Pastelli Rossi

di LyraB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Pastelli rossi





L'aria era tiepida a Sacramento, in quella tarda serata di inizio estate. L'orologio digitale sulla parete dell'open space segnava le 23:35 e l'unica luce ancora accesa era quella nell'ufficio di Teresa, dove l'agente del CBI stava lavorando ad alcune scartoffie arretrate nel pacifico silenzio della notte.

- Non credi sia ora di andare a casa? -
La voce di Patrick, lungo disteso sulla poltrona con le braccia conserte dietro la testa, ruppe il silenzio così bruscamente che Teresa sussultò, facendo uno scarabocchio.
- Finisco questo rapporto e poi vado a casa, io. - Replicò cercando di rimediare al pasticcio: detestava i rapporti disordinati.
- Buono a sapersi. Non vedo l'ora di farmi una bella dormita. - Replicò Patrick, sistemandosi più comodo sul divano e continuando a fissare il soffitto con un sorriso sornione dipinto sul viso.
Teresa stava dando un'ultima rilettura al rapporto che aveva appena completato quando il telefono sulla sua scrivania squillò.
- Chi sarà mai a quest'ora... - mormorò tra sè e sè afferrando la cornetta.
Patrick si mise subito seduto, fissando Teresa con aria curiosa per l'intera durata della telefonata. Quando riattaccò, la donna si alzò prendendo la giacca.
- Spero che tu non abbia troppo sonno, perchè abbiamo da fare. -
- Non dico mai no a un'attività interessante. - Rispose Patrick, prendendo la sua dall'attacapanni e seguendola fuori dall'ufficio.

Teresa scese dalla sua Chevrolet scura chiudendosi la portiera alle spalle con un sospiro.
- Un posticino accogliente. - Sentenziò Patrick, scendendo dal posto del passeggero e avvicinandosi all'ingresso dell'enorme condominio grigio senza giardino nè balconi nella più incolore periferia della città.
Tersa gli lanciò un'occhiata obliqua, a cui il detective rispose con uno dei suoi mezzi sorrisi.
- Era per dire. - Replicò.
- Andiamo. -
Due agenti li aspettavano sul pianerottolo del terzo piano, un minuscolo spiazzo rinchiuso tra muri scrostati e una ringhiera arrugginita, illuminato solo da un vecchio neon ronzante sopra le loro teste. Una signora sui settant'anni, avvolta in uno scialle di lana e con una fila di bigodini sui capelli grigi, li aspettava sul pianerottolo.
- La signora Holly Reed. - La presentò uno dei due uomini.
- Agente Teresa Lisbon, CBI. È lei che ci ha chiamati? - Domandò Teresa.
L'anziana signora annuì gravemente.
- Ero appena andata a letto e ho sentito qualcuno litigare violentemente. Cercavano di tenere i toni bassi ma sa, in questi fabbricati le pareti sono sottili e non si può non sentire... - Disse la signora.
Teresa e i due agenti si scambiarono uno sguardo: la differenza tra sentire e ascoltare era data dalla volontà di chi possiede il paio di orecchie, ma in un condominio come quello non ci potevano essere molte novità e perfino un litigio doveva essere un grande evento.
- Chi abita qui? - Domandò Patrick, annusando l'aria.
- Un uomo e una donna. Brutta gente, lasciatemelo dire. Hanno l'aria di due delinquenti... Non li conosco, non mi fermo mai a parlare con loro. È brutta gente, ve lo ripeto. -
Teresa alzò gli occhi al cielo: vista l'età della signora che aveva fatto la dichiarazione era solo una coppia alternativa con piercing, orecchini e l'abitudine di ascoltare la musica troppo alta all'ora delle telenovele.
- Ora sembra tutto tranquillo, capo. - Disse un agente. - Siamo qui da cinque minuti e non si è sentita volare una mosca. -
- Ma è questo il punto! - Intervenne la signora Reed. - Quando siete arrivati, bum! Basta grida, basta sedie trascinate, basta discussioni. Silenzio, solo silenzio. Dev'essere successo qualcosa, glielo dico io. -
- Non possiamo irrompere nell'appartamento di un privato cittadino nel cuore della notte solo perchè lei pensa che sia successo qualcosa. - Spiegò Teresa.
- Si fidi del sesto senso di una donna. - Disse la signora.
Teresa alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi al campanello.
- Non serve suonare. - Disse Patrick, fermandola prima di farle premere il bottone. - È aperto. -
Spinse la porta con delicatezza e il vecchio battente alleggerito dal tempo scivolò sui cardini senza fare rumore. Un minuscolo soggiorno dalle pareti stinte era illuminato solo dalla televisione che, muta, trasmetteva il David Letterman Show.
Una porta sulla destra lasciava intravedere un angolo cottura incrostato e una tenda sulla sinistra camuffava l'assenza di una porta, di cui rimanevano solo i cardini arrugginiti. Un tavolino dalle gambe di metallo, una vecchia credenza piena di oggetti di vetro impolverato e una singola finestra con le tende chiuse erano tutto l'arredo di quel misero soggiorno. Un po' dovunque c'era disordine: vestiti piegati alla bell'e meglio, pigne di fogli di carta spiegazzati, matite e penne un po' dovunque.
- È permesso? - Disse Teresa, avvicinandosi - Agente Lisbon, CBI. Siamo stati chiamati... -
- Non credo che ti possano sentire. - Disse Patrick in un sussurro.
Mentre i loro occhi si abituavano al buio le figure di due corpi prendevano lentamente forma tra le ombre e il disordine del soggiorno.
La signora Reed indietreggiò, coprendosi la bocca con le mani e reprimendo un grido. Teresa invece sospirò, capendo che non sarebbe andata a letto tanto presto.
Sulla sinistra, afflosciato contro lo stipite scrostato della porta che dava verso l'angolo cottura, stava un uomo sulla trentina. Era robusto, stempiato, portava solo un paio di calzoni sportivi e una canottiera che lasciava vedere le braccia ricoperte di tatuaggi. La bocca storta, gli occhi semichiusi e la scia rossastra sullo stipite dietro di lui non lasciavano spazio a molti dubbi: era morto, col cranio fracassato.
Non molto lontano da lui, distesa supina sulla moquette macchiata dell'appartamento, stava una donna, anche lei sulla trentina. Alta e magra, indossava una minigonna di pelle, un paio di sandali col tacco alto e un top di lurex argentato. Aveva lunghi capelli chiari, in disordine, ed era truccata con cura in modo piuttosto pesante. I suoi occhi vacui rivolti all'indietro dimostravano che anche lei era morta.
- Vede? Lo sapevo, lo sentivo io che era successo qualcosa! - Esclamò la signora Reed, riemergendo dalla sua trance con espressione angosciata ma con gli occhi che tradivano l'emozione.
- Non credo che stia bene emozionarsi tanto per la morte dei propri vicini di casa, signora Holly. Mi rendo conto che le sembra di ritrovarsi nell'ultima puntata della Signora in Giallo ma no, questo non è un telefilm. Qui abbiamo due persone morte, morte davvero, e questo non è emozionante. È triste. - Disse Patrick lentamente, guardando negli occhi l'anziana signora.
- Volete... volete un caffè? Vado a farlo. - Fu la risposta della signora Reed; un momento dopo era sparita nel suo appartamento chiudendosi la porta alle spalle.
Teresa, intanto, aveva chiamato Grace, Wayne e Kimball al cellulare, spedendo Wayne e Kimball in ufficio a cercare informazioni sugli inquilini dell'appartamento e chiedendo a Grace di raggiungerla per un primo sopralluogo.
Patrick si aggirava per l'appartamento, osservando tutto quello che lo circondava con i suoi acuti occhi azzurri e soppesando ogni singolo dettaglio col viso concentrato di chi sta vedendo molto più di quello che sembrava.
- Abbiamo due corpi, un uomo e una donna, sulla trentina. - Diceva intanto Teresa, al telefono col comandante. - Li abbiamo trovati per caso, una vicina ci ha chiamato e... -
- Sssh, abbassa la voce. - Le disse all'improvviso Patrick, voltandosi verso di lei.
La donna gli rivolse uno sguardo interrogativo, continuando a parlare al telefono e riattaccando all'improvviso.
- Mi spieghi perchè dovevo abbassare la voce? Non ho un tono di voce tale da svegliare i morti! - Esclamò Teresa spazientita.
- Chi siete? - domandò una voce insonnolita alle sue spalle.
Teresa si voltò con un sussulto: davanti a lei stava una bambina di più o meno cinque anni con i capelli scuri e indosso un pigiama azzurro. Teneva la tenda scostata con una mano, mentre con l'altra si sfregava gli occhi.
- I morti no, ma lei sì. - Rispose Patrick in un sussurro. Si avvicinò alla bambina, si accovacciò davanti a lei e le sorrise. - Io sono Patrick. Tu sei? -
- Dorothy. - Disse la bambina.
- È un bel nome. - Esclamò Patrick con un sorriso luminoso. - È anche quello della... -
- Protagonista del Mago di Oz, sì. È la favola preferita del papà. - Rispose la bambina. - Perchè siete qui? -
Patrick alzò gli occhi verso Teresa, la quale guardava la bambina con uno sguardo indefinibile negli occhi verdi.
- Ecco, vedi... - Iniziò Patrick, con il tono lento di quando stava convincendo qualcuno a fare quello che voleva lui a prescindere dalla sua volontà.
A interromperlo fu uno degli agenti, che comparve sulla porta dell'appartamento con un uomo vestito di scuro.
- Capo, è arrivato il coroner. -
- Ah. Sì, bene. Fatelo entrare. - Replicò distrattamente Teresa.
Un uomo vestito di scuro e un paio di assistenti con le lettighe entrarono nel minuscolo appartamento sotto gli occhi di Patrick, Teresa e della bambina.
- Che cosa sta succedendo? - Domandò di nuovo la bambina. - Perchè li portano via? - I suoi grandi occhi scuri si posarono prima su Patrick e poi su Teresa.
La donna lanciò uno sguardo supplichevole al collega, sperando che lui potesse dire quello che bisognava dire nel modo giusto. Quando vide che Patrick fissava la bambina senza dire nulla, decise che era suo compito intervenire: mentre il medico legale e i suoi assistenti uscivano assieme alle lettighe, si abbassò per avere gli occhi all'altezza di quella della bambina e iniziò, con la voce più calma e distaccata che riuscì a trovare.
- Ecco, vedi, i tuoi genitori... -
- Non sono morti! - Esclamò la bambina all'improvviso, capendo tutt'a un tratto cosa stava succedendo. - Non sono morti, stanno solo dormendo! Poi si svegliano e la mamma cucina i muffin, e io e papà disegniamo! Non li portate via, non sono morti! -
Fece per rincorrere il coroner, ma l'apparizione sulla porta di Grace la fece bloccare in preda allo stupore. Fece un passo indietro, confusa, e si scontrò contro le gambe di Teresa. Rimase aggrappata alle ginocchia della donna col viso nascosto contro i suoi pantaloni, mettendola in imbarazzo al punto di farle scordare completamente quello che stava per dire. Cercando di recuperare l'autocontrollo e mantenersi impassibile, Teresa raccontò a Grace quanto successo fino a quel mometno; mentre parlavano, la signora Reed comparve sul pianerotto con un vassoio di plastica su cui campeggiavano quattro grosse tazze di caffè fumante. L'anziana signora si avvicinò con un sorriso imbarazzato e fu solo quando ebbe appoggiato il vassoio sul tavolo che si rese conto della bambina.
- Oh Madre del Cielo, e questa bambina chi è? - Esclamò l'anziana signora, in preda a sincero stupore.
- Dev'essere la figlia dei suoi vicini di casa... non l'ha mai vista prima? -
- No, assolutamente. - Disse la signora. - Quindi, oltre che drogati, erano anche rapitori... oh, Cielo, devo proprio dire a Karl di portarmi via da questo posto... - Borbottò tra sè mentre toglieva le tazze dal vassoio e lo stringeva a sè prima di uscire.
- Non mi hanno rapita! Sono i miei genitori! - Gridò Dorothy, lasciando le gambe di Teresa e affrontando la donna con gli occhi luccicanti di rabbia.
La signora Reed fece un passo indietro, spaventata dallo scatto d'ira di una bambina così piccola, si scontrò contro altri agenti del CBI arrivati per il sopralluogo e approfittò del piccolo momento di confusione dovuto al loro arrivo per defilarsi.
Patrick raggiunse la bambina e si accovacciò di nuovo accanto a lei, guardandola con un sorriso paziente.
- Hai detto che il tuo papà disegnava con te? - Domandò con calma.
Dorothy annuì.
- E che la tua mamma cucinava i muffin? -
- Sono i miei dolci preferiti. -
- Anche i miei. Ti piacerebbe mangiarne uno? -
Dorothy lo guardò mordendosi le labbra, soppesandolo con lo sguardo per capire se poteva fidarsi di lui. Poi si lasciò andare ad un sorriso e annuì.
- Vieni, so dove li teneva la mamma. - Disse poi, facendogli cenno di seguirlo in cucina.
Seduti al minuscolo tavolino traballante attaccato alla parete, Patrick e Dorothy mangiavano il loro muffin alle pepite di cioccolato senza parlare.
Il detective si guardava intorno con aria curiosa, soffermandosi sui disegni appesi al muro con lo scotch, alla montagna di piatti da lavare nel lavandino e al fornello incrostato di sporco e ruggine. Nello scolapiatti privo di un'anta c'era un bicchiere rosa con le farfalle, che Dorothy aveva espressamente etichettato come suo quando Patrick si era alzato per cercare qualcosa per farsi un tè. Teresa fece capolino in cucina e guardò Patrick con gli occhi spalancati.
- Che stai facendo? -
- Facciamo merenda. -
- Questo lo vedo. Che ne pensi di venire di là? Di lavorare un po', magari? Di fare un po' il detective? -
- Arrivo subito. -
Dorothy li fissava con occhi curiosi e con le gambe che dondolavano mentre si leccava la cioccolata dalle punte delle dita.
- Quando tornano i miei genitori voi andate via? - Chiese con innocenza. - Quando escono dall'ospedale, intendo. Quando i medici si accorgono che non sono morti. -
Patrick uscì dalla cucina senza rispondere, lasciando Teresa in balia dello sguardo indagatore di quella bambina troppo sveglia.
- Ora stai qui buona, ok? - Disse, decidendo di evitare l'argomento per il momento. - Non ti muovere. -
- Ma mi annoio! - Esclamò la bambina. - Voglio un foglio e le mie matite colorate. -
Teresa alzò gli occhi al cielo, senza riuscire però a trattenere un sorriso.
- Jeff, per favore, porta un foglio e dei pastelli a questa bambina. - Disse Teresa, rivolgendosi a uno degli agenti in soggiorno. - Tu non ti muovere da qui, ok? -
Erano quasi le due quando la scientifica decise che i rilievi più urgenti erano fatti e che potevano rimandare il resto a domattina. Il medico legale aveva promesso i risultati per l'indomani, Grace sbadigliava ogni volta che sapeva di non essere vista e Teresa iniziava ad avere mal di testa. Patrick era l'unico che si aggirava ancora per la casa con il suo sguardo attento e nessuna stanchezza dipinta sul volto.
- Bene, possiamo andarcene. Jeff, Chern, chiudete la porta a chiave e portate le chiavi al CBI. VanPelt, va' pure a casa, continuiamo domattina. - Disse Teresa. - Jane? -
Patrick si voltò verso di lei, guardandola con l'aria assente di quando era perso nei suoi ragionamenti. Teresa gli indicò la porta col capo, ma Patrick sembrò non vederla, preso com'era dalla sua ispezione della credenza.
- Capo, cosa facciamo della bambina? - Domandò uno degli agenti.
Dorothy ricomparve improvvisamente tra i pensieri di Teresa e la donna si costrinse ad affacciarsi in cucina. Addormentata con la testa posata su un braccio e ancora con la matita in mano, Dorothy era seduta al tavolo esattamente dove l'aveva lasciata.
- Posso occuparmene io, per stanotte. - Disse la voce della signora Reed, ferma sulla porta.
- Lei? -
- Mi dispiace per come mi sono intromessa nelle vostre indagini, agente Lisbon, e credo che questa povera creatura non abbia colpa per quei delinquenti dei suoi genitori... se sono davvero i suoi genitori, anche se io non lo credo affatto... -
Teresa guardò la bambina addormentata e l'anziana signora davanti a lei. Non poteva chiamare gli assistenti sociali a quell'ora di notte e anche se l'avesse fatto le avrebbero detto che non avrebbero potuto fare niente prima della mattina successiva. Stava ancora pensando al da farsi quano Patrick si avvicinò all'anziana donna e le prese una mano tra le proprie.
- Allora d'accordo, signora Reed. Domani contatteremo i servizi sociali e la faremo venire a prendere. Per il momento, grazie. - Disse accorato, tenendo gli occhi fissi nei suoi.
Teresa aprì la bocca per protestare, ma si rese conto che - nonostante Patrick l'avesse scavalcata per l'ennesima volta - in fin dei conti aveva fatto la scelta migliore.
L'agente Chern prese Dorothy tra le braccia e la trasportò, profondamente addormentata, nell'appartamento della signora Reed. Teresa si lasciò alle spalle l'appartamento deserto e i due agenti incaricati della sorveglianza e si avviò verso l'automobile, ben sapendo che non sarebbe riuscita a dormire a lungo nemmeno quella volta.






















Primissimo esperimento in questo fandom di cui mi sono innamorata!
Sto seguendo la quarta stagione su Rete4,
ma ho intenzione di recuperare anche tutte le precedenti..
È anche la prima volta che provo a scrivere un giallo
- anche se seguo da anni un sacco di polizieschi -
quindi spero di non fare grossi pasticci nello svolgimento delle indagini.
Ci tengo molto anche all'IC, quindi se trovate qualcuno dei personaggi
molto diverso da quello reale, fatemelo sapere!

Grazie di aver letto, spero continuerete a seguire la vicenda!
Bacibaci, alla prossima!
Flora

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Capitolo 2
*** Due. ***






La mattina successiva annunciava una splendida giornata di giugno: il sole splendeva vivace nel cielo turchese e dalle finestre del CBI si poteva vedere la gente passeggiare per strada o fare footing, grata del tempo splendido.
Teresa era appena arrivata in ufficio e si stava preparando il suo caffè del buongiorno, molto forte e molto dolce al tempo stesso, sperando che scacciasse il sonno che le era rimasto addosso nonostante fosse riuscita a dormire un po'. Patrick pareva aver dormito sul divano del CBI per l'ennesima volta, ma sfogliava il libro del Mago di Oz con l'aria di chi aveva goduto di un lungo sonno ristoratore.
- Allora, cosa abbiamo? - Domandò Teresa, appoggiandosi alla scrivania di Grace e preparandosi ad ascoltare ciò che avevano trovato mentre sorseggiava il suo caffè.
- Gli inquilini del 152 di Sicomor Grove sono Shayla e Rick Fairbanks. - Iniziò Grace, passando un fascio di fogli a Teresa. - Entrambi ventisette anni, sposati da dieci. Sono andati via di casa a sedici anni: abitavano in Arizona, ma non sono più tornati là; i genitori di Rick sono morti e la madre di Shayla si è trasferita oltreoceano dieci anni fa, praticamente sono soli al mondo. -
- Non si sono mai fermati a lungo in un posto, limitandosi a cambiare residenza un paio di giorni prima della scadenza della prima rata dell'affitto. Abitavano a Sicomor Grove da circa un anno, è il primo posto in cui si sono fermati così a lungo. - Continuò Wayne. - Ho chiamato il proprietario dello stabile, dice che erano sempre in ritardo con l'affitto ma che fino a questo momento sono sempre riusciti, più o meno, a saldare i conti senza rischiare lo sfratto. -
- Ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che Rick Fairbanks lavorava come pony express per la Flashand, un'azienda di consegne fuori città. - Disse Kimball. - Pensavo di andare a fare un giro per chiedere informazioni. -
- Ottima idea, vai con Rigbsy. Avete scoperto se quella bambina è davvero figlia loro? -
- Non c'è traccia di una Dorothy Fairbanks da nessuna parte. - disse Wayne. - Anagrafe, scuola, asilo... nemmeno nei registri degli ospedali. Pare non esista. -
- Eppure esiste, e Lisbon l'ha vista bene. - Disse Patrick, intervenendo improvvisamente nella discussione, mettendosi seduto e posando il libro sulla testiera del divano. - Come quando si è aggrappata alle tue ginocchia. Avevi lo sguardo di chi non sapeva che pesci prendere. - Disse con un sorrisetto divertito.
- Chiudi il becco, Jane. - Gli intimò Teresa.
- Oh. - Patrick tacque, ma la luce nei suoi occhi azzurri, ancora fissi sul capo della squadra, diceva che non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere quel discorso.
- Continuate a cercare: quella bambina esiste, ha cinque anni, in tutti i loro spostamenti dovranno pure aver lasciato qualche traccia. -
- Agente Lisbon? - La voce burbera di un uomo interruppe il loro discorso e costrinse tutti a posare la propria attenzione sul cinquantenne stempiato che era comparso nel loro ufficio, con un completo nero impeccabile nonostante la giornata calda. Per mano teneva una bambina scalza e spettinata, con un pigiama azzurro e grandi occhi neri.
- È stata sua l'idea di lasciare questa bambina con mia madre? -
- Se non le dispiace, gradirei sapere con chi sto parlando. - Replicò secca Teresa.
- Karl Reed, sono il figlio di Holly Reed, abita all'intero 14 del 152 di Sicomor Grove. Mia madre è anziana, come vi è venuto in mente di darle la custodia della bambina rapita da due delinquenti? Volete coinvolgerla in questo caso? - Esclamò l'uomo, visibilmente alterato.
- Non sono stata rapita! Sono i miei genitori! - Protestò Dorothy.
- Sta' zitta, tu! -
- Signor Reed, si rilassi! - Esclamò Teresa.
- Non mi rilasso, agente Lisbon! Lei ha circuito mia madre e le ha affidato una minore sconosciuta, le sembra un comportamento adeguato? Me lo dica, se le sembra un comportamento adeguato a un pubblico ufficiale! Siete degli irresponsabili! I suoi superiori ne saranno informati! -
Mnetre Karl parlava, Dorothy cercava disperatamente di liberarsi dalla sua stretta, usando la mano libera per allentare la presa dell'uomo; quando finalmente fu libera si precipitò al fianco di Teresa, nascondendosi dietro le sue gambe e stringendole la mano con tutta la forza delle sue piccole dita.
Grace e Wayne si scambiarono uno sguardo, mentre Patrick distoglieva lo sguardo dalla scena per nascondere il mezzo sorriso che gli si era disegnato sul volto. Teresa, però, non si era accorta di niente: l'irruzione di quell'uomo prepotente nel suo ufficio a metà del suo caffè della mattina e dopo solo cinque ore di sonno la faceva andare su tutte le furie.
- Non le permetto di alzare la voce in questo ufficio, signor Reed. - Disse, con la gelida calma data dalla rabbia. - Se ne vada immediatamente e non ci saranno conseguenze. -
- Oh, ci saranno conseguenze. Per voi, ci saranno conseguenze! - Disse Karl Reed, sostenendo lo sguardo di Teresa per altri cinque secondi. Poi, senza dire altro, si voltò e uscì dall'ufficio seguito solo dal rumore dei suoi costosi mocassini neri.
Quando l'uomo fu uscito, Teresa si potè dedicare alla sensazione di disagio dovuta alla bambina aggrappata alle sue ginocchia.
- D'accordo... Dorothy, tranquilla, è tutto a posto. -
Allontanò delicatamente la bambina dalle proprie gambe e si chinò alla sua altezza
- Hai fame? - Quando Dorothy annuì, Teresa le sorrise. - Lo vuoi un muffin? -
Dorothy annuì ancora di più, con gli occhi che brillavano.
- Se non ti dispiace, Lisbon, ci penso io. Conosco un posto che fa muffin ai mirtilli da leccarsi i baffi. - Disse Patrick avvicinandosi a loro.
- Bene. - Disse Teresa, sollevata, lasciando la mano di Dorothy e facendole cenno di andare con Patrick.
- Capo... non puoi farla andare in giro così. - Intervenne timidamente Grace.
Teresa si fermò a guardare il pigiama di Dorothy e i suoi piedini nudi sul linoleum dell'ufficio mentre aspettava che Patrick indossasse la giacca e si rese conto che no, non poteva lasciarla andare così.
- Aspetta nel mio ufficio, Dorothy. Patrick ti porterà i muffin. -
Sia Dorothy che Patrick la guardarono contrariati, ma Teresa alzò le sopracciglia impedendo al detective una qualunque obiezione, sfidandolo a contraddirla. Per tutta risposta lui alzò le mani in segno di resa e si allontanò da solo.
- Cho, Rigsby, andate alla Flashand. - Ordinò Teresa. - VanPelt, tu mettiti al computer e rintraccia tutti gli affittuari che i Fairbanks hanno avuto, qualcuno dovrà pur avere notizie di questa bambina. -
- Subito. -
Teresa prese i fogli e la tazza di caffè ormai freddo e andò nel suo ufficio. Dorothy era lì, seduta sulla sua sedia girevole, e si guardava in giro con i grandi occhi neri stupiti e curiosi.
- Questo posto è la tua camera? - Le domandò.
- È il mio ufficio, dove lavoro. - Le disse Teresa, facendole cenno di alzarsi.
Con un saltello la bambina scese dalla poltrona e si buttò sul divano, appoggiando i gomiti al bracciolo e sostenendosi il viso con le mani mentre guardava Teresa leggere il fascicolo dei Fairbanks e bere il caffè. I suoi occhioni scuri la facevano sentire inquieta, così Teresa si ritrovò ad alzare gli occhi sempre più spesso.
- Tutto bene? - Le chiese alla fine, spazientita.
- Lavori tanto? - Domandò Dorothy.
- Tutto il tempo che è necessario per prendere i cattivi. -
- E ci riesci sempre? -
- Quasi sempre. - Le rispose con un sorriso.
- Devi essere molto coraggiosa. - Disse Dorothy ammirata.
Teresa, suo malgrado, sentì le guance avvampare.
- Non esagerare. -
Dorothy si mise a pancia in su, distesa sul divano, e Teresa sorrise al pensiero che quella bambina si era appena sistemata nello stesso posto e nella stessa posizione di un bambino molto più grande. Come richiamato dai suoi pensieri, Patrick aprì la porta con un sorriso divertito negli occhi azzurri e mostrando un sacchetto di carta marrone.
- I muffin! - Esclamò Dorothy, alzandosi dal divano e correndo incontro a Patrick.
- Uao, alla banana! I miei preferiti! - Esclamò tirando fuori una tortina e tenendola in entrambe le mani per poterla osservare meglio. - Come hai fatto a indovinarlo? -
- Facile, so leggere nel pensiero. -
Dorothy lo fissò con gli occhi spalancati.
- Impossibile. - Disse poi, col sorriso di chi sa di non esserci cascata.
- Invece sì. Adesso stai pensando che non è possibile che qualcuno ti legga nel pensiero. -
Dorothy arricciò le labbra, punta sul vivo, e Patrick non aggiunse altro, limitandosi a lanciare a Teresa un sorriso. La donna gli rispose con uno dei suoi rari sorrisi: era sempre bello quando quel consulente ostinato e ribelle usava le sue doti di grande osservatore per rasserenare qualcuno.
Dorothy rimase tranquilla sul divano per tutto il tempo che i muffin alla banana la tennero impegnata, permettendo a Teresa di leggere l'intero fascicolo e di finire in pace il suo caffè.
Nel frattempo Grace fece le telefonate che doveva fare e raggiunse Teresa.
- Nessuno degli affittuari ha mai sentito parlare di Dorothy Fairbanks, nè l'hanno mai vista. - Disse avvicinandosi alla scrivania in modo da non farsi sentire dalla bambina, seduta sul divano a giocare con Patrick. - Sembra proprio comparsa dal nulla. -
Teresa guardò Dorothy obbligare Patrick a far comparire un altro quarto di dollaro da dietro il suo orecchio sinistro e sospirò.
- Non può essere. Ci devono pur essere tracce di lei da qualche parte! Contatta gli ospedali vicino alla loro residenza di cinque anni fa, senti i vicini di allora... qualcuno deve pur averla vista! - Esclamò.
- Sì, capo. - Disse Grace, rassegnata, facendo per uscire.
- VanPelt, aspetta. - Disse Teresa, alzandosi. - tieni d'occhio Dorothy, voglio andare a fare un sopralluogo a casa Fairbanks. -
- Ma capo, io... - Tentò Grace, sperando di riuscire a evitarsi quella grana.
Teresa sembrò non averla sentita, infilò la giacca e agganciò il distintivo alla cintura, avviandosi alla porta.
- Lisbon, aspetta, vengo con te. -
- Vengo anche io! - Esclamò Dorothy.
- No, tu vieni con me. - Esclamò Grace, acciuffandola.
- Lasciami! - Gridò Dorothy, liberandosi dalla sua stretta e allontanandosi da lei.
- Sc-scusa. - Balbettò Grace. - Non intendevo farti male. È solo... che non puoi andare con loro, stanno facendo cose da grandi. -
- Io sono grande! -
- E non... non si può andare in giro in pigiama, non ti pare? - Le disse Grace, cercando di tenere un tono scherzoso: non le piacevano i bambini.
Dorothy sembrò convinta da quella risposta e si sedette sul divano dell'ufficio di Teresa incrociando le gambe e le braccia.
- Allora li aspetto qui. - Disse, fissando il pavimento davanti a lei.
- Come vuoi. - Disse Grace, accostando la porta e tornando al lavoro scuotendo la testa.

La Chevrolet nera di Teresa si fermò per la seconda volta nel giro di dodici ore sotto il condominio spento di Sicomor Grove e in meno di un attimo i due furono di nuovo nell'appartamento dei Fairbanks.
- Perchè sei voluta tornare? -
- Ci deve pur essere qualche documento di quella bambina, da qualche parte. - Disse Teresa. - Ho intenzione di trovarlo, voglio capire se è effettivamente figlia dei Fairbanks oppure no. -
- Non è loro figlia. - Rispose Patrick, sbirciando fuori dalla finestra del soggiorno.
- Ma davvero. E come fai a saperlo? Te lo ha detto lei mentre "facevate merenda" ieri notte? -
- No, lei dice che è la loro bambina. -
- E tu hai capito che mente? -
- Quando eri piccola non hai mai dato la colpa al tuo amico immaginario, se combinavi un pasticcio? - Le domandò Patrick, voltandosi verso di lei con gli occhi resi luminosi dal sole splendente che filtrava dallo spiraglio tra le tende.
- C-cosa c'entra questo, adesso? - Domandò Teresa, confusa.
- Non stavi mentendo: per te il pasticcio era davvero causato dal tuo amico immaginario, non era una "scusa", una "bugia", come poteva sembrare all'esterno. Un bambino non mente mai, perchè dice la verità del suo mondo... anche se non sempre coincide con quella del nostro. - Disse Patrick, tornando a guardare fuori dalla finestra. - Dorothy non è davvero la figlia di Shayla e Rick, questo è poco ma sicuro. La cosa interessante è che lei si sente come se lo fosse. Questo ci porta a chiederci perchè li ritenga i suoi genitori con tanta passione. -
Teresa sospirò, alzando gli occhi a cielo.
- Non è importante sapere il perchè: l'importante è sapere chi è per sapere a chi affidarla, adesso che i suoi genitori, veri o meno, sono morti. -
- L'idea non ti dispiace un po'? -
- Che idea? -
- Quella di affidarla a uno sconosciuto? -
- Per l'amor di Cielo, Jane, come ti viene in mente una cosa del genere? -
- Non lo so, forse perchè chiamare i servizi sociali non è stata la prima cosa che hai fatto, stamattina. - Disse Patrick con la noncuranza con cui sganciava tutte le sue bombe di dialettica.
Teresa aprì la bocca per parlare, ma prima ancora che potesse dire qualcosa il suo cellulare suonò, interrompendo la sua risposta sul nascere.
- VanPelt, dimmi. - Disse, fulminando Patrick con gli occhi e ricevendo in risposta un sorriso divertito.
- Capo, il coroner ha inviato la perizia. Rick Fairbanks è morto per schiacchiamento della nuca contro qualcosa di appuntito. -
- Lo stipite della porta. -
- Esattamente, ci sono frammenti di legno nella ferita. Shayla è morta per schiacciamento della trachea: è stata strangolata. -
- Qual è l'ora della morte? -
- Ventitrè, ventitrè e trenta circa. -
- Hai scoperto altro? -
- Sono stati arrestati assieme, più o meno un anno e mezzo fa. A cinquanta miglia da qui, a Manteca, nella contea di San Joaquin, per coltivazione e spaccio di cannabis. Mi sono messa in contatto con la centrale di polizia, dovrebbero farmi avere il fax dei loro fascicoli a momenti. -
- Ottimo lavoro. Tienimi informata. Tutto a posto lì? -
- Tutto sotto controllo. -
- Bene. A dopo. -
Teresa riattaccò e si guardò intorno, ma Patrick era sparito.
- Jane! - Esclamò, spazientita da come quell'uomo riuscisse sempre a svignarsela da sotto il suo naso.
- Sono in camera, vieni, ho trovato qualcosa. -
Teresa lo raggiunse: la camera era una stanza minuscola, con a malapena lo spazio per un letto matrimoniale e un cassettone con uno specchio opaco. Una spessa tenda verde copriva la finestra e lasciava la stanza quasi completamente al buio. Teresa accese la luce e notò che tra le coperte aggrovigliate stava un peluche nero a forma di cane. Teresa lo sfilò delicatamente dalle lenzuola.
- Questo dev'essere di Dorothy. -
- E scommetto che si chiama Totò. - Disse Patrick con un sorriso. - Cosa ti ha detto VanPelt? -
- I Fairbanks sono stati uccisi. -
- Prevedibile. -
- Più o meno all'ora che eravamo qui. - Aggiunse Teresa. - E che erano stati beccati a spacciare marjuana. -
- Non erano due drogati. -
- E lo sai per lo stesso motivo per cui sai che Dorothy non è la loro figlia? - Domandò Teresa guardandolo con le sopracciglia sollevate e un sorriso sardonico dipinto sul volto.
- Non è necessario essere ironici. Non sono drogati perchè non c'è niente che lo faccia pensare: hanno una casa piuttosto normale, la luce funziona, il gas funziona, il frigorifero è discretamente pieno, hanno una televisione... non sono cose che un drogato si tiene in casa. La cosa più importante è la droga, il resto è funzionale solo al suo acquisto. E soprattutto un drogato non sa prendersi cura di una bambina con l'amore che Shayla e Rick hanno dedicato a Dorothy, tanto da farsi amare da una piccola sconosciuta. -
Patrick si guardò intorno ancora una volta, posando lo sguardo sul cesto traboccante di giocattoli, sui vestiti e le scarpe da bambina sparsi per la stanza e i fogli e le matite colorate che anche lì si ammassavano un po' dovunque.
Aprì un cassetto, richiudendolo subito dopo, poi ne aprì un altro e un altro ancora.
- Che stai cercando, si può sapere? -
Come sempre, Patrick non rispose finchè non ebbe trovato quello che cercava.
- Ecco qui. - Disse, mettendo tra le braccia di Teresa una bracciata di biancheria, vestiti e calzini per bambini. - Se Dorothy deve rimanere con noi è meglio vestirla, non trovi? -
Teresa lo fulminò con gli occhi.
- Andiamo via. Qui abbiamo finito. - Sibilò.
- Sì, lo penso anche io. - Convenne Patrick allegramente, seguendola fuori
.






















Grazie a tutti quelli che stanno leggendo e recensendo questa storia.

Tutti i vostri commenti - soprattutto quelli critici - saranno per me un grande aiuto,
soprattutto visto che ho buttato le basi dell'indagine e non so se la cosa sia in grado di stare in piedi!

Grazie di cuore, alla prossima!

Flora

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Capitolo 3
*** Tre. ***


Pastelli Rossi


Avevano lasciato il 152 di Sicomor Grove dietro di loro appena un minuto prima, quando Patrick esclamò:
- Accosta. -
- Perchè? -
- Tu accosta. Dai, forza! - Esclamò il detective, tenendo lo sguardo fisso su qualcosa che intanto si stavano lasciando alle spalle.
Teresa sbuffò, accostò e spense la macchina.
- Mi vuoi spiegare... -
- Vieni. -
Un attimo dopo Teresa si ritrovò a seguire il suo consulente lungo il marciapiede della squallida via fino a una scala stretta che portava ad una porta sotto il livello della strada. Sullo stipite della porta era affissa un'insegna: "Hot Cheeks Night Club".
- È un club per soli uomini! - Esclamò.
- È chiuso, e comunque sei un poliziotto, no? Entriamo. - Rispose Patrick, scendendo le scale e spingendo la pesante porta scura.
I gradini continuavano anche dopo l'uscio e scendevano in un locale poco illuminato in cui l'odore di birra la faceva da padrone. Il pavimento era sporco e appiccicoso, un tavolo da biliardo consumato stava al centro della sala mentre una tenda di lustrini dorati copriva un piccolo palcoscenico in fondo al locale. Sparsi disordinatamente per la stanza c'erano tavolini e sgabelli, mentre dozzine di bicchieri usati erano posati dappertutto. Un uomo calvo e con una pancia prominente che si tendeva sotto il grembiule macchiato stava spazzando per terra.
- È chiuso. - Grugnì.
Si voltò e vide l'uomo elegante sulla porta e la donna dagli occhi verdi, rimanendo colpito da un'apparizione così inaspettata.
- Patrick Jane, lei è Teresa Lisbon, siamo agenti del CBI. Lei dev'essere il proprietario. -
- Cosa volete? Qui è tutto in regola. - Rispose l'uomo, riprendendo a spazzare il pavimento.
- Vorremmo farle alcune domande su Shayla Fairbanks. - Continuò Patrick imperterrito, avvicinandosi a lui.
Teresa fissava il collega con l'aria di chi non sapeva se ammirare la sua intelligenza o ucciderlo seduta stante per la sua completa follia.
L'uomo alzò gli occhietti e li fissò da sotto le sue sopracciglia cespugliose, soppesandoli per un solo momento.
- Mai sentita. -
- La sue labbra dicono così, i suoi occhi dicono il contrario. -
- Se vi dico quello che so vi levate dai piedi? - Sbottò l'uomo con aria truce.
- All'istante. - Rispose Patrick con un luminoso sorriso.
- Si è presentata qui circa sei mesi fa, dicendo che si offriva per gli show danzanti del giovedì. - Disse l'uomo, continuando a spazzare e snocciolando ogni parola come se gli costasse una fatica immensa. - È una brava ragazza, una gran lavoratrice: tre ore di spettacolo filate senza battere ciglio, mi fa fare un sacco di grana. Piace al pubblico, ma finito lo spettacolo infila i soldi nella borsetta e se la svigna sempre da suo marito. Non so altro. -
- Aveva nemici, che lei sappia? - Domandò Teresa.
- Nemici? - L'uomo rise, tenendosi la pancia. - Bellezza, se c'è una persona che si sa fare amare, quella è Shayla. -
- Magari tra le colleghe, ha altre ballerine che potevano avere rancore nei suoi confronti? -
- Le altre ballerine che ho sono poco più che prostitute. Si strusciano contro il palo, fanno due mossette e poi scendono a sfilare verdoni dalle tasche del pubblico, non erano in vera competizione. Perchè mi fate tutte queste domande? Cosa ha combinato? -
- Shayla è morta. - Intervenne Patrick.
Un sincero stupore si dipinse sul volto dell'uomo, che si appoggiò al tavolino alle sue spalle per sostenersi.
- Come morta? -
- Non lo sapeva? - domandò Teresa.
- Me lo dite voi adesso. Ecco perchè ieri sera non si è presentata al suo turno. Ho avuto parecchi problemi a gestire il malumore della marmaglia delusa. Molti giri di vodka gratis, un sacco di bigliettoni smenati. -
Teresa si alzò, infilando il taccuino in tasca e lanciando un'occhiata a Patrick.
- Qui abbiamo finito. Grazie per la sua disponibilità. - Disse.
- B-buona giornata. - Rispose l'uomo.
Stavano già salendo le scale quando Patrick si voltò all'improvviso.
- Un'ultima cosa. Shayla le ha mai parlato di una figlia? -
- Figlia? - L'uomo sembrava ancora più stupito da quella rivelazione. - No, amico, una con un corpo così non poteva avere figli. -
- Era solo per sapere. Buona giornata. -
L'aria del mattino sembrava ancora più limpida e dolce dopo l'odore di birra e la penombra del night club. Mentre salivano in macchina Teresa chiese a Patrick come aveva fatto a capire che Shayla lavorava lì.
- Quando siamo stati a casa sua ho notato che nel suo armadio non c'erano vestiti come quelli che portava ieri sera: ho visto solo tute, jeans... vestiti comodi. Così ho pensato che dovevano essere abiti comprati apposta per una occasione. Stava sicuramente uscendo e non rientrando: profumava di shampoo e il trucco era perfetto, non aveva l'aria di un make up di qualche ora. Aveva i tacchi alti e in un quartiere così non poteva andare lontano senza automobile, quindi ho supposto che doveva lavorare qui vicino. -
- Poteva stare andando a un appuntamento e sarebbero passati a prenderla. -
- Naah. -
- Hai avuto fortuna. -
- Può darsi. L'importante è aver aggiunto un pezzetto al quadro della nostra vittima: Shayla era una brava donna, con un lavoro forse poco raccomandabile ma perfettamente professionale, innamorata del marito. Di Dorothy ancora nessuna traccia. -
Teresa sospirò mentre metteva in moto.
- C'è qualcosa che ti turba, lo vedo da come cambi espressione ogni volta che si nomina quella bambina. - Patrick si sporse per guardarla meglio in faccia.
- Non è vero. -
- Invece sì. Te l'ho detto, non sai mentire: i tuoi occhi riescono a dire solo la verità. E la verità è che quella bambina ha fatto breccia nel tuo cuore. -
- Oh, taci. -
- Non c'è niente di male nel provare affetto per una piccola peste di cinque anni, sai? Si chiama isntino materno e tutte le donne lo provano... questo non ti rende una poliziotta peggiore. -
- La vuoi smettere? - Sbottò Teresa, rivolgendogli un'occhiata di fuoco.
- Guarda la strada. - La rimproverò Patrick.
Per un istante nell'abitacolo scese il silenzio, poi fu Teresa a romperlo.
- È solo che pensavo alla vita che avrà quella bambina. Figlia di chissà chi, cresciuta con due ex spacciatori che adesso sono morti... è intelligente, sveglia e vivace, potrebbe diventare una ragazza fantastica, se solo avesse la famiglia giusta che si prenda cura di lei. -
- Tu non hai avuto una famiglia attenta e amorevole e sei diventata una donna fantastica comunque. - Ribattè Patrick.
Gli occhi di Teresa lampeggiarono verso di lui per un solo momento, tornando poi a guardare la strada.

Teresa era appoggiata alla scrivania di Grace e stava scorrendo con gli occhi il referto del medico legale. Wayne e Kimball sarebbero arrivati da un momento all'altro dalla Flashand e aspettava il loro rapporto per decidere il da farsi.
- Abbiamo fatto il test del DNA, capo. - Disse Grace, porgendole un altro foglio. - Dorothy non è figlia nè di Rick nè di Shayla. -
- Te l'avevo detto. - Sentenziò Patrick dal divano.
- Sentiamo, genio, come l'avevi capito? -
- I lobi delle orecchie. -
Le sopracciglia sollevate di Teresa e lo sguardo interrogativo di Grace lo obbligarono a continuare:
- Sia Shayla che Rick li hanno attaccati alla lina della mandibola, mentre Dorothy li ha separati. Il lobo separato è un carattere dominante, non poteva averlo ereditato da due genitori entrambi con carattere recessivo. - Spiegò Patrick con semplicità, sorseggiando il suo tè con aria noncurante.
- Sono pronta! - Trillò Dorothy, comparendole davanti in salopette, t-shirt azzurra e codini. - Andiamo? -
Teresa guardò Grace in cerca di risposte e poi si chinò per parlare con la bambina.
- Dove? -
- A casa! I miei genitori saranno preoccupati! -
- Tesoro, i tuoi genitori non sono a casa. -
- Perchè no? - Domandò, mentre il suo visetto cambiava espressione.
Teresa si voltò verso Grace.
- Vado... a vedere se è arrivato il fax della polizia di Manteca. - Disse la ragazza, alzandosi e sparendo al di là delle porte a vetri.
- Perchè no? - Ripetè Dorothy, reclamando l'attenzione di Teresa.
Teresa guardò ancora Patrick, il quale si limitò a sorriderle con gli occhi da sopra il bordo verdeazzurro della sua tazza preferita.
Se c'era una cosa che Teresa avrebbe voluto evitare con tutto il cuore, era proprio quella situazione.
- Vieni con me. - Disse alla bambina, prendendola per mano.
Quando Dorothy fu seduta sul divano del suo ufficio, con le manine in gremboe  i grandi occhi neri spalancati, Teresa si accovacciò di fronte a lei mettendole le mani sulle ginocchia.
- Dorothy, i tuoi genitori sono morti. - Disse con dolcezza, guardandola negli occhi e cercando di essere il più sincera e delicata possibile. - Sono stati uccisi ieri sera, per questo sei qui con noi. -
Dorothy scosse la testa.
- Non sono morti. Non sono morti. - Ripetè la bambina. - Quando mi sveglio perchè faccio i brutti sogno il papà non si sveglia, e io ho paura che non si svegli più, e la mamma mi dice di non preoccuparmi, di dormire, che la mattina dopo papà disegnerà con me e lei mi preparerà i muffin. Si sveglieranno presto, vero? Vero, Teresa? -
La sua voce si spezzò all'improvviso e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Spinta da un istinto di cui aveva quasi dimenticato l'esistenza strinse la bambina tra le braccia, lasciando che piangesse contro la sua spalla.
Un minuto più tardi l'aveva sciolta dall'abbraccio e si era seduta vicino a lei, passandole un fazzolettino e chiedendole della sua vita.
- Andavi a scuola? -
Dorothy scosse la testa.
- Non uscivi mai a giocare? Non avevi degli amici? -
Dorothy negò ancora, asciugandosi il naso col fazzoletto.
- A volte... a volte adiamo al parchetto. La mattina presto, quando non c'è nessuno e non si deve fare la coda per salire sull'altalena - Sussurrò. - Ma di solito giochiamo a casa. -
- Ti accompagnava la mamma, al parchetto? - domandò Teresa con dolcezza.
- Sia la mamma che il papà, andiamo sempre insieme. Poi io e la mamma torniamo a casa e papà va a lavorare. - Spiegò Dorothy.
Al pensiero dei suoi genitori gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime e Teresa le posò una mano sui capelli. In quel momento Patrick aprì la porta con un sorriso allegro. Quando vide le espressioni delle due ragazze sul divano cambiò subito umore.
- Lisbon, Rigsby e Cho ti aspettano di là per il rapporto. -
- Vado subito. - Disse Teresa, alzandosi.
Si fermò sulla porta quel tanto che bastò per chiedergli con gli occhi di rimanere con Dorothy.
- Se mi dai cinque dollari scommetto che la faccio tornare di buon umore. -
Teresa lo guardò di traverso.
- Te li restituisco! -
- Sì, certo. - Disse lei, sfilando una banconota dal portafoglio e mettendola in mano a Patrick prima di raggiungere la sua squadra in ufficio.
- Ah, capo, eccoti. -
- Cos'hanno detto alla Flashand? - Domandò Teresa, appoggiandosi alla scrivania con un sospiro: era esausta e non era ancora mezzogiorno.
- Tutti parlavano di lui come un bravo ragazzo. Buon lavoratore, molto discreto, non parlava mai di sè. Sapevano che era sposato perchè ogni tanto approfittava del motorino dell'azienda per andare a fare la spesa o a comprare qualche regalo per sua moglie. - Spiegò Wayne.
- Lavorava lì da circa un anno, da quando si sono trasferiti qui, e il datore di lavoro non si è mai lamentato di lui. Anche loro non sapevano che avesse una figlia. - Continuò Kimball.
- Hanno pensato che potesse averne una dato che ogni tanto comprava vestiti da bambina e giocattoli, ma lui non ne parlava mai. Era una persona molto chiusa. - Spiegò Wayne.
- Ho letto il fascicolo della polizia di Manteca ma non contiene molte informazioni. - Intervenne Grace - Dice solo che sono stati fermati con un'altra coppia per spaccio di marjuana nei bassifondi della città, ma che siccome avevano la fedina penale pulita sono stati rilasciati quasi subito. Tre mesi dopo hanno lasciato Manteca e si sono trasferiti a Sacramento. -
- Stavo pensando, capo, che all'angolo di Sicomor Grove c'è un parcheggio sotterraneo. - Intervenne Kimball all'improvviso. - Potrebbero avere una telecamera all'ingresso e aver ripreso chi è entrato e uscito da quella via la notte dell'omicidio. -
- Buona idea, Cho, vai con VanPelt e procuratevi le registrazioni, magari qualcosa di utile salta fuori. Rigsby, telefona a Manteca e fatti dare i contatti dei due arrestati con loro. Io devo fare una telefonata. -
Entrò nel suo ufficio, sorprendendosi nel trovarlo deserto
Patrick doveva aver portato Dorothy a mangiare muffin alla caffetteria dall'altra parte dell'isolato, ecco a cosa gli servivano i cinque dollari, pensò Teresa.
Si sedette alla scrivania e sollevò la cornetta, componendo il numero dell'assistenza sociale con un sospiro.

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Capitolo 4
*** Quattro. ***


Era pomeriggio inoltrato quando Grace bussò alla sua porta.
- Abbiamo novità, capo. -
- Dimmi. -
- Rigsby ha ricevuto i dati di chi è stato arrestato con i Fairbanks: Mills e Vivian Loop. Ho fatto un giro di telefonate per sapere che fine hanno fatto. - Disse la ragazza, avvicinandosi alla scrivania e passando a Teresa un fascicolo. - Sono stati coinvolti in una operazione contro lo spaccio, lui è morto e lei è stata arrestata. Pensavo che avresti voluto andare a sentire cos'ha da dire, così ho avvertito il carcere che saremmo andati per un colloquio. -
- Ottimo lavoro. Va' tu con Rigsby, io ho da fare qui. -
Grace la guardò stranita, incuriosita da quella riposta, poi sorrise allegramente.
- Volentieri, capo, grazie. - Disse, riprendendosi il fascicolo e uscendo dalla porta.
Mentre Grace usciva, Patrick entrò nel suo ufficio seguito da Dorothy, che stringeva tra le braccia una grossa scatola.
- Bentornati. Temevo aveste deciso di finire la scorta di muffin della California! - Disse Teresa, con un tono a metà tra l'ironico e il divertito.
- Non siamo andati a mangiare i muffin: siamo andati a fare una passeggiata. Guarda cosa mi ha comprato Patrick! - Esclamò Dorothy, stendendo le braccia verso l'agente e mostrandole una enorme scatola di matite colorate.
- Ma che meraviglia. - Disse Teresa, lanciando a Patrick un'occhiata espressiva: sapevano entrambi la provenienza dei soldi con cui quelle matite erano state comprate.
- Tu hai tanti fogli, me ne puoi dare qualcuno per disegnare? - Domandò Dorothy con innocenza, guardando con gli occhi luccicanti i mucchi di fogli sulla scrivania di Teresa.
"Mi manca solo di dover spiegare al capo perchè i rapporti degli ultimi due giorni hanno degli scarabocchi di bambina sopra." Pensò Teresa mentre si affaccendava per recuperare un po' di fogli bianchi da dare a Dorothy.
- Pazienza, Lisbon. Ce ne vuole tanta coi bambini. - Sentenziò Patrick, accomodandosi sul divano.
- Tu non aiuti di certo. - Sbottò Teresa, mettendo dei vecchi fogli tra le mani di Dorothy e accertandosi che si mettesse tranquilla a disegnare sul pavimento senza minacciare i fascicoli dei casi ancora aperti.
Patrick le rispose con un sorriso sardonico, stiracchiandosi e chiudendo gli occhi per godersi uno dei suoi pisolini pomeridiani.
Un'ora più tardi Kimball bussò alla porta. Con la sua consueta freddezza sembrò non notare il disordine dell'ufficio di Teresa e la confusione di matite, fogli e trucioli di legno e colore che regnava sul pavimento, limitandosi ad annunciare l'arrivo dell'assistente sociale.
- Oh, bene. Falla entrare. - Disse Teresa.
Una giovane donna con i riccioli color miele e gli occhi verdi entrò nell'ufficio di Teresa con un bel sorriso. Indossava un vestito bianco e un golfino blu e pareva appena uscita da un educandato.
- Teresa Lisbon. -
- Claire Andrews. - Si presentò la ragazza, stringendo la mano che Teresa le stava porgendo. - Mi hanno detto che c'era bisogno di me. -
- Le hanno spiegato le circostanze? -
- Sono stata aggiornata. -
- Lei è Dorothy. - Disse Teresa, indicando la bambina intenta a disegnare.
Dorothy le stava fissando dal pavimento, con gli occhioni neri spalancati. Aveva soppesato la nuova arrivata con lo sguardo e stringeva le labbra in un'espressione imbarazzata e incerta.
Claire si chinò verso la bambina e le sorrise, del tutto incurante che il suo vestito bianco fosse finito tra trucioli di matita e fogli scarabocchiati.
- Ciao Dorothy. Io sono Claire. Come stai? -
- Bene. - Rispose Dorothy, atona.
- Vi lasciamo sole. Jane, andiamo. - Disse Teresa, facendo cenno a Patrick di alzarsi e dirigendosi verso l'ufficio comune sforzandosi di non ricambiare lo sguardo che Dorothy le stava rivolgendo dall'attimo in cui aveva deciso di lasciarla da sola con l'assistente sociale.

Le ore erano trascorse e la sera era scesa su Sacramento. Teresa sfogliava il fascicolo dei Fairbanks seduta alla scrivania di Grace: la ragazza e Wayne non erano ancora tornati e l'assistente sociale parlava ancora con Dorothy là dove si erano incontrate.
Sempre più spesso gli occhi di Teresa sfuggivano verso il suo ufficio, dove le persiane aperte lasciavano vedere Claire e Dorothy sedute sul divano e intente a parlare.
- Credi che ci vorrà ancora molto? - Disse alla fine.
- Non essere preoccupata. Quella ragazza ha l'aria di saperci fare, coi bambini. - Replicò Patrick senza alzare lo sguardo dal suo libro.
- Non sono preoccupata per Dorothy. Mi sto solo chiedendo quando potrò ritornare a lavorare. - Rispose Teresa, punta sul vivo.
- Ehi, capo. - Grace comparve alle sue spalle in quel momento - Che ci fai alla mia scrivania? -
- L'assistente sociale è di là con Dorothy. - Rispose Teresa, alzandosi. - Allora, che abbiamo scoperto? -
- Vivian Loop ci ha confermato che i Fairbanks non avevano figli. - Intervenne Wayne.
- Fin qui niente di nuovo. -
- Però ci ha detto che Shayla ne parlava continuamente. Diceva quanto avrebbe voluto averne, ma che per qualche motivo non riusciva. Abbiamo chiesto a Vivian se i Fairbanks avrebbero mai rapito una bambina e lei è scoppiata a ridere. Ci ha detto che era poco ma sicuro: pur di avere un figlio avrebbero fatto qualunque cosa. -
- Purtroppo non ci sono segnalazioni di bambini scomparsi in California che siano compatibili con Dorothy e con la data in cui è stata vista coi Fairbanks per la prima volta. - Continuò Grace.
- Un altro buco nell'acqua, praticamente. - Sospirò Teresa. - Cho, cosa mi dici delle telecamere di sorveglianza del silos di Sicomor Grove? -
- Sto aspettando che ci mandino l'hard disk con le registrazioni. Dovrebbe arrivare a momenti. - Rispose Kimball.
- D'accordo. Appena l'avete dategli un'occhiata e controllate tutte le automobili che entrano nella via a partire da ieri sera. -
- Scusate. - La voce di Claire li interruppe. - Io avrei finito. -
L'assistente sociale posò il suo sguardo sui diversi membri della squadra, fermandosi alla fine su quello del capo.
- C'è qualcosa che non va? - Domandò Teresa.
- La questione è molto delicata e la bambina è molto scossa: credo sia meglio non portarla via stasera. Ho bisogno di tempo per fare qualche telefonata e per il suo bene sarebbe meglio non trascinarla in una casa famiglia. Qui si sente al sicuro ed è la cosa più importante per lei, al momento. - Rispose Claire con serietà.
Teresa aprì la bocca per rispondere, ma Patrick la precedette, alzandosi dal divano e prendendo la mano di Claire tra le sue.
- Saremo lieti di poterla aiutare. - Disse con sentimento, guardando Claire negli occhi.
- Grazie infinite. Dorothy ne sarà felice. - Rispose la ragazza, sollevata. - Mi farò sentire domattina presto per farvi sapere gli sviluppi. -
Strinse la mano di Patrick e poi quella di una Teresa così sbigottita da non essere nemmeno in grado di parlare, rivolse un dolce sorriso agli altri e poi si allontanò.
- Mi piace, quella ragazza. Emana calma. - Disse Patrick.
- A me non piace che ci abbia lasciato qui quella bambina disperata. - Sentenziò Grace. - Stamattina non ha voluto sentire ragioni, non faceva nulla di quello che le chiedevo. -
Teresa si voltò e guardò Patrick con gli occhi colmi di rabbia.
- Come diavolo ti è venuto in mente di risponderle al posto mio? - Sbottò.
- Non avresti mai detto di sì. -
- Certo! Perchè non possiamo badare a una bambina di cinque anni! Stiamo lavorando, anche se pare che tu te ne ricordi raramente! -
- Hai sentito Claire: era la cosa migliore per Dorothy. -
- Questo non ti autorizza a prendere decisioni che spettano a me! -
Teresa rivolse un'ultima occhiata di fuoco al suo consulente e poi si rivolse al resto della squadra.
- Bene. Chi si occupa di Dorothy, allora? - Domandò Teresa. - Cho? -
Kimball si alzò, infilò la giacca e prese la borsa.
- Non posso. Ci vediamo domani. - Disse solamente, prima di prendere la borsa e avviarsi all'uscita.
- Rigsby? - Domandò Teresa.
- Mi piacerebbe, davvero, ma stasera ho un appuntamento che proprio non posso rimandare. Mi spiace, capo. - Disse Wayne. - Magari VanPelt... -
- Oh, no! Ho dovuto gestire quella piccola peste per una mattina intera, non potete rifilarmela anche per la serata! Ho di meglio da fare! - Esclamò Grace
I passi di un paio di piccoli piedi sul linoleum interruppero la discussione e Dorothy comparve in mezzo al gruppo di adulti.
- Che succede? - Domandò la bambina.
- Ti va di andare a casa con Grace? - Domandò Teresa.
- No. -
- Solo per stasera, tesoro. -
- No. -
- Non puoi rimanere a dormire al CBI. -
Dorothy fece un passo avanti e prese la mano di Teresa, stringendola forte e guardando la donna con tutta l'intensità dei suoi grandi occhi di bambina.
- Beh, credo che Dorothy abbia deciso chi vuole che si prenda cura di lei. - Disse Patrick sollevato, avviandosi verso il divano.
Teresa tentò di balbettare una risposta, qualcosa che costringesse Wayne, Grace o Patrick a prendersi l'impegno di gestire Dorothy, ma la stretta della bambina attorno alla sua mano le impediva di pensare lucidamente.

Teresa non si rese conto di quello che stava facendo finchè non si ritrovò seduta alla penisola della sua cucina a mangiare un hamburger di fronte a una bambina di cinque anni.
- Ti piace? -
Dorothy annuì vigorosamente, rispondendo senza curarsi di avere la bocca piena:
- È buono. Anche la mia mamma lo fa buono. A lei piace tanto cucinare. - Si fermò un istante. - Piaceva. - Si corresse.
Si fermò con il panino tra le mani, guardandolo come se addentare qualcosa di non preparato dalla sua mamma fosse stato uno sbaglio.
Teresa allungò la sua mano per posarla su quella di Dorothy. La bambina alzò gli occhi verso di lei, poi addentò di nuovo l'hamburger e rimase in silenzio a masticare per un momento.
- A te piace cucinare? - Domandò alla fine.
- Oh, beh. No. Cucino ma... no, non mi piace. - Rispose Teresa, presa in contropiede.
- Cosa ti piace fare? -
Teresa aprì la bocca per rispondere, ma si rese conto di non avere una risposta a quella domanda; rimase per un attimo in silenzio e poi fu costretta a dire la verità.
- Lavorare. Prendere i cattivi e metterli in prigione. -
- Anche chi ha fatto male alla mia mamma e al mio papà? -
- Soprattutto loro. - Replicò Teresa con un sorriso. - Ora mangia. -
Dopocena Dorothy prese la sua scatola di matite e un bloc notes e si raggomitolò sul divano a disegnare, mentre Teresa andava a caccia di un cuscino e una coperta in più per la bambina.
Stava rovistando in fondo a un armadio quando il suono del campanello la fece sobbalzare tanto da farle dare una testata allo scaffale sopra di lei.

- Hanno suonato! - Trillò Dorothy comparendole alle spalle scalza e spettinata.
- Ho sentito, vado ad aprire. - Rispose Teresa con un sospiro.
Quando spalancò la porta ci mise un istante a realizzare chi aveva davanti.
- Jane? Che ci fai tu qui? -
- Ho pensato che potevi aver bisogno di una mano. -
- Sono cresciuta con tre fratelli, so come badare a una bambina. -
- Patrick! - Dorothy si precipitò all'ingresso con un sorriso tanto luminoso da costringere Teresa a far entrare il suo consulente, pensando per l'ennesima volta che non stava prendendo nemmeno una delle decisioni che le spettavano.
Patrick entrò facendole un sorrisetto e stringendosi nelle spalle, come per dire che quella situazione non era colpa sua.
- Tienila d'occhio. - Gli intimò Teresa, allontanandosi.
- Agli ordini, capo. - Rispose Patrick con un sorriso.
Mentre riordinava la cucina, sentiva Patrick e Dorothy parlare nell'altra stanza e le risate della bambina ovattate dalle pareti, coperte dal suono delle stoviglie messe nello scolapiatti e dal traffico che scorreva fuori dalla finestra aperta.
Stava riponendo gli ultimi piatti, quando la risata di un uomo la fece fermare col braccio a mezz'aria.
Conosceva Patrick da anni, ormai, ma non l'aveva mai sentito ridere. Aveva spesso il suo sorriso sornione stampato in faccia, ridacchiava sotto i baffi quando giocava un tiro mancino a qualcuno per metterlo nel sacco... ma non aveva mai riso in quel modo sincero.
Il cuore di Teresa mancò un battito.
Il suono delle stoviglie, la risata di Dorothy e quella di Patrick, l'aria calda e profumata che entrava dalla finestra aperta... quella era la vita che avrebbe dovuto avere da piccola. Quella era la vita che avrebbe voluto avere da grande.
Appoggiò di nuovo il piatto nel lavabo, poggiandosi in fretta una mano sulle labbra per impedire loro di tremare, mentre perdeva la battaglia con le lacrime che le riempivano gli occhi.
- Ehi, Lisbon, ci chiedevamo se potevi farci un tè. - Domandò Patrick, apparendo sulla porta.
- E un bicchiere di latte! - Continuò Dorothy.
- Sì, certo. - Rispose Teresa, voltandosi in fretta per dare loro le spalle e cercando di dominare il tremito nella voce. - Andate di là, ve li porto tra un minuto. -
Sentì Dorothy allontanarsi, ma gli occhi di Patrick erano ancora posati su di lei, poteva sentire l'intensità delle sue iridi azzurre sulla propria nuca. Fece finta di non essersene accorta e continuò ad asciugarsi le mani nello strofinaccio che si era ritrovata in mano finchè non lo sentì allontanarsi.
Solo in quel momento si concesse di tornare a respirare e di asciugarsi in fretta le ciglia.
Quando arrivò in salotto con una tazza di tè e un bicchiere di latte, sul pavimento c'erano matite colorate, fogli scarabocchiati e due bambini con gli occhi brillanti, una piccola e bruna e l'altro grande e biondo.
- Che diavolo sta succedendo qui? - Esclamò quando si ritrovò a dover fare lo slalom tra i disegni per raggiungere il tavolino.
- Ci stavamo solo divertendo. - Rispose Patrick con innocenza.
- Ti ho lasciato con Dorothy perchè tu te ne prendessi cura, non per farti incantare e fare tutto quello che vuole lei! -
- È strano. - Disse Patrick sovrappensiero, sedendosi sul divano con la sua tazza di tè e guardando Dorothy prendere il grosso bicchiere di latte con entrambe le mani. - Non riesci a non assecondarla, anche se non sai cosa le sta passando per la testa. Ti ritrovi ad accontentarla prima ancora di capire i suoi piani. -
- Benvenuto nel mio mondo. - Sentenziò Teresa.
Patrick nascose il suo mezzo sorriso dietro la tazza di tè, ricambiando la frecciatina di Teresa con uno dei suoi sguardi intensi.
Mezz'ora più tardi Teresa stava cercando di convincere Dorothy ad addormentarsi. Già era difficile concentrarsi su quello che stava facendo con la consapevolezza che Patrick girava per la stanza psicanalizzandola attraverso il magro arredamento di cui si era circondata, se ci si metteva anche una bambina ostinata che diceva di non avere sonno la situazione diventava veramente ingestibile.
- Adesso basta, Dorothy, è tardi e sei stanca. Dormi. -
- Non ho ancora sonno... - Disse la bambina, concludendo la frase con uno sbadiglio che la contraddisse clamorosamente.
- Invece sì. - Rispose Teresa con un sorriso chinandosi per accendere la luce sul tavolino prima di andare a spegnere quella della stanza.
Non aveva fatto in tempo a fare un passo lontano dal divano, quando Dorothy le afferrò i jeans.
- Non andare via, ti prego. Rimani finchè non mi addormento. Ho paura da sola. - Disse in un sussurro, con gli occhi neri pieni della stessa muta disperazione che le si era dipinta sul viso nel momento in cui aveva capito che i suoi genitori non sarebbero tornati.
Lo stomaco di Teresa si contrasse con violenza, come se avesse ricevuto un pugno, e tutto quello che riuscì a fare fu stringere le labbra e sedersi sul divano. Dorothy si aggrovigliò nelle coperte precipitandosi contro di lei e rannicchiandosi contro il suo fianco.
- La mia mamma mi leggeva sempre una favola, prima di dormire. - Disse in un sussurro.
- Non ho libri di favole. - Replicò Teresa imbarazzata, cercando di concentrare la sua attenzione sul groviglio delle coperte attorno alle gambe della bambina per non dare voce ai mille pensieri confusi che le si affollavano nella mente.
- Potresti inventarne una. - Propose Dorothy.
Teresa alzò gli occhi sgomenta, terrorizzata da quella situazione che metteva in crisi il coraggio e la freddezza che non le mancavano mai quando si trattava di affrontare il pericolo.
Il suo sguardò incrociò quello di Patrick, fermo vicino alla finestra con gli occhi rivolti verso di lei. Come se le avesse letto nel pensiero - cosa che probabilmente aveva fatto davvero - si avvicinò con un sorriso.
- Ho io un bel libro. - Disse, raggiungendo la sua giacca gettata su una sedia e tirando fuori dalla tasca interna il libro che aveva sfogliato tutto il giorno al CBI.
Quando Dorothy vide il leone, lo spaventapasseri e l'omino di latta sulla copertina gli occhi le scintillarono, riconoscendo il Mago di Oz.
- Mi piace questa storia. - Disse sfregandosi gli occhi con una manina.
Con un sorriso, Patrick si sedette sulla poltrona e iniziò a leggere. La luce dorata della lampada sul tavolino creava un cono di luce calda, un piccolo mondo luminoso e sicuro nel buio della stanza; la voce del consulente, calma e morbida, riempiva la sala silenziosa intrecciando descrizioni di strade di mattoni gialli, città di smeraldo e scimmie volanti. Accarezzando distrattamente i capelli di Dorothy con le dita, Teresa si era persa nei suoi pensieri, cullata dalle parole del libro e toccata profondamente da quella situazione così normale e così assurda. A riscuoterla fu l'improvviso silenzio che le fece alzare gli occhi.
Patrick era in silenzio, col viso serio, e fissava Dorothy addormentata sulle ginocchia di Teresa con una espressione terribilmente triste negli occhi. Non bisognava essere un sensitivo per capire cosa gli stava passando per la testa: se lei soffriva al pensiero di quella normalità che non aveva mai vissuto, lui doveva essere distrutto da quel ritorno a una vita che aveva provato e che gli era stata strappata all'improvviso.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, trovare le parole giuste, ma non sapeva nemmeno che cosa voleva dirgli.
Patrick si accorse di essere osservato e alzò gli occhi veso di lei.

In un muto scambio di sguardi, Teresa sperò che lui fosse in grado di leggere nel suo cuore quello che la sua testa non riusciva a dire.



















Lo so, lo so. Sono due settimane che non aggiorno.
La verità è che questo capitolo è stato il più difficile da scrivere
e ho continuato a rileggerlo cercando di decidere se postarlo o lasciar perdere,
perchè non lo trovavo molto "in stile" The Mentalist: troppo sdolcinato e melense.
Ma io sono sdolcinata e melense, quindi mi sono detta: è la tua fanfiction, che diamine,
fagli fare cose che vorresti vedere ma che non vedrai mai!
Quindi ecco qui: dopo i due episodi di ieri sera in cui speravo in un po' più di sentimento,
ho deciso di postare anche questa scena, sperando che non sia troppo OOC:
nel qual caso, chiedo venia e spero di convincervi a leggere comunque il prossimo capitolo.
Se invece siete anche voi animi romantici, spero che vi sia piaciuta la situazione:
trovo perfetti Jane e Lisbon insieme... e questa situazione li unisce più di tante altre, secondo me.

Grazie per avere letto, al prossimo capitolo
(che arriverà in un lasso di tempo dignitoso, promesso)
Flora

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Capitolo 5
*** Cinque. ***






La mattina successiva Teresa raggiunse l'ufficio con una Dorothy decisamente insonnolita per mano. La sua sveglia aveva suonato dall'altra stanza, svegliandola per metà e facendole realizzare che si era addormentata sul divano, con Dorothy tra le braccia e la luce spenta. Di Patrick nessuna traccia.

Con gli automatismi di ogni mattina si era preparata ed era arrivata al lavoro ripromettendosi di non riflettere troppo sugli eventi della sera prima: era troppo presto per iniziare a pensare.
Senza dire una parola, Dorothy si rannicchiò sul divano dell'ufficio di Teresa e riprese sonno quasi immediatamente, permettendo all'agente di farsi un caffè e raggiungere gli altri per vedere se c'erano novità.
- Ciao, capo. Tutto bene con la bambina? - Domandò Grace con un sorriso.
- Tutto tranquillo. Abbiamo qualcosa di nuovo? -
- È arrivato l'hard disk del parcheggio, Cho lo sta guardando. -
- Benissimo. Lo raggiungo. -
Col suo caffè bollente in mano raggiunse l'ufficio chiuso con il computer e salutò con un cenno del capo il suo agente intento a guardare il nastro.
- Qualcosa di interessante? -
- Ho guardato l'intero nastro del pomeriggio del giorno dell'omicidio, ma una sola macchina ha raggiunto e lasciato Sicomor Grove. - Disse Kimball, scorrendo con gli occhi il suo bloc notes - Una Ford bianca, ho chiesto a Van Pelt di farmi una ricerca. -
- Avvertimi se c'è qualcosa di nuovo. Hai visto Jane? -
- Ancora non si è fatto vedere. -
- D'accordo. -
Non l'avrebbe ammesso nemmeno a sè stessa, ma era vagamente preoccupata: ogni volta che succedeva qualcosa che aveva anche solo lontanamente a che fare con la sua famiglia, Patrick sembrava perdere il lume della ragione. Non credeva che avrebbe fatto una sciocchezza, ma era in pensiero per i suoi nervi scossi.
Si stava chiedendo se chiamarlo era una scelta intelligente quando lo vide comparire dall'area relax.
- Ehi, buongiorno! - Gli disse sollevata.
- Buongiorno a te, Lisbon. Dormito bene? - Replicò Patrick con uno dei suoi sorrisetti allusivi.
Prima che Teresa potesse rispondere - dandosi della stupida per aver osato preoccuparsi per quell'impertinente anche solo per un istante - Grace li raggiunse.
- Capo, ho trovato a chi appartiene la Ford bianca. È intesta a Karl Reed. -
- Karl Reed? - Domandò Teresa spalancando gli occhi per la sorpresa. - Il figlio della signora Reed? -
- Quella che vive a Sicomor Grove, esattamente. In sostanza non abbiamo niente in mano. Speriamo che nelle riprese della serata ci sia qualcosa di interessante. -
La mattina trascorse tranquilla e quando Kimball riemerse dalle estenuanti ore di visione del video dovette ammettere che non c'era proprio niente di interessante: l'unica macchina comparsa nel vicolo nelle ore dell'omicidio era quella di Karl Reed, che una volta interpellato rispose che era andato semplicemente a trovare sua madre, dedicando a Grace una colorita descrizione per averlo disturbato per un motivo tanto stupido.
Wayne aveva fatto comunque qualche ricerca su di lui - non avevano nessun altra pista, d'altronde - e aveva scoperto una cosa interessante.
- Fa il responsabile del personale in un'azienda della California, lavora lì da circa sei anni. - Spiegò - Ma il bello arriva adesso: indovinate in quale città. -
- Manteca. - Intervenne Grace.
- Esattamente. - Passando un foglio a Teresa, Wayne continuò a spiegare - Ha fatto parecchia carriera, soprattutto negli ultimi sei mesi: è diventato dirigente quasi all'improvviso. -
- Curioso. Che fine ha fatto il precedente capo? - Domandò Grace.
- Non si sa. È scomparso nel nulla più o meno sei mesi fa. -
- Come scomparso? -
- Da un giorno all'altro ha lasciato la casa e non si è più presentato al lavoro: nessuno sa più niente di lui.
- Come si chiamava? - Intervenne Teresa, sollevando gli occhi dal foglio con la relazione.
- Frank McDale. - Disse Wayne.
- Ha parenti o amici in California? -
- Non in vita. Sua moglie è morta qualche mese fa. -
Teresa sospirò. Era il caso più ingarbugliato degli ultimi sei mesi, senza dubbio.
Patrick si alzò all'improvviso dal divano, da cui aveva seguito l'intera conversazione senza dare il minimo segno di attenzione.
- C'è una foto di questo Frank? - domandò, chinandosi sulla scrivania di Grace.
- O-ora controllo. - disse Grace, un po' stupita da quella richiesta improvvisa.
- Pensi che c'entri qualcosa con la morte dei Fairbanks? - Tentò Teresa.
- No, voglio solo vederlo in faccia. Ah, eccolo qua... beh, è un bell'uomo. Non trovi, Grace? -
La voce di Dorothy interruppe la conversazione.
- Ho voglia di un gelato. - Disse, comparendo in mezzo a loro.
- Tra poco è ora di pranzo, Dorothy. -
- Ma io ho fame adesso! -
- Andiamo subito a prenderlo. - Intervenne Patrick.
Teresa aprì la bocca per replicare, anticipando il suo rimbrotto con una delle sue occhiate gelide, ma Patrick si limitò a continuare a parlare senza calcolarla minimament.
- Però dobbiamo prima fare un giretto in macchina. Lisbon? -
- Prima dimmi dove andiamo. - Rispose lei, asciutta.
- D'accordo, andiamo con la mia. - Disse Patrick, tendendo una mano alla bambina.
- Non ho detto che non guido. - Intervenne Teresa, mettendosi tra Patrick e Dorothy e prendendo la mano che la bambina stava tendendo. - Ho detto che voglio sapere dove andiamo. -
Non avrebbe mai lasciato una bambina di cinque anni andare in macchina con uno con la guida sportiva del suo consulente: si sarebbe spaventata a morte alla prima curva.
- È una bella giornata, fare quattro passi nel verde distenderà i nervi di tutti. - Rispose Patrick allegramente, avviandosi verso la porta.

Il parchetto vicino a Sicomor Grove era veramente minuscolo: un rettangolo di verde all'incrocio tra quattro strade poco trafficate che offriva ai bambini un quadrato di sabbia, uno scivolo e due altalene, una delle quali penzolava appesa da un solo lato, scheggiata e scrostata. Qualche bambino giocava tra la sabbia e un gruppetto di signore chiacchierava vicino ai passeggini consumati mentre fissava la coppia ben vestita che si avvicinava lungo il vialetto; Dorothy camminava tra Patrick e Teresa finendo il suo cono alla cioccolata - Teresa non era riuscita a combattere contro le forze unite di Dorothy e Patrick e alla fine si era fermata a comprarle il gelato - e godendosi la passeggiata: l'unica cosa a suggerire che i suoi pensieri correvano continuamente ai suoi genitori scomaprsi era il suo strano silenzio.
- Va' pure a giocare, Dorothy, noi ci fermiamo qui. - Disse Patrick a un certo punto, avvicinandosi a una panchina.
- Non mi posso allontanare. -
- Non c'è niente di cui aver paura. - Disse Patrick di nuovo.
- Sto bene qui. - Disse Dorothy, sedendosi per prima.
- Io e Teresa dobbiamo parlare, perchè non vai sull'altalena? -
- Non mi voglio allontanare da sola! - Gridò Dorothy all'improvviso, facendo cadere il resto del gelato e attirando l'attenzione di tutti.
- D'accordo, d'accordo. Veniamo anche noi, ok? - Convenne Patrick.
Con i due adulti appoggiati ai pali di sostegno dell'altalena, Dorothy sembrava più tranquilla e andava avanti e indietro con la lentezza di chi non aveva veramente voglia di dondolarsi.
- Mi spieghi che stiamo facendo qui? - Esclamò Teresa all'improvviso.
- Stiamo indagando. -
- Pensi che le risposte si trovino tra sabbia e altalene? -
- No, ma credo che siano nella mente di Dorothy, è solo che non le vuole tirare fuori. Nel suo mondo non ci sono e sto cercando di portarcele per poterle poi portare nel nostro. -
In quel momento un uomo alto e robusto mise piede nel parchetto. La sua figura alta ed elegante attirò l'attenzione di tutti, anche se da quella distanza non si riuscivano a distinguere i suoi lineamenti. Si stava dirigendo spedito verso l'altalena e Teresa posò la mano sul fianco, dove sapeva esserci la sua pistola, mossa da un istinto affinato negli anni e potenziato dal senso di protezione verso quella bambina. Appena Dorothy si accorse dell'uomo che si avvicinava scese dall'altalena perdendo l'equilibrio, inciampando e precipitandosi dietro le ginocchia di Teresa, nascondendo il viso contro i suoi pantaloni e stringendole le gambe con una stretta disperata.
L'uomo si avvicinò con espressione burbera, fissando severamente prima Teresa e poi Patrick. Il detective gli sorrise e gli assestò una sonora pacca sulla spalla.
- Greg, vecchio mio, che ci fai qui? - Lo salutò.
- Dovresti dirmelo tu, visto che mi hai fatto uscire dal lavoro senza nessuna spiegazione. -
- Non dovrebbe essere un piacere rivedere un vecchio amico? -
- Non siamo mai stati amici. - Sbottò. - E mi devi dei soldi. -
- Hai ragione. Va beh, grazie per essere passato. -
- E i miei soldi? -
Patrick sorrise sornione e si posò le mani sulla giacca.
- Temo di aver lasciato il portafoglio in ufficio. Lisbon, andiamo? -
- Me li devi restituire! -
Con un cenno della mano, Patrick fece segno di aver sentito, e Teresa si ritrovò ad afferrare la mano di Dorothy e a trascinare una bambina pallida e tremante sul vialetto verso l'uscita.
- Si può sapere che diavolo sta succedendo? - Sbottò.
- Credo sia meglio che tu la prenda in braccio, è troppo scossa per camminare. - Rispose Patrick, accennando a Dorothy.
- Sei stato tu a spaventarla a morte! -
- Aha, no, ti sbagli. Io non ho fatto proprio niente. È stato Greg a spaventarla. -
- Cosa voleva quel signore? - domandò Dorothy con un filo di voce.
- Vorrei saperlo anch'io. - Rispose Teresa, stringendo più forte la sua mano e lanciano un'occhiata esasperata al suo consulente.



















Capitolo più corto del solito, ahimè.
Ho deciso di aggiornare in tempo utile,
ma questo mi ha obbligato a pubblicare un pezzo più breve,
dato che l'indagine si è ingarbugliata troppo
e avrei bisogno del vero Jane per sgarbugliarla.
E mentre fangirlizzo pensando alla meravigliosa puntata di ieri sera - molto Jisbon! -
vi ringrazio di aver letto e vi invito a non perdere la speranza:
la storia continuerà molto presto!

Flora

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Capitolo 6
*** Sei. ***






Era tarda sera, e le luci ronzanti dei lampioni di Sicomor Grove erano l'unico rumore che si udiva nel silenzio perfetto dell'appartamento deserto.

Acquattati contro la parete dello stretto corridoio della casa dei Fairbanks, nascosti alla vista dall'ombra della luce spenta e dalla tenda tirata, Teresa e Patrick aspettavano immobili da quasi un'ora.
- Giuro che se non succede niente... - Iniziò Teresa in un sibilo.
- Sì? -
- Non vuoi davvero sapere cosa ti farò, Jane. -
- Mi interessa, invece. -
Teresa si limitò a fulminare con gli occhi lui e quel suo sorrisetto strafottente.
L'aveva chiamata appena prima di cena, dicendole di raggiungerlo il prima possibile al condominio ma raccomandandole di non lasciare la macchina parcheggiata in vista. Così, invece di cenare, aveva dovuto litigare con Dorothy per lasciarla al CBI, discutere con Rigsby che non aveva voglia di badare a una bambina irrequieta, convincere Cho ad accompagnarla e a rimanere a due isolati dal condominio in attesa della sua chiamata..
Tutto questo, senza la minima spiegazione da parte di quel testardo arrogante del suo consulente, il quale continuava ad essere sibillino dopo essere scomparso per tutto il pomeriggio.
- Mi vuoi spiegare cosa... -
- Shh. - La mano di Patrick le afferrò il braccio e Teresa si azzittì bruscamente, voltando lo sguardo verso lo spicchio di salotto che la tenda socchiusa lasciava intravedere. I toni freddi e cangianti della televisione muta spezzavano il buio e la loro luce azzurra illuminava la figura di un ombra che si aggirava per la stanza senza fare rumore.
Teresa posò la mano sulla pistola, attese ancora un istante e poi tirò bruscamente la tenda, puntando la pistola verso l'ombra grigia e azzurra al centro della sala.
- CBI, metta le mani in alto! - Gridò.
Confuso, il robusto uomo apparso magicamente nell'appartamento si guardò intorno, fece cadere il coltello che stringeva in mano e si mise le mani sulla nuca, mentre i suoi occhi fiammeggiavano nel buio della stanza. Solo quando lo sconosciuto fu ammanettato, Patrick comparve nella sala accendendo la luce.
- Alla fine abbiamo il piacere di conoscerla. - Disse con un sorriso.
Teresa guardò prima Patrick e poi il robusto uomo ammanettato senza capire.
- Lisbon, ti presento Frank McDale. - Disse Patrick raggiante.

Quando Wayne vide il suo capo tornare, tirò un malcelato sospiro di sollievo.
Dorothy saltò giù dalla sedia girevole di Grace, da cui aveva bombardato Wayne di domande, e corse incontro alla donna con un luminoso sorriso.
- Sei tornata! - Esclamò allegramente. - Wayne diceva che... -
Le parole le morirono in gola quando vide l'uomo ammanettato tra Teresa e Kimball. Si fermò, con le labbra ancora socchiuse e gli occhi pieni di quello che sembrava sgomento, terrore e stupore. Raggelata, rimase immobile, in silenzio, a subire lo sguardo inespressivo dell'uomo di fronte a lei. Fu Kimball a rompere il silenzio che regnava nell'ufficio.
- Andiamo. - Disse all'improvviso, strattonandolo verso la sala interrogatori.
Dorothy tremava, immobile, e Teresa rimase ferma a guardarla per un momento, combattuta tra il desiderio di andarle a chiedere come stava e il senso del dovere che le diceva che doveva andare a seguire l'interrogatorio.
- Tutto bene, Dorothy? - Disse Patrick, anticipandola e raggiungendo la bambina, accovacciandosi per parlarle con gli occhi allo stesso livello.
Dorothy annuì, con gli occhi pieni di paura, e quando parlò la sua voce era poco più che un sussurro.
- Non mi farete andare con lui, vero? -
- Certo che no, tesoro. - Intervenne Patrick. - No, certo che no. Vieni, andiamo di là. Sono sicura che nell'ufficio di Teresa ci sono ancora le tue matite colorate. -
Teresa guardò Patrick prendere per mano Dorothy e portarla nel suo ufficio e si avviò verso la sala degli interrogatori sentendosi decisamente sollevata.
Aprì la porta della sala degli interrogatori e guardò l'uomo seduto dall'altra parte del tavolo. Alto e slanciato, sulla quarantina, con folti capelli bruni e un accenno di barba non rasata. I suoi occhi neri erano intensi e penetranti e la fissavano colmi di rabbia.
Senza scomporsi minimamente - non era certamente il primo reo incavolato che le compariva davanti, per quanto avesse un'aria decisamente elegante - Teresa si sedette al posto vuoto accanto a quello di Kimball.
- Che cosa ci faceva al 152 di Sicomor Grove? - Domandò Kimball.
- Ero andato a trovare mia madre. - Rispose l'uomo a denti stretti.
- Sua madre? -
- Abita all'interno 14. -
- Abbiamo già avuto il dispiacere di conoscere Karl Reed. - Intervenne Teresa - E credo proprio che non sia lei. Vogliamo farla breve, signor McDale? Perchè è andato a cercare Shayla e Rick? -
Infastidito, l'uomo sbattè i pugni ammanettati sul tavolo, biascicando una imprecazione.
Fulminò con lo sguardo prima Teresa e poi Kimball, sbattendo di nuovo i pugni sul tavolo con un tale vigore da far sobbalzare entrambi gli agenti.
- Avete preso la persona sbagliata! - Gridò. - Voi piedipiatti non siete capaci di fare niente! Arrestate la gente per bene e lasciate per strada rapitori drogati! -
- Non la seguo. - Disse Kimball senza scomporsi minimamente.
- Non mi segue? Non mi segue? Oltre che incapaci siete anche degli idioti, allora. - Disse l'uomo. Si avvicinò ai due agenti e sotto la luce al neon il suo labbro superiore imperlato di sudore luccicava con la stessa veemenza dei suoi occhi neri.
- Glielo spiego con parole semplici, così potrà capire. Quei due bastardi si sono presi mia figlia. -
- Sua figlia? -
- La bambina che quei due fenomeni da baraccone si sono trascinati dietro in quella lurida topaia è mia figlia Katherine. Mia figlia. Mia. - Ripetè, indicandosi con fare teatrale - Io spendo migliaia di dollari per ritrovarla e mi ritrovo in manette, mentre a quei due drogati non è mai stato torto un capello! -
- Se i Fairbanks hanno rapito sua figlia perchè non ha sporto denuncia? Abbiamo fatto dei controlli, non ci sono segnalazioni di bambine scomparse o rapite che concidano con la sua descrizione. - Domandò Teresa.
- Come ho già detto, gli sbirri non sanno muovere i loro culoni ben pagati dalle costose sedie di pelle dei loro uffici. Non si sarebbero mai mossi per cercare una mocciosa. -
Prima che Kimball o Teresa potessero rispondere a quella frecciatina, la porta si aprì bruscamente e Patrick entrò, avvicinandosi all'uomo.
- Una sola domanda, Frank: dove hanno rapito la sua bambina? -
- Cosa... che diavolo vi importa? Quello che conta è che quei due stronzi hanno rapito mia figlia e voi perdere tempo a interrogarmi come se fossi io il colpevole! -
- Risponda alla mia domanda. - Disse Patrick con calma. - Non è difficile. Dove è stata rapita? -
Frank McDale sbattè le ciglia un paio di volte, rimanendo in silenzio.
- Ai giardini pubblici? -
- Sì, sì, ai giardini. - Sbottò l'uomo. - Resta il fatto che non è importante! -
- È importante, invece. È importante perchè sta mentendo. - Ripose Patrick. - Sta mentendo perchè sua figlia non è stata rapita. Lei l'ha venduta a Rick e Shayla. -
- Ven... venduta? Come le viene in mente? -
- Avete notato? - domandò a Teresa e Kimball, alle sue spalle, senza togliere gli occhi dal volto pallido e sudato dell'uomo davanti a lui, i cui lineamenti erano tesi in un maschera di spavento - la paura si è dipinta sul suo volto nel momento in cui ha capito che avevo capito. Quando ho nominato la parola "venduta" non ha avuto nessuna reazione, perchè è stato quello che ha fatto. Ha avuto il coraggio di vendere una bambina. Perchè l'ha data via, Frank? Non era sua figlia davvero e se ne voleva liberare? Cercava di nuovo la pace della vita coniugale con sua moglie? Lo ammetta, si sentirà meglio. -
Frank reagì con tanta violenza che Teresa dovette strattonare Patrick indietro prima di vedergli il naso spaccato. L'uomo ammanettato si alzò in piedi gettando indietro la sedia e fissandoli con occhi fiammeggianti d'ira.
- No! È mia figlia, non l'avrei mai venduta! - Gridò. - È stata Tina! -
Le ultime parole dell'uomo echeggiavano ancora nella sala interrogatori. Teresa stringeva ancora la manica della giacca di Patrick, il quale fissava Frank ancora un po' stupito da quella brusca reazione dell'uomo.
Con la feroce consapevolezza di essersi tradito, Frank si voltò e sbattè i pugni contro il muro.
Kimball si alzò e lo ricondusse al tavolo, obbligandolo a sedersi con un'occhiata che non ammetteva repliche e rimanendo fermo vicino a lui, con le braccia incrociate sul petto el'aria di chi non aveva intenzione di vedersi ripetere una scena del genere.
Teresa, ripresasi dallo stupore, lasciò il braccio di Patrick, e il consulente si sedette nel posto lasciato vuoto da Kimball.
- Ci vuole dire la verità, adesso, o ha intenzione di fare un'altra sceneggiata? - Domandò Teresa con calma.
Frank la fulminò, poi fulminò Patrick e poi sbattè con violenza i pugni sul tavolo, in preda alla frustrazione.
- Ci facevamo, va bene? Troppo per le nostre sostanze. - Iniziò, guardandosi i pugni e parlando come se ogni parola gli costasse una fatica tremenda. - All'apparenza eravamo borghesi, avevamo una bella casa, una bella macchina, bei vestiti e frequentavamo i locali più in. Io ero capo del personale dell'azienda più importante di Manteca, ma i soldi che prendevo non bastavano per la roba. Ci servivamo da quei pazzi drogati dei Fairbanks, che ci avevano illuso di volerci venire incontro, ci facevano sconti, ci davano proroghe, "mettevano in conto"... Ma all'improvviso ci hanno detto che dovevamo saldare i debiti. Subito. Volevano uscire dal giro, cambiare vita, cambiare città.. e ci hanno minacciato. Quel pazzo delinquente pieno di tatuaggi si è presentato a casa mia con una pistola, ha detto che ci avrebbe ammazzati tutti se non avessimo pagato subito. Tina gli ha detto che non avevamo soldi o gioielli di valore. L'auto non era di nostra proprietà. Quel bastardo gridava, agitava la pistola, diceva che non aveva più tempo da perdere con noi e che se non avessimo pagato ci avrebbe fatto la pelle. In quel momento Katherine si è svegliata ed è comparsa nella stanza. Lui si è fermato all'improvviso, guardandola con occhi strani e Tina gli ha detto che, se voleva, poteva prendersi la bambina. -
Davanti allo sguardo di riprovazione di Teresa, Frank non riuscì a nascondere un moto di rabbia.
- Ci disprezza, vero? Certo, lei disprezza noi, non quel figlio di buona donna che ha preso in braccio mia figlia, ha ignorato le sue grida e le sue lacrime ed è sparito intimandoci di non cercarlo mai più. Nella vostra mente deformata sono io il bastardo, qui. - Disse con ferocia.
- Vada avanti. - Intervenne Kimball, gelido.
- Qualche giorno più tardi mi sono reso conto che non avevo intenzione di darla vinta a un bastardo di quel genere. E che i poliziotti non mi avrebbero mai aiutato. E a giudicare da questa situazione, facevo bene. - Disse con sarcasmo.
- E così avete deciso di fare da soli. - Intervenne Patrick. - Avrete chiesto agli spacciatori, vero? Ma nessuno sapeva niente di loro. I Fairbanks si erano volatilizzati. -
- Aiutati da qualche piedipiatti corrotto a fuggire, senza dubbio. - Replicò Frank. - Tina ha deciso di inscenare la morte di Katherine per levarci dagli impicci tutti quelli che ci chiedevano come mai la bambina non si vedesse più in giro. Abbiamo fatto un gran funerale che ci ha dato modo di avere un po' di pace dagli scocciatori. -
Teresa si passò le mani sul viso, cercando di non far all'uomo quanto trovasse rivoltante quella messinscena. Patrick, invece, sembrava completamente padrone della situazione.
- Ma qualcuno non ci è cascato. - Intervenne. - Qualcuno che conosceva sua figlia e che l'aveva vista da un'altra parte dopo il funerale. -
Frank lo fulminò, riversando il suo odio sull'innegabile acume del consulente, mentre Teresa iniziava a capire qualcosa di quella situazione.
- Karl mi ha avvicinato un giorno al lavoro. Quel bastardo mi ha detto che sapeva. Conosceva il mio segreto, mi ha detto con un sorriso da stronzo. E che mi avrebbe aiutato, se volevo... e se facevo quello che voleva lui. -
- Che cosa le ha offerto, signor McDale? -
- Voleva il mio posto. - Rispose l'uomo, a denti stretti. - L'ho riempito di raccomandazioni, di favori e l'ho messo in buona luce con tutti. Sei mesi fa mi ha dato l'indirizzo di Sicomor Grove e diecimila dollari, poi mi ha detto di sparire e non farmi mai più vedere nè sentire. -
Frank McDale si fermò, si asciugò il viso sudato e poi picchiò con violenza i pugni sul tavolo.
- Ha seguito Shayla e Rick negli ultimi mesi, non è vero? - Intervenne Patrick - Li seguiva quando andavano al parco e fissava la sua bambina, cercando di attirarla a sè. Ma Dorothy non aveva intenzione di venire con lei. -
- Come... come lo sa? - Mormorò Frank, talmente stupito da dimenticarsi della sua rabbia.
- L'abbiamo visto. Eravamo al parco con sua figlia e un uomo con la sua struttura fisica si è avvicinato. Dorothy si è precipitata verso di noi, nell'unico posto che le sembrava sicuro. -
Teresa realizzò solo in quel momento il senso di quello strano incontro al parco, dell'uomo robusto vestito elegantemente e del terrore di Dorothy quando l'aveva visto. Scoccò uno sguardo a Patrick, rendendosi conto per l'ennesima volta di quanto il suo collega fosse sveglio.
- E quindi ha pensato di uccidere Shayla e Rick e rapire sua figlia, visto che sapeva che non sarebbe mai venuta con lei di sua spontanea volontà. - Intervenne Teresa.
- Non sono un assassino! - Gridò Frank, con gli occhi di nuovo luccicanti di rabbia. - Quel bastardo mi ha fatto perdere le staffe! Mi diceva che non sono mai stato un bravo padre, che non avevo mai amato Katherine quanto lui amava Dorothy. Dorothy, vogliamo parlarne? Un nome così idiota non si era mai sentito! Sembra uscito da uno stupido libro di favole! - La risata nervosa che gli sfuggì dalle labbra sembrò spaventarlo ancora di più della sua stessa confessione e Frank Donovan si asciugò di nuovo la fronte imperlata di sudore col dorso di una mano. - È vero, sono andato a casa loro. Gli ho offerto tutto quello che avevo per riavere la bambina, ma loro mi hanno scacciato, ridendo di me. Ridevano di me! Quel bastardo drogato e quella sgualdrina di sua moglie ridevano di me! -
- E lei ha perso la testa. È un uomo sanguigno, lei, uno che non riesce a mantenere la calma. - Disse Patrick.
- Non lo volevo uccidere! Gli ho dato uno spintone, ha sbattuto contro lo stipite e si è afflosciato. Quell'idiota di una bionda ha iniziato a urlare e io avevo il terrore che svegliasse Katherine, così le ho detto di stare zitta.. ma lei continuava, io ho perso la testa e ho fatto in modo che potesse stare buona definitivamente. -
- E in quel momento ha sentito le nostre voci, vero, signor McDale? - Intervenne Teresa, che finalmente riusciva a mettere i pezzi della storia tutti al loro posto.
Frank si guardò intorno, confuso, e sbattè di nuovo i polsi sul tavolo, frustrato.
Fu Patrick a completare il quadro:
- Si è reso conto che non poteva scappare portando via sua figlia, perchè saltare dalla finestra con una bambina irrequieta è impossibile, noi avremmo sentito le sue urla e saremmo intervenuti. Così ha deciso di lasciar perdere e di fuggire. Ha provato a chiamare Karl Reed per avere spiegazioni, ma non ne ha ottenute... fino a oggi pomeriggio, vero? -
Teresa guardò Patrick sbattendo le ciglia, senza capire cosa stesse dicendo il suo consulente, ma Frank annuì stancamente.
- Mi ha lasciato un messaggio in segreteria. Ha detto che avrei trovato Katherine nell'appartamento con un assistente sociale e che era la mia ultima occasione. Ma che rivoleva i diecimila dollari. - Frank picchiò i pugni sul tavolo, lanciando uno sguardo feroce agli agenti nella sala. - Mi sono fatto fregare come un'idiota! -
- Non è colpa sua. È stata la signora Reed a credermi, quando sono andato a raccontarle che avremmo riportato Dorothy a casa per un'ultima volta. Lei ha solo visto ciò che voleva vedere: un'occasione per riavere sua figlia. - disse Patrick.
"Ecco dov'è stato tutto il pomeriggio." Pensò Teresa, senza riuscire alla vaga ammirazione per l'acume del suo ribelle consulente. La faceva impazzire, ma senza di lui non sarebbero riusciti a chiudere i casi con la stessa rapidità.
Frank non rispose, limitandosi a fissare l'angolo del tavolo con occhi freddi e pieni di rabbia.
- Portalo via, Cho. - Disse Teresa, sospirando amaramente.
Kimball afferrò l'uomo per un braccio e lo obbligò ad alzarsi, ma prima di uscire, Frank si voltò verso Patrick.
- Come lo ha capito? -
- Che Karl Reed era coinvolto? La mattina che Karl è arrivato portando qui la bambina, ha detto che "volevamo coinvolgere sua madre in questo caso", ma non c'era nessun caso: ufficialmente la bambina era un'orfana che aveva bisogno di un posto dove stare. Ma lui sapeva che c'era di più, sotto, e aveva paura di essere scoperto. Si vedeva dal terrore dipinto nei suoi occhi. La sua promozione ha fatto il resto. - Spiegò Patrick con calma.
Frank si voltò per uscire, ma questa volta fu Patrick a fermarlo.
- Un'ultima cosa. Quando ho visto la sua foto sul sito della polizia di Stockton, ho visto che era assieme a una donna dai capelli rossi. È sua moglie, per caso? -
- S-sì, Tina ha i capelli rossi. - Disse. - Perchè? -
- Solo per sapere. - disse Patrick, stringendosi nelle spalle.



















Ooook, ora tutti i pezzi dell'indagine dovrebbero essere andati al loro posto.
Che ne dite? La soluzione fila? Ci eravate arrivati?
Avete capito come mai Dorothy aveva così paura di andare al parco
e perchè non sopportava Grace? Ormai dovrebbe essere tutto chiaro....
Spero di aver fatto un buon lavoro, non avevo mai scritto un giallo prima
e questo mi si è ingarbugliato sotto le dita a mia insaputa!
Nel prossimo - e ultimo - capitolo resta solo da scoprire il destino della nostra adorabile bambina.
Grazie per aver letto e grazie a Mici e Flox che commentano sempre.
Spero che questo capitolo abbia compensato la brevità del precedente! (:
Bacibaci a tutti!
Flora

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Capitolo 7
*** Sette. ***





Quando Frank McDale fu uscito, Teresa rincorse Patrick fuori dalla sala interrogatori.

- Come facevi a sapere che non era stata rapita ma venduta? -
- Shayla e Rick volevano bene a quella bambina: non potevano permettersi un'automobile ma la riempivano di regali, dolci e pastelli colorati. Avevano smesso di spacciare, si erano trovati un lavoro e vivevano sereni, non la trattenevano contro la sua volontà. Questo portava a pensare che alla bambina quella coppia piacesse più dei suoi veri genitori. Da qui il fatto che si era sentita rifiutata da loro. -
- Non puoi sapere se Dorothy amasse di più i Fairbanks dei suoi veri genitori. -
- Lo sai anche tu, o non la chiameresti Dorothy ma Katherine. - Rispose Patrick, serio.
- Cosa c'entra questo? - Esclamò Teresa, punta sul vivo.
- Vuoi un tè? - Fu la risposta di Patrick mentre si dirigeva nell'area relax.
Teresa scosse la testa, stupita come sempre dall'acume e dalla capacità di svicolare del suo consulente, e in quel momento si sentì chiamare.
- Agente Lisbon? -
- Miss Andrews. - Disse Teresa, riconoscendo la ragazza bionda alle sue spalle.
Quella sera indossava un vestito rosa a fiorellini rossi e un coprispalle scarlatto. I riccioli color miele ondeggiavano sulle sue spalle e sembrava sempre più il personaggio di qualche cartone animato per bambini.
- Sono venuta a prendere Dorothy Fairbanks. -
- Avete trovato un posto per lei? -
- Non ancora. Starà in una casa famiglia qui a Sacramento, cercheremo di farla interagire con i suoi coetanei, ho capito che non ha molti amici. -
Teresa annuì.
- Vado subito a chiamarla. - disse, avviandosi verso il suo ufficio.
Aveva appena posato la mano sulla maniglia, quando un ripensamento la fece tornare indietro.

- Abbiamo chiuso il caso, le manderò il fascicolo. - Disse. - Il suo vero nome è Katherine McDale... ma credo che lei preferisca essere chiamata Dorothy. -
- Vedremo cosa possiamo fare, agente. - Rispose con un sorriso la ragazza.
Teresa ricambiò il sorriso e aprì la porta, chiudendosela alle spalle. Dorothy era intenta a sfogliare un libro sdraiata sul divano a pancia in giù e Teresa si fece strada nella confusione di colori, fogli e disegni che regnava sul pavimento fino ad arrivare al divano.
- Andiamo a casa? - Esclamò allegramente Dorothy.
- Claire Andrews è venuta a prenderti. -
- In che senso è venuta a prendermi? - Domandò Dorothy, mettendosi seduta sul divano e fissando la donna di fronte a lei con aria seria.
- È venuta a prenderti, ti porterà in un posto dove si prenderanno cura di te. -
Dorothy non rispose subito, e quando lo fece la sua voce era poco più che un sussurro.
- Non mi rimanderete con lui, vero? -
- No, tesoro. Starai in una casa con altri bambini. -
- Non posso rimanere con te? -
Teresa si sedette accanto a lei, fissandola senza riuscire a trovare niente di intelligente da dire.
Sapeva che Dorothy le avrebbe fatto quella domanda, ma sperava intensamente di sbagliarsi. Soprattutto perchè non aveva una risposta.

- Meriti una famiglia, Dorothy. Meriti una mamma e un papà, dei fratelli e delle sorelle... una bella casa col giardino e magari un cane nero da chiamare Totò. Non ti piacerebbe avere un cucciolo? -
Dorothy annuì, con le labbra strette e gli occhi neri spalancati nell'espressione smarrita che Teresa aveva imparato a conoscere così bene.
- Sarà divertente. Un po' difficile, all'inizio, ma divertente. - Disse Teresa con un sorriso forzato.
- Potrò venire a trovarti? - Mormorò Dorothy.
- Tutte le volte che vorrai. E adesso vieni qui, sei tutta spettinata. - Tagliò corto l'agente, sperando di impedire alla bambina altre domande difficili.
Dorothy scese dal divano e si fermò davanti a Teresa.
La donna sciolse i codini di Dorothy e li ravviò sul capo della bambina, fissando intensamente la sua nuca e sperando di riuscire a non farle notare quanto le mani le stessero tremando.
Quella situazione le ricordava terribilmente le mattine in cui era lei la bambina bruna coi codini e sua madre la donna che le raccoglieva i capelli cantando.

- Ecco fatto. - Disse con voce rotta, sopraffatta dall'emozione.
Dorothy si voltò, con i codini ordinati ai lati del capo, e la guardò negli occhi. Poi le gettò le braccia al collo e l'abbracciò con tutta la forza che aveva.
- Sarai una mamma bravissima. - Le disse.
Poi la sciolse dall'abbraccio e si precipitò fuori dall'ufficio, lasciando sul divano una Teresa decisamente sul punto di scoppiare in lacrime.
Appena un minuto dopo, fatte sparire le tracce delle sue emozioni dal viso e tornata la donna fredda e razionale di sempre, Teresa raggiunse gli altri nell'open space. Stava fissando la fine del corridoio, dove una testa bionda ancora si intravvedeva davanti all'ascensore, quando fu raggiunta dal suo consulente.
- Non puoi negare che ti mancherà. Ti si legge in faccia. - Le disse con un sorriso sornione.
- Oh, taci, per una volta. -
All'improvviso il rumore di passi di bambina sul linoleum annunciarono la comparsa di Dorothy, già spettinata per la corsa e con il fiato grosso. Si fermò solo quando vide Teresa e Patrick in mezzo all'ufficio.
- Mi sono scordata di darvi questo. - Disse sfilando dalla tasca davanti della salopette un foglio spiegazzato. Lo tese a Teresa, la quale lo afferrò con gesti meccanici, presa in contropiede da quella mossa inaspettata. Non aveva fatto in tempo a riprendersi dallo stupore, però, che Dorothy si avvicinò a lei abbracciandole le ginocchia con un tale affetto da farla arrossire. Patrick stava per fare uno dei suoi commenti pungenti quando la bambina allungò una mano e tirò il detective verso di lei, stringendo nel suo abbraccio anche le sue gambe. Col suo solito sorrisetto addolcito dall'abbraccio affettuoso di Dorothy, Patrick posò una mano sui capelli neri della bambina e con l'altro braccio tirò Teresa contro di sè, abbracciandola stretta, assaporando per un momento un affetto e un calore che non provava da anni. Un momento dopo Dorothy li lasciò andare e corse verso l'ascensore sparendo tra le scrivanie rapida e improvvisa com'era arrivata.
Immediatamente Patrick sciolse Teresa dall'abbraccio e i due si separarono, affrettandosi verso il proprio ufficio o il divano senza dire una parola.
Non erano passati che una decina di minuti, quando Patrick si avvicinò alla porta dell'ufficio di Teresa. Bussò e aprì uno spiraglio, facendo capolino nella stanza.
- Lisbon? Mi chiedevo se... Ehi, che succede? -
Teresa era ferma davanti alla sua scrivania e dava le spalle alla porta.
Aveva il capo chino su qualcosa e si era appena resa conto di non essere riuscita a nascondere a Patrick quello che provava nemmeno per un istante, durante gli ultimi due giorni. Tanto valeva smettere anche di provare.
Sconfitta, si limitò a tendergli il foglio che stava guardando, sedendosi sul divano con gli occhi bassi e le mani intrecciate l'una all'altra in un incosapevole gesto di preghiera.
Patrick aprì il foglio e gli bastò un istante per capirne il senso.
In un mondo verde, fatto di alberi e di fiori, tre figure camminavano su una strada gialla. Quella in mezzo era piccola, indossava un vestito azzurro e aveva i capelli neri stretti in due codini. Alla sua destra stava una figura alta, vestita completamente di verde, con i capelli biondi e ricci e in mano quello che sembrava proprio un muffin. Dalla parte opposta stava una fata dall'abito rosa, con i capelli neri, gli occhi verdi e una bacchetta magica.
Sembravano molto felici, almeno a giudicare dai grandi sorrisi che Dorothy aveva disegnato sui loro visi calcando forte con il pastello rosso.
Il detective posò il disegno sulla scrivania e si sedette accanto a Teresa senza dire nulla: tra loro era così, le parole servivano solo per discutere, era coi silenzi che parlavano davvero. Si scambiarono uno sguardo - solo uno sguardo, un breve istante di comunicazione - e poi Teresa si rese conto che non sarebbe riuscita a trattenersi ancora. Nascose il viso tra le mani, sperando di vincere la battaglia contro le lacrime e ripetendosi continuamente che aveva fatto la cosa giusta. Sentiva ancora la risata di Dorothy, riusciva quasi a vedere i suoi occhioni neri guardarla in attesa, percepiva le sue braccia attorno al collo e la sua voce quando le aveva sussurrato che sarebbe stata una mamma fantastica.
Stava per lasciar perdere l'autocontrollo e scoppiare in lacrime in modo molto poco decoroso, quando Patrick le posò una mano sulla schiena, limitandosi a condividere i suoi sentimenti solo con il calore della sua vicinanza.
Per tutta risposta, Teresa sollevò il viso dalle mani e lo guardò negli occhi, stupendosi di quanto anche quelli azzurri del suo collega fossero tristi.
Abbassò lo sguardo, rendendosi conto che non era la sola a soffrire di quella situazione: quella bambina aveva riaperto ferite mai rimarginate nel cuore di entrambi, riportando alla loro mente tutto quello che mancava loro. Allo stesso tempo, però, non riusciva a non essere grata a Dio per averle permesso di vivere dei momenti di così semplice e intensa felicità.
- Ho proprio voglia di un muffin. - Disse con un sorriso triste.
- Conosco un posto dove ne fanno di deliziosi. - Replicò Patrick, sorridendo mestamente a sua volta.
- Prendo la giacca. - Replicò Teresa, alzandosi.
La porta dell'ufficio si chiuse alle sue spalle e Patrick Jane e Teresa Lisbon uscirono nella calda sera di Sacramento. E mentre il mondo viveva come se non fosse accaduto nulla, loro due sapevano perfettamente che dentro di loro qualcosa era irreparabilmente cambiato.

















Ecco qui, la storia si conclude in questo modo.
Se vi ho deluso? Beh, credo di sì. In fondo speravamo tutti che Teresa
tenesse con sè questa bambina adorabile uscita non so nemmeno io da dove.
Però mi sono vista obbligata a scegliere questo finale perchè,
per quanto molto meno romantico,
è quello che secondo me si sposava meglio con l'intero telefilm.

E poi ho intenzione di scrivere altri gialli - con questo mi sono gasata! ^^ -
e chissà mai che io non voglia far tornare Dorothy... ho già qualche idea in mente.

Grazie a tutti quelli che hanno seguito la storia, che l'hanno recensita o semplicemente letta.
Grazie a tutti voi, che amate e seguite questo telefilm come me!
Vi auguro un Natale molto più che stupendo e un 2013 pieno di splendide novità!
Bacibaci a tutti!

Flora

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