Hungarian dance

di Rosette_Carillon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il viale del tempo ***
Capitolo 2: *** Una fata lungo il viale ***
Capitolo 3: *** Ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Un nome. . . da fata ***



Capitolo 1
*** Il viale del tempo ***


                                                                   Capitolo 1

                                                          Il “viale del tempo”

 

 

Era una fresca sera d’autunno e il vento soffiava sulla città coperta da nuvole grigie, nei viali le foglie volavano al ritmo scandito dal vento e portavano colore nella città.

Era tarda sera e Ivan stava tornando a casa: aveva passato tutto il pomeriggio nell’antica biblioteca universitaria per fare una ricerca di storia e non vedeva l’ora di poter tornare a casa sua e rilassarsi un po’.

Un autobus gli passò a fianco, la fermata era a pochi passi da lui e il mezzo si era appena fermato per far salire alcune persone: non avrebbe avuto alcun problema ad allungare il passo e farsi un viaggio breve e comodo sino a casa.

Invece Ivan non allungò il passo e non prese l’autobus che ripartì; quella sera voleva camminare.

Sentiva il bisogno di camminare e di vedere le strade della sua città, di perdersi in essa  per ritrovare se stesso, di sentire il vento freddo di fine novembre sul viso e di restare solo con i suoi pensieri.

Percorrendo un lungo viale alberato si fermò per un momento a guardare il cielo che si scorgeva fra le due file delle chiome degli alberi.

Continuò a camminare per un po’ col naso per aria ammirando il cielo che sembrava fatto d’argento talmente le stelle splendevano. Quando abbassò lo sguardo per tornare in città, nel mondo reale, si accorse di essere lungo il “viale del tempo” e sorrise all’idea di essere arrivato in un luogo familiare e a suo modo rassicurante.

Quella strada non si chiamava davvero “viale del tempo”, in effetti lui non sapeva quale fosse il vero nome di quel viale lungo il quale passava ogni giorno per andare a scuola, a dirla tutta non gli importava proprio.

Per lui quello era e sarebbe sempre stato il “viale del tempo”, il viale dove il tempo sembrava essersi fermato in un’epoca imprecisa ma bellissima, un’epoca elegante come il 1800 e allegra come la Belle Epoque.

Lì c’era una libreria, una delle più antiche della città,  con la porta sempre aperta come a voler invitare a i passanti ad entrare e perdersi fra le pagine dei libri per dimenticare tutti i loro problemi, le loro vite e vivere appassionanti avventure, tragici amori e scoprire misteri irrisolvibili. Più avanti c’era una piccola “chocolaterie” dai colori caldi e vivaci, dalla quale proveniva sempre un dolce profumo di cioccolata calda.

La proprietaria era un’eccentrica giovane donna dagli occhi verde scuro e i lunghi capelli neri che lasciava sempre sciolti e le ondeggiavano lungo la schiena quando lei si spostava da uno scaffale all’altro dietro il bancone.

Lungo il viale c’era una lunga passeggiata che dava sul quartiere più antico della città, da lì si potevano vedere tutte le stradine che si incrociavano per congiungersi poi in una piazzetta con una fontana al centro.

Non c’erano molte casa ma, fra quelle che c’erano, quella che di certo colpiva maggiormente l’attenzione di chi passava lì davanti per la prima  o per tante volte, come Ivan, era un' antica abitazione di quattro piani.

Quella casa apparteneva tutto ad un’anziana signora, un’ ex cantante lirica molto ricca.

La signora non usciva spesso e non riceveva quasi mai ospiti ma, se si approfittava  di tende o finestre aperte e si guardava all’interno, si poteva ammirare un elegante salotto con un pianoforte a mezza coda, un camino col fuoco sempre acceso in inverno e vari quadri appesi alle pareti.

Quando scendeva il buio, se le signora voleva passare la sera in quella stanza, si poteva ammirare il grande lampadario in cristallo appeso al soffitto che faceva luce assieme al fuoco del camino.

Dovevano esserci molte stanze, tutte molto eleganti, alcune probabilmente vuote;  si diceva anche che una sala, la più grande di tutta l'abitazione, fosse solo per gli strumenti musicali.

Un’arpa, un altro pianoforte e dei violini che restavano chiusi nelle loro custodie e poggiati sul divano che stava vicino ad una della tante stufe russe che scaldavano la casa.

Fu passando davanti a quella casa che Ivan si fermò , non per osservare ma per sentire; infatti dal salotto, nonostante la finestra fosse chiusa, proveniva il suono di un violino.

Era la “danza ungherese n°5” di Brahms.

Ivan si fermò incurioso davanti alla finestra per ascoltare meglio, rapito da quella melodia che aveva sempre amato. Si chiese chi potesse essere colui o colei che suonava, erano anni che dal quella casa non proveniva più una sola nota, adesso invece, in una fredda sera di novembre, qualcuno suonava la “danza ungherese”.  

Chi poteva essere? Ivan desiderava tanto saperlo, ma allo stesso tempo aveva paura di guardare all’interno della stanza per scoprire il “mistero”.

Aveva paura che, scoprendo chi stesse suonando, avrebbe interrotto la magia che si era creata e alla fine decise di non guardare.

Dopotutto il fascino di un segreto è proprio il fatto che è segreto, quando esso viene svelato non è più interessante. Si disse che probabilmente non avrebbe risentito mai più note di violino provenire da quella casa quindi era inutile scoprire chi stesse suonando e, finito il brano, continuò per la sua strada.

Ma si sbagliava.

 

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Capitolo 2
*** Una fata lungo il viale ***


                                                                                                        Capitolo 2

                                                             Una fata lungo il viale

 

 

 

Erano passate due settimane da quando Ivan, passando  lungo il “viale del tempo”, aveva sentito suonare quella danza ungherese.

Non era più passato davanti a quella casa a piedi, in modo da potersi fermare, ma continuava a pensare alla musica che aveva sentito e che lo aveva catturato.

Desiderava ritornare davanti alla casa e fermarsi ad ascoltare sperando di sentire ancora quel violino, ma non aveva coraggio di fare ciò, dopotutto era improbabile che la signora Estérazy avesse preso allievi quindi era altrettanto improbabile che fosse possibile risentire la danza.

Se non avesse cercato di risentirla, sarebbe potuto restare nel dubbio che qualcuno ogni giorno la suonava, se invece fosse andato a controllare, avrebbe saputo come stavano davvero le cose.

Lui preferiva illudersi.

 

Era appena iniziato il mese di dicembre quando Ivan si ritrovò a dover passare per quel  viale senza tempo, dovendo andare in libreria per comprare un regalo di Natale.

La città era piena di librerie di tutti i tipi, dalle più grandi alle più piccole, dalle più care a quelle meno care, dalle più fornite a quelle meno fornite. 

Ivan non avrebbe fatto fatica a trovare un libro qualsiasi anche nella piccola libreria vicina a  casa sua, il punto era che lui non cercava un libro qualunque, lui cercava un libro che non veniva ristampato da molti anni: era quello il regalo che voleva fare alla sua più cara amica, Klara.

Era una raccolta di fiabe di Marie-Catherine d’Aulnoy. Non era sicuro di poterla trovare ma, se c’era un posto in cui poteva esserci anche solo una copia di quella raccolta, quel  posto era la libreria degli Herzl.

Decise di andare in libreria una sera.

Il cielo cupo e il freddo pungente preannunciavano un’imminente  nevicata, che non tardò ad arrivare cogliendo tutti di sorpresa e rallentando notevolmente il traffico cittadino.

Ivan scese dall’autobus e decise di percorrere il viale a piedi ma, passando davanti alla casa della signora Estérazy, non poté fare a meno di fermarsi: qualcuno stava terminando di suonare “Katyusha” col violino.

Finito il brano, ci fu un momento di silenzio poi, ecco nuovamente la danza ungherese.

Rimase ad ascoltarla tutta, benché nevicasse e dovesse andare in libreria; quando anche quel brano finì, Ivan si sentì invadere dalla tristezza e decise di aspettare sperando di poter sentire altra musica.

Non sentì altre note provenire da quella casa ma, alcuni minuti dopo, il portone d’ingresso si aprì e si affacciò la signora Estérazy.

La donna  non era sola: con lei c’era una ragazza.

Non riuscì a vederla bene, essendosi nascosto dietro un albero per non farsi notare, ma  vide che non era molto alta, aveva lunghi capelli ricci e ramati, gli occhi verdi e il viso da bambina.

La ragazza salutò la donna allegramente, poi si allontanò dalla casa con passo svelto. In una mano teneva la custodia di un violino, nell’altra alcuni spartiti: sicuramente era lei che aveva sentito suonare.

Sotto lo sguardo di Ivan, la ragazza si allontanò correndo lungo il viale - forse era in ritardo per qualche appuntamento- evitando i pochi passanti e gli alberi.  Si muoveva con sveltezza, agilità ed eleganza come una fata in un bosco.

Chissà se avrebbe avuto la fortuna di risentirla ancora. . .

Perso nei  suoi pensieri, fu ridestato dal lontano ma chiaro suono della campane della chiesa vicina che si trovava nel quartiere antico; si ricordò di Klara e del libro che doveva comprarle per Natale.

Un ultimo sguardo alla quella fata di cui non conosceva nemmeno il nome poi, dopo essersi tolto un po' di neve di dosso, attraversò la strada e si incamminò verso la libreria.  

Per via del freddo la piccola porta verde ad arco era chiusa, ma anche così quel luogo sembrava voler richiamare la gente e persuaderla ad entrare.

Ivan spinse la porta e il rumore della campanelle appese ad essa lo accolse.

Si guardò attorno, a sinistra c’era il bancone con la cassa dove solitamente stavano i padroni del negozio, a destra c’erano gli scaffali dei dizionari, in fondo al breve corridoio ad arco c’erano  tre gradini che portavano alla sala lettura circondata da altri scaffali che contenevano libri di narrativa per tutte le età.

Ivan, entrato nella sale lettura, sollevò lo sguardo verso la balaustra che correva attorno alla sala e vide la signora Herzl intenta a sistemare alcune guide turistiche in un ripiano.

:<< Buongiorno. Posso esserle utile? >> chiese la donna voltata di spalle.

:<< Buongiorno signora Estèrazy, sono Ivan. Avrei bisogno di un regalo per un’ amica. >>

La donna si voltò : << Buongiorno Ivan. >> cominciò a scendere le scale :<< Che libro ti serve? >>

:<<  Le fiabe di Marie-Catherine d’Aulnoy.  >>

:<< Dovrei averne una copia, ma non sono sicura. Aspetta un momento che vado a controllare. >> disse la donna dirigendosi verso il ripostiglio dove tenevano tutti i libri appena arrivati o mai venduti.

Passarono alcuni minuti prima che lei ritornasse da Ivan con un sorriso trionfante sulle labbra : << Eccolo, l’ho trovato. >> disse tenendolo in mano :<< Lo incarto? >> chiese dirigendosi verso la cassa.

:<< Si, grazie. >>

Dopo aver pagato, Ivan riuscì nel freddo viale e si incamminò verso la fermata dell’ autobus per tornare a casa.

Fece appena in tempo a sedersi che vide l’autobus arrivare, dentro c’erano poche persone quindi trovò facilmente un posto dove sedersi.

Per tutto il viaggio la sua mente fu rivolta verso la fata, ormai per lui quella ragazza era la sua fata.

Guardando in cielo la luna che splendeva assieme alle stelle, chiese a queste ultime di fargli rincontrare la sua fata.

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Capitolo 3
*** Ghiaccio ***


                                                        Capitolo 3

                                                      Ghiaccio         

                            

Passarono i mesi e Ivan andava ogni giorno davanti alla villa a sentire suonare la  sua fata.

Aveva capito che lei prendeva lezioni private di violino dalla signora Estérazy, ormai Ivan sapeva quando aveva lezione e a che ora: il venerdì alle 18:00.

Arrivava sempre puntuale -mai un minuto in ritardo- accompagnata dalla gonna lunga che le danzava attorno alle gambe e dal violino che qualche volta sbatteva contro di esse. Raramente lasciava i riccioli liberi di ondeggiare sulle spalle ad ogni passo, li raccoglieva quasi sempre in una coda bassa.

Non sapeva ancora il suo nome ma, benché desiderasse saperlo,  per ora gli bastava ascoltarla suonare e bearsi di quelle dolci note di violino.

Ogni venerdì sera Ivan si sedeva in una fredda panchina in pietra che si trovava vicino alla villa, da lì sentiva benissimo la musica.

Passava la sera a disegnare su un quaderno la fata mentre suonava o mentre camminava.

Il  quaderno era piccolo, con i fogli scuri essendo di carta riciclata, non aveva né righe né quadretti e sulla copertina c’erano disegnate delle fresie rosse e bianche –mistero-. Quando l’aveva visto in cartoleria, fra tanti altri quaderni,  aveva pensato che solo quello poteva essere il quaderno giusto per contenere i ritratti della giovane violinista.

Qualche volta si chiedeva quanti anni avesse: ne dimostrava diciassette, ma forse era più grande, forse aveva vent’anni come lui. Si poneva spesso quella domanda, poi però scuoteva la testa ripentendosi che quelle erano le tipiche domande che si poneva uno stalker e allora tornava al suo disegno e si lasciava

nuovamente trasportare dalla note.

L’inverno passò e arrivò la primavera, poi dopo di esse giunse l’estate che quell’anno fu particolarmente afosa. Finalmente arrivò l’autunno, la stagione che per prima gli aveva portato le note di una danza ungherese suonata al violino, il clima rinfrescò sino a diventare freddo con l’arrivo dell’inverno e  del mese di dicembre.

Era passato un anno; un anno durante il quale Ivan si era beato della musica della sua fata  e aveva atteso con ansia i giorni in cui poteva sentirla.

Quell’anno la passeggiata lungo il viale era stata trasformata in una  lunga pista di pattinaggio, la gente aveva accolto con piacere questa novità, vi si recavano in molti a passare qualche ora di svago, sia che sapessero pattinare o no. Infatti spesso qualcuno finiva sul ghiaccio, ma si rialzava subito ridendo e ritentando di tenersi in equilibrio sulla fredda superficie.

Anche la fata aveva deciso di provare a pattinare. Vi andava sempre  dopo la sua lezione di violino, poggiava tutto su una della tante panche in legno  e si infilava i suoi pattini bianchi, poi si alzava e, tenendosi stretta alla sbarra in legno che circondava la pista, provava a muovere qualche passo incerto sul ghiaccio.

Non si staccava mai dalla sbarra alla quale si teneva con forza  ogni volta che rischiava di cadere, cioè molto spesso.

Anche Ivan decise di andare  a pattinare, magari con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a parlare finalmente con la sua fata o magari sarebbe semplicemente riuscito ad osservarla più da vicino.

Vi andò una sera, non c’erano molte persone sulla pista, forse per via del gelo che preannunciava un’imminente nevicata, ma la sua fata c’era e stava provando a pattinare come sempre.

La guardava da lontano cercare di restare in equilibrio lontano dalla sbarra e provare a muovere qualche passo incerto verso il centro della pista: aveva fatto progressi.

La vide perdere l’equilibrio, barcollare e sbilanciarsi pericolosamente verso il ghiaccio.

Non pensò a ciò che stava per fare, le sue gambe si mossero da sole e riuscì a prendere  la ragazza per la vita prima che elle cadesse.

:<< Tutto bene? >> le chiese stringendola a se.

:<< I-Io s-si . . . credo . . . si. >>

Ivan la rimise in piedi ma non la lasciò andare  per paura che cadesse, lei si scostò un ricciolo dagli occhi e lo portò dietro l’orecchio tentando di calmare il respiro e il battito del cuore.

:<< Sei sicura? Sei pallida? >> chiese nuovamente :<< Hai avuto paura? >> aggiunse con un sorriso

comprensivo.

Lei annuì incapace di mettere due parole coerenti in fila.

:<< Ti accompagno a sederti.  Vieni.  >>

La ragazza annuì nuovamente.

Ivan la prese per mano e la aiutò ad allontanarsi dal centro della pista e a tornare vicina alla panca dove c’erano le sue cose. La fece sedere e si sedette accanto a lei.

:<< Ti sei fatta male? >>

:<< No. >> mormorò  cercando di respirare normalmente.

:<< Ti va una cioccolata calda? Sembri ancora un po’ sconvolta, forse qualcosa di forte ti aiuterebbe a riprenderti. Offro io. >> propose Ivan con un sorriso gentile.

:<< I-io . . . non so, non vorrei disturbarti. >>

:<< Nessun disturbo. >>

:<< Va bene. >> rispose la ragazza togliendosi  i pattini e risistemandoli dentro la borsa assieme ai guanti.

Prese la borsa e il violino nella sua custodia, poi affiancò Ivan e andarono assieme verso la vicina chocolaterie.

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Capitolo 4
*** Un nome. . . da fata ***


                                                                                                Capitolo 4

                                                              Un nome . .  . da fata

 

 

 

                                                                                                                                                                                             

 Il locale era  accogliente, non c’erano molte persone e il tepore era sopportabile, anzi piacevole.

I due si sedettero in un tavolo circolare con due sedie blu notte vicino ad una finestra con una tenda bianca ricamata, a un lato c’era un piedistallo con un busto che rappresentava una dama di epoca vittoriana,  al muro era appeso un quadro che rappresentava una ballerina che danzava su un palco.

:<< Sei tu colui che mi ascolta ogni volta che suono alla villa? >> chiese con un sorriso innocente la ragazza tenendo in mano la sua tazza di cioccolata.

Stavano parlando di tutt’altro, il loro discorso riguardava un libro appena uscito nelle librerie, poi d’un tratto lei gli aveva fatto quella domanda.

Ivan rimase spiazzato : non si aspettava che lei lo avesse scoperto, pensava di essere stato abbastanza cauto tuttavia, nonostante lo stupore, decise di fare buon viso a cattiva sorte.

:<< A quanto pare mi hai scoperto. >> disse con un sorriso.

Lei rise :<< Vuoi continuare a restare un mistero? Mi dirai mai il tuo nome? >> chiese con sguardo improvvisamente serio. I gomiti poggiati sul tavolo e il mento sulle mani.

:<< Ivan. >> rispose lui poggiando a sua volta i gomiti sul tavolo a avvicinandosi a lei :<< Tu? Non posso continuare a chiamarti “Fata” per sempre. >> rise.

:<< Anikò. >>

Un nome  . . .  da fata. Ivan non avrebbe saputo in che altro modo definire quel nome che gli ispirava allegria, movimento e colore. Un nome così allegro per una fata che gli era stata portata dall’inverno suonava strano, ma che altro nome avrebbe potuto avere?

Improvvisamente il tepore del locare parve svanire e Ivan si sentì avvolgere dal gelo, sentì il cuore rallentare ed ebbe quasi paura che si potesse fermare da un momento all’altro dopo un colpo secco.

L’aria stava cominciando a mancargli e lui non aveva la forza di farla entrare e uscire dai polmoni, ci stava provando,  ma non era mai abbastanza.

La testa prese a girargli e diventò talmente pesante che non riuscì a non sbilanciarsi in avanti, per non cadere sul tavolo cerò di reggersi con le braccia poggiando i gomiti sul tavolo, ma non bastava, non riusciva a stare dritto.

:<<  Ehi stai bene? >> la voce preoccupata di Anikò gli giunse chiara, quasi assordante.

Voleva rispondere e dirle di stare tranquilla, ma non riusciva a muovere la bocca, perciò  parlare era impossibile.

Sentì il suo corpo sbilanciarsi del tutto e cadere dalla sedia, precipitare nel vuoto senza possibilità di arrestare la caduta; cadde sul pavimento ma non provò alcun dolore. Non sentiva nulla, solo delle voci attorno a lui che lo chiamavano e gli dicevano di svegliarsi.

 

:<< Ehi, ehi svegliati. Forza apri gli occhi. >> un dolce voce femminile :<< Riesci a sentirmi? Se mi senti stringimi la mano.  >>

Sembrava molto preoccupata, Ivan voleva tranquillizzarla e dirle che lui stava bene, ma non riusciva ancora a parlare, così strinse la mano della ragazza.

Subito si udirono sospiri di sollievo.

:<< Ok, ok sei sveglio. >> disse la ragazza più tranquilla, forse stava anche sorridendo :<< Ora prova ad aprire gli occhi. >>

Ivan si sforzò si fare come lei gli diceva, ma appena aprì gli occhi dovette richiuderli per via della forte luce che lo aveva quasi accecato. Provò nuovamente a riaprirli e, dopo pochi secondi, riuscì ad abituarsi alla luce che lo circondava.

Improvvisamente si ricordò di essere sulla pista di pattinaggio  nel “viale del tempo”. Cos’era andato a fare?

Si trovò davanti un paio di occhi verdi, ma non un verde qualsiasi, era un verde smeraldo, lo stesso  degli occhi del Gatto del Cheshire.

Occhi così non potevano appartenere a un essere umano, solo a uno magico.

:<< Come ti chiami? Te lo ricordi? >>  gli chiese la  . . . ragazza? Era giusto definirla “umana”? Con quegli occhi sembrava proprio una fata.

:<< Ivan. >> rispose lui.

:<< Ivan? E poi?  >>

In quel momento si ricordò della sua fata, la sua fata violinista che suonava la danza ungherese n°5 di Brahms.

:<< Lendvai. >>

:<< Ok Ivan hai bisogno di un ambulanza? >>

:<< No, no. >> disse provando ad alzarsi.

:<< Sei sicuro? Hai preso un brutto colpo in testa. >>

:<< Si. >>

:<< Signorina lei sarà anche studentessa di medicina, ma questo ragazzo non è in grado di capire nulla: è ovvio che ha bisogno di un medico. >> si intromise un signore.

:<< Sto bene, non si preoccupi. >> Ivan si alzò in piedi aiutato dalla fata :<< Ora devo andare, ho degli impegni. >>

La folla cominciò a disperdersi, le persone si erano tranquillizzate, e anche quel signore fu costretto ad arrendersi.

:<< Ehi un momento. >> la fata richiamò Ivan :<< Non posso lasciarti andare via così: ti sei quasi fatto ammazzare solo .  . .  >>

:<<  “Solo”? Io credo che per te quel violino sia molto importante. >>

Ora si ricordava tutto : quella sera avevano tentato di derubare la fata del suo violino e lui aveva fermato i ladri, ma era stato spinto violentemente e , scivolando sul ghiaccio, era caduto e aveva sbattuto la testa contro un albero perdendo  conoscenza .

:<< Aspetta. >> lei lo prese  per una manica :<< Permettimi almeno di offrirti una cioccolata calda.  . . per ringraziarti. >>

:<> non gli sembrava carino farsi offrire la cioccolata calda da una ragazza, ma il suo sguardo dolce e supplichevole lo convinsero ad accettare.

:<< Perfetto. >> disse lei felice, trascinandolo verso la chocolaterie :<< Io mi chiamo . . . >>

:<< Anikò, lo so. >>

:<< Come lo sai? >> chiese stupita.

:<< Sei la fata dei miei sogni. >> Ivan le sorrise :<< La storia è lunga. Vuoi sentirla? >>

Anikò ricambiò il sorriso :<< Certo. >>

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