Have Yourself A Merry Little Christmas

di mamogirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Let Your Heart Be Light - ***
Capitolo 2: *** - Our troubles will be miles away - ***
Capitolo 3: *** - Through the years we all will be together - ***
Capitolo 4: *** - Have Yourself A Merry Little Christmas * ***



Capitolo 1
*** - Let Your Heart Be Light - ***


 

 

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Have yourself a Merry little Christmas
Let your heart be light

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Mancava solo una settimana al Natale e, nell’aria newyorkese, lo spirito natalizio sembrava essere esploso in una miriade di colori: dal più classico rosso fino al blu più scintillante e costellato da puntini di glitter, passando per le tonalità dell’argento e dell’oro e con una spruzzata di verde qua e là. La neve aveva incominciato a scendere già qualche settimana prima, coprendo i marciapiedi e regalando quell’atmosfera magica che solamente quella bianca acqua ghiacciata sapeva regalare. In quei giorni non aveva nevicato ma nessuno sembrava preoccuparsene: l’aria aveva quell’aroma particolare che annunciava presto il fioccare e non solo i bambini speravano che accadesse il giorno di Natale.
Note di musica si mischiavano alle voci concitate, allegre e esasperate dei passanti, gente che entrava e usciva dai negozi o si fermava davanti alle vetrine per scegliere o sognare il proprio regalo. Il sottofondo era quello solito di una metropoli come New York, clacson di macchine che si incolonnavano una dietro all’altra davanti al semaforo.
Luci e addobbi decoravano anche la caffetteria di Brian, da dove le note di una canzone natalizia venivano usate come melodia per la sua voce, limpida mentre canticchiava Jingle Bell e finiva di mettere le ultime decorazioni. Oh, ve ne aveva già messe abbastanza ma, all’ultimo, s’era ritrovato con ancora del vischio inutilizzato e, approfittando della giornata lenta, aveva deciso di usarlo ancora per il locale.
Quell’anno Natale sarebbe stata una festa ancor più speciale, visto e considerato non solo quello precedente ma anche tutto ciò che era successo in quell’anno. A volte, quando Brian ripensava ai mesi precedenti, stentava a credere di essere riuscito a superarli. Non solo era sopravissuto ma ne era uscito anche vincitore. Erano, si corresse mentalmente. Quella vittoria non era stata solo sua ma anche di Nick e di loro come coppia. Ce l’avevano fatta, sei mesi lontani senza mai perdere fede e fiducia nell’altro, senza mai chiedersi se ne valesse la pena.
Non che fosse stato tutto rose e fiori. Specialmente i primi mesi avevano infierito le più dolorose ferite e cicatrici che avevano impiegato fin troppo tempo prima di scomparire. C’erano stati giorni in cui l’assenza e la mancanza di Nick era diventata troppo enorme da sopportare, come se qualcuno avesse preso un masso e lo avesse posato sul suo petto, un strano e contorto tentativo per testare se potesse continuare a respirare. E, per qualche attimo, Brian si era anche risposto di no. Come poteva farlo quando tutto ciò per cui aveva ritrovato voglia e desiderio di vivere si trovava dall’altra parte del mondo? Ma quei pensieri venivano immediatamente schiacciati come se fossero inermi formiche, frasi ripetute come un mantra prendevano il palco e si facevano sentire fin quando quel peso sembrava alleggerirsi. Non scompariva mai, nemmeno quando lui e Nick trascorrevano ore e ore al telefono, a volte soddisfatti solo di sentire l’altro respirare e immaginandolo lì, vicino a loro, in un letto in cui avevano condiviso qualsiasi segreto, anche quelli più dolorosi.
Ma, alla fine, ce l’avevano fatta ed era quello ciò che contava maggiormente. Perché ogni lacrima, ogni tristezza e solitudine erano state cancellate via il giorno in cui Nick era tornato, riportando nei loro mondi quella luce che rendeva tutto il resto del mondo un po’ più speciale.
Erano cambiati. Fisicamente, sei mesi non avevano aggiunto né tolto niente al loro aspetto: forse Nick aveva qualche chilo in più, forse lui ne aveva qualche in meno, ma erano gli stessi di quando si erano separati. Ma era nel carattere dove vi erano stati i maggiori cambiamenti ed era qualcosa che vedevano ogni giorno. Erano più forti individualmente e ciò li rendeva più forti come coppia.
“Jingle Bells, Jingle Bells...” Riprese a canticchiare mentre appendeva un altro rametto di vischio sopra il bancone.
Sì, quell’anno Natale sarebbe stato davvero speciale. Sarebbe stato il loro vero primo Natale insieme, quello dell’anno precedente non lo teneva nemmeno in considerazione. E come poteva farlo? Nemmeno si ricordava metà di quei giorni e, quando lo faceva, non poteva non sentire una piccola fitta al cuore ripensando a quanto scioccamente si era comportato e quanto s’era avvicinato a perdere tutto quello per cui aveva sempre lottato e sperato.
Brian si lasciò sfuggire un sospiro mentre scendeva dalla scala. Si era promesso di non pensarci più, anche perché non poteva cambiare nulla. C’era stata una ragione ben precisa se era successo e aveva imparato la lezione: era cresciuto e una parte delle sue paure avevano finalmente lasciato le redini in cui lo avevano tenuto avvolto per troppo tempo.
Aveva ancora la schiena rivolta verso il muro, perso nel decidere se aggiungere ancora qualche decorazione, quando il campanello della porta squillò le prime note di una melodia natalizia – Aj odiava quel campanello e ogni anno minacciava di romperglielo – annunciando l’arrivo di un cliente.
Quel giorno, la caffetteria non era piena, visto vi era solo qualche vecchietto che veniva sempre per trascorrere le ore al caldo e sfuggire alla monotonia e alla solitudine. Era anche per quel motivo che lui non se la sentiva mai di chiudere, anche se in giornata come quelle non faceva chissà quanti guadagni. Lo faceva perché sapeva che quelle persone non avevano un altro posto dove andare, alcuni di loro non avevano nessun altro con cui parlare o scherzare sui risultati delle partite del weekend se non quegli amici che avevano incontrato fra una tazza di caffè e l’altra. E poi era stato anche grazie loro che si era sentito meno solo durante i mesi di assenza di Nick: le vecchiette lo avevano adottato, più di quanto avessero già fatto negli anni precedenti, e avevano riempito la sua mente con racconti dei loro passati amori, storie che avevano saputo attraversare la distanza e la guerra e che, anche se poi si erano spenti, avevano comunque continuato a brillare nella memoria. E se certi rapporti erano riusciti a superare un ostacolo come la guerra, per quale motivo lui aveva dovuto dubitare del loro?
L’uomo che era entrato era ben differente dalla gente che c’era all’interno del locale: il cappotto nero che indossava sembrava essere fatto su misura e non di certo uscito da uno stock in un grande magazzino; era leggermente aperto, lasciando così intravedere un completo serio, di quelli che indossavano i grandi uomini d’affari. Era un uomo alto, qualche centimetro di più rispetto a Nick, e di corporatura abbastanza robusta; i capelli erano ormai spruzzati qua e là da fili grigi, gli occhi di un caldo color nocciola e, anche se Brian non riusciva ad identificarlo, qualcosa in quel viso gli era famigliare.
“Buongiorno.” Disse mentre l’uomo si avvicinava al bancone.
L’uomo si osservò in giro per qualche istante, come se volesse farsi un’idea del posto prima di tutto, per poi ritornare la sua attenzione su di lui. Brian si sentì squadrare da capo a piedi – anche se l’uomo poteva vederlo solo fino a metà busto – come se fosse uno di quegli animali allo zoo. “Posso esserle d’aiuto?”
“Stavo... Lei è Brian, giusto?”
“Sì.”
“Mi chiamo Bill Carter. Sono il padre di Nickolas.”
Per qualche secondo, Brian rimase sorpreso. Nonostante da quanto tempo stessero insieme, Brian non aveva mai realmente conosciuto i genitori di Nick. O, almeno, aveva solo fatto la conoscenza della madre, Irene, mentre il padre e la matrigna erano sempre stati dei racconti vaghi e generali. Non aveva mai pressato il ragazzo in quel senso, la ferita che portava per quel non rapporto con suo padre era sempre stata ben visibile, anche se poco accennata e quasi sempre nascosta dietro frasi di circostanza. E lui, lui che cosa ne sapeva di quel genere di problemi?
Così sì, la presenza in quel momento del padre di Nick, era davvero una sorpresa. Ma ciò che non gli piaceva era non sapere di che tipo, se piacevole o qualcosa da mai accennare.
“E’ un piacere conoscerla.” Mormorò Brian, allungando la mano per poter stringere quella di Bill.
“Deduco che Nickolas non le abbia mai parlato di me.” Rispose l’uomo, sedendosi su uno sgabello di fronte a Brian.
“Qualcosa. Non molto, però. – Rispose Brian. – Posso offrirle del caffè?”
“Grazie. Non mi stupisce. Voglio dire, riguardo mio figlio. E’ da tanto che non ci parliamo. Ho saputo della tua esistenza dalla mia ex – moglie.”
Brian si trovò a sentirsi a disagio, non sapendo esattamente per quale motivo l’uomo si trovasse lì. Anzi, era chiaro che fosse venuto lì da lui con un preciso intento. Così, invece di rispondere, si occupò del caffè: macinò i grani e poi azionò la macchina, con il rumore che andò a sovrastare le note della musica.
“Non ho mai avuto niente contro l’omosessualità di Nickolas. Certo, ho avuto qualche problema ad accettarlo ma perché so com’è il mondo e quanto crudele possa essere verso le persone “diverse”. Volevo solo proteggerlo.”
“In che modo?”
“Nel modo peggiore? – La sua fu una domanda retorica e non diede tempo a Brian di rispondere. I Carter sono sempre stati una famiglia molto importante. Da generazioni e generazioni, siamo soliti passare il timone dell’industria di padre in figlio. Avevo dei progetti per Nick, volevo che fosse pronto per quando sarebbe giunto il suo momento di prendere il mio posto. Così, da piccolo, gli ho lasciato fare tutto ciò che voleva: voleva diventare medico? L’ho fatto entrare in ospedale e assistere ad un’operazione. Pensavo che fossero manie passeggere, anch’io da piccolo volevo diventare uno scrittore. La separazione, il divorzio. Credo sia stato quello il momento in cui abbiamo preso due strade diverse.”
“Signor Carter...” Brian cercò di interromperlo, convinto che quello fosse un discorso un po’ strano da tenere con una persona che aveva appena conosciuto. Soprattutto, quelle erano parole che non dovevano essere indirizzate a lui ma a Nick.
Ma l’uomo continuò a parlare, come se avesse usato tempo per metter in piedi quel discorso e ora non voleva essere interrotto, voleva concluderlo. “Non sono un uomo che parla facilmente dei suoi sentimenti. Anzi, di fronte ad essi preferisco usare la via di fuga più vicina. E con Nickolas... non sapevo come rapportarmi. Non ho mai saputo trovare le giuste parole. Così, ho usato l’unico mezzo che avevo a disposizione.”
“I soldi.”
Bill annuì, allacciando le dita attorno alla tazza ancora calda. “Voleva andare ad una scuola d’arte così gli ho finanziato i corsi estivi, gli stage. L’università. Gli ho comprato l’appartamento. E per qualche periodo mi sono illuso che bastasse questo e che, in qualche modo, Nickolas comprendesse che gli volevo bene. – Un sorriso ironico si disegnò sulle sue labbra, una triste constatazione di quanto si era sbagliato. – E’ da sua madre che ho saputo che aveva iniziato a lavorare al museo. Non mi ha nemmeno chiamato per dirmi che andava in Europa. E’ stato lì che ho compreso che per mio figlio ero come un estraneo. Anzi, lo sono.”
Brian si trovava in una difficile posizione: da un lato, sapeva che Nick si sentiva allo stesso modo, trattato da suo padre come se fosse semplicemente qualcosa da accudire con i soldi e aveva asciugato fin troppe lacrime per poter guardare quell’uomo con occhi colmi di compassione. Eppure, una parte di lui provava quel sentimento: spogliato del nome e dell’essere legato al ragazzo che amava, davanti a lui vi era un uomo, un padre, che si era resto conto di non avere più un figlio per colpe e responsabilità che pesavano solamente sulle sue spalle. Come poteva rimanere impassibile di fronte a ciò? Più di tutto, Brian sapeva qual era quella parte di lui che provava pietà e compassione per quell’uomo. Era una parte di lui che aveva pensato fosse morta tanto tempo prima, era quel ragazzino che a ogni Natale l’unica cosa che chiedeva a Babbo Natale era di poter conoscere suo padre.
Ma non si trattava di lui. Davanti a lui non c’era suo padre ma quello di Nick e, per quanto volesse poter rimettere insieme tutto e far tornare un sorriso sul suo volto, toccava solamente a Nick decidere. “Non sono io la persona alla quale dovrebbe raccontare ciò.”
“Ci ho provato. Ma Nickolas non mi risponde e, anche se lo facesse, non credo di riuscire a spiegarmi.”
“Che cosa vuole che faccia? Non posso parlare io a Nick al suo posto. Né decidere per lui.”
“No, ovviamente no. Non sono qui per questo. – Rispose Bill. – Ma tu... tu lo conosci meglio di qualcun altro.”
Sì. Quella era una verità che Brian non si sarebbe lasciato portare via da nessuno, nemmeno dai genitori di Nick. Lo conosceva come se fosse una parte di sé, lo conosceva come una di quelle melodie di cui solamente una persona poteva conoscere le note e non le avrebbe mai diffuse a qualcun altro.
“Voglio solo parlargli. Non pretendo nient’altro.”
“Deve fare lei il primo passo. Io e Nick... non funzioniamo così. Non posso obbligarlo a parlargli se non vuole, soprattutto in una questione così delicata.”
L’espressione dell’uomo si fece più scura, quasi come se Brian gli avesse tolto quell’unico barlume di speranza. Lo vide alzarsi, lasciare i soldi per il caffè e incominciare a rimettersi il cappotto. “Ti ringrazio lo stesso.”
Bill si voltò, stringendosi al collo la sciarpa e infilando le mani nelle tasche della giacca. Anche se sapeva che non ne aveva assolutamente motivo, Brian non poté far nulla per bloccare quella sensazione di blocco allo stomaco nel vedere l’uomo andare via così disperato. “Aspetti!” Lo richiamò mentre circondava il bancone per andare dall’altra parte.
Il padre di Nick si voltò, una luce di speranza che riappariva nei suoi occhi. “Dirò a Nick che è passato. Non posso tenergli un segreto del genere e deve saperlo. Ma se davvero vuole riallacciare il rapporto, non aspetti che sia Nick a fare il primo passo.”
“Grazie.”
“Passi al museo. Nick non lo sbatterà fuori. – Aggiunse Brian, fermandolo ancora dopo un passo verso la porta. – Inoltre, se vuole conoscere suo figlio per quello che è veramente, quello è il luogo migliore.”
L’uomo annuì e poi scomparve dietro la porta, lasciando Brian ad osservare la sua figura, ancora sorpreso e confuso riguardo a quello che era appena accaduto. Il primo istinto fu quello di chiamare Nick ma un grammo di lucidità impedì alle sue dita di comporre il numero: Nick era al lavoro e dirgli che suo padre era passato per poi rimandare tutto il discorso alla sera sarebbe solo servito a rovinargli la giornata, rimuginando e rimuginando su che cosa quella visita potesse significare e combinando un disastro dietro l’altro. No, avrebbe dovuto aspettare fino a quella sera e già Brian poteva percepire l’ansia incominciare a mangiucchiare il suo stomaco.
Aveva fatto la cosa giusta?    
Incominciando a mordicchiarsi il labbro, Brian occupò la sua concentrazione a rimettere a posto la tazza, sciacquandola velocemente sotto l’acqua e poi mettendola con il resto che stava aspettando il suo turno nella lavastoviglie. La mise in azione e il silenzioso rumorio si confuse con il suono della musica in sottofondo. Fu un momento di pausa ma fu abbastanza rapido affinché i pensieri ritornarono prepotentemente all’attacco, riportando a galla vecchie paure che Brian aveva custodito gelosamente dentro di sé: e se Nick si fosse arrabbiato? Se avesse pensato che, come un anno prima, volesse decidere anche su questioni che avevano a che fare con lui?
No, si rimproverò. Non era la stessa situazione e lui non aveva deciso proprio nulla. Aveva solo dato un consiglio, Nick aveva ancora le redini per scegliere che cosa fare e in quale direzione andare. E, soprattutto, non glielo avrebbe tenuto nascosto.
Entrambi avevano imparato la lezione.

 

 

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Nick aveva appena spento il forno quando udì lo scatto della serratura, seguito dal rumore della porta aprirsi e richiudersi velocemente. Dando uno sguardo all’orologio alla parete, si accorse di quanto tardi fosse rispetto al solito così recuperò lo strofinaccio e, asciugandosi nel frattempo le mani, uscì dalla cucina. Dicembre era sempre un mese un po’ strano ma quell’anno lo era ancor di più: fra le lezioni e il museo, Nick usciva di casa la mattina e ritornava a pomeriggio ormai inoltrato, giusto in tempo per iniziare a preparare la cena mentre attendeva che Brian tornasse, impegnato anche lui fra il locale, le lezioni e le prove per i vari spettacoli di fine anno. Per non parlare di quando, un giorno, era tornato a casa tutto estasiato perché aveva appena scoperto che al coro della chiesa in cui era cresciuto serviva qualcuno che lo dirigesse e preparasse il concerto di Natale. Non era servito che Brian continuasse a parlare, già da come brillavano i suoi occhi Nick aveva dedotto che si era proposto e, quella sera, lo aveva aiutato a mettere insieme una scaletta.
Nick amava la loro quotidianità, per quanto pazza e senza orari certe volte fosse. Ormai si erano calati in una routine che assomigliava a quella che aveva guidato le loro giornate prima che lui partisse per l’Europa ed era stato quasi un sollievo quando, una volta tornato, erano riusciti a ricucirsela addosso come se niente fosse successo.
Perché quando era tornato, quando aveva rimesso piede nell’appartamento, si era immediatamente risentito a casa, un sentimento che Nick non aveva mai provato prima: casa avrebbe dovuto essere il luogo in cui si era cresciuti o in cui la propria famiglia ancora abitava. Nick non sapeva esattamente quale fosse perché quella della sua infanzia era sempre stata troppo grande, troppo vuota e fredda per poterla associare a qualcosa di famigliare e di protettivo; crescendo, casa era stata ovunque sua madre decidesse di portarlo o dove il suo cuore la portasse. Nuovi fidanzati significavano nuovi traslochi, pur sempre rimanendo all’interno della stessa e medesima città. Il suo appartamento era stato, per qualche tempo, il vero primo luogo che Nick avesse potuto considerare come casa ma, ancora, mancava qualcosa. E quel qualcosa lo aveva trovato quando si era trasferito da Brian e lo aveva ritrovato quando era tornato dopo sei mesi di assenza: sembrava non essere cambiato nulla e la sua presenza era sempre lì, in ogni oggetto che non era stato spostato e nelle fotografie che erano aumentate durante i mesi.
L’unica cosa che era cambiata era la scorta di cibi già pronti con cui le vecchie clienti del bar avevano riempito il frigorifero per paura che Brian non mangiasse abbastanza.
“Sei in ritardo. – Annunciò ancor prima di posare gli occhi su Brian. E, quando lo fece, non riuscì a evitare un’espressione mista fra il divertito e lo shockato. – Che diavolo ti è successo? Perché sei tutto bagnato?”
Brian non gli rispose subito ma prima si tolse la giacca, lasciandola per terra invece che appendendola e si tolse le scarpe e le calze, entrambe completamente bagnate.
“I bambini volevano giocare a palle di neve finite le prove. E io ho accettato prima di scoprire che ero io il loro bersaglio prescelto.” Rispose Brian con un sorriso. Nonostante le mani congelate, naso e guance che sembravano bruciare e ancora non aveva capito se per il freddo o perché finalmente al caldo, l’euforia per quella mezz’ora a giocare ancora navigava a vele spiegate nel suo sangue.
“E tu dovevi per forza sacrificarti, vero?” Ribattè Nick ironicamente, dirigendosi verso il bagno e recuperando un asciugamano. Nel frattempo, Brian si era spostato in camera dove aveva incominciato a cercare dei vestiti asciutti.
“Ovvio. Ma così ora sono obbligati a venire ad un’altra prova domani.”
“Sei un manipolatore!”
“No, mi faccio solamente voler bene. Dovevi vedere com’erano felici!”
“Certo, perché sanno che potranno giocare comunque.”
“E che cosa ci sarebbe di sbagliato in questo?” Domandò Brian con la fronte aggrottata in confusione e fra le mani un maglione.
“Niente. – Lo rassicurò Nick, avvicinandosi. – Cerca solo di evitare di prenderti una polmonite.” Concluse, stampandogli poi un bacio sulla tempia.
Brian ricambiò, allacciando le braccia attorno al collo del ragazzo. “Mi sei mancato.”
Le labbra di Nick si spostarono al centro della fronte, lasciando un altro bacio, mentre con l’asciugamano asciugava i capelli bagnati. “Anche tu.”
“Saltiamo la cena e ce ne andiamo sotto le coperte?”
“No. Mangiamo e poi andiamo sotto le coperte.”
“Vado a farmi una doccia calda, allora.” Disse Brian, staccandosi a malincuore da Nick.
“Non impiegarci troppo.” Fu l’ultima raccomandazione di Nick prima che il ragazzo si rintanasse in bagno.
Vi uscì dopo una buona ventina di minuti, anche se la maggior parte di essi erano stati usati per trovare il modo migliore per incominciare il discorso con Nick. La paura, più o meno, si era attenuata durante la giornata, forse scacciata via dall’allegria di quei bambini che tanto gli ricordavano di se stesso quando aveva avuto la loro età. Guardandoli, s’era immaginato un Nick della stessa età e che tutto ciò che più desiderava era poter far felice suo padre. Era giusto dargli la possibilità, ora che era più grande, di poter dare una risposta a tutti quei momenti che avevano lasciato una piccola linea sul suo cuore.
E sapeva, Brian, che Nick non si sarebbe arrabbiato con lui. Quella sì che era una di quelle paure infondate che non avevano senso di esistere. Perché avrebbe dovuto arrabbiarsi quando aveva rimesso la palla sempre nelle mani di suo padre? No, di quello ne era finalmente sicuro.
Ciò che lo continuava a bloccare era il terrore di riaprire vecchie ferite che erano ormai assopite da tempo. Il passato era una brutta bestia, un demone che poteva apparire all’improvviso e riaprire un vaso di Pandora che ci si era dimenticati anche di possedere. Se poteva risparmiargli ciò, Brian era più che determinati nel farlo accadere.
Ma non in quel caso. In quello, lui poteva solamente stare lì, al fianco di Nick, e offrigli il suo abbraccio e ricordargli che, in qualsiasi modo sarebbe terminata, avrebbe sempre avuto una persona che lo avrebbe amato sempre. Lui.
Con quella risoluzione, Brian si spostò in salotto, seguendo il delizioso profumino di pasta che aleggiava nell’aria, mescolandosi con quello ormai perenne di vaniglia e zenzero dei biscotti.
“Stavo per venirti a chiamare.”
“Sono qui.”
“Anche se sei basso, ti vedo.”
“Non sono basso, sono diversamente alto.” Ribattè Brian, terminando la frase con una linguaccia mentre prendeva posto a tavola.
Il discorso venne rimandato a dopo la cena, quando entrambi si sedettero sul divano, una calda coperta avvolta sopra le loro gambe intrecciate e una tazza di cioccolata calda fra le mani. Per un po’, Brian aveva lasciato Nick parlare del museo e di come stavano pensando di organizzare una mostra apposta per i bambini, visto che le scolaresche che visitavano il Frick in quelle settimane si annoiavano nemmeno a metà.
Quando fu il suo turno di raccontare che cosa era successo a lui, Brian si ritrovò ad assaporare la sua bevanda prima di iniziare. “E’ venuta una persona.”
“Spero che tu abbia avuto più di un cliente oggi.”
“Era tuo padre.”
Nick aggrottò le sopracciglia, le labbra si strinsero in una sottile linea e le dita aumentarono la loro stretta attorno al manico della tazza. “Ne sei sicuro?” Domandò poi in un lieve sussurro.
“Sì. O meglio, lui si è presentato come tale. Ma vi assomigliate. Avete gli stessi lineamenti del viso.” Rispose Brian, sottolineando quell’ultima frase appoggiando le dita sulla guancia di Nick e tracciandone i confini fino ad arrivare alla bocca.
“Che cosa voleva? Non ti ha insultato o...”
“Offeso perché stiamo insieme? – Terminò Brian per Nick. – No, niente di tutto questo. Voleva un consiglio. Su di te.”
“Me?” Nick si voltò verso Brian, la fronte solcata da linee di confusione.
L’indice di Brian si spostò verso di esse, accarezzandole con l’intenzione di farle scomparire. “Tu. Chi altro, altrimenti?”
Nick alzò le spalle. “Chiunque. Non si è mai interessato a me.”
“E’... – Incominciò a dire Brian ma si fermò prima di completare la frase, riconoscendo che sarebbe stato un passo falso. – Si è reso conto del suo errore, Nick.”
“Che cosa ti ha detto esattamente?”
“Non molto, soprattutto perché gli ho fatto notare subito che quel tipo di discorso avrebbe dovuto farlo a te e non a me. Ma, più di tutto, credo sia venuto da me perché non ha idea di come ricominciare tutto con te. Non sei più il bambino che poteva illudere con una promessa e con un nuovo gioco. Ora sa che le parole hanno più peso e potere di qualsiasi altro gesto e non sa come fare il primo passo. Vuole solo un’occasione ma non sa come prenderla.”
Lo sguardo di Nick si abbassò, un piccolo pezzo di labbro venne intrappolato e torturato dai suoi denti mentre le parole di Brian, le parole di suo padre, gravitavano attorno al suo cervello senza che lui riuscisse a fermarle per analizzare. Sembrava tutto così strano eppure anche così famigliare, perché quello era ciò che aveva sempre scioccamente sognato. Eppure, ora che ciò si era finalmente avverato, almeno il quadro generale di contorno, Nick non riusciva a sentirlo come reale. Aspettava, come sempre, il momento in cui la realtà si sarebbe rivelata per ciò che era, malefica e doppiogiochista, mentre derideva le sue illusione miseramente sconfitte.
Quella volta, però, era differente.
Quella volta era diversa perché si fidava di Brian e Brian, come lui, era bravo a leggere tutto ciò che le parole non potevano o non volevano dire. Più di tutto, sapeva che non gliene avrebbe parlato se si fosse reso conto che suo padre stava tentando di raggirarlo ancora. D’altronde, come poteva Brian fidarsi di una persona della quale conosceva solamente i racconti che lui gli aveva fatto?
“Ne sei sicuro?”
“Posso solo fidarmi del mio istinto, in questo caso.”
Nick sospirò, abbassandosi e appoggiando la testa sulla spalla di Brian. Immediatamente, le braccia di Brian si avvolsero attorno a lui mentre la sua mano stringevano l’orlo della felpa. “Sai quante volte ho sognato questo momento? E l’ho odiato per così tanto tempo che non riuscivo nemmeno a ricordare quei pochi momenti in cui eravamo una vera famiglia. Volevo solo una cosa e quando mi sono reso conto che non l’avrei mai ottenuta, ho smesso di chiamarlo o di tornare a casa nei weekend. E, visto che nemmeno lui si faceva sentire, mi ero rassegnato a questa situazione. Anche perché... – Nick alzò il viso per incontrare lo sguardo di Brian. -... ho trovato te.”
Brian scostò un ciuffo di capelli e, sorridendo, accarezzò con le labbra la fronte di Nick. “Sarò sempre orgoglioso di te, Nick. Ma non è la stessa cosa e questo lo sai.”
“Che cosa devo fare?”
“Non posso dirtelo, Nick. Devi fare ciò che ti dice il cuore.” Rispose Brian, appoggiando la sua mano sopra il petto di Nick, lì dove poteva sentire il battito pulsare sotto il suo palmo.
La mano di Nick si posò sopra quella di Brian, incrociando le dita attorno alle altre. “Tu sei il mio cuore.”
Un secondo bacio, questa volta sulla guancia. “Ma non posso decidere per te. Posso solo consigliarti e sperare di non sbagliarmi.”
“E quale sarebbe il tuo consiglio?”
“Non farti scappare quest’occasione. So quanto hai sofferto, so quanto ancora lo senti nonostante ti sia ripetuto volta dopo volta che non avevi bisogno di lui né della sua approvazione. Ma è pur sempre tuo padre, è pur sempre la tua famiglia, non importa quanto disfunzionale sia. Ascolta ciò che ha da dirti, ascolta le sue ragioni e le sue scuse e poi decidi. Decidi se provarci, mettendo da parte rancori e ferite del passato, oppure se metterci una pietra sopra e continuare per la tua vita come hai sempre fatto.”
“Non sei di molto aiuto.”
“Nessuno può aiutarti.”
“Molto confortante.”
“Nick, andiamo! Quanto può peggiorare la situazione? Pensa a ciò che potresti avere in cambio.”
“E’ solo che... mi sembra un po’ strano che abbia deciso proprio adesso di parlare. E che sia venuto da te invece che da me direttamente.”
“Certo, perché tu lo avresti accolto a braccia aperte e lo avresti messo nelle condizioni di parlare?”
“Touche. Molto probabilmente non gli avrei nemmeno aperto la porta e avrei fatto finta di non essere in casa.”
Una piccola risata sfuggì dalle labbra di Brian. “Visto?”
“E lasciato silenzioso il cellulare.”
“E il telefono di casa?”
“Tagliato i fili? Non pagato la bolletta?”
“Scemo! - Lo apostrofò Brian, sottolineando ciò con uno scherzoso schiaffo sulla spalla. – Ecco perché gli ho detto che, se proprio è sicuro di parlarti, di venire al museo. Così può vedere con i suoi occhi l’uomo che sei diventato.”
Nick non rispose. Rimase qualche minuto in silenzio, giocherellando con l’indice di Brian senza fare nient’altro, nemmeno pensare o riflettere. Poco dopo, però, si staccò e si alzò in piedi, lasciando tutte le coperte a Brian.
“Vado a dipingere un po’.” Disse solamente, sapendo che Brian avrebbe compreso l’implicito in quelle parole. E infatti, il ragazzo non ribatté né protestò. Rimase accoccolato sul divano e osservò Nick mentre si dirigeva lungo il corridoio.
“Nick? - Lo richiamò all’improvviso. Aspettò che il ragazzo si voltasse prima di continuare. – Occasioni come queste non capitano spesso nella vita. Avete la possibilità di recuperare e iniziare tutto da capo. Non lasciartela sfuggire. Non puoi mai sapere che cosa potrà succedere e, un giorno, potresti ritrovarti a rimpiangere di non avergli concesso qualche minuto e per non aver ascoltato ciò che aveva da dirti.”
Nick annuì semplicemente e poi si voltò di nuovo, percorrendo gli ultimi metri e scomparendo dietro la porta dello studio.
Di rimpianti, confessioni mai dette e parole che si erano perse nel corso degli anni, Brian ne sapeva molto. Soprattutto, sapeva e aveva provato sulla sua pelle il solco e il dolore che si lasciavano dietro. Ancora vi erano dei strascichi, piccole fiamme che ogni tanto si riaccendevano per poi spegnersi, anche se mai definitivamente. Non voleva che anche Nick provasse quelle cicatrici, non voleva rivedere nei suoi occhi i suoi stessi demoni e rimpianti.
Era anche questo l’amore, no?
In silenzio, si mosse per rimettere in ordine: piegò le coperte, mise le tazze nel lavandino e le sciacquò, mettendole poi ad asciugare sul bancone. Si assicurò che la porta d’ingresso fosse chiusa, controllò ogni finestra e spense tutte le luci. Per ultimo, spense l’albero di Natale che si trovava all’angolo del salotto, in quel lato della parete ricoperta da finestre che riflettevano le luci di una New York che non accennava mai ad addormentarsi.
Anche il loro albero era differente da quello dell’anno precedente. Per quello passato avevano usato principalmente le decorazioni che Brian già aveva, un’insieme confuso dei Natali con sua madre e di quei primi trascorsi completamente da solo. Ne avevano aggiunte solo qualcuna di nuova, palle che avevano trovato nei mercatini o fiocchi di neve dorati e argentati che sarebbero stati divinamente sul loro albero. Quell’anno, invece, avevano deciso di iniziare una loro tradizione e ciò aveva avuto la sua origine con l’acquisto di nuove decorazioni, relegando quelle vecchie in uno scatolone che ora si trovava insieme a tutti gli oggetti che Brian aveva conservato di sua madre. Ogni nuovo addobbo era stato scelto insieme, a parte quelli che Nick aveva comprato in un delizioso negozietto londinese che vendeva solo oggettistica natalizia. Ne era rimasta solo una, l’unica che Brian non aveva avuto il cuore di chiudere via insieme al passato: era un piccolo angelo, ormai quasi rovinato dagli anni, che lui da bambino aveva fatto come regalo di Natale per sua madre. Nick non aveva obiettato, lo aveva semplicemente abbracciato mentre insieme lo appendevano su uno dei rami più alti. Come sua madre, quell’angelo avrebbe tenuto un occhio su tutti gli altri addobbi.
E lì, in quel momento, mentre con l’indice accarezzava quello che un tempo erano state dorate ali, Brian si rivolse a sua madre, chiedendole di poter esaudire quella sua preghiera, la piccola speranza che Nick potesse ricevere un dono natalizio in anticipo.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L'avevo promesso. Avevo promesso che sarei tornata a scrivere su questi Brian e Nick. Mi sono mancati talmente tanto! *__*
Doveva essere una one - shot. Certo, come no! lol Come sempre, una one-shot si è trasformata in qualcos'altro ma, in parte, quest'idea era già stata pensata per un seguito. E sembra perfetta per una storia di Natale. *__*

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Capitolo 2
*** - Our troubles will be miles away - ***


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Our troubles will be miles away
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La seconda tazza di caffè era ormai quasi terminata. Nick la scosse per recuperare le ultime gocce prima di tentare di fare centro nel cestino con il bicchiere ormai vuoto. Lo mancò di pochi centimetri e la tazza andò a scontrarsi contro la sua precedente sorella, avendo anch’essa fallito il volo.
Davanti a lui, la sua scrivania era completamente sommersa da appunti, copie di quadri che dovevano essere infilati in qualche mostra o ancora catalogati, mentre in sottofondo le grida dei bambini risuonavano nel suo cervello come se stessero urlando direttamente nelle sue orecchie. Tutto ciò che realmente Nick voleva fare era tornare a casa e rintanarsi fra le coperte, possibilmente dopo esser riuscito a convincere Brian a bigiare tutti i suoi impegni e riposarsi con lui. Ne avevano entrambi bisogno ed era per questo motivo che stavano aspettando il giorno di Natale con così tanta frenesia. Non solo per i regali, non solo per i dolci e quel pranzo di cui già il suo stomaco stava preparando spazio sufficiente. Soprattutto per staccare la spina e respirare finalmente un po’ di calma e tranquillità. Anche se, tecnicamente, avrebbero davvero potuto riposarsi senza fare nient’altro solo il giorno successivo perché, anche quell’anno, Brian avrebbe tenuto aperto il locale per tutti coloro che non avevano nessuno o nessuna casa dove festeggiare quel giorno.
Ma era anche per quello che amava Brian, per quella sua capacità innata di saper riuscire a riunire così tante persone e così differenti l’una dall’altra e renderli un’unica famiglia. Anche solo per un giorno.
Eppure, non doveva essere una sorpresa visto il modo in cui lo aveva fatto sentire sin dal primo momento che si erano incontrati. Prima di lui, aveva sempre evitato le relazioni serie quasi come se fossero una nuova peste bubbonica, sicuro che non appena avesse abbassato le sue difese sarebbe stato colpito lì dove avrebbe fatto più male. D’altronde, che cosa ne poteva sapere lui dell’amore se non quello che aveva visto bruciarsi fra i suoi genitori? Fin da quando si poteva ricordare, non erano mai stati affettuosi l’uno con l’altro: non si tenevano per mano, a malapena si scambiavano qualche parola quando erano tutti insieme in una stanza e sempre con lui come messaggero. Nonostante ciò, quando lo avevano preso da parte e informato che si sarebbero separati, lui ne era rimasto completamente sconvolto: erano pur sempre i suoi genitori, era pur sempre la sua famiglia che si stava sgretolando senza che lui potesse dire o fare qualcosa per impedirlo. Il passaggio ad incolparsi era stato breve, specialmente quando aveva scoperto che sarebbe stato suo padre ad andarsene. Suo padre, l’uomo con cui non riusciva a legarsi nemmeno sul colore preferito, l’uomo che gli era sempre sembrato così imponente e inquietante, con quello sguardo sempre serio e l’espressione che ti faceva intendere che ti stava giudicando, anche se non diceva mai niente.
E lui... oh, Nick sapeva di non aver mai fatto altro che deluderlo. Per prima cosa, non aveva mai sopportato i figli dei suoi altolocati colleghi barra clienti barra amici, bambini spocchiosi che già a tre anni guardavano tutti dall’alto in basso, ragazzini che facevano cerchia con quelli che erano simili a loro e che tenevano a debita distanza chiunque fosse differente. A lui, persone di quel genere non erano mai interessati. Sua madre gli ricordava sempre di quanto avesse sempre cercato la solitudine, anche da piccolo: gli bastava un foglio e delle matite colorate per far passare le giornate, incurante dei gridolini estasiati di altri bambini che giocavano a calcio o si rincorrevano. Non che fosse stato un solitario perché di amici ne aveva avuti, non molti, ma erano anche le stesse persone con le quali ancor in quei giorni si sentiva ogni settimana e si incontravano per bere qualcosa. Certo, ora erano tutti cresciuti e al loro incontri s’erano aggiunti i rispettivi compagni, ma erano ancora quegli strambi bambini a cui non era importato da che tipo di famiglia provenisse.
Ma ciò non andava bene a suo padre, glielo aveva letto negli occhi nell’unica festa di compleanno a cui aveva partecipato in undici anni di vita di suo figlio. Aveva visto l’espressione con la quale aveva scrutinato ogni suo amico e quell’infido messaggio che gli aveva comunicato senza parole: mi aspettavo meglio da te.
Era quella l’unica lezione che aveva imparato stando con suo padre: per ogni cosa, anche la più stupida, lui poteva e avrebbe dovuto fare di meglio. I voti a scuola, i corsi al pomeriggio, le mille feste a cui partecipava e socializzava a modo suo. Che eufemismo! Non faceva altro che combattere quella dose quotidiana di veleno che gli veniva inflitta da suo padre, da quel silenzio che era diventata una dolorosa abitudine e il dolore che vedeva ogni giorno negli occhi di sua madre ad ogni relazione che naufragava. Sì, incolpava lui, suo padre, per la sua infelicità, lui che dopo poco aveva trovato qualcuno con cui non aveva avuto problemi a dimenticare di aver già avuto una famiglia. Una moglie. Un figlio.
L’altra notte – in realtà, qualche ora prima – ne aveva parlato a lungo con Brian. Parte di quel rancore era nato dall’ignoranza e dall’illusione di sapere che cosa fosse l’amore. No, in quegli anni non aveva saputo che cosa fosse realmente l’amore e, come qualsiasi bambino figlio di genitori divorziati, il suo più grande desiderio era stato quello di vedere suo padre tornare indietro e sua madre riprenderlo.
Ora, soprattutto ora con Brian, sapeva che l’amore non funzionava in quel modo. Non era solamente stringersi la mano o scambiarsi tutti quei gesti che erano stati catalogati come “segni d’affetto”. L’amore non era solo un bacio appassionato o trascorrere tutta la notte fra le braccia del proprio compagno. L’amore era imparare a condividere, a essere forti nei momenti più difficili e lottare con tutte le armi a disposizioni per non perdersi e cadere.
“Se ti fossi trovato nelle condizioni di tuo padre, se ti fossi reso conto che il tuo vero amore non era tua moglie ma un’altra, che cosa avresti fatto?” Gli aveva domandato Brian, il viso appoggiato nel palmo e lo sguardo fisso su di lui.
“Non lo so. Lo sai che non ero sposato!”
“Sii serio! – Lo aveva ripreso Brian e un sorriso era sfuggito ad entrambi. – Se quando mi avessi conosciuto tu fossi stato già impegnato con un altro, che cosa avresti fatto?”
La domanda aveva colpito il bersaglio. Nick sapeva esattamente che cosa avrebbe fatto e, in retrospettiva, era la stessa e medesima cosa che suo padre aveva fatto. Lì, in quel preciso momento, Nick aveva compreso un po’ di più quella figura che fino ad allora era rimasta sempre qualcosa di astratto: aveva compreso ciò che aveva dovuto affrontare suo padre, prendere una decisione a malincuore, sapendo che avrebbe fatto soffrire qualcuno e che si sarebbe fatto odiare, ma sapendo dentro di sé che era la decisione migliore.
Quella realizzazione aveva cancellato parte dell’odio e del rancore e aveva creato un ponte fra quei due estremi in cui Nick aveva sempre considerato la sua relazione con il padre: nord e sud, due punti di una retta che non si sarebbero mai incontrati. Invece, eccolo lì, a ripensare a tutti i motivi per cui aveva odiato suo padre e a trovarvi una spiegazione che aveva senso.
Certo, mancavano ancora molti altri punti. Il fatto che potesse comprendere per quale motivo lui avesse lasciato sua moglie non giustificava l’assenza totale dalla sua vita, eccezion fatta per quei piccoli momenti in cui si erano incontrati e non era riuscito a sfuggire dal suo sguardo e da quella disapprovazione scritta in ogni ruga, in quella linea dura delle labbra e in quegli occhi così freddi.
Per quale motivo non hai scelto economia? Per quale motivo non vuoi seguire le mie orme e far parte dell’azienda di famiglia? E’ la tua eredità, dovresti preoccupartene invece di pensare a dipingere e chissà cos’altro.
Quelle domande non venivano mai pronunciate ma erano lì, nell’aria, pronte a essere usate come armi taglienti.
Eppure, nonostante Nick sapesse quanto suo padre non condividesse le sue scelte, non lo aveva mai ostacolato. Anzi, aveva accolto ogni sua richiesta, più per il quieto vivere che per altro. Ecco perché si era impegnato così tanto per avere lo stage al museo: voleva tagliare qualsiasi ponte, non voleva dover anche ringraziare suo padre quando sapeva che lo aveva fatto solamente per una questione di immagine e di reputazione.
“Nick?”
La voce di Mya lo ridestò dai suoi pensieri, facendogli scattare la testa in alto. “Che c’è? – Domandò sbadigliando. – Scusa, è stata una nottataccia.”
“C’è... ecco, c’è qui tuo padre.”
Se fosse stato un personaggio dei cartoni animati, Nick era sicuro che in quel momento i suoi occhi sarebbero stati disegnati enormi, strabuzzanti per lo shock. La verità era che nemmeno per un secondo aveva creduto che l’uomo potesse venire così presto. Anzi, se doveva essere sincero, aveva creduto che suo padre non sarebbe proprio venuto, avendo abbandonato la nave non appena Brian si era rifiutato di aiutarlo.
Invece, eccolo lì.
“Sei sicura?”
“A meno che non sia un impostore.”
“E’ probabile. Siamo diventati famosi, lo sai?” Scherzò Nick, alzandosi dalla sua sedia.
“Lo speri.”
“Beh, è quello che tutti vogliono, no? I fantomatici quindici minuti di fama.”
“Che nell’arte valgono solamente quando muori. Non so te, Carter, ma io preferisco vivere.”
“Anch’io...” Incominciò a rispondere ma le sue parole si bloccarono a metà gola, esattamente come i suoi piedi si fermarono all’improvviso su un’unica piastrella. Lì, a pochi metri da lui, intento a guardarsi in giro spaesato e apparendo come un pesce fuori dall’acqua, c’era davvero suo padre.
“Nick?” Lo richiamò Mya.
“E’ lui. – Rispose Nick, dopo essersi schiarito la voce. – E’ proprio mio padre.”
Una mano si poggiò sul suo braccio, una stretta che sapeva di silenzioso supporto prima di scomparire.
Erano circondati da sconosciuti, bambini, ragazzini e vecchietti; eppure, Nick si sentiva come se in quell’enorme stanza ci fossero solamente loro due, che si fissavano come due duellanti nel far west. Fare il primo passo sembrava costare più di qualsiasi energia presente in loro, si studiavano, cercavano di capire quale fosse il miglior modo per incominciare una conversazione che per chiunque sembrava essere così facile.
E Nick, testardamente, non voleva fare il primo passo. Di sicuro Brian lo avrebbe rimproverato per quello, lo avrebbe spinto ad almeno accoglierlo, giusto per dargli uno spiraglio di speranza invece che chiudergli già subito la porta.
Dannato Brian, pensò fra sé e sé, solo perché ti amo che sto facendo ciò.
Perché fece esattamente ciò che il suo compagno gli avrebbe costretto a fare se fosse stato anche lui presente. Il piede destro si mosse in avanti, prontamente seguito da quello sinistro e in poco tempo solo qualche centimetro dividevano lui e suo padre.
“Non pensavo venissi così presto.”
“Avevo paura di perdere il coraggio.”
“E’ qualcosa che abbiamo in comune, allora. – Affermò Nick. – Ti va di fare un giro? Sempre che non ti diano fastidio i bambini. Il periodo natalizio coincide sempre con le gite scolastiche.”
“Ricordo quando anche tu pregavi tua madre di lasciarti andare nonostante ci fosse qualche evento che aveva programmato con così tanto anticipo.”
“Davvero?” Domandò Nick sorpreso che suo padre si ricordasse qualcosa di così superficiale. Lui, ovviamente, non se lo era dimenticato: come poteva farlo quando aveva sempre dovuto pregare e promettere di fare qualcosa pur di poter andare in un museo?
“Non mi sono mai comportato come un padre, vero?”
Nick vi rifletté sopra per qualche secondo mentre sorpassavano una coppietta intenta ad osservare uno dei quadri che avevano portato in Europa. “Dipende da che cosa intendi. Sono in salute, ho sempre avuto tutto ciò che desideravo e, anche se non eri dell’idea, mi hai permesso di seguire il mio sogno. Di giungere qui, a fare quello che ho sempre amato e poterci vivere di questo sogno. Molti direbbero che hai fatto il tuo lavoro.”
“Ma...”
“Ma avrei rinunciato a molto di tutto questo per un tuo cenno di approvazione. O per un tuo “ti voglio bene”.”
“Te ne voglio, Nickolas.”
“Lo so. O, meglio, credo che una parte di me lo sappia. E’ la stessa parte che sa che non sei bravo con i sentimenti. Fino a qualche tempo fa, anch’io ero come te. Avevo paura di mostrarmi com’ero e non sapevo come esprimere tutte le tempeste dentro di me.”
Si fermarono davanti a uno dei pochissimi quadri che Nick aveva disegnato e che erano stati scelti per essere esposti. Era una sezione di mostra molto particolare, dedicata ad artisti emergenti di cui le grandi collezioni non avrebbero mai sentito parlare e che si sarebbero perse nel dimenticatoio. Non aveva mai avuto intenzione di mostrare quel particolare quadro ma Mya lo aveva intravisto una sera che era stata a cena da loro e lo aveva pregato, scongiurato e chissà quali altre tattiche aveva usato pur di convincerlo. Solo un’altra persona lo aveva visto ed era la stessa che ne faceva parte, un indiscusso sole rosso che rappresentava quello che illuminava la sua vita ogni giorno.
“Invece no, Nickolas. L’arte, la pittura, quello è sempre stato il tuo modo di esprimerti. Guardo questo quadro e tutto ciò che posso dire è che Brian è stato davvero fortunato ad incontrarti.”
“Credimi, il più fortunato fra i due sono io. – Rispose Nick con un sorriso. – Brian mi ha insegnato molto. Soprattutto, mi ha aperto gli occhi su che cosa sia il vero amore, facendomi rendere conto che non avevo mai saputo che cosa fosse. Pensavo di saperlo ed ecco perché per tanto tempo ti ho odiato. Mamma era il tuo vero amore, altrimenti perché l’avresti sposata? Altrimenti, perché farci pure un figlio? E mentre tu andavi avanti con la tua vita, io ero testimone di quanto mamma ancora ne soffrisse, di quanto cercasse un tuo sostituto ma si ritrovasse sempre con il cuore a pezzi. E chi era che doveva raccoglierli? Io. Ed è stato in uno di quei momenti che mi ero deciso che l’amore non ne valeva la pena, portava solamente dolore e sogni spezzati senza nemmeno un minimo di risentimento.”
“Mi spiace, Nickolas. Se avessi potuto...”
“No, papà. Non importa. Ora so che non l’hai fatto apposta. Isabelle era la tua anima gemella, esattamente come Brian è la mia. E quando la incontri, quando incontri quella persona che è così speciale ma lo è solo per te, non puoi resistere. Non vuoi. Faresti qualsiasi cosa pur di stare con lei, supereresti qualsiasi ostacolo, anche le pugnalate più dolorose perché sai che non potrai mai essere così felice con nessun altro. – Poi, Nick si voltò verso il padre, guardandolo con occhi colmi di onestà. – Avrei voluto capirlo prima. Mi sarei risparmiato anni di odio e di dolore.”
Bill osservò suo figlio per qualche secondo. Sotto le luci a neon, il volto del ragazzo sembrava più chiaro di quanto lo fosse stato in tutti quegli anni, forse perché finalmente lui riusciva a leggervi sopra tutte le espressioni, i sentimenti e le emozioni che per tanto tempo erano rimasti a lui segreti. Inaccessibili. Era più maturo, suo figlio, non solo nei tratti del viso e in quelle nuove linee agli angoli degli occhi, anche se erano solamente accennate e scomparivano quando sorrideva. No, la maturità era palpabile nel modo con cui si poneva, in quella postura dritta e in quell’atteggiamento di chi aveva trovato il suo posto nel mondo e ne era dannatamente orgoglioso. Fu ciò a farlo riflettere, ancor più di quanto non avesse già fatto in quei mesi: davanti a lui non c’era più suo figlio, quel bambino dalla zazzera bionda che andava ovunque con la sua matita e il suo blocco per disegnare, ma un uomo che stava incominciando a realizzarsi nel lavoro che aveva sempre sognato, avendo al fianco una persona che non solo lo supportava in ogni decisione ma anche in grado di saperlo consigliare e di mostrargli dove stesse sbagliando.
Non era questo ciò che ogni padre sperava e desiderava per un figlio? Che cosa importava se non era nel lavoro che lui aveva sempre desiderato per Nickolas, non importava se amava una persona del suo stesso sesso. La cosa più importante era che Nickolas era felice, veramente felice, e appagato.
“Hai ragione, hai sempre avuto ragione. Per molto tempo, ho davvero creduto che tu mi avessi deluso. Avevo tanti progetti per te, eri il mio unico figlio e avrei voluto vederti seguire le mie orme. Ti immaginavo già seduto alla mia scrivania, una moglie al fianco e dei nipotini. E quando mi sono accorto che ciò non sarebbe successo, mi sono sentito...”
“Deluso?”
“In parte. Volevo sempre il meglio per te, anche se non era nella direzione che avrei preferito ma... Ma avevo paura per te. Fare l’artista non è un lavoro che ti permette di sopravvivere, specie in una città come New York. E per quanto io non abbia mai avuto problemi con le tue preferenze sessuali, mi rendo conto che il mondo non è pieno di gente come me ma l’opposto. Ma non sapevo come dirtelo senza passare per il padre omofobo che vorrebbe costringere suo figlio a cambiare. Così, ho lasciato correre. Non dire niente sembrava una soluzione migliore che dire qualcosa di sbagliato e rovinare quel poco di relazione che avevamo. Almeno, mi rimaneva la flebile speranza di poter sempre rimettere insieme i pezzi un giorno.”
“Che cosa è cambiato, allora?” Domandò Nick. Nel suo tono non vi era nessun’accusa ma solo il desiderio di capire il perché di quell’incontro.
“Tua madre mi ha detto di questo lavoro e del fatto che eri andato in Europa. E lì mi sono reso conto di quanto ci eravamo allontanati. Mi ero così distanziato da non poterti nemmeno chiamare e farti i miei complimenti o dirti quanto fossi orgoglioso di te. Non potevo nemmeno vantarmi dei tuoi successi con i miei colleghi perché non avrei saputo rispondere a domande più specifiche oltre al sì, lavora in un museo.” Terminato di parlare, Bill si voltò verso Nick e si sorprese nel vederlo con gli occhi sgranati, quasi incredulo o come se non potesse credere alle sue parole.
“Sei... sei orgoglioso di me? Sul serio?”
“Sì.” Bill rispose con la più semplice delle risposte.
“Non... Non sai quanto significhi per me, papà.” Riuscì Nick solamente a mormorare, visto il groviglio di emozioni che si era formato proprio lì, in gola, e che gli faceva pizzicare gli occhi, ormai colmi di lacrime. Brian aveva ragione: sentirsi dire quella parola da suo padre era totalmente differente anche se ugualmente importante. Perché, anche se ad alta voce avrebbe sempre ammesso il contrario, aveva sempre desiderato e ricercato quell’approvazione che era sempre sembrata impossibile da raggiungere, non con quei traguardi che si era prefissato. Averla era qualcosa che gli rendeva il petto gonfio di orgoglio, anni e anni di sacrifici cancellati via da una misera seppur brillante moneta.
“Credo di saperlo.” Rispose Bill.
L’abbraccio che seguì fu strano, almeno da parte sua non essendo abituato a quel tipo di gesti di dimostrazione d’affetto e, per qualche secondo, rimase completamente immobile mentre le braccia di Nick si cingevano attorno al suo collo e qualcosa di bagnato si appoggiava sulla sua spalla. Lacrime. Furono loro a togliere il coperchio di quel gelato vaso in cui aveva rinchiuso tutte le sue emozioni di padre, facendogli ricambiare l’abbraccio e stringendo più forte che poteva, cercando nel contempo di far passare tutte quelle parole che a malapena era riuscito a pronunciare in tutti quegli anni di vita di Nick.
Quando si staccarono, Nick si asciugò velocemente gli occhi, anche se rimasero ancora un po’ gonfi. “Santo cielo, Mya non mi farà dimenticare questa scena per secoli e secoli avvenire.” Scherzò, rompendo quel poco confortevole silenzio.
“Oh, meno male che non c’è Isabelle. – Replicò Bill con lo stesso tono scherzoso del figlio. – In questo periodo è fissata con la fotografia, ci avrebbe fatto di sicuro mille foto per testimoniare questo momento.”
“Fotografa? Davvero?”
“E’ anche brava.”
“Mi piacerebbe vedere qualche foto.”
“Tu e Brian potreste venire a cena. Per la vigilia, magari.”
“E’ un’ottima idea. Lo chiedo a Brian e poi ti faccio sapere.”
“Bene, Isabelle impazzirà dalla gioia.”
“Anche Brian. Ma credo che tu abbia già capito che è stato lui a spingermi. – Commentò Nick mentre entrambi riprendevano a camminare verso la fine del museo. Attraversarono il piccolo cortile, ora completamente innevato, ed entrarono nella seconda ala dell’edificio. – Lo ha sempre fatto, anche quando avevamo appena incominciato a stare insieme. Mi spronava ad ogni esame, una volta organizzò persino un appuntamento proprio qui, in questo museo, per farmi ripassare per un esame. Senza saperlo, è stato lui a spingermi a propormi per lo stage. Se non mi avesse portato qui, non avrei mai saputo che stavano cercando stagisti e senza la sua fiducia innata in me, non l’avrei nemmeno fatto. Per paura, principalmente. Era la mia ultima possibilità, se avessi fallito allora avrei dovuto darti ragione sul fatto che l’arte non sarebbe mai stata la mia reale occupazione. Ma con Brian? Nemmeno un rifiuto mi avrebbe scalfito perché sapevo che in lui non avrei trovato un giudice o qualcuno che mi avrebbe detto “visto? Te l’ho detto che avresti fallito!” Sapevo che, se anche non avrei ottenuto il posto, ce ne sarebbe stato un altro e che avrei avuto comunque il suo appoggio.”
“Sei davvero diventato un uomo, Nickolas.”
Nick non poté fare altro che annuire e non ritenne necessario aggiungere che, se lo era diventato, era stato merito di Brian. Era implicito e sapeva che suo padre avrebbe compreso quell’implicito, perché anche lui stesso lo aveva vissuto e continuava a viverlo.
E mentre osservava suo padre guardarsi in giro con ammirazione, Nick si lasciò andare a quel sentimento di totale felicità che incominciava a pervadere ogni piccola parte del suo essere.
Quell’anno Natale sarebbe stato davvero speciale e già, in piccola parte, lo era.

 

 

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Quella sera fu Nick a rincasare più tardi del solito. Dopo aver terminato il giro al museo, infatti, lui e suo padre avevano deciso di andare a cena insieme e, nonostante lo avesse avvertito tramite messaggio, Brian non era riuscito a raggiungerli. O, forse, non aveva voluto, lasciandoli gustare un meritato momento dedicato solamente a loro e a ritrovare tutte le estremità del loro rapporto per incominciare a legarli di nuovo insieme.
L’appartamento era stranamente avvolto nel silenzio e nell’oscurità. Persino l’albero di Natale era già stato spento o, forse, Brian nemmeno l’aveva acceso quando era tornato. Nell’aria c’era un delizioso profumino di biscotti appena fatti e Nick lo seguì fino alla cucina: sul tavolo, un piatto stracolmo di stelle bianche si stava lentamente raffreddando. Nick ne prese in mano uno e mangiucchiandolo si diresse verso la camera da letto. Sì, erano decisamente deliziosi quei biscotti.
Anche la stanza sonnecchiava nell’oscurità, salvo per quel raggio di luce che entrava dalla finestra e che si posizionava sempre sul centro del letto, stagliando nell’ombra la figura di Brian. Sembrava essersi già addormentato, il piumino avvolto attorno al corpo e la testa nascosta fra il lenzuolo ed il cuscino così, facendo attenzione a non far rumore, Nick andò in bagno per cambiarsi velocemente e indossare il pigiama. Quando ritornò in camera, continuò a cercare di non fare rumore mentre sistemava i vestiti sull’appendiabiti, pronti per la mattina seguente.
“Che ore sono?” Bofonchiò una voce sonnolenta dietro di lui.
Nick sospirò, recuperò un paio di calze dal cassetto e poi si voltò, gli angoli della bocca curvati in un sorriso non appena i suoi occhi si posarono sul viso ancora mezza addormentata di Brian. “Quasi le undici. Ti ho svegliato?”
“Non stavo davvero dormendo. - Rispose Brian, allungandosi e stiracchiandosi. – Bentornato.”
Nick annullò la distanza fra di loro, infilandosi velocemente sotto le coperte. Brian si accoccolò immediatamente attorno a lui, la testa che trovò la sua naturale posizione sulla spalla di Nick.
“A che ora sei tornato?” Domandò Nick dopo aver lasciato un veloce bacio sulla fronte di Brian.
“Blaine mi ha cacciato a casa verso le otto. Te ne rendi conto?”
“Che cosa avevi combinato?”
“Niente. – Rispose imbronciato Brian. – Anzi, ero tornato per dare una mano perché oggi abbiamo avuto un sacco di gente.”
“Sei tornato dopo le prove?” Domandò Nick, lo sguardo accigliato e l’inizio di una predica pronto sulla lingua.
“Sì, tanto tu non saresti tornato per cena.”
“Bri...”
“Che c’è? Volevo rendermi utile!”
“Oh, posso immaginare quanto tu potessi renderti utile essendo mezzo esausto.”
“E con il mal di testa.”
“Pure!”
“Oggi i bambini avevano il volume al massimo. Continuavano ad urlare e gridare.”
“Sentono l’ansia per il gran giorno.”
“La sentono anche un po’ troppo.”
“Ah, giusto. Ho invitato anche mio padre al concerto di domani. Non ti dispiace vero? Ho pensato che così potevo presentarvi come si deve.”
“Hai fatto bene. – Lo rassicurò Brian. – Deduco che l’incontro sia andato bene.”
Nick annuì, aumentando la stretta del suo abbraccio. “Ha superato ogni mia aspettativa. Ancora non riesco a crederci di aver trascorso un intero giorno con mio padre e di esserne addirittura felice.”
“E io sono felice per te.”
“Non sarebbe mai successo senza di te. Non solo perché tu hai fatto da tramite e mi hai letteralmente spinto...”
“Io non ho proprio spinto nessuno.” Obiettò Brian, irrigidendosi in quell’abbraccio.
“Ehi, no, aspetta. Non intendevo in quel senso. – Nick si affrettò a spiegare. Sentì parte della tensione sciogliersi via. – La decisione finale è stata mia, oggi potevo tranquillamente rifiutarmi di vederlo o di farlo parlare. E, lo ammetto, per qualche secondo ne sono anche stato tentato. Ma avevi ragione: in qualunque modo sarebbe potuto terminare, avevo bisogno di questo confronto. Anche solo per sapere per quale motivo papà era scomparso letteralmente dalla mia vita. E, alla fine, la conclusione è stata che siamo davvero uguali. O che, almeno, condividiamo buona parte dei geni. Anche lui aveva paura di un rifiuto, lo stesso motivo per cui nemmeno io alzavo il telefono per chiamarlo.”
“Chiunque sarebbe orgoglioso di te, Nick.”
“E infatti anche lui lo era. No, scusa. Lo è. Non mi sono mai sentito così felice. Sentirgli dire quella semplice parola ha cancellato tutti quegli anni di dubbi, di risentimento e di rancore.”
“Forse ha sbagliato nel modo ma sono sicuro che voleva semplicemente il meglio per te. Voleva proteggerti da una società che ancora non sa bene come comportarsi con chi reputa diverso. Anche se noi non lo siamo. Siamo come tutti gli altri perché l’amore non fa distinzioni di sorta.”
Nick abbassò semplicemente il volto, in modo da sfiorare con le labbra la punta del naso di Brian. “Ed ecco perché ti amo. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per non avermi fatto sfuggire questa occasione.”
Brian appoggiò il gomito sul materasso, usandolo per poter alzare il viso in modo da osservare Nick direttamente gli occhi. L’altra mano si appoggiò sul petto, le dita che accarezzarono in dolci cerchi la pelle sotto la maglietta.
“Non mi devi ringraziare, Nicky. - Rispose. – E’ questo che fanno i partner. Si aiutano l’uno con l’altro e cercano di rendere felice l’altro, anche quando sembra impossibile rimettere insieme i pezzi.”
Nick sentì una punta di tristezza avvolgerlo. Oh, quelle parole racchiudevano una verità ineccepibile, un fondo che non poteva né voleva negare ma era anche accompagnato dalla triste consapevolezza che lui non avrebbe mai potuto fare ciò Brian aveva fatto per lui. Quell’unica famiglia che Brian aveva sempre conosciuto e di cui aveva ancora disperatamente bisogno era anche l’unica cosa che non poteva riportare indietro, a meno che facesse un patto con il diavolo o si improvvisasse mago o stregone.
“Ti amo.” Riuscì solo a mormorare, la voce rotta da un’emozione che ancora, nonostante l’anno e passa già trascorso di relazione, non riusciva a descrivere: era avvolgente, risucchiava qualsiasi parola e le scambiava con una sensazione di calore quasi incandescente. Era passione, quella ancora non era scemata, ma non solo. Era anche una totale devozione, era la consapevolezza che fintanto avesse avuto respiro, ogni suo battito avrebbe avuto il ritmo di quell’unico nome; era una sicurezza, una protezione, tutto ciò di cui la sua anima e il suo cuore aveva bisogno.
“Anch’io.” Rispose Brian prima di sporgersi in avanti e racchiudere quella promessa in un bacio, il palmo della mano che, carezza dopo carezza, era risalito fino a racchiudersi attorno alla guancia di Nick, la punta del pollice così vicina ed intima all’angolo di quella bocca che stava rispondendo a quella parola silenziata.
Si allontanarono poco dopo, non erano più quei primi baci che sembravano soffiare via tutta l’aria che possedevano o quelli così appassionati che venivano scambiati quando solo il linguaggio dei loro corpi aveva unica ragione d’essere. Brian strofinò la punta del naso contro quella di Nick, lasciando un secondo bacio, più veloce, solo un tocco. “Sai di biscotti.” Affermò Brian con un tono cantileno.
“Potrei aver assaggiato uno di quelle meravigliose e deliziose stelle che hai lasciato in cucina. – Rispose Nick, strofinando di risposta il naso contro quello del ragazzo. – Ora capisco perché avevate il pienone.”
“In realtà, questi li ho preparati qui a casa.”
“Come mai?”
“Ci deve essere un motivo?”
“Ah! Li hai preparati per me!”
“Anche.”
“Come anche?”
“Ero... – Brian si fermò per qualche secondo, ritornando alla posizione di prima. Nick intuii che quel qualcosa riguardava il passato e quella famiglia che proprio a Natale faceva sentire ancor di più la sua assenza. Così, scivolò di qualche centimetro in modo da essere quasi completamente sdraiato e ricingendo i fianchi di Brian con un braccio. – Quando ero piccolo, non avevamo molti soldi. Quasi tutti i risparmi erano stati usati per comprare la caffetteria e quest’appartamento e il resto serviva per me. Così, a Natale, mamma non comprava mai tantissimi addobbi, preferendo usare i soldi per farmi i regali. Di sera, quando tornava dal locale e io avevo finito i compiti, ci mettevamo in cucina e facevamo i biscotti, usandoli poi come decorazioni per l’albero. E’ così che ho imparato a cucinare. Non so, stasera mi è venuta voglia di rifarli, forse perché Natale è sempre un po’ così, è più duro ricordarsi che lei non ci sia più.”
“Se vuoi, possiamo farli ogni sera. Insieme. Così mi insegni.”
“Davvero? Lo... faresti davvero?”
“Perché no? Brian, so che non potrò mai riportartela indietro ma, se proprio è tutto ciò che posso fare, posso aiutarti a mantenere in vita il suo ricordo.”
Fu il turno di Brian di sentirsi come se un potente vortice avesse risucchiato via la sua voce mentre dei pizzichi, ricolmi di calde lacrime, rendevano più lucidi gli occhi. Nascose il viso nell’incavo fra spalla e collo, soffiando fuori quella commozione che una semplice frase era riuscita a far bollir e poi risalire fino a giungere al limite delle sue difese, mura accessibili solamente a Nick e a nessun altro.
“Grazie.”
Nick non rispose, non ce n’era bisogno e mai ce ne sarebbe stato per quelle situazioni. Appoggiò semplicemente il mento sul capo di Brian mentre l’altro braccio andava a ricongiungersi con l’altro, allacciando il corpo del ragazzo nel più intimo e stretto degli abbracci.
“Di che cosa avete parlato? Tu e tuo padre, intendo.” Il sussurrò riecheggiò come se Brian avesse parlato ad alta voce, anche se Nick avrebbe potuto indovinare ciò che gli aveva detto con il semplice e lieve movimento delle sue labbra a contatto con la sua spalla.
“Non molto. Mi ha lasciato parlare per la maggior parte del tempo. Mi ha chiesto molto sull’Europa, lasciandomi blaterare per ore e ore senza sembrare annoiato o altro. – Rispose Nick, ancora sorpreso di quella giornata. – Mi ha domandato quale sia la città di cui sento più la mancanza, quella in cui ci tornerei in un battito di ciglia.”
“E tu che cosa hai risposto?”
“Parigi. Ho amato ogni città ma Parigi aveva qualcosa di speciale. Forse era l’atmosfera, quell’aura bohemien che ancora si respira, soprattutto nel quartiere di Montmartre.”
“Il tuo spirito di pittore è rinato.”
“In un certo senso. Ero riuscito a ritagliarmi una o due orette al pomeriggio, durante le quali prendevo e andavo a passeggiare sulle rive della Senna. Sceglievo sempre piccoli angoli, in modo da poter essere sempre da solo e avere la tranquillità di osservare senza farmi notare. Il mio preferito era ai piedi di uno dei tanti ponti e da cui c’era una splendida vista della Torre Eiffel. Sceglievo sempre il momento del tramonto, quando il cielo si dipingeva di quella particolare tonalità che non riesco mai a definire, spruzzi di arancione, rosso, rosa fino al violetto e poi al blu. E immaginavo noi due camminare su quell’erba, mano nella mano, senza nessun’altra preoccupazione al mondo se non quella di come trascorrere la serata. Ho disegnato molto, ho disegnato noi, ho cercato di ricreare quel tuo particolare sorriso.”
“Quale?” Domandò Brian curioso.
“E’ il sorriso che hai sempre quando mi osservi e pensi che io non me ne accorga. E’ il sorriso di chi sa di essere fortunato per aver trovato qualcosa di così raro e unico che non puoi fare altro che custodirlo gelosamente. E, per me, è il sorriso più bello che ci sia.”
“Oh, ora capisco. – Rispose Brian, rialzando di poco il viso. Le sue labbra si appoggiarono sull’angolo destro della bocca di Nick. – E’ il tuo stesso sorriso di quando mi guardi come se fossi la cosa più bella che ti sia capitata nella vita.”
Nick spostò il viso di qualche millimetro, giusti quelli sufficienti affinché le sue labbra poterono appoggiarsi su quelle di Brian. “Lo sei.”
“Anche tu, Nick. – Asserì Brian. – Sei l’unica cosa bella che mi sia capitata negli ultimi anni, quando ormai mi ero rassegnato a dover trascorrere i Natali da solo, sei arrivato tu e mi hai fatto ricredere. Mi hai ridato speranza. Prima... prima di te, sopravvivevo.”
“Anche tu, Brian. Anche tu mi hai fatto ricredere sull’amore e sulla famiglia.”
“Ci siamo salvati, no? Eravamo incompleti, rovinati dalla vita e poche persone riuscivano a vedere oltre le nostre cicatrici. Invece, per noi, sono state proprio quelle a renderci così perfettamente l’uno l’anima gemella dell’altro.”
“Sì, lo siamo.”
Non ci fu bisogno di aggiungere altre parole e lasciarono al silenzio il potere di assorbire ogni loro pensiero e trasmetterlo all’altro, appagati solo di addormentarsi al ritmo del battito dei loro cuori.
Fu Brian il primo a scivolare via fra le braccia di Morfeo e Nick rimase ad osservarlo per qualche tempo, senza nemmeno rendersi conto di quanto velocemente le lancette dell’orologio battevano via la notte. Era esausto, era stanco ma più di tutto vinceva quel senso di totale appagamento, come se finalmente ogni pezzo di quel quadro astratto che era la sua vita si fosse finalmente accorto del suo posto e lo avesse conquistato. Natale era un periodo un po’ strano, totalmente differente da tutte le altre festività; era il momento in cui uno incominciava a riguardarsi alle spalle, a fare un bilancio di tutto ciò che era successo nei mesi precedenti e decidere se quell’anno era stato buono o semplicemente da gettare via, aumentando la speranza che quello successivo potesse essere migliore. Era quello che era successo a lui l’anno precedente: oh, era stato unico per il solo e mero fatto di aver incontrato Brian ma quell’ultimo mese di dicembre aveva racchiuso fin troppa sofferenza e dolore per poter definirlo come il miglior anno. Così, quando la mezzanotte era scoccata, s’era promesso che quello successivo sarebbe stato diverso. Migliore. E non solo per quel viaggio in Europa che significava così tanto per entrambi, sia per lui che per Brian. Voleva che fosse migliore soprattutto per loro due, anche se i primi sei mesi sarebbero stati un’agonia.
E c’erano riusciti. In un modo che ancora stentava a crederci, erano riusciti non solo a superare quei chilometri e chilometri di distanza ma ne erano usciti ancora più forti, ancora più sicuri di ciò che li legava e di ciò su cui avrebbero sempre fatto affidamento.
E ora si ritrovava ad amare Brian ancora di più, come se questo fosse anche stato possibile.
Quella giornata gli aveva fatto realizzare alcune verità che prima non aveva ancora potuto comprendere. Per anni, aveva maledetto quelle due famiglie che si era ritrovato ad avere. Non le aveva chiesto, non le voleva nemmeno, eppure aveva dovuto ingoiare il boccone amaro e farselo piacere. Ora, invece, mentre stringeva fra le braccia Brian e lui rimaneva stretto a lui come se avesse paura di perderlo, Nick riusciva a vedere quella strana situazione come un regalo raro. Aveva due famiglia, tre persone che lo amavano e che volevano e desideravano solamente il meglio per lui. Soprattutto, aveva avuto un padre che, indirettamente e molto probabilmente inconsciamente, lo aveva spronato a dare sempre il meglio di se stesso, continuare a dimostrare non solo il proprio valore ma anche quello dei suoi sogni e a renderli possibili. Ne aveva risentito, troppo spesso si era sentito schiacciato da quel peso, ma dove lo aveva portato? In quel luogo, in quel letto fra le braccia di una persona così eccezionale che a volte stentava a credere che, fra tutti, avesse deciso di amare proprio lui; aveva trovato il suo posto all’interno del mondo, un lavoro che lo stressava, soprattutto quando c’erano di mezzo bambini urlanti, ma che amava con ogni sua fibra e che gli permetteva di esprimersi nell’unico vero modo che conoscesse.
Non poteva chiedere nient’altro dalla vita.
O, forse, una cosa c’era ma non era per lui. Ma per Brian.
Uno dei motivi che lo aveva spinto a cercare una soluzione con suo padre aveva anche, no, soprattutto, a che fare con il suo compagno. Forse era stata un’idea sciocca, forse era stata puntellata da quegli ideali romantici di troppi libri letti e fantasticato nell’adolescenza, ma forse non era nemmeno così campata in aria.
Perché, oltre a lui, Brian non aveva nessun’altro.
Certo, c’erano gli amici e quei pochi che Brian aveva non sarebbero scomparsi nell’aria alle prime avvisagli di intemperie. Ma presto anche loro avrebbero intrapreso le loro strade, avrebbero conosciuto altre persone e incominciato una famiglia tutta loro e Nick non voleva pensare a che cosa sarebbe successo a Brian nel malaugurato caso che lui non potesse più essere al suo fianco. In quel caso, in quel maledetto e già fin troppo agognante caso, voleva che Brian avesse una famiglia che lo avvolgesse fino a farlo sentire nuovamente normale. Non voleva più lasciarlo totalmente da solo.
Ecco perché, quel Natale, voleva regalargli una famiglia.
E fu con quell’ultimo desiderio che si addormentò, il viso avvolto nei riccioli di Brian mentre la luna, scompigliata dai fiocchi di neve, vegliava sui loro sogni.

 

 

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Nick si rigirò nel letto. Ancora addormentato, allungò il braccio per stringersi attorno a Brian ma le sue dita incontrarono solamente il lenzuolo. Con i sensi ormai risvegliati, Nick tastò il materasso per averne assoluta certezza. Niente, la sua mano incontrò solamente una molla del materasso, il lenzuolo e si adagiò poi sul cuscino.
“Bri?” Bofonchiò con voce ancora impastata dal sonno mentre si alzava lentamente, appoggiandosi sul gomito e scacciando via gli ultimi granelli del dormiveglia dagli occhi con l’altra mano. La sua vista confermò la prima sensazione del tatto: il lato del letto solitamente occupato da Brian era vuoto, eccezion fatta il gomitolo di lenzuola e coperte gettate in fondo. Fu quello l’indizio che gli fece capire immediatamente che cosa avesse svegliato all’improvviso il suo compagno, considerato il fatto che raramente Brian si svegliava nel cuore della notte e dormiva sempre tutto arrotolato nelle coperte, creandosi quasi una tana attorno a lui.
Con un calcio, anche lui buttò le coperte verso il fondo del letto e si mise seduto sul bordo, passandosi una mano fra i capelli e sul viso mentre si lasciava sfuggire uno sbadiglio. La sveglia, sul comodino, lo informò con le sue lineette rosse che era ancora troppo presto per essere svegli, un’ora in cui la notte ancora stava sovrana con il suo manto nero e puntini argentati. Rabbrividì per qualche secondo, la temperatura della stanza nettamente più fredda rispetto a quando si erano addormentati; recuperata la felpa ancora sul pavimento, Nick la indossò e si alzò, andando come prima cosa ad alzare di qualche grado il riscaldamento. Poi, si mise alla ricerca di Brian.
Gli incubi non erano più frequenti come i primi mesi né rispetto al periodo in cui era stato in Europa; la fortuna, in quel caso, si era rivelata essere il fuso orario perché quando a New York era notte, lì da lui era ancora giorno e gli era più facile rispondere e calmare il compagno. Serviva solo quella, serviva solo la sua voce per rimettere nel cassetto le paure e le ansie che erano uscite dalle loro gabbie.
Però, ogni tanto ancora gli incubi tornavano e non c’era niente che Nick potesse fare per fermarli. Li aveva accettati, esattamente come lo aveva fatto Brian, ma almeno ora poteva essere lì fisicamente.
Nick trovò Brian in sala, seduto a gambe incrociate sul pavimento, una scatola marrone aperta davanti a lui e fogli sparsi attorno a lui. Appoggiandosi per qualche secondo allo stipite della porta, Nick aguzzò gli occhi per capire quale scatola fosse e lo comprese solo quando vide Brian recuperare da essa una lettera bianca, aprirla con delicatezza e incominciare a leggerla. Nel riflesso del vetro, vide un triste sorriso apparire sul volto di Brian, cancellando parte di quelle lacrime sfuggite via nel silenzio.
Era quella la scatola che conteneva tutti i ricordi della mamma di Brian, scatola che appariva ad ogni incubo per poi essere riposta via e dimenticata fino a quello successivo. Di tanto in tanto, Brian gli mostrava qualcosa, facendo tornare in vita quel ricordo con le parole, disegnando nell’aria scenari e immagini che avevano un sapore dolceamaro ma che erano anche una nuova chiave di lettura per quella persona che aveva scelto di amare.
Non si sarebbero mai conosciuti a fondo, non come in quel modo irrealistico che veniva descritto nei film che ogni tanto Brian ancora gli faceva subire; era un qualcosa che lo stesso Brian gli aveva detto, con quel tono di chi non si rende mai conto di pronunciare parole dal sapore saggio e maturo. Gli aveva rammentato che ci sarebbero sempre stati sfumature ancora rimaste all’oscuro, aneddoti da raccontare o tratti di carattere che ancora non erano usciti allo scoperto, semplicemente perché non ancora messi alla prova. E, in tutto quel buco nero che ancora dovevano scoprire, c’era quel presente insieme che li cambiava, modellava i loro comportamenti e li rendeva quasi come se fossero nuove persone. E, d’altronde, come poi aveva aggiunto con il suo sorriso, era proprio questo il bello di vivere insieme, svegliarsi e domandarsi che cosa avrebbero potuto imparare l’uno dall’altro e rimanere sorpresi ogni giorno.
Con pochi passi, Nick raggiunse Brian e si sedette dietro di lui, circondandolo con braccia e gambe.
“Ehi.” Mormorò in un orecchio, lambendo poi quello stesso centimetro di pelle con un bacio.
“Ehi. – Rispose Brian, lasciando per terra la lettera che aveva in mano e appoggiandosi contro il petto di Nick. – Ti ho svegliato?”
“Avevo freddo.”
“Scusa, ieri sera mi sono dimenticato di programmare il riscaldamento per la notte.”
“No, no. Aveva più a che fare con l’assenza di mille coperte vicino a me.”
“Scusa.” E poi Brian si voltò, strofinando il viso contro la guancia di Nick.
“Incubo?”
“Mh mh. – Annuì Brian. – E’ stata una lunga giornata.”
Nick non indugiò in domande, lasciando al compagno tutto il tempo e spazio necessario per riprendere i fili, metterli in ordine e poi mostrarglieli. Le dita, intrecciate assieme a quelle di Brian, incominciarono a disegnare e tracciare linee, curve e cerchi sullo stomaco del ragazzo, raggiungendo il doppio scopo di calmarlo e rilassarlo, oltre a provocare un brivido lungo la spina dorsale che poco aveva a che fare con il freddo.
“E’... oggi, al locale, è venuto un vecchio cliente. Si era trasferito sulla costa orientale ed erano anni che non tornava a New York. Non sapeva che mamma era morta quindi ho dovuto informarlo e... – L’intreccio delle dita si fece un filo più stretta. -... non pensavo che potesse essere ancora così difficile. Quando ne parlo a persone che non lo sanno, mi sembra di rivivere quel giorno.”
“Perché non mi hai chiamato?” Domandò Nick, una punta di accusa che aleggiava nella voce.
“Eri con tuo padre, non potevo rovinarti la giornata. E tanto sapevo che saremmo finiti qui quindi... non prendertela.”
“Non me la prendo.”
“Bugiardo.” Lo scherzò Brian, dandogli un buffetto con la spalla.
“Mi preoccupo, credo che sia perfettamente normale.”
“Lo è, lo è. – Lo rassicurò. – Sai, oltre a quello strato di dolore che ogni volta arriva e a cui non sono mai abituato, mi sorprendo sempre di quanto mia mamma era amata praticamente da tutti. Era davvero eccezionale e... sarà stupido, ma in qualche modo allieva un po’ la sua assenza.”
“Non è stupido. - Disse Nick, appoggiando il mento sulla spalla dopo aver lasciato un bacio. – Che cosa sono queste?” Domandò poi, indicando con un cenno del volto verso i fogli scritti da un’elegante calligrafia in nero.
Brian ne prese in mano una, accarezzando quelle lettere come se potesse ancor percepire qualcosa, anche il più piccolo profumo, di sua madre. “Sono delle lettere che lei scrisse a mio padre.”
“Oh.”
“Non le ho mai lette tutte, solo una ogni tanto. Da quello che ho capito, lui è partito per l’Europa prima che mamma scoprisse di aspettarmi. Ha continuato a scrivergli per mesi, raccontandogli della prima visita, di quando ha scoperto che aspettava un maschietto e che aveva deciso di chiamarlo Brian. L’ultima lettere è di quasi un anno dopo la sua partenza.”
“Non ci sono le risposte?”
“Non le ha mai risposto. Ecco perché dopo un anno ha smesso.”
“Bri...” Il nome sfuggì come un gemito, l’unico suono che Nick riuscì ad emettere perché non c’erano parole che potessero servire in quel momento. Non sapeva nemmeno come poteva commentare quella situazione, senza usare frasi di circostanza che Brian odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Così Nick scelse il silenzio, un mantello di conforto che avrebbe potuto parlare al suo posto ed essere molto più efficiente.
“I primi anni, mamma mi diceva sempre che mio padre era andato in Europa per cercare fortuna e che sarebbe tornato solamente quando avesse avuto soldi sufficiente per rendermi felice. Non le rispondevo mai che non mi interessavano giochi o altro, ero solo un bambino che voleva la sua famiglia al completo e che ogni notte desiderava poter avere un padre che gli insegnasse a giocare a calcio o andare in bicicletta. L’anno in cui feci l’angelo, feci anche questa. - Dalla scatola, Brian fece emergere una campanella. Era bianca, i glitter blu erano quasi tutti scomparsi salvo per qualche spruzzo qua e là. – Dissi a mia madre che era una campanella magica: funzionava solamente a Natale e aveva il poter di poter richiamare mio padre, ovunque lui si trovasse. Ogni anno, la tiravo fuori e la mettevo sul davanzale della mia finestra. Ogni anno, la facevo suonare la sera della Vigilia, qualche minuto prima di andare alla messa di mezzanotte. Speravo sempre che, una volta tornati, lui potesse essere sulla soglia ad aspettarmi. E, ogni anno, la mia risultava essere sempre un’illusione. Così smisi di farla suonare e smisi di domandare a mamma quando papà sarebbe tornato.”
“Deve essere stato brutto.” Mormorò Nick, non riuscendo bene a trovare una parola che potesse descrivere appieno quel senso di totale e completa delusione che, per un bambino di quell’età, doveva sembrare il più terribile dei mostri.
“Non quanto vedere mia madre rimanerci male non sapendo mai come rispondermi. Non ricordo bene quanti anni avevo ma mi ricordo di aver sentito una conversazione tra lei e una donna alla caffetteria e... non so, forse sarà stata una specie di epifania, ma smisi di lamentarmi ed avercela con il mondo per il fatto che non avevo un padre. Perché avevo una cosa molto più importante, avevo la madre più eccezionale e straordinaria al mondo e... sarà anche stata anormale, differente, ma ero orgoglioso della mia famiglia. Ero orgoglioso di lei. E quindi andava bene che non avessi un padre, magari c’era qualcuno in Europa che non aveva una madre come la mia ed era giusto che almeno avessero un padre.” L’ultima sillaba uscì in un sussulto mentre una goccia di lacrima si posava sull’indice di Nick. Con il suo medio, Nick la asciugò via, accarezzando in cerchi la pelle della mano. Avrebbe voluto dirgli di smettere, non importava che gli raccontasse qualcosa che lo stava facendo sentire così male, ma dal’altra parte sapeva che Brian aveva bisogno di quel momento, esattamente come lui la notte precedente aveva avuto bisogno di buttare fuori tutto ciò che aveva tenuto per sé su suo padre e la sua famiglia. Ed era questo uno dei segni più importanti di quanto era ormai profondo ed indissolubile il legame che li univa, il fatto che si fidassero l’uno dell’altro a tal punto da aprire quei vasi di Pandora a cui nessuno aveva avuto accesso e di farsi vedere in quelle condizioni, sentendosi così fragili, deboli e imbruttiti da quelle lacrime che gonfiavano gli occhi e arrossivano la pelle.
L’indice si spostò verso il basso, fermandosi sul polso. Tum tum. Il cuore batteva sotto la pelle e la punta del dito incominciò a picchettare allo stesso ritmo. “Non lo hai mai cercato?”
“A che scopo? Crescendo e tolta quell’innocenza infantile, capì che lui non sarebbe mai tornato né lo aveva mai voluto fare. Perché non aveva risposto alle lettere? Anche solo per dirle che non voleva più sentirla, anche solo per dirle di lasciarlo in pace. L’ho odiato per questo. L’ho odiato per tutte quelle notti in cui sentivo mamma piangere, per tutti quegli attimi in cui la sorprendevo ad osservarmi con uno sguardo triste, felice per me ma con quel desiderio di avere qualcuno al suo fianco per condividere ogni conquista e ogni vittoria. L’ho odiato perché mi ha spezzato il cuore anche senza vedermi o parlarmi ma, soprattutto, l’ho odiato perché ha spezzato quello di mia madre.”
Non era odio quello che Nick aveva colto nelle parole di Brian, l’odio non era un sentimento che ben combaciava con la sua anima. Era più risentimento, rancore e rabbia mischiati insieme alla paura del non sapere e di sapere e Nick, quell’emozione, era qualcosa che comprendeva più di qualsiasi altri.
E come Brian il giorno prima l’aveva aiutato a combatterla, ora la spada fendi paura era passata nelle sue mani e Nick aveva tutta l’intenzione di usarla. “Non è solo quello il motivo, lo sai bene.”
Un sospiro, Nick percepì l’alzarsi ed abbassarsi dello sterno di Brian sotto di lui. “Paura. – Rispose il ragazzo, allacciando la mano attorno a quelle dita che continuavano ad accarezzare il suo polso. – E se non mi volesse? Sapeva... sa che esisto, perché non mi ha mai cercato? E se... e se anche lo trovassi, nessuno mi garantirebbe di essere accettato con braccia aperte e un sorriso. Così, è meglio continuare con questa mezza verità, almeno non c’è da soffrire.”
“Non sei curioso? Almeno di sapere che faccia abbia, se hai preso qualche tratto da lui...”
“E se... – Nick sentì lo stesso tremore della voce percorrere le ossa e i muscoli. - ... E se fosse una cattiva persona? Se fosse un egoista, dedito solo ai soldi e a cui non importa nulla degli altri?” C’erano altri mille se che viaggiavano a tutta velocità nella sua mente: e se fosse stato un criminale? Un assassino?
Fu la voce di Nick a interrompere quel treno. “E se fosse invece una brava persona? Possiedi metà dei suoi geni, è impossibile che sia così un mostro come lo dipingi. Magari anche lui non sa come contattarti. Magari anche lui ha paura.”
Per qualche attimo, rimasero solo i loro respiri a riempire il silenzio. Nick, quasi inconsciamente, incominciò a cullare entrambi mentre Brian continuava a leggere quelle parole che non aveva mai avuto il coraggio di toccare con mano. Ma con il supporto di Nick, con quella forza che solo poteva nascere dal loro abbraccio, quelle lettere non sembravano più così minacciose. Erano semplicemente dei fogli bianchi, scritti, e con il potere di riportare in vita sua madre per qualche minuto. Non vi era dolore in ciò, non quando finalmente aveva qualcuno che lo ancorava nel presente e non lo lasciava in balia delle onde del passato.
Ad una ad una, le lettere finirono sul pavimento di fianco alle loro gambe.
Ad una ad una, Brian lesse le frasi e le parole ad alta voce, anche quando essa diventò un rantolio rauco.
Ad una ad una, Nick venne avvolto dalla presenza di quella persona che non aveva mai conosciuto ma a cui doveva così tanto, non solo per aver messo al mondo quella persona straordinaria che era Brian ma per essere riuscita a farlo diventare quella persona che lui stesso voleva diventare. In quelle frasi, in quei fogli a volte macchiati da lacrime ormai asciutte dagli anni, Nick imparò cose che, solitamente, i fidanzati conoscevano dalla stessa voce orgogliosa dei genitori: imparò che Brian era nato in una notte calda per essere febbraio, con la stessa tranquillità in cui era entrato a far parte della sua vita. Imparò che aveva fatto dannare sua madre i primi mesi di vita perché capace di addormentarsi solamente al suono di un vecchio carillon.
“Credi che sia orgogliosa di me?” Sussurrò Brian mentre continuava a fissare quei fogli con lo sguardo deluso di chi ormai sa che non c’era più niente di nuovo da scoprire su qualcuno ormai scomparso. Erano state le sue ultime parole e non ci sarebbero state altre parole da scoprire, altri racconti o sogni.
“Non solo lo credo. Ne sono certo.”
Furono quelle ultime parole a spezzare l’ultimo controllo rimasto. Non ci furono singhiozzi né respiri affannati alla ricerca di nascondere le lacrime. Brian semplicemente si voltò, nascondendo il viso nel pigiama di Nick e lasciò libere le lacrime, silenziose gocce d’acqua che lasciavano il loro sentiero sul tessuto.
E stringendo Brian più forte che poteva, accarezzando senza aggiungere stupide parole di conforto, Nick si ritrovò a cambiare il desiderio pronunciato nemmeno qualche ora precedente: voleva ancora dare una famiglia a Brian ma, più di prima, voleva provare a ridargli quella famiglia di cui aveva sempre avuto bisogno. Vi avrebbe provato ma avrebbe cercato di portare quell’uomo sconosciuto nella vita di Brian, anche solo per finalmente mettere a tacere quel silenzio che urlava più di centomila demoni.
Se lui era riuscito a riavere suo padre, perché lo stesso non poteva accadere a Brian?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Finalmente!

Mi scuso per il ritardo. Questo capitolo avevo intenzione di pubblicarlo per la Vigilia ma il tempo è stato tiranno. E poi amo questi due Brian e Nick e più scrivevo più mi venivano in mente dialoghi e scene. Insomma, la verità é che potrei scrivere per giorni e giorni di quest'universo senza mai stancarmi. 
Beh, non so se riesco a pubblicare l'ultimo capitolo per la fine del 2012. Al massimo, sarà un nuovo augurio per il nuovo anno, incominciare finendo una storia. ^__^
Buone feste!

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Capitolo 3
*** - Through the years we all will be together - ***


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Through the years we all will be together
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L’interno della chiesa era già decorato e abbellito per le celebrazioni natalizie della settimana successiva: stelle di Natale illuminavano l’altare, punti rossi su cui le luci della chiesa si specchiavano e si riflettevano poi attorno ad essa. Non era piena quella sera ma a Brian non importava poi più di tanto: ai bambini del coro l’unico pubblico che importava era quello formato dai genitori, dagli zii e dagli nonni che ora stavano affollando le panche di legno delle prime file.
Era una differente adrenalina quella che scorreva dentro le vene insieme al suo sangue, elettrizzando i nervi e facendoli scattare con rinnovata vitalità: era l’eccitazione di veder nascere, prendere forma e contenuto qualcosa che aveva progettato per giorni e giorni, un progetto per cui aveva cercato di preparare i bambini fino all’ultima nota. Era già soddisfatto di che cosa erano riusciti a creare in quelle poche settimane a disposizione e sapeva che niente, nemmeno la peggiore delle stonature, sarebbe riuscito a scalfire l’orgoglio che sentiva battere nel suo petto mentre osservava i bambini parlare fra loro tutti agitati, sì, ma anche oltremodo felici e contenti.
Tanti anni prima, anche lui era stato uno di quei bambini e il ricordo che più teneva caro nella sua memoria erano le sensazione che si provava una volta che ognuno avesse preso posto sui gradini e iniziato a cantare. Lì, in quel momento, non esistevano più differenze fra chi avesse più parenti fra il pubblico e chi meno. Esisteva solo quella magica e unica emozione di lasciarsi trasportare via dalla potenza di tutte quelle voci messe in insieme che regalavano un qualcosa di speciale, formavano un’armonia che era difficile da riprodurre se si scambiavano ruoli o strofe. E Brian ricordava come ci si sentiva quando tutti gli occhi venivano attratti su di lui, da quella voce avuta in regalo che sembrava sempre aleggiare un po’ più in alto degli altri, quasi come a rammentare a tutti quei ragazzini che lo avevano sempre preso in giro che sì, forse non aveva nessun altro all’infuori di sua madre ma quando incominciava a cantare non c’era nessuno che riusciva a resistere o ad abbassare lo sguardo verso il proprio figlio. E quei bambini, che ora lui aveva preparato per quello spettacolo, erano simili a lui: ognuno di loro aveva un motivo per sentirsi un disadattato, per sentirsi così fuori dall’acqua insieme ai propri compagni di scuola che era ancora un mistero come continuassero a sorridere in quel modo così naturale e vero che solo i bambini avevano.
Ed era quello che aveva cercato maggiormente di trasmetter loro. Non aveva solo semplificato note e accordi trasformandoli in punti preziosi che potevano farli diventare degli eroi speciali, non aveva solo spiegato loro perché si cantavano determinate canzoni e che cosa significavano.
No, aveva cercato di far loro capire che cantare non doveva diventare qualcosa per farsi belli davanti agli amici o per avere solamente successo con le ragazze ma un rifugio, un mondo dove potevano sentirsi liberi di mostrarsi per quello che erano ed andarne maledettamente orgogliosi.
Due braccia si strinsero attorno alla sua vita mentre il mento di Nick si posava sulla spalla. “Nervoso?” Sussurrò poi nell’orecchio.
“Non molto.”
“Non hai paura che possano sbagliare?”
“No. So che non mi deluderanno. – Rispose Brian, appoggiando le mani sopra quelle di Nick. – Non li ho spaventati, minacciandoli di chissà quale punizione se mai dovessero prendere una nota sbagliata. Se lo avessi fatto, probabilmente ora li vedresti tutti in un angolo terrorizzati a ripetere e ripetere. E sbaglierebbero perché più pensi a tutto quello che devi fare e più ci sono probabilità di cadere nel panico e sbagliare. Non funziona così con la musica. O, almeno, non con me. – Nick ridacchiò, accompagnando così il sorriso che si era formato sul volto di Brian. – Sanno che mi deluderanno se dovessero combinare qualche disastro e, visto che ho promesso loro la festa dopo al locale, non credo che faranno qualcosa per rovinarla.”
“Ci sai davvero fare con loro, lo sai?”
Brian scrollò le spalle, anche se quella consapevolezza aveva già provato a bussare alla sua porta un paio di volte. “Forse perché sono ancora un bambino come loro.”
“Su questo, posso sicuramente non obiettare.” Lo prese in giro Nick, terminando quella punta ironica con un bacio sulla pelle del collo.
Una tonalità di rosso incominciò a risalire dal collo fino al viso mentre Brian si voltava di scatto. “Nick!”
“Che c’è?” Domandò lui di ribatto, fingendo confusione.
Brian si guardò intorno, cercando di capire se qualcuno li avesse visti. Appurato che si erano salvati, rivoltò la sua attenzione verso il compagno, tirandogli un buffetto sul petto. “Siamo in una chiesa! Non... non si fanno certe cose!”
“Intendi questo?” Lo sfidò Nick, allungandosi e lasciandogli un bacio sull’angolo della bocca.
“Nick!” Lo riprese di nuovo Brian, spingendo Nick lontano dalle luci e dal centro dell’attenzione.
“Andiamo! Siamo già all’inferno perché stiamo insieme, qualche piccola smanceria in un luogo pubblico...”
“... e consacrato...” Aggiunse Brian, le braccia conserte che fissava Nick, lo sguardo accigliato di chi non credeva nemmeno a mezza virgola di ciò che l’altro stava dicendo.
“… e consacrato non peggiorerà di certo la nostra situazione.” Terminò Nick, sfoderando il miglior e il più grande sorriso possibile.
Brian continuò ad osservarlo senza muovere nemmeno il più piccolo muscolo del viso. Solo un sopracciglio si mosse, verso l’alto facendo immediatamente sospirare Nick. “Non vale come scusa, vero?”
“Decisamente no.”
Nick sospirò ancora, quella volta più melodrammaticamente. “Scusa.” Mormorò poi, a labbra serrate e sguardo abbassato, anche se gli occhi erano rivolti verso Brian con quella luce cucciola a cui il ragazzo non riusciva mai a dir di no. Con pochi passi, annullò quei pochi centimetri di distanza. Appoggiò una mano sul petto e l’altra sul braccio, mentre si sporgeva per essere più vicino al viso di Nick. “Potrai scusarti a casa. Da soli.” Pronunciò in un sussurro roco prima di riprendere il suo posto, mantenendo una certa distanza fra loro due.
Nick lo fissò per qualche secondo con lo sguardo attonito, prima che esso fosse sostituito da una fiamma ben differente. “Amo quando prendi quel tono.”
Un sorriso fintamente innocente disegnò le labbra di Brian. “Non ho idea di che cosa tu stia parlando.”
“Certo. Ovvio. Come no. – Acconsentì Nick, usando quello stesso sorriso. – Allora, canterai anche te?”
“Forse.”
La fronte di Nick si aggrottò in confusione. “Forse? Ma sulla scaletta c’è scritto il tuo nome e ho visto Blaine aggirarsi attorno a noi con uno sguardo abbastanza preoccupato.”
“Se lo faccio, non mi farò accompagnare da lui. – Rispose Brian mentre recuperava la sua chitarra. – Ma non so...”
Una mano si posò su quella di Brian, palmo sopra il dorso. “Che cosa ti blocca?” Gli domandò, cercando di non far trapelare la preoccupazione. Perché lo era, visto che mai prima di quel momento aveva visto il ragazzo rinunciare ad un’opportunità per cantare. O per lasciarsi scappare la possibilità di inventarsi qualcosa con Blaine.
“E’... – Brian si lasciò sfuggire un respiro, un soffio d’aria che sapeva di nostalgia e lacrime. Le dita incominciarono a giocare nervosamente con la chitarra che teneva in mano, picchettando le corde in una melanconica melodia. - ... l’ultima volta che ho cantato in questa chiesa, mamma c’era ancora. Pensavo di potercela fare ma... continuo a guardare verso le panche e mi aspetto di vederla apparire, tutta infreddolita perché, nella fretta di venire direttamente dalla caffetteria, si dimenticava sempre la sciarpa e i guanti. Non si sedeva mai in prima fila, qualche fila più indietro, e mi faceva solo un cenno anche se sapeva che l’avrei notata sempre e comunque.”
Per qualche secondo, Nick maledì il fatto che si trovassero in una chiesa perché tutto quello che voleva fare era abbracciarlo e scacciare via quelle lacrime, che ancora non erano scese, con l’unico modo che conosceva.
“Cantavo sempre quella canzone, era la sua preferita anche se non è la tipica canzone natalizia. Ma lei l’adorava e io volevo solo farla felice.”
“Quale canzone?”
““Mary did you know?” – Rispose Brian. – Non la canto da quell’anno.”
Nick azzardò ad avvicinarsi, ormai incurante di ciò che la gente potesse dire. Prese l’altra mano di Brian e la staccò dalle corde, facendogliela appoggiare per terra. Era come se il mondo attorno a loro si fosse messo in attesa, qualcosa che ormai Nick aveva preso l’abitudine di assaporare a pieni polmoni: i bambini ancora urlacchiavano, Blaine da qualche parte stava provando l’organo della chiesa e i primi parenti incominciavano ad affollare le prime panche, parlottando fra loro a voce alta. Nick non sentiva nulla, non percepiva la presenza di nessun altro se non quella di Brian e quel desiderio, ormai simile a un fuoco dalle fiamme così alte che chiunque avrebbe potuto notarle anche dall’altra parte della città, di cancellare quello sguardo così triste.
“Ehi, ti ricordi ciò che ti ho detto ieri notte?”
“Mi hai detto tante cose.”
“Ti ho promesso che avrei cercato di aiutarti a tenere vivo il suo ricordo. – Rispose Nick. – Allora, dove si sedeva solitamente?”
“Quinta fila ma Nick...”
“Sh...” Lo zittì Nick mentre tirava fuori il suo cellulare e incominciava a schiacciare i tasti.
“Che cosa stai facendo?”
“Niente. Vai a prepararti e ci vediamo a fine concerto.”
“Nick...”
“No, niente ma. Quando uscirai là fuori, guarda solamente fra il pubblico.”
Che cosa poté fare Brian se non sorridere e annuire?
E fu quello che fece, pronunciando a bassa voce parole di ringraziamento per chiunque avesse deciso di mandare Nick nella sua vita. Osservò il ragazzo mandargli un bacio e poi scomparire oltre il gruppo di bambini che si stavano riunendo davanti a lui, pronti a riempirlo di domande per gli ultimi accorgimenti. Ogni ansia e paura venne cancellata mentre tentava di rassicurare i piccoli attorno a lui e, senza nemmeno che potesse accorgersene, il concerto era già incominciato, il coro procedeva velocemente ed egregiamente saltando da una canzone all’altra suscitando sempre uno scroscio di applausi. Erano ormai al termine quando Brian salì sull’ultimo gradino in alto dell’altare, la sola chitarra ad accompagnarlo mentre incominciava a cantare il suo assolo. Per buona parte della prima metà, Brian tenne gli occhi chiusi mentre cantava quella canzone che non aveva mai dimenticato e che aveva canticchiato solamente in un sussurro, tanti Natali precedenti trascorsi solamente con la sua stessa anima come unica compagna. E, quando gli riaprì, si ritrovò a fissare uno sguardo che, anche se sorretto da occhi di colore differente, aveva sempre desiderato poter rivedere. Era un’espressione di orgoglio, un’emozione che sarebbe rimasta sul volto anche se avesse sbagliato una note o se avesse perso un battito. Era quello un orgoglio che poteva nascere solamente da una fonte di amore che non avrebbe mai visto la sua fine. Per qualche secondo, tutto ciò che Brian riuscì a fare fu continuare a fissare Nick come se lui fosse l’unica persona in quella chiesa e, in qualche modo, lo era. Solo quando Nick ricambiò il suo sorriso, mormorando a soffio di labbra quelle cinque parole riservate solo a lui, Brian si accorse delle due persone ai lati: a destra vi era Bill e, vicino a lui, le mani appoggiate una sull’altra, vi era una donna che non aveva mai visto ma che, molto probabilmente, doveva trattarsi di Isabelle. Nick non gliela aveva mai descritta e lui non aveva mai chiesto, immaginandosela come una donna altea, fredda esattamente come l’uomo che era entrato nel suo locale qualche giorno prima. Invece, la donna affianco del padre di Nick possedeva sì un’eleganza raffinata ma il suo viso, incorniciato da qualche ciuffo nero lasciato volontariamente fuori dalla crocchia dove tutti gli altri capelli erano raccolti, aveva un’espressione calda e rassicurante, quell’espressione che chiunque avrebbe collegato subito ad una persona affettuosa e non schiva dei suoi sentimenti. Entrambi, persone che lui non aveva conosciuto se non su racconti e immagini che la sua stessa mente aveva creato, lo stavano osservando con occhi colmi di orgoglio.
Il cuore gli si gonfiò in petto mentre quelle ondate di amore lo avvolgevano, trascinandolo al di sopra di quella tristezza che lo aveva tenuto sotto le sue scure acque fino a quel momento.
E mentre i suoi occhi tornavano a fissare Nick, per la prima volta Brian si sentì come se finalmente il suo desiderio fosse stato realizzato.
Aveva una famiglia.
E quella consapevolezza mitigava l’ormai sordo rimpianto di non averne più una tutta sua.

 

 

*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

 

 

Erano trascorsi anni dall’ultima volta che Nick aveva messo piede in quell’edificio. Da piccolo, lo aveva sempre messo in soggezione vista la sua imponente e massiccia facciata, uno di quegli edifici che si stagliavano nella loro differenza con quegli altri che lo circondavano, così moderni e costruiti d’acciaio. Il marrone ormai era diventato scuro, a causa dello smog, della pioggia e del vento ma, in giornate in cui il sole splendeva alto nel cielo, le sue finestre ancora creavano giochi di luce e riflessi che si posavano sulla strada e sul marciapiedi sotto di esso.
Al suo interno, niente sembrava essere cambiato: le piastrelle erano della stessa tonalità con la quale si era divertito da piccolo ad inventare personaggi e ambienti, un bianco e nero alternati come in un’immensa scacchiera; alle pareti, uno stuccato bianco, erano ancora appesi copie di capolavori mischiati fra loro senza senso ma seguendo solo la logica del nome e dell’importanza. Forse le piante erano cambiate, almeno così Nick si augurava e le poltrone della sala d’aspetto erano state decisamente rinnovate visto che non se le ricordava così comode e morbide. Di certo, una delle cose che non era cambiata era la segreteria di suo padre, quella stessa donna i cui capelli erano stati fili grigi già quando lui era un ragazzino. E, in tutti quegli anni, era evidente che non avesse ancora imparato a sorridere, nemmeno per errore.
Per fortuna, non era cambiato nemmeno ciò che aveva sempre amato di quel luogo, troppo austero e serio per lui: la magnifica ed enorme vetrata che si specchiava nel più bel quadro che lui avesse mai potuto vedere. Al di là dei suoi occhi, New York dormicchiava sotto la neve giacendo in quello che d’estate era un colpo di verde che metteva immediatamente gioia e che d’autunno rubava l’arancione, il rosso e il marrone ai migliori pennelli. Il cuore di Manhattan, il cuore di quella città protetto da grattacieli e dalla vita frenetica che, però, non azzardava mai a superare i cancelli di Central Park.
Pur sapendo che fosse impossibile, Nick cercò di individuare il suo appartamento fra tutti quegli edifici; dal lato destro, più o meno a metà, lì vi era il museo. Con piedi immaginari, seguì la strada che solitamente la metro faceva per riportarlo a casa, risalendo immaginari scalini e passeggiare fra quei marciapiedi che erano diventati anche la sua casa. Sorpassò il piccolo supermercato dove lui e Brian si fermavano sempre a fare la spesa per la settimana; il panettiere che li accoglieva la domenica mattina, quando si concedevano una brioche subito dopo aver salutato il vecchio signore dell’edicola, un buffo angolo sempre pieno di pittoreschi personaggi.
E, finalmente, ecco casa.
Non la poteva vedere, a meno che non avesse indossato dei super potenti occhiali o venisse dotato di un’inumana vista. Ma sapeva che era lì, l’edificio più basso del quartiere ma pur sempre contenente quattro piani. Poteva ricreare perfettamente la tranquillità di quella strada, i minuscoli giardini tenuti sempre in ordine dalla vedova che abitava al primo piano e che molto spesso chiedeva loro aiuto, il carretto di gelati che ogni tanto passava nei mesi estivi e che richiamava attorno a sé le orde di bambini, urla e grida che si potevano sentire fin sopra la terrazza dove Brian aveva creato un piccolo angolo di ombra.
E più in là, girando attorno all’isolato e attraversando tre incroci, ecco il luogo in tutto quello era nato. La caffetteria, con la sua vetrina perennemente scintillante perché Brian voleva che fosse pulita e splendente ogni giorno, anche se pioveva da settimane. E lì, in quel locale così prezioso ormai ad entrambi, la sera prima Nick aveva osservato con orgoglio e traboccante felicità come la sua famiglia, suo padre e Isabelle, avevano accettato Brian senza remora o obiezione. Non ne aveva mai dubitato, era impossibile odiare quello scricciolo di ragazzo, ma vederlo così a suo agio con quelle persone che non solo non conosceva ma di cui aveva avuto informazioni di parte... vederlo così era stata un’emozione che gli era rimasta in gola per tutta la serata.
Era stato in quel momento, mentre era intento a studiare quell’insolita coppia formata da Brian e la sua matrigna, che a Nick era nata l’idea che l’aveva spinto ad essere lì quel giorno. Perché in quel frammento di tempo, la sua mente aveva dipinto nell’aria un’altra scena, simile nell’ambientazione e nell’atmosfera ma con nuovi personaggi. Non vi era solo Brian che chiacchierava con Isabelle come se si conoscessero da anni, non vi era solo suo padre che tentava di distrarlo dai suoi pensieri parlandogli della casa che avevano acquistato fuori città. No, c’era un’altra figura anche se non riusciva a distinguerne i tratti. Ma assomigliava a Brian, aveva gli stessi riccioli biondo miele e quella mascella che li rendeva indiscutibilmente legati.
Ma non sapeva come rendere reale quella scena. Non sapeva come riportare o portare il padre di Brian nella sua vita. Aveva solo un nome ma, oltre a quello, un vecchio indirizzo londinese che non aveva più garanzie di essere quello giusto.
Il ricordo, anche se più era stata un’illuminazione, lo aveva svegliato quella mattina presto, così presto che Brian ancora stava dormendo accoccolato contro di lui e la sveglia non lo aveva ancora avvertito che era ora di andare al lavoro. Ed era proprio quello il centro del suo ricordo, uno dei tanti momenti che lui aveva passato svogliatamente all’ufficio di suo padre, seduto sul pavimento mentre l’uomo impartiva ordini per chiudere affari. Certo, a quei tempi lui era stato troppo piccolo per comprendere di che cosa effettivamente suo padre si occupava ma ora, forse, poteva tornargli utile. Perché solo con l’età aveva capito che cosa significasse il termine “acquisire società” e, per fare quello, suo padre e la sua azienda si fornivano delle informazioni che venivano date loro da quella che lui aveva sempre chiamato “i servizi segreti industriali”.
Se questi James Bond potevano scovare qualsiasi piccola informazioni su società che si trovava anche dall’altra parte del mondo, poteva di certo riuscire a scoprire che fine avesse fatto Ethan Jestfield.
Così, determinato nella sua decisione, Nick aveva chiamato al lavoro e informato che quel giorno sarebbe arrivato in ritardo e, non appena Brian era uscito di casa, era andato a recuperare le vecchie lettere di sua madre in modo da recuperare l’indirizzo.
Busta che ancora stava ben protetta all’interno della sua giacca. E la stava proprio tirando fuori quando suo padre apparve sulla porta, avendo finalmente terminato la riunione della prima mattina.
“Nickolas!”
L’abbraccio fu molto più veloce rispetto a quello di qualche giorno prima ma era sempre una novità, soprattutto la naturalezza con la quale era diventato il loro saluto quando a malapena si erano scambiati uno sguardo negli anni passati.
“Papà. – Lo salutò Nick, sedendosi di fronte alla scrivania. – Scusa se sono arrivato senza chiamare ma...”
“No, Nickolas. Sei mio figlio, non c’è bisogno che tu prenda un appuntamento come se fossi un cliente.”
“Oh, va bene... io... ecco, sono venuto qui per chiederti una cosa. Un... un favore.”
L’espressione del padre si fece seria, le linee agli angoli degli occhi divennero tesi. “Certo. Qualsiasi cosa.” Rispose mentre la mano destra si allungava per raggiungere il primo cassetto, lì dove teneva il blocchetto per gli assegni.
“No, papà. Non sono qui per chiederti dei soldi.” Aggiunse subito Nick. avendo intuito che cosa suo padre stesse per fare.
“Ah. Non ci sono problemi, anche se...”
“Papà, tranquillo. Se mai avessi bisogno anche di quelli, tu saresti il primo a saperlo. – Lo tranquillizzò Nick. – Si tratta del padre di Brian.”
Impercettibilmente, la confusione di Bill aumentò. “Isabelle mi ha informato che aveva abbandonato Brian e sua madre ancor prima che lui nascesse.”
“Sì, è così.”
“Lasciami indovinare: vuoi trovarlo?”
“Sì. Brian non lo farà mai. Esattamente come me, ha paura di essere rifiutato ancora. E questa volta di dover affrontare direttamente questo rifiuto mentre, per tutti questi anni, ha accettato la situazione perché era così che aveva sempre vissuto. Ma, anche se tenta di non pensarci, il dubbio è sempre lì. Ci sarà sempre una parte di lui che anelerà per sapere chi è suo padre, conoscere e sapere per quale motivo non si è mai fatto sentire e se gli è stato davvero così facile far finta che loro due non fossero mai esistiti.”
“E se fosse davvero così? – Obiettò Bill. – E’ molto nobile ciò che tu voglia fare e dimostra quanto tu sia innamorato di Brian. Ma hai tenuto conto del fatto che quell’uomo non voglia avere niente a che fare con lui?”
Oh, Nick vi aveva riflettuto e aveva preso in considerazione quella possibilità. E sapeva che aveva il cinquanta percento di realizzarsi ma poteva anche non accadere. E lui non voleva pensarci, altrimenti avrebbe desistito perché il pensiero di far soffrire Brian e sapere che in parte sarebbe stata colpa, era un deterrente troppo imponente e impertinente da non prendere in considerazione nell’equazione. Avrebbe rinunciato, ne era certo.
“Ma non è altrettanto giusto che Brian almeno lo sappia? E non ho intenzione di intromettermi, non voglio decidere per lui. Voglio fare ciò che lui ha fatto con me, dargli una possibilità. Ma da solo non si metterà mai a cercarlo e... ha già trascorso così tanto tempo da solo, non voglio che sprechi altri anni nell’incertezza. Ha il diritto di conoscere metà della sua eredità.”
“Brian non è solo. Ha te. E ha anche noi. Isabelle non ha intenzione di dimenticarsi di lui, manca poco che lo adotti.”
“No, per carità. – Nick scoppiò a ridere. – Non trasformiamo la nostra storia in qualcosa di torbido stile Beautiful! So che ci sarete e mi rende al settimo cielo sapere, mi fa sentire più tranquillo sapere che Brian avrà una rete di supporto se mai dovesse succedere qualcosa. Ma...”
“Ma...”
“Non è la stessa cosa. Per quanto potrà amare Isabelle come se fosse una madre, non sarà mai la sua. E, insieme, ci sarà sempre il vuoto per non avere un proprio rifugio, lo stesso che io ora ho a disposizione grazie a lui.”
Una lieve aura di silenzio cadde fra padre e figlio, adornata da sprazzi di orgoglio paterno nel constatare, ancora una volta, la maturità di quel ragazzo che era cresciuto lontano dai suoi occhi ed era tornato in versione adulta.
“Papà, se quell’uomo dovesse risultare essere uno stronzo bastardo che non vuole nemmeno parlare con Brian, sì, farà male. Farà maledettamente male ma, almeno, saprà la verità. E potrà finalmente liberarsi del passato. E io sarò lì, passo dopo passo, fin quando quella cicatrice scomparirà. – Non c’era bisogno di esplicare la rabbia che ribolliva nelle vene di Nick anche solo pensando a quanto sarebbe stato devastato Brian da quella conclusione. E odiava, oh, odiava quell’uomo che aveva quel potere senza nemmeno, ancora potergli dare un viso. E lo odiava anche per il fatto che avrebbe potuto rendere ancor più felice Brian, più di quanto lui avrebbe potuto aspirare. – Ma guarda noi, papà. Voglio che anche Brian abbia questo.”
“Non sarà facile.”
“Per i tuoi James Bond non dovrebbe essere così difficile.”
“Hai almeno qualcosa?”
Nick annuì, recuperando la lettera che aveva tenuto in tasca. “La madre di Brian ha scritto per un anno a suo padre. Una delle ultime, è stata rimandata indietro. A quei tempi, si trovava in un appartamento di Londra. Ho provato a cercare su internet ma non ho avuto molta fortuna.”
Bill prese il foglio che Nick appoggiò sul tavolo, leggendo il nome e l’indirizzo. “Ti farò sapere. Se è ancora vivo, dovrebbero essere in grado di trovare qualsiasi informazione su di lui. Anche quale sia la sua marca di gelato preferita.”
“Potrebbe sempre tornare utile.” Rispose con una battuta Nick, sentendosi in qualche modo sollevato che suo padre avesse accettato di aiutarlo. Per i successivi minuti, si ritrovarono a parlare di molto altro, con Nick che volle sapere se molte delle persone che aveva conosciuto da piccolo lavorassero ancora lì e gossip e chiacchiere vennero mischiate insieme in un pot-pourri di ricordi e nuove conoscenze.
Al momento dei saluti, scambiati di fronte all’ascensore, Bill non poté non esporre l’unico dubbio che ancora non era stato esplicato.
“Nickolas, che cosa farai quando ti darò tutti i dettagli di quell’uomo?”
“Semplice. – Rispose Nick con un sorriso di convinzione e apparentemente privo di ansia o timore. – Li passerò a Brian e sarà lui a decidere.”
Detto così, sembrava facile.
Ma Nick aveva ormai abbandonato l’illusione che qualsiasi cosa nella vita potesse essere semplice: anche la più piccola e all’apparenza insignificante era frutto di lotte, sacrifici e anni di fatica. Nemmeno quell’avventura sarebbe stata una passeggiata ma Nick era sicuro di un’unica cosa: insieme, lui e Brian l’avrebbero superata.

 

*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

 

 

Fu quando si ritrovò davanti alla porta di casa che Nick si accorse di non avere con sé le chiavi. Controllò una seconda volta nelle tasche della sua giacca, non trovando niente se non il suo abbonamento della metro, così passò a svuotare la sua borsa riuscendo nell’intento di lanciare tutti i suoi fogli in ogni direzione possibile. Eppure, il suo mazzo di chiavi non apparve nemmeno per miracolo.
“Perfetto! – Pensò mentre cercava di riporre tutti i documenti gettati. – Brian vorrà la mia testa su un vassoio d’argento!”
Provò a bussare alla porta, scordandosi all’improvviso se Brian fosse o meno a casa. Il “E’ aperto” che si alzò dall’interno della casa gli rispose mentre la sua mano girava la maniglia. Non appena messo piede in casa, fu l’odore e il delizioso profumino ad accoglierlo e un’atmosfera che sapeva di romantico: le luci erano soffuse, arrivava in corridoio solamente la luce della cucina mentre la sala era illuminata dalle fiamme di candele posizionate ovunque ci fosse un posto libero. La voce di Frank Sinatra si diffondeva in libertà nell’aria, un sussurro di parole che ultimamente Brian gli aveva canticchiato durante i dormiveglia e ora quelle stesse lo accompagnavano mentre si toglieva le scarpe e la giacca fino allo stipite della cucina. Lì vi si appoggiò contro, le braccia incrociate davanti al petto mentre i suoi occhi si posavano ad osservare Brian, intento a finire di cucinare. Esattamente come più di un anno prima, Nick non si stancava mai di osservare il ragazzo, trovando sempre qualcosa di nuovo che catturava la sua attenzione: a volte erano dettagli così invisibili che il giorno dopo scomparivano esattamente come si erano presentati; altre, invece, erano più durature e costituivano dei piccoli tasselli che formavano quel mosaico che era il suo amore per Brian. In quel momento, a interessarlo era quel minimo lembo di pelle che si intravedeva ogni qualvolta Brian alzava le braccia per poter prendere qualche ingrediente o utensile. Canticchiando a labbra chiusa la canzone in sottofondo, Nick si avvicinò e appoggiò le dita su quel punto, assaporando parte di quel calore.
Le sue labbra, come di consueto, trovarono il loro piccolo angolo sul collo di Brian, lasciandovi una traccia di saluto per poi risalire fino alla mascella. “A che cosa è dovuto tutto questo?”
“Un ragazzo non può organizzare una cenetta romantica per il suo compagno senza avere un secondo fine?” Domandò Brian scherzando mentre con una mano continuava a mescolare ciò che aveva sul fuoco.
“Tu hai sempre un secondo fine. – Scherzò Nick. – Che film strappalacrime vuoi farmi vedere stasera?”
“Nessuno. - Rispose Brian, fingendo un broncio sul suo viso. Diede un’ultima girata e, senza nemmeno assaggiare, spense il fornello lasciando così a riposare il tutto per qualche minuto. Dopodiché, si voltò pur sempre rimanendo nell’abbraccio di Nick. – Ma, se proprio non mi credi, posso sempre portare questa cenetta alla vecchia e cara signora Birfy. Sarà molto contenta, soprattutto se sarai tu a consegnargliela...”
L’espressione di totale sgomento, con una piccata punta di terrore, illuminò il viso di Nick. “Non oseresti...” Pronunciò con le labbra completamente spalancate.
“Oh, non vedo per quale motivo non dovrei...” Brian non riuscì a terminare la sua frase perché le dita di Nick, che ancora erano lì a bearsi sulla sua pelle, incominciarono a solleticare quello stesso lembo, facendo subito scattare in lui una reazione.
“Allora?” Mormorò innocentemente Nick, interrompendo per qualche secondo l’attacco delle sue dita.
“Non vale!”
“In amore e in guerra...”
Brian riuscì a sgattaiolare via dalle dita di Nick, abbassandosi e uscendo dall’abbraccio. “Se fai il bravo e mi aiuti, potrei ripensare alla mia idea.”
“Piatti?”
“Sono in salotto. – Rispose Brian mentre aspettava che Nick si spostasse dal fornello prima di riprendere il suo posto. Lo osservò per qualche secondo mentre si allontanava dalla cucina e poi sospirò, ridacchiando fra sé e sé. – Già che ci sei, puoi accendere il camino?”
La testa di Nick apparve da dietro lo stipite. “Non ti sembra di aver già acceso troppi fuochi?”
“Sono candele.”
“Sempre fuoco è! Hai in mente una messa satanica? Qualche sacrificio? – Gli occhi di Nick si illuminarono. – Dimmi che almeno la nostra vittima è Aj. Gli dei là sopra avrebbero di che mangiare per molto tempo.”
Uno strofinaccio per metà umido lo colpì in pieno viso, seguito dalla risata cristallina di Brian. “Smettila!”
“Ma... ma è la verità!”
“Non accendere il camino allora.”
“Ma tu lo vuoi acceso.”
“Allora accendilo.”
“E se mandiamo a fuoco la casa?”
Brian sospirò melodrammaticamente. “Vorrà dire che mi farò consolare da quel bel pompiere che verrà a salvarmi.”
“Perché devo morire proprio io?”
“Perché io sono in cucina. Tu sei più vicino alle candele e al camino.”
Nick rimase in silenzio per qualche secondo, riflettendo sulle parole di Brian. “Mi arrendo.”
Con un sorriso trionfatore, Brian ritornò ai fornelli. “I piatti!”
Dopo qualche secondo, Nick ritornò in cucina con in mano i piatti, allungandoli poi a Brian. Lo osservò versare con accurata attenzione la pasta sui due piatti, cercando di non sporcare. “Non è niente di elaborato. – Si scusò Brian. – Solo maccheroni e formaggi. Ma prometto che la vera sorpresa è il dolce.”
Senza aspettare né fare domande, Nick si precipitò verso il forno lottando contro la voglia di aprirlo per vedere che cosa stava cucinando; aveva imparato la lezione quando, una volta, lo aveva fatto e Brian non gli aveva parlato per tutto il pomeriggio solo perché quella piccola, lieve e flebile ventata d’aria aveva rovinato il suo sufflè. Accese solamente la luce interna del forno ma, anche stringendo e sforzando gli occhi, non riuscì a capire che cosa stava profumando così dolcemente la cucina.
“Niente sbirciare. In salotto.”
“Ma... ma...”
“Niente ma!”
“Non possiamo passare direttamente al dolce?”
“No.”
“Perché?”
Con un respiro frustato e mezzo divertito, Brian appoggiò i piatti sul tavolo, facendo segno a Nick di sedersi. “Perché non è ancora pronta.”
“Allora, posso sapere il perché di questa cenetta?”
Brian abbassò gli occhi sul piatto prima di iniziare a rispondere. Avrebbe preferito aspettare fino a quando non avessero finito di mangiare ma, allo stesso tempo, voleva tirar fuori quel peso. No, in realtà non era un peso perché non era qualcosa di negativo. Anzi. Era un’altra conquista, resa possibile da quella fiducia immensa che trovava ogni giorno in Nick. Lui, forse, nemmeno ricordava più che giorno fosse quello o i ricordi legati a esso ed era una delle tante cose che amava maggiormente e invidiava a Nick: quella capacità, così innata, di sapersi lasciare alle spalle il passato e guardare in avanti. Lo aveva fatto con suo padre, non appena compreso le ragioni dietro il suo comportamento e averlo perdonato; più di tutti, lo aveva fatto con lui, perdonandogli ciò che lui aveva fatto così tanta fatica a dimenticare.
Era stato un lungo e lento processo, di certo non aiutato dalla distanza, ma finalmente aveva compreso e imparato quella preziosa lezione. Ecco il motivo dietro a quelle candele e a quell’atmosfera. Era semplicemente il suo modo per ringraziare Nick, per quell’ennesima lezione di vita che gli aveva impartito semplicemente amandolo.
Non rispose ancora. Conscio di avere lo sguardo di Nick su di lui, Brian si alzò e si diresse verso l’albero di Natale, recuperando una piccola scatola che Nick era sicuro fosse nuova; la appoggiò al centro del tavolo, accanto alla bottiglia di vino che aveva comprato quel pomeriggio proprio per l’occasione.
“Sai che giorno è oggi?”
“Venerdì?” Rispose confuso Nick mentre il suo cervello andava alla ricerca di tutti i loro anniversari, tornando poi con un foglio bianco. No, era sicuro di non essersi dimenticato niente.
“Anche. Ma sapevo che tu non te lo saresti ricordato. Chi altri vorrebbe ricordare quel giorno?”
“A quanto pare, tu.”
“Già. – Annuì Brian, un’ombra ad oscurare l’azzurro degli occhi. – Come posso dimenticare il giorno in cui ti ho spezzato il cuore?”
I ricordi di quel giorno arrivarono come un’ondata ma gli argini per controbatterla erano ben alzati e troppo resistenti per essere abbattuti così facilmente. D’istinto, Nick allungò la mano e coprì quella di Brian. Avrebbe voluto urlargli, scuoterlo via da quella prigione che ancora lo teneva incarcerato dietro le sue sbarre ma qualcosa lo fermò. Perché l’ombra era semplicemente apparsa per qualche secondo, scomparendo dietro ad uno specchio di una nuova consapevolezza. In quei giorni, lui era rimasto in disparte mentre finalmente vedeva Brian togliersi strati e strati fino a rivelare finalmente la persona nascosta dietro quell’armatura alzata a protezione. E quello era un altro pezzetto e lo faceva sentire speciale il fatto che volesse condividerlo, anzi, forse quasi festeggiarlo.
“Prima che tu dica qualcosa, lasciami spiegare.”
“Non stavo dicendo niente.”
“Anche quando non parli, lo fanno i tuoi occhi per te. Ecco perché so leggerti così bene, mi basta perdermi per qualche secondo in quell’azzurro.”
“Io non ci sono mai riuscito. Con te, intendo. Hai sempre queste barriere a proteggerti, anche da me.”
“No. Non da te. Dal futuro. Per molto tempo ho vissuto nel passato, o, meglio, prigioniero di esso. Non riuscivo a crederci, non volevo ritrovarmi a dover affrontare qualcos’altro solamente perché ero così stato stupido a pensare che non sarebbe successo niente. Soprattutto dopo averti conosciuto, dopo averti lasciato entrare nella mia vita, avevo paura che qualcosa ti portasse via all’improvviso.”
“Così mi hai lasciato. – Mormorò Nick, la fronte aggrottata. – Ma Bri, ne abbiamo già parlato. Non ci sono più rimorsi.”
“Lo so. – Rispose Brian, voltando l’intreccio di mani in modo da poter accarezzare il dorso di Nick. – Ma anche se tu mi hai perdonato, perdonare me stesso è stato un po’ più difficile. Inconsciamente, continuavo a ritornarci, confrontavo ogni mia decisione per comprendere se stavo commettendo lo stesso errore e... e che cosa avrei fatto se ti avessi perso un’altra volta? Se avessi perso qualcun altro? Vedi, continuavo a girare attorno a questo e non riuscivo ad assaporare veramente noi.”
“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?”
“La tua matrigna.”
“Isabelle?”
“Sì. Ieri sera abbiamo parlato molto. Lo sai che anche i suoi genitori sono morti?”
“No. In realtà, non so molto di lei. Non mi era mai importato più di tanto avere informazioni sulla donna che aveva rovinato la mia famiglia. Ma ero idiota ai tempi.”
“Eri un bambino. La tua rabbia era più che giustificabile. Comunque, oltre ad aver parlato di te...”
“Spero solo cose positive.” Lo interruppe Nick con un sorriso.
“Anche. – Sorrise Brian di risposta. – Come stavo dicendo, abbiamo parlato di quel piccolo particolare che ci accomuna. Anche se abbiamo reagito in modi completamente differenti, io rinchiudendomi nei ricordi e lei con la rabbia, lo abbiamo fatto entrambi per non dimenticare, per appigliarci a qualcosa che potesse darci un’identità. E la mia era sempre stata costruita attorno a ciò che avevo perso e agli errori che avevo commesso. Tu... santo cielo, Nick, tu hai cambiato tutto. Grazie a te, non ho più paura di perdermi il passato perché so che, in qualche modo, tu non permetterai mai che io mi dimentichi di lei. Con te, finalmente, posso vivere il presente e pregustare il futuro, senza averne paura. Perché anche se dovessi perderti, e voglia Dio di no, sarò una persona migliore e più forte. Ed è tutto merito tuo.”
Occhi lucidi incontrarono i suoi, altrettanto resi cristallini dalle emozioni che dipingevano fuochi d’artificio dentro di lui. “Non volevo farti piangere.” Cercò di buttarla sul ridere ma anche la sua stessa risata sapeva di lacrime e commozione.
Nick non tentò nemmeno di asciugare quella piccola lacrima sfuggita via solitaria. “Vieni qua.” Sussurrò solamente, tirando a sé la mano di Brian che non aveva mai smesso di stringere fra le sue dita.
“Devi ancora aprire il tuo regalo.” Protestò debolmente Brian, alzandosi comunque e incominciando a girare attorno al tavolo.
Nick tirò per una seconda volta la mano di Brian, facendo cadere il ragazzo sul suo grembo. “Posso ancora aprirlo.” Mormorò, strofinando il viso contro il collo di Brian.
“Non è niente di che... – Incominciò a dire Brian mentre Nick prendeva il pacchetto ed incominciava a sciogliere il nastro. - ... è più simbolico che altro ma...”
“Le mie chiavi! Allora non le ho perse!” Esclamò estasiato Nick, recuperando quel mazzo che pensava di aver dimenticato chissà dove.
“Le ho prese ieri sera, altrimenti non avrei potuto farti questo regalo.”
Solo in quel momento Nick notò che il portachiavi non era il suo abitudinale. Fino a quella mattina, infatti, esso era sempre stato una semplice targhetta con riprodotto uno dei suoi tanti dipinti preferiti. Ora, invece, a racchiudere insieme le chiavi non solo dell’appartamento e della casella di posta ma anche quella del locale – e già solo quello poteva considerarsi un regalo speciale – vi era un semplice quadrifoglio, il cui verde smeraldo ormai era diventato così pallido e scheggiato da essere quasi scomparso.
“Lo avevo regalato a mamma per un compleanno. Le erano sempre piaciuti i quadrifogli, amava l’Irlanda e un giorno avrebbe voluto portarmi per poterla visitare insieme. Così, un pomeriggio di ritorno da scuola, lo vidi in un negozio e glielo comprai. Lo aveva... lo aveva anche il giorno in cui è morta. È una delle sue poche cose che si sono salvate quel giorno ed è uno di quegli oggetti che ho messo immediatamente via perché faceva male anche solo a guardarlo.”
“Un simbolo di tutto ciò che hai perso.”
“Sì. E ora sarà il simbolo di tutto ciò che ho guadagnato e la promessa di un futuro.” Rispose Brian, passando la punta dell’indice la superficie del portachiavi.
Nick appoggiò il suo indice sopra quello di Brian, non togliendo nemmeno per un secondo lo sguardo dal viso del ragazzo. Lo vide sorridere, lo vide finalmente abbandonare un altro peso di quel bagaglio che si era sempre portato dietro e che non gli aveva quasi mai permesso  di condividere. “Il nostro.”
La risposta che seguì non fu esplicata tramite parole e frasi. Seguì dapprima un singhiozzo, anche se solo accennato e tenuto ben stretto all’interno della gola, poi quelle stesse labbra si appoggiarono su quelle di Nick. Una carezza, lieve e puntellata da piccoli tocchi, si trasformò poi in un bacio dal sapore di dolcezza e di quell’infinito sentimento che in Brian sembrava mai cessare di bruciare né di abbassarsi di intensità.
Con la fronte appoggiata l’una all’altra, non c’era bisogno di aggiungere né di parlare. Lo facevano per loro i respiri, l’uno che entrava e si attorcigliava così stretto all’altro da non sapere più quale fosse il proprio cammino.
La cena fu quasi completamente dimenticata, lasciata lì sul tavolo come spettatori. I loro occhi, i loro sensi, tutti battevano e fremevano per loro stessi, senza dar importanza ad altro. Altri baci si susseguirono a quel primo iniziale, ognuno di essi con una dose di desiderio e di passione che aumentava di pari passo assieme ai battiti del cuore e ai respiri. Carezze incominciarono ad illuminare ogni centimetro della pelle, dall’attorcigliarsi insieme ai capelli fino a definire e seguire il profilo del viso, il collo e la schiena. I brividi continuavano a nascere, risalivano e scendevano alimentando le fiamme che avvolgevano ogni nervo.  
A ridestarli da quel mondo di sensazioni fu l’allarme del forno, che fortunatamente Brian aveva inserito in modo da non rischiare di bruciare la torta. Eppure, non riuscivano ancora a staccarsi l’uno dall’altro, dita intrecciate l’una fra l’altra e labbra che ancora si cercavano e si trovavano in flebili carezze.
“Dovremmo...” Tentò di mormorare Brian ma la sua voce si perse in un altro bacio, rapita via dalle labbra di Nick.
“La torta può aspettare.” Rispose Nick, riprendendo il suo assalto, cambiando però il bersaglio e puntando su quel particolare punto che sapeva che era più sensibile.
“Non hai... fame?” La domanda uscì fra un gemito e un respiro più affannato ma la punta di malizia scivolò sulle labbra di Nick, esattamente come esse continuavano la loro risalita verso la mascella.
“Mh.. sì ma... Ho già fra le mani ciò di cui ho più voglia.” Ed esse scesero, soffiarono sui fianchi prima di scomparire sotto la felpa, passando oltre la maglietta e finalmente poi in contatto con la pelle.
“Mh... – Mormorò Brian, inspirando il profumo di Nick ed assaporandone il sapore. - ... saremo scomodi. Intendo... farlo qui, sulla sedia.”
“C’è sempre il tavolo.”
La risata, Nick la percepì direttamente sulle sue labbra. “Te lo scordi. Ci mangiamo, studiamo e...”
Brian non poté terminare la sua frase perché le sue parole vennero rubate via da Nick. Un bacio e magicamente esse scomparvero, dissolvendosi in un’aria elettrica. “Abbiamo un camino.”
“Ottima deduzione.”
“Dici sempre che non sono romantico.”
Un bacio sulla tempia. “Mai detto.” E un bacio sulla punta del naso sottolineò quelle parole.
“Okay, non lo hai mai detto. Ma io non l’ho mai dimostrato.”
“Oh. E vuoi farlo adesso?”
“Perché rimandare? Il fuoco presto si spegnerà.”
Il fuoco, ben altre fiamme, avvampò sul viso di Brian, non importava da quanto tempo ormai fosse abituato a quel modo, unico e speciale, in cui Nick lo guardava in quei momenti. In quei preziosi attimi, quello sguardo aveva il potere di farlo sentire il ragazzo più affascinante di quel mondo e, allo stesso tempo, lo rendeva più consapevole di ogni parte del suo corpo. E, dopo tutti quei mesi, sapeva quale accentuare, quale gesto avrebbe reso completamente senza potere Nick e quale avrebbe ridotto se stesso solamente ad essere cera sotto le mani del suo compagno.
Era eccitante, era meravigliosamente sconvolgente quel complicato eppur semplice gioco. Il controllo non era mai nelle mani di uno solo ed entrambi desideravano sottomettere ed essere sottomessi da quel piacere e da quell’ultima forma di amore.
Entrambi si alzarono e, senza mai lasciar andare quell’intreccio che li teneva sempre legati, si spostarono al centro del salotto, lì davanti a quel camino che scoppiettava allegramente e che attendeva solamente di poterli avvolgere nel suo calore.
Fuori dal quel mondo, separato solamente dal vetro appannato della finestra, piccoli fiocchi di neve danzavano nel cielo, correndo e ricorrendosi mentre decidevano dove appoggiarsi e risiedere per le prossime ore. All’interno, invece, due ombre danzavano anche loro su un ritmo che non aveva suoni né note, se non quello dei loro battiti e dei loro respiri. Si inseguivano e si lasciavano prendere, si accarezzavano e si stringevano fino a poi fondersi in un’unica ombra, proprio come da tempo le loro anime avevano già fatto.

 


*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

 

 

Era già tardi, quasi mezzanotte, eppure le luci della caffetteria ancora si riflettevano sul marciapiede ricoperto da un alto strato di neve. Dalla vetrina, Nick vide Brian intento a pulire il pavimento anche se, in quel momento, la scopa veniva utilizzata come l’asta per un improvvisato microfono mentre le sue anche si muovevano a ritmo della musica in sottofondo.
Non vi era il cartello “chiuso”, per quanto ormai poche persone si sarebbero comunque fermate lì davanti. E Nick, oh, Nick gli aveva già fatto quella paternale su quanto non fosse sicuro tenere aperto mentre faceva le pulizie di chiusura ma, come sempre, Brian aveva fatto le orecchie da mercante e rigirato la questione a suo favore. E per lui era ancora un mistero come ci riuscisse ogni volta.
“Bri, è mezzanotte, chi vuoi che venga al locale?”
“Chiunque abbia un problema. Chiunque non abbia un posto dove andare.” Aveva risposto Brian a quella domanda e, nei suoi occhi, Nick aveva potuto leggere una verità che andava ben oltre all’essere insoliti benefattori o colmi di un altruismo atipico di quella società. Era la luce di chi sapeva che cosa significava voler essere ovunque ma non in un luogo che non aveva più il significato di casa, era la consapevolezza di dover cercare compagnia all’infuori della propria cerchia senza mai avere la certezza di cancellare via la solitudine.
“Mi preoccupo semplicemente.”
Un bacio sulla punta del naso fu la prima risposta. “Tu ti preoccupi troppo. Ma ti amo anche per questo.”

Sì, era sempre con quel modus che Brian girava la questione a suo favore per poi gettarla nel dimenticatoio.
La borsa appesa alla spalla sembrava pesare più di quanto effettivamente lo fosse, tenendo conto che non conteneva altro che dei fogli, delle riproduzioni a fotocopie di quadri e la sua agenda.
E quella cartella.
Erano trascorsi solo cinque giorni da quando Nick era andato a chiedere un favore a suo padre e, dopo sole centoventi ore, ecco che gli aveva già portato i risultati della sua ricerca. Come investigatori privati, non si poteva dire certo che non avessero scelto i migliori nel campo.
Non aveva letto niente. La cartella era ancora sigillata, ben chiusa e custodita nella sua borsa. Non spettava a lui leggere, né trasmettere le informazioni. In fondo, esisteva anche la possibilità che Brian decidesse di non voler più sapere niente di suo padre, di chiudere definitivamente il passato e buttarlo in un fuoco le cui alte fiamme avrebbero fatto scomparire i ricordi.
Esattamente come Brian aveva fatto con lui.
“I got me a car, it’s as big as a whale and we’re heading on down to the love shack. I got me a Chrysler, it seats about 20 so hurry up and bring your jukebox money. Love shack...”*
Brian venne interrotto da due braccia che circondarono la sua vita e due labbra che si posarono sul suo collo. Fu il profumo emanato da quella persona a fargliela riconoscere immediatamente ma rimase al gioco e si finse preso di sorpresa, sussultando e voltandosi di scatto. Il sorriso rinforzato da una risata, non ancora scoppiata ma pronta ad uscire da quelle labbra, fu la ricompensa per quel gioco.
“Mi hai spaventato!” Lo rimproverò con uno sbuffetto contro il petto.
“Visto che avevo ragione? Chiunque potrebbe entrare e tu non te ne accorgeresti!”
Brian non rispose e, approfittando del fatto che Nick ancora non si era accorto della posizione in cui si trovavano, optò per far rispondere le sue labbra con un bacio.
“Stai tentando di cambiare discorso?”
Un altro bacio, un sorriso accennato.
“Bri, questa tua tecnica di sviamento non...”
Terzo bacio, il sorriso ormai che poco conteneva la risata sotto di esso.
“... funziona... – Un quarto bacio, quest’ultima sulla punta del naso. – Okay, non che mi lamenti ma mi vuoi spiegare tutti questi baci?”
“Guarda in alto.” Disse solamente Brian, alzando gli occhi verso il soffitto dove una foglia di vischio scendeva dal lampadario.
“Mi hai incastrato!” Commentò Nick.
“Oh, che persona cattiva che sono. Manipolare il mio ragazzo per avere dei baci!”
“Manipolatore. Proprio.” Ribattè Nick fra un bacio e l’altro.
“Davvero? Allora potrei...” Ma Nick non gli diede modo di finire, interrompendolo con un altro bacio.
“Ora chi è che manipola?”
“Non ho idea di che cosa tu stia blaterando.” Ribattè Nick, puntualizzando la frase con un ennesimo bacio.
“Sai... – Incominciò a dire Brian, facendo scivolare l’indice sopra il primo bottone della camicia che Nick indossava. - ... potremmo blaterare meglio a casa.”
Casa.
Bastò quell’immagine per scacciare via la leggerezza di quello scambio di battute, bastò quella parola per far ricordare a Nick ciò che conteneva la sua borsa e ciò che lo avrebbe aspettato a casa. Non ci sarebbero stati altri baci colmi di malizia e aperitivi di ben altra cena quella notte; no, ci sarebbero stati baci che avrebbero dovuto cancellare lacrime o lenire ferite.
Non riuscì a nascondere quell’ombra. La mano di Brian si appoggiò in una carezza sulla sua guancia “Che c’è?” Chiese con un tono di preoccupazione.
“Niente. – Rispose Nick con immediata naturalezza. – Cioè, c’è qualcosa. Devo dirti qualcosa. Ma non qui.”
La fronte aggrottata, linee che prima non c’erano apparvero fra le sopracciglia mentre Brian cercava qualsiasi mero indizio nel volto di Nick. “Devo preoccuparmi?”
“Quanto ti manca per finire?”
“Venti minuti. – Rispose Brian ancor più confuso. – Anche di meno se mi dai una mano con il bancone. Ma...”
Nick lo silenziò con un bacio, in parte per rassicurarlo nel miglior modo possibile che niente di quello che doveva dirgli aveva a che fare con loro due. “A casa.”
Brian annuì, rimanendo per qualche secondo ancora nell’abbraccio di Nick, chiedendogli con lo sguardo un’altra rassicurazione che non si trattasse di niente di così grave. Ma anche se la stretta delle braccia voleva far ciò, i pensieri infidi e strabordanti di dubbio continuarono a stargli affianco mentre riprendeva a pulire, quella volta in completo silenzio. Non voleva pensare che c’entrasse lui, non poteva pensarlo, eppure continuava a ritornare lì, a dubitare e chiedersi se avesse fatto qualcosa di sbagliato. E se...? No, no, Brian scosse violentemente quel pensiero fuori dalla sua testa, non aveva nemmeno un briciolo di credibilità quell’ipotesi così strampalata! Nick non si era stufato di lui, non dopo tutti quei giorni in cui si era messo d’impegno per mettere in pratica quella promessa che gli aveva fatto. Stava davvero cercando di mettersi il passato alle spalle e di questo, oh lui ne era sicuro, Nick gli credeva senza nemmeno bisogno che gli dicesse qualcosa.
Paura. Infantile, ecco che cos’era. Infondata, senza basi. E della stessa consistenza del niente perché essa si era sgretolata sotto ogni sguardo rassicurante che Nick gli aveva rivolto ogni volta che si erano scambiati uno sguardo o da come le sue dita s’erano strette attorno alle sue mentre camminavano sulla strada verso casa.
E così, quando entrarono nel loro appartamento, Brian non sentiva più la paura attanagliarli lo stomaco, certezza che venne in qualche modo confermata quando Nick lo fece sedere sul divano e appoggiò sul tavolo davanti a loro la sua borsa. Sì, doveva significare qualcosa legato al suo lavoro, forse un’altra proposta di viaggio all’estero.
E, magari, questa volta avrebbe potuto seguirlo.   
“Ho fatto una cosa e, ti assicuro, che l’ho fatta ritenendola qualcosa di giusto. – Esordì Nick mentre recuperava la cartella. – Per farlo, ho dovuto chiedere aiuto a mio padre. Avrei voluto parlartene subito ma volevo avere qualcosa di solido invece che darti una falsa illusione.” Con quell’ultima frase, allungò quella cartella beige sulle ginocchia di Brian.
“Di che cosa si tratta?”
“Aprilo.”
Perplesso, Brian fece ciò. Aprì la cartella e si ritrovò ad osservare la foto di un uomo sulla quarantina, fini capelli biondi, della sua stessa tonalità, raccolti in riccioli che ricadevano sulla fronte. Le mascelle marcate e decise erano ciò che prima catturavano l’attenzione sul viso, lasciando poi la strada agli occhi, con quell’impercettibile irregolarità che fino a quel momento Brian aveva pensato avesse solamente lui. Era come se si stesse specchiando, come se invece di una foto stesse osservando il suo riflesso. Anche le labbra erano identiche, due sottili linee rosa curvate in un sorriso. Quell’ultimo non era lo stesso, Brian aveva da subito imparato che il sorriso era un’eredità di sua madre. Eppure, quell’uomo in foto davanti a lui... era suo padre, bastava solo guardarlo per capire che qualcosa di ereditario li legava anche se nemmeno si conoscevano.
Ethan Jestfield. Quel nome era impresso nella sua mente dalla prima volta che aveva domandato a sua madre almeno il nome di quel padre che non c’era.
Davanti a lui, c’era la foto di suo padre. E informazioni. E per un lungo momento rimase spiazzato, incapace di prendere una decisione, anche la più semplice di andare oltre e leggere tutto ciò che c’era scritto su di lui. Anche se il dettaglio più importante, ciò che davvero aveva più importanza per Brian, non sarebbe stato presente in date o in studi accademici o quant’altro. Non era lì, fra quei fogli, che avrebbe trovato la ragione di quell’abbandono che non doveva ancor far così male. O, forse, lui si era solamente illuso di esserselo lasciato alle spalle.
“Non l’ho cercato né ho tentato di contattarlo al posto tuo. – La voce di Nick gli arrivò per qualche attimo ovattata, come se nemmeno si trovasse a pochi centimetri di distanza ma lontano. O forse era lui che si era ritrovato imprigionato in una bolla. – La decisione è solo tua.”
“Non ho bisogno di lui.” Il tono fu freddo, distaccato, quella stessa bugia che Brian aveva raccontato a se stesso ogni mattina in cui Nick ancora non era entrato nella sua vita.
“No, ovvio.”
“Non ho avuto bisogno di lui in tutti questi anni. Non ho avuto bisogno di lui quando mamma è morta. Non ho avuto bisogno di lui quando mi sono preso sulle spalle la caffetteria anche se avevo solo sedici anni. Non ho bisogno di lui ora che ho te. – Dalle labbra di Brian uscì una mezza risata, risonante di quel groppo che gli stava facendo tremare le mani. – Avevo bisogno di lui quando tutti i miei amici avevano un papà che insegnava loro ad andare in bicicletta. Avevo bisogno di lui quando avevo le partite di calcio e mamma non poteva venire perché stava lavorando. Avevo bisogno di lui quando suonavo quella maledetta campanella e nessuno arrivava.”
La mano di Nick circondò la sua, fermando almeno per quelle dita i tremori. “Hai ragione, non hai bisogno di lui. E sta nelle tue mani la decisione se volerlo o meno nella tua vita. Ma di una cosa hai bisogno ed è una spiegazione. E c’è solo una persona che te la può dare.”
“Non so che cosa fare.” Ammise Brian, sconfitto dalla sua stessa indecisione.
“Che cosa vuoi fare?”
“Non lo so! - Sbottò Brian, abbassando poi lo sguardo. – Vorrei dimenticare subito questo file, vorrei non averlo visto, vorrei continuare a vivere la nostra vita e a costruirla insieme. E dall’altra... vorrei solo... non so, anche solo per qualche minuto... non lo so.”
“Ehi. Non è necessario che tu decida adesso. Leggi oppure ce ne andiamo a dormire...”
Brian allungò il viso, in modo da poter appoggiare le labbra su quelle di Nick. In quel marasma di pensieri e incertezza, l’unica certezza, l’unico punto fisso era Nick. Leggeva nei suoi occhi quell’ansia e paura, a stento trattenuta dalle redini del controllo, di aver commesso un errore, di averlo fatto arrabbiare e di aver rovinato qualcosa. La riconosceva perché era la stessa che lui stesso aveva provato quando Bill era venuto nella sua caffetteria per cercare uno spiraglio per riprendere i rapporti con Nick. Aveva dubitato di sé ma mai della loro relazione e quei sentimenti erano lì, ora, riflessi negli occhi di Nick.
“Grazie.”
“Non voglio che tu abbia questo dubbio per tutta la vita. Magari non succederà niente, magari avrai un pezzetto della tua famiglia ma...”
“Vuoi che io sia felice.”
Nick annuì. “Come tu vuoi che io lo sia.”
“Ti spiace se... se rimango solo?”
Nick arruffò i capelli di Brian, lasciando poi un bacio sull’attaccatura della fronte. “Io vado a letto. Non rimanere alzato fino a tardi.”
“Non vado al lavoro domani mattina.”
“Se non ti trovo a letto fra, diciamo... – Nick diede un’occhiata al suo orologio. - ... diciamo fra tre ore, vengo qui a riprenderti.”
Brian alzò un sopracciglio. “E ciò dovrebbe spaventarmi?” Domandò divertito.
“Certo, certo, ridi pure della mia presunta mancanza di terrore.”
La risposta di Brian non si fece attendere e culminò in un cuscino tirato all’indirizzo di Nick. “Ma smettila!”
Nick evitò il cuscino, il quale andò a sbattere contro lo stipite della porta. E sorrise, sollevato nel vedere che le mura erano ancora alte e che dietro di esse ancora reggeva quel Brian che aveva visto emergere in quegli ultimi giorni.
“Tre ore!”
“Va bene mamma!”
Un ultimo bacio e poi Nick scomparve verso la camera da letto, lasciando Brian alle prese con ciò che quei fogli avrebbero parlato di suo padre. Non lo lesse immediatamente. Si alzò e andò in cucina, dove mise a bollire un po’ d’acqua mentre recuperava la sua marca preferita di the e, una volta preparata la sua tazza, ritornò in salotto. Dal suo abituale posto, recuperò una coperta e, finalmente, si mise seduto con in grembo quella cartella.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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* "Love Shack", versione Glee.
Oddio, finalmente ce l'ho fatta! *__* E' stato tipo un parto questo capitolo! 
Ne manca solo uno! Quanto ci impiegherò? LOL

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Capitolo 4
*** - Have Yourself A Merry Little Christmas * ***


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Have Yourself A Merry Little Christmas

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Central Park innevato era uno spettacolo che non perdeva mai la sua magia. Fra i sentieri bianchi, bambini di tutte le età si rincorrevano, lanciandosi palle di neve e riempiendo l’aria di strilli e risate; mamme intraprendenti si inerpicavano sul ghiaccio spingendo le carrozzine e chiacchierando con le amiche; coppiette camminavano sotto braccio, fermandosi di tanto in tanto per scambiarsi un bacio infreddolito e addolcendo un’aria già festiva di per sé. Anche Brian e Nick stavano passeggiando nel parco, mano nella mano mentre nell’altra si scaldavano con una tazza di caffè. Nell’aria c’era profumo di neve, sarebbe stato un altro Natale da cartolina ma, almeno per quel giorno, un timido e pallido sole cercava di riscaldare e di farsi notare in un insolito cielo completamente terso.
Quella mattina, appena svegliatosi, Nick non si era stupito nel constatare l’assenza di Brian nell’altro lato del letto. E nemmeno di averlo trovato addormentato sul divano, raggomitolato in una posizione che faceva urlare la sua schiena al solo vederla, e il file di suo padre stretto attorno alle dita, come se avesse avuto paura che potesse scomparire se solo avesse chiuso gli occhi. Nick non lo aveva svegliato, anche perché lui stesso era in ritardo per il lavoro e quel giorno non poteva per nessun motivo rimanere a casa, ma gli aveva lasciato un bigliettino e sistemato meglio la coperta attorno alle spalle. Si era chiuso la porta alle spalle e aveva corso verso la metro, sperando di riuscire a prendere al volo un treno invece che dover aspettare.
Durante la mattinata, Brian non s’era fatto sentire e neanche questo aveva sorpreso Nick, perché sapeva come ragionava e funzionava il ragazzo: rimuginava e rimuginava fino a quando non credeva di aver raggiunto una sorte di decisione e solo a quel punto veniva da lui, esponendogli le sue elaborazioni e cercando di sciogliere gli ultimi dubbi. Quasi raramente gli chiedeva un consiglio ma questo perché Brian aveva un’idea tutta sua su quel campo. “A volte, quando una persona chiede un consiglio, non vuole sentirsi dire parole o frasi. A volte, ha solamente bisogno di una spalla a cui appoggiarsi per qualche minuto e qualcuno disposto ad ascoltarlo.”
Nick amava essere quella persona per Brian così aveva imparato a mettere da parte l’impazienza e il desiderio di rimettere il sorriso su quel volto e aspettare che lui fosse pronto a confidarsi. Ecco perché non aveva dimostrato sorpresa nel trovarlo fuori dal museo, lì davanti all’entrata di Central Park ad aspettare che lui terminasse di lavorare.
Si erano avviati così nel parco in silenzio, l’uno assorto nella compagnia dell’altro mentre sorseggiavano il proprio caffè. Il caldo della bevanda era un piacevole contrasto con l’aria fredda che rendeva rossi i loro visi e lucidi gli occhi.
C’era tanto che Brian avrebbe voluto dire in quel momento. Pensieri, informazioni e dubbi sfrecciavano veloci senza che lui riuscisse a fermarli ed era stato così sin dalla mattina, sin da quando si era svegliato e si era ritrovato con quel file fra le mani, realizzando che non era stato dunque solamente un sogno. Eppure, ora che aveva un nome, una foto ed un indirizzo, non aveva idea di che cosa fare. Come poteva anche solo scrivere ad uno sconosciuto e dirgli che era suo figlio? E se quello che c’era scritto lì su quel foglio fosse vero, non aveva nemmeno più diritto di provare rabbia e rancore verso quell’uomo.
Ecco perché si sentiva svuotato ed estremamente confuso. In parte, era merito barra colpa di Nick. Fino al suo arrivo, non aveva mai desiderato molto per la sua vita: si sarebbe laureato, più che altro come omaggio a sua madre che lo aveva sempre spinto verso quel traguardo, ed avrebbe continuato a lavorare alla caffetteria. Pensava che quella fosse la sua vita, la sua strada, fino a quando essa si era incrociata con quella di Nick. Vederlo sempre alla ricerca di una nuova sfida, vederlo così agognante di librare le sue ali e volare sempre più in alto aveva risvegliato qualcosa dentro di lui, un ugual desiderio che però aveva soppresso per paura e timore di dimenticare l’unico luogo che gli aveva dato un’identità.
Voleva anche lui librarsi, voleva anche lui volare perché sapeva che il suo volo non sarebbe stato solitario.
Ma non sapeva in che direzione.
“Ho incontrato il mio relatore oggi.”
Nick voltò il viso sorpreso. Non era quello che si aspettava di sentire da Brian. “Oh. Non mi avevi detto che dovevi incontrarlo.”
“Con tutto quello che è successo in questi giorni, stentavo anch’io a ricordarlo.”
“Che cosa vi siete detti?”
“Abbiamo discusso un po’, specialmente di che cosa fare dopo quest’anno. Con la media e i crediti, c’è una buona possibilità che mi diano la borsa di studio anche per la specializzazione.”
“Wow. E’ fantastico!”
“Sì, lo è. – Rispose Brian, in parte contagiato da quell’entusiasmo che vibrava nella voce di Nick. – Se solo sapessi quale fare. O che cosa fare.”
“Che cosa ti piacerebbe fare? A parte stare con me e scrivere romantiche canzoni d’amore sulla nostra storia.”
Brian si lasciò sfuggire una risata, lasciando uscire un velo di dubbio e tensione. Era così facile aprirsi con Nick, lo era stato sin dal primo momento che si erano incontrati ed avevano incominciato a conoscersi. Forse era perché Nick sapeva dargli i giusti spazi senza spingerlo a tirar fuori ciò che lo turbava; forse era perché non lo riempiva di domande o dava consigli solamente per il gusto di darli o, forse, era la combinazione di entrambi.
“Sai che non smetterò mai di farlo. – Ribattè Brian, allacciando il braccio sotto quello di Nick. – Anzi, scriverò una canzone anche su quella volta che abbiamo litigato per l’ultimo pancake.”
“Oh, sarebbe un successo planetario.”
“Lo pensavo anch’io.” Asserì Brian, annuendo con un sorriso.
Brian e Nick si scambiarono uno sguardo prima di scoppiare a ridere. “Sul serio, che cosa ti piacerebbe fare?
“Oh, non lo so, sai? Quando mi sono iscritto, era più perché questo era stato il nostro sogno. Entrare alla NYU, entrarci con una borsa di studio, avevamo lavorato per arrivare fino a lì e non mi sembrava giusto abbandonare tutto solo perché lei era morta. E quindi non mi sono mai chiesto che cosa avrei fatto una volta finito perché... ho il locale, avrei continuato a gestirlo e... avrei continuato a cantare. Scrivere. Suonare. Nick, la musica per me è ciò che disegnare è per te. E’ il mio rifugio, è quel luogo in cui so di poter affidare tutti i miei segreti e trovare un modo per raccontarli all’esterno. E’ ciò che mi ha letteralmente tenuto in vita fino a quando non ti ho incontrato.”
“Lo so. Lo vedo quando canti. Esattamente come me, ti isoli, anche se fisicamente sei nella stessa stanza, con la mente e l’anima sei ovunque essa ti porta. E’ bellissimo vederti cantare.”
Si fermarono di fronte al laghetto ormai ghiacciato, le cui rive erano prese in ostaggio da famiglie, coppiette o semplici gruppi di amici che vi camminavano attorno. “Lui... lui è un insegnante di musica. In un conservatorio di Parigi. Era un pianista, ha fatto qualche concerto ma poi ha preferito la carriera accademica.”
Non c’era bisogno che Brian dicesse quel nome, sapevano entrambi molto bene chi fosse quel lui e Nick tirò un sospiro di sollievo per il fatto che finalmente ne stava parlando. Finalmente ne stavano parlando. Così lo lasciò continuare, stringendo solo appena il braccio attorno al suo.
“Non sa di me. Non sa che esisto.”
Quella confessione lasciò spiazzato Nick. “Che cosa? Ma... le lettere?”
“Non le ha mai ricevute. Come poteva? Si è trasferito a Parigi a settembre, nemmeno un mese dopo che era arrivato a Londra. La lettera in cui mia madre gli diceva di essere incinta è stata spedita ad ottobre.”
“E’ partito senza dirle niente? Perché?”
Brian scrollò le spalle. “Ho sempre creduto che... sarà sciocco, sarà ancora infantile, ma credevo che fossero davvero innamorati. Il fatto che mia madre non avesse cercato nessuno dopo di lui mi faceva credere che fosse ancora così legata a mio padre da nemmeno pensare di sostituirlo. Ma... e se non fosse così? Se fosse stata solamente una cotta estiva?”
“Bri...”
“No, lo so. – Mormorò lui, passando una mano sugli occhi per cancellare una lacrima. – E’ sciocco, vedo tuo padre e anche se so che con tua madre non era vero amore, l’amerà sempre perché gli ha dato te.”
“E’ strano, però. Brian, le ho lette anch’io quelle lettere. Non erano scritte da qualcuno che pensava di essere innamorata. Da quelle parole, si percepiva che era qualcosa che andava ben oltre ad una banale cotta.”
“Non pensi che sia pazzo, quindi, a pensare che ci sia qualcosa sotto?”
“Siamo pazzi in due, allora.”
Un sorriso apparve sul volto di Brian. “Questa non è una novità.”
“Già. E’ per questo che ci siamo trovati.”
Brian rimase in silenzio per qualche secondo, supposizioni e pensieri che ribollivano dentro la sua mente come se questa fosse un’enorme calderone che aspettava solo di essere mescolato e mischiato con un mestolo. Gli sembrava di essere finito in uno di quei romanzi rosa che ogni tanto sua madre aveva letto, trame di tormentati amori che dopo mille peripezie riuscivano ad ottenere il loro agognato lieto fine.
“Ma perché? Per quale motivo mio... per quale motivo lui si è sentito in dovere di mettere più di un oceano fra di loro?”
“Sai che c’è solo un modo.” Gli consigliò Nick dolcemente.
“Lo so. Scrivergli. – Rispose Brian. – Ma non so come iniziare. Buongiorno, forse le sembrerà strano ma io sono suo figlio? Non mi risponderà mai!” Terminò poi, sottolineando quella sua frustrazione prendendo a calci l’unico sasso che ritagliava nel bianco.
“Non lo saprai mai se non gli scrivi.”
“In fondo, non ho bisogno di un padre. – Mormorò Brian dopo qualche secondo. – Non lo sto cercando perché sento il bisogno di avere qualcuno che mi segui e che mi cresca. Come potrebbe? Siamo due sconosciuti e tutto ciò che doveva essermi insegnato, beh, lo ha fatto mia madre. Lui... lui è solamente un pezzo della mia vita che vorrei conoscere.”
“Ricordi che cosa mi hai detto?” Gli domandò Nick.
“Ti ho detto tante cose.”
“E’ vero. – Nick sorrise. – Con mio padre, intendo. Mi hai detto di non farmi sfuggire quest’opportunità perché un giorno avrei potuto pentirmene. Quindi, ti restituisco il consiglio: non farti scappare questa possibilità. Potrà finire in un buco nell’acqua, potrà non risponderti ma potrebbe anche farlo. Non lo saprai mai se non ci provi.”
Nel silenzio che seguì quelle parole, Brian fermò entrambi all’improvviso e si mise davanti a Nick; alzandosi lievemente in punta di piedi, sfiorò le labbra del ragazzo in una soffice carezza proprio mentre un primo, minuscolo, batuffolo di neve incominciava a danzare verso di loro.
“Grazie.”
Nick si ritrovò a sorridere con quello che si sarebbe potuto descrivere solamente come il più dolce dei sorrisi. “Non devi. – Gli sussurrò a fior di labbra. – E’ ciò che tu stesso mi hai insegnato.”
La risposta di Brian non arrivò tramite sillabe, vocali o consonanti, più che altro perché non ce n’era bisogno. Un altro bacio, un’altra carezza di labbra, bastò a sussurrare tutto il resto.
Ripresero a camminare, in silenzio, verso l’altro lato del parco: avrebbero allungato di certo la strada ma, nonostante avesse incominciato a nevicare – qualche fiocco qua e là -  non avevano ancora voglia di tornare a casa. O al locale.
“A proposito! – Disse Brian all’improvviso. – Com’è andato l’incontro al museo?”
Nick si voltò a fissarlo stupito. “Come fai a saperlo? Non te ne ho parlato.”
“Potrai non avermelo detto ma lo hai segnato sul calendario.” Il calendario, in questione, era stata una sua idea dopo l’ennesimo giorno trascorso in cui si erano incrociati per quasi un miracolo divino e, in questo modo, nessuno dei due aveva il diritto di arrabbiarsi per un appuntamento mancato o per non trovarsi a casa senza aver lasciato detto nulla.
“E te ne sei ricordato?”
“Andiamo, non girarci attorno. Com’è andato?”
“Ecco... – Nick si prese una pausa prima di parlarne, un po’ per creare suspense un po’ perché ancora non era riuscito a convincersi che fosse davvero successo. - ... è... è andato bene.”
“Bene nel senso che ti tengono o bene nel senso “è stato un piacere ma sei diventato troppo bravo per noi e non ti possiamo pagare”?
Nick non poté evitare di ridere mentre passava il braccio attorno alla vita di Brian. “Bene nel senso che mi hanno rinnovato il contratto e...”
“E...?” Lo spronò Brian, curioso e già orgoglioso come non mai.
“E mi hanno promosso ad assistente curatore.”
Per un attimo, l’unico suono udibile fu quello dei bambini che giocavano poco più indietro di loro. Poi, senza nemmeno avere un minimo di avvertimento, Nick si ritrovò stretto nell’abbraccio di Brian, anche se poco mancava che il ragazzo gli saltasse fra le braccia. Le sue, di braccia, cingevano il suo collo mentre le labbra stampavano baci su ogni centimetro di pelle disponibile. E fra il rumore di quei baci, c’era una sola frase che veniva ripetuta come una mantra. “Sono orgoglioso di te.”
“Se sapevo che era questa la festa che mi avresti fatto, avrei aspettato che fossimo a casa.” Commentò, abbassando il tono in qualcosa di molto più roco per quell’ultima frase.
“Oh, ma quello era già implicito.” Rispose Brian, aggiustando la sua voce con la stessa tonalità di Nick.
“E che cosa hai in mente, allora?”
Gli occhi di Brian si illuminarono di colpo, gli angoli della bocca si curvarono in un sorriso mentre le braccia si slacciavano dal collo e si congiungevano per battere i palmi l’uno contro l’altro. “Ho la ricetta perfetta per questa sera!”
“Aspetta! Io pensavo ad altro.”
Brian aggrottò la fronte, increspando le labbra in un mezzo broncio. “Altro in che senso? Non penserai mica di festeggiare solo a letto?”
Gli occhi di Nick si illuminarono di una luce maliziosa mentre le sue mani andavano a riposizionarsi sui fianchi del ragazzo. “Non è una cattiva idea. – Gli sussurrò in un orecchio. – Anche se non era la mia proposta.”
“E qual era la tua, allora?”
“Portarti fuori a cena. Viziarti un po’.”
Le dita di Brian incominciarono a giochicchiare con il colletto della giacca di Nick. “Anch’io.”
“Ma tu lo fai ogni giorno.”
“Anche tu.”
“Se continuiamo con queste argomentazioni, non vincerà nessuno dei due.”
“Ma tanto sai che vincerò io. - Mormorò Brian, il tono a metà fra la battuta e qualcosa di più malizioso. – Anche perché ti piace vedermi cucinare.”
Le braccia di Nick si strinsero attorno alla vita del ragazzo, la punta delle dita iniziarono a salire e poi ridiscendere lungo la linea della spina dorsale. “Sei sexy.”
“Quindi rimaniamo a casa?”
Le labbra di Nick si posarono sui quei pochi centimetri di pelle del collo lasciati liberi dalla giacca. “E’ l’alternativa più attraente fra le due.”
Brian ridacchiò soddisfatto. “L’avevo immaginato.” Rispose prima di prendere una mano di Nick e trascinarlo verso l’uscita del parco, per raggiungere quel negozietto che lui tanto amava dove riusciva sempre a trovare gli ingredienti necessari.
Quella sera, mentre la neve continuava a cadere ed alcuni fiocchi andavano a depositarsi negli angoli esterni delle finestre, Brian si era messo seduto sul divano con il portatile posizionato sulle ginocchia. Sullo schermo, la pagina ancora vuota di una mail lo aspettava pazientemente, anche in quei momenti in cui le sue dita formavano inizi di frase per poi cancellarli immediatamente.
Sentì Nick apparire vicino a lui, appoggiare le mani sulle sue. Fece un profondo respiro, si sistemò meglio fra le braccia del ragazzo e incominciò a scrivere. Di getto, senza riflettere su che cosa compariva sullo schermo. Una volta terminata la lettera, Brian non la volle nemmeno rileggere. La face leggere a Nick e lasciò a lui il compito di cliccare il pulsante per inviarla.
“Andrà tutto bene.” Furono le uniche parole che si alzarono nel silenzio, accompagnate da un dolce tocco di labbra sulla tempia.

 

***

 

 

Parigi

  

Aldilà del cielo grigio, nascosto dietro quelle nuvole che minacciavano pioggia da un momento all’altro, un timido sole cercava di liberare un piccolo posticino per sgranchire i propri raggi e farli splendere sulla terra ancora coperta di neve.
L’aroma di caffè appena macinato si faceva strada fra gli edifici, entrando in quelle finestre appena lasciate aperte e svegliando coloro che ancora sonnecchiavano fra i piumini e le coperte. Qualcun altro, invece, già lo assaporava mentre si dirigeva verso il luogo del lavoro o già seduto davanti alla propria postazione.
Anche lui stava ancora terminando la sua seconda tazza mentre si accingeva a controllare la posta prima di iniziare la prima lezione di quella mattina. Era un’abitudine, più che altro per controllare se gli studenti dell’ultimo anno gli avessero spedito i primi capitoli della loro tesi, in modo che le potesse leggere durante le ore libere. Fra tutte le mail di studenti, colleghi e pubblicità, una catturò la sua attenzione.
Il nome, per prima cosa.
Brian Littrell.
Quel cognome. Oh, lo conosceva fin troppo bene. A lato della scrivania, vicino ad una pila di libri e documenti, aveva sistemato una semplice cornice con l’unica foto che gli era rimasta di Jackie: ricordava ancora il momento in cui l’avevano scattata, una giornata d’estate trascorsa al parco dove il sole aveva dorato lievemente la pelle e reso ancora più solare quel sorriso che riservava solo e solamente per lui. Anche a distanza di anni, il suo cuore perdeva un battito a quell’immagine.
L’amore, di quelli veri, di quelli che erano in grado di trasformare l’uomo più codardo in un eroe, di quelli che ti prendevano e ti portavano in direzioni a cui non avevi mai fatto caso e nemmeno sapevi che esistevano, quell’amore lo aveva preso in ostaggio quando era solo un adolescente e ancora troppo naive per rendersi conto della fortuna che aveva fra le mani.
Ma da eroe si era trasformato nel più vile dei vigliacchi e il rimorso per tutti quei se era stato un costante compagno in tutti quegli anni, facendolo sentire come una sinfonia incompiuta.
Fu quello a spingerlo ad aprire la mail ed incominciare a leggere. E le prime frasi furono un pugno dritto allo stomaco.
“... è morta qualche anno fa, in un incidente d’auto.”
Non era possibile. Non poteva essere. Sembrava uno scherzo di pessimo gusto per poter essere vero. Ma fu proprio per l’assurdità di quella situazione che egli vi credette senza battere ciglio. Per quale motivo quel ragazzo, che sapeva essere figlio di Jackie, avrebbe dovuto mentirgli su qualcosa di così serio?
I rimorsi divennero i protagonisti sul palco della sua attenzione. Si era sempre ripetuto che ci sarebbe stata una possibilità, che un giorno avrebbe preso il coraggio fra le mani e l’avrebbe trovata una seconda volta. Se l’era ripromesso ogni notte di quegli ultimi ventitré anni. Se l’era ripromesso ogni volta che parlava ai suoi studenti di come innamorarsi della musica fosse come trovare la propria anima gemella, quella voce unica che avrebbe potuto cantare le note prodotte dalle loro melodie. E le anime gemelle, esattamente come la musica, erano per sempre: anche distanti, anche se parte di un passato ormai chiuso, non sarebbero mai scomparse. Avrebbero, invece, continuato a suonare le loro note in sottofondo.
Ed ora si ritrovava ad aver perso tutto: la speranza, tutti quegli anni trascorsi in vigliaccheria e la sua anima gemella. Non aveva più niente di lei, solo ricordi che con il passare del tempo diventavano sempre più sfocati.
“... posso comprendere se lei decidesse che io sia solo un impostore. Se qualcuno apparisse all’improvviso dicendomi di essere mio figlio, faticherei anch’io a crederci. Ma è la verità. Mia madre continuò a scrivergli per tutto il periodo della gravidanza e qualche mese dopo la mia nascita.”
Suo figlio.
Sapeva chi era quel ragazzo. Lo aveva scoperto una di quelle rare volte in cui era riuscito a sconfiggere la sua codardia e si era messo attivamente a cercare Jackie. E quando aveva scoperto dell’esistenza di Brian, aveva desistito in ulteriori mosse rendendosi conto che, mentre lui aveva continuato a vivere ancorato ancora al ricordo di ciò che erano e ciò che avrebbero potuto diventare, lei era andata avanti; si era rifatta una vita e si era creata quella famiglia che aveva sempre sognato e desiderato.
C’erano stati momenti in cui si era sentito felice per lei, perché era ciò che le persone volevano per la persona amata, ovvero che fossero felici e realizzassero i propri sogni; c’erano stati momenti in cui l’aveva odiata e si era odiato per quel sentimento. E, infine, c’erano stati veloci attimi in cui aveva pregato e sperato che quel bambino potesse essere suo, che una parte di lui sarebbe sempre stato al fianco di Jackie.
Non fu sorpreso dalle lacrime che incominciarono a solcargli il viso, nemmeno nel scoprire che esse erano colme non solo di dolore per quella notizia ma per una minima oncia di felicità.
Le dita incominciarono a digitare, guidate da un unico desiderio.
Questa volta non si sarebbe comportato da codardo. 

 

*****

 

 

25 Dicembre

 

 

L’ultimo cliente del giorno si chiuse la porta dietro alle spalle, l’inconfondibile melodia che ricordava ai presenti che giorno fosse quello.
“Finalmente!” Sospirò Nick, lasciandosi cadere sulla prima sedia che trovò.
La sua imprecazione scatenò la risata di Brian, intento a sparecchiare l’ultimo tavolo. “Sfaticato! - Lo rimbrottò scherzosamente mentre gli passava di fronte. Nick non rispose ma allungò velocemente le braccia e catturò Brian, spingendolo contro di lui e facendolo cadere sulle sue gambe. - Nick!”
“Ora chi è lo sfaticato?”
“Non io!”
In posizione di vantaggio, le dita di Nick scivolarono sui fianchi ed incominciarono a solleticare la pelle di Brian, sapendo perfettamente come i fianchi fossero uno dei suoi punti deboli.
“Nick! – Brian incominciò a ribellarsi, cercando di sfuggire all’attacco di quelle dita. – Nick! Nick! Mi farai cadere i piatti!”
La difesa si dissolve quando Aj passò davanti a loro e recuperò i piatti che stavano per cadere dalle mani di Brian.
“Grazie Jay!” Dissero all’unisono Brian e Nick, anche se il tono del primo era decisamente più sarcastico del secondo. Anche se quella mossa si rivelò essere anche a vantaggio di Brian visto che, senza più l’ostruzione dei piatti, poteva tentare di svincolare quelle mani che lo stavano tormentando.
“Nick, dai! Smettila!”
“Mh... che cos’è questo suono? Sembra una mosca...”
“Niiiick!”
“Ti arrendi?”
“Mai.”
La risposta di Brian aumentò l’intensità del solletico, rendendo inutile qualsiasi tentativo di liberazione. D’altronde, come poteva farlo quando a malapena riusciva a respirare a causa delle risata?
“Nickolas Gene Carter, stai uccidendo quel povero ragazzo!”
Il tono autoritario del padre fece sussultare Nick, interrompendo lo scherzo esattamente come sempre era accaduto durante l’infanzia.
“Grazie sig. Carter.” Mormorò Brian, saltando giù dall’abbraccio di Nick mentre riprendeva fiato.
“Brian, sei di famiglia ormai! Basta con questo signor!”
Il rossore in viso diventò ancor più intenso, questa volta a causa dell’imbarazzo. “E’... okay.”
“Bene. Ora che abbiamo sistemato questa cosa, vi ho interrotto solamente per avvisarvi che io e Isabelle stiamo per andare.”
“Così presto?” Domandò Brian.
“Immagino che voi due siate stanchi.” Rispose Bill.
“In effetti... - Commentò Nick, ricevendo una gomitata da parte di Brian. – Ehi!”
“Chi sarebbe stanco, scusa?” Fu la risposta di Brian, con una mezza occhiata torva.
“Ti ho aiutato!” Si difese Nick, sgranando gli occhi per lo stupore.
“Certo.” Commentò Brian, incrociando le braccia davanti al petto
“Ma è vero!”
“Hai quasi rischiato di tagliarti un dito, quello lo chiami aiutare?”
“Ti ho aiutato stando fuori dalla cucina.” Ribattè Nick, imitando la postura di Brian.
La risata di Isabelle interruppe quello scambio di battute. “Sembrate già una coppia sposata.”
Brian abbassò il viso per l’imbarazzo mentre Nick si unì semplicemente alla risata, avvicinandosi al ragazzo e cingendogli un braccio attorno alla vita. “Dai, a casa ti faccio un massaggio per farmi perdonare.”
“Sono così stanco che potrei addormentarmi sul divano in ufficio.” Gli sussurrò Brian, appoggiando quasi tutto il suo peso contro Nick.
“Ed ecco perché è meglio che noi andiamo. – Si intromise Bill. – Ma prima volevamo lasciarvi il nostro regalo.” Mentre pronunciava quell’ultima frase, l’uomo fece apparire dalla giacca una semplice busta bianca, porgendola alla coppia.
“Papà, non dovevi!”
“E’ solo un pensiero. – Rispose Isabelle. – Ma ve lo meritate.”
Punto dalla curiosità, Nick non esitò a prendere la busta. “Che cos’è?” Domandò iniziando ad ispezionare la busta.
“Ho perso molti anni della tua vita, Nick. E per quanto so che non esiste modo per rimediare, questo è semplicemente un piccolo gesto per farti capire quanto sia orgoglioso di te e della tua vita: studi, lavori e dai una mano a Brian. E’ tempo che vi meritate una piccola vacanza.”
Brian osservò con sguardo stranito Nick mentre apriva la busta e recuperava due biglietti aerei. “Papà, non dovevi.”
“Invece sì. E sappiamo entrambi quanto sia importante quella città.”
I due, padre e figlio, si scambiarono uno sguardo complice mentre Brian rimaneva ad osservarli non comprendendo il senso. “Qualcuno mi può spiegare?”
“Grazie, papà. – Si limitò a dire Nick prima di mostrare i biglietti a Brian. – Parigi. E credo che l’abbia fatto non solo perché si è ricordato della nostra conversazione.”
Brian accigliò la fronte. “Quale?”
“Mi aveva chiesto in quale posto dell’Europa sarei ritornato immediatamente. Io gli ho risposto Parigi perché volevo finalmente viverla insieme a te.”
Ora Brian se la ricordava. E si ricordava di tutti quei momenti trascorsi camminando per Central Park o raggomitolati sul divano, adornati dalle immagini che le parole di Nick creava attorno a loro mentre descriveva un angolo di Parigi che aveva amato e promesso di fargli vedere un giorno.
Già. Un giorno.
Brian non vi aveva mai creduto realmente a quella possibilità. Come poteva? Non poteva lasciare il locale, nonostante ora avesse due aiutanti ed entrambi, ne era sicuro, lo avrebbero preso e portato di peso all’aeroporto. Non poteva nemmeno chiuderlo, già sopravviveva a malapena tenendolo aperto per tutta la settimana. A volte, malediva quel luogo che lo teneva legato e gli impediva di comportarsi, almeno per una volta, come un ragazzo della sua età e avere un po’ di divertimento. Subito dopo, però, si sentiva in colpa.
E da quel circolo vizioso sembrava non esserci mai fine.
“Ma non è l’unica ragione, Brian.” La voce di Bill riportò Brian lontano da quei pensieri.
“In che senso?”
“E’ la stanchezza, papà.”
“Mi stai prendendo in giro?”
“No, ti sto fornendo un alibi per non aver compreso immediatamente il vero piano di mio padre.”
“E’ un biglietto per Parigi, che cosa altro... – Il collegamento si schiarì all’improvviso, lasciando Brian a maledirsi per non averlo compreso immediatamente. – Oh. Mio... per lui.” Ancora non riusciva a chiamarlo padre, forse non sarebbe mai riuscito o non ne avrebbe mai avuto una possibilità.
Una mano si appoggiò sul suo mento e le dita, con tocchi gentili, gli fecero alzare lo sguardo verso Nick. “Non sei costretto ad incontrarlo. Ma papà ha ragione. Abbiamo bisogno di una vacanza. Specialmente una certa persona che non se ne è mai presa una in tutta la sua vita.”
“Magari è lui che non vuole. Non ha ancora risposto.”
“Lo farà. E, quando lo farà, sarai tu a decidere se incontrarlo o meno. Ma lasciami condividere Parigi con la persona che amo di più.”
Il sottile tono usato fece sciogliere ogni riservatezza in Brian. “E la conosco questa persona?”
“Mh... non lo so. Potresti.”
“Davvero?”
“Sì. Ama il caffè e, guarda caso, lui è il proprietario di una caffetteria.”
“Non mi dire... sembra il mio ideale di uomo.”
Nick finse un’espressione di dolore. “Ed io che pensavo che amassi gli artisti.”
“Preparare caffè è un’arte.”
“Io intendevo qualcuno che sappia... – Il tono di voce si abbassò fino a diventare un roco mormorio. - ...  usare le mani.”
Prima che Brian potesse rispondere, un colpo di tosse fece voltare entrambi. “Mi sa che vi siete dimenticati della nostra presenza.” Scherzò Isabelle.
Nick scoppiò a ridere mentre Brian si nascondeva nella sua spalla. “Capita spesso.”
“Direi che questo è proprio il momento di andare e lasciarvi continuare da soli.”
“Sì, direi che è decisamente meglio.”
“Nick!” Lo rimbrottò Brian, dandogli un buffetto contro la spalla.
“E ora che c’è?”
“Non ci si comporta così! Non è educazione!”
“Educatamente stavo avvisando i miei genitori che è meglio se ritornino a casa.”
“Stupido!”
“Ma mi ami.”
“Non ho mai preteso di essere sano di mente.”
“Ed è per questo che io ti amo.”
Prima di indugiare oltre in quelli che risultavano poi essere sempre infiniti scambi di battute, Brian si affrettò a salutare i genitori di Nick, ringraziando ancora una volta il padre per quel regalo. Nick rimase in disparte a scambiare qualche parola con Isabelle così fu lui ad accompagnare alla porta l’uomo.
“Non voglio solo ringraziarla per il regalo. Ma anche per aver trovato mio... mio padre.”
“Non c’è bisogno, Brian.”
“Se non fosse stato per lei e per Nick soprattutto, avrei continuato a illudere me stesso che non volevo cercarlo quando, invece, era la solo la paura a bloccarmi.”
“Di quella ne sappiamo tutti qualcosa. – Rispose Bill. – Sei un bravo ragazzo, Brian, e mio figlio ti ama. E sono sicuro che, non appena anche tuo padre ti conoscerà, non potrà fare a meno di amarti.”
Un groppo si bloccò a metà strada in gola, facendo solleticare gli occhi a causa di buffe lacrime che erano apparse all’improvviso. Non era abituato, Brian, a ricevere quei complimenti visto che l’unica altra persona che era solita farglieli ora non c’era più e per molto tempo si era rassegnato a non averne.
Non più oramai.
“Grazie.” La parola uscì in un mezzo singhiozzo e, senza bisogno di aggiungere, Brian si ritrovò in un avvolgente abbraccio e si aggrappò a quelle braccia. Era differente dagli abbracci di Nick, anche se sapeva di famigliarità. Era differente perché era l’abbraccio tipico di un genitore, quell’abbraccio in cui conforto e rassicurazione si fondevano alla perfezione in una calda coperta.
Durò solo un attimo quell’abbraccio ma fu sufficiente per farlo sentire accettato in quella famiglia più di qualsiasi altra parola.

 

*

 
Brian non ricordava quanto realmente fosse scomodo quel vecchio divano. Per tanti anni, era stato il suo rifugio quando la solitudine tentava di tendergli un’imboscata: lavorava e studiava fino a quando non sentiva più il suo corpo a causa della stanchezza e poi si buttava lì, su quelle vecchie molle ricoperte di un tessuto verde aspettano invano il sonno.
Nick lo aveva spedito, con poche cerimonie, nel suo ufficio non appena i suoi genitori si erano infilati in macchina. A passo di marcia, lo aveva depositato su quel divano e fatto promettere che non si sarebbe alzato fin quando lui non sarebbe tornato a prenderlo per andare a casa. E, considerato che si era appena offerto di mettere a posto il locale da solo, Brian dubitava che sarebbe uscito dal locale non prima di mezzanotte. Il che andava bene, visto che tornare a casa significava girare attorno al portatile nella vana attesa di una risposta. Un po’, aveva sperato di poter ricevere finalmente quel regalo che aveva sempre chiesto da bambino. Aveva pure suonato la sua campanella, anche se non faceva più rumore e un altro pezzo di vernice si era staccata dopo che l’aveva scossa. Dio, si era sentito così patetico che era stato un miracolo se in quel momento Nick era stato trattenuto al museo per colpa di scartoffie che avevano continuano ad accumularsi per giorni e giorni.
Anche in quel momento.
Perché sdraiato su quel divano, la sua attenzione era tutta rivolta verso il computer spento sulla sua scrivania. Non sarebbe servito molto, avrebbe dovuto semplicemente alzarsi e fare pochi passi, accenderlo ed accedere alla mail. Quanto tempo vi avrebbe impiegato? Cinque minuti al massimo.
Ma quanto sarebbe durata la delusione una volta che avesse appurato che, anche quella volta, non vi era una risposta? Di una cosa Brian era certo ed era che non voleva trascorrere quelle ultime ore del giorno di Natale a farsi consolare come se fosse un bambino disperato per non aver ricevuto il regalo richiesto.
Non aveva bisogno di quella risposta, specialmente se si fosse rivelata un buco nell’acqua.
Non ne aveva bisogno eppure voleva averne bisogno, per quanto strano e contorto quel bisogno potesse sembrare.
Dall’altra stanza arrivò il suono di un tonfo, seguito da un’imprecazione abbastanza colorita di Nick. Dopo poco, lui stesso apparve sulla soglia della porta. “Non preoccuparti, è tutto sotto controllo.”
Brian si mise seduto. “Davvero?”
Con una grattata di testa, Nick abbassò lo sguardo. “Beh... potrei aver fatto pulizia di alcuni piatti già sbeccati.”
Con un sorriso, Brian gli fece segno di sedersi accanto a lui.
“Non sei arrabbiato, vero?”
“No, scemotto.” Ribattè Brian, scompigliandogli i capelli.
“Ne compreremo qualcuno a Parigi. Così questo posto diventerà ancora più caratteristico.”
“A proposito di Parigi...” Incominciò a dire Brian, in tono sommesso.
“Ci stai ripensando? – Domandò Nick, senza nemmeno farlo finire. – Se è per il locale, sono sicuro che Aj e Blaine se la possono cavare. Papà ha ragione, hai bisogno di una vacanza.”
Brian aggrottò la fronte, perplesso. “Non ci sto ripensando. Solo che...”
“Che cosa?”
Un buffetto arrivò contro la spalla di Nick. “Mi fai finire almeno una frase?”
Uno scrocchio di labbra si posò sulla guancia di Brian. “Scusa.”
“Stavo dicendo che, a proposito di Parigi, non ho ancora controllato se mi ha risposto.”
Nick sospirò di sollievo, alzandosi in piedi. “Solo ciò? Dai, su, lo facciamo insieme!” E, dicendo ciò, allungò la mano verso di lui.
“Non sono sicuro di volerlo fare.” Ammise Brian, mordicchiandosi il labbro.
“Perché?” Lo sguardo e l’espressione di Nick si addolcì mentre una mano si appoggiava sulla guancia.
“Non voglio rovinarmi la giornata. Oggi... oggi è stato uno dei migliori Natale che abbia mai passato da... beh, lo sai.”
Era vero. Quella giornata era stata decisamente migliore rispetto a quello dell’anno passato: quel giorno, il miglior regalo che aveva ricevuto era stato riavere Nick nella sua vita ma per ore l’attesa era stata quasi straziante, raggiungendo livelli in cui la speranza lo aveva abbandonato.
Quell’anno era stato come se lo era sempre immaginato dal momento in cui lui e Nick avevano incominciato ad uscire insieme: la sveglia quella mattina e gli auguri scambiati fra baci e carezze; la camminata con le prime luci dell’alba, in una New York deserta ma sempre viva come solo lei riusciva ad essere; cucinare e preparare insieme il pranzo al locale, allietati da musiche cantate con il sorriso sulle labbra. Ed ora voleva terminarlo nei migliori dei modi, ovvero accoccolati sul divano, le fiamme del camino a riscaldarli dopo la camminata – e battaglia – nella neve, e uno di quei classici film alla televisione mentre loro gustavano un goccio di zabaione. No, nella sua mente e nella sua fantasia, quella giornata non poteva terminare con lacrime e delusione.
“Facciamo così. La posta la controllo io. Se c’è ed è una risposta positiva, te lo dico.”
“Altrimenti?”
“Altrimenti niente.”
“Mi mentiresti?” Domandò Brian perplesso.
“Non esattamente. Diciamo che ometterei il risultato della risposta.” E così dicendo, aggirò la scrivania ed accese il computer, tamburellando le dita sul legno mentre aspettava che il sistema si caricasse.
Per Brian, quei minuti sembrarono trasformarsi in un’eternità fino a quando l’espressione di Nick lo informò che, effettivamente, una risposta c’era.
“Allora?”
Nick tentò di non sorridere mentre voltava lo schermo in direzione di Brian. “Leggi tu stesso.”
Con il cuore che, all’improvviso, aveva incominciato a battere all’impazzata, Brian si avvicinò anche a lui alla scrivania e a quello schermo. Le prime frasi incominciarono a prendere significato davanti ai suoi occhi prima di essere annebbiate da delle lacrime.
Alzò semplicemente il viso e si allungò fino a quando le sua labbra si appoggiarono su quelle di Nick. “Mi vuole vedere.”
Nick rispose al bacio, il cuore gonfio il doppio nel petto di una differente felicità perché non esisteva gioia più grande nel vedere la persona amata realizzare qualcosa che aveva sempre creduto di non poter più avere.
Sì, Brian prima aveva avuto ragione.
Quello era davvero il Natale migliore. Per entrambi. 

 

***

 

Parigi

 

Davanti alla vetrata, arricchita qua e là da tocchi di colore che ricreavano ortensie e fiordalisi, Brian continuava nervosamente a bilanciare il peso su uno dei piedi. Ora che si trovava lì, ora che mancavano letteralmente e fisicamente pochi metri per finalmente conoscere suo padre, sembrava quasi che la sua mente si stesse divertendo a trovare mille ragioni per non entrare.
E, come se lo avessero intuito, le dita strette attorno le sue aumentarono di poco la loro presa. A quel gesto, Brian alzò il volto e, nella controluce generata dal sole che si stagliava dietro la figura, vide Nick rivolgergli un sorriso rassicurante. E, proprio come i raggi dorati quella mattina stavano sciogliendo gli ultimi blocchi di neve, quel sorriso aveva il potere di sciogliere le sue ansie.
“Vuoi che venga con te?” Domandò Nick.
“No. No. – Rispose Brian, la seconda volta più deciso. – Devo... ti spiace se ci parlo da solo?”
Un bacio sulla tempia lo rassicurò prima della risposta. “Ovvio che no. In fondo alla strada c’è un parco, rimarrò li a disegnare.”
“Ti mando un messaggio quando finisco.”
“Tranquillo. Prenditi tutto il tempo che ti occorre. Io non scappo certo.” Una piccola risata puntualizzò l’ultima frase, ricevendo in risposta un tocco di labbra sulla guancia.
“Anche perché non conosco Parigi, potrei perdermi durante la tua ricerca.”
“Non ti libererai mai così facilmente di me.”
“E’ una promessa?”
“Qualcuno potrebbe prenderla come una minaccia.”
“Non io. - Rispose Brian, scuotendo lievemente la testa. Si lasciò sfuggire un sospiro, un profondo respiro prima di nascondersi, per qualche secondo, nell’abbraccio di Nick. – Grazie.”
“E di cosa?”
“Lo sai. Ora... Ora posso entrare e affrontare tutto.” E, dicendo ciò, si staccò dall’abbraccio, alzando il mento e raddrizzando le spalle.
“Sembra che tu stia per andare al fronte.”
“In effetti, è così che mi sento.”
“Andrà bene. La cosa peggiore che ti possa capitare è che tuo padre risulti essere l’uomo più antipatico di questo mondo ma, almeno, avrai la possibilità di sapere come sono andate le cose. Questa volta, Bri, la scelta è nelle tue mani.”
“Lo so, lo so. – Si ripetè Brian. – Vado. Quindi sarai al parco?”
Alzando sconsolato gli occhi al cielo, Nick si prodigò in una risata. “Sì. Se vuoi, ti posso anche mandare una foto di ciò che disegno ad ogni ora.”
Ormai, quelle battutine erano all’ordine del giorno: era un batti e ribatti, una serie di punzecchiature che alleggerivano quella che, un tempo, era stata una paura quasi paralizzante per Brian. Ora, invece, si era trasformata in un gioco, almeno quando le circostanze lo rendevano tale.
“No. -  Rispose Brian sorridendo. – Ok. Basta prolungare.” Con un ultimo bacio sulla guancia, Brian si divise da Nick ed entrò nel locale. 
L’aroma di caffè, mischiato con quell’odore unico di dolci appena cotti, lo accolse immediatamente, facendolo un po’ sentire come a casa: per quanto lontano potesse trovarsi, per quanto potesse essere un mondo totalmente differente, c’era una sicurezza implicita in quell’aroma che non cambiava mai. Era un abbraccio che lo avvolgeva, era come avere un pezzo di se stesso e della sua famiglia ovunque andasse. E, in quel momento, erano una fonte di extra forza e supporto di cui aveva disperatamente bisogno.
Il locale, pur non essendo molto grande, era pressoché vuoto così fu facile indovinare chi fosse la persone che stava cercando. L’uomo, suo padre, era seduto in un tavolo al centro della sala, una tazza di caffè stretta in una mano mentre l’altra reggeva le pagine di un giornale.
In silenzio, Brian lo studiò per qualche secondo, quasi come volesse assicurarsi che la persona lì davanti a lui fosse la stessa che aveva osservato fino a qualche ora prima in una fotografia. Così da vicino, così dal vivo, la somiglianza fra loro era ancora più palpabile e risiedeva principalmente in quella mascella pronunciata, anche se l’uomo la teneva nascosta sotto un accenno di barba; i capelli erano di una tonalità più chiara della sua, segno che quel tratto biondo lo aveva ereditato da lui e non dalla madre come aveva sempre pensato; infine, gli occhi avevano quella lieve e così impercettibile asimmetria che solamente uno sguardo attento avrebbe notato, là dove chiunque si sarebbe fermato alla peculiare tonalità azzurra delle iridi.
Erano due gocce d’acqua, la somiglianza era quasi un colpo allo stomaco soprattutto per quei tratti che non erano fisici ma dettati dal movimento e dal linguaggio del corpo. Era quasi sconcertante vedere certi suoi tic riflessi in un’altra persona, per esempio, quell’increspare le labbra quando un articolo del giornale catturava il suo interesse.
Quell’uomo era davvero suo padre.
“Brian?”
Il tono con cui venne richiamato fu lenito da dubbio e incertezza mentre i loro sguardi si incrociavano. Per un lungo momento, Brian non seppe che cosa dire né tantomeno che cosa fare: perché quello che si stava realizzando davanti ai suoi occhi era il sogno che lo aveva cullato da bambino, quel desiderio relegato ad una stupida campanella fatta a mano. Ora era reale e ancor più spaventoso perché non poteva tornare indietro se non gli fosse piaciuto la conclusione.
Annuì semplicemente mentre l’uomo si alzava in piedi. Qualche passo e fra loro vi fu solamente il tavolo come ostacolo.
“Sei... Sei la sua esatta copia.”
“Me lo dicono in molti.”
“E’ la verità. Santo cielo... hai il suo stesso sorriso, lo sai? Esattamente come lei, entri in una stanza e la illumini. – Ethan scosse la testa, imbarazzato. – Scusa ma... beh, pensavo che non avrei mai rivisto quel sorriso.”
Brian si sedette di fronte all’uomo. “Perché non l’hai mai cercata, allora?”
Anche Ethan riprese il suo posto. “Vai subito dritto al punto? Proprio come lei.”
“Signor Jetsfield...”
“Chiamami Ethan, per favore.”
“Ethan, so che tutto questo potrà sembrare surreale...”
“Sapevo della tua esistenza. – Quelle parole ebbero il poter di ghiacciare qualsiasi sensazione all’interno di Brian. Ma non ebbe il tempo di reagire, perché l’uomo aggiunse il pezzo mancante di quell’affermazione. – Non sapevo che tu fossi mio figlio.”
“Come l’hai scoperto?”
L’uomo abbassò lo sguardo verso la sua mano che aveva ripreso a stringere la tazza, ormai fredda. “Non ho mai dimenticato tua madre. Ogni tanto, riprendevo in mano vecchie fotografie. Ne ho una ancora sulla mia scrivania in ufficio. Un giorno, mi ero promesso di ritrovarla, anche solo per sapere come stava. E’ stato lì che ho scoperto che era morta e che aveva un figlio. Non ho mai pensato o creduto di poter esser io il padre, mi sono semplicemente detto che si era rifatta la vita e costruito quella famiglia che aveva sempre voluto. Se solo...”
“Ho imparato che con i se ed i ma non si va molto avanti. – Disse Brian. – Se non avessi mai partecipato a quel corso, forse lei sarebbe ancora viva.”
Dopo quell’affermazione poté solamente cadere il silenzio ed un assenza di gesti di conforto. Era per quello che non ne parlava mai con gli estranei, non voleva sentire quel momento di imbarazzo perché l’interlocutore non sapeva come rispondere ad una frase del genere. Né lui voleva sentire frasi di genere e vuote di una vera compassione che la si poteva trovare solo in chi sapeva che cosa si provava quando qualcuno di così importante veniva strappato via senza un avvertimento. Eppure, anche senza parole, Brian trovò conforto nell’espressione del padre, in quella luce di totale smarrimento che molto spesso si era ritrovato a fissare nel suo riflesso allo specchio. Quella perdita, l’assenza di quella persona che tanto tempo prima li aveva uniti, era l’unico anello che ancora teneva unito quel filo sfilacciato dal tempo e dalla distanza.
“Dire che mi spiace sembra così inutile in questo momento ma... è la verità.”
“Anche a me spiace. Da come ne hai parlato prima, sembra che...”
“Sembra che provi ancora qualcosa per lei? – Terminò Ethan per Brian. – Sì. Lei è stata il mio primo amore, forse l’unico e più importante della mia vita. Ma più di tutto, mi spiace di essermi perso tutti questi anni. Per vigliaccheria, soprattutto.”
“Non sono qui per avere indietro quegli anni. Me ne sono ormai fatto una ragione e, scusandomi per la brutale onestà, non ho bisogno di un padre che si prenda cura di me. E nemmeno di soldi, non è questo il motivo per cui ti ho contattato. L’unica motivazione era conoscerti. E sapere. Dare una spiegazione a quegli anni in cui desideravo una famiglia unita e dovevo accontentarmi delle poche parole di mamma.”
“Che cosa ti ha raccontato di me? Di noi?”
“Non molto. Solo che vi siete innamorati ma che poi sei dovuto partire per l’Europa.”
“In sintesi, sì, è questo ciò che accadde. Ma niente è così semplice, nemmeno nella più comune storia d’amore.”
“Sì. L’ho provato sulla mia pelle.”
“Sono indiscreto se chiedo...?”
“No, no. Anzi! E’ stato proprio il mio compagno a trovarti. Senza di lui, non sarei qui. - In più di un senso, aggiunse poi mentalmente. – Spero che questo non sia un problema. Intendo, il fatto che io sia gay.”
“No, decisamente no. – Lo rassicurò Ethan. – Anzi, uno dei miei migliori amici è gay. Sono felice che tu abbia qualcuno al tuo fianco. E non lasciartelo scappare via. Tienitelo stretto perché è davvero prezioso trovare l’amore.”
“Mamma era il tuo amore?”
“Sì. Sì. Ci siamo conosciuti durante una festa ed è stato amore a prima vista. Tua madre era l’anima di ogni festa, ovunque lei andasse portava sempre questa naturale allegria che era impossibile non rimanerci vittima. Ci siamo innamorati ed eravamo ribelli, a quei tempi. Nessuno di noi voleva seguire ciò che i nostri genitori avevano sempre deciso che sarebbe stato il nostro futuro così, non appena maggiorenni, andammo a New York. Vivevamo in un buco di appartamento ma eravamo felici e avevamo tutti questi sogni che volevamo realizzare. Fino a quando mi proposero di andare a Londra per studiare con una delle più importanti scuole di musica. Io e tua madre ne parlammo fino all’inverosimile, notte dopo notte: non volevo partire, non senza di lei. E lei non voleva che perdessi quell’occasione per causa sua. Mi convinse e partii. Ci sentivamo quando era possibile, tra il fuso orario e i soldi che non erano molti, ma l’idea era sempre quella: tornare insieme. Magari qui, a Parigi, il nostro sogno.”
Brian assimilò quelle parole, stupendosi per quanto, ancora una volta, lui e sua madre si fossero rivelati essere l’uno uguale all’altro. E quell’aneddoto lo univa ancor di più a lei, anche se l’epilogo era risultato essere positivo per lui.
“Che cosa è successo? – Gli domandò. – Mamma ha continuato a scriverti anche dopo che sei partito per Parigi, anche se non lo sapeva.”
L’espressione di sorpresa raccontò a Brian che, di quelle lettere, l’uomo non ne aveva mai saputo nulla. Quindi, cadeva quell’ipotesi secondo cui non avesse mai voluto aver niente a che fare con loro due.
“Un giorno, mi arrivò una lettera. In teoria, doveva essere da parte di Jackie ma non l’ho mai creduto. Era... era troppo fredda per poter essere sua. Nonostante tutto, non credo che avrebbe mai usato un qualcosa di definitivo, anche se vi era di mezzo suo padre. Anche se penso che la vecchia Cecile abbia avuto più di una mano dentro a questa storia.”
Cecile. Sua nonna. Un altro di quei tasti che Brian non avrebbe mai voluto più toccare, né tantomeno persino riconoscere la sua esistenza. Quella donna aveva portato solo veleno nella sua vita e non c’era da sorprendersi se lo avesse fatto ancor prima che lui potesse nascere. “Non mi sorprende.”
“Oh, nemmeno con suo nipote è riuscita a non mostrare la sua vera natura?”
“Già.” Rispose Brian, cercando di lasciare fuori dalla mente parole che avevano messo le loro radici nel più oscuro cassetto che era riuscito a costruire dentro di lui.
“Cecile è sempre stata una donna molto testarda. Sapeva che cosa voleva e non avrebbe mai permesso a nessuno di cambiare, anche di un minimo, i suoi piani. E ne aveva per chiunque, soprattutto per tua madre. Io, ovviamente, non ne facevo parte. Ha tentato in tanti modi di metterci i bastoni fra le ruote e, alla fine, credo che ci sia riuscita. Anche se non so ancora in che modo.”
Immagini e ricordi presero il centro del palco, sfumando i contorni di ciò che lo circondava e riportandolo indietro con la memoria, dove finalmente ora poteva trovare un senso a quelle parole che un bambino non avrebbe mai potuto comprendere. Quel litigio, quelle parole urlate e che lui aveva carpito anche rimanendo nascosto dietro la porta, odiando quella donna che stava facendo arrabbiare così tanto sua madre.
Ora, finalmente, capiva.
La donna non aveva mai perdonato a sua figlia il fatto di essere fuggita e, più di tutto, di lasciarsi mettere incinta da qualcuno che non era e non sarebbe mai stato approvato da lei.
Sì, ora finalmente capiva ma ciò non attutiva nemmeno di un centimetro tutto il dolore che aveva covato per anni.
Prima che Brian potesse dire qualcosa, suo padre riprese a parlare. “Provai a chiamarla. Ci provai per una settimana ma il telefono suonava sempre a vuoto. Fino a quando qualcuno mi rispose, informandomi che l’appartamento era stato venduto e non sapevano il nuovo indirizzo del precedente proprietario. Qualche giorno dopo, proprio mentre stavo per decidermi di prendere il primo volo e tornare a New York a cercarla, ricevetti la telefonata della vita: la richiesta di borsa di studio in un’università di Parigi era stata accettata. Avevo già perso tua madre, non potevo anche perdere la mia carriera. Mi trasferii qui, mi laureai, incominciai ad insegnare e in men che si dica gli anni erano passati. Ma non il ricordo di tua madre.”
“Potevi venire a cer.. – Brian si interruppe, riformulando velocemente quell’ultima particella. - cercarla.”
Lo sguardo dell’uomo si abbassò verso la superficie, osservando per qualche secondo le venature del tavolo. “Ci ho pensato molte volte. Ma non sapevo da dove iniziare e la mia paura più grande è che mi avesse dimenticato. Così, ho sempre desistito.”
“Ma sapevi che era morta, lo sapevi prima che io ti contattassi.”
Un cenno del capo rispose negativamente a quella domanda. 
Era dolceamaro per Brian finalmente scoprire tutta la verità, perché non c’erano state ingiustizie né aveva ricevuto validi motivi per odiare l’uomo che si trovava di fronte a lui. Semplicemente, come spesso accade, la vita si dipana su snodi e incroci che sono difficili da prevedere: a volte riesci, con un pizzico di fortuna ed un aiuto delle stelle, a trovare il modo per non perdersi e non perdere nessuno; altre, invece, puoi solo rimanere con il dubbio di che cosa sarebbe successo se un determinato avvenimento fosse andato in modo differente.
Quello era successo alla sua famiglia: per incomprensioni, per paure e ansie, si erano lasciati trascinare via dalle correnti, finendo su isole l’una parallela all’altra senza mai avere la possibilità di incontrarsi. Invece di sentirsi arrabbiato, deluso o semplicemente colmo di recriminazione, Brian si sentì fortunato: nonostante tutto, era riuscito a ritrovare una parte di famiglia che non aveva mai pensato di poter avere. Lì, in quel caffè parigino, un padre ed un figlio avrebbero potuto iniziare a tessere i primi fili. Lì, soprattutto, Brian aveva la possibilità di poter conoscere sua madre in luci totalmente differenti da come l’aveva sempre vista. A lui era sempre toccato il lato materno, a volte chiuso su stesso affinché lui non vedesse le lacrime e la tristezza; l’aveva vista sorridere, l’aveva vista ridere e con il viso colmo di gioia per ogni suo traguardo. Non l’aveva mai vista innamorata, non l’aveva mai vista sotto le spoglie di uno spirito libero, all’unica ricerca del suo volo.
E non conosceva nemmeno l’uomo di fronte a lui. Sorprendentemente, rispetto a come si era immaginato quell’incontro, voleva saper tutto quello che c’era da sapere di suo padre, quante cose avevano in comune e in quali, invece, si differenziavano.
“Posso chiederti una cosa?” Si ritrovò così a domandare.
“Certo.”
“Mi... ti va di raccontarmi di lei? E di te? Di quando vi siete conosciuti, di quando... – Brian si interruppe, abbassando lo sguardo e passandosi una mano dietro la nuca. – Scusa, quando sono agitato tendo a blaterare e...”
“No, non fa niente. – Lo bloccò Ethan. – Anche tua madre lo faceva. Non ho problemi a raccontarti di noi, Brian. Solo ad una condizione.”
Il viso di Brian si rabbuì. “Quale?”
“Che tu dopo mi racconti tutto di te e di quel giovanotto che ha catturato il tuo cuore.”
Il sollievo si trasformò in un respiro lasciato sfuggire nell’aria, prendendo poi la forma di un sorriso. E un battito di cuore che palpitò con rinnovato ritmo, per due anime che avevano ritrovato la strada per essere, per la prima volta, una famiglia.

 

***

 

Il tramonto stava incominciando a colorare il cielo di Parigi con tinte pastello, dalle ultime sfumature di azzurro per prendere pennellate di rosa e arancione fino alle prime tinte di un violetto tendente al blu.
Un venticello freddo aveva incominciato a scuotere le fronde degli alberi, o meglio, quel poco di foglie rimaste ancora aggrappate a ciò che avevano considerato come la loro casa dal momento in cui erano nate. Poche persone ancora si stavano avventurando fra i sentieri: i più camminavano svelti e rapidi verso le loro case o camere d’albergo, stringendosi nei cappotti e nelle giacche che indossavano. Ma una figura se ne stava silenziosa seduta su di una panchina, ignara degli sguardi incuriositi dei passanti o del freddo che aveva quasi congelato la mano che, ancora, continuava a tracciare linee e punti sul foglio bianco. Ogni tanto, il volto si alzava e scrutava attorno a sé, socchiudendo gli occhi per osservare meglio dettagli che solo lui riusciva a cogliere.
Di soppiatto, Brian si avvicinò al ragazzo e appoggiò le braccia sulle sue spalle, facendole scivolare dentro la giacca lasciata leggermente aperta. “Ti beccherai un raffreddore.”
Le dita smisero di disegnare, lasciando cadere la matita sul foglio mentre esse si arrotolavano attorno alle loro compagne. “Non più, ora che ho questa sciarpa bella calda!”
Un bacio si depositò sulla sua guancia prima che una risata accarezzò la pelle. “Hai una ventina di sciarpe a casa.”
“Hai detto bene. A casa, non qui.”
“Oh capisco. – Mormorò Brian. – Quindi sarei io la tua sciarpa?”
“Pensavo che lo sapessi.”
“Beh, se lo sono, allora...” Non terminò la frase ma strinse ancor di più le braccia attorno al collo di Nick, esattamente come se esse fossero le estremità di una sciarpa.
“Ehi! Mi stai strozzando!”
“Sia mai che io rechi danno a questo bel collo!”
“Allora, come è andata?” Domandò Nick.
Brian aggirò la panchina e andò a sedersi accanto a Brian; fece scivolare un braccio sotto quello del ragazzo e poi appoggiò la testa sulla sua spalla. “Bene.”
Nick voltò il viso. “Solo? Qualche dettaglio?”
“Vuole conoscerti.”
“Intendevo su ciò che vi siete detti.”
“Ti spiace se ne parliamo più tardi? - Domandò Brian dopo un momento di silenzio, socchiudendo gli occhi. – Voglio solo stare qui, accoccolato a te.”
Nick non rispose, non serviva farlo. Per qualche attimo senza tempo i due ragazzi rimasero in silenzio ad osservare le ultime luci del tramonto, assaporando la semplicità di quel momento. Dopo qualche secondo, la mano destra di Nick riprese a disegnare, incominciando a tracciare i lineamenti di due ragazzi seduti nella loro stessa posizione.
“Ho finalmente deciso che cosa fare.”
La fronte di Nick si aggrottò in confusione mentre il suo sguardo si spostò dal foglio al viso di Brian, ancora mezzo nascosto nella sua spalla. “Riguardo a cosa?” Gli domandò quindi, scompigliandogli quei ciuffi che gli erano caduti sulla fronte.
A quella domanda, Brian alzò la testa. “Dopo la laurea.”
Gli occhi di Nick si illuminarono di fronte a quella affermazione. “Davvero?”
Brian annuì con un sorriso. Poi, allungò una mano verso la tasca della sua giacca e recuperò un foglio, piegato in quattro, e lo porse a Nick. “Me lo ha dato mio padre. E’ il progetto che lui e mamma volevano realizzare.”
Nick, punto dalla curiosità, aprì il foglio sul quale vi era disegnata una semplice piantina di quella che sembrava essere la caffetteria di Brian.
“L’idea era quella di creare un centro per il quartiere: la caffetteria aperta tutto il giorno per permettere a chi non ha dove andare di poter trovare rifugio, qualcosa da bere e avere un po’ di compagnia.”
“Quello che già succede.”
“Già. Ma quello era solamente la prima parte. – Rispose Brian. – La seconda era usare il piano superiore per offrire corsi ai ragazzi,  musica, soprattutto. Dar loro un modo salutare di sfogarsi. Ecco ciò che voglio fare: voglio portare a compimento questo progetto. E’ sempre stato ciò che volevo, poter aiutare altri ragazzi che non hanno avuto la vita facile, esattamente come me. Dar loro un luogo dove rifugiarsi, un’isola felice dove poter essere ragazzi. Aiutarli.”
“E’... è una cosa stupenda, Bri. E sei portato, te l’ho sempre detto.”
Brian appoggiò le labbra sopra quelle di Nick. “Lo so, hai sempre avuto fiducia in me. E non mi hai mai spinto in qualsiasi direzione. Hai aspettato che la trovassi da solo. E’ per questo che ti amo.”
“E’ quello che i partner fanno, no? – Ribattè Nick, rispondendo prima a quel bacio. – Quindi qual è il piano?”
“Prenderò la specializzazione per l’insegnamento mentre continuerò a tenere aperta la caffetteria. Ci vorranno anni prima che possa avere i fondi per il centro, dovrò fare qualche anno di insegnamento visto che al locale non si fanno granché guadagni.”
“Insieme ce la faremo. – Lo rassicurò Nick. Poi arricciò il naso, come faceva sempre quando diventava pensieroso. – Potresti... potresti chiedere consiglio a mia mamma. Si occupa di queste cose, ricerca di fondi e varie. Anche Isabelle, credo.”
“Ti immagini tua madre e Isabelle lavorare insieme?”
Inizialmente Nick cercò di trattenere la risata ma poi, ripensando a tutto ciò che era accaduto in quelle ultime settimane, la risata si trasformò in un sorriso. “Sai che potrebbero sorprenderci? D’altronde, se c’è una cosa che ho imparato, è che la vita è decisamente imprevedibile.”
Brian non poté non acconsentire a quell’ultima affermazione. La vita sarebbe stata sempre imprevedibile e si sarebbe presentata, a volte, con le sembianze di una strega cattiva pronta a distruggere qualsiasi cosa e portarli sotto la sua nube nera e negativa; altre, invece, si presentava sotto forma di arcobaleno o fata madrina, riaggiustando ciò che la sua controparte aveva combinato e regalando nuovi orizzonti rischiarati finalmente dal sole.
Sì, più di tutti, Brian era consapevole che la vita sapeva essere imprevedibile: gli aveva tolto una famiglia ma poi gli aveva fatto incontrare la persona che ora era diventata il centro del suo universo. E, insieme, avevano rimesso insieme i pezzi delle loro rispettive famiglie, creandone una nuova. Forse ancora atipica, forse non del tutto normale e con ancora tanti segreti da sciogliere e rimpianti da cancellare.
Ma erano quello.
Erano una famiglia.
Ed era quello il più grande e meraviglioso regalo di Natale che avesse mai ricevuto.
Ancor stretto nell’abbraccio di Nick, Brian alzò lo sguardo verso quell’ultimo raggio di sole che quietamente se ne stava tornando nel suo torpore notturno. “Grazie mamma.” Sussurrò consapevole che quella semplice parola sarebbe giunta ovunque si trovasse lo spirito di sua madre.

 

 

 

 

 

 

 

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Evvai! Ce l'ho fatta a finirla prima di Pasqua!!!!!!
Ringrazio chiunque abbia letto e chiunque abbia commentato. Come avete potuto leggere, questi Brian e Nick non si fermano qui. Ho ancora tanto da raccontare su di loro e mi diverto un mondo. *__*
Spero anche voi. =)

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