La Quercia e l'Iris

di Eruanne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei. Prima parte ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisei. Seconda parte ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


La QUERCIA e l'IRIS


CAPITOLO UNO


Casa Baggins quella sera era più chiassosa del solito ed il proprietario ne era oltremodo sconcertato: non solo la sua tranquillità era stata minata, non solo la sua dispensa era completamente, totalmente esaurita, ma la sua cucina, anzi, la sua intera casa era invasa da nani! Tredici Nani!!! Più uno stregone incontrato la mattina che conosceva a malapena e gli aveva segnato la porta con una runa, grazie alla quale i suoi ospiti avevano riconosciuto l'abitazione dello Hobbit. Davvero, Bilbo Baggins non sapeva da che parte cominciare per cacciarli, ci aveva provato da quando il primo (Dwalin, se ricordava bene) aveva varcato la soglia rotonda, ovviamente senza venire ascoltato da nessuno di loro; li osservò mentre pendevano dalle labbra dell'ultimo arrivato, Thorin Scudodiquercia, loro re: parlava di una missione pericolosa, di una Montagna da riconquistare, di qualcosa da sconfiggere... era tutto troppo assurdo per le povere orecchie hobbit di Bilbo, tutto così surreale! La sua vita, monotona e solitaria fino poche ore prima ora stava cambiando, lo sentiva fin nelle ossa.

E non riusciva a comprendere se fosse positivo o meno: aveva sempre sognato l'avventura quando era un giovane hobbit, ma ora era diverso; le mura della sua casa erano così confortanti e sicure, ogni oggetto era per lui una certezza. La sua vita era lì e non l'avrebbe mai lasciata, nossignore!

Ad un certo punto, una frase di Gandalf il Grigio risvegliò la sua attenzione.

<< Perdonate l'interruzione amici, ma credo che dovremmo aspettare l'ultimo ospite, prima di parlare nel dettaglio della missione >>

"Per tutta l'erba pipa, ancora?"

Tutti lo guardarono, perplessi, poi Ori parlò << Un altro? >>

Un fiume di domande invase la stanza mentre tutti ponevano interrogativi al mago che, spiazzato, cercava di rispondere; solo l'intervento di Thorin pose fine al chiasso creato, urlando ammonimenti nella loro lingua natia. Poi si rivolse egli stesso allo stregone.

<< Le domande dei miei fratelli sono giuste, Gandalf: chi altri deve giungere? Che io sappia sono solo questi i miei compagni >>

<< Credo invece si rivelerà utile anche il nuovo membro >> sghignazzò << due braccia in più poi fanno sempre comodo. Bene, finché aspettiamo propongo un altro giro di carne salata, verdure e buon vino: che ne dite? >>

Bilbo Baggins emise un basso gemito. L'ennesimo della serata.



Sbuffò. Di nuovo.

Era in tremendo ritardo, cosa che odiava dal profondo del cuore; e detestava il fatto d'andare in una casa estranea di un Hobbit di cui non conosceva l'identità, oltretutto con una fastidiosa compagnia. Perché quando li avrebbe rivisti, non sarebbe stato piacevole. Tutt'altro.

Sbuffò ancora mentre si inerpicava lungo la stradina sterrata, oltrepassando buffe case ricoperte d'erba dalla porta rotonda: se fosse stato giorno, un tripudio di colori avrebbero accompagnato il suo cammino e magari, per qualche minuto, non avrebbe pensato all'imminente incontro.

Ma il fato, beffardo, aveva negato anche questo privilegio; improvvisamente, una lieve luce pallida attirò la sua attenzione: si avvicinò ad essa e, con un tuffo al cuore, riconobbe la runa che lo stregone aveva tracciato in modo che tutti loro potessero vederla. Giunse nel giardino e, facendo un profondo respiro per calmare i nervi già a fior di pelle, bussò, sentendo provenire dall'interno un gran trambusto e voci concitate.

La porta si aprì improvvisamente, e fu proprio lo stregone a riempire il suo campo visivo: si aprì in sorriso piuttosto compiaciuto, fiero nell'aver avuto ragione per l'ennesima volta. Ogni mossa di Gandalf era studiata e programmata e, chissà perché, tutto corrispondeva al piano che aveva ideato; come facesse a funzionare ogni ingranaggio di quel meccanismo era un bel mistero. Eppure, per questo, non poteva non ammirarlo.

Così, dopo che egli ebbe fatto un cenno, entrò in quella casa accogliente e calda che odorava di buon cibo e vino ed era rischiarata dalla luce soffusa delle candele; lo seguì verso una stanza piccola dove, attorno ad un tavolo, erano stipati tutti gli altri che, non appena intravidero l'ospite, assunsero le espressioni più sorprese e sbalordite mai viste prima. Solo uno di loro si alzò in piedi così velocemente da rovesciare lo sgabello sul quale era seduto, irato.

<< Cosa ci fa lei qui? >>




CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonsalve care/i! Ieri sono andata al cinema a gustarmi “Lo Hobbit” e, una volta finito, ero talmente gasatissima che non ho resistito: DOVEVO scrivere qualcosa in merito, una schifezza, un capitolino, qualsiasi cosa sul film *___*, per questo è nata questa fan fiction. In più, l'ho fatto per essere la prima a scrivere qualcosa su quel gran bel nano di Thorin ;) ;) heheheheeh, anzi, forse l'ho fatto principalmente per questo motivo XD XD

E voi? Che impatto avete avuto col film? Vi è piaciuto, l'avete contestato (premetto che non ho ancora letto il libro, quindi non conosco la storia nel dettaglio, ho solamente ammirato lo splendido lavoro di Peter Jackson), insomma, che impressione vi ha dato?

Fatemi sapere attraverso le solite, vecchie recensioni, sempre gradite :): mi scuso per il capitolo scarno di dettagli e breve, ma ho sentito la necessità di pubblicarlo comunque, non ce la facevo a rimandare ^^

Vi dico purtroppo già da ora che probabilmente non aggiornerò tanto spesso, sia per impegni vari della vita ç____ç, sia perché, anche avendolo visto, non è che me lo ricordi così bene da scriverci la storia completa... e giustamente penserete: ma allora perché pubblichi adesso??? diciamo che sarà una specie di “prologo” per quando la continuerò :): spero non me ne vogliate a male :( :(

Bene, con questo è tutto gente, vi lascio!

Buon Natale a tutti e Buon Anno Nuovo (se il mondo non finirà prima ;) ;) )

:* :*

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Premessa: innanzitutto vi chiedo perdono per il precedente capitolo: rileggendolo, ho nuovamente capito che
era orrendo! L'ho scritto dopo un'estenuante giornata iniziata alle sei, proseguita con un esame
e conclusasi con la visione del film, seguita da uno stato allarmante di euforia e allucinazioni XD!

Bene, dopo questo vittimismo, vi lascio alla lettura :), ci leggiamo giù!!!

CAPITOLO DUE


<< Cosa ci fa lei qui? >> tuonò Thorin Scudodiquercia, un dito accusatore puntato contro la nuova arrivata che, nel frattempo, aveva appoggiato l'arco di legno in un angolo e si era tolta il pesante mantello da viaggio nero, logoro da numerose intemperie. Sentiva lo sguardo del re bruciare come fuoco, ma non lo degnò nemmeno di una occhiata, concentrandosi piuttosto sull'alta figura dello stregone, che le sorrideva affabile.

<< Benvenuta! Lascia che ti presenti il padrone di casa, Bilbo Baggins >>.

Una figura più piccola le si parò davanti, dall'aria parecchio sorpresa e confusa: probabilmente essere circondato da tutti quegli intrusi non gli piaceva affatto, ed ora che se ne era aggiunto un altro, era entrato nel panico più completo.

Per un attimo provò una sincera compassione per lui, ma passò subito; gli tese comunque una mano, dopotutto era pura cortesia.

<< Karin, figlia di Kario >>.

<< Traditrice del suo popolo >> aggiunse sprezzante Thorin.

Il proposito della ragazza di rimanere calma si infranse come un bicchiere di vetro scagliato a terra; si ritrasse dalla stretta, lanciando un'occhiata di puro odio verso il Nano.

<< Non sei stato interpellato per le presentazioni, Re sotto la Montagna >> replicò, adirata come non mai.

Alla frase, tutti proruppero in esclamazioni e Dwalin si alzò, sfoderando una delle due asce, pronto a dar battaglia a colui che aveva offeso il suo capo.

<< Un tuo ordine Thorin, e la farò pentire amaramente! Maledetta traditrice >> ululò il nano più alto di quella stramba compagnia; i muscoli parvero guizzare dall'ira, e le cicatrici sugli avambracci sembrarono animarsi di una forma di vita. Karin si augurò in cuor suo che abbaiasse molto ma non mordesse: perché, altrimenti, sarebbe finita in guai grossi.

Non impedì al proprio corpo di venir scosso da piccoli brividi di paura, sentimento che aveva giurato anni addietro di non provare più; notò che Thorin aveva aperto bocca per impartire un ordine, ma venne preceduto dalla voce più improbabile di tutte che, inaspettatamente, la difese.

<< S... scusatemi, ma non penso sia questo il modo di rivolgersi ad una ragazza >> tutti gli sguardi si spostarono su Bilbo, chi ammirato, chi confuso, chi minaccioso << anche se, insomma... è quello che dite che... che sia >> concluse, guardando Thorin << almeno, non in casa mia. Nossignore! >> si sistemò le bretelle dei pantaloni, più per il disagio che provava che altro.

I Nani rimasero in silenzio, facendo oscillare il capo da un capo all'altro del tavolo, da Bilbo a Thorin e viceversa; infine, il loro re si chinò a prendere lo sgabello caduto e si sedette nuovamente, parlando al Grigio Pellegrino.

<< Ebbene, Gandalf? Quale subdolo piano avresti in mente, per aver chiamato qui l'esiliata? Non è bene accetta, lo sai >>.

<< Nessun subdolo piano, mio buon amico; ti assicuro che si rivelerà molto utile >>.

<< Ma davvero? >> sbottò sarcastico Thorin, gli occhi azzurri che scintillavano minacciosi << E come, sentiamo >>.

Gandalf fece un gesto con la mano verso Karin, invitandola a parlare; tredici teste si voltarono verso di lei, e perfino Thorin posò lo sguardo sul suo viso.

<< Conosco il punto esatto dell'entrata di Erebor >>.

Un sottile gelo si diffuse per la stanza, penetrando nelle ossa dei nuovi arrivati; Bilbo, invece, osservava la scena incuriosito, facendo fatica a comprendere. Forse ora avrebbe ricevuto le risposte che attendeva dall'inizio di quella estenuante serata.

<< Tu cosa? >> mormorò l'anziano Balin, stringendo il bordo del tavolo.

<< E' impossibile, ragazza! Quella porta è invisibile >> esclamò Gloin parecchio irritato, la faccia dello stesso colore della barba; almeno Thorin ebbe il buonsenso di tacere, limitandosi solo a guardarla come se avesse visto un morto risuscitato.

Karin, invece, alzò le spalle << Non è stato difficile, mastro Nano. L'ho trovata per caso una sera, mentre vagavo da quelle parti: non appena si è illuminata vi ho posto un segno, così da riconoscerla in seguito >>.

<< Incredibile! >>

<< Allora è fatta, benvenuta nella Compagnia! >>

<< Fili, Kili, fate silenzio! >> li fermò Thorin; i due giovani fratelli invece, continuarono imperterriti, non capendo che stavano solo peggiorando la situazione.

<< Oh, andiamo zio, è meraviglioso! Sarà tutto molto più semplice se lei ci farà da guida! >>.

<< Già, tu eri fin troppo preoccupato perché non ricordavi dove potesse essere l'entrata: questo risolve tutto! >>.

<< Nessuno è mai riuscito a trovarla, nemmeno quando ci riprovammo anni addietro! >> scattò Nori, l'improbabile pettinatura a stella che oscillava ad ogni suo movimento del capo << Fatto inspiegabile, dico io! >>

<< E' una bugia bella e buona: si sa che il sangue di traditore è marcio >> approvò Dori, suo fratello maggiore.

<< Perché tu l'avresti trovata e noi no? Ti senti speciale, esiliata? Forse le mie asce ti faranno rinsavire, maledetta... >>.

<< ORA BASTA!!! >> l'oscurità calò sui presenti prima che Karin potesse replicare; tutti ammutolirono di fronte al potere sprigionato da Gandalf, che ora si ergeva minaccioso su di loro, incollerito. Li squadrò truce dall'alto al basso, gesto che li fece sentire quasi più piccoli del solito. Quasi. Perché, certo come il sole che sorge ad est, i nani non si facevano spaventare così facilmente: nemmeno se il soggetto in questione era Gandalf il Grigio.

<< Voi Nani e la vostra caparbietà! Ci porterete alla rovina ancor prima di iniziare il viaggio; Karin verrà con noi e, quando giungeremo alla Montagna, ci condurrà verso il passaggio alle sale inferiori. Non importa come o perché sia riuscita a trovare la porta! >>

<< Invece importa >> la voce profonda di Thorin si levò dal silenzio che aveva avvolto i suoi compagni << Non puoi chiederci di fidarci di lei, Gandalf. Ciò che ha fatto... >>

<< Questo lo so, ma le vostre divergenze le risolverete in un altro momento; lasciate da parte i vecchi rancori, ve lo chiedo per il bene dell'impresa: altrimenti, non andremo molto lontano se continuerete ad azzuffarvi. Quando raggiungeremo la Montagna Solitaria, Karin ci porterà al luogo prescelto: e ora, vogliamo spiegare al padrone di casa il perché del suo coinvolgimento? >>

Riluttante, Thorin fu costretto ad annuire, ma l'atmosfera grave continuò ad impregnare le pareti della stanza; fu con uno sforzo enorme che tutti volsero la loro attenzione allo Hobbit.

<< In poche parole, caro Bilbo, diventerai lo scassinatore della Compagnia >>.

<< Sca... scassinatore? >>

Karin si chiese se il suo balbettare fosse per lo sconcerto delle varie notizie, o il suo vero modo di parlare: probabilmente la prima opzione. Lo vide aggrottare le sopracciglia, innumerevoli rughe si formarono sulla fronte mentre cercava di capire in quale guaio lo stessero cacciando. Si sentiva tremendamente vicina a lui in quel momento: avrebbe varcato volentieri la porta tonda per andarsene lontano da lì, ma aveva promesso a Gandalf che sarebbe rimasta. L'aveva promesso a se stessa e a suo padre; basta scappare, basta nascondersi. Era il momento di far vedere a tutti che non era come veniva descritta.

Non prestò particolare attenzione alle varie spiegazioni che Gandalf e Thorin diedero a Bilbo, ma fu quando gli diedero in mano il lungo contratto che l'attenzione la catturò nuovamente. Lo vide intento a leggerlo, la preoccupazione che, palpabile, si faceva strada nei suoi pensieri e nei gesti.

<< Incenerimento? >> chiese incredulo, dispiegando meglio la pergamena; forse era convinto d'aver letto male.

<< Non... non respiro, sto per svenire! >> disse, la voce incerta e tremante.

<< Oh, sì! Pensa ad una fornace con le ali: un lampo di luce, fuoco cocente, e puff! Poi sei solo cenere >>

Bilbo perse qualsiasi colore in viso, diventando pallido, troppo pallido. A Karin suonò come un campanello d'allarme; rimase col fiato sospeso finché l'altro non svenne, cadendo sul tappeto verde come un sacco di patate. Solo allora tutti quanti scattarono in piedi cercando di raggiungerlo ma, così facendo, produssero un'immensa confusione, al che Gandalf ordinò a tutti di andarsene fuori a prendere una boccata d'aria. Dwalin e Nori lo aiutarono ad alzare Bilbo e a farlo rinvenire mentre la ragazza, sempre sotto consiglio di Gandalf, armeggiò in cucina per preparargli una tazza di tè: cercando di fare meno danni possibili – rischiò, ad esempio, di rovesciare una bella tazza blu e gialla, più l'acqua bollente dal pentolino – portò a termine la faticosa missione, consegnando la bevanda al proprietario che, nel frattempo, si era risvegliato e sedeva in salotto su una comoda poltrona.

Non appena la sentì arrivare, la seguì con occhi guardinghi in ogni suo gesto, finché non fu lei a rompere il silenzio.

<< Il tuo sguardo non ha smesso di seguirmi da quando ho varcato la tua soglia, Bilbo Baggins; sento che hai molte domande da pormi >>.

<< Ecco, io... >> rimase spiazzato, non sapendo come continuare, forse in imbarazzo per essere stato colto n flagrante << Bé, tu... sei come loro, vero? >>.

<< Certo, sono un nano >> rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

<< Ma, ecco, avevo sentito che le donne dei nani somigliavano a loro nell'aspetto >>.

Karin scoppiò in una breve risata amara, annuendo << Eccome, signor Baggins. Ma devi sapere che nelle mie vene scorre sangue di Hobbit, da parte di madre; per questa ragione non mi sono mai cresciuti i baffi o la barba. Soddisfatto ora? >>.

Bilbo l'osservò attentamente, cercando di scorgere in quegli occhi neri tutta la sofferenza che celavano; e, di colpo, la sua mente formulò talmente tante domande da sconvolgerlo: da quanto tempo non si sentiva così interessato a qualcuno? Si era limitato a stare il più possibile in disparte, lasciando che quelle quattro mura l'avvolgessero come una calda e soffice coperta, in un lieve torpore che si era frantumato con l'arrivo dei nani. E quello di Karin.

<< Permettimi di porti un'ultima domanda. Cosa è accaduto di così grave tra te e gli altri? Ti chiamano esiliata, traditrice, e chissà in quali altri termini! >>.

Di nuovo, la ragazza si strinse nelle spalle, evasiva. << Sono esiliata, è vero, ma traditrice... quello no, mai! >> posò lo sguardo sul fuoco, che scoppiettava quieto dinanzi a loro << Sono qui unicamente per uno scopo, ovvero ristabilire il nome del mio clan: per farlo, sono anche disposta a morire. Ma non è ancora giunto il momento delle spiegazioni. Per ora, ti basti sapere questo >> mormorò, tornando a rivolgersi a lui: occhi grigi curiosi ma rispettosi in quelli neri, profondi e tormentati.

<< Voi tutti avete uno scopo, una missione. E io? Che ruolo ho? >> chiese sconsolato, le dita che reggevano la tazza.

<< Io credo che lo scoprirai solo se verrai con noi; in te c'è molto più di quel che sembra, Bilbo. Devi solo avere più fiducia nelle tue capacità; però sappi che la strada da percorrere sarà tutt'altro che semplice, irta di insidie e pericoli, sia dentro che fuori la Compagnia. Non ti biasimerò se non te la sentirai >>.

<< Dentro... la Compagnia? >>.

Karin fece per rispondere, ma il loro contatto visivo venne interrotto dall'arrivo dello stregone, giunto ad assicurarsi sulla salute dell'amico.

<< Con permesso >> la ragazza si congedò dai due, lasciandoli soli a parlare; si allacciò il mantello ma, non appena posò la mano sul pomello della porta, la voce di Bilbo la raggiunse.

<< Grazie, Karin >>.

Si voltò, vedendogli sulle labbra un sorriso tirato, ma riconoscente; accennò un mezzo sorriso anche lei, aprendo la porta ed uscendo nella lieve brezza notturna.

Doveva distendere i nervi a fior di pelle, doveva calmarsi per ritrovare il suo autocontrollo e la sua freddezza, messe a dura prova dagli eventi della serata: da una tasca interna del mantello estrasse la lunga pipa di legno; da un'altra, tirò fuori l'erba pipa. Poco dopo stava beatamente fumando, seduta sulla panchina; le lunghe boccate producevano piccole nuvolette che si disperdevano nell'aria: lei le seguiva con lo sguardo finché non sparivano, mentre la mente si perdeva nei meandri dei suoi contorti pensieri. Bilbo si sentiva fuori luogo? E lei, lei cosa avrebbe dovuto dire? Certo, aveva saputo fin dall'inizio, da quando Gandalf le si era presentato là nel bosco, che quella sarebbe stata tutt'altro che una passeggiata: troppi pregiudizi aleggiavano tra i nani, lei compresa. Si sentiva come un orchetto esposto al sole. Tremendamente fuori luogo.
Scosse la testa, aspirando un'altra boccata che la fece ragionare meglio: era lì per un buon motivo, l'aveva spiegato a Bilbo; doveva solo concentrarsi su quello e basta. Poco importava se l'avessero ignorata, se non le avessero rivolto la parola lungo le leghe che dovevano percorrere, o se si fossero dimostrati sospettosi ed indifferenti. Lei li avrebbe lasciati fare, i loro sguardi dovevano scivolare come acqua sulla sua pelle.

Sì, decise. Avrebbe adottato questa strategia...

<< Disturbiamo? >>.

Una giovane voce la scosse dai pensieri da reietta, trovandosi accanto due nani: anzi, tre. Uno era semi-nascosto dietro gli altri. Erano i due che avevano cercato di convincere Thorin a includerla nel gruppo: Fili e Kili, se non ricordava male. Ma, chi dei due era uno o l'altro, proprio non l'avrebbe saputo dire; in più, non conosceva nemmeno l'identità del terzo, un altro giovane dall'aria timida ed insicura.

Aspettavano una risposta alla domanda, se ne rese conto solo dopo che si ritrovò tre paia d'occhi perplessi, in attesa.

<< Dipende da cosa volete >>.

La risposta non piacque granché, ma i tre rimasero lì, imperterriti. Quello dai capelli lunghi e neri si sedette al suo fianco, senza aspettare un invito; anche se percepì le occhiate malevole di Karin, non lo diede a vedere. Tirò fuori la pipa e, dopo averla accesa, si stravaccò maggiormente, esalando brevi nuvolette.

<< Volevamo solo condividere un po' di tabacco con te, nient'altro >> insistette, abbozzando un breve sorriso.

<< Ma forse non voglio condividere >> replicò ostinata Karin. D'accordo, forse non era il modo esatto di procedere, si rimproverò; erano suoi compagni adesso e doveva cercare, perlomeno, di non attaccar briga con loro. Eppure si rivelava così complicato! Non era certo abituata ad avere tutta quella gente attorno, o che si interessava a lei ed ai suoi gesti. Per un attimo, rimpianse la quiete dei boschi dove aveva vissuto in solitaria, in tutti quegli anni di esilio.

<< Invece dovresti, se non vuoi isolarti già prima di partire >> l'attaccò il nano dalla chioma e barba bionda: anche alla luce della luna vide i suoi occhi azzurri brillare; così familiari da farle male... e d'improvviso ricordò l'appellativo che quei due avevano dato a Thorin: zio.

Ebbe una voglia matta di scappare a gambe levate, magari fendendo qualcosa lungo il cammino: le sue dita sfiorarono delicatamente l'elsa intarsiata della sua lunga spada, dalla quale non si separava mai, cercando una qualche forma di forza, di coraggio o, perché no, di tranquillità.

Si impose di non far trapelare l'acidità nella parole << Credevo d'essere già una reietta ancor prima di partire, mastro Nano. E perdonatemi, ma non conosco ancora i vostri nomi; dettaglio che non mi sembra equo, visto che voi conoscete il mio >>.

Quello sedutole accanto rise, gettando indietro il capo << Hai ragione, perdonaci, ma le circostanze di prima non ce l'hanno permesso. Io sono Kili, lui è mio fratello Fili >> l'altro chinò brevemente il capo << e quello dietro di lui è Ori, fratello di Dori e Nori, nonché il più giovane della Compagnia. >>.

La ragazza lo squadrò, pensando che doveva trattarsi di uno scherzo: quello probabilmente non sapeva nemmeno da che parte era l'ovest, figuriamoci intraprendere un viaggio rischioso che avrebbe comportato la loro morte. A differenza degli altri, che indossavano le loro vesti da battaglia fatte di cuoio e metallo, portava un maglia di lana sopra dei pantaloni, e dei guantini leggeri; alla cintura, là dove tutti appendevano la loro spada, o ascia, lui portava una piccola fionda. E fu proprio questo a stupirla maggiormente: davvero credeva di cavarsela con quella? Un solo aggettivo gli calzava a pennello, concluse Karin: inesperto. Non sarebbe sopravvissuto a lungo.

Alla luce proveniente dall'interno dell'abitazione lo vide arrossire, forse intuendo i suoi pensieri: almeno non era stupido; o forse lo era stato abbastanza da offrirsi volontario.

Aspirò un'altra boccata di fumo rendendosi conto che, in realtà, non vi era più tabacco; imprecò silenziosamente e la ripulì, per poi riporla nella tasca. Si avvolse un po' più nel mantello quando una folata d'aria le penetrò attraverso i vestiti pesanti, adatti al viaggio.

<< Non sei molto loquace, vero? >> chiese Kili, sedutosi troppo vicino.

<< Tu lo sei per entrambi, giovane principe >> all'appellativo, quello sgranò un attimo gli occhi per poi ridurli a fessure, inaspettatamente sospettoso.

Karin si sorprese a spiegare, prima che la situazione degenerasse << Prima avete chiamato Thorin zio; non posseggo poteri magici, se è questo che temete >>.

<< Non lo pensavo. Ma mi stupisce il fatto che mi hai chiamato “giovane”: eppure, non mi sembri anziana come Balin, o Dori >>.

Stavolta fu il turno di Karin di sorridere: sollevò appena un angolo delle labbra, ma fu sufficiente per Kili.

<< Mai sentito il detto “non giudicare un libro dalla copertina”? E' esattamente ciò che dovete fare, l''aspetto può ingannare: per me siete certamente più giovani >>.

<< Allora quanti... >>.

<< Giovanotti, siete pregati di rientrare; lo hobbit ha deciso >> Balin interruppe la domanda di Fili, e permise a Karin di evitare di rispondere a domande a dir poco scomode.

Il vecchio Nano le lanciò una breve ma penetrante occhiata, però non si premurò di accertarsi se lo stesse seguendo o meno, così Karin optò per rimanere lì fuori un altro po', da sola; lasciò la porta di Vicolo Cieco semi aperta e, dalla confusione che ne seguì, dedusse che Bilbo aveva negato il suo aiuto. Una parte di sé si sentì tremendamente dispiaciuta e triste: aveva accettato il fatto che sarebbe partita in compagnia di nani che la odiavano, ma la tortura le era sembrata meno pesante sapendo che un volto meno ostile di altri sarebbe stato al suo fianco: ancora una volta, però, si ritrovò sola. Sospirò forte, cercando di captare urla, rimproveri o furiose frasi ostinate: invece, le sue orecchie si scontrarono col silenzio che regnava nella casa; incuriosita si alzò e, senza fare il minimo rumore, si affacciò alla porta per spiare all'interno. Riconobbe l'ampio mantello di pelliccia di Thorin, i lunghi ed ordinati capelli ondulati che gli ricadevano oltre le spalle; era appoggiato al caminetto della sala, mentre tutti gli altri erano attorno a lui, in piedi.

Dal silenzio emerse una melodia cantata a bocca chiusa; poi la sua voce, profonda e calda, riempì la stanza, diffondendosi nell'aria come profumo.


Lontano su

Nebbiosi Monti gelati

in antri oscuri

e desolati.

Partir dobbiamo

l'alba scordiamo

per ritrovare

gli ori incantati.


Karin trattenne il fiato, riconoscendo la canzone dalle primissime note: sentì una forte stretta al petto, come se qualche mano invisibile si fosse serrata attorno al cuore; quelle parole sapevano di qualcosa dimenticato da tempo, di nostalgia per una cosa perduta. Sapevano di casa, di famiglia. Sentì un gran bisogno di piangere, mentre la mente le giocava il pessimo scherzo di farle rivedere i luoghi che aveva calcato da piccola all'interno di Erebor: piazze, strade e vicoletti, palazzi colmi d'oro, scuderie, armerie... e poi nani che passeggiavano, lavoravano, bambini che correvano ed urlavano. Tutto ciò era morto con la città, inghiottito dal terrore del drago Smaug.

Ben presto, Thorin non fu solo; a lui si aggiunsero gli altri, intonando l'ultima strofa che ricordava loro le medesime sensazioni.


Ruggenti pini

sulle vette

dei venti il pianto

nella notte

il fuoco ardeva

fiamme spargeva

alberi accesi

torce di luce.


La canzone terminò, ma non la tristezza. Karin si ritrasse rapidamente, tornando nell'abbraccio dell'amica oscurità; lontana da sguardi indiscreti si asciugò le lacrime che, beffarde, erano sfuggite alle ciglia, formando un piccolo solco sulle guance rosate. Sbatté più volte le palpebre per ricacciarne altre: respirò a fondo, cercando contemporaneamente di darsi una calmata e di ascoltare le istruzioni del re per la partenza del mattino successivo.

<< Partiremo all'alba di domani, amici miei. Cercate di riposare il più possibile; Gandalf ci mostrerà il nostro alloggio >>.

Seguì un gran trambusto, segno che tutti stavano raccogliendo le proprie cianfrusaglie: siccome non voleva mostrarsi in quello stato penoso, decise di aspettare lì fuori; forse, col favore delle tenebre, nessuno avrebbe notato i segni del pianto.

Come previsto gli altri uscirono, scuri in volto; la guardarono di sfuggita, poi si dileguarono lungo un sentiero che conduceva in basso, verso una piccola locanda. Non appena l'ultimo, Ori, sparì alla sua vista, entrò in casa cercando il suo arco; lo trovò dove l'aveva lasciato, addossato alla parete della piccola cucina. Diede una rapida occhiata attorno, notando la pulizia e l'ordine che, nuovamente, regnavano sovrani, come se nulla fosse accaduto: era davvero una bella dimora, adatta a chi amava la propria vita e non l'avrebbe cambiata per tutto l'oro del mondo; Karin avrebbe voluto possedere più sangue Hobbit nelle vene, in modo da condurre una simile vita.
Assicurò l'arco alla schiena, raccolse la faretra e se la issò in spalla; raggiunse la sala a grandi e pesanti falcate, tipiche del modo di camminare dei nani, ma si bloccò quando i suoi occhi si posarono sul lungo contratto scritto da Thorin e controfirmato da Balin; con un nodo in gola, vide che il posto per la firma di Bilbo era immacolato, vuoto. Sospirò di nuovo, sfiorandolo con le dita: era veramente così che doveva finire?

Si sentiva in colpa: era stata lei a metterlo in guardia su ciò che lo aspettava, a dirgli che non l'avrebbe biasimato se avesse rifiutato e che anche lei, forse, avrebbe lasciato quella Compagnia al suo destino; quindi, quando lui l'aveva ringraziata, aveva già deciso in cuor suo di non prenderne parte?
Si passò una mano tra i capelli, arruffando ancora di più la lunga e disordinata massa nera, domabile solo grazie a treccine sparse per la chioma.
Possibile che combinasse sempre e solo pasticci? Non avrebbe mai imparato a stare al suo posto e con la bocca chiusa! Ed ora gli altri avrebbero avuto un ulteriore motivo per detestarla.

<< Verrà, non temere >>.

Per poco non gridò di paura, ma la mano sinistra corse veloce al fodero, sguainando la spada che portava al fianco; solo quando fu in posizione di difesa che riconobbe Gandalf, entrato senza che lei lo sentisse. Camminò verso di lei, le mani intrecciate dietro la schiena ed il solito sorriso sardonico sempre sulle labbra; l'osservò per lunghi attimi, con quegli occhi azzurri che sapevano scavarti dentro, fino a leggerti l'anima. E Karin, in cuor suo, ne ebbe timore.

<< Quel contratto verrà firmato molto presto >> insistette, ormai vicino.

<< Ne sei così convinto? >> quasi senza accorgersene si ritrovò di nuovo a sfiorare quella carta ingiallita, e quei caratteri vergati dalle mani di coloro che, un tempo, facevano parte del suo mondo. << Oh, lo spero! Ma, di solito, le mie convinzioni si rivelano sempre esatte! >>.

Sorrise, contagiando anche Karin, che annuì.

<< Ed ora, se vuoi seguirmi, c'è un letto comodo che ti aspetta. E non voglio sentire scuse >> si affrettò a fermarla, vedendo che aveva aperto bocca per replicare << Se domani ti sveglierai in ritardo, Thorin non ne sarà molto contento >>.

Lei sbuffò, disprezzando anche solo l'idea di una sfuriata alle prime luci del giorno. Lasciarono Vicolo Cieco alle spalle, seguendo la medesima stradina che gli altri avevano percorso, sorpassando altri tumuli verdi – ovvero abitazioni hobbit – finché non giunsero ad una piccola locanda, quasi in fondo alla valle; lo stregone si arrestò dinanzi alla porta, le mani appoggiate al bastone, quasi come se il peso degli anni gravasse improvvisamente sulle spalle. Eppure, quando parlò, Karin non percepì alcuna stanchezza.

<< Allora buonanotte, signora dei nani. Il riposo sarà breve, ma ci aspetta una grande avventura che, spero, gioverà a molti >>.

<< Se avremo successo >> replicò lei.

<< Oh, anche se non andrà come previsto. Confido che non troveremo soltanto un tesoro materiale, alla fine del viaggio >>.

Si toccò il cappello in segno di saluto e si avviò, zoppicante, verso una stradina opposta; per lunghi secondi fu tentata di seguirlo per chiedergli spiegazioni su quelle enigmatiche parole, ma rinunciò. La frase dello stregone le tornò alla mente, convincendosi che, per il suo bene, doveva proprio seguirne il consiglio.

Se domani ti sveglierai in ritardo, Thorin non ne sarà molto contento”



<< L'avevo detto, io, che venire qui sarebbe stata una perdita di tempo! >>.

<< Non credevo che gli Hobbit fossero così... così... >>.

<< Menefreghisti, Ori? >>.

<< Bé, perché avrebbe dovuto aiutarci, se nemmeno ci conosce? >> constatò Bombur, tornando ad occuparsi di una abbondante fetta di pane nero.

<< Gandalf ci aveva promesso che sarebbe stato dei nostri; e se l'ha detto dobbiamo fidarci >>.

<< Perché non scommettiamo, allora? Dai, Dori! Tu che ne dici? >>.

Iniziò un lungo ciarlare che li coinvolse tutti, chi puntava a favore o meno dell'arrivo di Bilbo entro il mattino successivo. La confusione che permeava la piccola camera della locanda, dove avrebbero dormito, permise a due nani di sgattaiolare in corridoio, lontani da occhi e orecchie indiscreti.

<< Cosa ne pensi, ragazzo? >> chiese in nano più anziano, lisciandosi la lunga barba bianca.

L'altro sospirò stancamente, l'immancabile ruga al centro della fronte che valeva più di mille parole; anche dopo essersi tolto il pesante mantello ed essere rimasto con la lunga camicia blu a coprirgli le brache, la sua figura era imponente ed incuteva timore e rispetto.

Per quanto Balin ci provasse, gli risultava ancora difficile credere che quel bambino, poi divenuto giovane ragazzo, avesse potuto diventare re così presto, affrontare due importanti battaglie che gli avevano tolto tutto e, con le quali, dover fare i conti ogni giorno, ogni notte; lo sapeva per certo, il vecchio nano: nemmeno nei sogni Thorin Scudodiquercia era libero, al riparo dal rancore e dal rimorso.

<< Penso che questa missione sia partita sotto i più cattivi auspici, amico mio: mi chiedo... >> si fermò, non sapendo bene con quali parole continuare.

<< …Se sia il caso di procedere? Thorin, i segni sono presenti: gli uccelli stanno tornando alla Montagna, come predetto. Non dobbiamo aspettare oltre, lo sai bene anche tu >>.

Il re annuì, ma il suo sguardo era tutt'altro che convinto, perso in pensieri sconosciuti a molti, ma intuibili a Balin; o, almeno, per la maggior parte delle volte. Ma, per sicurezza, decise di affrontare l'argomento con calma, un passo alla volta.

<< Non angustiarti per lo hobbit: se non mi avessi fatto un cenno e portato qui, avrei scommesso a suo favore, sai? >> fece un mezzo sorriso, ma ciò non distese i nervi dell'altro, anzi. Fece un suono sprezzante, a metà tra lo scettico e il disperato.

<< Aveva ragione Dwalin: è stata una perdita di tempo venir qui. E' stata una follia credere in un suo aiuto; ma, anche senza di lui, dobbiamo procedere. No, non è della sua presenza che mi preoccupo, no >>.

Ecco il nervo scoperto, il tasto dolente: proprio come Balin aveva immaginato; non era il pensiero del mancato scassinatore a tormentarlo.

Aaah, benedetto ragazzo”

<< Thorin >> venne fermato con una mano alzata ed uno sguardo truce. Vederlo in quello stato non giovava nemmeno a lui, a conti fatti: dopotutto, era come un figlio. Ed i padri si angustiavano sempre nel non saperli tranquilli e felici.

<< No, Balin. Non voglio parlarne >> fu la sua secca risposta; e per quanto l'anziano nano avesse insistito, non sarebbe stato ascoltato. L'orgoglio del suo re era più potente della ragione, che faticava a prevalere: perché, se avesse anche solo provato a pensare, Thorin avrebbe capito; invece la cocciutaggine e la rabbia lo rendevano cieco.

<< Andiamo, è giunto il momento di riposare >> tornò nella stanza dove ora regnava il silenzio, senza aspettare una sua risposta; Balin sospirò forte, scuotendo la testa: per il momento avrebbe lasciato perdere inutili ramanzine, ma sperava in cuor suo che quel viaggio portasse anche altre vittorie, oltre a quella dell'orgoglio perduto dei Nani.



L'alba giunse troppo presto, e continui sbadigli sorpresero Karin mentre si sciacquava il viso con acqua fredda e, successivamente, si allacciava la spada al fianco; prima, però, la sfilò dal fodero, esaminandola nel cercare nuovi graffi sulla lama. La luce del giorno si infranse su di essa, mandando bagliori accecanti lungo le pareti: la mano saggiò meglio l'elsa intarsiata e lavorata, che dava il nome alla spada, appartenuta al suo clan da generazioni... e che ora spettava a lei farle compiere grandi imprese. Finora aveva fallito, ma era piuttosto certa che il viaggio che stava per compiere l'avrebbe ripagata dell'attesa: si sarebbe riscattata, ed avrebbe ottenuto quella pace che agognava da tempo, troppo tempo.

La ripose al suo posto, smettendo di perdersi in inutili pensieri; diede un rapido ed ultimo sguardo alla stanza, percorrendo il profilo del semplice letto in legno, della cassapanca addossata al muro e del davanzale, su cui era posto un vaso di profumati fiori lilla e gialli: perfetto, non aveva dimenticato nulla. Si sistemò meglio il fagotto sulla spalla e chiuse la porta, scendendo di sotto; ringraziò il locandiere con un cenno ed una moneta, uscendo poi nella tiepida aria della Contea. Fuori, un tripudio di colori e profumi l'invasero, lasciandola sbalordita: era tutto così meravigliosamente verde, e bello, che le dispiacque non aver passato più tempo in quel piccolo villaggio; ma la sua anima reclamava anche il paesaggio selvaggio ed aspro delle montagne, di casa. << Buongiorno! >> il volto sorridente di Kili la distolse nuovamente dal passato << Vieni, ti mostriamo il tuo pony >>

<< Pony? >> chiese, incredula.

<< Certo >> le rispose Bofur, sistemandosi meglio il cappello sul capo << Cosa credevi, che ci saremmo fatti tutta la strada a piedi? >> rise, come se quell'idea fosse la più divertente mai sentita; Karin, invece, non la pensava allo stesso modo.

<< Perché no: io l'ho fatto, e sono ancora viva e vegeta >>.

I due la guardarono stupiti e perplessi, non sapendo se fosse la verità o una battuta; la ragazza decise di lasciar perdere, convenendo che era meglio non iniziare discussioni inutili di prima mattina.

Con un gesto li invitò a passarle davanti, per mostrarle quei benedetti pony: la portarono sul retro della locanda dove, in un recinto piuttosto spazioso, stavano tre bestie. Kili aprì il cancelletto di legno indicandole il pony, una femmina dal manto interamente bianco, mansueta e tranquilla: Karin le si avvicinò, accarezzandola dolcemente; quella nitrì apprezzando il gesto e facendo sorridere la sua nuova padrona. Dalla sacca tirò fuori una mela rossa e gliela porse, guardandola mentre la divorava con voracità: sì, le piaceva, ammise; e sarebbe stata una buona compagna per il viaggio.

<< Grazie, ragazzi >>.

I nani chinarono il capo in risposta, finendo di allacciare le ultime sacche di provviste, dopodiché trascinarono i propri destrieri fuori da lì, dove gli altri li stavano aspettando; Karin li seguì, rispondendo ai diversi saluti che le rivolsero gli altri membri. O, almeno, una parte: alcuni faticavano a gradire la sua presenza in mezzo a loro.

Senza una parola si issò sulla sella, sistemandosi meglio. Quando tutti furono immobili e pronti, Thorin fece passare il proprio sguardo su tutti loro, Gandalf compreso, come a cercare un qualche appoggio, una qualche sicurezza... o un loro timore.

Non pronunciò nessun discorso, non ve n'era bisogno: tutti sapevano a cosa stavano andando incontro, quali erano i rischi ed i pericoli, ma erano pronti; andavano a riconquistare la loro patria, non c'era niente di più nobile di questo, i loro cuori erano per la loro casa. Erano per Erebor: e difficilmente si sarebbero scoraggiati o avrebbero perso lo scopo del loro viaggio.

Il re girò il suo pony, conducendolo lungo le vie di Hobbiton, seguito dagli altri.

Karin non si voltò indietro, ma tenne lo sguardo fisso davanti a sé, il cuore un po' appesantito ed un po' sollevato, non seppe spiegarsi bene il perché; rimase in silenzio mentre lasciavano la città e s'inoltravano nella grande radura costeggiata da immensi e vecchi alberi, pensando con rammarico a quella sorta di figura amica che avrebbe potuto allietarle il viaggio e confortarla quando tutto le sembrava perso. Chissà, forse Gandalf tendeva a sopravvalutarsi un po' troppo, se credeva che le sue convinzioni risultassero sempre giuste e positive...

<< Aspettate! >>.

<< Aspettate! >>.

<< Aspettate! >>.

Una voce conosciuta la fece arrestare, e così fecero anche gli altri; si girò veloce sulla sella, stentando a credere ai propri occhi: Bilbo Baggins si era appena fermato accanto al pony di Balin, stremato dalla lunga corsa; riprese fiato e si deterse il sudore dalla fronte mentre, con una mano, porgeva il contratto all'anziano nano, affermando d'averlo firmato. Non appena Balin verificò l'autenticità della firma – gesto che comunque Karin trovò divertente – annunciò che era il benvenuto nella Compagnia di Thorin Scudodiquercia; seguirono applausi e fischi di benvenuto, interrotti dal re.

<< Dategli un pony >>.

Bilbo provò ad opporsi, non avendo mai cavalcato prima d'ora, ma Kili e Fili – con un'abile mossa – lo issarono su; Karin riuscì ad intercettare lo sguardo dello hobbit che, con sua enorme sorpresa, rimase basito: lei gli sorrise, un sorriso caldo e sincero.

E allora seppe d'aver compiuto la scelta giusta.





CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buona domenica care/i! Eccomi qui con il secondo capitolo: stavolta più lungo e, spero, più gradito del precedente ^^

A titolo informativo, sappiate che ieri mi sono rivista lo Hobbit, per la seconda volta: ed è stata la mia prima volta che ho fatto un bis per un film!!! Destino, follia, scelleratezza, voglia di spendere altri euro per il cinema? Un po' di tutte queste cose insieme, hahahah :D

Dunque, qui succedono tante cose, ma non succede nulla: nel senso che vi sono tuuutti i preparativi per il viaggio ma, pian piano, si scopre qualcosa su Karin; che ne pensate del nome? Mi sono scervellata un sacco, perché non sapevo che cavolo di nome dare ud una ragazza-nano O.o! Accidenti, già è difficile per gli elfi, figuriamoci per i Nani ç____ç, un vero parto! Comunque, ormai è fatta! Si tiene questo, la ragazza ;P
Anche sul suo passato si scopre qualcosina, una piccola cortina nella nebbia della sua vita – perdonate la metafora, ma in questi giorni la nebbia padana c'è stata eccome! Più che altro, spero d'essere riuscita a rendere il “dualismo” di lei: da una parte la reticenza a partire con coloro che le hanno voltato le spalle, dall'altra il bisogno di reintegrare il suo onore e quello del clan, inoltre, spero non prenda la piega alla “Mary Sue”, mio peggiore incubo! Nel caso ve ne accorgeste, per favore DITEMELO, prima che sia troppo tardi, eh!?! ;) ;)

Bene, come sempre vi esorto a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate!

Ringrazio tantissimo le persone che l'hanno inserita nelle liste delle storie preferite, seguite e ricordate (scusate se non vi elenco ç___ç ) e un grazie di cuore a chi ha recensito: Dance, Lady of the sea, ila96, Shizue Asahi, g21, nini superga e _Lucrezia97_

Un bacione a tutti, buon 2013 a chi non l'ho ancora augurato e... alla prossima XD XD

Eru :* :*

P.S. Altro titolo informativo che magari non vi interesserà: ho comprato il libro de “lo Hobbit”!!! yeeeeeeh! XD XD XD


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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


CAPITOLO TRE


<< La mia schiena hobbit non è propriamente adatta a lunghe cavalcate, e nemmeno le mie povere gambe! >> si lamentò Bilbo, il pony accanto a quello bianco di Karin: la ragazza alzò gli occhi al cielo, la lingua che, maligna, decise di agire per conto suo.

<< E' da parecchie ore che ti lamenti: perché non... >>.

<< Perché non ci fermiamo? Cavalchiamo da molto, ed il sole ha da tempo passato il mezzogiorno: non so voi, ma sento un certo appetito >> propose Gandalf, interrompendola prima che potesse terminare; forse aveva intuito ciò che Karin avrebbe voluto dire a Bilbo, frasi tutt'altro che amichevoli. Per un attimo si vergognò, dandosi dell'ingrata: dopotutto, lui l'aveva difesa quando gli altri l'avevano attaccata come se fosse un mannaro rabbioso... però sentirlo lamentarsi continuamente avrebbe mandato fuori di testa chiunque! Certo, si sentiva stanca ed indolenzita dovunque, dall'interno coscia ai glutei, e per tutta la lunghezza della colonna vertebrale, ma diamine! Non aveva aperto bocca per far uscire un solo gemito strozzato, lei!

<< Karin? >>.

Al sentir pronunciare il suo nome si destò, incrociando lo sguardo di Gandalf, in piedi accanto al pony; dando una rapida occhiata alle sue spalle, vide che tutti erano smontati dalle selle scomode e si stiracchiavano, esausti: mancava solo lei, lì imbambolata a fissare un punto indefinito verso l'orizzonte, fumante di rabbia e fastidio verso chi era troppo petulante.

Scese velocemente, evitando nel contempo di osservare le espressioni degli altri membri, certa del loro divertimento: una traditrice con la testa tra le nuvole non avrebbe fatto molta strada, si rimproverò.

Per gli dei, aveva assolutamente bisogno di fumare! Forse dopo sarebbe stata più lucida ed avrebbe smesso di pensare a cose assurde; si scelse un angolino accanto a Bofur e, poco dopo, aspirava la sua prima boccata, in estasi. Socchiuse gli occhi ed appoggiò la schiena alla roccia, sentendo i muscoli delle gambe invocare meno pietà rispetto alle ore passate in sella, il sole caldo che le scaldava la pelle.

<< Anche tu avevi scommesso sul mio arrivo? >> le chiese Bilbo, ritrovando il suo vecchio spirito gioviale, sedendosi accanto e fumando.

<< No, per la verità nemmeno sapevo della sua esistenza; l'ho scoperto prima, come te >>.

<< Ma che avresti detto? >>.

Scese un breve silenzio, nel quale Karin decise la risposta; nel frattempo, Thorin aveva dato istruzioni agli altri, chiedendo ad Oin e Gloin di occuparsi del fuoco, essendo i più bravi della compagnia: a Bifur e Bombur, invece, diede ordine di preparare qualcosa di commestibile e, per ultimi, a Kili e Fili di occuparsi dei pony. I restanti nani si sedettero, oppure tirarono fuori dalle bisacce le loro scodelle e posate, parlando allegramente di questo o quello; buffo come il pensiero di mettere qualcosa sotto i denti migliorasse l'umore di tutti. Anche Karin si sentiva meno depressa o scocciata di prima e, dopo un'altra aspirata di fumo, si sentì ancora meglio.

<< Forse saresti tornato, forse no. Chissà >>.

Sul fuoco, ora acceso, avevano posizionato una pentola di rame, dalla quale si propagò un odorino delizioso di carne che fece venire l'acquolina in bocca.

Lo vide aggrottare ulteriormente la fronte, non riuscendo a comprendere ciò che volesse dire.

<< In che senso? Non capisco >>.

<< Bé, una parte di me sperava ti unissi a noi, così avrei potuto vedere una faccia amica; dall'altra, ero convinta che ci avresti abbandonati: sembra che l'avventura non faccia parte di te, buon hobbit >>.

Lo guardò di sottecchi, non riuscendo a trattenere un lieve sorriso << Sono contenta della tua scelta però, questo sì >>.

Prima che Bilbo potesse rispondere, due scodelle emersero nel loro campo visivo, interrompendo il loro dialogo: Bifur stava in piedi accanto a loro, grugnendo qualcosa che non afferrarono, porgendo i due contenitori con gesti concitati.

<< Ehm, co- cosa? >> chiese Bilbo, allungandosi per prendere la sua.

<< Oh, vi ha solo detto che quello è il vostro pranzo! >> esclamò gioviale Gandalf, portando un pezzo di carne secca alla bocca.

<< Certo: bé, grazie! >> si affrettò a dire lo hobbit, per non sembrare irriconoscente e scortese.

Lo stregone ridacchiò, intuendo bene la sua perplessità << Non devi preoccuparti così, caro Bilbo: penso di essere l'unico, qui dentro, a capire ciò che il povero Bifur vuol dire! >>.

<< Come mai? >>.

<< Tutto proviene da quell'ascia che ha conficcata in testa: è di un orco; Bifur non ricorda granché dell'episodio, ma probabilmente è accaduto nelle miniere dei nani durante un attacco degli orchi. Nessuno sapeva come toglierla senza pericolo, e di conseguenza venne lasciata dov'era. Certo, questo gli ha provocato qualche conseguenza >> aggiunse, abbassando inaspettatamente il tono di voce, così che Bilbo fu costretto a sporgersi verso di lui per ascoltare meglio. Suo malgrado, anche Karin allungò di poco il collo, curiosa.
<< ha problemi di memoria: riesce a parlare solo l'antico linguaggio dei nani, il Khuzdul e, per la maggior parte del tempo, non sa dove si trova! Ora ha una sua missione personale >> continuò, con fare cospiratore << ovvero quella di trovare il famoso orco che gli ha inferto la ferita, rendendogli ciò che si merita con tanto di interessi >>.

Si ricompose, terminando così quel piccolo racconto: Bilbo rimase senza parole, non sapendo che dire dopo tale notizia.

<< Poveraccio >> commentò alla fine, posando la sua ciotola a terra.

<< Mmm, già; tutti questi guerrieri – di nobili origini o meno, come nel caso di Bifur – hanno qualcosa da raccontare, una storia alle spalle, e conti da risolvere. Il viaggio che abbiamo intrapreso non è solo per liberare Erebor: è una questione molto più profonda >>.

Bilbo rimase in silenzio, pensieroso, chiedendosi nuovamente quale fosse il suo scopo lì; Karin gli aveva detto che l'avrebbe scoperto accettando di imbarcarsi in quella avventura ma, al momento, il suo fato gli era oscuro: si sentiva solo un pesce fuor d'acqua, e pensava sempre con più nostalgia a casa, alla sua poltrona ed alla dispensa ben fornita! Il suo lato Baggins riusciva quasi sempre a prevalere su quello Tuc, specialmente quando i pasti non erano abbondanti come quelli che consumava a Vicolo Cieco.

Inoltre, come gli aveva ricordato Thorin, lui non sapeva nemmeno difendersi da eventuali pericoli - benché questo pensiero continuasse a relegarlo negli angoli più nascosti della sua mente; non poteva e voleva pensare a quali peripezie sarebbero andati incontro, a cominciare dall'incontro con quel drago!

<< Forza, in marcia. Ripartiamo >>.

Con un gemito sconsolato, Bilbo si alzò, raccogliendo le sue cose e raggiungendo il piccolo pony fulvo: issandosi faticosamente in sella, cercò di non rimuginare troppo sulle terribili ore che gli si prospettavano davanti. La mente lo riportò col pensiero verso la Contea, verso casa: e si sentì più abbattuto che mai.


Percorsero molte altre leghe quel pomeriggio finché, finalmente, il sole decise di tramontare; i paesaggi delle Terre Solitarie non erano mutati, anzi: più procedevano e più diventavano aspri, ventosi e inospitali.

Si accamparono su uno sperone di roccia, con al di sotto un piccolo boschetto: ben presto furono tutti sistemati e sazi e, stremati, si strinsero nei mantelli cercando di riposare e riacquistare le forze. Anche Karin scivolò in uno stato di dormiveglia, ma venne bruscamente riportata alla realtà da un rumore agghiacciante proveniente dall'oscurità; si rizzò a sedere, notando che Bilbo era in piedi, spaventato e tremante.

<< Co-cos'è stato? >>.

<< Orchi >> disse Kili, lo sguardo serio e preoccupato << ce ne sono a bizzeffe in questi luoghi. Solitamente attaccano di notte, quando tutti dormono; non ci si accorge di loro finché le loro zampacce fetide non sono attorno al collo, pronte a strangolarti! >>.

Il tono lugubre e macabro con cui parlò fece tremare maggiormente il povero hobbit, che non si accorse quanto, in realtà, i due fratelli lo stessero prendendo in giro.

<< Non dovreste parlarne così alla leggera >> si intromise Karin, non pensando alle conseguenze che il suo intervento avrebbe comportato. I due fratelli smisero di ridacchiare, guardandola intensamente.

<< Tu li hai incontrati? >> le chiese Kili, appoggiandosi meglio alla roccia alle sue spalle; Fili si protese mentre, con un bastone, ravvivava il fuoco che gli era di fronte.

<< Tempo fa >> rispose la ragazza, con tono lugubre.

<< Ed anche con loro hai stretto alleanza? >>.

Karin si irrigidì nel riconoscere la voce irata di Thorin, alzatosi per porle la domanda; prima seduto in disparte ora torreggiava su loro, poco lontano dalla ragazza, che emise un verso incredulo: non lo pensava seriamente, vero?

<< Credi che complotti con loro? Con gli orchi? >> esclamò, i primi sentori della rabbia che le montava in petto.

<< Io non credo. So. Progetti di ucciderci tutti nel sonno con i tuoi luridi amichetti? >> le chiese sprezzante, lo sguardo truce che, se avesse potuto, l'avrebbe incenerita seduta stante.

Di tutte le offese che le avevano rivolto, questa le superava di gran lunga. Solo le creature malvagie e ripugnanti potevano allearsi con esseri disgustosi come gli orchi.

Ma, dopotutto” pensò, con una stilettata al cuore “non è così che mi considera?”

Lei rimase in silenzio, non volendo replicare: perché, per quanto avesse detto, sarebbe stata sempre vista come una bugiarda; ma le sue mancate parole fecero infuriare il re ancora di più.

<< Ti ho fatto una domanda, rispondi! >> ringhiò, la mano che, rapida, corse ad afferrare il manico della lunga ascia da guerra.

Karin scattò velocemente indietro, alzandosi: ora li divideva solo il focolare. Con un moto d'apprensione, notò che ora gli altri erano svegli ed all'erta. La faccenda le piacque ancora meno: se avesse sguainato la spada sarebbe incappata in guai ben più grandi del furore di Thorin; lo svantaggio sarebbe risultato schiacciante. Lì, tutti stavano dalla parte del sovrano, che avesse avuto ragione o meno.

Decise di tentare di provare la sua innocenza un'ultima volta << No, non progetto nulla del genere, e tu lo sai! Perché non >> dovette compiere uno sforzo notevole per pronunciare quella parola << ti fidi? >>.

Capì d'aver compiuto un'enorme sciocchezza quando, per tutta risposta, ricevette una gelida occhiata.

<< L'ho fatto, se ricordi. E rammento bene dove ciò mi ha condotto, dove ha portato tutti noi >> sibilò, fuori di sé.

Le diede la schiena, procedendo ad ampie e pesanti falcate verso il limitare della roccia, che dava su un dirupo abbastanza profondo.

Per Karin fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso; sentì un'improvvisa voglia di gridare a pieni polmoni la sua frustrazione, il suo livore: dunque, era lui che credeva di odiarla più di quanto lei lo odiasse? Oh, quel maledetto non aveva capito nulla! Nulla.

<< Anche io ricordo. Ricordo un esilio che non doveva avvenire, ricordo delle suppliche inascoltate proveniente dal tuo consigliere più fedele, ricordo un giovane principe cieco e sordo di fronte alla verità! Rammento la disperazione e la vergogna, l'errare nelle Terre Selvagge, la pazzia e la morte che ne seguirono; il mio clan distrutto, spezzato >> la voce, dapprima forte e sicura, divenne sempre più esile; troppo dolore aleggiava ancora nel suo cuore a quei ricordi.

Respirò pesantemente poiché parlò rapida, in modo che nessuno potesse interromperla. Seguì un lungo silenzio, nemmeno un nano osava emettere il più flebile suono, i loro occhi che vagavano dal viso stravolto e pieno di collera di Karin, all'ampia schiena di Thorin: il suo volto era celato, ma potevano intuire che la sua espressione non era delle più amichevoli. Tutti, chi più e chi meno, conoscevano la profonda spaccatura ed i dissensi che correvano tra i protagonisti di quello scontro verbale, e sapevano che dovevano starne fuori: era una faccenda di cui non dovevano impicciarsi.

L'unico confuso era Bilbo, che non si aspettava certo che un semplice scherzetto ai suoi danni degenerasse in quel modo: non gli erano mai piaciute le liti – dopotutto era uno hobbit, e la sua gente era molto pacifica – specialmente se queste, però, riguardavano Karin. Il suo buonsenso, comunque, gli disse che, al momento, era meglio non intervenire.

<< L'esilio è stato la giusta punizione per chi ha tradito il suo popolo. Avremmo potuto salvare Erebor, se tu non l'avessi impedito! >>.

<< Ero solo una ragazzina: che dovevo fare? >>.

<< Fermarli, convincere tuo padre a non cedere ai loro ricatti! >>.

<< Non mi avrebbero mai ascoltata, ero troppo giovane... >>.

<< Eppure, quando gli hai chiesto di arrendersi, l'ha fatto: perché non avrebbe dovuto starti a sentire se gli avessi chiesto di combattere? >> esplose Thorin, sempre senza voltarsi.

Karin schiuse le labbra, attonita ma fremente di collera; inaspettatamente rise, una risata amara e triste, senza un briciolo d'allegria.

<< Vuoi che ti dica che è stata tutta colpa mia, vero? Che se non fosse stato per me tu avresti ancora la tua preziosa Montagna ed i suoi tesori, non è così? >> lo sussurrò, ma fu come se l'avesse urlato a pieni polmoni, tanto era il silenzio ed il gelo che regnavano tra loro.

<< Non è così??? >> scattò rabbiosa, non riuscendo a controllarsi: era stanca, troppo stanca per farlo << E guardami, maledizione! >>.

Con una lentezza esasperante, Thorin si girò, guardandola negli occhi. Lei tremava, le mani chiuse a pugno, le unghie conficcate nella pelle; non riusciva a calmarsi, non ce la faceva: non ora che l'argine del suo odio si era spezzato. Perché lui non sapeva niente. Niente.

Thorin, invece, non lasciava trapelare alcuna emozione, come se quel litigio non lo riguardasse minimamente: non un cenno, eccetto la fronte aggrottata e le labbra sottili appena dischiuse. Non si sarebbe mai fatto abbindolare alla vista di qualche lacrima... che mai le avrebbe visto versare al suo cospetto. Oh no, lo giurò proprio in quell'istante. Lui non l'avrebbe mai vista piangere.

Eppure, la voce la tradì: prossima alle lacrime e scossa ma, comunque, molto orgogliosa << Il tuo amore per l'oro e la ricchezza supera di gran lunga quello per le persone che ti circondano, rendendoti cieco; la tua cupidigia sarà la tua rovina. Ed io resterò a guardare mentre ciò avverrà >>. 
Senza una parola si girò, scansando Gandalf e Bilbo, percorrendo il ripido sentiero sassoso che li aveva condotti alla roccia, inoltrandosi negli alberi del bosco: incespicò parecchie volte tra le radici sporgenti, correndo con fatica nell'oscurità opprimente, ma deliziosamente confortante; voleva che il buio l'inghiottisse, una preghiera che ripeteva da quando era bambina per venir portata via, in un oblio nel quale avrebbe dimenticato ogni evento spiacevole, ogni angheria che era stata costretta a subire e sopportare.

Cadde sul suolo duro e scosceso, lacerandosi le brache e sbucciandosi le ginocchia: il leggero bruciore che percepì anche ai palmi delle mani le ricordò che, invece, l'oscurità non l'aveva presa nemmeno stavolta. Si rialzò, zoppicando ancora per qualche metro finché non trovò un tronco caduto, dove si sedette, esausta dalla corsa e dalla disperazione che provava.

Sentì un dolore acuto provenire dal centro della mano e, poiché il buio le impediva di vedere, ne cercò la causa con le dita: un piccolo sasso appuntito sporgeva dalla pelle, probabilmente conficcatosi dopo la caduta. Ogni tentativo di fermare le lacrime era fallito miseramente nel momento esatto in cui aveva sbattuto a terra, perciò non badò alla vista offuscata – tanto non le sarebbe servita a niente, lì – e alle lacrime che fuoriuscivano copiose, come se non piangesse da anni: e, in effetti, era proprio così; rammentava con chiarezza l'ultima volta in cui aveva pianto, e perché. Dopotutto, era lo stesso motivo per cui adesso piangeva, era sempre quello: eppure, nonostante tutti gli anni passati da quel giorno, dal quale poi non aveva mai più versato una sola lacrima indurendo il suo cuore, era tornata al punto di partenza. Erano bastate quelle accuse di Thorin, e l'odio con cui aveva condiviso così quietamente gli anni di esilio era riapparso, prendendo possesso della sua mente e del cuore. Per quanto provasse a dimenticare il passato, non ce l'avrebbe mai fatta: non si poteva scappare da esso, si ripresentava sempre, prima o poi.

Trattenne il respiro per cercare di calmarsi: faceva persino fatica a fermare i singhiozzi, ed il tremore non smetteva di scuoterla. Strappò il sasso dalla mano, gemendo e lanciandolo lontano, tra gli alberi: il suono attutito del ciottolo si aggiunse a quelli spettrali e poco rassicuranti del bosco, nei quali pareva sempre che ci fosse qualcosa a spiarla tra gli alti tronchi. Ma, sinceramente, per Karin ora non erano il problema principale; si strappò un lembo dalla camicia rossa, abbastanza lungo da coprirle due volte il palmo della mano ferita. Siccome non aveva acqua con sé con cui lavare il taglio poco profonda ed il sangue che colava, si strinse la benda improvvisata, facendo infine un nodo, reprimendo un sussulto. Con le dita dell'altra mano saggiò il lavoro compiuto nella totale assenza di luce, convenendo che sì, poteva reggere ed andare bene.

Inoltre, ora nemmeno ricordava da che parte era giunta, quindi si era persa: attorno a lei non vi era nulla che le ricordasse il cammino, e questo non fece che accrescere il suo malumore. Con rabbia, si asciugò gli occhi e le guance con la manica, scacciando ogni traccia di pianto: doveva tornare in sé e pensare lucidamente a come tornare indietro, o sarebbe rimasta lì per sempre; eppure, per quanto provasse, non le veniva in mente alcuna soluzione. Ricordava di essere andata sempre avanti, senza mai svoltare: quindi, doveva prendere la direzione alle sue spalle. Si sentiva più confusa che mai e si diede della stupida una, cento, mille volte: la prossima volta che avesse avuto la geniale idea di scappare, si sarebbe portata dietro un acciarino, di sicuro.

Sbuffò forte, passandosi una mano tra i capelli pieni di nodi; d'improvviso, un fruscio diverso dagli altri le fece rizzare le orecchie: qualcosa aveva calpestato delle foglie.

Si mise in allerta, cercando di captarne la provenienza: girò indietro il capo cercando inutilmente di scorgere qualcosa, ma l'oscurità era troppo densa. Nonostante il tumulto interiore che provava, il cuore le batteva calmo; i muscoli erano tesi, pronti a scattare rapidi se se ne fosse presentata l'occasione.

Invece, una voce a lei ben nota si levò nell'aria, insicura e preoccupata, non molto lontana da dov'era << Karin? Sei qui? >>.

La ragazza tirò un lungo sospiro, sia di sollievo – poiché non si trattava di un mostro – sia di fastidio: proprio non ce la faceva a sostenere la compagnia di qualcuno, nemmeno se si trattava dell'unica persona che le rivolgeva la parola.

<< Vattene, Bilbo; non sono dell'umore adatto >> rispose stancamente, le dita a sfregare le tempie pulsanti. Dopo tutto quel piangere la testa le stava scoppiando come se qualcuno, munito di martello, glielo sbattesse ripetutamente sul capo.

Ma lui non si scoraggiò dal tono con cui gli parlò, anzi: il suo lato Tuc emerse, facendo sì che la voce gli uscisse più sicura e, in qualche modo, più autoritaria.

<< Io invece penso che tu abbia bisogno di compagnia! >>.

Doveva essersi dimostrata troppo debole e patetica, se ora nemmeno lo hobbit l'ascoltava. Tentò di nuovo, cercando di farla risultare una minaccia << Davvero, Bilbo. Voglio stare da sola >> ma se ne pentì subito << per favore >>.

Seguì un breve silenzio, nel quale l'altro cercò una soluzione che giovasse a tutti e due: di certo, però, non l'avrebbe abbandonata lì << Non preoccuparti, rimarrò lontano da te: me ne starò qui fra gli alberi, buono buono. Se mai, ecco, volessi parlare o... che so... volessi andartene, ti basterà chiamarmi, ed il suono della mia voce ti guiderà. Va bene? >>.

Karin annuì, rendendosi conto che quel gesto era inutile, poiché Bilbo non l'avrebbe visto. Maledì la sua nuova cocciutaggine, e se stessa per non riuscire a cacciarlo; ma, in fondo, un lieve conforto le scaldò il cuore al pensiero che qualcuno, almeno, non la considerava ostile. Lo hobbit si stava rivelando una personcina davvero a modo, molto gentile ed affabile, pronto ad aiutare un amico in difficoltà. O un'amica.

Rimasero in silenzio a lungo, ascoltando il vento fischiare ed il suo frusciare tra le fronde, gli strani squittii dei roditori e i richiami dei gufi: eppure, l'inquietudine nel sentirli si affievolì un poco, sapendo che c'era Bilbo con lei, anche se non le era accanto. Bastava sentirlo fischiettare brevemente ed il cuore si placava, l'animo si quietava.

<< Per quello che vale >> esordì lui dopo un bel po', scuotendola da cattivi e tristi pensieri << ecco, io... bé, mi dispiace. Sai, per quello che ti è accaduto >> ammise, la voce imbarazzata.
<< Se può esserti di conforto, vedrai che Thorin ti farà le sue scuse, prima o poi >>.

Karin, per tutta risposta, sbuffò forte di fronte a quella sciocca convinzione, amareggiata << Tu non conosci i nani. E nemmeno lui >>.

<< Tu sì invece? >> chiese curioso; il pensiero di saperne di più di tutta quella faccenda lo rendeva nervoso ed irrequieto, come se una strana brama si fosse impossessata di lui.

<< Credevo di conoscerlo, molto tempo fa >> ammise alla fine, dopo un breve silenzio; Bilbo intuì fosse divenuta riluttante ad ogni tipo di conversazione.

<< Ma cosa è capitato fra voi? Intendo prima dell'esilio >>.

<< Accadono eventi che ti segnano profondamente: la venuta di Smaug ne è stata una prova. Ci ha cambiati, ma non in meglio >>.

<< Ma... >>.

<< Dovrai conservare la tua curiosità ancora per un po', buon hobbit >> lo interruppe sbrigativa, spaventandolo: Karin era lì, a pochi passi da lui; poteva distinguerne la sagoma scura, ora in piedi. Si diede dello sciocco per non averla udita ma, al contempo, dovette congratularsi con lei per essersi mossa così silenziosamente e rapidamente, attirata dal suono della sua voce; in fondo, ricordò, nelle sue vene scorreva sangue hobbit e, di certo, durante gli anni d'esilio aveva avuto modo di divenire invisibile agli occhi e agli orecchi dei nemici. Eppure però, era certo che non l'avrebbe mai eguagliato o superato: lui era un hobbit in tutto e per tutto!

<< Ci sono fatti dei quali preferisco non parlare. O, almeno, non subito >>.

La risposta sibillina lo lasciò interdetto e deluso, poiché sperava nelle sue confidenze: ma, per il momento, si accontentò.

<< D'accordo, aspetterò sia tu stessa a parlarmene. Ora, credo sia giunto il momento di tornare, Gandalf era in pensiero >> detto questo si alzò, stiracchiandosi e sgranchendosi le braccia << Inoltre, la stanchezza si fa sentire: non sono più un giovane hobbit! >>.

Si avviò lungo un sentiero nascosto, la ragazza immediatamente dietro per non perderlo: dopo un po' di cammino, finalmente l'oscurità si affievolì e, strizzando bene gli occhi, si riusciva a scorgere il lieve baluginio del fuoco.

Il peso nel cuore di Karin tornò, e le gambe si arrestarono, non volendo muovere un altro passo; Bilbo se ne accorse e tornò indietro, guardandola: portava ancora i segni di un pianto furioso e, sulla mano, si era avvolta un pezzo di stoffa. Gli abiti erano stracciati in più punti, segno che, in tutta quell'oscurità, era caduta e si era impigliata tra i rami. Provò un'immensa compassione nel vederla in quelle condizioni e, senza far caso alla strana occhiata che gli rivolse - anche piuttosto diffidente – le prese la mano ferita tra le sue.

<< Posso? >>.

Senza aspettare il suo consenso la esaminò, volendole arrotolare la manica per guardare meglio: fu in quel momento, ovvero quando le dita si strinsero attorno alla stoffa, che lei indietreggiò di scatto guardandolo in tralice, gli occhi cerchiati inaspettatamente furiosi e... folli, si ritrovò a constatare Bilbo, spaventato. Ma durò solo un attimo, in un battito di ciglia tornò come prima.

<< Me ne sono già occupata io >> esordì, asciutta << non temere >> sospirò, terribilmente svuotata di ogni energia: sembrò quasi rimpicciolire e divenire più piccola di lui, mentre lo sguardo si posava al di là delle sue spalle, verso l'accampamento.

<< Dovrai tornare, prima o poi: non potrai nasconderti per sempre >> constatò, il tono di voce addolcito.

<< Io non voglio nascondermi! Solo... non ho molta voglia di affrontarli >>.

<< Oh bé, non credo ti diranno qualcosa, erano tutti oltremodo scossi e tristi, quando li ho lasciati per seguirti. Molto silenziosi, già! >> fece una pausa, aspettando che le parole entrassero in lei << Poco dopo che te ne sei andata, Thorin si è inoltrato nel bosco dalla parte opposta alla tua, per smaltire la rabbia e rimuginare su ciò che era accaduto, credo. Si è allontanato sbattendo i piedi, incurante del rumore che provocava: non l'avevo mai visto così turbato, sembrava improvvisamente più vecchio >>.

La notizia non migliorò affatto l'umore della ragazza anche se, almeno, ciò che aveva detto era rimasto impresso nella mente di Thorin: si augurò che rimuginasse a lungo, tormentato dal ricordo delle sue azioni.

Strinse i pugni e ritrovò un poco di forza; sorpassò lo hobbit e lo precedette, giungendo per prima nel luogo dove gli altri dormivano, i respiri calmi e il russare regolare. Girò rapida lo sguardo, contandone dodici: ne mancava uno; Karin non ebbe bisogno di pensarci, poiché sapeva perfettamente chi non era nel suo giaciglio. Tornò al suo posto, sdraiandosi lentamente: benché fosse distrutta, il sonno tardò ad arrivare; le orecchie coglievano ogni rumore e, molte ore più tardi, uno attirò la sua attenzione. Passi pesanti si avvicinavano, provenienti dalla parte opposta a quella dove era fuggita; avanzarono fino ad entrare nel perimetro di luce, poi si arrestarono. Con un tuffo al cuore, Karin sentì lo sguardo penetrante di Thorin posarsi sulla sua schiena, e ringraziò il cielo di dargli le spalle, così che lui non si accorse che faticava a dormire: rimase ad osservarla a lungo, facendole crescere il disagio e l'impazienza; poi, finalmente, lo sentì inginocchiarsi e sdraiarsi al suo posto, sfilandosi il mantello bordato di pelliccia e posizionandolo come coperta.

Passò ancora altro tempo e, infine, Karin percepì il sonno coglierla, le membra farsi pesanti e le palpebre chiudersi, nell'abbraccio confortante dell'oblio; l'ultima cosa che percepì prima di cadere nell'oscurità fu un lieve sospiro, basso e profondo.



I giorni successivi sembrarono condividere il malumore della Compagnia: il cielo, spietato, aveva inviato le sue nuvole nere e grigie, cariche di pioggia; nemmeno le chiome degli alberi riuscivano a proteggerli, lasciando che le gocce d'acqua filtrassero e li inzuppassero, nonostante i cappucci dei loro mantelli.

Bilbo, che non ne possedeva uno, si ritrovò bagnato fradicio dalla testa ai grossi piedi pelosi, prima che Balin, impietositosi, gli prestasse una cappa dal suo bagaglio.

<< Signor Gandalf, non potrebbe far smettere questa pioggia? >> chiese petulante Dori, dopo aver starnutito sonoramente.

<< Come avete giustamente detto, mastro nano, è pioggia; finirà quando il cielo si sarà stufato, io non posso far nulla! >> replicò lo stregone, punto sul vivo: anche lui risentiva degli effetti del cattivo tempo, diventando irascibile ed irritabile per un nonnulla.

<< Ma non potete utilizzare qualche sortilegio? >> insistette Ori, fratello minore di Dori.

Gandalf borbottò qualcosa che, fortunatamente, gli altri non compresero; fu Bilbo a cambiare argomento, sperando di placarlo.

<< Esistono altri stregoni oltre a te, Gandalf? >>.

<< Oh sì! Siamo in cinque: il più potente di tutti è certamente Saruman il Bianco, capo dell'ordine del Bianco Consiglio; poi vi sono due stregoni di cui non ricordo il nome e, per ultimo, Radagast il Bruno, amante degli animali ed esperto nelle arti magiche. Vive a Rhosgobel, al limitare occidentale del Bosco Atro >>.

Sembrò ritrovare il suo consueto spirito poiché sorrise, alzando il capo << Ah! Vedi, Bilbo? Parlare di Radagast ha fatto smettere questo diluvio! Eccellente! >>.

In fila dietro Thorin, risalirono un lieve pendio; ai loro occhi apparvero i resti bruciati di una casa di legno, annerita dal suo fato e consumata dal tempo. Alla loro sinistra si ergeva una parete di roccia, appuntita in cima, aspra e poco rassicurante: paesaggio che non li confortò.

<< Ci fermiamo qui per la notte >>.

All'ordine del nano scesero dalle cavalcature, e Gandalf si avvicinò meglio per esaminare ciò che rimaneva dell'abitazione.

<< Un fattore e la sua famiglia vivevano qui >> li avvisò, accarezzando le travi; si spostò verso Thorin, entrato subito dopo lo stregone. Li videro parlottare concitatamente a voce bassa e poi, a sorpresa di tutti, il Grigio si avviò verso di loro, a grandi passi e scuro in volto.

<< Gandalf, dove vai? >> gli chiesero preoccupati, quando li sorpassò.

<< A cercare la compagnia di qualcuno che abbia un po' di buonsenso! >>.

<< E chi sarebbe? >>.

<< Io! Ne ho abbastanza di nani per un giorno solo! >>.

Detto questo sparì alla loro vista; Karin, che nel frattempo stava accarezzando il suo pony Dia, vide Bilbo muovere qualche passo nella stessa direzione, venendo però fermato dalle parole di Thorin.

<< Accendete il fuoco e preparate da mangiare! Fili, Kili, voi badate ai pony: non perdeteli di vista >>.

Passò qualche tempo, prima che la brodaglia calda cucinata da Bofur fosse pronta; nel frattempo, vennero scambiate poche parole, visto che tutti erano ancora scossi e preoccupati dalla partenza dello stregone. Bilbo si muoveva avanti e indietro, irrequieto, scrutando le ombre che si formavano man mano che la sera calava: ma di Gandalf nemmeno l'ombra, non tornava. Anche Karin, nel profondo, non si sentiva tranquilla ma, come ricordò Bofur all'ennesima constatazione dello hobbit, l'Istari era perfettamente in grado di cavarsela da solo, o non sarebbe stato così potente.

<< Tieni, porta queste ai ragazzi >> ordinò il nano a Bilbo, porgendogli due ciotole; e lui, annuendo, lo fece, lasciando il gruppo ed inoltrandosi tra gli alberi.

Karin ringraziò il cuoco per la sua, andandosi a sedere in disparte, ma comunque sufficientemente vicina al fuoco da scaldarsi un poco; si strinse meglio nel mantello nero e portò il primo cucchiaio alle labbra, lasciando che il brodo le riscaldasse lo stomaco: attaccò voracemente la cena, sentendo le membra piacevolmente calde e sazie, appagata come se fosse la cena più succulenta ed abbondante della sua vita.

<< Vedo che ti è piaciuta! Ne sono felice! >> esclamò Bofur, tutto contento e con ancora la ciotola piena; Karin notò che era stata la prima a finire, divorandola come se non toccasse cibo da settimane.

<< Era buona >> commentò, posandola a terra; dando una rapida occhiata attorno, notò che si erano costituiti due gruppetti: da una parte, gli anziani di nobile stirpe con Thorin, accanto al focolare e dall'altra, lontani, coloro di minor lignaggio. Una coincidenza? O tutto dipendeva da ciò che era successo giorni prima? Era a questo che aveva condotto il suo litigio? Ad una spaccatura del gruppo che, invece, doveva dimostrarsi unito ora più che mai?

Si sentì miserabile e meschina, maledicendo quella situazione; se solo non avesse accettato, tutto questo non sarebbe accaduto, rilevò cupa.

Con un ulteriore tuffo al cuore, notò che Bilbo non era ancora tornato.

<< I pony non erano molto lontani da qui, vero? >>.

<< No >> le rispose Bombur, ingozzandosi tra una cucchiaiata e l'altra.

<< E allora come mai non to... >>.

<< Thorin! THORIN!!! >>.

Si allarmarono tutti di colpo, mentre dal folto del bosco comparve Kili, agitato come non mai; corse dritti dal re, dandogli la terribile notizia: Bilbo, cercando di riprendere due pony che erano stati rubati, era finito preda di tre troll di montagna, non molto lontani da lì.

<< Perché ci sarebbe andato da solo? >> chiese Gloin, una mano già sull'ascia.

<< Ce l'abbiamo mandato noi, sapete: visto che è uno scassinatore. Credevamo che non si sarebbe fatto scoprire! Stava andando tutto bene, ma poi l'hanno sorpreso! >>.

<< E Fili? >> chiese Balin.

<< Ci sta aspettando, nascosto >>.

<< Allora, cosa aspettiamo? Muoviamoci >>.

Karin non se lo fece ripetere due volte: sguainò la spada d'acciaio e si accodò dietro Kili, in testa al gruppo; si mossero il più cautamente possibili tra gli alti cespugli e, finalmente, giunsero al luogo; allungando il collo, videro i possenti troll accerchiare il povero hobbit che, nel frattempo, cercava disperatamente di trovare una soluzione per fuggire; invece, si trovò ancora di più in difficoltà. La ragazza non riusciva ad essere paziente, doveva intervenire! Ma perché nessuno fiatava? Perché Thorin non diceva o faceva qualcosa?

Digrignò i denti, decidendo di fare di testa sua: scattò rapida in avanti sbucando fuori, urlando a pieni polmoni; si avventò sul primo troll che incontrò, menando poderosi fendenti a destra e a manca, tagliando la spessa pelle del mostro. Anche gli altri erano usciti, ed ora un gran clangore di spade e di voci concitate permeava l'aria, mentre i nani tentavano di sopraffare i loro nemici. Eppure, benché fossero solo tre, non riuscirono a conciarli per le feste: dopotutto, era molto difficile uccidere un troll di montagna: la loro immensa testa calva si muoveva qua e là, e le loro grandi mani tentarono di afferrarli più volte, senza riuscirvi.

Karin schivò una gamba di uno di loro, scartando di lato, ma venne buttata a terra da una manata arrivatale in volto; gemette forte, cadendo di schiena sul terreno, l'elsa della sua spada ancora tra le mani. Gli altri combattevano senza sosta, ma invano, non sarebbero riusciti ad ucciderli tanto facilmente!

Tentò di rialzarsi, pronta ad attaccare di nuovo, il fiatone che le impediva di respirare con regolarità; alzò la spada oltre la testa ma dovette bloccarsi, il cuore balzatole in gola: uno teneva sollevato Bilbo, agguantandolo per le braccia.

<< Gettate a terra le armi, o lo spezzo! >> ordinò con voce cavernosa.

Lo hobbit era pallido e tremante, lo sguardo grigio terrorizzato che implorava aiuto. Passarono lunghi attimi, nei quali non smise di osservare Thorin; il nano era furente ed alla fine, con impeto, conficcò la spada a terra, gesto che poi tutti imitarono, costretti.

I troll risero forte e, mentre uno prendeva dei sacchi da un mucchio lì vicino, l'altro si sfregò le grandi mani, contento.

<< Abbiamo una cena davvero succulenta, stasera! Prepariamo lo spiedino, li faremo arrosti! >>.

<< Sì, sì! A fuoco lento e ben cotte tutte le prede sono più buone! >>.

<< Allora, voi due! Che aspettate? Scegliete dei nani, gli altri legateli! >>.

Ci fu subito un gran trambusto: i nani tentarono di divincolarsi con calci e pugni, cercando di scappare... inutilmente.

In pochi minuti, Ori, Dori, Nori, Bifur, Bofur e Karin, si ritrovarono legati come salami attorno ad uno spesso palo di legno mentre, sotto di loro, il grande focolare crepitava e sprizzava scintille, come se non vedesse l'ora di arrostirli. Imprecarono non poco mentre venivano fatti girare, lentamente, come fossero cervi o maiali, il sudore che colava copioso dal troppo caldo.

Gli altri, invece, erano stati legati e chiusi in sacchi, buttati in un mucchio; urlavano e strepitavano, intimando ai tre troll - Berto, Guglielmo e Maso – di liberare i loro amici e compagni: i mostri, intanto, stavano discutendo su come condire le loro prede, ed avevano già l'acquolina in bocca dalla fame.

<< Ma quando sono pronti? Mica possiamo aspettare tutta la notte, altrimenti all'alba ci trasformeremo in pietra senza prima aver toccato la cena! >> esclamò Guglielmo, il più impaziente.

Frattanto, nella mente di Bilbo Baggins stava prendendo forma un piano; infatti, aveva sempre sentito dire che i troll di montagna fossero creature stupide e, osservandoli meglio, comprese che anche questi non erano da meno. In più, doveva cercare di guadagnare tempo fino all'alba, se voleva salvarsi e salvare i compagni: perciò, raccogliendo tutto il coraggio che possedeva – ed ammetteva che ne aveva molto poco – si alzò a fatica, saltellando per avvicinarsi.

<< Io non li cucinerei in quel modo! >> si intromise, fermando il loro chiacchiericcio. Tutti, compresi i prigionieri, si zittirono, ascoltandolo.

<< E perché no? >> chiese sgarbatamente Maso.

<< Non è quello il modo di cucinare un nano >>.

<< E quale sarebbe? >>.

Bilbo fece per ribattere qualcosa, ma aprì la bocca a vuoto, richiudendola immediatamente: per tutti i centrini, quale risposta poteva dare? Che ne sapeva, lui, di come si cucinava un nano? Ma ormai era troppo tardi, si era esposto e ora doveva rimediare.

<< Ehm, vanno... sì... mangiati cru-crudi >> aggrottò la fronte, non credendo alle sue parole: aveva appena detto di mangiarli crudi?

Dai poveri malcapitati, invece, esplose un boato feroce << Maledetto! Traditore! >>.

<< Aspetta che ci liberiamo, poi vedrai! >>.

<< Crudi?! Io dico di no >>.

<< Perché non proviamo ad assaggiarne uno, così, tanto per capire se ci può piacere? Iniziamo dal grassone! >> disse Berto, che afferrò il povero Bombur, mettendolo a testa in giù; il poveraccio urlò spaventato, per nulla ansioso di finire dritto dritto nello stomaco del mostro. 

Ma fortuna volle che lo hobbit lo fermò. << No, non farlo! Non te ne sei accorto? >> chiese, astuto << E' infetto! >>.

<< INFETTO? Infetto ci sarai te!!! >> strillarono gli altri, sia quelli legati al palo sia quelli a terra, che cercarono di divincolarsi per fargliela pagare, non avendo capito il suo piano.

Berto lo fece cadere a terra, in un sonoro tonf!, guardandolo disgustato.

<< Come sarebbe a dire che ha i vermi? >>.

<< Quello che ho detto! Grossi e grassi vermi putridi e marci nello stomaco! >>.

<< Allora ci mangeremo la femmina! >> propose Guglielmo << Non è mica grassa come l'altro >>.

Karin lanciò un mezzo strillo quando sentì le grosse dita del troll che le afferravano una gamba, pizzicandola per saggiarla; maledisse loro e anche Bilbo che, seppur involontariamente, aveva fatto spostare la loro attenzione su di lei.

<< Oh no, per carità, nemmeno! Anche lei ne è piena, lo sono tutti!!! Io non lo farei se fosse in voi, dico davvero >>.

Ci furono altre grida irate dei nani, ma Thorin finalmente comprese: diede un calcio a Kili, davanti a lui, perché smettesse di sbraitare e provasse a pensare; bastò uno sguardo eloquente tra zio e nipote e, immediatamente, Kili capì.

<< Sì! Sì, grandissimi, dappertutto! Lo giuro! >>.

Si scatenò una vera e propria gara a chi era il più infetto, elencando ogni genere possibile di creature ripugnanti e malattie che scorrevano nelle loro vene, o viscere; i troll, sorpresi, guardarono Bilbo, non sapendo più che fare.

<< E quindi che proponi, scasshobbit? >>.

Bilbo finse di pensarci un po' su, scorgendo il lieve chiarore dell'alba imminente; e quale fu il suo sollievo nel vedere anche la figura di Gandalf, ben nascosto e pronto ad aiutarli.

<< Bé, dico che è meglio liberarli! Non vorrete fare indigestione o, peggio, venire contagiati >>.

D'improvviso, Maso si rabbuiò, alzandosi di scatto dal tronco sul quale era seduto << Ci prendi per stupidi, forse? Sappiamo bene che vuoi svignartela con loro! >>.

Anche gli altri due si alzarono, accerchiando il povero Bilbo << Ora ti schiacceremo, e sarai il primo a venir mangiato! >>.

<< Fermi! >>.

Tutti si fermarono, attoniti; Gandalf il Grigio si ergeva in tutta la sua altezza sopra una roccia, appoggiato al lungo bastone. I nani, rinfrancati, trattennero a stento grida di gioia.

<< E questo chi è? >>.

<< Ci mangiamo anche lui? >>.

<< Tornate da dove siete venuti! >> esclamò lo stregone, spezzando a metà la grande roccia che impediva all'alba di mostrarsi. La luce invase l'accampamento dei troll, che cercarono di ripararsi il volto con le mani; fu tutto inutile poiché, non appena i raggi si posarono su loro, la pelle divenne pietra, bloccando ogni gesto ed espressione per sempre. Durò pochissimo e, in un battito di ciglia, i loro rapitori erano immobili, trasformati.

I nani esultarono felici stringendosi a Gandalf per ringraziarlo, una volta che li ebbe liberati << Il merito è tutto di Bilbo >> disse invece lo stregone.

<< Sì, il merito d'essersi fatto catturare! >>.

<< Ma stava guadagnando tempo, Thorin: una cosa a cui voi non avete pensato >> ribatté, alla frase del re; Karin strinse brevemente la spalla dello hobbit e gli sorrise, in un muto ringraziamento. Thorin abbassò gli occhi, pentito e sconfitto. Infine, si rivolse di nuovo allo stregone.

<< Dov'eri andato, se posso chiedere? >>.

<< A guardare avanti >> rispose Gandalf, enigmatico come sempre.

<< E cosa ti ha fatto tornare? >> lo interrogò il re, curioso.

<< L'aver guardato indietro >>.

Sorrisero tutti, ben felici di riavere lo stregone tra loro; ora, immensamente sollevati e felici d'essere scappati a morte certa, si rilassarono, facendo battute ed accendendo le pipe; ma fu sempre Gandalf a frenarli.

<< Erano molto lontani dalle montagne; devono essersi spostati di notte >> borbottò perplesso lo stregone << di sicuro qui vicino troveremo la loro grotta. Seguitemi! >>.

Così fecero, e non dovettero nemmeno cercare a lungo: infatti, dopo essersi divisi, trovarono l'imboccatura di una caverna di pietra che proseguiva sottoterra, nel buio. Qui si fermarono, cercando bastoni di legno da tramutare in torce.

<< Qualcuno deve rimanere fuori a fare la guardia >>.

<< Rimango io >> Si offrì Karin, mentre un breve e denso silenzio seguì le sue parole; infatti, era la prima frase che rivolgeva a Thorin dopo il loro litigio, avvenuto giorni prima.

Il re annuì senza guardarla, entrando per primo; Karin aspettò che gli altri lo seguissero per sedersi finalmente su un masso liscio, levigato dalle intemperie. Gemette dolorante, mentre portava una mano alla parte bassa della schiena, dove aveva sbattuto durante il combattimento: strinse gli occhi mentre con la punta delle dita sentiva un lieve rigonfiamento, piuttosto esteso. Perfetto, ci mancava solo un bel livido! Si massaggiò un po', sperando che il dolore si placasse e chiedendosi per quanti giorni sarebbe durato; doveva stringere i denti il più possibile, o gli altri si sarebbero accorti che qualcosa non andava... e lei non aveva nessuna intenzione di essere il peso morto del gruppo. Certo, sarebbe stato difficile visto che, anche prima, aveva avuto difficoltà anche solo a camminare: le pareva che le avessero infilzato delle spade su tutta la schiena e fino alle spalle, dati i dolori lancinanti che provava.

Ma doveva farcela; avrebbe fatto finta di nulla, per il tempo necessario.

Sentendo delle voci, tolse la mano dalla schiena, appoggiandola sul ginocchio; alcuni compagni salirono, raccontandole delle monete d'oro che avevano trovato e della loro idea di seppellirlo.

<< Come prestito a lungo termine >> le disse Gloin. 

Poco dopo giunsero anche Kili, Fili, Bilbo e Gandalf, il quale portava al fianco una nuova spada, e ne reggeva una più piccola – sembrava un pugnale – in mano.

Per ultimo arrivò Thorin, tra le mani una spada dall'elsa di legno e l'impugnatura d'acciaio che la incuriosì, intuendo che non era una comune arma nanesca; si chiese come doveva essere la lama, nascosta nel fodero. Per un qualche, assurdo motivo, si convinse che doveva essere di una mirabile bellezza, destinata a pochi.

<< Rimettiamoci in marcia; non voglio attardarmi in questi luoghi >>.

Thorin diede una lunga occhiata agli alberi e cespugli che li circondavano, quasi fosse in attesa. Anche gli altri drizzarono le orecchie, improvvisamente silenziosi e concentrati; Bilbo represse a stento un brivido gelido: la pace che tanto agognava dopo l'avventura coi troll si era infranta.

Sentì un ululato, che pareva lontano e troppo vicino al tempo stesso.

I lupi.

Stavano arrivando.

CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonsalve care/i, sono tornataaaaaaa! Ehehehehe, contenti del mio velocissimo aggiornamento? Mi stupisco anch'io O.o!!! Sono passati ben cinque giorni, ma avrei potuto postarlo anche prima... solo che non ero ben soddisfatta: bé, nemmeno ora se è per questo, ma pazienza, saranno solo le mie paranoie ^^
So che è lungo e probabilmente palloso, e vi chiedo di perdonarmi: avevo una mezza idea di dividerlo, ma non sapevo né quando né dove né perché! Al che mi sono detta “ma vai avanti, finiscilo!” e così ho fatto.

Come vi è parso il litigio Thorin/Karin? Dovete sapere che, inizialmente, avevo pensato di rivelare il passato di Karin durante questo capitolo, ma poi ho cambiato idea: ho voluto lasciare in sospeso alcune domande, questioni e verità, sennò che divertimento c'era a spoilerare tutto subito? Poi nessuno avrebbe più letto ^^ *piccoli raggiri per avere lettori e recensioni XD XD*

Bene, quindi come sempre vi esorto a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate! Anche voi che leggete solamente, fatevi sentire: mi sarebbe d'aiuto per capire se sto seguendo il sentiero giusto verso Erebor XD XD XD!!!

Inoltre, volevo consigliarvi questo bel video su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=wdse35vofxM     Mi sono innamorata della canzone, ce l'ho sempre in testa O.o! spero piaccia anche a voi!!! Si intitola "That's what the wise lady said", del gruppo Angtoria, che non avevo mai sentito nominare. Magari qualcuno di voi li conosce :))) Trovo che le parti di testo usate per il video siano azzeccatissime per il nostro bel Re sotto la Montagna ;) Ecco il testo della canzone: http://www.lyricstime.com/angtoria-that-s-what-the-wise-lady-said-lyrics.html

Ringrazio tantissimo le persone che l'hanno inserita nelle liste delle storie preferite, seguite e ricordate (scusate se non vi elenco ç___ç ) e un grazie di cuore a chi ha recensito: Dance, Lady of the sea e nini superga.

Thaaaaaanks ragazze, alla prossimaaaaaa!!! :* :*

Anna <3

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


CAPITOLO QUATTRO


Aspettarono tutti col cuore in gola, nervosi; il bosco sembrò divenire cupo e spaventoso, chiudendosi attorno alla compagnia come se volesse inghiottirli. Benché fosse giorno era calata un'improvvisa oscurità, o forse era solo una loro impressione; non respirarono per paura di provocare ulteriori rumori che li avrebbero distratti. Ora più che mai, la loro concentrazione doveva essere al massimo.

Rumori di infinite foglie calpestate li fecero stringere maggiormente l'uno con l'altro, formando un cerchio compatto, le armi sguainate e pronte ad accogliere chiunque fosse comparso nel loro campo visivo. L'intruso correva veloce, e si avvicinava rapidamente: potevano capirlo dal frusciare violento dei rami toccati, e dal rumore infernale che provocavano le zampe sul terreno duro e scuro. Karin sentiva le vene gelate, il cuore che batteva irregolare; le mani, strette attorno all'impugnatura della spada, erano sudate e fredde. La calma tipica dei guerrieri, che invadeva i nani più anziani ed esperti, non l'aveva raggiunta: sentì il panico montarle in petto, e tentò di respirare a fondo per calmarsi. Niente, non ce la faceva: non finché il nemico non le si fosse mostrato, finché non lo avesse trafitto.

I rumori ora si fecero più vicini ed insistenti: non era un solo individuo, ma molti di più, impossibili da quantificare; Karin tentò di deglutire, ma la gola era troppo secca per compiere quel semplice gesto. Si guardò attorno nervosa, scorgendo lo sguardo terrorizzato di Bilbo, accanto a Dwalin, e quello che tentava di mostrarsi coraggioso e per nulla spaventato di Ori; ma l'ansia cresceva di minuto in minuto, poiché non avevano idea di ciò che avrebbero incontrato.

Videro i rami più bassi degli alberi muoversi e, capendo che non avrebbero dovuto attendere molto per combattere, alzarono meglio le armi, pronti ad attaccare: con un rumore assordante, il nemico si palesò alla loro vista. Dagli alti cespugli comparvero grossi conigli, attaccati l'uno all'altro per sostenere una grossa slitta marrone costruita con lunghi rami sottili, sulla quale si ergeva un uomo dall'aspetto e dalle vesti improbabili ed eccentriche.

Dallo stupore generale, si levò la voce sorpresa di Gandalf.

<< Radagast? >>.

Quello si fermò, tirando le briglie della strana vettura, arrestando la sua folle corsa; guardò lo stregone con sguardo allucinato, spalancando i grandi occhi chiari. Finalmente, dopo una lunga occhiata, parve riconoscerlo.

<< Gandalf! Fortuna che ti ho trovato! >>.

<< Perché, noi lo stavamo aspettando? >> bisbigliò piano Bofur, facendosi comunque sentire dai suoi compagni.

Karin tirò un enorme sospiro sollevato ed abbassò la spada, rinfoderandola; Thorin, invece, era ancora in allerta, osservando guardingo i due stregoni che, nel frattempo, parlottavano.

Lo strano copricapo che Radagast il Bruno – lo stregone di cui aveva parlato Gandalf - indossava, lo faceva assomigliare agli animali che si stavano riposando ai loro piedi o si grattavano il pelo con le lunghe zampe; impegnato in una conversazione piuttosto inquietante con il Grigio, scuoteva spesso la testa, ed i lunghi capelli arruffati e sporchi di escremento di uccello si muovevano qua e là.

A quanto pareva, un ulteriore problema affliggeva quelle terre, specialmente il luogo dove abitava lo stregone: Rhosgobel aveva ricevuto la visita inaspettata di grandi ragni neri, che avevano tentato di penetrare nella casa. Gandalf si accigliò alla notizia, specialmente quando l'altro gli rivelò che, seguendo una pista, era giunto a << Dol Guldur. Proprio così, Gandalf. E là, là ho... percepito qualcosa, una grande e potentissima magia nera, che aleggiava nell'aria! L'oscuro potere ha trovato il modo di tornare nel mondo! Io... >> tremò al ricordo, e lo sguardo gli si fece annebbiato << … che ti stavo raccontando? >>.

<< Tieni questa, amico mio; vedrai che il “vecchio Tobia” ti aiuterà a rilassare i nervi >> gli porse la lunga pipa, e Radagast ne aspirò una boccata, calmando i nervi e riuscendo a ricordare ciò di cui doveva mettere al corrente lo stregone grigio.

<< Ah sì, grazie! Ora ricordo: dunque, ti dicevo che sì, l'ho visto. Ho visto lo spettro che abita la fortezza, bianco come un lenzuolo! Mi ha attaccato ma sono riuscito a cavarmela, disarmandolo; poi non ce l'ho fatta a rimanere lì, sono scappato! Tieni >> gli porse un fagotto dalla forma allungata; Gandalf scostò un piccolo lembo di tessuto, alzando le sopracciglia irsute non appena capì cos'era quell'oggetto.

<< Non proviene dal mondo dei viventi >> continuò grave, lo sguardo allucinato << Eppure c'era dell'altro che dovevo dirti, ma proprio non ricordo >> ammise sconsolato, accarezzandosi pensieroso la lunga barba grigia.

Forse fu un'impressione dei nani, eppure sembrò quasi che Gandalf avesse avuto un brivido, inorridito.

Avrebbero voluto chiedergli spiegazioni, ma dovettero rimandare: degli ululati ruppero quell'apparente quiete facendoli nuovamente scattare, pronti all'azione.

<< E' stato un lupo? Ci sono i lupi qui, vero? >> chiese piano Bilbo, gli occhi spalancati.

<< Lupi? No, quello non è un lupo >> rispose Bofur, il piccone saldo tra le dita.

<< Ma gli ululati di prima... >>.

<< Ah, ecco! Certo! Dei Mannari stanno venendo qui! >> Radagast non fece in tempo ad aggiungere altro che una grossa testa pelosa apparve dalle rocce sopra di loro, ringhiando e sbavando, la pellaccia irta. Scoprì le lunghe zanne e, con un balzo, si avventò su di loro, famelico.

Le urla impregnarono l'aria per lunghi attimi mentre Thorin, Nori e Dori cercavano di abbattere la bestia, riuscendoci.

<< Kili! >> urlò il re, non appena scorse un altro mannaro spuntare tra le felci; il giovane non se lo fece ripetere due volte, tese la corda dell'arco ed incoccò una freccia nel momento esatto in cui il mostro si avventò su Thorin, pronto a divorarlo. Con un gran tonfo cadde a terra, ancora vivo; ringhiò feroce, ma Dwalin lo uccise senza troppi complimenti. Tutti si avvicinarono, tornando compatti, ancora scossi dall'incontro.

<< Un mannaro ricognitore; un branco di Orchi non è molto distante >> esclamò Thorin, sfilando la spada dalla pelliccia dell'animale.

<< Orchi hai detto? >> chiese lo hobbit, incredulo da ciò che aveva udito.

<< A chi hai parlato della tua impresa oltre che alla tua famiglia? >> domandò Gandalf, avanzando minaccioso verso il re, il bastone in pugno.

<< A nessuno >>.

<< A chi l'hai detto! >> gridò Gandalf, furioso.

<< A nessuno, lo giuro! >> ribatté il nano.

Lo stregone distolse lo sguardo da lui, sbuffando e riconoscendo la sua innocenza.

<< In nome di Durin, che succede? >>.

<< Vi stanno dando la caccia! >> replicò scocciato Gandalf, lo sguardo che vagava dappertutto, come a cercare nuovi nemici.

Alla notizia, i nani si allarmarono: chi mai avrebbe potuto seguirli?

<< Dobbiamo spostarci >> convenne Thorin.

<< Sì, e in fretta >>.

<< Non possiamo! Non abbiamo i pony, sono scappati! >>.

I nani che erano ancora sulle alte rocce sopra di loro diedero la cattiva notizia; il cuore dei membri della compagnia si fece pesante, e la speranza sembrò allontanarsi.

Finché non intervenne Radagast << Posso depistarli >>.

<< Ti raggiungeranno, sono mannari! >> proruppe Gandalf.

<< Questi sono conigli di Rhosgobel; vorrei che quelli ci provassero >>.

Il tono perentorio e minaccioso dello stregone pose fine ad ogni dibattito, per quanto Gandalf avesse voluto dissuaderlo.

<< Così sia >> disse infine.

Radagast augurò a tutti loro buona fortuna, mentre richiamava all'attenzione i conigli e saltava sulla slitta; li salutò un'ultima volta e, con un gran vociare di ordini, sparì nel folto del bosco lasciandoli soli.

Non sprecarono altro tempo in inutili discorsi: scapparono il più velocemente possibile schivando rami bassi, saltando massi che sporgevano dal terreno finché il bosco non terminò, lasciandoli senza una qualche copertura. Ora, la pianura desolata e spoglia battuta dal vento si perdeva a vista d'occhio, e solo qualche grande roccia solitaria permetteva loro di nascondersi ai nemici che, nel frattempo, stavano alle calcagna dell'altro stregone.

<< Venite >> ordinò Gandalf, dopo che questi furono passati.

In fila indiana, la compagnia lo seguì, cercando nel contempo di non inciampare sul terreno accidentato dato da sassi che sporgevano e il non farsi scoprire dagli orchi: ma, per quanto provassero a seminarli, se li ritrovavano poco più in là, dovendo per forza cambiare percorso.

Karin rischiò di inciampare su una sporgenza di cui non si era accorta, impegnata com'era ad osservare il branco di mannari inferociti e il non gemere di dolore per la botta alla schiena; Fili, che ora le correva accanto, la prese per il gomito prima che potesse cadere, rimettendola in piedi. Ma, per quanto provasse a correre più veloce, si ritrovò ad essere l'ultima del gruppo, col fiatone e le gambe doloranti e deboli; la botta doveva essere stata più grave del previsto.

Stringendo i denti, riuscì a raggiungere i compagni che, nel frattempo, si erano nuovamente nascosti dietro un grande macigno per lasciar passare avanti l'esca e gli orchi; ad un nuovo cenno di Gandalf avanzarono, lasciando lo stregone e Thorin per ultimi.

Quando passò loro accanto, sentì il nano chiedere dov'erano diretti, ma non udì la risposta dell'altro. Corsero ancora, scorgendo un gruppo di rocce ricoperte di sterpaglie gialle che facevano al caso loro: essere esposti a poche leghe dai nemici non giovava affatto al loro umore.

Un brivido percorse la compagnia quando si resero conto di un mannaro proprio sopra di loro, intento ad annusare l'aria per scovarli.

Trattennero il fiato per timore di venir anche solo odorati; con grande calma, Thorin fece un cenno verso Kili, che preparò una nuova freccia. Rapido, la scoccò dritta nel muso della bestia, ma quella lanciò un grido terribile che, di sicuro, anche gli altri più lontano avrebbero udito. Mentre alcuni nani si lanciarono per uccidere il mannaro e l'orco che lo cavalcava, Karin sbirciò dalla roccia, cercando di scorgere movimenti sospetti: sentì vari ululati, e le si accapponò la pelle.

<< Presto, correte! >> li incitò Gandalf, capendo che li stavano raggiungendo.

Si arrampicarono su per la lieve salita del terreno, correndo stremati dal peso delle armi e del cuoio e dell'acciaio che indossavano; stavolta non si nascosero ma avanzarono all'aperto, anche se per poco: ben presto si trovarono circondati e si fermarono, mentre gli orrendi orchi rimasero ancora sulle lievi alture ad osservarli come dei cacciatori fanno con le prede. Con un nodo allo stomaco, Karin concluse che la metafora non poteva essere più azzeccata.

<< Kili! Uccidili!!! >> ruggì Thorin rivolto al nipote.

Tutti si preparano alla battaglia, armi in pugno: avrebbero lottato con ogni fibra del loro corpo, anche se la loro inferiorità numerica era schiacciante.

La ragazza si portò vicina a Bilbo, la spada luccicante che mandava bagliori; l'avrebbe difeso, per quanto avesse potuto.

<< Siamo circondati! >> urlò Fili, stringendo il suo grosso maglio; il fratello tese l'arco e scoccò, perforando un orco poco distante.

<< Si stanno avvicinando! >>.

<< Dov'è Gandalf? >>.

Il panico sembrò pervaderli, mentre i pochi sparpagliati si giravano per raggiungere il resto del gruppo a formare una qualche sorta di difesa.

<< Ci ha abbandonati! >> proruppe Dwalin in tono minaccioso, reggendo un'ascia per mano.

<< Mantenete le posizioni! >> ordinò Thorin, avanzando verso il mannaro che aveva schivato il sasso lanciato dalla fionda di Ori.

Altri lamenti ed ululati minacciosi si aggiunsero da tutte le parti, mentre altri orchi si avvicinavano al gruppo: erano spacciati, non ce l'avrebbero mai fatta.

<< Da questa parte, stupidi! >>.

I nani si girarono, sentendo la voce dello stregone alle loro spalle; stava dietro una roccia scura, ed il suo sguardo piuttosto eloquente fece loro capire che non dovevano perdere un attimo, o sarebbe stato troppo tardi! I mannari continuavano ad avanzare lenti ed inesorabili, mentre si pregustavano la vittoria ed il sapore della carne di nano che li avrebbe saziati.

<< Presto, andiamo! Svelti, tutti voi! >>.

Gli altri non se lo fecero ripetere e, incitandosi l'un l'altro, si girarono scattando verso la salvezza; si gettarono dentro l'imboccatura di una caverna, uno dietro l'altro, scivolando fino a toccare terra, dove Gandalf li attendeva e li contava.

Karin, che stava ancora aspettando d'entrare e girava le spalle agli orchi, vide Thorin impugnare la nuova spada guardando un punto imprecisato dietro di lei, gli occhi azzurri minacciosi e battaglieri; si girò, l'elsa stretta a due mani e, con un unico fendente, entrambi uccisero il mannaro che aveva spiccato un salto per aggredirli.

Si guardarono un istante poi lei, con un balzo, scivolò dentro.

Per ultimi, si aggiunsero Thorin e Kili, rimasto fuori a scoccare frecce verso gli orchi: non appena li raggiunsero, udirono il suono di un corno e i mannari, giunti all'imboccatura, si fermarono.

Tutto si svolse così velocemente che Karin non seppe spiegarselo nemmeno in seguito: si sentirono sibilare frecce, grugnire gli orchi e guaire i mannari, mentre un nuovo rumore di zoccoli sembrava amplificarsi da dove erano nascosti. Un orco, colpito, cadde dentro la grotta rotolando verso di loro, morto.

Thorin si abbassò, estraendo la punta d'acciaio dal cadavere << Elfi! >> esclamò sprezzante.

Ci fu un breve silenzio e la ragazza, senza volerlo, venne percorsa da un brivido, notato da Bilbo; al quale non sfuggì nemmeno il gesto che compì: le dita sfiorarono la manica del braccio, stringendo così tanto la stoffa da far sbiancare le nocche. Solo in un secondo momento, lo hobbit ricordò che lo stesso gesto disperato e convulso l'aveva già visto: la sera in cui le aveva preso la mano per guardarle la fasciatura. Anche lì, lei lo aveva insospettito.

Quali altri segreti celavano quegli occhi neri?

<< Non vedo dove porta questo percorso! >> esclamò qualcuno, allarmato.

<< Lo seguiamo? >>.

<< Certo che lo seguiamo! >>.

<< La trovo una cosa saggia >> sussurrò Gandalf rivolto a se stesso, o a Bilbo, lì vicino.

Si misero tutti in fila indiana, entrando nell'oscurità della stretta galleria; Karin rimase per ultima, la mente troppo confusa e terrorizzata. Avrebbe voluto gridare di trovare un'altra strada, ma non le uscì alcun suono; avrebbe preferito uscire da lì e percorrere le terre desolate da sola, piuttosto che infilarsi in quell'apertura.
Il cuore sembrava scoppiarle in petto, e un freddo gelido penetrò le sue ossa, sconvolgendola. Non ce la faceva, non ce l'avrebbe mai fatta!

<< Karin? >> la voce pacata di Gandalf la raggiunse da molto lontano, o così le sembrò. Il volto dello stregone le apparve alla sua altezza, ma non ricordò né d'averlo visto arrivare, né d'averlo sentito inginocchiarsi; le mise una grande mano sulla spalla, sorridendole leggermente.

<< Forza, bambina >>.

Non seppe se fu questo a darle forza o gli occhi azzurri e scintillanti dell'Istari che sembrarono infonderle coraggio; si sentì annuire mentre le gambe, senza il permesso del cervello, agirono da sole portandola verso un'apertura stretta e claustrofobica. Le alte pareti rocciose ai lati si perdevano a vista d'occhio e, in alcuni punti, sembravano restringersi.

Karin respirò profondamente mentre seguiva gli altri, ed addirittura trattenne un sorriso quando udì le imprecazioni di chi era dietro il povero Bombur, ed era costretto a spingerlo perché troppo grasso. Ora l'oscurità si rischiarava e, molto sopra le loro teste, potevano scorgere una lieve striscia di cielo.

Finalmente quello stretto corridoio finì e, scesi alcuni gradini e girata una sporgenza di roccia, rimasero tutti basiti, incapaci di parlare: la Valle Nascosta si mostrò ai loro occhi in una luce soffusa e rosata, che lambiva le meravigliose strutture sottili, così leggere che parevano crollare da un momento all'altro. Da un lato, gli edifici erano incastonati tra le alte pareti della rupe coperte di muschio, dall'altra, le cascate cristalline conducevano l'occhio verso lo strapiombo profondo che portava a valle.

Uno spettacolo così... bello e meraviglioso, per un attimo fece scomparire ogni paura dal cuore di Karin: finché non ricordò a quale popolo apparteneva tutto quello splendore.

<< Dunque era questo il tuo piano, fin dall'inizio? Portarci qui, dagli elfi? >> il tono di Thorin era alterato, visibilmente irritato per essere stato raggirato in quel modo dallo stregone che, tuttavia, mantenne la calma.

<< Se te ne avessi parlato prima avresti fatto di tutto per non venire, ed ora ti ritroveresti morto e senza compagni. Era l'unica soluzione >>.

<< Ma davvero? >> sbottò ironico il re << Perché dovrei chiedere il loro aiuto quando loro non vennero in nostro, anni fa? >>.

<< Re Elrond è l'unico in grado di aiutarci a risolvere l'enigma delle rune; metti da parte le divergenze, Thorin! Troverai che qui, l'unico che porta rancore, sei tu >>.

Senza ulteriori parole lo stregone si avviò a costeggiare la parete che li avrebbe condotti verso il sentiero principale di pietra; gli altri nani, rivolgendo un breve sguardo di scuse verso il loro re lo seguirono, troppo stanchi e scombussolati dal precedente incontro per badare a certe sottigliezze, come il fatto che vi abitavano elfi. Bilbo, eccitato all'idea che finalmente li avrebbe incontrati di persona, non si accorse che Karin era rimasta nuovamente indietro, le braccia e la schiena che parevano bruciarla viva.

<< Muoviti! >> le ordinò brusco Thorin, vedendola ferma; si accigliò non poco nel notare lo sguardo per nulla arrabbiato o orgoglioso della ragazza, come quello che gli riservava ogni volta che le parlava; lo vide spento e atterrito, nella sua profondità. Ma non indagò, aveva altro a cui pensare.

La sorpassò, senza curarsi se lo stesse seguendo o meno.


Giunsero ad una piattaforma circolare di pietra intagliata, preceduta da due grandi statue di elfi guardiani con la spada in pugno conficcata nel pilastro; rimasero a guardarsi attorno, ammirando il panorama che si stendeva ai loro occhi: convennero che gli elfi si trattassero piuttosto bene, per essere una razza... particolare.

<< Mithrandir >>.

Un elfo alto e slanciato dai lunghi capelli castani scendeva i gradini d'entrata del palazzo, avanzando verso di loro; parlò in elfico, rivolgendosi a Gandalf, dando solo una rapida occhiata agli altri.

<< Dov'è sire Elrond? >>.

<< Non qui >>.

Karin si irrigidì nel sentire rumori di zoccoli che si avvicinavano ed anche gli altri si mossero, irrequieti; si strinsero l'uno all'altro in un cerchio, trascinando Bilbo al centro, così da proteggerlo se li avessero attaccati. Dal sentiero di pietra giunsero elfi a cavallo, bardati da battaglia: portavano elmi e lunghe lance, oltre agli archi sottili ma robusti. Li accerchiarono, guardandoli da sopra le cavalcature, così da considerarli ancora più bassi di quel che erano.

Uno di loro smontò dalla sella, togliendosi l'elmo ed avvicinandosi a Gandalf, salutandolo nella propria lingua; lo stregone chinò il capo in segno si rispetto, di fronte alla nobile figura del signore di Gran Burrone.

<< Abbiamo attaccato un branco di mannari vicini al passo nascosto; non si erano mai spinti così vicini al nostro territorio. Qualcosa li ha condotti lì >>.

<< Oh, temo sia stata colpa nostra! >> esclamò Gandalf, il buon umore ritrovato; Elrond non fece ulteriori domande, ma posò lo sguardo saggio su ognuno dei nani, e su Bilbo. Karin, istintivamente, cercò di nascondersi dietro Dwalin, arretrando lenta.

Elrond non se ne accorse, ma pronunciò un'altra frase in elfico, che fece infuriare Gloin.

<< Ci sta insultando! >> ruggì, brandendo la sua ascia.

<< No amici! Vi sta solo offrendo del cibo >>.

Alle parole di Gandalf, Gloin borbottò imbarazzato: si voltò e iniziò a confabulare con gli altri se accettare o meno pasti elfici, ma il bisogno di mettere qualcosa di sostanzioso nello stomaco e riposarsi un po' mise fine ad ogni dubbio e rivalità.

<< D'accordo, va bene >>.

<< Ne sono lieto >> disse Elrond << ma prima, permettetemi di mostrarvi le vostre stanze; c'è un'ala del palazzo più riservata che potrebbe fare al caso vostro. Seguitemi >>.

Li accompagnò personalmente attraverso lunghi corridoi aperti da un lato, che mostravano loro il paesaggio; le arcate di legno pregiato si poggiavano su esili colonnine intagliate, troppo sottili per poterne reggere il peso. Sul muro alla loro destra, alcune pitture mostravano immagini di un'epoca passata, i colori leggeri e delicati, quasi trasparenti. Girò a destra, ad una parte più interna: molte porte chiuse si mostrarono, e lì Elrond li lasciò, dando appuntamento per la cena a qualche ora più tardi; non appena furono soli, aprirono le porte con un gran schiamazzare, esclamando di stupore alla vista di veri letti morbidi e grandi. Passò qualche tempo prima che tutti fossero sistemati, chi in una stanza singola o in compagnia.

Karin fu costretta a sceglierne una piccola ed un po' più lontana rispetto alle altre; quando vi entrò, la luce del tramonto la investì, ed una leggera brezza proveniente dalla porta-finestra aperta le scompigliò i capelli. Slegò la cintura della spada, poggiandola sulla morbida coperta e, con passi incerti, si avvicinò al balcone di pietra, poggiando le mani sul parapetto: il grosso macigno che sentiva nel cuore da quando aveva messo piede a Gran Burrone sembrò svanire, mentre lo sguardo si attardava ad ammirare la vallata verde, la roccia che si ergeva alta nascondendoli, dalla quale proveniva lo scrosciare potente dell'acqua. Persino il vento sembrava dolce ed etereo come quel luogo, pacato nell'accarezzarle il volto, al contrario dello sferzare pungente e furioso a cui era abituata.

Eppure, per quanto potesse affascinarla, le bastava uno sguardo all'interno della stanza semplice ma che trasmetteva ricchezza e nobiltà, per rammentarle vecchie sensazioni e ricordi dolorosi; le mani strinsero la roccia, fino a farle sbiancare le nocche: le pareti parvero restringersi, facendola sentire in trappola.

Come un uccellino in gabbia.



Un lieve bussare alla porta di legno la fece sobbalzare, richiamandola dallo stato di trance nel quale era caduta; sbatté le palpebre confusa mentre si precipitava ad aprire, incontrando la piccola figura dello scassinatore.

<< Ehilà, posso? >>.

Si era lavato, ed i suoi abiti sembravano meno logori dei giorni passati a camminare; il suo sorriso gioviale ed allegro si affievolì, mentre la squadrava.

<< Va tutto bene? >>.

<< Co-cosa scusa? >>.

<< E' successo qualcosa? >> chiese, ancora più preoccupato nel vederla così pallida.

<< No, no! Entra >> si fece da parte, permettendogli di entrare nella camera; accigliata, notò che il sole era calato da un pezzo, e l'oscurità aveva invaso lo spazio: ma da quanto tempo si era fatto buio?

Da una tasca della camicia tirò fuori un acciarino, accendendo le candele poste sopra il basso tavolino di legno, appoggiato alla parete; Bilbo era silenzioso, osservando ogni minimo gesto della ragazza e domandandosi se era il caso di chiederle spiegazioni.

<< Tra poco è ora di cena: non so te, ma io sto morendo di fame! >> disse sfregandosi le mani, il vecchio spirito Baggins che si risvegliava. Karin mugugnò qualcosa, non condividendo il suo entusiasmo. Desiderava solo allontanarsi quante più leghe possibili da lì.

<< Andiamo? >> propose invece; non ce la faceva più a stare tra quelle quattro mura. Forse, se si fosse trovata in mezzo agli altri, si sarebbe calmata. Lo sperava con tutto il cuore.


Il resto della serata le sembrò tutto confuso, come se non fosse stata presente; era distratta, lontana mille leghe, la mente rivolta a pensieri cupi e tristi. Più di qualcuno se ne accorse, e a nulla valsero i tentativi di Kili, Fili e Ori di parlarle e coinvolgerla: sorrideva a stento alle battute, oppure la sorprendevano con lo sguardo fisso in un punto, gli occhi spalancati. Mangiò poco niente, ed il loro ciarlare allegro ben presto la infastidì, come la dolce musica che alcuni elfi stavano suonando per loro. La irritò ogni gesto che vedeva, come quando Nori – sedutole accanto - nascose alcune posate d'argento e calici di vetro colorato sotto le vesti, o notando quanto Bombur riuscisse ad ingozzarsi di cibo, oppure quando Ori chiese, petulante, se avevano le patatine fritte; i palmi delle mani iniziarono a sudarle, ed un fastidioso fischio nelle orecchie le fece chiudere gli occhi: sentì un gran caldo al volto, il mondo che, improvvisamente, iniziava a vorticare.

I suoni ed i richiami degli altri le giunsero ovattati, e non si accorse nemmeno di essersi alzata dalla sedia; deglutì più volte a vuoto, riaprendo gli occhi. Tutti gli sguardi le erano addosso, compresi quelli di Gandalf, Elrond e Thorin, seduti ad un altro tavolo; fece un accenno d'inchino verso l'elfo, biascicando che non si sentiva molto bene. Non aspettò la risposta, girando i tacchi e ripercorrendo a ritroso la strada che l'aveva portata lì: camminava con difficoltà, appoggiandosi di tanto in tanto al muro per riprendere fiato; più volte le salirono alla gola dei conati, ma li respinse mentre, imperterrita, avanzava verso la stanza. Le sembrò di non arrivarvi mai, ed ogni passo non era che una tortura. Ma poi, finalmente, riconobbe la porta ed entrò; si deterse il sudore dalla fronte, le dita tremanti e gelide su pelle bollente. Cercò il catino e la brocca d'acqua limpida che aveva notato prima e, dopo averne versato un po', si sciacquò il viso, cercando di respirare; purtroppo la situazione non migliorò, ogni cosa attorno a lei ruotava senza sosta. Si portò verso il letto, aggrappandosi alla sedia che stava nel mezzo e, con uno sbuffo, si sdraiò sopra le coperte; esausta e scocciata chiuse gli occhi, sperando che il malore passasse: ogni suono, ogni più piccolo rumore, sembrò amplificarsi nel silenzio che regnava; poteva persino percepire le infinite goccioline di sudore che le scendevano dal collo ai seni fino all'ombelico, appiccicandole la camicia. Ma non le importò, aveva solo una gran voglia di dormire per non dover pensare a nulla: da quando era arrivata lì non faceva altro che rimuginare, rimuginare, rimuginare.

Terribilmente snervante.
Sempre tenendo chiusi gli occhi cercò a tentoni la parte superiore degli stivali, sfilandoli e buttandoli a terra: rimase vestita, senza coprirsi con la coperta e si rannicchiò su un fianco, cercando di riposare.

Cercando di dimenticare.


Crac.

Non deve fermarsi.

Crac.

Le unghie si spezzano.

Crac.

Reprime a fatica un singhiozzo.

Crac.

Il sangue cola.

Crac.

Piange, ma non si ferma.

Crac.

Non deve fermarsi.

Crac.

E' l'unico modo per non impazzire.

Crac.

Non deve fermarsi.

Crac.

Non deve fermarsi.

Crac.

Non deve fermarsi.



<< Thorin >>.

<< Thorin >>.

<< Zio! >>.

Il re si svegliò del tutto all'ennesimo richiamo del nipote.

<< Cosa succede? >> chiese preoccupato e con la voce impastata, temendo un qualche complotto degli elfi; forse gli altri erano stati catturati e sbattuti nelle segrete, a giudicare dal volto teso di Kili. O forse, era accaduto di peggio.

<< Devi seguirmi subito. Karin... >>.

Il ragazzo non riuscì a terminare la frase che l'altro lo spinse bruscamente di lato, scendendo dal letto: afferrò la camicia blu notte e le brache, indossandole in fretta. Se c'era una cosa che lo rendeva irrequieto come poche, era sentire le parole “seguirmi subito” e “Karin” nella stessa frase: si chiese cosa avesse combinato la traditrice, e la risposta che si diede non gli piacque.

<< Portami da lei, e ti conviene informarmi di tutto mentre camminiamo >> ordinò perentorio; prese la spada elfica Orcrist – fendiorchi – e precedette il nipote nel corridoio, lasciando poi che lo guidasse verso la stanza.

<< Stavo andando a dormire, quando ho sentito dei rumori strani provenire dalla sua camera: sentivo gemere e delle flebili grida, così ho bussato, ma non ho ottenuto risposta; in quel momento è arrivato Gandalf, che è entrato; mi ha mandato a chiamarti, così sono corso qui >> rapido e conciso, proprio come il re gli aveva insegnato: inutile perdersi in tanti discorsi, ciò che importava era saper trasmettere l'essenziale.

<< Gli altri? >> volle sapere Thorin; il suo cuore si era in parte sollevato nel sentire che i nani erano al sicuro e stavano bene. O, almeno, quasi tutti.

<< Nelle loro stanze; ero rimasto fuori solo io. Ah, eccoci >>.

Bussò una volta, ed entrambi udirono la voce dello stregone chiamarli: lo videro seduto sul materasso, gli occhi chiusi e l'espressione concentrata, una mano posata su quella più piccola di Karin e l'altra sulla sua fronte madida di sudore. La ragazza era stesa a letto e respirava affannosamente, come se avesse corso; a poco a poco, mentre lo stregone mormorava parole in una lingua sconosciuta, l'espressione sofferente si rilassò, ed il respiro divenne calmo e tranquillo. Solo allora, nel vederla nuovamente nell'oblio del sonno, le lasciò la mano, alzandosi.

<< Nulla di grave, solo un incubo >> annunciò ai due; ma, benché avesse accennato un sorriso, Thorin capì che nascondeva dell'altro. E non voleva farlo sapere al ragazzo.

<< Kili, vai a dormire >>.

Il giovane nano guardò lo zio, accigliato << Ma, Thorin... >> provò a protestare, volgendo lo sguardo alla figura addormentata di Karin.

Anche Thorin fece altrettanto << Ora sta bene, l'hai visto anche tu. Torna a letto, è tardi >>.

Kili combatté con la voglia di opporsi e fare di testa sua, e l'obbedire al suo re e parente; infine, dopo molti secondi, chinò il capo sconfitto, lasciando la stanza. Solo quando furono certi d'essere soli, Gandalf parlò.

<< Ho dovuto ricorrere ad un po' di magia per calmarla; era molto agitata >>.

<< Era sveglia quando sei arrivato? >> chiese, misurando la stanza a grandi passi, le mani dietro la schiena; gesti che gli permettevano di scaricare la tensione, più che altro.

<< No >> rispose mestamente Gandalf; sospirò, grattandosi pensieroso la barba. Gesto che non placò l'inquietudine del re dei nani.

<< Hai visto ciò che stava sognando? >>.

Lo stregone annuì, alzando le sopracciglia irsute << Il suo passato e quello che ha dovuto affrontare prima e dopo l'esilio >>.

Thorin non disse nulla, spostando lo sguardo lungo la stanza ben arredata: gli occhi intravidero l'elsa della spada della traditrice, custodita nel fodero. Molti pensieri, per lo più nefasti, si affacciarono nella sua mente, facendogli contrarre la mascella.

<< Non sei l'unico ad essere stato ferito nell'animo, per colpa del drago; e, spesso, alle cicatrici del cuore se ne affiancano altre >>.

Gandalf gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla in un gesto che valeva più di mille parole; il re sostenne il suo sguardo azzurro, orgoglioso e testardo come solo lui poteva essere. Non disse nulla, e forse nemmeno l'altro si aspettava una sua parola: eppure, anche i silenzi come quelli gravavano come non mai. Lentamente, si avvicinò alla porta di legno, andandosene; Thorin non seppe spiegarselo, ma si ritrovò accanto a Karin, guardandola dormire. Stavolta non gli dava le spalle ma dormiva su un fianco, verso di lui: il volto era sereno, la bocca leggermente socchiusa, i respiri regolari e calmi, come se nessun oscuro pensiero potesse sfiorarla. La mano sinistra era sotto il cuscino, l'altra era a penzoloni fuori dalle coperte.

Dovette rimanere presente a se stesso per non prendergliela e riporla al sicuro, al tepore delle lenzuola; si impose di ricordare chi era in realtà quella donna, e cosa aveva fatto. Ogni traccia di pietà e di un qualcosa che non riuscì a definire provata fino a quel momento svanì; il suo cuore si indurì e nemmeno il vederla lì, inerme e pacata, smosse le sue convinzioni.

Scosse la testa e si passò una mano sul volto, sentendosi vecchio e stanco, incredibilmente stanco: aveva bisogno di dormire, di allontanarsi da lì.

Di allontanarsi da lei.

Si avviò a passi pesanti verso la porta, chiudendola piano nonostante il tumulto interiore che lo dilaniava; eppure, se poco prima fosse stato più attento, avrebbe scorto qualcuno sbirciare dentro, grazie alla porta socchiusa; quella creatura aveva notato il suo stato d'animo, vedendo la debolezza dietro l'alterigia e la sicurezza che lo contraddistinguevano.

Ed aveva compreso alcune cose che gli erano state taciute.



Il sole irradiò la stanza, lambendo prima le coperte e poi spostandosi sul suo volto, riscaldandola e facendole prudere il naso; aprì prima un occhio e poi l'altro chiedendosi dove si trovasse, ma le bastò un'occhiata ai mobili finemente intagliati ed alle tende azzurre quasi impalpabili per capire: era ancora a Gran Burrone.

Con un gemito sconsolato si alzò, massaggiandosi il collo: forse aveva dormito in una posizione sbagliata, le doleva tantissimo.

Si sciacquò il viso, ricordando il malore della sera prima, durante la cena: lo stomaco le si contrasse, come se qualcuno glielo stesse stringendo in una morsa; inoltre, il pensiero di mettere qualcosa sotto i denti le fece venire la nausea, ma non sapeva se per la troppa fame o no.

Dando un'occhiata al cielo dedusse che era mattina inoltrata, quindi decise che avrebbe aspettato il pranzo e, nel frattempo, sarebbe andata fuori a prendere un po' d'aria, cercando di rimanere il più in ombra possibile. Non l'entusiasmava l'idea di incontrare degli elfi.

Prese la spada, ancora nel fodero, e lasciò la stanza, percorrendo il lungo corridoio dove alloggiavano; non incontrò nessuno, né nani né elfi, mentre scendeva alcuni sottili gradini di pietra lavorata e liscia, seguendo poi uno stretto sentiero costeggiato da alberi verdi, i cui rami venivano mossi dal venticello appena frizzante. Continuò a camminare per un po', facendo saettare lo sguardo nell'intercettare qualcuno, ma fu fortunata; si sedette su una panchina di pietra, sfoderando la spada d'acciaio che, al contatto col cole, sembrò brillare.

Si mise a pulirla ed affilarla, gesti che compiva ogni giorno, mettendola a suo agio: anche solo toccandola provava una immensa quiete, ed una pace interiore che le scacciava qualsiasi pensiero negativo.

<< Se continuerai ad affilarla in quel modo la rovinerai, ragazza >> una voce anziana e conosciuta le fece alzare lo sguardo, riconoscendo prima la barba bianca biforcuta e poi il volto di Balin; le stava sorridendo, ed il tono con cui le aveva parlato non era affatto minaccioso o sgarbato, anzi: celava quasi una sorta di divertimento.

<< Non accadrà, mastro nano; dopotutto, è il mio tesoro più prezioso >>.

<< Cos'è il tuo tesoro più prezioso? >> fece eco una voce più giovane; Kili si fece avanti, seguito da Bilbo e Bombur. 

Karin sospirò affranta: addio all'idea di rimanere per un po' da sola!
Bombur le si avvicinò, reggendo tra le mani una ciotola di vetro, con dell'uva bianca all'interno.

<< Ho pensato di portarti un po' di frutta, visto che stamattina non eri a colazione >> disse, leggermente imbarazzato.

<< Se vedi che mancano dei chicchi, non preoccuparti: è che se li è mangiati mentre venivamo qui >>.

Le guance paffute del nano si colorarono di un bel rosa, mentre borbottava rivolto a Kili che, nel vederlo così, aveva riso di gusto.

Karin scosse la testa, sorridendo all'indirizzo di Bombur << Grazie mille. Avevo giusto un languorino >> si fermò, prendendo un grappolo dai grossi acini dorati, guardandolo << ma ce ne sono così tanti che rischierei di rovinarmi l'appetito per dopo: perché non mi aiuti a finirli? Anzi, se ne volete anche voi >> chiese, rivolta agli altri.

Balin annuì, sedendosi pesantemente sulla panchina, accanto a lei.

<< Questa spada mi ricorda molte battaglie: rammento bene quando l'impugnava tuo padre >>.

Il chiacchiericcio allegro degli altri si interruppe, mentre posavano lo sguardo sulla lama d'acciaio e sull'elsa, riconoscendola.

Kili sgranò gli occhi, e persino Bombur smise di mangiare << Questa è la spada del tuo clan? Quella che le leggende raccontano? >>.

Karin annuì, mentre fu Balin a rispondere << Questa, figlioli, è Iris. Fulgore d'Oriente. Una delle spade più belle che la stirpe dei Nani potesse realizzare, seconda solo alle armi degli antichi re >>.

I nani rimasero a bocca aperta, stupiti; anche Bilbo subì il fascino che mandava la spada, ammirandone la forma allungata e sottile, ma ciò che lo colpì di più fu la forma della guardia d'acciaio: si apriva in quattro petali di iris, abbastanza distanziati tra loro che culminavano nel manico, permettendo così un riparo al polso di chi l'impugnava. Sembrava quasi che la lama fuoriuscisse dal fiore, una manifattura così delicata e perfetta che si chiese come avessero fatto i nani a realizzarla; era senza dubbio un'opera d'arte creata dal miglior fabbro, destinata ad una stirpe nobile e grande.

Notò che sulla scanalatura del forte vi erano delle rune << E queste, che significano? >>.

<< Da questo lato è inciso il suo nome, Iris, e l'appellativo con cui l'ha chiamata Balin; dall'altro >> Karin la girò, mostrandogli altre rune << Coraggio. Lealtà. Passione. Tre qualità che il portatore deve possedere, se vuol vincere ogni battaglia; altrimenti, è destinato a perire. Questa spada è stata tramandata dai padri ai figli del mio clan per molte generazioni e, ora, è la mia compagna >>.

<< E' meravigliosa >> ammise Kili, pensando con rammarico alla sua spada: non era altrettanto bella.

<< Oh sì; e sono certo che compirà grandi gesta anche con questa portatrice >>.

La ragazza chinò il capo in segno di rispetto verso il nano anziano, ringraziandolo per le sue parole; Balin le mise una mano sulla spalla, in un gesto paterno che le riscaldò il cuore.

<< Sei una brava ragazza, Karin: sono felice che tu faccia parte della compagnia. Bene >> esclamò infine, alzandosi in piedi << non so voi, ma io me ne ritorno in camera; preferisco un po' di buio a tutta questa luce elfica. Oggi ci sarai a pranzo? >>.

<< Sì, e anzi, mi scuso per il comportamento di ieri a cena; ero solo molto stanca >> cercò di farla passare per una possibile giustificazione, non accorgendosi della strana occhiata che si rivolsero Bilbo e Kili.

Balin annuì, sembrando rincuorato dalla risposta: forse, si era preoccupato per lei. Se ne andò, lasciandoli soli ed in silenzio mentre Karin rinfoderava la spada con cura, ammirandola ancora.

<< Sei certa di sentirti meglio? >> le chiese Bilbo, preoccupato.

<< Certo, avevo solo bisogno di dormire, tutto qui >>.

<< Ti... ricordi qualcosa di ciò che è successo dopo che te ne sei andata? >>.

<< In che senso? >> chiese perplessa lei, di fronte alla domanda dello hobbit.

<< Vorremmo sapere se sei svenuta o cose del genere, mentre cercavi di tornare in camera, tutto qui >>.

<< No. No, sono riuscita a buttarmi sopra il letto e mi sono addormentata; non ricordo altro finché non mi sono svegliata stamattina >>.

Entrambi fecero un strana espressione tra il sollevato e l'affranto, mentre Bombur, ormai, aveva finito da solo i grappoli d'uva. Karin si accigliò, volendo chiedere loro qualcosa in più sul perché di quelle domande, ma non poté: Fili arrivò prima che potesse farlo.

<< Cercavo proprio voi, ragazzi: il pranzo verrà servito tra poco, mi è stato chiesto di venirvi a prendere! Come ti senti stamattina, Karin? >> le chiese, dandole una pacca sulla spalla.

<< Bene, grazie >> borbottò, sulla difensiva: non era abituata a tutta quella confidenza.

<< Ehi fratello, vacci piano: non vedi come è ancora pallida? >>.

<< Ci conviene andare, sapete >> propose Bilbo, prevedendo già i battibecchi che sarebbero nati tra i due nani; lui e Karin si avviarono per primi, sentendo i fratelli iniziare a discutere e, l'attimo dopo, ridere forte per una qualche battuta.

La ragazza si sentì inaspettatamente meglio dopo aver passato la mattinata in loro compagnia, ma si ripromise di pensare anche alle strane domande a cui aveva risposto; guardando di sottecchi Bilbo, si convinse che c'era dell'altro che non voleva rivelarle. E, prima o poi, avrebbe scoperto di cosa si trattava.



In un battito di ciglia volò anche il pomeriggio, passato fuori con i ragazzi: si erano presentati alla sua porta tutti sorridenti, trascinandola in giardino per una fumata; si erano seduti a terra e, poiché gli alberi erano esili e non li avrebbero coperti con la loro ombra, erano rimasti sotto il sole caldo a parlare e raccontarsi storie. Karin aveva per lo più ascoltato, sorridendo ogni qual volta ce ne fosse bisogno, ma non aveva partecipato al loro tuffo nel passato. Avevano posto molte domande a Bilbo, essendo di una razza diversa e lui, con un'espressione nostalgica e felice in volto, aveva raccontato della sua vita nella Contea.

E poi, quando ormai si erano accorti che il sole stava tramontando ad ovest, avevano deciso che era tempo di rientrare e si erano incamminati continuando a ridere e cantare allegri.

Karin si sorprese a pensare di come fosse cambiata la situazione dalla sera precedente; a pranzo, infatti, tutti le avevano chiesto se stesse meglio e persino Dwalin – che, di norma, l'ignorava o le si rivolgeva in tono burbero – si interessò della sua salute.

Aveva risposto con gentilezza a tutti, non senza però una buona dose di sospetto e distacco: non era abituata a ricevere tutte quelle attenzioni, né che le parlassero così tanto. Aveva trascorso troppo tempo da sola.

Fece un cenno con la mano agli altri che, nel frattempo, aprivano le porte delle stanze per fiondarcisi dentro e, con un leggero sorriso sulle labbra al ricordo della tranquila giornata trascorsa senza intoppi, aprì la porta della camera.

Il sorriso svanì, ed un'espressione stupita ne prese il posto alla vista di chi vi era all'interno.

Thorin era entrato senza il suo permesso. E, tra le mani, reggeva Iris.








CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Holaaaaaa!!! Come state ragazzuole mie? ^^

Sotto minacce di morte da parte della cara e vecchia Carmaux_95, eccomi qui a postare il quarto capitolo!
Devo dire che mi sento abbastanza soddisfatta di come è venuto, anche se ho scritto poco rispetto allo scorso :( ; è che mi è sembrato doveroso scrivere qualcosa di un po' più... diverso, ecco! Non mi sono nemmeno dilungata troppo con tante parole, ed ho diviso il capitolo in alcuni paragrafi: non so perché l'ho fatto, avevo voglia di provare uno stile nuovo ^^. Inoltre, avrei voluto scrivere meglio alcune parti ç___ç; chiedo già scusa a MrsBlack90, perché mi sa che anche stavolta non ho descritto granché del paesaggio: è sempre stata un'ardua sfida descrivere Gran Burrone, e credo d'aver toppato :( perdonatemi!!! Ok, mi sa che la definizione "abbastanza soddisfatta" non rientri molto bene :D

Non sapete quanto sia stata felice nel leggere le vostre recensioni, mi danno sempre una carica ed una dose di autostima troooooppo grande: siete tutte fantastiche, dico davvero! E non smetterò mai di ringraziarvi :D

Dunque, torniamo al capitolo – adoro commentare ciò che scrivo *____*: qui entra in scena il grandissimo Radagast! Quanto mi piace quello stregone, sono stata felicissima che P.J. abbia voluto svilupparlo!
Con l'arrivo della compagnia nella Valle Nascosta nascono nuovi problemi: fate attenzione a ciò che leggete, perché alcune situazioni/frasi sono un preludio a ciò che accadrà più avanti, e riguarderanno il passato di Karin ;) ;)
Spero d'essere riuscita a rendere la magnifica spada Iris: nella mia testa la immagino perfetta, ma magari l'ho descritta male... aiutoooooo!!!!!

Con questa spiegazione, credo che ormai abbiate capito a cosa si riferisce il titolo della storia: alle due fedeli armi dei protagonisti, lo scudo e la spada. Non so voi, ma io la trovo una cosa dolcissima *_______*, non credo di resistere ancora per molto a farli litigare e basta >.<: ho bisogno di fluffosità, anche se non riesco a scrivere nulla del genere ahahahhahaha, cielo!

Bene, quindi come sempre vi esorto a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate! Anche voi che leggete solamente, fatevi sentire: mi sarebbe d'aiuto per capire se sto seguendo il sentiero giusto verso Erebor XD XD XD!!!

Ringrazio tantissimo le persone che l'hanno inserita nelle liste delle storie preferite, seguite e ricordate (scusate se non vi elenco ç___ç ) e un grazie di cuore a chi ha recensito: Lady of the sea, jaybeautifldarkangel, Jollyna, nini superga, erica0501, MrsBlack090 e Carmaux_95.

Thaaaaaanks ragazze, alla prossimaaaaaa!!! :* :*

Anna <3

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


CAPITOLO CINQUE


Accanto al letto e con Iris in mano, stava Thorin; Karin percorse con lo sguardo il profilo del re, la fronte ampia, il naso lungo e dritto, le labbra sottili che quasi formavano un'unica linea seminascosta dalla barba scura, domandandosi cosa ci facesse in camera sua. Avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, farsi ridare la spada e scacciarlo malamente da lì, ma non lo fece. Rimase ferma, la mano ancora attaccata alla maniglia in una presa ferrea; chiuse la porta dietro di sé, il battito del cuore come unico rumore. Sapeva che lui l'aveva sentita arrivare, probabilmente già da quando aveva messo piede in corridoio con gli altri, ma non aveva detto una sola parola, né spostato il capo verso di lei.

Si mosse leggermente a disagio, spazientita da quel silenzio opprimente.

Dopo quelli che sembrarono minuti infiniti, la voce di Thorin le giunse alle orecchie.

<< Non credevo di rivedere così presto questa spada. E nemmeno te >>.

<< La stirpe di Gorin è difficile da cancellare >> rispose calma e glaciale, così come le si era rivolto. Thorin alzò un angolo della bocca in una specie di sorriso, continuando a tenere lo sguardo sul filo della lama.

Il ricordo del loro litigio tornò prepotentemente alla mente della ragazza: si morse il labbro inferiore, nervosa, mentre non poteva fare a meno di pensare alla frase che gli aveva rivolto.

E guardami, maledizione!”

Quanto avrebbe desiderato potergliela urlare anche adesso: lo detestava quando si comportava così, come fosse una persona qualunque che non meritava di essere notata, di essere vista.

<< Quando leggo la parola Lealtà, mi domando a chi la deve questa spada >>.

A Karin sembrò un discorso assurdo: cosa pretendeva? Che gli rispondesse come se non fosse accaduto nulla?

<< Iris è fedele a me, così come io lo sono a lei >>.

<< La lealtà è sempre andata ad un re >> mormorò, la voce bassa e profonda. Karin non capì se, anche adesso, stesse parlando della spada. O di lei.

<< Ho smesso di esserti leale quando mi hai bandita; lei ed io abbiamo fatto un patto e, finora, mi ha servita bene >>.

<< Tu cosa avresti fatto? >> le chiese a bruciapelo, spiazzandola; ora, il suo desiderio era stato esaudito, la stava guardando. Così intensamente e disperatamente che sembrò trafiggerle l'anima.

<< Se ti fossi trovata al mio posto ed io al tuo? >> continuò, appoggiando la spada sopra il letto e girandosi verso di lei: ora, erano di fronte.

Ma il rancore e la rabbia sorda che provava nei suoi confronti superava di gran lunga ogni altro sentimento avesse provato per lui: la ferita non si era ancora rimarginata, bruciava ancora.

<< Ti avrei ascoltato, decidendo di conseguenza >>.

<< Non ho avuto scelta >>.

<< No, non è vero! >> ecco, stava nuovamente per perdere la calma al contrario del nano che, invece, manteneva una certa compostezza: ancora per poco.

<< Avevi la possibilità di cambiare decisione, ma non l'hai fatto; nel tuo cuore, la reputavi la scelta giusta >> mai come in quel momento si sentì disperata. Anche il solo pronunciare la verità faceva più male di qualsiasi gesto, di qualsiasi silenzio.

<< Ci sono scelte che richiedono sacrifici >>.

Il cuore di entrambi sembrò sussultare in sintonia: quanto poteva essere devastante una frase?

<< Ero questo, per te? Un sacrificio? Qualcosa di cui sbarazzarsi al primo sbaglio? >>.

<< Sbaglio? Karin, tu ci hai traditi! >>.

<< Non ho avuto scelta >> ripeté, sulla scia di Thorin; il corpo iniziò a tremare << non l'ho veramente avuta; tu... tu non hai idea di ciò che ho passato, sia prima che dopo l'esilio. Tu non sai quali cose... non sai niente! >>.

<< TACI! >> gridò lui, furioso, scattando in avanti e afferrandole il braccio in una morsa ferrea; la strattonò ad un nonnulla dal suo viso, facendole male.

<< Sai cosa è successo dopo il tuo esilio? >> le chiese adirato, talmente vicino che lei poté sentire il suo alito sul volto << Tutto ciò a cui tenevo e che amavo si è spezzato, come una martellata troppo potente su una lama debole >> la voce, rimasta alta per gran parte della frase, si affievolì in un sussurro; sembrò tornare in sé, rendendosi conto di quanto fosse vicina la traditrice, lasciandola andare. Indietreggiò di un paio di passi, senza smettere di guardarla.

<< Mio padre ed io aiutammo il re a condurre il popolo a Moria, ma non sapevamo che gli Orchi si erano già appropriati della nostra terra. Combattemmo con tutte le nostre forze, subendo molte perdite; il capo degli Orchi, Azog il Profanatore, era determinato ad uccidere tutti i nani: iniziò dal sovrano, decapitandolo >> si fermò, lo sguardo sofferente nella sua profondità; Karin si rese conto che, ora, la distanza tra loro si era accorciata: si chiese quando si fosse avvicinato. O forse era stata lei a muovere qualche passo nella sua direzione?

<< Quando fece rotolare la sua testa a terra, un furore mai provato prima mi pervase; l'avrei ucciso, lo desideravo più di qualsiasi altra cosa, in quel momento: era il mio unico pensiero. La rabbia che sentivo mi impediva di pensare con lucidità; fui sul punto di venir sconfitto dall'orco ma, grazie ad un pezzo di quercia che trovai, continuai a resistere finché con un colpo netto non gli staccai la mano. Se ne andò reggendosi il moncherino del braccio >> aggiunse sprezzante << e noi, con nuovo vigore e forza, riuscimmo a cacciarli. Quel giorno vincemmo, ma non ci furono né canzoni né festeggiamenti: molti avevano perso i loro familiari ed i pochi sopravvissuti piangevano lacrime amare.
Mio padre Thrain impazzì dal dolore per la perdita subita, e se ne andò; non ho mai saputo se fosse ancora vivo. Nemmeno adesso >>.

Mi dispiace”

La sua mente riuscì a formulare quest'unica frase che, in circostanze diverse, sarebbe riuscita a pronunciare; ma non era una circostanza normale. Proprio no; rimase dritta, le braccia lungo i fianchi e la fronte aggrottata, gli occhi che, suo malgrado, non riuscivano a staccarsi da quelli azzurri e tormentati di Thorin.

<< Ora conosci la mia storia. Perciò, non provare mai più a dirmi che non so nulla, perché te ne farò pentire >>.

Le si avvicinò a passi pesanti, schivandola all'ultimo per uscire dalla stanza: quando le passò accanto, le sfiorò inavvertitamente una spalla con il braccio. Solo quando sentì la porta chiudersi, Karin espirò, come se avesse trattenuto il fiato per tutto quel tempo; ripensò alle parole di Thorin, ed al fatto di non essere riuscita a spostare lo sguardo altrove: entrambi si erano ancorati uno negli occhi dell'altra, come se in quei pochi minuti tutto il resto fosse svanito. La memoria le fece il pessimo scherzo di farle rivedere altri infiniti sguardi come quello, e ricordò altre sensazioni ben più piacevoli di quelle che provava ora. Si morse il labbro inferiore, chiudendo gli occhi: perché, perché le era scivolato tutto dalle dita così velocemente? La sua vita, i suoi affetti, il suo onore... tutto era svanito, perduto.

Se si fosse trovata al posto di Thorin, avrebbe davvero preso una decisione diversa dall'esilio? Sì, continuò a ripetersi: perché se lui avesse commesso quel terribile sbaglio, lei avrebbe ascoltato il suo cuore, non l'orgoglio ferito; avrebbe ricordato ciò che rappresentava, decidendo di testa sua, non sotto consiglio di altri che non sapevano, non capivano. Dopo l'esilio si era chiesta mille volte se si fosse pentito, se sarebbe partito per cercarla e riportarla a casa, ma non era accaduto: le lacrime che aveva versato, le preghiere che aveva sussurrato nell'oscurità della notte erano rimaste inascoltate; e un'immensa rabbia, un odio che mai avrebbe pensato di possedere si era impadronito di lei, facendole dimenticare gli anni passati a Erebor, gli anni passati con lui. Aveva sepolto le emozioni palpitanti, gli sguardi complici, i gesti dolci, le risate spensierate, tutto; aveva trasformato la sua anima, la sua essenza. Ma, nei sogni, tentava ancora di scappare da quel mero destino: lì era ancora Karin di Erebor, che passeggiava per le grandi sale di pietra, nascondendosi di volta in volta dietro una immensa colonna solo per sfuggire al suo sguardo, che saltava cercando di parare dei fendenti mentre rumori di lame cozzavano insieme, che beveva da un grosso boccale di birra finendo col tossire convulsamente, le risate che le rimbombavano nelle orecchie. Ma poi, quando si svegliava, tornava bruscamente alla realtà: non un suono le giungeva, solo un vuoto e freddo silenzio; la solitudine la ghermiva e la cullava come una madre fa col figlio, stringendola nel suo abbraccio che sapeva di oppressione e sofferenza. E lì, allora, rammentava che Karin di Erebor era morta: esisteva solo la Traditrice, l'Esiliata senza nome.

Strinse i pugni talmente forte da conficcarsi le unghie nella carne, sentendo bruciare là dove si era ferita: probabilmente si era riaperta.

Riaprì gli occhi, vedendo una piccola bolla rossa sulla fasciatura fresca, che aveva cambiato da poco; sospirò affranta, abbassando il capo. Doveva smetterla di crogiolarsi nei ricordi, non sarebbe servito a niente: anche se fosse riuscita a ristabilire il proprio onore perduto e quello del suo clan, nulla sarebbe tornato come prima, lo sapeva bene. Il passato e quello che era accaduto... bé, era passato. Eppure, da quando faceva parte della Compagnia, le era ripiombato addosso come una valanga; le bastava guardare gli altri nani per far riemergere ogni emozione sopita: le bastava guardare Thorin.

Represse un ringhio frustrato, sbattendo i pugni sul tavolo: prima o poi sarebbe impazzita, lo sapeva. E la corazza che tanto ostentava e di cui si vantava sarebbe crollata in mille pezzi.

Sarebbe fuggita anche subito, se non avesse avuto uno scopo da raggiungere ma, per il momento, si sarebbe accontentata di uscire dalla stanza per fare quattro passi e calmarsi.

Decisa, spalancò la porta e marciò nel corridoio talmente in fretta che, per poco, non si scontrò con un'alta figura vestita di grigio.

<< Oh, andiamo di fretta? >> la domanda gioviale le fece alzare gli occhi verso Gandalf, un sorrisetto piuttosto compiaciuto sulle labbra << Stavo giusto venendo da te >>.

<< Oggi è la mia giornata fortunata >> sbottò sarcastica << la giornata delle visite >>.

<< Posso entrare un attimo in camera? >> le chiese, come se non l'avesse nemmeno udita.

Karin annuì, tornando tra quelle quattro mura che, ormai, costituivano la sua prigione: fece un cenno allo stregone perché si accomodasse sulla sedia di legno, mentre lei si sedette sul materasso del letto.

Gandalf si accese la pipa e, poco dopo, piccoli cerchi di fumo si disperdevano per la stanza: Karin restò a guardarli in silenzio, aspettando che l'ospite prendesse la parola per primo.

<< Non ho avuto modo di parlare a quattrocchi con te, e me ne scuso. Come ti senti? Eravamo tutti preoccupati >>.

<< Sto meglio >> replicò asciutta; sperò che la bugia lo convincesse, ma capì subito d'aver fallito.

Gandalf la guardò attentamente, un sopracciglio alzato in modo scettico.

<< Ho incontrato Thorin, poco fa; era venuto da te? >>.

Karin annuì, senza parlare.

<< Era molto preoccupato, sai; è venuto a farti visita anche ieri sera, mentre dormivi >>.

Un sottile senso di disagio le artigliò il cuore, facendole spostare lo sguardo verso lo stregone che, invece, continuava a sorriderle affabile, contento d'avere la sua attenzione.

<< Preoccupato? >> Karin emise un verso incredulo e sprezzante << E' molto più facile che faccia amicizia con un elfo! E poi, non mi pareva lo fosse così tanto >>.

<< Thorin ha un modo molto particolare di esternare i suoi sentimenti; specie se si tratta di te >>.

La ragazza fece finta di non aver udito, ed agitò la mano come a voler scacciare una creatura molesta.

<< E poi perché mai dovrebbe temere per me? Era solo un lieve malore >> disse, la voce improvvisamente tremante e incerta.

Gandalf rimase in silenzio per alcuni secondi, decidendo di assecondare il suo cambio d'argomento << Non è del tutto esatto; sappiamo entrambi che non era un “lieve malore”, come l'hai chiamato tu. Ma qualcosa di più profondo e terribile >> ora aveva smesso di sorridere e fumare, e l'osservava con occhi azzurri indagatori, sguardo che a Karin non piacque. Scattò in piedi, furente ed allarmata al tempo stesso.

<< Cosa vorresti dire, Gandalf? Tu cosa sai? >>.

<< Tranquilla, non serve agitarsi in questo modo. Ora ti spiegherò tutto ma, ti prego, siediti >>.

La ragazza, a malincuore, fece come ordinato, aspettando trepidante.

<< Poco dopo aver finito di cenare, tutti si sono avviati verso le loro stanze, esausti dalle fatiche sopportate negli ultimi giorni; sono stato chiamato da Kili, perché aveva sentito dei rumori strani provenire dalla tua stanza: urla e gemiti soffocati, disse, così mi sono permesso d'entrare. Ti giravi e rigiravi sul materasso, tremante e sudata, in preda a dolorosi incubi: non ho provato a svegliarti, sarebbe stato peggio. Ho mandato il giovane nano a chiamare Thorin e, nel frattempo, ti ho preso il polso e messo una mano sulla fronte per farti calmare: ed è stato allora che li ho visti >>.

Karin non fece nulla per reprimere il brivido gelido che le percorse il corpo e, istintivamente, si portò le mani alle braccia, stringendo la stoffa che le copriva.

<< Cosa hai visto? >> sussurrò, incapace di guardarlo: temeva la risposta che gli occhi e le labbra dello stregone le avrebbero dato.

<< Frammenti dei tuoi incubi >> rispose, la voce improvvisamente stanca e vecchia << ricordi orribili, che mai nessuno dovrebbe possedere >>.

<< La tua pietà non li cancellerà; nulla potrà farlo >>.

<< Lo so, ma la mia non era pietà: so che non la vuoi, non la vorrebbe nessuno >>.

<< Chi altri sa quello che è successo? >> chiese con voce incolore, come se stesse parlando del trascorrere del tempo.

<< Solo io li ho visti. E nella stanza eravamo Thorin, Kili e il sottoscritto, anche se poi il giovane nano è stato rimandato a letto >>.

Karin capì alcune cose inspiegabili che l'avevano tormentata durante tutta la giornata << Ora capisco perché lui e Bilbo continuavano a lanciarmi strane occhiate, sia stamattina che oggi >>.

<< Bilbo? >> chiese incredulo lo stregone.

<< Sì, a quanto pare Kili l'ha messo al corrente; o ha origliato senza essere visto >> disse, massaggiandosi le tempie.

L'altro si passò una mano sulla barba grigia, pensieroso.

<< Nessun altro deve saperlo, Gandalf. Voglio che questo fatto venga dimenticato, per quanto possibile >> sapeva che era una pretesa assurda, non dopo che quattro persone erano a conoscenza di parte del suo segreto. Ma, se non avessero parlato, forse se ne sarebbero dimenticati. E ci sarebbe riuscita anche lei.

<< Come vuoi. Ma sappi che, adesso, non sei più nella foresta da sola. Fai parte di una compagnia, con individui che, bene o male, stanno imparando a conoscerti e rispettarti. Agendo di testa tua e pensando solo a te stessa, stai minando la fiducia che ripongono in te; non dico di metterli al corrente subito ma, prima o poi, dovrai dare spiegazioni >>.

Karin rimase in silenzio, non sapendo che dire: portò un braccio indietro, riconoscendo il manico di Iris; se la portò accanto, sfiorando i punti dove Thorin l'aveva impugnata, ma si ritrasse quasi subito, come se si fosse scottata. Sospirò per l'ennesima volta.

<< Ma non sono venuto qui solo per dirti questo: tra poco potremo proseguire il viaggio verso Erebor >>.

<< Davvero? >> chiese stupita; in parte, sentì un lieve sollievo alleggerirle il cuore.

<< Oh sì. Il piano sarà molto semplice: domani verrà costituito il Bianco Consiglio, a cui dovrò partecipare; ci sono fatti di cui devo mettere al corrente il capo del mio ordine, Saruman il Bianco. Nel frattempo, voialtri potrete lasciare Gran Burrone – in tutta segretezza s'intende. Mi aspetterete alle Montagne Nebbiose >> si alzò dalla sedia, riponendo la lunga pipa dentro la tasca. << Bene, non ti ruberò altro tempo: mi aspetta una serata piena di rivelazioni >> le fece l'occhiolino e sorrise di fronte alla sua espressione perplessa, avviandosi poi verso la porta.

Quando si ritrovò di nuovo sola, si prese un po' di tempo per rimuginare su quanto aveva udito; sarebbero andati via da lì e, forse, gli incubi avrebbero smesso di perseguitarla. Doveva solo mettere più leghe possibili da Gran Burrone, e dagli elfi che vi abitavano. Con un moto di stizza ripensò ai fatti della sera precedente, dandosi della stupida per essersi fatta vedere così fragile e debole e, soprattutto, per non ricordare alcunché. Anche dopo essersi presa la testa tra le mani ed aver serrato gli occhi, non riusciva a rammentare. Concluse che, per il momento, avrebbe agito di testa sua, non dicendo nulla. Quando si sarebbe presentata l'occasione di rivelare la verità, bé... ci avrebbe pensato allora.

Il suo ultimo pensiero, mentre si affacciava alla finestra e la spalancava, si rivolse inavvertitamente alla frase dello stregone.

Era molto preoccupato, sai; è venuto a farti visita anche ieri sera, mentre dormivi”

Quindi, era per questo che l'aveva scoperto in camera sua: era così preoccupato che non aveva perso tempo a polemizzare, sia sulla spada che su di lei. Eppure una parte di lei si sentiva... felice; era una sensazione vaga e molto lontana, perfino sconosciuta. Non ricordava l'ultima volta in cui si era sentita così ma, di sicuro, era successo prima di tutto ciò che l'aveva portata nell'oblio. Non aveva idea di quanto fosse costato a Thorin presentarsi lì, mettendo da parte orgoglio e risentimento, guardarla negli occhi e raccontarle ciò che aveva vissuto.

Non era stato facile nemmeno per lui, a conti fatti: si era ritrovato a governare un popolo senza patria in un perenne esilio, senza una figura paterna a sostenerlo. Il fato non era stato clemente. Anche lui aveva sofferto, e soffriva tutt'ora; e lei si sentì tremendamente in colpa per questo. Forse Thorin aveva sempre avuto ragione: avrebbe dovuto lottare di più, resistere.
No
concluse: lei non aveva colpa, aveva fatto tutto quello che aveva potuto, anche se non le avevano lasciato scelta, togliendole la libertà.

Fece passare lo sguardo sulla valle e i sentieri che si districavano sotto di lei; le lanterne vennero accese da alcuni elfi, e mandarono bagliori biancastri illuminando di poco il paesaggio. La notte trasformava quel luogo in qualcosa di surreale, ma aveva anche qualcosa di terribilmente inquietante.

Non vedeva l'ora di andarsene.



Il giorno dopo, uno strano fermento scuoteva i nani: a colazione si lanciarono brevi ma penetranti occhiate, capendosi al volo. Sarebbero partiti di lì a breve, dovevano solo aspettare l'occasione giusta; fuori, sotto un padiglione di pietra dalla cupola intarsiata e dalle colonnine tortili intrecciate con foglie verdi, si erano riuniti per discutere gli ultimi dettagli; si erano tutti accesi la loro pipa, ed ascoltavano in silenzio le parole di Thorin, che li raccomandava di essere pronti, con i propri bagagli in spalla e le armi al fianco.

<< E per le provviste, come facciamo? >> chiese Bombur, piuttosto preoccupato; alcuni scossero la testa a mo' di rimprovero, Kili e Fili ridacchiarono.

<< Ci ho già pensato io >> disse Nori, pulendo con aria noncurante la pipa << diciamo che i nostri gentilissimi ospiti ci hanno offerto molto cibo per il viaggio >>.

<< Hai rubato dalle loro dispense? >> Bilbo era a dir poco stupefatto << Ma come hai fatto? >>.

Il nano scrollò le spalle << Non è stato difficile. E poi, anche a Vicolo Cieco credo d'aver preso in prestito qualche posata, o qualche bicchiere, ma non te ne sei accorto. Direi che il vero scassinatore non sei certo tu, hobbit >>.

Il volto di Bilbo divenne di un rosa acceso, indignato fin nella punta delle orecchie << Ma come... >>.

<< Silenzio, voi due! >> esclamò Thorin, mettendo fine ad ogni altra frase.

<< Se la fortuna ci assiste, dovremmo trovarci vicino alla pietra grigia quando... cosa c'era scritto di preciso sulle rune, ragazzo? >>.

<< Sta vicino alla pietra grigia quando picchia il tordo e l'ultima luce del sole che tramonta nel giorno di Durin splenderà sul buco della serratura >> recitò il re << Ma non sono molto ottimista in questo momento, amici miei; non credo che la fortuna potrà assisterci. Ora ci conviene andare nelle nostre stanze: quando verrà il momento d'andare verrete chiamati >>.

Si congedarono da quella sorta di riunione, ed ognuno tornò ai propri alloggi per prepararsi, un leggero senso d'inquietudine e d'ansia che non li abbandonava.

Karin passeggiava nervosamente per la stanza, in un'attesa febbrile che la consumava: non riusciva a stare ferma, mentre il fodero di Iris non faceva che rimbalzarle sul polpaccio; lanciava continue occhiate fuori, nella speranza di vedere qualcuno farle un cenno, oppure di intravvedere l'alta figura dello stregone insieme a Elrond, così da poterle dare conferma della fuga. Invece nulla, tutto taceva. Ed il suo nervosismo aumentava di minuto in minuto.

Passarono ore, ed il sole si levò alto nel cielo; era sempre più inquieta: forse qualcosa era andato storto, e la partenza era stata rinviata... ma, anche in quel caso, l'avrebbero avvertita. Vero? Per un attimo si immaginò d'essere rimasta sola a Gran Burrone, mentre gli altri avevano già messo più leghe possibile da lì: impossibile pensò Bilbo non l'avrebbe permesso; né Balin, Kili o Fili.

Ma, d'altronde, che ruolo avevano nella compagnia? Per quanto potessero opporsi, non erano loro a prendere le decisioni...

Un lieve bussare alla porta la fece sobbalzare spaventata, tanto era immersa nei pensieri; scattò veloce alla maniglia, afferrandola e tirando, senza nemmeno chiedere chi fosse: si trovò Bilbo, uno strano luccichio negli occhi grigi. Per un fugace momento fu tentata di saltargli al collo ed abbracciarlo, per poi tirargli un pugno sul volto, visto lo spavento che si era presa; invece lo strattonò dentro, guardando se ci fossero elfi nei paraggi.

<< Finalmente! >> esclamò spazientita << Si può sapere quando ce ne andiamo da qui? Credevo che... oh, non importa! Allora? >>.

<< Mi hanno appena avvisato, e sono subito corso qui. Ci siamo >>.

Karin lo osservò attentamente, accigliata << Cosa c'è che non va? Non sembri entusiasta >>.

<< Non lo sono, in effetti >> sospirò lo hobbit, il volto triste.

La ragazza incrociò le braccia al petto aspettando che continuasse, ma l'altro non lo fece; alzò un sopracciglio, chiaro invito a spiegarsi meglio; Bilbo intuì, schiarendosi la voce.

<< No, è che... insomma... bé, questo posto mi piaceva >> disse, evitando di guardarla negli occhi: perché sapeva che non vi avrebbe letto nulla di buono.

Karin rimase senza parole, non credendo alle sue orecchie; d'accordo, forse lei aveva tutte le ragioni del mondo per odiare quelle creature ed ogni gesto che compivano, ma arrivare a comprendere perché Bilbo volesse rimanere lì non le fu difficile: buon cibo – e abbondante – luogo magico, creature dalla voce melodiosa e dalla conoscenza pressoché infinita, pace e tranquillità. Esatto opposto di ciò che aveva trovato in compagnia di quattordici nani.

<< Vuoi rimanere? >> chiese tagliente; non avrebbe voluto usare quel tono di voce, ma le era uscito spontaneo, senza rendersene conto.

<< No, no, dico davvero! Solo che mi ero abituato a tutte le comodità >>.

<< Stare qui non è come essere tornato a casa >> ribatté piccata << quindi, tanto vale che vieni con noi: prima partiamo e prima finirà questa missione >>.

<< Lo so che non sarà mai come essere tornato nella Contea! >> esclamò lo hobbit << Ma è così impossibile chiedere un po' di pace in un luogo che può dartela? E poi, chi mi assicura che tornerò? Questo è un viaggio suicida! Perché ce l'hai tanto con gli elfi? >> cercò di darsi una calmata, capendo di aver alzato il tono di voce; rimase perplesso, totalmente sconcertato: perché erano finiti a litigare?

Vide Karin osservarlo con occhi infuocati, scintillanti di rabbia; spostò lo sguardo altrove che non fosse il suo viso, mordendosi la lingua: aveva compromesso il loro rapporto con quelle frasi?

Accidenti a lui, a lei, e all'intera Terra di Mezzo!

<< Hai ragione, Bilbo; Questa è una vita perfetta per te, dico davvero: ma tu hai dato la tua parola, ed essa è impressa in chiare lettere, nero su bianco. Devi aiutarci, senza di te la compagnia perderebbe un valido membro >>.

<< Valido membro? >> ripeté lui, incredulo << Non vengo visto così dagli altri >>.

<< Chi ci ha aiutati con i Troll, capendo di dover prendere tempo? Se non ci fossi stato tu ora saremmo nel loro stomaco >> gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla << e sono certa che ci aiuterai ancora, in futuro: è vero, non è detto che tornerai a casa, ma ti giuro che farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti a fare ritorno nella Contea. Combatterò fino alla morte, se sarà necessario >>.

<< Non serve morire, davvero; ma grazie comunque, lo apprezzo molto >> le sorrise, e lei fece altrettanto; Bilbo si sentì meglio, sollevato sia dalle sue parole che dal sorriso: con una punta d'orgoglio, constatò che era l'unico che aveva ricevuto il privilegio di vederlo. O, almeno, era stato il primo da quando l'avevano esiliata. Perché ormai era certo che, molto tempo prima, altri sorrisi disarmanti e profondamente sinceri erano stati rivolti a Thorin.

E, di nuovo, dovette compiere uno sforzo per non chiederle qualcosa di più. Su di lei. Su di loro.


La Compagnia al completo – ma senza Gandalf – si trovò nella piccola sala che precedeva il corridoio delle stanze; si aggirarono furtivi lungo i corridoi aperti, guardando in ogni direzione alla ricerca di elfi: non incontrarono nessuno, fatto che li allarmò e consolò contemporaneamente. Ora all'aperto, procedettero con più cautela, avanzando però ad un passo più spedito nel timore di venir scoperti e mandare tutto all'aria; ripercorsero il cortile di pietra, passando accanto alle alte statue, e si diressero verso il sentiero ripido che li avrebbe riportati nelle pianure desolate e rocciose delle Terre Solitarie.

Bilbo si girò un'ultima volta a contemplare Gran Burrone, le mani che stringevano il bastone con cui si aiutava a camminare; i riflessi del sole giocavano a riflettersi sull'acqua delle cascate, creando di volta in volta alcuni arcobaleni, che coloravano la valle o le rocce: il palazzo sembrava risplendere di luce propria, mandando lampi bianchi, così abbaglianti che ti costringevano a stringere gli occhi. Gli parve di sentire gli elfi cantare, voci melodiose ed eteree che si perdevano nell'aria; mai come in quel momento il suo cuore parve gonfiarsi di nostalgia.

<< Avanti, signor scassinatore; non perdere il passo >> lo redarguì Thorin, svegliandolo dai suoi pensieri: mancavano solo loro due, il mantello di Karin era svanito con un fruscio dentro l'angusta apertura che li aveva condotti lì. Con un cenno d'assenso, lo hobbit si impose di camminare, mettendo un piede davanti all'altro: se fosse rimasto ad ammirare ancora un po' quel luogo, probabilmente avrebbe deciso di rimanere.


Camminarono a lungo, le Montagne Nebbiose che si avvicinavano sempre più, minacciose e fredde; nonostante si trovassero ancora sulle pianure tirava un vento freddo, quello che ti entra nelle ossa e là rimane, per quanto tu possa essere vestito.

Poi la pianura lasciò il posto alle rocce aspre e, i nani più lo hobbit, presero un sentiero che li avrebbe portati su, sempre di più, in un cammino tortuoso e solitario; l'aria si fece gelida, il passo più stretto sul fianco della montagna: se avessero compiuto un passo falso, o fossero inciampati o scivolati su una pietra, sarebbero precipitati in un dirupo via via sempre più profondo e buio.

A questa situazione se ne aggiunse un'altra, molto più spiacevole: una pioggia violenta e spietata non diede loro tregua per giorni. Dormirono poco niente, cercando di ripararsi come potevano, calando meglio i cappucci sui volti, stretti gli uni agli altri per cercare un po' di calore. Ma non funzionò granché.

Il povero Bilbo rivolgeva spesso il pensiero verso casa o, anche, a Gran Burrone: sembravano passati anni da quando aveva raccolto in fretta e furia alcune cose da riporre nello zaino, temendo di arrivare troppo tardi per raggiungerli; pensò con nostalgia alla tavola imbandita dell'Ultima Casa Accogliente, al lieve tepore che poteva trovare solo sotto delle coperte, al fuoco che scoppiettava allegro nel camino e, per qualche attimo, poté quasi percepirne il calore attraversargli le membra. Ma una folata di vento lo fece ripiombare alla brusca realtà: rabbrividì più volte, battendo i denti così forte che temette di romperseli; girò il capo sia a destra che a sinistra, osservando i volti dei nani: erano per lo più abbattuti e desolati, infreddoliti fin nel midollo. Eppure, la tenacia nel proseguire cercando di raggiungere la meta spronandosi a vicenda, scatenava in lui un'ammirazione sconfinata! Non aveva mai incontrato nessuno con uno spirito di rivalsa così forte; lo facevano sentire così piccolo ed insignificante rispetto alla loro forza d'animo! Ma, qualche volta, trovava dentro di sé un coraggio ed un'intraprendenza che non avrebbe mai pensato di possedere. E tutto grazie a quei compagni che erano piombati in casa sua: certo, non riusciva ancora a considerarli amici - o almeno non tutti – dato che lo vedevano ancora restio ad avventure e desideroso di tornare a casa, ma in cuor suo sperava davvero di risultare migliore ai loro occhi.

Perso com'era nei suoi ragionamenti, non si accorse che gli altri si erano fermati, andando a sbattere contro la schiena di Bofur; l'altro parve non accorgersene, la testa rivolta verso l'alto, la bocca spalancata dallo stupore. Seguendolo, Bilbo rimase di stucco a sua volta nel vedere cosa ci fosse: un gigante. Un gigante di pietra!

<< Per la barba di Durin! Allora le leggende dicevano il vero! >> esclamò forte Bofur, per farsi sentire in quella tempesta.

Rimasero attoniti e stupefatti a guardarlo, finché quello non staccò un grosso pezzo di roccia, scagliandolo verso di loro. Bilbo udì grida ed imprecazioni, e non si accorse di urlare di paura a sua volta, terrorizzato; venne schiacciato contro la parete dal braccio di qualcuno, mentre dall'alto piovevano massi grandi come la sua porta di casa.

<< ATTENTI!!! >>.

Qualcuno urlò quest'avvertimento, ma non seppe dire chi o perché: poi, la stessa montagna parve tremare.

Sentì un forte dolore alle costole e, girandosi verso destra, vide che Karin gli aveva appena sferrato una gomitata, indicandogli convulsamente il cielo: lì per lì non capì ma poi, seguendo il suo dito, sentì gli occhi spalancarsi ed il fiato mancargli.

Il gigante di pietra non mirava a loro, ma ad un altro che era dietro la loro montagna! Ora ce n'erano due, ed entrambi si lanciavano i macigni come fossero sassetti leggeri: non aveva mai visto uno spettacolo del genere, stupefacente e terrificante insieme.

Era una battaglia. Una lotta tra quelle immense creature.

E loro, sfortunatamente, erano capitati nel mezzo.


Continuava a piovere, e lampi e tuoni illuminavano e saturavano l'aria; il vento feriva gli occhi, costringendoli a tenerli socchiusi. Oltretutto erano impossibilitati a muoversi: anche se si fossero avventurati lungo il sentiero, erano costretti a fermarsi per ripararsi dai massi che cadevano senza sosta, lanciati dagli sfidanti.

Cercavano di schivarli il più possibile, ma più di una volta avevano trattenuto il respiro, consci che un lieve movimento avrebbe potuto portarli giù, nell'abisso.

Karin maledì quella dannata situazione, gridando di dolore quando un sasso grosso come il suo pugno le precipitò addosso, ferendole una spalla.

Improvvisamente, sentì la roccia spaccarsi sotto i suoi piedi; guardando verso il basso, notò una profonda crepa che andava ingrossandosi sempre più, mentre le gambe prendevano due diverse direzioni: possibile dovesse proprio spezzarsi sotto di lei?

Sentì due diverse prese sulle braccia, una più forte e l'altra debole: Kili e Bilbo cercavano di portarla dalla loro parte, per evitare che precipitasse; tutto accadde così velocemente che non ebbe bisogno di pensarci: il corpo agì da solo, portandola a saltare dalla parte del nano.

Ora il gruppo era diviso, e tutti si chiamavano disperati. Non poteva esserci situazione peggiore, pensò Karin. Ma dovette ricredersi molto presto.

Il punto dov'erano iniziò a tremare e sgretolarsi: urlò come mai in vita sua, spaventata da quello che stava per accadere; indietreggiò senza motivo, finendo addosso a Kili, ma non ci fece caso. Erano troppo impegnati a cercare di reggersi l'un l'altro, mentre il loro macigno veniva alzato: erano spacciati, se il gigante li avesse lanciati sarebbero morti!

Invece non accadde: l'altro gigante fu più veloce, passando al contrattacco; tirò un masso, mancando di parecchi metri il loro aguzzino. Seguendone la traiettoria, videro con sgomento che i giganti erano aumentati: ora, erano tre!

La lotta si fece più serrata, ma loro rimasero ad oscillare avanti e indietro, ancora nelle “mani” del gigante: era la loro occasione, dovevano fuggire. Se fossero riusciti a raggiungere un'altra sporgenza o crepa, sarebbero scampati.

<< SALTATE!!! >>.

L'ordine che l'altro gruppo urlava li spronò ad agire: ma quando si prepararono, il masso si spostò veloce verso il fianco della montagna, portandoli a scontrarsi con esso. Karin chiuse istintivamente gli occhi, vedendo la sua fine farsi vicina, troppo vicina.

<< KILI!!! >> udì la voce di Thorin chiamare il nipote, sorpresa: non doveva essere morta, in teoria?

Aprì gli occhi, vedendo che era riuscita ad infilarsi in una apertura della montagna, abbastanza spaziosa per starci comoda; ebbe un'improvvisa voglia di ridere alla morte scampata, ma sentì qualcuno tirarla fuori, il braccio stretto in una morsa: il volto stravolto di Kili entrò nel campo visivo, ma le concesse un breve sorriso, felice anche lui d'essere ancora vivo. Ora dovevano solo raggiungere gli altri, poco lontani. Camminarono a ridosso della roccia, venendo aiutati dall'altro gruppo: Bilbo le tese una mano, aiutandola a schivare una crepa; finalmente erano in salvo.

Più o meno.

Un fulmine colpì la cima della montagna staccando altri pezzi di roccia, che rotolarono giù; fu una questione di un attimo, per Karin: una volta riabbassato il capo, vide che Bilbo era sparito, e Bofur gridava qualcosa, seguito da quelli che stavano vicini.

<< Bilbo, aggrappati! >>.

<< BILBO!!! >> gridò, con quanto fiato le rimaneva: lo hobbit era attaccato disperatamente al bordo della roccia, il volto sconvolto, incapace perfino di urlare per chiedere aiuto. Si accucciò immediatamente per aiutarlo, tendendogli la mano.

<< Avanti, afferrala! >> sentiva il cuore rimbombarle nelle orecchie, ogni fibra del corpo alla disperata ricerca di mantenere i nervi saldi: perché non la prendeva? Cosa aspettava, di cadere?

<< Bilbo, dai! DAI! >>.

Lui parve riscuotersi, e sbatté le palpebre, confuso: staccò una mano, intrecciando le dita con le sue. Karin si sentì sollevata, ma fu troppo presto per cantar vittoria: percepì il vuoto sotto le ginocchia, e lo stomaco le arrivò alla gola, mozzandole il respiro. Che stava succedendo?

Si vide inclinarsi verso Bilbo che, d'altro canto, gridava atterrito il suo nome, senza lasciare la presa: ma allora perché si stava avvicinando a lui invece che tirarlo a sé?

Poi d'improvviso capì: stava cadendo anche lei, sarebbero precipitati entrambi nel vuoto. La roccia doveva essersi sgretolata, ed ora sarebbe morta: buffo come il suo attaccamento alla vita diventasse più forte di qualsiasi altra cosa, perfino della paura; eppure, non ci aveva mai tenuto davvero, alla sua vita.

La gravità la chiamava, ma qualcosa sembrò volerla trattenere; sentì uno strattone allo stivale, all'altezza della caviglia: cercò di voltare il capo, riconoscendo parzialmente gli avambracci scoperti e tatuati di Dwalin. L'aveva afferrata in tempo per il piede, salvando lei e lo hobbit: ma non avrebbe resistito per molto, da solo; erano troppo pesanti anche per lui.

<< Non lasciare la mia mano! >> gridò a Bilbo, troppo spaventato per parlare.

Scosse la testa, dicendole poi qualcosa, che non riuscì a cogliere: le fischiavano le orecchie, poiché era a testa in giù.

<< Riesci a portarmi verso sinistra? Thorin >> non terminò la frase che l'altra aveva spostato la testa, vedendo che il re era da quella parte, ed era sceso poco più in basso per aiutarli; Karin valutò che, in linea d'aria, era un'ottima posizione per atterrare. Doveva solo avere abbastanza forza da muovere Bilbo, facendolo oscillare verso la salvezza.

Gli afferrò entrambe le mani, iniziando a dondolare il busto prima a destra e poi a sinistra: l'altro la aiutò, adattandosi ai movimenti; sentì che anche Dwalin li accompagnava per facilitarli, e gliene fu immensamente grata.

Continuarono finché non oscillò abbastanza da permettere a Thorin di prenderlo, sotto le grida e i richiami degli altri, che aiutavano Dwalin a reggerli; finalmente Bilbo fu in salvo, venendo afferrato in tempo dal nano, che lo issò su senza tanti complimenti. Ora veniva il difficile: toccava a lei.

<< AVANTI! >> la richiamò Thorin, protendendosi per prenderla: ormai era sul bordo della rupe.

Karin voltò il capo verso Dwalin, facendogli un cenno perché l'oscillasse un po' di più: il nano lo fece e, ad un urlo della ragazza, la lasciò andare.

Il panico le fece salire un'adrenalina mai provata prima.

<< KARIN!!! >> Thorin urlò con quanto fiato aveva in gola, vedendo la ragazza volare verso di lui, le braccia tese.

Tutto sembrò svolgersi al rallentatore: Karin, dopo l'iniziale ascesa, ora iniziava a scendere verso il basso; se non fosse riuscita ad afferrargli le mani, sarebbe caduta.

Il nano cercò di sporgersi ancora: il cuore rallentò la sua folle corsa quando non riuscì a prenderle una mano.

L'aveva persa, sarebbe morta.



Invece non accadde: le dita le afferrarono l'altro arto in una morsa ferrea; con quanta forza aveva – poca, ormai – tirò, portandola tra le sue braccia. Arretrò addosso alla roccia sentendo la schiena dolergli dal colpo preso, schiacciato com'era tra la montagna e il corpo di lei; Karin tremava forte, le mani chiuse a pugno che gli artigliavano la pelliccia e una mano, il volto seppellito nel suo petto. Senza rendersene conto spostò il braccio libero, posandolo sulle spalle di lei, scosse dal terrore della morte.

Rimasero così per lunghi secondi, i cuori che avevano ripreso a battere veloci, ripensando a quegli interminabili momenti nei quali Karin aveva rischiato di perdere la vita: lei ansimava, gli occhi ancora serrati che non volevano aprirsi. Godette del tepore che emanava il corpo di Thorin, incurante dell'odore penetrante di sudore o della pioggia o del vento attorno, sentendolo vivo. Una sensazione che avrebbe dimenticato se non fosse riuscita a prendergli la mano: aveva temuto il peggio quando lui aveva mancato la presa; gli occhi le si erano sbarrati, il respiro le era mancato, la testa aveva iniziato a vorticare veloce. Quante questioni sarebbero rimaste sospese, il suo scopo si sarebbe frantumato in schegge di vetro: invece si era salvata. Lui l'aveva salvata. E ora la stava abbracciando.

<< E' finita >> un sussurro lieve, ma che ebbe il potere di scuoterla: alzò gli occhi, scontrandosi con lo sguardo sollevato di Thorin, nella profondità della freddezza che li contraddistingueva.

Rimase a guardarlo inebetita, ancora troppo sconvolta per ciò che aveva appena passato: fu sempre lui a condurla delicatamente su, dagli altri; venne subito circondata da dodici nani e da Bilbo, tutti ansiosi di appurare la sua salute. Rimase in uno stato quasi catatonico mentre veniva trascinata dentro una grotta umida e fredda ma, almeno, erano al riparo dalla pioggia e dal vento.

<< Niente fuochi >> ordinò Thorin a Gloin e Oin << non sappiamo cosa nascondano queste caverne, nella loro profondità >>.

La fecero sedere, mentre gli altri prendevano posto, accasciandosi pesantemente, stremati ed esausti; non parlarono, cercando di dormire e riprendere le forze, cercando di dimenticare un poco la loro disavventura.

Karin sprofondò in un sonno nero e buio, svegliandosi dopo alcune ore, una smorfia di dolore dipinta in viso: per sbaglio si era girata dalla parte della spalla contusa. Diede un'occhiata fuori, notando quanto fosse ancora più buio; gemette debolmente, scostandosi la camicia e il corpetto di cuoio, notando un esteso livido violaceo dove l'aveva colpita il sasso, più altri graffi lungo le braccia e le gambe.

Grugnì piano quando provò a muovere il braccio colpito capendo che, forse, era meglio se l'avesse lasciato stare.

Sentendo qualcuno muoversi, spostò il capo verso l'imboccatura della caverna, riconoscendo l'imponente figura i Dwalin, seduto a terra ed intento a fare la guardia; ormai il sonno non l'avrebbe colta per un po', quindi si alzò il più silenziosamente possibile e, schivando varie teste e grossi stivaloni, lo raggiunse, sedendosi accanto.

Gli sorrise appena, guardandolo negli occhi << Grazie, Dwalin. Per prima: se non ci fossi stato tu adesso non sarei qui >>.

Lui borbottò qualcosa in risposta, cercando di far piano per non svegliare nessuno. Poi rimase in silenzio per un po'.

<< Anche se l'ho fatto, non cambia nulla. Tu rimani la traditrice >> disse, infine.

Karin gli rivolse un'occhiata di fuoco, mordendosi la lingua dal nervosismo << Dovresti conoscermi abbastanza da sapere che questo non è vero! >> sussurrò di rimando, iniziando ad arrabbiarsi.

Dwalin le restituì lo sguardo, per nulla intimorito dal tono che aveva usato << Ti sei rivelata diversa da come ti conoscevo; mi fidavo. Thorin si fidava >>.

La ragazza si passò una mano sul collo, massaggiandoselo << Prima di giudicare dovreste sentire come sono andate veramente le cose; se solo sapeste... >> lasciò la frase in sospeso, gli occhi neri lontani e duri   << ma non è questo il momento >>.

<< Come pretendi il perdono se non vuoi parlarci del passato? Così facendo rimarrai per sempre una rinnegata >> sbottò, gli occhi scintillanti di rabbia che, ormai, conteneva a stento; Karin decise che era ora di concludere il discorso.

<< Non temere, presto lo saprai; e poi potrai pensarla come più ti pare! Volevo solo ringraziarti per avermi salvata ma, forse, ho commesso un errore venendo qui >> si alzò prima che potesse replicare, tornando veloce al suo giaciglio, schiumante di collera; strinse il mantello con foga, cercando di riaddormentarsi, ma non ci riuscì: le ore si susseguirono e, ora, di guardia stava Bofur. Percepì qualcosa mentre la stanchezza sembrò prenderla, come qualcuno che avesse deciso di andarsene, ma veniva trattenuto: forse se lo immaginò, ma le parve fosse Bilbo. Avrebbe voluto alzarsi, ma le membra erano così stanche e pesanti che non riuscì: poi, le palpebre si abbassarono, finalmente...

<< Svegliatevi! >>.

L'ordine di Thorin la fece scattare seduta, appena in tempo per vedere una crepa crearsi vicina a lei e la sabbia che, veloce, scendeva nella fessura: ma cosa era?

Non riuscì a darsi una risposta che il suolo si aprì, inghiottendoli e portandoli nell'oscurità.

Scivolarono rapidi su dei canali stretti e lisci che li portarono giù, sempre più giù nelle profondità della montagna; urlarono durante tutta quella folle corsa, agitando le braccia e le gambe, cercando di fermarsi. Caddero ancora, ancora e ancora, non trovando appigli per aggrapparsi: l'oscurità si dipanò, vedendo una specie di porta spalancarsi ed una luce sinistra color rosso li accolse. Finalmente si fermarono, ammucchiandosi l'uno sopra all'altro, ma non riuscirono a liberarsi, o a spostarsi. Dando una rapida occhiata attorno, Karin vide che erano finiti dentro una grossa gabbia fatta di lunghe ossa mostruose intrecciate tra loro: la faccenda le piacque ancora meno.

Erano in trappola.

Di nuovo.








CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Puff puff puff, che partoooo!!! mamma mia, cancellavo e riscrivevo, ricominciando da capo ç__ç

Buonasera/notte ^^, perdonate l'ora, ma sono qui a postare il quinto capitolo *____*, dove ne succedono delle belle!!!

Come vi è sembrato? Spero di essere riuscita a rendere un po' di emozioni e sensazioni dei protagonisti, più una visione di quello che trovano nel loro cammino: che mi dite dei giganti di pietra? Ci può stare come descrizione o il mio cervello è totalmente fuso XD? Deluse dal dialogo Thorin/Karin (chi sa di essere presa in causa se ne renda conto ;)))))

Bene, quindi come sempre vi esorto a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate! Anche voi che leggete solamente, fatevi sentire: mi sarebbe d'aiuto per capire se sto seguendo il sentiero giusto verso Erebor XD XD XD!!!

Ringrazio tantissimo le persone che l'hanno inserita nelle liste delle storie preferite, seguite e ricordate (scusate se non vi elenco ç___ç ) e un grazie di cuore a chi ha recensito: Lady of the sea, jaybeautifldarkangel, LadyGuns56, BringMeToLife, Helianto, nini superga, erica0501, MrsBlack090 e Carmaux_95.

Thaaaaaanks ragazze, alla prossimaaaaaa!!! :* :*

Anna <3

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


CAPITOLO SEI


Erano in trappola.

Ora se ne rendevano conto tutti ma non riuscirono a combinare nulla, impegnati com'erano a cercare di districarsi da gambe, braccia, chiome e pance prominenti, appartenenti a membri ignoti della compagnia.

Fecero un gran chiasso, zittendosi solo quando udirono dei versi striduli e acuti, che mai avrebbero potuto emettere; Karin, aggrappata ad un osso – e a dir poco schifata – fu la prima ad accorgersi delle creature mostruose che, a frotte, venivano verso di loro.

<< ORCHI! >> gridò, avvertendo i nani; cercò di afferrare l'elsa di Iris, ma era schiacciata dal peso degli altri, ed ogni movimento fu del tutto inutile. Mentre cercavano disperatamente di prendere le armi per combattere, i mostriciattoli li avevano raggiunti, emettendo grida di giubilo alla vista delle prede catturate.

Karin si ritrasse disgustata quando un orchetto pallido e pieno di pustole dall'aspetto poco rassicurante le comparve davanti, strillando e mettendo in mostra una fila di zanne marce e storte; vennero tirati fuori dalla gabbia e strattonati senza complimenti: un orchetto, che trascinò per un braccio Oin, gli tolse il cornetto acustico dalle mani, gettandolo a terra e schiacciandolo. Col cuore in gola la ragazza sbirciò giù dai ponteggi barcollanti, inorridendo al baratro che si stendeva sotto i loro piedi: sembrava chiamarla, in un sottile gioco perverso che avrebbe messo a rischio la sua vita. Bastava così poco per morire, l'aveva provato sulla pelle giusto prima.

Mise da parte quegli assurdi pensieri, cercando di divincolarsi dall'orco che l'aveva afferrata per un braccio e la trascinava dietro gli altri; notò che anche i nani provavano a scappare come lei, spingendo, dando calci e pugni, ringhiando come animali, ma non servì a nulla.

Gli orchi li condussero lungo stradine tortuose a ridosso della roccia e altri ponti finché, con sommo orrore della ragazza, non li fecero fermare davanti ad un trono ricoperto di crani e ossa, addossato ad una rupe solitaria e gigantesco, così come chi lo occupava.

Era, senza ombra di dubbio, il più grande orco che avesse mai visto: alto tre metri, era repellente ed estremamente grasso, con un gozzo flaccido che si muoveva ogni qual volta voltava la testa.

Le grosse dita stringevano un ramo d'albero, sulla cui sommità era stato conficcato il cranio di un animale, dalle corna contorte: era... spaventoso, concluse Karin; e terribilmente inquietante.

I nani si strinsero più che poterono tra loro, forse condividendo il suo pensiero: non seppe spiegarsi per quale motivo lo fece, ma girò il capo cercando di scorgere una figura più piccola e meno bardata da battaglia, non trovandola. Bilbo non c'era, era sparito!

Le si contrasse la bocca dello stomaco, iniziando a sudare freddo: com'era possibile? Eppure era precipitato con loro!

<< Dov'è Bilbo? >> chiese piano a Gloin, Dori e Nori, alle sue spalle; quelli scossero lentamente la testa o, nel peggiore dei casi, non le diedero risposta, impegnati a pensare alla loro nuova e scomoda situazione.

<< Shh! >> udì un lieve sussurro e, girandosi a destra, vide che Thorin le era comparso accanto, lanciandole un'occhiataccia di ammonimento: doveva tacere, se ne sarebbero occupati dopo. Karin sperò di uscirne viva per cercare personalmente Bilbo... sempre che anche lui fosse sopravvissuto.

Angosciata, notò lo sguardo affamato con cui l'orco sovrano li osservava, perdendo ogni briciolo di speranza: anche se fossero riusciti a darsela a gambe, i nemici erano davvero troppi in quella città sotterranea. Ora ne era certa, perché era proprio lì che li avevano condotti: in una città piena zeppa di orchi! E, molti di loro, portavano armi rozze ma taglienti come rasoi.

<< Bene bene bene >> esordì finalmente il Grande Orco << abbiamo ospiti, a quanto vedo >>.

<< Vostra Malvagità >> si intromise un orco dagli arti deformi, uno più lungo dell'altro << li abbiamo trovati che si riparavano nel nostro portico anteriore >> concluse, facendogli un inchino.

<< Cosa ci facevate lì? >> chiese con tono annoiato il loro re, appoggiando una mano sul lato della faccia coperto da escoriazioni rosse.

Nessuno dei nani osò aprir bocca, infuriati sia con i loro aguzzini sia con loro stessi per essere caduti in una trappola di orchi.

Il Grande Orco, spazientito, mosse i piccoli occhi iniettati di sangue così velocemente che, a Karin, venne la nausea.

<< Nessuna risposta dunque? Bene, allora... gettate a terra le armi; non vorrei che qualche lama mi rimanesse sullo stomaco, una volta che vi avrò mangiati! >>.

All'ordine, quattordici teste di nano si erano alzate, uno sguardo truce e fiero che gli fece capire che non avrebbero acconsentito così facilmente; egli, dunque, fece un gesto, ed un sibilare sferzante nell'aria li sorprese troppo tardi. Qualcuno urlò, mentre una lunga e nodosa frusta nera li ferì, schioccando sinistra.

<< Allora? Forza, obbedite fecce! >>.

Capendo che ci sarebbero andati pesanti se non avessero eseguito – e non senza una buona dose di rabbia nelle vene – ognuno lasciò a terra le proprie armi, raccolte subito da alcuni mostri disgustosi ed ammucchiate in un punto poco lontano dal loro capo che, nel mentre, guardava il suo bottino con un certo divertimento.

<< Portatemele qui >>.

Ma quando un orco si affrettò ad obbedire, allungano le sue zampacce fetide verso il manico elaborato di Iris, il Grande Orco lanciò un mezzo grido sconcertato, agitando una mano.

<< Quella lama è nemica del mio popolo! Chi ha osato portarla al mio cospetto? >> domandò con voce stridula, il gozzo del collo che si colorò di uno sgradevole rosso, mettendo meglio in mostra le pustole ai lati del volto deforme.

Qualche mostro si mosse a disagio, non osando parlare e temendo l'ira del re.

Karin, al contrario, non se ne preoccupava; alzò lo sguardo, orgogliosa come poche volte in vita sua: voleva che il portatore di Iris si mostrasse? Ebbene, l'avrebbe visto!

Strinse le mani a pugno e mosse un passo in avanti, decisa a reclamarne la proprietà; ma qualcosa la trattenne, afferrandole il polso.

Scambiò uno sguardo con Thorin, intervenuto a fermare la sua impulsività che l'avrebbe condotta a morte certa. Sorpresa dal gesto, non fece nulla per divincolarsi dalla sua stretta ferma ma gentile, né riuscì a bloccarlo quando si fece largo tra i compagni, dopo averla lasciata: senza una parola, ma con la solita fierezza, si mostrò.

Il Grande Orco sembrò stupito, ma ridacchiò felice come fa un bambino quando si impossessa di qualcosa di ghiotto che gli era stato proibito.

<< Ma guarda chi abbiamo qui: Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna! Oh, mi correggo: tu non sei re, non hai un regno. Sei solo una nullità, un esserino miserabile! >> rise alla sua stessa frase, e i sudditi lo seguirono deridendo Thorin che, a quelle parole, si era irrigidito e contraeva le mani più volte, alla ricerca della calma che gli stava venendo a mancare. Dignitosamente non disse una parola, mentre invece l'orco continuava nel suo monologo.

<< Sai, c'è una bella taglia sulla tua nobile testa; un tuo vecchio nemico ti sta cercando. Sarà ben felice di saperti qui >> sghignazzò, facendo oscillare il testone e le sparute ciocche bianche.

Thorin percepì un vago senso di disagio, ma lo ricacciò subito << I miei nemici sono morti >> disse, altero.

<< Davvero? Eppure questo mi pare sia ben vivo. Forse, se ti rivelassi che è un grande orco pallido che cavalca un bianco Mannaro, ti ritornerebbe la memoria? >> si pregustò fino in fondo l'effetto che ebbe la notizia.

Negli occhi di Thorin, infatti, era passato un breve lampo di incredulità, sostituito dalla furia: non riusciva a credere a nessuna parola detta da quell'essere schifoso.

<< Lui è morto! >> ribatté stoicamente << L'ho ucciso tempo fa! >>.

<< Si direbbe di no; e se per uccidere intendi tagliato una mano, bé... ci riferiamo a due cose diverse >> ridacchiò di nuovo, rivolgendosi ad un piccolo ammasso deforme e raggrinzito che sedeva alla sua destra.

<< Avvisa il nostro amico: il nano è qui >>.

Il piccolo essere ridacchiò a sua volta, il lungo artiglio della zampa destra che terminava di scrivere qualcosa su di un blocco di pietra. Non si alzò, ma diede una spinta al secchio di latta che lo conteneva e quello, appeso ad una corda, scivolò via, perdendosi in quell'intrico di funi e carriole.

E così, Azog il Profanatore era ancora vivo; Karin sentì il sangue gelarsi nelle vene, ed un freddo penetrante ed aspro la pervase, nonostante là sotto, nelle profondità della montagna, facesse caldo, anche grazie alle torce che illuminavano quel luogo macabro.

<< Tu >> continuò l'orco, indicandone uno lì vicino << portami quella spada; gli taglierò personalmente la testa, visto che l'orco pallido la richiede. Il resto possiamo tenercelo; anche gli altri >>.

Il suddito si avvicinò al mucchio di armi, pronto per prendere Iris. Karin non riuscì a trattenersi oltre: non sarebbe rimasta in disparte a guardare qualcun altro impugnare la sua spada, né avrebbe permesso a qualcuno di uccidere Thorin. Scossa dall'ultimo pensiero si sentì muovere, anche se non aveva dato alcun permesso alle gambe d'agire per conto loro; spinse rudemente gli altri nani che, invece, cercavano di tenerla con loro affinché non commettesse pazzie. Mentre si divincolava da Balin, l'orco urtò il piccone di Bofur, che cadde con un gran fracasso a terra, portando con sé le altre armi che gli stavano sotto. La lama di Orcrist, rimasta tutto quel tempo dentro al fodero si scoprì parzialmente, rilucendo alla luce delle torce.

Il Grande Orco lanciò uno spaventoso grido di rabbia, riconoscendola: essa, infatti, era nemica giurata degli orchi poiché ne aveva uccisi molti, anni addietro, quando gli elfi davano loro la caccia. Ed il ricordo non era facile da cancellare. Anche gli altri orchi lì presenti digrignarono i denti, scoprendo le fauci di fronte a quella che chiamavano semplicemente Coltello; la odiavano, così come chiunque l'impugnasse.

<< Uccideteli! Squarciateli! Voglio le loro teste su delle picche! Ora! >> alle sue grida acute si aggiunsero quelle degli altri; alzarono i pugni, altri le armi e, correndo, li accerchiarono.

Ai nani non restò altro che affrontarli a mani nude, come meglio potevano: vennero loro addosso, urlanti e ripugnanti, prendendoli a schiaffi, a calci e pugni; chi aveva un'arma cercò di usarla, tentando di ucciderli, menando fendenti a destra e a manca.

Karin non se la cavava granché nella lotta corpo a corpo: dopo essere riuscita a schivare un colpo ed aver dato un calcio al fianco di un orco, facendolo cadere a terra, se ne ritrovò altri due, arrivati contemporaneamente a fermarla; ricevette una ginocchiata in pieno ventre, piegandosi in due dal dolore e boccheggiando forte alla ricerca di aria, che non le arrivò ai polmoni. Sentiva dolori lancinanti dappertutto ma, imperterrita, riuscì a fare lo sgambetto a uno, che cadde; cercò di rialzarsi – era finita in ginocchio dopo la botta presa – per affrontare il secondo ma quello, preparato, la colpì in viso con un violento schiaffo: sentì la guancia andare a fuoco, e qualcosa di caldo e viscoso che le scivolava lungo la parte lesa. Sapendo troppo bene di cosa si trattasse, e con una furia incontrollabile in corpo, urlò a pieni polmoni tutta la sua ira, scattando in avanti e lanciandosi letteralmente sul mostro, che strillò come un maiale pronto per essere scuoiato. Lo gettò a terra e cominciò a colpirlo, una, due, tre volte, finché non venne spinta via da un altro orco, pronto ad avventarsi su di lei; inorridita, vide che gli mancava un grosso pezzo di naso, mettendo in mostra la cavità interna e l'osso che la circondava. Ma non fu questo a farle mancare la salivazione, bensì la frusta che reggeva tra le zampe.

Con la coda dell'occhio riuscì a scorgere alcuni dei suoi compagni, troppo indaffarati per aiutarla: combattevano con tutte le loro energie, ma capì bene che era troppo stancante anche per loro; i colpi erano fiacchi, le mosse rallentate, i riflessi non più pronti. Se non avessero trovato una soluzione sarebbero stati sopraffatti. E la missione avrebbe avuto fine.

L'orco fece schioccare la frusta vicina al suo polso sinistro, scuotendola dai suoi pensieri ed attirando l'attenzione su di sé; provò a scartare a destra ma lui fu rapido e, di nuovo, alzò l'arma che, sibilando, si abbatté sulla sua spalla, ferendola. Urlò forte, mentre un bruciore vivo le infuocò il punto colpito; si fermò appena in tempo dall'andare a toccare la ferita con la mano sinistra, e lanciò uno sguardo di puro disprezzo al nemico che, al contrario, parve molto soddisfatto della sua opera. Ormai disperata e col fiato corto, la ragazza lo vide prepararsi nuovamente a calare il colpo ma, stavolta, riuscì a schivarlo, portandosi più vicina a lui: se solo fosse riuscita a strappargli di mano quella maledetta frusta! Poi avrebbe sghignazzato lei, altroché...

L'orco aspettava qualcosa, ma ciò le diede l'occasione giusta per bloccarlo.

Ora o mai più”

Si slanciò in avanti, schivando un gancio che puntava dritto alla tempia; con le ultime riserve di energia che le rimanevano colpì il mostro sulla guancia, facendolo barcollare indietro di poco. Non fece in tempo a rallegrarsene – o a riprendere fiato – che qualcuno le artigliò la gola in una presa ferrea, con una forza inaudita tale da alzarla di poco dal terreno; scalciò con forza, credendo di liberarsene, ma non vi riuscì: boccheggiò, il petto che si alzava ed abbassava con foga, non riuscendo a respirare. Strabuzzò gli occhi scuri, mentre le mani cercavano di togliere quelle forti e rugose di un altro orco dalla gola.

La vista le si annebbiò, ogni pensiero si confuse: avrebbe voluto chiedere aiuto, chiamare qualcuno, ma non riusciva nemmeno a pensare. C'erano talmente tanta confusione, grida, schiamazzi, urla, strilli che, anche se avesse potuto, nessuno l'avrebbe udita; ebbe paura, una tremenda e maledetta paura. Ora stava per morire di nuovo, ma stavolta non sarebbe accorso Thorin a salvarla: combatteva lontano, impegnato ad affrontare due orchi. Lei, invece, faticava a combatterne uno!

Provò ad affondare le unghie nella carne pallida e putrefatta, che puzzava, ma non servì: anzi, l'altro aumentò la presa, facendola rantolare.

Per Durin, non ce la faceva più!

Sentì le forze venirle meno, la presa sulle mani si allentò; le gambe iniziarono a formicolarle ed un ronzio le invase le orecchie. Un calore inaudito le salì lungo il mento e le guance andandole alla testa, mentre veli di sudore le ricoprirono le tempie, il corpo, il collo: i respiri si fecero più irregolari, la trachea rischiò di esploderle.

Che qualcuno mi aiuti!”

Per favore!”

Poi tutto finì com'era iniziato, rapidamente. La stretta si allentò di colpo e ricadde a terra, prostrata; iniziò a tossire convulsamente alla ricerca di aria, inspirando forte, lieta di poterlo ancora fare. Tremava, gli occhi spalancati che avevano iniziato a lacrimare; portò una mano alla gola, sentendola libera. Si guardò attorno alla ricerca del suo salvatore: dietro di lei, l'orco che aveva tentato di ucciderla giaceva in una pozza di sangue rosso pallido, un ghigno ancora impresso sul volto deforme.

I suoni tornarono lentamente, il fischio sparì: rimase accasciata per un po' cercando di respirare il più possibile. Nessuno fece caso ad un nano a terra, così poté rimanere estranea allo scontro impari che avveniva in ogni dove: quando sentì d'aver recuperato una minima parte di energia tentò di alzarsi, ancora incerta, il cuore che galoppava furioso.

I nemici erano davvero troppi – constatò – ed avevano impartito una dura lezione ai suoi compagni che, messi alle strette, si reggevano a stento in piedi; alcuni si sorreggevano tra loro, stremati. Erano spacciati.

<< Finiamola con questo spettacolino: li voglio morti. Ora >> sentenziò il Grande orco, rimasto appollaiato sul trono per tutto il tempo.

I mostri, che non aspettavano altro che farli a pezzi velocemente e dolorosamente, si avvicinarono.

Ma la fortuna sembrò essere favorevole alla Compagnia: una luce abbagliante e bianca illuminò quel posto, e tutti loro. Accecati, si portarono una mano a coprire gli occhi, mentre una voce a loro ben conosciuta – ed un'alta sagoma familiare – parlò.

<< Riprendetevi le armi! >>.

Gandalf il Grigio li aveva trovati.

Il cuore di Karin non fu mai tanto sollevato come in quel momento.



Era proprio lui, non vi erano dubbi: sotto la tesa del cappello grigio, il volto di Gandalf era una maschera di rabbia e furore, rivolta tutta agli orchi.

La Compagnia non ci mise molto tempo a reagire: corsero in fretta verso il mucchio di armi mentre lo stregone, bastone e spada in pugno, li copriva come meglio poteva.

<< Presto, scappiamo!!! >> ordinò, per poi lanciarsi per primo lungo un ponticello sospeso di fronte a loro.

La fuga disperata verso la salvezza iniziò.


Karin non ricordò l'ultima volta in cui aveva corso così tanto, disperatamente; non solo doveva prestare attenzione a saltare le tavole mancanti di legno dei vari ponti traballanti, rischiando di cadere o inciampare, ma doveva sempre rimanere all'erta se un qualche orco si avvicinava o si gettava da una passerella sopra di loro.

La lama di Iris era intrisa di sangue rappreso e scuro a cui se ne aggiungeva sempre dell'altro, man mano che calava fendenti verso i nemici.

Ben presto le mancò quel poco di respiro che era riuscita a racimolare dopo aver quasi rischiato di morire strangolata, e la milza le dolse, mandandole fitte acute a cui poteva rimediare solo tenendosi il fianco.

La salivazione le era terminata da tempo, ormai, e la gola secca le bruciava: poteva persino sentire il sapore del sangue che le risaliva lungo la trachea; respirare era diventato un incubo, così come cercare di scappare da quel luogo immenso, dentro la montagna. Gandalf faceva loro strada, abbattendo tutti gli orchi che cercavano d'impedirgli di passare; Thorin lo seguiva, e poi venivano gli altri. Più di una volta si fermarono per lasciarli passare accodandosi nelle retrovie, per accertarsi che nessuno fosse rimasto indietro.

Dwalin, ora in prima fila si fermò, vedendo un gruppo di orchi a qualche metro di distanza; veloce, abbatté una delle sue asce su una corda alla sua destra, spostando leggermente il capo all'indietro.

<< Palo!!! >> gridò, per poi ringhiare come un animale mentre alzava quell'arma improvvisata. Chi gli era dietro lo aiutò, correndo e caricando con tutte le loro forze: bastò qualche movimento oscillatorio e i nemici caddero, mentre gli altri vennero finiti dai nani.

Lo stregone era nuovamente avanti, il bastone e Glamdring che gli permettevano di aprirsi dei varchi nel passaggio; corsero ancora e ancora, tentando di schivare anche qualche freccia che pioveva dai ponti sopra le loro teste: una passò così vicina a Karin che poté sentirne il sibilo minaccioso.

Lanciando un'occhiata disperata alla sua destra, la ragazza vide che un gruppetto di mostri era attaccato a delle corde spesse e che, con un balzo nel vuoto, si lanciarono per raggiungerli. Prima che potesse aprire bocca, l'ordine di Thorin risuonò nell'immensità della montagna.

<< Tagliamo le corde! >>.

Karin eseguì, cosi come fecero Nori e Oin: il ponteggio dietro di loro oscillò e si piegò a destra, incontrando la traiettoria degli orchi, che non poterono evitarlo; le corde si attorcigliarono alla struttura di legno ed essi con loro. Se non fossero stati in pericolo di vita sarebbe stata una scena a dir poco comica! Ma non era il momento di pensarci, dovevano raggiungere un qualche passaggio che li avrebbe condotti fuori, verso la salvezza.

Proseguirono la loro folle corsa, ma presto vennero fermati da alcuni orchi arcieri: Kili riuscì a parare con la lama qualche freccia, ricorrendo poi ad una scala di legno appoggiata alla roccia. Se la portò davanti a mo' di scudo per portarla poi in orizzontale, aiutato da Gloin, Bifur e Bofur, come fosse una lunga e spessa lancia, trascinando indietro gli orchi che si dibattevano ed agitavano le lunghe e magre braccia.

Vennero gettati giù, mentre la scala permise ai nani di oltrepassare il vuoto tra un ponte e l'altro e di ricongiungersi con l'altro gruppo che era in testa, pronto ad aspettarli.

<< Avanti, presto! >> li incitò Gandalf: ora tutti insieme si precipitarono a più non posso lungo altre passerelle; qualche volta, a Karin parve di sentire i deboli ponteggi di legno traballare sotto i suoi piedi, ma sperò con tutto il cuore che reggessero: non osava pensare alla lunga ed interminabile caduta che, altrimenti, li aspettava. Le sembrò, inoltre, di scendere verso il basso: man mano che procedevano spediti – e guardandosi alle spalle di tanto in tanto – concluse che prima si trovavano in zone più elevate e che, ora, cercavano di raggiungere la base della montagna. Notizia che non la confortò poiché, se così fosse stato, mancava ancora molta strada da percorrere: e non era così sicura di farcela.

Improvvisamente, una grande figura tagliò il loro cammino: inorridita e attonita, riconobbe il Grande Orco; come era riuscito a raggiungerli? Il panico le montò in petto, facendole mozzare il poco fiato che le rimaneva in corpo.

Gandalf era a poco più di un metro da lui: la ragazza non riuscì a vederlo in volto, ma vide con orrore l'espressione compiaciuta ed affamata di quel grosso re; dietro la sua enorme mole, piccoli orchi sghignazzavano e mandavano gridolini eccitati e mostruosi, certi d'averli in pugno. L'unica cosa che le rimaneva da fare, era cercare un po' di conforto dall'elsa di Iris.

<< Ritorna da dove sei venuto! >> tuonò Gandalf, alzando Glamdring – la Battinemici – sopra di sé ; con un unico fendente tagliò la pancia molle e grassa del Grande Orco che, inizialmente inorridito di fronte ad un'altra spada elfica, si rese conto troppo tardi di ciò che gli era capitato. Strillò sofferente, tenendosi una grossa mano sul ventre: si spostò, costringendo gli orchi ad arretrare. La corona gli scivolò dal capo, cadendo con un tonfo sordo a terra: sgranò gli occhi, mentre una fitta di dolore gli perforava il cervello; si spostò incerto in diagonale, portandosi verso il bordo della piattaforma, ma non se ne accorse. Continuò ad andare indietro barcollando e, ormai sul ciglio, sembrò percepire la voragine alle sue spalle: li guardò con un ultimo sguardo carico d'odio e, urlando, precipitò nell'abisso nero.

Tutto si svolse velocemente, ma a Karin sembrò di vederlo al rallentatore tanto era in ansia; e, ora, la situazione non era certo a loro favore! Erano stremati, e gli orchi continuavano a spuntare da ogni dove, desiderosi di vendetta e di un bottino succulento: strepitarono e lanciarono grida tali da farle accapponare la pelle, mentre brividi le percorrevano la colonna vertebrale. Ma, ancora una volta, Gandalf seppe trovare una soluzione per tirarli fuori dai pasticci: gli bastò piantare con forza il bastone a terra e, con uno scossone, la piattaforma di legno dov'erano i nani iniziò a scricchiolare minacciosa; tutti allargarono le gambe, cercando di migliorare il loro equilibrio, altri si strinsero tra loro, prendendosi per un braccio. Poi si abbassarono e, con un tuffo al cuore, caddero in basso, proprio dove Karin temeva; urlarono, mentre tentavano di rimanere saldi sul piano: la ragazza perse l'equilibrio, battendo violentemente le ginocchia sul legno duro. In ginocchio, vedeva avvicinarsi con crescente velocità ed orrore il baratro, e la loro fine. Il bagliore rossastro delle torce che li aveva avvolti fino a poco prima ora lasciava rapidamente il posto ad un'oscurità pesante e densa: stavano precipitando nel cuore più profondo e nascosto della montagna.

I nani imprecarono forte, sia per la sorte che li attendeva sia perché non riuscivano a fare altro che a rimanere aggrappati tra loro, barcollanti.

Qualcuno le cadde addosso: era Fili, che cercò inutilmente di ritornare in piedi, rinunciandoci subito; con un forte scossone, la base andò a sbattere contro la dura roccia, ed un pezzo di legno si staccò nel punto dove poco prima si trovava Bifur.

<< Dici che ce la faremo? >> le urlò Fili, aggrappandosi al suo braccio, per sovrastare le grida degli altri.

Karin scosse la testa, ricacciando un urlo << No! >>.

Picchiarono di nuovo contro la parete, e il loro sostegno si accorciò notevolmente: ora, il gruppo si riunì compatto verso i due nani che si trovavano quasi sul bordo; Bofur artigliò la sua mano al mantello di Karin, quando ella rischiò di venir sbalzata fuori. Kili, invece, aiutò il fratello a rimettersi in piedi, aiutato da Gloin.

Gandalf sembrava l'unico a non avere qualche problema di equilibrio: infatti, si teneva saldamente aggrappato al lungo bastone di legno e, solo qualche volta, sembrò barcollare.

<< Per Durin, ci siamo!!! >> esclamò Oin.

<< Il fondo! >>.

<< ATTENTI! >>.

Tutti si sostennero a vicenda, pronti all'impatto: il legno scricchiolò, raschiando la montagna; sembrò quasi stridere mentre continuava a scendere, inesorabile. Poi la corsa sembrò rallentare: si incastrò tra le rocce, e tutti si piegarono. Il terreno sottostante si avvicinò e, con un gran tonfo, la piattaforma si fermò, mentre alcuni di loro rotolarono fuori; Karin finalmente allentò la presa sul legno, facendo ritornare la circolazione sulle mani: aveva stretto così tanto – per timore di cadere – che le erano diventate bianche. Il cuore era letteralmente in subbuglio, e le viscere le si erano talmente attorcigliate che ebbe la nausea: non poteva crederci, ce l'avevano fatta, erano riusciti a salvarsi! Se non fosse stata così tanto sconvolta avrebbe battuto le mani, felice: o, almeno, l'avrebbe pensato... non avrebbe mai compiuto un gesto del genere di fronte agli altri.

Respirò a fondo per placarsi, incredula della loro buona sorte: con uno sguardo agli altri, vide che pensavano più o meno la stessa cosa, perfino Gandalf.

<< Bé >> iniziò Bofur, con voce flebile << poteva andare peggio, no? >>.

Qualcuno ridacchiò, dapprima nervosamente e poi sempre con maggior sicurezza: finché il corpo gigantesco del Grande Orco non cadde sopra la tavola di legno, rischiando di schiacciarli. Urlarono spaventati, dato che non se lo aspettavano; il cadavere dell'orco non si mosse, e Gandalf fu il primo a riscuotersi.

<< Presto, non perdiamo tempo! Dobbiamo uscire da qui prima che tornino gli orchi; seguitemi! >>.

La ragazza era schiacciata contro il legno, che le spingeva sulla schiena: strisciò con i gomiti, riuscendo ad uscire da lì. Cercò di alzarsi, maledicendo le gambe divenute molli e tremanti; con una spinta poderosa riuscì a rimettersi in piedi e, assicurandosi meglio Iris alla cintura passò avanti, dietro Dwalin.

Corsero ancora, però con meno foga di prima; finalmente intravidero una luce in lontananza, e una lieve bava d'aria giunse sui loro visi accaldati e sudati.

Gandalf si fermò, lasciandoli passare ed incitandoli a muoversi: una volta fuori, forse sarebbero stati al sicuro per un po'.

La luce divenne sempre più intensa, l'uscita reale: il sole – anche se ormai al tramonto - ferì i loro occhi, abituati alla luce soffusa e alle tenebre del luogo da dove erano fuggiti; alti alberi si pararono davanti a loro, ma non si arrestarono. Dovevano cercare di porre qualche lega di distacco, o sarebbero stati raggiunti subito. Caracollarono lungo la lieve pendenza, attaccandosi a qualche tronco per riprendere un po' di fiato, tornando a correre dietro allo stregone; Karin sentiva le gambe pesanti, ed ogni indumento di ferro e cuoio le era solo un fastidio: sentiva la camicia rossa bagnata ed appiccicata al petto e alla pancia. Il sudore le imperlava la fronte, scendendole lungo il volto e il collo, perdendosi giù. Finalmente si fermarono, ansanti; la ragazza si piegò, portando le mani alle ginocchia ed ansimando forte, deglutendo: si deterse il sudore col braccio e portò l'altro al fianco, gemendo silenziosamente. Gli altri – quelli con le armi più lunghe – si appoggiarono ad esse, respirando a pieni polmoni; alcuni si sedettero con la schiena contro i tronchi degli alberi: per un po' nessuno parlò, ma poi Gandalf li contò. E scoppiò il pandemonio.

<< Dov'è Bilbo? >> domandò.

Un grave silenzio scese sulla compagnia, ed alcuni abbassarono lo sguardo per non incrociare quello indagatore dello stregone.

<< Dov'è lo hobbit??? >> scattò irato Gandalf, girandosi verso Thorin; quello scosse la testa.

<< Non lo sappiamo >>.

<< Dovevate assicurarvi fosse con voi! >>.

<< Dori, non dovevi pensarci tu? >> intervenne Nori.

<< Io? Io non sono la balia di nessuno! E poi, c'era talmente tanta confusione... >>.

<< Dove si sarà cacciato? >> chiese Gloin.

<< Avrà usato le sue doti da scassinatore per nascondersi; e poi alla prima occasione sarà fuggito! >> ringhiò Thorin, trattenendo a malapena la rabbia.

<< E se non fosse andata così? >> si intromise Karin << Potrebbe essergli capitata qualsiasi cosa! Se qualche orco l'avesse preso... >> non terminò la frase, allontanando i pensieri nefasti e poco positivi che le ronzavano in testa.

<< E' adulto, con una spada al fianco... >>.

<< Che non sa usare! >> ribatté lei, interrompendo il re dei nani: una mossa a dir poco sbagliata. Le lanciò uno sguardo gelido, che la fece zittire immediatamente; cercò di sostenere i suoi occhi azzurri ma, con rabbia e delusione verso se stessa, non ci riuscì: abbassò lo sguardo a terra, mordendosi la lingua.

Fortunatamente, fu Balin ad interrompere il crescente disagio che si era creato.

<< Non credo se ne sia andato, Thorin; sono preoccupato anche io, come Karin >>.

Il re lo guardò incredulo, come fosse appena stato tradito dall'unica persona di cui si fidasse; l'anziano nano, al contrario di Karin, sostenne tranquillamente il suo sguardo, facendo sì che Thorin continuasse a dimostrare la sua tesi.

<< Non si è mai integrato, il suo posto non è qui con noi >> ribatté, freddo << Si è perso da quando ha varcato la porta di casa: non farà mai parte di questa compagnia >>.

<< Hai ragione! >> esclamò una voce ben nota, ma che non apparteneva a nessuno di loro; Bilbo apparve da alcuni tronchi dietro di loro, lasciandoli di stucco. Non l'avevano visto arrivare.

Li raggiunse con uno strano cipiglio. “Diverso” pensò Karin.

<< Lo so quello che pensi di me >> aggiunse, afferrandosi i lembi della consunta giacca rossa << Ed è così: penso spesso a casa, molto spesso >> ammise, alzando le spalle << ma sono rimasto. Voglio aiutarvi a riprendervi la vostra casa, se posso, perché è giusto così >>.

La frase, detta con tutta la semplicità che solo uno hobbit poteva avere, fece breccia nei loro cuori di nani; persino Thorin rimase in silenzio, non riuscendo a ribattere nulla.

<< Come hai fatto a scappare? >> chiese curiosa Karin, ponendo la domanda che pensavano tutti.

Bilbo fece una strana espressione, come di chi cerca di nascondere qualcosa; ma non fece in tempo a rispondere che Gandalf lo precedette.

<< Non importa molto come ci è riuscito, in fin dei conti >>.

<< Invece sì, Gandalf. Come ha fatto a superare indenne gli orchi? >>.

<< Ho trovato un'altra strada >> si affrettò a spiegare lo hobbit << sono caduto e mi sono ritrovato in una caverna buia, molto più giù di dove vi trovavate. Dopo un po' di cammino ho sentito le vostre voci e vi ho seguiti, così sono uscito >>.

La ragazza non seppe dire se fosse riuscito a convincere Thorin con quella spiegazione - o lei stessa - poiché un nugolo di rumori e versi inquietanti li raggiunsero: con una morsa allo stomaco ed un sudore freddo, riconobbe l'ululato di Mannari.

Azog il Profanatore.

Veniva a prenderli.



<< CORRETE!!! >>.

Non ci fu alcun bisogno che lo stregone lo ordinasse: non appena si erano resi conto del pericolo imminente, era bastato uno scambio di sguardi per capirsi al volo. Karin afferrò un Bilbo attonito ed impaurito per la manica della giacca, incitandolo a correre veloce.

Schivarono alcuni tronchi, spingendosi sempre più avanti: all'improvviso, dalla loro sinistra apparve un grosso mannaro, ringhiando feroce; si fermarono per ucciderlo, mentre questo si avventava su Oin e Dwalin, cercando di morderli.

Ne giunsero un secondo e un terzo, e la compagnia fu costretta ad arrestarsi lì: Kili scoccò varie frecce, che si conficcarono senza troppi complimenti tra il manto degli animali. Fu solo quando si accertarono di essere di nuovo soli che ripresero ad avanzare, l'oscurità della sera che, rapida, calava; ma, purtroppo per loro, giunsero al termine della collinetta. Sotto di loro, un dirupo profondo. Avevano solo una scelta.

Dovevano arrampicarsi sui rami, ed in fretta. Altri mannari stavano già arrivando, latrando furiosi.

Karin abbatté un altro animale, veloce, per poi aggrapparsi al ramo più basso a cui riuscì ad arrivare; non riuscì a far forza sulle braccia per aiutarsi, sentendosi spacciata: ma, per fortuna, Bifur e Oin si abbassarono a prenderla in tempo, issandola su proprio mentre un mannaro saltò schioccando le fauci, ad un soffio dai suoi stivali.

<< Grazie >> ansimò, mentre cercava di riprendersi.

Un branco numeroso di Mannari - alcuni cavalcati da orchi, altri no – si fermarono ai piedi degli alberi, saltando e cercando di affondare gli artigli nelle cortecce spesse, provando a prenderli; spingevano con tutta la forza e la furia di cui erano capaci, riuscendo a far oscillare il tronco. Aggrappati ai rami, i nani cercarono di rimanere sicuri sugli appigli; Karin non aveva occhi che per gli orrendi mostri a pochi metri di distanza, e fu con sorpresa e sollievo che vide delle scie rosso fuoco colpirli: quelli, uggiolanti, si ritirarono scoprendo di più le zanne, inferociti.

Spostando il capo all'indietro, la ragazza vide che Gandalf staccava delle grosse pigne dai rami per poi incendiarle con la magia, lanciandole a terra; ne passò anche a Bilbo, Kili e Fili, sui rami più bassi, e le scagliarono giù, appiccando il fuoco alle erbacce secche e alle foglie. Ben presto l'aria si fece calda e irrespirabile, mentre lingue rosse ed arancioni danzavano grazie al venticello leggero; i mannari ulularono e ringhiarono, spostandosi ansiosi di qua e di là, cercando un varco tra le fiamme. Karin si sentì in parte rincuorata ed in parte timorosa: non solo il fuoco li teneva lontani, ma lambiva tutto ciò che incontrava: compresi gli alberi su cui i nani avevano trovato riparo.
Lentamente, con schiocchi inquietanti, il legno si corrose, spezzandosi; uno ad uno si ruppero, andando a scontrarsi con quello vicino, in un domino pericoloso che avrebbe messo a repentaglio la loro vita: le fronde della pianta che si trovava ad alcuni metri dalla sua le piovvero addosso, facendo oscillare i rami. Il tronco si mosse, ondeggiando: Gloin scese dove si trovava la ragazza, tenendosi a penzoloni sui rami.

<< Dobbiamo saltare di là! >> le urlò.

Karin deglutì a vuoto, la gola secca e gli occhi lacrimanti dal fumo che si ergeva a spirale verso l'alto: annuì solamente, incapace di emettere suoni; si spostò – sempre tenendosi aggrappata – scivolando sulla corteccia, lasciando il posto sicuro vicino al tronco e protendendosi lungo il diametro sempre più sottile del ramo. Ora, dovevano solo attendere il momento giusto per saltare e raggiungere gli altri; sentì il tronco spezzarsi alla base, ed iniziò la lenta discesa verso l'altro albero. Già pronti ad attenderli stavano Ori, Bombur, Dwalin e Nori; quando mancò poco allo schianto, Karin saltò, riuscendo ad aggrapparsi ad un ramo abbastanza spesso, mentre Ori cercò di aiutarla a raggiungere il suo. Ma non era ancora finita, poiché non erano al sicuro nemmeno lì: il fuoco si propagò ancora come un'onda rossa, prendendosi anche quell'albero. Crepitò e sprizzò scintille, mentre il piccolo gruppetto saltò da lì per rifugiarsi tra le fronde ancora intatte dell'ultimo albero presente, che si ergeva alto sul bordo della roccia: sotto, il vuoto.

Sperarono in un qualche miracolo, ma non avvenne: le fiamme raggiunsero anche quell'arbusto, che iniziò ad oscillare pericolosamente verso il baratro, inclinandosi. Alcuni rami si spezzarono, compreso quello dove Ori e Dori avevano trovato riparo: persero l'equilibrio e iniziarono a cadere ma, fortunatamente, riuscirono ad aggrapparsi tra loro e il più vecchio dei fratelli si attaccò al bastone di Gandalf, intervenuto per salvarli.

Dalle fiamme che li separavano dai mannari ne arrivò uno, che le saltò con estrema facilità; si trattava di una bestia dal pelo bianco, più grande rispetto agli altri: sulla sua groppa stava un orco albino, dalla pelle pallida e biancastra, rischiarata dall'alone rossastro delle fiamme attorno a lui. Ciò che l'inquietò, però, fu l'espressione di puro trionfo e brama di sangue che gli scorse, oltre alla mano sinistra mancante: al suo posto, un tridente di ferro era conficcato nel braccio. Era muscoloso, e numerose cicatrici gli coprivano il petto e il volto; gli occhi chiari erano puntati verso l'alto, più su di dove si trovava. Seguendolo, vide la figura attonita e furibonda di Thorin; per un attimo, Karin poté percepire la paura che aveva attraversato i suoi lineamenti, facendo sì che diventasse anche sua. Dunque, quello doveva essere Azog il Profanatore, l'orco che aveva ucciso Thròr nella battaglia di Moria ed al quale Thorin aveva tranciato la mano, vendicandosi.

Lo vide muovere le labbra ma non riuscì a sentire cosa dicesse, data la lontananza: era certa, però, che non si trattasse di un invito per una chiacchierata amichevole.

Colse un movimento alla sua sinistra e, con orrore, scorse Thorin in piedi con Orcrist in pugno, intenzionato a raggiungere Azog per vendicarsi: la rabbia ed il livore lo avevano accecato, sopprimendo la ragione che, certamente, lo avrebbe dissuaso dal compiere una tale sciocchezza.

Avanzò sicuro lungo il tronco inclinato, lo sguardo combattivo che mai si staccò dal volto sfigurato dell'orco che, invece, aspettava impaziente il nano, desideroso di farlo a pezzi.

Karin si impietrì, non riuscendo nemmeno a pensare: non aveva occhi che per la schiena di Thorin.
Egli iniziò a correre, i denti digrignati, lo scudo di quercia legato al braccio sinistro; alzò la spada mentre una manciata di metri lo separavano dalla sua nemesi, da colui che cercava di uccidere brutalmente ogni notte, nei suoi incubi più neri. Sembrò che il fuoco volesse quello scontro cruento, poiché aveva lasciato uno spazio apposito, una sorta di passaggio che permise a Thorin di passare incolume tra l'incendio che, ormai, divampava.

Anche Azog si preparò, emettendo un verso gutturale e spaventoso ed abbassandosi sulla groppa del mannaro, pronto a spiccare il salto che, dalla roccia su cui si trovavano, lo avrebbe portato addosso al nano.

Il cuore di Karin si fermò nel momento esatto in cui il lupo si staccò da terra, le fauci spalancate, le zampe protese in avanti; non riuscì a prendere Thorin, ma lo colpì ugualmente con le zampe posteriori. Il re cadde di schiena, il viso distorto dal dolore ed il respiro mozzato; Azog guidò il mannaro a girarsi verso il nano che, nel frattempo, cercava di rialzarsi tenendosi saldo all'elsa di Orcrist: l'orco caricò ancora, spronando la bestia ad attaccare; quando gli fu abbastanza vicino caricò il colpo con forza, abbattendo la sua mazza sul petto di Thorin che, con un urlo sofferente, si accasciò a terra, di nuovo.

<< THORIN!!! >> Karin si aggrappò con tutta la forza che aveva al ramo, graffiandosi le mani: le unghie raschiarono la corteccia, ma non si curò delle fitte doloranti che percepiva; non erano niente in confronto a quello che stava patendo Thorin. Doveva fare qualcosa, ed in fretta, non ce l'avrebbe fatta a guardarlo morire. Le dita trovarono il freddo metallo dell'elsa di Iris, e la soluzione le fu semplice: sarebbe andata a salvarlo, ad aiutarlo.

<< NO! >> urlò disperato Balin, mentre Azog lanciava un rauco grido di vittoria, alzando l'arma.

Karin si alzò senza rendersene conto, la spada che rifletteva i bagliori dell'inferno che li circondava: tutta se stessa le gridava di muoversi perché, se avesse indugiato, l'avrebbe rimpianto per tutta la vita. Ma allora perché la sua presa, prima così sicura, si stava allentando? Perché il cuore le ronzava furioso nelle orecchie, pompando veloce? Cos'era quella paura, quel gelo freddo che le aveva congelato le ossa, paralizzandola?

Un terrore che mai aveva provato in vita sua le bloccò ogni pensiero, ogni movimento: sarebbe rimasta ferma imbambolata a guardare la fine atroce e violenta di colui che non era mai stato veramente re, senza far nulla e pentendosene per il resto dei suoi giorni...

<< Dai, Karin! >> la faccia sporca di fuliggine di Bilbo entrò nel suo campo visivo, facendole sbattere le palpebre, sorpresa; le stava artigliando una manica, mentre nell'altra mano impugnava stretta la sua spada.

<< Non vuoi salvarlo? >> le chiese, quasi con disperazione; nel suo volto, nella sua voce, la ragazza scorse una nuova consapevolezza, una determinazione inaspettata ed un coraggio che gli rendevano onore; ora più che mai aveva assoluto bisogno che qualcuno le infondesse quei sentimenti che le avrebbero permesso di gettarsi a difendere il nano.

La sua anima ne era consapevole, doveva correre da lui, ma... il corpo non voleva saperne di spostarsi, era terrorizzato e tremante: era divisa in due, straziata dal cuore e dalla ragione, che cercavano di contendersela. Le parole di Bilbo non facevano altro che rimbombarle nelle orecchie, nella mente, implorandola di sbrigarsi.

Quando udì Thorin gridare sotto il morso del mannaro, che aveva stretto le fauci attorno al braccio sinistro - quello che reggeva lo scudo di quercia - e l'aveva sollevato da terra facendone la sua preda, prese una decisione.

Ora sapeva ciò che doveva fare.

La mano sinistra strinse la presa su Iris.

CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buon pomeriggio a tutti!!! Scusate il ritardo, ma avevo un esame l'1, ed ero totalmente assorbita dallo studio :( :( ora invece avrò un po' di tempo per scrivere anche il prossimo capitolo in "velocità", anche perché DOVRETE avere risposte sull'esito della decisione di Karin! Che poi, si sa già qual'è... ;) ;) Per la verità non volevo far terminare così il capitolo, ma poi mi sono detta "bé, facciamo la maledetta fino in fondo, facendomi odiare dai poveri lettori, su!" e, visto che sto percependo auree potentissime di morte atroce e dolorosa, corro a scivere il seguito XD XD XD!!!

Ho notato che, praticamente già dal prossimo capitolo, terminerò di seguire il film e inizierò col libro: ommammaaaaaaaa!!! Lo seguirò per grandi linee - credo XP - anche perché, FINALMENTE, il passato di Karin troverà spazio :D. perciò, miei fedeli lettori, non abbandonatemi proprio ora, che iniziano i giochi! Si entra nel vivo raga ;))))

Bene, chiedo anche perdono per la mancanza di eventuali "momenti romantici post-quasi morte tra Karin e Thorin", ma qui serviva l'azione! però mi farò perdonare col prossimo ;D ;D theheheheheheh!!! Vi è piaciuto come capitolo? Personalmente, mi sono divertita a scriverlo, e spero sia di facile lettura: non vorrei annoiarvi, per carità O.o!!!

Ok, detto questo passo a ringraziare J _ackie, Lady of the sea, erica0501, Carmaux_95, BringMeToLife, MrsBlack090 e Arvedui (che ha recensito il primo ^^) 

Ovviamente non posso non salutare chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ ricordate, o che legge soltanto XD: GRAZIE infinite a tutti per il sostegno, davvero! Senza di voi mi sarebbe più difficile continuare a scrivere :( 

Sapete, oggi mi sono messa a curiosare tra i vari block notes vecchi, sui quali scrivevo storie assurde ed improponibili e, sfogliando di qua e di là sono incappata in una serie di nomi che avevo inventato, mescolandone alcuni che mi piacevano: e, tra questi, c'era scritto Karin *______*: ebbene, l'ho preso come un segno - anche se, di solito, non credo granché a queste cose! Lei doveva nascere, affiancando qualcuno in una storia... ed è toccato a quel grande e bellissimo libro che è "lo Hobbit", con tutti i suoi fantastici protagonisti e personaggi ^^; non so, mi sono emozionata tantissimo XD!!! Va bè, meglio smetterla qua ^^! Ah, un'ultima cosa, dovrei farvi una domanda: sapete per caso se in giro c'è un modo per trovare delle rune naniche da inserire nel testo di word? Perché ho trovato solo delle frasi lunghe da inserire col copia-incolla, mentre a me servirebbero singole... Tipo quelle che mettono nel libro quando parlano dell'alfabeto dei nani. Vi prego, se c'è qualcuno di esperto mi faccia sapere! Vorrei inserirle nella storia ç____ç: ma, se non si può, mi metterò il cuore in pace u.u. 

Stavolta è davvero tutto, perdonatemi: ma, quando inizio, non la smetto più :D 

Un bacione a tutti/e, alla prossima!!! 

Anna <3 <3



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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Note dell'autrice

Spero vi piaccia, qui succedono un po' di cose; avverto
che è anche introspettivo ;)

Ci leggiamo giù :*

CAPITOLO SETTE

Thorin se ne stava immobile, inerte tra i denti del mannaro albino; sembrò che ogni speranza abbandonasse la Compagnia ed un dolore mai provato prima serpeggiò nei cuori, consapevoli della triste fine del re. Ma quale fu il loro sbalordimento nel vederlo lottare ancora accanitamente, la lama di Orcrist che riuscì a colpire di striscio il muso della bestia: quella, con un ruggito ed un movimento improvviso della testa lo lanciò lontano, mandandolo a cozzare con la schiena contro la dura roccia. Con uno spasmo di dolore ed un grido appena trattenuto non riuscì più a muoversi, dato il colpo preso.

Karin schiuse le labbra, in una muta angoscia: le sembrò di percepire sul corpo la stessa sofferenza che stava provando Thorin, e questo le mozzò il respiro facendole sgranare gli occhi, quasi lucidi. Non ce la faceva più, doveva intervenire! Ma era anche consapevole che, se non avesse atteso il momento opportuno, Azog avrebbe calato la sua ascia poderosa sul nano, mettendo fine alla sua vita. Mettendo fine a tutto.

Non vuoi salvarlo?” le aveva chiesto Bilbo, una frase che non faceva altro che sentire e risentire nella sua testa, nel suo cuore. Certo che lo voleva, una, cento, mille volte sì: e non solo perché lo desiderava disperatamente, ma soprattutto per dimostrargli di non essere una vera traditrice. Se lo fosse stata, non avrebbe avuto alcuno scrupolo a lasciarlo in balia del nemico: non le sarebbe importato della sua morte. Odiò ammetterlo, ma in quel momento cruciale l'odio che avrebbe dovuto provare nei suoi confronti era evaporato come neve al sole: aveva solo paura, timore di perderlo senza far nulla per salvarlo. L'attesa la consumava rendendola nervosa, mentre dubbi, perplessità e rabbia le montavano in petto, mescolandosi tra loro al punto che non seppe più distinguerle.

Cercò di rimanere presente a se stessa, cercò di essere paziente; ogni sua cellula, ogni sua parte del corpo, ogni sua vena nella quale scorreva il sangue, in realtà, le gridava di correre, di scattare, di fermare quella follia. Come avrebbe voluto affondare la lama nella carne dell'orco, facendogli provare sulla sua pelle cosa voleva dire il dolore, la collera incontenibile. Un'ira incontrollabile che non la faceva ragionare lucidamente, annullandole ogni pensiero coerente e logico, razionale; le rimbombavano le grida di Thorin, e le sue, frustrate: le parve di percepire un ringhio furioso, come quando un animale feroce viene messo alle strette e cerca in tutti i modi di risultare più spaventoso, scoprendo le zanne, affondando gli artigli affilati nel terreno. Un grido rauco le salì alla gola, raschiandola, quando vide Azog girarsi verso un Cavalcalupo alle sue spalle: gli parlò nel Linguaggio Nero, in una frase dai suoni aspri e gutturali che a Karin, nel sentirla, venne meno il poco coraggio racimolato.

Quello scese dalla groppa del mannaro, sfilando la lunga e spessa spada che portava alla schiena: curvo e un poco zoppo, si avvicinò a Thorin.

A Karin mancarono alcuni battiti: era quello il momento, ne era certa; l'avrebbe colto di sorpresa.

Scattò in avanti, ripercorrendo lo stesso percorso che aveva compiuto Thorin poco prima, andando incontro al suo destino. Quale fosse il suo, invece, l'avrebbe scoperto a breve.

Come in un maledetto incubo, quando si cerca di correre veloci per salvarsi, o per salvare qualcuno, le gambe diventarono pesanti, ogni movimento rallentato; ogni cosa le parve più lenta, persino le fiamme che le divampavano attorno e la mossa verso l'alto che l'orco fece fare alla sua arma, caricandola per il colpo che avrebbe ucciso il re dei nani.

Solo quando fu a pochi metri scorse con la coda dell'occhio una figura correre alla sua destra: Bilbo si era lanciato con lei in quel salvataggio disperato, l'espressione risoluta e timorosa insieme, la stessa che sapeva di portare sul volto. Non ci furono scambi di sguardi, solo la consapevolezza di ciò che stavano per affrontare, ed un tacito accordo: Bilbo sembrò correre più veloce, superandola di poco: si lanciò con tutto il suo peso addosso all'orco, trascinandolo lontano dal nano. Il nemico, stupito, non riuscì a difendersi e lo hobbit gli piantò la lama nel petto, uccidendolo.

Karin, invece, si frappose tra il mannaro rimasto senza padrone e Thorin: sopì la voglia di voltarsi per sincerarsi sulla sua salute, spaventata da quello che avrebbe potuto vedere; se non avesse visto i suoi occhi azzurri - esterrefatti ma rabbiosi perché stavano rischiando la vita per lui – aperti ma, invece, chiusi nell'abbandono della morte? Se non avesse sentito il suo respiro lento e roco, stremato dalla battaglia persa, che avrebbe fatto?

Non volle pensarci, ma era certa di una cosa: non avrebbe permesso a nessuno di prenderlo, nemmeno se fosse... morto.

Si concentrò sul mannaro che, non appena era comparsa, aveva rizzato il pelo e messo in mostra le zanne, ringhiando; con il coraggio dato dalla disperazione e dall'adrenalina sempre più forte, Karin si piegò sulle ginocchia e sporse leggermente il busto in avanti, scoprendo i denti a sua volta. Dalla gola le uscì un ringhio dapprima basso e poi sempre più forte, in un tentativo di reclamare ciò che era suo; gli occhi neri diventarono un pozzo minaccioso e brillarono grazie alla luce delle fiamme ormai alte: portò anche la mano destra ad impugnare l'elsa di Iris, tenendola saldamente con entrambe le mani. Mantenne il contatto visivo con la bestia che, avvertendo la minaccia della ragazza, si infastidì. Fremette, mentre iniziò a latrare irata, la bava che si staccava dalle lunghe zanne e cadeva a terra; la coda era alta, così come la sua pelliccia: sembrò ingrandirsi sotto i suoi occhi ma Karin cercò di resistere, di non mostrarsi spaventata.

Le tornarono alla mente i grandi boschi dell'ovest, dove aveva vissuto per molti anni dopo l'esilio: ormai senza clan aveva dovuto arrangiarsi, imparando a difendersi dagli animali feroci che si aggiravano in quei luoghi; era riuscita a muoversi tra gli alberi con facilità, senza emettere il minimo rumore. Aveva appreso come seguire delle tracce fresche e non, a riconoscere specie di arbusti e bacche commestibili: ma, fondamentale, aveva imparato a sopravvivere agli attacchi di bestie come quelle, anche se meno pericolose. Li aveva osservati, comprendendoli e cercando di imitarli quando, per sua sfortuna, incappava in loro dopo aver ucciso una preda: gli sfidanti iniziavano un pericoloso gioco mortale nel quale si scrutavano, cercando punti deboli; poi cominciava quel momento in cui si cercava di prevalere sull'altro con dimostrazioni della forza e potenza che avevano. E, da quello, poteva dipendere la tua vita: o la bestia se ne andava infastidita, intuendo la sua fine quando la lama di Iris le si parava davanti, oppure ti si gettava addosso, cercando di ucciderti per prendersi il bottino.

Ma, stavolta, Karin avrebbe impedito con tutta la sua forza – e anche con la vita, se necessario – che la preda le venisse portata via.

Mentre fitte lancinanti le partivano dalla spalla propagandosi per il corpo, alzò di poco la spada facendo capire al mannaro che le sue intenzioni erano serie; quello, rendendosene conto, arretrò di un paio di passi.

Per poi saltare verso di lei.

La ragazza urlò con ferocia, a pieni polmoni; il battito le si fermò del tutto, vedendo la fine vicina. Ma ripensò al nano che doveva proteggere ad ogni costo, ed ogni maledetta paura svanì: assunse la posizione di difesa.

Era pronta.



Quando la lama affondò prima nel pelo folto del collo e poi nella carne calda e palpitante, capì d'avercela fatta; il corpo gigantesco e pesante del mannaro si afflosciò, ed il muso si sporse verso di lei cercando di azzannarla, in un ultimo spasmo. Arretrò appena in tempo, portandosi dietro il cadavere fresco: con qualche difficoltà data dalla ferita – che pulsava terribilmente e ora scottava - riuscì a sfilare la spada, le mani che tremavano nervose.

Sono viva” fu l'unica cosa che riuscì a pensare “l'ho salvato”

Rimase a guardare l'animale per lunghi secondi; poi fece per girarsi, ma un verso raccapricciante le fece alzare lo sguardo, incontrando il volto livido di rabbia di Azog. Gli occhi chiari mandavano scintille, la bocca era contratta e distorta, incredulo che qualche essere insignificante avesse potuto uccidere uno degli animali più feroci e combattivi della Terra di Mezzo. Karin cercò di sostenere l'occhiata di puro odio che le rivolse, ricambiandola: sapeva che era una mossa sbagliata, completamente e totalmente folle e stupida, ma non riuscì a farne a meno; se lui l'avesse attaccata non sarebbe sopravvissuta. Ne aveva paura non solo per la crudeltà che sprigionava, ma perché era Thorin stesso a temerlo.

L'orco pallido parlò, e fu come se qualcuno avesse fatto cozzare due lame d'acciaio insieme: era un suono stridente, malvagio e selvaggio; sembrò dare ordini agli altri, scatenando grida furibonde e raccapriccianti. La ragazza deglutì, immaginando il peggio; indietreggiò di poco, lanciando un'occhiata sfuggente al corpo inerme di Thorin: con un tuffo al cuore lo vide con gli occhi chiusi. No, non poteva, non doveva accadere!

Si paralizzò, le forze le vennero meno: si sarebbe accasciata a terra, in ginocchio, senza più pensare a nulla, senza più combattere, fregandosene di ogni combattimento, di ogni emozione, di tutto. Qualcosa di sgradevole le si impigliò in gola, impedendole di deglutire: sentì gli occhi pungerle ai lati e, automaticamente, sbatté veloce le palpebre mentre la vista le si offuscava; non era tempo di piangere, o di mostrarsi debole. Non di fronte a creature del genere.

Azog ridacchiò, capendo ciò che cercava di nascondergli: gonfiò il petto possente, emettendo un verso rauco e forte, a cui gli altri risposero urlanti; ma, prima che potessero muovere un solo passo gli altri nani si avventarono su di loro, gridando forte in lingua nanesca. Mossi dal gesto dei due membri considerati più deboli, avevano deciso di intervenire: il loro orgoglio aveva reclamato il fervore della battaglia, senza pensare a tecniche di combattimento ma gettandosi a capofitto, come solo la loro razza insegnava.

Karin rilassò i muscoli, in parte sollevata: mentre la battaglia infuriava da ogni parte e l'incendio costringeva i combattenti su un piccolo spazio, diede un'occhiata intorno, alla ricerca dello hobbit; lo trovò poco più in là, accanto al cadavere che aveva ucciso, immobile: aveva la bocca leggermente aperta e la fronte aggrottata, tremendamente impaurito.

<< Bilbo! >>.

Al richiamo la guardò, un'espressione stupefatta in volto: aveva assistito col fiato sospeso allo scontro tra la ragazza e il mannaro, estraniandosi dal resto. Sbatté le palpebre confuso, avvicinandosi a lei; lo afferrò per un braccio, scuotendolo un poco e guardandolo sinceramente preoccupata.

<< Stai bene? >>.

Avrebbe voluto porle lui quella domanda: anche se la stretta era decisa, la sentiva tremare; gli occhi neri, così determinati prima della corsa, ora erano incerti e lucidi. Stava soffrendo, scossa da quella situazione di pericolo o, più probabilmente, dalle condizioni di Thorin.

<< Devi rimanere qui con lui, capito? >> chiese, indicando il corpo ai loro piedi << Io devo aiutare gli altri >> gli bastò un'occhiata per capire che, se avesse potuto, sarebbe rimasta lei a vegliarlo e difenderlo in caso di minaccia.

<< Vai >> fu l'unica cosa che riuscì a dirle: cercò di trasmetterle fiducia e lei l'accolse, rincuorata; diede loro le spalle, correndo verso gli orchi rimasti.

Ingaggiò una breve lotta contro uno, utilizzando solo il braccio sinistro mentre l'altro rimase a penzolarle al fianco: scartò numerose volte limitandosi a parare fendenti poderosi, ormai al limite della stanchezza.

Ansimò forte, indietreggiando dopo l'ultimo attacco laterale; quasi le mancò la presa su Iris, tanto era stremata. Il sudore ormai le inzuppava gli abiti e la fronte, le fiamme arancioni danzavano con loro in quel ballo mortale; ne vide alcune farsi strada attorno a lei, nella ormai radura. Le sterpaglie secche erano polverizzate, il caldo un qualcosa d'insostenibile, gli alberi erano solo moncherini anneriti; ormai, solo quello dov'erano rimasti Gandalf, Ori e Dori resisteva, ma ancora per poco: si inclinava sempre più, inesorabile.

L'orco tornò alla carica; lei parò di piatto, riuscendo a bloccare il colpo dell'avversario, ma il movimento fu lento e debole: all'altro bastò un briciolo di forza in più per farle volare la spada dalle mani. Iris cadde a terra poco più indietro, tintinnando.

Karin si immobilizzò, non volendo crederci: non le era mai capitata una cosa del genere. Si senti perduta, come se qualcuno le avesse staccato un braccio con un fendente; ma l'orco non aveva alcuna intenzione di lasciarla in pace ad autocommiserarsi: avrebbe avuto la sua testa, ad ogni costo. Le corse addosso e lei senza pensarci due volte tornò indietro, riuscendo ad afferrare in tempo la spada: ma, prima che potesse cercare di proteggersi, quello si accasciò sul terreno secco e caldo, una freccia conficcata nel cranio.

Kili agitò il suo arco in aria a mo' di saluto, un mezzo sorriso sulle labbra: anche se lontano, Karin glielo restituì, grata.

Ancora seduta a terra scorse delle grandi ombre sul terreno e, alzando la testa, vide qualcosa volare nell'aria; una di queste planò e scese in picchiata, afferrando con gli artigli un mannaro che lottava contro Fili. Fu talmente veloce che non fu sicura d'aver visto bene di cosa si trattasse, ma la curiosità venne soddisfatta: dopo pochi secondi delle grandi aquile entrarono nel cerchio di luce, afferrando i nemici e portandoli via da loro.

Scesero gridando, i becchi ricurvi aperti, l'apertura alare immensa. Gli orchi strillarono, alcuni mannari e orchi fuggirono e, tra questi, anche Azog: lanciò uno sguardo infuriato e vendicativo a Karin per poi spronare la cavalcatura, perdendosi nell'oscurità della notte al di là del rogo.

Ora che mancavano solo pochi nemici – dei quali se ne occuparono le aquile – lei si rialzò, lenta e fiacca: il corpo le doleva in ogni dove, specie la spalla destra. Strinse i denti mentre riponeva Iris nel fodero, distogliendo lo sguardo per una manciata di secondi.

Ma fu in quel momento che capì che non avrebbe mai dovuto distrarsi: sentì qualcosa di duro e grosso afferrarla per le spalle, stringendole la carne già infiammata; percepì il distacco da terra e la sensazione di vuoto allo stomaco tipica del volo. La piana infiammata divenne sempre più lontana e capì che un'aquila l'aveva presa: ma non seppe se per portarla al sicuro o meno.

Passarono il bordo e, ora, sotto di loro si stendeva il dirupo: dopo qualche battito d'ali il rapace aprì gli artigli, lasciandola cadere: strillò di paura cadendo verso il vuoto, i capelli scompigliati che le svolazzavano attorno, il vento che le frustava il volto e le confondeva i suoni, facendole perdere il grido nell'aria circostante.

Agitò braccia e gambe, nell'assurdo tentativo di fermarsi: ma, poi, un'altra grande sagoma e nera come la notte le si mise sotto arrestando la corsa; all'impatto, Karin riconobbe le lunghe penne di un altro rapace, aggrappandosi ad esse quasi con forza e disperazione: l'ultima cosa che desiderava era di venir disarcionata perché le aveva fatto male.

Presto la luce dell'incendio sbiadì in lontananza mentre essi, nel cielo, si innalzavano in circoli maestosi e possenti. Ogni tanto si arrischiava a sporgersi, guardando sopra l'orlo di un dirupo ridotto, data l'altitudine; le terre scure si aprivano sotto di loro, chiazzate qua e là dalla luce della luna che batteva sui fianchi rocciosi delle colline o su un ruscello nelle pianure.

Faceva freddo, lassù: Karin si strinse il mantello come meglio poté, mentre l'aria pungente le faceva lacrimare gli occhi; le punte rocciose delle montagne sporgevano dalle tenebre, illuminate dalla luna.

Volarono per molto tempo, finché l'alba rosata non fece capolino da dietro vette ricoperte di alberi; nonostante il vento frizzante e fresco, il cuore che le martellava ancora impaurito e la stanchezza indicibile che permeava ogni membra, a Karin sembrò lo spettacolo più emozionante mai visto in vita sua. Certo, non amava granché quell'altezza dato il suo essere nano, ma l'immensità di quei luoghi, i colori delicati che si riflettevano sulla superficie del fiume sotto di loro, quelle rocce solitarie e alte che si ergevano di tanto in tanto... era un paesaggio maestoso, di cui avrebbe serbato il ricordo per la vita.

Seguendo la direzione del vento planarono dolcemente verso destra dove, circondato e protetto da montagne alte e verdi si innalzava il loro nido, che altro non era se non una vetta rocciosa; diede uno sguardo alle altre aquile, dove si trovavano i suoi compagni: erano affascinati, anche se esausti. Solo Thorin non riusciva a godersi lo spettacolo: era svenuto, protetto dagli artigli della grande aquila che volava davanti alle loro; Karin riuscì solo a vedere i suoi capelli lunghi mossi dal vento, ed il braccio che un tempo reggeva lo scudo di quercia che penzolava inerte. Le si annodò lo stomaco, e spronò mentalmente il suo rapace di andare più veloce; quello, come rendendosene conto, diede delle poderose spinte portandosi avanti rispetto agli altri. In pochi minuti si accodò alle aquile di Thorin e Gandalf ma, ora che riuscì a scendere sulla piattaforma sassosa lo stregone si era già inginocchiato di fianco al re, chiudendo gli occhi e mormorando parole in una lingua che Karin non comprese, ma che le suonò familiare. Ricordava un altro momento in cui aveva ascoltato quella nenia: a Gran Burrone, nel mezzo della notte. Scosse la testa, allontanandone il pensiero; non appena la sua aquila poggiò le zampe a terra, si lasciò scivolare giù, quasi correndo verso i due. Anche Bilbo era giunto, e la seguì; con sorpresa di entrambi, Thorin aveva aperto gli occhi e farfugliava qualcosa. Gandalf, estremamente sollevato, si girò verso di loro, gli occhi azzurri scintillanti ed un sorrisino sulle labbra.

Ormai tutti presenti e felici che il loro re fosse ancora vivo lo aiutarono a rialzarsi, ma egli se ne liberò malamente con uno strattone.

<< Tu! >> esordì verso Bilbo, la voce che gli tremava di rabbia; gli si avvicinò, mentre lo hobbit, d'altro canto, rimase immobile e paralizzato. I nani e Gandalf si bloccarono, preoccupati: si sarebbero aspettati ben altre reazioni, non certo quella di stizza che ostentava Thorin!

<< Che cosa hai fatto? Ti sei quasi fatto uccidere! >> disse il re. Bilbo, sempre più incredulo, spostò il capo verso Karin alla ricerca di un sostegno; ma lei non lo guardava, aveva occhi solo per l'altro nano. In volto, le leggeva risentimento e tristezza.

<< Non ti ho detto che saresti stato un peso? Che non saresti sopravvissuto alla natura spietata e selvaggia di questi luoghi? >> alzò di poco la voce, poiché ancora stremato dopo ciò che era successo ma incutendo ugualmente timore; Bilbo non riusciva a comprendere: dove aveva sbagliato? Gli aveva salvato la vita! Ed ora, le sue frasi non facevano che penetrargli nel profondo del cuore, dell'anima; lo ferirono più di qualsiasi altro taglio o ferita procuratosi in battaglia. Non riuscì nemmeno a guardare da un'altra parte, ma mantenne saldo lo sguardo dispiaciuto in quello caparbio e serio di lui.

<< Che non avevi un posto in mezzo a noi? >> continuò ad inveire l'altro, avvicinandosi sempre più allo hobbit; ormai era a pochi passi.

<< Non mi sono mai sbagliato tanto in tutta la mia vita >> aggiunse, un tono più calmo e grato che lasciò interdetti tutti; lo abbracciò di slancio, colmo di gratitudine: Bilbo, stupito dal gesto inaspettato – come gli altri del resto – dopo qualche attimo di indecisione ricambiò, sollevato e nuovamente felice: per un momento ogni speranza l'aveva abbandonato, e il groviglio che aveva sentito allo stomaco alle frasi del re si era magicamente dissolto.

I nani proruppero in esclamazioni di gioia, ridendo e battendo le mani, oltremodo contenti che il loro re avesse finalmente compreso ed accettato lo scassinatore tra loro; anche lo stesso Bilbo sorrise, capendo d'essersi conquistato il rispetto di Thorin Scudodiquercia, seppur mettendo a repentaglio la propria vita. Ma ora quel gesto gli sembrò lontano, molto lontano; aveva appena girato una pagina importante della sua monotona vita, come quando sfogliava le pagine di un libro per andare avanti nella lettura. Aveva l'opportunità di ricominciare, partendo da quell'abbraccio colmo di riconoscenza ed amicizia che valeva più di mille tesori.

Thorin si staccò da lui, battendogli le mani sulle spalle << Mi dispiace per aver dubitato >>.

<< Oh, anche a me dispiace >> replicò lo hobbit, allargando le braccia << ma non sono un eroe, né un guerriero. O uno scassinatore >> concluse, facendo ridacchiare Gandalf e i nani; persino Thorin sorrise.

Karin, invece, non era del tutto appagata: certo, era rincuorata dal fatto che finalmente quel cocciuto di Thorin avesse riconosciuto Bilbo come membro effettivo della Compagnia, trovandogli quel posto che lo hobbit anelava da tempo; ma un senso di... delusione si fece strada troppo presto, e con un'intensità tale da lasciarla senza fiato. Non si sarebbe mai aspettata un abbraccio, questo lo sapeva troppo bene, ma almeno un ringraziamento se lo meritava, no?

Abbassò lo sguardo a terra, ripensando alle numerose occasioni nelle quali aveva rischiato la pelle nelle ultime ore: erano davvero troppe anche per il più coraggioso guerriero, quello che non aveva timore della morte; lei, invece, l'aveva temuta e la temeva eccome!

Sospirò, affranta; ma proprio allora un paio di stivali scuri ed un mantello bordato di pelliccia le comparvero davanti facendole alzare la testa: l'imponente figura di Thorin la sovrastava di parecchi centimetri mentre la guardava dall'alto in basso, soffermandosi sul taglio che campeggiava sulla guancia e sulla spalla. La scrutò a lungo, domandandole con gli occhi se stesse bene: lei annuì solamente, vedendo gli occhi azzurri rilassarsi.

Si stupì quando le tese la mano destra, invitandola con lo sguardo a ricambiare; lei spianò la fronte aggrottata, per poi allungare la mano e posarla sull'avambraccio del nano.

Si guardarono negli occhi per lunghi minuti, le strette ferme e decise ma anche delicate e incerte, quasi frementi; poté sentire distintamente il brivido che la percorse, dandosi della stupida: di certo se n'era accorto anche lui. Lo vide assottigliare lo sguardo, ma non disse nulla: sembrava in lotta con se stesso, o forse fu solo una sua impressione; poi spostò leggermente il capo in alto, guardando un punto al di là delle sue spalle. Schiuse le labbra, sgranando leggermente gli occhi e stringendo di poco le dita sulla carne dell'arto; Karin si girò curiosa, ma senza lasciare la presa sul braccio, e nemmeno lui lo fece.

Là all'orizzonte, appena visibile nella foschia mattutina, si ergeva la Montagna Solitaria.

Karin sentì le labbra distendersi, sorridendo veramente dopo giorni, ebbra di felicità e speranza: erano a metà strada, presto avrebbero potuto ammirare le pendici rocciose della montagna.

Si girò verso Thorin ed egli l'imitò, sorridendole a sua volta, forse condividendo i suoi pensieri.

<< Erebor >> disse Gandalf, avvicinandosi per poterla ammirare meglio; anche gli altri nani si affiancarono, meravigliati: dopo tanto tempo, avrebbero potuto ammirare la loro dimora.

<< La nostra casa >> concluse Thorin, mormorando; guardò la vetta con occhi talmente sognanti e malinconici che Karin venne pervasa dalla tristezza; non si sentiva di appartenere a quei sentimenti che provavano i compagni: per lei Erebor era il luogo dove aveva vissuto per un certo periodo, il più bello ed intenso della vita ma... non la sentiva la sua casa: forse in lei l'essere esiliata stava prendendo il sopravvento sul suo essere nano; aveva errato così a lungo senza mai fermarsi in un posto che non sapeva nemmeno dov'era il luogo familiare a cui tornare, una volta che la missione fosse finita. Gli altri invece sarebbero rimasti là, passeggiando per le sale immense scavate nella roccia, toccando le enormi colonne intarsiate, percorrendo le lunghe scalinate verso le fucine che si perdevano nella profondità della montagna.

Ma lei, lei, dove sarebbe andata? Aveva salvato la vita al re, ma non era cambiato nulla: forse lui le era riconoscente, ma niente di più; era ancora la traditrice dopotutto e, finché avesse avuto fiato in corpo, lo sarebbe sempre stata. Dubitava fortemente che Thorin potesse perdonarla; un pensiero che si aggiunse a quelli già meno felici, rendendola cupa e smorzandole il sorriso.

Sentì la mano di Thorin lasciare il braccio e, forse consapevole del suo sguardo indagatore che non l'aveva lasciata nemmeno un attimo in quel tortuoso labirinto di pensieri, si allontanò di un paio di passi, senza incrociare il suo volto. O i suoi occhi. Perché sapeva per certo che a Thorin era impossibile mentire, o nascondere qualcosa.

<< Ci fermeremo qui per la notte, il tempo necessario per riprenderci >> disse asciutto e sbrigativo, tornando il re severo che era << Domattina partiremo alla volta di Erebor >>.

Gli altri annuirono e, stancamente, si scelsero uno spiazzo su cui riposare: nessuno fumò o parlò; si distesero e, nel giro di pochi minuti, il sonno li vinse. Erano stremati, le fatiche erano state molte e difficili da superare: i lividi e le membra chiedevano pietà e qualche ora di riposo serena, al lontano dai pericoli corsi.


Karin aprì gli occhi quando ormai era pomeriggio inoltrato, lo stomaco che le gorgogliava affamato come non mai; portò una mano alla pancia, cercando di placare quella voragine che le si era aperta. Si stiracchiò, reprimendo un gemito quando ricordò della ferita alla spalla: prima che potesse portare le dita a scostare la camicia, appurando così in quali condizioni era ridotta, si fermò ad annusare l'aria, come fa un predatore; profumava di cibo, e carne.

Ogni sua cellula le urlò una sola parola “fame”: non poteva ignorarla, così si ripromise che avrebbe controllato i danni dei colpi più tardi.

Si alzò con difficoltà, sgranchendosi le gambe ed avvicinandosi verso il focolare, al centro della piattaforma; attorno al fuoco scoppiettante stavano Bombur, Bofur, Bifur, Balin, Oin, Ori, Dori e Bilbo.

Degli altri nessuna traccia, nemmeno Gandalf; perplessa, decise che avrebbe posto le domande dopo aver messo qualcosa sotto i denti e, venendo accolta da saluti e risate allegre si sedette a terra, tra Ori e Balin.

<< Buongiorno! O dovrei dire buon pomeriggio! >> disse Bofur, agitando la mano che reggeva la lunga pipa.

<< Hai dormito parecchio, sei stata l'ultima a svegliarti! >> rincarò Ori, sospirando affranto: lui era stato svegliato bruscamente dal fratello.

<< Ti sei persa il pranzo! >> esclamò Bombur scioccato: lui non l'avrebbe saltato mai e poi mai, era un atto ignobile!

<< Ah sì? Non me ne sono nemmeno resa conto >> si giustificò lei, poggiando il mento sulla mano.

<< Avevo paura ti svegliassero >> si intromise Bilbo, appoggiando la pipa sui pantaloni << hanno fatto un tale baccano... >> aggiunse, scuotendo la testa riccia in segno di rimprovero.

<< Bé, mica si è mossa! >>.

<< Non ti sei nemmeno girata per cambiare posizione: sembravi morta, se non fosse stato per il respiro lento >>.

<< Hai continuato a dormire beata; ad un certo punto ti sei messa perfino a russare! >> esclamò Bofur, facendo ridere forte gli altri.

Karin, che nel frattempo si era servita da sola cercando qualcosa nel fondo del pentolone sospeso sopra le fiamme, fortunatamente trovandolo, aveva fermato il boccone di carne poco prima della bocca, guardandoli stralunata; sentì le orecchie diventare calde, mentre assorbiva la notizia. Lei che russava? Per Durin, che figura! E davanti a tutti...

Gli altri scoppiarono maggiormente a ridere, vedendo la sua espressione scioccata; Ori le diede di gomito, scuotendo la testa.

<< Stavamo scherzando, Karin! >>.

La ragazza si sentì quasi più leggera, e si aggiunse anche lei al coro di risate: fu strano veder ridere fino alle lacrime anche Balin e Oin – a cui avevano dovuto rispiegare la situazione, visto che il suo cornetto acustico era andato distrutto. Ma ripensò vagamente alle brutte situazioni in cui si erano cacciati, e concluse che ridere era estremamente liberatorio, in quei casi: la tensione accumulata si era sciolta.

Quando si smorzarono un po' terminò veloce di mangiare, in silenzio, pulendosi poi le dita unte sulla camicia.

<< Come mai non mi avete svegliata? Insomma, c'era da preparare da mangiare! E poi, dove sono finiti gli altri? >> chiese curiosa. I nani ridacchiarono alle domande, e fu Balin a risponderle.

<< Thorin ha detto di non svegliarti per nessun motivo >> la guardò un momento, per gustarsi la reazione sorpresa che le si dipinse sul volto << dormivi così profondamente che nessuno avrebbe avuto il coraggio di scuoterti, sai? Hai dimostrato un coraggio ed un valore davvero grandi, in questi giorni: Kario sarebbe fiero di te >> si fermò, posandole una mano sulla sua; lei gliela strinse, abbozzando un leggero sorriso.

<< Non ho fatto niente di che >> si difese, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i lunghi capelli scuri << Anzi, credo di essermi comportata in maniera avventata e stupida, tutt'altro che coraggiosa >>.

<< Forse è stata proprio la tua sconsideratezza a premiarti; hai scosso tutti noi quando ti sei lanciata per salvare Thorin. Non >>.

<< Ve l'aspettavate >> concluse per lui, mesta; era naturale, l'aveva pensato anche lei poche ore prima: la traditrice che si gettava tra le fiamme e i mannari feroci per difendere la vita di colui che l'aveva bandita e a cui non doveva alcuna fedeltà? Se qualcuno glielo avesse raccontato prima di questa avventura si sarebbe fatta una grassa risata, per poi fargliela pagare con la lama di Iris. Ma era cambiato tutto da quando aveva varcato la porta di Vicolo Cieco, quella notte.

<< No, bambina mia: non avevamo mai visto qualcuno reagire a quel modo. E' una grossa differenza da quello che pensi tu, non trovi? >> le sorrise affettuoso, e così fecero gli altri; Karin si sentì accettata: anche se, sicuramente, se non avesse salvato la vita di Thorin avrebbero continuato a ignorarla, o a parlarle poco... era ingiusto pensarlo, anche perché non avevano avuto molte occasioni per discutere o scambiarsi qualche frase, troppo presi dalla missione e dai nemici che avevano incontrato subito. Forse era così che doveva andare, da adesso: ora toccava a lei cercare di avvicinarsi, e mettere da parte il suo essere diversa. Il suo essere sola.

Chinò il capo verso il nano e poi verso gli altri, ringraziandoli di cuore: Bilbo le rivolse un sorriso sincero e contento, la fronte non aggrottata come al solito. Anche lui si sentì più sollevato nel vedere la sua amica crescere, e mutare grazie alla vicinanza col gruppo.

<< Non avete risposto all'ultima domanda, però: gli altri? >> chiese Karin, cercando di nascondere l'imbarazzo che quella nuova situazione le metteva.

<< Oh, sono solo andati a cacciare un po': altrimenti stasera che mangiamo? Poi chi lo sente il povero Bombur? >>.

<< Insomma, Bofur! >> si difese il nano grasso << Vorrei vedere te, al posto mio! Non capisci niente, non apprezzi il cibo! >>.

<< Io lo apprezzo eccome! Ma non così tanto! >> esclamò, allargando le braccia in un chiaro riferimento alla stazza dell'altro; Bombur divenne rosso in volto, pronto a replicare.

<< Suvvia ragazzi, un po' di contegno! Non occorre litigare! >> li interruppe Balin: entrambi rimasero muti, gli occhi irati che parlavano per loro.

<< Perché non cantiamo un po'? A te l'onore di iniziare, salvatrice di re >> propose Dori con un sogghigno amichevole; Bilbo e Ori annuirono immediatamente, seguiti da Balin e Oin. Dopo un po' di titubanza – specialmente per l'appellativo con cui l'aveva chiamata - anche Karin appoggiò l'idea. Dovette fare ricorso alla memoria, poiché non le venne in mente nulla così su due piedi; ricordava solo una canzone, ma non faceva altro che rattristarla ogni qual volta ci pensava, essendo legata a ricordi molto dolorosi che aveva deciso di seppellire col passato. Decisamente non era adatta per il momento.

Lo disse agli altri ma vollero ascoltarla comunque, nonostante le sue evidenti proteste; infine, però, riuscirono a spuntarla.

Dapprima incerta e tremante, specie sulle prime note, poi si fece più sicura, innalzando la voce al cielo.


Là sul verde prato

un uccellino si posava

allegro fischiava

piegando il capino di lato.


I nani conoscevano bene quella filastrocca: fu naturale seguire le note da soprano di Karin con la loro voce da baritoni e tenori; con i pensieri tornarono alla loro infanzia ad Erebor, quando le madri se li posavano sulle ginocchia, la sera prima di andare a letto e cantavano loro quella melodia dolce e triste insieme.

Fu con crescente emozione, quindi, che intonarono la seconda strofa - ad occhi chiusi, per assaporare meglio il ricordo di casa, della loro famiglia. Anche Bofur e Bombur si accodarono, mettendo da parte il loro breve litigio.


Un verme qua, uno là

poi al suo nido volava

dove la mamma felice

lo aspettava.


Bilbo conosceva bene la melodia, ma le parole delle prime due strofe non le rammentava: nel cuore, invece, prendevano forma quelle delle ultime, le più dolenti e malinconiche. Si unì al coro, il peso nell'anima che aumentava, così come per gli altri.


Una notte infuriò la tempesta

e la madre volò via

battendo le ali

lesta.


L'uccellino aspettò invano

chiamando la mamma

ma se ne era andata

lontano.


L'uccellino la cercò

volava

volava

ma mai più la trovò.


Si fermarono tutti, le espressioni tristi e meste; guardarono Karin, che teneva ancora gli occhi chiusi: a Bilbo sembrò di vederle brillare delle lacrime, tra le ciglia; invece, quando li riaprì, erano il solito pozzo buio e profondo. Vi lesse un immenso dolore, che cercava di sopire ogni minuto ma che, al contrario, riemergeva più potente ogni volta.

Si alzò e avvicinandosi, le cinse le spalle con un braccio, accarezzandole i capelli: lei, dapprima sbalordita, ricambiò la stretta; si stupì di come in così poco tempo, Bilbo avesse imparato a conoscerla. Capiva che soffriva e, come un vero amico, era venuto a confortarla senza dir nulla, senza chiedere; sapeva che quando sarebbe giunto il momento lei avrebbe aperto il suo cuore senza riserve, confidandogli ogni cosa. Ora, ciò che gli importava era che si fidasse di loro, che riponesse la sua vita e fiducia nelle loro mani.

Non si sentì mai così grata come in quel momento: persino gli altri le fecero dei grandi sorrisi, facendole capire che poteva contare anche su di loro.

<< Grazie >> fu tutto ciò che riuscì a mormorare, ancora stretta allo hobbit: gli diede un colpetto sul braccio poiché ora stava meglio, e poteva lasciarla; le salirono delle lacrime, ma le ricacciò prontamente nascondendo il viso nel mantello, alla ricerca della pipa. Cercò di sorridere e sembrare convincente, mentre gli altri avevano ritrovato il buonumore e chiacchieravano allegri, coinvolgendola nelle battute.

Passò un'altra ora e, finalmente, videro arrivare le aquile; gli artigli lasciarono andare alcuni montoni morti, colpiti dalle frecce e dalle armi dei nani e fecero scendere il resto della compagnia, che si avvicinò al fuoco riscaldandosi le mani. Si sedettero e salutarono Karin, chiedendole se stesse bene dopo quella lunga dormita; dopo la sua risposta positiva si accesero le pipe, mentre Kili e Fili fecero spostare bruscamente Ori per sederle vicini, raccontandole di come avevano catturato la cena. La ragazza si lasciò scappare una risata – riuscendo a trasformarla in un attacco di tosse - quando le dissero dello scherzo architettato ai danni di Gloin, giù al fiume: il nano sarebbe stato molto fortunato se non avesse preso un raffreddore, dato che aveva volato completamente zuppo!

Vide Gandalf parlare col Signore delle Aquile, più lontano di dov'erano seduti; Thorin invece si era unito al gruppo, fumando ed ascoltando i nipoti: lasciò che le labbra si piegassero in un sorriso divertito, mentre rivolgeva uno sguardo compassionevole a Gloin, che borbottava irato poco più in là. Dwalin, al contrario, rideva di gusto reclamando l'idea.

Rimasero tranquilli attorno al fuoco finché il sole non iniziò a tramontare, colorando il paesaggio di rosso, come se l'incendio della sera prima si fosse propagato in ogni dove; fu Thorin ad interrompere ogni risata e ogni parola, alzando solo una mano.

<< Useremo il fuoco unicamente per mangiare, dopodiché lo spegneremo; non voglio rischiare che ci scoprano, nemmeno se le aquile sorvoleranno la zona. Stanotte faremo dei turni di guardia >>.

I nani annuirono, comprendendo l'inquietudine del re; anche loro si sarebbero sentiti più tranquilli se qualcuno fosse rimasto in allerta. Era sempre meglio essere prudenti, specie dopo ciò che avevano affrontato nemmeno ventiquattro ore prima.

<< Balin, tu farai il primo; poi Fili, Gloin e Nori >>.

<< Permettimi di fare un turno, Thorin >> la voce di Karin si levò sicura dal gruppo e il re volse lo sguardo alla sua figura seduta.

<< Da quando abbiamo iniziato il viaggio non ne ho fatto alcuno >>.

<< Sei sicura, Karin? >> le chiese Balin.

Lei annuì, ferma, continuando a guardare Thorin in una muta richiesta d'assenso; il re ci pensò qualche secondo convenendo che, ora, era giusto che anche lei facesse la sua parte nel gruppo.

<< D'accordo >> acconsentì; la vide soddisfatta, anche quando le comunicò il resto << prenderai il posto di Fili. Non voglio sentire proteste >> aggiunse minaccioso, rivolto al nipote: infatti, aveva già aperto bocca per parlare, richiudendola subito all'ordine dello zio.

<< Chi deve preparare la cena inizi adesso; prima la finiamo e meglio è >> detto questo, tutti si alzarono e si diedero una mossa, obbedendo il più in fretta possibile; Karin si sentì meglio dopo la decisione del re: si sentiva inutile, altrimenti. In più, ora che aveva salvato la vita di Thorin le sembrò più che giusto “approfittarsene” un poco per rivendicare quelle questioni che le sembravano vitali: come fare il suo turno di guardia.

Mentre raccoglieva le ciotole di tutti – che poi avrebbe riportato cariche di cibo – si affiancò al nipote più vecchio.

<< Fili >> il ragazzo si girò, sorridendo leggermente << Ti sei... >>.

<< No, Karin! Figurati: anzi, grazie! Avevo dormito molto poco oggi: e poi, prima di te c'è Balin, quindi hai l'opportunità di dormire per un paio di ore! >> le diede una pacca sulla schiena, facendole quasi cadere le scodelle di mano.

<< Ops! >> esclamò; le fece l'occhiolino, tornando a scuoiare l'animale con uno dei suoi coltelli, che nascondeva sempre negli stivali.

Karin si avvicinò alla pentola, chiacchierando qualche volta con Bofur e Bombur, tornati amici come prima; infine, dopo quelli che le parvero secoli le scodelle fecero ritorno ai proprietari, ed iniziarono a mangiare con gusto. Fu una vera fortuna aver trovato degli alleati nelle aquile: non solo li avevano ospitati nel loro nido, ma li portavano a procurarsi da mangiare e di notte sorvolavano la valle circostante alla ricerca di nemici, avvertendoli in caso di pericolo. Ancora una volta occorreva ringraziare lo stregone: senza il suo aiuto sarebbero morti già all'incontro con i tre Troll.

Dopo cena spensero immediatamente il fuoco, sdraiandosi sulla nuda roccia e coprendosi con i mantelli, dato che il vento notturno aveva iniziato ad alzarsi: le prime stelle comparvero nel manto celeste e, poco dopo, un forte russare e sospiri tranquilli accompagnarono Balin nelle tre ore di guardia che gli si prospettavano; la luna si alzò, illuminando di poco varie zone della valle, permettendogli di osservare quasi con chiarezza quello che li circondava. Ben presto, però, si trovò a riflettere sugli ultimi avvenimenti, in particolare su Karin: si sentì orgoglioso dei suoi progressi, di come stava lentamente abbandonando il suo guscio di diffidenza; il sentirla ridere e vederla partecipe - anche se ancora cauta ed attenta – gli scaldava il suo vecchio cuore di nano. Se fosse riuscita ad integrarsi con tutti, si sarebbe avvicinata sempre più a Thorin; rammentava molto bene l'espressione furente e livida che aveva avuto la sera dell'arrivo di Karin nella Contea, il suo disprezzo era diventato palpabile e tangibile, la preoccupazione era salita ai massimi livelli: la traditrice ed esiliata nella Compagnia... quale folle e perversa idea! Balin, al contrario, non l'aveva presa così negativamente, anzi: per lui rappresentava un segno, una flebile speranza. E, se solo avesse raggiunto e superato l'orgoglio del re, ogni cosa sarebbe divenuta più facile.

Sapeva molto bene che il pensiero di Karin non l'aveva mai abbandonato in tutti quegli anni, così come era sicuro della reciprocità: bastava saper osservare molto attentamente gli occhi neri, o le espressioni che si celavano tra i suoi lineamenti graziosi e persino l'essere più tonto avrebbe capito cosa provavano l'uno per l'altra; ma la cocciutaggine ed il risentimento erano difficili da sradicare, si era convinto di questo per molto tempo... finché Karin, con una audacia inaspettata che dimostrava appieno la sua tesi non lo stupì, meravigliandolo: per un momento aveva gettato alle spalle il suo odio, rischiando la vita per salvare il principe che l'aveva allontanata da sé così ferocemente e duramente che lei gli giurò il suo più profondo disprezzo. Da quel giorno aveva indurito il suo cuore, non permettendo più a nessuno di ferirlo: si era gettato a capofitto nell'impresa di riconquistare Erebor mentre ancora cercavano rifugio, errando lungo le lande desolate; il suo sguardo vagava spesso lontano, perso in memorie dolci ma al tempo stesso amare. Non poteva farne a meno, era la condanna che doveva sopportare, la pena maledetta da scontare: il rivivere ogni ricordo, ogni gesto, ogni parola detta. Si chiese per quanto avrebbe potuto sopportarlo.

Era quasi sicuro che avrebbe ceduto, prima o poi: nonostante il loro ignorarsi, o il litigio già i primi giorni di cammino, Thorin l'aveva salvata più di una volta e, spesso, lo vedeva lanciarle occhiate imperscrutabili e serie; si rabbuiava quando se ne rendeva conto, ed allora distoglieva gli occhi da lei, più furioso con se stesso che con l'oggetto dei suoi pensieri.

Il vecchio Balin non poté fare a meno di sorridere al comportamento così poco regale di Thorin: gli sembrava invece quello di un ragazzino alle prese con la prima cotta. Anche se di prima proprio non si poteva parlare...

Alzò la testa incontrando la sagoma della luna, appena coperta da nubi; si era levata più in alto, il che significava che il tempo era passato in fretta: se Thorin avesse saputo che non aveva prestato ascolto ai rumori, o dato occhiate al paesaggio, si sarebbe infuriato parecchio! Ma non gli avrebbe sbraitato contro, lanciandosi in un discorso sulla responsabilità e l'imprudenza che avrebbe sostenuto con gli altri; dopotutto, era il suo consigliere e parente più stretto.

Si alzò, lisciandosi la lunga barba bianca biforcuta: cercò di camminare il più silenziosamente possibile – gesto alquanto difficile per un nano! - e, giunto al giaciglio giusto, scosse delicatamente la spalla del prossimo guardiano.

Karin si svegliò subito, mettendosi a sedere: secondo il modesto parere del nano, non aveva riposato granché in quelle poche ore.

<< Sei sicura di voler affrontare le prossime tre ore sveglia? Posso pensarci io, altrimenti >> bisbigliò, insistendo; lei gli sorrise, scuotendo la testa.

<< No, davvero. E comunque, mi sento più sveglia che mai >> ammise, sussurrando a sua volta. Fece una smorfia di dolore quando tentò di rialzarsi, e si tenne il braccio destro con l'altro: gli rivolse un'ultima occhiata di gratitudine, assicurandogli che poteva dormire tranquillo e che ce l'avrebbe fatta.

<< Non è la prima volta, dopotutto >>.

Una frase che fece vergognare così tanto il vecchio nano da non riuscire a darle una risposta; la seguì con gli occhi finché non vide la sua sagoma scura sedersi dov'era poco prima, la schiena curva per ripararsi meglio dentro al mantello.

Solo allora si sdraiò, chiudendo gli occhi.

A dispetto di ciò che aveva detto, Balin si addormentò poco dopo, esausto.


Karin aguzzò la vista nell'oscurità, cercando di scorgere movimenti sospetti alle pendici delle montagne; aveva cambiato postazione, in un tentativo alquanto misero: anche lì, addossata ad un masso e con le gambe che penzolavano nel vuoto, non riusciva a vedere nulla in quell'oscurità fitta. La luna piena sembrava illuminare solo la piattaforma lasciando il resto in ombra, in una macchia indistinta e scura come la pece.

Dava le spalle alle compagnia e ad Erebor, volgendo lo sguardo da dov'erano giunti: se gli orchi si fossero messi sulle loro tracce avrebbero seguito quel percorso.

Il vento soffiava abbastanza da farla tremare: avviluppata meglio nel mantello strinse gli occhi, che avevano iniziato a lacrimarle; attorno, oltre ai movimenti delle fronde e ai versi di animali notturni non c'era altro: tutto il resto era immobile, sospeso nella notte.

Ora abituata al buio abbassò lo sguardo verso la spalla ferita, scostando il colletto sbrindellato della camicia: quello che vide non le piacque per niente; dove l'orco l'aveva frustata la pelle era lacerata e rosata, in qualche punto addirittura rossa, incrostata di sangue rappreso. Quel dannato aveva scavato in profondità, strappandole la carne: e, se non avesse provveduto, avrebbe fatto infezione.

Dovette trattenersi dal gemere forte quando la sfiorò con le dita; imprecò silenziosamente quando ricordò che non avevano acqua con loro, o non più: le provviste erano rimaste nella grotta, e quella che avevano bevuto durante i pasti era finita.

Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli: si augurò di resistere abbastanza per il primo fiume che avrebbero incontrato; lì avrebbe lavato la ferita e, sulle rive, avrebbe trovato anche delle erbe per disinfettarla.

<< E' così che hai intenzione di fare la guardia? >>.

La ragazza si lasciò scappare un mezzo strillo, spaventata a morte dalla voce che la colse di sorpresa alle spalle; ritirò le gambe dal ciglio, girandosi per avere conferma dell'identità di colui che aveva parlato con tanto sarcasmo: la figura di Thorin si stagliava alta, gli occhi chiari scintillanti nella notte.

<< Mi sono distratta solo un attimo >> mugugnò, coprendosi la spalla destra col mantello, celandogli così il taglio; fece un paio di respiri profondi per placare il cuore in subbuglio, dato lo spavento preso: si era incantata così tanto che non lo aveva sentito arrivare.

Non riuscì a scorgere la sua espressione, ma intuì che non doveva essere delle più accondiscendenti; si diede dell'idiota: dopo aver preteso di essere d'aiuto era riuscita a farsi scoprire in un momento di negligenza, e proprio dall'ultimo nano che avrebbe dovuto saperlo.

Decisamente la fortuna non era dalla sua parte.

Si munì di autocontrollo e pazienza, preparandosi ad un severo rimprovero che, inaspettatamente, non avvenne; gli occhi saettarono verso il re, che non si era spostato dalla sua posizione e continuava a scrutarla. Si agitò, mentre un fastidioso peso le scese nello stomaco: non sopportava granché l'essere osservata da lui; le scavava nell'anima, nel profondo, e le faceva ricordare troppo spesso cosa era in realtà per lui. Per tutti loro.

Thorin mosse qualche passo e, solo quando le fu abbastanza vicino, notò che reggeva un sacchettino di velluto tra le mani; si stupì non poco quando piegò una gamba, inginocchiandosi di fronte a lei. Si immobilizzò mentre lui, senza guardarla, slacciò il sacchetto e lo aprì, estraendo delle sottili foglie verdi e tenendole nel palmo della mano.

<< Slacciati il mantello >> ordinò, secco.

Karin si sentì delusa dal tono che usò, come se non fosse mai accaduto nulla e fossero ancora ai primi giorni di viaggio: come se lei non gli avesse mai salvato la vita.

Decise di non dar retta alla parte più vulnerabile del suo cuore e, rimettendosi la corazza gelida e fredda lo osservò sospettosa, assottigliando lo sguardo; con una punta di soddisfazione lo vide spazientirsi, infastidito dal fatto che non obbedisse rapidamente ai suoi comandi.

<< Karin, slacciati il mantello. Ora >> ripeté con stizza.

<< Perché dovrei farlo? >> chiese, impertinente; non le importò del fuoco che brillò negli occhi azzurri. Se si ostinava a trattarla in quel modo brusco, allora avrebbe seguito il suo esempio. Fece un cenno con la testa, indicando il vegetale. << Cos'è quella? >>.

Thorin la studiò per lunghi attimi, combattuto se risponderle o meno: ma, ancora una volta, furono le labbra a muoversi senza il permesso delle mente.

<< Athelas >> disse semplicemente, sussurrando.

Vide la bocca rosea di Karin schiudersi dalla sorpresa, i suoi tratti rilassarsi: la ragazza si animò, rallegrandosi per ciò che le aveva detto.

<< La foglia di re? Ma, come... dove... >> balbettò confusa ma felice, chi occhi accesi d'entusiasmo.

Thorin percepì i muscoli del volto distendersi, allentando la tensione crescente che percepiva sempre quando le stava vicino: il vederla privarsi delle solite difese solo perché aveva riconosciuto una pianta che l'avrebbe aiutata nella guarigione lo colpì più di quanto avrebbe ammesso. Karin si raddrizzò meglio contro la roccia, allungando il collo per vederla: quando appurò che si trattava proprio dell'athelas tese le mani, aspettando che lui le porgesse il sacchetto. Ma non lo fece.

Improvvisamente dubbiosa ed all'erta lo guardò, in attesa; ma lui scosse la testa.

<< Ho visto la ferita mentre dormivi, ed era in pessime condizioni: così, quando siamo andati a cacciare e l'ho riconosciuta tra i vari cespugli, l'ho presa >>.

<< Grazie >> disse lei, riconoscente: non si sarebbe aspettata un gesto di gentilezza da parte del nano.

Thorin le rivolse un sorriso stanco, indicandole il bordo del mantello << Ora toglietelo, avanti >>.

Lei avrebbe voluto ribattere che avrebbe fatto da sola, ma le parole le rimasero impigliate; non aveva la forza di iniziare a discutere.

Portò le dita a slacciare il nodo che aveva creato per tenere chiuso l'indumento: lo fece scivolare a terra, dove poco dopo si aggiunse anche il gilet di pelle e cuoio; rimase solo in camicia, reprimendo un brivido quando il vento le soffiò sulla pelle, penetrando la stoffa.

Thorin alzò una mano, avvicinandola al volto di lei: il cuore di entrambi smise di battere quando, con gesti lenti ed estremamente delicati, le prese una ciocca di capelli portandola dietro l'orecchio; le dita indugiarono sull'orecchio a punta, così poco nanico, accarezzandolo. La vide chiudere gli occhi ed espirare, abbandonandosi totalmente a lui: sarebbe stato così semplice perdersi e dimenticare la ragione, scordare ogni cosa, ritornare ad essere quello che erano stati.

In quegli anni non gli era risultato facile abbandonare il suo ricordo: l'aveva perseguitato ovunque, persino da sveglio; nella mente, però, rimembrava continuamente il loro feroce scontro, la decisione cruciale che aveva frantumato il loro rapporto, l'addio straziante ma necessario pieno di sottintesi e cose non dette: l'orgoglio li aveva fatti tacere, il risentimento odiare. Aveva sepolto la parte di lui che gli urlava di andare a riprenderla, di riportarla indietro, quella che ancora continuava a sostenere di amarla. Si era dato dello stupido, per essere stato beffato e tradito da una femmina; lui, lui che non era mai stato ingannato. Coloro che avevano tentato ne avevano pagato le conseguenze: anche Karin. Lei era stata la persona di cui si era più fidato: ma sono proprio quelle più vicine a ferirti maggiormente, lasciandoti poi devastato. E furioso.

Provò una collera accecante e, per un attimo, pensò che sarebbe stato così facile sbarazzarsi di lei: gli sarebbe bastato portare la mano al collo bianco e liscio, stringendo con forza. Ecco, facendola scivolare così... lei non se ne sarebbe accorta e, una volta resasi conto di ciò, sarebbe stato troppo tardi per salvarsi.

Le dita, però, scostarono lievemente il collo della camicia, bloccandolo stordito: aggrottò la fronte, formando la consueta ruga al centro degli occhi, non potendo crederci; non volendo crederci. Alla luce della luna piena riconobbe il brillio di una sottile catenella d'argento, formata da piccolissimi anelli intrecciati tra loro: la ricordava molto bene, ma non avrebbe mai pensato che l'indossasse ancora. Non dopo l'esilio.


Karin sentì le dita di Thorin scenderle lungo il collo, in un gesto così morbido che le mandò una miriade di brividi lungo il corpo; chiuse involontariamente gli occhi, assaporandolo appieno. Si dimenticò di tutto: esistevano solo loro, e la luna che, complice, assisteva silenziosa a quell'azione impensabile ma... dolce. Non si sarebbe mai aspettata nulla del genere o, perlomeno, non in quella vita; non seppe spiegarsi il comportamento del nano, né tanto meno il suo: dov'era finito il proposito di odiare che l'aveva contaminata nel tempo, divenendo il suo fedele compagno? Si era forse dimenticata delle lacrime versate, del disprezzo, del bramarne addirittura la morte?

Aveva ripromesso che, se mai l'avesse rivisto, gli avrebbe fatto pagare ogni umiliazione, ogni sofferenza. Invece, da quando era nella compagnia, le era sfuggito tutto di mano: non aveva più avuto controllo di nulla, specie delle sue emozioni, dei sentimenti tanto amati un tempo ed ora detestati dal profondo del cuore.

Perché era difficile sopprimere qualcosa che, invece, tentava con tutte le sue forze di emergere?

Non aveva una risposta, non l'avrebbe mai avuta.

Si concentrò sul percorso delle dita del re, sentendole scendere verso la base del collo, verso la clavicola; aggrottò la fronte, riaprendo gli occhi e guardandolo. Il volto di lui era una maschera di sofferenza mista a vergogna e incredulità, gli occhi riflettevano un'angoscia potente da farle male; ma cambiò repentinamente quando si accorse dei suoi occhi indagatori: si calmò tornando imperscrutabile mentre, ora con tocco rude, le scostò i rimanenti capelli indomabili dalla spalla. Non la guardò mentre stritolava la foglia in una poltiglia, rivolgendosi a lei solo per darle ulteriori ordini.

<< Brucerà, quindi preparati >>.

Non fece in tempo a rispondergli che poteva benissimo tenerselo, il suo bruciore, che gemette forte mordendosi il labbro inferiore per non gridare; involontariamente la mano corse in avanti, afferrandogli la manica e stringendogliela con forza: non si aspettava un'infiammazione di quella portata! Strizzò gli occhi per poi spalancarli, sbarrandoli quando si rese conto della sua occhiata penetrante, carica di disprezzo mal celato per averlo toccato senza permesso.

Lasciò la presa, portando il braccio lungo il fianco; voltò la testa dalla parte opposta, per non dover subire i suoi occhi: non li avrebbe sopportati per molto.

Le spalmò le foglie sulla ferita, ma Karin si rese conto subito che bruciava un po' meno: anzi, poteva quasi sentire sollievo. Erano fresche, e profumavano.

Quando non percepì più il tocco del nano girò la testa, scoprendolo vicino. Troppo vicino. Si ritrasse immediatamente, ma la voce autoritaria la bloccò.

<< Ferma >> alzò la mano per applicarle le foglie sulla guancia ma lei, inconsciamente, girò il capo dall'altra parte.

Le dita di lui afferrarono con decisione il mento, costringendola a spostare la testa: se lo ritrovò di fronte, a pochi millimetri, gli occhi chiari che mandavano lampi a dir poco pericolosi.

<< Ho detto sta' ferma! >> le sibilò arrabbiato.

La girò in modo d'esporla alla luce della luna, ma lei lasciò vagare gli occhi ovunque tranne che su di lui; mentre sentiva nuovamente il lieve tocco fresco sul taglio, facendole battere un po' più forte il cuore, ripensò alla città degli orchi e a come si era procurata quei lividi. Ma, più di ogni altra cosa, ricordò quando aveva rischiato di morire strangolata: la paura dell'essere così impotente, di non riuscire a pensare, ad agire, la fece sospirare. Schiuse le labbra, mentre una constatazione le invase la mente come un fulmine a ciel sereno, non riuscendo a fermarla; salì alle labbra, mormorandola alla notte.

<< Sei stato tu a salvarmi dall'orco >>.

Si liberò dalla stretta, guardandolo negli occhi per capire. Lui sostenne il suo sguardo con calma, affatto intimorito.

<< Perché lo dici, se conosci già la risposta? >> ribatté di rimando, allontanandosi un poco dal suo volto.

<< Voglio che tu me lo dica >> Karin si staccò dalla roccia a cui era appoggiata, sporgendosi verso di lui; Thorin si infastidì all'ordine della ragazza, chiudendosi in un assoluto mutismo che non fece altro che mandarla su tutte le furie.

<< Come hai fatto? >> chiese, il tono di voce che si alzò leggermente << Tu... tu eri lontano da me >>.

<< Sono riuscito a liberarmene in fretta >> aggiunse sbrigativo; non aveva alcuna voglia di ricordare quei momenti.

Karin, invece, era totalmente sconcertata << Mi hai salvato la vita due volte. Perché? >>.

<< Dovevo rimanere a guardare mentre morivi? >> domandò, rabbioso; cercò di parlare il più piano possibile, ma non riuscì molto bene: sentì qualcuno muoversi nel giaciglio, ma non vi badò. Strinse così forte la foglia di re da polverizzarla: quando se ne accorse, aprì il pugno e lasciò che il vento trasportasse le briciole lontano, al di là del dirupo.

Karin, invece, si morse il labbro, sentendo il volto e le orecchie improvvisamente calde; non era stata sua intenzione porre quella stupida domanda. Anche se il loro rapporto non era dei migliori sapeva che lui l'avrebbe sempre aiutata: per un capo – anzi, un re – era un dovere necessario da compiere. Doveva proteggere i suoi compagni ed esporsi per loro: un comportamento davvero onorevole e ligio, non c'era niente da dire.

<< Nemmeno tu mi hai lasciato morire >> bisbigliò Thorin, quasi parlando a se stesso e non a lei << Perché? >>.

<< Dovevo rimanere a guardare mentre morivi? >> rispose, imitandolo.

Lui incatenò gli occhi azzurri ai suoi neri, in una sfida a chi cercava di leggere nell'animo dell'altro: quanti sentimenti segreti nascondevano, quante sensazioni tentavano di riemergere senza il loro permesso!

Si sentirono sprofondare, mentre si perdevano in quegli sguardi che avrebbero voluto rivelare certezze e verità che non sarebbero mai state pronunciate, impedite dall'orgoglio.

<< Anche se mi salvassi la vita cento volte, non cambierebbe nulla >> soffiò lui, serio << Non tornerà tutto come un tempo, Karin >>.

Si maledì, eccome se lo fece! Maledì la sua alterigia, il suo essere così testardo; per quanto l'avesse desiderato ogni momento, ogni minuto da quel giorno infausto... sarebbe stato oltremodo difficile perdonare.

Ne era consapevole. Ma doveva esserlo anche lei.

Karin emise un verso strozzato, esasperata e stanca << Lo so. Però possiamo provare a... >>.

<< Dimenticare? >> commentò scettico, interrompendola bruscamente.

<< No >>.

Tornò ad appoggiarsi al masso roccioso, passandosi una mano sulla fronte << Per quanto lo vorrei con tutta me stessa so che non possiamo. Ma, Thorin, ti ho salvato la vita! Questo dovrebbe farti capire le mie intenzioni: se fossi stata una vera traditrice sarei rimasta aggrappata a quel ramo senza intervenire >>.

<< Nessuno ti ha chiesto di farlo >> ribatté lui, cocciuto << Io non te l'ho chiesto >>.

<< Non sono così senza cuore! Al contrario di te, io ricordo cosa ci legava >>.

Ammutolì, capendo d'aver superato un confine importante: non aveva mai visto sul volto di Thorin un'espressione tanto furibonda; era fuori di sé, ed era colpa sua se, ora, negli occhi azzurri lesse un'ira profonda e antica, che presto sarebbe esplosa. Lo vide stringere i pugni e, con un colpo secco, li batté sulla roccia alle sue spalle, sfiorandole il viso: si ritrovò imprigionata tra le sue braccia, il volto livido a pochi centimetri dal suo, spaventato a morte.

<< Credi che non ricordi? >> le sibilò adirato << Come osi anche solo pensarlo? Io non ho dimenticato niente! Niente >> concluse, collerico; abbassò un attimo il capo come a voler cercare la calma ormai perduta, ma lo rialzò subito, fronteggiandola minaccioso.

<< E tu mi chiedi di perdonare? Dimenticare? >> calcò con ferocia le ultime parole, per farle capire quanto fosse impossibile.

<< Non volevo dire questo >> iniziò lei, cauta e timida << però potremmo... cercare di... abbattere questo muro che... che abbiamo creato >> concluse, deglutendo a vuoto; sentiva nelle orecchie il martellare furioso del cuore, tremante e spaventato com'era lei. Non credeva di essere riuscita a portarlo nell'abisso della furia con una sola frase: ma, d'altronde – pensò vergognandosi – anche per lui aveva significato qualcosa d'importante.

<< Come è possibile abbattere un muro, se costruito di pietra? Non col fuoco, né con un'ascia, o un piccone >> l'interrogò, la voce affievolita e quasi tranquilla; gli strascichi della rabbia si sentivano ancora in alcune parole.

<< Allora lo scavalcherò! >> fu il suo turno d'infervorarsi, lanciandogli uno sguardo di sfida << E sono certa che ce la farò, così come sono sicura che dentro di te ci sia ancora una parte che crede in me. In noi. Non è così, Re sotto la Montagna? >>.

<< Ti sbagli >>.

<< No >> respinse l'impulso di prendergli il volto tra le mani; invece, strinse le nocche fino a farle sbiancare << Ti ostini a rimembrare il mio sbaglio; ma, prima, c'era qualcos'altro tra noi, un sentimento così forte e... bello, meravigliosamente bello, impossibile da scordare! Se non hai dimenticato nulla, allora lo rammenterai >>.

Alzò ed abbassò il petto con foga, in febbrile attesa: Thorin se ne stava immobile come una statua guardandola solamente, la bocca di poco dischiusa; lo vide distendere i muscoli guizzanti, ma non si staccò dalla posizione.

<< Lo ricordo: ed è quello che mi tormenta giorno dopo giorno, da anni >> mormorò stancamente; lo vide avvicinare il volto al suo, lento e inesorabile: percepì il cuore fare un balzo e, d'istinto, iniziò a socchiudere gli occhi, in un'attesa lacerante. Sentì la gola secca, ed un desiderio tale da bruciarla viva.

<< Il tuo pensiero mi logora, distruggendomi; tu popoli i miei sogni più dolci, i miei incubi più terribili. Tu >> i sussurri affannati e rochi di lui si confusero con i suoi respiri; i nasi si sfiorarono, gli occhi si chiusero dolcemente.

Non aspettavano altro che sentire le labbra dell'altro sulle proprie, in un bacio agognato da troppi anni; un bacio che potevano scambiarsi solo nell'illusione della notte, cullati da struggenti ricordi. Il loro amore non poteva essere quietato con la semplice forza di volontà, nemmeno se essa era potente ed autoritaria: reprimendolo, non facevano che accrescerlo. E, ora, sfuggiva al loro controllo, a quella razionalità che ostentavano accanitamente, alla ragione ferrea; forse avrebbero potuto abbandonare per pochi attimi ciò che rappresentavano, tornando solo Thorin e Karin.

Sarebbe stato bello, un'utopia perfetta e incantevole in cui rifugiarsi: bastava così poco, ancora qualche millimetro, e la felicità nel ricongiungere le loro anime ferite e lacerate sarebbe stata completa.

Ma il Fato, maligno, si intromise di nuovo.

Qualcuno russò forte, interrompendo bruscamente la magia che si era creata; Thorin aprì gli occhi, trovandosi ad un nonnulla da lei, gli occhi spalancati e colpevoli. Il buio non faceva che aumentare la profondità di quei maledetti pozzi, in cui aveva rischiato di perdersi per non risalire più. Anche in quel momento.

No, doveva tornare presente, e smetterla di fantasticare su fatti assurdi: la sua debolezza gli sarebbe costata cara, stava per commettere un grosso errore. Si scostò da lei, riportando le braccia lungo i fianchi, alzandosi in piedi per mettere quanti più metri possibili tra i loro corpi.

La vide ferita dal suo allontanamento, un'immensa tristezza che le fece abbassare il capo per non guardarlo, lasciandolo ciondolare come se dormisse. I lunghi capelli ribelli, così simili ai suoi ma indomabili – così com'era lei – le coprirono qualsiasi espressione, ma il nano poté immaginarla. Decise perciò di andarsene, lasciandola sola: se fosse rimasto lì un altro po' avrebbe cambiato idea, mandando in malora ogni disperato tentativo di contrastare la tentazione che Karin rappresentava.


Karin lo sentì allontanarsi a lunghi e pesanti passi: le forze l'avevano abbandonata, lasciandola stremata e distrutta; sentì scuotersi da piccoli singulti, e qualcosa di caldo e bruciante le colò sulle guance. Portò le mani agli occhi, riconoscendo numerose lacrime che fuoriuscivano, lasciando solchi durante il percorso; rotolarono giù, lungo la ferita appena sistemata. Alcune si fermarono ad infrangersi sulle labbra dove, un dannatissimo attimo prima, si sarebbero posate quelle forti ma delicate di Thorin; altre, invece, le arrivarono al mento per poi cadere sulle braghe, formando piccoli cerchi più scuri sul tessuto.

Mentre con una mano tentava di asciugarsele – senza successo, visto che non riusciva ad impedire che se ne formassero altre – con l'altra si coprì la bocca, per soffocare i singhiozzi violenti che l'attraversavano.

Strinse gli occhi, ma nemmeno allora funzionò: le lacrime non si fermarono. Si sentì così stupida e credulona: credeva davvero che, baciandolo, sarebbero tornati insieme? Oh, non aveva capito nulla da quegli anni di solitudine, di esilio: l'aveva promesso, l'aveva giurato! Non avrebbe più sofferto per lui, non ci avrebbe più pensato, il dolore la dilaniava, la consumava!

Doveva smetterla, basta.

Ma più continuava a ripeterselo e meno le sembrava fattibile: era un sentimento così forte che stava già prendendo il sopravvento, l'aveva notato prima; non si era tirata indietro, non l'aveva respinto. Perché lo voleva, punto. Così disperatamente da farle male al cuore.

Dopo quelli che le parvero secoli riuscì a placarsi: i singhiozzi erano spariti, solo le ultime lacrime persistevano: con un gesto di stizza le asciugò, facendosi male al volto. Tremante si alzò, mentre un mal di testa martellante le rimbombò nelle orecchie: si avviò verso i giacigli, riconoscendo la forma possente di Gloin; lo scosse piano e quello, dopo un paio di grugniti, aprì gli occhi, mettendola a fuoco.

<< Mi spiace svegliarti >> disse, la voce tremante e incerta.

Il nano comprese subito che c'era qualcosa di anomalo: non era un tono assonnato, né tanto meno tranquillo; qualcosa l'aveva scossa così profondamente da lasciarla prostrata.

Le sembrò che avesse pianto, concluse, mentre si abituava all'oscurità più debole delle ore precedenti.

<< Stai bene, ragazza? >> le domandò, con una certa apprensione.

Lei annuì, mentre un luccichio si affacciava agli occhi; si morse le labbra, agitando una mano come a volersi scusare. Senza aggiungere altro se ne andò verso il suo posto, sdraiandosi e dandogli la schiena, incurvandosi per ripararsi dal vento. O da qualcos'altro.

Il nano guerriero si sentì affranto nel vederla così, ma non disse nulla: non avrebbe saputo cosa fare per confortarla, non trovava le parole giuste come invece le aveva lo scassinatore.

Si limitò ad osservarla ancora per un po', dispiaciuto; poi, sospirando pesantemente, lasciò che le gambe lo portassero nel punto dove poco prima due cuori avevano battuto all'unisono, per poi allontanarsi e spezzarsi.








CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Ma buonasera/notte!!! Come state, tutto bene?

Mamma mia, non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo *_____*: sia perché fermare lo scorso capitolo in quel punto mi è sembrata una carognata bella grande, sia perché... bé, devo anche spiegarvelo??? Qui succede il di tutto e il di più ;)))

Perdonatemi se scriverò qualche frase sconnessa, ma questo capitolo mi ha debilitata @___@! Colpa dei due “cari protagonisti” e delle canzoni strappalacrime che ascolto ultimamente... sarà perché tra poco è San Valentino?!

Uff, va bé T.T.

Allora, che ve ne pare??? Io sono soddisfattissima del risultato, spero lo siate anche voi: avrei voluto scrivere una marea di altra roba, ma credo sia abbastanza pesante così u.u. Non solo per voi, miei adorati lettori e lettrici, ma anche per me! Ho il cervello fuso, è da giorni che ci lavoro senza sosta alla ricerca delle parole giuste! Spero d'essere riuscita nell'intento di mostrare questi sentimenti contrastanti: da una parte il vecchio e caro rancore, dall'altro l'ammmore che cercano di soffocare. Qui parliamo di ben due nani, perciò la testardaggine è al quadrato!!!!! Ecco, inizio a straparlare, meglio che mi fermi XD!

Un grazie speciale a Krystal91, che mi ha salvato la vita con la faccenda delle rune :* :*, a Lady of the sea, Carmaux, MrsBlack, erica0501 e J_ackie. VI ADORO, SEMPLICEMENTE!!!

Grazie anche a chi l'ha messa nelle preferite- seguite- ricordate e a chi legge soltanto: ma se qualcuno vuol aggiungersi per lasciare un commentino non mi lamenterò di certo, eh ;))))!!!?

Ehehehehe, bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra affettuosamente

Anna <3 <3

P.S. La canzoncina/filastrocca che canta Karin... perdonate la banalità del testo, so che è una c****a bella grande, spero che Tolkien mi perdoni per questo ç_____ç, ed anche voi! Comunque, dicevo: NON DIMENTICATEVELA! Rispunterà più avanti, perché è legata a qualcosa che volete scoprire presto... vero che VOLETE scoprirlo :D???

ora è tutto, abbraccioni e baci a tutte, ci sentiamooooooo


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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Note autrice: per Durin, siamo arrivati all'ottavo!!!
Da qui in poi si segue il libro: gentaglia (in senso buono ;) ) avvisata mezza salvata :P
Ci leggiamo giù XD XD


CAPITOLO OTTO


<< Ragazzi! Deve essere successo qualcosa >> esordì Bofur poco dopo colazione, avvicinandosi con fare cospiratore a Fili, Kili, Bilbo, Ori e Bombur; gli altri lo guardarono perplessi, non capendo a cosa si stesse riferendo. Abbandonarono per un attimo il raccogliere le ultime cose – armi, visto che gli zaini e i fagotti erano andati perduti – assumendo delle espressioni confuse, non riuscendo proprio a capire.

Bofur sbuffò esasperato, non credendo alla loro inettitudine << Parlo di >> abbassò il tono di voce, guardandosi nervosamente attorno << Karin >>.

Immediatamente, sei teste si voltarono a cercare la ragazza, chiamata in causa: era seduta a terra al centro della piattaforma, intenta a pulire la lama di Iris; gesto che non compiva da giorni, dati gli ultimi avvenimenti.

<< Quindi? >> chiese curioso Fili, rivolto al nano.

<< Non notate nulla di strano, di sospetto? >> rincarò Bofur, sgranando gli occhi in un gesto eloquente; gli altri continuarono ad osservarla, non trovando niente di diverso: bé, forse constatarono qualcosa.

Passava lo straccio con una tale foga che, di lì a poco, avrebbe tolto tutte le rune incise sulla lama.

<< Sembra alquanto... violenta >> commentò Ori, grattandosi la guancia con un dito.

<< Come mai? Mi sembrava che ieri fosse tranquilla >>.

<< Secondo me hanno litigato >> affermò Bofur con aria convinta, incrociando le braccia al petto.

<< Chi? >> domandò perplesso Bombur, che non stava capendo nulla.

<< Ma come chi? Loro, no? >> rispose il fratello, guardandolo torvo << Per la barba di Durin, Bombur, prova a pensare: chi litiga così spesso, un giorno sì e l'altro pure, nella compagnia? >>.

<< Aaaaah, loro! >> esclamò il nano grasso, annuendo per poi assumere un cipiglio serio << Aspetta, ma quando avrebbero discusso se ieri si sono a malapena parlati? >>.

<< Infatti! >> esclamò Bilbo, leggermente infastidito nel non essersene accorto prima di loro.

Bofur, al contrario, si aprì in un ghigno compiaciuto e furbo << Ieri sera Karin aveva il suo turno di guardia >> disse, trionfante: vide gli altri sgranare gli occhi, totalmente assorbiti dalle sue parole; lo hobbit divenne tutto rosso, fino alla punta delle orecchie. Diamine, chissà quali parole si erano detti per lasciarla turbata a quel modo!

Le lanciò un altro sguardo, vedendola persa nei suoi pensieri, gli occhi lontani verso un punto indefinito all'orizzonte; Thorin le dava le spalle e parlava con Dwalin il quale, ogni tanto, la guardava con una strana espressione in volto: forse il re lo stava mettendo al corrente del fatto.

<< Ne sei così certo? >> chiese Kili, infastidito: la pazienza non rientrava certo nelle facoltà della stirpe di Durin.

<< E' l'unica spiegazione plausibile! Altrimenti perché comportarsi così? Questa mattina non ha nemmeno accennato un sorriso, al contrario di ieri... >>.

<< Aspetta! >> Fili interruppe Bofur, guardando il fratello minore << Kili, ricordi cosa è accaduto proprio stamattina mentre cercavamo da mangiare nel bosco? >>.

L'altro si accigliò, cercando di rimembrare; rimasero tutti in silenzio, aspettando una risposta dal giovane arciere: d'un tratto, i suoi occhi castani si illuminarono.

<< Ma certo! >> esordì, battendosi il pugno sulla mano.

<< Ce lo volete dire, per piacere? >> chiesero in coro gli altri, curiosi fin nel midollo.

<< Non c'è molto da raccontare: solo che anche Thorin era parecchio... irritabile >>.

<< Ed irritante! >> sbottò Fili, scuotendo la testa << Avrà tante qualità, ma quando perde la pazienza... >>.

<< E molto spesso, poi! >> aggiunse il fratello << In ogni caso, non ha fatto che sbuffare, facendoci perdere la concentrazione e le prede: per questo siamo tornati solo con della frutta. L'unico cibo che non ha fatto scappare con il suo malumore! >> fece un largo sorriso, dando di gomito al maggiore << Se non avessi temuto per la mia vita sarebbe stata una scena comica: povero zio! >> rise, trascinando anche il resto del gruppo. Dopo un po' tornarono seri, accantonando l'idea del loro re che sbuffava come un bisonte arrabbiato.

<< Chissà cosa si saranno detti >> commentò Bilbo, affranto << Credevo avessero superato le divergenze >>.

<< Oh, temo sarà difficile, signor Baggins! >> dichiarò Bofur, lisciandosi i baffi e il pizzetto. Gli altri nani annuirono, appoggiando le parole del compagno << Quella che è successa tra loro è roba grossa, sai! >>.

<< Vo-voi lo sapete? >> domandò sbalordito il povero Bilbo: non poteva crederci, lui era l'unico all'oscuro di tutto!

<< Bé, a grandi linee >> replicò Kili, serio come poche volte << Fili ed io lo sappiamo perché ci è stato segretamente raccontato da Balin: non eravamo ancora nati quando Smaug giunse a Erebor. Ma anche lui non conosce i dettagli >>.

<< O forse non ce li voleva dire! >>.

<< Bé, non è che siano affari nostri, dopotutto, ma... >>.

<< Oh, insomma! >> sbottò spazientito Bilbo << Cosa diamine è successo tra loro? >> chiese. Doveva assolutamente saperlo! E se non glielo avesse detto Karin, se lo sarebbe fatto raccontare dai nani.

Quelli si mossero a disagio, improvvisamente restii a parlare: la loro baldanza si spense di fronte a quella semplice richiesta; Bilbo si scoraggiò: sarebbe rimasto l'unico a non sapere nulla della vicenda?

Fece per parlare, ma una voce ben nota alle loro spalle li interruppe, brusca ed alterata << Se voi perdigiorno vorreste degnarci della vostra presenza >> proruppe rabbioso Thorin << vorremmo partire il più presto possibile! >>.

Il gruppo sobbalzò al richiamo, scattando come molle per terminare gli ultimi preparativi; corsero di qua e di là per affrettarsi, e una volta che ebbero finito aspettarono pazienti l'arrivo delle aquile che, secondo accordi presi con Gandalf, li avrebbero condotti per un altro pezzo di strada.

Ciascuno salì sul dorso di un uccello e, dopo aver spiccato il volo con un potente balzo, si ritrovarono a librare in aria. Il mattino era freddo, e nelle valli e nelle conche si intravvedeva una leggera nebbiolina che, in alcuni punti, raggiungeva i pinnacoli e le cime delle alture, poiché il sole era ancora seminascosto dietro le montagne.


Karin sbirciò giù, vedendo la terra molto lontana, mentre le aquile volavano sempre più in alto: il cuore le batteva all'unisono con le ali del rapace, in una completa e totale armonia e serenità che, per tutta la durata del tragitto, dimenticò il suo malumore. A dispetto di Bilbo, che stava aggrappato alle piume con forza tenendo gli occhi serrati, lei avrebbe desiderato che quel volo non finisse mai. Stare così in alto le trasmetteva un senso potente ed appagante di libertà che mai aveva provato sulla terra: ogni stupido e futile pensiero l'aveva abbandonata; nel suo cuore c'era spazio solo per la bellezza delle terre che si estendevano infinite, per il poco vento che le accarezzava i capelli ed il viso, per il corpo caldo e morbido dell'aquila sotto di lei. Si sentiva così bene lassù che, se avesse potuto, avrebbe fatto volentieri uno scambio divenendo parte dello stormo. Per sempre libera, per sempre indipendente, per sempre forte. Nessuno l'avrebbe più fatta preoccupare, arrabbiare... soffrire.

Scosse la testa, cercando di non pensare a ciò che era accaduto la sera prima: tentò di scacciare il suo volto, il suo odore rimasto impregnato nelle narici, il respiro caldo e roco che sentiva ancora mescolarsi al suo.

Serrò gli occhi, ma non fece che peggiorare le cose: il volto di Thorin le galleggiava davanti, così vicino e così reale che, quando li riaprì e sbatté le palpebre, si stupì di non trovarlo con lei. Infuriata con se stessa, non finì di godersi il volo: nel mentre, l'aquila piegò verso destra, iniziando ad abbassarsi; doveva aver avvistato il punto verso il quale si stavano dirigendo. Iniziò a volteggiare in una larga spirale, venendo imitata da quelle dietro; la terra si fece nuovamente vicina, e sotto di loro ora c'erano alberi che sembravano querce e olmi e larghe distese erbose, con un fiume che scorreva nel mezzo. Karin si rallegrò alla sua vista: se fosse stata fortunata avrebbe potuto farsi un bel bagno e lavarsi di dosso le fatiche percorse e i cattivi pensieri.

Nel centro del corso della corrente emergeva una grande roccia, quasi una collina di pietra: veloci, le aquile si calarono ad una ad una, deponendo i passeggeri; poco prima che toccasse a lei, Karin accarezzò le folte piume marroni screziate di bianco del rapace, ringraziandolo per l'aiuto.

In risposta, l'aquila aprì il becco, emettendo un grido.

La fece scendere, gettandole un'ultima occhiata e risalendo in volo, scomparendo ben presto alla sua vista.

C'era un sentiero ben tracciato, composto di molti gradini che scendevano fino al fiume, attraverso il quale un guado fatto di grosse pietre piatte portava ai pascoli al di là del corso d'acqua. C'era inoltre una piccola grotta con un pavimento di ghiaia, proprio ai piedi dei gradini e vicino all'estremità del guado, dove la compagnia decise il da farsi.

<< Purtroppo temo che dovrò lasciarvi, cari amici >> disse Gandalf, interrompendo le proteste che si levarono dai nani e da Bilbo, alzando di poco una mano << ci troviamo molto più ad est di quanto avessi avuto l'intenzione di accompagnarvi, perché questa non è la mia avventura. E, ora, ho degli affari urgenti da sbrigare >>.

<< Quali affari? >> chiese Thorin, che non condivideva affatto la decisione dello stregone.

<< Rimarrò con voi ancora per un paio di giorni >> continuò lui, non rispondendo al nano << dopotutto, anche io ho bisogno di un po' d'aiuto, come voi del resto. Non abbiamo cibo, né bagagli né pony, e siete alcune miglia più a nord del sentiero che avremmo dovuto seguire. Pochissime persone vivono da queste parti, ma c'è qualcuno che potrebbe aiutarci: vive poco lontano, ma è inutile aspettarlo qui, visto che di giorno non ci viene. Dobbiamo andare a trovarlo e, se andrà tutto bene durante la visita, allora vi lascerò augurandovi un buon viaggio! >>.

<< Ma è proprio necessario che te ne vada? >> esclamò Bilbo per sovrastare il chiacchiericcio disperato degli altri, che gemevano e parlavano affranti; anche lui si era rattristato, e desiderava solo che Gandalf rimanesse: si sentivano tutti molto più tranquilli sapendolo con loro.

<< Non sarà certo per sempre, signor Baggins >> rispose lui, rivolgendogli un sorrisetto enigmatico << Probabilmente verrò a dare un'occhiata prima che sia tutto finito: anzi, quasi certamente! >>.

Bilbo non riuscì a distendere le labbra in un sorriso, ma fece una smorfia per nulla convinta.

<< Suvvia, non siate così tristi! Tornerò per assicurarmi che vada tutto bene >> li rassicurò ancora, e quelli si calmarono << Direi di proseguire, non tratteniamoci oltre! Temo ci sia un'unica soluzione per passare all'altra riva, ovvero camminare lungo il sentiero dato dalle pietre >>.

<< Non potremmo approfittarne per fare un bagno? Sinceramente avrei proprio bisogno di una lavata: è troppo anche per i miei standard >>.

Bilbo ed alcuni nani appoggiarono l'idea di Karin, ed anche Gandalf si disse d'accordo; poi aggrottarono la fronte, non appena poggiarono le armi a terra ed iniziarono a svestirsi: avrebbe fatto il bagno con loro?

Karin si affrettò a spiegare, girandosi verso l'altra riva e dando così le spalle ai membri del gruppo << Ci vediamo direttamente dall'altra parte, io risalirò di poco il fiume andando verso nord >>.

<< Non attardarti troppo a lungo, ma il tempo necessario: verremo noi a prenderti >> commentò Thorin, con voce incolore; Karin dovette compiere uno sforzo a dir poco notevole per non girarsi, sentendo vari fruscii di abiti calati a terra. Annuì e senza ulteriori parole se ne andò, saltellando e cercando di tenersi in equilibrio lungo le pietre lisce e bagnate; giunta dalla parte opposta camminò spedita seguendo il corso d'acqua, calpestando il manto erboso dei pascoli e, poi, ciottoli e sassi della riva.

Decise di fermarsi dopo poco, non volendo allontanarsi troppo: altrimenti, avrebbero dovuto cercarla per miglia. Si guardò attorno alla ricerca di eventuali visitatori inattesi ma, anche una volta appurata la sua solitudine, non si sentì totalmente tranquilla: si spogliò velocemente togliendosi il mantello, i pesanti stivali incrostati di terra, poi le brache, il gilè di cuoio e, infine, la camicia rossa. Lasciò Iris sulla riva, dove si accovacciò; bagnò i vestiti, sfregandoli come meglio poté per togliere tutta la polvere ed il sangue accumulati e, infine, li stese sopra una roccia ad asciugarli mentre lei, nel frattempo, si dedicava al suo corpo: sciolse le treccine sparse per i capelli, assicurandosi i vari laccetti al polso.
Quando la pianta dei piedi entrò a contatto con le punte lisce ma dure dei sassi, il volto si piegò in una smorfia, ma mutò non appena entrò a contatto con l'acqua trasparente e limpida: emise un gemito soddisfatto quando si immerse fino al collo, piegandolo all'indietro affinché i capelli le si bagnassero. Rimase a godersi per un bel pezzo il calore del sole sul viso e la freschezza del fiume la rilassò, rigenerandole le membra stanche ed i muscoli doloranti dal viaggio e dalle imprese compiute.
Mise la testa sott'acqua, ed i suoni della foresta che andava svegliandosi le giunsero ovattati; rimase in apnea finché l'aria le mancò e, con un leggero salto, riemerse, sputacchiando e sfregandosi gli occhi. Nuotò un poco e poi, controvoglia, decise che era tempo di risalire: le sarebbe seccato parecchio farsi sorprendere dagli altri ancora nuda e in ammollo.
Si sedette sulla riva, lasciando che le goccioline sulla pelle si seccassero da sole; ammirò il luccichio sul pelo dell'acqua, appoggiando il mento sulle ginocchia. C'era una tale quiete, lì, che le parve di tornare indietro nel tempo, quando girovagava per i boschi; quanti ruscelli e fiumi l'avevano ospitata sulle loro sponde, ed avevano visto la stessa espressione malinconica e nostalgica che portava ora.
Si prese una ciocca bagnata, arrotolandola tra le dita: non era il momento di perdersi nei ricordi, era tempo di prepararsi.
Si alzò, indossando brache e camicia, già asciutte: siccome aveva ancora un po' di tempo libero, passò ad un'azione che le avrebbe richiesto tutta la pazienza che possedeva – che, al momento, non era poi molta.
Iniziò a passare le dita tra le ciocche scure, cercando di sciogliere i numerosi nodi, imprecando forte dal dolore; più di una volta temette di rimanere impigliata, e più di una volta dovette trattenersi dall'afferrare Iris e dare un taglio netto a quei maledetti capelli disordinati.

Le passò tutte, mettendoci più tempo del previsto: stava quasi terminando quando una voce proveniente dai prati alle sue spalle la distrasse.

<< Ehm, Karin? Se-sei... presentabile? >> la voce incerta di Bilbo la fece sorridere.

<< Certo, vieni pure! >> disse, continuando il suo duro lavoro; sentì i piedi dello hobbit calpestare i sassi, e raggiungerla: rimase un attimo in piedi per poi sedersi al suo fianco, guardandola accigliato.

<< Stanno tornando anche gli altri, suppongo >> commentò lei quasi subito, districando un altro ciuffo; fece una smorfia quando sentì un nodo e provò a scioglierlo, non riuscendoci subito.

<< Oh, stanno finendo di vestirsi, arriveranno tra alcuni minuti: Kili e Fili stavano dando spettacolo >>.

<< Ah, davvero? Cosa combinavano? No, aspetta, non sono molto sicura di volerlo sapere! >> esclamò, facendo ridere Bilbo.

<< Niente di cui preoccuparsi, stavano solo inzuppando gli altri fin nel midollo: hanno preso di mira Ori, ed anche me: per questo sono uscito prima dall'acqua >>.

In effetti non era proprio quella, la verità. Dopo alcuni minuti di totale tranquillità, il gruppetto che si era costituito la mattina si era riformato, accerchiando il povero hobbit. Tutti avevano iniziato ad insistere sul fatto che dovesse immediatamente scoprire cosa era accaduto: e chi meglio di lui, che era così vicino a Karin?

Bilbo si era opposto strenuamente, schivando i vari spruzzi e le occhiate malevole ed omicide che gli erano state rivolte, ma non riuscì a resistere a lungo: non dopo che cercarono di affogarlo; e poi, anche se non voleva proprio ammetterlo, anche lui era divorato dalla curiosità. Quella ragazza era per lui un mistero, e voleva risolverlo a tutti i costi: non si era mai interessato a qualcuno in quel modo così disperato e morboso, ma era la dura verità; così come avrebbe voluto sapere da Thorin cosa lo legava a lei. C'era stato un momento, mentre erano in acqua a nuotare, nel quale se l'era ritrovato accanto ed aveva constatato che lo sguardo gli si era rasserenato di poco: se solo avesse tirato fuori il coraggio necessario! Invece nulla, non aveva aperto bocca.

Certo, non possedeva tutta questa confidenza col re dei nani: allora come mai le parole gli rimasero impigliate in gola anche con Karin?

La verità era che temeva di risultare uno hobbit maleducato ponendo quelle domande personali, perdendo così la rispettabilità guadagnata negli anni. Chi era lui per impicciarsi dei fatti di altri? Per di più di gente appena conosciuta, anche se aveva instaurato un buon rapporto!

Scosse una mano, come a voler cacciare quei pensieri stupidi: doveva rallegrarsi e mostrarsi felice, aveva l'occasione di parlare da solo con Karin senza la presenza ingombrante degli altri; gli piaceva parlare con lei, forse perché la sua presenza femminile lo metteva a suo agio, tranquillizzandolo. Era una sorta di Gandalf, in senso buono, s'intende: era capace di trasmetterti serenità solo con lo sguardo, con un semplice accenno di sorriso; ma il suo essere femmina implicava anche un senso di protezione nei suoi confronti: quando la vedeva preoccupata e triste sentiva il bisogno di confortarla, di tenerla al riparo dai cattivi pensieri, di farle scudo per far sì che non soffrisse.

Una cosa che non gli riusciva granché, al momento.

<< Stai bene? >> le chiese, più per smetterla con quei pensieri che altro.

<< Mi spieghi come fai? >> gli domandò, smettendo di passarsi le dita tra i capelli e guardandolo intensamente, gli occhi neri sospettosi: possibile sapesse? << Non so come ci riesci, ma sembri sempre capire meglio di me quando c'è qualcosa che mi turba >> constatò, con una punta di gelosia e di avversione nella voce.

<< Io... bé, non saprei, no >> rispose l'altro, imbarazzato; si arruffò i corti ricci castani, grattandosi poi il mento << Ti dà fastidio? >> chiese, dispiaciuto.

Karin si rimproverò mentalmente: forse non aveva usato il corretto tono di voce. Si crucciò nell'essere stata così villana; dopotutto, lui l'aveva considerata una persona fin da subito.

<< No, perdonami >> disse, addolcendo il tono di voce << Solo che, vedi... non sono abituata a queste attenzioni, a questa amicizia. Almeno, non più >> ammise, alzando le spalle << Ma non è affatto una brutta sensazione, sai! >> gli diede una gomitata scherzosa sul braccio, sorridendo; anche Bilbo lo fece, diventando improvvisamente rosso sulle guance.

Si schiarì la gola << Ti... ti dispiacerebbe se, ecco... insomma, ti... ti abbracciassi? >> domandò, con un filo di voce.

Karin sgranò gli occhi, impreparata ad una proposta del genere: ma gli regalò un grande sorriso sincero, prima di scuotere la testa.

<< Affatto >> disse, allargando le braccia ed avvicinandosi col busto a lui; gli avvolse il collo con le braccia, e gli posò il mento sulla spalla. Poco dopo, sentì le braccia dello hobbit cingerle delicatamente i fianchi, come se avesse paura che, stringendo troppo, si sarebbe offesa. Sorrise ancora, stupendosi di se stessa: ma non poteva farne a meno, Bilbo la metteva di buonumore con la sua semplicità, il suo essere così timido ma determinato e coraggioso al tempo stesso; possedeva una grande forza e molte qualità, che ancora non riusciva a vedere. Ma stava cambiando, lei se ne accorgeva più di tutti: e non poteva che esserne felice.

Rimasero stretti per lunghi minuti, finché il fiato di Bilbo non le solleticò il collo.

<< Non mi hai risposto, però >>.

Karin sospirò, maledicendo bonariamente la sua cocciutaggine Tuc; strinse leggermente la presa sul suo collo, abbracciandolo di più.

<< Dovrei star male? >> gli rispose, enigmatica; poi si sciolse, sentendo delle voci provenienti dalla radura: riconobbe quella di Kili e, poco dopo, lo vide.

<< Eccoli! >> gridò il nano, girandosi verso gli altri per avvertirli; poi li guardò con un sorrisetto furbo sulle labbra, che però non raggiunse gli occhi: quelli, al contrario, lampeggiarono minacciosi << Ma che stavate combinando? >>.

<< Nulla >> rispose lei, alzandosi; indossò il gilè, il mantello e gli stivali, allacciandosi Iris al fianco: quando comparvero tutti – Gandalf compreso – lei era già pronta.

<< Molto bene, ora che abbiamo attraversato la Carroccia e ci siamo rinfrescati, possiamo partire; da questa parte! >>.

<< Ma da chi stiamo andando, di preciso? >> chiese curioso Bilbo, affiancandosi allo stregone. Marciarono attraverso l'alta erba verde, giù per le alte file di alberi.

<< E' una persona veramente eccezionale: si chiama Beorn. E' un mutatore di pelle >>.

Karin incespicò sui suoi piedi, non credendo alle parole di Gandalf: un mutapelle? Vide nella sua mente una serie di immagini alquanto raccapriccianti ma si impose di ricacciarle, disgustata.

Anche Bilbo doveva aver avuto lo stesso pensiero << Co-come scusa? >>.

<< Oh Bilbo, non fare quella faccia! Muta solo la sua pelle, santo cielo: talvolta è un grosso orso nero, talvolta è un uomo forte dai capelli neri con due grosse braccia e una gran barba. Ci sono alcune ipotesi sulla sua discendenza, ma io sono più propenso a credere che sia un discendente dei primi uomini che vivevano in questa parte del mondo, prima che vi giungesse Smaug, e prima che gli orchi arrivassero dal Nord sulle colline. Comunque, non è il tipo a cui far domande >> concluse serio, in tono di ammonimento; anche se continuavano a camminare, i nani avevano affrettato il passo per potergli stare il più vicino possibile, ascoltando ciò che aveva da dire.

<< Vive in un querceto e ha una grande casa di legno; alleva bestiame e cavalli – e spero proprio lì di trovare dei pony – ma non per mangiarli, né cacciarli: vive per lo più di panna e miele. Come orso, invece, vaga di qua e di là >>.

Avanzarono in silenzio ancora per alcune leghe, su per i pendii e giù per le valli. Iniziò a fare un bel po' di caldo e, ben presto, sotto all'umidità creata dalle file di alberi l'aria divenne pesante e densa; i capelli di Karin, asciugatisi in fretta, tornarono mossi ed indomabili, al punto che dovette legarseli frettolosamente in una treccia per non lasciarli crespi.

Dopo varie ore di cammino si riposarono un po' sotto le fronde di un olmo, amareggiati per la mancanza di cibo – soprattutto Bombur che, dalla colazione, non mangiava nulla. Non rimasero per molto, poiché dovevano affrettarsi a proseguire e, armandosi di coraggio e perseveranza, tornarono sotto il sole del pomeriggio; Karin si sentì accaldata, nonostante si fosse tolta sia il mantello sia il gilè, rimanendo in camicia: desiderò un altro corso d'acqua dove potersi immergere e rimanere a galleggiare, piuttosto che camminare ancora, ancora e ancora!

Il pomeriggio era trascorso per metà quando cominciarono a vedersi grandi macchie di fiori dello stesso tipo, come se fossero stati piantati da qualcuno. Erano garofani selvatici, purpurei e bianchi, ed oscillavano pigramente grazie al poco vento; nell'aria, un profumo delizioso veniva trasportato fino a loro, insieme al ronzio di numerose api, piuttosto grandi: Karin si arrestò appena in tempo, spostandosi dalla traiettoria di volo di una di queste. Non osava pensare alla reazione, se l'avesse punta.

<< Ci stiamo avvicinando, manca poco >> rincuorati dalla notizia, la compagnia sembrò rianimarsi, procedendo un po' più spediti.

Dopo un po' arrivarono a una fitta cintura di querce alte ed antiche e, al di là di queste, a un'alta siepe spinosa che sbarrava il cammino, impedendo l'accesso e la vista di ciò che si trovava oltre. Gandalf si fermò, girandosi verso i nani e lo hobbit.

<< Ora ascoltatemi, tutti voi! Dovete essere il più educati possibile, quando vi presenterò; lo farò a due per volta, e non dovete assolutamente seccarlo! E' alquanto irascibile quando è in collera, e molto gentile quando è di buon umore, perciò... state ben attenti, mi raccomando! Per ora aspetterete qui, comincerete a seguirmi quando vi chiamerò con un fischio, o a voce; passerete da dove sono passato io, ma solo a coppie, e a circa cinque minuti una dall'altra. Bombur farà per due, venendo per ultimo. Anzi >> posò lo sguardo sulla compagnia, cercando dei familiari occhi neri << Temo dovrai perdonarmi, Karin: intendo servirmi della tua femminilità per rabbonire del tutto Beorn, anche se ho ragione di supporre che non sarà necessario. Pertanto ti chiedo di giungere per ultima, e da sola, appena dopo Bombur >>.

<< Ma perché non possiamo andare insieme? Non voglio essere lasciato indietro! >> chiese il nano in questione.

<< Te l'ha spiegato, mi pare >> esclamò Bofur, mentre Kili annuiva, già ridendo a crepapelle << sei grasso, e tanto basta! >> concluse, scoppiando a ridere con i nani più giovani; ma persino gli altri si lasciarono scappare un sorrisetto.

<< Non preoccuparti, Bombur, non sarai l'ultimo: ti seguirò >> aggiunse Karin, cercando di superare il frastuono che già si era creato nel gruppo. Il nano la guardò speranzoso, per poi dilungarsi in un sacco di ringraziamenti.

<< Eccellente! >> esclamò soddisfatto Gandalf, portandosi una mano al fianco << Su, andiamo, Bilbo! Per di qua ci dovrebbe essere un cancello >>.

Si incamminò verso la siepe, inoltrandosi e sparendo alla loro vista, seguito da uno spaventato hobbit.

Nel frattempo, Bofur e Bombur – che avevano iniziato un'altra discussione – vennero calmati da uno scontroso Thorin, al limite della pazienza: e proprio in un momento tanto delicato nel quale avrebbe dovuto trovarne molta, se voleva che quella parte di missione avesse buon esito.

Fece un cenno perché tutti si avvicinassero, dando loro le ultime raccomandazioni << Dividiamoci già a coppie, così non perderemo altro tempo una volta che verremo chiamati: i primi saremo Balin e io, dopodiché verranno Nori e Ori, Dori e Dwalin, Fili e Kili, Oin e Gloin, Bifur e Bofur; infine, Bombur e Karin >>.

Al sentirsi presa in causa girò la testa, incrociando lo sguardo penetrante di Thorin: lo distolse immediatamente, sentendo le guance colorarsi un po' di rosa; si morse il labbro, dandosi dell'idiota: perché mai doveva arrossire come una ragazzina? Non era né la prima volta né era accaduto qualcosa, quindi perché preoccuparsi? Perché stare male inutilmente? Aveva quasi commesso un errore madornale, lasciandosi andare; aveva abbassato le difese, e ciò non andava bene!

Relegò in un angolo remoto di sé la parte che la contraddiceva in quel discorso freddo, ricordandole a chiare parole che ieri sera, invece, non l'aveva pensata in quel modo: e nemmeno la mattina seguente, quando aveva aperto gli occhi e realizzato che, in realtà, non era successo nulla. Anche se l'aveva desiderato.

Si appoggiò alla corteccia di un albero, le mani dietro la schiena a contatto con la ruvidità del tronco; aspettò più o meno tranquilla, mentre Thorin non faceva che camminare avanti e indietro, nervoso: probabilmente lo disturbava il fatto che avrebbe dovuto dimostrarsi gentile quando, in realtà, non ne aveva alcuna voglia.

Smise di guardarlo quando sentì un fischio nell'aria: era il segnale di Gandalf. Lanciando un'ultima occhiata di ammonimento al gruppo, Thorin partì, affiancandosi a Balin. Ben presto sparirono anche loro e, sentendo due fruscii alle sue spalle, Karin intravvide due figure familiari avvicinarsi: Kili e Fili l'avevano raggiunta, un sorrisetto furbo e sospetto sulle labbra; non era decisamente un buon segno.


Thorin procedeva in un cupo silenzio mentre passavano l'alta siepe verde, inoltrandosi tra i prati; osservandolo di sottecchi, il vecchio nano poté vedere il tumulto interiore che lo dilaniava, mettendolo in perenne conflitto con se stesso, specie da quando avevano iniziato la loro avventura. Specie da quando era arrivata Karin.

Non gli era sfuggito il malumore della ragazza quando si erano svegliati, né quello del re: quindi, a rigor di logica, doveva essere accaduto qualcosa.

Era piuttosto certo che anche gli altri l'avessero intuito, dato l'assembramento che si era creato prima della partenza; in più, tutti avevano rivolto lo stesso sguardo a Karin, ignara di ogni cosa e persa nei suoi pensieri.

Thorin, d'altro canto, dopo aver fallito con la caccia nel bosco era tornato più furente che mai, lamentandosene con Dwalin: non gli aveva raccontato nulla della causa del turbamento, ma Balin era abbastanza vecchio e saggio da comprenderla. Non che ci volesse un particolare intelletto, dopotutto; quando si trattava di capire cosa infastidiva Thorin, le risposte salivano da sole: Smaug e Karin. E, visto che al drago non pensava più tanto spesso, rimaneva solo l'altra opzione.

<< Mi domando come sia questo Beorn >> commentò, tanto per dire qualcosa.

Thorin mugugnò qualcosa che Balin non comprese; il vecchio nano continuò << E' una vera fortuna averlo trovato: sono certo che Gandalf troverà il modo di rabbonirlo, portandolo dalla nostra parte. Tu che ne pensi, ragazzo? >>.

Non ricevette alcuna risposa.

<< Thorin >> gli pose una mano sul braccio, ottenendo la sua attenzione: il re si riscosse, gli occhi azzurri seri si rasserenarono un attimo.

<< Perdonami, amico mio: ma non credo d'essere di grande compagnia, oggi >>.

<< Non vuoi proprio affrontare l'argomento >> più che una domanda era una vera constatazione, alla quale Thorin rispose incupendosi di più.

Balin dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo e dilungarsi in una ramanzina che l'avrebbe fatto parlare, eccome se l'avrebbe fatto!

Lo costrinse a fermarsi, agguantandolo per un braccio prima che potesse sfuggirgli << Dovrai discuterne, prima o poi! Sono stanco di vederti affannarti e distruggerti: devi sfogarti, parlarne con qualcuno! >>.

<< No, Balin; non c'è nulla da dire! >> replicò piccato il re, punto sul vivo.

<< Non essere così testardo, per Durin! Soffri peggio di un animale ferito e prossimo alla morte: se ne stanno accorgendo tutti, e questo non è un bene per la missione, né per la compagnia >>.

Thorin non disse nulla, contraendo la mascella. Gli occhi chiari si spostarono irrequieti ovunque, tranne che sul volto del parente: detestava quando gli facevano il terzo grado, specie se consisteva nel mettere a nudo i sentimenti e i pensieri che rimuginavano nella mente.

<< Faremo tardi >> disse asciutto; si liberò dalla presa ferrea del nano, avanzando con passi pesanti e sofferti.

Balin lo seguì, senza smettere di provare nel suo intento << Mi chiedo per quale motivo tu e Karin siate così cocciuti! >> esclamò, fintamente esasperato; ottenne l'effetto voluto anche se, dentro di sé, chiese a Thorin di perdonarlo.

Il re si bloccò, così che l'altro potesse raggiungerlo: cercò di non far caso ai pugni contratti, né alle spalle scosse da leggeri tremiti; lo guardò con un'occhiata dura e furiosa, che mai gli aveva rivolto in tutti quegli anni. Era proprio vero quello che dicevano: l'amore ti cambiava. Sapeva renderti felice come non mai, ma sapeva anche devastarti tanto profondamente da lasciarti un solco profondo. Ed un cuore spezzato.

<< Thorin >>.

<< Non credo di farcela >> esalò il re a voce bassa, interrompendo qualunque frase stesse per dire l'altro << Il vederla ogni giorno, sentirla anche quando non parla è... rivivere ogni cosa >> lo guardò con una tale disperazione che a Balin si contrasse lo stomaco; le difese di Thorin stavano crollando, cedendo sotto al peso dei sentimenti. Sapeva che prima o poi sarebbe successo.

Thorin si passò una mano sul volto, sfregandosi poi la fronte: stava cercando di riacquistare il controllo dovuto a quell'unico attimo di debolezza. Ma gli risultò più complicato del previsto.

<< Ragazzo, credo che dobbiate parlarne tra voi, avere una conversazione per lo meno civile >>.

Il re si lasciò scappare una breve risata amara << Impossibile >>.

<< Ma siete entrambi adulti! Voi >> venne zittito da un gesto.

<< Balin, ti dico che è impossibile: ieri sera abbiamo avuto una conversazione “civile”, come l'hai chiamata tu... ma ci siamo ritrovati ad andare quasi oltre. E non deve accadere >> disse duramente, parlando più a se stesso che a lui, come se cercasse di convincersi che era un'idea folle e totalmente errata.

Balin interpretò quel “andare quasi oltre” di Thorin, non credendo alle sue orecchie: ecco cos'era accaduto di tanto sconvolgente! Probabilmente avevano accantonato per pochi secondi i loro pregiudizi e il loro rancore, lasciando spazio a quel dolce sentimento che mai li aveva abbandonati e che risultava più forte che mai nonostante le avversità in cui erano incappati. Provò un'improvvisa tristezza per la loro sorte infausta, per la loro felicità mancata; ma, forse, avrebbe potuto tentare di aiutarli a riavvicinarsi, in qualche modo. Se lo meritavano entrambi.

<< Io invece penso che non sarebbe una cattiva idea >> affermò con un leggero sorriso, mentre Thorin assottigliava lo sguardo, credendo d'aver sentito male.

<< Ho notato come soffrivate, stamattina; non riuscivate nemmeno a guardarvi. Se provaste ad andare avanti, forse >>.

Di nuovo, sulle labbra di Thorin comparve quel sorriso mesto << E' la stessa cosa che mi ha detto lei. Ma se anche lo facessimo, come potremmo andare avanti? Aleggerebbero gli stessi sentimenti negativi che ci pervadono ora, e finiremmo col farci ancora più male >>.

<< Proprio per questo dovete chiarirvi. E' l'unica soluzione per vivere in pace; non solo per te, ma anche per Karin: ha dovuto combattere i preconcetti dell'intera compagnia, e solo dopo aver dimostrato il suo enorme coraggio salvandoti sta trovando il suo posto tra noi. Non è abbastanza? Quanto vuoi ancora umiliarla, comportandoti freddamente e con distacco come fosse una reietta? >>.

<< Vedo che è riuscita ad abbindolare anche te >> sbottò l'altro, incrociando le braccia al petto.

<< Sai perfettamente che non ne ha mai avuto bisogno: ero amico di suo padre, e l'ho vista crescere. Con te, tra le grandi sale di Erebor: hai forse dimenticato il suo sguardo quando ti osservava? O il tuo quando la guardavi? >>.

<< No >> mormorò stancamente Thorin, con gli occhi che andavano appannandosi, persi nei ricordi.

<< Vi conosco meglio di quanto pensiate, ed i miei consigli servono unicamente per aiutarvi a trovare quella riconciliazione che bramate più di ogni altra cosa: persino dell'oro di Erebor >> si fermò, lasciando che le parole giungessero al cuore del giovane; e quelle si impressero, facendo sospirare Thorin, che non trovò nulla con cui ribattere. Si sentiva devastato e stanco: desiderava allontanarsi da lì e rimanere solo, a crogiolarsi nella commiserazione; d'altra parte, invece, avrebbe dato qualsiasi cosa per togliersi quei pensieri che gli appartenevano poco! Doveva allontanare Karin dal suo cuore e dalla sua mente: non considerarla più così importante.

Aveva svolto egregiamente quel compito per lunghi anni, ce l'avrebbe fatta anche adesso: cosa importava, in fondo, averla accanto ogni minuto, ogni ora, ogni giorno? Era stata al suo fianco durante l'esilio tormentandolo con la sua voce, i suoi gesti, i suoi sorrisi, le sue occhiate impaurite e terrorizzate, piene d'odio e disprezzo.

Ma l'averla fisicamente vicino era tutt'altra faccenda. Lo sapeva bene. Come lo sapeva lei, abile tentatrice; le era bastato un sorriso, un brillio diverso negli occhi che tanto lo affascinavano, un minimo segno di ribellione ai suoi ordini, e si era ritrovato ad un niente dal suo volto, desideroso di colmare quella breve – ma grande, e troppa – distanza con un bacio voluttuoso e nostalgico insieme. Lei, che mai si era intimorita di fronte al suo orgoglio, che mai era riuscito a domare: era stata sua, concedendogli il suo cuore.

Gli aveva donato un'illusione, una bugia.

Sentì una gran rabbia montargli in petto – come ogni qual volta ci rifletteva – ma, anche, una grande delusione e amarezza. Il suo fidarsi l'aveva portato a perdere la persona che più significava per lui, lasciandogli un vuoto incolmabile. Non l'avrebbe mai ammesso a voce alta, ma era così, era un qualcosa che non poteva cancellare. Non voleva farlo. Dimenticare? No, avrebbe conservato ogni ricordo: per rammentarsi che, oltre al dolore e alla colpa, aveva conosciuto anche l'amore vero, profondo e sconvolgente. Lui, Thorin Scudodiquercia, l'inflessibile e freddo Re sotto la Montagna aveva amato. Tanto, troppo. E ne aveva pagato le conseguenze.

Un lungo fischio seguito da un richiamo lo riscosse: Gandalf li stava aspettando, e non era un bene attardarsi oltre.

Tornò lucido, tornò il Re che era sempre stato. Senza aggiungere una parola si incamminò, venendo affiancato da Balin; seguirono il sentiero del giardino e raggiunsero l'abitazione di Beorn, trovandoli seduti sulla veranda. Non colse l'occhiata di profondo ammonimento che lo stregone rivolse loro per il ritardo, ma si scusò con il padrone di casa, presentandosi ed offrendogli i suoi servizi in modo impeccabile.

Nessuno si accorse del profondo turbamento che lo divorava interiormente, uccidendolo.



Karin ripose la pipa tra le tasche del mantello, dopo aver contato cinque lunghi minuti dalla partenza di Bombur; seguì il medesimo sentiero che aveva percorso il resto della compagnia, agitando le mani davanti al volto per scacciare gli insetti che le ronzavano attorno. Arrivò presso un alto cancello di legno, distinguendo dei verdi ed estesi giardini e basse costruzioni di legno, fatte con tronchi e ricoperte di paglia sul tetto. Dovevano essere granai e stalle, ma credette anche di riconoscere la casa del loro alleato: era larga e bassa, anch'essa di legno. Passò accanto ad una fila di arnie con il tetto di paglia a forma di campana, il più velocemente possibile: era irrequieta nel vederle volare addosso quegli sciami di api grosse quanto il suo pollice! Oltrepassò un cancello aperto – lasciato così dagli altri, di certo – e scese per un largo viottolo verso la casa. Raggiunse il cortile, formato per tre quarti dalle lunghe ali della casa di legno e si arrestò nel riconoscere un grande tronco di quercia, piantato proprio nel mezzo: lo guardò ammirata, ma poi l'attenzione le si spostò poco più in là, dove vide un cane grigio alto e slanciato; le andò incontro guardingo, con il muso basso. Le annusò le gambe e l'orlo del mantello, dopodiché iniziò a scodinzolare felice, la lingua rosa a penzoloni; allungò una mano a grattargli il capo, e dietro le orecchie: quello, ormai euforico, agitò di più la coda abbaiando entusiasta. Poi si liberò dalle sue carezze, trotterellando verso l'interno della casa; sulla soglia si fermò, girandosi a guardarla ed abbaiando ancora per incitarla a seguirlo. Karin lo fece, seguendolo in una grande sala con un camino al centro. Benché ormai fosse estate – il caldo torrido nella foresta ne era la prova – il fuoco ardeva ed il fumo si innalzava verso l'alto, dove si trovava un foro nel tetto. La oltrepassarono, procedendo al di là di una porta più piccola, che conduceva ad una veranda sorretta da pilastri di legno fatti di tronchi; era esposta a sud, inondata dalla luce del sole che ormai tramontava e che ricadeva dorata sugli altri e sul giardino pieno di fiori.

Il cane se andò, sfiorandole le gambe; gli diede un'ultima occhiata, per poi muovere qualche passo verso il padrone di casa, seduto accanto a Gandalf: era l'uomo più alto e possente che avesse mai visto, dalla fitta barba nera, i capelli dello stesso colore, dalle grosse braccia e gambe nude con muscoli nodosi. Indossava una tunica di lana che gli arrivava alle ginocchia e, accanto, teneva un'enorme ascia.

<< Ma che genere di stregoneria è questa, mi domando? >> tuonò, rivolto a Gandalf << Mi avevi detto che c'erano solo nani, in questa compagnia! >>.

<< Karin, al vostro servizio >> disse lei, chinandosi più di quanto avesse voluto, vista la frase che le scappò dalla bocca << e sono una nana >>.

Lo guardò negli occhi con un'espressione di sfida, ma ricordò le raccomandazioni dello stregone e di Thorin, perciò si affrettò ad abbassare lo sguardo e a correggere il tono di voce, troppo impertinente.

<< signore >>.

Beorn si grattò la barba, pensieroso e scettico su quanto aveva udito << Avevo sempre saputo che le femmine di nano avessero la barba! >>.

<< Avete ragione, signore: ma vi è anche sangue di hobbit, in me. Per questo non posseggo ciò che avete detto >> buffo come, in una tale situazione, le tornassero alla mente le vecchie lezioni di etichetta che suo padre le aveva imposto fin da piccola.

<< Parola mia, questa è la prima che sento! Sangue di hobbit, eh? E io che ti avevo scambiata per un'umana piuttosto piccola! Ma, in effetti, nei tuoi tratti si riconoscono quelli di nano: quindi, a quale razza senti di appartenere di più? >> le chiese, improvvisamente curioso. Gli occhi neri scintillarono nello squadrarla, tanto che Karin fu percorsa da un brivido inquietante. Ma non lo diede a vedere, rispondendo fiera ed orgogliosa, ma anche sofferente nella sua profondità.

<< Nana. Senza alcun dubbio >> non posò lo sguardo su nessuno degli altri, ma poteva percepirne le occhiate: soprattutto quella di Thorin, che la guardò con una tale intensità da penetrarle l'anima. Se avesse risposto così in un'altra occasione, probabilmente avrebbero iniziato a discutere: certo, non poteva cambiare quel che era, ma rimaneva sempre e comunque la nana che aveva tradito il suo stesso popolo.

Beorn parve soddisfatto, anche se la ragazza poté leggergli sul volto un'espressione stupefatta, come se avesse avuto un'illuminazione. Ma di cosa si trattasse non l'avrebbe saputo dire.

<< Ebbene >> tuonò poco dopo << continua pure con il racconto, Gandalf >>.

E lo stregone lo esaudì, spiegandogli le ultime peripezie con Azog e il salvataggio delle Aquile, fino all'attraversamento della Carroccia.

Il sole era tramontato dietro le vette delle Montagne Nebbiose e le ombre erano lunghe quando terminò di parlare; solo allora Beorn si alzò, sfregandosi le grandi mani, compiaciuto.

<< Una storia magnifica, per essere stata raccontata da mendicanti! Potreste esservela inventata – e di ciò m'informerò, badate! - ma meritate comunque una bella cena! >>.

Lo ringraziarono, seguendolo nella grande sala buia: ad un suo battito di mani, quattro pony bianchi ed alcuni cani – tra cui quello che l'aveva accompagnata – entrarono, reggendo in bocca alcune torce, che accesero sul fuoco e posizionarono a dei sostegni bassi. Poi vennero delle pecore bianche e un grosso montone nero, portando la tovaglia, dei vassoi con piatti da portata, coltelli e cucchiai di legno, disponendoli sulle tavole.

In mezzo a quell'andirivieni di animali affaccendati, la compagnia era rimasta in disparte e muta, assorbita e meravigliata da quegli animali docili ed ubbidienti. Erano talmente presi che non si accorsero di Beorn che, furtivo, si abbassò e bisbigliò qualcosa nell'orecchio di Karin; ella lo guardò con sospetto, assottigliando gli occhi, ma annuì per fargli capire che era d'accordo. Poi volse la testa altrove, inquieta.

Una volta che tutto fu pronto, Beorn fece gli onori di casa, facendo accomodare gli ospiti su tronchetti di legno piallati e lucidati, bassi abbastanza perché potessero raggiungere comodamente la tavola, anch'essa bassa.

Mangiarono così tanto che temettero di scoppiare, poiché non gustavano un vero banchetto da Gran Burrone; inoltre, Beorn li intrattenne con storie sulle Terre Selvagge - che si estendevano ai piedi delle montagne – ma soprattutto parlò del bosco scuro e pericoloso che si estendeva per molte miglia da nord a sud, a nemmeno un giorno di cammino da lì: Bosco Atro.

Mentre raccontava, lo sguardo gli cadde sovente su Karin: aveva mangiato poco niente, lo stomaco aggrovigliato in una morsa; e, quando aveva sentito nominare quel luogo, aveva stretto le mani a pugno, iniziando a tremare di rabbia e paura.

Thorin, invece, aveva evitato di guardarla, stringendo il cucchiaio con tale forza che l'avrebbe spezzato, se Dwalin non gli avesse tirato una leggera gomitata. Allora l'aveva posato, senza smettere d'incenerire con lo sguardo qualsiasi cosa, roso dal risentimento. Sapeva bene che non vi era scelta, e che avrebbero dovuto avventurarsi in quel maledetto posto: ma non poteva impedirsi d'odiarlo con tutta la sua anima.

Dopo cena fu il loro turno di raccontare storie, seduti attorno alla tavola e con un boccale pieno d'idromele in mano: era dolce e liquoroso, dal colorito giallognolo. Karin arricciò il naso dopo il primo sorso, ma non smise di berlo; le annebbiò la mente, ma ne fu felice. Era un momento perfetto per dimenticare, e lei voleva farlo, specie dopo la notizia di Bosco Atro. Ma doveva rimanere il più lucida possibile, per scoprire quali erano le intenzioni di Beorn.

Dopo un po' vide la testa di Bilbo ciondolargli per il sonno ed i nani iniziarono a cantare, seduti sul pavimento attorno al fuoco; il padrone di casa, prima appoggiato con un gomito ad una scultura di legno raffigurante un orso - addossata alla parete - se n'era andato. Fu facile, perciò, sgattaiolare fuori senza essere né vista né sentita: ringraziò la sua natura hobbit, per questo.

Tornò in veranda, dove Beorn la stava già aspettando: al contrario dei compagni quello si accorse subito della sua presenza, girandosi a guardarla con lo stesso sguardo di prima.

<< Non avrei mai pensato che ci saremmo incontrati >> esordì, abbandonando l'ilarità che aveva ostentato prima: forse, pensò lei con una nota di panico, era questo il suo vero volto. Serio e spaventoso.

<< Come mi conosci? Non ci siamo mai visti prima >> commentò lei, guardinga, abbandonando ogni formalismo: sapeva solo che non le piaceva quella conversazione. Non la convinceva.

Beorn fece un sorrisetto di fronte alla sua preoccupazione << Tutti ti conoscono da queste parti, uccellino >>.

Karin si irrigidì, l'aria le mancò, bloccandole il fiato: gli occhi le si spalancarono, la bocca le si dischiuse. Dovette inspirare per ben due volte prima che la voce le tornasse << Come mi hai chiamata? >> domandò, la voce ridotta ad un sussurro; se voleva dargli l'impressione di non sapere nulla, bé... aveva completamente fallito.

Lui, per tutta risposta, incrociò le braccia al petto e tornò serio << Hai capito benissimo: o devo forse ripetertelo? >>.

<< No >> ribatté lei, assottigliando lo sguardo << Sei amico degli elfi? >> chiese, la voce traboccante d'odio.

Beorn scosse la testa << Di amicizia non posso parlare ma, essendo confinanti, li vedo girovagare; e quando sono in forma d'orso li sento parlare tra loro anche se sono lontani. Per questo ti conosco, perché parlarono molto di te, anni addietro. Non dev'essere stata una bella esperienza >> commentò, reputando interessante la colonna di legno che gli stava a sinistra.

Karin tentò di deglutire, non trovando la saliva: aveva la gola secca, ed un improvviso prurito nervoso le pervase le braccia; inconsciamente, portò le mani agli arti, in una sorta di abbraccio che di confortante aveva poco.

<< Cosa vuoi da me? >> la domanda risultò tremante e patetica; della Karin forte ed orgogliosa non era rimasto nulla.

<< Niente; volevo solo conoscere l'uccellino di Bosco Atro >>.

<< Smettila di chiamarmi così! >> sibilò lei, muovendo un passo in avanti; ora la furia tornava a montare prepotente, ma Beorn non si scompose.

<< Dovrai prepararti, invece: non riuscirai a sfuggirgli, quelli sanno sempre tutto. Non appena metterete piede nella foresta sapranno già quanti siete, dove andate, perché lo fate ma, soprattutto, chi fa parte del gruppo. A meno che... >>.

<< A meno che cosa? >> sbottò impaziente e stanca.

<< Lo riporterò anche al tuo re, ma è bene che te lo dica già da subito: dovrete sempre seguire il sentiero, mai allontanarvi da esso! Mi hai capito, vero? >>.

<< Certo. Ma non capisco come il seguire il sentiero possa impedire a loro di vederci >>.

L'omone scosse le spalle << Non saranno solo gli elfi il vostro problema, se non ascoltate il mio consiglio >> rispose di fronte alla sua perplessità, enigmatico.

<< Bene, allora è meglio che te ne vada a letto; tra poco mi trasformerò, e non voglio impicci tra i piedi >> le girò le spalle e fece per allontanarsi, ma venne fermato da Karin.

<< Questa conversazione non dovrà mai trapelare; gli altri non devono sapere >>.

Beorn si girò, guardandola << Perché mai dovrei dir loro qualcosa? Non mi interessa minimamente! Buonanotte! >>.

E se ne andò nell'oscurità. Per un folle attimo, a Karin parve di riconoscere nel vento una melodia ben familiare, una filastrocca che le serrò il cuore e le contrasse i pugni.



La mattina dopo un'abbondante colazione li accolse ed essi, felici, si abbuffarono e riempirono i fagotti capendo che, nella foresta, non avrebbero trovato tanto cibo come quello. Beorn rientrò poco dopo, gioviale nell'aver appurato che la loro storia era vera e non lo avevano ingannato.

Gandalf gli raccontò l'intera vicenda, poiché ora era loro amico, e potevano fidarsi; l'unica irrequieta era Karin, constatò Bilbo: aveva mangiato perché costretta, ma senza appetito. Faceva vagare lo sguardo in ogni dove, nervosa: sobbalzò quando le augurò un buon giorno, dato che si era svegliato tardi; a giudicare dalle occhiaie scure che le cerchiavano gli occhi, invece, lei non aveva dormito affatto.

Si ripromise di parlarle per bene per capire il suo turbamento, ma dubitava che gli avrebbe raccontato la verità, e di questo se ne dispiacque: era ancora così restia ad aprirsi! Ciò che non riuscì a comprendere era perché si comportasse così: avevano trovato riparo da un alleato, non c'era nessun nemico da combattere, non stavano scappando, avevano mangiato abbondantemente e dormito tranquilli. Eppure lei era l'unica ad estraniarsi da tutto, ad essere mogia e preoccupata. Persino Thorin, dopo una notte ristoratrice, sembrava più sereno!

Cercò di rivolgerle il più rassicurante dei sorrisi, al quale lei ricambiò con un lieve accenno, una smorfia debole e poco convincente.

Poco dopo mezzogiorno mangiarono con Beorn per l'ultima volta, con Thorin che si sedette alla sua destra; dopodiché li condusse fuori, dove trovarono un pony ciascuno, già sellato e pronto. Mancavano solo le provviste, sufficienti per molte settimane e imballate con cura così da poter essere trasportate con facilità: mentre si affaccendavano a distribuirsi i vari pacchi tra loro, Beorn li avvisò su ciò che avrebbero trovato.

<< Troverete acqua a sufficienza da questa parte della foresta ma, una volta a Bosco Atro, sarà difficile anche procurarsi del cibo! Le noci non sono ancora pronte, e sono l'unica cosa commestibile: il resto è selvaggio, feroce e strano. Vi darò archi e frecce, anche se dubito che riuscirete a usarli. Inoltre, so che c'è un corso d'acqua, nero e turbinoso, che attraversa il sentiero: non dovete berci né bagnarvici, perché le sue acque sono magiche e danno sonnolenza ed oblio. Per cui MAI, e ripeto mai, allontanarvi dal sentiero. Girano strane creature, laggiù >>.

Più che confortarlo, Bilbo si ritrovò a tremare impercettibilmente a tutti quegli ammonimenti sinistri: era davvero così spaventosa quella foresta? Forse era il motivo dell'inquietudine di Karin, si ritrovò a pensare: in fondo, il suo esilio l'aveva portata a viaggiare in ogni dove. Che fosse passata anche per Bosco Atro?

<< Che la fortuna vi assista! E se mai dovreste ripassare per di qua, sarete più che benvenuti: ognuno di voi >> li guardò tutti, soffermandosi anche su Karin; si scambiarono uno sguardo strano, convenne lo hobbit. Ma non vi badò molto: anzi, i suoi occhi lo portarono verso Thorin, che guardava i due con un'espressione truce; si avvicinò a Beorn, gli occhi glaciali.

<< Ti ringrazio a nome della Compagnia per la tua ospitalità, e per l'aiuto che ci hai dato. Possa la fortuna assistere anche te >> disse, con tono regale; nonostante l'evidente dislivello d'altezza – Beorn era addirittura più alto di Gandalf – Thorin sembrò innalzarsi, e divenire grande ai loro occhi. Trasmetteva una forza ed un'alterigia notevoli, da vero sovrano.

Beorn fece un lieve cenno col capo; Thorin montò per primo sul suo pony, venendo seguito da tutti gli altri, che ringraziarono il mutapelle per l'ultima volta.

Poi fecero girare i loro destrieri e lasciarono alle spalle la casa di legno e le sue arnie, volgendo verso nord e poi a nord-est, proseguendo nella loro avventura.



Seguirono il consiglio di Beorn, cavalcando in silenzio e verso la roccaforte degli orchi, a nord; non si sarebbero mai aspettati tale scelta, ed avrebbero perso tempo a cercarli in altre zone. Ma quando la linea del fiume si avvicinò, e misero una buona distanza con le vette scure e minacciose delle montagne, i soliti ripresero a chiacchierare spensierati.

Cavalcarono tutta la giornata, fermandosi solo quando necessario: il tramonto inondò il verde paesaggio di un rosso vivo e finalmente si fermarono, scendendo doloranti dalle selle.

<< Splendido! >> commentò estasiato Ori, mentre volgeva lo sguardo al sole infuocato.

Bilbo si disse d'accordo, annuendo; slacciò il pacco che portava appresso, tirandone fuori delle gallette: a detta di Beorn, ne bastava una piccola quantità per rifocillarli, ed era curioso di verificarlo.

Non accesero il fuoco, per prudenza: erano ancora troppo vicini alle montagne e, finché non si fossero inoltrati nelle foresta, non serviva correre inutili rischi.

<< Sapete >> commentò Bofur dopo un po', la bocca piena di cibo << non è male questa roba! >>.

<< Non ne vado matto >> replicò Dori, guardando la sua con sospetto; molti annuirono, e perfino Thorin si disse d'accordo.

<< Tu non mangi, Karin? >> chiese curioso Kili, con un tono di voce leggermente alto che fece trasalire non solo lei, ma anche gli altri.

La ragazza sembrò riscuotersi, e sbatté le palpebre << Io non... >>.

<< Mangia >> le ordinò asciutto il re << devi essere in forze: non voglio pesi inutili appresso >>.

Il suo tono non avrebbe tollerato repliche di alcun genere: non che lei ne avesse. Era solo stanca, ed aveva bisogno di stare da sola con i suoi pensieri.

Si costrinse a masticarla e ingoiarla, sotto lo sguardo di tutti: ma lei non aveva occhi che per Thorin. Dunque era così che l'avrebbe trattata: se lo immaginava, dopotutto. Bene, lei l'avrebbe lasciato fare: ora aveva altre cose di cui preoccuparsi, non certo dei suoi costanti sbalzi d'umore!

Che continuasse pure a combattere con i sentimenti contrastanti, quel cocciuto!

Deglutì l'ultimo boccone allungando un braccio verso Bilbo, la mano tesa.

<< Bilbo, saresti così gentile da passarmene un'altra? Improvvisamente la fame mi è tornata >> replicò ironica, abbozzando un sorriso di sfida verso il re: lui la freddò con un'occhiata, incrociando le braccia al petto. Non commentò, guardandola solamente mentre terminava la seconda galletta, per poi ordinare bruscamente che Oin e Dwalin avrebbero fatto il primo turno di guardia.

Andò a coricarsi prima di tutti, furente per quell'ennesimo affronto, mentre il resto rimase ancora sveglio per un po'; poi, dopo uno sbadiglio particolarmente grande di Bombur, decisero di andare a riposarsi.

Dormirono male, sognando ululati di lupi che davano loro la caccia e grida di orchi, che li scossero nel profondo.



Al quanto giorno di cavalcata iniziarono ad intravvedere la foresta, un muro nero e minaccioso innanzi a loro. Il terreno cominciò a salire, gli uccelli – che li avevano allietati coi loro gorgheggi - non cantarono più; i cervi erano spariti, così come i conigli selvatici che, invece, in quei giorni li avevano accompagnati.

Verso il pomeriggio raggiunsero i primi alberi estremi del Bosco, e si riposarono sotto le fronde. Avevano tronchi forti e nodosi, rami contorti e foglie lunghe e scure: l'edera cresceva su di essi e strisciava al suolo, confondendosi con l'erba sulla quale erano seduti.

<< Questo è Bosco Atro, la foresta più estesa del mondo settentrionale >> disse Gandalf, accendendosi la pipa << Ora dovete rimandare indietro i pony, come d'accordo >>.

Alle leggere proteste dei nani rispose che erano pazzi << Beorn ci ha sempre seguiti, ogni notte: tiene a quegli animali come figli e, ora che è nostro alleato, è bene rispettare i patti >>.

<< Ed è esattamente ciò che faremo >> rispose Thorin, volgendo una torva occhiata ai nani, di rimprovero << non è mai stata mia intenzione rimangiare la parola data >>.

Gandalf ridacchiò, vedendo che Thorin era riuscito a far vergognare i compagni del loro comportamento.

<< E il cavallo? Non hai parlato di lui, mi pare >>.

<< Infatti, no; sarò io stesso a riportare gli animali, mentre voi proseguirete il viaggio >>.

Bilbo protestò forte, e così fecero gli altri: capirono che per lo stregone era giunto il momento d'andare.

<< Forza, di questo ne abbiamo già parlato! Ho degli affari da sbrigare a sud, e sono già in ritardo; ma ci rincontreremo presto, non temete! Non fare quella faccia, Bilbo Baggins! Pensate al tesoro che vi spetta una volta giunti a Erebor, su! >>.

Questo smorzò le parole, lasciandoli amareggiati e sconsolati. Scaricarono i pony e si distribuirono i pacchi, assicurandoli alle schiene.

<< Accidenti, se pesa! >> si lamentò lo hobbit, con una smorfia in volto.

<< Presto diventerà sempre più leggero. E quando avverrà, desidereremo averlo più pesante >> commentò Thorin.

<< Bene, addio! Adesso la vostra strada va dritta attraverso la foresta; e ricordate ciò che vi è stato raccomandato: non lasciate la pista! Se lo fate, c'è una possibilità su mille di ritrovarla, o di uscire dal bosco. E allora non credo che nessuno potrà mai rivedervi! >>.

Girò il cavallo e si allontanò al galoppo, verso occidente, sparendo alla loro vista.

I nani non l'avrebbero mai ammesso a voce alta, ma erano pieni di sgomento all'idea che Gandalf li avesse abbandonati; come richiamati da una forza misteriosa ed ammaliatrice, tutti si girarono verso i fitti alberi verdi e scuri, guardandoli con preoccupazione crescente: cominciava la parte più pericolosa del viaggio, ne erano consapevoli.

Si assicurarono meglio alle spalle i loro fardelli e gli otri d'acqua, riempiti poco prima grazie ad un ruscelletto; volsero la schiena alla luce che inondava le terre ad ovest, tuffandosi nella foresta.





CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Salve a tutti, rieccomi con l'ottavo capitolo :) spero vi sia piaciuto! Come l'avete trovato in generale? Avete apprezzato il dialogo Beorn/Karin? E quello Thorin/Balin?

Probabilmente, nel leggerlo, alcuni di voi avranno pensato: “mamma mia, qui Thorin è proprio OOC, si è rammollito di brutto!”

Ma, vedete... Thorin ha amato veramente Karin, è stato il suo unico amore e, nonostante ciò che hanno passato, non riesce a dimenticarlo nemmeno a distanza di anni: sono così diversi ma simili nel carattere (penso l'abbiate notato ;) ), eppure si completano, dandosi forza a vicenda. Lui non lo ammetterebbe mai a voce alta, come avete potuto leggere, nonostante provi questi sentimenti fortissimi e ne soffra, perché sempre in contrasto: da un lato lei, dall'altro la rabbia per le sue azioni; solo con Balin ha ceduto per un attimo, confessandogli di non farcela a rimanere impassibile e pieno d'odio, ma lo vorrebbe col cuore: perché è convinto di avere ragione, perché è testardo come un mulo, perché è semplicemente Thorin, con i suoi mille difetti ed il peggior carattere del mondo quando si parla di orgoglio ferito e fiducia persa. Sono le persone che ti fanno soffrire che sono più difficili da dimenticare, e per lui è così: fatica a dimenticare ciò che Karin ha rappresentato, e patisce le pene dell'inferno.

In sostanza, ciò che voglio dire è che: anche i nani cazzuti hanno un cuore e soffrono!

Di sicuro a nessuno è passato per il cervello di pensarlo OOC, e sono solo io a farmi 'ste paranoie XD XD: però avevo bisogno di spiegarvi come la pensassi, e sono certa che abbiate capito :D

In pratica, vi ho spoilerato ciò che prova il nostro bel re XD: poi non dite che sono maledetta perché non dico nulla, eh ;)?!? Hahahahaha, scherzo, ci mancherebbe!!!!

Un MARE di AMORE ( O.o!) a Helianto, ledtere, LadyGuns56, Lady of the sea, nini superga, Krystal91, jaybeautifldarkangel, Carmaux, MrsBlack, Yavannah, erica0501 e J_ackie. VI ADORO, SEMPLICEMENTE :* :*!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite- seguite- ricordate e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra riconoscente

Anna <3 <3



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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Note autrice
Ragazzuole, il capitolo nove è servito!
Credo di poterlo ancora considerare a rating verde.

Ci leggiamo giù :*

CAPITOLO NOVE


<< Cosa hai visto? >>.

Karin sbatté le palpebre, senza spostare lo sguardo alla sua destra, dove sapeva esserci Thorin.

Stava in piedi, e la presenza del re dei nani si era fatta tangibile senza che se ne rendesse conto: il braccio più forte e muscoloso di lui le sfiorava il suo, ma nessuno si ritrasse; le aveva parlato con voce profonda e tranquilla, senza la solita rabbia o freddezza. Era la prima volta che le rivolgeva la parola, da quando... bé, da quando era successo quello spiacevole episodio.

<< Mi è parso di scorgere una grossa ombra, laggiù >> gli indicò il punto, tendendo un braccio << tra gli alberi >>.

Con la coda dell'occhio lo vide scrutare la penombra data dai rami grossi e dai virgulti opachi, per poi scuotere la testa, dopo un lungo silenzio concentrato.

<< Non riesco a vedere nulla con questa oscurità. Ne sei certa? >>.

<< Sì. Ma cosa potrebbe essere? >>.

<< Questo non lo so. Tu... >>.

Non lo fece terminare, intuendo la domanda << Non ho mai calcato questi sentieri; non conosco questa parte di foresta >>.

Anche se non lo vide lui mosse il capo, spazientito << Hai detto che hai visto una grossa ombra nera. Potrebbe trattarsi di Beorn >>.

<< Il mutapelle? E perché mai? >> gli chiese, stavolta girando il capo; lui, invece, continuava ad osservare lontano.

<< Forse vuol accertarsi se stiamo seguendo il suo consiglio >> disse << O dovrebbe esserci dell'altro? >> domandò noncurante, finalmente incontrando i suoi occhi.

Karin aggrottò la fronte, non riuscendo a comprendere quella che le parve un'insinuazione: dove voleva arrivare?

Se le si era avvicinato solo per porle domande inutili e insensate poteva benissimo risparmiare il fiato!

<< Cosa stai cercando di dirmi, Thorin? >> sbottò, lo sguardo scintillante; lui, come sempre, non si scompose minimamente.

<< O forse vuol semplicemente seguire la sua nuova preda >> le rispose, continuando come se lei non avesse parlato: l'azzurro degli occhi divenne ancora più freddo e glaciale mentre la squadrava, e la mascella gli si contrasse.

<< Preda? >> ripeté incredula, preferendo non badare al tono infastidito con cui le era stata posta la domanda: ma non riuscì a comprendere ciò che voleva dirle. Per quanto provasse a pensare, la risposta non le giungeva: la mente non era libera, essendo ingombra di pensieri funesti; da quando avevano sorpassato i due grandi alberi contorti che segnavano l'inizio del sentiero - portandoli in un tunnel tetro di alberi dalle foglie talmente fitte che alcuni raggi del sole raramente riuscivano a infiltrarsi - si era estraniata da tutto e tutti. Mentre seguiva gli altri, camminando in fila indiana lungo il sentiero stretto e serpeggiante, continuava a voltarsi indietro: c'erano così tanti rumori, grugniti, calpestii, tramestii frettolosi nel sottobosco e tra le foglie senza fine che erano ammucchiate a terra, che ne era a dir poco terrorizzata; non voleva che qualcosa o qualcuno le piombasse alle spalle senza poterlo vedere e sentire. E, con orrore, dopo un paio di giorni aveva scorto quell'ombra che, furtiva e silenziosa, li seguiva a parecchi metri di distanza, convinta di non essere vista. Ma il sangue hobbit di Karin le aveva permesso di individuarla ugualmente.

Dapprima le era sembrata un'allucinazione data dalla paranoia e dalla luce fioca presente nella foresta, ma si era sbagliata: purtroppo, però, sembrava l'unica in grado di vederla. Nemmeno Bilbo, che possedeva una vista acuta, l'aveva notata; l'ombra si dileguava rapidamente, mostrandosi solo a lei. E questo la spaventava moltissimo, tanto che si era rinchiusa in un mutismo assoluto, guardando con sospetto qualsiasi foglia, ramo o cespuglio verde scuro presenti.

Fino ad ora.

<< Senti, se vuoi continuare con assurdi indovinelli stai perdendo tempo: non me la sento di partecipare >> replicò, asciutta.

<< D'accordo, basta giocare >> la guardò così seriamente che Karin si chiese cosa avesse combinato. Eppure non si erano rivolti la parola per giorni, per Durin!

<< Rispondi con sincerità a questa semplice domanda: tu conoscevi già Beorn? >> domandò lentamente, scandendo l'ultima parte di frase; la guardò negli occhi, sondandole l'anima come solo lui sapeva fare.

Karin avrebbe voluto stare zitta per ripicca, poiché le sembrava una domanda totalmente inappropriata, ma le labbra si mossero da sole.

<< No >>.

Sostenne il suo sguardo, lasciando che gli occhi parlassero al posto suo: permise ai freddi occhi azzurri di scavarle in profondità, non celandogli nulla, sfidandolo a darle della bugiarda; lui lo sapeva che era la verità, che era sincera. Si chiese se avesse ascoltato il dialogo nella veranda, rispondendosi negativamente: se così fosse stato, le avrebbe imposto più di una domanda. E non sarebbe stato così relativamente calmo nel porgliela.

Finalmente, dopo quelli che furono momenti infiniti spostò lo sguardo, tornando a scrutare gli alberi: era infastidito dal fatto che non gli avesse mentito, lo capì dalle labbra serrate. Lei, al contrario, era sempre più perplessa: perché, improvvisamente, tutto questo interesse per Beorn? Per quale motivo avrebbe dovuto conoscerlo? Quale tassello le sfuggiva per completare il quadro? Troppe domande, nessuna risposta.

Karin rimase ancora qualche attimo a studiarne il profilo regale e dritto, e molto severo. Ogni suo tratto, ogni sua ruga, erano ferrei e inflessibili: eppure rammentava così bene quando non ve n'era nessuna, ed i sorrisi spianavano le labbra sottili, anche se rari e inattesi.

Sospirò piano, cercando di non farsi sentire << Potrebbe non essere lui >> ammise, incrociando le braccia al petto << Mi disse che ci sono anche altre creature, in questo luogo >>.

<< Che siano dannate, e che lo sia anche questa maledetta foresta! >> sbottò furioso, alzando un po' la voce e perdendo ogni briciolo di pazienza.

A Karin scappò una leggera risata, condividendo appieno il suo turbamento: Thorin se ne accorse ma non disse nulla, inarcando solo un sopracciglio all'accenno di ilarità.

Rimasero l'uno accanto all'altra ancora per alcuni minuti, in silenzio ed intenti a perlustrare con lo sguardo ogni centimetro di foresta che riuscivano a scorgere, finché la voce tonante di Dwalin non li sorprese.

<< Thorin! Vieni a vedere, presto! >>.

Il re non se lo fece ripetere due volte e Karin lo seguì, curiosa. Il resto del gruppo si era fermato poco più avanti, ed ora stava immobile ma in allerta, le teste rivolte verso il medesimo punto.

Quando la ragazza vide la causa del loro turbamento si arrestò, non volendo crederci: appiccicate ai rami e ai tronchi c'erano grosse ragnatele scure e spesse, con fili estremamente robusti. Alcune erano tese da un albero all'altro, altre erano solo aggrovigliate sui rami ai lati del sentiero: nessuna intralciava il loro cammino. Almeno, per ora.

Karin iniziò a comprendere quali altre bestie popolassero il Bosco, ed il cuore le giunse in gola: forse le ombre che continuava a vedere erano proprio... ragni.

<< Allontaniamoci da qui, immediatamente >> ordinò Thorin, avendo i suoi stessi pensieri. Poi, inaspettatamente, si girò verso di lei << Starai per ultima. Sai cosa fare >>.

Senza aspettare una risposta precedette i compagni, avviandosi a grandi falcate lungo il percorso; gli altri lo seguirono in fila indiana, guardandosi attorno nervosi.

Anche lei lo fece e, ora, le parve di intravvedere innumerevoli occhi scintillanti tra le foglie, di sentire numerosi calpestii nel sottobosco. Certo, lo stare in ultima postazione le permetteva d'avere una maggior visuale senza inquietare gli altri – visto che l'avevano sorpresa più di una volta a girarsi improvvisamente facendoli andare a sbattere tra loro - e coprirgli le spalle avvertendoli in caso di pericolo: ma chi avrebbe informato lei, se non fosse stata abbastanza prudente ed attenta nello scrutare l'oscurità?

Camminarono spediti per molto tempo, senza mai arrestarsi: ad ogni ora erano sempre più frustrati, ed iniziarono ad odiare la foresta con tutto il cuore; non c'era un fremito nell'aria, immobile, scura e afosa: desiderarono poter sentire le carezze del vento sul volto, ma non vennero esauditi.

Il tempo pareva infinito, protraendosi così a lungo che Karin perse il conto dei giorni, delle ore e dei minuti: capiva che la sera si avvicinava perché il buio aumentava a dismisura, tanto che dovevano fermarsi; agitare una mano davanti al volto risultava complicato, così come distinguere qualsiasi figura.

Percependo un prurito alla nuca si era voltata di nuovo indietro, credendo d'essere osservata; represse un brivido, finendo a sbattere contro la schiena di qualcuno: era Dwalin, che le rivolse un grugnito.

<< Attenta >> l'ammonì.

Si scusò, ma la sua attenzione venne catturata dal fiume che sbarrava loro la strada, nero come pece e veloce; la turbò il non vedere un ponte intatto per passarlo, e lo sconforto la prese, come accadde agli altri. In più, solo sentire il rumore dell'acqua che scorreva le fece venire una sete atroce, e deglutì inutilmente poiché senza saliva: cercava di resistere il più possibile, visto che ormai alcuni otri erano vuoti.

Bilbo si era avvicinato alla riva, scrutando avanti << Guardate! Dall'altra parte c'è una barca! >>.

<< Quanto credi sia lontana? >> chiese Thorin, avvicinandosi.

<< Non molto: direi dieci metri, più o meno. Tu che ne pensi, Karin? >>.

Alla domanda di Bilbo mosse qualche passo, affiancandosi per la seconda volta a Thorin; cercò di non badarci, concentrandosi sull'imbarcazione.

<< Difficile esserne certi, con questa luce: comunque credo siano un po' di più >>.

<< Questo non ci aiuta granché >> borbottò il re << se non abbiamo nulla con cui prenderla. E non possiamo certo nuotare! >>.

<< E se usassimo una corda per agganciarla? >> propose lo hobbit; Thorin lo guardò, accigliandosi.

<< Potrebbe essere legata. Non servirebbe a nulla >>.

<< Perché non proviamo, invece? >> si intromise Karin << Non mi pare di vederne altre che l'attacchino alla riva opposta >>.

Thorin rimase qualche secondo in silenzio, annuendo. Poi si girò << Fili, lancerai tu la corda >>.

Il nipote rovistò nello zaino finché non ne trovò una abbastanza lunga e spessa, donata da Beorn; assicurò un grosso uncino di ferro all'estremità ed osservò bene la barca, cercando di capirne l'esatta direzione. Dopodiché la bilanciò un momento in mano, lanciandola attraverso il ruscello.

Gli altri trattennero il fiato, imprecando quando cadde in acqua, sollevando alcuni spruzzi.

<< Peccato! >> esclamò Bilbo << Un altro mezzo metro e ce l'avresti fatta! >>.

<< Prova ancora >> ordinò Thorin, lo sguardo puntato verso l'altra riva << ma sta' attento alla parte bagnata >>,

Fili prese in mano l'uncino dopo averlo ritirato, timoroso di un qualche effetto del fiume; il lancio, stavolta, fu più forte, finendo nel bosco.

<< Tirala indietro più piano che puoi, Fili >>.

<< Attento, ci sei quasi; è sulla barca >> l'informò Karin.

Il giovane nano tirò invano: l'aiutarono anche gli altri, dando poderosi strattoni; finalmente la barchetta si staccò – era proprio legata – e, in velocità, si diresse verso di loro, libera.

Si concessero un sorriso, visto che ora poteva passare dall'altro lato: ma sorse un problema fondamentale.

<< Chi attraversa per primo? >> chiese Bilbo.

<< Io, e tu verrai con me insieme a Fili e Balin >> rispose il re << Dopo verranno Kili, Oin, Gloin e Dori; poi Ori, Nori, Bifur e Bofur; per ultimi Bombur, Karin e Dwalin >> lanciò uno sguardo d'intesa all'amico, facendogli capire che doveva controllare la ragazza al posto suo. L'altro annuì, comprendendo ed assicurandogli con un'occhiata decisa che ci avrebbe pensato bene.

<< Ma come faremo ad arrivare senza remi? >> chiese Gloin.

<< Assicurerò un altro uncino ad un'ulteriore corda >> rispose Fili, mettendosi subito all'opera. Lo lanciò nel buio e in alto: doveva essersi impigliato tra i rami, poiché non ricadde.

<< Ora non dovete far altro che tirare questa corda portandovi dietro anche la prima e, una volta all'altra riva, la potete fissare alla barca e rimandarla indietro >>.

Non ci volle molto perché tutti furono in salvo: ora toccava all'ultimo gruppo.

Karin afferrò la mano che Bombur le porse per aiutarla, e si sistemò al centro della piccola imbarcazione, cercando di calibrarne il peso; quella ondeggiò pericolosamente quando Dwalin salì, ma si stabilizzò subito. Bombur tirò la corda con forza, mentre l'altro avvolse attorno al braccio ciò che rimaneva della prima. Karin si sporse ad osservare il pelo dell'acqua, torbida e dall'odore sgradevole. Arricciò il naso, reprimendo un brivido: possibile che ogni cosa dovesse essere minacciosa e sinistra, in quel bosco?

Dopo qualche minuto passarono dall'altra parte, venendo aiutati a scendere dagli altri: Kili le tese un braccio, issandola su; non appena posò i piedi sull'erba soffice, però, si immobilizzò tendendo le orecchie, il cuore che mancò un battito.

Ci fu un sordo rumore di zoccoli, sul sentiero davanti a loro; dalla penombra uscì improvvisamente la sagoma volante di un grosso cervo, che caricò i nani facendoli crollare a terra, per poi prepararsi a saltare. Con un unico e potente balzo riuscì a superare il fiume, ma dovette fare i conti con la rapidità di Thorin: tese il suo arco ed incoccò una freccia, colpendolo con un tiro veloce e sicuro. La bestia arrivò sulla riva opposta e inciampò: le tenebre l'inghiottirono, e nemmeno la vista di Karin riuscì a scorgerla; ancora col batticuore dato dallo spavento si rialzò, udendo il grido tremendo di Bilbo.

<< Bombur è caduto in acqua, sta affogando! Presto, presto! >>.

Ci fu un gran trambusto ed un viavai notevole: chi si precipitò a prendere e srotolare la corda e chi si preparò vicino alla riva per prenderlo; il nano riuscì ad afferrare l'uncino, e tirarono tutti per trarlo in salvo. Era fradicio e, con sommo orrore, addormentato profondamente.

<< Questa non ci voleva! >> gemette Ori, sconsolato.

Gli altri proruppero in forti imprecazioni, maledicendo il bosco e la loro sfortuna.

<< Calmiamoci >> disse Thorin dopo un po' << Quel che è fatto è fatto, non possiamo cambiarlo: aspetteremo che si svegli e, nel frattempo, lo porteremo a turni di quattro >> non fece alcun commento riguardo la sua stazza, ma ci pensò Bofur.

<< Si può sapere perché è così grasso? Addirittura in quattro per trasportarlo! >>.

<< E tu avrai l'onore di essere uno di questi >> commentò sarcastico Thorin, zittendolo << Da' il tuo zaino a Nori. Dori, Gloin e Bifur ti aiuteranno >>.

Non riuscì ad aggiungere altro che si bloccò, dilatando gli occhi chiari: un fioco soffiare di corni nelle profondità del bosco li mise in allerta, facendoli sfoderare le armi. Karin era terrorizzata, e pregava chiunque, lassù, che non si accorgessero di loro.

Fecero silenzio, ma dentro di lei infuriava la battaglia più rumorosa: socchiuse gli occhi, cercando di fermare il suo tumulto. Dovette serrare le mascelle e mordersi la lingua, stringendo forte i pugni tanto da farsi male; cercò di controllare il tremito freddo che l'aveva pervasa e, dopo quelli che le sembrarono secoli, ci riuscì. Ora il silenzio regnava, in lei e al di fuori. Se n'erano andati.

Espirò, come se avesse trattenuto il fiato per molto tempo: gli altri erano tesi, e non si mossero finché non lo fece il loro capo.

<< Dobbiamo essere il più prudenti possibile, d'ora in poi. Karin, tu verrai davanti con me; Dwalin, dietro: e occhi aperti >>.

Thorin non faceva che stupirla, quel giorno: non solo le aveva rivolto la parola di sua spontanea volontà, ma ora le chiedeva di affiancarlo. Non si curò troppo delle molte domande che le si affacciarono, ma eseguì senza fiatare. Era ancora troppo sconvolta per sollevare inutili questioni.

Quel che non sapeva era il vero motivo della scelta: dopo l'iniziale stupore di quella strana battuta di caccia elfica, i suoi occhi erano saettati al volto della ragazza, per vederne la reazione; era l'esempio di angoscia e panico più puro. Il poco colorito rosato era scomparso, lasciandola pallida: la vide rabbrividire di paura e serrare gli occhi, le mani contratte, le labbra serrate ed esangui. L'afa data dalle folte chiome degli alberi le aveva appiccicato alcuni capelli alla fronte, mentre altri le incorniciavano il collo, sfuggiti alla treccia frettolosa.

Era spaventata e, per lunghi momenti, un sottile ma sempre più crescente senso di colpa si era insinuato in lui, come un serpente si attorciglia attorno alla preda. Gli si avvinghiò al cuore, stringendolo così forte da sentire dolore: dovette abbassare la testa per ricacciarlo indietro, mentre parte della coscienza che aveva sepolto negli anni gli ripeteva che Karin era una vittima, e che doveva proteggerla. Dovette impedirsi di colmare la distanza tra loro con ampie falcate e attirarla a sé.

Già l'averle ordinato di stargli accanto lo infastidiva, ma si disse che era la scelta giusta: doveva tenerla d'occhio. Solo così sarebbe stato più tranquillo.

Ogni tanto uno sfiorava il braccio dell'altra, visto il sentiero stretto: cercò di reprimere il bisogno di spostarsi, mantenendo invece i nervi saldi e occhi e orecchie tesi, pronti a captare qualsiasi movimento o suono.

Anche lei era concentrata, ma una parte di sé percepiva il contatto con l'arto di Thorin: trovava esilarante il fatto che, avendo deciso di non pensare a lui più del dovuto, si ritrovava a fare esattamente il contrario. Scosse la testa, indurendo lo sguardo quando vide qualcosa muoversi, più avanti.

<< L'hai vista? >> sussurrò, piena d'ansia.

<< Sì >> fece lui, di rimando << Stai calma >> le intimò; si arrestò, costringendola a imitarlo. Sentirono gli altri sbuffare – probabilmente quelli che trasportavano Bombur – ma nessuno parlò. Alcuni cespugli si mossero, frusciando minacciosi tra loro: col cuore in gola e sudata, Karin aprì e chiuse i palmi delle mani nervosamente, per placarsi. Thorin aveva impugnato Orcrist ed attendeva, impaziente: il fruscio si avvicinò e, dalla pianta, fuoriuscì uno scoiattolo nero. Veloce come un fulmine zampettò verso il primo tronco vicino, sparendo tra i rami; ai nani ci volle qualche secondo per riprendersi, ed espirarono sollevati: nulla di allarmante o pericoloso, e questo era un bene!

Karin si diede della sciocca bambina impaurita: tutto quel preoccuparsi per niente... si portò una mano alla fronte, togliendosi il sottile velo di sudore. Si vergognò d'aver sbagliato previsione mettendo in allerta i compagni, ma Thorin non commentò: le sfiorò il gomito, facendole cenno di seguirlo.



Continuarono a camminare per quattro lunghi giorni, ma parve un'eternità: il paesaggio iniziò a mutare, portando un po' di speranza; il sottobosco fitto era sparito, e l'ombra non era tanto fonda. Ai lati del sentiero riuscirono a distinguere una tenue luce verdastra, la quale fece loro vedere infiniti altri tronchi grigi, diritti come colonne; c'era una lieve brezza che fece frusciare giù alcune foglie, ricordando loro che l'autunno stava arrivando. I loro passi calpestavano quel manto scricchiolante, accompagnandoli lungo la marcia silenziosa e cupa.

Bombur dormiva sempre, ed essi diventarono sempre più stanchi: raggiunsero l'apice dello sconforto quando terminarono le scorte di cibo; provarono a cacciare qualche scoiattolo e a cuocerlo, ma era sgradevole, ed abbandonarono quell'opzione. In più, a tratti sentivano risuonare delle risate inquietanti, e dei canti, portati dal vento: si irrigidivano, e Karin ruotava il collo talmente in fretta che, di lì a poco, si sarebbe spezzato. Divenne più silenziosa e scattava per un nonnulla, facendo spazientire i suoi compagni: non li aiutava vederla in quello stato disperato.

La mattina dopo accadde un fatto che, in parte, li rallegrò: Bombur si svegliò e si mise a sedere, grattandosi il capo.

Tutti gli si avvicinarono, e perfino Karin lasciò da parte il malumore.

<< Come ti senti? >>.

<< Ho una gran fame! >> esclamò, facendoli ridacchiare: se aveva risposto così significava che si sentiva benone!

Bombur si guardò attorno, spaesato; lo sguardo gli cadde sugli innumerevoli tronchi che li circondavano, sul sentiero appena accennato e sui volti tirati e smunti dei compagni.

<< Ma che è successo? Cos'è questo posto? Non eravamo nella Contea? >>.

I nani si guardarono tra loro, preoccupati dalle sue domande: la Contea?

<< Siamo a Bosco Atro, Bombur >> gli spiegò paziente il fratello: forse la fame atroce gli annebbiava la mente << non... non ricordi? >>.

Quello scosse la testa, spiegando che rammentava solo di essere giunto a Vicolo Cieco, ed aveva mangiato moltissimo; gli altri agitarono le mani, facendogli capire che doveva tacere.

<< Fantastico, ci mancava solo l'amnesia! >> esclamò scocciato Nori.

<< Quale maledetta magia impregnava quelle acque? >> domandò Balin.

<< Una molto potente >> rispose cupo Thorin << elfica, purtroppo per noi. Bofur, spiegagli brevemente cosa ci è accaduto, e dove siamo. Fermiamoci a riposare un altro po' >>.

Karin mordicchiò il bocchino della pipa, ascoltando distrattamente il racconto delle loro peripezie: le sembrò di essere in viaggio da moltissimi anni, piuttosto che da pochi mesi! Se ripensava al passato, a prima che Gandalf la trovasse nei boschi del nord, si accorgeva di rammentare poco; le apparivano i volti dei nani e di Bilbo, non la solitudine che l'aveva accompagnata.

Stava cambiando, lo sapeva: il desiderio di far parte del gruppo superava quello di isolamento, di essere indipendente da tutto e tutti.

Si augurò di star compiendo la scelta giusta.

<< Wow! >> esclamò il nano, alla fine << Ne abbiamo passate di avventure, eh? E ora mi dite che non abbiamo nulla da mangiare: sarebbe stato meglio rimanere addormentato >>.

<< Ah no, caro mio! >> rispose Dori, scuotendo la testa << Non sai la nostra faticaccia a portarti in spalla! >>.

<< Già, da non rifare mai più >> commentò Kili.

<< D'ora in poi ti terremo ben lontano dalle rive dei fiumi! >> rincarò Fili.

<< Non potete immaginare quali sogni ho fatto! Camminavo in una foresta simile a questa, ma era illuminata da torce e da lampade, che pendevano dai rami; e c'era una festa, con tavoli di legno scuro stracolmi di cibo e di bevande. Indescrivibili! >> esclamò estasiato.

<< Non parlarci di queste cose! Taci! >> lo rimproverarono gli altri, portandosi le mani alle orecchie.

<< Non rimarrò un secondo di più ad ascoltarti, Bombur >> inveì Thorin << Faremmo meglio a muoverci, e proseguire il cammino >>.

Procedettero per tutta la giornata, accompagnati dalle lamentele di Bombur, finché un bagliore lontano li fece arrestare di botto: era rossastro, ed a questo se ne aggiunsero presto altri, palpitanti e tremolanti.

<< Quel luccichio l'ho già visto nel mio sogno! Era proprio quello! >> fece per scattare in avanti ma la voce di Thorin lo fermò.

<< Aspetta! Non sappiamo chi o cosa potrebbe essere >>.

<< Ma se restiamo qui non lo sapremmo mai! >>.

<< Beorn ha detto di rimanere sul sentiero, e anche Gandalf ce l'ha consigliato! >> proruppe Karin, tesa come una corda d'arco.

<< Potremmo avvicinarci di poco, senza lasciarlo >> propose Blbo, mettendo d'accordo tutti.

Avanzarono cauti, cercando di fare il minimo rumore possibile; prima di avvicinarsi troppo impugnarono le armi, cercando calma e conforto.

Ora era evidente che si trattassero di fuochi, ma erano troppo lontani dalla pista, e si perdevano nel folto.

<< Sembra che il mio sogno si stia avverando >> boccheggiò Bombur, sempre più desideroso di raggiungere le luci.

<< Un banchetto non servirebbe a niente, se non ne tornassimo vivi >> sentenziò Thorin.

<< Ma senza esso non rimarremo in vita a lungo >> constatò Bombur, venendo appoggiato dallo hobbit. Cosa avrebbe dato per mettere qualcosa sotto i denti! Lo stomaco gli brontolava così forte che, a volte, si perdeva nell'aria.

Thorin rimase zitto, incerto sul da farsi: gli altri preferirono tenere i loro pensieri per sé, sapendo che il re era molto più suscettibile in quel luogo. Molti di loro, però, si augurarono che ascoltasse il nano.

Karin guardava nervosamente il bagliore e Thorin, il cuore che le rimbombava nelle orecchie: sperò con tutta la sua anima che prendesse la decisione giusta, dettata dal buonsenso.

<< Non mi convince, fratelli. Vorrei evitare ulteriori problemi e continuare >>.

<< Siamo talmente tanto affamati che non riusciamo a muovere un altro passo >> esalò Balin, lisciandosi la barba.

<< Quindi che proponi di fare? >> chiese il re.

L'anziano nano lo guardò, pensieroso << Un gruppo potrebbe farsi ambasciatore e perlustrare la zona, intanto >>.

<< E, una volta sicuri, potremmo avvicinarci >> continuò Dwalin; anche se si strinse nelle grosse spalle, poterono capire quanto fremesse, in realtà.

<< Ma sono elfi >> obiettò Thorin, ritrovando parte dello spirito battagliero.

<< Lo sappiamo bene, ma dobbiamo chiedere aiuto, o non ce la faremo >>.

Balin non aveva tutti i torti, constatò Karin: erano stremati, e fiacchi. Giustamente, però, erano anche elfi. Di Bosco Atro. Una razza con cui non voleva avere nulla a che spartire. Non più.

Era ormai palese la difficoltà di Thorin: da un lato il rancore, dall'altro il dovere di re; infine, dopo lunghi minuti di silenzio, sembrò ritrovare la voce.

<< D'accordo. Manderemo due spie però, non un gruppo: meglio procedere con cautela >>.

I nani si mossero, irrequieti e a disagio: nessuno aveva voglia di abbandonare gli altri ed avventurarsi nel folto della foresta, specialmente per seguire dei fuochi elfici. Il re sembrò spazientirsi sempre più.

<< Ebbene? Adesso che mi avete convinto nessuno vuol farsi avanti? Capisco i vostri pensieri, ma non dovete temere: non verrete abbandonati a voi stessi. Il resto di noi sarà pronto con le armi sguainate >>.

Ancora più silenzio: molti spostarono lo sguardo ovunque tranne che verso Thorin.

<< Nori? Kili? >>.

Presi in causa i due si guardarono stralunati, cercando di trovare una qualche scusa, ma il re li precedette, passandosi una mano sulla fronte.

<< Va bene >> borbottò, corrugando la fronte << Non abbiamo scelta: andremo tutti >>.

<< NO! >> scattò Karin, alzando la voce; quattordici teste si girarono verso di lei, guardandola con preoccupazione ed astio per aver quasi urlato: non dovevano farsi scoprire, per nessun motivo!

Lei deglutì, avanzando verso Thorin << Dobbiamo rimanere qui, sul sentiero! Sia Gandalf che Beorn ci hanno raccomandato di farlo >>.

<< Lo so benissimo, ma ora loro non ci sono! E se andare là in mezzo ci farà sopravvivere, non vedo perché rifiutare >>.

<< E se gli >> le risultò difficile anche solo pronunciare la parola << elfi dovessero catturarci? >>.

<< Che provino pure. Abbiamo con noi delle armi >>.

<< Ma siamo troppo provati per impugnarle al meglio! >> constatò lei, ormai sull'orlo della disperazione più profonda. Gli si avvicinò di più, ormai a mezzo metro di distanza: gli posò una mano sui bracciali protettivi, posti sull'avambraccio.

<< Thorin. Dammi retta, non abbandoniamo il sentiero; ormai la foresta si sta diradando e, presto, saremo fuori >>.

<< Come puoi saperlo? >> le sibilò lui, il fuoco che ardeva nelle iridi << Giriamo da giorni senza meta, quattro alberi diversi non ci porteranno fuori. Guardaci, stiamo deperendo a vista d'occhio e, se non faremo qualcosa, moriremo in questo lurido posto! Mi disgusta l'idea di mendicare del cibo dagli elfi >> continuò, sprezzante << ma devo pensare soprattutto al bene della Compagnia >>.

E al mio non ci pensi?” avrebbe voluto chiedergli. Ma rimase zitta, mordendosi le labbra.

<< E' deciso, non mi farai cambiare idea >> replicò duramente, scostandosi dalla sua mano.

<< Thorin, ti prego >> tentò di farlo ragionare un'ultima volta; e se doveva ricorrere alle suppliche per venire ascoltata, le avrebbe usate, umiliandosi davanti a tutti << ci perderemo. E non usciremo più dalla foresta. Per favore, ascoltami >>.

Ma nemmeno il tono patetico con cui la frase le uscì lo smosse; non la degnò di uno sguardo, mentre su di essi era calato il silenzio più pesante. Si avviò a grandi passi, vedendo seguito dal fedele Dwalin e dai nipoti: poi si aggiunsero gli altri, a testa bassa.

Karin voleva seguirli, davvero. Ma le gambe non si mossero, erano pietrificate e pesanti da spostare: per quanto la mente continuasse ad urlarle di sbrigarsi perché li stava perdendo, non riuscì ad ordinare ai piedi di mettersi l'uno davanti all'altro, camminando spediti.

Rimase imbambolata e ferma, le mani serrate a pugno, le unghie conficcate nella carne e nella ferita ormai rimarginata; col cuore in gola, vide l'oscurità avvicinarsi lenta e inesorabile, come un predatore fa con la preda, pronta ad inghiottirla.

Era sola, nell'immensità di Bosco Atro.



Strisciarono furtivi per un pezzo, scrutando da dietro i tronchi, che facevano loro da scudo. Videro uno spiazzo dato da alberi abbattuti, dove il suolo era livellato: effettivamente, erano presenti molti elfi, vestiti di verde e marrone, seduti su piccoli tronchi segati. C'era un fuoco che brillava, e delle torce assicurate agli alberi; molti nani sospirarono nel vedere la quantità di cibo e bevande presenti, e venne loro l'acquolina in bocca.

Il profumo della carne arrosto era così invitante che, uno dopo l'altro, avanzarono verso il fuoco, dimenticando le rivalità e l'astio che scorreva tra le razze. Volevano solamente elemosinare un po' di cibo, mettendo da parte l'orgoglio nanesco.

Non appena uscirono dai loro nascondigli, però, tutte le luci si spensero come per magia. Qualcuno calpestò il fuoco, che si levò in uno scoppiettio di faville e si spense; improvvisamente sperduti e al buio non riuscirono a trovarsi, ma la voce di Thorin si levò alta e imperiosa.

<< Fermi! Che nessuno faccia un passo, o ci perderemo! >>.

Ognuno rimase dov'era, finché un nuovo brillio poco lontano rischiarò l'oscurità. Solo allora si radunarono tornando dal loro re, che stava ancora nel precedente nascondiglio tra i tronchi.

<< Ci siamo tutti? >> domandò, dando una rapida occhiata alle facce sconvolte dei compagni.

<< Aspetta! >> gridò Bilbo, strabuzzando gli occhi << Dov'è Karin? >>.

La domanda, fatta con tono tremante, spaventò la compagnia: tutti girarono il capo a destra e sinistra, cercando di scorgere una lunga chioma nera tra loro, senza riuscirci.

<< Perché non c'è? >>.

<< Che l'abbiano catturata? >>.

<< Ma ci ha seguiti? >> chiese Balin, sul volto un lampo d'angoscia: era preoccupato come tutti per la sorte della ragazza.

<< Mi pare di sì >> disse a fatica Kili, cercando di ricordare.

<< Secondo me se l'è data a gambe >> accusò Dwalin << Sarà tornata dai suoi amichetti >>.

<< Non è il momento per certe insinuazioni, fratello! >> esclamò Balin, gli occhi ridotte a fessure << Potrebbe essere incappata in un qualche guaio >>.

<< O essere andata a riferire i nostri piani agli elfi >> continuò l'altro << Il tuo fidarti non ti farà sopravvivere! >>.

<< Le tue assurde ostilità sì, invece? >>.

<< Ora basta! >> li fermò Thorin, posizionandosi tra loro << Litigare non ci aiuterà a riflettere, né a riportarla qui >>.

<< Io dico di lasciarla al suo destino. E' stata sua la decisione di non seguirci >> Dwalin guardò attentamente Thorin, come aspettandosi manforte dall'amico; ma il re era irrequieto, e preoccupato. Glielo leggeva negli occhi azzurri.

<< Sai che non l'abbandonerò. Fa parte del gruppo, adesso: e nessuno viene lasciato indietro >>.

Dwalin sbuffò forte, trattenendosi dall'imprecare; l'occhiataccia che gli rivolse fu abbastanza eloquente.

<< So ciò che ti turba, e spero di smentirti. Ma devo andare a cercarla >>.

<< Verrò anch'io! >> si intromise Kili, muovendo pochi passi decisi. Thorin scosse la testa, calmando sul nascere le vivaci proteste del nipote: anzi, di tutti e due.

<< Andrò da solo. Ricordo bene la strada e, secondo le mie previsioni, si troverà ancora sul sentiero. Non c'è bisogno che veniate anche voi >>.

<< E se non fosse lì? >> domandò Bilbo, con un filo di voce: diede forma alle domande di buona parte dei nani, che non osavano pronunciare; nella mente se la immaginava in pericolo, preda di chissà quali creature, da sola. E ciò lo riempiva di terrore. Sapeva che anche Thorin era in pensiero, per quanto cercasse di nasconderlo: una cosa che non gli riusciva molto bene, al momento. << La cercherò comunque, finché le tenebre me lo impediranno. Voi restate qui, e non muovetevi per nessuna ragione! Se non mi vedeste tornare andrete avanti senza di me >>.

I nani esplosero in esclamazioni stupite ed indignate, che si placarono dopo un poco.

<< Dovrete proseguire lungo il sentiero e, con un po' di fortuna, sarete fuori. Ci aspetterete là. Ma, almeno, sarete al sicuro >>.

Si rivolse a Balin, posandogli una mano sulla spalla << Guiderai tu il gruppo, amico mio >>.

Balin rispose al gesto, stringendo a sua volta la spalla di Thorin << Fa' attenzione, ragazzo. E riportaci Karin >>.

L'altro annuì, osservandoli un'ultima volta. Poi, senza una parola, voltò loro le spalle, ripercorrendo la strada di prima, sparendo alla loro vista.

Un silenzio opprimente e depresso scese sul gruppo, all'idea che il loro re e guida li avesse abbandonati; pieni di sconforto si sedettero, cercando di non pensare ad oscuri presagi o visioni angoscianti.

Dopo alcuni secondi, la voce di Bofur spezzò la “quiete” creatasi << Ve l'avevo detto, che era successo qualcosa tra i due! >>.

Il gruppo iniziò a borbottare imprecazioni nella loro antica lingua, mentre Fili diede una poderosa gomitata al nano, facendolo zittire. Decisamente non era il momento più adatto per certe battute.



L'ansimare di Karin si confondeva con gli innumerevoli rumori e suoni del bosco: sembrava facessero a gara per risultare più spaventosi e vicini di quanto in realtà non fossero, terrorizzandola.

La mano destra stringeva convulsamente il manico di Iris, riposta nel fodero, in cerca di un conforto che non le arrivava. Era nel panico più assoluto, nell'angoscia più autentica e profonda, nel baratro della paura, stretta tra le spire dell'ansia.

Aveva freddo, il sudore gelido le imperlava la fronte e le correva lungo la schiena: gli occhi non facevano che saettare in ogni dove, verso ogni minima ombra. Vedeva tanti occhietti gialli e rossi, sentendosi osservata.

Qualcosa spezzò un ramo, alcuni metri più in là. Sobbalzò sul posto, trasalendo impaurita: voleva scappare il più lontano possibile, ma non osava muoversi per rivelare la sua presenza. Si chiese se gli altri si fossero accorti della sua assenza e avessero deciso di tornare indietro: con molta probabilità si erano persi, avendo abbandonato il sentiero. Non sarebbero tornati da lei.

Al pensiero di venire salvata dagli elfi le si contrasse lo stomaco, ed ebbe una voglia matta di piangere: sentiva già gli angoli degli occhi pizzicarle, ma sbatté le palpebre. Il cuore le rimbombava nelle orecchie, martellandole i timpani: batteva così forte che le confondeva i sensi.

Numerosi fruscii la fecero indietreggiare, ma non provenivano da un'unica direzione: venivano da tutte le parti. Era circondata da nemici sconosciuti, da creature ripugnanti. Ed era sola a combatterle.

Pregò internamente Mahal che non si trattasse delle algide creature che popolavano il bosco, o di qualche essere abominevole e spaventoso: pregò si trattasse solo della sua immaginazione o, nel peggiore dei casi, di scoiattoli o cervi.

Altri movimenti sospetti la fecero ricredere, ed ansimare forte: non si era mai sentita così impotente, disperata e in difficoltà come in quel momento, mai! Continuò a girare su se stessa molte volte, cercando di scorgere qualsiasi cosa in quella dannata penombra accennata, ma niente, non vi riusciva; e l'oppressione saliva alle stelle, lenta e soffocante.

Schizzò in avanti quando percepì un leggero fastidio al braccio: mosse la mano alla ricerca della causa, riconoscendo l'estremità appuntita di un ramo. Sospirò, leggermente sollevata, una mano al cuore per calmarlo. Non vi riuscì, e nemmeno il respirare profondamente l'aiutò. Il terrore non voleva lasciarla in pace.

Passi concitati ed affrettati la fecero tornare in allerta, scrutando il punto da dove, in teoria, provenivano: aguzzò la vista e l'udito ma faticò a rimanere concentrata, troppo spaventata anche solo per compiere quei gesti che, in altri luoghi, le avrebbero salvato la vita.

Bosco Atro era peggio di ogni posto visitato nel suo esilio: perché ne era stato la causa. E il suo orrendo ricordo l'avrebbe accompagnata per tutta la vita.

Si sporse leggermente in avanti, muovendo un lieve passo incerto: fu allora che una mano spuntata dal nulla le tappò la bocca.

Era forte e dura, callosa, e le copriva quasi tutta la parte inferiore del volto, impedendole d'urlare. Le grida d'aiuto risuonarono attutite e soffocate dalla presa ferrea dell'arto: cercò di divincolarsi, portando le dita a provare a staccare la mano, incontrando resistenza. E un anello di metallo.

Spalancò gli occhi quando sentì lo sconosciuto trascinarla indietro e spostarsi davanti a lei, senza staccare la mano dalle labbra.

Gemette forte quando le fece sbattere la schiena contro qualcosa di duro, probabilmente la corteccia di un albero: quando riaprì gli occhi – chiusi per l'impatto – le mancarono svariati battiti; il volto livido di rabbia di Thorin era vicino, gli occhi chiari scintillavano furiosi.

Cercò di calmarsi, ma lo spavento che le aveva fatto prendere non le impedì di respirare affannosamente, abbassando ed alzando il petto con foga; anche lui faticava a placarsi, lo poteva vedere dalle narici frementi, dalla bocca serrata e dalle sopracciglia aggrottate quasi a formare un'unica linea di collera.

Tentò di deglutire, mentre lo vide pronto ad inveirle contro.

<< Cosa credevi di fare? >> urlò furibondo << Hai una vaga idea del pericolo che hai corso? Sapevo che eri incosciente, ma non fino a questo punto! Come credi che ci siamo sentiti nel non vederti con noi? >> la voce profonda ed irata si disperse tra i tronchi, ma il re non se ne curò: che scoprissero pure dov'erano, finché non avesse sbollito la rabbia non si sarebbe calmato!

Se fosse stata un nano l'avrebbe percossa con le sue stesse mani: doveva ringraziare i Valar di essere una femmina, per Durin!

La guardò negli occhi, lucidi per la sorpresa, il rimprovero e il sollievo di essere stata trovata; rendendosi conto di tenerle ancora la bocca chiusa spostò la mano, lasciandola penzolare al fianco. L'altra, invece, era ancora addossata alla corteccia, vicina al volto stravolto di Karin.

<< Non disobbedirmi mai più, sono stato chiaro? >> mormorò, abbassando d'improvviso il tono di voce. Con sua enorme sorpresa annuì più volte: sbuffò internamente chiedendosi se, dopotutto, per farsi rispettare ed ascoltare da lei servissero solo una buona dose di spavento e rimproveri; ad averlo saputo prima si sarebbe risparmiato un sacco di grattacapi.

Vide che si stava calmando e, di riflesso, lo fece anche lui: il saperla viva, anche se scossa e impaurita, lo alleggeriva di un peso immane. Mentre aveva ripercorso il bosco a ritroso, infatti, cupi ed orrendi pensieri gli avevano fatto accelerare il passo, e le frasi accusatorie di Dwalin l'avevano quasi portato alla corsa disperata. Il pensarla complottare con gli elfi gli aveva montato una furia inaudita, che si era propagata come un incendio: se l'amico avesse avuto ragione non si sarebbe mai perdonato quel senso di colpa che l'aveva quasi convinto a pensarla innocente; da quando erano entrati a Bosco Atro – anzi, da quando l'aveva rivista - i ricordi delle difese tormentate che Karin continuava a reggere non l'avevano abbandonato un secondo, portando la parte più intima di sé a crederle. Da come si era comportata in quei giorni, poi, la foresta la spaventava, riempiendola di paura. E questo significava che le sue convinzioni di vederla colpevole a tutti i costi erano errate.

Se così fosse stato, aveva speso anni duri e difficili ad odiarla per nulla. L'aveva allontanata da sé con furore, marchiandola come traditrice ed esiliata, solo per far capire a tutti che l'orgoglio e la fiducia persa di un membro della stirpe di Durin era difficile da riconquistare. Le parole piene di rammarico di Karin gli tornarono alla mente con la stessa violenza di uno schiaffo: “Il tuo amore per l'oro e la ricchezza supera di gran lunga quello per le persone che ti circondano, rendendoti cieco; la tua cupidigia sarà la tua rovina.”

Era dunque così? Ciò che più temeva si era avverato?

Il suo amore per l'oro perduto era stato più forte dell'amore per lei, impedendogli di vedere con chiarezza, di capire la verità che lei continuava strenuamente a sostenere. Lui non l'aveva ascoltata, non le aveva creduto, cacciandola. L'aveva portata ad odiarlo: lui si era odiato, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Non si sarebbe mai perdonato, e nemmeno lei l'avrebbe fatto: troppo dolore da cancellare, troppa disperazione da recidere.

Aveva rovinato le loro vite, e tutto per il suo stramaledetto orgoglio ferito.

Fece scivolare la mano dal legno duro alla morbida spalla di lei: lo guardò, schiudendo le labbra; forse si aspettava una dura punizione per il suo comportamento, ma non l'avrebbe accontentata. Provò un impulso improvviso e, senza riflettere, l'attirò a sé, imprigionandola tra le braccia forti: la sentì irrigidirsi al contatto inaspettato ma ricambiò quasi subito, portando le mani all'ampia schiena.

Chiuse gli occhi, sentendola premere il volto sulla clavicola, alla ricerca del conforto che le era mancato mentre era sola: cercò di trasmetterle tranquillità e protezione, per calmarla. Lei capì, rifugiandosi di più in quell'abbraccio che avevano desiderato a lungo: gli fece comprendere la sua gratitudine per essere tornato a prenderla, per non averla abbandonata. Si sentì al sicuro, come non capitava da molti anni.

Godette del tepore che il corpo di Thorin emanava: cullata dal suo respiro caldo e ora sereno, espirò e chiuse gli occhi, sentendosi bene. Emozioni dimenticate ma conosciute le invasero il cuore, facendolo traboccare; avrebbe voluto rimanere in quella posizione per sempre, così.

Thorin cercava di trattenersi il più possibile, ma gli risultò difficile: non dopo che aveva rischiato di perderla. Di nuovo.

Dentro di sé infuriava una dura battaglia: la sua coscienza era dilaniata, il suo intero essere lo era; da una parte rammentava i pregiudizi, le lotte, i litigi, il fatto che era una traditrice. Dall'altra, però, il rimorso per come l'aveva trattata – forse ingiustamente, e che Durin avesse avuto pietà di lui se era così – ed il ricordo del loro amore, prendevano il loro spazio. Stava cercando di ascoltare il cuore, in quel momento: una scelta non facile per lui, Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna.

Forse, però, non era l'amore che le aveva dimostrato negli anni di Erebor, quello che ora provava: il suo era un bruciante desiderio, lo stesso che aveva provato quella sera al nido delle Aquile; i loro volti così vicini, il suo odore, le labbra che lo aspettavano trepidanti. Lì era riuscito a fermarsi, le circostanze l'avevano aiutato. E ora, chi l'avrebbe fermato? Ma, soprattutto, lui desiderava arrestarsi?

Come in risposta a quelle tacite domande, le labbra decisero d'agire per conto loro: le baciò la tempia, in un punto vicino all'attaccatura dei capelli.

Fremette, o fu lei a farlo, non avrebbe saputo dire: era totalmente in balia dei sentimenti, la ragione l'aveva accantonata, relegata lontano dove non avrebbe potuto nuocergli. Che l'avesse fatto dopo, tormentandolo con il rimorso del peccato commesso.

Portò due dita sotto il mento e le alzò il volto, incontrando i pozzi neri che tanto amava: gli occhi erano dilatati e lucidi e, con un brivido di desiderio, li vide bramosi. Aveva capito cosa aveva intenzione di fare eppure non l'avrebbe fermato: lo voleva anche lei, con tutta la sua anima.

Abbassò il capo e, lentamente, le labbra si posarono su quelle di Karin.

Erano screpolate e secche, ma gli parvero incredibilmente delicate: si schiusero subito, permettendogli l'accesso alla sua bocca; dapprima fu un bacio guardingo, poiché le loro difese erano ancora alzate. Si studiarono, le lingue si esplorarono caute, cercando di riconoscere quella dell'altro. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che, forse...

Invece no.

Il bacio si fece più passionale, più profondo: li arse vivi, in un'emozione troppo grande da esprimere a parole. Sentì le mani di Karin posarsi sul volto, ad accarezzargli la barba; tenendo gli occhi chiusi, condusse la mano sinistra ad immergersi nella folta chioma scura, affogando tra le ciocche ribelli. Quando sentì la lingua di lei ritrarsi e scappare dalla sua, le strinse i capelli così forte che la sentì gemere, spingendosi verso di lui: ciò non fece che accrescergli l'eccitazione che sentiva; la baciò con più foga e voluttà, perdendosi in lei e nel trasporto del gesto, desiderando si protrasse all'infinito.

Premette il corpo saldo come roccia contro il suo, il battito accelerato dei cuori e dei sospiri come unico suono: aveva agognato quel bacio per anni, relegandolo nelle sue chimere notturne.

Ma lei ora era lì, reale, e ricambiava con ugual desiderio.

Corrugò le sopracciglia quando sentì il bisogno impellente di respirare e, a malincuore, dovette staccarsi: poggiò la fronte alla sua, tenendo gli occhi serrati. I respiri vibrarono vicini, ad un soffio l'uno dall'altro, confondendosi; ansimavano, ancora presi da quel bacio che aveva detto più di mille parole, significato più di tanti gesti.

Inspirò forte, aprendo gli occhi: sorrise appena nel vederla scossa, e portò una mano sulla guancia che recava la cicatrice, regalo della città degli orchi; la pelle scottava, e ciò accrebbe il suo sorriso. Incrociò il suo sguardo, lucido ed emozionato quanto il suo. Rimasero in silenzio a lungo, scambiandosi baci fugaci sulle palpebre, sulla fronte, sul naso e, ancora, sulle labbra: non v'era la foga disperata di prima, stavolta erano dolci e struggenti, ricordi di altri lontani. Racchiudevano qualcosa che andava al di là del desiderio provato: erano simbolo ed emblema del loro amore recuperato. O, almeno, di quella parte che erano riusciti a far emergere dal mare d'odio e risentimento in cui avevano nuotato per tutto quel tempo.

Si ritrovava poco in quel “nuovo” Thorin: non era avvezzo a certe dimostrazioni d'affetto, specie di quel genere; ma Karin l'aveva cambiato, facendogli scoprire sentimenti diversi dalla freddezza e fierezza. Con lei si era comportato diversamente, mostrando lati di sé che mai avrebbe creduto di possedere. Con lei si era messo a nudo, facendole scoprire un Thorin diverso, che nessuno conosceva: nemmeno lui; si era scoperto capace d'amare, in un modo tanto geloso e possessivo quanto dolce e affettuoso.

<< Dovremmo tornare dagli altri >> disse con voce roca, spezzando la quiete creata.

Lei annuì con difficoltà facendogli capire che, se avesse potuto, sarebbe rimasta lì << Sì >> riuscì a dire, con tono flebile << forse dovremmo >>.

Eppure nessuno decise di interrompere il contatto, nessuno si mosse: rimasero sospesi in quel dolce equilibrio per altri lunghi momenti finché Thorin, ripresa la vecchia lucidità, si staccò dalla fronte della ragazza, compiendo quel gesto doloroso ma necessario.

Indietreggiò, senza staccare gli occhi dalla sua figura, ancora addossata al tronco; sembrava non avesse intenzione di muoversi, ma gli bastò uno sguardo serio e altero per smuoverla.

La sentì sospirare e, con passi incerti e lenti, gli si affiancò.

Karin non seppe che dire: aveva una tale confusione in testa che le vennero le vertigini; ogni pensiero coerente, ogni parvenza di lucidità scappò non appena ripensò a pochi minuti prima. Non si sarebbe mai aspettata un tale gesto da parte del nano, né un tale trasporto, anche da parte sua.

Stava impazzendo, non aveva dubbi: c'erano così tanti sentimenti contrastanti, in lei, che non riusciva più a raccapezzarcisi. Diffidava del suo cuore e della sua mente: erano sempre in perenne conflitto, cercando di prevalere sull'altro, logorandola; a quale parte si sarebbe schierata per non soffrire ulteriormente?

Ma il pensiero che più la tormentava riguardava Thorin: perché l'aveva abbracciata e baciata? Non continuava a ripetere a se stesso e a lei di odiarla? In quei giorni non si erano scambiati una sola parola: lei troppo presa dai ricordi e dalla paura della foresta, lui immerso nel malumore causato dal luogo oscuro e dalla notte al nido.

Si era avventato su di lei con desiderio, come un assetato vede una pozza d'acqua: e lei l'aveva assecondato, rispondendo con ugual vigore. Era caduta in estasi, preda delle sue labbra vogliose e forti.

Il poterlo accarezzare di nuovo, il poterlo baciare... le aveva fatto male, stringendole il cuore in una morsa, mescolandosi alla gioia più profonda. Emozioni così contrastanti che l'avevano lasciata senza fiato.


Passarono sotto alcune fronde, e fu proprio lì che sentì qualcosa toccarle la spalla; si girò allarmata, ma non scorse nulla. Tentò di accelerare il passo visto che Thorin, poco più avanti, non si era accorto di nulla.

Ma uno strattone la fermò << Tho... >> non fece in tempo a finire di chiamarlo che, con un urlo, quel qualcosa la portò su, in velocità. La terra le mancò sotto gli stivali, i rami le graffiarono il corpo, le foglie le oscurarono la visuale; stava salendo, ad una velocità spaventosa: che stava accadendo?

La risposta le giunse poco dopo, facendola strillare più forte del dovuto, terrorizzata: stava penzolando nel vuoto, attaccata ad una spessa ragnatela grigiastra. E, ora, gli occhi profondi e acquosi di un ragno gigantesco la stavano scrutando, famelici.


<< Karin! >> i richiami gridati con disperazione dal nano non ricevettero risposta: si era girato immediatamente non appena l'aveva sentita chiamarlo, incerta. Ma poi era sparita, trascinata da qualcosa, verso l'alto.

Aveva sfoderato immediatamente Orcrist, continuando ad urlare il suo nome, angosciato: e quando l'aveva udita strillare spaventata, il cuore aveva smesso di battergli.

Non ebbe ulteriore tempo per pensare alla sua sorte, poiché uno zampettare sinistro l'aveva fatto rimanere in allerta, i sensi tesi, i muscoli guizzanti pronti. Girò su se stesso, cercando di cogliere il minimo spostamento: ed avvenne, alle sue spalle.

Ruotò veloce, menando un fendente obliquo: l'ombra enorme si ritrasse, ma una zampa sottile cercò di colpirlo, infrangendosi sulla lama elfica. Con orrore e stupore riconobbe quella di un ragno.

Ecco scoperte le altre creature che si aggiravano per Bosco Atro: si trattava di ragni grandi e grossi, famelici.

Mantenne la calma, andando all'attacco; mosse un passo ma quello, furbo e svelto, si scansò, ritirandosi sui rami. Thorin alzò lo sguardo, cercando di individuarlo in quell'intrico di rami contorti che parevano zampe, in quel fogliame che sembrava formare la sagoma rotonda del corpo dell'aracnide.

Per quanto cercò di prestare attenzione, quello si calò con furore verso di lui: riuscì a schivarlo per un soffio, scartando di lato e rotolando sull'erba soffice. Si spostò ancora, verso destra, quando si ritrovò la testa del ragno vicina, pronta ad avvelenarlo coi cheliceri a forma di zanne; se fosse riuscito a immobilizzarlo l'avrebbe ucciso, perciò doveva sbrigarsi a liberarsene.

Tornò in piedi, affondando Orcrist nell'oscurità dove, un attimo prima, si trovava il nemico: non fu molto rapido a spostarsi, e la lama gli penetrò un fianco, facendolo attorcigliare dal dolore, i peli lunghi e spessi che vorticavano rapidi. I quattro occhi neri e liquidi si spostarono frenetici alla sua ricerca, ma ormai era troppo tardi: la spada si immerse fino al manico di dente di drago, per poi venire estratta con un colpo deciso e un urlo di trionfo; era grondante di sangue scuro e liquido, che gli impregnò le mani, strette sull'elsa.

Il ragno si afflosciò ma, in un ultimo spasmo di vita, cercò di colpirlo con una zampa, fallendo. Cadde al suolo, morto.

Thorin lo guardò un momento, ansimando; mosse la testa ovunque, cercando di individuare altre ombre, ma non ne vide. Scrutò attentamente, provando la spiacevole sensazione di essere osservato: forse altri erano fermi, ancorati alle loro immense ragnatele, aspettando il momento migliore per attaccarlo. Attese ancora, ma l'immobilità regnava: solo allora si azzardò a chiamare la sua compagna.

<< Karin! >>.

Nessuna risposta.

<< KARIN! >> riprovò, alzando il tono.

Niente. La preoccupazione raggiunse un picco vertiginoso: che le era capitato? E se fosse stata avvelenata e, magari, già mo...

Non volle nemmeno pensarci; doveva trovarla, in un modo o nell'altro!

Tornò leggermente indietro, dove pensava di ricordare i loro ultimi passi: esaminò il punto dov'era scomparsa, alzando la testa. Solo allora vide un filamento arrivare verso di lui, seguito da una figura che vi era aggrappata.

Doveva stare pronto, essere paziente: non appena fosse scesa del tutto, le avrebbe conficcato la spada nel corpo. Ancora un poco, soltanto pochi metri, e...

Ma la riabbassò, non credendo ai suoi occhi: non era l'ombra di un ragno grosso e peloso, ma quella più piccola e tozza di un nano. Di Karin.

L'agguantò per un braccio, lasciandola andare quando il volto le si contrasse in una smorfia di dolore: aveva gli indumenti strappati in più punti, escoriazioni sul volto e il labbro inferiore sanguinante, ma per il resto stava bene. Era viva.

Le posò una mano sui capelli, sentendo qualcosa di appiccicoso sul palmo: ritraendola, vide che era chiazzata di rosso.

<< Vieni qui >> le ordinò, tirandola verso di sé: le esaminò la testa, ma fortunatamente non scorse tagli. La sentì lamentarsi debolmente, agitando una mano.

<< Non è mio quel sangue, credo >>.

<< Come hai fatto a liberarti? Ho provato molte volte a chiamarti, ma non ho ricevuto risposta >> l'ammonì duramente; anche senza volerlo, lasciò trapelare l'inquietudine che aveva provato nel non vederla, né sentirla.

Lei fece un mezzo sorriso tirato, la fronte aggrottata << Scusa, ma ero leggermente impegnata ad uccidere un ragno gigante >> rispose sarcastica, la voce mortalmente stanca. Gli mostrò Iris, sulla cui lama vi era del sangue ancora fresco.

<< Inoltre, dovevo cercare di mantenermi in equilibrio su un ramo. Non è stata un'esperienza piacevole, e non vorrei ripeterla. Sei stato attaccato anche tu >> affermò, vedendo Orcrist.

<< Sì, ma sono stato più fortunato: avevo la terra sotto i piedi >>.

<< Già. Bé, ce la siamo cavata, no? >>.

Si passò una mano sulla fronte, e solo allora Thorin notò che stava tremando: scorse un sottile velo di sudore imperlarle il volto e il collo, e gli spasmi si fecero più frequenti e violenti. Provò paura nel vederla in quello stato, una morsa che gli attanagliò lo stomaco.

<< Karin >> non riuscì a terminare la frase che lei chiuse gli occhi: le gambe le diventarono molli e cedettero sotto il suo peso, trascinandola verso il basso; Thorin gettò Orcrist a terra, in tempo: riuscì a sostenerla per un braccio, facendo in modo che non sbattesse sul suolo duro. Il cuore gli ronzava nelle orecchie, ma cercò di rimanere saldo e fermo: la scosse, chiamandola ripetutamente, ma lei non accennò a svegliarsi: era bollente e pallida, e respirava affannosamente. La prese in braccio, un forte senso di panico iniziò a invaderlo: ma non sarebbe servito a nulla, così facendo non l'avrebbe aiutata!

Doveva pensare, tornare lucido, ragionare con freddezza e rapidità!

Se era stata morsa e il ragno le aveva iniettato il veleno doveva agire in fretta, o sarebbe stato troppo tardi: se avesse indugiato più del dovuto avrebbe potuto morirgli tra le braccia in pochi minuti. La adagiò piano, appoggiandole la schiena ad un tronco: doveva trovare la ferita, e ripulirla dal veleno; con gesti frenetici le osservò ogni strappo, ma molti non nascondevano tagli. Mentre stava perdendo ogni speranza ed ogni briciolo di autocontrollo, lo trovò sul braccio: non era molto esteso, ma già alcune vene nere si espandevano sulla pelle, come tentacoli di una piovra. Portò le labbra sul punto, aspirando il sangue che sgorgava e sputandolo fuori: non era sicuro del gesto, poiché non aveva mai avuto occasione di sperimentare il veleno di ragno, ma sapeva che doveva rimuoverlo prima che potesse entrare in circolo sul resto del corpo.

<< Forza, Karin, resisti! >>.

Compì quel gesto talmente tante volte che perse il conto: sentiva solamente il sapore metallico del sangue e l'acidità delle tossine nella bocca, e il respiro di lei che si faceva irregolare e ansimante.

<< Resisti, maledizione >> la voce gli risuonò dura e rabbiosa ma le mani, che ora perlustravano i cespugli alla ricerca di una pianta che potesse aiutarlo a salvarla, tremavano senza sosta, agitate.

Con movimenti febbrili passò da un arbusto all'altro, mantenendosi comunque vicino al corpo della ragazza.

Represse un ringhio frustrato quando capì che niente l'avrebbe agevolato, che tutto gli era ostile.

Karin rantolò un'ultima volta, zittendosi subito dopo; Thorin non percepì più alcun battito in lui, solo un gelo immane.

No, non può essere.

<< KARIN!!! NO! >> si slanciò verso di lei, inginocchiandosi al suo fianco; i tremiti erano cessati, le membra si erano irrigidite a causa del veleno. Il petto non si alzava più, non respirava: gli occhi erano chiusi, le labbra leggermente dischiuse; i capelli scuri, che le incorniciavano il capo, facevano un allarmante contrasto col volto pallido. Pallido come la morte.

<< No >> sussurrò Thorin, i pugni serrati e contratti.

Rabbia, impotenza, risentimento, colpa e dolore montarono in lui, lasciandolo distrutto e prostrato da quanto erano devastanti.

Chinò il capo, serrando gli occhi per non vedere, serrando le labbra per non urlare il suo livore. Si sentì svuotato, come se qualcosa di prezioso gli fosse stato strappato via a forza, lacerandogli la carne e lo spirito.

La sofferenza lo ghermì, l'angoscia lo avvolse in un abbraccio, l'ira lo pervase: batté i pugni a terra una, due, tre, innumerevoli volte, finché la pelle non gli si scorticò dalle nocche e dal dorso; un ruggito animalesco gli risalì lungo la gola, raschiandogliela e disperdendosi per il bosco. Quel dannato bosco, che gliel'aveva già portata via una volta: aveva vinto di nuovo, e stavolta definitivamente.

Numerosi fruscii attirarono la sua attenzione, risvegliandolo dalla bolla di disperazione che l'aveva racchiuso: probabilmente erano i ragni, desiderosi di banchettare con la preda morta. Ma lui non l'avrebbe permesso: non finché avesse avuto fiato in corpo, finché viveva.

Afferrò saldamente Orcrist, alzandosi di scatto, mentre un incendio divampava disastroso e forte nei suoi occhi, nella sua anima; era pronto, e se sarebbe morto per salvarla, avrebbe accolto la sua fine con gioia: ma non prima d'aver combattuto accanitamente e con ogni suo grammo di energia.

Dal folto degli alberi saltarono fuori delle figure, ma non erano ragni: questi erano alti e magri, aggraziati e fluidi nei movimenti, tanto rapidi quanto silenziosi; si trovò circondato da alcuni elfi, ciascuno con un arco teso e una freccia incoccata al suo indirizzo. Uno di loro si fece avanti, dai lunghi capelli dorati e gli occhi che scintillavano sospettosi: quando vide il corpo di Karin dietro di lui, che ancora manteneva la guardia alta ed un aspetto minaccioso, parlò in elfico ai suoi compagni, senza staccarle gli occhi di dosso. Tra le parole, Thorin distinse chiaramente il nome “Karin”, ma non riuscì a comprendere il resto: aprì la bocca per parlare, furibondo, quando l'elfo lo interruppe.

<< Abbassa l'arma, nano, e allontanati da lei >>.

Thorin digrignò i denti, infiammandosi sempre più: non solo gli aveva ordinato di spostarsi, ma aveva calcato l'appellativo della sua razza con un tono di spregio e disprezzo che non gli piacque. Neanche un po'.

Quando l'elfo capì che non avrebbe obbedito, abbassò di poco l'arma, guardandolo freddamente.

<< Vuoi che muoia? >> gli chiese, maledicendo la sua testardaggine.

Gli occhi di Thorin fiammeggiarono e lampeggiarono, nella penombra fitta << E' già morta >> riuscì a dire, sentendo il fastidioso peso al cuore stringersi ferreo.

L'altro venne colto da un lampo di incredulità, ed abbassò in fretta l'arco per poi muoversi rapido verso di lui, scansandolo all'ultimo secondo per raggiungere Karin; Thorin scattò, non volendo permettergli di toccarla, ma un colpo alla nuca lo stordì facendolo boccheggiare. Si inginocchiò, iniziando a vedere i contorni degli alberi, di Karin e dell'elfo, sfuocati; tentò di allungare un braccio per prenderlo e portarlo via da lei, ma non vi riuscì: cadde a terra, svenuto.






CANTUCCINO DELL'AUTRICE

SORPRESAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!

Hahahahahahahahah, NON ve l'aspettavate, eh??? e io che continuavo a dirvi che ci sarebbero voluti non so quanti capitoli per vederli persi in effusioni varie, e invece... XD XD uhuhuhuhuh, quanto godo nell'aver rimescolato le carte in tavola ed avervi dato informazioni sbagliate!!!

Quanto vorrei vedere le vostre espressioni in questo momento :D *siccome sto percependo potentissime auree di morte, e prevedo torce e forconi, continuerò a scrivere da dietro il mio scudo di quercia :P*

Ho voluto rischiare con questo capitolo: avrete notato che le parti clou sono viste dal punto di vista di Thorin, dettaglio insolito e preoccupante, per me >.<; insomma, mi sa che non l'ho reso come avrei voluto... o come siamo abituate a considerarlo: perciò chiedo scusa a MrsBlack90! Perdonami cara, mi sa che qui Thorin è caduto nell'ooc più ooc possibile ç_____ç sigh!

Insomma, non è che si sia ri-innamorato di lei dopo quel bacio, ma ha solo seguito il suo “istinto maschile”: in più si era preoccupato nel non vederla con gli altri suoi compagni – ora la considera tale – e, una volta trovata, impaurita e terrorizzata, si è solo lasciato andare: un abbraccio consolatorio e sollevato si è trasformato in qualcosa di più profondo, e qui... puff, il bacio è servito XD!

Spero d'averlo spiegato abbastanza bene lungo il cap ma, se così non fosse, approfitto dell'angolino ^^; comunque sappiate che, mentre scrivevo quella scena, avevo il batticuore: ero più emozionata io che non loro hahahahahahaha

Bene, ditemi quello che vi frulla per la testa - minacce di morte comprese ;) - attraverso le care recensioni!


Ringrazio come sempre le carissime e specialissime LadyGuns56, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack e Carmaux. Saluto col cuore anche le altre ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, ovviamente ;)))) VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite- seguite- ricordate e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra

Anna *sempre dietro lo scudo di quercia* :P :P



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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Note autrice

Santo Durin, siamo al DECIMO capitolo: numero tondoooooo!!!

Vi ringrazio tantissimo per l'affetto con cui seguite i personaggi e che dimostrate in ogni vostra recensione, o solamente leggendo ^^

Giuro, così tante persone non le avevo MAI viste, e vi ringrazio di cuore!

Vi voglio tanto bene, dico davvero ç____ç

Buona lettura!

Ah, qui il capitolo potrebbe subire un leggero cambio di rating: per sicurezza, vi avverto che sarà sul GIALLO/ARANCIONE, dipende dal grado di impressionabilità ^^: magari siete forti e nulla vi spaventa, però per correttezza ho voluto inserirlo XD

Perdonatemi, sarà lungo e pesante ç___ç: mi ero ripromessa di scrivere poco, invece mi sono rotrovata con una marea di roba per le mani! Mi farò perdonare col prossimo, cercherò di spezzarlo in due >.



CAPITOLO DIECI


Buio.

Vede solo quello, un muro invalicabile che sa di sofferenza, di oppressione.

Non riesce neppure a capire se ha gli occhi aperti: li sbatte veloce e conclude che sì, è sveglio.

Agita una mano davanti al volto, per vederla, ma non riesce; è distratto da altro.

Dapprima è un lamento flebile, impercettibile: poi aumenta d'intensità.

E' un pianto, ora lo riconosce.

Sposta il capo, ma si dà dello stupido: è un gesto inutile.

Il buio è fitto, spaventoso. Come quel singhiozzare disperato.

Lo disturba, lo angoscia.

Vuole fare qualcosa, ma non può: le gambe sono pesanti, il respiro irregolare.

Il pianto aumenta d'intensità, e gli rammenta quello di un bambino.

Gli permea l'anima, il cuore è stretto in una morsa ferrea; vuole urlare, digli di smetterla perché non lo sopporta, ma la voce non esce.

Apre la bocca, invano: nessun suono.

Non parla, non grida.

E' muto.

Solo, in quell'immensità oscura e fredda.

No, ricorda: non è solo.

C'è quella creatura, con lui.

Non sa se è vicina o lontana, ma c'è, è lì. Da qualche parte. Lo comprende e, per un attimo, si chiede se anche l'estraneo si sia accorto di lui.

Se l'ha percepito deve temerlo?

No, pensa. L'essere è così triste e vulnerabile che non può nuocergli.

Cerca di convincersi di questo, ma è turbato.

Non sa dove si trovi, né perché pianga così tanto.

Lo disturba, lo angoscia.

Basta.

Lo disturba, lo angoscia.

Il pianto continua, senza sosta.

Lo disturba, lo angoscia.

Basta.

Il pianto continua, senza sosta.

Basta.

Lo disturba, lo angoscia.

Basta.

Basta.

Basta!



Thorin spalancò gli occhi di scatto, sedendosi: un leggero giramento di testa gli fece serrare gli occhi, ma li riaprì quasi subito, turbato.

Con un moto di fastidio e rabbia riconobbe le pareti umide della cella di pietra, dove l'avevano rinchiuso quei maledetti elfi.

Prese una manciata di paglia dal suo giaciglio, gettandola con furore verso il centro della prigione: immaginò di trapassarli a fil di spada, ma si rabbuiò quando ricordò di non avere Orcrist con sé; gliel'avevano tolta subito, non appena era svenuto.

Non se n'era accorto, e non aveva fatto nulla per impedirlo: non rammentava nemmeno quando se ne fossero appropriati; ricordava il risveglio, quello sì: ancora intontito e con le mani legate l'avevano condotto dentro una caverna, che altro non era se non il palazzo del re; avevano oltrepassato le immense colonne, poste subito dopo il colossale ingresso, inoltrandosi nelle profondità dei tunnel illuminati dalla luce delle torce rossastre: le ombre si erano confuse con loro, tremolando nel seguirli o precederli. Per quanto avesse provato a guardarsi attorno, aveva scorto solo le alte figure degli elfi. Di Karin non v'era traccia.

Ormai doveva essere diventata fredda, avvolta tra le spire della Morte: si chiese se l'avessero abbandonata nella foresta per diventare cibo dei ragni o se, mossi da un qualche sentimento di pietà, avessero deciso di tumularla sotto le fronde dell'albero che li aveva visti amanti, uniti da poco e subito divisi. Definitivamente.

Incespicò sui suoi piedi, ma venne sospinto da dietro a proseguire lungo il corridoio: gli mancò il respiro, per quanto invece là sotto fosse ben aerato. La luce crebbe d'intensità quando uscirono dal cunicolo, trovandosi in una grande sala dai pilastri scolpiti nella viva roccia: in fondo, su un trono di legno riccamente decorato e intagliato sedeva il re degli Elfi; avvicinandosi, Thorin ricordò il volto dai tratti severi e freddi di colui che voltò le spalle alla sua razza nel momento del bisogno. Colui che gli portò via Karin; che gli tolse tutto.

Restarono a scrutarsi in un silenzio astioso a lungo, finché il re non prese la parola.

<< E' passato molto tempo dall'ultima volta che ci siamo incontrati, Thorin Scudodiquercia >> il tono cercò di risultare cortese e cordiale, ma nascondeva un disprezzo malcelato, a cui il nano si aggrappò facendone la sua arma di difesa.

<< Vorrai dire da quando ti rifiutasti di aiutarci, Thranduil di Bosco Atro >>.

<< Noto che le ostilità sono ancora aperte >> commentò sarcastico l'altro, posandosi una mano sul mento.

<< Ci sono fatti che non verranno mai dimenticati: così come le razze che l'hanno permesso >> continuò duramente Thorin, gli occhi rabbiosi e pieni di collera.

Thranduil piegò il capo di lato, gli occhi che scintillavano malevoli << Non ne dubito >> rispose << ma allora temo che dovremmo spingerci ancora più nel passato: alla Prima Era, se ben ricordo >>.

<< Questo non c'entra nulla con ciò che accadde a Erebor! >> esclamò Thorin, adirato << Chiedemmo aiuto, che mai arrivò! >>.

<< Era una battaglia persa, lo sapevi benissimo >> ora, anche il re degli Elfi faticava a mantenere la calma << Non avevate speranze contro un drago >> continuò, con lo stesso tono che ha un padre al limite della pazienza nello spiegare al proprio figlio ostinato concetti elementari che si rifiutava di comprendere.

Thorin si infervorò, stringendo spasmodicamente le mani a pugno << Sarei morto, piuttosto che vedere Erebor negli artigli di Smaug! Avrei combattuto fino alla fine, per la mia casa >>.

<< E ciò ti fa onore, re dei Nani >> concordò l'elfo, guardandolo poi attentamente; poggiò le braccia ai lati dello scranno << Ma non credo che la tua rabbia derivi unicamente dal nostro “affronto”, come lo chiami tu. Dico bene? >>.

Thorin aggrottò la fronte, ma non rispose: si limitò a freddare l'elfo con un'occhiata truce, mentre l'altro lasciava che le sue labbra si piegassero in un leggero sorriso divertito; con un moto di sdegno, Thorin capì che sapeva. Di lui e Karin.

Assottigliò lo sguardo azzurro, le narici dilatate, irato come mai in vita sua. Ma l'altro non si scompose, portando le lunghe dita affusolate ad incrociarsi sotto il mento.

<< Non sono così sciocco da credere che tu mi dica – spontaneamente – per quale motivo girovagavate per i miei boschi, ma ti propongo un accordo >> si fermò, lasciando che le parole si imprimessero in lui << Ti metterò al corrente delle condizioni del tuo uccellino se e solo se rivelerai i tuoi piani. Uno scambio più che equo, non trovi? >> chiese, maligno.

Thorin non capì subito a chi si stesse riferendo.

<< Qui a Bosco Atro è così che viene chiamata la tua Karin >> spiegò l'elfo, osservando la reazione del nano.

Per un attimo una flebile speranza si era riaccesa: poteva essere ancora viva, essere stata strappata alla morte. Eppure lui l'aveva vista spegnersi, aveva constatato la mancanza di respiro, di colore, di battito; Thranduil poteva avergli mentito, da abile manipolatore e retore qual era. Pensava che, mettendo in ballo Karin, avrebbe abbassato le difese a tal punto da rivelargli ogni cosa? La scarsa considerazione che nutriva per i nani si era notevolmente ridotta in quegli anni, se ne era così certo!

Una furia cieca stava per esplodergli in petto; si impose di calmarsi, ma non servì molto.

Quale meschinità celava quel re! Addirittura servirsi del ricordo di un defunto per arrivare alla realizzazione dei suoi scopi!

La maggior parte del suo cuore continuava a ripetergli che lei era morta, in una sorta di mantra che lo sospingeva di più nel baratro della sofferenza: lo annullava ma, d'altra parte, lo manteneva in qualche modo distaccato dal resto, da ciò che lo circondava.

Sarebbe stato così confortante saperla viva, accertarsi delle sue condizioni: anche se l'elfo non gli avesse mentito, nulla sarebbe sfuggito. La loro missione doveva rimanere segreta, ad ogni costo.

Thorin non mosse le labbra nemmeno per un istante, né spostò lo sguardo fiero e arrogante dal volto di Thranduil, in attesa di risposta: che continuasse ad aspettare, non gli avrebbe rivelato alcunché! Finalmente l'altro sembrò capire che non sarebbe stato accontentato e si alzò di scatto dal trono, la corona a punta che si spostò leggermente dal capo.

<< Ebbene? Mi aspetto una risposta da te, principe >> vide Thorin contrarre la mascella, gioendo internamente nell'aver scalfito di nuovo la sua corazza << Ti concedo una proposta accettabile, quando potrei rinchiuderti nella cella più buia del mio palazzo senza poterti ascoltare, e tu non accetti? >>.

Thranduil si arrabbiò notevolmente quando l'altro alzò il capo, orgoglioso, gli occhi gelidi che parevano bruciare.

<< No >> disse semplicemente.

L'elfo si stava spazientendo, lo percepiva: e ciò sembrò ridargli nuovo vigore.

<< Molto bene: forse ti deciderai a parlare una volta che passerai il tuo nobile tempo nei sotterranei; sono più che certo che la cella sarà di tuo gradimento, Thorin figlio di Thrain >>.

Non seppe perché ma, alla frase, il re dei nani provò un brivido gelido.

Venne condotto fuori, scendendo scale e percorrendo corridoi sempre più lunghi e umidi, inoltrandosi in profondità nella gigantesca caverna.

Dopo quelle che gli parvero lunghe ore di cammino si fermarono: davanti a lui stava una porta di legno di quercia, spessa e robusta; solo un piccolo spioncino, posto troppo in alto rispetto alla sua altezza, permetteva ad un flebile cono di luce di illuminare debolmente la cella. Venne sospinto dentro senza tanti complimenti, poi i suoi carcerieri infilarono una chiave nella toppa, chiudendo la porta.

Non rispose quando tentarono di dissuaderlo dal suo ostinato mutismo, chiedendogli di pensare all'offerta proposta; aspettò di sentirli allontanarsi per prorompere in un ringhio basso e frustrato, picchiando il pugno contro il muro di pietra, facendosi male: ma quel dolore non era nulla in confronto a ciò che provava dentro di sé.

Ricordava di essersi seduto sul giaciglio, appoggiando la schiena alla parete: aveva chiuso gli occhi, mortalmente stanco e provato dagli avvenimenti delle ultime ore; l'ultima cosa che era riuscito a vedere nella sua mente, prima di addormentarsi, era stato il volto imbarazzato di Karin, subito dopo il loro bacio.

E l'incubo aveva iniziato a tormentarlo.

Non c'era notte, o attimo in cui chiudesse gli occhi, nel quale non lo abbandonava: era sempre lo stesso, ma ogni volta che si risvegliava stava sempre peggio; si ritrovava sudato, col cuore in gola e tremante. Si arrabbiava per quelle sciocche reazioni che gli appartenevano poco: anzi, iniziava quasi a sospettare che non si trattassero delle sue emozioni, ma di quelle del proprietario del sogno.

Si passò le mani sul volto, esausto e stanco: si alzò, sgranchendosi le gambe doloranti, percorrendo quei miseri passi fino alla porta di legno, per poi tornare indietro. Ripeté il percorso molte volte, sembrando un animale in gabbia.

Più rimuginava su quell'assurda situazione e meno si sbrogliava: l'intrico di pensieri cupi si infittiva, rendendolo nervoso.

Sovente pensava a Karin, ma ricacciava la sua immagine per non soffrire ulteriormente nel saperla morta. Non era riuscita a dimostragli la sua innocenza, né lui ad ammettere a se stesso e a lei i suoi numerosi torti: il senso di colpa lo attanagliava ogni minuto che passava lì dentro, facendolo impazzire di dolore. Troppe cose taciute, le poche dette covavano rabbia e risentimento: solo il gesto del bacio aveva parlato più di quanto avessero mai potuto fare entrambi. Ma era troppo tardi, inutile pensarci: apparteneva già al passato.

Doveva solo accettare e convivere con questo pensiero, ripetendosi che lei non sarebbe tornata, non avrebbe più baciato le sue labbra, né accarezzato i suoi capelli; non si sarebbe perso nei suoi occhi, fieri e indomabili: né avrebbe più litigato con lei per delle sciocchezze, insormontabili ai loro occhi.

Si accasciò a terra, prendendosi la testa tra le mani: solo e al buio, Thorin Scudodiquercia diede sfogo alla parte più vulnerabile e intima di sé, quella che nessuno aveva mai visto.

Eccetto Karin.



Là sul verde prato

un uccellino si posava

allegro fischiava

piegando il capino di lato.


Non sa perché inizia a cantarla: è solo una filastrocca per bambini.

Non lo ricorda, ma sa che sua madre la cantava prima di metterla a letto.

Suo padre glielo ripeteva spesso. A lui mancava molto, e soffriva nel vedere i tratti della consorte in lei, la loro unica figlia.

Femmina.

Il sangue della nobile stirpe di Gorin non sarebbe stato tramandato: lei era l'ultima arrivata.

Che pensieri sciocchi, si rimprovera.


Un verme qua, uno là

poi al suo nido volava

dove la mamma felice

lo aspettava.


Si odia.

Perché non è forte come vorrebbe. Non è orgogliosa, né altera e fredda.

Ci ha provato, la prima volta; anche la seconda.

Ma non è servito, non serve mai.

Si ritrova sempre a piangere, alla fine.

E si odia.

Tanto.

E' riuscito a piegarla, ancora.

Basta che oltrepassi la soglia perché inizi a tremare.

Si copre le braccia, per proteggersi: ma sa che non funziona.

Mai.

Lui riesce sempre a vincere.


Una notte infuriò la tempesta

e la madre volò via

battendo le ali

lesta.


I vecchi cardini cigolano, la porta di legno si apre, la luce invade la stanza.

Trema, d'istinto. Aveva ripromesso di non farlo, ma il corpo non le obbedisce.

Arretra verso il muro umido, in fretta.

La sua figura è alta, ed avanza.

Lo fa lentamente, il ghigno gli increspa le labbra.

Il cuore batte all'impazzata, ha paura.

E lui lo sa.

Gliel'ha detto, la fiuta nell'aria.

Un passo, poi un altro e un altro ancora: è a pochi metri.

Si schiaccia sempre più alla parete: quanto vorrebbe passarci attraverso per scappare. Ma non può.

Il ghigno malefico è ampio, ora. Gli occhi violetti luccicano, nella penombra.


L'uccellino aspettò invano

chiamando la mamma

ma se ne era andata

lontano.


La studia, come un predatore.

Trema, ma cerca di mostrarsi coraggiosa, come vorrebbe essere: ma come può farcela, se gli occhi si riempiono di lacrime? Se i denti battono tra loro? Se il freddo le permea le ossa?

<< Vuoi volare via, uccellino? >>.

Serra gli occhi.

Odia quel soprannome, odia essere lì.

Odia lui.

Con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima.

Ma, più di ogni altra cosa, lo teme.

Ne è terrorizzata, a morte.

Piange, ma non vorrebbe. Calde lacrime inondano le guance, infrangendosi a terra.

Non riesce a rispondere. Anche se lo facesse sarebbe inutile.

<< Vedi, è molto semplice >>.

Si avvicina sempre più, tanto che può sentirne l'odore.

E' molto più alto, ma si abbassa quel tanto che gli permetta di sfiorare la fronte alla sua.

Sposta il capo da una parte, rabbrividendo di disgusto e paura.

Sente qualcosa di freddo sulla guancia.

Incontra i suoi occhi, e vi vede una follia senza eguali. Una totale e profonda follia, incontrollabile.

La disperazione avanza, il pianto aumenta: ora, i singhiozzi la scuotono forte.

<< No, no, shh. Buona, da brava >>.

La lama del coltello preme sulla pelle, brucia.


L'uccellino la cercò

volava

volava

ma mai più la trovò.


<< Dillo, uccellino. Dì ciò che voglio udire >>.

Tace, serra le labbra per non far uscire nulla: per un attimo, la tentazione è fortissima.

Perché sa che succederà ora, dato il suo silenzio.

La lama incide la pelle del volto.

Sente un sottile rivolo di sangue scendere.

Geme e serra gli occhi, i singhiozzi non si fermano.

Implora di lasciarla stare, ma lui ride.

Sguaiatamente: l'eco si espande per le mura della stanza.

Rimbomba mentre la mette in ginocchio.

Mentre le solleva la manica della tunica.

Mentre fa scivolare il coltello sul braccio, in un sottile gioco perverso.

Mentre spinge nella carne.

Mentre lei urla innumerevoli volte.

E, alla fine, mentre è sola in una pozza di sangue, le risate non fanno che tormentarla.



Karin aprì gli occhi, stordita; la testa le pulsava dolorosamente, mentre cercava di mettere a fuoco i contorni della stanza. Si sentiva male, tremendamente male.

Ogni piccolo movimento era una sofferenza e la lasciava spossata, come se avesse corso per miglia e miglia senza fermarsi.

Aggrottò la fronte, cercando di alzare il capo dal morbido cuscino: bastò questo fatto a preoccuparla. Ricordava di trovarsi nella foresta, a Bosco Atro...

Come un fulmine a ciel sereno, la risposta sembrò giungerle così semplicemente che rimase senza fiato: se non si era risvegliata sotto qualche fronda di un albero, c'era solo un luogo in cui poteva trovarsi.

A dispetto delle sue condizioni si sedette velocemente, le mani appoggiate al materasso: si sentì sudata, i brividi non facevano che scuoterla, privandola d'ogni energia; poi, percepì una presenza di fronte a lei, e portò gli occhi verso il punto.

Il cuore le balzò in gola, il respiro si mozzò e una paura folle la portò nell'oblio più nero e denso.

Non poteva essere: lui sedeva sulle coperte, a poche braccia da lei.

Trattenne un grido, schizzando all'indietro e sbattendo la schiena contro la testiera del letto, finemente intagliata; sgranò gli occhi così tanto che temette fuoriuscissero dalle orbite, le dita che stringevano convulsamente i lembi delle maniche della camicia da notte. Con orrore e disgusto lo vide alzarsi, allungando un braccio nella sua direzione.

I capelli biondi e lisci ondeggiavano seguendo i movimenti del capo, gli occhi chiari scintillavano maligni e perfidi: sicuramente, a breve, avrebbe estratto il coltello passandoglielo sulla guancia e sulle braccia, scavando in profondità, riempiendola di odio verso se stessa con frasi diaboliche, di disgusto profondo verso il suo carceriere, di quel terrore puro che, ancora nei suoi sogni, non l'abbandonava mai.

Ma stavolta non era un sogno. Era reale, lui era lì.

Le avrebbe fatto pagare il suo ritorno.

E lei, lei, era più determinata adesso? Più coraggiosa? Sarebbe riuscita a vincerlo, dopo tutti quegli anni nei quali aveva cercato di rafforzare la sua corazza di odio e freddezza?

Si rispose di sì: allora perché tremava così tanto, incontrollabilmente? Perché sentiva gli occhi iniziare a riempirsi di lacrime, e il cuore di terrore?

Era debole, ancora una volta.

Ora era vicino, troppo vicino, la mano tesa verso la sua spalla; con un movimento violento e rapido la sua mano saettò verso quella dell'elfo, schiaffeggiandola.

I tratti delicati dell'algida ma malvagia creatura si indurirono, contraendosi; Karin comprese che la sua vendetta sarebbe stata più dura, stavolta. L'avrebbe lasciata a morire dissanguata, dopo averle lacerato la pelle, martoriandola ancora, ancora e ancora. Ripetutamente, come allora.

<< NO! >> il grido strozzato risuonò tra la pietra liscia delle pareti; la gola le bruciò, come se avesse ingoiato acqua salata, lo stomaco le fece una capriola, la nausea l'invase.

Chiuse gli occhi, disperata: non voleva assistere alla punizione che le avrebbe inflitto.

<< Karin >>.

Bastò sentir pronunciare il suo nome per sconvolgerla: lui non l'aveva mai chiamata, prima d'ora. Era sempre stata l'”uccellino” di Bosco Atro.

Timorosa, aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre: i tratti dell'elfo mutarono, divenendo più dolci e meno malvagi; le ci volle tutto l'autocontrollo per non iniziare a ridere e piangere istericamente, nello stesso momento.

Colui che le stava di fronte non era lui.

Ma un altro elfo, che ben conosceva.

L'improvviso sollievo provato, e la paura che scemò all'istante, le ricordarono le pessime condizioni del corpo: lo stomaco le sobbalzò in petto ed un conato le salì alla gola; riuscì a respingerlo portando una mano alla bocca, ma non fu sufficiente.

Si sporse al lato del letto, vedendo un catino poggiato sul pavimento: con un sussulto, vomitò, aggrappandosi alla sponda del materasso.

Sentì le lunghe dita dell'elfo scostarle i capelli dal volto, tenendoli indietro mentre lei espelleva un liquido nero come pece; qualche lacrima le sfuggì dalle ciglia, mentre violenti spasmi la scuotevano e i conati si disperdevano per la stanza.

<< E' il veleno del ragno >> le spiegò, tra un conato e l'altro << Il tuo corpo lo sta respingendo: cerca di buttarlo fuori del tutto, Karin >>.

L'ultimo sforzo la sfiancò, stremandola: rimase qualche secondo in attesa, per poi fare un lieve cenno all'elfo che la aiutò ad appoggiare la schiena contro il morbido cuscino. Le allungò gentilmente un fazzoletto perché potesse pulirsi, e le porse un bicchiere d'acqua per calmarsi: con mani tremanti bevve avidamente, sotto lo sguardo preoccupato della creatura bionda.

Poggiò il bicchiere sul comodino di legno scuro, intrecciando poi le mani in grembo e fissandosele con interesse, evitando così le occhiate indagatrici: c'erano tante domande che voleva porgli, ma la voce non voleva uscire. Non finché fosse rimasta in quel posto che per lei sapeva di sofferenza e paura.

Sentì il materasso sprofondare un poco, vicino alla coscia, ma non alzò la testa finché non fu costretta: le dita dell'elfo le avevano preso il mento, in un gesto delicato e gentile. Si scontrò con i suoi occhi azzurri, irrequieti nella loro profondità; per un attimo, ai tratti eleganti del suo volto si sostituirono quelli marcati di Thorin.

Abbassò lo sguardo, provando una stilettata al cuore, conscia che il re non era lì con lei: fu inevitabile paragonare la leggera carezza con i gesti pieni di vigore misto a rabbia e desiderio del nano; un improvviso fastidio per essere toccata dall'elfo le montò con prepotenza nel petto, facendole spostare bruscamente la testa di lato, sfuggendo al tocco.

Se si fosse trattato di Thorin, molto probabilmente le avrebbe riafferrato il mento con forza per farle capire chi era che comandava... ma l'elfo era diverso.

Non la richiamò, lasciando che il braccio tornasse a posarsi sul ginocchio.

<< Sei ancora molto debole >> le disse, piano << ti lascio riposare. Parleremo quando sarai più in forze >>.

Avrebbe voluto ribattergli che non avrebbe mai parlato, nemmeno dopo tutto quello che aveva fatto; come prima, non riuscì nemmeno ad aprire bocca, per quanto volesse.

Solo quando l'elfo si avviò verso la porta, trovò il coraggio: con voce tremante, pose la domanda che l'assillava da quando si era risvegliata, provando terrore anche solo a formularla nella sua testa.

<< Lui è morto? >> fu solo un sussurro, ma era certa che l'avesse udita.

Vide le spalle abbassarsi di poco, e ruotò il busto quel tanto che gli permise di guardarla negli occhi, facendole capire che diceva la verità.

<< Sì >> le rispose, semplicemente. Poi le diede la schiena, aprendo la porta e lasciandola sola nella fredda stanza.

Quando rimase sola, con uno sforzo enorme portò le ginocchia al petto, abbracciandosi le gambe: aveva un fastidioso groppo in gola, ed un'insana voglia di piangere. Invece, le salì alla gola una risata incontrollata, che rimbombò a lungo, anche dopo che ebbe smesso. Come a ricordarle il sapore della libertà.



Svoltò in un corridoio nuovo, sapendo con certezza d'essersi perso. Per l'ennesima volta. Si acquattò al muro di pietra, venendo percorso da brividi freddi quando due elfi lo raggiunsero a passo svelto, sorpassandolo senza vederlo.

Bilbo tirò un sospiro di sollievo, dimenticandosi sempre d'essere invisibile, una volta infilato l'anello: lo stesso oggetto che gli aveva salvato la vita già alcune volte, ora gli sarebbe tornato più che utile nella reggia del re degli elfi, con cui i suoi amici avevano avuto a che fare.

Lui, invisibile agli occhi di tutti, aveva assistito in silenzio ed in disparte all'interrogatorio dei compagni: era stata una fortuna essere "scomparso" poco dopo lo scontro con il ragno, nelle profondità di Bosco Atro; tremava ancora al ricordo di come quell'orrida creatura avesse tentato di farne la sua preda! Ma lui, nonostante il panico, si era ricordato di possedere una spada al fianco, immergendola negli occhi cattivi del mostro, per poi ucciderlo con un altro fendente.

Fiero di se stesso, ma anche un po' deluso perché nessuno aveva assistito alla dimostrazione del suo coraggio e sangue freddo, aveva dato un nome alla sua spada: Pungolo.

Gli piaceva come suono, e provava un certo orgoglio nel paragonarla a grandi armi come lo erano Glamdring, Orcrist, e Iris.

Il cuore parve contrarsi sotto un pesante macigno, mentre ripensava alla sua amica e a Thorin, sperduti nella foresta: avevano atteso a lungo il loro ritorno, ma nessuno si era avvicinato. Così, con animi pesanti e colpevoli si erano incamminati andando avanti, continuando a lanciarsi occhiate alle spalle, sperando di scorgere due sagome familiari.

Poi era accaduto tutto molto velocemente: avevano scorto altri fuochi, ma anche allora il buio li aveva sorpresi, separandoli definitivamente; e, quando aveva riaperto gli occhi dopo una brutta dormita, si era ritrovato con una spessa ragnatela attaccata alla gamba ed un ragno gigante pronto a divorarlo. Una volta ucciso, aveva strisciato un bel po', prima di trovare gli altri, catturati e rinchiusi in grossi bozzoli: così, invisibile, aveva trovato un modo per sbarazzarsi dei ragni e liberare i suoi amici, salendo sui rami degli alberi e tagliando quegli orrendi legami. Ma i ragni l'avevano scoperto, progettando di ucciderlo: fortuna volle che tutti i nani fossero fuoriusciti, ed ingaggiarono una dura battaglia coi nemici; erano ancora intontiti e pieni di vertigini ma, ancora una volta stupendosi di sé, Bilbo trovò la via per la salvezza. Fece da esca, mentre menava fendenti con Pungolo ed incitava i nani a scappare il più velocemente possibile, per quanto stremati. E, alla fine, i ragni si erano stancati di loro, andandosene.

I nani si erano subito congratulati con lui, ringraziandolo e mostrandogli un tale rispetto che lo avevano fatto arrossire e balbettare, grato delle loro parole; poi, dopo una bella spiegazione su come si era impossessato di quell'anello magico e una dormita, si erano incamminati alla ricerca di cibo e acqua, e di un'uscita: ma gli Elfi Silvani li avevano sorpresi, intimando loro di abbassare le armi. Nemmeno se fossero stati nel pieno delle loro forze avrebbero potuto tener loro testa: non con l'oscurità opprimente che li avvolgeva.

Bilbo, in questo modo, si era infilato l'anello ed era scivolato di lato, silenzioso e guardingo: li aveva seguiti fin nella caverna, ed al cospetto di Thranduil, dove era rimasto ben in disparte per paura che le torce riflettessero la sua piccola ombra. Ed era rimasto fermo ed impotente mentre il re ordinava che ogni nano venisse rinchiuso in una cella diversa.

Ed eccolo qui, a girovagare per i numerosi corridoi: un attimo prima era stato così certo di aver imboccato quello giusto, ma si era ricreduto presto quando, invece che un corridoio solo, ne aveva trovati ben tre! Ne aveva percorso uno a caso, trovandosi più in basso di quanto avesse voluto: almeno si rallegrò nell'aver scoperto la dispensa!

Così, si era rannicchiato lì una volta esausto – visto che era molto difficile stabilire il giorno e la notte, in quel labirinto – e, dopo una pessima dormita, si era rifocillato come non faceva da tempo, ringraziando sentitamente gli elfi per il loro buon cibo.

Poi si era seduto a pensare: alla loro scomoda situazione, all'aiuto che avrebbe chiesto a Gandalf, alla paura che lo attanagliava se non fosse riuscito a trovare i nani e, per ultimo ma non meno importante, a dove potessero trovarsi Thorin e Karin; se solo l'avessero ascoltata e fossero rimasti sul sentiero! Nulla di tutto ciò sarebbe accaduto! O, perlomeno, sarebbero rimasti uniti anche nella prigionia.

Con un moto di panico la rivide spaventata e sola, in mezzo alla foresta: si chiese se fosse stata più fortunata di loro, e non fosse incappata nei ragni. O, peggio, negli elfi.

Si augurò che Thorin fosse riuscito a trovarla, e che le avesse trasmesso sicurezza e coraggio per affrontare quel luogo maledetto: ma ripensò allo sguardo rabbioso e irato che gli aveva scorto poco prima che voltasse le spalle alla compagnia, e non fu tanto sicuro di voler augurare alle sua amica di incappare in lui.

Certo, si era dimostrato più preoccupato che arrabbiato, questo sì... ma pensò di averlo compreso abbastanza in quei mesi per sapere che avrebbe potuto cambiare repentinamente umore nel vederla. Ebbene sì, temeva che Karin incontrasse Thorin! Forse si stava preoccupando eccessivamente: magari la rabbia del re non sarebbe esplosa, non avrebbe inveito su di lei; forse, avrebbe fatto prevalere il lato che seppelliva costantemente, rassicurando la ragazza...

Si passò una mano sul volto, stanco ma con un nuovo proposito: in quanto portavoce di Gandalf – e unico membro libero – doveva trovare gli altri, e non perdersi d'animo!

Lo doveva a tutti loro, dannazione!

Così si era rimesso di buona lena e cercare delle celle concludendo che, forse, doveva semplicemente seguire i corridoi che portavano verso il basso, verso le profondità: e, dopo quelle che gli parvero lunghissime ore, le trovò.

Non si sentì mai così grato e utile come in quel momento, e lodò molte volte lo straordinario potere di quel piccolo anello d'oro: infatti, gli permise di passare inosservato tra un elfo che faceva la guardia. Con un pizzico di fortuna quello se ne andò e, non appena i suoi passi si affievolirono lungo il corridoio, Bilbo ne approfittò: sbirciò all'interno, tra una sbarra e l'altra, riconoscendo la figura ingobbita e vecchia di Balin.

<< Balin! >> chiamò piano, tendendo le orecchie nel caso sentisse dei passi; il nano, invece, era sobbalzato, guardando ansiosamente dalla sua parte.

Lo hobbit ricordò di essere invisibile e sfilò l'anello, sorridente.

<< Che mi venga un colpo, Bilbo! >> esclamò, mettendosi in piedi ed avvicinandosi << Credevo fosse un qualche trucchetto elfico >> aggiunse, lisciandosi la barba e senza nascondere un velo di disprezzo nella voce.

<< Nessuno, amico mio. Sono felice di vederti >> non disse che lo trovava in forma, perché non era così: nonostante fossero passati pochi giorni – secondo i suoi calcoli – l'anziano nano era un poco emaciato, e sembrava che nuove rughe si fossero formate sul volto. Ma gli occhi si erano accesi d'entusiasmo non appena l'aveva visto, e di questo si sentì rincuorato.

<< Che notizie porti, scassinatore? >>.

<< Non molte, né buone. Sei il primo che incontro, da giorni >> ammise mesto, scuotendo la testa. Balin lo guardò serio, ma gli fece cenno di non prendersela.

<< Non preoccuparti: deve essere molto stressante camminare senza meta >>.

<< E guardarmi sempre le spalle per timore di venir scoperto non aiuta di certo! >> Bilbo si bloccò, pensando d'essere stato indelicato: d'altra parte, lui era libero di muoversi, mentre il povero nano era costretto in uno spazio ridotto. << Mi dispiace, io... >>.

<< Oh, non serve fare quella faccia, mio buon hobbit! Siamo stati catturati, è vero, ma tu potrai salvarci: abbiamo molta fiducia in te >> gli sorrise bonariamente, stringendogli le dita tra le sbarre. Bilbo si rabbuiò, ma cercò di restituirgli il sorriso.

<< Ora è meglio che vada: gli altri mi staranno aspettando! Devo portare loro un messaggio? >>.

<< No, ragazzo: solo, che sto bene >>.

Per un attimo i suoi occhi si oscurarono, ma tornarono felici, anche se stanchi. Bilbo annuì, promettendogli che, una volta trovati tutti, sarebbe tornato a riferirgli ogni cosa.

Fu così che, col cuore gonfio ma anche sollevato nell'aver trovato qualcuno, lo hobbit si allontanò percorrendo il medesimo corridoio dell'elfo.

Si inoltrò ancora per stretti cunicoli, strisciando e facendo il minimo rumore possibile: stavolta il percorso lo fece salire di poco e, dopo svariati metri, incontrò un'altra cella; era di Bofur.

Non appena gli si mostrò saltellò di gioia, al che Bilbo fu costretto a farlo tacere con parole brusche, ma che non calmarono il nano.

<< Avanti, scassinatore >> lo canzonò << a chi vuoi che importi se un nano si mette a far baldoria? >>.

<< A me >> rispose piccato lo hobbit << potrebbero scoprirmi! >>.

<< Ma se sei invisibile! >>.

Bilbo agitò una mano, infastidito << Comunque sia, sono appena passato da Balin: sta bene, anche se spossato >>.

Bofur annuì, giocherellando col cappello, tolto non appena l'avevano rinchiuso. Divenne mortalmente serio, al che Bilbo si preoccupò subito.

<< Non sai nulla di... insomma, di Karin? >>.

L'altro sospirò amaramente, scuotendo la testa anche se non era necessario << Ne so quanto te, temo. Non so dove possa essere, e sono in ansia per lei >> poi rimase zitto qualche secondo << anche per Thorin, ovvio! >> si affrettò ad aggiungere. Non voleva che pensasse che non gli importasse niente del capo della Compagnia.

Bofur, al contrario, si aprì in un largo sorriso di fronte al suo disagio << Non sono certo Dwalin, che potrebbe farti a fette solo perché non condividi i pensieri di Thorin. Sta' tranquillo, Bilbo, non c'è nulla di cui preoccuparsi! >>.

<< Nulla di cui preoccuparsi? >> fece eco lo hobbit, incredulo di fronte al buonumore del nano << Karin e Thorin potrebbero essere stati aggrediti dai ragni, o... o dagli elfi, o che so altro! >>.

Ma l'altro non era degli stessi pensieri, a quanto sembrava << Appunto! Come hai detto, sono comunque insieme >> ammiccò al suo indirizzo, anche se guardò dalla parte sbagliata, ad un punto ben alto rispetto a dov'era la sua testa riccioluta << Io dico, piuttosto, che non avranno avuto tempo di notare qualche aggressore. Non so se mi spiego >>.

<< Ehm, no! >>.

Bofur alzò gli occhi al cielo, evitando di sbuffare forte << Andiamo, Bilbo! Hai anche una vaga idea di cosa potrebbero combinare quei due insieme? >>.

E il povero Bilbo ci pensò, in effetti: ma ciò che vide non gli piacque granché; si immaginò i soliti litigi furiosi, le occhiate sprezzanti. Persino un feroce duello col cozzare delle splendide lame che sprizzavano scintille al contatto; si immaginò i corpi dei duellanti pieni di ferite da cui sgorgava il sangue, Thorin che atterrava Karin e la teneva ferma per la gola mentre la lama...

Strizzò gli occhi, cancellando l'immagine raccapricciante: no, Thorin non le avrebbe mai fatto del male, a dispetto dell'odio che diceva di avere per lei. Eppure non impedì al corpo di tremare, anche se era calmo e non staccava gli occhi dalla faccia sorniona e maliziosa del nano.

<< Ma perché hai quell'espressione? >> domandò, palesemente scocciato.

Per tutta risposta, l'altro si limitò ad alzare le spalle, grattandosi il pizzetto << Non sarò certo io a spiegartelo! Anzi, secondo me faresti meglio ad andare a cercare gli altri, piuttosto che rimanere qui >>.

<< Io non... oh, e va bene, me ne vado! >> scattò Bilbo, irato dal comportamento di Bofur.

Girò i tacchi, ma non aveva fatto che pochi passi quando la voce divertita del nano lo raggiunse.

<< Sei proprio uno hobbit beneducato, non c'è che dire! >>.

Bilbo grugnì qualcosa in risposta, cercando di mantenere la calma e, soprattutto, di continuare a camminare silenziosamente, per quanto invece avrebbe voluto fare confusione!

Non sopportava quando veniva denigrato o preso in giro da qualcuno, per di più se erano suoi compagni ed amici: insomma, che male c'era ad essere beneducati? Lui era uno hobbit rispettabile, educato così fin dalla tenera età! Ed era oltremodo fiero di essere tale!

Continuò a ripensare alle frasi di Bofur, ed alle insinuazioni che l'avevano spinto a pensare al feroce scontro tra Karin e Thorin.

Non avranno avuto tempo di notare qualche aggressore”

Hai anche una vaga idea di cosa potrebbero combinare quei due insieme?”

Non so se mi spiego!”

E improvvisamente capì.

Dovette fermarsi e passarsi una mano tra i capelli per tornare lucido, ma non servì a nulla: ora si spiegavano le occhiate di Bofur e le frasi maliziose!

Non riusciva a pensarli insieme, né tranquilli invece di litigare o ignorarsi: certo, Karin aveva dimostrato più volte di volersi riappacificare con Thorin, ma ne usciva più furiosa e delusa che mai; in più, non avevano ancora sostenuto una conversazione al limite della civiltà, quindi immaginarsela all'opposto gli fece un certo effetto. Bilbo si sentì accaldato al solo pensiero, mentre una vaga rabbia si impossessava della bocca dello stomaco; sbatté più volte le palpebre per dominarsi, ma fallì.

Si sentì uno sciocco, mentre allontanava quella strana forma di gelosia. In fondo, sapeva benissimo che il cuore di Karin non gli apparteneva: lui era solo l'amico e confidente, e tale sarebbe rimasto.

Scosse la testa, stringendo i pugni e continuando il suo cammino: eppure, per quanto facesse piano, si ritrovò a pestare i piedi più forte del previsto.



Urla.

E' stremata, trema senza sosta.

Supplica gli dei che sia l'ultima volta e, per un maledetto senso d'umorismo, l'accontentano.

Lo sente alzarsi, mentre lei è ancora prona, il corpo a contatto con la pietra gelida.

O forse è lei ad esserlo, non lo sa.

Non sa più niente, ormai.

Vuole morire.

Solo questo importa, questo è il suo unico pensiero: si sente sporca, ma non per il sangue che le cola dalla schiena.

Sporca perché è debole, e sta cedendo: ogni giorno che passa è una vittoria per lui.

Una sconfitta per lei.

Sta raggiungendo il suo scopo, il maledetto: farla confessare.

E lei non ha più forze per fermarlo.

Lo sa, e questo fa più male di ogni taglio subito.

Il bruciore è più potente di quello che le pervade la pelle, penetrandole la carne ridotta a brandelli.

Come il suo orgoglio.

E la sua dignità.

Lui l'ha privata di tutto, persino della sua umanità, dei sentimenti che provava un tempo.

Ora sente un gran vuoto.

Vuole solo farla finita, smettere di soffrire.

Perché non la uccide?

Ah, giusto, non può: lei è la chiave di tutto il loro assurdo piano.

Ma per lui è anche un giocattolo.

Il suo uccellino.

Ha un conato, e vomita.

Lo sente ridacchiare, mentre cerca di fare leva sulle braccia per alzarsi di poco: l'odore è nauseante, e si mescola a quello del sangue.

La testa le gira, è troppo affaticata.

Il bastardo si avvicina, ma non lo guarda: dopo poco, sente le dita artigliarle i capelli, e la tira in piedi con forza.

Urla, il dolore lancinante sembra fatto di mille coltelli.

Non dovrebbe stare in piedi, non con una ferita così estesa.

Lo sente sospirare, ma gli occhi non vedono: sono appannati, lucidi di lacrime che sgorgano fuori.

<< Temo di esserci andato pesante, stavolta >>.

Il fiato caldo le sfiora il volto.

Vuole morire.

<< Ma, vedi uccellino, se solo collaborassi! Sarebbe tutto più semplice, no? >>.

il timbro sembra dispiaciuto, ma sa che non lo è. Lo sente maligno e perverso, tra le parole gentili.

Le strattona la testa, la fa ondeggiare.

Le grida sono acute e forti.

Le tappa la bocca con la mano, gli occhi violetti iniettati di sangue: o forse è lei a vedere rosso ovunque. Non sa dirlo.

Non vuole dire nulla.

Non vuole nemmeno continuare a pensare.

<< Invece ti ostini a voler salvare una razza di esseri inferiori, che nemmeno ti considerano come loro! >>.

Stavolta alza lo sguardo verso il suo, un luccichio diverso che lui nota.

Ride, mentre le prese si fanno sempre più forti.

<< Oh, non vorrai dirmi che ci pensi ancora? Non hai imparato nulla stando qui dentro, vero? >>.

Avvicina la bocca al suo orecchio destro, sfiorando la pelle con le labbra.

<< Lui non verrà a salvarti, uccellino. Il tuo principe non aprirà mai quella porta >>.

Sputa quelle frasi con cattiveria, sibilando come un serpente incantatore.

Lei socchiude gli occhi, non volendo sentire.

Non volendo accettare la verità.

Quella verità che fa male, ma che è anche consapevolezza sofferta.

Piange silenziosa, mentre lui continua a bisbigliarle parole vergate di veleno.

<< Sai che c'è un modo per rivederlo. Devi solo dire ciò che voglio sentire: sono poche parole, in fondo. E poi potrai essere libera, e volare dal tuo amato >>.

Le sfiora il lobo con le labbra.

Rabbrividisce, disgustata: tenta di scostarsi, ma le gambe le cedono.

Ha perso troppo sangue.

Le vertigini la prendono, rischia di svenire.

Ma lui non glielo permette. La tiene stretta, tirandole i capelli sulla nuca.

<< Dillo! >>.

L'ordine è secco, non ammette repliche.

Lei tace, anche quando le scosta la mano dalle labbra per permetterle di confessare.

Non vuole farlo, non lo farà.

E' sempre più intontita, ogni cosa si confonde: le pareti grigie si dissolvono, sente quasi i raggi del sole riscaldarla, la brezza l'accarezza.

E lì, accanto a lei, c'è lui.

Il suo principe, fiero e maestoso come è sempre stato. Le sorride, ma non c'è un motivo in particolare: sa che, per lei, i suoi sorrisi sono i più sinceri e pieni d'amore.

Lo chiama, ma si accorge d'averlo detto a voce alta.

Lui ride ancora, ma i suoi tratti si deformano subito dopo << Dillo, uccellino! La mia pazienza è al limite! >>.

Lo schiaffo è violento.

Aggiunge altro dolore, ma non è nulla in confronto a quello che prova dentro di sé: è logorata e distrutta. L'averlo visto per poco le dona l'illusione di essere forte come lui, ma non lo è.

Lei è debole.

Lui glielo ripete sempre, quando la tortura.

Da quanto tempo è lì?

Le paiono lunghi anni.

Vuole solo morire, non le importa del resto.

E' stanca, gli occhi le si chiudono: vuole dormire, abbandonarsi all'oblio nero del sonno.

Perché non la lascia in pace?

Sente che la trascina, ma non è preparata a quello che viene dopo: la sbatte al muro con violenza, urlando di rabbia con lei, che urla di dolore.

Mille e mille lame conficcate nello stesso momento sulla schiena si espandono lungo tutto il corpo, fino alla radice dei capelli.

Strilla ancora quando la spinge, altre lacrime si mescolano al sangue del volto.

Basta, per favore!

Basta!

<< DILLO! >>.

Il furore trasfigura i lineamenti delicati del viso; la presa si fa impaziente.

La ucciderà, se non parla.

Non è questo che lei vuole?

Deve continuare a stare zitta, e tutto finirà: solo, l'opprime il pensiero che non potrà più rivederlo...

Il muro le graffia i tagli, allargandoglieli di più: il sangue le cola lungo la tunica, impregnandola; sente il liquido viscoso scivolarle lungo le gambe e i polpacci.

Urla ancora.

No, non la ucciderà subito; la torturerà, come fa ora.

Non ha fretta.

Gode nel vederla soffrire e sentirla urlare, glielo dice tante volte.

Lei è stanca, non resiste più.

Ha combattuto tanto, e a nulla è servito.

Si odia, i Valar solo sanno quanto.

La vergogna l'assale, ma non può più stare in silenzio.

Chiede perdono a Durin.

Chiede perdono al suo principe.

Le parole faticano a fuoriuscire, sono un esile sospiro. Le forze l'abbandonano sempre più.

<< Tradirò >>.

Non riesce ad aggiungere altro, ma sa che anche questo basta.

Lo capisce dal trionfo che legge negli occhi spietati.

Dalla risata gioiosa e folle che riecheggia nell'oscurità.

Le gambe sono molli, non la reggono più; la stanchezza è immane, ma stavolta non c'è nessuno a sostenerla.

Le ginocchia battono contro le pietre sudicie del pavimento.

Sporche del suo stesso sangue. Del suo peccato.

Esala un lieve sospiro, che diventa un singhiozzo: altre lacrime sfuggono alle ciglia, ma non riesce a fermarle.

E' spossata e distrutta, i contorni si fanno sfuocati, la vista si annebbia.

Sviene, la risata nelle orecchie, il pianto sulle labbra.



Non portò le dita ad asciugarsi le lacrime: rimase immobile, le mani intrecciate in grembo. Era al buio da un bel po' di tempo, ormai; ma, come al solito, aveva perso il conto dello scorrere dei giorni.

Da quanto era rinchiusa lì dentro?

Non avrebbe saputo dirlo, ma era una sofferenza. Una tortura.

Da quando l'elfo l'aveva lasciata, aveva vagato con lo sguardo lungo le pareti di pietra e i mobili di legno scuro e lavorato alla maniera degli elfi: cercava Iris, ma non l'aveva scorta da nessuna parte. Aveva tentato di alzarsi, con il risultato di cadere a terra e vomitare quel maledetto liquido nero: scossa e tremante si era rimessa a letto, in uno stato di dormiveglia agitato; non appena chiudeva gli occhi, infatti, i ricordi la tormentavano, gli incubi l'aggredivano senza sosta.

Poi si risvegliava con le guance rigate di lacrime, che non asciugava: era talmente spossata e distrutta psicologicamente da non riuscirvi.

Si era trincerata dietro un velo spesso, una cortina grigia che la separava dal resto del mondo: lì era sola con la sua colpa, i suoi tormenti, i suoi pensieri.

Nessuno poteva accedervi, nemmeno gli elfi che le portavano il cibo su piatti d'argento, tanto prelibati ma che lei non toccava: al solo pensiero le si rivoltava lo stomaco, nonostante ne avesse bisogno per rimettersi in forze.

Lei era inerte, al sicuro dietro al velo: si crogiolava nella disperazione e commiserazione, ma le andava bene così; era il prezzo da pagare, dopotutto. Sembrò che il suo spirito abbandonasse il corpo, e si vide lì, prima seduta e immobile e poi nelle mani delle elfe, venute a lavarla e cambiarle vestaglia: vide che la spogliarono della tunica di seta, sfilandogliela dalla testa. Vide una delle due posizionarsi alle sue spalle, sciogliendole le trecce e lavandole la chioma scura con gesti delicati: poi prese una spazzola e la pettinò con facilità, come se i numerosi nodi che avevano da sempre costellato le sue ciocche non fossero mai esistiti; finì in poco tempo, per poi acconciarle i capelli con delle treccine ai lati della testa e fermate dietro il capo.

Lo spirito si indignò quando vide i suoi capelli ribelli divenire lisci, come fosse stata un elfo della stirpe di Elrond: ma il corpo non volle reagire, rimanendo distaccato da tutto ciò che accadeva, come una bambola di pezza.

Poi l'avevano vestita e se n'erano andate, leggiadre e silenziose com'erano arrivate, lasciandola sola.

Le candele che rischiaravano l'ambiente si erano consumate da tanto tempo, e nessuno era venuto a sostituirle: sembrava quasi che volessero farla pensare.

Non seppe per quanto rimase lì, gli occhi spalancati nel buio.

D'un tratto la porta cigolò, e uno spiraglio di luce le ferì gli occhi, abituati all'oscurità densa: sbatté le palpebre diverse volte, riconoscendo due alte sagome, una delle quali reggeva un candelabro d'oro. La luce delle candele si fece più intensa man mano si avvicinavano, facendole riconoscere i due elfi.

Il più alto e maestoso le si fermò accanto, di lato, mentre l'altro – quello che era venuto a visitarla il giorno in cui si era svegliata – stava un poco indietro, capendo che la luce rossastra l'infastidiva.

Il primo aspettò qualche secondo, studiandola attentamente in volto, poi parlò.

<< Ti porgo le mie più sentite scuse per ciò che ti è successo, Karin. E le rinnovo per ciò che accadde tempo fa >>.

Sembrò che la cortina grigia si dipanasse al suono della sua voce: non poteva rimanere in silenzio anche stavolta, non se lo sarebbe mai perdonata. Strinse spasmodicamente le lenzuola bianche, un impeto di collera le accese il petto.

<< Le vostre patetiche scuse non cancelleranno queste >> sibilò, la voce rauca data dal lungo silenzio. Alzò una manica, mostrandogli la pelle martoriata da numerose cicatrici biancastre.

Thranduil distolse lo sguardo, come se la sola vista delle cicatrici lo riempisse di vergogna; scosse la testa bionda, alzando una mano elegante ed affusolata.

<< No, è vero. Ma possiamo alleviarti questa spiacevole situazione >> fece una pausa teatrale, sperando gli pendesse dalla labbra.

Convinzione vana.

<< Il tuo re è a qualche livello di distanza, rinchiuso in una cella. Se lo desideri potrai fargli visita: devi solo rivelarci qual è lo scopo del vostro viaggio, tutto qui >>.

Karin spalancò gli occhi, indignata e furente: dopo tutti quegli anni si ritrovava nella medesima situazione, con l'elfo che le proponeva un maledetto ricatto e lei, povera vittima, che doveva obbedire; quando si dice “cerchio della vita”...

Fece vagare lo sguardo verso l'altro elfo, rimasto zitto di fronte a quella richiesta: eppure, dietro lo sguardo impassibile scorse risentimento e imbarazzo, misto a una rabbia sorda; sentendosi osservato, Legolas ricambiò lo sguardo di Karin, facendole intendere quanto detestasse quel basso mezzo.

Ora più sicura, con sforzo immane riuscì a sostenere con tranquillità lo sguardo chiaro e freddo del re degli elfi, mentre dentro di sé ribolliva di furia.

<< Se non vi dicessi nulla mi torturereste nuovamente per estorcermi una menzogna? >> domandò, la voce tagliente e sprezzante; Thranduil non si scompose, ma gli occhi scintillarono minacciosi.

<< Sul mio onore, no >> rispose subito, indignato che gli ricordasse un fatto che aveva macchiato il suo buon onore di elfo.

<< E sul mio non dirò nulla >>.

Thranduil dilatò brevemente le narici, assottigliando lo sguardo << Piccola testarda, hai la possibilità di andartene e non la sfrutti, e solo per salvare i piani del tuo sovrano ed essere sua complice! >>.

Karin si morse la lingua per non rispondergli: Thorin non era il suo re. Ma non riuscì a comprendere se la frase implicasse anche un altro significato, oltre alla fedeltà che, in quanto nano, gli doveva.

Per un attimo restò sconcertata, sbarrando gli occhi: possibile sapesse?

Tornò dietro al velo, celandogli i suoi pensieri, rinchiudendosi nel suo silenzio. L'elfo se ne accorse, lanciandole un'occhiata di puro odio, alla quale lei rispose con soddisfazione e gioia malsana; le diede le spalle, facendo cenno al figlio di seguirlo fuori.

La porta si richiuse con un tonfo secco, mentre lei sprofondò meglio nel cuscino, gli occhi spalancati nel buio.

Di nuovo sola, con i suoi tormenti e la voglia di riposare: ma il terrore di incappare negli incubi era dietro l'angolo, lo sentiva. Gli occhi le si chiusero e, vinta dalla stanchezza, si stese: l'ultimo pensiero prima di sprofondare nel baratro gelido e nero dei ricordi volò verso Thorin; lo vide avvicinarsi con un sorriso sulle labbra sottili, i raggi del sole che lo riscaldavano.



Il buio si dipana.

Ora riesce a vedere al di là dell'oscurità opprimente.

Sa che è un sogno, ne ha fatti molti durante le notti interminabili: eppure il senso di angoscia e panico lo tormentano, stringendogli il cuore.

Come sempre, si aspetta d'udire le urla straziate, o il pianto sommesso e via via sempre più forte ed acuto.

Invece non accade nulla.

Tutto è silenzio.

Si preoccupa, anche se sa che dovrebbe essere rincuorato.

Ma c'è troppa quiete.

E' nervoso, e scalpita.

Muove un passo ed un altro ancora, vedendo che la lieve penombra lo segue, rischiarando lo spazio.

Riconosce le pareti di pietra, umide e fredde: è nella sua cella.

Sbuffa, perché nemmeno nei sogni può sperare d'evadere da lì: ma si rimprovera, perché quello non è un sogno.

E non gli appartiene.

Ormai lo sa.

Ha dei sospetti, ma vuole conferme.

Cammina ancora, tende le orecchie: ora percepisce un rumore.

Si avvicina, sa che là c'è la porta.

Il rumore si fa insistente, e sembra ci sia un qualcosa che graffia la superficie lignea dello stipite.

Un altro passo, e un altro ancora, poi si blocca: c'è qualcuno inginocchiato, curvo su se stesso.

La luce è ancora troppo debole per distinguere qualcosa che non sia la sagoma rannicchiata.

Quando si avvicina, il buio diminuisce, ed ha un lieve tuffo al cuore.

Riconoscerebbe quei capelli tra mille.

Quella chioma indomabile, che amava così tanto...

Che ama ancora.

Non vuole crederci, non vuole vedere.

Ma, anche se ha distolto lo sguardo, il rumore non cessa, gli martella le orecchie. E il cuore.

Poi, dalla figura si alza una melodia, canticchiata a bassa voce con voce tremante.

Colma di lacrime.

E' la canzone dell'uccellino che vuole cercare la madre, ma non la trova.

La conosce anche lui, ed è questo ad annientarlo definitivamente.

Allunga una mano verso la spalla della ragazza, scossa da fremiti.

Ma le dita la trapassano, si infrangono con l'aria.

La figura inizia a svanire lentamente.

Il pianto si mescola con le parole della canzone ed il grattare delle unghie sul legno.

Non può permetterle di sparire.

Glielo ordinerà, se necessario.

<< Karin! >>.

La chiama, ma la figura continua a dargli le spalle, neppure si gira: sa che è lì? Lo percepisce?

E' quasi scomparsa del tutto e lui, impotente, non può fare a meno di chiamare.

<< KARIN! >>.

Il buio lo inghiotte, ancora una volta.

Lei è sparita.

E' solo.



Thorin portò le mani a strofinare il viso stanco, sfregando gli occhi con furia: non solo si era riaddormentato, ma era caduto di nuovo preda degli incubi.

Per quanto cercasse di allontanarli, quelli si ripresentavano più nitidi alla sua mente: anche con gli occhi spalancati riusciva a scorgere la sua schiena e i suoi capelli scuri.

Si alzò, camminando spedito verso lo stipite della porta, temendo ciò che vi avrebbe trovato: ormai ne era sicuro, non erano semplici incubi quelli che lo tormentavano ogni volta che chiudeva gli occhi. Erano ricordi.

Di Karin.

Si inginocchiò, poggiando le mani sul legno duro e vecchio: le dita corsero piano, indugiando su ogni piccola venatura alla ricerca di nemmeno lui sapeva cosa.

Forse quello poteva essere stato un normale sogno, e lui stava semplicemente impazzendo nel voler trovare per forza una risposta logica che lo portasse a lei.

Si era quasi convinto di ciò, che trovò qualcosa.

Qualcosa di diverso dalle semplici venature, più profondo per essersi formato naturalmente.

Scavato nel legno”

Vi passò sopra le dita, riconoscendo dei caratteri familiari: delle rune naniche.

Formavano una parola, che lo fecero tremare e indignare come poche volte, il cuore ormai sbriciolato dalla morsa ferrea.

karin

Karin







CANTUCCINO DELL'AUTRICE


Buonsalve, e perdonate l'ENORME RITARDO ç_____ç

Avrei dovuto aggiornare prima ma, tra lo studio e il blocco che mi era preso – mannaggia a lui >.< - non ce l'ho fatta! Ero giù di morale, parecchio abbattuta: ma i vostri messaggi mi hanno ridato speranza e vigore! Voi sapete chi siete, mie meravigliose ragazze *_____*

Ehm, qui non abbiamo nulla di carino e coccoloso tra i piccioncini ritrovati: cause di forza maggiore chiamato Thranduil, che li ha messi in celle separate e... causa passato che incalza e li tormenta, tutti e due!!!

Riusciranno i nostri eroi a venirne fuori??? Spero di sì, ma intanto dubito di me stessa: la mia salute mentale sta andando a farsi benedire con 'sta storia: mea culpa, dopotutto XD XD!!!

Bene, come sempre vi esorto a farmi sapere che ne pensate con le recensioni – oh, se qualcuno vuol aggiungersi sarà il benvenuto/a, mica lo mangio ;)))

Ringrazio le carissime e specialissime J_ackie, jaybeautifdarkangel, vanessa 90, miss_frenky92, LadyGuns56, erica0501, pamagra, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack, Mars PR_Black Rose e Carmaux. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!! La “family” si sta allargando, evvai!!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite- seguite- ricordate e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra

Anna *sempre dietro lo scudo di quercia, non si sa mai* :P :P

P.s Posto anche stavolta ad un orario indecente -.-''!!!


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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Note autrice: oh oh oh, qui la tristezza dilaga!!! Chiedo perdono per i capitoli un po'... pallosetti (si può dire, vero O.o?); so che non accade nulla di che, ma portate pazienza, per favore u.u! Sono indispensabili per la trama e lo svolgimento della storia: anzi, spero iniziate a capire cos'è accaduto nel passato della nostra traditrice preferita XD, comunque sappiate che il passato spunterà fuori anche qui e nei prossimi capitoli (ancora uno sicuro, poi dovranno pur andarsene da 'sto postaccio, no ^^?)

Come sempre vi faccio una marea di ringraziamenti per il sostegno, mie stelline :* :*, spero vi piaccia anche questo! Ci leggiamo giù, va bene?

Ah, non so se cambiare il rating della storia, a questo punto, comunque anche qui il cap è GIALLO/ARANCIONE,per sicurezza :) :)




CAPITOLO UNDICI


Bilbo scivolò in una stanza appena in tempo: il mantello di un elfo gli sfiorò le gambe, ma il proprietario non se ne accorse, avanzando spedito lungo il corridoio semibuio; in mano teneva una lancia, come le guardie che aveva trovato davanti alle celle dei suoi compagni.

Espirando piano dato lo spavento, cercò di placare i battiti furiosi e incessanti del suo povero cuore, per poi avanzare adagio sulla sua scia: riuscì a seguirlo ascoltando solamente i passi affrettati lungo corridoi sempre più illuminati da torce appese al muro di pietra, lungo scale addossate alla parete che portavano ai vari livelli, sia superiori che inferiori.

Vagava libero da una settimana, ormai, eppure si stupiva sempre di come quel palazzo fosse un vero e proprio labirinto!

Era riuscito a trovare il resto dei nani, ed aveva avuto un gran daffare quasi ogni giorno a portare messaggi all'uno o all'altro; stavano bene, e le notizie che riferiva li confortavano: ma non del tutto.

Nei loro pensieri e nei loro cuori pensavano spesso al loro re e alla compagna, dispersi chissà dove.

Svoltò ancora una volta, sentendo i passi farsi sempre più vicini, per poi arrestarsi: sbirciò dall'angolo, riconoscendo l'elfo; chiacchierava tranquillamente con una guardia, probabilmente doveva dargli il cambio. Invece, con immenso stupore – e per poco non aveva urlato di sorpresa – quello che aveva seguito aveva estratto dal fianco sinistro una spada che ben conosceva, dalla guardia d'acciaio lavorata a formare quattro larghi petali, che scendevano a coprire il polso del possessore.

Iris

Ma allora Karin è qui!”

Fu questo l'unico pensiero che riuscì a formulare, mentre osservava i due elfi ammirare con interesse la lama, e le rune che vi erano incise; fecero gesti di apprezzamento, per poi entrare in una stanza ed uscirne poco dopo, senza spada.

Si allontanarono, e ciò permise allo hobbit di avvicinarsi meglio per spiare: fortuna avevano lasciato la porta aperta, così poté entrare tranquillamente.

Con un luccichio meravigliato negli occhi grigi, i piedi lo portarono subito davanti a Iris, poggiata in orizzontale sopra un sostegno di legno: con dita tremanti - come se toccasse un oggetto sacro a lui proibito - accarezzò la lama lucida e fredda, che sembrava assorbire la luce calda e il gioco delle lingue rossastre ed infuocate delle candele accese ai suoi lati. Non si azzardò a smuoverla o prenderla, non gli sembrava giusto: era come se stesse violando una parte di Karin; gli fece uno strano effetto vederla lì, piuttosto che dentro al fodero, allacciata alla cintura dell'amica.

Sbatté le palpebre molte volte, confuso, quando per un attimo vide i suoi occhi neri riflettersi e guardarlo: ma non era il solito sguardo felice o amichevole, era... angosciato e triste, immensamente addolorato. E perso.

Rimase imbambolato finché non sparì, poi si riscosse: lei aveva bisogno di lui, non poteva permettersi di perdere tempo prezioso.

Fece scorrere lo sguardo alla sua sinistra ed impallidì del tutto, anche se dentro di sé si sentì quasi euforico: sopra un tavolo di legno vi era anche Orcrist, riposta però dentro al fodero; eppure, anche lì dentro, la riconobbe dall'impugnatura di dente di drago. Quindi, anche Thorin era a palazzo! Non poteva crederci, ora erano tutti insieme, anche se separati! Ed il saperli – magari - a poche stanze di distanza, gli diede la forza necessaria per spicciarsi, muovendo un passo davanti l'altro.

Diede un'ultima occhiata alla spada per poi voltarle le spalle, e ripercorre lo stesso tratto di strada che l'aveva condotto lì: era inutile cercarli a vuoto, si sarebbe perso. Ora, ciò che gli premeva era far sapere anche agli altri che Karin e Thorin erano lì; si bloccò un attimo, sconcertato, quando un pensiero lo folgorò: e se gli elfi avessero preso le armi... e basta?

Insomma, se le avessero trovate e raccolte per non lasciare delle spade di ottima fattura nelle profondità della foresta?

E loro... dove potevano trovarsi, allora?

No, era certo fossero a palazzo: lo sentiva.

Doveva solo cercarli.

Con un impeto di coraggio e orgoglio ritrovati marciò a testa alta verso la prima cella, pronto a dare la notizia del ritrovamento ai compagni: fortunatamente non v'era nessun elfo di guardia, così poggiò le mani alle sbarre, chiamando piano.

<< Psst, Dwalin! >>.

Il nano, che se ne stava appoggiato con la schiena alla parete, gli occhi chiusi e le braccia conserte, si sciolse dalla posizione e si avvicinò.

<< Scassinatore >> lo salutò, il cipiglio minaccioso affievolito << notizie da mio fratello? >>.

<< Oh, no, ma porto due buone nuove! Insomma, spero! >> esclamò.

Dwalin marcò l'espressione severa del volto, incrociando le possenti braccia al petto: anche se non riusciva a vederlo vista l'invisibilità, sembrò guardarlo dritto negli occhi, mettendolo a disagio.

Bilbo sfilò l'anello, preferendo mostrarglisi.

<< Ebbene? >> disse, burbero << Non intendo aspettare tutto il giorno specie se, come dici, sono buone notizie >>.

<< Riguarda Thorin e Karin: poco fa, al livello superiore, ho visto le loro spade in una stanza; forse sono qui anche loro! >>.

L'altro rimase in silenzio, mentre gli occhi mandarono lampi di felicità. Per poi rabbuiarsi subito.

<< Devi trovare Thorin, per prima cosa: l'avranno imprigionato come noi, molto probabilmente >>.

Bilbo annuì, aggrottando poi la fronte << E Karin? >>.

Dwalin, per tutta risposta, si pronunciò in un verso sprezzante, che la diceva lunga su ciò che avrebbe voluto rispondergli << La traditrice? L'hai vista in un qualche angolo a complottare con un elfo? >> domandò secco.

<< No >> ribatté Bilbo, arrabbiandosi un poco: sapeva che non sarebbe servito a nulla, ma non riuscì a calmarsi << però potrebbe essere imprigionata: hai notato le sue espressioni nella foresta, mi pare. Parlavano chiaro >>.

<< Certo! Abile mentitrice, che riesce ad ingannare gli sciocchi >>.

<< Io non sono uno sciocco! >> ribatté, offeso.

<< Lo sei, scassinatore >> replicò il nano, per nulla turbato dal tono dell'altro << Bastano poche paroline, un sorriso e qualche abbraccio per cadere nella sua trappola; oh, per non parlare della “paura” ostentata! Dimmi, Bilbo, ti è passato per la mente di volerla proteggere ad ogni costo, non è così? >>.

Non aspettò la risposta dello hobbit: la sua espressione parlava benissimo per lui.

<< Lei è furba, una creatura che è riuscita a piegare tutti al suo volere, per poi tradirli >> disse, la voce dura e improvvisamente sofferta; lasciò vagare lo sguardo lontano, forse perso nei ricordi. Ciò permise al povero Bilbo di ritrovare la voce, e parlare in difesa di Karin.

<< Quindi consideri Thorin uno sciocco, mio pari >> con un fremito di paura, vide gli occhi di Dwalin diventare profondi e irati.

Sapeva d'aver utilizzato un mezzo poco rispettabile, ma lo faceva per difendere la sua amica da accuse che sapeva essere infondate!

<< So perfettamente quale sentimento li legava, lo comprenderebbero anche i più ostinati, e... >>.

<< Cosa vuoi saperne? Tu non c'eri quando si rivelò per quel che realmente era! >> scattò il nano: afferrò le sbarre di ferro con così tanta forza che, per un attimo, Bilbo ringraziò quell'ostacolo tra loro; ci sarebbe stato il suo collo tra quella presa, altrimenti.

<< Spiegami, allora! Cosa ha fatto per meritarsi tanto odio? >> chiese, sull'orlo della disperazione e della rabbia cieca.

Voleva sapere, assolutamente. E se, per raggiungere lo scopo, avesse dovuto tirare fuori il lato più oscuro di sé usando il disprezzo di Dwalin e il suo carattere burrascoso... l'avrebbe fatto.

L'altro sembrò accontentarlo, ormai preda della furia incontrollabile << Fu lei a permettere la distruzione di Erebor! Che possa essere dannata per questo finché avrà fiato in corpo! >>.

Bilbo spalancò la bocca, sbalordito: temette d'aver capito male.

<< Co-cosa? >> la sua sicurezza si sgretolò come le macerie di un muro, tornando ad essere il Baggins spaventato dei primi tempi.

Dwalin parve compiaciuto della sua sorpresa e, con somma gioia da parte di Bilbo, continuò il racconto << Non te l'aspettavi dalla tua amichetta, vero? Te l'ho detto, in lei si nasconde un mostro, un'ingannatrice perfida e subdola. Si è fatta docile e buona mentre, come un ragno, tesseva la sua tela fatta di trame e bugie; catturò Thorin, portandolo dalla sua parte, facendolo innamorare di sé. Persino io le ero amico >> si fermò, spostando brevemente lo sguardo in un punto impreciso, lontano dal volto stupito di Bilbo << Ma poi è fuggita col padre, dopo che a questo era stato affidato un compito importante: cercare l'alleanza con gli Elfi Silvani contro un drago avido. Non eravamo certi della sua venuta, ma sapevamo che sarebbe giunto, prima o poi, desideroso d'impadronirsi dell'oro di Erebor. Così accadde: e durante lo scontro, molti di noi videro la nostra unica salvezza – gli elfi – volgerci le spalle per tornarsene al bosco. Con loro, anche il padre della traditrice >> respirava affannosamente: l'odio traboccava da ogni parola, facendo tremare Bilbo. Mai aveva sentito parole così piene di disprezzo e sofferenza.

<< Poi che accadde? >> domandò, con un filo di voce: parte della sua mente non avrebbe voluto saperlo, ma ormai era fatta; se voleva conoscere ogni cosa sarebbe dovuto andare fino in fondo.

<< Finì la battaglia e noi, stremati e decimati, lasciammo la nostra casa e tutto ciò che ci apparteneva: ci rintanammo come topi nella vicina Dale, ridotta ad un cumulo di macerie. Ma dovevamo riposarci e piangere i morti. Un giorno si ripresentarono, volendo parlare con Thròr: iniziarono a blaterare sul fatto d'essere stati costretti a tradire. Non vennero creduti, e il re comandò che venissero esiliati: fu allora che Karin confessò. Lo fece guardando Thorin negli occhi - impertinente come sempre - chiedendogli di risparmiare il padre dalla punizione, poiché era stata tutta colpa sua; volle parlargli in privato: non so cosa si dissero, so solo che, alla fine, vennero banditi entrambi. Per sempre >>.

Bilbo aveva gli occhi lucidi, ed un peso allo stomaco e al cuore che lo lasciarono senza fiato per lunghi ed estenuanti secondi.

Non poteva crederci: non riusciva nemmeno a immaginarla complice degli elfi nella distruzione di Erebor, della propria casa.

No rifletté ci dev'essere un'altra spiegazione.

Doveva trovarla, e farsi raccontare la sua versione. Solo così sarebbe riuscito a comprenderla.

<< Karin continuava a sostenere di non essere una traditrice, fin dal principio. Dev'essere stata costretta a mentire, per forza! >>.

<< La tua ostinazione è pari alla mia, scassinatore >> Dwalin scosse il capo, in un muto rimprovero << Guarda in faccia la realtà: Karin è una traditrice, e meriterebbe d'essere trattata con freddezza; invece, da quando è qui, ha conquistato l'affetto di tutti. Soprattutto di mio fratello e Thorin >> sbuffò piano, sprezzante << Proprio lui, che era stato tradito e ci ha rimesso più degli altri. Tu non l'hai visto distruggersi con le proprie mani, anno dopo anno: da allora è cambiato, profondamente. Quel giorno non ha esiliato solo lei, ma anche la parte di sé che si era donata a Karin, amandola. La nostra amicizia fraterna è continuata, è vero: ma non è più stata la stessa >>.

Lasciò la presa sulle sbarre allontanandosi un poco, venendo risucchiato dall'ombra nera della cella << Noi tre eravamo inseparabili: ne abbiamo combinate tante, nell'infanzia; poi l'amicizia tra Thorin e Karin è mutata, divenendo diversa e profonda. Ero molto felice, s'intende, ed auguravo loro il meglio: si completavano, in un certo senso. Oh, insomma, non sono molto bravo con questi discorsi! >> proruppe, inalberandosi di fronte a quella imbarazzante confessione, che fece scappare un leggero sorriso a Bilbo << Poi tutto mutò con una velocità spaventosa, e ci trovammo divisi. Questo è quanto >> grugnì, andando a sedersi a terra.

Bilbo non seppe che aggiungere, ed ebbe una mezza idea di salutarlo e andarsene, ma i piedi non si mossero: sapeva che doveva dire qualcosa che potesse confortarlo o farlo ragionare, piuttosto che vederlo annegare nel dolore dei ricordi. Aprì la bocca, timidamente.

<< Io credo che Karin abbia avuto i suoi motivi per aver fatto quello di cui è accusata: che siano buoni o sbagliati, bé... è difficile da dire, se non si conosce il perché. Ma, Dwalin, l'hai mai sentita piangere? I suoi singhiozzi sono quelli di una bambina sperduta che si odia a morte e vuole solo il perdono dei suoi amici. La colpa non l'ha mai abbandonata, il rimorso lo porterà con sé per sempre: è questo che auguri ad una tua amica? Che soffra così tanto? >> si fermò, un groppo alla gola gli impediva di respirare, o continuare a parlare.

Dwalin lo trafisse con lo sguardo, assottigliando le labbra << Vattene, scassinatore. Le nostre chiacchiere finiscono qui >> sibilò, per poi voltare il capo dalla parte opposta.

Bilbo abbassò la testa, sconfitto; infilò l'anello e sparì, i passi leggeri che, via via, si allontanavano dal nano.




Assiste alla sua tortura, impotente.

Vorrebbe scagliarsi contro quel bastardo, ma non può.

Non riesce a muoversi.

Non riesce nemmeno a urlare, a chiamare.

Sente dolore in ogni dove. Il suo.

Di Karin.

Guarda il sangue che cola, rosso vermiglio, dalle braccia bianche.

Dalla schiena, martoriata brutalmente.

Con orrore, capisce che i tagli formano un paio d'ali, grottesche imitazioni di quelle di un volatile.

Di un uccellino.

Il fiato gli manca, la rabbia dilaga.

Come osa farle questo? Uno scempio del genere non può rimanere impunito!

Chiude gli occhi alle numerosa grida straziate.

Stringe le mani a pugno fino a farle sbiancare.

Conficca le unghie nella carne, facendosi male: sanguina, ma non gli importa.

Nulla è importante in confronto a ciò che lei sta patendo.

Apre la bocca, un ruggito furioso e animalesco preme sulla gola, vuole uscire.

Ma non urla come vorrebbe, rendendolo più arrabbiato che mai.

Ci riprova, con ostinazione.

Vuol fare un passo avanti, raggiungerlo e spezzargli l'osso del collo con un sol colpo.

Poi avrebbe riso lui, sguaiatamente: come sta ridendo l'elfo di fronte al sangue di Karin.

Di fronte alle sue suppliche.

Di fronte alle sue lacrime.

Lo vede rialzarsi da terra: la lama del coltello, impregnata di rosso, gocciola.

Lei è immobile, i respiri sono bassi e rochi. E' stremata, le forze l'hanno abbandonata.

Rialzati vuole dirle ti prego.

Ma non lo fa, rimane stesa.

L'elfo pulisce noncurante la lama con un panno, poi le si avvicina maligno, schivando la pozza rossa che si allarga sempre più ai suoi piedi.

<< Sei debole, uccellino >>.

La furia rimonta in lui, potente come un fiume in piena.

Come osa dirle questo?

Con quale diritto pronuncia quella frase?

Che genere di mostro ha davanti?

Vuole spaccargli la faccia.

Vuole affondare la sua ascia nel suo petto, bearsi delle grida del nemico ed infierire finché non avesse esalato l'ultimo respiro.

Si sarebbe abbassato al suo subdolo livello, vendicandosi ferocemente.

Per lei.

Solo per Karin.


Poi tutto si dissolve, lentamente, ritorna il buio.

Aggrotta la fronte quando sente il terreno mancargli sotto i piedi.

Sta andando verso l'alto, lo sente.

L'oscurità diminuisce mentre sotto di lui riconosce le chiome degli alberi di Bosco Atro.

Poi si muove veloce, lasciandoselo presto alle spalle: davanti a lui, ora, si erge la Montagna Solitaria.

Ha un tuffo al cuore nel rivederla così vicina e vivida, dopo molto tempo.

Ma teme anche ciò che può riservargli quell'incubo.

Rapido come il vento sembra quasi scontrarsi contro il fianco roccioso, ma ci passa attraverso, muovendosi tra le sale illuminate dai giganteschi bracieri.

Lungo i vari corridoi.

Si inoltra nel centro della montagna.

E poi, finalmente, si ferma.

Riconosce la sala del trono.

La grande stanza è circondata da possenti colonne scavate nella roccia, alte molti piedi; il pavimento è solo un corridoio di marmo liscio e nero che porta al trono sopraelevato, circondato da uno spiazzo rotondo di pietra.

Non ci sono pareti; sotto e attorno, il vuoto: scorge le numerose e lunghe scale, ripide e scoscese, che portano ai vari livelli.

Le grandi finestre rischiarano due figure: una è sui gradini che portano al trono possente, l'altra è poco più in basso.

Il cuore sembra spezzarsi quando si riconosce nella prima sagoma: l'altra è Karin.

Da molto tempo non sogna il loro ultimo scontro, prima dell'esilio.

Non vuole ascoltare, ma deve.

Deve ricordare quelle parole, rivedere ogni gesto rabbioso: è la sua tortura, dopotutto.

E' così certo della sua colpevolezza che mai si pone la domanda cruciale: ha davvero tradito di sua spontanea volontà?

Lei glielo dice, ogni volta: non è colpa sua, ma degli elfi che l'hanno torturata e costretta.

Ma le orecchie di lui, Thorin Scudodiquercia non sentono. Mai.

Sposta lo sguardo azzurro verso Karin, volendo chiederle perdono.

La voce non esce.

Nonostante lo sguardo colmo di lacrime versate, è fiera e orgogliosa. Gli occhi neri brillano di sofferenza e determinazione.

Il capo è alto, la schiena è dritta.

L'elfo si sbaglia pensa Karin non è debole. Non lo è mai stata.

Prova una certa soddisfazione nel vederla lì a fronteggiarlo, anche se ha il volto stravolto e paonazzo dal pianto furioso.

E' ancora più bella.

Distoglie a fatica lo sguardo, sapendo che non la rivedrà più.

Fa male, ma si volta verso se stesso, le dà le spalle: lui è il ritratto dell'indignazione più pura, dell'ira più profonda.

Il tradimento è un torto che non rimane impunito.

Il suo stesso essere e il suo orgoglio reclamano vendetta.

Desidera quella punizione che li porta nella disperazione, nella sofferenza immane.

Nell'oblio del dolore.

Lontani per sempre.

Detestandosi a morte.

Eppure non si dimenticano, l'odio non prevale.

Si maledice tante volte, però sa che non serve: è a Karin che deve chiedere perdono.

Ma lei è morta.

Si dispera perché non riesce a parlarle: è muto, come prima nella cella.

Di nuovo, tutto inizia a dissolversi, l'oscurità ritorna.

L'accoglie con gioia, perché non merita di vedere la luce. Di vedere lei.



Portò un dito alla guancia destra, sentendola umida: asciugò le tracce di pianto con un gesto al limite della stizza, infuriato.

Non rammentava l'ultima volta in cui avesse dato sfogo ai suoi sentimenti più deboli: nemmeno quando Erebor era stata presa da Smaug, nemmeno quando suo nonno era morto e suo padre fuggito.

Nemmeno quando aveva compreso che Karin era morta.

Avrebbe voluto piangere, quello sì, ma nessuno lacrima era fuoriuscita dagli occhi; era meschino e freddo, lo sapeva, eppure era così.

Non sapeva piangere.

O non voleva, ma non esisteva alcuna differenza.

Perciò si stupì non poco quando sentì le dita bagnate da lacrime salate: solo negli incubi tornava a provare dei sentimenti.

Sospirò affranto, volgendo lo sguardo alla sua sinistra, nel punto dove campeggiavano le rune scavate nel legno dalle unghie di Karin, nel periodo della prigionia: le sfiorò, con la stessa delicatezza con cui le aveva accarezzato la guancia dopo il bacio. Gli parve di sentire il calore e la morbidezza della sua pelle a contatto con i polpastrelli: ma si riscosse presto, amareggiato; quello era solo legno, duro e ruvido.

Appoggiò la testa alla porta, guardando il soffitto, umido quanto le pareti: in alcuni momenti, piccole gocce risuonavano sulla pietra, in una melodia continua che gli permetteva di contare il tempo.

Una settimana. Così tanti giorni, in cui si era lasciato andare in ricordi e colpe, piuttosto che cercare una soluzione per fuggire da lì: si chiedeva spesso dove potessero essere i suoi compagni, se stessero bene e se erano riusciti ad uscire dalla foresta, ma i cupi pensieri accumulatisi gli fecero perdere ogni speranza.

Anche se non si fossero imbattuti nei ragni – o negli elfi – rimanevano comunque troppo lontani dal sentiero, senza viveri: non sarebbero durati a lungo.

Passò le mani sul volto, sconsolato: la loro era stata un'impresa suicida, destinata a fallire fin dal principio; e lui, come re e guida, avrebbe dovuto saperlo, accorgersene in tempo. Ma la sua voglia di rivalsa e vendetta avevano prevalso sul buonsenso, rendendolo cieco.

Come era accaduto con Karin, d'altronde.

Qualsiasi gesto, qualsiasi azione che voleva compiere – o che aveva compiuto - erano sempre totalmente sbagliati: era lui la causa dei suoi mali. La colpa era solo sua.

Si risvegliò dal baratro della commiserazione quando sentì dei passi affrettati farsi sempre più vicini: fuori, si stava avvicinando qualcuno. Ed aveva capito da subito che, là in fondo, la sua era l'unica cella presente.

Si alzò di scatto: i muscoli protestarono debolmente, risentendo dell'inedia di quei lunghi giorni in cui non aveva fatto altro che stare seduto ed immobile.

Rimase al centro della stanza, aspettando il visitatore: finalmente, dopo attimi eterni, la chiave girò nella toppa e la porta si aprì, facendogli sbattere le palpebre per la luce della torcia, vivida e rossastra.

Quando si abituò, riconobbe l'elfo biondo che gli aveva intimato di abbassare Orcrist: non appena entrò si squadrarono con astio, senza celare nulla.

Si erano aggiunti nuovi motivi per i quali odiava apertamente la razza elfica, da quando era stato rinchiuso, e aveva intenzione di farglieli capire chiaramente.

<< Ti conosco >> disse, glaciale << ci siamo incontrati nella foresta >>.

L'elfo annuì, gli occhi chiari si strinsero leggermente << Sono Legolas, figlio di Thranduil e principe di Bosco Atro >>.

A Thorin scappò una risata a dir poco sprezzante e sarcastica: il re mandava il figlioletto a parlamentare?

<< A cosa debbo questa visita? >> domandò duramente, incrociando le braccia muscolose al petto ed inarcando un sopracciglio.

Anche se era più basso di Legolas sembrò sorpassarlo, data l'alterigia e l'orgoglio fiero dei nani con cui aveva parlato. Tornò il Re sotto la Montagna che era sempre stato: era l'unica cosa che gli rimaneva.

Aspettò impaziente la risposta, non capendo se il silenzio dell'elfo fosse studiato per lasciarlo sulle spine o se, effettivamente, stesse cercando le parole adatte con cui esprimersi; finalmente, parlò.

<< Karin è viva >>.

Lo disse senza giri di parole, diretto e conciso: Thorin stentò a credere a ciò che aveva udito, e dovette munirsi di tutto l'autocontrollo che possedeva per non iniziare a ridergli in faccia. O prenderlo a pugni.

Fece saettare lo sguardo indagatore sul suo volto, alla ricerca di menzogna nei tratti delicati e perfetti: ma non ne trovò.

<< E' inutile che mi guardi in quel modo: è la verità, lo giuro sulla mia vita >>.

<< I tuoi giuramenti puoi benissimo tenerteli! >> sbottò irato Thorin << Lei è morta, l'ho vista con i miei occhi! >> ribatté con ostinazione.

Legolas, invece, scosse il capo << Lo credevo anche io, quando me l'hai detto: ma era solo l'effetto del veleno. Ha lottato duramente per svegliarsi e ce l'ha fatta, il corpo ha reagito bene >>.

Parole troppo belle che parevano impossibili.

Però il sospetto di un qualche tranello era in agguato: si trattava pur sempre del figlio di Thranduil, di colui che, per primo, aveva architettato la menzogna più grande che li aveva allontanati.

Come avrebbe voluto credergli, e bearsi della gioia e felicità nel saperla viva! Ma non doveva abbassare la guardia, era ancora troppo diffidente nei suoi confronti.

<< Dov'è? >> si costrinse a chiedere: aveva la gola secca, e la domanda gli uscì male articolata.

<< E' ancora debole: si è nascosta dietro un velo di freddezza e paura. Non parla con nessuno, e non vuole guarire >>.

Sembrò che una lama gli si fosse conficcata in quel poco che gli rimaneva del cuore: Karin non voleva combattere per la sua vita e si stava lasciando andare, preda dei tormenti del luogo.

Una rabbia inaudita minacciò di esplodergli in petto, ma riuscì a dominarla, anche se poco: iniziò a tremare, i pugni contratti; ogni sua fibra era impregnata d'odio verso quel popolo che l'aveva condotta a quello stato, che le aveva fatto del male.

<< Se vuoi salvarla – come suppongo desideri – devi ritrattare, dopodiché chiamerò mio padre e lo convincerò affinché possiate incontrarvi >>.

<< Lei dove si trova? >> chiese, sempre più irato: ignorò la richiesta dell'altro, maledicendo i ricatti e chi glieli proponeva.

Il silenzio ostinato dell'elfo lo mandò su tutte le furie.

<< DOV'E' KARIN? >> gridò, con quanto fiato aveva in gola: non gli importò di risultare impulsivo o privo di controllo. Semplicemente, non ce la faceva più a frenarsi.

<< Non posso dirtelo, ma devi fidarti quando dico che è viva, e potrai rivederla >> disse l'altro, sembrando dispiaciuto.

<< Lei non è viva, vuol lasciarsi morire! Ed è colpa della vostra razza! >> sputò con astio, gli occhi scintillanti.

Legolas si rabbuiò << Abbiamo sbagliato a rinchiuderla, è vero: ma non eravamo al corrente degli orrori che ha dovuto sopportare >>.

<< Dovevate vigilare meglio, allora >> sibilò Thorin, malevolo << Sei mai stato imprigionato in questa cella, principe? Hai mai rivisto quegli orrori – come li chiami - attraverso la sua mente? >> il tremore sembrò abbandonarlo, lasciandolo solo immensamente stanco e fiacco.

<< No, e ciò mi addolora >> Legolas diede un rapido sguardo alla cella, tornando a rivolgersi al nano << Fui io ad accorgermi di ciò che stava patendo, e la liberai dal giogo di colui che era il nostro consigliere più fedele >>.

<< Gesto nobile da parte tua >> sbottò sarcastico << Scommetto che le vostre scuse saranno state talmente sincere che vi ha perdonati! >>.

Lo vide arrabbiarsi, provando un piacere inaudito: che provasse sulla sua pelle la furia che stava covando in lui!

<< Lei non ci perdonerà mai, ma non perdonerà nemmeno te, Re sotto la Montagna >> disse, tagliente. Thorin sentì il sangue gelarsi nelle vene, ed un impulso improvviso di scagliarsi contro l'algida figura per farla tacere. Ma quella, sprezzante, continuò ad infierire.

<< Una volta che uscì di qui, impaurita e violata nell'orgoglio, tornò dall'unica persona che amava con tutta se stessa, a cui si era donata >> i tratti del pallido volto si contrassero, mentre la rabbia cieca deformava Legolas << Quando lo ritrovò, lui le parlò duramente, cacciandola e facendola precipitare nella disperazione: la colpevolizzò per il suo tesoro perduto, le sue preziose pietre erano in mano del nemico per causa sua. Le spezzò il cuore, non avendo alcun rimpianto! >>.

Un macigno pesante quanto Erebor sembrò schiacciare il re, portandolo verso terra: fu con sforzo immane che riuscì a rimanere in piedi - saldo sulle gambe tremanti - e non cadere in ginocchio, sopraffatto dalla verità e dalla colpa.

Sopraffatto dalla vergogna per le sue azioni.

Perché l'elfo non lo capiva e non taceva?

<< Sei responsabile del suo dolore tanto quanto me, Thorin Scudodiquercia. Avevi la possibilità di farle dimenticare Bosco Atro, confortandola e tenendola al sicuro dai ricordi. Invece l'hai accusata di un crimine che era stata costretta a compiere. Sei tu che l'hai annientata, il giorno in cui l'hai esiliata! Karin ormai ti odia più di quanto odi gli elfi >>.

Thorin abbassò il capo, sconfitto: le parole di Legolas sembrarono ucciderlo nell'anima; ma, d'altra parte, era incollerito più che mai con se stesso che non con lui. Perché sapeva quanto fossero vere, quanto avesse maledettamente ragione.

<< Credi che il rimorso non mi assalga? Che la colpa non permei il mio cuore? Che non mi detesti, ogni dannato giorno? >> scattò il re, guardandolo negli occhi. Fece un passo avanti, i pugni contratti spasmodicamente << Se potessi tornare indietro, cambierei senza indugi il nostro destino! E per quanto voglia scusarmi, non si potrà cancellare ciò che è stato >> abbassò il tono di voce, rendendolo poco più di un sussurro.

Non riuscì ad aggiungere altro: indietreggiò, sedendosi sul pagliericcio e incrociando le braccia al petto, distogliendo lo sguardo dall'elfo; un chiaro invito ad andarsene, che Legolas comprese. Nemmeno lui disse una parola e, poco dopo, Thorin sentì la porta chiudersi e la chiave girare.

Ancora in trappola, sommerso dai pensieri: quel giorno rimuginò a lungo, non riuscendo nemmeno a dormire.

Durante le ore interminabili non riuscì a figurarsi il suo volto imbarazzato dopo il bacio, ma rivide quello pieno di astio e rabbia del giorno dell'esilio.



Bilbo pensò per l'ennesima volta di essere la persona più fortunata della Terra di Mezzo: non solo era riuscito ad informare gli altri – senza essere notato dagli elfi - che, forse, Thorin e Karin erano a palazzo, ma aveva scoperto dove era rinchiuso il re dei nani!

Per puro caso si era nuovamente perso tra i vari cunicoli poco illuminati, scendendo nell'oscura profondità: aveva notato da subito che il posto non era familiare, quindi si era messo di bona lena ad esplorarlo. E quale era stata la sua sorpresa nel vedere il principe Legolas uscire stizzito ed infuriato da una spessa porta di legno, per poi chiuderla a chiave con mosse rabbiose e tremanti.

Perché mai compiere un gesto del genere, se non per nascondere qualcosa... o qualcuno?

Lo hobbit si era insospettito e, impaziente, aveva aspettato che l'elfo percorresse il corridoio per avvicinarsi cauto.

Aveva sbirciato attraverso il buco della serratura, reprimendo un grido di giubilo: avrebbe riconosciuto quella figura ovunque!

<< Thorin! >> bisbigliò euforico. Vide che l'altro aveva alzato la testa, guardando sorpreso la porta. Lo chiamò di nuovo, stavolta a voce più alta e, in men che non si dica, quello si era avvicinato a grandi passi, quasi correndo.

Intravide l'occhio azzurro che lo scrutava al di là dello spioncino, per poi rabbuiarsi

<< Scassinatore? >> domandò, incredulo: la voce era tremendamente stanca e spenta, constatò Bilbo.

<< Sì, sono io >>.

Lo sentì sospirare di sollievo, ma durò solo un attimo << Ma dove sei, dannazione? >>.

<< Proprio di fronte a te. Perdonami, c'è un fatto di cui devi essere messo al corrente >>.

Gli raccontò di come avesse trovato l'anello magico, nelle profondità della montagna degli orchi, e di come l'avesse vinto a quella orrenda creatura, Gollum, sorvolando sul fatto che aveva barato spudoratamente. Se ne vergognava ancora, nonostante ciò gli avesse salvato la vita!

Dopo che ebbe concluso, Thorin rimase pensieroso e in silenzio per alcuni secondi << Ora capisco come hai fatto a sfuggire agli sguardi degli orchi; ed è un vero peccato che ce ne sia solo uno. Ci farebbe comodo per uscire di qui >> disse, cupo << Ma dimmi degli altri: come stanno? Dove sono? >>.

<< Stanno benone, per quanto siano anche loro in una cella: si trovano in livelli diversi, ma tu sei l'unico più lontano di tutti >>.

<< Vengono trattati bene? >> volle sapere, improvvisamente angosciato.

<< Certo! Hanno cibo e acqua a sufficienza: solo Bombur si lamenta a causa dei pasti troppo parchi; ma gli elfi sono molto gentili nei loro riguardi, anche se sono prigionieri >>.

Thorin emise un verso sprezzante << Non l'avrei mai detto! >> sibilò.

Bilbo non riuscì a capire il motivo della sua risposta: forse lui non veniva considerato come i compagni? O era solo l'orgoglio ferito del sovrano a parlare per lui?

Scosse la testa, facendo la domanda che gli premeva più di ogni altra questione << Thorin >> esordì, la voce incerta << E... Karin? Dove si trova? >>.

Lo vide aggrottare la fronte, negli occhi passò un lampo di tristezza che mai gli aveva visto << Speravo potessi dirmelo tu. Non la vedo da settimane, da quando i ragni ci hanno attaccati ed è stata ferita >>.

<< Ferita? >> esclamò Bilbo, abbassando subito il tono e dando una rapida occhiata alle spalle, alla ricerca di elfi o suono di passi << Ma come, quando... ma ferita gravemente? >> domandò, concitato.

<< La credevo morta >> ammise il nano, sfiorando con le dita le rune sullo stipite; sentì lo hobbit trattenere il fiato alla notizia, mentre un pensiero nuovo e improvviso squarciò la cortina buia della mente.

<< Bilbo, ci sono due cose che devi fare per me >>.

L'altro si riscosse dalla disperazione e dall'angoscia al sentire il tono più sicuro con cui Thorin aveva parlato.

<< Tutto quello che vuoi, Thorin >>.

Il nano sorrise brevemente, ammirando il coraggio del membro che aveva sempre considerato come il più debole, il peso del gruppo.

<< Porta un messaggio agli altri, se puoi: che non dicano nulla agli elfi, e che pazientino un altro po'; presto usciremo di qui >>.

Bilbo aggrottò la fronte, perplesso << Come faremo a scappare? Non potete certo oltrepassare le sbarre o, nel tuo caso, la porta di legno! Senza chiavi... >>.

<< Lo so, ma ci penseremo. Anzi, tu ci penserai: sei l'unico di noi che è libero e può girare indisturbato. Trova il modo, ma non è questa la seconda cosa che ti chiedo >>.

Lo hobbit gli concesse attenzione, relegando nella mente le proteste che si erano formate nel sentire l'assurda richiesta del re.

<< Trova Karin, amico mio: assicurati che stia bene e poi vieni a riferirmelo. Salvala dalla sua prigione e da se stessa. Ti prego >>.

Bilbo strabuzzò gli occhi grigi, incredulo: Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna, lo stava supplicando?

Gli si strinse il cuore in una morsa, sentendo il tono disperato con cui glielo aveva chiesto. Sapeva quanto dovesse sentirsi impotente nello stare rinchiuso lì dentro, senza poter far nulla, lontano da tutti: ma non si sarebbe mai aspettato tanto dolore nelle sue parole, nei tratti del volto che stava guardando.

Gli sorrise leggermente per rincuorarlo, dandosi dello stupido perché non poteva vederlo, in quanto invisibile: quindi si affrettò a rispondergli, vedendo la pazienza del nano scemare, in attesa di risposta.

<< Certo, farò del mio meglio per trovarla >>.

<< Fa' in fretta: potrebbe essere troppo tardi >>.

Il sangue gli si gelò nelle vene, non capendo a cosa potesse riferirsi, ma rimase molto turbato dal tono che il nano usò.

<< Devo andare, ma tornerò quando avrò notizie >> gli promise.

<< Sì. Fai attenzione >>.

Bilbo se ne andò col cuore gonfio di tristezza: il sapere delle gravi condizioni dell'amica, rinchiusa in un posto isolato e nascosto, lo rese irrequieto; ma si sentì anche spaventato da ciò che gli aveva detto Thorin. Doveva trovarla, ne era sempre più convinto! Prima però avrebbe dovuto far tappa dagli altri, e rassicurarli che il loro re era vivo e stava bene.

Una piccola bugia non avrebbe fatto loro alcun male, si disse: sarebbero caduti nello sconforto, apprendendo la sua angoscia per la ragazza; e, di sicuro, Thorin non avrebbe voluto che venissero a conoscenza della sua momentanea debolezza.

Ciascuno dei nani diede sfoggio della propria contentezza: chi iniziò a piangere, chi batté le mani, chi saltellò euforico, chi lanciò il cappello in aria ed ululò di gioia.

Balin gli strinse le piccole mani con gratitudine, gli occhi che scintillavano di lacrime.

E poi giunsero le domande spinose, riguardo Karin; il povero Bilbo non si sentì mai così vile come in quel momento. Rassicurò tutti dicendo loro che era solo stata ferita leggermente da un ragno, e che doveva cercarla per conto di Thorin; il sollievo di quasi tutti nani aumentò a dismisura nel sentire che stava benone e, anzi, lo esortarono a non perdere tempo con loro e andare a cercarla in fretta. Persino Gloin e Oin lo cacciarono di corsa, lasciandolo stupito ma felice: anche loro, d'altra parte, erano preoccupati per la compagna!

Bilbo percorse ogni corridoio conosciuto, sbirciando dal buco della serratura quando le porte erano chiuse, o entrando brevemente nelle stanze se erano aperte: ma non la trovò.

Amareggiato e angosciato, la cercò finché non si sentì esausto e i piedi non martellarono dolorosi: allora si scelse un angolino per dormire. Ma nemmeno quando riprese la ricerca la trovò.

Sembrava essere sparita nel nulla.

Dove sei, Karin?




Lo sguardo penetrante e azzurro le mette soggezione, ma non lo da' a vedere.

Il re degli elfi è seduto sul trono intagliato e elaborato: non la guarda.

Guarda suo padre, a pochi passi da lei.

Al pensiero del genitore le monta una furia inaudita, accompagnata da un senso di tradimento.

Le ha mentito per portarla lì, dagli elfi.

L'ha raggirata, allontanandola da casa.

Allontanandola da lui.

Lo guarda di sottecchi: gli occhi scuri non vacillano, il portamento è fiero, come il suo.

Non si è nemmeno inginocchiato al cospetto del re.

L'ha ammirato per questo, ma poi ha ricordato.

Ora, vuol sapere perché sono lì, e non a Erebor.

Glielo deve.

<< Così, sareste un ambasciatore del re dei nani. Mi chiedo di quale >>.

Suo padre si indigna, anche lei freme.

<< Re Thròr, sovrano della stirpe di Durin! >>.

<< Ho sentito voci che parlano di una sua malattia, che l'ha reso avido di tesori >>.

Lei dilata le narici, si morde la lingua per dominarsi: se non è interpellata non può rispondere.

Osserva il re con odio, fa saettare lo sguardo anche verso le figure ai lati del trono.

Alla destra, un giovane elfo dai capelli biondi e gli occhi azzurri, i lineamenti molto simili a quelli di Thranduil.

A sinistra, un elfo alto e slanciato, dai capelli biondi e gli occhi viola.

Una caratteristica insolita, che la stupisce.

E inquieta.

Perché, a differenza dei due, non guarda suo padre.

Ma lei.

Ha un brivido, ma cerca di seppellirlo.

Lui se ne accorge, sghignazza.

<< Tutte menzogne! >> esclama Kario << Il nostro re è sano e in forze >>.

<< Così sano che non è stato lui a mandarvi qui, ma il figlio, il principe Thrain. Così sano che non presta attenzione alle voci di un drago che si sta avvicinando a Erebor >>.

Socchiude le labbra, sorpresa: un drago?

Guarda suo padre, ma non riesce a vederlo.

Ha dimenticato il suo volto.

È impaurita, adesso: teme per la sua casa.

Per il suo principe.

Per la sua gente.

Si sforza di guardare Thranduil, dentro di sé infuria la tempesta.

<< Siamo qui per chiedere il vostro aiuto >> la voce del padre è riottosa, ma velata di supplica.

Gli è stato ordinato d'andare a chiedere un'alleanza, lui ha obbedito.

<< Nemmeno il più potente esercito farebbe molto contro un animale del genere. Non manderò i miei valorosi soldati a morire per un popolo avido e amante delle ricchezze. È questo che conduce il drago da voi: la passione smisurata per l'oro >>.

Kario non parla, e lei non capisce perché.

Perché non si difende?

Perché non difende tutti loro?

La lingua si muove, le corde vocali vibrano.

<< Maestà, vi prego! >>.

L'elfo la guarda come se la vedesse per la prima volta: gli occhi mandano lampi, ma li ignora.

<< Ci sono degli innocenti laggiù: nane, bambini e anziani, che non danno importanza all'oro. Senza il vostro aiuto non riusciremo a difenderli e salvarli: verranno uccisi senza alcuna pietà, perché non riusciranno a fuggire in tempo! Per favore, intervenite! >>.

Thranduil l'osserva, poi sorride sarcastico.

<< Molto onorevole da parte tua, un discorso degno di una regina >>.

Avvampa, non tanto per il titolo con cui la chiama, ma di rabbia. Le sue parole non hanno avuto effetto.

<< Vostra figlia è abile a parole, ambasciatore. Ma dovrebbe tenere a freno la lingua, se non interpellata >>.

Abbassa il capo, piena di vergogna.

Non lo vede, ma sa che suo padre le lancia un'occhiata di rimprovero.

La parte razionale della mente le ricorda che questo è un sogno, nulla di più.

Allora come mai gli stessi sentimenti di quel giorno riaffiorano prepotenti, lasciandola senza fiato?

<< Vi chiedo perdono. Anche a nome suo >> dice Kario, imbarazzato << Spero che il suo intervento non vi abbia offeso >>.

Suo padre è irriconoscibile. Così servile da nausearla.

Vuole scuoterlo per le spalle e farlo tonare in sé, ma non può.

<< Oh no, ambasciatore. Ma la mia risposta rimane negativa: gli elfi non aiuteranno i nani; a meno che... >>.

Lascia la frase in sospeso, così da farli fremere; Kario è impaziente.

<< A meno che? Vi prego, continuate! >>.

Thranduil lo studia con malcelato divertimento: sa di averlo in pugno.

Lo odia, con tutta la sua anima. Perché sta giocando con i sentimenti del padre, e i suoi.

<< A meno che il vostro sovrano non mi renda l'Archepietra. Più una parte del tesoro, anche un decimo del valore va bene >> esclama trionfante, la voce carica di desiderio.

Lei ha un tuffo al cuore.

<< Dovremmo pagarvi per avere il vostro aiuto? >> chiede adirato suo padre; ha i pugni contratti, la voce è incrinata di rabbia e disgusto << Non accetteremo mai! >>.

Kario fatica a parlare; lei può quasi sentire i denti scricchiolare tra loro da quanto sta serrando la mascella, indignato << Andiamo, Karin! Ne ho sentite abbastanza: che tutti sappiano la mancanza di pietà del popolo degli Elfi, e la loro brama di ricchezze, superiore perfino a quella dei Nani! >> tuona, sprezzante: si gira, sente il mantello frusciare.

Lo segue ma, dopo pochi secondi, una voce diversa si leva nell'aria fino a loro.

<< Fermatevi, vi prego! Il mio re non ha ancora finito di parlare con voi >>.

La voce è strascicata e untuosa; mille brividi di ribrezzo le percorrono la colonna vertebrale.

Si arrestano, suo padre si gira: a malincuore lo fa anche lei, riconoscendo l'alto elfo.

Thranduil alza una mano per ringraziarlo, negli occhi un nuovo bagliore.

<< Forse, ambasciatore, cambierà idea molto presto >> continua il consigliere << dopo che avrà sentito la proposta del sovrano >>.

Si avvicina di molti passi a loro, raggiungendola; d'istinto, lei indietreggia, ma lui le afferra saldamente una spalla in una morsa ferrea.

Gli lancia un'occhiata carica di disprezzo, ma non la nota.

Dentro sé, è terrorizzata e sospettosa: non sa per quale motivo, ma teme quella proposta. Sa che non porterà a niente di buono.

I palmi le sudano, mentre le ossa si congelano, lente.

<< Posso concedervi un po' di tempo per pensarci, Kario della stirpe di Gorin. Nel frattempo, però, vostra figlia rimarrà... nostra ospite >> è Thranduil che parla, ora.

La terra le manca da sotto i piedi; il cuore le si blocca per alcuni battiti, per poi riprendere veloce. Troppo veloce.

Le orecchie le ronzano, forse per questo crede d'aver sentito male.

<< Cos... mia figlia? >>.

Il re annuisce << La terremo al sicuro in una delle nostre confortevoli stanze, e non le faremo mancare nulla. Nel mentre, voi avrete tutto il tempo per pensare: l'Archepietra per vostra figlia. La salvezza o la distruzione di Erebor è nelle vostre mani. Ma vi conviene sbrigarvi, poiché il tempo incalza e il drago non attende >>.

Suo padre è dubbioso e dilaniato, lo sa. Indugia troppo.

<< Padre >> ha la voce incrinata, ma cerca di non renderla tremante << non accettate, vi scongiuro! L'Archepietra no, non quella! Anche se gliela donassimo non ci aiuterebbe comunque, lo sapete >>.

Sa quanto è importante per il re dei nani e per la sua gente: è il loro tesoro più prezioso.

<< Se acconsentirete vi concederemo tutto l'aiuto possibile. Avete la mia parola >> prosegue l'elfo, sovrastando la sua voce.

Kario è oltremodo indignato e incollerito << Questo è un ricatto, Thranduil! Non ci piegheremo mai a queste richieste! >>.

<< Voi vi piegherete, invece? >>.

Kario assottiglia lo sguardo, le grosse mani da fabbro si stringono fino a sbiancare. Non parla, non dice nulla.

Thranduil fa solo un cenno con la testa.

L'elfo le stringe la spalla con forza ma riesce a sfuggirgli, correndo dal genitore.

<< Non accogliete la sua richiesta >> gli sussurra all'orecchio << non mi faranno nulla, ma voi dovete tornare a Erebor e avvertire il re! Devono sapere! >>.

Viene spinta lontano da lui, verso una porta alle spalle del trono.

<< Fatelo, padre! >>.

<< Karin! >>.

<< KARIN!!! >>.



Il volto le si piegò in una smorfia di dolore all'ennesima fitta alla tempia: spinse la fronte calda contro il palmo della mano, nella speranza di alleviare il dolore martellante, non riuscendoci.

Era stravolta ed esausta, non dormiva da settimane: ogni volta che chiudeva gli occhi il passato la tormentava senza sosta: poco fa aveva sognato il suo arrivo a Bosco Atro; prima ancora la tortura e poi, sorprendentemente, Erebor.

Non la rivedeva da anni, e la scosse molto più che non rivedere se stessa alle prese con i supplizi interminabili.

Una fitta più forte le fece aggrottare la fronte e scrutare lungo l'oscurità della stanza: sapeva che, da qualche parte sopra un tavolino, c'era del cibo che gli elfi avevano portato per lei. Non toccava quasi nulla, al massimo beveva un po' d'acqua: non voleva alzarsi.

Non voleva far nulla, a dir la verità: voleva solo rimanere da sola, al di là del velo grigio.

Nuovi pensieri l'avevano trovata, affollando la mente già stipata: si era ricordata dei suoi compagni, e di Bilbo; si era chiesta dove potessero essere, se stessero bene. Si era risposta che, dovunque fossero, forse stavano pur sempre meglio di lei.

Chiunque avrebbe potuto stare meglio di lei.

Lei era debole.

Una frase che le rimbombava come un martello su un'incudine di ferro: lui aveva avuto sempre ragione, fin dall'inizio. Non era capace di risollevarsi, di combattere e guardare avanti procedendo a testa alta. Se incontrava un ostacolo non lo aggirava, ma si rintanava da qualche parte a piangersi addosso: odiava quel comportamento.

Lo detestava con tutta l'anima, come detestava a morte quel luogo; avrebbe dato ogni cosa in suo possesso per poter ritornare sotto le fronde afose degli alberi della foresta.

Involontariamente, il suo pensiero volò verso Thorin: si chiese dove fosse e, per un attimo, un sussulto sembrò scuotere il velo spesso dietro al quale si era nascosta. Per un attimo, aveva intravisto uno spiraglio di luce.

Ma era durato un battito di ciglia, ripiombando poi nel buio più profondo e pericoloso. Rimuginare sul suo passato aveva portato in superficie nuove considerazioni, nuove questioni: durante i suoi interminabili monologhi, aveva ripensato spesso alla rabbia che Thorin provava nei suoi confronti, e alle ragioni che l'avevano portato ad esiliarla.

Era sempre stato geloso e possessivo, specie riguardo ciò che riteneva gli appartenesse di diritto: come il tesoro di Erebor, o la Montagna in generale.

Si immaginò uno scambio di ruoli, nel quale era lei quella che bandiva, infuriata perché tradita. Ed aveva compreso molte cose, che l'avevano lasciata senza fiato e con un desiderio assurdo di ridere a voce alta. Di piangere finché non avesse avuto più lacrime da versare.

Ma rimase immobile, fredda e rigida come marmo: a cosa sarebbe servito sfogarsi lì, quando avrebbe voluto farlo davanti a lui?

Il suo spirito si lasciò scappare una risata sarcastica, constatando che c'erano voluti tanti anni e un nuovo periodo di prigionia per farglielo capire: la sua cocciutaggine non aveva limiti. Come la sua cecità, la sua stupidità.

Era debole, allora. Lo era veramente.

Lo spirito sospirò, affranto: il corpo, invece, rimase immobile, gli occhi aperti nell'oscurità e la testa che, di lì a poco, sarebbe esplosa.

Passò altro tempo, ma non avrebbe saputo quantificarlo: ogni cosa si confondeva; non sapeva distinguere il giorno dalla notte, i giorni dalle settimane. Ma, in fondo, che importava?

Sentì la porta aprirsi, vedendo avanzare un cono di luce rossastra: girò lentamente il capo dalla parte opposta, poiché abituata all'oscurità. I passi del visitatore erano leggeri, quasi impercettibili, ma li riconobbe all'istante, anche se non voleva: era Legolas.

Dopo la visita di Thranduil era tornato a trovarla ancora, da solo: rimaneva in piedi e le parlava, ma Karin si scordava subito dell'argomento; non le interessava. Voleva solo essere lasciata in pace, in quello stato di annullamento che le era di così grande conforto.

Le si avvicinò, stavolta sedendosi sul letto: prima, però, aveva appurato che il vassoio col cibo era ancora intatto, ed aveva sospirato.

Appoggiò la candela accesa al comodino di legno, studiandola in volto, serio e preoccupato come non lo vedeva da anni; da quando aveva scoperto lo scempio del consigliere, salvandola.

Gli occhi chiari brillavano, assorbendo le fiamme della candela, e mandavano lievi bagliori; la bocca sottile era così stretta che formava quasi un'unica linea, in un muto rimprovero.

Sostenne tranquillamente il suo sguardo, il volto inespressivo in netto contrasto con quello dell'elfo.

<< Non hai un bell'aspetto, Karin; queste occhiaie... >> lasciò la frase in sospeso, accarezzandole il punto con il pollice: lei, al contatto, aveva chiuso gli occhi, rimanendo in silenzio.

Ma, di nuovo, rivide il volto di Thorin e si scansò di poco, per fargli capire che doveva smetterla.

<< Devi riprenderti, o non ce la farai. Lo capisci questo, vero? >> le parlò come fa un genitore col proprio figlio disobbediente; ma, anche di fronte a quella domanda, non si diede pena di rispondere. Legolas abbassò un attimo il capo, sospirando di fronte alla testardaggine di Karin; ma continuò, imperterrito: non poteva lasciarla al suo destino, doveva aiutarla!

<< Cosa posso fare per farti star meglio? Nei miei limiti e capacità, s'intende >>.

La domanda trapassò il velo, imprimendosi in lei con la stessa forza con cui le rune erano state marchiate sull'acciaio di Iris, anni addietro: il grigio si dissolse, il mondo tornò per poco ai suoi colori originali.

Non ci pensò troppo, sapeva la risposta.

Sapeva di cosa aveva bisogno.

Di chi.

La voce le uscì in un rantolo roco, ma sufficientemente chiara << Thorin. Ho bisogno di vedere Thorin >>.


CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonaseeeeeeera XD!!! Ebbene sì, ho aggiornato in super velocità ^^: mi stupisco di questo, e mi sto picchiando con il solito scudo di quercia: perché, care mie, DOVREI studiare – visto l'esame imminente - piuttosto che mettermi a scrivere! Invece, non appena inizio... puff, le idee sgorgano, e mica posso lasciarle nella testa, che poi mi dimentico u.u; va bé, sono un caso disperato!

Dunque, dunque... sono soddisfatta del capitolo? Mah, insomma, se devo essere sincera -.- avrei voluto scrivere mooolto di più, ma poi veniva una vera mazzata O.o! Quindi, tanto per aggiungere tristezza e rottura di maroni a voi e a me, ho spezzato il capitolo ;): ora non resta che scoprire se Karin riuscirà a vedere il suo Thorin!!! Pregate ragazze, perché non è detto! Scherzo, scherzo XD XD, sapete che sono burlona ^^.

Maaaaaa, che ne pensate dello sfogo di Dwalin O.o? Vi ha convinte o vi ha lasciate l'amaro in bocca? E il motivo per cui Karin è stata“trattenuta” a Bosco Atro? Non preoccupatevi però, l'Archepietra E' ancora a Erebor, non è stata data a nessuno :D .D Oh, e il dialogo tra Thorin e Legolas???

Bene, come sempre vi esorto a farmi sapere che ne pensate con le recensioni!

Ringrazio le carissime e specialissime J_ackie, vanessa 90, LadyGuns56, pamagra, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack e Carmaux. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite -ricordate e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra

Anna

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Note autrice: Vi dico solo questo, ragazze mie: FUOCO e FIAMME!!!

P.S. Per coloro di voi donzelle che non sono ancora passate a leggere la mia one-shot – dove, tra l'altro, si ritrovano dei riferimenti in questo capitolo – vi lascio il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1678784&i=1
Spero vi piaccia così come è piaciuta a me scriverla XD

Inoltre, vorrei segnalarvi questo video: http://www.youtube.com/watch?v=SXk8GFxwoyY

Nel cantuccino vi spiegherò il perché del “consiglio” ;)
Buona lettura!!!


CAPITOLO DODICI


<< Thorin. Ho bisogno di vedere Thorin >>.

Lo dice: la voce, anche se stanca, risulta ferma e determinata.

Legolas la guarda stupito, come se gli avesse tirato uno schiaffo.

<< Perché vuoi vedere colui che ti ha esiliata? >>.

Ci sono così tante risposte che non sa decidere.

Tace, ma sa che i suoi occhi parlano per lei.

<< Devo vederlo >> alla fine, è quella la sua scelta.

L'elfo non dice nulla, i suoi occhi sembrano scavarle l'anima, alla ricerca della verità.

Infine si alza e, senza dire una sola parola se ne va, lasciandola sola.

Di nuovo nell'oscurità.

Un buio che però, lentamente, scema.



Karin mosse un altro passo, poi un altro ancora, avanti e indietro per la stanza.

Le candele erano accese, ed illuminavano l'ambiente angusto ma ben arredato secondo il gusto elfico.

Era irrequieta come poche volte, l'attesa la consumava: da quando aveva fatto quella richiesta al principe e lui se n'era andato, il velo era scomparso poco a poco, facendola tornare in sé. O quasi. Le erano occorsi alcuni caparbi tentativi per alzarsi dal letto, poiché troppo debole; incerta sulle gambe, aveva mosso i primi passi come fa un bambino alle prime armi.

Si era aggrappata al muro, avanzando poco per volta, finché non aveva raggiunto il tavolino di legno; lì vi era ancora il vassoio colmo di frutta fresca: guardò per un attimo i grossi acini d'uva bianca, le pere succose e dorate e le belle e perfette mele rosse, sorridendo brevemente al ricordo di un frutto simile – ma caramellato – mangiato quando era poco più che bambina.

Ne prese una, addentandola lentamente: poi, si ritrovò a divorare ogni cosa con gusto, mentre lo stomaco le gorgogliava forte e affamato.

Pochi minuti dopo osservò il vassoio d'argento vuoto, stentando a credere alla voracità con cui l'aveva aggredito: d'altra parte, non toccava cibo da settimane.

Ora che era tornata padrona delle sue azioni, squarciando il velo di sofferenza e commiserazione, doveva assolutamente recuperare le forze. Il pensiero di rivedere Thorin l'aveva fatta reagire, facendola tornare viva, in un certo senso.

Ma Legolas tardava, e non ne capiva il motivo: era infuriata e preoccupata insieme, non sapeva spiegarselo.

Cosa poteva essere accaduto? Forse Thranduil aveva scoperto delle visite del figlio e voleva impedirle ad ogni costo?

O non poteva portarla da Thorin perché... Scosse la testa, scacciando quei maledetti pensieri negativi: se gli fosse anche solo accaduto qualcosa glielo avrebbe detto. Dopotutto, Legolas sapeva quali erano i suoi sentimenti per il re.

Più di una volta si era ritrovata con la mano sulla maniglia di ferro, ma aveva indugiato: vi erano dei rumori là fuori, segno che era sorvegliata, anche se la porta non veniva mai chiusa a chiave; se fosse riuscita a fuggire, non avrebbe potuto attraversare i vari livelli e la porta principale come niente. Era pur sempre una prigioniera.

Si era riseduta sul materasso, la testa che le vorticava e le forze che, ogni tanto, le mancavano nuovamente: quale genere di veleno le era stato iniettato per renderla così spossata e priva di energia? Certo, la colpa era per buona parte sua, dato che durante i giorni di convalescenza non aveva reagito, però...

La maniglia si abbassò, facendo convergere la sua attenzione verso Legolas, appena entrato: in mano reggeva una lanterna di vetro accesa, gli occhi azzurri brillavano di determinazione.

Bastò quello sguardo per farla alzare di fretta e portarla al suo fianco, trepidante.

Non appena Karin varcò quel sottile confine tra la stanza dove era rimasta rinchiusa per settimane e il corridoio, provò un senso di libertà unico e irripetibile: le sembrò che perfino l'aria fosse diversa, più leggera e meno opprimente.

Con stupore, vide che nessun elfo era di guardia, e nemmeno lungo gli infiniti corridoi e le scale tortuose incontrarono anima viva; si guardava continuamente indietro ma, con grande sollievo, non scorgeva nessuno che sbucasse dalle porte chiuse. Sarebbe stato un bel problema, allora.

Legolas rimase in silenzio per tutto il tempo, tranne quando si girò verso di lei per dirle che suo padre era andato a cacciare nella foresta insieme a molti altri sudditi: per questo motivo non vi era nessuno. Ma dovevano comunque agire in fretta, per sicurezza.

Scesero sempre più in basso, mentre un serpente d'ansia le aggrovigliava le viscere e il cuore; il respiro le si fece irregolare quando comprese dove la stava portando.

E ne ebbe conferma quando oltrepassarono il livello dove si trovavano le celle.

Col cuore in gola, lo vide aprire la pesante porta di legno che conduceva all'ultimo livello, il più terribile e temibile di tutti: la mano le saettò al braccio dell'elfo, facendolo fermare e voltare bruscamente.

<< Legolas, no. Ti prego, non lì >> la voce le uscì più terrorizzata del dovuto, mentre brividi gelati le trapassavano le ossa.

Le dita artigliarono con forza il braccio dell'altro, ma la sua espressione non mutò: la guardò intensamente, mentre in lei la disperazione cresceva con la forza di un uragano.

<< Qualsiasi altro luogo, ma non questo >> lo supplicò, gli occhi quasi lucidi.

<< Se vuoi vedere il tuo re devi seguirmi >> appoggiò le mani sulle sue spalle, stringendogliele poco << Sii coraggiosa, Karin. È tempo che le tue paure vengano vinte: sarà doloroso, ma ce la farai. Ne sono certo >>.

La sospinse dolcemente verso il lungo tunnel immerso nell'oscurità, i passi riecheggiavano rumorosi come il suo cuore.

Tum

Tum

Tum

Tum

I piedi le sembravano di piombo passo dopo passo, il respiro era affannato, il gelo la rinchiudeva in un pugno di ferro; iniziò a sentire delle risate folli, dei pianti penetranti le trapanarono le orecchie. Le si mozzò il respiro, trattenne un singulto con una mano sulla bocca.

Ogni passo era una sofferenza, una tortura immane: il tunnel sembrava non avere mai fine ma, contemporaneamente, pareva anche troppo corto. Dopo altre falcate, eccola là: la porta di legno.

Si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare, la vista le si offuscò, le unghie affondarono nella pelle: si arrestò bruscamente, mentre Legolas le si fermò affianco. Portò una mano affusolata sulla sua spalla, accarezzandola; lo sentì inginocchiarsi di fronte a lei, il volto che trasmetteva comprensione e sofferenza insieme: cercò di trasmetterle la forza che le sarebbe occorsa là dentro. Non fece caso al tremore violento che la scuoteva tanto forte da farle battere i denti, né alla pelle gelata della guancia, dove ora stava la sua mano, in una piccola carezza per farle capire quanto le fosse vicino.

Ma nessuno avrebbe potuto comprendere come si sentisse lei, in quel momento: non vi erano parole, solo un immenso terrore.

Legolas si alzò e andò verso la serratura, facendo girare la chiave nella toppa con un rumore secco e spaventoso; poi si girò a guardarla, facendole cenno di avvicinarsi. E lei, a dispetto di ciò che, in realtà, avrebbe voluto fare – ovvero girarsi e scappare – eseguì.

<< Non posso lasciarti qui per molto tempo, perciò fai in fretta >> le disse, quando gli fu accanto.

Karin non rispose, la voce le mancò: nemmeno ricordava il motivo per cui si ritrovava lì davanti dopo tutti quegli anni: ma era certa di voler fuggire. Immediatamente.

La porta cigolò sui cardini, l'odore della paura e della cella l'invasero, lasciandola senza fiato: l'odore del sangue le arrivò alle narici, facendole salire un conato di vomito che riuscì a trattenere; sentì una leggera pressione alla schiena, segno che Legolas la stava letteralmente sospingendo dentro, pur con delicatezza.

L'oscurità l'avvolse mentre entrava, tremante e pallida.

La porta si richiuse, la chiave girò nella toppa; spalancò gli occhi, sgomenta, quando capì di essere chiusa dentro la cella. Di nuovo, come anni prima.

La bolla nella quale si era rintanata da quando aveva varcato il tunnel oscuro scoppiò, il panico invase ogni sua fibra, ogni sua vena, ogni suo osso e organo: si girò di scatto, slanciandosi verso il legno; iniziò a picchiare i pugni con foga, urlando disperata.

<< Ti prego!!! TI PREGO, non lasciarmi qui! NO!!! >>.

Urla isteriche e colpi alla porta si mescolarono tra loro, in un grido di angoscia.

<< LUI verrà a punirmi! TI PREGO, TI PREGO!!! >>.

Perché l'aveva portata lì, perché ora non veniva a liberarla? Era stata così buona in queste settimane, non aveva fatto nulla! Doveva parlare, tradire di nuovo? Ma perché, PERCHE'?

Non si accorse di un'ombra che emerse dall'oscurità, portandosi a pochi passi da lei; una voce si insinuò tra le sue suppliche accorate e disperate, una voce che sembrò riportarla alla realtà, e placare il tumulto che sentiva in sé.

Bastò una sola parola per farla tacere.

<< Karin >>.

Il suo nome.


Aveva capito subito che erano riusciti a domarla: gli era bastato vedere i capelli un tempo ribelli ora lisci, che le sfioravano i seni.

Il vederla lì, anche se disperata e angosciata, dissolse il pesante macigno che gli opprimeva il cuore da quando era stato rinchiuso: era vero, allora, l'elfo non aveva mentito.

Karin era viva.

Una felicità inaudita mista a un terribile senso di colpa si diffuse in lui; avrebbe desiderato alzarsi dal giaciglio e correre verso di lei, abbracciandola stretta come se, da quel gesto, dipendesse la sua intera esistenza.

Si bloccò, però, quando Karin iniziò ad urlare disperatamente, battendo i pugni sulla porta con una tale forza che non credeva possedesse: dopotutto, era ancora reduce dalla malattia.

Lo stomaco gli si strinse così tanto che rimase senza fiato: le urla di Karin gli rammentarono molto quei singhiozzi disperati degli incubi; sentì il bisogno di intervenire, poiché non poteva vederla in quel modo. Doveva calmarla.

Le si avvicinò ma lei non se ne accorse, impegnata com'era a gridare: quando le fu abbastanza vicino – solo pochi passi li separavano – si azzardò a chiamarla con voce sicura, anche se risultò un poco tremante.

<< Karin >>.

Bastò questo per farla tacere.

Il suo nome.


Karin si immobilizzò, le mani strette a pugno ancora sul legno scuro della porta. Lentamente, girò il capo, i grandi occhi neri dilatati dal terrore; ma, quando si scontrarono con il vivido sguardo azzurro

del nano, ricordò: ecco per quale motivo era nella cella. Era stata proprio lei a volerlo vedere, l'aveva chiesto a Legolas. Ed era stata accontentata.

<< Thorin >>.

Un'indicibile stanchezza le pervase le membra: l'agitazione del momento scomparve, lasciandola spossata; sentì la testa vorticarle veloce, tutto si confuse. Le gambe tremarono, non riuscendo più a sostenere il peso del corpo esausto: barcollò mentre tentava di tendere un braccio verso di lui, ma persino quel semplice movimento le risultava estremamente complicato.

Thorin si slanciò in avanti, raggiungendola in tempo con un paio di falcate: lasciò che il corpo fragile si scontrasse col suo, per poi abbassarsi quel tanto che gli permise di portare un braccio sotto le sue ginocchia e, con un leggero sforzo, la prese in braccio.

Karin provò a divincolarsi debolmente, ma tutto ciò che ottenne fu una stretta più vigorosa da parte del re che, nel frattempo, teneva le labbra serrate.

E' dimagrita molto” questo fu il primo pensiero di Thorin: era leggera, ben più di quanto ricordasse; senza i soliti strati di indumenti indossati durante il viaggio, era palese come il fatto che il sole sorgesse ad est. La verde tunica elfica accentuava la magrezza della ragazza: le ossa del bacino erano sporgenti e, ad ogni passo, picchiavano sul suo busto.

Il colorito del volto era pallido e, sotto gli occhi neri, campeggiavano grandi segni violacei; le labbra erano percorse da piccoli taglietti, fatti quando se le tormentava nervosamente.

Sembrava ancora malata, e stare lì dentro non avrebbe accelerato di certo la sua guarigione: con un moto di rabbia, Thorin si augurò che lo hobbit trovasse in fretta una via di fuga. Maledì ancora e ancora gli elfi, quella cella e quel palazzo: stando rinchiuso, non aveva mai avuto la possibilità di trovarla e portarla via da lì.

La adagiò piano sulla paglia, sedendosi accanto: le teneva ancora un braccio dietro la schiena ma lei, sorprendendolo, posò i palmi delle mani sul suo torace, spingendolo via.

Gli occhi neri non facevano che saettare ovunque lungo le pareti, il panico li impregnava; tremava, ma cercò comunque di alzarsi, non volendo nemmeno toccare quel giaciglio maledetto.

Barcollò ancora ma fu sempre Thorin a sostenerla, prendendola per la mano e facendola nuovamente risedere.

<< Non dovresti alzarti in questo modo. Sei ancora debole >>.

Karin non fece caso al tono dolce ma autoritario che usò: un'altra voce, fredda e spietata, si era sostituita alla sua, il volto del nano era cambiato in quello di un elfo dagli occhi viola.

Sei debole, uccellino”.

Con uno scatto all'indietro sfuggì alla sua presa, alzandosi in piedi: non badò molto al giramento di testa che ne seguì, ma sbatté più volte le palpebre per scacciare la visione del suo tremendo carceriere.

<< Io non sono debole >> il tono le uscì furioso, ma Thorin non si scompose; si alzò, le mani protese verso di lei. L'avrebbe riportata vicino a sé, a qualunque costo.

<< Fatichi a stare in piedi >> iniziò calmo, muovendo un passo << lascia che ti aiuti, Karin. Non stai affatto bene >>.

La ragazza, per tutta risposta, indietreggiò di più ed emise un verso sprezzante, che fece arrestare Thorin: non riusciva a comprendere perché dovesse comportarsi in quel modo. Voleva semplicemente aiutarla.

<< Oh, un gesto ammirevole da parte tua, Re sotto la Montagna >> disse malevola.

Una parte di lei si chiedeva che diamine stesse facendo: invece che infierire verso di lui, avrebbe voluto corrergli fra le braccia e baciarlo con foga, stringere le ciocche scure striate di bianco tra le dita, aspirarne il profumo per trovare quella quiete e pace che le erano mancati durante la prigionia; ma i ricordi dolorosi premevano insistentemente per uscire, infettandole ogni cellula, ogni organo. Infettandole il cuore.

<< Dopotutto, non è così che si comporta un sovrano? Aiuta i più deboli, coloro che sono in difficoltà, non è così? Li ascolta, cercando di migliorare le loro condizioni, spendendosi per loro >>.

<< Karin... >> tentò di dirle qualcosa, ma le parole vennero inghiottite da altre, irate e piene di risentimento.

<< Un re è giusto nelle sue decisioni! E se colei che deve essere giudicata è la donna che dice di amare, non le volta le spalle condannandola senza averle dato tempo di spiegarsi! >> si bloccò, il petto che si alzava ed abbassava con foga: le guance iniziavano a tingersi di rosa, gli occhi scuri erano lucidi, i pugni contratti.

Ogni parte di sé le urlava di tacere, perché non erano quelli i suoi veri pensieri: era finalmente riuscita a comprendere ciò che aveva portato Thorin ad esiliarla, ma non sarebbe riuscita a dirglielo. Non lì, tra le pareti che avevano assistito alle sue torture disumane.

In ogni più piccolo anfratto, in ogni pietra grigia, le pareva di rivedere del sangue. Rosso vermiglio e rosso cupo, liquido come acqua e denso come pece.

In ogni ombra rivedeva lo scintillio del pugnale, il brillio degli occhi violetti iniettati di follia. In ogni passo mosso adesso, le sembrava di rivedersi mentre si trascinava sui gomiti nell'assurdo tentativo di sfuggigli, dolorante e piena di tagli sulla schiena. Ogni suo respiro le riportava l'affanno con cui respirava allora, ed il fiato trattenuto innumerevoli volte mentre le si avvicinava e premeva la lama d'acciaio sulla pelle delicata.

Ogni goccia d'acqua che cadeva a terra le rammentava quando tentava di tenere il conto dei giorni, per non impazzire. Anche la canzoncina dell'uccellino doveva servire a quello scopo: per non sprofondare nel baratro della follia; invece, aveva sortito l'effetto opposto. Lui l'aveva sentita, iniziando a chiamarla con il nomignolo con cui era conosciuta a Bosco Atro: una parola che la faceva disgustare di sé e la terrorizzava al tempo stesso.

Ogni parola detta la riportava ai loro dialoghi, al modo subdolo e infido con cui le si rivolgeva; persino quando Thorin l'aveva presa in braccio aveva voluto allontanarsi. Ricordava le dita fredde a contatto con la sua pelle, provandone repulsione.

Tenne lo sguardo fisso in quello del nano, immobile e silenzioso: ciò che temeva da tempo si stava avverando; la resa dei conti si avvicinava inesorabile, una spada affilata che lo avrebbe dilaniato più e più volte, come aveva fatto con lei molti anni addietro.

Guardò Karin, il cui volto era una maschera di sofferenza e dolore che, presto, sarebbe esploso del tutto.

Non vi erano parole per esprimere lo stato d'animo in cui versava: ma il rimorso per come si era comportato lo straziava.

<< Mi dispiace >> fu tutto ciò che riuscì a dire: vi erano così tante altre parole, ma quella breve frase gli sembrò la più adatta.

Karin schiuse le labbra, schiumante di collera: strinse gli occhi finché non divennero due fessure, ed aggrottò la fronte.

<< Ti dispiace? >> sussurrò, gelida come ghiaccio << TI DISPIACE? >> urlò poi, con quanto fiato possedeva.

Seppellì ogni parvenza di ragione dentro di sé, nella parte più nascosta della sua anima: ora, vi era spazio solo per una grande e immensa furia, che si sarebbe riversata come un fiume in piena su Thorin.

<< E' un po' tardi, ti pare? >> continuò ad inveire, il tono di voce sostenuto.

Thorin strinse le mani e le labbra, continuando a ripetersi che colei che aveva davanti non era la sua Karin, ma la ragazza che era rimasta imprigionata in quella cella per settimane, sottoposta ad ogni genere di crudeltà; ed ora, desiderava solo vendetta.

Come era giusto.

Aveva ragione Legolas: lo odiava per ciò che le aveva fatto; più che con il suo carceriere, la sua rabbia era indirizzata a lui, che non aveva voluto proteggerla e tenerla al sicuro.

Karin scoppiò in una risata folle, gli occhi chiusi per non vedere ciò che stava facendo, per non vedere quanto dolore stava portando al nano che amava con tutta se stessa.

La parte irrazionale continuò a parlare, ad affondare quella spada invisibile nel cuore di Thorin: desiderava che soffrisse. Lo voleva più di ogni altra cosa: che anche lui patisse così come aveva patito lei; anche se sapeva essere totalmente sbagliato.

<< Il tuo pentimento mi commuove >> sibilò, anche se la voce, però, tremò << Ti ci sono volute quante... due settimane per rendertene conto? E posso sapere cosa ti ha illuminato sul fatto che dicessi la verità? Ah no, aspetta! >> esclamò, senza dargli il permesso di parlare; girò leggermente il capo all'indietro, verso lo stipite della porta << Le mie rune, vero? >> ogni tratto d'ilarità scomparve dal volto << Quelle che ho scavato nel legno con le unghie, spezzandomele mentre tentavo di ricordare che ero una persona e non un essere inutile e debole, come venivo chiamata. Le stesse rune che mi rammentavano che, fuori di qui, avevo una vita e qualcuno che amavo e a cui tenevo, che mi avrebbe compresa e confortata una volta finito l'incubo. Una mera utopia: un sogno sciocco dal quale mi sono risvegliata bruscamente >>.

Le parole erano dure, piene di rabbia profonda, e colpirono Thorin molto più di quanto avrebbe mai dimostrato.

Sapeva bene che Karin aveva ogni diritto per sputargli in faccia quelle frasi, ma il suo maledetto orgoglio ne risentì comunque.

<< Ho sbagliato, è vero, e mi scuso per essermene reso conto così tardi; ora ti sto chiedendo perdono, e... >>.

<< Perdono? >> lo interruppe lei << Thorin, è troppo tardi! >> sbraitò, scandendo ogni parola.

<< Era troppo tardi anche quando ci siamo baciati? Ricordi, Karin, quel bacio? L'hai desiderato tanto quanto me >> ribatté lui, la voce ormai indurita.

Karin si morse il labbro e distolse lo sguardo dal suo, mentre la ragione cercava di prendere il suo spazio, sopprimendo la parte folle di sé; ma venne sconfitta di nuovo.

<< Uno stupido bacio non cancellerà niente, invece! Non cancellerà il tempo trascorso qui, né ciò che ho passato! E, più di ogni altra cosa, non cancellerà l'esilio! >>.

Thorin cercò di non badare al volto stravolto della ragazza, né alle parole che disse: doveva farle ritrovare la parte che l'avrebbe fatta ragionare; doveva farle ritrovare la vera Karin.

<< Tu stessa mi hai detto di voler scavalcare il muro che ci divide: non ricordi? >>.

Sperò di riuscirci, ma peggiorò la situazione: lo incenerì con un'occhiata << E tu? Tu ricordi le mie suppliche, le mie richieste disperate? Ricordi quando ti chiedevo di darmi ascolto, di credermi? >> affondò le unghie nella pelle, facendosi male: ma nulla era in confronto a ciò che stava provando nella sua anima.

La parte razionale continuava ad urlarle di fermarsi, poiché stava compromettendo il lieve riavvicinamento che c'era stato durante il viaggio; ma era diventata sorda a qualsiasi richiesta, a qualsiasi invocazione.

Era impazzita, alla fine.

Thorin abbassò il capo, mentre negli occhi si rifletteva il lampo di colpa che non l'aveva abbandonato durante la prigionia.

Karin non gli diede modo di parlare: se l'avesse permesso, avrebbe iniziato a cedere. Invece doveva sfogarsi, espellere quel dolore e riversarlo su di lui.

Non avrebbe voluto, ma non riusciva più a fermarsi.

<< Dov'eri mentre mi torturava? Mentre affondava il coltello nella pelle, beandosi delle mie urla? Dov'eri durante gli anni di esilio, quando pregavo gli dèi ogni notte che mi portassi via e cambiassi idea? Dov'eri mentre vedevo mio padre spegnersi? Dov'eri quando, in punto di morte, chiese perdono a te, suo principe, e non a me? >>.

La promessa che non avrebbe mai più pianto davanti a lui si infranse, sgretolandosi: gli occhi le si offuscarono, e non fece nulla per fermare le calde lacrime salate che le scivolarono sulle guance, chiamate dalla gravità.

<< A te, capisci? Perché aveva tradito colui che doveva essere suo re, il figlio che mai aveva avuto la gioia di abbracciare! Io ero solo una copia della donna che aveva amato, un abominio che non era nemmeno una vera nana! Come avrei potuto anche solo pensare di diventare capo di uno dei clan più potenti dei Nani? >> ora Karin tremava senza sosta, scossa da singhiozzi violenti; le urla disperate si dispersero tra le pareti, imprimendosi in lui con forza.

Non aveva mai immaginato quanto dolore e tormenti si celassero in lei, e ciò non fece che accrescergli il senso di colpa che l'opprimeva.

Quanto aveva sofferto, quanto avevano sofferto entrambi!

Ma ora Karin aveva bisogno di lui, di sentirsi rassicurata: la sua corazza si era dispersa, lasciandola fragile e vulnerabile.

E lui ora era lì, non l'avrebbe abbandonata anche stavolta.

Avanzò verso di lei, volendo consolarla. Volendo abbracciarla. Le si portò vicino, ad un lieve passo di distanza: cercò di avvolgerla tra le braccia forti ma Karin, caparbia e infuriata, non glielo permise.

<< Non toccarmi! >> si divincolò da lui, il volto paonazzo e livido, le lacrime che fuoriuscivano senza sosta << IO TI ODIO!!! >>.

Thorin si sentì sprofondare in un baratro gelido e freddo: era conscio che ora non era in sé e che, magari, nemmeno lo pensava davvero; ma il sentirglielo dire lo lasciò sconvolto e... vuoto.

Non percepì il battito del cuore, certo di non possederlo più. Rimase attonito a fissarla, costantemente in silenzio: d'altronde, che avrebbe potuto ribattere?

Hai ragione ad odiarmi perché, se siamo giunti a questa comclusione, la colpa è solo mia.

Doveva dirglielo? Ma perché mai, se entrambi lo sapevano?

La vide tirargli un pugno al petto, e poi un altro, e un altro ancora.

<< Ti odio ti odio ti odio ti odio ti odio >>.

Un colpo, una parola, un colpo, una parola, un colpo, una parola.

Lo fece indietreggiare e gemere fino a fargli sbattere la schiena contro la fredda pietra, mentre lei continuava a bersagliarlo con pugni sempre più deboli, singhiozzando come mai in vita sua; le cinse i fianchi con un braccio, mentre l'altro glielo posò sulle spalle, in una morsa ferrea e determinata.

Smise di picchiarlo nel momento esatto in cui si ritrovò imprigionata, ma continuò a piangere a dirotto, affondando il viso nel petto di Thorin. Le mani, chiuse a pugno, afferrarono la camicia con forza, stringendo fino a far sbiancare le nocche.

Sentì le dita di Thorin posarsi tra i capelli, accarezzandole la testa con dolcezza per calmarla. Non seppe dire per quanto tempo rimase a piangere ma, finalmente, i singhiozzi cessarono e rimasero solo le ultime lacrime: sentiva la testa svuotata da ogni pensiero, ogni emozione; ora, solo un mal di testa incessante l'invase. Sfogarsi in quel modo le prosciugò ogni grammo di energia, di vitalità. E si vergognò.

Tanto, troppo.

Tirò su col naso, abbassando ancora più il capo; Thorin continuava a tenerla stretta, non avendo intenzione di lasciarla. Aveva appoggiato il mento sui capelli neri di Karin, lo sguardo azzurro che brillava di furore puntato verso la porta: se avesse potuto, avrebbe sfondato a calci la porta, solo per portarla via dal palazzo. Avrebbe trovato gli altri ed avrebbe attaccato e raso al suolo l'edificio dalle fondamenta alla sommità, trucidando personalmente ogni singolo elfo.

Invece, doveva attenersi ad altri piani.

Ora era più calma, anche se ancora percorsa da alcuni tremiti: ne avrebbe approfittato per metterla al corrente di ciò che era capitato mentre era in convalescenza.

<< Karin >> mormorò piano, mentre la vide abbassare maggiormente la testa; portò il pollice e l'indice al suo mento, facendole alzare il capo per guardarla negli occhi, rossi di pianto e lucidi.

Con le dita, asciugò delicatamente le scie di lacrime sulle gote: la vide guardarlo con paura, temendo una sua sfuriata; spianò la fronte e rilassò lo sguardo, cercando di farle capire che non le avrebbe fatto del male.

Avrebbe voluto sorridere, ma non vi riuscì: le parole dure e sofferte che gli aveva urlato permeavano ancora le pareti della cella, e il suo cuore.

<< Anche se non sono riuscito ad aprire quella porta, anni fa, stavolta posso rimediare >> mormorò con voce roca.

Negli occhi neri passò un lampo di stupore, avendo riconosciuto le stesse parole che le aveva sibilato il consigliere con cattiveria. Come poteva conoscerle?

Non riuscì a domandarglielo, troppo presa da ciò che udì poco dopo << Lo scassinatore è libero per il palazzo, ed è riuscito a trovare la mia cella e quelle degli altri: ora sta pensando ad un modo per tirarci fuori di qui, ma ti sta anche cerando. Devi dirmi dove si trova la tua stanza, così da poterglielo riferire non appena tornerà >> il tono gli uscì freddo e distaccato, nonostante le stesse accarezzando le guance, ormai prive di lacrime, fino a sfiorarle le labbra con i pollici.

Il cuore di Karin era in tumulto, ed un'inaspettata gioia le invase il petto, infiammandola: Bilbo era libero, stava bene! E, presto, li avrebbe portati via. C'era ancora speranza, dunque.

Dovette fare mente locale sulla posizione della stanza, ancora troppo scossa dall'accaduto: sondò alla ricerca delle parole e, con voce impastata, riuscì ad articolare una frase di senso compiuto.

<< Al... secondo livello. Subito dopo le stanze reali. E' la... >> rimase un po' a pensarci, contando mentalmente << … quinta a sinistra >> gracchiò debolmente.

Thorin fremette, avendo capito il perché si trovava lì: gli elfi avevano maggiori possibilità di controllarla.

Annuì, guardandola intensamente negli occhi. Ma Karin gli sfuggiva, vergognandosi.

Sobbalzarono entrambi udendo la serratura scattare: Legolas si fece avanti, puntando la lanterna accesa verso la stanza angusta; lo sguardo gli cadde sulle loro figure ancora abbracciate e, con preoccupazione, riconobbe i segni del pianto sul volto della ragazza.

Nessuno dei due prigionieri si mosse, anzi: Thorin la strinse a sé con possessività, e lei si rifugiò di più tra le sue braccia muscolose.

<< Karin, dobbiamo andare. Non c'è più tempo, mio padre sta per tornare >> disse l'elfo, ricevendo una dura occhiata dal nano anche se, d'altra parte, le parole del principe lo stupirono: quindi Thranduil non era a conoscenza della visita.

Fu questa notizia inaspettata a farlo muovere, tenendosi comunque ben stretto la ragazza: si avvicinò alla porta, mentre l'elfo continuava a guardare il corridoio deserto e buio nel cercare di scorgere qualche fioca luce; guardò Karin un'ultima volta, muovendo appena il capo per farle capire che sarebbe andato tutto bene. Poi, con una sofferenza immane si staccò da lei, indietreggiando di un paio di passi: lei lo guardò di sfuggita, poi gli diede le spalle e uscì fuori; rimasti solo loro, i due si guardarono con infinito astio e disprezzo, incolpandosi a vicenda per ciò che aveva – e stava – passando Karin.

Infine, la porta di quercia si richiuse, lasciandolo al buio.

Un'oscurità densa di colpa e rimorso.

Di bruciante disperazione.



Bilbo si ritrovò a correre lungo i corridoi, il cuore che batteva furioso contro la gabbia toracica; non gli importò poi molto di venir scoperto, anche se indossava l'anello. In parte temeva di arrivare nell'oscuro tunnel dell'ultimo livello, ma doveva fare in fretta: vi erano voci di una festa imminente – forse proprio quella sera! - ed i numerosi barili nelle cantine, contenenti vino o altre cibarie, sarebbero stati svuotati. Se ce ne fossero stati a sufficienza, sarebbero potuti scappare da un passaggio che aveva scoperto recentemente. Questo, infatti, era costituito da una botola che dava direttamente sul fiume: la corrente li trascinava finché non raggiungevano il confine orientale di Bosco Atro; poi venivano raccolti, legati insieme e spinti verso Pontelagolungo.

Era un'idea totalmente folle, lo sapeva! Eppure, in lui vi era una minima speranza di riuscita: inoltre, tutti riponevano fiducia in lui, e non voleva certo deluderli!

Finalmente giunse alla cella di Thorin, il cuore improvvisamente gonfio di pena: alla fine, non era riuscito a scoprire dove avevano rinchiuso Karin. Si sentì miserabile come poche volte, anche perché egli stesso era in pensiero per lei. E non osava immaginare come dovesse sentirsi il re dei nani.

Spiò attraverso il buco della serratura, cercando di abituare l'occhio all'oscurità della cella: dietro di lui, una lieve fiammella arancione era data dalla torcia accesa, illuminando debolmente il corridoio.

<< Thorin >> bisbigliò piano, ma comunque udibile.

Infatti, poco dopo, sentì dei passi affrettati << Bilbo. Novità? >> chiese.

Al povero hobbit mancò il coraggio di rivelargli i suoi precedenti pensieri, ma notò quanto fosse... stanco e strano il tono di voce del nano. Restò così turbato da dimenticarsi la risposta da dargli, facendolo spazientire.

<< Ebbene? >>.

<< Oh, sì, ecco... credo d'aver trovato il modo per fuggire >> bisbigliò concitato. Gli spiegò brevemente in cosa consisteva il piano, dovendo accennare al fatto che, forse, sarebbe stato costretto ad entrare in un barile stretto e scomodo: come previsto, Thorin iniziò ad agitarsi e bocciò l'idea sul nascere.

<< Non penso proprio, scassinatore! Non dentro un barile! Deve esistere un altro modo! >>.

<< E se non ci fosse altra soluzione? Un'occasione del genere potrebbe non capitarci più >>.

Era la verità, lo sapeva: così, a malincuore, dovette dare il suo consenso.

<< Senti Thorin, io >> ecco, ora arrivava la parte difficile << non sono riuscito a trovarla >> disse con un filo di voce; al re non occorse chiedere a chi si riferisse. L'aveva capito subito dal tono esile con cui aveva parlato.

<< Non ce n'è bisogno, so dove si trova: al secondo livello, dopo le stanze appartenenti alla famiglia reale. La quinta porta a sinistra >> disse, asciutto e sbrigativo, facendogli intendere che non avrebbe tollerato o risposto ad altre domande. Bilbo non ne fece, recependo bene il messaggio.

<< Quinta a sinistra >> ripeté piano, per memorizzarlo << D'accordo >>.

<< Liberala per prima, poi gli altri. Infine, verrai da me >>.

Bilbo aggrottò la fronte, perplesso << Ma, Thorin, potrei liberarti adesso... >>.

<< No >> lo interruppe bruscamente << prima Karin >>.

Lo hobbit non volle discutere o obiettare, quindi acconsentì. Certo, anche a lui premeva salvarla ed accertarsi della sua salute, ma così avrebbe dovuto fare più strada!

Si congedò dal re, rassicurandolo che sarebbe tornato presto a liberarlo: avrebbe lasciato gli altri alle cantine – non molto lontane – e sarebbe sgattaiolato fin lì.

Ripercorse ogni corridoio e tunnel, notando quanto crescesse la luminosità man mano che saliva: divenne più pericoloso nascondersi dalle numerose ombre che venivano proiettate, e iniziò a muoversi con più lentezza e cautela, innervosendosi.

Mise piede al secondo livello dopo quella che gli parve un'eternità: scivolò silenziosamente a ridosso della parete bianca, guardandosi attorno con crescente disagio; con un moto di terrore vide una guardia davanti alla quinta porta. Non ci voleva, non ora che il tempo stringeva! Doveva pensare ad una soluzione, e in fretta! Stava cercando di scervellarsi quando un'altra guardia si avvicinò dalla parte opposta a dove si trovava lui: in mano, reggeva due calici colmi di vino.

<< Per allietarti la serata >> disse quest'ultimo, facendo sospirare il guardiano.

<< Tu a spassartela e io qui a far la guardia all'uccellino! Sai che non potrei farlo >> lo ammonì, negando il calice.

<< Male non potrà farti, mio buon amico: è molto poco >>.

<< Sarà, ma non posso accettare >>.

<< Suvvia, non se ne accorgerà nessuno! E poi, l'uccellino non è nemmeno in grado di reggersi in piedi: il veleno l'ha spossata alquanto. E, anche se riuscisse ad aprire la porta, non saprebbe dove andare >>.

<< So che la porta è sempre aperta, e tanto basta per mettermi in allerta! Comunque oggi è uscita, però: con il principe. Mi ha cacciato in malo modo, senza motivo >>.

L'altro scrollò le spalle, stando attento a non rovesciare neppure una goccia di liquido sanguigno.

<< Non ha molta importanza, dopotutto. Allora, vuoi farmi reggere questi due calici all'infinito? Prendilo! >> ordinò.

La guardia obbedì, rigirandosi la coppetta tra le dita. Alzarono i calici in un brindisi, per poi svuotarli in un sol sorso.

Bilbo pensò che gli elfi non riuscissero a reggere l'alcool, visto che dopo poco iniziarono a ridacchiare allegramente: ma, forse, quello era un vino ben forte. O alle guardie non era propriamente concesso bere.

Fortuna volle che, dopo una manciata di minuti, decisero di comune accordo di sgattaiolare al livello superiore per gustare altro buon vino di Dorwinion, lasciando così la porta incustodita.

Ora non gli restava che appurare se si trattava della camera giusta.

Provò a spiare, ma non scorse nulla: col cuore in gola e lo stomaco accartocciato, provò a chiamare l'amica, non ottenendo risposta.

Ricordandosi della porta aperta portò la mano alla maniglia, il cuore che sembrava scoppiargli in petto: se si fosse sbagliato...

Non volle pensarci.

La porta cigolò, proiettando un lieve cono di luce che spazzò l'ombra densa e nera. Tolse l'anello, ma sentì qualcuno gemere debolmente e muoversi: un sottile gelo gli si diffuse in corpo, ma passò subito non appena udì una voce conosciuta chiamarlo, incredula.

<< Bilbo? >>.

Karin entrò nel suo campo visivo; si scambiarono un breve sguardo, sconcertati ma felici, per poi gettarsi l'uno tra le braccia dell'altra, in un abbraccio vigoroso e sincero. Iniziarono a ridacchiare senza motivo, oltremodo contenti di essersi ritrovati dopo tutti quei giorni; Bilbo strinse la presa sulla sua schiena, facendole capire quanto le fosse mancata, mentre lei poggiò il mento sull'incavo del collo, lasciando che i capelli ricci dello hobbit le solleticassero il naso e la fronte. Non si sentì mai così felice come in quel momento, nel saperlo lì con lei: dopo tutto ciò che era accaduto con Thorin, le fece bene vedere Bilbo, e consolarsi nel suo abbraccio.

<< Sono così felice di saperti viva! Thorin aveva detto che eri stata ferita gravemente >> disse, scostandosi un poco.

Karin annuì, un improvviso groppo alla gola le impedì di parlare: dovette deglutire per rispondergli.

<< Sì, ma ora sto meglio. Più o meno >> concluse, facendo una smorfia.

Così vicini, Bilbo si rese conto delle tremende occhiaie e della cera pallida del volto, costatando che non aveva un aspetto sano: in più, sembrava essersi assottigliata molto. Tutti loro avevano risentito della prigionia, portandone i segni sul corpo un tempo forte e vigoroso: ma Karin aveva dovuto affrontare anche l'avvelenamento e la conseguente guarigione, non del tutto ultimata. Eppure era certo che, una volta usciti di lì, si sarebbe ristabilita. Ciò gli rammentò che non dovevano perdere altro tempo prezioso, che dovevano sbrigarsi.

<< Karin, credo d'aver trovato il modo per fuggire, ma dobbiamo fare in fretta: dobbiamo liberare gli altri, poi scendere alle cantine! >>.

<< Va bene, allora muoviamoci >>.

Lo hobbit si infilò nuovamente l'anello al dito, zittendo una stupita Karin che, nel frattempo, aveva iniziato a porgli moltissime domande, spaventata. La trascinò fuori, sbirciando cautamente lungo il corridoio: se fosse arrivato qualcuno avrebbe visto l'amica, riportandola dentro la stanza; avevano superato incolumi il quanto livello quando lei lo strattonò, liberandosi dalla sua stretta. Lo costrinse a fermarsi, e Bilbo si girò verso di lei, spazientito.

<< Karin, non dobbiamo fermarci! >> le sussurrò, ma lei scosse la testa.

<< Devo trovare Iris >>.

<< Co... come? >> domandò incredulo.

<< Non me ne vado senza Iris, Bilbo. È l'unica cosa che mi rimane della mia famiglia >> lo guardò seria e ferma anche se lo sguardo gli trapassò il collo, data l'invisibilità << Tu non l'hai vista in questi giorni? >> chiese, speranzosa.

Lo hobbit rimase in silenzio per alcuni secondi, ma alla fine scacciò il pensiero di risponderle negativamente << Sì, un livello più sopra della cella di Dwalin: andiamo >>.

Ripresero ad avanzare cauti, respirando il più piano possibile per non far rumore: finalmente scesero al livello giusto, fermandosi di nuovo.

<< Tu vai pure a liberare gli altri >> gli disse Karin, ignorando l'occhiataccia che le rivolse l'amico << io faccio in fretta >>.

<< Karin, non sai nemmeno dove sono le cantine! >> protestò, di fronte alla proposta.

La ragazza gli sorrise << Bé, a questo si può rimediare >>.

<< Se gli elfi dovessero vederti... >>.

<< Non accadrà, abbi fiducia! Starò attenta >>.

Bilbo sospirò, rassegnato: per quanto avesse voluto ribattere, sapeva bene che nulla le avrebbe fatto cambiare idea.

<< D'accordo. Una volta che l'avrai recuperata – in fretta, mi raccomando – scendi sempre. Troverai qualcuno ad attenderti, io stesso o un nano >>.

Karin annuì, sorridendogli; dopodiché percepì i passi silenziosi di Bilbo che proseguivano, alla ricerca della cella di Dwalin: lei, invece, si inoltrò cauta ed attenta lungo il corridoio fiocamente illuminato, il cuore che le martellava in petto.



<< Dov'è Karin? >> chiese Thorin, non appena mise piede nella cantina di Bosco Atro. Lanciò uno sguardo furioso al povero Bilbo, che dovette mantenere i nervi saldi nel rispondergli.

<< A cercare Iris >> disse, cercando di nascondere l'angoscia della voce; non aggiunse che, in realtà, avrebbe dovuto essere lì con loro da tempo. Era preoccupato, tremendamente preoccupato.

Thorin contrasse la mascella ma non disse nulla: i suoi occhi parlarono per lui. Si mise a passeggiare nervosamente per la stanza, passando accanto ai barili di legno che contenevano i nani, accuratamente imballati con della paglia e chiusi dallo scassinatore.

<< Sei riuscito a trovarla, dunque! Come sta? >> volle sapere Balin, che aveva il compito di sorvegliare la porta e le due guardie addormentate a cui Bilbo aveva sfilato le chiavi delle celle.

<< Bene. Almeno, da quello che ho potuto vedere >> rispose lo hobbit, evitando di prestare troppa attenzione ai passi pesanti del re dei nani, e ai suoi continui borbottii: riuscì a distinguere alcune frasi, tra cui “maledetta la sua testardaggine” e “si può sapere dov'è finita?”, seguite da molti “mi sentirà, per Durin!”.

<< Non potevi trovare un altro modo? >> sbottò poi, iroso << Non voglio venir rinchiuso come un cane! >>.

Bilbo alzò gli occhi al cielo, esasperato: era già la quinta volta che glielo ripeteva << No, Thorin, non c'era altra soluzione! >> replicò << E puoi smetterla di agitarti così tanto? Mi rendi nervoso! >> lo rimbeccò, facendolo arrestare di botto: mai prima d'ora gli aveva parlato in quel modo. Il nano rimase talmente basito da non riuscire a trovare parole adatte per controbattere.

<< Eccola! >>.

Balin si sporse leggermente dalla soglia, agitando un braccio per farsi vedere meglio da Karin: poi corse trafelato verso il proprio barile, venendo aiutato da Bilbo, che lo chiuse per bene.

Nel frattempo la ragazza entrò, ricevendo una dura occhiata da Thorin << Perché ci hai messo così tanto? >>.

Lei lo guardò, scrollando le spalle << Ad un certo punto mi sono persa >>.

Il nano aprì la bocca per sgridarla, ma venne fermato da Bilbo << Thorin, ora non abbiamo tempo per una strigliata! Dobbiamo fare in fretta! >>.

<< Alcuni elfi stanno scendendo: sentivo i loro passi dietro di me, ad alcuni metri di distanza >>.

Ciò smosse il re che, con un grugnito rabbioso, si issò sul suo barile, entrandovi. Bilbo posizionò il coperchio, per poi fare un occhiolino all'amica, che gli rispose con un sorriso di ringraziamento: almeno si era risparmiata la ramanzina!

Lo hobbit finì appena in tempo di imballare Karin – infilandosi l'anello magico - che alcuni elfi entrarono, ridendo e chiacchierando.

Svegliarono i due elfi ed iniziarono a far rotolare i barili verso l'apertura della botola: caddero uno dopo l'altro nell'acqua fredda del fiume, sollevando spruzzi e urtandosi, per poi seguire la corrente. Fu allora che Bilbo trovò la falla nel piano: lui non era dentro un barile!

Rimase a guardare gli ultimi barili rotolare lungo la botola buia, per poi gettarsi sull'ultimo, che conteneva Karin.

Con un tonfo cadde in acqua, tornando a galla subito dopo: si aggrappò con forza al legno, non riuscendo però ad arrampicarcisi sopra.

La botola si richiuse, e le voci degli elfi si spensero: ora era solo, circondato da barili vuoti e altri contenenti i suoi amici; l'oscurità era opprimente, il gelo del fiume era intenso. Ma, fortunatamente, pian piano iniziò a scorgere un lieve bagliore che rischiarò il tunnel: uscirono sotto i rami degli alberi che si chinavano sull'acqua, e fu proprio lì che la corrente divenne più forte; i barili e i tini acquistarono velocità, sobbalzando di tanto in tanto quando il letto del fiume era irregolare. Avanzarono sempre più rapidi, girandosi di qua e di là con forti scossoni, urtandosi tra loro: dopo un poco si arenarono sulla riva, dove alcuni elfi stavano pronti con delle pertiche per metterli da parte: li legarono insieme e li lasciarono lì fino al mattino successivo, quando ripresero il loro sfortunato viaggio. Lo hobbit cercò di memorizzare a quale barile si era aggrappato fino ad ora e qual era la sua posizione. Durante il viaggio, Bilbo batteva di tanto in tanto un pugno sul legno e, col cuore in gola, attendeva trepidante che Karin rispondesse; solo allora si tranquillizzava un poco, capendo che stava bene.

Non osò pensare ai poveri nani rinchiusi nei barili, preda dell'acqua che filtrava e della claustrofobia del luogo: ringraziò internamente d'essere fuori, sebbene zuppo ed infreddolito!

La corrente non migliorò affatto quel giorno, rimanendo molto rapida e veloce: ad un certo punto della navigazione, con immenso stupore di Bilbo, il coperchio di un barile venne gettato lontano, nell'acqua gelida; emerse la figura scarmigliata di Thorin a cui si aggiunsero, poco dopo, quelle degli altri. Si urlarono qualcosa a vicenda, mentre le parole si disperdevano a causa dello scrosciare del fiume, e del vento che sferzava i loro volti.

Bilbo si sentì male al pensiero dell'amica, l'unica a dover rimanere chiusa nel proprio barile perché lui glielo impediva, standovi aggrappato. Batté più volte sull'asse di legno, sentendo la medesima risposta da parte sua.

Finalmente, la terra iniziò a stendersi davanti ai loro occhi, così come la figura imponente della Montagna Solitaria: ce l'avevano fatta, il piano era riuscito! Quando il sole tramontò, il Fiume Selva si gettò nel Lago Lungo, una distesa d'acqua talmente grande che faceva concorrenza solo al mare: nonostante il raffreddore e il freddo che percepiva, Bilbo si sentì emozionato oltre ogni dire, non avendo mai assistito ad uno spettacolo del genere.

Ed eccola: la città di Pontelagolungo, costruita dentro il lago. Gli edifici erano di legno, enormi palafitte innalzate dagli uomini, protetti dai vortici degli immissari del lago.

I barili galleggiarono pigramente fino all'immenso ponte di legno, ma la compagnia non scorse nessuna torcia, nessun individuo ad attenderli: e questo fu un bene.

Col favore dell'oscurità riuscirono ad uscire, barcollanti e pallidi: si aiutarono l'un l'altro e, ora, Bilbo si tolse l'anello e chiese aiuto a Kili e Fili, più vicini rispetto agli altri.

Non appena i suoi piedi toccarono il legno del pontile, venne sospinto malamente dai fratelli che, con un gran daffare, alzarono il coperchio dell'ultimo barile rimasto.

<< Karin! >> gridarono in coro.

Allungarono entrambi un braccio, aiutando la ragazza: era pallida e zuppa quanto loro che, invece, avevano compiuto l'ultimo tratto con mezzo busto all'aria aperta, sfidando le rapide del fiume e l'acqua impetuosa.

<< Fate piano, non sta ancora bene! >> intervenne Bilbo, preoccupato.

Tremava di freddo, le labbra erano livide, le gambe traballanti: ma non fece in tempo a dir nulla che l'abbracciarono di slancio, iniziando a ridere allegramente; in una manciata di secondi si aggiunsero anche Nori, Ori, Dori e Bombur, stringendola talmente forte da farle mancare il fiato.

<< Lasciatela, per la barba di Durin! Non vedete che non respira? >> gridò Gloin, allontanando i compagni << E tu >> esclamò minaccioso, un cipiglio severo rivolto ad una povera Karin << è questo il modo di comportarsi? Ci hai fatto stare in pensiero, accidenti a te! >> borbottò, per poi avvolgerla tra le sue braccia: le batté rudemente una mano sulla schiena, per poi allontanarla quasi subito << Sei una nana a dir poco fortunata! Meno male che Bilbo è riuscito a trovarti! >>.

Anche Oin allontanò il fratello per batterle una mano sulla spalla; Bifur iniziò a parlare nell'antico linguaggio dei nani, allargando le braccia di tanto in tanto, abbracciandola a sua volta.

Bofur si tolse il cappello, zuppo quanto il resto, e le rivolse un'enorme sorriso << Bé, che dire. Bentornata tra noi! >>.

<< Grazie >> riuscì a rispondere lei, debolmente.

Karin non aspettò altro: gli gettò le braccia al collo e serrò gli occhi, contenta di rivederlo. Di rivedere tutti loro.

Quel “bentornata” le invase il cuore, nutrendolo con meravigliose sensazioni: si sentì accettata. Sentì di non essere più sola, di far parte della compagnia. Glielo dimostrarono quegli abbracci sinceri, quegli sguardi felici e brillanti di commozione nel saperla viva e in salute. Si sentì grata come mai in vita in sua, e fu con sforzo immane che non scoppiò a piangere come una bambina: ma si commosse, questo sì; alcune lacrime le sfuggirono dagli occhi quando venne il turno di Balin.

La guardò solamente, senza dire nulla: ma nei suoi occhi vi era un tale sollievo, un tale affetto, che la lasciò senza fiato; quelli erano sguardi che solo un padre amorevole poteva riservare alla propria figlia prediletta.

Con una punta di dispiacere, Karin si rese conto che suo padre non glieli aveva mai concessi: ma vi era sempre stato Balin, per lei. Le era rimasto accanto più di quanto Kario avesse mai fatto.

<< Abbiamo bisogno di vestiti asciutti e di un tetto sopra la testa. Fili, Kili, Bilbo, voi verrete con me: andremo dal Governatore della città. Voialtri restate qui >> intervenne Thorin, rimasto in disparte con Dwalin, ad alcuni passi dall'assembramento creatosi attorno alla ragazza.

Aveva le braccia incrociate al petto ed uno sguardo cupo, che non ammetteva repliche: immediatamente, i tre gli si avvicinarono, pronti per partire.

Avevano già voltato loro le spalle quando la voce di Karin li fermò.

<< Aspetta! >> non aveva pronunciato alcun nome, ma Thorin seppe che era riferito a lui.

Si girò, incontrando la sua figura a pochi passi da lui; con uno sforzo enorme, gli occhi neri si posarono sui suoi.

<< Un re non è tale senza la sua spada >> disse, solenne.

Con immenso stupore di Thorin, il braccio dietro la schiena di Karin gli rivelò cosa nascondeva: la lama di Orcrist sembrò mandare un lieve bagliore argentato quando si poggiò sul palmo della mano; l'altra impugnava il manico di dente di drago.

Le braccia erano tese verso di lui, in un muto invito a prenderla: e Thorin lo fece. Allungò le mani e le posò nei medesimi punti di quelle di Karin, avvolgendole: erano gelate, ma non gli importò.

Rimasero in quella posizione per lunghi secondi, mentre attorno a loro regnava il silenzio: non un nano osava respirare, non davanti ad una scena carica di significato come quella.

I due si guardarono negli occhi, esprimendo parole che non sarebbero state pronunciate: non lì, non in quel momento.

Sentì le dita di Karin scivolargli via, abbandonando il contatto: rimasero solo le sue mani, strette alla spada, tenendola in orizzontale così come gliela aveva presentata; le labbra del nano si incurvarono in un lieve sorriso di ringraziamento, ed una mano callosa si posò sulla guancia di Karin, assaporandone la morbidezza.

Durò poco, molto poco per la verità; poi, con un cenno del capo la ringraziò, dandole le spalle e avviandosi con gli altri verso i bagliori della città.






CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Sono imperdonabile, lo so ç_____ç! L'avrei pubblicato anche ieri, ma ho avuto una laurea :(

ad ogni modo, eccolo qui! Allora, che ve ne pare? Siete d'accordo nel dire che vi sono fuoco e fiamme tra i due? Non sapete quanto mi sia costato scriverlo, davvero: i nodi sono venuti al pettine, Karin è riuscita a sfogarsi; come scritto nel capitolo, lei non aveva intenzione di dirgli tutte quelle cose e accusarlo, ma cercate di capirla! Tornare nella stessa cella dove si è stati brutalmente torturati e costretti a tradire avrebbe portato alla pazzia anche la persona più forte di questo mondo!

A questo proposito, mi ricollego al video ^^: dunque, avete presente quando, ascoltando, leggendo, o guardando qualcosa vi sale un magone allucinante e fortissimo, e vi ritrovate con gli occhi lucidi senza motivo? Io non sono propriamente una che si lascia coinvolgere così, però... insomma, NON può capitarmi un video del genere sotto gli occhi, nossignore! E per TRE buoni motivi:

1. La musica di sottofondo: Two Steps from Hell, coloro i quali – grazie alle musiche epiche e struggenti – mi aiutano a produrre i capitoli. Ebbene sì, se non li ascolto non scrivo nulla!!!

2. Il titolo della canzone: Love and Loss; ora, NON possono combinarmi 'sto brano E le scene de “lo Hobbit” INSIEME O.o!!! NO, NON SI FA!!! d'accordo, qui parlano della distruzione di Dale e della presa di Erebor, però... insomma, la mia fantasia è andata da tutt'altra parte, portandomi al punto tre.

3. Ragazze, ciò che mi ha stesa del tutto facendomi salire le lacrime è stato che, molto probabilmente, in quel momento Karin – a Bosco Atro – era preda delle torture lette nel capitolo dieci: il momento esatto in cui si abbandona e si piega all'elfo, dicendo che avrebbe tradito ç___ç

Ecco, ora capite la mia tristezza? Thorin e Karin erano GIA' divisi e, mentre lui affrontava Smaug perdendo la sua casa, lei perdeva la sua forza. Per questo motivo per me, Love and Loss, più che far pensare ad Erebor, fa pensare ai due! So che sono un caso disperato, ma ormai tengo davvero troppo a questa storia ç____ç ed alle vicende che si svolgono man mano.

Vi chiedo perdono, ora ho finito di sparare cavolate ;)))

Dunque, ora ce l'hanno fatta a scappare dagli elfi, dirigendosi a Pontelagolungo XD: ooooh, ora sì che si ragiona! Da qui in poi inizia un altro blocco importante del loro viaggio, che li porta sempre più vicini a Erebor ^^ spero che, da adesso, la tristezza e la depressione dilaghino di meno... anche se ci sono ancora due o tre cosette in sospeso ;)

Eheheheheeh! Bene, come sempre vi esorto a farmi sapere che ne pensate con le recensioni!

Ringrazio le carissime e specialissime jaybeautifldarkangel, LadyGuns56, miss feenky92, vanessa 90, pamagra, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack, Carmaux e Mars PR Black Rose. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite - ricordate e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra

Anna


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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Note autrice: e rieccolaaaaa!!! Spero che questo capitolo vi aggrada ;)) vi consiglio di leggerlo – se vi va, ovvio – con questa musica di sottofondo.

http://www.youtube.com/watch?v=kmrmHEzUQRs

Io ho praticamente ascoltato SOLO questa mentre lo scrivevo O.o! Lo so, sono malata!!! Bene, se sarete ancora vive dopo il cap, ci leggiamo giù :*

Buona lettura ^^




CAPITOLO TREDICI


Aprì con difficoltà gli occhi, mugugnando infastidita per essersi svegliata: avrebbe voluto dormire per giorni interi, persa nell'oblio di un sonno senza sogni, buio come la notte senza stelle, sprofondata nel materasso morbido e pulito.

Era esausta e si ritrovò a starnutire due volte ma, per il restante tempo, batteva i denti preda di interminabili brividi; gli scossoni presi da dentro il barile si fecero sentire non appena il corpo si mosse debolmente: ogni muscolo invocò pietà, reclamando a gran voce un po' di riposo.

Ma il sole era alto nel cielo, e i rumori che sentiva provenire dal pian terreno le fecero capire che gli altri erano già alzati.

Imprecando silenziosamente riuscì a mettersi seduta, gemendo: la testa minacciava di esploderle da un momento all'altro, ed ogni più piccolo movimento era un'immensa fatica; cercò di frizionarsi le braccia per scaldarsi, ma fu inutile. Si passò una mano tra i capelli ancora lisci ma bisognosi di un urgente lavata e, con un leggero sforzo, si diresse verso la porta, aprendola: si ritrovò nel corridoio - illuminato dalla luce del giorno – della grande casa che il Governatore di Esgaroth aveva messo a loro disposizione dopo che Thorin gli si era presentato dinanzi come Re sotto la Montagna, tornato a riconquistare Erebor ed uccidere Smaug.

La sera prima, Kili e Fili le avevano raccontato a bassa voce come si era svolto l'incontro mentre si dirigevano verso l'abitazione, scortati dalla popolazione incredula ma festante che li aveva accolti come se avessero già sconfitto il drago.

<< Avresti dovuto sentire lo zio >> le bisbigliò Fili in un orecchio, decisamente ubriaco, mentre la teneva a braccetto per aiutarsi a camminare << quel “Io ritorno!” ha fatto ammutolire tutti! >>.

<< E' vero! Dovevi vedere la faccia del Governatore, Karin: un altro po', e avrebbe sbattuto il mento sul pavimento! >> ridacchiò Kili, reggendosi dalla parte opposta e alticcio quanto il fratello maggiore << Poi la gente ha iniziato ad urlare e a cantare vecchie canzoni, presi dall'euforia del ritorno di un membro della stirpe di Durin, e quindi il Governatore ha dovuto credere al racconto di Thorin. Gli ha ceduto il suo scranno e ci ha fatti sedere accanto a lui, mentre ordinava ai suoi uomini che venissero a prendervi >>.

Ed erano venuti, ricordò Karin, mentre avanzava barcollante verso il bagno del primo piano: ogni elemento parve ruotare, comprese le pareti bianche; dovette serrare gli occhi e mordersi le labbra per acquistare un minimo di autocontrollo, ma continuava a tremare senza sosta, infreddolita.

Cinque abitanti li avevano sorpresi uno vicino all'altro, in un vano tentativo di scaldarsi a vicenda: lei, ad esempio, era stata stretta tra Bombur e Bofur che, per smorzare il silenzio e la tensione, aveva aiutato il cugino a togliersi un pesce che gli si era conficcato nell'ascia. Era perfino intervenuto Balin a calmare Bifur, che continuava ad urlare come se qualcuno l'avesse appena minacciato di morte.

Senza altri intoppi, comunque, li avevano seguiti in città, sentendosi a disagio di fronte alle occhiate piene di curiosità e stupore della gente; avevano raggiunto la piazza principale, formata da uno specchio d'acqua circondato da alti pilastri, su cui erano costruite le case più grandi: da una di esse risuonava un gran vociare allegro, e numerose luci erano accese, segno che vi era una festa.

Non appena entrarono, le voci si spensero e molte teste si voltarono verso il resto della Compagnia, squadrando ogni membro: se Karin ci ripensava, sprofondava nuovamente nell'imbarazzo.

<< Questi sono i miei valorosi compagni, ed amici >> disse Thorin, con voce chiara e tonante << Chiedo venga loro offerto un posto al banchetto, poiché è stato un viaggio molto lungo e stancante anche per i loro cuori volenterosi >> terminò, rivolgendosi al Governatore.

Quello - un uomo alto dal ventre prominente ed un gran faccione rotondo - fece saettare lo sguardo verso di loro, illuminato dalla brama di nuove ricchezze che avrebbe portato il Re sotto la Montagna. Infine acconsentì con enormi sorrisi e ossequi, pregandoli di unirsi; ricordò di essersi seduta accanto a Bilbo, mentre Oin prese posto alla sua destra, ma poi tutto si fece confuso: aveva bevuto e sbocconcellato giusto qualcosa, anche se il suo stomaco reclamava più cibo ma, contemporaneamente, le ricordava una nausea imminente. Se avesse potuto scegliere, si sarebbe messa in un angolino a dormire, invece che partecipare alla gioia collettiva.

Molti brindisi furono fatti, e molti boccali colmi di birra si alzarono alla loro salute: i nani banchettarono molto, ritrovando il buonumore; Thorin parlava con il Governatore, non curandosi di altro: nemmeno di Kili e Fili che, abbastanza alticci, iniziarono ad intonare delle canzoni stonate facendo ridere gli alti commensali, che brindarono alla loro bravura.

<< Stai bene, ragazza? >> le urlò Oin, sporgendosi verso di lei e facendola sobbalzare sulla sedia, impegnata com'era ad osservare gli altri.

<< Sono solo molto stanca >> gli rispose, cercando di alzare quanto più possibile il volume di voce per farsi sentire.

Oin fece un'espressione preoccupata, aggrottando la fronte << Hai male all'anca? >>.

Karin lo guardò confusa, per poi scuotere la testa e sorridere; portò le mani a coppa e gliele poggiò sull'orecchio, ripetendogli la frase. Il nano, allora, le fece un grande sorriso e le batté una mano sulla spalla.

<< Non temere, non durerà molto! >>.

Lei non ne fu ben convinta, ma cercò di essere paziente e di divertirsi comunque. Ad un certo punto si ritrovò gli angoli degli occhi umidi, ed alcune lacrime le scesero sulle guance mentre rideva a crepapelle per delle battute degli altri.

Non seppe quantificare il tempo trascorso a bere o mangiare; l'ultimo ricordo della serata riguardò il Governatore, che li condusse nella nuova abitazione: mostrò loro le varie stanze e volle salutare tutti loro, scusandosi già se non avesse ricordato ogni nome; inoltre, invitò Thorin per la cena successiva. Poi augurò la buonanotte, allontanandosi nella notte.

Thorin – più sobrio degli altri, anche se aveva bevuto parecchio – distribuì le varie stanze, dividendoli a coppie; quando venne il suo turno, però, le comunicò che avrebbe dormito in una stanza a parte, da sola.

Non ebbe la forza di ribattergli che, al contrario, avrebbe preferito un po' di compagnia, specie dopo le settimane passate e Bosco Atro: il suo silenzio gli fece capire che non ci sarebbero state obiezioni, quindi concluse il tutto mandandoli a letto.

Si era trascinata verso la sua nuova stanza, appoggiandosi di tanto in tanto al muro per rimanere in piedi; barcollò verso il letto e, senza nemmeno togliersi la tunica elfica umida e gli stivali infangati, si buttò sul materasso addormentandosi immediatamente: non sognò nulla anche se, ad un certo punto, le apparvero due occhi azzurri che la resero irrequieta, facendole spostare il capo a destra e a sinistra.

Con una smorfia di disappunto al ricordo dello sguardo ben conosciuto, aprì la porta del bagno ma le gambe stanche le cedettero, facendole appoggiare tutto il peso del corpo sul legno; si sentì scivolare verso terra, le ginocchia batterono sul pavimento. Si lasciò scappare un gemito e percepì rumori di passi che salivano le scale, poco lontane.

<< Karin! >>.

Aprì con difficoltà gli occhi, riconoscendo i lineamenti di Ori: le si era inginocchiato accanto, guardandola preoccupato; le era talmente vicino che la ragazza riuscì a distinguere e contare le lentiggini del volto. Ma, ben presto, quelle iniziarono ad aumentare e vorticare e dovette serrare nuovamente gli occhi, la bocca piegata in una smorfia.

<< Cos'hai? Stai male? Sei ferita? >> le chiese il nano, agitato come non mai; le posò una mano sulla guancia, ritraendola subito << Ma scotti! >> esclamò allarmato.

Karin avrebbe voluto dirgli di tacere, ma le uscì una specie di rantolo: faticava persino a parlare, dato il tremore incessante dei denti.

Non aveva più controllo del corpo, era spossata e febbricitante: anche pensare era ormai complicato. << Riesci ad alzarti? >>.

Scosse la testa. Ori, allora, assunse un'espressione preoccupata, torcendosi le dita macchiate d'inchiostro << Vado a chiamare qualcuno! Tu non ti muovere, e cerca di resistere! >> parlò velocemente, alzandosi ed inciampando nei suoi stessi abiti nuovi.

Caracollò lungo le scale, urlando qualcosa che non capì; esausta, appoggiò la nuca allo stipite della porta, avvolgendo le braccia al corpo bollente ma che le pareva gelato, ed iniziò a respirare velocemente come se avesse corso per miglia e miglia. Le palpebre divennero talmente pesanti da non riuscire a tenerle sollevate e, con gioia, le chiuse.

Tossì, aumentando i tremori; dopo quelli che le parvero lunghi anni, sentì i passi leggeri di Ori e altri più pesanti avanzare di corsa; alcuni fruscii le fecero capire che si erano inginocchiati ma, anche stavolta, le risultò difficile aprire gli occhi.

Le voci erano lontane: Ori parlava concitato mentre l'altro nano taceva, quindi non riuscì a capire chi potesse essere.

Sentì due braccia forti alzarla senza difficoltà da terra; appoggiò il capo alla spalla, ricevendo quell'agognato calore che tanto voleva.

<< Ori, vai a prendere altre coperte >> fu l'ordine dell'altro.

Karin ebbe un colpo al cuore, riconoscendo la voce.

<< Sì, subito! >> rispose lo scrivano, allontanandosi.

La ragazza oscillava tra le braccia del nano, segno che si stava muovendo; dopo poco, infatti, la schiena entrò in contatto con il materasso morbido: sentì una grande mano posarsi sulla fronte, e borbottii che non capì. Con altri fruscii, le coperte andarono a coprirla fino al mento; stupendosi di se stessa, Karin fece saettare la mano sulla sua, stringendogliela forte.

<< Thorin >> riuscì a mormorare, dato il freddo incessante nelle ossa; alcune goccioline di sudore le scesero dietro le orecchie e lungo il collo, ma non vi badò. Non ora.

<< Mi... mi dispiace. Tan... to >> deglutì, la gola insopportabilmente secca.

Di nuovo, sentì la mano posarsi sulla fronte, ma non udì alcuna risposta.

Un sonno agitato la prese, facendola sprofondare in sogni e incubi sofferti.


Ori tornò poco dopo, avvicinandosi all'imponente figura di Dwalin, seduto accanto all'ammalata; aggiunse le coperte, facendo ben attenzione a coprirla bene e rimase a guardarla un attimo, togliendole il leggero velo di sudore con un panno bagnato.

<< Grazie, Dwalin. >> disse il giovane nano. Era stata una bella sorpresa quando, entrando nella grande sala al piano terra – ed avendo praticamente urlato come un forsennato che Karin stava male – Dwalin fosse accorso subito, ordinando a Bilbo, Dori, Nori e Oin di rimanere lì perché ci avrebbe pensato lui.

Il nano scrollò le spalle, borbottando un “figurati” detto tra i denti.

<< Davvero una bella sfortuna, ammalarsi proprio ora >> sospirò il giovane, grattandosi la testa << Questi giorni l'avrebbero aiutata a rimettersi in sesto! >>.

<< Guarirà in fretta, la febbre le passerà presto >> disse asciutto Dwalin; si alzò, guardando il più giovane nano della Compagnia << Pensaci tu, Ori >>.

Se ne andò, dopo aver ricevuto un cenno dall'altro: richiuse la porta alle spalle, scoccando un'occhiata allo scassinatore, fermo in corridoio. Osservò la sua faccia ansiosa e colpevole, rassicurandolo << Ha solo la febbre alta, mastro Baggins. Tra pochi giorni starà meglio >>.

Bilbo annuì e fece per parlare ma Dwalin lo oltrepassò, dirigendosi verso le scale. Aveva bisogno di fare quattro passi, pensare e stare da solo: ma, prima, avrebbe dovuto cercare Thorin.

Lo incontrò lungo il pontile che portava alla loro abitazione: stava chiacchierando con Balin, ma non appena li raggiunse si zittì, rivolgendogli un sorriso stanco.

<< Buone notizie, amico mio >> gli disse, dandogli una manata sulla spalla << Il Governatore ci offre la sua generosa ospitalità per tutto il tempo che sarà necessario >> fece una smorfia sarcastica, pensando con disappunto alla faccia dell'uomo in questione, ed alla brama che gli leggeva sempre negli occhi.

<< Bé, ci occorreranno un po' di giorni, questo sì >> ammise Dwalin, guardando prima il fratello e poi il suo re << Karin ha la febbre alta >>.

Il lieve sorriso di Thorin si spense rapido; procedette ad ampie falcate verso la casa, venendo subito affiancato dai due fratelli.

<< Come l'hai saputo? Te l'ha detto lei? >>.

<< No. Ero in sala quando il giovane Ori è sceso trafelato dalle scale, urlando che Karin stava male: per un attimo ho temuto il peggio, ma poi ho capito che i sintomi erano quelli di una forte febbre >> confidò Dwalin, stringendo involontariamente un pugno; era inutile nascondergli la sua breve preoccupazione. Dopotutto, Thorin lo conosceva meglio di chiunque altro.

Il re annuì, in parte sollevato << Ora come sta? >>.

<< L'ho lasciata con lui, stava dormendo >>.

<< Bene. Il viaggio nei barili deve averla oltremodo debilitata >> disse il re, parlando più a se stesso che ai due.

<< Povera ragazza >> commentò Balin, mentre richiudeva la porta della casa e si fermava nella sala, accanto agli altri due << non ha un attimo di pace >> scosse la testa, amareggiato.

<< L'avrà quando si rimetterà >> rispose serio il re, prima di avviarsi verso le scale.

<< C'è un'ultima cosa, Thorin >> la voce profonda di Dwalin lo fermò; gli si avvicinò, guardandolo negli occhi << quando l'ho riportata a letto mi ha scambiato per te: ha iniziato a delirare, dicendo che le dispiaceva >>.

Negli occhi azzurri dell'amico, oltre alla crescente irrequietezza e preoccupazione, passò un lampo di rammarico e tristezza; Dwalin credette d'aver visto male, ma passò subito.

Thorin annuì poi fece i gradini a due a due, affrettandosi verso la camera della ragazza.

I due fratelli rimasero al piano terra: Balin prese posto in una poltrona accanto al fuoco scoppiettante, pensieroso; Dwalin, al contrario, non riusciva a stare in quella casa un minuto di più. Spalancò la porta e la richiuse con un lieve tonfo, la mente stipata di pensieri con un'unica persona in comune: Karin.


<< Oh, è stata tutta colpa mia! >> esclamò agitato il povero Bilbo, appena Thorin entrò nella stanza << Avrei dovuto pensarci subito: era così debole... un pessimo piano >> scosse la testa riccioluta, le mani chiuse a pugno e l'espressione sofferente di fronte alla consapevolezza del fallimento di quell'idea che, inizialmente, gli era sembrata così perfetta e senza falle; Thorin, comprendendo i suoi pensieri, gli mise una mano sulla spalla, stringendogliela.

<< Non angustiarti troppo, Bilbo: non è tua la colpa per ciò che le è accaduto >>.

Si avvicinò al letto mentre Ori, capite le sue intenzioni, si spostò indietro; passandogli accanto, lo fermò.

<< Grazie, Ori. Ben fatto >>.

Il giovane nano balbettò qualcosa, arrossendo fino alla radice dei capelli: non aveva avuto molte occasioni per parlare col suo re, e quella era la prima volta che Thorin Scudodiquercia lo ringraziava con gratitudine.

Lieto d'aver compiuto qualcosa di utile, s'inchinò e gli rivolse un leggero sorriso, avviandosi verso la porta; rimasti soli, Bilbo e Thorin si scambiarono una breve occhiata, per poi indirizzarla alla malata, preda d'un sonno agitato e febbrile.

Il nano si sedette sulla sedia al fianco della ragazza e, inconsciamente, le scostò alcune sottili ciocche dal collo, lucido di sudore; con immenso stupore di Bilbo, prese la pezzuola dal catino pieno d'acqua e, dopo averla strizzata, gliela passò sul collo, sulle guance e, infine, gliela posò sulla fronte calda. Al contatto, il rantolo affannato di Karin divenne quasi un respiro tranquillo e, per un po', smise d'agitarsi: sembrò quasi che la sola presenza di Thorin l'avesse calmata e rigenerata.

Fu una scena talmente... dolce, ma al contempo così straziante, che lo hobbit non volle rimanere tra le mura della camera: gli sembrava totalmente sbagliato restare mentre il re si prendeva cura della nana.

Mentre Thorin si prendeva cura della sua Karin.

Sapendola in buone – anzi, ottime – mani, Bilbo volse le spalle alle loro sagome, chiudendosi lentamente la porta dietro di sé.

Al tramonto, mentre la luce arancio-rossastra del sole invadeva la stanza, Karin si mosse: aprì gli occhi, lucidi e rossi dalla febbre, posandoli prima sul soffitto e poi, come avvertendo una figura accanto a sé, sul volto sollevato di Thorin; lo guardò, confusa nel vederlo al suo fianco.

<< Come ti senti? >> le chiese con voce profonda e roca: non aveva parlato per ore continuando, ogni tanto, a bagnare il panno e a posarlo sulla fronte, per assicurarle un buon riposo.

<< Ho... tanto caldo >> disse, mentre le palpebre minacciavano di richiudersi ancora.

Thorin annuì, decisamente confortato: la febbre stava diminuendo, ed era un bene.

Karin tossì, facendolo ripiombare nella realtà << Ce la fai ad alzarti di poco? Devi bere >> l'aiutò a sedersi, prendendo un bicchiere di vetro che, alcune ore prime, gli aveva portato Balin. Lo riempì d'acqua e glielo avvicinò alle labbra, agevolandola; Karin portò la mano gelida sulla sua più calda, poi la testa le ricadde all'indietro, addosso alla testata del letto: anche quel semplice movimento l'aveva lasciata spossata.

<< Grazie >>.

<< Di niente >> le si avvicinò, posandole le labbra sulla fronte: al contatto, Karin chiuse gli occhi e trattenne il respiro, non impedendo al suo corpo di tremare.

La barba ispida le punse la pelle e i capelli lunghi del nano le solleticarono il volto e il collo, ma non fece nulla per scostarli: profumavano, e se ne riempì le narici. Sentì d'andare a fuoco, ma non seppe se per la febbre alta o meno.

<< Hai ancora una temperatura elevata >> mormorò Thorin, ad un nulla dalla sua pelle; abbassò il volto quel tanto che gli permise di guardarla negli occhi. Le dita le sfiorarono una guancia, in una carezza così leggera che, se non fosse stata sveglia, avrebbe pensato d'immaginare. Ma Thorin, forse ripensando al litigio nella cella, si riscosse, allontanandosi: Karin non volle indugiare, afferrandogli la manica della nuova camicia blu, fatta dalle sarte di Esgaroth.

<< Thorin, no... io, mi... mi dispiace tanto. Ti... ti prego >> gracchiò debole, mentre la stanchezza continuava a farsi sentire.

Lo vide contrarre la mascella, gli occhi azzurri le ricordarono un mare in tempesta << Non è il momento, Karin. Ne parleremo quando starai meglio >>.

<< No, io... adesso >> tentò di staccarsi dal legno intagliato, ma le mani forti di Thorin la spinsero giù, sdraiandola.

<< Quando ti sarai ristabilita >> disse, duramente. E non avrebbe accettato alcuna replica.

Volse lo sguardo alla finestra, capendo che era tempo d'andare: il Governatore lo attendeva.

<< Riposa, ora. Manderò qualcuno a sorvegliarti >>.

Karin non gli rispose, ubbidendo controvoglia: la stanchezza immane s'impadronì del suo corpo e della sua mente e, in breve, si riaddormentò.

Thorin rimase ad ascoltare il respiro ora più tranquillo, per poi uscire e dirigersi al pian terreno, dove tutti erano radunati; alcuni davanti al camino a fumare, altri già in cucina, affaccendandosi per preparare la cena. Al suo arrivo gli si avvicinarono, lasciando da parte qualsiasi attività stessero compiendo.

<< Zio, allora? Come si sente? >> chiese Kili.

<< Ori diceva che aveva la febbre alta! >> disse Nori, scoccando un'occhiata al fratello minore.

<< Ha bisogno di qualcosa? >> domandò Bofur, mentre il cugino annuiva alle sue parole.

<< Solo che uno di voi vada da lei. Non posso ritardare oltre, mi attendono >> rispose Thorin, trattenendo a stento un sorriso di fronte alla preoccupazione e all'affanno dei compagni.

<< Vado io, Thorin >> sentenziò il vecchio Balin, alzandosi dalla poltrona. Il re si mostrò più che soddisfatto della proposta, ringraziandolo.

<< A più tardi, allora. Sempre che il nostro benefattore non voglia trattenermi più del necessario >>. 

Alcuni ridacchiarono, per poi tornare alle loro mansioni; Thorin se ne andò, col cuore gonfio di rammarico, avvolgendosi il mantello nuovo sulle spalle per ripararsi dall'aria frizzante della sera.



Cercò di fare meno rumore possibile, ma gli risultò complicato. Estremante arduo.

Quella sera aveva esagerato più del solito, affogando i suoi pensieri nei boccali pieni di birra; era da tempo che non si ubriacava in quella maniera: da quando abitava ancora a Erebor e Karin era con lui.

Andò a sbattere con la schiena contro la parete, ringhiando furioso con se stesso per quei pensieri: aveva sperato di non pensare più a lei in quelle ore e, una volta appurato che non riusciva nemmeno ad ascoltare ciò che berciava il Governatore, aveva afferrato un boccale e ne aveva ingoiato il contenuto in una sola sorsata; ma nemmeno dopo cinque pinte di birra aveva smesso di vedere il volto di Karin: gli invadeva ogni pensiero, riempiendolo con i suoi gesti, le sue espressioni, i suoi sorrisi, i suoi pianti.

Ciò che gli faceva salire una rabbia inaudita era il fatto che, pur con tutto quello che era accaduto tra loro in quei giorni, lui la volesse più di ogni altra cosa al mondo.

La desiderava in una maniera tale da fargli perdere il controllo e la ragione.

Come in quel momento.

Quasi inciampò nell'ultimo gradino della scala, imprecando a mezza voce; barcollante, si diresse verso la stanza, senza controllare che gli altri fossero svegli o meno: ma la casa era immersa nel silenzio, nessuno l'avrebbe disturbato.

E, anche se fosse entrato qualcuno, lui l'avrebbe cacciato. Lui era il re. Tutti dovevano obbedirgli senza porre domande.

Le dita strinsero la maniglia della porta e, con forza, l'abbassò, entrando: le tende erano tirate, ma un lieve spiraglio di luce lunare era riuscito ad infiltrarsi, illuminando debolmente la stanza; cercò di mettere a fuoco i contorni dei mobili di legno, e del grande letto addossato alla parete. Si avvicinò a passi pesanti, accostandosi alla figura addormentata: aveva abbassato le coperte fino ai fianchi, probabilmente per il troppo caldo; dormiva supina, i capelli neri le ricadevano scomposti sul cuscino. Le labbra erano dischiuse, la fronte aggrottata: non era tranquilla nemmeno nel mondo dei sogni.

Si agitava, e ciò non fece che accrescergli la frenesia che percepiva: mise un ginocchio sul materasso, salendovi e posizionandosi a cavalcioni sopra di lei.

Forse fu il peso sconosciuto che percepì, o l'incubo che continuava a tormentarla: Karin mosse gli occhi, aprendoli.

Thorin fu rapido e, con violenza, le tappò la bocca prima che avesse il tempo d'urlare; con lo sguardo appannato dalla birra bevuta, vide gli occhi neri spalancarsi di terrore, ancora lucidi per la febbre: eppure, dopo poco sembrò calmarsi, anche se il petto continuava ad alzarsi e abbassarsi con foga.

Lentamente, troppo lentamente, le spostò la testa di lato per baciarle il collo: dapprima immediatamente sotto il lobo dell'orecchio, poi sempre più giù, seguendo la scia delle vene sotto la carnagione rosata.

Karin trattenne il fiato contro il palmo della mano di Thorin, mordendosi il labbro inferiore e socchiudendo gli occhi: iniziò a tremare, innumerevoli brividi di gelo e calore insieme si dispersero lungo il corpo bollente e preda della febbre; alle narici le arrivò il profumo inebriante del nano e l'odore della birra, ma non se ne curò.

Spalancò gli occhi quando le morse con voluttà la base del collo: il mugugno stupito divenne gemito di piacere, trattenuto dalla mano che ancora l'imprigionava; le braccia, abbandonate sul materasso, si mossero verso l'ampia schiena del re, le dita artigliarono con forza la camicia.

Thorin sentì la pressione sulla schiena, perdendo gli ultimi residui di controllo, accantonati sentendola gemere.

Le lasciò una scia umida di baci sulla clavicola: con un gesto rude, la mano grande e callosa artigliò il bordo della scollatura della tunica verde, abbassandogliela oltre la spalla e quasi fino al seno, scoprendole la pelle bollente; la lambì con le labbra, addentandole la carne con ardore.

Karin fece un mezzo grido attutito, inarcando involontariamente la schiena; il nano percepì la sua mano tra i capelli, le dita strinsero con impeto alcune ciocche, facendolo gemere con voce roca contro la sua spalla.

Lei spostò il capo dalla sua parte, incontrando i suoi occhi: erano febbricitanti, e lo stavano implorando di toglierle la mano dalla bocca.

E Thorin, a dispetto di ciò che si era prefissato, l'accontentò: non appena fu libera, lo baciò con una tale passione da lasciare entrambi senza fiato; le lingue danzarono e scapparono, le mani percorsero i corpi dell'altro, frenetiche.

Karin tremava sotto le sue dita, la pelle scottava terribilmente; il sottile velo di sudore prima scomparso, ora era tornato sul volto e sul collo: Thorin riusciva ad intravvederlo anche sulla parte di petto scoperta.

Fremette, saziandosi dei suoi baci; da quanto tempo non aveva un corpo femminile sotto di sé! Da quanto non aveva il corpo di Karin in balia delle sue mani: eppure rammentava perfettamente ogni curva, la dolce concavità dei suoi fianchi, le cosce morbide anche sotto la tunica...

Le passò una mano sotto la schiena, accarezzandola; con un unico movimento ed in perfetta sintonia, la fece sedere nel momento esatto in cui lei, avvolgendogli le braccia al collo, si fece leva per alzarsi. Si guardarono per alcuni secondi, annegando negli occhi dell'altro: ma le labbra si reclamarono vogliose, la brama si impossessò di loro.

I respiri si confusero, affannati, riempiendo l'aria della stanza; le dita di Thorin indugiarono sul collo, risalendo lungo la linea della nuca, perdendosi nella chioma scura.

Quando col fiato ormai corto si staccò, vide la testa ciondolarle, gli occhi neri lucidi e arrossati che faticavano per stare aperti; lei gli accarezzò il volto e scese lungo il collo, finché non incontrò il colletto della camicia: con dita tremanti riuscì a sbottonargli i primi due bottoni, ma si fermò, sgranando gli occhi; sfiorò la base del collo, là dove vi era il metallo. Poi lo baciò come aveva fatto lui, sentendo le mani di Thorin stringerle spasmodicamente i fianchi, trattenendo un basso ringhio di piacere contro i suoi capelli.

Con rabbia, sentì le forze venirle meno: sospirò pesantemente, tremando forte; un freddo improvviso calò su di lei, facendole girare la testa. Thorin se ne accorse, e fu questo a schiarirgli la mente: l'alcol sembrò dissolversi, tornò lucido come se nulla fosse accaduto; sbatté le palpebre confuso, quando si rese conto che cosa stava facendo.

Ma la ragazza, imperterrita e preda di una nuova ricaduta di febbre, era tornata a posare le labbra bollenti sulla sua pelle, mordendogli il collo con desiderio.

<< Karin >> riuscì a mormorare, roco, inspirando con vigore il suo odore << no >>.

Parole troppo vuote anche alle sue orecchie: non era stato forse lui ad iniziare, lasciandosi andare a gesti lascivi e bramati da tempo? Non era lui che voleva farla sua, ancora una volta, disperatamente?

si rispose io la voglio. Ma non ora, approfittandomi della sua debolezza.

Era stato vile entrare nella stanza e avventarsi su di lei in quella maniera. Non avrebbe mai dovuto farlo.

La scostò da sé, guardandola negli occhi lucidi e deliranti << Non possiamo, Karin. Non ora >>.

Lei aggrottò la fronte confusa, cercando di metterlo a fuoco: la mente le fece ricordare il litigio nella cella, pensando che Thorin si riferisse all'episodio; non pensò neppure per un attimo al fatto che, entrambi, non erano lucidi.

Scosse la testa, determinata << Non... non è ve... vero che ti odio >> chiuse un attimo gli occhi, maledicendo quegli stupidi denti che avevano deciso di battere senza il suo permesso << Tho... Thorin, mi dispiace. Tanto, dav... vero. Io >> strinse il tessuto della camicia tra le dita quando un nuovo brivido la colse impreparata << Io non ti odio. Scu... scusa >>.

Il nano dovette fare uno sforzo per cogliere l'intera frase tra i deliri sconnessi; quando Karin terminò, le accarezzò piano una guancia, facendole un mezzo sorriso.

<< Lo so >> bisbigliò, il timbro di voce basso; la fermò ancora poiché, alle sue parole, lei aveva provato nuovamente ad avvicinare le labbra alle sue.

<< Ma ora devi riposare, sei stanca e ti è ritornata la febbre >> disse, ad un soffio da lei.

Valar, se si stava odiando!

<< No, ancora >> mugugnò irata, facendolo sorridere.

Provò a divincolarsi, ma la stretta di Thorin sulle sue braccia era energica: lentamente, la riaccompagnò giù, verso il materasso; come prima, si ritrovò a cavalcioni su di lei, che aveva già chiuso gli occhi ma continuava a tenersi aggrappata al suo collo: la sciolse dalla posizione, adagiandole le braccia lungo il corpo. La ricoprì col lenzuolo ma, prima di scendere dal letto, le posò un bacio sulla fronte: non riuscì a resistere alla tentazione.

<< Io... io ti amo >> fu flebile, ma riuscì comunque a sentirla.

Thorin si bloccò, le labbra ancora sulla sua pelle: si ritrasse, guardandola. Gli occhi neri erano socchiusi, e lo osservavano febbricitanti: probabilmente la temperatura corporea le si era alzata di molto, portandola a delirare.

Gli si seccò la gola, non sapendo che rispondere: ma, per fortuna, la vide chiudere gli occhi sospirando piano; si addormentò quasi subito, così lui poté scendere.

La mente era già più lucida, ora, e fu con immensa vergogna e rabbia verso di sé che si allontanò, le unghie conficcate nella pelle: ciò che aveva fatto era un gesto a dir poco ignobile e meschino. E lui, come re, non avrebbe mai dovuto lasciarsi andare in quel modo.

Per Durin, Karin nemmeno era cosciente!

Si sfregò il volto al ricordo della foga e della lussuria che li aveva tirati nella sua rete; si chiese come avesse fatto a fermarsi anche stavolta, mentre una parte di sé si maledì ancora e ancora per non aver continuato.

No, era sbagliato, totalmente sbagliato!

Non era né il modo né il momento per perdersi nella passione più profonda: alcune questioni erano ancora sospese ed attendevano giudizio.

Si sdraiò, rimanendo sveglio a lungo: fu con immensa gratitudine che, finalmente, accolse l'oblio nero del sonno, benedicendo la stanchezza che lo avvolse.




Qualcuno aveva scostato le tende, permettendo ai raggi caldi del sole di penetrare nella stanza: aveva il volto illuminato e, con fastidio, aprì debolmente prima un occhio e poi l'altro. Intontita, fece vagare lo sguardo stanco lungo la stanza, riconoscendo a stento una figura troppo minuta per essere un nano.

Aveva la testa poggiata al palmo della mano, lo sguardo perso nel vuoto in pensieri celati.

<< Bilbo >>.

Lo hobbit si riscosse, guardandola apprensivo; fece un enorme sorriso, rilassando i tratti del volto. La colpa per non aver pensato alle conseguenze del piano l'attanagliava incessantemente.

<< Buon pomeriggio, dormigliona. Dormito bene? >> scherzò bonario, prendendola in giro.

Karin fece una smorfia, appoggiandosi sui gomiti: la testa le vorticò un attimo, ma passò subito; Bilbo le posò una mano sulla fronte, assumendo un cipiglio compiaciuto.

<< La febbre è scesa di molto, sai? Meno male >>.

<< Ma... che è successo? >> chiese Karin, tremendamente confusa: si passò una mano sulla guancia, leggermente fresca.

<< Non ricordi nulla? >> Bilbo fece tanto d'occhi, ma poi si impensierì << Forse è normale, dopotutto >>.

<< Cosa è “normale”? >> chiese con insistenza, facendolo sorridere.

<< Sì, stai decisamente meglio: il caratterino è tornato >> ridacchiò lo scassinatore, palesemente sollevato nel vederla in quello stato; poi, però, divenne triste << Mi dispiace tanto, Karin: è stata colpa mia se ti sei ammalata, sei stata male due giorni interi! Non sai la pena che ho provato >>.

Karin si sporse a stringergli una mano, sorridendogli << Non è colpa tua, Bilbo, ma mia: a Bosco Atro non ho fatto altro che piangermi addosso >>.

Lo hobbit la guardò con una strana espressione curiosa, ma non gli diede altra spiegazione, vertendo su un altro argomento.

<< Allora, vuoi dirmi che è successo? Sono stata così male? >>.

<< Sì, avevi la febbre elevata; stavi andando verso il bagno quando sei caduta, ma per fortuna Ori ti ha sentita ed è corso da te, solo che non riusciva ad alzarti di peso: allora ha chiamato aiuto ed è giunto Dwalin, che ti ha riportata a letto >>.

<< Dwalin? >> domandò, scettica. Se non si fosse trattato di Bilbo, probabilmente avrebbe pensato ad uno scherzo di cattivo gusto.

Ebbe una fugace visione di due braccia che la sollevavano senza alcuna fatica, adagiandola sul materasso: ma poi quelle stesse braccia le avevano scostato la tunica dalla spalla... oppure no?

<< Sei sicuro? >> gli chiese, mentre un sottile gelo si impossessava della bocca dello stomaco.

<< Certo che sì, ero fuori dalla porta quando lui è uscito dalla stanza. Stai bene? >> domandò preoccupato, vedendola con gli occhi sbarrati.

<< Sì, sì. Poi, che è accaduto? >> si rimproverò per la sua stupidità: Dwalin non avrebbe mai osato tanto.

<< Bé, Ori ed io siamo rimasti qui finché non è arrivato Thorin, e... >>.

<< Thorin? >> sentì un improvviso calore al corpo, fino al basso ventre; stupita, sentì il sangue affluire alle guance, nascondendo il viso incriminato tra le mani e facendo preoccupare il povero Bilbo che, nel frattempo, non si era accorto di nulla.

<< Ka... Karin? >> balbettò, aggrottando le sopracciglia: boccheggiò leggermente, non riuscendo a comprendere ciò che turbava l'amica.

Ma quella, inaspettatamente, si riscosse veloce: gli sorrise, anche se imbarazzata.

<< Sono solo molto stanca e bisognosa di un bel bagno. Perciò... >> lasciò la frase in sospeso, ammiccando << … ora vado >> tentò di alzarsi, riuscendoci con qualche difficoltà. Bilbo la guardò allarmato, tentando di dissuaderla in tutti i modi: ma fu irremovibile.

Così, alzando gli occhi al cielo esasperato, l'aiutò a percorrere quei pochi passi verso la camera.

<< Sai, non dovresti alzarti; sei ancora provata. E un bagno non dovrebbe essere nei tuoi programmi >>.

Ma un'occhiata raggelante lo zittì, facendolo sospirare. Gli diede una leggera gomitata sulle costole, rivolgendogli un'occhiata bonaria.

<< Bilbo, ti prego! Ne ho proprio bisogno >>.

Lo hobbit rise di fronte al tono fintamente disperato dell'amica, scuotendo la testa, ormai piegato al suo volere.

<< Va bene, allora: se hai bisogno di qualcosa non devi far altro che chiamare. Ti aspetterò in camera >>.

<< Grazie >>.

Si chiuse la porta alle spalle, girando la chiave nella toppa; finalmente sola, espirò pesantemente, passandosi una mano sulla fronte: si guardò attorno, osservando dubbiosa la bianca vasca di marmo, domandandosi se doveva andare a prendere un secchio d'acqua e portarlo lì, per riempirla; mosse qualche passo, sedendosi del bordo freddo. Fece scorrere le dita sulla superficie fino a quando non incontrò due manopole d'ottone: curiosa, iniziò a ruotarle, gridando di sorpresa quando l'acqua fuoriuscì forte dal rubinetto. Girò immediatamente dalla parte opposta, riuscendo a regolare il flusso e la temperatura finché non ne fu soddisfatta e la lasciò a riempirsi, guardandola di tanto in tanto; non fece caso allo specchio attaccato alla parete, concordando con se stessa che si sarebbe specchiata una volta pulita e profumata.

Si spogliò della tunica verde, ormai da buttare essendosi rovinata, e la lasciò a terra: fu con quel movimento che venne attratta da qualcosa di violaceo sulla spalla destra; con orrore e sgomento, riconobbe il segno di un morso.

<< Oh, per Durin! >> si lasciò scappare, strabuzzando gli occhi.

Aggrottò la fronte, perplessa, cercando di fare mente locale su quando ma soprattutto come se l'era procurato; proprio non vi erano dubbi, si trattava di un morso! Si riconoscevano i segni dei denti.

Imprecò verso la sua pessima memoria, che non voleva assolutamente aiutarla a sciogliere quel maledetto dilemma!

Con stizza, slegò le due treccine ai lati della testa e ravviò la folta chioma liscia, accompagnando il movimento fino al collo: lì le dita si scontrarono col metallo freddo della collana, dalla quale non si separava mai. Per un attimo, le passarono davanti agli occhi sensazioni che le mozzarono il respiro: labbra che le baciavano il collo, lingua che leccava la pelle, denti che la mordevano; e un odore così familiare che le riempiva le narici, un odore che aveva imparato a riconoscere molto presto, anche ad occhi chiusi...

Finalmente l'acqua fu ad un livello sufficiente perché potesse lavarsi, quindi entrò, intontita dai pensieri che invasero la mente: gemette appena a contatto con la temperatura, piacevolmente calda. Si immerse completamente, capelli compresi, rimanendo sott'acqua per lunghi secondi: lì sotto nessun problema l'infastidì, e fu con dispiacere che riemerse, sfregandosi gli occhi. Allungò un braccio a prendere una saponetta grande quanto la mano, iniziando a sfregarla sul corpo: provò a passarla più volte sulla spalla, nel penoso tentativo di cancellare quei segni rossi, fallendo miseramente. Sbottando feroce passò oltre e, quando riuscì a produrre un poco di schiuma, lavò anche i capelli lunghi.

Appoggiò di tanto in tanto la nuca al bordo della vasca e chiuse brevemente gli occhi: peccato che, puntualmente, rivedeva la scena nella cella e lo sfogo ignobile uscitole con Thorin.

Passò le mani sul volto, vergognandosi a morte per ciò che aveva detto e fatto: un rimorso che le aveva impedito di posare lo sguardo sul re da quando si erano rivisti; non che vi fossero state altre occasioni, comunque.

<< Karin, tutto bene? >>.

Sobbalzò, spalancando gli occhi e schizzando acqua sul pavimento; cercò di placare il furioso batticuore che le rimbombò nelle orecchie, causato dallo spavento nel sentir bussare alla porta.

<< Sì, Bilbo >> rispose, la voce strozzata.

<< Ehm, non volevo disturbarti, solo che, ecco... bé, ti lascio dei vestiti puliti e nuovi sul letto >> disse, imbarazzato.

<< Grazie >>.

Non le rispose, segno che si era già allontanato: guardandosi le dita, Karin capì che era tempo d'uscire; sospirò pesantemente, alzandosi e gocciolando sul pavimento. Prese un asciugamano, avvolgendoselo attorno: fortunatamente era lungo e spesso abbastanza da coprirla interamente fino alle caviglie, così non ebbe particolari problemi ad uscire in corridoio, sbirciando cauta e tendendo le orecchie alla ricerca di rumori di passi; ma, prima, diede uno sguardo al suo riflesso, volendo appurare quel maledetto segno: ed eccolo lì, il bastardo, messo ancor più in evidenza dalla pelle rosata.

Quando alzò gli occhi dalla spalla posandoli sul volto, stentò a riconoscersi: era scavato e pallido, troppo pallido, ed accentuava il nero profondo degli occhi; le occhiaie violacee erano ben evidenti, in uno spaventoso contrasto di colori. Le labbra presentavano dei tagli – alcuni ancora sanguinanti - che ogni tanto bruciavano; inoltre, dubitava fortemente che, una volta asciugatisi i capelli, sarebbe migliorata. Era davvero in pessime condizioni: l'avvelenamento e la febbre alta l'avevano indebolita; doveva rimediare al più presto, o non sarebbe stata in forze in tempo per la partenza verso Erebor. Ora più che mai non voleva essere un peso per i compagni: non ora che erano così vicini alla meta, e al loro scopo.

Entrò nella sua stanza, scorgendo la piccola pila di abiti portati da Bilbo: li esaminò, trattenendo a stento una risata e un'alzata di sopracciglio piuttosto scettica; doveva essere stato talmente indeciso che, alla fine, aveva optato per prenderle sia abiti maschili che femminili.

Allungò una mano verso i primi, ma si bloccò a mezz'aria quando cambiò idea: era da tanto tempo che non indossava un abito, di certo non le avrebbe fatto male.

Ne alzò uno, rimanendo di stucco nel notare la scollatura a barca: no, decisamente no. Le avrebbe messo in evidenza il bel marchio circolare e violaceo.

Spazientita e irata lo scartò, scegliendone uno blu notte, talmente scuro da sembrare nero: ma pur sempre blu.

Alzò gli occhi al cielo, mandando al diavolo le sue paranoie: lo indossò, stando attenta a non bagnarlo coi capelli; aveva una scollatura quadrata abbastanza ampia ma, fortunatamente, le spalle erano ben coperte. Il corpetto le scendeva morbido sui fianchi, dove vi era una sorta di cintura dorata e scintillante che faceva da stacco alla lunga gonna scura, che le arrivava alle caviglie.

Le sembrò... perfetto, anche se un po' largo sul bacino; e si sentì diversa dalla Karin esiliata: le sembrò di essere ritornata a Erebor.

Qualcuno bussò, e Karin non fu mai grata come in quel momento dell'opportuna interruzione; dalla soglia apparve la nuca riccioluta di Bilbo: entrò di schiena per non sembrare troppo indiscreto, magari sorprendendola ancora mezza nuda.

<< Puoi voltarti, sono a posto >>.

Girandosi, schiuse le labbra: rimase un attimo sorpreso dalla figura così diversa della ragazza ma poi, rosso e in imbarazzo, si grattò i capelli e la indicò.

<< Stai... davvero bene. Molto! Bellissima! Cioè, io... >> balbettò, facendola arrossire a sua volta.

<< Ti ringrazio, sei molto gentile. E grazie per avermeli presi >>.

<< Oh, di nulla. E poi, non potevi certo uscire con il vecchio vestito elfico: gli altri te l'avrebbero impedito! >>.

<< Io per prima! >>.

Si sedette sul letto, facendo cenno allo hobbit perché l'imitasse; poi gli prese una mano tra le sue, stringendogliela grata: Bilbo comprese, rivolgendole un nuovo ed ampio sorriso.

Con fatica, Karin si impose di chiedergli ciò che le ronzava in testa << Per caso... bé, ho detto o fatto qualcosa di inappropriato, mentre ero malata? >>.

Bilbo la guardò serio e pensieroso, scuotendo la testa << No, non che io sappia. Certo, mentre ero a vegliarti ogni tanto ti svegliavi e deliravi, ma nulla di che >>.

<< Deliravo? >> il tono allarmato di Karin lo fece ridacchiare.

<< Borbottavi, però non sono riuscito a capire granché: assomigliava molto a “mi dispiace”, credo. Ti dice qualcosa? >>.

Mi dispiace.

Le scuse che avrebbe voluto porre a Thorin riguardo la scenata nella cella: le scuse che doveva porgli, assolutamente. Non avrebbero aspettato troppo tempo.

<< Nulla >> mentì, mordendosi il labbro inferiore. E, ora, veniva il difficile << Non sai se, bé, qualche nano ha fatto... qualcosa di insolito mentre era... qui? >>.

Che tono penoso, Karin!

Bilbo aggrottò la fronte, domandandosi internamente se stesse bene: forse era ancora preda della febbre. Ma gli occhi neri - anche se un poco lucidi - erano fermi e presenti, diversi da quelli che aveva potuto vedere durante i giorni precedenti.

<< Insolito? >> chiese, perplesso << Mi pare di no. Come mai? >>.

Karin si morse più forte il labbro, inghiottendo la risposta acida che le era salita alla gola. Che avrebbe potuto dirgli?

No, sai, vorrei solo sapere chi mi ha morsa come fossi un pezzo di carne! Ma, visto che non è stato nessuno, me lo sarò fatto da sola!

Eppure in cuor suo sapeva bene chi era stato il responsabile che le aveva lasciato quel marchio: colui che voleva ricordarle a chi apparteneva.

Thorin.

<< … rin? Karin? >> la voce remota di Bilbo ruppe la cortina di pensieri, facendole sbattere le palpebre più volte << Hai sentito quello che ho detto? >>.

<< No, scusami >>.

<< Dicevo che ci siamo accordati per cenare tutti insieme nella saletta del primo piano, per non farti stancare troppo a scendere le scale, sai >>.

<< Una buona idea, anzi, ottima: sono stanca di questa stanza, ho bisogno di uscire un po' >>.

Così, Bilbo l'aiutò ad alzarsi e, dopo aver preso ben tre coperte spesse e pesanti, l'accompagnò fuori, ricordandosi solo allora che aveva ancora i capelli umidi.

<< Sei impazzita? Vuoi che la febbre ritorni? >> la rimproverò, duro.

La fece sedere su una poltroncina di velluto, posta davanti al caminetto acceso, coprendola ben bene; poi la lasciò sola, scendendo dagli altri.

Lei nel frattempo cercò di districarsi i nodi, trovandone davvero pochi, e mosse la chioma per asciugarla meglio, tentando di dare una qualche forma alle ciocche nere.

Improvvisamente, concentrata com'era sul lavoro, si accorse di altre dita che le sfiorarono le sue, insinuandosi e scompigliandole i capelli umidi; girandosi – e col cuore che galoppava davvero troppo veloce - scorse la faccia sorridente di Kili.

<< Come si sente la nostra ammalata? >> domandò, scherzoso.

Fili oltrepassò la soglia, lanciandole uno sguardo e sorridendo a sua volta, felice nel vederla lì.

<< Dunque lo scassinatore non mentiva, quando diceva che eri sveglia ed eri qui >> si avvicinò a grandi passi ai due, strizzando gli occhi azzurri per osservarla meglio << Come mai quell'espressione delusa? >>.

Alla domanda, Karin diede loro le spalle, lasciando che i capelli le ricadessero sul volto leggermente rosato << Nessuna espressione delusa, anzi! Sono contenta di rivedervi! >>.

<< Se lo dici tu >> commentò Kili, mentre dava una gomitata d'intesa al fratello; i due ridacchiarono ma si zittirono quando, con un gran trambusto, anche gli altri nani entrarono.

<< Karin! >> fu il loro saluto.

La ragazza, sentendosi a disagio lì seduta ed immobile si alzò, scostando il mucchio di coperte che l'avvolgeva: fu allora che, nella sala, cadde il silenzio.

Gli amici ammutolirono attoniti, alcuni schiusero persino le labbra, squadrando il corpo fasciato dal vestito; infastidita ed imbarazzata, Karin sentì le guance leggermente calde, ma cercò di non badarvi: strinse un poco le dita attorno alla stoffa della gonna; i capelli le ricadevano sulla spalla destra, lasciando scoperta la sinistra.

Kili e Fili si scambiarono un'occhiata, tornando poi ad indugiare sulla sua figura: e su ciò che vi era alla base del collo.

La tensione si sarebbe potuta tagliare con la lama di una spada ma, per fortuna, Bofur venne in suo aiuto: si tolse il colbacco, facendole un regale e scherzoso inchino.

<< Mia signora, la vostra bellezza è pari alle gemme più preziose di Erebor! Perdonateci per il comportamento poco onorevole: se sarete stanca della nostra presenza al colossale desco che abbiamo intenzione di prepararvi, non dovete fare altro che dircelo! >> detto questo si rialzò, facendo ondeggiare le trecce, un sorriso sornione ed aperto gli illuminò gli occhi scuri.

Karin stette al gioco, mentre un largo e sincero sorriso si fece spazio << Sarà un'immensa gioia poter condividere la tavola con ospiti e compagni tanto coraggiosi >> posò un'occhiata riconoscente sul volto di ciascuno dei presenti << Vi ringrazio immensamente, valorosi guerrieri >>.

Urlarono felici, ordinandole di sedersi e riposarsi: avrebbero pensato loro ad ogni preparativo: si affaccendarono per portare il lungo e pesante tavolo di legno su per le scale, imprecando e ridendo sbracati ogni qual volta andavano a sbattere al muro o si urtavano tra loro. Il momento più delicato giunse quando dovettero inclinare il mobile per farlo passare, essendo più largo della porta; Karin trattenne il fiato con loro che, con molti “Attenti!” “Calmi” “Ecco, ci siamo!” ci riuscirono, trasportandolo fino al centro della stanza.

Altri andirivieni furono fatti finché la tavola non fu piena di ogni sorta di vassoi colmi di cibo, con caraffe di birra e acqua, e grandi forme di pane: con un sussulto, lo stomaco della ragazza di contrasse, reclamando le vettovaglie.

Quando presero posto a tavola aggrottò la fronte, girandosi verso Ori, sedutole accanto << E Thorin? >> chiese, curiosa.

Lo scrivano scosse la testa, amareggiato << Credo sia andato dal Governatore anche stasera >>.

<< Capisco >> commentò, cercando di non mostrarsi delusa: per un attimo, ebbe il vago sospetto che la stesse quasi evitando; molto probabilmente era ancora furioso con lei per lo sfogo a Bosco Atro.

Consumarono la cena tra risate e battute, mentre Bombur si ingozzava di cibo come al solito e veniva sbeffeggiato dal fratello e dai giovani Durin; le raccontarono che, per ordine di Thorin, ciascuno di loro aveva scelto una mansione per ripagare la gente di Esgaroth dell'ospitalità molto generosa: era merito loro se, in fin dei conti, potevano gustare tutte quelle prelibatezze. Karin ascoltò interessata, iniziando a pensare a cosa avrebbe potuto fare: ma le dissero di non preoccuparsi, e di curarsi unicamente della sua salute, ben più importante.

Quando furono sazi, dando prova di aver apprezzato la cena – cosa di cui, poi, si scusarono con lei – venne il momento di sparecchiare; anche lì non le permisero di far nulla, facendola spazientire. Insistettero così tanto che dovette obbedire ed incrociare le braccia al petto mentre loro, cantando e ridendo, si passavano piatti, posate e bicchieri, ammucchiando tutto in perfetto ordine; Bifur e Bofur portarono al pian terreno le stoviglie sporche, mentre gli altri presero posto accanto al caminetto, tirando fuori altre pipe comprate in città.

Karin aspettò che ci fossero tutti poi levò alta la voce, per farsi sentire sopra il loro chiacchiericcio << Mi dispiace interrompervi, ma dovrei parlarvi >> bastò questo per farli ammutolire, attenti verso la sua figura.

<< Credo sia giunto il momento di rivelarvi ciò che accadde prima dell'esilio. Perdonatemi se non ve ne ho parlato prima, però... bé, non è così facile: nemmeno ora. Ma l'affetto che mi avete dimostrato mi ha fatto comprendere che c'è qualcuno che tiene a me, andando oltre ciò che rappresentavo, fidandosi: io stessa ho imparato ad allontanare la solitudine e apprezzare ed amare col cuore questa Compagnia, rispondendo alla vostra fiducia. Siete stati voi ad insegnarmi la lezione più grande di tutte, e di questo non potrò mai ringraziarvi abbastanza >>.

Fece una pausa, guardando con affetto i volti emozionati e commossi dei nani: alcuni cercarono di nasconderli molto bene dietro una maschera di indifferenza, ma le parole della ragazza penetrarono la corazza fredda, conficcandosi nel cuore.

Karin sospirò e deglutì, pronta a confidare ogni cosa.

<< Come sapete, mio padre Kario era consigliere di re Thror. Iniziarono a circolare voci su un possibile attacco di un drago, bramoso delle immense ricchezze della sala del tesoro di Erebor; il principe Thrain in persona lo incaricò di svolgere il ruolo di ambasciatore a Bosco Atro, chiedendo aiuto agli elfi, coloro i quali avrebbero potuto vincere la forza brutale del mostro.

Con un inganno mi raggirò, costringendomi a seguirlo verso i Colli Ferrosi: ma, lungo la strada, deviammo verso Bosco Atro; mio padre mi rassicurò, dicendomi che doveva solamente parlamentare con il loro re, e che poi saremmo potuti ripartire >>.

Fece un sorriso amaro, guardando a terra.

<< A consiglio da Thranduil venni a conoscenza della minaccia di Smaug; l'elfo ascoltò mio padre, per poi dirgli che non avrebbe mai permesso ai suoi guerrieri di morire per dei nani avari di ricchezze e tesori. Propose quindi un patto: avrebbe concesso il suo aiuto solo se Kario gli avesse consegnato l'Archepietra, più un'altra parte del tesoro di Erebor. Potete ben immaginare il rifiuto, considerandolo un oltraggio: ma Thranduil giocò bene le sue carte. Usò me per colpire per mio padre: disse che mi avrebbe ospitata nella sua dimora finché non avesse deciso il da farsi; la salvezza di Erebor per la mia. Doveva solo acconsentire a dargli il tesoro più prezioso di Thror. Ma il soggiorno a Bosco Atro non si rivelò molto piacevole >> fece una smorfia, alzandosi le lunghe maniche a losanga: mostrò le cicatrici biancastre che, anche alla luce rossastra del fuoco, parevano brillare sinistre. I nani trattennero il fiato indignati, sporgendosi dalle poltrone comode per vedere meglio.

<< Il consigliere dell'elfo, Synel, mi portò nelle segrete, nella cella più recondita del palazzo: lì mi torturò, facendomi questi segni; era sadico e malvagio, provava gusto a vedermi coperta di sangue e a torturarmi psicologicamente. Non mi dilungherò oltre nel parlarvi di lui: dopo quelli che mi parvero anni ma che, in realtà, furono quasi due settimane di prigionia... accettai quel maledetto patto. Avrei tradito, convincendo mio padre a cedere ai loro ricatti: ma era già troppo tardi >>.

Si fermò, la gola si seccò; le si appannarono gli occhi ma, imperterrita, sbatté le palpebre: doveva liberarsi di ogni peso, lo doveva anche a loro.

<< Smaug era giunto a Erebor, devastando Dale e la Montagna. Quando giunsero gli elfi, accompagnati da mio padre, ogni nano sulla piana li vide, gridando all'oltraggio quando diedero loro le spalle; non li avrebbero aiutati, e mio padre fu etichettato come traditore. Ma nessuno sapeva dell'ignobile ricatto a cui sottostava, e che io ero ancora loro prigioniera; non seppi mai come scoprirono le mie condizioni, so solo che, un giorno, Legolas mi liberò dicendomi che era tutto finito. Mi riportò da mio padre e Thranduil, all'oscuro di ciò che Synel aveva fatto: ci liberò, sciogliendoci da ogni promessa; si scusò enormemente, assicurando all'aguzzino una degna punizione. Alcuni elfi ci portarono fuori dalla foresta e, con un gran peso al cuore e diversi da quando vi eravamo entrati, proseguimmo verso Dale, ormai distrutta. Lì non venimmo accolti come eroi, anzi >> disse, sarcastica. Ma poi la sua espressione si rattristò, mentre la memoria le fece rivedere quei tragici momenti, più atroci di ciò che aveva patito in cella.

<< Al cospetto del re e dei principi, mio padre dichiarò ogni cosa, ma non lo ascoltarono: pronunciarono la sentenza di esilio, e fu allora che parlai; chiesi di parlare con Thorin, dicendogli che era stata colpa mia, solo mia: ero stata io a convincere Kario a tradire. Lo supplicai di risparmiarlo, ma non servì a nulla: accecato dal dolore e dalla rabbia, ci esiliò.

Da allora non lo rividi – come non rividi alcuni di voi - fino a quando non misi piede a Vicolo Cieco, mesi fa. Ecco, questa è la mia triste storia >> concluse, tentando di sdrammatizzare mentre gli altri rimasero seri, i volti enormemente tristi e dispiaciuti.

<< Questa è la verità. Ora è compito vostro decidere se credermi o meno >> nel dirlo, lo sguardo si ancorò a quello di Dwalin, rimasto zito e con le labbra serrate, le braccia muscolose salde al petto. Si squadrarono, ma fu lei ad abbassare gli occhi per prima: una mano piccola si era posata sulla sua, stringendola lievemente; il volto di Bilbo era stravolto, ed alcune lacrime gli brillavano tra le ciglia: ma non ne scese nessuna.

<< Ci dispiace, Karin >> Balin si alzò, guardandola serio in volto, la voce solenne come mai l'aveva sentita << A nome di tutti i nani presenti e di tutti quelli che ora sono dispersi, ti domando perdono per non averti voluta ascoltare come meritavi. Il nostro è stato un gesto ignobile >>.

Uno ad uno, anche gli altri si alzarono, compreso Bilbo. Dwalin, dopo lunghi secondi d'attesa, si sollevò a sua volta, anche se lo sguardo rimase truce.

Il cuore della ragazza sembrò scoppiarle in petto dalla tanta emozione e, senza rendersene conto, si ritrovò a piangere silenziosamente: le tremò il labbro, ma riuscì a rivolgere loro un mezzo sorriso.

<< Grazie. Ma non c'è nulla di cui dovete farvi perdonare >> ammise. Ed era vero: era così stanca di covare odio e rancore; per cosa, poi? Non ne valeva più nemmeno la pena.

Aveva solo una grande voglia di voltare pagina, di cambiare e andare avanti: grazie ai suoi amici e a ciò che le avevano detto, ce l'avrebbe fatta; in qualche modo, sembrò che il macigno che aveva fatto di lei l'esiliata e la traditrice si dissolvesse come polvere: era merito loro se, ora, si sentiva in pace con se stessa.

Bé, in parte.

Mancavano le scuse che doveva porre a Thorin per come si era comportata.




CANTUCCINO DELL'AUTRICE

C'è ancora qualcuno o vi ho perse per strada??? XD XD Hahahahaha, se siete ancora vive dopo ciò che avete letto, siete delle toste! Io non lo sono mica tanto, invece @____@: ad un certo punto, non soddisfatta di quello che avevo scritto, ho cancellato tutto e iniziato da capo!!! Ed ora... lo sono, immensamente *________________*
Ringrazio jaybeautifldarkangel per avermi fatto scoprire la canzone: si tratta di “Nero” dei Two Steps from Hell; non so voi, ma a me ricorda tanto la musica del trailer di Anna Karenina, solo che non ho mai verificato ^^; perdonooooo ç___ç!
Così come dovete perdonarmi per aver presentato questo Thorin-non-molto-Thorin, che si presenta nella camera di un'ammalata per approfittare di lei *fingo un malanno e spalanco la porta della stanza*
Coff coff coff, beeeeeeeene, fatemi sapere cosa ne pensate con le solite e gradite recensioni! ^^

Ringrazio le carissime e specialissime jaybeautifldarkangel, LadyGuns56, vanessa 90, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!! E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite - ricordate e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna

P.S. Ah, qui ormai il passato e la verità si mostrano in tutto il loro splendore! Che ne dite??? :*




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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


Note autrice: bentrovate ragazzuole! Spero vada tutto bene ^^
A titolo informativo sappiate che, oltre ad essere un capitolo un po' lunghetto, ehm... probabilmente dovrete tirare fuori i vostri catini raccogli-bava... mmh, spero. Cioè, in teoria :P
Anche qui, una canzone dei TSFH come “colonna sonora”, specie per l'ultima parte di capitolo ;): portate pazienza, dal prossimo non ce ne saranno più!

http://www.youtube.com/watch?v=vTx1ioO0i2c

Bé, che altro aggiungere... solo, allacciate le cinture ;), ci leggiamo giù :*



CAPITOLO QUATTORDICI


Thorin alzò il braccio destro, picchiando con forza il martello sull'incudine; il colpo rimbombò nell'aria calda della forgia e, ben presto, se ne aggiunsero altri a cadenza ritmata. Di solito, qualsiasi pensiero veniva abbandonato non appena impugnava lo strumento di legno e acciaio: esistevano solo il materiale da forgiare, l'incudine sotto di esso, i colpi incessanti, i muscoli che si tendevano e guizzavano con uno spasmo al ritmo delle martellate, il sudore che si formava e scendeva lungo il volto e il collo perdendosi nel torace.

Di solito.

Da quando aveva messo piede nell'edificio colmo di utensili di discreta fattura appesi a dei ganci nel soffitto, invece, i pensieri non l'avevano abbandonato un attimo; nemmeno le poderose martellate e il conseguente rimbombo ebbero il potere di distoglierlo. Digrignando i denti bianchi, messi in risalto dal volto sporco di fuliggine, caricò con tutta la forza che possedeva, abbattendo con furia il martello sulla lama della spada; alcune scintille sprizzarono, andando lontane.

Percosse ancora, ancora e ancora, sperando di cancellare il suo volto dalla mente: gesto vano e inutile. Eppure si era convinto che, con una buona dose di lavoro nella fucina di Esgaroth, si sarebbe calmato... ma si era dovuto ricredere.

Martellò, facendo sbattere con violenza la bocca del maglio sull'acciaio della lama incandescente, assottigliandola troppo: stupito e irato insieme si fermò, alzando la spada e gettandola a terra con furia; un lavoro di ore buttato al vento per colpa dei suoi pensieri.

Al tintinnio della lama contro il pavimento, Kili e Fili alzarono le teste dalle loro incudini, guardandosi perplessi; avevano ben udito i colpi tonanti dello zio e re, ma non si sarebbero mai aspettati una tale reazione: conoscevano molto bene la sua fama di abile fabbro, avendone avuto prova nei vari anni in cui erano stati suoi apprendisti. E, ora, vederlo stizzito ed arrabbiato oltre che sconcertato per aver sbagliato, li lasciò stupefatti tanto quanto lo era lui.

Thorin dava loro la schiena, quindi non poterono osservare la sua espressione; al contrario, notarono quanto si abbassarono le spalle e il capo: appoggiò le mani al bordo del tavolo da lavoro, i bicipiti nudi contratti dalla foga con cui stringeva il legno.

Lo sentirono prima sospirare pesantemente e poi sbuffare, come se non condividesse quel momento di debolezza: o, forse, i pensieri erano talmente pressanti che gli risultava difficile ignorarli come, invece, avrebbe voluto.

Con uno scatto improvviso si raddrizzò, girandosi verso i nipoti; lo sguardo azzurro era indecifrabile, ma ebbe il potere di raggelarli: una sola parola errata e Thorin Scudodiquercia avrebbe liberato la sua collera.

Perciò stettero in silenzio finché non fu lui a romperlo << Voi continuate a lavorare. Ci vedremo più tardi, a casa >> disse duramente.

Fili annuì anche per il fratello, ma Thorin aveva già oltrepassato la soglia della fucina, allontanandosi sotto il cielo plumbeo.

<< Accidenti, lo zio è parecchio pensieroso, non trovi? >> Kili si passò un braccio sulla fronte sudata, sporcandola di più.

<< Oh sì >> ammise il maggiore, grattandosi il naso; poi riprese il suo martello, facendolo oscillare pigramente << Ci conviene riprendere a lavorare. Se dovesse tornare... >> lasciò la frase in sospeso, anche se Kili poté facilmente intuire quali sarebbero state le conseguenze.

<< Fili >> chiamò, facendo arrestare il movimento verso l'alto del braccio << L'hai vista anche tu, non è vero? La collana di Thorin >>.

<< Sì. Nostra madre ce l'aveva accennato, se ben ricordi >>.

Kili sorrise mestamente al ricordo della nana: si domandò se stesse bene e se, come lui, stesse volgendo i pensieri ai suoi cari, lontani leghe e leghe di distanza. Se la missione si fosse conclusa per il meglio avrebbero potuto chiamarla per farla ritornare a Erebor, dato che non ci sarebbe stato altro motivo per trattenerla ai Monti Azzurri.

<< Secondo te si riappacificheranno? >> chiese pensieroso.

<< Ma di chi stai parlando? >> volle sapere Fili, aggrottando la fronte.

<< Dello zio e Karin. Se indossano entrambi le collane, forse... >>.

<< Non è affar nostro, fratellino: torniamo a lavorare >> rispose sbrigativo il maggiore.

Kili sospirò, arruffando la chioma castana con una mano; sapeva bene che, al contrario, importava anche a Fili e che, spesso, si poneva le sue stesse domande. Erano a conoscenza di ciò che avevano passato i due in questione e, avendo conosciuto personalmente Karin, non potevano che sentirsi maggiormente coinvolti: certo, inizialmente aveva mostrato un carattere ben diverso da come era stato loro descritto – conseguenza dell'esilio e dell'odio che aveva provato in quegli anni – ma ora, già dopo pochissimi giorni, stavano scoprendo il suo lato più nascosto, quello tranquillo, scherzoso, dolce e... femminile.

Deglutì, ripesando al corpo fasciato dal vestito blu: e comprese per quale motivo il freddo e distaccato Thorin Scudodiquercia si fosse piegato al suo fascino, sgretolando la corazza costruita.

Chissà cosa doveva aver pensato il giovane principe dei nani, quando aveva compreso che il sentimento d'amicizia nei confronti della giovane stava mutando, divenendo qualcosa di più; probabilmente, conoscendolo, si era trincerato dietro uno spesso silenzio fatto di domande e perplessità: magari aveva tentato addirittura d'allontanarla, mostrandosi scorbutico e autoritario. Kili piegò la bocca in un sorriso quando ripensò al fatto che, alla fine, non era poi servito a molto; e non sarebbe servito nemmeno ora.



Con cautela, Karin versò l'acqua bollente nella tazza, aggiungendo poi alcune foglie di tè; le guardò galleggiare pigramente, per poi far vagare lo sguardo lungo la cucina e la dispensa, collegate tramite uno stipite di legno: la prima era una stanza abbastanza spaziosa, con lunghi banconi di legno addossati alla parete bianca; vi era anche una credenza dello stesso materiale con, all'interno, stoviglie e scodelle.

L'ambiente era illuminato da finestre che davano direttamente sulla superficie del lago; la dispensa, invece, era ben più piccola ma colma di ogni sorta di cibo che gli abitanti di Esgaroth avevano loro offerto: alcune casse di verdura, infatti, erano state appoggiate sopra ai banconi, non trovando altro spazio.

Quando la bevanda fu pronta tolse le foglie e le gettò, soffiando piano per raffreddarla; tamburellò le dita sul ripiano, persa in quei pensieri costanti che, ormai, erano per lei una benedizione e una maledizione insieme: per quanto volesse, non sarebbe mai riuscita a ignorarli.

A cancellarlo.

Portò la tazza alle labbra, bevendo un sorso di tè: era bollente.

Un rumore secco la fece sobbalzare spaventata: qualcuno era entrato in casa e, sbuffando pesantemente, si stava dirigendo proprio lì.

Cercò di calmarsi e di rimanere lucida, pensando con rammarico che Iris giaceva di sopra, troppo lontana per poterla afferrare: i passi, nel frattempo, si avvicinavano sempre più; ormai non vi era tempo, avrebbe dovuto arrangiarsi con ciò che c'era in cucina. Forse un coltello poteva essere sufficiente...

La porta si spalancò, rivelando la muscolosa ed alta figura di Dwalin; Karin espirò lievemente, terribilmente sollevata: certo, avrebbe dovuto aspettarselo che qualche nano rientrasse prima dalle mansioni che avevano deciso di svolgere. Ma non avrebbe mai pensato di trovare il nano guerriero a pochi metri da lei, reggendo tra le mani un altro cesto di frutta; si guardarono per alcuni secondi, poi si diresse verso la prima piattaforma libera, appoggiandolo.

<< Tra poco non sapremo più dove mettere tutto quel cibo >> commentò Karin, cercando di spezzare il silenzio opprimente che si era creato.

Dwalin, per tutta risposta, grugnì qualcosa d'incomprensibile, versandosi da bere: trangugiò il contenuto in una sola sorsata e si avviò ad ampie falcate verso la porta, volendo tornare al suo lavoro.

Ma Karin non sarebbe rimasta zitta: le pesava terribilmente aver lasciato in sospeso così tante questioni con l'altro suo migliore amico.

<< Volevo ringraziarti >> esordì, facendolo fermare << Bilbo mi ha detto che sei stato tu a portarmi in camera quando mi sono sentita male. Perciò... grazie >> gli sorrise, grata.

Il nano la squadrò, glaciale << Di nulla >> borbottò poi, scorbutico.

Per poco, Karin non si aprì in un ampio sorriso; sapeva bene che quel tono di voce era un segno del suo evidente imbarazzo, ma non disse nulla: anzi, d'improvviso si rattristò.

<< Ti chiedo di perdonarmi: non sono riuscita a trovare le tue asce. Ho cercato a lungo in ogni stanza del piano dove vi erano Orcrist e Iris, ma senza successo. Sono mortificata >>.

Dwalin non mutò espressione, mantenendosi rigido << Erano vecchie. Le sostituirò >>.

Anche se il tono di voce risultò monocorde, Karin sembrò percepire del dolore, nascosto sotto le ceneri dell'indifferenza.

<< Ma ci tenevi molto >> disse, senza riuscire a trattenersi.

<< Non tanto quanto tu tieni alla tua spada >> ribatté secco, iniziando a spazientirsi.

<< Sai, non ne sono così certa >> sussurrò lei, dopo lunghi secondi di silenzio: alzò gli occhi, incontrando i suoi; improvvisamente divenne tentennante e insicura, timorosa anche solo di continuare: ma la voce le uscì comunque << Afferra e Tieni rappresentavano qualcosa di più di due semplici armi, e... >>.

<< Ti ho detto che non importa! >> sbottò irato, punto sul vivo << Però, se preferisci sprofondare nel tuo prezioso senso di colpa non ti fermerò di certo, per quel che mi riguarda >>.

Karin gli rivolse una dura occhiata, ma non poté impedirsi di sospirare tristemente di fronte alla sua cocciutaggine.

<< Va bene. Se c'è qualcosa che posso fare... >> lasciò la frase in sospeso, non sapendo bene cosa voler aggiungere.

Dwalin si costrinse a tenere per sé la lunga lista di frasi – una meno simpatica dell'altra – che avrebbe voluto rivolgerle, maligno: invece, preferì lanciarle quell'avvertimento che, per lui, era di vitale importanza.

<< Solo una cosa: se hai intenzione di chiedere a Thorin un'altra opportunità e lui ti perdonasse, dovrai stare molto attenta. Un passo falso e non sarà più così magnanimo >>.

La ragazza assottigliò lo sguardo nero, incredula delle sue parole; l'infastidì il tono con cui si era rivolto, così minaccioso e brusco. Un vago sentore di rabbia iniziò a sprigionarsi dallo stomaco, salendo verso l'alto.

<< Se fossi lui a compiere un'azione moralmente sbagliata, lo difenderesti con ugual ardore? >> replicò piccata, incrociando le braccia al petto, mentre non poteva fare a meno di squadrarlo con fastidio e astio crescente.

<< Thorin è il mio re! Gli ho giurato fedeltà, al contrario di te >> ribadì ostile, facendosi quasi più possente del solito: le puntò addosso un indice accusatorio, cercando di intimorirla o di farla vergognare; ma il risultato fu ben diverso.

<< Non ne ho avuto il tempo, sai >> rispose, sarcastica << E comunque, ciò non toglie che tu debba seguirlo nei suoi sbagli: essere suddito non significa privarsi del proprio pensiero, divenendo cieco e inerte come un burattino >>.

Dwalin sbuffò forte, sprezzante << Avevo dimenticato quanto fossi abile a parole >>.

<< Non è bravura, ma verità >>.

<< Di certo non contesterò la tua lingua tagliente >>.

Le diede le spalle, pronto per uscire: ma, per la seconda volta, Karin lo fermò << Anche se non ho giurato, Thorin rimane il mio re >>.

Seguì un lieve silenzio, nel quale piantò lo sguardo serio e determinato sulla schiena del nano, attendendo trepidante una sua risposta: ed arrivò.

<< Hai detto bene, è il tuo re. Nulla di più. Non siamo più ragazzini spensierati >>.

Se ne andò, lasciandola immobile e sconcertata; un gelo improvviso le era sceso nell'anima, una morsa le aveva attanagliato il cuore.

Non poteva averlo detto davvero!

Indietreggiò fino a sbattere la schiena contro il bancone della cucina, gli occhi spalancati e la frase che ronzava continuamente in testa, senza mai fermarsi.

Si sentiva vuota e ferita: se le avesse detto che la odiava dal profondo del cuore si sarebbe sentita meglio.

<< Questo non cambia ciò che provo >> si ritrovò a sussurrare, indignata sia con sé per il comportamento – a suo parere stupido - sia con Dwalin, che aveva osato rivolgerle parole così ciniche quando, in realtà, sapeva perfettamente quali erano stati i suoi sentimenti per Thorin. E quali erano in quel momento.

Strinse il legno così forte da perdere ogni briciolo di sensibilità sulle dita, così forte che iniziò a tremare di rabbia e risentimento; ma non ebbe tempo di sbollire poiché Bilbo entrò, rivolgendole un sorriso. Lei si girò di scatto, dandogli le spalle: non aveva alcuna voglia di farsi vedere in quello stato misero.

<< Scusami per il ritardo, ma ho fatto prima che ho potuto >> disse, allegro: fortunatamente non sembrò accorgersi di nulla.

<< Hai trovato ciò che cercavi? >> si costrinse a chiedere schiarendosi la voce poiché, purtroppo, le era uscita tremante.

<< Certo! Ora ho ciò che mi serve per preparare un gustoso pranzetto: non so te, ma io ho già l'acquolina in bocca! >> esclamò, appoggiando il cestino di vimini con le spezie.

Si sfregò le mani, gustando col pensiero i favolosi manicaretti che avrebbe servito a tavola tra poche ore; Karin, d'altra parte, era completamente nauseata al pensiero del cibo: lo stomaco le si era serrato.

Si detestò ancora, anche perché la sua tristezza era completamente ingiustificata: non spettava a Dwalin dirle quali azioni doveva compiere e quali sentimenti doveva provare; era adulta, non si sarebbe fatta influenzare da nessuno, men che meno da un precedente migliore amico che, ora, la voleva solo a miglia e miglia di distanza da sé.

Io non ho intenzione di fuggire.

<< Ti aiuto >> disse, inaspettatamente: si girò verso di lui, un bel sorriso sulle labbra e lo sguardo sereno; ma, se Bilbo fosse stato più accorto, avrebbe notato che celava ancora della sofferenza, sapientemente nascosta.

Lo hobbit la guardò, ammutolito: ma poi, ricambiò il sorriso << Sei sicura? Non preferiresti riposarti? >>.

<< Sono stanca di oziare >>.

<< D'accordo. Forza, allora, mettiamoci al lavoro! >> proruppe felice.

Ma, ben presto, dovette smorzare l'entusiasmo: pur con tutta la sua buona volontà, non riuscì ad impedire a Karin di combinare un guaio dopo l'altro, al che fu costretto ad assegnarle – dicendoglielo in modo molto paziente e gentile – il compito di lavare e affettare la verdura, mentre egli si occupava dei chili di carne da cuocere e da condire con rosmarino, e del brodo che bolliva placidamente in un grande pentolone di rame.

Ora che entrambi erano molto più calmi e tranquilli, si azzardò a esprimere il commento che gli era balzato in mente non appena ella l'aveva guardato confusa quando gli aveva chiesto quali erano gli ingredienti per preparare il brodo.

<< Sai, si nota che non hai mai cucinato seriamente >>.

Karin alzò lo sguardo dal peperone che stava pulendo, scrollando poi le spalle << Bé, ad Erebor no di certo, e in esilio... non preparavo certo cibi “raffinati”: mi bastava saper scuoiare un animale e cuocere la carne sopra un fuoco >> disse, gettando i semi nella spazzatura.

Bilbo si adombrò, notando quanto fosse serio e scontroso il tono di voce, rattristandosi: chissà cosa la turbava.

<< Hai sempre abitato a Erebor? >> si diede dello stupido subito dopo capendo che, forse, aveva posto una domanda spinosa e difficile: sapeva bene che Karin era sempre stata riluttante a parlare del passato – troppo doloroso per lei – e che, di certo, avrebbe sviato l'argomento.

Invece non accadde.

<< No, ci arrivai dopo la morte di mia madre: ero piccola, e i ricordi iniziano proprio nella città dei Nani >>.

<< Mi dispiace. Anche io persi mia madre quando ero giovane >>.

<< Non la ricordo neppure, ed è questo che mi fa più male; quando la sogno, o l'immagino, la figuro sempre senza volto. Bé, ormai nemmeno rammento il viso di mio padre >> disse, flebile; iniziò ad affettare una carota con una tale forza, che Bilbo ringraziò di non essere l'ortaggio << Come si chiamava? >> gli chiese poi, incuriosita.

<< Belladonna Tuc >>.

<< Bel nome >> commentò, spianando la fronte.

<< E... la tua? >> domandò incerto Bilbo.

Karin fece un accenno di sorriso << Sena. Puoi star pur tranquillo, le tue domande non mi danno fastidio: è che ho altri pensieri meno felici, ma se chiacchiero con te mi sentirò meglio >> rise di fronte allo sbigottimento dello hobbit, incredulo di esser libero di chiederle la sua storia. D'altronde, non era stata forse lei a raccontare come era giunta all'esilio, la sera prima? Si era fidata e si fidava a tal punto che, ora, concedeva il privilegio che Bilbo Baggins bramava da quando aveva posato lo sguardo grigio su di lei: saperne di più, risolvere il mistero che rispondeva al nome di Karin figlia di Kario, della stirpe di Gorin.

<< Come vi siete conosciuti? >>.

Non ci arrivò per inutili giri di parole, ma con una semplice frase: e Karin non ebbe bisogno di chiedergli di chi parlasse; lo sguardo curioso e timoroso insieme di Bilbo parlava per lui, così come il lieve calore alle guance e alla punta delle orecchie di lei.

A dispetto dell'imbarazzo, si aprì in un sorriso al ricordo dell'episodio << A Dale. Ero scappata di casa. Ci incontrammo alla fontana della piazza, se non ricordo male: io ero seduta e piangevo, lui mi si è parato davanti. Anche all'epoca aveva un tono ben autoritario, ed eravamo solo bambini! >> dichiarò, ridacchiando.

<< Venne a cercarti? >> chiese, senza nascondere il lieve sorriso nell'immaginarsi il piccolo e futuro Re sotto la Montagna impettito e pronto a blaterare ordini verso una bambina più piccola.

<< Oh no, fu per caso; anzi, per la verità non sapevo nemmeno chi fosse: lo scoprii un paio di giorni dopo, quando mio padre divenne consigliere di Thror. Da allora diventammo amici >>.

Bilbo annuì, aggiungendo di tanto in tanto un po' d'acqua perché la carne di montone non si seccasse troppo.

<< E Dwalin? >> domandò, innocentemente.

A Karin per poco non sfuggì il coltello, riuscendo a schivare prontamente la lama che, rapida, si era diretta verso il dito.

<< Lo conobbi più tardi, e ci misi un po' a divenire sua amica poiché era molto diffidente e sospettoso: non dev'essere stato facile accettare una totale sconosciuta nel piccolo gruppo. Comunque, diventammo davvero inseparabili, una volta fatto crollare il muro >> sorrise di nuovo, ma stavolta mestamente << Ogni tanto si aggiungeva anche Dís ma, per la maggior parte del tempo, eravamo sempre noi tre; Balin si preoccupava sempre quando ci vedeva camminare furtivi, anche se non avevamo ancora combinato nulla! >>.

Risero insieme, l'una persa nelle memorie infantili e l'altro che, pur non conoscendo i dettagli, poteva ben immaginare quali marachelle avessero combinato i tre giovani nani.

<< Mi sarebbe piaciuto vedervi in azione >> scherzò Bilbo, dando una leggera gomitata al braccio di Karin << e poi, che accadde? Una volta adulti, intendo >>.

<< Crescendo, ciascuno iniziò a fare i conti con le proprie responsabilità: io, ad esempio, cominciai ad abbandonare i comportamenti e gli abiti maschili, anche se continuai a prendere lezioni di scherma. Thorin venne avviato alle riunioni del consiglio in qualità di principe ereditario; e Dwalin... bé, divenne più affidabile e serio >>.

Bilbo si convinse che Karin non gli avesse detto proprio la verità: gli occhi neri si velarono di pena, i tratti ilari del volto mutarono, tornando fermi e granitici.

Il pentolone bollì, e lo hobbit fu costretto a darle le spalle per rimestarlo con un cucchiaio di legno; spostò di poco il coperchio, in modo da far uscire il vapore.

Fu senza guardarla in volto che le pose la domanda più importante di tutte, alla quale voleva assolutamente una risposta che fugasse i suoi dubbi: se si fosse voltato, non sarebbe stato certo di riuscire a sostenere i suoi occhi. Di riuscire a sostenere la verità.

<< Lo ami ancora, vero? >>.

Gli uscì un sussurro, ma arrivò alle orecchie di Karin come se avesse urlato: si irrigidì, lasciando da parte la verdura, ormai da condire. Posò lo sguardo verso la figura poco più bassa della sua, ma le dava le spalle; si morse il labbro, sapendo fin troppo bene la risposta.

<< Ti sei mai innamorato, Bilbo? >> domandò, ad occhi bassi.

Lo sentì girarsi e guardarla, e fu allora che finalmente incontrò il suo sguardo << Così profondamente da sentirti in totale sintonia con l'altro? Così disperatamente da sentire un forte dolore al petto, come se ti strappassero il cuore? Così dolcemente da sentirti scoppiare di felicità? Thorin per me è stato tutto questo e molto altro ancora, impossibile da esprimere a parole essendo troppo grande. Era il mio riferimento, il migliore amico pronto a proteggermi addossandosi le mie colpe, il mio complice e confidente sicuro. È stato il mio amante, ricambiando l'amore maturato dall'amicizia con una tale passione e dolcezza che non ho mai pensato di meritare. Ed è divenuto lo spietato fautore dell'esilio che ci ha allontanati per anni. Mi chiedi se lo amo: ebbene, dopo tutto questo... sì, lo amo. Forse anche più di prima >>.

Karin si sentì inaspettatamente meglio dopo quella confessione, quasi più leggera: e, per lunghi attimi, non vi fu la frase di Dwalin a tormentarla, ma un'immensa quiete ed il battito accelerato del cuore come unico e carezzevole sottofondo.

Bilbo sorrise, accettando le sue parole e dovendo fare i conti con se stesso: ma, per quanto volesse cercare, non trovò alcuna forma di gelosia; in lui vi era solo quella consapevolezza che, in fin dei conti, non l'aveva mai abbandonato: Karin amava Thorin e lui amava lei. Un sentimento incontenibile che, presto, sarebbe venuto alla luce più devastante e profondo di un tempo.

E lui, lui ne era felice?

si rispose se questo rende lieta Karin.

E, a giudicare dal lieve brillio negli occhi neri, lo era: non completamente, questo no, ma essere riuscita semplicemente a rivelarlo sia a se stessa che ad una persona esterna era già un passo avanti.

<< E' un immenso piacere sentirtelo dire: era ora, a mio parere! >> scherzò, smorzando il silenzio creatosi; Karin arrossì ma gli sorrise, scuotendo la testa in uno scherzoso rimprovero, eppure continuando il lavoro con una luce diversa.

Rimase ancora qualche attimo a contemplarla, per poi venire interrotto dal rumore della porta d'ingresso che si chiudeva e di alcuni passi che si avvicinavano verso la cucina; girandosi, vide entrare Gloin: il nano dai capelli fulvi squadrò l'ambiente con una strana occhiata, accentuandola vedendo Karin che si puliva le mani sul grembiule che aveva indossato per non sporcare l'abito blu e si sistemava un sottile ciuffo di capelli sfuggito alla treccia frettolosa dietro le orecchie a punta. Sentendosi osservata, alzò la testa e lo vide, sorridendogli calorosa; e, con nuovo e sempre crescente sbigottimento, Bilbo vide il fiero Gloin ricambiare: un sorriso così sincero e affettuoso che sembrava averle rivolto da sempre.

<< Sai, mi ricordi mia moglie, quando era più giovane >> confidò, borbottando e cercando di riacquistare una sorta di dignità << Anche allora lavoravo e, quando tornavo per la pausa, la trovavo sempre in cucina: magari con qualche nuovo taglio o bruciatura sulle mani – non avevamo cuoche, benché fossimo agiati – ma mi accoglieva sempre con un sorriso disarmante, come il tuo. Tu ti sei ferita? >>.

<< Affatto >> gli rispose, ancora commossa per il paragone << però se oggi il pranzo sarà di tuo gradimento dovrai ringraziare solamente Bilbo: non è mio il merito >> ammise, lanciando un'occhiata d'intesa allo hobbit, che si imbarazzò e congiunse le mani dietro la schiena.

<< Vedremo, vedremo >>.

<< Immagino che tua moglie ti manchi molto >> commentò, appoggiando gli avambracci al bancone di legno.

Gloin annuì impacciato, volgendo lo sguardo altrove << Voglio riconquistare Erebor per donarle un futuro migliore e per far crescere nostro figlio in armonia >>.

<< Gimli, dico bene? >> disse Karin, sorridendogli << Sarà fiero di suo padre! >>.

<< E' giovane ma molto intraprendente. Sento che compirà grandi imprese >> gonfiò il petto con orgoglio, battendosi un pugno sul torace possente << Ha sangue di Durin, in fondo! >>.

<< Una stirpe che vanta valorosi guerrieri dal cuore forte e puro, le cui gesta sono spesso cantate >> concordò la giovane, ricevendo un'occhiata di apprezzamento dal nano.

<< Lo sarà anche la nostra, mia buona amica: si narrerà di come Thorin Scudodiquercia e la sua Compagnia uccisero il drago e ripresero possesso delle ricchezze della Montagna! >>.

<< Oh, siete tutti qui! >> esclamò Kili, entrando in cucina; immediatamente dietro entrò Fili, facendo diminuire notevolmente lo spazio della stanza.

<< Abbiamo sentito la voce tonante di Gloin dall'ingresso: parlavi delle canzoni che scriveranno su di noi, amico mio? >> chiese sempre il minore, battendogli una mano sulla spalla ed afferrando una mela vicina al braccio di Karin; le fece l'occhiolino e si girò verso il fratello, volendogli lanciare il frutto rosso: ma quello storse il naso in una buffa espressione che fece ridere tutti.

<< Grazie del pensiero, Kili, ma credo che non mangerò più mele per il resto dei miei giorni! >>.

<< Addirittura!? È un bel po' di tempo, sai? Dunque, dicevate? >> domandò, sedendosi sulla parte di bancone libera e pulita. Karin gli lanciò una severa occhiata, afferrandolo per la manica della camicia lercia di fuliggine, facendolo scendere con uno sbuffo: lui, per tutta risposta, le indirizzò un sorriso sornione mordendo la mela.

<< Sapete, sono molto curioso di ammirare il tesoro di Erebor, di cui tanto parlate: se non ci fosse il drago a complicare tutto... >> disse tristemente Bilbo.

<< Un misero drago non ci fermerà di certo, giusto? >> esclamò Kili, parlando con la bocca piena.

<< Nemmeno noi l'abbiamo mai visto, non eravamo ancora nati quando Thorin e la stirpe di Durin se ne andarono dalla Montagna. Nostra madre ne ha decantato la bellezza, ma sai... ciò che si immagina è sempre diverso da ciò che è in realtà >>.

Bilbo annuì, dicendosi d'accordo con le parole di Fili.

<< Ma tu l'hai veduto, non è vero Karin? >> chiese sempre il maggiore, curioso; le si avvicinò, prendendola sotto braccio.

Altre tre teste si voltarono a guardarla, aspettando le sue parole << Sì >>.

<< Ed è davvero bello ed immenso come raccontano? >> chiese Bilbo, roso di curiosità.

Karin rammentò le alte montagne fatte di monete d'oro, o le gemme preziose che mandavano bagliori alla luce delle torce; poi armature, spade e asce, lunghe lance dalle lame affilate e dai manici dorati. E l'Archepietra, fulgido tesoro tra i tesori, di incomparabile ed incommensurabile bellezza e valore.

<< Anche di più >> ammise infine, con nostalgia; gli altri sospirarono quasi all'unisono, forse riuscendo ad immaginare ciò che lei rammentava così nitidamente << Lo vedrete anche voi, statene certi. O rivedrete >> disse, girandosi verso Gloin, lanciandogli un'occhiata ammiccante.

<< E ora, voi due >> aggiunse, adocchiando i fratelli << andate a lavarvi, che tra poco il pranzo è pronto >>.

<< Lo faremmo, madre >> replicò scherzoso Kili, guadagnandosi un'ulteriore occhiataccia dalla ragazza << se Thorin non ci avesse preceduti. Quindi... dovrai accontentarti della nostra sporcizia ed aspettare paziente! >>.

<< Intanto perchè non iniziamo ad apparecchiare? >> propose Bilbo, fermando sul nascere la pessima risposta che stava salendo alle labbra di Karin; fortunatamente si bloccò, girando il capo verso di lui ed annuendo.

Seguì un lungo viavai dalla cucina alla sala da pranzo, immediatamente adiacente l'ingresso: ben presto iniziarono ad arrivare anche gli altri, riempiendo la casa con un vociare allegro e, dopo alcuni minuti, la tavola fu pronta: mancavano solo i commensali che, a turno, dovevano occupare il bagno per rinfrescarsi un poco dalla lunga mattinata.

Karin si era seduta su una sedia, in attesa: represse uno sbadiglio con la mano, passando poi a sciogliersi la pettinatura ormai sfatta; si stava ravviando i capelli quando sentì qualcuno scendere le scale e, un attimo dopo, la porta della sala venne spalancata.

Col cuore in gola, Karin e Thorin mantennero un lungo contatto visivo finché non fu lui a parlare. << Vedo che stai meglio >> giudicò, secco.

Con un movimento improvviso si alzò dalla sedia, minacciando di rovesciarla; allo scampato pericolo tornò a guardarlo, annuendo.

Thorin fece scivolare lo sguardo azzurro sul suo corpo, e sul vestito che indossava: non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma era bellissima, esattamente come lo era ad Erebor. Anzi, forse anche di più, ora che era veramente una donna.

Karin si accorse dell'occhiata, non potendo impedirsi d'arrossire, imbarazzandosi come mai in vita sua: nemmeno quando si erano baciati la prima volta aveva reagito in quel modo, diamine! Avrebbe proprio voluto sapere come mai si comportava così: quello non era il suo solito carattere. Era cambiata, soprattutto da quando aveva lasciato che l'amore per il re tornasse più prepotente nel suo animo, riempiendolo e facendolo suo.

Aspettò che Thorin si sedesse a capotavola per imitarlo, chiudendosi in un cupo disagio; strinse tra le dita la stoffa del vestito, pensando all'ilarità della situazione: era della stessa ed identica tonalità della sua camicia.

Lo osservò con la coda dell'occhio, vedendolo perso in complicati e tortuosi pensieri: trovando un po' del consueto coraggio, decise di intavolare una qualche conversazione.

<< Com'è andato il lavoro alla forgia? >>.

Thorin si riscosse, facendo saettare lo sguardo improvvisamente sospettoso sul suo << Cosa ti hanno raccontato Kili e Fili? >>.

Karin sgranò leggermente gli occhi, presa in contropiede: che c'entravano quei due, adesso? << Nulla. Perché avrebbero dovuto parlarmene? >> domandò curiosa.

Ma Thorin scosse le spalle ed agitò una mano, in un caldo invito a dimenticare ciò che aveva detto: si rinchiuse in un ostinato mutismo e non accennò a volerle rispondere, nemmeno quando gli lanciò un'occhiata piuttosto eloquente.

Sospirò piano, mentre malediva l'ostinazione della stirpe di Durin, tanto decantata poco prima: fortuna volle che gli altri tornarono, coinvolgendola con le loro chiacchiere allegri, facendole scordare il malumore trasmessole dal re che, al contrario, faticava a rimanere tranquillo e sereno mentre i pensieri riguardanti Karin non l'abbandonavano.

Come poteva non ricordare alcunché e non preoccuparsene?

A lui bastava percepirne la presenza per ricordare e riprovare le medesime emozioni, seppur ridimensionate dalla sobrietà.

Quando era entrato in sala e l'aveva vista, aveva sentito il bisogno incessante di baciarla e prenderla anche lì, sulla tavola imbandita; possibile che lei fosse immune a tutto ciò? Come poteva ridere e parlare tranquillamente con gli altri quando lui era a poche sedie di distanza, lacerato e bruciante di desiderio?

<< Direi di brindare al fantastico cuoco di oggi!!! >> esclamò Bofur tra il chiasso generale, parecchio felice << Finalmente abbiamo trovato un degno sostituto: ero stufo di cucinare ogni giorno per tutti! >>.

<< Per questo abbiamo disposto dei turni >> fece notare Dori, seduto di fronte al giocattolaio << Così possiamo ruotare >>.

<< E non sono sempre i soliti a lavorare! Meno male! >>.

<< Com'è giusto che sia >> si intromise Karin, addentando una fetta di pane; si sentiva irrequieta, ed aveva la sgradevole sensazione che qualcuno l'osservasse attentamente, volendo coglierne ogni più piccolo gesto. Però, alzando lo sguardo dal piatto e facendolo vagare lungo la tavola e i volti dei commensali, non trovava nessuno a fissarla. Eppure il presentimento persisteva, diventando sempre più forte.

<< La prossima volta voglio assaggiare qualcosa preparato da te, Karin >> sentenziò Bombur a bocca piena.

<< Oh, meglio di no >>.

<< Certo che sì, dai! Non dirmi che non sai cucinare! >> la prese in giro Bofur, agitando la forchetta nella sua direzione: fortuna non gli era seduta accanto – trovandosi invece vicina a Dori – altrimenti le avrebbe tirato una gomitata nel fianco.

<< Esatto, Bofur: se vuoi mangiare qualcosa adesso, dovrai accontentarti delle verdure >>.

Cercò con lo sguardo l'ultima ciotola rimasta con ancora un po' delle suddette, ma l'espressione le si gelò quando vide che l'aveva in mano Thorin, intento a versarsene una generosa porzione. I loro sguardi si incrociarono ancora – stavolta entrambi consapevoli – e Karin gli sorrise brevemente, tornando a mangiare.

Il nano si accigliò, non riuscendo a comprendere il comportamento della ragazza: non ebbe nemmeno il tempo di pensarci che venne immischiato in una conversazione sulle antiche battaglie da Dwalin, posto alla sua sinistra. Ascoltò poco, poiché immerso in molte riflessioni: d'altronde, con quale diritto poteva giudicare insoliti i gesti di Karin quando, lui per primo, faticava a riconoscersi? Per quanto cercasse e volesse ritardare il più possibile la coscienza dei cambiamenti che stavano avvenendo nel suo animo e nel suo cuore, prima o poi avrebbe dovuto farne i conti, accettandoli e convivendoci: e non sarebbe stato facile. Per niente.



Quando varcò la soglia di casa e venne investita dal leggero venticello che soffiava su Esgaroth, si sentì rinascere, come se gli ultimissimi residui di malattia le scivolassero addosso, dissolvendosi.

Si richiuse la porta alle spalle e si avviò lungo i ponti di legno, passeggiando lentamente, senza alcuna fretta: si guardò attorno meravigliata, concordando che non le era mai capitato di vedere una cittadina costruita sull'acqua, trovandola a dir poco affascinante; un po' inquietante, certo, ma tutto sommato affascinante.

Le risultò difficile passare inosservata, dato che ogni abitante che sorpassava la osservava stupito: d'altronde, in quei pochi giorni era sempre stata rinchiusa tra quelle quattro mura, delirante e preda della febbre; non aveva avuto molte occasioni d'uscire.

S'infastidì, accelerando il passo: evitò di passare dalle fucine, conoscendo chi ci lavorava, e si incamminò sopra un altro pontile, che conduceva alla zona più interna della città; lì si fermò, per poi riconoscere una figura familiare grazie all'ascia conficcata sul capo.

<< Bifur! >> chiamò, correndo per affiancarlo << Andavi al lavoro? >>.

Il nano iniziò a parlare il linguaggio antico, annuendo più volte e facendole cenno di seguirlo; affiancarono alcune casette di legno a due piani, al cui piano terra si aprivano delle botteghe: dalle insegne, Karin riconobbe uno speziale, un fornaio e, finalmente, un giocattolaio.

Non appena entrò, rimase a bocca spalancata: su degli scaffali stavano una grandissima quantità di giocattoli, sia di legno sia di pezza - alcuni perfino di metallo – sapientemente dipinti con colori vivaci, talmente perfetti ai suoi occhi da sembrare veri: erano pezzi unici e di squisita fattura, senza alcun dubbio; doveva trattarsi di un giocattolaio davvero formidabile, e difficilmente se ne trovavano di così esperti. Di certo quel negozio era di inestimabile valore sia per il proprietario sia per Bofur e Bifur.

Dal retrobottega apparve Bofur, avendo sentito il leggero tintinnio della campanella posta sulla porta; non appena la vide le rivolse un gran sorriso, pulendosi le mani sul grembiule da lavoro.

<< Oh, qual buon vento ti porta qui, Karin? >>.

<< Il vento del lavoro >> spiegò << Mi piacerebbe dare il mio contributo, tutto qui >>.

<< Thorin lo sa? >> domandò lui, facendole un mezzo sorriso sinistro.

<< Perché dovrebbe saperlo? Si tratta solo di una mansione, per Durin! Piuttosto che di Thorin mi preoccuperei del proprietario: sai dove possa essere? Vorrei parlargli >> rispose, stizzita.

Bofur ridacchiò, mentre il cugino le batté una sonora pacca sulla schiena << Dovrebbe tornare a momenti, era andato alla banchina ad aspettare il carico di nuovo legname; anzi, Bifur doveva proprio andare ad aiutarlo, vero cugino? >>.

L'altro si batté una mano sulla fronte, forse ricordandosene; poi se ne andò, borbottando quelle che le parvero imprecazioni, benché non conoscesse il Khuzdul.

<< Vieni di qua, intanto ti mostro i giocattoli da riparare o costruire >>.

<< Quelli esposti sono strabilianti >> ammise lei, indicandoli << sarai molto felice, immagino >>.

<< Non sai quanto! Mi sento un bambino nel giorno del suo compleanno! >>.

Risero di fronte al paragone, raggiungendo il laboratorio; la stanza era quasi più grande del negozio, ed era occupata quasi interamente da lunghi tavoli con sopra dei giocattoli, dei colori e dei pennelli e degli scatoloni di accessori: rotoli di stoffa per confezionare dei vestitini, lana per produrre capelli, della latta per elmi e molto altro ancora.

<< Davvero ben attrezzato, non c'è che dire! >> commentò, sbalordita dalla quantità di materiale.

<< Allora >> esordì Bofur, sistemandosi meglio il cappello << cosa vorresti fare, di preciso? >>.

Karin ci rifletté qualche secondo, guardandosi attorno con interesse: infine, prese la sua decisione << Mi piacerebbe decorare e dipingere >>.

<< E' un lavoro minuzioso, che richiede precisione e abilità >>.

Lei alzò un sopracciglio << Lo so benissimo! Sappi che, a Erebor, ero piuttosto brava come gioielliere: certo, è da un po' di tempo che non mi alleno, ma credo di essere rimasta abbastanza precisa >>.

<< D'accordo, allora ti metto subito alla prova, così quando tornerà il proprietario potrai mostrargli il lavoro concluso >>.

Le diede in mano una bambola, alla quale mancava il colore del volto e le rifiniture di occhi, naso e labbra; le mostrò i pennelli e i colori, chiedendole di scegliere i più adatti. Dopodiché la lasciò fare, tornando ad intagliare un pezzo di legno con un coltello dalla lama spessa ma affilata, adatto per abbozzare la sagoma, non certo i dettagli.

Ogni tanto le lanciava un'occhiata divertita, nel vederla così presa e concentrata: possedeva le medesime espressioni di quando era bambina.

<< Diamine Karin, ma sei mancina! >> esclamò poi, nel vederle il pennello stretto nella mano sinistra.

<< Mmh, e allora? Sto attenta, non vedi? Sono partita a dipingere da destra, così non combino pasticci >> spiegò saccente, senza staccare gli occhi dal giocattolo.

Bofur sorrise e ridacchiò, apprezzando l'arguzia << Sai, non me n'ero mai accorto! Eppure è da parecchi anni che ci conosciamo >>.

<< Bé, durante le varie Feste dell'Estate non ho mai avuto occasione di scrivere davanti a te; credevo te ne fossi reso conto quando impugnavo Iris >>.

Il nano scosse la testa << No, se devo essere sincero. E poi non è detto che la mano che regge la spada dica la verità: alcuni mancini stringono l'elsa con la mano destra, e viceversa >>.

Karin annuì, mentre una lieve ruga le si formava sulla tempia << Hai ragione >>.

Aveva steso la prima mano di colore sul volto, ora rosato, e scelto un altro pennello dalla punta più sottile, dedicandolo agli occhi: le dita corsero verso il barattolo del nero, svitandolo. Intinse le setole e, delicatamente, le passò sul punto, trattenendo quasi il fiato finché non ebbe finito.

Si sentì un tintinnio dal negozio, e Bofur si alzò lasciandola dipingere in pace; poco dopo, però, la sua testa sbucò dalla soglia, chiamandola.

<< Karin, vieni di qua, è un'emergenza >>.

Il tono ammetteva pochissime repliche, perciò abbandonò il suo lavoro, appoggiando il pennello sopra una pezzuola.

Dietro al bancone, accanto al nano, stava una bambina in lacrime.

Karin si stupì non poco, specie quando vide Bofur con una stranissima espressione in volto: sembrava impaurito e dispiaciuto insieme.

<< Meglio se ci pensi te, sai... tra donne! >> lasciò la frase in sospeso e sgattaiolò via, senza nemmeno lasciarla parlare.

Fulminò il punto dov'era sparito, per poi alzare gli occhi al cielo di fronte all'immaturità dell'amico e si girò, sorridendo alla piccola: bé, alta quasi quanto lei. E Karin poteva vantare un'altezza superiore alla media delle altre nane.

Impacciata, le rivolse comunque un caldo sorriso, abbassando un poco la testa per incontrare i suoi grandi occhi verdi colmi di lacrime << Cosa è accaduto di tanto grave da far piangere una bambina così bella? >> chiese affettuosa, accarezzandole i lisci capelli castani; la piccola tirò su col naso, facendo tanto d'occhi quando sentì la mano. Ma non si ritrasse, e questo confortò la ragazza.

Senza dir nulla, mostrò ciò che nascondeva dietro la schiena: una bambola di pezza, con alcune toppe di fortuna, dal braccio destro sfilacciato e penzolante; ancora poco e si sarebbe staccato del tutto.

<< Oh, poverina >> commentò Karin, partecipe << Posso? >>.

La bambina annuì, porgendogliela. Esaminò il punto, facendo un mezzo sorriso per rassicurarla. << Non temere, si può riaggiustare. È la tua preferita? >>.

Annuì, mentre con una manica si asciugava il volto; ora più calma la guardò attentamente, forse rendendosi conto che era una nana. Ma non disse nulla, rimanendo a torcersi le dita, nervosa.

<< Vieni di là, così posso occuparmi di lei e farla tornare come prima. Ha un nome? >> le domandò.

Ma l'altra scosse la testa.

<< Peccato: le mie bambole ne avevano tutte uno >>.

Sentì Bofur tossire e, tra i vari colpi, poté distinguere chiaramente parole come “Bugiarda!” o “quali bambole!”, ma lo ignorò, guidando la ragazzina verso il banco da lavoro; armeggiò e spostò i vari oggetti presenti, trovando infine un ago e del filo resistente .

Sotto lo sguardo curioso ed attento dell'ospite, si mise a ricucire lo strappo << E tu ce l'hai un nome? >> le chiese, guardandola di sottecchi.

<< Alhena >> rispose infine, dopo lunghi attimi di silenzio: forse cercava di capire se poteva fidarsi o meno nel rivelare il proprio nome a degli sconosciuti.

<< Gran bel nome! >> esclamò Bofur, tornando gioviale come sempre: senza riuscire nell'intento di piacere alla bambina; lo guardò timorosa, sgranando gli occhi chiari. Istintivamente, mosse qualche passo verso Karin, facendola sorridere.

<< Non preoccuparti, non ti farà del male! Sembra cattivo, ma non lo è >> scherzò, guadagnandosi un'occhiata truce dal nano.

<< Dai, Karin! Cercavo di esserle simpatico >> protestò, offeso dalle sue parole.

<< Ti chiami Karin? >> chiese la bambina, con un tono di voce più sicuro di come si era presentata. << Oh, scusa! Perdonami se non mi sono presentata prima >> le tese la mano destra e Alhena la strinse piano, dopo averla osservata guardinga << Sono Karin >>.

<< La simpatia fatta nano >> borbottò Bofur, tornando ad intagliare il suo lavoro.

<< Sei una nana? >> domandò la piccola, stupita: buffo come, ancora adesso, le persone si meravigliassero sempre di questa notizia. Non era proprio cambiato nulla da quando era giovane.

<< Certo, ma non devi aver timore: come vedi, non siamo pericolosi >> evitò di aggiungere “al contrario degli orchi, o dei mannari”: era solo una bambina, dopotutto.

Fece un piccolo nodo, assicurando la chiusura del braccio della bambola: poi la rimirò, soddisfatta. << Ecco fatto! Proprio com'era prima. A te il giudizio >> sentenziò, restituendogliela.

Alhena l'esaminò pensierosa, la piccola fronte aggrottata; se la rigirò tra le mani per verificare il lavoro, talmente concentrata che non notò lo sguardo buffo che si scambiarono i due amici: infine, rialzò la testa.

<< Grazie. Sembra anche più bella >> si aprì in un timido sorriso, accrescendo quello di Karin.

<< Di nulla, ne sono stata felice >> si rialzò, lisciandosi la gonna blu << Immagino dovrai tornare a casa >>.

Al cenno affermativo, la riportò in negozio; ma, prima, la piccola ringraziò anche Bofur, facendogli un lieve inchino.

Karin le aprì la porta, salutandola sull'entrata << Mi raccomando, trattala con cura. E se avrai bisogno di qualcosa, non esitare a tornare >> le strizzò un occhio.

<< Vi ringrazio, mia signora >> le fece un inchino impacciato e si incamminò, tornando però indietro quasi subito << Credo d'averle trovato un nome >>.

<< Sul serio? E quale? >> domandò curiosa e stupita insieme.

<< La chiamerò... Karin >>.

Le due si sorrisero: la nana annuì, inaspettatamente fiera della scelta. Col cuore traboccante di felicità le scompigliò i capelli e la lasciò tornare a casa, dove probabilmente la madre la stava aspettando.

Tornò in bottega e si rimise al lavoro finché non giunse il proprietario, un uomo di mezza età asciutto e alto, molto cordiale ed affabile: non appena gli chiese il permesso di poter lavorare per lui, e dopo che ebbe verificato il risultato sulla bambola da decorare, accettò di buon grado e con tanti ringraziamenti, oltremodo onorato di venire affiancato da dei nani così esperti e volenterosi. Nemmeno quando gli fece notare il tratto non proprio perfetto e le lievi imprecisioni sembrò turbarsi, ma continuò a ripetere di essere diventato l'uomo più fortunato dell'intera Esgaroth.

<< Dunque, benvenuta nella bottega del giocattolaio! >> proruppe, sorridendole e stringendole le mano.

<< Finché rimarremo vostri ospiti sarò lieta di contribuire. E, anzi, permettetemi di farvi i più sinceri complimenti per l'abilità: non credo d'averne mai visti di così belli e perfetti >>.

Fu il suo turno di sentirsi imbarazzato borbottando che, in realtà, erano sciocchezzuole e che lei era troppo buona.

Poi li rimandò a terminare, poiché vi erano ancora molti altri giocattoli che aspettavano di essere completati o iniziati, per poi venire spediti in tutta la Terra di Mezzo o venduti ai bambini della città.

Quando la giornata volse al termine, Karin si sentì esausta ma tremendamente soddisfatta: si era sentita utile, di nuovo dopo molte settimane; ciò le fece accrescere di molto il buonumore, anche se venne attenuato bruscamente da ciò che apprese: Thorin avrebbe cenato di nuovo dal Governatore. Dovette rimanere presente a se stessa per non alzarsi e fuggire nella notte, ma strinse i pugni sotto il tavolo, convinta della decisione che, come un fulmine, si formò nella mente.

Doveva parlargli, chiarire ogni cosa.

L'avrebbe atteso, a costo di rimanere sveglia per tutta la notte.




Si era dovuta ricredere. La sua idea era totalmente e completamente folle.

Insomma, era passata la mezzanotte da un bel po' di tempo, la dimora era sprofondata nel silenzio e nella quiete dei sogni e le uniche creature ancora sveglie erano lei e Thorin, al di là della porta della sua stanza.

Dopo cena, infatti, i nani erano rimasti accanto al fuoco a scambiare quattro chiacchiere, finché i primi cedimenti del sonno non si erano manifestati: allora si erano augurati la buonanotte e si erano diretti alle rispettive stanze; ma lei era rimasta sveglia, camminando a lungo e cercando, nel mentre, di trovare le parole adatte che avrebbe rivolto al re dei nani una volta si fossero trovati di fronte all'altra.

Aveva atteso a lungo ma, finalmente, aveva percepito dei rumori al pian terreno, e dei passi pesanti lungo le scale e il corridoio, sentendoli sorpassare la camera: non aveva potuto fare a meno di sorridere alla confusione prodotta dal nano che, probabilmente, stava cercando di mantenersi il più silenzioso possibile.

Iniziò a torcersi le mani e a mordicchiarsi il labbro, nervosa: dopo aver contato cinque interminabili minuti era uscita, muovendosi anche fin troppo rapidamente e portandosi al di là della porta di legno. Ed era ancora lì, indecisa se bussare o meno: ma, se avesse scelto la seconda opzione, avrebbe sprecato quell'occasione di tranquillità per parlargli. Certo, era una faccenda a dir poco delicata, dato che doveva spiegargli il perché del comportamento nella cella di Bosco Atro, ed affrontare un argomento di tale portata oltre la mezzanotte non era... molto consono. Però non poteva attendere oltre, dato che durante il giorno era praticamente impossibile comunicare: lui era troppo impegnato alla fucina, e anche lei ora aveva trovato lavoro.

Perciò si decise ed alzò il pugno destro, battendolo piano sul legno. Due colpi. Come gli ultimi spasmi del suo cuore.

<< Sono Karin >> bisbigliò, serrando un attimo gli occhi in attesa di risposta.

<< Entra >> ordinò lui, dopo secondi di agonia.

Afferrò la maniglia, abbassandola ed aprendo la porta; gli occhi si spostarono immediatamente verso la figura di Thorin, in piedi accanto al letto ancora intatto. Si era tolto il mantello, gli stivali e la lunga casacca marrone che sostituiva quella blu - persa dagli elfi - rimanendo solo in camicia e braghe; lo sguardo severo e freddo non l'aveva abbandonata un attimo, facendole pentire la decisione presa.

Si diede della stupida, cercando di racimolare un briciolo del carattere che le era appartenuto e che, ora, sembrava averla abbandonata per tramutarla in una ragazza sciocca e impaurita.

Fece per parlare, determinata, ma lui l'interruppe << A quest'ora dovresti essere a letto. Spero si tratti di una questione urgente >> disse, secco, rimproverandola con gli occhi.

<< Lo è >> replicò lei, semplicemente.

Thorin le fece un cenno con la testa perché iniziasse a parlare, incrociando le braccia al petto.

Aprì la bocca, ma non le uscì alcun suono: capì di non rammentare nulla del discorso che si era preparata pochi minuti prima.

Si morse l'interno della guancia, iniziando a torturarsi le labbra, preda di una crisi di panico; chiuse gli occhi per alcuni brevi secondi puntandoli poi verso il nano, in attesa.

<< Ecco, io... mi dispiace. Per ciò che è accaduto nella cella. Non avrei dovuto >> abbassò il capo, vergognandosi terribilmente.

<< No, infatti. Ma dovevi pur sfogarti con qualcuno, dico bene? E anche io ho la mia buona dose di colpa >> replicò duramente; talmente glaciale che Karin alzò lo sguardo, incredula che le stesse parlando in quel modo.

Ma il merito nefasto era solo ed esclusivamente suo. Aveva rovinato tutto, ancora una volta.

<< Ce l'abbiamo tutti, chi più e chi meno. Tu invece hai solo fatto ciò che ritenevi giusto in quel momento >>.

Lo vide assottigliare gli occhi, stupito della frase tanto quanto lo era stata lei quando era giunta a quella conclusione così semplice ed ovvia.

<< Karin... >> iniziò, rimproverandola ancora.

<< No, ascoltami! Durante quelle settimane ho... avuto modo di pensare, ed ho compreso che la rabbia nei tuoi confronti era ingiustificata >>.

<< Ti ho bandita senza ascoltarti! Quale atto può essere più ignobile di questo? >> domandò, perdendo lievemente il controllo; strinse i pugni muovendo un passo verso di lei che, al contrario, manteneva una compostezza impeccabile.

<< L'hai fatto perché ti era stata portata via Erebor, la tua casa: io non l'ho mai considerata tale perché non mi sono mai sentita accettata. Sei stato tu a farmelo comprendere, ma ormai era troppo tardi. Non ti sei mai disperato per l'oro, ma per quella dimora a cui avevi dato tutto, alla quale non avresti potuto far ritorno. In questi anni ti ho odiato perché credevo d'antepormi sopra ogni cosa ma, in realtà, non avevo capito nulla: sono stata egoista, e me ne dispiaccio. Scusami >>.

Si girò, non riuscendo a sostenere lo sguardo scrutatore che le scavava l'anima; essersi liberata di quella verità la fece sentire meglio, molto: ma la voglia di scappare e tornarsene sotto le coperte sprofondando nei sogni e non pensando più a questi momenti era invitante.

Thorin la vide muoversi verso la porta, aumentando la distanza tra loro, facendola diventare un immenso e profondo precipizio; le scuse e le parole dette continuavano a riempirgli la mente e il cuore, devastandolo. Non aveva parole per ribattere, né gesti da compiere per trattenerla lì; ma di una cosa era certo, profondamente sicuro: non voleva varcasse quella soglia.

Fermala.

<< Giungesti mai ai Colli Ferrosi? >> domandò, la gola insopportabilmente secca, il cuore che martellava più forte del necessario.

La vide irrigidirsi e bloccarsi, ma rimase di schiena << No. Non ne ebbi il tempo; ma di sicuro Dáin non avrebbe mai accettato come sposa una traditrice del suo popolo >>.

Thorin si diede dello stupido per quella domanda inopportuna ma, contemporaneamente, si sentì tremendamente sollevato, come se un peso si fosse dissolto in lui: nessun altro l'aveva avuta, quindi.

Karin era ancora sua.

<< Anzi, a questo punto dubito persino che sia mai esistita una vera proposta di matrimonio: Kario cercava un pretesto per portarmi ed andarsene via senza destare sospetti. Ma la verità è morta con lui, e non ne verrò mai a conoscenza >> disse, angustiata.

<< Tuo padre ha agito nel modo sbagliato, è vero: ma cercava solamente di proteggerti >> ammise, continuando a guardare la sua nuca.

Infine, Karin si voltò, lo sguardo duro e implacabile << Allontanandomi da te? È stata la decisione più sciocca che abbia mai preso! >> esclamò, ostinata.

Possibile non riuscisse a capire?

<< Non avrei potuto difenderti perché ero impegnato a presidiare le porte di Erebor, e a condurre mio nonno lontano dal suo tesoro >>.

<< Avrei combattuto al tuo fianco, ne ero in grado... >> iniziò; ma Thorin alzò solamente una mano e scosse il capo, facendola tacere. Con due brevi passi le fu di nuovo vicino, lo sguardo non più serio ma colmo di tristezza.

<< Se fosse accaduto qualcosa al mio tesoro non me lo sarei mai perdonato. Il saperti lontana dalla devastazione anche se stavi per raggiungere un altro nano, mi ha permesso di ritrovare la forza necessaria per affrontare il problema del drago >> ammise con un sussurro.

Karin, che fino ad allora aveva ancorato gli occhi neri ai suoi azzurri, abbassò lo sguardo con un mezzo sorriso mesto.

<< Finché non sono ritornata >>.

<< Finché non sei ritornata >> ripeté << La rabbia che covai si riversò su di te, che ti presentasti colpevole. Non ascoltai nessuno, benché meno la ragione, o il cuore: se l'avessi fatto ogni cosa sarebbe mutata; saresti rimasta al mio fianco durante i vagabondaggi nel Dunland, nell'Eriador e, infine, nell'Ered Luin. Avresti allietato i miei giorni cupi e bui, avresti assistito mia sorella e visto nascere Fili e Kili, partecipando alla mia gioia. Avremmo condiviso insieme ogni anno, fino ad ora >>.

Le accarezzò una guancia, mentre nell'anima di Karin imperversava una tempesta di commozione e malinconia: era talmente sopraffatta da sentire la testa ronzarle, e gli occhi inumidirsi al suo tocco delicato.

<< Io rimasi sempre al tuo fianco, anche se non fisicamente: piansi quando tuo nonno cadde a Moria insieme ad altri valorosi guerrieri che conoscevo, mi rattristai quando il tuo animo ferito fu dilaniato dal dubbio, risi di gioia quando i tuoi occhi videro per la prima volta il viso di tuo nipote e trattenni il fiato estasiata quando, timoroso, lo prendesti in braccio. Così piccolo e fragile, ma al sicuro tra queste mani così grandi e forti >>.

Gli baciò i palmi e intrecciò le dita con le sue, mentre un'unica lacrima le sfuggiva alle ciglia, scendendo sulla guancia; Thorin abbassò il capo, posando le labbra sulla goccia salata, raccogliendola. Le sfiorò le labbra con i pollici mentre, di nuovo, il desiderio lo ardeva vivo.

<< L'orgoglio ci ha fatti dividere, il risentimento odiare: ma non sono riusciti a distruggere i sentimenti che provo. Forse >> non riuscì a terminare, venendo bloccata dalle labbra prepotenti di Thorin sulle sue: e si rese conto solo in quel momento del fatto che avesse atteso ed agognato quel bacio da quando era entrata.

Il suo corpo lo reclamava, lo sentiva: ma non si sarebbe accontentato. Chiedeva di più.

Sentì le dita del nano perdersi tra i suoi capelli mentre l'altra mano andò a posarsi sul fianco, stringendolo ed attirandola maggiormente a sé, facendo aderire i loro corpi; Karin mosse le mani verso il petto ampio, accarezzandolo. E Thorin perse ogni briciolo di autocontrollo.

Il bacio divenne più passionale, pieno di foga e lussuria: le lingue non facevano che scontrarsi, ritrarsi e rincontrarsi, in una danza eccitante e sensuale come poche. I respiri accelerarono, affannati, ma nessuno dei due si sarebbe staccato dall'altro: se l'avessero fatto, se ne sarebbero pentiti amaramente.

Sotto la sua presa salda, il nano poteva percepire la stoffa della camicia da notte di Karin, che molto presto sarebbe scivolata via, essendogli d'impiccio; si spostò, portandola con sé e facendola arretrare finché non incontrò l'ostacolo del letto: continuando a baciarsi la spinse giù, verso il materasso. Ora seduta, Karin divaricò istintivamente le gambe e scivolò all'indietro, facendosi leva con le braccia per permettergli di salire a sua volta e di sistemarsi meglio; sembrò quasi che le labbra di Thorin si staccassero dalle sue ma, portando rapida una mano alla nuca, lo fece riavvicinare: dalla foga prepotente gli morse il labbro inferiore, ed un basso ringhio gli salì fino a scontrarsi col suo respiro caldo.

La piccola stilla di sangue si confuse con la saliva, mescolandosi e creando una conturbante sensazione di calore, che si propagò nei loro corpi come un incendio di immensa portata. Thorin la fece sdraiare sotto di sé, mentre la dita iniziavano ad accarezzare con voluttà le gambe piegate; percepì la camicia sbottonarsi, e le dita gelide di lei che gli avevano afferrato le spalle forti per sfilarla. L'aiutò, sollevando a turno le braccia e gettando l'indumento lontano, oltre il letto: il lieve movimento lo staccò da lei, che piantò gli occhi nei suoi, abbozzando un sorriso malizioso quando li fece vagare lungo il collo, poco sopra la collana luccicante.

<< Direi che ho fatto un buon lavoro >> scherzò, bisbigliando e sfiorando l'ormai contorno del morso che gli aveva lasciato.

La guardò, domandandosi da quanto tempo ricordava quella notte; ma non importava granché, al momento.

Le restituì il sorriso, gli occhi azzurri che brillavano alla luce tremolante delle candele << Mai quanto il mio >> mormorò, la voce profondamente roca e calda; si sporse a baciare il punto, ancora coperto dalla camicia da notte.

Karin sospirò contro i suoi capelli, stringendogli una ciocca per farlo rialzare ed indirizzarlo verso le sue labbra, coinvolgendolo in un altro bacio appassionato, mai sazia di lui; gli toccò il petto nudo, possente e fiero come lo ricordava, costellato da cicatrici simbolo delle battaglie combattute. Fremette di piacere, brividi potenti la scossero: soprattutto quando Thorin incontrò l'orlo dell'indumento – davvero poco adeguato, se ne rendeva conto solo ora - alzandoglielo fino al ginocchio; le mani percorsero ogni centimetro di pelle delle gambe, ma capiva che non era sufficiente: inebriata e preda di un'audacia inaspettata, andò alla ricerca dei lacci delle braghe, trovandole dopo due tentativi. Con movimenti impazienti riuscì a scioglierli, stringendo il tessuto con tanta forza che il nano credette gliele strappasse di dosso; con un mugugno mal contenuto, scalciò via quell'ulteriore fastidio, tornando ad aggredire la pelle di lei.

Come quella notte, Karin sentì la familiare pressione sulla schiena. Gli circondò il collo con le braccia, facendogli capire che era pronta: Thorin si inginocchiò sul materasso, le mani che, ora sotto le sue cosce, la condussero ad allacciare le gambe ai suoi fianchi, alzandola e portandola a sedersi su di lui.

Con estrema lentezza le alzò la veste, sfiorandole la pelle calda lungo il percorso; Karin socchiuse gli occhi quando gliela sfilò dalla testa, sospirando non appena le mani vagarono sui suoi seni. Inarcò la schiena, facendo scontrare i loro bacini: di nuovo, il gemito gutturale di Thorin si perse nell'aria, affiancato dal suo. Seguirono altri innumerevoli baci, carezze prepotenti e altre più dolci e delicate, morsi e ansiti più o meno profondi e trattenuti: ma, per quanto cercassero di rimanere in silenzio, risultava difficile non venire travolti da quell'ardore che li aveva presi.

Ben presto, i loro corpi nudi si riempirono di goccioline di sudore, mute testimoni della loro passione travolgente; i loro respiri divennero più brevi, impazienti oltre ogni dire. Thorin non avrebbe aspettato oltre, non poteva: il bisogno imperioso di prenderla gli riempì ogni pensiero, ogni cellula, facendogli ribollire il sangue.

Karin teneva gli occhi chiusi in balia delle emozioni che, come un fiume in piena, l'invadevano: gli era sottomessa, succube delle sue attenzioni, della sua frenesia. Del suo amore sconvolgente e intenso.

<< Guardami >> ordinò, rauco e sensuale.

La fece sua non appena i loro occhi si allacciarono.

Non appena il loro orizzonte si dissolse, ed il cielo si fuse con la terra.

Gemettero in sintonia, e poi ancora, ancora e ancora, mentre sprofondavano nell'altro con violenza e trasporto.

Thorin si inebriò di lei, dell'ebbrezza che leggeva in ogni tratto di quel volto accalorato dalla passione che l'aveva stregato così tanto, di cui conosceva ogni segreto e del quale, ormai, non poteva più fare a meno; vederla così docile su di sé, e obbediente, lo eccitava più di ogni cosa. Lui aveva in mano il potere, persino lì: e lei lo sapeva. Come aveva sempre saputo d'appartenergli. Di essere sua, e soltanto sua.

Karin dovette raccogliere ogni frammento di controllo per non serrare gli occhi, disobbedendogli: lo osservò intensamente, mentre lo sguardo le si velava di passione, esattamente come lo era il suo; i meravigliosi occhi azzurri, di solito sempre così rigidi e autoritari, divennero uno specchio liquido di piacere. E l'eccitarono, molto.

Con uno spasmo violento, Thorin raggiunse l'apice del piacere; Karin trattenne forte il fiato, affondando le unghie nella carne delle spalle ed abbassando e portando avanti la testa quel tanto che le permise di sfiorargli le labbra, proibendogli però l'agognato avvicinamento.

Lo torturava, lo sfidava, sottraendosi a lui sempre un attimo prima: il saperla combattiva e indomabile anche mentre facevano l'amore lo divertiva e innervosiva insieme. Eppure, poco prima, era stato certo della sua autorità.

Le spinte irruenti si quietarono, diventando calme e languide; le mani di Thorin, prima sui fianchi di lei, si portarono alla schiena, accarezzandogliela: la pelle, un tempo liscia, era ricoperta dalle cicatrici più o meno estese inferte dal maledetto bastardo che l'aveva torturata.

Ne assaporò una ad una mentre lei alzò una mano ad accarezzargli la guancia, scendendo fino alla linea della mandibola, coperta dalla barba scura; i fiati ansanti si mescolarono a formarne uno e, finalmente, le palpebre si chiusero e le labbra si riunirono, suggellando l'appartenenza all'altro con un bacio dolce e pieno di quel traboccante sentimento che mai li aveva abbandonati.

Lentamente, la riportò verso il materasso, spostandosi dal suo corpo sudato per ammirarla ancora una volta; solo ora entrambi si rendevano pienamente conto del significato e delle conseguenze a cui avrebbe condotto la loro scelta, così irrazionale e impulsiva, forse dettata da un bisogno meramente fisico. Ma, inaspettatamente, Thorin le rivolse un sorriso sincero e ardente, che unicamente Karin aveva avuto il privilegio di ricevere: e lei ricambiò, felice come mai in vita sua.

Non era stato solo uno sfogo, di ciò erano certi: semplicemente, era giunto il momento di accettare e dimostrare l'amore trattenuto e mai pienamente sopito dei mesi di viaggio, come se non si fossero mai realmente separati. Anzi, l'essersi allontanati aveva approfondito ogni singola radice del loro sentimento, e fatto sì che crescesse sempre più, arrivando a mettere da parte l'orgoglio e il risentimento provati.

Thorin scostò le coperte, invitandola a sdraiarsi con lui: le cinse le spalle con le braccia mentre lei poggiò la tempia nell'incavo del collo, la punta del naso a sfiorargli il metallo freddo; rimasero in un silenzio non certo opprimente, tutt'altro. Era placido, ancora impregnato dei ricordi di pochi momenti prima.

Le dita di Karin, ora calde, sfioravano con lentezza il suo torace, seguendo la leggera peluria nera; sentì una pressione tra i capelli, sorridendo nel riconoscere un leggero bacio.

<< Non credevo l'indossassi ancora >> ammise, mormorando e toccandogli delicatamente la collana.

Fortunatamente non alzò il volto ad incontrare il suo: negli occhi di Thorin, infatti, era passato un lampo di vergogna << Ho provato molte volte a sfilarla, ma poi mi fermavo >> affermò << Non ne avevo il coraggio. Ma anche tu l'hai tenuta, a dispetto di ciò che è successo >>.

Stavolta alzò la guancia dalla sua spalla, appoggiandosi al gomito per guardarlo << Non potevo separarmene. Era l'unico oggetto che mi ricordasse di noi. Di te >>.

<< Non un buon ricordo, dunque >> usò un tono sarcastico, alzando un angolo della bocca in un leggero sorriso tirato.

Ma Karin scosse la testa con vigore << Erano i più belli, invece. Rammenti quando me la donasti? >> sorrise, donandogli pace.

<< Rimanesti talmente sorpresa che temetti non ti piacesse; mi arrabbiai, poiché spesi ore e ore di lavoro per forgiarla nei minimi dettagli, mettendo da parte ogni altra questione >>.

<< Già; e, in realtà, ebbi quell'espressione perché ne creai una identica per te >>.

Il nano fece scivolare la mano dalla guancia morbida alla catena argentea, percependo la consistenza estremamente resistente ma leggerissima del Mithril, metallo di immenso valore.

<< Perciò non sono mai riuscita a lasciarla: avrei dovuto abbandonare definitivamente il tuo ricordo, e non ne ero in grado >>.

Thorin l'attirò a sé, baciandole la fronte e le labbra, relegando l'alterigia che lo contraddistingueva per quei pochi attimi, nei quali avanzò la richiesta che doveva porle << Dimmelo, Karin: concedimi il tuo perdono >> le soffiò, ad un nulla dalla bocca.

<< Ti ho già perdonato. Molto tempo fa, ma non volevo ammetterlo >>.

Annullò la lieve distanza con un bacio nostalgico ma finalmente libero, che ebbe il potere di ricongiungerli molto più di quanto potessero riuscirci a parole.

Si separarono, rivolgendosi un'ultima occhiata prima di distendersi insieme, vicini; ben presto il sonno li colse e, per la prima volta, non ci furono incubi di torture, né sogni di rivalsa e di vendetta a tormentarli: solo una grande e pacifica quiete.






CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Oh oh oh oh, c'è ancora qualcunoooooooo ;)))??? Ve l'avevo detto che sarebbe servito il catino raccogli bava :D ahahahaha, scherzi a parte, spero d'essere riuscita a descrivere tutto come si deve, specialmente attenendomi al rating della storia: per qualunque lamentela o complimenti (eheheeh, perdonatemi, ma sono TROPPO esaltata per questo capitolo, è il mio preferito ^^!!!) Spero di non esaltarmi per nulla O.o! Cioè, insomma, io di solito NON riesco a scrivere CERTE SCENE, perciò dopo questa sono parecchio soddisfatta; voi fatemi sapere però, non tenetemi sulle spine, che ci tengo ai vostri consigli, lo sapete <3 <3!

Dunque, ringrazio le carissime e specialissime Synne, Lady Daffodil, jaybeautifldarkangel, vanessa 90, Carmaux, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, pamagra, MrsBlack. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!! E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna

P.S. FINALMENTE CE L'HANNO FATTAAAAAAAAAAAAAAAA!!! Bwahaahahhahaahha

P.P.S Scusate la mancanza di decoro, comunque... a breve pubblicherò un'altra piccola storiellina sul passato del trio ^^, dal titolo “Afferra la donna che ami. Tienila stretta” praticamente vi ho già spoilerato tutto XD XD! Quindi, tenete d'occhio la sezione o cercate nella mia pag qui su efp :D, ma tra un po', sono appena agli inizi :'(.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


Note dell'autrice: PERDONATEMI ç___ç! Non ci sono giustificazioni per l'immenso ritardo di questo capitolo, ma sappiate che mi sto odiando dal più profondo del cuore: sia per i maledetti inconvenienti della vita che mi sono capitati, sia per questo capitolo che... mah, mi ha lasciata interdetta e con l'amaro in bocca. Non ne sono ben soddisfatta, non è che succeda granché, è di passaggio!

A voi il giudizio care, ci leggiamo giù :*




CAPITOLO QUINDICI


Non seppe per quale motivo si svegliò ma aprì debolmente un occhio, riconoscendo con fastidio la penombra presente: osservando fuori dalla finestra, notò che era appena spuntata l'alba, anche se il sole non era del tutto sorto.

Un brivido di freddo la percorse e girò il capo dalla parte opposta, vedendo Thorin già sveglio, seduto sul bordo del materasso; le dava la schiena, e si stava infilando i pantaloni. Si alzò per allacciarseli, e fu allora che decise di parlare.

<< Vedo che non hai perso l'abitudine di svegliarti presto >> commentò dolcemente, facendolo voltare. Le rivolse un sorriso, vedendola stiracchiarsi per svegliarsi meglio.

<< Preferisco essere mattiniero, dovresti saperlo >> la guardò, provando l'irresistibile impulso di baciarla << Dormi, Karin. Ancora per qualche ora >> si sentì dire, invece.

<< No, io >> non riuscì a finire la frase, reprimendo uno sbadiglio con la mano; si mise seduta, reggendosi il lenzuolo al petto con la mano destra << mi alzo, anzi, torno in camera: se mi vedessero uscire da qui... >>.

Thorin si sedette di nuovo, osservandola attentamente << Non devi rendere conto a nessuno. Ciò che fai è affar tuo >>.

<< Sei mai stato bersagliato dalle loro domande inquisitorie? Primi fra tutti i tuoi nipoti: spesso mi ricordano qualcuno >> ridacchiò, lanciandogli uno sguardo eloquente.

Thorin sorrise e scosse la testa, abbassandosi per raccogliere gli indumenti rimasti a terra; Karin fu rapida e, liberandosi dal lenzuolo, avanzò carponi sul materasso circondandogli il collo con le braccia.

<< Rimani qui >> la voce, prima calma e tranquilla, divenne sensuale e carica di desiderio; gli baciò la pelle calda, spostandosi poi di poco verso l'alto << con me >> lo baciò ancora, scostandogli i capelli dal collo e portandoglieli all'altra spalla.

Thorin sentì la pressione dei seni sulla schiena; chiuse le palpebre, lasciandosi sfuggire un sospiro esasperato e rassegnato insieme: dovette rimanere ben presente per non girarsi e assecondarla; lei, abile tentatrice, sapeva quali corde toccare per farsi obbedire. Lo conosceva fin troppo bene, in fondo.

<< Karin, devo andare. O non risponderò delle mie azioni >> mormorò, la voce maledettamente roca.

La sentì sorridere contro il suo collo per poi baciarlo, salendo sempre più verso il lobo dell'orecchio << E' questo lo scopo >> rispose voluttuosa, leccandoglielo e mordendolo piano; il nano espirò, avendo trattenuto il fiato non appena l'aveva sentita parlare.

Era combattuto, tremendamente indeciso e diviso tra la mente e il corpo: la prima non faceva che ripetergli di alzarsi da lì e varcare quella soglia - o sarebbe venuto meno ai suoi obblighi – il secondo, invece, gli urlava di mandare tutto in malora e girarsi, baciarla con trasporto e consumare ancora la passione ardente che non aveva intenzione di abbandonarlo. Ma, alla fine, prevalse il buonsenso: seppur odiandosi, le accarezzò le dita intrecciate, girando il capo quanto bastava per lanciarle uno sguardo sfuggente.

<< Non adesso, devo andare alla forgia; e tu devi prepararti per il lavoro >>.

Karin scostò le labbra dall'orecchio, tenendogli comunque le mani sulle spalle ampie << C'è ancora tempo, e poi >> ma si bloccò, rendendosi conto solo in quel momento della frase rivoltale << Aspetta, ma come fai a saperlo? >> domandò, accigliandosi.

<< Le voci corrono molto in fretta: me ne ha parlato il Governatore in persona, ieri sera. Ma avrei preferito esserne già stato informato: detesto rimanere all'oscuro delle novità, specie se queste riguardano le persone a me care e di cui sono responsabile >>.

Anche se parlò con tono di voce monocorde, Karin poté chiaramente percepire un rimprovero, e si morse il labbro inferiore << Hai ragione >> ammise, annuendo lievemente << però ieri sera il metterti al corrente non era propriamente il mio primo pensiero >> sorrise maliziosa, baciandogli la guancia.

<< Gradire saperne di più >>.

Il tono burbero che utilizzò le fece alzare gli occhi al cielo e sospirare internamente, ma l'accontentò << Lavoro dal giocattolaio con Bofur e Bifur >>.

Thorin annuì, forse conoscendo già quel dettaglio << Bene. Temevo fossi sola: non sarei stato tranquillo >>.

<< Perché mai? >> domandò, curiosa << Di cosa avevi paura? >>.

<< La debolezza degli Uomini >> ribatté, cupo.

Karin sbatté le palpebre ed aggrottò la fronte, perplessa << Thorin, so difendermi benissimo, non c'è bisogno di preoccuparsi >>.

<< C'è, invece! >> il nano si girò finalmente tra le sue braccia, guardandola negli occhi << Un Uomo può compiere azioni deplorevoli ben diverse da quelle di Orchi, o Elfi: più vili e subdole, e più crudeli >>.

<< Quindi dovrei barricarmi in casa e non far niente dalla mattina alla sera solo per nascondermi agli Uomini? Hai mai pensato che potrebbero ugualmente raggiungermi quando voi non ci siete? Non è che la porta sia molto resistente >> constatò, alzando un sopracciglio.

Thorin si rabbuiò, contraendo la mascella: gli occhi si spostarono dal suo volto, proiettandosi lungo la camera, guardandola come se volesse incenerirla; il cuore di Karin si strinse di fronte alla sua reazione, così premurosa e carica d'amore come quando erano a Erebor. Ma non sarebbe mai cambiato: rimaneva comunque fin troppo geloso e protettivo.

<< Thorin >> lo chiamò, cercando le parole adatte per calmarlo; al suono della voce pacata la guardò, gli occhi azzurri non più furiosi e irrequieti << Apprezzo moltissimo tu voglia proteggermi, lo sai; certo, mi sembra che il tuo preoccuparti sia eccessivo, ma... >>.

<< Reputi eccessivo il bisogno di voler tenere al sicuro la donna che amo? >> sbottò, infervorandosi.

A Karin mancò qualche battito, per poi sentire il cuore accelerare pericolosamente alla frase: era da così tanto tempo che non lo sentiva dire che l'amava, seppur implicitamente; ma le scaldò il cuore. Tanto. Troppo.

<< No, non lo è >> replicò cauta << Ma se mi avessi lasciato finire di parlare, avrei aggiunto che sarei stata attenta e vicina a Bifur e Bofur: sono validi guerrieri >>.

Capì di non essere riuscita a rabbonirlo del tutto: lo vide stringere i denti, e gli occhi si spostarono ancora da lei.

<< Se non sei del tutto convinto nasconderò un coltello tra le vesti: l'avrei chiesto a Fili, ma gli elfi l'hanno privato del suo prezioso arsenale >>.

<< Preferirei tenerti con me alla forgia, piuttosto che farti portare un coltello in una città pacifica che ci ha ospitati >> commentò, grattandosi il mento.

Rimase in silenzio per lunghi secondi ponderando la sua offerta, mentre lei aspettava trepidante la sua resa; quando espirò di nuovo, le spalle si abbassarono, preannunciando la piccola sconfitta del Re sotto la Montagna.

<< D'accordo, posso accettare la tua proposta >> mormorò stancamente.

<< Grazie. Ora sei più sereno? >> posò le labbra sulla spalla, baciandogliela dolcemente.

Lui si voltò, accarezzandole una guancia; le fronti si accostarono e rimasero a guardarsi negli occhi per alcuni secondi, per poi unire le labbra in un bacio profondo e possessivo che la lasciò senza fiato. La lingua calda e umida di Thorin trovò subito la sua, intrecciandola con ardore; Karin serrò forte gli occhi, gemendo nella sua bocca quando sentì i denti del nano morderle di poco il labbro inferiore, e la barba ispida che le grattava la pelle liscia. Involontariamente, portò le dita ad artigliare una ciocca nera, stringendola quando sentì la mano di Thorin cingerle il fianco.

Col fiato corto si staccò brevemente da lui, perdendosi nell'azzurro delle iridi celanti una profonda delusione << Vai, altrimenti sarò io a non rispondere più delle mie azioni! >>.

Gli era talmente vicina che i respiri brevi e impazienti si confondevano tra loro ma, benché entrambi si fossero avvicinati ancora pericolosamente all'altro dopo la frase, Thorin riuscì a riprendere il controllo di sé, spostandosi di poco; le sorrise ancora, lasciandola col cuore traboccante di felicità: non le sembrava reale. Tutto ciò che era successo in quelle ore le pareva un meraviglioso ed incredibile sogno: quando si era svegliata aveva temuto di trovarsi nella sua stanza, senza la presenza del nano accanto a sé; invece si era dovuta ricredere, con suo enorme sollievo. Era successo davvero, infine: si erano amati. Si erano ritrovati.

Lo osservò infilarsi la camicia e la casacca, in totale silenzio.

Una volta pronto, si avvicinò di nuovo al materasso, sovrastandola con la sua altezza << Passa da me oggi pomeriggio. Ti darò ciò che serve >>.

Karin annuì e lui si abbassò ancora, posandole un dolce bacio sulla fronte; poi se ne andò, lanciandole un'ultima occhiata prima di chiudersi la porta alle spalle. Ora sola, Karin espirò, ributtandosi sul materasso testimone della loro passione, ancora impregnato dei ricordi e degli odori della notte precedente: le venne naturale sorridere, mentre il cuore non faceva che martellarle senza sosta.



Nonostante i molti e dolci pensieri non l'abbandonassero mai, affiancati da un bisogno impellente di fuggire dalla bottega per precipitarsi alla forgia e ripetere ciò che era accaduto quella notte, Karin lavorò alacremente tutto il giorno, cercando di concentrarsi sul lavoro affidatole dal giocattolaio o, in sua assenza, da Bofur; spesso alzava lo sguardo, puntandolo verso la finestra ed il cielo azzurro che si scorgeva.

Quando ricordava di sbattere le palpebre, però, si dava della stupida e, scuotendo la testa, tornava alle sue faccende. Bofur aveva notato quel comportamento, giudicandolo strano. Avrebbe voluto porle qualche domanda, ma poi lasciava perdere: probabilmente si sarebbe seccata e non gli avrebbe risposto, limitandosi a lanciargli un'occhiataccia.

Quel giorno aveva terminato presto di intagliare un cavallo a dondolo, ma non vi era alcun bisogno di decorarlo; così, si era acceso la sua pipa, aspirando ampie boccate e facendo storcere il nano alla ragazza.

<< Bofur, potresti evitare? Non ho ancora fumato da quando sono stata meglio >>.

<< Crisi d'astinenza? >> chiese lui, ridacchiando sotto i baffi.

Karin annuì, guardandolo di sfuggita << Non sai quanto! Devo comprarmene una al più presto. Comunque, è molto poco professionale fumare durante l'orario di lavoro, per di più in bottega >> lo riprese, anche se scorse un leggero sorriso sulle labbra rosee.

<< Ha ragione, mia signora ! >> esclamò, venendo trafitto da uno sguardo gelido << Vorrà dire che me ne andrò fuori >> detto questo di alzò, uscendo dalla porta del retrobottega.

Karin non fece in tempo a sentirsi sollevata per la solitudine che il campanello trillò, e sentì dei passi fermarsi; lasciò da parte il lavoro e andò in negozio, trovandovi una giovane donna dai lunghi capelli castani e grandi occhi verdi: non vi erano dubbi nei lineamenti, pareva la versione più adulta della piccola Alhena.

Si squadrarono brevemente, la nana con un sorriso appena accennato in volto, l'altra parecchio perplessa e stupita nel trovarsela di fronte; ma, infine, accennò la medesima espressione, avvicinandosi a lei.

<< Perdonatemi, mia signora: sono venuta a pagarvi il lavoro per la bambola di mia figlia >> esordì, abbassando il capo; frugò tra le pieghe del vestito, probabilmente alla ricerca del piccolo gruzzolo: e infatti lo trovò, accuratamente avvolto in un sacchetto di velluto grezzo.

<< Non ce n'era bisogno, davvero! >> replicò Karin, con un secco cenno del capo << Mi ha fatto piacere poter aiutare Alhena: dopotutto, era un piccolo strappo, un lavoro da nulla >> tentò di dissuaderla, ma la donna non si scoraggiò, allungandole quasi fin sotto il naso il sacchetto tintinnante.

<< Vi prego, accettatele: non mi sentirei tranquilla sapendo che vi debbo dei soldi >>.

Il tono ammetteva davvero pochissime repliche, perciò Karin si ritrovò a sospirare, capendo che il volerla farla desistere era una battaglia persa.

<< D'accordo, se insistete >> disse, sconsolata: le dita si strinsero al sacchettino e, per un breve attimo, si sfiorarono con quelle dell'umana.

Girandosi per appoggiarlo sul bancone di legno, Karin percepì le continue occhiate curiose della donna, che mai l'abbandonavano: iniziò a spazientirsi, ma rimase in silenzio e perfettamente composta, aspettando che se ne andasse; ma non accadde.

<< Sapete, in giro non si parla d'altro che di voi: è raro poter vedere una donna dei nani >> il tono risultò quasi indifferente, ma si poteva distinguere bene una nota d'eccitazione: ella sapeva perfettamente d'essere la prima e l'unica abitante di Esgaroth ad essere riuscita a parlarle. E questo, in qualche modo, la riempiva di orgoglio.

<< Di solito cerco di evitare di mostrarmi troppo >> commentò Karin, alzando le spalle << Un accorgimento tipico delle femmine naniche >>.

L'altra annuì, come se fosse già a conoscenza del fatto << Ho sentito che i nani sono molto gelosi delle loro donne: deduco quindi che siate sposata o, comunque, fidanzata >>.

Karin si concesse un lieve sorriso mesto << No, affatto >>.

<< Non siete nemmeno legata a qualcuno della Compagnia? Oh, perdonatemi! La mia era una domanda inopportuna! >> si affrettò a scusarsi, notando lo sguardo della nana, a suo dire molto scocciato dalla frase: al contrario, dopo lo stupore iniziale, Karin aveva accennato una espressione divertita << E' che... vi invidio molto. Siete libera di viaggiare lungo la Terra di Mezzo >> esalò lievemente.

Karin drizzò le spalle, guardandola con le sopracciglia alzate: oh, se solo avesse saputo a che prezzo aveva pagato la sua libertà!

<< Preferireste abbandonare la vostra famiglia, girovagando lungo lande sperdute e desolate con scarso cibo, senza riparo ed inseguita dagli Orchi? >> domandò, ben scettica sulla prospettiva della donna; quella, come previsto, sgranò gli occhi chiari, incredula: cosa si aspettava, la sua benedizione? Credeva sul serio si trattasse di una semplice scampagnata?

<< Orchi? >> domandò, preoccupata.

<< Già. Non siamo proprio ben amati: poco prima di giungere qui eravamo prigionieri degli Elfi Silvani di Bosco Atro. La nostra non è propriamente una passeggiata di piacere >> replicò duramente, di fronte a quello sbigottimento innaturale e infantile, tipico della gente spensierata che viveva sotto una campana di vetro: per certi aspetti le ricordò molto la vecchia Karin, la figlia del Consigliere e l'abitante di Erebor.

<< Ma se desiderate tanto viaggiare e visitare altri luoghi, perché non informate vostro marito? Certo, in queste zone non vi sono altre città, tranne le Montagne dei Nani, ed essi sono fin troppo gelosi dei loro luoghi: vi toccherebbe percorrere molte leghe >> constatò, attorcigliandosi una ciocca tra le dita.

L'altra l'ascoltò pensierosa, scuotendo poi la testa << Mio marito non può lasciare il lavoro alla forgia. E poi, tra pochissimo nascerà il nostro secondo figlio >> si toccò il ventre, facendole notare solo allora la rotondità che si celava sotto lo strato della veste.

<< Congratulazioni! >> esclamò Karin, rivolgendole un gran sorriso.

Che l'altra faticò a riportare << Spero tanto sia un bel maschietto; quando nacque Alhena, Renal ne fu felicissimo, ma so che desidera un bambino >> gli occhi, persi in un punto indefinito del pavimento di legno si spostarono, come a ricordarle che vi era un'estranea di fronte a lei << Oh, vi chiedo perdono, mia signora! Avrete di certo faccende ben più importanti a cui pensare, che ascoltarmi >>.

<< Nessun disturbo, anzi! >> dichiarò Karin, sorridente << Se lo volete, potete venire a farmi visita ogni giorno, alla stessa ora: devo confessarvi che mi mancava terribilmente dialogare con una donna! Sapete, tutti quei maschi... >> lasciò la frase in sospeso, facendole intuire quanto potesse essere stata dura da sopportare.

Ridacchiarono entrambe, poi l'altra annuì << Mi farebbe molto piacere, ne sarei onorata. Vi ringrazio >>.

<< Non c'è di che. Anzi, dovete perdonarmi perché non mi sono presentata ufficialmente: Karin >> le tese la mano destra, alla quale si aggiunse immediatamente la sua.

<< Eliese >>.

Scambiarono ancora qualche battuta e poi si salutarono, tornando alle rispettive mansioni: Karin si sentì inaspettatamente felice di fronte a quell'inizio di amicizia; certo, non avrebbe potuto conoscere una donna così... diversa da lei, opposta nel carattere. Ma ne fu contenta: come le aveva confidato, si era sentita incompleta, mancandole una presenza femminile al fianco per molti anni; precisamente da quando Dis se n'era andata.

Si rabbuiò, mentre la mente la riportava ad annegare nel passato, ancora una volta: ma, per fortuna, non vi erano più i pensieri dolorosi riguardanti Thorin. Con lui si era risolta ogni questione.


Eliese tornò a farle visita nel pomeriggio e, dato che Karin era era riuscita a portarsi a buon punto col lavoro, chiacchierarono a lungo, conoscendosi reciprocamente: la prese subito in simpatia e, da quel che ne dedusse durante lo scambio di opinioni, non era propriamente una ragazza circondata da amiche con cui parlare, e di questo se ne dispiacque perché, tutto sommato, era davvero una brava persona – seppur con la testa perennemente tra le nuvole; purtroppo però dovette congedarsi verso sera, ricordandosi dell'impegno preso con Thorin.

Percorsero un breve tratto di strada insieme, passeggiando lentamente data la condizione della donna, per poi separarsi: ella si diresse verso la propria abitazione, mentre Karin si camminò lungo il pontile che conduceva alla forgia.

Sembrò quasi che l'aria si surriscaldasse man mano si avvicinava: le orecchie vennero raggiunte dal suono martellante e dai colpi tonanti dei martelli sull'acciaio, i piedi si mossero più veloci, nel tentativo di raggiungere in fretta la soglia.

Di raggiungere Thorin.

Finalmente arrivò, arrestandosi di botto: era passato così tanto tempo dall'ultima volta in cui aveva messo piede in una fucina, che ricordava a stento la calura presente.

Fece vagare lo sguardo all'interno, scorgendo Kili e Fili in un angolo, intenti ad immergere utensili roventi nell'acqua, creando schizzi e sbuffi: non si accorsero di lei poiché le mostravano le ampie schiene nude e sudate, mentre il costante martellare avrebbe potuto coprire facilmente ogni suono, ogni richiamo; fece saettare gli occhi verso la fonte del rumore, trovandolo: in un angolo remoto della bottega stava Thorin, oltremodo concentrato nel suo lavoro.

Al contrario dei nipoti non le dava le spalle, permettendole così una visuale del volto serio e sporco di fuliggine nera, grazie alla quale i suoi occhi azzurri risaltavano come gemme preziose; i capelli neri erano raccolti mollemente in una coda, dalla quale le due treccine ai lati della testa erano riuscite a sfuggire. Il torso nudo pareva brillare, dato il sudore che percorreva la pelle e le fiammelle vivide dei bracieri presenti nella stanza; i pettorali si tendevano, ogni suo muscolo guizzava, animato di vita propria, specialmente quando faceva calare il grosso martello sulla lama incandescente - posta sopra l'incudine - e poi lo rialzava fin quasi sopra la testa, abbattendolo ancora a cadenza regolare.

Non fece caso al fiato che le mancò di fronte alla sua vista, ma permise ad un sorriso di incresparle le labbra quando, con un moto d'orgoglio che le infiammò le vene, si rese conto del forte sentimento provato nei suoi confronti: il fiero, autoritario e orgoglioso Re dei Nani era suo.

Thorin era suo, e suo soltanto.

Incrociò le braccia al petto e si morse il labbro inferiore, contrastando l'impulso di corrergli incontro: si erano accordati di comportarsi normalmente, come se nulla fosse accaduto; impresa piuttosto ardua, dal momento che, in casa, i loro occhi non facevano che cercarsi senza sosta.

Thorin smise di picchiare, abbandonando il martello sul tavolo e passandosi un braccio sulla fronte sudata; casualmente alzò lo sguardo, accorgendosi subito della sua presenza, così fuori tono nella fucina: le lanciò un'occhiata, le iridi azzurre brillarono così intensamente da farle salire un calore inaudito dal basso ventre al petto.

<< Karin, che sorpresa! >> esclamò Fili, venendole incontro: non avendo più sentito i colpi tonanti, infatti, i fratelli avevano spostato la loro attenzione verso il punto in cui guardava lo zio, scorgendo la figura familiare della ragazza, appoggiata allo stipite della porta con una espressione strana sul bel volto.

<< Ragazzi >> li salutò, non appena furono abbastanza vicini.

<< Come mai da queste parti? >> volle sapere Kili, cercando di passarle un braccio sporco e sudato sulle spalle, gesto prontamente schivato.

<< Le ho detto io di venire >> intervenne Thorin, pulendosi le mani su uno straccio già lercio; mantenne un'espressione e un tono di voce neutri, nonostante lo sguardo tutt'altro calmo dei nipoti, che sgranarono gli occhi di fronte alla confessione.

Allibiti, spostarono il capo verso di lei, che annuì solamente senza dire nulla.

<< Oh >> fu tutto ciò che riuscì a dire Kili, compiendo un passo indietro dalla ragazza: improvvisamente gli era parso totalmente sbagliato aver provato ad abbracciarla, o comunque attirarla a sé.

Impacciato e silenzioso scoccò un'occhiata al fratello, in disagio quanto lui, seppur più contenuto: alzò brevemente le spalle, cercando una qualche scusa per lasciarli soli; ma non ce ne fu bisogno.

Dalla porta sul retro emerse un uomo alto e muscoloso, piuttosto giovane e attraente; Karin lo squadrò mentre lui fece altrettanto, avvicinandosi al gruppetto.

<< Mia signora >> salutò con lieve inchino, a cui lei rispose subito << Renal, al vostro servizio >> pronunciò, lasciando che alcune ciocche castano scuro gli coprissero gli occhi.

<< Karin, al vostro >>.

Annuì come se sapesse ogni dettaglio, per poi rivolgersi ai giovani Durin << Ragazzi, avrei bisogno del vostro aiuto giù al molo. Se per voi va bene, mio signore >> aggiunse, guardando Thorin.

Lui annuì, e Karin poté sentire chiaramente i fratelli sospirare sollevati << Naturalmente >> concesse.

<< A più tardi >> li salutò lei, con un cenno della mano; i due la guardarono, sorridendole leggermente e poi seguirono l'uomo fuori, lasciandoli soli.

Con un unico e fluido movimento si girò di scatto, portando una mano alla nuca del nano per attirarlo a sé in un bacio a dir poco appassionato: le dita strinsero convulsamente la coda, sfilandogli l'elastico con movimenti decisi. Invase con prepotenza la sua bocca, sentendolo gemere dapprima sorpreso, seguito da un basso ringhio di piacere; il calore della fucina e del suo corpo le mozzò il respiro già corto, soprattutto quando venne imprigionata dalle braccia forti e solide del nano.

Non si curò del torace sudato premuto contro il suo vestito, delle mani sudice tra i suoi capelli o della barba ispida che puzzava di fumo; ciò che contava era sentirlo aderire a lei con furia, annegare nelle sue labbra e nel desiderio crescente: si strinse ancora più a lui, aggrappandosi alle spalle nude e scivolose, mentre la sua presa sui fianchi diventava prepotentemente serrata, tanto da farle male.

Mugugnò ma non si fermò, preda d'una eccitazione senza limiti: aveva atteso questo momento per tutta la giornata, tenendo a freno la necessità di incamminarsi verso la fucina per dare sfogo alla sua lussuria.

Alla loro passione.

Sentì il volto di Thorin scivolarle dalle sue mani, le labbra si staccarono appena; con fastidio aprì gli occhi, notando quelli dell'altro già aperti, intenti a scrutarla attentamente ma increduli in profondità.

<< Karin, non è il momento >> si costrinse a dire, cercando di risultare determinato nonostante il tono di voce tradisse l'esatto opposto << qualcuno potrebbe entrare >>.

Lei piegò la bocca in un ghigno malizioso, percorrendo con un dito i pettorali e scendendo giù, sugli addominali: lo sentì inspirare leggermente, poi alzò lo sguardo ad incontrare il suo, avvicinandosi ancora alle labbra.

<< Che guardino >>.

Stavolta non ebbe bisogno di chiedere alcun permesso, poiché le labbra di Thorin erano già schiuse, pronte ad accoglierla: il bacio divenne passionale e languido fin da subito, ogni gesto bruciava sulle loro pelli, riuscendo ad oltrepassare il tessuto dei vestiti; i respiri divennero ansimanti e brevi, la temperatura della bottega sembrò aumentare vertiginosamente, dando loro alla testa.

Capitava raramente di vedere Karin così audace e assennata, ma non gli dispiaceva, tutt'altro; era da un bel po' di tempo che non si comportava in quel modo.

Senza rendersene conto la condusse al primo tavolo, facendole battere la parte bassa della schiena contro il legno: con una mano le cinse la vita, mentre l'altra la portò al piano, artigliandolo con forza; continuò a baciarla come se da questo dipendesse la sua stessa vita, percependo la costrizione dei pantaloni farsi tremendamente fastidiosa, specialmente quando sentì la mano di Karin abbassarsi sempre più verso la stoffa delle braghe.

Non credendoci, fece saettare la mano verso la sua, bloccandogliela prima che potesse sciogliere i lacci: la sentì staccarsi e, aprendo nuovamente gli occhi, la vide guardarlo con la fronte aggrottata, stupita dell'interruzione.

Le accarezzò una guancia e, al contatto, lei abbassò le palpebre assaporandolo appieno; sospirò appena, talmente piano che Thorin credette d'aver udito male.

Quando i pozzi neri si riaprirono sbatté un attimo le palpebre, tornando in sé: le guance si tinsero un po' di rosa al ricordo della smania che l'aveva stretta ma, nonostante ciò, si leccò il labbro inferiore in un gesto meravigliosamente erotico e inebriante che ebbe quasi il potere di distoglierlo dai suoi propositi.

Quasi.

Anche Karin alzò una mano ad accarezzargli la guancia, muovendo lentamente il pollice lungo la barba, sfiorandogli le labbra: Thorin non le fu mai così grato, benedicendo il tocco delicato dopo tante ore di duro e faticoso lavoro.

<< Mi sei mancato >> gli sussurrò semplicemente.

Thorin la guardò, esprimendo con lo sguardo ciò che non avrebbe ammesso a parole; Valar, se le era mancata! Il suo pensiero non l'aveva lasciato nemmeno un attimo, facendolo ardere di rabbia per non poterla raggiungere e di incessante bramosia non appena ripensava alla notte trascorsa, e alle molte altre che avrebbero passato insieme: l'averla stretta l'aveva ripagato dell'attesa, concedendogli un breve premio per la pazienza, un delicato e sensuale trofeo che unicamente lui aveva il privilegio di reclamare.

<< Vieni >> la prese per mano, conducendola alla sua postazione, dove campeggiava un pugnale dalla lama sottile e perfettamente affilata; Karin lo osservò ammirata, sfiorando la guardia ricurva verso l'interno e la manicatura d'acciaio nera, terminante in un pomolo semicircolare: lo impugnò, constatandone la leggerezza.

<< Come lo senti? >>.

<< Bene >> rispose seria << Si adatta perfettamente alla mano, ed è molto leggero >>.

Lo mosse in avanti, facendo ruotare il polso per accompagnare il movimento, il tutto sotto lo sguardo attento e vigile di Thorin, impegnato ad osservare le sue espressioni soddisfatte.

<< Ricorda la consistenza di Iris >> mormorò lei, lanciandogli un breve sguardo.

Thorin annuì piano, d'accordo << Ho cercato di renderlo il più possibile somigliante alla spada: spero d'essermi ricordato bene >>.

<< Altroché! >> ammise lei, rivolgendogli un ampio sorriso; poi, veloce com'era arrivato, si spense << E' proprio necessario? >> domandò ancora una volta, sperando di fargli cambiare idea.

Il re, però, fu irremovibile << Ne abbiamo già discusso, mi sembra. Per la tua incolumità è meglio così >> ribatté, non facendo caso al profondo sbuffo spazientito della ragazza.

<< Secondo me esageri >> protestò debolmente, portando le mani sui fianchi.

<< Può darsi >> disse, cercando di non sbottare in una risata di fronte allo sguardo imbronciato di Karin << O forse no, chi può dirlo: di certo non voglio scoprirlo. Mi sentirei sollevato sapendoti armata; non potrò sempre proteggerti, Karin >>.

Lei aprì la bocca per ribattere che sapeva cavarsela egregiamente da sola, visto che ci era riuscita per molti anni durante l'esilio, ma si trattenne: proprio ora che ogni faccenda si era sistemata, il rivangare il passato non aiutava di certo; sarebbe stata una vera carognata ricordargli la decisione nefasta.

<< Ti prego, non discuterne ancora. Lascia almeno che il pensiero dell'arma mi tranquillizzi >>.

Il tono di Thorin la fece tacere del tutto; sospirò, passandosi una mano tra i capelli, scompigliandoli un poco << Occupo così tanto la tua mente da non lasciarti pace? >> la sua era una domanda retorica, poiché sapeva perfettamente quanto fosse vera, in realtà: eppure era sempre incredula di fronte a questa consapevolezza.

Lui le si avvicinò di un passo: i corpi si sfiorarono nuovamente, così come i loro volti, pericolosamente vicini << Esattamente >> bisbigliò roco, ad un soffio dalle sue labbra rosee << perciò fa' come ti dico >> ordinò, allontanandosi mentre lei cercava di baciarlo.

Karin si ritrovò ad annuire, maledicendo poi la sua profonda volubilità; assottigliò lo sguardo di fronte all'evidente compiacimento del nano, soddisfatto d'essere riuscito nell'impresa: lui aveva ordinato, lei aveva obbedito.

Come doveva essere.

Come, in realtà, non era mai.

Borbottando, cercò la piega della tasca nascosta che aveva creato appositamente durante la mattina, trovandola quasi subito: infatti, l'aveva posta in un punto facilmente raggiungibile, che non sarebbe stato d'impiccio se si fosse trovata in difficoltà.

Poi lanciò a Thorin uno sguardo di sfida, alzando le sopracciglia.

<< Contento? >> chiese, ironica.

Thorin evitò di roteare gli occhi di fronte alla sua caparbietà, annuendo solamente << Non sai quanto >> replicò con lo stesso tono, incrociando le braccia al petto muscoloso.

Si squadrarono ancora ma poi Karin spostò la testa altrove: Renal era entrato di fretta, agitato come non mai.

Aveva spalancato la porta con così tanta foga da farli sobbalzare e ringraziare internamente per essersi bloccati poco prima e non essere andati oltre, come avrebbero voluto.

Gli occhi erano febbrili e preoccupati, tremendamente agitati: saettarono prima verso Thorin e poi si spostarono rapidi verso il volto di Karin.

<< Mi... mia signora, presto! >> urlò, respirando affannosamente.

Karin guardò Thorin, nervosa, ma poi si concentrò sull'uomo, che tentava di prendere fiato dopo la lunga corsa.

<< Mia moglie! Sta per partorire, e chiede... chiede di voi! Per favore, venite!!! >>.

La ragazza sentì le labbra schiudersi dalla sorpresa, e gli occhi si sgranarono disorientati.

Oh, Valar!

Rimase ferma, mentre brividi di gelo le scendevano lungo la schiena, ben diversi da quelli provati minuti prima; forse aveva capito male, Renal non poteva averle detto...

<< Mia signora, vi prego! >> continuò ad urlare l'altro, scioccato e disperato << Mia moglie...! >>.

<< Facci strada! >> ordinò perentorio Thorin, prendendo in mano le redini della situazione; aver acconsentito sembrò placare in parte il fabbro che, ora più rincuorato, annuì solamente, pallido in volto e sudato.

Nel frattempo, il nano aveva stretto il braccio a Karin - che non aveva ancora proferito parola – stringendoglielo piano per farla tornare padrona di sé: gesto alquanto vano, vista la paura folle che le aveva afferrato la bocca dello stomaco.

Era nel panico, totalmente e completamente sconvolta; gli bastò uno sguardo per capirlo, unito al tremore incessante del corpo.

Ma non si fece impressionare, portandola fuori alla luce della luna e delle lanterne accese: seguirono l'uomo lungo pontili nascosti, inoltrandosi nella città sull'acqua; sembrò loro di non raggiungere mai la casa, e questo diede l'opportunità a Thorin di porre alcune domande alla ragazza.

<< Come conosci sua moglie? >>.

Karin impiegò qualche secondo ad assimilare la frase, biascicando una risposta sconnessa << E' venuta... oggi, a pagare per la bambola... quella della figlia! Abbiamo parlato per ore, l'avevo presa in simpatia, diceva... diceva anche che ero l'unica sua... amica >> fece una smorfia, anche se le sembrò ingiusto << ma non sapevo che... partorire adesso, io... oh, Thorin! >> gemette, quasi sul punto di scoppiare a piangere: evidentemente non sapeva né come né dove sbattere la testa.

Finalmente, Renal si fermò, aspettandoli sull'uscio finché non gli si affiancarono: solo allora aprì la porta, entrando nella piccola sala da pranzo; su una sedia a dondolo vi era Alhena, che stringeva la stessa bambola di quel giorno: non appena li vide saltò in piedi, correndo incontro al genitore con gli occhi colmi di lacrime.

<< Tesoro, la nutrice è arrivata? >> volle sapere Renal, preoccupato.

La bambina, fortunatamente, annuì, sollevando il morale del gruppo.

<< Torno subito! >> disse l'uomo, per poi precipitarsi al piano superiore, saltando alcuni gradini nella corsa; ora soli, e vedendo la piccola piangere, Karin sembrò riscuotersi. Con immensa gioia di Thorin.

Si abbassò quel poco che le permise di guardarla negli occhi, e l'attirò a sé in un abbraccio consolatorio, cercando di mostrarsi più sicura di quello che in realtà non era << Su, Alhena, va tutto bene: non sei felice? Sta per arrivare un fratellino, o una sorellina >>.

<< Ma la mamma non fa che urlare! >> singhiozzò, artigliando il vestito di Karin con le piccole mani chiuse a pugno << Continua a dire che è troppo presto! >>.

Karin alzò lo sguardo verso Thorin, leggendovi un leggero allarme: lo stesso che provava lei. Non erano buone notizie.

Deglutì, anche se la gola era maledettamente secca; accarezzò i lunghi capelli castani della bambina, venendo folgorata da un'idea; si costrinse a sorridere e a mostrarsi allegra, cercando con gli occhi quelli del nano, volendo esporgli il piano.

<< Non temere, sono certa che non è nulla di preoccupante! E poi c'è anche la nutrice, e lei sa come comportarsi, di sicuro! >> non aggiunse “al contrario di me”: non serviva agitarla ulteriormente.

<< Senti un po', perché non vai a chiamare il tuo papà? Devo chiedergli una cosa >>.

Alhena annuì, cercando di asciugarsi i segni del pianto; fece una smorfia in risposta al sorriso rassicurante di Karin e, pian piano, salì le scale.

<< Non può rimanere qui >> constatò Thorin, senza staccare gli occhi di dosso dalla figura tormentata della nana; lei annuì, lieta che avesse compreso il problema.

E vi era solo una soluzione, sempre che non venisse smentita dal padre.

Karin si strinse nelle spalle e incurvò la schiena, tornando spaventata come prima: le si avvicinò e l'abbracciò, cercando di consolarla e calmarla. Le accarezzò i lunghi capelli ribelli, sapendo che il gesto l'avrebbe aiutata a sentirsi meglio; infatti, dopo poco, la sentì sospirare affranta.

<< Thorin? >> chiamò, la voce attutita dal tessuto della casacca marrone contro la sua bocca.

<< Mmh?! Dimmi >> rispose, posandole un bacio sul capo.

<< Non credo di farcela! Io... non ho mai assistito ad un parto, non ho idea di cosa bisogna fare! Pagherei oro per avere un orchetto tra le mani, o un mannaro da squartare con Iris! Io... io... >> balbettò, impacciata.

Thorin trattenne una leggera risata, ascoltandola: di certo non avrebbe mai dubitato della veridicità delle sue parole; conoscendola, era sicuro che avrebbe preferito rischiare la vita con l'amata spada in pugno piuttosto che su un letto ad assistere una donna gravida.

Per questo, e per molte altre cose, l'amava così tanto.

Portò l'indice sotto il suo mento, alzandole il volto finché gli occhi impauriti non si incatenarono ai suoi; aveva la fronte aggrottata e si mordeva il labbro, chiari segni di nervosismo.

<< Sono certo che ce la farai; hai affrontato situazioni ben peggiori >> disse, cercando invano di farle ritrovare la sua sicurezza.

<< Che rifarei immediatamente >> esclamò agitata, spostando lo sguardo dal suo viso.

<< Guardami, Karin >> ordinò, stringendole di poco il mento << ora tranquillizzati o non aiuterai nessuno, benché meno te stessa >> dichiarò, con voce più dura di quel che avrebbe voluto; ma, se non fosse riuscito a smuoverla, avrebbe perseverato.

Lei espirò a fondo senza mai staccare gli occhi dai suoi, cercando di trarne la forza necessaria per affrontare quelle lunghe ore: annuì, girandosi e sciogliendosi dalla presa di Thorin quando rumori di passi affrettati raggiunsero le sue orecchie; Alhena stava scendendo, accompagnata dal padre.

<< Renal >> chiamò lei, il tono ora più sicuro e non più tremante, che rese Thorin orgoglioso << avete altri parenti a cui poter affidare Alhena? Non le fa bene rimanere qui >>.

Ma l'uomo scosse la testa << No, purtroppo >>.

<< Lo immaginavo. Allora permettici di accompagnarla dai nostri compagni >> si bloccò, poiché Alhena iniziò a piangere ancora, aggrappandosi al genitore

<< No papà, voglio rimanere qui! Per favore! >> piagnucolò.

Karin le mise una mano sulla spalla, cercando di confortarla << Non devi avere paura, ti tratteranno splendidamente! Sono molto simpatici, specialmente il signor Baggins; è uno hobbit, una razza diversa da tutte le altre, molto educato e gentile! Scommetto che ti divertirai molto, invece >>.

La bambina smise di piangere, sgranando gli occhi verdi quando sentì nominare Bilbo: Karin seppe d'aver fatto leva sulla sua curiosità, ma la piccola non era ancora del tutto convinta; lanciò una rapida occhiata all'imponente e severa figura di Thorin, per poi tirarle la manica e farle cenno di allontanarsi e abbassarsi un poco, così che potesse parlarle all'orecchio.

<< Non voglio andare con lui, mi fa paura >> sussurrò, facendola sorridere.

<< Non devi preoccuparti, non ti farà del male: lui è il capo della nostra Compagnia, nonché Re dei Nani di Erebor. Ti proteggerà, trattandoti come una principessa >> la vide sgranare gli occhi, felice della notizia.

Questo sembrò smuoverla e, decisa, annuì, avvicinandosi a Thorin.

Renal la guardò spaesato – poiché non aveva colto il dialogo - ma intervenne il nano << La scorterò personalmente, non temere: i nostri compagni sono nani validi, ai quali affiderei la mia stessa vita >>.

Le parole ebbero il potere di riscuoterlo << D'accordo, vi ringrazio >> chinò il capo, mentre dal piano superiore un urlo li fece spaventare.

<< Sarà meglio che vada >> dichiarò Karin, girandosi a lanciare uno sguardo d'intesa verso Thorin.

Nella confusione che ne seguì, il nano riuscì a bisbigliarle che sarebbe tornato immediatamente, subito dopo aver portato Alhena a casa.

Lei annuì, per poi schizzare rapida su per le scale; ora soli, Renal si concesse un momento con la figlia, raccomandandole di comportarsi bene ed essere educata; poi si passò una mano tra i capelli, seguendola con lo sguardo finché non sparì dietro a Thorin.

Sarà una lunga nottata” pensò, dopo aver tremato al suono dell'ennesimo urlo.



Alhena non era pratica su come venisse trattata una principessa, ma di certo non con quella freddezza e lieve distacco che mostrava il re; non aveva fiatato per buona parte del viaggio, costringendola a porre domande alle quali giungeva una risposta secca o un cenno del capo. Strinse ancora di più la sua bambola – Karin – cercando un po' di conforto e, inevitabilmente, ripensò alle condizioni della madre e a ciò che le aveva detto la nana; eppure non poté fare a meno d'arricciare il naso di fronte alla paura che provava.

<< La mamma morirà? >> sussurrò nella notte frizzante e silenziosa.

Thorin, che le camminava al fianco, abbassò lo sguardo sul suo capo << No, non accadrà: di lei se ne stanno occupando la nutrice e Karin. È solo un parto, nulla di più >> decretò, svoltando lungo un pontile.

Alhena si sentì leggermente meglio, ma vi era una domanda che continuava a premerle nella mente, una di quelle che non ti abbandona finché non la poni.

<< Tu sai da dove è venuto il fratellino? Mamma e papà non mi hanno mai risposto! >>.

Il tono innocente con cui lo chiese sconvolse Thorin più di ogni altra cosa: si sentì tremendamente in imbarazzo, riuscendo a celarlo alla perfezione dietro la solita maschera glaciale e autoritaria; per Durin, che avrebbe potuto risponderle?

<< Te lo spiegheranno i tuoi genitori a tempo debito >> replicò, evitando di guardarla; la sentì sospirare, mentre il silenzio tornava ad avvolgerli.

Mantenendosi per poco.

<< Karin ha dei bambini? >> domandò, alzando la testa verso di lui.

<< No >>.

<< E perché? >>.

Thorin si fermò, le mani strette a pugno e gli occhi ridotti a fessure; si stava spazientendo e arrabbiando ed Alhena pensò che, forse, era stata decisamente inopportuna: anche se non ne capì il motivo.

Deglutì e abbassò la testa, rimanendo zitta ed aspettando che riprendesse a camminare per seguirlo a sua volta, lasciando qualche passo a dividerli.

Nel frattempo, Thorin cercava di munirsi di tutto l'autocontrollo possibile; quella ragazzina non poteva sapere ciò che avevano passato, quali ostacoli insormontabili si erano frapposti alla loro felicità e, ora che erano finalmente riusciti a superarli, non erano del tutto liberi: Erebor lo chiamava insistentemente da quando erano giunti ad Esgaroth, e non avrebbe avuto pace finché Smaug fosse rimasto in vita e lui avesse recuperato il suo tesoro. Fintantoché non si fosse seduto sul trono appartenuto a suo nonno.

Benedì il momento in cui scorse la casa a due piani e le luci che provenivano dall'interno: si fermò sulla soglia, attendendo che gli si affiancasse per bussare e, quasi immediatamente, la porta si aprì rivelando la faccia preoccupata di Bilbo.

<< Oh, finalmente! >> esclamò, guardandolo << Stavamo per venire a cercarvi! >>.

<< Non occorreva >> commentò asciutto Thorin, alzando le sopracciglia di fronte alla sua immobilità.

Bilbo si spostò per farlo entrare e fu allora che scorse la bambina, impegnata a squadrarlo dalla testa riccioluta ai piedi pelosi – e fu lì che sbarrò gli occhi, incredula.

Le sorrise brevemente, a disagio, per poi presentarsi << Benvenuta! Bilbo Baggins, al tuo servizio! >>.

La ragazzina, nonostante la curiosità e le parole amichevoli si intimidì, nascondendosi dietro Thorin quando gli altri nani, sentendo la voce profonda del loro re, raggiunsero l'atrio: rimasero ben stupiti nel vederla, ma il re spiegò la situazione, presentandola; tutti fecero grandi inchini e le rivolsero i loro più cordiali sorrisi o, nel caso di Dwalin, l'occhiata meno truce che riuscì a produrre.

Bofur si fece immediatamente avanti, agitando il cappello per salutarla: Alhena si tranquillizzò nel vederlo e fece un gran sorriso, specialmente quando il giocattolaio le posò il proprio cappello sulla testa; l'atmosfera si rasserenò e in un batter d'occhio la piccola Alhena si trovò circondata dai nani, che l'accompagnarono in sala con gran schiamazzi e risate.

Solo Dwalin e Balin rimasero lì, attendendo che Thorin parlasse << Se la piccola dovesse addormentarsi, portatela nella stanza di Karin: io ora torno da lei >>.

<< Come stava? >> chiese Balin, con la fronte leggermente aggrottata.

<< Meglio, anche se ancora scossa: probabilmente ora sarà terrorizzata >>.

<< Oh bé, un piccolo inconveniente ci voleva: eravamo fin troppo tranquilli per i miei gusti! E fai bene ad andare da lei, ragazzo >> asserì il vecchio nano senza nascondere un sorriso soddisfatto << poter vedere qualcuno di familiare dopo un'esperienza del genere conforta molto >>.

Thorin annuì, lanciando un'occhiata a Dwalin, perennemente impassibile.

Sospirò, passandosi una mano sul volto stanco che desiderava solo una carezza da Karin; ma quella sarebbe stata una lunga notte, e doveva essere più lucido e sveglio che mai, almeno per lei.

<< A più tardi, dunque >>.

<< A dopo. O a domani mattina >> salutò Balin, con un gran sorriso.

Thorin fece un cenno col capo a Dwalin – che ricambiò – per poi chiudersi la porta alle spalle e percorrere la stessa strada di prima, venendo inghiottito dall'oscurità.


<< Hai mangiato? >> domandò Bilbo ad Alhena, sorridendole apertamente.

Lei negò col capo, troppo intimidita da tutti quegli estranei per parlare: erano ben diversi dal taciturno e scontroso Thorin che, bene o male, le ispirava un forte senso di protezione e sicurezza; ed erano anche molto lontani dalla figura di Karin: essendo una femmina, era molto più facile per lei capirla e prenderla subito in simpatia.

<< Vieni in cucina: ci troveremo sicuramente Bombur che si ingozza! >> proruppe Bofur, prendendola per mano << E Bilbo ti preparerà qualcosa di molto buono, sicuro! Vero Bilbo? >>.

<< Altroché! >> esclamò lo hobbit.

Si mise immediatamente all'opera, dopo aver scacciato malamente Bombur che, come previsto dal fratello, era impegnato nello spuntino serale; una volta che il tutto fu pronto e servito a tavola, sotto lo sguardo affamato e sbalordito dell'ospite, finalmente lei parlò.

<< Ma... è tutto per me? >>.

<< Dèi celesti! >> esclamò Bilbo, contento e stupito insieme << Certo che sì! >>.

Rimasero a guardarla mentre ingoiava tutto di gusto e, tra un boccone e l'altro, parlava senza sosta << Karin aveva ragione quando diceva che eri un bravo hobbit, e gentile >> disse, pulendosi la bocca con un tovagliolo; fece un timido sorriso, ricambiato.

<< Oh, grazie. Sei molto educata >>.

<< Ehi, abbiamo un'ospite? >> la voce di Fili li raggiunse e, poco dopo, la sua figura entrò nel campo visivo della bambina, facendole sgranare gli occhi verdi. Lo guardò talmente tanto e intensamente che il nano si accigliò, iniziando ad imbarazzarsi.

<< Sì, è una piccola amica di Karin >> disse Bombur, finendo di masticare un pezzo di formaggio.

<< E' la figlia di Renal >> dichiarò Kili, stravaccato sulla sua sedia; si sporse verso Ori, intento a scrivere sul suo diario di viaggio e, rapido come un fulmine, riuscì a strapparglielo dalle mani e a lanciarlo verso il fratello che, stupito, riuscì comunque ad afferrarlo, mentre le proteste del giovane nano vennero prontamente coperte dalle risate del minore Durin.

Fili lo sfogliò, strabuzzando gli occhi e scoppiando in una grassa risata quando lesse le rune; Bofur e Kili si alzarono e si avvicinarono, incuriositi, seguendo subito l'esempio del nipote maggiore. Bilbo e Bombur alzarono un sopracciglio, mentre Ori divenne della stessa tonalità di un pomodoro.

<< Ecco spiegato perché non chiedevi quasi mai a Bilbo di portare dei messaggi, là nelle segrete degli Elfi! >>.

<< Giuro, se non l'avessi letto non ci avrei mai creduto! Hai capito Ori... >>.

<< Ragazzi, per favore >> gemette l'interessato << Ridatemelo >>.

<< Ma neanche per sogno! Questo ce lo vogliamo leggere tutto: magari contiene qualche altra sorpresa! >>.

<< Vi assicuro di no >>.

<< Ma cosa c'è di tanto interessante? >> chiese Bilbo, alzandosi e venendo seguito da Alhena; riuscì a scorgere qualcosa, ma erano segni incomprensibili, che non riusciva a decifrare.

<< Meglio se non guardi, piccola Alhena! >> esclamò Bofur, coprendo le pagine con la mano.

<< Tanto non può leggerle, sono in nanico! >> ribadì Fili, spostando l'arto del giocattolaio per continuare a sfogliare.

<< Che ha scritto? >> richiese Bilbo, curioso.

<< Tutte imprecazioni verso gli elfi, alcune piuttosto pesanti!!! >> i nani scoppiarono ancora a ridere e anche lo hobbit partecipò, non credendo che un giovane nano timido e discreto come Ori potesse agire in tale maniera; l'unica perplessa era Alhena, che non capiva la ragione dell'ilarità.

<< Cosa sono le... imprecazioni? >>.

Questo bastò a smorzare il sorriso dei presenti.

<< Brutte parole, che non si dovrebbero dire! >> si affrettò a spiegare Bilbo << Perché, ehm... non vieni di là in sala? Ti racconto qualche bella storia >> propose, cercando di distoglierla dall'argomento.

Lei annuì, guardando poi Fili << Può venire anche lui? >> domandò con un filo di voce, indicandolo e lasciando gli altri interdetti.

<< Oh, bé... ehm, Fili? >> chiese Bilbo.

Kili diede una pacca al fratello, un sorriso sornione sulle labbra << Qui abbiamo fatto colpo, mi pare >> sussurrò, beccandosi un'occhiataccia.

<< Sì, certo >> acconsentì lui, sorridendo alla bambina.

Si spostarono nell'altra stanza, sedendosi tutti sulle poltrone imbottite poco lontane dal fuoco e, talmente presi dalle parole di Bilbo e dal fumo delle loro pipe accese, non si accorsero dello scambio di battute tra Balin e Dwalin, appoggiati alla ringhiera della scala di legno, alcuni metri più in là.

<< Ricorda la piccola Karin, non trovi? >> domandò Balin con voce affettuosa, mentre osservava la bambina cambiare velocemente espressione ad ogni parola di Bilbo.

Dwalin, al contrario, grugnì parecchio infastidito << Ecco perché hai quell'espressione adorante, fratello; e se la marmocchia ne venisse a conoscenza, potrebbe volgere la situazione a suo vantaggio. Come fece Karin >>.

<< Sai molto bene che non andò così, fratello >> commentò il maggiore, lanciandogli un'occhiata torva dal basso della sua statura.

Dwalin si morse la lingua, prevedendo l'arrivo della strenua difesa nei confronti dell'esiliata.

<< Karin non ha mai volto la situazione a suo vantaggio. Non ne ebbe motivo: tutti ne eravamo affascinati, se ben ricordi; era raro per una nana non possedere baffi o barba, e la mancanza si è rivelata una maledizione e una benedizione insieme. I suoi primi anni ad Erebor non furono propriamente una passeggiata, ma per fortuna incontrò te e Thorin >>.

<< Se non le avesse parlato non l'avrei mai conosciuta >> disse, stringendosi nelle spalle ampie, con un tono che fece chiaramente intendere quanto l'idea fosse stata sbagliata.

<< Vero. Ma l'hai sempre considerata una sorella >> constatò piano Balin, alzando un sopracciglio.

<< Tempo fa >>.

Balin sospirò pesantemente << Thorin ha messo da parte il passato, Dwalin, anche se fai di tutto per non accettarlo. Perché non liberi te stesso iniziando da capo, e la perdoni? >>.

Il guerriero non rispose, spostando lo sguardo altrove tranne che sul viso di Balin; per un lungo momento si posò su Alhena, trascinata dall'euforia e dalle risate di qualche storia buffa raccontata da Bombur e Bofur. Qualche volta la vedeva lanciare brevi occhiate a Fili, vedendole brillare gli occhi verdi: esattamente come quando Karin guardava Thorin.

<< Sarà difficile >> borbottò, senza rendersene conto: stupito dalla frase si incollerì, schioccando la lingua << Lo so bene che Thorin l'ha perdonata da tempo, mi basta guardarlo negli occhi per capirlo; ma Balin, rammenti la disperazione nella quale versava subito dopo l'esilio? Era irriconoscibile >> ricordò, duro come la roccia.

<< Brutti momenti per tutti >> ammise il fratello, annuendo << specialmente per lui. Seguirono anni bui e ardui, nei quali temetti che non sarebbe mai riuscito a superare il dolore. Per fortuna il carattere orgoglioso e fiero l'ha aiutato, ed ora è riuscito a riconquistare la felicità perduta: dovresti sostenerlo ed esserne felice, in quanto suo migliore amico; anzi, loro amico >>.

<< Al momento, l'unica cosa che vedo quando guardo Karin è l'angoscia nel volto di Thorin: per questo mi viene così difficile perdonarla >>.

<< Capisco. Bé, ti ci vorrà solo un po' di tempo, tutto qui. Sono certo che tornerà tutto come prima, vedrai >> gli batté una pacca affettuosa sulla spalla, la bocca piegata in un sorriso, al quale l'altro rispose a fatica.

Poi Balin si portò in sala, sedendosi accanto a Gloin e Oin, che conversavano con i più giovani e con la piccola Alhena.

Dwalin rimase in disparte, ascoltandoli cantare e ridere, mentre il cuore gli si stringeva debolmente ripensando al discorso; era vero, più guardava quella ragazzina e più il pensiero e i ricordi della piccola Karin gli invadevano la mente: gli parve di rivederla nella sua stanza, o lungo gli ampi corridoi di Erebor, intenta a nascondersi da loro, la risata gioiosa e contagiosa che la contraddistingueva.

E, suo malgrado, si ritrovò a sorridere spontaneamente.



Non farò mai figli”

Questo fu il primo pensiero che riempì la mente di Karin: insomma, non c'era nulla di più straziante nel sentire una donna – ed ora amica – urlare incessantemente, preda di dolori talmente forti da risultare indescrivibili; la presa vigorosa sulle sue mani era nulla, paragonabile alla contorsione delle viscere e al battito cardiaco accelerato che percepiva ogni qual volta Eliese gridava.

Fortunatamente la nutrice le aveva ordinato di inginocchiarsi dietro per sostenere la testa della donna, così era riuscita ad avere una visuale limitata – anzi, pressoché nulla – su ciò che stava accadendo.

Dopo altri incitamenti lanciò l'ultimo urlo, il più temibile e spaventoso di tutti, seguito dal vagito stridulo del piccolo, tra le braccia della nutrice: a Karin sembrò di respirare dopo una lunga apnea, e sgranò gli occhi alla vista dell'esserino ricoperto di sangue, che agitava i pugnetti chiusi per aria.

<< Eliese, congratulazioni! >> esclamò, stringendo le dita intrecciate con quelle della neo mamma; la sentì ansimare forte ma rise comunque, contagiando anche la nana.

<< Mia signora, presto! Pensate voi a pulire il piccolo, e portatelo dal padre >>.

Karin si sentì sprofondare << Co...cosa? Io? Ma... >> balbettò, mentre i brividi gelati tornavano a tormentarla << Va bene >> si decise, dopo la lunga occhiata dell'anziana donna, che non ammetteva repliche.

Si alzò, avvicinandosi: timorosa, prese in braccio il bambino, constatando con gioia che era un bel maschio, seppur ancora sporco e raggrinzito; deglutendo e cercando di essere il più delicata possibile lo pulì con un panno e dell'acqua tiepida, lavandolo dalle incrostazioni. Al contatto iniziò ad agitarsi, aprendo la bocca rossa in un piccolo pianto calmato ben presto dalla ragazza, sempre più nel panico.

Lo cullò brevemente, ammirandolo estasiata tra le sue braccia; senza rendersene conto si ritrovò alla porta, aprendola piano: fuori, scorse Renal e Thorin, che scattarono in piedi non appena la videro.

<< Congratulazioni >> la voce le uscì tremante e commossa, mentre parlava al fabbro << è un bel bambino, sano e forte >>.

Gli sfuggì qualche lacrima, ammirando il suo secondogenito con un sorriso talmente orgoglioso e paterno che anche Karin si commosse, lieta d'aver partecipato a quella piccola ma immensa gioia.

<< Mio figlio >> disse, tra le lacrime.

Lei annuì, tendendogli il fagottino << Tuo figlio >>.

Renal lo prese in braccio e il piccolo si mosse, quasi percependo la presenza di suo padre; il fabbro la guardò, annuendo << Grazie, mia signora. Per tutto. E grazie anche a voi >> disse, accennando un inchino a Thorin; poi entrò nella stanza, andando a salutare la moglie e a godersi il piccolino.

Karin si morse il labbro inferiore, mentre un'assurda voglia di piangere premeva per uscire: improvvisamente sentì due braccia forti avvolgerle i fianchi, il petto di Thorin aderì alla sua schiena e il suo mento si poggiò sulla spalla. Le sfuggì un singhiozzo e si portò la mano alla bocca, cercando di placarsi: ma non vi riuscì, l'emozione fu incontenibile, l'agitazione si disintegrò lasciandola spossata ed esausta.

Tremava, grosse e calde lacrime salate le scivolavano sulle gote, cadendo a terra; Thorin strinse la presa, facendole capire che non era sola, che lui era lì per lei e non se ne sarebbe andato.

<< Karin >> la voce, insopportabilmente roca, le giunse vicinissima: il fiato caldo le solleticò il collo, facendosi strada tra i capelli mossi.

La mano libera volò sulle sue, saldamente intrecciate sul suo stomaco: gliele strinse, grata, ma il pianto non voleva fermarsi. Aveva bisogno di tempo, di sfogarsi.

Si girò tra le sue braccia, trovandolo a pochi centimetri dal suo volto stravolto; quello di Thorin era mortalmente preoccupato e gli occhi azzurri, di solito limpidi e freddi, erano adombrati e seri, perfino dispiaciuti; uno sguardo che l'addolorò più di tutti gli altri pieni d'odio che le aveva rivolto all'inizio.

Desiderava così tanto fermare quei singhiozzi violenti, quelle lacrime che non smettevano di scorrere! Invece, da quando aveva abbassato le difese, molte immagini avevano trovato ampio spazio nella sua mente: la figura indistinta di sua madre Sena, quella così lontana del padre Kario, benché fosse rimasto con lei anche dopo l'esilio. Perfino Thorin, che aveva giurato di proteggerla e le aveva dichiarato il suo amore, alla fine, l'aveva abbandonata; e il pensiero degli anni che avrebbero potuto condividere insieme, formando poco per volta una vera famiglia, la trascinò nella tristezza e nell'amarezza più profonda.

Forse era questo a rattristarla così tanto, non avrebbe saputo dirlo.

Si asciugò le lacrime con stizza, sfregandosi la pelle; il repentino cambiamento d'umore disorientò Thorin, ma non disse nulla. Solo, si limitò a posare la fronte sulla sua, in quel gesto pieno di sottintesi che era sempre stato presente tra loro: bastava quello per calmarli, per capirsi.

<< Torniamo a casa >> disse lei, staccandosi in tutta fretta senza guardarlo negli occhi.

<< Sì >>.

Si mosse per primo, Karin lo seguiva a mezzo passo di distanza; per tutto il viaggio rimasero in silenzio, ciascuno perso in pensieri più o meno sofferti.


Quando due colpi rumorosi alla porta giunsero alle sue orecchie, Bilbo corse ad aprire, e fece entrare Thorin e Karin: le rivolse un sorriso, ma si spense subito quando notò sul suo volto i segni del pianto; gli occhi neri erano liquidi e arrossati, così come il naso e le guance. Pensò al peggio, al fatto che, forse, la piccola Alhena non avrebbe trovato un fratellino tornando a casa.

Forse nemmeno la madre.

<< Dunque? Quali notizie? >> chiesero gli altri, agitandosi sulle poltrone.

Alhena balzò in piedi, gli occhi chiari che sfrecciavano preoccupati sul volto dei due nani: Karin sorrise debolmente, annuendo.

<< E' un fratellino, Alhena. Ora sei una sorella maggiore >> decretò, per poi volgere un'occhiata agli altri << Scusatemi, ma credo che me ne andrò a dormire: è stata una serata estenuante. Buona notte Alhena. Ragazzi >> senza attendere una risposta si girò, lasciando gli altri a dir poco perplessi dalla freddezza con cui aveva parlato: ma non commentarono, capendo che doveva essere veramente esausta.

<< Fili, Kili, portate la bambina a casa >> ordinò Thorin, spezzando il silenzio.

Alhena fu ben felice della notizia, anche perché aveva preso in simpatia i due fratelli, reputandoli divertenti e simpatici; però le dispiacque per una persona.

<< Può venire anche il signor Bilbo? >>.

Thorin la studiò in silenzio, lo sguardo freddo e distaccato << D'accordo. Ma dovresti prima chiedergli cosa ne pensa: non è bene imporre a qualcuno delle scelte solo per un tuo capriccio >> dichiarò, facendola vergognare.

<< Oh, ma certo che verrò! >> s'intromise Bilbo, spazzando la sua infelicità << E grazie per la proposta >> le fece un buffo inchino, per poi battere le mani.

Aspettarono che la bambina salutasse tutti, ringraziandoli per l'ospitalità e la bella serata e poi, finalmente, ogni nano si ritirò nelle proprie camere, soddisfatti d'aver conosciuto quella piccola peste, ma anche mortalmente distrutti e spossati.

Solo uno si appoggiò alla pietra del caminetto della sala, osservando il fuoco scoppiettare e crepitare debolmente, le fiamme che si riflettevano sugli occhi.

Perso nei suoi pensieri non si rese conto dell'arrivo di un suo compagno ed amico, finché questi non gli posò una mano sulla spalla; solo allora si riscosse, restituendo al sorriso del vecchio nano un altro più tirato e stanco.

<< Tutto bene, ragazzo? >>.

Thorin impiegò qualche lungo minuto, indeciso sulla risposta: infine optò per una parte di verità << Ho solo bisogno di un letto, Balin. È stata una lunga giornata >>.

<< Ne sono consapevole. Però la mia domanda si riferiva ad altro >> disse, alzando le sopracciglia.

<< Ah sì? Allora perdonami, ma non sono riuscito a cogliere l'argomento >> ribatté il re, guardandolo di sfuggita.

<< Cosa è accaduto con Karin? E non rifilarmi la solita frase “è solo stanca”, perché so che è una menzogna; un parto non può averla mutata e scossa così profondamente, tanto da cancellarne la felicità di questi giorni >>.

Il re fece saettare lo sguardo sul volto dell'anziano nano, turbato.

Felicità.

Una parola che riuscì a scuotere profondamente il re, e far sogghignare il suo consigliere.

Possibile sapesse?

Thorin indietreggiò, iniziando a camminare nervosamente, le mani giunte dietro la schiena << Non so cosa sia successo >> esalò lentamente, passandosi una mano sulla fronte, preda di troppi pensieri ingarbugliati e contorti.

<< Quella è un vero mistero, lo sappiamo bene >> intervenne Dwalin, comparso sulla soglia della sala; era appoggiato allo stipite, gli occhi ridotti a fessure e i muscoli tesi, come se il solo pensare a Karin gli facesse salire la bile << e non so con quale convinzione cerchi di difenderla >>.

<< Convinzione? >> disse sprezzante Thorin, iniziando a percepire un calore rabbioso allo stomaco << Sai quanto ci tenga e quanto sia stata – ed è tutt'ora – importante per me >>.

<< Se dovesse tradire ancora la tua fiducia? >> rincarò cocciutamente il guerriero.

<< Non lo farà >> replicò duramente Thorin, ben convinto della frase.

<< Lo farà, invece, prima o poi: e quando avverrà, ti ritroverai devastato e ferito. Secondo me sprechi il tuo tempo >>.

<< No, Dwalin. Per tutti questi anni ho sprecato il mio tempo, il nostro, convinto com'ero della sua colpevolezza. Ed ora, temo per il futuro che ci si prospetta davanti: il pensiero di perderla ancora, e forse per sempre, non mi dà pace; nemmeno quando la stringo tra le braccia >> confessò, ammettendo il sentimento che voleva disperatamente nascondere agli altri, reputandolo un segreto da custodire gelosamente solo con lei; si odiò e si fermò, stringendo la mano destra a pugno: gli occhi si rabbuiarono e divennero quasi più scuri, mentre il volto rifletteva l'angoscia e il tormento che lo dilaniava.

Balin mosse un passo verso di lui, posandogli una mano sul braccio con fare paterno, ben felice delle parole appena udite << Non le accadrà nulla, Thorin. La Compagnia veglierà e proteggerà >>.

<< Che speranze abbiamo contro un drago? >> intervenne minaccioso Dwalin, rimasto zitto durante lo scambio di battute tranne che per qualche sbuffo spazientito e scettico << Saremo vulnerabili tanto quanto lo sarà lei! >>.

Thorin aprì la bocca per ribattere, improvvisamente furioso, ma venne preceduto << Ci aiuteremo a vicenda, come abbiamo sempre fatto! >> proruppe Balin, mentre la pelle gli si chiazzava di rosso, chiaro segno che aveva appena superato la soglia di sopportazione.

<< Dov'è finito l'amico leale, il fratello che Karin considerava tale? Non ti vergogni, Dwalin? Se... >>.

<< Ora calmati, Balin >> intervenne Thorin, con un semplice sussurro che ebbe il potere di zittirlo << Non serve alzare la voce in questo modo, amico mio: tuo fratello ha solo una visione diversa dalla tua, e dalla mia. Dagli tempo >>.

Balin lo guardò stralunato, chiedendosi come potesse mantenere la calma quando il suo migliore amico disprezzava la donna che amava e non approvava l'idea di una loro riconciliazione: eppure, osservandolo attentamente, poteva ben scorgere quanto questo lo distruggesse. Era riuscito finalmente a ritrovare Karin e, ora, rischiava di perdere Dwalin.

Quanto ancora avrebbe dovuto lottare per poter essere sereno?

Si calmò, annuendo solamente; Thorin piegò un angolo della bocca in un lieve sorriso, aumentando di poco la stretta sull'avambraccio, che il vecchio nano ricambiò.

<< Credo sia meglio andare a riposare, e lasciarci questa giornata alle spalle >>.

Una proposta che venne accolta all'unanimità.







CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Approfitto di nuovo per scusarmi con tutte voi per l'immenso ritardo, e per avervi dato questo capitolo – a mio parere – molto nonsense: non so, non riesco a trovare la logica in tutto ciò ç___ç! Boh! Però mi sono divertita veramente tanto a scrivere la parte nella forgia, anche se non combinano nulla ;) : ma pazientate, perché arriveranno i fuochi d'artificio nel prossimo :D :D!!!
Ah, comunque sappiate che, probabilmente sempre dal prossimo, i nostri eroi ripartiranno per proseguire il viaggio: e chi ha letto il libro sa cosa li aspetta :( !
Non so se esserne eccitata o spaventata... un po' tutte e due O.o!!!

Dunque, ringrazio le carissime e specialissime Synne, Lady Daffodil, jaybeautifldarkangel, vanessa 90, Carmaux, J­ackie, Lady Guns56, Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, pamagra, MrsBlack. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!! Sper di non aver dimenticato nessuna! 
E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
P.S. Ringrazio le ragazze per il supporto morale!!! Voi sapete chi siete ;)))





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Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***


Note autrice: Buonsalve ragazze, visto che rapidità ^^?? Mi stupisco anche io :P!

Preparate i vostri ormai affezionati catini, che dovete utilizzare subito ;)! Stavolta penso d'essermi impegnata un po' di più, comunque per coloro di voi che sono minorenni non dovrebbero esserci problemi: non so precisamente quanto possa spingermi o meno nella scrittura, e credo d'essermi mantenuta sul livello del rating arancione; però, se avete qualche lamentela, NON esitate a dirmelo, d'accordo? Anzi, se avete anche qualche suggerimento su fin dove possa scrivere per sfruttare al meglio il rating, bé.. ben venga :D

In ogni caso, spero che anche questo capitolo vi piaccia XD!!!

Ci leggiamo giù care :*





CAPITOLO SEDICI


Un fruscio, poi un altro e un altro ancora, mentre gli abiti vengono sfilati e lasciati a terra.

I respiri si confondono e si alternano a mugugni e gemiti rochi, finalmente liberi di riempire l'aria della stanza.

Piccoli brividi percorrono le membra, la pelle d'oca compare su braccia e gambe.

Le labbra si staccano a baciare la pelle nuda, la lingua lascia scie umide muovendosi verso il basso: giù, sempre più giù, nel desiderio più nero e abissale.

Con un gomito, si puntella sul marmo freddo per alzare il busto; rotea gli occhi verso il soffitto, trattiene il respiro, grugnisce un poco: inarca la schiena sotto le sue attenzioni, la mano destra si insinua tra la chioma scura e stringe una ciocca, in balia del piacere che arriva a potenti ondate.

Inebriati, schiudono gli occhi, guardandosi intensamente: azzurro e nero si confondono. Cielo e terra. Luce e oscurità.

Altri baci sfuggenti, altre carezze languide e delicate si aggiungono: il ringhio eccitato raggiunge le orecchie, le perfora.

I muscoli si contraggono, la pelle è di fuoco, la carne brucia.

Risale leccando il basso ventre, si ferma a torturare l'ombelico: un nuovo sospiro, passa a baciare il petto, accarezzandolo anche con le mani.

Arriva finalmente al collo, trattiene un lembo di pelle tra i denti, succhia con ardore, gemono entrambi.

Infine torna con sensualità sulle labbra, baciandole.

<< Apri >>.

L'ordine viene eseguito subito, le dita corrono sulla superficie della manopola, la girano: lo scroscio d'acqua è gagliardo, inonda i loro corpi, attutisce i gemiti e gli ansiti che non riescono a fermare.

Scosta alcune ciocche dal volto e le porta dietro le orecchie per approfondire il bacio, l'acqua sale di livello e raggiunge i fianchi: la pelle si riempie di goccioline, le mani vagano sul torace e lungo il collo; si fermano sulla nuca, perdendosi tra i capelli.

Le cosce sono morbide sotto le sue carezze, risale ai glutei, li stringe; rovescia la testa all'indietro, si arrende ai suoi morsi, alla sua voluttà, alla sua passione: le dita artigliano le spalle, si muovono sulla schiena.

Gli sguardi si cercano ancora, perché non possono farne a meno: si studiano, si saziano dell'altro, ammirano ogni più piccolo particolare; tutto si congela per un attimo, immobile.

Solo i respiri affannati e brevi hanno il permesso di esistere.

Poi, rapido com'è venuto, tutto passa.

La lussuria li riaccoglie, li brama: così come i loro corpi.

Thorin si stacca dal bordo della vasca e, con un brusco movimento in avanti del busto, la fa indietreggiare fino all'altro capo di marmo.

Karin trattiene il fiato sentendo il freddo marmo a contatto con la schiena, senza curarsi dell'acqua increspata che in alcuni momenti trabocca sul pavimento; le braccia avvolgono il collo, le labbra si uniscono ancora a quelle sottili del nano.

L'acqua continua a scorrere, così come la passione nelle loro vene: si mescola al sangue facendolo ribollire; il calore incessante non dà loro tregua, il basso ventre non fa che bruciare, piacevolmente doloroso.

Con un gesto rude, Thorin allunga il braccio ad arrestare il flusso, senza dividersi da lei. Non può.

Mentre una mano si posa sulla guancia, l'altra scende e si immerge nell'acqua: geme rocamente quando le sfiora l'interno coscia e, piano, le allarga le gambe.

Karin inspira e mugugna nella sua bocca, elettrizzata; il corpo divampa, preme di più su quello di Thorin.

Non riesce a resistere, non può.

Vuole di più.

Le lingue si uniscono, si intrecciano, scappano e si ricongiungono, senza fermarsi: desiderano trovarsi.

Sono al limite, lo sanno. Lo sentono.

È tempo di arrestarsi e prepararsi per ciò che avverrà a breve.

Si separano e aprono gli occhi, specchi liquidi di piacere mal trattenuto, pozze in cui annegare.

Thorin guarda le sue labbra tumide e rosse, le sfiora con le sue, poi con le dita; le mani si portano giù e accarezzano la schiena e i fianchi morbidi, senza mai interrompere il contatto visivo. Le stringe la carne morbida dei glutei, la sistema meglio facendola scivolare di poco in avanti, verso il suo corpo possente.

Lei lo guarda assorta, rapita da ogni tocco, ogni carezza lieve o irruente; le dita della mano destra lambiscono la treccia al lato del volto, l'attorcigliano debolmente poiché sente le sue grandi mani accarezzarle i seni: le sfugge un gemito e fa ciondolare il capo di lato, inspira e serra le palpebre quando percepisce il tocco umido delle labbra sulla pelle calda, in un eccitante contrasto con l'acqua che li avvolge.

<< Thorin >> un lieve richiamo, un sussurro appena percettibile.

Lo guarda negli occhi, supplichevole.

Si rialza e le poggia una mano sull'anca, l'altra stringe il bordo gelido della vasca; lei allaccia le gambe ai suoi fianchi, pronta e impaziente.

L'acqua schizza in ogni dove sotto le spinte impetuose: il dolore si mescola al piacere intenso e travolgente, i gemiti si fanno acuti e alti, incontenibili.

Le menti si svuotano, ogni pensiero viene annullato dalla libidine.

Il volto di Karin è piacevolmente arrossato, gli occhi sembrano ancora più neri, profondi e magnetici: lo attira a sé, gli sussurra nell'orecchio; lui, con un ghigno compiaciuto, aumenta il ritmo.

I bacini si scontrano e si allontanano man mano che la furia li ghermisce, che l'emozione incontenibile si sprigiona: si muovono in sintonia, la pelle si tende per poi rilassarsi brevemente, riprendendo daccapo.

Le artiglia la nuca tirandole indietro il collo liscio, espone la pelle rosata: lecca e succhia forte, le fa male, la sente contrarsi sotto di lui. Attorno a lui.

Le unghie graffiano la schiena, ringhia e la stringe, la schiaccia e le toglie il respiro.

Le spinte diventano più rapide e brevi, agitate e imperiose.

Con un suono cavernoso e rauco, che pare salire dal basso ventre alla sua gola, finalmente Thorin si perde in lei; chiude le palpebre dinanzi al piacere assurdamente potente: lei inarca la schiena, si morde con forza il labbro inferiore, si aggrappa alle spalle con tutta la forza che possiede e che l'amplesso le concede.

I respiri affannati e i gemiti li avvolgono, lo sciabordio dell'acqua ronza nelle orecchie.

Thorin non si ferma, continua a muoversi ma rallenta il movimento; assapora l'incavo del suo collo, segue la lieve sporgenza della clavicola fino alla spalla e la bacia piano, dolcemente. Karin serra le gambe contro i fianchi, appoggia il mento sulla scapola di lui, i capelli le solleticano la fronte e il naso, la inebriano col loro odore: glieli sfiora mentre preme poco la bocca sulla guancia.

Gli accarezza i pettorali, scende verso lo stomaco: le labbra, al contrario, baciano la tempia e si spostano di lato, sulla palpebra.

Si guardano, persi negli occhi ancora appannati e lucidi, meravigliosamente soddisfatti.

Un leggero sorriso increspa le bocche, accresce quando si avvicinano e annullano la breve distanza con un bacio dolce e calmo, privo di ogni foga.

<< Karin >> il bisbiglio roco di Thorin la raggiunge: l'azzurro dell'iride non è freddo e severo ma focoso e adorante, le fa battere il cuore.

Sembra voglia dire qualcosa ma tace, ansima solamente; gli sorride, cerca invano d'incoraggiarlo: lui si impossessa delle sue labbra per un ultimo bacio d'amore. Poi, lento, si scioglie dall'abbraccio e scivola indietro, abbassandosi a bagnare i capelli, riemergendo gocciolante; torna all'altro lato della vasca, l'acqua gli sfiora i fianchi, il torace muscoloso è coperto da innumerevoli stille trasparenti che non aspettano altro che le labbra di Karin le raccolgano, sensuali e fameliche.

Lei si immerge fino al petto e piega il capo di lato, i capelli mossi si appiccicano al collo e alla spalla, gli altri sfiorano il pelo dell'acqua: contempla il corpo del nano mentre il respiro – poco prima regolare – accelera di nuovo.

I gomiti sono poggiati al bordo, i muscoli della schiena sono in tensione, il petto sembra gonfiarsi: fa un cenno con la mano, lo sguardo chiaro luccica.

<< Vieni qui >> ordina.

Lei obbedisce senza indugio, vuole colmare quella corta distanza: si muove in avanti, arriva da lui che, serio, non perde un movimento. L'accoglie tra le sue braccia, la guarda negli occhi e legge la stessa pace, lo stesso appagamento che gli permea l'anima.

Lascia che lo accarezzi, si abbandona al suo tocco, porta la mano sopra la sua e preme: permette ad un sospiro beato di sfuggire, le sfiora il palmo con le labbra.

Karin ha un tuffo al cuore, sorride affettuosa; gli bacia la fronte e accarezza le rughe che, pian piano, si spianano al suo tocco delicato.

Non dicono nulla, non servono parole tra loro: si comprendono bene, l'hanno sempre fatto.

Gli unici suoni nella stanza sono i respiri ora tranquilli e il dolce e continuo suono delle gocce che cadono dai loro corpi abbracciati.




<< Non avresti dovuto dirglielo >>.

Karin alzò il mento dalle ginocchia raccolte al petto, e girò di poco il capo a sinistra.

Erano ancora nella vasca, immersi nell'acqua; Thorin era appoggiato al marmo bianco, le dita percorrevano la schiena piena di cicatrici di lei, a pochi centimetri di distanza: lo affascinavano quei segni perlacei più o meno estesi ma, al contempo, ne provava repulsione poiché ricordo di un momento del passato a dir poco doloroso. Quelle ali erano maledette, eppure non poteva fare a meno d'adorarle, in qualche modo: erano parte della donna che amava.

Ma ora non aveva tempo per pensare a ciò, vi era una questione di cui dovevano discutere.

<< Non dovresti promettere qualcosa che poi non riuscirai a mantenere >> le ricordò severamente, più di quel che avrebbe voluto.

Karin sospirò, sistemandosi i capelli bagnati che Thorin le aveva portato in avanti sulla spalla destra, per poter baciare e accarezzare meglio la schiena.

<< Volevo solo dar loro un po' di speranza >> confessò, rammentando quando, nel pomeriggio, era andata a far visita a Eliese e al piccolo Glir; chiacchierando, era caduta preda dell'emozione e dell'impeto tipico del suo carattere, promettendo alla donna che, una volta sconfitto il drago, avrebbe portato loro una piccola pietra preziosa in ringraziamento e segno d'amicizia. Eliese aveva rifiutato in ogni modo, cercando di dissuaderla, ma la nana era stata irremovibile; solo ora, però, si rendeva pienamente conto che l'averlo accennato a Thorin, Re sotto la Montagna e custode del Tesoro dei Nani di Erebor, non si era rivelata la migliore delle idee: la sua possessività era ben nota, e lei avrebbe dovuto riflettere prima di parlargliene. O prima di proporlo all'amica.

<< Se falliremo non rimarrà nemmeno quella: e l'illusione brucerà più della sconfitta >> asserì, smettendo d'accarezzarla; Karin girò il busto, incrociando i suoi occhi calmi e indecifrabili che la scrutavano attenti: si sentì in colpa di fronte a quella verità, ed iniziò a tormentare la collana con le dita, mordendosi l'interno guancia.

<< Hai ragione >> ammise << ma se riuscissimo a sconfiggere Smaug? >>.

Thorin ponderò la risposta da darle, facendo vagare lo sguardo sul suo volto; abbassò di poco il capo e la guardò << Saranno le prime persone che aiuteremo >> concesse, infine.

Karin sorrise riconoscente, appoggiando la schiena al suo petto: il nano le cinse i fianchi con le braccia, avvolgendola stretta, e la baciò sull'orecchio a punta.

<< Grazie >> mormorò lei.

<< Non ringraziarmi; non abbiamo ancora raggiunto la Montagna Solitaria >> disse, il fiato caldo che le solleticò la pelle.

<< Quando ripartiremo? >>.

<< Presto. Ormai abusiamo dell'ospitalità di Esgaroth da quasi due settimane >>.

Karin annuì, pensierosa: tutti si erano ristabiliti dopo le disavventure passate, specialmente lei. Avevano recuperato le forze ed avevano poltrito anche troppo, secondo il suo parere; eppure, però, non poté impedirsi di rattristarsi al pensiero che, una volta lasciata la città alle spalle, tutto sarebbe tornato come prima.

Non più baci fugaci, né sguardi complici, né incontri clandestini: ogni notte, infatti, scivolava nella stanza – o veniva lui a prenderla se impiegava troppo tempo – e si univa a Thorin; altre volte, invece, rimanevano semplicemente abbracciati, coperti dalle lenzuola, confidandosi stralci di passato. Infrangendo ogni aspettativa, si erano stupiti del tono tranquillo e per nulla pieno di rancore o tristezza nella voce: tranne quando parlavano dei famigliari che avevano perduto.

Thorin le raccontò della morte del giovane fratello Frerin durante la Battaglia di Azanulbizar e, benché Karin non avesse mai provato molta simpatia per lui – per svariati motivi di cui il re ne era al corrente – si dispiacque per la sua sorte: quando glielo disse, Thorin le rivolse un sorrise mesto e le sfiorò una guancia, ricambiando e facendole le condoglianze per la morte di Kario, nano che aveva sempre rispettato, considerandolo degno consigliere e persona d'onore.

Per quanto le parole di Thorin le scaldassero il cuore, Karin non era riuscita del tutto a perdonare il genitore, ben sapendo che non aveva alcuna colpa per ciò che le era accaduto dagli Efli: eppure, ogni qual volta osservava le braccia piene di cicatrici, o percepiva il tocco delle dita del nano sulla schiena, la rabbia sopita minacciava di esploderle in petto, rovinando quei dolci e teneri momenti che, presto, sarebbero stati solo un piacevolissimo ricordo.

Sapeva bene che, ora, arrivava la parte più tremenda e difficile dell'impresa, soprattutto per il re: spesso lo sorprendeva perso nei suoi pensieri o, se passeggiavano insieme sui pontili della città, lo vedeva volgere un'occhiata cupa e tormentata verso il profilo della Montagna. Per quanto si lasciasse andare in sua presenza, le rughe sulla fronte sembravano scavare sempre più la pelle; la sua anima era irrequieta come poche volte, e impaziente di arrivare a Erebor.

Purtroppo era assolutamente impotente; non vi era alcun gesto, o parola, che l'avrebbe confortato, distogliendolo dal desiderio di vendetta e dai nuovi incubi che lo tormentavano: lei stessa doveva combattere contro quest'ultimi.

<< Non mi sembri particolarmente entusiasta di riprendere il viaggio >> constatò Thorin, distogliendola dai numerosi pensieri.

Scrollò piano le spalle, increspando l'acqua ormai gelida in piccole onde, producendo cerchi concentrici << Mi ero abituata a tutte queste comodità >> dichiarò, decidendo di rivelargli solo una parte di verità << Sai, avere cibo in abbondanza, un fuoco sempre acceso, un letto comodo, una vasca con acqua corrente... >>.

<< Potrai trovare le medesime cose a Erebor >> disse con voce calda e avvolgente, stringendo di poco le braccia sul suo stomaco; le baciò il collo scendendo alla base, dove vi era il metallo: Karin chiuse gli occhi, passandosi la punta della lingua sulle labbra, improvvisamente inquieta e seria.

Girò il busto, guardandolo intensamente negli occhi << Revocherai l'esilio? >> domandò con voce ferma.

Thorin la guardò, perplesso << Certo. Perché lo domandi? >>.

Distolse lo sguardo, facendolo vagare sulla parete bianca e sui mobiletti di legno << La mia era solo curiosità >>.

<< Karin, guardami. Karin >> chiamò ancora, quando non ricevette risposta << cosa ti turba? >>.

Sospirò, chiudendosi nel silenzio: ripensò a quel dannato sogno, rabbuiandosi << Nulla >> replicò dura.

Thorin assottigliò lo sguardo, iniziando a spazientirsi << Non mentirmi >> ammonì minaccioso << Voglio la verità >>.

<< Ti ho detto che non c'è niente >> disse, aggressiva.

Gli occhi del nano brillarono rabbiosi, non credendo alla frase << Molto bene >>.

Si sciolse dall'abbraccio, spingendola rudemente in avanti per potersi alzare dalla vasca, gocciolando ovunque: si avvolse un ampio asciugamano sui fianchi, contenendo a stento la stizza nei gesti e nelle parole che le rivolse.

<< Fa' in fretta. Potrebbe tornare qualcuno >>.

Le diede le spalle, sbattendo la porta dietro di sé; Karin rimase a contemplarla per alcuni brevi secondi, per poi nascondere il volto tra le mani e sfregarlo con energia: si lasciò scivolare, sommergendosi completamente per schiarirsi le idee. Rimase finché non sentì la testa ronzarle e il fiato mancarle, tornando poi in superficie; uscì, frizionandosi i capelli e il corpo con l'asciugamano. Venne attirata dal suo riflesso nello specchio: sulla pelle, vi erano numerose testimonianze della precedente passione che, in circostanze normali, l'avrebbero fatta arrossire e sorridere; invece, la bocca era seria, gli occhi neri adombrati e irrequieti.

Si diede dell'idiota per aver rovinato il momento praticamente perfetto: tuttavia, ripensare all'incubo l'aveva spaventata e messa in agitazione, al punto da farle alzare quelle maledette difese costruite durante l'esilio, contro le quali nemmeno Thorin poteva fare breccia.

Soprattutto Thorin.

Ma non era giusto, ne era ben consapevole: stavano cercando di ricostruire quella fiducia persa per un equivoco, quel rancore che li aveva accompagnati per lunghi anni si stava dissolvendo. Se voleva aggiustare la loro situazione doveva mettere da parte l'Esiliata e tornare Karin: o avrebbe compromesso ogni piccolo passo compiuto.

Relegò in un angolo remoto l'orgoglio che voleva impedirle di andare da lui e, senza rendersene conto, si ritrovò con la mano stretta alla maniglia della stanza, testimone silenziosa del loro amore rinato: e proprio perché amava Thorin avrebbe impedito agli ostacoli di frapporsi tra loro.

Entrò, trovandolo subito: si era rivestito e, non appena si accorse della sua presenza, le rivolse una breve occhiata gelida, tornando ad occuparsi della casacca marrone. Ostentò un pesante silenzio, finché Karin non decise di romperlo.

<< Ho paura. È questa la verità >> alle parole, lo sguardo di Thorin sfrecciò al suo volto, la fronte si aggrottò << Stanotte ho... fatto un sogno. Eravamo a Erebor, nella stanza del tesoro: eri furibondo, ma non ne ricordo il motivo, e >> si bloccò, smettendo di torturarsi le dita per guardarlo << mi bandivi, ancora una volta, intimandomi di non tornare. Nel mio cuore, sapevo che nulla ti avrebbe fatto cambiare idea >>.

Rimasero zitti, mentre tra loro aleggiava ancora quel monito; infine, Thorin parlò << Il sogno può averti tratto in inganno, come spesso accade: non corrispondono sempre a verità >> notò il palese scetticismo di Karin, confermato dalle parole che uscirono dalla sua bocca.

<< Ti assicuro che i sogni degli ultimi cento anni non sono mai stati menzogneri >> replicò asciutta, alzando appena un sopracciglio.

<< Ho promesso a me stesso che, prima di stendere alcun giudizio, avrei ascoltato attentamente >>.

<< Quindi mi bandiresti ancora >> sussurrò, più a se stessa che a lui; ma gli inflisse ugualmente un duro colpo al cuore.

Le si avvicinò, prendendole il volto tra le mani << No, non lo farei >>.

Non dovresti promettere qualcosa che poi non riuscirai a mantenere” avrebbe voluto replicare, nello stesso modo in cui lui le aveva risposto prima; espirò solamente, cercando negli occhi azzurri una qualche traccia di incertezza, di ripensamento, di falsità: ma lo sguardo di Thorin era fermo, e determinato. Era sicuro della tacita promessa e, di conseguenza, anche lei si convinse, seppur lasciando dentro sé una minima parte di dubbio: era un gesto meschino, però una parte di lei non credeva completamente alle sue parole.

Ricacciò quel maledetto pensiero infetto, lasciando che le labbra si stirassero in un sorriso; vide i tratti del nano rilassarsi, evidentemente contento d'averla tranquillizzata; si avvicinò e la baciò piano, cercando di farle capire quanto fossero veritiere le sue parole, e che avrebbe fatto in modo di mantenere il patto, confermato dalle labbra sulle sue.

Una volta separati, Karin annuì e sfiorò il naso contro il suo, per poi uscire e dirigersi verso la sua camera, il lembo dell'asciugamano bianco stretto convulsamente tra le dita.




<< No, ragazzi! Usiamo questi piatti, non quelli! >>.

I richiami agitati di Bilbo furono spenti da un coro di risate e imprecazioni naniche; era incredibile come, tutti insieme, potessero ancora rendere nervoso il piccolo hobbit che, da una ventina di minuti, cercava di organizzare la preparazione del pranzo: esplodendo quasi subito in una crisi di nervi.

Karin alzò gli occhi dalla patata che stava pelando al suo ennesimo sbuffo esasperato e al suo pestare di piedi a dir poco arrabbiato; scosse brevemente la testa sentendo Bofur – accanto a lei – trattenere a fatica una risata.

Una volta che ebbe terminato il lavoro, allungò una mano per prenderne un'altra, notando quanto il cesto fosse ancora colmo di tuberi tondi e gialli.

<< C'è da mangiare per un'intera popolazione, e noi siamo solo in quindici! >> esclamò sconsolata, ripensando all'enorme generosità degli abitanti della città << Non riusciremo mai a finire tutto il cibo >>.

<< Oh, non temere: Bombur fa per metà gente! >> ribatté il giocattolaio, ridacchiando.

<< E' impensabile che riesca a mangiare così tanto >>.

<< Impensabile, non impossibile! Vedi, Karin, quello >> iniziò, indicando il fratello col pollice << sarebbe capacissimo di mangiare anche te, se ti cucinassimo come un arrosto! >>.

Karin aggrottò la fronte, ben dubbiosa; girò il capo a guardare Bombur, seduto in sala e intento a spazzolarsi i primi antipasti sulla tavola con un appetito e una voracità che la preoccupò.

<< Forse sì >> concluse, seria.

Bofur le diede una pacca sulla spalla, ridendo di gusto << Devi allenarti a vederlo in azione! So che eri abituata a ben altro >>.

<< L'opposto, direi >> concordò, annuendo << Mangiavo lo stretto necessario. Non ho mai visto nessuno abbuffarsi così >>.

Bofur aprì bocca per ribattere, ma una voce alle loro spalle li bloccò << Volete sbrigarvi, voi due? Le patate non si sbucciano da sole! >>.

Thorin era sullo stipite della cucina, un barile di birra tra le mani e lo sguardo autoritario e severo sulle loro figure; il tono usato era lievemente scocciato e infastidito, e subito il giocattolaio cercò di porre rimedio.

<< Certo, Thorin! >> si scusò, tornando al lavoro.

Karin continuò a guardare il re, notando un brillio divertito negli occhi chiari ed un accenno di sorriso sulle labbra, che ricambiò immediatamente, sollevata.

L'imponente sagoma del nano sparì, probabilmente diretto in sala, dove avrebbero cenato.

Si era appena rimessa al lavoro quando le era giunta una risata mal trattenuta alle orecchie e, mossi gli occhi, aveva scorto Bofur intento a scrutarla con un gran sorriso stampato in faccia.

<< Che c'è? >> domandò curiosa.

<< Stavi sorridendo, sai? >>.

In risposta al suo sguardo – fintamente sorpreso ma molto colpevole – Bofur aveva allargato il sorriso, gli occhi che brillavano felici.

<< Dai, Karin, non fare quell'espressione! Ne sono felice, lo sarebbero tutti! >>.

La ragazza rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva quando comprese il significato intrinseco dell'ultima parte di frase, e cercò in tutti i modi di placare l'entusiasmo dell'amico.

<< Non c'è nulla di cui essere felici, davvero >>.

<< Mmh, quindi una certa riconciliazione non sarebbe da festeggiare? >> domandò sornione << Ma guarda, mi pare tu sia arrossita! >> esclamò, dandole una gomitata tanto forte da farle rotolare la patata dalle dita, improvvisamente molli.

Gli lanciò uno sguardo di fuoco, ma la sua risposta venne bruscamente interrotta dall'arrivo di Fili << Chi è che arrossisce? >> chiese curioso, osservandola bene << E' vero, diamine! Ehi, Kili! >> chiamò, girandosi; Karin scattò verso di lui, afferrandolo per la manica della camicia: tentò di tappargli la bocca, mentre sentiva le orecchie e il volto che bruciavano e, più ci pensava, più il maledetto calore aumentava.

Kili accorse, trovando il fratello che rideva di gusto e veniva strattonato dalla ragazza che, al contrario, era imbarazzata e infuriata insieme, effettivamente del colore di un bel pomodoro.

<< Per la barba di Durin, Karin! Guarda quanto sei rossa! >> scherzò il giovane Durin, ricevendo un'occhiata omicida.

Iniziarono a ridere, Bofur si teneva addirittura le mani sulla pancia, burlandosi di lei; alzò gli occhi al cielo, esasperata di fronte alla loro ilarità.

<< Volete smetterla? >> sbottò, incrociando le braccia.

<< Qui qualcuno è un po' permaloso, mi pare >> constatò Bofur, asciugandosi una lacrima.

<< Vorremmo sapere anche noi cosa ti rende così... così... >> iniziò a dire Kili, diventando poi pensieroso nel cercare il termine adatto.

<< Irritabile >> gli suggerì il fratello.

<< Sì, irritabile! >>.

<< Niente. Assolutamente niente >> ormai era al limite della sopportazione.

<< Non sei mai stata brava a mentire >> disse Bofur con un mezzo sorriso; Karin sbuffò, mordendosi la lingua e guardando altrove tranne che il trio, impaziente di ricevere una qualsiasi risposta.

<< Non è giusto, però: a Bilbo racconti sempre tutto, mentre noi non possiamo essere messi al corrente! Questa è discriminazione! >> rincarò Kili, agitando il pugno in aria mentre gli altri due annuirono, pienamente d'accordo.

<< Vi state comportando come dei bambini >> scosse la testa, passandosi una mano sulla fronte << E, comunque, non rivelerò nulla >>.

Fili scrollò le spalle, improvvisamente indifferente << Bé, tanto lo sappiamo che tu e lo zio vi siete perdonati >> disse, noncurante.

Karin schiuse la bocca, assumendo di nuovo un colorito paonazzo << Chi... chi ve l'ha detto? >>.

<< Quando abbiamo accennato a Bilbo quello che era successo alla forgia, non ha nemmeno finto di esserne sorpreso, dicendoci che se lo aspettava da tempo. Precisamente da quando eri a letto malata, e Thorin era rimasto al tuo fianco per un intero pomeriggio, senza mai muoversi >>.

<< Veramente aveva detto che aveva avuto qualche sospetto già dagli Elfi >> puntualizzò Kili.

Karin appoggiò le mani al bancone, iniziando a sudare freddo: incredibile, pur non avendo detto e fatto praticamente nulla di compromettente – i loro incontri si svolgevano sempre quando gli altri non c'erano o, bene o male, quando dormivano della grossa. Perché dormivano della grossa, vero? - tutti ne erano a conoscenza.

Tutti sapevano.

E questa verità le attorcigliò lo stomaco, mettendola a disagio.

<< Siamo rimasti un po' delusi perché non hai voluto parlarcene, ma ti perdoniamo >> concesse Fili, assumendo un tono da vero principe.

<< Già, siamo ben felici per voi! Eravamo stanchi dei continui litigi >> asserì Kili, muovendo una mano.

Karin sospirò, non trovando parole adatte con cui ribattere << Grazie >> esalò, infine << Ma ora ci sono cose più importanti di questa a cui pensare >>.

<< Forse in realtà è proprio questo il momento adatto per pensarci >>.

<< No, Fili. Ormai le settimane qui sono agli sgoccioli: torneremo sull'argomento quando questa missione sarà conclusa >> mormorò duramente, finendo di tagliare l'ultimo tubero.

Le parve d'udire un sospiro che i nani esalarono all'unisono, poi la voce di Bofur la riscosse << Almeno sei felice, Karin? >>.

Lo guardò, permettendo agli occhi di brillare e rasserenarsi << Sì. Lo sono >>.

L'affermazione sembrò tranquillizzarli e placarli e, tutti e tre, le rivolsero un gran sorriso che le scaldò il cuore; emozionata, li ringraziò internamente per l'affetto che le avevano sempre dimostrato, del quale si sentiva tremendamente riconoscente e inadatta, ancora adesso.

<< Allora è questo ciò che conta >>.


Una volta che i piatti furono spazzolati fino all'ultima briciola e i boccali furono svuotati d'ogni goccia di birra, Thorin prese la parola, aggiornandoli sui programmi imminenti.

<< Amici, è tempo di proseguire il cammino >> esordì, facendo scendere un silenzio carico di tensione << Abbiamo recuperato le forze, i nostri spiriti si sono rigenerati >> fece una pausa, impedendo agli occhi di soffermarsi sul volto di Karin, seduta quasi all'altro capo della lunga tavola << Gli abitanti di Esgaroth si sono dimostrati molto generosi, fornendoci questa casa confortevole e queste deliziose provviste che abbiamo gustato con gioia. Ma il tempo è prossimo, il Dì di Durin incombe; per quanto piacevolmente rilassati, vi chiedo di non dimenticare la natura del nostro viaggio, e ciò che ci aspetta: un ostacolo ci separa dalla vittoria, ed avremo bisogno dello spirito battagliero della nostra gente e dei nostri avi per sconfiggerlo >>.

<< Ben detto, ragazzo >> annuì Balin.

<< Quindi, a quando la partenza? >> domandò Dwalin, ponendo la domanda che ronzava nella testa di tutti.

<< Tra due giorni. Abbiamo aspettato anche troppo >>.

Bilbo fece scorrere lo sguardo sugli altri, ansioso e improvvisamente terrorizzato dalla prospettiva di trovarsi faccia a faccia con il drago: ma i nani non mostravano la stessa paura, anzi; leggeva grande determinazione e un nuovo vigore. Come detto da Thorin, lo spirito combattivo era tornato in loro, la voglia di rivalsa scorreva nel loro sangue più forte di prima; avrebbe dovuto esserne in qualche modo contagiato, eppure... proprio non riusciva a non scoraggiarsi.

Thorin scattò in piedi, ruggendo nella loro lingua natia e la Compagnia, alzandosi a sua volta, rispose con energia, levando ciascuno un pugno avanti a sé.

Poi, Thorin chiese a Dwalin e Balin di accompagnarlo dal Governatore per metterlo al corrente della decisione presa mentre gli altri si occuparono di sparecchiare e lavare i piatti, sedendosi poi in sala per una fumata.

Quando i tre tornarono, circa un'ora dopo, annunciarono che il Governatore – molto dispiaciuto e affranto alla notizia - avrebbe indetto una festa d'addio per la sera successiva, ed avrebbe consegnato loro delle provviste e dei pony per il viaggio.

Bilbo ricordò poco del giorno dopo poiché le ore scivolarono rapide, quasi a voler affrettare il momento della partenza: in un batter d'occhio giunse la sera e la compagnia si ritrovò quasi al completo ad attendere gli ultimi ritardatari, tra i quali lo hobbit, impegnato ad aiutare Karin nell'acconciarsi i lunghi capelli neri.

<< Ecco, aspetta. Reggi questa ciocca >> disse lei, indicandogliela con lo sguardo; Bilbo la prese tra le dita, guardando un'impaziente Karin che soffiava sonoramente, la fronte aggrottata dalla concentrazione.

<< Se chiedessi aiuto a qualcun altro, forse... >> iniziò, alludendo a Fili, che aveva sporto la testa dallo stipite della porta pochi minuti prima, curioso.

Ma l'amica scosse di poco la testa, continuando ad intrecciare una ciocca in velocità << Te l'ho già detto: sono capace di fare due trecce! Sono una nana, dopotutto >> lo rimbeccò con superiorità; e non vi era modo di farle cambiare idea quando s'impuntava su qualcosa, o lasciava che l'orgoglio prendesse il sopravvento.

Bilbo sbuffò in silenzio, ma rimase sbalordito quando vide il lavoro compiuto: ammirò l'intrico di trecce più o meno spesse culminanti in una unica laterale, che le scendeva sulla spalla destra. Due sottili ciuffi erano rimasti liberi davanti alle orecchie, ma per il resto la pettinatura era semplicemente perfetta.

<< Dunque? >> chiese, mentre si rimirava allo specchio, cercando una qualche imperfezione.

<< Ottimo lavoro >> ammise lo hobbit.

Karin gli sorrise raggiante, per poi fargli cenno d'uscire e, spediti, scesero le scale dagli altri, che le lanciarono sguardi d'apprezzamento per la bravura.

<< Beh, che dire >> sentenziò Fili, con sguardo critico << ci sono delle imprecisioni qua e là, ma >> le lanciò uno sguardo divertito in risposta all'occhiata glaciale che gli rivolse << accidenti, devo ammettere che sei veramente brava! >>.

<< Anni di pratica, novellino >> scherzò lei, mentre si accodava dietro Gloin lasciandosi alle spalle l'abitazione.

Rimase quasi in fondo alla fila, chiacchierando con i compagni, finché non giunsero al grande municipio adibito a festa; scacciò il lieve panico che la prese nel notare tutta la popolazione di Esgaroth che li attendeva, e cercò di rimanere il più possibile vicina a Bilbo, Kili e Fili. Seguendoli, però, si ritrovò ben presto nel bel mezzo della folla, dove vi era il Governatore con la sua famiglia, intento a scambiare convenevoli con Thorin; quando il primo la scorse, si inchinò talmente tanto da metterla in imbarazzo, mentre il nano le rivolse una lunga occhiata compiaciuta, facendo scivolare gli occhi chiari sul vestito color Iris.

Bilbo notò l'impercettibile cambiamento che avvenne in lei: stando vicina a Thorin, parve quasi sopraelevarsi, assumendo un contegno e un portamento nobile. Da vera regina.

Continuò a guardarli mentre chiacchieravano in modo distaccato e cortese con l'uomo, ma poi venne distratto da Balin.

Vi erano alcuni musicisti su un lato della sala, e al centro alcune coppie danzavano a ritmo, sorridenti e gioiosi: i nani si erano diretti immediatamente ai lunghi tavoloni colmi di cibo e bevande ed avevano iniziato ad abbuffarsi; gli unici che si astenevano erano Thorin e Karin e, in misura minore, il vecchio Balin.

Karin fece vagare lo sguardo sui volti della gente che le stava attorno, e che le rivolgeva inchini rispettosi e occhiate curiose che la mettevano a disagio; silenziosa e rapida, riuscì a sgattaiolare fuori, venendo sferzata dall'aria frizzante della stagione autunnale. Sospirò, mentre le orecchie ronzavano ancora, trafitte dal suono martellante e acuto dei flauti e dei tamburi; si avvicinò alla balaustra di legno appoggiandovi i gomiti, e rimase a scrutare la città illuminata dalle lampade e la volta notturna, puntellata di stelle pallide.

Le costanti riflessioni non l'abbandonavano nemmeno un attimo, ma quando percepì dei passi pesanti avvicinarsi e arrestarsi di botto girò il capo, sorridendo alla sagoma inconfondibile di Thorin.

<< Anche i tuoi pensieri sono rivolti ad essa >> pronunciò, riferendosi alla Montagna che si ergeva davanti a loro, immersa nell'oscurità. Le si avvicinò, poggiando gli avambracci a pochi centimetri dai suoi, le spalle che si sfioravano.

Karin annuì << Già. Temo per l'esito della missione e per la nostra sorte: tu non hai paura? >> domandò guardandolo negli occhi, impensierita.

Thorin rimase in silenzio volendo dirle che sì, aveva paura, e non solo per ciò che aveva detto: più di ogni altra cosa, temeva per lei. Avrebbe preferito saperla al sicuro piuttosto che al suo fianco in quella parte di viaggio, ma comprendeva bene che Karin avrebbe rifiutato in ogni modo ogni sua proposta e lui, d'altra parte, non glielo avrebbe mai chiesto: era una nana valorosa e, anche se non era mai scesa su un campo di battaglia, aveva saputo tirare fuori un coraggio e una determinazione tali da far invidia al guerriero più esperto. Per questo la stimava e la rispettava.

Karin aspettava trepidante una risposta e lui, senza rendersene conto, si ritrovò a confessare << In ogni momento >>.

La guardò, facendole capire con uno sguardo i labirinti della sua mente, le sue preoccupazioni; vide la comprensione negli occhi neri e, colta da un'intensa gratitudine che non sarebbe riuscita ad esprimere a parole, gli poggiò il capo sulla spalla.

<< Mi chiedo se riuscirò mai a sedere sul trono che fu di mio nonno >>.

Thorin ruppe il breve silenzio, gli occhi ora offuscati: in quell'attimo di debolezza aveva bisogno di certezze, di rassicurazioni. E solo Karin poteva dargliele.

<< Certo, Thorin >> sussurrò << Smaug non riuscirà a contrastarci. Sarai un grande Re, e renderai fieri i tuoi avi >>.

Si sentì in pace, e tranquillo con la sua anima; dovette frenare l'impulso di radunare i compagni per partire, preda d'una determinazione senza precedenti. Ma dovette calmarsi, reprimendo l'impazienza. Il pollice e l'indice volarono al mento, facendole alzare il volto ad incontrare il suo, riconoscente.

Fu spontaneo per lei sorridere; lo prese per mano conducendolo poco lontano, nell'oscurità: così nessuno avrebbe potuto vedere le loro ombre congiungersi per un bacio a fior di labbra.

<< Torna dentro, prima che possa fare qualcosa di cui potrei pentirmi >>.

La voce arrochita le mise i brividi, ed un lieve sorriso malizioso si fece largo sulle labbra.

<< Ovvero? >> domandò, innocentemente diabolica.

Il nano lanciò uno sguardo allusivo al suo abito, e alla pelle scoperta del collo << Potrei prenderti qui e ora >> decretò, mandando in malora ogni buon proposito e lasciando che il desiderio – costantemente trattenuto durante le interminabili ore - s'impadronisse di lui.

Le strinse i fianchi con foga, riuscendo ad alzarla per farla sedere precipitosamente sul parapetto; spaventata, si aggrappò alle sue vesti, mentre Thorin sorrise maligno << Non ti fidi del tuo re? >> le mani callose iniziarono ad alzare la lunga gonna viola scuro, fermandola sulle cosce.

<< Non mi fido del legno >> lo corresse, pensando al vuoto e all'acqua gelida ad alcuni metri sotto di lei << è tutto traball... ah! >> ansimò, non riuscendo a terminare poiché sentì le dita di Thorin compiere il medesimo percorso della stoffa, proseguendo però languide verso il centro del suo corpo fremente e caldo. Raddrizzò istintivamente la schiena e mosse involontariamente il bacino in avanti, aumentando il piacere selvaggio che le fece mordere il labbro, gli occhi perennemente legati a quelli del nano che, d'altra parte, era affascinato da lei e dalle sue movenze inconsapevolmente erotiche.

<< Mmh, hai ragione >> fece finta di staccarsi da lei, leggendole incredulità e fastidio.

<< Non fermarti proprio ora >> i pozzi neri scintillavano nella notte, il volto talmente serio e corrucciato da farlo sorridere e riavvicinare immediatamente.

<< Non ne avevo intenzione >> le sussurrò, riprendendo possesso del corpo e delle labbra che lo aspettavano, pronte ad accoglierlo; il bacio passionale li lasciò senza fiato nel giro di pochi minuti, ma tentarono di prolungarlo quanto possibile, anche se dovettero interrompersi più di una volta per permettere a Karin di gemere e sospirare sotto le sue esperte attenzioni.

Si estraniarono da tutto, la musica e le risate divennero solo un labile ricordo.


Il giorno successivo fu tremendamente pesante e triste, specialmente per Karin: dopo aver raccolto i pochi abiti ed alcuni oggetti comprati ad Esgaroth – tipo una bella e resistente spazzola – li cacciò in un fagotto, chiudendolo con un laccio. Iris giaceva sulle coperte del letto, al sicuro dentro il fodero; la prese, liberandola e guardandola con affetto, come quando si ritrova una persona preziosa dopo un lungo periodo di tempo.

<< Perdonami se ti ho trascurata, amica mia >> mormorò, rattristandosi un poco: non avrebbe saputo dire se impugnarla le procurasse sollievo o... dolore.

Si stupì molto per la realtà che le venne sbattuta in faccia, ma era così: riprendere Iris significava riportare alla luce un pezzo dell'Esiliata e della Traditrice, che in quelle due meravigliose settimane aveva cercato di dimenticare e accantonare, riuscendoci grazie agli amici. Grazie a Thorin.

Sospirò, constatando anche che non avrebbe mai potuto abbandonare realmente ciò che era, ovvero una nana che, suo malgrado, aveva affrontato dure sfide; una nana che sapeva maneggiare una spada – e non una qualunque – e che, presto, avrebbe potuto ripristinare il nome del suo clan e quello del padre. Un pesante fardello, molto simile ma anche molto diverso da quello che, dopotutto, gravava sulle spalle del Re dei Nani.

Scosse la testa, riponendola nel fodero; la allacciò alla cintura e poi, dopo aver raccolto il fagotto e dato un ultimo sguardo malinconico alla camera, si era chiusa la porta alle spalle, lasciandovi un pezzo di sé, del suo cuore.

Non attese che gli altri si sistemassero e la raggiungessero: prima di partire, vi era un ultimo saluto da porre; quella mattina si era accordata con Thorin, il quale non aveva obiettato alla sua proposta, anzi, si era dimostrato pienamente d'accordo, aggiungendo che anche loro si sarebbero fermati brevemente.

E quando aveva bussato alla porta della modesta casa di legno e le aveva aperto una triste Alhena già al colmo delle lacrime, il cuore le si era serrato: l'aveva stretta a sé in un abbraccio addolorato che non sapeva d'arrivederci, ma d'addio; perché, in fondo al cuore, Karin sospettava che sarebbe sopravvissuta per poter tornare indietro.

E la piccola, dolce Alhena, ne sembrò consapevole: un drago, specie Smaug il Dorato – che aveva posto fine al regno dei Nani di Erebor e, ora, custodiva il loro immenso tesoro – non era certo una creatura facile da sconfiggere: come potevano riuscirci quattordici piccoli nani e uno hobbit?

<< Alhena, ma chi è? Oh, Karin! >> Eliese comparve dietro la figlia, ancora avvinghiata alla nana; le osservò con una espressione dispiaciuta e sofferente, lasciandole a salutarsi: e quando venne il suo turno, non poté impedire alle lacrime di fuoriuscire.

<< Che sciocca! >> si rimproverò, agitando una mano << Mi ero ripromessa d'essere forte come te, e invece... >> nascose il volto tra le mani, ma la ragazza gliele prese tra le sue, guardandola con affetto.

<< Ma tu sei forte, amica mia: non dimenticarlo mai >>.

La donna sorrise tra le lacrime quando notò che anche agli angoli degli occhi neri si erano fermate delle lacrime, pronte a scendere sulle gote: e quelle scesero, non appena Karin sbatté le palpebre.

<< Che la fortuna vi assista, e che il coraggio non vi manchi. Mia signora >> risero, stringendosi le mani.

Karin annuì << Grazie. Che i Valar vi proteggano >>.

<< Noi ce la caveremo; siete voi ad avere più bisogno di protezione, mi pare >> commentò Eliese facendo ridere Karin, il morale già più sollevato nonostante il pianto.

<< Avremo bisogno di un bel po' d'aiuto, questo sì >> ammise la nana << Addio, Eliese >> aggiunse poi, seria.

<< Addio, Karin >>.

Si abbracciarono, stringendosi per trasmettersi forza e fermezza, ringraziandosi mentalmente per tutto l'aiuto e l'amicizia che si era sviluppata in quei pochi giorni, ma che si sarebbe mantenuta e sarebbe cresciuta nel tempo.

Di questo ne erano certe.

Sentirono grandi schiamazzi e, sciogliendosi, notarono che la Compagnia procedeva verso di loro: iniziarono dapprima con molti convenevoli ma finirono poi per abbracciarsi cordiali, stritolando la piccola Alhena che, giunta a salutare i più giovani, scoppiò in un pianto inconsolabile, acuito quando venne il turno di Fili; solo Thorin, Dwalin e Balin apprezzarono una stretta di mano, che divenne vigorosa quando si congedarono da Renal.

Infine, col cuore desolato, si avviarono verso il municipio sotto gli sguardi e le canzoni della gente, che riuscirono a portar loro un po' di conforto: sulla scalinata che conduceva alla porta stava il Governatore, ben felice di sbarazzarsi della loro costosa presenza, anche se non lo diede a vedere.

<< Capisco perfettamente, o Thorin figlio di Thrain figlio di Thor! >> disse, pomposo << Devi reclamare ciò che ti appartiene. L'ora è vicina, o re che aspettavamo. Tutto l'aiuto che possiamo offrire sarà tuo e ci affidiamo alla tua riconoscenza quando avrai riconquistato il tuo regno >> ribadì a voce alta, di modo che tutti potessero esserne testimoni se il nano non avesse rispettato il patto.

Thorin abbassò il capo in un cenno, stupito ma anche tremendamente irato per l'astuzia che si celava dietro quell'uomo avaro; quello sembrò apprezzare il gesto e, con un cenno teatrale della mano ornata da anelli d'oro, diede il permesso di far condurre loro dei pony, i quali vennero avviati lungo il sentiero che costeggiava il lago. Li avrebbero attesi al punto d'approdo previsto, mentre loro salirono su tre grosse barche cariche di provviste: i bianchi remi si immersero sollevando spruzzi, ed essi risalirono il lago verso nord, trasportati dalla corrente placida e dal freddo vento autunnale, per l'ultima tappa del loro viaggio.





CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonaseeeeera ^^!

Questo capitolo è un po' più corto dei precedenti, però ho preferito terminarlo con la partenza da Esgaroth così che, dal prossimo, si inizierà con un altro blocco importante del viaggio: e l'ultimo ç____ç.

Duuuunque, che dire di questo? Bé, innanzitutto sono MOLTO soddisfatta, perché l'ho scritto in piena fase creativa – benedetta ispirazione che è tornata *___* - e, anche se ancora di transizione, l'ho semplicemente adorato: perché qui, diamine... Thorin e Karin non riescono a contenersi e perché iniziano ad intravedersi le prime avvisaglie del nuovo periodo buio che dovranno affrontare. Maledetta Erebor T.T...

Tornando al punto principale: allora, vi è servito bene il catino/piscina olimpionica ;)??? Ahahahah! Ah, come avrete notato, le prime righe sono “diverse” dalle altre, poiché non vi è un vero e proprio soggetto finché non si legge il nome di Thorin: no, non sono rimbambita del tutto ma ho voluto fare un esperimento, ovvero quello di liberare la vostra fantasia su "chi stesse facendo cosa” O.o; d'accordo, sembra molto perversa come faccenda – e forse lo è :P – però... non so, a me piaceva molto come idea ^^. Cooomunque, penso abbiate ben capito che era Thorin quello che “subiva” ;) e che Karin, stavolta, si era fatta più sveglia XD! Thehehehehehehheeheheheh, che donna... e che culo *_____________*

Va bé, come al solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le solite recensioni ;)

ringrazio le carissime e specialissime Synne, vanessa 90, Carmaux, Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

Modalità minacciosa ON *Perché recensirete, VOI che, ora, mancate all'appello, VERO???* Modalità minacciosa OFF ;)))

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra

Anna

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***


CAPITOLO DICIASSETTE



<< Stabiliremo qui il nostro accampamento >> decretò Thorin, non appena raggiunsero il grande sperone meridionale della Montagna.

<< Ricordo che vi era un posto di guardia, tempo fa: potremmo fermarci lì, se non fosse troppo esposto >> commentò Balin, lisciandosi pensoso la barba.

<< Meglio essere prudenti >>.

<< Concordo >> appoggiò Dwalin << e ora? >> domandò poi, incrociando le braccia.

Thorin lanciò uno sguardo a Karin, ad una manciata di metri da loro: sentendosi osservata, alzò lo sguardo da terra incontrando gli occhi azzurri del nano, comprendendolo.

<< Cerchiamo la porta >> rispose Thorin per lei.

Karin annuì una volta sola, raggiungendoli. Dwalin la squadrò brevemente, tornando poi a considerare più interessanti le unghie della mano destra; Thorin non vi fece caso, giudicando il silenzio dell'amico come un fatto positivo: almeno non aveva iniziato ad inveirle contro.

<< Fili, Kili, Bilbo: verrete con noi. Voialtri rimarrete qui finché non avremo buone nuove >> tornò a guardarla, facendole un cenno con la mano << Dopo di te, Karin. Mostraci la via >>.

<< Seguitemi >> si diresse lungo la valle, camminando spedita verso le rocce; una volta lì, premette la mano sulla superficie ruvida della pietra, improvvisamente incerta e perplessa. Eppure la runa doveva trovarsi da quelle parti...

<< Qualcosa non va? >> Thorin le si era affiancato, e la stava guardando curioso.

<< Il segno. Dovrebbe essere qui >> mormorò, continuando a cercare.

Osservò meglio la roccia, aiutandosi anche con le dita nella vana speranza di scoprire qualche rientranza: non trovando nulla, venne presa da un senso di panico, temendo d'averli condotti in un punto sbagliato. Sentì l'agitazione prendere possesso dello stomaco, risalendo fino al cuore; frenetica, lasciò vagare lo sguardo lungo la montagna, trattenendo un'imprecazione tra i denti: poi, quando la speranza iniziava ad abbandonarla, riconobbe l'agognata runa a pochi metri di distanza da dov'era e, sospirando di sollievo, corse da lei. Una volta giunta, si girò verso i compagni con un sorriso sul volto, facendo un cenno affinché si avvicinassero.

<< Dobbiamo scalare >> li informò, alzando il capo verso l'alto << Vedete quella grossa pietra lassù? Dobbiamo raggiungerla e strisciarci dietro: là ci sono dei gradini che salgono ancora >>.

<< Bene >> commentò Thorin, schermandosi gli occhi – puntati verso la roccia indicata - con la mano destra.

<< Temo proprio di non potervi seguire >> disse Balin << Sono troppo vecchio e fuori allenamento per una arrampicata >>.

<< Tu e io rimarremo quaggiù >> parlò Dwalin << Se per te va bene, Thorin >> concluse, guardando il re.

Quello assentì, sfilandosi il fodero di Orcrist dalla cintura e porgendolo all'amico << Lasciate tutto ciò che è superfluo. Dobbiamo viaggiare leggeri >>.

Kili, Fili, Bilbo e Karin fecero come ordinato dal loro sovrano: una volta pronti, Karin diede le ultime indicazioni al piccolo gruppo.

<< Ora prestate attenzione: queste rocce sono scoscese >>.

<< Non ci spaventeranno di certo quattro pietre! >> esclamò spavaldo Kili, facendole scuotere la testa in muto rimprovero.

Si arrampicò per prima, cercando appigli sicuri: sentì la pelle graffiarsi, i muscoli tesi iniziarono a bruciare poco dopo, risentendo dell'inattività delle due settimane; si issarono per ore e, ogni tanto, Karin azzardava uno sguardo allo strapiombo, accertandosi se la seguissero o meno. Bilbo, subito dietro di lei, era pallido ma concentrato: la consueta ruga al centro delle sopracciglia era marcata, i capelli e gli abiti erano sferzati dal freddo vento d'autunno. Il volto era già sporco e provato dagli sforzi, così come quello degli altri che, incolonnati, lo seguivano in quella lenta e faticosa ascesa.

D'improvviso, un grido ruppe il silenzio e un rumore come di frana la raggiunsero e, arrestandosi, vide il minore dei Durin appeso per un braccio solo, con le gambe che oscillavano pericolosamente nel vuoto. Il cuore si arrestò di botto per poi accelerare bruscamente, tanto veloce e forte da farle ronzare la testa; innumerevoli brividi la percorsero, ed un sudore gelido prese possesso del corpo.

<< KILI!!! >> gridò angosciato Thorin, lasciandosi penzolare cautamente.

<< Kili!!! >> strillò lei subito dopo, la voce dispersa dal vento << Reggiti! >>.

Sapeva che l'ordine era superfluo, ma non era riuscita a trovare altre parole da dire, troppo impaurita e sconvolta per pensare ad altro: se avesse mollato la presa sarebbe caduto nel vuoto e... sarebbe morto.

Tentò di deglutire, vedendolo cercare di riportare anche l'altra mano ad afferrare la roccia; nel frattempo, Thorin – poco più in alto di lui - continuava a chiamarlo spaventato, ruggendogli incoraggiamenti come faceva Fili. Bilbo, al contrario, era totalmente ammutolito, gli occhi sgranati e la bocca socchiusa in un muto grido disperato.

Karin liberò il fiato trattenuto per quegli interminabili minuti quando lo vide aggrapparsi saldamente e riprendere possesso degli appigli, sistemandosi meglio: fece un cenno verso di loro, tentando di sorridere; ma in volto, gli lesse un immenso sollievo e un terrore ancora tangibile.

Il gruppo rimase ancora qualche momento in silenzio e immobile, cercando di recuperare la calma e il sangue freddo o, nel caso di Karin, aspettare che il cuore smettesse di battere così furiosamente.

<< Sali! >> le gridò Thorin, ad alcune bracciate dietro Bilbo.

Non annuì nemmeno, cercando di spostare il piede e poi la mano: aggirò un punto debole, sperando di venir imitata dai compagni: fortunatamente non ci furono altri intoppi e, benché avessero ripreso la marcia abbastanza lentamente, successivamente si ritrovò a scalare con disinvoltura finché le forze glielo permisero.

Verso mezzogiorno riuscì a raggiungere lo spiazzo di cui aveva parlato e, con un sospiro e un gemito, si rotolò sulla pietra respirando affannosamente, mortalmente stanca e sudata; riconoscendo la chioma di Bilbo, gattonò fino allo strapiombo per aiutarlo, tendendogli una mano. Una volta che le fu accanto, si adoperò per aiutare gli altri man mano salivano e, giunta al turno di Kili, aspettò fosse al sicuro per gettargli le braccia al collo, abbracciandolo d'impeto: il giovane, sorpreso dalla reazione, non rispose subito all'abbraccio, ma poi si sciolse in un gran sorriso stringendola forte.

<< Stai bene? >> gli chiese, staccandosi di poco da lui per guardarlo meglio in volto.

Gli occhi castani del nano non le mentirono << Certo, mai stato meglio! >> nonostante il tono baldanzoso percepì comunque ancora del lieve spavento, ma non l'avrebbe dimostrato con il fratello e lo zio a pochi passi.

Per fortuna intervenne Thorin << Non è disonorevole mostrare paura, Kili: poco fa hai rischiato la vita >>.

Gli si affiancò, posandogli una mano sulla spalla, i lineamenti del volto ancora adombrati e scossi; strinse la presa, facendogli capire quanto si fosse turbato nel vederlo in difficoltà, esprimendo risentimento per non essere potuto andare in suo soccorso.

Kili comprese: annuì e ricambiò la stretta, per poi venire coinvolto in un abbraccio stritolatore di Fili; Thorin, ora con un debole sorriso sulle labbra sottili, si avvicinò a Karin e lasciò che gli prendesse la mano. La guardò e, perso nei pozzi neri, disse addio all'ombra di timore nei suoi occhi: ora più sereno – e continuando a lanciare occhiate caute ai nipoti e allo hobbit, troppo impegnati per prestar loro attenzione – si permise di baciarla sui capelli, sentendo una delle sue piccole mani posarsi delicata e veloce sul petto in un carezza: purtroppo però interruppero presto il contatto per dedicarsi al resto della scalata.

<< Ecco, ci siamo >>.

Si imbatterono in rozzi gradini che salivano ancora verso l'alto, in quella che era una stretta pista; seguendola, arrivarono ad una cornice stretta che girava a nord, proprio in faccia alla Montagna.

Una volta su si affacciarono dal dirupo, notando che l'accampamento era proprio sotto di loro: ma il viaggio non era affatto terminato, poiché dovettero afferrarsi alla parete di roccia alla loro destra, avanzando in fila indiana finché essa non si aprì in uno spiazzo circondato da pareti scoscese, col suolo coperto d'erba, silenzioso e quieto.

Ansanti ma soddisfatti, si avvicinarono alla parete di pietra di fronte a loro che, alla base, era liscia e diritta come se fosse stata fatta da uno scalpellino; però non vi era alcun segno di giuntura o fessura.

<< Siamo certi che la porta sia... questa? >> domandò dubbioso Fili, appoggiando il peso del corpo sulla superficie fredda nel tentativo d'aprirla.

<< Sì. Solo che ogni tentativo di smuoverla sarà inutile: dobbiamo attendere il Dì di Durin >>.

<< Oh, giusto >> borbottò il nano, aggrottando la fronte in un buffo cipiglio.

Kili e Bilbo ridacchiarono, seguiti da Karin.

<< Riposiamoci un poco: ce lo siamo meritati >> concesse Thorin sedendosi poco distante dall'agognata porta.

Il gruppo l'imitò e, poco dopo, le pipe furono accese, grati nel sentire i nervi tesi rilassarsi piacevolmente: le chiacchiere e le risate contenute si sparsero ben presto nel vento, così come alcuni sguardi penetranti e ardenti.


<< Sarà meglio rientrare >> esordì Karin dopo alcune ore, osservando il sole scendere lento verso ovest.

Alle sue parole Thorin, seduto contro la roccia a riposarsi, aprì gli occhi << Sono d'accordo >> mormorò, sfregandosi stancamente la fronte.

Bilbo si alzò, facendo un cenno ai due fratelli perché lo seguissero: in risposta ad un'occhiata perplessa e confusa di Kili alzò eloquente le sopracciglia, indicando i due nani ancora seduti e vicini; il giovane, capite le intenzioni dello hobbit, annuì e lo imitò.

<< Noi scendiamo >> borbottò imbarazzato, seguendo il fratello nel percorso di prima.

Ora soli, Thorin si accigliò non poco quando vide l'ombra di un sorriso ilare sulle labbra di Karin << Come spieghi quell'espressione? >> domandò, alzandosi con fatica.

Lei, ancora seduta, dovette alzare il capo per guardarlo << Ho apprezzato il tentativo degli altri di lasciarci un attimo da soli >> spiegò, il sorriso che si allargava sempre più.

Thorin le tese una mano e, una volta che quella di lei vi si posò, strinse e tirò verso di sé, aiutandola ad alzarsi da terra: l'accolse tra le sue braccia, beandosi del contatto del corpo caldo e apparentemente fragile contro il suo.

<< Scioglili >> ordinò, la voce sensuale e bassa che vibrava.

Karin obbedì, slegando il laccio che li teneva fermi: le ricaddero scomposti e ribelli sul collo, perdendosi poi oltre; Thorin affondò il viso tra i suoi capelli, inspirandone il profumo con forza, sospirando di piacere: sorrise contro la chioma, e la mano posta sul collo si portò poco più in alto, affogando tra le ciocche nere e stringendo un poco. Quel tanto che bastava per farle alzare il volto e baciarle le labbra.

Karin le schiuse, attendendo di sentire la familiare presenza della lingua calda di Thorin a contatto con la sua, ma non avvenne: il nano continuava a premere le labbra sulle sue per poi allontanarsi di poco, ripetendo il dolce gesto infinite volte; le posò una mano sulla guancia, accarezzandola col pollice, mentre lei esplorava cauta il suo petto facendolo rabbrividire.

Thorin l'allontanò leggermente, deponendole un veloce bacio sulla fronte prima di separarsi del tutto e guardarla, piegando un po' il capo di lato: di nuovo, gli occhi azzurri brillarono devoti e pieni d'amore, facendole traboccare il cuore; gli si avvicinò, prendendogli una grande mano tra le sue, baciandogliela. Un gesto che implicava molti e più significati, ma che il nano intese come una sottomissione a ciò che rappresentava in quanto re: o una sottomissione a lui, Thorin.

<< Scendiamo, prima che cali il sole >> disse Karin con voce flebile; si avviò per prima e, una volta tornati alla parete rocciosa, notarono che gli altri erano a metri di distanza, ormai, e quasi a metà percorso.

<< Mi auguro non ci siano inconvenienti anche stavolta >> commentò lui, aggrottando le sopracciglia folte.

<< La discesa è più pericolosa della salita >> affermò lei, non volendogli mentire << ma staranno attenti, non temere. Quella di prima era stata una svista, vedrai che ora Kili sarà più accorto >>.

Thorin annuì una sola volta, girandosi ed abbassandosi per primo: mise un piede al di là del dirupo e, trovato un punto d'appoggio abbastanza largo, condusse anche l'altro; tenendosi aggrappato saldamente con le mani, le lanciò un ultimo sguardo d'ammonimento.

<< Sta' attenta, ed allarga bene le gambe per distribuire il peso del corpo; scendi con calma, non abbiamo alcuna fretta >>.

Karin portò le mani sui fianchi << Sarà fatto. Sta' attento anche tu, ti prego >> la seconda frase le uscì in un lieve mormorio comunque udibile dall'altro, che annuì.

Quando sparì alla vista, girò un'ultima volta il capo verso la porta, per poi attendere che Thorin fosse sufficientemente a distanza; infine, iniziò la lunga e faticosa discesa.



<< Dunque l'avete trovata! >>.

<< Meno male! >>.

<< E' pericolosa la scalata? >>.

<< Quando partiamo? >>.

Il torrente di domande venne placato da un cenno di Thorin: non mentì riguardo la salita, anche se non accennò all'intoppo con Kili; Karin ascoltava a stento, lo sguardo perso tra le fiammelle arancioni del fuoco che avevano acceso non appena si era fatto buio.

Si erano rifocillati con della zuppa calda, adatta al clima rigido che li aveva accolti non appena il sole era tramontato e, ora, la stanchezza l'aveva ghermita. Appoggiata al suo fagotto, aveva sentito dapprima la testa svuotata d'ogni pensiero ciondolare pericolosamente, seguita dalle palpebre abbassate che faticavano sempre più ad alzarsi.

Tremò, avvolgendosi nel mantello pesante: Thorin se ne accorse, decidendo di mandare tutti a dormire per recuperare le forze, utili per la mattina successiva quando sarebbero tornati alla porta. Balin si offrì per il primo turno di guardia, dando loro le spalle e sorridendo nella notte quando sentì i passi del re portarsi verso il giaciglio della ragazza: infatti, passando poi da quel lato per andare a svegliare Oin, li vide abbracciati e avviluppati nei mantelli – dispiegati a formare un'unica coperta - probabilmente per ripararsi dal freddo e scaldarsi a vicenda.

Una scena che lo commosse e strinse il vecchio cuore, mettendogli buonumore: sentimento che sembrò pervadere la Compagnia il mattino successivo, dopo un'abbondante - ma non secondo il loro giudizio – colazione.

<< Bofur, Bombur >> chiamò Thorin, rivolgendosi ai fratelli << voi rimarrete a far la guardia ai pony e alle provviste: non potremmo mai trasportare ogni cosa. Qualcuno verrà a darvi il cambio più tardi >>.

<< D'accordo >> asserì il giocattolaio: il fratello, d'altra parte, scosse la grossa testa.

<< Non riuscirò mai a salire, grasso come sono! Mi verrebbero le vertigini o inciamperei nella barba, e allora sareste di nuovo in quattordici >> aggiunse, abbattuto.

<< Questo lo vedremo, amico mio >> replicò Thorin, dandogli una pacca sulla spalla << lo vedremo >>.

Il resto del gruppo si legò una robusta corda intorno alla vita, raggiungendo senza incidenti il piccolo spiazzo erboso: una volta sistemati, issarono con le corde ciò di cui avevano bisogno.

<< Potremmo calarci anche più in fretta, in questo modo >> disse Bilbo, sorpreso dell'idea avuta da Fili.

<< Che vi avevo detto? Funzionerà perfettamente! >> esclamò il giovane nano, orgoglioso come non mai.

Non essendoci granché da fare, i nani si scelsero un posto dove riposare e Karin si portò vicino allo hobbit, osservandogli la nuca fitta di capelli già ingarbugliati.

Non l'aveva sentita arrivare e le dava le spalle, ma notò che aveva estratto qualcosa dalla tasca e la teneva sul palmo della mano: curiosa, si sporse, riconoscendo la forma rotonda d'un anello d'oro.

<< E quello? >> chiese, facendolo sobbalzare: richiuse la mano di scatto, girandosi veloce.

Gli occhi sembrarono mandare dei lampi pericolosi, o forse fu solo una sua impressione: veloce com'erano giunti passarono, lasciandoli solo confusi.

<< Mi hai spaventato >> borbottò, evitando di guardarla.

Karin gli si sedette al fianco, le spalle si sfiorarono << Non hai risposto >> osservò calma, come se stessero parlando dello scorrere del tempo.

Bilbo deglutì, abbassando la testa e cercando un modo convincente per dissuaderla dalle domande pressanti che, presto o tardi, sarebbero capitate << Non è nulla, solo un vecchio anello >>.

<< Quello l'ho capito >>.

<< No, invece! >> scattò Bilbo, lasciando saettare gli occhi grigi su quelli neri << Tu non hai compreso niente! >>.

Karin schiuse le labbra, sorpresa dalla reazione dell'amico << Non c'è bisogno di rispondere così, né d'urlare >> disse lentamente, senza nascondere un lieve astio nella voce.

<< Va tutto bene? >>.

I due si girarono verso Bofur, alle loro spalle, l'espressione d'un tratto seria e preoccupata.

<< Sì, tutto a meraviglia >> rispose Karin, lanciando uno sguardo di fuoco allo hobbit, tornato nel suo mutismo e ostinatamente rivolto col capo dall'altra parte.

<< Mmh, se lo dici tu >> alzò le spalle, tornando a sedersi con gli altri.

Karin incrociò lo sguardo severo di Thorin, che le domandava silenzioso che diamine stesse accadendo: gli rispose scuotendo la chioma nera, venendo poi attirata dalla voce esile di Bilbo.

<< Mi dispiace, Karin. Non so cosa mi sia preso >> ammise, quasi più scioccato di lei.

Sospirò, aprendo con fatica la mano che racchiudeva l'anello: lo guardò, tendendolo poi verso di lei << E' grazie a questo se ora sono vivo, e se siamo riusciti a fuggire da Bosco Atro >> le raccontò di come ne era venuto in possesso rivelandole tutta la verità, omessa parzialmente agli altri.

Una volta terminato, Karin rimase in silenzio, gli occhi fissi su quel piccolo ma potente oggetto: per una qualche ragione oscura l'attirava immensamente, ma al contempo ne provava paura; il suo istinto la metteva in guardia dalla sua magia, poiché un anello che faceva sparire non era certo da prendere alla leggera.

Perciò, fu ben felice quando se lo infilò nuovamente in tasca, al sicuro da occhi indiscreti: e ciò che la fece intimorire maggiormente fu lo sguardo... smanioso e bramoso di Bilbo. Un'occhiata che le mise i brividi e gelò le ossa.

<< Bilbo...? >> azzardò, incerta nel timbro.

Lui, al contrario, alzò le sopracciglia, gli occhi grigi ora normali. Karin sospirò rincuorata, facendogli un mezzo sorriso e lasciando perdere ogni discorso superfluo: promise a se stessa che non avrebbe parlato dell'anello a meno che non fosse stato strettamente necessario.

Sì, è la soluzione migliore, per tutti quanti.

Volse uno sguardo alla parete della Montagna, ed un senso di smarrimento e fallimento s'impossessò di lei, accompagnato da un crescente nervosismo per l'immobilità alla quale erano costretti: si alzò di scatto, sopprimendo la smorfia di dolore quando i muscoli protestarono sonoramente inviandole fitte lancinanti; ecco cosa doveva aspettarsi dopo ben un mese d'inattività, contando anche il tempo trascorso dagli elfi!

Imprecò in silenzio e si massaggiò una spalla, gemendo internamente mentre si avvicinava a Thorin per esporgli il suo desiderio.

<< Io scendo >> esordì, portando su di sé la sua attenzione.

<< Prego? >>.

<< Ho bisogno di scendere: vado a far muovere i pony e faccio una passeggiata >> spiegò breve, aspettando un assenso.

Thorin l'osservò, forse percependone il disagio e il malumore: fu per questo che non obiettò né impose la sua presenza, assecondandola con un cenno; un angolo della bocca rosea si piegò riconoscente verso l'alto, ma gli occhi rimasero seri e sfuggenti ai suoi azzurri.

Girò su se stessa e si diresse alle corde, saldamente legate a dei grossi massi: con uno sbuffo si aggrappò ad una di esse e sparì alla sua vista, scendendo a terra.

Salutò Bombur con la mano e sciolse le briglie dei primi due animali: camminò spedita e a lungo cercando di placare i pensieri e il mal di testa crescente, i pony che trottavano al fianco.

Li fece muovere tutti finché il pallido sole passò oltre il mezzogiorno; il cielo era grigio e freddo, e sembrava condividere il malumore che pervadeva la Compagnia e il suo cuore. Legò di nuovo le briglie ai rami secchi di alcuni alberi scuri e contorti, soffermandosi poi a sfiorare il pomolo di Iris, lo sguardo costantemente rivolto alla roccia impietosa e aguzza della Montagna Solitaria: sfoderò la spada, guardando la lama non più luccicante ma spenta e opaca, che pareva assorbire la monotonia dei colori che la circondavano.

Strinse l'elsa e la fece ondeggiare, trovandosi a compiere ghirigori nell'aria e a mulinare fendenti contro un nemico immaginario, tagliando l'aria con suoni dolci e letali al tempo stesso.

I pensieri iniziarono a svanire man mano che li affrontava a suon di lama: girò su se stessa, scartò di lato, parò, affondò più e più volte nei loro cuori, beandosi delle loro urla straziate, del sangue che ruscellava a fiotti rosso cupo; divaricò le gambe e si piegò sulle ginocchia doloranti, il braccio sinistro teso e lungo davanti a sé, culminante nella punta della spada. Ansimava ma non le importava, continuando a combattere: i capelli danzavano scomposti con lei, il sudore imperlava la fronte e il collo, perdendosi giù; l'aria fresca la faceva rabbrividire e spostava lievemente la camicia. Uno schiocco secco, come se qualcuno avesse appena spezzato un ramo caduto, la mise in allerta; rapida ruotò i piedi, spostandosi di colpo verso la fonte del rumore, alle sue spalle: la lama d'acciaio si scontrò con un'altra in un suono metallico per nulla spiacevole, addirittura quasi melodioso.

<< Lasci sempre il fianco scoperto >>.

Si morse l'interno guancia, socchiudendo gli occhi di fronte all'ovvietà << Lo so. Come vedi, certi sbagli sono difficili da correggere >> concluse, alzando le spalle ma senza abbassare il braccio << Però sono riuscita a bloccarti >>.

<< Vero >> concesse Thorin, rimanendo nella sua stessa posizione << Questo perché ho accidentalmente spezzato un ramoscello e ti sono comparso alle spalle in un gesto poco onorevole: ricorda sempre di stare all'erta, Karin, e di mantenere un contatto visivo con la coda dell'occhio >>.

Lei annuì, ancora indecisa se essere contenta della sua presenza o infastidita: certo, in quel periodo le era mancata la solitudine e si era accontentata di quelle brevi ore poiché aveva potuto concentrarsi sui pensieri pressanti che la martellavano spesso e volentieri però, d'altra parte... ne era veramente stufa marcia!

<< Perché non duelliamo, in ricordo dei vecchi tempi? >> propose con un leggero sorriso. Sì, era stata la decisione adatta: l'averlo al fianco l'avrebbe rasserenata e confortata.

Lo stesso pensiero attraversò la mente del re che, senza indugio, accettò: non senza rimarcare una preoccupazione << Spostiamoci di qualche metro, però: non mi sentirei tranquillo nel sentire il rimbombo dei colpi; siamo pur sempre ai piedi di una montagna sorvegliata da un Drago >>.

Solo allora lei sembrò ricordarsene << Non ci avevo pensato >> dichiarò, adombrandosi << Forse è meglio lasciar perdere >>.

Thorin scosse la testa, in disaccordo << Se ci spostiamo da quella parte sono certo che nessuno ci sentirà. Il vento non trasporterà alcun rumore verso la montagna, giacché andrà nella direzione opposta >> affermò convinto.

Si avviò per primo, sicuro che lo avrebbe seguito, seppur con qualche titubanza: e, infatti, avvenne.

Camminarono a lungo ma a passo spedito e, dopo circa quaranta minuti, erano ben lontani e al sicuro: si allontanarono di poco dall'altro e, dopo alcuni sguardi silenziosi e guardinghi, iniziarono a duellare.

L'aria divenne satura del cozzare di lame potenti e resistenti, scintille sprizzavano quando si baciavano; benché lo stile di combattimento dei nani fosse grossolano e brutale, a vederli pareva danzassero leggiadri. Più di una volta si misero in difficoltà, ma trovarono sempre il modo di venirne fuori e rispondere agli attacchi dell'avversario: brandivano le spade con entrambe le mani, senza risparmiare le forze, schivando, parando, affondando e attaccando, mettendo in pratica ogni tecnica che conoscevano, ogni trucco imparato.

Karin ben presto si ritrovò a indietreggiare sotto i colpi potenti e violenti del nano, lasciandolo sprecare energia: quasi inciampò in una radice, ma riuscì a rimanere in piedi; d'un tratto avvertì la ruvidità di un tronco a contatto con la schiena, finendo intrappolata tra l'albero e Thorin che, con un sorriso di trionfo, le puntò Orcrist alla gola tenendo la lama di piatto.

Affannato la studiò in silenzio, gli occhi azzurri brillavano e le labbra erano piegate in un sorrisetto divertito, lo stesso riservatole nelle due settimane a Esgaroth quando erano soli nella sua stanza: il sudore aveva appiccicato alcune ciocche sottili sulla fronte alta e autoritaria, altre erano posate sul collo.

<< Direi che ho prevalso ancora una volta >> sibilò con voce calda e suadente, sporgendo la testa verso di lei.

Le risultò terribilmente complicato deglutire, ma si impose di restituirgli l'occhiata e il sorriso maliziosi, ed arcuò leggermente un sopracciglio << Io non direi >>.

All'occhiata sorpresa di Thorin rispose abbassando gli occhi e la testa verso il suo stomaco, dove si trovava la lama di Iris << Saresti morto, maestà >> aggiunse ironica.

Thorin emise una breve risata, ringraziandola dal profondo del cuore per quel lieto momento, nel quale i pensieri e l'impazienza l'avevano abbandonato.

<< Parità, dunque >> decretò, riponendo Orcrist nel fodero; poi, le si avvicinò e posò la fronte contro la sua, racchiudendole il volto tra le mani. Chiuse gli occhi e respirò profondamente il suo odore, senza curarsi del fatto che non si lavavano da due giorni: le mani di lei erano sui suoi fianchi ma poi si spostarono sulle braccia, accarezzandogliele; rimasero a lungo in silenzio, ascoltando solo i respiri vicini e il vento che soffiava tra le rocce producendo una sibilante melodia, a tratti inquietante che, molto presto, li riportò alla realtà e ai problemi che li affliggevano.

Karin sospirò sconsolata, aprendo gli occhi ed ammirando ogni più piccolo tratto del volto di Thorin, ancora con le palpebre abbassate; le dita sfiorarono la tempia, scostandogli con amore i capelli che le impedivano di vedere il suo re e, senza rendersene conto, si ritrovò ad attorcigliarli piano, scendendo poi verso una delle trecce laterali, percorrendone la lunghezza fino alla placca metallica che la chiudeva.

Lo sentì respirare sereno, ora maggiormente rilassato solo grazie a quelle piccole e insignificanti carezze: quando aprì gli occhi la studiò in ogni movimento e in ogni espressione, meravigliato e contento nel vederla tranquilla, al contrario di com'era stamattina.

Sorrise affettuosamente ma lei non se ne accorse, poiché teneva lo sguardo abbassato rispetto al suo e, una volta che lo guardò finalmente negli occhi era tornato serio, con la fronte un poco aggrottata: aveva notato che il sole volgeva verso occidente, il che significava dover tornare all'accampamento.

Karin seguì lo sguardo impensierito, capendo: sospirò nuovamente abbandonandosi alla carezza che tentava essere delicata del nano, ma che amava con tutta se stessa, di cui non si sarebbe mai stancata.

Le piaceva il tocco rude della mano callosa, ben più abituata a maneggiare manici di martelli o else di spade che guance rosee e prive di barba, ma non per questo meno esperta: fu naturale baciarne il palmo, era un gesto che adorava compiere, così come quello di baciargli le palpebre o il collo, o toccargli i lunghi capelli neri striati di bianco.

Allungò il capo quel tanto che bastava per appoggiare le labbra sulle sue in un bacio leggero e delicato, a cui se ne sostituì uno più profondo e colmo di sentimento; lo stomaco le sobbalzò in petto quando si rese conto d'averlo agognato per tutta la giornata, nonostante non ci avesse pensato molto: ed ora, lo spirito sembrò risollevarsi, il morale crescere, la felicità prenderla. Gli circondò il collo con le braccia aderendo al suo corpo con trasporto, mugugnando e percependo le mani del nano che vagavano sui fianchi per risalire lungo la schiena, accarezzandola e portandosi poi verso il basso.

A suo parere si staccarono anche troppo presto, le sue mani ancora perse lungo il torace di lui e quelle di Thorin sui suoi glutei.

<< Andiamo >> disse, baciandola sul capo.

Quando raggiunsero lo spiazzo erboso vennero accolti dalla voce burbera di Dwalin, che si stava lamentando << La barba ci crescerà fino a penzolare da qui, in cima alla rupe, fin nella valle prima che succeda qualcosa. Che cosa sta facendo per noi il nostro scassinatore? Visto che possiede un anello invisibile, e ormai dovrebbe sapersene servire egregiamente, comincio a pensare che potrebbe passare per la Porta Principale e vedere cosa succede! >>.

Bilbo taceva, lo sguardo afflitto e infelice; gli altri sembravano volersi trovare in un altro luogo piuttosto che lì ad ascoltare, e questo fu troppo per Karin.

<< Che altro pretendi, Dwalin? >> domandò stizzita << Che sconfigga il drago da solo e poi venga cordialmente ad aprirci la Porta? >>.

Il guerriero voltò il capo verso di lei, infuriato per l'interruzione e la frecciata acida << Mi aspetto faccia qualcosa. È uno scassinatore, dopotutto... >>.

<< Cos'è, senza Gandalf non sai più dove sbattere la testa? Credevo ripugnassi l'aiuto di qualcun altro oltre te stesso: o questi anni ti hanno fiaccato? >> non riusciva a credere d'aver detto quelle frasi ostili, ma la soglia di sopportazione si era notevolmente ridotta da quando era in viaggio, specie dopo aver passato gli ultimi giorni confinata su quello sperone isolato senza combinar nulla.

Seppe d'aver provocato un guaio quando scorse l'espressione sempre più scioccata ma arrabbiata oltre ogni dire di Dwalin: strinse i pugni talmente forte da iniziare a tremare e, rapido, scattò verso di lei; indietreggiò spaventata, chiedendosi cosa sarebbe successo ma, per fortuna, Thorin fu altrettanto veloce a frapporsi tra loro, portandosi davanti a lei per proteggerla.

O almeno, così credeva.

<< Calmati, Dwalin! Anche se la punissi non riusciresti a tenerle a freno quella lingua tagliente >> esclamò duramente a voce elevata, riuscendo a bloccare l'amico col suo corpo.

Il nano ringhiò, allontanandosi dal suo re, facendo qualche passo indietro << Parola mia, esiliata, un'altra frase del genere e ti farò pentire di essere nata! >> sbraitò, schiumante di collera << Mai dare del codardo a me, sono stato chiaro? >>.

<< Non intendeva chiamarti a quel modo... >> iniziò Gloin, tentando di prendere le difese della ragazza.

<< Ah no? Togliti il cerume dalle orecchie, la prossima volta >>.

<< Il cerume mi pare ce l'abbia tu, e non certo nelle orecchie! >> replicò furente Gloin, lanciandogli un'occhiataccia.

Il gruppo si divise e si distribuì dietro i due contendenti, afferrandoli per le braccia possenti o gli abiti per evitare l'inevitabile scontro.

Le grida riempirono l'aria, ma vennero prontamente placate dalla voce tonante e ruggente di Thorin, che faceva ancora da scudo a Karin; immediatamente tutti ammutolirono e lo guardarono, mentre gli occhi si riempivano di vergogna nel caso degli altri e di fiera determinazione nei due nani.

<< Smettetela! Non dobbiamo permettere che questi litigi insensati avvengano, sono stato chiaro? >> fece vagare lo sguardo su ognuno di loro, soffermandosi sull'amico << Capisco come tu ti senta impotente - essendo lo stesso sentimento che ci pervade – ma non è azzuffandoci tra noi che risolveremo il problema: dobbiamo pazientare ancora un poco. E se non accadrà nulla nelle prossime ventiquattro ore, faremo come hai suggerito >> sentendola trattenere il fiato indignata avvertì la rabbia crescere nel petto: si girò, fronteggiandola << Scusati per il comportamento insolente, Karin! >>.

Lei schiuse le labbra, se possibile ancora più sorpresa di quando aveva capito che Dwalin l'avrebbe punita: insolente? Aveva semplicemente difeso un amico dalla brutalità di un nano indisponente!

Si morse le labbra e lo sfidò con lo sguardo a costringerla, alzando il capo fiera e orgogliosa; Thorin non si fece certo intimorire, anzi, accentuò lo sguardo rabbioso e irritato: possibile non capisse e dovesse sempre ergersi ad eroina della situazione e polemizzare per ogni questione?

Le sue parole avevano inciso sull'orgoglio di Dwalin e, se solo avesse provato a pensare attentamente, avrebbe ricordato che mai e poi mai avrebbe dovuto dirle, sapendo quanto l'altro fosse suscettibile; non che lui lo fosse di meno, d'altra parte. Se gli avesse rivolto quelle frasi, non ci sarebbe stato nessuno in grado di fermarlo dal castigarla; e si stupì non poco constatando che lei – essendo ben altezzosa – non l'avesse capito subito.

Passò molto tempo nel quale nessuno dei due volle perdere quello scontro silenzioso e visivo ma, finalmente, Karin capitolò, forse arrivando alle stesse conclusioni pensate dal nano: si spostò e si avvicinò a Dwalin, mantenendosi ad una distanza ragionevole.

<< Scusa >> sputò tra i denti, gli occhi neri fiammeggianti.

Dwalin rimase imperturbabile, ma comprese fin troppo bene quanto fosse soddisfatto della resa: infuriata con se stessa, con lui e anche con Thorin, non attese una risposta, non riuscendo a sopportare oltre quell'espressione compiaciuta; si girò rapida, allontanandosi il più possibile – per quanto lo spiazzo glielo permettesse. Per un attimo fu tentata di scendere di nuovo, ma era troppo stanca anche solo per sedersi a terra, con le gambe che penzolavano dal bordo roccioso.

Non si sentì mai così umiliata come in quel momento, e dovette sbattere le palpebre ed inspirare a fondo per impedirsi di piangere di rabbia: d'accordo, era stata fin troppo brusca e offensiva, ma era intervenuta in buona fede per difendere un suo amico! Non c'era nulla di male in questo, a parte il modo con cui si era esposta.

Si passò una mano sulla fronte, lasciando che il suo animo venisse diviso dal senso di colpa e dall'orgoglio ferito, in lotta per farla sentire peggio; rimase a scrutare lontano per molto tempo, finché il primo buio della sera non li accolse e la cena fredda non fu pronta. Volendo evitare ulteriori prediche, raggiunse gli altri cenando con loro – nonostante la voglia di stare da sola cercasse di tirarla nella sua infida rete.

Il clima non era dei migliori: stettero in silenzio e si scambiarono solo qualche frase, ricordando gli avvenimenti precedenti e il fatto che, a pochissimi passi da loro, vi era l'unica apertura che potesse condurli all'interno della Montagna, dove li aspettavano un feroce drago pronto a divorarli e il loro prezioso tesoro.

Si coricarono col cuore pesante, ma Karin faticava a prendere sonno a dispetto dell'indicibile stanchezza, quindi decise d'alzarsi e portarsi quasi sullo strapiombo: sapeva che un solo passo falso le sarebbe costato la vita ma, sinceramente, non le importava. Puntò lo sguardo sul pianoro, là dove vi erano i pony e Nori e Dwalin che li sorvegliavano: ringraziò la decisione stessa del guerriero di abbandonare l'accampamento per la notte, così era riuscita ad evitarlo subito dopo cena.

Incrociò le braccia al petto, espirando ed osservando il lieve sbuffo che le si formò davanti, dato dal freddo che era sceso come una lama glaciale sulle loro teste; reprimendo un brivido cercò di scaldarsi, frizionandosi il petto, ma non servì a molto: schioccò la lingua, sapendo troppo bene di cosa aveva bisogno. Di chi.

<< Ehi >>.

Sobbalzò un poco, riconoscendo la piccola sagoma di Bilbo comparso al suo fianco senza che se ne fosse accorta; gli sorrise debolmente, certa che l'avrebbe vista in quell'oscurità.

<< Stavolta mi hai sorpresa. Non ti avevo nemmeno sentito arrivare >> confessò, giusto per spezzare il silenzio.

<< Eri talmente assorta che, se anche fosse passato un olifante da queste parti, non ci avresti fatto caso >> dichiarò lui con una risatina. Poi, però, tornò serio << Sono terribilmente mortificato per ciò che è successo stasera. Detesto quando litighi con qualcuno, specie se si tratta di Thorin >>.

Karin abbassò il capo quando sentì la mano dello hobbit posarsi sul braccio, accarezzandoglielo: non trovò niente da dire, limitandosi a restituirgli la stretta.

<< Non rispondi nulla? >> domandò Bilbo, tentando di coinvolgerla.

Scosse le spalle << Anche a me dispiace. Ma lo rifarei >> ammise, con tono di voce sicuro.

<< Non dire così, Karin! Non ne vale la pena... >>.

<< Dwalin ti ha parlato ingiustamente, non avrebbe dovuto >> lo interruppe, dura << E che vuoi dire con “non ne vale la pena”? Non dovresti dire così: mi sono sentita in dovere di prendere le tue difese perché lo volevo >>.

<< Compromettendo il tuo rapporto con Thorin >> bisbigliò lui, amareggiato.

Karin si morse la lingua e agitò una mano, a voler scacciare quella consapevolezza sofferta << E' stato solo un lieve diverbio, niente che non si possa risolvere >> borbottò << E' solo che il nostro orgoglio ci impedisce di riavvicinarci e parlarci come si conviene. Non temere per noi, Bilbo >> aggiunse con un mesto sorriso << ne abbiamo passate di peggio, sai. Ma siamo riusciti a riconciliarci >>.

Bilbo le rivolse un sorriso uguale al suo, arrendendosi << Grazie >>.

<< A che servono gli amici, altrimenti? >>.

Profondamente grato, Bilbo l'abbracciò stretta, affondando il viso nell'incavo del collo, lasciando che i capelli gli solleticassero il viso: sentì Karin ricambiare, portandogli sollievo nell'amarezza in cui era sprofondato.

Ora poco più sereno si staccò da lei, azzardando una carezza sulla guancia destra << Riposati, amica mia; e poi parla con Thorin >>.

Lei annuì, sfregando brevemente la gota sul suo palmo, mortalmente distrutta e spossata: sorrise ampiamente quando le strizzò la pelle in uno scherzoso buffetto, per poi allontanarsi verso il giaciglio; poco dopo, era già sprofondato nel mondo confortante dei sogni, lontano da ogni problema, ogni preoccupazione e timore: chissà, forse avrebbe sognato Vicolo Cieco e i suoi abbondanti pasti, il suo caminetto caldo, la sua poltrona comoda e il suo letto morbido.

Scosse la testa, mentre un dolore martellante alle tempie non le dava tregua: ah, come avrebbe voluto coricarsi anche lei e dormire, abbandonando il ricordo di quelle spiacevoli ore! Ma aveva altri pensieri pressanti, al momento.

Schivò con abilità i compagni dormienti, raggiungendo il pagliericcio prescelto: si chinò sui talloni, rimanendo qualche momento a contemplare la figura addormentata, i lineamenti non del tutto tranquilli nemmeno nel sonno. Le dispiacque doverlo svegliare ma non riusciva a rimandare oltre, benché meno la mattina successiva: perciò lo scosse piano per una spalla, e quello si svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere non appena la riconobbe.

<< Dobbiamo parlare >> annunciò, senza dargli il tempo di chiederle perché non stesse riposando; alla sua occhiata colma di domande, rispose con un semplice << per favore, Thorin >>.

<< Allora siediti accanto a me >>.

Karin si sentì sollevata dal tono che usò, ben diverso da quello con cui le si era rivolto, e obbedì, stringendosi il più possibile nel mantello per cercare di coprirsi bene: Thorin risolse quel problema sfilandosi il pesante mantello ed appoggiandolo anche sopra le sue spalle, attirandola inevitabilmente verso il calore del suo corpo. Il mantello era tiepido, e Karin benedì l'idea con tutto il suo cuore, accoccolandosi contro il suo fianco.

<< Mi dispiace >> ammise, dopo alcuni momenti di silenziosa attesa << Ho compreso che il mio modo di esprimermi è stato poco... ortodosso. Ho sbagliato a dargli del codardo, avendo dimenticato quanto detestasse quell'aggettivo >>.

<< Non dovresti scusarti con me, ma con lui >> obiettò il nano, non senza nascondere un sottile sorriso vedendola storcere il naso, contrariata.

<< L'ho già fatto. Non mi ero scusata con te, invece: e in queste ore sono stata insofferente per questo motivo; detesto immensamente litigare >>.

<< Sono pienamente d'accordo, specie se ci siamo riavvicinati >> le passò un braccio attorno alla vita, stringendo piano << mi rammarico per non essere riuscito a relegare l'orgoglio e parlarti prima: temo che per me sia alquanto difficile >>.

Lo guardò di sottecchi, per poi scuotere la testa con un'ennesima smorfia di sofferenza << Dovevo essere io a rimediare, non tu. Ero solo contrariata dalla tua decisione - e lo sono tuttora, sia chiaro – ma l'accetterò: confido sempre in un qualche intervento propizio per salvare Bilbo dall'invisibilità e dal drago >>.

A quel punto, il sorriso di Thorin si fece ampio, lasciandola basita e perplessa << Fai bene a sperare: domani è il Dì di Durin! E, se ciò che ha detto Elrond corrisponde a verità, al calar dell'ultimo sole d'autunno scopriremo il buco della serratura che ci permetterà d'entrare >> la guardò, gli occhi azzurri brillavano ilari e gioiosi come poche volte, specialmente da quando si erano accampati lì.

Karin comprese il motivo del suo buonumore, complimentando l'ottima pensata.

<< Quindi, se non erro, Bilbo... >>.

<< Non sarà costretto ad usare l'anello magico, né a sconfiggere alcun drago per poi aprirci cordialmente la Porta >> replicò, citando testualmente le parole da lei dette.

Dovette trattenersi dal ridere forte, permettendosi una delicata risata, felice e consolatoria dopo quelle brutte ore << Ti ringrazio, Thorin: ora sono molto più tranquilla >>.

<< Lo vedo >> constatò lui, tornando serio << Il tuo affetto per lo hobbit è molto tangibile >> un certo tono infastidito nella sua voce la mise in allerta, facendole aggrottare la fronte.

<< Tengo a lui, è vero: lo considero un caro amico >> rispose cauta ma veritiera.

<< Amico >> sussurrò, più a se stesso che a lei. Rimase qualche secondo perso nei suoi pensieri, ma poi la fronte si spianò e sembrò rilassarsi semplicemente guardandola negli occhi, intensamente << Ora riposa, Karin, e allontana i cattivi pensieri: l'alba è sempre più vicina >>.

Si distese, osservandola stupito nel vederla ancora seduta e immobile, lo sguardo incerto e titubante.

<< Posso... dormire qui? >> chiese.

Senza dir nulla la condusse giù, tra le sue braccia; le baciò la fronte donandole un certo sollievo, poi depose un leggero bacio sulle labbra, a voler confermare la pace.

<< Il tuo posto è con me >> le sussurrò all'orecchio, assumendo un tono di comando e minaccia << Non dimenticarlo mai >>.



Il giorno seguente si svolse come il precedente, senza alcun cambiamento né, per fortuna, altre liti; solo durante il pomeriggio si mossero, non volendo rimanere un minuto di più in quello spiazzo: alcuni scesero a far muovere i pony o a sgranchirsi le gambe, altri errarono sul fianco della Montagna. Bilbo rimase a sedere tutto il giorno fissando continuamente la porta, o l'Occidente attraverso la stretta apertura rocciosa. Era in attesa di qualcosa, e si consumava nel tentativo di capire quel cosa.

<< Forse tornerà Gandalf >> bisbigliò; ma poi scosse la testa, sapendo in cuor suo che ora doveva sbrigarsela da solo.

Quando la palla arancione del sole calò al livello dei suoi occhi, illuminando ogni cosa in colori ancora debolmente caldi, scorse anche un sottile quarto di luna pallido e vago; aggrottò la fronte e corrugò le sopracciglia, alzandosi frettolosamente in piedi.

Proprio in quel momento sentì, dietro di sé, il rumore di qualcosa che veniva schiacciato: sulla pietra grigia c'era un tordo nero come il carbone, col petto giallo chiaro; aveva preso una chiocciola e, con un sonoro Crac! la stava sbattendo sulla pietra.

Eccitato e agitato insieme, venne colpito dalle parole che re Elrond aveva detto loro mesi addietro, rimanendone scioccato: Sta' vicino alla pietra grigia quando picchia il tordo e l'ultima luce del sole che tramonta nel giorno di Durin splenderà sul buco della serratura.”

Lì c'era un tordo. Un tordo, per l'amor del cielo! Tutto il resto combaciava alla perfezione! Quindi, il buco della serratura...

Balzò sulla cornice chiamando a gran voce i nani, urlando e agitando le braccia: i più vicini accorsero subito, spaventati, mentre chi si trovava giù gridò che li issassero sulle corde. Una volta che ci furono tutti, attesero trepidanti che il sole calasse maggiormente, non emettendo il minimo fiato; impazienti, iniziarono a gemere sconfortati quando non accadde nulla, ma Bilbo li rincuorò con dei cenni. La luna si abbassò sull'orizzonte, la sera era imminente.

Poi, improvvisamente, quando ogni speranza stava per svanire, un rosso raggio di sole scappò attraverso uno squarcio nelle nubi: la luce entrò dritta nello spiazzo erboso e cadde sulla liscia parete rocciosa. Trasalirono quando il tordo trillò inaspettatamente, venendo seguito da un forte scricchiolio: una scheggia di roccia cadde dalla parete, staccandosi con fragore, ed un buco apparve a un metro dal suolo.

Alcuni si fecero avanti, timorosi che quell'estrema possibilità potesse svanire, e la spinsero: invano.

<< La chiave! >> gridò Bilbo << Thorin, la chiave!!! Presto! >>.

Il re si precipitò in avanti, armeggiando tra gli abiti per trovarla: velocemente la infilò nel buco, non senza un lieve tremore di frenesia; entrò benissimo e poi girò.

Il bagliore si spense, il sole tramontò, la luna sparì e la sera balzò su nel cielo; trattenendo il fiato come un sol compagno, si guardarono dapprima timorosi e poi, sicuri, spinsero tutti insieme, facendo sì che una parte della parete rocciosa cedesse. Si delineò una porta alta proprio un metro e mezzo e larga uno – come riferito dalle rune – che si aprì senza un lamento verso l'interno. Il buio e l'umido parvero uscire come un vapore dalla Montagna: un'oscurità densa e profonda in cui non si poteva vedere nulla.

Un'oscurità che non ebbe il potere di spaventarli subito, giacché proruppero in esclamazioni e risa, ben felici d'esserci riusciti: si raccolsero attorno al loro scassinatore, dandogli pacche affettuose sulla schiena o sulle spalle, sorridendo come non facevano da giorni. I più giovani, presi dall'entusiasmo, arrivarono addirittura ad alzarlo con i loro abbracci vigorosi e grati. Persino Karin, ebbra di gioia, lasciò da parte ogni accortezza e corse ad abbracciare di slancio il suo Thorin, allacciandogli le braccia al collo e ridendo come quando era bambina, sorprendendolo. Ma, con immensa felicità, lo sentì restituire il gesto, seppur cercando di mantenere un'espressione pacata e dignitosa di fronte agli sguardi bonariamente canzonatori degli altri.

Una volta placati gli entusiasmi e ripristinato l'ordine – e ci volle un bel po' – rimaneva solo da discutere un nuovo piano.





CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonasera! Anzi, buonanotte mie care! Puff puff, ce l'ho fatta! E' da giorni che scrivo, non mi sono fermata un attimo – tranne che per mangiare, andare in bagno, dormire, bere e... leggere ^^ - comunque, eccomi qui!
Che ne dite, ci siamo? ;) finalmente l'hanno aperta, 'sta porta! Mi scuso per il capitolo un po' corto, non è che succeda granché nella storia originale, e non potevo certo farli litigare costantemente tutto il tempo, no? Poveracci :'(! Ad ogni modo, spero l'abbiate gradito anche se non succede nulla d'importante e/o esaltante :(, scusate u.u

Va bé, come al solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le solite recensioni ;)

Ringrazio le carissime e specialissime jaybeautifldarkangel, Lady_Daffodil, Carmaux, LadyGuns56, Synne, vanessa90, pamagra, Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna <3




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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ***


CAPITOLO DICIOTTO


<< Sapete, non è che guardando in quest'oscurità senza dir nulla troveremo una soluzione al problema >>.

<< Temi il buio profondo, Bofur? >> chiese Nori, con un leggero sorrisetto.

<< Non più di quanto lo tema tu, Nori >> rispose il giocattolaio, indicandolo.

<< Quindi, ora che si fa? >> domandò Dori, lanciando un'occhiata severa al fratello minore.

Quattordici teste si voltarono verso Thorin, in attesa di risposta: era pensieroso e rimase in silenzio per alcuni minuti, prima di proferire parola << E' arrivato il momento per il signor Baggins di guadagnarsi la sua Ricompensa, già ampiamente meritata dopo le dimostrazioni del suo coraggio e fortuna >>.

Bilbo, dopo aver scacciato la punta d'orgoglio che aveva infiammato il cuore alle ultime parole del nano, si spazientì, lasciando che il lato Tuc – unito ad una buona dose di confidenza che era ormai certo di possedere – emergesse << Se vuoi dire che il mio compito preveda d'entrare per primo nel passaggio, Thorin Scudodiquercia, che la tua barba possa allungarsi sempre più >> disse ironicamente << dillo subito senza tanti giri di parole! Vi ho già tirato fuori dai pasticci per ben due volte e ciò non era compreso nel patto iniziale, se be ricordo, quindi credo d'essermi già guadagnato una certa ricompensa >> spostò gli occhi dal volto serio e corrucciato di Thorin per posarlo su quello degli altri, in muta e trepidante attesa; incontrò gli occhi neri di Karin che, a braccia conserte, ascoltava attenta, non senza una buona dose di divertimento nei tratti.

Sembrava pienamente d'accordo, oltre che orgogliosa dal carattere dimostrato; col cuore immensamente più leggero, lo hobbit riprese << Ma, come diceva spesso mio padre, “la terza volta è quella buona”, perciò non rifiuterò. Andrò a dare un'occhiatina subito per togliermi questo pensiero. Chi vuol venire con me? >>.

Come aveva previsto non si fece avanti nessun volontario: Fili e Kili evitarono di guardarlo, imbarazzati, ma gli altri non fecero neanche finta di offrirsi; persino Karin che, di norma, accantonava le sue paure e si dimostrava più coraggiosa di quel che era non fiatò, scusandosi con lo sguardo.

<< Verrò io, ragazzo >> annunciò Balin << Entrerò e, forse, ti accompagnerò un poco più in là, pronto a chiamare aiuto in caso di bisogno >>.

Bilbo annuì, grato, per poi alzare brevemente il capo verso il cielo pallido striato di nero, notando che piccole e luminose stelle iniziavano a spuntare.

<< Fate attenzione, specialmente tu, Bilbo >> disse Thorin, avvicinandosi.

<< Sii prudente >> aggiunse Karin, posandogli una mano sul braccio e stringendo leggermente; Bilbo le batté qualche colpetto sul dorso e le regalò un breve sorriso tirato, sentendo improvvisamente la sua audacia vacillare: ma durò un battito di ciglia e, col cuore martellante, strisciò attraverso la porta incantata, intrufolandosi furtivo nella Montagna.

Il cunicolo era dritto, con pareti lisce e ben spianato al suolo: si inclinava leggermente verso qualche oscura meta lontana, nelle tenebre sottostanti.

Camminarono in totale silenzio, scandito solo dal rumore dei passi di Balin – ben più rumoroso – e dal battito forte del cuore del povero hobbit, finché il nano non si fermò, costringendo l'altro ad arrestarsi.

<< Buona fortuna, Bilbo! Mi spiace non poterti aiutare maggiormente, ma credo sia meglio che mi fermi >>.

<< Non temere >> rispose Bilbo, tentando di non far tremare la voce << Anzi, ti ringrazio per la compagnia >>.

<< Inutile raccomandarti la massima cautela: è mio desiderio – anzi, dell'intera Compagnia - rivederti presto sano e salvo >> gli strinse la mano, osservandolo poi inoltrarsi sempre più giù, nelle tenebre.



Dopo essersi infilato l'anello, Bilbo parve quasi risollevarsi: ora era invisibile e, cosa non meno importante, era silenzioso; faticava a sentire i propri passi incedere sulla pietra liscia del corridoio stretto.

Ora ci sei proprio dentro, vecchio mio” si ritrovò a pensare, sconsolato “e non ti resta altro da fare che cercare di uscirne! Che pazzo sono stato e sono!”

Continuò ad avanzare finché la fioca sagoma della porta non sparì del tutto, lasciandolo veramente al buio... e solo.

Deglutì, cercando di non dar peso ai brividi gelidi che percorsero la schiena, seguiti da un insano calore che gli fece aggrottare la fronte.

Stupito, si deterse il sudore dal volto, strizzando gli occhi quando gli parve di scorgere un bagliore, ancora più avanti; camminò, notando quando diventasse più forte e, senza alcun dubbio, confermò l'ipotesi: si trattava di una luce, e diventava sempre più rossa.

Sbuffi di vapori fluttuavano intorno a lui e sopra la sua testa, facendolo sudare: boccheggiò, rischiando di strozzarsi quando udì una specie di brontolio, simile al ribollire di un grosso pentolone sul fuoco.

Si fermò, portando una mano al cuore nell'assurdo tentativo di placarlo; con una smorfia, data dall'attorcigliarsi dello stomaco, compì l'atto più coraggioso che potesse mai anche solo pensare: avanzò.

E, quando giunse alla fine del tunnel, restò a bocca aperta dallo stupore: la Sala, scavata alle radici della Montagna, talmente alta e vasta che non riuscì a vederne i contorni, ospitava la più grande quantità d'oro che avesse mai visto; anzi, dubitava persino di essere anche mai riuscito a pensare ad una tale mole di tesori!

A dispetto dell'oscurità ogni moneta, pietra preziosa, armatura, arma, cotta di mithril, coppa o calice, sembrava brillare di luce propria, lasciandolo sbalordito e attonito; abbracciando la sala con lo sguardo, però, capì da dove proveniva quel bagliore.

O meglio, da chi proveniva: da Smaug.

Fece un passo indietro, ricordandosi d'essere invisibile e chiunque, anche a quell'enorme drago color oro rosso che giaceva addormentato su vere e proprie montagne di monete: dalle fauci e dalle froge provenivano un rumore sordo e sbuffi di fumo; la grossa coda era avvolta in spire, le membra si alzavano ed abbassavano placide a ritmo del respiro.

Non riuscì a deglutire, benché meno a pensare: rimase immobile ad osservare le gigantesche ali raccolte, il pallido ventre incrostato di gemme e frammenti d'oro per il lungo riposare su quell'insolito letto.

Eppure, accanto allo spavento che la vista di Smaug il Dorato gli procurava, non poteva impedirsi di venir avvolto dal desiderio e dall'incanto che tanto albergava nel cuore dei nani quando parlavano del tesoro incommensurabile e invalutabile che li aspettava lì sotto.

Rimase a fissarlo a lungo, non riuscendo a quantificarne il tempo, prima di decidersi a strisciare fuori dall'ombra della porta del cunicolo, attraverso il pavimento fino al bordo più vicino dei mucchi del tesoro. Guardingo – e tenendo sempre lo sguardo puntato verso la figura minacciosa – afferrò una grande coppa a due manici, la più pesante che riuscisse a trasportare.

Fu proprio in quel momento che il drago scosse un'ala, aprì una zampa, e il rombo del suo russare cambiò di tono.

Bilbo sentì d'impallidire e, senza attendere oltre, scappò nell'oscurità confortante del tunnel, il cuore che rimbombava furioso e le gambe talmente molli che minacciarono di farlo cadere più volte durante l'estenuante risalita. Tremava febbrilmente, mentre dentro di sé continuava ad urlare che sì, ce l'aveva fatta!

La lieve luce della porta gli fece riconoscere la grossa sagoma di Balin e, prima di raggiungerlo, ricordò di sfilarsi l'anello: il vecchio nano fu ben felice e sorpreso di vederlo e, capendo la sua agitazione, lo prese sottobraccio per portarlo fuori, all'aria aperta.



<< Perché ci mette così tanto? >> domandò per l'ennesima volta Karin, girandosi verso il tunnel oscuro.

<< Le tue continue domande non lo riporteranno più in fretta, se è questo che credi >> le rispose bruscamente Thorin, al limite della pazienza: anche lui iniziava a preoccuparsi, poiché la mezzanotte era appena passata, ma non era arrivato all'irrequietezza e al terrore che vedeva in lei.

Nonostante il sempre e crescente fastidio che provava ogni qual volta accennava allo scassinatore, comprese bene ciò che provava, quale impotenza le permeasse il cuore: e questo lo placò, in qualche modo.

Le si avvicinò a passi pesanti, accarezzandole una spalla << Tornerà presto, non temere >>.

Karin si bagnò le labbra, annuendo a fatica; improvvisamente, bisbigli concitati si levarono come un sol nano, portando l'attenzione della coppia verso due figure, appena uscite dal tunnel.

Senza nemmeno guardare Thorin, sgusciò dalla presa e corse da Bilbo, che si era disteso e respirava affannosamente tentando di placare lo spavento e ricercava l'aria fresca mancatagli nelle viscere della Montagna; si accorse a malapena dell'eccitazione dei nani ma, quando percepì qualcuno inginocchiarsi al suo fianco e prendergli una mano calda tra dita gelate sorrise, riconoscendo Karin.

Balin, che teneva la coppa tra le mani e la guardava quasi con adorazione, lasciò che gli altri si congratulassero con lo scassinatore per poi mostrarla: il silenzio calò sovrano, gli occhi accesi e brillanti di contentezza puntati sull'oggetto. Thorin fu il primo a riscuotersi ed allungò un braccio per prenderla ed esaminarla, senza dir nulla.

<< E' meravigliosa! >> esclamò Kili, quando giunse il suo turno << Complimenti, Bilbo: non potevi scegliere oggetto migliore da riportare >>.

<< Ora la riconquista del tesoro sarà una passeggiata, non è vero Thorin? >> domandò esaltato Fili, scordandosi del problema principale: fatto che, al contrario, non abbandonò la mente dello zio.

<< E il Drago? >> chiese a Bilbo che, nel frattempo, si era seduto ed era riuscito a calmarsi.

Lo hobbit represse un brivido, ma se ne aggiunse subito un altro mentre ricordava a cosa aveva assistito << Quando sono giunto nella Sala era addormentato, ma... >>.

<< Ma? >> ripeté Thorin, alzando le sopracciglia nere.

<< Non appena ho afferrato la coppa si è agitato nel sonno, come se avesse percepito la mia presenza e le mani che toccavano il suo tesoro, e... >>.

<< Non è il suo tesoro >> scattò Thorin, sibilando furente << ma nostro! Vedi di non dimenticarlo >>.

<< Ho detto così in quanto lo ha vegliato per lunghi anni, ma so perfettamente che vi appartiene. Non intendevo offendere >> spiegò, tentando di placare l'irosità del nano.

<< Anche se è un guardiano >> replicò con malcelato disprezzo << rimane comunque il nostro tesoro. Lui ce l'ha preso con la forza, e non abbiamo potuto far nulla per impedirglielo! >> strinse la mani a pugno fino a farle sbiancare, gli occhi azzurri erano un mare in tempesta mentre rimembrava quei giorni funesti: era adirato con se stesso e con il povero Bilbo, che non riusciva a trovare altro con cui replicare.

<< Bilbo non ti sta accusando per la venuta di Smaug, Thorin >> intervenne Karin, tentando di placarlo: avanzò di qualche passo portandoglisi vicino, guardandolo negli occhi << né voleva dire ciò che hai inteso >>.

Alzò una mano per posargliela sul braccio ma lui, ancora furente, la scostò bruscamente e, a grandi passi, si portò dal lato opposto dello spiazzo dando loro le spalle.

Karin sentì una stilettata al petto, ma non riuscì a fare o dire nulla che, improvvisamente, un enorme rombo come di tuono eruppe dalla parte inferiore della montagna; la porta alle loro spalle quasi si chiuse e su per il tunnel, dalle profonde viscere della terra, giunse un lamento furioso e un pestare che fece tremare il suolo.

Thorin si riscosse dal suo turbamento e corse dagli altri, che si erano raggruppati e immobilizzati scrutando ansiosi sia l'oscurità alle loro spalle, sia quella che li circondava.

<< Si è svegliato, sicuro! >>.

<< Si è accorto che gli manca la coppa, accidenti! >> esalò Bilbo con un sussurro tra lo spaventato e l'infastidito.

<< Shh, fate silenzio! >> intimò Balin, portandosi l'indice alle labbra, ascoltando attentamente; anche gli altri l'imitarono e, con orrore, sentirono chiaramente il suono dell'aria che veniva sferzata da un paio di grandi ali e, alzati gli occhi al cielo, videro un enorme sagoma nera che si librava fiammeggiante contro la luna posarsi in cima alla montagna in una vampa di fiamme scarlatte.

<< Indietro! >> sussurrò Thorin, agguantando Karin per un braccio; la coprì col proprio corpo a ridosso della parete rocciosa, mentre gli altri si acquattarono ai piedi dei massi, sperando di sfuggire agli occhi spaventosi che li cercavano.

Col cuore in gola che le mozzava il respiro, Karin dovette fare i conti col ronzio acuto nelle orecchie dato dalla paura che l'attanagliava, e la sempre più crescente perplessità riguardo i comportamenti di Thorin: la disorientava il carattere prima amorevole, poi arrabbiato e, infine, preoccupato e nuovamente protettivo del nano.

Scacciò quell'ultimo pensiero concedendo la priorità al problema del drago, a metri di distanza ma, purtroppo, ben presente: la schiena di Thorin la schiacciava contro la roccia, ed il respiro corto e breve muoveva alcuni capelli, arrivando a solleticargli il collo; entrambi avevano lo sguardo puntato verso l'alto alla ricerca dell'animale, ma sobbalzarono quando la voce ansimante di Bilbo li chiamò << Presto! La porta! Il tunnel! Via di qui! >>.

Thorin si mosse, portandola lentamente verso il tunnel, quando la voce preoccupata di Ori lo fermò << Non possiamo entrare, Bofur e Bombur sono giù nella valle! >>.

Karin si bloccò, guardando piena di sgomento il giovane nano, dandosi della sciocca per averli dimenticati in tutto quel trambusto: infatti, i due erano stati mandati a sorvegliare i pony poco dopo che Bilbo e Balin si erano addentrati nel varco oscuro.

<< Verranno uccisi, e anche i nostri pony, e perderemo tutte le provviste! >> gemette Dori, quasi piagnucolando.

<< Sciocchezze! >> disse Thorin, parlando per la prima volta e placando i vari gemiti e sospiri già rassegnati degli altri << Non li abbandoneremo! Bilbo, Balin e Fili, tornate dentro e portate Karin con voi, il drago non ci avrà tutti. Voialtri, prendete le corde! Kili, lancia due frecce verso la valle, come stabilito >> ordinò perentorio, mentre gli altri già obbedivano ai suoi comandi.

Karin andrò dritta verso il fagotto che conteneva alcuni corti archi di legno, raccattando una freccia dalla faretra.

Si portò al fianco di Kili, che aveva già incoccato una prima freccia e, con maestria e precisione, la lanciava nella notte: lei tese la corda più che poté, seguendo con lo sguardo la traiettoria della prima – per quanto l'oscurità glielo permise – e, dopo un leggero sospiro, la scagliò veloce.

Il giovane nano, che non si era subito accorto della sua presenza, la guardò dapprima stupito, per poi rivolgerle sia un breve sorriso di ringraziamento sia un'occhiata preoccupata, capendo che aveva appena disubbidito; difatti, non appena aveva abbassato l'arco, si era sentita trascinare lontano dal dirupo, trovandosi faccia a faccia con un furente Thorin: aveva la mascella contratta e digrignava i denti dalla rabbia, e stringeva il suo braccio con così tanta forza che le avrebbe lasciato le impronte della mano sotto i vari strati di indumenti pesanti, ne era certa.

<< Fili! >> sbraitò, non riuscendo a placare la rabbia nella voce. Il nipote accorse subito, temendo la tremenda lavata di capo che l'aspettava; invece non lo sgridò, più furioso con la ragazza che con lui << Portala dentro. Ora! >> scandì bene, senza guardarlo negli occhi: lo sguardo era unicamente ancorato al volto di Karin e vi rimase finché non la vide al sicuro con il piccolo gruppo.

Nel frattempo, Bofur e Bombur – dopo aver notato il segnale di pericolo dato dalle frecce scagliate a pochissimi metri da loro – se l'erano data a gambe il più velocemente possibile, raggiungendo il punto dove gli altri li aspettavano con le corde per issarli su.

Furono i momenti peggiori che avessero passato finora, poiché i suoni orribili dell'ira di Smaug echeggiavano nelle conche rocciose; da un momento all'altro, inoltre, egli poteva volare roteando sopra di loro e scoprirli.

Tirarono con vigore, riuscendo a tirare su Bofur, che si mise alle spalle di Dori e afferrò la restante corda per aiutarli a far salire il grasso Bombur.

Il piccolo gruppetto sulla soglia del tunnel, nel frattempo, attendeva col cuore trepidante di saperli sani e salvi, e tirarono all'unisono un sospiro di sollievo quando anche quest'ultimo fu in salvo, seppur con il fiatone e la corda sfilacciata; arrivarono anche degli attrezzi e diversi pacchi di provviste, ma poi la furia si abbatté su di loro.

Si udì un suono rombante, talmente pericoloso che fece accapponare la pelle e tappare le orecchie dallo spavento. Una luce rossa toccò le cime delle alte rocce, e venne il drago.

Karin non si accorse nemmeno d'aver iniziato ad urlare terrorizzata, ed ebbe solo la fugace visione dei restanti nani, preda dalla paura cieca, che correvano verso di lei trascinando i loro fardelli; Smaug arrivò rapido, rimbombando da nord, lambendo di fiamme i fianchi della montagna, sbattendo le ali con un rumore simile al ruggire del vento.

Il fuoco bruciò l'erba davanti alla porta, e penetrò attraverso la fessura che avevano lasciato aperta: si alzarono fiamme guizzanti, e la Compagnia arretrò e si strinse meglio che poté; Karin non pensò neppure per un attimo di lasciare il braccio di Thorin, al quale si era stretta non appena l'aveva raggiunta. Tremava ed era pallida, i denti battevano di paura nonostante il calore intenso prodotto dal drago: e, quando egli li sorpassò per inseguire i poveri pony, nessuno ebbe il coraggio di fiatare per lunghi, lunghissimi minuti, ancora troppo sconcertati.

<< Scendiamo di poco. Non è prudente rimanere sull'uscio >> Thorin spezzò quel gravoso silenzio e gli altri annuirono solamente, seguendo Dwalin.

Si sedettero vicini, benché là sotto ci fosse un caldo afoso, in un gesto di muta solidarietà e felicità nell'essere ancora interi; Karin dimenticò qualsiasi conflitto o questione irrisolta con Thorin, stringendosi a lui con forza e lasciandolo andare solo quando dovettero togliersi il mantello e alcune casacche pesanti, rimanendo solo in camicia.

Pian piano gli altri scivolarono in sonni irrequieti e agitati ma, anche se non poteva vederlo, sapeva che Thorin era ancora vigile: lo capiva dal respiro e dal movimento del torace, sul quale aveva poggiato la mano destra.

Dovette lottare con se stessa a lungo ma, infine, confessò i timori che la spaventavano << Non abbiamo alcuna speranza >> sussurrò esile.

Lo sentì irrigidirsi sotto il suo tocco, ma non le rispose; alzò il capo, osservandogli il profilo severo e serio, gli occhi azzurri puntati verso l'unica porta.

<< Thorin >>.

<< Non aggiungere altro >> l'interruppe, prima che potesse effettivamente dire alcunché. Incontrò i suoi occhi, luccicanti di determinazione: non si sarebbe mai arreso o piegato, lo capì guardandolo.

Eppure, ancora una volta, non poté fare a meno d'esternare i suoi dubbi, cercando di farlo ragionare << Se ci ha messo in difficoltà con una semplice vampata di fuoco come potremo combatterlo? >> scosse la testa, spostandosi alcuni capelli dalla fronte sudata.

<< Sai anche tu che la forza di volontà può superare qualsiasi ostacolo >> ribatté fieramente.

<< Non questo ostacolo >> rimarcò con una punta d'ansia << Sma... il drago è un avversario contro cui non possiamo vincere >>.

Thorin la fulminò con un'occhiata, sentendo i sintomi della rabbia tornare prepotenti << Mi chiedi di arrendermi? >> domandò duramente << Sai che non acconsentirò mai! >>.

Karin sospirò, sapendolo perfettamente << Non ti chiedo nulla del genere: non è un mio diritto, dopotutto >> mormorò tristemente; poi alzò il capo, cercando i suoi occhi << però non puoi chiedermi di essere partecipe della nostra disfatta, perché si tratterà di questo, alla fine >>.

Thorin la studiò a lungo, prima di risponderle << Vorresti andartene? >>.

Lei si morse il labbro, chiedendosi se avrebbe voluto lasciarlo, lasciare tutti loro: forse, se glielo avesse chiesto i primi giorni di viaggio avrebbe risposto affermativamente. Ma dopo tutto ciò che avevano affrontato, dopo tutto ciò che era stato detto e risolto... bé, la risposta era una sola.

Thorin sentì il cuore alleggerirsi di poco quando la vide scuotere con decisione la testa, negando; ma si rabbuiò quando parlò nuovamente.

<< Non esiste un'altra soluzione? Non so, forse se... aspettassimo? >> domandò incerta sulle sue stesse parole.

<< Cosa, che il drago muoia di vecchiaia? >> si pentì del tono per nulla calmo, sospirando pesantemente << Capisco le tue preoccupazioni, Karin, ma ho atteso a lungo questo giorno: il pensiero del drago nella nostra Montagna non mi ha mai abbandonato. Il desiderio di vendetta è forte e non vacillerà di fronte alla sua grandezza, o alla sua crudeltà: io lo ucciderò, stanne certa. E riprenderò ciò che mi appartiene >>.

L'alterigia con cui parlò le diede una scossa di nuovo e infiammabile vigore e, solo allora, sembrò ricordare il motivo del coinvolgimento nella missione: suo padre aveva perduto l'onore a causa di Smaug.

Lei aveva perso Thorin a causa di Smaug.

Non doveva dimenticarlo.

<< Capisco la tua volontà, poiché è anche la mia: troppe cose si sono concluse, troppi cuori sono stati infranti a causa sua. Purtroppo però devi guardare in faccia la realtà: siamo numericamente inferiori e inesperti: il solo sferzare l'aria con la coda può spazzarci come foglie >>.

<< Abbiamo uno scassinatore >> le ricordò << Troverà un modo per sopraffare il nemico >>.

Karin schiuse le labbra, accigliandosi << Vuoi che sulle sue spalle gravi anche questo peso? >> sibilò, guardandosi attorno circospetta: tutti dormivano, compreso il povero hobbit, ignaro che stessero parlando di lui << E poi, Thorin, diciamocelo: credi davvero che Bilbo possa sconfiggere il drago da solo? >> domandò scettica e arrabbiata, incredula dalla proposta.

<< Non ho detto debba soggiogarlo, so benissimo che non ne sarebbe in grado; è già riuscito a scendere una volta, trovandosi al suo cospetto: l'ha osservato e può farlo nuovamente per cercare un qualunque punto debole. Una volta trovato, scenderemo anche noi di soppiatto e lo uccideremo! >>. Karin si morse il labbro, evitando di dirgli quanto quel piano fosse pieno di falle: si sentì incredibilmente stanca, e perse ogni grammo di energia per discutere con lui; se Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna, si impuntava su una sua convinzione – più o meno sciocca – non vi era modo di farlo ricredere, o ragionare.

<< Dobbiamo pensarci bene, e discutere anche con gli altri questo piano: una lieve mancanza e saremo spacciati >> ammise, sollevata nel vederlo annuire; la strinse a sé in un abbraccio, facendole posare il capo sulla spalla.

Spossata dagli avvenimenti della giornata e ancora dolorante nel corpo si lasciò sfuggire un gemito appagato, mentre la mano tornò a posarsi sul petto del nano; lo accarezzò un poco, per poi fermarsi quando lui portò la mano sinistra sulla sua, allacciandole le dita.

Le palpebre divennero pesanti e non fece nulla per lasciarle aperte, agognando la beatitudine del sonno che, presto, la prese.

Prima di sprofondare in un sonno denso di timori e presagi per nulla consolatori, le arrivò la voce nitidamente avvolgente e bassa di Thorin, abbassatosi al suo orecchio per bisbigliarle la sua promessa << Riprenderemo ciò che ci appartiene. Lo riprenderemo. Lo giuro >>.



Quando venne il mattino il terrore dei nani diminuì un po': consumarono una colazione veloce nel più totale silenzio, ansiosi che il drago avesse potuto essere in allerta lì vicino, o che possedesse un udito fine in grado di captare ogni loro più piccolo suono. Una volta che si furono saziati – ma non completamente, poiché era indispensabile mantenere una buona quantità di cibo – giunse il momento di discutere il da farsi.

Come aveva previsto Karin, non trovarono alcun sistema per sbarazzarsi di Smaug, rivelando il punto debole dei loro piani, come lo era stato fin dall'inizio. Erano talmente amareggiati e depressi che rimproverarono Bilbo per aver portato via la coppa, suscitando il furore del mostro.

Ed un certo risentimento nello hobbit << Non sono certo stato assunto per uccidere draghi, quello è compito vostro in quanto guerrieri! Ho iniziato come meglio potevo: vi aspettavate che tornassi con tutto il tesoro di Thror in spalla? Se è per questo, anche io avrei delle lamentele da fare >> esclamò, squadrandoli bene << Avreste dovuto portare un gran numero di scassinatori invece che uno dato che, da solo, non riuscirò mai a riprendere tutto! >>.

La voce di Balin, per nulla alterata ma calma, si levò dall'oscurità << Ti chiediamo perdono, Bilbo: non era nostra reale intenzione rimproverarti. È vero, tu hai fatto ciò che hai potuto, e ti ringraziamo infinitamente per questo: il tuo aiuto è sempre stato prezioso, e anche stavolta non è da meno >>.

Questo placò nettamente il povero Bilbo, che agitò una mano imbarazzato a mo' di scusa per il comportamento.

<< Dunque che cosa ci suggerisci di fare, signor Baggins? >> chiese Thorin con curiosità.

L'altro si strinse nelle spalle, mentre un'idea prendeva forma nella testa << Dato che non possiamo muoverci di qui, penso che potrei tornare là sotto, verso mezzogiorno >>.

<< Perché proprio a quell'ora? >> domandò Nori, interrompendolo.

<< E' il momento in cui Smaug schiaccia un sonnellino >> rispose << o almeno spero. In ogni caso, cercherò di scoprire quali sono le sue intenzioni. Forse ne verrà fuori qualcosa >>.

<< Sei sicuro? >> chiese Karin, senza nascondere la paura nella voce: gli era seduta accanto e lo hobbit, sorridendo alla sua preoccupazione, le strinse affettuosamente una mano.

<< Sicurissimo. È tempo che aiuti di nuovo la Compagnia >>.

<< Potrei venire con te, per precauzione >>.

<< No >> rispose Thorin per lui << Tu non saresti invisibile e, tra l'altro, riconoscerebbe il tuo odore di nano. Rimarrai qui, e senza discutere >> sentenziò.

<< Ti ringrazio comunque per il pensiero >> le disse Bilbo, gentile << Non preoccuparti, Karin: ce la farò! Come diceva sempre mio padre, “Ogni drago ha il suo punto debole” >> si fermò, ridacchiando con lei e con Kili e Fili per l'imitazione ben riuscita della voce del genitore, contento d'essere riuscito ad alleggerire brevemente l'atmosfera pesante e greve che respiravano da giorni.

Rimasero di nuovo in silenzio, mentre l'eco delle lievi risate si disperdeva nell'oscurità.

A mezzogiorno, i nani gli rinnovarono le raccomandazioni e, quando venne il turno di Karin, Bilbo si ritrovò imprigionato in un forte abbraccio.

<< Non sai quanto vorrei venire con te >> gli sussurrò, sapendo bene che, se Thorin l'avesse udita, si sarebbe adirato; si staccò di poco, guardandolo negli occhi << Fai attenzione, ti prego. Se la situazione diventa pericolosa scappa senza esitare >>.

<< Lo farò, te lo prometto >> le accarezzò una guancia, sorridendo piano << Ma tu sta' tranquilla >>.

<< Lo sarò quando tornerai >> gli rispose, seria e timorosa. Poi gli diede un bacio leggero sulla guancia e si allontanò in fretta, forse per evitare di scoppiare in lacrime. O, più probabilmente, per impedirsi di disubbidire ancora una volta.

Bilbo, ancora stordito per quell'inaspettata dimostrazione d'affetto, si avviò silenziosamente lungo il tunnel buio, ricordandosi a metà strada d'essere ancora visibile; con uno sbuffo si infilò l'anello e, ora più calmo e di nuovo padrone delle sue azioni, tornò nella Sala del Tesoro, esultando intimamente nel vedere il drago profondamente addormentato.

Quel che non sapeva era che il mostro, insospettito, teneva un occhio mezzo aperto per fare la guardia! Il povero Bilbo se ne accorse troppo tardi ed indietreggiò immediatamente, benedicendo la fortuna d'avere l'anello.

E allora Smaug parlò.



Karin si svegliò di soprassalto, chiedendosi quando si fosse addormentata: aveva una fame atroce, ma erano d'accordo di ridurre le porzioni al minimo, almeno finché non avessero pensato ad un altro piano; si stiracchiò, indolenzita, sospirando mestamente nel vedere l'oscurità avvolgerla: avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire un po' d'aria fresca sul volto o, andarsene da lì. Si deterse il sudore dalla fronte con la manica della camicia, venendo attirata da un movimento alla sua destra: Bofur entrò nel suo campo visivo, offrendole una borraccia; la prese e bevve avidamente, lasciando che il liquido colasse in gola, mentre alcune gocce scivolarono sul mento.

<< Grazie >>.

<< Di nulla >> rispose, prendendo posto accanto a lei; in quel momento lo stomaco di Karin gorgogliò rumorosamente, e dato il silenzio opprimente venne udito da tutti, facendola precipitare nell'imbarazzo più totale.

Bofur scoppiò a ridere, affondando il viso nel cappello per non far troppo rumore, seguito a ruota dai fratelli Durin e dagli altri: persino Balin e Thorin si concessero un sorriso ed una lieve risata, mentre Dwalin la guardò con sguardo indecifrabile. Bombur, al contrario, fu l'unico che si lamentò << Hai espresso bene ciò che provo! Ah, non sai quel che darei per una bella porzione di cibo, come quello mangiato a Esgaroth! >> esclamò, lo sguardo vacuo e perso in un punto indefinito << Ricordate gli arrosti succulenti, quelle verdure lucenti e rotonde, le minestre calde, il pane croccante e dorato dal buon profumo, come una mattina d'estate... >>.

<< Parola mia, fratello, se non taci ti infilzo e ti faccio arrosto! >> proruppe Bofur, con sguardo minaccioso.

<< Esatto! >> si intromise Nori a dargli manforte << Anzi, potremmo anche mangiarti crudo, però prima ti tireremo via quella pellaccia: almeno starai zitto!!! >>.

Bombur si offese, borbottando imprecazioni che fecero infuriare gli altri due nani; solo l'intervento di Thorin li sedò, evitando lo scoppio di una vera e propria lite << Non puoi parlare tranquillamente di cibo e pretendere il silenzio, Bombur: farai meglio a tenere le fantasie nella tua testa, così eviterai il macello >> concluse con un sogghigno.

I nani ridacchiarono e annuirono, poi ciascuno tornò a immergersi nei propri pensieri; Karin si scostò una ciocca dal volto, portandola dietro l'orecchio, lo stomaco contratto anche dalla paura: Bilbo mancava da ore, e cominciava ad innervosirsi.

<< In pensiero anche tu, vero? >> domandò Bofur, il sorriso ora spento << Non faccio altro che guardare il tunnel. Mi dispiacerebbe molto se gli capitasse qualcosa: ormai mi ci sono affezionato >>.

<< Parli come se fosse in punto di morte! >> intervenne Kili, portandosi all'altro lato della ragazza e appoggiandole il mento sulla spalla << Suvvia, è uno scassinatore provetto oramai – anzi, forse anche nato, visto il recente recupero: perciò non temete, ce la farà >> concluse, facendole l'occhiolino.

<< Tornerà prima di sera >> aggiunse Fili con un sorriso aperto << Su, preoccuparsi così non serve a nulla, a parer mio >>.

<< Quando mai ti sei preoccupato di qualcosa? >> domandò Karin rimproverandosi subito: specie dopo aver ripensato a tutti i pericoli che avevano corso e, non ultimo e meno importante, alla quasi caduta del fratello minore dalla scalata << Scusa, non intendevo >>.

<< Fa niente >> replicò lui << capita di parlare senza pensare, specie in queste occasioni >> si sporse per darle un'affettuosa pacca sulla spalla, strappandole un sorriso accennato.

<< E' l'ombra di un sorriso? >>.

<< Può darsi Bofur, può darsi >> rispose enigmatica, accentuandolo.

Ori – seduto qualche breve passo più in là ed attento ad ogni loro parola - si lasciò scappare un sospiro compiaciuto, tornando a raschiare la penna d'oca sul suo diario.

<< Ehi, secondo voi starà scrivendo altri insulti? >> bisbigliò Kili, allungandosi verso il fratello.

<< Può darsi! >> ripose quello, sempre sussurrando << Bofur, riesci a leggere le rune? >>.

<< Naa, troppo lontano ragazzi: mi spiace >>.

<< Che storia è mai questa? >> chiese Karin a voce bassa, curiosa << Da quando in qua Ori scriverebbe certe parole? >>.

<< Ah, giusto, tu non c'eri quella sera, impegnata com'eri a far partorire la mamma della piccola Alhena! >>.

Le raccontarono dell'episodio e, man mano che procedevano a spiegarle i dettagli – tra una battuta e l'altra – lei sgranava maggiormente gli occhi, incredula, per poi unirsi alla loro risata sguaiata; dovette premersi la stoffa del mantello sulla bocca per trattenersi e, con immenso stupore e divertimento degli altri, portò le dita ad asciugare le lacrime.

La mano destra volò al fianco, che lanciava fitte di dolore, ma non smise un attimo di ridere, grata come poche volte << Vi ringrazio >> riuscì a dire, quando si placò un poco << Ne avevo bisogno >> ammise sincera.

<< Ridere fa sempre bene, a parer mio! >> annuì convinto Bofur, tirando su col naso.

Si sorprese a pensarla allo stesso modo: almeno, per un breve momento, era riuscita a dimenticare i problemi che la torturavano, e la condizione misera in cui versavano!

Tolse ogni residuo di lacrime e si appoggiò meglio alla parete di roccia quando, improvvisamente e rapidamente, un rombo profondo e sinistro scosse le fondamenta stesse della Montagna, risalendo minaccioso come vento.

Scattarono tutti in piedi, allarmati e, senza attendere alcun ordine da Thorin, raccattarono in fretta i loro fagotti e pacchi, spostandosi il più possibile dall'entrata del tunnel: pochi ma interminabili secondi dopo apparve in fretta Bilbo, che cadde svenuto sulla soglia, seguito da una coltre di fumo grigio.

<< Bilbo! >> gridò Karin, col cuore in tumulto; gli si inginocchiò accanto, trasalendo inorridita quando vide le varie bruciature e i capelli mancanti sulla nuca, abbrustoliti fino al bulbo sotto la pelle << Presto, dobbiamo medicarlo! Dell'acqua, e delle bende, presto! >> ordinò agitata come non mai.

Gloin rovistò in fretta e furia nel fagotto giusto, trovando ciò che serviva e portandoglielo; l'aiutò a curarlo mentre gli altri, ansiosi, avevano formato un cerchio attorno ai tre, in trepidante attesa.

<< Spostatevi, così non riusce a respirare! >> disse Balin, allontanando i più giovani, che non riuscivano a staccare gli occhi di dosso dalle mani di Karin, intenta a bagnare delle pezzuole per lenire la bruciatura sul collo.

Lo hobbit gemette forte, ridestandosi: aprì gli occhi iniziando a tremare di dolore, aggrappandosi al braccio offerto da Gloin; i due nani si guardarono timorosi, sapendo di dovergli comunicare che la sua bella chioma riccia e i peli sui talloni ora mancavano.

<< Brucia >> si lamentò, tentando di mettersi in ginocchio; Karin e Gloin l'aiutarono a sollevarsi e, guardandolo negli occhi, lo misero al corrente.

<< Ci spiace, Bilbo, ma credo dovrai pazientare un poco: i capelli ricresceranno di certo >> mormorò Karin, afflitta, sfiorandogli il punto; anche lui portò una mano dietro sentendo che, effettivamente, mancavano.

Sussultò e tornò a tremare agitato, ricordando il precedente incontro col drago.

<< Ebbene? >> chiese Thorin << Come mai ti ha ridotto in questo stato? Cosa ti ha detto? >>.

Bilbo ebbe solo la forza di scuotere la testa, pallido e tremante come una foglia: non disse nulla, chiudendosi in un cupo silenzio che non migliorò affatto l'umore irascibile di Thorin, specialmente quando Karin parlò in sua difesa.

<< Ti dirà ciò che vuoi sapere, ma non ora. Lascialo riposare >> disse, calma.

Allargò le narici e la trafisse con lo sguardo, ma non parlò; le diede le spalle, ordinando furiosamente agli altri di spostarsi poiché lo scassinatore stava bene, e non era certo guardandolo inebetiti che sarebbe guarito prima.

Passò del tempo prima che la paura e il disagio di Bilbo diventassero rabbia e malumore: raccolse una pietra e, notando un vecchio tordo appollaiato su una roccia con la testa inclinata da un lato gliela scagliò addosso, provando soddisfazione nel vederlo volare via.

<< Perché l'hai fatto? >> domandò Karin, stupita.

<< Credo stia ascoltando e non mi piace il suo aspetto, uccellaccio della malora! >> sbottò iroso.

<< Potrebbe essere l'ultimo superstite dell'antica stirpe di tordi che viveva da queste parti, docili alle carezze di mio padre e mio nonno >> asserì Thorin con un cipiglio malinconico, seguendo con lo sguardo il volo dell'uccello, tornato a posarsi sulla roccia a pochi metri da loro << Erano una razza longeva e dotata di poteri magici, visto che gli Uomini di Dale capivano il loro linguaggio e li usavano come messaggeri >>.

<< Bé, avrà proprio delle belle notizie da portare, ne sono sicuro >> borbottò l'altro, amareggiato.

<< Spiegaci quel che è accaduto >> disse il vecchio Balin con gentilezza << sempre se te la senti, ora >>.

<< Mi ha parlato, con una voce talmente profonda e spaventosa che pareva essere uscita dalle profondità stesse della terra, antica come il Mondo: ha usato parole suadenti e abili per cercare d'estorcermi la verità, utilizzando subdoli e sottili enigmi. E quando il suo occhio rovente si posava sul punto in cui ero nascosto, cercandomi, io... provavo un forte desiderio di precipitarmi fuori! Probabilmente si trattava del suo influsso magico, non so >> venne percorso da un altro brivido, ma continuò << Sa quanti siamo, e mi ha colto di sorpresa quando ha fatto delle supposizioni sul come avremmo potuto trasportare tutto il tesoro – e la mia quattordicesima parte fino a Vicolo Cieco - una più improbabile dell'altra perché, effettivamente, è impossibile! >> lo sguardo grigio saettò sul volto di Thorin, palesemente contrariato << Immagino tu ci abbia pensato, Thorin: o vi siete burlati di me per tutto il tempo? >>.

Un silenzio gelido e imbarazzato scese sulla Compagnia: i nani spostarono il capo verso il loro impassibile re, che spalancò leggermente gli occhi, forse ricordandosi in quel momento del problema.

<< Ad essere sincero no, non ci avevo pensato attentamente >> ammise, chinando la testa << Ma ti prometto che ti aiuteremo ben volentieri a portare la tua parte: è il minimo, dopo tutto quello che hai fatto per noi e dopo i pericoli che hai dovuto affrontare. Hai la mia parola >>.

Bilbo annuì, lasciando che il dubbio provato scomparisse dal cuore << So che manterrai il patto, Thorin >> si grattò la nuca, impacciato << Perdonami per aver dubitato >>.

Il nano agitò una mano con noncuranza, facendogli intendere che tutto era risolto. Bilbo prese fiato, riprendendo il racconto.

<< Nessuna lama può trafiggerlo, essendo corazzato con scaglie di ferro e gemme dure, tuttavia vi è un punto scoperto nella parte sinistra del petto! >> esclamò con un sorriso << Se si è abbastanza svelti e precisi la si può colpire con un colpo solo. Purtroppo credo abbia indovinato molte cose grazie ai suoi enigmi, e sono sicuro che sa che veniamo da Esgaroth e che siamo stati aiutati; ho l'orribile sensazione che andrà là a vendicarsi >> esalò, guardando il volto cereo e gli occhi spalancati di Karin: era giunta alla sua stessa conclusione, ed il cuore le si era stretto in una morsa.

Eliese e Alhena.

Il piccolo Glir e Renal.

Tutti gli abitanti...

Per un po' nessuno fiatò, sprofondati nei pensieri negativi << Ormai è fatta, ragazzo, ed è difficile non compiere passi falsi con un Drago; ti sei comportato molto bene, a mio parere: hai scoperto il suo punto debole e sei tornato sano e salvo. Non fatti trascurabili, oserei dire >> lo confortò Balin, posandogli una mano sulla spalla.

<< Per quanto l'ultima notizia possa averci rattristato >> commentò Thorin, facendo saettare brevemente lo sguardo verso di lei << dobbiamo prima di tutto pensare a come sbarazzarci di Smaug >>.

Sedette, imitato dagli altri che erano in piedi, iniziando una lunga discussione; le ore scivolarono rapide, mentre l'agitazione di Bilbo cresceva sempre più: era ansioso, temendo di trovarsi faccia a faccia con Smaug da un momento all'altro.

<< Sapete, credo sia meglio allontanarsi da qui. Sono sicuro che siamo in gran pericolo! >>.

<< E dove dovremmo andare? >> domandò Oin << E' buio, tutto intorno a noi è arido: restiamo qui, dico io >>.

Bilbo scosse la testa, cercando la comprensione di Karin, impegnata a guardare verso l'alto alla ricerca di una gigantesca sagoma << Sono d'accordo con Bilbo >> affermò, lasciando trapelare l'irrequietezza << entriamo nel tunnel, saremo al sicuro >> propose, guardando Thorin.

Il nano le restituì l'occhiata, poi annuì << Non chiudiamo la porta però, visto che non sappiamo se possiamo aprirla da dentro: rimarremo sulla soglia >>.

Quella notte la furia di Smaug esplose: un urto immenso investì il fianco della Montagna, come lo schianto di mazze fatte di querce secolari brandite da giganti. La roccia rimbombò, le pareti si creparono minacciando di seppellirli: Karin, stretta tra Bilbo e Gloin, si rannicchiò maggiormente contro i loro fianchi, portandosi le mani sulle orecchie e mordendosi il labbro per non gridare di paura, come stava facendo dentro di sé; dovettero alzare le braccia sul capo per proteggersi dalle schegge di pietra, e la lieve luce lunare si spense lasciandoli nel buio più completo. Sentirono battere le ali, e profondi e alti ruggiti li raggiunsero, facendoli stringere l'un l'altro per cercare un po' di conforto.

Tremanti, ascoltarono Smaug fare a pezzi le rocce, abbattendo pareti e rupi con la coda poderosa, coprendo lo spiazzo erboso di grossi detriti: una volta che il suo furore si placò, sputò fuoco e volò via, dove non lo sapevano.

I momenti successivi furono peggiori, poiché non sapevano se potevano muoversi o meno, e se il drago si fosse spostato per tender loro una trappola: inoltre, la porta non accennò a muoversi, facendoli sprofondare nello sconforto più tetro.

Di comune accordo – anzi, costretti dalle circostanze – decisero di scendere lungo il tunnel e di andare nella Sala del Tesoro, incamminandosi quanto più silenziosamente possibile: se la situazione non fosse stata così tragica, Karin avrebbe sorriso di fronte al loro rumore e ai continui rimproveri di Bilbo.

Vi era talmente tanto buio che, all'entrata della sala, Bilbo inciampò in avanti e rotolò lungo disteso a terra, senza nemmeno il coraggio di respirare: ma nulla si mosse. Dopo aver appurato l'assenza del drago li convinse ad accendere delle torce e, andando avanti per primo, ben presto divenne solo un puntino luminoso: lo videro arrampicarsi su un grande mucchio di monete, fermarsi e abbassarsi per un attimo, non sapendone la ragione.

Ancora impauriti, si mossero poco finché si resero conto che non vi era nessun reale pericolo e, col cuore più leggero ma sempre in silenzio, procedettero.

<< Per Durin, è veramente immenso! >> esclamò Fili, dimenticando la prudenza: abbassò la torcia ad illuminare le monete e le gemme, sorridendo quando mandarono bagliori caldi tutto intorno.

<< Proprio vero: ciò che si immagina è sempre molto diverso dalla realtà >> constatò Kili, prendendo un rubino tra le mani: lo soppesò un attimo, fischiando ammirato << Tieni, Karin! >> glielo lanciò e la ragazza lo prese al volo.

Era veramente... bellissimo, si trovò a pensare: un crescente desiderio e bramosia si diffusero nel petto, lasciandola sconvolta; non era mai stata attratta da ori o gioielli quando abitava a Erebor, e durante l'esilio non aveva certo avuto quei pensieri. Eppure, adesso, non considerava più tanto preziosa la collana di mithril, tranne che sul piano affettivo: paragonata a quel rubino rosso cupo dai riflessi dorati, non era nulla.

Si sorprese quando s'accorse di infilarlo in tasca, come se quel gesto lo compisse una persona estranea e lei, unica spettatrice, assistesse in silenzio senza poter dire niente.

Il sangue nanico le ribollì nelle vene, cercando di far emergere il lato materiale: passi tintinnanti la condussero lontano dagli altri, tra grossi mucchi di monete grandi quanto il suo palmo e armi dai manici incastonati di gemme e lame lucide del miglior acciaio. Sapeva d'aver le labbra dischiuse, ma non poteva farne a meno, specie quando illuminava gioielli e gemme di squisita fattura, preziosi oltre ogni dire.

Ansiosa, camminò ancora a lungo finché non s'imbatté in una colonna possente e, girato il capo, si accorse che gli altri punti luminosi erano molto distanti, benché dispersi: tornò indietro, prendendo comunque una via più lunga per ammirare meglio quella minima parte di tesoro. Affascinata, raccolse un diadema d'argento finemente lavorato e decorato con smeraldi lucidi dai bordi smussati: sulla sommità, i fili sottili che lo componevano si aprivano in piccole margheritine argentate dai capolini fatti di perle.

Non le risultò facile contrastare l'impulso d'indossarla per rimetterla dov'era, ma ci riuscì; nella tasca vi era solo il lieve peso del rubino.

Girò attorno ad un alto cumulo di monete, fermandosi di botto: Thorin le dava le spalle, illuminato dalla luce fioca che proveniva dalla torcia impilata a terra; borbottava, mentre spostava con i piedi gemme e soldi sonanti, producendo un armonioso tintinnio.

<< Thorin >> chiamò, delusa dalla mancanza di risposta << Thorin! >> tentò nuovamente, alzando il tono di voce.

Si girò rapido, guardandola; aveva indossato una cotta di maglia dorata e una cintura incrostata di pietre scarlatte dove era appesa un'ascia dal manico argento: possedeva un aspetto regale che la rese oltremodo fiera e rispettosa del suo re ma, per un assurdo attimo, si era convinta d'avergli intravisto uno sguardo strano, dando la colpa alla luce tremolante e incerta.

<< Dimmi, c'è qualcosa che non va? >> le domandò, rimanendo fermo.

<< Dovrei chiedertelo io: cosa stavi cercando? >>.

Thorin scrollò le spalle, continuando l'attività di prima; Karin si accigliò non poco ma rimase zitta, torturandosi le labbra con i denti, non riuscendo a comprendere il suo comportamento.

<< Cercavo una collana adatta a te >>.

La menzogna bruciò con la stessa violenza di uno schiaffo.

<< Non serve che ti affanni tanto, ne posseggo già una >> replicò, imponendosi di rispondergli con calma.

<< Non è preziosa >>.

<< Lo è, invece; almeno, per me è così >> il fastidio permeava le sue parole, crescendo nel cuore con la stessa rapidità del disgusto che provava al ricordo del paragone tra il rubino e la collana regalatale dallo stesso nano che le era di fronte: possibile avesse scordato quanto quegli ornamenti valessero nei loro affetti, essendo anche simboli delle peripezie che il loro amore aveva dovuto affrontare?

Scosse la testa: forse le sue erano reazioni esagerate e spropositate, certamente colpa del luogo in cui si trovavano; perciò, accantonò quei pensieri e si avvicinò con un sorriso tirato a Thorin, che aveva abbassato di nuovo il capo a terra, preda della ricerca.

<< Vieni, Thorin: torniamo dagli altri >> disse, prendendogli una mano.

La guardò come se la vedesse per la prima volta e, in lotta con se stesso – lo capì dall'ombra che attraversò i suoi occhi – cercò una risposta adatta.

<< Ti prego, non mi sento sicura qui; cerchiamo una via d'uscita, abbiamo sfidato la fortuna troppo a lungo: Smaug potrebbe tornare >>.

Alla supplica accorata tornò in sé, annuendo con vigore << Hai ragione. Abbiamo indugiato abbastanza >> si sciolse dalla presa delicata ma decisa di Karin, afferrando la sua torcia.

Poi, senza una parola, andò avanti per primo senza mai voltarsi a guardarla: nemmeno quando udì un lieve tonfo tra le monete sonanti.



Non attese che gli altri si raggruppassero: ringraziando il poco sangue hobbit, uscì furtiva e silenziosa dalla Sala, inoltrandosi tra i vari passaggi e curve; non prestò molta attenzione agli antichi ornamenti rovinati e distrutti, né al resto, insudiciato e danneggiato dal mostro, ma lasciò che i piedi la portassero lontano. Aveva bisogno di pensare, e rimanere da sola era l'unico modo: per quanto cercasse una spiegazione ai vari cambi d'umore di Thorin, o all'improvvisa avidità che l'aveva colta, per quanto tentasse e continuasse a ripetere che si trattavano di sentimenti passeggeri... sapeva che niente si sarebbe risolto. O, almeno, finché il pensiero del drago non li avesse abbandonati.

Divenne irrequieta, domandandosi dove fosse andato a finire: si era appollaiato sulla cima della Montagna scrutando di sotto alla loro ricerca, o era veramente volato via? Per andare dove? A Esgaroth?

Rabbrividì al solo pensiero, chiedendo ai Valar una grazia particolare per la famiglia dell'amica: se fosse accaduto qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.

Il mal di testa non l'abbandonò per un attimo, nemmeno mentre attraversava le grandi sale o poggiava distrattamente le dita sulle gigantesche colonne di pietra, alcune ridotte a basamenti poco più alti di lei.

Camminò a lungo, annegando nei problemi che l'affliggevano e nei ricordi di tempi lontani: infine si fermò, sospirando nostalgica quando capì dove si trovava; le dita tremanti strinsero la maniglia e, con un fastidioso cigolio dato dal legno vecchio entrò, venendo investita da un odore di chiuso e stantio che la lasciò senza fiato. Starnutì due volte a causa della polvere, assicurando la torcia alla parete; ora con le mani libere, lasciò vagare lo sguardo lungo le pareti e i mobili senza tempo: si diresse lentamente verso il grande letto a baldacchino, toccando le colonnine intarsiate e il copriletto rosso scuro, perfettamente intatto e pronto per accogliere una giovane nana tra le sue calde coperte, assicurandole sogni dolci e infantili, pieni di speranza e amore; un amore che lì aveva visto la sua concretezza in un atto disperato e insensato ma che, allora, era sembrato di vitale importanza.

Si spostò sul comodino, là dove vi era un vecchio libro dalla copertina di cuoio: lo prese tra le mani, rigirandolo rispettosamente, accarezzandone il dorso inciso da rune dorate; soffiò, scacciando la polvere che, per più di cento anni, aveva regnato sovrana. Sorrise debolmente quando lesse il titolo, sfogliando quelle pagine ingiallite e secche di vecchie guerre lontane: andò indietro con la memoria ricordando quando, felice, l'aveva ricevuto da Balin. Anche allora gli occhi si erano illuminati pieni di stupore e meraviglia pregustando le ore in cui si sarebbe immersa nella lettura, immaginandosi nei grandi campi di battaglia, ascoltando i tamburi e i corni suonare e far vibrare la terra; le urla e il cozzare di lame, lo schivare i colpi, l'abbattersi di scudi, ed ergersi infine sui nemici proclamando la vittoria.

Sbatté le palpebre quando un pizzicore al naso la disturbò e, scuotendo la testa, ripose il volume; si portò al centro della stanza, venendo attirata dalla grande toeletta di legno accanto all'armadio: lo specchio impolverato le rimandò l'immagina sfocata di una ragazza provata e stanca, mortalmente spossata e invecchiata in pochi giorni, specie dopo gli ultimi pensieri.

Abbassò lo sguardo, rifuggendo la sua vista: d'improvviso schiuse le labbra, attonita, il cuore le si fermò per poi galoppare rapido. Allungò le dita e, cercando di contenere le lacrime che minacciavano di uscire, le strinse attorno al gambo verde, alzandolo: ne aspirò il profumo ancora vivido e accarezzò con infinito amore i tre lunghi petali violacei ricurvi e quelli più piccoli che vi stavano immediatamente sopra partendo dalla corolla, screziati alle estremità di bianco, nero e giallo. Si aprì in un gran sorriso, persa nel ricordo infantile di quella piccola gita a Dale durante la Festa dell'Estate, accompagnata da Dwalin e Thorin e dove aveva fatto la conoscenza del piccolo Bofur e di Gandalf il Grigio: ricordò nitidamente i suoi meravigliosi fuochi d'artificio, e le emozioni che traboccarono nel suo piccolo cuore; aveva augurato il meglio all'allora forte amicizia con i due nani, e sperato in un suo mantenimento duraturo.

Invece il futuro aveva loro riservato ben altri piani, non sempre felici; con stupore notò che, su un petalo, vi era una goccia d'acqua: com'era possibile, dal momento che non si era inumidito in quegli anni? Se ne aggiunse un'altra, poi un'altra e un'altra ancora, mentre piccoli singhiozzi la scuotevano per farle capire che era colpa sua se il fiore d'Iris – dal tempo congelato – si stava bagnando.

Lo ripose sul piano, salvandolo dalla tristezza: lasciò che l'agitazione e i tormenti di quelle ore trovassero sfogo e, lontana da occhi e orecchie indiscrete, si abbandonò al tanto desiderato pianto. O, almeno, era quello che credeva.

Vi era qualcuno, nascosto dietro la porta socchiusa, che aveva visto tutto ma, osservandola di spalle, non era riuscito a capire la causa del suo turbamento.

Una parte di sé non avrebbe voluto uscire allo scoperto ma, sentendo i suoi singulti bisognosi di conforto, si decise: aprì piano la porta ma quella cigolò, facendola trasalire spaventata, lo sguardo dolorosamente colpevole e spaurito.

Entrò a grandi passi, evitando di guardarla mentre cercava di darsi un contegno << Liberati, Karin. Se ne senti il bisogno, piangi >>.

Liberarsi? Oh, non le sarebbe bastato un semplice pianto per star meglio, poco ma sicuro! Respirò, tremando, e si strinse nelle braccia per cercare quell'abbraccio che Thorin le negava; quest'ultimo fatto le fece versare altre lacrime, mentre l'implorava con gli occhi di stringerla a sé, sussurrarle che sarebbe andato tutto bene e avrebbero sconfitto il drago e che, dopo, avrebbero ricostruito Erebor com'era, tornando a vivere tra gli antichi splendori della città finché i loro freddi corpi non avessero trovato riposo nei sarcofagi di pietra.

Invece Thorin se ne stava a pochi ma lunghi passi, dalla parte opposta del muro che li divideva, invalicabile e indistruttibile: la scrutava in silenzio, desiderando colmare il vuoto che aveva inghiottito il suo cuore; non vi riusciva, e non sapeva perché. Rimpianse d'aver assecondato la scelta d'entrare, ma l'impulso di poter rimanere da solo con lei per un momento era stato fortissimo: se solo avesse voluto l'avrebbe accarezzata sui capelli, asciugato le lacrime, baciato le labbra.

Perché, dunque, non muoveva un passo? Cosa lo tratteneva?

Domande a cui non sapeva rispondere, alle quali aveva tentato di cercare una risposta in quei giorni, senza trovarla: e, quando credeva d'essere assorbito da altre preoccupazioni – riguardanti Smaug – ecco che appariva il suo volto vicino a quello dello hobbit, le sue braccia che lo avvolgevano stretto, i suoi sguardi colmi di preoccupazione e sollievo nel vederlo vivo, le sue labbra morbide e calde su una guancia imberbe che non era sua. Si rimproverava, poiché sapeva bene che era un comportamento ridicolo, una gelosia infondata e infantile: eppure lo ghermiva sempre più, e i gesti innocenti e amichevoli di Karin nei confronti di Bilbo lo disturbavano lasciandogli una gran furia nel cuore, avvelenandolo.

Quando la sentì placarsi sembrò tornare presente a se stesso, chiedendosi quanto tempo avesse perso nelle sue elucubrazioni, volendo porre fine a quel momento pietoso e folle che nulla aveva in comune con due innamorati in cerca di sostegno nell'altro. Finalmente mosse un passo in avanti ma lei, con orrore e rabbia cieca, si mosse rapida di lato e, accusandolo con lo sguardo lucido di lacrime versate anche a causa sua lo schivò e scappò via, lasciandolo solo.

Solo, con una stanza vuota e polverosa.

Solo, con un fiore d'Iris a ricordo di tempi felici.

Solo, con l'eco della corsa disperata e spaventata.

Solo, con la sua colpa e il suo tormento.







CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Holaaaaaaa!!! Tutto bene ^^?
Dunque, innanzitutto vorrei scusarmi con Yavannah per la bugia sul fiore: perdonami ma, essendo un momento abbastanza “clou” della storia, non volevo proprio rovinarti la sorpresa spoilerandoti tutto, perciò ti ho mentito ç____ç!! Chiedo perdono!

Tornando al capitolo: vi è piaciuto? A me ha messo una tristezza... anche perché, diamine, quei due si sono separati ad una velocità spaventosa, e sono pieni di dubbi e preoccupazioni, e non capiscono una benemerita cippa di quello che sta accadendo! Insomma, sono troppo complicati :'( :'(. ad ogni modo, spero non mi odierete per la piega che la storia ha assunto :(

Bene, come al solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le solite recensioni ;)
r
ingrazio le carissime e specialissime Lady_Daffodil, vanessa90, Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack e J_ackie. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra

Anna <3



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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ***


CAPITOLO DICIANNOVE


Asciugò con rabbiosa stizza le ultime lacrime, sfregandosi gli occhi arrossati con foga, facendosi male; appoggiò la nuca al muro della piccola nicchia di pietra dietro cui si era nascosta per pensare e stare sola, come faceva spesso da bambina: era profonda abbastanza da coprirla ancora nonostante fosse cresciuta. La benedì, poiché nessuno l'avrebbe trovata per un po' di tempo ma lei avrebbe potuto captare ogni singolo rumore di passi se si fosse avvicinato qualcuno.

Sospirò ancora una volta, alzando gli occhi verso le immense volte trapezoidali, persa in quel maledetto labirinto di pensieri che non l'aveva lasciata un secondo da quando era fuggita; ancora una volta, una domanda le balzò nella mente: che stava accadendo?

Come doveva comportarsi?

Domande a cui, al momento, non riusciva a trovare una risposta: era talmente piena di grattacapi pressanti che la testa le doleva da impazzire, martellandola senza sosta e lasciandola con i suoi mille e più dubbi.

<< Karin! >> la voce acuta di Ori le fece sbattere le palpebre e ripiombare nella realtà; un senso di panico iniziò a diffondersi dallo stomaco salendo verso l'alto, finché non la chiamò una seconda volta << Karin, ti ho portato qualcosa da mangiare! Karin! >>.

Espirò, visibilmente sollevata: aveva temuto fosse tornato Smaug.

Deglutì, ricacciando il senso di nausea: non avrebbe tollerato altro rimpinzimonio.

Forse sarebbe dovuta uscire e andargli incontro, ringraziarlo e declinare lo spuntino, ma non ne aveva la forza: non ne possedeva nemmeno per parlare.

Perciò rimase nascosta, chiedendogli silenziosamente perdono: dopo che Ori l'ebbe chiamata ancora – e sempre più con voce flebile – se ne andò, forse a cercarla da un'altra parte.

Tornò a poggiare la nuca sulla fredda pietra, chiudendo gli occhi: il tempo volò rapido, non riuscì a quantificarlo; il silenzio l'avvolgeva, estraniandola da tutto.

Persino dai passi che, via via, si facevano più forti.

<< Hai scelto il momento sbagliato per digiunare >>.

Aprì gli occhi: Thorin era in piedi di fronte a lei, sovrastandola con la sua altezza; la guardava attentamente, le mani giunte dietro la schiena.

Non rispose, ma non riuscì nemmeno a guardarlo: abbassò gli occhi, osservandosi le ginocchia.

<< Dovresti accumulare le forze in vista dello scontro >>.

Di nuovo non proferì parola, ancora troppo arrabbiata; ora si era ricordato di lei, arrivando addirittura a parlarle? Ne era a dir poco commossa!

Thorin percepì l'astio che emanava, iniziando ad innervosirsi; sapeva d'aver sbagliato, ma ora era intenzionato a rimediare: come poteva riuscirci, però, se lei non aveva alcuna intenzione di collaborare e continuava ad ignorarlo? Spazientito e maledicendo se stesso si girò, pronto per andarsene; d'un tratto si bloccò, mordendosi l'interno guancia, considerando sbagliato il suo comportamento. Non doveva permettere al suo caratteraccio irascibile di prendere il sopravvento, non in quella situazione in cui il riavvicinamento con Karin doveva mantenersi: perciò si impose di tornare indietro, acquistando un tono di voce neutro.

<< Pensavo lo volessi >> disse, mostrandole il fiore nascosto dentro una tasca della casacca marrone << l'avevi dimenticato >>.

Tese la mano destra; Karin spostò gli occhi verso l'iris, guardandolo con sguardo spento e sofferente nella sua profondità: non avrebbe voluto allungare a sua volta una mano e sfiorargli le dita mentre accoglieva il gambo tra le sue, in un gesto che implicava anche l'accettazione delle scuse che Thorin le porgeva implicitamente. Ma, a dispetto di tutti i suoi pensieri lo fece, seppur rimanendo costantemente in silenzio.

<< Parlami, Karin >> la pregò, non sapendo cosa pensasse di lui, di quell'incresciosa situazione.

Serrò un attimo le labbra e deglutì, prima d'accontentarlo << Cosa dovrei dirti? >> sbottò con voce rauca << conosci già i miei timori riguardo Smaug >> il tono si affievolì, mentre si dava della stupida per quella patetica scusa: in realtà, il drago non era propriamente in cima alla lista dei suoi pensieri quanto, piuttosto, il recente comportamento di Thorin. E lui, come al solito, riuscì a comprendere la bugia, e ciò lo fece infuriare.

<< Non m'importa di lui, ma di quello che è successo poco fa! >> esclamò, alzando la voce. Sospirò pesantemente, lasciando che l'eco delle sue parole aleggiasse tra loro e si disperdesse poi negli ampi spazi aperti di Erebor; quando non udì altro, riprese << So bene quanto siano importanti e cosa le collane rappresentino: non potrei mai dimenticarlo. Non... non intendevo dire che non sono preziose. Solo che >> si bloccò, cercano parole adatte per continuare, probabilmente in imbarazzo << volevo donarti qualcosa di prezioso per farti capire quanto tenga a te >> borbottò, evitando di guardarla e trovando più interessanti le colonne che erano poco più in là.

Karin alzò la testa e lo fissò stupita, poiché era raro che esternasse in tal modo i suoi sentimenti, arrivando addirittura a confidarglieli. Di solito non avevano avuto bisogno di parole, sapendo e conoscendo bene il profondo legame che li legava: sentirglielo dire la sconvolse nel bene e nel male, ma la mente la riportò alla Sala del Tesoro, là dove l'aveva visto rovistare frenetico e turbato alla ricerca di qualcosa che mai le avrebbe rivelato.

Si chiese se fosse la verità o un'ennesima menzogna per placarla e concedergli quel perdono che anelava; fu costretta a guardarlo negli occhi, sondandogli l'anima: con un gran sollievo al cuore, gli occhi azzurri mai vacillarono, nemmeno per un secondo. Al contrario dei suoi.

Li distolse, cercando qualcosa da dire per spezzare quel maledetto silenzio; e finalmente, quando Thorin ormai era certo d'aver perso ogni speranza, parlò.

<< Un paio di orecchini >> esalò controvoglia, osservando il suo volto confuso << Poco più avanti di dove ci siamo incontrati, c'erano un paio di orecchini di ametista: sono meno preziosi rispetto a quelli con rubini o smeraldi, ma vi è il colore del mio clan. Quelli andrebbero bene >> spiegò, alzandosi da terra e avvicinandosi di poco; a fatica, gli prese una mano tra le sue, lo sguardo serio in quello confortato e ora calmo di lui << Però, Thorin, non serve regalarmeli, né dimostrare alcunché. Lo so, così come tu dovresti sapere quanto io ti... quanto tu sia importante >> si corresse appena in tempo, evitando di rivelargli quanto l'amasse.

Avrebbe voluto confessarglielo - benché ne fosse a conoscenza da molto tempo – ma qualcosa glielo impedì, lasciandola triste e attonita. Anni prima l'aveva pensato con orgoglio e anche durante l'esilio quella certezza, seppur annientandola, l'aveva accompagnata con una sottile dolcezza e molta malinconia; anche quando, finalmente, aveva fatto sì che il suo amore riaffiorasse più forte ne era stata felice. Molto, moltissimo. E la gioia delle due settimane a Esgaroth ne erano state la prova.

Ma adesso... non ne era più certa.

Una ragione che la fece vergognare e ripugnare, che la confuse, persino.

Si chiese dove fosse finita quella ragazza che si era fidata ciecamente del suo principe nonostante i continui diverbi e scambi di opinioni; si chiese dove fosse finita quella ragazza che aveva promesso una sincerità costante tra loro.

Una sincerità che, ora, faticava ad uscire dalle labbra.

Era difficile sia da accettare che da dire, tremendamente difficile: non avrebbe palesato ciò che provava, i suoi dubbi e perplessità, i suoi rimproveri verso quel nano che le stava diventando... estraneo.

Thorin, il suo Thorin, si stava rivelando uno sconosciuto.

Il lato mostratole nella Sala la destabilizzava: ripensava spesso a tutti i timori che le aveva confessato quando si erano resi conto della malattia di Thror e, ora, pareva trovarsi nella medesima situazione; lo sguardo che gli aveva intravisto era proprio quello del sovrano. E lei, impotente, ne aveva paura.

Sentì una stretta alle mani e, risvegliandosi da quegli orrendi pensieri, si accorse delle dita del nano intrecciate alle sue; gli occhi azzurri la stavano osservando sereni, ignari delle congetture che stava avanzando.

Non si sentì mai così colpevole: da quando era diventata così esperta nel mentirgli, arrivando addirittura a rendere i suoi tratti granitici e imperturbabili?

Stette ancora peggio quando le sorrise, evidentemente sollevato dalla richiesta e dal fatto che aveva smesso di essergli ostile.

Sempre tenendola per mano la portò fuori dal nascondiglio conducendola lungo scale, scendendo per larghe vie riecheggianti, girando ancora e salendo; sapeva dov'erano diretti e, quando arrivarono alla Sala del Trono, non poté fare a meno di trattenere il fiato e rallentare fino a fermarsi, lo sguardo fisso lungo il passaggio sullo strapiombo che portava all'alto scranno di pietra: lo stomaco le si contrasse, notando il posto vuoto dell'Archepietra, e inevitabilmente ripensò al giorno della partenza da Erebor avvenuta centosettantuno anni prima; allora la gemma brillava fulgida, assorbendo luce e oscurità, risplendendo fino ad ammaliarti.

<< Proseguiamo, Karin. Raggiungiamo gli altri >> disse Thorin a voce bassa; forse rammentava anche lui il valore del Cuore della Montagna, oppure si colpevolizzava per non essere stato presente il giorno del suo addio?

Annuì, non volendo sapere; gli camminò al fianco senza mai lasciargli la mano – ogni volta che tentava di sciogliersi lui stringeva la presa – e, in breve, raggiunsero la sala dei banchetti e del consiglio.

<< La Porta Principale non è molto lontana >>.

<< Oh! >> replicò lei, guardando la rovina che li circondava.

C'erano tavole putrefatte, sedie e panche giacevano rovesciate, bruciate e in sfacelo; teschi e ossa erano sparsi sul pavimento in mezzo a caraffe, scodelle, corni per bere spezzati, e polvere.

Mai aveva visto una tale disperazione, un tale massacro.

Dunque, era a questo che aveva portato la venuta di Smaug: morte, e distruzione di quella che un tempo era la sua casa.

Si domandò chi fossero quei valorosi combattenti, caduti per cercare di contrastare un mostro contro cui non avevano mai avuto speranza: forse li conosceva, avendoli visti passare per andare alle forge; forse aveva anche scambiato qualche parola con loro, o danzato durante le feste annuali che riunivano i Nani sparsi nei vari regni della Terra di Mezzo.

Le salì una forte oppressione e portò la mano libera al cuore, a stringere la stoffa della camicia; il respiro le si mozzò e vibrò e, tremante, dovette deglutire per non iniziare a piangere: eppure, oltre alla tristezza, vi era un forte senso di bruciante vendetta.

Strinse la mano di Thorin e, quando lo guardò, vide il medesimo desiderio e il medesimo fuoco brillargli nelle iridi: avrebbero vendicato i loro compagni, e ripreso la loro dimora.

Senza aggiungere altro si incamminarono e solo quando udirono il rumore dell'acqua del Fiume Fluente, Thorin sembrò tornare di buonumore, rievocando alcuni allegri episodi che li riguardavano; Karin non sapeva se esserne lieta o meno, propendendo però per esserlo: aveva bisogno di distrarre la mente dai pensieri e dalle visioni che le si riproponevano.

Guardandolo ora sereno senza l'ombra persistente che sembrava non volerlo abbandonare si sentì decisamente meglio; non avrebbe sopportato la sua scontrosità senza litigare, rovinando ulteriormente il loro rapporto: perciò si costrinse a sorridere e a mostrarsi partecipe, rispondendo quando serviva e ascoltando quando ce n'era bisogno. Senza rendersene conto si ritrovò perfino a ridere spesso, rammentando la loro infanzia felice.

Eppure, una volta che uscirono dalla Porta Principale e dovettero schermarsi gli occhi abituati all'oscurità, un fastidioso disagio la ghermì, simile ad un cupo presagio che si ha sempre prima dello scoppio di una tempesta.

Ma non volle badarvi, lasciandosi piuttosto cullare dal lievissimo calore dei raggi del sole che mostravano frammenti di antichi bassorilievi spezzati e anneriti, solcando le gigantesche statue di pietra ai lati della Porta lastricata.

Gli altri li attendevano, chi volgeva lo sguardo verso di loro e chi verso Dale e la Desolazione di Smaug; ma anche quelli si girarono presto per andarle incontro, e salutarla calorosamente.

<< Finalmente! Temevamo ti fossi persa! >> esclamò Bofur, visibilmente contento di vederla.

<< Come potrei? >> chiese lei, accennando un breve sorriso << Dopotutto, è casa mia >> gettò una rapida occhiata a Thorin che, alle sue parole, l'aveva guardata con ammirazione e orgoglio, mostrandosi d'accordo.

<< Che vento freddo! >> esclamò, poi.

Gli altri annuirono, avvicinandosi un poco di più per scaldarsi.

<< Sembra sia mattina inoltrata >> commentò Bilbo, stringendosi nelle spalle per ripararsi dalla fredda brezza orientale << quindi sarà più o meno ora di colazione; ma credo che la soglia non sia un luogo adatto per mangiare. Non vi è un altro posto dove possiamo stare seduti e in pace? >>.

<< Potremmo dirigerci al vecchio posto di guardia all'angolo sud-ovest della Montagna >> propose Balin.

<< Quanto dista? >> chiese lo hobbit.

<< Cinque ore di marcia, direi, e non sarà facile arrivarci! La strada della Porta lungo la riva sinistra del fiume è in rovina, ho appena controllato: ma guardate là! Il fiume disegna un meandro attorno a Dale, a est: in quel punto c'era un ponte che si collegava a ripide scale, verso Collecorvo; dovrebbe esserci un sentiero che lascia la strada e risale fino al posto di guardia. Una salita dura anche se i vecchi gradini sono ancora lì >>.

Una notizia troppo incerta per rallegrare i loro cuori; sospirarono intensamente, e Bilbo fu l'unico ad esternare i loro pensieri.

<< Non finiamo più di camminare e arrampicarci, e a pancia vuota per di più! Mi chiedo quante colazioni o pasti abbiamo saltato dentro quel buco sordido senza tempo >> commentò, scuotendo amaramente la testa.

<< Non chiamare “sordido buco” il mio palazzo >> disse Thorin senza alcun tono ostile, sorridendogli apertamente << Aspetta finché sarà stato ripulito e ordinato >>.

<< Accadrà solo quando Smaug sarà morto >> rispose cupamente Bilbo << Chissà dove sarà? Darei qualsiasi cosa per saperlo! Spero solo non sia in cima alla Montagna a guardare giù! >>.

Irrequieti e allarmati alzarono le teste per scrutare bene il punto, ma non scorsero nulla; decisero di seguire in fretta il consiglio di Balin, e si incamminarono nuovamente.


<< In passato tenevamo qui le sentinelle e quella porta lì dietro conduce a una camera scavata nella roccia che fungeva da guardiola. Purtroppo al tempo della nostra prosperità non pareva ci fosse bisogno di fare la guardia, così le sentinelle se la prendevano comoda: altrimenti saremmo stati avvertiti prima dell'arrivo del drago, e le cose sarebbero andate diversamente >> disse Balin in tono nostalgico e quasi di rimprovero. Dwalin annuì, e anche Karin fu costretta a dargli ragione; Thorin, invece, si era rabbuiato.

<< Comunque ora possiamo stare riparati per un po' e possiamo vedere molto senza essere visti >>.

<< Non è granché, se siamo stati visti mentre venivamo qui! >> constatò Dori, guardandosi attorno preoccupato.

<< Dobbiamo correre questo rischio >> rispose malamente Thorin, sfilandosi la pesante cintura con appesa Orcrist << per oggi non possiamo andare avanti >>.

<< Meno male! >> esclamò Bilbo, gettandosi al suolo.

In quella sorta di stanza scavata nella roccia ci sarebbe stato posto per cento e, più avanti, ve n'era una più piccola, del tutto deserta; posarono lì i fagotti, e alcuni si misero immediatamente a dormire.

Karin, benché stanca, non riuscì a chiudere occhio per molte ore; era seduta a pochi passi dal gruppetto degli anziani, intenti a discutere vari piani con Thorin: non prestò molta attenzione alle loro parole, lasciando vagare lo sguardo lungo la tremenda Desolazione di Smaug. Ben presto si perse nelle memorie infantili, quando la piana era percorsa da un sottile e morbido strato d'erba verde; il vuoto che ne aveva preso il posto la mise di cattivo umore, e nemmeno la vista delle prime stelle fredde la rincuorò.

Fu così che la trovò Bilbo, corrucciata e battagliera: stava mordicchiando il bocchino della nuova pipa di legno che aveva comprato a Esgaroth con uno sguardo talmente serio che, se avesse potuto, avrebbe incenerito chiunque.

Gli dispiacque vederla così angustiata e arrabbiata, ma sperò di scoprirne il motivo.

<< Doveva essere un bel posto, una volta >> esordì, catalizzando l'attenzione su di sé << Balin mi ha accennato qualcosa, prima >>.

Lei annuì, riponendo la pipa << Molto >>.

<< C'è... qualcosa che ti preoccupa? >> domandò innocentemente; tamburellò le dita sulle ginocchia mentre attendeva una risposta, ma Karin non l'assecondò subito.

Scrollò le spalle e fece una smorfia, indicando prima il paesaggio e poi il cielo << Questo luogo. Il drago >> rispose, concisa << E il fatto di non sapere dove sia >>.

Evitò accuratamente di parlargli dei timori riguardo Thorin, non sapendo perché volesse tenerglieli nascosti; e Bilbo ci credette, non domandandosi come mai l'amica non passasse più molto tempo con il re dei nani, attribuendolo al pericolo e alla serietà che l'ultima parte di missione richiedeva.

Non seppe di quali altri argomenti parlare così rimase in silenzio al suo fianco finché non sentì le palpebre abbassarsi e il sonno coglierlo; le diede la buonanotte – a cui lei rispose con un secco cenno della testa – per poi trovarsi un angolino riparato in cui riposare, sperando di non incappare in sogni bui con un drago rosso sputafuoco e infido.


Thorin sospirò pesantemente sfregandosi il volto stanco: si era offerto per il turno di guardia ma, ora, non gli sembrava una così bella idea; la spossatezza fisica e mentale non gli dava tregua, lasciandolo distrutto.

L'irrequietezza non l'aveva ancora abbandonato, specialmente se alzava lo sguardo verso il cielo notturno alla ricerca di una grande sagoma nera; ancora una volta la domanda si ripresentò nella sua mente: dov'era Smaug?

Avrebbe preferito saperlo all'interno della sua Montagna piuttosto che fuori: soprattutto se, stando a quel che sapevano, si era diretto a Esgaroth.

Girò il capo verso la caverna, cercando con gli occhi la sagoma avviluppata nel mantello pesante: gli dava la schiena, come quella notte di mesi fa dopo il violento litigio; al tempo le era sembrata così lontana, credendo ancora al suo essere traditrice.

L'odio che aveva provato nel vederla a Vicolo Cieco era esploso molte volte nel corso del viaggio, in egual misura all'amore.

Durante la permanenza nella città degli uomini aveva riscoperto una pace e una serenità che mai e poi mai avrebbe creduto di riprovare: non con i pensieri perennemente rivolti alla sua città perduta e alla sua vendetta.

Non con lei.

Eppure, un sottile senso di disagio e... apprensione strisciò in lui; c'era qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che stava accadendo, e l'episodio nella stanza di Karin ne era stata la prova. Il loro rapporto si stava forse compromettendo, incrinandosi?

Non sarebbe stato facile scacciare l'espressione delusa e accusatrice che le aveva scorto tra le lacrime, né quella infinitamente triste nella Sala del Tesoro quando lui le aveva in parte mentito: non aveva smosso monete e gemme per cercarle una collana, ma per cercare l'Archepietra.

Vergognandosi, si passò una mano sul volto, sospirando per l'ennesima volta; e, di nuovo, si domandò che genere di cambiamenti stessero avvenendo nel suo cuore, temendone la risposta.

Si riscosse quando udì un fruscio, ma non fece in tempo a girarsi che due braccia – più esili delle sue – gli avvolsero il collo e un respiro conosciuto gli solleticò il collo; non poté impedirsi di sorridere debolmente, accarezzando le braccia coperte dalle maniche della camicia.

<< Dovresti dormire; è tardi, quasi l'alba >>.

Karin scosse la testa, inginocchiandosi meglio dietro di lui << Non ci riesco >> ammise con un sussurro.

<< Troppi pensieri? >>.

Le dita gli allontanarono i capelli dal collo e, dopo pochi secondi, le labbra vi erano posate in un bacio delicato << Mmh >>.

Aggrottò la fronte, tentando di trovare una spiegazione al comportamento della ragazza, ma un lieve morso lo fece gemere inaspettatamente.

<< Karin >> chiamò, sperando di farlo risultare un rimprovero; al contrario, la sentì ridacchiare e continuare quella lenta tortura: la lingua percorse il collo per tutta la sua lunghezza, arrivando al lobo dell'orecchio; lo prese tra i denti e strinse piano, facendolo inspirare sonoramente.

Con un movimento improvviso, Thorin riuscì a sciogliersi e a girare il busto: portò una mano ad artigliarle la nuca, attirandola a sé; non le baciò le labbra ma, con l'altra mano, le scostò la stoffa della camicia rivelando la pelle chiara della morbida spalla. Rapido e frenetico la baciò, spingendo le labbra sulla carne come a volerla marchiare; si strinse a lui, facendolo fremere di piacere, liberando i suoi più bassi istinti che finora era riuscito a trattenere.

<< Alzati >> le ordinò, facendolo a sua volta.

Una volta che gli obbedì la sollevò di peso prendendola in braccio: andò avanti a tentoni, impegnato com'era a prendere possesso delle sue labbra con una foga mai sentita prima; finalmente arrivarono alla stanzetta che ospitava i fagotti e, incuranti dei pochi compagni dormienti si inginocchiò e l'adagiò a terra, posizionandosi a cavalcioni su di lei. Con una mano le prese i polsi, portandoglieli sopra la testa, mentre con l'altra iniziò ad accarezzarle un fianco, salendo e scendendo.

Con qualche difficoltà riuscì ad alzarle rudemente la camicia e a scoprirle la pelle: si abbassò, baciandole l'ombelico e solleticandola coi lunghi capelli neri e la barba ispida; la sentì contrarre i muscoli e sfuggirgli e, elettrizzato e infastidito insieme, la sollevò un poco facendole inarcare la schiena. Le gambe si strinsero attorno ai suoi fianchi mentre i primi gemiti iniziarono a riempire l'aria circostante, seguiti da mugugni e respiri forti.

<< Lasciami >> sussurrò lasciva, lo sguardo appannato di desiderio; ma lui non le rispose né fece un cenno, continuando a baciarla e a tirarle su la camicia fino a scoprirle i seni: quando le labbra ne raggiunsero uno la sentì agitarsi sotto di lui, mentre cercava di liberare le mani imprigionate. Sorrise quando la vide roteare gli occhi verso l'alto e serrare le palpebre, preda di un'eccitazione senza limiti come quella che lo percorreva; portò la mano sull'altro e i gemiti acuti lo inebriarono come non mai, amplificando la lussuria e la brama di possederla ancora una volta.

Spostò la mano conducendola verso il basso, sfiorandole il bordo delle brache e il loro laccio così sottile: gliele slegò lentamente, senza sfilargliele, poiché le dita si insinuarono sotto la stoffa.

Karin inspirò con forza quando lui, raggiungendo il centro del suo corpo, strinse e spinse verso l'alto facendole alzare il bacino.

<< Ti piace? >> parlò con voce mortalmente roca, smettendo di leccarle un seno solo per porle la domanda, tornando poi a torturarglielo con maestria.

<< Thorin >> gemette << lasciami. Lasciami >> ripeté, in estasi, non avendo la forza di dire e pensare altro.

Quella richiesta così supplice e accorata lo eccitò maggiormente, ma non l'accontentò: risalì verso la clavicola e il collo, dove si fermò; inspirò il suo odore e morse la pelle, beandosi delle grida attutite che uscirono dalle labbra rosee, dei denti che le morsero nel vano tentativo di contrastare l'onda di piacere, del bacino che quasi si scontrò col suo, del petto scoperto che si impresse nel suo, ancora coperto dalla casacca e dalla camicia.

Solo allora staccò la mano dai suoi polsi, portandola ad aumentare il piacere che voleva concederle; sentì le sue dita tra le ciocche scure, le altre gli percorrevano la schiena e gliela graffiavano facendolo grugnire quando raggiungeva il suo obiettivo.

Con un movimento imprevisto si sentì muovere e portare giù: Karin era riuscita a farsi leva e a ribaltare le posizioni, così da poter essere sopra di lui; fin troppo accalorato, guardò con occhi increduli la figura sinuosa che torreggiava e lo rapiva con i suoi movimenti e gesti.

Si sporse in avanti ma non lo baciò, volendolo torturare come aveva fatto con lei poco prima: ansimò mentre gli leccava il collo e gli portava le mani sui suoi fianchi esili; gemette quando gli slacciò la casacca e posò le labbra sulla parte di petto scoperta, sfiorandolo anche con la punta del nano mentre si abbassava; espirò con la bocca quando gli alzò l'indumento e glielo sfilò, compiendo il medesimo gesto con la camicia. Thorin si ritrovò a rabbrividire, ma non seppe se per la lussuria o per il vento freddo d'inverno: per uno sciocco attimo si chiese se si sarebbe ammalato, ma relegò il pensiero quando sentì le sue labbra audaci sulla pelle scolpita e sui muscoli tesi e scattanti.

Strinse le dita attorno ai fianchi, godendo della scia umida che gli lasciò e del percorso che fece la sua mano destra: dal petto si abbassò sempre più, raggiungendo gli addominali per finire poi a sfiorare la stoffa delle brache.

Thorin fece scivolare le mani fino ai glutei della ragazza, affondando le dita nella carne; Karin piegò un angolo della bocca in un sorriso malizioso, soddisfatta, percorrendo ancora il petto con l'altra mano: si abbassò a baciargli la pelle, scie di puro fuoco che bruciavano.

Staccò una mano portandola al suo collo per farla rialzare, in un gesto che voleva rimarcare la sua autorità e non la sottomissione a quella figura ammaliatrice; strinse la presa sulla pelle chiara sentendola ansimare, ma non di paura: gli occhi erano calmi, un pozzo liquido di lussuria e bramosia in cui annegare. Sapeva che non le avrebbe fatto male, che poteva fidarsi, e così avvenne: le dita lasciarono il punto spostandosi in basso, tra i seni; con un movimento veloce, lei inarcò la schiena e mosse il bacino in avanti, specialmente quando la mano scivolò verso lo stomaco e la pancia, finché non scese ancora e ancora più giù.

Gli ansiti si dispersero nel vento ma, benché soffiasse gelido, non li raggiungeva: i corpi erano bollenti, un sottile strato di sudore imperlava le loro fronti, alcune ciocche erano appiccicate al collo.

Karin inclinò la testa, iniziando a muovere sensualmente il bacino avanti e indietro, rapendolo: grugnì quando percepì il cavallo delle brache farsi insopportabilmente stretto e lei, notatolo, lo guardò con occhi luccicanti e maliziosi, bagnandosi le labbra con la punta della lingua prima di abbassarsi nuovamente sulle sue labbra, stendendosi sul suo petto: lo baciò con trasporto e sentimento mentre i denti si scontravano e le lingue si toccavano; le racchiuse un seno nel palmo della mano, stringendolo e sentendola gemere forte.

Certo di non riuscire a trattenersi oltre, lasciò che la voglia di possederla lo riempisse: le mani le abbassarono le brache e strinsero i glutei e lei, capendolo, fece lo stesso fino ad abbassargliele sulle ginocchia; non attese altro, non avrebbe potuto.

Karin gemette sotto le sue spinte poderose, mandandogli scariche di piacere lungo tutto il corpo, mescolate a sensazioni inebrianti e meravigliose indescrivibili a parole; le artigliò i fianchi per dare un ritmo sostenuto, iniziando a gemere a sua volta con voce sempre più alta, in balia delle sensazioni travolgenti di quell'amplesso erotico; ma, per un momento, la sua mente venne lacerata da una domanda persistente: come mai nessuno si svegliava, dato il rumore crescente?

Non trovò risposta, impegnato com'era ad ammirare il viso accaldato e le espressioni estatiche, i capelli neri che ondeggiavano scomposti e ribelli, la gola esposta che attendeva solo d'essere baciata e morsa ancora una volta; le orecchie si riempirono ben presto dei toni, dei suoni gutturali e profondi che parevano uscire dallo stomaco e risalire verso l'alto, dei nomi mal trattenuti e infine urlati di pari passo con i movimenti sempre più profondi e veloci dei loro bacini, come se avessero voluto sprofondare e perdersi nell'altro fino alla fine...

Aprì gli occhi di scatto, venendo accecato dal raggio di sole che lo colpì: si schermò con la mano destra, sbattendo più volte le palpebre finché la Desolazione non tornò a vedersi nitida.

Confuso si guardò attorno vedendo tutti gli altri ancora persi nel mondo dei sogni, compresa Karin, stretta nel mantello; si sfregò il volto, cercando di cancellare i segni del sonno che l'aveva colto mentre era perso nei suoi pensieri e, soprattutto, sperando di togliersi di dosso le sensazioni che quel sogno gli aveva lasciato.

Imprecò a denti stretti, assottigliando lo sguardo azzurro verso il pallido sole d'inverno; tutto ciò era inaudito, semplicemente inaudito: non solo aveva dormito durante la guardia ma, quel che era peggio – molto peggio – era che aveva sognato un fatto che non era accaduto e che, per quanto avesse voluto, non sarebbe divenuto realtà.

Venne attirato da un mugolio e, spostando il capo, notò che proprio l'oggetto dei suoi ultimi pensieri si stava svegliando, stiracchiandosi: distolse lo sguardo per non voler ripensare a poco prima, anche se la mente gli fece rivedere ogni singolo frammento.

Sospirò affranto, attirando l'attenzione di Karin che lo guardò di sottecchi cercando di capire cosa fosse accaduto: non immaginava certo i suoi tormenti! Curiosa, avrebbe voluto chiedergli spiegazioni ma si trattenne, scuotendo la testa: fortunatamente venne distolta dal cinguettio di un uccello, che si appollaiò su una pietra lì vicino; il suo canto svegliò gli altri - primo fra tutti Bilbo, che riconobbe il vecchio tordo.

<< Credo stia cercando di dirci qualcosa >> disse Balin, lisciandosi la barba << ma non riesco a comprendere il linguaggio di questi uccelli, è molto difficile e veloce. Ci capisci qualcosa tu, Baggins? >>.

<< Non molto >> rispose Bilbo che, in realtà, non capiva affatto << ma sembra molto eccitato >>.

<< Come vorrei fosse un corvo imperiale >> esclamò Balin << C'era amicizia tra loro e il popolo di Thror; spesso ci portavano notizie segrete e venivano ricompensati con oggetti luminosi che amavano nascondere nelle loro dimore. Conoscevo molti corvi imperiali quando ero un nanetto; proprio questa altura è chiamata Collecorvo, perché c'era una coppia saggia e famosa, il vecchio Carc e sua moglie, che vivevano qui. Ma credo che ora non vi abiti più nessuno >>.

Non aveva ancora terminato di parlare che il tordo emise un trillo acuto e volò via.

<< Sono certo che ci ha capiti >>.

<< Teniamo gli occhi aperti >> ordinò Thorin, risalendo dall'imbarazzo e dal disagio in cui era caduto << Vediamo che succede >>.

Aspettarono poco, in verità: avevano appena iniziato una parca colazione che quello tornò, accompagnato da un uccello molto vecchio; stava diventando cieco e volava a stento. Era un corvo imperiale di grandi dimensioni: si posò a terra davanti a loro, raccolse lentamente le ali e saltellò verso Thorin.

<< O Thorin figlio di Thrain, e Balin figlio di Fundin >> gracchiò, parlando nella lingua corrente e lasciandoli sbalorditi, primi fra tutti Bilbo e Karin << Io sono Roac figlio di Carc, che è morto. Io sono ora il capo dei corvi imperiali della Montagna. Siamo in pochi, ma ancora ricordiamo il re del tempo antico. La maggior parte del mio popolo è all'estero perché ci sono grandi novità a sud, anche se alcune non vi parranno buone: Smaug è morto! >>.

Un breve silenzio scese sul gruppo, mentre ognuno tentava di fare i conti con la notizia, cercando d'assimilarla; Karin fece saettare lo sguardo verso Thorin, leggendovi ciò che si era aspettata: sconcerto e rabbia, tanta rabbia.

<< Morto? Morto? >> esclamarono tutti.

<< Allora la nostra paura era inutile! >> gridò Bofur.

<< Il tesoro è nostro! >> urlò Fili, saltando di gioia; Kili scoppiò a ridere e, ben presto, si aggiunsero anche gli altri, ben sollevati nel sapere che la loro vita sarebbe stata risparmiata.

L'unico che non la prese molto bene fu Thorin: strinse così forte la mascella che, prima o poi, si sarebbe spezzata.

<< Sì, morto >> disse Roac << Il tordo l'ha visto morire durante la battaglia contro gli uomini di Esgaroth, tre notti fa allo spuntare della luna >>.

<< Mi perdoni, nobile corvo >> si intromise Karin, facendogli voltare il capo nero dal suo lato << E' stata una dura battaglia? Ci sono state parecchie >> dovette fermarsi un attimo per cercare di riuscire a parlare << morti? >> domandò, pensando a Eliese e alla sua famiglia; certamente non le avrebbe detto niente, non conoscendo le persone in questione. Eppure le era sorta spontanea, e il bisogno di sapere era difficile da contrastare.

<< Non molte, gentil dama >> le rispose << o, almeno, conoscendo la furia del Drago Smaug: egli è stato sconfitto da Bard della stirpe di Dale, discendente di Girion, un uomo aspro ma veritiero. Ora però una schiera di elfi è già in cammino, e gli avvoltoi li seguono sperando in una battaglia e massacro. Sul lago, uomini mormorano che i loro dolori sono dovuti ai nani, e pensano di venir indennizzati con parte del vostro tesoro, che voi siate vivi o morti >> finì, gravemente.

Un silenzio ancora più pesante e denso di prima scese, lasciandoli sconvolti e stupefatti tanto da non riuscire a parlare; Karin rabbrividì, nauseata: cosa sarebbe accaduto da adesso in poi?

<< Senza dubbio spetta alla vostra saggezza decidere il da farsi; ma quattordici è un piccolo avanzo del grande popolo di Durin, che ora è disperso lontano: c'è la possibilità di rivedere la pace albergare tra nani, uomini e elfi dopo la lunga desolazione, ma vi costerà cara in denaro. Ho parlato >>.

<< Ti ringrazio, Roac figlio di Carc >> disse Thorin, incollerito << Tu e il tuo popolo non sarete dimenticati. Ma finché saremo vivi il nostro oro non ci verrà tolto: se vuoi meritarti ancor più i nostri ringraziamenti, portaci notizie di chiunque si avvicini. Manda inoltre alcuni dei tuoi più giovani dai nostri consanguinei nelle montagne settentrionali, ad ovest e a est di qui: mettili al corrente. Andate da mio cugino Dain nei Colli Ferrosi, il più vicino a noi: ordinagli di affrettarsi! >>.

<< Non dirò se questo parere è buono o cattivo >> gracchiò Roac << Ma farò tutto il possibile >> fece per volare via ma venne fermato.

<< Aspetta! >> gridò Karin, muovendo un passo avanti << Thorin, pensa a ciò che chiedi: è questo che vuoi? Una guerra? >> domandò sconcertata, alzando la voce.

Non l'avrebbe permesso, né tollerato; tremava, pallida e nervosa, mentre guardava la risoluta fermezza del nano ostentata con una freddezza che le gelò le ossa e fece contrarre lo stomaco: tutto in lui mostrava il suo convincimento in quel folle piano.

<< Tu cosa credi? >> le domandò, ironico << Pensi che uomini e elfi verranno qui in pace? Sappiamo bene che, se non concederemo loro ciò che vogliono, arriveremo ad uno scontro >>.

<< Ma non potremmo... accontentarli? >>.

I nani trattennero il fiato, indignati anche solo dalla proposta; Thorin la fulminò con un'occhiata sprezzante, digrignando i denti bianchi.

<< Accontentarli? >> ripeté, la rabbia che montava veloce << Mai! Il tesoro appartiene a noi nani >>.

Gli altri assentirono, annuendo energicamente; solo Bilbo rimase immobile, gli occhi che si spostavano da lei a Thorin: non sapeva che pensare, ma era certo di non voler affatto una battaglia quanto, piuttosto, una soluzione pacifica. Però capì bene che il nano non sarebbe mai sceso a patti, nemmeno se a chiederglielo sarebbe stata Karin: era del tutto impotente, e questo la distruggeva. Lo sentiva, e lo vedeva anche troppo bene.

<< Il tesoro appartiene al popolo di Durin e al suo Re, è vero: ma come pensi di gestire una simile quantità d'oro? È troppa per noi: se ne concedessimo loro una parte tutto si risolverebbe per il meglio, ed ognuno avrebbe ciò che desidera >> ribatté stoicamente.

<< Come puoi chiedermelo, dopo tutti gli anni che ho atteso per poterlo riprendere? >> ora anche lui avanzò muovendo alcuni passi, i pugni serrati e pallidi << Come osi dirmi questo, Karin? >> ruggì.

Nessuno fiatò, non avevano abbastanza coraggio.

<< Se si arriverà ad una guerra... tanto meglio >> decretò duramente, perforandola con lo sguardo << Sapranno che i Nani del popolo di Durin sono ben vivi e pronti a difendere ciò che è loro di diritto. Ti prego di andare, Roac, e di fare in fretta. Ora torniamo sulla Montagna! >>.

Si girò, venendo affiancato da Dwalin e Balin e, di seguito, si accodarono gli altri; Karin rimase immobile con lo sguardo puntato alla schiena di Thorin, intento a discutere le prossime mosse con i due fratelli. Si riscosse quando sentì una lieve stretta sulla spalla e, girandosi, incontrò gli occhi grigi colmi di timore e dispiacere di Bilbo, gli stessi sentimenti che sapeva di provare.

<< Siamo in un bel guaio >> commentò lei, schiarendosi la voce.

<< Riuscirai a fargli cambiare idea >>.

Sorrise amaramente di fronte a quella stupida convinzione << No, Bilbo, non ci riuscirò. Con questo Thorin è difficile ragionare >>.

Lo hobbit aggrottò la fronte, perplesso << Questo Thorin? Che vuoi dire? >>.

Ma lei non gli rispose, lo sguardo velato e triste; scosse la testa e sospirò, incamminandosi verso la Montagna. E il povero Bilbo dovette seguirla, mentre nella testa risuonavano continuamente le sue parole, facendolo rabbrividire sempre più.


<< Abbiamo alcuni giorni di vantaggio prima del loro arrivo >> dichiarò Thorin alla Compagnia, che pendeva dalle sue labbra << Siccome tutti gli altri ingressi sono stati bloccati tempo addietro – eccetto la Porta Principale e quella più piccola e segreta – fortificheremo la prima e costruiremo un nuovo sentiero che parta da lì. Abbiamo attrezzi e materiale in abbondanza, ma dovremo essere veloci e lavorare alacremente >>.

<< Naturale! >> commentò Dwalin, già impaziente d'iniziare.

Gli altri annuirono e, rapidi, si divisero in piccoli gruppetti per facilitare il lavoro: a Bilbo venne dato il compito di portare acqua e provviste e Karin, in quanto femmina, lo avrebbe aiutato; inoltre avrebbe trasportato e passato agli altri gli attrezzi necessari poiché li conosceva.

Lavorando a stretto contatto pressoché con tutti, cercò quanto più possibile di farli rinsavire, sperando che qualcuno fosse contrario alla decisione del loro sovrano.

Quando si ritrovò a parlare con Balin, però, capì che non sarebbe riuscita a smuoverli.

<< Per favore, Balin >> lo pregò per l'ennesima volta << sei l'unico a cui darebbe ascolto. Una battaglia ci distruggerebbe, e lo sai >>.

<< Non è detto si giunga a questa drammatica soluzione, bambina mia >> tentò di mostrarsi convincente, ma anche lui sapeva che era una bugia. Fece una smorfia quando sollevò un blocco di pietra, venendo prontamente aiutato da Karin.

<< Grazie. Come ho detto, non credo arriveremo ad uno scontro >> ripeté, asciugandosi la fronte con la manica.

Gli passò la borraccia piena d'acqua aspettando che bevesse, prima di parlare << Sai che Thorin non parlamenterà: è testardo, oltre che orgoglioso >>.

<< Non ha tutti i torti: il tesoro di Erebor è dei nani, non di altri >> ribatté caparbio.

Sospirò, sfregandosi la tempia destra << L'hai visto anche tu, Balin: quel tesoro è immenso rispetto a quello che v'era prima; il Drago ha accumulato altre ricchezze che non ci appartenevano. Anche io non desidero venga dato agli elfi, lo sai bene, ma... per aiutare coloro che ci accolsero... bé, quello sì >>.

<< Capisco anche il tuo punto di vista, Karin, ed è giusto >> disse, guardandola compassionevole; ma durò poco, perché poi scosse la testa << Ma non sono io a decidere, e nemmeno tu. Mi dispiace >> lo disse sinceramente, guardandola negli occhi e stringendole una mano tra le sue.

Karin annuì mesta, allontanandosi; portò a tutti un po' d'acqua, notando però che mancava qualcuno << Dov'è Thorin? >>.

<< Non lo so >> rispose Nori, il più vicino a lei << era qui fino a poco fa >>.

Si guardò attorno ma, con un tuffo al cuore, non lo vide da nessuna parte: si impose di mantenersi calma e di non arrivare a conclusioni affrettate; potevano esserci migliaia di motivi per il suo allontanamento, non tutti riconducibili alla stanza del tesoro.

Respirò a fondo, cercando di mostrarsi indifferente alle varie occhiate preoccupate che le lanciarono gli amici e, senza dir nulla, tornò al lavoro sperando di occupare la mente.


Passarono quattro giorni e i corvi portarono loro altre notizie allarmanti: Thranduil aveva cambiato strada dirigendosi verso il lago e, ora, le schiere di elfi e uomini si affrettavano verso la Montagna; fortunatamente il cibo che avevano sarebbe bastato per alcune settimane e l'ingresso era bloccato da un muro spesso e alto di pietre squadrate e appoggiate l'una sull'altra a sbarrare l'apertura. Vi erano diversi buchi attraverso i quali potevano vedere, ma nessun ingresso: entravano o uscivano servendosi di scale a pioli e, per permettere al fiume d'uscire, avevano lasciato un basso archetto sotto il muro; avvicinarsi alla Porta era possibile solo tramite una stretta cornice rocciosa a destra.

<< Tutto sommato abbiamo fatto un buon lavoro, mi pare >> commentò Dori, lasciando trapelare la soddisfazione.

<< Speriamo funzioni! >> esclamò Ori.

<< Funzionerà >> disse asciutto Thorin con le mani dietro la schiena, intento a contemplare l'opera << Deve funzionare >> lanciò un'occhiata collettiva, accennando un lieve sorriso che spianò la fronte << Riposate, amici >>.

Gli altri non se lo fecero certo ripetere, scegliendosi un posto; Karin avrebbe voluto parlargli, cercando di condurlo sulla via dell'ascolto e della ragione, ma non ci riuscì: lo guardò coricarsi, sentendo il suo respiro tranquillo e profondo poco dopo, già dormiente. E lei lo seguì poco dopo, troppo stanca anche solo per pensare.

Venne svegliata da delle grida concitate nel cuore della notte e, sedendosi di colpo, cercò di mettere a fuoco i volti dei compagni e le parole che stavano dicendo.

<< Sono arrivati! >> gridò Balin.

<< Il loro accampamento è grandissimo! >> esclamò Kili, tornando di corsa dopo essere andato a sbirciare.

<< Devono essere arrivati risalendo le rive del fiume >>.

A Karin si attorcigliò lo stomaco e iniziarono a sudare i palmi; sentiva il cuore battere più forte del solito e, guardando gli altri, poté scorgere la stessa ansia sui volti.

<< E ora, che facciamo? >> domandò Bilbo, spaesato.

<< Aspettiamo >> rispose gravemente Thorin << Prima o poi arriveranno >>.

E così avvenne, alle prime luci dell'alba: da dietro il loro muro, la Compagnia li osservò salire fino all'inizio della valle e iniziare lentamente la scalata; vi erano sia Uomini del Lago in assetto da guerra sia arcieri elfici. Karin si ritrasse un poco dalla feritoia non appena li vide: cercò di reprimere la paura che, di nuovo, si era impossessata del suo animo; si impose di smetterla. Non erano altro che semplici elfi.

<< Chi siete >> gridò a gran voce Thorin, non appena si fermarono indicando sconcertati la Porta << voi che venite alle porte di Thorin figlio di Thrain, Re sotto la Montagna? Cosa volete? >>.

Ma essi non risposero, limitandosi a fissare le difese che i nani avevano eretto, per poi andarsene; quel giorno spostarono l'accampamento verso est, in mezzo ai bracci della Montagna. Le rocce echeggiarono delle voci e dei loro canti, facendo desiderare a Bilbo d'unirsi a loro.

Il gruppo venne preso dallo sconforto e, ben presto, iniziarono a brontolare e lamentarsi.

<< Forse avremmo potuto accoglierli come amici >> disse Kili, accarezzando l'elsa della nuova larga spada; era seduto accanto al fratello e a Karin e Bilbo e, alle sue parole, si voltarono a guardarlo esterrefatti.

<< Ma che dici? >> domandò furente Fili << Non puoi pensarlo davvero! >>.

<< Certo che posso >> ribatté << Andiamo, Fili: se non parleremo con loro... >>.

<< Non sopravvivremo >> concluse per lui Karin.

Il giovane Durin annuì di malavoglia e Fili richiuse la bocca, non riuscendo a ribattere: il germe del dubbio e della consapevolezza si stava annidando nel suo cuore, così com'era successo al fratello; come stava accadendo ad alcuni di loro, ormai. Ma non avrebbero detto nulla al loro Re, non esplicitamente.

Spostò lo sguardo verso Thorin, che camminava nervosamente avanti e indietro come un animale in gabbia: digrignava i denti, e vari insulti in nanico fuoriuscivano dalle labbra sottili; era teso e scattante, ed ogni più piccola reazione avrebbe potuto scatenare la sua furia. Perciò rimase immobile e zitta finché non venne coinvolto da Dwalin.

<< Quanto ci metteranno i nostri parenti ad arrivare? >>.

<< Dipende >> rispose, asciutto << Dipende se sono partiti non appena hanno ricevuto il messaggio: in quel caso, pochi giorni >>.

Dwalin annuì, iniziando a parlottare: Karin non capì ciò di cui discutevano e, sinceramente, non le importò; non avrebbe più voluto sentir parlare di eserciti in marcia, rese, guerre alle porte. Rimpianse le settimane tranquille a Esgaroth; rimpianse persino i primi giorni di marcia: tutto fuorché il pensiero di una battaglia che li avrebbe visti sconfitti.

E morti.

Si alzò, non volendo rimanere un minuto di più; aveva bisogno di camminare, di correre, di esercitarsi con Iris: tutto purché smettesse di pensare.

Se c'era una cosa che aveva imparato nella sua lunga vita, era che l'attesa era snervante. Tremendamente snervante.


Il mattino seguente, di buon'ora, una compagnia di soldati armati di lancia attraversò il fiume e marciò su per la valle. Portavano il grande stendardo del re degli Elfi e quello azzurro del lago, ed avanzarono finché non si fermarono proprio davanti al muro della Porta.

Di nuovo, Thorin li apostrofò << Chi siete voi che venite armati per far guerra alle porte di Thorin figlio di Thrain, Re sotto la Montagna? >>.

Si fece avanti un uomo alto, scuro di capelli: per un attimo, a Karin ricordò un viso familiare << Salute a te, Thorin! Perché ti barrichi come un ladro nel suo covo? Siamo venuti qui credendo di non trovare nessuno, ma sono ben lieto di vedervi vivi: tuttavia, ora che ci siamo incontrati, abbiamo alcune questioni di cui discutere >>.

Thorin strinse la mascella, rabbuiandosi in volto << Chi sei tu, e di che vorresti discutere? >>.

<< Io sono Bard, e per mano mia il drago fu ucciso e il vostro tesoro salvato: questa è una questione che ti riguarda, non è vero? Inoltre sono per diritto ereditario il successore di Girion di Dale, e in mezzo al tuo tesoro c'è parte delle ricchezze della sua città e del suo palazzo. E di questo potremmo parlare. Per di più, nella sua ultima battaglia, Smaug distrusse le dimore della città di Esgaroth, e io sono ancora al servizio del suo Governatore. Vorrei chiederti se non sei sfiorato dal pensiero del dolore e della miseria del suo popolo; ti soccorsero quando eri in pericolo e ti accolsero ma, per tutta risposta, finora hai portato solo rovina, anche se non l'hai fatto di proposito >> si fermò, guardando il muro come se avesse potuto vederli << So che con voi è presente una nana, Karin è il suo nome >>.

Karin si bloccò, smise perfino di respirare: con gli occhi sgranati, sbirciò dalla fessura osservando l'Uomo, come paralizzata; no, gli elfi non avevano detto nulla. E nemmeno Legolas. Vero?

<< Perché vuoi sapere di lei? Cosa vuoi, esattamente? >> chiese Thorin, il tono di voce sempre più alterato.

Bard non si fece intimorire, alzando il mento e incrociando le braccia al petto << Ella conosce mia sorella, Eliese: le è stata accanto nel momento del bisogno, e per questo volevo ringraziarla >>.

Schiuse le labbra, non credendo alle sue orecchie: dunque l'uccisore di Smaug era parente di Eliese? Ora si spiegava la sensazione di familiarità provata!

<< Come sta? >> gridò dalla fessura, improvvisamente angosciata << E Ranel? I bambini? >>.

<< Stanno bene, non temere >> le assicurò << Sono riusciti a fuggire appena in tempo >>.

Lei espirò, sollevata dalla notizia: loro per lo meno erano al sicuro e salvi; ma la frase che Bard pronunciò dopo la fece arrabbiare e deludere, immensamente.

<< La forgia è bruciata e la loro casa è stata parzialmente distrutta dal drago. Sono certo che vorrai aiutarli, essendo loro amica: parla col tuo re, e cerca di convincerlo >> concluse, rivolgendosi a lei come se non ci fosse stato Thorin a pochi passi di distanza.

Fatto che lo fece ancor più infuriare << Come osi presentarti dinanzi alle mie Porte e presentare una simile condizione senza volermi interpellare? Non sapevo che gli Uomini adoperassero la compassione per circuire e attuare i loro scopi! >> sbraitò, livido in volto. I nani lo guardarono stupefatti, non avendolo mai visto in quello stato; Karin si ritrovò a tremare involontariamente e Bilbo cercò di farsi più piccolo di quel che già era, intimorito dalla figura del re.

<< Dopo ciò non sarai certo il benvenuto, né ti verrà acconsentito nulla di ciò che chiedi! Vattene ora, prima che qualche freccia lasci il suo arco. Dì agli Elfi che ritornino nei boschi, e tu dovresti fare altrettanto tornandotene a casa con la tua gente >>.

<< Il Re degli Elfi è un mio amico, e ci ha soccorsi nel momento del bisogno, sebbene non avesse alcun obbligo verso di noi. Ti daremo tempo per pensarci e pentirti delle tue parole: fa' appello al tuo buonsenso prima del nostro ritorno! >>.

Guardò un'ultima volta il punto da cui Thorin aveva parlato; poi, con aria grave, si girò e partì tornando all'accampamento.

Sulla Compagnia calò un silenzio di tomba, e molti osservarono con occhi bassi Thorin, al limite della pazienza: senza dir nulla se ne andò anche lui, lasciandoli soli. Solo allora si azzardarono a discutere; Bombur e Nori cercarono di coinvolgere Karin ma non li ascoltò, poiché doveva assolutamente raggiungere il re.

Borbottò delle scuse e sgusciò via, inoltrandosi lungo i corridoi: cercò ovunque, persino nella vecchia stanza dell'allora principe di Erebor, ma di lui non v'era traccia; con lo stomaco attorcigliato, un dubbio s'insinuò nel petto.

Non aveva cercato proprio dappertutto.

Mancava un luogo.


Lo trovò in mezzo al suo tesoro: era da giorni che si comportava così, e a Karin venne il sospetto che stesse cercando accanitamente l'Archepietra; gli andò vicino, ma non parve notarla nemmeno quando sussurrò il suo nome.

Allungò una mano, ma quando gli sfiorò una spalla sobbalzò, lanciandole uno sguardo rabbioso: gli occhi azzurri erano gelidi e covavano risentimento, proprio come durante i primi tempi di viaggio.

Deglutì, non sapendo con quale forza riuscì a parlare << Non... non avrebbe dovuto ignorarti così, lui... >>.

<< Come si è permesso di parlarmi a quel tono? >> tuonò, interrompendola << Solo perché ha... ucciso Smaug >> sputò con astio, allontanandosi dal lei << Un miserabile Uomo, cresciuto col timore del drago che dimorava nella Montagna Solitaria; un Uomo che non ha mai provato il senso di perdita, impotenza, rabbia e voglia di vendetta; un Uomo che non ha mai avuto niente a che fare con il nostro mondo, che non ha mai saputo niente! Eppure questo estraneo è riuscito dove io ho fallito >> la voce divenne un sussurro; si sedette su un cumulo di monete, posandosi una mano sulla fronte. Sembrava che la rabbia fosse scemata, lasciandolo solamente stanco e avvilito.

Karin non riuscì a trovare parole adatte per confortarlo, poiché poteva soltanto immaginare il suo stato d'animo; ma di certo non gli avrebbe permesso di lasciarsi sopraffare dal risentimento e dalla rabbia verso colui che, implicitamente, li aveva salvati da morte certa.

Gli si avvicinò, inginocchiandosi di fronte: poggiò la mano su quella che ancora gli copriva il viso, spostandola delicatamente; lui la guardò con occhi pieni di dubbi, e le si strinse il cuore. Lo accarezzò sulla guancia ma il tempo stringeva, non avevano più molto tempo: presto Bard sarebbe tornato ed avrebbe voluto una risposta, un qualche ripensamento; in cuor suo sapeva che non sarebbe riuscita nell'impresa, eppure doveva almeno tentare!

<< Thorin >> iniziò, la voce che tremava leggermente << non vuoi nemmeno pensare alle sue condizioni? >>.

Corrugò le sopracciglia, certo d'aver sentito male: invece gli occhi neri non mentivano, erano sinceri; davvero credeva in ciò che gli stava proponendo?

<< No >> replicò, asciutto << Nessuno reclamerà o prenderà il mio tesoro finché vivrò >>.

Il mio tesoro.

<< E' in gran quantità: se ti liberassi di una minima parte... >>.

<< No, Karin! Perché non lo capisci? >> esclamò, scattando in piedi e sovrastandola.

<< Sei tu che non capisci! >> ribatté lei, alzandosi velocemente a sua volta << Ci stai condannando, e per cosa? Quattro monete d'oro, qualche gioiello e armatura luccicante! >>.

<< Taci! Non hai il diritto... >>.

<< Ti sbagli, ce l'ho in quanto membro della Compagnia: e siccome nessuno vuol parlare, lo farò io >> disse, tagliente come la lama di Iris << Ripensaci! La tua caparbietà ci porterà a morte certa: è questo che vuoi? Lasciare che un mero desiderio egoistico che nessun sovrano dovrebbe possedere prenda il sopravvento? >> lo guardò disperata, vedendolo perdere la pazienza; perché si ostinava a non capire?

<< Pensa almeno alla vita dei tuoi nipoti >> continuò << vuoi togliere loro il privilegio di continuare a vivere? >>.

Thorin le lanciò uno sguardo furente, gli occhi ormai glaciali << Non mi rimangerò la parola, sai che non lo farò. E Kili e Fili sono esperti tanto quanto me nel combattimento: sono sangue di Durin >>.

<< Altri non lo sono >> rispose con un filo di voce << Io non lo sono >>.

La guardò, cambiando espressione: ora, la rabbia pareva essersi smorzata.

<< Cosa proveresti se dovessi morire? >> gli chiese, ancorando lo sguardo al suo << Ti dispiacerebbe? Ne saresti distrutto? Oppure... continueresti nello sciocco proposito di difendere il tuo tesoro? >> tremava, ma non sapeva se d'ira o di paura: sapeva solo che attendeva con trepidazione una risposta.

Attese col cuore in gola ma Thorin non diede una risposta, limitandosi a fissarla; e, quando aprì la bocca per parlare, venne interrotto dallo scalpiccio di passi affrettati: Bilbo entrò, affannato come non mai.

<< Stanno ritornando! Bard è quasi al muro! >>.

Thorin scattò e corse via senza nemmeno scusarsi, senza degnarla di un'occhiata; abbassò il capo verso le monete d'oro, provando l'insano impulso di distruggerle, di radere al suolo quella maledetta Sala.

Amareggiata, serrò forte i pugni conficcandosi le unghie nella carne; si morse il labbro inferiore per non gridare e piangere nello stesso momento: tutto le stava scivolando dalle mani, nulla le restava. E per quanto tentasse di tenerlo con sé disperatamente, le sfuggiva sempre.

<< Karin, facciamo in fretta: sono curioso di conoscere il motivo di questa nuova venuta >>.

<< Cosa vorresti sentire, Bilbo? Una condizione di pace, di resa? >> mormorò, lo sguardo ancora a terra << Svegliati da questo bel sogno pieno di speranza: essa ci ha abbandonati >>.

Si avviò prima di lui, senza aspettarlo: rimase con le orecchie tese per un po' finché non udì anche il rimbombo dei suoi passi; solo allora si concesse un profondo respiro, che aveva molto in comune con un singhiozzo.


<< In nome di Esgaroth e della foresta >> gridò l'araldo accanto a Bard << parliamo a Thorin Scudodiquercia figlio di Thrain, che chiama se stesso Re sotto la Montagna, e gli intimiamo di considerare seriamente le richieste che sono state avanzate, sotto pena di essere chiamato nostro nemico. Egli dovrà consegnare un dodicesimo del tesoro a Bard, in quanto uccisore del drago ed erede di Girion. Ma se Thorin vorrà avere l'amicizia e il rispetto delle terre qui intorno, dovrà aggiungere qualcosa di suo per soccorrere gli Uomini del Lago >>.

Thorin ringhiò furioso e, preso un arco che stava a pochi passi da lui, lo tese e scoccò una freccia verso l'uomo, mandandola a infilarsi nello scudo che portava.

Karin chiuse gli occhi, capendo che la spada della condanna a morte ora pendeva sulle loro teste.

<< Poiché questa è la tua risposta >> si intromise Bard << dichiaro la Montagna assediata. Non ve ne andrete finché non ci chiederete una tregua e un parlamento. Non prenderemo le armi contro di voi, ma vi lasciamo al vostro oro. Mangerete quello, se vorrete >>.

Thorin sbuffò sprezzante, battendo un pugno sulla pietra scura << Fate pure! Capirete ben presto che i nani reggono un assedio meglio di quanto crediate >> tuonò, rivolto agli ultimi uomini della fila che, lentamente, lasciavano la Montagna per tornare agli accampamenti.

Nessuno osò contrastarlo, anche perché la maggior parte dei compagni condividevano la sua opinione eccetto Bombur, Fili, Kili, Karin e, naturalmente, Bilbo, che disapprovava completamente come si erano messe le cose. Ne aveva già abbastanza della Montagna, ed essere assediato dentro di essa non era per niente di suo gusto.

Sbuffò piano, infilandosi distrattamente le mani nelle tasche della giacca blu; corrugando la fronte, riconobbe il contorno liscio dell'anello magico e, dall'altra parte, la consistenza più pesante dell'Archepietra.

E, lentamente, iniziò a prendere forma un piano che, forse, avrebbe potuto salvarli.







CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Eccomi!!! Perdonate l'immenso ritardo, sono un essere spregevole >.

Spero vi vada tutto bene, tra quelli di voi che hanno finiti la scuola, chi deve affrontare la maturità – e qui ci sta un gigantesco IN BOCCA AL LUPOOOO – e chi, come me, deve ancora affrontare gli ultimi esami estivi T.T!!!

Dunque, anche qui non è che succeda granché, tranne un CERTO sogno – ah, credevate succedesse davvero, eh ;))?? Bwahahahaah – e, finalmente, si introduce Bard! Inoltre, il rapporto tra Karin e Thorin è sempre più teso: riusciranno a riconciliarsi o andrà sempre peggio? Scommetto che, ormai, la vostra risposta coinciderà con la mia... In ogni caso, lo scoprirete meglio nel prossimo capitolo :/

Bene, come al solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le solite recensioni ;)

ringrazio le carissime e specialissime _Elentari_, Krystal91, Lady_Daffodil, Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack e LilyOok_. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra

Anna <3



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Capitolo 20
*** Capitolo venti ***


Note dell'autrice: Salve carissime! Scusate il ritardo, ma questo capitolo è stato un vero parto, mi ha lasciata distrutta @_____@!

Prima di lasciarvi volevo darvi delle spiegazioni ^^: qui la faccenda inizia a complicarsi perché, chi ha letto il libro, sa che combina il nostro caro Bilbo; inoltre ci ho aggiunto anche del mio, quindi forse vi ritroverete ad odiarlo man mano che procederete con la lettura :/. Così, vorrei spezzare una piccola lancia in suo favore : Bilbo fa quello che fa solo per salvare i suoi compagni dalla rovina e dalla battaglia, e anche qui non è da meno! Perciò non detestatelo troppo, poverino!

Inoltre, se non avete ancora ascoltato la colonna sonora del trailer senza interruzioni o parti di dialoghi, eccola qui: http://www.youtube.com/watch?v=oZUUxrSzrAo

Io consiglierei di leggere con questo sottofondo, ma fate come più volete ^^: ammetto d'aver scritto ascoltando solo questa, accidenti @___@...

Bene, questo è quanto :), spero vi piaccia!

Allacciate le cinture e... buona lettura ^.^

P.S. Ah, una ragazza mi ha posto una domanda interessante: ma quale nomignolo potremmo dare alla coppia Thorin/Karin??? Bene, dopo essermi scervellata sono giunta ad una conclusione, ovvero la... Irishield!!! Amatela così come io l'amo XD XD
Ok, ora ho seriamente finito di sparare cavolate ;)))




CAPITOLO VENTI


<< Cercate l'Archepietra di mio padre in ogni angolo della Sala >> disse Thorin all'intera Compagnia, già sul luogo << Ha un valore più grande di qualsiasi altra cosa, e per me è inestimabile: perciò, di tutto il tesoro io reclamo solo quella pietra. Quando la troverete me la consegnerete: non tollererò furti, sappiatelo >> concluse, minacciandoli con voce dura come roccia.

Bilbo deglutì impercettibilmente: i palmi iniziarono a sudargli, e un immenso desiderio di confessare che già gli apparteneva si annidò in lui; dovette mordersi la lingua e guardare altrove tranne il volto severo di Thorin per calmarsi e recuperare la freddezza.

Notò che Karin si era nascosta di proposito dietro l'ampia schiena di Dwalin, e l'espressione che campeggiava sul volto non era delle migliori: gli parve di vederla furiosa e disgustata insieme, ma poteva anche esprimere una profonda delusione e tristezza, che gli serrò lo stomaco.

Nei suoi occhi, nei suoi lineamenti, non riusciva più a scorgere l'amore travolgente dei mesi precedenti: e ciò lo turbò, facendolo soffrire.

Quando vennero congedati gli altri non persero tempo, al contrario di lei: rimase ferma con le braccia conserte al petto, guardando di malavoglia il pavimento ricoperto di monete; Bilbo, spostatosi di pochi metri, la vide assottigliare lo sguardo e sospirare. Non scorgendo Thorin le si avvicinò, accennando solo un mezzo sorriso di conforto al quale rispose lievemente.

Poi, senza dir nulla, se ne andò; le guardò la schiena leggermente curva, volendo scambiare ogni singola pietra preziosa presente in quella sala con un suo sorriso felice e sereno. Era consapevole però che doveva essere Thorin a far sì che quel miracolo si compisse, quindi sperò col cuore se ne rendesse conto in tempo.

Man mano che le ore trascorrevano diventava sempre più inquieto, e Thorin con lui: a volte, se si trovava nelle vicinanze, lo udiva ringhiare e imprecare mentre il dolce e tintinnante suono delle monete faceva da sottofondo alla sua rabbia.

Si ritrovò a sbuffare e a voler andarsene da lì: inoltre, ogni volta che alzava lo sguardo e vedeva la frenesia del re dei nani, la sua convinzione diventava più forte; avrebbe attuato il piano quella sera stessa, poco ma sicuro!

I suoi propositi vennero interrotti dalle voci concitate dei compagni: si stavano raggruppando poco più lontano, intimandosi il silenzio per poter sentire le nuove notizie di Roac.

<< Vostro cugino sta marciando, Re sotto la Montagna >> iniziò, volgendo il capo di lato verso Thorin << con più di cinquecento nani; ora sono a due giorni di marcia da Dale, e provengono da nord-est; non possono raggiungervi senza essere visti, quindi temo ci sarà una battaglia nella valle. Non mi pare che sia buona cosa. Se non sopraffacessero l'esercito che vi assedia, cosa ne guadagnereste? L'inverno e la neve incalzano, e come potrete nutrirvi senza l'amicizia di chi vi sta attorno? Il tesoro finirà con l'essere la vostra morte, anche se il drago non c'è più! >>.

Thorin non mutò espressione, mantenendola seria e determinata anche di fronte a quelle che, a Bilbo, parvero giuste argomentazioni.

<< Ti ringrazio per l'interessamento, ma decideremo noi come meglio agire >> replicò, scorbutico << L'inverno e la neve morderanno tanto gli uomini quanto gli elfi, perciò troveranno la permanenza atroce da sopportare. Con i miei amici dietro di loro e l'inverno addosso, forse riusciremo a trovare una soluzione >>.

<< Come il re comanda >> rispose Roac, agitando le ali in una sorta di inchino.

Thorin fece un cenno d'assenso col capo, accettando l'omaggio << Ti prego d'andare, ora; e torna non appena hai altre novità >>.

Una volta che furono soli, la voce di Nori spezzò il silenzio << Saranno due lunghi giorni, ragazzi! >>.

<< Dobbiamo solo aspettare! >> esclamò Bofur, ironico << Cosa c'è di meno snervante? >>.

<< Non perdiamo la calma >> disse Thorin << ne avremo bisogno, ora più che mai. E adesso, torniamo a cercare l'Archepietra >>.

<< Non potremmo mangiare? Ho fame, ed è da ore che siamo qui! >> propose Bombur, speranzoso. Thorin lo raggelò con un'occhiata ma, a fatica, annuì; gli altri tirarono molti sospiri di sollievo mentre si avviavano verso l'uscita, talmente concentrati sul pensiero del cibo da non accorgersi dell'assenza del loro sovrano.


<< Non pranza nemmeno oggi? >> chiese Bilbo, seduto accanto a Karin; non ebbe bisogno di chiedergli di chi stesse parlando, poiché sospirò.

<< A quanto pare no >> commentò, masticando a fatica un boccone di pane nero, lo stomaco troppo serrato anche solo per deglutire; oh, se odiava quella situazione! I Valar solo sapevano quanto avesse tentato di farlo rinsavire e smuoverlo da quella sala, senza successo. Ed ora era stanca, troppo stanca per combattere e opporsi: aveva scoperto di non essere forte abbastanza.

<< Vuoi... parlarne? >>.

<< No >>.

Bilbo annuì, mordendosi l'interno guancia e chiedendosi se non fosse stata una domanda inopportuna; forse non avrebbe dovuto impicciarsi ma, d'altra parte, teneva davvero molto a lei essendo sua amica. Il vederla così mogia e distrutta lo abbatteva.

Karin si maledì per la risposta secca e brusca, cercando di rimediare << Anche se ne parlassimo non risolveremmo nulla >> disse, a voce bassa << E' giunto il momento che sia lui a capire. Deve cambiare, tornare quello di prima >>.

A Bilbo sembrò di scorgere un luccichio nelle pozze nere, ma passò subito. Si alzò, decretando che avrebbe provato a parlarci o, quantomeno, a convincerlo a cibarsi e ad unirsi al gruppo; Karin scrollò le spalle indifferente, ma dentro di sé lo ringraziò dal profondo del cuore, benedicendo il suo lato Tuc che, da un po' di tempo, aveva prevalso su quello Baggins: l'aver affrontato tutte quelle avventure l'aveva reso più coraggioso, perfino di lei.

Lo guardò allontanarsi, raccogliendo le gambe al petto e poggiando il mento sulle ginocchia; rimase in quella comoda posizione per un po' di tempo finché le gambe non protestarono: allora si sciolse, sospirando ancora.

Si grattò la punta del naso, venendo sorpresa da uno starnuto che rimbombò tra le pareti.

<< Salute >> borbottò Bofur, scoprendo un occhio dal colbacco che aveva calato sulla testa per riposare; dopo che l'ebbe ringraziato tornò a dormicchiare, e così anche gli altri.

Karin cercò un fazzoletto nelle varie tasche, ma si accorse di non possederne nemmeno uno: girando il capo a destra, notò il fagotto di Bilbo proprio lì vicino; non potendo attendere il suo arrivo, allungò un braccio per prenderlo.

Lo aprì, rovistando tra vari barattoli di erbe medicinali ma si bloccò, aggrottando la fronte: qualcosa appallottolato in vari strati di stoffa aveva attirato la sua attenzione.

Curiosa li spostò e sbirciò; quando scoprì di che si trattava, dimenticò ogni cosa: l'incredulità prese il sopravvento.

Insieme alla rabbia.



Bilbo tornò un quarto d'ora dopo, da solo; scuro in volto, ripensò spesso al mancato dialogo con Thorin: infatti, il nano non aveva risposto ad una sua sola domanda, ignorandolo bellamente. Anche quando l'aveva supplicato di redimersi per Karin non aveva mosso un muscolo, né fatto un cenno, troppo coinvolto dalla smania di trovare la stessa Archepietra che era custodita nel suo fagotto. Sospirò, camminando con le mani in tasca: si ritrovò a giocherellare distratto con la superficie liscia e fredda dell'anello magico, venendo bel presto inghiottito da pensieri che riguardavano quel minuscolo oggetto.

Era così concentrato che non si accorse della figura seduta di Karin che lo attendeva, né di quello che aveva tra le dita; non vide il suo disappunto sul volto, né la voglia di spiegazioni. Solo quando fu a pochi passi capì ma, ormai, era troppo tardi per tornare indietro.

<< Perché ce l'hai tu? >> gli sussurrò, la furia che trapelava nonostante cercasse di tenerla a bada.

Bilbo non rispose: gli si seccò la gola, ed un gelo penetrante fece capolino tra le vesti raggiungendo i ricci sporchi e arruffati fino alla pianta dei piedi.

<< Bilbo >> sibilò, lo sguardo infuocato; la vide compiere uno sforzo enorme per trattenersi dall'urlare, dato che gli altri si erano appisolati: si alzò di scatto, tenendo l'involto nella mano destra e, con l'altra, lo afferrò per la giacca e lo strattonò malamente poco più in là. Lui si lasciò condurre quasi di peso, troppo sconvolto per divincolarsi, avendo timore della nana.

<< Allora? Voglio delle spiegazioni! Perché questa era tra le tue cose? >> chiese, mostrando la grossa gemma sfolgorante; Bilbo osservò la luce che assorbiva e che trasformava in scintille di bianco fulgore screziato di riflessi iridescenti. Ne rimase incantato come quel giorno, quando la mano gli parve comandata da volontà propria e la prese tra i mucchi d'oro e d'argento, tra smeraldi, rubini e zaffiri.

<< Io... io, ecco... mi... io >>.

<< Balbettare non ti salverà, sappilo >> disse duramente; digrignò i denti, arrabbiata oltre ogni dire << Avanti, voglio una risposta, scassinatore >>.

Bilbo schiuse la bocca, scombussolato: mai e poi mai l'aveva chiamato così, né con quel tono dispregiativo.

Fu questo, forse, a farlo reagire << Vuoi sapere perché, Karin? >> la guardò negli occhi, senza l'ombra della paura << Perché hai visto anche tu in che condizioni versa Thorin! Siamo sull'orlo di una guerra, e solo per questa pietra! Ciò è sbagliato, lo sai >>.

<< E come vorresti risolvere il problema? >> chiese lei, non capendo.

Lo hobbit la guardò attentamente, non sapendo se rivelarglielo o meno; infine, però, si decise << Se non ci andrà nessuno – e dubito potrà accadere in futuro – andrò io stesso a parlamentare con gli elfi >>.

Karin aggrottò la fronte, iniziando ad intuire il piano: pur non volendolo, la domanda le affiorò sulle labbra, e non si impedì di porla.

<< Portandoti l'Archepietra, vero? Ma... ma perché? >>.

<< E' l'unico modo >>.

<< No, Bilbo, non può essere l'unico! L'Archepietra appartiene ai Nani, appartiene a Thorin: non puoi sottrarcela! >> esclamò, disperata.

<< Se non lo farò, Thorin impazzirà >>.

<< Se lo farai impazzirà comunque! Tu non capisci, non sei uno di noi! >> il suo sguardo gli rammentò molto quello del re, ed una morsa gli strinse il cuore: anche Karin era ammaliata dalla pietra, lo vedeva; ed era gelosa del suo tesoro più prezioso.

<< E' il cuore della Montagna. È il cuore di Thorin >>.

<< Sei tu il cuore di Thorin! >> scattò Bilbo.

Karin sgranò gli occhi, sorpresa del tono e dalle parole, ma poi si rabbuiò << Questo non c'entra: è il suo cuore in quanto Re sotto la Montagna. E non si sposterà da qui, costi quel che costi. Non ti permetterò di rubarla, né di consegnarla al nemico; confido che la riporterai nella Sala del Tesoro, e non ne parleremo più. Sono stata chiara? >>.

Gli diede le spalle - pronta ad andarsene – ma Bilbo la richiamò << Perché non vuoi sbarazzarti di ciò che si frappone tra te e Thorin? >>.

Karin si bloccò, rimanendo comunque girata; serrò i pugni, sapendo che la domanda era legittima: eppure, la risposta le parve altrettanto semplice e corretta, poiché ci credeva davvero.

<< Perché appartiene al mio popolo. Se dovesse lasciare la Montagna, sarebbe come se la stessa si sgretolasse >>.

Le parole rimasero immobili nell'aria a lungo, così come i loro corpi; infine, Karin mosse un passo e si sedette a fumare, giusto per calmare un po' i nervi.

Bilbo, intanto, era lacerato dal dubbio: come prima cosa, comunque, nascose di nuovo l'Archepietra tra le piccole scatoline di carta contenenti le erbe, ma si bloccò quasi stordito; un'altra idea... perfida e subdola si insinuò nella sua testa e, man mano che cercava di scacciarla, affondava le radici nel cuore, avvelenandolo.

No pensò non potrei mai farle questo. Non a lei.

Eppure ci pensava sempre più, arrivando addirittura ad accettarla.

Spostò dapprima il capo verso Karin e poi verso il fagotto; col cuore pesante – troppo pesante – e con dita tremanti, sfiorò il bordo di una scatolina.


Il cielo era nero e senza luna; non appena fu buio, Bilbo andò in un angolo di una stanza interna dietro l'ingresso e tirò fuori dal fardello una corda e l'Archepietra avvolta nello straccio. Diede un'ultima occhiata al gruppo che dormiva più o meno profondamente: tra il primo gruppo vi era la sua Karin, immersa in un sonno nero e senza sogni, sotto l'effetto di una specie di pozione che aveva preparato senza essere visto con alcune erbe che conosceva bene; ne era risultato un sonnifero abbastanza potente da tenerla addormentata per alcune ore, giusto il tempo perché non sospettasse la sua fuga.

Non si sentì mai così meschino e spregevole: non vi erano parole sufficienti per esprimere il suo stato d'animo, e la sensazione del cuore sopraffatto dal rimorso e dalla colpa.

Ma doveva attuare il piano, per il bene di tutti.

Sospirò, issandosi in spalla la corda; poi si arrampicò in cima al muro trovando Bombur, intento a far la guardia.

<< Fa un freddo cane! >> disse quello, non appena lo notò << Come vorrei che potessimo avere un fuoco anche noi, come ce l'hanno all'accampamento >>.

<< Dentro fa abbastanza caldo >> disse Bilbo, sperando di convincerlo.

<< Purtroppo sono costretto a rimanere qui fino a mezzanotte >> scosse la grossa testa, sconsolato << E' una gran brutta faccenda, sai? Non mi azzardo a criticare Thorin – che la sua barba diventi sempre più lunga; però è sempre stato un nano molto rigido nelle sue decisioni >>.

La fiammella della speranza di Bilbo sembrò diminuire, ma non cedette << Meno rigido delle mie gambe! Sono stanco di scale e passaggi di pietra: non so quanto darei per sentirmi l'erba sotto i piedi! >> esclamò, allargando le braccia come a voler enfatizzare il luogo aspro che li circondava.

<< Ti capisco! Io vorrei sentire un liquore forte nella gola, e avere un letto soffice dopo una buona cena! >>.

Lo hobbit iniziò ad esultare intimamente, capendo che la resa del nano era vicina << Purtroppo queste cose non te le posso dare, finché continua l'assedio. Ma posso sostituirti nella guardia: stanotte non ho voglia di dormire >>.

Un brillio diverso negli occhi di Bombur gli fece intuire che aveva vinto, confermato poi dalle sue parole << Sei una brava persona, Bilbo, e accetterò volentieri! Se ci fosse qualcosa da segnalare svegliami per primo, mi raccomando! Starò sdraiato nella stanza più interna sulla sinistra, non lontano da qui >>.

<< Vai, non temere >> gli rispose, agitando una mano << Ti sveglierò a mezzanotte, così potrai svegliare la prossima sentinella >>.

Appena se ne fu andato si infilò l'Anello, fissò la corda e scavalcò il muro, ripetendosi che era stato immensamente fortunato: se non avesse trovato Bombur sarebbe stato più complicato.

Non appena ripensò a ciò che aveva fatto a Karin, tuttavia, gli si strinse lo stomaco e la nausea lo pervase: si chiese se al risveglio sarebbe stata clemente o meno; se fosse capitato a lui, non lo sarebbe stato affatto.

Le chiese nuovamente perdono, constatando che aveva circa cinque ore davanti a sé; inoltre, nessun altro sarebbe uscito sul muro finché non fosse arrivato il suo turno. O, almeno, così sperava!

Era molto scuro, e guadare il letto del fiume non fu affatto facile: era quasi arrivato all'altra riva quando scivolò su una pietra, cadendo in acqua; riemerse infreddolito e sputacchiante ma si bloccò subito non appena scorse alcuni elfi con delle lanterne luminose, venuti a scoprire la causa del rumore.

<< Non poteva essere un pesce! >> disse uno << C'è una spia in giro: forse si tratta del loro piccolo servo! Nascondete le luci! >>.

<< Servo, senti un po' questa! >> sibilò contrariato; d'un tratto, un fastidioso prurito al naso lo lasciò interdetto e, l'attimo dopo, si ritrovò a starnutire sonoramente: inutile dire che che gli elfi si mossero subito verso di lui.

<< Chi va là? Fatti vedere! >> urlarono, alzando le lanterne.

Spazientito dalla situazione li accontentò, sfilandosi l'Anello << Eccomi qua, se mi volete! >> e fece capolino da dietro la roccia.

<< Sei lo hobbit dei nani? Cosa stai facendo, e come hai eluso le nostre sentinelle? >> chiesero l'uno dopo l'altro.

<< Sono Bilbo Baggins, membro della Compagnia di Thorin, se proprio volete saperlo. Conosco bene il vostro re, benché lui non sappia chi sono, ma è Bard che vorrei incontrare >> pronunciò solenne, raddrizzando la schiena per cercare di sembrare più alto.

Gli elfi si scambiarono un'occhiata, scettici << Quali sarebbero i tuoi affari? >>.

<< I miei affari mi appartengono >> replicò, piuttosto brusco << ma gradirei potermi scaldare accanto ad un fuoco il più presto possibile, visto che sono bagnato: desidero venga fatto in fretta, anche perché ho ancora a disposizione solo un'ora o due per poter parlare con loro >>.



Bilbo strofinò le mani nel tentativo di scaldarle, cercando di reprimere un ampio sorriso di fronte alle espressioni stupefatte di Thranduil e Bard, seduti all'altro capo del focolare: uno hobbit in un'armatura elfica, parzialmente avvolto in una vecchia coperta, era una novità per loro.

<< Purtroppo, come ben sapete, la situazione si è fatta insostenibile >> disse << Io sono stufo di questa faccenda, anche se ho un certo interesse che tutto vada per il meglio, beninteso; comunque, non conoscete Thorin Scudodiquercia bene quanto me: è prontissimo a star seduto su un mucchio d'oro a morir di fame, piuttosto che abbassarsi alle vostre richieste >>.

<< Che lo faccia pure! >> esclamò Bard << Non merita altro! >>.

<< Capisco il tuo punto di vista, uccisore del Drago >> disse Bilbo << Ma l'inverno sta arrivando; i rifornimenti saranno difficili persino per gli elfi, immagino. E ci saranno altre difficoltà, come il sopraggiungere di Dain e dei nani dei Colli Ferrosi >>.

<< Dain? >> chiese Thranduil con voce pacata, nonostante nascondesse una lieve sorpresa.

<< Uhm, deduco non abbiate sentito le ultime novità: ebbene, sappiate che è a due giorni di marcia, ed ha con sé almeno cinquecento nani pronti a tutto! Quando arriveranno ci potranno essere guai seri >>.

<< Perché ce lo dici? >> l'interruppe Bard, un cipiglio severo in volto << Chi stai tradendo, hobbit? I tuoi amici o noi? >>.

<< Non ho mai incontrato gente così sospettosa! >> squittì Bilbo << Voglio solo evitare guai, nulla di più: anche se ciò che sto per proporvi ne porterà parecchi, temo >> sospirò, abbassando un attimo la testa riccioluta, preda d'un breve ripensamento: ma ormai il danno era fatto, si era spinto troppo in là; quindi la rialzò rapidamente, di nuovo padrone di sé << Ecco, guardate! >>.

Tirò fuori l'Archepietra, liberandola dallo straccio che la copriva; Thranduil si levò in piedi, lo sguardo incredulo di fronte a ciò che aveva bramato per così tanto tempo.

<< L'Archepietra di Thrain! >> esclamò, fissando il globo riempito di luce lunare << Il Cuore della Montagna. A lungo ho desiderato possederla, ordendo trame delle quali non vado fiero. E, ora, essa è davanti ai miei occhi e mi viene offerta: come si è giunti a questo, mi domando? >>.

<< Esatto! >> rincarò Bard, risvegliandosi dalla mirabile visione della gemma << Come puoi avere il diritto di darcela? >>.

<< Bé, non ho veri e propri... diritti >> esalò Bilbo, tentennante << però, vedete, sono disposto a darla in cambio di tutte le mie richieste, sapete. Sono uno scassinatore, ormai, e nemmeno proprio onesto >> ammise tristemente, pensando alle menzogne e a ciò che aveva dato alla povera Karin << ma con questo atto spero in qualche modo di redimermi. Ora devo andare, mi auguro che la troverete utile >> concluse, spiccio.

Porse l'Archepietra a Thranduil, che l'accettò con dita leggermente tremanti, rimanendone oltremodo affascinato; infine, dopo lunghi attimi, lo guardò con nuovo stupore.

<< Bilbo Baggins >> disse, solenne << sei più degno tu di indossare quell'armatura da principe elfico che molti altri che l'hanno indossata con più grazia. Ti consiglio di rimanere con noi, giacché conosco bene la razza nanica, e Thorin Scudodiquercia. Non sarà affatto clemente >>.

<< Vi ringrazio, ma non mi pare giusto abbandonarli: in fin dei conti sono miei amici >>.

<< Non lo saranno più dopo ciò >> disse il re elfico << nemmeno Karin: o forse appoggiava il tuo piano? >>.

Lo hobbit scosse la testa, affranto << Affatto. Ahimè, stavolta non riuscirà a capire! Ora devo andare, ho promesso al vecchio Bombur che l'avrei svegliato a mezzanotte. Dunque addio, o arrivederci >>.

<< Non vuoi proprio pensare alla nostra offerta di aiuto? >> chiese Bard, sperando di convincerlo a rimanere.

Bilbo fece un sorriso mesto, scuotendo nuovamente la testa << Ti ringrazio, ma no. Preferisco affrontare le conseguenze >>.

<< Qualunque esse siano? >> una voce nuova lo raggiunse, sferzando il breve silenzio creatosi. Legolas entrò nel cerchio rossastro, gli occhi che brillavano di furore, o di sdegno.

<< Dai prova di grande lealtà, scassinatore >> esclamò, stringendo le mani a pugno << Dunque, è così che tradisci i tuoi amici? >>.

E' così che tradisci Karin?” sembrò voler dire; Bilbo se lo aspettava. Anche perché sapeva quanto l'elfo fosse legato alla nana: decise perciò di rispondere guardandolo dritto negli occhi.

<< Ho dovuto farlo, Legolas: per il bene di tutti... anche di Karin >>.

L'elfo tacque ma strinse la mascella, contrariato; chinò il capo quando suo padre gli parlò nella loro lingua e non aggiunse altro, permettendogli così di congedarsi.

Mentre attraversava il campo un vecchio avvolto in uno scuro mantello si alzò dalla soglia di una tenda dove stava seduto e gli si avvicinò.

<< Ben fatto, Bilbo! >> disse, dandogli una pacca sulla schiena << Sei sempre più in gamba di quanto chiunque possa credere >>.

Aggrottò la fronte, perplesso, ma poi si aprì in un gran sorriso quando lo riconobbe << Gandalf! >> esclamò, felice come non mai << Ma come... cosa ci fai qui? >>.

<< Ogni cosa a suo tempo! >> gli rispose, enigmatico come sempre << Le cose ora stanno volgendo alla fine. Avete un brutto periodo davanti a voi, ma non scoraggiatevi! Probabilmente ne verrete fuori sani e salvi >>.

<< Confortante! >>.

<< Qualcosa bolle in pentola, qualcosa di cui neanche i corvi imperiali hanno sentito parlare. Ma ora ti conviene andare, o farai tardi! >>.

<< Andrò, anche se avrei mille domande da porti! Buona notte! >>.

Corse verso un guado sicuro, e riuscì a portarsi sull'altra riva senza bagnarsi; cauto, si arrampicò verso la Porta e, sempre più stanco, si arrampicò sulla corda; poi la slegò e la nascose, e si sedette sul muro a ripensare ai precedenti avvenimenti: ormai era fatta, non avrebbe potuto far finta di nulla. Fece congetture su quello che sarebbe potuto accadere in seguito, e su quello che avrebbero pensato gli altri una volta scoperto il misfatto; non poté impedirsi di pensare alle reazioni, specialmente a quella di Karin una volta che avrebbe aperto gli occhi: forse, però, se si fosse comportato normalmente senza dir nulla non avrebbe destato sospetti, e lei non si sarebbe mai accorta d'esser stata raggirata. Al solo pensiero gli si accartocciò lo stomaco, e dovette respirare a fondo per non venir colto da un attacco di panico: ne era certo, l'avrebbe odiato. La sua amicizia sarebbe stata compromessa per sempre.

Si prese la testa tra le mani e sospirò gravemente: rimase così per alcuni minuti ma poi volse lo sguardo al nero cielo stellato, e alla luna; era mezzanotte.

Di malumore e irrequieto si mosse, andando a svegliare Bombur: non udì i suoi ripetuti ringraziamenti – per la precisione non volle, giudicandoli immeritati – e andò a coricarsi con la testa che gli doleva, preda di incessanti dubbi e paure oltre che pensieri.

A dispetto di ogni previsione si addormentò subito, ma non sognò nulla: sprofondò in un sonno oscuro, nero come gli occhi di Karin.



Non ci fu bisogno per Gloin di svegliare i compagni, poiché si mossero non appena i raggi freddi del sole colpirono la caverna, illuminando le pareti di roccia scura; alcuni si stiracchiarono, altri grugnirono e borbottarono, altri ancora rimasero semplicemente in silenzio, non trovando abbastanza energia per parlare di prima mattina.

Eppure, ci fu qualcuno che non si mosse dal sonno profondo in cui era caduta; il nano dai capelli fulvi, allora, si avvicinò meglio per scuoterla, non ottenendo alcun risultato.

<< Karin >> chiamò, afferrandola per la spalla: nulla accadde.

Le palpebre rimanevano serrate, il petto si alzava e abbassava regolare anche se flebile.

<< Karin! >>.

Di nuovo nessuna risposta, nessun movimento.

Gloin intuì che qualcosa non quadrava: era anomalo un sonno così profondo ed iniziò a preoccuparsi, anche perché la giovane gli stava molto a cuore. Corrucciò lo sguardo, incontrando gli occhi di uno spaventato Bilbo, saltato alle medesime conclusioni e agitato come non mai: eppure la dose somministratale non era così alta, né tantomeno... fatale.

E se non si fosse più risvegliata?

Un fortissimo senso di nausea gli salì in gola, e dovette respingere un conato di vomito; si lasciò cadere a terra e sedette su un masso prendendosi la testa tra le mani: fortunatamente non se ne accorse nessuno, anche perché Gloin aveva iniziato a sbraitare ordini con voce parecchio alterata e elevata.

<< Kili, corri da Thorin! Karin non si sveglia! >>.

<< Come “non si sveglia”? >> domandò Bofur, accorrendo: provò a muoverla, ma lei non si destò nemmeno stavolta.

<< Che è successo? >>.

<< Come può essere possibile? >>.

<< Povera Karin! >>.

<< Kili, corri!!! >> ruggì Gloin, ancora accovacciato al fianco della giovane; il nano schizzò via, cercando di farsi spazio tra l'assembramento del gruppo, sconcertato e inquieto.

Durante l'attesa snervante nessuno osò emettere un fiato, troppo impegnati a guardare il volto della ragazza placidamente perso nel sonno; Bofur si era tolto il cappello e lo stava torturando con dita nervose, Ori si stava mangiando le unghie e continuava a voltare la testa nella speranza di veder correre i Durin; Fili sbuffava e spostava continuamente il peso da un piede all'altro, Balin lisciava la barba e fissava preoccupato il corpo disteso, così come facevano gli altri: persino Dwalin era teso e preoccupato, ma riusciva a nasconderlo parzialmente sotto la solita maschera impenetrabile.

Lanciò un'occhiata torva a Bilbo, seduto poco più in là e perso nella più totale disperazione: dedusse fosse in pensiero come loro; dopotutto erano molto legati, ed il vederla in quelle condizioni non gli sollevava il morale.

Improvvisamente però si riscosse, alzandosi e camminando di gran carriera verso il suo giaciglio: sedette sui talloni e aprì lo zaino, rovistando all'interno; tirò fuori vari incarti e, dopo averli aperti, mischiò in fretta annusandone l'odore.

Col cuore in gola, pregò che il contenuto nelle sue mani funzionasse, o non se lo sarebbe mai perdonato.


Kili non aveva mai corso così tanto e così disperatamente come in quei momenti: certo, aveva affrontato varie situazioni di pericolo durante quel viaggio, spesso mettendo a repentaglio la sua giovane vita; ma nulla, nulla era paragonabile al terrore puro che l'attraversava. Era accaduto troppo velocemente e completamente inaspettato, a suo parere: erano bastati pochi attimi, il tempo di un lungo sospiro, e la situazione era degenerata; nella mente continuavano a ronzargli le grida di Gloin, le parole “non si sveglia” si erano impresse come un marchio infuocato. Quel che era peggio, però, era la continua visione del corpo disteso e immobile a terra; digrignò i denti, caracollando giù dall'ennesima scala: le gambe protestarono ma non se ne curò e, poco più sollevato, scorse l'entrata della Sala.

<< Thorin! >> gridò, fermandosi di botto; fece vagare lo sguardo alla sua ricerca, ma non vide nessuno nei paraggi.

Allarmato, continuò a chiamare nella speranza di farsi sentire dal parente << THORIN! >>.

Schivò un cumulo di monete appena in tempo, impegnato com'era a girare la testa di qua e di là; mise le mani a coppa, tentando di nuovo.

<< ZIO!!! >>.

<< Perché gridi tanto? >>.

In parte sollevato, Kili si concesse un breve respiro, ancora provato dalla corse estenuante << Vieni, presto! >> disse angosciato << Karin... Karin non si sveglia! >>.

Thorin – girato di spalle perché perso nella ricerca dell'Archepietra – si volse, accigliato << Che significa? Se dorme destatela >> replicò, brusco.

Kili scosse il capo, avvicinandosi e strattonandolo per un lembo di casacca << E' un sonno strano: abbiamo provato molte volte a scuoterla, ma non accade nulla. Devi venire con me, ora!!! >>.

Thorin schiuse di poco le labbra, stentando a credere alle parole del nipote: da una parte si infastidì, pensando ad un trucco della ragazza per smuoverlo dalla stanza; ma, dall'altra, prese coscienza della veridicità della notizia. Di colpo, non gli sembrò più così importante la gemma, benché meno rimanere lì: il bisogno di sapere, unito alla paura che aveva preso possesso del cuore lo convinse; come molti anni prima, le stesse pareti e le stesse colonne furono testimoni della folle corsa del discendente di Durin, ed il motivo era lo stesso di allora: il terrore di perderla, di arrivare troppo tardi; allora aveva fallito, ora non doveva ripetersi.

Ripercorsero la strada compiuta da Kili correndo più veloci che potevano e, dopo un tempo che sembrò infinito, raggiunsero il gruppo.

Subito si spostarono, aprendosi in due ali che permisero al re di avvicinarsi e inginocchiarsi accanto alla sua Karin, ancora dormiente.

<< Perché è in queste condizioni? >> domandò furente, dopo che l'ebbe scossa violentemente per una spalla, senza ottenere una reazione.

<< Non lo sappiamo, Thorin >> rispose Gloin, pallido in volto << Stamattina l'ho trovata così >> aggiunse, flebile.

<< Ieri stava bene, dannazione! >> sbraitò, incenerendo con lo sguardo i compagni << Karin, svegliati! KARIN!!! >>.

<< Non può sentirti, Thorin: aspetta! >> parlò Bilbo, inginocchiandosi all'altro lato della ragazza; le mise sotto al naso la poltiglia preparata, attendendo col cuore in gola una reazione: dopo secondi infiniti, la videro aggrottare la fronte e arricciare il naso e, poco dopo, le palpebre tremolarono e si alzarono rivelando gli occhi neri spaesati.

Tutti tirarono un enorme sospiro di sollievo e si aprirono in sorrisi tirati, tranne il re: evitò di lanciare uno sguardo a Bilbo, concentrandosi piuttosto sul volto di Karin, confuso nel vederlo lì.

<< Che è successo? >> domandò con voce impastata, mettendosi seduta.

<< Speravo potessi dirmelo tu >> ribatté lui, mettendole una mano sulla spalla; Karin seguì il movimento con gli occhi, sbalordita dal comportamento: era la prima volta da giorni che la toccava. Guardò gli altri, vedendone i volti ora confortati ma ancora ansiosi, non capendone il motivo. Gloin intuì il suo turbamento, affrettandosi a spiegarle l'accaduto.

Quando ebbe concluso scrollò le spalle << Mi spiace, ma non saprei proprio cosa possa essere successo >>.

<< Non ricordi nulla? >> domandò Thorin per l'ennesima volta.

<< No >>.

<< Forse si è trattato di un semplice malore >> ipotizzò Ori.

<< Lo escluderei >> rispose Dori << Un malore non ti porta a dormire così profondamente. Se non fosse stato per il respiro... >>.

<< Sembravi morta >> bisbigliò Fili, evitando di guardarla.

<< Scusatemi >> disse lei, guardandoli in volto << per avervi fatto preoccupare >> spiegò, dinanzi alle facce incerte. Fermò lo sguardo negli occhi azzurri di Thorin, ancora irrequieti: lui più di tutti aveva avuto motivo di pensare al peggio; annuì, sedendosi accanto.

Gli altri si allontanarono lasciandoli soli, benché non ci fosse stata alcuna parola, alcun ordine; Karin portò le ginocchia al petto e sospirò, provando a scavare nella memoria: nulla, solo buio.

<< Poco fa non sapevo che pensare >> disse Thorin, spezzando il silenzio; lo guardò aggrottando le sopracciglia, a volergli chiedere una spiegazione.

<< Non sapevo nemmeno che fare: il vederti immobile... se non fosse stato per lo hobbit saresti ancora in quello stato! >> esclamò, sempre rifuggendo il suo sguardo; Karin venne colpita dal suo senso d'impotenza, dalla sua rabbia per non essere stato presente da subito, dalla sua furia per non aver saputo reagire con lucidità: anche se non glielo disse, lo capì bene.

Un moto d'amore la travolse: il desiderio d'abbracciarlo venne fermato da un pensiero che la fulminò, lasciandola impietrita.

<< Cosa ha fatto Bilbo? >> domandò, sperando di sbagliarsi.

<< Ti ha risvegliata con delle erbe >> rispose, lanciandole una breve occhiata << Karin, stai bene? >> domandò poi, prendendola per un braccio.

No, non stava affatto bene! Davanti ai suoi occhi si erano succedute varie scene della sera precedente: la discussione con Bilbo riguardo l'Archepietra, le continue occhiate furtive per controllarne ogni movimento, la cena e quel bicchiere che le aveva portato, la testa ciondolante e pesante, il sonno persistente, il buio denso non appena aveva chiuso gli occhi, mortalmente esausta...

<< Karin, che succede? Parlami >>.

Sbatté le palpebre, posando lo sguardo sul volto tirato e preoccupato del nano << Nulla >> ripose, poco convinta << Nulla >> ripeté, cercando di mostrarsi più sicura. Tentò perfino di sorridere, ma le uscì una strana smorfia che non lo confortò affatto.

Aprì la bocca per ribattere ma si bloccò, udendo il suono di un corno.

<< Avete sentito? >> gridò Kili, scattando verso la Porta.

Thorin si alzò, seguito da Karin; raggiunsero gli altri e scrutarono la piana, notando l'avvicinarsi di un gruppetto di circa trenta persone, accompagnate dagli stendardi della Foresta e del Lago: infatti, nel mezzo riconobbero sia Bard sia Thranduil, accompagnati da un vecchio con mantello e cappuccio che portava un cofanetto di legno fasciato di ferro.

<< Salute, Thorin! >> disse l'arciere << Sei ancora dello stesso parere? >>.

<< Io non cambio parere in pochi giorni >> rispose il nano << Vedo che l'esercito degli elfi non se n'è ancora andato via, come avevo intimato: perciò è inutile venire qui a trattare >>.

<< Non c'è nulla per cui cederesti un po' del tuo oro? >>.

<< Nulla che tu o i tuoi amici abbiate da offrire >>.

<< E se fosse l'Archepietra di Thrain? >> disse Bard.

Oh no pensò Karin No!!!

Alle sue parole, il vecchio aprì il cofanetto e tenne alta la gemma, lasciandoli di stucco; Thorin ammutolì, nessuno degli altri fiatò, troppo impegnati a guardarla.

Il gelo scese sui nani, facendo rabbrividire Karin: tutto ciò era sbagliato, un cattivo segno per tutti loro. I suoi occhi saettarono alla sua destra, notando quanto fosse impallidito Bilbo: lo stomaco le si accartocciò, ma non volle pensare al dubbio che si era insinuato.

<< Quella pietra era di mio padre, e mi appartiene >> disse Thorin, incollerito << Perché dovrei comprarla, se è mia di diritto? >> si fermò, non riuscendo a trattenere lo stupore nella voce, né nei tratti << Come avete fatto ad impadronirvene? Ammesso che ci sia bisogno di fare una domanda simile a dei ladri >>.

<< Noi non siamo ladri >> rispose Bard << Quello che ti spetta ti verrà restituito in cambio di quello che spetta a noi >>.

<< Come avete fatto ad impadronirvene? >> ripeté Thorin, furente.

Bilbo non riuscì più a tacere: sentendosi male, decise che era tempo di chiarimenti, seppur sofferti << Gliel'ho data io! >> squittì spaventato.

Thorin si volse verso di lui, sperando d'aver capito male << Come? >> sibilò, assottigliando le palpebre.

Lo hobbit deglutì, cercando di tirar fuori la voce << Sono stato io >> disse nuovamente, piano.

A Karin sembrò d'essere stata pugnalata al cuore: perché, perché l'aveva fatto? Perché non le aveva dato ascolto? Maledizione a lui e alla sua caparbietà!

<< Tu? >> Thorin era sconcertato, così come gli altri: faticava a respirare, mentre la rabbia iniziava a montare prepotente nel petto << Quando... Perché? >>.

Bilbo si torse le dita, abbassando gli occhi sui suoi piedi pelosi.

<< PERCHE', HOBBIT? >> gridò il re, stringendo le mani a pugno.

Karin trasalì e così fece l'interpellato, troppo impaurito anche solo per parlare; ma doveva rispondergli, o avrebbe peggiorato la situazione.

<< Per aiutarti >> disse << e per salvarci >>.

<< Oh, bella mossa, non c'è dubbio >> bisbigliò sarcastico Bofur a Nori, anche se quel bisbiglio raggiunse comunque le orecchie di tutti.

Bilbo divenne rosso in viso, mantenendo comunque uno sguardo convinto << Era l'unica soluzione: lo rifarei, se potessi... >>.

<< Taci, dannato! >> esclamò Thorin, al culmine della pazienza << Che tu sia maledetto, Baggins, così come sia maledetto il giorno in cui cedetti all'idea di Gandalf! Non hai idea dell'errore che hai commesso! >>.

<< Oh, ce l'ho eccome, invece! >> replicò, trovando una forza inaspettata dettata dall'adrenalina << Non avrei mai dovuto accettare l'incarico, tanto per cominciare! Non solo non ho ricevuto i dovuti ringraziamenti per avervi salvato più volte, ma ora vengo trattato in questo modo solo per aver cercato la pace! Non ho mai conosciuto razza più ingrata di voi nani, nossignore! E tutto per una stupida pietra, dannaz.... >> si bloccò, rimanendo a bocca aperta dallo smarrimento: Thorin, furibondo, aveva sguainato Orcrist con un unico movimento e, ora, la stava puntando alla sua gola; ancora pochi centimetri e l'avrebbe trafitto.

Lesse nei suoi occhi azzurri la pazzia e, sgomento, serrò gli occhi nel vedere vicina la sua fine: ma un urlo e un cozzare di lame glieli fece riaprire.

<< NO! >>.

Karin si era frapposta, dopo aver sfilato la sua Iris dal fodero; fronteggiava Thorin e la sua furia con corpo tremante, con mano sinistra incerta.

<< Spostati! >>.

<< No, non lo farò! >>.

<< Sei d'accordo con lui, non è vero? >> l'accusò, maligno << Tu e il tuo caro hobbit avete tramato alle mie spalle fin dall'inizio! >>.

<< No Thorin, lo sai! >>.

<< Davvero? >> domandò ironico, incenerendola con lo sguardo << Scommetto che il tuo malore era un trucco per fargli guadagnare tempo, giusto? >> gridò, spingendo la spada in avanti, verso di lei; Karin cercò di farsi leva con le gambe e, piegandole un poco, riuscì a mantenersi in equilibrio senza sbilanciarsi troppo.

<< Ti sbagli, nessun trucco! Non credevo gliela portasse! >> gridò di rimando, cercando di contrastare l'avanzata di Orcrist << Ti prego, Thorin, calmati! >> supplicò << Un re giusto e clemente non porrebbe fine alla sua vita: non macchiare il tuo onore inutilmente >>.

<< Quali provvedimenti dovrei prendere, dunque? >> replicò alterato, abbandonando un poco la presa sulla spada.

Karin rispose subito, poiché erano troppe l'amarezza e la rabbia che covava << Esistono altre sentenze >> disse duramente.

Ciò placò il re, facendolo indietreggiare; rimase con la spada in pugno volgendosi verso Bilbo, ancora appiattito contro la roccia, tremante.

<< Non m'interessa sapere il motivo della tua scelta scellerata >> disse con furia << Sono stato tradito, e per questo tu verrai bandito; per l'Archepietra darò la quattordicesima parte del tesoro in oro e argento: tutto ciò verrà calcolato come la parte promessa al traditore, e con essa può andarsene e voi potrete dividerla come vi pare. Prendetelo, se volete che viva! La mia amicizia non lo accompagna; adesso, scendi dai tuoi amici, e non tornare più: o te ne pentirai amaramente >>.

<< Fino a quando non vedremo l'oro e l'argento terremo noi la pietra >> gridò Bard.

<< Non stai facendo una bella figura, Re sotto la Montagna! >> esclamò una voce nuova ma al tempo stesso conosciuta.

Il vecchio sfilò il cappuccio del mantello rivelando il volto pieno di rughe di Gandalf: sotto le sopracciglia cespugliose, gli occhi azzurri brillavano irosi << Pensaci bene, Thorin: le cose possono ancora cambiare! >>.

<< Proprio così >> gli rispose. E stava già meditando, tanto forte era il fascino del tesoro, se con l'aiuto di Dain non gli sarebbe stato possibile riprenderla e trattenere la ricompensa << ma voglio il ladro fuori di qui. Ora >> si girò verso Fili << Prepara una corda >>.

Bilbo si mosse come un automa sapendo che, disobbedendogli, avrebbe solamente peggiorato la faccenda; prima, però, si avvicinò a Karin.

<< Grazie >> le sussurrò, riferendosi al precedente salvataggio.

Certo non si sarebbe aspettato un sorriso, ma il vederla delusa gli lasciò un enorme vuoto nel petto.

<< Non l'ho fatto per te >> rispose, implacabile; non lo guardò, serrando le mascelle mentre lottava con la pietà mista a vergogna e la rabbia più cieca che aveva provato poche volte in vita sua.

E così Bilbo fu calato dal muro, partendo senza niente per tutta la pena che si era presa, tranne l'armatura che Thorin gli aveva già dato.

<< Addio! >> gridò loro << Spero che ci rincontreremo da amici >>.

Questo fu troppo per Karin: non udì nemmeno la risposta di Thorin, né l'ultimatum posto da Bard; aveva bisogno di rimanere da sola, aveva bisogno di piangere fino allo stremo e di sfogare l'ira a suon di fendenti o pugni.

Scappò via, senza curarsi d'urtare qualcuno, senza badare alle grida dei compagni: non fece caso a dove i piedi la stessero conducendo; solo quando si fermò col fiato grosso dalla corsa sfrenata capì, stupendosi.

Era sulla soglia della Sala del Tesoro.



Aggirò una piramide di monete, illuminando uno scudo d'argento con dei rubini sul bordo; avvicinò la torcia, ammirandone la bellezza e la manifattura, relegando per un momento i cattivi pensieri riguardanti l'esilio di Bilbo: lo stesso esilio che l'aveva allontanata da Thorin si era ripresentato poche ore prima. E l'artefice della condanna era stata lei.

Si ripeté per l'ennesima volta che l'aveva proposto solo per salvarlo da morte certa; eppure, non si impedì di tremare e sentirsi nauseata. Si rimproverò, giacché era colpa dello hobbit: se le avesse prestato ascolto ora non sarebbero accaduti quei fatti spiacevoli.

Era colpa sua, unicamente sua.

<< Sei venuta a radunare la quattordicesima parte del tuo ladro? >>.

Trasalì, girandosi di scatto: Thorin stava a pochi passi di distanza, la torcia fiammeggiante nella mano sinistra mandava cupi bagliori sul volto in un gioco pericoloso di luci e ombre, ombre buie e insidiose.

<< Non cederemo ai loro ricatti. Morirei, piuttosto che assecondarli: anzi, saranno loro a soccombere >> disse, con una punta di malignità << Tutti, dal primo all'ultimo, sapranno cosa vuol dire inimicarsi la razza nanica >>.

<< Dunque scatenerai una guerra? >> chiese, con voce bassa.

<< La guerra aperta incombe, che tu lo voglia o no. E sta' pur certa che, dopo il geniale piano del tuo scassinatore, si avvicinerà più che mai >>.

<< Perché continui a ripetere quel “tuo”? >> domandò, alterandosi di poco.

Thorin piegò un angolo della bocca, ma gli occhi rimasero freddi come ghiaccio << Siete molto legati, a quel che ricordo >>.

<< Eravamo, vorrai dire. Ora non più >>.

<< Ti aspetti forse che creda a questa menzogna? >> il sorriso maligno si allargò di più in risposta alla faccia confusa di lei << Andiamo, Karin, mettiamo da parte le nostre maschere e mostriamoci per quel che siamo veramente: non sei forse sua complice? Non lo sei sempre stata? Così affettuosa, così amorevole con il povero, piccolo e spaesato hobbit! >>.

<< Che stai dicendo? >> chiese a fatica, iniziando a sentirsi male.

<< La verità. Ciò che non fa parte del tuo essere >>.

Karin schiuse le labbra, incredula ma anche alterata: strinse la presa sul legno della torcia, sentendo la pelle graffiarsi << Tu parli di verità? Proprio tu, che non fai altro che raccontar bugie da quando siamo qui? Mi hai forse detto la verità mentre cercavi la tua preziosa Archepietra spacciandola per una collana? >> esclamò, con voce tremante.

Puntò gli occhi neri sui suoi, alzando di poco il mento << Vuoi la verità? Ebbene, l'avrai. Guardati, Thorin: non sei più te stesso, ottenebrato dal voler possedere le ricchezze di questa sala; il principe di cui mi sono innamorata, il re che voleva riconquistare la sua città unicamente per il bene del suo popolo non esiste più, lasciando il posto ad uno sconosciuto >>.

<< Menzogne! >> gridò lui, fermandola << Altre menzogne! >>.

<< Io non posso amare un estraneo >> continuò, come se non l'avesse interrotta << Non sei il Thorin che amo >> disse, dura come pietra e fredda come vento d'inverno.

Thorin sentì il sangue gelarsi nelle vene, per poi bollire caldo e fumante; per un attimo fu anche solo terrorizzato di pronunciare quella frase, ma le parole gli uscirono da sole subito dopo.

<< Cosa vorresti dire? >>.

<< Finché non sarà conclusa questa impresa, noi... >> lasciò la frase in sospeso, non sapendo come continuare. Troppo difficile. Troppo doloroso.

<< No! >> urlò, capendola << Tu non ti allontanerai da me! Te lo ordino >> gridò, tremando di rabbia.

<< Disubbidirò, sai che lo farò; non riesco a sopportare questo atteggiamento. Lo spettro di tuo nonno ha maledetto questo luogo, infettandolo; io sono impotente e, per quanto provi a far tornare il vero Thorin, non vi riesco: tu stesso lo stai soffocando >>.

Il nano mosse dei passi in avanti e, con sommo orrore, lei indietreggiò come impaurita.

No concluse lui lo è veramente. È terrorizzata da me.

<< Tu non ti allontanerai da me! >> le ripeté, non impedendosi di gridare e di imporsi duramente << Te lo ordino in quanto tuo re! >>.

<< Io non ho giurato, Thorin: tu non sei il mio re! >> scandì a voce alta, rossa in viso.

La furia si riversò nuovamente come un fiume nelle vene, facendogli perdere ogni minima parte di calma e lucidità: con uno scatto in avanti l'agguantò per un braccio, lasciando cadere sia la sua torcia che quella di Karin, troppo atterrita per reagire e cercare di divincolarsi.

Nel buio, la strattonò con violenza, mentre gli occhi ci misero poco ad abituarsi all'oscurità: riuscì a distinguere i contorni del volto teso, degli occhi sgranati e costernati.

E godette di questo, del potere e del terrore che le stava iniettando.

<< Ho sempre disprezzato mio nonno e la sua morbosa passione per questo tesoro >> iniziò, stringendo la presa sulla carne rosea.

<< Mi stai facendo male >> gemette lei, portando le dita a cercare di staccare la mano salda.

<< E TU, TU MI RINFACCI... >>.

<< Thorin, lasciami! >> piagnucolò, quasi con le lacrime agli occhi; si contorse, ma la presa era ferrea. Il nano, indispettito, la strattonò malamente portandola ad un nonnulla dal volto livido.

<< … D'ESSERE COME LUI? >>.

<< TU SEI COME LUI! >> strillò senza controllo, in risposta al ruggito furente << Tuo padre si vergognerebbe di te! Io mi vergogno per aver anche solo provato un briciolo d'amore nei tuoi confronti! >>.

Thorin fremette, gli occhi brillarono di collera: le sue ultime parole furono la goccia che fecero traboccare il vaso; ormai impazzito, alzò il braccio libero e aprì la mano con l'intento di colpirla.

I riflessi di Karin la portarono a chiudere gli occhi senza badare allo sconcerto della situazione e di quel gesto che mai, mai avrebbe creduto possibile, nemmeno quando l'aveva esiliata.

Serrò di più le palpebre e spostò il capo di lato, offrendogli inconsciamente la guancia destra: aspettò col cuore in gola e con le lacrime che brillavano sulle ciglia, ma nulla accadde; anzi, sentì vari tintinnii e uno spostamento d'aria talmente vicini che riaprì gli occhi: basita ma grata, eternamente grata, vide l'imponente figura di Dwalin a lato di quella del sovrano. Fortunatamente aveva intercettato il braccio e la mano pronta a schiaffeggiarla, afferrandola in tempo; non la guardava ma puntava lo sguardo irato sul volto altrettanto sorpreso di Thorin che, solo ora, sembrava rendersi conto della situazione.

Nessuno fiatò per lungo tempo, solo i pesanti respiri facevano da sottofondo ai tre vecchi amici.

Infine, fu proprio l'ultimo arrivato a parlare per primo << Vai >> ordinò.

Karin seppe che si stava rivolgendo a lei, ma i piedi non vollero obbedire, rimanendo inchiodati al suolo dorato.

<< Vai, ora! >> ripeté, stavolta piantando gli occhi nei suoi.

Karin sbarrò gli occhi sciogliendosi facilmente dalla presa di Thorin, ora molle; diede loro le spalle, trovando estremamente complicato mettere un piede davanti l'altro e indirizzarli verso l'uscita; dovette anche prendersi il braccio perché tremava senza sosta, ancora troppo scossa e confusa.

Thorin, invece, parve tornare in sé: abbassò leggermente il capo, assimilando gli avvenimenti dei minuti precedenti; quel che non riusciva a togliersi dalla mente era una semplice e dolorosa constatazione: aveva quasi picchiato Karin.

Aveva desiderato colpirla, farle male.

Quale genere di mostro era diventato?

Aveva ragione: questo Thorin era uno sconosciuto, un essere abominevole; e lei possedeva tutte le ragioni di questo mondo per smettere di amarlo.

<< Karin >> chiamò piano, guardando la sua schiena curva e l'incedere lento e barcollante << KARIN! >> urlò più forte, disperato.

Nella voce si poteva udire il senso di colpa, e la muta richiesta del perdono; ma era irrimediabilmente tardi, lo sapeva bene.

Lo sapevano entrambi.

La vide aumentare il passo, trasformandosi in corsa: Karin sparì veloce dalla sua vista, lasciandolo col rimorso e un terribile vuoto nel petto, all'altezza del cuore.



Corse veloce finché il respiro divenne irregolare, finché la carne bruciò, finché incespicò: quasi cadde a terra, riuscendo però a rialzarsi in fretta spingendosi col palmo sul freddo pavimento.

Quando cadde la seconda volta, tuttavia, lasciò che le ginocchia sfregassero contro la pietra; le parve di udire il suono di uno strappo all'altezza delle ginocchia, ed un lieve dolore sembrò raggiungerla. Ma era lontano lunghe leghe, scalfiva a malapena la bolla di disperazione che la racchiudeva.

Respirò affannata, lo sguardo perso in un punto indefinito: non era tanto la situazione irreale a sconvolgerla, quanto il fatto che, se non fosse intervenuto Dwalin, sarebbe stata picchiata.

Da colui che amava con tutta se stessa e che l'amava più della sua stessa vita.

O, almeno, era così fino a poco tempo prima.

Ora, sinceramente, non era più certa di nulla.

Sentiva un bisogno morboso di piangere ma, per quanto tentasse, non riusciva a sbattere le palpebre preferendo crogiolarsi in quello stato catatonico.

Come si era giunti a quel punto di non ritorno?

Come era possibile che tutto le fosse scivolato dalle mani così velocemente?

Dov'era mentre la sua vita, il suo amore, prendevano il largo verso acque infide e fallaci?

Dov'era la Karin battagliera, la Karin coraggiosa che difendeva con le unghie e con i denti ciò a cui teneva?

Domande, domande che richiedevano una risposta. Che, tuttavia, non la trovavano.

<< Stai bene? >>.

Qualcuno glielo stava chiedendo, o così credeva; nel campo visivo entrarono un paio di stivali che conosceva e, l'attimo dopo, il volto di Dwalin si portò alla sua altezza. Anche lui si era inginocchiato, guardandola con un'espressione indecifrabile sul volto da guerriero.

<< Karin >> la chiamò, tentando di farla uscire dal baratro nero.

<< Lui dov'è? >> chiese, con voce remota; una parte di lei – quella che era ancora vigile – si domandò in quali condizioni la vedesse il nano, se riuscisse a riconoscere la sua vecchia amica, persino la traditrice, in quel corpo senza energia e voglia di vivere.

Dwalin sospirò, grattandosi la nuca << All'accampamento, dagli altri. Era molto dispiaciuto e abbattuto: credo si senta oltremodo in colpa >>.

Lei non rispose, iniziando a sentire i primi cedimenti del pianto.

<< Karin, stai bene? >> domandò ancora, quasi apprensivo; vedendola chiusa nel suo ostinato mutismo però si spazientì e, con un grugnito, si alzò sovrastandola << Fa' come ti pare, allora! E io che ero venuto fin qui per accertarmi se stessi bene... bah, ho sprecato il mio tempo! >>.

Sapeva che erano parole ingiuste ma, così facendo, sperava che riacquistasse il suo animo: invece appurò la sua sconfitta nei tratti granitici e pallidi della giovane. Si girò, dandole le spalle: quando mosse un passo, però, la voce di Karin lo fermò.

<< Dwalin >>.

Il richiamo, che aveva molto in comune con una supplica, lo fece voltare: ora gli occhi neri lo guardavano, pozze liquide che aspettavano solo il momento adatto per liberarsi; pur controvoglia – in quanto la trovava una seccatura bella e buona – le si sedette affianco e, senza dir nulla, le circondò delicatamente le spalle con un braccio facendole poggiare il capo sulla spalla.

Karin non ebbe bisogno di altro: le palpebre si abbassarono un poco, lasciando fuoriuscire le calde lacrime; ben presto i singhiozzi scossero entrambi, essendo molto forti.

Il nano la strinse di più, cercando di trasmetterle solidarietà; nel mentre, la memoria lo riportò a altri episodi simili, a quando erano bambini e lei cercava riparo tra le braccia del suo fratellone, com'era solita chiamarlo per dispetto. Eppure, dopo un po', egli stesso aveva iniziato a considerarsi tale: nonostante i molteplici impegni, per lei cercava d'essere sempre presente, anche solo per un consiglio o un semplice abbraccio.

Come in quel momento, in fin dei conti.

Strinse la mascella maledicendo silenziosamente Thorin, il suo essere diventato irriconoscibile ed estraneo; dovette frenare l'impulso di alzarsi e andare a percuoterlo con le sue mani: si chiese come avesse fatto a trattenersi subito dopo la fuga della giovane. Solo i Valar potevano saperlo!

Una miriade di emozioni l'invasero, portandolo a pensare ad una soluzione che avrebbe giovato a tutti, specialmente a lei: fu facile, quindi, formulare la proposta.

<< Potresti andartene >>.

Karin - i cui singhiozzi si erano in parte smorzati - lo sentì; tirò su col naso, asciugandosi gli occhi con la manica della camicia. Incredula lo guardò negli occhi, scuotendo solo la testa.

<< Dovresti, a parer mio >> rincarò lui, stringendo la presa sulle spalle.

<< Perché? >> chiese, scontrosa << Vuoi sbarazzarti della traditrice? >>.

<< In parte >> replicò sarcastico, anche se lei non colse << Però non puoi continuare così. Che senso ha soffrire in tal modo? >>.

<< Non posso lasciarlo >> sussurrò, abbassando lo sguardo a terra.

<< Perché te lo ha ordinato? >>.

<< Perché non voglio, Dwalin >>.

Il nano alzò un sopracciglio, piuttosto scettico << Non sei mai stata brava a mentire >>.

<< E tu non sei mai stato bravo a farti gli affari tuoi >> mugugnò, facendolo sorridere leggermente: almeno stava recuperando la consueta lucidità con quello sciocco battibecco.

<< Forse può ancora... cambiare >> esalò, non credendolo veramente possibile.

<< Ha allontanato le persone che, di norma, gli erano più vicine. Se non ci sei riuscita tu non potrà farlo nessun altro >> concluse, angustiato << Smettila di farti del male. Fagli capire cosa significa perdere la persona amata: faglielo comprendere un'altra volta, e rinsavirà >>.

Karin ponderò, indecisa sul da farsi; Dwalin non aveva tutti i torti, comunque: era stanca, non più forte come una volta. La sola indifferenza di Thorin l'uccideva atrocemente; e i fatti di poco prima l'avevano definitivamente annientata.

Non avrebbe sopportato oltre, lo sapeva.

Per questo, forse, avrebbe dovuto dargli ascolto.

Alzò il viso, guardandolo << Che devo fare? >>.



La luna, quella notte, osservò un'altra ombra furtiva che sgattaiolò lontano dall'accampamento nanico; si mosse silenziosa, anche se il passo pesante tradiva un immane peso al cuore. Più di una volta la vide fermarsi e voltarsi indietro, verso il nero e minaccioso profilo della Montagna che, per i nani, era confortevole in quanto loro dimora.

E, per Karin, non si trattava solo d'abbandonare quella che un tempo era la sua casa, ma anche gli amici, i compagni di viaggio con cui aveva condiviso mesi di avventure: soprattutto, però, si trattava d'abbandonare la persona che amava. Una persona che, ora più che mai, necessitava di un suo aiuto.

Arrivò al guado, osservando l'acqua nera come pece; nella mente continuavano a ronzarle le parole di Dwalin, concedendogli una ben meritata ragione: forse, per farlo tornare come prima, serviva un metodo drastico. Si chiese se il re si sarebbe scomposto la mattina successiva, non trovandola da nessuna parte; si chiese se se la sarebbe presa con l'amico per averle suggerito quella mossa; si chiese se sarebbe impazzito ulteriormente o si sarebbe ripreso, com'era parzialmente avvenuto dopo averla quasi percossa.

Si diede della stupida, oltrepassando il guado: davvero credeva d'essere così importante nel suo cuore da riuscire addirittura a cambiarlo?

Aveva sperimentato il suo fallimento e la sua impotenza in quei giorni.

E ora, fuori dei confini della Montagna, si sentì quasi più... sollevata, come se il cuore diventasse più leggero. Lo spettro del potere nefasto si affievolì, e così il giogo di Thorin.

Però non poté impedirsi di versare altre lacrime, ripensando al senso d'impotenza che ancora l'attanagliava: il non essere riuscita ad aiutarlo la faceva sentire inutile, vuota.

Si fermò, notando un lieve chiarore pochi metri più in là: qualcuno si muoveva con una torcia in mano, probabilmente una sentinella; si chiese che diamine fosse passato nella testa di Dwalin per consigliarle un tale piano! Doveva essere ammattito per mandarla dagli elfi!

D'altronde, però, quello era l'unico modo: principalmente non aveva altri luoghi dove andare, e ritornare a Esgaroth era da escludere; tanto valeva unirsi a Bilbo e Gandalf: avrebbe avuto maggior protezione in vista di una guerra.

Si asciugò gli occhi rossi di pianto, nascondendosi dietro un cespuglio; attese con impazienza l'avvicinarsi della guardia e, quando le fu accanto, sbucò fuori con un fruscio. Quello, abile e veloce, fece cadere la torcia e imbracciò il lungo arco di legno, incoccando una freccia con una rapidità che la lasciò senza fiato; lei, di riflesso, sguainò Iris, bloccandosi in contemporanea con lui quando si riconobbero.

Rimasero a fronteggiarsi per lunghi secondi, nei quali poté cogliere ogni più piccola espressione di stupore sul volto leggiadro e perfetto dell'elfo, intento a scrutarle il suo stravolto dalle lacrime; infine, aprì la bocca per parlare, non credendo ai suoi occhi azzurri.

<< Karin? >>.




CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Risalve, tutto bene ^^? 
Oh, ma... l'avete visto il trailer della Desolazione di Smaug *___*? Io ogni volta che lo guardo ho la bava alla bocca!!! Non vedo l'ora arrivi dicembre!
Coooomunque... qui il ritmo aumenta vertiginosamente, come avrete notato: avete letto capitoli noiosi e lunghi dove succedeva poco niente e, di botto, ecco un capitolo ricco e denso di avvenimenti! Vi è piaciuto in generale? Contente della “resa” di Dwalin :3? Credevate che si odiassero per sempre, vero? E invece no, il caratteraccio di Thorin ( :( ) ha smosso le acque: bisognerebbe quasi ringraziarlo... ma non lo faremo!!!
Avete apprezzato i protagonisti, inclusi Thorin e Bilbo, oppure dovrò leggere tanti di quei cazziatoni nelle recensioni :P? Ahahahahaha, scherzo, scherzo! Ognuno scriverà quel che vorrà, insulti compresi ;)))), leggerò sempre con piacere ^^!

Bene, come al solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le solite recensioni ;)

Ringrazio le carissime e specialissime vanessa90, _Elentari_, Krystal91, Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack e LilyOok_. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra

Anna <3





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Capitolo 21
*** Capitolo ventuno ***


CAPITOLO VENTUNO


Si svegliò, dopo aver attraversato una pessima nottata fatta d'incubi e immagini dai contorni indistinti; rimase qualche minuto ad osservare l'alba che, silenziosa, si innalzava nel cielo colorando il paesaggio e l'ormai famigliare Desolazione con toni chiari e tenui.

Si mise seduto a fatica, sfregandosi il volto stanco; premette la mano sulla fronte nel vano tentativo di calmare il feroce mal di testa, dato dalla spossatezza. Con fastidio e senso di disgusto, non appena serrava le palpebre rivedeva il terribile diverbio con Karin, e le sue reazioni sconsiderate; si maledì, costatando che sarebbe servita ben più di una semplice scusa per farsi perdonare: l'espressione sconvolta e terrorizzata della ragazza non faceva che riempirgli la mente.

Grugnì, odiando quel silenzio denso che ancora aleggiava, e che lo faceva pensare. Avrebbe preferito ascoltare il chiacchiericcio dei compagni, le loro risate e urla, le loro storie, piuttosto che fare i conti con la coscienza e il terribile senso di colpa; in più, avrebbe dovuto sopportare le occhiate di disprezzo di Dwalin – pienamente meritate – e quelle impaurite e ferite di lei.

Sarebbe impazzito del tutto, allora.

Forse l'avrebbe salvato solo il pensiero della guerra imminente.

Allargò le narici, fremendo di sorda collera: se ancora ripensava allo scherzetto architettato dallo hobbit, la rabbia tornava; gli aveva dato fiducia, fidandosi! E come era stato ripagato? Con una pugnalata alle spalle, l'Archepietra rubata e nelle mani del nemico: nelle avide mani di Thranduil.

Strinse la mascella e digrignò i denti, spostando lo sguardo azzurro altrove che non fosse la piana dove sapeva esserci l'accampamento; anche se non lo vedeva ne percepiva la presenza, così come poteva udire le risate di scherno degli elfi e degli uomini alle orecchie.

Che si godano pure questi ultimi momenti di tranquillità pensò maligno presto non ne avranno; e rimpiangeranno la clemenza di Thorin Scudodiquercia.

Gli occhi caddero inevitabilmente verso il suo giaciglio: dormiva ancora, ma il volto era celato; poteva scorgere solo la nuca, quasi del tutto coperta dal mantello. Sospirò ancora, affranto; per caso, abbassò la testa a terra e s'immobilizzò, aggrottando le sopracciglia scure.

La mano si protese in avanti, le dita si aprirono e si chiusero sull'oggetto; incredulo e sconcertato, Thorin comprese cosa aveva raccolto: la collana di mithril.

La collana di Karin.

Scattò in piedi, lasciando che il mantello scivolasse lungo il corpo e fino ai piedi, dove si ammucchiò disordinatamente; il cuore parve fermarsi per poi rimbombare ancora più forte, mentre un sempre più crescente dubbio si insinuava nel suo essere.

Karin.

Fu difficile muovere il primo passo, e quello dopo, e quello dopo ancora: passati lunghi attimi, eccolo davanti alla figura addormentata e distesa; posò un ginocchio a terra e, lentamente e con lo stomaco accartocciato, afferrò il lembo del mantello. Tirò verso di sé, inspirando violentemente.

Non era Karin. Lei non era lì. Al suo posto, vari fagotti erano stati messi in modo tale da formare il suo corpo o, comunque, una parvenza di corpo nanico.

Sentì d'immobilizzarsi, i muscoli s'irrigidirono, nulla rispose al cervello; solo una domanda era talmente pressante da tenerlo presente: dov'era?

In cuor suo sapeva bene qual era la risposta: se n'era andata.

Era fuggita la notte precedente, muovendosi silenziosa e rapida; parte dei suoi ricordi si rivelarono: lui sprofondato in un sonno agitato, una figura scura che gli si accucciava accanto, bisbigli d'amore e d'addio troppo strazianti e dal sapore delle lacrime, movimenti che rappresentavano lo sfilarsi della collana e l'adagiarla sul suolo freddo e duro; altri fruscii, passi soffici e quasi impercettibili.

E il gelo, unito ad un buco nero, all'altezza del cuore.

Rabbia e senso di perdita si impadronirono di lui, al punto da non riuscire a ragionare: strinse talmente tanto il metallo tra le mani da sentirlo imprimersi sulla pelle come un marchio; ogni più piccolo anello della collana era un pezzo di rimorso, di frustrante colpa.

Portò il pugno che racchiudeva la collana alla fronte, e chiuse gli occhi per impedirsi di liberare la disperazione.



Karin soffiò, sperando di raffreddare un poco il vino caldo datole dagli elfi; dopo tanti giorni chiusa all'interno della Montagna, aveva dimenticato quanto fosse avanzato l'inverno all'esterno. Aveva freddo, e l'essere avvolta in ben due coperte non l'aiutava minimamente; forse, però, ciò che sentiva non era dato dal tempo quanto, piuttosto, dal cuore.

Il suo cuore era freddo. Gelido. Un blocco di ghiaccio.

A volte le pareva di non possederlo, come se le fosse stato strappato, e si spaventava: solo quando portava una mano al petto e lo sentiva battere regolare tirava un leggero sospiro di sollievo.

Doveva ammettere, però, che non avrebbe fatto una piega se glielo avessero tolto, tutt'altro: le sarebbe piaciuto. Immensamente. Tutto pur di non soffrire come in quel momento, in quelle ore.

L'essersi allontanata da Thorin dopo aver riaccolto il suo amore era la più feroce e dolorosa delle condanne.

La stessa sofferenza di cento e più anni prima si era ripresentata; anzi, probabilmente in maniera più devastante.

Alzò la testa, venendo attirata dalle raffiche violente del vento che soffiava sulla piana e si disperdeva tra la roccia della Montagna: alle sue orecchie le pareva quasi di udire il ruggito furioso di Thorin; un ruggito che sapeva anche di animo ferito, tradito, abbandonato. Solo.

Sentì un'oppressione al torace, la gola sembrò presa da una morsa vigorosa e ferrea: portò una mano al collo, il petto si alzava ed abbassava con foga. Serrò gli occhi e provò a deglutire, ma non aveva nemmeno una goccia di saliva; le dita volarono dove, poche ore prima, aveva dimorato la collana: se possibile, si sentì ancora peggio.

Sembrava le mancasse una parte importante di sé e, a conti fatti, era proprio così; senza Thorin non era nulla.

Respirò a pieni polmoni, riuscendo a calmare i tremiti e a contrastare altre lacrime; la mano che reggeva il bicchiere sembrò meno calda di prima, e ciò le permise di bere un sorso senza interrompersi. Il liquido forte le scivolò fino allo stomaco, riscaldandolo.

Ora più tranquilla, ripensò con lucidità a quanto era successo la sera prima, subito dopo l'incontro con Legolas.


<< Karin? >> lo sbigottimento dell'elfo era palpabile; abbassò subito l'arco, riponendo la freccia nella faretra legata alla spalla.

La guardò chinarsi e raccogliere la torcia caduta ma, fortunatamente, ancora accesa; gliela porse e fu allora che notò il colorito pallido e gli occhi e il naso rossi e lucidi.

Aveva pianto.

<< Cosa ti porta qui? >> domandò piano, il tono di voce addolcito ma, comunque, all'erta; cercò di captare qualsiasi rumore, anche il più piccolo, ma non udì nulla di pericoloso: era sola.

<< Sono fuggita dalla Montagna >> rispose semplicemente.

Nell'aria, risuonarono le parole taciute “fuggita da Thorin”; parole che non avrebbe mai pronunciato, nemmeno davanti a lui.

<< Non c'era altro posto dove andare >> proseguì, evitando di guardarlo negli occhi celesti << qui, inoltre, sono ospiti anche Bilbo e Gandalf. Chiedo asilo agli Elfi, e a tuo padre >>.

Incrociò brevemente il suo sguardo, e l'elfo poté leggervi smarrimento e vergogna: ma durò il tempo di un battito di ciglia, poiché gli rifuggì.

Legolas sospirò, combattuto su quel che voleva dirle: da una parte non avrebbe esitato nemmeno un attimo ad accoglierla e portarla al campo ma, dall'altra...

<< Gandalf e Bilbo sono qui, è vero: ma l'uno è nostro alleato, l'altro è stato esiliato dai tuoi compagni, e da te >>.

<< Mi sono esiliata nel momento esatto in cui ho scavalcato il muro >> replicò lei, sferzante << Perciò, non venirmi a dire certe cose; sii chiaro, o non parlare affatto >>.

<< Sei una nana. In un campo elfico. Di fatto, una nemica >>.

Lei si morse il labbro inferiore; poi, sorprendendolo – benché molto corrucciata – slacciò la cintura che reggeva Iris e il pugnale fattole da Thorin, consegnandoglieli.

<< Ora sono disarmata. Non proverò a scappare, né tenterò di farti del male >> alzò il capo, fiera e orgogliosa nonostante l'aspetto devastato e le parole che pronunciò << Lo giuro. Sono sotto la tua custodia, Legolas Verdefoglia, Principe di Bosco Atro >>.

Per il giovane elfo fu più che sufficiente; chinò il capo, facendole cenno di seguirlo << Vieni >>.

Camminarono per un po' nel buio più completo rischiarato debolmente dalla torcia ma, poi, qualcosa iniziò a cambiare; davanti a loro si manifestò un chiarore lieve, aranciato che, man mano si avvicinavano, aumentava.

Di fronte a quella vista, Karin schiuse le labbra.

Piccole e grandi tende erano disposte in file ordinate, perdendosi a vista d'occhio; alcune recavano gli stendardi della foresta, altre – più indietro – quelle del Lago; Uomini e Elfi condividevano lo stesso accampamento, in un assembramento numerosissimo e letale, pronto alla battaglia.

Fuochi giganteschi illuminavano il campo, sentinelle vegliavano con archi e lance, con spade al fianco; soldati correvano di qua e di là o camminavano, a seconda dell'incombenza che dovevano assolvere. Molti erano seduti davanti alle loro tende, chi da solo o in gruppo, altri erano in cerchio intorno ai fuochi più piccoli, e cantavano e parlavano senza timore con l'altra razza; quando si addentrarono tra le varie file, riconobbero Legolas e chinarono rispettosamente la testa. Poi i loro occhi si spostarono su di lei, figura decisamente più bassa, meno aggraziata e terribilmente fuori luogo: le fronti si aggrottarono, gli occhi si oscurarono e assottigliarono, parecchie teste si volsero a scambiarsi un'occhiata perplessa, altri ancora allungarono il collo per essere certi d'averla riconosciuta.

Ma nessuno parlò con lei, né con il principe; solo, il chiacchiericcio – dapprima poco smorzato - aumentò come un ronzio di api, riempiendole la testa e stordendola.

Fortuna volle che giunsero alla tenda di Thranduil, ben più grande delle altre almeno il doppio: sulla soglia stava una guardia che, non appena lo vide, si inchinò.

<< Avverti mio padre, digli che conduco Karin figlia di Kario: ella si presenta in pace, e disarmata al suo cospetto >> parlò, con voce alta e chiara.

<< Come comandi >> disse l'elfo, sparendo dentro.

Attesero molto poco poiché, forse, Thranduil aveva udito l'annuncio del figlio; la guardia fece loro un cenno, e Legolas – spingendola leggermente con le dita delicate – la spronò ad entrare per prima.

Karin scostò i lembi della tenda, rimanendo sorpresa dall'arredamento spoglio: per una qualche ragione, si era immaginata molto più sfarzo, specie nella tenda del Re degli Elfi; invece, gli unici ornamenti degni di nota erano rappresentati da uno scrittoio di legno lavorato e stendardi dai bordi dorati appesi al soffitto. Per il resto era tutto molto spartano, come il tavolo al centro, le sedie di legno e il catino con la brocca d'acqua; un panneggio separava quello spazio da un altro dove, probabilmente, si trovava la sua branda.

Thranduil era seduto su una sedia più elaborata delle altre: poggiava la nuca bionda sullo schienale alto e lavorato simboleggiante due tronchi d'albero intrecciati, culminanti in un arco a sesto acuto; le braccia erano poggiate sui braccioli, una mano reggeva elegantemente un bicchiere di vetro contenente vino rosso. I suoi occhi azzurri, freddi e imperscrutabili, non la lasciarono per un secondo, seguendone ogni movimento; Karin non si sentì mai così a disagio, anche se una parte di sé odiò quel comportamento e chi glielo instillava: era ancora forte il ricordo dell'ultima visita nella reggia, così come bruciava la memoria del loro primo incontro.

Strinse di poco i pugni per tornare padrona di sé, ma notò il lieve spostamento verso l'alto del sopracciglio destro dell'elfo; forse l'aveva notata.

<< Cosa ti porta qui? >> domandò, facendo oscillare leggermente il bicchiere.

Karin dovette ricacciare l'orgoglio, prima di rispondere << Chiedo ospitalità presso la tua gente, Thranduil >>.

<< Perché pensi che dovrei concedertela? Chi mi assicura non sia un trucco? >>.

<< Io, padre >> si intromise Legolas << Non ho colto alcun rumore insolito, né visto altre figure oltre lei >>.

Assottigliò lo sguardo, frustrata: bene, nemmeno Legolas era pienamente convinto della sua motivazione?

Thranduil parve soddisfatto, e annuì << Dunque sei fuggita, non è così? Per quale motivo, mi domando? >>.

<< Non... condividevo alcune scelte di Thorin >> rispose, a denti stretti << né gli ultimi gesti >> rivelò; abbassò lo sguardo a terra, volendo evitare l'occhiata indagatrice che arrivò per accertarsi della verità. Non del tutto convinto, decise di sorvolare l'argomento.

<< Qualcuno è a conoscenza della tua fuga? >>.

Karin alzò gli occhi neri, incontrando il suo volto curioso << Solo uno ma non tornerà a prendermi, giacché è stata una sua proposta >>.

<< E che mi dici di Thorin? Se sei scappata vorrà reclamarti >>.

<< Ho scelto l'esilio piuttosto che rimanere al suo fianco, anche se l'ho fatto per lui >> sospirò, scuotendo la testa << Non capirà, ma non interverrà: il suo orgoglio è troppo forte >>.

<< Ciò lo porterà alla rovina >> commentò l'elfo, sorseggiando la bevanda rossastra << Mi rincresce, lo confesso. Ma permettimi di chiederti dell'Archepietra: quali sono le tue reali intenzioni? >>.

<< Non sono qui per rubarla, né la porterò alla Montagna >> disse duramente << Ora vedrò Erebor unicamente da morta, se avranno pietà e mi permetteranno di venir seppellita con i miei avi. Ma prometterò, se ciò ti fa' piacere >>.

Thranduil non rispose subito, limitandosi ad osservarla; nella tenda scese il silenzio, i tre non fiatarono finché lui non lo ruppe << So che rispetterai la parola data, perché negli occhi non leggo inganno >>.

Poggiò il bicchiere su un tavolino lì vicino, e si alzò; si mosse con leggerezza, facendo frusciare il lungo abito verde bosco.

Le si avvicinò, allargando di poco le braccia << Che tu sia benvenuta, Karin figlia di Kario. Un mese è passato dal nostro ultimo incontro, eppure sei più saggia e coraggiosa che mai: grandi mutamenti sono avvenuti – e avvengono tuttora – nel tuo animo, nella tua persona. Permettimi d'accoglierti con i dovuti onori nella mia tenda, poiché non ci siamo mai lasciati in amicizia. Vorrei rimediare, se me lo concedi >> le posò una mano sulla spalla, lasciandola interdetta << Che si sappia: il Re degli Elfi è orgoglioso d'ospitare una Nana. Lascia che termini qui il tuo viaggio >>.

<< Il mio viaggio non è affatto concluso, Re degli Elfi >> rispose solenne ma riconoscente nel profondo << troppe questioni sono rimaste sospese, ed una guerra è alle porte. Ma accetterò volentieri la tua offerta, e ti ringrazio: troppo a lungo ho serbato rancore e, ora, la stanchezza mi pervade >>.

<< Sagge sono le tue parole, nobile nana, e giuste. Va' pure, e dormi sonni pacifici: qui non temerai ombre e spettri >>.

Karin chinò il capo in una specie di inchino al quale, a sorpresa, lui rispose. Poi si girò e uscì, sentendo i passi agili di Legolas seguirla.

<< Karin >>.

Si voltò, incrociando il suo sguardo divertito.

<< Non sai qual è la tua tenda >>.

Si concesse un breve sorriso, chiudendo gli occhi. In effetti, non aveva tutti i torti: non sapeva dove andare.

<< Perdonami, è la spossatezza. Fammi strada >>.

Legolas annuì, prendendo una via alla sua sinistra; attese che gli si affiancasse per parlarle << Hai solo bisogno di dormire, è stata una lunga giornata >>.

<< Non è solo questo. Da quando siamo fuggiti da Bosco Atro ho conosciuto la felicità più luminosa e la sofferenza più cupa; eppure non cambierei un singolo istante di ciò che è stato, nel bene e nel male >>.

<< Mi pare tu abbia conosciuto più dolore >> commentò dispiaciuto << Il tuo volto è sempre più pallido e tirato, gli occhi pieni di preoccupazioni e timori >>.

Sorpassarono un gruppo di uomini raccolti attorno al fuoco che brindavano allegri sollevando boccali verso la notte; le loro risate li accompagnarono per altri passi finché non si affievolirono.

<< Un mese è stato lungo quanto un anno. Mi sento esausta e vecchia >> mormorò tristemente.

<< E' solo un periodo complicato; vedrai che si sistemerà tutto >> le disse, cercando di rassicurarla.

Si fermò davanti una piccola tenda, sorridendole incoraggiante << Eccola. Riposa, Karin: domani ti sentirai meglio >>.

Le mise una mano sulla spalla, stringendogliela; lei portò una mano sopra la sua, restituendo la stretta: apprezzò lo sforzo di tirarla su di morale ma, sinceramente, non aveva la forza per superare questo momento. Non ancora. Solo alcuni minuti prima aveva detto addio a Thorin, decidendo di lasciarlo per trovare rifugio da quelli che, di fatto, erano loro nemici.

Voltagabbana.

Una definizione di sé che le fece ribrezzo, che la fece vergognare.

Si sciolse dalla presa con malagrazia, il volto si rabbuiò << Buonanotte >> disse, cambiando umore.

Senza un'ulteriore parola entrò nella tenda, cercando con gli occhi la brandina, posta poco più in là; si tolse in fretta gli stivali e si sdraiò completamente vestita, pregando che il sonno la cogliesse presto.

Era stanca di rimuginare.

Era stanca e basta.


Sbatté le palpebre quando si rese conto di venir chiamata; girata la testa verso la soglia vide la testa di Gandalf che la scrutava attentamente, anche se le labbra erano stirate in un sorriso.

Non si alzò, facendogli un cenno con la mano per farlo entrare; non appena fece pochi passi, però, Karin notò una figurina più piccola che lo seguiva: Bilbo fece capolino, torcendosi le dita nervose e guardandola di sfuggita.

Lo stomaco le si contrasse, e bastò l'odore del vino per nausearla; appoggiò il bicchiere a terra, stringendosi istintivamente nelle coperte per dimostrare tutto il suo malcontento.

<< Salute, Karin! >> esclamò gioviale Gandalf << Confesso che è una sorpresa vederti qui >>.

<< Perché mai? Ti aspettavi forse che obbedissi a Thorin in tutto e per tutto? >> domandò acida. Il tono non ebbe alcun effetto sullo stregone, anche se alzò le sopracciglia e scosse la testa.

<< No, effettivamente no. Deve aver commesso qualcosa di grave per averti fatto prendere questa decisione >>.

Karin si morse l'interno guancia << Non del tutto, ma non potevo rimanere a guardare senza far nulla. E' stata una mia scelta >> spiegò lapidaria; non le importò che capisse o meno: tanto, era certa sapesse già ogni fatto. Il come, proprio non poteva saperlo.

<< Non l'avrà presa molto bene >> commentò per la prima volta Bilbo, con un fil di voce.

<< Nemmeno io sono felice della piega devi eventi >> rivelò, passandosi una mano tra i capelli << Ma ormai il danno è fatto, non si può tornare indietro. Ad ogni modo, sono stata accolta nell'ultimo posto in cui avrei mai pensato di chiedere aiuto; la vita non finisce mai di sorprenderti >> concluse ironica, appoggiando il mento sulle ginocchia.

<< Proprio così, mia cara ragazza! >> ridacchiò Gandalf << Il tuo arrivo non è stato casuale; ognuno di noi fa parte di un piano più grande, ed ha una missione personale: la tua non si è ancora conclusa >>.

<< Vorrei lo fosse, invece >>.

Gandalf annuì comprensivo, assottigliando le labbra << Ogni cosa a suo tempo, Karin. Ora le difficoltà ti sembrano insormontabili, ma ricorda: la felicità è sempre presente, se uno pazienta il momento adatto per coglierla, ed è altrettanto abile a trattenerla a sé >> batté i palmi sulle ginocchia, alzandosi in piedi << E poi, non sei da sola ad affrontare tutto questo. Bene, se volete scusarmi, ci sono un paio di questioni di cui devo trattare con Thranduil; ah, Bilbo, immagino vorrai rimanere un po' con la tua amica! Ci vediamo più tardi, d'accordo? >>.

Fece l'occhiolino, sorridendo con aria malandrina: Bilbo pensò d'essere stato incastrato alla perfezione; accidenti allo stregone e alle sue idee!

Temeva il confronto con lei, ne era terrorizzato: era certo che l'avrebbe accusato ancora, non perdonandogli il sonnifero; si sentì mortificato come non mai. Aveva perso la sua buona rispettabilità di hobbit.

<< Perdonami >> bisbigliò, dandosi dello stupido: di certo non l'aveva sentito << Perdonami, Karin. Davvero, mi spiace! >> si scusò a voce più alta, guardandola di sottecchi.

Lei, però, non gli rispose. Serbava ancora troppo rancore per perdonarlo: le aveva mentito, l'aveva raggirata con uno sporco mezzo per attuare i suoi scopi.

Se non l'aveva ancora capito era bene che lo sapesse: Karin figlia di Kario era una persona rancorosa, e non dimenticava facilmente i torti subiti.

<< Karin >> la chiamò disperato, allungando una mano per toccarle il braccio; ma lei mosse la testa di lato, facendogli intendere che non voleva la toccasse.

Bilbo si bloccò con la mano a mezz'aria, ritraendola subito; rattristato, espirò a bocca aperta e si alzò, avviandosi verso l'uscita.

Prima di varcare la soglia, però, girò lievemente il capo di lato, dandole comunque la schiena << So che non avrei dovuto ingannarti con il sonnifero, ma l'ho fatto perché mi avresti impedito di venire qui >>.

<< Ci hai traditi, passando dalla parte del nemico. Hai portato loro l'Archepietra >> disse, arrabbiata.

<< Ho scelto la soluzione che mi pareva più giusta. Speravo... speravo in un cambiamento >>.

<< Non è cambiato nulla, la guerra ci sarà comunque >>.

<< Bé, io ci ho provato! Che male c'era a provare? >> chiese esasperato, agitando le braccia << Se non fosse arrivato Dain ci avrebbero solo assediati! Prima o poi Thorin avrebbe ceduto, accogliendo le loro richieste: invece il suo caratteraccio ho decretato la nostra morte >>.

Karin si alzò, furibonda << Thorin ha agito così perché era arrabbiato! Non era nemmeno in sé, o avrebbe pensato prima di agire! Il pensiero dell'Archepietra in mani nemiche... tu... tu non l'hai visto dopo, lui... >> respirò a fondo, ritrovando l'autocontrollo e cercando di scacciare le immagini nella Sala << Ma tu, Bilbo, hai fatto precipitare le cose; te l'avevo chiesto, ricordi? Ti avevo pregato, ma non mi hai ascoltata. Thorin avrà avuto la sua dose di colpa, ma sei stato tu a consegnarla a loro! >>.

Sentì le accuse rimbombare tra loro, le sentì ferire lo hobbit; ebbe una voglia assurda di piangere, ma la ricacciò: lasciò invece che il senso di colpa la sopraffacesse, portandola a parlare subito dopo.

<< Non ti biasimo, però: avevi buone intenzioni >>.

Bilbo alzò il capo, guardandola stranito: aveva forse sentito bene?

<< Solo che... è difficile da comprendere, ben che meno da spiegare; ma l'Archepietra doveva rimanere nella Montagna: apparteneva al mio popolo, alla mia gente. A me >>.

<< Mi dispiace >> esalò, colpevole: non riusciva a dire altro.

<< Ormai è tardi per cambiare le vicende >> tornò a sedere, appoggiando il mento sul palmo della mano destra << non ci resta che vedere come procederanno, cercando anche di rimanere in vita >> concluse cupamente.

Bilbo le si avvicinò, titubante, finché non le fu a pochi centimetri di distanza: vedendo che non lo cacciava, si sedette al suo fianco.

<< Ce la caveremo, vedrai >>.

Le circondò le spalle con un braccio: lei non reagì bruscamente, quindi si permise d'attirarla a sé facendole appoggiare la testa sulla spalla; la sentì sospirare profondamente e tremare e, di riflesso, la strinse di più. Doveva aver passato dei brutti momenti se era così distrutta e affranta.

La curiosità lo ghermì come quando, ormai molti mesi prima, desiderava interessarsi al suo passato, al legame che la legava a Thorin.

Sembravano passati lunghi anni da allora, il ricordo dello hobbit impaurito circondato da estranei era quasi labile, sfuggente; però ricordava bene l'arrivo di Karin, la sua faccia sospetta e ostile, i suoi movimenti guardinghi: e quegli occhi - neri come la notte senza luna né stelle - duri e glaciali, celanti invece una insicurezza e un dolore enormi.

Tutto in lei l'aveva attirato, essendo così diversa da ogni altra creatura femminile.

Non ne era innamorato, beninteso: la sua era pura e semplice curiosità, unita ad una forte empatia e senso di protezione; sapeva perfettamente che sapeva cavarsela da sola, era una nana in gamba! Eppure non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei, specie vedendola in quelle condizioni: l'amore sofferto che provava per Thorin era qualcosa di meraviglioso e... straziante, a parer suo.

<< Se vorrai parlarne >> esordì, sfiorandole i capelli con le labbra << io ascolterò >>.

Non disse altro.

Karin non attese oltre, perché non glielo avrebbe ripetuto un'altra volta: iniziò a raccontare a bassa voce, mettendolo al corrente di ciò che era capitato dopo il suo esilio; non tralasciò nulla, nemmeno i suoi pensieri. Si confidò come non succedeva da molto e, quando giunse alla fatidica parte, cercò nell'abbraccio di Bilbo la forza per terminare.

Era incredulo: lo sentiva dalle braccia che a volte tremavano, dai baci fugaci che le lasciava sul capo, dai lunghi sospiri che uscivano dalle labbra.

Infine parlò << Non credevo arrivasse a tanto. Non con te >>.

Il tono era accusativo, duro; una parte di sé si infuriò con il nano che aveva sempre rispettato, vedendo in lui una persona onorevole e saggia: ora, al contrario, non sapeva che pensare. Tuttavia non si aspettava che Karin gli dicesse d'aver ragione, ma nemmeno che scuotesse la testa.

<< La malattia di Thror ora è in lui, la stessa che ripugnava, che sapevo odiava col cuore. Tu non l'hai visto, Bilbo: non hai scorto nei suoi occhi la disperazione e il pentimento! La consapevolezza d'essere diventato come colui che gli era diventato un estraneo, un pazzo... l'ha devastato; e il fatto che stesse per colpirmi l'ha fatto sentire peggio >> si passò una mano tra i capelli, staccandosi da lui.

Bilbo si domandò se Thorin avrebbe reagito allo stesso modo se avessero scambiato i ruoli: l'avrebbe perdonata così facilmente, dimostrando ancora una volta l'amore incondizionato per lei? Oppure avrebbe perseverato nelle sue convinzioni lasciando che l'orgoglio e la rabbia lo allontanassero da Karin?

<< Non riesco ad odiarlo. Non ce la faccio >>.

Non aveva davanti il Re sotto la Montagna, perciò non poteva saperlo; annuì, prendendole le mani tra le sue: strofinò i pollici sui dorsi, muovendoli piano su e giù.

<< Lo so >> le disse, cercando di consolarla; la vide sbattere le palpebre più volte, cercando di contrastare il pianto.

<< Io lo amo >>.

La voce tradiva il tremore, il bisogno di sfogarsi e liberarsi di quell'enorme peso che, fino a poco prima, era stato così dolce.

Le baciò le mani, annuendo ancora << Lo so >>.

Karin espirò e guardò altrove, vergognandosi d'essere così fragile e debole: eppure, anche se si rimproverava internamente, gli occhi non si asciugavano, il labbro non smetteva di tremare; si schiarì la voce, borbottando un “grazie” poco convinto.

Poi si sciolse dalla presa e si alzò, incrociando le braccia al petto << Vieni a fare un giro con me? Ho potuto ammirare l'accampamento solo ieri sera, mi piacerebbe vederlo col sole alto nel cielo >>.

<< Certo. Come vuoi >>.

Soddisfatta della risposta si avviò, lasciando che la seguisse per poi affiancarla una volta fuori; l'atmosfera della serata si era spenta con la stessa facilità con cui si soffiava sulla fiamma di una candela: uomini e elfi, ora, sembravano ricordarsi della guerra incombente, ed agivano di conseguenza.

Armigeri indaffarati, soldati che affilavano le lame e sistemavano gli scudi tondi, che percorrevano a lunghi passi i corridoi tra una fila e l'altra di tende, capi che si radunavano in gruppetti a discutere di strategie; poche parole, sguardi tetri e cupi.

Il fantasma della paura era strisciato fin lì.

O, almeno, finché la sera non fosse scesa nuovamente: così come la birra e il vino.

Nessuno badò a loro, nessuno si fermò a parlare con quei buffi personaggi, così piccoli in mezzo a tutta quella Gente Alta.

Karin alzò lo sguardo verso gli stendardi, guardandoli animarsi di vita grazie al vento proveniente da ovest; ma venne distratta da una voce profonda, ed un'alta sagoma si parò davanti a loro sbarrando il passaggio.

<< Salute mastro hobbit! E salute anche a te, signora dei nani! >>.

Karin lo squadrò, riconoscendo Bard l'Arciere; lo guardò stringere tra le dita i lembi del lungo cappotto marrone bordato di pelliccia, mentre la bocca si piegava in un sorriso. I capelli neri erano raccolti alla nuca, e quelli liberi ondeggiavano pigramente seguendo la corrente d'aria; osservò i suoi occhi scuri ed i tratti marcati, chiedendosi come potesse essere fratello di Eliese. D'altronde, però, anche Balin e Dwalin erano molto diversi anche se fratelli, così come Bofur e Bombur, Kili e Fili.

Le si attorcigliò lo stomaco, e distolse in fretta lo sguardo facendo un breve cenno col capo a mo' di saluto. Fortunatamente Bilbo la tolse dall'impiccio.

<< Salute anche a te, Bard. Mattinata fredda e grigia, non trovi? Anche il tempo si prepara alla battaglia >> scosse la testa, come a voler dimenticare quel dettaglio << Ma permettimi di presentarti come si deve la mia amica, Karin figlia di Kario >>.

<< Ci incontriamo formalmente, dunque; è un vero piacere conoscere chi è stato accanto a mia sorella >> le tese una mano, che lei strinse subito.

<< Ne sono stata felice >> replicò, piuttosto schiva << Voi dov'eravate, se posso chiedere? >>.

<< Lontano, per conto del Governatore; ero insieme a mio figlio, se vuoi saperlo >> disse, sorridendo sardonico.

<< Siete sposato? >>.

<< Perché questo tono sorpreso? >> Bard rise, ma l'accontentò << Vedovo. Mio figlio Bain mi aiuta spesso, nonostante sia giovane, però gli ho proibito di seguirmi qui: una battaglia non è posto per un ragazzino, ma nemmeno per voi >> constatò, alzando un sopracciglio << Ho chiesto molte volte al signor Baggins se desiderava andarsene, ma ho ricevuto sempre risposte negative: immagino che anche con te sarà lo stesso >>.

<< Siamo coinvolti anche noi; abbiamo fatto parte della Compagnia di Thorin e abbiamo affrontato molti pericoli: che senso avrebbe scappare ora? >>.

<< Non sarebbe fuggire, ma salvarsi la vita >>.

<< Solo i codardi lo farebbero, o i deboli >> alzò fiera il mento, facendogli intendere di non appartenere né all'una né all'altra categoria.

Bard sembrò cogliere, poiché alzò le mani in segno di resa << Pace, pace! Prometto di non insistere oltre, né di legarvi e imbavagliarvi per portarvi via di qui a forza >> disse ironico.

Bilbo ridacchiò, trascinando anche Karin: con l'umore leggermente sollevato, ripresero a conversare.

<< Come sei riuscito a sconfiggere Smaug? >> volle sapere, curiosa.

<< Con il mio grande arco di tasso, e la Freccia nera appartenuta a mio padre e ai miei avi prima di lui; un tordo mi si posò sulla spalla, sussurrandomi il punto esatto in cui colpirlo, proprio qui >> e con l'indice picchiettò il punto del petto, a sinistra << era scoperto, il nostro buon hobbit qui può confermartelo >>.

<< Non occorre, conosco già questo dettaglio >> replicò lei, sorridendo furbamente subito dopo << E il punto era poco più giù >> lo corresse, saccente.

<< Chiedo venia! Sembra che non riusciamo ad andar d'accordo! >> esclamò, fintamente offeso << Venite. Se non erro, stavate perlustrando la zona >>.

<< Vuoi controllarci? >> chiese Karin, riducendo gli occhi a fessure << E' Thranduil che ti manda? >>.

Bard si stupì non poco, e la sua espressione lo confermò.

<< Karin! >> la chiamò Bilbo, stringendole un braccio << Cosa stai insinuando? >> le sibilò vicino all'orecchio.

<< Dunque? >> disse alterata, ignorando l'amico << Pretendo una risposta, Uccisore di Drago >>.

<< Spiacente deluderti, ma non sono qui per ordine di nessuno >> ribatté glaciale, perdendo ogni traccia d'umorismo << Mi credi capace di un tale basso atto? >>.

<< Non so, dimmelo tu. Ad esempio, nessuno crederebbe mai alle storie di un Elfo torturatore, eppure ne ho incontrato uno >> fece un passo avanti guardandolo negli occhi, senza paura << Quindi, chi mi assicura della tua buona condotta? >>.

Bard sospirò, lasciando penzolare le braccia – poco prima conserte – lungo il corpo << Temo che siamo partiti col piede sbagliato, mia signora. Sappi che non vi nuocerò in alcun modo: hai la mia parola, per quanto essa possa valere. Spero solo che vorrai concedermi la tua fiducia >>.

Era sincero, Karin lo capì subito; abbassò le difese e si sentì colpevole, cercando parole adatte per redimersi.

<< Ti chiedo perdono, Bard della stirpe di Girion. Non avrei dovuto accusarti in quel modo; hai ragione, siamo partiti col piede sbagliato >>.

Fu lei, stavolta, a tendergli la mano: e l'uomo la strinse subito, facendole un sorriso riconoscente; Bilbo espirò sollevato, battendole una pacca sulla spalla.

Senza altri intoppi proseguirono il loro cammino, chiacchierando amichevoli.



Era pomeriggio inoltrato quando Legolas si presentò nella tenda di Karin, scuro in volto.

<< Buona giornata anche a te >> lo salutò ironica, poggiando Iris sulla branda; lui non rispose, fermandosi di botto e lasciando vagare gli occhi chiari in ogni dove, come era solito fare quando era preoccupato.

<< Legolas, tutto bene? >> gli si avvicinò, inquieta come lo era lui: per un attimo pensò al peggio, al fatto che Thorin avesse commesso qualche sciocchezza e si era gettato a capofitto contro lo schieramento nemico, magari rimanendo ferito o peggio: e l'elfo non aveva parole per dirglielo, turbato da quel ruolo di ambasciatore che, di fatto, gli stava stretto.

<< Mio padre vuole vederti >> disse, spezzando il silenzio << Sta giungendo una delegazione dei nani di Dain. Bard andrà a parlare con loro >>.

<< E io cosa c'entro in tutto questo? >> domandò perplessa.

<< Lo scoprirai se verrai con me; in fretta però. Mio padre non ama aspettare, e nemmeno i nani >>.

Karin ricacciò in gola la pessima risposta salitale alle labbra e, rapida, afferrò Iris e la ripose nel fodero legato alla cintola; poi seguì l'elfo, venendo investita dalle raffiche di vento gelido. Camminarono un poco, finché la tenda del Re non si mostrò alla loro vista; Karin fu sorpresa di non scorgere neanche l'ombra di un nano e, accigliata, si domandò che razza di trucco fosse quello: perché portarla lì dicendole una bugia? Spazientita, stava per aprire bocca quando Thranduil la precedette.

<< Come ti avrà già accennato Legolas, Dain è giunto fin qui: il suo esercito è comparso dietro lo sperone orientale della Montagna, e si affretta. Quando arriveranno vorranno... parlamentare, suppongo. O, almeno, questo è ciò che farai >>.

Karin si bloccò, smise perfino di respirare: aveva sentito bene? Lei? A parlare con i Nani dei Colli Ferrosi?

Alzò le sopracciglia, guardandolo confusa; Thranduil si concesse di sorridere nel vederla così spaesata: giunse le lunghe dita al mento, gli occhi chiari scintillanti.

<< Sì Karin, figlia di Kario: tu, lo hobbit e Bard andrete a parlare con la delegazione; chi meglio di te conosce i nani, essendo della tua stessa razza? È risaputo che non scorre buon sangue con noi elfi, perciò non possiamo accoglierli, altrimenti ci avrei pensato io stesso. Confido che farete comunque un buon lavoro o, altrimenti, ci proverete >>.

Il suono alto e squillante delle trombe elfiche lo fermò, facendo sussultare la povera Karin.

<< Sono qui >> disse semplicemente Legolas, scostando il lembo di tenda per osservare fuori; Thranduil annuì, accavallando una gamba sull'altra.

<< Vai, Karin: non vorrai far attendere i nani >>.

Usò quasi un tono dispregiativo, e Karin si adombrò: ma durò solo un attimo, poiché i piedi si mossero veloci e, in un battito di ciglia, era già fuori, consapevole solo d'essere stata abilmente incastrata dall'elfo; diamine, non aveva nemmeno cercato di replicare!

Bell'impiccio!

<< Karin! >> Bilbo stava correndo verso di lei, stralunato << Sono arrivati i nani, e dovremo parlare con loro! C'è anche Dain, ho sentito! >>.

<< Anche lui? >>.

Bilbo annuì, notando il volto pallido di lei << Hai accettato senza fiatare? >> domandò incredulo, preferendo sorvolare sull'agitazione della giovane.

<< Veramente non ho nemmeno fiatato >> mormorò a disagio; poi scrollò le spalle, quasi a farsi coraggio, e le raddrizzò << Forza, non indugiamo oltre. Se Dain è come Thorin, non ama attendere >>.

Si avviò, riconoscendo la figura di Bard poco più lontana, intento a parlare con alcuni suoi uomini; quando li vide fece un cenno secco, gli occhi seri e adombrati quanto i loro: il compito che dovevano assolvere era arduo, non dovevano prenderlo con leggerezza.

Percorsero l'accampamento finché le tende non si diradarono e, lasciatele alle spalle, rimase solo la piana davanti ai loro occhi: li videro attraversare il fiume e arrancare nelle loro pesanti maglie d'acciaio che arrivavano fino alle ginocchia; una volta che furono abbastanza vicini, deposero le armi e alzarono le mani in segno di pace.

Solo uno non compì quei gesti, catalizzando inevitabilmente l'attenzione sulla sua figura massiccia e battagliera: vestiva come gli altri, anche se la fattura del suo usbergo e degli schinieri tradivano il suo rango; portava la barba brizzolata divisa in due, acconciata riccamente con gioielli e placche metalliche così come lo erano i folti capelli grigi.

Sotto l'espressione dura, i tratti marcati erano attraenti e nobili: per certi versi le ricordava Thrain nel fiore degli anni, visto in un busto di pietra in una delle sale di Erebor. Quello era certamente Dain, non vi erano dubbi: e vecchie rimembranze di balli e feste si affacciarono nella sua mente, riportandole il tanto affezionato peso sul cuore.

<< Ci affrettiamo a raggiungere i nostri consanguinei nella Montagna, perché siamo stati informati che il regno del passato è risorto. Che ci fanno Uomini e Elfi che siedono nella pianura come nemici di fronte a mura difese? >> li apostrofò Dain, senza nemmeno salutarli.

<< Salute a te! Immagino di parlare con Dain, signore dei Colli Ferrosi >> disse Bard, cercando di non badare al tono con cui il nano gli si era rivolto.

<< Dici bene >> rispose quello << Sono io. Lasciateci passare verso la Montagna >>.

<< Non finché non riceveremo il pagamento che Thorin Scudodiquercia ci ha promesso >> replicò l'uomo, incrociando le braccia al petto.

Karin vide l'impazienza e la rabbia negli occhi del nano, e decise d'intervenire << Lasciate che vengano inviati messaggeri verso la Porta, prima di compiere qualsiasi gesto avventato >>.

Dain staccò gli occhi da Bard, portandoli su di lei: se era sorpreso, lo nascose molto bene dietro l'impassibilità; in effetti, quando erano arrivati non le aveva nemmeno rivolto un'occhiata, non giudicandola degna d'attenzione: invece avrebbe dovuto ricredersi.

La squadrò dall'alto in basso con freddezza, alzando appena un sopracciglio ancora nero << Chi sei tu? No, mi correggo: cosa sei, tu? Troppo bassa per un'umana, alta per uno hobbit; non hai un accenno di barba, e sotto quella chioma vi sono orecchie a punta. Insolito per una nana >>.

Karin sentì le orecchie e le guance andare a fuoco, ma non abbassò lo sguardo, né lo spostò altrove << Scommetto che conosci la risposta: che senso ha domandare? >> replicò, punta sul vivo.

Dain non si fece impressionare, non per così poco << Ripeto: chi sei tu, e perché sei presso gli Elfi e gli Uomini? >>

<< Eravamo parte della Compagnia di Thorin Scudodiquercia, e parliamo in loro vece >> capì d'aver commesso un grosso errore nel momento in cui terminò di parlare: Dain aggrottò talmente tanto le sopracciglia da formare quasi un'unica linea. Di collera.

<< Ma davvero? Curioso che siano una femmina e uno hobbit i loro portavoce. Cosa chiede mio cugino, sentiamo! >>.

Attendeva una sua risposta, lo sapeva: eppure, proprio non riusciva a trovare le parole adatte; le si era seccata la gola, non aveva più una goccia di saliva. Deglutì a vuoto, stringendo i pugni: non doveva farsi vedere debole, non stavolta che avrebbe potuto cambiare in meglio il corso di quella storia.

<< Vi chiediamo di raccogliere il vostro esercito e tornare ai Colli Ferrosi. Questa non è la vostra guerra >>.

<< Ho risposto ad una chiamata accorata di un mio parente, e non saranno certo le tue parole a farmi cambiare idea >> disse bruscamente, fulminandola con lo sguardo.

<< Eppure, se rammento bene, quando Thorin venne a visitarti dicesti che non l'avresti aiutato, poiché questa impresa era nostra e solo nostra >> ricordò << Come mai questo cambiamento improvviso? Non è stato forse l'odore della gloria e del tesoro a condurti qui? >>.

Dain si adombrò, Karin lo vide dal lampo scuro che passò sui suoi occhi << La guerra è guerra, femmina! Non far finta di sapere come funziona, non ti si addice. È stato l'odore della giustizia a portarmi qui, e la voglia di punire l'affronto >> la guardò eloquente, facendole serrare le mascelle.

<< Giustizia e vendetta non sono la medesima cosa >> replicò a fatica << Tu vuoi sangue, e morte >>.

<< Sei arguta >> le concesse << ma non abbastanza da capire in tempo qual era il tuo posto. Tanto per cominciare, una nana non avrebbe vestito i panni della guerriera >>.

<< E' questo che ti turba? Il mio corpo? Pensiamo piuttosto a risolvere questa faccenda trovando un accordo >>.

<< Un nano non si piega alle richieste di Elfi e Uomini, benché meno a quelle di una che rinnega la sua razza. Non discuto con chi si trova in campo nemico >> sibilò astioso.

D'un tratto, però, parve ricordarsi di qualcosa, perché si aprì in un sorriso cinico e spietato << Ora ricordo: il tuo viso non poteva essermi del tutto estraneo, traditrice >>.

<< Traditrice? >> chiese stupito Bard, aggrottando la fronte.

Dain lo ignorò << Sei coraggiosa a presentarti al cospetto di uno dei Nani che hai tradito. O molto stupida >>.

<< Non è più una traditrice! >> esclamò Bilbo prima che lei potesse replicare. Gli mise una mano sulla spalla per calmarlo, ammonendolo con gli occhi: un passo falso e sarebbe saltato ogni loro piano. Dovevano star calmi, per quanto potesse essere difficile.

Il nano sorrise freddamente << Oh, io credo lo sia ancora, visto che è qui. Credete che accetti la patetica scusa dell'essere una portavoce? Thorin non ti avrebbe mai mandata: è sciocco in quanto ti ha preso con sé cadendo nella medesima trappola di molti anni fa, ma non così tanto. Finalmente ha compiuto una scelta giusta: creature infide sono le femmine, con poteri magici in grado di stregarti; la stupidità del mio parente ne è stata la prova >>.

Karin digrignò i denti e strinse i pugni, perdendo a poco a poco il controllo e mandando in malora ogni precedente proposito << Come osi? Non ti permetto di parlare di lui in quel modo! >> scattò furiosa << In primo luogo non mi ha esiliata, poiché è stata una mia scelta; e secondo, non puoi giudicare se non sai le ragioni che mi hanno spinta a farlo >>.

<< So che avete rubato l'Archepietra, e tanto basta >>.

<< E' stato fatto per salvare Thorin da se stesso >> intervenne Bilbo, più conciliante: doveva esserlo per Karin, e perché in gioco vi erano le loro vite.

<< Che sudditi fedeli! >> replicò tagliente il nano << Immagino che il vostro re vi abbia ricompensati a dovere >> sghignazzò quando vide le loro guance imporporarsi << ciò non toglie che il vostro gesto sia stato insensato, tipico dei deboli e delle femmine dal cuore tenero. Fortunatamente la stirpe di Durin non cade sotto influssi malvagi, il vostro allontanamento ne è la prova >>.

<< Ma cade sotto influssi d'avidità! >> disse veemente Karin, sentendo l'aria grave che li circondava, la speranza abbandonarla e la furia montare << Hai scordato la malattia mentale che colpì Re Thror? Si è ripresentata a Thorin, facendogli perdere il senno: perciò è stato attuato il piano >>.

Bilbo la guardò, mentre un pensiero gli si formava nella testa: si stava forse...?

A confermare i suoi sospetti, Karin alzò la testa, fronteggiando Dain con fierezza << Lo rifarei altre cento volte, se potessi tornare indietro: riporterei l'Archepietra qui, piuttosto che vederla consumare il mio re >>.

Ottenne l'effetto sperato: Dain si gelò, trattenendo il fiato con forza; alcuni dei suoi iniziarono a innervosirsi, così come fece Bard, che non aveva più parlato dall'inizio: per quanto volesse, sapeva che non poteva intromettersi. Quello era un discorso tra nani.

Eppure non capiva perché lo hobbit non intervenisse, dicendo che lei era innocente; era stato lui a portare la gemma! In silenzio cercò di trovare una risposta, mentre il diverbio continuava.

<< Che animo nobile il tuo! >> disse Dain, sprezzante << Dimmi, perché un semplice suddito non obbedisce agli ordini ma agisce così? >> i suoi occhi gelidi cercarono i suoi, allacciandoli stretti << Cos'era per te il tuo Re? >>.

Tutto. Per me era tutto.

Karin si sentì svuotata d'ogni energia, la stanchezza la prese: voleva solo smetterla con quell'inutile farsa; non sarebbe servito a nulla continuare oltre.

Il silenzio si protrasse, permettendo a Bilbo di prendere la parola << Mi par di capire che non riusciremo a trattare. Un vero peccato! Vieni Karin, andiamocene >>.

Sconfortato, la prese per un braccio, ma la voce bassa di Dain sferzò l'aria << Karin? Certo, era questo il nome della femmina che rubò il cuore del Principe di Erebor, colei che fu fautrice delle sorti della città: Karin figlia di Kario. Mi rammarica che mio cugino ti abbia perdonata >> scosse la testa, come a voler confermare la gravità del gesto, e la sua contrarietà.

<< Non sei autorizzato a giudicare >> sibilò lei, trovando nuovamente la forza.

<< Oh, io giudico, e giudico abbastanza; non lo condanno, chiunque rimarrebbe affascinato dalla tua persona e dal tuo essere così... indomita >> sorrise ironico, i suoi soldati ridacchiarono facendole ribollire il sangue << Tuttavia, mi infastidisce il tuo giocare all'eroina con le vite degli altri: credi di poterti elevare al di sopra di validi guerrieri esperti, persino al di sopra del tuo sovrano >> la frase che pronunciò in seguito ebbe il potere di lasciarla costernata e furente oltre ogni dire: la sferzò con la stessa ferocia con cui Smaug si era abbattuto sulla città di Dale molto tempo addietro << Essere la sua amante non ti rende automaticamente la sua Regina, e mi dispiace tu l'abbia pensato >>.

Karin sentì il sangue abbandonarla lento per poi tornarle con prepotenza; tremante, scattò in avanti, venendo agguantata in tempo da Bilbo e Bard.

<< Ora BASTA, taci! Non tollererò altre calunnie! >> ruggì, livida.

Dain parve soddisfatto, poiché ridacchiò e si attorcigliò un'estremità della barba attorno al dito tozzo e inanellato << Sei solo una piccola e impertinente selvaggia, esiliata e traditrice; getti fango sulla tua nobile stirpe, e su tuo padre: si vergognerebbe molto di te, se potesse vederti. E io ho ascoltato abbastanza stupidaggini per oggi. Non cambierò idea né la farò cambiare a Thorin, se volevate chiedermelo >> fece un cenno ai suoi e quelli, obbedienti, raccolsero le loro piccozze e le spade corte e larghe; gli scudi rotondi, al contrario, erano rimasti appesi alle loro schiene fin dall'inizio.

Dain portò una mano sul manico di una delle due piccozze, guardandola sorridente << Sarà un piacere rincontrarti in battaglia >>.

Karin ricambiò, lasciando che la mano sinistra si stringesse attorno al pomolo di Iris << Altrettanto >>.

Quando si voltarono, però, li fermò: aveva bisogno di sapere. Ora o mai più << Mio padre... ti aveva promesso la mia mano, prima che Smaug arrivasse ad Erebor? >>.

Attese col cuore in gola una risposta, il tempo parve rallentare, l'ansia crebbe.

Dain si girò, sorridendole sprezzante << Grazie ai Valar no. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto insegnarti l'obbedienza e la lealtà verso il tuo popolo e il tuo Re >> senza altre parole o malignità si incamminò, lasciandola arrabbiata ma confortata insieme: dunque, non vi era stata nessuna promessa di matrimonio!

Suo padre le aveva mentito solo per condurla dagli Elfi senza destare sospetti, nulla di più. Lo stomaco fece una capriola al ricordo dei tormenti e delle discussione avute con Thorin in proposito, ma ricordò anche con bruciante frustrazione la prima notte che avevano trascorso insieme prima della partenza; l'urgenza, il dovere, l'angoscia di amarsi disperatamente erano state più potenti dell'amore che provavano per l'altro. Ricordava ancora le lacrime versate subito dopo, ed il cuore le si appesantiva allo stesso modo.

Ancora sconvolta e arrabbiata, Karin udì a stento il richiamo di Bard.

<< Andiamo. Dobbiamo mettere al corrente Thranduil >>.

Fu l'ultima ad accodarsi, poiché i suoi occhi seguirono i Nani dei Colli finché non sparirono dalla sua vista: solo allora si concesse un lungo sospiro come dopo una lunga immersione, ed impose ai piedi di muoversi.


<< Dunque sarà dinanzi ad Erebor che si deciderà il nostro destino >> disse Thranduil, sorseggiando vino e studiandoli attento dal suo scranno.

<< Abbiamo provato a farlo ragionare, ma abbiamo capito subito che era una causa persa >> disse Bard, non nascondendo il fastidio per aver fallito.

<< Con loro è difficile trovare un qualsiasi compromesso, specie se non vengono accontentati; noi elfi non avremmo potuto fargli cambiare idea, in ogni caso: anzi, con molta probabilità i miei emissari sarebbero tornati prima >>.

Karin alzò gli occhi da terra: doveva suonare quasi come un complimento?

Sospirò, lasciando che le parole scambiate con Dain risuonassero ancora una volta nella sua testa “mi infastidisce il tuo giocare all'eroina con le vite degli altri: credi di poterti elevare al di sopra di validi guerrieri esperti, persino al di sopra del tuo sovrano.

Essere la sua amante non ti rende automaticamente la sua Regina, e mi dispiace tu l'abbia pensato”

Sentì le unghie conficcarsi nel palmo, ma non se ne curò: sentì persino il sapore del sangue in bocca, ma non se ne curò. Solo alla rabbia cieca era permesso esistere, nient'altro aveva importanza. Si era elevata al di sopra di tutti, durante il viaggio? Aveva forse giocato con Thorin? Non era mai stata la sua amante, e non avrebbe accettato di farsi chiamare in quel modo squallido da un guerrafondaio qual era Dain.

Lo giuro sui Valar, su Mahal in persona: se lo incontrerò in battaglia, lo ucciderò per ciò che ha detto.

Certo, se non ci avesse pensato prima lui: era forte e potente, su questo non v'erano dubbi; aveva notato i suoi avambracci muscolosi pieni di cicatrici, simboli di battaglie combattute... e vinte.

Sapeva che era spietato e letale, ma tutti i guerrieri avevano punti deboli: bisognava solo cercarli. Si augurò non fosse troppo veloce: forse lì poteva essere avvantaggiata.

<< I messaggeri inviati alla Porta sono stati attaccati da numerose frecce >> li informò Bard << Thorin non ci consegnerà nulla di quello che avevamo pattuito >>.

<< Lo sospettavo >> disse il re << E' sempre stato molto ostinato >>.

<< Nell'accampamento c'è eccitazione: gli uomini sanno che la battaglia è imminente >> disse Legolas, lasciando intendere la sua inquietudine << Inoltre, i Nani avanzano lungo la riva orientale >>.

<< Pazzi! >> rise Bard << venire così sotto le pendici della Montagna! Non capiscono nulla di guerre all'aria aperta, poiché ci sono molti arcieri e soldati nascosti tra le rocce sul loro fianco destro. Le loro armature saranno anche buone, ma tra poco saranno messe alla prova: attacchiamoli da entrambi i lati adesso, prima che si siano riposati! >>.

Il silenzio pesò sul gruppetto come un macigno, l'aria divenne pesante; Karin rischiò si sentirsi male, ma ricacciò la nausea quando Thranduil parlò.

<< Aspetterò a lungo, prima di incominciare questa guerra per l'oro. I nani non possono passare di qui, se noi non lo vogliamo o se succede qualcosa che non possiamo prevedere. Spero ancora che qualcosa porti alla riconciliazione >> ammise, lasciando vagare lo sguardo lungo i presenti << In ogni caso, la nostra superiorità numerica sarà sufficiente a sbaragliarli, se mai si giungerà allo scontro >>.

<< La scacchiera è pronta, le pedine si muovono >> disse Gandalf, in tono solenne << Ora dovremo solo attendere una qualsiasi mossa >>.

<< E attenderemo. Ma non abbandonate la speranza >> li redarguì Thranduil, lasciandoli poco convinti.

Solo Legolas ebbe il coraggio d'esternare i sentimenti che aleggiavano nei loro cuori << Padre, non possiamo confidare nella speranza: ha abbandonato queste terre >>.

Karin e Bilbo si lanciarono un'occhiata, comprendendosi perfettamente: aveva ragione.

Non vi era speranza. Non per loro.

Ed essa precipitò quando udirono i corni suonare e le trombe squillare: impietriti, si guardarono l'un l'altro, mentre un pensiero comune prendeva forma nei loro cuori, nelle loro menti.

Karin sentì il cuore martellarle nel petto, i palmi sudarono, la schiena gelò e venne percorsa da brividi.

Era arrivata, dunque: la battaglia era cominciata.





CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonsalve a tutte ^.^!!!

Allora, che ne dite? Non so voi, ma io l'ho semplicemente ADORATO *____*! Ho amato scrivere ogni singola parola, ogni battuta, ogni dialogo! Sia il breve momento in cui vediamo Thorin, sia il dialogo di Karin con Thranduil ma, soprattutto, quello con Dain: perché si introduce questo nuovo personaggio e si nota il suo carattere duro e diverso dagli altri; cavoli, secondo me... spacca :P! Hahahahaahha, euforia e ego alle stelle a parte, spero vi sia piaciuto, e mi farebbe piacere leggere le vostre opinioni :))), sempre gradite anche per maturare e migliorare al meglio!

Non so che sia successo nello scorso capitolo, però mi ero quasi convinta di ricevere un po' di recensioni: insomma, era un punto cruciale, la spaccatura tra i due amanti finalmente riuniti!
So che ora ci sono le vacanze a cui pensare – io per prima mi sento talmente libera ed ho in arretrato tanta di quella roba che spesso ho rimandato la scrittura :/ – però... ecco, cercate un posticino anche per me! Non tanto per il numero di recensioni – già ENORME, in quanto non ho mai raggiunto un simile risultato – ma per capire come sto procedendo e, soprattutto, se non vi sto annoiando troppo e non sto “dilungando il brodo”: ma cercate di capire che succedono tante cose anche nel libro, ed io le ho “approfondite” mettendoci di mezzo la protagonista, quindi è venuta fuori una vera long... ma ormai siamo alla fine, manca la battaglia! Non mollate proprio ora, resistete, figli di Gondor e di Rohan XD!

Bene, dopo questa filippica lunga quanto il cap, passo ai saluti XP

Ringrazio le carissime e specialissime Krystal91, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack e LilyOok_. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra Anna <3





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Capitolo 22
*** Capitolo ventidue ***


Note dell'autrice

Attenzione attenzione attenzione mie/i care/i! Questo capitolo – oltre ad essere stato un parto gemellare da scrivere perché, ahimè, l'ispirazione mancava – è un bel po' lungo, e pieno di cose inaspettate (almeno spero ^^!): avevo pensato di spezzarlo, ma così... bé, non sarebbe stata la stessa cosa, ed in più non mi piaceva molto come idea.
In ogni caso, spero lo apprezziate :) : nonostante la fatica nel produrlo, mi sento pienamente soddisfatta del risultato!

Ah, vorrei segnalarvi una bellissima e stupenda colonna sonora che certamente conoscete (o almeno il film “Inception”: chi non l'avesse visto rimedi, perché merita!!!): inoltre, si tratta del mio compositore preferito, Hans Zimmer XD!
Cooomunque, eccola qui: l'ho considerata adattissima per il capitolo http://www.youtube.com/watch?v=Z0kGAz6HYM8

Ci leggiamo giù, baci :*



Mio caro Frodo, fu la più grande Battaglia del nostro tempo.

Venne chiamata “dei Cinque Eserciti”, ed avvenne alle

pendici della Montagna Solitaria.

Uomini, Elfi e Nani unirono le forze per far fronte al nemico comune.

[…] Morte e distruzione erano su di noi.

Andata e Ritorno. Un racconto hobbit”

di Bilbo Baggins



CAPITOLO VENTIDUE


L'attimo di immobilità che aveva percorso il gruppetto nella tenda di re Thranduil si sciolse con la stessa rapidità della neve al sopraggiungere della primavera.

Bard scattò fuori insieme a Gandalf, e Legolas li avrebbe certamente seguiti se il padre non l'avesse richiamato parlandogli in elfico.

Karin era confusa e stordita, consapevole solo di voler scappare fuori, a far cosa non lo sapeva nemmeno: le dita strinsero convulsamente l'elsa di Iris, la gola si seccò, gli occhi volarono all'apertura della tenda, dove sapeva esserci il movimento frenetico dei soldati.

Solo un fatto le rimbombava in testa. La battaglia è iniziata.

Nel frattempo, il giovane elfo stava aiutando il padre a indossare gli ultimi componenti dell'armatura argentata: e mentre Thranduil si posava la sottile corona argentata sul capo, dava istruzioni al figlio.

<< Io scenderò in campo aperto con i nostri soldati; tu guiderai arcieri elfici e umani nelle retrovie. Bard, invece, si apposterà sugli speroni e prenderà il comando di un altro gruppo di arcieri >>.

Si fermò, spostando gli occhi azzurri sulle figure di Karin e Bilbo, immobili come gli Argonath sulle rive dell'Anduin.

<< Affida i nostri ospiti all'arciere umano: che siano al sicuro >>.

Legolas annuì, porgendo la spada scintillante al suo re e padre; si guardarono un lungo istante, preoccupandosi per le sorti dell'altro.

<< Buona fortuna, padre >>.

Thranduil sorrise appena per rassicurarlo << Buona fortuna, figlio mio >> gli strinse una spalla, e così fece Legolas; poi il re uscì, richiamando i suoi uomini a gran voce.

Karin lo ascoltò finché la voce non si attutì, finché il principe non parlò spezzando il silenzio.

<< Venite con me, presto! >> ordinò.

Cercò di mettere un piede davanti l'altro, mentre il cervello formulava una domanda pressante << Dove andiamo? >>.

<< Da Bard >> rispose semplicemente.

Fuori, il caos era completo: soldati correvano in ogni dove, le facce scure e battagliere, le armi in pugno; grida si spargevano nell'aria, ordini sbraitati li sferzavano.

Il vento le scompigliò i capelli, e dovette tenerli fermi con una mano perché non le offuscassero la vista; seguì il più velocemente possibile l'elfo, arrivò persino a correre per tenere il passo: spesso voltava la testa di lato, dove trovava sempre Bilbo, teso e pallido in volto quanto lei. Cercarono di farsi coraggio con lo sguardo, ma non ci riuscirono.

Attraversarono quasi tutto l'accampamento in larghezza e, finalmente, si inerpicarono lungo un sentiero stretto e sassoso che conduceva ad uno spiazzo roccioso sopraelevato e largo da contenere un buon numero di soldati; lì trovarono Bard con alcuni elfi e uomini, già posizionati con l'arco teso e le frecce incoccate.

Quando li vide, si accigliò un poco << Non credevo venissi ad aiutarci, principe >> commentò, in un tono quasi scherzoso. La tensione era palpabile persino in quel luogo, abbastanza protetto in caso di contrattacco nemico.

Legolas si concesse un breve sorriso tirato, ma scomparve subito: per alcuni secondi, Karin dubitò d'averlo intravisto davvero.

<< Sono solo venuto ad accompagnare loro >> spiegò, facendo un cenno nella loro direzione << So che qui saranno al sicuro >> lo sguardo d'intesa che gli lanciò fu piuttosto eloquente; Bard annuì, per poi informarlo su quanto avveniva nella pianura sottostante.

<< Stanno marciando lungo il fiume, tra non molto ci raggiungeranno; in ogni caso, abbiamo ancora un po' di tempo. È stata una fortuna aver piazzato le sentinelle: sono state in grado di avvistarli in tempo >>.

Legolas convenne con lui, ringraziandolo per l'aiuto e annunciando che purtroppo non poteva trattenersi a lungo, dato che doveva ritornare alla sua postazione; si salutarono, dopodiché diede loro le spalle e s'incamminò.

Aveva già quasi percorso metà sentiero quando un grido di Karin lo fermò; giratosi, la vide correre verso di lui, pallida e tremante.

<< Perché sei qui, Karin? Dovresti tornare indietro >> la rimproverò.

Lei si morse il labbro inferiore, come ogni qual volta era nervosa o non riusciva a trovare parole adatte per esprimersi << Volevo solo pregarti di stare attento >>.

A dispetto di tutto, non poté impedirsi d'aprirsi in un sorriso sincero: come non poté impedirsi di rassicurarla.

<< Lo sarò, promesso. Anche tu dovrai stare molto attenta: lassù sarete esposti alle frecce >>.

<< I nani non sono buoni arcieri >> disse, incupendosi.

Legolas sembrò intuire i suoi pensieri: posò entrambe le mani sulle spalle ormai esili della ragazza, e s'inchinò << Karin, non devi temere: nessuno ti ordinerà d'imbracciare un arco e uccidere la tua gente >>.

Gli occhi neri si alzarono dal terreno spostandosi verso i suoi chiari; espirò sollevata e riconoscente, anche se ancora titubante.

<< Dici davvero? Va bene >> aggiunse frettolosa, dopo averlo visto annuire.

L'elfo sorrise ancora, stavolta furbamente << Eppure, se ben ricordo, dicesti che avresti ucciso Dain con le tue stesse mani >>.

Rimase interdetta qualche secondo << Come... come lo sai? >> chiese sconcertata: era certa di non averlo visto nei paraggi durante la discussione!

<< Desolato, ma non infrangerò un giuramento >> sorrise ancora di fronte alle sopracciglia scure aggrottate << penso che potrò rivelartelo ugualmente, una volta finita la battaglia >> concesse, riuscendo finalmente nel suo intento, anche se lieve: sul viso di Karin passò un'ombra di sorriso.

<< Avrai un altro giuramento da rispettare, quindi >> disse, cambiando umore repentinamente << Fa' attenzione Legolas, ti prego. Voglio rivederti sano a salvo >>.

Non aggiunse che la sua presenza in quel luogo estraneo le era stata di immenso conforto, né che non avrebbe sopportato la sua morte, se fosse giunta, poiché teneva molto a lui: dopotutto, non era stato per merito suo se era uscita dalle grinfie spietate del suo carceriere? Non era stato merito suo se, ora, poteva ancora fidarsi di quel popolo che l'aveva privata delle sua dignità e vitalità?

L'amicizia che la legava a Legolas era profonda, sincera e riconoscente: e nessuna battaglia, nemmeno lo scorrere del tempo, avrebbe potuto cambiarla.

Per questo era così angosciata, e temeva per la sua vita.

Se avesse perduto anche lui...

Lo abbracciò di slancio, mentre il familiare dolore al petto l'invadeva: lo sentì irrigidirsi, sorpreso da quel gesto che, di norma, mai gli avrebbe concesso; eppure gli fece piacere, gli scaldò il cuore.

Ricambiò, chiudendo brevemente gli occhi mentre affondava il viso nella chioma scura: cercò di trasmetterle tutto l'affetto che provava, volendo farle intendere che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbero rivisti presto.

<< Abbi cura di te >> le sussurrò, sciogliendosi dalla presa. Era tempo d'andare, ne era consapevole anche lei.

<< Sì. Altrettanto >> gli occhi erano umidi, ma non versò neppure una lacrima, con sollievo di entrambi. Sarebbe stato troppo doloroso, forse.

Annuirono insieme, poi si separarono prendendo strade opposte; un pensiero comune si fece spazio nelle loro menti, e sperarono che l'altro lo recepisse.

Vivi. Ti prego.



Il silenzio regnava da lunghi minuti, ormai.

I soldati erano posizionati in lunghe fila ordinate: davanti la fanteria con lance e spade, i grandi scudi saldamente impugnati al braccio opposto, gli elmi calati sulla testa e l'armatura grigia al petto; immediatamente dietro e ai lati gli arcieri, con i loro archi lunghi di legno, le frecce pronte ad essere incoccate.

Tra lo schieramento elfico Karin riconobbe Gandalf, in piedi accanto a Thranduil: erano immobili, lo sguardo puntato verso la piana, in ascolto; anche lei lo fece, e non ci volle molto perché iniziasse ad udire un pestare poderoso di piedi, una marcia decisa tipica di chi non teme nulla, benché meno la sorte che lo attendeva.

I passi sembrarono rimbombare, crebbero d'intensità riuscendo ad entrare in sintonia col suo cuore.

Tum

Tum

Tum tum tum

Tum

Tum

Tum tum tum

Un lieve contatto la fece sobbalzare: Bilbo le aveva stretto la mano, intrecciando le dita con le sue; gli occhi grigi la guardarono, e sembrarono volerla rassicurare.

Andrà tutto bene. Ce la faremo, vedrai!

Ne era davvero convinto? Oppure sapeva anche lui che era una menzogna? Dovevano essere realisti: quante possibilità avevano, loro due?

Bilbo non avrebbe saputo affrontare avversari temerari ed esperti quali erano i nani: era già stato molto fortunato se era riuscito ad abbattere qualche orco e mannaro. In quanto a lei... l'idea di scontrarsi con la sua stessa razza la ripugnava, ma doveva ammettere che, se se ne fosse presentata l'occasione, non avrebbe esitato ad uccidere. Si sarebbe difesa, ed avrebbe difeso anche lo hobbit. << Che silenzio >> disse, giusto per dire qualcosa, o sarebbe impazzita nei suoi stessi labirintici pensieri.

<< E' il respiro profondo prima del balzo >> replicò cupo Bilbo, stringendole di più la mano.

Deglutì a vuoto, la gola era in fiamme: la situazione le piaceva sempre meno, la tensione era salita ai massimi livelli; i palmi le sudavano, mille brividi gelati la percorrevano, la pelle d'oca lambiva la sua epidermide.

Questa era la paura, dunque. E la paura di morire era sopra ogni altra cosa: perché, in quel caso, avrebbe lasciato molte questioni sospese. E, tanto per citarne una, non avrebbe più rivisto Thorin e non avrebbe più potuto parlargli, né aiutarlo.

Scosse la testa, poiché era il momento meno opportuno per certe considerazioni; col cuore ormai in gola e lo stomaco annodato, vide comparire l'esercito nemico: più di cinquecento nani – disposti anch'essi in file ordinate – marciavano con determinazione, le asce e le piccozze tenute tra le dita tozze.

Molti pensieri si susseguirono nella sua testa, rendendola ancora più nervosa: dovevano attaccare per primi? Oppure sarebbero stati i nani ad avere quello scomodo onore?

Era talmente impegnata ad osservarli che si accorse a malapena del braccio di Thranduil, levatosi in alto per impartire un ordine; il movimento venne seguito da quello degli arcieri elfici: presero una freccia e, veloci come il vento, tesero l'arco e la posizionarono, pronti a scoccarla.

Scioccata, sentì la bocca schiudersi: era il momento.

<< Infine, è iniziata >> commentò Bilbo, accanto al suo orecchio. Eppure la sua voce era lontana, come se provenisse da un sogno!

E, proprio come in un sogno – o meglio, un incubo – centinaia di frecce si innalzarono nel cielo, sibilando nell'aria; e, quasi al rallentatore, scesero verso terra.

Karin avrebbe voluto urlare, terrorizzata. Ma si trattenne, specialmente quando notò che nessuna freccia aveva colpito un solo nano, andando a conficcarsi nel suolo secco e desolato ad alcuni metri dai loro piedi.

Sembrò respirare di nuovo: era stato solo un avvertimento, nulla di più.

Ma i nani, imperterriti e tutt'altro che intimiditi, continuarono la loro avanzata schiacciandole con le scarpe ferrate; doveva aspettarselo, dopotutto.

Troppo cocciuti, troppo vendicativi: e la consapevolezza che l'Archepietra era nelle loro mani non faceva altro che alimentare l'odio nei loro confronti, e la fermezza nel proseguire.

Guadagnarono terreno, e Thranduil decise di ripetere il gesto; stavolta, però, si girò di lato, verso coloro che stavano sulle rocce.

<< Incoccare! >> esclamò Bard, eseguendo lo stesso movimento; tese la corda più che poté, portando le dita che reggevano l'impennaggio sotto il mento.

<< Mirate ai loro piedi >> disse, concentrato e pronto a scoccare. Attesero il segnale del re degli elfi, ed avvenne: abbassò il braccio.

<< Lanciare! >> urlò l'uomo.

Numerosi fischi e sibili segnalarono che l'ordine era stato eseguito; Karin seguì con gli occhi anche quel nugolo, vedendolo precipitare esattamente nei punti stabiliti: ma, come prima, non servì a nulla.

Ora erano a pochi metri.

Improvvisamente, Dain alzò una mano, facendo fermare i suoi soldati; sulla pianura scese un silenzio opprimente e denso, la tensione era palpabile e poteva quasi tagliarsi col coltello. Nessuno osava emettere un solo fiato, tutti trattenevano il respiro come un sol uomo.

Il re dei nani mosse qualche passo in avanti, e così fece Thranduil; Karin vide il primo parlare, ma non avrebbe saputo dire quale potesse essere l'argomento: erano troppo lontani.

<< Che staranno dicendo? >> domandò, senza distogliere gli occhi dalle figure; sentì avvicinarsi qualcuno e, subito dopo, la voce di Bard rispose al quesito.

<< Forse Dain ha chiesto nuovamente di passare per raggiungere la Montagna >> disse, serio.

Karin lo guardò, notando le profonde rughe di preoccupazione; tesa, strinse i pugni, sapendo che l'elfo non avrebbe mai concesso nulla di simile.

Infatti, vide la chioma bionda dell'elfo muoversi con fermezza in un secco diniego e, subito dopo, iniziò una tremenda discussione: non riuscì ad udire nulla, ma notò le espressioni irate di Dain e i gesti concitati di entrambi.

<< Nessuno dei due cederà, vero? >> domandò scioccamente, poiché conosceva già la risposta.

<< Temo di no, mia signora >> disse sinceramente << Ma non devi temere: farò in modo che nessun nano possa salire quassù >>.

Dettaglio per nulla confortante, e presuntuoso. Bard non conosceva affatto i nani e la loro caparbietà: se avessero deciso di raggiungerli, bé... solo i Valar avrebbero potuto salvarli. E il dirupo ai loro piedi.

Una forte e gelida folata di vento la fece tremare e, a questa, se ne susseguirono altre: gli stendardi garrirono, si mossero impetuosi; sentì freddo, un freddo brutale che penetrò attraverso i vestiti facendole comparire la pelle d'oca sulle braccia.

Alzò gli occhi al cielo, sgranandoli quando notò la grande nube nera che si stagliava per lunghe miglia: ed ecco, un rombo lontano coprì la piana, dal suono simile alla furia di Smaug. Le rizzò i peli delle braccia, la nuca le formicolò.

Il secondo rombo succedette il primo dopo lunghi minuti ma, a breve, una manciata di secondi li avrebbe intervallati; inspirò a fondo, cercando di non farsi cogliere dal panico: l'ultima cosa che voleva era strillare come una pazza e cercare un riparo sicuro.

I temporali non le erano mai piaciuti, e nemmeno gli anni d'esilio l'avevano aiutata a superare il terrore che, puntualmente, la pervadeva.

La tempesta invernale, trasportata dal vento fortissimo, rotolò rombando contro la Montagna in un contrasto spaventoso e magnifico col chiarore del cielo al lato opposto: i primi fulmini bianchi squarciarono le nuvole e saettarono a terra; Karin si morse con forza l'interno guancia, sapendo ciò che sarebbe successo di lì a poco: ma, per nessun motivo, si sarebbe messa in ridicolo.

Il tuono fu tremendo, fece tremare la terra ai suoi piedi. Fece tremare lei.

Ormai nessuno badava più allo scontro; tutti guardavano verso l'alto, poiché mai prima d'ora avevano assistito ad uno spettacolo di quella portata, così insolito ma meravigliosamente strabiliante da distoglierli da ogni riflessione: il cielo era divenuto giallo.

Il colore solitamente caldo ora atipico era in netta contrapposizione alle nubi sovrastanti, così nere, blu e grigie, da spaventare anche il più coraggioso degli uomini.

La luce vivida che illuminava la Montagna, l'intensità degli scoppi, il crepitio che seguiva come un eco... nulla di tutto questo era normale.

A Karin si strinse ancor più lo stomaco quando un pensiero le attraversò la mente: mai in vita sua si era trovata faccia a faccia con una tempesta come quella, e ciò la sgomentava.

Il vento non smetteva di soffiare, ricordandole il ruggito disperato ma anche battagliero di Thorin, ed il cuore venne sopraffatto dalla tristezza; si morse il labbro all'ennesimo potente tuono, indietreggiò istintivamente quando un nuovo lampo di luce la sorprese.

La mano destra si mosse da sola, cercando conforto e sostegno: quando toccò la mano di Bilbo sembrò calmarsi, la sua stretta la tranquillizzò.

Ma un altro fatto ruppe quel breve sollievo.

<< Un'altra nuvola? >> domandò perplesso lo hobbit, scrutando il cielo senza paura, coraggioso come solo un vero Tuc poteva essere. Anzi, come ormai era Bilbo Baggins.

La indicò con la mano libera e lei la seguì, notandola: da nord, una macchia scura avanzava turbinando frettolosa, proprio al di sotto delle nubi temporalesche.

Aggrottò la fronte, non riuscendo a capire di che poteva trattarsi << Non lo so! >> ammise strozzata, chiudendo gli occhi di scatto davanti al lampo che l'accecò.

Strinse così forte la mano di Bilbo da sentirlo gemere.

<< Mi spiace >> esalò, pallida e spaventata: l'unica cosa che le importava era vedere quel temporale passare oltre.

Dimenticò del tutto la nube, ma Bard – che aveva ascoltato - non lo fece: mosse qualche passo avanti, finendo quasi sul limitare del baratro, concentrato ad identificarla; quel che disse ebbe il potere di paralizzarla ancora di più.

<< Non è una nuvola, si muove troppo velocemente. E controvento >> strizzò gli occhi scuri ma poi il volto mutò espressione << ATTENTI! >> gridò, le mani a coppa sulla bocca, rivolto agli uomini e agli elfi sulla piana << PIPISTRELLI! PIPISTRELLI! >>.

In effetti, ora anch'ella poteva distinguerli chiaramente: grossi chirotteri volavano verso di loro, in un assembramento così denso e fitto che nessuna luce poteva filtrare tra le loro ali.

<< FERMI! >> gridò con voce tonante Gandalf, facendosi udire da tutti << Fermi! >> alzò le braccia e si pose tra i due schieramenti, il bastone levato e fiammeggiante << Il terrore è calato su tutti voi! Gli orchi sono qui! Che Dain venga subito da noi, c'è ancora tempo per un consiglio! >>.

Caddero in preda allo stupore e alla confusione; mentre Gandalf parlava il buio cresceva, i lampi illuminavano il paesaggio a giorno.

Molte voci gridarono nelle schiere degli elfi, e anche dai nani si levarono numerosi borbottii.

Dain abbassò il capo, in volto un'espressione feroce e combattiva: ripose le piccozze e si tolse l'elmo, annuendo seccamente all'indirizzo dello stregone.

Karin udì Bard sospirare di sollievo, ed anche lei espirò, contenta della scelta del nano: ora più che mai dovevano cercare d'appianare le divergenze, per il bene comune.

Gandalf, Dain, Thranduil e Legolas superarono le file dei soldati elfici inoltrandosi velocemente nell'accampamento, verso la tenda del re.

<< Deollyn, affido a te il comando finché non torno >>.

Bard si era avvicinato ad un uomo possente, il suo attendente più stretto; poi, scuro in volto, si era girato verso di lei.

Karin si mosse rapida, sentendo lo scalpiccio dei piedi pelosi di Bilbo subito dietro.

Ridiscesero il sentiero e, correndo, raggiunsero la tenda: poco prima d'entrare, però, la voce di Legolas la fermò.

<< Karin! Ti stavo cercando, vieni con me! >> parlò in fretta, afferrandola per un braccio e trascinandola quasi di peso verso la sua piccola tenda. Una volta giunti, la condusse verso la branda, sopra la quale stava una cotta di mithril della sua misura.

<< Ma... >> iniziò a dire, venendo interrotta.

<< Non c'è tempo per le spiegazioni. Indossala in fretta, e poi raggiungici! >>.

Schizzò via, veloce come il vento, lasciandola sola; senza indugiare oltre si tolse in fretta e furia il mantello, la casacca e poi la camicia, infilandosi la cotta argentata sopra la biancheria intima: le cadde alla perfezione, e si chiese quando gliel'aveva commissionata. Perché di una cosa era certa: nessun elfo avrebbe potuto indossarla, essendo troppo piccola.

Si rivestì, le dita cercarono disperatamente d'allacciare il nodo del mantello: tremavano, e non volevano collaborare in nessun modo.

Era sudata benché patisse freddo, sentiva la testa girarle e la nausea le era risalita in gola.

Una battaglia.

Una battaglia contro gli Orchi, creature crudeli e spietate, senza alcuna morale né coscienza; certo, si era già scontrata con loro, ma... non contro un numero così elevato! Aveva paura, temeva quello che avrebbe passato tra non molto.

Sfiorò l'elsa di Iris, tranquillizzandosi visibilmente; fu una sensazione strana ma appagante: sapeva che finché fosse rimasta con la spada in pugno sarebbe sopravvissuta. Ce l'avrebbe fatta.

Doveva solo mantenersi calma.

Ecco, era pronta, ma c'era un'ultima cosa che doveva fare: allungò una mano, prendendo il fiore d'iris e, cautamente, lo nascose sotto la casacca in una tasca interna. Sperò con il cuore di non perderlo, ma non poteva rischiare di lasciarlo lì: se gli orchi li avessero sconfitti, avrebbero bruciato l'accampamento. Afferrò anche l'arco di legno procuratole da Bard, oltre alla faretra piena di frecce dall'impennaggio rosso e, tenendole strette, corse fuori come stabilito.

Non si guardò indietro, non ne ebbe il coraggio.



<< Agoz sta arrivando dal Nord, cavalcando il suo Mannaro e in testa al suo esercito, pronto a dar battaglia. Inoltre si sono aggiunti i Goblin delle Montagne Nebbiose >> li informò cupamente Gandalf, camminando nervoso con le mani dietro la schiena.

<< I Goblin? >> domandò Karin, incerta << Perché? Per vendetta? >>.

<< Precisamente. Credo non abbiano apprezzato la morte del loro Re >>.

<< Come noi non abbiamo apprezzato l'essere catturati, torturati e quasi uccisi! >> ribatté lei rabbiosamente, al ricordo dell'avventura con quei mostri malaticci.

<< In ogni caso, abbiamo bisogno di un piano d'attacco >> proruppe Dain, serrando ancor più le braccia al petto, segno d'immenso fastidio per essere lì << o dobbiamo attenderli pensando solo a discutere di cose futili? >>.

Le lanciò un'occhiata severa e gelida, mostrandosi più che soddisfatto quando la vide abbassare gli occhi neri e contrarre i pugni: finalmente taceva.

<< Hai ragione, Re dei Nani. Bisogna fermarli, questo è certo! >> concordò Bard, grattandosi pensieroso il mento.

<< Potremmo attirarli nella valle tra i contrafforti della Montagna; alcuni di noi potrebbero occupare i grandi speroni che si sporgono a sud e a est, a nostro rischio e pericolo >> propose Gandalf, fermandosi per guardarli negli occhi.

<< La nostra salvezza diverrebbe la nostra tomba! >> esclamò Dain, irato << Se attaccassero contemporaneamente da dietro e da sopra, per noi sarebbe la rovina! >>.

<< Non può esserci un numero così elevato di orchi >> disse Karin, cercando di mostrarsi convincente.

Ma ciò che ottenne fu che il nano proruppe in una risata di scherno << Faresti meglio a tornare a vagare per i boschi, esiliata. La guerra non ti si addice >>.

<< Come a voi non si addice la gentilezza! >> scattò Legolas, facendo un passo in avanti verso il nano; gli occhi azzurri fiammeggiavano furibondi, e non si placarono nemmeno quando le mani piccole ma ferme di Karin si aggrapparono alla sua manica, nel tentativo di placarlo. L'ennesimo tuono spense qualsiasi risposta da parte di Karin; inoltre, Thranduil alzò un dito per porre fine ad ogni questione.

<< Sagge sono le parole di Mithrandir, e i suoi consigli si sono rilevati sempre giusti e utili; perciò faremo come dice. Gli elfi si posizioneranno sui pendii più bassi dello sperone meridionale e tra le rocce ai suoi piedi; lo sperone orientale lo occuperete voi nani e uomini, così da poterli fermare in uno scontro frontale >>.

Dain si prese qualche lungo istante per ponderare gli elementi a favore o meno del piano << Non c'è altra soluzione? >>.

<< No >> rispose Thranduil, greve << Il tempo stringe, presto incomberanno su di noi. E non possiamo chiedere altro aiuto >>.

<< Capisco >> convenne il nano, attorcigliandosi distrattamente la barba grigia con l'indice tozzo << Certezza di morte. Scarse probabilità di successo >> decretò, serio in volto e consapevole di esternare le preoccupazioni di tutti; ma poi, improvvisamente, alzò fiero il capo sorridendo spietato << Che cosa aspettiamo? >>.

La frase sciolse la tensione del gruppo e, bene o male, risposero al sorriso nonostante la tensione crescente: almeno erano in accordo sulla strategia da utilizzare.

Il resto era nelle mani del Fato.

<< Bene! Non attardiamoci oltre >> esclamò Gandalf, sguainando Glamdring.

Uscirono tutti in gran fretta, radunando velocemente i soldati per portarli nei punti stabiliti; stavolta, Karin e Bilbo vennero affidati a Legolas, che avrebbe guidato gli elfi.

Presto il temporale passò, rombando, verso sud-est; ma la nube di pipistrelli, volando più bassa, giunse sopra lo schienale della Montagna e volteggiò su di loro togliendo la vista della luce e riempiendoli di terrore.

Bard e parecchi fra gli uomini e gli elfi più agili si arrampicarono in alto sul dorso orientale per riuscire a vedere che cosa succedeva a nord.

Di nuovo, il silenzio regnò sovrano, finché essi non scorsero le terre ai piedi della Montagna nere per la moltitudine che si affrettava.

Bard si girò, scagliando una freccia per segnalare il loro arrivo imminente: infatti, non ci volle molto perché l'avanguardia dei nemici aggirasse l'estremità dello sperone ed entrasse precipitosamente a Dale. Gli orchi che cavalcavano i lupi erano i più veloci, e l'aria si impregnò delle loro grida e degli ululati.

Karin si sentì male, cercò sostegno nell'elsa fredda della spada. Era giunta l'ora di dimostrare il suo valore, di dimostrare che era la degna proprietaria della spada dei suoi Padri!

Legolas, nel frattempo, parlava in elfico ai suoi compagni, probabilmente per dar loro coraggio << Non abbiate per loro alcuna pietà, perché voi non ne riceverete! >> gridò.

Poi si fermò tra lei e Bilbo, posando le mani sulle loro spalle << Avrò bisogno anche della tua mira, Karin >>.

<< E l'avrai >> gli assicurò, scegliendo già una freccia dalla faretra.

Schiuse le labbra quando vide un manipolo di uomini coraggiosi schierati davanti, con lo scopo di contrastarli; li vide combattere fino allo stremo, soccombendo alla furia e alla spietatezza delle bestie: le fauci schioccarono, le lame si abbatterono e si rialzarono vittoriose, chiazzate di sangue rosso cupo. Grida disumane lacerarono l'aria, facendole accapponare la pelle e serrare gli occhi di fronte a quello spettacolo: molti uomini caddero prima che il resto si ritirasse aprendosi su entrambi i lati.

Come Gandalf aveva sperato, il grosso dell'esercito degli orchi si era ammassato dietro l'avanguardia mentre a questa veniva contrastato il passo, e ora si riversarono furiosi dentro la valle spingendosi selvaggiamente in mezzo ai due contrafforti della Montagna in cerca del nemico, avanzando come una marea furibonda e disordinata, emettendo versi striduli e agghiaccianti.

La battaglia ebbe inizio non appena le prime file di orchi si scontrarono in un feroce corpo a corpo con gli elfi.

Con un calma glaciale, come se non appartenesse a lei ma a qualcuno che avesse preso il suo posto, si voltò verso lo hobbit << Metti l'Anello >> ordinò perentoria.

Lui si stupì del tono con cui gli si rivolse, e provò a ribattere << Posso combattere! >> esclamò, non credendoci davvero.

Anche Karin si dimostrò piuttosto scettica, poiché indurì maggiormente i tratti << Non è il momento per fare l'eroe. Infilalo e basta! >> sbottò, guardando la lama azzurrina di Pungolo << Potrai attaccare anche se sarai invisibile, ma non ti salverai dalle frecce o dalle lame; ti voglio al sicuro e, se dovesse accadere qualcosa di grave, il più lontano da qui >>.

<< Karin... >>.

<< Hai la possibilità di salvarti, Bilbo: sfruttala >> disse seria; di scatto, però, l'abbracciò, lasciandolo interdetto << Almeno tu, salvati >> sussurrò.

Ora la voce tremava terrorizzata, il corpo era scosso da tremiti; la sentì inspirare violentemente, come se si preparasse per una lunga apnea. Poi tornò lucida e fredda come prima, ben diversa dalla Karin a cui era abituato: si sentì spaesato, capendo di non conoscere affatto quella ragazza dalle mille sfaccettature, dai mille volti.

Non volle pensarci troppo, attribuendo la trasformazione alla paura dello scontro, né la contestò: una volta invisibile, la vide annuire compiaciuta.



Lance e spade brillavano nella penombra con un gelido bagliore di fiamma, tanto mortale era l'ira delle mani che le reggevano.

Appena le schiere nemiche si infittirono nella valle gli elfi – e Karin con loro - scagliarono una pioggia di frecce, e ciascuna guizzò volando come un fuoco pungente. Dietro, un migliaio dei loro arcieri strisciò giù e caricò.

Le urla erano assordanti. Le rocce erano macchiate di nero dal sangue degli orchi.

Proprio mentre la carica degli elfi si arrestava e i mostri si riprendevano dall'assalto furioso, attraverso la valle si levò un ruggito roco.

<< Moria! >>.

<< Dain, Dain! >>.

I nani dei Colli Ferrosi si lanciarono all'attacco sull'altro lato, brandendo le piccozze; dietro di essi venivano gli Uomini del Lago dalle lunghe spade.

Il panico si impadronì degli orchi, Karin lo vide dalle teste deformi che si spostavano continuamente in ogni dove, atterrite: e godette. Una parte di lei bramò di poter scendere sulla piana e mettere a tacere la fame di sangue che l'aveva assalita; ma, d'altra parte, era terribilmente irrequieta: nella confusione e nella massa di corpi non riusciva a riconoscere l'orco pallido. E, se Azog era nascosto, significava che dovevano stare molto attenti e non dovevano abbassare le difese. Per nessuna ragione.

Il numero dei combattenti aumentò a dismisura, corpi si ammassarono, si scontrarono, caddero senza più rialzarsi.

Molti nemici fuggirono giù per il fiume per evitare la trappola; e molti lupi si rivoltarono contro i padroni, sbranandoli e squarciando morti e feriti, sbavando feroci e ululando al cielo.

Pareva che la vittoria fosse a portata di mano – Karin per prima l'aveva sperato, mentre scoccava la penultima freccia – quando un grido risuonò sulle alture sovrastanti facendole gelare il sangue nelle vene.

Una parte degli orchi aveva scalato la Montagna dall'altro lato e molti erano sui pendii sopra la Porta, e altri ancora scendevano a fiotti senza badare a quelli che cadevano gridando da rupi e precipizi, per attaccare gli speroni da sopra. Ognuno di questi poteva essere raggiunto dai sentieri che correvano dal massiccio centrale della Montagna; e i difensori avevano troppi pochi soldati per poter sbarrare loro la via.

Anche nel punto dov'erano appostati dovettero fare i conti con alcuni orchi; col cuore in gola, Karin si legò l'arco alla schiena e, con un unico movimento, estrasse Iris: veloce, l'abbatté sul primo mostro urlante spaccandogli il cranio sulla sommità. Il secondo orco non fu altrettanto impreparato, poiché parò un suo fendente e iniziò ad attaccare costringendola a indietreggiare di alcuni passi: e il precipizio era sempre più vicino.

Improvvisamente, però, l'orco si accasciò uggiolando, il sangue nero sgorgò dal petto; confusa, lo vide morire ai suoi piedi, ma nessun alleato le si mostrò.

<< Ah! Questa è la maniera di ringraziarmi? >>.

Bilbo.

Karin sorrise, notando il prossimo avversario: prima di correre definitivamente da lui, si rivolse all'amico << Grazie! Ora però rimani nascosto, ti prego! >>.

<< Assolutamente no! Ti guarderò le spalle: e non provare ad obiettare! >>.

Dovette scuotere la testa, decidendo di rispondergli più tardi: ora non era proprio il momento più adatto.

Passò molto tempo – o così le parve - prima che riuscisse a prendersi un momento per guardare con relativa calma la battaglia che infuriava sotto di lei; capì che non vi era molta speranza di vittoria. Avevano solo arginato il primo assalto furioso del mare nero.

Di nuovo, la domanda che più la tormentava si mostrò, e l'irrequietezza la ghermì.

Dov'era Azog?




Thorin era l'emblema della suscettibilità: rispondeva a grugniti o monosillabi e, anche se decideva di rimanere con gli altri, preferiva starsene in disparte a rimuginare, odiandosi.

Dopo aver scoperto la fuga di Karin era impazzito del tutto; si era messo a correre disperatamente, raggiungendo la terrazza di pietra: ma l'aveva trovata bloccata da grossi detriti, caduti a causa di Smaug.

Una rabbia cieca l'aveva pervaso: ruggendo furibondo il suo nome, aveva battuto innumerevoli volte i pugni sulla pietra, sentendo la pelle lacerarsi e sanguinare; aveva digrignato i denti quando si era reso conto di non avere più voce, ma non aveva prestato attenzione al dolore nelle mani, o al sangue fresco che gocciolava sulla collana, stretta in una morsa ferrea. Non riusciva a separarsene, benché meno a riporla in tasca: non ancora.

Era rimasto lì a lungo, o forse gli era parso così; infine era tornato in sé, anche se gli occhi azzurri non riuscivano a distogliersi dalle macchie rosse sulla pietra grigia.

Come aveva potuto ridursi in quello stato? Perché non deteneva più il controllo di ogni cosa? Lui era Re, ed era sempre stato giusto e fermo nelle decisioni che lo riguardavano, o che concernevano il suo popolo.

Non aveva mai sbagliato, da quando aveva preso sulle proprie spalle il fardello della sovranità. Invece, ora... tutto gli si era frantumato tra le mani, e non aveva potuto impedirlo.

Anzi, era riuscito solamente a peggiorare la situazione.

La colpa era unicamente sua, e non riusciva ad odiare Karin per averlo abbandonato come, d'altra parte, si era imposto.

L'aveva ferita, e le aveva fatto del male seppur implicitamente. Di nuovo, il ricordo della Stanza del Tesoro si riaffacciò, rendendolo irritabile.

Fu così che lo trovò Dwalin: con i pugni serrati e la mascella contratta, lo sguardo implacabile e duro rivolto alle macerie; Thorin sapeva che l'aveva aiutata a fuggire: non ne era certo, ma ne era conoscenza. E non sapeva se prenderlo come un fatto positivo o meno.

I suoi sospetti trovarono conferma poco dopo, non appena si accorse del suo arrivo.

<< Dunque le hai proposto la fuga >> disse, con voce incolore.

Dwalin strinse le labbra, mentre la collera tornava << Sì, è così. Perché, secondo te ho sbagliato a dirle d'andar via? >>.

Thorin si chiuse in un silenzio innaturale, che non gli apparteneva se era in collera, come dimostrava il suo corpo: però, interiormente, l'amico era certo del suo profondo tormento.

<< No, è stata una buona decisione >> disse piano, dopo lungo tempo << Non poteva più rimanere qui >>.

<< Infatti >> replicò, ben più duramente di quanto avesse voluto; sapeva che l'ultima cosa di cui avesse bisogno Thorin fosse l'astio del migliore amico, ma proprio non riusciva a calmarsi!

Continuava a rivedere il volto pallido di Karin, le sue lacrime sofferte, lo specchio del cuore spezzato nelle iridi nere e la consapevolezza di quanto quella decisione fosse drastica: ma necessaria.

<< Non devo rendere conto a te di ciò che faccio >> disse Thorin, punto sul vivo.

A dispetto della frase detta, il guerriero fu felice di sentirlo parlare con quel tono: significava che il Re sotto la Montagna era ancora lì, sepolto da qualche parte e non annientato definitivamente come credeva. Doveva solo cercare di farglielo comprendere.

<< E a Karin? >>.

Il nano contrasse nuovamente la mascella, abbassando lo sguardo sulla collana insanguinata: solo allora Dwalin la vide, ed ebbe un tuffo al cuore; ma lo dissimulò bene sbuffando piano.

Venendo udito dal re << Perché sei venuto? Spero sia qualcosa d'importante >> esclamò, facendogli intendere che, altrimenti, avrebbe potuto girare i tacchi e lasciarlo solo.

Certo che lo è. Riguarda il tuo bene, Thorin. Il vostro”.

Ma non riuscì a dirglielo << C'è movimento, nella piana. È iniziata la battaglia >> spicciolò, osservando le sue reazioni.

Come previsto, lo vide irrigidirsi e assottigliare lo sguardo << Da quanto? >>.

<< Un paio d'ore, ormai >>.

Stavolta fu il suo turno di sbuffare furioso << E come mai non ne sono stato informato prima? Là fuori c'è... >> si bloccò, respirando pesantemente per calmarsi; le chiazze rossastre sul volto si smorzarono, segno che era lucido << Dain potrebbe aver bisogno d'aiuto >> concluse a denti stretti. Dwalin alzò gli occhi al cielo, senza farsi vedere: quando sarebbe riuscito ad ammettere a voce alta che aveva bisogno di lei per essere felice?

Un mero sogno, vecchio mio. È troppo orgoglioso.

Anche Thorin non riuscì ad esternare i suoi sentimenti; in questo erano veramente simili, loro due: in fondo erano guerrieri, troppo duri e autoritari per abbassarsi a simili confessioni.

<< Dunque? Parlami, Dwalin: e vedi di non tralasciare alcun dettaglio >> ordinò, senza alcuna gentilezza.

Dopo aver incassato l'ennesima occhiata di fuoco che gli rivolse lo affiancò percorrendo a grandi e veloci passi i corridoi di pietra, parlando di quanto avevano potuto scorgere dalle strette aperture che avevano lasciato sulla Porta finché non raggiunsero la Sala del Trono, dov'erano riuniti gli altri: al loro arrivo scese un silenzio denso e pesante, poiché non avevano ancora accettato la partenza furtiva della nana e, anche se non l'ammettevano apertamente, attribuivano la colpa di ciò al loro sovrano; persino Kili e Fili erano risentiti, ma non avevano il coraggio di affrontare l'argomento: o meglio, non avevano il coraggio di discutere con un irrequieto e rabbioso Thorin.

E poi, sapevano bene quanto stesse soffrendo, anche se non voleva sfogarsi con nessuno, benché meno con loro; anche in quel momento potevano leggere il dolore sul suo volto austero, seppur cercando attentamente. Bastava solo saper guardare.

Furono loro a zittire il chiacchiericcio sommesso del gruppo all'arrivo dei due e, sempre loro, si alzarono e mossero qualche passo per avvicinarsi al parente, volendo ascoltare ogni parola che sarebbe uscita dalla sua bocca. Vennero imitati immediatamente dagli altri, ansiosi per ciò che avrebbe detto Thorin.

Ma non ci furono grandi discorsi pieni di speranza tipici dei Re degli Uomini, o dei Re degli Elfi: bastò solo un'occhiata fiera e determinata per accendere i loro cuori di uno spirito battagliero senza pari.

<< Là fuori c'è un nemico da annientare >> disse Thorin a voce alta, allacciando lo sguardo su ciascuno di loro << Crede di poter prendere ciò che non gli appartiene: ha tentato tempo fa ed è stato respinto. Questa volta non sarà diverso! >>.

Sguainò Orcrist, alzandola verso la gigantesca volta geometrica; urlò in nanico, e altre dodici voci risposero con ugual fermezza facendo sì che l'eco si disperdesse in ogni dove e risuonasse a lungo, a dar loro ulteriore forza.

I cuori batterono forte, rimbombando nelle loro orecchie: l'eccitazione era palpabile, la voglia di uscire e affrontare gli orchi a testa alta e con il coraggio tipico dei nani fece ribollire il sangue nelle vene.

Thorin li guardò un'ultima volta, sentendosi fiero e onorato d'essere accanto a loro; aveva avuto ragione, a Vicolo Cieco: non li avrebbe cambiati con un esercito dei Colli Ferrosi.

Lealtà, onore, un cuore volenteroso.

Non poteva chiedere di più.

E, ora, si sarebbe vendicato una volta per tutte: gli orchi di Azog stavano combattendo e lui si sarebbe fatto certamente vedere, prima della fine.

L'avrebbe ucciso, lo giurò in quell'istante su Mahal.

Poi avrebbe cercato Karin e se la sarebbe ripresa una volta per tutte.

Lo giurò, stringendo la collana.

<< Prepararsi alla battaglia! >>.




Le ore passavano, e Karin era sempre più stanca: aveva terminato la terza faretra, e la lama di Iris era impregnata di sangue scuro e secco.

Gli orchi si erano raccolti di nuovo nella valle; ed ecco che una schiera di Mannari arrivò in cerca di preda e, con essi, giunse la guardia del corpo di Azog, grandi orchi dalle scimitarre d'acciaio.

Infine, lo vide: cavalcando il suo Bianco Mannaro, Azog il Profanatore comparve sulla piana.

Sollevò il braccio sinistro, quello mutilato da Thorin durante la Battaglia di Azanulbizar, e diede ordine ai suoi orchi di attaccare con ferocia: ed essi eseguirono, aizzando le loro cavalcature su di loro, sbranando, dilaniando, mordendo, uccidendo.

Le lame si scontrarono, abbattendosi nella carne, mozzando arti e teste; grida e gemiti si mescolarono e invasero l'aria, arrivando fino alle orecchie di chi, ancora per poco, poteva considerarsi al sicuro.

Karin chiese altre frecce e, insieme agli elfi e a Legolas, cercò di abbattere il maggior numero possibile di nemici: tese la corda più che poté, rimpiangendo di non possedere più il suo arco corto; questo, benché più piccolo di quelli utilizzati solitamente dagli elfi, era quasi troppo grande per la sua stazza. Eppure riuscì a centrare diversi orchi mirando dritta alla testa deforme e orrenda, esultando intimamente, perché non poteva perdere la concentrazione: al contrario, Bilbo esultava ad alta voce anche per lei, gridando felice.

Avrebbe desiderato spedire una freccia dritta verso Azog, ma era troppo distante.

Si deterse il sudore dalla fronte, osservando il buio infittirsi nel cielo tempestoso; i grandi pipistrelli volteggiavano attorno alle loro teste - ed aveva anche un bel daffare per tenerli a bada - o si attaccavano come vampiri sui morti sul campo di battaglia.

Bard combatteva per difendere lo sperone orientale e retrocedeva a poco a poco: Karin si morse le labbra nel vederlo in difficoltà, essendo proprio in pena; gli uomini morivano violentemente, e il loro numero s'assottigliava sempre più.

Gli elfi, d'altra parte, resistevano accanto al loro re sullo sperone meridionale, vicino al posto di guardia di Collecorvo.

La confusione regnava sovrana, ma accadde qualcosa che la distolse dal pensiero della morte: ci fu un grido fortissimo, e dalla Porta venne uno squillo di tromba.

<< Thorin! >> gridò, senza rendersene conto; un sorriso le spuntò sulle labbra, accompagnato però da una forte paura, poiché ora temeva per la sua vita e per quella degli altri.

Non udì la risposta di Bilbo, ma era certa della sua felicità; i suoi occhi non smisero un attimo di lasciare la figura possente e alta del nano. Lo vide uscire fiero come il vero sovrano che era, rivestito di un'armatura scintillante: e nella penombra, brillava come oro in una luce morente.

Dietro vi erano gli altri, bardati in egual misura: ma nessuno aveva il suo portamento, il suo orgoglio, la sua spietata bellezza.

Gridò atterrita quando gli orchi fecero rotolare su di loro dei macigni, ma resistettero, precipitandosi a dar battaglia.

Li vide uccidere lupi e orchi, e molti fuggirono davanti a loro; Thorin assestava colpi potenti con Orcrist, e sembrava invulnerabile: combatteva senza sosta, un fuoco ardente brillava nelle iridi dandogli vigore. Ben presto il suo volto si sporcò di sangue, accrescendo il contrasto con i denti bianchi digrignati dal furore, con gli occhi azzurri che lei tanto amava.

Alzò Orcrist, ruggendo squillante come un corno nella vallata << A me, Elfi e Uomini! A me, miei consanguinei! >>.

Il cuore di Karin si riempì di un sentimento che non avrebbe potuto spiegare a parole; era certa solo di un fatto: doveva raggiungerlo per rispondere alla sua chiamata!

Tutti i nani di Dain si precipitarono in suo aiuto, senza badare allo schieramento; e molti Uomini del Lago si aggregarono, senza che il povero Bard riuscisse a impedirlo. A loro si aggiunsero molti soldati elfici, provenienti dall'altro lato.

Combatterono furiosamente, e gli orchi furono ancora una volta stretti d'assalto nella valle: gli alti cumuli dei loro cadaveri resero Dale scura e ripugnante.

Karin stavolta si unì ai festeggiamenti di Bilbo, urlando forte il suo sollievo insieme a decine e decine di alleati; ma, quando spostò lo sguardo, quello scemò e si trovò a rabbrividire: si era totalmente dimenticata del nemico più brutale.

Il fiato le si mozzò in gola quando capì che Thorin non sarebbe riuscito a sfondare i ranghi nemici; dietro di lui giacevano morti molti nani, uomini e elfi, insieme agli orchi. E man mano che la valle si allargava, il suo attacco si faceva meno impetuoso: ma Azog era sempre più vicino in quanto aveva scorto il suo acerrimo nemico, l'altro Durin che non era riuscito ad eliminare anni prima.

E la voglia di vendetta bruciava come quella mutilazione dove, un tempo, si trovavano il suo avambraccio e la sua mano.

Schiuse le labbra mentre percepiva di spostare l'arco sulle spalle, insieme alla faretra con solo una freccia al suo interno.

Come in un sogno, si sentì muovere lentamente. O forse fu solo una sua impressione; fu sicura, però, della mano di Bilbo che la strattonava cercando di tenerla lassù, unita alle grida disperate di Legolas che tentava di richiamarla: ma nulla fu sufficiente.

Si liberò violentemente, Iris ormai sguainata: scese lungo il sentiero stretto e polveroso, venendo avvolta dalle urla straziate, dai gemiti sempre più forti e gli strilli e pianti striduli di chi era prossimo alla morte.

Si sentì sopraffatta, la nausea l'assalì; represse più di un conato di vomito, ricacciandoli. Con sommo orrore notò i primi nemici correre verso quella facile preda e, nel vederli così combattivi, strinse maggiormente l'elsa di Iris ritrovando la forza di sopravvivenza necessaria per lottare con ogni grammo d'energia: si mosse rapida e letale, stupendosi di sé. Abbatté gli orchi ormai confusi e storditi, anche se in ben più di un'occasione si trovò in difficoltà: ma, grazie agli dèi, riuscì a superarli indenne, o quasi.

La spalla contusa le dolse, il sudore le imperlò la fronte mentre parava fendenti violenti e ne sferrava altrettanti, purtroppo con minor forza; ben presto si ritrovò al centro della battaglia, circondata da nani, uomini, elfi e orchi che cadevano sul suolo duro, ricoperti di sangue e aventi, negli occhi, l'ultimo scintillio di vita.

Quegli sguardi la sconcertavano, la terrorizzavano; ma nulla era paragonabile alla paura che provava nel vedere Azog avvicinarsi a Thorin, uccidendo coloro che incontrava lungo il suo cammino.

E il nano, impegnato com'era a combattere, non si era ancora accorto di nulla; forse, però, se fosse riuscita a correre...

Uccise con un feroce urlo un orco piuttosto agguerrito e, finalmente, iniziò la sua folle corsa: saltò con un balzo dei cadaveri, sentendo il tempo scorrere troppo velocemente: l'orco pallido le pareva così vicino!

Schivò degli elfi, urtò uomini, scansò orchi; il suo obiettivo si avvicinò sempre più, facendole tirare un sospiro di sollievo: doveva solo guadagnare tempo e trovare l'occasione giusta per scoccare quell'unica freccia.

Gli arrivò di lato, ma purtroppo non riuscì a coglierlo di sorpresa: Azog si girò come se l'avesse sentita arrivare, e abbatté un poderoso colpo con la sua ascia bipenne tanto potente da farla arretrare e piegare su un ginocchio.

Digrignò i denti mentre lo vide ghignare pericolosamente, avendola riconosciuta: il ricordo del loro primo scontro le tornò alla mente e, ora, si sarebbe replicato.

Egli parlò nella sua lingua aspra e raschiante ma non riuscì a capirne le parole, eccetto una: Thorin.

Azog aveva intuito il suo piano, e l'avrebbe uccisa dolorosamente per aver osato frapporsi fra lui e la sua preda.

Le lame intonarono il loro canto d'acciaio.

Ansimava sotto i colpi dell'ascia, scintille si sprigionavano dalla lama di Iris; la battaglia che infuriava attorno sembrava essersi dissolta: contava solo il volto collerico e pieno di cicatrici dell'orco, i suoi gelidi e crudeli occhi di ghiaccio. Il dannato era agile e veloce, ed estremamente potente; benché avesse combattuto non mostrava segni di fatica, al contrario di lei: era stanca, i muscoli erano in fiamme, le lievi ferite e contusioni si facevano sentire.

L'avrebbe uccisa senza pietà, ora ne era certa: il panico si impossessò del suo cuore riflettendosi nei suoi occhi; Azog se ne accorse, e la derise ridendo dei suoi sentimenti. Sapeva di essere in netto vantaggio: ancora pochi fendenti e avrebbe concluso quello spiacevole contrattempo.

Kari ormai si ritrovava unicamente a parare, sperando di difendersi il più a lungo possibile: ma era sfinita, mortalmente esausta.

Bastò una semplice distrazione, ma fu fatale: Azog la ferì alla coscia destra.

Gridò di dolore, sentendo il fuoco divampare in ogni dove, fino all'attaccatura dei capelli: mai aveva provato un simile tormento!

Sentì le forze venir meno, la gamba non sostenne il peso del corpo: si accasciò a terra, mentre il sangue colava copioso dalla ferita. Impaurita, vide il sorriso malvagio dell'orco ampliarsi, e allora comprese del tutto: non sarebbe sopravvissuta.



Thorin uccise l'ennesimo orco grazie all'aiuto di Dwalin e, l'attimo in cui cadde, si guardarono negli occhi consapevoli di un fatto: la loro schiera era troppo poco numerosa, i fianchi erano scoperti.

In ogni dove gli alleati cadevano ma la Compagnia resisteva, animata dall'energia benché ora fosse smorzata dalla fatica.

Presto furono stretti in un gran cerchio, fronteggiati da ogni lato, circondati da orchi e lupi che tornavano all'assalto; nessuno avrebbe potuto aiutarli, poiché l'attacco dalla Montagna era rinnovato con vigore, e su entrambi i lati uomini ed elfi stavano lentamente per venir sconfitti.

Era una situazione a dir poco disperata, su questo erano entrambi d'accordo.

Thorin mosse lo sguardo sulla carneficina che avveniva attorno, rabbioso e impotente: l'aver ucciso tutti quegli orchi non era servito a nulla, dato il loro numero nettamente superiore!

Strinse i pugni e serrò le mascelle, cambiando espressione un attimo dopo; gli si gelò il sangue nelle vene, la bocca si schiuse, gli occhi si spalancarono sperando d'aver visto male: ma non fu così.

A lunghi metri di distanza Karin era crollata a terra, il volto terreo e angosciato: davanti a lei si ergeva imponente e trionfante l'ultimo essere che Thorin avesse voluto vedere.

Azog.

Sentì il cuore fermarsi, non udì alcun battito.

No, non lei!

L'urlo disperato eruppe dalla sua gola come un boato.

<< KARIN! >>.

Senza rifletterci iniziò a correre, senza badare alle grida di Dwalin e degli altri; raccolse uno scudo tondo da terra, appartenuto probabilmente ad un nano.

Era tempo di pareggiare i conti con Azog: poco importava se fosse morto nel tentativo di riuscirci, ma gli avrebbe impedito con tutte le sue forze di prendersi per sempre la donna che amava.



Avanti si chiese perché non mi uccide?

Azog godeva nel vederla a terra, inerme e preda di un'agonia che andava oltre ogni parola, mentre il sangue rosso ruscellava copioso dal punto in cui la carne si era strappata; aveva poggiato la mano sul taglio cercando di fermare l'emorragia, ma aveva urlato disperatamente.

Le lacrime erano salite agli occhi ed erano scese sulle guance sporche; l'orco spalancò le braccia in segno di trionfo, alzando infine l'ascia.

Il petto della nana si alzava ed abbassava frenetico, la gola si era seccata da tempo, deglutire era doloroso; la vista offuscata dalle lacrime le impedì di vedere con chiarezza, ma la verità era che voleva serrare gli occhi. Morire coraggiosamente col capo alzato e lo sguardo fiero, senza mostrare alcuna paura... ah, quante volte l'aveva sognato!

Così suo padre sarebbe stato finalmente fiero di lei, quella figlia così diversa da loro, da lui.

Eppure, a ben pensarci, non erano mai stati tanto diversi, almeno caratterialmente. Però, ad un passo dalla morte, Karin era solo terrorizzata: singhiozzi la scossero, rendendola solo più vulnerabile e sciocca; ma non poteva farne a meno.

Attese col cuore in gola, udendo chiaramente quei sonori battiti che, di lì a poco, sarebbero spariti del tutto; ne provò una grande nostalgia, come se non le appartenessero già più.

E mentre lo vedeva levare la sua grande arma, provò una sorta di calma nonostante le fitte lancinanti alla coscia: era finita, dunque.

Tuttavia non fu così.

Qualcuno si intromise tra loro, usando uno scudo come riparo dall'ampio colpo d'ascia proveniente dall'alto; non riuscì a riconoscerlo, i contorni erano così sfuocati!

Il dolore le aveva raggiunto la testa, la sentiva spaccarsi in mille e più pezzi per poi ricomporsi e spezzarsi nuovamente, stavolta a metà precisa.

Ma quella voce... oh, quella voce! Non avrebbe potuto dimenticarla per nulla al mondo.

<< Thorin? >> esalò, incredula.

Il Re sotto la Montagna non si voltò, ma ora Karin riusciva a vederlo: l'armatura non più scintillante ma sporca di sangue emetteva ancora un piccolo bagliore di luce in quell'oscurità opprimente che sapeva di morte; la chioma nera era sudicia, piena di polvere e sangue rappreso. Riconobbe Orcrist, salda nella mano destra, e lo scudo ancora levato a contrastare il suo acerrimo nemico.

Cercò di alzarsi appoggiandosi meglio sui gomiti, ma la testa vorticava paurosamente: preda delle vertigini e di sudori gelidi, assistette al combattimento.

Era all'ultimo sangue, se ne accorse immediatamente: i rivali non si risparmiavano, abbattendo con potenza inaudita dei colpi mortali, che venivano sempre parati all'ultimo attimo. Thorin era implacabile e non risparmiava le forze, poiché voleva porre fine alla vita di Azog nel minor tempo possibile; ma così facendo era fin troppo feribile, schiavo della sua ira.

Fece indietreggiare l'orco pallido per lunghi passi, menando fendenti con Orcrist, facendole tagliare l'aria come si taglia qualcosa di molto morbido; però Azog parava, senza mai perdere l'espressione di chi sa perfettamente d'avere la vittoria in pugno.

Poi venne il suo turno di contrattaccare, riuscendo a mettere in seria difficoltà il nano: egli utilizzò lo scudo ancora e ancora, i colpi erano violenti e, ben presto, lo scudo si scheggiò più volte.

Karin respirò affannosamente quando quello volò in aria, lasciando sbigottito Thorin; ma non si perse d'animo e, con un urlo selvaggio, iniziò ad attaccare con foga sperando di indebolirlo.

Azog aggrottò le sopracciglia, sentendo forse le forze venir meno: gli parlò ma non riuscì a capire cosa stesse dicendo, e nemmeno Thorin, che lo ignorò e continuò a combattere.

Forse... forse era quello il momento adatto per scagliare la freccia. Non poteva attendere, non ora che notava una sorta d'indebolimento.

Ansimante, portò un braccio a prendere l'arco e la faretra; trattenne un grido di dolore quando si mosse leggermente, e strinse i denti talmente forte da sentirli quasi spezzarsi: con braccia tremanti incoccò la freccia, la corda tesa più che poté.

Proprio in quel momento, però, Thorin cadde.

Azog l'aveva colpito al petto ma, grazie all'armatura, non aveva riportato ferite: era stato il contraccolpo a farlo inginocchiare.

Karin urlò il suo nome, tremando così come tremava Thorin: era esausto, lo vide da come si appoggiò all'elsa di Orcrist; le rammentò una delle gigantesche statue di pietra che accompagnavano il passaggio nella Sala del Trono. Lui però, al contrario di quelle dritte e maestose sculture, era sofferente.

Azog sorrise crudelmente nel vederlo prostrato e si preparò a terminare ciò che non era riuscito a compiere nelle Montagne Nebbiose: estinguere definitivamente la stirpe di Durin.

Karin si riscosse parzialmente dalla debilitazione, quel che bastava per tendere l'arco e prendere la mira: doveva dargli un'opportunità di salvarsi, non poteva rimanere a guardare!

Si morse il labbro fino a farlo sanguinare, lasciandosi sfuggire un mezzo singhiozzo: espirando, lasciò andare la freccia, seguendola con lo sguardo ormai appannato.

A dispetto dell'indebolimento, andò a conficcarsi esattamente dove aveva sperato: nel braccio di Azog che, stupito, lanciò un grido guardando prima la freccia e poi lei, ancora con l'arco tra le mani insanguinate e scivolose.

Gli rivolse un sorriso sprezzante ma tirato, poiché la ferita le doleva da morire; fu in quell'attimo di distrazione che, fortunatamente, Thorin intervenne: si rialzò, affondando Orcrist nel petto possente dell'orco, quasi fino all'elsa. Urlò con il nemico mentre lo guardava negli occhi, capendo d'aver vinto.

Azog, però, mosse improvvisamente l'ascia mandandola contro la spalla di Thorin, appena sotto l'attaccatura della corazza; il nano gridò e gemette, mollando la presa sulla spada.

<< THORIN! >>.

Karin non si rese conto d'urlare finché non sentì la gola ardere, finché i colpi di tosse la scossero con impeto.

No, non adesso! Ti prego!

Crollarono in ginocchio uno di fronte all'altro, sanguinanti e ansanti.

Azog si sfilò Orcrist dal petto, lanciandola con spregio sul suolo impregnato di sangue secco; tentò di rialzarsi ma la ferita era troppo profonda, e il liquido rosso cupo sgorgava senza sosta anche dalla bocca, in un sottile rivoletto. Arrancò, crollando carponi: guardò un'ultima volta con profondo disprezzo il Re dei Nani, quel Durin che era riuscito dove lui aveva fallito.

Poi cadde a terra, morto.

Karin liberò il fiato trattenuto in un grande sospiro, ma ora era tremendamente preoccupata per la sorte del suo Thorin; con una fatica immane e con una buona dose di coraggio, si abbassò e iniziò a strisciare sul fianco sinistro, quello della gamba sana. Ora, i rumori della battaglia infuriavano come non mai, perforandole le orecchie: pianti le giungevano, ma non sapeva se erano dei valorosi soldati morenti o suoi.

Non sentiva più nulla, non capiva più nulla.

Voleva solo raggiungerlo e abbracciarlo ancora una volta, prima della fine.

Strisciò senza sosta, eppure le pareva di essere sempre troppo lontana; dal nulla, però, un dolore atroce all'avambraccio si sommò a quello della gamba, e le forze l'abbandonarono di colpo.

Gridò, lacerando l'aria, venendo udita da Thorin; lo vide girare il capo nella sua direzione, spalancare gli occhi e aprire la bocca: lesse il movimento delle sue labbra, capendo che urlava il suo nome.

Tese un braccio ricoperto di sangue verso la fonte del dolore, riconoscendo l'asta di una freccia; altre lacrime scesero, tracciando scie sul volto sporco di polvere, sudore e sangue.

La mano che avrebbe dovuto spezzarla tremò, il coraggio l'abbandonò; portò gli occhi lucidi di lacrime verso Thorin, che si stava rialzando a fatica per raggiungerla.

Ora in piedi mosse qualche passo, prima che una freccia gli trafisse una gamba; cadde di nuovo, mentre altri orchi si precipitavano verso di lui volendo vendicare il loro capo.

Angosciata, Karin si chiese perché nessuno dei loro compagni intervenisse: erano tutti così impegnati da non accorgersi della difficoltà in cui versava il loro sovrano? Dov'era Dwalin? E Gandalf? Gandalf doveva essere nei paraggi, giusto? Perché non faceva nulla?

<< Thorin >> sussurrò, sentendo tremiti e singhiozzi scuoterla; l'impotenza la fece disgustare di sé, della sua debolezza, delle sue stramaledette ferite: come poteva aiutarlo?

Lo accerchiarono, ma lo attaccò uno solo mentre gli altri si godevano quel macabro spettacolo; Thorin cercò in sé quel briciolo di forza necessario per contrastarlo, parando un colpo, schivandone un altro e, infine, riuscendo a staccargli la testa di netto. Il secondo avversario lo mise in difficoltà, ammaccandogli gravemente il pettorale dell'armatura; il nano barcollò, tentando di rimanere in piedi: e fu allora che, finalmente, qualcuno sembrò udire le preghiere silenziose della ragazza.

Kili e Fili corsero accanto al parente, eliminando gli avversari con pochi colpi: Fili poi gli gridò qualcosa e la indicò, probabilmente incitandolo ad andare a prenderla; Thorin però, dopo qualche passo incerto si accasciò al suolo, sanguinando terribilmente dalle ferite.

<< Thorin! >> la voce le uscì più forte di prima, ma comunque esile e debole, esattamente come si sentiva in tutto il corpo. Freddo e caldo si alternavano facendole battere i denti e sudare come non mai: era così spossata, così stanca! Aveva solo una gran voglia di dormire e lasciarsi alle spalle ogni brutto ricordo di quelle ore.

Però non poteva chiudere gli occhi, lo sapeva: altrimenti non si sarebbe più svegliata. E come poteva contrastare quella sonnolenza così pesante, quel dolore che non le dava pace?

Non guardando Thorin perché capiva che, come lei, non sarebbe sopravvissuto.

Che ironia! Infine, era questo ciò che il destino le aveva riservato? Patire lunghi anni lontana dall'uomo che amava per un equivoco, ritrovarlo e amarlo per poi perderlo definitivamente, separati dalla morte?

O forse, piuttosto, essa li avrebbe riuniti per l'eternità così come l'avrebbe riportata dai suoi genitori.

Pensieri sciocchi e inutili, eppure di grande conforto ad un passo dalla dipartita.

I battiti del cuore erano sempre più flebili, l'affaticamento immane, la sonnolenza persistente: forse poteva semplicemente riposarsi solo un pochino, dopodiché avrebbe ritrovato le forze e sarebbe corsa da lui.

Sì, sarebbe andata così.

Sorrise amaramente nel comprendere la grandezza di quella bugia; sorrise all'indirizzo di un agonizzante Thorin, a terra a pochi metri da lei, eppure tanto irraggiungibile.

Lo vide aggrottare la fronte perplesso e poi piegare la bocca in un sorriso dolente e fiacco, che la fece piangere e ridere al tempo stesso.

Sarebbero morti insieme.

Null'altro contava.

Quella era la loro fine, l'ultimo atto prima del risveglio in quella terra verde carica di riposo e pace.

Lo vide chiudere gli occhi, lentamente, come fosse in procinto d'addormentarsi.

<< Ti amo >> bisbigliò, sentendo le ultime lacrime scendere dagli angoli degli occhi e infrangersi a terra.

Poi la vista si annebbiò definitamente e abbassò le palpebre, esalando l'ultimo respiro.






CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Oddei celestiali, ho le lacrime ç______ç! Cavoli, spero d'aver reso bene il tutto: per me – e per lo svolgimento della storia - è un capitolo a dir poco importante! Se notate che il combattimento prima dell'arrivo di Azog sia descritto “poco” o comunque non dettagliato, non temete: l'ho fatto di proposito, appunto perché volevo lasciare più spazio alla battaglia contro l'orco pallido. Spero vi sia piaciuto, e così anche la colonna sonora ;), che io adoro *_______*
Mamma, spero bene, incrocio le dita!!!

Ringrazio le carissime e specialissime Lady_Daffodil, vanessa90, J_ackie, Carmaux95, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack, Krystal91e LilyOok_. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!! inoltre ringrazio Aven90 per avermi lasciato una recensione e per aver iniziato a leggerla, così come ringrazio chi lo fa ogni giorno ^^

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra Anna <3

P.S. Purtroppo questa fantastica avventura si sta concludendo :'( ; non so di preciso quanti capitoli manchino, penso tre-quattro. In ogni caso, non posso fare a meno di ringraziarvi per il meraviglioso sostegno, ma il discorsone strappalacrime dovrà attendere :D!




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Capitolo 23
*** Capitolo ventitre ***


Note autrice: eccomiiii!!! Voglio solo lasciarvi questa colonna sonora di un telefilm della Bbc dove recitava il nostro bel Richard: “North & South”: vi chiedo di ascoltarla verso la fine del capitolo. Ah, preparate i fazzoletti :') : vi ho avvisate!

http://www.youtube.com/watch?v=ycCpSJcQJCM




CAPITOLO VENTITRE



La Sala del Trono non è mai stata illuminata come in quel momento.

La luce proviene dalle gigantesche finestre, raggi di sole entrano prepotenti a rischiarare l'immensa stanza; giochi di chiari e scuri si alternano sulle grandi statue di pietra, in uno spettacolo bello da togliere il fiato.

Anche lei ne è affascinata, ed è partecipe di quell'irraggiamento dorato che giunge fino al suo vestito: è sontuoso, però si sente a suo agio nel corpetto indaco impreziosito di ametiste e fili argentati e nella lunga gonna dello stesso colore e stessi ornamenti, simili a quelli che intercorrono sul pesante mantello blu bordato di pelliccia nera di colui che le da' le spalle.

Può vedere solo la lunga chioma nera striata di ciocche bianche e l'ampia schiena coperta dal mantello, anch'esso magnifico.

Anch'esso regale.

Sorride, il cuore batte placido all'interno della gabbia toracica; è tranquilla e serena, nessun pensiero negativo la sfiora.

È a casa, con lui.

Nient'altro conta.

Impaziente, vede che si gira lentamente: allarga il sorriso, è pieno di quell'amore che non sempre riesce ad esprimere a parole, ma che prova da tempo immemore.

Si smorza lesto, come se una secchiata d'acqua gelida l'avesse colpita.

Lui non sorride.

I suoi occhi azzurri non sono amorevoli né felici: sono pieni di rabbia, e di disprezzo profondo.

Tra le mani regge la sua collana di mithril, quella che gli ha lasciato quando se n'è andata: è insanguinata, grosse gocce rosse cadono verso il pavimento di pietra in un suono ritmico.

Plic.

Plic.

Plic.

Aggrotta la fronte, titubante: non sa che succede.

Ma sa che non promette nulla di buono.

Lo chiama, però la bocca non emette alcun suono: si apre, non accade nulla.

Porta una mano alla gola, eppure è tutto a posto; allora perché non parla?

Lui intanto si avvicina, lo sguardo manda bagliori di fuoco.

<< Perché te ne sei andata? >> urla rabbioso.

Vuole rispondergli, ma farlo è così complicato!

<< Avevi detto che non mi avresti lasciato, Karin! >> continua, fuori di sé.

Poi agita la collana davanti al suo volto, schizzi la raggiungono e si infrangono sulla pelle << E' così che dimostri il tuo amore? Con una collana fredda, senza un corpo che la indossi? >>.

Le urla si spargono lungo tutta la Sala, l'eco rimbomba e li accompagna a lungo, finché non riprende ad esternare il suo livore.

<< Mi fidavo di te più di qualunque altro mio compagno! Non è questo il trattamento che mi merito! >>.

Paonazzo in volto alza il braccio e, con un unico movimento veloce, scaglia la collana a terra.

Segue il percorso fino al pavimento, la vede frantumarsi in miriadi di pezzi: come lo è il suo cuore. Scioccata, alza gli occhi lucidi di lacrime verso il suo volto, che non mostra segni di turbamento né di dispiacere.

Vuole parlargli, ma non riesce.

E lui, lui è talmente arrabbiato!

Non indietreggia quando lo vede percorrere a grandi falcate la minima distanza che li separa perché, in fin dei conti, ciò che desidera è sentirlo vicino.

Vuole abbracciarlo, a dispetto di tutto.

Vuole baciarlo, perché senza di lui non è niente.

Vuole urlargli che l'ama, anche se ha distrutto l'oggetto che, per lei, è più importante di qualsiasi altra cosa.

O meglio, era.

Riporta lo sguardo alle schegge argentate, il groppo in gola le impedisce di deglutire.

Lo spostamento d'aria è talmente vicino che la fa sobbalzare, le labbra di Thorin sono ad un nonnulla dal suo orecchio.

<< Ti amo >>.

La gioia che prova non è esprimibile a parole: il cuore scoppia di felicità, le lacrime si riaffacciano e pungono agli angoli degli occhi; vorrebbe ridere ma le manca la voce, allora sorride apertamente.

Di nuovo, però, la bocca si deforma divenendo una smorfia.

Una smorfia di sofferenza.

Spalanca la bocca alla ricerca d'aria; non capisce, cosa succede?

Il dolore raggiunge limiti che mai avrebbe immaginato, proviene dal ventre; gli occhi cercano la causa delle fitte lancinanti, e rimane allibita.

La lama di Orcrist – la sua Orcrist! - le ha perforato il corpo lacerandole la pelle.

Impregnata di sangue che scorre senza sosta, l'arma manda bagliori di luce, riflettendo i coni di sole che provengono da quelle finestre che contemplava con tanta spensieratezza.

Perché l'ha fatto?

Sgrana gli occhi, il dolore è assurdamente insopportabile.

Porta una mano ad afferrare la camicia di Thorin, stringe convulsamente; l'altra, invece, si abbassa per cercare di sfilare la spada.

Serra gli occhi, non ce la fa, le forze crollano.

Vorrebbe gridare, dirgli di smetterla, chiedergli che gli è preso: ma non riesce.

Improvvisamente sente qualcosa di diverso; la camicia sembra sparita, le dita percepiscono pelle fredda, e nuda.

Rialza le palpebre, il terrore la ghermisce in una morsa.

Azog ha preso il posto di Thorin.

Tenta di divincolarsi dalla sua presa, ma è forte; le serra il braccio con la mano sinistra, ora presente.

L'altra è saldamente attorno all'impugnatura dell'ascia, torce con malcelato divertimento.

La sua risata è raschiante e brutale, le mette i brividi nonostante gli spasmi acutissimi; ora piange senza sosta, vuole andarsene, rivuole Thorin.

Come mai se n'è andato?

Oppure non le era mai stato accanto, ed ha avuto solo delle allucinazioni.

Il ghigno di Azog si amplia, affonda la lama con animalesca crudeltà, beandosi delle sue grida mute.

Sente la colonna vertebrale spezzarsi, gli organi squarciarsi. E il sangue cola, cola, cola.




Impiegò lunghi minuti per svegliarsi: dapprima riprese possesso dei suoi pensieri, benché molto confusi; poi iniziò a captare suoni lontani e indistinti, l'olfatto le fece arricciare il naso e salire la nausea: odori di sangue, disinfettante, erbe e morte aleggiavano nell'aria.

Poi venne il turno del corpo, ma per quello servì più tempo del previsto: iniziò a muovere le dita delle mani, a contrarre i muscoli di braccia e gambe. E fu allora che notò qualcosa di strano.

La gamba destra.

Non riusciva a sentirla.

Aprì gli occhi di scatto, riconoscendo il telo di una tenda d'accampamento: per un attimo tralasciò il pensiero dell'arto ripensando all'incubo, provandone orrore: la collana frantumata, Orcrist nel ventre, il volto furioso di Thorin e poi quello perfidamente divertito di Azog...

Chiuse gli occhi, non volendo rimembrare.

Abbassò il capo notando di essere distesa su una piccola branda, quindi dedusse di trovarsi nella sua tenda; istintivamente fece scivolare una mano sotto la coperta, percependo la consistenza ruvida di una camicia da notte di lana grezza: raggiunse il ventre, sentendolo intero e liscio.

Espirò sollevata e, stringendo i denti, decise che era tempo d'alzarsi: con calma cercò di farsi leva sui gomiti, ma la testa vorticò paurosamente e il fastidio l'assalì ancora, più forte di prima.

Lentamente ridiscese, appoggiando la nuca sul guanciale; con le dita della mano sinistra artigliò un lembo del panno, scostandoselo dal corpo: così facendo, però, si lasciò sfuggire un mezzo grido. Si era completamente dimenticata della ferita all'avambraccio!

Strinse le labbra e si morse l'interno guancia, respirando affannosamente; espirò ed inspirò diverse volte prima di riuscire a placarsi e, con assoluta cautela, continuò nel suo proposito.

Abbassò la mano destra verso la coscia, alzando la camicia fino all'ombelico: le dita sentirono al tatto la consistenza leggera e sottile della garza, fasciata strettamente sul punto in cui l'ascia di Agoz l'aveva trafitta.

Ma la gamba... non sentiva alcuna pressione né schiaffo leggero che diede nel tentativo di capirci qualcosa.

Si preoccupò, la gola si inaridì e un'immensa voglia di piangere e urlare si annidò nel petto.

Gemette quando pizzicò la pelle e si rese conto di non sentire veramente alcunché, al contrario dell'altra gamba.

Non può essere, no! No!

Gridò spaventata, preda di una nuova ondata di panico << Bilbo! Dwalin! Aiutatemi!!! C'è qualcuno? AIUTO! >>.

Tentò di rialzarsi, lacrime di frustrazione scesero fino al mento per poi crollare verso il materasso: e crollò anche lei, quando si rese conto di essere troppo debole.

Se le asciugò con stizza quando vide il lembo della tenda scostarsi e la faccia di Dwalin mostrarsi ai suoi occhi gonfi e rossi.

<< Karin! >> esclamò, sorpreso << Non avresti dovuto svegliarti così presto >> le disse, a mo' di rimprovero.

<< Che mi succede? >> chiese timorosa << La gamba, io non... oh, Dwalin! >> un singhiozzo sconcertato le sfuggì dalle labbra quando riuscì a vederlo meglio in volto, ma nessuna lacrima scese.

Il nano guerriero entrò nella tenda, l'unico occhio non coperto da una spessa benda che attraversava tutta la testa calva la guardava in maniera indecifrabile, forse perfino scocciata.

<< Non servono a nulla tutte queste scene >> parlò, duro << Si tratta solo di un sopracciglio spaccato >> concluse, agitando la mano e sedendosi con uno sbuffo stanco su una seggiola di legno accanto al letto.

<< Solo un sopracciglio? >> ripeté, ben scettica << Sembra piuttosto che abbiano tentato di togliertelo, quell'occhio >>.

<< Ci sono andati vicini >> l'osservò, incrociando le braccia al petto << Tu come stai? >> chiese, sinceramente preoccupato.

Karin rispose immediatamente, senza pensarci due volte << Male. Cosa è accaduto dopo che sono stata ferita? Come stanno gli altri? E Thorin? >> la voce tremò, e dovette schiarirsi la gola mentre attendeva la risposta.

Dwalin sembrò stringere maggiormente le braccia al petto, o forse fu solo una sua impressione.

<< La battaglia sembrava perduta, ma fortunatamente sono sopraggiunte le Aquile, chiamate da Gandalf; hanno snidato gli orchi dai pendii montani, scaraventandoli giù per i precipizi o sollevandoli in aria, riuscendo così a liberare la Montagna. Il nostro numero, però, era comunque inferiore: ed è stato allora, quando anche l'ultima speranza sembrava perduta, che è comparso il mutaforma >>.

<< Beorn? >> domandò stupita, reprimendo una smorfia mentre tentava di sedersi meglio; dopo che Dwalin le ebbe lanciato un'occhiataccia, tornò a sdraiarsi.

<< Sì, venne da solo e in forma d'orso; riuscì a spazzare lupi e orchi come fossero piume, e irruppe nell'accerchiamento. Gli orchi rimasti fuggirono, o comunque tentarono: molti soldati li inseguirono, comprese le aquile e lo stesso Beorn. Stanno dando loro la caccia anche in questo momento, e con la nuova alba non sarà difficile scovarli: presto saranno di ritorno >>.

Rimase in silenzio, guardando altrove; Karin finì di elaborare quanto aveva appena saputo, sentendo una dolorosa stretta al petto: il nano aveva risposto solo ad una domanda.

<< Dov'è Thorin? >> sussurrò, conscia d'essere stata comunque udita.

Di nuovo, il silenzio fece da padrone.

Spazientita e tremendamente preoccupata, strinse i pugni << Dwalin! Dove è Thorin? >> scandì bene, senza temere di nascondere l'ira che montava.

Perché non diceva nulla? Era capitato qualcosa di talmente grave da non poter essere detto?

Mi sta nascondendo che Thorin è morto?

Ricacciò quel pensiero, pronta ad urlare contro l'amico ritrovato e disposta a litigare brutalmente, perfino; tutto, pur di sapere.

Aprì la bocca, ma in quel momento qualcuno entrò nella tenda; lo riconobbe dal suono della voce, non essendo riuscita a vederlo in volto.

<< Karin! Giorni celesti, sei sveglia! >>.

Bilbo corse trafelato verso la brandina, gli occhi grigi lucidi e il volto stanco e tirato; le prese una mano tra le sue baciandole il dorso con sollievo, bagnandolo con lacrime salate.

<< Non sai la pena che ho provato nel vederti in queste condizioni! Come ti senti? La gamba ti da' noia? >>.

Scosse la testa, amareggiata << A dirti la verità, Bilbo, non la sento nemmeno >> terminò, abbassando gli occhi.

<< Oh, ma è assolutamente normale! >> esclamò, stringendole la mano << Il medico, sai, ha dovuto ricucirti quel brutto taglio, o avresti fatto infezione: così ha utilizzato l'anestetico >> le sorrise affettuoso, asciugandosi gli occhi con la mano libera; lanciò un'occhiata a Dwalin per poi riportare lo sguardo su di lei << Ho temuto per te, amica mia >> bisbigliò, chinandosi a baciarle la guancia: fu un bacio umido, ma ebbe il potere di risollevarle lo spirito.

Solo per poco.

<< Sono davvero lieto! Almeno tu ti sei ripresa >>.

Karin aggrottò la fronte, mentre brividi gelidi percorsero la schiena << Chi altri è ancora dormiente? Thorin? >>.

Bilbo perse ogni parvenza di sorriso, e di felicità; il volto ridivenne serio, tremendamente dispiaciuto.

<< Per favore >> li supplicò, angosciata << devo sapere >>.

Strinse la mano dello hobbit, facendogli comprendere quanto quel desiderio fosse forte: la stavano torturando lentamente, non mettendola al corrente della situazione del suo re. Del suo Thorin.

<< Lui... ha riportato delle gran brutte ferite, Karin >> spiegò Bilbo, evitando i suoi occhi.

<< E' vivo? Bilbo, è vivo? >>.

<< Sì. Ma non per molto, credo. Mi dispiace >> esalò, mentre un'altra lacrima solitaria scendeva.

Karin guardò Dwalin, rimasto impassibile durante il dialogo; dapprima si sentì vuota, come se al posto del cuore si stesse allargando un enorme buco nero, poi però qualcosa cambiò: doveva assolutamente combinare qualcosa. Non poteva rimanere lì senza far nulla!

<< Vado da lui >> disse, asciutta; fece leva sui gomiti e, mordendosi il labbro, si mise seduta: non volle badare alla testa che le doleva e le girava, né al fastidio dell'avambraccio ferito. Grugnì, mentre Bilbo tentava in tutti i modi di calmarla e rimetterla stesa.

<< Karin, no! Sei ancora troppo debole, hai perso molto sangue! >> squittì, spaventato nel vederla perdere quel poco di colore racimolato.

<< No, voglio andare da lui, e non sarai certo tu ad impedirmelo >>.

<< Ti chiedo di ragionare, Karin. Ti prego! >>.

<< Nessuna assurda preghiera mi farà cambiare idea! Lasciami andare, Bilbo, o sarò costretta ad impugnare Iris: mettimi alla prova >> lo sfidò, lanciandogli uno sguardo di fuoco.

<< Non potresti aspettare un po'? >> tentò ancora lo hobbit, la voce però sempre più incerta di fronte alla determinazione e al furore della ragazza.

<< Aspettare? >> ripeté sdegnata << E cosa, di saperlo morto e di non essere rimasta al suo capezzale per l'ultima volta? Mi chiedi troppo. Se mi vuoi bene come dici, lasciami andare >>.

Era un colpo basso, lo sapeva: giocare con i forti sentimenti che Bilbo provava per lei era scorretto, ma era l'unica scelta che avesse per andarsene da quella maledetta tenda.

Bilbo corrugò le sopracciglia ed espirò, guardando poi Dwalin per cercare appoggio << Dille qualcosa anche tu, per favore! Convincila a rimanere qui per qualche ora >>.

I nani iniziarono un lungo gioco di sguardi: nessuno voleva cedere, e sondarono le anime dell'altro come non accadeva da tempo, quando bastava una semplice occhiata per capirsi. Infine, il nano guerriero si alzò dalla seggiola, sciogliendo le braccia muscolose.

<< Andiamo >>.

Il cuore di Karin scoppiò di sollievo, e gli sorrise riconoscente.

Bilbo spalancò la bocca incredulo, per poi scuotere la testa riccioluta << Ah, nani! >> commentò solamente, come se questo potesse spiegare tutto.

Karin lasciò che Dwalin la prendesse in braccio prima di rivolgersi nuovamente allo hobbit << Se dovesse morire non potrei mai perdonarmi la mia assenza. Lo capisci, vero? >>.

Bilbo sospirò dopo alcuni secondi di silenzio << Sì. Capisco bene ciò che vuoi dire. Sono d'accordo con te, ma vedi di non strapazzarti! Sei ancora così affaticata >>.

<< Va bene >> gli sorrise, rincuorandolo con un'energica stretta di mano e una carezza.

Dwalin si incamminò, uscendo finalmente da quella prigione di tela; la luce rosata dell'alba appena sorta l'accecò un poco ma portò la mano a schermarsi gli occhi, riconoscendo la vecchia città di Dale.

Le molte tende dell'accampamento erano ancora al loro posto, però ve n'erano anche di nuove: con sommo stupore capì che anche i nani dei Colli Ferrosi avevano deciso di accamparsi in quel luogo, insieme a Uomini e Elfi.

Troppo impaziente e ansiosa non si permise d'esser lieta per questa novità, ma numerose voci concitate e allegre la destarono dai tristi pensieri.

I membri della Compagnia si stavano dirigendo verso di loro, tutti con un gran sorriso sulle labbra e gli occhi colmi di contentezza: e anche lei, bene o male, sentì le labbra piegarsi in un enorme sorriso sollevato.

<< Karin! Che bello rivederti tutta intera! >> esclamò Bofur, sventolando una mano guantata; percorse il suo corpo con gli occhi, accennando una smorfia buffa << Bé, più o meno >>.

Ridacchiò con loro, sentendo la tensione smorzarsi lievemente << Sono felice di sapervi illesi! Avete qualche ferita grave? >> volle sapere, lasciandosi sfuggire un tono preoccupato.

<< Solo qualche graffio, nulla di più >> rispose Balin, allargando le braccia per farsi esaminare << Come puoi notare stiamo bene, e camminiamo sulle nostre gambe >> il sorriso con cui le si era rivolto scemò d'un tratto << Piuttosto, tu come stai? Eravamo in pensiero >>.

Le accarezzò il braccio ferito, guardandola negli occhi velati di pena; ah, quante domande e pensieri sottintesi nello sguardo che si scambiarono! E come trapelò il meraviglioso e gigantesco conforto nel sapere l'altro vivo ed in salute più che sufficiente per continuare il lungo viaggio in quel mondo!

Ciononostante, nei loro occhi si riflesse anche lo smarrimento e la paura nel sapere in quali condizioni versava Thorin – persona a loro veramente troppo cara.

Padre e compagna cercarono negli occhi dell'altro la forza adatta per non perdere la speranza, e quel coraggio che sarebbe servito finché non si fosse conclusa ogni cosa. Nel bene e nel male.

<< Starà bene, vedrai >> le sussurrò Balin, così che solo lei potesse udirlo << E' un Durin >>.

Lei accennò un mezzo sorriso, stringendo con affetto la mano del vecchio nano; egli agitò l'altra davanti al volto, forse per impedirsi di commuoversi.

Karin alzò lo sguardo dal suo, spalancando un poco gli occhi: Legolas si stava avvicinando, salutando i nani con rispetto. Dietro di lui veniva Gandalf, con un braccio appeso al collo ed il solito sorriso contento sulle labbra.

<< Ah! >> commentò solamente nel vederla, seppur in braccio a Dwalin << Non temere, non è nulla di grave! >> spiegò indicando il suo braccio, in risposta allo sguardo curioso di lei.

<< E' bello saperti sveglia, Karin. Mio padre ci tiene a farti avere i suoi saluti >> disse l'elfo, regalandole un piccolo inchino.

<< Grazie. Dove si trova? >> chiese, rispondendosi poi da sola << Immagino partecipi alla caccia agli orchi >>.

Legolas annuì << Soprattutto lui. Poco fa è giunto Roac, mettendoci al corrente della situazione: sono riusciti ad ucciderne molti e saranno di ritorno presto, verso mezzogiorno >>.

<< Te l'avevo detto >> borbottò Dwalin, ormai stufo di tenerla in braccio.

D'improvviso, fu come se un lampo avesse squarciato la sua mente: guardò i suoi amici, notando l'assenza di qualcuno.

<< Kili e Fili! >> gridò, dimenandosi improvvisamente tra le braccia del nano che, per poco, non la fece cadere << Dove sono? Loro... erano accorsi in aiuto di Thorin durante la battaglia! >>.

<< E' esatto >> disse Gandalf, sospirando gravemente << Sono stati feriti, dopo aver combattuto valorosamente; sono in una tenda, poco lontano da quella di Thorin: ti stavi recando là, immagino >>.

<< Sì >> abbassò il capo, cercando di nascondere agli altri il suo profondo turbamento; rialzò la testa di scatto, puntando lo sguardo nero sul volto di Dwalin.

<< Va' da loro >> ordinò, stringendogli la camicia.

<< Lo farò dopo che ti avrò accompagnata >> rispose seccamente lui.

Ma Karin scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli ancora sporchi << Vacci ora, o potresti pentirtene. Vigila sui figli di Dìs: non c'è persona più adatta di te, e lei vorrebbe così >>.

Dwalin contrasse la mascella, stringendo involontariamente il suo corpo; in combutta con se stesso, alla fine decise: la consegnò a Legolas, e Karin poté percepire chiaramente la differenza di presa. Quella del nano era forte, quella dell'elfo era più gentile, come se avesse timore di farle male. Però, non per questo, meno salda.

Il nano li salutò per poi camminare a grandi falcate, mentre loro si trattennero un altro po' con gli altri: Karin parlò con tutti, abbracciandoli con qualche difficoltà data l'altezza dell'elfo e il fastidio provato al braccio; la gamba, al contrario, era ancora insensibile.

Dopo quelle che le parvero lunghe ore si congedarono, percorrendo la stessa strada di Dwalin; camminarono in silenzio per un po', finché non lo spezzò.

<< Anche io sono felice di saperti vivo, e vorrei chiederti perdono riguardo la mia impulsività durante la battaglia: ma non potevo rimanere in disparte >>.

<< So cosa ti ha spinta a correre in quel modo; o meglio, chi >> sorrise furbamente e la guardò negli occhi, svoltando lungo una nuova fila di tende << Avrei compiuto la medesima azione, se la persona da me amata si fosse trovata in difficoltà >> ammise << Però la prossima volta sei pregata di avvertirmi in tempo: non hai idea della paura che ho provato >>.

Il tono serio la fece vergognare, ma si disse che non avrebbe mai voluto cambiare ciò che era stato.

<< Spero non ci sarà una seconda volta >> borbottò.

Finalmente l'elfo si fermò e, col cuore che galoppava anche troppo velocemente, attese d'entrare; eppure, quando varcarono la soglia, ebbe un potente desiderio d'uscire.

L'odore di morte che aleggiava nell'aria le fece mancare il fiato, ed ogni speranza.

Gli occhi si riempirono di lacrime ancor prima di vederlo disteso sul giaciglio, col volto ancora percorso da ferite rosso vermiglio; una coperta le nascondeva il petto nudo fasciato con bende, e l'olezzo che emanavano suggerivano che dovevano essere cambiate in fretta.

Non seppe spiegarsi i sentimenti che le invasero il cuore, ma la voglia di piangere e urlare il suo nome fino a svegliarlo fu tanta.

Incontenibile.

Legolas la depose delicatamente sulla seggiola accanto alla branda, guardandosi poi attorno alla ricerca di qualcosa << Vado a cercarti un'altra sedia, poiché devi tenere la gamba distesa; nel frattempo tenterò di capire dove possa trovarsi il medico >>.

Karin non sembrò udirlo, troppo impegnata ad osservare il volto dell'amato; quando comprese d'essere sola, alzò una mano e sfiorò dolcemente la sua guancia.

<< Thorin, sono qui >> avrebbe voluto dire altre parole, ma le si impigliarono in gola; si diede della sciocca, certa di non essere stata udita: che senso aveva parlare con qualcuno che non poteva né sentirti né risponderti?

Invece di star meglio si sentì decisamente peggio.

Doveva agire, o sarebbe impazzita dalla tristezza che le appesantiva il cuore. Spostò gli occhi alla sua sinistra, accorgendosi di un basso catino bianco riempito d'acqua dove, sul bordo, si trovava una pezzuola pulita: si allungò più che poté, riuscendo a prenderlo non senza qualche imprecazione trattenuta a fatica.

Sospirò pesantemente quando se lo pose in grembo e, con la gamba sana, spinse la sedia poco più vicina alla branda in modo da essere agevolata nei movimenti; intinse la pezza nello specchio limpido, strizzandola con energia finché non smise di gocciolare: poi, delicata e leggera, la adagiò sulla fronte del nano dove, a destra, campeggiava un lungo ed esteso taglio che arrivava fino alla glabella. Tamponò, ma fu costretta ad utilizzare un po' più di energia per rimuovere il sangue ormai rappreso: dopo alcuni minuti sospirò soddisfatta, guardandola ora pulita e ridimensionata in larghezza - purtroppo non in lunghezza – e posò gli occhi sull'acqua già rossastra.

Una smorfia le distorse i tratti del volto stanco: un lieve fastidio iniziava a propagarsi dalla coscia, espandendosi fino al piede; l'anestesia stava dissolvendosi in fretta e, presto, il dolore sarebbe stato atroce da sopportare. Almeno finché il medico non avesse provveduto.

Si concentrò sul ripulire le ferite visibili di Thorin, fin dove riuscì ad arrivare con la gamba malandata; non pensò molto, a dir la verità, limitandosi a compiere gesti meccanici quali immergere la pezzuola e pulire i tagli, o passargliela tra i capelli per togliere ogni residuo di polvere e sangue.

Infine ripose il tutto, prendendo tra le mani uno straccio pulito: stavolta glielo poggiò sulle labbra sottili, bagnandole per non farlo disidratare, e poi lo mise sulla fronte, constatando quanto questa scottasse.

Rimase immobile a lungo, osservandolo: il petto si alzava ed abbassava regoalare, eppure molto flebile; la pelle era percorsa da goccioline di sudore, segno che la febbre si stava alzando pericolosamente.

Bagnò innumerevoli volte la pezzuola, dato che si seccava facilmente, e poi tentò di non sussultare ad ogni fitta o movimento improvviso.

Altre lacrime scesero durante quel tempo interminabile però le asciugò sempre, speranzosa: se si fosse risvegliato si sarebbe preoccupato nel vederla con gli occhi rossi e lucidi; e lei non aveva alcuna intenzione di dargli quel dispiacere.



<< Karin >>.

Trasalì sulla sedia quando udì la voce di Legolas alle spalle, e girò il busto reprimendo un gemito: stando per ore in quella scomoda posizione si era irrigidita, necessitava di sgranchirsi un po'; un mero sogno, data la gamba.

L'elfo reggeva tre le mani una sedia di legno in buone condizioni e, dietro di lui, veniva un nano dalla corporatura robusta e dalla lunga barba grigia, annodata in numerose e sottili treccine; i capelli del medesimo colore erano anch'essi pettinati in varie trecce, ma la chioma era fluente nonostante l'anzianità. Karin giudicò potesse avere la stessa età del padre, se fosse stato ancora in vita.

Lo osservò attentamente e così fece lui, lasciando trapelare la disapprovazione con sonori sbuffi e occhiate severe.

<< Così non va bene, mia signora: devi riposarti e stare distesa >> disse con voce profonda e burbera << La guarigione altrimenti non avverrà in tempi brevi >>.

<< Non ho alcuna intenzione d'andarmene, mastro nano >> ribatté, sicura di sé.

<< Sii ragionevole, Karin >> s'intromise Legolas, quasi pregandola << Non ti fa bene rimanere qui >>.

<< Tu che ne puoi sapere? >> sibilò, sentendo la rabbia montare veloce in petto << Chi ti ha dato il permesso di giudicare cosa è bene per me e cosa no? Sono in grado di badare a me stessa, sono adulta e ho affrontato più prove di qualsiasi altra persona: perciò, non provare mai più a dirmi questo >>.

Il silenzio che scese subito dopo sembrò penetrare nelle loro pelli come ghiaccio, lasciandoli anche allibiti: mai prima d'ora gli si era rivolta con quel tono autoritario e ostile, come se non volesse accettare consigli da un amico.

Non abbassò lo sguardo nemmeno per un secondo, non si pentì delle parole dette.

<< Rimarrò qui, costi quel che costi. Non posso abbandonarlo >> l'ultima frase la sussurrò, voltando la testa verso il malato; le dita gli sfiorarono la mano ma si ritrassero subito, pentendosi d'essersi mostrata così vulnerabile dopo il tono duro.

Legolas ammutolì, così prese parola il nano << Bé, in questo caso dovremo trasportare la tua branda qui dentro: c'è spazio sufficiente per entrambe >>.

Karin lo guardò e annuì, oltremodo grata << Ti ringrazio >> tentennò, non conoscendo il suo nome.

<< Disin >> si presentò, inchinandosi lievemente << Al tuo servizio, mia signora >>.

<< Karin, al tuo >>.

<< Conosco il tuo nome. Ed è un vero onore poter conoscere la salvatrice del Re sotto la Montagna >>.

La ragazza corrugò le sopracciglia << Salvatrice? >> domandò, imbarazzata.

<< Non si parla d'altro che del tuo coraggio, in queste ore >> le si avvicinò, posandole la sedia sotto la gamba nuda per esaminarla: quando la toccò sussultò, strizzando gli occhi. Disin la guardò di sottecchi, tornando a concentrarsi di nuovo sulla ferita; tolse le bende, e Karin sentì d'impallidire: il taglio era lungo e rossastro, percorso da punti di sutura. Fortunatamente non era cosciente quando l'aveva ricucita, o sarebbe svenuta immediatamente! A dispetto della visione non poté impedirsi d'immaginarsela grondante di sangue vermiglio con i muscoli esposti e, per un attimo, le vertigini la presero.

Il medico borbottò qualcosa, allarmandola << Qualcosa non va? >>.

Alla mancata risposta osservò Legolas, teso quanto lei; finalmente il nano le rispose << Alcuni punti sono saltati, ecco perché ti dava fastidio oltre al normale dolore della cicatrizzazione. Comunque non si infetterà! >>.

<< Questo mi conforta >> mugugnò, incupendosi << Ti chiedo di occuparti del re, ora: ne ha più bisogno >>.

Disin la rifasciò con una nuova benda pulita, per poi scostare il lenzuolo dal corpo febbricitante di Thorin.

<< Ben fatto: la benda fresca servirà a far scendere la febbre >> disse, soddisfatto.

<< Io intanto chiedo ai tuoi compagni se possono aiutarmi a spostare la branda, Karin >>.

Annuì, dicendosi d'accordo con l'idea di Legolas; quando furono soli calò il silenzio, mentre lo vedeva srotolare con le dita callose ma inaspettatamente delicate le varie bende impregnate di sangue dal petto del nano.

Le si attorcigliò lo stomaco quando l'odore della ferita le arrivò alle narici e si ritrovò a ruotare il capo di lato per non vomitare, stringendo gli occhi con foga per non scoppiare a piangere: non aveva voluto riconoscerlo prima, ma ora comprendeva appieno la gravità della situazione di Thorin, e ne aveva paura.

Perché ora, buona parte del suo cuore, le sussurrava che non sarebbe sopravvissuto.

<< Mia signora Karin, stai bene? >> domandò Disin, riponendo il disinfettante sul tavolino di legno accanto al sovrano.

Si fece coraggio, cercando di recuperare la calma e la freddezza << Sì, ti ringrazio. Quando hai finito, però, gradirei rimanere sola con lui: ho intenzione di occuparmene personalmente come ho fatto finora >> sentì d'aver usato un tono troppo autoritario, e decise di correggerlo con un breve sorriso << Per favore >> aggiunse poi, di getto.

<< Come comandi >> rispose lui, fin troppo servile.

<< Non ti sto obbligando >> ribatté lei, guardinga << E non c'è bisogno di dimostrarsi così... sottomesso. Non con me, almeno >>.

<< E quale comportamento dovrei tenere in tua presenza? >> chiese, smettendo di lavorare per scoccarle un'occhiata fredda.

Ecco pensò Karin questo è il tuo vero volto.

<< Non saprei >> ammise, guardandolo sempre circospetta poiché non sapeva che pensare di lui << Ad esempio, so che provieni dai Colli Ferrosi, e conosci il mio nome e ciò che rappresentavo: perché, dunque, non mi disprezzi come gli altri e come il tuo re? >> domandò, sinceramente curiosa.

Quello si aprì in un leggero sorrisetto divertito continuando il suo lavoro, cosa della quale Karin gliene fu grata; impiegò qualche minuto, ponderando la domanda e scegliendo la risposta adatta.

<< Come potrei denigrarti? Conoscevo tuo padre, Karin figlia di Kario >>.

A quelle parole la ragazza rimase sbigottita; schiuse le labbra screpolate, dimenticandosi perfino della costante pulsazione alla coscia.

<< Davvero? Non ti ha mai menzionato >>.

<< Questo perché la nostra conoscenza risalì a prima che tu nascessi; mi capitò molte volte d'incontrarlo e, fin da subito, lo reputai un nano onorevole e giusto: autoritario e fiero, certo, ma rispettabile, pieno d'onore e senso di giustizia! Inutile sottolineare che si guadagnò la mia più profonda stima e fiducia dopo appena spicce parole >>.

Il cuore di Karin fece una capriola, la sua anima si inorgoglì nel sentir parlare di suo padre con così tanta ammirazione: a parte Thorin e Balin – e anni prima anche Dwalin – nessuno le aveva mai confidato cosa provasse o pensasse al cospetto di Kario.

Sorrise spontaneamente, un sorriso che le scaldò il cuore dolente: era felice di poter parlare con qualcuno di estraneo di suo padre, e scoprire che non lo odiava per le calunnie riguardanti l'esilio.

<< Hai creduto al tradimento? >> chiese, un po' titubante.

Il medico scosse la testa energicamente, finendo di stringere con un nodo le nuove bende di Thorin per poi occuparsi dei tagli sul viso, mostrandosi soddisfatto del lavoro fatto da lei << Oh, no! Non lo credevo possibile! >> esclamò convinto << Non immagini il dispiacere nello scoprire della sua morte: ne fui oltremodo addolorato. E quando i soldati tornarono all'accampamento dopo aver discusso le condizioni con voi e riferirono dell'esiliata che aveva osato questionare contro Re Dain... ah, non potevo crederci! Credevo fossi perita come tuo padre: invece, ti sei dimostrata sua degna figlia ed erede >> la guardò, ridacchiando di fronte alla sua espressione inebetita e confusa.

<< Kario mi raccontò la storia della spada della tua stirpe: Iris, Fulgore d'Oriente. I miei occhi non avevano mai avuto il privilegio di posarsi su una lama talmente splendente e meravigliosa. Quando ho potuto rivederla brandita da te durante la battaglia mi è parso di vedere lo spirito di tuo padre, e le sue parole hanno risuonato nella mia testa: mi confidò il desiderio di volere un figlio coraggioso e leale verso il suo sovrano. E tu, mia signora, hai tutte le qualità a cui lui aspirava: Kario sarebbe oltremodo fiero di te >>.

Dagli occhi neri scesero lacrime di commozione, e nulla fece per nasconderle: perché doveva vergognarsi della sua felicità, di quel peso che sembrava essersi dissolto dal cuore?

Abbassò la testa in segno di rispetto, ringraziandolo per le belle parole; lui agitò una mano noncurante, tornando leggermente più scorbutico dato l'imbarazzo provato.

<< Ora mi congedo, lascio il re alle tue premure: sono certo saprai proteggerlo ancora >> le lanciò uno sguardo che valeva più di mille altre frasi e, dopo averle consegnato delle erbe che avrebbero attenuato il suo dolore alla gamba, si profuse in un inchino e se ne andò, lasciandola sola con il malato.

In parte si dispiacque, poiché il nano era socievole e di buona compagnia, però le era mancato il silenzio e il poter rivolgere la sua attenzione unicamente verso Thorin; come prima, passò altro tempo ad accudirlo osservandone attentamente ogni tratto, dalle labbra sottili leggermente dischiuse alle palpebre tremolanti che molte volte la trassero in inganno, convinta di un suo imminente risveglio: ma le ore passarono e non notò altri cambiamenti, facendola cadere nel baratro della tristezza.

Legolas si presentò con Nori e Bofur e, una volta sistematole la branda accanto a quella del sovrano, la fecero sedere lì; ora più vicina a Thorin, si permise addirittura di dormicchiare con il capo accanto al suo, stando bene attenta a non girarsi troppo.

Così la trovò Gloin, molte ore dopo; fuori era calata la sera, e l'accampamento aveva acceso i suoi fuochi. I soldati ora erano allegri e brindavano alla vittoria, ed anche i sovrani erano lieti; Gandalf aveva congedato con molti ringraziamenti le Aquile ed ora chiacchierava con Beorn, il quale voleva salutare la giovane prima della partenza: ed ecco perché il nano si trovava lì, accanto al corpo addormentato di Karin.

La scosse piano per una spalla e la vide aprire gli occhi di scatto, mettendosi a sedere e gemendo debolmente.

<< Gloin >> lo salutò con voce impastata << Che accade? >>.

<< Ti chiedo di uscire per qualche minuto, Karin; Beorn sta partendo, e gradirebbe dirti addio >>.

La ragazza si stropicciò un occhio, annuendo con vigore << Certo. Potresti aiutarmi a scendere dalla branda? >>.

Gloin mosse il capo in un cenno d'assenso, portando una mano sotto l'ascella della giovane; tirò verso di sé, portandole poi un braccio attorno al collo perché non cadesse.

Mossero qualche passo incerto e la sentì lamentarsi ma, subito dopo, arrivarono al punto dov'erano posate due grucce di legno.

<< Ti senti sicura con quegli affari? >> domandò, nel vederla barcollare.

<< Devo solo abituarmici >> borbottò, il volto serio e concentrato; le portò in avanti, seguendo il movimento con le gambe. Quella malandata - poco più su dell'altra - non toccava terra e, al momento, non le procurava grossi fastidi: ciò era un bene.

<< Andiamo >> parlò, seguendo il nano.

L'aria frizzante della notte la fece rabbrividire; si rimproverò duramente quando ricordò di indossare solamente quella tunica: sebbene fosse di lana, il freddo penetrava ugualmente.

Si incamminarono e, dettaglio che la lasciò sbalordita, furono i continui sguardi lanciati dai soldati al suo indirizzo; imbarazzata, cercò di non badarvi, non sapendo se gliele rivolgessero per il fatto di essere l'unica femmina dell'accampamento – per di più vestita in quel modo – o perché rimembravano i suoi appellativi: Traditrice e, ora, Salvatrice.

Finalmente intravide le alte figure di Gandalf e Beorn accanto ad un falò rossastro; quando la scorsero, entrambi le rivolsero un gran sorriso.

<< Karin! Vedo che ti reggi benissimo in piedi! >> commentò lo stregone, mostrandosi soddisfatto.

<< Ci provo >> ribatté lei, che non si sentiva così sicura nel procedere; accolse come una benedizione il poter stare ferma, e girò la testa verso il mutaforma.

<< Salute, Beorn. È da molto che non ci incontriamo >>.

<< Vero! >> esclamò l'uomo << Sono dispiaciuto per le tue brutte ferite, uccellino. E per quelle riportate dal tuo sovrano: è merito mio se possiamo ancora considerarlo tale, comunque >>.

<< Sei stato tu a salvarlo? >>.

<< Precisamente >> rispose, grattandosi la barba ispida << Ed ero accorso a prendere anche te, ma la tua aquila mi aveva già preceduto >> indicò col pollice un punto alle sue spalle e Karin, dubbiosa dalle parole rivoltale, seguì la traiettoria.

Sgranò gli occhi quando riconobbe l'enorme aquila che l'aveva tratta in salvo dopo la spiacevole avventura alle Montagne Nebbiose, e sorrise; il rapace si stava pulendo le penne marroni screziate di bianco alle estremità ma, forse accorgendosi della nuova presenza, si fermò e piegò il capo di lato, guardandola.

Karin camminò verso di lei, finché non si trovò a pochi passi << Ti ringrazio, poiché mi hai salvato la vita ben due volte. Temo d'essere in debito con te >> abbassò la testa, inchinandola rispettosamente.

L'aquila lanciò un verso stridulo, piegando la testa fino a sfiorare la terra secca col becco affilato, in risposta.

Col cuore colmo di gratitudine, Karin allungò una mano – rimanendo aggrappata all'altra stampella – e accarezzò brevemente il becco del rapace, donandole un sorriso.

Poi indietreggiò, vedendola spalancare le ali maestose e spiccare il volo, perdendosi presto nell'oscurità.

Sentì dei passi, e Gandalf e Beorn le si affiancarono perché non si affaticasse ulteriormente << Credo avremo ancora bisogno di lei, prima della fine >> sentenziò lo stregone, col suo solito tono enigmatico.

Leggermente spossata e con un forte desiderio di dormire preferì non indagare, congedandosi anche dal mutaforma.

<< Addio, dunque, coraggiosa nana! Possa il tuo viaggio concludersi sotto i migliori auspici: dopo tutto, te lo meriti >>.

<< Così come tu meriti di passare il resto della vita in pace e tranquillità, senza dover intervenire in altre battaglie >> convenne lei, esprimendo riconoscenza << Spero che la mia amicizia possa accompagnarti a lungo >> concluse poi, sorridendogli.

Beorn annuì, incrociando le braccia << Eccome! Così come spero possa accompagnarti la mia >> si schiarì la voce goffamente, gli occhi scuri brillanti nella notte << Che la fortuna ti assista in queste ore per te buie, amica mia. Oggi e per sempre >>.

<< Altrettanto. A nome di Thorin Scudodiquercia ti ringrazio per averlo salvato. Addio, Beorn >>.

Non si strinsero la mano, benché meno si abbracciarono: le parole di Karin furono le ultime dette, dopodiché Beorn il mutaforma si incamminò verso casa; ad un certo punto, una specie di ruggito ruppe l'atmosfera che aleggiava nell'aria. Era il suo ultimo saluto.

<< Persona interessante, non sei d'accordo? >> domandò Gandalf, una volta soli.

Karin espirò, stanca, quando un pensiero la colse di sorpresa << Ma... dov'è Bilbo? >> chiese, guardandosi attorno.

<< Oh, ho ritenuto opportuno tenerlo impegnato, altrimenti sarebbe venuto ad importunarti molte volte nel corso del pomeriggio! Devi sapere che non approva granché la tua idea: ritiene che, nel malaugurato caso della morte di Thorin, tu possa uscirne devastata >> spiegò serio.

<< Ne sarò addolorata indipendentemente da dove mi trovi >> sbottò, adombrandosi; poi però il volto ridivenne preoccupato, anche se passò un lampo speranzoso nei tratti << Non puoi aiutarlo in qualche modo, Gandalf? >> supplicò.

<< Non in questo caso, bambina mia. È giusto che Thorin Scudodiquercia dimostri di possedere le forze di cui non è sicuramente sprovvisto per svegliarsi e tornare dalle persone che lo attendono e lo amano. Però, se me lo permetterai, potrei occuparmi della tua gamba >> concluse, strizzando amichevole un occhio azzurro.

Karin sospirò internamente, sopendo la voglia di imporsi e contestare l'Istari; d'altra parte, però, sapeva che quelle motivazioni erano corrette, anche se dovette mordersi il labbro per non iniziare una lunga e strenua discussione.

<< Volentieri, grazie >> disse, infine.

<< Oh, questo ed altro per la Salvatrice di Re >> ridacchiò alla sua smorfia, posandole una mano sulla spalla.

<< Dori fu il primo a chiamarmi così, subito dopo aver salvato Thorin dal primo scontro contro Azog >> spiegò, con una smorfia di disaccordo << Non mi piace granché come appellativo, mi mette a disagio >> rivelò, sbuffando << Comunque, sempre meglio di traditrice o esiliata >>.

<< Ah, sono pienamente d'accordo! E, se me lo concedi, credo che sentirai presto altri titoli, Karin figlia di Kario >>.

Di nuovo, la ragazza aggrottò la fronte nel sentire l'ennesimo enigma, preferendo non badarvi: si lasciò condurre verso la tenda di Thorin – ora anche sua – trovando Gloin sull'uscio, appoggiato alla sua ascia; capì quanto fosse stanco, ma era rimasto sveglio ad attendere il suo ritorno.

<< Ho preferito vegliarlo >> le rispose, dopo che gli ebbe domandato perché non se ne fosse andato a letto << Sai, per precauzione, nel caso si fosse destato >>.

Il cuore di Karin si strinse e traboccò di riconoscenza l'attimo successivo; la voglia di abbracciarlo l'invase e, per una volta, l'accontentò.

Lo sentì irrigidirsi, stupito, ma poi ricambiò goffamente lasciandola andare quasi subito: non la guardò negli occhi, troppo imbarazzato.

L'affetto per il rude nano aumentò a dismisura, specie nel vederlo così teso << Grazie, Gloin >> disse, commossa.

<< L'ho fatto con piacere >> borbottò << Buonanotte >>.

Se ne andò, permettendo ai due di entrare nella tenda; con immensa pena, Karin capì che nulla era mutato durante la sua assenza: Thorin era ancora febbricitante e dormiva, sprofondato in quella battaglia personale che lo vedeva sospeso tra la vita e la morte.

<< Temo per la sua vita, Gandalf >> si trovò a sussurrare, seduta sul giaciglio mentre lo stregone le sfiorava la ferita borbottando litanie.

Egli aprì immediatamente gli occhi, guardandola apprensivo << Come tutti noi, del resto. L'unica cosa che posso dirti è di non perdere la speranza, e confidare maggiormente nel tuo re >>.

<< E se ciò non bastasse? >>.

Il tono pieno di timori ma ormai sconfitto nella sua profondità lo turbò << Basterà >> disse, sperando di convincerla; non ci riuscì del tutto, così decise di dimostrarsi fiducioso e allegro, sebbene il suo animo fosse tentennante << Su, ora in silenzio, altrimenti non potrò guarirti! Ecco, dovrebbe bastare: da adesso potrai sorreggerti solo grazie ad un semplice bastone; poco prima mi sembravi oltremodo in difficoltà! >>.

Karin si lasciò scappare una breve risata, scuotendo il capo << Non ti si può nascondere nulla, vero? >>.

<< Era piuttosto evidente, mia cara. Cerca di riposare, mi raccomando >>.

<< Va bene >>.

Gandalf si congedò e, ora sola, Karin non si stupì nel disobbedire al suo consiglio: si ritrovò ad assistere il nano per lunghe ore, accarezzandogli la fronte leggermente più fresca e le grandi mani abbandonate lungo il busto. Scostando di poco le coperte notò la bolla rossa dove Azog l'aveva ferito, proprio sotto l'ascella; le parve di notarla meno estesa rispetto alla mattina, ma non volle azzardare alcun giudizio: spesso le persone che sembravano riprendersi mostravano improvvisamente una ricaduta e, nella maggior parte dei casi, morivano.

Scosse la testa, implorando gli dèi di risparmiarlo, chiedendo perfino di poter prendere il suo posto; tutto pur di rivederlo aprire gli occhi, camminare fiero e dritto senza alcun timore. Tutto, purché potesse stringerla ancora tra le braccia salde, baciarla con ardore e accarezzarla con mani ruvide ma delicate.

Si lasciò scappare un singhiozzo, soffocando il successivo con la manica della camicia da notte premuta sulle labbra.

Non seppe per quanto tempo rimase a piangere e disperarsi: l'unica frase che riuscì a formulare le rimbombò continuamente in testa, come fosse una nenia. Una preghiera accorata.

Non lasciarmi, ti prego!



Si svegliò di soprassalto, chiedendosi quando si fosse addormentata: probabilmente in seguito al pianto furioso, poiché non possedeva altri ricordi. La testa sembrava esploderle, le martellava senza sosta; si consolò col pensiero che, almeno, la gamba non le doleva più di tanto.

Sentendosi osservata puntò gli occhi nella penombra verso l'imboccatura della tenda, dalla quale spuntò Dwalin, indecifrabile in viso.

<< Come stanno Kili e Fili? >> domandò, tremendamente preoccupata.

Il nano le si avvicinò, sorridendole << Si sono risvegliati poco fa, ed hanno già iniziato a chiacchierare e a chiedere di tutti, te compresa. Quando ho riferito dove ti trovavi hanno sorriso sornioni, dicendomi che capivano perfettamente >>.

Karin sbuffò, sprezzante << Forse non hanno inteso che loro zio è ferito gravemente! >> sbottò piccata.

<< Oh, lo sanno! >> ribatté Dwalin << Ma il saperti accanto a lui dopo la tua fuga li ha consolati. Diciamo che ci siamo calmati tutti non appena ti abbiamo vista correre verso di lui, anche se stavi compiendo un'azione stolta. Ma necessaria >> si affrettò ad aggiungere, non appena la vide aprire la bocca per replicare, battagliera.

<< Thorin, invece? Qualche miglioramento? >> volle sapere, guardando l'amico disteso.

Karin scosse la testa, affranta << Ciò che vedi. Ha iniziato a rantolare da poco, però, e non credo sia un buon segno >>.

Abbassò il capo, distrutta, senza rialzarlo quando percepì la pressione della grande mano di Dwalin sulla spalla, in un muto gesto di solidarietà; la mano volò sulla sua, stringendogliela in ringraziamento. Rimasero in quella posizione per lunghi minuti, nei quali cercarono di sostenersi a vicenda per superare il dolore e l'impotenza che li accompagnava: vedere l'amico e re in quelle condizioni non giovava loro, specie a Karin, i cui occhi si inumidirono nuovamente; dovette inspirare a bocca socchiusa per calmarsi, e Dwalin comprese di doverla allontanare dai cattivi pensieri, seppur per poco tempo.

In procinto di parlare, venne interrotto dalla voce incrinata della stessa << In tutto questo tempo ho avuto modo di riflettere. Se Thorin non dovesse svegliarsi, non credo riuscirei a sopravvivere >>.

Dwalin si immobilizzò, staccandosi e indietreggiando di due passi, incredulo << Non dirlo, Karin. Non glielo permetterai >> disse, sicuro.

<< Non ho potere di vita, né di morte >>.

<< Basta che tu gli stia accanto: sentendoti, Thorin tornerà da te, a costo di sfidare la morte stessa >>.

Karin rimase zitta, ponderando le parole dell'amico; infine, sorrise malinconica << Elfi e Nani sono più simili di quel che pensiamo >> sussurrò amaramente.

<< Che vorresti dire? >> domandò lui, non riuscendo a trovare il nesso col discorso precedente.

<< Amiamo una volta sola, e moriamo per amore. Questo sarà il destino che mi attenderà: e l'accoglierò con gioia >>.

<< No! Dimorerai con noi, con me, ad Erebor >> proruppe, ben convinto della frase.

Karin si commosse, guardandolo negli occhi: finalmente era giunto il tanto agognato perdono.

<< Da quando hai cambiato opinione nei miei confronti? >> volle sapere, asciugandosi una lacrima con la punta dell'indice.

<< Da un po' di tempo, ad essere sincero >> ammise brusco, trovando interessante il catino posto sopra il mobiletto << Quando ti ho vista rischiare la vita per salvarlo anche stavolta, bé... ricredersi è stato semplice >>.

<< E' bello saperlo >> concordò, sentendosi felice e sollevata sotto il baratro dell'afflizione.

Dwalin sospirò, rincuorato d'aver momentaneamente appianato le divergenze; certo, non era stato il momento adatto per risolvere le loro beghe, ma avrebbero avuto più tempo non appena Thorin si sarebbe ristabilito. Profondamente convinto dei suoi pensieri, si permise di rassicurarla.

<< Non temere, Karin, e sii fiduciosa. Thorin sopravvivrà >>.

Karin annuì mesta, non volendo privarlo del compiacimento di essere riuscito nell'intento di risollevarle il morale a pezzi.

Seguì con lo sguardo l'imponente figura finché non oltrepassò la soglia e, solo allora, si lasciò sfuggire un sospiro fiacco.

Tutti erano fermamente certi di una sua ripresa: tutti tranne lei.

Era semplicemente negativa, oppure realista? I suoi compagni non volevano guardare in faccia la realtà, o era lei ad essere così pessimista nel considerarlo ormai perduto per sempre?

Domande. Inutili domande che non chiedevano necessariamente una risposta.

Si sporse verso Thorin, posandogli le labbra sulla fronte: era ancora bollente, perciò si adoperò per abbassargli l'elevata temperatura corporea.

Attese invano il medico, decidendo di conseguenza di occuparsi anche del cambio delle bende; alzandosi a fatica in piedi, sciolse il nodo e srotolò la fasciatura impregnata di sangue e pus. Con una smorfia di disgusto l'appallottolò e la gettò lontano, a terra; lavò con infinita delicatezza la ferita, disinfettandola ancora, senza mai perdere di vista i tratti del volto nell'auspicio di un qualche mutamento.

Poi zoppicò lenta verso il sacchetto di erbe medicinali lasciatele e, con un tuffo al cuore, ne riconobbe una: l'Athelas campeggiava scura tra altre pianticelle più chiare, probabilmente una sorta di sedativo per il dolore.

Con dita sicure afferrò numerose foglie dell'erba medicinale, annusandole: la mente la riportò al loro breve soggiorno alla Carroccia, quando Thorin le aveva medicato la spalla e la guancia, entrambe regalo della Città dei Goblin.

Quella notte avevano discusso, com'erano soliti fare un giorno sì e l'altro pure, ma poi qualcosa era cambiato: si erano trovati ad un nonnulla dal volto dell'altro, consci di colmare la breve distanza con un bacio. Era stata la prima occasione in cui l'avevano desiderato ardentemente, con tutto il loro cuore; da quel momento non erano stati in grado di sopire l'amore che, giorno dopo giorno, li aveva tormentati prepotentemente.

Si ritrovò a sorridere, persa in quei dolci ricordi; prese il ritrovamento della foglia di re come un segno e, senza pensarci due volte, la sminuzzò tra le dita e l'immerse in acqua. Guardò i pezzettini galleggiare pigramente, e la lenta trasformazione del colore dello specchio trasparente; poi intinse una garza, strizzandola e posandola sul taglio profondo, già verso la cicatrizzazione. Arrotolò le bende pulite sopra di essa, stringendo il nodo in modo che non si staccasse il tutto; mortalmente stanca e con un notevole bisogno di dormire qualche ora, si coricò accanto all'altro fianco di Thorin. A dispetto della stanchezza il sonno tardò a sopraggiungere, così non le rimase altro da fare che contemplarlo; la figura addormentata e inerte contrastava paurosamente con l'idea che aveva sempre posseduto nei riguardi del Re sotto la Montagna.

Eppure lo sapeva combattivo nel profondo della sua anima: si chiese se, dopo averla sentita accanto a sé, avesse reagito e si fosse ribellato alla morte e, ora, stesse guerreggiando furioso e orgoglioso come solo lui poteva essere per tornare a vivere.

Per tornare da lei.

Chiuse la mano a pugno e la portò alle labbra, stringendo la carne dell'indice tra i denti; era così stanca, e furiosa perché impotente! Avrebbe voluto correre disperatamente il più lontano possibile da quella dannatissima tenda ma, al contempo, desiderava lasciarsi spegnere lentamente lì dentro, vicino al suo Thorin: e, in fin dei conti, era proprio vicina all'obiettivo.

Si avvicinò al suo volto, gli accarezzò la tempia << Torna da me >> sussurrò affannata << ti prego >>.

Premette le labbra sulle sue, calde e sottili, quasi sperando di vederlo aprire le palpebre e guardarla con occhi azzurri confusi ma amorevoli. Non accadde.

Sopirò per l'ennesima volta, lasciandosi scivolare al suo fianco; benedicendo la sonnolenza, chiuse gli occhi.



Inizialmente non si curò più di tanto dei lievi brividi provenienti dalla testa, imponendo la causa ad un semplice sogno; poi però il dormiveglia prese il sopravvento, e allora ne fu sicura: non erano dovuti al sogno e, cosa più importante, non si trattava di tremiti.

Ma di carezze leggere, talmente impalpabili da sembrare irreali.

Si accigliò, aggrottando la fronte, decidendo di indagare sulla natura di quei gesti; aprì debolmente gli occhi, rimanendo costernata.

Il cuore parve arrestarsi, non percepì i battiti.

Non percepì più nulla, a dir la verità.

Il suo sguardo era rivolto unicamente al viso di Thorin; gli occhi erano aperti e vivi, seppur lucidi di febbre. La bocca era piegata in un debole sorriso, la mano ancora levata e posata tra i suoi capelli neri.

Sgranò gli occhi, non credendo a quell'incredibile evento. A quel meraviglioso miracolo.

<< Sei così bella mentre dormi >> mormorò a fatica, la voce roca e bassa.

Continuò a toccarla delicatamente date le poche forze, senza smettere di guardarla adorante come se la vedesse per la prima volta.

Il cuore di Karin ripartì velocemente, mozzandole il respiro con sonori e dolorosi battiti; gli occhi neri si riempirono di lacrime e, prima che potesse compiere alcunché per fermarle, le sentì scendere senza sosta. Singhiozzando senza ritegno, immensamente confortata e traboccante di felicità come poche volte in vita sua, pronunciò il suo nome a voce troppo esile, per timore di svegliarsi e scoprire che la realtà era invece ben diversa.

Quando non lo vide sparire, né trasformarsi in un orco pallido, prese coscienza della verità: Thorin si era risvegliato, e stava bene.

<< THORIN! >> gridò felice, lasciando che la spossatezza e tutte le preoccupazioni provate in quelle interminabili ore soffiassero altrove come vento; dimentica delle ferite di entrambi, e preda di un impeto senza precedenti, lo abbracciò di slancio.

<< Piano, ti prego >> bisbigliò, chiudendo le palpebre al sentire il tono troppo elevato e vicino alle orecchie; non curandosi del dolore atroce al fianco ricambiò il gesto, affondando il viso tra i suoi capelli.

<< Scusami! Scusami, davvero, io... io... >> il pianto furioso le impedì di continuare: venne sopraffatta dalle molteplici emozioni che le invasero il cuore, l'anima, ogni cellula presente.

La voglia assurda di ridere a crepapelle si mescolò con le lacrime e i singhiozzi, fatto che preoccupò Thorin: riaprì gli occhi, scostandosi per asciugarle premurosamente le lacrime con le dita.

<< No, Karin. Basta... piangere >> esalò stanco. Sentiva le forze venire meno ma cercò in tutti i modi di rimanere sveglio, ancora per qualche minuto: voleva guardarla, consolarla e udire il suono della sua voce.

Ancora, ancora e ancora.

<< Non sai... la paura >> singhiozzò, non riuscendo a smettere << Ora però sono fe... felice >>.

Si sedette, portando le mani al viso a nascondere l'evidente rossore propagatosi dal collo alle guance; sapeva di non essere per nulla presentabile, così scarmigliata e piangente, però era del tutto irrilevante. La gioia e la contentezza erano esplose prepotentemente, null'altro importava. Il saperlo finalmente al suo fianco, di nuovo, fu tutto ciò a cui poteva anelare.

Compì numerosi e profondi respiri, poiché doveva calmarsi: non poteva certo starsene a piangere tutto il giorno!

Prese uno straccetto, soffiandosi il naso ed asciugandosi le lacrime, senza perdere di vista il volto di Thorin; sorrise affettuosa quando lo vide guardarla insistentemente, non perdendosi neppure un minimo gesto.

Rimasero in silenzio, rimirandosi a lungo, beandosi della presenza tangibile dell'altro; anche Thorin era commosso, e oltremodo pago d'essere sveglio: d'essere vivo.

Quando lo vide deglutire a fatica, però, Karin tornò in sé prendendo in mano le redini della situazione << Devi bere >>.

Sedò ogni tentativo di protesta del nano con uno sguardo che non ammetteva repliche e, con una piccola smorfia, si alzò lentamente dal giaciglio. Avanzò zoppicando fino al tavolino, sul quale era posata una caraffa d'acqua; lì accanto vi era anche la solita pezzuola e, facendo attenzione, la imbevé.

Era conscia che Thorin non l'aveva abbandonata nemmeno un secondo e, presto, le arrivò alle orecchie la domanda che, prima o poi, sapeva le avrebbe posto.

<< La ferita era profonda? Stai zoppicando >> constatò, con voce più sicura e ferma.

Karin raggiunse la sponda della branda << Non molto, però la zoppia passerà presto. Gandalf stesso mi ha curata >> passò la pezza sulle labbra sottili e secche del nano, strizzando per far fuoriuscire alcune piccole stille.

Thorin assaporò avidamente, deglutendo e gemendo soddisfatto; chiuse gli occhi, respirando profondamente e con regolarità.

<< Vado a chiamare lo stregone, ed il medico >> lo informò, sfiorandogli la fronte ora tiepida: si stupì della rapidità di ripresa, e ne fu assai contenta.

Gli carezzò i capelli, scostandosi dalla sua figura: d'improvviso però, sentì le dita del nano cingerle il polso per fermarla; girandosi, scorse di nuovo gli occhi lucidi e febbricitanti che l'imploravano.

<< Non lasciarmi ancora, Karin >>.

La frase le strinse il cuore. Come poteva anche solo pensarlo? Non aveva dedotto niente, dunque.

Avvicinò il volto al suo, ancorando gli occhi neri a quelli azzurri << Non ti ho mai abbandonato, almeno non fisicamente >> disse, rimembrando i pensieri rivolti costantemente al suo ricordo durante l'esilio << E mai lo farò, a meno che tu non voglia. Mio Re >>.

Lo vide sgranare di poco lo sguardo, sorpreso tanto quanto lo era lei: mai avrebbe pensato di rivolgergli tali parole, eppure sapeva bene che non potevano essercene altre. Il suo cuore apparteneva a Thorin. La sua anima, la sua mente, il suo corpo, la sua fedeltà: tutto apparteneva a lui, a colui che amava e avrebbe amato per sempre, finché la Morte non fosse sopraggiunta.

Sorridente, gli baciò la fronte, lasciandolo solo.

Quando uscì il sole del pomeriggio le ferì gli occhi; non più abituata si schermò gli occhi e, sorreggendosi salda al bastone, compì qualche passo verso gli altri.

Bilbo, chiuso in un cupo silenzio, sembrò accorgersi della sua presenza perché si girò e, stupito, schiuse la bocca nel vederla in piedi << Karin! >>.

Tutti si voltarono, assumendo espressioni preoccupate; la vedevano lì, pallida e seria in volto con ancora visibili i segni di un pianto disperato, e non sapevano che pensare.

Non ascoltò nessuno dei loro richiami, non rispose alle loro domande: per quanto la ferita potesse farla camminare spedita, si avvicinò ad un nano in particolare, fermandosi a pochi centimetri dal corpo possente.

Dwalin e Karin si guardarono negli occhi per attimi lunghissimi: poi la bocca rosea della nana si aprì in un gran sorriso, ed iniziò a ridere allegra e spensierata come quando era bambina; sorprendendo i compagni – e se stessa – lasciò cadere il bastone a terra per gettarsi tra le braccia dell'amico, ridendo e piangendo al tempo stesso.

Gli altri si guardarono sbigottiti per poi capire e imitarla: urlarono felici, gridando la loro contentezza; Bofur lanciò il cappello in aria ululando, Bilbo scoppiò a piangere, Bifur e Bombur si presero a braccetto e saltellarono, Dori batté le mani al contrario di Ori che se le portò alla bocca, incredulo. Nori pestò i piedi a terra ed arruffò i capelli del fratello minore, Oin e Gloin si diedero delle pacche sulle spalle e si unirono a Balin, che rideva senza sosta.

Mancavano all'appello Kili e Fili, ma era certa che li avessero uditi e stessero partecipando come fossero stati presenti.

Esultarono a lungo, non accorgendosi della sparizione di Gandalf né dell'arrivo di Thranduil, Legolas, Bard e Dain, chiamati dagli schiamazzi e dalle risate sguaiate; intuendo il motivo dell'ilarità, si unirono ai festeggiamenti del ritorno del Re sotto la Montagna.

Karin rimase abbracciata a Dwalin, sentendo le forti braccia tatuate stringerla con vigore, facendole capire quanto fosse lieto.

In tutto quel trambusto, però, pervenne una frase pronunciata a voce tonante << Il Re reclama la sua Regina! >>.

Si immobilizzarono, ogni vociare si acquietò.

Karin si irrigidì, sciogliendosi dall'abbraccio; Dwalin l'osservava con sguardo serio, anche se i suoi occhi brillavano divertiti.

Credendo d'aver capito male, si girò; l'assembramento confuso che si era creato poco prima era scomparso e, ora, gli amici si erano divisi in due file, aprendosi in due ali per lasciarle libero il passaggio verso la tenda. Gandalf, immediatamente poco prima della soglia, la guardava con un sorrisetto compiaciuto e gli occhi chiari commossi e lucenti.

Istintivamente raddrizzò spalle e schiena, e si sentì muovere sicura benché le gambe tremassero e l'imbarazzo si annidava in petto; passando accanto ai nani li scorse composti, tremendamente solenni. Balin ammiccò al suo indirizzo strizzando un occhio, Bofur si tolse addirittura il cappello, Bilbo abbassò il capo in un inchino per poi sorriderle incoraggiante.

Sentendo impressi sulla pelle gli sguardi di ogni membro delle razze più importanti della Terra di Mezzo, Karin figlia di Kario percorse quei pochi ma interminabili metri verso la tenda: con il cuore che martellava senza sosta e le fischiava nelle orecchie, scostò i lembi della tenda, ed entrò.









CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Oddei, ce l'ho fatta! QUESTO è stato il capitolo più difficile da scrivere!!! L'impotenza, la frustrazione, la paura di perdere Thorin ed il sollievo nel vederlo vivo... spero d'aver descritto come si deve, sennò ho combinato un pasticcio :(! Immagino siate felici, non è morto nessuno!!! Ora potranno avere quella benedetta pace che cercano da tempo *___* Ci sarebbero talmente tante cose da commentare, ma non possiedo sufficienti parole per farlo: spero solo l'abbiate gradito ^^, scrivetemi le vostre opinioni come sempre ;)))

Ringrazio le carissime e specialissime Lady_Daffodil, vanessa90, J_ackie, Carmaux95, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack, Krystal91, nini superga, Elentari, lohobbit, LilyOok_. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra Anna <3


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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro ***


CAPITOLO VENTIQUATTRO


Thorin aveva udito il gran vociare dei compagni e la loro palese felicità composta di urla, risa e battito di mani, sentendosi oltremodo appagato e sollevato; non volle pensare alla terribile disperazione che li avrebbe pervasi nel caso della sua morte.

Gemette, avendo alzato involontariamente un braccio nel tentativo di sedersi sulla branda; imprecò in nanico, rabbioso, e fu allora che scorse i lembi della tenda scostarsi.

Relegò in un lontano angolo la breve delusione che l'aveva pervaso nel constatare l'arrivo di Gandalf, e non di Karin.

La contentezza nel poter rivedere il volto amico dello stregone gli risollevò il morale, già alto: si aprì in un caloroso sorriso, dandogli il benvenuto.

<< Gandalf! >> esordì, facendo un cenno con la mano perché si avvicinasse << Non sai quanto sia contento di poterti parlare. Siediti, ti prego >>.

<< E' bello vederti sveglio, amico mio. Senti i tuoi amici festeggiare? >> gli chiese bonario, senza nascondere un leggero tremito commosso; fece un cenno di ringraziamento per l'offerta, lasciandosi sedere pesantemente sulla seggiola.

<< Oh sì, e ne condivido la gioia. Ma dimmi, come sta il tuo braccio? Noto che è fasciato >>.

<< Nulla di così tremendo, te l'assicuro! Strano come una fasciatura sia motivo di preoccupazione, non sei d'accordo? Anche Karin era in apprensione, non appena l'ha notata >>.

<< Questo perché sei il nostro mentore >> spiegò serio Thorin, guardandolo negli occhi << Senza i tuoi preziosi consigli e la tua presenza saremmo periti molte volte nel corso del viaggio. Hai sempre trovato il modo di accorrere in nostro aiuto quando più ne avevamo bisogno, e di questo non ti ho mai ringraziato a sufficienza >> fece una pausa, abbassando il capo in segno di rispetto << Ti ringrazio, Grigio Pellegrino. E credo non ci siano altrettante parole per esprimere il rammarico riguardo i miei ultimi... comportamenti >> concluse a stento, vergognandosi nel profondo per la cupidigia mostrata.

Gandalf scosse la testa e la mano << Ciò che conta è l'aver ammesso i tuoi sbagli, Thorin. Non vi è atto più nobile di questo >>.

Gli sorrise, venendo ricambiato poco dopo dal re, decisamente più tranquillo.

<< Ebbene, direi sia tempo di dare uno sguardo al fianco, se me lo concedi >>.

<< Era quello che speravo >> confessò, scostando la coperta dal corpo; lasciò che Gandalf sciogliesse le bende, avvolte strettamente al petto, ed esaminasse la profonda ed orrenda ferita in fase di rimarginazione.

Percepì un piacevole calore quando lo stregone avvicinò la punta del bastone di legno, ed abbassò le palpebre nel sentirlo borbottare in una lingua sconosciuta.

Lasciò che molti pensieri lo portassero altrove, ma non tanto lontano: il prendere coscienza della liberazione di Erebor dal giogo di Smaug e degli Orchi gli fece traboccare il cuore. La Montagna Solitaria gli apparteneva, dunque. Apparteneva nuovamente al suo popolo.

Un'inaspettata voglia di ridere, così insolita per lui, si impossessò del suo cuore e della sua mente. Le narici inspirarono l'odore della libertà dopo molti ed interminabili anni vissuti nel rancore e nell'amarezza. Ora, ogni pensiero negativo si era allontanato come quelle nubi nere che li avevano nascosti al chiarore del cielo; tutto ciò che aveva sempre sognato era tornato da lui, infine: la sua casa, la sua gente, il suo orgoglio, il suo essere il vero Re sotto la Montagna, la sua Karin.

La pace che gli riempì l'animo sembrò durare poco, a dir la verità; udì Gandalf esprimere la propria soddisfazione e, aperti gli occhi, posò uno sguardo incredulo verso il taglio: era del tutto rimarginato benché rossastro sui bordi, ma gli doleva ancora un poco, specie se compiva movimenti bruschi.

<< Bene, ora devi solo attendere paziente che guarisca del tutto >> disse Gandalf << Lascialo senza bende per un po', ormai il pericolo di un'infezione è del tutto passato >>.

<< Sarà fatto >> rispose Thorin, volendo seguire ogni suo consiglio << Grazie, Gandalf >>.

<< Di nulla, non occorre ringraziarmi >>.

<< Invece sì. Anche se non sarà mai abbastanza >> obiettò il re, alzando un sopracciglio.

<< Suvvia, tutti questi elogi non giovano al mio già grande ego! >> esclamò l'Istari, sogghignando << Il mio lavoro è concluso, ti lascio riposare >> si alzò dalla sedia, posandogli una mano sulla spalla << O preferiresti la compagnia di qualcuno? Mmh? >> chiese furbamente, sentendolo irrigidirsi.

Thorin sospirò internamente, senza mostrare la benché minima emozione: in questo era sempre stato notevolmente bravo << Karin >> rispose semplicemente, non rifuggendo mai lo sguardo azzurro chiaro dell'altro.

Gandalf annuì, sorridendo affabile; si toccò la tesa del cappello grigio con la mano libera e, procedendo ricurvo – come se improvvisamente sentisse il peso degli anni sulle spalle – si incamminò: dopo pochi passi, tuttavia, si fermò e si girò.

<< Ah, che sciocco! Dimenticavo >> frugò nella tasca della veste grigia, alla ricerca di qualcosa; la trovò, soddisfatto << Questa ti appartiene, se non erro: era tra i tuoi vestiti. Confido ne farai tesoro >>.

Thorin allungò una mano, stringendo ciò che gli porgeva con tanta delicatezza; lo ringraziò ancora, senza perderlo di vista finché fu solo.

Portò l'oggetto alla fronte e alle labbra, in un gesto di rispetto.

Non fece in tempo a riperdersi nei meandri dei propri pensieri che la voce tonante e vicina dello stregone lo interruppe, portandolo alla realtà.

<< Il Re reclama la sua Regina! >>.

Il silenzio scese come una pesante cappa sia dentro sia fuori la tenda; sbuffò sonoramente e scosse la testa, non credendo a ciò che aveva udito.

Lui non avrebbe mai pronunciato simili parole o, perlomeno, non in quel momento e davanti ad un pubblico tanto numeroso! Ma Gandalf agiva come più gli pareva, senza curarsi troppo di simili sottigliezze.

Si ritrovò ad immaginare l'espressione di Karin dopo l'annuncio, ed un lieve sorriso comparve sulle labbra sottili: la vide con gli occhi neri sgranati e stupiti, la bocca rosea di poco dischiusa, i capelli ribelli che ondeggiavano pigramente al vento, le guance rosate dall'imbarazzo davanti a tutti quegli sguardi puntati verso la sua figura coperta da una camicia da notte. Eppure, oltre al disagio, Thorin sapeva di trovarle anche coraggio e fiera beltà; si sarebbe imposta di camminare dritta, senza mostrare alcun timore nonostante lo provasse internamente, decisamente amplificato.

Poté quasi percepirne i passi claudicanti, in perfetta sintonia ai battiti del suo cuore. D'improvviso l'irrequietezza lo ghermì, poiché non aveva preparato alcunché di appropriato da dirle, non aveva preparato nessun discorso.

Nervoso e terribilmente serio, attese di vederla comparire.

Ed avvenne, anche se lo reputò troppo rapidamente.



Karin entrò, lasciando che gli occhi si posassero dove sapeva esserci Thorin; per un lungo momento lasciò che lo stupore nel vederlo seduto, con la schiena appoggiata a dei guanciali, la distogliesse dall'agitazione che le aveva stretto il cuore e lo stomaco in una morsa.

Sapeva nel profondo che non vi era motivo per provare quei sentimenti, ma proprio non riusciva a calmarsi! La frase detta continuava a rimbombarle nella testa come un violento tuono immediatamente dopo un lampo bianco; e ne era terrorizzata in egual misura, perché sospettava non l'avesse suggerita Thorin. Mai prima d'ora si era spinto tanto da confessare i suoi reali sentimenti, figurarsi chiedere a Gandalf di urlare pubblicamente la sua richiesta. Doveva essere accorta, e non illudersi inutilmente.

Passò la punta della lingua sulle labbra secche, ancora immobile sulla soglia, gli occhi ancorati ai suoi nonostante morisse dal desiderio di spostarli altrove; dopo estenuanti attimi di pesante silenzio, Thorin trovò il coraggio di parlare per primo.

<< Siedi accanto a me >> ordinò, picchiettando le dita sul pagliericcio.

Karin deglutì impercettibilmente, cercando la forza per compiere quei passi. Con le mani giunte tra loro, si mosse anche troppo rapida; in breve gli fu accanto e, dopo avergli concesso un'occhiata al torace, notò la ferita guarita.

<< Si è rimarginata >> sussurrò, sorpresa; la sfiorò con le dita ma Thorin si ritrasse, sobbalzando.

<< Hai le dita gelide >> constatò, poggiando meglio la schiena sui guanciali.

<< Scusami >>.

Il silenzio che scese subito dopo li rese irrequieti, in quanto ripensavano con rammarico ai momenti dolci e spontanei successivi il risveglio.

Ora, sembrava che la frase di Gandalf li avesse in qualche modo obbligati a pensare alla loro situazione così incerta, così instabile.

La consapevolezza di non aver chiarito i termini del loro potente legame li rattristava e contrariava contemporaneamente; Thorin, in particolare, soffriva come un animale in gabbia poiché sapeva che, lui per primo, avrebbe dovuto scusarsi e parlarle.

Però, al momento, erano altri i suoi pensieri.

<< Giusto perché tu lo sappia >> esordì, spezzando il silenzio con un borbottio << non ho accennato quella frase a Gandalf >>.

Karin lo vide abbassare lo sguardo, e lo imitò: trovò decisamente interessanti le dita intrecciate in grembo << Immaginavo. Non è da te >> sussurrò.

Thorin l'osservò, assimilando la tristezza - unita ad una piccola dose di fastidio – nella voce; si maledì internamente, capendo che lo aveva frainteso.

<< Sei delusa? >> chiese, sinceramente curioso. Voleva una risposta immediata, e chiara: solo così poteva capire.

Karin ponderò la risposta, decidendo di tergiversare << Mi ha spiazzata, tutto qui >>.

La domanda successiva fuoriuscì dalle sue labbra prima che potesse fermarla: desiderava una reazione diversa da lei. Voleva che lo guardasse, perlomeno.

<< Ti spiazzerebbe saperlo reale? >>.

Il suo desiderio venne esaudito: alzò gli occhi neri rapidamente, posandoli sul suo volto. Era sbigottita e confusa, credeva d'aver udito male. Invece, aveva sentito bene.

Era la decisione giusta, forse la prima in tutta la sua vita; certo, il voler riconquistare Erebor gli era parsa tale in molteplici occasioni, ma a che prezzo aveva pagato la sua voglia di rivalsa? Quasi con la vita.

Adesso, d'altra parte, non vi era più alcun ostacolo: doveva solamente attendere la risposta affermativa di Karin.

Più aumentava il silenzio e meno si convinceva d'aver posto adeguatamente quella proposta di matrimonio; cercava di capire tra i tratti pallidi e granitici se possedeva una qualche possibilità, però non se ne pentiva: non vi era altra conclusione per loro tranne questa.

Aveva sempre fatto i conti con la presenza amorevole di Karin, e non immaginava altra nana al suo fianco come Regina sotto la Montagna: piuttosto avrebbe scelto una via solitaria e vuota.

Ma quell'attesa era a dir poco snervante, e dovette racimolare tutto il suo autocontrollo e la pazienza per non sbottare, rovinando il momento.

Perché non parlava? Era nel dubbio? Certo, gli ultimi tempi non erano stati per nulla facili, soprattutto quelli passati all'interno della Montagna, tant'è che Karin aveva preso la drastica decisione d'abbandonarlo. Eppure durante la Battaglia si era lanciata contro il suo acerrimo nemico, Azog, per salvarlo: l'aveva ferita gravemente e aveva rischiato di morire e, una volta svegliatasi, non aveva lasciato il suo capezzale; ciò dimostrava che i sentimenti nei suoi confronti persistevano ancora. Magari non forti come anni addietro, ma pur sempre presenti.

Mise da parte l'orgoglio e qualsiasi altro sentimento volesse frenarlo; di nuovo, le parole fuoriuscirono per conto proprio, sgorgando dal cuore << Aiutami a ricostruire la nostra casa, a governare con saggezza e a diventare un sovrano migliore mettendo da parte l'avidità e la stupidità. Aiutami a sopportare ogni dolore e condividi con me ogni gioia, fino alla fine dei miei giorni. Vuoi, Karin? >>.

Vide gli occhi neri riempirsi di lacrime, il mento le tremò; deglutì e schiuse le labbra, sorridendo emozionata << Sì, Thorin. Fino alla fine dei miei giorni >> ripeté, sbattendo le palpebre per cercare di contrastare la caduta delle stille salate, senza riuscirci.

Thorin percepì un'immensa felicità propagarsi come un incendio, sentimento ben diverso dalle dolorose pene e tante delusioni sopportate nel corso della vita; non riconoscendosi per l'ennesima volta, sentì le labbra piegarsi in un sorriso e sentì il suono di una risata raggiungergli le orecchie.

Una risata dal sapore di gioia, libertà e sollievo: perché ora non avrebbe compiuto gli ultimi passi della sua esistenza da solo. Perché, ora, Karin gli era accanto.

Karin era terribilmente scossa, il cuore le stava scoppiando nel petto: però non provava dolore, tutt'altro. Gli gettò le braccia al collo, condividendone i sentimenti e la contentezza, moltiplicatisi quando le braccia forti le cinsero i fianchi, stringendola in un abbraccio pieno d'amore.

Rimasero in quella posizione per un tempo indeterminato, non volendo staccarsi; sembrava passato così tanto tempo dall'ultima volta in cui avevano espresso le loro emozioni con un tale gesto, beandosi del contatto del corpo dell'altro così vicino al proprio, inspirandone l'odore come fosse pura e fresca aria indispensabile alla loro sopravvivenza.

<< C'è un'ultima cosa >> bisbigliò Thorin, le labbra vicinissime al suo orecchio.

Lo sentì scostarsi di poco, il volto ad un nonnulla dal suo; gli occhi chiari brillarono, quanto mai commossi << Ti amo >> disse, con voce anche troppo bassa.

Karin capì quanto gli fosse costato rivelarglielo, ma non gliene fece una colpa: Thorin Scudodiquercia era sempre stato restio ad esternare qualsiasi suo sentimento tramite le parole. Il fatto che avesse appena rivelato d'amarla dimostrava pienamente quanto ciò fosse vero, e reale.

Se possibile, nuove lacrime si affacciarono agli angoli degli occhi << Hai atteso di rischiare la vita per dirmelo? >> scherzò bonaria, senza riuscire a trattenersi.

Thorin si irrigidì un poco, per poi sorridere e scuotere la testa << Ero serio, Karin >>.

<< Anche io >> rispose, posandogli una mano sulle sue << Anche io ti amo >>.

Non attese altro: si avvicinò alle sue labbra, colmando l'inconsistente distanza con un dolce e lento bacio; sentì la lingua del nano percorrerle il labbro inferiore, in un invito esplicito a concedergli l'agognato permesso: e lei l'accontentò, poiché non desiderava altro.

Il bacio si approfondì, divenendo traboccante di passione mal trattenuta; le mani di Thorin si spostarono sulla sua schiena, percorrendola in tutta la sua lunghezza, per terminare il loro sensuale viaggio appena sotto i glutei. Sentendo una pressione e capendo ciò che aveva in mente cercò di aiutarlo, per quanto la gamba ferita lo permettesse; reggendosi salda alle larghe spalle del nano, lasciò che la sollevasse dal giaciglio per posarsela sulle cosce, avvicinandola maggiormente.

Il desiderio di sentire il corpo premuto sul suo lo fece gemere, la frenesia crebbe; relegò in un lontanissimo angolo il pulsare doloroso del fianco e il costante bruciore che lo infastidiva, lasciando che il pensiero di Karin gli invadesse il cuore, l'anima, il corpo.

La strinse di più, in risposta alle braccia che lo avvolgevano con forza e della mano persa tra la chioma; mai sazio di lei, desiderò che quel bacio si protraesse ancora a lungo.

Fu Karin a staccarsi bruscamente, trattenendo una smorfia << Mi dispiace... >>.

<< No, scusami tu >> l'interruppe improvvisamente, con tono grave << Ti chiedo di perdonarmi ancora, Karin. Non vi sono parole per esprimere la vergogna ed il disgusto che provo nei miei confronti >>.

La ragazza rimase qualche secondo basita, non riuscendo a comprenderlo; poi, però, le parve tutto chiaro << Thorin, mi riferivo solamente alla gamba! Anche se il taglio si è rimarginato, la carne pizzica >> rimase a guardarlo colpevolizzarsi internamente e, per placarlo, gli accarezzò la guancia destra; il cuore le si strinse al sentire un pesante sospiro, ma tentò in tutti i modi di mostrarsi allegra e tranquilla << Non devi preoccuparti di nulla, te l'assicuro. Non c'è niente da perdonare >>.

<< Niente da perdonare? Dimentichi facilmente troppe cose >> disse duramente, rimembrando quando aveva voluto percuoterla nella Sala del Tesoro.

<< Se provassi del rancore non avrei mai accettato la tua dichiarazione, né il tuo amore >> spiegò, sincera come non mai << Thorin >> lo chiamò, alzandogli il volto con il palmo della mano e costringendolo a guardarla << Smettila di ricordare il passato; guarda il presente, e il futuro che ti aspetta. Che ci aspetta >>.

Il nano l'osservò attento, lasciando che le rassicurazioni penetrassero nel suo cuore: e così fecero, sollevandogli il morale afflitto da rimorsi e sensi di colpa.

L'anima si alleggerì d'un peso immane e, ora decisamente più sereno, si permise di baciarla ancora con ardore.

Si staccò anche troppo presto - secondo il parere di Karin - ma altri pensieri vennero bruscamente interrotti da ciò che vide poco dopo: Thorin allungò una mano sotto i guanciali, tirandone fuori qualcosa che assomigliava molto a...

<< La collana >> mormorò, incredula; non vi erano dubbi, era proprio lei! << L'hai tenuta. Non l'hai gettata, o spezzata >>.

<< No. Avevo giurato a me stesso che te l'avrei restituita, e ti avrei ripresa per sempre. Direi che ho mantenuto la promessa >>.

Karin annuì, palesemente grata. Tese una mano verso il mithril, ma Thorin scosse la testa.

<< Girati >> le ordinò.

Obbedì, raccogliendosi i capelli e tenendoli sollevati; ciò permise al nano di risistemare la catenina attorno al suo collo, chiudendo il minuscolo fermaglio. Karin chiuse gli occhi quando avvertì la lieve pressione delle sue labbra sulla pelle, e sorrise gioiosa mentre si sentiva di nuovo completa. Ogni cosa era tornata al suo posto, e tutto si era concluso per il meglio.

Non poteva volere più di questo.

Liberò i capelli, lasciandoli scendere sulle spalle e lungo la schiena; si volse verso di lui, senza smettere di sorridere dolcemente. Avrebbe voluto trovare delle parole altisonanti, piene d'amore e riconoscenza, per fargli intendere quanto aveva significato quel gesto, quanto lui stesso era importante per lei: ma non vi erano tali termini o, anche se fossero esistiti, non era in grado di utilizzarli. Per questo motivo sorrise: per esprimere in altro modo ciò che avrebbe voluto dirgli. Sperò che Thorin capisse, e sembrò così, poiché le prese il volto tra le mani e lo avvicinò al suo, unendo le fronti.

Il silenzio li avvolse, ora non più pesante ma carico di quiete, amore e felicità, così potente da far chiudere le palpebre per assaporarlo meglio; rimasero così a lungo, venendo però interrotti bruscamente da vari colpi di tosse provenienti dall'ingresso.

Disin aveva scostato di poco le tendine della tenda, ed aveva il capo girato da un lato per non sembrare troppo indiscreto.

Alla tacita domanda di Thorin, posta con un sopracciglio alzato e uno sguardo battagliero, Karin rispose avvicinandosi al suo orecchio.

<< Il medico >> sussurrò piano, sperando di non venir udita dallo stesso.

Gli posò un veloce bacio sulla barba, ad un soffio dalle labbra, e scese dalle sue gambe nel momento esatto in cui Thorin gli ordinò d'entrare.

<< Disin, mio signore, medico dei Colli Ferrosi. Al tuo servizio >> si presentò, venendo accolto da un cenno del capo da parte del re << Desolato interrompere, ma sono stato informato della tua guarigione. Permettimi di esaminarti per poterlo accertare >>.

<< Certamente >>.

Il nano si avvicinò, inchinandosi di fronte a lei << Mia signora Karin >>.

Lei rispose, alzandosi e sorridendogli << Prendo congedo. Ti chiedo cortesemente di indicarmi la tenda dei giovani principi. È tempo che faccia loro visita >>.

<< Appena esci di qui prosegui alla tua destra, e conta sette tende. Li troverai là, in piena convalescenza! Hanno un corpo forte, e forze eccezionali >>.

<< Appartengono alla stirpe di Durin >> disse Thorin, lasciando trapelare l'orgoglio nella voce.

<< A dopo, allora >>.

<< Mia signora, fuori il vento freddo sferza. Ti consiglio di coprirti con un mantello pesante >>.

Schiuse le labbra, non sapendo che rispondergli: non aveva il mantello, avendolo lasciato nell'altra tenda.

<< Karin >> al richiamo di Thorin lo guardò, seguendo la traiettoria immaginaria del suo dito << Prendi il mio >>.

<< Grazie >>.

Si avvicinò titubante, sfiorando il tessuto con deferenza; non appena se lo posò sulle spalle e lo allacciò al collo si sentì decisamente meglio, ed anche più calda: certo, avrebbe preferito indossare il precedente mantello bordato di pelliccia, ma sempre meglio di niente.

Li salutò nuovamente e, zoppicando, procedette lungo l'accampamento.




<< Karin! >> gridò gioioso Kili, non appena varcò la soglia; individuò anche Bilbo, Bofur e Ori, seduti accanto ai letti, che le rivolsero grandi sorrisi sornioni mettendola a disagio.

<< No Kili, ora dovremo chiamarla zia! >> esclamò il maggiore, dandogli una gomitata sulle costole a mo' di rimprovero.

Il giovane nano gemette, ma poi si aprì in un sorriso furbo << Preferisco mia Regina. Suona meglio >>.

<< Uhm, decisamente! >>.

<< Volete smetterla? >> sbottò lei, al limite della pazienza; appallottolò malamente il mantello lanciandolo addosso ai due che non si accorsero del suo brusco gesto, presi com'erano da un attacco irrefrenabile di ridarella.

Il vederli cercare di districarsi dall'indumento le permise di tirare un sospiro di sollievo, sperando in un cambio d'argomento.

<< Allora? Non dici niente? >> domandò Bofur, avvicinandosi.

La fortuna non era con lei, al momento.

<< Riguardo? >> chiese, fingendosi stupita.

Il giocattolaio alzò un sopracciglio, ma non rispose; lo fece Bilbo << Ciò che ti ha detto Thorin, che altro? Forza, racconta! >>.

Karin si strinse nelle spalle, mentre una voglia assurda di scappare si faceva sempre più spazio in lei << Mah, niente di che >> mugugnò, sentendo d'arrossire.

<< Conosco quella faccia! >> gridò Bofur, indicandola << Ragazzi, è davvero qualcosa di grosso! >> improvvisamente boccheggiò, arrivando alla conclusione << Hai accettato! >>.

Il silenzio scese nella tenda; dieci paia d'occhi non abbandonarono la sua figura nemmeno per un secondo, incitandola con lo sguardo a parlare poiché la curiosità li dilaniava.

Lei sospirò, decidendo d'accontentarli: dopotutto, prima o poi, l'avrebbero saputo << Bé, ecco... sì >> esalò flebile, guardando imbarazzata il pavimento.

Passarono alcuni secondi, poi il gruppetto esplose in applausi e congratulazioni che la lasciarono a dir poco stordita; Bilbo corse da lei, volendo essere il primo ad abbracciarla, e la strinse così forte da farle mancare il fiato.

<< Attento Baggins, così rischia di non arrivare viva al matrimonio! E poi come ci giustifichiamo con Thorin? >> disse Bofur, facendoli ridere forte; persino Karin si unì, scuotendo la testa.

<< Perché non volevi dircelo? È una bella notizia, sai? Finalmente un po' di meritata pace >> disse Fili, facendole un cenno perché si avvicinasse a loro.

<< Inoltre, farai parte della famiglia! >> rincarò Kili, esprimendo la sua contentezza tramite gli occhi scuri, brillanti di felicità << Pensa quando lo saprà nostra madre! >>.

<< Non credo ne sarà molto felice >> ammise Karin, tornando seria; lasciò che i due fratelli le posassero ciascuno un braccio sulle spalle, abbracciandola con affetto.

<< E perché? Ci parlava spesso di te >>.

<< Non con tono amichevole, suppongo >>.

<< Ad essere sincero non ricordo >> disse Kili, preoccupato; cercò con lo sguardo una risposta dal fratello, ma l'altro scosse la chioma bionda, deluso << In ogni caso, non devi temere. Dìs è come Thorin: sbraitano molto ma, alla fine, non mordono >> le fece un occhiolino cercando di tirarle su il morale, e Karin fu costretta a sorridere debolmente.

Ah, lo sperava veramente col cuore! Non si erano lasciate nel migliore dei modi, anni fa.

<< Sono veramente felice per voi >> disse Ori, rimasto in silenzio ed in disparte fino ad ora.

<< Grazie, Ori >>.

<< Accidenti, so già che mi commuoverò! >> scherzò Bofur, giusto per farla sorridere e reagire.

Ci riuscì, poiché Karin alzò gli occhi al cielo e si lasciò scappare una sonora risata << Bofur, ti prego! Non iniziare già da ora! >>.

<< Non iniziare a fare che? >>.

Tutti si girarono verso l'entrata, scorgendo la tozza figura sorridente di Balin; i restanti membri della Compagnia lo seguivano, facendo sì che lo spazio diminuisse notevolmente benché si trattasse di una delle tende più ampie.

<< Ad esasperarmi >> gli rispose, guardandolo con affetto. Comprese che aveva saputo la notizia, ed i suoi sospetti vennero confermati subito.

<< Oh bé, in quanto futura Regina sotto la Montagna avrai molto potere. Consiglio di approfittarne immediatamente per volgere la situazione a tuo vantaggio! >> scherzò, battendo amichevolmente una mano sulla spalla di Bofur.

<< Regina sotto la Montagna >> ripeté Karin, i tratti del viso tesi << Un titolo altisonante e pauroso. Devo ancora interiorizzare gli ultimi avvenimenti >>.

<< Può spaventare, è vero >> disse Balin, annuendo << però, credimi: sarà meglio di quel che potrà sembrare >>.

<< E non sarai sola >> intervenne Dwalin << avrai Thorin al tuo fianco >>.

<< Spaventato quasi quanto te, anche se non lo da' a vedere! >> ridacchiò Balin.

L'occhiata e la risposta scettica di Karin vennero interrotte da Kili << Noi ti sosterremo, è chiaro! >> esclamò, battendosi un pugno sul palmo dell'altra mano << Vero, fratello? >>.

<< Come è certo che mi chiamo Fili! >>.

<< Grazie ragazzi. E grazie di cuore a tutti voi, davvero >>.

<< Ciò che conta è che tu sia più tranquilla e felice >> disse Bilbo, sorridendole affettuoso.

Karin annuì, ricambiando << Eccome! >>.

<< Ah, bisogna festeggiare! Stasera tutti attorno al falò! >> ululò Kili, alzando il braccio destro.

<< Ma dove vorresti andare conciato così? Non sai nemmeno reggerti in piedi! >>.

<< Karin, sono più forte di quel che credi >>.

<< Certo >> rispose ironica, incrociando le braccia.

<< Adesso te lo dimostro! >>.

Fece per alzarsi, ma la voce di Balin lo fermò << Per l'amor del cielo, calmati e rimettiti seduto, ragazzo! E poi, credo che Karin voglia passare un po' di tempo con Thorin, ora che è sveglio >> le lanciò un'occhiata ammiccante, alla quale non poté fare a meno d'arrossire.

Si schiarì la voce per cancellare l'imbarazzo, ed annuì << In effetti sì. Mi dispiace, Kili, magari domani o quando starete meglio: ti ricordo che anche Thorin dovrebbe unirsi ai festeggiamenti >>.

<< Giusto >> disse il giovane, sprofondando sui guanciali.

Poi cambiarono argomento – per la gioia della nana – e parlarono a lungo, chiedendosi quando Elfi e Uomini avrebbero smantellato l'accampamento e se ne sarebbero andati, e se i Nani dei Colli Ferrosi li avrebbero aiutati a liberare Erebor dalle macerie e a ricostruirla.

<< So che ora Thranduil è nella tenda di Thorin >> disse Balin, lasciando vagare lo sguardo su di loro << ma non saprei proprio di cosa stiano discutendo. In ogni caso, nemmeno Gandalf è riuscito ad entrare! >>.

<< Faccenda importante! >> esclamò Bofur, dopo aver fischiato.

<< Già, già >> borbottarono in molti, immersi in varie congetture.

<< E per la faccenda del tesoro? >> chiese Bilbo, attirando tutti gli sguardi << voglio dire, doveva essere diviso tra noi, ma ora... Thorin rispetterà i patti presi con Bard? >>.

<< Naturale >> rispose Karin, vedendo gli amici rabbuiarsi << Andiamo, una parola presa va mantenuta! >>.

<< Sì, ma, insomma >> balbettò Fili, leggermente a disagio << Consegnare parte del nostro tesoro agli Uomini è giusto, ma agli Elfi... >>.

<< Senza di loro non avremmo vinto la battaglia, ragazzo >> disse Balin << Per quanto non corrano buoni rapporti tra le razze, è innegabile che ci abbiano aiutati >>.

Karin annuì, e così fece Bilbo; gli altri, bene o male, erano ancora leggermente perplessi.

<< Non lasciate che l'avidità e i pregiudizi corrompano i vostri cuori >> intervenne Karin << Thorin stesso si è pentito profondamente del suo comportamento >> evitò di aggiungere la sua richiesta ad aiutarlo a diventare un nano migliore; ciò che si erano promessi e detti sarebbe rimasto un loro segreto.

<< Ci comporteremo con coscienza >> assicurò Gloin.

<< Anche se sarà difficile! >> aggiunse Oin, tenendo il corno acustico appoggiato all'orecchio << Non dimentichiamoci la prigionia a Bosco Atro >>.

Bifur iniziò a gesticolare e a parlare in nanico antico e molti borbottarono, ricordando perfettamente le lunghe settimane all'interno delle celle anguste; persino Karin dovette concordare, anche se poi parlò.

<< Si è trattato di uno spiacevole malinteso. Da quando sono comparsi i ragni, gli Elfi Silvani sono molto più guardinghi: una compagnia di nani li ha allarmati più del necessario, tutto qui >>.

<< Non credevo li difendessi >> ammise Dwalin, burbero << Non dopo quello che hai passato >>.

Karin si bagnò il labbro inferiore, alzando le spalle << Il passato è passato, è inutile rivangarlo. Thranduil mi ha accolta con benevolenza quando sono fuggita, ospitandomi in un accampamento – di fatto – nemico e mi ha permesso di parlamentare con Dain, concedendomi fiducia. Direi che le nostre incomprensioni sono ormai finite >>.

Dwalin stette in silenzio a lungo, poi abbassò il capo << Come credi >>.

<< Rimangono comunque molti dubbi >> constatò Balin, pensoso << Ma non è il caso di pensarci troppo! Dobbiamo stare allegri, poiché i feriti si stanno riprendendo e la nostra dimora ci appartiene nuovamente. Inoltre, e fatto non meno importante, dovremo organizzare una Cerimonia d'Incoronazione degna di questo nome >>.

<< Pensiamo prima a ricostruire Erebor >> si intromise Karin, sedando altri festeggiamenti degli amici << Più tardi avremo tempo per cerimonie varie >>.

<< Chi ha tempo non aspetti tempo! >> esclamò Bofur.

<< Sì, ma ora stiamo correndo troppo >> ribatté lei << Sono sicura che anche Thorin la pensa allo stesso modo: la priorità assoluta spetta alla nostra casa. Non vorrete certo un'Incoronazione presso una Sala del Trono piena di macerie! >>.

<< Se la metti su questo piano >> disse Dori << siamo d'accordo anche noi >>.

<< Sono impaziente d'iniziare i lavori >> ammise Nori, lisciandosi i baffi << Abbiamo atteso anche troppo, amici! >>.

L'eccitazione dei nani divenne palpabile, e fu con un immenso sforzo che non uscirono dalla tenda per entrare nella Montagna Solitaria, iniziando i tanto agognati lavori di ristrutturazione e ricostruzione.

Passarono altro tempo a chiacchierare ma, ad un certo punto, Karin fu colta da un ampio sbadiglio.

<< Dovresti andare a riposare >> le disse Bilbo, accennando un sorriso << In questi giorni hai dormito molto poco >>.

<< E la veglia delle ultime ore mi ha destabilizzata, è vero >> concordò, ravvivandosi i capelli << Perciò, amici, vi lascio >>.

<< Lascia che ti accompagni alla tenda >> le chiese lo hobbit, guardandola speranzoso negli occhi neri.

Lei acconsentì con un cenno d'assenso, spossata in ogni sua fibra.

<< Torna a trovarci, Karin, mi raccomando! >>.

<< Come potrei non venire? Senza il vostro buonumore mi sentirei persa >> confessò ai due giovani nani, sorridendo grata << Sono felice vi siate ripresi, ero molto preoccupata >>.

Fili e Kili si lanciarono un'occhiata, guardandola sorridenti << Lo sappiamo, non temere >> le assicurò il minore.

Tutti le augurarono una lunga e buona dormita, seguendo le due figure con lo sguardo.

Una volta usciti, l'aria frizzante le intorpidì il volto, svegliandola in parte dalla sonnolenza; arrancando accanto a Bilbo, lasciò che la prendesse sottobraccio per aiutarla.

<< Mi era mancato il tuo affetto, sai? >> gli confessò, preferendo non badare alle occhiate sempre più curiose dei soldati << E mi ha rammaricato un nostro mancato dialogo: però Thorin aveva bisogno di me >>.

<< Ovvio, Karin. Non temere, non sono arrabbiato: come potrei? Finalmente questa brutta avventura si è conclusa con un bel ed inaspettato lieto fine: riavrete presto la vostra casa com'era un tempo e tu e Thorin vi sposerete >> disse, allegro.

Invece il cuore di Karin si appesantì improvvisamente quando scorse un evento infausto << Tu te ne andrai, però >>.

Il sorriso gioviale di Bilbo si spense rapido; si fermò, costringendola ad arrestarsi << Il mio posto è a Hobbiton, anche se desidererei rimanerti accanto >> disse pacato, ma non per questo meno mesto << Però mi mancano la mia poltrona, i miei libri, il mio giardino, la mia casa; ultimamente ci penso spesso, ad essere sincero >>.

Karin si morse la guancia, rimproverandosi: ora era Bilbo quello lontano da casa. E lei sapeva perfettamente come si sentiva in quel momento: la nostalgia arrivava a distruggerti l'anima; si rimproverò duramente, il suo essere così egoista la fece vergognare.

<< Hai ragione. È solo che >> iniziò, torcendosi le dita << ecco, mi mancherai molto. Moltissimo. Più di quanto possa confessare >>.

Bilbo la guardò, oltremodo commosso: gli occhi grigi s'inumidirono, e sbatté più volte le palpebre per impedirsi di piangere << Dai, Karin, non dire così! Non è ancora il momento della partenza >>.

<< Lo so, però, ecco: se non trovassimo altre occasioni per parlare... >>.

<< Sarai la Regina di Erebor, per tutti i centrini! Un tuo ordine e tutti ci lascerebbero soli a conversare tranquillamente >>.

Karin rise, annuendo << Concordo >>.

<< E poi, non devi temere: rimarrò qui fino al matrimonio. Non voglio perdermelo per nessuna ragione al mondo! >>.

Stavolta fu il suo turno di commuoversi; guardò altrove per non farsi cogliere in lotta col pianto ma Bilbo intuì ugualmente, dato che le strinse affettuosamente una mano.

<< Forza, andiamo. Ti ricordo che devi recuperare le forze >>.

Raggiunsero la tenda in silenzio e incontrarono Gandalf, appena uscito; rivolse loro un saluto, prima di parlare.

<< Stavo giusto per venire a cercarti, Bilbo >>.

Lo hobbit l'osservò stupito, indicandosi con l'indice << Io? Come mai? >>.

<< Thorin desidera parlarti. Bé, ora che ti ho trovato il mio compito è concluso: buona giornata! >>.

Iniziò a fischiettare allegro, camminando tenendosi al bastone; i due amici si guardarono e poi entrarono, trovando un pensieroso Thorin seduto sulla branda, con la schiena appoggiata ai guanciali.

Karin trattenne un sospiro di sollievo nel vederlo riprendere rapidamente vigore e, felice, gli donò un ampio sorriso.

<< Come è stato l'incontro con Kili e Fili? >> volle sapere il re, facendo un cenno allo hobbit perché si sedesse sulla seggiola di legno; lei, al contrario, si avviò senza indugio verso la sua branda, desiderosa di stendere la gamba.

<< Piuttosto movimentato >> rispose, lanciando un'occhiata d'intesa a Bilbo << In breve sono sopraggiunti gli altri: puoi ben immaginare la confusione che ne è conseguita! >>.

<< Sì, posso capirlo >> ammise Thorin, sorridendo.

Per Bilbo fu un'enorme sorpresa rivedere l'espressione tranquilla e serena che campeggiava sul volto del nano, rimembrando fin troppo nitidamente i tratti deformati dall'ira. Ma ne fu felice, esattamente come quando era stato finalmente accettato nel gruppo.

Si riscosse dai pensieri quando comprese che lo stava osservando silenzioso, attendendo la sua attenzione.

<< Scusa, Thorin. Pensavo >> si giustificò imbarazzato, arrossendo.

<< Sono io a dovermi scusare per la seconda volta, amico mio: hai agito nel modo che ritenevi più legittimo, e come sei stato ricompensato? Ti ho trattato ingiustamente, accecato com'ero dalla rabbia e dalla voglia di vendetta; e nemmeno una montagna d'oro può essere un adeguato compenso >>.

<< No, Thorin, davvero, non occorre! >> si affrettò a dire lo scassinatore << Basterà la mia piccola parte, come pattuito: non pretendo altro, e ti ringrazio per le scuse – che accetto volentieri, beninteso. Sono felice d'aver condiviso i pericoli della Compagnia: questo è stato più di quanto un Baggins possa meritare! >>.

<< In te c'è più di quanto tu non sappia, figlio dell'Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d'oro, questo sarebbe un mondo più lieto >> disse Thorin, sorridendogli ed allungando una mano verso la piccola figura di Bilbo, emozionato: si strinsero le mani, sancendo in tal modo l'amicizia ritrovata, e il perdono concesso.

Karin li contemplò in silenzio, non volendo interrompere in alcun modo il momento; dopo poco si sciolsero, e Bilbo balbettò svariati “Grazie” decretando che era tempo di ritirarsi, poiché stanco.

<< Oh, un'ultima cosa >> si girò, guardandoli benevolmente << Congratulazioni >> se ne andò, lasciandoli soli.

Il silenzio regnò per alcuni brevi secondi, interrotto dai borbottii di Thorin << Glielo hai rivelato, dunque >>.

<< Mi hanno praticamente costretta >> svelò, sdraiandosi con un sospiro esausto << Non avevo altra scelta >>.

<< Le loro reazioni? >>.

<< Decisamente euforiche! Non li avevo mai visti così felici >>.

Thorin annuì, decisamente sollevato: dopotutto, che temeva? Erano a conoscenza da tempo dei loro sentimenti, anche se non ne avevano mai parlato. Doveva essere sembrata loro la decisione più sensata e logica, specie dopo ciò che avevano passato.

<< E tu? >> domandò assorto, vedendola aggrottare la fronte << Tu sei felice, Karin? >>.

La ragazza si aprì in un sorriso, e si sedette per poterlo guardare meglio negli occhi azzurri << Se solo riuscissi ad esprimere completamente quello che provo! Ma non riesco, non vi sono parole sufficientemente perfette ed adatte al mio stato d'animo. Ti amo, e voglio passare il resto della mia vita al tuo fianco. Come puoi chiedermi se sono felice? Lo sono, ed il cuore trabocca di gioia come non mai: perché, ora, niente può separarmi da te >>.

Gli gettò le braccia al collo, abbracciandolo; pose il mento nell'incavo del collo, e lasciò che i capelli scuri le solleticassero il naso. Inspirò il suo odore, sentendosi rinvigorire nell'anima; lo sentì ricambiare il gesto con trasporto trasmettendole tutto il suo amore, difficile da rivelare. Ripensò alla sua dichiarazione, a quel suo “ti amo” confessato a voce bassa, che le aveva raggiunto le orecchie come se l'avesse urlato; rimembrò le emozioni provate, e lasciò che l'inebriassero ancora una volta.

<< Sarai un'eccezionale Regina >> le sussurrò all'orecchio sinistro << Coraggio. Lealtà. Passione. Non posso chiedere di più >>.

Si staccò da lui, uno sguardo confusamente indecifrabile. Thorin, per tutta risposta, ampliò il sorriso << Hai ristabilito appieno l'onore di tuo padre, ed il tuo, poiché in battaglia hai dimostrato di possedere le qualità incise sulla lama di Iris >> si fermò per lasciarle interiorizzare le frasi, poi proseguì << Sono onorato d'essere stato salvato da te, Karin figlia di Kario, della stirpe di Gorin >>.

Karin strinse le labbra, mentre dentro di sé infuriava una tempesta di sentimenti, ed alzò il capo << Ti sono riconoscente per avermi riportata a casa, sia adesso che molti anni fa, al nostro primo incontro; e sono io ad essere onorata nel diventare tua moglie: grandi sono la tua saggezza e correttezza e, benché la paura di non essere all'altezza del nuovo compito che mi si prospetta mi attanagli, so che nulla potrà nuocermi. Non sei l'unico ad essere stato salvato: ci siamo salvati a vicenda >>.

<< E continueremo a sostenerci per molti altri anni a venire >> confermò lui; continuava a rimarcare che, d'ora in poi, non si sarebbero mai più separati, ed il cuore le si strinse in una morsa dolorosamente appagata. Ormai si appartenevano senza riserve, senza doversi giustificare o nascondersi agli altri: ed era una consapevolezza tremendamente deliziosa.

Il rumore della pioggia li sorprese e, istintivamente, alzarono la testa verso il soffitto della tenda; l'acqua cadeva copiosa, lo scroscio sembrava inghiottire ogni altro rumore. Karin ricordò un certo giorno ad Esgaroth, nel quale un simile suono li aveva accompagnati durante la loro passione travolgente; d'improvviso, il basso ventre si infiammò, ed un assurdo desiderio di ripetere quell'eccitante esperienza si annidò in lei.

Ammirò il suo profilo - ancora perso nell'ascolto del fenomeno meteorologico - partendo dalla fronte dritta e spaziosa; scese verso le sopracciglia folte e scure, procedendo lungo le palpebre dalle ciglia lunghe e dagli occhi azzurri colmi di pace. Seguì la linea dritta e importante del naso, notò quanto fosse cresciuta la barba che incorniciava le labbra sottili, ora un poco dischiuse; infine, il suo viaggio terminò sul mento e sul collo, finché il tessuto della camicia da notte bianca non l'interruppe.

Muovendosi lenta, si sporse a baciargli la guancia, ritrovandosi poi a seguire la mandibola; lo udì espirare e abbandonarsi alle sue attenzioni, e ciò non fece che accrescerle l'ormai incontenibile bramosia.

Scese sul collo, ma non fece in tempo a posargli due dolci baci che le mise una mano sotto il mento, costringendola a rialzarsi per incontrare le sue labbra; le lingue si trovarono subito, danzando come non accadeva da tempo. Le mani iniziarono a percorrere i corpi dell'altro con impazienza: fu ben difficile cercare di procedere con cautela e, dopo poco, entrambi cedettero totalmente all'istinto.

Karin rintracciò l'orlo della lunga camicia del nano e, trovatolo, non perse tempo a sfilargliela dalla testa, lasciandolo completamente nudo: contemplò il petto possente ricoperto dalla leggera peluria nera, i muscoli tesi e gli addominali scolpiti; percorse il resto del corpo con occhi luccicanti di malizia, pensando di non aver visto niente di più bello. Lo constatava ogni volta che poteva ammirarlo, ed un bruciante desiderio si mescolava all'orgoglio di saperlo suo.

Si morse il labbro quando riportò gli occhi sui suoi e lo vide guardarla con un tale fervore da lasciarla senza fiato; fu il suo turno di spogliarla e, con una lentezza e delicatezza inaudite, lasciò che il corpo gli si mostrasse senza più alcun impedimento. Solo quando la camicia da notte raggiunse la sua a terra si permise di guardarla, gli occhi si saziarono di ogni più piccolo particolare, di ogni centimetro di pelle rosata che attendeva solo di essere baciata: e così fece, portandola a sdraiarsi sotto di lui.

Karin sospirò pesantemente mano a mano che Thorin scendeva: prima il collo, poi l'incavo tra i seni, lo stomaco, la pancia, l'ombelico, il ventre; e poi giù, sempre più giù, acuendole il desiderio già irrefrenabile.

Lo voleva, come mai prima d'ora.

Le dita, perse ad accarezzargli la chioma, strinsero alcune ciocche quando il piacere e il calore aumentarono, divenendo impetuosi come onde del mare; gemette più volte, sentendolo eccitarsi al suono della sua voce.

Quando risalì ed unì le labbra alle sue, le piccole mani vagarono sul torso e sulla schiena, facendo aderire maggiormente i corpi e amplificando le sensazioni di entrambi.

Thorin grugnì quando una mano scese verso il basso ventre e, istintivamente, si mosse in avanti strusciando il corpo contro quello più esile di Karin; brividi di un'inaudita intensità la scossero, le unghie si conficcarono nella pelle graffiando la carne. Thorin gemette nella sua bocca rosea e le strinse con forza i fianchi, volendo sentire la pelle nuda a contatto con la sua; il bacio intenso non venne interrotto nemmeno quando mugugnarono infastiditi a causa delle ferite appena guarite: ogni tanto un sussulto li coglieva ma non vi badavano, preferendo lasciare che l'amore sopisse ogni altro pensiero.

Il nano si spostò di lato, non volendo schiacciarla col suo peso, e ciò le permise di sfiorargli inconsciamente la lunga cicatrice rosata che dal fianco terminava appena sotto l'ascella; ma il fiato di Thorin si spezzò e lo sentì tremare.

<< Scusa >> mormorò interrompendo il bacio, i pozzi neri oltremodo colpevoli.

<< Non è niente >> le rispose, ad un soffio dalle labbra; un secondo dopo erano nuovamente unite, come se non si fossero mai separate.

Karin fece scontrare i bacini ed abbassò una mano verso il suo basso ventre, aumentando il piacere già veramente troppo elevato: Thorin era al limite, il pensiero di farla sua era a dir poco insopportabile, non gli concedeva tregua; non avrebbe resistito ancora a lungo.

Serrò gli occhi e smise di baciarla per grugnire forte, mentre la mano volava su quella di Karin per imporle un ritmo sostenuto; tremendamente soddisfatto, si abbandonò alle sensazioni travolgenti e all'appagamento intenso che lo avvolsero: respirava affannosamente con la bocca socchiusa, numerosi gemiti rochi erompevano dalla gola; Karin si eccitò nel comprendere quanto fosse pago delle sue attenzioni, dei suoi tocchi così audaci e, se possibile, desiderò con tutto il cuore di soddisfarlo ancora, ancora e ancora.

Il Re sotto la Montagna però la bloccò, intrecciando le dita con le sue << Sta' buona >> le ordinò con voce impregnata di lussuria, anche se il tono era severo.

Ritornò nella posizione iniziale, sovrastandola col suo corpo; gli occhi chiari erano uno specchio di bramosia e luccicavano incessantemente, entusiasmandola. Si abbassò sul collo liscio e pallido, le baciò la pelle accarezzandola anche con la lingua; Karin tirò indietro la nuca esponendoglielo maggiormente, le mani vagarono sulla schiena ampia e tra i capelli neri, intrecciando le dita con vigore: gridò sorpresa quando un morso piuttosto violento la raggiunse ed inarcò la schiena, ormai al culmine della pazienza.

<< Thorin >> lo chiamò flebile, il tono a dir poco implorante << ti prego >>.

Lui sorrise sulla sua pelle, sapendo d'averla in balia delle potenti emozioni create; si inginocchiò, guardandola intensamente: Valar, era talmente bella! Così accaldata, il contrasto con gli occhi brillanti di una luce maliziosa e sensuale era accentuato; le gote e il petto erano di un rosso acceso, così come i vari segni presenti sul collo, ultimo il morso.

Capì che era giunto il momento di soddisfare entrambi << Vuoi, Karin? >> chiese con voce vibrante e roca, rimandando alla proposta fatta quel pomeriggio.

<< Sì >> esalò lei << Prendimi >>.

Thorin non se lo fece ripetere. Si abbassò su di lei, sentendo le cosce di Karin serrarglisi attorno ai fianchi, stringendo già con foga; gli circondò il collo con le braccia e, allora, comprese che era pronta.

L'istante successivo era dentro di lei.

Il cuore di entrambi accelerò paurosamente i battiti, sembrò esplodere all'interno della gabbia toracica; con un movimento veloce, Karin inarcò la schiena e conficcò le unghie nelle spalle larghe del nano, sentendolo trattenere un ringhio.

Iniziò a muoversi dapprima lentamente volendo abituarla al movimento, poiché la sentì contrarre i muscoli e la vide aggrottare le sopracciglia in una smorfia di fastidio; poi le spinte si fecero più rapide e veloci, gli affondi più violenti. Karin gemette ad alta voce, esalando brevi respiri ansanti, assecondando ogni suo movimento nonostante il bruciore alla gamba non le desse un attimo di pace. Piantò gli occhi nei suoi, leggendovi un infinito desiderio, il medesimo che l'invadeva; la tenda si riempì di ansiti e gemiti, di grida, di nomi sussurrati e urlati con amore, liberi di viaggiare nell'aria dato che la pioggia copriva ogni altro suono.

Thorin aumentò il ritmo ed il piacere selvaggio che li percorse, sussultando quando una spinta particolarmente vigorosa gli ricordò della cicatrice appena rimarginata; riprese incalzante, beandosi del volto accalorato e sudato di lei, delle palpebre serrate, della bocca dischiusa, del corpo che rispondeva in perfetta sintonia al suo.

Il respiro si spezzò, gemette roco, arrivò a ringhiare ad alta voce, ma non gli importò: con violenti tremiti raggiunse il culmine del piacere, gettando la testa all'indietro e continuando a muoversi in lei.

Dopo altre spinte si fermò, ansimando: posò la fronte sulla sua, i nasi si sfiorarono; rimasero in quella posizione per qualche minuto, mentre riprendevano a respirare regolarmente e tentavano di placare i battiti dei cuori.

Si mosse, sciogliendosi dall'abbraccio, e le si sdraiò accanto avvicinandosela al petto: le circondò le spalle con un braccio e le baciò amorevole la fronte, lasciando che lei ricambiasse col medesimo gesto; ora in pace stettero in silenzio, ripensando ai meravigliosi momenti appena trascorsi.

La quiete che permeava le loro anime si rifletté sui volti placidi e appagati, e Karin si perse per l'ennesima volta a contemplare il volto di Thorin con un lieve sorriso sulle labbra.

Il nano, sentendosi osservato, aprì le palpebre e l'osservò, perplesso << C'è qualcosa che non va? >>.

Ma lei scosse la testa, allargando il dolce sorriso << Sono solo stanca >> ammise, appoggiando la guancia al petto.

Il braccio di Thorin la strinse, le sue labbra calde si posarono sulla tempia << Dormi, Karin. D'ora in avanti veglierò io su di te >>.

La rassicurazione ebbe il potere di farla ridacchiare e annuire, estremamente contenta << Lo so, e ne sono felice >> mugugnò, sentendo le palpebre divenire pesanti; le chiuse, lasciando che la sonnolenza la ghermisse.

Dopo tutta l'ansia, le preoccupazioni, i pianti e la disperazione provate in quelle interminabili ore di veglia, si permise di riposare a lungo, e serenamente.







CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Saaaaaaaalve, siete ancora presenti ;)))? Stavolta il capitolo è un po' più corto e più tranquillo: ora i vari pericoli sono passati, perciò ho ritenuto giusto scrivere questo capitolo dolce: spero vi si sia alzato il diabete (metaforicamente parlando, per carità :D!)!!!

Spero vi sia piaciuto e, perché no, vi abbia commosso (io lo sono taaaantissimo ç___ç): come al solito, ci terrei a leggere le vostre importantissime opinioni :*!

Ringrazio le carissime e specialissime J_ackie, Carmaux95, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack, Krystal91, Elentari, lohobbit, LilyOok_, LadyDenebola. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra Anna <3

P.S. A breve questa long finirà il suo viaggio, ma non dovete temere: una nuova storia sta prendendo forma, ed alcune pagine sono già state scritte :). Perciò, se vorrete ancora accompagnarmi in questa nuova avventura, vi consiglio di tenere gli occhi bene aperti! Potrebbe arrivare quando meno ve lo aspettate ;)!



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Capitolo 25
*** Capitolo venticinque ***


Note autrice: Salve! Perdonate l'enorme ritardo, ma queste settimane si sono rivelate complicate, e le difficoltà sono ricadute (guarda caso -.-) sulla storia; spero mi perdoniate e riusciate a gustarvi questo luuuuungo capitolo, scritto col cuore!

Me ne scuso, ma non ho ancora ringraziato a dovere Yavannah e vanessa90 per aver chiesto che “La Quercia e L'Iris” venisse presa in considerazione come Storia tra le Scelte: GRAZIE DI CUORE, semplicemente <3

E un ENORME GRAZIE a chi mi ascolta, mi consiglia e mi consola dicendomi il suo parere :D. E' grazie a questo che sono riuscita a terminare questo capitolo!

Buona lettura, ci leggiamo giù :*



CAPITOLO VENTICINQUE


<< Piano, appoggiati a me. Ecco, così >>.

Karin gemette silenziosamente mentre aiutava Thorin nel tentativo di alzarsi; si erano svegliati in tarda mattinata e, dopo aver racimolato un qualcosa di commestibile per colazione, aveva espresso quel desiderio. Lei non aveva obiettato, offrendosi come una sorta d'appoggio almeno finché non si fosse stabilizzato.

Con un braccio attorno al collo, e quasi tutto il peso appoggiato al suo corpo più minuto, mossero dei primi passi incerti; Karin lo osservò, cercando di capire se si sentisse bene, ma il suo volto era concentrato e non mostrava segni di dolore: bé, poco male. Ciò che contava era la sua totale guarigione imminente.

<< Provo da solo >>.

<< Sei sicuro? Non ti gira la testa? Hai perso molto sangue, e le forze non tornano precipitosamente >>.

Thorin sorrise brevemente di fronte alla sua preoccupazione, e tentò di rassicurarla << Sto bene, Karin >>.

Premette le labbra sulle sue e si sciolse da lei, camminando un po' barcollante; Karin osservò la sua andatura, constatando quanto migliorasse visibilmente già dopo pochissimi passi. In breve riuscì a camminare senza problemi, facendole nascere un sorriso spontaneo.

<< E' proprio vero che la Stirpe di Durin è dura quanto la roccia, e che nulla vi può spezzare >> commentò invidiosa, incrociando le braccia al petto << Sembra tu abbia solo dormito a lungo, e molto serenamente >>.

Thorin le si avvicinò, gli occhi azzurri brillanti e orgogliosi in quanto aveva ritrovato il proprio vigore << In fondo si è proprio trattato di una profonda dormita. Nulla di più >>.

Karin alzò le sopracciglia, piuttosto scettica verso quell'affermazione, ma non aprì bocca; si limitò a scuotere la testa e a circondargli il collo con le braccia << E ora, mio Re? Come hai intenzione di procedere? >>.

Il nano le sfiorò i fianchi, senza smettere di guardarla negli occhi neri << Presumo che Thranduil vorrà tornarsene a Bosco Atro, e Bard a Esgaroth: però, come primo atto, dovrò consegnare la loro parte di Tesoro. Anzi, stavo ponderando che potrei anche aggiungere dell'altro, in segno di gratitudine: senza il loro intervento – benché involontario – non saremmo qui >> le accarezzò la guancia sinistra, seguendo la linea del volto fino al mento << Sei d'accordo? >>.

Karin annuì, commossa ed imbarazzata insieme nell'apprendere che, d'ora in avanti, Thorin avrebbe chiesto i suoi consigli e le sue opinioni per qualsiasi questione: o, almeno, per quelle che necessitavano un consulto.

<< Sostengo questa scelta: è giusta, hai pienamente ragione >> confermò, sorridendogli.

Thorin ridacchiò lievemente, stupendola << Mi mancheranno i nostri litigi. Non vorrei che, d'ora in avanti, fossi troppo accondiscendente >>.

Karin rimase interdetta qualche secondo, per poi assottigliare lo sguardo e schiudere le labbra; fintamente offesa e punta sul vivo si sciolse dall'abbraccio, posando le mani sui fianchi << Attento a ciò che chiedi, mio signore. Potrei quasi decidere d'accontentarti >> il tono le risultò più giocoso di quel che avrebbe voluto, e Thorin comprese che il suo risentimento era del tutto fasullo.

<< Chiedo venia, chiedo venia! Come posso farmi perdonare, mia Regina? >> lo sguardo malizioso che le lanciò fu estremamente invitante e, per lunghi attimi, Karin fu ben tentata della risposta da dargli; infine, però, optò per altro.

<< Ti suggerisco di mettere in pratica ciò che hai detto, ovvero consegnare la giusta ricompensa a Elfi e Uomini. Sinceramente parlando, sono ben stanca di rimanere rinchiusa in questa tenda >>.

<< Karin, per quanto la tua proposta sia allettante, ti ricordo che non possiamo uscire con addosso solo delle camicie da notte; non io, perlomeno >> le lanciò un'altra occhiata eloquente e penetrante, guadagnandosi un lieve schiaffo sul braccio a mo' di rimprovero e un paio di occhi battaglieri che lo squadrarono focosi.

Trattenne una sonora risata, stringendola a sé << Suvvia, è la verità! Anche se mi dispiacerebbe alquanto dover attaccare ogni soldato che posi gli occhi sulla tua figura, proprio ora che la pace è stata raggiunta >>.

Alzò gli occhi al cielo, lasciandosi scappare uno sbuffo << Sai, mi mancherà parecchio il tuo essere scontroso e taciturno! Ora sei fin troppo loquace e spiritoso per i miei gusti >>.

<< Con gli altri mi comporterò come ho sempre fatto. Questo mio nuovo lato sarà il nostro piccolo segreto >> disse, con voce roca.

Eccitanti brividi bollenti le percorsero la schiena, e non poté impedirsi di sorridere << Lo custodirò con gioia >> assicurò, tornando a circondargli il collo.

Si baciarono dolcemente ma Thorin si staccò presto dal contatto, lo sguardo pensoso << La sarta dovrebbe essere giunta all'accampamento, ormai >>.

Karin aggrottò la fronte, tremendamente confusa << Quale sarta? >>.

<< Ti ricordo che non possediamo vestiti, li hanno gettati non appena ci hanno portati qui. Bard stesso si è offerto di chiamare una donna di fiducia appositamente per noi. Non so altro >> spiegò paziente.

<< Certo >>.

Si diede della stupida, e tentò di placare il cuore che aveva iniziato a galoppare rapido; per lunghi attimi aveva creduto fosse arrivata per prepararle il vestito sontuoso che avrebbe indossato al matrimonio. Si morse il labbro, rimproverandosi: stava correndo decisamente troppo.

Thorin venne attirato da una figura estranea e puntò lo sguardo azzurro verso la soglia, dove stava Ori, in silenziosa attesa: probabilmente non aveva avuto cuore d'interromperli.

Entrò e, timidamente, posò lo sguardo su di loro << Perdonatemi, ma è arrivata la donna di Esgaroth, e vorrebbe vedere Karin >>.

<< Non vuole entrare qui? >>.

<< Meglio che sia tu ad andarle incontro >> disse Thorin, rispondendo prima che potesse farlo il giovane nano << E' giusto così >>.

Lei richiuse le labbra e fermò la protesta prima che fuoriuscisse; annuì e, senza altre parole, seguì Ori.

Thorin però la chiamò, facendola arrestare << Mi raccomando, Karin: abiti femminili >>.

Non lo degnò di risposta, sentendo le orecchie e le guance improvvisamente accaldate; l'ultimo suono che sentì prima di scostare i lembi della tenda fu la sua leggera risata.

L'aria le scompigliò i capelli e la poca e fredda luce presente ebbe il potere di farle socchiudere gli occhi; si guardò attorno, notando i preparativi che stavano avvenendo. Entro sera l'accampamento si sarebbe svuotato, il che significava che Thorin avrebbe dovuto sbrigarsi con i dovuti pagamenti: non rimaneva molto tempo.

Camminarono poco, con suo gran sollievo e, finalmente, notò l'alta figura della donna posta di spalle. Stava conversando con Bard che, non appena la scorse, fece un cenno nella sua direzione. Allora si girò, e Karin non poté credere ai propri occhi: li sentì sgranarsi sbalorditi, la bocca si dischiuse sorpresa, avendola riconosciuta.

<< Eliese! >> gridò, cercando di accorciare la distanza con ampie falcate – per quanto la gamba glielo permettesse.

L'amica le rivolse un caloroso sorriso, andandole incontro con le braccia aperte, pronte ad accoglierla: si abbracciarono strette, trasmettendosi allegrezza nel sapere l'altra viva.

<< Sono così contenta! >> esclamò Karin << Non sai la pena nell'apprendere dell'attacco di Smaug. Fortunatamente Bard mi ha detto che siete riusciti a fuggire >>.

<< Ci siamo mossi rapidamente, nonostante avessimo con noi Glir: ma si è comportato bene, e così anche Alhena >> si sciolse, guardandola attentamente negli occhi neri << Tu, piuttosto! Quando è giunta voce dell'imminente battaglia e della miracolosa vittoria ho tirato molti sospiri di sollievo, ma poi Bard mi ha raccontato della tua ferita: ora stai meglio? >> domandò apprensiva.

Karin ampliò il sorriso, annuendo << Nulla di grave, davvero. Solo, avevo perso molto sangue >> disse, minimizzando: non voleva si preoccupasse troppo << Thorin ha rischiato di morire, però. Gli sono rimasta accanto finché non si è svegliato >>.

Eliese le concesse un sorrisetto compiaciuto e malizioso, gli occhi verdi brillarono intensamente << Sono a conoscenza anche di questo. Dunque avevo visto giusto: eri davvero legata a qualcuno della Compagnia, anche se non mi sarei proprio aspettata si trattasse del re. Ad ogni modo, è stato grazie a lui se ora sono qui: ha chiesto a mio fratello se ero in grado di cucire >> il volto le si piegò in una smorfia, come se la domanda del nano fosse stata totalmente superflua << Una volta risposto affermativamente, non abbiamo atteso altro tempo. Bard è venuto ad Esgaroth, informandomi della situazione, e sono partita non appena ho potuto: ovvero, dopo che ho lasciato Glir a Renal >>.

Karin era a dir poco esterrefatta, apprendendo finalmente la verità: allora il non sapere l'identità della famosa sarta era stata tutta una messinscena architettata da Thorin!

Istintivamente si girò verso la loro tenda vedendolo in piedi sulla soglia, appoggiato al tessuto grigio; le braccia erano incrociate al petto e le labbra erano stirate in un sorriso soddisfatto, capendo che il suo piano aveva funzionato.

<< Voleva farti una sorpresa >> continuò la donna, la voce traboccante d'emozione << A mio parere è stato un bel gesto >>.

Karin rimase girata verso il nano, lasciando che un sorriso riconoscente si formasse sul volto << Bellissimo >> mormorò, vedendolo annuire col capo, come se avesse colto il loro scambio di battute e la sua gratitudine.

Si girò bruscamente quando qualcuno le si gettò praticamente addosso e, con qualche difficoltà, riuscì a tenersi saldamente in equilibrio evitando di crollare a terra; una figura ben familiare la stringeva con foga, il piccolo volto affondato nel petto.

<< Alhena!? >>.

Era lei, non vi erano dubbi: ma come era possibile?

<< Ha voluto seguirmi a tutti i costi >> spiegò Eliese, non senza nascondere una nota di rimprovero << non c'è stato modo di farle cambiare idea! È veramente testarda >>.

A Karin scappò una risata, stringendo maggiormente la bambina << La testardaggine è una qualità tipicamente nanica >> alla frase, Alhena alzò la testa, incontrando i suoi occhi << Anche se, spesso e volentieri, è più un grossissimo vizio >> le diede un buffetto sulla guancia destra e le scompigliò i capelli, oltremodo contenta d'averla rivista. D'aver rivisto entrambe.

<< Meno male che stai bene! >> proruppe la piccola << Il Drago ti ha fatto del male? >>.

<< Dovrei essere io a chiedertelo, invece! Comunque no, sono stati... bé, altri >> concluse, non volendo turbarla.

Ma la ragazzina assottigliò lo sguardo, lasciandola basita per l'ennesima volta << Lo so che sono stati gli orchi. Ormai sono grande, certe cose le capisco >> sentenziò, alzando il mento fieramente.

<< Non ne dubito: sei una sorella maggiore >> ammise, chiedendosi nel profondo quando fosse cresciuta. Con una fitta al cuore pensò che dovesse accadere improvvisamente: un attimo prima constatavi che tuo figlio era ancora piccolo, bisognoso delle tue attenzioni e della protezione che, immancabilmente, gli donavi. L'attimo successivo ti rinfacciava di voler diventare indipendente, e ciò che tanto gli avevi donato non serviva come un tempo; capivi che dovevi lasciarlo andare, anche se il distacco sarebbe risultato doloroso ed insopportabile da sostenere.

<< Sei molto coraggiosa. I tuoi genitori devono essere fieri di te >>.

<< Lo siamo >> rispose Eliese, accarezzando i capelli castani della figlia << Ci aiuta moltissimo, specie con il piccolo >>.

<< E tu, Karin? >> domandò Alhena, spiazzandola << Sei orgogliosa di me? Cerco di assomigliarti il più possibile, perché da grande vorrei essere come te! E come la mamma >> aggiunse subito, intuendo che, forse, non le avrebbe fatto molto piacere venire esclusa.

Karin si intenerì ma, a dispetto del cuore traboccante di gioia, scosse la testa << Vedi, Alhena, ognuno ha i suoi pregi e difetti, e io ne posseggo moltissimi di questi ultimi! Non sono un modello da seguire. Preferirei sapere che tu voglia assomigliare solamente a te stessa o, nel migliore dei casi, a tua madre: è una donna fantastica >>.

<< Lo so >> affermò convinta, annuendo più volte per enfatizzare la risposta. Certo, la frase detta sul voler assomigliare a sé non l'aveva capita del tutto, però era certa che avrebbe scoperto il profondo significato tra pochi anni.

Eliese si commosse un poco, ed agitò una mano davanti al volto per calmarsi << Su, basta perdere tempo, o la fiducia che il tuo Re nutre nei miei confronti scemerà veloce! Ho portato degli abiti anche per lui, però prima volevo mostrarti i tuoi >>.

<< Va bene. Seguitemi >>.

Le condusse alla sua vecchia tenda dove stavano ancora tutti i suoi averi, tra i quali Iris e il fiore dal medesimo nome, oltre al mantello.

La donna sciolse i legacci del fagotto che trasportava e, aiutata dalla figlia, tirò fuori due bellissimi vestiti posandoli sulla brandina; Karin li ammirò estasiata, mentre una domanda le frullava in testa.

<< Quando hai avuto il tempo di confezionarli? >>.

Elise si strinse nelle spalle << Sono stata aiutata dalla mia vicina di casa, non ho fatto tutto da sola: abbiamo lavorato alacremente giorno e notte, poi sono partita >>.

<< Capisco. Bé, sono magnifici, davvero! >>.

<< Sono contenta ti piacciano. Noi usciamo, così potrai cambiarti. Vieni, Alhena >>.

Una volta sola, Karin non perse tempo a sfilarsi la camicia da notte e, attenta, vestì il primo abito color indaco: le stava a pennello, e l'ampia scollatura a barca le piaceva moltissimo. Provò anche l'altro, color rosso cupo dalla geometria poco più chiara: alcuni fili dorati correvano sul corpetto e sulla lunga gonna pesante, adatta all'inverno già avanzato; le maniche erano a losanga, bordate d'oro alle estremità. Decise immediatamente d'indossare quest'ultimo.

Uscì, complimentandosi con la donna per l'ottimo lavoro e, senza accorgersene, si ritrovò a formulare la propria richiesta.

<< Deduco sarai tu a cucire il mio abito per la cerimonia nuziale >>.

Eliese la guardò sbalordita, credendo d'aver capito male; sgranò gli occhi chiari, arrivando alla soluzione << Ti sposerai? Con Thorin Scudodiquercia? >>.

<< Esatto >>.

<< Ma... ma questo farà di te... >> balbettò, lasciando la frase in sospeso così che lei potesse concluderla.

<< La Regina di Erebor, sì >>.

L'amica emise un gridolino esaltato, portandosi successivamente le mani alla bocca nel tentativo di calmarsi << Per i Valar, non posso crederci! >>.

Anche Alhena la guardava stupita, e passava lo sguardo dal volto sbigottito della madre a quello impacciato e rassegnato insieme di Karin, capendo che era davvero una meravigliosa e grossa notizia.

<< Che bello! >> esclamò, artigliandole una mano << Posso vedere il tuo regno? >> domandò, supplicante.

<< Non è ancora pronto >> rispose Karin << Dobbiamo ricostruirlo dopo la furia del Drago >>.

<< Non porre domande sciocche, Alhena >> la rimproverò la madre, seria in volto << Non devi essere tu a decidere, ma Karin >>.

La nana mosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli neri << Non temere Alhena, lo vedrai. Sarete entrambe invitate al matrimonio, quando avverrà; e, ovviamente, richiederò anche la presenza di tuo padre Renal >>.

Eliese annuì, pienamente d'accordo << Glir è ancora troppo piccolo, ed un viaggio – seppur breve – non riuscirebbe ad affrontarlo: lo affideremo alla vicina. Ti ringrazio per l'invito, amica mia >>.

<< Non sareste mai mancate, ve lo posso garantire >>.

Si abbracciarono nuovamente, ed Eliese espresse la propria felicità tramite qualche lacrima; poi si riscosse, consegnandole gli abiti per Thorin e chiedendole di informarla se si fossero presentati dei problemi. Karin la ringraziò di cuore, raccolse gli oggetti e, zoppicante, si diresse verso l'altra tenda.

Thorin era seduto sul pagliericcio, intento a bere acqua da un boccale di legno; non appena percepì la sua presenza la guardò, facendo scivolare lo sguardo azzurro sulla sua figura.

<< Ti piace? >> chiese lei, allargando di poco la gonna e roteando su sé stessa, facendo frusciare il vestito.

<< Mentirei se rispondessi negativamente >> affermò lui, dopo lunghi secondi di silenzio. Appoggiò il boccale e si alzò, raggiungendola: di nuovo, l'esaminò attento, non volendo perdersi neppure un particolare. Le camminò attorno come un predatore fa con la propria preda, e Karin si rese conto di non riuscire a trattenere vari brividi.

<< Ci sono dei vestiti anche per te, all'interno del fagotto >> disse, giusto per spezzare il silenzio << Eccoli >>.

Lo schivò, dandogli le spalle per non fargli capire l'evidente disagio che l'aveva colta: per quanto potessero essere intimi, l'imbarazzo che provava sotto il suo sguardo rovente e scrutatore non accennava a scomparire, come se si trovasse ancora alle prime armi; forse le sarebbe occorso del tempo per abituarcisi di nuovo.

Thorin, al contrario, trovava davvero interessante la sua effettiva difficoltà: il vederla arrossire ancora dopo una sola e semplice occhiata era tremendamente amorevole, oltre che eccitante. Non assecondò il suo desiderio di seguirla per circondarle i fianchi con le braccia e baciarle il collo, ma rimase fermo con le braccia conserte, attendendo che gli porgesse gli abiti; quando avvenne si girò e sfilò l'indumento dalla testa, indossando le brache scure, la camicia marrone e la casacca rosso mattone: infine, assicurò la spessa cintura di cuoio ai fianchi e calzò i pensanti stivali.

Appagato nel constatare che non dovevano essere apportate correzioni si volse verso di lei, alzando un sopracciglio a chiederle se le piaceva, e se poteva andar bene.

Lo guardò esattamente come lui l'aveva squadrata, e si trattenne dal ridere forte; aspettò di vedere gli occhi posati sulla punta degli stivali, decidendo di parlare << Dunque? Direi che sono piuttosto presentabile >>.

Si riscosse sbattendo le palpebre, ed annuì << Sì, decisamente. Andiamo? >>.

Senza dire altro uscirono e, non appena Thorin si abituò alla luce del giorno, venne accolto da grandi schiamazzi e fischi, applausi e risate; stupito, notò che i membri della Compagnia, compresi i suoi nipoti, erano in piedi proprio fuori dalla tenda, ognuno con un enorme sorriso sul volto sollevato e contento. Non solo, anche Uomini, Elfi, e Nani dei Colli Ferrosi si erano aggregati a rendere omaggio a quel sovrano che aveva lottato con tutte le sue forze per opporsi ai nemici, rischiando la vita.

Diede una rapida occhiata alla sua destra vedendo Karin sorridere felice, gli occhi neri che brillavano cospiratori; si sporse verso di lui, prendendogli la mano << Questa è la mia sorpresa per te, Thorin >> disse semplicemente.

Il nano distese la fronte aggrottata e le labbra sottili, ricambiando il sorriso con uno affettuoso e grato; sentì le dita sciogliersi dal contatto e lasciò che si allontanasse di alcuni passi per permettere ai nipoti di salutarlo con un energico abbraccio, seguito da pacche affettuose sulle spalle. Man mano che gli altri rendevano i loro saluti ed esprimevano la propria felicità, la ragazza sentiva gli occhi inumidirsi, commossi. E, quando giunse il turno di Balin e Dwalin, qualche lacrima scese sulle guance perdendosi lungo il mento ed infrangendosi a terra; pianse e rise insieme agli amici, costringendo Bofur a circondarle le spalle con un braccio e farle appoggiare il capo sulla spalla per calmarla, mentre Bilbo le accarezzava la testa.

Thranduil e Legolas si inchinarono rispettosamente, e così fece Bard, il quale aggiunse anche una calorosa stretta di mano mormorandogli un “Bentornato” detto col cuore. Quando arrivò il momento di Dain, tuttavia, Karin socchiuse gli occhi e ridivenne seria, ogni traccia di pianto ormai cancellata.

Si osservarono attenti, entrambi con uno sguardo che poteva definirsi glaciale; Karin riuscì a capire cosa doveva pensare Dain, il disappunto della decisione del matrimonio lo infastidiva tutt'ora. Ma come mai Thorin possedeva quella freddezza? Era a conoscenza di ciò che si erano detti poco prima dello scoppio della Battaglia? Le parve strano, giacché lui si trovava all'interno della Montagna, e poi non aveva avuto modo di parlargli: o forse sì, mentre lei si trovava in compagnia degli amici?

Oppure... possibile rimembrasse e provasse rancore per ciò che sarebbe dovuto accadere centosettantuno anni prima? In fin dei conti, lei avrebbe dovuto sposare Dain.

<< Sono felice di saperti vivo ed in salute, cugino >> disse Dain, posandogli una mano sull'avambraccio.

Thorin abbassò la testa in ringraziamento, capendo che avrebbe aggiunto altre parole.

<< Permettimi però di parlarti francamente. Non qui, ma in privato >> pur cercando di impedirselo, gli occhi saettarono rapidi verso Karin, e la mascella gli si contrasse. Gesto che non sfuggì a Thorin.

<< Non vedo perché no, cugino >> rispose, controllando il tremito infastidito della voce << Precedimi nella tenda >> gli fece un cenno, chiaro invito ad entrare; e lui lo fece, scomparendo alla loro vista.

<< Vi ringrazio per la vostra solidarietà e il vostro affetto >> disse Thorin, passando lo sguardo sull'assembramento << però vi chiedo di perdonarmi: mi aspetta un parente piuttosto bellicoso e impaziente >>.

Il gruppo ridacchiò, disperdendosi in fretta e tornando alle proprie mansioni: fu allora che si girò verso di lei, muovendo il capo perché lo seguisse; non ebbe il tempo di replicare e, cauta, entrò dopo di lui.

Non appena la vide, il volto di Dain si adombrò << Mi era parso di capire che saremmo stati soli >> commentò duramente, incrociando le braccia al petto.

Thorin fece altrettanto, alzando il capo orgoglioso << Tra Karin e me non vi sono segreti. Dì ciò che devi, Dain >>.

<< Riguarda lei >> disse aspro, indicandola. Gli occhi luccicarono minacciosi, ma prese fiato e parlò << Non accetto che un mio stimato consanguineo voglia unirsi ad una traditrice del suo popolo, per di più esiliata >>.

Thorin fremette però rimase in silenzio, mentre dentro Karin iniziava a montare una sorda rabbia: possibile ci fosse sempre qualcuno disposto a ricordarle chi era stata?

<< Non commise nulla di cui venne accusata, posso garantirtelo sul mio onore; venne imprigionata e costretta a tradire, non lo fece di sua spontanea volontà. Ma io, cieco e sordo, non capii né l'ascoltai >> abbassò un attimo il capo, sopraffatto dai ricordi e dal rimorso, per poi rialzarlo e guardarlo dritto negli occhi << Aggregandosi alla Compagnia, Karin ha dimostrato un valore e un coraggio degni del nano più determinato: ultimo ma non meno importante fatto, mi ha salvato da morte certa, rischiando la vita. Il suo onore e la sua lealtà sono stati ampiamente riconosciuti, mi sembra >>.

Dain sbuffò sprezzante, scettico sulle parole di Thorin.

Karin, allora, decise che era tempo d'intervenire << Se non credi a lui, credi a queste >> si alzò la manica destra, mostrandogli le cicatrici biancastre; lo vide aggrottare maggiormente la fronte e serrare le labbra, ma non gli concesse il tempo di replicare << Non me le sono procurata da sola, sono frutto della prigionia che doveva obbligarmi a tradire il mio popolo; ho tentato di resistere il più a lungo possibile, ma... ha prevalso il mio carceriere >> tirò giù la stoffa, non sopportando la vista del suo braccio << I soccorsi arrivarono troppo tardi, poiché Smaug era già giunto ad Erebor, distruggendone le difese. La colpa e la rabbia mi accompagnarono a lungo, finché non intrapresi questo viaggio; sono cambiata in questi mesi, io stessa fatico a riconoscermi. Ma non tollererò d'essere nuovamente etichettata come rinnegata: non da te, Signore dei Colli Ferrosi >>.

Thorin fece saettare lo sguardo su di lei, senza nascondere un lieve ghigno compiaciuto benché leggermente preoccupato riguardo la reazione di Dain: infatti, lo vide spazientirsi e serrare maggiormente le braccia al petto.

<< Non mi interessa conoscere le tue ragioni >> rispose, brusco << Non approvo comunque il matrimonio, perciò non avrete la mia benedizione. In ogni caso, rimarrò con i miei soldati finché non avremo ricostruito Erebor com'era un tempo. I Durin devono aiutarsi tra loro: dopotutto, abbiamo legami di sangue >>.

<< Ti ringrazio >> rispose freddamente il cugino << Ma sappi che non occorre il tuo consenso, poiché la sposerò comunque. Non devo rendere conto a nessuno delle mie azioni, né dei miei desideri >>.

<< Thorin >> bisbigliò lei, posandogli una mano sull'avambraccio; capì che stava perdendo la pazienza, e Dain l'avrebbe seguito a breve se non avessero concluso in fretta la discussione.

Fortunatamente l'altro parve intendere che era giunto il momento di congedarsi e, con un rigido cenno del capo e uno sguardo furente, si avviò a passi pesanti sparendo presto alla loro vista; solo allora Thorin si lasciò sfuggire un grave sospiro, passandosi una mano sulla fronte.

<< Non ho apprezzato il modo in cui ti ha parlato >> disse, cupo << Però abbiamo bisogno di lui, e del suo aiuto >>.

<< Ne sono consapevole >> gli rispose, sospirando dolorosamente mentre uno spiacevole pensiero si formava << Credo che... non sarà l'unico ad obiettare la tua scelta >>.

Thorin la guardò attentamente, intuendo i suoi timori; lei, invece, evitò qualsiasi contatto visivo << In me vedono ancora la Traditrice dei Nani, non la Salvatrice di Re. Nemmeno la Regina di Erebor >>.

<< Questo perché non conoscono le innumerevoli prove che hai dovuto affrontare! >> scattò, combattivo << Né quello che rappresenti per me. Che hai sempre rappresentato per me >> si avvicinò, prendendole il volto tra le mani << Ti importa davvero di ciò che la gente pensa di noi? >> domandò, con un sussurro.

Lei si morse il labbro, combattuta << Saranno miei sudditi, Thorin. Come posso ignorarli? >>.

<< Non tutti la pensano come Dain >> ricordò << E coloro che non hanno ancora potuto ammirare la vera Karin cambieranno presto idea; te l'ho già detto, mi pare: sarai una Regina capace e giudiziosa, oltre che giusta. Vorrei lo capissi, e l'accettassi >>.

<< D'accordo >> mormorò, ancora un poco dubbiosa e impaurita; nel mentre, però, un enorme senso di riconoscenza verso Thorin le riempì il cuore, ed una dolce tranquillità scese in lei.

Si ritrovò dapprima a sorridere e poi a ridacchiare, portando una mano alla bocca; il nano l'osservò perplesso, non riuscendo a capire il motivo di tanta ilarità, specie dopo le loro confidenze: alzò solamente le sopracciglia, aspettando una qualche spiegazione.

<< Oh, nulla d'importante! Pensavo ad una frase che mi ha rivolto Dain poco prima della Battaglia: ora come ora la trovo estremamente... ironica >>.

<< Ovvero? >>.

<< Puoi promettermi che non ti arrabbierai né tenterai in alcun modo di ucciderlo? >> chiese scherzosa, portando le mani sui fianchi.

Thorin sospirò, impaziente << Lo prometto >> ammise a malincuore, nonostante possedesse la vaga sensazione che avrebbe infranto il giuramento.

<< Mi aveva detto che l'amante del Re non sarebbe mai diventata la sua Regina. Direi che ha avuto pienamente torto >>.

Thorin si bloccò, cercando di sopire la rabbia e di mantenere fede a ciò che le aveva assicurato; fu ben complicato, ma gli bastò uno sguardo al sorriso di Karin – così fiducioso, che nessuno d'ora in poi avrebbe potuto spegnere facilmente – per calmarsi visibilmente.

<< Hai ragione >> le disse, allacciando una mano alla sua; si guardarono negli occhi, ora sereni e privi di ombre oscure << Andiamo a riprendere possesso della nostra dimora, e a rispettare un giuramento; prima, però, vorrei che facessi una cosa per me >>.



La Compagnia al completo – incluso Gandalf – si trovò circondata dalle enormi piramidi di monete sonanti della Sala del Tesoro. Non avevano alcuna torcia, poiché il bastone dello stregone aveva proiettato una luce sufficientemente abbagliante; trepidanti, attesero che il loro sovrano parlasse, istruendoli sulla quantità da recuperare, o sul numero di forzieri da trasportare.

<< Come ben sapete >> esordì Thorin << non sarà più possibile dividere il tesoro in parti uguali, secondo il progetto iniziale. Intendo rispettare l'accordo preso con Bard, seppur sancito tramite bassi espedienti ed in mezzo a tanta rabbia >>.

I nani annuirono, mostrandosi solidali col proprio sovrano.

<< Bard chiede per sé un semplice quattordicesimo, una ricchezza immensa ben maggiore di quella di molti re mortali: sono certo che sarà più che sufficiente. La stessa quantità verrà accolta dagli Elfi, ma dovremo aggiungere un altro forziere >>.

<< Umpf! >> sbuffò Gloin << Immaginavo che l'avidità degli Elfi si sarebbe mostrata in tutta la sua grandezza! >>.

Oin gli posò una mano sulla spalla per calmarlo, poiché aveva riaperto bocca, pronto a lanciare altri insulti alla razza eterea.

<< Non temere Gloin, è meno di quanto si aspettavano >> disse Karin, calma << Legolas e io abbiamo fatto da tramite e pacificatori tra i nostri Re, e siamo giunti a questo compromesso >>.

<< Ah! >> commentò solamente, stupito.

<< Dain rimarrà qui, presumo >> volle sapere Dwalin.

<< Sì. Abbiamo bisogno della sua gente per ricostruire Erebor >> pur non volendo, il tono di Thorin risultò infastidito, non sfuggendo agli altri; ma nessuno, grazie al cielo, ebbe il coraggio di replicare.

Poi il silenzio calò di nuovo, permettendogli di ragguagliarli sulle prossime disposizioni: una volta terminato, ognuno si affaccendò al compito assegnato.

Passarono diverse ore nelle quali vagarono lungo la Sala nel tentativo di scegliere le pietre che ritenevano sì preziose, ma non quel tanto che bastava per disfarsene; l'andirivieni divenne presto motivo di giocosità per i più giovani che, non appena si incrociavano lungo il percorso, non mancavano di farsi lo sgambetto a vicenda oppure si scambiavano un cinque con i palmi bene aperti. Karin si ritrovò presto con un costante dolore alla milza – causato dalle innumerevoli risate – oltre alla coscia ferita; quando iniziò a zoppicare vistosamente camminando più lenta, Thorin la costrinse bruscamente a sedersi in disparte e a controllare i numerosi forzieri, distribuendo le varie monete dorate, i rubini, gli zaffiri e gli smeraldi grossi quanto il suo palmo, oltre a gioielli e tiare di diverse forme e colori, uno più strabiliante del precedente.

Mentre attendeva l'arrivo di un altro carico di monete, si perse ad osservare i volti soddisfatti e sereni degli amici, e respirò un'aria ben diversa da quella dei giorni passati lì dentro: era tranquilla e quieta.

Appoggiò il mento alle ginocchia raccolte al petto, e continuò a guardarli con un sorrisino sul volto.

<< Hai la stessa espressione di nostra madre, quando ci vedeva giocare con Thorin >> le confidò Fili non appena la raggiunse, reggendo un cofanetto pieno di ametiste. Lei si riscosse e l'osservò seria, credendo si stesse burlando di lei; ma negli occhi azzurri del giovane Principe non scorse alcun divertimento.

<< Sono felice che ogni faccenda si sia risolta per il meglio. E poi, il sapere che state bene non fa che aumentare il buonumore >> spiegò, scrollando le spalle e rimettendosi al lavoro. Fili le chiese di spostarsi un poco, così le si sedette accanto spiegandole che non aveva più nulla da fare, poiché avevano quasi terminato.

Ben presto arrivarono anche gli altri e, a gruppetti di tre, riuscirono a trasportare i forzieri al di fuori della Montagna, utilizzando la Porta Principale; Thranduil e Bard li attendevano, insieme ai loro soldati.

Il momento dei saluti era giunto, infine.

<< Addio Thorin, figlio di Thrain figlio di Thror, Re sotto la Montagna >> disse l'elfo, solenne << Possa la nostra benevolenza accompagnarti a lungo, poiché ti sei privato di parte dei tuoi tesori senza remora; in segno della nostra rinnovata alleanza io, Thranduil figlio di Oropher, Re degli Elfi di Bosco Atro, riconsegno l'Archepietra come promesso >> si girò verso il figlio, prendendo il cofanetto incastonato di pietre preziose che gli veniva porto e, con un aggraziato inchino, lo consegnò a Thorin.

Il nano lo ringraziò mentre i suoi compagni trattennero il fiato come un sol individuo, vedendo ritornare il Cuore della Montagna al legittimo proprietario << Che la riconoscenza del mio popolo e la mia ti accompagnino a lungo, Thranduil di Bosco Atro >>.

Il saluto tra Karin e Legolas fu meno formale: dopo alcune frasi di circostanza, l'elfo si chinò portandosi quasi alla sua altezza, permettendole così di abbracciarlo con affetto.

<< Ti attenderò al matrimonio >> gli sussurrò all'orecchio << e non accetterò rifiuti, sappilo >>.

<< Come la mia signora comanda >> rispose scherzoso, ritornando immediatamente serio << Abbi cura di te >>.

Karin si strinse di più a lui annuendo solamente, il fastidioso groppo in gola perennemente presente. Poi si staccò, accennando un sorriso con occhi luccicanti; lo osservò camminare verso Thorin e stringergli la mano dopo qualche attimo d'esitazione, giacché era un gesto insolito per entrambi. Eppure, tra i tratti del nano non riuscì a scorgere quel malcontento e fastidio presenti durante il congedo da Thanduil; avevano lasciato spazio ad una cortese freddezza, ben più di quanto potesse sperare: sapeva quanto fosse complicato per Thorin lasciarsi totalmente alle spalle il rancore verso quella razza.

Si apprestò a salutare Bard, Eliese e Alhena, venendo coinvolta in un abbraccio stritolatore dalle ultime due; l'arciere, stupendola, la salutò in amicizia come se si conoscessero da molto tempo. L'informò che avrebbe mandato molto oro al Governatore, benché non lo meritasse, ed il restante l'avrebbe diviso tra i suoi seguaci e amici.

<< Inoltre, desidererei ricostruire Dale com'era >> le confidò, vedendola aprirsi in un'espressione stupita << E lì governare, se gli Uomini vorranno >>.

<< Sono certa che saranno ben felici, e desiderosi di seguirti. Uccisore di Drago >>.

Al nomignolo entrambi sorrisero, stringendosi la mano.

E così, alla luce del tramonto, Uomini e Elfi lasciarono la piana e l'ormai lontana Desolazione di Smaug, augurando pace e prosperità ai Nani.



I giorni successivi furono tremendamente stancanti; Thorin e Dain divisero i compagni in numerose squadre e, armandosi degli attrezzi ancora presenti nelle fucine – fatto alquanto pericoloso, dato che molti gradini di pietra erano praticamente distrutti, preoccupando eccessivamente Karin per la sorte degli amici – realizzarono robuste impalcature di legno con spesse travi, riutilizzando il materiale ancora conservato e gettando quello ormai marcio.

Le varie sale si riempirono ben presto dei rumori martellanti di scalpelli, piccozze e picconi, del raschiare di pale e tonfi di blocchi di pietra lasciati cadere a terra per venire trasportati altrove.

Dain aveva mandato alcuni emissari ai Colli Ferrosi chiedendo manodopera sia maschile che femminile e, in breve tempo, erano giunti; Bilbo era rimasto totalmente affascinato da quel gruppo ormai numeroso di nani, e gli parve di immaginare come doveva essere stata Erebor all'apice della ricchezza. Lavorando alacremente, gli ambienti principali furono ben presto sgombrati e ripuliti, grazie al gruppo capeggiato dalla stessa Karin: quella mattina si erano spostati al livello successivo, contenente le stanze reali, e si erano divisi in gruppetti di due con l'intento di ripulire da cima a fondo quelle che sarebbero state utilizzate.

<< Penso io a questa camera >> disse Karin, rivolgendosi a due nane pronte ad entrare.

<< Come desideri >> rispose distaccata una, dalla folta barba castana intrecciata sapientemente in numerose e sottili treccine.

<< Airi, puoi venire con me? >> chiese, rivolgendosi ad una giovane nana simpatica e gioviale, che non si era mai mostrata indifferente nei suoi riguardi.

<< Certamente, mia signora >>.

Entrarono nella vecchia stanza di Karin e, esattamente come in quel lontano giorno prima del litigio con Thorin, venne sopraffatta un attimo dai ricordi; si morse il labbro e si adombrò, gesti che non sfuggirono all'altra.

<< State bene? >> domandò, preoccupata.

Karin annuì << Sì. Forza, iniziamo >>.

Lasciarono la porta di legno aperta, poiché non vi erano finestre e, con cautela, spalancarono le ante del grande armadio, spolverando e sbarazzandosi delle ragnatele e dei vestiti rovinati; quelli che potevano essere salvati vennero posati in una cesta, prossimi al lavaggio. Disfecero il letto, pulendo accuratamente sotto di esso per togliere gli strati di polvere accumulatisi nel tempo, e Karin si occupò della libreria e della toeletta. Era intenta a lavare il vetro quando un calore inconsueto le si propagò nel corpo, risalendo alle guance; aggrottò le sopracciglia, sentendosi improvvisamente più debole e fiacca di prima, ed artigliò tremante il bordo del tavolo. La vista le si offuscò, non vide alcun contorno, né figura: solo innumerevoli puntini blu e neri le danzarono davanti gli occhi, nauseandola perché vorticavano veloci. Ogni grammo di forza l'abbandonò di colpo, sentì le gambe cedere, le ginocchia divennero molli come burro: la gravità la chiamò, e lei rispose al suo ammaliante canto. Cadde a terra, trascinando con sé spazzole e alcune boccette di vetro contenenti profumi; al frastuono, Airi si voltò di scatto, sgranando gli occhi chiari impauriti.

<< Mia signora! >> strillò, accorrendo in suo aiuto. Le si inginocchiò accanto, mentre Karin – ancora cosciente – teneva gli occhi serrati e sentiva innumerevoli ronzii nelle orecchie, oltre a brividi gelati sulla schiena e sul volto bollenti << Vi siete ferita? Che è capitato? >> non ricevendo alcuna risposta, girò il capo verso l'uscita, urlando a gran voce << Aiuto! Presto, chiamate qualcuno! >>.

Una nana più anziana si affacciò, notando la confusione all'angolo della stanza; schiuse le labbra ma mantenne un'espressione risoluta << Falla stendere, vado a cercare qualcuno! >> e sparì, veloce com'era arrivata.

La povera Airi obbedì, mentre un'inerte Karin lasciò che la posasse sul pavimento, la schiena a contatto con la pietra fredda; provò a sollevare una palpebra ma il mondo roteò paurosamente, infastidendola. Perciò rimase immobile, respirando profondamente per placarsi, ed ascoltò il furioso battito del cuore finché vari passi frettolosi non destarono la sua attenzione.

<< Karin! >> esclamò una voce conosciuta << Che è successo? >> domandò poi alla ragazza, avvicinandosi di corsa.

Lei scosse la lunga chioma bionda, ancora scossa << Non lo so! Ero impegnata, quando ho udito vari tonfi e, quando mi sono girata... lei era seduta a terra orribilmente pallida, proprio come ora! Mi hanno detto di stenderla, ma non so se ho fatto bene >> spiegò tremante, e prossima alle lacrime.

Il nano, allora, tentò di confortarla << Sei stata brava, non temere: è questo che bisogna fare quando qualcuno sviene. Ora su, aiutami a portarla a letto! >>.

Airi annuì, afferrando Karin per un braccio, mentre l'altro agguantò il rimanente; nel frattempo, Karin sentì di stare un po' meglio, quindi ritentò d'aprire gli occhi: pur poco sfuocato, riconobbe il volto piuttosto teso del soccorritore.

Mormorò qualcosa d'incomprensibile, ricacciando un conato in gola.

<< Diamine, Karin, che spavento! Stai meglio? >> chiese il nano, in parte rincuorato nel sentirla.

<< Tutto... vortica >>.

<< Una bella batosta, oserei dire! Ecco, ci siamo, attenzione >>.

Delicatamente la stesero sul materasso, poi ordinò alla giovane di alzarle un poco le gambe: nel frattempo, lui sarebbe corso alle cucine a prepararle un tè caldo.

<< Dori >> lo chiamò, prima che potesse sparire; lui si voltò, guardandola in attesa << Non... non dire niente a Thorin >> disse, a fatica.

<< Karin, mi chiedi troppo, lo sai >>.

<< Ora sto... meglio. Davvero, non occorre >> tentò di dimostrarsi più energica, ma non seppe se le aveva creduto << Mi assumerò la... responsabilità >>.

Dori la guardò dubbioso e combattuto; aveva ormai perso ogni speranza quando lo vide annuire non proferendo parola, e le lasciò.

Solo allora permise ad un sospiro di lasciare la bocca, e sprofondò meglio sul morbido cuscino; il ronzio alle orecchie era scemato, il calore alle gote era diminuito notevolmente.

Airi corse alla porta dove si trovava la vecchia nana, intenta a porgerle un pezzo di stoffa << Bagnalo e posaglielo sulla fronte >> spiegò sbrigativa, accennando un brusco gesto col capo alla figura distesa << si rinfrescherà >>.

<< Ti ringrazio, Mithe >>.

La nana agitò una mano << Ora vado, non vorrei venir ripresa per la mia negligenza. Informami, se accade qualcosa di sospetto >> le lanciò un'ultima occhiata di raccomandazione, per poi posare gli occhi verso Karin, assumendo un cipiglio pensieroso: ma non aggiunse alcunché.

A dispetto del distacco, Airi poté percepire una lieve nota d'apprensione e non riuscì ad impedirsi di sorridere dolcemente, prima di chinare il capo; seguì con gli occhi la notevole stazza che si allontanava di gran carriera e poi tornò dentro, avvicinandosi al letto. La futura Regina era ancora un po' pallida, però un debole colorito rosato iniziava già a comparirle sulle guance; quando percepì la sua presenza aprì le palpebre, osservandola con i profondi ed espressivi occhi neri come pece: le sorrise fiaccamente, tendendo una mano.

<< La pezza >>.

Solo allora Airi si riscosse, stringendo il tessuto tra le mani << Oh, mi perdoni! Subito! >> corse verso il tavolino di legno, sul cui piano vi era una caraffa e, dopo averla portata in bagno, aspettò che si riempisse d'acqua. Era una vera fortuna che gli uomini avessero appena terminato di sistemare le tubature! Ancora qualche giorno ed avrebbero potuto sistemarsi stabilmente all'interno della Montagna, abbandonando la piana. Sinceramente parlando, Airi non stava più nella pelle! Scacciò quei pensieri poco opportuni, strizzò la pezzuola e quasi correndo la riportò a Karin, che la posò sulla fronte con un gemito soddisfatto.

<< Aah! Decisamente meglio. Ti ringrazio, Airi >>.

La giovane arrossì sotto l'occhiata riconoscente e il sorriso che campeggiava sul volto appagato; si perse a contemplare quella fisionomia poco nanica, che aveva affascinato così tante persone e che affascinava tutt'ora: lei stessa ammetteva di non riuscire a staccarle gli occhi di dosso! Era così insolito vedere una nana senza barba e con le orecchie appuntite; strano, ma anche molto armonioso, specie nei suoi tratti.

<< La prima volta si reagisce sempre così, però poi ci si abitua >> commentò noncurante Karin, come se stesse parlando del tempo; rise osservando l'espressione basita e colpevole di Airi, ed allungò una mano verso la sua, stringendola << Non preoccuparti, non volevo rimproverarti: era solo una constatazione >>.

<< Certo >> balbettò, imbarazzata << mi spiace >>.

<< Non serve, ci sono abituata >> borbottò lei, tentando di far leva sui gomiti: un lieve giramento di testa le fece serrare gli occhi, ma durò il tempo di un battito di ciglia; una volta appurato che si sentiva ancora meglio riuscì a sedersi, sempre sotto lo sguardo vigile di Airi.

<< E' la prima volta che viaggi al di fuori dei Colli Ferrosi? >> le domandò curiosa, sperando anche di sciogliere la tensione che permeava la figura della ragazza.

Come previsto annuì, impacciata << Sì. Sono venuta con mio padre – che è minatore – e mia madre. Si è trattato di un lungo viaggio, eppure mi ha colpita ugualmente: ero molto emozionata >> ammise, con occhi luccicanti di meraviglia.

<< Immagino! Visitare nuovi luoghi porta una forte emozione >> inevitabilmente ripensò ai suoi numerosi vagabondaggi: pur col cuore gonfio di tristezza e solitudine, non aveva potuto impedirsi di ammirare ogni più piccolo dettaglio.

Il volto le si rabbuiò un breve attimo, sufficiente però perché la giovane se ne accorgesse; schiuse le labbra per domandarle se stesse bene quando, nella stanza, irruppe un agitato Kili.

<< Karin! Stai bene? Ma cosa è successo? Dori non ha voluto raccontarmi nulla, così ho dovuto chiedere ad una nana, e... >> si bloccò, posando lo sguardo sulla figura estranea; aggrottò la fronte e si schiarì la voce << Perdonatemi. Non sapevo avessi compagnia >> disse, composto.

Karin sorrise, scuotendo la testa << Sto benissimo. Sono solo svenuta. Ho chiesto espressamente a Dori di non parlarne. Questa è Airi, proveniente dai Colli Ferrosi >> rispose, ordinatamente.

Alla presentazione, il nano si inchinò << Kili figlio di Rili, al vostro servizio >> si soffermò a scrutarla a lungo finché non la vide arrossire: solo allora tornò a prestare attenzione a Karin << Ti ho... ti ho portato il tè. Voleva venire anche Fili, ma è dovuto rimanere al lavoro; sai, per coprirmi con lo zio >> dichiarò, strizzando un occhio << Purtroppo non potrò fermarmi a lungo, o inizierà a sospettare qualcosa >>.

<< Se non lo sa già >> disse Karin, mordendosi la guancia << Mi aspetto che compaia da un momento all'altro con uno sguardo truce sul volto >>.

Kili si grattò la poca barba presente sul mento, alzando le spalle << Bé, converrai che non è stato molto carino tenerlo all'oscuro, e più tempo passerà più la sua ira crescerà! Credimi, ti conviene dirglielo >>.

<< Non è successo niente di grave, per Durin! Oh, perdonami Airi >> si scusò in fretta, ma la ragazza la rassicurò con un timido sorriso, che non lasciò indifferente il ragazzo << Kili?! >>.

<< Mmh? >>.

<< Dicevo che non devo avvisarlo per ogni scemenza: sono adulta e so come comportarmi. Se c'è un fatto che detesto, è essere trattata come una bambina >>.

<< Nessuno ti tratta così >> ribatté << Siamo solo preoccupati per la tua salute. Immagina se venissi a sapere che Thorin non si sia sentito bene: come reagiresti? >> alzò eloquentemente le sopracciglia, facendole intendere che sarebbe sprofondata nel panico, oltre che imbufalita per esserne rimasta all'oscuro.

Sospirò pesantemente, ammettendo la sua vittoria << D'accordo, mi hai convinta: gliene parlerò >> poi lanciò una rapida occhiata ad Airi, ed un sorrisetto furbo le increspò le labbra rosee << Scusatemi, però ora sono alquanto stanca: credo ne approfitterò per riposarmi un poco >> la frase divenne un ottimo congedo e ammetteva poche repliche, perciò i due si alzarono e la salutarono, avviandosi verso l'uscita; Kili, da vero Principe, lasciò che Airi lo precedesse, prima di voltarsi e salutarla con un cenno della mano a cui Karin rispose.

Una volta che la porta della stanza venne chiusa lasciò che le palpebre si abbassassero, esauste.



Le parve d'aver appena chiuso gli occhi, invece mugugnò infastidita: avrebbe voluto rimanere al sicuro tra il tepore delle lenzuola ancora per molte ore, dormendo finché il corpo non avesse protestato; ma le palpebre tremolarono e si alzarono lentamente, quasi contro volontà propria.

Era girata sul fianco sinistro, entrambe le mani si trovavano sotto il cuscino: l'abbracciò, facendo vagare lo sguardo lungo la stanza. Non dovette percorrere molta strada poiché una figura ben familiare era appoggiata al muro e l'osservava, le braccia parzialmente scoperte strettamente conserte e uno sguardo prevedibilmente arrabbiato.

<< Ben svegliata >> esordì, ironico << Dormito bene? >>.

Col cuore in tumulto si sedette sul materasso, preparandosi mentalmente ad affrontare la prima sfuriata dopo lunghe settimane.

<< Spero non te la sia presa con Dori >>.

<< Non ho parlato con lui >> disse, mantenendo un tono sostenuto oltre a quello sorpreso dalla notizia << Però è stato abbastanza semplice notare la tua assenza, se non ti si vede né ti si trova per tutto il pomeriggio; ho chiesto alle nane che ti aiutavano, e mi hanno detto che ti trovavi qui >> la guardò attentamente, trafiggendole il corpo con occhi azzurri scrutatori << Che è accaduto? >>.

<< Solo un mancamento, nulla di più >> rivelò, imponendosi di guardarlo << Non c'è bisogno di preoccuparsi, ora sto meglio >>.

Thorin sbuffò, passandosi una mano tra i capelli lunghi << Io temo sempre per te, così come faresti tu nei miei riguardi >> compì alcuni passi, portandosi vicino al letto << Lascia che ti protegga e ti tenga al sicuro. D'ora in avanti fai affidamento su di me, non solo su te stessa: non esiliarti nuovamente, Karin >>.

Lei, colpita profondamente dalle parole così toccanti, si riscosse all'ultima frase: schiuse le labbra, gli occhi neri si ottenebrarono << Non mi sto esiliando >> ribatté, indignandosi al solo pensarlo << Ti avrei avvisato questa sera stessa, e non l'ho fatto immediatamente perché si è trattato solo di un maledetto capogiro dato dalla stanchezza. Stamani non mi sono rifocillata a sufficienza, ed ho lavorato senza sosta faticando più del necessario! Questo è quanto >>.

Si guardarono intensamente negli occhi, e Karin poté scorgere in quelli del compagno una grande tranquillità nell'aver appreso il motivo del malore << Mi assicuri che, se dovesse ricapitare, ti recherai immediatamente dal medico senza alcuna obiezione? >>.

La guardò severo, vedendola già pronta a replicare; però richiuse la bocca, espirando rassegnata << Presumo che controbattere sia inutile! E va bene >> osservò il formarsi di un sorriso compiaciuto sulle labbra di Thorin e non poté fare a meno di scuotere la testa, leggermente infastidita << Sei talmente cocciuto! >>.

Il Re sotto la Montagna sorrise apertamente nell'ascoltare i suoi borbottii, e le diede le spalle camminando verso la toeletta; curiosa, Karin allungò il collo per vedere, ma l'ampia schiena le coprì la visuale e qualsiasi gesto stesse compiendo; tuttavia, quando si girò, ogni traccia di risentimento scomparve: tra le mani reggeva un vassoio con due ciotole fumanti, ed altre due erano coperte, probabilmente perché non si raffreddassero troppo rapidamente. Fu spontaneo lasciare il posto ad un sorriso grato e amorevole e, alla tacita domanda, Thorin si affrettò a rispondere.

<< Avrai fame, dato che hai saltato il pranzo. Bombur non ha fatto che scuotere la testa e rimanere mogio per tutto il tempo, però si è offerto di prepararci la cena >> poggiò il vassoio con due semplici sostegni di legno sul materasso, in modo che fosse un poco sopraelevato, e la guardò con occhi furbi << Se fossi così cocciuto e fossi rimasto saldo sulle mie posizioni, non avrei compiuto un tale gesto >>.

<< Posso resistere ad un giorno di digiuno, sai? >> disse caparbia, incrociando le braccia al petto; tentò di non badare ai gorgoglii provenienti dallo stomaco ma Thorin se ne accorse, e rise.

<< Chi sarebbe il testardo, tra i due? Avanti, mangiamo: al contrario di te, sto morendo di fame >>.

<< Mangiamo qui, sul letto? >>.

<< Ci siamo trovati in luoghi peggiori >> rispose, alzando le spalle; prese una ciotola e un cucchiaio di legno e glieli porse, poi si servì.

Per un po' rimasero in silenzio, sorseggiando con gusto la minestra calda ed addentando con appetito lo stufato di carne e le patate, oltre al pane croccante e dorato; una volta che il tutto fu spazzolato fino all'ultima briciola, Karin parlò.

<< Come procedono i lavori ai livelli inferiori? >>.

Thorin si pulì la bocca con il dorso della mano << La squadra di Dain ha rilevato che non occorrono ricostruzioni, ed hanno già iniziato a togliere ogni grammo di polvere >>.

<< Un lavoro virile! >> esclamò ridacchiando, non potendo trattenersi << Come vorrei poter osservare le varie espressioni di Dain! >>.

Anche Thorin si concesse un sorriso ilare, al pensiero del nobile cugino intento a pulire come una qualunque domestica << Credimi, non sono delle migliori. O delle più amichevoli >>.

<< Voi, invece? >>.

<< Stiamo ancora ripristinando alcune zone, rendendole sicure per quando riprenderemo possesso di Erebor abitandoci stabilmente. Appena abbiamo deciso di concludere la giornata sono corso qui, perciò ti domando perdono per il mio aspetto poco elegante >> concluse, alludendo ai vestiti sporchi e al corpo sudato.

<< Ti sei fatto perdonare con la cena >> ammise, indicandola; poi assunse un cipiglio pensieroso e pericoloso, mentre lo squadrava attenta << Quindi... dovresti lavarti? >> domandò, innocente.

Thorin la guardò un attimo sorpreso, riprendendo il controllo della situazione con un ghigno appena accennato << Temo proprio di sì, quindi forse è il caso che mi avvii verso la camera. O avevi altre proposte? >> la stuzzicò avvolgente, sapendo che sarebbe caduta nella sua tela. D'altra parte, lui era già caduto in quella di lei.

Gli occhi di Karin brillarono seducenti, e si alzò in piedi << Guarda caso c'è un bagno, dietro quella porta di legno >> sussurrò con voce carica di desiderio, facendogli aumentare l'impazienza.

Si alzò anche lui, non volendo perdere altro tempo prezioso e le si avvicinò, posandole le mani sui fianchi << Ma guarda. Che piacevole coincidenza >> le bisbigliò all'orecchio destro, sorridendo contro i suoi capelli.

Karin proruppe in una risata leggera e gli circondò il collo con le braccia, sentendosi alzare da terra: lasciò che Thorin le permettesse d'allacciargli le gambe ai fianchi e la conducesse di peso verso la stanza, pregustando già con un piacevolissimo calore allo stomaco i momenti che avrebbero trascorso di lì a poco.



Anche se non vi era alcuna finestra sapeva benissimo che l'alba era sopraggiunta: il suo corpo conosceva perfettamente quando era il momento di svegliarsi, essendo riuscito a recuperare le forze perdute; eppure ci fu dell'altro oltre a quella consapevolezza, qualcosa che non riuscì a definire completamente finché non si destò del tutto e non aprì le palpebre, riprendendo possesso delle sue facoltà.

Dei violenti conati rompevano il silenzio ad intervalli regolari.

Scattò a sedere sul materasso, notando il posto vuoto accanto a sé: capendo, scese velocemente e, solamente con le brache indosso, si precipitò angosciato verso la fonte del rumore.

Quando comparve sulla soglia si bloccò per alcuni secondi, non sapendo che fare: solo una tremenda preoccupazione invase il suo cuore e la sua mente, bloccandogli qualsiasi pensiero. Poi si riscosse, tornando padrone di sé all'ennesimo sforzo; le corse incontro, aiutandola a scostare i capelli dal volto.

Rimase in quella posizione finché Karin non iniziò a vomitare liquidi gastrici con tremori sempre più incessanti poi, con un ultimo rigurgito – dove, fortunatamente, non espulse nulla – si fermò, scossa.

<< Karin >>.

Le accarezzò la testa con una mano, mentre l'altra la posò sulla pelle nuda della spalla sinistra, coperta da un sottile strato di sudore; la sentì inspirare ed espirare per calmarsi e la vide aprire con dita tremanti il rubinetto del lavandino: l'acqua limpida trascinò ogni residuo di ciò che era accaduto, cancellando ogni disgustosa traccia. Successivamente portò le mani a coppa sotto il getto, raccolse un po' d'acqua e se la spruzzò sul viso, dopodiché si sciacquò la bocca. Le mani pallide erano aggrappate al bordo bianco del lavandino, talmente serrate che Thorin si domandò se avesse intenzione di lasciarlo.

<< Sto meglio, è passato >> esalò, chiudendo gli occhi.

<< Da quanto eri qui? >>.

<< Non da molto. Fortunatamente ti sei perso la parte peggiore >>.

<< Mi dispiace, avrei dovuto svegliarmi prima >> ammise, senza smettere di passarle le dita tra la chioma; lei scosse la testa girandosi lentamente verso di lui, il volto a dir poco pallido << Vieni, ti riporto a letto >>.

Karin, troppo spossata per rispondergli, rimase zitta e immobile costringendolo a prenderla in braccio; la strinse contro il suo petto e lasciò che posasse il capo sulla sua spalla finché non la riadagiò sul materasso e la coprì col lenzuolo. Si sdraiò lì vicino, sfiorandole il braccio in impercettibili carezze.

<< So cosa vuoi dirmi >> sussurrò lei, spezzando la quiete << Quando starò meglio farò chiamare Disin >>.

Thorin sorrise, ma Karin non poté vederlo poiché aveva le palpebre abbassate << Ci penserò io, non temere. E poi rimarrò qui finché non sarai di nuovo in forze >>.

Gli occhi neri gli si mostrarono, e vi lesse disaccordo << Devi guidare il tuo gruppo, non badare a me; Disin mi curerà a dovere >> aggrottò la fronte, assorta, e Thorin le baciò la tempia, preoccupato quanto lei.

<< Sei certa che non si tratti della ferita alla gamba? >>.

<< Non lo so, non credo >> ammise, allacciando le dita alle sue << Non ho mai provato sulla pelle i sintomi di un'infezione; però ormai è trascorso molto tempo >>.

<< Probabilmente hai ragione. Comunque non sono tranquillo, Karin: non finché non saprò cos'hai >>.

<< Ti informerò presto >> gli assicurò, baciandogli le dita << non appena Disin mi lascerà sola >> usò il tono più gioviale che riuscì a produrre, mentre dentro sé infuriava una tempesta di timore e ansia, poiché non riusciva a capire che stesse succedendo << Ora va', su >> lo esortò con un lieve sorriso.

Thorin era combattuto, lo capì dai tratti induriti del volto: rimase pensoso a lungo, dopodiché annuì di malavoglia; posò le labbra sulla fronte e sulla sua guancia destra, ora tornata al solito colorito.

Si rivestì, lanciandole continue occhiate alle quali Karin rispose alzando gli occhi al soffitto << Sicura? >> domandò ancora, sperando avesse cambiato opinione.

<< Sì, Thorin. Ti ringrazio, ma desidero così >>.

<< Va bene. Allora ti manderò Disin >>.

<< D'accordo. Ci vediamo più tardi >>.

Una volta uscito, Karin sprofondò nei suoi pensieri e mille e più congetture si formarono nella testa, una meno probabile dell'altra; agitata, non fece altro che torturarsi le mani e il labbro, sentendolo sanguinare dopo averlo mordicchiato coi denti. Compì numerosi e profondi respiri, riuscendo dapprima a sedersi e poi ad alzarsi: necessitava di sgranchirsi le gambe; un espediente per non pensare così tanto, più che altro. Si aggirò nervosamente di qua e di là, il cuore che galoppava furioso martellando senza sosta, accelerando i potenti battiti. Non andava bene. Non andava bene per niente!

Qualcuno bussò alla porta, facendola sobbalzare di paura; non facendo caso alla leggera camicia da notte estiva – unico indumento intimo che era scampato alla cernita – si affrettò ad aprire, un poco sollevata: la figura del medico le comparve davanti, e la salutò con un cenno del capo.

<< Mia signora, ho saputo che hai passato due giorni stancanti >>.

<< Prego >> lo invitò e richiuse la porta, prima di rispondergli << Sì, purtroppo. E confesso d'essere preoccupata: non capisco che succede >>.

L'altro annuì, accompagnandola verso il letto ancora sfatto << Sono qui per risolvere questo mistero >> le assicurò, sorridendole << Siediti, e conversiamo un po' >>.



Ori percorse il corridoio con una certa fretta, cercando di ricordare l'esatta posizione della stanza: Thorin gli aveva parlato della terza porta, subito dopo aver svoltato a sinistra... o era la sesta? Ma soprattutto: aveva davvero svoltato, in quel dedalo di corridoi? Si rimproverò, dandosi dello stupido smemorato, quando i suoi occhi scorsero una figura zoppicante e familiare dai lungi capelli neri, sciolti in parte sulle spalle e i restanti sulla schiena. Aumentò il passo diminuendo la distanza tra loro ed agitò una mano verso l'alto a salutarla, però non ricevette risposta; il sorriso che gli aleggiava sulle labbra si spense man mano che si avvicinava: Karin era tesa e seria, lo sguardo fisso davanti a sé che, in realtà, non vedeva nulla; era persa nei suoi pensieri, e solo quando l'afferrò per un braccio sbatté le palpebre, confusa nel vederselo davanti. O confusa d'essere lì fuori.

<< Ori >> disse, stupita << Che ci fai qui? >>.

<< Sono venuto a cercarti, Thorin richiede la tua presenza nelle sue stanze >> spiegò, guardandola come a cercare ogni più piccola traccia di sofferenza.

<< Stavo giusto per raggiungerlo >> l'informò.

Il nano annuì, poi però parve ricordarsi che altro doveva dirle << Come ti senti? Che ti ha detto il medico? >>.

<< Nulla di grave. Solo un'indigestione piuttosto spossante >> replicò sbrigativa; lo prese sottobraccio per aiutarsi a camminare più velocemente << Bilbo e gli altri? >>.

<< E' da giorni che lavoriamo sodo; quando abbiamo saputo la notizia era già tarda sera, e Thorin era con te. Stamattina gli altri sono tornati alle loro mansioni, Bilbo compreso; io invece ho incontrato Thorin per caso, e mi ha chiesto di portarti là >> fermò altre parole, portando le dita ad accarezzare il mento << Aveva uno sguardo strano, euforico e impensierito insieme >>.

Karin alzò le spalle, la frase dell'amico le vorticava nella testa << Ah. Bé, non ne conosco il motivo, ma lo scoprirò tra poco >>.

<< Ci farai compagnia a pranzo? Mangeremo nella Sala dei Banchetti! >>.

Lo guardò, tralasciando il malumore e l'abbattimento per non aver visto e parlato con gli altri << Sul serio? L'hanno risistemata, quindi! >>.

<< Fino all'ultima pietra! >>.

<< Sono impaziente di rivederla >> ammise, parlando a bassa voce e lasciandosi trasportare da ricordi giovanili; dimenticò i presenti pensieri per tutto il restante tragitto fino a quando non comparve la familiare porta di legno: solo allora, i problemi le precipitarono nuovamente addosso come una valanga gelida e compatta.

<< Eccoci qui >> annunciò lo scrivano, sorridendole spensierato.

<< Grazie, Ori >> si staccò da lui e si sporse verso la guancia, baciandogliela riconoscente; sorrise quando lo vide arrossire e balbettare, e seguì con gli occhi la sua schiena finché non svolto, scomparendo.

Col cuore in tumulto e la gola secca bussò piano, annunciandosi: lo stomaco le si era spiacevolmente aggrovigliato e, per poco, non udì l'invito ovattato proveniente dall'interno; abbassò la maniglia e spinse, lasciando che l'ampia camera le si mostrasse. Subito cercò Thorin con lo sguardo, ma trovò ben due figure in piedi, una maschile e una femminile che si girarono verso di lei non appena varcò la soglia.

Non credendo ai propri occhi e totalmente attonita, Karin guardò con un fastidioso groppo in gola quella nana più bassa di Thorin ma così simile a lui nell'aspetto; e mentre lui l'osservava con un mezzo sorriso sulle labbra sottili e gli occhi accesi di felicità, lei mantenne i tratti immobili e gli occhi azzurri ostili e freddi, senza nascondere la malcelata sufficienza alla quale Karin cercò di replicare mantenendosi indifferente.

Non si sarebbe mai aspettata quella visita, benché nel profondo sapesse fin troppo bene che, prima o poi, sarebbe giunta; ora, con Erebor finalmente libera e ricostruita, nulla la legava al luogo in cui aveva vissuto durante gli ultimi centosettantaquattro anni.

Un tumulto mai provato prima la costrinse a non spostare lo sguardo, e cercò di impedire una nuova ricaduta nel passato, anche se ora lo stesso le si stava mostrando concretamente tramite la figura della nana.

Della sua vecchia migliore amica.

Di Dìs.









CANTUCCINO DELL'AUTRICE

E rieccolaaaaaaaa! Facciamo un bell'applauso alla comparsa di Dìs!!! Aaaaaaah, non stavo più nella pelle, fortuna che questo capitolo è finito e ha fatto la sua glaciale comparsa! Ora ho il sospetto che se ne vedranno delle belle... heheheheheheeheh! Spero vi sia piaciuto anche se lungo; mi spiace, spero solo che non sia troppo noioso: fatemelo sapere tramite le vecchie recensioni ^^!

Ringrazio le carissime e specialissime idrilcelebrindal, pamagra, J_ackie, Carmaux95, Lady of the sea, MrsBlack, Krystal91, nini superga, vanessa90, lohobbit, LilyOok_, LadyDenebola, Lady_Daffodil. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima che, molto probabilmente, sarà l'ultimo capitolo ç____ç!!!

Vostra Anna <3




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Capitolo 26
*** Capitolo ventisei. Prima parte ***


Note dell'autrice: Ma buon pomeriggio ragazze! A tutte quelle che hanno ripreso la scuola e il lavoro un grande abbraccio e un in bocca al lupo per tutto, così come lo mando a tutte quelle che ri-inizieranno a breve ;)

Eccomi qui con questo ultimo capitolo... o meglio, la PRIMA PARTE dell'ultimo capitolo: perché, effettivamente, condensare il tutto in uno unico era un po' un suicidio. Perciò, ecco la decisione di spezzarlo in due; spero non me ne vogliate a male, non sto facendo di tutto per allungare il più possibile la storia e continuare a scrivere su di loro (anche se mi piacerebbe ;), dato che è già dura pensare alla fine :/).

Spero vi piaccia così come è piaciuto a me scriverlo ^^!

Buona lettura, ci leggiamo giù :*




CAPITOLO VENTISEI. PRIMA PARTE.


L'aria divenne terribilmente densa e fredda mentre le due nane si scrutavano; nessuna delle due avrebbe rotto per prima il silenzio, perciò Thorin pensò bene di accollarsi quella gravosa incombenza.

<< Ti stavamo attendendo, Karin >> esordì con voce ferma, sorridendole cauto << Non potevo lasciare mia sorella qui da sola, dato che devo tornare a coordinare i lavori >>.

Karin – capendo ciò che le stava chiedendo - percepì una lieve pressione alla bocca dello stomaco però mantenne i tratti fermi e lo sguardo in quello di Dìs che, d'altra parte, sembrava non voler abbandonare il suo viso.

Dopo alcuni attimi di esitazione, riprese << Vi lascio. Avrete molte faccende di cui discutere >>.

Hai detto bene, Thorin pensò Discutere, non parlare.

Il nano mosse qualche passo nella sua direzione, ma la voce della nuova arrivata lo bloccò << Eri solito salutarmi con un bacio, fratello. Il viaggio e la Riconquista ti hanno fatto dimenticare le buone usanze? >> domandò ironica.

Thorin abbassò il capo e piegò un angolo della bocca verso l'alto, girandosi << Ti chiedo perdono, Dìs; altre questioni occupano la mia mente >> non le diede il tempo di replicare che, avvicinatosi, le posò le labbra sulla guancia come richiesto.

La nana sorrise soddisfatta, osservando con malcelata compiacenza la schiena del fratello mentre si dirigeva verso la porta; però, prima, si fermò accanto a Karin. La guardò, volendole chiedere con uno sguardo preoccupato se stesse bene, ma lei non posò mai gli occhi neri sui suoi azzurri: li tenne costantemente fissi su Dìs. Quindi, a malincuore, Thorin fu costretto a rimanere all'oscuro delle condizioni di salute della sua futura moglie; al contrario di prima, lasciò che il braccio destro – intrecciato con l'altro dietro la schiena – si adagiasse sulla sua schiena in una sorta d'abbraccio, e le depose un bacio sui capelli beandosi del loro dolce profumo. La sentì inspirare leggermente tuttavia non disse né fece nulla e, dopo averle lanciato un'ultima occhiata di sottecchi se ne andò, chiudendo piano la porta alle sue spalle.

Il silenzio divenne nuovamente padrone. Karin non riusciva a trovare parole adatte con cui cominciare un dialogo perlomeno amichevole e Dìs, a dispetto di quel che si era prefissata – ovvero ignorarla freddamente – si ritrovò a schiudere le labbra rosee.

<< Dunque diventerai Regina sotto la Montagna >> constatò, alzando appena un sopracciglio nero.

Karin alzò il capo orgogliosa, annuendo << Sì >>.

<< Confesso che non mi aspettavo nulla di diverso da Thorin. In cuor mio sapevo che te l'avrebbe chiesto: non ti ha mai dimenticata >> osservò, con una punta di gelosia. O era solo un'impressione di Karin? Non avrebbe saputo dirlo con certezza.

Non rispose, limitandosi a fissare i tratti un tempo dolci e ora severi, molto simili a quelli dell'amato; d'altronde, sapeva perfettamente che non avrebbe atteso altro tempo per metterla al corrente del proprio pensiero e delle conseguenti polemiche: infatti non la smentì.

<< Conosci i doveri di una Regina verso il suo Re? Fedeltà, amore, obbedienza. Sei certa di riuscire a garantirli? >> chiese sprezzante, pensando soprattutto alla prima virtù.

Karin assottigliò lo sguardo scuro, incamminandosi lenta verso il letto spazioso di Thorin, dove si sedette; Dìs non perse di vista un singolo movimento, stringendo le labbra con tanta stizza da formare un'unica linea.

<< Non mi pare d'averti concesso alcun permesso >> disse, gelida.

Karin si lasciò scappare uno sbuffo irritato, finalmente parlando << Ho una ferita alla coscia che mi infastidisce, non riesco a stare in piedi troppo a lungo. E poi, non devo chiedere il tuo consenso: sono la futura Regina sotto la Montagna, non una semplice dama >> notò il poco colorito rosato sulle guance della nana aumentare e, con un leggero sorrisetto ironico, proseguì << In quanto a ciò che hai detto prima, sappi che ho dimostrato una fedeltà, un amore, e un'obbedienza a tuo fratello ben più potenti di qualsiasi altra forma di reverenza che un suddito mostrerebbe al proprio sovrano. Perciò non serve rimembrarmelo così gentilmente >> concluse, sarcastica.

La principessa non riuscì a nascondere del tutto l'odio e il fastidio per essere stata bistrattata in quel modo, e cercò di fare appello a tutto il proprio autocontrollo << Molti nani esuli si ricordano di te e di tuo padre >> disse, rimarcando le loro colpe e l'esilio << Dovrai convincerli della tua amorevole fede verso Thorin tramite l'erede al trono; prima di allora, tutti ti ricorderanno negativamente >>.

Karin alzò lo sguardo incredulo verso il suo, non scorgendovi nessun sentimento diverso dall'indifferenza; come mai quell'improvviso cambio d'argomento? Aveva accettato la faccenda del matrimonio senza opporsi? O aveva inteso che, per quanto avesse potuto ribattere, Thorin non avrebbe mai cambiato idea? Per quel che ne sapeva, potevano aver discusso per tutto il tempo finché non erano stati interrotti dal suo arrivo.

Un improvviso e travolgente moto d'amore verso il suo sovrano le infiammò il cuore, e fu con un immenso sacrificio che si impedì di sorridere e scappare da lì, per gettarsi tra le sue braccia.

Rimanendo presente a se stessa ma battagliera, lasciò che parte dei suoi dubbi si esternassero << Chi mi assicurerà che considereranno mio figlio come legittimo erede? Lo seguiranno, quando la nuova alba spunterà? >>.

<< Sì >> rispose l'altra, senza esitazione << perché amano Thorin: ha portato speranza in un momento di oscurità e dubbio, ha dato una casa alla sua gente promettendo sul suo onore di riprendere Erebor. Il popolo non ha dimenticato, però si ricrederà sul tuo conto quando ti mostrerai una donna completa, moglie e madre di Re >>.

<< Quando mi vedranno serva devota, vorrai dire >> replicò, stringendo tra le dita il tessuto della gonna color indaco; sospirò, capendo che era giunto il momento di rivelare la verità << Comunque non dovranno attendere a lungo: succederà prima di quanto possano sperare >> sussurrò, temendo nel profondo le sue reazioni.

Dìs rimase sbigottita, credendo d'aver capito male; sgranò appena gli occhi azzurri, le strette treccine della barba nera parvero fremere quanto il suo corpo. Poi tutto passò, come se Karin non avesse confidato nulla: solo, incrociò le braccia al petto.

<< Non mi sembri molto entusiasta >> commentò, rimproverandola con la voce: a suo parere, non vi era onore più grande del diventare madre del primo erede.

Karin ponderò la risposta da offrirle, optando per la sincerità << Lo sono, però reputo sia accaduto troppo in fretta: abbiamo appena trovato un nuovo equilibrio dopo tutto ciò che abbiamo dovuto affrontare. Mi aspettavo un lungo periodo di pace, prima di poter anche solo pensare di crescere un bambino >>.

<< Dovevate pensarci in tempo >> disse, maligna << Non avete provveduto a degli accorgimenti? >>.

Karin si sentì arrossire, ma non spostò lo sguardo << Non sempre >> ammise << avevamo altri pensieri, non sapevamo se saremmo sopravvissuti >>.

<< Mio fratello avrebbe dovuto riflettere sulle conseguenze, invece di decidere per conto suo! >>.

<< Non l'ha fatto di proposito >> sentì la furia ghermirle la gola, ormai era la sua preda << Da quando sei così cinica? Dove è finita la Dìs che conoscevo? >>.

La nana non si fece intimorire nemmeno quando Karin si alzò, dopo averle urlato addosso come ad una qualsiasi domestica; la squadrò glaciale, sentendo gli ultimi residui di pazienza sbriciolarsi come polvere << E' morta, così come sono morte le persone a me più care! Non tutte ritrovano la felicità perduta dopo molti anni >> l'accusò, in un chiaro riferimento alla sua situazione e all'amore recuperato.

<< L'ho pagata a caro prezzo, Dìs >> sussurrò.

<< Perché, a tuo parere io non l'ho pagata a sufficienza? >> sbottò rabbiosa; compì numerosi e profondi respiri per calmarsi, eppure non furono abbastanza: specie quando Karin decise di continuare.

<< Hai anche conosciuto la gioia: Kili e Fili li consideri estranei? E Thorin? >>.

<< L'amore fraterno e filiale non colmano il vuoto del cuore. Penso tu sappia di cosa stia parlando >> replicò asciutta.

Sì, Karin lo sapeva. Ma non voleva ammettere che quella che un tempo era la sua migliore amica – così giovane, fresca e piena di quell'amorevole altezzosità che l'aveva sempre contraddistinta - ora fosse diventata così fredda, così estranea. Così vuota.

Con dolore, comprese che anche lei sarebbe mutata in quel modo se Thorin fosse morto.

<< Ho appreso con dispiacere della morte di Rili. E anche di Frerin >> rivelò col cuore.

Dìs la guardò ben diffidente << A quel che ricordo lo odiavi >>.

<< Era pur sempre vostro fratello, nonostante le divergenze >>.

Il mormorio di Karin raggiunse le orecchie della nana, che alzò impercettibilmente le spalle << Era molto diverso da noi: forse il germe della pazzia dei Durin aveva attecchito maggiormente nel suo cuore, aumentando la gelosia e il risentimento verso Thorin >>.

Karin si stupì nuovamente nel constatare il suo distacco, ma non commentò; abbassò gli occhi, non riuscendo a sostenere oltre quelli azzurri. Pur con una leggera punta di dispiacere al ricordo della loro passata amicizia, Dìs fu oltremodo contenta d'aver vinto quella piccola battaglia, quello scontro verbale. Piegò la bocca in una smorfia nel ricordare il contenuto delle lettere inviatele da Kili e Fili durante la permanenza a Esgaroth, in cui le raccontavano le innumerevoli peripezie affrontate e, implicitamente, la mettevano al corrente della presenza di Karin e del nuovo rapporto con i membri della Compagnia, incluso il fratello.

Quella mattina, poi, non appena aveva solcato la Porta Principale, aveva espresso l'ordine di voler conferire con il Re sotto la Montagna, e l'avevano condotta da lui. Dapprima si erano salutati con gioia e affetto, e Dìs aveva quasi dimenticato ciò che le premeva chiedergli; poi, d'altra parte, era stato lui stesso a raccontarle ogni cosa, e a farle intuire che non sarebbe riuscita a dissuaderlo: le era bastato uno sguardo al volto ora sereno di Thorin – così diverso da come ricordava, quando si erano salutati mesi addietro – per capire.

Mentre le spiegava i numerosi fatti accaduti, compresa la verità sul tradimento, non aveva aperto bocca ascoltandolo e rimuginando sulle sue parole; si era ripromessa che, una volta trovatasi faccia a faccia con lei, sarebbe stata accorta nell'appurare il suo reale pentimento. Conosceva il fratello e sapeva per certo che lei non era mai stata in grado di mentirgli, perciò ciò che le orecchie stavano udendo corrispondeva al vero. Ma c'era una minima parte di lei che sperava fosse tutta una menzogna, che Karin non entrasse davvero a far parte della famiglia. Non ne sapeva il motivo, però era così: che si trattasse di gelosia perché aveva da sempre detenuto il cuore del famigliare... non avrebbe saputo dirlo. Ora come ora le risultava difficile tornare a considerarla la vecchia amica, la vecchia confidente di segreti, benché proprio pochi minuti prima lei l'avesse messa al corrente della sua nuova situazione.

Thorin aveva compiuto la sua scelta: aveva perdonato Karin, l'aveva chiesta in sposa. E ora l'aveva ingravidata.

Non vi era altra soluzione: avrebbe dovuto accettarla come cognata.

<< Presumo che Thorin non sappia nulla, altrimenti me ne avrebbe parlato immediatamente >>.

Karin la guardò di sfuggita, mortalmente spossata e con un leggero mal di testa: desiderava solo stendersi e riposare, lasciandosi alle spalle gli avvenimenti e le rivelazioni delle ultime ore << Tu sei la prima >> confermò, con voce incerta.

Dìs parve quasi appagata << Dovresti essere già ai primi mesi, se sei riuscita a scoprirlo. Quando hai avuto i tuoi ultimi giorni di sangue? >>.

Karin sospirò, sondando con la memoria << Negli ultimi tempi non ho prestato molta attenzione, ma credo... bé, sono certa sia da quando alloggiavamo a Esgaroth; quindi sono passati tre mesi e mezzo, ormai >>.

La principessa tacque, permettendo a Karin di cambiare argomento e formulare la domanda che desiderava porle << Devi essere partita mesi fa per essere giunta adesso >>.

L'altra si ritrovò ad annuire, le braccia costantemente conserte << I miei figli mi scrissero durante il soggiorno nella città degli Uomini; inoltre, il pensiero dell'imminente incontro col Drago non mi lasciò tregua, perciò decisi di partire subito. Non avrei sopportato la semplice notizia della loro morte, o di quella di Thorin: se fosse accaduto qualcosa sarei stata presente, che si trattasse di abbracciarli o di piangere sulle loro tombe fredde. Raccolsi le mie cose e, scortata da alcuni nani di fiducia, partimmo in sella ai nostri pony: li spronai più del necessario, specialmente quando seppi della dipartita di Smaug, e delle pretese che avanzarono Elfi e Uomini >> fece una smorfia disgustata, che a Karin ricordò molto quella di Thorin al sentir nominare gli Elfi << Al Grande Fiume delle Terre Selvagge accadde un fatto inaspettato: un gruppo di Aquile scese su di noi, e Gandalf era con loro; mi raccontò della Battaglia e di come eravate stati feriti mortalmente, e si offrì di portarmi dai miei cari. Ciò è accaduto l'altro ieri: solo oggi ho potuto abbracciare Thorin ma non Fili e Kili, che vedrò tra poco >>.

<< Capisco >> disse, abbassando il capo << Hanno difeso con i propri corpi il loro Re e parente, rischiando la vita: devi essere orgogliosa di questo. E sarai felice di sapere che ora godono di ottima salute >>.

Dìs si concesse una brevissima ombra di sorriso << Thorin li ha cresciuti come fossero figli suoi, trasmettendo loro la conoscenza necessaria riguardante il nostro popolo, istruendoli sui doveri dei Principi di Erebor e dei futuri sovrani. In lui hanno sempre riconosciuto una guida, e uno zio autoritario ma onesto. Sappi che, per una madre, non c'è notizia più bella nell'apprendere dei figli vivi, e salvi; il loro gesto è stato avventato, certo, eppure giusto. Non avrebbero mai abbandonato Thorin al suo destino >>.

<< Lo so >> rispose lei, avvicinandosi all'amica << Ho imparato molto da questo viaggio e, tra le tante cose, ho potuto apprezzare il loro carattere: sono giovani, ma conoscono i loro oneri. Li hai educati come veri Re, Dìs >>.

<< Lo sarebbero stati, soprattutto Fili >>.

Per un breve attimo, Karin sentì una fastidiosa sensazione di colpa farsi spazio nella sua anima, spazzata via come foglie dopo uno sguardo al volto di Dìs, ora malinconico e tristemente rassegnato << E' inutile rimuginare su ciò che sarebbero potuti diventare. Non appena lessi della tua presenza nella Compagnia capii che saresti diventata moglie di Thorin, se foste sopravvissuti entrambi: così è stato, e né io né nessun altro avremmo potuto cambiare il corso del Fato >>.

Karin non si sentiva del tutto tranquilla: doveva spiegare la sua versione in qualche modo, anche se non sapeva bene come << Sai bene che non ho mai aspirato a divenire Regina, benché meno avrei voluto impedire ai tuoi figli di insediarsi sul trono come sovrani. Fin dall'inizio ho sempre e solo amato Thorin, non il Re di Erebor >>.

<< Non occorre ricordarlo né volerti discolpare. Semplicemente, è accaduto >> lanciò uno sguardo alle sue spalle, dove si trovava la porta di legno << Ora gradirei rimanere un poco da sola: presto giungeranno Kili e Fili >>.

La ragazza si dispiacque del tono utilizzato, tornato freddo e cortesemente distaccato, come se i lunghi anni passati all'interno della Montagna non fossero mai esistiti; si morse il labbro inferiore capendo che Dìs si sarebbe mostrata ancora ostinatamente ostile nei suoi confronti, e per chissà quanto tempo. Però la capiva: non era stato facile convivere con la consapevolezza che la propria dimora era perduta a causa di colei che era una cara amica, una sorella acquisita; il rancore, la rabbia e l'impotenza nel vedere il proprio amato fratello distruggersi dal dolore, poi, aveva alimentato l'odio nei suoi confronti. E ora, nonostante le parole di Thorin e la sua palese felicità, le risultava difficile perdonarla; si era ripresentata la medesima situazione di Dwalin, insomma. Però Karin sperava che, al contrario del nano guerriero, la Principessa di Erebor impiegasse meno tempo e la capisse in fretta, anche grazie alle pressioni che, di sicuro, avrebbe compiuto Thorin.

Difese portate strenuamente da Balin proprio nei suoi confronti non molto tempo addietro, per fargli capire che non era la traditrice che reputavano. Sembravano passati lunghi anni da allora, tuttavia la ferita al cuore pulsava ancora dolorosamente al ricordo, benché ora fosse tutto risolto; per certi attimi, Karin si domandò quando i fantasmi del passato l'avrebbero abbandonata definitivamente: forse, però, doveva essere proprio lei la prima a rinchiuderli in un angolo buio finché non avrebbe capito d'essere libera.

Ultima ma non meno importante faccenda riguardava il figlio che portava in grembo, colui che avrebbe sostituito i giovani Durin sul Trono di Erebor come Re. Dìs credeva si trattasse di una ripicca nei suoi confronti? Credeva avesse circuito e sedotto Thorin affinché il suo seme potesse fecondarla e svilupparsi?

Probabilmente sì si rispose ma non nel profondo. Nel profondo, vi è ancora la Dìs che crede nella nostra amicizia, e nella mia innocenza.

Tornò a posare gli occhi su di lei ed annuì solamente senza proferire parola; le volse le spalle e raggiunse la porta, aprendola. Lì, per poco, non si scontrò proprio con Fili, che la guardò curioso.

<< Karin! Stai bene? Sei molto pallida >> constatò, accarezzandole una guancia. Kili, alle sue spalle, la guardava preoccupato.

<< Ci hanno detto di venir qui, ma non ci hanno spiegato il motivo: tu lo sai? >>.

Karin guardò l'arciere, accennando una lieve smorfia che doveva essere un sorriso << Entrate, e capirete >> si sciolse gentilmente dal gesto di Fili e se ne andò col cuore martellante e la mente stipata dalle numerose rivelazioni e dal dialogo appena concluso; strinse le mani a pugno e guardò verso l'immensa e irraggiungibile volta di pietra quando dei rintocchi lontani e profondi di campana le annunciarono il pranzo imminente. Deglutì, sapendo cosa doveva fare: i piedi si mossero velocemente portandola quasi a correre, ma non si curò delle forze che minacciavano d'abbandonarla a breve. Doveva raggiungere la sala, e in fretta: prima che la sorpresa chiamata Dìs raggelasse e sbigottisse un certo nano.


Rallentò il passo quando iniziò ad incrociare alcuni nani lungo le ripide scale lisce; non era il momento opportuno di dimostrarsi una selvaggia, come l'aveva chiamata Dain nell'accampamento di Thranduil. Si costrinse a camminare con disinvoltura e a salutare ciascuno di loro con un cenno del capo e un sorriso in segno di rispetto, mentre dentro di sé infuriavano una miriade di sensazioni e sentimenti, ed il rimbombo dei battiti del cuore l'avvolgeva come una bolla di cristallo.

Li schivò e superò, procedendo più in fretta una volta raggiunto il piano prescelto; qualche nana la costrinse a fermarsi e scambiò qualche parola con lei, avvisandola sull'andamento dei lavori di pulizia. Ascoltò e diede il proprio parere, per poi scusarsi mortificata e riprendere il cammino finché, con immenso sollievo, non scorse le grandi porte dorate spalancate; senza indugio varcò la soglia, fermandosi di botto nell'ammirare la Sala dei Banchetti: era proprio come la ricordava, con lunghi tavoloni e panche di legno posti seguendo la lunghezza della stanza; in fondo, un unico tavolo disposto orizzontalmente dava una buona visuale d'insieme: lì sedeva il sovrano con i Consiglieri e gli amici più stretti. E lì, secondo le sue previsioni, l'avrebbe trovato.

Deglutendo alla vista della moltitudine di gente cercò di farsi coraggio e, con un sospiro, si addentrò alla sua ricerca; come prima, salutò cortesemente chiunque incrociasse il suo sguardo, venendo ricambiata senza la precedente freddezza. Più sollevata, in breve tempo raggiunse il tavolo, vedendo Thorin seduto al centro con una sedia vuota alla sua destra e, subito dopo, notò Dwalin. Senza pensarci aumentò il passo, salutando la Compagnia con un secco cenno a cui risposero pronunciando sorpresi il suo nome, mentre Bilbo addirittura si alzò per chiamarla: gli lanciò uno sguardo di scuse, ma proprio non poteva fermarsi; col fiatone, prese posto sulla sedia vuota tra i due amici. Sorrise debolmente all'indirizzo di Thorin, che non smetteva di osservarla pensieroso e con la fronte aggrottata, e poi si voltò verso Dwalin, intento a bere birra.

Quando si accorse di lei poggiò il boccale, alzando un sopracciglio << C'è qualcosa che non va? >> domandò.

Karin, con la gola insopportabilmente secca, tentò di deglutire; poi piantò gli occhi nei suoi << Lei è qui >> disse, solamente.

Il nano non ebbe bisogno di chiederle di chi stesse parlando; bastò una semplice occhiata ai tratti tesi del volto cereo per capire. Eppure, giungendo alla verità, faticava ad accettarla: non poteva essere vero.

Non poteva trattarsi di...

Il sonoro chiacchiericcio dei nani si spense improvvisamente, come se qualcuno avesse ordinato di tacere: ma Thorin non aveva aperto bocca, e nessun altro si era permesso di imporsi su loro. Seguendo le occhiate curiose, Dwalin vide ciò che tanto strenuamente negava a se stesso: Dìs era comparsa, scortata dai figli. Incedeva con passo sicuro e il capo fieramente dritto, lo sguardo azzurro privo di ogni sciocco timore o vergogna alla vista di tutte quelle persone che, al suo passaggio, si scansavano e si inchinavano rigidamente.

Karin provò un leggero sentore di invidia alla bocca dello stomaco nel constatare che nessuno le aveva mostrato un tale rispetto; le parole dell'amica le risuonarono come un martello sull'incudine, incidendo nella sua anima: finché non si fosse dimostrata degna consorte non sarebbe stata accettata facilmente. Inconsciamente sfiorò il ventre con una mano, dubbiosa: davvero sarebbe bastato quel bambino per accantonare ogni risentimento e diffidenza? Usare suo figlio come pretesto per far breccia nel cuore dei suoi futuri sudditi - benché ora non ce ne fossero essendo abitanti dei Colli Ferrosi – non le piaceva molto come prospettiva. Sbuffò corrucciata, continuando a seguire il lento percorso di Dìs sinché non raggiunse il tavolo portandosi dalla parte opposta alla loro, alla sinistra del fratello. Aveva altre soluzioni? No, si rispose. Doveva attenersi alle parole della sua futura cognata. Una parte di sé, però, fu quasi sollevata: l'indifferenza e l'incertezza sarebbero mutati nell'apprendere dell'ormai presente gravidanza. O, almeno, così voleva sperare: sempre che qualcuno non lo reputasse indecoroso, giacché lei e Thorin non erano ancora uniti in matrimonio.

Sobbalzò sulla sedia quando qualcuno le posò una mano sul braccio e, con occhi sgranati, girò il capo verso sinistra: Thorin aveva richiamato la sua attenzione. Preferì non badare all'occhiata indagatrice che le rivolse, forse per accertarsi che i minuti passati con Dìs non l'avessero scossa più del dovuto; o, molto probabilmente, per indagare una qualche forma di malore sul suo viso: e, a giudicare dagli occhi adombrati, pareva averla trovata.

<< Stai bene? >> le domandò, con voce bassa.

Karin spostò lo sguardo davanti a sé, notando che qualcuno le aveva portato una ciotola di stufato di montone fumante e un boccale di birra densa e scura: si chiese quando fosse accaduto, però preferì rasserenare lo sguardo e posarlo su un impaziente Thorin, in attesa << Sì, scusami. È che... la venuta di tua sorella è stata decisamente inaspettata >>.

<< Lo so, è stato così anche per me >>.

Entrambi lanciarono uno sguardo all'amico, che non aveva più aperto bocca ed attaccava rabbiosamente il cibo come fosse un orco.

Karin si morse il labbro, combattuta, ma alla fine decise di provare a parlagli << Dwalin >> esordì, flebile.

Lui la fulminò con un'occhiataccia, lasciando cadere la forchetta nella ciotola << Da quanto lo sapevi? >> domandò, sibilando.

<< Stamattina Thorin mi ha chiamata nelle sue stanze, e l'ho vista; abbiamo parlato fino ad ora, e sono corsa qui ad avvertirti. Mi dispiace >>.

Dwalin la squadrò sotto lo sguardo attento e vigile di Thorin; lanciò un'occhiata anche a lui, a conferma di quel che gli aveva detto, e lo vide annuire. Solo allora chinò la testa tatuata, mentre un lieve sorriso campeggiò sul volto << Ti chiedo perdono, non dovevo prendermela con te; so che hai agito nel migliore dei modi. In ogni caso, non devi preoccuparti: sono solo sorpreso, tutto qui >> le diede un'affettuosa pacca sulla spalla e riprese in mano la posata di legno, mangiando con più calma.

Karin, d'altra parte, non si tranquillizzò; giocherellò col cibo, la nausea perenne non le dava tregua: si impose di masticare qualche boccone ma il tutto minacciò di ripresentarsi, quindi lasciò perdere. Bevve a piccoli sorsi, volendo solo alzarsi e andarsene da lì; inoltre, avrebbe dovuto comunicare la novità a Thorin: le aveva già chiesto due volte se stesse bene e se c'era qualcosa che doveva dirgli, ma lei si era limitata a sorridergli e a rispondergli che stava bene – cosa vera, peraltro, a parte il leggero fastidio. Eppure non si era mai sentita più infame e bugiarda come in quel momento.

Una volta terminato il pasto riprese l'assordante chiacchiericcio, e numerose nuvolette di fumo si innalzarono dalle lunghe pipe rilassando i volti pienamente soddisfatti dei commensali; Karin non riuscì a mentirgli ancora, perciò si sporse verso di lui << Più tardi dobbiamo parlare. Devo dirti una cosa >> sussurrò, inspirando involontariamente l'inebriante odore di tabacco che lo avvolgeva.

Thorin assottigliò lo sguardo, tornando serio << Non puoi dirmela ora? >>.

<< No. Preferirei fossimo soli >>.

<< Possiamo assentarci qualche minuto >>.

Di nuovo, Karin scosse la testa << Tra poco la pausa sarà terminata, e dovrai tornare al lavoro. Davvero, Thorin, te ne parlerò stasera >>.

<< Non sono del tutto d'accordo con te. Il tuo pensiero non mi abbandonerà un attimo, e rischierò di impazzire a causa del tuo silenzio >> disse duramente, cercando di far leva sul suo senso di colpa; ma lei sorrise furbamente per la prima volta da quella mattina.

<< Proprio tu mi dicesti che occupo sempre la tua mente. E comunque, non riuscirai a farmi cambiare idea: preferisco dirtela con calma >>.

Il Re sospirò, rassegnato << Va bene. Almeno informami se devo preoccuparmi eccessivamente o meno >>.

<< Spero sarà un piacevole annuncio >> ammise, con un mormorio.

<< Riguarda ciò che ti ha detto Disin? >> volle sapere, sperando d'estorcerle qualche altra informazione.

Karin socchiuse le palpebre, minacciosa << Saprai tutto stasera! Però... però sì, si tratta di questo >>.

Thorin annuì, pensieroso e immerso in numerose congetture; Karin gli strinse una mano e gli sorrise, sollevandolo enormemente nel vederla diversa da come era apparsa prima di pranzo: sembrava essere tornata in pace con se stessa, o con qualunque riflessione vorticasse nella sua mente. Spesso desiderava poter capire meglio i suoi pensieri, le sue idee, i suoi turbamenti: l'avrebbe aiutata maggiormente, in quel modo. I Valar solo sapevano quanto fosse frustrante non poterla comprendere, e rimanere impotente di fronte ai suoi muri invalicabili.

Ricambiò la stretta e il sorriso, udendo il rintocco profondo come il baratro della Montagna della campana di bronzo; immediatamente, un raschiare di legno su pietra rimbombò nell'aria, e numerosi scalpiccii accompagnarono l'uscita dei nani, diretti alle rispettive mansioni; anche la Compagnia si alzò, e Bofur e Bilbo – nelle vesti di ambasciatori – annunciarono battaglieri che nel pomeriggio Karin era attesa al loro cospetto, poiché non avevano avuto modo di parlare con calma e chiederle come stava. La ragazza si ritrovò ad annuire stupita senza nascondere l'ilarità della situazione, quindi promise che sarebbe passata: dopotutto glielo doveva, le loro parole erano veritiere.

Li accompagnò verso la prima rampa di scale e poi si congedò, dicendo d'avere urgente bisogno di riposarsi; fermò le proteste degli amici - che volevano scortarla - e, per il suo bene, concesse che Dìs le facesse compagnia fino alla camera. La sentì camminare ad alcuni passi di distanza nel più assoluto silenzio e, quando si fermò, decise di parlare.

<< Grazie, Dìs >>.

<< Non dirlo >> rispose seccata << sono stata costretta da Thorin e dai miei figli, non l'ho fatto perché lo desideravo. Vedi di riposarti bene, non hai un bell'aspetto >>.

Karin si morse la lingua per non replicare, ciononostante le parole fuoriuscirono da sole << Spero tu non abbia intenzione di ignorare Dwalin; dovresti ringraziarlo, dato che ha vegliato su Kili e Fili mentre erano feriti >>.

<< Non accetto ordini da te, Karin >> disse malamente, punta sul vivo << Sono più che certa sia stata una tua idea >>.

<< Ostenti una grande sicurezza >> rispose, calma << Ma ne sei proprio convinta? >> con quell'ultima domanda sospesa la lasciò, chiudendosi la porta alle spalle; sospirò, volendo solamente dormire lunghe, lunghissime ore.

Si sfilò il vestito e indossò la camicia da notte, però i piedi la condussero verso il piccolo bagno: guardò il proprio riflesso allo specchio, notando effettivamente quanto fosse smunta; eppure, tra i tratti timorosi e tirati, scorse un brillio negli occhi neri. Un brillio totalmente nuovo e diverso, una piccola scintilla che, presto, sarebbe divenuta fuoco; capì d'averla già ammirata un'unica volta, e non poté fare a meno di sorridere dolcemente: le rammentò il primo incontro con Eliese, quando le aveva rivelato d'aspettare Glir. Di nuovo, la mano si portò lentamente verso il ventre ancora piatto, accarezzandolo con un'espressione serena e materna sul volto, rigenerandosi. I mille dubbi che la tormentavano svanirono come d'incanto, ed un grande sospiro le scaldò il cuore: non sarebbe accaduto nulla di grave. Avrebbe confessato la verità a Thorin e lui ne sarebbe stato felice, immensamente. Si sarebbero sposati ed avrebbero atteso il loro primo figlio con grande aspettativa e impazienza, unite alle preoccupazioni legittime sull'essere buoni genitori; avrebbero superato qualsiasi ostacolo, di questo era convinta. O, perlomeno, cercava di esserlo il più possibile.



<< Ah, alla buonora! >> così l'accolse un Bilbo visibilmente irritato, seppur con un lieve sorrisetto e le mani sui fianchi << Ora dobbiamo pregarti per vederti? >>.

<< E' la Regina di Erebor, mastro hobbit >> s'intromise Bofur, con tono ironico << Agisce come le pare. E noi poveri comuni sudditi dobbiamo solo sperare che s'accorga di noi! >> concluse, portandosi il colbacco all'altezza del cuore.

Karin alzò le sopracciglia ed assunse un'espressione colpevole << Mi sono già scusata a dovere, non occorre rimarcarlo! Mi dispiace, va bene? >>.

I due si guardarono poi voltarono il capo verso Ori, accanto a loro; rimasero pensierosi per alcuni brevissimi secondi, dopodiché annuirono energicamente.

<< E va bene, scuse accettate >> dichiarò Bofur, posandole il cappello sulla testa e calcandoglielo fin quasi sugli occhi.

Karin se lo sistemò come conveniva, facendo una smorfia quando sentì aumentarle il calore alla testa << Come puoi tenertelo quasi sempre? Si muore di caldo! >>.

<< Parla per te! >> la rimbeccò, riprendendoselo e indossandolo << Io ci sto bene >>.

<< Ricordo quando ti conobbi la prima volta: ne avevi uno identico, ma più piccolo >> disse Karin, con un dolce sorriso.

<< Già, me lo comprò mio padre; un buon nano, gran minatore. Chissà come starà >>.

<< Sarà ansioso di rivederti >>.

Bofur scrollò le spalle << Naa, sarà contento di non avermi tra i piedi! Mi mandava sempre il più lontano possibile da casa a consegnare i giocattoli che fabbricavo >>.

<< Posso immaginarne il motivo >> bisbigliò Bilbo, a voce abbastanza udibile. Il nano gli lanciò un'occhiataccia suscitando uno scoppio di risa in Karin; i tre amici si bloccarono e la guardarono con un sorriso complice sul volto, al che lei si placò immediatamente.

<< Perché quelle facce? >> chiese, stupita.

<< Oh, niente >>.

<< Davvero! >>.

<< Ragazzi >> li ammonì minacciosa.

<< Bé >> esordì Bilbo, cercando approvazione dai compagni << forse ci siamo accordati per farti sorridere >>.

Karin rimase interdetta qualche secondo poi schiuse le labbra, attonita.

<< Ci siamo riusciti >> disse Ori, posandole una mano sulla spalla << Hai addirittura riso! >>.

Il cuore minacciò di scoppiarle in petto, tanta era la felicità; sbatté le palpebre più volte e, per non farsi vedere piangente, abbracciò di slancio il giovane scrivano, che minacciò di cadere all'indietro.

<< Grazie! Grazie! >> fu l'unica parola che riuscì a pronunciare. Ori ricambiò la stretta, poi la lasciò andare mentre le guance si coloravano di un bel rosso; Karin gli sorrise affettuosa e passò a ringraziare prima Bofur e poi Bilbo, lasciando che la stritolassero con affetto.

<< Non so come farò senza di voi >> ammise, cercando di guardarli in viso << Sarà difficile quando tornerete a casa >> concluse, turbata.

<< Non devi temere, non ti libererai facilmente di noi! >> le assicurò Bofur << Io, personalmente, cercherò di rimanere il più possibile, almeno oltre il matrimonio. A casa non c'è nessuno che mi attenda, a parte mio padre >>.

<< E da quel che hai detto, più tempo starai qui e meglio si sentirà >> disse Bilbo, battendogli una pacca cordiale sulla schiena.

<< Almeno io non fremo per tornare a sedermi sull'amata poltrona >> ribatté, perfido.

<< Oh, questo è un colpo basso! >> esclamò Ori, che non aveva colto l'espressione sul volto dello hobbit; al contrario di lei.

<< Bilbo >> chiamò Karin, il volto dispiaciuto << stava solo scherzando >>.

<< Te la sei presa? Mi spiace, non volevo offenderti! >>.

Lo scassinatore deglutì e scosse la testa, scuotendo poco la testa riccioluta << Sto bene, sto bene. Bofur ha solo detto il vero >> la guardò con un'espressione immensamente triste, ma tentò comunque di sorriderle << Scusatemi, ho... ho bisogno di... >> indicò un punto alle sue spalle e, senza aggiungere altro, se ne andò.

<< Hobbit! Dai, non volevo... scherzavo! >> gridò Bofur, mortificato; fece per seguirlo ma venne fermato dalla voce di Karin.

<< Lascia, Bofur: ci penso io >> gli passò accanto e gli posò la mano sull'avambraccio in una muta comprensione. Lui annuì e la seguì con lo sguardo, voltando la testa in tempo per captare l'espressione delusa e ferita di Ori.

<< Che c'è? Gli ho detto che mi dispiace! >>.

Ori si limitò ad alzare gli occhi al cielo.



<< Bilbo >>.

Lo hobbit girò impercettibilmente il capo verso sinistra, poi tornò ad osservare la piana che si stendeva ai piedi della Montagna Solitaria.

Karin lo raggiunse, poggiando gli avambracci ad un nonnulla dai suoi, e rimase in silenzio a contemplare il paesaggio che stava ormai rinascendo dopo la tremenda Desolazione e la Battaglia dei Cinque Eserciti; numerosi ciuffetti di morbida erba verde punteggiavano il suolo altrimenti marrone, ed oscillavano pigramente grazie al fresco venticello d'inverno, che profumava di neve: prima o poi sarebbe scesa, imbiancando dovunque. Alzando gli occhi al cielo uniformemente grigio, infatti, capì che sarebbe accaduto presto.

Sfregò le mani tra loro poiché si stavano raffreddando e, dopo avergli lanciato una breve occhiata, aprì bocca per parlare: però venne preceduta.

<< Ultimamente salgo spesso quassù. Adoro sentire il lieve calore del sole o il freddo pungente del vento sul viso; e allora ripenso a casa, alle dolci colline sempreverdi che si scorgono dal piccolo giardinetto. Rivedo il grande albero dai numerosi rami, spogli fino all'arrivo della primavera, quando inizieranno a costellarsi di numerose foglioline verdi. Mi mancano gli amici e conoscenti con cui facevo baldoria alla piccola locanda, e provo nostalgia perfino di Lobelia Sackville-Baggins, quella hobbit opportunista e arraffona! >>.

Karin ridacchiò, frizionandosi le braccia con le mani per scaldarle; Bilbo scosse la testa, un lieve sorriso sulle labbra << Ripensandoci, credo non mi mancherebbe mai e poi mai! >> la guardò, il volto ritornato serio << Non fraintendermi, sto bene qui, mi piace: Erebor è immensa e meravigliosa, una vera dimora di gente fiera e orgogliosa. Ma non è casa. E dopo tante avventure la mia mente e il mio corpo la reclamano >>.

Lei annuì, volendo confidargli certe incertezze delle quali non aveva parlato a nessuno << Sai cosa mi spaventa? Il fatto che la parte vagabonda della mia anima aneli la sua libertà tra non molti anni. Erebor è la mia casa, ma temo... temo potrà divenire una gabbia dalla quale non riuscirò a scappare; eppure, d'altra parte, il solo pensare di voler abbandonare Thorin e qualsiasi nostro figlio mi ripugna. Però il vago sentore permane: il camminare nei boschi seguendo tracce, il rinfrescarsi sulle sponde d'un lago o fiume, il passeggiare lungo stradine tortuose e strette di una città degli Uomini... tutto ciò diverrà un dolce ricordo, e in seguito desiderio irraggiungibile. Avrò doveri, responsabilità e regole a cui sottostare, e non mi saranno permessi molti gesti onde arrecare disonore a Thorin; sono abbastanza saggia da capirlo, perciò lascerò perdere qualsiasi impulso sconveniente. Ma sarà complicato e difficoltoso >>.

Seguirono con lo sguardo gli ultimi residui di respiro condensato, che ben presto si dispersero nel vento. Karin osservava un punto lontano e indefinito oltre Dale, l'immaginazione fervida e galoppante aveva già raggiunto i luoghi che l'avevano ospitata durante l'esilio. Bilbo era incredulo, però non la biasimava; poteva solo lontanamente comprendere il suo stato d'animo, ma non se lo sarebbe mai aspettato: non ora che sarebbe divenuta Regina. Non ora che avrebbe vissuto numerosi anni con Thorin. Ah, lui non sarebbe sopravvissuto a lungo nelle profondità di Erebor, nossignore! La sua stessa essenza non l'avrebbe sopportato: amava la vita all'aperto, non la reclusione. E Karin gli somigliava, anche se aveva passato tanti anni senza fermarsi in un luogo stabile; Erebor l'avrebbe distrutta, prima o poi. Una riflessione che lo preoccupò più di qualsiasi altra questione.

<< Se ne parlerai con Thorin sono certo che giungerete ad un compromesso >> affermò sicuro, a dispetto della voce rauca.

Karin espirò, rabbrividendo visibilmente dopo una folata particolarmente potente; col naso all'insù notò i primi fiocchi di neve, delicati e gelidi, che turbinarono lenti fino a terra.

<< Può darsi. Ma ci sarà sempre qualcuno disposto a ricordarmi qual è il mio posto, e i miei compiti >>.

<< Dìs, per esempio? >> chiese piano Bilbo, stringendosi nelle spalle ed osservando la neve scendere; dopo averla notata annuire, riprese << E' davvero così tremenda? >>.

<< No, è solo molto severa e autoritaria: un po' come Thorin ai primi tempi >> spiegò mordendosi il labbro, e certa che Bilbo comprendesse il paragone.

<< Capisco. A me è parsa una buona nana, nel profondo >>.

<< Oh, lo è. Ha solo indurito il suo cuore, specie dopo quel che le è capitato durante la vita; non è colpa sua >> lo guardò sorridendogli rassicurante << così come non posso colpevolizzarti per il tuo desiderio: è giusto pensare alla propria casa, e voler tornare ad essa. Quindi, cerca di pazientare ancora un poco, per favore >>.

<< Mi sono comportato da sciocco poco fa, non è vero? >>.

<< Te la sei presa un po' troppo, ma no. Non da sciocco, comunque; direi nostalgico >>.

<< Già >>.

Rimasero ancora un po' in silenzio a contemplare la lieve tormenta che, pian piano, stava avanzando; d'un tratto Bilbo starnutì sonoramente, e si girò a guardarla << Ci conviene andare. Non è bene rimanere oltre >>.

A malincuore, nonostante il freddo ormai penetrante, Karin si disse d'accordo << Sì >>.

Si incamminarono fianco a fianco, così lo hobbit ebbe modo di porle un'importante domanda << Ciò che hai detto sul voler fuggire... bé, insomma, eri... >> balbettò, non sapendo come continuare.

<< Non temere, non andrò da nessuna parte. Il mio posto è e sarà sempre qui >>.

<< No no, non volevo dire questo, solo che... se mai sentirai il bisogno di una lunga vacanza... potresti venire da me per un po'. Ti accoglierei a braccia aperte, lo sai >>.

Karin si fermò, costringendolo ad arrestarsi << Non avevo dubbi, e ti ringrazio per l'offerta ovviamente ricambiata: se mai proverai nostalgia dei tuoi vecchi amici sarai più che benvenuto >>.

Bilbo sorrise riconoscente << Chissà! Magari tra alcuni anni potrei imbarcarmi in una nuova avventura! >>.

Ripresero a camminare, tentando di mostrarsi lieti con l'altro; però, nel loro cuore, sapevano per certo che quelle frasi avrebbero aleggiato sulle loro teste senza mai divenire concrete. Non appena Bilbo avesse varcato le immense e pesanti porte della città si sarebbero separati per sempre, senza mai più rincontrarsi.




Karin chiuse la porta della stanza alle sue spalle e si appoggiò con la schiena al legno, preda di numerosi pensieri; era talmente concentrata che udì a stento alcuni flebili rumori dal bagno e, d'improvviso, la porta si spalancò facendole uscire un grido atterrito.

Thorin alzò appena un sopracciglio nero e la guardò portarsi una mano al petto, all'altezza del cuore << Valar, Thorin! >> esclamò, scossa << Mi hai spaventata >>.

<< Scusami, non ti avevo sentita arrivare >> era a torso nudo e tra le mani reggeva la camicia blu, che provvide immediatamente ad indossare << Posso sapere dove sei stata? Credevo di trovarti qui >>.

Karin mosse alcuni passi verso di lui, l'agitazione le aveva già afferrato la bocca dello stomaco << Oggi ho incontrato gli altri, mi sono fermata a chiacchierare con loro e con Bilbo; ero stanca di rimanere rinchiusa, avevo bisogno di prendere un po' d'aria >> spiegò, cercando di mostrarsi il più possibile tranquilla.

<< Bene. Dunque, eccomi: di cosa volevi parlarmi? Sei andata da Disin, immagino: che ti ha detto? Da cosa dipendeva il malessere? >> incrociò le braccia al petto e la guardò, attendendo una sua risposta.

Che faticò ad arrivare. Era del tutto impreparata, non aveva pensato a parole sensate, ad inizi di discorso coinvolgenti; oppure doveva essere schietta e diretta? Dirgli di sedersi e scoccare la notizia come fosse stato un dardo infuocato, e lasciarlo metabolizzare il tutto mentre stava in silenzio ad osservarne le reazioni?

Prese un bel respiro mentre cercava le parole adatte e, trovatele, iniziò a parlare << Ha detto che la gamba guarirà completamente, anche se col tempo proverò dolore in certi momenti; però, tutto sommato... stiamo bene >>.

Osservò il disorientamento sul volto del nano, confermato dalla fronte aggrottata e dalle labbra dischiuse << Stiamo? >> ripeté, confuso << Tu e chi altri? >>.

Ecco, il momento era giunto << Parlo di me. E di nostro figlio >>.

Thorin si immobilizzò, smise persino di respirare; continuava a guardarla con uno sguardo spaventosamente sconcertato mentre la notizia rimbombava nella sua testa come un eco.

Karin si torse le dita nel vano tentativo di calmarsi, poiché il silenzio sceso non le piaceva neanche un po': certo, non si sarebbe aspettata salti di gioia e ululati, ma nemmeno questo! Sembrava divenuto di pietra, nessun muscolo si muoveva.

<< Thorin, ti prego, di' qualcosa >>.

Ma lui era già andato avanti, avendo assimilato la novità; o meglio, era tornato indietro fino a quando non era giunto alla conclusione e alla certezza di aver compiuto i giusti calcoli.

<< Tre mesi >> iniziò a sussurrare, fermandosi subito dopo.

<< E mezzo, sì >> concluse Karin per lui.

Finalmente sbatté le palpebre e tornò padrone di sé facendola sospirare di sollievo, anche se la frase pronunciata subito dopo le serrò il cuore << Avete rischiato di morire a causa della mia stupidità >> disse, accusandosi esplicitamente.

Karin gli si avvicinò ancora, scuotendo la chioma corvina << Non potevamo saperlo. Non angustiarti inutilmente per ciò che è stato >>.

Thorin, però, non fu d'accordo con le sue parole << Sapevo che avrei dovuto lasciarti ad Esgaroth! Non saresti mai dovuta venire con noi ad affrontare un drago e una battaglia >>.

<< Vi avrei seguiti, sai che l'avrei fatto! >> ribatté caparbia << Non ti avrei abbandonato. In qualsiasi condizione versassi ti avrei salvato ugualmente >>.

Thorin socchiuse le palpebre, leggermente infastidito << Mettendolo a repentaglio? >> domandò, scettico.

<< Che senso avrebbe avuto salvare lui al tuo posto? >>.

La domanda lo raggiunse con la stessa violenza di uno schiaffo; sbalordito e furioso, stentò a credere a ciò che aveva appena sentito << Ti rendi conto di quel che dici? >> sbraitò, a voce più elevata di quel che avrebbe voluto << Stai parlando di nostro figlio! >>.

Karin non avrebbe mai pensato che la bellissima novella si trasformasse in un violento litigio, ma avrebbe utilizzato tutte le proprie argomentazioni per fargli capire il suo pensiero.

<< Lo so, eppure è la verità! >> esclamò, seguendo il suo esempio << Ti ricordi ciò che mi dicesti a Esgaroth? Che se fosse accaduto qualcosa al tuo tesoro non te lo saresti mai perdonato. Ebbene, anche io condivido questa frase, perché provo il medesimo amore per te. Darei la mia vita cento e più volte per salvarti, e non mi sarei mai potuta perdonare se non mi fossi lanciata contro Azog a causa della gravidanza. Avrei finito per odiare questo bambino perché l'avrei ritenuto in parte responsabile della tua morte, e sarebbe cresciuto all'ombra di un padre defunto e compianto da molti; nessuno dovrebbe convivere con queste consapevolezze, benché meno nostro figlio, il frutto del nostro amore >> titubante, alzò una mano verso la sua guancia destra, temendo si scansasse dalla sua carezza: invece rimase granitico e immobile, gli occhi azzurri scintillanti di incredulità.

<< Desidero questo bambino più di qualsiasi altra cosa al mondo >> gli assicurò, sincera << Ma voglio attenderlo insieme a te, vederlo nascere e crescere con te. Possibile tu non lo capisca? Senza il mio Re, il mio Thorin... non sono niente >> terminò, con un bisbiglio.

Sperò d'essere riuscita nel suo intento, e non lo seppe con certezza finché lo scintillio negli occhi di Thorin non mutò; si allontanò leggermente, compiendo un gesto che mai e poi mai avrebbe immaginato: per la prima volta da che ne aveva memoria, Karin vide Thorin abbassarsi e posare un ginocchio a terra. Non si inginocchiò di fronte a un grande sovrano ma a lei, semplice donna e ora madre.

Le posò le mani sui fianchi, baciando con infinito amore la stoffa del vestito che nascondeva e proteggeva il ventre; dopodiché vi poggiò la fronte e si abbandonò alle dolci carezze sul capo, prendendo finalmente coscienza dell'incommensurabile affetto dimostratogli dalla sua Karin.

<< Mio figlio >> si ritrovò a sussurrare, esterrefatto << mio figlio >> ripeté, emozionato oltre ogni dire .

Sorrise felice, lieta che tutto si fosse risolto per il meglio; continuò ad accarezzargli la testa anche quando non lo udì più. Anche quando alle orecchie le giunse il suono di quello che pareva un mezzo singhiozzo trattenuto.

Iniziò a preoccuparsi, specie dopo averne sentito un altro; perplessa, si sciolse lentamente dalla presa e si inginocchiò curiosa, portandosi finalmente alla sua altezza. Con un tuffo al cuore lo vide trattenere a stento delle calde lacrime salate, il capo chino per rifuggire al suo sguardo desolato.

Senza indugiare lo abbracciò stretto, posandogli il mento nell'incavo del collo; le braccia di Thorin le avvolsero immediatamente i fianchi, e l'attimo successivo numerosi singulti soffocati si liberarono dalle sue labbra. Lo lasciò sfogare, mentre anch'ella faticava a contrastare il pianto che minacciava d'invaderla, unito ad una buona dose di tristezza nel vederlo in quell'inusuale stato. Eppure, però, lo comprendeva: ripensò al passato, a tutti quei difficili anni vissuti nel rancore e nella rabbia, al loro amore contrastato e spezzato, alla perdita di ciò che era stato per loro caro. La notizia del bimbo aveva semplicemente sgretolato le sue inespugnabili difese, le stesse costruite per non dover soffrire mai più come era già accaduto molte altre volte. D'altronde lo sapeva immensamente felice, le lacrime glielo confermavano. E lei stessa lo era, terribilmente.

Dopo pochissimo tempo si calmò, poiché lo percepì compiere dei profondi respiri; infine si scostò da lei, stravolto << Che questo sfogo rimanga tra noi >> ordinò bruscamente, in quanto smacco al proprio orgoglio.

<< Thorin, non tutte le lacrime sono un male >> gli rispose dolcemente, accarezzandogli il volto e asciugandogli le scie lucide << Dimostrano che sei umano, al pari degli altri >>.

Ma lui, imperterrito, scosse energicamente la testa << Non posso permettermelo, Karin; sono il Re >>.

<< Prima di tutto sei una persona con dei sentimenti. E poi sfogarsi fa bene, specie quando se ne sente la necessità >>.

<< La gioia che provo in questo momento non può essere espressa a parole >> confidò, finalmente sorridendo << Sembra impossibile che dopo così tanti anni di sofferenza ora possa esserci la tanto agognata pace. Tutto ciò che desideravo si è avverato: Smaug è stato sopraffatto, Erebor è stata riconquistata, tu diventerai mia moglie e Regina, e presto potrò abbracciare il mio primo erede >> le prese la mano destra, portandola alle labbra e baciandola piano; poi la condusse al petto, dove vi era il cuore << Ascoltalo: batte per te, per noi, per il bambino. D'ora in avanti saremo una famiglia, una vera famiglia >>.

Fu il turno di Karin di commuoversi, soprattutto dopo aver udito le potenti palpitazioni sotto i polpastrelli, unite alle parole pronunciate; qualche lacrima lasciò le ciglia quando sbatté le palpebre, e Thorin le raccolse prontamente con numerosi e soffici baci. Le prese delicatamente il volto tra le mani, coinvolgendola in un bacio pieno d'amore e parole inespresse, anche se lei dubitava fortemente ce ne potessero essere: era tutto così perfetto, e così concreto, che non poteva crederci. Ma voleva farlo, perché era esattamente quella la realtà. Una meravigliosa ed esaltante realtà.

Quando si staccarono si sorrisero come non accadeva da tempo, ed unirono le fronti assaporando il contatto con l'altro finché la gamba malandata non protestò inviandole fitte insistenti al cervello; si mosse impercettibilmente e Thorin parve capire il suo disagio, poiché si alzò tendendole le mani per aiutarla: lei le accettò con gratitudine, in un gesto che implicava il futuro appoggio che avrebbero rappresentato per l'altro.

Le accarezzò una guancia e Karin portò la mano sulla sua chiudendo gli occhi, beata. Relegò in un angolo le persistenti preoccupazioni, soffermandosi solamente su loro due. Anzi, loro tre.

<< Che la saggezza guidi la tua sovranità e l'amore guidi la tua maternità, Karin figlia di Kario, Portatrice d'Iris e Regina di Erebor. Custode del mio cuore >>.







CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Aaaaaah, ma che bello ^^! Non so voi, ma io sto lacrimando!!! Ora mi ricompongo, non temete ;) dunque, piaciuto? Che mi dite di Dìs? Era come ve la immaginavate, più o meno, o vi ha sorprese o deluse? L'intermezzo con Bilbo e le confessioni di Karin? Non temete però, lei sa benissimo qual è il suo posto d'ora in poi, e l'ultima parte con Thorin glielo ha confermato. A proposito di lui, come vi è parso? Troppo Ooc e distaccato dal personaggio? A mio parere, non vedo nulla di male in questo sfogo: anche a lui può capitare, e dopo averne passate tante ora la felicità è incontenibile e si è dimostrata tramite il pianto. Insomma, sarà Re sotto la Montagna e padre... anche se guerriero, penso siano desideri che possa tranquillamente provare ^^!

Ringrazio le carissime e specialissime Lady_Daffodil, Neryssa, Yavannah, pamagra, J_ackie, Lady of the sea, MrsBlack, Krystal91, lohobbit, LilyOok_, LadyDenebola. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra, Anna <3



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Capitolo 27
*** Capitolo ventisei. Seconda parte ***


Note dell'autrice: Salve ragazze! Stavolta non ho molto da dire, solo che il capitolo sarà un po' lungo. Gente avvisata mezza salvata ;); spero vi piaccia, quindi ci leggiamo giù :*

Dato che siamo alla fine, permettetemi di consigliarvi questa canzone per la lettura: http://www.youtube.com/watch?v=kZIEbLb-rtU SOLO per il SESTO paragrafo. Non avrei potuto sceglierne una più adatta ;)




CAPITOLO VENTISEI. SECONDA PARTE.


Dove un tempo si ergeva il trono alto e solitario del Re di Erebor se ne era affiancato un altro di poco più basso, posto alla sua destra e destinato alla Regina. Fu lì, ai piedi della piattaforma reale, che i membri della Compagnia di Thorin Scudodiquercia si riunirono.

Erano passate settimane dall'ultima volta in cui avevano potuto parlarsi con calma, poiché erano stati impegnati nella ricostruzione di molte ali del palazzo e della città stessa; però avevano risposto più che volentieri alla chiamata del loro sovrano, quel giorno. E non avevano potuto non notare la luce diversa nei suoi occhi, o in quelli di Karin, lì accanto.

<< Vi ringrazio per essere accorsi, fratelli miei, nonostante i numerosi impegni >> disse Thorin, sorridendo riconoscente al loro indirizzo.

<< Ormai i lavori sono terminati >> gli rispose Balin << Non ci è rimasto molto da fare, a dir la verità. A meno che tu non ci abbia chiamati per altre ragioni >> ammiccò bonariamente verso la coppia, mentre gli altri si limitarono a sghignazzare nel notare il lieve rossore sulle guance di Karin.

Thorin guardò brevemente sua sorella, un poco in disparte, domandandole con lo sguardo se si fosse azzardata a divulgare la notizia che egli stesso voleva annunciare; ma lei scosse impercettibilmente la testa, facendo ondeggiare le treccine tra i capelli neri.

Più sollevato, si decise a parlare << Se intendi la preparazione delle nozze e la conseguente incoronazione, Balin, allora sì: questi sono gli altri motivi. Ma non gli unici >> concluse, enigmatico.

Capì d'aver fatto leva sulla loro curiosità quando li vide aggrottare la fronte o guardarsi l'un l'altro, perplessi.

Dwalin aveva incrociato le braccia, quasi a volersi preparare maggiormente nell'apprendere la novità << Che altro dovrebbe esserci? >> chiese, burbero. Ogni tanto scoccava qualche gelida occhiata verso Dìs e tentava di calmarsi quando riportava lo sguardo verso Karin, che lo osservava preoccupata.

Lei stessa decise di prendere la parola, dopo essersi mordicchiata nervosamente il labbro inferiore.

<< Volevo ringraziarvi >> esordì, schiarendosi la voce nel sentirla un poco roca << Per gli innumerevoli aiuti dati e per avermi concesso fiducia quando raccontai la verità; la vostra amicizia mi è cara come poche altre cose, e mi riempie l'anima di affetto. Il vostro perdono è stato quel balsamo che il mio cuore anelava, ed è per questo che mi sento in dovere di chiedervelo nuovamente, specie dopo ciò che avverrà tra quasi cinque mesi >>.

Le espressioni dei compagni facevano intendere che non avevano afferrato il senso ultimo di quel discorso, e i sorrisi che avevano inizialmente costellato i loro volti ora si erano spenti.

Il silenzio riempì l'enorme Sala dei Troni finché Bilbo, curioso, non lo spezzò con coraggio << Cosa dovrebbe accadere tra cinque mesi? >>.

Karin prese un bel respiro, come fosse pronta ad immergersi in gelide acque profonde << Sarà molto difficile che riposiate a sufficienza, specie se occuperete una stanza al piano delle camere reali. Ho motivo di credere che i pianti notturni del Principe di Erebor terranno svegli i suoi abitanti >>.

La Compagnia non perse nemmeno tempo ad elaborare la notizia che proruppe in diverse esclamazioni, e molti occhi si sgranarono stupefatti; solo Gandalf ebbe il buon senso di ridere divertito, oltremodo contento. Non che non lo fossero anche gli altri, però dovettero impiegare qualche minuto per calmarsi e, come spinti da un ordine esterno, lasciarono posare i loro occhi sul ventre della nana.

<< Sei... sei... >> balbettò Bofur, stranamente senza parole.

La tensione provata da Karin si sciolse come neve, e rise << Incinta, sì Bofur >>.

<< Per la barba di Durin >>.

<< E' una bella notizia! >> esclamò Kili, battendo una manata piuttosto poderosa sulla spalla di Fili, che gli sorrise di rimando.

<< Ah, non sarai più il piccolo della famiglia, fratellino >> poi si girò verso Dìs, un'espressione felice sul volto << Sei contenta, madre? Diventerai zia! >>.

La frase ebbe il potere di far irrigidire ben tre persone, ma nessuno se ne accorse; dopo un brevissimo silenzio la principessa si limitò ad annuire rigidamente, ma ciò bastò al suo primogenito.

Egli si avvicinò a grandi passi portandosi di fronte a Thorin, suo punto di riferimento da che ne aveva memoria; con occhi azzurri brillanti di gioia gli tese una mano, ed osservò i lineamenti duri e ora non più seri spianarsi e restituirgli la contentezza, oltre che la stretta. Poi, inaspettatamente, si ritrovarono imprigionati in un abbraccio che tanto aveva da esprimere, e le parole non sarebbero mai bastate.

<< Congratulazioni, zio >> gli bisbigliò in un orecchio.

Thorin gli batté una lieve pacca sulla schiena, contento che il nipote lo chiamasse in quel modo e non sempre per nome, come spesso accadeva. Quando si sciolsero, Fili si precipitò da Karin, mentre gli altri si complimentarono con lui.

<< Certo che potevi dircelo in un modo meno... meno pomposo, ecco! >> dichiarò Bofur, ancora scioccato.

Karin, a dispetto dell'irrequietezza che l'aveva posseduta quando aveva abbracciato Fili e Kili, si ritrovò a ridere e a scuotere la testa, portando le mani sui fianchi << Se ti avessi semplicemente detto che aspettavo un bambino avresti reagito ugualmente! >>.

<< O sarebbe svenuto! >> disse Bombur, dandole una leggera gomitata sul braccio.

<< Ha ha ha, molto divertenti, sul serio >>.

<< Hanno ragione >> disse Kili, passando un braccio sulle spalle del giocattolaio << Dovresti vedere la tua faccia! Hai presente quella del signor Baggins dopo che abbiamo quasi rischiato di distruggergli il servizio di piatti? Immaginatela ancor più sbalordita >>.

<< Non mi stupisce il fatto che non abbia accettato subito di prender parte all'impresa >> disse Karin guardando Bilbo, ancora visibilmente emozionato << Partire con dei nani turbolenti e chiassosi richiede una gran dose di coraggio e molta pazienza >>.

<< Vero! >> ammise Gandalf, scuotendo la chioma argentata e ripensando alle innumerevoli volte in cui i suoi nervi erano stati messi a dura prova << Ma alla fine si è dimostrata molto gratificante, specie dopo questo bell'annuncio: sapere che vi è vita dopo un lungo periodo di morte è terribilmente confortante >>.

Thorin annuì, posando una mano sulla spalla di lei – unico gesto che si permetteva in compagnia degli amici << La gravidanza non è il solo pretesto, però desidero che le cerimonie si attuino il più presto possibile: se aspetteremo, Karin si affaticherà sempre più >>.

Annuirono, dicendosi d'accordo << Organizzeremo il tutto, non temere >>.

<< Grazie, Balin >>.

Karin ruotò il collo verso il trono del re, notando il posto vuoto un tempo occupato dal Cuore della Montagna << Vorrei portare io l'Archepietra al tuo cospetto, Thorin >> propose di getto, sapendo però nel profondo che quel compito sarebbe dovuto spettare a lei.

Il nano la guardò stupito, ma Dìs prese la parola prima che potesse farlo << Tu? E per quale ragione? >>.

Karin posò i suoi occhi su di lei, mantenendoli seri << Se ciò convincerà il popolo ad accettarmi maggiormente, ben venga >>.

<< Se ben ricordo, non sei stata tu a rubarla >> constatò, alzando le sopracciglia scure e facendo un cenno verso Bilbo, che assunse un'espressione mortificata.

<< Ha ragione, Karin. Non dovresti portarla, dovrebbe essere compito mio >>.

<< No, Bilbo: io stessa mi accusai del furto con Dain. Riconsegnarla al legittimo proprietario sarà un gesto simbolico, un'offerta d'accettazione di fedeltà da parte della traditrice; con questo gesto pubblico, spero di risultare migliore ai loro occhi >>.

Thorin era totalmente attonito, convenendo fosse una mossa molto saggia e ben pensata << Non fai che sorprendermi, da un po' di tempo a questa parte >> lei si lasciò scappare una lieve risata, e così anche gli altri compagni << Sarò lieto d'accettare il tuo dono, Karin, ma non la tua fedeltà: l'hai dimostrata troppe volte, e sarei un ingrato a chiedertene nuovamente prova >>.

<< Ma, i sudditi... >> iniziò a dire, venendo interrotta.

<< Chiunque ti abbia convinto di certe sciocchezze meriterebbe una severa punizione >> ribatté indignato; guardò sprezzante sua sorella, la quale mantenne un contegno impeccabile senza mai spostare gli occhi altrove << Mi hai salvato la vita mettendo a repentaglio la tua e quella di nostro figlio: non è sufficiente? >>.

La domanda aleggiò come un pesante macigno; alcuni nani si mossero a disagio, e persino Gandalf la guardò assorto.

<< Che significa? >> domandò lo hobbit, con un filo di voce << E' la verità? >>.

Karin chiuse gli occhi per un momento poi li riaprì, amareggiata << Sono incinta di quasi quattro mesi, e molti sono stati i fatti avvenuti in questo lasso di tempo >>.

Bilbo tacque, incapace di formulare altre frasi: abbassò la testa, lasciandola ciondolare sul petto, il cuore racchiuso in una morsa gelida; aveva rischiato così tanto...

<< Indossavi la cotta di mithril >> intervenne Dwalin, ricordando quel dettaglio.

<< Sì, è così >>.

<< Bene >> sussurrò, confortato.

<< E sei veramente certa di aspettarlo? >> chiese Kili, pallido in volto; guardò spaventato prima Thorin e poi lei, gli occhi scuri timorosi anche solo di pronunciare le parole seguenti << Insomma, non... non si vede ancora nulla >>.

Karin alzò un angolo della bocca in un mezzo sorriso << Non dovete temere, nessuna arma mi ha colpita al ventre, e non si sono riscontrati problemi che potrebbero significare una disgrazia; sta bene >> li rassicurò, accarezzandosi il punto.

Gli altri la guardarono rincuorati, e nuovi flebili sorrisi spuntarono sulle loro labbra, ampliandosi sempre più dopo la frase di Balin.

<< Bé, questi anni sono davvero benedetti! Il Dominio della Bestia è finito, e sui troni siederanno due combattenti: anzi, ben tre! >>.

<< La prima Regina guerriera di Erebor >> si intromise Gandalf, con un sorrisetto divertito alla smorfia della ragazza << Ti avevo avvertita che avresti sentito altri titoli, Karin >>.

<< Non ti avevo creduto >> ammise << Ti chiedo di perdonarmi: ho imparato a mie spese che non si devono mai ignorare i commenti d'uno stregone! >> concluse, divertita.

<< Concordo >>.

<< Molto bene >> disse Thorin, inserendosi nel discorso << Se non ci sono altre questioni di cui discutere, vi congederei: la giornata non è ancora terminata e nuovi incarichi devono essere portati a termine >> inaspettatamente si rivolse direttamente a Dìs, accanto a Kili << Sorella, sono certo che aiuterai Karin nel destreggiarsi lungo problemi prettamente femminili concernenti la preparazione del matrimonio >>.

Alle orecchie di Dìs non giunse come una richiesta, ma come un vero e proprio ordine che non avrebbe ammesso alcuna replica; persino i suoi occhi glielo confermarono. Si morse la lingua per non rispondergli sgarbatamente in pubblico, giurando di porvi rimedio una volta soli; il pensiero di dover passare del tempo con Karin l'infastidiva non poco.

Thorin interpretò il silenzio come assenso, e lasciò che un ghigno piuttosto sarcastico si formasse, conscio d'averla in pugno; abbassò il capo in una sorta di ringraziamento, chiudendo così quella breve riunione. Fece per andarsene – portando Karin con sé – quando lei lo fermò, dicendogli che sarebbe rimasta un altro po'.

<< Vorrei parlare solamente con Kili e Fili >> annunciò. I due in questione si bloccarono e tornarono indietro, attendendo il permesso del parente; questo guardò attentamente la ragazza, cercando di scorgervi un segno che gli facesse comprendere il motivo di tale richiesta, ma non scorse nulla di allarmante: forse voleva semplicemente trascorrere del tempo con loro.

<< Sia >>.

Le baciò la fronte – con i nipoti presenti poteva permetterselo – e se ne andò lasciandoli soli.

Solo allora i tre si sciolsero in grandi sorrisi, e Kili proruppe in esclamazioni di gioia incontenibile, arrivando persino ad alzarla da terra, euforico.

<< Kili, fai piano! >> lo rimproverò il maggiore << Potresti far male al piccolo! >>.

<< Sto attento! >> lo rimbeccò, infastidito; abbassò il busto e portò le mani a coppa sulla bocca, appoggiandole al ventre di Karin << Stai bene cugino? >> domandò piano, appoggiando poi l'orecchio tra le risate divertite della nana e qualche sbuffo logorato di Fili; aggrottò la fronte come fosse in ascolto di qualcosa, poi si tirò su con un enorme sorriso sulle labbra << Ha detto che sta benone! >>.

<< Dove ha sbagliato nostra madre con te? >> chiese il nano, massaggiandosi la radice del naso in segno di nervosismo. La ragazza, d'altra parte, se la rideva di gusto insieme a Kili, che alzò le spalle in risposta alla domanda.

<< Valar, mi gira la testa >>.

Kili si affrettò precipitosamente a sostenerla per un braccio, però non svenne: si portò solo una mano a sfiorare la fronte calda mentre il sorriso non accennava a diminuire nonostante il volto cereo.

Anche Fili accorse, posizionandosi all'altro lato << Sediamoci sui gradini, vieni >> disse, prendendo in mano le redini della situazione.

Karin annuì e si lasciò condurre dai due, che le si sedettero accanto. Ora seri, arrivò senza troppi giri di parole al nocciolo del suo tormento interiore.

<< Ce l'avete con me? >> volle sapere, guardandoli attentamente nei volti confusi; per ultimo osservò Fili, e fu a lui che si rivolse per il resto del tempo << Questo bambino vi toglie ciò che vi spetta di diritto, per cui siete stati educati. Avete combattuto per riportare Erebor alla vostra stirpe, eppure ora non governerete dopo vostro zio >> avrebbe voluto continuare però le parole si impigliarono in gola, e solo a fatica riuscì a tirarle fuori << Non ho circuito Thorin, né voluto... estromettervi >> respirò a fondo e deglutì, incapace di sostenere oltre lo sguardo azzurro così simile a quello di Thorin, e di Dìs.

Sentì il peso di un braccio sulle spalle, e capì che Fili cercava di consolarla << Non dire stupidaggini, Karin. Come potremmo non essere felici? Thorin ha ritrovato una serenità che mai gli avevamo visto sul volto, ed il merito è solo tuo; inoltre, siamo ben contenti d'includerti nella famiglia, così come siamo felici del nuovo membro. E riguardo il governare... >> lasciò la frase in sospeso facendole temere il peggio; fortunatamente, però le rivolse un gran sorriso malandrino << … non è un problema, ad essere sincero. Anzi, molto meglio così: non mi sentivo ancora pronto, e credo non mi sentirò mai tale. Ben che meno il soggetto qui di fianco >> indicò Kili col pollice, zittendo ogni sua lamentela con altre parole << Non volermene, ma quasi speravo in un vostro erede. Non possiedo un carattere forte e autoritario come Thorin, benché abbia cercato d'emularlo molto spesso – e tuttora sia tentato di seguirne le orme. Forse sarei stato ugualmente un buon re, chi lo sa >> alzò le spalle, dandole un buffetto sulla guancia << Però non voglio vederti così abbattuta, Karin: non per una notizia che dovrebbe portare gioia >>.

<< Sorridi, zia. Fallo per i tuoi piccoli nipoti! >> la frase di Kili, pronunciata con tono piagnucolante, ebbe il potere di rallegrarla. La risata cristallina le proruppe dalla gola, liberandosi nell'aria e contagiando i fratelli, che risero a loro volta.

<< Ti senti meglio, ora? >> le chiese, apprensivo. Le accarezzò una guancia, e Karin poté solo bearsi del tocco e ringraziarlo sentitamente.

<< Molto. Mi avete risollevato il morale ragazzi. Grazie infinite >> ammise, attirandoli a sé e coinvolgendoli in un abbraccio.

<< Per quel che riguarda Dìs >> esordì Fili, facendola preoccupare << Non devi temere alcunché: prima o poi le passerà. Sai quanto è cocciuta >>.

<< Non mi tranquillizzi così, sappilo. Però sì, so quanto è testarda >> replicò lei, stancamente.

<< Fili e io ti seguiremo come ombre. Non ti farà nulla >>.

<< Non ho paura di quel che può farmi; già una semplice frase ha il potere di destabilizzarmi! >> esclamò, arrabbiata con la sua debolezza.

<< Non devi lasciarti coinvolgere! Se la ignorerai, o le dimostrerai la tua forza, sono certo che ti lascerà in pace >>.

<< Kili ha ragione. Per una volta senti ciò che dice >>.

Karin sbuffò, mentre un fastidioso nodo allo stomaco non le dava tregua << E' vostra madre. Come potete parlare di lei in questo modo? >>.

<< Appunto perché la conosciamo molto bene ci permettiamo di consigliarti >> assicurò il maggiore << Credici, Karin: dimostrale chi sei. Dimostrale chi è la Regina di Erebor >>.



<< Devi smetterla, Dìs! Così non fai altro che peggiorare la situazione! >> esclamò Thorin, poco incline a calmarsi; era nella stanza della sorella, dove l'aveva condotta una volta sciolta l'assemblea. L'aveva praticamente costretta a seguirlo, e l'avrebbe persino trascinata di peso se avesse mostrato una qualche forma di opposizione; era giunto il momento di chiarire una volta per tutte quella dannatissima faccenda.

<< Cosa dovrei smettere, esattamente? >> domandò candidamente, incrociando le braccia al petto formoso.

<< Sai benissimo di che sto parlando >> sibilò lui, tentando di sopire la rabbia che minacciava di esplodere in petto << Voglio che tu la smetta di trattare freddamente Karin, e di tornare a considerarla come un tempo! Sono stanco del tuo comportamento, sorella >>.

<< Di già? Sono qui da pochi giorni, fratellone >>.

Thorin la fulminò con un'occhiata che avrebbe fatto rabbrividire molte persone, pronte poi a rimangiarsi ciò che avevano confessato; ma Dìs era di tutt'altra pasta, e sapeva quali corde dolenti toccare per farlo impazzire di rabbia. Il sarcasmo ostentato era una di quelle.

Inaspettatamente, Dìs si lasciò scappare un suono tra lo sprezzante e lo scocciato << Sai come la penso, Thorin, te ne avevo parlato: al momento mi risulta difficile ricordare il sentimento d'amicizia che ci legava >> spiegò, lasciandolo basito dal cambiamento di tono.

<< Sapevi fin dal principio che sarebbe finita in questa maniera >> disse, calmandosi visibilmente anche lui << Ma ciò non toglie nulla al nostro legame fraterno >>.

Dìs sbuffò sprezzante, scuotendo la testa << Se credi sia gelosa ti sbagli enormemente. Ti avevo consigliato più di una volta di rifarti una vita, là nelle Montagne Azzurre >>.

<< Sì, ma senza Karin! >> disse, lasciando trapelare l'ira.

<< La credevamo morta, o nel migliore dei casi la odiavi al pari del tuo acerrimo nemico >> gli ricordò, facendogli aumentare il peso sul cuore. Sospirò lentamente quando lo vide abbassare il capo, ed un sentimento simile al senso di colpa le permeò il corpo.

<< So che l'ami e che dovresti essere felice senza una sorella che ti ostacoli >> gli si avvicinò, priva dell'ombra di ironia o di disgusto mostrata in precedenza; tornò la sorella amorevole e protettiva di sempre, e ciò lo rincuorò di poco.

Gli posò una mano sulla guancia, accarezzandola piano; guardandolo negli occhi, però, esternò il suo pensiero << Non impormi nulla, fratello. Lascia che sia io a decidere il momento di perdonare e ricominciare da capo, però ora proprio non posso. E non è tanto il fatto che ti abbia sempre allontanato da me, divenendo l'unica detentrice del tuo cuore, no. Sono solo invidiosa, perché lei è riuscita dove io ho fallito: lei ha ottenuto la pace, creandosi una famiglia completa; e credimi, per una donna non c'è atto più coraggioso di questo. Il lottare disperatamente per questi semplici ma al contempo complicati desideri la rende forte, e migliore agli occhi della creatura più cieca; forse è proprio per questo che mi risulta difficile perdonarla: sai che non ho mai accettato d'essere considerata più debole di altri >>.

<< Lo so, però... >>.

<< Questo è quanto. Cerca di rispettare la mia volontà, te lo chiedo in nome del sangue che scorre nelle nostre vene >>.

Il Re dei Nani non obiettò, giungendo alla conclusione che, forse, avrebbe dovuto lasciar perdere. Dìs aveva ragione, non doveva forzarla in alcun modo; così facendo, la situazione sarebbe precipitata in brevissimo tempo. Era un diverbio che riguardava unicamente le due nane.

<< D'accordo >> concesse piano, regalandole un mezzo sorriso; la strinse in un abbraccio amorevole e rimasero in quella posizione a lungo, finché non la udì sospirare.

<< Ora va'. Ho del lavoro da sbrigare in quanto futura cognata della Regina >>.

<< Se preferisci, puoi esonerarti dall'obbligo >> disse, sentendosi oltremodo in errore per averla praticamente costretta.

Ma lei scosse la testa, stupendolo nuovamente << No, l'aiuterò. Non saprebbe dove sbattere la testa, altrimenti; è una guerriera, prima di tutto, non una donna qualunque >>.

Il fratello si permise un sorriso sornione, ed alzò le sopracciglia << Sento un tono quasi affettuoso, o è una mia impressione? >> sapeva che non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione, e infatti non lo smentì.

<< Ma certo che è una tua impressione, Thorin. Dovrei nascondere altro? >>.




Karin posò il libro sul comodino, ordinando a colui che aveva bussato di entrare; dalla soglia fece la sua comparsa il volto dai tratti dolci e gentili della giovane Airi, e la nana lasciò che le labbra si distendessero in un sorriso cordiale. Le fece cenno d'avvicinarsi e parlare, seguendola con gli occhi neri in ogni suo movimento, dallo sfiorarsi le treccine della corta barba bionda al portarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

<< Mia signora, è giunta dama Eliese, da Esgaroth >>.

<< Bene, l'attendevo da giorni. Falla accomodare, grazie >>.

Airi annuì e s'inchinò rispettosamente, uscendo; poco dopo comparve l'alta figura sorridente della donna, e Karin s'alzò per accoglierla con un abbraccio.

<< Amica mia, le tue sorprese non smettono mai di stupirmi! Mesi fa ti ho lasciato fidanzata del Re, e oggi stai addirittura aspettando suo figlio >>.

Karin rise, alzando colpevole le mani << Anche a me risulta difficile crederci >>.

Eliese posò un occhio critico sulla sua figura, soffermandosi sul ventre; lì sgranò gli occhi, contenta << Comincia ad intravvedersi il rigonfiamento! >>.

<< Sono passate alcune settimane da quando ti inviai la lettera; sono giunta al quarto mese, ormai >>.

<< E' una notizia meravigliosa! >> esclamò, battendo le mani.

<< Un po' meno per il vestito >> ribatté Karin, con una lieve smorfia << Dovrà essere largo. Credi di riuscire a nascondere il ventre? >>.

L'amica la guardò dubbiosa, per poi aprirsi in un sorriso << Certo! Avevo già pensato ad una fascia di cuoio da posizionare appena sotto il seno, e poi la gonna si aprirebbe a campana, così >> mimò il movimento, e Karin annuì avendolo compreso << Sarà un vestito talmente sontuoso, Karin! Ne rimarrai affascinata! >>.

<< Sarà ancora più bello dei vestiti confezionatemi dopo la Battaglia? >> chiese, stupita.

Eliese agitò una mano, annuendo energicamente << Quelli saranno un'inezia rispetto a questo. Forza, non perdiamo altro tempo, ho delle misure da prendere >>.

Tirò fuori un laccio e iniziò a passarglielo nei punti principali, annotando le varie misure su un foglietto di carta, quando qualcuno bussò e l'austera figura di Dìs entrò; accortasi di una presenza estranea, assottigliò lo sguardo e non perse tempo a dimostrarsi in disaccordo.

<< Con chi ho il piacere di parlare? >> domandò, nella Lingua Corrente.

<< Eliese di Egaroth, mia Principessa >> rispose, inclinando il capo in saluto.

<< Sorella di Bard l'Arciere, colui che uccise Smaug il Dorato >> concluse Karin, intrecciando le dita tra loro << Nonché mia amica e sarta >>.

Le labbra di Dìs si strinsero, e gli occhi sembrarono mandare lampi azzurri << Credevo dovessi informarmi. A quel che ricordo, ti sto aiutando nell'organizzazione >>.

<< Vero. Ma supponevo non ti importasse molto il confezionare il vestito >> replicò gelida, in risposta al tono risentito della cognata.

Dìs la maledì internamente, assumendo un cipiglio pericoloso << E' giusto. Però volevo essere partecipe della tua decisione di chiamare un'umana >> parlò, in Khuzdul.

Karin s'irrigidì, mentre lo sguardo di Eliese sfrecciò dal suo volto pallido e rabbioso a quello compiaciuto di Dìs.

<< Ti infastidisce? >> replicò, muovendo un passo verso la donna, quasi a volerla sfidare << Abituati, Dìs, perché non muterà finché il mio abito non sarà concluso >>.

<< Dovresti far affidamento sulle nane, non sulla Gente Alta. Ciò non farà altro che mostrarti negativamente ai loro occhi >>.

<< La tua premura mi commuove >> sibilò col tono aspro della lingua nanica << Però sappi che non cambierò idea. Eliese rimarrà qui il tempo necessario, e anche dopo, se lo vorrò >>.

<< Sei molto sicura >> bisbigliò malevola Dìs << Credi che te lo lasceranno fare? O meglio, che io lo permetterò? >>.

Karin le si era avvicinata lentamente mentre parlava, ed ora si ritrovò ad alcuni lievi passi dalla sua figura più bassa, ma ugualmente imponente.

Piegò un angolo della bocca ironicamente, lasciando che la convinzione e il sarcasmo permeassero le sue parole << Oh, io credo di sì. A quel che ricordo è Karin, non Dìs, la futura Regina di Erebor >> parlò, tornando alla Lingua Corrente.

Se l'avesse schiaffeggiata non avrebbe ottenuto la stessa espressione sconcertata e allibita, di questo era profondamente certa: prima impallidì, dopodiché il volto assunse una tonalità rossastra che si sarebbe adattata perfettamente al volto dai lineamenti dolci della giovane Dìs; invece era brutalmente contratto dall'ira, e l'indignazione si intuiva negli specchi ora scuri che erano i suoi occhi. Karin attese un qualche gesto estremo e irreparabile uniti ad una sfuriata, però non accadde alcunché. Dìs tentò di recuperare una parvenza di calma, respirando profondamente una volta sola, mentre il cuore le batteva furioso e la frase le rimbombava nella testa; la rabbia raggiunse le più alte vette, e dovette stringere i pugni per sedare la profonda umiliazione che l'aveva ghermita.

Senza dire una parola – ma lanciando occhiate sprezzanti alle due – se ne andò, sbattendo la porta dietro di sé.

Solo allora Karin espirò a lungo, ed Eliese ricordò di sbattere le palpebre << Meritava davvero di udire quella frase? >> chiese timorosa, vedendo che la nana faticava a ritrovare la serenità.

<< Ho dovuto, anche se mi pare d'averla pugnalata >> confessò, sedendosi sul letto << Se fossi rimasta zitta le avrei fatto capire d'essere sua succube, e ti avrebbe cacciata per poi impormi le sue decisioni. Questo non posso permetterglielo >> terminò, dura.

<< Capisco. Ti ringrazio, Karin >> le si sedette accanto, posandole una mano sulla sua e guardandola preoccupata in volto << Credi si stia dirigendo da Thorin? >>.

La nana, a dispetto dei dubbi e del malumore, scosse la testa << No, il suo orgoglio ferito non glielo permetterà. Ritornerà in camera sua, pensando ad una probabile vendetta >> si passò una mano tra i capelli lunghi, sconfortata << Davvero un bel guaio >>.

<< Sono certa che non ti farà nulla >> la rassicurò incoraggiante, sorridendole lentamente << Deve solo prender coscienza della tua superiorità e ritrovata libertà >>.

Karin la guardò, pensando che non aveva tutti i torti; eppure, però, il suo cuore si mantenne pesante per il resto del tempo, persino lungo le settimane successive: nonostante i molteplici impegni e decisioni da prendere, rivolgeva spesso e volentieri i pensieri alle frasi pronunciate, specie quando i suoi occhi si fermavano su Dìs. Come predetto da Eliese non si vendicò né disse alcunché, volendo solo dimenticare quello spiacevole diverbio, e lei non affrontò mai l'argomento. Dopo altre innumerevoli discussioni, tutte vinte da Karin, gli inviti ad Elfi e Uomini furono spediti tramite messaggeri volenterosi, e la tanto temuta data si avvicinò con una rapidità sconvolgente. Fu con sgomento e agitazione crescenti che giunse a ben due giorni prima del matrimonio; le sere precedenti, benché stanca e affaticata, si perdeva in complicate elucubrazioni e timori sempre più pressanti: Thorin vedeva ma non diceva nulla, sapendo fin troppo bene quanto fosse suscettibile in quei giorni, un po' a causa della gravidanza e un po' a causa dell'imminente cerimonia. Si limitava a stringerla a sé tentando di farle capire che sarebbe andato tutto per il meglio, e solo allora lei si tranquillizzava, con sua somma gioia.



Qualcuno la stava svegliando. Ne era sicura. Raggiunse lo stato di dormiveglia, sentendo le prime domande affollarsi nella mente.

E' tempo di destarsi? Mi pare d'aver appena chiuso gli occhi”.

La stanchezza che le appesantiva le membra le suggeriva che qualcosa non andava per il verso giusto; normalmente, infatti, ogni mattina era sì stanca e fiacca, ma non così tanto da non riuscire nemmeno ad aprire le palpebre. Il che significava che era ancora notte fonda, e che doveva essere accaduto qualcosa di grave se Thorin si permetteva di provare a scuoterla.

Ciò la convinse del tutto: strizzò gli occhi e aprì le palpebre confusa, pensando di trovarsi il volto dell'amato a pochi centimetri dal viso, teso e mortalmente angustiato; invece, notò la stanza ancora immersa nell'oscurità della notte profonda. Si sedette, tentando di scrutare oltre la densa cortina buia alla ricerca di un qualche indizio: non trovò nulla. Tentò di far mente locale su quel che stava sognando però non ricordò granché, certa che non si trattava di incubi: quelli l'avevano perseguitata alcune settimane dopo la Battaglia per poi sparire miracolosamente.

D'improvviso, lo stesso lieve movimento di prima la colse, stavolta preparata; e quando comprese di che si trattava – o meglio, di chi – dovette ricacciare a fatica le lacrime: il bambino. Si stava muovendo.

Un'emozione a dir poco travolgente l'avvolse e, con un gran sorriso sulle labbra, portò la mano dove aveva percepito il lieve colpetto, sperando d'udirlo ancora; dopo pochissimo tempo, un altro la raggiunse, poco più in là di dove teneva le dita. Ridacchiò lievemente, sentendo la pelle tendersi verso di lei a causa di un altro calcetto; per un attimo fu tentata di svegliare Thorin, ma si bloccò quando lo sentì grugnire.

<< Thorin? >> chiamò piano << Sei sveglio? >>.

Non le giunse risposta.

Perplessa, udì il suo respiro prima calmo farsi agitato e affannato, come se si fosse appena fermato dopo una corsa; altri gemiti riempirono l'aria, seguiti da suppliche rabbiose.

<< No... ti prego... >> borbottò, iniziando ad agitarsi; sentì muovere le coperte e, d'istinto, indietreggiò quasi fino al bordo del materasso.

Le mani corsero al comodino di legno, cercando a tentoni l'acciarino e lo stoppino della candela; a fatica, preda dell'angoscia e del panico nel sentire l'agitazione e i ringhi furibondi di Thorin, riuscì ad accenderla: con mani tremanti, catalizzò la fonte di luce verso la sua destra, dove si trovava il nano. Sapeva che non avrebbe dovuto svegliarlo, perciò si limitò a sussurrare.

<< Ssh, Thorin. Shh >>.

Normalmente questo gesto aiutava, ma lui era immerso in quell'incubo troppo a fondo per potersi calmare.

<< No... no... >> continuava a ripetere, e a girarsi.

Karin si tenne lontana per timore che le braccia muscolose raggiungessero il ventre: e si odiò per questo, poiché non gli era vicina a scuoterlo. Ripeté la frase precedente, stavolta a voce più alta, ma non servì a niente. Col cuore in gola, appoggiò la candela sul piano di legno, guardando il corpo prestante del nano contorcersi illuminato dalla fioca luce rossastra, il volto preda di paura e deformato, i denti che si scontravano e digrignavano.

<< NO, KARIN! >>.

Con quell'urlo disumano, Thorin scattò a sedere e si destò del tutto; impaurita, e col cuore che batteva all'impazzata, Karin riprese possesso di sé.

<< Sono qui >> disse preoccupata, muovendosi verso di lui.

Thorin spostò veloce il capo verso la sua figura seduta, negli occhi uno sguardo folle la spaventò facendole sgranare di poco i suoi; compì un gesto rapido e rude afferrandola per un braccio e attirandola a sé in una morsa. Con orrore, Karin lo sentì tremare.

<< Shh, calmati, era solo un incubo >> disse, stringendo le braccia che gli cingevano il collo << Solo un incubo. È finito, è passato >>.

Le braccia di Thorin rischiavano di farle mancare il fiato da quanto l'opprimevano, però non disse nulla. Lo cullò accarezzandogli i capelli, nel tentativo di placarlo; ma i tremiti – furiosi o spaventati che erano - non cessavano.

<< Va tutto bene >>.

<< Lui... ti uccideva >> sentì la sua voce ovattata piena di risentimento, e non poté fare a meno di rabbrividire << Io ero lontano, e la folla mi trascinava via. Tu urlavi disperata il mio nome, però lui era troppo vicino, e... >> non terminò, ma Karin sapeva bene a cosa aveva assistito: alla sua morte. Alla loro morte atroce.

<< Così tanto sangue >> lo sentì borbottare.

Si sciolse a fatica dalla presa salda giacché non voleva abbandonarla, e gli posò entrambe le mani sulle guance accaldate << Lui è morto: l'hai ucciso, salvandoci la vita. Stiamo bene, siamo qui con te >> gli prese una grande mano callosa portandola al ventre << Tuo figlio è vivo, Thorin. Lo senti? >> chiese, sorridendogli.

Aggrottò la fronte senza dir nulla, e l'attimo successivo le sue labbra si schiusero sorprese; gli occhi azzurri, prima irriconoscibili, si rasserenarono facendole battere forte il cuore.

<< Scalcia >> constatò, meravigliato. Portò anche l'altra mano, lasciandosi accarezzare da lei, beandosi dei suoi tocchi delicati.

Però vi era una domanda persistente che non le lasciava tregua << Da quanto lo sogni? >>.

Thorin si rabbuiò immediatamente, guardandola serio; inspirò a fatica << Da quando sono scampato alla morte. Non era sempre lo stesso, però; solo ultimamente sogno... questo >>.

<< Perché non mi hai mai avvertita? >> domandò, stizzita.

<< Di solito spalancavo gli occhi e mi accertavo tu fossi lì, e fossi viva. E' la prima volta che mi sveglio urlando >> ammise a voce bassa, abbassando la testa; l'ultima cosa di cui aveva bisogno era leggere la pietà negli occhi di Karin.

<< Avresti potuto parlarmene >> lo rimbrottò, imbronciata << Tu sei a conoscenza dei miei, ed è anche così che ci si aiuta, in una coppia >>.

<< Mi dispiace >>.

<< Questo dimostra che non ti fidi di me >>.

Thorin assottigliò lo sguardo, incredulo << Ti ho domandato perdono, Karin. Che altro pretendi? >>.

<< La tua fiducia, ad esempio >> ribatté duramente << Credi non ne sia degna? >>.

La situazione stava prendendo una gran brutta piega, se ne accorsero entrambi; ma nessuno dei due avrebbe desistito dalle proprie posizioni.

<< Non volevo ti preoccupassi. Sei incinta! >>.

<< Non è una scusante, Thorin. Non sono malata >> le stava dicendo sul serio quelle frasi? Da quando la gravidanza era una giustificazione? << Sono in grado di consolarti e condividere un segreto! >>.

<< Volevo solo proteggerti, per Durin! Ti sarebbe piaciuto se avessi confessato che sogno la tua morte? >>.

Karin si bloccò un attimo, giusto il tempo di scoccargli un'occhiataccia << Certo che no, però avrei preferito venirne a conoscenza comunque, piuttosto che sentirti agitare nel sonno continuando a ringhiare come un animale ferito. Hai idea della spavento preso? >> chiese, alzando sensibilmente il tono di voce.

Thorin sospirò, borbottando poi qualcosa che non comprese.

<< Potresti ripetere? >> sbottò, incrociando strettamente le braccia.

<< Ho detto che me vado, siamo troppo agitati >> grugnì, spostandosi verso il bordo del letto << Tu cerca di dormire >>.

Karin aprì la bocca, seccata << Non ordinarmi niente, Thorin Scudodiquercia! Se vorrò riposare lo farò, altrimenti no! >>.

Ora in piedi la squadrò minaccioso; sembrò quasi che il petto gli si gonfiasse sotto i muscoli guizzanti e frementi << Si trattava di un consiglio, donna ostinata! Fallo almeno per il bambino, non perché te l'ho suggerito >>.

Continuarono a lanciarsi occhiate in tralice, poi Thorin le diede le spalle e se andò; sbuffando sonoramente si appoggiò alla testata del letto, sussultando quando un colpetto la destò dai numerosi pensieri.

<< E tu? Sei d'accordo con tuo padre o con me? >> eruppe, agitando una mano quando non percepì nessuna risposta; si diede della stolta, stendendosi nuovamente e lasciando che la stanchezza la conducesse nell'oblio.


Aprì gli occhi di scatto e girò il capo verso destra, notando il posto ancora vuoto: ingoiò un'imprecazione al proprio indirizzo, complimentandosi per l'ottima dimostrazione di maturità e controllo; possibile dovessero sempre sfociare in una discussione, senza ovviamente riuscire a risolvere nulla?

Scese dal letto, rabbrividendo quando la pianta dei piedi entrò in contatto col pavimento gelido di pietra, e si avvolse nelle pesanti coperte che li riscaldavano in quel periodo d'inverno avanzato. Si incamminò verso la porta del bagno, sbirciando all'interno nella speranza di trovarvi la figura di Thorin, ma con disappunto ne appurò la totale assenza; si morse il labbro, notando poi una luce fioca proveniente da un'altra porta che conduceva al salottino adiacente la camera. Speranzosa e molto titubante afferrò la maniglia e la aprì, venendo attirata dal fuoco scoppiettante del caminetto, davanti al quale stava seduto Thorin, intento a fumare dalla lunga pipa; non riusciva a vederlo in viso - in quanto le mostrava la schiena - ma lo immaginò pensieroso e turbato, preda di quel senso di colpa che attanagliava anch'ella senza tregua.

Rimase ad osservarlo a lungo, senza trovare scuse adatte per il comportamento; lui, dopo un po', sembrò accorgersi della sua presenza perché si girò, provando un moto d'affetto e di tenerezza nel vederla imbacuccata in quelle coperte grandi che la coprivano totalmente lasciandone fuori solo la testa.

<< Sei appena rientrato? >> gli domandò, con un filo di voce.

Con sua sorpresa scosse la testa << No. Sono ritornato dopo dieci minuti però tu dormivi, e non me la sono sentita di svegliarti; quindi ho deciso di farmi un lungo bagno rilassante e successivamente venire qui: avevo necessità di pensare >>.

Spense la pipa, riponendola sul tavolinetto di legno col piano di vetro; la guardò attentamente, notandone l'imbarazzo e la tristezza.

Alzò i colpevoli occhi neri da terra, posandoli sui suoi azzurri << Preferisci rimanere da solo? >> domandò, timorosa. Non l'avrebbe biasimato se avesse risposto affermativamente.

Thorin alzò un sopracciglio e scosse la testa, lasciando che le labbra si stendessero in un sorriso << Non dire sciocchezze, e vieni qui >>.

Karin si dissetò della sua voce avvolgente, e dell'accettazione di quell'offerta di pace che attendeva col cuore; sorrise felice e s'impose di camminare normalmente senza mostrare alcuna fretta nel raggiungerlo, benché ogni suo muscolo la stesse spronando quasi alla corsa.

Quando gli fu accanto, tuttavia, non poté fare a meno di ridacchiare << Un Re dovrebbe possedere maggior cura della sua persona >> affermò, indicando col capo i capelli ancora bagnati di Thorin << Pensi sia questo il modo corretto d'asciugarseli? >>.

<< Se hai altre soluzioni oltre al fuoco del caminetto sarò ben lieto di sentirle >>.

<< Nessuna, ma non stai facendo alcunché per farli asciugare rapidamente; non li stai nemmeno districando >> disse, passando le dita tra la chioma nera e inorridendo nell'appurare la presenza di nodi.

<< Non posseggo la pazienza per un tale compito >> replicò, alzando noncurante le spalle.

<< A questo si può porre rimedio >> annuì convinta, allontanandosi dalla sua figura seduta a terra << Torno subito >> senza attendere risposta corse via, verso il bagno; una volta trovato ciò che cercava ritornò, con un gran sorriso sulle labbra.

<< Girati verso il fuoco >> ordinò, vedendolo obbedire senza dir nulla; poi gli si sedette quasi di lato, lasciandogli la schiena esposta al calore delle fiamme e, dopo aver represso un brivido gelido, coprì entrambi con la coperta volendo aumentare il dolce calore dei loro corpi vicini.

<< Ora chiudi gli occhi, Thorin, e rilassa il tuo spirito; comanda ad ogni affanno di sparire, così come svaniranno questi nodi >> mormorò piano, sorridendo nel sentirlo respirare a fondo.

Iniziò a passare lentamente i denti del pettine tra le ciocche scure e, contemporaneamente, intonò una melodia canticchiata a bocca chiusa; non si scoraggiò quando incontrò resistenza, ed utilizzò le dita per sciogliere quei grovigli spessi, passandovi poi sopra il pettine quando vi riusciva. Il motivetto era breve e pareva una ninnananna, e si trovò a ripeterlo quattro volte prima di completare la chioma; le rimanevano solamente le treccine ai lati della testa da ricomporre. Smise brevemente di cantare poiché si spostò al suo fianco destro e, quando riprese, la voce bassa di Thorin l'accompagnò in perfetta armonia. Col cuore traboccante di contentezza e gli occhi accesi di fiammelle guizzanti lo guardò amorevole, mentre le dita – esperte e veloci – intrecciavano le ciocche con maestria. Lui sostenne tranquillamente il suo sguardo, volendo imprimersi sempre più ciascun suo lieve tratto, benché li conoscesse a memoria; era stato facile imparare quelle brevi e lente note, così come era venuto spontaneo seguirla. Il sentirla nuovamente cantare l'aveva scosso profondamente, ed aveva ringraziato i Valar per quel fatto inaspettato.

Quando Karin assicurò le placche metalliche al termine di entrambe le trecce tacque, e così anche Thorin. Rimasero ad osservarsi per un po', dopodiché lei si accoccolò contro il suo petto e lui l'accolse, racchiudendola in un abbraccio protettivo.

Il fuoco illuminava i loro visi sereni e, in pace col mondo intero, sentirono che ogni litigio era risolto e perdonato; Thorin – sedutole alle spalle - aveva spostato i suoi capelli portandoli sulla spalla sinistra ed aveva poggiato il mento sull'altra, coperta dalla camicia da notte. Aveva portato le mani al ventre, accarezzandoglielo lentamente.

<< Mia madre la cantava quando mi pettinava >> sussurrò lei, spezzando il silenzio << Non ricordo il suo viso, solamente il suono della sua voce: ed era bellissima. Rammento che chiudevo gli occhi, e come per magia i nodi si scioglievano al suo tocco; per lungo tempo ho creduto fosse una sorta di strega >> confessò ridendo lievemente, persa nel passato.

<< Non me ne hai mai parlato >> disse lui, sondando nella memoria alla ricerca di un loro precedente dialogo; a confermare i suoi sospetti, lei annuì.

<< Non ho mai avuto occasione di pettinarti. E poi, non so, forse desideravo che questo segreto rimanesse tra me e lei >>.

<< E per quale ragione hai cambiato idea? >> domandò, curioso.

Karin rimase in silenzio, ponderando la risposta << Per il bambino, penso. Quando l'ho sentito scalciare ho provato un'emozione indescrivibile a parole, ed ho compreso quale profondo legame lega una madre al proprio figlio. Ora si è calmato, probabilmente cullato dalla nenia: o, almeno, mi piace pensarla così >>.

<< Gliela canterai, una volta nato? >>.

Karin ruotò il collo, incontrando i suoi occhi sereni, e sorrise << Ogni giorno >> promise, con voce spezzata << E anche nei prossimi cinque mesi a venire, se lo riterrò necessario >>.

Thorin parve tremendamente commosso, e rispose al tenero bacio della sua ormai quasi sposa << Dìs ti ha dato noia in questi giorni? >> volle sapere, cambiando repentinamente argomento.

<< Non più di tanto. Ormai ha capito che la mia scontrosità potrebbe diventare un fiume incontenibile, se mi contesta apertamente >>.

<< Uno dei tanti vantaggi d'essere gravida >> ridacchiò Thorin, baciandole una guancia.

<< Mmm >> asserì, tornando seria << Ti ricordo che domani giungeranno Thranduil e Legolas, ed in serata Bard >>.

Al nominare gli Elfi, il petto di Thorin – a contatto con la schiena – si irrigidì, ed un lieve sbuffo sfuggì alle sue labbra.

<< Lo rammento molto bene, e speravo non li nominassi fino al loro arrivo >>.

<< Così impari a parlarmi di tua sorella in un momento tanto dolce e delicato >>.

<< L'hai detto per ripicca? >> chiese stupito, aggrottando la fronte.

<< Può darsi >> rispose enigmatica, lanciandogli un'occhiata furba.

Thorin scosse la testa simulatamente esasperato, colmandosi il cuore nell'udire la risata di Karin così vicina alle orecchie; ma si smorzò presto e, preoccupato, la vide piegare il volto in una smorfia.

<< Stai male? >> domandò ansioso.

Inspirò, prima di rispondergli << Il tuo bambino. Sembra stia combattendo contro orchetti invisibili >>.

<< E' figlio di guerrieri >> rispose, inorgoglito. Se il piccolo avesse posseduto metà del suo carattere e metà di quello di Karin sarebbe risultata un'ardua sfida; la guardò, cogliendone gli stessi pensieri. Risero insieme, trovandosi d'accordo.

<< Che i Valar ci aiutino! >> esclamò lei fintamente sconcertata, posandosi una mano sulla fronte << Saranno mesi impegnativi, e anni faticosi >>.

Thorin le prese la mano e l'avvicinò alle labbra, baciandola << Insieme supereremo ogni difficoltà. Se potessi mi accollerei parte del peso che devi e dovrai sostenere, solo per vederti più quieta >>.

Karin sentì il cuore rimbalzarle in petto, enormemente felice delle sue parole << Sei anche fin troppo premuroso, e ti ringrazio >> disse, baciandogli una guancia << Sono spaventata per il matrimonio, tutto qui >>.

Un sopracciglio del nano si arcuò, scettico e incredulo << Karin, è solo una formalità, dato che viviamo praticamente già come marito e moglie >>.

<< Ne sono consapevole, eppure è così. Temo di sbagliare qualcosa, non saprei... sono solo irrequieta, e tirerò innumerevoli sospiri di sollievo quando tutto sarà concluso >>.

<< Non devi, mio tesoro >> disse, con voce terribilmente suadente; si abbassò a baciarle la punta dell'orecchio << Sarai perfetta >> sussurrò.

Sospirò poco convinta, ma lasciò che un'ombra di sorriso spuntasse al nomignolo ricevuto << D'accordo >>.

<< Ti sei scaldata a sufficienza? >>.

<< Sì, e propongo di ritornare a letto. Sento una gran sonnolenza >>.

Lo sentì muoversi e poco dopo se lo ritrovò davanti, intento a porgerle le mani per aiutarla ad alzarsi da terra; terminò di stiracchiarsi e le afferrò, spingendosi in avanti per facilitargli il compito di sollevarla. Una volta in piedi gli sorrise e lo precedette, ma fece appena in tempo a compiere due miseri passi che sentì il terreno mancarle sotto i piedi; trattenne uno strillo e, completamente desta, si contorse tra le sue braccia forti pronte a sostenerla.

<< Sei impazzito? Che tu sia dannato, Thorin, ora sono più sveglia di prima! >> lo sgridò, scherzosa.

Lui non si degnò di risponderle immediatamente, impegnato com'era a reggere il suo corpo; la condusse verso il letto e la fece sdraiare, salendo subito dopo con uno sguardo pericolosamente brillante.

<< Sono dannato, è vero: perché vorrei baciarti in ogni momento fino a non possedere più un alito di fiato; perché vorrei prenderti e fare l'amore con te ogni volta che i miei occhi si posano sul tuo invitante corpo. Mi hai stregato, e condannato ad un destino di lussuria e lacerazione >> soffiò, meravigliosamente accattivante.

Karin sorrise sensuale, giocherellando col girocollo della maglia del nano; lo attirò inesorabilmente verso di sé e lui, docile, si lasciò guidare verso il basso, ad un nonnulla dalle sue labbra << Non sono una maga >> sussurrò, sentendo un piacevole calore risalire dal basso ventre al petto.

<< Meglio così >> rispose Thorin con voce roca, annullando la breve distanza con un bacio pieno di passione.

Karin accolse immediatamente la sua lingua umida e calda, intrecciandola con la sua; il cuore parve scoppiarle in petto dati i poderosi e sempre più accelerati battiti, uniti al divampante incendio che lambiva la sua carne. Lo percepì posizionarsi meglio, stando ben attento a non farle del male e senza mai interrompere il profondo contatto; mai sazi l'uno dell'altra, lasciarono che l'amore travolgente e conturbante li rendesse prigionieri, avvolgendoli in dolci ed erotiche catene.

Inarcò la schiena quando la mano sinistra di Thorin l'accarezzò audace, e si accorse di mugugnare soddisfatta; con suo enorme disappunto si ritrovò presto a baciare il nulla, ed ostentò un'espressione a dir poco infastidita e delusa, al contrario di quella decisamente troppo pacifica di Thorin.

<< Sbaglio o avevi sonno? >> domandò innocentemente, senza nascondere un ghigno divertito.

Karin fece schioccare la lingua, seguendolo con uno sguardo assottigliato finché non le baciò amorevole la pancia, gesto ormai diventato quotidiano; solo allora si concesse un sospiro rassegnato e uno sbadiglio piuttosto evidente, nonostante la mano a coprirle la bocca.

Thorin si spostò da lei, riprendendo possesso del suo lato del letto e respirò stancamente, sentendo il peso della giornata trascorsa gravargli sul corpo e sulla mente; si riscosse debolmente quando sentì un braccio esile sull'addome e un lieve peso sulla spalla, segno che Karin vi aveva poggiato una guancia: e infatti, aprendo debolmente un occhio, la vide raggomitolata accanto a sé, il volto quasi totalmente nascosto dalle pesanti coperte.

<< Sarà dura domani sera >> biascicò lei, riferendosi alla notte precedente le nozze: in quell'occasione non avrebbero dormito insieme nella camera del futuro Re, ma ciascuno avrebbe riposato nelle proprie.

Thorin le accarezzò distrattamente i capelli ribelli, annuendo solamente; il sonno stava prevalendo su di lui, portandolo con sé.

<< Rimango qui solo un pochino >> lo avvertì flebile; oppure fu lui ad immaginarselo? Non ne era certo, dato lo stato di dormiveglia.

Lasciò che la mente si svuotasse di ogni pensiero, conscio solo del confortevole calore che il corpo della sua Karin emanava.




Erebor riaccolse il suo legittimo sovrano dopo ben centosettantuno anni.

Un gran fermento agitava i Nani, quel giorno: perché non avrebbero incoronato solamente il Re sotto la Montagna, ma anche la sua Regina. Inoltre, ella stessa si era offerta di custodire l'Archepietra per riconsegnargliela, in risposta al furto perpetrato mesi addietro del quale si era dichiarata colpevole; erano veramente pochi i nani delle Montagne Azzurre – giunti qualche settimana prima - disposti a considerarla implicata nella faccenda, e a lungo avevano adocchiato con sospetto quel piccolo esserino chiamato Bilbo Baggins che in quei mesi si era limitato a girovagare qua e là lungo i numerosi livelli, e che in quella fredda mattina d'inverno stava ritto in piedi nelle file destinate ai personaggi importanti presenti in quel viaggio di Riconquista insieme ai reali.

Osservava a dir poco emozionato le figure di Thorin e Karin, l'uno di fronte all'altra, vestiti e ornati con abiti e gioielli degni del loro rango, intenti a suggellare la loro unione con un semplice scambio di fermagli di metallo posti alle estremità delle loro trecce. Stupito e un poco confuso, aveva chiesto silenziosamente spiegazioni a Balin, ed il vecchio nano gli aveva risposto che era una loro tipica usanza; non tutte le placche erano uguali, ed erano ornate da fregi o rune importanti, simboleggianti l'appartenenza alla propria famiglia. Tutti le possedevano, persino chi non era nobile – anche se non create nella miglior foggia - e durante il matrimonio se ne scambiavano solo una.

<< Come se donassi parte di te all'altro, in poche parole >> aveva bisbigliato il nano dalla barba biforcuta, commosso << Eppure, anche con la placca dell'altro la metà diviene un tutt'uno >>.

Quindi, a rigor di logica, sul metallo di Thorin vi sarebbe stata incisa una d e su quella di Karin una g. Durin e Gorin.

Dain officiava sia il matrimonio che l'incoronazione, e Bilbo non poté fare a meno di ricordare il furioso diniego dell'amica alla notizia, ma Thorin era stato irremovibile: in quanto Signore dei Colli Ferrosi era suo compito, non di altri. E Karin aveva dovuto rimangiarsi molte pessime frasi.

La guardò, provando già una forte, fortissima stilettata al cuore al pensiero di doverla lasciare per sempre; osservò il suo sorriso radioso ed entusiasmato, lo scintillio negli occhi neri brillanti di una felicità che solo chi conosceva il vero significato del mistero chiamato amore poteva provare. La vide mantenere costantemente lo sguardo sul volto di un altrettanto emozionato Thorin, seppur celato sapientemente dall'aura di regalità e compostezza: lo guardò negli occhi anche quando lui li abbassò sulla sua treccia destra e le tolse la placca rimpiazzandola con la propria argentata. Quando venne il suo turno dovette controllare il tremito delle dita, ma fu abile a nasconderlo; con una moderazione e una calma che non appartenevano al cuore – costantemente in tumulto – aprì la placca argento e la sostituì con quella bronzo, sorridendogli una volta che ebbe concluso.

<< Thorin figlio di Thrain della stirpe di Durin, e Karin figlia di Kario della stirpe di Gorin, da ora sono uniti davanti a Mahal il Fabbro. Così come egli ci creò, così oggi sia testimone della forgiatura di questa coppia, finché essa avrà vita >> pronunciò Dain, con voce altisonante e solenne.

Poi tacque, facendo un cenno col capo all'indirizzo di Gandalf, incaricato di portare un cuscino di velluto con entrambe le corone; i nani posti più indietro cercarono di allungare il collo per osservare quel momento a dir poco importante: canzoni erano state composte sull'impresa e sulla Battaglia dei Cinque Eserciti, e altre ne sarebbero nate dopo l'Incoronazione. Era un grande dono dei Valar poter assistere a quell'evento.

Thorin e Karin non ebbero bisogno di alcun ordine, poiché si inginocchiarono sui gradini della piattaforma in corrispondenza dei rispettivi troni nel momento esatto in cui Gandalf il Grigio avanzò. Gli sorrisero leggermente quando strizzò veloce un occhio azzurro, e tornarono seri non appena Dain avanzò verso Thorin.

Il Re Esiliato chinò il capo, attendendo con cuore martellante di percepire il lieve peso dell'elaborata corona di Thror, creata dal miglior gioielliere anche se si vociferava fosse opera di un fabbro. Dain la alzò perché tutti potessero rimirarla, e Karin non poté che guardarla affascinata finché non si abbassò lenta fino a giungere sul capo di Thorin; i colori dorati e argentati della corona sembrarono amalgamarsi perfettamente con il nero dei suoi capelli: per la prima volta in vita sua, vide il Re prendere il sopravvento sull'uomo. Come se fosse ritornato finalmente a vestire i panni che gli spettavano, che gli erano sempre appartenuti. Nella sua figura reale, Karin comprese di trovarsi al cospetto della sua anima più nascosta.

Thorin alzò la testa, mostrandosi fiero come non mai; e Dain passò a lei.

Sentì la gola insopportabilmente secca, la lingua sembrò aumentare di volume nella bocca; scambiò un breve sguardo con il nano dei Colli, notandone nel profondo la stizza nel doverla incoronare come sovrana. E non poté trattenersi dal sorridere. Abbassò la testa, seguendo l'esempio di suo marito: l'attesa fu snervante, la consumò, divorandone l'anima ed il cuore. Dain fu insopportabilmente lento, quasi a voler sperare in un impedimento esterno: non ve ne furono, e fu costretto ad abbassare le braccia e a posarle la corona ben più leggera e sottile. Espirò a bocca socchiusa chiudendo brevemente gli occhi, la tensione parve sciogliersi, ma l'impercettibile tremore rimase.

<< Arrivano i Giorni del Re e della Regina di Erebor! >> esclamò Dain, guardandoli un attimo per poi rivolgersi alla folla << Possano essere benedetti! >>.

Gandalf, rimasto alla sua sinistra, si unì per terminare le frasi di rito << Lunga vita al Re! Lunga vita alla Regina! >>.

Il popolo esplose in un sol boato di giubilo ripetendo le ultime parole, augurando prosperità ai sovrani ed un buon governo, del quale erano assolutamente certi. Finalmente i due trovarono il coraggio di guardarsi, e Thorin rispose annuendo semplicemente col capo al sorriso ampio di lei, donandogliene uno ugualmente felice.

Le porse una mano e si alzarono insieme; lei lo accompagnò fino al trono, non sedendosi sul suo: c'era un ultimo gesto da compiere.

Si avvicinò ad uno scrigno intarsiato finemente, opera di Bofur, e lo prese tra le mani; incedette composta e a capo dritto e alto senza mostrare timore ma solo una grande dignità, fermandosi ai piedi della piattaforma; nel frattempo, il silenzio era calato nuovamente sui presenti, nessuno osava emettere il più piccolo suono, troppo concentrati sui suoi movimenti: il momento tanto atteso era giunto, infine.

<< Che il Cuore della Montagna faccia ritorno al suo proprietario! >> iniziò, con voce altrettanto alta e limpida << Possa splendere finché la stessa non si sgretolerà, possa guidarti nel tuo regno e negli altri a venire. Accetta il mio dono per te, Thorin Scudodiquercia, legittimo Re sotto la Montagna >> con una mano si afferrò la stoffa del vestito, alzandoselo leggermente per riuscire ad inginocchiarsi.

Una volta a terra posò il cofanetto e l'aprì, sotto lo sguardo vigile di Thorin; un lieve bagliore provenne dall'interno e, con mani sicure, prese la gemma e l'alzò verso l'immensa volta luminosa, in modo che assorbisse la luce proveniente dalle finestre. Molti, stupiti, schiusero le labbra non avendo mai avuto occasione di ammirarla, e persino i membri della Compagnia e coloro che la rimembravano posta sulla pietra liscia del trono di Thror parvero rimirarla per la prima volta, non avendola mai vista brillare così fulgida come quel giorno. Per loro si trattò di un segno: la tanto agognata rinascita del loro popolo un tempo potente e poi decaduto era divenuta concreta e reale, e più splendente d'una stella.

Thorin, a dispetto dei precedenti accordi, non parlò né le fece cenno d'avvicinarsi; si alzò dallo scranno e a passi misurati la raggiunse, non badando al suo volto confuso.

<< Accolgo il ritorno dell'Archepietra che mi porgi, mia Regina. Che tutti ne siano testimoni, e ricordino chi fu a consegnarla al Re di Erebor inginocchiandoglisi dinanzi! In ringraziamento, che sia io stesso a renderti omaggio >>.

Karin continuò a guardarlo stupita, sgranando gli occhi quando comprese il movimento: il Re sotto la Montagna si inchinò e, girando il capo verso la moltitudine della folla, li vide imitarlo.

<< Alzati, Karin; goditi la sensazione >> le sussurrò piano, così che potesse udirlo solo lei.

Obbedì titubante, rimanendo senza fiato alla vista di quei nani, elfi e uomini che l'accettavano come sovrana; fu una sensazione strana, del tutto insolita. Considerò che non ci si sarebbe mai abituata, benché l'anima parve esultare.

Si alzarono, quindi comprese che Thorin era già in piedi; si girò a guardarlo stringere la gemma tra le dita inanellate e posarla egli stesso al posto che le spettava. Fu una scena carica di significato, talmente profonda che Karin trattenne il fiato senza accorgersene; e quando l'Archepietra parve aver capito d'essere tornata nella propria dimora, sembrò sfavillare di splendore liberando la luce catturata in sottili scie azzurre, arancioni e rosse.

<< Lunga vita al Re! >> urlò l'intera Compagnia, catalizzando l'attenzione dei presenti << Lunga vita alla Regina! >>.

Mentre sedevano insieme sui troni per la prima volta, il popolo rispose con vigore e gioia alzando alte le loro voci tonanti, disperdendole fino alla vetta più alta della Montagna e raggiungendone le profondità.




Era distrutta. Letteralmente. Ogni suo muscolo invocava pietà, lanciandole fitte lancinanti in ogni dove; il bambino aveva iniziato a muoversi da poco, probabilmente infastidito dalla confusione presente nella Sala dei Banchetti, decorata per l'occasione con enormi stendardi della famiglia reale e del suo clan: dubitava fortemente fosse stato merito di Dìs - addetta a tale compito - quindi doveva esserci lo zampino di Thorin.

Il pranzo era stato il più sontuoso e delizioso che avesse mai mangiato, e si domandò se sarebbe stata in grado di camminare una volta terminato. Altra questione di cui non era certa.

Si girò verso Legolas, posto alla sua destra, e gli sorrise divertita: in quanto ospiti d'onore, infatti, lui e suo padre godevano del diritto di sedersi allo stesso tavolo dei regnanti.

<< Come si stanno comportando quei due? >> chiese l'elfo, accennando al genitore e al nano.

<< Hanno scambiato qualche frase di circostanza, ma fortunatamente non hanno aggiunto altro; credo che il risentimento sarà complicato da allontanare >>.

Legolas annuì << Sono molto simili in quanto a testardaggine. Ho dovuto faticare parecchio per convincere Thranduil a presenziare; sono ricorso all'argomentazione di una minaccia di guerra >>.

<< Non voleva? >>.

Scosse la testa, mortificato.

<< Bé, ora è qui, no? È ciò che conta >> lo rassicurò, seppur col cuore gonfio di pena: eppure, era stata così sicura di una sorta di appianamento di divergenze!

<< Sei riuscita dove molti hanno fallito, invece >> le disse, quasi leggendole nel pensiero << Hai riunito le razze più importanti della Terra di Mezzo, eccetto gli Orchi, naturalmente! >> si unì alla leggera risata di Karin, ora più calma << L'hanno chiamato il Matrimonio Pacificatore >>.

La Regina lo guardò stranita, non potendo crederci << Davvero? >>.

L'elfo annuì, bevendo dal boccale. Lei osservò il suo piatto precedentemente ripulito d'ogni sorta di cibo, e giunse le mani in grembo percependo il piccolo muoversi.

Venne attirata da una mano ben conosciuta sulle sue, ed alzò gli occhi incontrando quelli azzurri di Thorin << State bene? >> domandò, stringendole le dita.

<< Sono solo un po' stanca. L'adrenalina della mattina è scemata velocemente >> disse, rassicurandolo con un sorriso fiacco.

Lui annuì, pensieroso << Potresti uscire a prendere un po' d'aria, e passeggiare un poco. Hai solo bisogno d'allontanarti da questo trambusto >> disse, alludendo al chiasso proveniente dagli amici, persi in molteplici brindisi alla loro salute o a gare di bevute tra una portata di carne stagionata con l'osso e di maiale allo spiedo. Più di una volta si era trattenuta dall'alzarsi da lì per raggiungerli, e dissetarsi con della buona birra di malto, densa e scura. Ma aveva allontanato quei pensieri con un sorrisetto appena accennato.

<< Forse è così >> concesse << Quindi ho il tuo permesso di ritirarmi per alcuni minuti? >>.

Thorin le sorrise dolcemente << Penso tu non abbia bisogno d'alcuna autorizzazione >>.

<< Era ciò che volevo udire >> rispose maliziosamente, tornando immediatamente seria ed aggrottando la fronte << Come mi giustificherò con gli invitati? >>.

<< Tu pensi troppo, Karin. Alzati solamente ed esci, te lo ordino! >>.

<< Addio libertà, oserei dire >> borbottò, ripensando a quel che si erano appena detti. Thorin l'udì e sogghignò senza dir nulla, osservandola alzarsi e guardare indecisa l'uscita e i commensali; mosse alcuni passi felpati rammentandogli la vecchia Karin, ma poi cambiò repentinamente idea, camminando normalmente senza badare alle occhiate curiose di alcuni nani, e poi dell'intera Sala: persino i musicisti smisero di suonare per guardarla, e ciò non fece che accrescerle l'enorme disagio. L'osservò compiaciuto finché non sparì, per poi rivolgersi direttamente a questi ultimi << Non smetterete certo di allietarci il pomeriggio solamente perché la vostra Regina se n'è andata, mi auguro >> disse, scorbutico << Avete degli ospiti da intrattenere >>.

Alla frase, la musica ripartì lieta e allegra come era stata poco prima, e Thorin si riappoggiò allo schienale dell'alta sedia alzando il boccale verso la tavolata degli amici e parenti, in un brindisi solidale e gioioso.

Senza accorgersi che mancava qualcuno.



Karin dovette sfilarsi la pesante cintura di cuoio per poter respirare meglio, e fu con sollievo che l'appoggiò sul parapetto della terrazza; puntò lo sguardo verso le deboli fiammelle di Dale, segno che alcune famiglie vi abitavano già nonostante fosse ancora in fase di ricostruzione. Fortunatamente il vestito era abbastanza pesante, ma alcuni spifferi di freddo la penetrarono ugualmente facendola rabbrividire e gelare le ossa. Però non le dispiaceva star lì, seppur in balia del vento; la rendeva presente, al contrario del caldo opprimente che l'aveva intorpidita. Rammentò con chiarezza lo sgomento nell'aver guardato per la prima volta quell'abito color iris; l'aveva riportata indietro catapultandola in un recente sogno, spaventoso oltre ogni dire. Era molto simile a quello che aveva lordato col proprio sangue, oltre a quello del figlio; persino gli intarsi e le gemme erano posizionati in modo molto somigliante. Aveva dovuto ricacciare l'urlo spaventato e la nausea al ricordo dell'odore sgradevole del liquido rosso cupo.

Si grattò nervosamente il collo, libero dalle ciocche scure; le avevano raccolto i capelli intrecciandoli sulla nuca, ed avevano lasciato libere due trecce laterali del tutto identiche a quelle di Thorin, su cui aveva posto la sua placca: la sfiorò, ripensando all'incredibile momento in cui aveva realizzato d'appartenergli ufficialmente e totalmente. Come moglie.

Le orecchie, ora abituate al silenzio più denso, si accorsero di lievi e soffici passi e fu naturale per lei sorridere nel riconoscerli; girò il capo giusto in tempo per vedere un mantello posarsi sulle spalle intirizzite, e due occhi grigi – seguiti da un volto imberbe e dai tratti sereni – sorriderle amichevole.

<< Grazie. Come mi hai trovata? Avrei potuto essere dovunque >>.

<< Ormai ti conosco troppo bene, amica mia. Come spieghi la tua assenza? La scomparsa della Regina sotto la Montagna si nota, sai? >>.

<< Desideravo un po' di quiete. È stata una giornata impegnativa >>.

<< Come ti senti? Il bambino sta bene? >>.

<< Ora sì. Era leggermente agitato, poco fa; ne deduco che sarà un vero e proprio terremoto, una volta nato >>.

Bilbo rise stringendosi nel mantello di pelliccia, per nulla abituato a quel freddo pungente << Se sarà degno erede della sua stirpe, avrò paura che ti darà un gran bel daffare! >>.

<< Questo non mi incoraggia affatto! Sentiamo, che combinava la mia famiglia di tanto deplorevole? >> chiese, interessata.

<< Fili stava aizzando un imbufalito Dwalin a sfidarlo ad una gara di bevute seguita da una a braccio di ferro; erano piuttosto allegri, non ancora ubriachi >>.

Karin scrollò le spalle << Tutto nella norma, in fondo. Finché non “liberano“ tutto il loro potenziale tramite la bocca, non ci vedo nulla di errato. In quanto all'ubriacarsi, hanno a disposizione tutto il pomeriggio e tutta la sera per riuscirci >>.

<< E Kili stava corteggiando spudoratamente una tua certa dama di compagnia >> terminò, rivolgendole un sorrisino complice, al quale lei rispose ben contenta.

<< Oh, finalmente! Ne sono veramente deliziata >> esclamò, calmandosi quando lo notò incupirsi << Dìs non sarà dello stesso avviso, immagino >>.

A conferma dei suoi sospetti, Bilbo scosse la testa riccioluta << Precisamente. Credo riguardi il fatto che Airi non sia nobile >>.

Karin sbuffò sprezzante, imprecando subito dopo << E' talmente retrograda! Certi pensieri non dovrebbero neppure sfiorarla, dato che Kili avrà ben poche possibilità di governare >> borbottò.

<< Spero solo che lui sia abbastanza timoroso da contestarla >>.

<< Già. E completamente innamorato di Airi: lei lo è di lui >> sentenziò Karin, osservando il manto di neve che ricopriva la piana, giungendo ad una semplice conclusione << Non sei venuto quassù solo per rendermi partecipe di queste notizie, vero? >>.

Bilbo non riuscì a sostenere il suo sguardo indagatore, ed annuì osservando Dale << Volevo passare un po' di tempo con te: parto dopodomani >> confessò, flebile.

Karin sentì il cuore spezzarsi, sospirò a fondo per cercare di ritrovare la voce venuta a mancarle << Come possono della semplici parole esprimere il tremendo vuoto che provo nel petto? >> domandò, amareggiata.

<< Non ce ne sono >> ammise lo hobbit, accarezzandole le mani << Però esse mi giungono ugualmente al cuore perché sono le medesime che rivolgo a te >>.

Karin si morse il labbro per non farsi sfuggire dei singhiozzi, però le lacrime iniziarono a scendere dagli occhi solcando le guance rosee. Si abbracciarono di slancio, stringendosi forte per trasmettersi quelle frasi che mai sarebbero uscite dalle loro bocche, poiché troppo complicate e profonde. In quel gesto infusero la loro solida amicizia, nata e fortificatasi in un periodo difficile eppure a parer loro il più bello e intenso della loro esistenza; unirono l'affetto che provavano per l'altro, e la tremenda nostalgia che li aveva già afferrati.

<< Prometti di scrivermi >> disse, tra un singulto e l'altro.

Bilbo le accarezzava piano la testa, per timore di rovinarle l'acconciatura elaborata, ed annuì << Lo prometto. Scriverò non appena arriverò a Vicolo Cieco >> sussurrò, chiudendo gli occhi per impedirsi di versare troppe lacrime amare.

<< Sei stato il mio conforto quando la speranza sembrava avermi abbandonata, e per questo non potrò mai ringraziarti abbastanza. Mi mancherai, Bilbo Baggins. Più di qualsiasi altra persona conosciuta >>.

Il povero hobbit sentì il cuore scoppiargli in petto, ed un'inaspettata voglia di sorridere si fece largo in lui nonostante l'immensa tristezza e le piccole stille salate.

<< Sei stata e sarai la mia luce in quegli oscuri luoghi attraversati, che dovrò nuovamente calcare. Mi mancherai, Karin figlia di Kario. Più di qualsiasi altra persona conosciuta >>.



Il giorno successivo trascorse rapido, esattamente come lo era stato quello precedente il matrimonio; le sembrò di muoversi dentro una sorta di bolla, scoppiata brutalmente in quella mattina in cui avrebbe dovuto dire addio al suo migliore amico, che mai più avrebbe rivisto. La Compagnia si era radunata dinanzi alle maestose Porte di Erebor, e lì si trovavano anche Elfi e Uomini, pronti ad accomiatarsi dai Sovrani sotto la Montagna.

<< Bé, che dire >> esordì Bilbo, lisciandosi l'orlo della nuova e impreziosita giacca rossa dai bottoni dorati << addio, miei valorosi amici! Porterò sempre il vostro ricordo nel mio cuore >> disse, guardando una devastata Karin che tentava – con gran dignità, doveva ammetterlo – di mantenere un certo contegno.

Thorin si fece avanti, stringendogli una piccola mano tra le sue più grandi << Addio, amico mio. Il tuo prezioso aiuto non verrà dimenticato, così come la nostra amicizia >> gli occhi azzurri brillarono calorosi e, sorprendendolo come tempo addietro, lo abbracciò riconoscente battendogli poi delle pacche sulle spalle << Buon ritorno a casa >>.

Poi vennero i saluti ai nani, nei quali dovette consolarne alcuni – Bofur, il giovane Ori, persino Kili, Fili e Balin – con battute anche scherzose sulla mancanza dei loro utilissimi fazzoletti da viaggio e ricordando le avventure contro i Troll con un nuovo cipiglio coraggioso e auto-ironico.

<< Se sentirete la mia mancanza, chiurlate due volte come un barbagianni e una come un allocco, ed io accorrerò! >>.

<< Chissà perché ho la netta sensazione che non accadrà! >> esclamò Nori, coinvolgendoli in una risata liberatoria; poi frugò nelle tasche, ripescando alcune posate d'argento << Queste ti appartengono, scassinatore >>.

Lo hobbit provò a dirgli di tenerle, che non importava, però l'altro insisté e lui le accettò con immensa gratitudine.

Il difficile giunse di nuovo al turno di Karin; lei non riuscì a dire nulla, limitandosi a fissarlo con occhi colmi di lacrime. Fu quindi lui ad arroccarsi il gravoso compito di spezzare il silenzio, di dirle qualcosa, qualsiasi cosa.

<< Se mai passerai dalle mie parti non esitare a bussare. Il tè è servito alle quattro, ma tu sarai la benvenuta a qualsiasi ora >>.

Le labbra di Karin si piegarono in una smorfia che doveva somigliare ad un sorriso; annuì, lasciando il permesso a due sole lacrime di sfuggire alle ciglia << Se mai tornerai a visitarci, allora splendidi saranno i festeggiamenti >> disse, con voce tremula.

Dimenticò d'avere davanti la Regina di Erebor e l'abbracciò di nuovo, incapace di staccarsi da lei; se avesse potuto – e se i fatti fossero andati diversamente – le avrebbe chiesto di andare con lui. Di tornare a casa, là nella Contea. Ma non era quello il suo posto, lo sapeva perfettamente; la sua vita era qui, e l'avrebbe resa infelice una vita pacifica e tranquilla tra dolci colline verdeggianti e profumo di fiori, buon cibo e feste allegre. Karin era un Nano, non uno Hobbit.

La sentì affondare il viso tra i suoi ricci e inspirare profondamente per calmare i tremiti del suo corpo: oppure appartenevano a lui? Non avrebbe saputo dire, dato lo stravolgimento in cui versava la sua anima, il suo intero essere. Quando si staccò, dopo un tempo che a lui parve infinito ma al contempo anche troppo breve, gli parve d'averle lasciato un pezzo importante di sé; eppure, oltre a sentirsi incompleto, si sentì anche colmo: poiché aveva inteso che Karin gli aveva lasciato una parte di lei, data dai ricordi di quei mesi. Finché non fossero sbiaditi con l'avanzare del tempo li avrebbe custoditi con gelosia, come il più prezioso dei tesori: persino più ricchi delle due cassette d'oro e d'argento scelte come pagamento.

A fatica salì sul suo pony, osservando con tanta pena l'addio dei nani a Gandalf, che l'avrebbe riaccompagnato per buona parte del viaggio, forse fino alla fine.

Ed ecco, quando il tempo dei commiati fu terminato la lunga schiera di Elfi e Uomini partì lentamente, ed essi li seguirono. Bilbo si ritrovò a girare costantemente il busto verso Erebor, notando gli amici ancora ai loro posti con le braccia alzate in segno di saluto; ricambiò finché poté, e quando la Montagna Solitaria divenne appena visibile a occhio nudo, contemplò la neve non ancora disciolta sulla sua vetta più alta.

<< Così, dopo il fuoco, viene la neve, e perfino i draghi trovano la loro fine! >> disse Bilbo, voltando la schiena alla sua avventura. La parte Tucchica stava diventando stanchissima, e quella Baggins diventava ogni giorno più forte << L'unica cosa che vorrei, adesso, è starmene nella mia poltrona! >> aggiunse.







CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Ecco. Siamo giunte alla fine di questo lungo capitolo. Come avrete notato, non vi è la parola “Fine”, a segnare il termine di questa storia. Questo perché manca ancora un Epilogo. E poi, con immenso dispiacere ma anche con gioia, dirò addio a questi personaggi che mi hanno accompagnata per ben nove mesi; certo, non è da escludere qualche one-shot! Se devo essere sincera, mi risulta difficile staccarmi da “la Quercia e l'Iris”, che tanto mi ha dato in fatto di soddisfazioni e, perché no, anche d'amicizia. Sembro sentimentale ad usare questo termine – forse sottovalutato – però per me è così: grazie a efp e a questo meraviglioso fandom, ho potuto conoscere VOI, persone incredibilmente eccezionali che tanto avete fatto per me semplicemente parlandomi e consigliandomi. Sul serio, non sapete il dispiacere che provo nel sapervi lontane, perché verrei personalmente a casa vostra a ringraziarvi di cuore ed abbracciarvi con affetto. Spero vi arrivino comunque :)!!!

Come Karin e Bilbo, non trovo parole per ringraziarvi o esprimere il mio stato d'animo, perciò credo che quelle appena scritte bastino. Sappiate solo che sento un gran dolore al petto, eppure è quasi colmo di vostro affetto ;). Mi auguro vi sia piaciuto il capitolo – e le due colonne sonore incluse - così come io ho adorato scriverlo, e spero si capisca quanto del mio cuore ho lasciato in queste pagine. Ho voluto terminare con il nostro buon hobbit, così come egli aveva iniziato le prime righe del primo capitolo: una sorta di cerchio chiuso, insomma ^^.

La ninnanna cantata da Karin e Thorin è questa: http://www.youtube.com/watch?v=1fLnVYQQQek So che non è il massimo in fatto di qualità, ma la desideravo senza musica di sottofondo :/

Ringrazio le carissime e specialissime Lady_Daffodil, Neryssa, Yavannah, pamagra, J_ackie, vanessa90, MrsBlack, Krystal91, innamoratahobbit, LilyOok_, LadyDenebola, Lady of the sea. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!

Un sentito e non meno importante GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore preferito”, per non parlare di chi l'ha proposta per le “Storie Scelte”: Lady_Daffodil, Yavannah e vanessa90 ç_____ç! Siete meravigliosi, non si discute! Ciascuno di voi!!!

Alla prossima (fa un certo effetto scriverlo per l'ultima volta)

Vostra, Anna <3


P.S. Non posso NON ringraziare dal più profondo del cuore Krystal91 per aver realizzato questa bellissima Karin *____*: se fosse un cartone o un fumetto, QUESTO sarebbe il suo aspetto! Perciò, grazie mille carissima <3 <3!!!




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Capitolo 28
*** Epilogo ***


EPILOGO


Mio caro Bilbo

Spero che questa lettera possa arrivarti in tempo: mi dispiacerebbe alquanto augurarti un buon compleanno con qualche giorno di ritardo ma Gandalf – fermatosi da queste parti per un periodo piuttosto breve – mi ha assicurato che te l'avrebbe consegnata di persona, dato che sta viaggiando proprio verso la Contea.

Ah, non posso credere che festeggerai ben centoundici anni! Non sai quanto vorrei poter bussare alla tua porta verde ed abbracciarti! Ne è passato di tempo da quando ho varcato la tua soglia, non è vero? Ben sessanta anni, se non erro. E quante novità, quanti fatti sono accaduti in questo lasso di tempo, a cominciare da una notizia importante ma piena di sofferenza: ti scrissi che Balin fu proclamato Signore di Moria, e lì vi risiedeva insieme a Oin, Ori e altri con l'intento di ristabilire l'antico regno e trovare l'anello posseduto da Thrain. Sai che nutrivo grandi speranze nella sua scoperta, certa che non avrebbe intaccato in alcun modo l'animo del vecchio nano: ricordi anche tu come niente e nessuno avrebbe potuto corromperlo, o spezzarlo. Era la vera colonna portante del gruppo durante la Riconquista: era a lui che Thorin confidava ogni suo dubbio, e in lui cercava consiglio e conforto quando la speranza sembrava così inafferrabile e lontana. Ma anche noialtri lo rispettavamo e tenevamo in gran conto la sua opinione. Per me era un padre, il vero padre che avrei voluto al mio fianco per sempre; mi vide crescere e, impotente, assistette alla partenza che mi allontanò dalla persona amata, e dalla sua figura sempre presente. Ho saputo che venne a trovarti con lo stregone, cogliendoti di sorpresa e raccontandoti molti aneddoti sulla nostra vita qui, a Erebor. Perciò, per me risulta ancora più difficile doverti confessare ciò che accadde. È con mio immenso dolore che riporto queste terribili notizie: Balin è morto, Bilbo. Ucciso da un Goblin arciere nella Valle dei Rivi Tenebrosi, preda di un'imboscata. Ori, sopravvissuto miracolosamente insieme ad alcuni nani, ci inviò quasi subito una lettera raccontandoci l'accaduto. Non ricordavo di riuscire a possedere un tale dolore nel cuore, una sofferenza così profonda da non lasciarmi tregua. Pareva che la vita si fosse fermata a quelle righe vergate col sangue, impregnate dall'impotenza e dalla rabbia, oltre che dalla tristezza. Un vuoto così nero, e denso da non lasciarti via di scampo. Era mio padre, capisci? Avrebbe dovuto morire sul suo letto accomiatandosi dalla vita con serenità, accogliendo la Morte come una vecchia amica; con la figlia desolata al suo capezzale pronta ad alleviargli gli spasmi con delle pezzuole umide di acqua e lacrime salate; con l'altro suo figlio distrutto dal dolore, ma che avrebbe conservato una forza inaspettata solo per confortare la sua amata per poi liberarsi una volta solo, o insieme a lei, perché essi sono un tutt'uno e sanno quando l'altro soffre.

Sarebbe dovuta finire così. Invece, altri erano i progetti dei Valar, dei quali non ero affatto d'accordo.

Confesso che ci è voluto del tempo per ricominciare, sia per me che per Thorin, poiché fu lui a chiedergli d'andare a Moria: il senso di colpa lo tenne sveglio a lungo, e a nulla valsero i tentativi degli altri compagni di rassicurarlo. Così, dovetti seppellire il dolore all'interno del cuore sanguinante e ferito, cercando di ricomporne i pezzi e di mostrarmi forte solo per lui. A poco a poco si riprese, tornò a sorridere come un tempo facendomi traboccare l'anima di gioia; e mi ringraziò, scusandosi perché non aveva saputo aiutarmi né consolarmi come meritavo: d'altronde, gli ero più legata. Ma lo rimproverai, dicendogli che fu lui a trascorrere ogni giorno con Balin, non io: l'esilio ci divise per molti anni finché Gandalf non mi rese partecipe dell'impresa. Penso non esisteranno mai sufficienti parole in ringraziamento.

Ad essere sincera, non posso accollarmi l'intero merito della buona ripresa di mio marito: a questo pensarono anche i nostri figli.

Ah, Bilbo, i miei ragazzi! La mia gioia e il mio tormento più grande, come ben sai: a proposito, perdonami per non aver menzionato il tuo giovane nipote. So perfettamente che Frodo compie gli anni il tuo stesso giorno, perciò ti chiedo di salutarlo e baciarlo da parte mia; mi sarebbe piaciuto conoscerlo e rivederti, e non è da escludere possa accadere, un giorno! Ormai i figli sono abbastanza grandi e autosufficienti da potersela cavare egregiamente da soli, anche se sarebbero costantemente seguiti da Dìs, Fili, Kili, Dwalin e gli altri. Forse, ripensandoci, sentirebbero anche troppo poco la mia mancanza!

A volte li osservo, e mi domando quando sono cresciuti: Throrein ormai è un nano fatto, affianca Thorin nelle varie incombenze del regno e, spesso e volentieri, esterna il suo giudizioso parere come fosse uno dei consiglieri più fidati venendo ascoltato; suo padre è molto fiero di lui, e ne sarà il degno erede una volta salito al trono. Il suo temperamento è mutato nel tempo, ed ora la calma che lo contraddistingue si alterna raramente al suo animo ancora giovane rendendolo preda di impulsi infuocati come quelli di Thorin alla sua età; o come i miei, che ancora fatico a dominare.

Mi stupisco sempre della nostra somiglianza, non posso farne a meno: ha ereditato la mia fisionomia, più marcata in quanto uomo. Anche i suoi tratti mi rispecchiano, e ne sono affascinata oltre che lieta, dato che pare quasi d'osservarsi allo specchio! Per quanto ami profondamente mio figlio, d'altronde, sono felice non abbia completamente il mio carattere: posso ancora considerarlo unicamente mio.

Laena sta diventando una splendida giovane donna e, presto, Thorin sarà costretto a fare i conti con i numerosi pretendenti che busseranno alla porta, anche se saranno ben timorosi del loro sovrano. Ha i tratti nobili e severi dei Durin uniti ad una forte espressività degli occhi azzurri che la rendono adorabile e meno fredda di quel che può apparire. Possiede un temperamento leggermente altezzoso e più impetuoso rispetto al fratello, ma ciò è certamente dovuto all'età: lei e Throrein hanno dodici anni di differenza, eppure si sostengono a vicenda e si vogliono bene; certo, i litigi non sono mai mancati – specialmente con me, dato che Thorin tende a parteggiare spesso e volentieri per la figlia minore - ma erano semplici beghe tra fratelli simili a quelle che caratterizzavano Balin e Dwalin molto tempo fa.

Come puoi ben immaginare, la morte del fratello maggiore l'ha segnato profondamente: diretto a Moria con un manipolo di nani per riprendersi la miniera ed esigere vendetta, non poté nulla contro la spietata crudeltà del nemico nettamente superiore alla nostra. Perciò, con infinito dolore tornò indietro cercando conforto dapprima nelle taverne e poi, grazie ai Valar, in Dìs. Oh, non si sono promessi niente, beninteso: solo, l'amicizia di un tempo si è fortificata e si manterrà nel tempo.

Con lei i rapporti sono migliorati, lo confesso: mi è stata accanto – seppur seccamente - durante la prima gravidanza e, col tempo, abbiamo instaurato una sorta di convivenza pacifica: ci parliamo con cortesia evitando ulteriori e inutili litigi, e a entrambe va bene. Dopo sessanta anni, ci riteniamo soddisfatte d'essere ancora in vita e d'abitare sotto lo stesso tetto, anche se ci sono stati svariati episodi in cui una cercava di prevalere sull'altra: specialmente per quanto concerneva l'educazione dei miei figli o l'accettazione di Airi come nuora.

Ebbene sì, Kili è felicemente sposato con la giovane e amabile nana dei Colli Ferrosi, ma ha dovuto lottare accanitamente contro la sua stessa madre per i motivi di cui eri a conoscenza; il loro fidanzamento è durato a lungo poiché Dìs sperava in un impedimento, o che l'amore venisse sopito. Con mia somma gioia, al contrario, esso si è solidificato portandoli a scambiarsi i fermagli davanti a Mahal e all'intera Erebor in una tiepida giornata primaverile; poi, quasi per beffa del destino, è giunto anche troppo rapidamente l'arrivo del loro primo bambino, e dei successivi: erano così buffi, tutti e quattro! Avevano faccette rotondette e simpatiche, e grandi occhi vispi simili a quelli paterni. Si cacciarono nei guai in più di un'occasione, e ancora oggi puoi ritrovarli in un qualche angolo buio a confabulare sottovoce riguardo un piano per noi assurdo ma per loro molto serio. Ogni tanto ricordo con un sorriso la faccia spaventata ed emozionata di mio nipote alla notizia di star per diventare padre e le espressioni stanche eppure gioiose, oltre che esasperate, una volta nati e cresciuti! Bofur, Fili e io l'abbiamo canzonato a lungo e tuttora lo rimembriamo indispettendolo.

Era praticamente certa la loro unione, questo non puoi negarlo, e sono altrettanto sicura che non ti saresti mai aspettato il matrimonio di Fili: seppur breve, è stato capace di renderlo infinitamente felice, e di riempire il cuore di chi gli era accanto. Purtroppo, però, la vita degli umani è molto più breve della nostra. E Aule solo sa quanto la morte di Alhena l'abbia distrutto. Quanto mi abbia distrutta. L'avevo vista crescere ed innamorarsi di Fili combattendo contro i pregiudizi e le perplessità di entrambe le razze, ma con coraggio e testardaggine non vacillò mai coronando il suo sogno. Ebbe il tempo di donargli una splendida bambina e riuscire a crescerla per alcuni anni prima che una febbre contratta in un viaggio a Dale la strappasse alla vita e ai suoi cari.

Rammento ancora i suoi occhi chiari sgranati e tondi durante il primo ingresso a Erebor, ancora bambina; sembrava così piccola e indifesa che desiderai tenerla al sicuro sotto la mia ala protettiva: e così feci, fino alla fine. Persino dopo svariati anni ero suo modello e guida, me lo ripeteva spesso.

La piccola di Alhena e Fili si chiama Karin.

Al momento sta dimostrando di possedere ben più della metà di sangue nanico nelle vene, e mi auguro sarà così anche negli anni a venire, poiché l'amore nei suoi confronti è il medesimo che provo per i miei figli; ma non si può mai sapere ciò che il Fato ritiene d'avere in serbo per noi, mentre gioca con i fili delle nostre sottili vite. Possiamo solo procedere lungo i giorni, i mesi, gli anni, andando a coricarci timorosi dopo aver salutato i nostri cari e tirando numerosi sospiri di sollievo la mattina dopo, rendendoci conto d'essere ancora vivi.

Perdona queste divagazioni, amico mio: sono vecchia. Non sono la stessa nana di una volta.

Siamo cambiati tutti, chi prima e chi dopo. Il tempo, le grandi gioie e dolori, le preoccupazioni varie, non hanno risparmiato nessuno: sciocco colui che credeva il contrario!

Anche tu sarai diverso, immagino, sia d'aspetto che d'animo. Bé, non sono proprio sicura del primo punto: Balin ci raccontò che non eri invecchiato d'un giorno, e ciò mi stupì! Se così fosse stato – e fosse tuttora – è comunque innegabile il mutamento provato nel cuore: anche tu desideri chiudere gli occhi e viaggiare lontano quando tutto il resto sembra così opprimente e buio da sconfortarti? O saresti così coraggioso da raccattare pochi oggetti affettivi caricandoteli in spalla e partire senza voltarti indietro? Saresti disposto a lasciare i tuoi amici, la tua casa e Frodo al suo destino? O, come me, ti imporresti di alzare le palpebre e tornare alla vita scelta tempo addietro?

Ah, come noti mi sto crogiolando in strambi pensieri. Eppure non sembrano così fuori dall'ordinario quando percepisci la stanchezza della vecchiaia – non solo fisica, ma anche mentale.

I pensieri allegri sembrano essere spariti al di sotto di queste brutte notizie; e, a queste, se ne aggiunge un altro non estraneo: vorrei rivederti, Bilbo.

Non avrei mai immaginato di provare una tale nostalgia dei mesi trascorsi a vagare lungo le Terre Selvagge in tua compagnia, eppure è così: mi mancano i tuoi consigli, la tua testardaggine unita a quell'adorabile timidezza quando volevi pormi domande difficili alle quali inizialmente non avrei risposto; mi mancano i tuoi abbracci, capaci di sgretolare le solide mura costruite per non voler soffrire; mi mancano le tue risate spensierate e nervose, e i tuoi occhi sempre vigili e attenti che riuscivano a cogliere molto più di quanto tu stesso avresti pensato; mi manca il suono della tua voce, e le mille inflessioni che ottenevi quando raccontavi qualche storia; mi manca la tua ferrea determinazione che tante volte è riuscita ad infondermi coraggio, o a farmi arrabbiare e maledirti.

Mi manchi, Bilbo. Più di quanto riesca ad esprimere a parole. Più di qualsiasi altra persona conosciuta.

Ricordi questa frase? Spero di sì.

Gli anni potranno aver sbiadito e dissolto alcuni minimi particolari, ma non sono riusciti a cancellare i ricordi più importanti, né tuoi né di altri. E ne sono immensamente lieta, poiché sono dolce conforto, e amara pena.

Rido, perché tante volte ho rimproverato Thorin ed il suo rifugiarsi nel passato; ora, dovrebbe essere lui a redarguirmi. E l'ha fatto, sia chiaro. Ma, sciocca e indisciplinata come in gioventù, tendo a non prestargli attenzione camminando a testa alta lungo la via della ragione, pentendomene ogni qual volta capisco il mio torto e la sua saggezza.

Si deve procedere sempre e comunque, lasciando andare i fantasmi e coloro che, anche marginalmente, hanno segnato la nostra vita. Sono sicura vorrebbero così. Siamo noi che, per paura o altro, li tratteniamo contro la loro volontà.

Oh, no, non parlo di te, mio carissimo hobbit! Non potrei né vorrei mai lasciarti andare via, lontano da me. È un pensiero inconcepibile. Tu dimorerai nel mio cuore insieme alla mia famiglia finché batterà.

Così come Thorin mi completa perché è l'uomo che amo e amerò per sempre, così tu completi l'altra parte di me perché sei l'uomo che, in poco tempo, mi ha capita più degli altri; sei il migliore amico che potessi mai desiderare, una persona estremamente eccezionale a cui auguro il meglio per questo ragguardevole traguardo di vita.

Scusami se questa lettera, inizialmente pensata gioiosa, sia divenuta così malinconica e sconsolata: ma proprio perché sei tu so che comprenderai e perdonerai. Chi meglio di te può farlo?

Che l'augurio più affettuoso di buon compleanno ti sia rinnovato con infinito amore, Bilbo Baggins, anche da parte di quel che resta di quella strampalata e turbolenta Compagnia di Nani che irruppe con così poca cortesia, e senza prima essere stata invitata dal padrone di casa! Voglio rallegrarti nel farti sapere che stanno tutti bene, e che riceverai dei piccoli regali. Doveva trattarsi di una sorpresa, ma non ho resistito poiché sono molto curati e pensati con amore e grande amicizia a ricordo di quella passata.

Auguri sinceri provenienti da coloro che hanno tanto sentito parlare di quel coraggioso scassinatore proveniente dalla Contea grazie a racconti confidati al chiarore di un caminetto acceso, o da pagine di un tomo scritto da un giovane e volenteroso scrivano, curiosamente intitolato “La Quercia e l'Iris”.

Infine ti rinnovo i miei, perché altrimenti mi è impossibile concludere la lettera.

Auguri di tutto cuore, Bilbo. Che il mio abbraccio e il mio bacio possano giungerti attraverso queste parole percorrendo le numerose miglia che ci separano con ugual calore e sentimento, come se ci trovassimo di fronte all'altro. Ah, qual bell'incontro, non è vero? Una volontà che vorrà concretizzarsi presto: e perché non assecondarla? Starà a noi decidere se renderla reale.

Se la vecchiaia non sopraggiungerà troppo presto, le nostre membra potrebbero portarci in un luogo assolato e ridente dove potremmo ritrovarci e confidarci trovando la medesima armonia di un tempo.

Che sciocca, sto piangendo! Ecco, oltre a queste pagine piene d'affetto ti arriveranno anche due lacrime, cadute proprio in questi punti. Thorin mi ha sentita sospirare e si è avvicinato, notando le piccole bolle che hanno rovinato la carta; senza dir nulla mi ha baciato il capo per poi chiedermi di salutarti nuovamente da parte sua, quindi nella tua prossima lettera non azzardarti a scrivere che me ne sono dimenticata, o sarò costretta a bussare sonoramente alla tua porta rotonda!

Purtroppo lo spazio è quasi finito, con mio enorme rammarico devo affrettarmi a concludere; però non voglio porre la mia firma, ho paura. Perché avrà lo stesso significato della parola fine.

Ma è necessario, prima o poi, non è così? E allora dovo dimostrarmi decisa così come mi hai insegnato.

Arrivederci, mio coraggioso hobbit. Mio piccolo eppure grandissimo amico; sei stato e sarai la mia luce quando tutto diventerà oscuro e la speranza sembrerà lontana. Sarai la mia luce quando vorrò ridere e rammentare ogni singolo momento.

Ti ringrazio per tutti i piccoli ma immensi gesti dimostrati: te ne sono riconoscente. So che non li ho mai ricambiati adeguatamente, e me ne pento. L'unico modo per redimermi è questa lettera che, spero, apprezzerai e conserverai a ricordo di questa amica ingrata che, tutto sommato, ti ha voluto e ti vuol bene come non mai, come fossi un fratello.


Abbi cura di te, e saluta nuovamente Frodo.


Tua, per sempre


Karin.




FINE





CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Non posso credere d'averlo scritto. Ho... ho scritto DAVVERO... FINE O.o??? Oh. My. God!

Sconcerto a parte, spero vi sia piaciuto ^^: volevo qualcosa di diverso dai soliti mallopponi di capitoli, quindi ho sfornato questa breve ma intensa – mi auguro - lettera. Perdonatemi, ma le ultime battute dovevano essere di Karin. Volevo darle una voce, mi sembrava corretto: e qual modo migliore se non attraverso una lettera scritta al migliore amico? Spero d'essere riuscita a esprimere tutto o, almeno, qualcosa ;). Non nego sia stato molto difficile, per tanti motivi che non starò qui a elencare.

È la prima long che concludo, e mi sento... strana! Da una parte c'è la tristezza infinita perché questo viaggio è finito: non dovrò più pensare “oddio, che posso scrivere adesso?” “Karin, perché litighi con Thorin? E tu, NANO, perché inveisci contro di lei??? Fate pace come si deve, ORA!” “Sarà credibile come spiegazione o è una buffonata? Piacerà, non piacerà? Mah, boh!!!” XD

Dall'altra, invece, sento un vago sollievo: insomma, per me è un traguardo importante, ventisei capitoli più epilogo (efp dice ventotto) non sono mica noccioline!

Però, la tristezza più grande è lasciare VOI ç___ç! Sul serio, come farò? GRAZIE, GRAZIE DAVVERO! Per ogni cosa, anche la più banale: per ogni parola scritta, per ogni sclero passato, per ogni video/canzone mandata, per ogni consiglio o perplessità che vi ha colte. Per aver creduto in me e nella storia, in Karin e negli altri appartenenti al meraviglioso e stupendo mondo di Tolkien. Grazie per aver pazientato tra un capitolo e l'altro, per aver sbavato con me in certi punti e dato di matto in altri (moooolti altri :P); grazie per aver commentato e grazie a chi non l'ha fatto sostenendomi silenziosamente: siete FANTASTICI, e vi ADORO, dal primo all'ultimo. Siete sempre stati così tanti che ho sempre pensato di non meritarvi ^^.

Vi abbraccio come non ho mai fatto con nessuno, perché siete VOI che lo meritate! E vi ringrazio ancora, sinceramente <3

Spero vogliate seguirmi con la nuova storia che sto progettando! Spero di postare presto il primo capitolo, ma penso che mi concederò un attimo di riposo (si fa per dire, con lo studio -.-...) per raccogliere i cocci del mio cuore frantumato con la fine di questa e rimetterlo insieme per la nuova avventura :). perciò, tenete d'occhio la pagina delle ff, mi raccomando ;)))

Un bacione immenso, ragazze mie (e ragazzi, perché no :) ), ARRIVEDERCI.

Vostra, troppo riconoscente

Anna <3

Ringrazio per l'ultima volta le carissime e specialissime Carmaux, Lady_Daffodil, Neryssa, Yavannah, pamagra, J_ackie, MrsBlack, Krystal91, innamoratahobbit, LilyOok_, LadyDenebola, Lady of the sea. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!



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