasso per i colleghi, persino
il
sonnolento professor Rüf si
animava ascoltandoli.
Anche
Piton si era abituato alla sua presenza: se qualcuno gli avesse detto
che la
mattina scrutava l'ingresso della Sala Grande in attesa di veder
spuntare una
testolina dai corti capelli viola scuro, l'avrebbe incenerito
all'istante,
eppure era così. Perchè quando aveva occasione di
parlare (o meglio di
litigare) con lei, riusciva a dimenticare Voldemort e i suoi complotti,
vivendo
rari momenti di serenità.
Ma
solo per poco: quella mattina, ad esempio, si svegliò di
soprassalto dopo uno
dei consueti incubi sul suo passato di Mangiamorte.
Si
appoggiò alla scrivania respirando profondamente: si
preannunciava una pessima
giornata, tanto più che aveva lezione con quegli imbranati
del primo anno di
Tassorosso. Ma il suo umore migliorò non appena
aprì la porta della sua stanza,
lì davanti c'era il suo vecchio calderone, perfettamente
riparato, con dentro
un biglietto. Era bianco, ma con un tocco di bacchetta magica apparvero
queste
parole "Nell'attesa
che un nuovo padrone si faccia
avanti, potrebbe un esimio professore di pozioni conservarlo?" Piton ammise con se stesso di
essere sorpreso, perché
il profondo squarcio era scomparso senza lasciare traccia alcuna; ci
fece
scorrere sopra le dita: la superficie era perfettamente liscia e
regolare: un
lavoro pregevole, doveva esserle costato un bel po’ di fatica.
Infatti
negli ultimi giorni, le mani della donna non avevano più
vesciche e spellature
del solito?
Lo
rimirò ancora un attimo, poi rientrò in camera,
prese la penna d'oca e scrisse
un messaggio per Hagrid: aveva bisogno che andasse in un posto per
conto suo a
prendere una cosa. Certe cortesie andavano ricambiate.
Due
giorni dopo Oleander stava confortando Harry dopo che aveva preso un
brutto
voto in Storia della Magia... beh, veramente in quel momento stava
ridendo di
gusto "Se il professor Rüf non fosse già morto,
l'avresti stecchito tu con
questa risposta. Non posso credere che tu abbia scritto davvero che gli
untori
milanesi spargevano la peste, Harry!" Si appoggiò al muro
per riprendere
fiato.
"Dovevo
recuperare pozioni e ho trascurato i capitoli di storia
internazionale... ho
inventato la prima cosa che mi è venuta in mente…
l’avevo letto qualche anno
fa, su un libro di mio cugino Dudley…" mormorò il
ragazzo, a mo’ di
giustificazione.
"La
prossima volta vieni da me, ti darò delle ripetizioni.
Ammetto che gli untori
non hanno mai goduto di una buona fama, per Merlino!
quell’unguento che usavano
aveva un odore terrificante: all’Istituto Mediolanensis ne
conservano dei
campioni e quando li aprono c’è da scappare a
gambe levate. Ma in realtà erano
dei maghi veggenti e cospargevano di unguento le porte delle case dove
sapevano
che la peste avrebbe colpito, per allontanare il male. Salvarono molte
vite."
"Allora
quelli che vennero messi a morte furono dei martiri."
Di
nuovo la risata di Oleander risuonò per il corridoio "Harry,
nessun vero
untore è mai stato tanto scemo da farsi catturare. Quei
poveretti che finirono
impiccati o arsi sul rogo erano solo persone comuni vittime di un
equivoco, specie
Gian Giacomo Mora, che ebbe la sfortuna di nascere sotto
l’influenza di Perdita
[1]. Quella luna sì che ha un’influenza nefasta,
altro che Saturno!"
Giunti
davanti alla porta della sua stanza, Oleander vide una piccola scatola
posata a
terra, con sopra un biglietto bianco. Alzandolo in modo che fosse al
riparo dai
verdi occhietti curiosi del ragazzo, agitò la bacchetta
facendo comparire il
messaggio "Questa
è una cosa che potrebbe aiutarla
nella sua caccia. Se ha voglia di stare ad ascoltare un esimio
professore di
pozioni, oggi pomeriggio le spiegherò come."
"Buone
notizie...?" azzardò Harry, vedendo che a stento tratteneva
una risatina.
"Harry
Potter, non hai gli allenamenti di quidditch adesso?" e
liquidò il
ragazzo. Non appena fu sparito dalla vista, Severus Piton si
staccò dall’androne
dietro al quale si era nascosto e le andò incontro a passo
di marcia, protestando
“Quest’ala dell’edificio è
riservata ai professori, gli studenti non possono
accedervi liberamente. Avrei dovuto togliere 20 punti a
Grifondoro.”
“Stavamo
parlando di materie scolastiche.”
“Lei
ci prova gusto, vero?” Piton la guardò storto.
“A
far cosa?” domandò la maga, con aria da
innocentina.
“A
contraddirmi, sempre e comunque.”
“Che
vuole, noi umili manovali ci divertiamo con poco.” E
aprì la porta. Piton si
guardò attorno: la stanza rifletteva la
personalità di Oleander ed era esattamente
come se l’era immaginata, ossia molto disordinata. Fogli,
pergamene, appunti,
penne d’oca e d’aquila occupavano ogni superficie
piana, un grosso corvo nero
dromicchiava nella sua gabbia, mentre in un angolo la donna aveva
spostato
tutti i mobili per mettere in piedi un piccolo laboratorio di
riparazioni per
gli studenti: attualmente l’unico paziente era la Ricordella
di Neville
Paciock, immersa in una soluzione riparatrice per una crepa.
“Male, molto male!
Gli alunni della scuola dovrebbero esercitarsi ad utilizzare
l’incantesimo
Reparo, invece di chiedere aiuto a lei.”
“Andiamo,
lo sa meglio di me che dei semplici studenti non sono in grado di
utilizzare
quell’incantesimo su oggetti magici o stregati, ma solo su
quelli normali. E’ di
livello M.A.G.O. e oltre.”
“Tutte
scuse: dovrei togliere altri 10 punti a Grifondoro.”
“Ora
so cosa regalarle per Natale: un pallottoliere.” disse la
donna, divertita, poi
si sedette sul letto ed aprì la scatola.
Piton
continuava la sua ispezione: l’unico spazio ordinato della
stanza era
rappresentato da un basso tavolino rotondo coperto da una cartina della
Gran
Bretagna, sulla quale era sospeso un pendolino radiestetico che
oscillava in
piccoli cerchi, emanando una luce giallastra: era stato tarato per
rilevare
fenomeni magici senza spiegazione.
“Cos’è?”
chiese Oleander, indicando l’ampolla che aveva trovato nella
scatola. Tolto il
tappo, si sprigionava uno spesso filo di fumo che restava a galleggiare
sopra
il collo della bottiglia.
“E’
una pozione che le ho preparato: il fumo reagisce alla presenza del
liquido del
vaso di Pandora: quando aprirà la boccetta, il fumo si
dirigerà verso il
liquido e quindi verso il ladro che sta inseguendo.”
“Strabiliante!
Ma come ha fatto?”
Inorgoglito
ed anche lievemente imbarazzato da quella manifestazione di ammirazione
così
spontanea, minimizzò, come se fosse una cosa da nulla
“Mi sono fatto portare da
Hagrid i carrelli dell’incidente a King’s Cross:
erano stati fatti sparire e
portati al Ministero della Magia, ho cercato tracce residue del liquido
e ho
studiato un po’. Il resto è stato
facile.”
“Parli
per lei! Io ci ho messo tre settimane solo per elaborare e mettere
insieme il
mio reagente. D’altronde non sono mai stata una cima in
pozioni.” Mormorò a
mezza voce.
“Sì,
lo si può capire semplicemente guardando questa stanza
– Piton incrociò le
braccia sul petto – scommetto che lei era molto
approssimativa, sia
nell’affettare gli ingredienti, che nel dosarli. E li
conservava alla rinfusa,
confondendoli. Il disordine è il nemico naturale di una
pozione ben fatta.”
Dalla faccia della donna, passata con rapidità dalla
sorpresa ad una riluttante
ammissione, Piton capì di aver fatto centro.
“L’ordine
è faticoso da mantenere, mi sottrae energie vitali. Che
vuole – allargò le
braccia in un gesto teatrale – a ognuno la sua strada: lei
è un esimio e
ordinatissimo professore di pozioni, io sono solo un’umile e
incasinatissima manovale.”
Poi si spostò verso un fornelletto da campeggio posato nel
camino, dandogli le
spalle ed accese il fuoco.
Piton
sospirò esasperato “Non la finirà mai
con questa storia, vero?”
“Non
sono io che ho iniziato.” Fece notare la donna.
Qualche
minuto dopo, Piton udì un borbottio proveniente da un
piccolo marchingegno
metallico posato sul fornello e poi la stanza fu invasa da un aroma
forte, di
qualcosa di bruciato, ma nient’affatto sgradevole. Si
avvicinò incuriosito e
sbirciò da sopra la spalla della donna: vide un liquido
denso e scuro risalire
lungo un beccuccio del marchingegno
“Cos’è?” pensava fosse un
nuovo modello di
distillatore per pozioni.
“La
caffettiera. – disse Oleander tranquillamente, ma davanti
all’espressione
smarrita dell’uomo dovette spiegarsi meglio –
E’ uno strumento babbano che
serve per preparare il caffè, io non viaggio mai senza,
perché per me è una
specie di droga. E, badi bene, solo quello fatto nella caffettiera
è degno di
questo nome, non quella insulsa brodaglia all’americana che
cercano di
propinarti fuori dall’Italia. Andrebbe proibita con una
risoluzione
dell’O.N.U..”
Al
di là della filippica della donna, di cui non aveva capito
molto, Piton era
combattuto: l’odore di quel
‘caffè’ era invitante, ma non voleva
mostrare un
aperto interesse per la cosa. Non ci fu bisogno di chiedere, comunque,
perché
Oleander gliene porse una tazza “Ecco, assaggi.”
Accettò
con evidente riluttanza, allora la donna si posò una mano
sul cuore “Le do la
mia parola d’onore che non è
avvelenato.” E poi bevve.
Piton
la imitò, stupendosi per il sapore di quella bevanda: non
aveva mai assaggiato
nulla del genere, faceva impallidire il miglior succo di zucca delle
cucine di
Hogwarts. Dal forte sapore di bacche tostate, intenso e amaro, ma anche
aspro
in fondo alla gola. Decisamente buono. Si accorse che due occhi castani
lo
fissavano divertiti da dietro i grandi occhiali
“Allora?”
“Passabile.”
concesse Piton.
Oleander
scoppiò a ridere “Immagino che tradotto in
linguaggio comune, significhi che le
è piaciuto.”
Che
impertinente faccia tosta!
“Lo
immaginavo, comunque: il caffè le si addice.”
“Perché
è amaro?” chiese l’uomo, sarcastico.
“Ma
in fondo è buono, no?” disse lei con naturalezza.
L’osservazione
spiazzò Piton completamente, che non seppe come rispondere.
In
quel momento un gufo picchiò col becco contro il vetro della
finestra ed
Oleander si rabbuiò all’istante. Raccolse il
messaggio e lo buttò su una
poltrona senza aprirlo. Piton notò che sul sigillo di
ceralacca era impresso lo
stemma del Casato Von Athala. “Non lo legge?”
“Tanto
so già cosa c’è scritto: “Ci
sono novità? Tutti noi attendiamo con ansia buone
notizie e la cattura di questo ladro che tanto discredito sta gettando
sul nostro
casato, eccetera, eccetera…” si
tormentò nervosamente un polsino della camicia.
“Ed io sono ancora a zero.”
In
quel momento il pendolo smise di agitarsi e piombò sulla
cartina: Oleander
corse a vedere: indicava il cimitero maggiore di York.
“Qualcuno è entrato in
azione, devo andare!" Raccolse velocemente la boccetta di Piton ed
uscì di
corsa.
Si
materializzò all'interno del cimitero cittadino pochi minuti
dopo le sei. Il
suono di una campana avvisava i visitatori di affrettarsi ad andarsene,
perchè
era arrivato l'orario di chiusura.
La
giornata era stata serena ma molto fredda ed una volta tramontato il
sole
iniziò a formarsi una fitta nebbia, che avvolgeva le
cappelle private e le
statue funerarie, rendendole pallide e sfocate. Qua e là
brillavano tenui i
lumini e le candele, come sospesi nel vuoto. Il lungo viale che si
srotolava
verso l'ossario centrale sembrava venir inghiottito da quella densa
coltre
biancastra. Pigramente un fantasma uscì da una cappelletta
che riproduceva in
piccolo un antico tempio egizio e andò a bussare sulla
vetrata di quella a
fianco, che invece assomigliava ad una cattedrale gotica "George,
vecchio
mio, ci sei? Finiamo la nostra partita a backgammon?"
Oleander
si massaggiò le mani e le braccia intirizzite dal freddo,
rimproverandosi per
essere uscita così precipitosamente, senza nemmeno saggiare
la temperatura
esterna e come sempre, ora era tardi per rimediare.
Abbandonò il viale centrale
e si inoltrò per i dedali di sentieri che si snodavano nel
cimitero, però per
il momento non c'era nulla di strano. Un paio di volte le parve di
scorgere un
movimento furtivo, ma erano solo le ultime ombre della sera proiettate
dagli
alti cipressi.
Si
udiva solo il rumore dei suoi passi sui piccoli sassi scuri dei
vialetti;
camminava lenta, quasi dimentica del motivo per cui era lì,
soffermandosi a
guardare le statue di bronzo e di marmo, che riproducevano donne
affrante in
preghiera, madonne dal viso imperturbabile circondate da angeli, cani
accoccolati
ai piedi delle tombe [2], bambini con i loro balocchi prediletti e
soldati in
pose da eroe. Man mano che procedeva verso la parte più
antica della struttura,
le lapidi diventavano sempre più sporche e trascurate,
invase da erbacce e
muschio, con le lettere bronzee ossidate dal tempo.
I
cimiteri le mettevano sempre una certa malinconia. Si
ritrovò a chiedersi in
che stato fosse la tomba della mamma: da quando aveva lasciato Schloss
Berth,
dopo i funerali, non vi aveva più fatto ritorno.
Chissà se Peter Von Athala se
ne prendeva cura o era all'abbandono come una di quelle? Ma no, al di
là dei
freddi rapporti che aveva col genitore, era ben consapevole che suo
padre aveva
amato molto Ortensia ed aveva sofferto almeno quanto lei quando era
morta. Ed
il dolore inconsolabile di suo padre, non era anche in parte colpa sua?
Sentì
la vergogna bruciarle dentro.
Distratta,
allungò la mano per scostare un tenace rampicante da una
grossa croce celtica.
Le foglie del rampicante, strusciando fra di loro, fecero un discreto
rumore,
ma quando Oleander lo lasciò andare, fu certa di aver udito
il rumore di passi,
che si erano fermati all'improvviso. Fece finta di non essersene
accorta e
proseguì a camminare lentamente, ma giunta all'altezza di
una massiccia cappella
squadrata, svoltò l'angolo e si allontanò
velocemente, nascondendosi dietro una
croce di marmo nero. Maledisse in cuor suo quella nebbia e
l'oscurità che era calata
troppo velocemente... non riusciva a vedere nulla, solo volute di
nebbia
sospinte da una brezza lieve ma gelida. Guardò alla sua
destra: c'era una
statua raffigurante una donna a grandezza naturale, con in mano una
tavolozza
di colori ed un pennello e le venne un'idea. Operò una
trasfigurazione sulla
statua, trasformandola in se stessa: l'avrebbe usata come esca per far
uscire
il suo uomo allo scoperto; tornò a nascondersi dietro alla
croce di marmo e
attese. Udì chiaramente dei passi venire verso di lei e
puntò la bacchetta:
tremava leggermente. Il cuore le batteva forte ed una goccia di sudore
le
scivolò lungo il collo, nonostante la temperatura rigida.
Balzò fuori da dietro
il suo nascondiglio, ma immediatamente qualcuno gridò
"Expelliarmus!"
e la sua bacchetta volò lontano; Oleander gridò
spaventata. Dalla nebbia emerse
una figura a lei familiare, avvolta in un lungo mantello nero che
ondeggiava ad
ogni suo passo "Credeva davvero di poter mettere nel sacco qualcuno con
quel trucchetto?"
"P-professor
Piton? Ha rischiato che la schiantassi."
"A
me non sembra." le disse l'uomo, nel consueto tono pacato.
"Accidenti
a lei, mi ha fatto prendere uno spavento incredibile." Disse a voce
alta
per l’agitazione, poi si sedette su un basso muretto,
facendosi aria davanti al
viso. "Che ci fa qui?"
"Volevo
verificare di persona l'efficacia della mia pozione, ma ho visto che
lei
preferisce fare un giretto panoramico."
"Non
stavo facendo nessun giretto. – gridò la donna
– Stavo solo perlustrando."
L’uomo
alzò gli occhi al cielo “La prego di contenersi,
si rammenti dove siamo. Lei
deve sempre essere così irruenta?”
sibilò stizzito.
“E
lei deve essere sempre così glaciale?”
Dopodiché la donna si nascose il viso
tra le mani e starnutì rumorosamente due volte. In un gesto
quasi automatico,
Piton si sfilò il mantello, posandoglielo sulle spalle.
La
donna abbassò gli occhi, sistemandolo meglio.
Sentì immediatamente un piacevole
calore… e sospettava non fosse dovuto solo alla pesantezza
dell’indumento, ma anche
a quel gesto cavalleresco così inaspettato "G-grazie. Ok -
si tirò in
piedi ed estrasse la boccetta, cambiando bruscamente argomento -
vediamo se
funziona."
Il
filo di fumo grigio si sollevò, restò sospeso a
danzare a mezz'aria, poi si
divise in due segmenti, che si spostavano lentamente in due direzioni
opposte
"Deve aver già usato il liquido su qualche oggetto e poi
è andato da
un’altra parte."
"Dividiamoci."
propose Piton. Oleander seguì il suo filo di fumo, che era
diretto verso il
vecchio tempietto crematorio (in disuso dal 1940 - avvisava un
cartello) e si
infilò sotto la porta, chiusa da un grosso lucchetto.
Oleander utilizzò un Alohomora
ed il lucchetto
scattò, poi fece una
magia per rendere più luminosi i ceri che ardevano sulle
pareti del sacrario,
ma anche così la luce era tremula e creava sinistre ombre
sui muri, sulle urne
cinerarie e sulle statue. Le vecchie fotografie su ceramica parevano
guardarla
con occhio malevolo. I suoi passi rimbombarono rumorosamente sul freddo
pavimento di marmo e l’eco si moltiplicò lungo
l’alta cupola che chiudeva
l’edificio. Quel posto metteva i brividi. L’essersi
ricordata all’improvviso
della trama de “La notte dei morti viventi” di
certo non aiutava.
===========================
[1]
= è il nome di una delle lune di Urano; il nome è
preso da una commedia di
Shakespeare “Il racconto d’inverno”,
è il nome della figlia di Leontes ed
Hermione. Quando l’ho letto sono rimasta folgorata e ho
scelto questo
satellite.
[2]
= il cane è molto usato nell’arte funeraria
perché è simbolo di fedeltà.
Ringraziamenti
e commenti:
Gran
parte della descrizione del cimitero di questo capitolo è
ispirata dal Cimitero
Monumentale di Milano, un luogo davvero suggestivo. Ora, so che sembra
un
suggerimento davvero da sciroccati, ma se vi capita visitatelo,
è un luogo che
colpisce l’immaginazione.
@MistralRapsody:
non ci crederai, ma anch’io ho delle bacchette cinesi sulla
scrivania (sì,
assieme ad un quantitativo industriale di paccottiglia varia) e mentre
stavo
scrivendo il capitolo mi è caduto l’occhio
lì e ho pensato di usarle nella
storia. La cosa avrà un seguito ed una spiegazione nel
prossimo capitolo.
@Leonella:
no, no, nulla di così tragico, ma in fondo si può
far molto male ad un bambino
anche senza mettergli le mani addosso. Ad esempio ignorandolo o
facendolo
sentire inutile. Anche questo aspetto della storia sarà
approfondito meglio nel
prossimo capitolo, che tra l’altro segna una cambio di
registro nella storia,
che si fa più seria.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6: Forza e fragilità ***
CAPITOLO 6 – FORZA E
FRAGILITA’
Il
filo di fumo si era fermato al centro di una grossa stanza poco
più in là,
priva di lapidi a muro. Oleander non capì immediatamente
cos’era quel vano,
finchè non vide i binari che congiungevano quattro loculi ad
una grande
saracinesca di ferro, annerita dalla fuliggine. Sopra il vecchio forno
crematorio una scritta recitava PULVIS ES ET IN PULVERE REVERTERIS [1].
“Davvero confortante.” mormorò. Comunque
anche lì non vedeva di insolito: tutto
perfettamente immobile e silenzioso.
Poi
udì un crepitio, come un ciocco di legno nel
camino… e non c’era forse odore di
bruciato? Scosse la testa… impossibile, quel forno non era
più in funzione da
sessant’anni! Però seguirono altri crepitii,
stavolta ben distinti, come pigne
o castagne che scoppiettano nel fuoco. E qualcosa simile ad un lamento,
provenire da dietro la saracinesca. La toccò: era molto
calda, tanto da farle
ritrarre la mano. Lungo il perimetro traboccava una intensa luce
arancione. E
di nuovo quel lamento. Il panico si impadronì di lei: ora
era certa che
qualcuno stesse bruciando vivo oltre quella barriera “Oh per
tutte le streghe!”
la donna prese a tempestare di pugni la saracinesca di ferro.
"Alohomora,
Alohomora, Alohomora!" strillava, ma non funzionava.
La
porta d’ingresso del tempio crematorio si spalancò
e Severus Piton scagliò uno
schiantesimo contro qualcosa alle sue spalle. Oleander
sbattè le palpebre un
paio di volte: tutto era tornato normale: non c’era odore di
bruciato, non
c’erano più rumori sinistri né voci, la
porta del forno era fredda. Alle sue
spalle giaceva in pezzi una statua di marmo di un angelo della morte
armato di
falce bronzea, che stava per aggredirla. In un attimo si rese conto del
rischio
che aveva corso: il ladro doveva aver animato la statua che, dotata di
poteri
magici, l’aveva stregata con un sortilegio (probabilmente un
Confundus) per
indurle quella visione. L’immagine macabra di
quell’arma conficcata in mezzo
alle sue scapole le fece accapponare la pelle. Imbarazzata non
riuscì a
guardare Piton negli occhi: ora l’avrebbe derisa pesantemente
per essersi fatta
spaventare in quel modo e ne avrebbe avuto tutte le ragioni.
L’uomo però la
sorprese, perché le chiese soltanto “Sta
bene?”
“Uh…
s-sì.” farfugliò. Oleander era
estremamente stupita, ma immediatamente notò che
il professore aveva il vestito ed i capelli pieni di pezzetti di erba e
petali
di fiori avvizziti. L’ipotesi più probabile era
che gli fosse stato rovesciato
addosso un cestino dei rifiuti del cimitero “Immagino che lei
non abbia avuto
più fortuna di me.”
Piton
non rispose ma la fulminò con gli occhi: da quando lo
conosceva non lo aveva
mai visto così infuriato. “Avrei dovuto avvertirla
che si diverte con scherzi
idioti. Sì, decisamente avrei dovuto farlo.”
In
quel momento il filo di fumo che aveva seguito Oleander e quello di
Piton si
ricongiunsero, puntando verso l’ingresso, evitando,
provvidenzialmente,
un’altra accesa discussione.
Fuori
dal tempio crematorio giacevano i resti di un putto alato in frantumi
ed un
contenitore di plastica tutto contorto, come colpito da un fulmine: “Allora avevo visto giusto.”
pensò la
maga. I due seguirono l’indizio fino al parcheggio del
cimitero. “Eccolo là!”
esclamò Oleander: dietro al lunotto posteriore di
un’auto si vedeva un vaso
bianco panciuto, di fine porcellana, decorato con una fantasia di edera
e
catenelle d’oro e chiuso da un coperchio nero. “Lo
riconosco, quello è il vaso
di Pandora di Schloss Berth.” In quel momento il motore della
macchina si avviò
e la stessa partì a razzo. “Accio
scopa.” disse Oleander, ma Piton la fermò,
afferrandole il polso “E’ impazzita? Vuole
sfrecciare per le vie di York a
cavallo di una scopa? Creerebbe un sacco di problemi al Ministero della
Magia.”
La
donna se ne rese conto “D’accordo, ha
ragione.”
“Ci
mancherebbe altro.” La rimbeccò Piton.
“Ma
non lo lascerò scappare comunque.” insistette
Oleander. Si avvicinò ad un’auto
e tirò fuori qualcosa dalla tasca: era una forcina. La
stregò con la bacchetta
e la inserì nella serratura della portiera, facendola
scattare.
“R-ruba
un’automobile?” chiese Piton, allibito.
“No,
la prendo in prestito: è diverso.”
“E’
inaudito.”
“Oh
insomma – Oleander perse la pazienza – e la scopa
no, e l’auto no, non le va
bene niente!”
Il
mago fissò con estrema diffidenza quel trabiccolo babbano,
poi si risolse a salire
dal lato del passeggero, borbottando “Mi auguro che sappia
far funzionare
questo aggeggio.”
“Non
è obbligato a seguirmi!” disse Oleander alzando
gli occhi al cielo.
“Si
figuri se la lascio sola. Per Merlino, chissà che danni
farebbe!”
“Comunque
sì: so guidare, ed anche piuttosto bene. Si allacci la
cintura.” Oleander mise
in moto e si lanciò all’inseguimento del ladro, ma
Piton non diede retta al suo
consiglio “Non ho intenzione di legarmi ad un sedile come un
salame.” le disse
acido, ma cambiò idea quando Oleander si immise su una
strada a due corsie in
contromano ed evitò per un pelo di schiantarsi frontalmente
contro un furgone e
poi con diverse automobili che la schivarono strombazzando indignate.
“E lei
saprebbe guidare?” le chiese, più pallido del
solito, mentre armeggiava con il
nastro di stoffa che continuava a riavvolgersi nel suo alloggiamento,
come se
stesse lottando con un serpente gigante. La donna intanto pareva essere
stata
folgorata da un’intuizione e cambiò corsia
“Scusi, scusi, non ci avevo pensato.
E’ che non sono abituata alla guida a sinistra. Inglesi! Se
non fate le cose al
contrario non siete contenti. E guardi qui: questa macchina ha il
cambio
automatico. Ma dico io, come si fa a preferirlo a quello manuale?
Toglie tutto
il piacere della guida.”
Piton
nel frattempo era riuscito a bloccare la sicura della cintura in un
tripudio di
volgarità e non sembrava dello spirito giusto per discorrere
di equipaggiamenti
delle automobili. Oleander in breve tempo raggiunse la Toyota
rossa del fuggitivo,
ma il suo autista se ne accorse, perché accelerò
ben oltre i limiti di
velocità, anche Oleander pigiò sul pedale del gas
e gli stette incollata. La
sua auto sbandò leggermente ad una curva, ma lei fu abile a
non controsterzare
e rimase in carreggiata: ora si trovavano su un vialone a scorrimento
veloce.
“Oh no!” disse la donna all’improvviso,
puntando l’indice verso una
costruzione. Piton guardò e capì al volo: un
gruppo di ragazzine era appena
uscito dalla piscina, il semaforo pedonale dava verde per loro, mentre
per le
auto scattò il rosso, ma la Toyota
non diede segno di voler rallentare. Le ragazze
parlottavano tra di loro, non la notarono e si apprestavano ad
attraversare.
“Le investe!” gemette Oleander.
“Stupeficium.”
Piton le colpì e le ragazze caddero svenute sul marciapiede,
evitando una morte
certa.
“E
questo non creerà problemi al Ministero della
Magia?” chiese Oleander
ironicamente.
“Maghi
come Weasley esistono apposta per sistemare questi inconvenienti.
Domani i giornali
babbani parleranno di un calo di pressione collettivo o qualcosa di
simile.”
Con
loro sollievo l’auto del ladro si stava portando fuori
città, lontana da altre
potenziali vittime, anche se in campagna la nebbia era più
fitta che mai e a un
certo punto i fari posteriori dell’auto davanti alla loro
scomparvero nel
nulla. Non si vedeva ad un palmo di naso. “E’ il
caso di rallentare.” Suggerì
Piton, aggrappandosi alla maniglia sopra la portiera.
“Non
ci penso nemmeno, non voglio perderlo.” Ma non si avvide che
la strada
disegnava un brusco tornante verso destra e non fece in tempo a
frenare,
uscendo di strada e scivolando giù per un pendio erboso che
terminava in un bel
laghetto, così i due si procurarono un bagno gelido fuori
stagione. Quando
riuscirono a guadagnare la riva si accorsero che la Toyota
giaceva inerte poco
distante, vuota. Le portiere erano chiuse, ma il lunotto posteriore era
sfondato e del vaso non c’era più traccia.
Oleander era di nuovo al punto di
partenza.
Tornarono
a Hogwarts senza scambiarsi una parola. Davanti alla stanza della
donna, Piton
udì la voce di Gazza che cercava Mrs. Purr ed
entrò anche lui: l’ultima cosa
che desiderava era farsi vedere dal vecchio custode ridotto in quello
stato.
Usò subito una magia per asciugarsi gli abiti, mentre
Oleander andò a sedere
sul davanzale della finestra, guardando fuori. A quel punto non ce la
fece più
e partì con la sua arringa “Tutto questo non
sarebbe successo se lei mi avesse
dato ascolto, razza di testa calda! Ma lei nooo, deve sempre fare di
testa sua.
In vita mia non ho mai conosciuto una persona più impulsiva;
ogni tanto
potrebbe anche riflettere prima di agire, sa? Se mi verrà
una polmonite sarà
tutta colpa sua. E, ciliegina sulla torta, non abbiamo concluso
niente.”
“Lo
so benissimo da me.” Proruppe Oleander, la voce stridula. Era
sull’orlo delle
lacrime e Piton ne fu sorpreso, non si aspettava che reagisse
così.
“Sono
perfettamente conscia della mia inettitudine, mi creda. Ne sono
consapevole da
tutta la vita.” Gli gettò la sua bacchetta e la
manica del suo vestito schizzò
gocce di acqua dappertutto. “La guardi bene,
perché non ce n’è una uguale in
tutto il mondo. Già di solito le bacchette non si fabbricano
così. Ma io che ne
sapevo? Avevo solo undici anni quando la misi insieme.”
Piton
la raccolse, ma non disse nulla.
“Sa
come si diventa allievi della scuola di magia a Schloss Berth?
C’è un rito
molto semplice: i ragazzi vengono posti di fronte ad un cesto pieno di
bacchette magiche. Ci stendono sopra la mano ed una bacchetta levita
verso di
loro: è il segno che sono stati accettati e possono
frequentare le lezioni e
quella diventa la loro bacchetta per la vita. In undici anni da quel
dannato
cesto nessuna bacchetta è mai venuta verso di me –
si morse il labbro
inferiore, ricacciando indietro a fatica le lacrime – mentre
tutti mi passavano
davanti, anche i miei cugini più piccoli. Ed ogni volta gli
stessi sguardi, quel
misto tra disapprovazione, rassegnazione e scherno. Mio padre
sospirava,
chiedendosi dove avesse sbagliato con me e persino la governante, Miss
Roth, mi
biasimava. Alla fine mi lasciarono perdere: tanto ero un caso
disperato. Il
massimo che ottenevo erano degli sguardi di compatimento: la povera,
inutile Oleander!
Eppure io ho sempre fatto del mio meglio, stendevo la mano su quel
cesto
desiderando disperatamente che qualcosa accadesse.”
Di
nuovo si lasciò cadere pesantemente sul davanzale di pietra
“Mia madre era
l’unica che mi accettava per ciò che ero. Lei non
mi disse mai nulla, nei suoi
occhi c’erano solo amore e fiducia quando mi guardava, diceva
che non era
importante, che avrei trovato da sola la mia strada per la magia, anche
se non
sarebbe stato lì. Ma quando avevo undici anni si
ammalò e morì ed a quel punto
io sentii che nulla più mi legava a quel posto. Mi costruii
la mia bacchettina,
feci i bagagli e chiesi di poter frequentare la scuola di magia in
Italia dove
era andata la mamma: lì non c’erano prove di
ammissione. Venni accontentata
senza alcuna protesta; tanto non sarei mai stata alla loro altezza
della mia
famiglia. E come vede, è ancora così: sei mesi a
rincorrere un semplice ladro e
cosa ho concluso? Niente, niente! Semplicemente continuo a confermare
l’idea
che loro hanno di me e questo mi fa una rabbia che lei nemmeno
immagina!”
Lacrime
calde iniziarono a scorrere sulle sue gote ed Oleander le
asciugò con rabbia e
ferocia “Perciò vede, non c’è
alcun bisogno che lei mi ricordi la mia
incapacità. E se urlo e strepito e faccio le cose senza
riflettere è perché sono
sopraffatta dall’ansia di ottenere un qualsiasi risultato,
sentirmi un po’ più
forte e un po’ meno…
inadeguata…” chinò la testa sul petto,
piangendo, le
spalle sottili scosse da deboli singhiozzi, oltre che dal freddo che le
accapponava la pelle, a causa del vestito ancora fradicio che
indossava. Si
sentiva amareggiata, si sentiva stupida e si sentiva morire di vergogna
per
essersi lasciata andare così apertamente. Poi, davanti a un
uomo che possedeva
una lingua affilata come un rasoio, che poteva finire di farla a pezzi
con
poche parole. E lei gli aveva offerto l’occasione su un
piatto d’argento.
Fantastico, peggio di così non poteva andare…
Non
sentì né vide Severus Piton avvicinarsi a lei
finchè non si accorse di stare
guardando le sue scarpe. Una mano le si posò sulla testa ed
in gesto brusco, quasi
violento, le sollevò il capo. Ma non c’era traccia
di collera sul viso
dell’uomo, né di disprezzo o di scherno. Era
un’espressione strana, molto
seria, ma anche esitante.
In
effetti Piton era rimasto spiazzato da quel fiume in piena di rancore e
di tristezza.
Non immaginava che Oleander nascondesse tanto dolore dentro di
sé: l’aveva
sempre giudicata una persona senza troppe preoccupazioni per la testa,
irruenta
e poco riflessiva. Si era sbagliato.
Vederla
così lo faceva sentire a disagio ed allo stesso tempo lo
irritava: quella non
era la donna che aveva imparato a conoscere e non la voleva vedere in
quello
stato! La preferiva quando era vitale ed esuberante, gli piacevano il
suo
entusiasmo, la sua energia, tanto genuini che persino uno come lui ne
percepiva
chiara la forza. Così come gli piaceva l’amore
della donna per il suo lavoro di
artigiana e l’orgoglio che le brillava negli occhi quando
creava un oggetto o
lo riparava: aveva trovato la sua via per la magia ed era una via di
cui andare
fieri. Ma ora sapeva che dietro a tutto questo c’era stata
molta sofferenza: la
vita non era stata tenera con lei, aveva dovuto superare molti
ostacoli, aveva
dovuto lottare contro tutti, da sola, contando solo su se stessa.
Non
avrebbe dovuto stare così male: era forte, ma non se ne
rendeva conto. Perciò in
quel momento le servivano delle parole di incoraggiamento. Era questo
che lo
faceva esitare.
Già,
perché cosa poteva dirle lui? Lui che era stato un portatore
di morte, lui che
non aveva mai avuto parole di conforto per nessuno, lui che non si
curava mai
dei sentimenti degli altri, lui che gli altri li guardava solo se gli
intralciavano il passaggio.
Eppure
sentiva di comprendere questa donna e la sua frustrazione; per un
istante smise
di essere il freddo e posato professor Severus Piton e
lasciò che fosse l’uomo,
che in gioventù era stato il dileggiato Snivellus [2], a
parlare, a pronunciare
parole che venivano dal cuore e che forse avrebbe voluto sentire anche
lui,
nella sua disastrata adolescenza. “E loro nella tua
situazione che avrebbero
fatto? Sarebbero arrivati fin dove sei arrivata tu? Sarebbero stati in
grado di
costruire qualcosa con le loro sole forze? No, io credo di no. Ma tu,
da sola,
sei diventata una persona di cui dovresti andare orgogliosa.
Perciò non devi
permettergli di farti sentire così. Cammina sempre a testa
alta, Oleander. Sei
una delle poche persone che io conosca degne di farlo.”
Oleander
non riusciva più a distogliere gli occhi da quelli neri e
profondi di
Severus, “Lo
farò.” disse piano, ma
convinta.
Severus
fece asciugare il suo abito con la magia e poi le lasciò la
testa, facendo
scivolare la mano lungo il suo viso, in quella che voleva essere solo
una
fugace carezza. Ma Oleander spinse la gota sulla sua mano e,
sorridendo, chiuse
gli occhi, per un lungo istante, fragile e meraviglioso. Piton
restò lì, come
paralizzato, il cervello completamente bianco e incapace di formulare
pensieri,
mentre sentiva un tepore nascere nel centro del suo petto; come
attirato da una
calamita, inconsciamente, lentamente iniziò a sporgersi
verso di lei.
Una
nuova lacrima scivolò giù dagli occhi di
Oleander, ma questa volta era di
gioia.
Solo
che quando cadde sulla mano di Piton, l’uomo si ritrasse
bruscamente, come
scottato. Cosa stava facendo? Non doveva nemmeno pensarci…
quante altre lacrime
avrebbe potuto farle versare un ex Mangiamorte? Tante da riempire
l’oceano.
Oleander
lo stava guardando perplessa, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di
male. Lei
non sapeva quello che gli si agitava dentro. Ed era meglio
così. Le rivolse
solo un rapido cenno del capo a mo’ di buonanotte e
uscì dalla stanza quasi di
corsa.
La
maga non capiva: era la seconda volta che Piton si mostrava turbato,
dopo un
gesto di gentilezza. Si ritrovò a pensare per
l’ennesima volta che era un uomo enigmatico:
avere a che fare con lui era come trovarsi in una stanza sconosciuta e
immersa
nelle tenebre più profonde, nella quale bisognava avanzare
cautamente, a
tentoni per orientarsi.
Ma
quella notte le parve di aver colto un piccolo frammento
dell’essenza di
quell’uomo.
Ciò
che aveva intravisto le piaceva, le piaceva molto.
Ed
ora voleva conoscere meglio il vero Severus Piton.
Perché
il vero Severus Piton era un uomo di cui si sarebbe potuta innamorare.
Sorrise
nel buio, d’un tratto dimentica del suo sfogo e della sua
rabbia, d’un tratto
euforica al punto che si sarebbe messa a ballare per la stanza.
==================================
[1]
= sei polvere e tornerai alla polvere.
[2]
= so che in italiano è stato tradotto come
“Mocciosus”, però è un
termine che
non ho mai potuto sopportare, quindi uso l’originale, che mi
piace molto di
più.
Ringraziamenti
e commenti:
@MistralRapsody:
il tuo commento mi ha fatto enormemente piacere, perché una
delle cose a cui
tengo molto è riuscire a mantenermi in linea con lo spirito
dei libri della
Rowling, mi fa piacere se riesco effettivamente a trasmettere questa
sensazione. E anche se riesco a farti apprezzare, almeno un
po’, Severus Piton.
Capisco bene che è un personaggio difficile e complicato, di
quelli che ami o
odi alla follia senza riserve. Personalmente ne sono rimasta
affascinata fin
dal primo rigo de “La pietra filosofale”, ma io non faccio testo: ho
una predilezione in generale
per i personaggi misteriosi ed oscuri.
@Arabesque:
ohi, ohi, speriamo che la tua prof di italiano abbia un buon senso
dell’umorismo, altrimenti ce la ritroviamo secca come
Rüf. Riguardo a quel
lungo mantello svolazzante, che dire? Sembra fatto apposta per un gesto
così
galante, non ti pare?
@Tweety
chan: sono proprio contenta che Oleander ti piaccia. Ho cercato di
crearla come
un personaggio normale, quindi con dei difetti molto comuni (credimi,
non sei
l’unica a fare le cose senza riflettere).
@
Jessica P: Sì, tranquilla: tra Oleander e Severus non ci
saranno solo
battibecchi, anche se questi sono un po’ il sale del loro
rapporto, ci saranno
anche momenti romantici (grazie soprattutto al tuo tono minaccioso! ^^
no,
scherzo!). Mi fa piacere che hai sottolineato la scena del fazzoletto:
in
effetti Oleander inizia a guardare Severus con occhi diversi proprio da
lì.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7: Buon Natale ***
CAPITOLO 7 – BUON NATALE
Severus
Piton aprì gli occhi e si rese subito conto che qualcosa non
andava: non era
nel suo letto, per dirne una. E nemmeno nel suo alloggio ad Hogwarts,
per dirne
un’altra. Era sdraiato su un letto matrimoniale, in una
stanza piccola ma
arredata con buon gusto. L’altro lato del letto era sfatto e
qualcuno doveva
essere rimasto sdraiato lì fino a poco prima,
perché era ancora caldo. Si alzò,
accorgendosi con molto imbarazzo di essere completamente nudo.
Afferrò in tutta
fretta una vestaglia e camminò scalzo fino alla porta della
camera da letto:
che diavolo stava succedendo? Abbassò la maniglia e fu
investito dalla luminosa
luce del mattino e da un profumo di caffè, brioches e
focaccine calde. Oleander
era in piedi davanti ai fornelli, con indosso la sua
camicia… e solo quella,
probabilmente… arrossì, distogliendo lo sguardo
dalle forme nascoste dal
sottile tessuto bianco.
La
donna si accorse di lui, gli sorrise e gli andò incontro
“Buongiorno, dormito
bene?” Gli schioccò un bacio sulle labbra, deciso
e veloce, come se fosse un
gesto consueto, che ripeteva ogni giorno e lo prese per un braccio.
“Si
accomodi, mio esimio professore di pozioni. La colazione
sarà pronta tra poco.”
Severus, confuso ed inebriato da una singolare felicità, non
oppose resistenza
e si lasciò guidare docilmente fino alla sedia.
"Arrivo
subito." disse la donna. Si allontanò di qualche passo, ma
poi si voltò,
lo abbracciò da dietro di slancio, nascondendo il viso nei
suoi lunghi capelli
corvini. Gli sembrò che bisbigliasse "Ti amo."
Non
aveva mai vissuto un momento così commovente e dolce. Per un
attimo immaginò
come doveva essere bello vivere una vita intera così, ma poi
qualcuno bussò
alla porta, con forza. I colpi rimbombarono pesanti e sinistri tra le
pareti della
casa, procurandogli un brivido.
Oleander
si staccò da lui "Chi sarà mai?" e
andò ad aprire: era Lord Voldemort
in persona, avvolto in una cappa scarlatta. Piton si
pietrificò, ma Oleander
continuò a comportarsi con naturalezza, come se sulla porta
fosse apparso il
lattaio o il ragazzo dei giornali. "Ah, un amico di Severus? Prego, si
accomodi. Le preparo un caffè."
Il
Signore Oscuro prese posto davanti a lui con un ghigno terribile
stampato sul
volto e gli occhi rosseggianti di malvagità. "Oleander,
fuggi!" avrebbe voluto gridare Severus, ma
dalla gola non uscì alcun suono.
Voldemort
si sporse verso di lui e con un gesto teatrale si gettò la
cappa oltre la
spalla, rivelando l'elsa di una lunga spada portata sul fianco. "No, lei no!" gridò
disperatamente la mente di Piton, ma ancora una volta non
riuscì a parlare. Con
molta calma, Voldemort estrasse l’arma: era lucente, ma
disseminata di macchie
scure color ruggine: sangue rappreso; fece scorrere un dito sulla lama,
per
accertarsi dell'affilatura, poi la porse a Piton dalla parte dell'elsa.
"No,
questo non lo farò mai! Che mi
uccida nel modo più doloroso che conosce, ma non lo
farò." invece con orrore vide il suo
braccio allungarsi e
stringersi attorno all'impugnatura, riflesso nella lama vide il suo
stesso
volto, le labbra sollevate in un orribile sorriso sadico. Contro la sua
volontà
le gambe si sollevarono, spingendo indietro la sedia. Era come un
burattino,
manovrato da fili invisibili e non riusciva a fermarsi. Oleander era
ancora
girata di spalle, ignara e fiduciosa, canticchiava.
"No,
no, qualunque cosa ma non
questo, ti prego!" pensò,
rivolto a chi, nemmeno lui lo sapeva. Il suo braccio si alzò
sopra la testa
della donna...
"NOOO!"
Piton si svegliò, scattando a sedere sul letto. Era nella
sua stanza, ad
Hogwarts.
Era
stato solo un sogno, l’ennesimo. Ma vivido, dolorosamente e
spietatamente
reale. Il sudore colava lungo il collo ed il petto nudo, il respiro gli
usciva
dalla gola in rantoli e ansimi pesanti. Si lasciò cadere
all'indietro sul
materasso, coprendosi gli occhi con un braccio. "Solo un sogno..."
ripetè al vuoto della stanza con voce malferma. Ma in
realtà sapeva che non era
così: quello che aveva visto era ciò che sarebbe
successo a Oleander se solo si
fosse avvicinato a lei più di quanto non avesse
già fatto, per via della sua
missione. Stargli accanto era troppo pericoloso.
Inoltre
lui era un ex Mangiamorte, in nome di Lord Voldermort aveva compiuto
azioni
atroci, colpe che non potevano essere espiate, nella sua vita non
avrebbe mai
potuto esserci spazio per una vita normale, per l'affetto e per...
...
l'amore.
No,
doveva allontanarsi da lei ora che ancora poteva, immediatamente e
senza
condizioni. Non era difficile, doveva solo riuscire a farsi odiare sul
serio. E
quella era la sua specialità, pensò, le labbra
contratte in un sorriso amaro.
Anche
se faceva male, anche se quel sogno gli aveva mostrato un istante di
felicità
semplice e perfetta.
Oleander
si svegliò al suono delle grida e delle minacce di morte di
Gazza, rimasto
vittima dell’ennesimo scherzo dei gemelli Weasley,
un’armatura che sparava neve
e ghiaccio come un cannone delle piste da sci: ah già,
quello era l'ultimo
giorno di scuola prima delle vacanze invernale, normale che gli
studenti
fossero un po' sovraeccitati e che Fred e George lo fossero
più del solito. La McGranitt aveva detto
che quell'anno sarebbero rimasti davvero pochi studenti: un lungo ponte
aveva
convinto la maggioranza dei ragazzi a tornare in famiglia.
Mentre
finiva di allacciarsi la camicetta continuava a pensare al professor
Piton... "Mi ha chiamato Oleander... allora,
forse, io potrei chiamarlo... Severus..." alzò gli
occhi allo specchio
e con sgomento scoprì di essere arrossita vistosamente, le
orecchie in
particolare erano diventate paonazze. "Noooo!"
pensò, in preda al panico, mentre cercava di coprirle
tirandoci sopra i corti
capelli color prugna. "Insomma, datti un contegno, non sei
più una
ragazzina!" si rimproverò.
Scese
i gradini della lunga scalinata a due a due ed in fondo
incontrò Hermione, Harry
e Ron. Anche i tre ragazzi se ne sarebbero andati, invitati dai
genitori di
Hermione in vacanza sulla neve. "Allora ragazzi, siete pronti?"
"Altrochè!"
disse Ron, che non era mai andato a sciare.
"Sono
certa che vi divertirete un mondo."
"Anch'io
- sghinazzò Harry - soprattutto perchè per
quindici giorni non vedremo più
Piton."
"Il
professor Piton, Harry. Non dovreste
parlare di lui in questo modo!" disse istintivamente Oleander,
guadagnandosi lo sguardo allucinato dei tre ragazzi: come come? Lei che
ci
litigava sempre, ora lo difendeva? Se le fossero spuntate della antenne
di
lumaca sulla fronte non avrebbero potuto essere più sorpresi.
"Cioè...
voglio dire... magari in prima battuta non è un uomo che
ispira simpatia, ma a
volte una persona non è esattamente come appare..."
"No
- disse Ron accigliato - nel caso di Piton è molto peggio."
"Dovreste
concedergli una possibilità, perché
lui… potrebbe sorprendervi… sì,
decisamente."
I
ragazzi si scambiarono uno sguardo confuso e la lasciarono andare a
sedersi al
tavolo dei professori. "Secondo voi cosa le è successo?"
chiese
Hermione.
"Per
me Piton le ha fatto bere una delle sue strane pozioni."
ipotizzò Ron.
Con
sommo dispiacere di Oleander, Piton non venne a far colazione e quel
giorno non
aveva nemmeno lezione, mentre lei aveva promesso ad un gruppo di
studentesse di
Corvonero che avrebbe insegnato loro le proprietà delle
diverse pietre dure e
così fu impegnata fino al pomeriggio, mentre l'Istituto si
andava
progressivamente svuotando. La sera fu spiacevolmente sorpresa di non
vedere
Piton seduto a tavola, ancora una volta, e a fine cena si
arrischiò a chiedere
alla McGranitt se per caso si era sentito male, ma la professoressa
rispose
semplicemente che Severus era tornato a casa.
"A
casa?" Oleander quasi urlò, facendo sussultare l'altra maga
per lo
spavento.
"In
effetti ne sono rimasta sorpresa anch'io. Severus ci torna pochissimo,
di
solito durante Natale resta a scuola per dare una mano a Gazza a
controllare
gli studenti rimasti. Inutile dire che il custode è furioso
per il fatto di
doverci pensare tutto da solo."
"Beh,
non è il solo." mormorò Oleander in tono lugubre.
Salì le scale senza
nemmeno ricambiare il saluto di Angela e si chiuse in camera. Non ci
capiva più
niente, davvero! Prima si comportava così... rivolgendole
parole consolanti e
piene di calore e poi se ne tornava a casa per le vacanze come se nulla
fosse.
Come se non fosse successo nulla. Forse si era sbagliata, aveva
semplicemente
frainteso quel gesto, per lui non aveva avuto alcun significato.
Eppure...
Eppure
in quella carezza lieve, in quelle parole, pronunciate dalla sua voce
bassa e
profonda, era certa di aver scorto qualcosa. Le aveva lasciato nel
cuore
un’emozione troppo intensa, troppo pura, per essere solo una
bugia.
Il
giorno di Natale trascorse molto tranquillamente e dopopranzo Oleander
andò
nello studio di Silente, per consegnargli il suo regalo; dato che il
mago si
lamentava sempre che nessuno gli portava mai dei calzini, glieli aveva
fatti
lei: bianchi, in morbida lana di yeti. Lo trovò intento a
sfogliare album di
fotografie magiche, vecchie e nuove, a colori ed in bianco e nero.
“Sono ex-studenti
di Hogwarts?”
“Sì.”
“E
lei se li ricorda tutti?”
“Con
l’età inizio a perdere qualche colpo –
scherzò – ma ogni studente che è
passato
da qui è stato speciale ed unico a modo suo, quindi li
ricordo tutti con
affetto.”
Un
gruppetto di ragazzi particolarmente esagitati si agitavano per
mostrarsi nella
cornice della foto, saltellando, spintonandosi, facendo le boccacce e
ridendo
come matti. Oleander riconobbe un cespuglio di capelli ribelli e degli
occhialini tondi “Ma questo…”
“Ah,
– disse Silente in tono nostalgico – lo
riconosci?”
“E’
uguale ad Harry… è suo padre, vero?”
“Sì,
e questi sono i suoi amici.”
“I
suoi esuberanti amici.” Precisò la maga. Poi la
sua attenzione fu attratta da
un ragazzo sullo sfondo: sedeva per terra, isolato, col naso incollato
ad un
libro, era magro, dinoccolato e aveva lunghi capelli neri che gli
coprivano il
viso. “Sev… ehm… il professor
Piton?”
“Severus.”
Confermò Silente, strizzandole l’occhio. Oleander
si sentì avvampare e istintivamente
si tirò i capelli sulle orecchie. Tornò a
guardare la foto ed in quel momento
il giovane Piton alzò lo sguardo verso di lei. Oleander lo
salutò con una mano,
ma il ragazzo la fulminò con un’occhiata torva,
chiuse il libro ed uscì
dall’immagine. “Perché è
sempre così scontroso?” si lamentò con
tono esasperato.
“Lui
ti è simpatico, vero?”
“Quanto
un folletto della Cornovaglia.” Ma subito si corresse,
sapendo di aver detto
una cosa non vera. “No, è solo che non so
più cosa pensare: un attimo prima mi
sembra di aver capito qualcosa di lui e l’attimo dopo sono
nella confusione più
totale.”
“Da
quando lo conosco Severus è sempre stato un ragazzo
solitario. I suoi genitori
non andavano d’accordo e lui si costruì una
corazza per isolarsi e non soffrire
dei loro litigi. Neanche a scuola ebbe vita facile… il suo
carattere chiuso ne
fece una vittima perfetta per gli scherzi dei compagni più
vivaci, come Potter…
e l’incarico che gli ho affidato di certo non migliora la
situazione. A volte
mi sento in colpa e temo per lui.” Il vecchio mago sembrava
invecchiato di
colpo di molti anni.
“Incarico?
Quale incarico?” Ma di fronte all’espressione seria
di Silente, aggiunse “Se
non può parlarmene, non importa.”
“No,
Oleander, a te posso dirlo liberamente. Però potrebbe essere
doloroso, quindi
il punto è se tu vuoi ascoltare.”
La
maga abbassò gli occhi sulla fotografia: il giovane Piton
era tornato sotto
l’albero col suo libro e ci aveva di nuovo sprofondato la
testa. Era solo, gli
altri ragazzi se n’erano andati. Fece scorrere
l’indice della mano sinistra sul
bordo dell’immagine, tornò a guardare Silente ed
annuì impercettibilmente.
Quel
quartiere non era esattamente come se l’era immaginato,
assomigliava molto a
quello ultra-popolare del film “Billy Elliot”.
Camminava a fatica nella neve
altissima, che nessuno si era preso la briga di spalare e
ammonticchiare da
qualche parte, essendo quello un rione ormai abbandonato. Una vecchia
fabbrica
in disuso svettava minacciosa, incombendo sulla strada, anche se questo
non le
aveva impedito di venire deturpata: quasi tutti i vetri erano stati
infranti
dalle fionde dei ragazzini, le pareti erano imbrattate di scritte e di
vecchi
manifesti talmente sbiaditi da risultare illeggibili.
Dall’altro lato della
strada si susseguivano piccole case a schiera di mattoni rossi tutte
uguali,
monotone, sciatte, tristi, con un cancelletto di ferro arrugginito e
tre
scalini di nudo cemento che conducevano alla porta
d’ingresso, tutte senza
giardino, il che le rendeva, se possibile, ancora più
squallide. Una piccola
costruzione staccata dalle altre, alla fine di Spinner’s End,
sembrava un pelo
più curata, pur mantenendo un’aria malinconica e
decadente. Una luce che
tremava dietro le pesanti tende scure faceva capire che qualcuno era in
casa “Almeno non ho fatto un
viaggio a vuoto.”
pensò Oleander, rischiando per l’ennesima volta di
cadere a faccia in giù nella
neve, tra un accidente e l’altro. Strinse il pacchetto che
teneva in mano e
bussò.
Piton
sollevò la testa dalla lettura in cui era immerso: chi
diavolo poteva essere?
Pochissime persone sapevano dove abitava. Sperava che non fosse uno dei
suoi
colleghi in preda allo spirito natalizio, perché non era
dell’umore adatto: da
quando aveva lasciato Hogwarts in tutta fretta per allontanarsi da
Oleander, si
era chiuso in casa, in compagnia dei suoi libri, non aveva
più parlato con
nessuno e gli andava bene così. Così raccontava a
se stesso, mentre scostava la
tenda della sala per scorgere l’ospite inatteso, anche se
forse gli stava
venendo una vaga idea su chi potesse essere. Si lasciò
sfuggire un debole
gemito di rassegnazione quando la vide, minuta ed imbacuccata in un
cappotto
color avorio… e adesso, come avrebbe dovuto comportarsi?
Tuttavia
Oleander non gli diede il tempo di riflettere, perchè, visto
che non andava ad
aprire, prese a bussare in maniera decisamente energica "Coraggio,
apri,
so che sei in casa! Ehi! EHIII!!!" I vecchi cardini cigolarono,
disturbati
da tanta irruenza e Piton si rassegnò ad aprirle "Vuoi
buttare giù la
porta?" chiese, guardandola con la solita aria di disapprovazione.
"E
tu vuoi farmi morire congelata qua fuori?" ribattè
all'istante, a mo’ di
saluto e senza attendere di essere invitata, entrò.
Strano
a dirsi, ma quei battibecchi gli erano mancati sul serio. "Come hai
fatto
a sapere dove abito?"
"Carino
qui... - disse Oleander, guardandosi intorno con circospezione ed
eludendo la
sua domanda - piccolo, ma intimo." Si tolse il cappotto, appoggiandolo
sullo schienale di una sedia, si rigirò il pacchetto che
aveva tra le mani,
avvolto in una carta verde e rossa e stretto da un lungo nastro dorato,
poi
allungò una mano e glielo porse, restando però a
debita distanza, come se
stesse dando da mangiare a un leone in gabbia allo zoo "Buon Natale."
Piton
aprì bocca per dire qualcosa di sgradevole, del tipo che lui
non festeggiava
Natale e che non aveva bisogno cose sciocche come i regali, ma la cosa
avvolta
nella carta da regalo produsse un suono strano e vinto dalla
curiosità, iniziò
a scartarlo. Non aveva la minima idea di cosa aspettarsi;
effettivamente nella
sua vita aveva ricevuto pochissimi regali.
"So
che non è proprio una sorpresa, ma in pratica te lo avevo
promesso. L’ho fatto
un po’ in fretta, spero che sia venuto bene lo stesso." disse
la maga,
stringendosi nelle spalle.
Il
regalo in questione era un pallottoliere: su quattro bacchette di ferro
erano
disposte file di piccole biglie colorate: gialle e nere, verde e
argento, blu e
bronzo, rosso e oro. "Con tutti i punti che sottrai a quei poveri
ragazzi,
hai bisogno di un aiuto per tenerli a mente. Basta che pronunci il nome
della
Casa e quanti punti vuoi togliere e le palline si muovono da sole."
Piton
scosse la testa divertito: quella donna era incredibile "Tu non sei
normale!" le disse infine e la guardò negli occhi,
regalandole un raro
sorriso genuino. Gli occhi di Oleander si illuminarono di sollievo
"Menomale! Pensavo fossi arrabbiato con me."
"Per
quale motivo?" Piton recuperò immediatamente il suo tono
gelido.
Oleander
allargò le braccia e si inumidì le labbra "Ecco,
dopo quella notte tu sei
sparito così all'improvviso, senza dire una parola..."
"Da
quando in qua devo rendere conto a te di dove vado? - le
domandò l'uomo
bruscamente - E chi ti ha detto dove trovarmi?"
"E'
stato Silente." Oleander si impose di restare calma: dopo quello che
aveva
appreso, non voleva litigare con lui.
Albus?
Piton corrugò la fronte: ma che diavolo gli passava per la
testa?
"E
mi ha anche raccontato delle cose - proseguì Oleander,
muovendo cautamente
alcuni passi verso di lui - di te e di quello che stai facendo per suo
conto."
"Non
posso crederci. - mormorò Piton - E così, ora sai
chi è Severus Piton."
"Guarda
che già lo sapevo che eri stato coinvolto nei processi dei
Mangiamorte al servizio
di Voldermort, i giornali dell'epoca non parlavano d'altro." Piton
sussultò due volte, a sentir pronunciare la sua vecchia
attività e il nome del
Signore Oscuro con tanta noncuranza, come se fosse una cosa da nulla.
"E'
per questo che stai cercando di evitarmi?"
"Se
sai chi sono, dovresti essere tu a tenerti a debita distanza, non
credi?"
le disse Piton, cercando di assumere il tono più sinistro
che gli riusciva, ma
senza ottenere alcun risultato: Oleander non era una dei suoi studenti
che si
intimidivano con un'occhiataccia bieca.
"I
santi non esistono su questa terra. Tutti commettiamo degli errori."
disse
lei con semplicità.
"Errore
è un gentile eufemismo, Oleander." rispose in tono cupo;
andò alla
finestra, guardando i fiocchi di neve che avevano ripreso a cadere
monotoni dal
cielo grigio.
"Pensi
che io sia perfetta? Guarda che anch’io ho fatto tanti sbagli
nella mia vita."
"Tu
hai un marchio nero tatuato su un braccio? Non mi pare."
ironizzò.
La
donna si portò alla finestra ed anche lei guardò
la neve che si posava lenta e
pigra sulle casette, sembrava assorta, persa in chissà quali
pensieri. Per
lunghi minuti tra di loro ci fu solo il silenzio "Ho nascosto una
lettera
di mia mamma." disse infine Oleander.
Piton
inarcò un sopracciglio: non capiva.
"Mia
mamma scoprì di essere affetta da un male incurabile, ma lo
tenne nascosto a
tutti fino all'ultimo, per non far soffrire nessuno. Per spiegarsi
scrisse una
lettera a mio padre poco prima di morire: è una lettera
lunga, bellissima,
piena di amore, in cui parla della loro storia, della prima volta che
lo vide,
del batticuore che provò quando lui la guardò.
Gli dice di non abbattersi, di
guardare avanti, di essere forte, gli chiede scusa per non avergli
detto della
malattia, ma non voleva vederlo triste. E' la cosa più bella
che io abbia mai
letto, davvero, ti tocca il cuore. Io la trovai nella sua stanza il
giorno dopo
la sua morte e la nascosi, perché odiavo mio padre per come
mi trattava, perché
per lui ero invisibile. Ero sconvolta per aver perso il mio unico
sostegno, ero
arrabbiata, ero furiosa, avrei voluto che fosse morto lui al posto
della mamma,
perciò la nascosi, perché sapevo che avrebbe
alleviato il suo dolore, mentre io
volevo che soffrisse. E sai una cosa? Ce l’ho ancora quella
lettera, non ne ho
mai parlato a mio padre. Perciò vedi: nessuno è
perfetto, Severus!” ripetè,
ancora una volta con convinzione.
“E’
una cosa completamente diversa, noi siamo diversi. Da ragazzo io ero un
debole:
Snivellus mi chiamavano i miei compagni. Ero pieno di rancore e di odio
verso
di loro, per gli scherzi e le umiliazioni che subivo ogni giorno e
quando
Voldemort cercò i suoi adepti, lasciai che fosse il rancore
a farmi decidere da
che parte schierarmi, che fosse la mia sete di vendetta nei confronti
del mondo
intero a guidare la mia mano. Volevo sentire l’ebbrezza che
da il potere,
volevo provare cosa fosse la forza, volevo essere io ad incutere timore
negli
altri. Tu non avresti mai fatto una cosa del genere, perciò
non paragonarti a
me.”
Oleander
scosse la testa e proseguì sulla sua linea come se non
l’avesse udito “Sei
troppo rigido con te stesso: adesso sei cambiato, quindi...”
Piton
era convinto di non meritare alcuna dolcezza o indulgenza da parte sua,
inoltre la donna
pareva proprio non comprendere la gravità della cosa, quindi
l’afferrò con
violenza per le spalle, affondando le dita nelle sue carni fino a farla
gemere
di dolore: lì il giorno dopo sarebbero comparsi lividi
scuri. “No, Oleander. E
adesso vattene via.” La sospinse rudemente verso la porta, ma
dovette lottare,
perché lei oppose una tenace resistenza. “Ti dico
che non mi importa ciò che
sei stato e poi Silente si fida di te, quindi non può essere
stata una cosa
così terribile.”
“Non
parlare di cose che non conosci. Tu non c’eri, tu non hai la
più pallida idea
di cosa ho fatto. Credi di capire cosa sono stato solo per aver letto
qualche
articolo di giornale? Non sai quanto ti sbagli. Tu devi stare lontana
da me.” I
due si ritrovano fuori, a litigare sotto la neve.
“Dammi
una buona ragione per farlo, perché io
ti…” gridò Oleander, aggrappandosi a
sua
volta alle sue spalle ossute. Piton non avrebbe voluto arrivare a
tanto, ma era
l’unico modo per allontanarla da sé, per impedirle
di pronunciare quella
parola, perché se l’avesse fatto, era certo che
avrebbe vacillato. Quindi la
cinse in un abbraccio quasi stritolante, bloccandola. La maga
provò un brivido
di paura, non avrebbe mai immaginato che Severus possedesse tanta
forza;
sgomenta lo guardò negli occhi, che in quel momento erano un
nero turbinio di
rabbia, sofferenza e tristezza, e si accorse che stava pronunciando
alcune
formule arcane, subito dopo la sua mente fu invasa da una visione
terrificante:
anche chiudendo gli occhi, non riusciva a fermare le immagini che la
attraversavano.
Un
cielo cupo e violaceo, striato da nubi color sangue incombeva pesante e
minaccioso su una desolata brughiera di erba giallastra, spazzata da un
vento
gelido e sibilante. Gruppi di uomini e donne fuggivano lanciando
nell'aria
grida strazianti, gli occhi sbarrati dal terrore. Dall'alto di una
collina Lord
Voldemort osservava deliziato la scena, sulle labbra il più
beato dei sorrisi.
Alzò il braccio in un gesto lento e drammatico, puntando
l'indice verso gli
sventurati in fuga e i Mangiamorte si lanciarono all'attacco, veloci
ombre
silenziose a cavallo di neri destrieri, le macabre maschere
scintillanti in
quella luce malata, inespressivi portatori di distruzione.
Le
persone cadevano come mosche sotto i loro colpi, inermi, indifese,
imploranti
pietà, il sangue schizzava alto fino in cielo, per poi
ricadere sulla terra
come pioggia maledetta, ovunque corpi senza vita, occhi vitrei, bocche
spalancate che non avrebbero più emesso alcun suono.
L’odore di quel sangue
versato, intenso, penetrante, terribile, presto sopraffatto dal tanfo
della
decomposizione dei corpi che si disfacevano, liquefatti in pozze
nerastre nelle
quali biancheggiavano i ghigni dei teschi… E a rompere un
silenzio irreale si
udì la sguaiata risata, fredda e senza allegria, di
Voldemort. Poi la scena
cambiò rapidamente.
Una
veggente.
Una
profezia.
Un
giovane mago a terra, privo di vita.
Una
donna dagli occhi verdi che protegge un neonato sino alla fine.
Un
accecante lampo verde.
Piton
la liberò dall'incantesimo e dalla sua stretta e la donna
scivolò lentamente
verso il basso, inerte. L'uomo si chinò verso di lei per
sibilarle all'orecchio
"Adesso sai per davvero. Ecco chi sono io." Poi, con la morte nel
cuore e senza il coraggio di guardarla negli occhi, se ne
andò, lasciandola lì,
accasciata per terra, senza mai voltarsi indietro.
Le
aveva mostrato tutti gli orrori, fino in fondo. E ciò che
non era nemmeno
iniziato tra loro, era morto. Lui l'aveva distrutto con le sue mani.
Perchè
un mangiamorte non doveva essere amato.
Perchè
un mangiamorte non poteva permettersi di amare.
Anche
se il dolore gli lacerava il cuore.
================================
Ringraziamenti
e commenti:
@MistralRapsody,
Arabesque & Tweety chan: ho avuto forti riserve sul cambio
così brusco del
tono della storia, passata da un “allegro” bagno
nel lago ad uno sfogo così
amaro, ma nessun’altra soluzione narrativa mi convinceva,
rischiavo di
allungare inutilmente senza aggiungere nulla di concreto. Sono felice
di non
essere scaduta nel drammone. Di questo che mi dite? Anche qui ho avuto
qualche
dubbio, è quello più angst della fanfiction.
@Leonella:
in questo capitolo hai la risposta sui sensi di colpa di Oleander ^^ in
effetti
ho seminato alcune “briciole di pane” in alcuni
capitoli, che vengono riprese
più avanti. Probabilmente la storia si apprezzerà
di più quando sarà finita e
potrai leggerla tutta di filato. Capisco che con i capitoli uppati
volta per
volta qualcosa può perdersi per strada.
Grazie
anche a tutti quelli che semplicemente stanno leggendo la storia!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8: Una donna ostinata ***
CAPITOLO 8 – UNA DONNA
OSTINATA
Quanto
tempo rimase lì sotto la neve? Quanto tempo immobile,
impietrita, inebetita,
come priva di vita, sopraffatta dalla paura, dallo sgomento, dal
dolore? Quanto
tempo mentre attorno a lei, su di lei, la neve, silenziosa, insensibile
ed
implacabile, continuava a cadere con crudele lentezza? Quanto tempo in
quella
strada deserta e desolata?
Non
lo seppe mai.
I
candidi cristalli le si incollavano addosso, il freddo
screpolò le sue labbra e
quando un movimento involontario dei muscoli le contrasse, diversi
tagli si
aprirono, facendo colare a terra un filo di sangue caldo.
Abbassò gli occhi,
guardando il disegno scarlatto che si stagliava sulla neve candida e
ripensò
all’incidente che aveva avuto con il calderone di Piton: ora
capiva il suo
disagio di fronte alla sua ferita.
Quel
pensiero la scosse dal torpore in cui era caduta “Ti
devi alzare.” disse a se stessa, ma al primo
tentativo, un po’
perché era restata a lungo ferma nella stessa posizione, un
po’ perché si
sentiva completamente priva di forze, non ci riuscì e
ricadde pesantemente sul
posto. La nausea ebbe il sopravvento, lo stomaco le si
rivoltò, riuscì appena
in tempo a sporgersi in avanti e vomitò tutto il pranzo di
Natale, le viscere strette
da spasmi lancinanti.
Barcollando
si rimise in piedi e dopo diversi tentativi riuscì a
smaterializzarsi e
materializzarsi nei pressi di Hogwarts. Era ormai buio pesto, segno che
dovevano essere passate diverse ore senza che se ne rendesse conto. Era
quasi
arrivata davanti all'ingresso principale quando incrociò
Harry, Ron ed
Hermione. Le ci volle un po' per riconoscerli e metterli a fuoco, da
dietro le
lenti dei suoi occhiali sporchi di neve. "Ragazzi - chiese debolmente -
come mai siete qui?"
"Per
un disguido il baule di Hermione non è mai partito e lei non
faceva altro che
lamentarsi tutto il tempo che aveva assolutamente bisogno dei suoi
libri,
perchè non voleva rimanere indietro con lo studio. Ho
cercato di spiegarle che
in vacanza i libri dovrebbero essere l'ultimo dei suoi pensieri, ma lei
è una
secchiona e quindi siamo tornati indietro a prenderlo. Fortuna che con
la
metropolvere..."
"Oleander,
ma non hai freddo?" chiese Harry allarmato, interrompendo il monologo
del
suo amico dai capelli rossi.
"Oh
- fece lei, accorgendosi solo in quel momento di non indossare il
cappotto -
l'ho lasciato là, che sbadata. E questa volta non
c’è il suo mantello. Lo
vorrei tanto." Mosse le mani verso le spalle, mimando di stringersi in
una
coperta, ma afferrando solo il vuoto.
I
due ragazzi si guardarono sconcertati: la maga era strana, spenta e
apatica,
come se avesse appena ricevuto il bacio di un Dissennatore; ma
Hermione, che
non aveva perso il suo senso pratico, la prese per un braccio e disse
"Vieni, ti portiamo in infermeria da Madama Chips."
L'infermiera
della scuola ringraziò i ragazzi, ma poi li fece allontanare
senza tanta
grazia, assicurando loro che stava bene e aveva solo bisogno di un po'
di
riposo. Quando la porta fu chiusa, fece una bella ramanzina alla sua
paziente.
Le sollevò una mano e borbottò "Guardi qua che
razza di geloni! Devono
farle un male pazzesco. Uscire vestita così leggera quando
fuori c'è una
temperatura tale che farebbe assiderare una mandria di yak. Ma che
cos'ha nella
testa?"
Sapeva,
per sentito dire dalle altre professoresse, che la donna non aveva un
carattere
mansueto, perciò si aspettava da un momento all'altro di
essere mandata a quel
paese; invece Oleander restò immobile a farsi massaggiare le
dita con la pomata
per i geloni, sopportò senza un lamento il bruciante
unguento per le labbra,
poi bevve un intruglio bollente che le avrebbe evitato un febbrone da
cavallo.
Non replicò nulla neanche quando Madama Chips le disse che
per quella notte
sarebbe rimasta in infermeria "E non voglio sentire una parola di
protesta!"
aggiunse, guardandola torva.
Nessuna
parola di protesta giunse da Oleander, che si infilò il
pigiama con gesti
meccanici, assente. A quel punto l'infermiera sospirò e si
sedette sul bordo
del letto "E' un uomo."
"Eh?"
"E'
in questo stato per via di un uomo." la sua non era una domanda, ma una
semplice affermazione.
Oleander
annuì brevemente, poi sentì le mani forti di
Madama Chips che la spingevano sul
materasso soffice "Per quello non ho alcun rimedio purtroppo, posso
solo
dirle di fare una buona dormita e di non pensare a nulla. Ora come ora
non è in
grado nemmeno di dirmi dove sono l'est e l'ovest, ma quando
sarà più lucida,
chieda a se stessa se ne vale davvero la pena." La donna aveva sciolto
nella tisana di Oleander anche un sonnifero, perchè si era
resa conto che
altrimenti la maga, pur spossata, non avrebbe chiuso occhio quella
notte. Le
ferite dello spirito non potevano essere guarite dalle medicine, ma per
lo meno
andavano affrontate con un corpo in salute.
Oleander
seppe che Madama Chips le aveva fatto bere qualcosa di strano quando,
aprendo
gli occhi, notò la luce luminosa che entrava dalle ampie
vetrate e le ombre
corte proiettate sul pavimento: se non era mezzogiorno, poco ci
mancava. Non
ricordava con molta chiarezza tutti gli avvenimenti del giorno
precedente, in
particolare dopo essersi materializzata vicino al castello. Ma quello
che era
avvenuto in precedenza, sì. Di quello aveva un ricordo
più che vivido. Un
brivido le fece accapponare la pelle sulle braccia, e non era il freddo.
Madama
Chips entrò spingendo una barella con sopra un ragazzo che
si stringeva la
caviglia, snocciolando invettive contro la pessima abitudine degli
studenti di
correre come ossessi, anche quando le scale erano ghiacciate. "Ah -
disse,
vedendo che Oleander era in piedi - si sente bene oggi?"
Bene
era quanto di più lontano ci fosse dal suo stato mentale
attuale, ma almeno era
rinfrancata da una notte di sonno ininterrotto e la spossatezza fisica
se n'era
andata "Meglio. Non lo credevo possibile, però mi sento
meglio."
"Oh,
che sciocchezza - borbottò l'infermiera, ficcando a forza in
bocca al
malcapitato studente una cucchiaiata di Ossofast - a tutto
c'è rimedio, tranne
che alla morte. Perciò non è proprio il caso di
essere così
melodrammatici."
"Ha
ragione."
"Vorrei
ben vedere!"
"Madama
Chips?"
"Sì'?"
"Grazie."
L'infermiera
scosse la testa, come a dire che non era necessario ringraziarla per il
suo
lavoro, ma era contenta che la maga si fosse risollevata.
"Madama
Chips?"
"Che
c'è ancora?"
"Penso
che ne valga la pena."
"Allora
si faccia forza, perchè non la voglio più vedere
qua dentro!"
Severus
Piton non fece ritorno a casa e nemmeno ad Hogwarts. Per il resto delle
vacanze
invernali nessuno seppe dov'era, ma il giorno in cui ripresero le
lezioni,
Pozioni era segnato regolarmente sul calendario e non si parlava di
alcuna
supplenza.
Non
appena rientrati, Harry, Ron ed Hermione cercarono Oleander e furono
felici di
trovarla in buona salute. "Mi spiace di avervi fatto preoccupare,
davvero."
Ron
scosse la testa fulva "Non importa! Un momento brutto può
capitare a
chiunque." E per consolarla le raccontò di quando lui ed
Harry si erano
schiantati con la macchina volante sul Platano Picchiatore e della
strillettera
inviata da Mamma Weasley.
"Coraggio
- disse Harry con entusiasmo - sono sicura che alla fine catturerai il
ladro
del vaso." Il ragazzo era convinta che la depressione di Oleander fosse
dovuta solo a quello.
"Noi
facciamo tutti il tifo per te." aggiunse Hermione.
"In
questo caso non posso certo deludervi. Ora sarà meglio che
andiate: avete
lezione di Incantesimi."
Rimasta
sola Oleander andò a scrutare la cartina ed il pendolo:
dalla sera
dell'inseguimento non c'erano stati altri movimenti, ma sapeva che il
ladro non
avrebbe tardato a farsi vivo di nuovo. Già, c’era
anche quel problema.
Il
suo volto assunse un'espressione molto risoluta: al momento opportuno
lo avrebbe
risolto, ma per adesso non era quella la sua priorità, i
suoi rognosi
parenti dovevano aspettare ancora. Se in quel momento fosse arrivato
Petrolio da
Schloss Berth con un’altra missiva, non avrebbe provato
né ansia, né fastidio,
né disagio, né senso di inferiorità.
Semplicemente se ne sarebbe fregata.
La
sua priorità, al momento, era un uomo dai lunghi capelli
neri, lo sguardo
tenebroso ed un passato da Mangiamorte.
Aveva
avuto tanto tempo per riflettere durante quei giorni; ora aveva fatto
chiarezza
nella sua testa e ne era certa: era irrimediabilmente innamorata di
lui,
nonostante quello che aveva visto. Il suo sentimento aveva vacillato,
ma aveva retto
ed ora era più saldo, avrebbe affrontato qualunque cosa pur
di stargli vicino,
era pronta a tutto anche a un nuovo rifiuto da parte sua.
Perché sentiva che
Severus, nel mostrarle in modo così crudo, così
diretto ciò che aveva fatto, le
aveva rivolto una muta domanda:
Questo
è ciò che sono, senza veli, senza
maschere. Sapresti starmi accanto comunque?
Sì,
lo sono. Quando ho avuto bisogno di
te, tu c’eri. Ed ora io, per te, voglio esserci.
Era
quasi una sfida. La donna strinse i pugni: Severus Piton non sapeva
quanto
potesse essere testarda e se pensava che bastasse così poco
a farle cambiare
idea, si sbagliava.
Si
diresse con passo deciso verso gli alloggi di Piton, ma
trovò che davanti alla
porta d'ingresso era stato posto il ritratto di Richard Howe [1] e
l'uomo era
fermamente intenzionato a non farla passare. "Mi è stato
comandato di non
far entrare nessuno. Inoltre lei non conosce la parola d'ordine." disse
in
tono perentorio.
"La
prego, io devo parlare con il professor Piton, è importante!"
Ma
il ritratto era irremovibile. Oleander si morsicò le unghie,
incerta sul da
farsi: tutto quello che le veniva in mente erano una serie di
incantesimi
esplosivi da scagliare contro il quadro e non era il caso. Poi Angela,
la
signora sferruzzante, arrivò di gran carriera, spintonando
le altre figure
affacciate alle cornici, con al seguito il marito che cercava di
blandirla,
senza alcun successo. "Per l'amore del cielo, Angela. Non è
proprio il
caso di..."
"Oh,
fa silenzio, Arthur. - lo zittì la consorte - Per una volta
nella vita Piton
trova una donna che si interessa a lui ed il meglio che riesce a fare
è
comportarsi come un orso selvatico!"
"Ma
Angela..."
“Niente
ma! - poi si rivolse ad Oleander con un tono a metà tra il
disappunto e il
materno - Quanto a te, mia cara, non potevi innamorarti di un uomo
più normale?”
“Come
fa a sapere che io…?”
“Mia
cara, lasciatelo dire, ce l’hai scritto in faccia! Andiamo
Richard, dì a questa
cara signorina la parola d'ordine. Se non lo farai tu, lo
farò io.” disse,
minacciando il guardiano con un ferro da maglia.
"Sarebbe
del tutto inutile, temo. Il professor Piton ha anche sigillato
l'ingresso con
un Colloportus." rispose il ritratto del militare inglese.
Oleander
posò una mano sul legno e sospirò piano: in fatto
di ostinazione anche
l’ombroso professore di pozioni non scherzava.
Proseguì lungo il corridoio a
sinistra con una mano appoggiata sul muro, seguita dai ritratti
incuriositi che
si spostavano di cornice in cornice. Arrivò ad una stretta
finestra, poco più
di una feritoia, la aprì e si arrampicò sul
davanzale, provocando le urla
allarmate di Angela "Mia cara, no! E' troppo pericoloso."
Oleander
guardò giù: l'altezza era notevole, venti metri
almeno. Gli studenti che
passeggiavano nel parco sotto di lei apparivano piccoli come formiche.
Un
cornicione sporgente, largo circa dieci centimetri, correva attorno al
muro
esterno; pochi metri più in là, dietro una
rientranza, si intravedeva il
balcone in pietra degli alloggi di Piton. Non era molto distante e da
quel lato
del castello il vento non aveva accumulato neve sul cornicione. Dentro
il
corridoio Angela continuava ad inveire contro suo marito "Per tutti gli
spiriti, Arthur, fa qualcosa! Non startene lì impalato come
un ritratto."
"Ma
Angela - protestò debolmente l'uomo - è
esattamente quello che sono."
Oleander
oltrepassò la stretta finestra, posando il piede di lato sul
cornicione e
aggrappandosi con le mani allo spessore tra un mattone e l'altro.
Avanzò molto
lentamente, ripetendosi prima di non guardare in basso. Giunta
all'altezza
della rientranza, potè posare i piedi sui due lati del
cornicione, si riposò un
attimo e poi si diede della cretina per non aver usato la scopa per
volare fino
al suo balcone, invece di stare aggrappata lì, goffa
imitazione di una
lucertola... cozzò un paio di volte la testa contro il muro:
come al solito,
ora era un po' tardi per tornare indietro! Riprese il pericoloso
percorso, pochi
passi ancora e sarebbe arrivata al balcone. Teneva gli occhi fissi
davanti a
sè, sul muro, perciò non si accorse del gargoyle
che, diversi metri più in su,
fungeva da scolo per le acque. In corrispondenza della statua, la
pietra era
ricoperta da un sottile ma durissimo strato di ghiaccio. Il piede di
Oleander
scivolò via e in un attimo la donna fu proiettata
all'indietro. Si aggrappò con
le mani al cornicione, lanciando uno strillo acutissimo.
Penzolando
nel vuoto, cercò di puntare i piedi contro il muro e
contemporaneamente di
issarsi sul cornicione, poi alla sua sinistra comparve una mano pallida
che
spuntava da una manica nera e Oleander fu sollevata portata al sicuro
oltre le
colonnine di marmo del balcone della camera di Piton "Cosa diavolo
credevi
di fare?" le urlò il mago, sbigottito ed infuriato allo
stesso tempo.
"Non
lo so - disse Oleander, cercando di riprendersi in fretta dallo
spavento -
volevo parlarti, ma la porta era sigillata e allora..."
Mormorando
parole indistinte ed irripetibili sulla sua avventatezza suicida, Piton
rientrò
nella stanza ed Oleander lo seguì. Faceva freddo, molto
freddo lì dentro, quasi
quanto fuori. Non poteva essere solo per quei pochi istanti in cui
aveva aperto
la porta finestra; non c'erano lampade accese ed anche il caminetto era
spento.
Piton aveva l'aria molto stanca, gli occhi erano cerchiati da profonde
occhiaie,
il naso pronunciato spiccava più del solito sul viso, era
smunto e dimagrito.
Posò su di lei i suoi occhi neri, inquisitori ed inquieti
"Non credo ci
sia altro di cui parlare. O vuoi forse dirmi che non ti importa di
ciò che hai
visto?" le domandò in tono sprezzante, ben sapendo che non
poteva essere
così.
Oleander
scosse la testolina viola scuro, tenendo gli occhi bassi. Nel buio
della stanza
i suoi capelli sembravano ancora più cupi e la voce era
quasi un sussurro
"No. Mentirei, se ti dicessi che non ero stata superficiale nel
giudicare cosa
furono i Mangiamorte. Mentirei, se ti dicessi che ciò che tu
mi hai mostrato mi
ha lasciato indifferente. Mentirei, se ti dicessi che non mi ha
lasciato
terrorizzata, senza fiato per l'orrore e la paura. Mentirei, se ti
dicessi che
non sono stata male al punto da vomitare. E non voglio mentirti."
Ogni
parola era una stilettata nel cuore di Piton, dolorosa come una
Cruciatus,
perchè era stato lui a farla stare così, anche se
era stato solo per il suo
bene, per impedirle di soffrire ulteriormente, per tenerla al sicuro.
Dovette
far ricorso a tutto il suo autocontrollo per soffocare l'impulso di
abbracciarla, chiedendole perdono. Perchè era lì?
Per infliggergli dolore a sua
volta, per vendicarsi? Probabilmente sì, e se lo meritava.
"Tuttavia..."
Oleander alzò la testa d'improvviso. Sorrideva. Un sorriso
lieve, appena
accennato, ma sorrideva "Tuttavia quelle immagini di morte non sono
l'unica cosa che mi ha trasmesso la tua visione." Avanzò
verso di lui,
lenta ma decisa. Istintivamente Piton arretrò, fino a
toccare la fredda parete
di pietra con le spalle, spaventato da quella reazione inaspettata,
spaventato
da ciò che stava provando in quel momento: sollievo,
speranza, quasi gioia, spaventato,
perché quelli erano proprio i sentimenti che sentiva di
dover soffocare ed
annientare.
Oleander
si portò una mano sul cuore "Ho percepito chiaramente il tuo
dolore ed è
stato straziante. Ho percepito la tua disperazione, quindi so che
è sincera. Ho
percepito il tuo rimorso ed è il motivo per cui sono qui,
ora." Era a un
passo da lui, Piton alzò le braccia, in un estremo tentativo
di fermarla “Vattene,
vattene via, io saprei solo farti del male.” ma Oleander gli
afferrò le mani
con le proprie: erano di ghiaccio, come sempre, e lei voleva
riscaldarle.
"Questo
lascialo decidere a me. – disse con fermezza – Non
sei più l'uomo che eri in
passato, Severus. Ciò che hai fatto non può
essere cambiato, è vero, ma ora tu
stai lottando per cambiare il futuro, sei pronto a rischiare la vita
per farlo.
Perciò… perciò smettila di punirti; lo
hai già fatto a sufficienza."
Sollevò le mani e gli accarezzò il viso, passando
con delicatezza le dita sulle
rughe, solchi profondi che gli davano più anni di quanti
ne avesse.
Al
tocco delle sue mani calde sul volto, l'autocontrollo di Piton
subì un nuovo
scossone. Col cuore che gli martellava forte nel petto, dopo aver udito
parole
così balsamiche per il suo spirito lacerato, si chiese se
magari non potesse
lasciarsi andare solo per un istante, per assaporare una lacrima di
felicità,
una goccia di rugiada nel suo arido deserto di solitudine, una boccata
d'aria
fresca e limpida nella sua atmosfera greve di ripianti, una luce calda
nelle
nere profondità del suo animo, solo per un attimo. La parte
razionale di lui
sapeva che non doveva, non doveva, ma il suo cuore anelava calore, la
sua anima
cercava conforto dalla solitudine e lei glielo offriva...
Oleander
fece scorrere le mani ai lati del viso, seppellendole nei suoi lunghi
capelli
corvini: non erano affatto unticci come i suoi studenti amavano
malignare,
erano morbidi, spessi, folti e lisci. Sentì l'uomo
irrigidirsi ancora di più...
e poi rilassarsi appena. Fece quell'ultimo passo, annullando la
distanza tra i
loro corpi e si appoggiò a lui, alzandosi in punta di piedi,
attirandolo
dolcemente a sè.
Piton
vide le sue labbra sillabare silenziosamente il suo nome: "Severus",
in una muta dichiarazione di amore, di perdono, di vita. Le ciglia
violette
scesero a chiuderle gli occhi, le labbra rosate, su cui restava la
cicatrice di
una spaccatura dovuta al freddo, si schiusero appena e lambirono il suo
labbro
superiore in una umida e delicata carezza. La dolcezza di quel gesto
fece
capitolare le ultime resistenze di Piton: al diavolo il mondo intero!
voleva
baciarla. Posò le mani sulla vita di lei e rispose al bacio,
succhiando e
accarezzando le labbra della donna, con una delicatezza infinita,
timoroso come
se stesse abbracciando una statua di cristallo. Ma poi Oleander lo
incoraggiò a
essere più audace, aprì la bocca, invitandolo ad
esplorarla, circondandogli il
collo con le braccia, abbandonandosi contro di lui, mentre Piton faceva
risalire le mani lungo la sua schiena, stringendola più
forte. Quando le loro
lingue si toccarono, entrambi furono attraversati da un fremito ed
Oleander si
lasciò sfuggire un mugolio di piacere, mentre Severus si
lanciava su di lei in
cerca di baci sempre più intimi e passionali; con uno scatto
invertì le
posizioni: ora era Oleander a trovarsi stretta tra il muro ed il suo
corpo. Si
staccavano l'uno dall'altro solo per brevi istanti, per riprendere
fiato e
avrebbero potuto continuare a baciarsi all'infinito.
Perfetto,
era tutto perfetto.
Improvvisamente
il braccio sinistro di Piton ebbe uno spasmo doloroso e familiare e
l'uomo si
ritrasse bruscamente, stringendolo con forza. Oleander vide la
disperazione nei
suoi occhi, ma sostenne il suo sguardo. Lui non sapeva cosa dire, come
dirglielo e allora fu lei a parlare "E' il marchio nero, vero?"
"Sì.
Devo andare." Eccolo, il momento più temuto, il momento che
mandava in
frantumi i suoi pallidi sogni ed ecco di nuovo la paura, i sensi di
colpa ad
assalirlo “Tu non dovresti stare qui…”
Le
labbra di Oleander coprirono nuovamente le sue, con forza, a soffocare
scuse e
pretesti "Io non ho paura di Voldemort, ho solo paura di stare lontana
da
te."
Piton
la strinse un'ultima volta e mormorò “Sei proprio
una donna ostinata, tu.” Assaporò
ancora per un istante il calore del suo corpo e con quel ricordo nel
cuore si
recò ad incontrare il Signore Oscuro.
==============================
[1]
= Comandante della flotta inglese della Manica di fine '700,
arginò più volte
gli attacchi dei francesi: ottimo per non far passare nessuno da una
porta, no?
^^
Non
sono affatto sicura che gli alloggi di Piton si trovino così
in alto, a
Hogwarts. Il laboratorio di pozioni, il suo ufficio e anche la sala
comune dei
Serpeverde sono nei sotterranei e lui, come direttore della Casa, forse
ha la
camera lì. Ma tant’è, per esigenze di
copione (XD) avevo bisogno che la stanza
fosse in un luogo elevato!
@ Arabesque
e Tweety chan: spero di essermi fatta perdonare per il capitolo
“pesante” dell’altra
volta.
@ La Castellana:
grazie! Ho
cercato di fare in modo che quella scenetta avesse
un’atmosfera “onirica”,
diversa dal resto della fic, spero di esserci riuscita.
@
*luculyu*: ehe! Ti ringrazio! Vuol dire che 5 anni di liceo classico
sono
serviti a qualcosa! XD
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9: Mai un attimo di pace ***
CAPITOLO 9 – MAI UN
ATTIMO DI PACE
Lord
Voldemort non sembrava di buon umore quando Piton comparve al suo
cospetto
"Ti ho chiamato più di dieci minuti fa. Hai forse
dimenticato che non mi
piace aspettare?" non si curò di mascherare
l’irritazione che trapelava
dalla sua voce.
L’uomo
si inginocchiò a baciargli l’orlo della veste
"Chiedo perdono, ma ero a
colloquio con Minerva McGranitt: se mi fossi allontanato troppo
all'improvviso
avrebbe sospettato, quella donna è scaltra."
mentì con disinvoltura il
professore di pozioni.
"Come
siamo prudenti." un lampo divertito attraversò gli occhi
dell'uomo. Si
sedette su di una poltrona, elaborata come un trono, ma non fece alcun
cenno al
suo seguace, che restò inginocchiato con lo sguardo a terra.
Seguì una lunga
pausa durante la quale il Signore Oscuro assaporava lentamente un
calice di
vino nero come la pece "Allora, dopo tanti mesi che non ci si vede, sei
così poco loquace, Severus? Non ti sei domandato che fine
avessi fatto? Non eri
preoccupato per me?" chiese beffardo.
"Ma
certo. Solo che fare indagini poteva non essere..."
"...
prudente. – concluse l'altro – Lo so. Ultimamente
la sorveglianza degli auror si
è fatta più stretta. Piccoli, inutili insetti che
mi ronzano intorno!” Il
bicchiere di cristallo andò in frantumi con un tintinnio
sinistro. “Non è
rimasta molta gente di cui possa fidarmi.” aggiunse, come se
fosse amaramente
deluso. Lo guardò dritto negli occhi e per un attimo Piton
temette il peggio:
Voldemort aveva scoperto il suo doppio gioco ed ora lo avrebbe ucciso.
Peccato,
avrebbe voluto fare di più per contribuire alla sua
disfatta. Il suo pensiero
andò un’ultima volta ad Oleander… poi
Voldemort riprese a parlare “Menomale che
ci sei tu, Severus.” E finalmente fece cenno
all’altro che poteva sedersi.
L’uomo
chinò il capo ancora una volta “Il mio Signore mi
lusinga.”
“Ma
ora – il Signore Oscuro si sporse verso di lui –
occupiamoci d’altro: sono
rimasto un po’ indietro con quanto successo là
fuori.” E penetrò nella sua
mente.
Piton
fece ricorso a tutta la sua abilità nell’arte
della Occlumanzia: doveva tenere
nascosti i suoi sentimenti per Oleander a tutti i costi. Per nulla al
mondo lei
doveva essere coinvolta in quella faccenda, non doveva nemmeno esserne
sfiorata. Per non destare sospetti ed evitare di cadere in
contraddizione gli
mostrò solo che una donna era giunta ad Hogwarts per una
cosa che in nessun
modo poteva interessarli.
“Oh,
e chi sarebbe questa giovane visitatrice?” chiese Voldemort
con un certo
interesse, facendo rabbrividire l’altro mago.
“Nessuno.
Una maga da due soldi che si diletta a costruire oggetti. Una semplice
manovale.” Disse, usando il tono di voce più
indifferente che gli riusciva.
“Vedo
che costei vive mischiata tra i babbani… non ti è
venuta voglia di farla
fuori?”
“Sarebbe
stato solo uno spreco inutile di energie e Silente è sempre
vigile, avrebbe
potuto intuire che ero stato io.”
L’altro
parve abbastanza soddisfatto della risposta, indugiò ancora
per un attimo su
Oleander, poi frugò altrove nella mente di Piton.
Le
ore passavano e Severus non tornava. Oleander sembrava una belva in
gabbia: camminava
su e giù per la stanza, torcendosi le mani e tormentandosi
le pellicine attorno
alle unghie, sedeva un istante su una poltrona accavallando le gambe
per poi
alzarsi di scatto, andava alla finestra e giocherellava con le tende,
sbuffando
impaziente. Cosa doveva fare? Voleva essere lì quando
Severus fosse tornato, ma
forse era il caso di andare ad avvisare Silente. Non aveva idea del
perché
Voldemort lo avesse convocato, né come funzionavano quegli
incontri… e se gli
avesse ordinato di uccidere qualcuno? Di uccidere Harry? Di certo
Severus si
sarebbe rifiutato, ma così facendo sarebbe stato ucciso.
Aveva la testa piena
di idee tetre e terrificanti, le sembrava di impazzire ed alla fine si
buttò
sul suo letto con un sospiro, poi prese ad accarezzare le lenzuola nere
di
raso, immaginandolo sdraiato lì. Sprofondò il
viso nel materasso, cercando il
suo odore ed in un istante la sua mente fu distratta da pensieri di
altro
genere, tanto che arrossì e si rimproverò “Oleander
Silvestre, sei inqualificabile!”
In
quel momento la porta si aprì e Albus Silente
entrò con un foglio in mano
“Scusa Severus, la professoressa Sinistra si chiedeva se
potessi fare cambio di
ora con lei per la classe di Corvonero, settimana
prossima…” Oleander si alzò
di scatto dal letto, ma non abbastanza in fretta da non essere vista ed
assunse
l’aria colpevole ed imbarazzata di un bambino che
è stato appena sorpreso a
rubare dal portafoglio della mamma “I-il pr-professor Piton
non è qui.” balbettò.
Il
preside di Hogwarts aveva l’aria di godersela un mondo
“Vedo. E dov’è?”
Oleander
si fece immediatamente seria “E’ stato chiamato. Da
Colui-che… da Voldemort.”
“Capisco.”
“Che
cosa facciamo, Silente?”
“Per
il momento, accendiamo il fuoco. Per Merlino, questa stanza sembra una
ghiacciaia.” disse l’uomo, con la solita aria
svagata.
"Vabbè,
e poi...?" lo incalzò lei.
"Non
c'è molto che possiamo fare, solo aspettare." L'anziano mago
si lisciò la
barba, mentre Oleander riprese a percorrere la stanza con un sorrisetto
che
rasentava l’isteria “Temo che questa non sia la mia
specialità. Fosse per me
farei irruzione nel covo di Voldemort, ora, con un bazooka spianato...
è
un'arma babbana.” spiegò.
“Pazienza,
Oleander, pazienza.”
“Mi
sento così inutile.” gemette la maga, frustrata.
“Ma
non lo sei.” Improvvisamente si fece serio, assumendo
quell’aria autorevole che
ne faceva una figura tanto carismatica e rassicurante nel mondo dei
maghi. “A
Natale ti dissi che temevo per Severus, per via della sua solitudine,
dell’isolamento che si era imposto, anche
all’interno dell’Ordine della Fenice:
non aveva nessun legame importante, nulla a cui tenesse davvero, nulla
da
perdere. Temevo che questo l’avrebbe portato a qualche gesto
sconsiderato,
troppo avventato, a buttar via la sua vita come se non valesse nulla.
Ma poi
sei arrivata tu, sei stata come una linfa vitale per lui: ora che ha
qualcosa a
cui tiene profondamente, anch’io mi sento più
tranquillo. Sono decisamente un
mucchio di cose per una persona inutile, non ti sembra?”
concluse, riprendendo
il solito tono leggero e scherzoso.
“Sarà…
però intanto non faccio altro che restare qui ed
aspettare.” disse
nervosamente, strofinandosi le mani e sbuffando, mentre raggiungeva per
l'ennesima volta l'estremità della stanza e tornava verso il
preside di
Hogwarts. L'uomo fece comparire un vassoio con una teiera fumante di
tisana ai
lamponi, delle fette di torta di mele e uvetta, pasticcini ed un
soufflè di
zucca "Esatto. E se intanto che aspetti riesci a rilassarti un po',
è
meglio. Dubito che Severus sarebbe molto contento nel vedere che hai
scavato
una trincea in camera sua, camminando avanti e indietro."
La
tisana le diede un po' di pace, riuscì anche a mangiare quei
dolci deliziosi,
nonostante credesse di non poter inghiottire un solo boccone per
l’agitazione,
ma le ore trascorsero comunque con una lentezza esasperante; si
assopì su una
poltrona, ma il suo sonno era agitato da vaghi incubi carichi di
angoscia.
Verso le otto di sera finalmente udì dei passi lenti e
strascicati risuonare
nel corridoio, si alzò, spalancò la porta e Piton
le crollò tra le braccia.
Sbilanciata, rischiò di cadere, ma in qualche modo
riuscì a restare in piedi e
a sorreggerlo "Severus, cosa ti è successo?" chiese con voce
allarmata.
Per
ore Lord Voldemort aveva letto la mente di Piton e quando si era
ritenuto
soddisfatto, l'aveva congedato, non prima di colpirlo a tradimento alle
spalle con
un incantesimo di sua invenzione, un pericoloso incrocio tra una
Cruciatus ed
un Sectumsempra. La sua spiegazione? Intanto voleva verificare
l’efficacia
della maledizione che aveva elaborato con tanta cura e lui gli era
parso il
volontario ideale, poi per essersi presentato in ritardo
(“Questo ti insegnerà
cosa vuol dire la parola puntualità.” furono le
sue parole esatte), infine, disse
con un ghigno malefico, se fosse tornato tutto intero, Silente avrebbe
potuto
insospettirsi. Meglio essere prudenti, no? Lo congedò
così, dicendogli di
sparire in fretta, che ora doveva pensare a un nome per
quell’incantesimo.
Il
dolore della maledizione era stato improvviso, inaspettato e quindi
ancor più
lancinante: ferite sottili come capelli, ma molto profonde, gli si
erano aperte
sulla schiena, sentiva il sangue caldo inzuppargli velocemente i
vestiti. Si
trascinò strisciando fuori dal covo del Signore Oscuro con
il male fisico che
gli lacerava i muscoli e le ossa, che bruciavano come se venissero
stritolate
da mani invisibile intrise nell'alcol, un dolore terrificante che gli
impediva
di pensare e gli toglieva le forze. Ogni passo gli procurava nuove e
più
terribili scariche di lacerante dolore attraversargli il corpo, ma il
pensiero
che qualcuno lo aspettava lo rimise in piedi, guidando i suoi passi
fino ad
Hogwarts. Comunque non si aspettava che l’avesse aspettato
tutto quel tempo;
aperta la maniglia della porta, era certo che sarebbe caduto a terra e
questo
non avrebbe aiutato il dolore e le ferite. Invece fu un atterraggio
morbido,
Oleander era ancora lì e, sebbene a fatica, gli
impedì di crollare a terra. Ne
fu felice; nonostante il tormento che provava il suo corpo, in quel
momento era
felice.
Lei
gli posò cauta una mano sulla spalla, ma
l'allontanò subito, sgomenta, quando
lui urlò per il male. La vide sporca di sangue e
rabbrividì "Perchè
Severus, perchè?" chiese in un soffio.
"Perchè
lui si diverte così. Tranquilla, non sono in pericolo di
vita, dopotutto gli
servo." rispose a fatica, un sorriso tirato sul volto cinereo.
“Tranquillo,
ci penso io a te.” Con una delicatezza che non ci si sarebbe
aspettati da una donna
così energica, passò il braccio di lui sopra le
sue spalle e lo trascinò in
camera, facendolo sdraiare prono sul letto. Ogni movimento troppo
veloce o
brusco gli strappava un gemito di sofferenza. Oleander
riuscì a curare in
qualche modo le ferite sanguinanti, prima passando con molta dolcezza
un panno
imbevuto d'acqua, mormorando uno "scusa" o un "mi dispiace"
ogni volta che si lamentava e poi avvolgendole con l'incantesimo
Ferula. Ma per
il dolore che Severus provava non c'era molto da fare, se non
stringergli la
mano ogni volta che una smorfia di dolore gli contraeva il viso o
asciugargli
il sudore dalla fronte, accarezzandogli lievemente i capelli. Come se
non
bastasse, quella maledizione causava anche una forte febbre: per tutta
la notte
Piton rimase in quello stato di terribile veglia senza riposo, gli
occhi vigili
e febbrili ed Oleander restò inginocchiata di fianco al
letto tutto il tempo,
bisbigliandogli parole dolci e posandogli baci leggeri sulle labbra. Si
allontanò da lui solo pochissime volte, per ravvivare il
fuoco nel camino o per
prendere un bicchiere d'acqua e costringerlo a berne qualche sorso. Per
scaricare la tensione, a un certo punto la donna si mise a camminare in
cerchio, vomitando ogni genere di invettiva che le veniva in mente
contro il
signore oscuro: Piton fu certo di sentire un paio di insulti che non
aveva mai
udito in vita sua e la cosa riuscì a farlo sorridere un
istante, seppur molto
debolmente.
Olenader
non aveva idea se quello che stava facendo servisse davvero a farlo
stare
meglio, ma avrebbe fatto del suo meglio e fu decisamente rincuorata
quando,
verso l'alba, i lamenti di Severus si acquietarono e i lineamenti del
viso si
fecero più rilassati. Lentamente chiuse gli occhi e con
sollievo Oleander vide che
si era addormentato. Lei invece non permise a se stessa di cedere al
sonno: se
avesse avuto bisogno di qualcosa, voleva che la trovasse sveglia. Piano
piano gli
toccò la fronte: era più fresca, quindi
appoggiò le braccia sul materasso e
restò a guardarlo. Nonostante la situazione, nonostante
soffrisse molto nel
vederlo in quello stato, una fiammella di gioia brillava in fondo al
suo cuore “Mi ha permesso di
restare, questa volta non
mi ha allontanata.”
Verso
le otto di mattina Piton si ridestò: la febbre era sparita
ed il male si era
attenuato molto. Non era la prima volta che il Signore Oscuro gli
scagliava
contro una maledizione per sfogare la sua rabbia, ma con il sostegno di
Oleander questa volta era stata meno terribile del solito da
sopportare.
Tuttavia aveva paura di essersi solo immaginato, nel suo pietoso
delirio, che
lei fosse rimasta davvero lì tutto il tempo a vegliare su di
lui, perciò non si
decideva ad aprire gli occhi, nel timore di fissare una stanza vuota,
come era
stata la sua vita fino a quel momento. “Sei
davvero patetico.” si disse alla fine. I profondi
occhi neri del professore
si aprirono e la prima cosa che videro furono quelli nocciola di
Oleander,
estremamente stanchi ma sorridenti. Quella vista gli scaldò
il cuore, ma non
potè fare a meno di brontolare “Svegliarsi con una
persona che ti fissa a quel
modo è inquietante: se la mia faccia è
così interessante, perché non mi fai una
foto?”, incapace di abbandonare il suo proverbiale sarcasmo.
“Perché
sarebbe del tutto inutile. Purtroppo tu non stai volentieri dietro una
cornice.” La donna era al settimo cielo vedendo che aveva
voglia di scherzare
fin dal primo mattino.
“Hai
un aspetto orribile.” Infierì il mago. Se si
comportava così era solo perché
era consapevole che lei aveva capito ed accettato il suo carattere,
tenendogli
testa egregiamente. Di fatti Oleander gli rispose sfacciatamente:
“Prima di
parlare dovresti guardarti allo specchio.”
Piton
si tirò in piedi ancora dolorante, ma era già in
grado di muoversi normalmente.
Tuttavia ci volle del bello e del buono per convincerla che era
perfettamente
in grado di andare in bagno e lavarsi da solo ed anche così
Oleander restò
dietro la porta come un cane da guardia, continuando a parlargli per
accertarsi
che non svenisse. Quando uscì dal bagno, notò che
la donna era lì lì sul punto
di crollare, con la testa che ciondolava per il sonno “Torna
nella tua stanza e
riposati.” Ma lei, cocciuta, scosse la testa, stropicciandosi
gli occhi “Da qui
non me ne vado.”
Piton
sospirò: era ancora troppo stanco per ingaggiare battaglia
con lei, quindi si
sdraiò sul letto facendole spazio “Vieni qua,
razza di donna testarda: se resti
in piedi un minuto di più, finisce che svieni, sai che
seccatura doverti
raccattare da terra.”
“Quale
galanteria! La prossima volta per convincermi prova a tirarmi in testa
la clava
di un troll.” Ribattè lei, ma poi
accettò l’invito e si sdraiò accanto a
lui. Tra
loro calò un silenzio intimo e naturale, lei gli
scostò alcune ciocche di
capelli ribelli dal viso, scendendo ad accarezzargli piano la schiena,
indugiando sulle bende che coprivano le ferite “Come ti
senti?”
“Bene.”
E non era una bugia. L’attirò a sé e la
baciò, incapace di esprimere a parole
tutta la gratitudine e l’amore che sentiva per lei, ma da
come rispose al suo
bacio, Severus era certo che avesse capito e che ricambiava. La
consapevolezza
dei reciproci sentimenti andava al di là delle parole.
Scivolarono
entrambi in un sonno tranquillo. Qualche ora più tardi
Oleander fu destata da
qualcuno che bussava alla porta: si accorse che, nel sonno, Severus si
era
stretto a lei ed ora dormiva beatamente con la testa appoggiata sul suo
seno. “Neanche di domenica si
può stare un attimo
tranquilli.” pensò irritata. Fu tentata
di far finta di non aver sentito,
ma il toc toc si ripetè e, temendo che l’uomo si
svegliasse, lo fece scivolare
di lato lentamente e andò ad aprire: era un elfo domestico
che si occupava dei
mestieri. “Il professor Piton è molto stanco,
verrai a riassettare la stanza in
un altro momento.”
“Oh,
io lo sa. Ma Silente pensa che voi affamati e vi manda
questi.” E gli mostrò un
vassoio pieno di morbidissimi panini al latte appena sfornati e ripieni
di ogni
ben di dio dolce e salato. La sua cena della sera prima era stata solo
torta e
pasticcini, perciò il suo stomaco gorgogliò
vivacemente alla vista del cibo ed
afferrò immediatamente un panino, staccandone
metà con un morso: era come
rinascere. “Oh, io dimenticavo! – disse
l’elfo, tornando sui suoi passi – Nemmeno
nella stanza della signorina Oleander ho riuscito di pulire: suo
ciondolo
sembra impazzito.” [1]
La
donna a momenti si mandò il boccone di traverso e dovette
battersi un vigoroso
pugno sullo sterno per farlo scendere “Come hai
detto?”
Il
buffo esserino iniziò a correre in cerchio nel corridoio
“Gira dappertutto,
così! Se io restava lì, rischio di venire
colpito.”
La
donna corse in direzione della sua camera: era proprio come aveva detto
l’elfo,
il suo pendolo volava per tutta la stanza, sbattendo contro le pareti
ed il
soffitto come un’enorme insetto cieco, sembrava che stesse
cercando di uscire.
“Accio pendolo!” lo richiamò,
afferrandolo per la catenina, ma anche così il
prisma di cristallo continuava a tirare. Con un colpo di bacchetta
magica
Oleander mutò la cartina dell’Inghilterra in una
mappa abbastanza dettagliata di
Hogwarts e dintorni ed immediatamente il pendolo si incollò
sopra una grande
macchia di alberi: la Foresta Proibita.
“Oh, fantastico!” gemette la donna, mettendosi le
mani nei capelli: a sentire i
racconti degli studenti, la Foresta era
già abbastanza bizzarra di suo, senza bisogno che
un ladro armato di un fluido che anima le cose le desse man forte.
Raccolse frettolosamente
in una borsa tutto quello che poteva servirle e, senza pensare di
lasciare
alcun biglietto di avvertimento, uscì.
Il
corridoio che stava attraversando in tutta fretta era molto stretto, ma
privo
di ostacoli. Così credeva Oleander, finchè non
inciampò nel… nulla, almeno
apparentemente, e finì lunga distesa per terra “Ma
che diavolo…?”
Accanto
a lei c’erano Harry e Ron, seminascosti sotto il Mantello
dell’Invisibilità e
pallidi come cenci. “Scusate, non vi avevo visto. Beh, in
effetti non potevo
vedervi… ehi, che vi succede?” realizzò
in breve che qualcosa non andava.
“Nulla.”
disse Ron, una faccia che diceva esattamente l’opposto.
Oleander si puntò le
mani sui fianchi e si sporse verso di loro: “Ragazzi, non
è passato così tanto
tempo da quando ero una studentessa, riconosco al volo quando qualcuno
si è
cacciato nei guai, e le vostre facce mi dicono che ci state affogando,
nei
guai.”
“Hermione…
è in pericolo…” disse Harry in un
soffio.
“Ok,
raccontatemi tutto.”
“Eravamo
nella serra numero due di Erbologia per prendere alcune ciliegie di
ricino.”
“Volevate
fare uno scherzo un po’ pesantuccio a qualcuno, vero? Mi sa
che Fred e George
hanno una brutta influenza su di voi.”
“E’
colpa di Malfoy – sbottò Ron –
è tutta la settimana che tormenta Ginny senza
motivo, più del solito! Volevamo dargli una lezione.
Così Hermione stava
cogliendo le ciliegie per preparare la pozione purgante, quando una
recinzione
l’ha trascinata via.”
“Una
recinzione?”
“Sì!
– Harry annuì veementemente – di quelle
di metallo. Quando ho l’ho vista
muoversi da sola ho subito pensato al ladro del vaso di
Pandora.”
“Già,
infatti il mio pendolo segnala che è qui.”
Confermò Oleander.
“L’ha
trascinata verso la Foresta Proibita.
Io e Ron siamo venuti a prendere le bacchette ed il Mantello di mio
padre per
andarle a cercare.”
“Voi
non farete nulla del genere, razza di sconsiderati!”
“Ma
Hermione...”
“Andrò
io a cercarla; capisco che non vogliate dirlo ai professori
perché stavate
architettando quello scherzo, ma siete degli incoscienti, non vi
rendete conto
di quanto può essere pericoloso?” Oleander era
arrabbiata per l’avventatezza
dimostrata dai due ragazzi e tremava al pensiero di cosa sarebbe
successo loro
se non gli fosse andata addosso.
“Ma
– balbettò Ron a mo’ di scusa
– tu hai detto che a questo ladro piace fare
scherzi, quindi pensavamo che non fosse pericoloso.”
“No
Ron, non è così: questo individuo prende tutto
come se fosse un gioco, senza
curarsi minimamente delle conseguenze, ma ha quasi fatto morire una
bambina,
infilzato me nella schiena con una falce e investito delle ragazze con
l’auto.
Se questo per voi non è pericoloso, mi domando cosa lo
è, allora!” La donna
aveva decisamente alzato il tono di voce, tanto che i due si erano
appiattiti
contro la parete. “Guai a voi se vi muovete da qui! E dieci
punti in meno a
Grifondoro!” Oleander involontariamente si produsse in una
imitazione del loro
professore di pozioni e corse via.
Ron
aggrottò la fronte “Lei non è una
professoressa, non può toglierci punti!”
“Lascia
perdere, Ron. Piuttosto, che vuoi fare?” chiese Harry, il
quale aveva già
deciso di andare comunque nella Foresta Proibita.
“Che
domande! Hermione è nostra amica, no?”
==============================
[1]
= Lo so bene che è sgrammaticato, non ho scordato
d’improvviso l’italiano, ma
gli elfi nel libro parlano così! XD
Ringraziamenti
e commenti:
@
Arabesque e Jessica P: sì, è vero quei due sono
davvero degli zucconi, ce ne
hanno messo di tempo per dichiararsi.
@
MistralRapsody: hai pienamente ragione: molti manga sono una buona
fonte di
ispirazione per l’angst (non a caso la fanfic più
depressa che ho scritto me
l’ha ispirata Inuyasha), ma ho cercato di non esagerare
troppo, per non cadere
nel patetico e perché per questa storia non ho in mente
finali tragici.
@Tweety
chan: Angela ed Arthur sono un affettuoso omaggio ai miei nonni
materni, che
sono stati (purtroppo mia nonna è morta qualche anno fa) una
coppia come quella
che tu hai descritto. Lei un po’ impicciona, ma dolcissima, e
lui che sopporta
in silenzio e con tanta pazienza i brontolii e
l’atteggiamento un po’
dittatoriali di lei.
Alla
fine della storia manca solo un capitolo più un epilogo,
quindi dovrei riuscire
a postare il tutto entro settimana prossima.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10: Il vaso di Pandora ***
CAPITOLO 10 – IL VASO DI
PANDORA
Oleander
atterrò con la sua scopa e la lasciò al margine
della Foresta Proibita: in
quell’intrico di rami le sarebbe servita a poco:
utilizzò la pozione di Severus
e si addentrò tra gli alberi seguendo il filo di fumo scuro.
Di tanto in tanto ricorreva
ad un incantesimo “Pingo”, spruzzando con la
bacchetta una macchia di vernice luminescente
sulla corteccia di qualche albero, per ritrovare la strada, dato che
non c’era
alcun sentiero nel bosco ed il rischio di perdersi era molto elevato.
Il filo
di fumo esitò più volte, come confuso da qualcosa
e si muoveva lentamente, ma
era un bene, perché non era facile avanzare in mezzo a rami
bassi e cespugli
che non avevano mai visto una potatura. Rimpianse di non avere un bel
machete.
Giunto in una radura, il filo si arrestò, formando una
freccia che puntava
verso nord: qualche metro più in là
c’era la recinzione della serra che si
muoveva simile ad un gigantesco bruco verde, dentro il quale si vedeva
Hermione
che strepitava e scalciava: in altre circostanze la scena sarebbe anche
stata
divertente. Oleander fu sollevata nel vedere che la ragazza, tutto
sommato,
stava bene, e si acquattò tra la vegetazione, per vedere se
il ladro fosse nei
paraggi e decidere il da farsi. Un ramo alle sue spalle si
spezzò ed Oleander
si voltò a bacchetta spianata: alla vista di Harry e Ron fu
abbastanza rapida
da trattenersi dal gridare STUPEFICIUM! “Ragazzi! –
disse a denti stretti –
cosa vi ho detto poco fa? Parlo il runico antico?”
“E’
colpa nostra se Hermione è in questo pasticcio,
l’abbiamo convinta noi a
prepararci quella pozione.” Disse Harry a sua discolpa.
“Fortuna
che adesso non ho tempo di arrabbiarmi con voi,
sennò…”
“Guardate!”
urlò Ron, puntando l’indice contro la rete-bruco.
La cosa aveva iniziato a strisciare
rapidamente nel folto della foresta e i tre la inseguirono.
“Harry,
non va verso la tana di Aragog, vero?” chiese Ron ansioso.
“Non
ne ho idea.” rispose l’amico, preoccupato di quella
prospettiva.
“La
tana di chi?” si intromise Oleander.
“E’
un mostruoso ragno gigante amico di Hagrid.”
Spiegò il ragazzo con gli
occhiali.
“Ma
solo di Hagrid – aggiunse Ron – a noi ha cercato di
divorarci.”
“Oh
perfetto: come se non avessimo già abbastanza
problemi.” Mugugnò la donna.
La
rete-bruco si fermò poco più avanti e si
voltò come a volerli fronteggiare.
Hermione gridò forte il loro nome. “Lasciala
andare!” urlò Ron.
“Dubito
che ti dia retta.” Oleander cercava di pensare ad una
soluzione: era
impensabile colpire la rete con un qualsiasi incantesimo, il rischio di
prendere anche Hermione era troppo alto. Il liquido del vaso di Pandora
riluceva lungo le maglie della rete, come eliminarlo senza ferire la
ragazza?
Una illuminazione le attraversò la mente: la Toyota
posseduta aveva perso i poteri magici
cadendo nel laghetto! Puntò la bacchetta verso la cosa e
disse “Aguamenti!” Un
potente getto d’acqua si sprigionò dalla punta,
centrando in pieno la rete, che
dopo qualche secondo ricadde inerte al suolo. I tre corsero a liberare
la
streghetta di Grifondoro: fortunatamente non aveva un graffio. Oleander
stata
per fare loro una bella lavata di capo quando udì un suono
simile ad un sibilo
“Lo sentite anche voi?”
“Sì
– Ron aggrottò la fronte – mai sentito
nulla di simile.”
“Io
invece lo trovo familiare.” Disse Harry tendendo
l’orecchio.
“Anch’io
– confermò Oleander – sembra il suono
che fanno le porte della metropolitana babbana
quando si aprono o si chiudono.”
“Esatto!”
esclamò il ragazzo con gli occhiali.
Oleander
si guardò attorno, inquieta, una mano tesa davanti ai tre
ragazzi, pallido
tentativo di proteggerli da un pericolo che non riusciva a scorgere. “Un incantesimo invisibile?”
ipotizzò.
Puntò la bacchetta verso l’alto e gridò
“Detego occultationem!” Un sottile
raggio rosa si librò nell’aria e superate le cime
degli alberi esplose in
milioni di frammenti brillanti, che mostrarono l’esistenza di
una barriera a
cupola che si stava velocemente richiudendo sulla foresta.
Puntò nuovamente la
bacchetta, questa volta verso i tre ragazzi “Salvificum
ventum clamo!” Un
piccolo tornado li avvolse sollevandoli da terra e si mosse con
rapidità verso
il margine della foresta. Riuscì ad arrivare al limite degli
alberi un attimo
prima che la barriera si richiudesse, sigillando il bosco e
ridiventando
invisibile.
“Bene
– disse Oleander ad alta voce – ora ci siamo solo
io e te. E’ l’ora della resa
dei conti.”
Frattanto,
fuori, i tre ragazzi cercavano di rimettersi in piedi: un tornado non
era certo
il mezzo di locomozione più comodo di questa terra ed aveva
tutti lo stomaco
scombussolato e la testa che girava “Ed ora cosa facciamo,
avvertiamo
qualcuno?” chiese Harry.
“No,
è fuori questione!” proruppe Hermione, spaventata
all’idea delle punizioni che
avrebbero inflitto loro per aver trasgredito ad un consistente numero
di regole
della scuola.
“Ma
Oleander…” fece notare Ron.
“Mi
pare che sia in grado di cavarsela da sola. Voglio dire:
l’avete vista anche
voi, no? E’ stata bravissima, non c’è da
preoccuparsi. Ma se scoprono che noi
eravamo nella Foresta Proibita, toglieranno come minimo 300 punti a
Grifondoro.
A testa. Ora torniamo al castello, prima che qualcuno ci
scopra.”
Spaventati
da quella prospettiva, i due ragazzi non obiettarono più, ma
Harry rimase tutto
il giorno affacciato alla Torre di Grifondoro, nella speranza di veder
comparire Oleander. Anche Ron ed Hermione, comunque, non erano
tranquilli: il
primo perse clamorosamente una partita a scacchi con Seamus e la
seconda non
riusciva a star seduta al tavolo a studiare per più di un
quarto d’ora di fila.
Il
filo di fumo non si muoveva più ed Oleander si sedette su un
masso, incerta sul
da farsi; a detta di Hagrid quella foresta doveva essere piena di
creature
magiche: unicorni, centauri, lupi mannari “Ed
anche mostruosi ragni giganti.” ricordò
a se stessa, ma per il momento
nessuno si era fatto vivo.
Accadde
poco dopo: uno scoppio molto forte, come un petardo. Oleander
balzò in piedi,
aggrottando la fronte. Il fumo, che fino a quel momento era rimasto
sospeso
sopra il collo dell’ampolla a roteare su se stesso in pigre
volute, si disperse
in mille rivoli sempre più piccoli e sottili, fino a
scomparire del tutto.
Prima
di riuscire a capire che cavolo stesse succedendo, udì un
sibilo e si piegò
velocemente per evitare due pietre lanciate a tutta
velocità, dopodiché dovette
mettersi a correre per sfuggire ad un grosso masso che la inseguiva
"Aguamenti!" lo innaffiò a dovere per renderlo inoffensivo.
Persino
il terreno le volò addosso, cercando di accecarla "Protego!"
Si
appoggiò al tronco di un albero per riprendere fiato.
Sentì qualcosa di viscido
colarle sul collo ed insinuarsi sotto il vestito e lo toccò
con una smorfia di
disgusto: era il liquido del vaso.
Alzò
lentamente lo sguardo e vide che quella cosa colava da tutte le parti:
dalle
punte degli aghi degli abeti, dalle pietre, fuoriusciva dal terreno.
Deglutì
nervosamente: quello era proprio un bel casino! Qualcosa
saettò verso di lei,
un attimo dopo sentì due dolorosissime punture sul polpaccio
sinistro e si
rifugiò dietro il tronco, mentre sentiva altre di quelle
cose conficcarsi nella
corteccia, facendone schizzare via alcuni pezzi.
Cautamente
si toccò il polpaccio e ne estrasse due schegge insanguinate
"Che
male!" mormorò. Ripulì i due frammenti e si
accorse che erano di porcellana,
bianca, sulla quale si intravedevano brandelli di disegni dorati. “Il vaso... il vaso è esploso,
è andato in
pezzi!” pensò, ma non ebbe il tempo di
lasciarsi prendere dal panico,
perchè dovette scansarsi e cercare un altro riparo,
perchè quello venne
investito da numerosi dardi bianchi, mentre il liquido del vaso, senza
più
alcun contenitore, galleggiava nell'aria come una nebbiolina leggera;
lo
attraversò coprendosi gli occhi con un braccio, ma non
potè evitare di
respirarlo ed inghiottirlo: se l’odore non era buono, il
sapore era cento volto
peggio, le sembrava di aver mangiato un pezzo
dell’imbottitura di un vecchio
divano polveroso.
Oleander
si difendeva con una serie di Aguamenti, Protego ed Impedimenta, ma era
ben
consapevole che per risolvere il problema alla radice serviva ben
altro.
Raggiunse un punto della foresta che sembrava ancora incontaminato col
fiato
corto; si rese conto che stringeva ancora i due frammenti di ceramica
che si
era estratta dalla gamba. Guardando il materiale poroso che aveva
assorbito il
suo sangue, capì.
Il
fatto che il vaso di Pandora fosse uscito da Schloss Berth senza
problemi.
Il
fatto che la barriera di suo padre non avesse rilevato
l’intrusione di alcuna
forma vivente.
Il
fatto che il ladro sembrava non avere alcun tipo di obiettivo, colpendo
a
casaccio.
Il
fatto che nessuna persona sospetta fosse mai stato avvistata vicino ai
luoghi
degli attacchi.
"Non
c'è nessun ladro. Non c'è mai stato." le
sfuggì una risatina nervosa e
isterica, pensando al fatto che, per sei mesi, aveva dato la caccia ad
un
fantasma.
Dopo
tutti quei secoli lì dentro, il liquido aveva corroso e
penetrato lo stato
impermeabile della ceramica, impossessandosi del vaso stesso. "In
pratica
il vaso si è rubato da solo. Che piccolo vasetto
dispettoso!" Si figurò il
vaso che, stanco di restare in bella mostra nella sua teca a Schloss
Berth,
levitava con grazia fino alla finestra, l’apriva e si dava
alla fuga: via,
verso la libertà! Oh, avrebbero dovuto disegnarci delle
primule rosse su quella
ceramica. La cosa le sembrava oltremodo comica e non riuscì
a trattenere le
risate.
Probabilmente
il vaso aveva usato il liquido magico contro tutti quelli che gli si
erano
avvicinati, nel timore che lo riportassero indietro "Non erano tutti
inseguitori, stupido d’un contenitore! – altre
risate convulse – D’altronde è
solo un vaso, mica una calcolatrice od una scacchiera, non poteva avere
chissà
quale mente sopraffina. Chissà se è ancora in
garanzia? Beh, comunque io
l'avrei costruito molto meglio!" e poi fu colta da un nuovo attacco di
risa irrefrenabili. Una parte di lei sapeva che non era normale, che
non c'era
nulla da ridere, ma Oleander non l'ascoltò, continuando a
sghignazzare per un
bel po' ed alla fine le venne pure il singhiozzo. “Forse
è solo la tensione che hai accumulato in questi mesi e la
sorpresa per il modo semplicemente idiota in cui si conclude la
vicenda.”
disse a se stessa quando riuscì a calmarsi. Dal fondo del
bosco provenivano
rumori e scricchiolii: se un'intera parte di foresta si fosse animata,
sarebbero
stati guai seri.
Riprese
la concentrazione: occorreva un nuovo contenitore e con una certa
urgenza.
Gettò
tutto attorno degli incantesimi Impedimenta per avere più
tempo, si tolse la
piccola borsa che portava a tracolla, la aprì e la
rovesciò a terra: uscì una
quantità di materiali ed oggetti tripla rispetto alla
dimensione della sacca.
Oleander li selezionò velocemente, con aria professionale:
argilla nera, sabbia
del deserto dei Tartari, acqua di iceberg antartico e resina di alga
nori per
il nuovo vaso mischiata a polvere di ossidiana mogano per bloccare la
negatività del liquido e poi fluorite per il coperchio ed il
sigillo. Lavorò
con destrezza, ripetendo gesti consueti, senza ombra di incertezza,
ignorando
completamente gli schianti e gli stridii che si avvicinavano alle sue
spalle ed
in breve ebbe tra le mani un nuovo vaso. Non era bello come il fine
contenitore
che aveva fatto bella mostra di sé nella sala dei tesori di
Schloss Berth, al
confronto era grezzo, bitorzoluto e storto, ma la ragazza era certa che
non
avrebbe più dato problemi. Ora tutto stava nel riuscire a
rinchiudere il
liquido là dentro. Si voltò nella direzione dalla
quale provenivano i rumori;
ebbe un capogiro e la vista le si annebbiò per un istante,
così intravide
soltanto una forma indefinibile, composta da un agglomerato di tronchi
d’albero
spezzati, pietre e terriccio tenuti insieme da quel liquido malefico
avanzare
verso di lei. Si sfregò gli occhi con il dorso della mano
cercando di rimettere
a fuoco il mondo attorno “Sei solo
stanca, perché non sei abituata ad usare così
tanti incantesimi in una volta
sola.” Ora però doveva fare un ultimo
sforzo: strinse il vaso al petto, lo
toccò con tre tocchi di bacchetta magica e recitò
ad alta voce:
“Libero
e senza
forma non puoi restare,
i tuoi
danni sono
decisa a bloccare!
Per sempre
in
questo magico vaso sarai rinchiuso,
il tuo
vagare per
il mondo si è qui concluso!
Dei
progenitori
invoco la forza ed il coraggio:
sostenete
la mia
mano ed armate il mio braccio!”
Oleander
tese il vaso aperto avanti a sé e le gocce del liquido,
prima sporadicamente,
poi sempre più numerose, vennero attirate
all’interno del contenitore, come se
si trattasse di un potente aspirapolvere. Quando tutto il liquido fu
entrato,
Oleander lo tappò, sigillandolo con la fluorite. Aveva il
fiato corto e le era
scoppiato un mal di testa terrificante, tuttavia provò un
senso di trionfo
sollevando il vaso sopra la testa “Ti ho preso,
bastardo!” ridacchiò. Fece per
muovere un passo, ma le parve di inciampare in qualcosa e cadde; il
vaso le
sfuggì dalle mani e cadde, ma non si fece il minimo danno
“Visto? Visto? –
rideva con una strana luce negli occhi – lo dicevo che il mio
era migliore.” Prese
a sghignazzare in maniera scomposta, ma questa volta capì
che qualcosa non
andava, non si stava comportando da persona normale e solo con un
grande sforzo
riuscì a smettere, anche perché adesso iniziava a
provare una certa
inquietudine. Guardò verso i suoi piedi, per capire in cosa
avesse inciampato,
ma lì non c’era proprio niente. Provò a
muoverli, ma le sue gambe scalciarono
un paio di volte come un cavallo imbizzarrito e poi non si mossero
più. Le dita
delle mani le pizzicavano ed erano addormentate ed intorpidite, come se
la
circolazione del sangue non funzionasse più a dovere. Il mal
di testa si fece
lancinante, impedendole di pensare e respirare le divenne estremamente
difficile, come se sul torace qualcuno le avesse poggiato un masso di
diverse
tonnellate.
Un’ombra
di realizzazione avanzò nella nebbia della sua testa
dolorante: veleno, quasi
sicuramente. Il liquido era velenoso e lei ci aveva praticamente fatto
il bagno,
lo aveva respirato, lo aveva inghiottito e quando le schegge
l’avevano ferita,
era entrato in circolo nel sangue.
Uno
degli ultimi pensieri lucidi che ebbe fu che quel deficiente di
antenato che
aveva sigillato il vaso avrebbe dovuto avvisare che il contatto
prolungato con
il liquido era letale, invece di preoccuparsi dell’estetica
del contenitore.
Poi
le forze la abbandonarono: provò ad invocare il nome di
Severus, ma produsse
solo un flebile lamento e perse conoscenza.
Dopocena
Harry, Ron ed Hermione bussarono con insistenza alla porta della camera
di
Oleander, senza ottenere alcuna risposta. “Non è
ancora tornata, è tardissimo.
Ho paura che le sia successo qualcosa.” Il ragazzo dagli
occhi verdi era
preoccupatissimo ed il suo stato d’animo aveva contagiato
anche i suoi amici:
al diavolo i rimproveri e le punizioni. “Hai ragione Harry,
dobbiamo dirlo a
qualcuno.” Disse Ron. Ma chi? Il solo pensiero di dover
affrontare Silente
gettava Harry in uno stato di profonda vergogna. Con la professoressa
McGranitt
sarebbe stata dura ugualmente e Silente lo avrebbe scoperto lo stesso,
ma forse
era meglio. Hermione si voltò e soffocò un grido
di spavento: alle loro spalle
era arrivato, silenzioso come sempre, il loro professore di pozioni
“Dire cosa
a chi, signor Weasley?” chiese in un sibilo.
Piton
si era svegliato da poco, prima aveva riferito del suo incontro con
Voldemort a
Silente e poi era andato a cercare Oleander: aver visto Potter ed i
suoi
amichetti del cuore davanti alla sua stanza lo aveva irritato, ma aver
colto
quella frase lo aveva reso inquieto.
Harry
lo guardava storto: di tutti i professori Piton era certamente
l’ultimo con cui
ne avrebbe parlato, poi però le venne in mente,
chissà perché, una frase che
aveva detto Oleander subito prima delle vacanze di Natale: “Dovreste concedergli una
possibilità, perché lui… potrebbe
sorprendervi.” Il ragazzo ne dubitava fortemente,
ma la loro amica poteva
essere in pericolo “Si tratta di Oleander: è
andata nella Foresta Proibita ad
inseguire il ladro del vaso di Pandora, ma sono passate diverse ore e
non è
ancora tornata. Noi…”
Piton
in effetti lo sorprese, perché non perse tempo ad ascoltare
la conclusione del suo
racconto e corse via. Raggiunse i margini della Foresta e vide il suo
manico di
scopa; le parole di Potter si ripetevano nella sua mente come un disco
rotto: "Sono passate diverse ore…"
"Oleander!" Temeva di non riuscire a ritrovarne le tracce, ma la
vernice luminosa prima e la devastazione degli alberi poi, furono
facili da
seguire. "OLEANDER!" gridò più forte, cercando di
ignorare la nota di
panico che si era insinuata nella sua voce. Non ottenne alcuna
risposta;
qualche altro metro e si rese conto che in quella foresta sembrava
essere
successo il finimondo: alberi schiantati e spezzati, zolle rivoltate e
un lungo
e profondo solco che si inoltrava sempre più nel fitto del
bosco. E poi la
vide: lì, sdraiata a terra a faccia in giù,
immobile, un vaso stretto fra le
mani.
Tutto
sembrò fermarsi, congelato in un gelido istante, il mondo
smise di girare, il
suo cuore smise di battere, il terrore di averla persa, di dover
continuare a
vivere senza di lei, gli impedivano di muoversi. Chiuse gli occhi, come
a voler
cancellare quell’immagine. Quante volte, quando era un
Mangiamorte aveva visto
persone a terra così, prive di vita? La cosa gli era sempre
scivolata sopra,
senza che provasse nulla. Ma adesso non riusciva a muovere un passo,
impietrito
dall’angoscia.
"Non
sei più l'uomo che eri in
passato, Severus."
Il
ricordo di quelle parole, del suo volto sorridente lo scossero dal
torpore:
corse verso di lei e la voltò. Era inerte, molle, ma ancora
calda. Le prese una
mano con l’intento di tastarle il polso, quando vide delle
strane macchie sulla
pelle: dalla punta di ogni dita si irradiavano verso il braccio delle
linee
verde scuro, come dei brutti tatuaggi. Anche l'altro braccio era uguale.
Veleno,
senza alcun dubbio. La lucidità ebbe velocemente il
sopravvento sul panico
dell’uomo: ne riconobbe all’istante il tipo e la
natura e la sua mente già
elencava gli ingredienti per un antidoto appropriato.
Le
linee si stavano espandendo sempre più verso il centro del
suo corpo e se
avessero raggiunto il suo cuore...
"Non
lo faranno, non lo permetterò.” La
sollevò con facilità tra le sue braccia;
quando la testa di Oleander ricadde all’indietro ciondolando,
nuovamente un
soffio gelido di terrore gli attraversò la mente, ma si
sistemò meglio la donna
tra le braccia e le sussurrò piano ad un orecchio
“Adesso sarò io a prendermi
cura di te, resisti solo un altro po’."
La
portò direttamente nel suo laboratorio, la sdraiò
su un tavolo, buttando a
terra con furia tutto ciò che si trovava sopra per farle
spazio e si mise
immediatamente a preparare un antidoto, dosando e mescolando con
sapienza gli
ingredienti nel calderone, lanciandole di quando in quando occhiate
preoccupate.
Un'ora dopo era pronto: pregava con tutto il cuore di essere ancora in
tempo;
le sollevò la testa e fece scivolare alcune gocce di liquido
ambrato nella sua
bocca. Con sollievo vide le macchie del veleno sul suo corpo
impallidire
progressivamente fino a scomparire del tutto.
Oleander
spalancò gli occhi di scatto, inspirando aria violentemente,
ritrovandosi a
fissare un soffitto scuro, smarrita. "Calmati, respira normalmente."
Severus entrò nel suo campo visivo e la ragazza
fissò lo sguardo interrogativo
su di lui.
"Il
liquido... il vaso... io ne ho fatto un altro, ma poi... cosa...? Non
ricordo..." mormorò parole confuse, ma Severus la
rassicurò: "Sei
stata avvelenata da quel fluido. Ma sei riuscita ad imbottigliarlo di
nuovo."
le mostrò il suo vaso in un angolo del laboratorio.
"Mmh...
ora ricordo, credevo di essere morta..." si mise a sedere e
scrollò la
testa, ancora leggermente intontita.
"Con
un esimio professore di pozioni a prepararti un antidoto? Mi offendi!"
cercò di scherzare lui, nonostante lo spavento che
s’era preso.
Oleander
lo guardò, era sul punto di ribattere con una solita battuta
delle sue, poi fu
colpita da una realizzazione e restò a guardarlo, sulle
labbra un sorriso che
si allargava sempre più “Hai visto?”
chiese infine.
“Cosa?”
“Mi
hai salvato la vita. Non è vero che sai solo fare del
male.”
Severus
l’abbracciò forte, di slancio, la fronte
appoggiata sulla sua, il respiro di
lei a solleticargli il volto, felice di sentirla viva, di sentirla sua.
Oleander, la donna che gli aveva teso la mano, sottraendolo a forza
alla sua
cupa solitudine. Le difficoltà non erano finite, anzi,
dovevano ancora
iniziare, ma ora un rinnovato vigore animava l’uomo, nuove
motivazioni lo
spingevano a portare a termine ciò che aveva promesso ad
Albus. Per un futuro
diverso anche per lui. Forse. Le incognite erano tante… ma
in quel momento non
voleva pensarci, voleva solo godersi la sensazione di lei contro il suo
corpo.
La sentì muoversi nel suo abbraccio e seppellire il viso
nell’incavo della sua
spalla.
Il
corpo di Severus era caldo, solido, confortevole… Oleander
pensava che aveva
trovato un uomo unico sotto tutti i punti di vista: sarcastico fino
all’eccesso, a volte ombroso e impenetrabile, ma anche
passionale al di là di
quella maschera di ghiaccio che amava mostrare al mondo intero, forte
nel
sopportare il suo fardello di colpe, coraggioso nella sua missione di
spia. Era
intelligente e, a suo modo, bellissimo, con quegli occhi penetranti che
ti
attiravano inesorabilmente come buchi neri e quei sorrisi ambigui che
potevano
voler dire qualsiasi cosa. Non sarebbero state tutte rose e fiori,
però, lo
sapeva bene! In molte cose erano agli antipodi: lei impulsiva,
accendeva il
cervello solo a metà dell’opera, lui calmo e
lucido anche nelle situazioni più
convulse, una cosa che le infondeva sicurezza incredibile, ma sapeva
anche
farla esasperare. Ci sarebbero state ancora scintille tra di loro e
litigate,
ma andava bene così: pian piano stavano trovando un
equilibrio tra il rispetto
e le baruffe. “Chissà se
tra molti anni
saremo come Angela ed Arthur, i due ritratti?”
l’idea la fece sogghignare
silenziosamente e menomale che in quel momento lui non le stava
leggendo nel
pensiero.
Severus
le accarezzava dolcemente la schiena e le spalle “Dovevi
avvertirmi, sarei venuto
con te.” le disse piano, senza un vero tono di rimprovero.
“Lo
so, non ci ho pensato, scusami.” Sprofondò ancora
di più il viso nel suo petto,
poi, a riprova del fatto che metteva in moto i neuroni a scoppio
ritardato,
solo in quel momento si rese conto di una cosa ed esclamò un
“Oh!” leggermente
allarmato.
“Cosa
c’è?” le chiese Severus, sciogliendola a
malincuore dall’abbraccio. Oleander si
morse le labbra, incerta su come affrontare la questione
“Promettimi che non ti
arrabbi.”
L’uomo
aggrottò la fronte “Non capisco, perché
dovrei arrabbiarmi?”
“Promettilo.”
insistette.
“D’accordo.”
rispose lui, poco convinto.
“Hai
per caso visto Harry, Ron ed Hermione? Stavano bene?”
“Sì
– Severus la guardò sospettoso –
perché?”
“Nulla,
nulla – minimizzò Oleander, lisciandogli una piega
dell’abito – solo un
marginale… marginalissimo coinvolgimento nel mio ultimo
inseguimento, però…”
“Potter!
– il nome gli rotolò fuori dalla bocca con una
smorfia di disgusto, come se
stesse parlando di uno scarafaggio gigante – Ci avrei giurato
che era
invischiato in questa faccenda.”
“Non
hanno fatto niente di male: Hermione è stata trascinata
nella Foresta e loro
due volevano aiutarla, ma sono riuscita ad allontanarli tutti e tre in
tempo.
Volevo solo sapere se erano tornati sani e salvi al castello. Visto che
è così,
direi che non è successo niente.”
“Quest’anno
Grifondoro può scordarsi di vincere la Coppa
delle Case.” Sibilò, con il vecchio ghigno
stampato sul
volto. Oleander, ancora seduta sul tavolo lo attirò a
sé con forza,
imprigionandolo in mezzo alle sue gambe “Avevi promesso che
non ti arrabbiavi. Andiamo
– disse in tono civettuolo – una volta tanto
potresti anche chiudere un
occhio.”
“Dovrei
avere un motivo valido, più che valido per farlo.”
mormorò, ad un soffio dalle
sue labbra, deliziato dalla piega che stavano prendendo gli avvenimenti.
“Mmh…
vediamo che si può fare.” rispose lei con un
sorriso ammiccante e lo baciò con
passione, in un umido strofinio di labbra e lingue, respiri affannati,
languidi
mugolii di piacere e mani che percorrevano i corpi.
“Temo
che dovrai impegnarti molto più di
così.” disse Severus dopo un po’, col
fiato
corto, mentre la liberava dalla camicetta con uno sguardo trionfante.
“Ai
tuoi ordini.” sussurrò la donna sul suo orecchio,
mentre gli sbottonava l’abito
con impazienza.
Severus
la spinse giù sul tavolo e poi quella notte non pensarono
più a nulla: né a
Potter e ai punti di Grifondoro, né ai parenti assillanti,
né a Voldemort.
Ci
furono solo loro due, Severus ed Oleander, persi nella loro passione.
==================================
Questa
è la conclusione della storia vera e propria, il prossimo
capitolo sarà un
epilogo che non aggiungerà molto, anche se in un certo senso
era doveroso. Modificherò
l’epilogo per rispondere ad eventuali recensioni.
La
storia del vaso posseduto dal liquido stesso che conteneva non mi
è venuta
subito, ma mentre ero a metà della scrittura della storia,
quando mi accorsi (pure
io accendo sempre i neuroni a metà strada -_-) che se avessi
dovuto introdurre
un ladro, avrei pure dovuto dargli delle motivazioni per il furto.
Così, dato
che in effetti non avevo mai mostrato nessun ladro, ho usato questo
escamotage.
@MistralRapsody:
grazie! Anche se compare poco, ci tenevo a rendere bene Lord Voldermort.
@Arabesque:
spero che il finale di questo capitolo mi riscatti
dall’essere una donna
crudele!
|
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Capitolo 11 *** Epilogo: Sulla collina ***
EPILOGO – SULLA COLLINA
Oleander
si guardò per l'ennesima volta allo specchio, controllando
che il foulard le
coprisse per bene il collo: quella mattina, scoprendoci un succhiotto
scarlatto, a momenti cacciò un urlo. Già era
abbastanza nervosa per il fatto di
dover tornare a Schloss Berth dopo vent'anni, le mancava giusto giusto
di
presentarsi con un morso d'amore in bella vista.
Severus
le aveva chiesto scusa in maniera molto sbrigativa ed indolente, ma si
capiva
che non era affatto dispiaciuto, di fatti si era fatto sfuggire un
sorrisetto
soddisfatto per il segno del lavoro di quella notte che le aveva
lasciato
addosso.
Tirò
un'ultima volta il bordo del foulard, fece un profondo respiro
dicendosi
"Coraggio" e attraversò l'immenso atrio di marmo, muovendo
con un
Mobilicorpus una cassa di legno. Il maniero era esattamente come se lo
ricordava, luccicante d’oro e di stucchi colorati, carico di
orpelli quali
lampadari con gocce di cristallo di Boemia, quadri con cornici enormi
ed
elaborate, tavoli e tavolini, clessidre, statuette e pendole in ogni
nicchia e
rientranza lungo il muro, tappeti persiani, passatoie cinesi e
decorazioni
ridondanti. Ricordava che, da bambina, attraversando quell'atrio, si
sentiva talmente
soffocare che le passava l'appetito.
Una
classe di ragazzi, eleganti nelle loro divise beige, uscì da
un'aula al primo
piano e si riversò sulle scale di marmo con un allegro
chiacchiericcio: un paio
di ragazze le lanciarono un'occhiata curiosa e poi bisbigliarono tra
loro:
"Dì, l'hai vista?"
"Sì,
è uguale alla donna del ritratto che c'è
nell'ufficio del vice-preside."
"Chi
sarà?"
"Silenzio
in corridoio!" esclamò una voce petulante in cima alle
scale. Miss Roth,
che a Schloss Berth aveva le stesse funzioni di Gazza ad Hogwarts ed
era, se
possibile, ancora più antipatica, sbucava fuori con
puntualità a rimproverare
aspramente i ragazzi non appena ne aveva l’occasione. Si
sistemò gli stretti
occhiali a goccia sul naso e, appena la vide, non potè
trattenere
un'esclamazione di sorpresa: "Fräulein Oleander?"
"In
carne, ossa e magia."
Tutta
agitata la donna sollevò la pesante gonna di lana cotta blu
scuro per non
inciampare sui gradini e le andò incontro "Ma... noi
l'aspettavamo per
domani! La cerimonia della riconsegna, il ricevimento…"
"Sa,
è principalmente per questo che sono venuta oggi a fare una
toccata e fuga."
"Oh!"
il tono dell'anziana custode era un perfetto mix tra indignazione e
disapprovazione, lo stesso con cui l'apostrofava sempre quand'era
piccola,
quando, a suo dire, aveva fatto qualcosa di male. D’altronde
una bambina che
non riusciva a superare la prova di ammissione alla scuola non poteva
essere
altro che una combinaguai patentata.
Ma
erano passati tanti anni e ora la sua vita era molto cambiata: il
ricordo non
la feriva più di tanto.
Anzi,
già che c'era, poteva togliersi qualche soddisfazione e
dirle una cosa che
aveva sempre avuto sulla punta della lingua "Miss Roth, lei sarebbe una
perfetta signorina Rottenmeier." e mordendosi le guance per non ridere
di
fronte alla sua espressione totalmente persa
(“Cos’è una signorina
Rottenmeier?” si chiedevano angosciati gli occhi color
castoro della
governante), Oleander raggiunse l'ufficio di suo zio.
"Disturbo?"
si affacciò sulla porta.
Il
Barone non sembrava affatto sorpreso di vederla e sbuffò
divertito "Miss
Roth mi deve 10 galeoni."
"Per
quale motivo?"
"Avevo
scommesso che non saresti venuta il giorno della cerimonia per la
riconsegna
del vaso."
“Ah,
è per questo che ha quell’aria incazzosa.
Più del solito, intendo. – Oleander
appoggiò di botto la cassa sulla scrivania di radica
– Il vaso è di nuovo qui e
per me la faccenda è chiusa; sia ben chiaro che non ho
alcuna intenzione di
partecipare ad una pomposa e noiosissima pagliacciata.”
Lo
zio alzò le spalle come a dire “Certo,
è lampante”, aprì la cassa e
studiò a
lungo il vaso, poi spostò gli occhi sulla nipote, che
sostenne il suo sguardo
con aria di sfida “Deluso? Pensi che sfigurerà
accanto agli altri tesori della
sala? Ti vergognerai a metterlo in mostra?”
“No,
affatto, è stupendo.” L’uomo era sempre
stato certo che la ragazza sarebbe riuscita
a portare a termine l’incarico affidatole. Ad Oleander non lo
disse, ma era
stato proprio lui a proporre e sostenere il suo nome durante
l’ultimo consiglio
di famiglia, nonostante l’incredulità degli altri
membri; questo perché, da
quando era iniziata quella storia, nella sua mente si era riaffacciato
spesso
un episodio risalente a molti anni prima, quando, proprio in
quell’ufficio,
aveva inavvertitamente origliato una conversazione tra suo fratello
Peter e la
moglie Ortensia:
I due
sono affacciati alla finestra,
guardano una bambina che gioca con due gatti nel giardino.
Lui ha
un portamento rigido, quasi
militaresco ed un abbigliamento austero ed elegante che si addice alla
sua
carica di vice-preside, lei indossa da comodi vestiti babbani (una
lunga
t-shirt e dei jeans strappati a zampa d’elefante) e siede
scompostamente sul
bracciolo di una poltrona.
“Non
c’è riuscita nemmeno quest’anno.
Ormai ha dieci anni, Ortensia, dieci anni.”
L’intonazione della voce di Peter
rivela profonda preoccupazione.
Ortensia
solleva un calice di passito,
ammirandone il colore in controluce, poi lo porta al naso, ispirando a
fondo
l’aroma dolce del vino. I capelli di un viola acceso e
brillante, quasi
metallico, tagliati in un caschetto perfetto, spiovono leggermente in
avanti.
Infine ride: non di scherno, né di disprezzo, né
di divertimento. E’ una risata
molto strana e se Raginmund dovesse darle una definizione a tutti i
costi,
direbbe che è rassicurante: in un suono cristallino
rimpicciolisce le
preoccupazioni di suo fratello a cose di poca importanza
“Tesoro, se continui a
preoccuparti di queste inutili sciocchezze, ti verranno i capelli
bianchi prima
del tempo.”
“Sciocchezze?”
Peter non è ancora
convinto del tutto, ma la risata della moglie ha avuto effetto ed il
suo viso
si rilassa.
“Oleander
non è una magonò, le do
lezioni di magia, gli incantesimi li sa fare lo stesso e meglio di
tanti altri
bambini, anche senza quella stupida prova.” Non sono
semplicemente le parole di
una madre che difende la propria bambina a tutti i costi, è
un’osservazione
intelligente e veritiera e detta in quel modo così sincero e
diretto, com’è
tipico di sua cognata, fa davvero sembrare l’antica cerimonia
delle bacchette
una stupida pantomima. Ortensia e la sua solarità hanno
quest’effetto.
Poi la
donna si alza e raggiunge il
marito vicino alla finestra: guarda anche lei la figlia e in quel
momento
Raginmund capisce che Ortensia non ha alcun dubbio sulle
capacità magiche di
Oleander, come se la donna fosse a conoscenza di qualcosa che le
infonde tale
sicurezza: vede il futuro della bambina e i suoi occhi sono privi di
qualsiasi
preoccupazione.
“Sì,
ma se non la supera, non potrà
frequentare questa scuola, è la regola!” suo
fratello insiste, pur sapendo che
la certezza di Ortensia non vacillerà per così
poco.
Un
sorriso malizioso si dipinge sul
volto della donna “Ma lei è mia figlia,
è normale che non segua le regole, è il
suo stesso corpo che si ribella ad esse. Lei troverà da sola
la sua strada,
traccerà da sola il suo futuro, anche se non sarà
qui. Quindi ti impongo di
smetterla di preoccuparti e di farmi compagnia mentre bevo.”
Gli punta
scherzosamente l’indice contro, con gli occhi di chi sa che
sarà l’altro a
cedere. Di fatti Peter le bacia teneramente una mano “Ai tuoi
ordini.”
Ortensia
beve un sorso di vino ed il suo
viso assume un’espressione molto soddisfatta “E
poi, sappi che le uve tardive
danno un vino delizioso.”
Quelle
parole avevano guidato Raginmund nella sua scelta e non aveva dovuto
pentirsene:
Oleander ce l’aveva fatta. Gli sembrò di sentire
la voce di Ortensia che gli
sussurrava scherzosamente all’orecchio: “Perché
tanta sorpresa, cognatino caro? Io non ho mai avuto dubbi su mia
figlia. Se voi
ne avete avuti, tanto peggio per voi, avreste dovuto ascoltare le mie
parole e
basta.”
Si
ritrovò a pensare che, se Ortensia fosse vissuta, i rapporti
tra quei due,
padre e figlia, sarebbero stati diversi, molte cose in famiglia
sarebbero state
diverse, ma il fragile legame che li legava si
spezzò con la sua
morte.
“Grazie
di tutto, Oleander.” L’anziano zio le
regalò un sorriso affettuoso, un
tentativo di chiederle scusa, perché anni prima loro,
adulti, si erano
comportati con lei, bambina, in modo stupido ed arrogante, isolandola
solo perché
non riusciva a passare una prova magica. Già, veniva da
chiedersi chi fossero
veramente i bambini in quella vicenda. “Penso che questo
episodio sarebbe degno
di essere ricordato in ‘Storia della magia Volume VI
– Storia contemporanea’, ti
va di essere citata?”
“Eh?
Sei impazzito? Meglio che me ne vada in fretta, prima che ti vengano
altre idee
malsane.” protestò la donna.
Poi
si appoggiò allo schienale di una sedia, guardandone i
complicati decori, la
fronte era corrugata, le labbra strette, gli occhi esitanti, come se
stesse per
chiedere qualcosa che le veniva molto difficile “Lui
dov’è?”
“Sulla
collina. – mormorò lo zio – Ci va quasi
ogni giorno.”
Oleander
allungò una mano verso un rigonfiamento nella sua tasca e lo
strinse
brevemente.
Dal
lato nord del castello partiva un sentiero di terra battuta che si
snodava
lungo un ruscello dall’acqua limpida e fresca, nel quale
d’estate guizzavano
veloci trote e temoli e che in quella stagione era ricoperto di
ghiaccio
scintillante ed era ridotto a un rivolo. A un certo punto il sentiero
abbandonava il ruscello e piegava verso est, salendo verso una dolce
collina,
dalla cima della quale si poteva godere una bellissima vista sulle alte
e
maestose montagne di granito, una visione che sua mamma amava
più di ogni altra
cosa, di fatti quando la stagione lo permetteva, loro due passavano
molte ore
sdraiate lì sul prato, commentando la forma delle nuvole o
osservando le
farfalle e le api che volavano instancabili. Oleander già
all’epoca aveva
sempre qualche strumento per le mani e si ingegnava in fantasiose
creazioni.
A
differenza di allora, un basso recinto di metallo chiuso da un
cancelletto,
circondava ora la cima della collina e al centro c’era una
statua raffigurante Ortensia,
seduta sulla lapide, le gambe raccolte sotto un’ampia gonna,
col viso alzato a
fissare per sempre le vette. Un uomo dai radi capelli grigi, dal
portamento
fiero, che l’età ancora non riusciva a far curvare
in avanti, fissava il
terreno a mani giunte. Al cigolio del cancello, si voltò e,
riconosciuta la
figlia, un’espressione stupita gli si dipinse sul volto.
Oleander fece un breve
cenno col capo e si fermò a qualche passo da lui.
“E’ bella.” disse dopo un
momento, indicando la statua.
"E'
solo una pallida imitazione di lei."
"Si
arrabbierebbe se ti sentisse parlare così. La mamma, voglio
dire. Ti direbbe
che non hai alcun rispetto per lo scultore che ha realizzato questa
statua."
“Hai
ragione. Non mi parlerebbe per una settimana.”
“Come
minimo. E se avesse bisogno di dirti qualcosa, ti manderebbe un
gufo.”
“Già.
Anche se fossimo nella stessa stanza.”
Una
struggente malinconia si impadronì di entrambi, padre e
figlia da sempre
distanti, allontanatisi l'uno dall'altra da reciproche incomprensioni,
ma più
vicini, ora, nel ricordo di Ortensia. Se in quel momento si fossero
scrutati le
menti reciprocamente, si sarebbero meravigliati di quanto simili
fossero i loro
pensieri: Ortensia non li avrebbe mai voluti vedere così
lontani. Avrebbe
sofferto... e si sarebbe arrabbiata. E poi... dio! Vent'anni! Erano
passati
vent'anni! Forse potevano anche smetterla di tenersi il broncio a
vicenda.
"Oleander,
io..." iniziò Peter Von Athala.
"Papà,
ascolta..." la voce della figlia si sovrappose alla sua.
Si
rivolsero un reciproco sorriso imbarazzato, poi l'uomo le fece cenno di
proseguire. Oleander si mise una mano in tasca, toccò la
carta, esitò, poi
guardò suo padre negli occhi ed estrasse la busta di
cartoncino telato color
crema. L'uomo la prese e sussultò, leggendo il suo nome e
riconoscendo la calligrafia
ampia e rotonda di Ortensia; cercò gli occhi della figlia
per una spiegazione.
"Sì, è una lettera della mamma, ed è
per te. Mi dispiace - disse Oleander
con sincerità, mortificata - mi dispiace tanto,
papà. Avrei voluto... avrei
dovuto dartela prima. No, veramente non avrei mai dovuto nasconderla,
ma io...
è che…" Peter la vide imprecare silenziosamente,
alla ricerca delle parole
e scompigliarsi spasmodicamente i capelli corti, e allora scosse la
testa, come
a dire che non doveva aggiungere altro "Ti ringrazio per avermela
riportata. Significa molto per me. Davvero." Strinse a sè la
lettera, come
una preziosa reliquia sacra.
Oleander
annuì, più calma, e si voltò per
andarsene: tra loro c'era stato tanto
silenzio, tanta distanza e non potevano essere cancellati tutti in una
volta
sola. Però era un inizio. Mentre riapriva il cancelletto,
suo padre la richiamò
"Come si chiama quel tuo negozio? Sai, magari, se un giorno fossi da
quelle parti, potremmo, che so, trovarci e bere qualcosa insieme, se ti
va..."
"Sì,
volentieri. Si chiama 'La Gemmapietra', ma a breve
trasferirò l'attività a Londra, in
Diagon Alley o ad Hogsmead, ancora non ho deciso. Ehm… ecco,
attualmente vivo a
Hogwarts - inconsciamente si toccò il foulard sul collo - e
usare la
metropolvere tutti i giorni per un tragitto così lungo
è davvero scomodo.
Magari potresti venire all'inaugurazione del nuovo negozio, posso
mandarti un
invito via gufo."
Peter
avrebbe voluto chiedere alla figlia il perchè di quel
cambiamento repentino e
perché ora vivesse presso una antica Scuola di Magia, ma
anche lui capiva che
il loro era un rapporto che andava ricostruito lentamente,
perciò disse
semplicemente "Sì, mi farebbe piacere."
Per
ora andava bene così: un ultimo cenno di saluto e Peter si
sedette sulla lapide
della moglie, a leggere la sua lettera, mentre Oleander tornava verso
Schloss
Berth: da lì avrebbe utilizzato una passaporta e avrebbe
fatto ritorno ad
Hogwarts, dove lei e Severus avrebbero sicuramente discusso,
perchè lui era
convinto che non andasse bene nè quel negozio sfitto in
Diagon Alley (troppo
vecchio), né quello a Hogsmead (troppo caro), lamentandosi
dell’inettitudine
delle donne a condurre le trattative d’affari e dicendole
che, se proprio ci
teneva a farsi truffare, le avrebbe presentato Mundungus; lei,
risentita, gli avrebbe
chiesto da quando, oltre che un esimio professore di pozioni, era
diventato
anche un consumato agente immobiliare e se c’erano altri
campi nei quali era un
luminare, così se lo sarebbe appuntato. Poi si sarebbero
guardati negli occhi e
avrebbero deciso di utilizzare le loro energie per fare qualcosa di
più
piacevole. Per fare l'amore, ad esempio.
Nemmeno
si rese conto di aver accelerato il passo.
FINE
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Ringraziamenti
e commenti:
Eccoci
arrivati alla parola fine: non volevo lasciare in sospeso le cose tra
Oleander
e la sua famiglia e al tempo stesso non mi andava giù un
happy end stile “baci
ed abbracci”, così ho optato per una soluzione
più sobria ed anche più in
linea, credo, con il personaggio che ho creato.
Come
si può intuire, la storia tra Severus ed Oleander prosegue, i
loro battibecchi
pure.
@MistralRapsody:
grazie davvero di aver seguito tutta la storia e per le tue bellissime
recensioni, che mi hanno fatto un enorme piacere. Un in bocca al lupo
per la tua
carriera accademica!
@Arabesque:
un seguito, dici? Ti rivelo un segreto: sto scribacchiando un paio di
cose. La
prima è una raccolta di one-shot su Severus ed Oleander, la
seconda una
versione alternativa del settimo libro, che ho giù iniziato
da un po’, ma che
non sono sicura di pubblicare, perché ha ancora diversi
punti oscuri che non
riesco a sviluppare bene ed io, per una mia politica, non pubblico mai
una
storia, se prima non ho finito di scriverla, almeno a grandi linee.
Molto
dipenderà dalla trama di DH e da come mamma Rowling
tratterà il personaggio di
Severus. Sarà, in ogni caso, una storia diversa da questa,
più corale,
incentrata sulla ricerca degli Horcrux, in cui Oleander avrà
un ruolo più
marginale, però c’è.
@Tweety
chan: esatto! Stessa cosa che ho pensato io.
@La Castellana:
sì, hai
ragione: spesso nei libri dire ad Harry di non fare qualcosa, equivale
invitarlo esplicitamente a farlo.
@Leonella:
figurati, le critiche, se motivate, le accetto volentieri ed il tuo
dubbio è
più che legittimo: quando Severus arriva nella Foresta
Proibita la barriera non
c’è più, perché il liquido
è giù stato rimesso nel vaso, quindi il suo
effetto
è finito.
Infine
ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, spero che vi sia
piaciuta
e che vi abbia strappato almeno un sorriso!
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Come promesso, ecco le risposte ai commenti all'ultimo capitolo: come sempre siete gentilissime, grazie!
@ MistralRapsody: sei bloccata? E' capitato anche a me per una ff; posso dirti che l'ispirazione ritorna quando meno te lo aspetti, non gettare mai la spugna, anche perchè stai scrivendo una storia bellissima.
@ Arabesque: Io mi son spoilerata un po' il settimo libro e... sì, penso proprio che scriverò ancora di Severus -_^
@ Tweety chan: grazie per le tue analisi molto lucide, mi sono state utilissime.
@ Jessica P: mmh, vedremo! Anche perchè, a mio giudizio, sono una autentica frana nel descrivere le scene NC-17 *blush*!
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