Pockets of beauty in a sea of ugliness

di warmmyheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sarà così vuota la scuola senza di te. ***
Capitolo 2: *** "E mi sembra di vederlo arrossire." ***
Capitolo 3: *** Il suo sorriso così sincero mi rilassa. ***
Capitolo 4: *** - Figurati, l'importante è che tu stia bene.. - ***
Capitolo 5: *** Sa farmi ridere, sa farmi stare in pace con me stessa. ***
Capitolo 6: *** L'unica ragazza che mi sia mai piaciuta davvero. ***
Capitolo 7: *** Gelosia portami via! ***
Capitolo 8: *** Let's have a party! ***



Capitolo 1
*** Sarà così vuota la scuola senza di te. ***


- Elettra.
Sarà così vuota la scuola senza di te.


Oggi la sveglia suona. Erano tre mesi che non suonava. Mi chiedo perché stia suonando. Con quel suo trillo fastidioso mi trapana le orecchie. Cerco di mettere a fuoco il calendario appeso al muro e vedo una casella cerchiata di rosso. Non dirmi che è oggi il 12 settembre. Oddio, è un disastro. È il primo giorno di scuola. E me lo ero completamente dimenticata! Credo di non aver preparato niente la sera prima. Guardo la sedia dove di solito appoggio la cartella che preparo in anticipo, ma è vuota. Ecco fatto, non sono per niente pronta per andare a scuola.
Mia sorella entra in camera mia urlando con la sua voce fastidiosa facendo molto baccano.
- Ele! Ele! Ele! Ele! - strilla. È fastidiosa.
- Lo so come mi chiamo! - le rispondo tirandole il cuscino in faccia.
- Stupida mi rovini il trucco! - grida. È fastidiosa!
- Ma ti trucchi per andare a scuola? Stupida sarai te! - mi alzo a fatica.
- Non ti permetto di insultare il mio stile di vita! - urla. È fastidiosissima!
- Da quando in qua hai uno stile di vita tuo? Senti esci da questa camera prima che ti faccio andare a scuola con il segno delle cinque dita in faccia. Esci! -
- Isterica! - la sento dire dopo aver sbattuto la porta. Sbuffo e inizio a prepararmi.
Oggi è il mio primo giorno di scuola. In una scuola diversa da quella dell’anno scorso. Lì mi trovavo male. Molto male. Ripenso a tutto quello che è successo l’anno scorso intanto che mi vesto.
Ho litigato a morte con tutti i miei compagni di classe.
Sono quasi stata picchiata da un gruppo di ragazzine di seconda.
Un po’ di professori hanno minacciato più volte di sospendermi.
Una professoressa l’ha fatto davvero.
Peccato che i miei voti fossero troppo alti per venire bocciata.
Ringrazio mia madre per avermi proposto di cambiare scuola. Chissà perché non era venuto in mente prima a me.
Mi chiedo cosa c’era, o cosa c’è, in me che non andava, o che non va.
È il mio carattere troppo sbagliato? O sono gli altri che non sanno accettarlo?
Sono io che non vado bene agli altri, o sono gli altri che non vanno bene a me?
Me lo sono chiesta così tante volte. La me sincera pensa che non sia fatta per  stare con gli altri. Ma alla me egocentrica piace pensare che sono gli altri a non essere fatti per stare con me.
Un messaggio della mia migliore amica mi riporta dal pianeta sconosciuto dei miei pensieri sulla Terra.
“ Sarà così vuota la scuola senza di te.”
Già, lei era la mia salvezza in quella scuola che mi disprezzava. Gaia era quello spiraglio di luce che di notte non mi fa sentire la paura, quella boa che mi serve da punto di riferimento nel mare infinito. Chissà come sarà quest’anno la scuola senza di lei.
“Mi mancherà non averti come vicina di banco.” rispondo.
- Ok mamma sono pronta, vado, ci vediamo per ora di pranzo. - grido aprendo la porta.
- Ele hai preso tutto? - chiede mia mamma correndo verso di me.
- Sì, mamma.
- Sai come arrivare alla scuola?
- Certo, devo arrivare fino alla metropolitana, prendere la rossa, scendere alla terza, e una volta uscita fare cinquecento metri verso destra. Poi attraverso la strada e sono arrivata. Mamma sto iniziando la quarta superiore, non elementare!
- Hai ragione. Sicura che non vuoi che ti accompagni?
Le lancio uno sguardo che dice “Mamma figurati se mi faccio accompagnare da te, ma che figura ci farei, davanti a tutti gli altri? Di quella fifona che non ha il coraggio di venire da sola il primo giorno di scuola e deve per forza farsi accompagnare dalla mammina!” e forse qualcos’altro.
Mia madre sembra capire tutto quanto e sospira.
- Beh, allora ci vediamo dopo.
- Certo, a dopo mamma.
Mi abbraccia e per un secondo ricambio anche io, poi scendo le scale del mio condominio e sparisco alla vista di mia madre.
Le voglio bene, a mia mamma. È una donna adorabile. Ha un cuore dolce e premuroso, e forse ho preso da lei. Però lei ha quella capacità di amare che io non ho. Si affeziona così tanto alle persone. Ha un sacco di amici. Ecco, io non sono come lei. Non ho molti amici. Conosco moltissime persone, quello sì. Ma di amici, amici veri, ne ho proprio pochi. Forse ora uno solo, Gaia. Senza forse. Però non mi dispiace. Dovrò lasciare poche persone quando andrò a vivere in Inghilterra.
 
Finalmente arrivo davanti a scuola. Mi sa di essere in ritardo, non c’è nessuno che entra. E quei pochi lo fanno correndo. Strano, il mio orologio segna cinque alle otto. Aspetto il verde del semaforo e attraverso. Con il cuore in gola per l’ansia faccio i pochi gradini che mi separano dal portone e spingo.
Mi ritrovo in un gigantesco atrio deserto con gli occhi di un bidello puntati addosso.
- Mi sa che sei in ritardo.
- Ma sono le otto meno cinque. - protestai.
- Si, ma la seconda campanella è a dieci alle otto.
- Ah.. Nella mia vecchia scuola..
- Aaah, ma tu sei quella nuova?
- Ehm, credo di si.
- E dillo subito! Sai già in che classe sarai?
- Veramente no.
- Vieni con me, ti accompagno in presidenza.
Annuisco piano e lo seguo in un corridoio che prima non avevo notato.
- Io sono il bidello Armando, piacere.
- Io sono Ele, piacere mio.
Cerco di sorridere. Sono un po’ paralizzata dal terrore di conoscere il nuovo preside. La paura mi impedisce di sorridere. Qualcuno non riesce a parlare, qualcuno non riesce a muoversi, qualcuno trema, qualcuno suda. Io invece semplicemente perdo la capacità di sorridere. Peccato, credo che la parte migliore di me sia il sorriso. Vado quasi fiera dei miei denti perfettamente bianchi e dritti senza bisogno di nessun dentista.
Il bidello Armando bussa in presidenza e un vocione risponde “avanti”.
Il residuo di sorriso che m’era rimasto in viso muore.
- Salve signor preside, questa è la nuova alunna.
- Salve. - dico con tono deciso. La paura paralizza il mio sorriso, ma la timidezza non blocca la mia voce.
- Buongiorno. Tu devi essere.. Elettra, giusto? - risponde il preside con voce cordiale.
Faceva così paura il suo vocione, e invece lui si è rivelato un uomo molto simpatico e cortese.
Secondo me la voce è una specie di specchio dell’anima, ma uno specchio che non sempre mostra il vero. Io mi baso molto sulla voce delle persone. Ad esempio, una persona con un tono di voce deciso e imponente come quello del preside, è una persona severa e rigida. Una persona con una vocina flebile e tremolante è una persona piena di paure ed insicurezze. O almeno, mi piace pensarla così. Gaia ha un tono di voce deciso ma allo stesso tempo fragile, lei è una ragazza molto forte ma davanti al più piccolo ostacolo diventa insicura delle sue capacità, delle sue forze. Mia sorella Luisa ha una voce acuta e penetrante, e lei è fastidiosa peggio di una mosca. Mi piace sedermi nella metro e ascoltare il signore di fianco a me che parla al telefono. Non tanto perché mi interessa ciò che dice, ma perché mi piace immaginare la loro personalità.
Il preside accompagna me e altri quattro ragazzi, che erano arrivati puntuali, nelle nostre classi. La scuola è su cinque piani. Al piano terra c’è l’atrio, una sala comune con dei tavoli e delle macchinette, la presidenza e tutti gli uffici della segreteria. Tutti i piani superiori sono occupati dalle aule, mentre l’aula magna e i laboratori d’informatica e chimica - che in realtà useremo molto poco - si trovano nel piano sotterraneo.
In realtà sono già stata in questa scuola. Un paio di settimane prima avevo fatto un esame per verificare le mie conoscenze. Per fortuna erano abbastanza per finire in quarta, non avrei sopportato l’idea di rifare un’altra volta la terza. È stato l’anno più difficile di tutti gli undici anni scolastici che ho vissuto.
Uno a uno gli altri ragazzi entrano nelle loro classi, rimango da sola col preside che mi accompagna nella mia classe, all’ultimo piano. Ecco, perfetto. Ogni mattina dovrò farmi tre piani di scale. Sbuffo appena prima di entrare in classe.
Il preside pronuncia lo stesso discorso che ho già sentito quattro volte e se ne va, lasciandomi in balia di una mandria di perfetti sconosciuti.
- Ehm.. Buongiorno? - chiedo. Non ho più paura, una volta affrontato il preside. Ho solo voglia di tornare a casa. Sono già stanca.
- Buongiorno, Elettra. - risponde la professoressa con voce amichevole. Buon segno. - Allora, vuoi parlarci un po’ di te? -
Mi gratto il sopracciglio e mi stringo nelle spalle mentre rispondo:
- Beh, sono Elettra.
La prof mi guarda con aria interrogativa.
- Lei chi è? - chiedo alla prof.
- Sono la professoressa di italiano, storia e filosofia. Mi chiamo Merlini. Sara Merlini.
È molto giovane. O almeno sembra. Ha lunghi capelli color nocciola che le incorniciano dolcemente il viso, e un paio di occhiali dalla montatura stretta e lunga fanno risaltare i grandi occhi dorati.
- Bene, quello è il tuo posto, siediti pure.
Indica un banco in prima fila, attaccato alla parete sinistra. Annuisco appena e mi siedo.
- Allora, vuoi raccontarci qualcosa? - riprova la Merlini.
- Beh, non sono un alieno, non ho poteri magici, non mi trasformo in lupo nelle notti di luna piena.
La classe accenna un sorriso. Mi guardo intorno, a occhio e croce siamo in 15. Quasi tutte ragazze. Come nella vecchia scuola. Stranamente sono capitata di fianco a un ragazzo.
La prof sospira.
- Va bene, cosa ne dite se facciamo come alle elementari e ognuno si presenta alla nostra nuova compagna?
Inizia un ragazzo nelle ultime file.
- Ciao Elettra, sono Gianluca! Ti farei sedere qui di fianco a me se solo questa cozza si mettesse da un'altra parte!
La ragazza di fianco a lui ride e scuote la testa. Si chiama Aurora, in realtà lei e Gianluca sono molto amici.
Dopo scuola si offrono di accompagnarmi a casa, ma rifiuto. Insistono. Alla fine accetto, ma non prendiamo la metropolitana. La facciamo tutta a piedi, quasi quattro chilometri. Magari la prossima volta ci pensano due volte.









 - Oscar.

Ho sempre odiato i liceali. Finti perbenisti del cazzo.


La sveglia suona puntuale alle 7.
- Cazzo che palle. - brontola mio fratello. - Dai Scar, muoviti. Alzati.
- Che voglia, eh. - mugugno. E mi giro dall’altra parte.
- Scar, svegliati. Dai, che mi devi accompagnare a scuola.
Alla voce dolce di mia sorella non so resistere. Mi metto a sedere e faccio scrocchiare il collo. Mi trascino in cucina e bevo il caffè che mio padre ha avanzato.
- Primo giorno di prima superiore! Ho paura, Scar. - sussurra mia sorella, seduta di fronte a me. Beve il suo solito mezzo litro di latte col cacao.
- Non c’è motivo di aver paura, davvero. - non sono bravo con le parole.
- E invece sì! Un nuovo ambiente, nuovi compagni, nuovi professori, nuove materie..
- Ma non è traumatizzante come sembra. Fidati di me, Gio.
Annuisce piano e si pulisce la bocca con il dorso della mano.
- Vado a vestirmi. Tu sbrigati, non vorrai farmi fare tardi il primo giorno.
Mi dà una carezza sulla guancia e sparisce in bagno. La sento litigare con mio fratello per chi deve usare per primo il lavandino.
- Facciamo che il lavandino lo uso prima io. - dico piazzandomi tra loro due e prendendo tra le mani lo spazzolino da denti.
Giorgia sbuffa pettinandosi i lunghi capelli biondi e Michele gira gli occhi verso il cielo e si siede sul water in attesa.
- Mich tu prendi la metro? - urlo prima di uscire di casa.
- Sì, tranquillo!
- Ricordati di chiudere la porta!
- Sì, tranquillo!
- A chiave!
- Sì, tranquillo!
A volte è monotono.
 
Gio si infila il casco in testa e aspetta di poter salire sulla moto. Da quando ho fatto i diciotto anni pretende sempre di essere portata in giro da me.
Riusciamo ad arrivare alla sua scuola un bel po’ in anticipo, ma un incidente blocca la strada per un buon quarto d’ora. Buono, sono in ritardo io.
Parcheggio la moto davanti a scuola e lancio un occhiata al liceo di fronte. Ho sempre odiato i liceali. Finti perbenisti del cazzo. Tutti i ragazzi sono cessi, tutte le ragazze sono oche. Niente di peggio al mondo.
Ma quella ragazza che, nonostante il ritardo, sale le scale con tutta la tranquillità possibile, mi colpisce subito. Per tutta la mattina ripenso ai suoi movimenti. Ai suoi lunghi capelli neri e alla sua mano che li ravviva. Alla tracolla che le scivola e lei prontamente la raccoglie. A quelle sue lunghe gambe che aggraziate salgono i gradini senza nessun sforzo apparente.
 
Ho la mente così persa su quella ragazza che quasi mi dimentico di andare a prendere mia sorella a scuola.
- Scar, sei in straritardo! Quale scusa troverai?
- Ok, anche se me ne fossi inventato una avresti capito fosse una scusa. Quindi ti dico la verità.
- Dai, spara.
- Ho visto una ragazza, stamattina..
- Quindi sei in ritardo perché ti sei fermato a parlare con lei! - mi interrompe Gio con voce quasi eccitata.
- No, sono in ritardo perché mi ha mandato in confusione e sono tornato a casa senza passare di qui. Una volta arrivato ho notato che tu non c’eri e mi è tornato in mente che dovevo venire.
- Ah.. Ma quindi non c’hai parlato? - sembrava delusa.
- Eh, no.. Un giorno di questi ci parlo.
- Prometti?
- Devo promettertelo?
- E dai, una volta che trovi una ragazza che ti piace!
- Però mi aiuterai a costruire un discorso adatto da dirle.
- Prometto.
- Allora prometto anche io. Dai, salta su.
 
Sono sempre stato una frana con le parole. Le pronuncio così, d’impulso, senza dargli peso. Quando poi mi accorgo che possono essere state fraintese, o possono aver ferito i sentimenti di qualcuno, e allora mi tocca sempre riparare tutto. Ogni tanto me la cavo con un “ma no, hai capito male”, ma la maggior parte delle volte richiede maggior impegno. Se ci penso le parole mi vengono fuori, e anche abbastanza bene.
Se solo avessi pensato, quella volta che quel professore mi aveva provocato. Se non avessi reagito d’istinto, se avessi ragionato su quello che dire invece di pronunciare quegli insulti, non mi avrebbero sospeso. E se non mi avessero sospeso, forse non avrei iniziato a pensare che quel professore ce l’aveva con me e che quindi era quasi un dovere insultarlo. E se non avessi pensato che dovessi insultarlo, forse non mi avrebbero messo cinque in condotta e non mi avrebbero bocciato.
Cavolo, quanto vorrei saper pensare le parole che servono al momento giusto. Magari sarei riuscito a parlare subito con quella ragazza che ho visto stamattina.
Vado a letto pensando a lei. E Giorgia non mi ha aiutato nel formulare il mio discorso.

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Capitolo 2
*** "E mi sembra di vederlo arrossire." ***


 - Elettra
E mi sembra di vederlo arrossire.
 

Suona di nuovo la sveglia, e di nuovo mi chiedo perché stia suonando. Dopo qualche istante mi rendo conto che devo andare a scuola. A fatica mi tiro a sedere. Mi guardo allo specchio. I miei capelli sono orribili. Ogni riccio va per conto suo. Li lego malamente con un elastico malmesso, spero che non si rompa. Faccio per alzare la tracolla dalla sedia e uscire di casa, ma la cinghia si spezza.
Dio santo, proprio oggi che la prima ora ho una verifica e non posso arrivare in ritardo?!
Catapulto tutti i libri dentro il primo zaino che trovo, uno zaino veramente da sfigati, e mi precipito a scuola.
Salgo di corsa quei gradini che oramai, dopo tre settimane di scuola, conosco bene, e faccio per entrare. Ma una voce alle mie spalle mi ferma.
- Ehi tu, con la felpa rossa!
Mi guardo in giro, ma l’unica nelle vicinanze con la felpa rossa sono io. Mi volto e vedo un ragazzo che non conosco. Ha un tono di voce molto duro ma impacciato. E mi sembra di vederlo arrossire.
- È.. è un po’ che ti avevo notata. Io sono Oscar, piacere.
Lo guardo sorpresa e scendo i pochi gradini che avevo salito. È un ragazzo gigantesco. È molto alto e notevolmente muscoloso. Ma mi catturano i suoi occhi neri.
- Piacere, io sono Elettra. Ma chiamami Ele, Elettra è troppo lungo.
- E tu chiamami Scar.
- Cicatrice?
- Magari una volta ti spiegherò il motivo. Senti tra poco devo andare a scuola ma, volevo chiederti..
- Sì, ora entro, ci vediamo dopo!
- Qui all’uscita? All’una?
- Contaci!
Sorridendo salgo le scale. Sorrido al bidello Armando, sorrido alla segretaria. Sorrido ai due primini che stanno in attesa del professore fuori dalla classe, sorrido a quel vecchio merlo che sta sempre posato sul davanzale di quella finestra che dà sul cortile interno.
Solo quando sono in classe mi rendo conto di non essere propriamente nelle condizioni migliori. Insomma, capelli che non stanno né in cielo né in terra, uno zaino da sfigati, nessuna traccia di trucco in viso, una vecchia felpa leggermente sgualcita all’altezza del gomito sinistro. No, il mio aspetto mi piace per niente, oggi.
 
Non ho idea di come io abbia fatto a capire che quell’Oscar, anzi no, Scar, voleva uscire con me, ma l’ho capito. Da come mi ha chiamata, dalla sfumatura di timidezza nella sua voce da duro. Dalla fretta che aveva di “chiedermi una cosa”.. E mi è piaciuta moltissimo la faccia felice che aveva quando gli ho detto di sì.
Spero solo che non nasca niente di serio. Già dovrò abbandonare Gaia per andare in Inghilterra, non voglio che si aggiunga qualcun altro.. Gaia! Dovevo vederla oggi pomeriggio.
Mi mordo le dita intanto che il professore di matematica consegna le verifiche. Esercizi difficilissimi. E in più gli occhi neri di quell’Oscar mi rimangono in testa. Nero come l’idea che ho su come risolvere quegli esercizi di matematica. Così consegno in bianco. Che bellezza.
Nero. È così un bel colore. Molti non lo considerano un colore. Mia sorella una volta mi ha chiesto qual’era il mio colore preferito, quando eravamo più piccole. E io le avevo risposto il nero. Ma lei aveva detto, “no, il nero non è un colore!”. E io le avevo chiesto perché secondo lei non era un colore, il nero. E lei aveva detto, “perché una cosa colorata è verde, gialla, rossa, blu. Non nera! Quindi il nero non è un colore!”.
Forse è perché il nero significa vuoto, e a nessuno piace il vuoto. Ma secondo me nero non significa vuoto. Una stanza, quand’è al buio, è nera, ma quando accendi la luce scopri moltissimi oggetti. Gli occhi di Oscar sono neri, e non sono vuoti, c’è la sua anima riflessa dentro. L’ho vista nel momento in cui mi hanno guardata. E poi, il nero è la somma di tutti i colori. Quindi è un colore. A me piace il nero.
Bianco, l’assenza di tutti i colori. Ecco, io attribuirei il “vuoto” al bianco, non al nero. Bianco è il nulla. Bianco è l’assenza di tutto. Il bianco mi fa paura. Io credo che quando una persona muore, vede tutto bianco. Anche in Ghost Whisperer, quel telefilm che mi capita ogni tanto di guardare in tv, quando i fantasmi passano oltre, vedono la luce. E la luce è bianca. Il bianco mi fa pensare alla morte. Mi fa paura. Quando mi chiedono di chiudere gli occhi e di svuotare la mente - veramente me lo chiede solo la Wii, se faccio yoga con la WiiFit - mi viene in mente un posto bianco. Il bianco non mi fa capire se sono in una stanza, se appoggio i piedi per terra o se sono sospeso nel nulla. Il bianco è il nulla. E mi fa paura.

 

 
 

- Oscar.
"Immagino sempre cose grandiose..

 

Stamattina la sveglia suona puntualmente alle sei e quarantacinque. Ma a differenza degli altri giorni mi alzo senza fare storie. Per la prima volta sono io a sollecitare i miei fratelli a svegliarsi. Grido i loro nomi intanto che mi preparo una tazza di caffè. Quello che mi ha lasciato papà è troppo poco.
- Allora, sei pronto per il tuo “gran giorno”? - chiede allegramente mia sorella sedendosi di fronte a me.
- No. - rispondo sinceramente.
Ho passato le ultime tre settimane a rimandare il momento in cui avrei chiesto a quella ragazza di uscire con me. Ieri sera ho capito di non poter più aspettare.
Non ho preparato nessun discorso. Farò come fanno nei film, la fermerò con una scusa e poi le dirò se “posso chiederle una cosa”. Lei risponderà “sì, certo”, e allora le chiederò di uscire con me, magari andrò a prenderla fuori da scuola, e la porterò in un parco.
Ok, sto fantasticando troppo, devo smetterla. Succede sempre così, immagino cose grandiose e poi la realtà mi delude. Dovrei fare il contrario, dovrei pensare sempre che tutto vada al peggio. Così se succede qualcosa di bello, l’apprezzerò molto di più. Mio fratello è così. È pessimista. Molto pessimista, sempre incerto e confuso. Gio invece è ottimista, ottimista e solare. Sicura di sé. Io sono un misto di loro due. Ottimista, ma anche incerto.
- Toglimi una curiosità, Scar.
- Dimmi, Gio.
- Mica eri tu che dicevi sempre che le liceali son tutte oche?
- Sì, lo dicevo, e lo penso ancora. Ma lei, lei è diversa.
- Ma se neanche sai come si chiama!
- Se solo l’avessi vista.. La penseresti anche tu come me.
- Perché?
- Perché lo vedi. Lo capisci che non è come tutte le altre. Nei suoi movimenti, nel suo atteggiamento..
- Beh, quando le avrai parlato ti crederò.
Con un bellissimo sorriso Gio si alza e come al solito litiga con Mich per il bagno, ma stavolta non ci faccio caso.
Ho ancora la testa tra le nuvole quando Gio mi urla di fermarmi. Torno sulla Terra, sono sulla mia moto e non mi fermo al semaforo rosso. Accelero per superare al più presto l’incrocio, qualche automobilista puntualmente suona il clacson. Mia sorella tremante si appoggia a me. Ogni volta che passiamo un incrocio o faccio una curva pericolosa mi stringe forte facendomi ricordare di stare attento alla strada.
Arriviamo davanti alla sua scuola sani e salvi e la lascio scendere.
- Oi, avvisami se riesci a parlare con quella ragazza Scar!
- Certo sorellina.
La guardo entrare nella scuola e mi rinfilo il casco. Sono molto in anticipo, spero proprio di vedere la bella ragazza che da settimane vive nella mia testa.
 
Mi siedo su una panchina poco lontana dall’entrata del liceo. Aspetto. Accendo una sigaretta. Molte ragazze mi passano davanti, ma non c’è lei.
Dopo un quarto d’ora d’attesa non la vedo ancora. Sento la campanella della mia scuola suonare. Sto per perdere le speranze quando una ragazza con la felpa rossa, un vecchio zaino e dei lunghi capelli ricci e neri raccolti malamente mi passa davanti correndo.
La chiamo. Sento le mie mani sudare. Cerco di non lasciare che la paura di un rifiuto mi blocchi e penso al meglio. Tiro fuori il mio lato ottimista e, dopo esserci presentati le dico, con voce sicura:
- Senti tra poco devo andare a scuola ma, volevo chiederti..
Le parole mi si bloccano in gola. Sento le mie guancie scaldarsi, spero che lei non si accorga che sto arrossendo. Non so cosa fare, non mi viene nessun suono. I suoi occhioni azzurri sono puntati su di me e non sono più capace di pensare.
- Sì, ora entro, ci vediamo dopo!
Ha detto di sì? Non credo alle mie orecchie. Lei si gira e fa per entrare a scuola. Voglio essere sicuro di aver capito bene. Insomma, non avevo neanche finito la frase, come fa a sapere che le volevo chiedere di vederci dopo scuola?
- Qui all’uscita? All’una?
Lei si volta di nuovo verso di me e i capelli le finiscono davanti alla faccia. Con un gesto veloce sistema una ciocca dietro l’orecchio e il suo viso si apre in un bellissimo sorriso.
- Contaci!
Sparisce in mezzo ad altri ragazzi nell’atrio della scuola. Rimango imbambolato a fissare il vuoto per alcuni istanti e poi aspetto il verde per attraversare la strada.
 
La sua immagine mi rimane in testa per tutta la mattina. Quelle lunghe gambe sottili che spuntano sotto una felpa troppo grande per lei, i suoi occhioni azzurri fissi nei miei, i suoi indomabili capelli neri che contrastano con la carnagione bianchissima. La fossetta che le si forma sulla guancia destra quando sorride, e proprio il suo meraviglioso sorriso, spontaneo, naturale, perfetto.
Com’è bella, Elettra. Forse sua madre già quand’era appena nata sapeva che avrebbe fatto elettrizzare gli spiriti di molti ragazzi, per questo l’ha chiamata così.

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Capitolo 3
*** Il suo sorriso così sincero mi rilassa. ***


- Elettra.
"Te l’avevo detto che arrivava!”

 

L’ultima campanella della mattinata suona, e un’orda di ragazzi si riversa nei corridoi. Faccio tappa al bagno del piano terra, l’unico con uno specchio. Do un occhiata alla mia immagine riflessa. Sciolgo la coda e la rifaccio un paio di volte, concludo lasciandoli sciolti e tirandoli semplicemente indietro con una bandana trovata nei meandri dello zainetto da sfigati. Mi stropiccio gli occhi ed esco. Ma in cima alle scale mi blocco, non riesco a vedere Oscar. Un po’ delusa mi siedo sulla stessa panchina sulla quale era seduto lui stamattina, decisa ad aspettarlo solo cinque minuti. Guardo il telefono, sono le 13:07. Mi do un’occhiata in giro. A quest’ora c’è decisamente molta gente in giro.
Una ragazza con un lungo impermeabile rosso perde il cappello, colpa del vento che oggi soffia più forte del solito. Forse sta arrivando l’autunno. Che bello, amo l’autunno. Amo i suoi colori, i suoi profumi.. Amo guardare le foglie che cadono, camminarci in mezzo. Amo quel freddo tipico autunnale, il tempo sempre incerto, il vento onnipresente.
Un signore con una sciarpa a quadretti mi passa davanti correndo, trascinato dal grosso cane che tiene al guinzaglio. Guardo ancora l’orologio. 13:08.
- Oscar, hai quattro minuti per arrivare. - sussurro piano. Ho l’impressione che una bambina mi abbia sentito, mi guarda intimorita con due occhioni neri. La saluto e lei, spaventata, corre dalla mamma, solo pochi passi più avanti. Sono davvero così orribile?
Un bambino si siede di fianco a me sulla panchina.
- Ciao. - mi dice.
- Ciao, piccolo. - rispondo.
- Hai visto la mia mamma? - chiede, alzando la testa verso di me.
- No, mi dispiace, se vuoi ti aiuto a cercarla.
I suoi occhioni imploranti mi chiedono aiuto.
- Però forse adesso arriva.. - sussurra il bimbo, tornando a guardarsi i piedi.
- Federico! Federico! - urla una donna. Tiene un’altra bimba per mano. Si mette a correre verso di noi. Il viso del bambino seduto di fianco a me s’illumina.
- Mamma! Te l’avevo detto che arrivava! - esclama. Mi guarda, e stavolta i suoi occhi sono pieni di gioia.
- Scusami, eh. Ogni tanto se ne va dove vuole lui. - dice la signora, dopo aver preso in braccio suo figlio.
- Si figuri.. - balbetto, ma tanto lei se n’è già andata.
Guardo di nuovo l’orologio. 13:10. Sento la campanella dell’ITIS di fronte alla mia scuola che suona. Tra la folla di ragazzi che esce, scorgo Oscar - ecco spiegato il ritardo! -, alto com’è, si riconosce facilmente. Lo seguo con lo sguardo intanto che si fa largo tra la folla. Si atteggia da duro, il cappuccio della felpa nera fino sopra gli occhi. Cammina chinato su sé stesso, solitario. Spero che in realtà non sia chiuso come mostra la sua immagine. Ora che ci penso, non l’ho ancora visto sorridere. Chissà se sotto la corazza che si costruisce da solo, c’è un cuore tenero.
- Ciao Ele, ti ho fatto aspettare? - chiede Scar. Ha il fiatone e le guance rosse.
- Un po’, ma di sicuro non era colpa tua. - lo tranquillizzo, sorridendo.
Si siede un momento sulla panchina, poi prende l’iniziativa e mi invita a mangiare qualcosa.
Oddio, perché proprio a pranzo dovevamo vederci? Mi vergogno a farmi vedere mangiare da qualcuno che appena conosco. Mangio come una fogna, qualunque cosa mi mettano davanti io lo divoro, anzi, lo ingurgito. Sono fatta così, non riesco a resistere di fronte a un bel piatto di pasta al sugo, o a una bistecca, magari al sangue.. Quasi quasi accetto. Però è anche ora di pranzo, è da un paio d’ore che la pancia mi brontola, e non so che figura farei se mi mettessero davanti una pietanza qualsiasi.
- Ele?! - chiede Scar, quasi preoccupato.
- Ah, ehm, sì, sono qui.
- Allora, andiamo a mangiare qualcosa, o no?
Cerco di tener testa alle mie paure e accetto l’invito.
Andiamo in un McDonald’s. Forse non molto romantico, ma almeno economico.
Dedichiamo tutto il pranzo a conoscerci un po’. Le “informazioni base”, diciamo. Scopro un sacco di cose interessanti. Ama gli animali, ne ha tanti a casa. Ma non specifica quali. Dice che magari un giorno me li farà vedere. Anche io amo gli animali, ma ho solo due gatti e un coniglio, gli dico. Lui ride, dice che i suoi sono un po’ di più, e un po’ più.. strani. Afferma di avere anche due scimmie.
- Due scimmie? Ma dici seriamente?
- Certo. Si chiamano Michele e Giorgia. Hanno quattordici e sedici anni, e ogni giorno accompagno Giorgia a scuola. Fa lo scientifico, poco lontano da qui.
Scoppio a ridere.
Scar mi racconta che i suoi sono divorziati da cinque anni, lui vive con il padre perché la madre è alcolizzata. Suo padre fa l’operaio, esce presto di casa e ritorna tardi, magari dopo essere stato ore a bere in un qualche pessimo locale. Insomma, passa pochissimo tempo con i figli, e non si occupa molto di loro. Insomma, non ha un buon rapporto con loro, o forse non ce l’ha nemmeno, un rapporto con loro.
Mi dispiace molto, per Scar. Noto che parlare della sua famiglia mette Scar a disagio, e smetto di fargli domande.
Parla poco. Cerco un argomento che piaccia anche a lui. Proviamo con l’origine del suo soprannome.
- Allora, Scar. Come mai ti fai chiamare così?
Lui abbassa il collo della maglietta e mostra la spalla sinistra. Ha un enorme cicatrice, che parte dalla clavicola e arriva fino al petto.
- Wow. - sussurro impercettibilmente, quasi affascinata.
- Sei la prima che ha una reazione del genere. - dice lui. Ride. Ha una bellissima risata, con un suono meraviglioso. È contagiosa.
- Davvero?
- Di solito le ragazze inorridiscono davanti ai miei venti centimetri di cicatrice.
Non ho il coraggio di chiedergli come se l’è procurata.
Scar tira un sospiro e propone di uscire dal Mc. Finalmente, non vedevo l’ora. L’odore di carne fritta ma sta dando il voltastomaco.
Prendiamo la metro e arriviamo fino a un parco, che non conosco. Camminiamo un po’ sul sentiero, poi Scar mi guida verso un albero. Una quercia. Sento il rumore di acqua che scorre, ci deve essere un fiume, o un torrente. Scar mi dice che è il suo posto preferito. Dietro il grosso tronco della quercia c’è una panchina. Rossa. Dal sentiero non si vede.
- Se non sai che c’è, non la troveresti mai. - dice Scar.
Mi siedo a gambe incrociate, rivolta verso il fiumiciattolo che scorre a meno di due metri dalla panchina.
- Allora, Ele. Raccontami qualcosa.
- Di che genere?
- Boh.. Mh. Che musica ascolti?
Sorrido per la banalità della domanda. Però è la prima volta che Scar inizia un discorso,  e propone pure un argomento. Wow, sono sorpresa.
- Tanta.
Ride. Vuole che sia più specifica.
- Beh, diciamo che prendo “il meglio” di molti generi.
- Tipo?
- Allora, della musica italiana.. “vecchia”, amo De Andrè. Di quella moderna, i Subsonica sono i migliori.
Accenna un sorriso.
- Poi, della musica inglese.. Direi, Muse, Queen e Arctic Monkeys.
- Adoro gli Arctic Monkeys. E anche i Queen sono notevoli.
- Di quella americana.. Beh, Avenged Sevenfold, Red Hot Chili Peppers..
- Avenged Sevenfold.. Metal! Ti piace il metal?
- Alquanto.
I suoi occhi brillano.
- Pantera, Slayer.. Ti piacciono? - chiede.
- Sì, sono bravi.
Sorride soddisfatto.




 

- Oscar.
Il suo sorriso così sincero mi rilassa.”

Mi sento stupido. Ho detto a Elettra di trovarci all’1. E io esco all’1.10 da scuola. Cazzo. E se non m’aspetta? Ok, sono solo dieci minuti, ma magari non le va di aspettarmi. Magari pensa che volevo solo prenderla in giro. Mi mangio le unghie quasi a sangue. Guardo fuori dalla finestra. Il prof di italiano parla, parla, parla. Ma quando cavolo suona la campanella? Sono veramente così lunghi dieci minuti?
- Che ore sono? - sussurro al mio vicino di banco.
- Scar è passato un minuto, sarà poi l’una e due! - mormora lui, spazientito.
Sbuffo. Torno a mangiarmi le unghie. Il mio sguardo salta dal quaderno completamente bianco aperto sul mio banco, alla lavagna sporca di gesso, alla strada oltre il vetro. Dalla mia classe, al primo piano, posso tenere d’occhio il liceo al di là della strada. Qualche minuto fa ho visto uscire una marea di ragazzi, ma non sono riuscito a scorgere Elettra. Però adesso una ragazza si è materializzata sulla soglia. Ha una felpa rossa, dei lunghi, ricci capelli neri.. È lei. Quasi salto sulla sedia. Allungo il collo per seguire i suoi movimenti. Si siede sulla stessa panchina dov’ero seduto io quella mattina. Tiro una gomitata al mio vicino di banco.
- Ahia! Ma sei scemo?! - dice lui. Ops, io così grosso, e lui piccolino e mingherlino.. Forse ho usato più forza del dovuto.
- Scusami! Volevo sapere..
- L’ora. È l’1.07. Toh, tienilo.
Si toglie l’orologio e lo appoggia con forza sul mio banco. Sorrido. Lui alza un sopracciglio e si massaggia la spalla.
Metto in cartella tutto ciò che c’è sul mio banco e ritorno a mangiarmi le unghie.
Guardo l’orologio, 1.09. Lancio un’occhiata alla panchina, Elettra è ancora lì.
Un secondo prima che suoni la campanella, scatto in piedi e mi dirigo verso la porta.
- Pellegrini! Dove vai? - urla il prof.
- Ehm, arrivederci prof. - rispondo, uscendo dalla porta. La mia voce viene coperta dal suono della campanella.
Quando arrivo alla panchina, Elettra è ancora lì ad aspettarmi. I suoi occhioni azzurri mi fissano. I suoi capelli ribelli sono stati domati da una bandana usata a mo’ di cerchietto, e la sua carnagione bianchissima quasi splende sotto i raggi deboli del sole di quasi-ottobre.
- Ciao Ele, ti ho fatto aspettare? - chiedo, cercando di nascondere il fiatone.
- Un po’, ma di sicuro non era colpa tua. - risponde lei, aprendosi in quel suo meraviglioso sorriso.
Andiamo a mangiare qualcosa, in un McDonald’s a un quarto d’ora dalle scuole. C’è una fermata della metro proprio davanti al Mc, ma voglio andarci a piedi.
Mi piace camminare, anche se spesso prendo la moto per fare più in fretta. Forse il mio aspetto da “duro” non lo suggerisce, ma amo stare in mezzo alle persone, specialmente se non le conosco. Non saprei spiegare il perché, ma mi rasserena camminare senza meta per vie affollate. Spesso quando litigo ferocemente con mio padre - e succede più o meno tutti i giorni - scendo in strada e percorro chilometri a piedi. Quando torno a casa, tutta la rabbia è svanita. Per le vie si incontrano tante, tantissime persone, ognuna diversa dalle altre. Coppiette innamorate, casalinghe tutte prese dalla spesa. Bambini spensierati che mangiano il gelato, uomini d’affari ritardatari. Poveracci che vendono braccialetti per sopravvivere, ricconi che rispondono a cinque cellulari contemporaneamente.
Sono tutto preso dai miei pensieri che, una volta arrivati alla cassa del Mc, mi dimentico di offrire il pranzo a Elettra. Già sto pensando a cosa dirle per scusarmi, ma lei sembra non darci assolutamente peso e mi chiede dove andiamo a sederci.
Mentre mangiamo, Elettra mi chiede moltissime cose. Mi chiede se ho animali, mi fa parlare della mia famiglia. Ho ancora poca confidenza con lei, non so cosa fare, cosa dire.. Così mi limito a rispondere alle sue domande. Cerco di fare qualche battuta, che per fortuna sembra apprezzare.. Ride.
Improvvisamente mi chiede perché mi faccio chiamare “Cicatrice”. Gliela mostro. Elettra spalanca i suoi occhioni azzurri, affascinata. Quasi senza accorgersene allunga una mano e con la punta fredda delle dita mi sfiora la pelle. La mia schiena viene percorsa da un brivido.
- Sei la prima che ha una reazione del genere.
- Davvero?
- Di solito le ragazze inorridiscono davanti ai miei venti centimetri di cicatrice.
Sorride. Il suo sorriso così sincero mi rilassa. Ero abbastanza nervoso riguardo all’argomento “cicatrice”, insomma, di solito fa impressione, avevo paura succedesse così anche con lei. Tutti i miei muscoli si rilassano e mi esce una risata. Elettra mi guarda, quasi stupita. Mi rendo conto solo ora di non aver mai riso in sua presenza.
Tiro un sospiro, le propongo di andare in un parco, dove si trova il mio posto preferito. Stavolta però prendiamo la metro, le risparmio tre quarti d’ora di camminata.
Il resto del pomeriggio passa tra mille chiacchiere all’ombra della grande quercia che domina sulla “mia” panchina.
Ora che ci penso, non ho mai portato nessuno qui. Chissà come mai.. Ero forse geloso della mia panchina? Tanto da non mostrarla a nessuno? E allora perché l’ho mostrata a lei? Ho agito d’istinto, l’ho portata nel primo posto che mi è venuto in mente. Questo pensiero mi lascia un po’ perplesso. Forse ne parlerò con Giorgia, dopo.. O forse mi passerà di mente. Intanto meglio pensare a trovare un argomento di cui parlare con Elettra, sennò va a finire che non accetta più di uscire con me, se mi trova noioso.

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Capitolo 4
*** - Figurati, l'importante è che tu stia bene.. - ***


- Elettra.
Se inizi con “beh” è perché c’è di mezzo un ragazzo.”

 

Verso le cinque torno a casa, ho da studiare per un paio di verifiche. Scar sembra dispiaciuto, ma quando gli dico che la prossima volta sarò io a scegliere dove andare, si lascia scappare un bellissimo sorriso.
Quando arrivo a casa trovo mia madre.
- Ele, finalmente sei tornata.
- Sono solo le cinque, mamma.
- Ha chiamato Gaia, un’ora fa.. Dice che vi dovevate incontrare. Ma non ti sei fatta viva, e al telefono non rispondi. Le ho detto che mi avevi avvisato che stavi fuori a pranzo, ma non sapevo né dove, né con chi..
- Oh, cavolo.. Me ne sono dimenticata, completamente..
- Mi è sembrata molto arrabbiata. Ha chiesto se disturbava se veniva stasera, le ho detto di no. Dovrai trovare una scusa molto credibile.
Bevo un lungo sorso d’acqua, un po’ preoccupata, e mi chiudo in camera a studiare.
- Ele! Allora non sei morta! - dice Gaia abbracciandomi, appena le apro la porta.
- Certo che no, Gà.. Scusami, se non mi sono fatta sentire..
- Oh, non fa nulla, mi sono solo preoccupata un po’!
- Ma, mia madre ha detto.. Che eri incazzata, insomma..
- Sì, prima lo ero, però ho capito che c’era una ragione importante, sennò non mi avresti dato buca così spudoratamente. Però avresti dovuto avvisarmi!
- Sì, è vero, scusami..
- Non sai cosa mi sono inventata per trovarti. Al cellulare non rispondevi.
- Oh, è vero, ho una decina di chiamate perse, ma le vedo solo ora! Scusami Gà!
- Eh, ormai. Vabè, allora ho chiamato a casa, zero risposte. Poi ho trovato in rubrica il numero di tua sorella. Fai che erano le tre e mezza.. L’ho chiamata e dopo uno squillo mi ha riattaccato. Allora ho aspettato un momento.. E mi è arrivato questo messaggio.
Mi mostra il cellulare.
“Sks ma 6 paxa?!?!”!?”1’ ciè nn e k puoi kiamrm ksì qnd vuoi prk kmq ho 1 vt ank io e kmq ero a skqcola!!!!!”!!11!!!1 stpdaa!!!21!! kmq vbb ormi dmm qll k vuoi tnt m ai ftt inkzzr!!!!!!!!!!!!”
- È stata davvero mia sorella a scriverti questo obbrobrio? - chiedo, inorridendo.
- Eh, pare di sì.. Comunque, non sono riuscita a tradurre proprio tutto quello che c’è scritto, ma mi pare di aver capito che era a scuola e non poteva rispondere, così ho lasciato perdere perché anche a mandarle un messaggio avrebbe risposto con tutte queste “abbreviazioni” e un’altra traduzione mi avrebbe fatto venire il mal di testa. Quindi mi sono ricordata che una volta mi avevi chiamata dall’ufficio di tua mamma e avevo salvato il numero. Chiamo, e mi dicono di cercarla sul cellulare perché già era andata via. Allora cerco in rubrica il numero di tua mamma, ma mi rendo conto di non averlo, allora richiamo l’ufficio e chiedo se gentilmente potrebbe darmelo. Finalmente riesco a contattare tua mamma, che era a fare la spesa, e mi dice che tu semplicemente le avevi detto che saresti stata fuori a pranzo, non sapeva i dettagli. Cosa faccio allora? Provo a richiamarti sul cellulare ma ovviamente, nessuna risposta. Allora ritento con tua sorella, stavolta mi risponde. Mi urla dietro un paio di insulti - devo ammettere che tua sorella è proprio fastidiosa, delle volte! - e mi dice che degli affari di sua sorella non gliene frega un emerito cazzo.
- Mh, cortesia portami via.
- Volevo dirlo io ma mi sembrava di non essere troppo educata.
- Ah, fai pure, mia sorella è la persona più fastidiosa che conosca.
- Comunque, ho concluso che, o eri stata investita da un tram, o eri stata rapita da uno stupratore, o un serial killer t’aveva ucciso, oppure avevi un motivo abbastanza serio per darmi buca. E dato che sei qui di fronte a me vuol dire che nessuno ti ha ammazzato, quindi esponimi pure questo motivo abbastanza serio.
- Beh..
- Se inizi con “beh” è perché c’è di mezzo un ragazzo. Ho ragione?!
- Hai ragione. Si chiama Oscar, detto Scar.
- Esci con uno che si chiama Cicatrice?!
- Sì, vabè, ne ha una grandissima sul petto, fa figo dai.
- E quando l’avresti conosciuto?
- Stamattina.
- Stamattina?!
- Sì, stamattina, prima di entrare a scuola, mi ha fermata, si è presentato, mi ha invitata a uscire, e io ho accettato.
- Ma avrebbe potuto essere un maniaco! Uno stalker!
- Beh, non mi è sembrato esserlo. Mi sono fidata della sua apparenza.
- Comunque, cos’è successo?
- Niente, siamo andati a mangiare, mi ha portato in un parco..
- Dove?
- Mi ha implorato di non dirlo, è il suo posto preferito e non vuole che troppe persone inizino a frequentarlo.. Però non è male, come parco. È tenuto bene.
- E.. Ti piace, questo Scar?
- No, non credo.. A parte che è troppo presto per dire se mi piace o no. Comunque, mi sembra l’inizio di una buona amicizia, non di.. una storia.
- Oh. Mi deludi, cara Elettra.
Le tiro un cuscino in faccia.
- Chiamami Ele!
Gà ride. Forse mi ha già perdonata.

 



- Oscar.
“Mi ha appena dato un “secondo appuntamento”!”

 

Elettra mi saluta dicendomi che la prossima volta sceglierà lei dove andare. Cazzo, mi ha appena dato un “secondo appuntamento”. Vuol dire che il primo è andato bene!
Intanto che torno a casa realizzo di non averle chiesto il numero di telefono. Ancora penso a come rintracciarla, quando per strada incontro una mia vecchia amica, compagna delle medie.
- Oscar! Sei tu vero?
Alzo lo sguardo, in quel momento intento a scrutare i piedi delle persone attorno a me, e vedo Olimpia.
- Olli! - esclamo.
- Cavolo è una marea di tempo che non ci sentiamo! Come stai?
- Bene, benissimo, tu?
- Me la cavo. Ascolta, hai qualcosa da fare?
- Veramente devo andare a fare la spesa, mia sorella ha appena chiamato, non c’è assolutamente niente da mangiare in casa.
- Ti spiace se vengo con te? Tanto non ho impegni fino a stasera, e di andare a casa non ne ho voglia.
- Certo, vieni pure.
- Così mi racconti come mai tutto va “benissimo”!
Tra uno scaffale di conserve vegetali e uno di pacchi e pacchi di pasta, mi racconta brevemente cos’è successo in questi ultimi.. anni. È da quando eravamo in seconda superiore che non ci vedevamo, e ora siamo - è, io sono ancora fermo alla quarta - in quinta, quindi è passato davvero tanto tempo. Lei non è cambiata per niente. Neanche caratterialmente. È sempre il solito grilletto iperattivo che non smette un attimo di parlare.
Eravamo grandi amici, anni fa. Chissà come mai ci siamo persi di vista. Non mi ricordo di aver mai litigato, o almeno, non tanto da chiudere i rapporti. Più ci penso, meno mi viene in mente il momento in cui abbiamo smesso di frequentarci. La cosa strana, è che quando le chiedo se si ricorda, anche lei risponde di non aver idea del perché la nostra amicizia è stata archiviata.
Le parlo di Elettra. Olimpia insiste perché gliela faccia conoscere.
- Ehm, te presenterei anche ora. Peccato che non abbia il suo numero.
- No?! Davvero?
- Eh già, mi son dimenticato di chiederglielo.
- Caspita. Ascolta facciamo così, tu domani la vedi, le chiedi il numero, e anche di uscire. Poi concordi il giorno, e mi mandi un messaggio.
- Oh, perfetto. Il tuo numero è sempre lo stesso?
- Mai cambiato.
All’uscita del supermercato faccio per salutarla, ma lei si autoinvita a cena da me. È sempre stato nel suo carattere, autoinvitarsi dappertutto. Ero talmente abituato ai suoi autoinviti che non ci facevo più caso, ora invece mi lasciano un po’ stranito. Comunque le dico che non ci sono problemi, a cucinare per quattro e non per tre.
Appena metto piede in casa mi rendo conto di aver lasciato la moto davanti a scuola. Sospiro e esco di nuovo, lasciando Olimpia a casa con Giorgia, felice di non essere per una sera l’unica donna in casa.
- Allora, io ti ho raccontato di Elettra. Tocca a te raccontare. Su, ti ascolto.
Il viso di Olimpia diventa grigio. Abbassa lo sguardo, e la frangia le copre completamente gli occhi.
Con voce flebile inizia a raccontare del suo ragazzo, di quanto erano felici insieme, o almeno, di quanto lei era felice di stare insieme a lui.
- Sabato scorso sono stata invitata a una festa a casa di amici, ma avevo un altro impegno. Questo impegno era finito presto, così sono passata a casa di questi amici, ho cercato la mia migliore amica, ma non l’ho trovata. Ho chiesto a un paio di persone se l’avessero vista, dicono che era salita per fumare qualcosa. Quindi quasi spontaneamente salgo, sento delle voci, delle risate venire da una stanza, apro appena la porta per vedere e chi c’è? La mia migliore amica, col mio ragazzo.. Che.. facevano.. sesso.
Pronuncia queste parole con voce spezzata.
Non ho la minima idea di cosa fare. Olimpia, seduta a gambe incrociate sul bordo del letto di mia sorella, inizia a piangere fissandosi le scarpe.
Cerco di pensare a qualche parola di conforto ma ovviamente non mi viene in mente nulla.
Per fortuna proprio in quel momento di profondo imbarazzo mia sorella viene in mio soccorso. Dalla porta semichiusa ha intravisto Olimpia piangere, e mi fa dei gesti strani. Dopo vari tentativi capisco il suo suggerimento. Mi siedo di fianco a lei e l’abbraccio. Lascio che la sua testa si appoggi sulla mia spalla e le accarezzo i capelli. Lei tira su col naso e sembra calmarsi.
- Scusami se oggi sono stata invasiva.. - sussurra piano. - Ma avevo quasi paura di stare da sola..
La tranquillizzo e lei smette di piangere. Finalmente tira su il viso e mi guarda con i suoi begli occhi verdi. Il trucco le è sbavato su tutta la faccia.
- Oh, ti ho lasciato il mascara sulla maglietta! Scusami.. - dice, ridendo, ma con gli occhi ancora lucidi.
- Figurati, l’importante è che tu stia bene..
Ok, che frase del cazzo. Devo assolutamente consultare una guida su cosa rispondere alle ragazze in determinate situazioni.
- Si è fatto tardi, torno a casa, magari i miei si preoccupano.. Ci vediamo domani, sono ansiosa di conoscere la tua Elettra!
Quando esce di casa ha gli occhi allegri, e questo mi rassicura. Forse quella mia frase del cazzo ha avuto effetto su Olimpia.







Hei bellezze c:, questo è il mio primo commento e non so bene cosa scrivere, ma volevo spiegarvi qualcosa quindi lo faccio.
Questa storia non è la prima che scrivo, ma è la prima che ho il coraggio di pubblicare.. Significa molto per me, quindi mi farebbe tantisssimo piacere se mi lasciate una recensione, positiva o negativa, qualsiasi cosa, per sapere cosa ne pensate, anche solo due parole per farmi sapere se vi piace! *-*
Spero tanto di leggere i vostri commenti, davvero, ci tengo :3
Un grazie enorme a chiunque recensirà, ma anche solo a chi legge o mette la storia nei seguiti o ricordati **

- E.

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Capitolo 5
*** Sa farmi ridere, sa farmi stare in pace con me stessa. ***


- Elettra.
Sa farmi ridere, sa farmi stare in pace con me stessa.”


Oscar mi ha presentato una sua amica, un paio di settimane fa. Si chiama Olimpia. Ci siamo subito prese in simpatia. Spesso siamo uscite insieme, solo io e lei. L’ho portata in giro
per musei qualche volta, amo quegli ambienti, e volevo condividerli con lei. È una ragazza stranissima, lunatica come poche. Ma le voglio già un gran bene. Forse perché è diversissima da me. L’unica cosa che probabilmente abbiamo in comune è l’altezza, nessuna delle due supera il metro e sessantacinque!
Ha un bel modo di fare. Chiacchiera, di tutto. Racconta sempre tantissime cose. Però quando ho bisogno di parlare di qualsiasi mio problema, sa ascoltarmi. Non come Gaia. Lei parla, parla, parla. Sembra che i fatti suoi siano importantissimi, e i miei non contino niente.
A proposito di Gaia. Ci stiamo perdendo di vista, ci vediamo molto meno rispetto a prima. È come se vivessimo in due mondi differenti che ogni tanto si incontrano, non riusciamo più ad avere la stessa affinità che c’era prima.
Invece Oscar si è rivelato un ottimo amico. Non è più così silenzioso come la prima volta che siamo usciti, sa farmi ridere, sa farmi stare in pace con me stessa. Diciamo che quando sono con lui non mi importa se sono struccata, spettinata, vestita male e magari perfino maleodorante. Riesco ad essere me stessa, a mostrare la “me” reale e non la “me” che creo per sembrare una bella e brava ragazza. Sto iniziando a volergli bene, ma veramente bene.
A scuola non ho problemi. Il livello delle materie che studio è leggermente inferiore rispetto a quello dell’altra scuola, quindi me la cavo studicchiando appena. Inoltre mi sono inserita bene nella classe, non mi sento giudicata o cose del genere dagli altri ragazzi. Il mio compagno di banco si è rivelato utile. È un secchione, fa sempre tutti i compiti ed è disposto a passarmeli, durante le verifiche mi lascia dare delle occhiate al suo foglio e se non ho voglia di prendere appunti durante una lezione so che potrò fotocopiare i suoi. Niente a che vedere con la mia vecchia scuola, insomma.
Oggi dopo scuola vado da Olimpia. Più tardi forse ci raggiunge Scar. Ho scoperto che quella ragazzina dai capelli rossi abita nella via accanto alla mia.
Intanto che salgo le scale del suo condominio incrocio un ragazzo. Un gran bel ragazzo. Per un secondo i nostri sguardi si incrociano e mi sembra che scatti una scintilla. Lui continua a scendere le scale imperterrito, io invece rallento e butto lo sguardo all’indietro.
- Olli! Olli! - urlo, iniziando a correre quando la vedo sbucare fuori da una porta all’ultimo piano.
- Mi devi assolutamente dire chi è quel ragazzo con gli occhi colore del ghiaccio che è appena uscito! - esclamo, ansimando.
- Aveva i capelli tipo neri abbastanza lunghi?
- Si!
- E un cappotto blu scuro?
- Si!
- Dalle quali sbucavano due gambe sottili?
- Si!
- Aveva una tracolla grigia?
- Si!
- Dentro alla quale c’era un computer portatile?
- Ma che cazzo ne so!
- Beh allora è Casper!
- Casper?
- Si!
- Si chiama davvero Casper?!
- No, si chiama Gabriele!
- Perché lo chiami Casper allora?
- Non hai notato che ha la pelle bianchissima e gli occhi strachiari?
- Ora che ci penso hai ragione!
- Quanti anni ha?
- La mia età.
- Quindi un anno in più di me?
- Si!
-Abita qui?
- Si!
- E si veste sempre così?
- Si!
- Oh, me lo devi far conoscere!
- Quando vuoi, guarda, abita nella porta qui di fronte!
Il pomeriggio passa veloce. Parliamo bene di Casper, male dell’ex ragazzo di Olli, che l’ha tradita con la sua migliore amica, bene di Scar, male di tutti i professori stronzi che ci perseguitano.
Scar mi chiama, dice che non può venire da Olli. Ci rimango un po’ male, avevo voglia di vederlo. Mi invita a casa sua quella sera stessa. Ovviamente accetto.





 

- Oscar.
Vedi che ha detto di sì? Paranoico.”
 

Ho fatto conoscere Elettra a Olimpia. Già dopo due settimane che si conoscono sembrano migliori amiche, si vedono quasi tutti i giorni.
Sembra che Olli stia meglio, forse è anche grazie a Elettra che la distrae portandola spesso in giro per musei. Una volta ha portato anche me, al Museo del ‘900 in piazza del Duomo. L’abbiamo visitato in lungo e in largo, siamo stati dentro quel posto minimo quattro ore. Non che mi sia piaciuto particolarmente il museo, ma Elettra sembrava a suo agio in mezzo a sculture dalla forma indefinita e dipinti che sembrano fatti da bambini. Quando siamo entrati nella sala dedicata a De Chirico, le si è illuminato il viso. Ha iniziato a raccontarmi la vita di questo pittore. Inizialmente dipingeva piazze metafisiche e manichini, poi si dedicò alle nature morte. Un dipinto di quella sala mi è molto piaciuto, mi è rimasto impresso nella mente: la sagoma di un uomo di schiena completamente bianco che abbraccia un manichino ricco di colori e particolari strani, che sembra appena uscito da un film di fantascienza ambientato nel futuro.
Elettra è rimasta dieci minuti incantata davanti a quel quadro. Osservava ogni minimo dettaglio, notava ogni piccolezza.
Mi piacerebbe poter vedere l’arte da dietro i suoi occhi. Vorrei poter capire quel che prova ogni volta che entra in un museo, vorrei che il mio sguardo riesca a catturare le emozioni nei disegni, nelle opere, che lo sguardo di Elettra riesce sempre a cogliere. Posso quasi sentire il battito del suo cuore accelerare ogni volta che vede un quadro che le trasmette un sentimento intenso, il suo respiro fermarsi davanti a un opera che la emoziona. Io non sento ciò che sente lei.
Non riesco ad afferrare i significati dei dipinti, non trovo i sentimenti dell’autore nelle sue opere. Rimango quasi indifferente all’arte visiva. Forse perché le emozioni più forti le ritrovo solo nella musica. Mi perdo nelle migliaia di note di una canzone, mi abbandono tra le sue armonie. Viaggio attraverso mondi inesistenti, grazie alla musica. Non mi stanco mai di ascoltare. E non mi stanco mai di ritrovare quelle stesse emozioni, che qualcun’altro ha voluto trasmettere a me, nelle note che produco semplicemente sfiorando le corde della mia chitarra, accarezzandone i tasti, ascoltandone il suono dolce. Quando suono mi stacco dal mondo. Esiste solo la musica. Quella musica che sa riempirmi il cuore.
Proprio mentre suono mi ricordo che devo andare a prendere Giorgia dalla scuola di danza e andare insieme a lei a prendere non so cosa in un qualche negozio nei pressi del Duomo. Proprio oggi che Olimpia mia aveva invitato da lei! Ci sarebbe stata anche Elettra, ed è una settimana che non la vedo, se non due minuti di sfuggita prima di entrare a scuola.
Chiedo a Giorgia di rimandare il noioso pomeriggio di shopping ma lei non ne vuole sapere. Le spiego la situazione con calma, ma lei s’incazza e mi trascina in centocinquanta negozi diversi.
Ho voglia di vedere Elettra, di passare del tempo con lei.
Se quella stupida di mia sorella non fosse così testarda. Quando però mi vede disperato, buttato su una sedia di uno squallidissimo bar, che fisso il telefono in attesa di un messaggio di Elettra, mi suggerisce di invitarla da noi quella sera stessa. Alzo appena un sopracciglio.
- Figurati se viene.
- Perché non dovrebbe scusa?
- Perché non è mai venuta a casa, insomma, boh, non credo che viene.
- Che venga. Comunque tentar non nuoce.
- Che palle, non viene tanto.
- Ma perché, smettila, chiamala e non rompere le palle, al massimo se dice di no rispondi che sarà per un’altra volta.
- Si ma ti immagini se mi dice di no? Nono. Ci rimarrei troppo di merda.
- Oh ma piantala e chiamala.
Mi ruba il telefono di mano, cerca il numero di Elettra in rubrica e preme il verde.
- Stupida! - esclamo, e faccio per chiudere la chiamata, quando la voce squillante di Elettra risuona nell’altoparlante. Oramai non ho scelta, chiedo perdono per non essere potuto venire da Olli e la invito. Come la prima volta che l’ho invitata a uscire, non mi lascia nemmeno finire la frase che già accetta.
Credo che la mia faccia parli da sola, perché Giorgia mi lancia uno sguardo soddisfattissimo sorridendo sotto i baffi.
- Vedi che ha detto di sì? Paranoico.
- Però te e Mich non rompete le palle. E per fortuna papà è sempre in giro a bere, almeno non rompe nemmeno lui.
- Per fortuna? - chiede Giorgia. I suoi occhi si fanno tristi. L’abbraccio e insieme tiriamo un lungo sospiro.







Ciao a tutti :3 ecco il mio quinto capitolo.
Spero che la storia vi piaccia, spero di non essere monotona o ripetitiva..
Devo ammettere che questa prima parte è parecchio noiosa - bello criticare la propria storia - ma credo di essere riuscita a movimentarla un po' nei prossimi capitoli.
Recensioni sono sempre ben accette *-*
Un <3 a tutti quelli che mi leggono :3

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Capitolo 6
*** L'unica ragazza che mi sia mai piaciuta davvero. ***


- Elettra.
Solo mia madre mi aveva mai abbracciato con così tanto amore.”

 

Scendo veloce le scale del mio condominio con gli Slayer che mi urlano nelle orecchie. Mandando avanti una canzone degli Slipknot che ora non ho voglia di ascoltare mi accorgo di essere in ritardo, sono le 21:10 e avevo detto a Scar che arrivavo per le 21. Che palle, mi tocca correre. Quando arrivo in strada mi rendo conto di non sapere dove abita Scar. Cerco di chiamarlo ma non ho soldi nel telefono. Sto già per rientrare in casa per usare il fisso, ma sento il cellulare vibrare in tasca. È Scar, per fortuna.
- Pronto, Ele, ciao, mi sono ricordato di non averti mai detto dove abito.
- Ciao Scar, sì, me ne sono ricordata anche io.
- Vengo a prenderti a casa tua? Almeno non perdo tempo nel cercare di spiegartelo.
- Sono già sulla soglia.
- Corro.
Il mio iPod, che è sempre impostato su “casuale”, decide di farmi ascoltare una meravigliosa canzone dei Pantera, This Love. Mi perdo nei suoi arpeggi distorti sussurrando appena le parole, Scar arriva e io neanche me ne accorgo. È venuto in bici, “per non farti aspettare troppo”, mi dice.
Si ferma di fianco a me, le guance rosse per il freddo e il fiatone per la pedalata veloce. Butta la bicicletta contro il muro e si avvicina velocemente a me. Mi abbraccia forte, fortissimo, come se non mi vedesse da due mesi. Sono sorpresa, mi aveva già abbracciato in passato, ma mai così. A dire il vero, solo mia madre mi aveva mai abbracciato con così tanto amore. E stare tra le braccia possenti di Scar, mi trasmette uno strano senso di protezione, di calore. Mi godo quegli attimi di dolcezza, affondando la testa nel petto muscoloso di Scar.
- Ciao, Ele. - dice dopo qualche minuto, sciogliendo l’abbraccio.
- Ciao, Scar. - ribatto. Non avevo ancora avuto il tempo di spegnere l’iPod.
- Dai, salta su, ti porto da me.
Batte la mano sul sellino della bici.
- E stai attenta a non mettere i piedi in mezzo ai raggi!
Un po’ a fatica mi isso sul sellino troppo alto per me e mi aggrappo alla felpa di Scar. Pedala veloce, quasi non si accorgesse di avere un’altra persona con lui. Cerco di memorizzare la strada per casa sua, ma dopo la seconda volta che svolta mi sono già persa. Mi sa che per molto tempo dovrà venire a prendermi sotto casa.
- Siamo arrivati. - esclama, mostrandomi con un cenno della mano l’entrata di un condominio. Faccio i salti mortali per scendere dalla bicicletta e lo seguo. Mi duole il sedere per colpa dei dieci minuti seduta su uno scomodissimo sellino senza potermi muovere. Credo di camminare peggio di un clown.
Scar porta la bici in un garage e prendiamo l’ascensore, ci porta al settimo piano, l’ultimo.
Il suo appartamento è una specie di attico. Tutte le pareti del salotto sono delle grandi vetrate.
- Ma dal fuori non si vede dentro? - chiedo preoccupata. Proprio di fianco al condominio di Scar ce n’è un altro molto più alto e chiunque potrebbe sbirciare nella sala.
- No, macché, esternamente è opaco. E comunque abbiamo delle veneziane, per quando c’è troppo sole.
Mi do un’occhiata in giro. Il salotto è abbastanza grande, elegante. In un angolo un tavolo di vetro sta davanti a una libreria pienissima, e in un altro una specie di materasso appoggiato per terra fa da divano. La televisione è vecchiotta, appoggiata su un mobile nero, ricco di ripiani, pieni di animaletti di vetro colorato. Incuriosita, prendo in mano un gufo di una strana roccia nera lucida.
- Mia sorella Giorgia li colleziona. - sussurra Scar indicando gli animaletti.
- Il gufo è il mio animale preferito.
- Ne ha tanti di gufi. Solo che li tiene in uno scatolone, tiene esposti solo i più belli.
- Tu non collezioni niente? - chiedo, rimettendo a posto il gufo.
- No. Non credo sia una cosa utile, senza offesa per i collezionisti.
- Io invece colleziono modellini di chitarre. Di tutti i tipi, classiche, elettriche, di legno, di plastica, di metallo, colorate..
- Wow, le chitarre piacciono anche a me. Suoni?
- No, ma mi piacerebbe molto.. Forse però è tardi per iniziare.
- Non credo sia mai troppo tardi per imparare. Se vuoi ti posso insegnare qualcosa. Non sono un professionista, ma almeno le basi le conosco.
- Non sapevo suonassi.
- Te l’avrò detto venti volte!
Soffoco una risatina imbarazzata e insisto per vedere la camera di Scar.
- Non è proprio camera mia. Cioè, ufficialmente sì, ma in realtà dormo in camera con i miei fratelli.
Fa per aprire la porta della stanza ma si blocca.
- Prometti di non ridere. - dice con tono serio.
- Perché dovrei ridere?
Finalmente apre la porta, accende la luce. Mi ritrovo davanti a uno zoo in miniatura. Ci sono un sacco di gabbiette e teche, e in ognuna c’è un animale diverso.
Affascinata accarezzo il vetro di una teca. Inizialmente vedo solo foglie e rami, ma poi qualcosa si muove. Un piccolo animaletto blu. Faccio un salto all’indietro, finisco addosso a Scar, che si mette a ridere.
- Tranquilla, è solo una rana. Quella si chiama Zeta. E se guardi bene dietro a quel sasso c’è Oz. Sono due Dendrobates.
- Dendrobates?
- È una specie di rane. Per l’esattezza sono Dendrobates Azureus.
- Perché sono azzurre.
- Esattamente.
- Oddio, non sapevo ti interessassi di rane.
- Non solo. In quella teca, quella più grande, c’è un Boa Arcobaleno.
Mi avvicino piano. Intravedo una striscia viola con dei pallini gialli tra il fogliame.
- E si chiamano così perché sono colorati?
- Proprio così, lei si chiama Baby. Quando l’ho presa era piccolissima.
Scar si lascia cadere su un letto appoggiato alla parete, di fianco a un enorme scaffale pieno di mangime e roba per prendersi cura degli animali.
Mi siedo di fianco a lui, e gli chiedo di tutti i suoi animali. Mi parla di un altro serpente, qualche altra specie di rana e persino di un geco.
- Ma un animale.. “normale”, non ce l’hai?
- Beh, ho tre furetti.
Chiude bene la porta della stanza e controlla le finestre, poi apre una gabbietta dalla quale escono tre animaletti bianchi che iniziano subito a correre da tutte le parti.
Torna a sedere di fianco a me e uno dei tre furetti gli si accoccola sulla spalla.
- Si chiama Fulmine, ma in realtà è un gran pigrone.
Allungo prudentemente una mano per accarezzarlo, e Fulmine mi annusa le dita.
- Mi sento inferiore, ho solo tre gatti e un coniglio!
Scar ride.
Le ore passano senza che me ne accorga. Quando mia mamma chiama è l’una. Dice che papà era preoccupatissimo, non si fida a farmi venire a casa da sola, a piedi, per quasi tre chilometri, a quest’ora.
- Il tuo amico non può accompagnarti in macchina?
- Non ce l’ha.
- Dio santo, Elettra. Né io né tuo padre abbiamo le forze per venire a prenderti. Come facciamo? - urla mia mamma nella cornetta.
- Eh, boh..
- Ele.. - interviene Scar, - se è un problema tornare a casa puoi restare qui.. Effettivamente è tardi.
- Mamma hai sentito? - chiedo.
- Sì, ma domani come fai, ad andare a scuola e tutto?
- Mamma! Ma domani non c’è scuola, inizia il ponte di Halloween!
- Già domani? Che giorno è?
- Il 28, stiamo a casa fino al tre.
- Oh, ma che fortuna! Va bene allora, stai pure lì, se non disturbi.
- Disturbo? - chiedo sottovoce a Scar.
- Figurati. - risponde lui, guardandomi dolcemente con i suoi occhioni neri.
Scar mi offre una sua vecchia tuta da usare come pigiama e stende una coperta sul divano in salotto. Neanche il tempo di infilarmici sotto che cado in un sonno profondo.
 

 

- Oscar.
L’unica ragazza che mi sia mai piaciuta davvero.”


 

Continuo nervosamente a guardare l’orologio, conto ogni minuto che passa, sono già le 9.11. Poi guardo il telefono, controllo se Elettra mi ha inviato un messaggio per dirmi che è in ritardo e arriva tra un po’, per avvisarmi che non viene più, per.. chiedermi l’indirizzo! Non ho mai detto dove abito ad Elettra! Che stupido. È ovvio che non arriverà mai. La chiamo, dice di essere sotto casa e mi offro di andare a prenderla.
Salto sulla mia bicicletta e percorro i due chilometri, ok forse quasi tre, che separano casa mia dalla sua.
Eccola, finalmente. Bellissima, nella sua felpa rossa, coi capelli deliziosamente raccolti in una cipolla scompigliata, con quei jeans così stretti che lasciano quasi intravedere il bordo delle mutande.
Mi accorgo di non essere l’unico a osservare le gambe di Elettra. C’è un signore sulla cinquantina seduto su una panchina a pochi metri da lei, che se la mangia con gli occhi. Ha il tipico sguardo che dice “ehi guarda che sono uno schifoso pervertito appena c’è meno gente ti prendo e ti porto su a casa mia, mia moglie non è in casa e posso divertirmi molto con te”.
Dentro di me cresce un sentimento di rabbia infinita verso quell’uomo. Non solo perché ho la netta impressione che voglia commettere una violenza contro una ragazza, ma soprattutto perché la ragazza in questione è l’unica ragazza che mi sia mai piaciuta davvero. E nessuno, men che meno un vecchio arrapato, si può permettere di toccarla.
Senza pensarci due volte butto la bicicletta contro il muro e mi dirigo quasi correndo verso di lui. Sto già per tirarmi su le maniche della felpa per tirargli un pugno quando una vocina dentro di me grida di lasciar perdere, piuttosto di correre subito da Elettra e portarla via da lì. Così, con la stessa decisione con cui mi dirigevo da quello schifoso cambio direzione e abbraccio Elettra. Ho la sensazione di poterla proteggere anche solo con quel gesto. L’abbraccio sempre più forte, e lascio che lei ricambi la stretta, lascio che appoggi il viso al mio petto. Con la coda dell’occhio vedo l’uomo con un’espressione amareggiata che sbuffa.
- Ciao, Ele. - dico, quando il vecchio si perde in mezzo alla folla.
- Ciao, Scar. - ricambia, aprendosi in un sorriso meraviglioso che fa comparire la fossetta sulla guancia destra.
Armeggia con l’iPod e cerca di salire sul sellino della bici.
Corro veloce per i marciapiedi, evitando le centinaia di persone che incontro, mi gusto la sensazione delle mani di Elettra che stringono i miei fianchi. Sento il loro calore persino attraverso i vestiti.
Finito il viaggio, che a me è sembrato troppo breve, le mostro casa mia.
Un grande appartamento all’ultimo piano, ereditato da uno zio di mio padre morto qualche mese fa.
La porto in salotto, e rimane affascinata dalla grande vetrata che percorre due delle quattro pareti della stanza. Nota ogni dettaglio, proprio come faceva con i dipinti al museo. Rimane però colpita dalla collezione di animaletti in vetro di mia sorella, che teniamo esposta sul mobiletto in legno nero della tv. Tra i tanti tipi di animali, Elettra nota proprio il più bruttino, un gufo in pietra nera.
- Il gufo è il mio animale preferito. - si giustifica.
Mi chiede se colleziono qualcosa di particolare, ma in effetti non ho mai avuto una passione nel conservare oggetti simili tra loro. Ho sempre pensato fosse una cosa completamente inutile. Lo dico anche a Elettra, ma lei ribatte dicendomi che colleziona modellini di chitarre. Che figura di  merda. Cerco di rimediare dicendole anche a me piacciono le chitarre, le chiedo se suona.
- No, ma mi piacerebbe molto.. Forse però è tardi per iniziare.
- Non credo sia mai troppo tardi per imparare. Se vuoi ti posso insegnare qualcosa. Non sono un professionista, ma almeno le basi le conosco.
- Non sapevo suonassi.
- Te l’avrò detto venti volte! - ok, venti forse no, ma di sicuro gliel’avevo accennato un paio di volte.
Elettra ride, portandosi la mano davanti alla bocca. Non credo di aver detto niente di particolarmente divertente, ma la sua risata è contagiosa.
- Mi fai vedere camera tua?
- Come?
- Mi fai vedere la tua stanza? Dai, per favore..
- Ci tieni davvero?
- Sì, davvero davvero! Daai.
- Stai insistendo per caso?
- Mh, forse si. Dai dai dai per favore!
La lascio insistere ancora un poco e alla fine acconsento.
- Non è proprio camera mia. Cioè, ufficialmente sì, ma in realtà dormo in camera con i miei fratelli.
Ci incamminiamo verso la fine del corridoio, dove si trova la mia stanza.
- Prometti di non ridere. - dico con tono serio, prima di farla entrare.
- Perché dovrei ridere?
Mi stringo tra le spalle. Forse i miei numerosi animali potrebbero spaventarla. Accendo la luce e osservo la reazione di Elettra davanti a tutte le teche con dentro serpenti, rane, rane, rane, e serpenti.
Tengo il fiato sospeso, impaziente di vedere come Elettra reagirà agli strani animali non propriamente domestici che alloggiano in camera mia. Si avvicina alla teca di due delle mie rane, e appena ne vede una fa un salto all’indietro, finendomi addosso. Non riesco a trattenere una risata nel vedere la faccia spaventata di Elettra. Da spaventata, la sua espressione si trasforma subito in divertita, fa la finta offesa.
Dopo averle descritto il mio serpente preferito, il Boa Arcobaleno, mi butto sul letto, facendole cenno di sedersi in parte a me.
Inizia a tempestarmi di domande sugli animali. Le faccio conoscere i miei tre furetti bianchi, e Elettra stringe subito amicizia con Fulmine, il più tranquillo dei tre.
Tra una chiacchiera e l’altra si fa tardi, l’una passata, e i genitori di Elettra chiamano.
Non capisco molto della telefonata, ma colgo qualche parolina, che mi fa intuire che non sa come tornare a casa. Io non posso accompagnarla, non ho la macchina, non mi fido troppo a girare né in moto né bici di notte, figuriamoci a piedi.
Così le propongo di dormire qui. Tanto domani non c’è scuola, non so perché ma quest’anno facciamo un ponte lunghissimo per i morti, e già da domani siamo in vacanza. In più il divano è particolarmente comodo.
Mi sembra di sentire la madre di Elettra sollevata, e acconsente a lasciarla stare qui per stanotte.
Le assicuro che non disturba, le offro una mia vecchia tuta da usare come pigiama e le preparo il “letto”.
Aspetto che esca dal bagno e l’accompagno in salotto per darle la buona notte, ma Elettra si addormenta non appena tocca il cuscino, ancora fuori dalle coperte.
Mi fa così tenerezza. Le rimbocco le lenzuola e dolcemente le accarezzo il viso. Sto un poco a guardarla dormire, finché arriva mio padre.
Quando mi vede sveglio, seduto di fianco alla bella addormentata, inizia a urlare.
- Cazzo fai, papà? - sibilo. È completamente ubriaco.
- Vai in bagno a darti una pulita, e se sei troppo ingranato per farlo vai direttamente in camera.
Cerco di tenere il tono della mia voce basso, per non svegliare Elettra, ma allo stesso tempo imponente, per fare in modo che mio padre faccia ciò che gli dico.
Restiamo un paio di minuti immobili, io che indico il corridoio, e mio padre che mi guarda intontito. Questa situazione un po’ al contrario succede spesso, da quando i miei si sono separati.
Credo che mio padre abbia un po’ paura di me. Lui è un uomo di bassa statura, abbastanza magrolino, non troppo forte, nonostante sia operaio. Invece io sono minimo quindici centimetri più di lui in altezza e ho il triplo dei suoi muscoli. Se poi faccio il vocione, sfido chiunque a non essere intimorito da me.
Non che mi faccia piacere, spaventare la gente, anzi. Cerco sempre di essere gentile con le persone, di stringermi tra le spalle per sembrare un po’ più piccolo di quello che sono. In fondo credo di essere un gigante buono, anche se ogni tanto sono impulsivo e, lo ammetto, qualche volta sono anche violento.
Ma di sicuro non ho la minima intenzione di essere violento con mio padre, con mia sorella, con mio fratello, con Elettra, Olimpia, o qualsiasi altra persona a cui tengo.
Mio padre finalmente sembra capire ciò che gli ho detto e lentamente s’incammina in camera sua. Lo seguo con lo sguardo, lasciando cadere il braccio lungo il fianco.
Mi giro un’ultima volta verso Elettra, che dorme ancora serenamente, non sembra essersi minimamente accorta del casino che ho fatto. Cercando di fare meno rumore possibile, vado a dormire anche io.

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Capitolo 7
*** Gelosia portami via! ***


- Elettra.
È la vigilia di Halloween!”

 

- Eleeeeeeeeeettra! - urla Olli nella cornetta.
- Sì, conosco il mio nome, dimmi pure.
- Sai che giorno è domani?
- Credo il 30 ottobre. È per caso il tuo compleanno e non ne sono a conoscenza?
- No, il mio compleanno è a giugno. Il 2 precisamente.
- Ah, ok, allora cosa significa che domani è il 30 ottobre?
- È la vigilia di Halloween!
- E con questo?
- E con questo?! Dobbiamo assolutamente vederci e decidere cosa mettere per il giorno dopo.
- Il giorno dopo? Halloween? Non mi sembra che ci sia bisogno di una riunione per scegliere i vestiti dato che non faccio assolutamente nulla.
- Come non fai nulla?
- Non faccio nulla.
- Non hai ricevuto il messaggio su Facebook? Te l’avevo inviato tipo cinque giorni fa.
- Sono due settimane che non va internet in casa mia.
- Ah, capisco.. Vabè comunque andiamo a una festa.
- A una festa.
- Sii, a casa di Casper.
- Casper?
- Sii, il ragazzo-fantasma che avevi visto l’altro ieri sulle scale di casa mia!
- Gabriele dici?
- Si, lui!
- Ma mica abita di fronte a te?
- Certo. Dai, ci andiamo, oramai gli ho detto che ci saresti stata.
- Gli hai detto che ci sarei stata?
- Si, l’avevo visto cinque giorni fa appunto e mi aveva detto di venire a sta festa. Ha tanto insistito che venissi anche tu.
- Ha insistito che venissi anche io?
- Ma perché hai preso il vizio di ripetere ciò che ti dico?!
- Oh, ok, scusa.
- Vabè, comunque è una festa in maschera, ci sarà un casino di gente, tanto da bere e musica a palla.
- Un casino di gente? Ma non abita in un appartamento?
- Sì, ma il suo è su due piani, è gigantesco. Ed è pure completamente insonorizzato! Non è una cosa fighissima?
- Sì, va bene, ma hai detto che è una festa in maschera, e io non ho niente da mettermi.
- Per questo domani dobbiamo incontrarci. Dai dai dai dai dai, andiamoci!
- Ah, uh, oh.. ok. Vengo solo se c’è anche Scar.
- Lui ha letto il messaggio su Facebook.
- Ah.. Oh. Ok.
- Smettila di fare versi. Ci vediamo sotto casa mia.. anzi no sotto casa tua che è più vicina alla metro. Alle tre, ora lo dico anche a Scar. Sii puntuale! Sennò mi attacco al campanello finché non ti vedo.
- Che palle che sei.
- Sì, ti voglio tanto bene anche io, un bacio!
Non mi da il tempo di salutarla che riattacca. Ripenso alle parole di Olimpia, “ha tanto insistito che venissi anche tu”. Il bello, bellissimo Gabriele detto Casper, ha insistito perché io venissi alla sua festa?! Mi tornano in mente i suoi occhi di ghiaccio, che per un momento soltanto hanno incrociato i miei. Il tempo che si era fermato per un momento. Mi fa così tanto piacere che mi abbia invitato. Ho fatto resistenza con Olli solo per farle credere che non m’importasse più di tanto, ma dentro di me facevo i salti di gioia.
Ho assolutamente bisogno di trovare un vestito adatto. Dev’essere tremendamente sexy.
 
È il trenta ottobre, sono le tre in punto e il campanello urla come un dannato. Allo stesso modo urla mio padre, maledicendomi per le mie nuove amicizie così turbolente.
- Ma Gaia non la senti più? Era così tranquilla, lei! - grida mia madre.
- Non era tranquilla per niente! - ribatto, strillando a più non posso per sovrastare il rumore del campanello e far arrivare la mia voce dal bagno, dove mi sto infilando i jeans, al salotto, dove mio padre stava cercando di riposare.
- Alleluia! - esclama Olimpia, appena spalanco la porta del condominio. Poi mi guarda e scoppia a ridere.
- Cosa c’è da ridere? - mi fingo offesa.
- Scusa, Ele, ma sembri appena uscita da una rissa.
- Non è colpa mia se qualcuno - sottolineo la parola “qualcuno” - ha rovinato il sonnellino pomeridiano di mio padre, che mi ha cacciata fuori di casa prima di riuscire a mettere una felpa decente.
- Ma smettila che stai bene anche così.
Mi accorgo che c’è anche Scar, appoggiato a un lampione. È sempre capace di farmi sorridere. Sempre. Anche quando ho l’umore sotto terra. Non so come faccia a sopportarmi sempre, quando ho un problema chiamo subito lui, perché so che mi ascolta. Anche se poi non sa darmi dei gran bei consigli eh, ma anche solo il fatto di avere qualcuno che sta a sentire i miei sproloqui mi fa stare subito meglio. Certo, racconto ogni cosa anche a Olimpia, e anche lei è capace di ascoltare, solo che Scar è il primo a saperlo. Credo di non avere mai avuto un amico così.. Credo sia il mio migliore amico.
- Allora, da cosa ti vesti tu? - mi chiede Olimpia con la sua vocina squillante.
- Non ne ho assolutamente idea. Speravo di prendere spunto da te.
- Oh, beh, io mi vesto da regina gotica.
- Regina gotica?
- Sì! Sai, abiti lunghi, pizzi, merletti, trucco esagerato.. Tutto rigorosamente su toni scurissimi.
- Wow. Però, ecco, non mi aiuta a trovare idee per il mio vestito.
- Pensa a un film horror che ti piace e travestiti da uno dei personaggi. - interviene Scar.
Mi scatta una lampadina dentro la testa.
- Imperatrice degli zombie! - esclamo.
- Imperatrice degli zombie? Hai preso ispirazione da un film? - chiede incuriosita Olli.
- No, no.. Solo che gli zombie mi hanno sempre fatto un po’ paura. Tu sei la regina del gotico.. e allora io sono l’Imperatrice degli zombie.
- Mh, ok, approvato, sarai l’Imperatrice degli zombie! Ma come lo realizzerai?
Panico. Non ne ho la minima idea. Questa cosa diverte Scar. Lui non ci vuole dire da cosa si vestirà, dice che una vaga idea già ce l’ha e non ha bisogno di comprare niente di nuovo.
 
- Dio, sono esausta. - esclama Olli buttandosi su una poltroncina del bar dove ci siamo rifugiati. Abbiamo passato tre ore a provare tutti gli abiti di tutti i negozi di metà Milano. Abbiamo entrambe trovato i vestiti adatti, ma ci siamo sfinite.
- Su, su, ragazza. Che manca ancora la parte più importante: trucco e acconciatura! - dice Olimpia con un sospiro, dopo aver bevuto un frappé al caffè e due cappuccini.
- Sentite ragazze io sono distrutto me ne vado a casa, tra l’altro non mi intendo di capelli quindi non mi sembro molto utile. - dice Scar alzandosi e stiracchiandosi la schiena.
- No, dai, rimani! - supplico. Avere un maschio a cui chiedere commenti e pareri sull’aspetto è sempre utile. E poi, davvero voglio che rimanga.
- Dai tanto ci vediamo domani.
- Metti che muoio stasera!
- Figurati, Ele! Ci vediamo domani alla festa.
Scar sta già per andarsene ma gli faccio gli occhioni dolci.
- Eddaai, rimani con noi ancora un po’.
Scar sospira e, ridendo, acconsente.
Finisco la mia tazza di cioccolata ancora fumante e ci fiondiamo in altri centocinquanta negozi, per poi tornare a casa solo alle sette, completamente senza forze.

 



- Oscar.
Devo assolutamente tenerlo d’occhio.”

 

Sono in un bellissimo locale, elegantissimo, insieme a Elettra. È seduta di fianco a me, la sento, ma non la guardo. Guardo l’orchestra che suona su un palchetto delle melodie dolci e armoniose. Sorseggio un cocktail che avrà minimo quaranta gradi e l’alcool arriva dritto al cervello. La vista si appanna leggermente. Appoggio la testa alla testata del divano sul quale sono seduto, accarezzo il velluto rosso. Chiudo gli occhi e assaporo il retrogusto dolce che il drink mi ha lasciato in bocca. Elettra mi accarezza la mano. Improvvisamente l’orchestra inizia a suonare Dittohead, degli Slayer, e la cosa mi sembra del tutto normale. Poco a poco il palchetto mi sembra sempre più lontano e la musica aumenta di volume. Riapro piano gli occhi e mi ritrovo nel mio letto. La canzone degli Slayer veniva dal telefono. Solo ora mi ricordo che l’avevo impostata come suoneria. Faccio due più due e mi rendo conto che qualcuno mi sta chiamando.
- Pronto? - biascico.
- Ciaaaaao Scar! Sono Olimpia! - dice una voce allegrissima dall’altro capo del telefono.
- Ciao Olimpia. - sospiro, mettendomi a sedere. - Perché mi chiami così presto?
- Guarda che sono le undici. No, non dirmi che dormivi!
- Perché, non si sente?
- In effetti hai una voce un po’ strana. Vabè, volevo chiederti se alla fine ci sei alla festa in maschera di dopodomani.
- Quella di quel tizio.. Casper?
- Si, la sua!
- Credo di sì.. C’è Elettra?
- Oh, ma che palle, perché tutti mi chiedono di lei?
- Tutti chi?
- Prima ho incontrato Casper, mi ha chiesto se venivo alla festa e ha tanto insistito perché venisse anche Elettra. Comunque l’ho chiamata due minuti fa, ha detto che c’è.
- Mh, ok.
- E resterai a dormire da me. Tanto i miei non ci sono, vanno a trovare i miei nonni in Veneto, si portano dietro quel rompipalle di mio fratello.
- Ho scelta per caso?
- No. Ah, e domani andiamo a prendere i vestiti.
- Ma io ce li ho già.
- Eh, accompagni me e Elettra.
- Mh, ok, va bene.
- Ci vediamo alle tre sotto casa di Elettra. A domani!
Riattacca senza lasciarmi il tempo di salutarla.
Per tutta la giornata non mi tolgo dalla testa l’idea che Casper abbia insistito perché Elettra venisse alla sua festa. Non riesco ad accettarlo. Non riesco a immaginarmi Elettra con quell'essere. Mi è sempre stato sulle palle. Fa il viscido con le ragazze, ci prova con tutte, credendosi un figo pazzesco. No, non va bene per lei. Devo assolutamente tenerlo d’occhio, alla festa di dopodomani.
 
Sono con Olimpia sotto casa di Elettra e l’aspetto impazientemente. Forse però Olimpia è più impaziente di me, si attacca al campanello finché non vede la nostra amica comparire sulla soglia di casa.
- Alleluia! - esclama Olimpia. Subito dopo scoppia a ridere, Elettra è un po’.. scompigliata. Le due ragazze iniziano subito a bisticciare. Sarà, ma a me Elettra fa impazzire anche se non è perfettamente pettinata e vestita bene dalla testa ai piedi. Quando le faccio notare che sta bene comunque, lei si apre in un bellissimo sorriso, quel sorriso che mi aveva colpito fin dalla prima volta che l’ho incontrata.
Elettra e Olimpia discutono su vestiti. Olimpia si vestirà da Regina Gotica, Elettra da Imperatrice degli Zombie. Sono proprio curioso di vedere come li realizzeranno.
Entriamo in ogni singolo negozio d’abbigliamento che vediamo, che sia a tema “Halloween” o no. Provano ogni capo di tutti i negozi. Io mi limito a guardarle fare dentro e fuori ogni camerino rispondendo a cenni alle loro numerose domande - “come sto?” o “trovi che mi ingrassi?” o “ma così sembro piatta? No perché già ce ne ho poche..”.
Finalmente trovano entrambe i loro vestiti e ci godiamo un meritato frappé svaccati sul divanetto di un bar.
- Su, su, ragazza. Che manca ancora la parte più importante: trucco e acconciatura! - incoraggia Olimpia con un sospiro, dopo aver bevuto un frappé al caffè e due cappuccini.
Oh, no. Io mi arrendo. Torno a casa. Olimpia insiste perché io resti, ma l’idea del divano di casa mia con quel bel film che mi ha prestato un compagno di classe da vedere, non me la toglie dalla testa. Però si intromette Elettra, che fino a quel momento era stata zitta. Mi prega di restare con loro. Faccio già per dire di no anche a lei, ma mi catturano i suoi occhioni dolci.
- E va bene. Andiamo. - sospiro.
Così mi trascinano in un’altra marea di negozi, stavolta di trucchi, prodotti per capelli, accessori. Devo dire che la ricerca è stata molto più corta di quella di prima.
Olimpia alle sette in punto torna a casa, ha un non so quale impegno. Io invece accompagno Elettra, aiutandola a portare i mille sacchetti contenenti tutti i suoi acquisti.
- Oh, Scar, non vedo l’ora della festa di domani. Non sono mai stata a una festa in maschera, non una vera, almeno.
- Quando ero più piccolo, alle medie, credo, accompagnavo sempre Olimpia alle feste di Casper.
- Ah sì? E come sono?
- Beh, non c’è che dire, sono quasi sempre riuscite bene. Insomma, tanta gente, buona musica, mi sembra che abbia un cugino dj che porta tutta l’attrezzatura.. C’è anche un bel po’ di roba da bere.
- Dio, chissà quanto spende per organizzarla. Non fa pagare niente a chi viene?
- E come fa? Non è un locale pubblico, casa sua. In queste occasioni forse è meglio di un locale, però non può far pagare niente. Se per caso viene la polizia..
- La polizia?
- Sì, una volta era venuta, perché i vicini si lamentavano del chiasso, e la festa è finita lì. Dopo di che ha fatto insonorizzare tutta casa sua.
- Wow. Vabè, adesso sono ancora più curiosa di andare a questa festa di quanto lo ero prima. Dai, sono arrivata, ci vediamo domani allora.
- A che ore?
- Bo, io sono a casa di Olimpia dal primo pomeriggio, e dormo da lei la notte.
- Sì, mi sa che dormo lì anche io. Insomma, mi ha quasi obbligato a dirle di si.
- Ah, sì, è vero, me l’aveva detto. A domani Scar.
Si alza in punta di piedi, mi abbraccia e mi stampa un bacio sulla guancia. Le restituisco tutti i suoi vari sacchetti e la guardo sparire dietro la porta del suo condominio.
Istintivamente mi porto una mano alla guancia dove mi aveva baciato Elettra e torno a casa.
Ora sono curioso anche io di vedere come saranno conciate lei e Olimpia domani.

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Capitolo 8
*** Let's have a party! ***


- Elettra.
Che cos’è un’imperatrice degli zombie senza la sua corona?”


Olimpia è appena uscita dal bagno, finalmente è pronta. I suoi capelli arancioni sono perfettamente diritti, la frangia quasi davanti agli occhi, completamente truccati di nero. Le lentiggini sono state coperte con un fondotinta molto chiaro, le labbra perfettamente dipinte di nero. In viso sembra più una bambolina che una regina gotica. Ma il suo vestito è splendido. È formato da un corpetto strettissimo, la schiena rimane coperta solo da pizzi e merletti. All’altezza della vita il corpetto si trasforma in una gonna lunga fino ai piedi, a balze, anche quella tutta pizzi e merletti. Le scarpe sono quasi completamente coperte dal vestito, un paio di decolté nere con un tacco parecchio alto. Le spalle sono coperte da una specie di scialle completamente ricamato. E, dato che è la Regina Gotica, ha un diadema appoggiato sulla testa.
- Dio, sei bellissima Olli. - mormoro.
- Ma ti sei vista, Ele? Cazzo, sei perfetta, anche senza trucco.
Indosso un paio di pantaloncini cortissimi strappati in più punti, un paio di calze a rete che ho accuratamente rotto nei punti in cui mi applicherò delle ferite finte comprate ieri. Le scarpe infilate in un paio di anfibi di tre numeri più del mio. Ho una maglietta bianca strettissima con una generosa scollatura, e, sopra, un'altra più larga, che ho sporcato con la vernice spray nera e schizzato di sangue. Ho tinto i capelli di numerosi colori diversi, per poi scompigliarli completamente, aiutandomi con litri di lacca.
- Aiutami a truccarmi Olli per piacere, da sola non riesco!
- Certo, dimmi cosa devo fare. Una volta mia madre era make-up artist, mi ha insegnato a truccarmi benissimo!
- Bene, allora prendi il cerone bianco, su tutta la faccia.
Olli segue alla perfezione le mie indicazioni.
- Poi con quegli ombretti neri, viola e grigi fammi gli occhi neri, come se fossi stata presa a pugni. Scendi fino tipo a metà guancia, sfumalo bene però.
Anche stavolta esegue un lavoro spettacolare.
- Ora arriva il difficile. Prendi il sangue finto, devi fare in modo che sembra abbia appena preso a morsi qualcuno. Fallo colare fino sulla maglietta.
- Oh, ok. Ci provo.
Questa volta ci mette un po’ di più, e il risultato non mi soddisfa molto.
- No, ne voglio di più.
Praticamente Olli mi svuota il barattolo di sangue sul collo. Lascio che si asciughi, e ora è perfetto.
- Ora devo mettere questa cicatrice qui sulla fronte, in verticale, deve partire dal sopracciglio. Poi con questa sostanza che non ho ben capito cos’è devi.. sfumarla. Capito?
- Beh, abbastanza, credo.
Traffica un bel po’ con le sostanze che le ho messo in mano. Quando ha finito, mi specchio, e quasi mi spavento da sola.
- Dio, Olli! - grido.
- Ti sei messa paura da sola? - ride lei.
- No! Ho dimenticato le lenti!
- Le lenti?
- Si! A contatto colorate!
- Una bianca e una rossa! È vero!
- Spero di non rovinare il trucco mettendole.
Spalanco gli occhi più che posso e infilo la prima lente, quella rossa, sotto la cicatrice. Fin qui nessun disastro. Cerco di mettere anche la seconda ma mi scivola il dito e sbavo tutto l’ombretto nero.
- Cazzo, Ele!
- Dio, scusa Olli.
- Vabè, metti la lente ormai che te lo rifaccio.
Olli mi rifà il trucco rovinato e applica le ferite finte sulle gambe.
- Ok, sei finita.
Mi alzo e mi specchio per la prima volta per intero.
- Dio, faccio veramente paura.
- Siamo spaventosamente stupende, Ele! Girati che ti spruzzo il fissante per il trucco, tieni gli occhi chiusi bene! Perfetto. Ancora un po’ aspetta.. Ok, ora sei veramente pronta.
- Bisogna fare delle foto. Assolutamente!
Scattiamo una miriade di fotografie, prima Olli le fa a me, poi io a lei, poi alcune allo specchio, poi degli autoscatti.
- Sono assolutamente fiera di noi! - esclama Olli, cercando di abbracciarmi.
- Si, anche io, però stai attenta che sennò mi rovini tutto e dobbiamo rifarlo. - rispondo, tendendo le braccia per allontanarla.
Verso le nove arriva Scar. Appena entra in casa, Olli diventa scura in viso.
- Cavolo Scar, ma è lo stesso vestito di qualche anno fa! - lo rimprovera.
- Pensa invece che per Elettra è nuovo. - risponde lui in tutta calma.
- E poi non è lo stesso. - dice dopo un po’.
- Ah no?
- No.
- No?
- No!
- E quale avevi scusa?
- Quello vecchio mi stava grande. Allora l’ho cambiato.
- Però il soggetto è sempre lo stesso!
- E vabè.
Scar è vestito da soldato americano.
- Smettetela di litigare voi due, che mi è venuta un idea fantastica. - grido per sovrastare le voci di Scar e Olli che continuano a discutere.
Improvvisamente sembrano ricordarsi della mia presenza e contemporaneamente si girano verso di me con aria curiosa.
- Ci è avanzato molto del mio trucco da zombie.
Il viso di Olli si illumina e corre in bagno a prendere tutto quanto. Anche Scar sembra aver capito e sul suo volto si dipinge un espressione di terrore.
- Ti prego, no! - sussurra.
- E invece sì! - dico piano, facendogli un buffetto sulla guancia.
Olli torna armata di trucchi e si mette subito all’opera. Dopo una lunga ora di discussioni e lamenti, Olli esclama soddisfatta di aver finito.
- Che bello, Scar! - cinguetta Olli, riportando tutti i trucchi in bagno.
- Dio, ma come mi ha conciato quella là. - si lamenta Scar.
- Dai, che palle, smettila di lamentarti, guardati! Stai davvero bene in versione morto.
Ci mettiamo uno di fianco all’altra davanti allo specchio.
- Oh, ragazzi, ho creato una cosa bellissima! - urla Olli dall’altra parte della stanza.
- L’imperatrice degli zombie e il suo fedele suddito! - esclama, indicando prima me e poi Scar.
Ovviamente Olli insiste per scattarci qualche foto. Improvvisamente però sembra abbia avuto un’illuminazione divina e abbandona la macchina fotografica sul divano per poi correre via.
Io  e Scar ci scambiamo un’occhiata di disperazione. Scar si butta sul divano.
- Sono già distrutto, ancora prima che la festa cominci.
- A chi lo dici! - faccio per buttarmi a fianco di Scar ma mi ricordo della quantità di colori che ho addosso, potrei macchiare qualcosa. Sospiro e rimango in piedi.
- Elee! - sento Olli urlare da una qualche stanza. Dopo due secondi appare in salotto con un altro diadema in mano.
- Che cos’è un’imperatrice degli zombie senza la sua corona?

 


- Oscar.
"Sono quattro, bellissime foto. Trasmettono tutto il loro amore."

 

Non capisco perché le ragazze, quando devono uscire, che so, alle nove, iniziano a prepararsi alle due di pomeriggio. E riescono perfino a fare ritardo! Per me è una cosa inconcepibile. Come non riesco a capire dove trovino la pazienza di stare tre ore dal parrucchiere.
Oggi ho accompagnato mia sorella a tagliarsi i capelli, è stata dentro esattamente due ore e cinquantaquattro minuti. Sono stato obbligato ad accompagnarla perché mia sorella, tra tutti i parrucchieri di Milano, ha scelto proprio quello a quarantacinque minuti di strada da qui. Non mi fidavo a lasciarla andare da sola, in metro, attraversando tutta Milano. Così ho passato metà pomeriggio seduto sul divanetto nel salone a guardare mia sorella discutere col parrucchiere sul taglio più bello da fare.
- Scusa ma che hai di tanto importante da fare per essere stata così tanto lì dentro? - sospiro una volta usciti.
- Stasera Marco mi ha invitato ad andare con lui a una festa..
- Marco? A una festa? - chiedo con un finto tono da “genitore preoccupato”.
- Marco! Il ragazzo che mi piace! Dai, te ne ho parlato un mucchio di volte, papi! - e Giorgia gioca la parte della brava figlia, come facciamo sempre.
- Mh, e questa festa, dov’è? - abbasso notevolmente il tono di voce, per imitare mio padre.
- In una discoteca vicino a casa, papi! - ribatte lei, con gli occhioni dolci e la vocina acuta che fa sempre quando interpreta il ruolo della brava bambina.
Scoppiamo a ridere entrambi e ci incamminiamo verso la macchina.
Sì, una macchina, mia, finalmente! Per una volta mia madre ha fatto una cosa buona.
Mia madre. Non la vedo da tantissimo tempo. Non so neanche dove sia. Mio padre ci ha vietato di vederla. Però a me non sembra una persona troppo cattiva. Insomma, quando abitava con noi forse un po’.. L’alcool era il suo problema. Ma forse sa essere una buona madre. Non lo sapremo mai, se non gli daremo un’altra possibilità. Ne ho parlato spesso, con Giorgia e Michele. E so che mio padre la ama ancora. Forse non lo ammetterà mai, ma ho visto la foto che tiene ancora nel portafoglio. Anzi, le foto, sono quattro, bellissime foto. Trasmettono tutto il loro amore.
Alle nove precise sono a casa di Olli - dopo aver passato dieci minuti a vestirmi. Un “profumo” di lacca mi accoglie appena entro, e subito i miei occhi corrono, cercando Elettra. Peccato che la prima a corrermi incontro sia Olli.
- Cavolo Scar, ma è lo stesso vestito di qualche anno fa! - strilla.
- Pensa invece che per Elettra è nuovo. - rispondo tranquillamente.
Elettra ride. Olli invece continua a lamentarsi per il mio vestito.
“È lo stesso di un po’ di anni fa!”
Si, ma quanti anni fa?!
Per colpa del mio caratteraccio - e di quello di Olimpia - inizia una bella litigata.
- Smettetela di litigare voi due, che mi è venuta un idea fantastica. - grida una vocina lontana. Elettra, per fortuna che esiste. Fa cessare il litigio, ma la sua idea “fantastica” non mi piace per niente.
Ha intenzione di truccarmi da zombie. Le lancio un’occhiata di disperazione ma lei non muove un passo, e Olli già sta arrivando coi trucchi. Si sono coalizzate contro di me. E sono due donne! È una battaglia persa in partenza.
- Hai davvero intenzione di ricoprirmi di quella roba bianca?!
- Si chiama cerone. - Olli scandisce bene le parole.
- E ora siediti, che ok che sono nana ma tu sei esageratamente alto e non riuscirò a fare niente di decente se non ti siedi.
Cerco di oppormi ma getto subito la spugna. Cado su una sedia e lascio che Olli mi metta cerone su tutta la faccia.
- Finito?! - esclamo speranzoso appena vedo che mette via il barattolino che ha in mano.
Vengo subito colpito dal suo sguardo assassino.
- Oh, ok, va bene. Ho capito. Cos’altro devi fare?
- Uno zombie che si rispetti ha le occhiaie.
- Occhiaie? Dio, che palle, no, evita, dai, davvero, non è che mi piace l’idea.
- E invece sì, stai seduto, dove vai, smettila, non fare i capricci come un bimbo di tre anni!
Sbuffo per l’ennesima volta e mi risiedo.
Ancora una volta, quando mette via la tavolozza di ombretti neri e grigi che ha in mano, chiedo se ha finito.
- No ma ti do il permesso di specchiarti.
- Ommioddio, sembra abbia preso due pugni negli occhi. Levami sta roba. Mi rifiuto di andare in giro conciato così!
Ancora una volta urlo un po’ contro Olli e lei urla un po’ contro di me. E ancora una volta Elettra ci fa tacere.
- Dai, Scar, lasciati truccare. Guarda che stai bene. E poi è Halloween, stiamo andando a una festa mascherata. Nessuno si preoccuperà se le tue occhiaie sembrano dei lividi. …In effetti, Olli, ti sono venute un po’ male. - aggiunge sussurrando.
- Ma..
- Dai, siediti, manca solo una finta cicatrice e sei a posto. Dieci minuti, davvero.
Sospiro e mi ributto sulla sedia. Olli ritocca le occhiaie, ma non mi dà il permesso di guardarmi. Poi con della roba appiccicosa mi mette una cicatrice che parte dal mento e sparisce nel colletto dell’uniforme militare.
- Sì, come se non ne avessi abbastanza, di cicatrici.
- Ma questa è fresca.
- Smettila adesso, guarda, ho finito! - strilla Olli.
- Che bello, Scar. - esclama.
- Dio, ma come mi ha conciato quella là. - sussurro a Elettra, quando Olli torna in bagno.
- Dai, che palle, smettila di lamentarti, guardati! Stai davvero bene in versione morto.
 Mi prende per la vita e mi gira verso lo specchio.
Wow. La mia attenzione si concentra su Elettra, è veramente stupenda. Ok, forse ha i capelli un po’ in disordine, i vestiti che sembrano essere stati sbranati da un cane incazzato ed è particolarmente pallida, ma se una persona è bella.. beh, è bella sempre.
- Oh, ragazzi, ho creato una cosa bellissima! - grida Olli.
- L’imperatrice degli zombie e il suo fedele suddito! - esclama, indicando Elettra e me - Dai, fatevi scattare un paio di foto.
- Ancora fotografie? Dai Olli, s
mettila, che palle. - sbuffa Ele.
- Mannò, pochepoche!
- Olli..
 - E dai, per una foto, Ele. - mi intrometto.
L’Imperatrice degli zombie si rassegna e si mette in posa accanto a me. Dopo pochi scatti però a Olimpia viene in mente di avere un altro diadema, che fa saggiamente indossare a Elettra.
Finalmente siamo tutti pronti per andare alla festa. Io, sinceramente, andrei direttamente a dormire.






Questo è il mio ottavo capitolo. :)
Ringrazio quelli che mi seguono, che hanno messo la storia tra i preferiti, tra i seguiti, che l'hanno recensita..
Ovviamente spero sempre in un commento; le critiche sono ben accette ma anche solo un "mi piace la storia" mi fa molto piacere :3
Ma anche solo i lettori silenziosi sono graditi <3
Un bacio a tutti :3 Al prossimo capitolo!
- E.

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