Now your nightmare comes to life

di Alexiel_Slicer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Now your nightmare comes to life
 


Prologo

Era Natale, si sentiva nell'aria. Le strade sedi di rinomati negozi erano affollate da persone riparate dentro i loro caldi cappotti, che camminavano su e giù piene di pacchettini adornati con nocche dorate e ricorperti di colorata carta da regalo che lasciava il suo contenuto alla sorpresa.
Le vedevo passare con un leggero sorriso sulle labbra: era bello vedere, almeno una volta all'anno, visi rilassati e respirare nell'aria quella pace così surreale che riusciva a conferirti solo quella festività.
I negozi era impeccabilmente agghindati: alle entrate vi erano piccoli alberelli addossati alle pareti, all'interno, invece, ghirlande, palle di vetro decorate con fantasie luccicanti e brillantini argentati e dorati facevano quasi da vestito ai soffitti, scaffali e vetrine che con le loro luci abbaglianti attiravano i clienti che prima di entrare restavano davanti al vetro ad osservare assorti ciò che vi era messo in bella mostra.
Era tardo pomeriggio e la sera stava calando lenta, mentre l'aria si caricava di freddo, quel freddo che riusciva a penetrarti anche fin sotto gli strati di vestiti e che ti lasciava con la punta del naso arrossata, tanto da farti passare per un clown, ma che in fondo era piacevole perchè si sposava perfettamente con quell'atmosfera fatta di cioccolate calde bevute davanti al tepore di un camino dalla legna scoppiettante, insieme ad amici e parenti sotto ad un bel vischio.
Aggrappata al braccio di Tom camminavo tra quelle persone confondendomi tra di loro, quando il mio sguardo si posò su una delle tante vetrine ben illuminate che faceva sfoggio di una borsa semplice, ma carina.
Mi fermai ad osservarla ed improvvisamente uno strattone mi riportò bruscamente all'attenzione. Mi voltai incontrando il bel viso di Tom stranamente teso.
Lo guardai attonita con gli occhi smarriti.
"Se vuoi ti lascio qui, così ci parli" disse con la mascella contratta.
"C-che? N-Non capisco" balbettai sempre più smarrita.
"Ora fai la finta tonta? Ti ho visto come lo guardavi!".
"Ma chi?" feci girando la testa di nuovo in direzione della vetrina con la borsa che mi piaceva, notando che appena sulla destra, proprio nella stessa traiettoria c'era un ragazzo intento a parlare al cellulare che io non avevo nemmeno visto.
"Io stavo guardando quella borsa veramente..." mormorai esterrefatta.
"Vuoi negartelo?! Vuoi negare  l'evidenza?!" sibilò tra i denti che teneva serrati.
"T-Tom! Smettila con questa inutile gelosia, sei asfissiante!" sbottai infastidita ed offesa. Come si permetteva di accusarmi di un qualcosa che io non avevo fatto? Come si permetteva di dubitare così del mio amore nei suoi confronti, sostenendo che io guardassi altri ragazzi?
"Sono asfissiante, eh? Poi ne parliamo a casa" disse in tono minaccioso. Mi tirò per un braccio trascinandomi tra la folla.
Credevo che lui fosse la cosa più bella che mi era capitata, credevo che era il mio sogno avverato, ma non sapevo che presto si sarebbe trasformato in un incubo diventato realtà. 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


CAPITOLO UNO


Per tutta la durata del tragitto per tornare a casa, dove mi aspettava "la resa dei conti" per un crimine che non avevo neanche commesso Tom non proferì parola e questo mi preoccupò.
Non era la prima volta che litigavamo per sciocchezze. Mi ero abituata a quella situazione. Credevo che fosse normale, credevo che il suo arrabbiarsi per stupidaggini fosse solo una piccola controindicazione del mio rapporto con lui, un prezzo da pagare per stare insieme alla persona che si ama, ma a quanto pareva mi sbagliavo: la sua morbosa gelosia nei miei confronti era diventata asfissiante.
Decisi di rompere quel silenzio carico di tensione.
"Davvero Tom, credo che tu stia esagerando. Stai facendo una tragedia per niente. Non stavo guardando quel tizio, ma solo quella maledettissima borsa!".
"Non mentirmi Alexia, non mentirmi! So perfettamente quello che ho visto! Arrampicarsi sugli specchi è inutile" ribattè stringendo ancor di più le mani attorno al volante.
Tacqui. Era nervoso, troppo nervoso da farmi persino paura, inoltre replicando non avrei concluso un bel niente, ma solo peggiorato le cose.
L'auto si fermò davanti al vialetto di casa mia.
"Scendi" disse secco, anzi me l'ordinò come se fosse un comando dettato alla matricola di turno.
"Sei paranoico!" dissi avvilita sganciando la cintura di sicurezza e scendendo dalla vettura, per poi sbattere lo sportello della sua preziosa e costosa Audi.
Entrai in casa mortificata e fuoribonda al contempo. Quel suo comportamento lo detestavo. Era come se ci fossero due Tom: uno praticamente perfetto, quello che amavo, e l'altro ossessivo e possessivo, quello che odiavo. E quella seconda parte mi stava trattando come una poco di buono.
Tom chiuse la porta alle sue spalle.
"Siamo qui, a casa. Adesso sentiamo: di cosa vuoi parlare? Mi vuoi condannare per qualcosa che non ho fatto?".
Sorrise divertito sbuffando "Credi di uscirtene così? Mi tradisci davanti agli occhi e poi credi di potermi prendere in giro facendo la vittima?".
"Mio Dio, Tom! Ma ti ascolti? Vedi fantasmi ovunque! Anche dove non ci sono! Io non c'è la faccio più! Non puoi prendertela per ogni sciocchezza! E non puoi permetterti neanche di trattarmi in quel modo in mezzo alle persone! Io non sono un oggetto di tua proprietà, tu non puoi mortificarmi in quella maniera davanti a tutti!".
Divenne scuro in viso "Ti sbagli. Tu sei mia".
"C-che? Quello che si sbaglia sei tu! Io non ti appartengo! E se credi che sia così e che il nostro rapporto sia basato sopra ad una stupida questione di possesso mi dispiace, ma forse è meglio finirla qui!". Insieme a quelle parole subentrarono anche le lacrime. Non volevo lasciarlo, ma lui mi costringeva a farlo.
"Stai dicendo che mi vuoi lasciare?".
"S-si! Non posso più continuare così! Questa situazione sta diventando insostenibile!".
Scoppiò a ridere "Davvero credi di potermi lasciare?" disse, poi divenne serio e si avvicinò a me con grandi falcate. Quando mi raggiunse alzò una mano e mi afferrò il viso stritolandomi per le guance.
"Tu non puoi lasciarmi" sibilò tra i denti "Ti ho dato tutto! Tutto l'amore, tutte le attenzioni, ti ho comprato ogni cosa che desideravi, persino i vestiti che porti addosso in questo momento sono un mio regalo! E tu che fai? Mi dici che mi vuoi lasciare?! Mi ripaghi così?!".
Le guance mi facevano male. Ad ogni parola le sue dita affondavano ancora di più nella mia pelle.
"T-Tom ti prego..." balbettai strozzata tra le lacrime "Mi stai facendo male...".
Lui mi ignorò. "Non solo guardi gli altri, ma vuoi pure lasciarmi? Io questo non lo permetterò! Tu sei mia". Ringhiò quelle ultime parole sul mio viso.
"Mi fai male, lasciami!" dissi alzando la voce "Tom maledizione lasciami!" urlai infine spingendolo via.
Mollò la presa e indietreggiò di qualche passo. La sua espressione si stravolse: da contratta e scura divenne pallida e corrugata, come se stesse per piangere da un momento all'altro.
"Alexia...scusami..." mormorò facendo per avvicinarsi.
"Stammi lontano!" gli urlai contro con una mano su una delle due guance doloranti "Non ti avvicinare! Non ti voglio più vedere!".
"Alexia non puoi lasciarmi, per favore...scusami non ero in me, non volevo farti del male, lo sai che io non te ne farei...".
"L'hai appena fatto!...Fuori da casa mia!...Subito!..." gli intimai piangendo.
L'amavo, ma mi faceva paura al contempo. Non mi aveva mai sfiorato, si era sempre limitato a distruggere i primi oggetti che gli capitavano a caso quando litigavamo ed era particolarmente nervoso, ma mai mi aveva messo le mani addosso ed adesso che l'aveva fatto, che avevo visto i suoi occhi spenti e distaccati in quell'istante mi faceva paura.
"S-senza di te sono perso...non lasciarmi ti prego!" continuò.
"Vai via, Tom, vai via!" gli dissi poggiando la testa sulla parete.
"Va bene, me ne vado ma non finisce qui. Io non mi arrendo. Tu non puoi lasciarmi" concluse uscendo di casa. 

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


CAPITOLO DUE


Il resto della giornata lo passai in casa a far scomparire ogni cosa che sapesse di noi.
Presi una scatola di cartone e dentro vi misi ogni suo regalo, ogni ricordo: la collana che mi aveva regalato per il compleanno con un cuore tempestato di piccoli brillanti luccicanti; dal letto tolsi il peluche che mi regalò per il nostro primo appuntamento; la sua felpa, custodita gelosamente nel cassetto, che mi piaceva tanto e che mi aveva dato la piegai il più possibile e l'abbandonai nella scatola, insieme agli altri oggetti che già vi giacevano, poi su di essa lasciai cadere il nostro album fotografico e la foto di noi due assieme sull'altalena, che tenevo sul comodino.
Eravamo così felici lì. Tutto era semplicemente perfetto.
Mi portai entrambe le mani sul viso. Perchè aveva dovuto rovinare quella magia?
Chiusi la scatola e la nascosi nell'angolo più buio dell'armadio. Era finita. Avevo seppellito i nostri ricordi e non li avrei riesumati mai più.
Andai a letto nella speranza che dormire mi avrebbe fatto bene.

Erano le 3.00 quando mi svegliai nel bel mezzo della notte con una sensazione di inquietudine che mi attanagliava.
Mi alzai ed andai in bagno dove sciacquai il viso, per poi ritornare in camera. Lì una folata di vento mi fece rabbrividire.
Notai che avevo dimenticato la finestra aperta, infatti le tende fluttuavano nell'aria sotto al movimento della brezza gelida.
Mi avvicinai per chiuderla e in quell'istante il mio cuore perse un battito: Tom era sulla strada, poggiato contro lo sportello della sua macchina parcheggiata accanto al marciapiede opposto al mio vialetto, che fissava la mia casa.
Cosa ci faceva lì? E da quando c'era?
Forse si sentì osservato e sollevò lo sguardo verso la finestra della mia camera da letto da cui lo guardavo. Quando i suoi occhi si posarono su di me indietreggiai terrorizzata.
Stavo tremando. Quella situazione era inquietante.
Cercai di calmarmi e di non farmi soggiogare dalla paura, tirai le tende e corsi al piano di sotto.
Misi il chiavistello alla porta d'ingresso e serrai tutte le finestre, poi ritornai in camera e di nascosto sbirciai da dietro il tendaggio fuori dalla finestra: Tom non c'era più. Era come sparito, volatirizzato.
Stavo sognando. Si, stavo sicuramente sognando. Non l'avevo visto davvero là sotto, lui non c'era mai stato. Era solo stato tutto frutto della mia immaginazione.
Mi portai una mano sulla fronte per accettarmi che non avessi la febbre o che non fossi diventata pazza, poi mi accovacciai sul letto.
Aprii gli occhi poco dopo. La sveglia segnava ancora le 3.00.
Agrottai la fronte stranita. Perchè segnava ancora quell'ora? Il tempo si era improvvisamente fermato?
Covenni che forse le batterie si erano esaurite e tranquillamente le diedi le spalle voltandomi su un fianco.
Non ebbi neanche il tempo di realizzare cosa stesse succedendo che mi trovai faccia a faccia con Tom, sdraiato sulla piazza del letto vuota e che mi teneva il viso nello stesso modo di quella mattina.
Volevo urlare, ma non ci riuscivo. La voce non voleva venire a soccorrermi.
I suoi occhi sembravano bruciare e mi facevano paura.
"Non puoi lasciarmi" sibilò con la mascella contratta stritolandomi ancora di più in quella morsa dolorosa.
Aprii per la seconda volta gli occhi. Era mattina, la stanza era inondata di luce.
Accanto a me non c'era nessuno, solo io sopra ad un mucchio di lenzuola sgualcite: era stato solo un incubo.
Scossi la testa. Era patetica.
Lasciai la stanza e scesi le scale. Nel momento in cui stavo per passare accanto alla porta d'ingresso mi accorsi che sotto vi era una busta bianca.
Mi abbassai a raccoglierla e l'aprii.

"Vorrei essere lì e vederti dormire.
Non riesco a starti lontano ed allora sto qui fuori a vegliare su di te. Non riesco a capacitarmi che tu mi abbia lasciato. Tu non puoi lasciarmi.
Ricordi tutte quelle giornate passate insieme? Tutti i nostri bei ricordi? Non puoi mandarli a farsi fottere.
Mi sento ancora il tuo profumo addosso. Questo mi fa impazzire.
Ti piaceva così tanto il modo in cui ti toccavo e ti facevo sentire desiderata. Non lo potrai mai scordare, lo so.
Di quando ti sfilavo i vestiti e ti baciavo e poi...ti facevo urlare di piacere. Mi sembra quasi di sentirlo.
Tu sei mia e di nessun altro. Solo io posso averti.
Ricordatelo Alexia: qualsiasi cosa farai io sarò sempre lì ad osservarti.
Tu mi affascini ed ossessioni allo stesso tempo.
Tom"

Lette quelle parole improvvisamente il telefono squillò. 

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Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


CAPITOLO TRE


A quel suono sobbalzai. E se fosse stato lui?
Mi avvicinai al telefono e titubante ne alzai la cornetta.
"Pronto?" dissi con un filo di voce.
"Alexia..." sentii sospirare "Mi stai facendo diventare pazzo...ti voglio...subito...adesso!".
"Tom, maledizione! Lasciami stare! Se non la smetti con queste assurdità ti denuncio!".
"Io continuo a dirmelo, continuo a dirmi che sei solo una puttana! Ma più me lo ripeto, più sento di impazzire!".
"Mio Dio sei folle! Fatti curare e lasciami in pace!" urlai riagganciando.
Mi allontanai indietreggiando lentamente, poi corsi in cucina con la lettera e la gettai nel lavello, per infine darle fuoco.
La guardai bruciare, credendo, che una volta annientata insieme a lei sarebbe finito anche tutto e che di quello che era successo non ci sarebbe mai stata traccia, ignara che quello che era solo l'inizio dell'incubo.
Una volta ridotta in cenere, aprii l'acqua e la lasciai scorrere ripulendo anche le ultime tracce di quell'assurdo delirio lasciato su carta.
Il telefono squillò di nuovo.
Spazientita andai a rispondere ed appena avvicinai la cornetta all'orecchio urlai "Maledizione lasciami in pace!".
"T-tesoro, ma cos'hai?" mormorò attonita la voce dall'altro capo, una voce che riconobbi subito: mia madre.
"Mamma..." dissi.
"Si, tesoro sono io. Cosa succede?" domandò lei preoccupata.
"N-niente...questi dannati call center con le loro promozioni mi stressano" mi giustificai.
Restai a parlare con lei per una buona mezz'ora, poi una volta terminata la chiamata decisi di uscire. Sentire la sua voce mi infondeva sicurezza e serenità.
Lasciai casa con l'intenzione di fare una lunga passeggiata e magari fare un pò di compree per alleggerire i pensieri e dimenticare quegli avvenimenti spiacevoli.
Ad un certo punto mi sentii seguita e mi voltai, ma non vidi nessuno di sospetto. Ricontinuai a camminare, ma quella sensazione incombeva sulle mie spalle sempre di più, fino a schiacciarmi.
Mi girai di nuovo e sul marciapiede al lato opposto della strada vidi Tom che si apprestava ad attraversare nella mia direzione.
Aumentai il passo. Nonostante fossi circondata da persone mi sentivo sola e allo scoperto.
Più cercavo di sfuggirgli, più quei volti che mi stavano attorno mi ricordavano il suo, fino ad trasformarsi del tutto ed avere il suo stesso viso. Erano tutti Tom, decine di Tom che mi camminavano accanto.
Mi voltai per l'ennesima volta: anche alle mie spalle c'erano altri Tom. Chi era quello vero? Chi?
I miei occhi mi stavano ingannando e non c'era niente di peggio. Se non potevi fidarti di ciò che vedevi allora di cosa potevi fidarti?
Nella mia cieca corsa mi accorsi da un cartello che ero nelle vicinanze di una stazione di polizia. Mi diressi là.
Lì si che sarei stata al sicuro.
Varcai la porta a vetri con il fiatone e il cuore pronto ad uscire dal petto. Guardai attraverso il vetro: i visi dei passanti erano tornati normali e di Tom, quello vero, neanche traccia.
"Signorina, tutto bene?".
Mi girai di colpo trovando un poliziotto che mi scrutava preoccupato.
"S-si..." mormorai, poi guardando di nuovo in strada sospirai e mi rivolsi all'uomo "Anzi no, non va per niente bene. Voglio fare una denuncia...per stalking". Non potevo vivere nella costante paura, avendo timore anche di uscire di casa.
Mi fece cenno di seguirlo conducendomi verso una scrivania.
"Contro chi?" mi chiese prendendo carta e penna.
"Il mio ex fidanzato, Tom Kaulitz".
"Quali reati ha commesso?".
"Lui mi chiama ed inizia a delirare, stamattina mi ha lasciato una lettera sotto la porta e stanotte l'ho trovato sotto casa mia che fissava la mia finestra!".
"L'ha mai aggredita? Cercato di ucciderla o simili?".
"No...".
"Bene".
"Bene cosa? Cosa farete al riguardo?".
"Gli impediremo di avvicinarsi alla sua abitazione per un raggio di 300 metri".
"Solo?".
"Si, non possiamo fare nient'altro. Se non l'ha aggridita o non ha tentato di toglierle la vita abbiamo le mani legate".
"C-cosa?! Quindi per agire aspettate un cadavere?".
"Signorina è la legge".
"Al diavolo la legge! Questo è assurdo!" dissi alzando la voce "E' una vergogna!".
"Si calmi o sarò costretto a farle passare una notte qui per aggressione verbale a pubblico ufficiale".
"Oh certo! Adesso arrestate me che non ho fatto niente e non chi dovrebbe essere davvero rinchiuso, questa è bella!" dissi con stizza per poi andarmene via.
Dovevo continuare a scappare, scappare dalla persona che avevo amato e che in fondo, in cuor mio, continuavo ad amare, ma di cui avevo timore. 

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


CAPITOLO QUATTRO


Tornai a casa percorrendo la strada più trafficata.
Quella situazione era assurda. Ero passata da essere una ragazza normale a perseguitata.
La cosa peggiore era che il mio perseguitatore era l'uomo che amavo e che avevo amato. L'uomo con cui aveva passato sei mesi della mia vita, l'uomo che era stato il mio punto di riferimento e il mio rifugio in cui cercare protezione e conforto. Quell'uomo di cui adesso avevo timore e che non riconoscevo più.
Dov'era andato a cacciarsi il Tom che amavo? Quello che avrebbe tentato di riconquistarmi, piuttosto che farmi paura?
Lasciai andare la giacca sul divano esausta psicologicamente.
Neanche la legge mi forniva il giusto aiuto. Chiunque poteva permettersi di farti spaventare, chiunque poteva limitare la tua libertà portandoti al punto di non voler più uscire di casa. Questo a loro non importava. Se avessero avuto un cadavere da tagliuzzare sarebbero intervenuti e solo allora alla TV si sarebbe sentita la solita notizia di cronaca nera: "ragazza trovata morta" o "ragazza uccisa per strada. Tutti i sospetti ricadono sull'ex fidanzato".
La lucina rossa dell'attesa di messaggio del telefono che lampeggiava catturò la mia attenzione. Il piccolo display segnava ben 13 messaggi da ascoltare. Stranita piggiai il tasto.
"Alexia perchè l'hai fatto? Perchè?!". Era Tom. Furioso.
*bip*
"Tu non dovevi...non dovevi andare dalla polizia!".
*bip*
"Non dovevi farlo! Non dovevi!".
*bip*
"Mi hai fatto arrabbiare, lo sai? Sono molto arrabbiato!".
*bip*
"Così mi costringi a farti del male ed io non voglio capisci? Non voglio". Concluse quella frase piangendo.
*bip*
"Puttana!".
Esasperata staccai la spina del telefono.
"Basta!" urlai portandomi le mani sui capelli piangendo, mentre le mie gambe cedevano e pian piano scivolavano, fino a farmi inginocchiare a terra.

-1 settimana dopo-
Era peggiorato tutto.
Lo vedevo ovunque. Avevo la costante sensazione che lui fosse sempre là fuori ad osservarmi, ad aspettarmi.
Non riuscivo più neanche a distinguere l'illusione dalla realtà, non riuscivo più a capire se quello che vedevo fosse il vero Tom o solo un'allucinazione dettata dalla mia mente arrivata al limite.
Non uscivo neanche più di casa e neanche lì dentro mi sentivo al sicuro.
Stavo diventando pazza o forse già lo ero e non me ne rendevo conto.
Avevo distrutto il telefono in preda ad una crisi di nervi a causa di uno dei suoi ennesimi messaggi, ma sentivo ugualmente quel maledetto "bip" riecheggiare per l'intera casa.
Ero chiusa tra quelle quattro mura come un topo in trappola.
Non riuscivo neanche a dormire la notte. Avevo paura che lui potesse entrare, avevo paura che lui potesse popolare i miei incubi. Stavo costantemente accovacciata sul divano, con le gambe strette al petto e gli occhi che scrutavano ogni singolo angolo della stanza controllando che lui non fosse dentro, ma sicura che era là fuori.
La mia vita sembrava essere arrivata la capolinea ed in un certo senso la morte non mi faceva neanche più paura, perchè vivere in quel modo era come essere già morti. 

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


CAPITOLO CINQUE


Quella sera mi ero addormentata senza volerlo. Troppo esausta, troppo al limite.
I miei occhi chiedevano pietà e mi ero lasciata vincere permettendomi il lusso di farli chiudere per qualche minuto.
Quando li riaprì era passata solo un'ora scarsa. Non riuscivo a dormire, nonostante la stanchezza, non ci riuscivo. Il mio sonno era tormentato dalla paura che incupiva i miei sogni.
Fuori nevicava. La prima neve d'inverno, proprio ad un passo dal Natale. La città si era magicamente imbiancata di quel freddo candore.
Sarebbe stato bello guardarla con occhi diversi e respirare quell'atmosfera di pace tranquillamente, ma quello scenario stonava nella mia situazione.
Improvvisamente sentii la porta d'ingresso sbattere al piano di sotto. A quel rumore sobbalzai e lasciando la stanza scesi lentamente un gradino alla volta.
Mi trovai davanti alla porta che sbatteva ripetutamente a causa del vento. Andai a chiuderla subito e la fermai, poi mi guardai intorno spaventata.
E se fosse entrato? Se fosse dentro casa?
Corsi nel salone, diretta al tavolino su cui tenevo il telefono, ma quando le mie mani toccarono la fredda superficie vuota alla mente mi ritornò l'immagine del telefono lanciato contro il muro, da me stessa, e distruggersi.
"Dovresti dormire lo sai? E' tardi".
Quella voce mi mozzò di netto il respiro.
Mi voltai di colpo incontrando il volto di Tom in penombra.
"N-non dovresti essere qui" balbettai.
"Guardati, tremi come una foglia. Hai paura? Lo sai che non dovresti avere paura di me".
La sua voce era glaciale, distaccata, innaturale. Sembrava, anzi era la voce di un pazzo.
"T-Tom per favore esci".
"Non dirmi di andarmene, non cacciarmi! Io ho tutto il diritto di stare qui!" sputò tra i denti.
"Non arrabbiarti...per favore...".
"Io sono calmo, calmissimo".
Si avvicinò a me con grandi falcate e una volta avermi raggiunta iniziò ad annusarmi come un segugio.
"Quanto mi era mancato il tuo profumo" disse afferrandomi per i capelli e portarmi la testa all'indietro, per poi iniziare a baciarmi il collo.
"Non mi toccare!" urlai spingendolo via.
Scappai. Mi gettai verso la porta correndo.
"Non puoi scapparmi, Alexia!" ringhiò lui dietro di me.
In preda al panico armeggiai con il chiavistello impiegando troppo tempo per sfilarlo a causa delle mani che mi tremavano.
Tom mi agguantò per la pancia e mi scaraventò a terra.
"Odio quando mi sfuggi! Perchè vuoi farmi arrabbiare?!" disse portandosi su di me.
Scalciai, mentre strisciavo indietreggiando per allontanarmi da lui "Stammi lontano!" gli urlai contro.
Malamente mi misi in piedi, scivolando sul pavimento liscio.
Mi precipitai al piano di sopra e mi chiusi a chiave nella mia stanza. Spalancai la finestra ed iniziai ad urlare con tutta la voce che avevo in corpo in direzione della casa dei vicini, nella speranza che mi sentissero "Aiuto! Aiuto!".
Andai avanti così fin quando la voce non mi venne meno e Tom non buttò giù la porta.
"Smettila di urlare! Smettila!" mi intimò sbattendomi contro il muro. Proprio in quell'istante le luci della casa accanto si accesero.
Fece per sbottonarsi i pantaloni, mentre io mi dimenavo. Al culmine della disperazione infilzai le unghie nel suo viso graffiandolo.
Si allontanò e ne approfittai per scappare.
"Puttana!" mi urlò dietro furioso.
Inciampai e quell'errore mi fu fatale. Riuscì a prendermi e mi tirò per i capelli lungo il corridoio, per infine scaraventarmi sul letto.
Mi baciò violentemente, introducendo prepotentemente la sua lingua nella mia bocca. La morsi ed allungando una mano sul comodino afferrai il pesante vaso di vetro che vi stava sopra e lo feci scontrare contro la sua testa frantumandolo. Perse i sensi e scesi dal letto. In quel movimento una scheggia di vetro andò a conficcarsi nella pianta del mio piede facendomi uscire un gemito di dolore.
Nonostante zoppicassi riuscii a scendere ugualmente al piano inferiore e finalmente varcare la soglia: la salvezza.
In lontananza udii le sirene della polizia. I vicini mi avevano sentita e avevano chiamato i soccorsi.
Sfinita mi lasciai andare sulla candida neve gelida.

-Qualche giorno più tardi-
L'incubo era finito. Tom era stato arrestato ed io ero potuta ritornare alla mia vita, alla normalità.
Uscivo di nuovo di casa, dormivo, mangiavo, ero serena. Lui non c'era più a farmi paura, non era più fuori dalla mia casa, niente più messaggi, niente più incubi.
Una mattina bussarono alla porta. Andai ad aprire e quando vidi chi si trovava dietro di essa per un istante la paura mi assalì di nuovo: gli stessi lineamenti di Tom, ma fortunatamente non era lui.
Era Bill, il fratello gemello che non aveva mai voluto farmi conoscere.
"Ciao, scusami non volevo disturbare...tu sei Alexia, giusto? Io sono Bill, il fratello di Tom".
"Cosa vuoi da me?".
"Oh, per favore. Non devi temermi, io non sono come mio fratello. Sono venuto solo per scusarmi per quello che ha fatto...vedi lui non si comporta in quel modo per cattiveria...".
"Per favore, non giustificarlo!".
"Io non lo sto giustificando, ma tu meglio di me sai qual'è il suo problema...".
"Q-quale problema?".
"Non lo sai?".
"No. Cosa dovrei sapere?".
"Mio fratello soffre di personalità multipla...è come se avesse una parte buona e un'altra...cattiva...quella parte quando non prende le sue medicine prevale sul vero Tom, quello buono, facendolo diventare ossessivo, violento, possessivo...era da un pò che non prendeva le sue pillole che lo tenevano a bada, ma io non me n'ero mai accorto. Mi faceva credere che le prendeva, quando invece le buttava via nello scarico del wc...".
"Io...io non sapevo niente".
"Capisco...".
"Ed adesso lui dov'è?".
"In un ospedale psichiatrico dove riceve le giuste cure...nel suo stato non può certo andare in carcere. Per la legge ha l'infermità mentale...lo so che non dovrei chiedertelo, ma se puoi tenere per te questa storia mi faresti un grande favore. Le nostre fan non sanno del suo stato e se lo venissero a sapere sarebbe un grosso guaio per la band...".
"Tu non puoi chiedermi questo! Ha tantato di farmi del male e mi ha reso la vita un inferno!".
"Lo so, ma quello non era il vero lui...suppongo che tu abbia amato mio fratello. Fallo in nome di quando eravate felici...".
"Potrebbe succedere a qualcun'altra, capisci? Oggi sono stata io, domani? Ci potrebbe essere qualche altra ragazza nella mia situazione!".
"Non succederà, te lo prometto!".
Quelli che mi fissavano supplichevoli erano i suoi stessi occhi. Gli occhi del Tom di cui mi ero innamorata.
"Va bene..." mormorai.
"Grazie, grazie davvero".
"Voglio vederlo, però. Per l'ultima volta...ma non voglio che lui veda me".
Bill annuì.

Quel posto era un luogo così spento e triste. Tom era lì, in una della tante stanzette in cui alloggiavano i pazienti.
Indossava una tunica bianca a pois azzurri e stava seduto sul bordo del letto con il viso tra le mani.
Mai e poi mai avrei immaginato di vederlo in quello stato, in quel posto.
Lui era stato sempre Tom, il mio fidanzato, il ragazzo che amavo. Lui era il mio sogno. Il mio pazzo, folle sogno.
 


FINE 

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