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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** dodici dicembre. ***
Capitolo 2: *** tredici dicembre. ***
Capitolo 3: *** quattordici dicembre. ***
Capitolo 4: *** quindici dicembre. ***
Capitolo 5: *** sedici dicembre, parte prima ***
Capitolo 6: *** sedici dicembre, parte seconda ***
Capitolo 7: *** sedici dicembre, parte terza (sì, questa giornata è infinita!) ***
Capitolo 8: *** ventidue dicembre ***
Capitolo 9: *** Natale. ***
Capitolo 10: *** quattordici febbraio. ***
Capitolo 11: *** marzo ***
Capitolo 1 *** dodici dicembre. ***
“Eravamo
così entusiasti perchè le vacanze di Natale
erano iniziate in anticipo. Ci siamo incontrati al campo
martedì, pensavamo di
passare tre settimane insieme. Sarebbe stato fantastico.”
–Annabeth
Chase, The Lost Hero.
{l’incontro}
Vivere
nella stessa città non voleva dire vedersi
ogni giorno, se vivevi a New York.
Non
vedeva Percy da circa una settimana, perché
entrambi erano stati impegnati a studiare per gli esami di fine
trimestre, così
quando arrivò al Campo martedì, non vedeva
l’ora di incontrare il suo ragazzo.
Annabeth
era arrivata nel primo pomeriggio, ma
sapeva che lui non ci sarebbe stato ancora per un paio d’ore,
il che le dava il
tempo di salutare tutti i suoi amici e per riambientarsi.
Abbracciò
Chirone, il centauro che aveva ricoperto
il suo ruolo paterno per così tanti anni, e lui le diede un
bacio sulla fronte,
dicendole quanto era felice di avere sia lei che Percy lì
per le vacanze di
Natale. Poi Annabeth si fermò alla Cabina 5 per salutare una
delle sue più care
amiche del Campo Mezzosangue.
Contrariamente
a come pensavano molti, Clarisse La
Rue non era un’insensibile. Provava affetto, solo che non lo
mostrava spesso.
Loro due erano presto diventate amiche quando Clarisse era arrivata al
Campo,
solo qualche anno dopo di Annabeth. Forse la loro affinità
era data dal fatto
che i loro genitori divini erano entrambi dei guerrieri.
“Tutto
bene, Principessa?” chiese la figlia di Ares,
utilizzando il suo nomignolo.
“Sono
così felice di essere a casa, Clarisse! E
Percy sta arrivando, quindi vado a controllare come vanno le cose alla
mia cabina
e poi mi preparo… ci vediamo a cena!”
Uscì
e oltrepassò la cabina di Poseidone–ancora
vuota–dirigendosi alla propria.
Due
ore dopo, Annabeth aspettava il suo ragazzo al
confine, vicino l’albero di Thalia.
Quando
vide la macchina prese a correre verso la
strada, e un sentimento di anticipazione
le riempì lo stomaco. Gli si gettò
addosso, abbracciandolo forte per
qualche secondo, e poi si avvicinò a sua madre. Adorava
Sally Jackson. C’era
qualcosa in quel suo permanente sorriso che Annabeth desiderava ci
fosse anche
in sua madre, o almeno nella sua matrigna.
“Ciao,
Sally. Come stai?”
“Hey
tesoro, tutto apposto, grazie. Mi dispiace solo
di non poterlo tenere tutto per me durante le vacanze, ma credo che
Percy abbia
il diritto di passare il Natale dovunque voglia,” disse
ancora sorridendo.
“Tienilo
al sicuro, Annabeth, come fai sempre,”
aggiunse. Poi si voltò verso suo figlio, “e tu,
comportati bene. Almeno cerca di
non cacciarti nei guai...”
La
risposta di Percy fu ironica come al solito: “Non
preoccuparti, mamma. Ora che
abbiamo sconfitto Crono non credo sarà difficile stare
lontano dai guai.”
Abbracciò
Sally e poi la salutò con la mano finchè la
macchina non fu più visibile. A
quel punto si girò verso Annabeth e afferrò la
sua mano. Improvvisamente le sue
labbra erano su quelle di lei.
Finalmente,
pensò lei mentre con le mani
arruffava quei capelli che amava tanto. Lui la strinse più
vicina e le
accarezzò la schiena con le dita.
“Ciao,”
disse appena si furono staccati. “Da quanto tempo
era?”
“Otto
giorni,” rispose lei prontamente. “Mi sei
mancato,” ammise.
“Anche
tu.
Fammi disfare le valigie, e poi possiamo andare sulla
spiaggia,” aggiunse con
un sorriso.
“Percy,
siamo a dicembre! Non puoi pretendere che mi tuffi nell’acqua
come se fosse–“
“Hey,
non ho detto nulla sul tuffarsi. Volevo solo
fare un romantico picnic sulla spiaggia o qualcosa del genere, ma se
non vu–“
“Ok.”
Il
suo sorriso divenne più ampio e Annabeth riuscì
finalmente a guardarlo negli occhi. Quegli occhi verdi e profondi dei
quali non
aveva potuto fare a meno di innamorarsi.
“Andiamo,”
disse lui, prendendole la mano nella
propria destra e spostando la propria valigia sulla spalla sinistra.
Inutile
a dirsi, che non arrivarono alla spiaggia.
Appena
si
avvicinarono alla Casa Grande furono assaliti da un branco di semidei
che
volevano salutare Percy, e altrettanti nuovi campeggiatori che volevano
incontrarlo per la prima volta, avendo sentito molto parlare di lui, il
Salvatore dell’Olimpo e tutte quelle stronzate che la Casa di
Afrodite
inventava.
Vecchi
amici e giovani semidei li tennero occupati per quasi un’ora
e quando il corno
della cena suonò, Percy e Annabeth non avevano nemmeno
finito di disfare la
valigia, e la Cabina 3 era un disastro.
“Andiamo,
finiremo dopo,” propose lei alzandosi e prendendo la mano del
suo ragazzo.
Appena
furono usciti dalla casa di lui, Annabeth si alzò sulle
punte e gli diede un
veloce bacio sulle labbra. Un bacio che Percy fu più che
felice di
approfondire.
Arrivarono
tardi e scompigliati e ovviamente, tutti nel padiglione sorrisero nel
vederli
insieme e felici.
{il
falò}
“Poi
dopo il falò, mi–mi
ha dato il bacio della buonanotte, è tornato alla sua
casa, e la mattina era scomparso.”
–Annabeth
Chase, The Lost Hero
Era
tutto
perfetto. Avevano passato tutto il tempo assieme–apparte
la cena, ovviamente–e avevano anche cantato una canzone. Era
una pop hit che i
loro amici li avevano costretti a cantare. Si chiamava A
Year Without Rain di questa cantante mortale, Selena Gomez.
Nessuno dei due la conosceva perfettamente, Annabeth l’aveva
sentita un paio di
volte alla radio, ma ora cantandola lì con Percy, tutto a un
tratto aveva un
profondo significato. Era come si sentiva quando lui non le era
intorno.
I
loro sguardi si incontrarono e Annabeth dovette
sforzarsi di non ridere di Percy quando lui stonava costantemente.
Dopo
che la canzone fu finita e l’attenzione di
tutti non era più concentrata su loro due, Annabeth si
ritrovò a sorridere al
suo ragazzo come un’idiota, finchè lui non la
notò e ricambiò lo sguardo.
Sarebbe stato proprio un bel momento per un bacio, se non fosse stato
per il
loro piccolo pubblico, quindi continuarono a stringersi l’un
l’altra. La figlia
di Atena era troppo timida e riservata per mostrare un certo tipo di
affezioni
in pubblico.
“Sono
felice che passiamo le vacanze qui insieme.
Non credevo che tuo padre te l’avrebbe lasciato fare,
onestamente. Non ti vede
da.. quanto? Tre mesi? Non credevo di essere così
importante…”
“Sembra
che qualcuno si sia montato la testa qui,” sorrise lei.
“Guarda,
sono felice di essermi trasferita a New York. Lo sai che non era solo
per
l’Olimpo. E mi dispiace se riusciamo a vederci solo nei
finesettimana comunque.
Beh, la maggior parte dei finesettimana…”
“Non
importa. A patto che stiamo insieme alla fine,”
arrossì.
Che
carino,
pensò lei.
Nel
giro
di una settimana sarebbe stato il loro quarto mesiversario.
Annabeth
non poteva fare a meno di fantasticare su cosa Percy le stesse
preparando. Si
era completamente scordato del loro primo mese passato da coppia–Hermes aveva affidato loro una
missione–c’erano stati tanti
baci coperti di scarico (lunga storia!) –ma alla fine era
riuscito a salvarsi
il culo e l’aveva portata a Parigi, la
città dell’amore.
Abbastanza romantico. Il 18 novembre (il ragazzo aveva cominciato a
pianificare
settimane prima stavolta) le aveva riempito la stanza al collegio di
rose
bianche–ringraziamento speciale alle Case di Demetra e
Persefone–e l’aveva
portata in un costoso ristorante a Manhattan. In
quell’occasione la stessa
Afrodite aveva fatto una comparsa: però non aveva incasinato
tutto, grazie agli
dei. Annabeth l’aveva notata che passava, semplicemente
ammiccando come per
dire “perfetto”.
Ora
erano al Campo. Percy avrebbe potuto avere tutto
l’aiuto di cui aveva bisogno.
Sarà
completamente fantastico,
ripetè a se stessa per la
milionesima volta.
Dopo
che
tutti erano tornati alle proprie case, loro due rimasero seduti
lì, a fissare
il falò fino allo scattare del coprifuoco. Poi Percy
l’accompagnò alla Cabina di
Atena in silenzio. Non avevano bisogno di parole per sentirsi a proprio
agio
tra di loro.
“Buonanotte,
Testa d’Alghe.”
Lui
si
avvicinò per baciarla dolcemente sulle labbra e poi
sussurrò:
“Buonanotte
a te, Annabeth. A domani.”
Angolo
autrice:
*Inutile
dire che questo “a domani” è un completo
atto di masochismo verso me stessa e cattiveria verso di voi. Sappiamo
che
“domani” Percy e Annabeth non si vedranno.*
Rieccomi
ad intasare questo fandom, ma questa è la
prima volta che comincio una cosa a capitoli. Non ho ancora scritto i
successivi, ma ho un’idea generale, e vi dico subito che
questa ff potrebbe
durare dai 5 ai 10 capitoli.
Che
dire, contavo di postarlo prima. In realtà ci ho
messo tempo perché questo primo capitolo lo avevo scritto
direttamente in
inglese e postato su fanfiction.net.
Ho
aspettato di ricevere delle recensioni positive
lì per poi tradurlo e postarlo qui xD
Spero
vi sia piaciuto, e mi impegno per postare la
prossima parte al massimo entro una settimana! I capitoli successivi saranno molto più lunghi, questo era una specie di prologo.
Grazie
della lettura e delle -eventuali- recensioni J
Ginny_theQueen
♥
PS:
mi ero scordata di spammarvi con il mio account
Twitter, https://twitter.com/Ginny_theQueen
seguitemi se vi va!
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Capitolo 2 *** tredici dicembre. ***
“…
e la mattina successiva, non c’era più. Abbiamo
cercato in tutto il campo.
Abbiamo chiamato sua madre. Abbiamo tentato di raggiungerlo in ogni
maniera
conosciuta. Niente. E’ semplicemente scomparso.”
–Annabeth
Chase, The Lost Hero
{la sparizione}
Nonostante
avesse fatto più
tardi del solito la sera precedente, Annabeth si svegliò
insieme ai suoi
fratelli.
Realizzò
immediatamente che
c’era qualcosa che non andava:
a)
non aveva fatto sogni.
Strano.
b)
c’era una strana sensazione
che non riusciva bene a definire intorno a (o forse dentro?) lei.
Si
sedette a gambe incrociate sul letto e fece quello che da sempre le
riusciva
meglio, ragionare. Svuotò la mente e cercò di
allontanare quello strano sentimento–o
meglio, quella sensazione.
Avendo
avuto poco successo nel
tentativo, disse ai suoi fratelli di prepararsi per la colazione, e
stava per
entrare in bagno quando notò un flebile russare.
Malcom
era ancora disteso sul suo
letto, le coperte tutte scombinate e una faccia priva di emozioni.
“Malcom!”
lo chiamò lei scuotendolo,
“Malcom, sveglia!”
Suo
fratello aprì gli occhi e dopo
un attimo li focalizzò su di lei.
“Annabeth.”
Lei
capì subito, per la seconda
volta quella mattina, che qualcosa non andava. Malcom era sempre stato
ligio
alle regole, non si era mai svegliato per ultimo e non le piaceva
affatto il
modo in cui aveva pronunciato il suo nome.
“Hai
avuto un incubo?”
Malcom
annuì.
“Che
hai sognato? Nostra madre?”
chiese speranzosa.
Circa
un mese fa, gli dei si erano
fatti silenziosi. Avevano smesso di parlare ai loro figli e
l’Olimpo era stato
chiuso. Di punto in bianco. Senza alcun preavviso, spiegazione o
avvertimento. Annabeth
aveva cercato di contattare sua madre, ma niente. Nessun altro semidio
che
conoscesse era riuscito a parlare col proprio genitore divino.
Quindi
Annabeth pensò che magari
Malcom fosse riuscito a parlare con Atena, ma si sbagliava.
“No,”
disse lui.
“E
allora che…?”
“Te.”
“Come
scusa?”
“Ho
sognato te. Piangevi.
Disperata.”
Annabeth
provò di nuovo quella
brutta sensazione che aveva sentito al risveglio, ma non lo dette a
mostrare:
lei doveva sempre apparire forte. Se c’era una cosa che sua
madre le aveva
trasmesso era di non farsi trascinare dalle emozioni. Quindi
scrollò le spalle,
e con aria di seccata nonchalance, disse al fratello:
“Era
solo un sogno, Malcom. Muoviti,
o faremo tardi a colazione.”
Ovviamente
la casa di Atena non fece
tardi a colazione. Ma qualcun altro sì.
“Vado
a svegliare Percy,” Annabeth
informò i suoi fratelli appena si furono seduti,
“altrimenti dorme fino ad ora
di pranzo.”
Detto
questo si diresse verso la
Casa 3. Fece il tentativo di bussare, ma invano, perché ovviamente Percy dormiva. Così
Annabeth entrò silenziosamente e si
mise in testa il suo cappellino degli Yankees, per fare al suo ragazzo
il
solito scherzo.
Lo
scherzo non riuscì, Percy non era
a letto. Probabilmente era in bagno.
Negativo,
non era nemmeno lì.
Annabeth si guardò intorno, ma nella Casa di Poseidone non
c’era traccia del
suo ragazzo.
Forse
avrà fatto tardi a colazione e non l’ho
incontrato venendo qui…
Tornò
a mangiare, ma lui non c’era.
Si ingozzò perché onestamente moriva di fame, ma
non poteva perdere un minuto
di più.
Si
alzò, ma prima che potesse
dirigersi verso la spiaggia–era sicura di trovarlo
lì–Malcom la fermò con uno
sguardo interrogativo.
Senza
bisogno di parole, Annabeth
fece cenno con la testa verso il tavolo vuoto che apparteneva ai figli
del dio
del mare. Lui capì, “Non l’hai ancora
svegliato?”
“Non
c’era. Probabilmente avrà fatto
un brutto sogno e si sarà recato in spiaggia. Va sempre
verso il mare quando è
di cattivo umore.”
Non
era al lago delle canoe, e
nemmeno in spiaggia. Si era sicuramente buttato in acqua per un bel
bagno,
nonostante il freddo gelido di dicembre. Ma quando si è il
figlio di Poseidone
non ci si deve preoccupare della temperatura, no? Di certo Annabeth non
sarebbe
andata a cercarlo oltre, il mare non era il suo territorio. Soprattutto non a dicembre.
Due
ore dopo, Percy non si era
ancora fatto vivo. Annabeth decise di andare a parlare con Chirone,
perché la
cosa cominciava a spaventarla.
Chirone
ammise di aver notato l’assenza
del ragazzo e suggerì ad Annabeth di contattare Sally.
“Ma
a cosa serve? Insomma, ieri
notte era qui, non credo sia potuto andare da qualche parte…
non senza avvisare
almeno. Non voglio allarmare sua madre, conosco Sally, e so che si
fionderebbe
qui per la preoccupazione. Dobbiamo prima assicurarci che non sia nei
paraggi…
insomma, il ragazzo è stupido, chissà magari
stava facendo una passeggiata nei
boschi e si è addormentato.”
“Annabeth,
cara, ma ti sei sentita?
Comunque d’accordo, mandiamo i ragazzi a cercarlo. Ma prima
voglio assicurarmi
di una cosa. Convoca i capi delle case e informali–se non si
sono già accorti–
che non abbiamo notizie di Percy da ieri,” disse mentre si
allontanava.
“Dove
vai?”
“Da
Argo. Se Percy è uscito dal
campo lui lo saprà di sicuro. Lui vede tutto,”
concluse con una risatina.
{le ricerche}
Annabeth
cercò di visualizzare Percy
con un messaggio Iride, ma non appariva nulla. Allora si decise a
chiamare i
capigruppo: Clarisse per Ares, i fratelli Stoll per Hermes, Jake Mason
per
Efesto (da quando Beckendorf era morto il comando era passato a Jake),
Will
Solace per Apollo, Katie Gardner per Demetra, Drew Tanaka per Afrodite,
Butch
per Iride, Clovis per Hypnos e Lou Ellen per Hecate. Si erano riuniti
attorno
al falò, e Annabeth aveva spiegato loro la situazione.
Nell’attesa di Chirone,
potè osservare le reazioni dei compagni alla notizia della
presunta sparizione
di Percy: Clarisse voleva saperne di più. Per quanto i due
facessero finta di
odiarsi era chiaro che fossero (bene o male) affezionati
l’uno all’altro dopo
aver vissuto diverse avventure insieme.
Gli
Stoll avevano scherzosamente
suggerito sottovoce una possibile fuga di Percy dovuta alla costante
ira della
sua ragazza, e per questo si erano beccati uno sguardo atroce da parte
di
Annabeth che non era in vena di scherzare, né tantomeno di
essere presa in giro.
Katie,
Jake e Will sembravano più
che altro colti di sorpresa, ed avevano offerto il loro aiuto per le
ricerche,
un aiuto che Annabeth aveva accettato con gratitudine.
Drew,
la nuova capo-casa di Afrodite
aveva passato tutto il tempo a cercare di flirtare con Will, e aveva
prestato ben
poca attenzione alle comunicazioni che Annabeth aveva offerto loro.
Drew
non le piaceva affatto, e
sembrava non piacesse nemmeno ai suoi fratelli. Era diventata capo solo
per la
sua età, maggiore di quella di chiunque altro nella casa
numero 10. Perdere
Silena era stato un brutto colpo per tutti loro, ma Drew non ne aveva
sofferto
più di tanto. Gelosia? Sicuramente. Silena non aveva dovuto
instaurare un
regime del terrore per essere rispettata dai fratelli.
Chirone
tornò, con la notizia che
Argo non aveva visto Percy. Annabeth non seppe decidere se la cosa
fosse
positiva o meno.
“Ok,
allora siamo d’accordo. Apollo,
Demetra e Efesto cercheranno nei boschi. Katie, se dovessi trovare
qualche
indizio lascia il comando a Miranda e raggiungimi immediatamente. Will
e Jake,
lo stesso vale per voi,” Annabeth era entrata in
modalità stratega.
“Travis
e Connor, per quanto odio
dovervi affidare qualcosa di importante, ecco il vostro compito: vostro
padre è
il dio dei viaggiatori, quindi vi occuperete del perimetro esterno del
Campo.
Partite dalla Collina Mezzosangue e procedete in direzione di Long
Island
Sound.”
I
fratelli risposero con un “Sì
capo!” all’unisono e partirono con i loro compagni
di casa.
“Voi
altri riprendete le vostre
normali attività, vi contatterò in caso di
necessità. Clarisse, tu vieni con
me.”
“Cosa
facciamo?”
“Facciamo
una capatina all’Olimpo.
Un ultimo tentativo non fa mai male,” rispose semplicemente
Annabeth.
Argo
le lasciò all’ingresso
dell’Empire State Building.
Il
tizio dell’ascensore era lo
stesso di quell’estate. Lo stesso che l’aveva fatta
salire centinaia di volte
durante l’autunno quando lavorava sulla ricostruzione
dell’Olimpo. Non poteva
non ricordarsi di lei, pensò Annabeth speranzosa.
“Salve.
Seicentesimo piano, per
favore.”
“Cosa?
Non esiste una nulla del
genere.”
“Senta,
sono Annabeth Chase, figlia
di Atena. So di non avere un appuntamento, ma ho bisogno
di parlare con gli dei.”
“Cosa?”
ripetè incredulo il tizio.
“Ascolti,
non ho tempo di stare qui
a discutere con lei, è inutile che cerca di dissuadermi! So
che si ricorda di
me, sono venuta qui praticamente tutti i giorni da agosto! Per favore, devo salire!”
terminò Annabeth sull’orlo
della disperazione.
Clarisse,
che era rimasta in
silenzio tutto il tempo, fece una faccia minacciosa e serrò
i pugni.
“Ha
sentito la mia amica? Ci faccia
salire immediatamente, o subirà l’ira di
Ares.”
L’uomo
di limitò a guardarle
incredulo. “Ma di cosa parlate? Allontanatevi prima che
chiami la polizia.”
Annabeth
fece un sospiro, “Andiamo
Clarisse. Sembra davvero che non sappia nulla. Devono aver manipolato
la
Foschia in modo che non ricordasse…”
Contattarono
il Campo, ma le squadre
di ricerca non avevano trovato nessun indizio.
“Se
non vuoi venire non fa niente..”
“Non
ti lascio da sola,” replicò la
figlia di Ares.
Annabeth
non potè non sorridere alla
caparbietà della sua amica. Era in momenti come questi in
cui si accorgeva di
quanto davvero volesse bene a Clarisse. Si conoscevano da quando
avevano nove
anni, e ora ne avevano sedici. Erano letteralmente cresciute insieme.
Le
sorrise grata e scese nella
trafficata metropolitana di New York.
“Quante
fermate ancora?”
“Due.
Poi dobbiamo proseguire a
piedi per un isolato, casa di Percy non è molto
lontana.”
Quando
Sally Jackson si trovò
Annabeth e Clarisse (della quale aveva solo sentito parlare) davanti
alla porta
di casa, capì che c’era qualcosa che non andava.
Annabeth
glielo lesse negli occhi.
Le
raccontarono semplicemente di
come non avessero idea di dove fosse suo figlio. Sally offrì
loro dei biscotti.
Blu, ovviamente. Clarisse storse il naso ma ne prese un paio. Annabeth
mangiò
tutti gli altri perché moriva di fame e perché
aveva bisogno di qualcosa che le
ricordasse che chissà dove,
lui c’era
ancora.
Dopo
un paio d’ore decisero che era
il momento di rientrare. Sally si offrì di riaccompagnarle
al Campo e le
ragazze accettarono, pensando che era probabilmente giusto che parlasse
anche
con Chirone.
Prima
di andare, Sally chiamò Paul
–che non era ancora tornato da lavoro– e gli disse
che c’era stata un’emergenza
e che sarebbe tornata il prima possibile. Poi abbracciò
Annabeth e permise a qualche
lacrima di solcarle il volto.
“Pensi
che andrà tutto bene?” le
chiese.
Annabeth
la strinse un po’ più
forte, “Certo, Sally. Stiamo parlando di Percy. E’
tuo figlio, lui torna sempre
alla fine. Anche se ci fa prendere un brutto spavento ogni
volta,” disse
pensando a quella volta in cui Percy era sparito per due settimane,
quando si
trovava sull’isola di Calipso.
Al
Campo Mezzosangue erano tutti
preoccupati, ma quasi tutti i campeggiatori avevano ripreso le consuete
attività. Nonostante ciò, Clarisse si rifiutava
di allontanarsi da Annabeth. Quella
sera al falò le chiese cosa avesse intenzione di fare.
“Beh,
visto che gli dei non
rispondono siamo costretti a contattare l’unica persona che
potrebbe saperne
più di noi.”
“Cioè?”
“L’Oracolo
di Delfi, naturalmente.”
Angolo
autrice:
saaaalve! Ecco qui il secondo capitolo, spero vi sia piaciuto. Vi
anticipo che
nel prossimo torneranno i miei amati Rachel, Thalia e Nico, e fra un
paio di
capitoli arriveranno anche i personaggi della seconda serie, Piper,
Jason e
Leo.
Ma
parliamo di questo
capitolo. Odio Drew. Se avete letto The Lost Hero la odiate quanto me,
suppongo. Qui Annabeth non è ancora disperata
perché è principalmente confusa.
Odia non sapere. La farò crollare tra poco, non temete
muahahahah *risata
malefica*
Ho
già scritto alcuni
capitoli che si collocano un po’ più avanti nella
storia, e non vedo l’ora di
postarveli.
Mi
lasciate qualche
recensione? *faccia da cucciolo*
Grazie
e alla
prossima,
Ginny_theQueen
♥
|
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Capitolo 3 *** quattordici dicembre. ***
quattordici dicembre
Erano
le
sei di mattina quando Malcolm si svegliò. Questa notte non
aveva fatto incubi, per fortuna. Il
sogno della notte
precedente lo aveva scosso abbastanza. Non che fosse chissà
quale sogno, ma quella
visione di Annabeth piangente gli era sembrata così vivida,
così viva…
Comunque, lei gli aveva detto di
non pensarci e lui non lo avrebbe fatto.
La
colazione si teneva
alle otto, quindi non avrebbe avuto senso rimettersi a dormire. Si
sarebbe
preso il compito di svegliare tutti i suoi fratelli e magari avrebbe
dato
un’occhiata ai progetti di architettura di Annabeth. Era
davvero molto
preoccupato per lei, ma non sapeva cosa fare. Si era chiesto se la loro
divina
madre li guardasse dall’Olimpo e se fosse in qualche modo
responsabile della
sparizione di Percy. Razionalmente parlando, il suo ragionamento non
faceva una
piega: Atena odiava Poseidone, e da quel che sapeva aveva
più volte intimato a
Jackson di stare lontano da sua figlia, ma lui caparbiamente non le
aveva dato
ascolto e i due si erano fidanzati.
Malcolm
non odiava Percy,
anzi tutt’altro, lo ammirava come guerriero per il suo
coraggio. Era da qualche
anno che sospettava provasse qualcosa per sua sorella, e non aveva mai
capito
fino in fondo cosa c’era tra di loro. Era convinto che la
loro relazione non
fosse cominciata quell’estate, quando tutti loro li avevano
buttati nel lago,
ma molto prima. L’anno della battaglia nel labirinto ad
esempio, li aveva
beccati abbracciati nella loro casa; comunque sia, non aveva mai avuto
il
coraggio di chiedere ad Annabeth qualsiasi tipo di informazione sulla
loro
relazione.
“Chirone!”
“Malcolm,
sono appena le sei e un quarto, apprezzo il tuo essere
mattiniero, ma se continui ad urlare in questo modo sveglierai tutto il
campo,
ragazzo mio,” rispose il centauro con la calma che lo
contraddistingueva.
“Annabeth,”
farfugliò cercando di riprendersi dalla corsa,
“è –
sparita. Anche lei.”
Dire
che Malcolm fosse preoccupato era un eufemismo.
Tutto un tratto, la sua sorellina non c’era più.
Sparita. Come Percy. Malcolm
non era preoccupato.
Era
terrorizzato.
Chirone
lo fissò con quegli occhi che sembravano
vedere tutto, pericolosamente
calmo.
Come
fa a mantenere la
calma se gli sono piombato addosso all’alba gridandogli che
Annabeth non c’è
più? I suoi due eroi preferiti sono scomparsi e lui se ne
sta lì, con quello
sguardo onnisciente a non fare un bel niente.
“No,
mio caro Malcolm. Annabeth non è uscita dai
confini del Campo Mezzosangue. Non è nella vostra casa,
dici?”
“Nossignore.
Ieri è rientrata tardi, ma l’ho
personalmente vista mettersi a letto. Stamattina mi sono svegliato e
non c’era
più,” rispose agitandosi. “Penso che
possa esserle successo qualcosa… come
a Percy.”
“Non
preoccuparti Malcolm, ti assicuro che Annabeth
sta perfettamente bene.. fisicamente almeno. Lascio a te e ai tuoi
fratelli il
compito di cercarla; ma ripeto – non uscite dai confini del
Campo – non la
troverete fuori.”
Con
un cenno del capo gli fece capire che lo stava
congedando, e il figlio di Atena corse alla sua casa a svegliare i suoi
fratelli.
Mentre
la casa numero sei stava discutendo,
organizzando e pianificando, qualcuno bussò alla porta. Per
un attimo tutti
trattennero il respiro, speranzosi di vedere la loro sorella
sull’uscio. Ma
furono invece tutti sorpresi nel vedere Clarisse LaRue.
“Ciao
perdenti. Siete già tutti in piedi? Wow.
Annabeth vi tiene in riga. A proposito,
dov’è?”
“Che cosa vuol dire
Annabeth è sparita?”
Oh
oh,
pensò Malcolm, Clarisse
adirata è potenzialmente altamente pericolosa.
“Clarisse,
calmati per favore. Siamo tutti in
pensiero, ma Chirone ha detto che Annabeth si trova
all’interno dei confini del
campo e che noi dobbiamo trovarla,” si affrettò a
spiegarle.
“Dove
avete cercato fino ad ora? Avete provato la casa
del pivello?” suggerì scherzando, ma Malcolm si
fece improvvisamente serio.
Ma
certo!
Era
stesa sul letto che apparteneva a Percy, gli occhi
rossi e le coperte scombinate. Stringeva ossessivamente il cuscino,
sotto cui –ne
era sicuro– c’era il suo pugnale.
A
Malcolm si gelò il cuore a vederla così. Quando
aprì
gli occhi, le sorrise:
“Buongiorno.”
“Lo
è davvero, Malcolm? Un buon giorno?”
Trattenne
lacrime che rischiavano di scendere.
“Ci
hai fatto prendere uno spavento,” disse
avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto, “quando mi
sono svegliato e ho
trovato il tuo letto vuoto ho pensato che…” scosse
la testa, evitando quel
brutto pensiero.
“Scusa,”
rispose lei, “non avevo pensato a come
avreste reagito non trovandomi.. è solo che avevo bisogno
di.. sentirlo
vicino.”
Le
accarezzò i capelli.
“Per
quanto mi riguarda puoi passare qui tutto il
tempo che vuoi se ti aiuta a sentirti meglio. La prossima volta
avvertimi però,”
disse con un sorriso sbarazzino. Non voleva sembrare suo padre, ma in
effetti era il suo unico fratello
maggiore, l’unica
persona per la quale lei non doveva sentirsi responsabile, ma che
doveva
sentirsi responsabile per lei; ovvio che si preoccupasse per lei.
Lei
rispose con un debole sorriso, poi fece per
alzarsi.
“Andiamo
a colazione, dai.”
≈
“Juniper!”
La
ninfa si voltò, “Oh, ciao Annabeth. Come va? Ho
saputo di Percy, e –“
“Potrebbe
andare meglio, grazie. Ascolta, sai dov’è
Grover e come posso raggiungerlo? Ti
prego, dimmi che si trova nello stato di New York e non da
qualche parte a
salvare il verde.”
“E’
sempre molto occupato, sai essendo diventato un
membro del Concilio degli Anziani e tutto… ma penso che se
sei tu a cercarlo
farà sicuramente un salto.”
“Grazie,
Juniper,” Annabeth si voltò per tornare
nell’arena, ma la ninfa continuò:
“Sai,
era molto preoccupato anche lui. Percy è il suo
migliore amico… ha in piano di andare a cercarlo a breve.
Erano davvero molto
legati.”
“E’
questo il punto, Juniper! Il loro era un legame
empatico, Grover è l’unico che può
aiutarmi a trovarlo.”
“Beh
buona fortuna allora. Se avete bisogno di me, sai
dove si trova il mio albero,” concluse sfiorandole la spalla
con una mano in un
gesto che voleva essere affettuoso.
“Ce
ne servirà.”
“Grazie
agli dei sei venuto! Vieni qui, mi sei
mancato!”
Annabeth
abbracciò Grover, che la strinse forte.
“Dai
nerd, mi serve concentrazione. Abbiamo una Testa
d’Alghe da localizzare!” disse scherzoso.
Annabeth
sorrise, ricordando i vecchi tempi, quando –ormai
quasi dieci anni fa– Grover li aveva trovati. Avevano
viaggiato insieme per un
po’, lei, Thalia, Luke e Grover, prima di raggiungere il
Campo Mezzosangue. Poi
le tornarono in mente anche ricordi più recenti: la sua
prima missione, la
prima impresa di Percy. Al satiro associava sempre momenti scherzosi,
risate e
allegria. Aveva bisogno anche di quello ora. L’affetto che
provava per il
satiro sorridente che aveva di fronte era inesprimibile.
“Di
cosa hai bisogno?”
“Solo
di un po’ di quiete per concentrarmi… è
un bel
po’ che io e Percy non usiamo il legame.”
Grover
chiuse gli occhi, portandosi le mani alle
tempie. Dopo qualche minuto aprì gli occhi di scatto.
“Allora?”
chiese Annabeth impaziente.
“Non
ci sono riuscito, non riesco a trovare il
legame.”
“Pensi
che sia stato spezzato?”
“No,
non proprio… più che altro, fortemente
indebolito,” scosse la testa, poi continuò:
“Prima anche solo pensando al suo
viso riuscivo a mettermi in contatto con lui. Ora non riuscivo quasi a
trovare
il legame.”
“Quindi?
Ti prego, G-man, prova di nuovo,” lo supplicò
Annabeth.
Il
satiro si rese conto di quanto potesse essere
convincente la ragazza quando faceva gli occhi da cucciolo. Quelle
iridi
grigie, solitamente tanto serie, si facevano dolci e supplicanti nel
momento
del bisogno. Grover si chiese come faceva Percy a vincere una
discussione con
lei. Poi realizzò che in effetti, era sempre la ragazza a
vincere.
Quindi
provò ancora –e non perché Annabeth gli
faceva
gli occhi dolci, ma perché Percy era il suo migliore amico e
lui doveva trovarlo– e
ancora, ma tutti i
tentativi di collegarsi empaticamente erano inutili.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Grover parlò di
nuovo: “Non vorrei allarmarti in nessun modo, ma penso che
dobbiamo contattare
immediatamente Nico.”
Annabeth
si allarmò eccome: “Credi
che…?”
“Spero
di non doverlo credere mai, Annabeth. Ma Nico
potrebbe anche essere un valido aiuto per le ricerche.”
“Chiamiamolo
allora. O Iride, dea dell’arcobaleno,
accetta la mia offerta,” lanciò una dracma nel
lago, “mostrami Nico Di Angelo,
dovunque egli sia.”
L’acqua
scintillò, poi si illuminò e sulla superficie
apparve l’immagine di un ragazzo voltato di spalle, con un
giubbotto da
aviatore ed i capelli neri scompigliati.
“Nico!”
Si voltò di
scatto, come pronto per attaccare, “Oh sei tu,
Annabeth.”
“Nico,
abbiamo bisogno di te.”
“Cosa
c’è? Dov’è Percy?”
“Hai
centrato il punto…”
Grover
l’aiutò a spiegare la situazione. Il figlio di
Ade li assicurò che Percy era vivo–o meglio, morto
non era–e che avrebbe
ovviamente dato una mano per le ricerche.
“Quando
dovrebbe arrivare Rachel?” chiese Grover mentre
si ingozzava di enchiladas seduto al tavolo di Atena.
“Il
20,” rispose apaticamente Annabeth.
Rachel
non frequentava una scuola nello stato di New
York, e alla Clarion Ladies Academy le vacanze di Natale non
cominciavano
presto quanto alla Goode High, la scuola newyorkese che aveva
frequentato l’anno
scorso insieme a Percy.
Ora
che Rachel era diventata l’Oracolo–e
non poteva più provarci con Percy–
ad Annabeth stava davvero simpatica. Era una persona solare ed
altruista,
il suo esatto opposto. Ovviamente avrebbe passato le vacanze al Campo
Mezzosangue come avevano programmato alla fine dell’estate,
ma adesso che la
situazione si era fatta tesa–con
gli dei che
non comunicavano e Percy scomparso–l’Oracolo
era la
persona di cui avevano più bisogno.
“Dovresti
contattarla, spiegarle la situazione e fare
in modo che anticipi il suo arrivo,” continuò il
satiro con la bocca piena.
“Hai
ragione, forse dovrei. Quanto prima Rachel
arriva, tanto prima riusciremo a capire cosa sta succedendo…
ma forse sarebbe
meglio una vera telefonata: se la sua compagna di stanza mi vedesse
apparire
nell’aria potrebbe spaventarsi. Chissà cosa le
farebbe vedere la Foschia–“
Fu
interrotta dallo squillo di un telefono–il suo. Non
era per niente abituata ad averne uno: era solo da qualche settimana
che le
figlie di Hecate avevano messo a punto un incantesimo per permettere ai
semidei
di utilizzare telefoni senza attirare mostri anche al
di fuori del campo.
Guardò
il numero, “Parli del diavolo…” rispose
alla
chiamata: “Rachel?”
“Annabeth!”
disse con voce scossa “Ho avuto una
visione, stai bene?”
“Sì,
ma Rach ascolta: devi venire il prima possibile. Percy
è sparito.“
Ad
Annabeth sembrava di aver ripetuto quelle parole
migliaia di volte. A Chirone. Ai semidei del Campo Mezzosangue. A
Sally. A
Grover. A Nico. Ora a Rachel Elizabeth Dare.
“Lo
so, e per questo sono partita in anticipo, mi sono
avviata stamattina! Non ho potuto chiamarti prima perché ero
in elicottero…
ecco, sto per atterrare nei pressi di Manhattan, puoi venire a
prendermi con
Butch o Argo? Meglio non far avvicinare l’elicottero al campo
più di tanto.”
“Rach,
cosa hai visto?” chiese insistente.
“Ne
parliamo quando arrivo… come vi raggiungo?”
Annabeth
entrò in modalità stratega.
“Grover,
va’ a chiamare Argo: che prepari il
camioncino e mi aspetti vicino al pino di Thalia. Rossa, tu fatti
lasciare ai
piedi dell’Empire, facciamo un altro tentativo per
l’Olimpo, non si sa mai…”
Angolo
autrice: salve! Passiamo subito al capitolo:
doveva essere più lungo e avrebbe dovuto comprendere anche
la giornata del 15
dicembre, ma si stava facendo davvero troppo
lungo e temevo che non sarei mai stata in grado di completarlo e
postarlo xD Ho
voluto inserire un punto di vista di Malcolm perché penso
che sia la persona
più vicina ad Annabeth. Per me Malcolm è il
più grande nerd del Campo, per
questo ho cercato di attribuirgli tanti verbi statici lol. E poi
c’è Clarisse…
vi giuro, non è mia intenzione farla saltare fuori in ogni
capitolo, ma le mie
mani scrivono da sole! Evidentemente il mio inconscio la
ama… No seriamente, ho
sempre pensato che lei e Annie siano cresciute insieme e che abbiano
molte cose
in comune. Poi, in hanno fatto la loro prima apparizione nella storia
Juniper,
Grover, Nico e Rachel. (Li adoro tutti *-*)
Direi
che è stato un capitolo abbastanza intenso.
C’è
qualche personaggio in particolare che volete vedere tornare? Ditemelo,
così
cerco di inserirlo nel prossimo capitolo :) non dite Percy.
Sul
serio, mi lasciate qualche recensione? Anche per
dirmi che la storia vi fa schifo :3
Al
prossimo capitolo,
Ginny_theQueen
❥
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Capitolo 4 *** quindici dicembre. ***
Se per un
momento Annabeth aveva pensato che con l’arrivo di Rachel le
cose sarebbero andate un po’ meglio, si era sbagliata.
Infatti, la
prova che gli dei li avevano completamente abbandonati, o che la deaTyke (la
Fortuna) stesse giocando davvero brutti
scherzi, arrivò proprio quando Annabeth e Rachel si
trovavano sulla Fifth Avenue, in procinto di andare al Campo.
Rachel aveva
ricevuto una telefonata da parte di suo padre, arrabbiatissimo
poiché era stato contattato dalla Clarion Ladies Academy e
aveva scoperto che sua figlia aveva lasciato la scuola cinque giorni
prima del previsto. Ovviamente Rachel non aveva potuto spiegare al
padre le vere motivazioni che l’avevano portata a tornare a
New York (se gli avesse parlato di profezie, dei e mostri lui le
avrebbe sicuramente chiamato uno psicologo), quindi non aveva potuto
controbattere all’ordine del signor Dare di tornare
immediatamente nella loro casa nel Queens, visto che ormai si trovava a
NYC.
Annabeth era
quindi tornata al campo senza risposte e pure senza Oracolo.
Dannate vacche
di Era.
Quindi aveva
passato la giornata successiva esonerata dalle attività del
campo, libera di fare quel che voleva. E quello che voleva era trovare
Percy. Ma Chirone le aveva chiesto di non andare a cercarlo
all’esterno. Non ancora, aveva detto.
Quindi, come
cercare Percy rimanendo all’interno del campo? Facile.
Servivano solo
tante dracme e una pozza d’acqua.
Il lago era
più che sufficiente, e di dracme poteva spenderne a
volontà. Annabeth passò tutta la mattinata del
quindici dicembre a contattare spiriti benevoli, ninfe, e
quant’altro.
Capì
di aver superato il limite quando cercò di contattare il
Minotauro.
Ad un tratto,
mentre stava per chiamare Nico per chiedergli se c’erano
novità, Annabeth sentì qualcuno sedersi accanto a
lei sul bordo della banchina. Si voltò e vide la faccia
sorridente di Katie Gardner, figlia di Demetra.
“Ciao,
Annabeth. Disturbo?”
“No,
stavo solo… beh Katie, credo di stare impazzendo,”
ammise abbassando tutte le sue difese, smettendo di pretendere di stare
bene.
Katie la
esortò a continuare.
“Da
stamattina ho speso circa una cinquantina di dracme d’oro,
contattando spiriti benevoli. Chiedo loro se hanno visto o sentito
parlare di Percy in questi ultimi giorni, ma nessuno sa
rispondermi,” sospirò.
Katie le mise
una mano sulla spalla, “Noi due non siamo molto vicine. So
che probabilmente in questo momento difficile vorresti avere Thalia
accanto a te… e so che Clarisse non è esattamente
la persona giusta con cui parlare, quindi… sappi che se hai
bisogno di qualcuno io ci sono, ok?”
Thalia. Thalia
aveva smesso di giocare a fare la sorella grande da tempo. La prima
volta durante il suo periodo da albero. La seconda, quando aveva scelto
l’immortalità piuttosto che una vita accanto a lei.
D’altra
parte invece, in passato Clarisse si era dimostrata più
brava di quanto tutti si aspettassero con i sentimenti. Era riuscita a
consolare Silena, una figlia di Afrodite decisamente molto emotiva,
quando Beckendorf era morto. Ma Annabeth non era debole come Silena. Non voleva essere
debole come Silena. Non aveva bisogno della figura forte di Clarisse
per andare avanti. Aveva solo bisogno di qualcuno che
l’ascoltasse.
Annabeth
annuì grata alla proposta di Katie.
“E’
come l’ultima volta?” le chiese
quest’ultima.
Annabeth
capì. Katie si stava riferendo a quando Percy era sparito
per due settimane, l’anno della battaglia del Labirinto.
“Peggio.
All’epoca sapevo dov’era, cosa poteva essere
successo… gli avevo persino detto addio prima di lasciarlo
andare a combattere i telchini, sai?” sorrise al ricordo,
decidendo di andare avanti col racconto, “Tutti pensano che
il nostro primo bacio sia stato il giorno del suo compleanno quando ci
avete buttati nel lago, ma non è così. Quel
giorno, prima che me ne andassi e lo lasciassi solo nel vulcano, gli
diedi un bacio. Speravo con tutta me stessa che sarebbe ritornato sano
e salvo, ma una parte di me non era sicura che ce l’avrebbe
fatta, quindi gli diedi un bacio d’addio. Sei la prima
persona a cui lo racconto.”
Il sorriso di
Katie si fece più ampio, e si spostò per sedersi
più vicina ad Annabeth.
“Non
volevate che le figlie di Afrodite lo scoprissero, eh?”
chiese scherzosa.
“In
realtà non ne abbiamo mai più parlato. Quando
finalmente tornò, -e pensare che stavo parlando al suo
funerale!- fui colpita dalla gelosia. Due volte. Inizialmente quando
compresi dove era stato durante la sua sparizione: due settimane
sull’isola di Calipso. Col senno di poi, realizzai che in
effetti aveva abbandonato Ogigia per tornare da noi, da me,
ma al momento ero solo arrabbiata perché mi aveva fatto
stare male e mi aveva fatto sembrare debole di fronte a voi altri. E
poi è arrivata Rachel. Era così chiaro che fosse
attratta da lui. Ma grazie agli dei Percy è uno stupido e
non lo realizzò subito… comunque la situazione
ora è diversa.”
“Perché?”
“La
guerra è finita. La profezia avverata. Pensavamo di poter
vivere in pace, e invece no.”
Katie
sospirò, “Non preoccuparti, Annabeth. Lo
troveremo.”
Più
tardi, si trovò di nuovo a gironzolare nella cabina numero
tre.
(Questa volta
aveva avvertito Malcolm.)
Era irrequieta.
Non si
accasciò sul suo letto, questa volta.
Vagava.
Gironzolava per
la stanza.
Cercava
qualcosa, nemmeno lei sapeva bene cosa.
Sentiva solo
questa ossessiva sensazione di dover trovare qualcosa.
Si guardava
intorno: la cabina era identica a come l’aveva lasciata
quella mattina quando si era recata a colazione.
Identica a come lui l’aveva
lasciata per poi sparire, solo che adesso sul comodino accanto al suo
letto c’erano un cappellino degli Yankees ed un pugnale.
Poi dopo qualche
ora o minuto–non
sapeva dire da quanto tempo Katie l’avesse lasciata
lì fuori–,
immersa in quel caos, Annabeth
realizzò.
Non stava
cercando qualcosa di materiale.
(O meglio,
starebbe cercando anche lui, ma sapeva di non poterlo trovare in quella
stanza)
Capì
che poteva circondarsi del suo disordine, delle sue foto, persino del
suo profumo.
Ma non poteva
circondarsi della sua voce.
Angolo autrice:
buongiorno! E buona domenica!
Ok, lo so che
questo capitolo è cortissimo, ma non sapevo più
cosa inserirci, perché volevo che finisse esattamente
così. Poi siete liberi di dire che fa schifo, come sempre :)
In compenso ho scritto una piccola drabble che avrei voluto mettere
come capitolo un po’ più avanti in questa storia,
ma penso che mi avreste ammazzata se avessi pubblicato un capitolo di
98 parole… Comunque fra qualche minuto ve la pubblico.
(Il fatto che
Annabeth spenda dracme d’oro per chiamare spiriti e chiedere
loro di Percy non l’ho inventato, è scritto in The
Mark Of Athena!)
Visto? Sono
riuscita a non inserire Clarisse in questo capitolo, l’ho
solo menzionata!
Il prossimo
capitolo dovrebbe arrivare abbastanza presto (salvo imprevisti!), e se
avete letto The Lost Hero e vi fate un calcolo dei giorni potete anche
indovinare cosa succederà.
Chiamate la dea
Iride e mandatemi qualche recensione, che sono curiosa di sapere che ne
pensate!
Alla prossima,
(in pratica ci vediamo fra cinque minuti con la drabble)
Ginny_theQueen ♥
PS: non vi sto
spammando abbastanza… se qualcuno ha Twitter può
seguirmi sul mio meraviglioso account https://twitter.com/Ginny_theQueen scrivetemi
in recensione che mi avete seguito e ricambio! :3
|
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Capitolo 5 *** sedici dicembre, parte prima ***
Salve! Questo
capitolo è finalmente
arrivato, e sì se avete letto The Lost Hero, avete capito a
quale capitolo mi
riferisco. Se non l’avete letto, lo scoprirete leggendo. Buon
divertimento, ci
vediamo giù.
sedici
dicembre
Quando si trovò davanti
Sua Noia Reale, Annabeth fu certa di
stare sognando.
–Non
che si
sbagliasse–
Camminava
da sola
nel campo di fragole, quando fu accecata dal bagliore caratteristico
della
presenza di una divinità. Si fermò, e attese che
qualcuno si mostrasse.
Prima
ancora di
vedere chi fosse il suo visitatore, realizzò contenta che
questa era la prima
volta che un dio contattava un mortale in più di un mese: forse gli dei erano tornati a comunicare col
mondo!, forse l’Olimpo era
di nuovo visitabile!, forse sua madre voleva congratularsi con lei per
l’ottimo
lavoro che stava facendo nella ristrutturazione del palazzo degli dei
prima che
i contatti tra i due mondi venissero interrott–
Annabeth
perse il
filo dei suoi pensieri quando vide chi era il dio, o meglio, la dea.
No
ma io dico, ci sono ben 12 dei
principali e innumerevoli divinità secondarie, e dopo
più di un mese che gli
immortali fanno finta che noi non esistiamo, chi deve venirmi in sogno?
La più
inutile ed insopportabile.
Era.
Annabeth
non
aveva mai avuto particolare stima per la regina degli dei, ma da due
anni a
questa parte le due si erano praticamente dichiarate guerra. Dire che
tra le
due non scorreva buon sangue era decisamente un eufemismo.
Annabeth
decise
però di essere cauta e di non partire col piede sbagliato,
questa volta.
Dopotutto
doveva
essere una questione importante se le avevano mandato proprio Era.
E
poi magari
poteva aiutarla a trovare Percy.
Nonostante
i
buoni propositi, Annabeth non riuscì ad inchinarsi. Tenne la
testa alta e
incrociò i suoi occhi grigi con quelli marroni della dea.
“Divina
Era.”
“Figlia
di Atena.
Vedo che sei sorpresa di vedermi.”
Annabeth
dovette
darle ragione.
“Non
ho molto
tempo. Apparirti in questo sogno mi costa molte energie.”
“Allora
perché lo
sta facendo?” rispose Annabeth alquanto insolentemente.
Si
meritò
un’occhiataccia da parte della dea,
“C’era bisogno che lo facessi.”
“Bisogno?
Bisogno
di chi? Dove sono gli altri dei? Cosa sta succedendo? Perché
avete chiuso le
porte dell’Olimpo?” Annabeth espresse tutte le
domande che la tormentavano da
settimane, ma evitò di menzionare Percy: quello sembrava un
argomento troppo
intimo, e poi dubitava che Era l’avrebbe aiutata.
Ignorando
le sue
domande, la regina degli dei rispose con sicura pacatezza.
“So
che hai un
problema, Annabeth Chase.”
“Percy?”
chiese
incerta la ragazza, “Sa dov’è
Percy?”
“Certo
che lo so…
mi avevano detto che eri intelligente, ragazza.”
Annabeth
dovette
appellarsi a tutto il suo autocontrollo per non rispondere.
“Comunque,”
continuò Era, “recati al Grand Canyon. Trova
l’eroe con una sola scarpa. Lui
sarà la soluzione al tuo problema.”
Prima
che potesse
formulare una domanda, o anche solo pensarci, Era scomparve insieme al
campo di
fragole e Annabeth aprì gli occhi, nel silenzio della vuota
cabina numero tre.
“Will,
è urgente!
Era mi è venuta in sogno stanotte, non ho tempo di spiegare,
posso prendere in
prestito la biga alata?” domandò Annabeth al
figlio di Apollo.
Senza
nemmeno
chiedere spiegazioni, fidandosi ciecamente di Annabeth, Will
annuì:
“Certo,
ma ti
prego, fa’ attenzione! Questa biga ci è costata
una bella litigata con Clarisse
quest’estate…”
Già.
A inizio
agosto Michael Yew–l’allora capo della casa di
Apollo–aveva trovato una biga
d’oro, e lui e Clarisse avevano litigato su chi dovesse
usarla. Non riuscirono
a giungere ad un accordo, finchè Clarisse e
l’intera casa di Ares non si erano
ritirati dalla guerra. Non avevano infatti combattuto nelle prime fasi
della
battaglia di Manhattan, il che aveva direttamente provocato la morte di
Silena
Beaureguard, e indirettamente la morte di tanti altri semidei. Michael
era però
morto nella guerra, e ora Will Solace aveva preso il suo posto come
capocasa.
Annabeth
capiva
quanto doveva essere importante per loro quella biga.
“Farò
attenzion,
Will. Grazie mille. Potresti cercare Butch e dirgli che stiamo per
partire per
favore? Io vado a parlare con Chirone.”
“Subito,
capo,”
rispose senza esitare.
“Chirone,
sai
quanto odio Era, ma devo recarmi al
Grand Canyon! Anche se non dovesse trattarsi di Percy, se Era mi
è venuta in
sogno vuol dire che lì troverò qualcosa di
importante. Per aver contattato me…
penso che mi detesti anche più di
quanto detesta Thalia, il che è quanto dire,”
“Sì,
bambina mia,
sono d’accordo”
Annabeth
storse
il naso all’appellativo. Aveva quasi diciassette anni,
Chirone doveva smetterla
di chiamarla una bambina.
“Quindi
parto
subito. Sto aspettando Butch a dire la verità. Mi fido solo
di lui per coprire
una distanza così vasta con i pegasi.”
“Okay
Butch,
questo è il piano: arriviamo al Grand Canyon il prima
possibile, prendiamo
Percy, lo uccido per essere scomparso e poi riportiamo al campo il suo
cadavere.”
Butch
annuì
pensieroso, “come vuoi, Annabeth.”
“Qualcosa
non ti
convince?”
“Come
fai ad
essere sicura che lì troverai Percy?”
“E’
una
sensazione.”
“Se
lo dici tu…”
C’era
qualcosa
che non andava.
Stavano
volando a
circa due miglia dal Grand Canyon ed erano pronti per
l’atterraggio.
Ma
c’era qualcosa
che non andava.
Annabeth
lo sentiva
nell’aria. Non come un presentimento, lei sentiva
qualcosa nell’aria.
“Butch!”
gridò improvvisamente, “le redini!”
Ma
non fu
abbastanza veloce, la biga fu investita da una nuvola di vento apparsa
dal
nulla. Non era una semplice nuvola, ma non era nemmeno una mera ondata
di
vento. Era come se avesse una vita propria.
Butch
tenne
strette le redini, e Annabeth non potè far altro che
reggersi forte. Stavano
per capovolgersi, ma sapeva che i pegasi
non lo avrebbero permesso.
“Dannazione,”
esclamò, ancora tenendosi forte, “sono anemoi
thuellai, Spiriti della Tempesta!”
Creature
del caos rinchiuse sull’isola di
Eolo, create quando Tifone fu distrutto da Zeus, circa tremila anni fa,
rievocò
Annabeth, e quest’estate da
Poseidone , aggiunse.
Dannato
Tartaro! Perché c’è
uno Spirito della Tempesta qui in Arizona?
Non
aveva tempo
per questo genere di domande, sapeva abbastanza sulle creature per
credere che
non li avrebbero lasciati passare facilmente.
“Eolo,
signore di
tutti i venti,” si ritrovò a sussurrare,
“se puoi sentirmi, ti prego, aiutaci.”
Non
molto utile,
considerando che nessuno pregava mai Eolo, ma doveva provare.
Forse…
“Era,” il suo tono di voce era
sempre
impossibile da sentire, anche grazie al rumore provocato dal vento, ma
questa
volta era più sicuro e deciso, “aiutami. Tu mi hai
detto di venire qui. Vuoi
che muoia travolta da uno spirito, senza mai scoprire cosa
c’era al Grand
Canyon? Aiutaci.”
Non
sarebbe
servito a nulla, ma Annabeth aveva dovuto provare.
Pensa,
pensa, pensa… sei la figlia di
Atena, per gli dei! Concentrati! Pensa a qualcosa!
Era
una mossa
pericolosa, rischiava di colpire Butch, ma se invece avesse colpito un
punto
debole…
Gli
spiriti non
erano esattamente spiriti. Avevano
un
corpo, e Annabeth era decisa a colpire ogni punto di quel corpo che
riusciva a
raggiungere. Era sempre stata una tipa combattiva, e non avrebbe
permesso ad
uno stupidissimo Spirito della Tempesta di mettersi tra lei e Percy,
proprio
quando stava per ritrovarlo.
“Butch!”
gridò
con tutto il fiato che aveva in gola, sperando che la sua voce non si
disperdesse nel vento, “Butch, abbassati, cercherò
di colpirlo!”
Non
aveva tempo
di assicurarsi che il suo compagno avesse capito le sue parole,
Annabeth
strinse il pugnale nella mano destra e sferrò colpi a
raffica. Quando fu sicura
di aver indebolito lo spirito, seppur conscia di non parlare la lingua
dei
cavalli–a differenza di Percy–urlò,
“Blackjack! Forza Blackjack, so che puoi
sentirmi! Percy è lì giù, possiamo
farcela! Forza, un po’ più di energia e poi
possiamo atterrare!”
Era
un tentativo
pazzo, cercare di parlare ad un cavallo. E contrariamente a quello che
aveva
detto, non era per niente sicura che il pegaso l’avesse
sentita, figuriamoci
compresa. Comunque, sperava almeno che il nome Percy,
tanto amato dai pegasi, fosse arrivato forte e chiaro.
Quando
sentì le
ali dei quattro pegasi che trainavano la biga sbattere più
velocemente, seppe
che avevano capito.
Dieci
minuti dopo
e uno Spirito della Tempesta in meno, stavano davvero
per atterrare, e Annabeth ritta in piedi accanto a Butch,
riusciva a vedere tre figure.
Prima
ancora che
la biga toccasse terra, si buttò giù con un
salto, e prese ad avanzare con la
sua speciale aria minacciosa (o come lo chiamava Grover, il
suo famoso guardo “ti ammazzo”)
verso i tre ragazzi.
“Dov’è?”
chiese
impaziente e guardinga, senza abbandonare l’aria minacciosa.
Che
questi ragazzi avessero liberato gli
Spiriti della Tempesta?
Sembravano
solo
dei ragazzini… uno o addirittura due anni più
piccoli di lei. Annabeth li
studiò attentamente, come era abituata a fare da quando era
piccola: il primo,
un ragazzo alto e muscoloso, biondo e con una cicatrice sul labbro,
aveva gli
occhi più azzurri che Annabeth avesse mai visto. Anzi, era
sicura di averli già
visti. Ma era anche sicura di non
aver mai incontrato questo ragazzo prima d’ora.
Accanto
a lui c’era
una bellissima ragazza cherokee, con i capelli raccolti in tante
treccine e un
abbigliamento poco consono al suo aspetto mozzafiato. Sembrava insicura
e
nervosa, come se qualcosa l’avesse appena sconvolta.
Il
terzo, era
basso e riccio, e se non fosse stato per il colore scuro della sua
carnagione
ispanica, dei capelli e degli occhi, Annabeth avrebbe potuto definirlo
un
folletto, per la figura e il modo in non riusciva a stare fermo.
Sindrome
di iperattività.
Annabeth
realizzò
che li stava ancora fissando col suo sguardo terrorizzante dallo
sguardo
terrorizzato della ragazza centrale.
“Dov’è
chi?”
rispose finalmente il biondo.
Non
le piacque
quella risposta. Era chiaro che i tre non avevano idea di cosa stesse
parlando,
ma il modo in cui aveva risposto.. troppo sicuro di sé e
decisamente troppo
calmo per uno che aveva appena visto una persona saltare giù
da un carro
trainato da quattro cavalli alati.
Wow,
pensò Annabeth, nuovo
record. Aveva avuto questo ragazzo davanti per meno di un
minuto e le stava
già antipatico. O meglio, le ispirava ostilità.
Decise
di
ignorarlo e si rivolse agli altri due: “E Gleeson?
Dov’è il vostro protettore
Gleeson Hedge?”
Il
ragazzo
folletto si schiarì la gola, “E’ stato
preso da quelle cose tornado.”
“Venti,” lo corresse il biondo,
“Spiriti
della Tempesta.”
“Intendi
anemoi thuellai?” tradusse
automaticamente
Annabeth, “il nome greco. Chi siete voi? Cosa è
successo?”
Il
ragazzo dagli
occhi azzurri parlò, e Annabeth fu costretta a guardarlo:
“Io sono Jason, e
loro sono Piper e Leo,” disse indicando gli altri due. Era
chiaro che lo
ritenessero il capo della loro piccola gang.
Jason,
che nome interessante. Il suo omonimo Giasone era stato il
primo Argonauta, pensò la figlia di Atena.
Jason
raccontò di
essersi svegliato solo poche ore prima sul pullman senza ricordare
nulla della
sua vita eccetto il suo nome, ma come Piper e Leo ricordavano tutto di
lui.
Amnesia? Ogni tanto gli altri due intervenivano nella narrazione di
come gli anemoi thuellai li avevano
attaccati e
infine avevano portato via il Coach Hedge mentre lui cercava di
proteggerli.
Annabeth
si sentì
estremamente frustrata, sull’orlo di una crisi di nervi.
“No,
no no! Mi
aveva detto che lui sarebbe stato
qui! Mi aveva detto che se fossi venuta qui avrei trovato la
risposta!” si
ritrovò ad imprecare.
“Annabeth,”
la
chiamò Butch, che non aveva ancora parlato da quando era
atterrato, “guarda,”
continuò, indicando un punto sul terreno vicino a Jason.
“Il ragazzo con una
sola scarpa è la risposta.”
Era
vero. Jason
era scalzo al piede sinistro. Questa doveva essere la risposta al suo
problema?
Cosa voleva dire Era? Si sentiva particolarmente in vena di scherzare?
Stava
forse suggerendo che Annabeth si trovasse un altro fidanzato? La ammazzo.
Si
rivolse al
cielo, “COSA VUOI DA ME?
Cosa hai
fatto di lui?”
gridò, e la voce le si
strozzò in gola.
Jason,
Piper e
Leo la guardavano sconcertati, probabilmente senza capire che torto il cielo avesse potuto farle.
In
tutta
risposta, il suddetto cielo
sembrò
vibrare di tuoni, e perfino i cavalli sentirono il bisogno di nitrire.
“Annabeth,
dobbiamo andare. Portiamo questi tre al campo e cercheremo di capire
lì. Quegli
Spiriti della Tempesta potrebbero tornare.”
Per
qualche
motivo anche a lei sconosciuto, era sospettosa. Squadrò
Jason e rispose a
Butch, “Ok, sistemeremo questo affare più
tardi,” concluse marciando verso la
biga ma restando in ascolto.
“Che
problema ha?”
sentì la ragazza, Piper, dire con voce stridula.
“Sì,
sul serio,
che problema ha?” fece eco Leo.
“Dobbiamo
portarvi lontano da qui, spiegherò sulla strada,”
rispose paziente Butch.
“Io
non vado da
nessuna parte con quella, sembra
che
voglia uccidermi,” si affrettò a chiarire Jason,
sempre credendo di non essere
udito da quella.
“No,
Annabeth è
una apposto. Dovete avere pazienza. Ha avuto una visione che le diceva
di
venire qui e trovare il ragazzo con una sola scarpa, quella sarebbe
dovuta
essere la soluzione al suo problema.”
“Quale
problema?”
chiese Piper.
“Sta
cercando uno
dei nostri campeggiatori che è sparito da tre giorni. Sta
impazzendo dalla
preoccupazione. Sperava di trovarlo qui.”
“Chi?”
chiese
incuriosito Jason.
“Il
suo ragazzo.
Un tipo di nome Percy Jackson.”
Angolo
autrice:
okay, allora. Per quelli che non avevano letto
The
Lost Hero, forse ci sono delle cose che non capite, ma non
preoccupatevi, spiegherò
tutto nel prossimo capitolo. Per gli altri, come vedete ho riportato
parte del
dialogo avvenuto nel libro ma spostando il punto di vista su Annabeth.
Come
vi sembra? A
me piace abbastanza, a dire la verità. E’ anche il
capitolo più lungo della
storia, fino ad ora.
Ho
disseminato
vari indizi per chi ha letto la seconda serie, vediamo se riuscite a
trovarli
:P scrivetemi in recensione quelli che avete trovato (sempre
se me la
scrivete una recensione)
Se
c’è qualcosa di
poco chiaro, sarò lieta di spiegare, perché
capisco che questo capitolo può
essere confusionario…
Dai,
fatemi
sapere cosa ne pensate *disperazione per aver scritto per ore mode ON*
Alla
prossima,
Ginny_theQueen
♥
|
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Capitolo 6 *** sedici dicembre, parte seconda ***
Salirono
tutti e cinque
sulla biga. Annabeth e Butch prepararono tutto per il decollo, mentre
gli altri
si posizionarono più indietro. Piper aveva
un’espressione triste sul viso,
Jason fissava l’orizzonte, mentre Leo non riusciva a stare
fermo e zitto per
più di un quarto di secondo.
“Che
cosa figa!”
“Stiamo
volando!”
“Ah,
ma dov’è che andiamo,
precisamente?” Ecco, finalmente aveva detto una cosa sensata.
“In
un posto sicuro,”
rispose Annabeth, “L’unico posto sicuro per le
persone come noi. Il Campo
Mezzosangue.”
“Mezzosangue?”
Piper si
risvegliò dai suoi pensieri, indignazione
rimpiazzò la tristezza. “Se era una
battuta, non era divertente.”
Per
un attimo Annabeth si
chiese cosa volesse dire l’altra ragazza, poi
capì.
Mezzosangue.
Piper era un’indiana Cherokee, lo si vedeva dal colore
della sua pelle. Chissà quante volte era stata chiamata mezzosangue in maniera dispregiativa, per
via delle sue origini…
Fu
Jason a rispondere.
“Intende
che siamo dei
semidei. Mezzi dei, mezzi mortali.”
Annabeth
lo guardò,
“Sembri sapere molte cose, Jason. Ma sì, semidei.
Mia madre è Atena, la dea
della saggezza. Butch invece è figlio di Iris, la dea
dell’arcobaleno.”
Leo
ridacchiò, “Tua madre
è la dea dell’arcobaleno?”
“Hai
qualche problema?”
rispose distaccato Butch.
“No,
no. Arcobaleni. Fanno
molto macho.”
“Butch
è il nostro
migliore equestre, va molto d’accordo con i
pegasi,” si sentì in dovere di
intervenire Annabeth.
“Arcobaleni,
pony…”
sussurrò Leo, evidentemente in vena di scherzare, facendo
arrabbiare Butch, che
rispose con un minaccioso:
“Ti
butto giù da questo
carro.”
La
minaccia di Butch che
era praticamente un gigante ebbe il suo effetto sul piccolo Leo, che si
zittì.
Dopo
un po’ di silenzio,
Piper riprese il discorso precedente, “Semidei.
Cioè, tu pensi che siamo… tu
dici che siamo–“
Fu
interrotta dal grido
d’allarme di Butch “La ruota sinistra è
in fiamme!”
“Dannazione!
Sono ancora
loro!” imprecò Annabeth guardando indietro e
notando le figure che si erano
formate nel vento.
“Perch–“
la domanda
di Piper fu
nuovamente interrotta.
“Anemoi. Possono avere forme diverse. A
volte umani, a volte
cavalli… Tenetevi forte. Siamo messi male.”
Cercarono
di andare avanti
il più possibile, ma stavano anche perdendo quota.
Fortunatamente erano quasi
arrivati però. Infatti sotto di loro cominciarono ad
apparire gli alberi, le
cabine e i templi.
La
ruota si staccò, i
pegasi impazzirono.
“Blackjack,
calma!” gridò
la figlia di Atena, ma con poco successo.
Andavano
troppo veloce.
Erano in cinque e pesavano decisamente troppo in quelle circostanze.
Perdevano sempre
più quota.
Idea,
idea, idea, non sei una figlia di Atena per
niente, Annabeth!
Ce
l’abbiamo quasi fatta, non possiamo morire
adesso.
“Butch,
il lago! Atterra nel
lago!”
L’idea
del secolo.
L’impatto
fu così duro che
se non fosse stato per l’acqua gelida di dicembre, Annabeth
avrebbe detto che
fossero atterrati su del cemento.
Furono
subito circondati
da ragazzi che porsero loro asciugamani e asciugacapelli. Nonostante il
gelo
nell’aria si asciugarono in pochissimo (grazie, figlie di
Afrodite!) e
improvvisamente c’era
un Will Solace
livido che correva verso di loro.
“Annabeth!”
Ade.
Inferi. Tartaro. Ora mi ammazza.
“Ti
avevo detto che potevi
prendere in prestito il carro, non distruggerlo!”
In
effetti, la biga alata
che galleggiava nel lago era completamente distrutta.
“Will,
mi dispiace molto.
Te la farò aggiustare, promesso,” gli rispose per
rimediare.
Le
dispiaceva davvero, ma
aggiustare la biga dei figli di Apollo non era per niente nelle sue
priorità al
momento.
Will
scosse la testa,
guardando il suo carro infranto. Poi spostò lo sguardo su
Jason, Piper e Leo.
“E
questi chi sono? Hanno
decisamente più di tredici anni. Perché non sono
ancora stati riconosciuti?”
Will
aveva ragione.
Quest’estate, appena finita la guerra contro Crono, Percy
aveva fatto
promettere agli dei di riconoscere tutti i loro figli semidei prima del
loro
tredicesimo compleanno.
“Riconosciuti?”
chiese
Leo, che sembrava non possedere il dono del silenzio.
Poi
Will fece la fatidica
domanda: “Nessun segno di Percy?”
“No,”
rispose seccamente
Annabeth.
Tutt’intorno
gli altri
campeggiatori mormorarono. Poi dalla folla si fece avanti Drew,
capo-casa di
Afrodite.
“Beh,
speriamo almeno che
ne sia valsa la pena,” disse guardando i tre nuovi arrivati
con quella sua aria
da snob che Annabeth non sopportava. Correzione, che nessuno
sopportava.
“Oh,
grazie. Siamo forse i
tuoi nuovi giocattolini?”
Giuro
che se Leo dice ancora un’altra parola lo ributto
nel lago,
pensò Annabeth
esasperata.
“No,
davvero. Che ne dite
di darci qualche risposta prima di giudicarci? Per esempio, cos
è questo posto,
perché siamo qui e quanto a lungo dobbiamo
rimanere?”
“Jason,”
Annabeth tentò di
calmare le acque, “Ti prometto che risponderemo a tutte le
vostre domande, e
Drew, guarda che vale sempre la pena di salvare un semidio,”
disse con il suo
tono più saccente.
“Anche
se devo ammettere
che non ho ottenuto quello che speravo con questo viaggio,”
disse abbassando lo
sguardo.
Ripensò
a quella mattina,
quando era partita così emozionata e così sicura
che avrebbe trovato Percy al
Grand Canyon, e provò di nuovo quella delusione
perché no, lui non
c’era. Il ragazzo con una scarpa che Era aveva definito
come ‘la soluzione al suo problema’ era Jason, non
Percy. Bella soluzione.
“Hey,
guarda che noi non
abbiamo chiesto di essere portati
qui,” rispose aspramente Piper.
“E
nessuno vi vuole,
credimi, tesoro,” disse Drew.
Fece
un commento cattivo
sui capelli di Piper, e in tutta risposta quest’ultima stava
per darle un
pugno, quando Annabeth sentì di dover intervenire,
“Piper, ferma.”
Rispondendo
al suo
comando, Piper si fermò.
Annabeth
fece un sorriso
stanco.
Le
piaceva avere tutto
sotto controllo.
Poco
dopo, successe
qualcosa che sconvolse la folla.
Leo
fu riconosciuto da suo
padre.
“Vulcano?”
esclamò Jason.
“Vulcano
è il nome latino
di Efesto,” rispose prontamente Annabeth.
Perché
questo ragazzo
sembrava sapere così tante cose sul nostro mondo e allo
stesso tempo non sapere
nulla? Quando si erano incontrati,
solo qualche ora prima, mentre le raccontava dei fatti che avevano
vissuto
prima del suo arrivo tempestivo, Jason aveva confessato di non
ricordare nulla
della sua vita prima di svegliarsi quella mattina stessa. Solo il suo
nome.
Diceva di non ricordarsi nemmeno della sua ragazza. La stessa ragazza
che ora
gli stava accanto.
Se
non capisce nemmeno lui quello che gli è
successo, figuriamoci se posso capirlo io,
pensò Annabeth.
In
circostanze normali,
l’arrivo di un figlio del dio del fuoco e dei fabbri non
avrebbe attirato
proprio l’attenzione di nessuno. Ma queste non erano
circostanze normali. Era
un periodo di confusione, di paura, e di… sciagure.
Annabeth
assegnò Will, il
figlio di Apollo ancora arrabbiato per la sua biga distrutta, come
guida per
portare Leo alla Casa 9, la dimora dei figli di Efesto.
In
genere quando arrivano
dei nuovi semidei, gli si assegna come guida uno dei loro fratelli. O
se non
sono stati riconosciuti, un figlio di Ermes.
Ma
queste erano circostanze
particolari…
Dopo
aver lasciato Jason
nella mani di una Drew supereccitata, che non vedeva l’ora di
conquistarlo,
Annabeth decise di focalizzarsi su Piper.
“Jason
è nei guai?”
“Bella
domanda, Piper.
Andiamo, ti faccio fare un giro. Dobbiamo parlare.”
Dopo
un tour di un’ora e
mezza in cui Annabeth le aveva spiegato come funzionavano le cose, e le
aveva
illustrato le varie attività del Campo, Piper finalmente le
chiese, “Allora,
chi è mia madre?”
Analizzarono
un po’ le sue
caratteristiche e le sue potenzialità. Annabeth
suggerì che se il dio fosse
stato il padre, sarebbe stato Ermes, date le capacità che
Piper aveva nel
rubare.
“Con
un po’ di fortuna,
tua madre ti riconoscerà stasera. Vieni, devo controllare
una cosa.”
Erano
arrivate quasi
alla cima della collina, all’ingresso di un antro.
C’era una tenda viola con
due serpenti ricamati sopra, il corridoio era illuminato da torce
appese alle
pareti che rivelavano ossa e vecchie spade buttate sul pavimento.
Sembrava un
posto piuttosto sinistro, ma Annabeth sapeva bene che
all’interno l’arredamento
era quello della camera di una normale ragazza sedicenne amante
dell’arte:
quadri, uno stereo, una scrivania piena di pastelli e pennelli, e
ovviamente,
un letto.
Piper
fece una strana faccia, “Cosa c’è
qui?”
“Al
momento, nulla. E’ casa di una mia amica, la
aspetto da un paio di giorni… speravo potesse aiutarmi a–“
“Trovare
Percy,” concluse
Piper per lei.
Annabeth
sbiancò. Se ne
accorse dalla reazione della ragazza, che fino ad un attimo fa la stava
guardando negli occhi ed ora aveva improvvisamente sentito il bisogno
di
fissarsi le scarpe, come mortificata per aver menzionato quel taboo.
“Scusa,
sono un po’
stanca.”
Piper
prese coraggio prima
di rispondere, “Sembri sul punto di crollare… da
quanto tempo stai cercando il
tuo ragazzo?”
Annabeth
fece un respiro
profondo e la guardò di nuovo negli occhi, “Tre
giorni, sei ore e circa dodici
minuti.”
“E
non hai idea di cosa
gli sia successo?”
Annabeth
scosse la testa,
“Eravamo così
entusiasti perchè le
vacanze di Natale erano iniziate in anticipo. Ci siamo incontrati al
campo
martedì, pensavamo di passare tre settimane insieme. Sarebbe
stato fantastico. Poi
dopo il falò, mi–mi
ha dato il bacio della buonanotte, è
tornato alla sua casa, e la mattina non c’era
più. Abbiamo cercato in
tutto il campo. Abbiamo chiamato sua madre. Abbiamo tentato di
raggiungerlo in
ogni maniera conosciuta. Niente. E’ semplicemente
scomparso.”
“Da
quanto tempo stavate insieme?”
“Da
agosto. Diciotto agosto.”
“Praticamente
quando io ho incontrato Jason. Ma noi stiamo insieme solo da qualche
settimana.”
Annabeth
sentì come un pugno nello stomaco.
Ora
viene la parte
difficile,
pensò amaramente.
La
parte difficile non era stata parlare di Percy. La parte difficile
sarebbe
stata rivelare a Piper la verità.
“Piper…
a proposito di quello. Forse dovresti sederti.”
La
ragazza sembrò capire dove l’altra volesse andare
a parare.
“Guarda,
so che Jason pensa di essere comparso stamattina sullo scuolabus
perché non
ricorda niente, ma non è vero. Io lo conosco da quattro
mesi.”
“Piper,
è la Foschia.”
Le
spiegò cosa fosse e come agiva quella forza magica, ma Piper
non sembrava
crederci ancora.
“No!
I miei ricordi non sono falsi! Sono così
reali…” cominciò a farfugliare,
parlando dei suoi ricordi con Jason, e la sua voce si
incrinò quando menzionò
il loro primo bacio.
Ad
Annabeth si strinse il cuore. Alla fine, facendola ragionare,
riuscì a
dimostrare a Piper di avere ragione.
Quanto
doveva sentirsi male, in quel momento? Cercò di consolarla
come meglio poteva.
“Dai,
ora Jason è qui. Chi lo sa? Magari potrebbe funzionare
davvero tra voi…” cercò
di sorriderle.
“Mi
hai portato qui così che nessuno potesse vedermi mentre
piangevo?”
“Immaginavo
che sarebbe stato difficile per te. So come ci si sente a perdere il
proprio
fidanzato.”
Piper
le sorrise tra le lacrime, si ricompose e le due scesero dalla collina,
entrambe pronte per ritornare alla confusione del Campo Mezzosangue.
“…ci
sono le Cacciatrici di Artemide. Vengono a trovarci a volte. Non sono
sue
figlie, sono le sue vergini: una banda di adolescenti immortali che si
avventurano e inseguono mostri e roba simile,” le stava
spiegando Annabeth,
ricordando che c’era stato un periodo in cui aveva seriamente
pensato di unirsi
alle Cacciatrici.
Piper
sembrava decisamente molto interessata, “Figo.
Immortali?”
“A
meno che non muoiano in combattimento o infrangano il voto. Ho detto
che devono
rinunciare ai ragazzi? Per l’eternità.”
Questo
dettaglio non piacque a Piper, che scosse la testa con un deciso,
“Oh. Lasciamo
perdere allora.”
La
reazione della ragazza fece ridere di gusto Annabeth.
Continuarono
a camminare, e si trovarono davanti la Casa 10.
“Ew…
questo è il posto dove le modelle vanno a morire?”
“La
casa di Afrodite. Dea dell’amore. Drew è
capo-casa.”
“Immaginavo.”
“Non
sono tutti così male. L’ultima capo-casa era
fantastica…”
Già.
Silena.
“Cosa
le è successo?”
Annabeth
ripensò alla figlia preferita di Afrodite. La più
bella che avesse mai visto,
con quegli occhi che cambiavano colore e quei lunghi capelli neri.
Pensò a
quanto era dolce con lei, quanto voleva sempre aiutarla a fare una
mossa con
Percy, e a quando era persino riuscita a truccarla. Poi però
si ricordò che li
aveva traditi. Era la spia di Crono. Pensò a quante persone
erano morte per il
suo tradimento, il suo ragazzo Beckendorf incluso.
No.
Era
un’eroina.
E’
morta per essere leale
a noi.
“Muoviamoci,”
disse seccamente, non rispondendo alla domanda di Piper.
“Queste
sono vuote?” chiese Piper indicando le case di Zeus e Era.
“Zeus
è stato per molto tempo senza avere figli. Beh, in
particolare Zeus, Poseidone
e Ade, i fratelli più anziani fra gli dei, si chiamano i Tre
Pezzi Grossi. I
loro figli sono molto potenti e pericolosi. Per gli ultimi
settant’anni, hanno
cercato di evitare di fare figli.”
“Cercato
di evitare?”
“A
volte, ehm… tradiscono. Ho un’amica, Thalia Grace,
che è figlia di Zeus. Ma ha
mollato il campo per diventare una Cacciatrice di Artemide. Il mio
ragazzo,
Percy, è figlio di Poseidone. Poi c’è
un tipo che viene qui ogni tanto, Nico,
figlio di Ade. A parte loro, non esistono figli dei Tre Pezzi Grossi.
Non che
noi sappiamo, almeno.”
“E
Era?”
Annabeth
dovette fare attenzione a non essere scortese, non voleva essere
vittima di un
altro dispetto da parte di quella dea inutile.
“Dea
del matrimonio. Non ha figli se non con Zeus. Quindi niente semidei. La
casa è
solo onoraria.”
“Non
ti piace,” notò Piper.
Wow,
si vede da così
lontano?
“Abbiamo
una lunga storia. Pensavo avessimo fatto pace quest’estate,
ma quando Percy è
scomparso, ho avuto un sogno strano su di lei…”
“…
che ti diceva di venire a prenderci. Ma pensavi che Percy sarebbe stato
lì,”
concluse Piper per lei.
“E’
meglio se non ne parlo. Non ho nulla di buono da dire su Era al
momento.”
Piper
insistette per entrare, e anche se Annabeth non era
d’accordo, fu trascinata
dentro. Poi si accorse di una presenza dietro l’altare della
dea.
“Rachel?”
Era
inginocchiata, e dava loro le spalle. Indossava uno scialle nero e
sotto una
camicetta verde che le faceva risaltare gli occhi, e i soliti jeans
strappati e
pieni di scarabocchi.
Si
voltò e corse ad abbracciarla.
“Annabeth!
Mi dispiace, sono venuta più presto che ho
potuto.”
“Nessuna
visione?”
“No.”
“Sogni?”
“No,
Annabeth, non sono una semidea, non faccio sogni strani.
Notizie?”
“Nico
dice che non è morto perché la sua anima non
è nell’Oltretomba. Grover dice che
se fosse morto lo percepirebbe.”
Sospirò.
Rachel
cercò di tirarle su il morale.
“Guarda
un po’ se quel cretino del tuo fidanzato si deve sempre
mettere nei pasticci e
poi noi dobbiamo salvarlo. Beh, più che altro tu. Meno male
che te l’ho
lasciato, altrimenti sarei io in questi casini…”
disse ridendo, e strappando un
sorriso alla triste figlia di Atena.
Piper
aveva ascoltato in silenzio lo scambio di battute tra le due, capendo
ben poco.
Annabeth sembrò ricordarsene solo in quel momento.
“Come
sono scortese. Rachel, questa è Piper, una dei mezzosangue
che abbiamo salvato
oggi. Piper, questa è Rachel Elizabeth Dare, il nostro
oracolo.”
“L’amica
che vive nella caverna,” disse, collegando l’antro
che Annabeth le aveva
mostrato poco prima.
“Proprio
io,” rispose Rachel sorridendo.
“Quindi
sei un Oracolo? Predici il futuro?”
“Più
che altro, ogni tanto il futuro mi aggredisce,” Piper
sembrò non capire.
“Dico
profezie. Lo spirito dell’Oracolo si impossessa di me e mi fa
dire cose
importanti che nessuno capisce… Ma sì, le
profezie predicono il futuro.”
“Oh.
Figo.”
“Non
preoccuparti, tutti la trovano una cosa un po’ sinistra. Me
compresa,” confessò
Rachel.
Annabeth
era estasiata da quanto velocemente la rossa riuscisse a farsi degli
amici.
Forse era un talento naturale, o forse semplicemente era lei ad essere
antipatica.
Non
c’era da stupirsi se Percy le aveva preferito Rachel, solo
qualche mese prima.
Era una persona più facile con cui stare, meno noiosa e
più divertente.
Ora
che la competizione per il ragazzo era finita, Annabeth si era trovata
ad
ammettere che Rachel era davvero uno spasso, e
anche un’ottima amica.
“Sei
una semidea?”
“No,
mortale.”
“Allora
perché sei…?”
Per
qualche motivo, Rachel smise di sorridere. Spostò lo sguardo
da Piper e per un
attimo incrociò gli occhi di Annabeth. Poi tornò
a guardare Piper.
“Semplicemente
un presentimento. Qualcosa che riguarda questa casa e la sparizione di
Percy.
Sono collegate in qualche modo. E ho imparato a seguire i miei
presentimenti,
specialmente dal mese scorso, quando gli dei si sono
zittiti.”
“Zittiti?”
chiese Piper.
“Non
gliel’hai detto?”
“Ci
stavo arrivando,” si giustificò Annabeth.
“Piper, per il mese scorso… beh, è
normale che gli dei non parlino spesso ai loro figli, ma generalmente
possiamo
contare su qualche tipo di messaggio ogni tanto. Alcuni di noi visitano
l’Olimpo. Io ho passato praticamente tutto il semestre
all’Empire State
Building.”
“Eh?”
“E’
l’entrata del Monte Olimpo.”
“Certo,
perché no?”
“Annabeth
stava ridisegnando l’Olimpo dopo che era stato danneggiato
nella seconda Guerra
dei Titani. E’ un architetto fantastico. Dovresti ved–“
“Comunque,” interruppe Annabeth,
“da un mese a questa parte
l’entrare dell’Olimpo è stata sigillata.
Gli dei non rispondono alle nostre
preghiere. I semidei vengono riconosciuti, ma nient’altro.
Niente messaggi.
Niente visite. Nessun segno che gli dei ci stiano ascoltando.
E’ come se fosse
successo qualcosa. Qualcosa di brutto.
Poi Percy è sparito.
“E
Jason è comparso alla
nostra gita, senza ricordi.” concluse Piper.
“Chi
è Jason?” chiese
Rachel.
“Il
mio rag–un mio amico.
Ma, Annabeth, hai detto che Era ti è venuta in
sogno?”
“Già.
La prima
comunicazione di un dio in un mese, ed è Era, la dea
più inutile, che contatta me,
la semidea che odia
di più. Mi dice che scoprirò cosa è
successo a Percy se vado al Grand Canyon e cerco il ragazzo con una
sola
scarpa. Invece trovo voi, e il ragazzo con una sola scarpa è
Jason. Non ha
senso.”
“Sta
succedendo qualcosa
di brutto,” ripetè Rachel.
“Ragazze,”
disse
urgentemente Piper, “devo… devo
dir–“
Improvvisamente
l’atmosfera della stanza cambiò. Rachel si
irrigidì e cominciò ad emettere fumo
verde.
Una
profezia?
Pensò Annabeth. Non è
troppo presto per una nuova profezia?
Ma
la voce con cui Rachel
parò non era certamente la sua, né tantomeno
quella dell’Oracolo di Delfi.
“Liberami,
Piper McLean…”
No,
non è decisamente una
profezia.
Prima
che Annabeth potesse
applicarsi ad ascoltare le parole che Rachel pronunciava, Piper cadde a
terra,
priva di sensi.
Angolo
autrice: salve!
Allora,
fra pochissimo esce L’Eroe Perduto qui in
Italia! Così per chi di voi stesse leggendo questa storia
senza capirci niente
potrà capirci qualcosa, e chi non la sta leggendo per gli
spoiler potrà
leggerla xP
Questo
è stato un altro capitolo lungo lungo! Ho
seguito gran parte del capitolo originale di The Lost Hero, ma
ovviamente la
prospettiva è quella di Annabeth e ho eliminato delle parti
e aggiunte delle
altre.
Spero
che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne
pensate!
Alla
prossima,
Ginny_theQueen
♥
|
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Capitolo 7 *** sedici dicembre, parte terza (sì, questa giornata è infinita!) ***
Dopo aver portato Piper di corsa da Chirone, dopo aver scortato Jason nella casa di Hypnos (lunga storia), dopo varie chiamate di aggiornamento, dopo aver finto di cenare, quella giornata sembrava finita.
Annabeth aveva anche trovato del tempo per fare una cosa importante che non avrebbe voluto fare: dire a Tyson che Percy era sparito.
Il piccolo ciclope era scoppiato a piangere. Annabeth pensò che era una fortuna che Tyson si trovasse già nell’oceano, perché altrimenti avrebbe potuto allagare un edificio con i suoi lacrimoni.
Annabeth aveva tentato di consolarlo come si consolano i bambini, perché infondo Tyson era un bambino un po’ troppo cresciuto. Gli aveva poi detto che se le avesse dato il suo aiuto a cercare Percy, lo avrebbero trovato in men che non si dica, e a quelle parole il ciclope aveva smesso di piangere e si era ravvivato, sentendosi importante poiché gli era stato affidato un tanto importante compito. Le disse che avrebbe fatto tutto il necessario e oltre il possibile per trovare il suo fratellone, e sorridendo, Annabeth aveva concluso il messaggio Iride.
Ma come stava accadendo troppo spesso in quei giorni, Annabeth si sbagliava a pensare che la giornata fosse giunta al termine.
Visto che Leo era l’unico dei tre nuovi arrivati ad essere già stato riconosciuto, Annabeth dovette partecipare al falò in attesa di un segnale divino da parte dei rispettivi genitori di Piper e Jason.
Visto che Piper non si era ancora presentata, il biondo si era seduto accanto ad Annabeth, poco lontano dal posto dov’era Leo, che aveva scelto di socializzare con i suoi nuovi fratelli.
Quando i figli di Apollo finirono il karaoke, i figli di Ares chiesero di poter ricominciare il consueto gioco di Caccia alla Bandiera, ma Chirone disse che “Dobbiamo essere pazienti. Ci sono questioni più importanti di cui parlare.”
Piper era arrivata.
“Percy?” chiese qualcuno, sperando che il centauro alludesse a quello.
Chirone fece segno ad Annabeth di prendere la parola. Si alzò in piedi e prese un profondo respiro.
“Non ho trovato Percy,” che inizio stupido, come se qualcuno non lo sapesse che la sua missione non era andata a buon fine e che aveva distrutto la biga della casa di Apollo. Tra l’altro la voce le si era incrinata un po’ quando aveva pronunciato il nome di Percy.
“Non era al Grand Canyon come pensavamo,”
Pensavo, si corresse mentalmente. Per colpa di Era.
“Ma non ci arrendiamo. Abbiamo squadre di ricerca ovunque. Grover, Tyson, Nico e le Cacciatrici di Artemide-sono tutti lì fuori a cercarlo. Lo troveremo,” era sinceramente determinata a trovarlo.
Arrendersi non era un’opzione.
“Ma Chirone si riferisce ad un’altra cosa. Una nuova missione,” riprese.
“E’ la Grande Profezia, non è così?” la interruppe fastidiosamente la voce di Drew. Tutti si voltarono a guardarla.
“Drew? Cosa intendi?”
“Beh, andiamo. L’Olimpo è stato chiuso. Percy è scomparso. Era ti manda una visione e tu torni con tre nuovi semidei in un solo giorno. C’è qualcosa di strano. La Grande Profezia si sta avverando, no?”
Logicamente tutti si voltarono verso Rachel.
“Allora? Sei l’Oracolo. E’ cominciata o no?”
Annabeth si irrigidì. Non tanto per le parole che Drew aveva pronunciato, quanto per il modo in cui l’aveva fatto. Con arroganza, presunzione, sfida. Non le piaceva che quella principessa patinata parlasse così, soprattutto a Rachel. Si sentiva tanto superiore perché era mezza dea, e Rachel era solo una mortale? Beh, la rossa era sicuramente una persona migliore di lei. Infatti Rachel era stata scelta, per ospitare l’Oracolo di Delfi. Drew invece semidea ci era nata, da ringraziare c’era solo Afrodite.
Ma Rachel sapeva difendersi da sola. I suoi occhi riflettevano il fuoco del falò e diventarono del colore dei capelli. Per un attimo il suo volto si fece minaccioso, il che bastò a spaventare molti dei presenti, compresa la povera Piper seduta accanto a lei, ma poi la rossa riprese il suo aspetto calmo e rispose alla domanda di Drew.
“Sì. La Grande Profezia si sta avverando.”
Nel casino generale che seguì questa dichiarazione, Annabeth notò Jason e Piper scambiarsi un paio di battute.
“Per chi di voi non l’avesse mai ascoltata, la Grande Profezia è stata la mia prima profezia. E’ arrivata ad agosto. Dice così: Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno. Col fuoco o con la tempesta il mondo cader faranno-“
“Ut cum spiritu postrema sacramentum dejuremus. Et hostes ornamenta addent ad ianuam necem,”
Per lo stupore di tutti, era stato Jason a interromperla.
“Hai terminato la profezia. Come…?”
“Conosco queste frasi,” rispose incerto.
“In Latino, niente meno. Bello e pure intelligente!” commentò Drew.
“Beh sì, questa è la Grande Profezia. Speravamo che non sarebbe accaduta per anni, ma temo che stia cominciando. Non posso provarvelo. Ma come ha detto Drew, stanno succedendo cose strane. I sette semidei, chiunque siano, non sono ancora stati riuniti. Ho la sensazione che alcuni di loro siano qui. Alcuni no.”
Ci furono ulteriori speculazioni sulla profezia, poi passarono a parlare dei fatti.
Jason si rivelò essere figlio di Zeus. O come aveva detto lui stesso, Giove. Era chiaro che avrebbe dovuto guidare quest’impresa, insieme ad altri due semidei. Travis Stoll suggerì Annabeth, in quanto era di sicuro quella con più esperienza, ma lei rispose prontamente: “Non aiuterò Era. E poi, sto partendo. Domani mattina vado a cercare Percy di persona.”
“E’ connesso,” si intromise Piper, “lo sai, vero? Tutta questa situazione, la sparizione del tuo ragazzo… è tutto collegato.”
Annabeth non poteva che essere d’accordo.
Fu chiaro, da una seconda profezia proferita da Rachel che i compagni di Jason in questa missione sarebbero stati proprio Leo e Piper, che era appena stata riconosciuta da Afrodite.
Qualche ora dopo Annabeth si recò alla Casa 1 e trovò Jason intento a osservare le foto sulla parete. Erano le foto di Thalia. Ed era doloroso guardarle, visto che in ogni foto era costante la presenza di un ragazzo dai capelli color sabbia.
Erano passati quattro mesi dalla morte di Luke. Altrettanti anni dal suo tradimento. E Annabeth non era ancora sicura dei sentimenti che provava per lui. L’aveva amato, questo era certo, e lo aveva negato anche vedendolo lì, in punto di morte. Quando di preciso aveva smesso di provare nei suoi confronti amore, rimpiazzandolo con l’odio? Aveva mai davvero smesso di amarlo? Poteva essere possibile che amore e odio coesistessero, senza che l’uno eliminasse l’altro? Si potevano amare più persone contemporaneamente? Annabeth credeva di sì. Aveva sempre cercato di non affezionarsi a nessuno dopo essere scappata di casa. Le uniche persone che aveva davvero amato erano state Thalia, Luke e Grover. Poi Chirone, che era stato per lei un padre migliore di chiunque altro, persino del suo vero padre. Forse nella lista poteva essere inclusa anche Clarisse, con la quale aveva più cose in comune di quanto tutti pensassero. Poi era arrivato Percy, che aveva fatto breccia nel suo cuore con quegli occhi verdi e quell’aria perennemente confusa.
“Non è che hai cambiato idea e vuoi venire con noi?” Jason le chiese nuovamente.
Annabeth scosse la testa, riportata alla realtà. “Siete già una buona squadra. Io vado a cercare Percy,” ripetè.
Gli diede qualche consiglio per l’impresa, poi tornarono a guardare le foto. Annabeth gli parlò di Thalia, e Jason chiese chi fosse il ragazzo biondo.
“Quello è Luke. Ma ora è morto,” rispose, improvvisamente seccata di quella conversazione.
La giornata non era ancora finita.
E quelle seguenti sarebbero state molto peggio.
Annabeth aveva trovato qualcuno con cui sfogarsi sul serio.
Il povero Grover, sempre disposto ad ascoltarla e a consigliarla.
Tutto era sembrato così lineare al falò: tre sarebbero partiti per salvare Era, mentre lei avrebbe girato l’America in cerca di Percy.
Ora le cose non le apparivano tanto semplici però.
Annabeth era la leader del Campo Mezzosangue. Poteva davvero lasciare tutti i suoi compagni a tempo indeterminato? C’erano ondate di mostri in avvicinamento, provenienti da ogni parte del continente diretti verso New York. Di nuovo. Annabeth poteva abbandonare così facilmente la sua casa lasciandola esposta ad un’eventuale attacco senza essere lì a proteggerla?
Erano questi gli argomenti che da tre quarti d’ora stavano causando al satiro un gran mal di testa.
“Tra l’altro siamo così pochi. Pochi sono venuti per le vacanze di Natale quest’anno. I capi-casa sono stati convocati tutti ed il concilio ha votato che il Campo si prepari per un’ipotetica battaglia. Potrebbe anche non avvenire, ma meglio prevenire che curare, no? In ogni caso dobbiamo essere preparati ad ogni evenienza,” continuò la stratega.
Grover si grattò le corna, annuendo.
“Ma quello che mi chiedo è… posso fidarmi? Posso davvero lasciare il comando a Clarisse e aspettarmi di ritrovare Travis e Connor vivi al mio ritorno?”
La questione di chi avrebbe dovuto assumere il comando in assenza di Annabeth non era mai davvero nata. Il nome di Clarisse era stato implicitamente accordato. Il concilio non aveva nemmeno dovuto votare. Non solo perché era la capo-casa di Ares e di conseguenza, un’ottima guerriera che avrebbe potuto guidare i semidei in battaglia. Clarisse era una delle figure principali e storiche del Campo, seconda solo a Percy e Annabeth. Per quanto bulla, era un’eroina forte e valorosa. Meritava il comando.
Era noto che non scorresse buon sangue tra lei e i fratelli Stoll però. I figli di Hermes la riempivano di scherzi, e le minacce di morte che lei aveva fatto loro non potevano essere contate.
Grover rise della preoccupazione di Annabeth.
“Annabeth, rilassati. Ci sarà comunque Chirone a equilibrare tutti. Non darti preoccupazioni inutili, e per una volta, non pensare troppo. Il tuo posto è là fuori a cercare Percy, come quello di Clarisse è qui a difendere il Campo. Nessuno ti accuserà di averli abbandonati. E poi cerca di pensare positivo: non è nemmeno detto che ci sarà una battaglia. Ci stiamo solo preparando al peggio, ma potremo sbagliarci,” le sfiorò un braccio, “Ora va’ a dormire, hai bisogno di riposare.”
Salve!
Ho voluto dare il tempo a coloro che non avevano letto The Lost Hero di poterlo leggere in italiano, in modo da non dover spiegare ogni cosa. Infatti qui ho tagliato buona parte della scena originale del falò. Ora mi distaccherò dalla storia de L’eroe Perduto per seguire esclusivamente Annabeth, che è appunto la protagonista della mia storia e mi concentrerò su di lei soltanto.
Spero che il capitolo vi piaccia, davvero. Ora che è finita la scuola potrei mettermi a scrivere seriamente, postare anche ogni settimana, se sapessi che qualcuno ancora legge questa storia. Quindi fatemi sapere, ok?
Un bacio e buona estate (e in bocca al lupo per tutti coloro che dovranno affrontare gli esami!)
Ginny_theQueen ♥ |
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Capitolo 8 *** ventidue dicembre ***
22 dicembre
Erano
successe tante cose negli ultimi giorni.
Annabeth
aveva setacciato l’America, ma non aveva trovato alcuna
traccia. Aveva
bestemmiato contro Era così tante volte che ormai il cielo
non tuonava nemmeno
più.
Quattro
giorni prima, il diciotto, Annabeth si era svegliata con la
consapevolezza che
anche questa volta il suo ragazzo avrebbe dimenticato il loro
mesiversario. E
dubitava che sarebbe riuscita a trovarlo in tempo per ricordargli che
erano
passati esattamente quattro mesi dal suo compleanno e dal giorno in cui
si
erano messi insieme. Dopo essere rimasta dieci minuti a letto a
pensarci, si
era mentalmente sgridata. Non sei mica
una figlia di Afrodite, Chase. Non è tempo di fare le
sentimentali, abbiamo un
eroe da rintracciare.
La chiave
di tutto, la risposta al problema di Annabeth, così come
l’aveva chiamata
appunto la regina degli dei, ce l’aveva Jason.
L’aveva sempre avuta, solo che non
la ricordava.
Il ventuno,
Jason, Piper e Leo erano tornati dalla loro impresa e il Campo si era
riunito
in concilio.
Il segreto
era stato svelato.
Esistevano
altri dei.
Altri
semidei, anche.
Persino un
altro campo.
Percy era
lì.
Annabeth e
Jason erano sorprendentemente arrivati alla stessa identica
conclusione, che
agli altri inizialmente era parsa strana ed improbabile.
I due campi
dovevano unire le forze per combattere l’esercito di Gea,
questo era nella
profezia.
Annabeth
avrebbe voluto partire all’istante per il campo romano,
rapire Percy e
riportarlo a casa, ma tutti la trattennero,
Chirone la prese per un braccio, e con la sua voce
profonda che non
ammetteva repliche o domande e quegli occhi antichi quanto gli dei
stessi, le
disse semplicemente “Non è ora. Il momento non
è ancora giunto.”
Avrebbero
dovuto costruire una nave, l’Argo II
prima di salpare, poi lei, Piper, Jason e Leo sarebbero passati per il
Campo di
Giove a prendere Percy e la restante parte dei sette
e la profezia si sarebbe avverata, ormai era tutto abbastanza
chiaro.
E il
sentimento dominante dei sei mesi successivi nella vita di Annabeth
divenne la
frustrazione.
Ma facciamo
un passo indietro.
Il
pomeriggio del ventuno dicembre dopo il concilio al Campo Mezzosangue,
Annabeth
era corsa a Manhattan.
Quando
arrivò all’appartamento Jackson –
Blofis, suonò il campanello pregando con
tutta se stessa che Sally fosse a casa. Si vede che anche durante il
concilio
degli dei, qualcuno ascoltò le sue preghiere,
perché dopo meno di un minuto, la
mamma di Percy aprì la porta.
“Annabeth
–
tesoro finalmente! Erano giorni che aspettavo tue notizie!”
il resto si perse
nell’abbraccio che seguì.
Visto che
Annabeth era il suo unico contatto con il Campo, da quando la ragazza
era
partita per le ricerche, Sally non aveva saputo più nulla.
La preoccupazione
era palese nel suo viso e nel suo corpo. Si vedeva che negli ultimi
nove giorni
Sally non aveva mangiato granchè, perché aveva un
aspetto pallido e malaticcio,
ed era decisamente dimagrita. Gli occhi le si erano riempiti di
lacrime, così
Annabeth si affrettò a dirle “L’abbiamo
trovato,“ Poi fece un breve excursus
sull’esistenza di semidei romani e proseguì
“Si trova all’altro campo, ma non
abbiamo idea di come lo stiano trattando e in che condizioni sia. Ma
è vivo,
Sally, sta bene.”
~
Annabeth si
trovava sulla riva del lago, –perché nonostante
cercasse di negarlo, stare
vicino all’acqua la faceva sentire più vicina a lui– con un cestino di biscotti
blu fatti insieme a Sally e il PC
aperto sulle ginocchia. Ad un tratto, mentre era intenta a studiare una
particolare tecnica di costruzione che Dedalo le aveva lasciato,
sentì dei
passi avvicinarsi alle sue spalle, e di riflesso si voltò.
La persona
avanzava a passo lento ma sicuro, come se avesse a disposizione tutta
l’eternità – che in effetti aveva.
“Ancora
a
crucciarti, Annabeth?”
“Thalia!”
la più piccola si alzò e le si gettò
fra le braccia.
Qualcosa
scattò nel suo cervello e Annabeth strabuzzò gli
occhi come se avesse appena
ricordato un dettaglio terribilmente importante.
“Dii immortales, Thals, auguri!”
“Sapevo
che
non ti saresti dimenticata,” le rispose la maggiore con un
sorriso.
“Quante
candeline vuoi che metta sulla torta? Tecnicamente hai ventidue anni,
senza
contare il periodo da pino ne hai diciotto…”
“Dimentichi
che sono immortale, Annabeth,” le fece una linguaccia, poi
continuò “Non sono
qui per festeggiare. Ho chiesto ad Artemide un permesso con la scusa
del
compleanno, ma in realtà sono qui per te. Sono stata una
pessima amica in
questi giorni, avrei dovuto starti accanto, ed è quello che
farò d’ora in poi.
Le mie Cacciatrici possono cavarsela da sole per qualche
giorno.”
Annabeth fu
molto colpita.
“Thalia
davvero, sto bene. Adesso che sappiamo dove-”
esitò, ma non pronunciò il nome “-si
trova sto molto meglio… non c’è bisogno
che ti allontani dalle ragazze. Falle
venire qui e festeggia anche con loro. Sono la tua nuova famiglia,
dopotutto.”
Aveva detto
l’ultima parte con un po’ di astio, senza volerlo.
Forse perché l’ultima volta
che Thalia si era scelta una famiglia, era andato tutto a rotoli. Era
diventata
un pino. Luke era diventato cattivo. Poi lei era tornata umana, ma
aveva
rinunciato alla vita del Campo, abbandonando Annabeth e mettendosi al
servizio
di Artemide.
“Tu e
Jason
siete la mia famiglia,” le disse sorridendo, quasi avesse
capito a cosa stava
pensando.
Già,
era
stato scioccante scoprire che Jason e Thalia erano fratelli. Lei figlia
di Zeus
e lui di Giove, ed entrambi figli della stessa donna mortale.
“D’accordo,”
sussurrò Annabeth stringendosi nell’abbraccio.
“Ti va un biscotto?”
Finchè
aveva Thalia si sentiva più forte, più protetta.
Alla fine
le Cacciatrici erano venute lo stesso al Campo, occupando
l’altrimenti vuota Cabina
8, e Chirone aveva indetto il consueto gioco di Caccia alla Bandiera.
Loro erano
circa una trentina, che equivaleva al numero di semidei che si
trovavano al
Campo Mezzosangue per le vacanze di Natale.
Se non
fosse stato per la visita delle immortali, Annabeth non avrebbe nemmeno
preso
parte al gioco, ma Clarisse e Jason (eletti co-capitani) non avevano
intenzione
di perdere e la nominarono stratega della squadra. Inutili le sue
proteste perché tanto contro le
immortali non si
vinceva, i due la costrinsero comunque a stilare un vero e
proprio piano di
battaglia. Mentre per Piper e Leo quella era la prima partita, Jason
ricordava
di aver partecipato a giochi simili al Campo di Giove. Era uno abituato
a
vincere, Jason. Abituato ad essere rispettato da tutti, in quanto
figlio del re
degli dei. Perciò fu uno shock per lui quando, dopo circa un
quarto d’ora dall’inizio
della partita, una Cacciatrice, gli pareva il suo nome fosse Phoebe,
prese
vittoriosa la bandiera del Campo. Lui era impegnato in uno scontro con
Thalia,
e benchè sua sorella non volasse come lui (forse
perché soffriva di vertigini, comunque
non ci aveva mai provato) Jason doveva ammettere che era proprio brava.
Fu
momentaneamente distratto dall’urlo di vittoria delle
Cacciatrici e Thalia
sfruttò l’occasione per disarmarlo e buttarlo a
terra, tutto con una sola
mossa.
“Beh,
fratellino. Combatti bene, ma attento a non farti distrarre.”
“Solo
perché
è il tuo compleanno,” le rispose cercando di
nascondere il senso di offesa per
essere stato sconfitto così facilmente.
“Sì
certo,
come no,” rispose lei aiutandolo ad alzarsi.
~
“Mi
dispiace ragazzi, ma ve l’avevo detto. Contro le Cacciatrici
non si vince. E’
matematico. Sono più di settant’anni che il Campo
perde ogni partita contro di
loro,” stava ripetendo Annabeth ai compagni di squadra.
“Ma
non
capisco. Il tuo piano era perfetto. Una difesa inespugnabile ed un
attacco
ottimo. Siamo tutti semidei abbastanza dotati, mentre tra di loro
c’è
addirittura qualche ragazza umana e qualche ninfa… pensavo
che l’unica di cui
preoccuparsi sarebbe stata mia sorella,” disse Jason
crucciato.
“Jason,
cosa ti sfugge della parola immortali?”
cercò di calmarlo Piper.
Erano
carini insieme, pensò Annabeth. Ma non aveva ancora capito
se erano diventati
una coppia per davvero. Era sicuramente solo questione di tempo.
D’altra parte
si conoscevano da meno di due settimane, per quanto i ricordi di Piper
fossero
illusori per via della Foschia.
“Sì,
insomma possono comunque morire in battaglia. Però sono
più veloci e più forti
dei semidei normali, sono caratteristiche che acquisiscono con
l’immortalità
dopo il giuramento ad Artemide. Ma non hanno una vera e propria
strategia.
Agiscono come un branco di lupi. La forza del branco sta nel lupo, e la
forza
del lupo sta nel branco.*,” spiegò Annabeth che
era entrata in modalità
enciclopedia.
Se Jason
era offeso e dispiaciuto, Clarisse era proprio arrabbiata.
“Comunque
dov’è Clarisse?” chiese Leo, ancora
esaltato per la partita. Giacchè era
innamorato di metà Cacciatrici, andava in giro dicendo di
averle fatte vincere
apposta. Era senza speranza, pensò Annabeth.
“E’
andata
nell’arena. Ora sta probabilmente tagliando le teste a tutti
i manichini
immaginando che siano le Cacciatrici,” rispose Chris
Rodriguez, il suo ragazzo.
“Forse è meglio che la raggiunga,”
salutò tutti con un cenno della mano e uscì.
“Beh
ragazzi, forse è meglio che andiamo a darci una ripulita
prima del falò,” disse
Annabeth togliendosi del fango dai capelli, “Voglio che sia
perfetto per il
compleanno di Thalia stasera.”
~
Con il
getto della doccia su di sé, Annabeth potè
constatare di essere decisamente più
tranquilla. Sapeva che Percy era vivo. Sapeva perfino dove si trovava.
Lasciò
che l’acqua fredda la calmasse e decise che per una sera
poteva sentirsi più
rilassata. Dopo giorni in cui non aveva dormito né mangiato,
pensò che il
peggio era passato.
~
Nonostante
fosse risaputo che le Cacciatrici non amassero stare al Campo
Mezzosangue,
soprattutto per via della presenza di molti semidei maschi, quella sera
fecero
un’eccezione e sembravano genuinamente divertirsi mentre
festeggiavano la loro leader.
Le fiamme del fuoco erano più alte del solito e il loro
riflesso brillava nel
lago poco distante.
Come
sempre, furono i figli di Apollo a cominciare a cantare, ma poi il
resto dei
semidei si unì a loro e intonarono tutti Tanti
Auguri in coro ad una felicissima Thalia, seduta tra Annabeth
e Jason.
Dopo
qualche minuto di festeggiamenti, arrivò anche un satiro con
la torta.
“Grover!”
gridò Thalia correndo ad abbracciarlo.
“Scusa
il
ritardo, Faccia di Pino.”
Annabeth
dovette presentare Grover a Jason.
“Wow,
ragazzi. Non vi assomigliate per niente,” disse guardando
Thalia e Jason.
Il cielo
tuonò.
“Apparte
per gli occhi,” si affrettò ad aggiunger Grover,
guardando in su con aria di
scuse.
Tutti
scoppiarono a ridere.
~
Si era
proprio divertita quella sera, era stato proprio bello da parte di
Thalia voler
festeggiare al Campo con tutti i suoi vecchi amici.
Ma ora,
nella solitudine delle pareti azzurre della Cabina 3, circondata dal
perenne
profumo di mare, Annabeth non riusciva a non pensare a Percy, e a
quando si
sarebbero finalmente rivisti.
Rimani
lì, Testa d’Alghe. Vengo a
prenderti.
Angolo
autrice: eccomi qui! Non ho molto da aggiungere sul capitolo, se non
che adoro
il personaggio di Thalia, la reputo una ragazza molto forte.
Spero che a
questo punto anche chi non l’aveva già letto in
inglese abbia avuto modo di
leggere L’Eroe Perduto, vorrei sapere che ne pensate J
Ditemi
anche che ve ne pare del capitolo, sono curiosa di sapere se vi
è piaciuto.
* “La
forza
del branco sta nel lupo, e la forza del lupo sta nel branco”
è un verso tratto
da una poesia di Rudyard Kipling.
Un bacione
e alla prossima,
Ginny_theQueen
♥
PS:
qualcuno
ha Twitter? O Tumblr? Voglio seguire un po’ di gente :3
|
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Capitolo 9 *** Natale. ***
Salve a tutti, e scusate
per la lunga assenza.
Grazie mille a chi segue ancora la storia. Spero sinceramente che il
capitolo
vi piaccia. E’ abbastanza lungo, quindi mettetevi comodi. Ci
vediamo giù.
24-25
dicembre
“Che
poi scusate, io avrei una domanda… ma noi
semidei, il Natale lo festeggiamo?” chiese Leo, interrompendo
il caos mattutino.
“Perché in effetti è celebrato come la
nascita di Cristo, ma noi non ci
crediamo, vero? Non ci sto capendo più niente.”
Come al solito,
fu Annabeth a rispondere. “Certo
che non festeggiamo la nascita di Cristo, Leo. I cristiani sono
strettamente
monoteisti. E noi, beh… lo sai.”
Leo
annuì lentamente come se stesse cercando di
assimilare un concetto difficile.
“C’è
ancora una cosa che mi sfugge però. Se il
Natale non lo festeggiamo, perché Clarisse e Travis stanno
litigando per come
bisogna addobbare l’albero?”
“A
Clarisse piace litigare con tutti, non l’hai
ancora notato? E poi non quello definirei litigare.
Si stanno solo minacciando di sfregiarsi a vicenda. Se stessero davvero
litigando, a Travis mancherebbe già qualche arto,”
rispose Annabeth sarcastica.
“Credo
che tu non abbia colto il punto. Perché
addobbano il pino se non crediamo
nel Natale?”
Annabeth rispose
alla domanda con un’altra
domanda: “Perché il Natale si celebra il 25 di
dicembre, Leo?”
Lui scosse la
testa e lei continuò: “I cristiani
hanno scelto quel giorno in quanto era già una
festività pagana. Si celebrava
il Sol Invictus. O come lo chiamiamo noi, Helios. Anche se poi gli
furono
assimilate altre divinità orientali come Mitra e El-Gabal,
ma in realtà la
festività fu istituita ufficialmente dai Romani, solo che
con l’unificazione
dell’Impero e la cittadinanza estesa alle province,
finì per essere celebrato
anche in Grecia. E quindi eccoci qui.”
“Grazie
per la lezione, Professoressa Chase.”
Annabeth lo
fulminò, e Leo alzò le mani in segno
di resa.
“Cioè
mi stai dicendo che Gesù è nato quando
è
nato perché quel giorno era la festa romana del
sole?”
“Sei
senza speranza, mi rifiuto di rispondere.
Ora sta’ zitto e vai a dare una mano.”
“Dove
stai andando tu?”
“Da
Will Solace, mi sta facendo cenno di
raggiungerlo da prima che tu cominciassi a farmi domande sul
Natale… non ho
idea di cosa voglia dirmi, ma vado a vedere.”
Gli alberi erano
stati addobbati. Non tutti
ovviamente. I semidei non avevano certo tempo per addobbare
un’intera foresta.
Ora mancava la Casa Grande e poi le singole cabine. Per via della
sparizione di
Percy era stato tutto rimandato e Annabeth aveva completamente
dimenticato di
pensare al design natalizio della cabina di Atena di
quest’anno. Avrebbero
dovuto riutilizzare gli addobbi dell’anno scorso. Non che al
resto del Campo
importasse un fico secco delle decorazioni natalizie della cabina di
Atena, era
lei quella fissata con queste cose.
Aveva appena
aiutato i figli di Apollo per una
piccola modifica
esterna nella loro
cabina e stava tornando verso la Casa Grande per chiedere a Chirone se
avesse
bisogno di altro aiuto, quando vide una scena che la fece sinceramente
sorridere. E non sorrideva tanto spesso in quei giorni.
Jason, il biondo
figlio di Giove che era stato
mandato qui da Era in cambio di Percy, con un braccio attorno alla vita
di Piper,
la nuova arrivata e neo-eletta capocasa di Afrodite, ed una mano a
carezzarle
la guancia. Era rosso come un peperone, e Annabeth si sentì
in colpa per stare
spiando un momento così intimo. Stavano per darsi il loro
primo bacio, era
ovvio. Sopra le loro teste infatti fluttuava magicamente del vischio.
Fu Piper
ad alzarsi sulle punte ed avvicinare le proprie labbra a quelle di
Jason, che
ricambiò felicemente il bacio.
Abbassando il
capo per nascondere il suo sorriso
e continuando a camminare, Annabeth non potè non pensare al
suo primo bacio con
Percy. In realtà ce n’erano stati due, di primi
baci. Uno era stato un atto
disperato e impulsivo, avevano quattordici anni, sul Monte
Sant’Elena, quando
pensava che lo avrebbe perso, perché era testardo e voleva
combattere da solo
un esercito di telechini, e poi c’era quella terribile
profezia che le aveva
detto che avrebbe perso un amore. All’epoca non sapeva se si
riferisse a Percy
o a Luke. L’altro, il loro vero
primo
bacio era accaduto solo qualche mese fa, il diciotto agosto. Era uno
dei
ricordi più felici che Annabeth avesse.
Era contenta per
Piper, davvero. La conosceva
solo da qualche giorno, ma le piaceva. Le ricordava un po’
l’Annabeth di
qualche anno fa. E aveva visto il modo in cui guardava Jason. Lui
invece era
una specie di punto interrogativo. Per lei, per tutti. Anche per se
stesso, in
quanto non ricordava ancora nitidamente tutti i dettagli della sua vita
prima
di essere rapito da Era. Sembrava chiaramente attratto da Piper, ma
stava
facendo la cosa giusta a cedere così facilmente? Piper era
una figlia di
Afrodite, era normale innamorarsi di lei. Non che sfruttasse questo suo
vantaggio, anzi ci era persino rimasta male quando aveva scoperto che
sua madre
era la dea dell’amore. Ma Jason? Diceva che molti ricordi non
erano chiari. E
se aveva già una fidanzata, al Campo Giove? Era decisamente
carino, pretore,
popolare…
Un pensiero
terribile venne in mente ad Annabeth.
E se Percy trovasse
un’altra? Se
anche lui era arrivato al campo opposto ricordandosi solo il proprio
nome, come
Jason, cosa gli avrebbe impedito di fare nuove amicizie, intraprendere
una
relazione? Era attraente. Molto.
Aveva quell’aria di strafottenza che faceva impazzire le
ragazze. Quegli occhi
verdi irresistibili. E tanti anni di combattimento avevano fatto
più che bene
ai suoi musco–
Non
posso permettermi di pensare in questo modo,
si impose Annabeth. Succeda quel che succeda,
ma non posso permettermi di essere
pessimista. Dobbiamo trovarlo. Il resto non importa.
Ma
certo che
importava.
Era
così
immersa nei ricordi e in questi pensieri deprimenti che non guardava
più dove
camminava. Inciampò su qualcosa –il
piede di qualcuno– e per poco non cadde rotolando
giù per la collina. I suoi
riflessi scattarono e si riprese poco prima di colpire il terreno,
rimettendosi
in piedi.
“Valdez!” gridò
indignata.
“Che
vuoi? Sei tu che non guardi dove cammini. E
non far rumore, sto assistendo allo spettacolo,” disse
indicando la scena che
anche Annabeth aveva guardato poco fa.
Piper e Jason
erano ancora stretti nel loro
abbraccio. E si stavano ancora baciando. Nonostante tutto, erano carini
insieme. “Lascia loro un po’ di privacy,”
disse a Leo, ricordandosi di come si
era sentita quando mezzo Campo aveva spiato il suo secondo primo bacio
con
Percy. Non era certo una bella sensazione, avere un pubblico. Per tutto
agosto,
ogni volta che lei e Percy si erano scambiati un bacio, c’era
stata sempre una
risatina, una battutaccia, una figlia di Afrodite che sospirava. Era
quasi
impossibile stare da soli al Campo Mezzosangue.
“Che
fastidio gli do, scusa? Non sanno che li
stiamo guardando. E poi, se non fosse per me, probabilmente non si
starebbero
baciando affatto,” disse Leo facendole vedere il vischio che
aveva in mano.
“Sei
stato tu?” chiese Annabeth, ora incuriosita.
Lui
annuì, soddisfatto. “Per le figlie di Hecate
è stato un gioco da ragazzi. Ho chiesto a Lou Ellen di fare
una semplice magia
sul vischio… quel ramoscello li stava seguendo da un bel
po’, ma se ne sono accorti
solo qualche minuto fa.”
Annabeth dovette
sorridere. “Hai fatto una cosa
davvero carina, Valdez. Si vede che quei due si piacciono.”
“Già.
Dovevi vedere quando eravamo in missione!
Non smettevano di farsi gli occhi dolci…”
“Perché
l’hai fatto?” chiese bruscamente
Annabeth.
“Perché
non farlo? Quei due sono i miei migliori
amici, e avevano bisogno di un aiutino.”
Annabeth era
sorpresa. Questo ragazzo non
somigliava per niente a suo padre. Ricordò le parole che le
aveva rivolto nel
Labirinto. “Una volta tuo padre disse a Percy che–“
“Cosa?
Ha incontrato
Efesto?” chiese Leo.
“Certo.
Anche io. Conosciamo tutti gli dei, li
abbiamo visti più di una volta. Siamo stati
sull’Olimpo più volte di qualsiasi
altro semidio, oserei dire,” Annabeth parlava come se fosse
la cosa più normale
del mondo.
“Davvero?”
“Sì.
Leo, ho fatto tantissime imprese. Io e Percy–
gli dei ci hanno addirittura organizzato
una celebrazione, per aver salvato l’Olimpo… ma
sto divagando. Tuo padre, una
volta disse che è più facile lavorare con dei
macchinari che con le persone. E’
un tipo molto solitario, Efesto. Ma tu sei così…
solare. Sei sempre in
movimento. Cerchi sempre di far ridere tutti. Mi ricordi un
po’ il mio ragazzo
da questo punto di vista.”
Leo fece un
sorrisetto alquanto malizioso.
“Tesoruccio, non c’è bisogno di
paragonarmi al tuo ragazzo per dirmi che sei
cotta di me.”
Annabeth gli
diede un buffetto sul braccio. “Sono
seria, Leo. Non cambiare mai. Abbiamo un’altra guerra
davanti, e c’è bisogno di
gente come te.”
“Annabeth!”
sentì una voce femminile chiamarla in
lontananza. Era Lacy, una piccola figlia di Afrodite.
“Dei,
cosa vogliono tutti da me oggi?” domandò
esasperata.
Quella sera
fecero un vero e proprio cenone di
Natale, e per una volta all’anno non importava chi era il
genitore divino di
chi: tutti potevano sedersi accanto ai propri amici, senza distinzioni.
Per
questo motivo Annabeth decise di prendere posto
all’altrimenti vuoto tavolo di
Poseidone. Non le importavano gli sguardi stupiti degli altri. Nella
confusione
della cena, poteva quasi far finta che Percy fosse seduto lì
accanto a lei. Ma
la sua solitudine non durò a lungo, come sempre in quel
periodo. Sembrava che i
suoi amici più stretti facessero dei turni per assicurarsi
che Annabeth non
passasse mai più di un’ora da sola durante la
giornata, e i suoi fratelli la
osservavano anche di notte, preoccupati. Non sapeva se esserne grata o
annoiata. Avrebbe voluto un po’ di tempo da sola. E poi, era
seriamente
indietro con la ristrutturazione dell’Olimpo, avrebbe dovuto
dedicare più tempo
alla progettazione.
Comunque,
durante la cena, Grover andò a sedersi
accanto a lei, senza dire una parola. Con un sorriso affettuoso
Annabeth gli
offrì la lattina di Coca che aveva appena finito ed il
satiro la divorò felice.
Finirono di mangiare in silenzio–non
un silenzio imbarazzante o fastidioso–e poco
prima di alzarsi a gettare
un po’ di cibo per il sacrificio serale agli dei, anche
Rachel la raggiunse al
tavolo di Poseidone.
“Rach,
hai mangiato?”
“Non
ancora, sono
appena arrivata. Stavo finendo un dipinto…
mangerò più tardi, ora non ho fame
comunque,” le offrì un sorriso.
“Tutto
apposto?”
chiese Annabeth insospettita. Con un cenno di saluto, Grover si era
alzato.
“Certo,
tutto a
meraviglia. Perché?” rispose Rachel impassibile.
Annabeth
non sapeva
cosa dire. “Mi sembrate così
strani…”
Rachel
rispose con
un’espressione interrogativa in volto.
“Ma
cosa avete tutti?
Arrivi tu e Grover se ne va, Clarisse mi sfida perennemente a duello
nell’arena,
Katie mi chiede una mano con le stelle di Natale, Leo mi fa domande
inutili…”
Rachel
la interruppe
con un profondo sospiro. “Non voglio mentirti, bionda. Siamo
molto preoccupati
per te.”
“E
questo vuol dire
che non potete lasciarmi sola un attimo? Di cosa avete paura?
Cos’è che potrei
fare appena mi levate gli occhi di dosso?” solo dopo aver
detto queste parole
si accorse di aver alzato un po’ troppo il tono di voce.
Ovviamente, la stavano
guardando tutti. Ma non le importava.
“Che
tu faccia
qualcosa di stupido,” le rispose dolcemente Rachel, cercando
di prenderle una
mano.
“Cioè?
Di certo non
mi butterò nel lago. Suicidarmi non riporterà
indietro lui.”
Rachel
la guardò
intenerita. I suoi amici si avvicinarono. Quel tavolo che per tanti
giorni era
stato vuoto si riempì in pochi secondi. Clarisse, Katie, i
fratelli Stoll,
Piper, Will Solace, Miranda Gardner, Leo, Lacy e gli altri figli di
Atena erano
accanto a lei.
“Ragazzi,
davvero,
sto b–“
“Non
provare a dire
che stai bene, Annabeth,” la interruppe Will.
“Allora
cosa volete
che vi dica?”
“Non
devi dirci un
bel niente, principessa,” ripose Clarisse utilizzando il suo
nomignolo di quand’erano
piccole.
“Vogliamo
solo
essere d’aiuto,” assecondò Katie.
“La
verità è che
Percy manca anche a noi, Annabeth. E non possiamo neanche immaginare
come ti
senta tu…” continuò Will.
“Vogliamo
solo farti
capire che non sei sola,” riprese Katie.
“Di
questo me n’ero
accorta, grazie tante. Gli unici momenti che passo da sola ormai sono
in bagno!”
“Già,
Annabeth. Di
certo non possiamo offrirti appassionati baci subacquei, ma ti siamo
vicini,”
dissero Travis e Connor all’unisono.
“Oh,
non fate gli
idioti. Il punto è che non devi affrontare da sola il
dolore.”
“Quand’è
stata l’ultima
volta che hai dormito seriamente, Annabeth? Guarda che
occhiaie,” disse Drew
che si era avvicinata.
“Non
credevo che
sarebbe mai successo, ma devo dare ragione a Drew,” disse
Piper. “Hai bisogno
di riposo.”
“Di
riposo e di un
po’ di sano divertimento! Basta pensare a
Colui-che-non-deve-essere-nominato. E
non sto parlando di Voldemort,” aggiunse Rachel con la sua
solita esuberanza. “Ragion
per cui, stasera sarai l’ospite d’onore di un
pigiama party nel mio fighissimo
antro.”
L’Oracolo
si guardò
intorno e notò gli sguardi carichi di aspettativa delle
altre.
“Non
c’è posto per
tutte, scusate ragazze. Per stasera Annabeth è tutta
mia,” disse lasciandole un
sonoro bacio sulla guancia. “Mia e di qualche fortunata
eletta. Katie,
Clarisse?”
“Non
ci penso proprio,
è una cosa da femminucce,” rispose la figlia di
Ares. Katie annuì.
“Come
pensavo,”
riprese Rachel. “Mmm, Piper?”
Quest’ultima
arrossì, chiaramente onorata di essere stata scelta,
nonostante fosse arrivata
al Campo da così poco. “Sarebbe un
onore,” rispose sorridendo.
Annabeth
cercò di
rilassarsi. Erano nell’antro di Rachel, che
dall’esterno sembrava davvero una
grotta spaventosa, uguale a quella dell’antica Sibilla, ma
all’interno era una
stanza degna di una teenager milionaria quale era Rachel.
Spaziosissima, con un
televisore a schermo piatto ed un impianto stereo da far impallidire e
tutta
immersa nel disordine organizzato
di
cui Rachel andava fiera. Pennelli e colori erano sparsi ovunque,
vestiti buttati
qua e là e su un tavolino una grande quantità di
cioccolato –anche blu!–
e marshmallow che avrebbero fatto impazzire Percy.
Non
è bene somministrare tanto zucchero a semidei
già iperattivi,
sentenziò quella parte del suo cervello che somigliava
fastidiosamente a sua
madre. Annabeth la ignorò.
“Wow,”
sussurrò.
“Lo
so, è tutto
meraviglioso. Apollo è fantastico, ha scelto tutto secondo i
miei gusti senza
che gli dicessi niente. E’ fantastico,”
ripetè Rachel con aria sognante.
Annabeth
le schioccò
le dita davanti al viso per svegliarla dal suo sogno ad occhi aperti.
“Rossa,
guarda che Apollo è un dio.”
“Grazie
per avermelo
fatto notare, Annabeth, ma non bisogna essere una figlia di Atena per
capirlo. E
poi penso che anche se non lo sapessimo, si noterebbe comunque. Non so
come
faccia a passare inosservato tra i mortali, è uno
splendore.”
“E’
il dio del sole.”
“Non
in quel senso.”
“Mi
spaventi,”
concluse Annabeth.
Katie
si stava
guardando intorno. “Rachel dovresti aggiungere dei fiori a
tutto questo casino.
La stanza è già coloratissima, ma qualche pianta
darebbe un tocco–“
“Figlie
di Demetra,”
Rachel sussurrò a Piper. “vorrebbero aggiungere
fiori ovunque. Uguali alla loro
divina sorella Persefone. Comunque,” disse alzando la voce ed
interrompendo
Katie che stava ancora parlando del tocco che i fiori avrebbero dato
alla sua
stanza, “Stasera ci concentriamo sulla nostra piccola
Annie.”
Annabeth
stava per
protestare, ma Rachel continuò. “Un bel massaggio,
probabilmente anche una
manicure, e ho qui il tuo film preferito,” disse cacciando un
dvd dal cassetto
sotto la tv.
“Harry
Potter e i
Doni della Morte 1 e 2 versione integrale con le scene eliminate,
tagliate e le
interviste al cast? Ma quest’edizione non è ancora
in vendita!” Annabeth
abbracciò Rachel. “Come hai fatto?”
“Segreto,”
rispose l’Oracolo
ricambiando l’abbraccio. “Dura più di
cinque ore, dovremmo saltare qualcosa se
vogliamo dormire un po’… domani dobbiamo
assolutamente svegliarci ad un orario
decente per aprire i regali con tutti gli altri!”
“Prima
che Travis
rubi tutto,” disse Katie.
“E
Connor,” aggiunse
Annabeth.
“Non
so perché, ma
sono più preoccupata di Travis,” ribadì
Katie.
“Io
penso di sapere perché,”
ammiccò Rachel, e Katie arrossì.
“E’
ora di guardare
il film!”
“Io
prendo il cibo,”
si offrì Piper.
Si
sistemarono tutte
sul divano. “E il mio massaggio?”
“Arriva
subito,
tesoro,” rispose Rachel spostandosi verso di lei.
Ad
Annabeth questa
serata piaceva sempre di più.
Tre
ore dopo, erano
ancora in quella posizione. Avevano litigato un po’ su quali
scene saltare, su
chi dovesse mangiare l’ultimo pop-corn, ma si stavano
decisamente divertendo.
“Questa
è la mia
scena preferita!” urlò Katie.
“Il
bacio di Ron e
Hermione? Ma nel libro era diverso,” commentò
scettica Piper.
“A
chi importa, ho
aspettato dieci anni per questa scena!”
Ad
Annabeth venne in
mente una cosa…
“Piper,
non dovresti
dirci qualcosa?”
“Di
che parli,
Annabeth?”
“Mi
pareva di aver
visto parecchio vischio qui intorno oggi
pomeriggio…”
Piper
arrossì. “Ecco,
io e Jason ci siamo baciati. Sul serio, questa volta.”
Nonostante
l’imbarazzo,
era chiaro che fosse soddisfatta.
“Sì,
sapevo già
tutto,” liquidò Rachel con aria di
superiorità. “Conosco passato, presente e
futuro,” continuò teatrale.
“Ma
non bacerai mai
un ragazzo, hai fatto un giuramento di eterna
castità,” le ricordò Annabeth con
tono canzonatorio.
Fu
il turno di Rachel
di arrossire. Fu salvata dall’urletto di Katie “Si
baciano!” e tutte
riportarono la loro attenzione a Ron ed Hermione sullo schermo.
Il
mattino seguente
erano tutte e quattro stanchissime, avevano obbiettivamente dormito
troppo
poco, ma si erano divertite tantissimo, e–cosa
più importante–avevano
distratto Annabeth. Era più rilassata di quanto non fosse
stata in mesi, e per
un po’ era stata in grado di mettere da parte il dolore per
Percy e
semplicemente godersi una bella nottata tra amiche.
“Grazie,
Rossa,”
aveva sussurrato a Rachel prima di dirigersi verso la sua cabina a
cambiarsi,
per poi andare ad aprire i regali come da consuetudine sotto il pino di
Thalia.
“Ne avevo proprio bisogno.”
“Quando
vuoi,
Annabeth,” sorrise l’altra.
Annabeth
non aveva
grandi aspettative per i regali. Suo padre aveva probabilmente
dimenticato di
spedirle il suo, e non si aspettava che la sua divina madre si sarebbe
scomodata.
Ma
tutti ridevano,
era un’atmosfera serena e contagiosa. Annabeth si
trovò a sorridere con loro,
mentre Jason le passava un pacco che era apparentemente destinato a
lei. Lo scartò:
era un’avvolgente sciarpa sulle tonalità del blu,
con sfumature più chiare fino
al verde acqua. Il bigliettino allegato era da parte di Sally.
Annabeth
ebbe appena
il tempo di meravigliarsi della gentilezza di sua suocera e di pensare
che
avrebbe probabilmente dovuto ricambiare il regalo, che Rachel e gli
altri le
offrirono altri due pacchi.
“Pensavi
che ci
saremmo dimenticati di te?”
“Su,
aprili!”
“Questi
sono da
parte di tutti!”
Che
carini,
pensò ancora prima di vedere cosa le avessero regalato. Ieri mi sono arrabbiata perché si
preoccupano per me, ma ho sbagliato. Mi amano nonostante tutto, ci sono
sempre
per me e hanno anche pensato a farmi dei regali.
Aprì
prima il pacco
rettangolare che le porse Rachel.
L’intera
collezione
integrale dei film di Harry Potter.
“Ecco
da dove veniva
il film di ieri… Non posso crederci! Ragazzi,
grazie!”
L’altro
regalo era
una trilogia. Da esemplare figlia di Atena, Annabeth adorava leggere,
la
dislessia non era nemmeno più un grande problema.
“The
Hunger Games?”
chiese, non avendo mai sentito il titolo.
“Sì,”
rispose Piper.
“Si portano tantissimo nel mondo dei mortali. Sono davvero
belli. Io li ho
divorati.”
“Se
leggi attentamente,
noterai che tu e la protagonista–Katniss–avete
molto in comune.
La testardaggine, ad esempio,” disse Rachel.
“Grazie
mille, non
so davvero come ringraziarvi… vi voglio bene. Scusate se
ieri sera sono stata
un po’ brusca.”
Cercò
di abbracciare
tutti, e si sentì un po’ in colpa per non aver
fatto regali a nessuno. Ma
effettivamente aveva avuto altro a cui pensare.
“Oh,
Annabeth, quasi
dimenticavo,” la chiamò Jake Mason, figlio di
Efesto. “Stamattina presto ero
nella forgia ed è passato Tyson. Ha detto di darti
questo,” le offrì un
pacchetto un po’ spiaccicato, che lei prese volentieri.
Al
suo interno c’era
un anello d’argento, con una pietra turchese al centro. Era
un colore
meraviglioso e sembrava risplendere. Annabeth non aveva mai visto
niente del
genere.
Jake
continuò: “Ha
detto che era il regalo che, ehm, Percy voleva farti. La pietra
è stata presa
da una grotta subacquea, ha dovuto chiedere il permesso di Poseidone
per
prelevarla. Poi aveva chiesto a Tyson di forgiare l’anello,
solo che… non è più
andato a prenderlo. Quindi Tyson è passato in modo che tu
potessi averlo
comunque.”
Annabeth
non
riusciva quasi a crederci. Infilò l’anello
all’anulare, e fu sorpresa di notare
che calzava perfettamente. Aprì la mano per ammirarlo
meglio, e doveva
ammettere che stava proprio bene anche con l’azzurro delle
unghie che Rachel le
aveva pazientemente dipinto la sera prima.
Si
era recata al
pino pensando di non ricevere alcun regalo, e invece…
Alzò
lo sguardo. La
sua famiglia la stava ancora osservando, ed Annabeth era consapevole
delle
lacrime che le stavano solcando il visto. Ma erano lacrime di gioia, di
speranza.
Sarebbe
andato tutto
bene.
Angolo autrice:
rieccoci.
Spero che vi sia
piaciuto, davvero. Ci ho messo
un bel po’ a scrivere. Sapete che odio pubblicare cose troppo
corte, e per le
3444 parole di questo ci ho impiegato un bel po’.
Ci sarebbero
73509435430584357 cose di cui vorrei
parlarvi a proposito del capitolo. Ci sono molti riferimenti a fatti
accaduti
nei libri, alcuni espliciti, ma altri rivelati anche solo attraverso un
arrossimento o una parola. Spero che li abbiate colti tutti :3
Ho dovuto per
forza menzionare Harry Potter e The
Hunger Games. Annabeth ce la vedo come una Potterhead sfegatata, e in
effetti ha un sacco di cose in
comune con
Katniss (per non parlare di Hermione!)
Chi
ha letto
The House of Hades? Vi va di
parlarne? Io l’ho adorato.
{Ditemi i vostri
account di Twitter e/o Tumblr
che mi va di seguire un po’ di gente}
Ogni recensione
è un biscotto blu di Sally,
quindi datevi da fare o Percy non farà merenda :P
Alla prossima,
Ginny_theQueen
♥
|
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Capitolo 10 *** quattordici febbraio. ***
un ringraziamento speciale
ad AleJackson, che supporta tutti i miei progetti pazzi ♥
14
febbraio
Annabeth
non aveva nemmeno realizzato che giorno
fosse.
Non
che le importasse comunque.
Terminate
le vacanze di Natale era dovuta tornare
a scuola, e non le era possibile recarsi al Campo ogni weekend, anche
se
avrebbe voluto.
Poi
si era imposta di andare a
trovare Sally il più possibile, ed al momento il suo
obiettivo principale era
quello. Per quanto amasse i suoi rumorosi amici del Campo, preferiva la
quiete
dell’appartamento alla confusione della Collina Mezzosangue.
Preferiva guardare
Sally piangere e confortarla, singhiozzare con lei, piuttosto che dover
fingere
di stare bene ed indossare una maschera.
Comunque
quel giorno Annabeth
fu chiamata con un messaggio Iride (mentre era nel bel mezzo dei
compiti di
trigonometria) da una Piper molto emozionata.
“Annabeth!”
“Hey
Piper.”
“Oggi
devi venire
assolutamente”
“Come,
scusa?”
“Vieni
al Campo, dobbiamo
mostrarti una cosa!”
Il
cuore di Annabeth mancò un
battito. “E’ successo qualcosa? Ci sono
novità? Dall’altro camp—“
“No,”
Piper la interruppe. “Ma ci vieni a trovare lo
stesso.”
“Piper,
ho un mucchio di
compiti e —“
“Niente
scuse, Butch ti sta già venendo a prendere con
Blackjack, perché suppongo tu preferisca il pegaso alla
metropolitana…”
“D’accordo,”
concluse Annabeth sconfitta.
Durante
il tragitto, Blackjack si comportò stranamente. Annabeth
capì che cercava di dirle qualcosa, e appena scesa gli
accarezzò la folta
criniera. Il pegaso nitrì.
“Sì,”
gli disse lei, “manca anche a me.”
Fantastico,
ora anche i cavalli mi parlano di Percy.
Piper
la stava aspettando,
mano nella mano con Jason.
Quel
semplice gesto strappò ad
Annabeth un sorriso, ma poi fu colta da un’ondata di gelosia
per il semplice
fatto che lei non stringeva la mano del suo
ragazzo da ormai due mesi, e non sapeva quando (e se)
l’avrebbe stretta di nuovo.
Che
depressione.
Solitamente
non si lasciava
cogliere da quel tipo di pensieri. Non
sono mica una figlia di Afrodite, si diceva.
Ma
non sei neanche un automa,
le rispondeva una vocina nella sua testa.
Sentire
due voci contrastanti
nella propria testa non era mai da considerarsi un buon segno.
Piper
la abbracciò, Jason si
limitò a stringerle la mano. Quel ragazzo era sempre
così maledettamente
formale. Così romano.
“Allora,”
cominciò la figlia
di Atena, “ditemi perché sono qui. Cosa volevi
mostrarmi, Pipes? L’Argo II è
pronta? Avete bisogno di una
mano?” chiese impazientemente. Quando Jason, Piper e Leo
erano tornati dalla
loro impresa a dicembre, era risultato chiaro che Percy si trovasse al
campo
romano, ma anche che non potevano fare un passo verso di lui
finché la nave che
Leo stava costruendo non era pronta.
“Frena,
frena. Non è niente
che non possa aspettare. Va’ a salutare Chirone, gli manchi
un sacco. E’ molto
preoccupato per te, sai?”
Annabeth
sorrise amaramente.
“Sì,
ma poi…?”
“Poi
hai tempo per passare a
salutare chi vuoi, farti un giro… mettiti comoda insomma.
Passo a prenderti per
cena.”
Annabeth
sbuffò, pensando che
se non si trattava di nulla di urgente allora sarebbe potuta rimanere
comodamente nel dormitorio della scuola.
Passò
da Chirone, ma l’argomento
Percy fu prontamente evitato da entrambi. C’erano pochissimi
campeggiatori,
quasi nessuno rimaneva al Campo durante l’inverno.
Incontrò
Clarisse e Chris che
andavano a duellare con la spada.
Ad
Annabeth risultava ancora
strano vedere Clarisse innamorata, e soprattutto, quasi dolce
con qualcuno.
Sembrava
che oggi incontrasse
solo coppiette.
Clarisse
le chiese quanto si
sarebbe trattenuta e Annabeth le rispose onestamente di non saperlo.
La
figlia di Ares accolse la
risposta con un’occhiatina complice al fidanzato e una risata
consapevole.
Dopo
essersi congedata, stanca
e scocciata, Annabeth decise di rifugiarsi nella sua cabina fin quando
Piper
non si fosse fatta viva.
Entrò
nell’edificio grigio
riprogettato personalmente da lei, e fu sorpresa di trovarvi ben tre
dei suoi
fratelli. Malcolm corse ad abbracciarla e lei realizzò solo
allora quanto le
era mancato il suo fratellone.
“Annie!
Hai saput—cioè,
volevo dire, quando sei arrivata?”
“Cosa
avrei dovuto sapere?” chiese sospetta.
“Niente!”
Malcolm
dovette sostenere lo sguardo indagatore della sorella, e
chissà come ci riuscì.
“Non
me la conti giusta,” gli
disse Annabeth tenendolo puntato con l’indice mentre salutava
gli altri
fratelli. Malcolm arrossì, poi si fece più serio.
“Allora,”
si schiarì la gola,
“come stai? Intendo sul serio.”
Annabeth
abbandonò la maschera
che indossava e rispose semplicemente, “Uno
schifo.”
“Come
dovrei stare? Percy è
sparito… ora abbiamo anche una vaga idea di dove possa
essere ma non posso
raggiungerlo! Sto uno schifo. Sono frustrata.
Non so nemmeno perché sono qui. Pensavo che Piper avesse
qualche novità riguardo
l’Argo, qualcosa che
potesse in
effetti farmi sentire più vicina a lui..
non sai quanto è frustrante stare seduta nella mia camera
tutto il tempo, andare
a scuola, fingere che non sia successo nulla… gli dei che
non rispondono, Gea…”
fece un profondo respiro.
“Siamo
sull’orlo di un’altra
guerra, e credo anche che siamo più preparati rispetto a
quella contro Crono.
Abbiamo passato tantissimi momenti difficili, abbiamo perso tanti eroi,
ma
sembrava tutto più facile, e sai perché?
Perché lui era
lì. Noi.. litigavamo spesso, per gelosia, per
caparbietà,
ma alla fine lui tornava sempre. Adesso è tutto diverso. Mi
sento sola, Mal. So che stai per
dirmi che non
sono sola, perché qui tutti mi vogliono bene, ed
è vero, lo so che siete tutti
con me. Ma mi sento tanto la bambina che scappò di casa a
sette anni. Sola ed
impotente.”
Malcolm
si limitò a fissarla,
consapevole che non avrebbe potuto dire nulla per consolarla.
Annabeth
uscì senza nemmeno salutare,
smaniosa di raggiungerlo.
La
cabina 3 era vuota da così
tanto tempo che sembrava riflettere tristezza.
Appena
entrata, Annabeth poté
finalmente sentire quel perenne profumo di mare che le era mancato
tanto.
Si
rannicchiò sul letto di
Percy cercando di riempirsi le narici di quel profumo. Era come se
fosse stato
lì la notte precedente.
Annabeth
si ritrovò a
sussurrare il nome di Percy, ancora e ancora, come un mantra. Non si
accorse
delle lacrime che silenziose le rigavano il volto finché non
posò la testa sul
cuscino bagnato.
Piper
passò a prenderla dopo
quella che sembrava un’eternità. Fuori era buio e
faceva decisamente freddo. Annabeth
non le chiese come sapeva che era nella cabina di Percy invece che
nella
propria.
“Hai
saltato la cena,” le fece
semplicemente notare la figlia di Afrodite.
“Volevo
stare un po’ da sola.
E poi non ho molta fame…”
“D’accordo.
Ora datti una
sistemata e andiamo.”
“Dove?”
“Sorpresa.
Forza.” Posò sul
letto la borsa che portava e ne cacciò una spazzola.
“I tuoi capelli sono un
disastro e hai le labbra tutte screpolate.” Le
passò uno stick di burro di
cacao alla vaniglia. “E non puoi girare a maniche corte,
Annabeth, siamo a
febbraio! Sai almeno che giorno è oggi?”
Annabeth
ci pensò su. No, non
sapeva che giorno era. Tutto quello che sapeva è che erano
passati due mesi
dalla sparizione di Percy, ma aveva perso il conto delle ore dopo tre
settimane
e dei giorni dopo un mese. Sapeva che il giorno dopo aveva un compito
di
trigonometria che sarebbe sicuramente andato malissimo visto che Piper
aveva
avuto la brillante idea di farla venire al Campo piuttosto che
lasciarla
studiare in pace, apparentemente per nessun motivo valido. Scosse la
testa e
l’altra sospirò.
La
borsa di Piper sembrava la
risposta a tutti i suoi problemi. La mora ne tirò fuori una
felpa azzurra e
gliela passò.
“No,
aspetta,” disse Annabeth
dirigendosi verso l’armadio. I vestiti di Percy erano ancora
lì. Un po’
stropicciati, ma c’erano. Prese una felpa rossa con la
scritta Goode High e la
indossò. Inutile dire
che portava ancora il suo profumo.
Piper
sorrise. In un paio di
minuti Annabeth fu quantomeno decente.
“Possiamo
andare.”
Giunsero
al grande falò
attorno al quale erano seduti tutti.
Leo
Valdez andò incontro ad
Annabeth e la salutò. “Allora,
dolcezza,” Annabeth gli lanciò
un’occhiataccia a
quell’appellativo. “Sai che giorno è
oggi?”
E’
diventata la domanda preferita di tutti?
Vediamo…
metà febbraio. Il mio compleanno è a luglio.
Quello di Percy ad agosto. La nave
non è pronta. Natale è passato da due mesi, per
Pasqua manca ancora un po’…
Oh.
Metà
febbraio...
“Oggi
è San Valentino,” le
disse Leo nel momento in cui Annabeth terminava il suo ragionamento
giungendo
alla medesima conclusione.
Non
aveva mai festeggiato San
Valentino. Era una festa stupida. E poi con chi avrebbe dovuto
festeggiarlo?
Non è che avesse avuto un ragazzo, prima di Percy. E ora
Percy non c’era.
Chissà per quanto non ci sarebbe stato ancora…
Annabeth
scartò l’ipotesi
formulatasi nella sua mente che Leo potesse chiederle di uscire
perché, per
quanto strano, quel ragazzo non era del tutto cretino e sapeva
sicuramente che
Annabeth gli avrebbe fatto assaggiare il suo gancio destro ad una
simile
proposta.
Quindi…?
“Quindi,”
prese a parlare
Piper dal momento che Annabeth non aveva dato alcuna risposta e Leo non
aveva
più continuato, “Abbiamo pensato di sottrarti alla
tua sicuramente noiosa
giornata di studio chiusa nel dormitorio della scuola, per festeggiare
qui
tutti assieme…” Piper le sorrise.
“Sappiamo che Percy ti manca da morire e
probabilmente vorresti essere con lui in questo momento, ma abbiamo
pensato ad
una consolazione.”
Piper
si spostò dalla visuale
di Annabeth permettendole di mettere bene a fuoco tutti coloro che
erano seduti
attorno al falò…
“Hanno
tutti qualcosa da
darti.”
…e
notare che ognuno di loro
aveva un fiore in mano. Rose, primule, asfodeli, gerani, gigli e
qualche specie
variopinta che non riconobbe. Leo prese un mazzo di asfodeli dalla sua
cintura
magica e glielo porse. Will Solace le sorrideva radioso, Jake Mason
starnutiva
ogni volta che avvicinava il naso alle primule che teneva in mano,
Chris
Rodriguez si guardava intorno con aria circospetta, come se stesse
cercando
qualcosa che gli era sfuggito.
“Ringrazia
la casa di Demetra
per i fiori!” le disse Piper.
“Piper,
ragazzi… non so cosa
dire. Siete la mia famiglia.”
Qualcuno
le tamburellò sulla
spalla.
“Ti
eri scordata di noi?” disse
Connor Stoll.
“Già,
altro che famiglia,” appoggiò
Travis.
“Mascalzoni!”
esclamò Annabeth
affettuosamente. “Da quanto tempo non ci vediamo?”
Essendo
gli Stoll figli di
Hermes e fratelli di Luke, Annabeth aveva passato molto tempo con loro
da
piccola. Non solo le estati, ma anche gli inverni, visto che Travis e
Connor
stavano al Campo tutto l’anno.
“Più
o meno da quando sei
tornata a scuola e non ti sei più fatta sentire,
Annabeth.”
“Comunque
abbiamo qualcosa per
te anche noi.”
I
fratelli le porsero una rosa
blu ciascuno e poi le diedero un bacio sulla guancia. Annabeth mise un
braccio
attorno alle loro spalle.
“Devo
andare a ringraziare
Katie e la cabina di Demetra e poi mi raccontate delle vostre ultime
malefatte,
okay?”
“Ti
accompagniamo,” offrì
Travis.
“Poi
ci aiuti a pianificare
uno scherzo geniale a Clarisse?” chiese Connor.
Annabeth
rise.
“Va
bene, tanto domani torno a
scuola e la sua rabbia non potrà
raggiungermi…”
“E’
bello sfruttare le tue
genialità da figlia di Atena per i nostri piani
malefici,” confessò Connor.
“Già,
c’eri mancata, Annabeth,”
ammise Travis.
Annabeth
li strinse a sé.
Angolo
autrice: è un bel po’
che non ci vediamo. Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui!
Francamente, la causa principale per cui sto aggiornando
così a rilento sono le
poche recensioni. Poi ci si mette anche la scuola e comunque negli
ultimi tempi
ho scritto e pubblicato parecchie one-shot, per cui Missing
al momento non è la mia priorità…
comunque, spero che questo
capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere che ne pensate e magari il
prossimo
arriverà presto.
Grazie
ancora a chi segue e
recensisce la storia, sappiate che la continuo per voi.
Alla prossima,
Ginny_theQueen
♥
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Capitolo 11 *** marzo ***
Note:
è un capitolo un po’ diverso dal
solito…
buona lettura, ci vediamo giù.
E’ una
mattina di metà marzo e due ragazze sono
sedute sul molo del laghetto delle canoe. Thalia è tornata a
fare visita. E’
andata al Campo più frequentemente in quei tre mesi che
negli ultimi due anni.
Ma Annabeth ha bisogno di lei e lei deve starle accanto, non importano
le
conseguenze. Artemide potrebbe adirarsi, ma non importa. Thalia deve
tornare a
ricoprire il ruolo della sorella maggiore di nuovo, ed è
passato così tanto
tempo dall’ultima volta. Annabeth ha bisogno di lei ed
è l’unica cosa che le interessa.
Okay, forse
influisce il fatto che anche il suo vero
fratello minore, Jason, che credeva
morto, si trova al Campo Mezzosangue. Proviene dal Campo Giove, il
campo
romano. Pretore della Dodicesima Legione Fulminata, dice. Comunque sono
passati
tre mesi e ha riavuto la maggior parte dei ricordi che Sua
Stupidità Reale Era la
regina dell’Olimpo gli aveva rubato. Dice che gli manca il
Campo Giove, ma
Thalia non sa se lo dice solo perché deve o se lo pensa
veramente. Non è brava
come Annabeth a leggere le persone. Comunque sembra che Jason si sia
abituato
piuttosto velocemente al Campo Mezzosangue. Ha fatto amicizia con tutti
–
figlio di Giove (che poi non dovrebbe essere Zeus?), potente, chi non
vuole
essere suo amico? E’ molto bello e ci sono alcune che lo
vogliono come più che
un semplice amico. Drew, l’ex capocabina di Afrodite, ci ha
provato più volte.
Ma Jason sembra abbastanza contento della ragazza con cui esce ormai da
tre
mesi, quella con cui ha fatto l’impresa, Piper. A Thalia non
sono mai piaciute
le storie d’amore, ma quei due stanno davvero bene insieme,
ed è molto felice
per loro.
Ma –
deve ammetterlo, anche considerando la
situazione attuale – non ha mai visto
una coppia più
fatti-l’uno-per-l’altra di Percy e Annabeth. Sono
giovani e senza esperienza in
campo di romanticismo, ma il loro amore reciproco è
sconvolgente.
Quando Thalia
era tornata umana aveva scoperto
che le cose erano profondamente diverse da quando era morta. Luke li
aveva
traditi per i Titani e Annabeth non era più una bambina. Era
cresciuta, aveva
partecipato a diverse imprese, credeva di essere innamorata –
e lo era, solo,
non del ragazzo che credeva. Percy l’aveva cambiata, nel bene
e nel male. O
forse era stato il tradimento di Luke, o addittura la morte di Thalia.
Dopo la
fine della Guerra dei Titani, Percy e Annabeth si erano finalmente
messi
insieme, e Clarisse, che conosce Annabeth da quando avevano nove anni,
giurò di
non aver mai visto Annabeth sorridere così spesso.
E
ora… le cose sono cambiate di nuovo.
Annabeth ostenta
di nuovo un’espressione di
coraggio, uno sguardo alla ‘so cosa sto facendo’.
L’ha sempre fatto, per quello
che Thalia ricorda, sin da quando era una bamina determinata e cocciuta
di
sette anni. Ma Thalia la conosce e sa anche che tutto quello che
Annabeth
desidera adesso è tutto ciò che Era le ha portato
via. Rivuole solo Percy,
niente di più.
Annabeth guarda
intensamente l’acqua, come se
Percy potesse spuntare fuori dal lago all’improvviso. Il
vento soffia e la
superficie del lago s’increspa. Annabeth rabbrividisce e
Thalia l’abbraccia
istintivamente, per proteggerla dal freddo e dalla solitudine,
perché non
importa quante persone la circondino in questi giorni, Annabeth
è sempre sola.
Parla di rado, mangia di rado, ormai non fa nemmeno più
allenamento. Thalia cerca
di starle vicino, ci prova davvero. Si sforza di portare le Cacciatrici
al
Campo ogni qualche settimana, anche se odiano starci. Ogni tanto ci
viene da
sola. Sa che Annabeth sarebbe in buone mani anche senza di lei, ma si
sente
responsabile. Piper le sta simpatica e si fida di lei, si è
dimostrata una
buona amica per Annabeth. Thalia ne è anche un po’
gelosa, perché è inevitabile
che Piper la rimpiazzerà come migliore
amica di Annabeth. Ma non può davvero incolparla.
E’ sua la colpa, è lei che ha
scelto una strada diversa: ha scelto le Cacciatrici, Artemide,
l’immortalità.
Piper farà bene ad Annabeth.
Annabeth non la
guarda. In questi giorni
raramente guarda le persone, raramente le nota. E’ rinchiusa
in qualche marte
della sua mente, cercando di raggiungere Percy.
Thalia sa che
farà tutto il possibile per
riaverlo, ma se non funziona? E se Era la stesse punendo, e se Afrodite
volesse
che finiscano in tragedia? Thalia sa che le si spezzerà il
cuore. Ma alla fine
riuscirà ad andare avanti. E Thalia vuole assicurarsi che
succeda il più presto
possibile. Vuole solo tenerla al sicuro ed aiutarla a guarire. Vuole
solo
tenerla vicina.
Sospira e fa un
altro respiro profondo.
Ad Annabeth non
piacerà quello che sta per dirle,
ma deve dirlo.
“Annabeth,
stavo pensando che magari… se… magari
se la Testa di Alghe – pensavo che magari potessi unirti a
noi. Io, te e tante
altre tipe toste che uccidiamo mostri come una volta.”
Annabeth si
volta a guardarla, e per la prima
volta da quando è arrivata la guarda per davvero. Le
dà il suo migliore sguardo
della morte. Quello che terrorizza Grover. Per un momento, i suoi occhi
grigi
sono di nuovo tempestosi, pieni di vita e di energia. Thalia
è quasi felice di
aver pronunciato quelle parole – anche se sa che Annabeth la
sta odiando –
perché almeno ha innescato una reazione. Vede di nuovo
quella scintilla in lei.
Vale quasi la pena dell’amara risposta che segue.
“Grazie
dell’offerta, Thalia, ma dovò rifiutare.
Percy potrà avere alghe nel cervello, ma tornerà.
O lo prenderò a calci in culo. Io sono fatta per condurre,
non per servire.
Soprattutto, non per servire una dea, dopo quello che gli dei hanno
appena
fatto.”
“E’
stata Era, lo sai. Solo Era. Ad Artemide
piacevate tu e Percy, non avrebbe–“
“Allora
perché nessuno l’ha impedito? Perché
qualcuno non ha fermato Era? Persino il padre di Percy non ha fatto
niente. Gli
dei possono far finta di non vedere, ma sanno tutto. A loro non
importa. Non
sarò la pedina nello schema di qualcun altro, Thalia. Non lo
sono.”
Si alza e se ne
va. Thalia sa che Annabeth non
vuole essere seguita, quindi non lo fa. Rimane seduta sulla banchina e
guarda
l’oceano in lontananza, pregando che tutto questo possa
finire presto.
Angolo
autrice: eccomi,
finalmente. Dovevo cambiare qualcosa o
questo capitolo non si sarebbe mai scritto da solo. Quindi ho scelto
una
tecnica narrativa diversa e soprattutto, il POV di Thalia. Il
cambiamento non è
permanente, torno a concentrarmi su Annabeth dal prossimo in poi.
Dovevo
staccare un po’, altrimenti troppa depressione per me e per
voi.
Comunque, vi
è piaciuto? A me sì, sinceramente.
Recensite, mi
raccomando. <3
Alla prossima,
Ginny_theQueen
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