Anima di Bambola

di Jack Le Fleur
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Occhio ***
Capitolo 3: *** Eredità ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Anima di Bambola

Prologo


Si narra che molti anni or sono, quando ancora la luce proveniva dalle profumate candele di cera accese nelle lunghe notti invernali, una bambola viaggiasse accompagnando la sua padrona lungo il fiume per prendere l’acqua.
La bambina era solita recarsi a prendere l’acqua ogni giorno, tranne quando erano previste tempeste.
Suo padre le ripeteva spesso: “Non devi mai uscire durante una tempesta o verrai portata via dai demoni del fiume!”. La bambina aveva sempre avuto paura dei demoni del fiume.
Un giorno d’estate decisa di soffermarsi più del solito lungo il fiumiciattolo per raccogliere dei Denti di Chimera, dei fiori dai petali allungati e bianchi che sfumavano in un rosso cremisi e d’un tratto una creatura le si avvicinò: era piccola come un folletto, con la pelle ricoperta di scaglie completamente blu, capelli bianchi come la neve candida che scendeva sui pendii delle montagne, la bocca rosea e piccola, il naso sottile e degli occhi a mandorla del colore opalescente della luna, con la pupilla verticale piccola e nera. Era un piccolo demone del fiume. Non sembrava affatto minaccioso come gli era stato descritto! Così un giorno, sicura che fossero innocui e nonostante fosse prevista una tempesta, uscì a prendere l’acqua al fiume, ma non fece mai più ritorno. Il padre della bambina, distrutto dal dolore, prese a recarsi al fiume tutti i giorni. Fece così per trent’anni, fino a che non morì di vecchiaia.
Della bambina non si seppe più niente e ben presto divenne solo una storiella per spaventare i bambini e venne dimenticata.
 


La mia padrona era un’incosciente! Suo padre le diceva di non uscire durante le tempeste, ma lei trovava simpatica quella strana creatura blu che tutti odiano.
Era strana.
Cosa avrei dovuto fare? Avrei dovuto fermarla? Lei non mi ascoltava!
Quindi non mi restava altro che andare con lei.
Avevamo seguito il fiume e la creaturina blu le aveva fatto cenno di seguirla.
La mia padrona lo fece. Che sciocca! Non doveva farlo!
Ci portò in una strana grotta illuminata d’azzurro. C’erano altre creature blu lì. Tante. Troppe. Le saltarono addosso affondando i denti nella carne pallida.
Io provai ad aiutarla, ma sono solo una bambola.
D’improvviso vi fu un lampo di luce nera e le creature scapparono.
La mia padrona era ridotta in fin di vita. Perché non mi aveva ascoltato?! Che cosa dovevo fare? Come potevo salvarla?

D’improvviso apparve uno strano essere fluttuante, con una veste che sembrava di fumo e seta della più pregiata, il volto bianco come il latte, gli occhi del colore dei gioielli delle persone ricche, quello strano giallo e contornati di nero, i capelli erano neri come la notte e volavano intorno alla testa, le labbra nere nascondevano denti degni del peggiore dei predatori. Faceva quasi paura. Quando parlò, però, tutte le mie incertezze volarono via: la sua voce era la cosa più bella e melodiosa che avessi mai avuto l’onore di ascoltare.“Tu le vuoi bene, vero?” sussurrò con la sua voce suadente “Si” le risposi ovviamente “Vuoi salvarla?” “Si” “Io posso aiutarti. Il mio nome è Morrigan” Mi disse con un sorriso. Io sorrisi a mia volta: potevo aiutare la padrona! Però il successivo commento di quella donna mi rese un po’ perplessa “Tuttavia, mi devi promettere che tu e la tua amica resterete sempre con me e che mi sarete fedeli. Saremo solo noi tre, o meglio noi due” “Noi due?” “Se vuoi salvare la tua amica, devi donarle la tua vita: il corpo e l’anima. Così sarà salva”.
Mi sentivo sempre più stranita. Come potevo dare alla padrona corpo e anima? Ero solo una bambola “Come posso farlo?” Chiesi infatti “Ci penserò io. Tu devi solo dirmi se sei disposta a farlo” “Certo che lo sono!” risposi con furore. L’essere fluttuante rise, una risata cristallina “Bene, cominciamo allora!”.

L’essere mi prese in braccio e mi depose su una roccia. Poi prese la padrona e la mise accanto a me.
Cominciò a parlare in una strana lingua sconosciuta, tanto melodiosa che pareva cantata.
Cominciai a sentirmi stanca.
Persi la vista e l’udito.
Dopo un po’ persi anche il gusto.
A mano a mano che quella cantilena andava avanti, io sentivo sempre meno il mondo intorno a me.
Persi l’olfatto.
Quando la donna finì, persi anche il tatto e probabilmente smisi di esistere.


Da quel momento la bambina divenne la bambola e la bambola divenne la bambina, unite in un solo unico essere.
Promisero di essere sempre fedeli alla donna e, per un certo periodo di tempo, lo furono.
Tuttavia, la bambina continuava a crescere e presto divenne donna e, stanca di vivere nelle grotte sulle montagne con Morrigan, scese in un villaggio vicino e si innamorò di un giovane del posto.
La donna, infuriata dal tradimento della bambina, le scagliò contro una maledizione: non avrebbe mai avuto la pace e così nemmeno la sua bambola.
La ragazza non capiva cosa intendesse, in fondo non aveva fatto niente di male.
Voleva solo conoscere altre persone come lei, com’era un tempo.
Non comprese la maledizione della donna finche non ebbe i suoi figli: un maschio e una femmina, entrambi con delle parti del corpo di bambola. La ragazza si spaventò: i bambini non solo avevano parti del corpo della bambola, ma era come se si fossero portati via anche una parte di lei.
I bambini crebbero ed ebbero dei figli che a loro volta avevano parti del corpo della bambola e la ragazza, ormai vecchia si sentiva sempre più stanca.
Quando morì, rimase ancorata al mondo umano, sempre vicina a coloro che possedevano il corpo della sua bambola.
La donna l’aveva detto. Aveva detto che non avrebbe più trovato la pace.
Le generazioni si susseguirono, dando in eredità l’anima di bambola.
La ragazza non credeva di poter cambiare la situazione, di trovare la pace.
Non fino ad oggi.
 
 
 
Salve a tutti! Me ne torno con qualcosa di assurdo che spero vi piaccia. Fatemi sapere cosa ne pensate *prega in ginocchio*. Al prossimo capitolo~
M.J.V.

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Capitolo 2
*** Occhio ***


Si guardò intorno spaesato: l'ennesima scuola nuova in una nuova città, piena di gente nuova che non voleva conoscere e nuove opportunità che non gli interessava avere. L'entrata era gremita di studenti pronti per l'inizio delle lezioni mentre lui, ancora per metà nel mondo dei sogni, cercava di non venire ucciso dalla mandria di persone che si accalcavano alla porta d'ingresso. Quanto odiava quella roba. Gli piaceva stare da solo e aveva studiato a casa fino ad un paio di anni prima. “Devi cominciare ad andare a scuola!”gli aveva detto sua madre “Così ti farai degli amici!” Che abnorme stronzata. Alle persone non piacevano i tipi come lui: troppo strani, particolari, “out” per loro. Raven Adams era un diciassettenne piuttosto mingherlino con moderatamente corti capelli mori e la grande particolarità di avere gli occhi uno diverso dall'altro: un occhio di un caldo color nocciola e l'altro di un tetro e freddo azzurro ghiaccio. Non aveva mai avuto amici, non ne aveva mai voluti. Le persone gli suscitavano una certa inquietudine da sempre e preferiva evitarle. Ed eccolo lì, nel fulcro pulsante della vita di un adolescente: la scuola. Non c'era posto più discriminatorio per un ragazzo come lui. Entrò con non poche difficoltà e cercò la segreteria per sapere quali corsi e classi doveva frequentare. Dopo averla trovata, parlò con una signora sui cinquanta con i capelli cotonati e degli occhiali con le lenti spesse come minimo un pollice. Quella era Gina, una delle bidelle della scuola (detta anche il Boss o il capo delle bidelle) che sostituiva momentaneamente la segretaria. Fissò il foglio che aveva appena ricevuto. Non poteva andargli così male fin da subito! Prime due ore: ginnastica.

 

Non ci volle molto ad arrivare in palestra, ma era comunque in ritardo in confronto agli altri e così poté cambiarsi in assoluta tranquillità e senza vergogna. Di colpo, mentre stava per infilarsi i pantaloni della divisa di ginnastica, un ragazzo dai capelli color miele entrò tutto trafelato urlando scuse al professore riguardo al ritardo. Lo sconosciuto di voltò di botto notando Raven immobile, con i pantaloni a metà delle gambe, di fronte a lui che lo fissava sconvolto. “Ciao” disse semplicemente “C-Ciao...” rispose titubante il moro. “Sei quello nuovo?” chiese con tranquillità iniziando a spogliarsi “Eh..? Ah, sì... sono io”. Lo sconosciuto si era ormai privato della maglia e si apprestava a rivestirsi, tuttavia si fermò e si voltò verso l'altro ragazzo. Raven non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: non era normale avere degli addominali del genere! “Bene” rise “Io sono Alexander, ma puoi chiamarmi Alex” si presentò porgendogli una mano. Raven la fissò per qualche secondo prima di stringerla sussurrando timidamente “R-Raven” “È un vero piacere, Raven. Spero che ti troverai bene a scuola.” prese una maglietta degli ACDC e se la infilò “Oh! E se dovessero darti fastidio, vieni pure da me. Ci penserò io a farli smettere!” sorrise e uscì dallo spogliatoio. Raven fissava il punto in cui Alex si trovava fino a pochi secondi prima. Mah, era proprio un tipo strano. Abbassò lo sguardo e finalmente si accorse che non si era tirato su i pantaloni e che aveva sfoggiato i suoi boxer neri attillati per non si sa quanto tempo di fronte ad uno sconosciuto. Li tirò velocemente su e si sedette su una delle panchine coprendosi il volto rosso per la vergogna: che figura di merda.

 

Uscito anche lui dallo spogliatoio, raggiunse gli altri nella palestra. Il professor Walkings, un tipo con la testa rasata, lo sguardo truce e la medaglietta da militare che svettava sempre al suo collo, lo presentò agli altri quasi fosse un nuovo soldato da mandare al macello. Carne fresca, insomma. Il resto delle due ore non fu particolarmente degno di nota: li fece correre, saltare, correre, arrampicarsi, di nuovo correre. Raven pensava che probabilmente sarebbe morto di lì a poco e fu allora che lo notò: Alex era poco più avanti di lui e lo fissava rallentando. In imbarazzo, distolse lo sguardo. Pochi secondi dopo se lo ritrovò accanto nella corsa per la sopravvivenza (perché di quello si trattava): “Allora? Come ti sembra per ora?” chiese senza nemmeno un accenno di affanno. Raven cercò di prendere abbastanza fiato anche solo per dire una parola “Se sopravvivo... te lo faccio sapere...”

Alla fine era l'ora di tornare negli spogliatoi e cambiarsi. Halleluja pensò il moro pregando che il resto della giornata passasse in fretta.

Gli altri ragazzi non sembravano nemmeno considerarlo, mentre invece Alex sembrava riscuotere parecchio successo in quanto a popolarità. Ma se davvero era popolare, che cosa voleva da uno sfigato come lui? 'Quello nuovo' può essere divertente da stuzzicare secondo le idee contorte di alcune persone, ma quel ragazzo non sembrava affatto di quel calibro: era stato gentile e si era pure offerto di fargli vedere la scuola durante la corsa-suicidio di poco prima. Che tipo strano. “Quindi, Quello nuovo, da dov'è che esci per entrare a metà semestre?” chiese un ragazzo alto e abbronzato che non gli ispirava proprio nessuna fiducia. Gli altri risero come se avesse detto una qualche sorta di battuta che lui non riusciva a comprendere. “Mi trasferisco spesso” rispose semplicemente. Prese la sua roba e si chiuse in bagno: non voleva che i suoi 'compagni di corso' lo vedessero mentre si cambiava. “Hey, dove vai, Quello nuovo? Non vuoi parlare un po' con i tuoi nuovi futuri amici?” di nuovo tutti scoppiarono a ridere. Raven proprio non capiva: cosa c'era di tanto divertente? L'unica cosa che lo sorprendeva era che non avessero ancora detto niente riguardo ai suoi occhi: non molte persone possedevano occhi come i suoi. Magari non li avevano semplicemente notati. Non li aveva visti guardarlo in faccia nemmeno una volta, ma forse era colpa del fatto che guardava sempre in basso. “Fatela finita! Perché non vi decidete a crescere un po'?” sentì dire dall'altra parte della porta. Riconosceva quella voce: Alex. Si ritrovò di nuovo a chiedersi perché un ragazzo come quello lo voleva aiutare. Era proprio un mistero per lui. Tirò un sospiro e aspettò che tutti gli altri uscissero dallo spogliatoio. Una volta accertatosi che se n'erano andati, aprì delicatamente la porta. Si voltò per richiuderla e si sentì toccare la spalla da una carezza. Trattene a stento un urlo e, per lo spavento, fece uno scatto all'indietro sbattendo con la schiena nella porta del bagno. Alex, davanti a lui, lo fissava sbigottito con la mano ancora alzata. “Ma che fai?” chiese piano. Raven riprese lentamente fiato “Mi hai fatto paura. Ti pare questo il modo di arrivare?” l'altro rise “Scusa. Come mai ti chiudi in bagno per cambiarti? Ti vergogni per caso?” chiese curioso “Cos'ha che non va?” “È un po' strano. Ti prenderanno sicuramente in giro per questo. Già prima ti davano della ragazzina per il tuo aspetto, ma ora sarà anche peggio.” rispose Alex calmo “Della... Ragazzina?” chiese il più basso allarmato: non andava affatto bene. Proprio per niente. “Già... comunque non dargli peso: sono solo dei deficienti.” “Oh... Ma tu... non dovresti essere a lezione?” l'altro rise forte “Finirà il mondo il giorno in cui arriverò a lezione in orario! Che materia hai adesso?” Raven sorrise e guardò l'orario “Storia e filosofia” rispose “Magnifico! Ci devo andare anch'io!” disse raggiante l'altro “Sul serio?” gli pareva troppo strano e perfetto “No. Ma non importa! Io vado sempre a filosofia il martedì” Raven lo fissava sconvolto: ma che razza di svitato era quello? Si avviarono nell'aula di storia e filosofia senza aggiungere altro. A metà strada Alex prese la parola “Posso farti una domanda un po' strana?” Raven lo guardò sollevando un sopracciglio “Va bene” l'altro si schiarì la voce “Non offenderti, ma... è normale che tu abbia degli occhi del genere? Cioè, sono sempre stati uno diverso dall'altro?” Raven rispose tranquillamente “Sì, sono sempre stati così. Spesso mi dicono che sono un essere del demonio a causa dei miei occhi. Sono davvero così brutti?” Alex disse qualcosa che Raven non riuscì a sentire “Come?” chiese confuso “Niente” rispose sbrigativo l'altro “Siamo arrivati” disse indicando la porta di un'aula. Raven stava per bussare, quando Alex aprì la porta ed entrò senza nemmeno degnarsi di un buongiorno. La professoressa lo guardò severa, ma cambiò totalmente espressione quando vide l'altro ragazzo che era rimasto davanti la porta con la mano ancora per aria nell'intento di bussare. “Vieni avanti” disse dolcemente. Raven eseguì. “Tu devi essere il ragazzo nuovo” proferì con un sorriso “S-Sì” rispose l'altro imbarazzato. C'erano troppe persone che lo stavano fissando. Davvero troppe. “C'è un posto laggiù, accanto ad Alexander” disse indicando un banco vuoto “E tu, quando imparerai che non hai filosofia a quest'ora?” disse la professoressa irritata “Quando le sue lezioni saranno meno interessanti prof!” disse l'altro con un non so che di divertito. Tutta la classe si mise a ridere. Raven si limitò a fissarlo: avrebbe dovuto ridere anche lui? Forse sì visto che lo stavano fissando tutti in modo strano. Si sforzò, ma non riuscì a tirare fuori niente più di un piccolo ghigno. Ancora più in imbarazzo, si sedette velocemente e si preparò a prendere appunti. La lezione, a differenza di ciò che si aspettava, era davvero divertente come aveva detto Alex e le discussioni molto più interessanti di quelle cui aveva assistito nelle altre scuole. L'unico problema era che si sentiva molto, molto osservato. Non si trattava tanto dei nuovi compagni, quanto di uno in particolare, un certo ragazzo dai capelli color miele e gli occhi indaco che era seduto accanto a lui: Alex. Lo guardava. Di continuo. E Raven arrossiva. E più Raven arrossiva più Alex lo guardava. Era un maledetto circolo vizioso. “Puoi smetterla?” si decise alla fine “Di fare cosa?” rispose sbigottito il biondo “Di fissarmi. È snervante” “Scusa. Non pensavo ti desse fastidio.” “E poi perché mi stai fissando?” chiese irritato “Mi incuriosisci. Non è una cosa che si vede tutti giorni un ragazzo che diventa rosso come un pomodoro solo perché un compagno di classe lo guarda.” Raven sgranò gli occhi: doveva tirarsi fuori da quel discorso di merda, e doveva farlo subito “Io... I-Io non stavo arrossendo! È un effetto ottico creato dalla luce. Ma non studi scienze?” rise nervosamente. Poteva esserci una scusa più palese di quella? “Non sono un gran che in scienze.” rispose schietto l'altro “Beh, in realtà non lo so visto che non vado mai a lezione. Dopo due ore di ginnastica l'ultima cosa che voglio fare è scienze!” Raven lo fissò sconvolto: quel tipo saltava tutte le lezioni di scienze e andava ad altre? “Quindi avresti avuto scienze adesso?” chiese infatti, incredulo “Esatto. Sei un tipo che afferra bene i concetti” sorrise. Raven si voltò verso la prof che ancora stava spiegando: ma che razza di folle poteva saltare tutte le lezioni di una materia ed andare ad altre? Era da matti!

Dopo concetti e varie dalla lezione di filosofia, si passò ad economia domestica. Raven non poteva chiedere di meglio: sua madre lavorava fino a tardi e lui si occupava sempre da solo della casa. Procedettero alla preparazione di un semplice tramezzino al formaggio che lui eseguì egregiamente. Dopo averlo preparato avevano il permesso di mangiarlo, ma il moro non fece in tempo a finirlo che era già per metà nello stomaco dell'altro. Quell'ingordo non gliene aveva lasciato nemmeno una briciola. Per qualche strano motivo, Alex sembrava seguirlo ovunque andasse, ma nella maggior parte delle lezioni (non previste naturalmente) che frequentava con Raven non faceva niente. Il pranzo fu probabilmente la parte più traumatica di quella giornata: dopo una lotta all'ultimo sangue per recuperare del cibo, ci fu il problema “posto per quello nuovo”, perché nessuno ti conosce e tanto meno ti vuole al suo tavolo, che venne prontamente risolto da un intervento di Alex che si sedette senza problemi ad un tavolo già occupato da due ragazze e che costrinse a sedersi anche l'altro. Le due lo fissarono incuriosite e una di loro si decise a parlare “E questo chi è? Ti sei trovato un nuovo fidanzatino, Al?” Raven assunse un colorito molto simile al porpora mentre Alex si limitò a ridere “Sei solo gelosa perché l'ho visto prima io, dì la verità!” Raven non sapeva se sentirsi più in imbarazzo per la domanda posta dalla ragazza o per la risposta data da Alex. Probabilmente la seconda. Rise nervosamente “C-Che cosa?” Gli altri tre si voltarono verso di lui “Oh, già! Non ti ho presentato. Ragazze, lui è Raven, quello nuovo. Raven loro sono Astrid e Maya, le donne della mia vita” disse con tono solenne “Ah. Ah. Ah.” disse sarcastica quella che aveva identificato come Astrid. Era una ragazzina minuta dalla pelle chiara, con una spruzzata di lentiggini sul nasetto e gli occhi scuri, ma quel che più attirava l'attenzione era una bellissima chioma di ricci biondi che sfiorava ogni tanto con le dita. Pensava che mai si sarebbe ritrovato a fissare i capelli di una ragazza. “Ma stai bene?” la bionda lo stava fissando piuttosto male “S-si, scusa”

Beccato dalla ragazza a cui stava fissando i capelli. Ennesima figura di merda. L'altra, Maya, gli lanciò un'occhiata comprensiva “Sta tranquillo, quando si tratta dei suoi capelli è sempre un po' burbera.” rise. Raven le sorrise. Era una ragazza carina, leggermente abbronzata con un caschetto di capelli neri e gli occhi verde prato.

Il gruppetto iniziò tranquillamente a mangiare, parlando del più e del meno.

Erano nel bel mezzo di una discussione sull'inutilità pratica delle disequazioni quando Raven sentì un improvviso brivido di freddo. Conosceva bene quella sensazione.

No, non adesso!

Una piccola creatura simile ad un gargoyle saltò sul tavolo e si mise a zampettare in giro. Gli altri tre ragazzi sembravano non accorgersi minimamente della presenza del mostriciattolo, mentre Raven cercava di non guardarlo e di fare finta di niente. Non era affatto facile fingere di non vedere una creatura che tecnicamente nemmeno dovrebbe esistere mentre la suddetta ti passeggiava tranquillamente davanti. La creatura si fermò davanti a lui e prese ad annusarlo. Doveva rimanere fermo. Solo questo. Fermo. Il gargoyle ringhiò leggermente e Raven fece l'errore di voltarsi a guardarlo. Il mostro prese a ringhiare più forte e assunse una posizione di attacco.

Maledizione!

Il moro si alzò in fretta dalla sedia con un'espressione spaventata. Non era mai un bene far innervosire un gargoyle.

I tre compagni di pranzo si voltarono verso di lui confusi e preoccupati “Va tutto bene?” chiese Alex alzandosi a sua volta. Raven si girò di scatto nella sua direzione, mentre le due ragazze lo guardavano “Si... si, è tutto ok. Ho solo bisogno di...” non finì la frase e si allontanò barcollando leggermente. Gli altri tre lo fissavano un po' confusi.

 

Raven si ritrovò nel giardino sul retro della scuola. Si sedette sul prato e prese dei lunghi respiri per calmarsi. Era il primo giorno e già l'avevano trovato. Era fregato.

Uno schiocco lo fece voltare di scatto.

Alex!” il biondo si avvicinò lentamente a lui e si buttò sul prato accanto a lui “Che ti è successo poco fa? Sembravi terrorizzato”

Il moro prese a fissare un punto indefinito davanti a sé “Mi dispiace, ma non sono affari tuoi”

Alex assottigliò lo sguardo “Di colpo ti sei alzato dal tavolo con un'espressione terrorizzata. Beh, direi che sono anche affari miei” il suo tono aveva un non so che di rimprovero “No, non lo sono” rispose stizzito Raven guardandolo negli occhi.

Alex sospirò. Sembrava essersi arreso e fissava stancamente il prato.

Raven stava cominciando a tranquillizzarsi quando un ringhio catturò la sua attenzione. Pensò che si trattasse del mostriciattolo di poco prima, ma dovette ricredersi: quello che si trovò davanti era un gargoyle decisamente più grande di quello di poco prima. Aveva le dimensioni di un uomo e lo stava fissando dall'altra parte del prato. Il ragazzo sgranò gli occhi e iniziò a fare fatica a respirare. Attacco di panico. Di bene in meglio. Alexander si voltò subito verso di lui “Respira! Calmati! Raven, guardami. Va tutto bene” il moro scuoteva impercettibilmente la testa senza riuscire ad ottenere miglioramenti. “Calmati!” ripeté fermo. Raven iniziò a prendere respiri profondi e il suo cuore riprese a battere ad un ritmo accettabile. Alex prese un respiro “Soffri di attacchi di panico.” non era una domanda “Eh già” “Perchè non me l'hai detto?” disse in tono accusatorio. Ma cosa diamine voleva? Si conoscevano da qualche ora e pretendeva che gli dicesse vita, morte e miracoli? “Perchè avrei dovuto?” chiese infatti “Perchè... perchè...” il biondo sembrava non riuscire a trovare una risposta. La campanella che segnava la fine del pranzo suonò e Raven si alzò in silenzio dirigendosi verso l'aula di arte.

Alexander lo seguì e arrivarono poco dopo.

Hai qualcosa di strano.” iniziò il biondo “Sento che c'è qualcosa in te, qualcosa di speciale. Tu sei come noi!” Raven si voltò verso di lui sollevando un sopracciglio “Voi?”

La conversazione venne prontamente troncata dall'entrata della professoressa e fu presto messa da parte.

 

La sera era arrivata presto e Raven aveva preparato la cena per sua madre. Non le aveva raccontato dei gargoyle. Non voleva che si preoccupasse e che traslocassero di nuovo. Sua madre gli aveva sempre creduto e di questo era infinitamente grato. Vedeva creature che per la gente comune non esistevano da sempre e sapeva che quelle che popolavano la notte non erano da frequentare. Era una di loro che aveva ucciso suo padre. Ne aveva paura.

Entrato in camera si gettò malamente sul letto, posizionato strategicamente accanto alla finestra. Gli piaceva vedere le stelle prima di dormire, gli ricordava la casa in cui aveva passato la sua infanzia. Sentì una pressione sulla spalla e sorrise alla creaturina che vi si era appena posata sopra. Lilje era una piccola fatina rosa vestita di petali di ciliegio e era sempre stata con lui da quel che ricordava.

Non hai idea di quello che è successo oggi!” iniziò. La piccola fata si sedette più comoda, pronta ad ascoltare la giornata del suo amico.







Vent'anni dopo ritorna! *fuochi d'artificio* Salve a tutti, sono tornata (davvero?) e so che questo capitolo fa abbastanza schifo (come al solito). Comunque, visto che la mia opinione conta molto poco, fatemi sapere cosa ne pensate e... boh... datemi qualche suggerimento o qualche bella creaturina da infilare da qualche parte!
Alla prossima (senza contarci troppo)
M.J.V.

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Capitolo 3
*** Eredità ***


Eredità

Raven si svegliò di soprassalto: un altro incubo. Guardò il display della sveglia e sospirò pesantemente quando vide che segnava le tre e mezzo. Si appoggiò allo schienale del letto respirando lentamente per calmarsi e si voltò a guardare la sua fatina che dormiva sul comodino. Sembrava serenza e questo lo tranquillizzò un po'. Si alzò dal letto e si avviò verso il bagno. Era sudato fradicio e aveva assolutamente bisogno di una doccia. Si tolse i vestiti e aprì l'acqua. Il getto freddo per qualche secondo lo fece rabbrividire, ma allo stesso tempo sembrò scacciare quello strano senso di inquietudine che non l'aveva abbandonato da quando, poco dopo l'aver finito di raccontare a Lilje la giornata, era andato a dormire. Si era sentito osservato, come se qualcuno gli fosse entrato in testa per controllarlo e questo gli faceva paura. Negli anni aveva imparato che esistevano creature in grado di fare molte cose e non sempre erano buone. Da quando il giorno prima i gargoyle erano andati a scuola non si sentiva tranquillo. Non era successo niente, ma aveva avuto davvero paura. Si appoggiò alla parete della doccia e si lasciò accarezzare dal getto d'acqua che ormai era diventata calda. Sperava solo che sua madre non si svegliasse. Non gli andava di spiegarle perché si stava facendo una doccia nel bel mezzo della notte quando avrebbe dovuto essere a letto a dormire.

Chiuse l'acqua con un sospiro e si asciugò velocemente. Era stanco e voleva dormire per quelle tre ore scarse che gli rimanevano prima di dover andare a scuola.

 

Il suono prepotente della sveglia mise fine al suo sonno. Era riuscito a dormire per un paio d'ore, ma non si sentiva affatto riposato. Voleva rimanere a casa e dormire ancora, ma la voce contenta di sua madre distrusse il suo piano sul nascere “Tesoro, alzati! È ora di andare a scuola!”

Alana Fisher era una donna di quasi quarant'anni, dai capelli castani e gli occhi azzurri e vivaci. Non aveva mai dubitato che Raven riuscisse a vedere cose che gli altri non potevano vedere, così come non aveva mai dubitato che suo marito Leonard fosse speciale tanto quanto il figlio. Sapeva che c'erano cose di Raven che non sarebbe mai riuscita a comprendere, ma questo non le avrebbe impedito di provare a farlo, né di essere una buona madre. Quando Leonard era morto era stato davvero difficile per lei. Stavano insieme da quando avevano sedici anni e lui l'aveva urtata rovesciandole addosso tutto il suo frappè al cioccolato. La maglietta era rimasta irrimediabilmente macchiata, ma lei non aveva più tentato di lavarla. Anche se era macchiata e con una stampa improponibile era la sua preferita.

Raven entrò in cucina sbadigliando. Alana stava trafficando sul tavolo e si fermò per qualche secondo a fissarlo: somigliava così tanto a suo padre! Gli stessi sbadigli giganti la mattina, lo stesso modo di stravaccarsi sulla sedia, di sorridere, di inclinare leggermente la testa quando non capiva qualcosa. La donna sorrise dolcemente e porse al figlio una tazza di latte caldo.

“Pronto per andare a scuola?” chiese. Il ragazzo, che aveva cominciato a sorseggiare placidamente il suo latte, si voltò grugnendo qualcosa a proposito degli orari indecenti delle scuole.

“Mamma?” sussurrò piano “Dimmi, tesoro.” rispose calma lei, già sapendo cosa le avrebbe chiesto “Posso stare a casa?” Raven sfoggiò la sua migliore espressione da cucciolo bastonato. Doveva tentare il tutto per tutto.

“No, tesoro.”

Probabilmente già sapeva che avrebbe risposto così, ma sperava comunque che gli permettesse di saltare la scuola. Sospirò e tornò in camera sua per vestirsi. Prese un paio di jeans e una maglietta a mezze maniche e le indossò velocemente. Poi afferrò una delle felpe che un tempo appartenevano a suo padre e se la infilò sorridendo appena. Salutò Lilje, ma prima che potesse uscire dalla stanza la fatina emise qualche trillo e lui si voltò: la creaturina rosa cercava faticosamente di porgere al ragazzo il libro di matematica con scarsi successi. Raven rise afferrando il libro “Grazie mille, Lilje! Non so cosa farei senza di te!”

La fatina arrossì ridacchiando e facendogli cenno di smetterla. Il ragazzo la salutò un'ultima volta con la mano ed uscì dalla camera. Sua madre lo stava aspettando accanto alla porta e appena lo vide uscì di casa “Sbrigati o farai tardi!” gli urlò dalle scale. Raven attraversò a passo svelto il corridoio e si fermò davanti alla porta. Si voltò verso la credenza e accarezzò piano la foto di un uomo sulla trentina che sorrideva spensierato “Ciao, papà” sussurrò sorridendo tristemente.

Uscì di casa velocemente e corse in macchina. Alana stava ascoltando qualche assurda canzone anni ottanta, ma gli andava bene così. Sua madre che cantava a squarciagola canzoni improponibili di cui nessuno conosceva le parole rendeva l'atmosfera rilassante e divertente. C'era da aggiungere che era pure stonata e Raven rideva sempre come un matto a sentirla cantare. Arrivarono di fronte alla scuola in pochi minuti e lui rimase seduto sul sedile del passeggero a fissare l'edificio con diffidenza. Sperava ancora che sua madre lo riportasse a casa, ma sapeva che non sarebbe mai successo. Infatti la donna gli sfiorò il braccio, facendogli cenno di scendere dalla macchina e lui sbuffò piano. Aprì la portiera, ma un rumore sordo lo fermò. Scese velocemente dalla macchina notando un ragazzo che si teneva il fianco imprecando. “S-Stai bene?”

Il ragazzo si voltò con un'espressione rabbiosa mentre urlava “Se sto bene?! Ma sei deficiente o cosa?!” si bloccò di colpo “Oh, ciao Raven” e sorrise dolcemente. L'espressione di Raven passò da estremamente mortificata a impaurita a stranita nel giro di cinque secondi. Alex si trovava davanti a lui, sorridente e tranquillo come se non fosse successo niente. Alana scese velocemente di macchina “Hey, tutto okay?” chiese preoccupata rivolgendosi ad Alex “Sì, signora. Sto benissimo, grazie.” il sorriso non l'aveva ancora abbandonato e Raven si chiese se Alex soffrisse di qualche bizzarro disturbo della personalità. Era furioso, ma appena l'aveva visto aveva cambiato completamente atteggiamento. Si avvicinò al moro e gli circondò le spalle con un braccio “Scusa se ti ho urlato contro. Credevo fosse uno di quegli idioti della squadra di football che ti ostinano al colpirmi con qualsiasi cosa si ritrovino fra le mani. Mi perdoni?” chiese sinceramente dispiaciuto. Raven arrossì leggermente e distolse lo sguardo “N-non hai niente di cui scusarti. Sono stato io a colpirti. Anzi, scusami per averti urtato con la portiera. Ti giuro che non era mia intenzione!” Alex rise piano e gli scompigliò i capelli. “Ti perdono solo se oggi vieni a-” “Salve.” Alana interruppe bruscamente la frase del ragazzo e gli porse la mano con decisione “Alana Fisher. Sono la madre di Raven. E tu sei?”

“A-Alexander. Alexander Anthony Parker. È un vero piacere conoscerla!” il sorriso furbo della donna mise un po' in imbarazzo il biondo che se ne stava rigido e con la schiena dritta come in un saluto militare. Certo era che il suo imbarazzo non era niente se confrontato con quello di Raven. Il ragazzo, infatti, fissava la madre con uno sguardo supplichevole, pregando una qualche entità che non dicesse niente di strano o compromettente. Naturalmente successe l'esatto opposto.

“Ciao, Alexander.” rispose pacata “Non ho potuto fare a meno di sentire quello che stavi dicendo. Quindi, per curiosità, dov'è che dovrebbe venire mio figlio per farsi perdonare?” Alana assottigliò lo sguardo in una sfida muta e Alex abbassò timidamente lo sguardo a fissarsi i piedi “A... A prendere un frappè con me, signora!”

Il biondo si sentiva come sotto esame e quella donna sembrava quasi un generale dell'esercito o forse, in tempi più antichi, una regina determinata e sicura di sé, pronta a tutto per difendere il proprio figlio. La donna sorrise vittoriosa “E non credi che le scuse che ti ha fatto siano più che abbastanza per perdonarlo?” suggerì con finta innocenza. Alex alzò lo sguardo e con gli occhi di nuovo carichi della sua solita sicurezza e rispose “Onestamente avrei invitato comunque Raven a prendere un frappè. Solo che avevo paura che mi dicesse di no e quindi ho cercato di convincerlo dicendo che non l'avrei perdonato. Mi sembra un ragazzo molto timido e immaginavo che la risposta sarebbe stata negativa. Così mi sono detto che avrei potuto provare a usare quello che era appena successo a mio vantaggio. Non potrei mai rimanere arrabbiato con lui. Insomma, lo guardi!” ed entrambi si voltarono verso Raven che, rosso come un pomodoro, fissava la scena a bocca aperta “Come si può essere arrabbiati con lui? Guardi che bel faccino!” disse entusiasta stringendo una guancia al moro. Alana non si aspettava una risposta del genere e rimase a fissarlo in silenzio senza sapere cosa ribattere.

“In ogni caso le assicuro che non ho cattive intenzioni! Voglio solo prendere un frappè con il mio nuovo amico!” aggiunse calmo e sorridente Alex. Alla parola amico Alana si illuminò e si voltò di scatto verso Raven “Ci vai, vero?” disse tutta contenta.

Raven si strinse nelle spalle e sussurrò un “Beh, non lo so. C'è un ricerca sulla mitologia greca e romana da fare per arte e non credo di avere tempo” e Alana si rabbuiò un poco per poi tornare nuovamente felice ed energica come prima “Perché non la fate insieme?”

Alex parlò esattamente nello stesso momento “Ma che importa della ricerca! Tanto non le controlla mai!”

La donna si voltò con uno sguardo che avrebbe spaventato perfino un orco, cosa che era successa una volta, e disse “Non fai i compiti? Non permetterei mai che il mio bambino frequentasse un cattivo ragazzo!” Alex sembrò sorpreso “M-Ma certo che faccio i compiti! Solo che.... Io... Sì, li faccio!” Non sapeva neanche lui perché si sentiva così sotto pressione, ma doveva assolutamente fare una buona impressione o probabilmente non avrebbe più visto Raven. Alana rise “Sto scherzando!” e Alex si lasciò andare a una risatina nervosa “Passerò a prendere Raven alla fine delle lezioni. Avverti i tuoi genitori che verrai a casa nostra oggi pomeriggio.”

I due ragazzi fissavano la donna con un'espressione sconvolta senza sapere cosa dire.

Alana li salutò e tornò in macchina, pronta per andare a lavoro. Era così contenta! Suo figlio aveva un amico adesso! Mise in moto e si allontanò dalla scuola.

 

Rimasti soli, fissando il punto in cui si trovava la macchina pochi secondi prima, Raven e Alex non sapevano cosa dire. Il biondo si voltò lentamente verso l'altro. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte e alla fine chiese “Ma tua madre è sempre così?” lo sguardo lievemente sconvolto e confuso per quello che era appena successo.

Raven si voltò a guardarlo ancora rosso in volto “Beh, non saprei. Non ho mai avuto un amico da presentarle.”

Rimasero a fissarsi per qualche altro secondo e poi scoppiarono a ridere mentre i ragazzi che passavano nel vialetto accanto a loro si voltavano a guardarli straniti.

Si avviarono verso l'edificio e Alex prese a fare conversazione “Che cos'hai stamattina?”

Raven controllò l'orario che ancora doveva imparare a memoria “Scienze, matematica, economia domestica, musica e...” si soffermò per qualche secondo alla ricerca dell'ultima materia “Teatro?” guardò Alex e notò che aveva una strana faccia “Che c'è?” chiese.

Alex rimase in silenzio per qualche attimo e poi sospirò dicendo con tono tragico “Hai scienze.”

Raven continuò a fissarlo senza capire quale fosse il punto “E?” chiese “Io non frequento mai il corso di scienze.” rispose con tono ovvio.

Raven si fermò in mezzo al viale. Era già abbastanza strano che uno saltasse tutte le lezioni di una materia, fra l'altro obbligatoria a livello scolastico, ma adesso cosa c'entrava che il biondo non facesse mai scienze con il fatto che era sul suo orario?

Alex continuò a camminare e si fermò quando si accorse che Raven non era più al suo fianco. Si girò verso di lui e lo guardò confuso. Raven lo raggiunse di nuovo e disse con voce sicura “Alex, non puoi venire a tutti i corsi che frequento io. Non so perché tu ti sia tanto fissato con me, ma io non ti conosco e tu non conosci me. E poi non puoi saltare tutte le lezioni di scienze! Non è normale!”

Alex lo guardò negli occhi e sorrise “Invece ti conosco. Ti chiami Raven Adams e tua madre si chiama Alana Fisher. Hai dei bellissimi occhi di due colori diversi e soffri di attacchi di panico. E hai sofferto tanto.”

Raven spalancò gli occhi “T-Tu non sai di cosa parli!”

Alex gli sorrise “Sì invece. Io lo sento” sussurrò sfiorandogli il petto all'altezza del cuore.

“Tu riesci a vedere le cose come sono veramente, non è così?” Raven rimase in silenzio non sapendo cosa rispondere “Io invece riesco a sentirle come se le provassi io stesso. E io sento che tu hai sofferto molto.”

Raven non sapeva che cosa dire e abbassò lo sguardo “Ti sbagli.”

Alex sospirò “Come vuoi.” rimase a guardare Raven per qualche altro secondo “Ah, ok! Verrò al corso di scienze! Ma lo faccio solo per te!” e si avviò a passo spedito verso il laboratorio. Raven sollevò un sopracciglio: ma di che diamine parlava? Lui gli aveva appena detto che non doveva andare ai suoi stessi corsi! Sospirando seguì l'altro.

Arrivarono in pochi minuti in classe e il professore sorrise subito al moro “Tu devi essere Raven Adams, il ragazzo nuovo!” Raven annuì timidamente e il professore gli fece cenno di sedersi al tavolo di fronte a lui che era completamente vuoto “Benvenuto fra noi!”

Raven sorrise e si sedette velocemente al posto che gli era stato indicato. Il professor Collins si voltò di nuovo verso la porta “E tu chi sei?” chiese confuso al biondo. Alex sorrise “Alexander Parker. È il primo giorno anche per me!” disse con tono entusiasta. Tutta la classe rimase in silenzio a bocca aperta e il professore, sconvolto almeno il doppio degli altri, prese lentamente coscienza di chi si trovava davanti “T-Tu.... Tu sei il ragazzo che salta tutte le lezioni da metà anno!”

Alex sorrise, consapevole di essere colpevole e la classe scoppiò a ridere.

Mezzora passò con il professor Collins che, arrabbiato come poche volte nella sua vita, urlava ad Alex che non poteva saltare tutte le lezioni né tanto meno poteva andare quando più gli faceva comodo. Alla fine riuscì a cavarsela e si sedette accanto a Raven. Il professore cominciò a spiegare e il biondo si voltò verso il compagno “Ti avevo detto che non sarei dovuto venire a scienze” e Raven ridacchiò piano, sinceramente divertito dalla poco discreta figura di merda che il suo nuovo compagno di presupponeva ogni corso che avrebbe frequentato aveva appena fatto. Si ritrovò a pensare che la compagnia di Alex non gli dispiaceva per niente.

L'ora passò e andarono nell'aula di matematica. Maya li guardò confusa, salutandoli, mentre Astrid sorrideva dolcemente ad Alex. Quando vide Raven il suo sorriso si spense e il ragazzo si sentì molto a disagio. Voltò lo sguardo e si mise il più lontano possibile dalla ragazza. Alexander lo seguì con lo sguardo e poi lo raggiunse. Si sedette vicino a lui e sussurrò “È tutto okay?”

Raven non rispose e guardò di nuovo in direzione di Astrid che lo stava fulminando con lo sguardo. Abbassò gli occhi di colpo e mentì “Sì, sto bene”

Non prestò attenzione alla lezione neanche per un momento, distratto dalle battutine di Alex sulla professoressa pluricentenaria di matematica, dagli sguardi che Astrid gli lanciava e dalle rondini che volavano fuori dalla finestra. Non riusciva a capire. Astrid il giorno prima, superato il momento 'non guardarmi i capelli o ti uccido', gli era sembrata così carina e gentile! Non capiva cosa fosse cambiato. Maya non si era comportata diversamente dal giorno prima. Sospirò e appoggiò la testa su una mano. Lui le donne proprio non le capiva.

Superate anche le ore di matematica, c'era l'unica materia che gli dava un minimo di soddisfazione: economia domestica. Quel giorno dovevano preparare una torta semplice allo yogurt e farcirla come più li aggradava. Raven si sentiva carico di energia e sapeva già cosa aveva intenzione di fare: una torta allo yogurt al cocco con ripieno di crema semplice e ricoperta di mousse al cioccolato e panna. Si mise subito al lavoro unendo le uova, la farina, il lievito, lo zucchero, un pizzico di sale, lo yogurt al cocco e mezzo bicchierino di olio di semi. Mise subito l'impasto in forno mentre Alex divorava i rimasugli che erano rimasti nella ciotola. Alcune studentesse di erano fermate a guardarlo: Raven si muoveva con sicurezza e velocità e, mentre gli altri ancora dovevano finire di preparare l'impasto, lui aveva già iniziato a preparare la crema e la mousse. Chiese ad Alex di montare la panna, ma cambiò subito idea. Se vuoi che una cosa sia fatta bene, te la devi fare da solo.

In un'ora il dolce era cotto e la crema era pronta in una ciotola sul piano da lavoro. Aveva un'altra ora per finire e si appoggiò al ripiano attendendo che la torta si raffreddasse un po'. Noto solo in quel momento che Alex era rimasto a fissarlo per tutto il tempo. Arrossì e gli prese la testa girandola da un'altra parte. Alex ridacchiò, ma non disse niente. Si divertiva immensamente a mettere in imbarazzo il moro.

Passarono dieci minuti buoni prima che Raven tagliasse la torta a metà e la farcisse con la crema. Ricollocò la parte superiore al suo posto e si assicurò che la crema non fuoriuscisse dai lati. Soddisfatto del suo lavoro, ricoprì tutto di mousse al cioccolato e decorò la torta con la panna che aveva montato pochi secondi prima. Disegnò dei ghirigori tutto intorno al dolce e delle rose si panna sul bordo per poi procedere a chiocciola e riempire tutta la parte superiore del dolce. L'effetto era molto bello a vedersi e la torta buona, di questo Raven era certo. Non era un tipo vanitoso o a cui piaceva essere invidiato, ma non poteva negare di sentirsi stranamente bene mentre tutti gli facevano i complimenti per la sua torta e alcune ragazze lo fissavano furenti. Il motivo di quella rabbia però pareva non essere tanto il suo successo, quanto il fatto che Alex sembrava non avere occhi che per lui. In quel momento un lampo gli attraversò il cervello e capì perché Astrid era così arrabbiata qualche ora prima. Alex probabilmente di solito passava il tempo prima dell'inizio delle lezioni con loro e quel giorno le aveva ignorate per stare con lui. A Maya la cosa sembrava non pesare, ma Astrid doveva averla presa molto male. Magari Alex le piaceva. Il suo buonumore si spense così come il sorriso che gli era nato spontaneamente sulle labbra dopo tutti quei complimenti. Si sentiva quasi in colpa. Lui era lì da un giorno e stava disturbando l'equilibrio sociale di tre persone. Non era giusto.

Uscirono dalla classe portandosi dietro la torta e andarono nella sala mensa. Arrivati, si sedettero al tavolo del giorno precedente, ma delle altre due ragazze neanche l'ombra. Raven si guardò intorno, ma non le vide da nessuna parte. “Dove sono Maya e Astrid?”

Alexander appoggiò l'hamburger che aveva addentato pochi secondi prima sul piatto e rispose con la bocca piena “Hanno le nuove selezioni per le cheerleader”

Raven rimase sorpreso. Insomma, non le conosceva, ma non pensava che facessero le cheerleader. Si voltò a guardare Alex e grugnì in disappunto “Non parlare con la bocca piena!” Alex si bloccò “Oh. Scusa, mamma.” e rise. Raven arricciò il naso, ma poi sorrise e si mise a mangiare.

Arrivato a metà panino decise che era il momento di cominciare a pretendere delle risposte.

“Alex... Cosa intendevi ieri quando hai detto che sono uno di voi?” chiese in un sussurro il moro.

Il biondo non rispose e continuò a mangiare come se non l'avesse sentito. Raven stava per ripetere la domanda, ma venne subito interrotto dall'altro “Non è né il luogo né il momento giusto per parlarne.”

Raven rimase a fissarlo stupito. Perché non poteva dirglielo in quel momento? Aveva paura che li sentissero?

Decise di lasciar perdere e cambiò argomento. “Ma tu e Astrid state insieme?” Alex per poco non si strozzò con una patatina “No! Ma come ti è venuto in mente?” disse ridendo. Raven si strinse nelle spalle “Così... Mi sembrava che tu le piacessi...” disse insicuro. Alexander sospirò e smise di mangiare “Io voglio molto bene ad Astrid” iniziò “La conosco praticamente da sempre ed è come una sorella per me. Io... Io so che le piaccio, ma lei non si rende conto che l'affetto che prova verso di me non è amore. Io lo so, lei no. Ora spetta a lei capirlo.” Raven era rimasto ad ascoltare in silenzio e aspettò che l'altro finisse per chiedere “E a te perché non piace?”

Alex lo guardò per un lungo secondo, poi si voltò ridacchiando e prendendo in mano una patatina “Non mi piacciono le bionde.” la addentò “E diciamo che, beh, preferisco i mori” sussurrò infine con la voce roca. Raven assunse una tonalità incredibilmente vicino al cremisi e si voltò di scatto infilandosi mezzo panino in bocca tentando di distrarsi da quello che il biondo aveva appena detto. Alex rise piano, sinceramente divertito da più o meno tutto ciò che Raven faceva. Era così timido e carino!

Mangiarono il dolce fra i complimenti di Alex che dava un morso, si scioglieva insieme alla crema e si congratulava con Raven per quanto era buona la torta. Il moro dal canto suo era felice che la sua cucina fosse apprezzata. Era un po' il suo punto forte e ci teneva molto.

Anche la pausa pranzo finì e i due andarono a lezione di teatro. Il professor Monroe era l'uomo più sciroccato che Raven avesse mai visto. Era alto e snello, con i capelli castani legati stretti con un fiocco in una codina bassa, gli occhi del medesimo colore troppo grandi rispetto al resto della faccia, una maglietta e dei pantaloni attillati e degli stivali da cowboy. Insomma, un mix di roba che non c'entrava niente l'una con l'altra. Il primo esercizio fu una cosa strana: dovevano semplicemente fare dei versi a caso. Raven eseguì, un po' titubante. Poi fu il momento della danza tribale e lì si vergogno davvero tanto, ma la prese sul ridere e un po' di divertì. Poi il professore parlò attraverso il megafono che fino a poco prima era appoggiato su un tavolo lì vicino “Ok, principini e principessine!” ci fu una risata generale “Adesso è il momento dello specchio! Sceglietevi un compagno!” Monroe non aveva ancora finito di parlare che Alex aveva già afferrato Raven. Il moro sospirò e prese a fare esattamente ciò che Alex stava facendo.

“Adesso puoi dirmi cosa volevi dire ieri?” sussurrò. Alex assottigliò lo sguardo “Come sei impaziente! Te ne parlerò più tardi. Anche perché dobbiamo fare la ricerca di arte.” il tono del ragazzo era un po' risentito. Probabilmente non aveva voglia di farla quella ricerca e per colpa sua invece era costretto. Si sentì in colpa e gli chiese scusa sfoggiando lo stesso musetto da cane bastonato che aveva usato con la madre la sera prima. Alex quasi si sciolse da quanto era tenero. Gli accarezzò la testa e Raven, costretto dall'esercizio, fece lo stesso alzandosi in punta di piedi. Il resto dell'ora la passarono a ridacchiare e ad assumere strane pose per mettere in difficoltà il compagno. Uscirono da scuola perfettamente in orario. Raven riusciva a vedere la macchina di sua madre e si avviò verso di essa a passo svelto. Mentre camminavano furono fermati da una ragazza bionda e piuttosto furente “Dove diavolo eri?!” urlò ad Alex. Quest'ultimo sospirò chiudendo gli occhi “Puoi evitare di urlare, Astrid?” disse in tono stanco “Sai che mi dà fastidio” . La ragazza ringhiò e prese un paio di respiri profondi per tentare di calmarsi un po'. Dopo essersi tranquillizzata un po' sorrise e si scusò con entrambi per lo sfogo di rabbia, tirando comunque un'occhiataccia a Raven.

“Allora oggi vieni a fare un giro, Alex?” chiese tutta sorridente e speranzosa. Alexander sorrise, ma fece di no con la testa “Oggi vado da Raven a fare la ricerca di arte. Facciamo un altro giorno, okay?”

Astrid si rabbuiò e Raven ebbe una strana sensazione. All'improvviso tutti si voltarono verso di lei con lo sguardo perso. Sembravano... innamorati? Si sentiva strano e la testa gli girava. Astrid sembrava l'unico punto fermo in tutto quel vorticare, ma subito il mondo smise di girare e Raven alzò lo sguardo, notando solo allora che i capelli di Astrid sembravano arricciarsi e distendersi, belli e luminosi come non mai.

La ragazza parlò molto lentamente, scandendo le parole “Oggi vieni a fare un giro, vero?”. Alex non sembrava minimamente turbato e rispose nuovamente che no, non sarebbe andato a fare un giro perché andava da Raven. La bionda si lasciò andare ad un verso frustrato e la specie di incanto che aveva costretto tutti a voltarsi svanì, lasciando Raven se possibile ancora più confuso di prima. Che cosa aveva fatto Astrid? Perché tutti si erano voltati verso di lei con quello sguardo?

Il suo cervello smise di funzionare come doveva nel momento in cui Alex lo prese per mano. Astrid sgranò gli occhi e li fissò mentre la superavano e salivano sulla macchina di Alana Fisher, che partì subito per andare a casa.

Arrivarono davanti alla casetta con giardino in cui abitavano e Alexander non risparmiò apprezzamenti di ogni genere. Raven non sapeva se pensava davvero che la sua casa fosse 'davvero molto bella e curata' o 'arredata con molto gusto e dai colori magnifici' o stesse solo cercando di ingraziarsi in qualche modo Alana. C'era da dire che la casa della signora Fisher era davvero molto bella e ben arredata e che l'ambiente era caldo e accogliente. I due ragazzi si spostarono subito in camera del moro e Alex si gettò malamente sul letto con un sospirò soddisfatto “Il tuo letto è così morbido! Potrei viverci!” Raven rise e si sdraiò accanto a lui per qualche minuto “Sai, nella casa in cui abitavamo quando ero piccolo non c'era un vero e proprio soffitto. C'era una cupola trasparente e io potevo guardare fuori e vedere le stelle. Quando ce n'era bisogno chiudevo un'altra cupola più grande e la luce non entrava. A volte invece era il buio a rimanere fuori. Sai, in realtà non mi faceva tanta paura all'inizio. Ha cominciato dopo.” Alex rimase ad ascoltare in silenzio “È per questo che dormi accanto alla finestra?” Raven fece di sì con la testa. Il moro sorrise “È così facile parlare con te” Il biondo sorrise di rimando e si voltò di nuovo a guardare fuori. “E tuo padre?” Raven si rabbuiò “Mio padre... Beh, non c'è molto da dire. È morto quando avevo dieci anni. Era il papà migliore del mondo, sul serio. Dicono che sia stato un incidente, ma io so che non è così. L'hanno ucciso.” Il ragazzo a stento tratteneva le lacrime. Alex sgranò gli occhi “Oddio, mi dispiace! Non... Non ne avevo idea!” poi ripensò all'ultima frase “Ucciso? Da chi?” Raven si lasciò sfuggire una risatina amara “Se te lo dicessi non mi crederesti.”

Alex stava per dire qualcosa, ma qualcuno bussò alla porta “Tesoro, posso entrare?” la voce di Alana tagliò il silenzio. Raven, leggermente sorpreso rispose “Certo, entra pure. Credevo fossi già tornata a lavoro”

Aveva una brutta sensazione, simile a quella che aveva provato quella stessa notte quando aveva avuto gli incubi. Quando la donna entrò, i due capirono subito che qualcosa non andava: Alana aveva un'andatura stranamente traballante e lo sguardo spento,ma la cosa che più spaventò i ragazzi era il coltello che aveva in mano“Mamma?” sussurrò titubante Raven. La donna alzò lo sguardo e si avventò sul figlio con il coltello alzato. Alexander si frappose fra i due tanto velocemente che l'altro nemmeno se ne accorse e afferrò la donna per le braccia. “Svegliati!” urlò e Alana parve riprendersi all'improvviso. Lasciò cadere il coltello e si guardò intorno, confusa “Ma che ci faccio qui? Credevo di essere andata in macchina. Mah.” e uscì dalla stanza salutando i ragazzi. Quando sentì la porta di casa che sbatteva, Raven si lasciò sfuggire un singhiozzo. Aveva lo sguardo terrorizzato fisso nel punto in cui pochi attimi prima si trovava sua madre. Calde lacrime cominciarono a solcargli le guance e Alex tentò di abbracciarlo. Raven lo scacciò malamente e prese ad urlare “Cosa diavolo sta succedendo?! Cos'aveva mia madre?! E tu come hai fatto a farla smettere?!” Alex sospirò e lo pregò di calmarsi. “Non sei al sicuro” disse alla fine “Al sicuro?” ripeté Raven “Esatto. Né tu né tua madre siete al sicuro qui. Succederà di nuovo e sarà sempre peggio. Potrebbe essere il vicino, il fattorino della pizza, il gatto... Chiunque. Tenteranno di farti del male.” disse Alex guardandosi intorno.

Raven era sempre più confuso “Chi mi vuole fare del male? Ma di che stai parlando?”

Alex si voltò di scatto “Tu riesci a fare cose che gli altri non possono fare, non è così? Vedere oltre quello che tutti vedono, vero?” Raven cominciava ad avere paura “N-Non so di cosa stai parlando.” Il biondo sembrava spazientito “Smetti di mentirmi, Raven! Non capita tutti i giorni di avere un occhio diverso dall'altro! Tanto meno di riuscire a resistere al fascino che Astrid riesce a esercitare o a vedere i mostri. Perché tu li vedevi, non è così?” Raven spalancò gli occhi. No, non poteva saperlo. “So che hai paura” sussurrò allora il biondo “Ma non devi. Non sei solo. Io... Io non riesco a vederli, ma li percepisco. Non erano presenze buone quelle ieri a scuola. Però sento che qui ce n'è una.” si guardò un po' in giro e indicò un punto sulla scrivania “È lì! Che cos'è? Un folletto? Una fata?” Raven lo fissava a bocca aperta, così come stava facendo anche Lilje. “È-È una fata...” mormorò il moro. Alex sorrise vittorioso “Lo sapevo! Puoi dirle che può farsi vedere e che non ha nulla da temere? Ho sempre voluto vedere una fata!” il ragazzo sembrava eccitatissimo all'idea di poter vedere Lilje, ma Raven non credeva che potesse vederla comunque. Fu proprio in quel momento che Alex sorrise e prese in mano una Lilje piuttosto imbarazzata “Ma è bellissima! È tutta rosa! Maya impazzirebbe per lei!” La fatina ridacchiò voltandosi dall'altra parte e Raven li fissò entrambi confuso “Come... Come fai a vederla?” Alex si voltò verso di lui “Gli esseri magici possono scegliere se essere visti o meno. Tuttavia tendono a fidarsi solo delle persone che hanno un qualche elemento magico.” Raven lo fissò “E tu che elemento magico hai?” L'altro gli sorrise “Io? Io ho il cuore”

Il moro rimase a guardarlo per qualche secondo “Hai detto che ci stanno cercando.” Alex si rabbuiò “Sì. Sono disposti a tutto pur di ottenere ciò che vogliono” “E che cos'è che vogliono” incalzò Raven “Le parti magiche che abbiamo. L'eredità della bambola.” Raven lo fissò stralunato “L'eredità della bambola? Che diavolo è?” Alex accarezzò Lilje e si prese qualche secondo per rispondere “È tutto ciò che di magico c'è in noi, ciò che ci permette di essere vivi e di avere determinate abilità. Tu hai un occhio, io il cuore. Ogni parte consente di avere delle abilità particolari. Io fisicamente posso sopportare qualsiasi fatica perché il mio cuore batte sempre nello stesso modo e riesco ad annullare molti dei poteri altrui, come quello che agiva su tua madre o quello che ha usato oggi Astrid. Inoltre riesco a sentire cosa provano le persone.” Si voltò a guardare Raven “Tu, per esempio, sei confuso e triste e arrabbiato, ma sei anche curioso e affascinato.” Raven sgranò gli occhi “Q-Quanti siamo?” Alex abbassò lo sguardo “Non lo so con certezza, ma di sicuro non molti. Loro ci cacciano come fossimo bestie” “Chi? Chi ci dà la caccia?” insisté Raven “L'Organizzazione”


 

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La donna si massaggiò le tempie lentamente. Ogni giorno sembrava richiederle più sforzo usare il suo potere. Si sentiva stanca e quel moccioso biondo si metteva sempre in mezzo. Il cuore batte la mente e allo stesso modo Alexander Parker batteva lei. La donna raccolse i capelli in uno chignon alto e si massaggiò gli occhi stanchi. Quel piccolo bastardo aveva scacciato i suoi gargoyle e annullato il suo controllo sulla mente della madre dell'Occhio. “Maledizione!” urlò. Si avvicinò alla finestra del suo grande ufficio. La città si stagliava fiera e cupa fuori dalle enormi finestre dell'ultimo piano del palazzo. Quelle parti dovevano essere sue, pensò, e dovevano esserlo subito.









*Spazio senza senso dell'autrice*
Buonsalve a tutti. Torno dopo millenni ad aggiornare questa storia (so che vi chiedete perché mi ostino a provarci e me lo chiedo anch'io) e premetto (in fondo? wtf?) che non ha alcun senso. Che il nonsense ci guidi! (?) Si spiegano un sacco di cose in questo capitolo, quindi ero indecisa se cambiarlo o meno, ma ho preferito lasciare la stesura originale. La "relazione" che per ora c'è fra Raven e Alex potrebbe sembrarvi inumanamente sviluppata, lo so (beh, si conoscono da un giorno, sai com'è), ma vi assicuro che è tutto parte di un piano ben studiato *non sa nemmeno cosa vuol dire la parola piano* e che Alex è uno di quei tipi che incontri sul pullman, ci parli cinque minuti e sono già i tuoi migliori amici. Detto questo, mi dileguo molto goffamente. Fatemi sapere cosa ne pensate (anche se vi fa schifo, però magari ditelo in modo gentile che sono una ragazza fragile (?))

 

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