Burning like fire

di AnotherStranger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Anteprima di un qualcosa che vorrei continuare a scrivere.. Have fun ;)


Quella mano che si allontanava dalla mia mi stava facendo rabbrividire. Sentivo il suo palmo scivolare via dal mio e le punte delle sue dita entrare in contatto con le mie. La sua pelle si fondeva con la mia e un prolungamento astratto delle nostre identità si stava creando. Era come sentire il suo cuore.
Un ultimo tocco prima di andare via. I suoi occhi si incrociarono ancora una volta con i miei per un ultimo saluto e poi via, via lontano da tutto quello che aveva reso bello un solo istante di infinito amore.
Non sapevo bene cosa pensare una volta lontana, ma i suoi occhi mi erano rimasti bene in mente. Di che colore erano? Non l'avevo mai capito. Un colore cosi bello ed interessante che servivano parole inesistenti per descriverli. Non avevano bisogno di essere classificati sotto qualche colore o qualche codice strano. Erano unici e avevano un mondo tutto loro e l'idea che li avrei rivisto chissà quando mi mandava fuori testa. Cosa mi faceva impazzire? Che le persone li guardassero non conoscendo il loro vero significato, ma che li consumassero involontariamente. Erano la cosa più bella che avessi mai visto e non mi sarei mai permessa che venissero cosi buttati in questo Mondo cosi strano.
La vedevo allontanarsi mentre quell'ammasso di ferro prendeva velocità. Sempre più veloce, e più veloce ancora, come il mio cuore. Come quello stupido cuore che batteva sempre più veloce ad ogni metro appena percorso. L'aria ci stava dividendo, la velocità, il suono, la luce, tutto ci stava dividendo. E avrei voluto ancora una volta dormire accanto a quel corpicino che tanto amavo. Mi sembrava di sentire ancora il suo buon profumo sulla pelle e sui vestiti; i miei capelli al vento sprigionavano elettricità che si propagava in tutto il piccolo ambiente di due metri in cui ero rinchiusa. Quel piccolo spazio in cui tutte le mie sensazioni iniziavano a prendere vita e ad impossessarsi dei miei occhi, come le lacrime che scendevano calde e morbide sulle mie gote arrossate. Sapevo che quello era soltanto uno dei tanti momenti in cui ci saremmo divise per qualche periodo, ma che di li a poco ci sarebbe stata un'altra data per la quale fare festa.
Le mie mani non erano vuote. Sudavano e si stringevano tra di loro lasciando dei solchi che prendevano la forma delle unghie che premevano sulla pelle. Guardavo fuori come per chiedere aiuto agli alberi o al cielo, ma nessuno rispondeva. Un piccolo uccellino correva alla velocità di quella macchina e sembrava volermi fare compagnia. Sorrisi, mentre una lacrima deviava la sua direzione e mi finiva dritta dietro alla guancia destra. Distolsi per un attimo lo sguardo per posarlo su quel cellulare che tanto veneravo, si, perchè era l'unico modo per sentirla vicina. Un messaggio.. e un "Ti amo" mi rimbombava nelle orecchie nonostante non avesse suono, ma ciononostante, produceva un rumore cosi assordante da penetrarmi l'anima.
Presi le mie solite cuffie ormai consumate e le portai alle orecchie. Il mio iPod fidato riproduceva la solita musica che mi faceva sognare. Mi impazziva lo spirito mentre pensavo.. non a lei, ma al suo sorriso. Dio quanto lo amavo, era uno spettacolo della natura. Quelle pieghe che si creavano ai lati della sua bellissima bocca, quei suoi occhi che andavano a rimpicciolirsi all'avvicinarsi delle guance che si inarcavano verso su e quella luce che usciva dai suoi occhi spettacolari, rendevano il tutto cosi surreale.
Non riuscivo a capacitarmi. Perchè quell'angelo dagli occhi di seta era arrivata per me? Perchè era li per me? Provavo ad immaginare una vita senza la sua voce, senza le sue carezze e senza il calore del suo corpo cosi profumato, ma mi sentivo mancare l'aria. Provavo un senso di vuoto che nulla al Mondo avrebbe potuto colmare. Era il mio incubo peggiore. E pregavo che non sarebbe accaduto mai.
Perchè pensare a quelle cose? Forse quel senso di lontananza che avvertivo stava iniziando ad appropriarsi del mio organismo per uccidermi, ma dovevo prendere in mano la situazione. Il cellulare, un messaggio: "Il tuo cuore, lo hai dimenticato qui nelle mie mani." . Una risposta "Non l'ho dimenticato, te l'ho affidato affinchè tu possa custodirlo dentro di te!"

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Chiusi il cellulare senza rispondere perchè venni pervasa da una sensazione di amore e appartenenza che iniziava a divorarmi l'anima nel più dolce dei modi. Aspettavo di riprendermi e poi scriverle quel "Sei la mia vita" che tante volte si era sentita dire.
Guardai ancora una volta fuori e iniziai a vedere che il cielo si stava ingrigendo, insieme al mio umore. Mi mancava. Dio se mi mancava. Avrei dato la mia stessa vita, i miei giorni di vita che mi restavano per abbracciarla un'ultima volta. Ma sapevo che prima o poi avrei riavuto quei momenti e iniziai a convincermi che molto presto ci saremmo tenute di nuovo per mano.
Guardavo quelle nuvole che si muovevano velocemente li su nel cielo e il sole che piano piano andava tramontando. Sentivo ancora il cinguettio degli uccelli che di li a poco si sarebbero ritirati nei loro nidi, insieme alle loro metà e ai loro cuccioli. Avevo sempre pensato che qualsiasi essere vivente, animale o uomo che fosse, avesse un qualcuno in grado di completarlo. Si, perchè noi da soli non siamo nessuno. Siamo l'inizio di un qualcosa che deve essere completato. Il primo piano di un grattacielo, le stelle senza la luna, i biscotti senza il latte. E quando nasciamo e siamo soli, siamo niente. Aspettiamo tutta la vita di trovare quel pezzo mancante che ti riempie la vita e i giorni. Qualcuno con il quale condividere le emozioni belle e brutte, qualcuno con cui ridere, con cui piangere, con cui fare l'amore nel buoio della notte. Qualcuno in grado di tenerti in piedi quando stai per cadere. Qualcuno che riesca a ripescarti da quel baratro in cui sei caduta. E io, si io, l'avevo trovata. Quell'esserino tanto dolce che riusciva a farmi sorridere anche quando la vita non aveva intenzione di farmi stare bene. Bastava un solo gesto e tutto assumeva un sapore diverso. Il nero si tingeva non di bianco, ma di tutti i colori dell'arcobaleno, gli occhi inondati di lacrime diventavano perle luminose impreziosite di acqua profumata. Tutto cambiava e nulla aveva più senso, se non lei.
Iniziavo a pensare a quel viaggio che sembrava interminabile, ma cercavo in ogni modo di distrarmi e di pensare a qualcosa che mi facesse trascorrere il tempo. Pensare a lei mi faceva stare bene, mi metteva di buon umore. Ad un certo punto venni colta da un improvviso squillo di cellulare e non mi restò che rispondere senza nemmeno guardare chi fosse.

"Pronto?"
Nessuno rispondeva. Silenzio assurdo. Continuavo.
"Pronto?"
Ma ancora nulla. A quel punto tolsi il cellulare dall'orecchio e guardai il destinatario, ma "Sconosciuto" era l'unica parola che si leggeva in quella miriade di simboli. Hm, chissà chi era. Tornai di nuovo nei miei pensieri. Lei. Rimasi a fissare per un bel po' quel pupazzo che mi aveva regalato tre giorni prima e venni trasportata indietro nel tempo.
"Ma guardalo! E' bellissimo" Credo di essermene innamorata.." dissi sorridendo.
"Lo vuoi? Lo vuoi vero?" sorrise "Mi scusi, potrebbe darmi quel pupazzo, per favore?"
"Non dovevi!" esclamai guardandola con gli occhi dell'amore.
"Ti amo. E' perchè ti amo." e mi strinse la mano.

A quel tocco rabbrividii come nessuno mai e tirai un sospiro che la spaventò a dir poco.
Cristo quanto era bella. Tornai alla realtà come se il ricordo fosse svanito usando l'opzione "dissolvenza". Sembrava tutto incasinato e il passaggio dal mondo dei sogni alla realtà divenne alquanto traumatico. Venni catapultata in quella diavolo di realtà che in un certo senso mi stava uccidendo. Avevo bisogno di urlare e di piangere e non riuscivo a capire il perchè. Anzi, il motivo lo sapevo, era quasi inutile ripeterselo.
"Manchi come l'aria in una camera chiusa priva di finestre, come la stelle in una nottata grigia e come il verde delle foglie nei periodi invernali." . Finalmente le risposi al messaggio.
Non facevo altro che pensare a lei in continuazione. Ma che potevo farci. Tutti sappiamo che l'amore ci rende stupidi, ma è proprio quello che ci fa capire quanto la vita sia meravigliosa, quanto bisogna viverla appieno e quanto sia meravigliosamente bello viverla insieme alla persona che ami. E insomma, questi sono i miei soliti pensieri.
Avevo voglia di ridere. Si, riuscivo a passare da un'emozione all'altra in meno di due secondi. Ne avevo bisogno. Strinsi forte a me quel pupazzo che aveva cosi tanta importanza e mi sentii pervadere il corpo da un calore che da qualche ora non riuscivo più a sentire: il calore di quella donna che amavo tanto. Quel calore accompagnato dal profumo del suo corpo che mi ubriacava il cervello. Non saprei descriverlo, non credo esistano parole per farlo, so solo che era davvero buono e che morivo dalla voglia di odorarla ogni volta che ero li tra le sue braccia. Mi piaceva sentirmi parte del suo mondo. Anzi, che dico, sentirmi il suo mondo.
Lei era il mio tutto, il mio morire, il mio vivere. Era la mia unica e sola ragione di vita. Che altro avrei potuto volere? Forse un unicorno che ci avrebbe portato in giro per i boschi color dei suoi occhi.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


In qualche modo cercai di tornare sulla terra. Fu molto difficile visto che ogni volta che mi perdevo in quei sogni, in quei pensieri,  ne rimanevo bloccata per molte ore, ma in quel momento mi feci forza e tornai a guardare in faccia la realtà.
Il viaggio sembrava interminabile, come se qualcosa mi tenesse bloccata li in autostrada, tra me e lei, tra la sua vita e la mia, tra il tempo e lo spazio. Era incredibile quanto potesse far male il ritorno a casa. Non lo avevo mai provato prima e quello era l’inizio di tutto.
Pioveva. Sentivo il ticchettio delle gocce di acqua che colpivano il parabrezza della macchina. Sembrava stesse grandinando dal forte rumore che si poteva udire. Iniziai davvero a pensare che quel mio stato d’animo facesse si che tutti i miei sensi si alterassero e sentissi tutto più amplificato. Che diavolo ero? Un amplificatore? Ma cosa c’entra? Non lo so, andiamo avanti. Però era vero, sembrava di sentire anche il più sordo dei rumori, quello più debole e silenzioso. Che mi stava succedendo? Nulla, era semplicemente il mio umore che stava andando sotto terra.
Ogni chilometro che percorrevo equivalevano a 2 cellule del mio corpo che morivano. Ma perché stavo facendo tutto quello? Perché il mio corpo iniziava a reagire in questo modo? La spiegazione era semplice e ce l’avevo a portata di mano: ero innamorata.
Qualcuno avrebbe potuto pensare che quella macchina stesse percorrendo quella strada del “dolore” da sola e invece no. Alla guida c’era lui, Marco, l’amico di sempre, il mio migliore amico, l’unico uomo della mia vita. L’avevo conosciuto a scuola quando frequentavamo il primo anno di liceo. No, non mi ero innamorata di lui, ne lui di me, ma avevamo la stessa passione per la musica e ci siamo subito trovati in sintonia. Era un ragazzo bruttino, con l’apparecchio e gli occhiali, un po’ come la maggior parte dei ragazzi all’età di 14-15 anni, ma è proprio vera la legenda che dice “brutto da piccolo, magnifico da grande”. Era diventato il ragazzo che ogni donna avrebbe voluto. Moro con quegli occhi azzurri che da anni erano stati nascosti dalla montatura di quegli occhiali cosi orribile. Denti perfetti, corporatura perfetta, 1 metro e 87 di uomo. Era perfetto. Ma ciò nonostante non ero mai riuscita a provare nulla che andasse oltre l’amicizia. Era come un fratello per me. Una volta avevamo fatto la doccia insieme, ma nessuno dei due aveva provato a toccare l’altro. Era la miglior amicizia che potesse esserci al Mondo.
A parte tutto questo, era anche un bravo guidatore e proprio per questo avevo deciso di fare quel viaggio con lui. Sapevo di potermi fidare, sapevo che se avessi voluto dormire per riposare un po’, non mi sarei "svegliata morta", ma sana e salva. E in quel momento i miei occhi iniziavano a chiudersi, iniziavano a vederci doppio dalla stanchezza, ma cercai in tutti i modi di tenerli aperti.

15 minuti dopo mi risvegliai in un Autogrill. Ero spaesata e non riuscivo a capire dove fossi. Sgranai gli occhi per mettere a fuoco, ma vedevo tutto appannato.

“Dove siamo?” chiesi al mio amico.
“All’inferno!” rise “Su, alzati che andiamo a mangiare qualcosa.”

Feci un verso strano, mi stiracchiai e provai ad alzarmi e a mettere i piedi per terra. Presi il cellulare per vedere che ore fossero e trovai 12 messaggi, 25 notifiche dai vari social e 5 chiamate. E avevo dormito solo per 15 minuti. Guardai le chiamate ed era lei, la mia donna. Guardai i messaggi ed erano varie persone, tra cui sempre lei.
Ovviamente tralasciai gli altri messaggi per leggere i suoi.

“Dove sei?” – “Amore?” – “Che fine hai fatto?” – “Ma stai bene?” – “Perché non rispondi?”

Amavo quando faceva cosi. Mi piaceva da morire leggere quei messaggi e sapere che si stava preoccupando per me. Ovviamente non mi piaceva il fatto che stesse male pensando che magari mi fosse successo qualcosa, quello non lo avrei voluto mai e infatti mi dispiaceva. In ogni caso, le risposi.

“Ciao amore mio, perdonami. Mi sono appisolata un attimo, è tutto ok! Tu come stai?” Inviai e mi incamminai verso l’entrata dell’Autogrill.

Barcollavo, sembravo una drogata ubriaca. Marco mi dava piccole spinte con l’intento di farmi cadere e rideva come un deficiente.

“Smettila che mi fai cadere” dissi sorridendo come una stupida.

Ad un certo punto stavo cadendo davvero e mi aggrappai ad un signore che mi guardò malissimo. Gli chiesi scusa e me ne tornai sui miei passi sotto le risate di quello stupido del mio amico. Ci avvicinammo al bancone della pizza e prendemmo alcuni spicchi. Ci sedemmo e mangiammo. Poi mi squillò il cellulare e come sempre risposi senza guardare chi fosse.

“Pronto?”
“Amore mio..”
“Hey! Ciao amore! Come stai? Siamo in Autogrill che stiamo mangiando qualcosa, vuoi favorire?” dissi sorridendo.
“Tutto ok dai, mi ero soltanto preoccupata! Comunque si dammi tutto, ho una fame che non immagini..”
“Scusami tesoro” feci labruccio anche se non poteva vedermi “Va a mangiare qualcosa che il tuo stomaco non può stare senza cibo. Devi crescere!”

Mi piaceva un casino prendermi cura di lei. Era piccola e tenera. Amavo l’idea che dovessi vivere pensando anche a lei, pensando ad una persona che mi stava donando amore, il suo amore. E so per certo che anche per lei era cosi.

“Vai va, mangia che ci sentiamo dopo!” mi disse sorridendo.
“Hm, va bene, allora ci sentiamo dopo! Ti amo amore mio, ti amo.”
“Ti amo anche io!”
E riattaccammo.

Finii quel pezzo di pizza che a fatica stavo mangiando e uscimmo da quel posto pieno di gente. Portai la Coca Cola con me visto che non l’avevo ancora finita e la bevvi tutto d'un sorso. Ci mancava poco che mi andasse di traverso.

"Hey, calma!" disse Marco preoccupato.

Lo guardai come per dire "Hai ragione" e gettai via quel bicchiere di plastica. Aprì la macchina ed entrammo, chiusi lo sportello e accesi la radio.. avevo bisogno di perdermi nei meandri della mia mente.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Buone feste! :3



Ovviamente i pensieri erano sempre gli stessi. Non facevo altro che pensare a lei. Però a quel punto decisi di "far compagnia" a Marco cosi iniziammo a parlare del più e del meno come se non ci fossimo mai visti prima. Spesso lo facevamo per gioco, ci chiedevamo "Come ti chiami?" e lui rispondeva con un nome assurdo che mi faceva sempre ridere come una scema. E certe volte mi vergognavo da morire a ridere perchè non avevo una vera e propria risata, ma la cambiavo di volta in volta. Poteva essere bassa o starnazzante o addirittura diventare quella di una gallina che ha appena fatto un uovo. Davvero, credevo fosse la peggior risata di tutta la terra. Ma nonostante questo, a lei piaceva. Tante di quelle volte mi faceva ridere di proposito per ascoltare quella che lei definiva "una risata soave e sexy". Ecco. "Sexy". Che parola brutta e soprattutto incompatibile con il mio essere. Cosa diavolo ci trovava in me di cosi sexy quella donna? Quante volte mi ero messa a piangere guardandomi allo specchio, quante volte stetti li immobile alle offese delle persone sul mio io, e lei mi definiva "sexy e bellissima". Non ero nè sexy nè bellissima. Ero semplicemente una persona con 4 neuroni nel cervello e qualche rotolo di ciccia qua e là sparsi per il mio corpo. Lo odiavo, solo dio sapeva quanto.
Avevo provato migliaia di volte a cambiarlo andando in palestra o mettendomi a dieta, ma niente. Pensavo che nessuno avrebbe mai amato un essere cosi reprimevole e mi buttavo giù, nella depressione più totale. Lei mi aveva cambiato la vita, l'esistenza.

"A che cosa stai pensando?" mi chiese.
"Come? Ah si.. agli elefanti rosa e ai tirannosauri che mi fanno ciao."

Eravamo soliti risponderci in questo modo. Si, eravamo due stupidi, ma era come un linguaggio segreto. Le battute stupide stavano a significare che era tutto ok, mentre quelle più macabre e oscure facevano capire che qualcosa non andava. Quello fu la prima volta che mentii dicendo che tutto andava bene. Ma feci tutto invano. Se ne accorse.

"Non credi che in 6 anni abbia imparato a conoscerti?" mi disse tenendo lo sguardo rivolto verso la strada.
"Ma che stai dicendo?" accennai un sorriso.

Mi mandò un'occhiata agghiacciante che mi fece quasi paura, ma sapevo cosa stava cercando di dire.

"Non dire cagate, per favore. Sono anni che ci conosciamo e so bene quando stai bene o meno. Ora non stai bene c'è qualcosa che non va, che ti turba, che ti crea scompiglio nella mente.."
"Hai finito di fare il filosofo?" risi.
"Sono il pro pro nipote di Platone. Mai sentito nominare? Comunque.. dai, parla e dimmi cos'hai!"

La strada che stavamo percorrendo non era divisa in due carreggiate da degli spartitraffico in cemento, no. Aveva dei semplici coni per delimitare le tue corsie. Coni che avevo visto volar via poco prima per la forte velocità di alcuni veicoli.
La nostra auto era nella corsia di sinistra, quando ad un certo punto un'utilitaria rossa iniziò a sbandare cambiando corsia e "scavalcando" quei coni senza senso messi li tanto per. Qualcuno voleva che in quel preciso momento fossimo noi a transitare per quel tratto di strada. Pioveva e la strada era viscida come la pelle di una rana. Marco cercò in tutti i modi di evitare il peggio, ma finimmo per sbandare anche noi e ci ritrovammo addosso al veicoli guidato dalla morte.
Furono dei minuti interminabili e no, non vidi passarmi davanti tutti i fotogrammi della mia intera vita come era solito dire la gente che aveva davvero visto la morte in faccia. Quello che vedevo era NIENTE. Il nulla. Ero morta per tutto il tempo che andava dalla collisione ai momenti dopo.
Mi ritrovai fuori dalla macchina con il rischio di essere presa dagli altri veicoli che sopraggiungevano nella nostra direzione. Ero cosciente, ma vidi del sangue ricoprirmi tutta la mano e iniziai a temere il peggio. Da dove arrivara? Non riuscivo a capirlo. Mi sentivo spaesata e non capivo dove mi trovassi. Mi ripresi un attimo e vidi che poco più in la c'erano le due auto distrutte. Cercai di alzarmi e di andare in quella direzione, ma vidi che una lunga striscia bagnata di benzina veniva fuori da qualche serbatoio. Iniziavo a pensare che se non ero morta nello scontro, sarei morta in quel momento, saltando in aria con le auto, Marco e la morte.
Non avevo idea di cosa fare in quel momento. Avrei voluto chiamare i soccorsi ma avevo perso il mio cellulare. Non potevo mettermi a cercarlo, dovevo prima controllare Marco. Ma dov'era? Fuori dalle auto c'era soltanto un enorme ammasso di lamiere e polveri e del mio amico nessuna traccia. Feci qualche passo più in là per guardare all'interno della macchina. Mi affacciai per guardare e vidi Marco li, con il corpo rivolto verso lo schienale, la testa girata dall'altro lato e tanto sangue che gli scorreva dalla testa. Mi si gelò il sangue, ma ciononostante cercai di tenere la calma e raggiunsi l'altro lato della macchina per vedere se almeno il suo cuore battesse ancora. Quando lo vidi con gli occhi chiusi iniziai a temere il peggio. Presi il suo viso tra le mani chiamandolo per un paio di volte, ma nulla. Presi il suo braccio rotto e gli sentii il polso.

"Buum.. Buum.."

Era vivo, ma il suo battito non era regolare. Mi accorsi che quello non era l'unico braccio rotto, ma anche l'altro era messo malissimo. Vidi la sua bocca piena di sangue e qualche dente saltato, ma quello che importava in quel momento era che fosse ancora vivo.
Non volevo lasciarlo li da solo, ma dovevo cercare il mio cellulare. Non sapevo in quale stato l'avrei trovato. Era impossibile muoversi all'interno di quella macchina quasi tutta ripiegata su se stessa. Come avevo fatto io ad uscire illesa? Un miracolo? O cosa? Non era la mia ora? Ma qualcuno ci aveva provato a farmi morire!
Trovato. Gli mancava qualche pezzo, lo schermo spaccato e non funzionava più. Iniziai ad avere paura davvero, quando ad un certo punto sentii qualcuno che sopraggiungeva da dietro, con il cellulare all'orecchio e un "C'è stato un incidente" e ancora "Sbrigatevi ci sono dei feriti!" che gli uscivano dalla bocca. Un uomo alto, vestiti di gran classe scuri. Era un uomo d'affari, sicuramente.

"Come stai?"
"Bene!" risposi
"Tu non stai bene.." e mi guardò la testa.

Sangue, sangue ovunque. Provai a toccarla e sentii tanti dolori e tanti ematomi.
Stavo per sentirmi male. Mi accasciai a terra sedendomi vicino al ciglio della strada. Guardai avanti a me le macchine che sfrecciavano a grande velocità provocando dei rumori che solo il mio udito riusciva a sentire. Mi appoggiai alla parte posteriore della macchina di Marco, senza pensare a quella striscia di benzina che scorreva via verso la strada, con gli occhi persi nel vuoto e la voglia di svegliarmi da quell'incubo che si era appena formato nella mia testa. 

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