I diari di Elena

di Fiumediparole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Benvenuta a Mystic Falls ***
Capitolo 2: *** Tante domande, nessuna risposta. ***



Capitolo 1
*** Benvenuta a Mystic Falls ***


Capitolo 1
Caro diario,
Oggi sono atterrata in Virgina a Mystic Falls, qui è una tiepida giornata di maggio con l’estate che avanza timidamente. Zia Jenna è l’unica persona che mi è rimasta, oltre mio fratello Jeremy, da quando i nostri genitori sono scomparsi in un incidente stradale. Ci aspetta all’uscita dell’aeroporto con i suoi capelli biondi sciolti mossi leggermente dal vento, la camicetta celeste e i jeans, nessuno avrebbe mai scommesso che quella donna potesse avere più di 20 anni. In realtà non aveva nulla in comune con le sue coetanee trentenni.La sua figura slanciata si mise a correre verso di noi e ci strinse in forte abbraccio:
“Ciao Elena! Ciao Jeremy!”
“Ciao zia Jenna!”
“Com’è andato il viaggio?”
“Lungo troppo lungo ma tutto sommato è andato bene.”
Jeremy ed io siamo partiti dall’aeroporto di Roma,  è li che è i miei genitori hanno perso la vita ed è li che la mia vita è cambiata per sempre. Il viaggio in macchina è stato ancora più estenuante di quello in aereo dopo due ore di macchina siamo arrivati finalmente a Mystic Falls una piccola cittadina immersa nel verde dei monti circostanti, in effetti, non siamo mai stati molto abituati a tutto quel verde. Jeremy ed io siamo nati a Seattle e li di verde c’è né poco. La chiesa, la casa del sindaco Lockwood, la stazione della polizia, il liceo tutto sembra dipinto in maniera eccelsa, senza nessuna sbavatura. Fra tutte mi ha colpito una casa maestosa con le rifiniture in legno massiccio, un elegante viale costeggiato da siepi si estendeva sino al sontuoso ingresso. C’è qualcosa in quella casa che mi attrae, non so ancora bene cosa.
La casa di zia Jenna non è male. Ha un grande giardino e il portico. Da piccola ho sempre desiderato passare i pomeriggi estivi a leggere sul dondolo sotto un bel portico pieno di fiori profumati e magari d’inverno stare li ad osservare i primi fiocchi cadere con una tazza di thè fumante. La mia camera era profumata, il letto grande e avevo due grandi finestre dalla quale riuscivo a vedere la “casa di legno” che tanto mi attirava.
Durante il pomeriggio ho deciso di fare un giro in città, avevo voglia di stare un po’ da sola, da quando sono arrivata non ho avuto un attimo di pace. Un  pellegrinaggio incessante di persone che sono venuti a salutare i fratelli Gilbert come se fossimo l’attrazione del momento. I figli di Katherine e Jonathan, i sopravvissuti, gli orfani e naturalmente sono venuti a vedere come la zia scapestrata stesse gestendo la situazione.
Mi sono addentrata in uno dei boschi vicini per cercare di trovare un po’ di pace, per potermi sfogare e scrivere tutto quello che stavo attraversando sul mio diario, l’unico amico che ora mi è rimasto. Avevo cominciato a scrivere solo poche righe quando un ragazzo vidi un ragazzo, non sembrava avermi visto, passeggiava con l’ipod nelle orecchie. Approfittai del fatto che non mi aveva visto per continuare a scuola quando improvvisamente me lo trovai di faccia. Alzando gli occhi, la prima cosa che riuscì a vedere accecata dal sole furono le sue converse. Era bello straordinariamente bello, è l’unica cosa che si potrebbe dire. La pelle diafana rifletteva alla luce del sole, il suo viso che pareva scolpito era incorniciato dai capelli nero pece e da due occhi splendi, azzurri, che sembravo due cieli d’estate. Ricordo ancora cosa indossava quando incontrai per la prima volta Damon Salvatore, una t-shirt bianca che lasciava scoperte le sue braccia muscolose e un paio di jeans, gli stessi jeans che ancora oggi mi fanno impazzire.
“Salve ragazza solitaria”, sono le prime parole che mi pronunciò. I suoi occhi parvero penetrare i miei, mi sentì nuda davanti a lui come se tutti i miei pensieri improvvisamente svanirono. Il suo sguardo mi rendeva stranamente calma, come non lo ero da tanto tempo. Queste sensazioni però improvvisamente si tramutarono in nervosismo e fastidio. Non so come spiegarlo, come se una parte di me mi dicesse di continuare a parlare con quel ragazzo e un’altra parte invece tentava di mettermi in guardia.
“Come scusa?”
“Ragazza solitaria”
“E cosa ti fa pensare che io sia una ragazza solitaria”
“Beh te ne stai seduta in un bosco da sola a scrivere sul tuo diario, se non sei solitaria tu!”
“Forse per te è strano vedere una ragazza scrivere, magari sei abituato ad altri tipi di ragazze!” feci per alzarmi quando mi bloccò e disse con una calma incredibile “E’ meglio che sai che i boschi da queste parti non sono per le ragazze come te”.
Mi sono alzata e me ne sono andata  voltando le spalle a quel ragazzo di cui ancora non conosco il nome. Tornai a casa e trovai Jenna a preparare la cena, evidentemente la cucina non è il suo forte.
“Zia Jenna che ne dici se ordiniamo una pizza?”, Jenna mi guardò con uno sguardo complice e allo stesso tempo di scuse, “Chiamo subito, tuo fratello sai dov’è?”
Jeremy da quando sono morti i nostri genitori si era chiuso in se stesso, si era rifugiato nel disegno una passione ereditata da nostro padre. L’ho trovato a rovistare in cantina tra le vecchie cose di famiglia, tra le tante cianfrusaglie ho trovato uno strano libro, scritto in una lingua che non conosco. Sulla copertina c’è scritto  Katherine Pierce, il nome di mia madre. Che cosa significano quei segni sulle pagine di quel libro, perché c’è scritto il nome di mia madre non lo so. Ho chiesto a Jeremy di non dire nulla a Jenna. Non voglio che pensi che siamo messi a frugare fra le sue cose, che sarebbero anche nostre, a sole 12 ore dal nostro arrivo. Non voglio guai, voglio una convivenza pacifica e se è possibile piacevole. Non posso essere la ragazza triste per sempre, devo cominciare a reagire a questa situazione. Ormai sono consapevole che la vita che ho lasciato a Seattle non ritornerà più, la spensieratezza degli anni passati lì insieme ai miei genitori. Siamo stati una famiglia felice, ci accontentavamo di stare insieme. Ci bastava poco per ridere insieme, un gioco, una battuta, una smorfia. C’era una strana alchimia tra di noi che ci rendeva inseparabili.
Durante la cena Jenna ha riempito siamo me che Jeremy di domande su cosa ci piacerebbe fare, su come ci è sembrata la città, se avessimo avuto delle preferenze. Dopo la cena sono salita nella mia camera, la mia mente cerca di dare significato a quello strano libro che avevamo ritrovato in cantina. Mentre stavo seduta alla scrivania a scrivere dalla finestra sono riuscita a scorgere il ragazzo del bosco entrare nella “casa di legno”. Che meravigliosa giornata. Sono finita in un posto sperduto in mezzo alle montagne, dove non conosco nessuno, dove devo ricominciare tutto daccapo e il ragazzo più irritante ma anche più affascinate della città è anche mio vicino. Mi sono stupita di me stessa quando mi sono scoperta a fissarlo mentre saliva una scalinata di legno illuminata e mentre riappariva in quella che probabilmente doveva essere la sua stanza. Improvvisamente è  apparso un altro ragazzo che dava le spalle alla finestra. Chi sarà mai quest’altro ragazzo? Sembrano litigare in maniera molto animata, ho pensato quasi che venissero alle mani. Il ragazzo del bosco si è girato verso la sua finestra e mi ha sorpresa con le mani nel sacco. Un sorriso beffardo si è dipinto sulle sue labbra mentre con una mano ha cominciato a salutarmi. Chiusi la tenda di scatto mentre le mie guance andavano a fuoco. Come diavolo ha fatto a vedermi nel buio della mia stanza? La figura della maniaca come primo giorno in questa città mi manca.
Mi metto sotto le coperte e aspetto che il sonno viene a prendermi, domani mattina sarà il mio primo giorno nel nuovo liceo. Non ho nessuna voglia di incontrare altre persone ma non posso essere la ragazza triste per sempre, devo andare avanti come ho già detto e non c’è modo migliore di farsi nuovi amici. Nell’istante stesso in cui ho scritto queste parole i miei occhi, si sono riempiti di lacrime che adesso rigano il mio viso.

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Capitolo 2
*** Tante domande, nessuna risposta. ***


Capitolo 2
Caro diario,
oggi è stato il mio primo giorno di scuola al liceo di Mystic Falls. È stato un completo disastro, sono stata sull’orlo di una crisi pianto per tutta la giornata. Non so cosa mi sia preso ma sono stata tormentata tutta la giornata da strani presentimenti, credo sia dovuto al fatto che stanotte non ho dormito bene. La mia nottata è stata un susseguirsi d’incubi e brutti ricordi. Ci siamo Jeremy ed io seduti in una stanza bianca, penso di conoscere perfettamente quella stanza, conosco ogni singola mattonella, ogni singolo segno di quelle pareti così bianche, così fredde. In quella stanza ho passato le sei ore più lunghe della mia vita, ci sono volute sei ore prima che qualcuno mi dicesse che i miei genitori erano morti e che adesso eravamo soli. Jeremy comincia a urlare, a prendere a pugni qualsiasi cosa gli capiti davanti, io invece rimango ferma, immobile come se avessi dovuto dare tempo alla mia mente di abituarsi a quella parola, ”morti”.  È stupido da dire ma io non avevo mai pensato ai miei genitori morti, non avrei mai creduto potesse accadere così improvvisamente, senza nessun motivo. Siamo partiti per Roma perché mia madre doveva tenere una conferenza, su non so quale argomento di storia, non ne ha mai voluto parlare, anzi sembrava molto tesa. Il giorno della conferenza l’incidente, non ricordo nulla di quel momento, come se qualcuno avesse eliminato dalla mia mente quegli istanti. Solo che ultimamente è come se questi “non ricordi” stessero cercando di venire fuori, cercano di farsi spazio nella mia mente e questo è estenuante. Durante la notte è come se il mio cervello cercasse di mettere a fuoco quello che è successo, come se volesse mettere apposto i pezzi di un puzzle. Il referto della polizia italiana non lascia molto ai dubbi, una tragedia, un errore umano, un colpo di sonno e l’auto si è ritrovata catapultata in un torrente. L’unica cosa che ricordo che nel momento stesso dell’incidente i miei genitori si sono guardati negli occhi e poi il buio. Ho sempre pensato che quel gesto fosse stato un loro addio, come se avessero avvertito il pericolo ed è stato il loro modo di salutarsi. Questo è l’ultimo ricordo che ho di loro insieme e questo ricordo ogni notte appena chiudo gli occhi viene a farmi visita.
Nel liceo di Mystic Falls tutto mi ricorda mia madre. Amava raccontarmi delle sue avventure giovanili con le sue migliori Liz Forbes che oggi è lo sceriffo e Carol Lockwood la moglie del sindaco. Da quello che mi raccontava, sembravano essere indivisibili le une dalle altre, nessuno si era mai messo tra di loro. Poi un giorno mia madre decise di trasferirsi a Seattle per frequentare l’università e li ha incontrato mio padre, un giovane professore di archeologia. Oggi ho persino visto una foto appesa nella bacheca dei veterani della scuola tre, giovani, sorridenti e con la divisa da cheerleaders. Mia madre non mi aveva mai detto che fosse stata una cheerleader, ricordo quante storie fece quando entrai nella squadra del mio vecchio liceo. Erano davvero belle. Mia madre aveva una lunga coda di cavallo e un sorriso smagliante che l’ha sempre contraddistinta. Mi sono ripromessa di andare a trovare sia lo sceriffo sia la moglie del sindaco, magari loro sapranno dirmi qualcosa in più sulla giovinezza di mia madre. Penso di essermi soffermata troppo davanti a quella foto perché sentì qualcuno appoggiare una mano sulla mia spalla, feci per asciugarmi le lacrime che scendevano da sole sul mio viso senza che io potessi farci niente e mi girai verso quella mano.
“Stai bene?”
“Mhm, si! Più o meno, non sapevo che questo liceo mi avrebbe ricordato mia madre più di casa mia.” Davanti a me c’era un ragazzo dai capelli castani e due occhi castani, la sua mano continuava a indugiare sulla mia spalla. Aveva un tocco così delicato che quasi me ne dimenticai, mi hanno tradito solo i miei occhi che si sono posati sulla sua mano. Una mano dalle dita affusolate, una carnagione chiara e uno strano anello al dito con sopra inciso quello penso che sia uno stemma di famiglia. Deve aver letto il mio imbarazzo perché non appena posi gli occhi sulla mano, lui la ritirò a se.
“Sicura di stare bene?”
“Si, penso di farcela!”
Neanche il tempo di finire la frase che sul suo viso si dipinse un sorriso rassicurante pieno di dolcezza che mi tranquillizzata all’istante.
“Bene! Non ci siamo ancora presentati. Io sono Stefan Salvatore.”
“Elena… Elena Gilbert.”
“Ciao Elena!” e di nuovo si è dipinto sul suo viso un rassicurante sorriso. Dopo di che si è voltato e se n’è andato lasciandomi li inchiodata, incapace di fare qualsiasi movimento. Sono rimasta a fissarlo darmi le spalle e allontanarsi, ogni suo passo era un movimento perfetto, ogni suo singolo movimento pareva far parte di una più grande perfezione. E a quanto pare non sono l’unica a pensarlo visto che non c’è stata una ragazza in tutto il corridoio che non si fosse girato per vederlo. Il suono della campanella mi ha riportato nella dimensione reale. Le lezioni sono state un susseguirsi di presentazioni e una lotta continua nel ricacciare le lacrime. Tra i professori il più interessante è senza dubbio quello di storia, Alaric Saltzman. La sua è stata praticamente l’unica lezione che sono riuscita a seguire. Le sorprese della giornata non sono finite perché nelle ore di storia ho come compagno di classe il mio vicino di cui ora so il nome, Damon.
“ Ci si rivede ancora”
“La città è veramente troppo piccola…”
“Così piccola che guardando da una finestra si spia la vita degli altri”
Sono stata beccata in pieno. Quelle parole mi hanno fatto avvampare il viso, mi sono vergognata come non mai. Come avevo potuto farmi beccare in questo modo così umiliante.
“Io non spiavo nessuno…”, mi ha madre mi ha sempre detto che dovevo imparare a mentire meglio. Infatti la mia dichiarazione ha dato libero sfogo alla sua ilarità con una fragorosa risata.
“Certo! Se volevi vedermi senza maglietta bastava chiedere!”
Beh il mio vicino oltre ad essere irritante è anche presuntuoso. Che strano tipo che è.
Al mio rientro a casa Jenna sembrava irrequieta, nervosa, come se c’era qualcosa che voleva dirmi e non riusciva a farlo.
“Zia Jenna tutto okay?”
“Certo! Perché?”
“Sembri stana”
“No, sono solo un po’ stanca. Oggi ho dovuto lavorare ad una relazione che mi ha succhiato via tutte le energie”
“Vuoi che ti aiuti con la cena?”
“Mi farebbe davvero piacere!”
Abbiamo cucinato, chiacchierando un po’ di tutto. Del primo giorno di scuola, della giornata trascorsa. Gli ho detto dell’incontro con Stefan Salvatore e con Damon Salvatore, si i due ragazzi misteriosi sono fratelli che non potevano essere così diversi, non mi è sembrata molto entusiasta, anzi mi ha raccomandato di passare meno tempo possibile con entrambi perché a suo dire, sarebbero dei tipi strani. I discorsi sui fratelli Salvatore che sembrano seguirmi come due ombre in questa città non distrassero molto Jenna.
“Ieri tu e Jeremy avete per caso toccato gli scatoloni giù in cantina?”
Ho dovuto raccogliere tutte le mie forze e fare il viso più tranquillo del mondo. Jeremy ed io avevamo lasciato tutto come avevamo trovato e di certo Jenna non sembra una maniaca dell’ordine considerando le condizioni della sua stanza.
“Quali scatoloni?”
“Niente, lascia stare”
Non capisco proprio come Jenna si sia potuta accorgere che avevamo rovistato tra quegli scatoloni. Dopo cena sono andata in camera di Jeremy.
“Zia Jenna mi ha chiesto degli scatoloni mentre stavamo preparando la cena!”, lo sguardo di mio fratello non mi è sembrato molto stupito della notizia, infatti, si è subito chinato sotto il letto e ha cacciato fuori quello strano libro di mia madre.
“Jeremy ti avevo detto di lasciarlo li dov’era! Non voglio guai con zia Jenna!”
“Calmati Elena! Questo libro è di mia madre e quindi è giusto che lo teniamo noi!”
“Si, ma magari avremmo dovuto chiedere il permesso! Forse zia Jenna aspettava il momento adatto per consegnarci le vecchie cose di nostra madre!”
“Non sei curiosa di sapere cosa significano questi segni?”
“Lo sono, ma non saprei da dove cominciare a cercare…”
“Ho fatto delle ricerche pare che la nostra famiglia sia una delle famiglie fondatrici di questo paese e questo libro è un cimelio di famiglia che è tramandato ad ogni donna nata”
“Se così fosse allora, dovrebbe appartenere a zia Jenna!”
“Dovrebbe essere cosi, però stamattina presto sono riandato in cantina per prendere il libro e ho trovato anche questa”.
“Una lettera?”
“Si, di nostra madre, è indirizzata a te”
Allungai la mano e mi accorsi che stavo tremando, alzai gli occhi su Jeremy:
“L’hai letta?”
“No.”
Una lettera? Perché mia madre avrebbe dovuto lasciarmi una lettera? Quando l’aveva scritta e perché si trovava tra le cose della sua giovinezza? Perché zia Jenna non me ne aveva ancora parlato? Che cosa sta succedendo? Sento come se in questo posto tutti sappiano qualcosa di più rispetto a quello che so io, o almeno rispetto a quello che credevo si sapere fino ad oggi. Sono solo due giorni che sono arrivata qua ed ho come l’impressione che la mia vita stia per essere stravolta ancora una volta.
Chi sono? Da dove vengo? Che cosa vogliono le persone da me? Cosa si aspettano che faccia?
Chi è Stefan Salvatore? Perché mi sento così attratta e allo stesso tempo spaventata dal mio vicino?
Penso di impazzire caro diario. Ho troppi interrogativi e la lettera non ne ha risposto nemmeno ad uno.

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