missing

di Ginny_theQueen
(/viewuser.php?uid=128871)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** dodici dicembre. ***
Capitolo 2: *** tredici dicembre. ***
Capitolo 3: *** quattordici dicembre. ***
Capitolo 4: *** quindici dicembre. ***
Capitolo 5: *** sedici dicembre, parte prima ***
Capitolo 6: *** sedici dicembre, parte seconda ***
Capitolo 7: *** sedici dicembre, parte terza (sì, questa giornata è infinita!) ***
Capitolo 8: *** ventidue dicembre ***
Capitolo 9: *** Natale. ***
Capitolo 10: *** quattordici febbraio. ***
Capitolo 11: *** marzo ***



Capitolo 1
*** dodici dicembre. ***


“Eravamo così entusiasti perchè le vacanze di Natale erano iniziate in anticipo. Ci siamo incontrati al campo martedì, pensavamo di passare tre settimane insieme. Sarebbe stato fantastico.”

–Annabeth Chase, The Lost Hero.

 

 

{l’incontro}

 

Vivere nella stessa città non voleva dire vedersi ogni giorno, se vivevi a New York.

Non vedeva Percy da circa una settimana, perché entrambi erano stati impegnati a studiare per gli esami di fine trimestre, così quando arrivò al Campo martedì, non vedeva l’ora di incontrare il suo ragazzo.

Annabeth era arrivata nel primo pomeriggio, ma sapeva che lui non ci sarebbe stato ancora per un paio d’ore, il che le dava il tempo di salutare tutti i suoi amici e per riambientarsi.

Abbracciò Chirone, il centauro che aveva ricoperto il suo ruolo paterno per così tanti anni, e lui le diede un bacio sulla fronte, dicendole quanto era felice di avere sia lei che Percy lì per le vacanze di Natale. Poi Annabeth si fermò alla Cabina 5 per salutare una delle sue più care amiche del Campo Mezzosangue.

Contrariamente a come pensavano molti, Clarisse La Rue non era un’insensibile. Provava affetto, solo che non lo mostrava spesso. Loro due erano presto diventate amiche quando Clarisse era arrivata al Campo, solo qualche anno dopo di Annabeth. Forse la loro affinità era data dal fatto che i loro genitori divini erano entrambi dei guerrieri.

“Tutto bene, Principessa?” chiese la figlia di Ares, utilizzando il suo nomignolo.

“Sono così felice di essere a casa, Clarisse! E Percy sta arrivando, quindi vado a controllare come vanno le cose alla mia cabina e poi mi preparo… ci vediamo a cena!”

Uscì e oltrepassò la cabina di Poseidone–ancora vuota–dirigendosi alla propria.

 

 

Due ore dopo, Annabeth aspettava il suo ragazzo al confine, vicino l’albero di Thalia.

Quando vide la macchina prese a correre verso la strada, e un sentimento di anticipazione  le riempì lo stomaco. Gli si gettò addosso, abbracciandolo forte per qualche secondo, e poi si avvicinò a sua madre. Adorava Sally Jackson. C’era qualcosa in quel suo permanente sorriso che Annabeth desiderava ci fosse anche in sua madre, o almeno nella sua matrigna.

“Ciao, Sally. Come stai?”

“Hey tesoro, tutto apposto, grazie. Mi dispiace solo di non poterlo tenere tutto per me durante le vacanze, ma credo che Percy abbia il diritto di passare il Natale dovunque voglia,” disse ancora sorridendo.

“Tienilo al sicuro, Annabeth, come fai sempre,” aggiunse. Poi si voltò verso suo figlio, “e tu, comportati bene. Almeno cerca di non cacciarti nei guai...”

La risposta di Percy fu ironica come al solito: “Non preoccuparti, mamma. Ora che abbiamo sconfitto Crono non credo sarà difficile stare lontano dai guai.”

Abbracciò Sally e poi la salutò con la mano finchè la macchina non fu più visibile. A quel punto si girò verso Annabeth e afferrò la sua mano. Improvvisamente le sue labbra erano su quelle di lei.

Finalmente, pensò lei mentre con le mani arruffava quei capelli che amava tanto. Lui la strinse più vicina e le accarezzò la schiena con le dita.

“Ciao,” disse appena si furono staccati. “Da quanto tempo era?”

“Otto giorni,” rispose lei prontamente. “Mi sei mancato,” ammise.

“Anche tu. Fammi disfare le valigie, e poi possiamo andare sulla spiaggia,” aggiunse con un sorriso.

“Percy, siamo a dicembre! Non puoi pretendere che mi tuffi nell’acqua come se fosse–“

“Hey, non ho detto nulla sul tuffarsi. Volevo solo fare un romantico picnic sulla spiaggia o qualcosa del genere, ma se non vu–“

“Ok.”

Il suo sorriso divenne più ampio e Annabeth riuscì finalmente a guardarlo negli occhi. Quegli occhi verdi e profondi dei quali non aveva potuto fare a meno di innamorarsi.

“Andiamo,” disse lui, prendendole la mano nella propria destra e spostando la propria valigia sulla spalla sinistra.

 

Inutile a dirsi, che non arrivarono alla spiaggia.

 

Appena si avvicinarono alla Casa Grande furono assaliti da un branco di semidei che volevano salutare Percy, e altrettanti nuovi campeggiatori che volevano incontrarlo per la prima volta, avendo sentito molto parlare di lui, il Salvatore dell’Olimpo e tutte quelle stronzate che la Casa di Afrodite inventava.

Vecchi amici e giovani semidei li tennero occupati per quasi un’ora e quando il corno della cena suonò, Percy e Annabeth non avevano nemmeno finito di disfare la valigia, e la Cabina 3 era un disastro.

“Andiamo, finiremo dopo,” propose lei alzandosi e prendendo la mano del suo ragazzo.

Appena furono usciti dalla casa di lui, Annabeth si alzò sulle punte e gli diede un veloce bacio sulle labbra. Un bacio che Percy fu più che felice di approfondire.

 

Arrivarono tardi e scompigliati e ovviamente, tutti nel padiglione sorrisero nel vederli insieme e felici.

 

 

{il falò}

 

“Poi dopo il falò, mi–mi ha dato il bacio della buonanotte, è tornato alla sua casa, e la mattina era scomparso.”

–Annabeth Chase, The Lost Hero

 

 

Era tutto perfetto. Avevano passato tutto il tempo assieme–apparte la cena, ovviamente–e avevano anche cantato una canzone. Era una pop hit che i loro amici li avevano costretti a cantare. Si chiamava A Year Without Rain di questa cantante mortale, Selena Gomez. Nessuno dei due la conosceva perfettamente, Annabeth l’aveva sentita un paio di volte alla radio, ma ora cantandola lì con Percy, tutto a un tratto aveva un profondo significato. Era come si sentiva quando lui non le era intorno.

I loro sguardi si incontrarono e Annabeth dovette sforzarsi di non ridere di Percy quando lui stonava costantemente.

Dopo che la canzone fu finita e l’attenzione di tutti non era più concentrata su loro due, Annabeth si ritrovò a sorridere al suo ragazzo come un’idiota, finchè lui non la notò e ricambiò lo sguardo. Sarebbe stato proprio un bel momento per un bacio, se non fosse stato per il loro piccolo pubblico, quindi continuarono a stringersi l’un l’altra. La figlia di Atena era troppo timida e riservata per mostrare un certo tipo di affezioni in pubblico.

“Sono felice che passiamo le vacanze qui insieme. Non credevo che tuo padre te l’avrebbe lasciato fare, onestamente. Non ti vede da.. quanto? Tre mesi? Non credevo di essere così importante…”

“Sembra che qualcuno si sia montato la testa qui,” sorrise lei.

“Guarda, sono felice di essermi trasferita a New York. Lo sai che non era solo per l’Olimpo. E mi dispiace se riusciamo a vederci solo nei finesettimana comunque. Beh, la maggior parte dei finesettimana…”

“Non importa. A patto che stiamo insieme alla fine,” arrossì.

Che carino, pensò lei.

 

 

Nel giro di una settimana sarebbe stato il loro quarto mesiversario.

Annabeth non poteva fare a meno di fantasticare su cosa Percy le stesse preparando. Si era completamente scordato del loro primo mese passato da coppia–Hermes aveva affidato loro una missione–c’erano stati tanti baci coperti di scarico (lunga storia!) –ma alla fine era riuscito a salvarsi il culo e l’aveva portata a Parigi, la città dell’amore. Abbastanza romantico. Il 18 novembre (il ragazzo aveva cominciato a pianificare settimane prima stavolta) le aveva riempito la stanza al collegio di rose bianche–ringraziamento speciale alle Case di Demetra e Persefone–e l’aveva portata in un costoso ristorante a Manhattan. In quell’occasione la stessa Afrodite aveva fatto una comparsa: però non aveva incasinato tutto, grazie agli dei. Annabeth l’aveva notata che passava, semplicemente ammiccando come per dire “perfetto”.

Ora erano al Campo. Percy avrebbe potuto avere tutto l’aiuto di cui aveva bisogno.

Sarà completamente fantastico, ripetè a se stessa per la milionesima volta.

 

Dopo che tutti erano tornati alle proprie case, loro due rimasero seduti lì, a fissare il falò fino allo scattare del coprifuoco. Poi Percy l’accompagnò alla Cabina di Atena in silenzio. Non avevano bisogno di parole per sentirsi a proprio agio tra di loro.

 

“Buonanotte, Testa d’Alghe.”

Lui si avvicinò per baciarla dolcemente sulle labbra e poi sussurrò:

“Buonanotte a te, Annabeth. A domani.”

 

 

 

Angolo autrice:

*Inutile dire che questo “a domani” è un completo atto di masochismo verso me stessa e cattiveria verso di voi. Sappiamo che “domani” Percy e Annabeth non si vedranno.*

Rieccomi ad intasare questo fandom, ma questa è la prima volta che comincio una cosa a capitoli. Non ho ancora scritto i successivi, ma ho un’idea generale, e vi dico subito che questa ff potrebbe durare dai 5 ai 10 capitoli.

Che dire, contavo di postarlo prima. In realtà ci ho messo tempo perché questo primo capitolo lo avevo scritto direttamente in inglese e postato su fanfiction.net.

Ho aspettato di ricevere delle recensioni positive lì per poi tradurlo e postarlo qui xD

 

Spero vi sia piaciuto, e mi impegno per postare la prossima parte al massimo entro una settimana! I capitoli successivi saranno molto più lunghi, questo era una specie di prologo.

 

Grazie della lettura e delle -eventuali- recensioni J

Ginny_theQueen ♥

 

PS: mi ero scordata di spammarvi con il mio account Twitter, https://twitter.com/Ginny_theQueen  seguitemi se vi va!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** tredici dicembre. ***


“… e la mattina successiva, non c’era più. Abbiamo cercato in tutto il campo. Abbiamo chiamato sua madre. Abbiamo tentato di raggiungerlo in ogni maniera conosciuta. Niente. E’ semplicemente scomparso.”

Annabeth Chase, The Lost Hero

 

 

{la sparizione}

 

Nonostante avesse fatto più tardi del solito la sera precedente, Annabeth si svegliò insieme ai suoi fratelli.

Realizzò immediatamente che c’era qualcosa che non andava:

a) non aveva fatto sogni.

Strano.

b) c’era una strana sensazione che non riusciva bene a definire intorno a (o forse dentro?) lei.

 

Si sedette a gambe incrociate sul letto e fece quello che da sempre le riusciva meglio, ragionare. Svuotò la mente e cercò di allontanare quello strano sentimento–o meglio, quella sensazione.

Avendo avuto poco successo nel tentativo, disse ai suoi fratelli di prepararsi per la colazione, e stava per entrare in bagno quando notò un flebile russare.

Malcom era ancora disteso sul suo letto, le coperte tutte scombinate e una faccia priva di emozioni.

“Malcom!” lo chiamò lei scuotendolo, “Malcom, sveglia!”

Suo fratello aprì gli occhi e dopo un attimo li focalizzò su di lei.

“Annabeth.”

Lei capì subito, per la seconda volta quella mattina, che qualcosa non andava. Malcom era sempre stato ligio alle regole, non si era mai svegliato per ultimo e non le piaceva affatto il modo in cui aveva pronunciato il suo nome.

“Hai avuto un incubo?”

Malcom annuì.

“Che hai sognato? Nostra madre?” chiese speranzosa.

Circa un mese fa, gli dei si erano fatti silenziosi. Avevano smesso di parlare ai loro figli e l’Olimpo era stato chiuso. Di punto in bianco. Senza alcun preavviso, spiegazione o avvertimento. Annabeth aveva cercato di contattare sua madre, ma niente. Nessun altro semidio che conoscesse era riuscito a parlare col proprio genitore divino.

Quindi Annabeth pensò che magari Malcom fosse riuscito a parlare con Atena, ma si sbagliava.

“No,” disse lui.

“E allora che…?”

“Te.”

“Come scusa?”

“Ho sognato te. Piangevi. Disperata.”

Annabeth provò di nuovo quella brutta sensazione che aveva sentito al risveglio, ma non lo dette a mostrare: lei doveva sempre apparire forte. Se c’era una cosa che sua madre le aveva trasmesso era di non farsi trascinare dalle emozioni. Quindi scrollò le spalle, e con aria di seccata nonchalance, disse al fratello:

“Era solo un sogno, Malcom. Muoviti, o faremo tardi a colazione.”

 

Ovviamente la casa di Atena non fece tardi a colazione. Ma qualcun altro sì.

“Vado a svegliare Percy,” Annabeth informò i suoi fratelli appena si furono seduti, “altrimenti dorme fino ad ora di pranzo.”

Detto questo si diresse verso la Casa 3. Fece il tentativo di bussare, ma invano, perché ovviamente Percy dormiva. Così Annabeth entrò silenziosamente e si mise in testa il suo cappellino degli Yankees, per fare al suo ragazzo il solito scherzo.

 

 

Lo scherzo non riuscì, Percy non era a letto. Probabilmente era in bagno.

 

Negativo, non era nemmeno lì. Annabeth si guardò intorno, ma nella Casa di Poseidone non c’era traccia del suo ragazzo.

Forse avrà fatto tardi a colazione e non l’ho incontrato venendo qui…

Tornò a mangiare, ma lui non c’era. Si ingozzò perché onestamente moriva di fame, ma non poteva perdere un minuto di più.

Si alzò, ma prima che potesse dirigersi verso la spiaggia–era sicura di trovarlo lì–Malcom la fermò con uno sguardo interrogativo.

Senza bisogno di parole, Annabeth fece cenno con la testa verso il tavolo vuoto che apparteneva ai figli del dio del mare. Lui capì, “Non l’hai ancora svegliato?”

“Non c’era. Probabilmente avrà fatto un brutto sogno e si sarà recato in spiaggia. Va sempre verso il mare quando è di cattivo umore.”

 

Non era al lago delle canoe, e nemmeno in spiaggia. Si era sicuramente buttato in acqua per un bel bagno, nonostante il freddo gelido di dicembre. Ma quando si è il figlio di Poseidone non ci si deve preoccupare della temperatura, no? Di certo Annabeth non sarebbe andata a cercarlo oltre, il mare non era il suo territorio. Soprattutto non a dicembre.

Due ore dopo, Percy non si era ancora fatto vivo. Annabeth decise di andare a parlare con Chirone, perché la cosa cominciava a spaventarla.

Chirone ammise di aver notato l’assenza del ragazzo e suggerì ad Annabeth di contattare Sally.

“Ma a cosa serve? Insomma, ieri notte era qui, non credo sia potuto andare da qualche parte… non senza avvisare almeno. Non voglio allarmare sua madre, conosco Sally, e so che si fionderebbe qui per la preoccupazione. Dobbiamo prima assicurarci che non sia nei paraggi… insomma, il ragazzo è stupido, chissà magari stava facendo una passeggiata nei boschi e si è addormentato.”

“Annabeth, cara, ma ti sei sentita? Comunque d’accordo, mandiamo i ragazzi a cercarlo. Ma prima voglio assicurarmi di una cosa. Convoca i capi delle case e informali–se non si sono già accorti– che non abbiamo notizie di Percy da ieri,” disse mentre si allontanava.

“Dove vai?”

“Da Argo. Se Percy è uscito dal campo lui lo saprà di sicuro. Lui vede tutto,” concluse con una risatina.

 

{le ricerche}

Annabeth cercò di visualizzare Percy con un messaggio Iride, ma non appariva nulla. Allora si decise a chiamare i capigruppo: Clarisse per Ares, i fratelli Stoll per Hermes, Jake Mason per Efesto (da quando Beckendorf era morto il comando era passato a Jake), Will Solace per Apollo, Katie Gardner per Demetra, Drew Tanaka per Afrodite, Butch per Iride, Clovis per Hypnos e Lou Ellen per Hecate. Si erano riuniti attorno al falò, e Annabeth aveva spiegato loro la situazione. Nell’attesa di Chirone, potè osservare le reazioni dei compagni alla notizia della presunta sparizione di Percy: Clarisse voleva saperne di più. Per quanto i due facessero finta di odiarsi era chiaro che fossero (bene o male) affezionati l’uno all’altro dopo aver vissuto diverse avventure insieme.

Gli Stoll avevano scherzosamente suggerito sottovoce una possibile fuga di Percy dovuta alla costante ira della sua ragazza, e per questo si erano beccati uno sguardo atroce da parte di Annabeth che non era in vena di scherzare, né tantomeno di essere presa in giro.

Katie, Jake e Will sembravano più che altro colti di sorpresa, ed avevano offerto il loro aiuto per le ricerche, un aiuto che Annabeth aveva accettato con gratitudine.

Drew, la nuova capo-casa di Afrodite aveva passato tutto il tempo a cercare di flirtare con Will, e aveva prestato ben poca attenzione alle comunicazioni che Annabeth aveva offerto loro.

Drew non le piaceva affatto, e sembrava non piacesse nemmeno ai suoi fratelli. Era diventata capo solo per la sua età, maggiore di quella di chiunque altro nella casa numero 10. Perdere Silena era stato un brutto colpo per tutti loro, ma Drew non ne aveva sofferto più di tanto. Gelosia? Sicuramente. Silena non aveva dovuto instaurare un regime del terrore per essere rispettata dai fratelli.

Chirone tornò, con la notizia che Argo non aveva visto Percy. Annabeth non seppe decidere se la cosa fosse positiva o meno.

“Ok, allora siamo d’accordo. Apollo, Demetra e Efesto cercheranno nei boschi. Katie, se dovessi trovare qualche indizio lascia il comando a Miranda e raggiungimi immediatamente. Will e Jake, lo stesso vale per voi,” Annabeth era entrata in modalità stratega.

“Travis e Connor, per quanto odio dovervi affidare qualcosa di importante, ecco il vostro compito: vostro padre è il dio dei viaggiatori, quindi vi occuperete del perimetro esterno del Campo. Partite dalla Collina Mezzosangue e procedete in direzione di Long Island Sound.”

I fratelli risposero con un “Sì capo!” all’unisono e partirono con i loro compagni di casa.

“Voi altri riprendete le vostre normali attività, vi contatterò in caso di necessità. Clarisse, tu vieni con me.”

“Cosa facciamo?”

“Facciamo una capatina all’Olimpo. Un ultimo tentativo non fa mai male,” rispose semplicemente Annabeth.

Argo le lasciò all’ingresso dell’Empire State Building.

Il tizio dell’ascensore era lo stesso di quell’estate. Lo stesso che l’aveva fatta salire centinaia di volte durante l’autunno quando lavorava sulla ricostruzione dell’Olimpo. Non poteva non ricordarsi di lei, pensò Annabeth speranzosa.

“Salve. Seicentesimo piano, per favore.”

“Cosa? Non esiste una nulla del genere.”

“Senta, sono Annabeth Chase, figlia di Atena. So di non avere un appuntamento, ma ho bisogno di parlare con gli dei.”

“Cosa?” ripetè incredulo il tizio.

“Ascolti, non ho tempo di stare qui a discutere con lei, è inutile che cerca di dissuadermi! So che si ricorda di me, sono venuta qui praticamente tutti i giorni da agosto! Per favore, devo salire!” terminò Annabeth sull’orlo della disperazione.

Clarisse, che era rimasta in silenzio tutto il tempo, fece una faccia minacciosa e serrò i pugni.

“Ha sentito la mia amica? Ci faccia salire immediatamente, o subirà l’ira di Ares.”

L’uomo di limitò a guardarle incredulo. “Ma di cosa parlate? Allontanatevi prima che chiami la polizia.”

Annabeth fece un sospiro, “Andiamo Clarisse. Sembra davvero che non sappia nulla. Devono aver manipolato la Foschia in modo che non ricordasse…” 

Contattarono il Campo, ma le squadre di ricerca non avevano trovato nessun indizio.

 

 

“Se non vuoi venire non fa niente..”

“Non ti lascio da sola,” replicò la figlia di Ares.

Annabeth non potè non sorridere alla caparbietà della sua amica. Era in momenti come questi in cui si accorgeva di quanto davvero volesse bene a Clarisse. Si conoscevano da quando avevano nove anni, e ora ne avevano sedici. Erano letteralmente cresciute insieme.

Le sorrise grata e scese nella trafficata metropolitana di New York.

“Quante fermate ancora?”

“Due. Poi dobbiamo proseguire a piedi per un isolato, casa di Percy non è molto lontana.”

Quando Sally Jackson si trovò Annabeth e Clarisse (della quale aveva solo sentito parlare) davanti alla porta di casa, capì che c’era qualcosa che non andava.

Annabeth glielo lesse negli occhi.

Le raccontarono semplicemente di come non avessero idea di dove fosse suo figlio. Sally offrì loro dei biscotti. Blu, ovviamente. Clarisse storse il naso ma ne prese un paio. Annabeth mangiò tutti gli altri perché moriva di fame e perché aveva bisogno di qualcosa che le ricordasse che chissà dove, lui c’era ancora.

Dopo un paio d’ore decisero che era il momento di rientrare. Sally si offrì di riaccompagnarle al Campo e le ragazze accettarono, pensando che era probabilmente giusto che parlasse anche con Chirone.

Prima di andare, Sally chiamò Paul –che non era ancora tornato da lavoro– e gli disse che c’era stata un’emergenza e che sarebbe tornata il prima possibile. Poi abbracciò Annabeth e permise a qualche lacrima di solcarle il volto.

“Pensi che andrà tutto bene?” le chiese.

Annabeth la strinse un po’ più forte, “Certo, Sally. Stiamo parlando di Percy. E’ tuo figlio, lui torna sempre alla fine. Anche se ci fa prendere un brutto spavento ogni volta,” disse pensando a quella volta in cui Percy era sparito per due settimane, quando si trovava sull’isola di Calipso.

 

Al Campo Mezzosangue erano tutti preoccupati, ma quasi tutti i campeggiatori avevano ripreso le consuete attività. Nonostante ciò, Clarisse si rifiutava di allontanarsi da Annabeth. Quella sera al falò le chiese cosa avesse intenzione di fare.

“Beh, visto che gli dei non rispondono siamo costretti a contattare l’unica persona che potrebbe saperne più di noi.”

“Cioè?”

“L’Oracolo di Delfi, naturalmente.”

 

 

Angolo autrice: saaaalve! Ecco qui il secondo capitolo, spero vi sia piaciuto. Vi anticipo che nel prossimo torneranno i miei amati Rachel, Thalia e Nico, e fra un paio di capitoli arriveranno anche i personaggi della seconda serie, Piper, Jason e Leo.

Ma parliamo di questo capitolo. Odio Drew. Se avete letto The Lost Hero la odiate quanto me, suppongo. Qui Annabeth non è ancora disperata perché è principalmente confusa. Odia non sapere. La farò crollare tra poco, non temete muahahahah *risata malefica*

Ho già scritto alcuni capitoli che si collocano un po’ più avanti nella storia, e non vedo l’ora di postarveli.

Mi lasciate qualche recensione? *faccia da cucciolo*

 

Grazie e alla prossima,

 

Ginny_theQueen

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** quattordici dicembre. ***


quattordici dicembre

 

Erano le sei di mattina quando Malcolm si svegliò. Questa notte non aveva fatto incubi, per fortuna. Il sogno della notte precedente lo aveva scosso abbastanza. Non che fosse chissà quale sogno, ma quella visione di Annabeth piangente gli era sembrata così vivida, così viva… Comunque, lei gli aveva detto di non pensarci e lui non lo avrebbe fatto.

La colazione si teneva alle otto, quindi non avrebbe avuto senso rimettersi a dormire. Si sarebbe preso il compito di svegliare tutti i suoi fratelli e magari avrebbe dato un’occhiata ai progetti di architettura di Annabeth. Era davvero molto preoccupato per lei, ma non sapeva cosa fare. Si era chiesto se la loro divina madre li guardasse dall’Olimpo e se fosse in qualche modo responsabile della sparizione di Percy. Razionalmente parlando, il suo ragionamento non faceva una piega: Atena odiava Poseidone, e da quel che sapeva aveva più volte intimato a Jackson di stare lontano da sua figlia, ma lui caparbiamente non le aveva dato ascolto e i due si erano fidanzati.

Malcolm non odiava Percy, anzi tutt’altro, lo ammirava come guerriero per il suo coraggio. Era da qualche anno che sospettava provasse qualcosa per sua sorella, e non aveva mai capito fino in fondo cosa c’era tra di loro. Era convinto che la loro relazione non fosse cominciata quell’estate, quando tutti loro li avevano buttati nel lago, ma molto prima. L’anno della battaglia nel labirinto ad esempio, li aveva beccati abbracciati nella loro casa; comunque sia, non aveva mai avuto il coraggio di chiedere ad Annabeth qualsiasi tipo di informazione sulla loro relazione.

 

 

“Chirone!”

“Malcolm, sono appena le sei e un quarto, apprezzo il tuo essere mattiniero, ma se continui ad urlare in questo modo sveglierai tutto il campo, ragazzo mio,” rispose il centauro con la calma che lo contraddistingueva.

“Annabeth,” farfugliò cercando di riprendersi dalla corsa, “è – sparita. Anche lei.”

Dire che Malcolm fosse preoccupato era un eufemismo. Tutto un tratto, la sua sorellina non c’era più. Sparita. Come Percy. Malcolm non era preoccupato.

Era terrorizzato.

Chirone lo fissò con quegli occhi che sembravano vedere tutto, pericolosamente calmo.

Come fa a mantenere la calma se gli sono piombato addosso all’alba gridandogli che Annabeth non c’è più? I suoi due eroi preferiti sono scomparsi e lui se ne sta lì, con quello sguardo onnisciente a non fare un bel niente.

“No, mio caro Malcolm. Annabeth non è uscita dai confini del Campo Mezzosangue. Non è nella vostra casa, dici?”

“Nossignore. Ieri è rientrata tardi, ma l’ho personalmente vista mettersi a letto. Stamattina mi sono svegliato e non c’era più,” rispose agitandosi. “Penso che possa esserle successo qualcosa… come a Percy.”

“Non preoccuparti Malcolm, ti assicuro che Annabeth sta perfettamente bene.. fisicamente almeno. Lascio a te e ai tuoi fratelli il compito di cercarla; ma ripeto – non uscite dai confini del Campo – non la troverete fuori.”

Con un cenno del capo gli fece capire che lo stava congedando, e il figlio di Atena corse alla sua casa a svegliare i suoi fratelli.

 

Mentre la casa numero sei stava discutendo, organizzando e pianificando, qualcuno bussò alla porta. Per un attimo tutti trattennero il respiro, speranzosi di vedere la loro sorella sull’uscio. Ma furono invece tutti sorpresi nel vedere Clarisse LaRue.

“Ciao perdenti. Siete già tutti in piedi? Wow. Annabeth vi tiene in riga. A proposito, dov’è?”

 

 

Che cosa vuol dire Annabeth è sparita?”

Oh oh, pensò Malcolm, Clarisse adirata è potenzialmente altamente pericolosa.

“Clarisse, calmati per favore. Siamo tutti in pensiero, ma Chirone ha detto che Annabeth si trova all’interno dei confini del campo e che noi dobbiamo trovarla,” si affrettò a spiegarle.

“Dove avete cercato fino ad ora? Avete provato la casa del pivello?” suggerì scherzando, ma Malcolm si fece improvvisamente serio.

Ma certo!

 

 

Era stesa sul letto che apparteneva a Percy, gli occhi rossi e le coperte scombinate. Stringeva ossessivamente il cuscino, sotto cui –ne era sicuro– c’era il suo pugnale.

A Malcolm si gelò il cuore a vederla così. Quando aprì gli occhi, le sorrise:

“Buongiorno.”

“Lo è davvero, Malcolm? Un buon giorno?”

Trattenne lacrime che rischiavano di scendere.

“Ci hai fatto prendere uno spavento,” disse avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto, “quando mi sono svegliato e ho trovato il tuo letto vuoto ho pensato che…” scosse la testa, evitando quel brutto pensiero.

“Scusa,” rispose lei, “non avevo pensato a come avreste reagito non trovandomi.. è solo che avevo bisogno di.. sentirlo vicino.”

Le accarezzò i capelli.

“Per quanto mi riguarda puoi passare qui tutto il tempo che vuoi se ti aiuta a sentirti meglio. La prossima volta avvertimi però,” disse con un sorriso sbarazzino. Non voleva sembrare suo padre, ma in effetti era il suo unico fratello maggiore, l’unica persona per la quale lei non doveva sentirsi responsabile, ma che doveva sentirsi responsabile per lei; ovvio che si preoccupasse per lei.

Lei rispose con un debole sorriso, poi fece per alzarsi.

“Andiamo a colazione, dai.”

 

 ≈

 

“Juniper!”

La ninfa si voltò, “Oh, ciao Annabeth. Come va? Ho saputo di Percy, e –“

“Potrebbe andare meglio, grazie. Ascolta, sai dov’è Grover e come posso raggiungerlo? Ti prego, dimmi che si trova nello stato di New York e non da qualche parte a salvare il verde.”

“E’ sempre molto occupato, sai essendo diventato un membro del Concilio degli Anziani e tutto… ma penso che se sei tu a cercarlo farà sicuramente un salto.”

“Grazie, Juniper,” Annabeth si voltò per tornare nell’arena, ma la ninfa continuò:

“Sai, era molto preoccupato anche lui. Percy è il suo migliore amico… ha in piano di andare a cercarlo a breve. Erano davvero molto legati.”

“E’ questo il punto, Juniper! Il loro era un legame empatico, Grover è l’unico che può aiutarmi a trovarlo.”

“Beh buona fortuna allora. Se avete bisogno di me, sai dove si trova il mio albero,” concluse sfiorandole la spalla con una mano in un gesto che voleva essere affettuoso.

“Ce ne servirà.”

 

 

 

“Grazie agli dei sei venuto! Vieni qui, mi sei mancato!”

Annabeth abbracciò Grover, che la strinse forte.

“Dai nerd, mi serve concentrazione. Abbiamo una Testa d’Alghe da localizzare!” disse scherzoso.

Annabeth sorrise, ricordando i vecchi tempi, quando –ormai quasi dieci anni fa– Grover li aveva trovati. Avevano viaggiato insieme per un po’, lei, Thalia, Luke e Grover, prima di raggiungere il Campo Mezzosangue. Poi le tornarono in mente anche ricordi più recenti: la sua prima missione, la prima impresa di Percy. Al satiro associava sempre momenti scherzosi, risate e allegria. Aveva bisogno anche di quello ora. L’affetto che provava per il satiro sorridente che aveva di fronte era inesprimibile.

“Di cosa hai bisogno?”

“Solo di un po’ di quiete per concentrarmi… è un bel po’ che io e Percy non usiamo il legame.”

Grover chiuse gli occhi, portandosi le mani alle tempie. Dopo qualche minuto aprì gli occhi di scatto.

“Allora?” chiese Annabeth impaziente.

“Non ci sono riuscito, non riesco a trovare il legame.”

“Pensi che sia stato spezzato?”

“No, non proprio… più che altro, fortemente indebolito,” scosse la testa, poi continuò: “Prima anche solo pensando al suo viso riuscivo a mettermi in contatto con lui. Ora non riuscivo quasi a trovare il legame.”

“Quindi? Ti prego, G-man, prova di nuovo,” lo supplicò Annabeth.

Il satiro si rese conto di quanto potesse essere convincente la ragazza quando faceva gli occhi da cucciolo. Quelle iridi grigie, solitamente tanto serie, si facevano dolci e supplicanti nel momento del bisogno. Grover si chiese come faceva Percy a vincere una discussione con lei. Poi realizzò che in effetti, era sempre la ragazza a vincere.

Quindi provò ancora –e non perché Annabeth gli faceva gli occhi dolci, ma perché Percy era il suo migliore amico e lui doveva trovarlo– e ancora, ma tutti i tentativi di collegarsi empaticamente erano inutili.

Dopo qualche minuto di silenzio, Grover parlò di nuovo: “Non vorrei allarmarti in nessun modo, ma penso che dobbiamo contattare immediatamente Nico.”

Annabeth si allarmò eccome: “Credi che…?”

“Spero di non doverlo credere mai, Annabeth. Ma Nico potrebbe anche essere un valido aiuto per le ricerche.”

“Chiamiamolo allora. O Iride, dea dell’arcobaleno, accetta la mia offerta,” lanciò una dracma nel lago, “mostrami Nico Di Angelo, dovunque egli sia.”

L’acqua scintillò, poi si illuminò e sulla superficie apparve l’immagine di un ragazzo voltato di spalle, con un giubbotto da aviatore ed i capelli neri scompigliati.

“Nico!”

Si  voltò di scatto, come pronto per attaccare, “Oh sei tu, Annabeth.”

“Nico, abbiamo bisogno di te.”

“Cosa c’è? Dov’è Percy?”

“Hai centrato il punto…”

Grover l’aiutò a spiegare la situazione. Il figlio di Ade li assicurò che Percy era vivo–o meglio, morto non era–e che avrebbe ovviamente dato una mano per le ricerche.

 

 

“Quando dovrebbe arrivare Rachel?” chiese Grover mentre si ingozzava di enchiladas seduto al tavolo di Atena.

“Il 20,” rispose apaticamente Annabeth.

Rachel non frequentava una scuola nello stato di New York, e alla Clarion Ladies Academy le vacanze di Natale non cominciavano presto quanto alla Goode High, la scuola newyorkese che aveva frequentato l’anno scorso insieme a Percy.

Ora che Rachel era diventata l’Oracolo–e non poteva più provarci con Percy– ad Annabeth stava davvero simpatica. Era una persona solare ed altruista, il suo esatto opposto. Ovviamente avrebbe passato le vacanze al Campo Mezzosangue come avevano programmato alla fine dell’estate, ma adesso che la situazione si era fatta tesacon gli dei che non comunicavano e Percy scomparso–l’Oracolo era la persona di cui avevano più bisogno.

“Dovresti contattarla, spiegarle la situazione e fare in modo che anticipi il suo arrivo,” continuò il satiro con la bocca piena.

“Hai ragione, forse dovrei. Quanto prima Rachel arriva, tanto prima riusciremo a capire cosa sta succedendo… ma forse sarebbe meglio una vera telefonata: se la sua compagna di stanza mi vedesse apparire nell’aria potrebbe spaventarsi. Chissà cosa le farebbe vedere la Foschia–“

Fu interrotta dallo squillo di un telefono–il suo. Non era per niente abituata ad averne uno: era solo da qualche settimana che le figlie di Hecate avevano messo a punto un incantesimo per permettere ai semidei di utilizzare telefoni senza attirare mostri anche al di fuori del campo.

Guardò il numero, “Parli del diavolo…” rispose alla chiamata: “Rachel?”

“Annabeth!” disse con voce scossa “Ho avuto una visione, stai bene?”

“Sì, ma Rach ascolta: devi venire il prima possibile. Percy è sparito.“

Ad Annabeth sembrava di aver ripetuto quelle parole migliaia di volte. A Chirone. Ai semidei del Campo Mezzosangue. A Sally. A Grover. A Nico. Ora a Rachel Elizabeth Dare.  

“Lo so, e per questo sono partita in anticipo, mi sono avviata stamattina! Non ho potuto chiamarti prima perché ero in elicottero… ecco, sto per atterrare nei pressi di Manhattan, puoi venire a prendermi con Butch o Argo? Meglio non far avvicinare l’elicottero al campo più di tanto.”

“Rach, cosa hai visto?” chiese insistente.

“Ne parliamo quando arrivo… come vi raggiungo?”

Annabeth entrò in modalità stratega.

“Grover, va’ a chiamare Argo: che prepari il camioncino e mi aspetti vicino al pino di Thalia. Rossa, tu fatti lasciare ai piedi dell’Empire, facciamo un altro tentativo per l’Olimpo, non si sa mai…”

 

 

 

Angolo autrice: salve! Passiamo subito al capitolo: doveva essere più lungo e avrebbe dovuto comprendere anche la giornata del 15 dicembre, ma si stava facendo davvero troppo lungo e temevo che non sarei mai stata in grado di completarlo e postarlo xD Ho voluto inserire un punto di vista di Malcolm perché penso che sia la persona più vicina ad Annabeth. Per me Malcolm è il più grande nerd del Campo, per questo ho cercato di attribuirgli tanti verbi statici lol. E poi c’è Clarisse… vi giuro, non è mia intenzione farla saltare fuori in ogni capitolo, ma le mie mani scrivono da sole! Evidentemente il mio inconscio la ama… No seriamente, ho sempre pensato che lei e Annie siano cresciute insieme e che abbiano molte cose in comune. Poi, in hanno fatto la loro prima apparizione nella storia Juniper, Grover, Nico e Rachel. (Li adoro tutti *-*)

Direi che è stato un capitolo abbastanza intenso. C’è qualche personaggio in particolare che volete vedere tornare? Ditemelo, così cerco di inserirlo nel prossimo capitolo :) non dite Percy.

Sul serio, mi lasciate qualche recensione? Anche per dirmi che la storia vi fa schifo :3

Al prossimo capitolo,

Ginny_theQueen

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** quindici dicembre. ***


Se per un momento Annabeth aveva pensato che con l’arrivo di Rachel le cose sarebbero andate un po’ meglio, si era sbagliata.

Infatti, la prova che gli dei li avevano completamente abbandonati, o che la deaTyke (la Fortuna) stesse giocando davvero brutti scherzi, arrivò proprio quando Annabeth e Rachel si trovavano sulla Fifth Avenue, in procinto di andare al Campo.

Rachel aveva ricevuto una telefonata da parte di suo padre, arrabbiatissimo poiché era stato contattato dalla Clarion Ladies Academy e aveva scoperto che sua figlia aveva lasciato la scuola cinque giorni prima del previsto. Ovviamente Rachel non aveva potuto spiegare al padre le vere motivazioni che l’avevano portata a tornare a New York (se gli avesse parlato di profezie, dei e mostri lui le avrebbe sicuramente chiamato uno psicologo), quindi non aveva potuto controbattere all’ordine del signor Dare di tornare immediatamente nella loro casa nel Queens, visto che ormai si trovava a NYC.

Annabeth era quindi tornata al campo senza risposte e pure senza Oracolo.

Dannate vacche di Era.

Quindi aveva passato la giornata successiva esonerata dalle attività del campo, libera di fare quel che voleva. E quello che voleva era trovare Percy. Ma Chirone le aveva chiesto di non andare a cercarlo all’esterno. Non ancora, aveva detto.

Quindi, come cercare Percy rimanendo all’interno del campo? Facile.

Servivano solo tante dracme e una pozza d’acqua.

Il lago era più che sufficiente, e di dracme poteva spenderne a volontà. Annabeth passò tutta la mattinata del quindici dicembre a contattare spiriti benevoli, ninfe, e quant’altro.

Capì di aver superato il limite quando cercò di contattare il Minotauro.

 

Ad un tratto, mentre stava per chiamare Nico per chiedergli se c’erano novità, Annabeth sentì qualcuno sedersi accanto a lei sul bordo della banchina. Si voltò e vide la faccia sorridente di Katie Gardner, figlia di Demetra.

“Ciao, Annabeth. Disturbo?”

“No, stavo solo… beh Katie, credo di stare impazzendo,” ammise abbassando tutte le sue difese, smettendo di pretendere di stare bene.

Katie la esortò a continuare.

“Da stamattina ho speso circa una cinquantina di dracme d’oro, contattando spiriti benevoli. Chiedo loro se hanno visto o sentito parlare di Percy in questi ultimi giorni, ma nessuno sa rispondermi,” sospirò.

Katie le mise una mano sulla spalla, “Noi due non siamo molto vicine. So che probabilmente in questo momento difficile vorresti avere Thalia accanto a te… e so che Clarisse non è esattamente la persona giusta con cui parlare, quindi… sappi che se hai bisogno di qualcuno io ci sono, ok?”

Thalia. Thalia aveva smesso di giocare a fare la sorella grande da tempo. La prima volta durante il suo periodo da albero. La seconda, quando aveva scelto l’immortalità piuttosto che una vita accanto a lei.

D’altra parte invece, in passato Clarisse si era dimostrata più brava di quanto tutti si aspettassero con i sentimenti. Era riuscita a consolare Silena, una figlia di Afrodite decisamente molto emotiva, quando Beckendorf era morto. Ma Annabeth non era debole come Silena. Non voleva essere debole come Silena. Non aveva bisogno della figura forte di Clarisse per andare avanti. Aveva solo bisogno di qualcuno che l’ascoltasse.

Annabeth annuì grata alla proposta di Katie.

“E’ come l’ultima volta?” le chiese quest’ultima.

Annabeth capì. Katie si stava riferendo a quando Percy era sparito per due settimane, l’anno della battaglia del Labirinto.

“Peggio. All’epoca sapevo dov’era, cosa poteva essere successo… gli avevo persino detto addio prima di lasciarlo andare a combattere i telchini, sai?” sorrise al ricordo, decidendo di andare avanti col racconto, “Tutti pensano che il nostro primo bacio sia stato il giorno del suo compleanno quando ci avete buttati nel lago, ma non è così. Quel giorno, prima che me ne andassi e lo lasciassi solo nel vulcano, gli diedi un bacio. Speravo con tutta me stessa che sarebbe ritornato sano e salvo, ma una parte di me non era sicura che ce l’avrebbe fatta, quindi gli diedi un bacio d’addio. Sei la prima persona a cui lo racconto.”

Il sorriso di Katie si fece più ampio, e si spostò per sedersi più vicina ad Annabeth.

“Non volevate che le figlie di Afrodite lo scoprissero, eh?” chiese scherzosa.

“In realtà non ne abbiamo mai più parlato. Quando finalmente tornò, -e pensare che stavo parlando al suo funerale!- fui colpita dalla gelosia. Due volte. Inizialmente quando compresi dove era stato durante la sua sparizione: due settimane sull’isola di Calipso. Col senno di poi, realizzai che in effetti aveva abbandonato Ogigia per tornare da noi, da me, ma al momento ero solo arrabbiata perché mi aveva fatto stare male e mi aveva fatto sembrare debole di fronte a voi altri. E poi è arrivata Rachel. Era così chiaro che fosse attratta da lui. Ma grazie agli dei Percy è uno stupido e non lo realizzò subito… comunque la situazione ora è diversa.”

“Perché?”

“La guerra è finita. La profezia avverata. Pensavamo di poter vivere in pace, e invece no.”

Katie sospirò, “Non preoccuparti, Annabeth. Lo troveremo.”

 

 

Più tardi, si trovò di nuovo a gironzolare nella cabina numero tre.

(Questa volta aveva avvertito Malcolm.)

Era irrequieta.

Non si accasciò sul suo letto, questa volta.

Vagava.

Gironzolava per la stanza.

Cercava qualcosa, nemmeno lei sapeva bene cosa.

Sentiva solo questa ossessiva sensazione di dover trovare qualcosa.

Si guardava intorno: la cabina era identica a come l’aveva lasciata quella mattina quando si era recata a colazione.

Identica a come lui l’aveva lasciata per poi sparire, solo che adesso sul comodino accanto al suo letto c’erano un cappellino degli Yankees ed un pugnale.

 

Poi dopo qualche ora o minutonon sapeva dire da quanto tempo Katie l’avesse lasciata lì fuori–, immersa in quel caos, Annabeth realizzò.

Non stava cercando qualcosa di materiale.

(O meglio, starebbe cercando anche lui, ma sapeva di non poterlo trovare in quella stanza)

Capì che poteva circondarsi del suo disordine, delle sue foto, persino del suo profumo.

 

Ma non poteva circondarsi della sua voce.

 

 

Angolo autrice: buongiorno! E buona domenica!

Ok, lo so che questo capitolo è cortissimo, ma non sapevo più cosa inserirci, perché volevo che finisse esattamente così. Poi siete liberi di dire che fa schifo, come sempre :) 
In compenso ho scritto una piccola drabble che avrei voluto mettere come capitolo un po’ più avanti in questa storia, ma penso che mi avreste ammazzata se avessi pubblicato un capitolo di 98 parole… Comunque fra qualche minuto ve la pubblico.

(Il fatto che Annabeth spenda dracme d’oro per chiamare spiriti e chiedere loro di Percy non l’ho inventato, è scritto in The Mark Of Athena!)

Visto? Sono riuscita a non inserire Clarisse in questo capitolo, l’ho solo menzionata!

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare abbastanza presto (salvo imprevisti!), e se avete letto The Lost Hero e vi fate un calcolo dei giorni potete anche indovinare cosa succederà.

 

Chiamate la dea Iride e mandatemi qualche recensione, che sono curiosa di sapere che ne pensate!

Alla prossima, (in pratica ci vediamo fra cinque minuti con la drabble)

 

Ginny_theQueen 

 

PS: non vi sto spammando abbastanza… se qualcuno ha Twitter può seguirmi sul mio meraviglioso account https://twitter.com/Ginny_theQueen scrivetemi in recensione che mi avete seguito e ricambio! :3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** sedici dicembre, parte prima ***


Salve! Questo capitolo è finalmente arrivato, e sì se avete letto The Lost Hero, avete capito a quale capitolo mi riferisco. Se non l’avete letto, lo scoprirete leggendo. Buon divertimento, ci vediamo giù.

 

 

sedici dicembre

 

Quando si trovò davanti Sua Noia Reale, Annabeth fu certa di stare sognando.

–Non che si sbagliasse–

Camminava da sola nel campo di fragole, quando fu accecata dal bagliore caratteristico della presenza di una divinità. Si fermò, e attese che qualcuno si mostrasse.

Prima ancora di vedere chi fosse il suo visitatore, realizzò contenta che questa era la prima volta che un dio contattava un mortale in più di un mese: forse gli dei erano tornati a comunicare col mondo!, forse l’Olimpo era di nuovo visitabile!, forse sua madre voleva congratularsi con lei per l’ottimo lavoro che stava facendo nella ristrutturazione del palazzo degli dei prima che i contatti tra i due mondi venissero interrott–

Annabeth perse il filo dei suoi pensieri quando vide chi era il dio, o meglio, la dea.

No ma io dico, ci sono ben 12 dei principali e innumerevoli divinità secondarie, e dopo più di un mese che gli immortali fanno finta che noi non esistiamo, chi deve venirmi in sogno? La più inutile ed insopportabile.

Era.

Annabeth non aveva mai avuto particolare stima per la regina degli dei, ma da due anni a questa parte le due si erano praticamente dichiarate guerra. Dire che tra le due non scorreva buon sangue era decisamente un eufemismo.

Annabeth decise però di essere cauta e di non partire col piede sbagliato, questa volta.

Dopotutto doveva essere una questione importante se le avevano mandato proprio Era.

E poi magari poteva aiutarla a trovare Percy.

Nonostante i buoni propositi, Annabeth non riuscì ad inchinarsi. Tenne la testa alta e incrociò i suoi occhi grigi con quelli marroni della dea.

“Divina Era.”

“Figlia di Atena. Vedo che sei sorpresa di vedermi.”

Annabeth dovette darle ragione.

“Non ho molto tempo. Apparirti in questo sogno mi costa molte energie.”

“Allora perché lo sta facendo?” rispose Annabeth alquanto insolentemente.

Si meritò un’occhiataccia da parte della dea, “C’era bisogno che lo facessi.”

“Bisogno? Bisogno di chi? Dove sono gli altri dei? Cosa sta succedendo? Perché avete chiuso le porte dell’Olimpo?” Annabeth espresse tutte le domande che la tormentavano da settimane, ma evitò di menzionare Percy: quello sembrava un argomento troppo intimo, e poi dubitava che Era l’avrebbe aiutata.

Ignorando le sue domande, la regina degli dei rispose con sicura pacatezza.

“So che hai un problema, Annabeth Chase.”

“Percy?” chiese incerta la ragazza, “Sa dov’è Percy?”

“Certo che lo so… mi avevano detto che eri intelligente, ragazza.”

Annabeth dovette appellarsi a tutto il suo autocontrollo per non rispondere.

“Comunque,” continuò Era, “recati al Grand Canyon. Trova l’eroe con una sola scarpa. Lui sarà la soluzione al tuo problema.”

Prima che potesse formulare una domanda, o anche solo pensarci, Era scomparve insieme al campo di fragole e Annabeth aprì gli occhi, nel silenzio della vuota cabina numero tre.

 

 

“Will, è urgente! Era mi è venuta in sogno stanotte, non ho tempo di spiegare, posso prendere in prestito la biga alata?” domandò Annabeth al figlio di Apollo.

Senza nemmeno chiedere spiegazioni, fidandosi ciecamente di Annabeth, Will annuì:

“Certo, ma ti prego, fa’ attenzione! Questa biga ci è costata una bella litigata con Clarisse quest’estate…”

Già. A inizio agosto Michael Yew–l’allora capo della casa di Apollo–aveva trovato una biga d’oro, e lui e Clarisse avevano litigato su chi dovesse usarla. Non riuscirono a giungere ad un accordo, finchè Clarisse e l’intera casa di Ares non si erano ritirati dalla guerra. Non avevano infatti combattuto nelle prime fasi della battaglia di Manhattan, il che aveva direttamente provocato la morte di Silena Beaureguard, e indirettamente la morte di tanti altri semidei. Michael era però morto nella guerra, e ora Will Solace aveva preso il suo posto come capocasa.

Annabeth capiva quanto doveva essere importante per loro quella biga.

“Farò attenzion, Will. Grazie mille. Potresti cercare Butch e dirgli che stiamo per partire per favore? Io vado a parlare con Chirone.”

“Subito, capo,” rispose senza esitare.

 

 

“Chirone, sai quanto odio Era, ma devo recarmi al Grand Canyon! Anche se non dovesse trattarsi di Percy, se Era mi è venuta in sogno vuol dire che lì troverò qualcosa di importante. Per aver contattato me… penso che mi detesti anche più di quanto detesta Thalia, il che è quanto dire,”

“Sì, bambina mia, sono d’accordo”

Annabeth storse il naso all’appellativo. Aveva quasi diciassette anni, Chirone doveva smetterla di chiamarla una bambina.

“Quindi parto subito. Sto aspettando Butch a dire la verità. Mi fido solo di lui per coprire una distanza così vasta con i pegasi.”

 

“Okay Butch, questo è il piano: arriviamo al Grand Canyon il prima possibile, prendiamo Percy, lo uccido per essere scomparso e poi riportiamo al campo il suo cadavere.”

Butch annuì pensieroso, “come vuoi, Annabeth.”

“Qualcosa non ti convince?”

“Come fai ad essere sicura che lì troverai Percy?”

“E’ una sensazione.”

“Se lo dici tu…”

 

 

C’era qualcosa che non andava.

Stavano volando a circa due miglia dal Grand Canyon ed erano pronti per l’atterraggio.

Ma c’era qualcosa che non andava.

Annabeth lo sentiva nell’aria. Non come un presentimento, lei sentiva qualcosa nell’aria.

“Butch!” gridò improvvisamente, “le redini!”                

Ma non fu abbastanza veloce, la biga fu investita da una nuvola di vento apparsa dal nulla. Non era una semplice nuvola, ma non era nemmeno una mera ondata di vento. Era come se avesse una vita propria.

Butch tenne strette le redini, e Annabeth non potè far altro che reggersi forte. Stavano per capovolgersi, ma sapeva che i pegasi  non lo avrebbero permesso.

“Dannazione,” esclamò, ancora tenendosi forte, “sono anemoi thuellai, Spiriti della Tempesta!”

Creature del caos rinchiuse sull’isola di Eolo, create quando Tifone fu distrutto da Zeus, circa tremila anni fa, rievocò Annabeth, e quest’estate da Poseidone , aggiunse.

Dannato Tartaro! Perché  c’è uno Spirito della Tempesta qui in Arizona?

Non aveva tempo per questo genere di domande, sapeva abbastanza sulle creature per credere che non li avrebbero lasciati passare facilmente.

“Eolo, signore di tutti i venti,” si ritrovò a sussurrare, “se puoi sentirmi, ti prego, aiutaci.”

Non molto utile, considerando che nessuno pregava mai Eolo, ma doveva provare. Forse…

Era,” il suo tono di voce era sempre impossibile da sentire, anche grazie al rumore provocato dal vento, ma questa volta era più sicuro e deciso, “aiutami. Tu mi hai detto di venire qui. Vuoi che muoia travolta da uno spirito, senza mai scoprire cosa c’era al Grand Canyon? Aiutaci.”

Non sarebbe servito a nulla, ma Annabeth aveva dovuto provare. 

Pensa, pensa, pensa… sei la figlia di Atena, per gli dei! Concentrati! Pensa a qualcosa!

Era una mossa pericolosa, rischiava di colpire Butch, ma se invece avesse colpito un punto debole…

Gli spiriti non erano esattamente spiriti. Avevano un corpo, e Annabeth era decisa a colpire ogni punto di quel corpo che riusciva a raggiungere. Era sempre stata una tipa combattiva, e non avrebbe permesso ad uno stupidissimo Spirito della Tempesta di mettersi tra lei e Percy, proprio quando stava per ritrovarlo.

“Butch!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola, sperando che la sua voce non si disperdesse nel vento, “Butch, abbassati, cercherò di colpirlo!”

Non aveva tempo di assicurarsi che il suo compagno avesse capito le sue parole, Annabeth strinse il pugnale nella mano destra e sferrò colpi a raffica. Quando fu sicura di aver indebolito lo spirito, seppur conscia di non parlare la lingua dei cavalli–a differenza di Percy–urlò, “Blackjack! Forza Blackjack, so che puoi sentirmi! Percy è lì giù, possiamo farcela! Forza, un po’ più di energia e poi possiamo atterrare!”

Era un tentativo pazzo, cercare di parlare ad un cavallo. E contrariamente a quello che aveva detto, non era per niente sicura che il pegaso l’avesse sentita, figuriamoci compresa. Comunque, sperava almeno che il nome Percy, tanto amato dai pegasi, fosse arrivato forte e chiaro.

Quando sentì le ali dei quattro pegasi che trainavano la biga sbattere più velocemente, seppe che avevano capito.

 

Dieci minuti dopo e uno Spirito della Tempesta in meno, stavano davvero per atterrare, e Annabeth ritta in piedi accanto a Butch, riusciva a vedere tre figure.

Prima ancora che la biga toccasse terra, si buttò giù con un salto, e prese ad avanzare con la sua speciale aria minacciosa (o come lo chiamava Grover, il suo famoso guardo “ti ammazzo”)  verso i tre ragazzi.

“Dov’è?” chiese impaziente e guardinga, senza abbandonare l’aria minacciosa.

Che questi ragazzi avessero liberato gli Spiriti della Tempesta?

Sembravano solo dei ragazzini… uno o addirittura due anni più piccoli di lei. Annabeth li studiò attentamente, come era abituata a fare da quando era piccola: il primo, un ragazzo alto e muscoloso, biondo e con una cicatrice sul labbro, aveva gli occhi più azzurri che Annabeth avesse mai visto. Anzi, era sicura di averli già visti. Ma era anche sicura di non aver mai incontrato questo ragazzo prima d’ora.

Accanto a lui c’era una bellissima ragazza cherokee, con i capelli raccolti in tante treccine e un abbigliamento poco consono al suo aspetto mozzafiato. Sembrava insicura e nervosa, come se qualcosa l’avesse appena sconvolta.

Il terzo, era basso e riccio, e se non fosse stato per il colore scuro della sua carnagione ispanica, dei capelli e degli occhi, Annabeth avrebbe potuto definirlo un folletto, per la figura e il modo in non riusciva a stare fermo.

Sindrome di iperattività.

Annabeth realizzò che li stava ancora fissando col suo sguardo terrorizzante dallo sguardo terrorizzato della ragazza centrale.

“Dov’è chi?” rispose finalmente il biondo.

Non le piacque quella risposta. Era chiaro che i tre non avevano idea di cosa stesse parlando, ma il modo in cui aveva risposto.. troppo sicuro di sé e decisamente troppo calmo per uno che aveva appena visto una persona saltare giù da un carro trainato da quattro cavalli alati.

Wow, pensò Annabeth, nuovo record. Aveva avuto questo ragazzo davanti per meno di un minuto e le stava già antipatico. O meglio, le ispirava ostilità.

Decise di ignorarlo e si rivolse agli altri due: “E Gleeson? Dov’è il vostro protettore Gleeson Hedge?”

Il ragazzo folletto si schiarì la gola, “E’ stato preso da quelle cose tornado.”

Venti,” lo corresse il biondo, “Spiriti della Tempesta.”

“Intendi anemoi thuellai?” tradusse automaticamente Annabeth, “il nome greco. Chi siete voi? Cosa è successo?”

Il ragazzo dagli occhi azzurri parlò, e Annabeth fu costretta a guardarlo: “Io sono Jason, e loro sono Piper e Leo,” disse indicando gli altri due. Era chiaro che lo ritenessero il capo della loro piccola gang.

Jason, che nome interessante. Il suo omonimo Giasone era stato il primo Argonauta, pensò la figlia di Atena.

Jason raccontò di essersi svegliato solo poche ore prima sul pullman senza ricordare nulla della sua vita eccetto il suo nome, ma come Piper e Leo ricordavano tutto di lui. Amnesia? Ogni tanto gli altri due intervenivano nella narrazione di come gli anemoi thuellai li avevano attaccati e infine avevano portato via il Coach Hedge mentre lui cercava di proteggerli.

Annabeth si sentì estremamente frustrata, sull’orlo di una crisi di nervi.

“No, no no! Mi aveva detto che lui sarebbe stato qui! Mi aveva detto che se fossi venuta qui avrei trovato la risposta!” si ritrovò ad imprecare.

“Annabeth,” la chiamò Butch, che non aveva ancora parlato da quando era atterrato, “guarda,” continuò, indicando un punto sul terreno vicino a Jason. “Il ragazzo con una sola scarpa è la risposta.”

Era vero. Jason era scalzo al piede sinistro. Questa doveva essere la risposta al suo problema? Cosa voleva dire Era? Si sentiva particolarmente in vena di scherzare? Stava forse suggerendo che Annabeth si trovasse un altro fidanzato? La ammazzo.

Si rivolse al cielo, “COSA VUOI DA ME? Cosa hai fatto di lui?” gridò, e la voce le si strozzò in gola.

Jason, Piper e Leo la guardavano sconcertati, probabilmente senza capire che torto il cielo avesse potuto farle.

In tutta risposta, il suddetto cielo sembrò vibrare di tuoni, e perfino i cavalli sentirono il bisogno di nitrire.

“Annabeth, dobbiamo andare. Portiamo questi tre al campo e cercheremo di capire lì. Quegli Spiriti della Tempesta potrebbero tornare.”

Per qualche motivo anche a lei sconosciuto, era sospettosa. Squadrò Jason e rispose a Butch, “Ok, sistemeremo questo affare più tardi,” concluse marciando verso la biga ma restando in ascolto.

“Che problema ha?” sentì la ragazza, Piper, dire con voce stridula.

“Sì, sul serio, che problema ha?” fece eco Leo.

“Dobbiamo portarvi lontano da qui, spiegherò sulla strada,” rispose paziente Butch.

“Io non vado da nessuna parte con quella, sembra che voglia uccidermi,” si affrettò a chiarire Jason, sempre credendo di non essere udito da quella.

“No, Annabeth è una apposto. Dovete avere pazienza. Ha avuto una visione che le diceva di venire qui e trovare il ragazzo con una sola scarpa, quella sarebbe dovuta essere la soluzione al suo problema.”

“Quale problema?” chiese Piper.

“Sta cercando uno dei nostri campeggiatori che è sparito da tre giorni. Sta impazzendo dalla preoccupazione. Sperava di trovarlo qui.”

“Chi?” chiese incuriosito Jason.

“Il suo ragazzo. Un tipo di nome Percy Jackson.”

 

 

Angolo autrice: okay, allora. Per quelli che non avevano letto                The Lost Hero, forse ci sono delle cose che non capite, ma non preoccupatevi, spiegherò tutto nel prossimo capitolo. Per gli altri, come vedete ho riportato parte del dialogo avvenuto nel libro ma spostando il punto di vista su Annabeth.

Come vi sembra? A me piace abbastanza, a dire la verità. E’ anche il capitolo più lungo della storia, fino ad ora.

Ho disseminato vari indizi per chi ha letto la seconda serie, vediamo se riuscite a trovarli :P scrivetemi in recensione quelli che avete trovato (sempre se me la scrivete una recensione)

Se c’è qualcosa di poco chiaro, sarò lieta di spiegare, perché capisco che questo capitolo può essere confusionario…

Dai, fatemi sapere cosa ne pensate *disperazione per aver scritto per ore mode ON*

Alla prossima,

 

Ginny_theQueen

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** sedici dicembre, parte seconda ***


Salirono tutti e cinque sulla biga. Annabeth e Butch prepararono tutto per il decollo, mentre gli altri si posizionarono più indietro. Piper aveva un’espressione triste sul viso, Jason fissava l’orizzonte, mentre Leo non riusciva a stare fermo e zitto per più di un quarto di secondo.

“Che cosa figa!”

“Stiamo volando!”

“Ah, ma dov’è che andiamo, precisamente?” Ecco, finalmente aveva detto una cosa sensata.

“In un posto sicuro,” rispose Annabeth, “L’unico posto sicuro per le persone come noi. Il Campo Mezzosangue.”

“Mezzosangue?” Piper si risvegliò dai suoi pensieri, indignazione  rimpiazzò la tristezza. “Se era una battuta, non era divertente.”

Per un attimo Annabeth si chiese cosa volesse dire l’altra ragazza, poi capì.

Mezzosangue. Piper era un’indiana Cherokee, lo si vedeva dal colore della sua pelle. Chissà quante volte era stata chiamata mezzosangue in maniera dispregiativa, per via delle sue origini…

Fu Jason a rispondere.

“Intende che siamo dei semidei. Mezzi dei, mezzi mortali.”

Annabeth lo guardò, “Sembri sapere molte cose, Jason. Ma sì, semidei. Mia madre è Atena, la dea della saggezza. Butch invece è figlio di Iris, la dea dell’arcobaleno.”

Leo ridacchiò, “Tua madre è la dea dell’arcobaleno?”

“Hai qualche problema?” rispose distaccato Butch.

“No, no. Arcobaleni. Fanno molto macho.”

“Butch è il nostro migliore equestre, va molto d’accordo con i pegasi,” si sentì in dovere di intervenire Annabeth.

“Arcobaleni, pony…” sussurrò Leo, evidentemente in vena di scherzare, facendo arrabbiare Butch, che rispose con un minaccioso:

“Ti butto giù da questo carro.”

La minaccia di Butch che era praticamente un gigante ebbe il suo effetto sul piccolo Leo, che si zittì.

Dopo un po’ di silenzio, Piper riprese il discorso precedente, “Semidei. Cioè, tu pensi che siamo… tu dici che siamo–“

Fu interrotta dal grido d’allarme di Butch “La ruota sinistra è in fiamme!”

“Dannazione! Sono ancora loro!” imprecò Annabeth guardando indietro e notando le figure che si erano formate nel vento.

“Perch–“ la domanda di  Piper fu nuovamente interrotta.

Anemoi. Possono avere forme diverse. A volte umani, a volte cavalli… Tenetevi forte. Siamo messi male.”

Cercarono di andare avanti il più possibile, ma stavano anche perdendo quota. Fortunatamente erano quasi arrivati però. Infatti sotto di loro cominciarono ad apparire gli alberi, le cabine e i templi.

La ruota si staccò, i pegasi impazzirono.

“Blackjack, calma!” gridò la figlia di Atena, ma con poco successo.

Andavano troppo veloce. Erano in cinque e pesavano decisamente troppo in quelle circostanze. Perdevano sempre più quota.

Idea, idea, idea, non sei una figlia di Atena per niente, Annabeth!

Ce l’abbiamo quasi fatta, non possiamo morire adesso.

“Butch, il lago! Atterra nel lago!”

L’idea del secolo.

L’impatto fu così duro che se non fosse stato per l’acqua gelida di dicembre, Annabeth avrebbe detto che fossero atterrati su del cemento.

Furono subito circondati da ragazzi che porsero loro asciugamani e asciugacapelli. Nonostante il gelo nell’aria si asciugarono in pochissimo (grazie, figlie di Afrodite!) e improvvisamente  c’era un Will Solace livido che correva verso di loro.

“Annabeth!”

Ade. Inferi. Tartaro. Ora mi ammazza.

“Ti avevo detto che potevi prendere in prestito il carro, non distruggerlo!”

In effetti, la biga alata che galleggiava nel lago era completamente distrutta.

“Will, mi dispiace molto. Te la farò aggiustare, promesso,” gli rispose per rimediare.

Le dispiaceva davvero, ma aggiustare la biga dei figli di Apollo non era per niente nelle sue priorità al momento.

Will scosse la testa, guardando il suo carro infranto. Poi spostò lo sguardo su Jason, Piper e Leo.

“E questi chi sono? Hanno decisamente più di tredici anni. Perché non sono ancora stati riconosciuti?”

Will aveva ragione. Quest’estate, appena finita la guerra contro Crono, Percy aveva fatto promettere agli dei di riconoscere tutti i loro figli semidei prima del loro tredicesimo compleanno.

“Riconosciuti?” chiese Leo, che sembrava non possedere il dono del silenzio.

Poi Will fece la fatidica domanda: “Nessun segno di Percy?”

“No,” rispose seccamente Annabeth.

Tutt’intorno gli altri campeggiatori mormorarono. Poi dalla folla si fece avanti Drew, capo-casa di Afrodite.

“Beh, speriamo almeno che ne sia valsa la pena,” disse guardando i tre nuovi arrivati con quella sua aria da snob che Annabeth non sopportava. Correzione, che nessuno sopportava.

“Oh, grazie. Siamo forse i tuoi nuovi giocattolini?”

Giuro che se Leo dice ancora un’altra parola lo ributto nel lago, pensò Annabeth esasperata.

“No, davvero. Che ne dite di darci qualche risposta prima di giudicarci? Per esempio, cos è questo posto, perché siamo qui e quanto a lungo dobbiamo rimanere?”

“Jason,” Annabeth tentò di calmare le acque, “Ti prometto che risponderemo a tutte le vostre domande, e Drew, guarda che vale sempre la pena di salvare un semidio,” disse con il suo tono più saccente.

“Anche se devo ammettere che non ho ottenuto quello che speravo con questo viaggio,” disse abbassando lo sguardo.

Ripensò a quella mattina, quando era partita così emozionata e così sicura che avrebbe trovato Percy al Grand Canyon, e provò di nuovo quella delusione perché no, lui non c’era. Il ragazzo con una scarpa che Era aveva definito come ‘la soluzione al suo problema’ era Jason, non Percy. Bella soluzione.

“Hey, guarda che noi non abbiamo chiesto di essere portati qui,” rispose aspramente Piper.

“E nessuno vi vuole, credimi, tesoro,” disse Drew.

Fece un commento cattivo sui capelli di Piper, e in tutta risposta quest’ultima stava per darle un pugno, quando Annabeth sentì di dover intervenire, “Piper, ferma.”

Rispondendo al suo comando, Piper si fermò.

Annabeth fece un sorriso stanco.

Le piaceva avere tutto sotto controllo.

 

Poco dopo, successe qualcosa che sconvolse la folla.

Leo fu riconosciuto da suo padre.

“Vulcano?” esclamò Jason.

“Vulcano è il nome latino di Efesto,” rispose prontamente Annabeth.

Perché questo ragazzo sembrava sapere così tante cose sul nostro mondo e allo stesso tempo non sapere nulla? Quando si erano incontrati, solo qualche ora prima, mentre le raccontava dei fatti che avevano vissuto prima del suo arrivo tempestivo, Jason aveva confessato di non ricordare nulla della sua vita prima di svegliarsi quella mattina stessa. Solo il suo nome. Diceva di non ricordarsi nemmeno della sua ragazza. La stessa ragazza che ora gli stava accanto.

Se non capisce nemmeno lui quello che gli è successo, figuriamoci se posso capirlo io, pensò Annabeth.

 

In circostanze normali, l’arrivo di un figlio del dio del fuoco e dei fabbri non avrebbe attirato proprio l’attenzione di nessuno. Ma queste non erano circostanze normali. Era un periodo di confusione, di paura, e di… sciagure.

Annabeth assegnò Will, il figlio di Apollo ancora arrabbiato per la sua biga distrutta, come guida per portare Leo alla Casa 9, la dimora dei figli di Efesto.

In genere quando arrivano dei nuovi semidei, gli si assegna come guida uno dei loro fratelli. O se non sono stati riconosciuti, un figlio di Ermes.

Ma queste erano circostanze particolari…

Dopo aver lasciato Jason nella mani di una Drew supereccitata, che non vedeva l’ora di conquistarlo, Annabeth decise di focalizzarsi su Piper.

“Jason è nei guai?”

“Bella domanda, Piper. Andiamo, ti faccio fare un giro. Dobbiamo parlare.”

Dopo un tour di un’ora e mezza in cui Annabeth le aveva spiegato come funzionavano le cose, e le aveva illustrato le varie attività del Campo, Piper finalmente le chiese, “Allora, chi è mia madre?”

Analizzarono un po’ le sue caratteristiche e le sue potenzialità. Annabeth suggerì che se il dio fosse stato il padre, sarebbe stato Ermes, date le capacità che Piper aveva nel rubare.

“Con un po’ di fortuna, tua madre ti riconoscerà stasera. Vieni, devo controllare una cosa.”

Erano arrivate quasi alla cima della collina, all’ingresso di un antro. C’era una tenda viola con due serpenti ricamati sopra, il corridoio era illuminato da torce appese alle pareti che rivelavano ossa e vecchie spade buttate sul pavimento. Sembrava un posto piuttosto sinistro, ma Annabeth sapeva bene che all’interno l’arredamento era quello della camera di una normale ragazza sedicenne amante dell’arte: quadri, uno stereo, una scrivania piena di pastelli e pennelli, e ovviamente, un letto.

Piper fece una strana faccia, “Cosa c’è qui?”

“Al momento, nulla. E’ casa di una mia amica, la aspetto da un paio di giorni… speravo potesse aiutarmi a–“

“Trovare Percy,” concluse Piper per lei.

Annabeth sbiancò. Se ne accorse dalla reazione della ragazza, che fino ad un attimo fa la stava guardando negli occhi ed ora aveva improvvisamente sentito il bisogno di fissarsi le scarpe, come mortificata per aver menzionato quel taboo.

“Scusa, sono un po’ stanca.”

Piper prese coraggio prima di rispondere, “Sembri sul punto di crollare… da quanto tempo stai cercando il tuo ragazzo?”

Annabeth fece un respiro profondo e la guardò di nuovo negli occhi, “Tre giorni, sei ore e circa dodici minuti.”

“E non hai idea di cosa gli sia successo?”

Annabeth scosse la testa, “Eravamo così entusiasti perchè le vacanze di Natale erano iniziate in anticipo. Ci siamo incontrati al campo martedì, pensavamo di passare tre settimane insieme. Sarebbe stato fantastico. Poi dopo il falò, mi–mi ha dato il bacio della buonanotte, è tornato alla sua casa, e la mattina non c’era più. Abbiamo cercato in tutto il campo. Abbiamo chiamato sua madre. Abbiamo tentato di raggiungerlo in ogni maniera conosciuta. Niente. E’ semplicemente scomparso.”

“Da quanto tempo stavate insieme?”

“Da agosto. Diciotto agosto.”

“Praticamente quando io ho incontrato Jason. Ma noi stiamo insieme solo da qualche settimana.”

Annabeth sentì come un pugno nello stomaco.

Ora viene la parte difficile, pensò amaramente.

La parte difficile non era stata parlare di Percy. La parte difficile sarebbe stata rivelare a Piper la verità.

“Piper… a proposito di quello. Forse dovresti sederti.”

La ragazza sembrò capire dove l’altra volesse andare a parare.

“Guarda, so che Jason pensa di essere comparso stamattina sullo scuolabus perché non ricorda niente, ma non è vero. Io lo conosco da quattro mesi.”

“Piper, è la Foschia.”

Le spiegò cosa fosse e come agiva quella forza magica, ma Piper non sembrava crederci ancora.

“No! I miei ricordi non sono falsi! Sono così reali…” cominciò a farfugliare, parlando dei suoi ricordi con Jason, e la sua voce si incrinò quando menzionò il loro primo bacio.

Ad Annabeth si strinse il cuore. Alla fine, facendola ragionare, riuscì a dimostrare a Piper di avere ragione.

Quanto doveva sentirsi male, in quel momento? Cercò di consolarla come meglio poteva.

“Dai, ora Jason è qui. Chi lo sa? Magari potrebbe funzionare davvero tra voi…” cercò di sorriderle.

“Mi hai portato qui così che nessuno potesse vedermi mentre piangevo?”

“Immaginavo che sarebbe stato difficile per te. So come ci si sente a perdere il proprio fidanzato.”

Piper le sorrise tra le lacrime, si ricompose e le due scesero dalla collina, entrambe pronte per ritornare alla confusione del Campo Mezzosangue.

 

 

“…ci sono le Cacciatrici di Artemide. Vengono a trovarci a volte. Non sono sue figlie, sono le sue vergini: una banda di adolescenti immortali che si avventurano e inseguono mostri e roba simile,” le stava spiegando Annabeth, ricordando che c’era stato un periodo in cui aveva seriamente pensato di unirsi alle Cacciatrici.

Piper sembrava decisamente molto interessata, “Figo. Immortali?”

“A meno che non muoiano in combattimento o infrangano il voto. Ho detto che devono rinunciare ai ragazzi? Per l’eternità.”

Questo dettaglio non piacque a Piper, che scosse la testa con un deciso, “Oh. Lasciamo perdere allora.”

La reazione della ragazza fece ridere di gusto Annabeth.

Continuarono a camminare, e si trovarono davanti la Casa 10.

“Ew… questo è il posto dove le modelle vanno a morire?”

“La casa di Afrodite. Dea dell’amore. Drew è capo-casa.”

“Immaginavo.”

“Non sono tutti così male. L’ultima capo-casa era fantastica…”

Già.

Silena.

“Cosa le è successo?”

Annabeth ripensò alla figlia preferita di Afrodite. La più bella che avesse mai visto, con quegli occhi che cambiavano colore e quei lunghi capelli neri. Pensò a quanto era dolce con lei, quanto voleva sempre aiutarla a fare una mossa con Percy, e a quando era persino riuscita a truccarla. Poi però si ricordò che li aveva traditi. Era la spia di Crono. Pensò a quante persone erano morte per il suo tradimento, il suo ragazzo Beckendorf incluso.

No.

Era un’eroina.

E’ morta per essere leale a noi.

“Muoviamoci,” disse seccamente, non rispondendo alla domanda di Piper.

 

“Queste sono vuote?” chiese Piper indicando le case di Zeus e Era.

“Zeus è stato per molto tempo senza avere figli. Beh, in particolare Zeus, Poseidone e Ade, i fratelli più anziani fra gli dei, si chiamano i Tre Pezzi Grossi. I loro figli sono molto potenti e pericolosi. Per gli ultimi settant’anni, hanno cercato di evitare di fare figli.”

“Cercato di evitare?”

“A volte, ehm… tradiscono. Ho un’amica, Thalia Grace, che è figlia di Zeus. Ma ha mollato il campo per diventare una Cacciatrice di Artemide. Il mio ragazzo, Percy, è figlio di Poseidone. Poi c’è un tipo che viene qui ogni tanto, Nico, figlio di Ade. A parte loro, non esistono figli dei Tre Pezzi Grossi. Non che noi sappiamo, almeno.”

“E Era?”

Annabeth dovette fare attenzione a non essere scortese, non voleva essere vittima di un altro dispetto da parte di quella dea inutile.

“Dea del matrimonio. Non ha figli se non con Zeus. Quindi niente semidei. La casa è solo onoraria.”

“Non ti piace,” notò Piper.

Wow, si vede da così lontano?

“Abbiamo una lunga storia. Pensavo avessimo fatto pace quest’estate, ma quando Percy è scomparso, ho avuto un sogno strano su di lei…”

“… che ti diceva di venire a prenderci. Ma pensavi che Percy sarebbe stato lì,” concluse Piper per lei.

“E’ meglio se non ne parlo. Non ho nulla di buono da dire su Era al momento.”

Piper insistette per entrare, e anche se Annabeth non era d’accordo, fu trascinata dentro. Poi si accorse di una presenza dietro l’altare della dea.

“Rachel?”

Era inginocchiata, e dava loro le spalle. Indossava uno scialle nero e sotto una camicetta verde che le faceva risaltare gli occhi, e i soliti jeans strappati e pieni di scarabocchi.

Si voltò e corse ad abbracciarla.

“Annabeth! Mi dispiace, sono venuta più presto che ho potuto.”

“Nessuna visione?”

“No.”

“Sogni?”

“No, Annabeth, non sono una semidea, non faccio sogni strani. Notizie?”

“Nico dice che non è morto perché la sua anima non è nell’Oltretomba. Grover dice che se fosse morto lo percepirebbe.”

Sospirò.

Rachel cercò di tirarle su il morale.

“Guarda un po’ se quel cretino del tuo fidanzato si deve sempre mettere nei pasticci e poi noi dobbiamo salvarlo. Beh, più che altro tu. Meno male che te l’ho lasciato, altrimenti sarei io in questi casini…” disse ridendo, e strappando un sorriso alla triste figlia di Atena.

Piper aveva ascoltato in silenzio lo scambio di battute tra le due, capendo ben poco. Annabeth sembrò ricordarsene solo in quel momento.

“Come sono scortese. Rachel, questa è Piper, una dei mezzosangue che abbiamo salvato oggi. Piper, questa è Rachel Elizabeth Dare, il nostro oracolo.”

“L’amica che vive nella caverna,” disse, collegando l’antro che Annabeth le aveva mostrato poco prima.

“Proprio io,” rispose Rachel sorridendo.

“Quindi sei un Oracolo? Predici il futuro?”

“Più che altro, ogni tanto il futuro mi aggredisce,” Piper sembrò non capire.

“Dico profezie. Lo spirito dell’Oracolo si impossessa di me e mi fa dire cose importanti che nessuno capisce… Ma sì, le profezie predicono il futuro.”

“Oh. Figo.”

“Non preoccuparti, tutti la trovano una cosa un po’ sinistra. Me compresa,” confessò Rachel.

Annabeth era estasiata da quanto velocemente la rossa riuscisse a farsi degli amici. Forse era un talento naturale, o forse semplicemente era lei ad essere antipatica.

Non c’era da stupirsi se Percy le aveva preferito Rachel, solo qualche mese prima. Era una persona più facile con cui stare, meno noiosa e più divertente.

Ora che la competizione per il ragazzo era finita, Annabeth si era trovata ad ammettere che Rachel era davvero uno spasso, e anche un’ottima amica.

“Sei una semidea?”

“No, mortale.”

“Allora perché sei…?”

Per qualche motivo, Rachel smise di sorridere. Spostò lo sguardo da Piper e per un attimo incrociò gli occhi di Annabeth. Poi tornò a guardare Piper.

“Semplicemente un presentimento. Qualcosa che riguarda questa casa e la sparizione di Percy. Sono collegate in qualche modo. E ho imparato a seguire i miei presentimenti, specialmente dal mese scorso, quando gli dei si sono zittiti.”

“Zittiti?” chiese Piper.

“Non gliel’hai detto?”

“Ci stavo arrivando,” si giustificò Annabeth. “Piper, per il mese scorso… beh, è normale che gli dei non parlino spesso ai loro figli, ma generalmente possiamo contare su qualche tipo di messaggio ogni tanto. Alcuni di noi visitano l’Olimpo. Io ho passato praticamente tutto il semestre all’Empire State Building.”

“Eh?”

“E’ l’entrata del Monte Olimpo.”

“Certo, perché no?”

“Annabeth stava ridisegnando l’Olimpo dopo che era stato danneggiato nella seconda Guerra dei Titani. E’ un architetto fantastico. Dovresti ved–“

Comunque,” interruppe Annabeth, “da un mese a questa parte l’entrare dell’Olimpo è stata sigillata. Gli dei non rispondono alle nostre preghiere. I semidei vengono riconosciuti, ma nient’altro. Niente messaggi. Niente visite. Nessun segno che gli dei ci stiano ascoltando. E’ come se fosse successo qualcosa. Qualcosa di brutto. Poi Percy è sparito.

“E Jason è comparso alla nostra gita, senza ricordi.” concluse Piper.

“Chi è Jason?” chiese Rachel.

“Il mio rag–un mio amico. Ma, Annabeth, hai detto che Era ti è venuta in sogno?”

“Già. La prima comunicazione di un dio in un mese, ed è Era, la dea più inutile, che contatta me, la semidea  che odia di più. Mi dice che scoprirò cosa è successo a Percy se vado al Grand Canyon e cerco il ragazzo con una sola scarpa. Invece trovo voi, e il ragazzo con una sola scarpa è Jason. Non ha senso.”

“Sta succedendo qualcosa di brutto,” ripetè Rachel.

“Ragazze,” disse urgentemente Piper, “devo… devo dir–“

Improvvisamente l’atmosfera della stanza cambiò. Rachel si irrigidì e cominciò ad emettere fumo verde.

Una profezia? Pensò Annabeth. Non è troppo presto per una nuova profezia?

Ma la voce con cui Rachel parò non era certamente la sua, né tantomeno quella dell’Oracolo di Delfi.

“Liberami, Piper McLean…”

No, non è decisamente una profezia.

Prima che Annabeth potesse applicarsi ad ascoltare le parole che Rachel pronunciava, Piper cadde a terra, priva di sensi.

 

 

 

Angolo autrice: salve!

Allora, fra pochissimo esce L’Eroe Perduto qui in Italia! Così per chi di voi stesse leggendo questa storia senza capirci niente potrà capirci qualcosa, e chi non la sta leggendo per gli spoiler potrà leggerla xP

Questo è stato un altro capitolo lungo lungo! Ho seguito gran parte del capitolo originale di The Lost Hero, ma ovviamente la prospettiva è quella di Annabeth e ho eliminato delle parti e aggiunte delle altre.

Spero che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate!

Alla prossima,

 

Ginny_theQueen

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** sedici dicembre, parte terza (sì, questa giornata è infinita!) ***


 
Dopo aver portato Piper di corsa da Chirone, dopo aver scortato Jason nella casa di Hypnos (lunga storia), dopo varie chiamate di aggiornamento, dopo aver finto di cenare, quella giornata sembrava finita.
Annabeth aveva anche trovato del tempo per fare una cosa importante che non avrebbe voluto fare: dire a Tyson che Percy era sparito.
Il piccolo ciclope era scoppiato a piangere. Annabeth pensò che era una fortuna che Tyson si trovasse già nell’oceano, perché altrimenti avrebbe potuto allagare un edificio con i suoi lacrimoni.
Annabeth aveva tentato di consolarlo come si consolano i bambini, perché infondo Tyson era un bambino un po’ troppo cresciuto. Gli aveva poi detto che se le avesse dato il suo aiuto a cercare Percy, lo avrebbero trovato in men che non si dica, e a quelle parole il ciclope aveva smesso di piangere e si era ravvivato, sentendosi importante poiché gli era stato affidato un tanto importante compito. Le disse che avrebbe fatto tutto il necessario e oltre il possibile per trovare il suo fratellone, e sorridendo, Annabeth aveva concluso il messaggio Iride.
Ma come stava accadendo troppo spesso in quei giorni, Annabeth si sbagliava a pensare che la giornata fosse giunta al termine.
Visto che Leo era l’unico dei tre nuovi arrivati ad essere già stato riconosciuto, Annabeth dovette partecipare al falò in attesa di un segnale divino da parte dei rispettivi genitori di Piper e Jason.
Visto che Piper non si era ancora presentata, il biondo si era seduto accanto ad Annabeth, poco lontano dal posto dov’era Leo, che aveva scelto di socializzare con i suoi nuovi fratelli.
Quando i figli di Apollo finirono il karaoke, i figli di Ares chiesero di poter ricominciare il consueto gioco di Caccia alla Bandiera, ma Chirone disse che “Dobbiamo essere pazienti. Ci sono questioni più importanti di cui parlare.”
Piper era arrivata.
“Percy?” chiese qualcuno, sperando che il centauro alludesse a quello.
Chirone fece segno ad Annabeth di prendere la parola. Si alzò in piedi e prese un profondo respiro.
“Non ho trovato Percy,” che inizio stupido, come se qualcuno non lo sapesse che la sua missione non era andata a buon fine e che aveva distrutto la biga della casa di Apollo. Tra l’altro la voce le si era incrinata un po’ quando aveva pronunciato il nome di Percy.
“Non era al Grand Canyon come pensavamo,”
Pensavo, si corresse mentalmente. Per colpa di Era.
“Ma non ci arrendiamo. Abbiamo squadre di ricerca ovunque. Grover, Tyson, Nico e le Cacciatrici di Artemide-sono tutti lì fuori a cercarlo. Lo troveremo,” era sinceramente determinata a trovarlo.
Arrendersi non era un’opzione.
“Ma Chirone si riferisce ad un’altra cosa. Una nuova missione,” riprese.
“E’ la Grande Profezia, non è così?” la interruppe fastidiosamente la voce di Drew. Tutti si voltarono a guardarla.
“Drew? Cosa intendi?”
“Beh, andiamo. L’Olimpo è stato chiuso. Percy è scomparso. Era ti manda una visione e tu torni con tre nuovi semidei in un solo giorno. C’è qualcosa di strano. La Grande Profezia si sta avverando, no?”
Logicamente tutti si voltarono verso Rachel.
“Allora? Sei l’Oracolo. E’ cominciata o no?”
Annabeth si irrigidì. Non tanto per le parole che Drew aveva pronunciato, quanto per il modo in cui l’aveva fatto. Con arroganza, presunzione, sfida. Non le piaceva che quella principessa patinata parlasse così, soprattutto a Rachel. Si sentiva tanto superiore perché era mezza dea, e Rachel era solo una mortale? Beh, la rossa era sicuramente una persona migliore di lei. Infatti Rachel era stata scelta, per ospitare l’Oracolo di Delfi. Drew invece semidea ci era nata, da ringraziare c’era solo Afrodite.
Ma Rachel sapeva difendersi da sola. I suoi occhi riflettevano il fuoco del falò e diventarono del colore dei capelli. Per un attimo il suo volto si fece minaccioso, il che bastò a spaventare molti dei presenti, compresa la povera Piper seduta accanto a lei, ma poi la rossa riprese il suo aspetto calmo e rispose alla domanda di Drew.
“Sì. La Grande Profezia si sta avverando.”
Nel casino generale che seguì questa dichiarazione, Annabeth notò Jason e Piper scambiarsi un paio di battute.
“Per chi di voi non l’avesse mai ascoltata, la Grande Profezia è stata la mia prima profezia. E’ arrivata ad agosto. Dice così: Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno. Col fuoco o con la tempesta il mondo cader faranno-“
Ut cum spiritu postrema sacramentum dejuremus. Et hostes ornamenta addent ad ianuam necem,”
Per lo stupore di tutti, era stato Jason a interromperla.
“Hai terminato la profezia. Come…?”
“Conosco queste frasi,” rispose incerto.
“In Latino, niente meno. Bello e pure intelligente!” commentò Drew.
“Beh sì, questa è la Grande Profezia. Speravamo che non sarebbe accaduta per anni, ma temo che stia cominciando. Non posso provarvelo. Ma come ha detto Drew, stanno succedendo cose strane. I sette semidei, chiunque siano, non sono ancora stati riuniti. Ho la sensazione che alcuni di loro siano qui. Alcuni no.”
Ci furono ulteriori speculazioni sulla profezia, poi passarono a parlare dei fatti.
Jason si rivelò essere figlio di Zeus. O come aveva detto lui stesso, Giove. Era chiaro che avrebbe dovuto guidare quest’impresa, insieme ad altri due semidei. Travis Stoll suggerì Annabeth, in quanto era di sicuro quella con più esperienza, ma lei rispose prontamente: “Non aiuterò Era. E poi, sto partendo. Domani mattina vado a cercare Percy di persona.”
“E’ connesso,” si intromise Piper, “lo sai, vero? Tutta questa situazione, la sparizione del tuo ragazzo… è tutto collegato.”
Annabeth non poteva che essere d’accordo.
Fu chiaro, da una seconda profezia proferita da Rachel che i compagni di Jason in questa missione sarebbero stati proprio Leo e Piper, che era appena stata riconosciuta da Afrodite.
 
 
Qualche ora dopo Annabeth si recò alla Casa 1 e trovò Jason intento a osservare le foto sulla parete. Erano le foto di Thalia. Ed era doloroso guardarle, visto che in ogni foto era costante la presenza di un ragazzo dai capelli color sabbia.
Erano passati quattro mesi dalla morte di Luke. Altrettanti anni dal suo tradimento. E Annabeth non era ancora sicura dei sentimenti che provava per lui. L’aveva amato, questo era certo, e lo aveva negato anche vedendolo lì, in punto di morte. Quando di preciso aveva smesso di provare nei suoi confronti amore, rimpiazzandolo con l’odio? Aveva mai davvero smesso di amarlo? Poteva essere possibile che amore e odio coesistessero, senza che l’uno eliminasse l’altro? Si potevano amare più persone contemporaneamente? Annabeth credeva di sì. Aveva sempre cercato di non affezionarsi a nessuno dopo essere scappata di casa. Le uniche persone che aveva davvero amato erano state Thalia, Luke e Grover. Poi Chirone, che era stato per lei un padre migliore di chiunque altro, persino del suo vero padre. Forse nella lista poteva essere inclusa anche Clarisse, con la quale aveva più cose in comune di quanto tutti pensassero. Poi era arrivato Percy, che aveva fatto breccia nel suo cuore con quegli occhi verdi e quell’aria perennemente confusa.
“Non è che hai cambiato idea e vuoi venire con noi?” Jason le chiese nuovamente.
Annabeth scosse la testa, riportata alla realtà. “Siete già una buona squadra. Io vado a cercare Percy,” ripetè.
Gli diede qualche consiglio per l’impresa, poi tornarono a guardare le foto. Annabeth gli parlò di Thalia, e Jason chiese chi fosse il ragazzo biondo.
“Quello è Luke. Ma ora è morto,” rispose, improvvisamente seccata di quella conversazione.
 
 
La giornata non era ancora finita.
E quelle seguenti sarebbero state molto peggio.
Annabeth aveva trovato qualcuno con cui sfogarsi sul serio.
Il povero Grover, sempre disposto ad ascoltarla e a consigliarla.
Tutto era sembrato così lineare al falò: tre sarebbero partiti per salvare Era, mentre lei avrebbe girato l’America in cerca di Percy.
Ora le cose non le apparivano tanto semplici però.
Annabeth era la leader del Campo Mezzosangue. Poteva davvero lasciare tutti i suoi compagni a tempo indeterminato? C’erano ondate di mostri in avvicinamento, provenienti da ogni parte del continente diretti verso New York. Di nuovo. Annabeth poteva abbandonare così facilmente la sua casa lasciandola esposta ad un’eventuale attacco senza essere lì a proteggerla?
Erano questi gli argomenti che da tre quarti d’ora stavano causando al satiro un gran mal di testa.
“Tra l’altro siamo così pochi. Pochi sono venuti per le vacanze di Natale quest’anno. I capi-casa sono stati convocati tutti ed il concilio ha votato che il Campo si prepari per un’ipotetica battaglia. Potrebbe anche non avvenire, ma meglio prevenire che curare, no? In ogni caso dobbiamo essere preparati ad ogni evenienza,” continuò la stratega.
Grover si grattò le corna, annuendo.
“Ma quello che mi chiedo è… posso fidarmi? Posso davvero lasciare il comando a Clarisse e aspettarmi di ritrovare Travis e Connor vivi al mio ritorno?”
La questione di chi avrebbe dovuto assumere il comando in assenza di Annabeth non era mai davvero nata. Il nome di Clarisse era stato implicitamente accordato. Il concilio non aveva nemmeno dovuto votare. Non solo perché era la capo-casa di Ares e di conseguenza, un’ottima guerriera che avrebbe potuto guidare i semidei in battaglia. Clarisse era una delle figure principali e storiche del Campo, seconda solo a Percy e Annabeth. Per quanto bulla, era un’eroina forte e valorosa. Meritava il comando.
Era noto che non scorresse buon sangue tra lei e i fratelli Stoll però. I figli di Hermes la riempivano di scherzi, e le minacce di morte che lei aveva fatto loro non potevano essere contate.
Grover rise della preoccupazione di Annabeth.
“Annabeth, rilassati. Ci sarà comunque Chirone a equilibrare tutti. Non darti preoccupazioni inutili, e per una volta, non pensare troppo. Il tuo posto è là fuori a cercare Percy, come quello di Clarisse è qui a difendere il Campo. Nessuno ti accuserà di averli abbandonati. E poi cerca di pensare positivo: non è nemmeno detto che ci sarà una battaglia. Ci stiamo solo preparando al peggio, ma potremo sbagliarci,” le sfiorò un braccio, “Ora va’ a dormire, hai bisogno di riposare.”
 
 
Salve!
Ho voluto dare il tempo a coloro che non avevano letto The Lost Hero di poterlo leggere in italiano, in modo da non dover spiegare ogni cosa. Infatti qui ho tagliato buona parte della scena originale del falò. Ora mi distaccherò dalla storia de L’eroe Perduto per seguire esclusivamente Annabeth, che è appunto la protagonista della mia storia e mi concentrerò su di lei soltanto.
Spero che il capitolo vi piaccia, davvero. Ora che è finita la scuola potrei mettermi a scrivere seriamente, postare anche ogni settimana, se sapessi che qualcuno ancora legge questa storia. Quindi fatemi sapere, ok?
Un bacio e buona estate (e in bocca al lupo per tutti coloro che dovranno affrontare gli esami!)
 
Ginny_theQueen ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** ventidue dicembre ***


22 dicembre

 

Erano successe tante cose negli ultimi giorni.

Annabeth aveva setacciato l’America, ma non aveva trovato alcuna traccia. Aveva bestemmiato contro Era così tante volte che ormai il cielo non tuonava nemmeno più.

Quattro giorni prima, il diciotto, Annabeth si era svegliata con la consapevolezza che anche questa volta il suo ragazzo avrebbe dimenticato il loro mesiversario. E dubitava che sarebbe riuscita a trovarlo in tempo per ricordargli che erano passati esattamente quattro mesi dal suo compleanno e dal giorno in cui si erano messi insieme. Dopo essere rimasta dieci minuti a letto a pensarci, si era mentalmente sgridata. Non sei mica una figlia di Afrodite, Chase. Non è tempo di fare le sentimentali, abbiamo un eroe da rintracciare.

La chiave di tutto, la risposta al problema di Annabeth, così come l’aveva chiamata appunto la regina degli dei, ce l’aveva Jason. L’aveva sempre avuta, solo che non la ricordava.

Il ventuno, Jason, Piper e Leo erano tornati dalla loro impresa e il Campo si era riunito in concilio.

Il segreto era stato svelato.

Esistevano altri dei.

Altri semidei, anche.

Persino un altro campo.

Percy era lì.

Annabeth e Jason erano sorprendentemente arrivati alla stessa identica conclusione, che agli altri inizialmente era parsa strana ed improbabile.

I due campi dovevano unire le forze per combattere l’esercito di Gea, questo era nella profezia.

Annabeth avrebbe voluto partire all’istante per il campo romano, rapire Percy e riportarlo a casa, ma tutti la trattennero,  Chirone la prese per un braccio, e con la sua voce profonda che non ammetteva repliche o domande e quegli occhi antichi quanto gli dei stessi, le disse semplicemente “Non è ora. Il momento non è ancora giunto.”

Avrebbero dovuto costruire una nave, l’Argo II prima di salpare, poi lei, Piper, Jason e Leo sarebbero passati per il Campo di Giove a prendere Percy e la restante parte dei sette e la profezia si sarebbe avverata, ormai era tutto abbastanza chiaro.

E il sentimento dominante dei sei mesi successivi nella vita di Annabeth divenne la frustrazione.

Ma facciamo un passo indietro.

Il pomeriggio del ventuno dicembre dopo il concilio al Campo Mezzosangue, Annabeth era corsa a Manhattan.

Quando arrivò all’appartamento Jackson – Blofis, suonò il campanello pregando con tutta se stessa che Sally fosse a casa. Si vede che anche durante il concilio degli dei, qualcuno ascoltò le sue preghiere, perché dopo meno di un minuto, la mamma di Percy aprì la porta.

“Annabeth – tesoro finalmente! Erano giorni che aspettavo tue notizie!” il resto si perse nell’abbraccio che seguì.

Visto che Annabeth era il suo unico contatto con il Campo, da quando la ragazza era partita per le ricerche, Sally non aveva saputo più nulla. La preoccupazione era palese nel suo viso e nel suo corpo. Si vedeva che negli ultimi nove giorni Sally non aveva mangiato granchè, perché aveva un aspetto pallido e malaticcio, ed era decisamente dimagrita. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime, così Annabeth si affrettò a dirle “L’abbiamo trovato,“ Poi fece un breve excursus sull’esistenza di semidei romani e proseguì “Si trova all’altro campo, ma non abbiamo idea di come lo stiano trattando e in che condizioni sia. Ma è vivo, Sally, sta bene.”

~

 

Annabeth si trovava sulla riva del lago, –perché nonostante cercasse di negarlo, stare vicino all’acqua la faceva sentire più vicina a lui– con un cestino di biscotti blu fatti insieme a Sally e il PC aperto sulle ginocchia. Ad un tratto, mentre era intenta a studiare una particolare tecnica di costruzione che Dedalo le aveva lasciato, sentì dei passi avvicinarsi alle sue spalle, e di riflesso si voltò.

La persona avanzava a passo lento ma sicuro, come se avesse a disposizione tutta l’eternità – che in effetti aveva.

“Ancora a crucciarti, Annabeth?”

“Thalia!” la più piccola si alzò e le si gettò fra le braccia.

Qualcosa scattò nel suo cervello e Annabeth strabuzzò gli occhi come se avesse appena ricordato un dettaglio terribilmente importante.

Dii immortales, Thals, auguri!”

“Sapevo che non ti saresti dimenticata,” le rispose la maggiore con un sorriso.

“Quante candeline vuoi che metta sulla torta? Tecnicamente hai ventidue anni, senza contare il periodo da pino ne hai diciotto…”

“Dimentichi che sono immortale, Annabeth,” le fece una linguaccia, poi continuò “Non sono qui per festeggiare. Ho chiesto ad Artemide un permesso con la scusa del compleanno, ma in realtà sono qui per te. Sono stata una pessima amica in questi giorni, avrei dovuto starti accanto, ed è quello che farò d’ora in poi. Le mie Cacciatrici possono cavarsela da sole per qualche giorno.”

Annabeth fu molto colpita.

“Thalia davvero, sto bene. Adesso che sappiamo dove-” esitò, ma non pronunciò il nome “-si trova sto molto meglio… non c’è bisogno che ti allontani dalle ragazze. Falle venire qui e festeggia anche con loro. Sono la tua nuova famiglia, dopotutto.”

Aveva detto l’ultima parte con un po’ di astio, senza volerlo. Forse perché l’ultima volta che Thalia si era scelta una famiglia, era andato tutto a rotoli. Era diventata un pino. Luke era diventato cattivo. Poi lei era tornata umana, ma aveva rinunciato alla vita del Campo, abbandonando Annabeth e mettendosi al servizio di Artemide.

“Tu e Jason siete la mia famiglia,” le disse sorridendo, quasi avesse capito a cosa stava pensando.

Già, era stato scioccante scoprire che Jason e Thalia erano fratelli. Lei figlia di Zeus e lui di Giove, ed entrambi figli della stessa donna mortale.

“D’accordo,” sussurrò Annabeth stringendosi nell’abbraccio. “Ti va un biscotto?”

Finchè aveva Thalia si sentiva più forte, più protetta.

 

Alla fine le Cacciatrici erano venute lo stesso al Campo, occupando l’altrimenti vuota Cabina 8, e Chirone aveva indetto il consueto gioco di Caccia alla Bandiera. Loro erano circa una trentina, che equivaleva al numero di semidei che si trovavano al Campo Mezzosangue per le vacanze di Natale.

Se non fosse stato per la visita delle immortali, Annabeth non avrebbe nemmeno preso parte al gioco, ma Clarisse e Jason (eletti co-capitani) non avevano intenzione di perdere e la nominarono stratega della squadra. Inutili le sue proteste perché tanto contro le immortali non si vinceva, i due la costrinsero comunque a stilare un vero e proprio piano di battaglia. Mentre per Piper e Leo quella era la prima partita, Jason ricordava di aver partecipato a giochi simili al Campo di Giove. Era uno abituato a vincere, Jason. Abituato ad essere rispettato da tutti, in quanto figlio del re degli dei. Perciò fu uno shock per lui quando, dopo circa un quarto d’ora dall’inizio della partita, una Cacciatrice, gli pareva il suo nome fosse Phoebe, prese vittoriosa la bandiera del Campo. Lui era impegnato in uno scontro con Thalia, e benchè sua sorella non volasse come lui (forse perché soffriva di vertigini, comunque non ci aveva mai provato) Jason doveva ammettere che era proprio brava. Fu momentaneamente distratto dall’urlo di vittoria delle Cacciatrici e Thalia sfruttò l’occasione per disarmarlo e buttarlo a terra, tutto con una sola mossa.

“Beh, fratellino. Combatti bene, ma attento a non farti distrarre.”

“Solo perché è il tuo compleanno,” le rispose cercando di nascondere il senso di offesa  per essere stato sconfitto così facilmente.

“Sì certo, come no,” rispose lei aiutandolo ad alzarsi.

~

 

“Mi dispiace ragazzi, ma ve l’avevo detto. Contro le Cacciatrici non si vince. E’ matematico. Sono più di settant’anni che il Campo perde ogni partita contro di loro,” stava ripetendo Annabeth ai compagni di squadra.

“Ma non capisco. Il tuo piano era perfetto. Una difesa inespugnabile ed un attacco ottimo. Siamo tutti semidei abbastanza dotati, mentre tra di loro c’è addirittura qualche ragazza umana e qualche ninfa… pensavo che l’unica di cui preoccuparsi sarebbe stata mia sorella,” disse Jason crucciato.

“Jason, cosa ti sfugge della parola immortali?” cercò di calmarlo Piper.

Erano carini insieme, pensò Annabeth. Ma non aveva ancora capito se erano diventati una coppia per davvero. Era sicuramente solo questione di tempo. D’altra parte si conoscevano da meno di due settimane, per quanto i ricordi di Piper fossero illusori per via della Foschia.

“Sì, insomma possono comunque morire in battaglia. Però sono più veloci e più forti dei semidei normali, sono caratteristiche che acquisiscono con l’immortalità dopo il giuramento ad Artemide. Ma non hanno una vera e propria strategia. Agiscono come un branco di lupi. La forza del branco sta nel lupo, e la forza del lupo sta nel branco.*,” spiegò Annabeth che era entrata in modalità enciclopedia.

Se Jason era offeso e dispiaciuto, Clarisse era proprio arrabbiata.

“Comunque dov’è Clarisse?” chiese Leo, ancora esaltato per la partita. Giacchè era innamorato di metà Cacciatrici, andava in giro dicendo di averle fatte vincere apposta. Era senza speranza, pensò Annabeth.

“E’ andata nell’arena. Ora sta probabilmente tagliando le teste a tutti i manichini immaginando che siano le Cacciatrici,” rispose Chris Rodriguez, il suo ragazzo. “Forse è meglio che la raggiunga,” salutò tutti con un cenno della mano e uscì.

“Beh ragazzi, forse è meglio che andiamo a darci una ripulita prima del falò,” disse Annabeth togliendosi del fango dai capelli, “Voglio che sia perfetto per il compleanno di Thalia stasera.”

~

 

Con il getto della doccia su di sé, Annabeth potè constatare di essere decisamente più tranquilla. Sapeva che Percy era vivo. Sapeva perfino dove si trovava. Lasciò che l’acqua fredda la calmasse e decise che per una sera poteva sentirsi più rilassata. Dopo giorni in cui non aveva dormito né mangiato, pensò che il peggio era passato.

~

Nonostante fosse risaputo che le Cacciatrici non amassero stare al Campo Mezzosangue, soprattutto per via della presenza di molti semidei maschi, quella sera fecero un’eccezione e sembravano genuinamente divertirsi mentre festeggiavano la loro leader. Le fiamme del fuoco erano più alte del solito e il loro riflesso brillava nel lago poco distante.

Come sempre, furono i figli di Apollo a cominciare a cantare, ma poi il resto dei semidei si unì a loro e intonarono tutti Tanti Auguri in coro ad una felicissima Thalia, seduta tra Annabeth e Jason.

Dopo qualche minuto di festeggiamenti, arrivò anche un satiro con la torta.

“Grover!” gridò Thalia correndo ad abbracciarlo.

“Scusa il ritardo, Faccia di Pino.”

Annabeth dovette presentare Grover a Jason.

“Wow, ragazzi. Non vi assomigliate per niente,” disse guardando Thalia e Jason.

Il cielo tuonò.

“Apparte per gli occhi,” si affrettò ad aggiunger Grover, guardando in su con aria di scuse.

Tutti scoppiarono a ridere.

~

 

Si era proprio divertita quella sera, era stato proprio bello da parte di Thalia voler festeggiare al Campo con tutti i suoi vecchi amici.

Ma ora, nella solitudine delle pareti azzurre della Cabina 3, circondata dal perenne profumo di mare, Annabeth non riusciva a non pensare a Percy, e a quando si sarebbero finalmente rivisti.

Rimani lì, Testa d’Alghe. Vengo a prenderti.

 

 

Angolo autrice: eccomi qui! Non ho molto da aggiungere sul capitolo, se non che adoro il personaggio di Thalia, la reputo una ragazza molto forte.

Spero che a questo punto anche chi non l’aveva già letto in inglese abbia avuto modo di leggere L’Eroe Perduto, vorrei sapere che ne pensate  J  

Ditemi anche che ve ne pare del capitolo, sono curiosa di sapere se vi è piaciuto.

* “La forza del branco sta nel lupo, e la forza del lupo sta nel branco” è un verso tratto da una poesia di Rudyard Kipling.

Un bacione e alla prossima,

Ginny_theQueen

PS: qualcuno ha Twitter? O Tumblr? Voglio seguire un po’ di gente :3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Natale. ***


Salve a tutti, e scusate per la lunga assenza. Grazie mille a chi segue ancora la storia. Spero sinceramente che il capitolo vi piaccia. E’ abbastanza lungo, quindi mettetevi comodi. Ci vediamo giù.

 

24-25 dicembre

 

“Che poi scusate, io avrei una domanda… ma noi semidei, il Natale lo festeggiamo?” chiese Leo, interrompendo il caos mattutino. “Perché in effetti è celebrato come la nascita di Cristo, ma noi non ci crediamo, vero? Non ci sto capendo più niente.”

Come al solito, fu Annabeth a rispondere. “Certo che non festeggiamo la nascita di Cristo, Leo. I cristiani sono strettamente monoteisti. E noi, beh… lo sai.”

Leo annuì lentamente come se stesse cercando di assimilare un concetto difficile.

“C’è ancora una cosa che mi sfugge però. Se il Natale non lo festeggiamo, perché Clarisse e Travis stanno litigando per come bisogna addobbare l’albero?”

“A Clarisse piace litigare con tutti, non l’hai ancora notato? E poi non quello definirei litigare. Si stanno solo minacciando di sfregiarsi a vicenda. Se stessero davvero litigando, a Travis mancherebbe già qualche arto,” rispose Annabeth sarcastica.

“Credo che tu non abbia colto il punto. Perché addobbano il pino se non crediamo nel Natale?”

Annabeth rispose alla domanda con un’altra domanda: “Perché il Natale si celebra il 25 di dicembre, Leo?”

Lui scosse la testa e lei continuò: “I cristiani hanno scelto quel giorno in quanto era già una festività pagana. Si celebrava il Sol Invictus. O come lo chiamiamo noi, Helios. Anche se poi gli furono assimilate altre divinità orientali come Mitra e El-Gabal, ma in realtà la festività fu istituita ufficialmente dai Romani, solo che con l’unificazione dell’Impero e la cittadinanza estesa alle province, finì per essere celebrato anche in Grecia. E quindi eccoci qui.”

“Grazie per la lezione, Professoressa Chase.”

Annabeth lo fulminò, e Leo alzò le mani in segno di resa.

“Cioè mi stai dicendo che Gesù è nato quando è nato perché quel giorno era la festa romana del sole?”

“Sei senza speranza, mi rifiuto di rispondere. Ora sta’ zitto e vai a dare una mano.”

“Dove stai andando tu?”

“Da Will Solace, mi sta facendo cenno di raggiungerlo da prima che tu cominciassi a farmi domande sul Natale… non ho idea di cosa voglia dirmi, ma vado a vedere.”

 

Gli alberi erano stati addobbati. Non tutti ovviamente. I semidei non avevano certo tempo per addobbare un’intera foresta. Ora mancava la Casa Grande e poi le singole cabine. Per via della sparizione di Percy era stato tutto rimandato e Annabeth aveva completamente dimenticato di pensare al design natalizio della cabina di Atena di quest’anno. Avrebbero dovuto riutilizzare gli addobbi dell’anno scorso. Non che al resto del Campo importasse un fico secco delle decorazioni natalizie della cabina di Atena, era lei quella fissata con queste cose.

Aveva appena aiutato i figli di Apollo per una piccola modifica esterna nella loro cabina e stava tornando verso la Casa Grande per chiedere a Chirone se avesse bisogno di altro aiuto, quando vide una scena che la fece sinceramente sorridere. E non sorrideva tanto spesso in quei giorni.

Jason, il biondo figlio di Giove che era stato mandato qui da Era in cambio di Percy, con un braccio attorno alla vita di Piper, la nuova arrivata e neo-eletta capocasa di Afrodite, ed una mano a carezzarle la guancia. Era rosso come un peperone, e Annabeth si sentì in colpa per stare spiando un momento così intimo. Stavano per darsi il loro primo bacio, era ovvio. Sopra le loro teste infatti fluttuava magicamente del vischio. Fu Piper ad alzarsi sulle punte ed avvicinare le proprie labbra a quelle di Jason, che ricambiò felicemente il bacio.

Abbassando il capo per nascondere il suo sorriso e continuando a camminare, Annabeth non potè non pensare al suo primo bacio con Percy. In realtà ce n’erano stati due, di primi baci. Uno era stato un atto disperato e impulsivo, avevano quattordici anni, sul Monte Sant’Elena, quando pensava che lo avrebbe perso, perché era testardo e voleva combattere da solo un esercito di telechini, e poi c’era quella terribile profezia che le aveva detto che avrebbe perso un amore. All’epoca non sapeva se si riferisse a Percy o a Luke. L’altro, il loro vero primo bacio era accaduto solo qualche mese fa, il diciotto agosto. Era uno dei ricordi più felici che Annabeth avesse.

Era contenta per Piper, davvero. La conosceva solo da qualche giorno, ma le piaceva. Le ricordava un po’ l’Annabeth di qualche anno fa. E aveva visto il modo in cui guardava Jason. Lui invece era una specie di punto interrogativo. Per lei, per tutti. Anche per se stesso, in quanto non ricordava ancora nitidamente tutti i dettagli della sua vita prima di essere rapito da Era. Sembrava chiaramente attratto da Piper, ma stava facendo la cosa giusta a cedere così facilmente? Piper era una figlia di Afrodite, era normale innamorarsi di lei. Non che sfruttasse questo suo vantaggio, anzi ci era persino rimasta male quando aveva scoperto che sua madre era la dea dell’amore. Ma Jason? Diceva che molti ricordi non erano chiari. E se aveva già una fidanzata, al Campo Giove? Era decisamente carino, pretore, popolare…

Un pensiero terribile venne in mente ad Annabeth. E se Percy trovasse un’altra? Se anche lui era arrivato al campo opposto ricordandosi solo il proprio nome, come Jason, cosa gli avrebbe impedito di fare nuove amicizie, intraprendere una relazione? Era attraente. Molto. Aveva quell’aria di strafottenza che faceva impazzire le ragazze. Quegli occhi verdi irresistibili. E tanti anni di combattimento avevano fatto più che bene ai suoi musco

Non posso permettermi di pensare in questo modo, si impose Annabeth. Succeda quel che succeda, ma non posso permettermi di essere pessimista. Dobbiamo trovarlo. Il resto non importa.

Ma certo che importava.

 

 

 Era così immersa nei ricordi e in questi pensieri deprimenti che non guardava più dove camminava. Inciampò su qualcosa –il piede di qualcuno– e per poco non cadde rotolando giù per la collina. I suoi riflessi scattarono e si riprese poco prima di colpire il terreno, rimettendosi in piedi.

Valdez!” gridò indignata.

“Che vuoi? Sei tu che non guardi dove cammini. E non far rumore, sto assistendo allo spettacolo,” disse indicando la scena che anche Annabeth aveva guardato poco fa.

Piper e Jason erano ancora stretti nel loro abbraccio. E si stavano ancora baciando. Nonostante tutto, erano carini insieme. “Lascia loro un po’ di privacy,” disse a Leo, ricordandosi di come si era sentita quando mezzo Campo aveva spiato il suo secondo primo bacio con Percy. Non era certo una bella sensazione, avere un pubblico. Per tutto agosto, ogni volta che lei e Percy si erano scambiati un bacio, c’era stata sempre una risatina, una battutaccia, una figlia di Afrodite che sospirava. Era quasi impossibile stare da soli al Campo Mezzosangue.

“Che fastidio gli do, scusa? Non sanno che li stiamo guardando. E poi, se non fosse per me, probabilmente non si starebbero baciando affatto,” disse Leo facendole vedere il vischio che aveva in mano.

“Sei stato tu?” chiese Annabeth, ora incuriosita.

Lui annuì, soddisfatto. “Per le figlie di Hecate è stato un gioco da ragazzi. Ho chiesto a Lou Ellen di fare una semplice magia sul vischio… quel ramoscello li stava seguendo da un bel po’, ma se ne sono accorti solo qualche minuto fa.”

Annabeth dovette sorridere. “Hai fatto una cosa davvero carina, Valdez. Si vede che quei due si piacciono.”

“Già. Dovevi vedere quando eravamo in missione! Non smettevano di farsi gli occhi dolci…”

“Perché l’hai fatto?” chiese bruscamente Annabeth.

“Perché non farlo? Quei due sono i miei migliori amici, e avevano bisogno di un aiutino.”

Annabeth era sorpresa. Questo ragazzo non somigliava per niente a suo padre. Ricordò le parole che le aveva rivolto nel Labirinto. “Una volta tuo padre disse a Percy che–“

“Cosa? Ha incontrato Efesto?” chiese Leo.

“Certo. Anche io. Conosciamo tutti gli dei, li abbiamo visti più di una volta. Siamo stati sull’Olimpo più volte di qualsiasi altro semidio, oserei dire,” Annabeth parlava come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Davvero?”

“Sì. Leo, ho fatto tantissime imprese. Io e Percy– gli dei ci hanno addirittura organizzato una celebrazione, per aver salvato l’Olimpo… ma sto divagando. Tuo padre, una volta disse che è più facile lavorare con dei macchinari che con le persone. E’ un tipo molto solitario, Efesto. Ma tu sei così… solare. Sei sempre in movimento. Cerchi sempre di far ridere tutti. Mi ricordi un po’ il mio ragazzo da questo punto di vista.”

Leo fece un sorrisetto alquanto malizioso. “Tesoruccio, non c’è bisogno di paragonarmi al tuo ragazzo per dirmi che sei cotta di me.”

Annabeth gli diede un buffetto sul braccio. “Sono seria, Leo. Non cambiare mai. Abbiamo un’altra guerra davanti, e c’è bisogno di gente come te.”

“Annabeth!” sentì una voce femminile chiamarla in lontananza. Era Lacy, una piccola figlia di Afrodite.

“Dei, cosa vogliono tutti da me oggi?” domandò esasperata.

 

Quella sera fecero un vero e proprio cenone di Natale, e per una volta all’anno non importava chi era il genitore divino di chi: tutti potevano sedersi accanto ai propri amici, senza distinzioni. Per questo motivo Annabeth decise di prendere posto all’altrimenti vuoto tavolo di Poseidone. Non le importavano gli sguardi stupiti degli altri. Nella confusione della cena, poteva quasi far finta che Percy fosse seduto lì accanto a lei. Ma la sua solitudine non durò a lungo, come sempre in quel periodo. Sembrava che i suoi amici più stretti facessero dei turni per assicurarsi che Annabeth non passasse mai più di un’ora da sola durante la giornata, e i suoi fratelli la osservavano anche di notte, preoccupati. Non sapeva se esserne grata o annoiata. Avrebbe voluto un po’ di tempo da sola. E poi, era seriamente indietro con la ristrutturazione dell’Olimpo, avrebbe dovuto dedicare più tempo alla progettazione.

Comunque, durante la cena, Grover andò a sedersi accanto a lei, senza dire una parola. Con un sorriso affettuoso Annabeth gli offrì la lattina di Coca che aveva appena finito ed il satiro la divorò felice. Finirono di mangiare in silenzionon un silenzio imbarazzante o fastidioso–e poco prima di alzarsi a gettare un po’ di cibo per il sacrificio serale agli dei, anche Rachel la raggiunse al tavolo di Poseidone.

“Rach, hai mangiato?”

“Non ancora, sono appena arrivata. Stavo finendo un dipinto… mangerò più tardi, ora non ho fame comunque,” le offrì un sorriso.

“Tutto apposto?” chiese Annabeth insospettita. Con un cenno di saluto, Grover si era alzato.

“Certo, tutto a meraviglia. Perché?” rispose Rachel impassibile.  

Annabeth non sapeva cosa dire. “Mi sembrate così strani…”

Rachel rispose con un’espressione interrogativa in volto.  

“Ma cosa avete tutti? Arrivi tu e Grover se ne va, Clarisse mi sfida perennemente a duello nell’arena, Katie mi chiede una mano con le stelle di Natale, Leo mi fa domande inutili…”

Rachel la interruppe con un profondo sospiro. “Non voglio mentirti, bionda. Siamo molto preoccupati per te.”

“E questo vuol dire che non potete lasciarmi sola un attimo? Di cosa avete paura? Cos’è che potrei fare appena mi levate gli occhi di dosso?” solo dopo aver detto queste parole si accorse di aver alzato un po’ troppo il tono di voce. Ovviamente, la stavano guardando tutti. Ma non le importava.

“Che tu faccia qualcosa di stupido,” le rispose dolcemente Rachel, cercando di prenderle una mano.

“Cioè? Di certo non mi butterò nel lago. Suicidarmi non riporterà indietro lui.”

Rachel la guardò intenerita. I suoi amici si avvicinarono. Quel tavolo che per tanti giorni era stato vuoto si riempì in pochi secondi. Clarisse, Katie, i fratelli Stoll, Piper, Will Solace, Miranda Gardner, Leo, Lacy e gli altri figli di Atena erano accanto a lei.

“Ragazzi, davvero, sto b–

“Non provare a dire che stai bene, Annabeth,” la interruppe Will.

“Allora cosa volete che vi dica?”

“Non devi dirci un bel niente, principessa,” ripose Clarisse utilizzando il suo nomignolo di quand’erano piccole.

“Vogliamo solo essere d’aiuto,” assecondò Katie.

“La verità è che Percy manca anche a noi, Annabeth. E non possiamo neanche immaginare come ti senta tu…” continuò Will.

“Vogliamo solo farti capire che non sei sola,” riprese Katie.

“Di questo me n’ero accorta, grazie tante. Gli unici momenti che passo da sola ormai sono in bagno!”

“Già, Annabeth. Di certo non possiamo offrirti appassionati baci subacquei, ma ti siamo vicini,” dissero Travis e Connor all’unisono.

“Oh, non fate gli idioti. Il punto è che non devi affrontare da sola il dolore.”  

“Quand’è stata l’ultima volta che hai dormito seriamente, Annabeth? Guarda che occhiaie,” disse Drew che si era avvicinata.

“Non credevo che sarebbe mai successo, ma devo dare ragione a Drew,” disse Piper. “Hai bisogno di riposo.”

“Di riposo e di un po’ di sano divertimento! Basta pensare a Colui-che-non-deve-essere-nominato. E non sto parlando di Voldemort,” aggiunse Rachel con la sua solita esuberanza. “Ragion per cui, stasera sarai l’ospite d’onore di un pigiama party nel mio fighissimo antro.”

L’Oracolo si guardò intorno e notò gli sguardi carichi di aspettativa delle altre.

“Non c’è posto per tutte, scusate ragazze. Per stasera Annabeth è tutta mia,” disse lasciandole un sonoro bacio sulla guancia. “Mia e di qualche fortunata eletta. Katie, Clarisse?”

“Non ci penso proprio, è una cosa da femminucce,” rispose la figlia di Ares. Katie annuì.

“Come pensavo,” riprese Rachel. “Mmm, Piper?”

Quest’ultima arrossì, chiaramente onorata di essere stata scelta, nonostante fosse arrivata al Campo da così poco. “Sarebbe un onore,” rispose sorridendo.

 

 

Annabeth cercò di rilassarsi. Erano nell’antro di Rachel, che dall’esterno sembrava davvero una grotta spaventosa, uguale a quella dell’antica Sibilla, ma all’interno era una stanza degna di una teenager milionaria quale era Rachel. Spaziosissima, con un televisore a schermo piatto ed un impianto stereo da far impallidire e tutta immersa nel disordine organizzato di cui Rachel andava fiera. Pennelli e colori erano sparsi ovunque, vestiti buttati qua e là e su un tavolino una grande quantità di cioccolato –anche blu!– e marshmallow che avrebbero fatto impazzire Percy.

Non è bene somministrare tanto zucchero a semidei già iperattivi, sentenziò quella parte del suo cervello che somigliava fastidiosamente a sua madre. Annabeth la ignorò.

“Wow,” sussurrò.

“Lo so, è tutto meraviglioso. Apollo è fantastico, ha scelto tutto secondo i miei gusti senza che gli dicessi niente. E’ fantastico,” ripetè Rachel con aria sognante.

Annabeth le schioccò le dita davanti al viso per svegliarla dal suo sogno ad occhi aperti. “Rossa, guarda che Apollo è un dio.”

“Grazie per avermelo fatto notare, Annabeth, ma non bisogna essere una figlia di Atena per capirlo. E poi penso che anche se non lo sapessimo, si noterebbe comunque. Non so come faccia a passare inosservato tra i mortali, è uno splendore.”

“E’ il dio del sole.”

“Non in quel senso.”

“Mi spaventi,” concluse Annabeth.

Katie si stava guardando intorno. “Rachel dovresti aggiungere dei fiori a tutto questo casino. La stanza è già coloratissima, ma qualche pianta darebbe un tocco–

“Figlie di Demetra,” Rachel sussurrò a Piper. “vorrebbero aggiungere fiori ovunque. Uguali alla loro divina sorella Persefone. Comunque,” disse alzando la voce ed interrompendo Katie che stava ancora parlando del tocco che i fiori avrebbero dato alla sua stanza, “Stasera ci concentriamo sulla nostra piccola Annie.”

Annabeth stava per protestare, ma Rachel continuò. “Un bel massaggio, probabilmente anche una manicure, e ho qui il tuo film preferito,” disse cacciando un dvd dal cassetto sotto la tv.

“Harry Potter e i Doni della Morte 1 e 2 versione integrale con le scene eliminate, tagliate e le interviste al cast? Ma quest’edizione non è ancora in vendita!” Annabeth abbracciò Rachel. “Come hai fatto?”

“Segreto,” rispose l’Oracolo ricambiando l’abbraccio. “Dura più di cinque ore, dovremmo saltare qualcosa se vogliamo dormire un po’… domani dobbiamo assolutamente svegliarci ad un orario decente per aprire i regali con tutti gli altri!”

“Prima che Travis rubi tutto,” disse Katie.

“E Connor,” aggiunse Annabeth.

“Non so perché, ma sono più preoccupata di Travis,” ribadì Katie.

“Io penso di sapere perché,” ammiccò Rachel, e Katie arrossì.

“E’ ora di guardare il film!”

“Io prendo il cibo,” si offrì Piper.

Si sistemarono tutte sul divano. “E il mio massaggio?”

“Arriva subito, tesoro,” rispose Rachel spostandosi verso di lei.

Ad Annabeth questa serata piaceva sempre di più.

 

Tre ore dopo, erano ancora in quella posizione. Avevano litigato un po’ su quali scene saltare, su chi dovesse mangiare l’ultimo pop-corn, ma si stavano decisamente divertendo.

“Questa è la mia scena preferita!” urlò Katie.

“Il bacio di Ron e Hermione? Ma nel libro era diverso,” commentò scettica Piper.

“A chi importa, ho aspettato dieci anni per questa scena!”

Ad Annabeth venne in mente una cosa…

“Piper, non dovresti dirci qualcosa?”

“Di che parli, Annabeth?”

“Mi pareva di aver visto parecchio vischio qui intorno oggi pomeriggio…”

Piper arrossì. “Ecco, io e Jason ci siamo baciati. Sul serio, questa volta.”

Nonostante l’imbarazzo, era chiaro che fosse soddisfatta.

“Sì, sapevo già tutto,” liquidò Rachel con aria di superiorità. “Conosco passato, presente e futuro,” continuò teatrale.

“Ma non bacerai mai un ragazzo, hai fatto un giuramento di eterna castità,” le ricordò Annabeth con tono canzonatorio.

Fu il turno di Rachel di arrossire. Fu salvata dall’urletto di Katie “Si baciano!” e tutte riportarono la loro attenzione a Ron ed Hermione sullo schermo.

 

Il mattino seguente erano tutte e quattro stanchissime, avevano obbiettivamente dormito troppo poco, ma si erano divertite tantissimo, e–cosa più importante–avevano distratto Annabeth. Era più rilassata di quanto non fosse stata in mesi, e per un po’ era stata in grado di mettere da parte il dolore per Percy e semplicemente godersi una bella nottata tra amiche.

“Grazie, Rossa,” aveva sussurrato a Rachel prima di dirigersi verso la sua cabina a cambiarsi, per poi andare ad aprire i regali come da consuetudine sotto il pino di Thalia. “Ne avevo proprio bisogno.”

“Quando vuoi, Annabeth,” sorrise l’altra.

 

Annabeth non aveva grandi aspettative per i regali. Suo padre aveva probabilmente dimenticato di spedirle il suo, e non si aspettava che la sua divina madre si sarebbe scomodata.

Ma tutti ridevano, era un’atmosfera serena e contagiosa. Annabeth si trovò a sorridere con loro, mentre Jason le passava un pacco che era apparentemente destinato a lei. Lo scartò: era un’avvolgente sciarpa sulle tonalità del blu, con sfumature più chiare fino al verde acqua. Il bigliettino allegato era da parte di Sally.

Annabeth ebbe appena il tempo di meravigliarsi della gentilezza di sua suocera e di pensare che avrebbe probabilmente dovuto ricambiare il regalo, che Rachel e gli altri le offrirono altri due pacchi.

“Pensavi che ci saremmo dimenticati di te?”

“Su, aprili!”

“Questi sono da parte di tutti!”

Che carini, pensò ancora prima di vedere cosa le avessero regalato. Ieri mi sono arrabbiata perché si preoccupano per me, ma ho sbagliato. Mi amano nonostante tutto, ci sono sempre per me e hanno anche pensato a farmi dei regali.

Aprì prima il pacco rettangolare che le porse Rachel.

L’intera collezione integrale dei film di Harry Potter.

“Ecco da dove veniva il film di ieri… Non posso crederci! Ragazzi, grazie!”

L’altro regalo era una trilogia. Da esemplare figlia di Atena, Annabeth adorava leggere, la dislessia non era nemmeno più un grande problema.

“The Hunger Games?” chiese, non avendo mai sentito il titolo.

“Sì,” rispose Piper. “Si portano tantissimo nel mondo dei mortali. Sono davvero belli. Io li ho divorati.”

“Se leggi attentamente, noterai che tu e la protagonista–Katniss–avete molto in comune. La testardaggine, ad esempio,” disse Rachel.

“Grazie mille, non so davvero come ringraziarvi… vi voglio bene. Scusate se ieri sera sono stata un po’ brusca.”

Cercò di abbracciare tutti, e si sentì un po’ in colpa per non aver fatto regali a nessuno. Ma effettivamente aveva avuto altro a cui pensare.

“Oh, Annabeth, quasi dimenticavo,” la chiamò Jake Mason, figlio di Efesto. “Stamattina presto ero nella forgia ed è passato Tyson. Ha detto di darti questo,” le offrì un pacchetto un po’ spiaccicato, che lei prese volentieri.

Al suo interno c’era un anello d’argento, con una pietra turchese al centro. Era un colore meraviglioso e sembrava risplendere. Annabeth non aveva mai visto niente del genere.

Jake continuò: “Ha detto che era il regalo che, ehm, Percy voleva farti. La pietra è stata presa da una grotta subacquea, ha dovuto chiedere il permesso di Poseidone per prelevarla. Poi aveva chiesto a Tyson di forgiare l’anello, solo che… non è più andato a prenderlo. Quindi Tyson è passato in modo che tu potessi averlo comunque.”

Annabeth non riusciva quasi a crederci. Infilò l’anello all’anulare, e fu sorpresa di notare che calzava perfettamente. Aprì la mano per ammirarlo meglio, e doveva ammettere che stava proprio bene anche con l’azzurro delle unghie che Rachel le aveva pazientemente dipinto la sera prima.

Si era recata al pino pensando di non ricevere alcun regalo, e invece…

Alzò lo sguardo. La sua famiglia la stava ancora osservando, ed Annabeth era consapevole delle lacrime che le stavano solcando il visto. Ma erano lacrime di gioia, di speranza.

Sarebbe andato tutto bene.

 

 

Angolo autrice: rieccoci.

Spero che vi sia piaciuto, davvero. Ci ho messo un bel po’ a scrivere. Sapete che odio pubblicare cose troppo corte, e per le 3444 parole di questo ci ho impiegato un bel po’.

Ci sarebbero 73509435430584357 cose di cui vorrei parlarvi a proposito del capitolo. Ci sono molti riferimenti a fatti accaduti nei libri, alcuni espliciti, ma altri rivelati anche solo attraverso un arrossimento o una parola. Spero che li abbiate colti tutti :3

Ho dovuto per forza menzionare Harry Potter e The Hunger Games. Annabeth ce la vedo come una Potterhead sfegatata, e in effetti ha un sacco di cose in comune con Katniss (per non parlare di Hermione!)

Chi ha letto The House of Hades? Vi va di parlarne? Io l’ho adorato.

{Ditemi i vostri account di Twitter e/o Tumblr che mi va di seguire un po’ di gente}

 

Ogni recensione è un biscotto blu di Sally, quindi datevi da fare o Percy non farà merenda :P

 

Alla prossima,

Ginny_theQueen

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** quattordici febbraio. ***


un ringraziamento speciale ad AleJackson, che supporta tutti i miei progetti pazzi ♥

14 febbraio

 

Annabeth non aveva nemmeno realizzato che giorno fosse.

Non che le importasse comunque.

Terminate le vacanze di Natale era dovuta tornare a scuola, e non le era possibile recarsi al Campo ogni weekend, anche se avrebbe voluto.

Poi si era imposta di andare a trovare Sally il più possibile, ed al momento il suo obiettivo principale era quello. Per quanto amasse i suoi rumorosi amici del Campo, preferiva la quiete dell’appartamento alla confusione della Collina Mezzosangue. Preferiva guardare Sally piangere e confortarla, singhiozzare con lei, piuttosto che dover fingere di stare bene ed indossare una maschera.

 

Comunque quel giorno Annabeth fu chiamata con un messaggio Iride (mentre era nel bel mezzo dei compiti di trigonometria) da una Piper molto emozionata.

“Annabeth!”

“Hey Piper.”

“Oggi devi venire assolutamente”

“Come, scusa?”

“Vieni al Campo, dobbiamo mostrarti una cosa!”

Il cuore di Annabeth mancò un battito. “E’ successo qualcosa? Ci sono novità? Dall’altro camp—“

“No,” Piper la interruppe. “Ma ci vieni a trovare lo stesso.”

“Piper, ho un mucchio di compiti e —“

“Niente scuse, Butch ti sta già venendo a prendere con Blackjack, perché suppongo tu preferisca il pegaso alla metropolitana…”

“D’accordo,” concluse Annabeth sconfitta.

 

 

Durante il tragitto, Blackjack si comportò stranamente. Annabeth capì che cercava di dirle qualcosa, e appena scesa gli accarezzò la folta criniera. Il pegaso nitrì.

“Sì,” gli disse lei, “manca anche a me.”

 

Fantastico, ora anche i cavalli mi parlano di Percy.

 

 

Piper la stava aspettando, mano nella mano con Jason.

Quel semplice gesto strappò ad Annabeth un sorriso, ma poi fu colta da un’ondata di gelosia per il semplice fatto che lei non stringeva la mano del suo ragazzo da ormai due mesi, e non sapeva quando (e se) l’avrebbe stretta di nuovo.

Che depressione.

Solitamente non si lasciava cogliere da quel tipo di pensieri. Non sono mica una figlia di Afrodite, si diceva.

Ma non sei neanche un automa, le rispondeva una vocina nella sua testa.

Sentire due voci contrastanti nella propria testa non era mai da considerarsi un buon segno.

 

Piper la abbracciò, Jason si limitò a stringerle la mano. Quel ragazzo era sempre così maledettamente formale. Così romano.

“Allora,” cominciò la figlia di Atena, “ditemi perché sono qui. Cosa volevi mostrarmi, Pipes? L’Argo II è pronta? Avete bisogno di una mano?” chiese impazientemente. Quando Jason, Piper e Leo erano tornati dalla loro impresa a dicembre, era risultato chiaro che Percy si trovasse al campo romano, ma anche che non potevano fare un passo verso di lui finché la nave che Leo stava costruendo non era pronta.

“Frena, frena. Non è niente che non possa aspettare. Va’ a salutare Chirone, gli manchi un sacco. E’ molto preoccupato per te, sai?”

Annabeth sorrise amaramente.

“Sì, ma poi…?”

“Poi hai tempo per passare a salutare chi vuoi, farti un giro… mettiti comoda insomma. Passo a prenderti per cena.”

Annabeth sbuffò, pensando che se non si trattava di nulla di urgente allora sarebbe potuta rimanere comodamente nel dormitorio della scuola.

 

Passò da Chirone, ma l’argomento Percy fu prontamente evitato da entrambi. C’erano pochissimi campeggiatori, quasi nessuno rimaneva al Campo durante l’inverno.

Incontrò Clarisse e Chris che andavano a duellare con la spada.

Ad Annabeth risultava ancora strano vedere Clarisse innamorata, e soprattutto, quasi dolce con qualcuno.  

Sembrava che oggi incontrasse solo coppiette.

Clarisse le chiese quanto si sarebbe trattenuta e Annabeth le rispose onestamente di non saperlo.

La figlia di Ares accolse la risposta con un’occhiatina complice al fidanzato e una risata consapevole.

Dopo essersi congedata, stanca e scocciata, Annabeth decise di rifugiarsi nella sua cabina fin quando Piper non si fosse fatta viva.

 

Entrò nell’edificio grigio riprogettato personalmente da lei, e fu sorpresa di trovarvi ben tre dei suoi fratelli. Malcolm corse ad abbracciarla e lei realizzò solo allora quanto le era mancato il suo fratellone.

“Annie! Hai saput—cioè, volevo dire, quando sei arrivata?”

“Cosa avrei dovuto sapere?” chiese sospetta. 

“Niente!”

Malcolm dovette sostenere lo sguardo indagatore della sorella, e chissà come ci riuscì.

“Non me la conti giusta,” gli disse Annabeth tenendolo puntato con l’indice mentre salutava gli altri fratelli. Malcolm arrossì, poi si fece più serio.

“Allora,” si schiarì la gola, “come stai? Intendo sul serio.”

Annabeth abbandonò la maschera che indossava e rispose semplicemente, “Uno schifo.”

“Come dovrei stare? Percy è sparito… ora abbiamo anche una vaga idea di dove possa essere ma non posso raggiungerlo! Sto uno schifo. Sono frustrata. Non so nemmeno perché sono qui. Pensavo che Piper avesse qualche novità riguardo l’Argo, qualcosa che potesse in effetti farmi sentire più vicina a lui.. non sai quanto è frustrante stare seduta nella mia camera tutto il tempo, andare a scuola, fingere che non sia successo nulla… gli dei che non rispondono, Gea…” fece un profondo respiro.

“Siamo sull’orlo di un’altra guerra, e credo anche che siamo più preparati rispetto a quella contro Crono. Abbiamo passato tantissimi momenti difficili, abbiamo perso tanti eroi, ma sembrava tutto più facile, e sai perché? Perché lui era lì. Noi.. litigavamo spesso, per gelosia, per caparbietà, ma alla fine lui tornava sempre. Adesso è tutto diverso. Mi sento sola, Mal. So che stai per dirmi che non sono sola, perché qui tutti mi vogliono bene, ed è vero, lo so che siete tutti con me. Ma mi sento tanto la bambina che scappò di casa a sette anni. Sola ed impotente.”

 

Malcolm si limitò a fissarla, consapevole che non avrebbe potuto dire nulla per consolarla.

 

Annabeth uscì senza nemmeno salutare, smaniosa di raggiungerlo.

 

La cabina 3 era vuota da così tanto tempo che sembrava riflettere tristezza.

Appena entrata, Annabeth poté finalmente sentire quel perenne profumo di mare che le era mancato tanto.

Si rannicchiò sul letto di Percy cercando di riempirsi le narici di quel profumo. Era come se fosse stato lì la notte precedente.

Annabeth si ritrovò a sussurrare il nome di Percy, ancora e ancora, come un mantra. Non si accorse delle lacrime che silenziose le rigavano il volto finché non posò la testa sul cuscino bagnato.

 

 

Piper passò a prenderla dopo quella che sembrava un’eternità. Fuori era buio e faceva decisamente freddo. Annabeth non le chiese come sapeva che era nella cabina di Percy invece che nella propria.

“Hai saltato la cena,” le fece semplicemente notare la figlia di Afrodite.

“Volevo stare un po’ da sola. E poi non ho molta fame…”

“D’accordo. Ora datti una sistemata e andiamo.”

“Dove?”

“Sorpresa. Forza.” Posò sul letto la borsa che portava e ne cacciò una spazzola. “I tuoi capelli sono un disastro e hai le labbra tutte screpolate.” Le passò uno stick di burro di cacao alla vaniglia. “E non puoi girare a maniche corte, Annabeth, siamo a febbraio! Sai almeno che giorno è oggi?”

Annabeth ci pensò su. No, non sapeva che giorno era. Tutto quello che sapeva è che erano passati due mesi dalla sparizione di Percy, ma aveva perso il conto delle ore dopo tre settimane e dei giorni dopo un mese. Sapeva che il giorno dopo aveva un compito di trigonometria che sarebbe sicuramente andato malissimo visto che Piper aveva avuto la brillante idea di farla venire al Campo piuttosto che lasciarla studiare in pace, apparentemente per nessun motivo valido. Scosse la testa e l’altra sospirò.

La borsa di Piper sembrava la risposta a tutti i suoi problemi. La mora ne tirò fuori una felpa azzurra e gliela passò.

“No, aspetta,” disse Annabeth dirigendosi verso l’armadio. I vestiti di Percy erano ancora lì. Un po’ stropicciati, ma c’erano. Prese una felpa rossa con la scritta Goode High e la indossò. Inutile dire che portava ancora il suo profumo.

Piper sorrise. In un paio di minuti Annabeth fu quantomeno decente.

“Possiamo andare.”

 

Giunsero al grande falò attorno al quale erano seduti tutti.

Leo Valdez andò incontro ad Annabeth e la salutò. “Allora, dolcezza,” Annabeth gli lanciò un’occhiataccia a quell’appellativo. “Sai che giorno è oggi?”

E’ diventata la domanda preferita di tutti?

Vediamo… metà febbraio. Il mio compleanno è a luglio. Quello di Percy ad agosto. La nave non è pronta. Natale è passato da due mesi, per Pasqua manca ancora un po’…

Oh.

Metà febbraio...

“Oggi è San Valentino,” le disse Leo nel momento in cui Annabeth terminava il suo ragionamento giungendo alla medesima conclusione.

Non aveva mai festeggiato San Valentino. Era una festa stupida. E poi con chi avrebbe dovuto festeggiarlo? Non è che avesse avuto un ragazzo, prima di Percy. E ora Percy non c’era. Chissà per quanto non ci sarebbe stato ancora…

Annabeth scartò l’ipotesi formulatasi nella sua mente che Leo potesse chiederle di uscire perché, per quanto strano, quel ragazzo non era del tutto cretino e sapeva sicuramente che Annabeth gli avrebbe fatto assaggiare il suo gancio destro ad una simile proposta.

Quindi…?

“Quindi,” prese a parlare Piper dal momento che Annabeth non aveva dato alcuna risposta e Leo non aveva più continuato, “Abbiamo pensato di sottrarti alla tua sicuramente noiosa giornata di studio chiusa nel dormitorio della scuola, per festeggiare qui tutti assieme…” Piper le sorrise. “Sappiamo che Percy ti manca da morire e probabilmente vorresti essere con lui in questo momento, ma abbiamo pensato ad una consolazione.”

Piper si spostò dalla visuale di Annabeth permettendole di mettere bene a fuoco tutti coloro che erano seduti attorno al falò…

“Hanno tutti qualcosa da darti.”

…e notare che ognuno di loro aveva un fiore in mano. Rose, primule, asfodeli, gerani, gigli e qualche specie variopinta che non riconobbe. Leo prese un mazzo di asfodeli dalla sua cintura magica e glielo porse. Will Solace le sorrideva radioso, Jake Mason starnutiva ogni volta che avvicinava il naso alle primule che teneva in mano, Chris Rodriguez si guardava intorno con aria circospetta, come se stesse cercando qualcosa che gli era sfuggito.

“Ringrazia la casa di Demetra per i fiori!” le disse Piper.

“Piper, ragazzi… non so cosa dire. Siete la mia famiglia.”

Qualcuno le tamburellò sulla spalla.

“Ti eri scordata di noi?” disse Connor Stoll.

“Già, altro che famiglia,” appoggiò Travis.

“Mascalzoni!” esclamò Annabeth affettuosamente. “Da quanto tempo non ci vediamo?”

Essendo gli Stoll figli di Hermes e fratelli di Luke, Annabeth aveva passato molto tempo con loro da piccola. Non solo le estati, ma anche gli inverni, visto che Travis e Connor stavano al Campo tutto l’anno.

“Più o meno da quando sei tornata a scuola e non ti sei più fatta sentire, Annabeth.”

“Comunque abbiamo qualcosa per te anche noi.”

I fratelli le porsero una rosa blu ciascuno e poi le diedero un bacio sulla guancia. Annabeth mise un braccio attorno alle loro spalle.

“Devo andare a ringraziare Katie e la cabina di Demetra e poi mi raccontate delle vostre ultime malefatte, okay?”

“Ti accompagniamo,” offrì Travis.

“Poi ci aiuti a pianificare uno scherzo geniale a Clarisse?” chiese Connor.

Annabeth rise.

“Va bene, tanto domani torno a scuola e la sua rabbia non potrà raggiungermi…”

“E’ bello sfruttare le tue genialità da figlia di Atena per i nostri piani malefici,” confessò Connor.

“Già, c’eri mancata, Annabeth,” ammise Travis.

Annabeth li strinse a sé.

 

 

 

Angolo autrice: è un bel po’ che non ci vediamo. Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui! Francamente, la causa principale per cui sto aggiornando così a rilento sono le poche recensioni. Poi ci si mette anche la scuola e comunque negli ultimi tempi ho scritto e pubblicato parecchie one-shot, per cui Missing al momento non è la mia priorità… comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere che ne pensate e magari il prossimo arriverà presto.

Grazie ancora a chi segue e recensisce la storia, sappiate che la continuo per voi.

 

Alla prossima,

Ginny_theQueen

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** marzo ***


Note: è un capitolo un po’ diverso dal solito… buona lettura, ci vediamo giù.

 

E’ una mattina di metà marzo e due ragazze sono sedute sul molo del laghetto delle canoe. Thalia è tornata a fare visita. E’ andata al Campo più frequentemente in quei tre mesi che negli ultimi due anni. Ma Annabeth ha bisogno di lei e lei deve starle accanto, non importano le conseguenze. Artemide potrebbe adirarsi, ma non importa. Thalia deve tornare a ricoprire il ruolo della sorella maggiore di nuovo, ed è passato così tanto tempo dall’ultima volta. Annabeth ha bisogno di lei ed è l’unica cosa che le interessa.

Okay, forse influisce il fatto che anche il suo vero fratello minore, Jason, che credeva morto, si trova al Campo Mezzosangue. Proviene dal Campo Giove, il campo romano. Pretore della Dodicesima Legione Fulminata, dice. Comunque sono passati tre mesi e ha riavuto la maggior parte dei ricordi che Sua Stupidità Reale Era la regina dell’Olimpo gli aveva rubato. Dice che gli manca il Campo Giove, ma Thalia non sa se lo dice solo perché deve o se lo pensa veramente. Non è brava come Annabeth a leggere le persone. Comunque sembra che Jason si sia abituato piuttosto velocemente al Campo Mezzosangue. Ha fatto amicizia con tutti – figlio di Giove (che poi non dovrebbe essere Zeus?), potente, chi non vuole essere suo amico? E’ molto bello e ci sono alcune che lo vogliono come più che un semplice amico. Drew, l’ex capocabina di Afrodite, ci ha provato più volte. Ma Jason sembra abbastanza contento della ragazza con cui esce ormai da tre mesi, quella con cui ha fatto l’impresa, Piper. A Thalia non sono mai piaciute le storie d’amore, ma quei due stanno davvero bene insieme, ed è molto felice per loro.

Ma – deve ammetterlo, anche considerando la situazione attuale – non ha mai visto una coppia più fatti-l’uno-per-l’altra di Percy e Annabeth. Sono giovani e senza esperienza in campo di romanticismo, ma il loro amore reciproco è sconvolgente.

Quando Thalia era tornata umana aveva scoperto che le cose erano profondamente diverse da quando era morta. Luke li aveva traditi per i Titani e Annabeth non era più una bambina. Era cresciuta, aveva partecipato a diverse imprese, credeva di essere innamorata – e lo era, solo, non del ragazzo che credeva. Percy l’aveva cambiata, nel bene e nel male. O forse era stato il tradimento di Luke, o addittura la morte di Thalia. Dopo la fine della Guerra dei Titani, Percy e Annabeth si erano finalmente messi insieme, e Clarisse, che conosce Annabeth da quando avevano nove anni, giurò di non aver mai visto Annabeth sorridere così spesso.

E ora… le cose sono cambiate di nuovo.

Annabeth ostenta di nuovo un’espressione di coraggio, uno sguardo alla ‘so cosa sto facendo’. L’ha sempre fatto, per quello che Thalia ricorda, sin da quando era una bamina determinata e cocciuta di sette anni. Ma Thalia la conosce e sa anche che tutto quello che Annabeth desidera adesso è tutto ciò che Era le ha portato via. Rivuole solo Percy, niente di più.

Annabeth guarda intensamente l’acqua, come se Percy potesse spuntare fuori dal lago all’improvviso. Il vento soffia e la superficie del lago s’increspa. Annabeth rabbrividisce e Thalia l’abbraccia istintivamente, per proteggerla dal freddo e dalla solitudine, perché non importa quante persone la circondino in questi giorni, Annabeth è sempre sola. Parla di rado, mangia di rado, ormai non fa nemmeno più allenamento. Thalia cerca di starle vicino, ci prova davvero. Si sforza di portare le Cacciatrici al Campo ogni qualche settimana, anche se odiano starci. Ogni tanto ci viene da sola. Sa che Annabeth sarebbe in buone mani anche senza di lei, ma si sente responsabile. Piper le sta simpatica e si fida di lei, si è dimostrata una buona amica per Annabeth. Thalia ne è anche un po’ gelosa, perché è inevitabile che Piper la rimpiazzerà come migliore amica di Annabeth. Ma non può davvero incolparla. E’ sua la colpa, è lei che ha scelto una strada diversa: ha scelto le Cacciatrici, Artemide, l’immortalità. Piper farà bene ad Annabeth.

Annabeth non la guarda. In questi giorni raramente guarda le persone, raramente le nota. E’ rinchiusa in qualche marte della sua mente, cercando di raggiungere Percy.

Thalia sa che farà tutto il possibile per riaverlo, ma se non funziona? E se Era la stesse punendo, e se Afrodite volesse che finiscano in tragedia? Thalia sa che le si spezzerà il cuore. Ma alla fine riuscirà ad andare avanti. E Thalia vuole assicurarsi che succeda il più presto possibile. Vuole solo tenerla al sicuro ed aiutarla a guarire. Vuole solo tenerla vicina.

Sospira e fa un altro respiro profondo.

Ad Annabeth non piacerà quello che sta per dirle, ma deve dirlo.

“Annabeth, stavo pensando che magari… se… magari se la Testa di Alghe – pensavo che magari potessi unirti a noi. Io, te e tante altre tipe toste che uccidiamo mostri come una volta.”

Annabeth si volta a guardarla, e per la prima volta da quando è arrivata la guarda per davvero. Le dà il suo migliore sguardo della morte. Quello che terrorizza Grover. Per un momento, i suoi occhi grigi sono di nuovo tempestosi, pieni di vita e di energia. Thalia è quasi felice di aver pronunciato quelle parole – anche se sa che Annabeth la sta odiando – perché almeno ha innescato una reazione. Vede di nuovo quella scintilla in lei. Vale quasi la pena dell’amara risposta che segue.

“Grazie dell’offerta, Thalia, ma dovò rifiutare. Percy potrà avere alghe nel cervello, ma tornerà. O lo prenderò a calci in culo. Io sono fatta per condurre, non per servire. Soprattutto, non per servire una dea, dopo quello che gli dei hanno appena fatto.”

“E’ stata Era, lo sai. Solo Era. Ad Artemide piacevate tu e Percy, non avrebbe–“

“Allora perché nessuno l’ha impedito? Perché qualcuno non ha fermato Era? Persino il padre di Percy non ha fatto niente. Gli dei possono far finta di non vedere, ma sanno tutto. A loro non importa. Non sarò la pedina nello schema di qualcun altro, Thalia. Non lo sono.”

Si alza e se ne va. Thalia sa che Annabeth non vuole essere seguita, quindi non lo fa. Rimane seduta sulla banchina e guarda l’oceano in lontananza, pregando che tutto questo possa finire presto.

 

Angolo autrice: eccomi, finalmente. Dovevo cambiare qualcosa o questo capitolo non si sarebbe mai scritto da solo. Quindi ho scelto una tecnica narrativa diversa e soprattutto, il POV di Thalia. Il cambiamento non è permanente, torno a concentrarmi su Annabeth dal prossimo in poi. Dovevo staccare un po’, altrimenti troppa depressione per me e per voi.

Comunque, vi è piaciuto? A me sì, sinceramente.

Recensite, mi raccomando. <3

Alla prossima,

Ginny_theQueen

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1466599