Tell me a love story.

di PerfectToMe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un perenne sorridere ***
Capitolo 2: *** Tintinnio di chiavi e campanelli ***
Capitolo 3: *** Una dolce melodia di emozioni ***
Capitolo 4: *** Corri rischi, insegui i tuoi sogni ***



Capitolo 1
*** Un perenne sorridere ***


“ Tantissimi auguri, siete la coppia migliore di sempre. Buon primo anniversario! “ Mi sembra ieri che mi raccontava freneticamente del loro primo bacio, ma forse è meglio cominciare tutto dal principio.
 
Eva è una diciassettenne qualunque, la tipica ragazza della porta accanto. Può sembrare anonima a prima vista, ma quando riesci a conoscerla nel profondo comprendi il suo carattere forte ma dolce. La prima cosa che spicca di lei, dopo gli occhi turchesi, è la sua simpatia verso la vita e il suo continuo sorridere.
Come ogni giorno la ragazza si incamminava verso scuola con il viso candido nascosto dalla sciarpa di lana color lampone regalatale dalla sua nonna in vista dell’inverno in arrivo. Faceva molto freddo quella mattina, respirava aria gelida dalle narici nascoste tra un ricamo e l’altro della sua calda sciarpa, l’aria le sfiorava le guance e la punta del naso lievemente arrossate ma nonostante ciò camminava in fretta a passo deciso per andare a scuola.
Dopo una manciata di minuti arrivò all’entrata della scuola. Un’alta cancellata nera recintava quello stupido gregge di pecore, come lo definiva Eva; e la sua amica El era appoggiata di schiena su di esso. Aveva una gamba piegata appoggiata sul muretto, in posa un po’ strafottente. Eva la considerava la sua migliore amica ma non aveva mai esternato questa sensazione all’amica stessa. El, appena vide la ragazza occhi azzurri avvicinarsi, si staccò dal muro e la abbracciò per qualche secondo. Era alta e magra, aveva dei capelli castani lunghi e mossi , e degli occhioni castano verdastro a differenza della luce: Eva la chiamava spesso la sua ‘bambolina di porcellana’ perché gliene ricordava una che aveva avuto da piccolina. Staccatesi dal grande abbraccio si salutarono:
“Hey El! Per poco mi soffocavi.” Le disse.
“Oh, ma smettila! Un abbraccio non ha mai fatto male a nessuno. Fa freddino oggi, un abbraccio scalda. Come stai?” Chiese El gentilmente.
“Si è vero, fa proprio freddo, già mi cola un po’ il naso. Comunque sto bene, tu invece?”
“Beh ma tu sei sempre sorridente, non capisco mai se ti va qualcosa per il verso sbagliato! Anche io sto bene, stamattina mia mamma mi ha preparato una crêpe alla nutella: che bontà! Ora però muoviamoci ed entriamo che sto congelando.”
Imboccarono il vialetto che porta all’ingresso della scuola e finalmente entrarono in un posto caldo. Percorsero il lungo corridoio e dopo qualche chiacchierata si dovettero salutare grazie al suono della campanella. Si lasciarono con un piccolo bacio affettuoso sulla guancia e raggiunsero la propria classe.
Non erano coetanee, El aveva un paio d’anni in più di Eva, forse anche per questo si sentivano un po’ come mamma e figlia, sorella minore e sorella maggiore, insomma avevano un rapporto unico e speciale. El, nonostante i suoi  diciannove anni, ne dimostrava meno anche di Eva, aveva un faccino ancora infantile e atteggiamenti, a volte, da bambina permalosa. Tutti i suoi amici la scherzano spesso per questo suo “difetto” mentre Eva ne andava fiera, la riempie di complimenti e cerca di farle capire quanto sia perfetta nel suo insieme.  Si sentiva protetta e sicura quando era in compagnia della sua migliore amica, nulla poteva abbattere il sorriso che sbucava ogni volta che si scambiavano anche solo un semplice ‘ciao’ .

Eva appoggiò lo zaino sul penultimo banco della fila affiancata alla finestra, e si sedette guardando fuori. Quando entrò  la professoressa di matematica iniziò la straziante lezione.
‘O mio dio, matematica alla prima ora. Preferisco morire. No, non esageriamo, la vita è bella. Ma sarebbe più bella se anche la matematica lo fosse. Poi a cosa mi serve?’ pensò Eva, iniziando un lunghissimo e infinito discorso nella sua testa pur di non seguire la lezione. Il suo sguardo era ormai perso tra i rami degli alberi che coprivano la visuale dalla finestra finché non si sentì un secco urlo della prof.
“Johnson!” questa esclamazione acuta della irritante prof fece saltare Eva dalla sedia che, di scatto, si girò verso lei.
“Hai intenzione di scrutare ancora per molto i rami degli alberi?” chiese ironicamente la prof appoggiando le mani ai fianchi.
“No prof. Scusi mi ero distratta un attimo.” Rispose la ragazza ancora frastornata dallo squillo della voce dell’insegnante.
‘Devo piantarla di perdermi in sciocchezze e cercare di seguire questa schifosa materia’ pensò. ‘Almeno ci provo, ho solo cinque ore di scuola e poi potrò andarmene e divertirmi con i miei amici. Dai, solo cinque.’

Un paio d’ore più tardi suonò la campanella dell’intervallo ed ecco che gli studenti si fiondano nei corridoi per mangiare qualcosa, chiacchierare con gli amici, scambiarsi i compiti e qualche bacio col fidanzato.
El arrivò correndo in modo buffo da Eva, sembrava impazzita.
“Eva! Oddio, oddio, oddio. Devo dirti una cosa sensazionale, assolutamente incredibile!” disse sorridente mentre si sistemava i capelli scompigliati dalla corsa.
“Ma così mi fai preoccupare, che cos’è successo di tanto strabiliante?!” chiese Eva sorpresa.
“Ho preso 8 in matematica. Capisci? Matematica!” gridò così forte dalla felicità che un ragazzo che stava camminando lì a fianco si girò e disse:
“Wow, che entusiasmo! Complimenti!”
El arrossì di vergogna e trascinò la sua amica più a lato che rise e rispose:
“Che stronza. Insegna qualcosa anche a me che giusto stamattina quella vecchiaccia se l’è presa con me per niente!”
“Ma è questa la cosa epica: non sapevo nulla. Il professore nuovo è un rimbambito e qualsiasi cosa gli dirai lui ti darà 8, e comunque grazie per i complimenti. Vedi? Quel ragazzo sconosciuto è stato più carino di te!” ribatté El.
“Ma che culo. Eh scusa, oggi la giornata è iniziata male ma finirà bene! Era anche carino dai, sarà il tuo prossimo principe azzurro?” chiese scherzosa Eva socchiudendo gli occhi.
“Ma che dici, lo sai che non mi piace nessuno. E poi sto bene single, sono libera!” rispose allungando le vocali dell’ultima frase e assumendo una faccia stupida. Suonò la campanella di fine pausa e aggiunse:
 “Ora ti debbo lasciare, amore mio. Ti verrò a salvare dal drago all’una, ti porterò a cavallo e insieme galopperemo fino a Pizza Hut.” E ridendo si mischiò nella folla del corridoio mentre Eva la salutava con una risata.

“Eleanor! Hey Eleanor!” una voce pizzicò i pensieri di El accovacciata al banco e si girò cercando da dove provenisse quella voce.
“Eleanor, ma ci sei?” ripeté quella voce. Era la ragazza nella fila dietro col banco un po’ più spostato dal suo. Una rossiccia, con lentiggini e anellino argentato al naso. Era così carina ma era una ragazza in carne e lei non si piaceva per niente.
“Gemma?! Ma che hai?” chiese un po’ assonnata El.
“Scusa, pensavo stessi dormendo. Devo chiederti una cosa.”
“Esatto, stavo per finire nel mondo dei sogni. Grazie per avermi svegliata. Dimmi tutto!” disse scuotendo la testa per svegliarsi.
“Oh, scusa. Beh… Ecco, io oggi ti ho vista nel corridoio con quel ragazzo biondo che ti parlava… Volevo chiederti se me lo puoi presentare.” Chiese timidamente arrotolandosi i capelli rossi.
“Oddio, sai che nemmeno lo conosco? È un tipo strano, mi ha fatto i complimenti per l’otto di matematica e basta.” Rispose grattandosi la testa.
“Ah, capisco. Scusa se ti ho interrotto il sonnellino, grazie comunque!” disse tentando di fare un sorriso non del tutto sincero. Sembrava delusa. El si rigirò e riappoggiò la testa sul banco finché non le arrivò un messaggio da Eva.
Il messaggio diceva così: ‘Mio cavaliere, l’aspetto trepidamente tra dieci minuti a combattere il drago. Un bacio, la vostra principessa.’ Quando lo lesse le scappò un sorriso e si accorse che lo strazio era ormai terminato; due minuti dopo squillò la campanella. El si infilò la giacca e il cappello mentre si fiondò nel corridoio arrivando alla porta dove la sua principessa l’aspettava.
“Mio principe!” esclamò Eva alla vista della sua amica.
“Mia principessa!” rispose El. “Bando alle ciance, che poi non ho mai capito cosa siano queste ‘ciance’ andiamo a saziarci che sto morendo di fame. Il drago l’ho portato al centro animali abbandonati.”
Eva rise di gusto e disse:
“Ah, sei sempre la solita! Dai andiamo che anche io ho un certo languorino. Però poi devo scappare al lavoro!”
“Oh già, il tuo lavoretto per guadagnare qualche soldo! Rimani comunque una poveraccia, ammettilo!” Rise El e abbracciò Eva mentre si incamminarono verso la prima pizzeria che trovarono.




Ciao a tutti, sono l'autrice. Spero vi piaccia questo capitolo. Ovviamente una delle protagoniste ha il mio nome! Recensite, mi farebbe piacere!
Ciao ciao, un abbraccio c:
PerfectToMe.
 
 

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Capitolo 2
*** Tintinnio di chiavi e campanelli ***


“Mh, buona questa pizza!” disse Eva con la bocca piena.
“Taci e mangia in silenzio, non voglio vedere la pizza maciullata nella tua bocca!” disse El con una faccia schifata ma seria lasciandosi scappare una risata.
Dopo aver inghiottito il boccone e bevuto un sorso di Coca Cola, la sua amica rispose:
“Ma è così buona, guarda: ora ho la bocca bella pulita!” tirando fuori la lingua.
“Ma come faccio a stare con una come te? Sei tutta matta!” disse ridendo allegramente El.
“Lo so, ma ricorda che i matti sono i migliori come dice lo stregatto!” esclamò, e guardando l’ora sul display del suo cellulare aggiunse “Oddio, ma sono quasi le due! Devo scappare a casa, cambiarmi e andare al lavoro!”
El sorpresa dalla sua frase, prese l’ultima fetta di pizza e se la ficcò in bocca strozzandosi un minimo. Eva si alzò dalla sedia e prendendo lo zaino sfiorò le lattine appoggiate sul tavolino facendole rotolare provocando un rumore che fece spaventare El. Subito si sbrigò a raccoglierle e qualche goccia di Coca colò sul suo cappotto color corteccia.
“Oh no! Ci mancava pure il cappotto macchiato, mia mamma mi uccide.” Esclamò Eva.
“Dai, non preoccuparti, un po’ di acqua frizzante e viene via tutto. Ora stai ferma e non creare altri disastri. Vai a casa a prepararti per il lavoro!” la tranquillizzò El.
Poi le ragazze si abbracciarono e si salutarono con un sorriso accompagnato da un piccolo ‘ciao’ quasi sottovoce. Le due si divisero, camminando opposte ognuna per la propria strada.

Eleanor vedeva Eva come la sorella minore che non aveva, le raccontava tutto ciò che le capitava e mai aveva paura di prometterle qualcosa perché sapeva che non avrebbe potuto deluderla.
El è una di quelle ragazze che non si trovano spesso in giro, è speciale per i pochi che la conoscono nel profondo ma teme di perdere le persone a sé care. Lei non ha paura di nulla, di nulla vi dico. Si sente forte come Superwoman e sarà sempre pronta a salvarti dai pericoli incombenti piccoli o grandi che siano; lei proprio, una ragazzina dagli occhi più dolci dei marshmallow, di una tenerezza infinita.
Il pensiero di perdere la sua sorellina Eva non l’aveva quasi mai sfiorata, ma quel giorno le scappò un ‘ma io cosa farei senza di lei?’ per la testa. ‘Lei è la mia migliore amica, credo che non riuscirei a stare senza la sua solita allegria e i suoi abbracci. Mi coccola sempre quando ne ho bisogno, lei è la migliore e non potrei mai sostituirla. Ma se lei lo facesse al posto mio? Oddio che incubo.’ Pensò la ragazza. Iniziò a rabbrividire. Si bloccò in mezzo al marciapiede dove stava camminando lentamente persa per la mente.
‘No, non lo farebbe mai.’ Concluse quel pensiero che la terrificava e continuò il suo cammino.

Eva fece tintinnare le chiavi infilandole nella serratura, entrò in casa e si liberò del cappotto macchiato di Coca già finito nel dimenticatoio. Aveva troppe cose per la testa. Salì al secondo piano mentre urlava un ‘sono a casa’ correndo verso camera sua. Aprì la porta, sbatté lo zaino per terra e si infilò la prima felpa che trovò. Si guardò allo specchio per qualche millesimo di secondo per poi scappare al lavoro. Dalla fretta non si accorse che la casa era deserta se non per la presenza del suo gatto Black.
La sua Vespa bianca tuonò per l’accensione e partì. Nel mezzo delle vie di Londra sfrecciava la ragazza con i capelli che sbucavano dal casco che sventolavano per il vento che lasciavano intravedere due occhi turchesi ipnotizzanti.
Il rombo del motorino si spense dissolvendosi velocemente quando arrivò alla panetteria del suo amico Richard. Quando entrò il campanello della porta suonò annunciando il suo arrivo. Richard alzò lo sguardo:
“Eva! Ce l’hai fatta! Ti aspettavo.” Urlò il ragazzo.
“Hey Rich eccomi qui, era un po’ che non ti vedevo.” Rispose.
“Eh già baby. Ora vieni di qui che ti spiego cosa dovrai fare!” disse Richard muovendo il braccio verso sé, ed Eva lo seguì fino dietro il bancone. Attraversarono una porta che li fece entrare nel magazzino del negozio, era pieno di scatoloni e scaffali con altri scatoloni e la domanda spontanea che arrivò dalle labbra di Eva fu:
“Ma cosa c’è dentro tutti questi scatoloni? Sembra la fabbrica di babbo natale.”
“Ma cosa dici, sono tutti i prodotti che vendiamo di là in negozio intelligentona!” disse ridendo con un’espressione sbigottita. “Ecco, questo è il tuo armadietto, puoi appenderci il cappotto o altro. Dentro trovi il tuo grembiule e la cuffietta. Ti aspetto di là!”
‘Oh mio dio, ho capito bene? La cuffietta? Mi ero scordata che avrei dovuto indossarla, puah. Sembrerò una stupida suora. Ma mi tocca.’ Pensò Eva sbuffando.
Si infilò il grembiule e raggiunse Richard con la cuffietta odiata tra le mani.
“Vieni, vieni!” le disse il suo amico. Lei si avvicinò stringendo la cuffietta assumendo un’espressione interrogativa.
“Vieni che ti spiego dove trovare il tutto. Ah, dovrai legarti i capelli e metterti la cuffia, so che non ti piace l’idea ma sono le regole.” Disse in modo fiscale.
“Lo so. Però posso stare così ancora per un po’? Giuro che poi me la metto!” Chiese Eva timidamente.
“Certo, nessun problema. Qui trovi i panini, e qui ci sono gli affettati…” continuò a spiegare il ragazzo. Ed una volta terminata la dettagliata spiegazione aggiunse:
“Ora torno in magazzino, appena finisco ti raggiungo per vedere come stai andando. Se hai dei problemi chiamami!” disse Richard attraversando la porta.

‘Uffa, che palle. Sto da cani con la cuffietta.’ Pensò Eva mentre si stava legando i capelli castani in un’alta coda di cavallo; prese la cuffia per infilarsela in testa quando venne bloccata dal suono della campanella della porta d’ingresso del negozio.
Un ragazzo alto con una giacca beige entrò nel negozio a testa bassa e quando alzò lo sguardo rimase un po’ sorpreso nel vedere la ragazza. Subito Eva si ricompose e lasciò cadere la cuffietta sul bancone. Le uniche parole che le uscirono di bocca furono:
“B-buongiorno! Desidera?”
Il ragazzo rise e si sistemò i capelli ricci in modo buffo.
‘Che c’è da ridere? Oddio, come minimo sono sporca di farina in faccia e Richard non me lo ha detto.’ Pensò immediatamente Eva.
“Sono sporca di farina?” chiese timidamente la neo panettiera.
Il ragazzo rise ancora e finalmente si degnò a parlare:
“No, sei perfetta.”
“Oh, sei gentile…” si ricompose nuovamente e continuò “ Comunque, cosa desidera?”
Ride. ‘Ma cos’ha che non va? Continua a ridere, credo mi stia prendendo per il culo.’ la sfiora un pensiero che le stava iniziando a dare sui nervi.
“Non desidero nulla. Tu sei l’amica di Richard?” chiese il ragazzo dalla risata facile.
“Sì, sono io. Tu come lo conosci?” rispose secca Eva.
“Eh sai, è il mio capo.” Disse quel ragazzo dagli occhi azzurro smeraldo e sorridendo creò due fossette dolcissime nel pieno delle sue guance.
“La mia prima figura di merda del mio primo giorno del mio primo lavoro.” Affermò la ragazza arrossendo.
Rise ancora un’ultima volta e, passando dietro al bancone, porgendole la mano disse con la sua calda voce:
“Beh, io sono Harry.”

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Capitolo 3
*** Una dolce melodia di emozioni ***


Raccolse il suo coraggio, allungò il braccio e strinse la mano del ragazzo.
“Io sono Eva.” Disse abbassando lo sguardo verso le loro mani che continuavano a ondeggiare su e giù. Harry aveva una forte stretta di mano, molto rassicurante. Aveva il palmo caldo contornato dalle punte delle dita gelide, ma Eva trovava tutto questo molto confortante.
“Mh. Credi che ora potremmo mollarci le mani?” chiese Harry.
La ragazza lasciò la presa immediatamente, quasi in modo impacciato, arrossendo sempre più e lasciando cadere lo sguardo sul bancone dove l’aspettava la cuffietta bianca. Harry oltrepassò la porta del magazzino guardandola con un piccolo sorriso stampato in faccia.
Si udiva un tamburo rumoreggiare velocemente, era il cuore di Eva. Aveva appena fatto figuracce su figuracce e la sua carnagione chiara tramutò in un rosa pesca un po’ troppo acceso. Prese un grosso respiro che terminò in un lungo sbuffo, così riuscì a calmarsi escludendo da sé tutta la tensione accumulatale addosso da quell’incontro esageratamente imbarazzante.

El nel frattempo si stava dirigendo verso un edificio dove suonava il pianoforte dall’età di 12 anni. Il corso iniziava come sempre alle 4 quindi si prese un po’ di tempo per un frullato alla fragola da Starbucks.
Il rumore fastidioso della cannuccia nel bicchiere vuoto del frullato terminò quando El, passeggiando per le vie della città, rimase incantata da una vetrina illuminata da lucine color oro. Appoggiò lentamente e sue mani sulla vetrina, e, quasi senza accorgersi, la sua fronte arrivò a toccare il vetro. Le luci brillavano riflesse nei suoi occhi castani che fissavano da qualche minuto un braccialetto argentato circondato da un tessuto rosso di sfondo. El pensava fosse perfetto per Eva, lo doveva avere a tutti i costi. Ma solamente qualche secondo più tardi, dopo la lunga e scrupolosa visualizzazione del gioiello, vide il piccolo cartellino del prezzo: 89,90 £. La ragazza realizzò che non aveva tutti quei soldi al momento, così abbassò lo sguardo, si girò e buttò via il bicchiere vuoto continuando il suo viaggio verso le note del suo melodioso amico bianco e nero: il pianoforte.
Non riuscì a smettere di pensare a quella meravigliosa maglia d’argento intrecciata con un ciondolo a forma di cuore bombato. Avrebbe sacrificato l’anima per donarlo alla sua grande amica, così le frullò in testa un’idea che nel suo cervello iniziò a fruttare.
Chiuse quel pensiero nella sua mente quando arrivò alle porte dell’edificio dove il corso sarebbe iniziato da un momento all’altro. Entrò e si diresse verso l’aula interessata. Aprì la porta, si spogliò dell’ingombrante giacca e sedendosi al piano appoggiò delicatamente le sue dita arrossate dal freddo su quei lisci tasti bianchi e premendoli formò una dolce melodia che aveva composto lei stessa. Era veramente presa dal suono leggero che le sue dita veloci creavano, finché un piccolo applauso risuonò per tutta la stanza. Era il suo maestro Josh che sorrideva entusiasta della sua piccola allieva.
“El, sei il mio prodigio. Mi stupisci sempre più.”
A quelle parole la pianista si spostò i capelli dietro le orecchie e arrossì leggermente ringraziando il suo maestro ancora appoggiato alla porta.
“Josh sei davvero gentile, ma solo grazie a te! Ti piace?” chiese El turbata.
“E me lo chiedi? È splendida.” Rispose sbalordito il maestro.
“Oh grazie al cielo. Credi che a una diciassettenne possa piacere?”
“Se apprezza la bella musica allora credo proprio di sì!” disse sorridendo Josh.
“È il regalo di compleanno per la mia migliore amica.” Aggiunse El sfoggiando un enorme sorriso.
Così iniziò la lezione tra pentagrammi, note e risate.

Da dietro il bancone si sentiva parlottare i due ragazzi nel magazzino interrotto da qualche risatina ed Eva a quei borbottii reagiva nervosamente. Sentii i passi dei ragazzi che si avvicinavano sempre più e senza dare nell’occhio si allontanò dal muro, si infilò velocemente la cuffia e iniziò a scrutare gli scaffali. La voce di Richard non sorprese Eva, che si girò con un sorriso tirato.
“Avrai già conosciuto Harry.” Affermò il capo.
“Sì, abbiamo avuto un incontro bizzarro prima.” Disse Eva il più veloce possibile aggiungendo “come se non ti avesse già raccontato tutto!”
Richard rise e il riccio rimase impassibile.
“Lo ammetto, mi ha descritto tutta la scena! Sei sempre la solita stordita.” Rispose ridendo con una mano davanti alla bocca.
“È stato un primo incontro speciale nel suo buffo.” Sibilò Harry con una voce bassa e roca.
I due giovani panettieri si guardarono negli occhi come due bambini alla scoperta di un nuovo giocattolo, i loro sguardi si incrociarono e sorrisero. Due sorrisi splendenti, forse un po’ imbarazzati e timidi. Ma la piccola conversazione finì e i due iniziarono il loro lavoro, insieme.
Il riccio occhi azzurri non esitò ad iniziare la nuova chiacchierata:
“Allora tu sei Eva, quanti anni hai?”
“Ne ho 17.” Disse rapidamente la ragazza.
“Oh! Allora siamo coetanei.” Esclamò Harry e vedendo Eva non a suo agio aggiunse “come mai una ragazza così carina come te, viene a lavorare in una sudicia panetteria come questa?”
Eva rimase spiazzata da quella domanda. Si girò verso il suo collega, lo guardò e rispose:
“Devo guadagnare un po’ di soldi. Sai, per un’amica, voglio farle un regalo. Comunque sei gentile, ma non sono carina. Soprattutto con questa cuffietta!”
“Per me lo sei, le ragazze sono tutte carine esteriormente. Ma bisogna conoscerle per affermare lo stesso dell’interno.” Disse profondamente Harry.
“Sì, hai ragione. Parole sagge!” ribatté Eva “ora fai meno il carino e lavora, voglio vederti con la faccia piena di farina!”
“Tipo così?” chiese Harry nascondendo una mano sotto il bancone per poi sorprendere la ragazza con uno spruzzo di farina imbiancandole la faccia. Il viso della ragazza prese un’espressione seriamente aggressiva, tanto che Harry sbarrò gli occhi dalla paura. Ma una lieve risata sollevò il ragazzo impietrito che rise chiudendo gli occhi ritrovandosi anch’esso la faccia completamente infarinata.
“Vuoi la guerra?” chiese maliziosamente Eva.
“È una sfida allettante ma il nostro capo ci licenzia se ci trova così!” rispose divertito Harry levandosi la farina dal viso col grembiule, seguito da Eva che fece lo stesso.

Il cellulare di Harry suonò, segnava le 6. Lui toccò lo schermo e la sveglia si bloccò. La panetteria stava chiudendo e i due erano soddisfatti della loro giornata di lavoro. Insieme si diressero agli armadietti, Eva si levò la maledetta cuffia tirando un respiro di sollievo e dopo essersi infilata il cappotto chiuse lo sportello sbattendolo; aprendo una visuale su un Harry tatuato a torso nudo. La ragazza rimase bloccata con la bocca leggermente aperta, ma il suo cervello era in tilt, non riusciva più a captare nulla finché Harry si girò verso di lei. Le sorrise cambiando immediatamente espressione assumendone una interrogativa. Il cervello di Eva riprese a funzionare e, pur di evitare un’ennesima figuraccia, scollò la testa e si giustificò:
“È che mi piacciono i tatuaggi.”
“Anche a me. Si vede?” chiese ironicamente il ragazzo.
“Ehm sì. Ora però scappo a casa che sono stanca, ci vediamo! Ciao Harry.”
“Ciao… Ah, aspetta! La vespa bianca qui fuori è tua?” chiese. Eva si girò e sorridente disse:
“Sì, è mia! Adoro le moto, come mai me lo chiedi?”
“Oh wow, anche io le adoro! No, così… Volevo farti sapere che ho un pass per la mostra di moto d’epoca che verrà inaugurata questo sabato.” Disse un po’ demoralizzato Harry.
“Perché quel muso lungo? È un’occasione unica, sei fortunato!”
“Nessuno vuole venire con me, tutti i miei amici hanno altro a cui pensare che alle moto d’epoca.”
“Hey ragazzo, hai qui davanti a te la tua collega coetanea che adora le moto. Non voglio autoinvitarmi ma mi faresti davvero felice se mi ci portassi!” rispose Eva.
Ad Harry brillarono gli occhi smeraldo nella penombra del magazzino che per lui si illuminò di gioia. Piegando la testa scostò i capelli ricci e rialzandola sfoggiò uno dei sorrisi più sinceri e luminosi che Eva ebbe mai visto; la ragazza sorrise slegandosi i capelli svolazzanti.
E nelle loro pance in subbuglio si aggomitolò tutto.



Ciao a tutti, è l’autrice che vi parla. Scusatemi se questo capitolo è molto lungo ma siccome non scriverò per un po’ ho voluto lasciarvi con qualcosa di più massiccio!
Spero vi piaccia anche se non succede ancora un granché, il prossimo sarà molto più dinamico!
Graaaazie a tutti quelli che hanno letto, recensito e aggiunto la storia tra le seguite!
Vi adoro, lasciatemi qualche recensione per farmi capire cosa ne pensate!
Alla prossima, e buona natale c:
PerfectToMe

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Capitolo 4
*** Corri rischi, insegui i tuoi sogni ***


Da lontano si intravedeva, tra la folla di gente, il cancello della scuola alto e imponente. La giovane El improvvisò una corsetta per il ritardo, lasciando sobbalzare i suoi boccoli, arrivando dalla sua amica che, impaziente, la stava aspettando a braccia conserte. A qualche centimetro da Eva, la ragazza mise in scena il balzo finale della corsa. Ma non andò come El si aspettava. Il secco blocco fece finire la sua collana a forma di acchiappa sogni dritta sulla sua fronte.
Dopo un attimo di pausa, si riprese dalla botta iniziando a urlare:
“Oddio che male!” facendo scatenare una grossa risata che rimbombò per tutto il cortile.
“Mi serve aria, non respiro più. La tua faccia era stupenda!” disse Eva in modo incomprensibile per le troppe risa. “Basta mi fanno male le guance.”
“Adesso basta, ho fatto più figure di merda in due giorni che in tutta la mia vita!” bisbigliò El prendendola per mano cercando di fuggire dalle risate della gente. Ma il tornado El non era ancora terminato, altri danni la aspettavano. A due metri dalla porta d’ingresso iniziarono a rallentare, Eva rideva ancora mentre El si girò verso di lei lanciandole un’occhiata gelida lasciando finire questa entrata con una nuova botta. Questa volta addosso ad un ragazzo. Finirono entrambi schiacciati sulla porta che, grazie ai maniglioni antipanico, si aprì facendoli rotolare e deridere ancora di più. In realtà anche Eva rischiò di finire ammassata su di loro ma lasciò la mano di El in tempo senza finire appallottolata nel corridoio di scuola.
Ormai El era un semaforo che segnava rosso. Aveva i capelli scompigliati, il viso che sembrava scoppiare di vergogna ma senza farlo notare si alzò in qualche millesimo di secondo, facendo strabuzzare gli occhi di Eva sorpresa dalla sua inumana velocità.
“Andiamo.” Disse ferma El.
“Ma…”
“Niente ma. Andiamo.”
Tutta quella serietà spaventava Eva, che rimase in silenzio trascinata nel corridoio dalla sua amica che cercava di schivare tutte quelle risate e quegli indici puntati verso di lei. Finito il corridoio spinse Eva nel bagno lasciandola scivolare sulla porta.
“Ma non gli hai nemmeno chiesto scusa.” Arrivò sottovoce Eva.
“A chi?” chiese El ad alta voce facendo eco tra le mura dei bagni.
“Come a chi? A quel ragazzo!”
“Ah era un ragazzo? Nemmeno l’ho guardato in faccia. È lui che si è messo in mezzo, è colpa sua se tutti mi ridevano a dietro!” rispose una El quasi con tono arrogante e arrabbiato.
“Non è colpa sua, è stato un incidente e credo che sarebbe stato più carino chiedergli scusa. Tu non lo avrai degnato di uno sguardo, ma io sì. È lo stesso ragazzo che ieri ti ha fatto i compimenti per l’otto in matematica.”
“Senti, non è stata colpa mia e non è un mio problema.”

Suonò la campanella che terminò la loro discussione. El salutò la sua amica con un cenno della mano uscendo dal bagno sparendo tra il rumore di passi e chiacchiere. Eva si sbrigò a correrle a dietro, la cercò con lo sguardo con scarsi risultati. Così abbassando lo sguardo arrivò in classe dove la filosofia l’attendeva.
Con sguardo fisso si sedette al suo banco e la sua mente divenne un nodo di pensieri. Era demoralizzata, forse triste.
“Ci si dovrebbe comportare con i propri amici come noi vorremmo che si comportassero con noi.” La voce profonda della professoressa spaccò i suoi pensieri lasciandola sorpresa a fissare la frase scritta sulla lavagna. “Questa è la frase di oggi. Sapete dirmi chi è l’autore?”
Dal fondo della classe qualcuno sparò dei nomi:
“Elvis Presley.”
“Shakespeare?”
“Oh no, ragazzi! Molto prima. Aristotele.” Rispose la prof Hocken come una mamma.
Quella frase scombussolò ancor di più i pensieri di Eva.
‘siamo state così prese da altro che nemmeno le ho raccontato di Harry. Oggi è strana. Cos’ha? Boh. Ho paura di perderla. Non è una giornata delle migliori, all’intervallo provo a tirarla sù. Perché è questo che vorrei facessero con me.’ Pensò Eva.

Le due ore di filosofia passarono come niente, la Hocken è considerata una grande maestra di vita. Eva la adora, ama il suo modo di pensare e di insegnare; perché oltre a spiegare la filosofia ti spiega la vita.
Al suono della campana Eva si fiondò nel corridoio per cercare la sua amica sempre senza risultati. La cercò nella sua classe di storia e fu lì che la trovò, seduta al proprio banco. Le si avvicinò senza fare rumore coprendole gli occhi con le mani.
“Chi è?” El scostò subito le sue mani e si girò. Eva l’aspettava con un enorme sorriso sedendosi al banco a fianco. “Cos’hai oggi? E non dire niente. So che non è una delle giornate migliori, ma non fare la cagnolina bastonata. Ora vieni fuori e andiamo a prenderci due mele alle macchinette.” La prese per mano e l’alzò di forza dal banco facendole il solletico, finalmente vide il sorriso apparire sulle sue labbra che sputarono qualche parola:
“Sei la migliore.” Ma Eva troppo presa dalla fuga dalla classe da non sentire, si rigirò verso di lei e l’abbracciò forte aggiungendo:
“Devo raccontarti una cosa.”
“Oh, che aspetti? Dimmi!” continuarono camminando per il corridoio.
“Ieri al lavoro ho conosciuto un ragazzo, si chiama Harry e mi ha chiesto di andare con lui alla mostra di moto d’epoca questo sabato.”
“Uuh, un appuntamento!” disse El sgomitando l’amica.
“Ma smettila. Te l’ho detto solo perché volevo venissi anche tu!”
“Ma io non so niente di moto, farei solo la figura della stupida. Così ti lascio sola col tuo nuovo fidanzato.”
“Smettila, non lo conosco nemmeno. Ci vado perché amo le moto!”
“Sì dai la solita scusa. Me lo presenterai!” rispose felice El.
“Finalmente un sorriso.” Eva abbracciò ancora la sua cara amica stampandole un bacio sulla guancia sbarrando gli occhi appena vide il biondino di quella mattina arrivare alle spalle di El, un dito leggero le punzecchiò la spalla e subito esclamò:
“Eva, questo è il gioco più vecchio del mondo.”
“Quale gioco?” spuntò la voce del ragazzo da dietro. El si girò con un’espressione sorpresa ad occhi spalancati e sopracciglia alzate. Rimase così per secondi interminabili finché il biondo parlò.
“Scusami per stamattina, ero nel posto sbagliato al momento sbagliato.” El abbassò lo sguardo guardando le sue Nike bianche.
“Ehm, scusa me per prima. Nemmeno ti ho guardato né chiesto scusa.”
“Mh, dai il peggio è passato.” Disse con una risatina. “Come ti chiami?”
“Eleanor, ma tutti mi chiamano El. Lei invece è Eva!” si sbrigò a rispondere. La sua amica, ormai estranea dalla conversazione, a quella frase si sentì inconsapevolmente ancora più estranea.
“Io son…” Non finì nemmeno la frase, o forse la finì ma il suono della campanella coprì le sue parole. E velocemente le due ragazze salutarono il ragazzo misterioso con un sorriso tornando alle loro noiose classi.

Oggi El era al centro del mondo. E pure la sua spalla che venne bloccata da una mano dalle unghie rosso fuoco. Si girò di scatto sorpresa nel rivedere Gemma, aveva cambiato piercing. Ne aveva uno nero, sempre a cerchio incastonato nel suo piccolo naso. Aveva un’espressione aggrottata, sembrava arrabbiata così la castana non esitò a chiederle:
“Gemma tutto a posto?”
“No, per niente. Credo di essermi innamorata. E l’amore fa male.” Svelò, e i suoi occhi lucidi confermarono.
El non aveva idea di quel che stesse succedendo, ma senza problemi aprì le braccia e la strinse in un caldo abbraccio bisbigliandole: “Chi è il fortunato?”
“È questo il punto. Non lo so, non lo conosco. Non so nemmeno il suo nome, non conosco niente di lui. Questo mi frega, il cuore non sente ragioni. Mai.” staccatesi dall’abbraccio, le lacrime tagliavano le guance di Gemma come dei coltelli affilati.
“Smettila subito di piangere, devi avere coraggio e farti avanti. Meglio una delusione che un rimpianto!” disse asciugandole le guance con le sue mani. “e preparati psicologicamente a una lezione di biologia.” Gemma sorrise e asciugandosi le lacrime si sedette al banco.

Gli studenti in massa uscivano da quelle mura grigie. C’era una leggera nebbia e tutto era più spento e rallentato. Le due amiche sempre a braccetto camminavano allegre, finché lo sguardo di Eva si fermò. Pietrificata. Il cuore iniziò a battere come un metronomo impazzito. Il motivo non esisteva, nemmeno lei sapeva giustificare questo comportamento. Due occhi azzurri la guardavano tra le sbarre del cancello. Seguirono il viale che portava all’uscita, ed Eva cercava con lo sguardo quegli occhioni in modo sperduto girandosi e rigirandosi più volte finché un esplosione di farfalle scoppiò dentro di lei. Naso a naso, petto a petto, labbra a labbra. Il riccio la stava baciando, Harry la stava baciando!

Suonò la campanella e gli occhi addormentati di Eva si aprirono socchiudendosi per la troppa luce. ‘Era tutto un sogno.’ pensò. ‘Peccato.’ concluse.

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