La Quercia e l'Iris di Eruanne (/viewuser.php?uid=86788)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei. Prima parte ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisei. Seconda parte ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
La
QUERCIA
e
l'IRIS
CAPITOLO UNO
Casa Baggins quella sera
era più
chiassosa del solito ed il proprietario ne era oltremodo sconcertato:
non solo la sua tranquillità era stata minata, non solo la
sua
dispensa era completamente, totalmente esaurita, ma la sua cucina,
anzi, la sua intera casa era invasa da
nani! Tredici Nani!!! Più
uno stregone incontrato la mattina che conosceva a malapena e gli
aveva segnato la porta con una runa, grazie alla quale i suoi ospiti
avevano riconosciuto l'abitazione dello Hobbit. Davvero, Bilbo
Baggins non sapeva da che parte cominciare per cacciarli, ci aveva
provato da quando il primo (Dwalin, se ricordava bene) aveva varcato
la soglia rotonda, ovviamente senza venire ascoltato da nessuno di
loro; li osservò mentre pendevano dalle labbra dell'ultimo
arrivato,
Thorin Scudodiquercia, loro re: parlava di una missione pericolosa,
di una Montagna da riconquistare, di qualcosa da sconfiggere... era
tutto troppo assurdo per le povere orecchie hobbit di Bilbo, tutto
così surreale! La sua vita, monotona e solitaria fino poche
ore
prima ora stava cambiando, lo sentiva fin nelle ossa.
E non
riusciva a
comprendere se fosse positivo o meno: aveva sempre sognato
l'avventura quando era un giovane hobbit, ma ora era diverso; le mura
della sua casa erano così confortanti e sicure, ogni oggetto
era per
lui una certezza. La sua vita era lì e non l'avrebbe mai
lasciata,
nossignore!
Ad un certo punto, una
frase di Gandalf
il Grigio risvegliò la sua attenzione.
<< Perdonate
l'interruzione
amici, ma credo che dovremmo aspettare l'ultimo ospite, prima di
parlare nel dettaglio della missione >>
"Per tutta l'erba pipa, ancora?"
Tutti lo
guardarono, perplessi, poi Ori
parlò << Un altro? >>
Un fiume di domande invase
la stanza
mentre tutti ponevano interrogativi al mago che, spiazzato, cercava
di rispondere; solo l'intervento di Thorin pose fine al chiasso
creato, urlando ammonimenti nella loro lingua natia. Poi si rivolse
egli stesso allo stregone.
<< Le domande
dei miei fratelli
sono giuste, Gandalf: chi altri deve giungere? Che io sappia sono
solo questi i miei compagni >>
<< Credo
invece si rivelerà
utile anche il nuovo membro >> sghignazzò
<< due braccia
in più poi fanno sempre comodo. Bene, finché
aspettiamo propongo un
altro giro di carne salata, verdure e buon vino: che ne dite?
>>
Bilbo Baggins emise un
basso gemito. L'ennesimo
della serata.
Sbuffò. Di
nuovo.
Era in tremendo ritardo,
cosa che
odiava dal profondo del cuore; e detestava il fatto d'andare in una
casa estranea di un Hobbit di cui non conosceva l'identità,
oltretutto con una fastidiosa compagnia.
Perché quando li
avrebbe rivisti, non sarebbe stato piacevole. Tutt'altro.
Sbuffò ancora
mentre si inerpicava
lungo la stradina sterrata, oltrepassando buffe case ricoperte d'erba
dalla porta rotonda: se fosse stato giorno, un tripudio di colori
avrebbero accompagnato il suo cammino e magari, per qualche minuto,
non avrebbe pensato all'imminente incontro.
Ma il fato, beffardo, aveva
negato
anche questo privilegio; improvvisamente, una lieve luce pallida
attirò la sua attenzione: si avvicinò ad essa e,
con un tuffo al
cuore, riconobbe la runa che lo stregone aveva tracciato in modo che
tutti loro potessero vederla. Giunse nel giardino e, facendo un
profondo respiro per calmare i nervi già a fior di pelle,
bussò,
sentendo provenire dall'interno un gran trambusto e voci concitate.
La porta si aprì
improvvisamente, e fu
proprio lo stregone a riempire il suo campo visivo: si aprì
in
sorriso piuttosto compiaciuto, fiero nell'aver avuto ragione per
l'ennesima volta. Ogni mossa di Gandalf era studiata e programmata e,
chissà perché, tutto corrispondeva al piano che
aveva ideato; come facesse a funzionare ogni ingranaggio di quel
meccanismo era un
bel mistero. Eppure, per questo, non poteva non ammirarlo.
Così, dopo che
egli ebbe fatto un
cenno, entrò in quella casa accogliente e calda che odorava
di buon
cibo e vino ed era rischiarata dalla luce soffusa delle candele; lo
seguì verso una stanza piccola dove, attorno ad un tavolo,
erano
stipati tutti gli altri che, non appena intravidero l'ospite,
assunsero le espressioni più sorprese e sbalordite mai viste
prima.
Solo uno di loro si alzò in piedi così
velocemente da rovesciare lo
sgabello sul quale era seduto, irato.
<< Cosa ci fa
lei qui?
>>
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonsalve
care/i!
Ieri sono andata al cinema a gustarmi “Lo Hobbit”
e, una volta
finito, ero talmente gasatissima che non ho resistito: DOVEVO
scrivere qualcosa in merito, una schifezza, un capitolino, qualsiasi
cosa sul film *___*, per questo è nata questa fan fiction.
In più,
l'ho fatto per essere la prima a scrivere qualcosa su quel gran bel
nano di Thorin ;) ;) heheheheeh, anzi, forse l'ho fatto
principalmente per questo motivo XD XD
E voi?
Che impatto
avete avuto col film? Vi è piaciuto, l'avete contestato
(premetto
che non ho ancora letto il libro, quindi non conosco la storia nel
dettaglio, ho solamente ammirato lo splendido lavoro di Peter
Jackson), insomma, che impressione vi ha dato?
Fatemi
sapere
attraverso le solite, vecchie recensioni, sempre gradite :): mi scuso
per il capitolo scarno di dettagli e breve, ma ho sentito la
necessità di pubblicarlo comunque, non ce la facevo a
rimandare ^^
Vi
dico purtroppo
già da ora che probabilmente non aggiornerò tanto
spesso, sia per
impegni vari della vita ç____ç, sia
perché, anche avendolo visto,
non è che me lo ricordi così bene da scriverci la
storia
completa... e giustamente penserete: ma allora perché
pubblichi
adesso??? diciamo che sarà una specie di
“prologo” per quando la
continuerò :): spero non me ne vogliate a male :( :(
Bene,
con questo è
tutto gente, vi lascio!
Buon
Natale a
tutti e Buon Anno Nuovo (se il mondo non finirà prima ;) ;) )
:* :*
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Premessa:
innanzitutto vi chiedo perdono per il precedente capitolo:
rileggendolo, ho nuovamente capito che
era orrendo! L'ho scritto dopo un'estenuante giornata iniziata alle
sei, proseguita con un esame
e conclusasi con la visione del film, seguita da uno stato allarmante
di euforia e allucinazioni XD!
Bene,
dopo questo vittimismo, vi lascio alla lettura :), ci leggiamo
giù!!!
CAPITOLO
DUE
<<
Cosa ci fa lei
qui?
>> tuonò
Thorin Scudodiquercia, un dito accusatore puntato contro la nuova
arrivata che, nel frattempo, aveva appoggiato l'arco di legno in un
angolo e si era tolta il pesante mantello da viaggio nero, logoro da
numerose intemperie. Sentiva lo sguardo del re bruciare come fuoco,
ma non lo degnò nemmeno di una occhiata, concentrandosi
piuttosto
sull'alta figura dello stregone, che le sorrideva affabile.
<<
Benvenuta! Lascia che ti presenti il padrone di casa, Bilbo Baggins
>>.
Una
figura più
piccola le si parò davanti, dall'aria parecchio sorpresa e
confusa:
probabilmente essere circondato da tutti quegli intrusi non gli
piaceva affatto, ed ora che se ne era aggiunto un altro, era entrato
nel panico più completo.
Per un
attimo
provò una sincera compassione per lui, ma passò
subito; gli tese
comunque una mano, dopotutto era pura cortesia.
<<
Karin,
figlia di Kario >>.
<<
Traditrice del suo popolo >> aggiunse sprezzante Thorin.
Il
proposito della
ragazza di rimanere calma si infranse come un bicchiere di vetro
scagliato a terra; si ritrasse dalla stretta, lanciando un'occhiata
di puro odio verso il Nano.
<<
Non sei
stato interpellato per le presentazioni, Re sotto la Montagna
>>
replicò, adirata come non mai.
Alla
frase, tutti
proruppero in esclamazioni e Dwalin si alzò, sfoderando una
delle
due asce, pronto a dar battaglia a colui che aveva offeso il suo
capo.
<<
Un tuo
ordine Thorin, e la farò pentire amaramente! Maledetta
traditrice >>
ululò il nano più alto di quella stramba
compagnia; i muscoli
parvero guizzare dall'ira, e le cicatrici sugli avambracci sembrarono
animarsi di una forma di vita. Karin si augurò in cuor suo
che
abbaiasse molto ma non mordesse: perché, altrimenti, sarebbe
finita
in guai grossi.
Non
impedì al
proprio corpo di venir scosso da piccoli brividi di paura, sentimento
che aveva giurato anni addietro di non provare più;
notò che Thorin
aveva aperto bocca per impartire un ordine, ma venne preceduto dalla
voce più improbabile di tutte che, inaspettatamente, la
difese.
<<
S...
scusatemi, ma non penso sia questo il modo di rivolgersi ad una
ragazza >> tutti gli sguardi si spostarono su Bilbo, chi
ammirato, chi confuso, chi minaccioso << anche se,
insomma... è
quello che dite che... che sia >> concluse, guardando
Thorin <<
almeno, non in casa mia. Nossignore! >> si
sistemò le bretelle
dei pantaloni, più per il disagio che provava che altro.
I Nani
rimasero in
silenzio, facendo oscillare il capo da un capo all'altro del tavolo,
da Bilbo a Thorin e viceversa; infine, il loro re si chinò a
prendere lo sgabello caduto e si sedette nuovamente, parlando al
Grigio Pellegrino.
<<
Ebbene,
Gandalf? Quale subdolo piano avresti in mente, per aver chiamato qui
l'esiliata? Non è bene accetta, lo sai >>.
<<
Nessun
subdolo piano, mio buon amico; ti assicuro che si rivelerà
molto
utile >>.
<<
Ma
davvero? >> sbottò sarcastico Thorin, gli
occhi azzurri che
scintillavano minacciosi << E come, sentiamo
>>.
Gandalf
fece un
gesto con la mano verso Karin, invitandola a parlare; tredici teste
si voltarono verso di lei, e perfino Thorin posò lo sguardo
sul suo
viso.
<<
Conosco
il punto esatto dell'entrata di Erebor >>.
Un
sottile gelo si
diffuse per la stanza, penetrando nelle ossa dei nuovi arrivati;
Bilbo, invece, osservava la scena incuriosito, facendo fatica a
comprendere. Forse ora avrebbe ricevuto le risposte che attendeva
dall'inizio di quella estenuante serata.
<<
Tu cosa?
>> mormorò l'anziano Balin, stringendo il
bordo del tavolo.
<<
E'
impossibile, ragazza! Quella porta è invisibile
>> esclamò
Gloin parecchio irritato, la faccia dello stesso colore della barba;
almeno Thorin ebbe il buonsenso di tacere, limitandosi solo a
guardarla come se avesse visto un morto risuscitato.
Karin,
invece,
alzò le spalle << Non è stato
difficile, mastro Nano. L'ho
trovata per caso una sera, mentre vagavo da quelle parti: non appena
si è illuminata vi ho posto un segno, così da
riconoscerla in
seguito >>.
<<
Incredibile! >>
<<
Allora è
fatta, benvenuta nella Compagnia! >>
<<
Fili,
Kili, fate silenzio! >> li fermò Thorin; i due
giovani
fratelli invece, continuarono imperterriti, non capendo che stavano
solo peggiorando la situazione.
<<
Oh,
andiamo zio, è meraviglioso! Sarà tutto molto
più semplice se lei
ci farà da guida! >>.
<<
Già, tu
eri fin troppo preoccupato perché non ricordavi dove potesse
essere
l'entrata: questo risolve tutto! >>.
<<
Nessuno è
mai riuscito a trovarla, nemmeno quando ci riprovammo anni addietro!
>> scattò Nori, l'improbabile pettinatura a
stella che
oscillava ad ogni suo movimento del capo << Fatto
inspiegabile,
dico io! >>
<<
E' una
bugia bella e buona: si sa che il sangue di traditore è
marcio >>
approvò Dori, suo fratello maggiore.
<<
Perché
tu l'avresti trovata e noi no? Ti senti speciale, esiliata? Forse le
mie asce ti faranno rinsavire, maledetta... >>.
<<
ORA
BASTA!!! >> l'oscurità calò sui
presenti prima che Karin
potesse replicare; tutti ammutolirono di fronte al potere sprigionato
da Gandalf, che ora si ergeva minaccioso su di loro, incollerito. Li
squadrò truce dall'alto al basso, gesto che li fece sentire
quasi
più piccoli del solito. Quasi. Perché, certo come
il sole che sorge
ad est, i nani non si facevano spaventare così facilmente:
nemmeno
se il soggetto in questione era Gandalf il Grigio.
<<
Voi Nani
e la vostra caparbietà! Ci porterete alla rovina ancor prima
di
iniziare il viaggio; Karin verrà con noi e, quando
giungeremo alla
Montagna, ci condurrà verso il passaggio alle sale
inferiori. Non
importa come o perché sia riuscita a trovare la porta!
>>
<<
Invece
importa >> la voce profonda di Thorin si levò
dal silenzio che
aveva avvolto i suoi compagni << Non puoi chiederci di
fidarci
di lei, Gandalf. Ciò che ha fatto... >>
<<
Questo lo
so, ma le vostre divergenze le risolverete in un altro momento;
lasciate da parte i vecchi rancori, ve lo chiedo per il bene
dell'impresa: altrimenti, non andremo molto lontano se continuerete
ad azzuffarvi. Quando raggiungeremo la Montagna Solitaria, Karin ci
porterà al luogo prescelto: e ora, vogliamo spiegare al
padrone di
casa il perché del suo coinvolgimento? >>
Riluttante,
Thorin
fu costretto ad annuire, ma l'atmosfera grave continuò ad
impregnare
le pareti della stanza; fu con uno sforzo enorme che tutti volsero la
loro attenzione allo Hobbit.
<<
In poche
parole, caro Bilbo, diventerai lo scassinatore della Compagnia
>>.
<<
Sca...
scassinatore? >>
Karin
si chiese se
il suo balbettare fosse per lo sconcerto delle varie notizie, o il
suo vero modo di parlare: probabilmente la prima opzione. Lo vide
aggrottare le sopracciglia, innumerevoli rughe si formarono sulla
fronte mentre cercava di capire in quale guaio lo stessero cacciando.
Si sentiva tremendamente vicina a lui in quel momento: avrebbe
varcato volentieri la porta tonda per andarsene lontano da
lì, ma
aveva promesso a Gandalf che sarebbe rimasta. L'aveva promesso a se
stessa e a suo padre; basta scappare, basta nascondersi. Era il
momento di far vedere a tutti che non era come veniva descritta.
Non
prestò
particolare attenzione alle varie spiegazioni che Gandalf e Thorin
diedero a Bilbo, ma fu quando gli diedero in mano il lungo contratto
che l'attenzione la catturò nuovamente. Lo vide intento a
leggerlo,
la preoccupazione che, palpabile, si faceva strada nei suoi pensieri
e nei gesti.
<<
Incenerimento? >> chiese incredulo, dispiegando meglio la
pergamena; forse era convinto d'aver letto male.
<<
Non...
non respiro, sto per svenire! >> disse, la voce incerta e
tremante.
<<
Oh, sì! Pensa ad una fornace con le ali: un lampo di luce,
fuoco
cocente, e puff!
Poi
sei solo cenere >>
Bilbo perse qualsiasi colore in viso, diventando pallido, troppo
pallido. A Karin suonò come un campanello d'allarme; rimase
col
fiato sospeso finché l'altro non svenne, cadendo sul tappeto
verde
come un sacco di patate. Solo allora tutti quanti scattarono in piedi
cercando di raggiungerlo ma, così facendo, produssero
un'immensa
confusione, al che Gandalf ordinò a tutti di andarsene fuori
a
prendere una boccata d'aria. Dwalin e Nori lo aiutarono ad alzare
Bilbo e a farlo rinvenire mentre la ragazza, sempre sotto consiglio
di Gandalf, armeggiò in cucina per preparargli una tazza di
tè:
cercando di fare meno danni possibili – rischiò,
ad esempio, di
rovesciare una bella tazza blu e gialla, più l'acqua
bollente dal
pentolino – portò a termine la faticosa missione,
consegnando la
bevanda al proprietario che, nel frattempo, si era risvegliato e
sedeva in salotto su una comoda poltrona.
Non appena la sentì arrivare, la seguì con occhi
guardinghi in ogni
suo gesto, finché non fu lei a rompere il silenzio.
<< Il tuo sguardo non ha smesso di seguirmi da quando ho
varcato la tua soglia, Bilbo Baggins; sento che hai molte domande da
pormi >>.
<< Ecco, io... >> rimase spiazzato, non
sapendo come
continuare, forse in imbarazzo per essere stato colto n flagrante
<<
Bé, tu... sei come loro, vero? >>.
<< Certo, sono un nano >> rispose, come se
fosse la cosa
più ovvia del mondo.
<< Ma, ecco, avevo sentito che le donne dei nani
somigliavano a
loro nell'aspetto >>.
Karin scoppiò in una breve risata amara, annuendo
<< Eccome,
signor Baggins. Ma devi sapere che nelle mie vene scorre sangue di
Hobbit, da parte di madre; per questa ragione non mi sono mai
cresciuti i baffi o la barba. Soddisfatto ora? >>.
Bilbo
l'osservò
attentamente, cercando di scorgere in quegli occhi neri tutta la
sofferenza che celavano; e, di colpo, la sua mente formulò
talmente
tante domande da sconvolgerlo: da quanto tempo non si sentiva
così
interessato a qualcuno? Si era limitato a stare il più
possibile in
disparte, lasciando che quelle quattro mura l'avvolgessero come una
calda e soffice coperta, in un lieve torpore che si era frantumato
con l'arrivo dei nani. E quello di Karin.
<<
Permettimi di porti un'ultima domanda. Cosa è accaduto di
così
grave tra te e gli altri? Ti chiamano esiliata, traditrice, e
chissà
in quali altri termini! >>.
Di
nuovo, la
ragazza si strinse nelle spalle, evasiva. << Sono
esiliata, è
vero, ma traditrice... quello no, mai! >> posò
lo sguardo sul
fuoco, che scoppiettava quieto dinanzi a loro << Sono qui
unicamente per uno scopo, ovvero ristabilire il nome del mio clan:
per farlo, sono anche disposta a morire. Ma non è ancora
giunto il
momento delle spiegazioni. Per ora, ti basti sapere questo
>>
mormorò, tornando a rivolgersi a lui: occhi grigi curiosi ma
rispettosi in quelli neri, profondi e tormentati.
<<
Voi tutti
avete uno scopo, una missione. E io? Che ruolo ho? >>
chiese
sconsolato, le dita che reggevano la tazza.
<<
Io credo
che lo scoprirai solo se verrai con noi; in te c'è molto
più di
quel che sembra, Bilbo. Devi solo avere più fiducia nelle
tue
capacità; però sappi che la strada da percorrere
sarà tutt'altro
che semplice, irta di insidie e pericoli, sia dentro che fuori la
Compagnia. Non ti biasimerò se non te la sentirai
>>.
<<
Dentro...
la Compagnia? >>.
Karin
fece per
rispondere, ma il loro contatto visivo venne interrotto dall'arrivo
dello stregone, giunto ad assicurarsi sulla salute dell'amico.
<<
Con
permesso >> la ragazza si congedò dai due,
lasciandoli soli a
parlare; si allacciò il mantello ma, non appena
posò la mano sul
pomello della porta, la voce di Bilbo la raggiunse.
<<
Grazie,
Karin >>.
Si
voltò,
vedendogli sulle labbra un sorriso tirato, ma riconoscente;
accennò
un mezzo sorriso anche lei, aprendo la porta ed uscendo nella lieve
brezza notturna.
Doveva
distendere i nervi a fior di pelle, doveva calmarsi per ritrovare il
suo autocontrollo e la sua freddezza, messe a dura prova dagli eventi
della serata: da una tasca interna del mantello estrasse la lunga
pipa di legno; da un'altra, tirò fuori l'erba pipa. Poco
dopo stava
beatamente fumando, seduta sulla panchina; le lunghe boccate
producevano piccole nuvolette che si disperdevano nell'aria: lei le
seguiva con lo sguardo finché non sparivano, mentre la mente
si
perdeva nei meandri dei suoi contorti pensieri. Bilbo si sentiva
fuori luogo? E lei, lei
cosa avrebbe dovuto dire? Certo, aveva saputo fin dall'inizio, da
quando Gandalf le si era presentato là nel bosco, che quella
sarebbe stata tutt'altro che una passeggiata: troppi pregiudizi
aleggiavano tra i nani, lei compresa. Si sentiva come un orchetto
esposto al sole. Tremendamente fuori luogo.
Scosse la testa,
aspirando un'altra boccata che la fece ragionare meglio: era
lì per
un buon motivo, l'aveva spiegato a Bilbo; doveva solo concentrarsi su
quello e basta. Poco importava se l'avessero ignorata, se non le
avessero rivolto la parola lungo le leghe che dovevano percorrere, o
se si fossero dimostrati sospettosi ed indifferenti. Lei li avrebbe
lasciati fare, i loro sguardi dovevano scivolare come acqua sulla sua
pelle.
Sì,
decise.
Avrebbe adottato questa strategia...
<<
Disturbiamo? >>.
Una
giovane voce
la scosse dai pensieri da reietta, trovandosi accanto due nani: anzi,
tre. Uno era semi-nascosto dietro gli altri. Erano i due che avevano
cercato di convincere Thorin a includerla nel gruppo: Fili e Kili, se
non ricordava male. Ma, chi dei due era uno o l'altro, proprio non
l'avrebbe saputo dire; in più, non conosceva nemmeno
l'identità del
terzo, un altro giovane dall'aria timida ed insicura.
Aspettavano
una
risposta alla domanda, se ne rese conto solo dopo che si
ritrovò tre
paia d'occhi perplessi, in attesa.
<<
Dipende
da cosa volete >>.
La
risposta non
piacque granché, ma i tre rimasero lì,
imperterriti. Quello dai
capelli lunghi e neri si sedette al suo fianco, senza aspettare un
invito; anche se percepì le occhiate malevole di Karin, non
lo diede
a vedere. Tirò fuori la pipa e, dopo averla accesa, si
stravaccò
maggiormente, esalando brevi nuvolette.
<<
Volevamo
solo condividere un po' di tabacco con te, nient'altro >>
insistette, abbozzando un breve sorriso.
<<
Ma forse
non voglio condividere >> replicò ostinata
Karin. D'accordo,
forse non era il modo esatto di procedere, si rimproverò;
erano suoi
compagni adesso e doveva cercare, perlomeno, di non attaccar briga
con loro. Eppure si rivelava così complicato! Non era certo
abituata
ad avere tutta quella gente attorno, o che si interessava a lei ed ai
suoi gesti. Per un attimo, rimpianse la quiete dei boschi dove aveva
vissuto in solitaria, in tutti quegli anni di esilio.
<<
Invece dovresti, se non vuoi isolarti già prima di partire
>>
l'attaccò il nano dalla chioma e barba bionda: anche alla
luce della
luna vide i suoi occhi azzurri brillare; così familiari da
farle
male... e d'improvviso ricordò l'appellativo che quei due
avevano
dato a Thorin: zio.
Ebbe una voglia matta di scappare a gambe levate, magari fendendo
qualcosa lungo il cammino: le sue dita sfiorarono delicatamente
l'elsa intarsiata della sua lunga spada, dalla quale non si separava
mai, cercando una qualche forma di forza, di coraggio o,
perché no,
di tranquillità.
Si impose di non far trapelare l'acidità nella parole
<<
Credevo d'essere già una reietta ancor prima di partire,
mastro
Nano. E perdonatemi, ma non conosco ancora i vostri nomi; dettaglio
che non mi sembra equo, visto che voi conoscete il mio
>>.
Quello sedutole accanto rise, gettando indietro il capo
<< Hai
ragione, perdonaci, ma le circostanze di prima non ce l'hanno
permesso. Io sono Kili, lui è mio fratello Fili
>> l'altro
chinò brevemente il capo << e quello dietro di
lui è Ori,
fratello di Dori e Nori, nonché il più giovane
della Compagnia. >>.
La
ragazza lo squadrò, pensando che doveva trattarsi di uno
scherzo:
quello probabilmente non sapeva nemmeno da che parte era l'ovest,
figuriamoci intraprendere un viaggio rischioso che avrebbe comportato
la loro morte. A differenza degli altri, che indossavano le loro
vesti da battaglia fatte di cuoio e metallo, portava un maglia di
lana sopra dei pantaloni, e dei guantini leggeri; alla cintura,
là
dove tutti appendevano la loro spada, o ascia, lui portava una
piccola fionda. E fu proprio questo a stupirla maggiormente: davvero
credeva di cavarsela con quella?
Un solo aggettivo gli calzava a pennello, concluse Karin: inesperto.
Non sarebbe sopravvissuto a lungo.
Alla luce proveniente dall'interno dell'abitazione lo vide arrossire,
forse intuendo i suoi pensieri: almeno non era stupido; o forse lo
era stato abbastanza da offrirsi volontario.
Aspirò un'altra boccata di fumo rendendosi conto che, in
realtà,
non vi era più tabacco; imprecò silenziosamente e
la ripulì, per
poi riporla nella tasca. Si avvolse un po' più nel mantello
quando
una folata d'aria le penetrò attraverso i vestiti pesanti,
adatti al
viaggio.
<< Non sei molto loquace, vero? >> chiese
Kili, sedutosi
troppo vicino.
<< Tu lo sei per entrambi, giovane principe
>>
all'appellativo, quello sgranò un attimo gli occhi per poi
ridurli a
fessure, inaspettatamente sospettoso.
Karin
si sorprese a spiegare, prima che la situazione degenerasse
<<
Prima avete chiamato Thorin zio;
non
posseggo poteri magici, se è questo che temete
>>.
<< Non lo pensavo. Ma mi stupisce il fatto che mi hai
chiamato
“giovane”: eppure, non mi sembri anziana come
Balin, o Dori >>.
Stavolta fu il turno di Karin di sorridere: sollevò appena
un angolo
delle labbra, ma fu sufficiente per Kili.
<< Mai sentito il detto “non giudicare un libro
dalla
copertina”? E' esattamente ciò che dovete fare,
l''aspetto può
ingannare: per me siete certamente più giovani
>>.
<< Allora quanti... >>.
<< Giovanotti, siete pregati di rientrare; lo hobbit ha
deciso
>> Balin interruppe la domanda di Fili, e permise a Karin
di
evitare di rispondere a domande a dir poco scomode.
Il vecchio Nano le lanciò una breve ma penetrante occhiata,
però
non si premurò di accertarsi se lo stesse seguendo o meno,
così
Karin optò per rimanere lì fuori un altro po', da
sola; lasciò la
porta di Vicolo Cieco semi aperta e, dalla confusione che ne
seguì,
dedusse che Bilbo aveva negato il suo aiuto. Una parte di sé
si
sentì tremendamente dispiaciuta e triste: aveva accettato il
fatto
che sarebbe partita in compagnia di nani che la odiavano, ma la
tortura le era sembrata meno pesante sapendo che un volto meno ostile
di altri sarebbe stato al suo fianco: ancora una volta,
però, si
ritrovò sola. Sospirò forte, cercando di captare
urla, rimproveri o
furiose frasi ostinate: invece, le sue orecchie si scontrarono col
silenzio che regnava nella casa; incuriosita si alzò e,
senza fare
il minimo rumore, si affacciò alla porta per spiare
all'interno.
Riconobbe l'ampio mantello di pelliccia di Thorin, i lunghi ed
ordinati capelli ondulati che gli ricadevano oltre le spalle; era
appoggiato al caminetto della sala, mentre tutti gli altri erano
attorno a lui, in piedi.
Dal silenzio emerse una melodia cantata a bocca chiusa; poi la sua
voce, profonda e calda, riempì la stanza, diffondendosi
nell'aria
come profumo.
Lontano
su
Nebbiosi
Monti gelati
in
antri oscuri
e
desolati.
Partir
dobbiamo
l'alba
scordiamo
per
ritrovare
gli
ori incantati.
Karin
trattenne il fiato, riconoscendo la canzone dalle primissime note:
sentì una forte stretta al petto, come se qualche mano
invisibile si
fosse serrata attorno al cuore; quelle parole sapevano di qualcosa
dimenticato da tempo, di nostalgia per una cosa perduta. Sapevano di
casa,
di
famiglia.
Sentì
un gran bisogno di piangere, mentre la mente le giocava il pessimo
scherzo di farle rivedere i luoghi che aveva calcato da piccola
all'interno di Erebor: piazze, strade e vicoletti, palazzi colmi
d'oro, scuderie, armerie... e poi nani che passeggiavano, lavoravano,
bambini che correvano ed urlavano. Tutto ciò era morto con
la città,
inghiottito dal terrore del drago Smaug.
Ben presto, Thorin non fu solo; a lui si aggiunsero gli altri,
intonando l'ultima strofa che ricordava loro le medesime sensazioni.
Ruggenti
pini
sulle
vette
dei
venti il pianto
nella
notte
il
fuoco ardeva
fiamme
spargeva
alberi
accesi
torce
di luce.
La
canzone terminò,
ma non la tristezza. Karin si ritrasse rapidamente, tornando
nell'abbraccio dell'amica oscurità; lontana da sguardi
indiscreti si
asciugò le lacrime che, beffarde, erano sfuggite alle
ciglia,
formando un piccolo solco sulle guance rosate. Sbatté
più volte le
palpebre per ricacciarne altre: respirò a fondo, cercando
contemporaneamente di darsi una calmata e di ascoltare le istruzioni
del re per la partenza del mattino successivo.
<< Partiremo all'alba di domani, amici miei. Cercate di
riposare il più possibile; Gandalf ci mostrerà il
nostro alloggio
>>.
Seguì un gran trambusto, segno che tutti stavano
raccogliendo le
proprie cianfrusaglie: siccome non voleva mostrarsi in quello stato
penoso, decise di aspettare lì fuori; forse, col favore
delle
tenebre, nessuno avrebbe notato i segni del pianto.
Come previsto gli altri uscirono, scuri in volto; la guardarono di
sfuggita, poi si dileguarono lungo un sentiero che conduceva in
basso, verso una piccola locanda. Non appena l'ultimo, Ori,
sparì
alla sua vista, entrò in casa cercando il suo arco; lo
trovò dove
l'aveva lasciato, addossato alla parete della piccola cucina. Diede
una rapida occhiata attorno, notando la pulizia e l'ordine che,
nuovamente, regnavano sovrani, come se nulla fosse accaduto: era
davvero una bella dimora, adatta a chi amava la propria vita e non
l'avrebbe cambiata per tutto l'oro del mondo; Karin avrebbe voluto
possedere più sangue Hobbit nelle vene, in modo da condurre
una
simile vita.
Assicurò l'arco alla schiena, raccolse la faretra e se la
issò in
spalla; raggiunse la sala a grandi e pesanti falcate, tipiche del
modo di camminare dei nani, ma si bloccò quando i suoi occhi
si
posarono sul lungo contratto scritto da Thorin e controfirmato da
Balin; con un nodo in gola, vide che il posto per la firma di Bilbo
era immacolato, vuoto. Sospirò di nuovo, sfiorandolo con le
dita:
era veramente così che doveva finire?
Si sentiva in colpa: era stata lei a metterlo in guardia su
ciò che
lo aspettava, a dirgli che non l'avrebbe biasimato se avesse
rifiutato e che anche lei, forse, avrebbe lasciato quella Compagnia
al suo destino; quindi, quando lui l'aveva ringraziata, aveva
già
deciso in cuor suo di non prenderne parte?
Si passò una mano tra i capelli, arruffando ancora di
più la lunga
e disordinata massa nera, domabile solo grazie a treccine sparse per
la chioma.
Possibile che combinasse sempre e solo pasticci? Non avrebbe mai
imparato a stare al suo posto e con la bocca chiusa! Ed ora gli altri
avrebbero avuto un ulteriore motivo per detestarla.
<< Verrà, non temere >>.
Per poco non gridò di paura, ma la mano sinistra corse
veloce al
fodero, sguainando la spada che portava al fianco; solo quando fu in
posizione di difesa che riconobbe Gandalf, entrato senza che lei lo
sentisse. Camminò verso di lei, le mani intrecciate dietro
la
schiena ed il solito sorriso sardonico sempre sulle labbra;
l'osservò
per lunghi attimi, con quegli occhi azzurri che sapevano scavarti
dentro, fino a leggerti l'anima. E Karin, in cuor suo, ne ebbe
timore.
<< Quel contratto verrà firmato molto presto
>>
insistette, ormai vicino.
<< Ne sei così convinto? >>
quasi senza accorgersene si
ritrovò di nuovo a sfiorare quella carta ingiallita, e quei
caratteri vergati dalle mani di coloro che, un tempo, facevano parte
del suo mondo. << Oh, lo spero! Ma, di solito, le mie
convinzioni si rivelano sempre esatte! >>.
Sorrise, contagiando anche Karin, che annuì.
<< Ed ora, se vuoi seguirmi, c'è un letto
comodo che ti
aspetta. E non voglio sentire scuse >> si
affrettò a fermarla,
vedendo che aveva aperto bocca per replicare << Se domani
ti
sveglierai in ritardo, Thorin non ne sarà molto contento
>>.
Lei sbuffò, disprezzando anche solo l'idea di una sfuriata
alle
prime luci del giorno. Lasciarono Vicolo Cieco alle spalle, seguendo
la medesima stradina che gli altri avevano percorso, sorpassando
altri tumuli verdi – ovvero abitazioni hobbit –
finché non
giunsero ad una piccola locanda, quasi in fondo alla valle; lo
stregone si arrestò dinanzi alla porta, le mani appoggiate
al
bastone, quasi come se il peso degli anni gravasse improvvisamente
sulle spalle. Eppure, quando parlò, Karin non
percepì alcuna
stanchezza.
<< Allora buonanotte, signora dei nani. Il riposo
sarà breve,
ma ci aspetta una grande avventura che, spero, gioverà a
molti >>.
<<
Se
avremo successo >> replicò lei.
<<
Oh, anche se non andrà come previsto. Confido che non
troveremo
soltanto un tesoro materiale,
alla fine del viaggio >>.
Si toccò il cappello in segno di saluto e si
avviò, zoppicante,
verso una stradina opposta; per lunghi secondi fu tentata di seguirlo
per chiedergli spiegazioni su quelle enigmatiche parole, ma
rinunciò.
La frase dello stregone le tornò alla mente, convincendosi
che, per
il suo bene, doveva proprio seguirne il consiglio.
“Se
domani ti sveglierai in ritardo, Thorin non ne sarà molto
contento”
<< L'avevo detto, io, che venire qui sarebbe stata una
perdita
di tempo! >>.
<< Non credevo che gli Hobbit fossero così...
così... >>.
<<
Menefreghisti,
Ori? >>.
<< Bé, perché avrebbe dovuto
aiutarci, se nemmeno ci conosce?
>> constatò Bombur, tornando ad occuparsi di
una abbondante
fetta di pane nero.
<< Gandalf ci aveva promesso che sarebbe stato dei
nostri; e se
l'ha detto dobbiamo fidarci >>.
<< Perché non scommettiamo, allora? Dai, Dori!
Tu che ne dici?
>>.
Iniziò un lungo ciarlare che li coinvolse tutti, chi puntava
a
favore o meno dell'arrivo di Bilbo entro il mattino successivo. La
confusione che permeava la piccola camera della locanda, dove
avrebbero dormito, permise a due nani di sgattaiolare in corridoio,
lontani da occhi e orecchie indiscreti.
<< Cosa ne pensi, ragazzo? >> chiese in
nano più
anziano, lisciandosi la lunga barba bianca.
L'altro sospirò stancamente, l'immancabile ruga al centro
della
fronte che valeva più di mille parole; anche dopo essersi
tolto il
pesante mantello ed essere rimasto con la lunga camicia blu a
coprirgli le brache, la sua figura era imponente ed incuteva timore e
rispetto.
Per quanto Balin ci provasse, gli risultava ancora difficile credere
che quel bambino, poi divenuto giovane ragazzo, avesse potuto
diventare re così presto, affrontare due importanti
battaglie che
gli avevano tolto tutto e, con le quali, dover fare i conti ogni
giorno, ogni notte; lo sapeva per certo, il vecchio nano: nemmeno nei
sogni Thorin Scudodiquercia era libero, al riparo dal rancore e dal
rimorso.
<< Penso che questa missione sia partita sotto i
più cattivi
auspici, amico mio: mi chiedo... >> si fermò,
non sapendo bene
con quali parole continuare.
<< …Se sia il caso di procedere? Thorin, i
segni sono
presenti: gli uccelli stanno tornando alla Montagna, come predetto.
Non dobbiamo aspettare oltre, lo sai bene anche tu >>.
Il re annuì, ma il suo sguardo era tutt'altro che convinto,
perso in
pensieri sconosciuti a molti, ma intuibili a Balin; o, almeno, per la
maggior parte delle volte. Ma, per sicurezza, decise di affrontare
l'argomento con calma, un passo alla volta.
<< Non angustiarti per lo hobbit: se non mi avessi fatto
un
cenno e portato qui, avrei scommesso a suo favore, sai?
>> fece
un mezzo sorriso, ma ciò non distese i nervi dell'altro,
anzi. Fece
un suono sprezzante, a metà tra lo scettico e il disperato.
<< Aveva ragione Dwalin: è stata una perdita
di tempo venir
qui. E' stata una follia credere in un suo aiuto; ma, anche
senza di lui, dobbiamo procedere. No, non è della sua
presenza che
mi preoccupo, no >>.
Ecco il nervo scoperto, il tasto dolente: proprio come Balin aveva
immaginato; non era il pensiero del mancato scassinatore a
tormentarlo.
“Aaah,
benedetto ragazzo”
<< Thorin >> venne fermato con una mano
alzata ed uno
sguardo truce. Vederlo in quello stato non giovava nemmeno a lui, a
conti fatti: dopotutto, era come un figlio. Ed i padri si
angustiavano sempre nel non saperli tranquilli e felici.
<<
No, Balin. Non voglio parlarne >> fu la sua secca
risposta; e
per quanto l'anziano nano avesse insistito, non sarebbe stato
ascoltato. L'orgoglio del suo re era più potente della
ragione, che
faticava a prevalere: perché, se avesse anche solo provato a
pensare,
Thorin
avrebbe capito;
invece la cocciutaggine e la rabbia lo rendevano cieco.
<< Andiamo, è giunto il momento di riposare
>> tornò
nella stanza dove ora regnava il silenzio, senza aspettare una sua
risposta; Balin sospirò forte, scuotendo la testa: per il
momento
avrebbe lasciato perdere inutili ramanzine, ma sperava in cuor suo
che quel viaggio portasse anche altre vittorie, oltre a quella
dell'orgoglio perduto dei Nani.
L'alba giunse troppo presto, e continui sbadigli sorpresero Karin
mentre si sciacquava il viso con acqua fredda e, successivamente, si
allacciava la spada al fianco; prima, però, la
sfilò dal fodero,
esaminandola nel cercare nuovi graffi sulla lama. La luce del giorno
si infranse su di essa, mandando bagliori accecanti lungo le pareti:
la mano saggiò meglio l'elsa intarsiata e lavorata, che dava
il nome
alla spada, appartenuta al suo clan da generazioni... e che ora
spettava a lei farle compiere grandi imprese. Finora aveva fallito,
ma era piuttosto certa che il viaggio che stava per compiere
l'avrebbe ripagata dell'attesa: si sarebbe riscattata, ed avrebbe
ottenuto quella pace che agognava da tempo, troppo tempo.
La ripose al suo posto, smettendo di perdersi in inutili pensieri;
diede un rapido ed ultimo sguardo alla stanza, percorrendo il profilo
del semplice letto in legno, della cassapanca addossata al muro e del
davanzale, su cui era posto un vaso di profumati fiori lilla e
gialli: perfetto, non aveva dimenticato nulla. Si sistemò
meglio il
fagotto sulla spalla e chiuse la porta, scendendo di sotto;
ringraziò
il locandiere con un cenno ed una moneta, uscendo poi nella tiepida
aria della Contea. Fuori, un tripudio di colori e profumi l'invasero,
lasciandola sbalordita: era tutto così meravigliosamente
verde, e
bello, che le dispiacque non aver passato più tempo in quel
piccolo
villaggio; ma la sua anima reclamava anche il paesaggio selvaggio ed
aspro delle montagne, di casa. << Buongiorno!
>> il volto
sorridente di Kili la distolse nuovamente dal passato <<
Vieni,
ti mostriamo il tuo pony >>
<< Pony? >> chiese, incredula.
<< Certo >> le rispose Bofur, sistemandosi
meglio il
cappello sul capo << Cosa credevi, che ci saremmo fatti
tutta
la strada a piedi? >> rise, come se quell'idea fosse la
più
divertente mai sentita; Karin, invece, non la pensava allo stesso
modo.
<< Perché no: io l'ho fatto, e sono ancora
viva e vegeta >>.
I due la guardarono stupiti e perplessi, non sapendo se fosse la
verità o una battuta; la ragazza decise di lasciar perdere,
convenendo che era meglio non iniziare discussioni inutili di prima
mattina.
Con un gesto li invitò a passarle davanti, per mostrarle
quei
benedetti pony: la portarono sul retro della locanda dove, in un
recinto piuttosto spazioso, stavano tre bestie. Kili aprì il
cancelletto di legno indicandole il pony, una femmina dal manto
interamente bianco, mansueta e tranquilla: Karin le si
avvicinò,
accarezzandola dolcemente; quella nitrì apprezzando il gesto
e
facendo sorridere la sua nuova padrona. Dalla sacca tirò
fuori una
mela rossa e gliela porse, guardandola mentre la divorava con
voracità: sì, le piaceva, ammise; e sarebbe stata
una buona
compagna per il viaggio.
<< Grazie, ragazzi >>.
I nani chinarono il capo in risposta, finendo di allacciare le ultime
sacche di provviste, dopodiché trascinarono i propri
destrieri fuori
da lì, dove gli altri li stavano aspettando; Karin li
seguì,
rispondendo ai diversi saluti che le rivolsero gli altri membri. O,
almeno, una parte: alcuni faticavano a gradire la sua presenza in
mezzo a loro.
Senza una parola si issò sulla sella, sistemandosi meglio.
Quando
tutti furono immobili e pronti, Thorin fece passare il proprio
sguardo su tutti loro, Gandalf compreso, come a cercare un qualche
appoggio, una qualche sicurezza... o un loro timore.
Non pronunciò nessun discorso, non ve n'era bisogno: tutti
sapevano
a cosa stavano andando incontro, quali erano i rischi ed i pericoli,
ma erano pronti; andavano a riconquistare la loro patria, non c'era
niente di più nobile di questo, i loro cuori erano per la
loro casa.
Erano per Erebor: e difficilmente si sarebbero scoraggiati o
avrebbero perso lo scopo del loro viaggio.
Il re girò il suo pony, conducendolo lungo le vie di
Hobbiton,
seguito dagli altri.
Karin non si voltò indietro, ma tenne lo sguardo fisso
davanti a sé,
il cuore un po' appesantito ed un po' sollevato, non seppe spiegarsi
bene il perché; rimase in silenzio mentre lasciavano la
città e
s'inoltravano nella grande radura costeggiata da immensi e vecchi
alberi, pensando con rammarico a quella sorta di figura amica che
avrebbe potuto allietarle il viaggio e confortarla quando tutto le
sembrava perso. Chissà, forse Gandalf tendeva a
sopravvalutarsi un
po' troppo, se credeva che le sue convinzioni risultassero sempre
giuste e positive...
<< Aspettate! >>.
<< Aspettate! >>.
<<
Aspettate!
>>.
Una voce conosciuta la fece arrestare, e così fecero anche
gli
altri; si girò veloce sulla sella, stentando a credere ai
propri
occhi: Bilbo Baggins si era appena fermato accanto al pony di Balin,
stremato dalla lunga corsa; riprese fiato e si deterse il sudore
dalla fronte mentre, con una mano, porgeva il contratto all'anziano
nano, affermando d'averlo firmato. Non appena Balin verificò
l'autenticità della firma – gesto che comunque
Karin trovò
divertente – annunciò che era il benvenuto nella
Compagnia di
Thorin Scudodiquercia; seguirono applausi e fischi di benvenuto,
interrotti dal re.
<< Dategli un pony >>.
Bilbo provò ad opporsi, non avendo mai cavalcato prima
d'ora, ma
Kili e Fili – con un'abile mossa – lo issarono su;
Karin riuscì
ad intercettare lo sguardo dello hobbit che, con sua enorme sorpresa,
rimase basito: lei gli sorrise, un sorriso caldo e sincero.
E allora seppe d'aver compiuto la scelta giusta.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buona
domenica care/i!
Eccomi qui con il secondo capitolo: stavolta più lungo e,
spero, più
gradito del precedente ^^
A
titolo informativo, sappiate che ieri mi sono rivista
lo Hobbit, per la seconda volta: ed è stata la mia prima
volta che
ho fatto un bis per un film!!! Destino, follia, scelleratezza, voglia
di spendere altri euro per il cinema? Un po' di tutte queste cose
insieme, hahahah :D
Dunque,
qui
succedono tante cose, ma non succede nulla: nel senso che vi sono
tuuutti i preparativi per il viaggio ma, pian piano, si scopre
qualcosa su Karin; che ne pensate del nome? Mi sono scervellata un
sacco, perché non sapevo che cavolo di nome dare ud una
ragazza-nano
O.o! Accidenti, già è difficile per gli elfi,
figuriamoci per i
Nani ç____ç, un vero parto! Comunque, ormai
è fatta! Si tiene
questo, la ragazza ;P
Anche sul suo
passato si scopre qualcosina, una piccola cortina nella nebbia della
sua vita – perdonate la metafora, ma in questi giorni la
nebbia
padana c'è stata eccome! Più che altro, spero
d'essere riuscita a
rendere il “dualismo” di lei: da una parte la
reticenza a partire
con coloro che le hanno voltato le spalle, dall'altra il bisogno di
reintegrare il suo onore e quello del clan, inoltre, spero non prenda
la piega alla “Mary Sue”, mio peggiore incubo! Nel
caso ve ne
accorgeste, per favore DITEMELO, prima che sia troppo tardi, eh!?! ;)
;)
Bene,
come sempre
vi esorto a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate!
Ringrazio
tantissimo le persone che l'hanno inserita nelle liste delle storie
preferite, seguite e ricordate (scusate se non vi elenco
ç___ç ) e
un grazie di cuore a chi ha recensito: Dance, Lady of the
sea,
ila96, Shizue Asahi, g21, nini superga e _Lucrezia97_
Un
bacione a
tutti, buon 2013 a chi non l'ho ancora augurato e... alla prossima XD
XD
Eru :*
:*
P.S.
Altro titolo
informativo che magari non vi interesserà: ho comprato il
libro de
“lo Hobbit”!!! yeeeeeeh! XD XD XD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
CAPITOLO TRE
<< La mia schiena hobbit non è propriamente
adatta a lunghe
cavalcate, e nemmeno le mie povere gambe! >> si
lamentò Bilbo,
il pony accanto a quello bianco di Karin: la ragazza alzò
gli occhi
al cielo, la lingua che, maligna, decise di agire per conto suo.
<< E' da parecchie ore che ti lamenti: perché
non... >>.
<< Perché non ci fermiamo? Cavalchiamo da
molto, ed il sole ha
da tempo passato il mezzogiorno: non so voi, ma sento un certo
appetito >> propose Gandalf, interrompendola prima che
potesse
terminare; forse aveva intuito ciò che Karin avrebbe voluto
dire a
Bilbo, frasi tutt'altro che amichevoli. Per un attimo si
vergognò,
dandosi dell'ingrata: dopotutto, lui l'aveva difesa quando gli altri
l'avevano attaccata come se fosse un mannaro rabbioso...
però
sentirlo lamentarsi continuamente avrebbe mandato fuori di testa
chiunque! Certo, si sentiva stanca ed indolenzita dovunque,
dall'interno coscia ai glutei, e per tutta la lunghezza della colonna
vertebrale, ma diamine! Non aveva aperto bocca per far uscire un solo
gemito strozzato, lei!
<< Karin? >>.
Al sentir pronunciare il suo nome si destò, incrociando lo
sguardo
di Gandalf, in piedi accanto al pony; dando una rapida occhiata alle
sue spalle, vide che tutti erano smontati dalle selle scomode e si
stiracchiavano, esausti: mancava solo lei, lì imbambolata a
fissare
un punto indefinito verso l'orizzonte, fumante di rabbia e fastidio
verso chi era troppo petulante.
Scese velocemente, evitando nel contempo di osservare le espressioni
degli altri membri, certa del loro divertimento: una traditrice con
la testa tra le nuvole non avrebbe fatto molta strada, si
rimproverò.
Per gli dei, aveva assolutamente bisogno di fumare! Forse dopo
sarebbe stata più lucida ed avrebbe smesso di pensare a cose
assurde; si scelse un angolino accanto a Bofur e, poco dopo, aspirava
la sua prima boccata, in estasi. Socchiuse gli occhi ed
appoggiò la
schiena alla roccia, sentendo i muscoli delle gambe invocare meno
pietà rispetto alle ore passate in sella, il sole caldo che
le
scaldava la pelle.
<< Anche tu avevi scommesso sul mio arrivo?
>> le chiese
Bilbo, ritrovando il suo vecchio spirito gioviale, sedendosi accanto
e fumando.
<< No, per la verità nemmeno sapevo della sua
esistenza; l'ho
scoperto prima, come te >>.
<< Ma che avresti detto? >>.
Scese un breve silenzio, nel quale Karin decise la risposta; nel
frattempo, Thorin aveva dato istruzioni agli altri, chiedendo ad Oin
e Gloin di occuparsi del fuoco, essendo i più bravi della
compagnia:
a Bifur e Bombur, invece, diede ordine di preparare qualcosa di
commestibile e, per ultimi, a Kili e Fili di occuparsi dei pony. I
restanti nani si sedettero, oppure tirarono fuori dalle bisacce le
loro scodelle e posate, parlando allegramente di questo o quello;
buffo come il pensiero di mettere qualcosa sotto i denti migliorasse
l'umore di tutti. Anche Karin si sentiva meno depressa o scocciata di
prima e, dopo un'altra aspirata di fumo, si sentì ancora
meglio.
<< Forse saresti tornato, forse no. Chissà
>>.
Sul fuoco, ora acceso, avevano posizionato una pentola di rame, dalla
quale si propagò un odorino delizioso di carne che fece
venire
l'acquolina in bocca.
Lo vide aggrottare ulteriormente la fronte, non riuscendo a
comprendere ciò che volesse dire.
<< In che senso? Non capisco >>.
<< Bé, una parte di me sperava ti unissi a
noi, così avrei
potuto vedere una faccia amica; dall'altra, ero convinta che ci
avresti abbandonati: sembra che l'avventura non faccia parte di te,
buon hobbit >>.
Lo guardò di sottecchi, non riuscendo a trattenere un lieve
sorriso
<< Sono contenta della tua scelta però, questo
sì >>.
Prima che Bilbo potesse rispondere, due scodelle emersero nel loro
campo visivo, interrompendo il loro dialogo: Bifur stava in piedi
accanto a loro, grugnendo qualcosa che non afferrarono, porgendo i
due contenitori con gesti concitati.
<< Ehm, co- cosa? >> chiese Bilbo,
allungandosi per
prendere la sua.
<< Oh, vi ha solo detto che quello è il vostro
pranzo! >>
esclamò gioviale Gandalf, portando un pezzo di carne secca
alla
bocca.
<< Certo: bé, grazie! >> si
affrettò a dire lo hobbit,
per non sembrare irriconoscente e scortese.
Lo stregone ridacchiò, intuendo bene la sua
perplessità <<
Non devi preoccuparti così, caro Bilbo: penso di essere
l'unico, qui
dentro, a capire ciò che il povero Bifur vuol dire!
>>.
<< Come mai? >>.
<< Tutto proviene da quell'ascia che ha conficcata in
testa: è
di un orco; Bifur non ricorda granché dell'episodio, ma
probabilmente è accaduto nelle miniere dei nani durante un
attacco
degli orchi. Nessuno sapeva come toglierla senza pericolo, e di
conseguenza venne lasciata dov'era. Certo, questo gli ha provocato
qualche conseguenza >> aggiunse, abbassando
inaspettatamente il
tono di voce, così che Bilbo fu costretto a sporgersi verso
di lui
per ascoltare meglio. Suo malgrado, anche Karin allungò di
poco il
collo, curiosa.
<< ha problemi di memoria: riesce a parlare solo
l'antico linguaggio dei nani, il Khuzdul e, per la maggior parte del
tempo, non sa dove si trova! Ora ha una sua missione personale
>>
continuò, con fare cospiratore << ovvero
quella di trovare il
famoso orco che gli ha inferto la ferita, rendendogli ciò
che si
merita con tanto di interessi >>.
Si ricompose, terminando così quel piccolo racconto: Bilbo
rimase
senza parole, non sapendo che dire dopo tale notizia.
<< Poveraccio >> commentò alla
fine, posando la sua
ciotola a terra.
<< Mmm, già; tutti questi guerrieri
– di nobili origini o
meno, come nel caso di Bifur – hanno qualcosa da raccontare,
una
storia alle spalle, e conti da risolvere. Il viaggio che abbiamo
intrapreso non è solo per liberare Erebor: è una
questione molto
più profonda >>.
Bilbo
rimase in silenzio, pensieroso, chiedendosi nuovamente quale fosse il
suo
scopo
lì; Karin gli aveva detto che l'avrebbe scoperto accettando
di
imbarcarsi in quella avventura ma, al momento, il suo fato gli era
oscuro: si sentiva solo un pesce fuor d'acqua, e pensava sempre con
più nostalgia a casa, alla sua poltrona ed alla dispensa ben
fornita! Il suo lato Baggins riusciva quasi sempre a prevalere su
quello Tuc, specialmente quando i pasti non erano abbondanti come
quelli che consumava a Vicolo Cieco.
Inoltre, come gli aveva ricordato Thorin, lui non sapeva nemmeno
difendersi da eventuali pericoli - benché questo pensiero
continuasse a relegarlo negli angoli più nascosti della sua
mente;
non poteva e voleva pensare a quali peripezie sarebbero andati
incontro, a cominciare dall'incontro con quel drago!
<< Forza, in marcia. Ripartiamo >>.
Con un gemito sconsolato, Bilbo si alzò, raccogliendo le sue
cose e
raggiungendo il piccolo pony fulvo: issandosi faticosamente in sella,
cercò di non rimuginare troppo sulle terribili ore che gli
si
prospettavano davanti. La mente lo riportò col pensiero
verso la
Contea, verso casa: e si sentì più abbattuto che
mai.
Percorsero molte altre leghe quel pomeriggio finché,
finalmente, il
sole decise di tramontare; i paesaggi delle Terre Solitarie non erano
mutati, anzi: più procedevano e più diventavano
aspri, ventosi e
inospitali.
Si accamparono su uno sperone di roccia, con al di sotto un piccolo
boschetto: ben presto furono tutti sistemati e sazi e, stremati, si
strinsero nei mantelli cercando di riposare e riacquistare le forze.
Anche Karin scivolò in uno stato di dormiveglia, ma venne
bruscamente riportata alla realtà da un rumore agghiacciante
proveniente dall'oscurità; si rizzò a sedere,
notando che Bilbo era
in piedi, spaventato e tremante.
<< Co-cos'è stato? >>.
<< Orchi >> disse Kili, lo sguardo serio e
preoccupato <<
ce ne sono a bizzeffe in questi luoghi. Solitamente attaccano di
notte, quando tutti dormono; non ci si accorge di loro
finché le
loro zampacce fetide non sono attorno al collo, pronte a
strangolarti! >>.
Il tono lugubre e macabro con cui parlò fece tremare
maggiormente il
povero hobbit, che non si accorse quanto, in realtà, i due
fratelli
lo stessero prendendo in giro.
<< Non dovreste parlarne così alla leggera
>> si
intromise Karin, non pensando alle conseguenze che il suo intervento
avrebbe comportato. I due fratelli smisero di ridacchiare,
guardandola intensamente.
<< Tu li hai incontrati? >> le chiese Kili,
appoggiandosi
meglio alla roccia alle sue spalle; Fili si protese mentre, con un
bastone, ravvivava il fuoco che gli era di fronte.
<< Tempo fa >> rispose la ragazza, con tono
lugubre.
<< Ed anche con loro hai stretto alleanza?
>>.
Karin si irrigidì nel riconoscere la voce irata di Thorin,
alzatosi
per porle la domanda; prima seduto in disparte ora torreggiava su
loro, poco lontano dalla ragazza, che emise un verso incredulo: non
lo pensava seriamente, vero?
<<
Credi che complotti con loro? Con gli orchi?
>> esclamò,
i primi sentori della rabbia che le montava in petto.
<<
Io non credo. So.
Progetti
di ucciderci tutti nel sonno con i tuoi luridi amichetti?
>> le
chiese sprezzante, lo sguardo truce che, se avesse potuto, l'avrebbe
incenerita seduta stante.
Di tutte le offese che le avevano rivolto, questa le superava di gran
lunga. Solo le creature malvagie e ripugnanti potevano allearsi con
esseri disgustosi come gli orchi.
“Ma,
dopotutto” pensò,
con una stilettata al cuore “non
è così che mi considera?”
Lei rimase in silenzio, non volendo replicare: perché, per
quanto
avesse detto, sarebbe stata sempre vista come una bugiarda; ma le sue
mancate parole fecero infuriare il re ancora di più.
<< Ti ho fatto una domanda, rispondi! >>
ringhiò, la
mano che, rapida, corse ad afferrare il manico della lunga ascia da
guerra.
Karin scattò velocemente indietro, alzandosi: ora li
divideva solo
il focolare. Con un moto d'apprensione, notò che ora gli
altri erano
svegli ed all'erta. La faccenda le piacque ancora meno: se avesse
sguainato la spada sarebbe incappata in guai ben più grandi
del
furore di Thorin; lo svantaggio sarebbe risultato schiacciante.
Lì,
tutti stavano dalla parte del sovrano, che avesse avuto ragione o
meno.
Decise di tentare di provare la sua innocenza un'ultima volta
<<
No, non progetto nulla del genere, e tu lo sai! Perché non
>>
dovette compiere uno sforzo notevole per pronunciare quella parola
<<
ti fidi? >>.
Capì d'aver compiuto un'enorme sciocchezza quando, per tutta
risposta, ricevette una gelida occhiata.
<< L'ho fatto, se ricordi. E rammento bene dove
ciò mi ha
condotto, dove ha portato tutti noi >> sibilò,
fuori di sé.
Le diede la schiena, procedendo ad ampie e pesanti falcate verso il
limitare della roccia, che dava su un dirupo abbastanza profondo.
Per
Karin fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso; sentì
un'improvvisa voglia di gridare a pieni polmoni la sua frustrazione,
il suo livore: dunque, era lui
che
credeva di odiarla più di quanto lei
lo
odiasse? Oh, quel maledetto non aveva capito nulla! Nulla.
<< Anche io ricordo. Ricordo un esilio che non doveva
avvenire,
ricordo delle suppliche inascoltate proveniente dal tuo consigliere
più fedele, ricordo un giovane principe cieco e sordo di
fronte alla
verità! Rammento la disperazione e la vergogna, l'errare
nelle Terre
Selvagge, la pazzia e la morte che ne seguirono; il mio clan
distrutto, spezzato >> la voce, dapprima forte e sicura,
divenne sempre più esile; troppo dolore aleggiava ancora nel
suo
cuore a quei ricordi.
Respirò pesantemente poiché parlò
rapida, in modo che nessuno
potesse interromperla. Seguì un lungo silenzio, nemmeno un
nano
osava emettere il più flebile suono, i loro occhi che
vagavano dal
viso stravolto e pieno di collera di Karin, all'ampia schiena di
Thorin: il suo volto era celato, ma potevano intuire che la sua
espressione non era delle più amichevoli. Tutti, chi
più e chi
meno, conoscevano la profonda spaccatura ed i dissensi che correvano
tra i protagonisti di quello scontro verbale, e sapevano che dovevano
starne fuori: era una faccenda di cui non dovevano impicciarsi.
L'unico confuso era Bilbo, che non si aspettava certo che un semplice
scherzetto ai suoi danni degenerasse in quel modo: non gli erano mai
piaciute le liti – dopotutto era uno hobbit, e la sua gente
era
molto pacifica – specialmente se queste, però,
riguardavano Karin.
Il suo buonsenso, comunque, gli disse che, al momento, era meglio non
intervenire.
<<
L'esilio è stato la giusta punizione per chi ha tradito il
suo
popolo. Avremmo potuto salvare Erebor, se tu
non
l'avessi impedito! >>.
<< Ero solo una ragazzina: che dovevo fare?
>>.
<< Fermarli, convincere tuo padre a non cedere ai loro
ricatti!
>>.
<< Non mi avrebbero mai ascoltata, ero troppo giovane...
>>.
<< Eppure, quando gli hai chiesto di arrendersi, l'ha
fatto:
perché non avrebbe dovuto starti a sentire se gli avessi
chiesto di
combattere? >> esplose Thorin, sempre senza voltarsi.
Karin schiuse le labbra, attonita ma fremente di collera;
inaspettatamente rise, una risata amara e triste, senza un briciolo
d'allegria.
<< Vuoi che ti dica che è stata tutta colpa
mia, vero? Che se
non fosse stato per me tu avresti ancora la tua preziosa Montagna ed
i suoi tesori, non è così? >> lo
sussurrò, ma fu come se
l'avesse urlato a pieni polmoni, tanto era il silenzio ed il gelo che
regnavano tra loro.
<< Non è così??? >>
scattò rabbiosa, non riuscendo a
controllarsi: era stanca, troppo stanca per farlo << E
guardami, maledizione! >>.
Con
una lentezza esasperante, Thorin si girò, guardandola negli
occhi.
Lei tremava, le mani chiuse a pugno, le unghie conficcate nella
pelle; non riusciva a calmarsi, non ce la faceva: non ora che
l'argine del suo odio si era spezzato. Perché lui non
sapeva niente. Niente.
Thorin, invece, non lasciava trapelare alcuna emozione, come se quel
litigio non lo riguardasse minimamente: non un cenno, eccetto la
fronte aggrottata e le labbra sottili appena dischiuse. Non si
sarebbe mai fatto abbindolare alla vista di qualche lacrima... che
mai le avrebbe visto versare al suo cospetto. Oh no, lo
giurò proprio in quell'istante. Lui non
l'avrebbe mai
vista piangere.
Eppure, la voce la tradì: prossima alle lacrime e scossa ma,
comunque, molto orgogliosa << Il tuo amore per l'oro e la
ricchezza supera di gran lunga quello per le persone che ti
circondano, rendendoti cieco; la tua cupidigia sarà la tua
rovina.
Ed io resterò a guardare mentre ciò
avverrà >>.
Senza una
parola si girò, scansando Gandalf e Bilbo, percorrendo il
ripido
sentiero sassoso che li aveva condotti alla roccia, inoltrandosi
negli alberi del bosco: incespicò parecchie volte tra le
radici
sporgenti, correndo con fatica nell'oscurità opprimente, ma
deliziosamente confortante; voleva che il buio l'inghiottisse, una
preghiera che ripeteva da quando era bambina per venir portata via,
in un oblio nel quale avrebbe dimenticato ogni evento spiacevole,
ogni angheria che era stata costretta a subire e sopportare.
Cadde sul suolo duro e scosceso, lacerandosi le brache e sbucciandosi
le ginocchia: il leggero bruciore che percepì anche ai palmi
delle
mani le ricordò che, invece, l'oscurità non
l'aveva presa nemmeno
stavolta. Si rialzò, zoppicando ancora per qualche metro
finché non
trovò un tronco caduto, dove si sedette, esausta dalla corsa
e dalla
disperazione che provava.
Sentì
un dolore acuto provenire dal centro della mano e, poiché il
buio le
impediva di vedere, ne cercò la causa con le dita: un
piccolo sasso
appuntito sporgeva dalla pelle, probabilmente conficcatosi dopo la
caduta. Ogni tentativo di fermare le lacrime era fallito miseramente
nel momento esatto in cui aveva sbattuto a terra, perciò non
badò
alla vista offuscata – tanto non le sarebbe servita a niente,
lì –
e alle lacrime che fuoriuscivano copiose, come se non piangesse da
anni: e, in effetti, era proprio così; rammentava con
chiarezza
l'ultima volta in cui aveva pianto, e perché. Dopotutto, era
lo
stesso motivo per cui adesso piangeva, era sempre
quello: eppure, nonostante tutti gli anni passati da quel giorno, dal
quale poi non aveva mai più versato una sola lacrima
indurendo il
suo cuore, era tornata al punto di partenza. Erano bastate quelle
accuse di Thorin, e l'odio con cui aveva condiviso così
quietamente
gli anni di esilio era riapparso, prendendo possesso della sua mente
e del cuore. Per quanto provasse a dimenticare il passato, non ce
l'avrebbe mai fatta: non si poteva scappare da esso, si ripresentava
sempre, prima o poi.
Trattenne il respiro per cercare di calmarsi: faceva persino fatica a
fermare i singhiozzi, ed il tremore non smetteva di scuoterla.
Strappò il sasso dalla mano, gemendo e lanciandolo lontano,
tra gli
alberi: il suono attutito del ciottolo si aggiunse a quelli spettrali
e poco rassicuranti del bosco, nei quali pareva sempre che ci fosse
qualcosa a spiarla tra gli alti tronchi. Ma, sinceramente, per Karin
ora non erano il problema principale; si strappò un lembo
dalla
camicia rossa, abbastanza lungo da coprirle due volte il palmo della
mano ferita. Siccome non aveva acqua con sé con cui lavare
il taglio
poco profonda ed il sangue che colava, si strinse la benda
improvvisata, facendo infine un nodo, reprimendo un sussulto. Con le
dita dell'altra mano saggiò il lavoro compiuto nella totale
assenza
di luce, convenendo che sì, poteva reggere ed andare bene.
Inoltre, ora nemmeno ricordava da che parte era giunta, quindi si era
persa: attorno a lei non vi era nulla che le ricordasse il cammino, e
questo non fece che accrescere il suo malumore. Con rabbia, si
asciugò gli occhi e le guance con la manica, scacciando ogni
traccia
di pianto: doveva tornare in sé e pensare lucidamente a come
tornare
indietro, o sarebbe rimasta lì per sempre; eppure, per
quanto
provasse, non le veniva in mente alcuna soluzione. Ricordava di
essere andata sempre avanti, senza mai svoltare: quindi, doveva
prendere la direzione alle sue spalle. Si sentiva più
confusa che
mai e si diede della stupida una, cento, mille volte: la prossima
volta che avesse avuto la geniale idea di scappare, si sarebbe
portata dietro un acciarino, di sicuro.
Sbuffò forte, passandosi una mano tra i capelli pieni di
nodi; d'improvviso, un
fruscio diverso dagli altri le fece rizzare le orecchie: qualcosa
aveva calpestato delle foglie.
Si mise in allerta, cercando di captarne la provenienza:
girò
indietro il capo cercando inutilmente di scorgere qualcosa, ma
l'oscurità era troppo densa. Nonostante il tumulto interiore
che
provava, il cuore le batteva calmo; i muscoli erano tesi, pronti a
scattare rapidi se se ne fosse presentata l'occasione.
Invece, una voce a lei ben nota si levò nell'aria, insicura
e
preoccupata, non molto lontana da dov'era << Karin? Sei
qui?
>>.
La ragazza tirò un lungo sospiro, sia di sollievo
– poiché non si
trattava di un mostro – sia di fastidio: proprio non ce la
faceva a
sostenere la compagnia di qualcuno, nemmeno se si trattava dell'unica
persona che le rivolgeva la parola.
<< Vattene, Bilbo; non sono dell'umore adatto
>> rispose
stancamente, le dita a sfregare le tempie pulsanti. Dopo tutto quel
piangere la testa le stava scoppiando come se qualcuno, munito di
martello, glielo sbattesse ripetutamente sul capo.
Ma lui non si scoraggiò dal tono con cui gli
parlò, anzi: il suo
lato Tuc emerse, facendo sì che la voce gli uscisse
più sicura e,
in qualche modo, più autoritaria.
<< Io invece penso che tu abbia bisogno di compagnia!
>>.
Doveva essersi dimostrata troppo debole e patetica, se ora nemmeno lo
hobbit l'ascoltava. Tentò di nuovo, cercando di farla
risultare una
minaccia << Davvero, Bilbo. Voglio stare da sola
>> ma se
ne pentì subito << per favore
>>.
Seguì un breve silenzio, nel quale l'altro cercò
una soluzione che
giovasse a tutti e due: di certo, però, non l'avrebbe
abbandonata lì
<< Non preoccuparti, rimarrò lontano da te: me
ne starò qui
fra gli alberi, buono buono. Se mai, ecco, volessi parlare o... che
so... volessi andartene, ti basterà chiamarmi, ed il suono
della mia
voce ti guiderà. Va bene? >>.
Karin
annuì, rendendosi conto che quel gesto era inutile,
poiché Bilbo
non l'avrebbe visto. Maledì la sua nuova cocciutaggine, e se
stessa
per non riuscire a cacciarlo; ma, in fondo, un lieve conforto le
scaldò il cuore al pensiero che qualcuno, almeno, non la
considerava
ostile. Lo hobbit si stava rivelando una personcina davvero a modo,
molto gentile ed affabile, pronto ad aiutare un amico in
difficoltà.
O
un'amica.
Rimasero in silenzio a lungo, ascoltando il vento fischiare ed il suo
frusciare tra le fronde, gli strani squittii dei roditori e i
richiami dei gufi: eppure, l'inquietudine nel sentirli si
affievolì
un poco, sapendo che c'era Bilbo con lei, anche se non le era
accanto. Bastava sentirlo fischiettare brevemente ed il cuore si
placava, l'animo si quietava.
<< Per quello che vale >> esordì
lui dopo un bel po',
scuotendola da cattivi e tristi pensieri << ecco, io...
bé, mi
dispiace. Sai, per quello che ti è accaduto >>
ammise, la voce
imbarazzata.
<< Se può esserti di conforto, vedrai che
Thorin ti farà le
sue scuse, prima o poi >>.
Karin, per tutta risposta, sbuffò forte di fronte a quella
sciocca
convinzione, amareggiata << Tu non conosci i nani. E
nemmeno
lui >>.
<< Tu sì invece? >> chiese
curioso; il pensiero di
saperne di più di tutta quella faccenda lo rendeva nervoso
ed
irrequieto, come se una strana brama si fosse impossessata di lui.
<< Credevo di conoscerlo, molto tempo fa >>
ammise alla
fine, dopo un breve silenzio; Bilbo intuì fosse divenuta
riluttante
ad ogni tipo di conversazione.
<< Ma cosa è capitato fra voi? Intendo prima
dell'esilio >>.
<< Accadono eventi che ti segnano profondamente: la
venuta di
Smaug ne è stata una prova. Ci ha cambiati, ma non in meglio
>>.
<< Ma... >>.
<< Dovrai conservare la tua curiosità ancora
per un po', buon
hobbit >> lo interruppe sbrigativa, spaventandolo: Karin
era
lì, a pochi passi da lui; poteva distinguerne la sagoma
scura, ora
in piedi. Si diede dello sciocco per non averla udita ma, al
contempo, dovette congratularsi con lei per essersi mossa
così
silenziosamente e rapidamente, attirata dal suono della sua voce; in
fondo, ricordò, nelle sue vene scorreva sangue hobbit e, di
certo,
durante gli anni d'esilio aveva avuto modo di divenire invisibile
agli occhi e agli orecchi dei nemici. Eppure però, era certo
che non
l'avrebbe mai eguagliato o superato: lui era un hobbit in tutto e per
tutto!
<< Ci sono fatti dei quali preferisco non parlare. O,
almeno,
non subito >>.
La risposta sibillina lo lasciò interdetto e deluso,
poiché sperava
nelle sue confidenze: ma, per il momento, si accontentò.
<< D'accordo, aspetterò sia tu stessa a
parlarmene. Ora, credo
sia giunto il momento di tornare, Gandalf era in pensiero
>>
detto questo si alzò, stiracchiandosi e sgranchendosi le
braccia <<
Inoltre, la stanchezza si fa sentire: non sono più un
giovane
hobbit! >>.
Si avviò lungo un sentiero nascosto, la ragazza
immediatamente
dietro per non perderlo: dopo un po' di cammino, finalmente
l'oscurità si affievolì e, strizzando bene gli
occhi, si riusciva a
scorgere il lieve baluginio del fuoco.
Il peso nel cuore di Karin tornò, e le gambe si arrestarono,
non
volendo muovere un altro passo; Bilbo se ne accorse e tornò
indietro, guardandola: portava ancora i segni di un pianto furioso e,
sulla mano, si era avvolta un pezzo di stoffa. Gli abiti erano
stracciati in più punti, segno che, in tutta
quell'oscurità, era
caduta e si era impigliata tra i rami. Provò un'immensa
compassione
nel vederla in quelle condizioni e, senza far caso alla strana
occhiata che gli rivolse - anche piuttosto diffidente – le
prese la
mano ferita tra le sue.
<< Posso? >>.
Senza aspettare il suo consenso la esaminò, volendole
arrotolare la
manica per guardare meglio: fu in quel momento, ovvero quando le dita
si strinsero attorno alla stoffa, che lei indietreggiò di
scatto
guardandolo in tralice, gli occhi cerchiati inaspettatamente furiosi
e... folli, si ritrovò a constatare Bilbo, spaventato. Ma
durò solo
un attimo, in un battito di ciglia tornò come prima.
<< Me ne sono già occupata io >>
esordì, asciutta <<
non temere >> sospirò, terribilmente svuotata
di ogni energia:
sembrò quasi rimpicciolire e divenire più piccola
di lui, mentre lo
sguardo si posava al di là delle sue spalle, verso
l'accampamento.
<< Dovrai tornare, prima o poi: non potrai nasconderti
per
sempre >> constatò, il tono di voce addolcito.
<<
Io non voglio nascondermi!
Solo...
non ho molta voglia di affrontarli >>.
<< Oh bé, non credo ti diranno qualcosa, erano
tutti oltremodo
scossi e tristi, quando li ho lasciati per seguirti. Molto
silenziosi, già! >> fece una pausa, aspettando
che le parole
entrassero in lei << Poco dopo che te ne sei andata,
Thorin si
è inoltrato nel bosco dalla parte opposta alla tua, per
smaltire la
rabbia e rimuginare su ciò che era accaduto, credo. Si
è
allontanato sbattendo i piedi, incurante del rumore che provocava:
non l'avevo mai visto così turbato, sembrava improvvisamente
più
vecchio >>.
La notizia non migliorò affatto l'umore della ragazza anche
se,
almeno, ciò che aveva detto era rimasto impresso nella mente
di
Thorin: si augurò che rimuginasse a lungo, tormentato dal
ricordo
delle sue azioni.
Strinse i pugni e ritrovò un poco di forza;
sorpassò lo hobbit e lo
precedette, giungendo per prima nel luogo dove gli altri dormivano, i
respiri calmi e il russare regolare. Girò rapida lo sguardo,
contandone dodici: ne mancava uno; Karin non ebbe bisogno di
pensarci, poiché sapeva perfettamente chi non era nel suo
giaciglio.
Tornò al suo posto, sdraiandosi lentamente:
benché fosse distrutta,
il sonno tardò ad arrivare; le orecchie coglievano ogni
rumore e,
molte ore più tardi, uno attirò la sua
attenzione. Passi pesanti si
avvicinavano, provenienti dalla parte opposta a quella dove era
fuggita; avanzarono fino ad entrare nel perimetro di luce, poi si
arrestarono. Con un tuffo al cuore, Karin sentì lo sguardo
penetrante di Thorin posarsi sulla sua schiena, e ringraziò
il cielo
di dargli le spalle, così che lui non si accorse che
faticava a
dormire: rimase ad osservarla a lungo, facendole crescere il disagio
e l'impazienza; poi, finalmente, lo sentì inginocchiarsi e
sdraiarsi
al suo posto, sfilandosi il mantello bordato di pelliccia e
posizionandolo come coperta.
Passò ancora altro tempo e, infine, Karin percepì
il sonno
coglierla, le membra farsi pesanti e le palpebre chiudersi,
nell'abbraccio confortante dell'oblio; l'ultima cosa che
percepì
prima di cadere nell'oscurità fu un lieve sospiro, basso e
profondo.
I giorni successivi sembrarono condividere il malumore della
Compagnia: il cielo, spietato, aveva inviato le sue nuvole nere e
grigie, cariche di pioggia; nemmeno le chiome degli alberi riuscivano
a proteggerli, lasciando che le gocce d'acqua filtrassero e li
inzuppassero, nonostante i cappucci dei loro mantelli.
Bilbo, che non ne possedeva uno, si ritrovò bagnato fradicio
dalla
testa ai grossi piedi pelosi, prima che Balin, impietositosi, gli
prestasse una cappa dal suo bagaglio.
<< Signor Gandalf, non potrebbe far smettere questa
pioggia? >>
chiese petulante Dori, dopo aver starnutito sonoramente.
<<
Come avete giustamente detto, mastro nano, è pioggia;
finirà
quando il cielo si sarà stufato, io non posso far nulla!
>>
replicò lo stregone, punto sul vivo: anche lui risentiva
degli
effetti del cattivo tempo, diventando irascibile ed irritabile per un
nonnulla.
<< Ma non potete utilizzare qualche sortilegio?
>>
insistette Ori, fratello minore di Dori.
Gandalf borbottò qualcosa che, fortunatamente, gli altri non
compresero; fu Bilbo a cambiare argomento, sperando di placarlo.
<< Esistono altri stregoni oltre a te, Gandalf?
>>.
<<
Oh sì! Siamo in cinque: il più potente di tutti
è certamente
Saruman il Bianco, capo dell'ordine del Bianco Consiglio; poi vi sono
due stregoni di cui non ricordo il nome e, per ultimo, Radagast il
Bruno, amante degli animali ed esperto nelle arti magiche. Vive a
Rhosgobel,
al limitare occidentale del Bosco Atro >>.
Sembrò ritrovare il suo consueto spirito poiché
sorrise, alzando il
capo << Ah! Vedi, Bilbo? Parlare di Radagast ha fatto
smettere
questo diluvio! Eccellente! >>.
In fila dietro Thorin, risalirono un lieve pendio; ai loro occhi
apparvero i resti bruciati di una casa di legno, annerita dal suo
fato e consumata dal tempo. Alla loro sinistra si ergeva una parete
di roccia, appuntita in cima, aspra e poco rassicurante: paesaggio
che non li confortò.
<< Ci fermiamo qui per la notte >>.
All'ordine del nano scesero dalle cavalcature, e Gandalf si
avvicinò
meglio per esaminare ciò che rimaneva dell'abitazione.
<< Un fattore e la sua famiglia vivevano qui
>> li
avvisò, accarezzando le travi; si spostò verso
Thorin, entrato
subito dopo lo stregone. Li videro parlottare concitatamente a voce
bassa e poi, a sorpresa di tutti, il Grigio si avviò verso
di loro,
a grandi passi e scuro in volto.
<< Gandalf, dove vai? >> gli chiesero
preoccupati, quando
li sorpassò.
<< A cercare la compagnia di qualcuno che abbia un po' di
buonsenso! >>.
<< E chi sarebbe? >>.
<< Io! Ne ho abbastanza di nani per un giorno solo!
>>.
Detto questo sparì alla loro vista; Karin, che nel frattempo
stava
accarezzando il suo pony Dia, vide Bilbo muovere qualche passo nella
stessa direzione, venendo però fermato dalle parole di
Thorin.
<< Accendete il fuoco e preparate da mangiare! Fili,
Kili, voi
badate ai pony: non perdeteli di vista >>.
Passò qualche tempo, prima che la brodaglia calda cucinata
da Bofur
fosse pronta; nel frattempo, vennero scambiate poche parole, visto
che tutti erano ancora scossi e preoccupati dalla partenza dello
stregone. Bilbo si muoveva avanti e indietro, irrequieto, scrutando
le ombre che si formavano man mano che la sera calava: ma di Gandalf
nemmeno l'ombra, non tornava. Anche Karin, nel profondo, non si
sentiva tranquilla ma, come ricordò Bofur all'ennesima
constatazione
dello hobbit, l'Istari era perfettamente in grado di cavarsela da
solo, o non sarebbe stato così potente.
<< Tieni, porta queste ai ragazzi >>
ordinò il nano a
Bilbo, porgendogli due ciotole; e lui, annuendo, lo fece, lasciando
il gruppo ed inoltrandosi tra gli alberi.
Karin ringraziò il cuoco per la sua, andandosi a sedere in
disparte,
ma comunque sufficientemente vicina al fuoco da scaldarsi un poco; si
strinse meglio nel mantello nero e portò il primo cucchiaio
alle
labbra, lasciando che il brodo le riscaldasse lo stomaco:
attaccò
voracemente la cena, sentendo le membra piacevolmente calde e sazie,
appagata come se fosse la cena più succulenta ed abbondante
della
sua vita.
<< Vedo che ti è piaciuta! Ne sono felice!
>> esclamò
Bofur, tutto contento e con ancora la ciotola piena; Karin
notò che
era stata la prima a finire, divorandola come se non toccasse cibo da
settimane.
<< Era buona >> commentò,
posandola a terra; dando una
rapida occhiata attorno, notò che si erano costituiti due
gruppetti:
da una parte, gli anziani di nobile stirpe con Thorin, accanto al
focolare e dall'altra, lontani, coloro di minor lignaggio. Una
coincidenza? O tutto dipendeva da ciò che era successo
giorni prima?
Era a questo che aveva condotto il suo litigio? Ad una spaccatura del
gruppo che, invece, doveva dimostrarsi unito ora più che
mai?
Si sentì miserabile e meschina, maledicendo quella
situazione; se
solo non avesse accettato, tutto questo non sarebbe accaduto,
rilevò
cupa.
Con un ulteriore tuffo al cuore, notò che Bilbo non era
ancora
tornato.
<< I pony non erano molto lontani da qui, vero?
>>.
<< No >> le rispose Bombur, ingozzandosi
tra una
cucchiaiata e l'altra.
<< E allora come mai non to... >>.
<< Thorin! THORIN!!! >>.
Si allarmarono tutti di colpo, mentre dal folto del bosco comparve
Kili, agitato come non mai; corse dritti dal re, dandogli la
terribile notizia: Bilbo, cercando di riprendere due pony che erano
stati rubati, era finito preda di tre troll di montagna, non molto
lontani da lì.
<< Perché ci sarebbe andato da solo?
>> chiese Gloin,
una mano già sull'ascia.
<< Ce l'abbiamo mandato noi, sapete: visto che
è uno
scassinatore. Credevamo che non si sarebbe fatto scoprire! Stava
andando tutto bene, ma poi l'hanno sorpreso! >>.
<< E Fili? >> chiese Balin.
<< Ci sta aspettando, nascosto >>.
<< Allora, cosa aspettiamo? Muoviamoci >>.
Karin
non se lo fece ripetere due volte: sguainò la spada
d'acciaio e si
accodò dietro Kili, in testa al gruppo; si mossero il
più
cautamente possibili tra gli alti cespugli e, finalmente, giunsero al
luogo; allungando il collo, videro i possenti troll accerchiare il
povero hobbit che, nel frattempo, cercava disperatamente di trovare
una soluzione per fuggire; invece, si trovò ancora di
più in
difficoltà. La ragazza non riusciva ad essere paziente, doveva
intervenire!
Ma perché nessuno fiatava? Perché Thorin non
diceva o faceva
qualcosa?
Digrignò i denti, decidendo di fare di testa sua:
scattò rapida in
avanti sbucando fuori, urlando a pieni polmoni; si avventò
sul primo
troll che incontrò, menando poderosi fendenti a destra e a
manca,
tagliando la spessa pelle del mostro. Anche gli altri erano usciti,
ed ora un gran clangore di spade e di voci concitate permeava l'aria,
mentre i nani tentavano di sopraffare i loro nemici. Eppure,
benché
fossero solo tre, non riuscirono a conciarli per le feste: dopotutto,
era molto difficile uccidere un troll di montagna: la loro immensa
testa calva si muoveva qua e là, e le loro grandi mani
tentarono di
afferrarli più volte, senza riuscirvi.
Karin schivò una gamba di uno di loro, scartando di lato, ma
venne
buttata a terra da una manata arrivatale in volto; gemette forte,
cadendo di schiena sul terreno, l'elsa della sua spada ancora tra le
mani. Gli altri combattevano senza sosta, ma invano, non sarebbero
riusciti ad ucciderli tanto facilmente!
Tentò di rialzarsi, pronta ad attaccare di nuovo, il fiatone
che le
impediva di respirare con regolarità; alzò la
spada oltre la testa
ma dovette bloccarsi, il cuore balzatole in gola: uno teneva
sollevato Bilbo, agguantandolo per le braccia.
<< Gettate a terra le armi, o lo spezzo! >>
ordinò con
voce cavernosa.
Lo hobbit era pallido e tremante, lo sguardo grigio terrorizzato che
implorava aiuto. Passarono lunghi attimi, nei quali non smise di
osservare Thorin; il nano era furente ed alla fine, con
impeto, conficcò la spada a terra, gesto che poi tutti
imitarono,
costretti.
I troll risero forte e, mentre uno prendeva dei sacchi da un mucchio
lì vicino, l'altro si sfregò le grandi mani,
contento.
<< Abbiamo una cena davvero succulenta, stasera!
Prepariamo lo
spiedino, li faremo arrosti! >>.
<< Sì, sì! A fuoco lento e ben
cotte tutte le prede sono più
buone! >>.
<<
Allora, voi due!
Che aspettate? Scegliete dei nani, gli altri legateli! >>.
Ci fu subito un gran trambusto: i nani tentarono di divincolarsi con
calci e pugni, cercando di scappare... inutilmente.
In pochi minuti, Ori, Dori, Nori, Bifur, Bofur e Karin, si
ritrovarono legati come salami attorno ad uno spesso palo di legno
mentre, sotto di loro, il grande focolare crepitava e sprizzava
scintille, come se non vedesse l'ora di arrostirli. Imprecarono non
poco mentre venivano fatti girare, lentamente, come fossero cervi o
maiali, il sudore che colava copioso dal troppo caldo.
Gli altri, invece, erano stati legati e chiusi in sacchi, buttati in
un mucchio; urlavano e strepitavano, intimando ai tre troll - Berto,
Guglielmo e Maso – di liberare i loro amici e compagni: i
mostri,
intanto, stavano discutendo su come condire le loro prede, ed avevano
già l'acquolina in bocca dalla fame.
<< Ma quando sono pronti? Mica possiamo aspettare tutta
la
notte, altrimenti all'alba ci trasformeremo in pietra senza prima
aver toccato la cena! >> esclamò Guglielmo, il
più
impaziente.
Frattanto, nella mente di Bilbo Baggins stava prendendo forma un
piano; infatti, aveva sempre sentito dire che i troll di montagna
fossero creature stupide e, osservandoli meglio, comprese che anche
questi non erano da meno. In più, doveva cercare di
guadagnare tempo
fino all'alba, se voleva salvarsi e salvare i compagni:
perciò,
raccogliendo tutto il coraggio che possedeva – ed ammetteva
che ne
aveva molto poco – si alzò a fatica, saltellando
per avvicinarsi.
<< Io non li cucinerei in quel modo! >> si
intromise,
fermando il loro chiacchiericcio. Tutti, compresi i prigionieri, si
zittirono, ascoltandolo.
<< E perché no? >> chiese
sgarbatamente Maso.
<< Non è quello il modo di cucinare un nano
>>.
<< E quale sarebbe? >>.
Bilbo fece per ribattere qualcosa, ma aprì la bocca a vuoto,
richiudendola immediatamente: per tutti i centrini, quale risposta
poteva dare? Che ne sapeva, lui, di come si cucinava un nano? Ma
ormai era troppo tardi, si era esposto e ora doveva rimediare.
<< Ehm, vanno... sì... mangiati cru-crudi
>> aggrottò
la fronte, non credendo alle sue parole: aveva appena detto di
mangiarli crudi?
Dai poveri malcapitati, invece, esplose un boato feroce
<<
Maledetto! Traditore! >>.
<< Aspetta che ci liberiamo, poi vedrai! >>.
<< Crudi?! Io dico di no >>.
<< Perché non proviamo ad assaggiarne uno,
così, tanto per
capire se ci può piacere? Iniziamo dal grassone!
>> disse Berto, che afferrò il povero
Bombur, mettendolo a testa in giù; il
poveraccio urlò spaventato, per nulla ansioso di finire
dritto
dritto nello stomaco del mostro.
Ma fortuna volle che lo hobbit lo
fermò. << No, non farlo! Non te ne sei
accorto? >>
chiese, astuto << E' infetto! >>.
<< INFETTO? Infetto ci sarai te!!! >>
strillarono gli
altri, sia quelli legati al palo sia quelli a terra, che cercarono di
divincolarsi per fargliela pagare, non avendo capito il suo piano.
Berto
lo fece cadere a terra, in un sonoro tonf!,
guardandolo
disgustato.
<< Come sarebbe a dire che ha i vermi? >>.
<< Quello che ho detto! Grossi e grassi vermi putridi e
marci
nello stomaco! >>.
<< Allora ci mangeremo la femmina! >>
propose Guglielmo
<< Non è mica grassa come l'altro
>>.
Karin lanciò un mezzo strillo quando sentì le
grosse dita del troll
che le afferravano una gamba, pizzicandola per saggiarla; maledisse
loro e anche Bilbo che, seppur involontariamente, aveva fatto
spostare la loro attenzione su di lei.
<< Oh no, per carità, nemmeno! Anche lei ne
è piena, lo sono
tutti!!! Io non lo farei se fosse in voi, dico davvero >>.
Ci furono altre grida irate dei nani, ma Thorin finalmente comprese:
diede un calcio a Kili, davanti a lui, perché smettesse di
sbraitare
e provasse a pensare; bastò uno sguardo eloquente tra zio e
nipote
e, immediatamente, Kili capì.
<< Sì! Sì, grandissimi,
dappertutto! Lo giuro! >>.
Si scatenò una vera e propria gara a chi era il
più infetto,
elencando ogni genere possibile di creature ripugnanti e malattie che
scorrevano nelle loro vene, o viscere; i troll, sorpresi, guardarono
Bilbo, non sapendo più che fare.
<< E quindi che proponi, scasshobbit? >>.
Bilbo finse di pensarci un po' su, scorgendo il lieve chiarore
dell'alba imminente; e quale fu il suo sollievo nel vedere anche la
figura di Gandalf, ben nascosto e pronto ad aiutarli.
<< Bé, dico che è meglio liberarli!
Non vorrete fare
indigestione o, peggio, venire contagiati >>.
D'improvviso, Maso si rabbuiò, alzandosi di scatto dal
tronco sul
quale era seduto << Ci prendi per stupidi, forse?
Sappiamo bene
che vuoi svignartela con loro! >>.
Anche gli altri due si alzarono, accerchiando il povero Bilbo
<<
Ora ti schiacceremo, e sarai il primo a venir mangiato!
>>.
<< Fermi! >>.
Tutti si fermarono, attoniti; Gandalf il Grigio si ergeva in tutta la
sua altezza sopra una roccia, appoggiato al lungo bastone. I nani,
rinfrancati, trattennero a stento grida di gioia.
<< E questo chi è? >>.
<< Ci mangiamo anche lui? >>.
<< Tornate da dove siete venuti! >>
esclamò lo stregone,
spezzando a metà la grande roccia che impediva all'alba di
mostrarsi. La luce invase l'accampamento dei troll, che cercarono di
ripararsi il volto con le mani; fu tutto inutile poiché, non
appena
i raggi si posarono su loro, la pelle divenne pietra, bloccando ogni
gesto ed espressione per sempre. Durò pochissimo e, in un
battito di
ciglia, i loro rapitori erano immobili, trasformati.
I nani esultarono felici stringendosi a Gandalf
per ringraziarlo, una volta
che li ebbe liberati << Il merito è tutto di
Bilbo >>
disse invece lo stregone.
<< Sì, il merito d'essersi fatto catturare!
>>.
<< Ma stava guadagnando tempo, Thorin: una cosa a cui voi
non
avete pensato >> ribatté, alla frase del re;
Karin strinse
brevemente la spalla dello hobbit e gli sorrise, in un muto
ringraziamento. Thorin abbassò gli occhi, pentito e
sconfitto.
Infine, si rivolse di nuovo allo stregone.
<< Dov'eri andato, se posso chiedere? >>.
<< A guardare avanti >> rispose Gandalf,
enigmatico come
sempre.
<< E cosa ti ha fatto tornare? >> lo
interrogò il re,
curioso.
<< L'aver guardato indietro >>.
Sorrisero tutti, ben felici di riavere lo stregone tra loro; ora,
immensamente sollevati e felici d'essere scappati a morte certa, si
rilassarono, facendo battute ed accendendo le pipe; ma fu sempre
Gandalf a frenarli.
<< Erano molto lontani dalle montagne; devono essersi
spostati
di notte >> borbottò perplesso lo stregone
<< di sicuro qui vicino
troveremo la loro grotta. Seguitemi! >>.
Così fecero, e non dovettero nemmeno cercare a lungo:
infatti, dopo
essersi divisi, trovarono l'imboccatura di una caverna di pietra che
proseguiva sottoterra, nel buio. Qui si fermarono, cercando bastoni
di legno da tramutare in torce.
<< Qualcuno deve rimanere fuori a fare la guardia
>>.
<< Rimango io >> Si offrì Karin,
mentre un breve e denso
silenzio seguì le sue parole; infatti, era la prima frase
che
rivolgeva a Thorin dopo il loro litigio, avvenuto giorni prima.
Il re annuì senza guardarla, entrando per primo; Karin
aspettò che
gli altri lo seguissero per sedersi finalmente su un masso liscio,
levigato dalle intemperie. Gemette dolorante, mentre portava una mano
alla parte bassa della schiena, dove aveva sbattuto durante il
combattimento: strinse gli occhi mentre con la punta delle dita
sentiva un lieve rigonfiamento, piuttosto esteso. Perfetto, ci
mancava solo un bel livido! Si massaggiò un po', sperando
che il
dolore si placasse e chiedendosi per quanti giorni sarebbe
durato; doveva stringere i denti il più possibile, o gli
altri si
sarebbero accorti che qualcosa non andava... e lei non aveva nessuna
intenzione di essere il peso morto del gruppo. Certo, sarebbe stato
difficile visto che, anche prima, aveva avuto difficoltà
anche solo
a camminare: le pareva che le avessero infilzato delle spade
su tutta la schiena e fino alle spalle, dati i dolori lancinanti che
provava.
Ma
doveva
farcela;
avrebbe fatto finta di nulla, per il tempo necessario.
Sentendo delle voci, tolse la mano dalla schiena, appoggiandola sul
ginocchio; alcuni compagni salirono, raccontandole delle monete d'oro
che avevano trovato e della loro idea di seppellirlo.
<< Come prestito a lungo termine >> le
disse Gloin.
Poco
dopo giunsero anche Kili, Fili, Bilbo e Gandalf, il quale portava al
fianco una nuova spada, e ne reggeva una più piccola
– sembrava un
pugnale – in mano.
Per ultimo arrivò Thorin, tra le mani una spada dall'elsa di
legno e
l'impugnatura d'acciaio che la incuriosì, intuendo che non
era una
comune arma nanesca; si chiese come doveva essere la lama, nascosta
nel fodero. Per un qualche, assurdo motivo, si convinse che doveva
essere di una mirabile bellezza, destinata a pochi.
<< Rimettiamoci in marcia; non voglio attardarmi in
questi
luoghi >>.
Thorin diede una lunga occhiata agli alberi e cespugli che li
circondavano, quasi fosse in attesa. Anche gli altri drizzarono le
orecchie, improvvisamente silenziosi e concentrati; Bilbo represse a
stento un brivido gelido: la pace
che tanto agognava dopo l'avventura coi troll si era infranta.
Sentì un ululato, che pareva lontano e troppo vicino al
tempo
stesso.
I lupi.
Stavano arrivando.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonsalve
care/i,
sono tornataaaaaaa! Ehehehehe, contenti del mio velocissimo
aggiornamento? Mi stupisco anch'io O.o!!! Sono passati ben cinque
giorni, ma avrei potuto postarlo anche prima... solo che non ero ben
soddisfatta: bé, nemmeno ora se è per questo, ma
pazienza, saranno
solo le mie paranoie ^^
So che è lungo e
probabilmente palloso, e vi chiedo di perdonarmi: avevo una mezza
idea di dividerlo, ma non sapevo né quando né
dove né perché! Al
che mi sono detta “ma vai avanti, finiscilo!” e
così ho fatto.
Come
vi è parso
il litigio Thorin/Karin? Dovete sapere che, inizialmente, avevo
pensato di rivelare il passato di Karin durante questo capitolo, ma
poi ho cambiato idea: ho voluto lasciare in sospeso alcune domande,
questioni e verità, sennò che divertimento c'era
a spoilerare tutto
subito? Poi nessuno avrebbe più letto ^^ *piccoli raggiri
per avere
lettori e recensioni XD XD*
Bene,
quindi come
sempre vi esorto a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne
pensate! Anche voi che leggete solamente, fatevi sentire: mi sarebbe
d'aiuto per capire se sto seguendo il sentiero giusto verso Erebor XD
XD XD!!!
Inoltre, volevo consigliarvi questo bel video
su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=wdse35vofxM
Mi sono innamorata della canzone, ce l'ho sempre in testa
O.o! spero piaccia anche a voi!!! Si intitola "That's what the wise
lady said", del gruppo Angtoria, che non avevo mai sentito nominare.
Magari qualcuno di voi li conosce :))) Trovo che le parti di testo
usate per il video siano azzeccatissime per il nostro bel Re sotto la
Montagna ;) Ecco il testo della canzone:
http://www.lyricstime.com/angtoria-that-s-what-the-wise-lady-said-lyrics.html
Ringrazio tantissimo le persone che l'hanno
inserita nelle liste
delle storie preferite, seguite e ricordate (scusate se non vi elenco
ç___ç ) e un grazie di cuore a chi ha recensito: Dance,
Lady of
the sea e nini superga.
Thaaaaaanks ragazze, alla prossimaaaaaa!!! :* :*
Anna <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
CAPITOLO QUATTRO
Aspettarono tutti col cuore in gola, nervosi; il bosco
sembrò
divenire cupo e spaventoso, chiudendosi attorno alla compagnia come
se volesse inghiottirli. Benché fosse giorno era calata
un'improvvisa oscurità, o forse era solo una loro
impressione; non
respirarono per paura di provocare ulteriori rumori che li avrebbero
distratti. Ora più che mai, la loro concentrazione doveva
essere al
massimo.
Rumori di infinite foglie calpestate li fecero stringere maggiormente
l'uno con l'altro, formando un cerchio compatto, le armi sguainate e
pronte ad accogliere chiunque fosse comparso nel loro campo visivo.
L'intruso correva veloce, e si avvicinava rapidamente: potevano
capirlo dal frusciare violento dei rami toccati, e dal rumore
infernale che provocavano le zampe sul terreno duro e scuro. Karin
sentiva le vene gelate, il cuore che batteva irregolare; le mani,
strette attorno all'impugnatura della spada, erano sudate e fredde.
La calma tipica dei guerrieri, che invadeva i nani più
anziani ed
esperti, non l'aveva raggiunta: sentì il panico montarle in
petto, e
tentò di respirare a fondo per calmarsi. Niente, non ce la
faceva:
non finché il nemico non le si fosse mostrato,
finché non lo avesse
trafitto.
I rumori ora si fecero più vicini ed insistenti: non era un
solo
individuo, ma molti di più, impossibili da quantificare;
Karin tentò
di deglutire, ma la gola era troppo secca per compiere quel semplice
gesto. Si guardò attorno nervosa, scorgendo lo sguardo
terrorizzato
di Bilbo, accanto a Dwalin, e quello che tentava di mostrarsi
coraggioso e per nulla spaventato di Ori; ma l'ansia cresceva di
minuto in minuto, poiché non avevano idea di ciò
che avrebbero incontrato.
Videro i rami più bassi degli alberi muoversi e, capendo che
non
avrebbero dovuto attendere molto per combattere, alzarono meglio le
armi, pronti ad attaccare: con un rumore assordante, il nemico si
palesò alla loro vista. Dagli alti cespugli comparvero
grossi
conigli, attaccati l'uno all'altro per sostenere una grossa slitta
marrone costruita con lunghi rami sottili, sulla quale si ergeva un
uomo dall'aspetto e dalle vesti improbabili ed eccentriche.
Dallo stupore generale, si levò la voce sorpresa di Gandalf.
<< Radagast? >>.
Quello si fermò, tirando le briglie della strana vettura,
arrestando
la sua folle corsa; guardò lo stregone con sguardo
allucinato,
spalancando i grandi occhi chiari. Finalmente, dopo una lunga
occhiata, parve riconoscerlo.
<< Gandalf! Fortuna che ti ho trovato! >>.
<< Perché, noi lo stavamo aspettando?
>> bisbigliò
piano Bofur, facendosi comunque sentire dai suoi compagni.
Karin tirò un enorme sospiro sollevato ed abbassò
la spada,
rinfoderandola; Thorin, invece, era ancora in allerta, osservando
guardingo i due stregoni che, nel frattempo, parlottavano.
Lo strano copricapo che Radagast il Bruno – lo stregone di
cui
aveva parlato Gandalf - indossava, lo faceva assomigliare agli
animali che si stavano riposando ai loro piedi o si grattavano il
pelo con le lunghe zampe; impegnato in una conversazione piuttosto
inquietante con il Grigio, scuoteva spesso la testa, ed i lunghi
capelli arruffati e sporchi di escremento di uccello si muovevano
qua e là.
A quanto pareva, un ulteriore problema affliggeva quelle terre,
specialmente il luogo dove abitava lo stregone: Rhosgobel aveva
ricevuto la visita inaspettata di grandi ragni neri, che avevano
tentato di penetrare nella casa. Gandalf si accigliò alla
notizia,
specialmente quando l'altro gli rivelò che, seguendo una
pista, era
giunto a << Dol Guldur. Proprio così, Gandalf.
E là, là
ho... percepito qualcosa, una grande e potentissima magia nera, che
aleggiava nell'aria! L'oscuro potere ha trovato il modo di tornare
nel mondo! Io... >> tremò al ricordo, e lo
sguardo gli si fece
annebbiato << … che ti stavo raccontando?
>>.
<< Tieni questa, amico mio; vedrai che il
“vecchio Tobia”
ti aiuterà a rilassare i nervi >> gli porse la
lunga pipa, e
Radagast ne aspirò una boccata, calmando i nervi e riuscendo
a
ricordare ciò di cui doveva mettere al corrente lo stregone
grigio.
<< Ah sì, grazie! Ora ricordo: dunque, ti
dicevo che sì, l'ho
visto. Ho visto lo spettro che abita la fortezza, bianco come un
lenzuolo! Mi ha attaccato ma sono riuscito a cavarmela, disarmandolo;
poi non ce l'ho fatta a rimanere lì, sono scappato! Tieni
>>
gli porse un fagotto dalla forma allungata; Gandalf scostò
un
piccolo lembo di tessuto, alzando le sopracciglia irsute non appena
capì cos'era quell'oggetto.
<< Non proviene dal mondo dei viventi >>
continuò grave,
lo sguardo allucinato << Eppure c'era dell'altro che
dovevo
dirti, ma proprio non ricordo >> ammise sconsolato,
accarezzandosi pensieroso la lunga barba grigia.
Forse fu un'impressione dei nani, eppure sembrò quasi che
Gandalf
avesse avuto un brivido, inorridito.
Avrebbero voluto chiedergli spiegazioni, ma dovettero rimandare:
degli ululati ruppero quell'apparente quiete facendoli nuovamente
scattare, pronti all'azione.
<< E' stato un lupo? Ci sono i lupi qui, vero?
>> chiese
piano Bilbo, gli occhi spalancati.
<< Lupi? No, quello non è un lupo
>> rispose Bofur, il
piccone saldo tra le dita.
<< Ma gli ululati di prima... >>.
<< Ah, ecco! Certo! Dei Mannari stanno venendo qui!
>>
Radagast non fece in tempo ad aggiungere altro che una grossa testa
pelosa apparve dalle rocce sopra di loro, ringhiando e sbavando, la
pellaccia irta. Scoprì le lunghe zanne e, con un balzo, si
avventò
su di loro, famelico.
Le urla impregnarono l'aria per lunghi attimi mentre Thorin, Nori e
Dori cercavano di abbattere la bestia, riuscendoci.
<< Kili! >> urlò il re, non
appena scorse un altro
mannaro spuntare tra le felci; il giovane non se lo fece ripetere due
volte, tese la corda dell'arco ed incoccò una freccia nel
momento
esatto in cui il mostro si avventò su Thorin, pronto a
divorarlo.
Con un gran tonfo cadde a terra, ancora vivo; ringhiò
feroce, ma
Dwalin lo uccise senza troppi complimenti. Tutti si avvicinarono,
tornando compatti, ancora scossi dall'incontro.
<< Un mannaro ricognitore; un branco di Orchi non
è molto
distante >> esclamò Thorin, sfilando la spada
dalla pelliccia
dell'animale.
<< Orchi hai detto? >> chiese lo hobbit,
incredulo da ciò
che aveva udito.
<< A chi hai parlato della tua impresa oltre che alla tua
famiglia? >> domandò Gandalf, avanzando
minaccioso verso il
re, il bastone in pugno.
<< A nessuno >>.
<< A chi l'hai detto! >> gridò
Gandalf, furioso.
<< A nessuno, lo giuro! >>
ribatté il nano.
Lo stregone distolse lo sguardo da lui, sbuffando e riconoscendo la
sua innocenza.
<< In nome di Durin, che succede? >>.
<< Vi stanno dando la caccia! >>
replicò scocciato
Gandalf, lo sguardo che vagava dappertutto, come a cercare nuovi
nemici.
Alla notizia, i nani si allarmarono: chi mai avrebbe potuto seguirli?
<< Dobbiamo spostarci >> convenne Thorin.
<< Sì, e in fretta >>.
<< Non possiamo! Non abbiamo i pony, sono scappati!
>>.
I nani che erano ancora sulle alte rocce sopra di loro diedero la
cattiva notizia; il cuore dei membri della compagnia si fece pesante,
e la speranza sembrò allontanarsi.
Finché non intervenne Radagast << Posso
depistarli >>.
<< Ti raggiungeranno, sono mannari! >>
proruppe Gandalf.
<< Questi sono conigli di Rhosgobel; vorrei che quelli ci
provassero >>.
Il tono perentorio e minaccioso dello stregone pose fine ad ogni
dibattito, per quanto Gandalf avesse voluto dissuaderlo.
<< Così sia >> disse infine.
Radagast augurò a tutti loro buona fortuna, mentre
richiamava
all'attenzione i conigli e saltava sulla slitta; li salutò
un'ultima
volta e, con un gran vociare di ordini, sparì nel folto del
bosco
lasciandoli soli.
Non sprecarono altro tempo in inutili discorsi: scapparono il
più
velocemente possibile schivando rami bassi, saltando massi che
sporgevano dal terreno finché il bosco non
terminò, lasciandoli
senza una qualche copertura. Ora, la pianura desolata e spoglia
battuta dal vento si perdeva a vista d'occhio, e solo qualche grande
roccia solitaria permetteva loro di nascondersi ai nemici che, nel
frattempo, stavano alle calcagna dell'altro stregone.
<< Venite >> ordinò Gandalf,
dopo che questi furono
passati.
In fila indiana, la compagnia lo seguì, cercando nel
contempo di non
inciampare sul terreno accidentato dato da sassi che sporgevano e il
non farsi scoprire dagli orchi: ma, per quanto provassero a
seminarli, se li ritrovavano poco più in là,
dovendo per forza
cambiare percorso.
Karin rischiò di inciampare su una sporgenza di cui non si
era
accorta, impegnata com'era ad osservare il branco di mannari
inferociti e il non gemere di dolore per la botta alla schiena; Fili,
che ora le correva accanto, la prese per il gomito prima che potesse
cadere, rimettendola in piedi. Ma, per quanto provasse a correre
più
veloce, si ritrovò ad essere l'ultima del gruppo, col
fiatone e le
gambe doloranti e deboli; la botta doveva essere stata più
grave del
previsto.
Stringendo i denti, riuscì a raggiungere i compagni che, nel
frattempo, si erano nuovamente nascosti dietro un grande macigno per
lasciar
passare avanti l'esca e gli orchi; ad un nuovo cenno di Gandalf
avanzarono, lasciando lo stregone e Thorin per ultimi.
Quando passò loro accanto, sentì il nano chiedere
dov'erano
diretti, ma non udì la risposta dell'altro. Corsero ancora,
scorgendo un gruppo di rocce ricoperte di sterpaglie gialle che
facevano al caso loro: essere esposti a poche leghe dai nemici non
giovava affatto al loro umore.
Un brivido percorse la compagnia quando si resero conto di un mannaro
proprio sopra di loro, intento ad annusare l'aria per
scovarli.
Trattennero il fiato per timore di venir anche solo odorati; con
grande calma, Thorin fece un cenno verso Kili, che preparò
una nuova
freccia. Rapido, la scoccò dritta nel muso della bestia, ma
quella
lanciò un grido terribile che, di sicuro, anche gli altri
più
lontano avrebbero udito. Mentre alcuni nani si lanciarono per
uccidere il mannaro e l'orco che lo cavalcava, Karin sbirciò
dalla
roccia, cercando di scorgere movimenti sospetti: sentì vari
ululati,
e le si accapponò la pelle.
<< Presto, correte! >> li incitò
Gandalf, capendo che li
stavano raggiungendo.
Si arrampicarono su per la lieve salita del terreno, correndo
stremati dal peso delle armi e del cuoio e dell'acciaio che
indossavano; stavolta non si nascosero ma avanzarono all'aperto,
anche se per poco: ben presto si trovarono circondati e si fermarono,
mentre gli orrendi orchi rimasero ancora sulle lievi alture ad
osservarli come dei cacciatori fanno con le prede. Con un nodo allo
stomaco, Karin concluse che la metafora non poteva essere
più
azzeccata.
<< Kili! Uccidili!!! >> ruggì
Thorin rivolto al nipote.
Tutti si preparano alla battaglia, armi in pugno: avrebbero lottato
con ogni fibra del loro corpo, anche se la loro inferiorità
numerica
era schiacciante.
La ragazza si portò vicina a Bilbo, la spada luccicante che
mandava
bagliori; l'avrebbe difeso, per quanto avesse potuto.
<< Siamo circondati! >> urlò
Fili, stringendo il suo
grosso maglio; il fratello tese l'arco e scoccò, perforando
un orco
poco distante.
<< Si stanno avvicinando! >>.
<< Dov'è Gandalf? >>.
Il panico sembrò pervaderli, mentre i pochi sparpagliati si
giravano
per raggiungere il resto del gruppo a formare una qualche sorta di
difesa.
<< Ci ha abbandonati! >> proruppe Dwalin in
tono
minaccioso, reggendo un'ascia per mano.
<< Mantenete le posizioni! >>
ordinò Thorin, avanzando
verso il mannaro che aveva schivato il sasso lanciato dalla fionda di
Ori.
Altri lamenti ed ululati minacciosi si aggiunsero da tutte le parti,
mentre altri orchi si avvicinavano al gruppo: erano spacciati, non ce
l'avrebbero mai fatta.
<< Da questa parte, stupidi! >>.
I nani si girarono, sentendo la voce dello stregone alle loro spalle;
stava dietro una roccia scura, ed il suo sguardo piuttosto eloquente
fece
loro capire che non dovevano perdere un attimo, o sarebbe stato
troppo tardi! I mannari continuavano ad avanzare lenti ed
inesorabili, mentre si pregustavano la vittoria ed il sapore della
carne di nano che li avrebbe saziati.
<< Presto, andiamo! Svelti, tutti voi! >>.
Gli altri non se lo fecero ripetere e, incitandosi l'un l'altro, si
girarono scattando verso la salvezza; si
gettarono dentro l'imboccatura di una caverna, uno dietro l'altro,
scivolando fino a toccare terra, dove Gandalf li attendeva e li
contava.
Karin, che stava ancora aspettando d'entrare e girava le spalle agli
orchi, vide Thorin impugnare
la nuova spada guardando un punto imprecisato dietro di lei, gli occhi
azzurri minacciosi e battaglieri; si girò,
l'elsa stretta a due mani e, con un unico fendente, entrambi uccisero
il mannaro che aveva spiccato un salto per aggredirli.
Si guardarono un istante poi lei, con un balzo, scivolò
dentro.
Per ultimi, si aggiunsero Thorin e Kili, rimasto fuori a scoccare
frecce verso gli orchi: non appena li raggiunsero, udirono il suono
di un corno e i mannari, giunti all'imboccatura, si fermarono.
Tutto si svolse così velocemente che Karin non seppe
spiegarselo
nemmeno in seguito: si sentirono sibilare frecce, grugnire gli orchi
e guaire i mannari, mentre un nuovo rumore di zoccoli sembrava
amplificarsi da dove erano nascosti. Un orco, colpito, cadde dentro
la grotta rotolando verso di loro, morto.
Thorin si abbassò, estraendo la punta d'acciaio dal cadavere
<<
Elfi! >> esclamò sprezzante.
Ci fu un breve silenzio e la ragazza, senza volerlo, venne percorsa
da un brivido, notato da Bilbo; al quale non sfuggì nemmeno
il gesto
che compì: le dita sfiorarono la manica del braccio,
stringendo così
tanto la stoffa da far sbiancare le nocche. Solo in un secondo
momento, lo hobbit ricordò che lo stesso gesto disperato e
convulso
l'aveva già visto: la sera in cui le aveva preso la mano per
guardarle la fasciatura. Anche lì, lei lo aveva
insospettito.
Quali altri segreti celavano quegli occhi neri?
<< Non vedo dove porta questo percorso! >>
esclamò
qualcuno, allarmato.
<< Lo seguiamo? >>.
<< Certo che lo seguiamo! >>.
<< La trovo una cosa saggia >>
sussurrò Gandalf rivolto
a se stesso, o a Bilbo, lì vicino.
Si misero tutti in fila indiana, entrando nell'oscurità
della
stretta galleria; Karin rimase per ultima, la mente troppo confusa e
terrorizzata. Avrebbe voluto gridare di trovare un'altra strada, ma
non le uscì alcun suono; avrebbe preferito uscire da
lì e
percorrere le terre desolate da sola, piuttosto che infilarsi in
quell'apertura.
Il cuore sembrava scoppiarle in petto, e un freddo gelido
penetrò le
sue ossa, sconvolgendola. Non ce la faceva, non ce l'avrebbe mai
fatta!
<< Karin? >> la voce pacata di Gandalf la
raggiunse da
molto lontano, o così le sembrò. Il volto dello
stregone le apparve
alla sua altezza, ma non ricordò né d'averlo
visto arrivare, né
d'averlo sentito inginocchiarsi; le mise una grande mano sulla
spalla, sorridendole leggermente.
<< Forza, bambina >>.
Non seppe se fu questo a darle forza o gli occhi azzurri e
scintillanti dell'Istari che sembrarono infonderle coraggio; si
sentì
annuire mentre le gambe, senza il permesso del cervello, agirono da
sole portandola verso un'apertura stretta e claustrofobica. Le alte
pareti rocciose ai lati si perdevano a vista d'occhio e, in alcuni
punti, sembravano restringersi.
Karin respirò profondamente mentre seguiva gli altri, ed
addirittura
trattenne un sorriso quando udì le imprecazioni di chi era
dietro il
povero Bombur, ed era costretto a spingerlo perché troppo
grasso.
Ora l'oscurità si rischiarava e, molto sopra le loro teste,
potevano
scorgere una lieve striscia di cielo.
Finalmente quello stretto corridoio finì e, scesi alcuni
gradini e
girata una sporgenza di roccia, rimasero tutti basiti, incapaci di
parlare: la Valle Nascosta si mostrò ai loro occhi in una
luce
soffusa e rosata, che lambiva le meravigliose strutture sottili,
così
leggere che parevano crollare da un momento all'altro. Da un lato,
gli edifici erano incastonati tra le alte pareti della rupe coperte di
muschio, dall'altra, le cascate cristalline conducevano l'occhio
verso lo strapiombo profondo che portava a valle.
Uno spettacolo così... bello e meraviglioso, per un attimo
fece
scomparire ogni paura dal cuore di Karin: finché non
ricordò a
quale popolo apparteneva tutto quello splendore.
<<
Dunque era questo il tuo piano, fin dall'inizio? Portarci qui, dagli
elfi?
>>
il tono di Thorin era alterato, visibilmente irritato per essere
stato raggirato in quel modo dallo stregone che, tuttavia, mantenne
la calma.
<< Se te ne avessi parlato prima avresti fatto di tutto
per non
venire, ed ora ti ritroveresti morto e senza compagni. Era l'unica
soluzione >>.
<< Ma davvero? >> sbottò ironico
il re << Perché
dovrei chiedere il loro aiuto quando loro non vennero in nostro, anni
fa? >>.
<< Re Elrond è l'unico in grado di aiutarci a
risolvere
l'enigma delle rune; metti da parte le divergenze, Thorin! Troverai
che qui, l'unico che porta rancore, sei tu >>.
Senza ulteriori parole lo stregone si avviò a costeggiare la
parete che li avrebbe condotti verso il sentiero principale di
pietra; gli altri nani, rivolgendo un breve sguardo di scuse verso il
loro re lo seguirono, troppo stanchi e scombussolati dal precedente
incontro per badare a certe sottigliezze, come il fatto che vi
abitavano elfi. Bilbo, eccitato all'idea che finalmente li avrebbe
incontrati di persona, non si accorse che Karin era rimasta
nuovamente indietro, le braccia e la schiena che parevano bruciarla
viva.
<< Muoviti! >> le ordinò brusco
Thorin, vedendola ferma;
si accigliò non poco nel notare lo sguardo per nulla
arrabbiato o
orgoglioso della ragazza, come quello che gli riservava ogni volta
che le parlava; lo vide spento e atterrito, nella sua
profondità. Ma
non indagò, aveva altro a cui pensare.
La sorpassò, senza curarsi se lo stesse seguendo o meno.
Giunsero ad una piattaforma circolare di pietra intagliata, preceduta
da due grandi statue di elfi guardiani con la spada in pugno
conficcata nel pilastro; rimasero a guardarsi attorno, ammirando il
panorama che si stendeva ai loro occhi: convennero che gli elfi si
trattassero piuttosto bene, per essere una razza... particolare.
<< Mithrandir >>.
Un elfo alto e slanciato dai lunghi capelli castani scendeva i
gradini d'entrata del palazzo, avanzando verso di loro;
parlò in
elfico, rivolgendosi a Gandalf, dando solo una rapida occhiata agli
altri.
<< Dov'è sire Elrond? >>.
<< Non qui >>.
Karin si irrigidì nel sentire rumori di zoccoli che si
avvicinavano
ed anche gli altri si mossero, irrequieti; si strinsero l'uno
all'altro in un cerchio, trascinando Bilbo al centro, così
da
proteggerlo se li avessero attaccati. Dal sentiero di pietra giunsero
elfi a cavallo, bardati da battaglia: portavano elmi e lunghe lance,
oltre agli archi sottili ma robusti. Li accerchiarono, guardandoli da
sopra le cavalcature, così da considerarli ancora
più bassi di quel
che erano.
Uno di loro smontò dalla sella, togliendosi l'elmo ed
avvicinandosi
a Gandalf, salutandolo nella propria lingua; lo stregone
chinò il
capo in segno si rispetto, di fronte alla nobile figura del signore
di Gran Burrone.
<< Abbiamo attaccato un branco di mannari vicini al passo
nascosto; non si erano mai spinti così vicini al nostro
territorio.
Qualcosa li ha condotti lì >>.
<< Oh, temo sia stata colpa nostra! >>
esclamò Gandalf,
il buon umore ritrovato; Elrond non fece ulteriori domande, ma
posò
lo sguardo saggio su ognuno dei nani, e su Bilbo. Karin,
istintivamente, cercò di nascondersi dietro Dwalin,
arretrando
lenta.
Elrond non se ne accorse, ma pronunciò un'altra frase in
elfico, che
fece infuriare Gloin.
<< Ci sta insultando! >> ruggì,
brandendo la sua ascia.
<< No amici! Vi sta solo offrendo del cibo
>>.
Alle parole di Gandalf, Gloin borbottò imbarazzato: si
voltò e
iniziò a confabulare con gli altri se accettare o meno pasti
elfici,
ma il bisogno di mettere qualcosa di sostanzioso nello stomaco e
riposarsi un po' mise fine ad ogni dubbio e rivalità.
<< D'accordo, va bene >>.
<< Ne sono lieto >> disse Elrond
<< ma prima,
permettetemi di mostrarvi le vostre stanze; c'è un'ala del
palazzo
più riservata che potrebbe fare al caso vostro. Seguitemi
>>.
Li accompagnò personalmente attraverso lunghi corridoi
aperti da un
lato, che mostravano loro il paesaggio; le arcate di legno pregiato
si poggiavano su esili colonnine intagliate, troppo sottili per
poterne reggere il peso. Sul muro alla loro destra, alcune pitture
mostravano immagini di un'epoca passata, i colori leggeri e delicati,
quasi trasparenti. Girò a destra, ad una parte
più interna: molte
porte chiuse si mostrarono, e lì Elrond li
lasciò, dando
appuntamento per la cena a qualche ora più tardi; non appena
furono
soli, aprirono le porte con un gran schiamazzare, esclamando di
stupore alla vista di veri letti morbidi e grandi. Passò
qualche
tempo prima che tutti fossero sistemati, chi in una stanza singola o
in compagnia.
Karin fu costretta a sceglierne una piccola ed un po' più
lontana
rispetto alle altre; quando vi entrò, la luce del tramonto
la
investì, ed una leggera brezza proveniente dalla
porta-finestra
aperta le scompigliò i capelli. Slegò la cintura
della spada,
poggiandola sulla morbida coperta e, con passi incerti, si
avvicinò
al balcone di pietra, poggiando le mani sul parapetto: il grosso
macigno che sentiva nel cuore da quando aveva messo piede a Gran
Burrone sembrò svanire, mentre lo sguardo si attardava ad
ammirare
la vallata verde, la roccia che si ergeva alta nascondendoli, dalla
quale proveniva lo scrosciare potente dell'acqua. Persino il vento
sembrava dolce ed etereo come quel luogo, pacato nell'accarezzarle il
volto, al contrario dello sferzare pungente e furioso a cui era
abituata.
Eppure, per quanto potesse affascinarla, le bastava uno sguardo
all'interno della stanza semplice ma che trasmetteva ricchezza e
nobiltà, per rammentarle vecchie sensazioni e ricordi
dolorosi; le
mani strinsero la roccia, fino a farle sbiancare le nocche: le pareti
parvero restringersi, facendola sentire in trappola.
Come
un uccellino in gabbia.
Un lieve bussare alla porta di legno la fece sobbalzare,
richiamandola dallo stato di trance nel quale era caduta;
sbatté le
palpebre confusa mentre si precipitava ad aprire, incontrando la
piccola figura dello scassinatore.
<< Ehilà, posso? >>.
Si era lavato, ed i suoi abiti sembravano meno logori dei giorni
passati a camminare; il suo sorriso gioviale ed allegro si
affievolì,
mentre la squadrava.
<< Va tutto bene? >>.
<< Co-cosa scusa? >>.
<< E' successo qualcosa? >> chiese, ancora
più
preoccupato nel vederla così pallida.
<< No, no! Entra >> si fece da parte,
permettendogli di
entrare nella camera; accigliata, notò che il sole era
calato da un
pezzo, e l'oscurità aveva invaso lo spazio: ma da quanto
tempo si
era fatto buio?
Da una tasca della camicia tirò fuori un acciarino,
accendendo le
candele poste sopra il basso tavolino di legno, appoggiato alla
parete; Bilbo era silenzioso, osservando ogni minimo gesto della
ragazza e domandandosi se era il caso di chiederle spiegazioni.
<< Tra poco è ora di cena: non so te, ma io
sto morendo di
fame! >> disse sfregandosi le mani, il vecchio spirito
Baggins
che si risvegliava. Karin mugugnò qualcosa, non condividendo
il suo
entusiasmo. Desiderava solo allontanarsi quante più leghe
possibili
da lì.
<< Andiamo? >> propose invece; non ce la
faceva più a
stare tra quelle quattro mura. Forse, se si fosse trovata in mezzo
agli altri, si sarebbe calmata. Lo sperava con tutto il cuore.
Il
resto della serata le sembrò tutto confuso, come se non
fosse stata
presente; era distratta, lontana mille leghe, la mente rivolta a
pensieri cupi e tristi. Più di qualcuno se ne accorse, e a
nulla
valsero i tentativi di Kili, Fili e Ori di parlarle e coinvolgerla:
sorrideva a stento alle battute, oppure la sorprendevano con lo
sguardo fisso in un punto, gli occhi spalancati. Mangiò poco
niente,
ed il loro ciarlare allegro ben presto la infastidì, come la
dolce
musica che alcuni elfi stavano suonando per loro. La irritò
ogni
gesto che vedeva, come quando Nori – sedutole accanto -
nascose
alcune posate d'argento e calici di vetro colorato sotto le vesti, o
notando quanto Bombur riuscisse ad ingozzarsi di cibo, oppure quando
Ori chiese, petulante, se avevano le patatine
fritte;
i palmi delle mani iniziarono a sudarle, ed un fastidioso fischio
nelle orecchie le fece chiudere gli occhi: sentì un gran
caldo al
volto, il mondo che, improvvisamente, iniziava a vorticare.
I
suoni ed i richiami degli altri le giunsero ovattati, e non si
accorse nemmeno di essersi alzata dalla sedia; deglutì
più volte a
vuoto, riaprendo gli occhi. Tutti gli sguardi le erano addosso,
compresi quelli di Gandalf, Elrond e Thorin, seduti ad un altro
tavolo; fece un accenno d'inchino verso l'elfo, biascicando che non
si sentiva molto bene. Non aspettò la risposta, girando i
tacchi e
ripercorrendo a ritroso la strada che l'aveva portata lì:
camminava
con difficoltà, appoggiandosi di tanto in tanto al muro per
riprendere fiato; più volte le salirono alla gola dei
conati, ma li
respinse mentre, imperterrita, avanzava verso la stanza. Le
sembrò
di non arrivarvi mai, ed ogni passo non era che una tortura. Ma poi,
finalmente, riconobbe la porta ed entrò; si deterse
il
sudore dalla fronte, le dita tremanti e gelide su pelle bollente.
Cercò il
catino e la brocca d'acqua limpida che aveva notato prima e, dopo
averne versato un po', si sciacquò il viso, cercando di
respirare;
purtroppo la situazione non migliorò, ogni cosa attorno a
lei
ruotava senza sosta. Si portò verso il letto, aggrappandosi
alla
sedia che stava nel mezzo e, con uno sbuffo, si sdraiò sopra
le
coperte; esausta e scocciata chiuse gli occhi, sperando che il malore
passasse: ogni suono, ogni più piccolo rumore,
sembrò amplificarsi
nel silenzio che regnava; poteva persino percepire le infinite
goccioline di sudore che le scendevano dal collo ai seni fino
all'ombelico, appiccicandole la camicia. Ma non le importò,
aveva
solo una gran voglia di dormire per non dover pensare a nulla: da
quando era arrivata lì non faceva altro che rimuginare,
rimuginare,
rimuginare.
Terribilmente snervante.
Sempre tenendo chiusi gli occhi cercò a tentoni la parte
superiore
degli stivali, sfilandoli e buttandoli a terra: rimase vestita, senza
coprirsi con la coperta e si rannicchiò su un fianco,
cercando di
riposare.
Cercando di dimenticare.
Crac.
Non
deve fermarsi.
Crac.
Le
unghie si spezzano.
Crac.
Reprime
a fatica un singhiozzo.
Crac.
Il
sangue cola.
Crac.
Piange,
ma non si ferma.
Crac.
Non
deve fermarsi.
Crac.
E'
l'unico modo per non impazzire.
Crac.
Non
deve fermarsi.
Crac.
Non
deve fermarsi.
Crac.
Non
deve fermarsi.
<< Thorin >>.
<< Thorin >>.
<<
Zio!
>>.
Il re si svegliò del tutto all'ennesimo richiamo del nipote.
<< Cosa succede? >> chiese preoccupato e
con la voce impastata, temendo un
qualche complotto degli elfi; forse gli altri erano stati catturati e
sbattuti nelle segrete, a giudicare dal volto teso di Kili. O forse,
era accaduto di peggio.
<< Devi seguirmi subito. Karin... >>.
Il
ragazzo non riuscì a terminare la frase che l'altro lo
spinse bruscamente di
lato, scendendo dal letto: afferrò la camicia blu notte e le
brache,
indossandole in fretta. Se c'era una cosa che lo rendeva irrequieto
come poche, era sentire le parole “seguirmi
subito” e
“Karin”
nella
stessa frase: si chiese cosa avesse combinato la traditrice, e la
risposta che si diede non gli piacque.
<<
Portami da lei, e ti conviene informarmi di tutto mentre camminiamo
>> ordinò perentorio; prese la spada elfica
Orcrist –
fendiorchi
– e precedette il nipote nel corridoio, lasciando poi che lo
guidasse verso la stanza.
<< Stavo andando a dormire, quando ho sentito dei rumori
strani
provenire dalla sua camera: sentivo gemere e delle flebili grida,
così ho bussato, ma non ho ottenuto risposta; in quel
momento è
arrivato Gandalf, che è entrato; mi ha mandato a chiamarti,
così
sono corso qui >> rapido e conciso, proprio come il re
gli
aveva insegnato: inutile perdersi in tanti discorsi, ciò che
importava era saper trasmettere l'essenziale.
<< Gli altri? >> volle sapere Thorin; il
suo cuore si era
in parte sollevato nel sentire che i nani erano al sicuro e stavano
bene. O, almeno, quasi tutti.
<< Nelle loro stanze; ero rimasto fuori solo io. Ah,
eccoci >>.
Bussò una volta, ed entrambi udirono la voce dello stregone
chiamarli: lo videro seduto sul materasso, gli occhi chiusi e
l'espressione concentrata, una mano posata su quella più
piccola di
Karin e l'altra sulla sua fronte madida di sudore. La ragazza era
stesa a letto e respirava affannosamente, come se avesse corso; a
poco a poco, mentre lo stregone mormorava parole in una lingua
sconosciuta, l'espressione sofferente si rilassò, ed il
respiro
divenne calmo e tranquillo. Solo allora, nel vederla nuovamente
nell'oblio del sonno, le lasciò la mano, alzandosi.
<< Nulla di grave, solo un incubo >>
annunciò ai due;
ma, benché avesse accennato un sorriso, Thorin
capì che nascondeva
dell'altro. E non voleva farlo sapere al ragazzo.
<< Kili, vai a dormire >>.
Il giovane nano guardò lo zio, accigliato <<
Ma, Thorin... >>
provò a protestare, volgendo lo sguardo alla figura
addormentata di
Karin.
Anche Thorin fece altrettanto << Ora sta bene, l'hai
visto
anche tu. Torna a letto, è tardi >>.
Kili combatté con la voglia di opporsi e fare di testa sua,
e
l'obbedire al suo re e parente; infine, dopo molti secondi,
chinò il
capo sconfitto, lasciando la stanza. Solo quando furono certi
d'essere soli, Gandalf parlò.
<< Ho dovuto ricorrere ad un po' di magia per calmarla;
era
molto agitata >>.
<< Era sveglia quando sei arrivato? >>
chiese, misurando
la stanza a grandi passi, le mani dietro la schiena; gesti che gli
permettevano di scaricare la tensione, più che altro.
<< No >> rispose mestamente Gandalf;
sospirò,
grattandosi pensieroso la barba. Gesto che non placò
l'inquietudine
del re dei nani.
<< Hai visto ciò che stava sognando?
>>.
Lo stregone annuì, alzando le sopracciglia irsute
<< Il suo
passato e quello che ha dovuto affrontare prima e dopo l'esilio
>>.
Thorin non disse nulla, spostando lo sguardo lungo la stanza ben
arredata: gli occhi intravidero l'elsa della spada della traditrice,
custodita nel fodero. Molti pensieri, per lo più nefasti, si
affacciarono nella sua mente, facendogli contrarre la mascella.
<< Non sei l'unico ad essere stato ferito nell'animo, per
colpa
del drago; e, spesso, alle cicatrici del cuore se ne affiancano altre
>>.
Gandalf gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla in
un
gesto che valeva più di mille parole; il re sostenne il suo
sguardo
azzurro, orgoglioso e testardo come solo lui poteva essere. Non disse
nulla, e forse nemmeno l'altro si aspettava una sua parola: eppure,
anche i silenzi come quelli gravavano come non mai. Lentamente, si
avvicinò alla porta di legno, andandosene; Thorin non seppe
spiegarselo, ma si ritrovò accanto a Karin, guardandola
dormire.
Stavolta non gli dava le spalle ma dormiva su un fianco, verso di
lui: il volto era sereno, la bocca leggermente socchiusa, i respiri
regolari e calmi, come se nessun oscuro pensiero potesse sfiorarla.
La mano sinistra era sotto il cuscino, l'altra era a penzoloni fuori
dalle coperte.
Dovette
rimanere presente a se stesso per non prendergliela e riporla al
sicuro, al tepore delle lenzuola; si impose di ricordare
chi
era in realtà quella donna, e cosa aveva fatto. Ogni traccia
di
pietà e di un qualcosa che non riuscì a definire
provata fino a
quel momento svanì; il suo cuore si indurì e
nemmeno il vederla lì,
inerme e pacata, smosse le sue convinzioni.
Scosse la testa e si passò una mano sul volto, sentendosi
vecchio e
stanco, incredibilmente stanco: aveva bisogno di dormire, di
allontanarsi da lì.
Di allontanarsi da lei.
Si avviò a passi pesanti verso la porta, chiudendola piano
nonostante il tumulto interiore che lo dilaniava; eppure, se poco
prima fosse stato più attento, avrebbe scorto qualcuno
sbirciare
dentro, grazie alla porta socchiusa; quella creatura aveva notato il
suo stato d'animo, vedendo la debolezza dietro l'alterigia e la
sicurezza che lo contraddistinguevano.
Ed aveva compreso alcune cose che gli erano state taciute.
Il sole irradiò la stanza, lambendo prima le coperte e poi
spostandosi sul suo volto, riscaldandola e facendole prudere il naso;
aprì prima un occhio e poi l'altro chiedendosi dove si
trovasse, ma
le bastò un'occhiata ai mobili finemente intagliati ed alle
tende
azzurre quasi impalpabili per capire: era ancora a Gran Burrone.
Con un gemito sconsolato si alzò, massaggiandosi il collo:
forse
aveva dormito in una posizione sbagliata, le doleva tantissimo.
Si sciacquò il viso, ricordando il malore della sera prima,
durante
la cena: lo stomaco le si contrasse, come se qualcuno glielo stesse
stringendo in una morsa; inoltre, il pensiero di mettere qualcosa
sotto i denti le fece venire la nausea, ma non sapeva se per la
troppa fame o no.
Dando un'occhiata al cielo dedusse che era mattina inoltrata, quindi
decise che avrebbe aspettato il pranzo e, nel frattempo, sarebbe
andata fuori a prendere un po' d'aria, cercando di rimanere il
più
in ombra possibile. Non l'entusiasmava l'idea di incontrare degli
elfi.
Prese la spada, ancora nel fodero, e lasciò la stanza,
percorrendo
il lungo corridoio dove alloggiavano; non incontrò nessuno,
né nani
né elfi, mentre scendeva alcuni sottili gradini di pietra
lavorata e
liscia, seguendo poi uno stretto sentiero costeggiato da alberi
verdi, i cui rami venivano mossi dal venticello appena frizzante.
Continuò a camminare per un po', facendo saettare lo sguardo
nell'intercettare qualcuno, ma fu fortunata; si sedette su una
panchina di pietra, sfoderando la spada d'acciaio che, al contatto
col cole, sembrò brillare.
Si mise a pulirla ed affilarla, gesti che compiva ogni giorno,
mettendola a suo agio: anche solo toccandola provava una immensa
quiete, ed una pace interiore che le scacciava qualsiasi pensiero
negativo.
<< Se continuerai ad affilarla in quel modo la rovinerai,
ragazza >> una voce anziana e conosciuta le fece alzare
lo
sguardo, riconoscendo prima la barba bianca biforcuta e poi il volto
di Balin; le stava sorridendo, ed il tono con cui le aveva parlato
non era affatto minaccioso o sgarbato, anzi: celava quasi una sorta
di divertimento.
<< Non accadrà, mastro nano; dopotutto,
è il mio tesoro più
prezioso >>.
<< Cos'è il tuo tesoro più
prezioso? >> fece eco una
voce più giovane; Kili si fece avanti, seguito da Bilbo e
Bombur.
Karin sospirò affranta: addio
all'idea di rimanere per un po' da
sola!
Bombur le si avvicinò, reggendo tra le mani una ciotola di
vetro,
con dell'uva bianca all'interno.
<< Ho pensato di portarti un po' di frutta, visto che
stamattina non eri a colazione >> disse, leggermente
imbarazzato.
<< Se vedi che mancano dei chicchi, non preoccuparti:
è che se
li è mangiati mentre venivamo qui >>.
Le guance paffute del nano si colorarono di un bel rosa, mentre
borbottava rivolto a Kili che, nel vederlo così, aveva riso
di
gusto.
Karin scosse la testa, sorridendo all'indirizzo di Bombur
<<
Grazie mille. Avevo giusto un languorino >> si
fermò,
prendendo un grappolo dai grossi acini dorati, guardandolo
<<
ma ce ne sono così tanti che rischierei di rovinarmi
l'appetito per
dopo: perché non mi aiuti a finirli? Anzi, se ne volete
anche voi >>
chiese, rivolta agli altri.
Balin annuì, sedendosi pesantemente sulla panchina,
accanto a lei.
<< Questa spada mi ricorda molte battaglie: rammento bene
quando
l'impugnava tuo padre >>.
Il chiacchiericcio allegro degli altri si interruppe, mentre posavano
lo sguardo sulla lama d'acciaio e sull'elsa, riconoscendola.
Kili sgranò gli occhi, e persino Bombur smise di mangiare
<<
Questa è la spada del tuo clan? Quella che le leggende
raccontano?
>>.
Karin annuì, mentre fu Balin a rispondere <<
Questa, figlioli,
è Iris. Fulgore d'Oriente.
Una delle spade più belle
che la stirpe dei Nani potesse realizzare, seconda solo alle armi
degli antichi re >>.
I nani rimasero a bocca aperta, stupiti; anche Bilbo subì il
fascino
che mandava la spada, ammirandone la forma allungata e sottile, ma
ciò che lo colpì di più fu la forma
della guardia d'acciaio: si
apriva in quattro petali di iris, abbastanza distanziati tra loro che
culminavano nel manico, permettendo così un riparo al polso
di chi
l'impugnava. Sembrava quasi che la lama fuoriuscisse dal fiore, una
manifattura così delicata e perfetta che si chiese come
avessero
fatto i nani a realizzarla; era senza dubbio un'opera d'arte creata
dal miglior fabbro, destinata ad una stirpe nobile e grande.
Notò che sulla scanalatura del forte vi erano delle rune
<< E
queste, che significano? >>.
<< Da questo lato è inciso il suo nome, Iris,
e
l'appellativo con cui l'ha chiamata Balin; dall'altro >>
Karin
la girò, mostrandogli altre rune << Coraggio.
Lealtà.
Passione. Tre qualità che il portatore deve
possedere, se vuol
vincere ogni battaglia; altrimenti, è destinato a perire.
Questa
spada è stata tramandata dai padri ai figli del mio clan per
molte
generazioni e, ora, è la mia compagna >>.
<< E' meravigliosa >> ammise Kili, pensando
con rammarico
alla sua spada: non era altrettanto bella.
<< Oh sì; e sono certo che compirà
grandi gesta anche con
questa portatrice >>.
La ragazza chinò il capo in segno di rispetto verso il nano
anziano,
ringraziandolo per le sue parole; Balin le mise una mano sulla
spalla, in un gesto paterno che le riscaldò il cuore.
<< Sei una brava ragazza, Karin: sono felice che tu
faccia
parte della compagnia. Bene >> esclamò infine,
alzandosi in
piedi << non so voi, ma io me ne ritorno in camera;
preferisco
un po' di buio a tutta questa luce elfica. Oggi ci sarai a pranzo?
>>.
<< Sì, e anzi, mi scuso per il comportamento
di ieri a cena;
ero solo molto stanca >> cercò di farla
passare per una
possibile giustificazione, non accorgendosi della strana occhiata che
si rivolsero Bilbo e Kili.
Balin annuì, sembrando rincuorato dalla risposta: forse, si
era
preoccupato per lei. Se ne andò, lasciandoli soli ed in
silenzio
mentre Karin rinfoderava la spada con cura, ammirandola ancora.
<< Sei certa di sentirti meglio? >> le
chiese Bilbo,
preoccupato.
<< Certo, avevo solo bisogno di dormire, tutto qui
>>.
<< Ti... ricordi qualcosa di ciò che
è successo dopo che te
ne sei andata? >>.
<< In che senso? >> chiese perplessa lei,
di fronte alla
domanda dello hobbit.
<< Vorremmo sapere se sei svenuta o cose del genere,
mentre
cercavi di tornare in camera, tutto qui >>.
<< No. No, sono riuscita a buttarmi sopra il letto e mi
sono
addormentata; non ricordo altro finché non mi sono svegliata
stamattina >>.
Entrambi fecero un strana espressione tra il sollevato e l'affranto,
mentre Bombur, ormai, aveva finito da solo i grappoli d'uva. Karin si
accigliò, volendo chiedere loro qualcosa in più
sul perché di
quelle domande, ma non poté: Fili arrivò prima
che potesse farlo.
<< Cercavo proprio voi, ragazzi: il pranzo
verrà servito tra
poco, mi è stato chiesto di venirvi a prendere! Come ti
senti
stamattina, Karin? >> le chiese, dandole una pacca sulla
spalla.
<< Bene, grazie >> borbottò,
sulla difensiva: non era
abituata a tutta quella confidenza.
<< Ehi fratello, vacci piano: non vedi come è
ancora pallida?
>>.
<< Ci conviene andare, sapete >> propose
Bilbo,
prevedendo già i battibecchi che sarebbero nati tra i due
nani; lui
e Karin si avviarono per primi, sentendo i fratelli iniziare a
discutere e, l'attimo dopo, ridere forte per una qualche battuta.
La ragazza si sentì inaspettatamente meglio dopo aver
passato la
mattinata in loro compagnia, ma si ripromise di pensare anche alle
strane domande a cui aveva risposto; guardando di sottecchi Bilbo, si
convinse che c'era dell'altro che non voleva rivelarle. E, prima o
poi, avrebbe scoperto di cosa si trattava.
In un battito di ciglia volò anche il pomeriggio, passato
fuori con
i ragazzi: si erano presentati alla sua porta tutti sorridenti,
trascinandola in giardino per una fumata; si erano seduti a terra e,
poiché gli alberi erano esili e non li avrebbero coperti con
la loro
ombra, erano rimasti sotto il sole caldo a parlare e raccontarsi
storie. Karin aveva per lo più ascoltato, sorridendo ogni
qual volta
ce ne fosse bisogno, ma non aveva partecipato al loro tuffo nel
passato. Avevano posto molte domande a Bilbo, essendo di una razza
diversa e lui, con un'espressione nostalgica e felice in volto, aveva
raccontato della sua vita nella Contea.
E poi, quando ormai si erano accorti che il sole stava tramontando ad
ovest, avevano deciso che era tempo di rientrare e si erano
incamminati continuando a ridere e cantare allegri.
Karin si sorprese a pensare di come fosse cambiata la situazione
dalla sera precedente; a pranzo, infatti, tutti le avevano chiesto se
stesse meglio e persino Dwalin – che, di norma, l'ignorava o
le si
rivolgeva in tono burbero – si interessò della sua
salute.
Aveva risposto con gentilezza a tutti, non senza però una
buona dose
di sospetto e distacco: non era abituata a ricevere tutte quelle
attenzioni, né che le parlassero così tanto.
Aveva trascorso troppo
tempo da sola.
Fece un cenno con la mano agli altri che, nel frattempo, aprivano le
porte delle stanze per fiondarcisi dentro e, con un leggero sorriso
sulle labbra al ricordo della tranquila giornata trascorsa senza
intoppi, aprì la porta
della camera.
Il sorriso svanì, ed un'espressione stupita ne prese il
posto alla
vista di chi vi era all'interno.
Thorin era entrato senza il suo permesso. E, tra le mani, reggeva
Iris.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Holaaaaaa!!!
Come
state ragazzuole mie? ^^
Sotto
minacce di
morte da parte della cara e vecchia Carmaux_95, eccomi qui a postare
il quarto capitolo!
Devo dire che mi
sento abbastanza soddisfatta di come è venuto, anche se ho
scritto poco rispetto allo scorso :( ; è che mi è
sembrato doveroso scrivere qualcosa di un po' più...
diverso, ecco! Non mi sono nemmeno dilungata troppo con tante parole,
ed ho diviso il capitolo in alcuni paragrafi: non so perché
l'ho fatto, avevo voglia di provare uno stile nuovo ^^. Inoltre, avrei
voluto
scrivere meglio alcune parti ç___ç; chiedo
già scusa a MrsBlack90,
perché mi sa che anche stavolta non ho descritto
granché del
paesaggio: è sempre stata un'ardua sfida descrivere Gran
Burrone, e
credo d'aver toppato :( perdonatemi!!! Ok, mi sa che la definizione
"abbastanza soddisfatta" non rientri molto bene :D
Non
sapete quanto
sia stata felice nel leggere le vostre recensioni, mi danno sempre
una carica ed una dose di autostima troooooppo grande: siete tutte
fantastiche, dico davvero! E non smetterò mai di
ringraziarvi :D
Dunque,
torniamo
al capitolo – adoro commentare ciò che scrivo
*____*: qui entra in
scena il grandissimo Radagast! Quanto mi piace quello stregone, sono
stata felicissima che P.J. abbia voluto svilupparlo!
Con l'arrivo della
compagnia nella Valle Nascosta nascono nuovi problemi: fate
attenzione a ciò che leggete, perché alcune
situazioni/frasi sono
un preludio a ciò che accadrà più
avanti, e riguarderanno il
passato di Karin ;) ;)
Spero d'essere
riuscita a rendere la magnifica spada Iris: nella mia testa la
immagino perfetta, ma magari l'ho descritta male... aiutoooooo!!!!!
Con
questa
spiegazione, credo che ormai abbiate capito a cosa si riferisce il
titolo della storia: alle due fedeli armi dei protagonisti, lo scudo
e la spada. Non so voi, ma io la trovo una cosa dolcissima *_______*,
non credo di resistere ancora per molto a farli litigare e basta
>.<:
ho bisogno di fluffosità, anche se non riesco a scrivere
nulla del
genere ahahahhahaha, cielo!
Bene,
quindi come
sempre vi esorto a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne
pensate! Anche voi che leggete solamente, fatevi sentire: mi sarebbe
d'aiuto per capire se sto seguendo il sentiero giusto verso Erebor XD
XD XD!!!
Ringrazio
tantissimo le persone che l'hanno inserita nelle liste delle storie
preferite, seguite e ricordate (scusate se non vi elenco
ç___ç ) e
un grazie di cuore a chi ha recensito:
Lady of the sea, jaybeautifldarkangel, Jollyna, nini superga,
erica0501, MrsBlack090 e Carmaux_95.
Thaaaaaanks ragazze, alla prossimaaaaaa!!! :* :*
Anna <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
CAPITOLO CINQUE
Accanto al letto e con Iris in mano, stava Thorin; Karin percorse con
lo sguardo il profilo del re, la fronte ampia, il naso lungo e
dritto, le labbra sottili che quasi formavano un'unica linea
seminascosta dalla barba scura, domandandosi cosa ci facesse in
camera sua. Avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, farsi ridare la
spada e scacciarlo malamente da lì, ma non lo fece. Rimase
ferma, la
mano ancora attaccata alla maniglia in una presa ferrea; chiuse la
porta dietro di sé, il battito del cuore come unico rumore.
Sapeva
che lui l'aveva sentita arrivare, probabilmente già da
quando aveva
messo piede in corridoio con gli altri, ma non aveva detto una sola
parola, né spostato il capo verso di lei.
Si mosse leggermente a disagio, spazientita da quel silenzio
opprimente.
Dopo quelli che sembrarono minuti infiniti, la voce di Thorin le
giunse alle orecchie.
<< Non credevo di rivedere così presto questa
spada. E nemmeno
te >>.
<< La stirpe di Gorin è difficile da
cancellare >>
rispose calma e glaciale, così come le si era rivolto.
Thorin alzò
un angolo della bocca in una specie di sorriso, continuando a tenere
lo sguardo sul filo della lama.
Il ricordo del loro litigio tornò prepotentemente alla mente
della
ragazza: si morse il labbro inferiore, nervosa, mentre non poteva
fare a meno di pensare alla frase che gli aveva rivolto.
“E
guardami, maledizione!”
Quanto
avrebbe desiderato
potergliela urlare anche adesso: lo detestava quando si comportava
così, come fosse una persona qualunque che non meritava di
essere
notata, di essere vista.
<<
Quando leggo la parola Lealtà,
mi
domando a chi la deve questa spada >>.
A Karin sembrò un discorso assurdo: cosa pretendeva? Che gli
rispondesse come se non fosse accaduto nulla?
<< Iris è fedele a me, così come io
lo sono a lei >>.
<< La lealtà è sempre andata ad un
re >> mormorò, la
voce bassa e profonda. Karin non capì se, anche adesso,
stesse
parlando della spada. O di lei.
<< Ho smesso di esserti leale quando mi hai bandita; lei
ed io
abbiamo fatto un patto e, finora, mi ha servita bene >>.
<<
Tu cosa avresti fatto? >> le chiese a bruciapelo,
spiazzandola;
ora, il suo desiderio era stato esaudito, la stava guardando.
Così
intensamente e disperatamente che sembrò trafiggerle l'anima.
<< Se ti fossi trovata al mio posto ed io al tuo?
>>
continuò, appoggiando la spada sopra il letto e girandosi
verso di
lei: ora, erano di fronte.
Ma il rancore e la rabbia sorda che provava nei suoi confronti
superava di gran lunga ogni altro sentimento avesse provato per lui:
la ferita non si era ancora rimarginata, bruciava ancora.
<< Ti avrei ascoltato, decidendo di conseguenza
>>.
<< Non ho avuto scelta >>.
<< No, non è vero! >> ecco,
stava nuovamente per perdere
la calma al contrario del nano che, invece, manteneva una certa
compostezza: ancora per poco.
<< Avevi la possibilità di cambiare decisione,
ma non l'hai
fatto; nel tuo cuore, la reputavi la scelta giusta >> mai
come
in quel momento si sentì disperata. Anche il solo
pronunciare la
verità faceva più male di qualsiasi gesto, di
qualsiasi silenzio.
<< Ci sono scelte che richiedono sacrifici
>>.
Il cuore di entrambi sembrò sussultare in sintonia: quanto
poteva
essere devastante una frase?
<<
Ero questo, per te? Un sacrificio?
Qualcosa di cui sbarazzarsi al primo sbaglio? >>.
<<
Sbaglio?
Karin, tu ci hai traditi!
>>.
<< Non ho avuto scelta >>
ripeté, sulla scia di Thorin;
il corpo iniziò a tremare << non l'ho
veramente avuta; tu...
tu non hai idea di ciò che ho passato, sia prima che dopo
l'esilio.
Tu non sai quali cose... non sai niente! >>.
<< TACI! >> gridò lui, furioso,
scattando in avanti e
afferrandole il braccio in una morsa ferrea; la strattonò ad
un
nonnulla dal suo viso, facendole male.
<< Sai cosa è successo dopo il tuo esilio?
>> le chiese
adirato, talmente vicino che lei poté sentire il suo alito
sul volto
<< Tutto ciò a cui tenevo e che amavo si
è spezzato, come una
martellata troppo potente su una lama debole >> la voce,
rimasta alta per gran parte della frase, si affievolì in un
sussurro; sembrò tornare in sé, rendendosi conto
di quanto fosse
vicina la traditrice, lasciandola andare. Indietreggiò di un
paio di
passi, senza smettere di guardarla.
<< Mio padre ed io aiutammo il re a condurre il popolo a
Moria,
ma non sapevamo che gli Orchi si erano già appropriati della
nostra
terra. Combattemmo con tutte le nostre forze, subendo molte perdite;
il capo degli Orchi, Azog il Profanatore, era determinato ad uccidere
tutti i nani: iniziò dal sovrano, decapitandolo
>> si fermò,
lo sguardo sofferente nella sua profondità; Karin si rese
conto che,
ora, la distanza tra loro si era accorciata: si chiese quando si
fosse avvicinato. O forse era stata lei a muovere qualche passo nella
sua direzione?
<< Quando fece rotolare la sua testa a terra, un furore
mai
provato prima mi pervase; l'avrei ucciso, lo desideravo più
di
qualsiasi altra cosa, in quel momento: era il mio unico pensiero. La
rabbia che sentivo mi impediva di pensare con lucidità; fui
sul
punto di venir sconfitto dall'orco ma, grazie ad un pezzo di quercia
che trovai, continuai a resistere finché con un colpo netto
non gli
staccai la mano. Se ne andò reggendosi il moncherino del
braccio >>
aggiunse sprezzante << e noi, con nuovo vigore e forza,
riuscimmo a cacciarli. Quel giorno vincemmo, ma non ci furono
né
canzoni né festeggiamenti: molti avevano perso i loro
familiari ed i
pochi sopravvissuti piangevano lacrime amare.
Mio padre Thrain impazzì dal dolore per la perdita subita, e
se ne
andò; non ho mai saputo se fosse ancora vivo. Nemmeno adesso
>>.
“Mi
dispiace”
La
sua mente riuscì a formulare quest'unica frase che, in
circostanze
diverse, sarebbe riuscita a pronunciare; ma non era una circostanza
normale.
Proprio no; rimase dritta, le braccia lungo i fianchi e la fronte
aggrottata, gli occhi che, suo malgrado, non riuscivano a staccarsi
da quelli azzurri e tormentati di Thorin.
<< Ora conosci la mia storia. Perciò, non
provare mai più a
dirmi che non so nulla, perché te ne farò pentire
>>.
Le si avvicinò a passi pesanti, schivandola all'ultimo per
uscire
dalla stanza: quando le passò accanto, le sfiorò
inavvertitamente
una spalla con il braccio. Solo quando sentì la porta
chiudersi,
Karin espirò, come se avesse trattenuto il fiato per tutto
quel
tempo; ripensò alle parole di Thorin, ed al fatto di non
essere
riuscita a spostare lo sguardo altrove: entrambi si erano ancorati
uno negli occhi dell'altra, come se in quei pochi minuti tutto il
resto fosse svanito. La memoria le fece il pessimo scherzo di farle
rivedere altri infiniti sguardi come quello, e ricordò altre
sensazioni ben più piacevoli di quelle che provava ora. Si
morse il
labbro inferiore, chiudendo gli occhi: perché,
perché le era
scivolato tutto dalle dita così velocemente? La sua vita, i
suoi
affetti, il suo onore... tutto era svanito, perduto.
Se
si fosse trovata al posto di Thorin, avrebbe davvero preso una
decisione diversa dall'esilio? Sì,
continuò
a ripetersi: perché se lui avesse commesso quel terribile
sbaglio,
lei avrebbe ascoltato il suo cuore, non l'orgoglio ferito; avrebbe
ricordato ciò che rappresentava, decidendo di testa sua, non
sotto
consiglio di altri che non sapevano,
non
capivano.
Dopo
l'esilio si era chiesta mille volte se si fosse pentito, se sarebbe
partito per cercarla e riportarla a casa, ma non era accaduto: le
lacrime che aveva versato, le preghiere che aveva sussurrato
nell'oscurità della notte erano rimaste inascoltate; e
un'immensa
rabbia, un odio che mai avrebbe pensato di possedere si era
impadronito di lei, facendole dimenticare
gli
anni passati a Erebor, gli anni passati con lui. Aveva sepolto le
emozioni palpitanti, gli sguardi complici, i gesti dolci, le risate
spensierate, tutto; aveva trasformato la sua anima, la sua essenza.
Ma, nei sogni, tentava ancora di scappare da quel mero destino:
lì
era ancora Karin di Erebor, che passeggiava per le grandi sale di
pietra, nascondendosi di volta in volta dietro una immensa colonna
solo per sfuggire al suo
sguardo, che saltava cercando di parare dei fendenti mentre rumori di
lame cozzavano insieme, che beveva da un grosso boccale di birra
finendo col tossire convulsamente, le risate che le rimbombavano
nelle orecchie. Ma poi, quando si svegliava, tornava bruscamente alla
realtà: non un suono le giungeva, solo un vuoto e freddo
silenzio;
la solitudine la ghermiva e la cullava come una madre fa col figlio,
stringendola nel suo abbraccio che sapeva di oppressione e
sofferenza. E lì, allora, rammentava che Karin di Erebor era
morta:
esisteva solo la Traditrice, l'Esiliata senza nome.
Strinse i pugni talmente forte da conficcarsi le unghie nella carne,
sentendo bruciare là dove si era ferita: probabilmente si
era
riaperta.
Riaprì gli occhi, vedendo una piccola bolla rossa sulla
fasciatura
fresca, che aveva cambiato da poco; sospirò affranta,
abbassando il
capo. Doveva smetterla di crogiolarsi nei ricordi, non sarebbe
servito a niente: anche se fosse riuscita a ristabilire il proprio
onore perduto e quello del suo clan, nulla sarebbe tornato come
prima, lo sapeva bene. Il passato e quello che era accaduto...
bé,
era passato. Eppure, da quando faceva parte della Compagnia, le era
ripiombato addosso come una valanga; le bastava guardare gli altri
nani per far riemergere ogni emozione sopita: le bastava guardare
Thorin.
Represse un ringhio frustrato, sbattendo i pugni sul tavolo: prima o
poi sarebbe impazzita, lo sapeva. E la corazza che tanto ostentava e
di cui si vantava sarebbe crollata in mille pezzi.
Sarebbe fuggita anche subito, se non avesse avuto uno scopo da
raggiungere ma, per il momento, si sarebbe accontentata di uscire
dalla stanza per fare quattro passi e calmarsi.
Decisa, spalancò la porta e marciò nel corridoio
talmente in fretta
che, per poco, non si scontrò con un'alta figura vestita di
grigio.
<< Oh, andiamo di fretta? >> la domanda
gioviale le fece
alzare gli occhi verso Gandalf, un sorrisetto piuttosto compiaciuto
sulle labbra << Stavo giusto venendo da te
>>.
<< Oggi è la mia giornata fortunata
>> sbottò
sarcastica << la giornata delle visite >>.
<< Posso entrare un attimo in camera? >> le
chiese, come
se non l'avesse nemmeno udita.
Karin annuì, tornando tra quelle quattro mura che, ormai,
costituivano la sua prigione: fece un cenno allo stregone
perché si
accomodasse sulla sedia di legno, mentre lei si sedette sul materasso
del letto.
Gandalf si accese la pipa e, poco dopo, piccoli cerchi di fumo si
disperdevano per la stanza: Karin restò a guardarli in
silenzio,
aspettando che l'ospite prendesse la parola per primo.
<< Non ho avuto modo di parlare a quattrocchi con te, e
me ne
scuso. Come ti senti? Eravamo tutti preoccupati >>.
<< Sto meglio >> replicò
asciutta; sperò che la bugia
lo convincesse, ma capì subito d'aver fallito.
Gandalf la guardò attentamente, un sopracciglio alzato in
modo
scettico.
<< Ho incontrato Thorin, poco fa; era venuto da te?
>>.
Karin annuì, senza parlare.
<< Era molto preoccupato, sai; è venuto a
farti visita anche
ieri sera, mentre dormivi >>.
Un sottile senso di disagio le artigliò il cuore, facendole
spostare
lo sguardo verso lo stregone che, invece, continuava a sorriderle
affabile, contento d'avere la sua attenzione.
<<
Preoccupato? >> Karin emise un verso incredulo e
sprezzante <<
E' molto più facile che faccia amicizia con un elfo!
E
poi, non mi pareva lo fosse così tanto >>.
<< Thorin ha un modo molto particolare di esternare i
suoi
sentimenti; specie se si tratta di te >>.
La ragazza fece finta di non aver udito, ed agitò la mano
come a
voler scacciare una creatura molesta.
<< E poi perché mai dovrebbe temere per me?
Era solo un lieve
malore >> disse, la voce improvvisamente tremante e
incerta.
Gandalf rimase in silenzio per alcuni secondi, decidendo di
assecondare il suo cambio d'argomento << Non è
del tutto
esatto; sappiamo entrambi che non era un “lieve
malore”, come
l'hai chiamato tu. Ma qualcosa di più profondo e terribile
>>
ora aveva smesso di sorridere e fumare, e l'osservava con occhi
azzurri indagatori, sguardo che a Karin non piacque. Scattò
in
piedi, furente ed allarmata al tempo stesso.
<<
Cosa vorresti dire, Gandalf? Tu
cosa
sai? >>.
<< Tranquilla, non serve agitarsi in questo modo. Ora ti
spiegherò tutto ma, ti prego, siediti >>.
La ragazza, a malincuore, fece come ordinato, aspettando trepidante.
<< Poco dopo aver finito di cenare, tutti si sono avviati
verso
le loro stanze, esausti dalle fatiche sopportate negli ultimi giorni;
sono stato chiamato da Kili, perché aveva sentito dei rumori
strani
provenire dalla tua stanza: urla e gemiti soffocati, disse,
così mi
sono permesso d'entrare. Ti giravi e rigiravi sul materasso, tremante
e sudata, in preda a dolorosi incubi: non ho provato a svegliarti,
sarebbe stato peggio. Ho mandato il giovane nano a chiamare Thorin e,
nel frattempo, ti ho preso il polso e messo una mano sulla fronte per
farti calmare: ed è stato allora che li ho visti
>>.
Karin non fece nulla per reprimere il brivido gelido che le percorse
il corpo e, istintivamente, si portò le mani alle braccia,
stringendo la stoffa che le copriva.
<< Cosa hai visto? >> sussurrò,
incapace di guardarlo:
temeva la risposta che gli occhi e le labbra dello stregone le
avrebbero dato.
<< Frammenti dei tuoi incubi >> rispose, la
voce
improvvisamente stanca e vecchia << ricordi orribili, che
mai
nessuno dovrebbe possedere >>.
<< La tua pietà non li cancellerà;
nulla potrà farlo >>.
<< Lo so, ma la mia non era pietà: so che non
la vuoi, non la
vorrebbe nessuno >>.
<< Chi altri sa quello che è successo?
>> chiese con
voce incolore, come se stesse parlando del trascorrere del tempo.
<< Solo io li ho visti. E nella stanza eravamo Thorin,
Kili e
il sottoscritto, anche se poi il giovane nano è stato
rimandato a
letto >>.
Karin capì alcune cose inspiegabili che l'avevano tormentata
durante
tutta la giornata << Ora capisco perché lui e
Bilbo continuavano a lanciarmi strane occhiate, sia stamattina
che oggi >>.
<< Bilbo? >> chiese incredulo lo stregone.
<< Sì, a quanto pare Kili l'ha messo al
corrente; o ha
origliato senza essere visto >> disse, massaggiandosi le
tempie.
L'altro si passò una mano sulla barba grigia, pensieroso.
<< Nessun altro deve saperlo, Gandalf. Voglio che questo
fatto
venga dimenticato, per quanto possibile >> sapeva che era
una
pretesa assurda, non dopo che quattro persone erano a conoscenza di
parte del suo segreto. Ma, se non avessero parlato, forse se ne
sarebbero dimenticati. E ci sarebbe riuscita anche lei.
<< Come vuoi. Ma sappi che, adesso, non sei
più nella foresta
da sola. Fai parte di una compagnia, con individui che, bene o male,
stanno imparando a conoscerti e rispettarti. Agendo di testa tua e
pensando solo a te stessa, stai minando la fiducia che ripongono in
te; non dico di metterli al corrente subito ma, prima o poi, dovrai
dare spiegazioni >>.
Karin rimase in silenzio, non sapendo che dire: portò un
braccio
indietro, riconoscendo il manico di Iris; se la portò
accanto,
sfiorando i punti dove Thorin l'aveva impugnata, ma si ritrasse quasi
subito, come se si fosse scottata. Sospirò per l'ennesima
volta.
<< Ma non sono venuto qui solo per dirti questo: tra poco
potremo proseguire il viaggio verso Erebor >>.
<< Davvero? >> chiese stupita; in parte,
sentì un lieve
sollievo alleggerirle il cuore.
<< Oh sì. Il piano sarà molto
semplice: domani verrà
costituito il Bianco Consiglio, a cui dovrò partecipare; ci
sono
fatti di cui devo mettere al corrente il capo del mio ordine, Saruman
il Bianco. Nel frattempo, voialtri potrete lasciare Gran Burrone
–
in tutta segretezza s'intende. Mi aspetterete alle Montagne Nebbiose
>> si alzò dalla sedia, riponendo la lunga
pipa dentro la
tasca. << Bene, non ti ruberò altro tempo: mi
aspetta una
serata piena di rivelazioni >> le fece l'occhiolino e
sorrise
di fronte alla sua espressione perplessa, avviandosi poi verso la
porta.
Quando si ritrovò di nuovo sola, si prese un po' di tempo
per
rimuginare su quanto aveva udito; sarebbero andati via da lì
e,
forse, gli incubi avrebbero smesso di perseguitarla. Doveva solo
mettere più leghe possibili da Gran Burrone, e dagli elfi
che vi
abitavano. Con un moto di stizza ripensò ai fatti della sera
precedente, dandosi della stupida per essersi fatta vedere
così
fragile e debole e, soprattutto, per non ricordare alcunché.
Anche
dopo essersi presa la testa tra le mani ed aver serrato gli occhi,
non riusciva a rammentare. Concluse che, per il momento, avrebbe
agito di testa sua, non dicendo nulla. Quando si sarebbe presentata
l'occasione di rivelare la verità, bé... ci
avrebbe pensato allora.
Il suo ultimo pensiero, mentre si affacciava alla finestra e la
spalancava, si rivolse inavvertitamente alla frase dello stregone.
“Era
molto preoccupato, sai; è venuto a farti visita anche ieri
sera,
mentre dormivi”
Quindi,
era per questo che l'aveva scoperto in camera sua: era così
preoccupato
che
non aveva perso tempo a polemizzare, sia sulla spada che su di lei.
Eppure una parte di lei si sentiva... felice; era una sensazione vaga
e molto lontana, perfino sconosciuta. Non ricordava l'ultima volta in
cui si era sentita così ma, di sicuro, era successo prima
di
tutto ciò che l'aveva portata nell'oblio. Non aveva idea di
quanto
fosse costato a Thorin presentarsi lì, mettendo da parte
orgoglio e
risentimento, guardarla negli occhi e raccontarle ciò che
aveva
vissuto.
Non
era stato facile nemmeno per lui, a conti fatti: si era ritrovato a
governare un popolo senza patria in un perenne esilio, senza una
figura paterna a sostenerlo. Il fato non era stato clemente. Anche
lui aveva sofferto, e soffriva tutt'ora; e lei si sentì
tremendamente in colpa per questo. Forse Thorin aveva sempre avuto
ragione:
avrebbe dovuto lottare di più, resistere.
No
concluse:
lei non aveva colpa, aveva fatto tutto quello che aveva potuto, anche
se non le avevano lasciato scelta, togliendole la libertà.
Fece passare lo sguardo sulla valle e i sentieri che si districavano
sotto di lei; le lanterne vennero accese da alcuni elfi, e mandarono
bagliori biancastri illuminando di poco il paesaggio. La notte
trasformava quel luogo in qualcosa di surreale, ma aveva anche
qualcosa di terribilmente inquietante.
Non vedeva l'ora di andarsene.
Il giorno dopo, uno strano fermento scuoteva i nani: a colazione si
lanciarono brevi ma penetranti occhiate, capendosi al volo. Sarebbero
partiti di lì a breve, dovevano solo aspettare l'occasione
giusta;
fuori, sotto un padiglione di pietra dalla cupola intarsiata e dalle
colonnine tortili intrecciate con foglie verdi, si erano riuniti per
discutere gli ultimi dettagli; si erano tutti accesi la loro pipa, ed
ascoltavano in silenzio le parole di Thorin, che li raccomandava di
essere pronti, con i propri bagagli in spalla e le armi al fianco.
<< E per le provviste, come facciamo? >>
chiese Bombur,
piuttosto preoccupato; alcuni scossero la testa a mo' di rimprovero,
Kili e Fili ridacchiarono.
<<
Ci ho già pensato io >> disse Nori, pulendo
con aria
noncurante la pipa << diciamo che i nostri gentilissimi
ospiti
ci hanno offerto molto cibo per il viaggio >>.
<<
Hai rubato dalle
loro dispense? >> Bilbo era a dir poco stupefatto
<< Ma
come hai fatto? >>.
Il
nano scrollò le spalle << Non è
stato difficile. E poi, anche
a Vicolo Cieco credo d'aver preso
in prestito qualche
posata, o qualche bicchiere, ma non te ne sei accorto. Direi che il
vero scassinatore non sei certo tu, hobbit >>.
Il volto di Bilbo divenne di un rosa acceso, indignato fin nella
punta delle orecchie << Ma come... >>.
<< Silenzio, voi due! >> esclamò
Thorin, mettendo fine
ad ogni altra frase.
<< Se la fortuna ci assiste, dovremmo trovarci vicino
alla
pietra grigia quando... cosa c'era scritto di preciso sulle rune,
ragazzo? >>.
<<
Sta
vicino alla
pietra grigia quando picchia il tordo e l'ultima luce del sole che
tramonta nel giorno di Durin splenderà sul buco della
serratura >>
recitò il re << Ma non sono molto ottimista in
questo momento,
amici miei; non credo che la fortuna potrà assisterci. Ora
ci
conviene andare nelle nostre stanze: quando verrà il momento
d'andare verrete chiamati >>.
Si congedarono da quella sorta di riunione, ed ognuno tornò
ai
propri alloggi per prepararsi, un leggero senso d'inquietudine e
d'ansia che non li abbandonava.
Karin passeggiava nervosamente per la stanza, in un'attesa febbrile
che la consumava: non riusciva a stare ferma, mentre il fodero di
Iris non faceva che rimbalzarle sul polpaccio; lanciava continue
occhiate fuori, nella speranza di vedere qualcuno farle un cenno,
oppure di intravvedere l'alta figura dello stregone insieme a Elrond,
così da poterle dare conferma della fuga. Invece nulla,
tutto
taceva. Ed il suo nervosismo aumentava di minuto in minuto.
Passarono
ore, ed il sole si levò alto nel cielo; era sempre
più
inquieta: forse qualcosa era andato storto, e la partenza era stata
rinviata... ma, anche in quel caso, l'avrebbero avvertita. Vero? Per
un attimo si immaginò d'essere rimasta sola a Gran Burrone,
mentre
gli altri avevano già messo più leghe possibile
da lì: impossibile
pensò
Bilbo
non
l'avrebbe permesso; né Balin, Kili o Fili.
Ma, d'altronde, che ruolo avevano nella compagnia? Per quanto
potessero opporsi, non erano loro a prendere le decisioni...
Un lieve bussare alla porta la fece sobbalzare spaventata, tanto era
immersa nei pensieri; scattò veloce alla maniglia,
afferrandola e
tirando, senza nemmeno chiedere chi fosse: si trovò Bilbo,
uno
strano luccichio negli occhi grigi. Per un fugace momento fu tentata
di saltargli al collo ed abbracciarlo, per poi tirargli un pugno sul
volto, visto lo spavento che si era presa; invece lo
strattonò
dentro, guardando se ci fossero elfi nei paraggi.
<< Finalmente! >> esclamò
spazientita << Si può
sapere quando ce ne andiamo da qui? Credevo che... oh, non importa!
Allora? >>.
<< Mi hanno appena avvisato, e sono subito corso qui. Ci
siamo
>>.
Karin lo osservò attentamente, accigliata <<
Cosa c'è che non
va? Non sembri entusiasta >>.
<< Non lo sono, in effetti >>
sospirò lo hobbit, il
volto triste.
La ragazza incrociò le braccia al petto aspettando che
continuasse,
ma l'altro non lo fece; alzò un sopracciglio, chiaro invito
a
spiegarsi meglio; Bilbo intuì, schiarendosi la voce.
<< No, è che... insomma... bé,
questo posto mi piaceva >>
disse, evitando di guardarla negli occhi: perché sapeva che
non vi
avrebbe letto nulla di buono.
Karin
rimase senza parole, non credendo alle sue orecchie; d'accordo, forse
lei aveva tutte le ragioni del mondo per odiare
quelle
creature ed ogni gesto che compivano, ma arrivare a comprendere
perché Bilbo volesse rimanere lì non le fu
difficile: buon cibo –
e abbondante – luogo magico, creature dalla voce melodiosa e
dalla
conoscenza pressoché infinita, pace e
tranquillità. Esatto opposto
di ciò che aveva trovato in compagnia di quattordici nani.
<< Vuoi rimanere? >> chiese tagliente; non
avrebbe voluto
usare quel tono di voce, ma le era uscito spontaneo, senza rendersene
conto.
<< No, no, dico davvero! Solo che mi ero abituato a tutte
le
comodità >>.
<< Stare qui non è come essere tornato a casa
>> ribatté
piccata << quindi, tanto vale che vieni con noi: prima
partiamo
e prima finirà questa missione >>.
<< Lo so che non sarà mai come essere tornato
nella Contea! >>
esclamò lo hobbit << Ma è
così impossibile chiedere un po'
di pace in un luogo che può dartela? E poi, chi mi assicura
che
tornerò? Questo è un viaggio suicida!
Perché ce l'hai tanto con
gli elfi? >> cercò di darsi una calmata,
capendo di aver
alzato il tono di voce; rimase perplesso, totalmente sconcertato:
perché erano finiti a litigare?
Vide Karin osservarlo con occhi infuocati, scintillanti di rabbia;
spostò lo sguardo altrove che non fosse il suo viso,
mordendosi la
lingua: aveva compromesso il loro rapporto con quelle frasi?
Accidenti a lui, a lei, e all'intera Terra di Mezzo!
<<
Hai ragione, Bilbo; Questa è una vita perfetta
per
te, dico davvero: ma tu hai dato la tua parola,
ed
essa è impressa in chiare lettere, nero su bianco. Devi
aiutarci,
senza di te la compagnia perderebbe un valido membro >>.
<< Valido membro? >> ripeté lui,
incredulo << Non
vengo visto così dagli altri >>.
<<
Chi ci ha aiutati con i Troll, capendo di dover prendere tempo? Se
non ci fossi stato tu ora saremmo nel loro stomaco >> gli
si
avvicinò, posandogli una mano sulla spalla <<
e sono certa che
ci aiuterai ancora, in futuro: è vero, non è
detto che tornerai a
casa, ma ti giuro
che
farò tutto ciò che è in mio potere per
aiutarti a fare ritorno
nella Contea. Combatterò fino alla morte, se sarà
necessario >>.
<< Non serve morire, davvero; ma grazie comunque, lo
apprezzo
molto >> le sorrise, e lei fece altrettanto; Bilbo si
sentì
meglio, sollevato sia dalle sue parole che dal sorriso: con una punta
d'orgoglio, constatò che era l'unico che aveva ricevuto il
privilegio di vederlo. O, almeno, era stato il primo da quando
l'avevano esiliata. Perché ormai era certo che, molto tempo
prima,
altri sorrisi disarmanti e profondamente sinceri erano stati rivolti
a Thorin.
E, di nuovo, dovette compiere uno sforzo per non chiederle qualcosa
di più. Su di lei. Su di loro.
La Compagnia al completo – ma senza Gandalf – si
trovò nella
piccola sala che precedeva il corridoio delle stanze; si aggirarono
furtivi lungo i corridoi aperti, guardando in ogni direzione alla
ricerca di elfi: non incontrarono nessuno, fatto che li
allarmò e
consolò contemporaneamente. Ora all'aperto, procedettero con
più
cautela, avanzando però ad un passo più spedito
nel timore di venir
scoperti e mandare tutto all'aria; ripercorsero il cortile di pietra,
passando accanto alle alte statue, e si diressero verso il sentiero
ripido che li avrebbe riportati nelle pianure desolate e rocciose
delle Terre Solitarie.
Bilbo si girò un'ultima volta a contemplare Gran Burrone, le
mani
che stringevano il bastone con cui si aiutava a camminare; i riflessi
del sole giocavano a riflettersi sull'acqua delle cascate, creando di
volta in volta alcuni arcobaleni, che coloravano la valle o le rocce:
il palazzo sembrava risplendere di luce propria, mandando lampi
bianchi, così abbaglianti che ti costringevano a stringere
gli
occhi. Gli parve di sentire gli elfi cantare, voci melodiose ed
eteree che si perdevano nell'aria; mai come in quel momento il suo
cuore parve gonfiarsi di nostalgia.
<< Avanti, signor scassinatore; non perdere il passo
>>
lo redarguì Thorin, svegliandolo dai suoi pensieri:
mancavano solo
loro due, il mantello di Karin era svanito con un fruscio dentro
l'angusta apertura che li aveva condotti lì. Con un cenno
d'assenso,
lo hobbit si impose di camminare, mettendo un piede davanti
all'altro: se fosse rimasto ad ammirare ancora un po' quel luogo,
probabilmente avrebbe deciso di rimanere.
Camminarono a lungo, le Montagne Nebbiose che si avvicinavano sempre
più, minacciose e fredde; nonostante si trovassero ancora
sulle
pianure tirava un vento freddo, quello che ti entra nelle ossa e
là
rimane, per quanto tu possa essere vestito.
Poi la pianura lasciò il posto alle rocce aspre e, i nani
più lo
hobbit, presero un sentiero che li avrebbe portati su, sempre di
più,
in un cammino tortuoso e solitario; l'aria si fece gelida, il passo
più stretto sul fianco della montagna: se avessero compiuto
un passo
falso, o fossero inciampati o scivolati su una pietra, sarebbero
precipitati in un dirupo via via sempre più profondo e buio.
A questa situazione se ne aggiunse un'altra, molto più
spiacevole:
una pioggia violenta e spietata non diede loro tregua per giorni.
Dormirono poco niente, cercando di ripararsi come potevano, calando
meglio i cappucci sui volti, stretti gli uni agli altri per cercare
un po' di calore. Ma non funzionò granché.
Il povero Bilbo rivolgeva spesso il pensiero verso casa o, anche, a
Gran Burrone: sembravano passati anni da quando aveva raccolto in
fretta e furia alcune cose da riporre nello zaino, temendo di
arrivare troppo tardi per raggiungerli; pensò con nostalgia
alla
tavola imbandita dell'Ultima Casa Accogliente, al lieve tepore che
poteva trovare solo sotto delle coperte, al fuoco che scoppiettava
allegro nel camino e, per qualche attimo, poté quasi
percepirne il
calore attraversargli le membra. Ma una folata di vento lo fece
ripiombare alla brusca realtà: rabbrividì
più volte, battendo i
denti così forte che temette di romperseli; girò
il capo sia a
destra che a sinistra, osservando i volti dei nani: erano per lo
più
abbattuti e desolati, infreddoliti fin nel midollo. Eppure, la
tenacia nel proseguire cercando di raggiungere la meta spronandosi a
vicenda, scatenava in lui un'ammirazione sconfinata! Non aveva mai
incontrato nessuno con uno spirito di rivalsa così forte; lo
facevano sentire così piccolo ed insignificante rispetto
alla loro
forza d'animo! Ma, qualche volta, trovava dentro di sé un
coraggio
ed un'intraprendenza che non avrebbe mai pensato di possedere. E
tutto grazie a quei compagni che erano piombati in casa sua: certo,
non riusciva ancora a considerarli amici - o
almeno non tutti
– dato che lo vedevano ancora restio ad avventure e
desideroso di
tornare a casa, ma in cuor suo sperava davvero di risultare migliore
ai loro occhi.
Perso com'era nei suoi ragionamenti, non si accorse che gli altri si
erano fermati, andando a sbattere contro la schiena di Bofur; l'altro
parve non accorgersene, la testa rivolta verso l'alto, la bocca
spalancata dallo stupore. Seguendolo, Bilbo rimase di stucco a sua
volta nel vedere cosa ci fosse: un gigante.
Un gigante
di pietra!
<< Per la barba di Durin! Allora le leggende dicevano il
vero!
>> esclamò forte Bofur, per farsi sentire in
quella tempesta.
Rimasero attoniti e stupefatti a guardarlo, finché quello
non staccò
un grosso pezzo di roccia, scagliandolo verso di loro. Bilbo
udì
grida ed imprecazioni, e non si accorse di urlare di paura a sua
volta, terrorizzato; venne schiacciato contro la parete dal braccio
di qualcuno, mentre dall'alto piovevano massi grandi come la sua
porta di casa.
<< ATTENTI!!! >>.
Qualcuno urlò quest'avvertimento, ma non seppe dire chi o
perché:
poi, la stessa montagna parve tremare.
Sentì un forte dolore alle costole e, girandosi verso
destra, vide
che Karin gli aveva appena sferrato una gomitata, indicandogli
convulsamente il cielo: lì per lì non
capì ma poi, seguendo il suo
dito, sentì gli occhi spalancarsi ed il fiato mancargli.
Il gigante di pietra non mirava a loro, ma ad un
altro che era
dietro la loro montagna! Ora ce n'erano due, ed
entrambi si
lanciavano i macigni come fossero sassetti leggeri: non aveva mai
visto uno spettacolo del genere, stupefacente e terrificante insieme.
Era una battaglia. Una lotta tra quelle immense creature.
E loro, sfortunatamente, erano capitati nel mezzo.
Continuava a piovere, e lampi e tuoni illuminavano e saturavano
l'aria; il vento feriva gli occhi, costringendoli a tenerli
socchiusi. Oltretutto erano impossibilitati a muoversi: anche se si
fossero avventurati lungo il sentiero, erano costretti a fermarsi per
ripararsi dai massi che cadevano senza sosta, lanciati dagli
sfidanti.
Cercavano di schivarli il più possibile, ma più
di una volta
avevano trattenuto il respiro, consci che un lieve movimento avrebbe
potuto portarli giù, nell'abisso.
Karin maledì quella dannata situazione, gridando di dolore
quando un
sasso grosso come il suo pugno le precipitò addosso,
ferendole una
spalla.
Improvvisamente, sentì la roccia spaccarsi sotto i suoi
piedi;
guardando verso il basso, notò una profonda crepa che andava
ingrossandosi sempre più, mentre le gambe prendevano due
diverse
direzioni: possibile dovesse proprio spezzarsi sotto di lei?
Sentì due diverse prese sulle braccia, una più
forte e l'altra
debole: Kili e Bilbo cercavano di portarla dalla loro parte, per
evitare che precipitasse; tutto accadde così velocemente che
non
ebbe bisogno di pensarci: il corpo agì da solo, portandola a
saltare
dalla parte del nano.
Ora il gruppo era diviso, e tutti si chiamavano disperati. Non poteva
esserci situazione peggiore, pensò Karin. Ma dovette
ricredersi
molto presto.
Il punto dov'erano iniziò a tremare e sgretolarsi:
urlò come mai in
vita sua, spaventata da quello che stava per accadere;
indietreggiò
senza motivo, finendo addosso a Kili, ma non ci fece caso. Erano
troppo impegnati a cercare di reggersi l'un l'altro, mentre il loro
macigno veniva alzato: erano spacciati, se il gigante li avesse
lanciati sarebbero morti!
Invece non accadde: l'altro gigante fu più veloce, passando
al
contrattacco; tirò un masso, mancando di parecchi metri il
loro
aguzzino. Seguendone la traiettoria, videro con sgomento che i
giganti erano aumentati: ora, erano tre!
La lotta si fece più serrata, ma loro rimasero ad oscillare
avanti e
indietro, ancora nelle “mani” del gigante: era la
loro occasione,
dovevano fuggire. Se fossero riusciti a raggiungere un'altra
sporgenza o crepa, sarebbero scampati.
<< SALTATE!!! >>.
L'ordine che l'altro gruppo urlava li spronò ad agire: ma
quando si
prepararono, il masso si spostò veloce verso il fianco della
montagna, portandoli a scontrarsi con esso. Karin chiuse
istintivamente gli occhi, vedendo la sua fine farsi vicina, troppo
vicina.
<< KILI!!! >> udì la voce di
Thorin chiamare il nipote,
sorpresa: non doveva essere morta, in teoria?
Aprì gli occhi, vedendo che era riuscita ad infilarsi in una
apertura della montagna, abbastanza spaziosa per starci comoda; ebbe
un'improvvisa voglia di ridere alla morte scampata, ma sentì
qualcuno tirarla fuori, il braccio stretto in una morsa: il volto
stravolto di Kili entrò nel campo visivo, ma le concesse un
breve
sorriso, felice anche lui d'essere ancora vivo. Ora dovevano solo
raggiungere gli altri, poco lontani. Camminarono a ridosso della
roccia, venendo aiutati dall'altro gruppo: Bilbo le tese una mano,
aiutandola a schivare una crepa; finalmente erano in salvo.
Più o meno.
Un fulmine colpì la cima della montagna staccando altri
pezzi di
roccia, che rotolarono giù; fu una questione di un attimo,
per
Karin: una volta riabbassato il capo, vide che Bilbo era sparito, e
Bofur gridava qualcosa, seguito da quelli che stavano vicini.
<< Bilbo, aggrappati! >>.
<< BILBO!!! >> gridò, con quanto
fiato le rimaneva: lo
hobbit era attaccato disperatamente al bordo della roccia, il volto
sconvolto, incapace perfino di urlare per chiedere aiuto. Si
accucciò
immediatamente per aiutarlo, tendendogli la mano.
<< Avanti, afferrala! >> sentiva il cuore
rimbombarle
nelle orecchie, ogni fibra del corpo alla disperata ricerca di
mantenere i nervi saldi: perché non la prendeva? Cosa
aspettava, di
cadere?
<< Bilbo, dai! DAI! >>.
Lui parve riscuotersi, e sbatté le palpebre, confuso:
staccò una
mano, intrecciando le dita con le sue. Karin si sentì
sollevata, ma
fu troppo presto per cantar vittoria: percepì il vuoto sotto
le
ginocchia, e lo stomaco le arrivò alla gola, mozzandole il
respiro.
Che stava succedendo?
Si vide inclinarsi verso Bilbo che, d'altro canto, gridava atterrito
il suo nome, senza lasciare la presa: ma allora perché si
stava
avvicinando a lui invece che tirarlo a sé?
Poi d'improvviso capì: stava cadendo anche lei, sarebbero
precipitati entrambi nel vuoto. La roccia doveva essersi sgretolata,
ed ora sarebbe morta: buffo come il suo attaccamento alla vita
diventasse più forte di qualsiasi altra cosa, perfino della
paura;
eppure, non ci aveva mai tenuto davvero, alla sua vita.
La gravità la chiamava, ma qualcosa sembrò
volerla trattenere;
sentì uno strattone allo stivale, all'altezza della
caviglia: cercò
di voltare il capo, riconoscendo parzialmente gli avambracci scoperti
e tatuati di Dwalin. L'aveva afferrata in tempo per il piede,
salvando lei e lo hobbit: ma non avrebbe resistito per molto, da
solo; erano troppo pesanti anche per lui.
<< Non lasciare la mia mano! >>
gridò a Bilbo, troppo
spaventato per parlare.
Scosse la testa, dicendole poi qualcosa, che non riuscì a
cogliere:
le fischiavano le orecchie, poiché era a testa in
giù.
<< Riesci a portarmi verso sinistra? Thorin
>> non
terminò la frase che l'altra aveva spostato la testa,
vedendo che il
re era da quella parte, ed era sceso poco più in basso per
aiutarli;
Karin valutò che, in linea d'aria, era un'ottima posizione
per
atterrare. Doveva solo avere abbastanza forza da muovere Bilbo,
facendolo oscillare verso la salvezza.
Gli afferrò entrambe le mani, iniziando a dondolare il busto
prima a destra e poi a sinistra:
l'altro la aiutò, adattandosi ai movimenti; sentì
che anche Dwalin
li accompagnava per facilitarli, e gliene fu immensamente grata.
Continuarono finché non oscillò abbastanza da
permettere a Thorin
di prenderlo, sotto le grida e i richiami degli altri, che aiutavano
Dwalin a reggerli; finalmente Bilbo fu in salvo, venendo afferrato in
tempo dal nano, che lo issò su senza tanti complimenti. Ora
veniva
il difficile: toccava a lei.
<< AVANTI! >> la richiamò
Thorin, protendendosi per
prenderla: ormai era sul bordo della rupe.
Karin voltò il capo verso Dwalin, facendogli un cenno
perché
l'oscillasse un po' di più: il nano lo fece e, ad un urlo
della
ragazza, la lasciò andare.
Il panico le fece salire un'adrenalina mai provata prima.
<< KARIN!!! >> Thorin urlò con
quanto fiato aveva in
gola, vedendo la ragazza volare verso di lui, le braccia tese.
Tutto sembrò svolgersi al rallentatore: Karin, dopo
l'iniziale
ascesa, ora iniziava a scendere verso il basso; se non fosse riuscita
ad afferrargli le mani, sarebbe caduta.
Il nano cercò di sporgersi ancora: il cuore
rallentò la sua folle
corsa quando non riuscì a prenderle una mano.
L'aveva persa, sarebbe morta.
Invece non accadde: le dita le afferrarono l'altro arto in una morsa
ferrea; con quanta forza aveva – poca, ormai –
tirò, portandola tra le sue braccia. Arretrò
addosso alla roccia sentendo la
schiena dolergli dal colpo preso, schiacciato com'era tra la montagna
e il corpo di lei; Karin tremava forte, le mani chiuse a pugno che
gli artigliavano la pelliccia e una mano, il volto seppellito nel suo
petto. Senza rendersene conto spostò il braccio libero,
posandolo
sulle spalle di lei, scosse dal terrore della morte.
Rimasero così per lunghi secondi, i cuori che avevano
ripreso a
battere veloci, ripensando a quegli interminabili momenti nei quali
Karin aveva rischiato di perdere la vita: lei ansimava, gli occhi
ancora serrati che non volevano aprirsi. Godette
del tepore
che emanava il corpo di Thorin, incurante dell'odore penetrante di
sudore o della pioggia o del vento attorno, sentendolo vivo. Una
sensazione che avrebbe dimenticato se non fosse riuscita a prendergli
la mano: aveva temuto il peggio quando lui aveva mancato la presa;
gli occhi le si erano sbarrati, il respiro le era mancato, la testa
aveva iniziato a vorticare veloce. Quante questioni sarebbero rimaste
sospese, il suo scopo si sarebbe frantumato in schegge di vetro:
invece si era salvata. Lui l'aveva salvata. E ora
la stava
abbracciando.
<< E' finita >> un sussurro lieve, ma che
ebbe il potere
di scuoterla: alzò gli occhi, scontrandosi con lo sguardo
sollevato
di Thorin, nella profondità della freddezza che li
contraddistingueva.
Rimase a guardarlo inebetita, ancora troppo sconvolta per
ciò che
aveva appena passato: fu sempre lui a condurla delicatamente su,
dagli altri; venne subito circondata da dodici nani e da Bilbo, tutti
ansiosi di appurare la sua salute. Rimase in uno stato quasi
catatonico mentre veniva trascinata dentro una grotta umida e fredda
ma, almeno, erano al riparo dalla pioggia e dal vento.
<< Niente fuochi >> ordinò
Thorin a Gloin e Oin <<
non sappiamo cosa nascondano queste caverne, nella loro
profondità
>>.
La fecero sedere, mentre gli altri prendevano posto, accasciandosi
pesantemente, stremati ed esausti; non parlarono, cercando di dormire
e riprendere le forze, cercando di dimenticare un poco la loro
disavventura.
Karin sprofondò in un sonno nero e buio, svegliandosi dopo
alcune
ore, una smorfia di dolore dipinta in viso: per sbaglio si era girata
dalla parte della spalla contusa. Diede un'occhiata fuori, notando
quanto fosse ancora più buio; gemette debolmente,
scostandosi la
camicia e il corpetto di cuoio, notando un esteso livido violaceo
dove l'aveva colpita il sasso, più altri graffi lungo le
braccia e
le gambe.
Grugnì piano quando provò a muovere il braccio
colpito capendo che,
forse, era meglio se l'avesse lasciato stare.
Sentendo qualcuno muoversi, spostò il capo verso
l'imboccatura della
caverna, riconoscendo l'imponente figura i Dwalin, seduto a terra ed
intento a fare la guardia; ormai il sonno non l'avrebbe colta per un
po', quindi si alzò il più silenziosamente
possibile e, schivando
varie teste e grossi stivaloni, lo raggiunse, sedendosi accanto.
Gli sorrise appena, guardandolo negli occhi << Grazie,
Dwalin.
Per prima: se non ci fossi stato tu adesso non sarei qui
>>.
Lui borbottò qualcosa in risposta, cercando di far piano per
non
svegliare nessuno. Poi rimase in silenzio per un po'.
<< Anche se l'ho fatto, non cambia nulla. Tu rimani la
traditrice >> disse, infine.
Karin gli rivolse un'occhiata di fuoco, mordendosi la lingua dal
nervosismo << Dovresti conoscermi abbastanza da sapere
che
questo non è vero! >> sussurrò di
rimando, iniziando ad
arrabbiarsi.
Dwalin le restituì lo sguardo, per nulla intimorito dal tono
che
aveva usato << Ti sei rivelata diversa da come ti
conoscevo; mi
fidavo. Thorin si fidava >>.
La ragazza si passò una mano sul collo, massaggiandoselo
<<
Prima di giudicare dovreste sentire come sono andate veramente
le cose; se solo sapeste... >> lasciò la frase
in sospeso, gli
occhi neri lontani e duri << ma non
è questo il momento >>.
<< Come pretendi il perdono se non vuoi parlarci del
passato?
Così facendo rimarrai per sempre una rinnegata
>> sbottò, gli
occhi scintillanti di rabbia che, ormai, conteneva a stento; Karin
decise che era ora di concludere il discorso.
<< Non temere, presto lo saprai; e poi potrai pensarla
come più
ti pare! Volevo solo ringraziarti per avermi salvata ma, forse, ho
commesso un errore venendo qui >> si alzò
prima che potesse
replicare, tornando veloce al suo giaciglio, schiumante di collera;
strinse il mantello con foga, cercando di riaddormentarsi, ma non ci
riuscì: le ore si susseguirono e, ora, di guardia stava
Bofur.
Percepì qualcosa mentre la stanchezza sembrò
prenderla, come
qualcuno che avesse deciso di andarsene, ma veniva trattenuto: forse
se lo immaginò, ma le parve fosse Bilbo. Avrebbe voluto
alzarsi, ma
le membra erano così stanche e pesanti che non
riuscì: poi, le
palpebre si abbassarono, finalmente...
<< Svegliatevi! >>.
L'ordine di Thorin la fece scattare seduta, appena in tempo per
vedere una crepa crearsi vicina a lei e la sabbia che, veloce,
scendeva nella fessura: ma cosa era?
Non riuscì a darsi una risposta che il suolo si
aprì,
inghiottendoli e portandoli nell'oscurità.
Scivolarono rapidi su dei canali stretti e lisci che li portarono
giù, sempre più giù nelle
profondità della montagna; urlarono
durante tutta quella folle corsa, agitando le braccia e le gambe,
cercando di fermarsi. Caddero ancora, ancora e ancora, non trovando
appigli per aggrapparsi: l'oscurità si dipanò,
vedendo una specie
di porta spalancarsi ed una luce sinistra color rosso li accolse.
Finalmente si fermarono, ammucchiandosi l'uno sopra all'altro, ma non
riuscirono a liberarsi, o a spostarsi. Dando una rapida occhiata
attorno, Karin vide che erano finiti dentro una grossa gabbia fatta
di lunghe ossa mostruose intrecciate tra loro: la faccenda le piacque
ancora meno.
Erano in trappola.
Di nuovo.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Puff
puff puff,
che partoooo!!! mamma mia, cancellavo e riscrivevo, ricominciando da
capo ç__ç
Buonasera/notte
^^, perdonate l'ora, ma sono qui a postare il quinto capitolo *____*,
dove ne succedono delle belle!!!
Come
vi è
sembrato? Spero di essere riuscita a rendere un po' di emozioni e
sensazioni dei protagonisti, più una visione di quello che
trovano
nel loro cammino: che mi dite dei giganti di pietra? Ci può
stare
come descrizione o il mio cervello è totalmente fuso XD?
Deluse dal
dialogo Thorin/Karin (chi sa di essere presa in causa se ne renda
conto ;)))))
Bene,
quindi come
sempre vi esorto a lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne
pensate! Anche voi che leggete solamente, fatevi sentire: mi sarebbe
d'aiuto per capire se sto seguendo il sentiero giusto verso Erebor XD
XD XD!!!
Ringrazio
tantissimo le persone che l'hanno inserita nelle liste delle storie
preferite, seguite e ricordate (scusate se non vi elenco
ç___ç ) e
un grazie di cuore a chi ha recensito:
Lady of the sea, jaybeautifldarkangel, LadyGuns56, BringMeToLife,
Helianto, nini superga, erica0501, MrsBlack090 e Carmaux_95.
Thaaaaaanks ragazze, alla prossimaaaaaa!!! :* :*
Anna <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
CAPITOLO SEI
Erano in trappola.
Ora se ne rendevano conto tutti ma non riuscirono a combinare nulla,
impegnati com'erano a cercare di districarsi da gambe, braccia,
chiome e pance prominenti, appartenenti a membri ignoti della
compagnia.
Fecero un gran chiasso, zittendosi solo quando udirono dei versi
striduli e acuti, che mai avrebbero potuto emettere; Karin,
aggrappata ad un osso – e a dir poco schifata – fu
la prima ad
accorgersi delle creature mostruose che, a frotte, venivano verso di
loro.
<< ORCHI! >> gridò, avvertendo i
nani; cercò di
afferrare l'elsa di Iris, ma era schiacciata dal peso degli altri, ed
ogni movimento fu del tutto inutile. Mentre cercavano disperatamente
di prendere le armi per combattere, i mostriciattoli li avevano
raggiunti, emettendo grida di giubilo alla vista delle prede
catturate.
Karin si ritrasse disgustata quando un orchetto pallido e pieno di
pustole dall'aspetto poco rassicurante le comparve davanti,
strillando e mettendo in mostra una fila di zanne marce e storte;
vennero tirati fuori dalla gabbia e strattonati senza complimenti: un
orchetto, che trascinò per un braccio Oin, gli tolse il
cornetto acustico dalle mani, gettandolo a terra e schiacciandolo. Col
cuore in gola la ragazza
sbirciò giù dai ponteggi barcollanti, inorridendo
al baratro che si stendeva sotto i loro
piedi: sembrava chiamarla, in un sottile gioco perverso che avrebbe
messo a rischio la sua vita. Bastava così poco per morire,
l'aveva
provato sulla pelle giusto prima.
Mise da parte quegli assurdi pensieri, cercando di divincolarsi
dall'orco che l'aveva afferrata per un braccio e la trascinava dietro
gli altri; notò che anche i nani provavano a scappare come
lei,
spingendo, dando calci e pugni, ringhiando come animali, ma non
servì
a nulla.
Gli
orchi li condussero lungo stradine tortuose a ridosso della roccia e
altri ponti finché, con sommo orrore della ragazza, non li
fecero
fermare davanti ad un trono
ricoperto
di crani
e ossa, addossato
ad una rupe solitaria e gigantesco, così come chi lo
occupava.
Era, senza ombra di dubbio, il più grande orco che avesse
mai visto:
alto tre metri, era repellente ed estremamente grasso, con un gozzo
flaccido che si muoveva ogni qual volta voltava la testa.
Le grosse dita stringevano un ramo d'albero, sulla cui
sommità era
stato conficcato il cranio di un animale, dalle corna contorte:
era... spaventoso, concluse Karin; e terribilmente inquietante.
I nani si strinsero più che poterono tra loro, forse
condividendo il
suo pensiero: non seppe spiegarsi per quale motivo lo fece, ma
girò
il capo cercando di scorgere una figura più piccola e meno
bardata
da battaglia, non trovandola. Bilbo non c'era, era sparito!
Le si contrasse la bocca dello stomaco, iniziando a sudare freddo:
com'era possibile? Eppure era precipitato con loro!
<< Dov'è Bilbo? >> chiese piano
a Gloin, Dori e Nori,
alle sue spalle; quelli scossero lentamente la testa o, nel peggiore
dei casi, non le diedero risposta, impegnati a pensare alla loro
nuova e scomoda situazione.
<< Shh! >> udì un lieve sussurro
e, girandosi a destra,
vide che Thorin le era comparso accanto, lanciandole un'occhiataccia
di ammonimento: doveva tacere, se ne sarebbero occupati dopo. Karin
sperò di uscirne viva per cercare personalmente Bilbo...
sempre che
anche lui fosse sopravvissuto.
Angosciata,
notò lo sguardo affamato con cui l'orco sovrano li
osservava,
perdendo ogni briciolo di speranza: anche se fossero riusciti a
darsela a gambe, i nemici erano davvero troppi in quella città
sotterranea. Ora
ne era certa, perché era proprio lì che li
avevano condotti: in una
città piena zeppa di orchi! E, molti di loro, portavano armi
rozze
ma taglienti come rasoi.
<< Bene bene bene >> esordì
finalmente il Grande Orco <<
abbiamo ospiti, a quanto vedo >>.
<< Vostra Malvagità >> si
intromise un orco dagli arti
deformi, uno più lungo dell'altro << li
abbiamo trovati che si
riparavano nel nostro portico anteriore >> concluse,
facendogli
un inchino.
<< Cosa ci facevate lì? >>
chiese con tono annoiato il
loro re, appoggiando una mano sul lato della faccia coperto da
escoriazioni rosse.
Nessuno dei nani osò aprir bocca, infuriati sia con i loro
aguzzini
sia con loro stessi per essere caduti in una trappola di orchi.
Il Grande Orco, spazientito, mosse i piccoli occhi iniettati di
sangue così velocemente che, a Karin, venne la nausea.
<< Nessuna risposta dunque? Bene, allora... gettate a
terra le
armi; non vorrei che qualche lama mi rimanesse sullo stomaco, una
volta che vi avrò mangiati! >>.
All'ordine, quattordici teste di nano si erano alzate, uno sguardo
truce e fiero che gli fece capire che non avrebbero acconsentito
così
facilmente; egli, dunque, fece un gesto, ed un sibilare sferzante
nell'aria li sorprese troppo tardi. Qualcuno urlò, mentre
una lunga
e nodosa frusta nera li ferì, schioccando sinistra.
<< Allora? Forza, obbedite fecce! >>.
Capendo che ci sarebbero andati pesanti se non avessero eseguito
–
e non senza una buona dose di rabbia nelle vene – ognuno
lasciò a
terra le proprie armi, raccolte subito da alcuni mostri disgustosi ed
ammucchiate in un punto poco lontano dal loro capo che, nel mentre,
guardava il suo bottino con un certo divertimento.
<< Portatemele qui >>.
Ma quando un orco si affrettò ad obbedire, allungano le sue
zampacce
fetide verso il manico elaborato di Iris, il Grande Orco
lanciò un
mezzo grido sconcertato, agitando una mano.
<< Quella lama è nemica del mio popolo! Chi ha
osato portarla
al mio cospetto? >> domandò con voce stridula,
il gozzo del
collo che si colorò di uno sgradevole rosso, mettendo meglio
in
mostra le pustole ai lati del volto deforme.
Qualche mostro si mosse a disagio, non osando parlare e temendo l'ira
del re.
Karin, al contrario, non se ne preoccupava; alzò lo sguardo,
orgogliosa come poche volte in vita sua: voleva che il portatore di
Iris si mostrasse? Ebbene, l'avrebbe visto!
Strinse le mani a pugno e mosse un passo in avanti, decisa a
reclamarne la proprietà; ma qualcosa la trattenne,
afferrandole il
polso.
Scambiò uno sguardo con Thorin, intervenuto a fermare la sua
impulsività che l'avrebbe condotta a morte certa. Sorpresa
dal
gesto, non fece nulla per divincolarsi dalla sua stretta ferma ma
gentile, né riuscì a bloccarlo quando si fece
largo tra i compagni,
dopo averla lasciata: senza una parola, ma con la solita fierezza, si
mostrò.
Il Grande Orco sembrò stupito, ma ridacchiò
felice come fa un
bambino quando si impossessa di qualcosa di ghiotto che gli era stato
proibito.
<<
Ma guarda chi abbiamo qui: Thorin Scudodiquercia, Re sotto la
Montagna! Oh, mi correggo: tu non sei re,
non
hai un regno. Sei
solo una nullità, un esserino miserabile! >>
rise alla sua
stessa frase, e i sudditi lo seguirono deridendo Thorin che, a quelle
parole, si era irrigidito e contraeva le mani più volte,
alla
ricerca della calma che gli stava venendo a mancare. Dignitosamente
non disse una parola, mentre invece l'orco continuava nel suo
monologo.
<<
Sai, c'è una bella taglia sulla tua nobile
testa;
un tuo vecchio nemico ti sta cercando. Sarà ben felice di
saperti
qui >> sghignazzò, facendo oscillare il
testone e le sparute
ciocche bianche.
Thorin percepì un vago senso di disagio, ma lo
ricacciò subito <<
I miei nemici sono morti >> disse, altero.
<< Davvero? Eppure questo mi pare sia ben vivo. Forse, se
ti
rivelassi che è un grande orco pallido che cavalca un bianco
Mannaro, ti ritornerebbe la memoria? >> si
pregustò fino in
fondo l'effetto che ebbe la notizia.
Negli occhi di Thorin, infatti, era passato un breve lampo di
incredulità, sostituito dalla furia: non riusciva a credere
a
nessuna parola detta da quell'essere schifoso.
<<
Lui
è
morto! >> ribatté stoicamente <<
L'ho ucciso tempo fa!
>>.
<<
Si direbbe di no; e se per uccidere
intendi
tagliato
una mano,
bé...
ci riferiamo a due cose diverse >> ridacchiò
di nuovo,
rivolgendosi ad un piccolo ammasso deforme e raggrinzito che sedeva
alla sua destra.
<< Avvisa il nostro amico: il nano è qui
>>.
Il piccolo essere ridacchiò a sua volta, il lungo artiglio
della
zampa destra che terminava di scrivere qualcosa su di un blocco di
pietra. Non si alzò, ma diede una spinta al secchio di latta
che lo
conteneva e quello, appeso ad una corda, scivolò via,
perdendosi in
quell'intrico di funi e carriole.
E così, Azog il Profanatore era ancora vivo; Karin
sentì il sangue
gelarsi nelle vene, ed un freddo penetrante ed aspro la pervase,
nonostante là sotto, nelle profondità della
montagna, facesse
caldo, anche grazie alle torce che illuminavano quel luogo macabro.
<< Tu >> continuò l'orco,
indicandone uno lì vicino <<
portami quella spada; gli taglierò personalmente la testa,
visto che
l'orco pallido la richiede. Il resto possiamo tenercelo; anche gli
altri >>.
Il
suddito si avvicinò al mucchio di armi, pronto per prendere
Iris.
Karin non riuscì a trattenersi oltre: non sarebbe rimasta in
disparte a guardare qualcun
altro
impugnare la sua spada, né avrebbe permesso a qualcuno
di
uccidere Thorin. Scossa dall'ultimo pensiero si sentì
muovere, anche
se non aveva dato alcun permesso alle gambe d'agire per conto loro;
spinse rudemente gli altri nani che, invece, cercavano di tenerla con
loro affinché non commettesse pazzie. Mentre si divincolava
da
Balin, l'orco urtò il piccone di Bofur, che cadde con un
gran
fracasso a terra, portando con sé le altre armi che gli
stavano
sotto. La lama di Orcrist, rimasta tutto quel tempo dentro al fodero
si scoprì parzialmente, rilucendo alla luce delle torce.
Il Grande Orco lanciò uno spaventoso grido di rabbia,
riconoscendola: essa, infatti, era nemica giurata degli orchi
poiché
ne aveva uccisi molti, anni addietro, quando gli elfi davano loro la
caccia. Ed il ricordo non era facile da cancellare. Anche gli altri
orchi lì presenti digrignarono i denti, scoprendo le fauci
di fronte
a quella che chiamavano semplicemente Coltello; la odiavano,
così
come chiunque l'impugnasse.
<< Uccideteli! Squarciateli! Voglio le loro teste su
delle
picche! Ora! >> alle sue grida acute si aggiunsero quelle
degli
altri; alzarono i pugni, altri le armi e, correndo, li accerchiarono.
Ai nani non restò altro che affrontarli a mani nude, come
meglio
potevano: vennero loro addosso, urlanti e ripugnanti, prendendoli a
schiaffi, a calci e pugni; chi aveva un'arma cercò di
usarla,
tentando di ucciderli, menando fendenti a destra e a manca.
Karin non se la cavava granché nella lotta corpo a corpo:
dopo
essere riuscita a schivare un colpo ed aver dato un calcio al fianco
di un orco, facendolo cadere a terra, se ne ritrovò altri
due,
arrivati contemporaneamente a fermarla; ricevette una ginocchiata in
pieno ventre, piegandosi in due dal dolore e boccheggiando forte alla
ricerca di aria, che non le arrivò ai polmoni. Sentiva
dolori
lancinanti dappertutto ma, imperterrita, riuscì a fare lo
sgambetto
a uno, che cadde; cercò di rialzarsi – era finita
in ginocchio
dopo la botta presa – per affrontare il secondo ma quello,
preparato, la colpì in viso con un violento schiaffo:
sentì la
guancia andare a fuoco, e qualcosa di caldo e viscoso che le
scivolava lungo la parte lesa. Sapendo troppo bene di cosa si
trattasse, e con una furia incontrollabile in corpo, urlò a
pieni
polmoni tutta la sua ira, scattando in avanti e lanciandosi
letteralmente sul mostro, che strillò come un maiale pronto
per
essere scuoiato. Lo gettò a terra e cominciò a
colpirlo, una, due,
tre volte, finché non venne spinta via da un altro orco,
pronto ad
avventarsi su di lei; inorridita, vide che gli mancava un grosso
pezzo di naso, mettendo in mostra la cavità interna e l'osso
che la
circondava. Ma non fu questo a farle mancare la salivazione,
bensì
la frusta che reggeva tra le zampe.
Con la coda dell'occhio riuscì a scorgere alcuni dei suoi
compagni,
troppo indaffarati per aiutarla: combattevano con tutte le loro
energie, ma capì bene che era troppo stancante anche per
loro; i
colpi erano fiacchi, le mosse rallentate, i riflessi non più
pronti.
Se non avessero trovato una soluzione sarebbero stati sopraffatti. E
la missione avrebbe avuto fine.
L'orco fece schioccare la frusta vicina al suo polso sinistro,
scuotendola dai suoi pensieri ed attirando l'attenzione su di
sé;
provò a scartare a destra ma lui fu rapido e, di nuovo,
alzò l'arma
che, sibilando, si abbatté sulla sua spalla, ferendola.
Urlò forte,
mentre un bruciore vivo le infuocò il punto colpito; si
fermò
appena in tempo dall'andare a toccare la ferita con la mano sinistra,
e lanciò uno sguardo di puro disprezzo al nemico che, al
contrario,
parve molto soddisfatto della sua opera. Ormai disperata e col fiato
corto, la ragazza lo vide prepararsi nuovamente a calare il colpo ma,
stavolta, riuscì a schivarlo, portandosi più
vicina a lui: se solo
fosse riuscita a strappargli di mano quella maledetta frusta! Poi
avrebbe sghignazzato lei, altroché...
L'orco aspettava qualcosa, ma ciò le diede l'occasione
giusta per
bloccarlo.
“Ora
o mai più”
Si slanciò in avanti, schivando un gancio che puntava dritto
alla
tempia; con le ultime riserve di energia che le rimanevano
colpì il
mostro sulla guancia, facendolo barcollare indietro di poco. Non fece
in tempo a rallegrarsene – o a riprendere fiato –
che qualcuno le
artigliò la gola in una presa ferrea, con una forza inaudita
tale da
alzarla di poco dal terreno; scalciò con forza, credendo di
liberarsene, ma non vi riuscì: boccheggiò, il
petto che si alzava
ed abbassava con foga, non riuscendo a respirare. Strabuzzò
gli
occhi scuri, mentre le mani cercavano di togliere quelle forti e
rugose di un altro orco dalla gola.
La
vista le si annebbiò, ogni pensiero si confuse: avrebbe
voluto
chiedere aiuto, chiamare qualcuno, ma non riusciva nemmeno a pensare.
C'erano
talmente tanta confusione, grida, schiamazzi, urla, strilli che,
anche se avesse potuto, nessuno l'avrebbe udita; ebbe paura, una
tremenda e maledetta paura. Ora stava per morire di
nuovo, ma
stavolta non sarebbe accorso Thorin a salvarla: combatteva lontano,
impegnato ad affrontare due orchi. Lei, invece, faticava a
combatterne uno!
Provò ad affondare le unghie nella carne pallida e
putrefatta, che
puzzava, ma non servì: anzi, l'altro aumentò la
presa, facendola
rantolare.
Per Durin, non ce la faceva più!
Sentì le forze venirle meno, la presa sulle mani si
allentò; le
gambe iniziarono a formicolarle ed un ronzio le invase le orecchie.
Un calore inaudito le salì lungo il mento e le guance
andandole alla
testa, mentre veli di sudore le ricoprirono le tempie, il corpo, il
collo: i respiri si fecero più irregolari, la trachea
rischiò di
esploderle.
“Che
qualcuno mi aiuti!”
“Per
favore!”
Poi
tutto finì com'era iniziato, rapidamente. La stretta si
allentò di
colpo e ricadde a terra, prostrata; iniziò a tossire
convulsamente
alla ricerca di aria, inspirando forte, lieta di poterlo ancora fare.
Tremava, gli occhi spalancati che avevano iniziato a lacrimare;
portò
una mano alla gola, sentendola libera.
Si guardò attorno alla ricerca del suo salvatore: dietro di
lei,
l'orco che aveva tentato di ucciderla giaceva in una pozza di sangue
rosso pallido, un ghigno ancora impresso sul volto deforme.
I suoni tornarono lentamente, il fischio sparì: rimase
accasciata
per un po' cercando di respirare il più possibile. Nessuno
fece
caso ad un nano a terra, così poté rimanere
estranea allo scontro
impari che avveniva in ogni dove: quando sentì d'aver
recuperato una
minima parte di energia tentò di alzarsi, ancora incerta, il
cuore
che galoppava furioso.
I nemici erano davvero troppi – constatò
– ed avevano impartito
una dura lezione ai suoi compagni che, messi alle strette, si
reggevano a stento in piedi; alcuni si sorreggevano tra loro,
stremati. Erano spacciati.
<< Finiamola con questo spettacolino: li voglio morti.
Ora >>
sentenziò il Grande orco, rimasto appollaiato sul trono per
tutto il
tempo.
I mostri, che non aspettavano altro che farli a pezzi velocemente e
dolorosamente, si avvicinarono.
Ma la fortuna sembrò essere favorevole alla Compagnia: una
luce
abbagliante e bianca illuminò quel posto, e tutti loro.
Accecati, si
portarono una mano a coprire gli occhi, mentre una voce a loro ben
conosciuta – ed un'alta sagoma familiare –
parlò.
<< Riprendetevi le armi! >>.
Gandalf il Grigio li aveva trovati.
Il cuore di Karin non fu mai tanto sollevato come in quel momento.
Era proprio lui, non vi erano dubbi: sotto la tesa del cappello
grigio, il volto di Gandalf era una maschera di rabbia e furore,
rivolta tutta agli orchi.
La Compagnia non ci mise molto tempo a reagire: corsero in fretta
verso il mucchio di armi mentre lo stregone, bastone e spada in
pugno, li copriva come meglio poteva.
<< Presto, scappiamo!!! >>
ordinò, per poi lanciarsi per
primo lungo un ponticello sospeso di fronte a loro.
La fuga disperata verso la salvezza iniziò.
Karin non ricordò l'ultima volta in cui aveva corso
così tanto,
disperatamente; non solo doveva prestare attenzione a saltare le
tavole mancanti di legno dei vari ponti traballanti, rischiando di
cadere o inciampare, ma doveva sempre rimanere all'erta se un qualche
orco si avvicinava o si gettava da una passerella sopra di loro.
La lama di Iris era intrisa di sangue rappreso e scuro a cui se ne
aggiungeva sempre dell'altro, man mano che calava fendenti verso i
nemici.
Ben presto le mancò quel poco di respiro che era riuscita a
racimolare dopo aver quasi rischiato di morire strangolata, e la
milza le dolse, mandandole fitte acute a cui poteva rimediare solo
tenendosi il fianco.
La salivazione le era terminata da tempo, ormai, e la gola secca le
bruciava: poteva persino sentire il sapore del sangue che le risaliva
lungo la trachea; respirare era diventato un incubo, così
come
cercare di scappare da quel luogo immenso, dentro la montagna.
Gandalf faceva loro strada, abbattendo tutti gli orchi che cercavano
d'impedirgli di passare; Thorin lo seguiva, e poi venivano gli altri.
Più di una volta si fermarono per lasciarli passare
accodandosi
nelle retrovie, per accertarsi che nessuno fosse rimasto indietro.
Dwalin, ora in prima fila si fermò, vedendo un gruppo di
orchi a
qualche metro di distanza; veloce, abbatté una delle sue
asce su una
corda alla sua destra, spostando leggermente il capo all'indietro.
<< Palo!!! >> gridò, per poi
ringhiare come un animale
mentre alzava quell'arma improvvisata. Chi gli era dietro lo
aiutò,
correndo e caricando con tutte le loro forze: bastò qualche
movimento oscillatorio e i nemici caddero, mentre gli altri vennero
finiti dai nani.
Lo stregone era nuovamente avanti, il bastone e Glamdring che gli
permettevano di aprirsi dei varchi nel passaggio; corsero ancora e
ancora, tentando di schivare anche qualche freccia che pioveva dai
ponti sopra le loro teste: una passò così vicina
a Karin che poté
sentirne il sibilo minaccioso.
Lanciando un'occhiata disperata alla sua destra, la ragazza vide che
un gruppetto di mostri era attaccato a delle corde spesse e che, con
un balzo nel vuoto, si lanciarono per raggiungerli. Prima che potesse
aprire bocca, l'ordine di Thorin risuonò
nell'immensità della
montagna.
<< Tagliamo le corde! >>.
Karin eseguì, cosi come fecero Nori e Oin: il ponteggio
dietro di
loro oscillò e si piegò a destra, incontrando la
traiettoria degli
orchi, che non poterono evitarlo; le corde si attorcigliarono alla
struttura di legno ed essi con loro. Se non fossero stati in pericolo
di vita sarebbe stata una scena a dir poco comica! Ma non era il
momento di pensarci, dovevano raggiungere un qualche passaggio che li
avrebbe condotti fuori, verso la salvezza.
Proseguirono la loro folle corsa, ma presto vennero fermati da alcuni
orchi arcieri: Kili riuscì a parare con la lama qualche
freccia,
ricorrendo poi ad una scala di legno appoggiata alla roccia. Se la
portò davanti a mo' di scudo per portarla poi in
orizzontale,
aiutato da Gloin, Bifur e Bofur, come fosse una lunga e spessa
lancia, trascinando indietro gli orchi che si dibattevano ed
agitavano le lunghe e magre braccia.
Vennero gettati giù, mentre la scala permise ai nani di
oltrepassare
il vuoto tra un ponte e l'altro e di ricongiungersi con l'altro
gruppo che era in testa, pronto ad aspettarli.
<<
Avanti, presto! >> li incitò Gandalf: ora
tutti insieme si
precipitarono a più non posso lungo altre passerelle;
qualche volta,
a Karin parve di sentire i deboli ponteggi di legno traballare sotto
i suoi piedi, ma sperò con tutto il cuore che reggessero:
non osava
pensare alla lunga ed interminabile caduta che, altrimenti, li
aspettava. Le sembrò, inoltre, di scendere verso il basso:
man mano
che procedevano spediti – e guardandosi alle spalle di tanto
in
tanto – concluse che prima si trovavano in zone
più elevate e che,
ora, cercavano di raggiungere la base della montagna. Notizia che non
la confortò poiché, se così fosse
stato, mancava ancora molta
strada
da percorrere: e non era così sicura di farcela.
Improvvisamente, una grande figura tagliò il loro cammino:
inorridita e attonita, riconobbe il Grande Orco; come era riuscito a
raggiungerli? Il panico le montò in petto, facendole mozzare
il poco
fiato che le rimaneva in corpo.
Gandalf
era a poco più di un metro da lui: la ragazza non
riuscì a vederlo
in volto, ma vide con orrore l'espressione compiaciuta ed affamata
di
quel grosso re; dietro la sua enorme mole, piccoli orchi
sghignazzavano e mandavano gridolini eccitati e mostruosi, certi
d'averli in pugno. L'unica cosa che le rimaneva da fare, era cercare
un po' di conforto dall'elsa di Iris.
<< Ritorna da dove sei venuto! >>
tuonò Gandalf, alzando
Glamdring – la Battinemici – sopra di sé
; con un unico fendente
tagliò la pancia molle e grassa del Grande Orco che,
inizialmente
inorridito di fronte ad un'altra spada elfica, si rese conto troppo
tardi di ciò che gli era capitato. Strillò
sofferente, tenendosi
una grossa mano sul ventre: si spostò, costringendo gli
orchi ad
arretrare. La corona gli scivolò dal capo, cadendo con un
tonfo
sordo a terra: sgranò gli occhi, mentre una fitta di dolore
gli
perforava il cervello; si spostò incerto in diagonale,
portandosi
verso il bordo della piattaforma, ma non se ne accorse.
Continuò ad
andare indietro barcollando e, ormai sul ciglio, sembrò
percepire la
voragine alle sue spalle: li guardò con un ultimo sguardo
carico
d'odio e, urlando, precipitò nell'abisso nero.
Tutto si svolse velocemente, ma a Karin sembrò di vederlo al
rallentatore tanto era in ansia; e, ora, la situazione non era certo
a loro favore! Erano stremati, e gli orchi continuavano a spuntare da
ogni dove, desiderosi di vendetta e di un bottino succulento:
strepitarono e lanciarono grida tali da farle accapponare la pelle,
mentre brividi le percorrevano la colonna vertebrale. Ma, ancora una
volta, Gandalf seppe trovare una soluzione per tirarli fuori dai
pasticci: gli bastò piantare con forza il bastone a terra e,
con uno
scossone, la piattaforma di legno dov'erano i nani iniziò a
scricchiolare minacciosa; tutti allargarono le gambe, cercando di
migliorare il loro equilibrio, altri si strinsero tra loro,
prendendosi per un braccio. Poi si abbassarono e, con un tuffo al
cuore, caddero in basso, proprio dove Karin temeva; urlarono, mentre
tentavano di rimanere saldi sul piano: la ragazza perse
l'equilibrio, battendo violentemente le ginocchia sul legno duro. In
ginocchio, vedeva avvicinarsi con crescente velocità ed
orrore il
baratro, e la loro fine. Il bagliore rossastro delle torce che li aveva
avvolti
fino a poco prima ora lasciava rapidamente il posto ad
un'oscurità
pesante e densa: stavano precipitando nel cuore più profondo
e
nascosto della montagna.
I nani imprecarono forte, sia per la sorte che li attendeva sia
perché non riuscivano a fare altro che a rimanere aggrappati
tra
loro, barcollanti.
Qualcuno le cadde addosso: era Fili, che cercò inutilmente
di
ritornare in piedi, rinunciandoci subito; con un forte scossone, la
base andò a sbattere contro la dura roccia, ed un pezzo di
legno si staccò nel punto dove poco prima si trovava Bifur.
<< Dici che ce la faremo? >> le
urlò Fili, aggrappandosi
al suo braccio, per sovrastare le grida degli altri.
Karin scosse la testa, ricacciando un urlo << No!
>>.
Picchiarono di nuovo contro la parete, e il loro sostegno si
accorciò
notevolmente: ora, il gruppo si riunì compatto verso i due
nani che
si trovavano quasi sul bordo; Bofur artigliò la sua mano al
mantello
di Karin, quando ella rischiò di venir sbalzata fuori. Kili,
invece,
aiutò il fratello a rimettersi in piedi, aiutato da Gloin.
Gandalf sembrava l'unico a non avere qualche problema di equilibrio:
infatti, si teneva saldamente aggrappato al lungo bastone di legno e,
solo qualche volta, sembrò barcollare.
<< Per Durin, ci siamo!!! >>
esclamò Oin.
<< Il fondo! >>.
<< ATTENTI! >>.
Tutti si sostennero a vicenda, pronti all'impatto: il legno
scricchiolò, raschiando la montagna; sembrò quasi
stridere mentre
continuava a scendere, inesorabile. Poi la corsa sembrò
rallentare: si incastrò tra le rocce, e tutti si piegarono.
Il terreno
sottostante si avvicinò e, con un gran tonfo, la piattaforma
si
fermò, mentre alcuni di loro rotolarono fuori; Karin
finalmente
allentò la presa sul legno, facendo ritornare la
circolazione sulle
mani: aveva stretto così tanto – per timore di
cadere – che le erano diventate bianche. Il cuore era
letteralmente in
subbuglio, e le viscere le si erano talmente attorcigliate che ebbe
la nausea: non poteva crederci, ce l'avevano fatta, erano riusciti a
salvarsi! Se non fosse stata così tanto sconvolta avrebbe
battuto le
mani, felice: o, almeno, l'avrebbe pensato... non avrebbe mai
compiuto un gesto del genere di fronte agli altri.
Respirò a fondo per placarsi, incredula della loro buona
sorte: con
uno sguardo agli altri, vide che pensavano più o meno la
stessa
cosa, perfino Gandalf.
<< Bé >> iniziò
Bofur, con voce flebile << poteva
andare peggio, no? >>.
Qualcuno ridacchiò, dapprima nervosamente e poi sempre con
maggior
sicurezza: finché il corpo gigantesco del Grande Orco non
cadde
sopra la tavola di legno, rischiando di schiacciarli. Urlarono
spaventati, dato che non se lo aspettavano; il cadavere dell'orco non
si mosse, e Gandalf fu il primo a riscuotersi.
<< Presto, non perdiamo tempo! Dobbiamo uscire da qui
prima che
tornino gli orchi; seguitemi! >>.
La ragazza era schiacciata contro il legno, che le spingeva sulla
schiena: strisciò con i gomiti, riuscendo ad uscire da
lì. Cercò
di alzarsi, maledicendo le gambe divenute molli e tremanti; con una
spinta poderosa riuscì a rimettersi in piedi e,
assicurandosi meglio
Iris alla cintura passò avanti, dietro Dwalin.
Corsero ancora, però con meno foga di prima; finalmente
intravidero
una luce in lontananza, e una lieve bava d'aria giunse sui loro visi
accaldati e sudati.
Gandalf si fermò, lasciandoli passare ed incitandoli a
muoversi: una
volta fuori, forse sarebbero stati al sicuro per un po'.
La luce divenne sempre più intensa, l'uscita reale: il sole
–
anche se ormai al tramonto - ferì i loro occhi, abituati
alla luce
soffusa e alle tenebre del luogo da dove erano fuggiti; alti alberi
si pararono davanti a loro, ma non si arrestarono. Dovevano cercare
di porre qualche lega di distacco, o sarebbero stati raggiunti
subito. Caracollarono lungo la lieve pendenza, attaccandosi a qualche
tronco per riprendere un po' di fiato, tornando a correre dietro allo
stregone; Karin sentiva le gambe pesanti, ed ogni indumento di ferro
e cuoio le era solo un fastidio: sentiva la camicia rossa bagnata ed
appiccicata al petto e alla pancia. Il sudore le imperlava la fronte,
scendendole lungo il volto e il collo, perdendosi giù.
Finalmente si
fermarono, ansanti; la ragazza si piegò, portando le mani
alle
ginocchia ed ansimando forte, deglutendo: si deterse il sudore col
braccio e portò l'altro al fianco, gemendo silenziosamente.
Gli
altri – quelli con le armi più lunghe –
si appoggiarono ad esse, respirando a pieni polmoni; alcuni si
sedettero con la schiena contro i
tronchi degli alberi: per un po' nessuno parlò, ma poi
Gandalf li
contò. E scoppiò il pandemonio.
<< Dov'è Bilbo? >>
domandò.
Un grave silenzio scese sulla compagnia, ed alcuni abbassarono lo
sguardo per non incrociare quello indagatore dello stregone.
<< Dov'è lo hobbit??? >>
scattò irato Gandalf,
girandosi verso Thorin; quello scosse la testa.
<< Non lo sappiamo >>.
<< Dovevate assicurarvi fosse con voi! >>.
<< Dori, non dovevi pensarci tu? >>
intervenne Nori.
<< Io? Io non sono la balia di nessuno! E poi, c'era
talmente
tanta confusione... >>.
<< Dove si sarà cacciato? >>
chiese Gloin.
<<
Avrà usato le sue doti da scassinatore
per
nascondersi; e poi alla prima occasione sarà fuggito!
>>
ringhiò Thorin, trattenendo a malapena la rabbia.
<< E se non fosse andata così?
>> si intromise Karin <<
Potrebbe essergli capitata qualsiasi cosa! Se qualche orco l'avesse
preso... >> non terminò la frase, allontanando
i pensieri
nefasti e poco positivi che le ronzavano in testa.
<<
E' adulto,
con una spada al fianco... >>.
<< Che non sa usare! >> ribatté
lei, interrompendo il re
dei nani: una mossa a dir poco sbagliata. Le lanciò uno
sguardo
gelido, che la fece zittire immediatamente; cercò di
sostenere i
suoi occhi azzurri ma, con rabbia e delusione verso se stessa, non ci
riuscì: abbassò lo sguardo a terra, mordendosi la
lingua.
Fortunatamente, fu Balin ad interrompere il crescente disagio che si
era creato.
<< Non credo se ne sia andato, Thorin; sono preoccupato
anche
io, come Karin >>.
Il re lo guardò incredulo, come fosse appena stato tradito
dall'unica persona di cui si fidasse; l'anziano nano, al contrario di
Karin, sostenne tranquillamente il suo sguardo, facendo sì
che
Thorin continuasse a dimostrare la sua tesi.
<< Non si è mai integrato, il suo posto non
è qui con noi >>
ribatté, freddo << Si è perso da
quando ha varcato la porta
di casa: non farà mai parte di questa compagnia
>>.
<< Hai ragione! >> esclamò una
voce ben nota, ma che non
apparteneva a nessuno di loro; Bilbo apparve da alcuni tronchi dietro
di loro, lasciandoli di stucco. Non l'avevano visto arrivare.
Li
raggiunse con uno strano cipiglio. “Diverso”
pensò
Karin.
<< Lo so quello che pensi di me >>
aggiunse, afferrandosi
i lembi della consunta giacca rossa << Ed è
così: penso
spesso a casa, molto spesso >> ammise, alzando le spalle
<<
ma sono rimasto. Voglio aiutarvi a riprendervi la vostra casa, se
posso, perché è giusto così
>>.
La frase, detta con tutta la semplicità che solo uno hobbit
poteva
avere, fece breccia nei loro cuori di nani; persino Thorin rimase in
silenzio, non riuscendo a ribattere nulla.
<< Come hai fatto a scappare? >> chiese
curiosa Karin,
ponendo la domanda che pensavano tutti.
Bilbo fece una strana espressione, come di chi cerca di nascondere
qualcosa; ma non fece in tempo a rispondere che Gandalf lo
precedette.
<< Non importa molto come ci è riuscito, in
fin dei conti >>.
<< Invece sì, Gandalf. Come ha fatto a
superare indenne gli
orchi? >>.
<< Ho trovato un'altra strada >> si
affrettò a spiegare
lo hobbit << sono caduto e mi sono ritrovato in una
caverna
buia, molto più giù di dove vi trovavate. Dopo un
po' di cammino ho
sentito le vostre voci e vi ho seguiti, così sono uscito
>>.
La ragazza non seppe dire se fosse riuscito a convincere Thorin con
quella spiegazione - o lei stessa - poiché un nugolo di
rumori e versi inquietanti
li raggiunsero: con una morsa allo stomaco ed un sudore freddo,
riconobbe l'ululato di Mannari.
Azog il Profanatore.
Veniva a prenderli.
<< CORRETE!!! >>.
Non ci fu alcun bisogno che lo stregone lo ordinasse: non appena si
erano resi conto del pericolo imminente, era bastato uno scambio di
sguardi per capirsi al volo. Karin afferrò un Bilbo attonito
ed
impaurito per la manica della giacca, incitandolo a correre veloce.
Schivarono alcuni tronchi, spingendosi sempre più avanti:
all'improvviso, dalla loro sinistra apparve un grosso mannaro,
ringhiando feroce; si fermarono per ucciderlo, mentre questo si
avventava su Oin e Dwalin, cercando di morderli.
Ne giunsero un secondo e un terzo, e la compagnia fu costretta ad
arrestarsi lì: Kili scoccò varie frecce, che si
conficcarono senza
troppi complimenti tra il manto degli animali. Fu solo quando si
accertarono di essere di nuovo soli che ripresero ad avanzare,
l'oscurità della sera che, rapida, calava; ma, purtroppo per
loro,
giunsero al termine della collinetta. Sotto di loro, un dirupo
profondo. Avevano solo una scelta.
Dovevano arrampicarsi sui rami, ed in fretta. Altri mannari stavano
già arrivando, latrando furiosi.
Karin abbatté un altro animale, veloce, per poi aggrapparsi
al ramo
più basso a cui riuscì ad arrivare; non
riuscì a far forza sulle
braccia per aiutarsi, sentendosi spacciata: ma, per fortuna, Bifur e
Oin si abbassarono a prenderla in tempo, issandola su proprio mentre
un mannaro saltò schioccando le fauci, ad un soffio dai suoi
stivali.
<< Grazie >> ansimò, mentre
cercava di riprendersi.
Un branco numeroso di Mannari - alcuni cavalcati da orchi, altri no
–
si fermarono ai piedi degli alberi, saltando e cercando di affondare
gli artigli nelle cortecce spesse, provando a prenderli; spingevano
con tutta la forza e la furia di cui erano capaci, riuscendo a far
oscillare il tronco. Aggrappati ai rami, i nani cercarono
di rimanere sicuri sugli appigli; Karin non aveva occhi che per gli
orrendi mostri a pochi metri di distanza, e fu con sorpresa e
sollievo che vide delle scie rosso fuoco colpirli: quelli,
uggiolanti, si ritirarono scoprendo di più le zanne,
inferociti.
Spostando il capo all'indietro, la ragazza vide che Gandalf staccava
delle grosse pigne dai rami per poi incendiarle con la magia,
lanciandole a terra; ne passò anche a Bilbo, Kili e Fili,
sui rami più
bassi, e le scagliarono giù, appiccando il fuoco alle
erbacce secche
e alle foglie. Ben presto l'aria si fece calda e irrespirabile,
mentre lingue rosse ed arancioni danzavano grazie al venticello
leggero; i mannari ulularono e ringhiarono, spostandosi ansiosi di
qua e di là, cercando un varco tra le fiamme. Karin si
sentì in
parte rincuorata ed in parte timorosa: non solo il fuoco li teneva
lontani, ma lambiva tutto ciò che incontrava: compresi gli
alberi su
cui i nani avevano trovato riparo.
Lentamente, con schiocchi inquietanti, il legno si corrose,
spezzandosi; uno ad uno si ruppero, andando a scontrarsi con quello
vicino, in un domino pericoloso che avrebbe messo a repentaglio la
loro vita: le fronde della pianta che si trovava ad alcuni metri
dalla sua le piovvero addosso, facendo oscillare i rami. Il tronco si
mosse, ondeggiando: Gloin scese dove si trovava la ragazza, tenendosi
a penzoloni sui rami.
<< Dobbiamo saltare di là! >> le
urlò.
Karin deglutì a vuoto, la gola secca e gli occhi lacrimanti
dal fumo
che si ergeva a spirale verso l'alto: annuì solamente,
incapace di
emettere suoni; si spostò – sempre tenendosi
aggrappata –
scivolando sulla corteccia, lasciando il posto sicuro vicino al
tronco e protendendosi lungo il diametro sempre più sottile
del
ramo. Ora, dovevano solo attendere il momento giusto per saltare e
raggiungere gli altri; sentì il tronco spezzarsi alla base,
ed
iniziò la lenta discesa verso l'altro albero. Già
pronti ad
attenderli stavano Ori, Bombur, Dwalin e Nori; quando mancò
poco
allo schianto, Karin saltò, riuscendo ad aggrapparsi ad un
ramo
abbastanza spesso, mentre Ori cercò di aiutarla a
raggiungere il
suo. Ma non era ancora finita, poiché non erano al sicuro
nemmeno
lì: il fuoco si propagò ancora come un'onda
rossa, prendendosi
anche quell'albero. Crepitò e sprizzò scintille,
mentre il piccolo
gruppetto saltò da lì per rifugiarsi tra le
fronde ancora intatte
dell'ultimo albero presente, che si ergeva alto sul bordo della
roccia: sotto, il vuoto.
Sperarono in un qualche miracolo, ma non avvenne: le fiamme
raggiunsero anche quell'arbusto, che iniziò ad oscillare
pericolosamente verso il baratro, inclinandosi. Alcuni rami si
spezzarono, compreso quello dove Ori e Dori avevano trovato riparo:
persero l'equilibrio e iniziarono a cadere ma, fortunatamente,
riuscirono ad aggrapparsi tra loro e il più vecchio dei
fratelli si
attaccò al bastone di Gandalf, intervenuto per salvarli.
Dalle fiamme che li separavano dai mannari ne arrivò uno,
che le
saltò con estrema facilità; si trattava di una
bestia dal pelo
bianco, più grande rispetto agli altri: sulla sua groppa
stava un
orco albino, dalla pelle pallida e biancastra, rischiarata dall'alone
rossastro delle fiamme attorno a lui. Ciò che
l'inquietò, però, fu
l'espressione di puro trionfo e brama di sangue che gli scorse, oltre
alla mano sinistra mancante: al suo posto, un tridente di ferro era
conficcato nel braccio. Era muscoloso, e numerose cicatrici gli
coprivano il petto e il volto; gli occhi chiari erano puntati verso
l'alto, più su di dove si trovava. Seguendolo, vide la
figura
attonita e furibonda di Thorin; per un attimo, Karin poté
percepire
la paura che aveva attraversato i suoi lineamenti,
facendo sì
che diventasse anche sua. Dunque, quello doveva essere Azog il
Profanatore, l'orco che aveva ucciso Thròr nella battaglia
di Moria
ed al quale Thorin aveva tranciato la mano, vendicandosi.
Lo vide muovere le labbra ma non riuscì a sentire cosa
dicesse, data
la lontananza: era certa, però, che non si trattasse di un
invito
per una chiacchierata amichevole.
Colse un movimento alla sua sinistra e, con orrore, scorse Thorin in
piedi con Orcrist in pugno, intenzionato a raggiungere Azog per
vendicarsi: la rabbia ed il livore lo avevano accecato, sopprimendo
la ragione che, certamente, lo avrebbe dissuaso dal compiere una tale
sciocchezza.
Avanzò sicuro lungo il tronco inclinato, lo sguardo
combattivo che
mai si staccò dal volto sfigurato dell'orco che, invece,
aspettava
impaziente il nano, desideroso di farlo a pezzi.
Karin si impietrì, non riuscendo nemmeno a pensare: non
aveva occhi
che per la schiena di Thorin.
Egli iniziò a correre, i denti digrignati, lo scudo di
quercia
legato al braccio sinistro; alzò la spada mentre una
manciata
di metri lo separavano dalla sua nemesi, da colui che cercava di
uccidere brutalmente ogni notte, nei suoi incubi più neri.
Sembrò
che il fuoco volesse quello scontro cruento,
poiché aveva
lasciato uno spazio apposito, una sorta di passaggio che permise a
Thorin di passare incolume tra l'incendio che, ormai, divampava.
Anche Azog si preparò, emettendo un verso gutturale e
spaventoso ed
abbassandosi sulla groppa del mannaro, pronto a spiccare il salto
che, dalla roccia su cui si trovavano, lo avrebbe portato addosso al
nano.
Il cuore di Karin si fermò nel momento esatto in cui il lupo
si
staccò da terra, le fauci spalancate, le zampe protese in
avanti;
non riuscì a prendere Thorin, ma lo colpì
ugualmente con le zampe
posteriori. Il re cadde di schiena, il viso distorto dal dolore ed il
respiro mozzato; Azog guidò il mannaro a girarsi
verso il nano che, nel frattempo,
cercava di rialzarsi tenendosi saldo all'elsa di Orcrist: l'orco
caricò ancora, spronando la bestia ad attaccare; quando gli
fu
abbastanza vicino caricò il colpo con forza, abbattendo la
sua
mazza sul petto di Thorin che, con un urlo sofferente, si
accasciò a
terra, di nuovo.
<< THORIN!!! >> Karin si
aggrappò con tutta la forza che
aveva al ramo, graffiandosi le mani: le unghie raschiarono la
corteccia, ma non si curò delle fitte doloranti che
percepiva; non
erano niente in confronto a quello che stava patendo Thorin. Doveva
fare qualcosa, ed in fretta, non ce l'avrebbe fatta a guardarlo morire.
Le dita trovarono il freddo metallo
dell'elsa di Iris, e la soluzione le fu semplice: sarebbe andata a
salvarlo, ad aiutarlo.
<< NO! >> urlò disperato Balin,
mentre Azog lanciava un
rauco grido di vittoria, alzando l'arma.
Karin si alzò senza rendersene conto, la spada che
rifletteva i
bagliori dell'inferno che li circondava: tutta se stessa le gridava
di muoversi perché, se avesse indugiato, l'avrebbe rimpianto
per
tutta la vita. Ma allora perché la sua presa, prima
così sicura, si
stava allentando? Perché il cuore le ronzava furioso nelle
orecchie,
pompando veloce? Cos'era quella paura, quel gelo
freddo che
le aveva congelato le ossa, paralizzandola?
Un terrore che mai aveva provato in vita sua le bloccò ogni
pensiero, ogni movimento: sarebbe rimasta ferma imbambolata a
guardare la fine atroce e violenta di colui che non era mai stato
veramente re, senza far nulla e pentendosene per il resto dei
suoi giorni...
<< Dai, Karin! >> la faccia sporca di
fuliggine di Bilbo
entrò nel suo campo visivo, facendole sbattere le palpebre,
sorpresa; le stava artigliando una manica, mentre nell'altra mano
impugnava stretta la sua spada.
<< Non vuoi salvarlo? >> le chiese, quasi
con
disperazione; nel suo volto, nella sua voce, la ragazza scorse una
nuova consapevolezza, una determinazione inaspettata ed un coraggio
che gli rendevano onore; ora più che mai aveva assoluto
bisogno che
qualcuno le infondesse quei sentimenti che le avrebbero permesso di
gettarsi a difendere il nano.
La sua anima ne era consapevole, doveva correre da
lui, ma...
il corpo non voleva saperne di spostarsi, era terrorizzato e tremante:
era divisa in due, straziata dal cuore e dalla ragione, che cercavano
di contendersela.
Le parole di Bilbo non facevano altro che rimbombarle nelle orecchie,
nella mente, implorandola
di sbrigarsi.
Quando udì Thorin gridare sotto il morso del mannaro, che
aveva stretto le
fauci attorno al braccio sinistro - quello che reggeva lo scudo di
quercia - e l'aveva sollevato da terra facendone la sua preda, prese
una decisione.
Ora sapeva ciò che doveva fare.
La mano sinistra strinse la presa su Iris.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buon pomeriggio a tutti!!! Scusate il ritardo,
ma avevo un esame l'1, ed ero totalmente assorbita dallo studio :( :(
ora invece avrò un po' di tempo per scrivere anche il
prossimo capitolo in "velocità", anche perché
DOVRETE avere risposte sull'esito della decisione di Karin! Che poi, si
sa già qual'è... ;) ;) Per la
verità non volevo far terminare così il capitolo,
ma poi mi sono detta "bé, facciamo la maledetta fino in
fondo, facendomi odiare dai poveri lettori, su!" e, visto che sto
percependo auree potentissime di morte atroce e dolorosa, corro a
scivere il seguito XD XD XD!!!
Ho notato che, praticamente già dal
prossimo capitolo, terminerò di seguire il film e
inizierò col libro: ommammaaaaaaaa!!! Lo seguirò
per grandi linee - credo XP - anche perché, FINALMENTE, il
passato di Karin troverà spazio :D. perciò, miei
fedeli lettori, non abbandonatemi proprio ora, che iniziano i giochi!
Si entra nel vivo raga ;))))
Bene, chiedo anche perdono per la mancanza di
eventuali "momenti romantici post-quasi morte tra Karin e Thorin", ma
qui serviva l'azione! però mi farò perdonare col
prossimo ;D ;D theheheheheheh!!! Vi è piaciuto come
capitolo? Personalmente, mi sono divertita a scriverlo, e spero sia di
facile lettura: non vorrei annoiarvi, per carità O.o!!!
Ok,
detto questo passo a ringraziare J
_ackie,
Lady
of the sea, erica0501, Carmaux_95, BringMeToLife,
MrsBlack090 e Arvedui (che ha recensito il primo ^^)
Ovviamente non posso non
salutare chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ ricordate,
o che legge soltanto XD: GRAZIE infinite a tutti per il sostegno,
davvero! Senza di voi mi sarebbe più difficile continuare a
scrivere :(
Sapete, oggi mi sono messa a
curiosare tra i vari block notes vecchi, sui quali scrivevo storie
assurde ed improponibili e, sfogliando di qua e di là sono
incappata in una serie di nomi che avevo inventato, mescolandone alcuni
che mi piacevano: e, tra questi, c'era scritto Karin *______*:
ebbene, l'ho preso come un segno - anche se, di solito, non credo
granché a queste cose! Lei doveva nascere, affiancando
qualcuno in una storia... ed è toccato a quel grande e
bellissimo libro che è "lo Hobbit", con tutti i suoi
fantastici protagonisti e personaggi ^^; non so, mi sono emozionata
tantissimo XD!!! Va bè, meglio smetterla qua ^^! Ah,
un'ultima cosa, dovrei farvi una domanda: sapete per caso se in giro
c'è un modo per trovare delle rune naniche da inserire nel
testo di word? Perché ho trovato solo delle frasi lunghe da
inserire col copia-incolla, mentre a me servirebbero singole... Tipo
quelle che mettono nel libro quando parlano dell'alfabeto dei nani. Vi
prego, se c'è qualcuno di esperto mi faccia sapere! Vorrei
inserirle nella storia ç____ç: ma, se non si
può, mi metterò il cuore in pace u.u.
Stavolta è davvero
tutto, perdonatemi: ma, quando inizio, non la smetto più
:D
Un bacione a tutti/e, alla
prossima!!!
Anna <3 <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
Note dell'autrice
Spero
vi piaccia, qui succedono un po' di cose; avverto
che è anche introspettivo ;)
Ci
leggiamo giù :*
CAPITOLO SETTE
Thorin se ne stava immobile, inerte tra i denti del mannaro albino;
sembrò che ogni speranza abbandonasse la Compagnia ed un
dolore mai
provato prima serpeggiò nei cuori, consapevoli della triste
fine del
re. Ma quale fu il loro sbalordimento nel vederlo lottare ancora
accanitamente, la lama di Orcrist che riuscì a colpire di
striscio
il muso della bestia: quella, con un ruggito ed un movimento
improvviso della testa lo lanciò lontano, mandandolo a
cozzare con
la schiena contro la dura roccia. Con uno spasmo di dolore ed un
grido appena trattenuto non riuscì più a
muoversi, dato il colpo
preso.
Karin
schiuse le labbra, in una muta angoscia: le sembrò di
percepire sul
corpo la stessa sofferenza che stava provando Thorin, e questo le
mozzò il respiro facendole sgranare gli occhi, quasi lucidi.
Non ce
la faceva più, doveva
intervenire!
Ma era anche consapevole che, se non avesse atteso il momento
opportuno, Azog avrebbe calato la sua ascia poderosa sul nano,
mettendo fine alla sua vita. Mettendo fine a tutto.
“Non
vuoi salvarlo?” le
aveva chiesto Bilbo, una frase che non faceva altro che sentire e
risentire nella sua testa, nel suo cuore. Certo che lo voleva, una,
cento, mille volte sì:
e
non solo perché lo desiderava
disperatamente, ma
soprattutto per dimostrargli di non essere una vera
traditrice.
Se lo fosse stata, non avrebbe avuto alcuno scrupolo a lasciarlo in
balia del nemico: non le sarebbe importato della sua morte.
Odiò
ammetterlo, ma in quel momento cruciale l'odio che avrebbe dovuto
provare nei suoi confronti era evaporato come neve al sole: aveva
solo paura, timore
di perderlo senza far nulla per salvarlo. L'attesa la consumava
rendendola nervosa, mentre dubbi, perplessità e rabbia le
montavano
in petto, mescolandosi tra loro al punto che non seppe più
distinguerle.
Cercò
di rimanere presente a se stessa, cercò di essere paziente;
ogni
sua cellula, ogni sua parte del corpo, ogni sua vena nella quale
scorreva il sangue,
in realtà, le gridava
di
correre,
di
scattare, di fermare quella follia.
Come
avrebbe voluto
affondare
la lama nella carne dell'orco, facendogli provare sulla sua pelle
cosa voleva dire il dolore,
la
collera incontenibile. Un'ira incontrollabile che non la faceva
ragionare lucidamente, annullandole ogni pensiero coerente e logico,
razionale; le rimbombavano le grida di Thorin, e le sue, frustrate:
le parve di percepire un ringhio furioso, come quando un animale
feroce viene messo alle strette e cerca in tutti i modi di risultare
più spaventoso, scoprendo le zanne, affondando gli artigli
affilati
nel terreno. Un grido rauco le salì alla gola, raschiandola,
quando
vide Azog girarsi verso un Cavalcalupo alle sue spalle: gli
parlò
nel Linguaggio Nero, in una frase dai suoni aspri e gutturali che a
Karin, nel sentirla, venne meno il poco coraggio racimolato.
Quello scese dalla groppa del mannaro, sfilando la lunga e spessa
spada che portava alla schiena: curvo e un poco zoppo, si
avvicinò a
Thorin.
A Karin mancarono alcuni battiti: era quello il momento, ne era
certa; l'avrebbe colto di sorpresa.
Scattò in avanti, ripercorrendo lo stesso percorso che aveva
compiuto Thorin poco prima, andando incontro al suo destino. Quale
fosse il suo, invece, l'avrebbe scoperto a breve.
Come
in un maledetto incubo, quando si cerca di correre veloci per
salvarsi, o per salvare qualcuno,
le
gambe diventarono pesanti, ogni movimento rallentato; ogni cosa le
parve più lenta, persino le fiamme che le divampavano
attorno e la
mossa verso l'alto che l'orco fece fare alla sua arma, caricandola
per il colpo che avrebbe ucciso il re dei nani.
Solo quando fu a pochi metri scorse con la coda dell'occhio una
figura correre alla sua destra: Bilbo si era lanciato con lei in quel
salvataggio disperato, l'espressione risoluta e timorosa insieme, la
stessa che sapeva di portare sul volto. Non ci furono scambi di
sguardi, solo la consapevolezza di ciò che stavano per
affrontare,
ed un tacito accordo: Bilbo sembrò correre più
veloce, superandola
di poco: si lanciò con tutto il suo peso addosso all'orco,
trascinandolo lontano dal nano. Il nemico, stupito, non
riuscì a
difendersi e lo hobbit gli piantò la lama nel petto,
uccidendolo.
Karin, invece, si frappose tra il mannaro rimasto senza padrone e
Thorin: sopì la voglia di voltarsi per sincerarsi sulla sua
salute,
spaventata da quello che avrebbe potuto vedere; se non avesse visto i
suoi occhi azzurri - esterrefatti ma rabbiosi perché stavano
rischiando la vita per lui – aperti ma, invece, chiusi
nell'abbandono della morte? Se non avesse sentito il suo respiro
lento e roco, stremato dalla battaglia persa, che avrebbe fatto?
Non
volle pensarci, ma era certa di una cosa: non avrebbe permesso a
nessuno
di
prenderlo, nemmeno se fosse... morto.
Si concentrò sul mannaro che, non appena era comparsa, aveva
rizzato
il pelo e messo in mostra le zanne, ringhiando; con il coraggio dato
dalla disperazione e dall'adrenalina sempre più forte, Karin
si
piegò sulle ginocchia e sporse leggermente il busto in
avanti,
scoprendo i denti a sua volta. Dalla gola le uscì un ringhio
dapprima basso e poi sempre più forte, in un tentativo di
reclamare
ciò che era suo; gli occhi neri diventarono un pozzo
minaccioso e
brillarono grazie alla luce delle fiamme ormai alte: portò
anche la
mano destra ad impugnare l'elsa di Iris, tenendola saldamente con
entrambe le mani. Mantenne il contatto visivo con la bestia che,
avvertendo la minaccia della ragazza, si infastidì.
Fremette, mentre
iniziò a latrare irata, la bava che si staccava dalle lunghe
zanne e
cadeva a terra; la coda era alta, così come la sua
pelliccia: sembrò
ingrandirsi sotto i suoi occhi ma Karin cercò di resistere,
di non
mostrarsi spaventata.
Le
tornarono alla mente i grandi boschi dell'ovest, dove aveva vissuto
per molti anni dopo l'esilio: ormai senza clan aveva dovuto
arrangiarsi, imparando a difendersi dagli animali feroci che si
aggiravano in quei luoghi; era riuscita a muoversi tra gli alberi con
facilità, senza emettere il minimo rumore. Aveva appreso
come
seguire delle tracce fresche e non, a riconoscere specie di arbusti e
bacche commestibili: ma, fondamentale, aveva imparato a sopravvivere
agli
attacchi di bestie come quelle, anche se meno pericolose. Li aveva
osservati, comprendendoli e cercando di imitarli quando, per sua
sfortuna, incappava in loro dopo aver ucciso una preda: gli sfidanti
iniziavano un pericoloso gioco mortale nel quale si scrutavano,
cercando punti deboli; poi cominciava quel momento in cui si cercava
di prevalere sull'altro con dimostrazioni della forza e potenza che
avevano. E, da quello, poteva dipendere la tua vita: o la bestia se
ne andava infastidita, intuendo la sua fine quando la lama di Iris le
si parava davanti, oppure ti si gettava addosso, cercando di
ucciderti per prendersi il bottino.
Ma,
stavolta, Karin avrebbe impedito con tutta la sua forza – e
anche
con la vita, se necessario – che la preda
le
venisse portata via.
Mentre fitte lancinanti le partivano dalla spalla propagandosi per il
corpo, alzò di poco la spada facendo capire al mannaro che
le sue
intenzioni erano serie; quello, rendendosene conto, arretrò
di un
paio di passi.
Per poi saltare verso di lei.
La
ragazza urlò con ferocia, a pieni polmoni; il battito le si
fermò
del tutto, vedendo la fine vicina. Ma ripensò al nano che
doveva
proteggere
ad ogni costo, ed ogni maledetta paura svanì: assunse la
posizione
di difesa.
Era pronta.
Quando la lama affondò prima nel pelo folto del collo e poi
nella
carne calda e palpitante, capì d'avercela fatta; il corpo
gigantesco
e pesante del mannaro si afflosciò, ed il muso si sporse
verso di
lei cercando di azzannarla, in un ultimo spasmo. Arretrò
appena in
tempo, portandosi dietro il cadavere fresco: con qualche
difficoltà
data dalla ferita – che pulsava terribilmente e ora scottava
-
riuscì a sfilare la spada, le mani che tremavano nervose.
“Sono
viva” fu
l'unica cosa che riuscì a pensare “l'ho
salvato”
Rimase a guardare l'animale per lunghi secondi; poi fece per girarsi,
ma un verso raccapricciante le fece alzare lo sguardo, incontrando il
volto livido di rabbia di Azog. Gli occhi chiari mandavano scintille,
la bocca era contratta e distorta, incredulo che qualche essere
insignificante avesse potuto uccidere uno degli animali più
feroci e
combattivi della Terra di Mezzo. Karin cercò di sostenere
l'occhiata di puro odio che le rivolse, ricambiandola: sapeva che era
una mossa sbagliata, completamente e totalmente folle e stupida, ma
non riuscì a farne a meno; se lui l'avesse attaccata non
sarebbe
sopravvissuta. Ne aveva paura non solo per la crudeltà che
sprigionava, ma perché era Thorin stesso a temerlo.
L'orco
pallido parlò, e fu come se qualcuno avesse fatto cozzare
due lame
d'acciaio insieme: era un suono stridente, malvagio e selvaggio;
sembrò dare ordini agli altri, scatenando grida furibonde e
raccapriccianti. La ragazza deglutì, immaginando il peggio;
indietreggiò di poco, lanciando un'occhiata sfuggente al
corpo
inerme di Thorin: con un tuffo al cuore lo vide con gli occhi chiusi.
No, non poteva, non doveva
accadere!
Si
paralizzò, le forze le vennero meno: si sarebbe accasciata a
terra,
in ginocchio, senza più pensare a nulla, senza
più combattere,
fregandosene
di ogni combattimento, di ogni emozione, di tutto. Qualcosa di
sgradevole le si impigliò in gola, impedendole di deglutire:
sentì
gli occhi pungerle ai lati e, automaticamente, sbatté veloce
le
palpebre mentre la vista le si offuscava; non era tempo di piangere,
o di mostrarsi debole. Non di fronte a creature del genere.
Azog ridacchiò, capendo ciò che cercava di
nascondergli: gonfiò il
petto possente, emettendo un verso rauco e forte, a cui gli altri
risposero urlanti; ma, prima che potessero muovere un solo passo gli
altri nani si avventarono su di loro, gridando forte in lingua
nanesca. Mossi dal gesto dei due membri considerati più
deboli,
avevano deciso di intervenire: il loro orgoglio aveva reclamato il
fervore della battaglia, senza pensare a tecniche di combattimento ma
gettandosi a capofitto, come solo la loro razza insegnava.
Karin rilassò i muscoli, in parte sollevata: mentre la
battaglia
infuriava da ogni parte e l'incendio costringeva i combattenti su un
piccolo spazio, diede un'occhiata intorno, alla ricerca dello hobbit;
lo trovò poco più in là, accanto al
cadavere che aveva ucciso,
immobile: aveva la bocca leggermente aperta e la fronte aggrottata,
tremendamente impaurito.
<< Bilbo! >>.
Al richiamo la guardò, un'espressione stupefatta in volto:
aveva
assistito col fiato sospeso allo scontro tra la ragazza e il mannaro,
estraniandosi dal resto. Sbatté le palpebre confuso,
avvicinandosi a
lei; lo afferrò per un braccio, scuotendolo un poco e
guardandolo
sinceramente preoccupata.
<< Stai bene? >>.
Avrebbe voluto porle lui quella domanda: anche se la stretta era
decisa, la sentiva tremare; gli occhi neri, così determinati
prima
della corsa, ora erano incerti e lucidi. Stava soffrendo, scossa da
quella situazione di pericolo o, più probabilmente, dalle
condizioni
di Thorin.
<<
Devi rimanere qui con lui, capito? >> chiese, indicando
il
corpo ai loro piedi << Io devo aiutare gli altri
>> gli
bastò un'occhiata per capire che, se avesse potuto, sarebbe
rimasta
lei a vegliarlo e difenderlo in caso di minaccia.
<< Vai >> fu l'unica cosa che
riuscì a dirle: cercò di
trasmetterle fiducia e lei l'accolse, rincuorata; diede loro le
spalle, correndo verso gli orchi rimasti.
Ingaggiò una breve lotta contro uno, utilizzando solo il
braccio
sinistro mentre l'altro rimase a penzolarle al fianco:
scartò
numerose volte limitandosi a parare fendenti poderosi, ormai al
limite della stanchezza.
Ansimò forte, indietreggiando dopo l'ultimo attacco
laterale; quasi
le mancò la presa su Iris, tanto era stremata. Il sudore
ormai le
inzuppava gli abiti e la fronte, le fiamme arancioni danzavano con
loro in quel ballo mortale; ne vide alcune farsi strada attorno a
lei, nella ormai radura. Le sterpaglie secche erano polverizzate, il
caldo un qualcosa d'insostenibile, gli alberi erano solo moncherini
anneriti; ormai, solo quello dov'erano rimasti Gandalf, Ori e Dori
resisteva, ma ancora per poco: si inclinava sempre più,
inesorabile.
L'orco tornò alla carica; lei parò di piatto,
riuscendo a bloccare
il colpo dell'avversario, ma il movimento fu lento e debole:
all'altro bastò un briciolo di forza in più per
farle volare la
spada dalle mani. Iris cadde a terra poco più indietro,
tintinnando.
Karin si immobilizzò, non volendo crederci: non le era mai
capitata
una cosa del genere. Si senti perduta, come se qualcuno le avesse
staccato un braccio con un fendente; ma l'orco non aveva alcuna
intenzione di lasciarla in pace ad autocommiserarsi: avrebbe avuto la
sua testa, ad ogni costo. Le corse addosso e lei senza pensarci due
volte tornò indietro, riuscendo ad afferrare in tempo la
spada: ma,
prima che potesse cercare di proteggersi, quello si accasciò
sul
terreno secco e caldo, una freccia conficcata nel cranio.
Kili agitò il suo arco in aria a mo' di saluto, un mezzo
sorriso
sulle labbra: anche se lontano, Karin glielo restituì,
grata.
Ancora seduta a terra scorse delle grandi ombre sul terreno e,
alzando la testa, vide qualcosa volare nell'aria; una di queste
planò
e scese in picchiata, afferrando con gli artigli un mannaro che
lottava contro Fili. Fu talmente veloce che non fu sicura d'aver
visto bene di cosa si trattasse, ma la curiosità venne
soddisfatta:
dopo pochi secondi delle grandi aquile entrarono nel cerchio di luce,
afferrando i nemici e portandoli via da loro.
Scesero gridando, i becchi ricurvi aperti, l'apertura alare immensa.
Gli orchi strillarono, alcuni mannari e orchi fuggirono e, tra
questi, anche Azog: lanciò uno sguardo infuriato e
vendicativo a
Karin per poi spronare la cavalcatura, perdendosi
nell'oscurità
della notte al di là del rogo.
Ora che mancavano solo pochi nemici – dei quali se ne
occuparono le
aquile – lei si rialzò, lenta e fiacca: il corpo
le doleva in ogni
dove, specie la spalla destra. Strinse i denti mentre riponeva Iris
nel fodero, distogliendo lo sguardo per una manciata di secondi.
Ma fu in quel momento che capì che non avrebbe mai dovuto
distrarsi:
sentì qualcosa di duro e grosso afferrarla per le spalle,
stringendole la carne già infiammata; percepì il
distacco da terra
e la sensazione di vuoto allo stomaco tipica del volo. La piana
infiammata divenne sempre più lontana e capì che
un'aquila l'aveva
presa: ma non seppe se per portarla al sicuro o meno.
Passarono il bordo e, ora, sotto di loro si stendeva il dirupo: dopo
qualche battito d'ali il rapace aprì gli artigli,
lasciandola
cadere: strillò di paura cadendo verso il vuoto, i capelli
scompigliati che le svolazzavano attorno, il vento che le frustava il
volto e le confondeva i suoni, facendole perdere il grido nell'aria
circostante.
Agitò braccia e gambe, nell'assurdo tentativo di fermarsi:
ma, poi,
un'altra grande sagoma e nera come la notte le si mise sotto
arrestando la corsa; all'impatto, Karin riconobbe le lunghe penne di
un altro rapace, aggrappandosi ad esse quasi con forza e
disperazione: l'ultima cosa che desiderava era di venir disarcionata
perché le aveva fatto male.
Presto la luce dell'incendio sbiadì in lontananza mentre
essi, nel
cielo, si innalzavano in circoli maestosi e possenti. Ogni tanto si
arrischiava a sporgersi, guardando sopra l'orlo di un dirupo ridotto,
data l'altitudine; le terre scure si aprivano sotto di loro,
chiazzate qua e là dalla luce della luna che batteva sui
fianchi
rocciosi delle colline o su un ruscello nelle pianure.
Faceva freddo, lassù: Karin si strinse il mantello come
meglio poté,
mentre l'aria pungente le faceva lacrimare gli occhi; le punte
rocciose delle montagne sporgevano dalle tenebre, illuminate dalla
luna.
Volarono
per molto tempo, finché l'alba rosata non fece capolino da
dietro
vette ricoperte di alberi; nonostante il vento frizzante e fresco, il
cuore che le martellava ancora impaurito e la stanchezza indicibile
che permeava ogni membra, a Karin sembrò lo spettacolo
più
emozionante mai visto in vita sua. Certo, non amava granché
quell'altezza dato il suo essere nano, ma l'immensità
di quei luoghi, i colori delicati che si riflettevano sulla
superficie del fiume sotto di loro, quelle rocce solitarie e alte che
si ergevano di tanto in tanto... era un paesaggio maestoso, di cui
avrebbe serbato il ricordo per la vita.
Seguendo la direzione del vento planarono dolcemente verso destra
dove, circondato e protetto da montagne alte e verdi si innalzava il
loro nido, che altro non era se non una vetta rocciosa; diede uno
sguardo alle altre aquile, dove si trovavano i suoi compagni: erano
affascinati, anche se esausti. Solo Thorin non riusciva a godersi lo
spettacolo: era svenuto, protetto dagli artigli della grande aquila
che volava davanti alle loro; Karin riuscì solo a vedere i
suoi
capelli lunghi mossi dal vento, ed il braccio che un tempo reggeva lo
scudo di quercia che penzolava inerte. Le si annodò lo
stomaco, e
spronò mentalmente il suo rapace di andare più
veloce; quello, come
rendendosene conto, diede delle poderose spinte portandosi avanti
rispetto agli altri. In pochi minuti si accodò alle aquile
di Thorin
e Gandalf ma, ora che riuscì a scendere sulla piattaforma
sassosa lo
stregone si era già inginocchiato di fianco al re, chiudendo
gli
occhi e mormorando parole in una lingua che Karin non comprese, ma
che le suonò familiare. Ricordava un altro momento in cui
aveva
ascoltato quella nenia: a Gran Burrone, nel mezzo della notte. Scosse
la testa, allontanandone il pensiero; non appena la sua aquila
poggiò
le zampe a terra, si lasciò scivolare giù, quasi
correndo verso i
due. Anche Bilbo era giunto, e la seguì; con sorpresa di
entrambi,
Thorin aveva aperto gli occhi e farfugliava qualcosa. Gandalf,
estremamente sollevato, si girò verso di loro, gli occhi
azzurri
scintillanti ed un sorrisino sulle labbra.
Ormai tutti presenti e felici che il loro re fosse ancora vivo lo
aiutarono a rialzarsi, ma egli se ne liberò malamente con
uno
strattone.
<< Tu! >> esordì verso Bilbo, la
voce che gli tremava di
rabbia; gli si avvicinò, mentre lo hobbit, d'altro canto,
rimase
immobile e paralizzato. I nani e Gandalf si bloccarono, preoccupati:
si sarebbero aspettati ben altre reazioni, non certo quella di stizza
che ostentava Thorin!
<< Che cosa hai fatto? Ti sei quasi fatto uccidere!
>>
disse il re. Bilbo, sempre più incredulo, spostò
il capo verso
Karin alla ricerca di un sostegno; ma lei non lo guardava, aveva
occhi solo per l'altro nano. In volto, le leggeva risentimento e
tristezza.
<< Non ti ho detto che saresti stato un peso? Che non
saresti
sopravvissuto alla natura spietata e selvaggia di questi luoghi?
>>
alzò di poco la voce, poiché ancora stremato dopo
ciò che era
successo ma incutendo ugualmente timore; Bilbo non riusciva a
comprendere: dove aveva sbagliato? Gli aveva salvato la vita! Ed ora,
le sue frasi non facevano che penetrargli nel profondo del cuore,
dell'anima; lo ferirono più di qualsiasi altro taglio o
ferita
procuratosi in battaglia. Non riuscì nemmeno a guardare da
un'altra
parte, ma mantenne saldo lo sguardo dispiaciuto in quello caparbio e
serio di lui.
<< Che non avevi un posto in mezzo a noi?
>> continuò ad
inveire l'altro, avvicinandosi sempre più allo hobbit; ormai
era a
pochi passi.
<< Non mi sono mai sbagliato tanto in tutta la mia vita
>>
aggiunse, un tono più calmo e grato che lasciò
interdetti tutti; lo
abbracciò di slancio, colmo di gratitudine: Bilbo, stupito
dal gesto
inaspettato – come gli altri del resto – dopo
qualche attimo di
indecisione ricambiò, sollevato e nuovamente felice: per un
momento
ogni speranza l'aveva abbandonato, e il groviglio che aveva sentito
allo stomaco alle frasi del re si era magicamente dissolto.
I nani proruppero in esclamazioni di gioia, ridendo e battendo le
mani, oltremodo contenti che il loro re avesse finalmente compreso ed
accettato lo scassinatore tra loro; anche lo stesso Bilbo sorrise,
capendo d'essersi conquistato il rispetto di Thorin Scudodiquercia,
seppur mettendo a repentaglio la propria vita. Ma ora quel gesto gli
sembrò lontano, molto lontano; aveva appena girato una
pagina
importante della sua monotona vita, come quando sfogliava le pagine
di un libro per andare avanti nella lettura. Aveva
l'opportunità di
ricominciare, partendo da quell'abbraccio colmo di riconoscenza ed
amicizia che valeva più di mille tesori.
Thorin si staccò da lui, battendogli le mani sulle spalle
<<
Mi dispiace per aver dubitato >>.
<< Oh, anche a me dispiace >>
replicò lo hobbit,
allargando le braccia << ma non sono un eroe,
né un guerriero.
O uno scassinatore >> concluse, facendo ridacchiare
Gandalf e i
nani; persino Thorin sorrise.
Karin,
invece, non era del tutto appagata: certo, era rincuorata dal fatto
che finalmente quel cocciuto di Thorin avesse riconosciuto Bilbo come
membro effettivo della Compagnia, trovandogli quel posto che lo
hobbit anelava da tempo; ma un senso di... delusione
si fece strada troppo presto, e con un'intensità tale da
lasciarla
senza fiato. Non si sarebbe mai
aspettata
un abbraccio, questo lo sapeva troppo bene, ma almeno un
ringraziamento se lo meritava, no?
Abbassò lo sguardo a terra, ripensando alle numerose
occasioni nelle
quali aveva rischiato la pelle nelle ultime ore: erano davvero troppe
anche per il più coraggioso guerriero, quello che non aveva
timore
della morte; lei, invece, l'aveva temuta e la temeva eccome!
Sospirò, affranta; ma proprio allora un paio di stivali
scuri ed un
mantello bordato di pelliccia le comparvero davanti facendole alzare
la testa: l'imponente figura di Thorin la sovrastava di parecchi
centimetri mentre la guardava dall'alto in basso, soffermandosi sul
taglio che campeggiava sulla guancia e sulla spalla. La
scrutò a
lungo, domandandole con gli occhi se stesse bene: lei annuì
solamente, vedendo gli occhi azzurri rilassarsi.
Si stupì quando le tese la mano destra, invitandola con lo
sguardo a
ricambiare; lei spianò la fronte aggrottata, per poi
allungare la
mano e posarla sull'avambraccio del nano.
Si guardarono negli occhi per lunghi minuti, le strette ferme e
decise ma anche delicate e incerte, quasi frementi; poté
sentire
distintamente il brivido che la percorse, dandosi della stupida: di
certo se n'era accorto anche lui. Lo vide assottigliare lo sguardo,
ma non disse nulla: sembrava in lotta con se stesso, o forse fu solo
una sua impressione; poi spostò leggermente il capo in alto,
guardando un punto al di là delle sue spalle. Schiuse le
labbra,
sgranando leggermente gli occhi e stringendo di poco le dita sulla
carne dell'arto; Karin si girò curiosa, ma senza lasciare la
presa
sul braccio, e nemmeno lui lo fece.
Là all'orizzonte, appena visibile nella foschia mattutina,
si ergeva
la Montagna Solitaria.
Karin
sentì le labbra distendersi, sorridendo veramente
dopo
giorni, ebbra di felicità e speranza: erano a
metà strada, presto
avrebbero potuto ammirare le pendici rocciose della montagna.
Si girò verso Thorin ed egli l'imitò,
sorridendole a sua volta,
forse condividendo i suoi pensieri.
<< Erebor >> disse Gandalf, avvicinandosi
per poterla
ammirare meglio; anche gli altri nani si affiancarono, meravigliati:
dopo tanto tempo, avrebbero potuto ammirare la loro dimora.
<<
La nostra casa >> concluse Thorin, mormorando;
guardò la vetta
con occhi talmente sognanti e malinconici che Karin venne pervasa
dalla tristezza; non si sentiva di appartenere a quei sentimenti che
provavano i compagni: per lei Erebor era il luogo dove aveva vissuto
per un certo periodo, il più bello ed intenso della vita
ma... non
la sentiva la sua
casa:
forse
in lei l'essere esiliata stava prendendo il sopravvento sul suo
essere nano; aveva errato così a lungo senza mai fermarsi in
un
posto che non sapeva nemmeno dov'era il luogo familiare a cui
tornare, una volta che la missione fosse finita. Gli altri invece
sarebbero rimasti là, passeggiando per le sale immense
scavate nella
roccia, toccando le enormi colonne intarsiate, percorrendo le lunghe
scalinate verso le fucine che si perdevano nella profondità
della
montagna.
Ma
lei, lei, dove
sarebbe andata? Aveva salvato la vita al re, ma non era cambiato
nulla: forse lui le era riconoscente, ma niente di più; era
ancora
la traditrice dopotutto e, finché avesse avuto fiato in
corpo, lo
sarebbe sempre stata. Dubitava fortemente che Thorin potesse
perdonarla; un pensiero che si aggiunse a quelli già meno
felici,
rendendola cupa e smorzandole il sorriso.
Sentì la mano di Thorin lasciare il braccio e, forse
consapevole del
suo sguardo indagatore che non l'aveva lasciata nemmeno un attimo in
quel tortuoso labirinto di pensieri, si allontanò di un paio
di
passi, senza incrociare il suo volto. O i suoi occhi. Perché
sapeva
per certo che a Thorin era impossibile mentire, o nascondere
qualcosa.
<< Ci fermeremo qui per la notte, il tempo necessario per
riprenderci >> disse asciutto e sbrigativo, tornando il
re
severo che era << Domattina partiremo alla volta di
Erebor >>.
Gli altri annuirono e, stancamente, si scelsero uno spiazzo su cui
riposare: nessuno fumò o parlò; si distesero e,
nel giro di pochi
minuti, il sonno li vinse. Erano stremati, le fatiche erano state
molte e difficili da superare: i lividi e le membra chiedevano
pietà
e qualche ora di riposo serena, al lontano dai pericoli corsi.
Karin
aprì gli occhi quando ormai era pomeriggio inoltrato, lo
stomaco che
le gorgogliava affamato come non mai; portò una mano alla
pancia,
cercando di placare quella voragine che le si era aperta. Si
stiracchiò, reprimendo un gemito quando ricordò
della ferita alla
spalla: prima che potesse portare le dita a scostare la camicia,
appurando così in quali condizioni era ridotta, si
fermò ad
annusare l'aria, come fa un predatore; profumava di cibo,
e
carne.
Ogni
sua cellula le urlò una sola parola “fame”:
non poteva ignorarla, così si ripromise che avrebbe
controllato i
danni dei colpi più tardi.
Si alzò con difficoltà, sgranchendosi le gambe ed
avvicinandosi
verso il focolare, al centro della piattaforma; attorno al fuoco
scoppiettante stavano Bombur, Bofur, Bifur, Balin, Oin, Ori, Dori e
Bilbo.
Degli altri nessuna traccia, nemmeno Gandalf; perplessa, decise che
avrebbe posto le domande dopo aver messo qualcosa sotto i denti e,
venendo accolta da saluti e risate allegre si sedette a terra, tra
Ori e Balin.
<< Buongiorno! O dovrei dire buon pomeriggio!
>> disse
Bofur, agitando la mano che reggeva la lunga pipa.
<< Hai dormito parecchio, sei stata l'ultima a
svegliarti! >>
rincarò Ori, sospirando affranto: lui era stato svegliato
bruscamente dal fratello.
<< Ti sei persa il pranzo! >>
esclamò Bombur scioccato:
lui non l'avrebbe saltato mai e poi mai, era un atto ignobile!
<< Ah sì? Non me ne sono nemmeno resa conto
>> si
giustificò lei, poggiando il mento sulla mano.
<< Avevo paura ti svegliassero >> si
intromise Bilbo,
appoggiando la pipa sui pantaloni << hanno fatto un tale
baccano... >> aggiunse, scuotendo la testa riccia in
segno di
rimprovero.
<< Bé, mica si è mossa!
>>.
<< Non ti sei nemmeno girata per cambiare posizione:
sembravi
morta, se non fosse stato per il respiro lento >>.
<< Hai continuato a dormire beata; ad un certo punto ti
sei
messa perfino a russare! >> esclamò Bofur,
facendo ridere
forte gli altri.
Karin, che nel frattempo si era servita da sola cercando qualcosa nel
fondo del pentolone sospeso sopra le fiamme, fortunatamente
trovandolo, aveva fermato il boccone di carne poco prima della bocca,
guardandoli stralunata; sentì le orecchie diventare calde,
mentre
assorbiva la notizia. Lei che russava? Per Durin, che figura! E
davanti a tutti...
Gli altri scoppiarono maggiormente a ridere, vedendo la sua
espressione scioccata; Ori le diede di gomito, scuotendo la testa.
<< Stavamo scherzando, Karin! >>.
La ragazza si sentì quasi più leggera, e si
aggiunse anche lei al
coro di risate: fu strano veder ridere fino alle lacrime anche Balin
e Oin – a cui avevano dovuto rispiegare la situazione, visto
che il
suo cornetto acustico era andato distrutto. Ma ripensò
vagamente
alle brutte situazioni in cui si erano cacciati, e concluse che
ridere era estremamente liberatorio, in quei casi: la tensione
accumulata si era sciolta.
Quando si smorzarono un po' terminò veloce di mangiare, in
silenzio,
pulendosi poi le dita unte sulla camicia.
<< Come mai non mi avete svegliata? Insomma, c'era da
preparare
da mangiare! E poi, dove sono finiti gli altri? >> chiese
curiosa. I nani ridacchiarono alle domande, e fu Balin a risponderle.
<< Thorin ha detto di non svegliarti per nessun motivo
>>
la guardò un momento, per gustarsi la reazione sorpresa che
le si
dipinse sul volto << dormivi così
profondamente che nessuno
avrebbe avuto il coraggio di scuoterti, sai? Hai dimostrato un
coraggio ed un valore davvero grandi, in questi giorni: Kario sarebbe
fiero di te >> si fermò, posandole una mano
sulla sua; lei
gliela strinse, abbozzando un leggero sorriso.
<< Non ho fatto niente di che >> si difese,
scuotendo la
testa e facendo ondeggiare i lunghi capelli scuri <<
Anzi,
credo di essermi comportata in maniera avventata e stupida,
tutt'altro che coraggiosa >>.
<< Forse è stata proprio la tua
sconsideratezza a premiarti;
hai scosso tutti noi quando ti sei lanciata per salvare Thorin. Non
>>.
<< Ve l'aspettavate >> concluse per lui,
mesta; era
naturale, l'aveva pensato anche lei poche ore prima: la traditrice
che si gettava tra le fiamme e i mannari feroci per difendere la vita
di colui che l'aveva bandita e a cui non doveva alcuna
fedeltà? Se
qualcuno glielo avesse raccontato prima di questa avventura si
sarebbe fatta una grassa risata, per poi fargliela pagare con la lama
di Iris. Ma era cambiato tutto da quando aveva varcato la porta di
Vicolo Cieco, quella notte.
<<
No, bambina mia: non
avevamo mai visto qualcuno reagire a quel modo. E'
una grossa differenza da quello che pensi tu, non trovi?
>> le
sorrise affettuoso, e così fecero gli altri; Karin si
sentì
accettata:
anche se, sicuramente, se non avesse salvato la vita di Thorin
avrebbero continuato a ignorarla, o a parlarle poco... era ingiusto
pensarlo, anche perché non avevano avuto molte occasioni per
discutere o scambiarsi qualche frase, troppo presi dalla missione e
dai nemici che avevano incontrato subito. Forse era così che
doveva
andare, da adesso: ora toccava a lei cercare di avvicinarsi, e
mettere da parte il suo essere diversa.
Il
suo essere sola.
Chinò
il capo verso il nano e poi verso gli altri, ringraziandoli di cuore:
Bilbo le rivolse un sorriso sincero e contento, la fronte non
aggrottata come al solito. Anche lui si sentì più
sollevato nel
vedere la sua amica crescere,
e
mutare
grazie
alla vicinanza col gruppo.
<< Non avete risposto all'ultima domanda,
però: gli altri? >>
chiese Karin, cercando di nascondere l'imbarazzo che quella nuova
situazione le metteva.
<< Oh, sono solo andati a cacciare un po': altrimenti
stasera
che mangiamo? Poi chi lo sente il povero Bombur? >>.
<< Insomma, Bofur! >> si difese il nano
grasso <<
Vorrei vedere te, al posto mio! Non capisci niente, non apprezzi il
cibo! >>.
<<
Io lo apprezzo eccome! Ma non così tanto!
>>
esclamò, allargando le braccia in un chiaro riferimento alla
stazza
dell'altro; Bombur divenne rosso in volto, pronto a replicare.
<< Suvvia ragazzi, un po' di contegno! Non occorre
litigare! >>
li interruppe Balin: entrambi rimasero muti, gli occhi irati che
parlavano per loro.
<< Perché non cantiamo un po'? A te l'onore di
iniziare,
salvatrice di re >> propose Dori con un sogghigno
amichevole;
Bilbo e Ori annuirono immediatamente, seguiti da Balin e Oin. Dopo un
po' di titubanza – specialmente per l'appellativo con cui
l'aveva
chiamata - anche Karin appoggiò l'idea. Dovette fare ricorso
alla
memoria, poiché non le venne in mente nulla così
su due piedi;
ricordava solo una canzone, ma non faceva altro che rattristarla ogni
qual volta ci pensava, essendo legata a ricordi molto dolorosi che
aveva deciso di seppellire col passato. Decisamente non era adatta
per il momento.
Lo
disse agli altri ma vollero ascoltarla comunque, nonostante le sue
evidenti
proteste; infine, però, riuscirono a spuntarla.
Dapprima incerta e tremante, specie sulle prime note, poi si fece
più
sicura, innalzando la voce al cielo.
Là
sul verde prato
un
uccellino si posava
allegro
fischiava
piegando
il capino di lato.
I nani conoscevano bene quella filastrocca: fu naturale seguire le
note da soprano di Karin con la loro voce da baritoni e tenori; con i
pensieri tornarono alla loro infanzia ad Erebor, quando le madri se
li posavano sulle ginocchia, la sera prima di andare a letto e
cantavano loro quella melodia dolce e triste insieme.
Fu
con crescente emozione, quindi, che intonarono la seconda strofa - ad
occhi chiusi, per assaporare meglio il ricordo di casa, della loro
famiglia.
Anche
Bofur e Bombur si accodarono, mettendo da parte il loro breve
litigio.
Un
verme qua, uno là
poi
al suo nido volava
dove
la mamma felice
lo
aspettava.
Bilbo conosceva bene la melodia, ma le parole delle prime due strofe
non le rammentava: nel cuore, invece, prendevano forma quelle delle
ultime, le più dolenti e malinconiche. Si unì al
coro, il peso
nell'anima che aumentava, così come per gli altri.
Una
notte infuriò la tempesta
e la
madre volò via
battendo
le ali
lesta.
L'uccellino
aspettò invano
chiamando
la mamma
ma
se ne era andata
lontano.
L'uccellino
la cercò
volava
volava
ma
mai più la trovò.
Si fermarono tutti, le espressioni tristi e meste; guardarono Karin,
che teneva ancora gli occhi chiusi: a Bilbo sembrò di
vederle
brillare delle lacrime, tra le ciglia; invece, quando li
riaprì,
erano il solito pozzo buio e profondo. Vi lesse un immenso dolore,
che cercava di sopire ogni minuto ma che, al contrario, riemergeva
più potente ogni volta.
Si alzò e avvicinandosi, le cinse le spalle con un braccio,
accarezzandole i capelli: lei, dapprima sbalordita, ricambiò
la
stretta; si stupì di come in così poco tempo,
Bilbo avesse imparato
a conoscerla. Capiva che soffriva e, come un vero amico, era venuto a
confortarla senza dir nulla, senza chiedere; sapeva che quando
sarebbe giunto il momento lei avrebbe aperto il suo cuore senza
riserve, confidandogli ogni cosa. Ora, ciò che gli importava
era che
si fidasse di loro, che riponesse la sua vita e fiducia nelle loro
mani.
Non si sentì mai così grata come in quel momento:
persino gli altri
le fecero dei grandi sorrisi, facendole capire che poteva contare
anche su di loro.
<< Grazie >> fu tutto ciò che
riuscì a mormorare,
ancora stretta allo hobbit: gli diede un colpetto sul braccio
poiché
ora stava meglio, e poteva lasciarla; le salirono delle lacrime, ma
le ricacciò prontamente nascondendo il viso nel mantello,
alla
ricerca della pipa. Cercò di sorridere e sembrare
convincente,
mentre gli altri avevano ritrovato il buonumore e chiacchieravano
allegri, coinvolgendola nelle battute.
Passò un'altra ora e, finalmente, videro arrivare le aquile;
gli
artigli lasciarono andare alcuni montoni morti, colpiti dalle frecce
e dalle armi dei nani e fecero scendere il resto della compagnia, che
si avvicinò al fuoco riscaldandosi le mani. Si sedettero e
salutarono Karin, chiedendole se stesse bene dopo quella lunga
dormita; dopo la sua risposta positiva si accesero le pipe, mentre
Kili e Fili fecero spostare bruscamente Ori per sederle vicini,
raccontandole di come avevano catturato la cena. La ragazza si
lasciò
scappare una risata – riuscendo a trasformarla in un attacco
di
tosse - quando le dissero dello scherzo architettato ai danni di
Gloin, giù al fiume: il nano sarebbe stato molto fortunato
se non
avesse preso un raffreddore, dato che aveva volato completamente
zuppo!
Vide Gandalf parlare col Signore delle Aquile, più lontano
di
dov'erano seduti; Thorin invece si era unito al gruppo, fumando ed
ascoltando i nipoti: lasciò che le labbra si piegassero in
un
sorriso divertito, mentre rivolgeva uno sguardo compassionevole a
Gloin, che borbottava irato poco più in là.
Dwalin, al contrario,
rideva di gusto reclamando l'idea.
Rimasero tranquilli attorno al fuoco finché il sole non
iniziò a
tramontare, colorando il paesaggio di rosso, come se l'incendio della
sera prima si fosse propagato in ogni dove; fu Thorin ad interrompere
ogni risata e ogni parola, alzando solo una mano.
<< Useremo il fuoco unicamente per mangiare,
dopodiché lo
spegneremo; non voglio rischiare che ci scoprano, nemmeno se le
aquile sorvoleranno la zona. Stanotte faremo dei turni di guardia
>>.
I nani annuirono, comprendendo l'inquietudine del re; anche loro si
sarebbero sentiti più tranquilli se qualcuno fosse rimasto
in
allerta. Era sempre meglio essere prudenti, specie dopo ciò
che
avevano affrontato nemmeno ventiquattro ore prima.
<< Balin, tu farai il primo; poi Fili, Gloin e Nori
>>.
<< Permettimi di fare un turno, Thorin >>
la voce di
Karin si levò sicura dal gruppo e il re volse lo sguardo
alla sua
figura seduta.
<< Da quando abbiamo iniziato il viaggio non ne ho fatto
alcuno
>>.
<< Sei sicura, Karin? >> le chiese Balin.
Lei annuì, ferma, continuando a guardare Thorin in una muta
richiesta d'assenso; il re ci pensò qualche secondo
convenendo che,
ora, era giusto che anche lei facesse la sua parte nel gruppo.
<< D'accordo >> acconsentì; la
vide soddisfatta, anche
quando le comunicò il resto << prenderai il
posto di Fili. Non
voglio sentire proteste >> aggiunse minaccioso, rivolto
al
nipote: infatti, aveva già aperto bocca per parlare,
richiudendola
subito all'ordine dello zio.
<< Chi deve preparare la cena inizi adesso; prima la
finiamo e
meglio è >> detto questo, tutti si alzarono e
si diedero una
mossa, obbedendo il più in fretta possibile; Karin si
sentì meglio
dopo la decisione del re: si sentiva inutile, altrimenti. In
più,
ora che aveva salvato la vita di Thorin le sembrò
più che giusto
“approfittarsene” un poco per rivendicare quelle
questioni che le
sembravano vitali: come fare il suo turno di guardia.
Mentre raccoglieva le ciotole di tutti – che poi avrebbe
riportato
cariche di cibo – si affiancò al nipote
più vecchio.
<< Fili >> il ragazzo si girò,
sorridendo leggermente <<
Ti sei... >>.
<< No, Karin! Figurati: anzi, grazie! Avevo dormito molto
poco
oggi: e poi, prima di te c'è Balin, quindi hai
l'opportunità di
dormire per un paio di ore! >> le diede una pacca sulla
schiena, facendole quasi cadere le scodelle di mano.
<< Ops! >> esclamò; le fece
l'occhiolino, tornando a
scuoiare l'animale con uno dei suoi coltelli, che nascondeva sempre
negli stivali.
Karin si avvicinò alla pentola, chiacchierando qualche volta
con
Bofur e Bombur, tornati amici come prima; infine, dopo quelli che le
parvero secoli le scodelle fecero ritorno ai proprietari, ed
iniziarono a mangiare con gusto. Fu una vera fortuna aver trovato
degli alleati nelle aquile: non solo li avevano ospitati nel loro
nido, ma li portavano a procurarsi da mangiare e di notte sorvolavano
la valle circostante alla ricerca di nemici, avvertendoli in caso di
pericolo. Ancora una volta occorreva ringraziare lo stregone: senza
il suo aiuto sarebbero morti già all'incontro con i tre
Troll.
Dopo
cena spensero immediatamente il fuoco, sdraiandosi sulla nuda roccia
e coprendosi con i mantelli, dato che il vento notturno aveva
iniziato ad alzarsi: le prime stelle comparvero nel manto celeste e,
poco dopo, un forte russare e sospiri tranquilli accompagnarono Balin
nelle tre ore di guardia che gli si prospettavano; la luna si
alzò,
illuminando di poco varie zone della valle, permettendogli di
osservare quasi con chiarezza quello che li circondava. Ben presto,
però, si trovò a riflettere sugli ultimi
avvenimenti, in
particolare su Karin: si sentì orgoglioso
dei suoi progressi, di come stava lentamente abbandonando il suo
guscio di diffidenza; il sentirla ridere e vederla partecipe - anche
se ancora cauta ed attenta – gli scaldava il suo vecchio
cuore di
nano. Se fosse riuscita ad integrarsi con tutti, si sarebbe
avvicinata sempre più a Thorin; rammentava molto bene
l'espressione
furente e livida che aveva avuto la sera dell'arrivo di Karin nella
Contea, il suo disprezzo era diventato palpabile e tangibile, la
preoccupazione era salita ai massimi livelli: la traditrice
ed
esiliata nella Compagnia... quale folle e perversa idea! Balin, al
contrario, non l'aveva presa così negativamente, anzi: per
lui
rappresentava un segno,
una
flebile speranza.
E,
se solo avesse raggiunto e superato l'orgoglio del re, ogni cosa
sarebbe divenuta più facile.
Sapeva
molto bene che il pensiero di Karin non l'aveva mai abbandonato in
tutti quegli anni, così come era sicuro della
reciprocità: bastava
saper osservare molto
attentamente
gli occhi neri, o le espressioni che si celavano tra i suoi
lineamenti graziosi e persino l'essere più tonto avrebbe
capito cosa
provavano l'uno per l'altra; ma la cocciutaggine ed il risentimento
erano difficili da sradicare, si era convinto di questo per molto
tempo... finché Karin, con una audacia inaspettata che
dimostrava
appieno la sua tesi non lo stupì, meravigliandolo: per un
momento
aveva gettato alle spalle il suo odio, rischiando la vita per salvare
il principe che l'aveva allontanata da sé così
ferocemente e
duramente che lei gli giurò il suo più profondo
disprezzo. Da quel
giorno aveva indurito il suo cuore, non permettendo più a
nessuno di
ferirlo: si era gettato a capofitto nell'impresa di riconquistare
Erebor mentre ancora cercavano rifugio, errando lungo le lande
desolate; il suo sguardo vagava spesso lontano, perso in memorie
dolci ma al tempo stesso amare. Non poteva farne a meno, era la
condanna che doveva sopportare, la pena maledetta da scontare: il
rivivere ogni ricordo, ogni gesto, ogni parola detta. Si chiese per
quanto avrebbe potuto sopportarlo.
Era quasi sicuro che avrebbe ceduto, prima o poi: nonostante il loro
ignorarsi, o il litigio già i primi giorni di cammino,
Thorin
l'aveva salvata più di una volta e, spesso, lo vedeva
lanciarle
occhiate imperscrutabili e serie; si rabbuiava quando se ne rendeva
conto, ed allora distoglieva gli occhi da lei, più furioso
con se
stesso che con l'oggetto dei suoi pensieri.
Il
vecchio Balin non poté fare a meno di sorridere al
comportamento
così poco regale
di Thorin: gli sembrava invece quello di un ragazzino alle prese con
la prima cotta. Anche se di prima
proprio
non si poteva parlare...
Alzò la testa incontrando la sagoma della luna, appena
coperta da
nubi; si era levata più in alto, il che significava che il
tempo era
passato in fretta: se Thorin avesse saputo che non aveva prestato
ascolto ai rumori, o dato occhiate al paesaggio, si sarebbe infuriato
parecchio! Ma non gli avrebbe sbraitato contro, lanciandosi in un
discorso sulla responsabilità e l'imprudenza che avrebbe
sostenuto
con gli altri; dopotutto, era il suo consigliere e parente
più
stretto.
Si alzò, lisciandosi la lunga barba bianca biforcuta:
cercò di
camminare il più silenziosamente possibile – gesto
alquanto
difficile per un nano! - e, giunto al giaciglio giusto, scosse
delicatamente la spalla del prossimo guardiano.
Karin si svegliò subito, mettendosi a sedere: secondo il
modesto
parere del nano, non aveva riposato granché in quelle poche
ore.
<< Sei sicura di voler affrontare le prossime tre ore
sveglia?
Posso pensarci io, altrimenti >> bisbigliò,
insistendo; lei
gli sorrise, scuotendo la testa.
<< No, davvero. E comunque, mi sento più
sveglia che mai >>
ammise, sussurrando a sua volta. Fece una smorfia di dolore quando
tentò di rialzarsi, e si tenne il braccio destro con
l'altro: gli
rivolse un'ultima occhiata di gratitudine, assicurandogli che poteva
dormire tranquillo e che ce l'avrebbe fatta.
<< Non è la prima volta, dopotutto
>>.
Una frase che fece vergognare così tanto il vecchio nano da
non
riuscire a darle una risposta; la seguì con gli occhi
finché non
vide la sua sagoma scura sedersi dov'era poco prima, la schiena curva
per ripararsi meglio dentro al mantello.
Solo allora si sdraiò, chiudendo gli occhi.
A dispetto di ciò che aveva detto, Balin si
addormentò poco dopo,
esausto.
Karin aguzzò la vista nell'oscurità, cercando di
scorgere movimenti
sospetti alle pendici delle montagne; aveva cambiato postazione, in
un tentativo alquanto misero: anche lì, addossata ad un
masso e con
le gambe che penzolavano nel vuoto, non riusciva a vedere nulla in
quell'oscurità fitta. La luna piena sembrava illuminare solo
la
piattaforma lasciando il resto in ombra, in una macchia indistinta e
scura come la pece.
Dava le spalle alle compagnia e ad Erebor, volgendo lo sguardo da
dov'erano giunti: se gli orchi si fossero messi sulle loro tracce
avrebbero seguito quel percorso.
Il vento soffiava abbastanza da farla tremare: avviluppata meglio nel
mantello strinse gli occhi, che avevano iniziato a lacrimarle;
attorno, oltre ai movimenti delle fronde e ai versi di animali
notturni non c'era altro: tutto il resto era immobile, sospeso nella
notte.
Ora abituata al buio abbassò lo sguardo verso la spalla
ferita,
scostando il colletto sbrindellato della camicia: quello che vide non
le piacque per niente; dove l'orco l'aveva frustata la pelle era
lacerata e rosata, in qualche punto addirittura rossa, incrostata di
sangue rappreso. Quel dannato aveva scavato in profondità,
strappandole la carne: e, se non avesse provveduto, avrebbe fatto
infezione.
Dovette trattenersi dal gemere forte quando la sfiorò con le
dita;
imprecò silenziosamente quando ricordò che non
avevano acqua con
loro, o non più: le provviste erano rimaste nella grotta, e
quella
che avevano bevuto durante i pasti era finita.
Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli: si
augurò di
resistere abbastanza per il primo fiume che avrebbero incontrato;
lì
avrebbe lavato la ferita e, sulle rive, avrebbe trovato anche delle
erbe per disinfettarla.
<< E' così che hai intenzione di fare la
guardia? >>.
La ragazza si lasciò scappare un mezzo strillo, spaventata a
morte
dalla voce che la colse di sorpresa alle spalle; ritirò le
gambe dal
ciglio, girandosi per avere conferma dell'identità di colui
che
aveva parlato con tanto sarcasmo: la figura di Thorin si stagliava
alta, gli occhi chiari scintillanti nella notte.
<< Mi sono distratta solo un attimo >>
mugugnò,
coprendosi la spalla destra col mantello, celandogli così il
taglio;
fece un paio di respiri profondi per placare il cuore in subbuglio,
dato lo spavento preso: si era incantata così tanto che non
lo aveva
sentito arrivare.
Non riuscì a scorgere la sua espressione, ma
intuì che non doveva
essere delle più accondiscendenti; si diede dell'idiota:
dopo aver
preteso di essere d'aiuto era riuscita a farsi scoprire in un momento
di negligenza, e proprio dall'ultimo nano che avrebbe dovuto saperlo.
Decisamente la fortuna non era dalla sua parte.
Si munì di autocontrollo e pazienza, preparandosi ad un
severo
rimprovero che, inaspettatamente, non avvenne; gli occhi saettarono
verso il re, che non si era spostato dalla sua posizione e continuava
a scrutarla. Si agitò, mentre un fastidioso peso le scese
nello
stomaco: non sopportava granché l'essere osservata da lui;
le
scavava nell'anima, nel profondo, e le faceva ricordare troppo spesso
cosa era in realtà per lui. Per tutti
loro.
Thorin mosse qualche passo e, solo quando le fu abbastanza vicino,
notò che reggeva un sacchettino di velluto tra le mani; si
stupì
non poco quando piegò una gamba, inginocchiandosi di fronte
a lei.
Si immobilizzò mentre lui, senza guardarla,
slacciò il sacchetto e
lo aprì, estraendo delle sottili foglie verdi e tenendole
nel palmo
della mano.
<< Slacciati il mantello >>
ordinò, secco.
Karin si sentì delusa dal tono che usò, come se
non fosse mai
accaduto nulla e fossero ancora ai primi giorni di viaggio: come se
lei non gli avesse mai salvato la vita.
Decise di non dar retta alla parte più vulnerabile del suo
cuore e,
rimettendosi la corazza gelida e fredda lo osservò
sospettosa,
assottigliando lo sguardo; con una punta di soddisfazione lo vide
spazientirsi, infastidito dal fatto che non obbedisse rapidamente ai
suoi comandi.
<< Karin, slacciati il mantello. Ora >>
ripeté con
stizza.
<< Perché dovrei farlo? >>
chiese, impertinente; non le
importò del fuoco che brillò negli occhi azzurri.
Se si ostinava a
trattarla in quel modo brusco, allora avrebbe seguito il suo esempio.
Fece un cenno con la testa, indicando il vegetale. <<
Cos'è
quella? >>.
Thorin la studiò per lunghi attimi, combattuto se
risponderle o
meno: ma, ancora una volta, furono le labbra a muoversi senza il
permesso delle mente.
<< Athelas >> disse semplicemente,
sussurrando.
Vide la bocca rosea di Karin schiudersi dalla sorpresa, i suoi tratti
rilassarsi: la ragazza si animò, rallegrandosi per
ciò che le aveva
detto.
<< La foglia di re? Ma, come... dove... >>
balbettò
confusa ma felice, chi occhi accesi d'entusiasmo.
Thorin percepì i muscoli del volto distendersi, allentando
la
tensione crescente che percepiva sempre quando le stava vicino: il
vederla privarsi delle solite difese solo perché aveva
riconosciuto
una pianta che l'avrebbe aiutata nella guarigione lo colpì
più di
quanto avrebbe ammesso. Karin si raddrizzò meglio contro la
roccia,
allungando il collo per vederla: quando appurò che si
trattava
proprio dell'athelas tese le mani, aspettando che lui le porgesse il
sacchetto. Ma non lo fece.
Improvvisamente dubbiosa ed all'erta lo guardò, in attesa;
ma lui
scosse la testa.
<< Ho visto la ferita mentre dormivi, ed era in pessime
condizioni: così, quando siamo andati a cacciare e l'ho
riconosciuta
tra i vari cespugli, l'ho presa >>.
<< Grazie >> disse lei, riconoscente: non
si sarebbe
aspettata un gesto di gentilezza da parte del nano.
Thorin le rivolse un sorriso stanco, indicandole il bordo del
mantello << Ora toglietelo, avanti >>.
Lei avrebbe voluto ribattere che avrebbe fatto da sola, ma le parole
le rimasero impigliate; non aveva la forza di iniziare a discutere.
Portò le dita a slacciare il nodo che aveva creato per
tenere chiuso
l'indumento: lo fece scivolare a terra, dove poco dopo si aggiunse
anche il gilet di pelle e cuoio; rimase solo in camicia, reprimendo
un brivido quando il vento le soffiò sulla pelle, penetrando
la
stoffa.
Thorin alzò una mano, avvicinandola al volto di lei: il
cuore di
entrambi smise di battere quando, con gesti lenti ed estremamente
delicati, le prese una ciocca di capelli portandola dietro
l'orecchio; le dita indugiarono sull'orecchio a punta, così
poco
nanico, accarezzandolo. La vide chiudere gli occhi
ed
espirare, abbandonandosi totalmente a lui: sarebbe stato
così
semplice perdersi e dimenticare la ragione, scordare ogni cosa,
ritornare ad essere quello che erano stati.
In quegli anni non gli era risultato facile abbandonare il suo
ricordo: l'aveva perseguitato ovunque, persino da sveglio; nella
mente, però, rimembrava continuamente il loro feroce
scontro, la
decisione cruciale che aveva frantumato il loro rapporto, l'addio
straziante ma necessario pieno di sottintesi e cose non dette:
l'orgoglio li aveva fatti tacere, il risentimento odiare. Aveva
sepolto la parte di lui che gli urlava di andare a riprenderla, di
riportarla indietro, quella che ancora continuava a sostenere di
amarla. Si era dato dello stupido, per essere stato
beffato e
tradito da una femmina; lui, lui che non era mai stato ingannato.
Coloro che avevano tentato ne avevano pagato le conseguenze:
anche Karin. Lei era stata la persona di cui si era più
fidato: ma
sono proprio quelle più vicine a ferirti maggiormente,
lasciandoti
poi devastato. E furioso.
Provò una collera accecante e, per un attimo,
pensò che sarebbe
stato così facile sbarazzarsi di lei:
gli sarebbe bastato
portare la mano al collo bianco e liscio, stringendo con forza. Ecco,
facendola scivolare così... lei non se ne sarebbe accorta e,
una
volta resasi conto di ciò, sarebbe stato troppo tardi per
salvarsi.
Le dita, però, scostarono lievemente il collo della camicia,
bloccandolo stordito: aggrottò la fronte, formando la
consueta ruga
al centro degli occhi, non potendo crederci; non volendo crederci.
Alla luce della luna piena riconobbe il brillio di una sottile
catenella d'argento, formata da piccolissimi anelli intrecciati tra
loro: la ricordava molto bene, ma non avrebbe mai pensato che
l'indossasse ancora. Non dopo l'esilio.
Karin sentì le dita di Thorin scenderle lungo il collo, in
un gesto
così morbido che le mandò una miriade di brividi
lungo il corpo;
chiuse involontariamente gli occhi, assaporandolo appieno. Si
dimenticò di tutto: esistevano solo loro, e la luna che,
complice,
assisteva silenziosa a quell'azione impensabile ma... dolce. Non si
sarebbe mai aspettata nulla del genere o, perlomeno, non in quella
vita; non seppe spiegarsi il comportamento del nano, né
tanto meno
il suo: dov'era finito il proposito di odiare che l'aveva contaminata
nel tempo, divenendo il suo fedele compagno? Si era forse dimenticata
delle lacrime versate, del disprezzo, del bramarne addirittura la
morte?
Aveva ripromesso che, se mai l'avesse rivisto, gli avrebbe fatto
pagare ogni umiliazione, ogni sofferenza. Invece, da quando era nella
compagnia, le era sfuggito tutto di mano: non aveva più
avuto
controllo di nulla, specie delle sue emozioni, dei sentimenti tanto
amati un tempo ed ora detestati dal profondo del cuore.
Perché era difficile sopprimere qualcosa
che, invece, tentava
con tutte le sue forze di emergere?
Non aveva una risposta, non l'avrebbe mai avuta.
Si concentrò sul percorso delle dita del re, sentendole
scendere
verso la base del collo, verso la clavicola; aggrottò la
fronte,
riaprendo gli occhi e guardandolo. Il volto di lui era una maschera
di sofferenza mista a vergogna e incredulità, gli occhi
riflettevano
un'angoscia potente da farle male; ma cambiò repentinamente
quando
si accorse dei suoi occhi indagatori: si
calmò tornando
imperscrutabile mentre, ora con tocco rude, le scostò i
rimanenti
capelli indomabili dalla spalla. Non la guardò mentre
stritolava la
foglia in una poltiglia, rivolgendosi a lei solo per darle ulteriori
ordini.
<< Brucerà, quindi preparati >>.
Non fece in tempo a rispondergli che poteva benissimo tenerselo, il
suo bruciore, che gemette forte mordendosi il labbro inferiore per
non gridare; involontariamente la mano corse in avanti, afferrandogli
la manica e stringendogliela con forza: non si aspettava
un'infiammazione di quella portata! Strizzò gli occhi per
poi
spalancarli, sbarrandoli quando si rese conto della sua occhiata
penetrante, carica di disprezzo mal celato per averlo toccato
senza permesso.
Lasciò la presa, portando il braccio lungo il fianco;
voltò la
testa dalla parte opposta, per non dover subire i suoi occhi: non li
avrebbe sopportati per molto.
Le spalmò le foglie sulla ferita, ma Karin si rese conto
subito che
bruciava un po' meno: anzi, poteva quasi sentire sollievo. Erano
fresche, e profumavano.
Quando non percepì più il tocco del nano
girò la testa,
scoprendolo vicino. Troppo vicino. Si ritrasse immediatamente, ma la
voce autoritaria la bloccò.
<< Ferma >> alzò la mano per
applicarle le foglie sulla
guancia ma lei, inconsciamente, girò il capo dall'altra
parte.
Le dita di lui afferrarono con decisione il mento, costringendola a
spostare la testa: se lo ritrovò di fronte, a pochi
millimetri, gli
occhi chiari che mandavano lampi a dir poco pericolosi.
<< Ho detto sta' ferma! >> le
sibilò arrabbiato.
La girò in modo d'esporla alla luce della luna, ma lei
lasciò
vagare gli occhi ovunque tranne che su di lui; mentre sentiva
nuovamente il lieve tocco fresco sul taglio, facendole battere un po'
più forte il cuore, ripensò alla città
degli orchi e a come si era
procurata quei lividi. Ma, più di ogni altra cosa,
ricordò quando
aveva rischiato di morire strangolata: la paura dell'essere
così
impotente, di non riuscire a pensare, ad agire, la fece sospirare.
Schiuse le labbra, mentre una constatazione le invase la mente come
un fulmine a ciel sereno, non riuscendo a fermarla; salì
alle
labbra, mormorandola alla notte.
<< Sei stato tu a salvarmi dall'orco >>.
Si liberò dalla stretta, guardandolo negli occhi per capire.
Lui
sostenne il suo sguardo con calma, affatto intimorito.
<< Perché lo dici, se conosci già
la risposta? >>
ribatté di rimando, allontanandosi un poco dal suo volto.
<< Voglio che tu me lo dica >> Karin si
staccò dalla
roccia a cui era appoggiata, sporgendosi verso di lui; Thorin si
infastidì all'ordine della ragazza, chiudendosi in un
assoluto
mutismo che non fece altro che mandarla su tutte le furie.
<< Come hai fatto? >> chiese, il tono di
voce che si alzò
leggermente << Tu... tu eri lontano da me
>>.
<< Sono riuscito a liberarmene in fretta >>
aggiunse
sbrigativo; non aveva alcuna voglia di ricordare quei momenti.
Karin, invece, era totalmente sconcertata << Mi hai
salvato la
vita due volte. Perché? >>.
<< Dovevo rimanere a guardare mentre morivi?
>> domandò,
rabbioso; cercò di parlare il più piano
possibile, ma non riuscì
molto bene: sentì qualcuno muoversi nel giaciglio, ma non vi
badò.
Strinse così forte la foglia di re da polverizzarla: quando
se ne
accorse, aprì il pugno e lasciò che il vento
trasportasse le
briciole lontano, al di là del dirupo.
Karin, invece, si morse il labbro, sentendo il volto e le orecchie
improvvisamente calde; non era stata sua intenzione porre quella
stupida domanda. Anche se il loro rapporto non era dei migliori
sapeva che lui l'avrebbe sempre aiutata: per un capo – anzi,
un re
– era un dovere necessario da compiere. Doveva proteggere i
suoi
compagni ed esporsi per loro: un comportamento davvero onorevole e
ligio, non c'era niente da dire.
<< Nemmeno tu mi hai lasciato morire >>
bisbigliò
Thorin, quasi parlando a se stesso e non a lei <<
Perché? >>.
<< Dovevo rimanere a guardare mentre morivi?
>> rispose,
imitandolo.
Lui incatenò gli occhi azzurri ai suoi neri, in una sfida a
chi
cercava di leggere nell'animo dell'altro: quanti sentimenti segreti
nascondevano, quante sensazioni tentavano di riemergere senza il loro
permesso!
Si sentirono sprofondare, mentre si perdevano in quegli sguardi che
avrebbero voluto rivelare certezze e verità che non
sarebbero mai
state pronunciate, impedite dall'orgoglio.
<< Anche se mi salvassi la vita cento volte, non
cambierebbe
nulla >> soffiò lui, serio <<
Non tornerà tutto come un
tempo, Karin >>.
Si maledì, eccome se lo fece! Maledì la sua
alterigia, il suo
essere così testardo; per quanto l'avesse desiderato ogni
momento,
ogni minuto da quel giorno infausto... sarebbe stato oltremodo
difficile perdonare.
Ne era consapevole. Ma doveva esserlo anche lei.
Karin emise un verso strozzato, esasperata e stanca << Lo
so.
Però possiamo provare a... >>.
<< Dimenticare? >> commentò
scettico, interrompendola
bruscamente.
<< No >>.
Tornò ad appoggiarsi al masso roccioso, passandosi una mano
sulla
fronte << Per quanto lo vorrei con tutta me stessa so che
non
possiamo. Ma, Thorin, ti ho salvato la vita! Questo dovrebbe farti
capire le mie intenzioni: se fossi stata una vera traditrice sarei
rimasta aggrappata a quel ramo senza intervenire >>.
<< Nessuno ti ha chiesto di farlo >>
ribatté lui,
cocciuto << Io non te l'ho chiesto
>>.
<< Non sono così senza cuore! Al contrario di
te, io
ricordo cosa ci legava >>.
Ammutolì, capendo d'aver superato un confine importante: non
aveva
mai visto sul volto di Thorin un'espressione tanto furibonda; era
fuori di sé, ed era colpa sua se, ora, negli occhi azzurri
lesse
un'ira profonda e antica, che presto sarebbe esplosa. Lo vide
stringere i pugni e, con un colpo secco, li batté sulla
roccia alle
sue spalle, sfiorandole il viso: si ritrovò imprigionata tra
le sue
braccia, il volto livido a pochi centimetri dal suo, spaventato a
morte.
<< Credi che non ricordi? >> le
sibilò adirato <<
Come osi anche solo pensarlo?
Io non ho dimenticato
niente! Niente >> concluse,
collerico; abbassò un
attimo il capo come a voler cercare la calma ormai perduta, ma lo
rialzò subito, fronteggiandola minaccioso.
<< E tu mi chiedi di perdonare? Dimenticare? >>
calcò con ferocia le ultime parole, per farle capire quanto
fosse
impossibile.
<< Non volevo dire questo >>
iniziò lei, cauta e timida
<< però potremmo... cercare di... abbattere
questo muro che...
che abbiamo creato >> concluse, deglutendo a vuoto;
sentiva
nelle orecchie il martellare furioso del cuore, tremante e spaventato
com'era lei. Non credeva di essere riuscita a portarlo nell'abisso
della furia con una sola frase: ma, d'altronde –
pensò
vergognandosi – anche per lui aveva significato qualcosa
d'importante.
<< Come è possibile abbattere un muro, se
costruito di pietra?
Non col fuoco, né con un'ascia, o un piccone
>> l'interrogò,
la voce affievolita e quasi tranquilla; gli strascichi della rabbia
si sentivano ancora in alcune parole.
<< Allora lo scavalcherò! >> fu
il suo turno
d'infervorarsi, lanciandogli uno sguardo di sfida << E
sono
certa che ce la farò, così
come sono sicura che dentro di te
ci sia ancora una parte che crede in me. In noi. Non
è così,
Re sotto la Montagna? >>.
<< Ti sbagli >>.
<< No >> respinse l'impulso di prendergli
il volto tra le
mani; invece, strinse le nocche fino a farle sbiancare <<
Ti
ostini a rimembrare il mio sbaglio; ma, prima, c'era qualcos'altro
tra noi, un sentimento così forte e... bello,
meravigliosamente
bello, impossibile da scordare! Se non hai dimenticato nulla, allora
lo rammenterai >>.
Alzò ed abbassò il petto con foga, in febbrile
attesa: Thorin se ne
stava immobile come una statua guardandola solamente, la bocca di
poco dischiusa; lo vide distendere i muscoli guizzanti, ma non si
staccò dalla posizione.
<< Lo ricordo: ed è quello che mi tormenta
giorno dopo giorno,
da anni >> mormorò stancamente; lo vide
avvicinare il volto al
suo, lento e inesorabile: percepì il cuore fare un balzo e,
d'istinto, iniziò a socchiudere gli occhi, in un'attesa
lacerante.
Sentì la gola secca, ed un desiderio tale da bruciarla viva.
<< Il tuo pensiero mi logora, distruggendomi;
tu popoli
i miei sogni più dolci, i miei incubi più
terribili. Tu >> i
sussurri affannati e rochi di lui si confusero con i suoi respiri; i
nasi si sfiorarono, gli occhi si chiusero dolcemente.
Non aspettavano altro che sentire le labbra dell'altro sulle proprie,
in un bacio agognato da troppi anni; un bacio che potevano scambiarsi
solo nell'illusione della notte, cullati da struggenti ricordi. Il
loro amore non poteva essere quietato con la
semplice forza di
volontà, nemmeno se essa era potente ed autoritaria:
reprimendolo,
non facevano che accrescerlo. E, ora, sfuggiva al loro controllo, a
quella razionalità che ostentavano accanitamente, alla
ragione
ferrea; forse avrebbero potuto abbandonare per pochi attimi
ciò che
rappresentavano, tornando solo Thorin e Karin.
Sarebbe stato bello, un'utopia perfetta e incantevole in cui
rifugiarsi: bastava così poco, ancora qualche millimetro, e
la
felicità nel ricongiungere le loro anime ferite e lacerate
sarebbe
stata completa.
Ma il Fato, maligno, si intromise di nuovo.
Qualcuno russò forte, interrompendo bruscamente la magia che
si era
creata; Thorin aprì gli occhi, trovandosi ad un nonnulla da
lei, gli
occhi spalancati e colpevoli. Il buio non faceva che aumentare la
profondità di quei maledetti pozzi, in cui aveva rischiato
di
perdersi per non risalire più. Anche in quel momento.
No, doveva tornare presente, e smetterla di fantasticare su fatti
assurdi: la sua debolezza gli sarebbe costata cara, stava per
commettere un grosso errore. Si scostò da lei, riportando le
braccia
lungo i fianchi, alzandosi in piedi per mettere quanti più
metri
possibili tra i loro corpi.
La vide ferita dal suo allontanamento, un'immensa tristezza che le
fece abbassare il capo per non guardarlo, lasciandolo ciondolare come
se dormisse. I lunghi capelli ribelli, così simili ai suoi
ma
indomabili – così com'era lei – le
coprirono qualsiasi
espressione, ma il nano poté immaginarla. Decise
perciò di
andarsene, lasciandola sola: se fosse rimasto lì un altro
po'
avrebbe cambiato idea, mandando in malora ogni disperato tentativo di
contrastare la tentazione che Karin rappresentava.
Karin lo sentì allontanarsi a lunghi e pesanti passi: le
forze
l'avevano abbandonata, lasciandola stremata e distrutta;
sentì
scuotersi da piccoli singulti, e qualcosa di caldo e bruciante le
colò sulle guance. Portò le mani agli occhi,
riconoscendo numerose
lacrime che fuoriuscivano, lasciando solchi durante il percorso;
rotolarono giù, lungo la ferita appena sistemata. Alcune si
fermarono ad infrangersi sulle labbra dove, un dannatissimo attimo
prima, si sarebbero posate quelle forti ma delicate di Thorin; altre,
invece, le arrivarono al mento per poi cadere sulle braghe, formando
piccoli cerchi più scuri sul tessuto.
Mentre con una mano tentava di asciugarsele – senza successo,
visto
che non riusciva ad impedire che se ne formassero altre – con
l'altra si coprì la bocca, per soffocare i singhiozzi
violenti che
l'attraversavano.
Strinse gli occhi, ma nemmeno allora funzionò: le lacrime
non si
fermarono. Si sentì così stupida e
credulona: credeva
davvero che, baciandolo, sarebbero tornati insieme? Oh, non aveva
capito nulla da quegli anni di solitudine, di esilio: l'aveva
promesso, l'aveva giurato! Non avrebbe
più sofferto per lui,
non ci avrebbe più pensato, il dolore la dilaniava, la
consumava!
Doveva smetterla, basta.
Ma più continuava a ripeterselo e meno le sembrava
fattibile: era un
sentimento così forte che stava già prendendo il
sopravvento,
l'aveva notato prima; non si era tirata indietro, non l'aveva
respinto. Perché lo voleva, punto. Così
disperatamente da farle
male al cuore.
Dopo quelli che le parvero secoli riuscì a placarsi: i
singhiozzi
erano spariti, solo le ultime lacrime persistevano: con un gesto di
stizza le asciugò, facendosi male al volto. Tremante si
alzò,
mentre un mal di testa martellante le rimbombò nelle
orecchie: si
avviò verso i giacigli, riconoscendo la forma possente di
Gloin; lo
scosse piano e quello, dopo un paio di grugniti, aprì gli
occhi,
mettendola a fuoco.
<< Mi spiace svegliarti >> disse, la voce
tremante e
incerta.
Il nano comprese subito che c'era qualcosa di anomalo: non era un
tono assonnato, né tanto meno tranquillo; qualcosa l'aveva
scossa
così profondamente da lasciarla prostrata.
Le sembrò che avesse pianto, concluse, mentre si abituava
all'oscurità più debole delle ore precedenti.
<< Stai bene, ragazza? >> le
domandò, con una certa
apprensione.
Lei annuì, mentre un luccichio si affacciava agli occhi; si
morse le
labbra, agitando una mano come a volersi scusare. Senza aggiungere
altro se ne andò verso il suo posto, sdraiandosi e dandogli
la
schiena, incurvandosi per ripararsi dal vento. O da qualcos'altro.
Il nano guerriero si sentì affranto nel vederla
così, ma non disse
nulla: non avrebbe saputo cosa fare per confortarla, non trovava le
parole giuste come invece le aveva lo scassinatore.
Si limitò ad osservarla ancora per un po', dispiaciuto; poi,
sospirando pesantemente, lasciò che le gambe lo portassero
nel punto
dove poco prima due cuori avevano battuto all'unisono, per poi
allontanarsi e spezzarsi.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Ma buonasera/notte!!! Come state, tutto bene?
Mamma mia, non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo *_____*:
sia perché fermare lo scorso capitolo in quel punto mi
è sembrata
una carognata bella grande, sia perché... bé,
devo anche
spiegarvelo??? Qui succede il di tutto e il di più ;)))
Perdonatemi se scriverò qualche frase sconnessa, ma questo
capitolo
mi ha debilitata @___@! Colpa dei due “cari
protagonisti” e delle
canzoni strappalacrime che ascolto ultimamente... sarà
perché tra
poco è San Valentino?!
Uff, va bé T.T.
Allora, che ve ne pare??? Io sono soddisfattissima del risultato,
spero lo siate anche voi: avrei voluto scrivere una marea di altra
roba, ma credo sia abbastanza pesante così u.u. Non solo per
voi,
miei adorati lettori e lettrici, ma anche per me! Ho il cervello
fuso, è da giorni che ci lavoro senza sosta alla ricerca
delle
parole giuste! Spero d'essere riuscita nell'intento di mostrare
questi sentimenti contrastanti: da una parte il vecchio e caro
rancore, dall'altro l'ammmore che cercano di soffocare. Qui parliamo
di ben due nani, perciò la testardaggine è al
quadrato!!!!! Ecco,
inizio a straparlare, meglio che mi fermi XD!
Un grazie speciale a Krystal91, che mi ha salvato
la vita con
la faccenda delle rune :* :*, a Lady of the sea, Carmaux,
MrsBlack, erica0501 e J_ackie. VI ADORO, SEMPLICEMENTE!!!
Grazie anche a chi l'ha messa nelle preferite- seguite- ricordate e a
chi legge soltanto: ma se qualcuno vuol aggiungersi per lasciare un
commentino non mi lamenterò di certo, eh ;))))!!!?
Ehehehehe, bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
affettuosamente
Anna <3 <3
P.S. La canzoncina/filastrocca che canta Karin... perdonate la
banalità del testo, so che è una c****a bella
grande, spero che
Tolkien mi perdoni per questo ç_____ç, ed anche
voi! Comunque,
dicevo: NON DIMENTICATEVELA! Rispunterà più
avanti, perché è
legata a qualcosa che volete scoprire presto... vero che VOLETE
scoprirlo :D???
ora è tutto, abbraccioni e baci a tutte, ci sentiamooooooo
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
Note
autrice: per
Durin, siamo arrivati all'ottavo!!!
Da qui in poi si segue il libro: gentaglia (in senso buono ;) )
avvisata mezza salvata :P
Ci leggiamo giù XD XD
CAPITOLO OTTO
<< Ragazzi! Deve essere successo qualcosa
>> esordì
Bofur poco dopo colazione, avvicinandosi con fare cospiratore a Fili,
Kili, Bilbo, Ori e Bombur; gli altri lo guardarono perplessi, non
capendo a cosa si stesse riferendo. Abbandonarono per un attimo il
raccogliere le ultime cose – armi, visto che gli zaini e i
fagotti
erano andati perduti – assumendo delle espressioni confuse,
non
riuscendo proprio a capire.
Bofur
sbuffò esasperato, non credendo alla loro inettitudine
<<
Parlo di >> abbassò il tono di voce,
guardandosi nervosamente
attorno << Karin
>>.
Immediatamente, sei teste si voltarono a cercare la ragazza, chiamata
in causa: era seduta a terra al centro della piattaforma, intenta a
pulire la lama di Iris; gesto che non compiva da giorni, dati gli
ultimi avvenimenti.
<< Quindi? >> chiese curioso Fili, rivolto
al nano.
<<
Non notate nulla di strano, di sospetto?
>> rincarò Bofur, sgranando gli occhi in un
gesto eloquente;
gli altri continuarono ad osservarla, non trovando niente di diverso:
bé, forse constatarono qualcosa.
Passava lo straccio con una tale foga che, di lì a poco,
avrebbe
tolto tutte le rune incise sulla lama.
<<
Sembra alquanto... violenta
>>
commentò Ori, grattandosi la guancia con un dito.
<< Come mai? Mi sembrava che ieri fosse tranquilla
>>.
<< Secondo me hanno litigato >>
affermò Bofur con aria
convinta, incrociando le braccia al petto.
<< Chi? >> domandò perplesso
Bombur, che non stava
capendo nulla.
<<
Ma come chi? Loro,
no?
>> rispose il fratello, guardandolo torvo
<< Per la barba
di Durin, Bombur, prova a pensare:
chi
litiga così spesso, un giorno sì e l'altro pure,
nella compagnia?
>>.
<< Aaaaah, loro! >> esclamò il
nano grasso, annuendo per
poi assumere un cipiglio serio << Aspetta, ma quando
avrebbero
discusso se ieri si sono a malapena parlati? >>.
<< Infatti! >> esclamò Bilbo,
leggermente infastidito
nel non essersene accorto prima di loro.
Bofur,
al contrario, si aprì in un ghigno compiaciuto e furbo
<< Ieri
sera Karin aveva il suo turno
di guardia >>
disse, trionfante: vide gli altri sgranare gli occhi, totalmente
assorbiti dalle sue parole; lo hobbit divenne tutto rosso, fino alla
punta delle orecchie. Diamine, chissà quali parole si erano
detti
per lasciarla turbata a quel modo!
Le lanciò un altro sguardo, vedendola persa nei suoi
pensieri, gli
occhi lontani verso un punto indefinito all'orizzonte; Thorin le dava
le spalle e parlava con Dwalin il quale, ogni tanto, la guardava con
una strana espressione in volto: forse il re lo stava mettendo al
corrente del fatto.
<< Ne sei così certo? >> chiese
Kili, infastidito: la
pazienza non rientrava certo nelle facoltà della stirpe di
Durin.
<< E' l'unica spiegazione plausibile! Altrimenti
perché
comportarsi così? Questa mattina non ha nemmeno accennato un
sorriso, al contrario di ieri... >>.
<< Aspetta! >> Fili interruppe Bofur,
guardando il
fratello minore << Kili, ricordi cosa è
accaduto proprio
stamattina mentre cercavamo da mangiare nel bosco? >>.
L'altro si accigliò, cercando di rimembrare; rimasero tutti
in
silenzio, aspettando una risposta dal giovane arciere: d'un tratto, i
suoi occhi castani si illuminarono.
<< Ma certo! >> esordì,
battendosi il pugno sulla mano.
<< Ce lo volete dire, per piacere? >>
chiesero in coro
gli altri, curiosi fin nel midollo.
<< Non c'è molto da raccontare: solo che anche
Thorin era
parecchio... irritabile >>.
<< Ed irritante! >> sbottò Fili,
scuotendo la testa <<
Avrà tante qualità, ma quando perde la
pazienza... >>.
<< E molto spesso, poi! >> aggiunse il
fratello <<
In ogni caso, non ha fatto che sbuffare, facendoci perdere la
concentrazione e le prede: per questo siamo tornati solo con della
frutta. L'unico cibo che non ha fatto scappare con il suo malumore!
>> fece un largo sorriso, dando di gomito al maggiore
<<
Se non avessi temuto per la mia vita sarebbe stata una scena comica:
povero zio! >> rise, trascinando anche il resto del
gruppo.
Dopo un po' tornarono seri, accantonando l'idea del loro re che
sbuffava come un bisonte arrabbiato.
<< Chissà cosa si saranno detti
>> commentò Bilbo,
affranto << Credevo avessero superato le divergenze
>>.
<< Oh, temo sarà difficile, signor Baggins!
>> dichiarò
Bofur, lisciandosi i baffi e il pizzetto. Gli altri nani annuirono,
appoggiando le parole del compagno << Quella che
è successa
tra loro è roba grossa, sai! >>.
<< Vo-voi lo sapete? >> domandò
sbalordito il povero
Bilbo: non poteva crederci, lui era l'unico all'oscuro di tutto!
<< Bé, a grandi linee >>
replicò Kili, serio come poche
volte << Fili ed io lo sappiamo perché ci
è stato
segretamente raccontato da Balin: non eravamo ancora nati quando
Smaug giunse a Erebor. Ma anche lui non conosce i dettagli
>>.
<< O forse non ce li voleva dire! >>.
<< Bé, non è che siano affari
nostri, dopotutto, ma... >>.
<< Oh, insomma! >> sbottò
spazientito Bilbo <<
Cosa diamine è successo tra loro? >> chiese.
Doveva
assolutamente saperlo! E se non glielo avesse detto Karin, se lo
sarebbe fatto raccontare dai nani.
Quelli si mossero a disagio, improvvisamente restii a parlare: la
loro baldanza si spense di fronte a quella semplice richiesta; Bilbo
si scoraggiò: sarebbe rimasto l'unico a non sapere nulla
della
vicenda?
Fece
per parlare, ma una voce ben nota alle loro spalle li interruppe,
brusca ed alterata << Se voi perdigiorno
vorreste
degnarci della vostra presenza >> proruppe rabbioso
Thorin <<
vorremmo partire il più presto possibile! >>.
Il gruppo sobbalzò al richiamo, scattando come molle per
terminare
gli ultimi preparativi; corsero di qua e di là per
affrettarsi, e
una volta che ebbero finito aspettarono pazienti l'arrivo delle
aquile che, secondo accordi presi con Gandalf, li avrebbero condotti
per un altro pezzo di strada.
Ciascuno salì sul dorso di un uccello e, dopo aver spiccato
il volo
con un potente balzo, si ritrovarono a librare in aria. Il mattino
era freddo, e nelle valli e nelle conche si intravvedeva una leggera
nebbiolina che, in alcuni punti, raggiungeva i pinnacoli e le cime
delle alture, poiché il sole era ancora seminascosto dietro
le
montagne.
Karin
sbirciò giù, vedendo la terra molto lontana,
mentre le aquile
volavano sempre più in alto: il cuore le batteva all'unisono
con le
ali del rapace, in una completa e totale armonia e serenità
che, per
tutta la durata del tragitto, dimenticò il suo malumore. A
dispetto
di Bilbo, che stava aggrappato alle piume con forza tenendo gli occhi
serrati, lei avrebbe desiderato che quel volo non finisse mai. Stare
così in alto le trasmetteva un senso potente ed appagante di
libertà
che
mai aveva provato sulla terra: ogni stupido e futile pensiero l'aveva
abbandonata; nel suo cuore c'era spazio solo per la bellezza delle
terre che si estendevano infinite, per il poco vento che le
accarezzava i capelli ed il viso, per il corpo caldo e morbido
dell'aquila sotto di lei. Si sentiva così bene
lassù che, se avesse
potuto, avrebbe fatto volentieri uno scambio divenendo parte dello
stormo. Per sempre libera, per sempre indipendente, per sempre forte.
Nessuno l'avrebbe più fatta preoccupare, arrabbiare...
soffrire.
Scosse
la testa, cercando di non pensare a ciò che era accaduto la
sera
prima: tentò di scacciare il suo
volto,
il suo odore
rimasto
impregnato nelle narici, il respiro caldo e roco che sentiva ancora
mescolarsi al suo.
Serrò gli occhi, ma non fece che peggiorare le cose: il
volto di
Thorin le galleggiava davanti, così vicino e così
reale che, quando
li riaprì e sbatté le palpebre, si
stupì di non trovarlo con lei.
Infuriata con se stessa, non finì di godersi il volo: nel
mentre,
l'aquila piegò verso destra, iniziando ad abbassarsi; doveva
aver
avvistato il punto verso il quale si stavano dirigendo.
Iniziò a
volteggiare in una larga spirale, venendo imitata da quelle dietro;
la terra si fece nuovamente vicina, e sotto di loro ora c'erano
alberi che sembravano querce e olmi e larghe distese erbose, con un
fiume che scorreva nel mezzo. Karin si rallegrò alla sua
vista: se
fosse stata fortunata avrebbe potuto farsi un bel bagno e lavarsi di
dosso le fatiche percorse e i cattivi pensieri.
Nel centro del corso della corrente emergeva una grande roccia, quasi
una collina di pietra: veloci, le aquile si calarono ad una ad una,
deponendo i passeggeri; poco prima che toccasse a lei, Karin
accarezzò le folte piume marroni screziate di bianco del
rapace,
ringraziandolo per l'aiuto.
In risposta, l'aquila aprì il becco, emettendo un grido.
La fece scendere, gettandole un'ultima occhiata e risalendo in volo,
scomparendo ben presto alla sua vista.
C'era un sentiero ben tracciato, composto di molti gradini che
scendevano fino al fiume, attraverso il quale un guado fatto di
grosse pietre piatte portava ai pascoli al di là del corso
d'acqua.
C'era inoltre una piccola grotta con un pavimento di ghiaia, proprio
ai piedi dei gradini e vicino all'estremità del guado, dove
la
compagnia decise il da farsi.
<< Purtroppo temo che dovrò lasciarvi, cari
amici >>
disse Gandalf, interrompendo le proteste che si levarono dai nani e
da Bilbo, alzando di poco una mano << ci troviamo molto
più ad
est di quanto avessi avuto l'intenzione di accompagnarvi,
perché
questa non è la mia avventura. E, ora, ho degli affari
urgenti da
sbrigare >>.
<< Quali affari? >> chiese Thorin, che non
condivideva
affatto la decisione dello stregone.
<< Rimarrò con voi ancora per un paio di
giorni >>
continuò lui, non rispondendo al nano <<
dopotutto, anche io
ho bisogno di un po' d'aiuto, come voi del resto. Non abbiamo cibo,
né bagagli né pony, e siete alcune miglia
più a nord del sentiero
che avremmo dovuto seguire. Pochissime persone vivono da queste
parti, ma c'è qualcuno che potrebbe aiutarci: vive poco
lontano, ma
è inutile aspettarlo qui, visto che di giorno non ci viene.
Dobbiamo
andare a trovarlo e, se andrà tutto bene durante la visita,
allora
vi lascerò augurandovi un buon viaggio! >>.
<< Ma è proprio necessario che te ne vada?
>> esclamò
Bilbo per sovrastare il chiacchiericcio disperato degli altri, che
gemevano e parlavano affranti; anche lui si era rattristato, e
desiderava solo che Gandalf rimanesse: si sentivano tutti molto
più
tranquilli sapendolo con loro.
<< Non sarà certo per sempre, signor Baggins
>> rispose
lui, rivolgendogli un sorrisetto enigmatico <<
Probabilmente
verrò a dare un'occhiata prima che sia tutto finito: anzi,
quasi
certamente! >>.
Bilbo non riuscì a distendere le labbra in un sorriso, ma
fece una
smorfia per nulla convinta.
<< Suvvia, non siate così tristi!
Tornerò per assicurarmi che
vada tutto bene >> li rassicurò ancora, e
quelli si calmarono
<< Direi di proseguire, non tratteniamoci oltre! Temo ci
sia
un'unica soluzione per passare all'altra riva, ovvero camminare lungo
il sentiero dato dalle pietre >>.
<< Non potremmo approfittarne per fare un bagno?
Sinceramente
avrei proprio bisogno di una lavata: è troppo anche per i
miei
standard >>.
Bilbo ed alcuni nani appoggiarono l'idea di Karin, ed anche Gandalf
si disse d'accordo; poi aggrottarono la fronte, non appena poggiarono
le armi a terra ed iniziarono a svestirsi: avrebbe fatto il bagno con
loro?
Karin si affrettò a spiegare, girandosi verso l'altra riva e
dando
così le spalle ai membri del gruppo << Ci
vediamo direttamente
dall'altra parte, io risalirò di poco il fiume andando verso
nord
>>.
<< Non attardarti troppo a lungo, ma il tempo necessario:
verremo noi a prenderti >> commentò Thorin,
con voce incolore;
Karin dovette compiere uno sforzo a dir poco notevole per non
girarsi, sentendo vari fruscii di abiti calati a terra.
Annuì e
senza ulteriori parole se ne andò, saltellando e cercando di
tenersi
in equilibrio lungo le pietre lisce e bagnate; giunta dalla parte
opposta camminò spedita seguendo il corso d'acqua,
calpestando il
manto erboso dei pascoli e, poi, ciottoli e sassi della riva.
Decise di fermarsi dopo poco, non volendo allontanarsi troppo:
altrimenti, avrebbero dovuto cercarla per miglia. Si guardò
attorno
alla ricerca di eventuali visitatori inattesi ma, anche una volta
appurata la sua solitudine, non si sentì totalmente
tranquilla: si
spogliò velocemente togliendosi il mantello, i pesanti
stivali
incrostati di terra, poi le brache, il gilè di cuoio e,
infine, la
camicia rossa. Lasciò Iris sulla riva, dove si
accovacciò; bagnò i
vestiti, sfregandoli come meglio poté per togliere tutta la
polvere
ed il sangue accumulati e, infine, li stese sopra una roccia ad
asciugarli mentre lei, nel frattempo, si dedicava al suo corpo:
sciolse le treccine sparse per i capelli, assicurandosi i vari
laccetti al polso.
Quando la pianta dei piedi entrò a contatto con le punte
lisce ma
dure dei sassi, il volto si piegò in una smorfia, ma
mutò non
appena entrò a contatto con l'acqua trasparente e limpida:
emise un
gemito soddisfatto quando si immerse fino al collo, piegandolo
all'indietro affinché i capelli le si bagnassero. Rimase a
godersi
per un bel pezzo il calore del sole sul viso e la freschezza del
fiume la rilassò, rigenerandole le membra stanche ed i
muscoli
doloranti dal viaggio e dalle imprese compiute.
Mise la testa sott'acqua, ed i suoni della foresta che andava
svegliandosi le giunsero ovattati; rimase in apnea finché
l'aria le
mancò e, con un leggero salto, riemerse, sputacchiando e
sfregandosi
gli occhi. Nuotò un poco e poi, controvoglia, decise che era
tempo
di risalire: le sarebbe seccato parecchio farsi sorprendere dagli
altri ancora nuda e in ammollo.
Si sedette sulla riva, lasciando che le goccioline sulla pelle si
seccassero da sole; ammirò il luccichio sul pelo dell'acqua,
appoggiando il mento sulle ginocchia. C'era una tale quiete,
lì, che
le parve di tornare indietro nel tempo, quando girovagava per i
boschi; quanti ruscelli e fiumi l'avevano ospitata sulle loro sponde,
ed avevano visto la stessa espressione malinconica e nostalgica che
portava ora.
Si prese una ciocca bagnata, arrotolandola tra le dita: non era il
momento di perdersi nei ricordi, era tempo di prepararsi.
Si alzò, indossando brache e camicia, già
asciutte: siccome aveva
ancora un po' di tempo libero, passò ad un'azione che le
avrebbe
richiesto tutta la pazienza che possedeva – che, al momento,
non
era poi molta.
Iniziò a passare le dita tra le ciocche scure, cercando di
sciogliere i numerosi nodi, imprecando forte dal dolore; più
di una
volta temette di rimanere impigliata, e più di una volta
dovette
trattenersi dall'afferrare Iris e dare un taglio netto a quei
maledetti capelli disordinati.
Le passò tutte, mettendoci più tempo del
previsto: stava quasi
terminando quando una voce proveniente dai prati alle sue spalle la
distrasse.
<< Ehm, Karin? Se-sei... presentabile? >>
la voce incerta
di Bilbo la fece sorridere.
<< Certo, vieni pure! >> disse, continuando
il suo duro
lavoro; sentì i piedi dello hobbit calpestare i sassi, e
raggiungerla: rimase un attimo in piedi per poi sedersi al suo
fianco, guardandola accigliato.
<< Stanno tornando anche gli altri, suppongo
>> commentò
lei quasi subito, districando un altro ciuffo; fece una smorfia
quando sentì un nodo e provò a scioglierlo, non
riuscendoci subito.
<< Oh, stanno finendo di vestirsi, arriveranno tra alcuni
minuti: Kili e Fili stavano dando spettacolo >>.
<< Ah, davvero? Cosa combinavano? No, aspetta, non sono
molto
sicura di volerlo sapere! >> esclamò, facendo
ridere Bilbo.
<< Niente di cui preoccuparsi, stavano solo inzuppando
gli
altri fin nel midollo: hanno preso di mira Ori, ed anche me: per
questo sono uscito prima dall'acqua >>.
In effetti non era proprio quella, la verità. Dopo alcuni
minuti di
totale tranquillità, il gruppetto che si era costituito la
mattina
si era riformato, accerchiando il povero hobbit. Tutti avevano
iniziato ad insistere sul fatto che dovesse immediatamente scoprire
cosa era accaduto: e chi meglio di lui, che era così vicino
a Karin?
Bilbo
si era opposto strenuamente, schivando i vari spruzzi e le occhiate
malevole ed omicide che gli erano state rivolte, ma non
riuscì a
resistere a lungo: non dopo che cercarono di affogarlo; e poi, anche
se non voleva proprio ammetterlo, anche lui era divorato dalla
curiosità. Quella ragazza era per lui un mistero, e voleva
risolverlo a tutti i costi: non si era mai interessato a qualcuno in
quel modo così disperato
e
morboso,
ma
era la dura verità; così come avrebbe voluto
sapere da Thorin cosa
lo legava a lei. C'era stato un momento, mentre erano in acqua a
nuotare, nel quale se l'era ritrovato accanto ed aveva constatato che
lo sguardo gli si era rasserenato di poco: se solo avesse tirato
fuori il coraggio necessario! Invece nulla, non aveva aperto bocca.
Certo, non possedeva tutta questa confidenza col re dei nani: allora
come mai le parole gli rimasero impigliate in gola anche con Karin?
La
verità era che temeva di risultare uno hobbit maleducato
ponendo
quelle domande personali,
perdendo così la rispettabilità guadagnata negli
anni. Chi era lui
per impicciarsi dei fatti di altri? Per di più di gente
appena
conosciuta, anche se aveva instaurato un buon rapporto!
Scosse
una mano, come a voler cacciare quei pensieri stupidi: doveva
rallegrarsi e mostrarsi felice, aveva l'occasione di parlare da solo
con Karin senza la presenza ingombrante degli altri; gli piaceva
parlare con lei, forse perché la sua presenza femminile lo
metteva a
suo agio, tranquillizzandolo. Era una sorta di Gandalf, in senso
buono, s'intende: era capace di trasmetterti serenità solo
con lo
sguardo, con un semplice accenno di sorriso; ma il suo essere femmina
implicava anche un senso di protezione nei suoi confronti: quando la
vedeva preoccupata e triste sentiva il bisogno
di
confortarla, di tenerla al riparo dai cattivi pensieri, di farle
scudo per far sì che non soffrisse.
Una cosa che non gli riusciva granché, al momento.
<< Stai bene? >> le chiese, più
per smetterla con quei
pensieri che altro.
<< Mi spieghi come fai? >> gli
domandò, smettendo di
passarsi le dita tra i capelli e guardandolo intensamente, gli occhi
neri sospettosi: possibile sapesse? << Non so come ci
riesci,
ma sembri sempre capire meglio di me quando c'è qualcosa che
mi
turba >> constatò, con una punta di gelosia e
di avversione
nella voce.
<< Io... bé, non saprei, no >>
rispose l'altro,
imbarazzato; si arruffò i corti ricci castani, grattandosi
poi il
mento << Ti dà fastidio? >>
chiese, dispiaciuto.
Karin
si rimproverò mentalmente: forse non aveva usato il corretto
tono di
voce. Si crucciò nell'essere stata così villana;
dopotutto, lui
l'aveva considerata una persona
fin
da subito.
<<
No, perdonami >> disse, addolcendo il tono di voce
<<
Solo che, vedi... non sono abituata a queste attenzioni,
a
questa amicizia.
Almeno,
non più >> ammise, alzando le spalle
<< Ma non è
affatto una brutta sensazione, sai! >> gli diede una
gomitata
scherzosa sul braccio, sorridendo; anche Bilbo lo fece, diventando
improvvisamente rosso sulle guance.
Si schiarì la gola << Ti... ti dispiacerebbe
se, ecco...
insomma, ti... ti abbracciassi? >> domandò,
con un filo di
voce.
Karin sgranò gli occhi, impreparata ad una proposta del
genere: ma
gli regalò un grande sorriso sincero, prima di scuotere la
testa.
<< Affatto >> disse, allargando le braccia
ed
avvicinandosi col busto a lui; gli avvolse il collo con le braccia, e
gli posò il mento sulla spalla. Poco dopo, sentì
le braccia dello
hobbit cingerle delicatamente i fianchi, come se avesse paura che,
stringendo troppo, si sarebbe offesa. Sorrise ancora, stupendosi di
se stessa: ma non poteva farne a meno, Bilbo la metteva di buonumore
con la sua semplicità, il suo essere così timido
ma determinato e
coraggioso al tempo stesso; possedeva una grande forza e molte
qualità, che ancora non riusciva a vedere. Ma stava
cambiando, lei
se ne accorgeva più di tutti: e non poteva che esserne
felice.
Rimasero stretti per lunghi minuti, finché il fiato di Bilbo
non le
solleticò il collo.
<< Non mi hai risposto, però >>.
Karin sospirò, maledicendo bonariamente la sua cocciutaggine
Tuc;
strinse leggermente la presa sul suo collo, abbracciandolo di
più.
<< Dovrei star male? >> gli rispose,
enigmatica; poi si
sciolse, sentendo delle voci provenienti dalla radura: riconobbe
quella di Kili e, poco dopo, lo vide.
<< Eccoli! >> gridò il nano,
girandosi verso gli altri
per avvertirli; poi li guardò con un sorrisetto furbo sulle
labbra,
che però non raggiunse gli occhi: quelli, al contrario,
lampeggiarono minacciosi << Ma che stavate combinando?
>>.
<< Nulla >> rispose lei, alzandosi;
indossò il gilè, il
mantello e gli stivali, allacciandosi Iris al fianco: quando
comparvero tutti – Gandalf compreso – lei era
già pronta.
<< Molto bene, ora che abbiamo attraversato la Carroccia
e ci
siamo rinfrescati, possiamo partire; da questa parte! >>.
<<
Ma da chi stiamo
andando, di preciso? >> chiese curioso Bilbo,
affiancandosi
allo stregone. Marciarono attraverso l'alta erba verde, giù
per le
alte file di alberi.
<< E' una persona veramente eccezionale: si chiama Beorn.
E' un
mutatore di pelle >>.
Karin
incespicò sui suoi piedi, non credendo alle parole di
Gandalf: un
mutapelle?
Vide
nella sua mente una serie di immagini alquanto raccapriccianti ma si
impose di ricacciarle, disgustata.
Anche Bilbo doveva aver avuto lo stesso pensiero <<
Co-come
scusa? >>.
<< Oh Bilbo, non fare quella faccia! Muta solo la sua
pelle,
santo cielo: talvolta è un grosso orso nero, talvolta
è un uomo
forte dai capelli neri con due grosse braccia e una gran barba. Ci
sono alcune ipotesi sulla sua discendenza, ma io sono più
propenso a
credere che sia un discendente dei primi uomini che vivevano in
questa parte del mondo, prima che vi giungesse Smaug, e prima che gli
orchi arrivassero dal Nord sulle colline. Comunque, non è il
tipo a
cui far domande >> concluse serio, in tono di
ammonimento;
anche se continuavano a camminare, i nani avevano affrettato il passo
per potergli stare il più vicino possibile, ascoltando
ciò che
aveva da dire.
<< Vive in un querceto e ha una grande casa di legno;
alleva
bestiame e cavalli – e spero proprio lì di trovare
dei pony – ma
non per mangiarli, né cacciarli: vive per lo più
di panna e miele.
Come orso, invece, vaga di qua e di là >>.
Avanzarono in silenzio ancora per alcune leghe, su per i pendii e
giù
per le valli. Iniziò a fare un bel po' di caldo e, ben
presto, sotto
all'umidità creata dalle file di alberi l'aria divenne
pesante e
densa; i capelli di Karin, asciugatisi in fretta, tornarono mossi ed
indomabili, al punto che dovette legarseli frettolosamente in una
treccia per non lasciarli crespi.
Dopo varie ore di cammino si riposarono un po' sotto le fronde di un
olmo, amareggiati per la mancanza di cibo – soprattutto
Bombur che,
dalla colazione, non mangiava nulla. Non rimasero per molto,
poiché
dovevano affrettarsi a proseguire e, armandosi di coraggio e
perseveranza, tornarono sotto il sole del pomeriggio; Karin si
sentì
accaldata, nonostante si fosse tolta sia il mantello sia il
gilè,
rimanendo in camicia: desiderò un altro corso d'acqua dove
potersi
immergere e rimanere a galleggiare, piuttosto che camminare ancora,
ancora e ancora!
Il pomeriggio era trascorso per metà quando cominciarono a
vedersi
grandi macchie di fiori dello stesso tipo, come se fossero stati
piantati da qualcuno. Erano garofani selvatici, purpurei e bianchi,
ed oscillavano pigramente grazie al poco vento; nell'aria, un profumo
delizioso veniva trasportato fino a loro, insieme al ronzio di
numerose api, piuttosto grandi: Karin si arrestò appena in
tempo,
spostandosi dalla traiettoria di volo di una di queste. Non osava
pensare alla reazione, se l'avesse punta.
<< Ci stiamo avvicinando, manca poco >>
rincuorati dalla
notizia, la compagnia sembrò rianimarsi, procedendo un po'
più
spediti.
Dopo un po' arrivarono a una fitta cintura di querce alte ed antiche
e, al di là di queste, a un'alta siepe spinosa che sbarrava
il
cammino, impedendo l'accesso e la vista di ciò che si
trovava oltre.
Gandalf si fermò, girandosi verso i nani e lo hobbit.
<<
Ora ascoltatemi, tutti voi! Dovete essere il più educati
possibile,
quando vi presenterò; lo farò a due per volta, e
non dovete
assolutamente
seccarlo!
E' alquanto irascibile quando è in collera, e molto gentile
quando è
di buon umore, perciò... state ben attenti, mi raccomando!
Per ora
aspetterete qui, comincerete a seguirmi quando vi chiamerò
con un
fischio, o a voce; passerete da dove sono passato io, ma solo a
coppie, e a circa cinque minuti una dall'altra. Bombur farà
per due,
venendo per ultimo. Anzi >> posò lo sguardo
sulla compagnia,
cercando dei familiari occhi neri << Temo dovrai
perdonarmi,
Karin: intendo servirmi della tua femminilità
per
rabbonire del tutto Beorn, anche se ho ragione di supporre che non
sarà necessario. Pertanto ti chiedo di giungere per ultima,
e da
sola, appena dopo Bombur >>.
<< Ma perché non possiamo andare insieme? Non
voglio essere
lasciato indietro! >> chiese il nano in questione.
<< Te l'ha spiegato, mi pare >>
esclamò Bofur, mentre
Kili annuiva, già ridendo a crepapelle << sei
grasso, e tanto
basta! >> concluse, scoppiando a ridere con i nani
più
giovani; ma persino gli altri si lasciarono scappare un sorrisetto.
<< Non preoccuparti, Bombur, non sarai l'ultimo: ti
seguirò >>
aggiunse Karin, cercando di superare il frastuono che già si
era
creato nel gruppo. Il nano la guardò speranzoso, per poi
dilungarsi
in un sacco di ringraziamenti.
<< Eccellente! >> esclamò
soddisfatto Gandalf,
portandosi una mano al fianco << Su, andiamo, Bilbo! Per
di qua
ci dovrebbe essere un cancello >>.
Si incamminò verso la siepe, inoltrandosi e sparendo alla
loro
vista, seguito da uno spaventato hobbit.
Nel frattempo, Bofur e Bombur – che avevano iniziato un'altra
discussione – vennero calmati da uno scontroso Thorin, al
limite
della pazienza: e proprio in un momento tanto delicato nel quale
avrebbe dovuto trovarne molta, se voleva che quella parte di missione
avesse buon esito.
Fece un cenno perché tutti si avvicinassero, dando loro le
ultime
raccomandazioni << Dividiamoci già a coppie,
così non
perderemo altro tempo una volta che verremo chiamati: i primi saremo
Balin e io, dopodiché verranno Nori e Ori, Dori e Dwalin,
Fili e
Kili, Oin e Gloin, Bifur e Bofur; infine, Bombur e Karin
>>.
Al sentirsi presa in causa girò la testa, incrociando lo
sguardo
penetrante di Thorin: lo distolse immediatamente, sentendo le guance
colorarsi un po' di rosa; si morse il labbro, dandosi dell'idiota:
perché mai doveva arrossire come una ragazzina? Non era
né la prima
volta né era accaduto qualcosa, quindi perché
preoccuparsi? Perché
stare male inutilmente? Aveva quasi commesso un errore madornale,
lasciandosi andare; aveva abbassato le difese, e ciò non
andava
bene!
Relegò in un angolo remoto di sé la parte che la
contraddiceva in
quel discorso freddo, ricordandole a chiare parole che ieri sera,
invece, non l'aveva pensata in quel modo: e nemmeno la mattina
seguente, quando aveva aperto gli occhi e realizzato che, in
realtà,
non era successo nulla. Anche se l'aveva desiderato.
Si appoggiò alla corteccia di un albero, le mani dietro la
schiena a
contatto con la ruvidità del tronco; aspettò
più o meno
tranquilla, mentre Thorin non faceva che camminare avanti e
indietro, nervoso: probabilmente lo disturbava il fatto che avrebbe
dovuto dimostrarsi gentile quando, in realtà, non ne aveva
alcuna
voglia.
Smise di guardarlo quando sentì un fischio nell'aria: era il
segnale
di Gandalf. Lanciando un'ultima occhiata di ammonimento al gruppo,
Thorin partì, affiancandosi a Balin. Ben presto sparirono
anche loro
e, sentendo due fruscii alle sue spalle, Karin intravvide due figure
familiari avvicinarsi: Kili e Fili l'avevano raggiunta, un sorrisetto
furbo e sospetto sulle labbra; non era decisamente un buon segno.
Thorin procedeva in un cupo silenzio mentre passavano l'alta siepe
verde, inoltrandosi tra i prati; osservandolo di sottecchi, il
vecchio nano poté vedere il tumulto interiore che lo
dilaniava,
mettendolo in perenne conflitto con se stesso, specie da quando
avevano iniziato la loro avventura. Specie da quando era arrivata
Karin.
Non gli era sfuggito il malumore della ragazza quando si erano
svegliati, né quello del re: quindi, a rigor di logica,
doveva
essere accaduto qualcosa.
Era piuttosto certo che anche gli altri l'avessero intuito, dato
l'assembramento che si era creato prima della partenza; in
più,
tutti avevano rivolto lo stesso sguardo a Karin, ignara di ogni cosa
e persa nei suoi pensieri.
Thorin, d'altro canto, dopo aver fallito con la caccia nel bosco era
tornato più furente che mai, lamentandosene con Dwalin: non
gli
aveva raccontato nulla della causa del turbamento, ma Balin era
abbastanza vecchio e saggio da comprenderla. Non che ci volesse un
particolare intelletto, dopotutto; quando si trattava di capire cosa
infastidiva Thorin, le risposte salivano da sole: Smaug e Karin. E,
visto che al drago non pensava più tanto spesso, rimaneva
solo
l'altra opzione.
<< Mi domando come sia questo Beorn >>
commentò, tanto
per dire qualcosa.
Thorin mugugnò qualcosa che Balin non comprese; il vecchio
nano
continuò << E' una vera fortuna averlo
trovato: sono certo che
Gandalf troverà il modo di rabbonirlo, portandolo dalla
nostra
parte. Tu che ne pensi, ragazzo? >>.
Non ricevette alcuna risposa.
<< Thorin >> gli pose una mano sul braccio,
ottenendo la
sua attenzione: il re si riscosse, gli occhi azzurri seri si
rasserenarono un attimo.
<< Perdonami, amico mio: ma non credo d'essere di grande
compagnia, oggi >>.
<< Non vuoi proprio affrontare l'argomento
>> più che
una domanda era una vera constatazione, alla quale Thorin rispose
incupendosi di più.
Balin dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo e dilungarsi
in una ramanzina che l'avrebbe fatto parlare, eccome se l'avrebbe
fatto!
Lo
costrinse a fermarsi, agguantandolo per un braccio prima che potesse
sfuggirgli << Dovrai discuterne, prima o poi! Sono stanco
di
vederti affannarti e distruggerti: devi
sfogarti,
parlarne con qualcuno! >>.
<<
No,
Balin;
non c'è nulla da dire! >> replicò
piccato il re, punto sul
vivo.
<< Non essere così testardo, per Durin! Soffri
peggio di un
animale ferito e prossimo alla morte: se ne stanno accorgendo tutti,
e questo non è un bene per la missione, né per la
compagnia >>.
Thorin non disse nulla, contraendo la mascella. Gli occhi chiari si
spostarono irrequieti ovunque, tranne che sul volto del parente:
detestava quando gli facevano il terzo grado, specie se consisteva
nel mettere a nudo i sentimenti e i pensieri che rimuginavano nella
mente.
<< Faremo tardi >> disse asciutto; si
liberò dalla presa
ferrea del nano, avanzando con passi pesanti e sofferti.
Balin
lo seguì, senza smettere di provare nel suo intento
<< Mi
chiedo per quale motivo tu e Karin siate così cocciuti!
>>
esclamò, fintamente esasperato; ottenne l'effetto voluto
anche se,
dentro di sé, chiese a Thorin di perdonarlo.
Il re si bloccò, così che l'altro potesse
raggiungerlo: cercò di
non far caso ai pugni contratti, né alle spalle scosse da
leggeri
tremiti; lo guardò con un'occhiata dura e furiosa, che mai
gli aveva
rivolto in tutti quegli anni. Era proprio vero quello che dicevano:
l'amore ti cambiava. Sapeva renderti felice come non mai, ma sapeva
anche devastarti tanto profondamente da lasciarti un solco profondo.
Ed un cuore spezzato.
<< Thorin >>.
<<
Non credo di farcela >> esalò il re a voce
bassa,
interrompendo qualunque frase stesse per dire l'altro <<
Il
vederla ogni giorno, sentirla anche quando non parla è...
rivivere
ogni cosa >> lo guardò con una tale disperazione
che
a Balin si contrasse lo stomaco; le difese di Thorin stavano
crollando, cedendo sotto al peso dei sentimenti. Sapeva che prima o
poi sarebbe successo.
Thorin si passò una mano sul volto, sfregandosi poi la
fronte: stava
cercando di riacquistare il controllo dovuto a quell'unico attimo di
debolezza. Ma gli risultò più complicato del
previsto.
<<
Ragazzo, credo che dobbiate parlarne tra voi, avere una conversazione
per lo meno civile
>>.
Il re si lasciò scappare una breve risata amara
<< Impossibile
>>.
<<
Ma siete entrambi adulti!
Voi >> venne zittito da un gesto.
<<
Balin, ti dico che è impossibile: ieri sera abbiamo avuto
una
conversazione “civile”, come l'hai chiamata tu...
ma ci siamo
ritrovati ad andare quasi oltre.
E
non deve accadere
>> disse duramente, parlando più a se stesso
che a lui, come
se cercasse di convincersi che era un'idea folle e totalmente errata.
Balin interpretò quel “andare quasi
oltre” di Thorin, non
credendo alle sue orecchie: ecco cos'era accaduto di tanto
sconvolgente! Probabilmente avevano accantonato per pochi secondi i
loro pregiudizi e il loro rancore, lasciando spazio a quel dolce
sentimento che mai li aveva abbandonati e che risultava più
forte
che mai nonostante le avversità in cui erano incappati.
Provò
un'improvvisa tristezza per la loro sorte infausta, per la loro
felicità mancata; ma, forse, avrebbe potuto tentare di
aiutarli a
riavvicinarsi, in qualche modo. Se lo meritavano entrambi.
<< Io invece penso che non sarebbe una cattiva idea
>>
affermò con un leggero sorriso, mentre Thorin assottigliava
lo
sguardo, credendo d'aver sentito male.
<< Ho notato come soffrivate, stamattina; non riuscivate
nemmeno a guardarvi. Se provaste ad andare avanti, forse
>>.
Di
nuovo, sulle labbra di Thorin comparve quel sorriso mesto
<< E'
la stessa cosa che mi ha detto lei.
Ma
se anche lo facessimo, come
potremmo
andare avanti? Aleggerebbero gli stessi sentimenti negativi che ci
pervadono ora, e
finiremmo col farci ancora più male >>.
<<
Proprio per questo dovete
chiarirvi.
E' l'unica soluzione per vivere in pace; non solo per te, ma anche
per Karin: ha dovuto combattere i preconcetti dell'intera compagnia,
e solo dopo aver dimostrato il suo enorme coraggio salvandoti sta
trovando il suo posto tra noi. Non è abbastanza? Quanto vuoi
ancora
umiliarla, comportandoti freddamente e con distacco come fosse una
reietta? >>.
<< Vedo che è riuscita ad abbindolare anche te
>> sbottò
l'altro, incrociando le braccia al petto.
<<
Sai perfettamente che non ne ha mai avuto bisogno: ero amico di suo
padre, e l'ho vista crescere. Con te,
tra
le grandi sale di Erebor: hai forse dimenticato il suo sguardo quando
ti osservava? O il tuo quando la guardavi? >>.
<< No >> mormorò stancamente
Thorin, con gli occhi che
andavano appannandosi, persi nei ricordi.
<<
Vi conosco meglio di quanto pensiate, ed i miei consigli servono
unicamente per aiutarvi a trovare quella riconciliazione che bramate
più di ogni altra cosa: persino dell'oro di Erebor
>> si
fermò, lasciando che le parole giungessero al cuore del
giovane; e
quelle si impressero, facendo sospirare Thorin, che non
trovò nulla
con cui ribattere. Si sentiva devastato e stanco: desiderava
allontanarsi da lì e rimanere solo, a crogiolarsi nella
commiserazione; d'altra parte, invece, avrebbe dato qualsiasi cosa
per togliersi quei pensieri che gli appartenevano poco! Doveva
allontanare Karin dal suo cuore e dalla sua mente: non considerarla
più così importante.
Aveva svolto egregiamente quel compito per lunghi anni, ce l'avrebbe
fatta anche adesso: cosa importava, in fondo, averla accanto ogni
minuto, ogni ora, ogni giorno? Era stata al suo fianco durante
l'esilio tormentandolo con la sua voce, i suoi gesti, i suoi sorrisi,
le sue occhiate impaurite e terrorizzate, piene d'odio e disprezzo.
Ma
l'averla fisicamente
vicino era tutt'altra faccenda. Lo sapeva bene. Come lo sapeva lei,
abile tentatrice; le era bastato un sorriso,
un
brillio diverso negli occhi che tanto lo affascinavano, un minimo
segno di ribellione ai suoi ordini, e si era ritrovato ad un niente
dal suo volto, desideroso
di
colmare quella breve – ma grande, e troppa –
distanza con un
bacio voluttuoso e nostalgico insieme. Lei, che mai
si
era intimorita di fronte al suo orgoglio, che mai
era
riuscito a domare: era stata sua, concedendogli il suo cuore.
Gli aveva donato un'illusione, una bugia.
Sentì
una gran rabbia montargli in petto – come ogni qual volta ci
rifletteva – ma, anche, una grande delusione e amarezza. Il
suo
fidarsi l'aveva portato a perdere la persona che più
significava per
lui, lasciandogli un vuoto incolmabile. Non l'avrebbe mai ammesso a
voce alta, ma era così, era un qualcosa che non poteva
cancellare.
Non voleva farlo.
Dimenticare? No, avrebbe conservato ogni ricordo: per rammentarsi
che, oltre al dolore e alla colpa, aveva conosciuto anche l'amore
vero, profondo e sconvolgente. Lui, Thorin Scudodiquercia,
l'inflessibile e freddo Re sotto la Montagna aveva amato.
Tanto,
troppo. E ne aveva pagato le conseguenze.
Un lungo fischio seguito da un richiamo lo riscosse: Gandalf li stava
aspettando, e non era un bene attardarsi oltre.
Tornò lucido, tornò il Re che era sempre stato.
Senza aggiungere
una parola si incamminò, venendo affiancato da Balin;
seguirono il
sentiero del giardino e raggiunsero l'abitazione di Beorn, trovandoli
seduti sulla veranda. Non colse l'occhiata di profondo ammonimento
che lo stregone rivolse loro per il ritardo, ma si scusò con
il
padrone di casa, presentandosi ed offrendogli i suoi servizi in modo
impeccabile.
Nessuno si accorse del profondo turbamento che lo divorava
interiormente, uccidendolo.
Karin ripose la pipa tra le tasche del mantello, dopo aver contato
cinque lunghi minuti dalla partenza di Bombur; seguì il
medesimo
sentiero che aveva percorso il resto della compagnia, agitando le
mani davanti al volto per scacciare gli insetti che le ronzavano
attorno. Arrivò presso un alto cancello di legno,
distinguendo dei
verdi ed estesi giardini e basse costruzioni di legno, fatte con
tronchi e ricoperte di paglia sul tetto. Dovevano essere granai e
stalle, ma credette anche di riconoscere la casa del loro alleato:
era larga e bassa, anch'essa di legno. Passò accanto ad una
fila di
arnie con il tetto di paglia a forma di campana, il più
velocemente
possibile: era irrequieta nel vederle volare addosso quegli sciami di
api grosse quanto il suo pollice! Oltrepassò un cancello
aperto –
lasciato così dagli altri, di certo – e scese per
un largo
viottolo verso la casa. Raggiunse il cortile, formato per tre quarti
dalle lunghe ali della casa di legno e si arrestò nel
riconoscere un
grande tronco di quercia, piantato proprio nel mezzo: lo
guardò
ammirata, ma poi l'attenzione le si spostò poco
più in là, dove
vide un cane grigio alto e slanciato; le andò incontro
guardingo,
con il muso basso. Le annusò le gambe e l'orlo del mantello,
dopodiché iniziò a scodinzolare felice, la lingua
rosa a penzoloni;
allungò una mano a grattargli il capo, e dietro le orecchie:
quello,
ormai euforico, agitò di più la coda abbaiando
entusiasta. Poi si
liberò dalle sue carezze, trotterellando verso l'interno
della casa;
sulla soglia si fermò, girandosi a guardarla ed abbaiando
ancora per
incitarla a seguirlo. Karin lo fece, seguendolo in una grande sala
con un camino al centro. Benché ormai fosse estate
– il caldo
torrido nella foresta ne era la prova – il fuoco ardeva ed il
fumo
si innalzava verso l'alto, dove si trovava un foro nel tetto. La
oltrepassarono, procedendo al di là di una porta
più piccola, che
conduceva ad una veranda sorretta da pilastri di legno fatti di
tronchi; era esposta a sud, inondata dalla luce del sole che ormai
tramontava e che ricadeva dorata sugli altri e sul giardino pieno di
fiori.
Il cane se andò, sfiorandole le gambe; gli diede un'ultima
occhiata,
per poi muovere qualche passo verso il padrone di casa, seduto
accanto a Gandalf: era l'uomo più alto e possente che avesse
mai
visto, dalla fitta barba nera, i capelli dello stesso colore, dalle
grosse braccia e gambe nude con muscoli nodosi. Indossava una tunica
di lana che gli arrivava alle ginocchia e, accanto, teneva un'enorme
ascia.
<< Ma che genere di stregoneria è questa, mi
domando? >>
tuonò, rivolto a Gandalf << Mi avevi detto che
c'erano solo
nani, in questa compagnia! >>.
<< Karin, al vostro servizio >> disse lei,
chinandosi più
di quanto avesse voluto, vista la frase che le scappò dalla
bocca <<
e sono una nana >>.
Lo guardò negli occhi con un'espressione di sfida, ma
ricordò le
raccomandazioni dello stregone e di Thorin, perciò si
affrettò ad
abbassare lo sguardo e a correggere il tono di voce, troppo
impertinente.
<< signore >>.
Beorn si grattò la barba, pensieroso e scettico su quanto
aveva
udito << Avevo sempre saputo che le femmine di nano
avessero la
barba! >>.
<< Avete ragione, signore: ma vi è anche
sangue di hobbit, in
me. Per questo non posseggo ciò che avete detto
>> buffo come,
in una tale situazione, le tornassero alla mente le vecchie lezioni
di etichetta che suo padre le aveva imposto fin da piccola.
<< Parola mia, questa è la prima che sento!
Sangue di hobbit,
eh? E io che ti avevo scambiata per un'umana piuttosto piccola! Ma,
in effetti, nei tuoi tratti si riconoscono quelli di nano: quindi, a
quale razza senti di appartenere di più? >> le
chiese,
improvvisamente curioso. Gli occhi neri scintillarono nello
squadrarla, tanto che Karin fu percorsa da un brivido inquietante. Ma
non lo diede a vedere, rispondendo fiera ed orgogliosa, ma anche
sofferente nella sua profondità.
<<
Nana. Senza alcun dubbio >> non posò lo
sguardo su nessuno
degli altri, ma poteva percepirne le occhiate: soprattutto quella di
Thorin, che la guardò con una tale intensità da
penetrarle l'anima.
Se avesse risposto così in un'altra occasione, probabilmente
avrebbero iniziato a discutere: certo, non poteva cambiare quel che
era, ma rimaneva sempre e comunque la nana
che aveva tradito il suo stesso popolo.
Beorn
parve soddisfatto, anche se la ragazza poté leggergli sul
volto
un'espressione stupefatta,
come
se avesse avuto un'illuminazione. Ma di cosa si trattasse non
l'avrebbe saputo dire.
<< Ebbene >> tuonò poco dopo
<< continua pure con
il racconto, Gandalf >>.
E lo stregone lo esaudì, spiegandogli le ultime peripezie
con Azog e
il salvataggio delle Aquile, fino all'attraversamento della
Carroccia.
Il sole era tramontato dietro le vette delle Montagne Nebbiose e le
ombre erano lunghe quando terminò di parlare; solo allora
Beorn si
alzò, sfregandosi le grandi mani, compiaciuto.
<< Una storia magnifica, per essere stata raccontata da
mendicanti! Potreste esservela inventata – e di
ciò m'informerò,
badate! - ma meritate comunque una bella cena! >>.
Lo ringraziarono, seguendolo nella grande sala buia: ad un suo
battito di mani, quattro pony bianchi ed alcuni cani – tra
cui
quello che l'aveva accompagnata – entrarono, reggendo in
bocca
alcune torce, che accesero sul fuoco e posizionarono a dei sostegni
bassi. Poi vennero delle pecore bianche e un grosso montone nero,
portando la tovaglia, dei vassoi con piatti da portata, coltelli e
cucchiai di legno, disponendoli sulle tavole.
In mezzo a quell'andirivieni di animali affaccendati, la compagnia
era rimasta in disparte e muta, assorbita e meravigliata da quegli
animali docili ed ubbidienti. Erano talmente presi che non si
accorsero di Beorn che, furtivo, si abbassò e
bisbigliò qualcosa
nell'orecchio di Karin; ella lo guardò con sospetto,
assottigliando
gli occhi, ma annuì per fargli capire che era d'accordo. Poi
volse
la testa altrove, inquieta.
Una volta che tutto fu pronto, Beorn fece gli onori di casa, facendo
accomodare gli ospiti su tronchetti di legno piallati e lucidati,
bassi abbastanza perché potessero raggiungere comodamente la
tavola,
anch'essa bassa.
Mangiarono così tanto che temettero di scoppiare,
poiché non
gustavano un vero banchetto da Gran Burrone; inoltre, Beorn li
intrattenne con storie sulle Terre Selvagge - che si estendevano ai
piedi delle montagne – ma soprattutto parlò del
bosco scuro e
pericoloso che si estendeva per molte miglia da nord a sud, a nemmeno
un giorno di cammino da lì: Bosco Atro.
Mentre raccontava, lo sguardo gli cadde sovente su Karin: aveva
mangiato poco niente, lo stomaco aggrovigliato in una morsa; e,
quando aveva sentito nominare quel luogo, aveva stretto le mani a
pugno, iniziando a tremare di rabbia e paura.
Thorin, invece, aveva evitato di guardarla, stringendo il cucchiaio
con tale forza che l'avrebbe spezzato, se Dwalin non gli avesse
tirato una leggera gomitata. Allora l'aveva posato, senza smettere
d'incenerire con lo sguardo qualsiasi cosa, roso dal risentimento.
Sapeva bene che non vi era scelta, e che avrebbero dovuto
avventurarsi in quel maledetto posto: ma non poteva impedirsi
d'odiarlo con tutta la sua anima.
Dopo cena fu il loro turno di raccontare storie, seduti attorno alla
tavola e con un boccale pieno d'idromele in mano: era dolce e
liquoroso, dal colorito giallognolo. Karin arricciò il naso
dopo il
primo sorso, ma non smise di berlo; le annebbiò la mente, ma
ne fu
felice. Era un momento perfetto per dimenticare, e lei voleva farlo,
specie dopo la notizia di Bosco Atro. Ma doveva rimanere il
più
lucida possibile, per scoprire quali erano le intenzioni di Beorn.
Dopo un po' vide la testa di Bilbo ciondolargli per il sonno ed i
nani iniziarono a cantare, seduti sul pavimento attorno al fuoco; il
padrone di casa, prima appoggiato con un gomito ad una scultura di
legno raffigurante un orso - addossata alla parete - se n'era andato.
Fu facile, perciò, sgattaiolare fuori senza essere
né vista né
sentita: ringraziò la sua natura hobbit, per questo.
Tornò in veranda, dove Beorn la stava già
aspettando: al contrario
dei compagni quello si accorse subito della sua presenza, girandosi a
guardarla con lo stesso sguardo di prima.
<< Non avrei mai pensato che ci saremmo incontrati
>>
esordì, abbandonando l'ilarità che aveva
ostentato prima: forse,
pensò lei con una nota di panico, era questo il suo vero
volto.
Serio e spaventoso.
<< Come mi conosci? Non ci siamo mai visti prima
>>
commentò lei, guardinga, abbandonando ogni formalismo:
sapeva solo
che non le piaceva quella conversazione. Non la convinceva.
Beorn
fece un sorrisetto di fronte alla sua preoccupazione <<
Tutti
ti conoscono da queste parti, uccellino
>>.
Karin si irrigidì, l'aria le mancò, bloccandole
il fiato: gli occhi
le si spalancarono, la bocca le si dischiuse. Dovette inspirare per
ben due volte prima che la voce le tornasse << Come mi
hai
chiamata? >> domandò, la voce ridotta ad un
sussurro; se
voleva dargli l'impressione di non sapere nulla, bé... aveva
completamente fallito.
Lui, per tutta risposta, incrociò le braccia al petto e
tornò serio
<< Hai capito benissimo: o devo forse ripetertelo?
>>.
<<
No >> ribatté lei, assottigliando lo sguardo
<< Sei
amico degli elfi?
>>
chiese, la voce traboccante d'odio.
Beorn scosse la testa << Di amicizia non posso parlare
ma,
essendo confinanti, li vedo girovagare; e quando sono in forma d'orso
li sento parlare tra loro anche se sono lontani. Per questo ti
conosco, perché parlarono molto di te, anni addietro. Non
dev'essere
stata una bella esperienza >> commentò,
reputando interessante
la colonna di legno che gli stava a sinistra.
Karin tentò di deglutire, non trovando la saliva: aveva la
gola
secca, ed un improvviso prurito nervoso le pervase le braccia;
inconsciamente, portò le mani agli arti, in una sorta di
abbraccio
che di confortante aveva poco.
<< Cosa vuoi da me? >> la domanda
risultò tremante e
patetica; della Karin forte ed orgogliosa non era rimasto nulla.
<<
Niente; volevo solo conoscere l'uccellino
di
Bosco Atro >>.
<< Smettila di chiamarmi così!
>> sibilò lei, muovendo
un passo in avanti; ora la furia tornava a montare prepotente, ma
Beorn non si scompose.
<<
Dovrai prepararti, invece: non riuscirai a sfuggirgli, quelli sanno
sempre tutto. Non appena metterete piede nella foresta sapranno
già
quanti siete, dove andate, perché lo fate ma, soprattutto, chi
fa
parte del gruppo. A meno che... >>.
<<
A meno che cosa?
>> sbottò impaziente e stanca.
<<
Lo riporterò anche al tuo re, ma è bene che te lo
dica già da
subito: dovrete sempre seguire il sentiero, mai
allontanarvi da esso! Mi hai capito, vero? >>.
<<
Certo. Ma non capisco come il seguire il sentiero possa impedire a
loro
di vederci >>.
L'omone scosse le spalle << Non saranno solo gli elfi il
vostro
problema, se non ascoltate il mio consiglio >> rispose di
fronte alla sua perplessità, enigmatico.
<< Bene, allora è meglio che te ne vada a
letto; tra poco mi
trasformerò, e non voglio impicci tra i piedi
>> le girò le
spalle e fece per allontanarsi, ma venne fermato da Karin.
<<
Questa conversazione non dovrà mai trapelare; gli altri non
devono
sapere
>>.
Beorn si girò, guardandola <<
Perché mai dovrei dir loro
qualcosa? Non mi interessa minimamente! Buonanotte! >>.
E se ne andò nell'oscurità. Per un folle attimo,
a Karin parve di
riconoscere nel vento una melodia ben familiare, una filastrocca che
le serrò il cuore e le contrasse i pugni.
La mattina dopo un'abbondante colazione li accolse ed essi, felici,
si abbuffarono e riempirono i fagotti capendo che, nella foresta, non
avrebbero trovato tanto cibo come quello. Beorn rientrò poco
dopo,
gioviale nell'aver appurato che la loro storia era vera e non lo
avevano ingannato.
Gandalf gli raccontò l'intera vicenda, poiché ora
era loro amico, e
potevano fidarsi; l'unica irrequieta era Karin, constatò
Bilbo:
aveva mangiato perché costretta, ma senza appetito. Faceva
vagare lo
sguardo in ogni dove, nervosa: sobbalzò quando le
augurò un buon
giorno, dato che si era svegliato tardi; a giudicare dalle occhiaie
scure che le cerchiavano gli occhi, invece, lei non aveva dormito
affatto.
Si
ripromise di parlarle per bene per capire il suo turbamento, ma
dubitava che gli avrebbe raccontato la verità, e di questo
se ne
dispiacque: era ancora così restia ad aprirsi!
Ciò che non riuscì
a comprendere era perché
si
comportasse così: avevano trovato riparo da un alleato, non
c'era
nessun nemico da combattere, non stavano scappando, avevano mangiato
abbondantemente e dormito tranquilli. Eppure lei era l'unica ad
estraniarsi da tutto, ad essere mogia e preoccupata. Persino Thorin,
dopo una notte ristoratrice, sembrava più sereno!
Cercò di rivolgerle il più rassicurante dei
sorrisi, al quale lei
ricambiò con un lieve accenno, una smorfia debole e poco
convincente.
Poco dopo mezzogiorno mangiarono con Beorn per l'ultima volta, con
Thorin che si sedette alla sua destra; dopodiché li condusse
fuori,
dove trovarono un pony ciascuno, già sellato e pronto.
Mancavano
solo le provviste, sufficienti per molte settimane e imballate con
cura così da poter essere trasportate con
facilità: mentre si
affaccendavano a distribuirsi i vari pacchi tra loro, Beorn li
avvisò
su ciò che avrebbero trovato.
<< Troverete acqua a sufficienza da questa parte della
foresta
ma, una volta a Bosco Atro, sarà difficile anche procurarsi
del
cibo! Le noci non sono ancora pronte, e sono l'unica cosa
commestibile: il resto è selvaggio, feroce e strano. Vi
darò archi
e frecce, anche se dubito che riuscirete a usarli. Inoltre, so che
c'è un corso d'acqua, nero e turbinoso, che attraversa il
sentiero:
non dovete berci né bagnarvici, perché le sue
acque sono magiche e
danno sonnolenza ed oblio. Per cui MAI, e ripeto mai, allontanarvi
dal sentiero. Girano strane creature, laggiù
>>.
Più che confortarlo, Bilbo si ritrovò a tremare
impercettibilmente
a tutti quegli ammonimenti sinistri: era davvero così
spaventosa
quella foresta? Forse era il motivo dell'inquietudine di Karin, si
ritrovò a pensare: in fondo, il suo esilio l'aveva portata a
viaggiare in ogni dove. Che fosse passata anche per Bosco Atro?
<<
Che la fortuna vi assista! E se mai dovreste ripassare per di qua,
sarete più che benvenuti: ognuno di voi >> li
guardò tutti,
soffermandosi anche su Karin; si scambiarono uno sguardo strano,
convenne lo hobbit. Ma non vi badò molto: anzi, i suoi occhi
lo
portarono verso Thorin, che guardava i due con un'espressione truce;
si avvicinò a Beorn, gli occhi glaciali.
<< Ti ringrazio a nome della Compagnia per la tua
ospitalità,
e per l'aiuto che ci hai dato. Possa la fortuna assistere anche te
>>
disse, con tono regale; nonostante l'evidente dislivello d'altezza
–
Beorn era addirittura più alto di Gandalf – Thorin
sembrò
innalzarsi, e divenire grande ai loro occhi. Trasmetteva una forza ed
un'alterigia notevoli, da vero sovrano.
Beorn fece un lieve cenno col capo; Thorin montò per primo
sul suo
pony, venendo seguito da tutti gli altri, che ringraziarono il
mutapelle per l'ultima volta.
Poi fecero girare i loro destrieri e lasciarono alle spalle la casa
di legno e le sue arnie, volgendo verso nord e poi a nord-est,
proseguendo nella loro avventura.
Seguirono il consiglio di Beorn, cavalcando in silenzio e verso la
roccaforte degli orchi, a nord; non si sarebbero mai aspettati tale
scelta, ed avrebbero perso tempo a cercarli in altre zone. Ma quando
la linea del fiume si avvicinò, e misero una buona distanza
con le
vette scure e minacciose delle montagne, i soliti ripresero a
chiacchierare spensierati.
Cavalcarono tutta la giornata, fermandosi solo quando necessario: il
tramonto inondò il verde paesaggio di un rosso vivo e
finalmente si
fermarono, scendendo doloranti dalle selle.
<< Splendido! >> commentò
estasiato Ori, mentre volgeva
lo sguardo al sole infuocato.
Bilbo si disse d'accordo, annuendo; slacciò il pacco che
portava
appresso, tirandone fuori delle gallette: a detta di Beorn, ne
bastava una piccola quantità per rifocillarli, ed era
curioso di
verificarlo.
Non accesero il fuoco, per prudenza: erano ancora troppo vicini alle
montagne e, finché non si fossero inoltrati nelle foresta,
non
serviva correre inutili rischi.
<< Sapete >> commentò Bofur dopo
un po', la bocca piena
di cibo << non è male questa roba!
>>.
<< Non ne vado matto >> replicò
Dori, guardando la sua
con sospetto; molti annuirono, e perfino Thorin si disse d'accordo.
<<
Tu non mangi, Karin? >> chiese curioso Kili, con un tono
di
voce leggermente
alto che fece trasalire non solo lei, ma anche gli altri.
La ragazza sembrò riscuotersi, e sbatté le
palpebre << Io
non... >>.
<< Mangia >> le ordinò asciutto
il re << devi
essere in forze: non voglio pesi inutili appresso >>.
Il suo tono non avrebbe tollerato repliche di alcun genere: non che
lei ne avesse. Era solo stanca, ed aveva bisogno di stare da sola con
i suoi pensieri.
Si costrinse a masticarla e ingoiarla, sotto lo sguardo di tutti: ma
lei non aveva occhi che per Thorin. Dunque era così che
l'avrebbe
trattata: se lo immaginava, dopotutto. Bene, lei l'avrebbe lasciato
fare: ora aveva altre cose di cui preoccuparsi, non certo dei suoi
costanti sbalzi d'umore!
Che continuasse pure a combattere con i sentimenti contrastanti, quel
cocciuto!
Deglutì l'ultimo boccone allungando un braccio verso Bilbo,
la mano
tesa.
<< Bilbo, saresti così gentile da passarmene
un'altra?
Improvvisamente la fame mi è tornata >>
replicò ironica,
abbozzando un sorriso di sfida verso il re: lui la freddò
con
un'occhiata, incrociando le braccia al petto. Non commentò,
guardandola solamente mentre terminava la seconda galletta, per poi
ordinare bruscamente che Oin e Dwalin avrebbero fatto il primo turno
di guardia.
Andò a coricarsi prima di tutti, furente per quell'ennesimo
affronto, mentre il resto rimase ancora sveglio per un po'; poi, dopo
uno sbadiglio particolarmente grande di Bombur, decisero di andare a
riposarsi.
Dormirono male, sognando ululati di lupi che davano loro la caccia e
grida di orchi, che li scossero nel profondo.
Al quanto giorno di cavalcata iniziarono ad intravvedere la foresta,
un muro nero e minaccioso innanzi a loro. Il terreno
cominciò a
salire, gli uccelli – che li avevano allietati coi loro
gorgheggi -
non cantarono più; i cervi erano spariti, così
come i conigli
selvatici che, invece, in quei giorni li avevano accompagnati.
Verso il pomeriggio raggiunsero i primi alberi estremi del Bosco, e
si riposarono sotto le fronde. Avevano tronchi forti e nodosi, rami
contorti e foglie lunghe e scure: l'edera cresceva su di essi e
strisciava al suolo, confondendosi con l'erba sulla quale erano
seduti.
<< Questo è Bosco Atro, la foresta
più estesa del mondo
settentrionale >> disse Gandalf, accendendosi la pipa
<<
Ora dovete rimandare indietro i pony, come d'accordo >>.
Alle leggere proteste dei nani rispose che erano pazzi <<
Beorn
ci ha sempre seguiti, ogni notte: tiene a quegli animali come figli
e, ora che è nostro alleato, è bene rispettare i
patti >>.
<< Ed è esattamente ciò che faremo
>> rispose Thorin,
volgendo una torva occhiata ai nani, di rimprovero << non
è
mai stata mia intenzione rimangiare la parola data >>.
Gandalf ridacchiò, vedendo che Thorin era riuscito a far
vergognare
i compagni del loro comportamento.
<< E il cavallo? Non hai parlato di lui, mi pare
>>.
<< Infatti, no; sarò io stesso a riportare gli
animali, mentre
voi proseguirete il viaggio >>.
Bilbo protestò forte, e così fecero gli altri:
capirono che per lo
stregone era giunto il momento d'andare.
<< Forza, di questo ne abbiamo già parlato! Ho
degli affari da
sbrigare a sud, e sono già in ritardo; ma ci rincontreremo
presto,
non temete! Non fare quella faccia, Bilbo Baggins! Pensate al tesoro
che vi spetta una volta giunti a Erebor, su! >>.
Questo smorzò le parole, lasciandoli amareggiati e
sconsolati.
Scaricarono i pony e si distribuirono i pacchi, assicurandoli alle
schiene.
<< Accidenti, se pesa! >> si
lamentò lo hobbit, con una
smorfia in volto.
<< Presto diventerà sempre più
leggero. E quando avverrà,
desidereremo averlo più pesante >>
commentò Thorin.
<< Bene, addio! Adesso la vostra strada va dritta
attraverso la
foresta; e ricordate ciò che vi è stato
raccomandato: non lasciate
la pista! Se lo fate, c'è una possibilità su
mille di ritrovarla, o
di uscire dal bosco. E allora non credo che nessuno potrà
mai
rivedervi! >>.
Girò il cavallo e si allontanò al galoppo, verso
occidente,
sparendo alla loro vista.
I nani non l'avrebbero mai ammesso a voce alta, ma erano pieni di
sgomento all'idea che Gandalf li avesse abbandonati; come richiamati
da una forza misteriosa ed ammaliatrice, tutti si girarono verso i
fitti alberi verdi e scuri, guardandoli con preoccupazione crescente:
cominciava la parte più pericolosa del viaggio, ne erano
consapevoli.
Si assicurarono meglio alle spalle i loro fardelli e gli otri
d'acqua, riempiti poco prima grazie ad un ruscelletto; volsero la
schiena alla luce che inondava le terre ad ovest, tuffandosi nella
foresta.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Salve a tutti, rieccomi con l'ottavo capitolo :) spero vi sia
piaciuto! Come l'avete trovato in generale? Avete apprezzato il
dialogo Beorn/Karin? E quello Thorin/Balin?
Probabilmente, nel leggerlo, alcuni di voi avranno pensato:
“mamma
mia, qui Thorin è proprio OOC, si è rammollito di
brutto!”
Ma,
vedete... Thorin ha amato veramente
Karin, è stato il suo unico amore e, nonostante
ciò che hanno
passato, non riesce a dimenticarlo nemmeno a distanza di anni: sono
così diversi ma simili nel carattere (penso l'abbiate notato
;) ),
eppure si completano, dandosi forza a vicenda. Lui non lo
ammetterebbe mai a voce alta, come avete potuto leggere, nonostante
provi questi sentimenti fortissimi e ne soffra, perché
sempre in
contrasto: da un lato lei, dall'altro la rabbia per le sue azioni;
solo con Balin ha ceduto per un attimo, confessandogli di non farcela
a rimanere impassibile e pieno d'odio, ma lo vorrebbe col cuore:
perché è convinto di avere ragione,
perché è testardo come un
mulo, perché è semplicemente Thorin, con i suoi
mille difetti ed il
peggior carattere del mondo quando si parla di orgoglio ferito e
fiducia persa. Sono le persone che ti fanno soffrire che sono
più
difficili da dimenticare, e per lui è così:
fatica a dimenticare
ciò che Karin ha rappresentato, e patisce le pene
dell'inferno.
In sostanza, ciò che voglio dire è che: anche i
nani cazzuti hanno
un cuore e soffrono!
Di sicuro a nessuno è passato per il cervello di pensarlo
OOC, e
sono solo io a farmi 'ste paranoie XD XD: però avevo bisogno
di
spiegarvi come la pensassi, e sono certa che abbiate capito :D
In pratica, vi ho spoilerato ciò che prova il nostro bel re
XD: poi
non dite che sono maledetta perché non dico nulla, eh ;)?!?
Hahahahaha, scherzo, ci mancherebbe!!!!
Un
MARE di AMORE ( O.o!) a Helianto,
ledtere,
LadyGuns56,
Lady of
the sea, nini superga, Krystal91, jaybeautifldarkangel, Carmaux,
MrsBlack, Yavannah, erica0501 e J_ackie. VI
ADORO, SEMPLICEMENTE :* :*!!!
GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite- seguite- ricordate e a
chi legge soltanto! Siete meravigliosi!
Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra riconoscente
Anna <3 <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
Note autrice
Ragazzuole, il capitolo nove è servito!
Credo
di poterlo ancora considerare a rating verde.
Ci leggiamo giù :*
CAPITOLO NOVE
<< Cosa hai visto? >>.
Karin sbatté le palpebre, senza spostare lo sguardo alla sua
destra,
dove sapeva esserci Thorin.
Stava in piedi, e la presenza del re dei nani si era fatta tangibile
senza che se ne rendesse conto: il braccio più forte e
muscoloso di
lui le sfiorava il suo, ma nessuno si ritrasse; le aveva parlato con
voce profonda e tranquilla, senza la solita rabbia o freddezza. Era
la prima volta che le rivolgeva la parola, da quando... bé,
da
quando era successo quello spiacevole episodio.
<< Mi è parso di scorgere una grossa ombra,
laggiù >>
gli indicò il punto, tendendo un braccio <<
tra gli alberi >>.
Con la coda dell'occhio lo vide scrutare la penombra data dai rami
grossi e dai virgulti opachi, per poi scuotere la testa, dopo un
lungo silenzio concentrato.
<< Non riesco a vedere nulla con questa
oscurità. Ne sei
certa? >>.
<< Sì. Ma cosa potrebbe essere?
>>.
<< Questo non lo so. Tu... >>.
Non lo fece terminare, intuendo la domanda << Non ho mai
calcato questi sentieri; non conosco questa parte di foresta
>>.
Anche
se non lo vide lui mosse il capo, spazientito << Hai
detto che
hai visto una grossa
ombra
nera. Potrebbe trattarsi di Beorn >>.
<< Il mutapelle? E perché mai?
>> gli chiese, stavolta
girando il capo; lui, invece, continuava ad osservare lontano.
<< Forse vuol accertarsi se stiamo seguendo il suo
consiglio >>
disse << O dovrebbe esserci dell'altro? >>
domandò
noncurante, finalmente incontrando i suoi occhi.
Karin aggrottò la fronte, non riuscendo a comprendere quella
che le
parve un'insinuazione: dove voleva arrivare?
Se le si era avvicinato solo per porle domande inutili e insensate
poteva benissimo risparmiare il fiato!
<< Cosa stai cercando di dirmi, Thorin? >>
sbottò, lo
sguardo scintillante; lui, come sempre, non si scompose minimamente.
<<
O forse vuol semplicemente seguire la sua nuova preda
>>
le rispose, continuando come se lei non avesse parlato: l'azzurro
degli occhi divenne ancora più freddo e glaciale mentre la
squadrava, e la mascella gli si contrasse.
<<
Preda? >> ripeté incredula, preferendo non
badare al tono
infastidito con cui le era stata posta la domanda: ma non
riuscì a
comprendere ciò che voleva dirle. Per quanto provasse a
pensare, la
risposta non le giungeva: la mente non era libera, essendo ingombra
di pensieri funesti; da quando avevano sorpassato i due grandi alberi
contorti che segnavano l'inizio del sentiero - portandoli in un
tunnel tetro di alberi dalle foglie talmente fitte che alcuni raggi
del sole raramente riuscivano a infiltrarsi - si era estraniata da
tutto e tutti. Mentre seguiva gli altri, camminando in fila indiana
lungo il sentiero stretto e serpeggiante, continuava a voltarsi
indietro: c'erano così tanti rumori, grugniti, calpestii,
tramestii
frettolosi nel sottobosco e tra le foglie senza fine che erano
ammucchiate a terra, che ne era a dir poco terrorizzata; non voleva
che qualcosa o qualcuno
le
piombasse alle spalle senza poterlo vedere e sentire. E, con orrore,
dopo un paio di giorni aveva scorto quell'ombra che, furtiva e
silenziosa, li seguiva a parecchi metri di distanza, convinta di non
essere vista. Ma il sangue hobbit di Karin le aveva permesso di
individuarla ugualmente.
Dapprima le era sembrata un'allucinazione data dalla paranoia e dalla
luce fioca presente nella foresta, ma si era sbagliata: purtroppo,
però, sembrava l'unica in grado di vederla. Nemmeno Bilbo,
che
possedeva una vista acuta, l'aveva notata; l'ombra si dileguava
rapidamente, mostrandosi solo a lei. E questo la spaventava
moltissimo, tanto che si era rinchiusa in un mutismo assoluto,
guardando con sospetto qualsiasi foglia, ramo o cespuglio verde scuro
presenti.
Fino ad ora.
<< Senti, se vuoi continuare con assurdi indovinelli stai
perdendo tempo: non me la sento di partecipare >>
replicò,
asciutta.
<< D'accordo, basta giocare >> la
guardò così
seriamente che Karin si chiese cosa avesse combinato. Eppure non si
erano rivolti la parola per giorni, per Durin!
<<
Rispondi con sincerità a questa semplice domanda: tu
conoscevi già
Beorn?
>> domandò lentamente, scandendo l'ultima
parte di frase; la
guardò negli occhi, sondandole l'anima come solo lui sapeva
fare.
Karin avrebbe voluto stare zitta per ripicca, poiché le
sembrava una
domanda totalmente inappropriata, ma le labbra si mossero da sole.
<< No >>.
Sostenne
il suo sguardo, lasciando che gli occhi parlassero al posto suo:
permise ai freddi occhi azzurri di scavarle in profondità,
non
celandogli nulla, sfidandolo a darle della bugiarda; lui lo sapeva
che
era la verità, che era sincera. Si chiese se avesse
ascoltato il
dialogo nella veranda, rispondendosi negativamente: se così
fosse
stato, le avrebbe imposto più di una domanda. E non sarebbe
stato
così relativamente
calmo
nel porgliela.
Finalmente, dopo quelli che furono momenti infiniti spostò
lo
sguardo, tornando a scrutare gli alberi: era infastidito dal fatto
che non gli avesse mentito, lo capì dalle labbra serrate.
Lei, al
contrario, era sempre più perplessa: perché,
improvvisamente, tutto
questo interesse per Beorn? Per quale motivo avrebbe dovuto
conoscerlo? Quale tassello le sfuggiva per completare il quadro?
Troppe domande, nessuna risposta.
Karin rimase ancora qualche attimo a studiarne il profilo regale e
dritto, e molto severo. Ogni suo tratto, ogni sua ruga, erano ferrei
e inflessibili: eppure rammentava così bene quando non ve
n'era
nessuna, ed i sorrisi spianavano le labbra sottili, anche se rari e
inattesi.
Sospirò
piano, cercando di non farsi sentire << Potrebbe non
essere lui
>>
ammise, incrociando le braccia al petto << Mi disse che
ci sono
anche altre creature, in questo luogo >>.
<< Che siano dannate, e che lo sia anche questa maledetta
foresta! >> sbottò furioso, alzando un po' la
voce e perdendo
ogni briciolo di pazienza.
A Karin scappò una leggera risata, condividendo appieno il
suo
turbamento: Thorin se ne accorse ma non disse nulla, inarcando solo
un sopracciglio all'accenno di ilarità.
Rimasero l'uno accanto all'altra ancora per alcuni minuti, in
silenzio ed intenti a perlustrare con lo sguardo ogni centimetro di
foresta che riuscivano a scorgere, finché la voce tonante di
Dwalin
non li sorprese.
<< Thorin! Vieni a vedere, presto! >>.
Il re non se lo fece ripetere due volte e Karin lo seguì,
curiosa.
Il resto del gruppo si era fermato poco più avanti, ed ora
stava
immobile ma in allerta, le teste rivolte verso il medesimo punto.
Quando la ragazza vide la causa del loro turbamento si
arrestò, non
volendo crederci: appiccicate ai rami e ai tronchi c'erano grosse
ragnatele scure e spesse, con fili estremamente robusti. Alcune erano
tese da un albero all'altro, altre erano solo aggrovigliate sui rami
ai lati del sentiero: nessuna intralciava il loro cammino. Almeno,
per ora.
Karin
iniziò a comprendere quali altre bestie
popolassero
il Bosco, ed il cuore le giunse in gola: forse le ombre che
continuava a vedere erano proprio... ragni.
<< Allontaniamoci da qui, immediatamente >>
ordinò
Thorin, avendo i suoi stessi pensieri. Poi, inaspettatamente, si
girò
verso di lei << Starai per ultima. Sai cosa fare
>>.
Senza aspettare una risposta precedette i compagni, avviandosi a
grandi falcate lungo il percorso; gli altri lo seguirono in fila
indiana, guardandosi attorno nervosi.
Anche lei lo fece e, ora, le parve di intravvedere innumerevoli occhi
scintillanti tra le foglie, di sentire numerosi calpestii nel
sottobosco. Certo, lo stare in ultima postazione le permetteva
d'avere una maggior visuale senza inquietare gli altri –
visto che
l'avevano sorpresa più di una volta a girarsi
improvvisamente
facendoli andare a sbattere tra loro - e coprirgli le spalle
avvertendoli in caso di pericolo: ma chi avrebbe informato lei, se
non fosse stata abbastanza prudente ed attenta nello scrutare
l'oscurità?
Camminarono spediti per molto tempo, senza mai arrestarsi: ad ogni
ora erano sempre più frustrati, ed iniziarono ad odiare la
foresta
con tutto il cuore; non c'era un fremito nell'aria, immobile, scura e
afosa: desiderarono poter sentire le carezze del vento sul volto, ma
non vennero esauditi.
Il tempo pareva infinito, protraendosi così a lungo che
Karin perse
il conto dei giorni, delle ore e dei minuti: capiva che la sera si
avvicinava perché il buio aumentava a dismisura, tanto che
dovevano
fermarsi; agitare una mano davanti al volto risultava complicato,
così come distinguere qualsiasi figura.
Percependo un prurito alla nuca si era voltata di nuovo indietro,
credendo d'essere osservata; represse un brivido, finendo a sbattere
contro la schiena di qualcuno: era Dwalin, che le rivolse un
grugnito.
<< Attenta >> l'ammonì.
Si scusò, ma la sua attenzione venne catturata dal fiume che
sbarrava loro la strada, nero come pece e veloce; la turbò
il non
vedere un ponte intatto per passarlo, e lo sconforto la prese, come
accadde agli altri. In più, solo sentire il rumore
dell'acqua che
scorreva le fece venire una sete atroce, e deglutì
inutilmente
poiché senza saliva: cercava di resistere il più
possibile, visto
che ormai alcuni otri erano vuoti.
Bilbo si era avvicinato alla riva, scrutando avanti <<
Guardate! Dall'altra parte c'è una barca! >>.
<< Quanto credi sia lontana? >> chiese
Thorin,
avvicinandosi.
<< Non molto: direi dieci metri, più o meno.
Tu che ne pensi,
Karin? >>.
Alla domanda di Bilbo mosse qualche passo, affiancandosi per la
seconda volta a Thorin; cercò di non badarci, concentrandosi
sull'imbarcazione.
<< Difficile esserne certi, con questa luce: comunque
credo
siano un po' di più >>.
<< Questo non ci aiuta granché
>> borbottò il re <<
se non abbiamo nulla con cui prenderla. E non possiamo certo nuotare!
>>.
<< E se usassimo una corda per agganciarla?
>> propose lo
hobbit; Thorin lo guardò, accigliandosi.
<< Potrebbe essere legata. Non servirebbe a nulla
>>.
<< Perché non proviamo, invece?
>> si intromise Karin <<
Non mi pare di vederne altre che l'attacchino alla riva opposta
>>.
Thorin rimase qualche secondo in silenzio, annuendo. Poi si
girò <<
Fili, lancerai tu la corda >>.
Il nipote rovistò nello zaino finché non ne
trovò una abbastanza
lunga e spessa, donata da Beorn; assicurò un grosso uncino
di ferro
all'estremità ed osservò bene la barca, cercando
di capirne
l'esatta direzione. Dopodiché la bilanciò un
momento in mano,
lanciandola attraverso il ruscello.
Gli altri trattennero il fiato, imprecando quando cadde in acqua,
sollevando alcuni spruzzi.
<< Peccato! >> esclamò Bilbo
<< Un altro mezzo
metro e ce l'avresti fatta! >>.
<< Prova ancora >> ordinò
Thorin, lo sguardo puntato
verso l'altra riva << ma sta' attento alla parte bagnata
>>,
Fili prese in mano l'uncino dopo averlo ritirato, timoroso di un
qualche effetto del fiume; il lancio, stavolta, fu più
forte,
finendo nel bosco.
<< Tirala indietro più piano che puoi, Fili
>>.
<< Attento, ci sei quasi; è sulla barca
>> l'informò
Karin.
Il giovane nano tirò invano: l'aiutarono anche gli altri,
dando
poderosi strattoni; finalmente la barchetta si staccò
– era
proprio legata – e, in velocità, si diresse verso
di loro, libera.
Si concessero un sorriso, visto che ora poteva passare dall'altro
lato: ma sorse un problema fondamentale.
<< Chi attraversa per primo? >> chiese
Bilbo.
<< Io, e tu verrai con me insieme a Fili e Balin
>>
rispose il re << Dopo verranno Kili, Oin, Gloin e Dori;
poi
Ori, Nori, Bifur e Bofur; per ultimi Bombur, Karin e Dwalin
>>
lanciò uno sguardo d'intesa all'amico, facendogli capire che
doveva
controllare la ragazza al posto suo. L'altro annuì,
comprendendo ed
assicurandogli con un'occhiata decisa che ci avrebbe pensato bene.
<< Ma come faremo ad arrivare senza remi?
>> chiese
Gloin.
<< Assicurerò un altro uncino ad un'ulteriore
corda >>
rispose Fili, mettendosi subito all'opera. Lo lanciò nel
buio e in
alto: doveva essersi impigliato tra i rami, poiché non
ricadde.
<< Ora non dovete far altro che tirare questa corda
portandovi
dietro anche la prima e, una volta all'altra riva, la potete fissare
alla barca e rimandarla indietro >>.
Non ci volle molto perché tutti furono in salvo: ora toccava
all'ultimo gruppo.
Karin afferrò la mano che Bombur le porse per aiutarla, e si
sistemò
al centro della piccola imbarcazione, cercando di calibrarne il peso;
quella ondeggiò pericolosamente quando Dwalin
salì, ma si
stabilizzò subito. Bombur tirò la corda con
forza, mentre l'altro
avvolse attorno al braccio ciò che rimaneva della prima.
Karin si
sporse ad osservare il pelo dell'acqua, torbida e dall'odore
sgradevole. Arricciò il naso, reprimendo un brivido:
possibile che
ogni cosa dovesse essere minacciosa e sinistra, in quel bosco?
Dopo qualche minuto passarono dall'altra parte, venendo aiutati a
scendere dagli altri: Kili le tese un braccio, issandola su; non
appena posò i piedi sull'erba soffice, però, si
immobilizzò
tendendo le orecchie, il cuore che mancò un battito.
Ci fu un sordo rumore di zoccoli, sul sentiero davanti a loro; dalla
penombra uscì improvvisamente la sagoma volante di un grosso
cervo,
che caricò i nani facendoli crollare a terra, per poi
prepararsi a
saltare. Con un unico e potente balzo riuscì a superare il
fiume, ma
dovette fare i conti con la rapidità di Thorin: tese il suo
arco ed
incoccò una freccia, colpendolo con un tiro veloce e sicuro.
La
bestia arrivò sulla riva opposta e inciampò: le
tenebre
l'inghiottirono, e nemmeno la vista di Karin riuscì a
scorgerla;
ancora col batticuore dato dallo spavento si rialzò, udendo
il grido
tremendo di Bilbo.
<< Bombur è caduto in acqua, sta affogando!
Presto, presto!
>>.
Ci fu un gran trambusto ed un viavai notevole: chi si
precipitò a
prendere e srotolare la corda e chi si preparò vicino alla
riva per
prenderlo; il nano riuscì ad afferrare l'uncino, e tirarono
tutti
per trarlo in salvo. Era fradicio e, con sommo orrore, addormentato
profondamente.
<< Questa non ci voleva! >> gemette Ori,
sconsolato.
Gli altri proruppero in forti imprecazioni, maledicendo il bosco e la
loro sfortuna.
<< Calmiamoci >> disse Thorin dopo un po'
<< Quel
che è fatto è fatto, non possiamo cambiarlo:
aspetteremo che si
svegli e, nel frattempo, lo porteremo a turni di quattro
>> non
fece alcun commento riguardo la sua stazza, ma ci pensò
Bofur.
<< Si può sapere perché
è così grasso? Addirittura in
quattro per trasportarlo! >>.
<< E tu avrai l'onore di essere uno di questi
>> commentò
sarcastico Thorin, zittendolo << Da' il tuo zaino a Nori.
Dori,
Gloin e Bifur ti aiuteranno >>.
Non
riuscì ad aggiungere altro che si bloccò,
dilatando gli occhi
chiari: un fioco soffiare di corni nelle profondità del
bosco li
mise in allerta, facendoli sfoderare le armi. Karin era terrorizzata,
e pregava chiunque,
lassù,
che non si accorgessero di loro.
Fecero silenzio, ma dentro di lei infuriava la battaglia più
rumorosa: socchiuse gli occhi, cercando di fermare il suo tumulto.
Dovette serrare le mascelle e mordersi la lingua, stringendo forte i
pugni tanto da farsi male; cercò di controllare il tremito
freddo
che l'aveva pervasa e, dopo quelli che le sembrarono secoli, ci
riuscì. Ora il silenzio regnava, in lei e al di fuori. Se
n'erano
andati.
Espirò, come se avesse trattenuto il fiato per molto tempo:
gli
altri erano tesi, e non si mossero finché non lo fece il
loro capo.
<< Dobbiamo essere il più prudenti possibile,
d'ora in poi.
Karin, tu verrai davanti con me; Dwalin, dietro: e occhi aperti
>>.
Thorin
non faceva che stupirla, quel giorno: non solo le aveva rivolto la
parola di sua spontanea volontà, ma ora le chiedeva di affiancarlo.
Non
si curò troppo delle molte domande che le si affacciarono,
ma eseguì
senza fiatare. Era ancora troppo sconvolta per sollevare inutili
questioni.
Quel
che non sapeva era il vero
motivo
della scelta: dopo l'iniziale stupore di quella strana battuta di
caccia elfica, i
suoi occhi erano saettati al volto della ragazza, per vederne la
reazione; era l'esempio di angoscia e panico più puro. Il
poco
colorito rosato era scomparso, lasciandola pallida: la vide
rabbrividire di paura e serrare gli occhi, le mani contratte, le
labbra serrate ed esangui. L'afa data dalle folte chiome degli alberi
le aveva appiccicato alcuni capelli alla fronte, mentre altri le
incorniciavano il collo, sfuggiti alla treccia frettolosa.
Era
spaventata e, per lunghi momenti, un sottile ma sempre più
crescente
senso di colpa si era insinuato in lui, come un serpente si
attorciglia attorno alla preda. Gli si avvinghiò al cuore,
stringendolo così forte da sentire dolore:
dovette
abbassare la testa per ricacciarlo indietro, mentre parte della
coscienza che aveva sepolto negli anni gli ripeteva che Karin era una
vittima,
e che doveva proteggerla.
Dovette impedirsi di colmare la distanza tra loro con ampie falcate e
attirarla a sé.
Già
l'averle ordinato di stargli accanto lo infastidiva, ma si disse che
era la scelta giusta: doveva
tenerla
d'occhio. Solo così sarebbe stato più tranquillo.
Ogni tanto uno sfiorava il braccio dell'altra, visto il sentiero
stretto: cercò di reprimere il bisogno di spostarsi,
mantenendo
invece i nervi saldi e occhi e orecchie tesi, pronti a captare
qualsiasi movimento o suono.
Anche lei era concentrata, ma una parte di sé percepiva il
contatto
con l'arto di Thorin: trovava esilarante il fatto che, avendo deciso
di non pensare a lui più del dovuto, si ritrovava a fare
esattamente
il contrario. Scosse la testa, indurendo lo sguardo quando vide
qualcosa muoversi, più avanti.
<< L'hai vista? >> sussurrò,
piena d'ansia.
<< Sì >> fece lui, di rimando
<< Stai calma >>
le intimò; si arrestò, costringendola a imitarlo.
Sentirono gli
altri sbuffare – probabilmente quelli che trasportavano
Bombur –
ma nessuno parlò. Alcuni cespugli si mossero, frusciando
minacciosi
tra loro: col cuore in gola e sudata, Karin aprì e chiuse i
palmi
delle mani nervosamente, per placarsi. Thorin aveva impugnato Orcrist
ed attendeva, impaziente: il fruscio si avvicinò e, dalla
pianta,
fuoriuscì uno scoiattolo nero. Veloce come un fulmine
zampettò
verso il primo tronco vicino, sparendo tra i rami; ai nani ci volle
qualche secondo per riprendersi, ed espirarono sollevati: nulla di
allarmante o pericoloso, e questo era un bene!
Karin si diede della sciocca bambina impaurita: tutto quel
preoccuparsi per niente... si portò una mano alla fronte,
togliendosi il sottile velo di sudore. Si vergognò d'aver
sbagliato
previsione mettendo in allerta i compagni, ma Thorin non
commentò:
le sfiorò il gomito, facendole cenno di seguirlo.
Continuarono a camminare per quattro lunghi giorni, ma parve
un'eternità: il paesaggio iniziò a mutare,
portando un po' di
speranza; il sottobosco fitto era sparito, e l'ombra non era tanto
fonda. Ai lati del sentiero riuscirono a distinguere una tenue luce
verdastra, la quale fece loro vedere infiniti altri tronchi grigi,
diritti come colonne; c'era una lieve brezza che fece frusciare
giù
alcune foglie, ricordando loro che l'autunno stava arrivando. I loro
passi calpestavano quel manto scricchiolante, accompagnandoli lungo
la marcia silenziosa e cupa.
Bombur dormiva sempre, ed essi diventarono sempre più
stanchi:
raggiunsero l'apice dello sconforto quando terminarono le scorte di
cibo; provarono a cacciare qualche scoiattolo e a cuocerlo, ma era
sgradevole, ed abbandonarono quell'opzione. In più, a tratti
sentivano risuonare delle risate inquietanti, e dei canti, portati
dal vento: si irrigidivano, e Karin ruotava il collo talmente in
fretta che, di lì a poco, si sarebbe spezzato. Divenne
più
silenziosa e scattava per un nonnulla, facendo spazientire i suoi
compagni: non li aiutava vederla in quello stato disperato.
La mattina dopo accadde un fatto che, in parte, li rallegrò:
Bombur
si svegliò e si mise a sedere, grattandosi il capo.
Tutti gli si avvicinarono, e perfino Karin lasciò da parte
il
malumore.
<< Come ti senti? >>.
<< Ho una gran fame! >> esclamò,
facendoli ridacchiare:
se aveva risposto così significava che si sentiva benone!
Bombur si guardò attorno, spaesato; lo sguardo gli cadde
sugli
innumerevoli tronchi che li circondavano, sul sentiero appena
accennato e sui volti tirati e smunti dei compagni.
<< Ma che è successo? Cos'è questo
posto? Non eravamo nella
Contea? >>.
I
nani si guardarono tra loro, preoccupati dalle sue domande: la
Contea?
<< Siamo a Bosco Atro, Bombur >> gli
spiegò paziente il
fratello: forse la fame atroce gli annebbiava la mente <<
non... non ricordi? >>.
Quello scosse la testa, spiegando che rammentava solo di essere
giunto a Vicolo Cieco, ed aveva mangiato moltissimo; gli altri
agitarono le mani, facendogli capire che doveva tacere.
<< Fantastico, ci mancava solo l'amnesia!
>> esclamò
scocciato Nori.
<< Quale maledetta magia impregnava quelle acque?
>>
domandò Balin.
<<
Una molto potente >> rispose cupo Thorin <<
elfica,
purtroppo
per noi. Bofur, spiegagli brevemente cosa ci è accaduto, e
dove
siamo. Fermiamoci a riposare un altro po' >>.
Karin mordicchiò il bocchino della pipa, ascoltando
distrattamente
il racconto delle loro peripezie: le sembrò di essere in
viaggio da
moltissimi anni, piuttosto che da pochi mesi! Se ripensava al
passato, a prima che Gandalf la trovasse nei boschi del nord, si
accorgeva di rammentare poco; le apparivano i volti dei nani e di
Bilbo, non la solitudine che l'aveva accompagnata.
Stava cambiando, lo sapeva: il desiderio di far parte del gruppo
superava quello di isolamento, di essere indipendente da tutto e
tutti.
Si augurò di star compiendo la scelta giusta.
<< Wow! >> esclamò il nano, alla
fine << Ne
abbiamo passate di avventure, eh? E ora mi dite che non abbiamo nulla
da mangiare: sarebbe stato meglio rimanere addormentato
>>.
<< Ah no, caro mio! >> rispose Dori,
scuotendo la testa
<< Non sai la nostra faticaccia a portarti in spalla!
>>.
<< Già, da non rifare mai più
>> commentò Kili.
<< D'ora in poi ti terremo ben lontano dalle rive dei
fiumi! >>
rincarò Fili.
<< Non potete immaginare quali sogni ho fatto! Camminavo
in una
foresta simile a questa, ma era illuminata da torce e da lampade, che
pendevano dai rami; e c'era una festa, con tavoli di legno scuro
stracolmi di cibo e di bevande. Indescrivibili! >>
esclamò
estasiato.
<< Non parlarci di queste cose! Taci! >> lo
rimproverarono gli altri, portandosi le mani alle orecchie.
<< Non rimarrò un secondo di più ad
ascoltarti, Bombur >>
inveì Thorin << Faremmo meglio a muoverci, e
proseguire il
cammino >>.
Procedettero per tutta la giornata, accompagnati dalle lamentele di
Bombur, finché un bagliore lontano li fece arrestare di
botto: era
rossastro, ed a questo se ne aggiunsero presto altri, palpitanti e
tremolanti.
<< Quel luccichio l'ho già visto nel mio
sogno! Era proprio
quello! >> fece per scattare in avanti ma la voce di
Thorin lo
fermò.
<< Aspetta! Non sappiamo chi o cosa potrebbe essere
>>.
<< Ma se restiamo qui non lo sapremmo mai!
>>.
<< Beorn ha detto di rimanere sul sentiero, e anche
Gandalf ce
l'ha consigliato! >> proruppe Karin, tesa come una corda
d'arco.
<< Potremmo avvicinarci di poco, senza lasciarlo
>>
propose Blbo, mettendo d'accordo tutti.
Avanzarono cauti, cercando di fare il minimo rumore possibile; prima
di avvicinarsi troppo impugnarono le armi, cercando calma e conforto.
Ora era evidente che si trattassero di fuochi, ma erano troppo
lontani dalla pista, e si perdevano nel folto.
<< Sembra che il mio sogno si stia avverando
>>
boccheggiò Bombur, sempre più desideroso di
raggiungere le luci.
<< Un banchetto non servirebbe a niente, se non ne
tornassimo
vivi >> sentenziò Thorin.
<< Ma senza esso non rimarremo in vita a lungo
>>
constatò Bombur, venendo appoggiato dallo hobbit. Cosa
avrebbe dato
per mettere qualcosa sotto i denti! Lo stomaco gli brontolava
così
forte che, a volte, si perdeva nell'aria.
Thorin rimase zitto, incerto sul da farsi: gli altri preferirono
tenere i loro pensieri per sé, sapendo che il re era molto
più
suscettibile in quel luogo. Molti di loro, però, si
augurarono che
ascoltasse il nano.
Karin guardava nervosamente il bagliore e Thorin, il cuore che le
rimbombava nelle orecchie: sperò con tutta la sua anima che
prendesse la decisione giusta, dettata dal buonsenso.
<< Non mi convince, fratelli. Vorrei evitare ulteriori
problemi
e continuare >>.
<< Siamo talmente tanto affamati che non riusciamo a
muovere un
altro passo >> esalò Balin, lisciandosi la
barba.
<< Quindi che proponi di fare? >> chiese il
re.
L'anziano nano lo guardò, pensieroso << Un
gruppo potrebbe
farsi ambasciatore e perlustrare la zona, intanto >>.
<< E, una volta sicuri, potremmo avvicinarci
>> continuò
Dwalin; anche se si strinse nelle grosse spalle, poterono capire
quanto fremesse, in realtà.
<<
Ma sono elfi >>
obiettò Thorin, ritrovando parte dello spirito battagliero.
<<
Lo sappiamo bene, ma dobbiamo
chiedere
aiuto, o non ce la faremo >>.
Balin
non aveva tutti i torti, constatò Karin: erano stremati, e
fiacchi.
Giustamente, però, erano anche elfi.
Di
Bosco Atro. Una razza con cui non voleva avere nulla a che spartire.
Non più.
Era ormai palese la difficoltà di Thorin: da un lato il
rancore,
dall'altro il dovere di re; infine, dopo lunghi minuti di silenzio,
sembrò ritrovare la voce.
<< D'accordo. Manderemo due spie però, non un
gruppo: meglio
procedere con cautela >>.
I nani si mossero, irrequieti e a disagio: nessuno aveva voglia di
abbandonare gli altri ed avventurarsi nel folto della foresta,
specialmente per seguire dei fuochi elfici. Il re sembrò
spazientirsi sempre più.
<< Ebbene? Adesso che mi avete convinto nessuno vuol
farsi
avanti? Capisco i vostri pensieri, ma non dovete temere: non verrete
abbandonati a voi stessi. Il resto di noi sarà pronto con le
armi
sguainate >>.
Ancora più silenzio: molti spostarono lo sguardo ovunque
tranne che
verso Thorin.
<< Nori? Kili? >>.
Presi in causa i due si guardarono stralunati, cercando di trovare
una qualche scusa, ma il re li precedette, passandosi una mano sulla
fronte.
<< Va bene >> borbottò,
corrugando la fronte <<
Non abbiamo scelta: andremo tutti >>.
<< NO! >> scattò Karin, alzando
la voce; quattordici
teste si girarono verso di lei, guardandola con preoccupazione ed
astio per aver quasi urlato: non dovevano farsi scoprire, per nessun
motivo!
Lei
deglutì, avanzando verso Thorin << Dobbiamo
rimanere qui,
sul
sentiero! Sia Gandalf che Beorn ci hanno raccomandato di farlo
>>.
<< Lo so benissimo, ma ora loro non ci sono! E se andare
là in
mezzo ci farà sopravvivere, non vedo perché
rifiutare >>.
<<
E se gli >> le risultò difficile anche solo
pronunciare la
parola << elfi
dovessero
catturarci? >>.
<< Che provino pure. Abbiamo con noi delle armi
>>.
<< Ma siamo troppo provati per impugnarle al meglio!
>>
constatò lei, ormai sull'orlo della disperazione
più profonda. Gli
si avvicinò di più, ormai a mezzo metro di
distanza: gli posò una
mano sui bracciali protettivi, posti sull'avambraccio.
<<
Thorin. Dammi retta, non
abbandoniamo
il sentiero; ormai la foresta si sta diradando e, presto, saremo
fuori >>.
<<
Come puoi saperlo? >> le sibilò lui, il fuoco
che ardeva nelle
iridi << Giriamo da giorni senza meta, quattro alberi
diversi
non ci porteranno fuori. Guardaci, stiamo deperendo a vista d'occhio
e, se non faremo qualcosa, moriremo in questo lurido posto! Mi
disgusta l'idea di mendicare
del
cibo dagli elfi >>
continuò, sprezzante << ma devo pensare
soprattutto al bene
della Compagnia >>.
“E
al mio non ci pensi?” avrebbe
voluto chiedergli. Ma rimase zitta, mordendosi le labbra.
<< E' deciso, non mi farai cambiare idea >>
replicò
duramente, scostandosi dalla sua mano.
<<
Thorin, ti prego
>>
tentò di farlo ragionare un'ultima volta; e se doveva
ricorrere alle
suppliche per venire ascoltata, le avrebbe usate, umiliandosi davanti
a tutti << ci perderemo. E non usciremo più
dalla foresta. Per
favore, ascoltami >>.
Ma nemmeno il tono patetico con cui la frase le uscì lo
smosse; non
la degnò di uno sguardo, mentre su di essi era calato il
silenzio
più pesante. Si avviò a grandi passi, vedendo
seguito dal fedele
Dwalin e dai nipoti: poi si aggiunsero gli altri, a testa bassa.
Karin
voleva
seguirli,
davvero. Ma le gambe non si mossero, erano pietrificate e pesanti da
spostare: per quanto la mente continuasse ad urlarle di sbrigarsi
perché li stava perdendo, non riuscì ad ordinare
ai piedi di
mettersi l'uno davanti all'altro, camminando spediti.
Rimase imbambolata e ferma, le mani serrate a pugno, le unghie
conficcate nella carne e nella ferita ormai rimarginata; col cuore in
gola, vide l'oscurità avvicinarsi lenta e inesorabile, come
un
predatore fa con la preda, pronta ad inghiottirla.
Era
sola,
nell'immensità di Bosco Atro.
Strisciarono furtivi per un pezzo, scrutando da dietro i tronchi, che
facevano loro da scudo. Videro uno spiazzo dato da alberi abbattuti,
dove il suolo era livellato: effettivamente, erano presenti molti
elfi, vestiti di verde e marrone, seduti su piccoli tronchi segati.
C'era un fuoco che brillava, e delle torce assicurate agli alberi;
molti nani sospirarono nel vedere la quantità di cibo e
bevande
presenti, e venne loro l'acquolina in bocca.
Il profumo della carne arrosto era così invitante che, uno
dopo
l'altro, avanzarono verso il fuoco, dimenticando le rivalità
e
l'astio che scorreva tra le razze. Volevano solamente elemosinare un
po' di cibo, mettendo da parte l'orgoglio nanesco.
Non appena uscirono dai loro nascondigli, però, tutte le
luci si
spensero come per magia. Qualcuno calpestò il fuoco, che si
levò in
uno scoppiettio di faville e si spense; improvvisamente sperduti e al
buio non riuscirono a trovarsi, ma la voce di Thorin si levò
alta e
imperiosa.
<< Fermi! Che nessuno faccia un passo, o ci perderemo!
>>.
Ognuno rimase dov'era, finché un nuovo brillio poco lontano
rischiarò l'oscurità. Solo allora si radunarono
tornando dal loro
re, che stava ancora nel precedente nascondiglio tra i tronchi.
<< Ci siamo tutti? >> domandò,
dando una rapida occhiata
alle facce sconvolte dei compagni.
<< Aspetta! >> gridò Bilbo,
strabuzzando gli occhi <<
Dov'è Karin? >>.
La domanda, fatta con tono tremante, spaventò la compagnia:
tutti
girarono il capo a destra e sinistra, cercando di scorgere una lunga
chioma nera tra loro, senza riuscirci.
<< Perché non c'è? >>.
<< Che l'abbiano catturata? >>.
<< Ma ci ha seguiti? >> chiese Balin, sul
volto un lampo
d'angoscia: era preoccupato come tutti per la sorte della ragazza.
<< Mi pare di sì >> disse a
fatica Kili, cercando di
ricordare.
<< Secondo me se l'è data a gambe
>> accusò Dwalin <<
Sarà tornata dai suoi amichetti >>.
<< Non è il momento per certe insinuazioni,
fratello! >>
esclamò Balin, gli occhi ridotte a fessure <<
Potrebbe essere
incappata in un qualche guaio >>.
<< O essere andata a riferire i nostri piani agli elfi
>>
continuò l'altro << Il tuo fidarti non ti
farà sopravvivere!
>>.
<< Le tue assurde ostilità sì,
invece? >>.
<<
Ora basta! >> li fermò Thorin, posizionandosi
tra loro <<
Litigare non ci aiuterà a riflettere,
né
a riportarla qui >>.
<< Io dico di lasciarla al suo destino. E' stata sua la
decisione di non seguirci >> Dwalin guardò
attentamente
Thorin, come aspettandosi manforte dall'amico; ma il re era
irrequieto, e preoccupato. Glielo leggeva negli occhi azzurri.
<<
Sai che non l'abbandonerò. Fa parte del gruppo, adesso: e nessuno
viene
lasciato indietro >>.
Dwalin sbuffò forte, trattenendosi dall'imprecare;
l'occhiataccia
che gli rivolse fu abbastanza eloquente.
<<
So ciò che ti turba, e spero di smentirti. Ma devo
andare
a cercarla >>.
<< Verrò anch'io! >> si
intromise Kili, muovendo pochi
passi decisi. Thorin scosse la testa, calmando sul nascere le vivaci
proteste del nipote: anzi, di tutti e due.
<< Andrò da solo. Ricordo bene la strada e,
secondo le mie
previsioni, si troverà ancora sul sentiero. Non
c'è bisogno che
veniate anche voi >>.
<< E se non fosse lì? >>
domandò Bilbo, con un filo di
voce: diede forma alle domande di buona parte dei nani, che non
osavano pronunciare; nella mente se la immaginava in pericolo, preda
di chissà quali creature, da sola. E ciò lo
riempiva di terrore.
Sapeva che anche Thorin era in pensiero, per quanto cercasse di
nasconderlo: una cosa che non gli riusciva molto bene, al momento.
<<
La cercherò comunque, finché le tenebre me lo
impediranno. Voi
restate qui, e non muovetevi per nessuna ragione! Se non mi vedeste
tornare andrete avanti senza di me >>.
I nani esplosero in esclamazioni stupite ed indignate, che si
placarono dopo un poco.
<< Dovrete proseguire lungo il sentiero e, con un po' di
fortuna, sarete fuori. Ci aspetterete là. Ma, almeno, sarete
al
sicuro >>.
Si rivolse a Balin, posandogli una mano sulla spalla <<
Guiderai tu il gruppo, amico mio >>.
Balin rispose al gesto, stringendo a sua volta la spalla di Thorin
<<
Fa' attenzione, ragazzo. E riportaci Karin >>.
L'altro annuì, osservandoli un'ultima volta. Poi, senza una
parola,
voltò loro le spalle, ripercorrendo la strada di prima,
sparendo
alla loro vista.
Un silenzio opprimente e depresso scese sul gruppo, all'idea che il
loro re e guida li avesse abbandonati; pieni di sconforto si
sedettero, cercando di non pensare ad oscuri presagi o visioni
angoscianti.
Dopo
alcuni secondi, la voce di Bofur spezzò la
“quiete” creatasi <<
Ve l'avevo detto, che era successo qualcosa
tra
i due! >>.
Il gruppo iniziò a borbottare imprecazioni nella loro antica
lingua,
mentre Fili diede una poderosa gomitata al nano, facendolo zittire.
Decisamente non era il momento più adatto per certe battute.
L'ansimare di Karin si confondeva con gli innumerevoli rumori e suoni
del bosco: sembrava facessero a gara per risultare più
spaventosi e
vicini di quanto in realtà non fossero, terrorizzandola.
La mano destra stringeva convulsamente il manico di Iris, riposta nel
fodero, in cerca di un conforto che non le arrivava. Era nel panico
più assoluto, nell'angoscia più autentica e
profonda, nel baratro
della paura, stretta tra le spire dell'ansia.
Aveva
freddo, il sudore gelido le imperlava la fronte e le correva lungo la
schiena: gli occhi non facevano che saettare in ogni dove, verso ogni
minima ombra. Vedeva tanti occhietti
gialli
e rossi, sentendosi osservata.
Qualcosa spezzò un ramo, alcuni metri più in
là. Sobbalzò sul
posto, trasalendo impaurita: voleva scappare il più lontano
possibile, ma non osava muoversi per rivelare la sua presenza. Si
chiese se gli altri si fossero accorti della sua assenza e avessero
deciso di tornare indietro: con molta probabilità si erano
persi,
avendo abbandonato il sentiero. Non sarebbero tornati da lei.
Al pensiero di venire salvata dagli elfi le si contrasse lo stomaco,
ed ebbe una voglia matta di piangere: sentiva già gli angoli
degli
occhi pizzicarle, ma sbatté le palpebre. Il cuore le
rimbombava
nelle orecchie, martellandole i timpani: batteva così forte
che le
confondeva i sensi.
Numerosi
fruscii la fecero indietreggiare, ma non provenivano da un'unica
direzione: venivano da tutte
le
parti. Era circondata da nemici sconosciuti, da creature ripugnanti.
Ed era sola a combatterle.
Pregò
internamente Mahal che
non
si trattasse delle algide creature che popolavano il bosco, o di
qualche essere abominevole e spaventoso: pregò si trattasse
solo
della sua immaginazione o, nel peggiore dei casi, di scoiattoli o
cervi.
Altri movimenti sospetti la fecero ricredere, ed ansimare forte: non
si era mai sentita così impotente, disperata e in
difficoltà come
in quel momento, mai! Continuò a girare su se stessa molte
volte,
cercando di scorgere qualsiasi cosa in quella dannata penombra
accennata, ma niente, non vi riusciva; e l'oppressione saliva alle
stelle, lenta e soffocante.
Schizzò in avanti quando percepì un leggero
fastidio al braccio:
mosse la mano alla ricerca della causa, riconoscendo
l'estremità
appuntita di un ramo. Sospirò, leggermente sollevata, una
mano al
cuore per calmarlo. Non vi riuscì, e nemmeno il respirare
profondamente l'aiutò. Il terrore non voleva lasciarla in
pace.
Passi concitati ed affrettati la fecero tornare in allerta, scrutando
il punto da dove, in teoria, provenivano: aguzzò la vista e
l'udito
ma faticò a rimanere concentrata, troppo spaventata anche
solo per
compiere quei gesti che, in altri luoghi, le avrebbero salvato la
vita.
Bosco Atro era peggio di ogni posto visitato nel suo esilio:
perché
ne era stato la causa. E il suo orrendo ricordo l'avrebbe
accompagnata per tutta la vita.
Si sporse leggermente in avanti, muovendo un lieve passo incerto: fu
allora che una mano spuntata dal nulla le tappò la bocca.
Era
forte e dura, callosa, e le copriva quasi tutta la parte inferiore
del volto, impedendole d'urlare. Le grida d'aiuto risuonarono
attutite e soffocate dalla presa ferrea dell'arto: cercò di
divincolarsi, portando le dita a provare a staccare la mano,
incontrando resistenza. E un anello
di
metallo.
Spalancò gli occhi quando sentì lo sconosciuto
trascinarla indietro
e spostarsi davanti a lei, senza staccare la mano dalle labbra.
Gemette forte quando le fece sbattere la schiena contro qualcosa di
duro, probabilmente la corteccia di un albero: quando riaprì
gli
occhi – chiusi per l'impatto – le mancarono
svariati battiti; il
volto livido di rabbia di Thorin era vicino, gli occhi chiari
scintillavano furiosi.
Cercò di calmarsi, ma lo spavento che le aveva fatto
prendere non le
impedì di respirare affannosamente, abbassando ed alzando il
petto
con foga; anche lui faticava a placarsi, lo poteva vedere dalle
narici frementi, dalla bocca serrata e dalle sopracciglia aggrottate
quasi a formare un'unica linea di collera.
Tentò di deglutire, mentre lo vide pronto ad inveirle
contro.
<<
Cosa credevi di fare? >> urlò furibondo
<< Hai una vaga
idea
del pericolo che hai corso? Sapevo che eri incosciente,
ma
non fino a questo punto! Come credi che ci siamo sentiti nel non
vederti con noi? >> la voce profonda ed irata si disperse
tra i
tronchi, ma il re non se ne curò: che scoprissero pure
dov'erano,
finché non avesse sbollito la rabbia non si sarebbe calmato!
Se
fosse stata un nano
l'avrebbe
percossa con le sue stesse mani: doveva ringraziare i Valar di essere
una femmina, per Durin!
La guardò negli occhi, lucidi per la sorpresa, il rimprovero
e il
sollievo di essere stata trovata; rendendosi conto di tenerle ancora
la bocca chiusa spostò la mano, lasciandola penzolare al
fianco.
L'altra, invece, era ancora addossata alla corteccia, vicina al volto
stravolto di Karin.
<<
Non disobbedirmi
mai
più, sono stato chiaro? >> mormorò,
abbassando d'improvviso
il tono di voce. Con sua enorme sorpresa annuì
più volte: sbuffò
internamente chiedendosi se, dopotutto, per farsi rispettare ed
ascoltare da lei servissero solo una buona dose di spavento e
rimproveri; ad averlo saputo prima si sarebbe risparmiato un sacco di
grattacapi.
Vide
che si stava calmando e, di riflesso, lo fece anche lui: il saperla
viva,
anche
se scossa e impaurita, lo alleggeriva di un peso immane. Mentre aveva
ripercorso il bosco a ritroso, infatti, cupi ed orrendi pensieri gli
avevano fatto accelerare il passo, e le frasi accusatorie di Dwalin
l'avevano quasi portato alla corsa disperata. Il pensarla complottare
con gli elfi gli aveva montato una furia inaudita, che si era
propagata come un incendio: se l'amico avesse avuto ragione non si
sarebbe mai perdonato quel senso di colpa che l'aveva quasi convinto
a pensarla innocente;
da
quando erano entrati a Bosco Atro – anzi, da quando l'aveva
rivista
- i ricordi delle difese tormentate che Karin continuava a reggere
non l'avevano abbandonato un secondo, portando la parte più
intima
di sé a crederle.
Da
come si era comportata in quei giorni, poi, la foresta la spaventava,
riempiendola di paura. E questo significava che le sue convinzioni di
vederla colpevole a tutti i costi erano errate.
Se
così fosse stato, aveva speso anni duri e difficili ad
odiarla per
nulla. L'aveva allontanata da sé con furore, marchiandola
come
traditrice ed esiliata, solo per far capire a tutti che l'orgoglio e
la fiducia persa di un membro della stirpe di Durin era difficile da
riconquistare. Le parole piene di rammarico di Karin gli tornarono
alla mente con la stessa violenza di uno schiaffo: “Il
tuo amore per l'oro e la ricchezza supera di gran lunga quello per le
persone che ti circondano, rendendoti cieco; la tua cupidigia
sarà
la tua rovina.”
Era dunque così? Ciò che più temeva si
era avverato?
Il
suo amore per
l'oro perduto era stato più forte dell'amore per lei,
impedendogli
di vedere con chiarezza, di capire la verità che lei
continuava
strenuamente a sostenere. Lui non l'aveva ascoltata, non le aveva
creduto,
cacciandola. L'aveva portata ad odiarlo: lui
si
era odiato, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Non si sarebbe mai perdonato, e nemmeno lei l'avrebbe fatto: troppo
dolore da cancellare, troppa disperazione da recidere.
Aveva
rovinato le loro vite, e tutto per il suo stramaledetto orgoglio
ferito.
Fece scivolare la mano dal legno duro alla morbida spalla di lei: lo
guardò, schiudendo le labbra; forse si aspettava una dura
punizione
per il suo comportamento, ma non l'avrebbe accontentata.
Provò un
impulso improvviso e, senza riflettere, l'attirò a
sé,
imprigionandola tra le braccia forti: la sentì irrigidirsi
al
contatto inaspettato ma ricambiò quasi subito, portando le
mani
all'ampia schiena.
Chiuse gli occhi, sentendola premere il volto sulla clavicola, alla
ricerca del conforto che le era mancato mentre era sola:
cercò di
trasmetterle tranquillità e protezione, per calmarla. Lei
capì,
rifugiandosi di più in quell'abbraccio che avevano
desiderato a
lungo: gli fece comprendere la sua gratitudine per essere tornato a
prenderla, per non averla abbandonata. Si sentì al sicuro,
come non
capitava da molti anni.
Godette
del tepore che il corpo di Thorin emanava: cullata dal suo respiro
caldo e ora sereno, espirò e chiuse gli occhi, sentendosi bene.
Emozioni
dimenticate ma conosciute le invasero il cuore, facendolo traboccare;
avrebbe voluto rimanere in quella posizione per sempre,
così.
Thorin cercava di trattenersi il più possibile, ma gli
risultò
difficile: non dopo che aveva rischiato di perderla. Di nuovo.
Dentro
di sé infuriava una dura battaglia: la sua coscienza era
dilaniata,
il suo intero essere lo era; da una parte rammentava i pregiudizi, le
lotte, i litigi, il fatto che era una traditrice. Dall'altra,
però,
il rimorso per come l'aveva trattata – forse ingiustamente, e
che
Durin avesse avuto pietà di lui se era così
– ed il ricordo del
loro amore,
prendevano
il loro spazio. Stava cercando di ascoltare il cuore, in quel
momento: una scelta non facile per lui, Thorin Scudodiquercia, Re
sotto la Montagna.
Forse,
però, non era l'amore
che
le aveva dimostrato negli anni di Erebor, quello che ora provava: il
suo era un bruciante desiderio,
lo
stesso che aveva provato quella sera al nido delle Aquile; i loro
volti così vicini, il suo odore, le labbra che lo
aspettavano
trepidanti. Lì era riuscito a fermarsi, le circostanze
l'avevano
aiutato. E ora, chi
l'avrebbe
fermato? Ma, soprattutto, lui desiderava arrestarsi?
Come in risposta a quelle tacite domande, le labbra decisero d'agire
per conto loro: le baciò la tempia, in un punto vicino
all'attaccatura dei capelli.
Fremette, o fu lei a farlo, non avrebbe saputo dire: era totalmente
in balia dei sentimenti, la ragione l'aveva accantonata, relegata
lontano dove non avrebbe potuto nuocergli. Che l'avesse fatto dopo,
tormentandolo con il rimorso del peccato commesso.
Portò
due dita sotto il mento e le alzò il volto, incontrando i
pozzi neri
che tanto amava: gli occhi erano dilatati e lucidi e, con un brivido
di desiderio, li vide bramosi.
Aveva capito cosa aveva intenzione di fare eppure non l'avrebbe
fermato: lo voleva anche lei, con tutta la sua anima.
Abbassò il capo e, lentamente, le labbra si posarono su
quelle di
Karin.
Erano screpolate e secche, ma gli parvero incredibilmente delicate:
si schiusero subito, permettendogli l'accesso alla sua bocca;
dapprima fu un bacio guardingo, poiché le loro difese erano
ancora
alzate. Si studiarono, le lingue si esplorarono caute, cercando di
riconoscere quella dell'altro. Era passato così tanto tempo
dall'ultima volta che, forse...
Invece no.
Il bacio si fece più passionale, più profondo: li
arse vivi, in
un'emozione troppo grande da esprimere a parole. Sentì le
mani di
Karin posarsi sul volto, ad accarezzargli la barba; tenendo gli occhi
chiusi, condusse la mano sinistra ad immergersi nella folta chioma
scura, affogando tra le ciocche ribelli. Quando sentì la
lingua di
lei ritrarsi e scappare dalla sua, le strinse i capelli così
forte
che la sentì gemere, spingendosi verso di lui:
ciò non fece che
accrescergli l'eccitazione che sentiva; la baciò con
più foga e
voluttà, perdendosi in lei e nel trasporto del gesto,
desiderando si
protrasse all'infinito.
Premette il corpo saldo come roccia contro il suo, il battito
accelerato dei cuori e dei sospiri come unico suono: aveva agognato
quel bacio per anni, relegandolo nelle sue chimere notturne.
Ma
lei ora era lì, reale,
e
ricambiava con ugual desiderio.
Corrugò le sopracciglia quando sentì il bisogno
impellente di
respirare e, a malincuore, dovette staccarsi: poggiò la
fronte alla
sua, tenendo gli occhi serrati. I respiri vibrarono vicini, ad un
soffio l'uno dall'altro, confondendosi; ansimavano, ancora presi da
quel bacio che aveva detto più di mille parole, significato
più di
tanti gesti.
Inspirò forte, aprendo gli occhi: sorrise appena nel vederla
scossa,
e portò una mano sulla guancia che recava la cicatrice,
regalo della
città degli orchi; la pelle scottava, e ciò
accrebbe il suo
sorriso. Incrociò il suo sguardo, lucido ed emozionato
quanto il
suo. Rimasero in silenzio a lungo, scambiandosi baci fugaci sulle
palpebre, sulla fronte, sul naso e, ancora, sulle labbra: non v'era
la foga disperata di prima, stavolta erano dolci e struggenti,
ricordi di altri lontani. Racchiudevano qualcosa che andava al di
là
del desiderio provato: erano simbolo ed emblema del loro amore
recuperato. O, almeno, di quella parte che erano riusciti a far
emergere dal mare d'odio e risentimento in cui avevano nuotato per
tutto quel tempo.
Si
ritrovava poco in quel “nuovo” Thorin: non era
avvezzo a certe
dimostrazioni d'affetto, specie di quel genere; ma Karin l'aveva
cambiato, facendogli scoprire sentimenti diversi dalla freddezza e
fierezza. Con lei si era comportato diversamente, mostrando lati di
sé che mai avrebbe creduto di possedere. Con lei si era
messo a
nudo, facendole scoprire un Thorin diverso,
che
nessuno conosceva: nemmeno lui; si era scoperto capace d'amare, in un
modo tanto geloso e possessivo quanto dolce e affettuoso.
<< Dovremmo tornare dagli altri >> disse
con voce roca,
spezzando la quiete creata.
Lei annuì con difficoltà facendogli capire che,
se avesse potuto,
sarebbe rimasta lì << Sì
>> riuscì a dire, con tono
flebile << forse dovremmo >>.
Eppure nessuno decise di interrompere il contatto, nessuno si mosse:
rimasero sospesi in quel dolce equilibrio per altri lunghi momenti
finché Thorin, ripresa la vecchia lucidità, si
staccò dalla fronte
della ragazza, compiendo quel gesto doloroso ma necessario.
Indietreggiò, senza staccare gli occhi dalla sua figura,
ancora
addossata al tronco; sembrava non avesse intenzione di muoversi, ma
gli bastò uno sguardo serio e altero per smuoverla.
La sentì sospirare e, con passi incerti e lenti, gli si
affiancò.
Karin
non seppe che dire: aveva una tale confusione in testa che le vennero
le vertigini; ogni pensiero coerente, ogni parvenza di
lucidità
scappò non appena ripensò a pochi minuti prima.
Non si sarebbe mai
aspettata un tale gesto da parte del nano, né un tale trasporto,
anche
da parte sua.
Stava impazzendo, non aveva dubbi: c'erano così tanti
sentimenti
contrastanti, in lei, che non riusciva più a
raccapezzarcisi.
Diffidava del suo cuore e della sua mente: erano sempre in perenne
conflitto, cercando di prevalere sull'altro, logorandola; a quale
parte si sarebbe schierata per non soffrire ulteriormente?
Ma
il pensiero che più la tormentava riguardava Thorin: perché
l'aveva
abbracciata e baciata? Non continuava a ripetere a se stesso e a lei
di odiarla?
In quei giorni non si erano scambiati una sola parola: lei troppo
presa dai ricordi e dalla paura della foresta, lui immerso nel
malumore causato dal luogo oscuro e dalla notte al nido.
Si era avventato su di lei con desiderio, come un assetato vede una
pozza d'acqua: e lei l'aveva assecondato, rispondendo con ugual
vigore. Era caduta in estasi, preda delle sue labbra vogliose e
forti.
Il poterlo accarezzare di nuovo, il poterlo baciare... le aveva fatto
male, stringendole il cuore in una morsa, mescolandosi alla gioia
più
profonda. Emozioni così contrastanti che l'avevano lasciata
senza
fiato.
Passarono sotto alcune fronde, e fu proprio lì che
sentì qualcosa
toccarle la spalla; si girò allarmata, ma non scorse nulla.
Tentò
di accelerare il passo visto che Thorin, poco più avanti,
non si era
accorto di nulla.
Ma uno strattone la fermò << Tho...
>> non fece in tempo
a finire di chiamarlo che, con un urlo, quel qualcosa la
portò
su, in velocità. La terra le mancò sotto gli
stivali, i rami le
graffiarono il corpo, le foglie le oscurarono la visuale; stava
salendo, ad una velocità spaventosa: che
stava accadendo?
La risposta le giunse poco dopo, facendola strillare più
forte del
dovuto, terrorizzata: stava penzolando nel vuoto, attaccata ad una
spessa ragnatela grigiastra. E, ora, gli occhi profondi e acquosi di
un ragno gigantesco la stavano scrutando, famelici.
<< Karin! >> i richiami gridati con
disperazione dal nano
non ricevettero risposta: si era girato immediatamente non appena
l'aveva sentita chiamarlo, incerta. Ma poi era sparita, trascinata da
qualcosa, verso l'alto.
Aveva sfoderato immediatamente Orcrist, continuando ad urlare il suo
nome, angosciato: e quando l'aveva udita strillare spaventata, il
cuore aveva smesso di battergli.
Non ebbe ulteriore tempo per pensare alla sua sorte, poiché
uno
zampettare sinistro l'aveva fatto rimanere in allerta, i sensi tesi,
i muscoli guizzanti pronti. Girò su se stesso, cercando di
cogliere
il minimo spostamento: ed avvenne, alle sue spalle.
Ruotò veloce, menando un fendente obliquo: l'ombra enorme si
ritrasse, ma una zampa sottile cercò di colpirlo,
infrangendosi
sulla lama elfica. Con orrore e stupore riconobbe quella di un ragno.
Ecco scoperte le altre creature che si aggiravano per Bosco Atro: si
trattava di ragni grandi e grossi, famelici.
Mantenne la calma, andando all'attacco; mosse un passo ma quello,
furbo e svelto, si scansò, ritirandosi sui rami. Thorin
alzò lo
sguardo, cercando di individuarlo in quell'intrico di rami contorti
che parevano zampe, in quel fogliame che sembrava formare la sagoma
rotonda del corpo dell'aracnide.
Per quanto cercò di prestare attenzione, quello si
calò con furore
verso di lui: riuscì a schivarlo per un soffio, scartando di
lato e
rotolando sull'erba soffice. Si spostò ancora, verso destra,
quando
si ritrovò la testa del ragno vicina, pronta ad avvelenarlo
coi
cheliceri a forma di zanne; se fosse riuscito a immobilizzarlo
l'avrebbe ucciso, perciò doveva sbrigarsi a liberarsene.
Tornò in piedi, affondando Orcrist nell'oscurità
dove, un attimo
prima, si trovava il nemico: non fu molto rapido a spostarsi, e la
lama gli penetrò un fianco, facendolo attorcigliare dal
dolore, i
peli lunghi e spessi che vorticavano rapidi. I quattro occhi neri e
liquidi si spostarono frenetici alla sua ricerca, ma ormai era troppo
tardi: la spada si immerse fino al manico di dente di drago, per poi
venire estratta con un colpo deciso e un urlo di trionfo; era
grondante di sangue scuro e liquido, che gli impregnò le
mani,
strette sull'elsa.
Il ragno si afflosciò ma, in un ultimo spasmo di vita,
cercò di
colpirlo con una zampa, fallendo. Cadde al suolo, morto.
Thorin lo guardò un momento, ansimando; mosse la testa
ovunque,
cercando di individuare altre ombre, ma non ne vide. Scrutò
attentamente, provando la spiacevole sensazione di essere osservato:
forse altri erano fermi, ancorati alle loro immense ragnatele,
aspettando il momento migliore per attaccarlo. Attese ancora, ma
l'immobilità regnava: solo allora si azzardò a
chiamare la sua
compagna.
<< Karin! >>.
Nessuna risposta.
<< KARIN! >> riprovò, alzando il
tono.
Niente. La preoccupazione raggiunse un picco vertiginoso: che le era
capitato? E se fosse stata avvelenata e, magari, già mo...
Non volle nemmeno pensarci; doveva trovarla, in un
modo o
nell'altro!
Tornò leggermente indietro, dove pensava di ricordare i loro
ultimi
passi: esaminò il punto dov'era scomparsa, alzando la testa.
Solo
allora vide un filamento arrivare verso di lui, seguito da una figura
che vi era aggrappata.
Doveva stare pronto, essere paziente: non appena fosse scesa del
tutto, le avrebbe conficcato la spada nel corpo. Ancora un poco,
soltanto pochi metri, e...
Ma la riabbassò, non credendo ai suoi occhi: non era l'ombra
di un
ragno grosso e peloso, ma quella più piccola e tozza di un
nano. Di
Karin.
L'agguantò per un braccio, lasciandola andare quando il
volto le si
contrasse in una smorfia di dolore: aveva gli indumenti strappati in
più punti, escoriazioni sul volto e il labbro inferiore
sanguinante,
ma per il resto stava bene. Era viva.
Le posò una mano sui capelli, sentendo qualcosa di
appiccicoso sul
palmo: ritraendola, vide che era chiazzata di rosso.
<< Vieni qui >> le ordinò,
tirandola verso di sé: le
esaminò la testa, ma fortunatamente non scorse tagli. La
sentì
lamentarsi debolmente, agitando una mano.
<< Non è mio quel sangue, credo
>>.
<< Come hai fatto a liberarti? Ho provato molte volte a
chiamarti, ma non ho ricevuto risposta >>
l'ammonì duramente;
anche senza volerlo, lasciò trapelare l'inquietudine che
aveva
provato nel non vederla, né sentirla.
Lei fece un mezzo sorriso tirato, la fronte aggrottata <<
Scusa, ma ero leggermente impegnata ad uccidere un
ragno
gigante >> rispose sarcastica, la voce mortalmente
stanca. Gli
mostrò Iris, sulla cui lama vi era del sangue ancora fresco.
<< Inoltre, dovevo cercare di mantenermi in equilibrio su
un
ramo. Non è stata un'esperienza piacevole, e non vorrei
ripeterla.
Sei stato attaccato anche tu >> affermò,
vedendo Orcrist.
<< Sì, ma sono stato più fortunato:
avevo la terra sotto i
piedi >>.
<< Già. Bé, ce la siamo cavata, no?
>>.
Si passò una mano sulla fronte, e solo allora Thorin
notò che stava
tremando: scorse un sottile velo di sudore imperlarle il volto e il
collo, e gli spasmi si fecero più frequenti e violenti.
Provò paura
nel vederla in quello stato, una morsa che gli attanagliò lo
stomaco.
<< Karin >> non riuscì a
terminare la frase che lei
chiuse gli occhi: le gambe le diventarono molli e cedettero sotto il
suo peso, trascinandola verso il basso; Thorin gettò Orcrist
a
terra, in tempo: riuscì a sostenerla per un braccio, facendo
in modo
che non sbattesse sul suolo duro. Il cuore gli ronzava nelle
orecchie, ma cercò di rimanere saldo e fermo: la scosse,
chiamandola
ripetutamente, ma lei non accennò a svegliarsi: era bollente
e
pallida, e respirava affannosamente. La prese in braccio, un forte
senso di panico iniziò a invaderlo: ma non sarebbe servito a
nulla,
così facendo non l'avrebbe aiutata!
Doveva pensare, tornare lucido, ragionare con
freddezza e
rapidità!
Se era stata morsa e il ragno le aveva iniettato il veleno doveva
agire in fretta, o sarebbe stato troppo tardi: se avesse indugiato
più del dovuto avrebbe potuto morirgli tra le braccia in
pochi
minuti. La adagiò piano, appoggiandole la schiena ad un
tronco:
doveva trovare la ferita, e ripulirla dal veleno; con gesti frenetici
le osservò ogni strappo, ma molti non nascondevano tagli.
Mentre
stava perdendo ogni speranza ed ogni briciolo di autocontrollo, lo
trovò sul braccio: non era molto esteso, ma già
alcune vene nere si
espandevano sulla pelle, come tentacoli di una piovra. Portò
le
labbra sul punto, aspirando il sangue che sgorgava e sputandolo
fuori: non era sicuro del gesto, poiché non aveva mai avuto
occasione di sperimentare il veleno di ragno, ma sapeva che
doveva rimuoverlo prima che potesse entrare in circolo sul resto del
corpo.
<< Forza, Karin, resisti! >>.
Compì quel gesto talmente tante volte che perse il conto:
sentiva
solamente il sapore metallico del sangue e l'acidità delle
tossine
nella bocca, e il respiro di lei che si faceva irregolare e
ansimante.
<< Resisti, maledizione >> la voce gli
risuonò dura e
rabbiosa ma le mani, che ora perlustravano i cespugli alla ricerca di
una pianta che potesse aiutarlo a salvarla, tremavano senza sosta,
agitate.
Con movimenti febbrili passò da un arbusto all'altro,
mantenendosi
comunque vicino al corpo della ragazza.
Represse un ringhio frustrato quando capì che niente
l'avrebbe agevolato, che tutto gli era ostile.
Karin rantolò un'ultima volta, zittendosi subito dopo;
Thorin non
percepì più alcun battito in lui, solo un gelo
immane.
No,
non può essere.
<< KARIN!!! NO! >> si slanciò
verso di lei,
inginocchiandosi al suo fianco; i tremiti erano cessati, le membra si
erano irrigidite a causa del veleno. Il petto non si alzava
più, non
respirava: gli occhi erano chiusi, le labbra leggermente dischiuse; i
capelli scuri, che le incorniciavano il capo, facevano un allarmante
contrasto col volto pallido. Pallido come la morte.
<< No >> sussurrò Thorin, i
pugni serrati e contratti.
Rabbia, impotenza, risentimento, colpa e dolore montarono
in
lui, lasciandolo distrutto e prostrato da quanto erano devastanti.
Chinò il capo, serrando gli occhi per non vedere, serrando
le labbra
per non urlare il suo livore. Si sentì svuotato, come
se
qualcosa di prezioso gli fosse stato strappato via
a forza,
lacerandogli la carne e lo spirito.
La sofferenza lo ghermì, l'angoscia lo avvolse in un
abbraccio,
l'ira lo pervase: batté i pugni a terra una, due, tre,
innumerevoli
volte, finché la pelle non gli si scorticò dalle
nocche e dal
dorso; un ruggito animalesco gli risalì lungo la gola,
raschiandogliela e disperdendosi per il bosco. Quel dannato bosco,
che gliel'aveva già portata via una volta: aveva vinto di
nuovo, e
stavolta definitivamente.
Numerosi fruscii attirarono la sua attenzione, risvegliandolo dalla
bolla di disperazione che l'aveva racchiuso: probabilmente erano i
ragni, desiderosi di banchettare con la preda morta. Ma lui non
l'avrebbe permesso: non finché avesse avuto fiato in corpo,
finché
viveva.
Afferrò saldamente Orcrist, alzandosi di scatto, mentre un
incendio
divampava disastroso e forte nei suoi occhi, nella sua anima; era
pronto, e se sarebbe morto per salvarla, avrebbe accolto la sua fine
con gioia: ma non prima d'aver combattuto accanitamente e con ogni
suo grammo di energia.
Dal folto degli alberi saltarono fuori delle figure, ma non erano
ragni: questi erano alti e magri, aggraziati e fluidi nei movimenti,
tanto rapidi quanto silenziosi; si trovò circondato da
alcuni elfi,
ciascuno con un arco teso e una freccia incoccata al suo indirizzo.
Uno di loro si fece avanti, dai lunghi capelli dorati e gli occhi che
scintillavano sospettosi: quando vide il corpo di Karin dietro di
lui, che ancora manteneva la guardia alta ed un aspetto minaccioso,
parlò in elfico ai suoi compagni, senza staccarle gli occhi
di
dosso. Tra le parole, Thorin distinse chiaramente il nome “Karin”,
ma non riuscì a comprendere il resto: aprì la
bocca per parlare,
furibondo, quando l'elfo lo interruppe.
<< Abbassa l'arma, nano, e
allontanati da lei >>.
Thorin digrignò i denti, infiammandosi sempre
più: non solo gli
aveva ordinato di spostarsi, ma aveva calcato
l'appellativo
della sua razza con un tono di spregio e disprezzo che non gli
piacque. Neanche un po'.
Quando l'elfo capì che non avrebbe obbedito,
abbassò di poco
l'arma, guardandolo freddamente.
<< Vuoi che muoia? >> gli chiese,
maledicendo la sua
testardaggine.
Gli occhi di Thorin fiammeggiarono e lampeggiarono, nella penombra
fitta << E' già morta
>> riuscì a dire, sentendo
il fastidioso peso al cuore stringersi ferreo.
L'altro venne colto da un lampo di incredulità, ed
abbassò in
fretta l'arco per poi muoversi rapido verso di lui, scansandolo
all'ultimo secondo per raggiungere Karin; Thorin scattò, non
volendo
permettergli di toccarla, ma un colpo alla nuca lo
stordì
facendolo boccheggiare. Si inginocchiò, iniziando a vedere i
contorni degli alberi, di Karin e dell'elfo, sfuocati; tentò
di
allungare un braccio per prenderlo e portarlo via da lei, ma non vi
riuscì: cadde a terra, svenuto.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
SORPRESAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!
Hahahahahahahahah, NON ve l'aspettavate, eh??? e
io che
continuavo a dirvi che ci sarebbero voluti non so quanti capitoli per
vederli persi in effusioni varie, e invece... XD XD uhuhuhuhuh,
quanto godo nell'aver rimescolato le carte in tavola ed avervi dato
informazioni sbagliate!!!
Quanto vorrei vedere le vostre espressioni in questo momento :D
*siccome sto percependo potentissime auree di morte, e prevedo torce
e forconi, continuerò a scrivere da dietro il mio scudo di
quercia
:P*
Ho voluto rischiare con questo capitolo: avrete notato che le parti
clou sono viste dal punto di vista di Thorin, dettaglio insolito e
preoccupante, per me >.<; insomma, mi sa che non l'ho
reso come
avrei voluto... o come siamo abituate a considerarlo: perciò
chiedo
scusa a MrsBlack90! Perdonami cara, mi sa che qui
Thorin è
caduto nell'ooc più ooc possibile
ç_____ç sigh!
Insomma, non è che si sia ri-innamorato di lei dopo quel
bacio, ma
ha solo seguito il suo “istinto maschile”: in
più si era
preoccupato nel non vederla con gli altri suoi compagni
– ora
la considera tale – e, una volta trovata, impaurita e
terrorizzata,
si è solo lasciato andare: un abbraccio consolatorio e
sollevato si
è trasformato in qualcosa di più profondo, e
qui... puff, il bacio
è servito XD!
Spero d'averlo spiegato abbastanza bene lungo il cap ma, se
così non
fosse, approfitto dell'angolino ^^; comunque sappiate che, mentre
scrivevo quella scena, avevo il batticuore: ero più
emozionata io
che non loro hahahahahahaha
Bene, ditemi quello che vi frulla per la testa - minacce di morte
comprese ;) - attraverso le care recensioni!
Ringrazio come sempre le carissime e specialissime LadyGuns56,
Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack e Carmaux. Saluto
col cuore anche le altre ragazze che hanno recensito lo scorso
capitolo, ovviamente ;)))) VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!!
GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite- seguite- ricordate e a
chi legge soltanto! Siete meravigliosi!
Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna *sempre dietro lo scudo di quercia* :P :P
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo dieci ***
Note
autrice
Santo Durin, siamo al DECIMO capitolo: numero tondoooooo!!!
Vi
ringrazio tantissimo per l'affetto con cui seguite i personaggi e che
dimostrate in ogni vostra recensione, o solamente leggendo ^^
Giuro, così tante persone non le avevo MAI viste, e vi
ringrazio di
cuore!
Vi voglio tanto bene, dico davvero ç____ç
Buona lettura!
Ah, qui il capitolo potrebbe subire un leggero cambio di rating: per
sicurezza, vi avverto che sarà sul GIALLO/ARANCIONE,
dipende
dal grado di impressionabilità ^^: magari siete forti e
nulla vi
spaventa, però per correttezza ho voluto inserirlo XD
Perdonatemi, sarà lungo e pesante
ç___ç: mi ero ripromessa di scrivere poco, invece
mi sono rotrovata con una marea di roba per le mani! Mi farò
perdonare col prossimo, cercherò di spezzarlo in due
>.
CAPITOLO DIECI
Buio.
Vede
solo quello, un muro invalicabile che sa di sofferenza,
di
oppressione.
Non riesce neppure a capire se ha gli occhi aperti: li sbatte
veloce e conclude che sì, è sveglio.
Agita una mano davanti al volto, per vederla, ma non riesce;
è
distratto da altro.
Dapprima
è un lamento
flebile,
impercettibile: poi aumenta d'intensità.
E' un pianto, ora lo riconosce.
Sposta il capo, ma si dà dello stupido:
è un gesto inutile.
Il
buio è fitto, spaventoso.
Come
quel singhiozzare disperato.
Lo
disturba,
lo
angoscia.
Vuole fare qualcosa, ma non può: le gambe sono
pesanti, il
respiro irregolare.
Il pianto aumenta d'intensità, e gli rammenta
quello di un
bambino.
Gli permea l'anima, il cuore è stretto in una morsa
ferrea; vuole
urlare, digli di smetterla perché non lo sopporta, ma la
voce non
esce.
Apre la bocca, invano: nessun suono.
Non parla, non grida.
E' muto.
Solo, in quell'immensità oscura e fredda.
No,
ricorda:
non è solo.
C'è quella creatura, con lui.
Non
sa se è vicina o lontana, ma c'è, è
lì. Da qualche parte. Lo
comprende e, per un attimo, si chiede se anche l'estraneo
si
sia accorto di lui.
Se l'ha percepito deve temerlo?
No,
pensa.
L'essere è così triste e vulnerabile che non
può nuocergli.
Cerca di convincersi di questo, ma è turbato.
Non
sa dove si trovi, né perché
pianga
così tanto.
Lo
disturba,
lo
angoscia.
Basta.
Lo
disturba,
lo
angoscia.
Il pianto continua, senza sosta.
Lo
disturba,
lo
angoscia.
Basta.
Il pianto continua, senza sosta.
Basta.
Lo
disturba,
lo
angoscia.
Basta.
Basta.
Basta!
Thorin spalancò gli occhi di scatto, sedendosi: un leggero
giramento
di testa gli fece serrare gli occhi, ma li riaprì quasi
subito,
turbato.
Con
un moto di fastidio e rabbia riconobbe le pareti umide della cella di
pietra, dove l'avevano rinchiuso quei maledetti elfi.
Prese una manciata di paglia dal suo giaciglio, gettandola con furore
verso il centro della prigione: immaginò di trapassarli a
fil di
spada, ma si rabbuiò quando ricordò di non avere
Orcrist con sé;
gliel'avevano tolta subito, non appena era svenuto.
Non
se n'era accorto, e non aveva fatto nulla per impedirlo: non
rammentava nemmeno quando
se
ne fossero appropriati; ricordava il risveglio, quello sì:
ancora
intontito e con le mani legate l'avevano condotto dentro una caverna,
che altro non era se non il palazzo del re; avevano oltrepassato le
immense colonne, poste subito dopo il colossale ingresso,
inoltrandosi nelle profondità dei tunnel illuminati dalla
luce delle
torce rossastre: le ombre si erano confuse con loro, tremolando nel
seguirli o precederli. Per quanto avesse provato a guardarsi attorno,
aveva scorto solo le alte figure degli elfi. Di Karin non v'era
traccia.
Ormai doveva essere diventata fredda, avvolta tra le spire della
Morte: si chiese se l'avessero abbandonata nella foresta per
diventare cibo dei ragni o se, mossi da un qualche sentimento di
pietà, avessero deciso di tumularla sotto le fronde
dell'albero che
li aveva visti amanti, uniti da poco e subito divisi.
Definitivamente.
Incespicò
sui suoi piedi, ma venne sospinto da dietro a proseguire lungo il
corridoio: gli mancò il respiro, per quanto invece
là sotto fosse
ben aerato. La luce crebbe d'intensità quando uscirono dal
cunicolo,
trovandosi in una grande sala dai pilastri scolpiti nella viva
roccia: in fondo, su un trono di legno riccamente decorato e
intagliato sedeva il re degli Elfi; avvicinandosi, Thorin
ricordò il
volto dai tratti severi e freddi di colui che voltò le
spalle alla
sua razza nel momento del bisogno. Colui che gli portò via
Karin;
che gli tolse tutto.
Restarono a scrutarsi in un silenzio astioso a lungo, finché
il re
non prese la parola.
<< E' passato molto tempo dall'ultima volta che ci siamo
incontrati, Thorin Scudodiquercia >> il tono
cercò di
risultare cortese e cordiale, ma nascondeva un disprezzo malcelato, a
cui il nano si aggrappò facendone la sua arma di difesa.
<< Vorrai dire da quando ti rifiutasti di aiutarci,
Thranduil
di Bosco Atro >>.
<< Noto che le ostilità sono ancora aperte
>> commentò
sarcastico l'altro, posandosi una mano sul mento.
<< Ci sono fatti che non verranno mai dimenticati:
così come
le razze che l'hanno permesso >> continuò
duramente Thorin,
gli occhi rabbiosi e pieni di collera.
Thranduil piegò il capo di lato, gli occhi che scintillavano
malevoli << Non ne dubito >> rispose
<< ma allora
temo che dovremmo spingerci ancora più nel passato: alla
Prima Era,
se ben ricordo >>.
<<
Questo non c'entra nulla con ciò che accadde a Erebor!
>>
esclamò Thorin, adirato << Chiedemmo aiuto,
che
mai arrivò! >>.
<<
Era una battaglia persa, lo sapevi benissimo >> ora,
anche il
re degli Elfi faticava a mantenere la calma << Non
avevate
speranze contro un drago
>>
continuò, con lo stesso tono che ha un padre al limite della
pazienza nello spiegare al proprio figlio ostinato concetti
elementari che si rifiutava di comprendere.
Thorin
si infervorò, stringendo spasmodicamente le mani a pugno
<<
Sarei morto,
piuttosto
che vedere Erebor negli artigli di Smaug! Avrei combattuto fino alla
fine, per la mia casa >>.
<< E ciò ti fa onore, re dei Nani
>> concordò l'elfo,
guardandolo poi attentamente; poggiò le braccia ai lati
dello
scranno << Ma non credo che la tua rabbia derivi
unicamente dal
nostro “affronto”, come lo chiami tu. Dico bene?
>>.
Thorin
aggrottò la fronte, ma non rispose: si limitò a
freddare l'elfo con
un'occhiata truce, mentre l'altro lasciava che le sue labbra si
piegassero in un leggero sorriso divertito; con un moto di sdegno,
Thorin capì che sapeva.
Di
lui e Karin.
Assottigliò lo sguardo azzurro, le narici dilatate, irato
come mai
in vita sua. Ma l'altro non si scompose, portando le lunghe dita
affusolate ad incrociarsi sotto il mento.
<<
Non sono così sciocco da credere che tu mi dica –
spontaneamente –
per quale
motivo girovagavate
per i miei boschi, ma ti propongo un accordo >> si
fermò,
lasciando che le parole si imprimessero in lui << Ti
metterò
al corrente delle condizioni del tuo uccellino
se
e solo se
rivelerai
i tuoi piani. Uno scambio più che equo, non trovi?
>> chiese,
maligno.
Thorin non capì subito a chi si stesse riferendo.
<< Qui a Bosco Atro è così che
viene chiamata la tua Karin >>
spiegò l'elfo, osservando la reazione del nano.
Per un attimo una flebile speranza si era riaccesa: poteva essere
ancora viva, essere stata strappata alla morte. Eppure lui l'aveva
vista spegnersi, aveva constatato la mancanza di respiro, di colore,
di battito; Thranduil poteva avergli mentito, da abile manipolatore e
retore qual era. Pensava che, mettendo in ballo Karin, avrebbe
abbassato le difese a tal punto da rivelargli ogni cosa? La scarsa
considerazione che nutriva per i nani si era notevolmente ridotta in
quegli anni, se ne era così certo!
Una furia cieca stava per esplodergli in petto; si impose di
calmarsi, ma non servì molto.
Quale
meschinità celava quel re!
Addirittura
servirsi del ricordo di un defunto per arrivare alla realizzazione
dei suoi scopi!
La
maggior parte del suo cuore continuava a ripetergli che lei
era
morta,
in
una sorta di mantra che lo sospingeva di più nel baratro
della
sofferenza: lo annullava ma, d'altra parte, lo manteneva in qualche
modo distaccato
dal
resto, da ciò che lo circondava.
Sarebbe stato così confortante saperla viva, accertarsi
delle sue
condizioni: anche se l'elfo non gli avesse mentito, nulla sarebbe
sfuggito. La loro missione doveva rimanere segreta, ad ogni costo.
Thorin non mosse le labbra nemmeno per un istante, né
spostò lo
sguardo fiero e arrogante dal volto di Thranduil, in attesa di
risposta: che continuasse ad aspettare, non gli avrebbe rivelato
alcunché! Finalmente l'altro sembrò capire che
non sarebbe stato
accontentato e si alzò di scatto dal trono, la corona a
punta che
si spostò leggermente dal capo.
<<
Ebbene? Mi aspetto una risposta da te, principe
>>
vide Thorin contrarre la mascella, gioendo internamente nell'aver
scalfito di nuovo la sua corazza << Ti concedo una
proposta
accettabile, quando potrei rinchiuderti nella cella più buia
del mio
palazzo senza poterti ascoltare, e tu non accetti? >>.
Thranduil si arrabbiò notevolmente quando l'altro
alzò il capo,
orgoglioso, gli occhi gelidi che parevano bruciare.
<< No >> disse semplicemente.
L'elfo si stava spazientendo, lo percepiva: e ciò
sembrò ridargli
nuovo vigore.
<<
Molto bene: forse ti deciderai a parlare una volta che passerai il
tuo nobile
tempo
nei sotterranei; sono più che certo che la cella
sarà di tuo
gradimento, Thorin figlio di Thrain >>.
Non seppe perché ma, alla frase, il re dei nani
provò un brivido
gelido.
Venne condotto fuori, scendendo scale e percorrendo corridoi sempre
più lunghi e umidi, inoltrandosi in profondità
nella gigantesca
caverna.
Dopo quelle che gli parvero lunghe ore di cammino si fermarono:
davanti a lui stava una porta di legno di quercia, spessa e robusta;
solo un piccolo spioncino, posto troppo in alto rispetto alla sua
altezza, permetteva ad un flebile cono di luce di illuminare
debolmente la cella. Venne sospinto dentro senza tanti complimenti,
poi i suoi carcerieri infilarono una chiave nella toppa, chiudendo la
porta.
Non
rispose quando tentarono di dissuaderlo dal suo ostinato mutismo,
chiedendogli di pensare all'offerta proposta; aspettò di
sentirli
allontanarsi per prorompere in un ringhio basso e frustrato,
picchiando il pugno contro il muro di pietra, facendosi male: ma quel
dolore non era nulla in confronto a ciò che provava dentro
di sé.
Ricordava di essersi seduto sul giaciglio, appoggiando la schiena
alla parete: aveva chiuso gli occhi, mortalmente stanco e provato
dagli avvenimenti delle ultime ore; l'ultima cosa che era riuscito a
vedere nella sua mente, prima di addormentarsi, era stato il volto
imbarazzato di Karin, subito dopo il loro bacio.
E l'incubo aveva iniziato a tormentarlo.
Non
c'era notte, o attimo in cui chiudesse gli occhi, nel quale non lo
abbandonava: era sempre lo stesso, ma ogni volta che si risvegliava
stava sempre peggio; si ritrovava sudato, col cuore in gola e
tremante. Si arrabbiava per quelle sciocche reazioni che gli
appartenevano poco: anzi, iniziava quasi a sospettare che non si
trattassero delle sue
emozioni,
ma di quelle del proprietario del sogno.
Si passò le mani sul volto, esausto e stanco: si
alzò,
sgranchendosi le gambe doloranti, percorrendo quei miseri passi fino
alla porta di legno, per poi tornare indietro. Ripeté il
percorso
molte volte, sembrando un animale in gabbia.
Più rimuginava su quell'assurda situazione e meno si
sbrogliava:
l'intrico di pensieri cupi si infittiva, rendendolo nervoso.
Sovente pensava a Karin, ma ricacciava la sua immagine per non
soffrire ulteriormente nel saperla morta. Non era riuscita a
dimostragli la sua innocenza, né lui ad ammettere a se
stesso e a
lei i suoi numerosi torti: il senso di colpa lo attanagliava ogni
minuto che passava lì dentro, facendolo impazzire di dolore.
Troppe
cose taciute, le poche dette covavano rabbia e risentimento: solo il
gesto del bacio aveva parlato più
di quanto avessero mai potuto fare entrambi. Ma era troppo tardi,
inutile
pensarci: apparteneva già al passato.
Doveva solo accettare e convivere con questo pensiero, ripetendosi
che lei non sarebbe tornata, non avrebbe più baciato le sue
labbra,
né accarezzato i suoi capelli; non si sarebbe perso nei suoi
occhi,
fieri e indomabili: né avrebbe più litigato con
lei per delle
sciocchezze, insormontabili ai loro occhi.
Si accasciò a terra, prendendosi la testa tra le mani: solo
e al
buio, Thorin Scudodiquercia diede sfogo alla parte più
vulnerabile e
intima di sé, quella che nessuno aveva
mai visto.
Eccetto Karin.
Là sul verde prato
un uccellino si posava
allegro fischiava
piegando il capino di lato.
Non
sa perché inizia a cantarla: è solo una
filastrocca per bambini.
Non
lo ricorda, ma sa che sua madre la cantava prima di metterla a letto.
Suo
padre glielo ripeteva spesso. A lui mancava molto, e soffriva nel
vedere i tratti della consorte in lei, la loro unica figlia.
Femmina.
Il
sangue della nobile stirpe di Gorin non sarebbe stato tramandato: lei
era l'ultima arrivata.
Che
pensieri sciocchi, si rimprovera.
Un verme qua, uno là
poi al suo nido volava
dove la mamma felice
lo aspettava.
Si
odia.
Perché
non è forte come vorrebbe. Non è orgogliosa,
né altera e fredda.
Ci
ha provato, la prima volta; anche la seconda.
Ma
non è servito, non serve mai.
Si
ritrova sempre a piangere, alla fine.
E si
odia.
Tanto.
E'
riuscito a piegarla, ancora.
Basta
che oltrepassi la soglia perché inizi a tremare.
Si
copre le braccia, per proteggersi: ma sa che non funziona.
Mai.
Lui
riesce sempre a vincere.
Una notte infuriò la tempesta
e la madre volò via
battendo le ali
lesta.
I
vecchi cardini cigolano, la porta di legno si apre, la luce invade la
stanza.
Trema,
d'istinto. Aveva ripromesso di non farlo, ma il corpo non le
obbedisce.
Arretra
verso il muro umido, in fretta.
La
sua figura è alta, ed avanza.
Lo
fa lentamente, il ghigno gli increspa le labbra.
Il
cuore batte all'impazzata, ha paura.
E
lui lo sa.
Gliel'ha
detto, la fiuta nell'aria.
Un
passo, poi un altro e un altro ancora: è a pochi metri.
Si
schiaccia sempre più alla parete: quanto vorrebbe passarci
attraverso per scappare. Ma non può.
Il
ghigno malefico è ampio, ora. Gli occhi violetti luccicano,
nella
penombra.
L'uccellino aspettò invano
chiamando la mamma
ma se ne era andata
lontano.
La
studia, come un predatore.
Trema,
ma cerca di mostrarsi coraggiosa, come vorrebbe essere: ma come
può
farcela, se gli occhi si riempiono di lacrime? Se i denti battono tra
loro? Se il freddo le permea le ossa?
<<
Vuoi volare via, uccellino? >>.
Serra
gli occhi.
Odia
quel soprannome, odia essere lì.
Odia
lui.
Con
tutto il suo cuore, con tutta la sua anima.
Ma,
più di ogni altra cosa, lo teme.
Ne è
terrorizzata, a morte.
Piange,
ma non vorrebbe. Calde lacrime inondano le guance, infrangendosi a
terra.
Non
riesce a rispondere. Anche se lo facesse sarebbe inutile.
<<
Vedi, è molto semplice >>.
Si
avvicina sempre più, tanto che può sentirne
l'odore.
E'
molto più alto, ma si abbassa quel tanto che gli permetta di
sfiorare la fronte alla sua.
Sposta
il capo da una parte, rabbrividendo di disgusto e paura.
Sente
qualcosa di freddo sulla guancia.
Incontra
i suoi occhi, e vi vede una follia senza eguali. Una totale e
profonda follia, incontrollabile.
La
disperazione avanza, il pianto aumenta: ora, i singhiozzi la scuotono
forte.
<<
No, no, shh. Buona, da brava >>.
La
lama del coltello preme sulla pelle, brucia.
L'uccellino la cercò
volava
volava
ma mai più la trovò.
<<
Dillo, uccellino. Dì ciò che voglio udire
>>.
Tace,
serra le labbra per non far uscire nulla: per un attimo, la
tentazione è fortissima.
Perché
sa che succederà ora, dato il suo silenzio.
La
lama incide la pelle del volto.
Sente
un sottile rivolo di sangue scendere.
Geme
e serra gli occhi, i singhiozzi non si fermano.
Implora
di lasciarla stare, ma lui ride.
Sguaiatamente:
l'eco si espande per le mura della stanza.
Rimbomba
mentre la mette in ginocchio.
Mentre
le solleva la manica della tunica.
Mentre
fa scivolare il coltello sul braccio, in un sottile gioco perverso.
Mentre
spinge nella carne.
Mentre
lei urla innumerevoli volte.
E,
alla fine, mentre è sola in una pozza di sangue, le risate
non fanno
che tormentarla.
Karin aprì gli occhi, stordita; la testa le pulsava
dolorosamente,
mentre cercava di mettere a fuoco i contorni della stanza. Si sentiva
male, tremendamente male.
Ogni piccolo movimento era una sofferenza e la lasciava spossata,
come se avesse corso per miglia e miglia senza fermarsi.
Aggrottò
la fronte, cercando di alzare il capo dal morbido cuscino:
bastò questo fatto a preoccuparla. Ricordava di trovarsi
nella
foresta, a Bosco Atro...
Come un fulmine a ciel sereno, la risposta sembrò giungerle
così
semplicemente che rimase senza fiato: se non si era risvegliata sotto
qualche fronda di un albero, c'era solo un luogo in cui poteva
trovarsi.
A dispetto delle sue condizioni si sedette velocemente, le mani
appoggiate al materasso: si sentì sudata, i brividi non
facevano che
scuoterla, privandola d'ogni energia; poi, percepì una
presenza di
fronte a lei, e portò gli occhi verso il punto.
Il cuore le balzò in gola, il respiro si mozzò e
una paura folle la
portò nell'oblio più nero e denso.
Non
poteva essere: lui
sedeva
sulle coperte, a poche braccia da lei.
Trattenne un grido, schizzando all'indietro e sbattendo la schiena
contro la testiera del letto, finemente intagliata; sgranò
gli
occhi così tanto che temette fuoriuscissero dalle orbite, le
dita
che stringevano convulsamente i lembi delle maniche della camicia da
notte. Con orrore e disgusto lo vide alzarsi, allungando un braccio
nella sua direzione.
I capelli biondi e lisci ondeggiavano seguendo i movimenti del capo,
gli occhi chiari scintillavano maligni e perfidi: sicuramente, a
breve, avrebbe estratto il coltello passandoglielo sulla guancia e
sulle braccia, scavando in profondità, riempiendola di odio
verso se
stessa con frasi diaboliche, di disgusto profondo verso il suo
carceriere, di quel terrore puro che, ancora nei suoi sogni, non
l'abbandonava mai.
Ma stavolta non era un sogno. Era reale, lui era lì.
Le avrebbe fatto pagare il suo ritorno.
E
lei, lei, era
più determinata adesso? Più coraggiosa? Sarebbe
riuscita a
vincerlo, dopo tutti quegli anni nei quali aveva cercato di
rafforzare la sua corazza di odio e freddezza?
Si rispose di sì: allora perché tremava
così tanto,
incontrollabilmente? Perché sentiva gli occhi iniziare a
riempirsi
di lacrime, e il cuore di terrore?
Era
debole,
ancora
una volta.
Ora
era vicino, troppo
vicino, la mano tesa verso la sua spalla; con un movimento violento e
rapido la sua mano saettò verso quella dell'elfo,
schiaffeggiandola.
I tratti delicati dell'algida ma malvagia creatura si indurirono,
contraendosi; Karin comprese che la sua vendetta sarebbe stata
più
dura, stavolta. L'avrebbe lasciata a morire dissanguata, dopo averle
lacerato la pelle, martoriandola ancora, ancora e ancora.
Ripetutamente, come allora.
<< NO! >> il grido strozzato
risuonò tra la pietra
liscia delle pareti; la gola le bruciò, come se avesse
ingoiato
acqua salata, lo stomaco le fece una capriola, la nausea l'invase.
Chiuse gli occhi, disperata: non voleva assistere alla punizione che
le avrebbe inflitto.
<< Karin >>.
Bastò
sentir pronunciare il suo nome per sconvolgerla: lui
non
l'aveva mai chiamata, prima d'ora. Era sempre stata l'”uccellino”
di
Bosco Atro.
Timorosa, aprì gli occhi, sbattendo più volte le
palpebre: i tratti
dell'elfo mutarono, divenendo più dolci e meno malvagi; le
ci volle
tutto l'autocontrollo per non iniziare a ridere e piangere
istericamente, nello stesso momento.
Colui
che le stava di fronte non era lui.
Ma un altro elfo, che ben conosceva.
L'improvviso sollievo provato, e la paura che scemò
all'istante, le
ricordarono le pessime condizioni del corpo: lo stomaco le
sobbalzò
in petto ed un conato le salì alla gola; riuscì a
respingerlo
portando una mano alla bocca, ma non fu sufficiente.
Si sporse al lato del letto, vedendo un catino poggiato sul
pavimento: con un sussulto, vomitò, aggrappandosi alla
sponda del
materasso.
Sentì le lunghe dita dell'elfo scostarle i capelli dal
volto,
tenendoli indietro mentre lei espelleva un liquido nero come pece;
qualche lacrima le sfuggì dalle ciglia, mentre violenti
spasmi la
scuotevano e i conati si disperdevano per la stanza.
<< E' il veleno del ragno >> le
spiegò, tra un conato e
l'altro << Il tuo corpo lo sta respingendo: cerca di
buttarlo
fuori del tutto, Karin >>.
L'ultimo sforzo la sfiancò, stremandola: rimase qualche
secondo in
attesa, per poi fare un lieve cenno all'elfo che la aiutò ad
appoggiare la schiena contro il morbido cuscino. Le allungò
gentilmente un fazzoletto perché potesse pulirsi, e le porse
un
bicchiere d'acqua per calmarsi: con mani tremanti bevve avidamente,
sotto lo sguardo preoccupato della creatura bionda.
Poggiò il bicchiere sul comodino di legno scuro,
intrecciando poi le
mani in grembo e fissandosele con interesse, evitando così
le
occhiate indagatrici: c'erano tante domande che voleva porgli, ma la
voce non voleva uscire. Non finché fosse rimasta in quel
posto che
per lei sapeva di sofferenza e paura.
Sentì il materasso sprofondare un poco, vicino alla coscia,
ma non
alzò la testa finché non fu costretta: le dita
dell'elfo le avevano
preso il mento, in un gesto delicato e gentile. Si scontrò
con i
suoi occhi azzurri, irrequieti nella loro profondità; per un
attimo,
ai tratti eleganti del suo volto si sostituirono quelli marcati di
Thorin.
Abbassò lo sguardo, provando una stilettata al cuore,
conscia che il
re non era lì con lei: fu inevitabile paragonare la leggera
carezza
con i gesti pieni di vigore misto a rabbia e desiderio del nano; un
improvviso fastidio per essere toccata dall'elfo le montò
con
prepotenza nel petto, facendole spostare bruscamente la testa di
lato, sfuggendo al tocco.
Se si fosse trattato di Thorin, molto probabilmente le avrebbe
riafferrato il mento con forza per farle capire chi era che
comandava... ma l'elfo era diverso.
Non la richiamò, lasciando che il braccio tornasse a posarsi
sul
ginocchio.
<< Sei ancora molto debole >> le disse,
piano << ti
lascio riposare. Parleremo quando sarai più in forze
>>.
Avrebbe
voluto ribattergli che non avrebbe mai
parlato, nemmeno dopo tutto
quello che aveva fatto; come prima, non
riuscì nemmeno ad aprire bocca, per quanto volesse.
Solo quando l'elfo si avviò verso la porta, trovò
il coraggio: con
voce tremante, pose la domanda che l'assillava da quando si era
risvegliata, provando terrore anche solo a formularla nella sua
testa.
<<
Lui
è
morto? >> fu solo un sussurro, ma era certa che l'avesse
udita.
Vide le spalle abbassarsi di poco, e ruotò il busto quel
tanto che
gli permise di guardarla negli occhi, facendole capire che diceva la
verità.
<< Sì >> le rispose,
semplicemente. Poi le diede la
schiena, aprendo la porta e lasciandola sola nella fredda stanza.
Quando
rimase sola, con uno sforzo enorme portò le ginocchia al
petto,
abbracciandosi le gambe: aveva un fastidioso groppo in gola, ed
un'insana voglia di piangere. Invece, le salì alla gola una
risata
incontrollata, che rimbombò a lungo, anche dopo che ebbe
smesso.
Come a ricordarle il sapore della libertà.
Svoltò in un corridoio nuovo, sapendo con certezza d'essersi
perso.
Per l'ennesima volta. Si acquattò al muro di pietra, venendo
percorso da brividi freddi quando due elfi lo raggiunsero a passo
svelto, sorpassandolo senza vederlo.
Bilbo tirò un sospiro di sollievo, dimenticandosi sempre
d'essere
invisibile, una volta infilato l'anello: lo stesso oggetto che gli
aveva salvato la vita già alcune volte, ora gli sarebbe
tornato più
che utile nella reggia del re degli elfi, con cui i suoi amici
avevano avuto a che fare.
Lui, invisibile agli occhi di tutti, aveva assistito in silenzio ed
in disparte all'interrogatorio dei compagni: era stata una fortuna
essere "scomparso" poco dopo lo scontro con il ragno, nelle
profondità di Bosco Atro; tremava ancora al ricordo di come
quell'orrida creatura avesse tentato di farne la sua preda! Ma lui,
nonostante il panico, si era ricordato di possedere una spada al
fianco, immergendola negli occhi cattivi del mostro, per poi
ucciderlo con un altro fendente.
Fiero di se stesso, ma anche un po' deluso perché nessuno
aveva
assistito alla dimostrazione del suo coraggio e sangue freddo, aveva
dato un nome alla sua spada: Pungolo.
Gli piaceva come suono, e provava un certo orgoglio nel paragonarla a
grandi armi come lo erano Glamdring, Orcrist, e Iris.
Il cuore parve contrarsi sotto un pesante macigno, mentre ripensava
alla sua amica e a Thorin, sperduti nella foresta: avevano atteso a
lungo il loro ritorno, ma nessuno si era avvicinato. Così,
con animi
pesanti e colpevoli si erano incamminati andando avanti, continuando
a lanciarsi occhiate alle spalle, sperando di scorgere due sagome
familiari.
Poi era accaduto tutto molto velocemente: avevano scorto altri
fuochi, ma anche allora il buio li aveva sorpresi, separandoli
definitivamente; e, quando aveva riaperto gli occhi dopo una brutta
dormita, si era ritrovato con una spessa ragnatela attaccata alla
gamba ed un ragno gigante pronto a divorarlo. Una volta ucciso,
aveva strisciato un bel po', prima di trovare gli altri, catturati e
rinchiusi in grossi bozzoli: così, invisibile, aveva trovato
un modo
per sbarazzarsi dei ragni e liberare i suoi amici, salendo sui rami
degli alberi e tagliando quegli orrendi legami. Ma i ragni l'avevano
scoperto, progettando di ucciderlo: fortuna volle che tutti i nani
fossero fuoriusciti, ed ingaggiarono una dura battaglia coi nemici;
erano ancora intontiti e pieni di vertigini ma, ancora una volta
stupendosi di sé, Bilbo trovò la via per la
salvezza. Fece da esca,
mentre menava fendenti con Pungolo ed incitava i nani a scappare il
più velocemente possibile, per quanto stremati. E, alla
fine, i
ragni si erano stancati di loro, andandosene.
I nani si erano subito congratulati con lui, ringraziandolo e
mostrandogli un tale rispetto che lo avevano fatto arrossire e
balbettare,
grato delle loro parole; poi, dopo una bella spiegazione su come si
era impossessato di quell'anello magico e una dormita, si erano
incamminati alla ricerca di cibo e acqua, e di un'uscita: ma gli Elfi
Silvani li avevano sorpresi, intimando loro di abbassare le armi.
Nemmeno se fossero stati nel pieno delle loro forze avrebbero potuto
tener loro testa: non con l'oscurità opprimente che li
avvolgeva.
Bilbo, in questo modo, si era infilato l'anello ed era scivolato di
lato, silenzioso e guardingo: li aveva seguiti fin nella caverna, ed
al cospetto di Thranduil, dove era rimasto ben in disparte per paura
che le torce riflettessero la sua piccola ombra. Ed era rimasto fermo
ed impotente mentre il re ordinava che ogni nano venisse rinchiuso in
una cella diversa.
Ed eccolo qui, a girovagare per i numerosi corridoi: un attimo prima
era stato così certo di aver imboccato quello giusto, ma si
era
ricreduto presto quando, invece che un corridoio solo, ne aveva
trovati ben tre! Ne aveva percorso uno a caso, trovandosi
più in
basso di quanto avesse voluto: almeno si rallegrò nell'aver
scoperto
la dispensa!
Così, si era rannicchiato lì una volta esausto
– visto che era
molto difficile stabilire il giorno e la notte, in quel labirinto
–
e, dopo una pessima dormita, si era rifocillato come non faceva da
tempo, ringraziando sentitamente gli elfi per il loro buon cibo.
Poi si era seduto a pensare: alla loro scomoda situazione, all'aiuto
che avrebbe chiesto a Gandalf, alla paura che lo attanagliava se non
fosse riuscito a trovare i nani e, per ultimo ma non meno
importante, a dove potessero trovarsi Thorin e Karin; se solo
l'avessero ascoltata e fossero rimasti sul sentiero! Nulla di tutto
ciò sarebbe accaduto! O, perlomeno, sarebbero rimasti uniti
anche
nella prigionia.
Con un moto di panico la rivide spaventata e sola, in mezzo alla
foresta: si chiese se fosse stata più fortunata di loro, e
non fosse
incappata nei ragni. O, peggio, negli elfi.
Si augurò che Thorin fosse riuscito a trovarla, e che le
avesse
trasmesso sicurezza e coraggio per affrontare quel luogo maledetto:
ma ripensò allo sguardo rabbioso e irato che gli aveva
scorto poco
prima che voltasse le spalle alla compagnia, e non fu tanto sicuro di
voler augurare alle sua amica di incappare in lui.
Certo, si era dimostrato più preoccupato che arrabbiato,
questo
sì... ma pensò di averlo compreso abbastanza in
quei mesi per
sapere che avrebbe potuto cambiare repentinamente umore nel vederla.
Ebbene sì, temeva che Karin incontrasse Thorin! Forse si
stava
preoccupando eccessivamente: magari la rabbia del re non sarebbe
esplosa, non avrebbe inveito su di lei; forse, avrebbe fatto
prevalere il lato che seppelliva costantemente, rassicurando la
ragazza...
Si
passò una mano sul volto, stanco ma con un nuovo proposito:
in
quanto portavoce di Gandalf – e unico membro libero
– doveva
trovare
gli altri, e non perdersi d'animo!
Lo doveva a tutti loro, dannazione!
Così
si era rimesso di buona lena e cercare delle celle concludendo che,
forse, doveva semplicemente seguire i corridoi che portavano verso il
basso,
verso
le profondità: e, dopo quelle che gli parvero lunghissime
ore, le
trovò.
Non si sentì mai così grato e utile come in quel
momento, e lodò
molte volte lo straordinario potere di quel piccolo anello d'oro:
infatti, gli permise di passare inosservato tra un elfo che faceva la
guardia. Con un pizzico di fortuna quello se ne andò e, non
appena i
suoi passi si affievolirono lungo il corridoio, Bilbo ne
approfittò:
sbirciò all'interno, tra una sbarra e l'altra, riconoscendo
la
figura ingobbita e vecchia di Balin.
<< Balin! >> chiamò piano,
tendendo le orecchie nel caso
sentisse dei passi; il nano, invece, era sobbalzato, guardando
ansiosamente dalla sua parte.
Lo hobbit ricordò di essere invisibile e sfilò
l'anello,
sorridente.
<< Che mi venga un colpo, Bilbo! >>
esclamò, mettendosi
in piedi ed avvicinandosi << Credevo fosse un qualche
trucchetto elfico >> aggiunse, lisciandosi la barba e
senza
nascondere un velo di disprezzo nella voce.
<< Nessuno, amico mio. Sono felice di vederti
>> non
disse che lo trovava in forma, perché non era
così: nonostante
fossero passati pochi giorni – secondo i suoi calcoli
– l'anziano
nano era un poco emaciato, e sembrava che nuove rughe si fossero
formate sul volto. Ma gli occhi si erano accesi d'entusiasmo non
appena l'aveva visto, e di questo si sentì rincuorato.
<< Che notizie porti, scassinatore? >>.
<< Non molte, né buone. Sei il primo che
incontro, da giorni
>> ammise mesto, scuotendo la testa. Balin lo
guardò serio, ma
gli fece cenno di non prendersela.
<< Non preoccuparti: deve essere molto stressante
camminare
senza meta >>.
<< E guardarmi sempre le spalle per timore di venir
scoperto
non aiuta di certo! >> Bilbo si bloccò,
pensando d'essere
stato indelicato: d'altra parte, lui era libero di muoversi, mentre
il povero nano era costretto in uno spazio ridotto. << Mi
dispiace, io... >>.
<< Oh, non serve fare quella faccia, mio buon hobbit!
Siamo
stati catturati, è vero, ma tu potrai salvarci: abbiamo
molta
fiducia in te >> gli sorrise bonariamente, stringendogli
le
dita tra le sbarre. Bilbo si rabbuiò, ma cercò di
restituirgli il
sorriso.
<< Ora è meglio che vada: gli altri mi
staranno aspettando!
Devo portare loro un messaggio? >>.
<< No, ragazzo: solo, che sto bene >>.
Per un attimo i suoi occhi si oscurarono, ma tornarono felici, anche
se stanchi. Bilbo annuì, promettendogli che, una volta
trovati
tutti, sarebbe tornato a riferirgli ogni cosa.
Fu così che, col cuore gonfio ma anche sollevato nell'aver
trovato
qualcuno, lo hobbit si allontanò percorrendo il medesimo
corridoio
dell'elfo.
Si inoltrò ancora per stretti cunicoli, strisciando e
facendo il
minimo rumore possibile: stavolta il percorso lo fece salire di poco
e, dopo svariati metri, incontrò un'altra cella; era di
Bofur.
Non appena gli si mostrò saltellò di gioia, al
che Bilbo fu
costretto a farlo tacere con parole brusche, ma che non calmarono il
nano.
<< Avanti, scassinatore >> lo
canzonò << a chi
vuoi che importi se un nano si mette a far baldoria? >>.
<< A me >> rispose piccato lo hobbit
<< potrebbero
scoprirmi! >>.
<< Ma se sei invisibile! >>.
Bilbo agitò una mano, infastidito << Comunque
sia, sono appena
passato da Balin: sta bene, anche se spossato >>.
Bofur annuì, giocherellando col cappello, tolto non appena
l'avevano
rinchiuso. Divenne mortalmente serio, al che Bilbo si
preoccupò
subito.
<< Non sai nulla di... insomma, di Karin?
>>.
L'altro sospirò amaramente, scuotendo la testa anche se non
era
necessario << Ne so quanto te, temo. Non so dove possa
essere,
e sono in ansia per lei >> poi rimase zitto qualche
secondo <<
anche per Thorin, ovvio! >> si affrettò ad
aggiungere. Non
voleva che pensasse che non gli importasse niente del capo della
Compagnia.
Bofur, al contrario, si aprì in un largo sorriso di fronte
al suo
disagio << Non sono certo Dwalin, che potrebbe farti a
fette
solo perché non condividi i pensieri di Thorin. Sta'
tranquillo,
Bilbo, non c'è nulla di cui preoccuparsi! >>.
<< Nulla di cui preoccuparsi? >> fece eco
lo hobbit,
incredulo di fronte al buonumore del nano << Karin e
Thorin
potrebbero essere stati aggrediti dai ragni, o... o dagli elfi, o che
so altro! >>.
Ma l'altro non era degli stessi pensieri, a quanto sembrava
<<
Appunto! Come hai detto, sono comunque insieme >>
ammiccò al suo indirizzo, anche se guardò dalla
parte sbagliata, ad
un punto ben alto rispetto a dov'era la sua testa riccioluta
<<
Io dico, piuttosto, che non avranno avuto tempo di notare qualche
aggressore. Non so se mi spiego >>.
<< Ehm, no! >>.
Bofur alzò gli occhi al cielo, evitando di sbuffare forte
<<
Andiamo, Bilbo! Hai anche una vaga idea di cosa potrebbero combinare
quei due insieme? >>.
E il povero Bilbo ci pensò, in effetti: ma ciò
che vide non gli
piacque granché; si immaginò i soliti litigi
furiosi, le occhiate
sprezzanti. Persino un feroce duello col cozzare delle splendide lame
che sprizzavano scintille al contatto; si immaginò i corpi
dei
duellanti pieni di ferite da cui sgorgava il sangue, Thorin che
atterrava Karin e la teneva ferma per la gola mentre la lama...
Strizzò gli occhi, cancellando l'immagine raccapricciante:
no,
Thorin non le avrebbe mai fatto del male, a dispetto dell'odio che
diceva di avere per lei. Eppure non impedì al corpo di
tremare,
anche se era calmo e non staccava gli occhi dalla faccia sorniona e
maliziosa del nano.
<< Ma perché hai quell'espressione?
>> domandò,
palesemente scocciato.
Per tutta risposta, l'altro si limitò ad alzare le spalle,
grattandosi il pizzetto << Non sarò certo io a
spiegartelo!
Anzi, secondo me faresti meglio ad andare a cercare gli altri,
piuttosto che rimanere qui >>.
<< Io non... oh, e va bene, me ne vado! >>
scattò Bilbo,
irato dal comportamento di Bofur.
Girò i tacchi, ma non aveva fatto che pochi passi quando la
voce
divertita del nano lo raggiunse.
<< Sei proprio uno hobbit beneducato, non c'è
che dire! >>.
Bilbo grugnì qualcosa in risposta, cercando di mantenere la
calma e,
soprattutto, di continuare a camminare silenziosamente, per quanto
invece avrebbe voluto fare confusione!
Non sopportava quando veniva denigrato o preso in giro da qualcuno,
per di più se erano suoi compagni ed amici: insomma, che
male c'era
ad essere beneducati? Lui era uno hobbit
rispettabile, educato
così fin dalla tenera età! Ed era oltremodo fiero
di essere tale!
Continuò a ripensare alle frasi di Bofur, ed alle
insinuazioni che
l'avevano spinto a pensare al feroce scontro tra Karin e Thorin.
“Non
avranno avuto tempo di notare qualche aggressore”
“Hai
anche una vaga idea di cosa potrebbero combinare quei due
insieme?”
“Non so se mi spiego!”
E improvvisamente capì.
Dovette fermarsi e passarsi una mano tra i capelli per tornare
lucido, ma non servì a nulla: ora si spiegavano le occhiate
di Bofur
e le frasi maliziose!
Non riusciva a pensarli insieme, né tranquilli invece di
litigare o
ignorarsi: certo, Karin aveva dimostrato più volte di
volersi
riappacificare con Thorin, ma ne usciva più furiosa e delusa
che
mai; in più, non avevano ancora sostenuto una conversazione
al
limite della civiltà, quindi immaginarsela all'opposto gli
fece un
certo effetto. Bilbo si sentì accaldato al solo pensiero,
mentre una
vaga rabbia si impossessava della bocca dello stomaco;
sbatté più
volte le palpebre per dominarsi, ma fallì.
Si sentì uno sciocco, mentre allontanava quella strana forma
di
gelosia. In fondo, sapeva benissimo che il cuore di
Karin non
gli apparteneva: lui era solo l'amico e confidente, e tale sarebbe
rimasto.
Scosse la testa, stringendo i pugni e continuando il suo cammino:
eppure, per quanto facesse piano, si ritrovò a pestare i
piedi più
forte del previsto.
Urla.
E'
stremata, trema senza sosta.
Supplica
gli dei che sia l'ultima volta e, per un maledetto senso d'umorismo,
l'accontentano.
Lo
sente alzarsi, mentre lei è ancora prona, il corpo a
contatto con la
pietra gelida.
O
forse è lei ad esserlo, non lo sa.
Non
sa più niente, ormai.
Vuole
morire.
Solo
questo importa, questo è il suo unico pensiero: si sente sporca,
ma non per il sangue che le cola dalla schiena.
Sporca
perché è debole, e
sta cedendo: ogni giorno che passa è una vittoria per lui.
Una
sconfitta per lei.
Sta
raggiungendo il suo scopo, il maledetto: farla confessare.
E
lei non ha più forze per fermarlo.
Lo
sa, e questo fa più male di ogni taglio subito.
Il
bruciore è più potente di quello che le pervade
la pelle,
penetrandole la carne ridotta a brandelli.
Come
il suo orgoglio.
E la
sua dignità.
Lui l'ha privata di tutto, persino della sua
umanità, dei
sentimenti che provava un tempo.
Ora sente un gran vuoto.
Vuole
solo farla finita, smettere di soffrire.
Perché
non la uccide?
Ah,
giusto, non può: lei è la chiave di tutto il loro
assurdo piano.
Ma
per lui è
anche un
giocattolo.
Il
suo uccellino.
Ha
un conato, e vomita.
Lo
sente ridacchiare, mentre cerca di fare leva sulle braccia per
alzarsi di poco: l'odore è nauseante, e si mescola a quello
del
sangue.
La
testa le gira, è troppo affaticata.
Il
bastardo si avvicina, ma non lo guarda: dopo poco, sente le dita
artigliarle i capelli, e la tira in piedi con forza.
Urla,
il dolore lancinante sembra fatto di mille coltelli.
Non
dovrebbe stare
in
piedi, non con una ferita così estesa.
Lo
sente sospirare, ma gli occhi non vedono: sono appannati, lucidi di
lacrime che sgorgano fuori.
<<
Temo di esserci andato pesante, stavolta >>.
Il
fiato caldo le sfiora il volto.
Vuole
morire.
<<
Ma, vedi uccellino, se solo collaborassi! Sarebbe tutto più
semplice, no? >>.
il
timbro sembra dispiaciuto, ma sa che non lo è. Lo sente
maligno e
perverso, tra le parole gentili.
Le
strattona la testa, la fa ondeggiare.
Le
grida sono acute e forti.
Le
tappa la bocca con la mano, gli occhi violetti iniettati di sangue: o
forse è lei a vedere rosso
ovunque. Non sa dirlo.
Non
vuole dire
nulla.
Non
vuole nemmeno continuare a pensare.
<<
Invece ti ostini a voler salvare
una razza di esseri inferiori, che nemmeno ti
considerano
come loro! >>.
Stavolta
alza lo sguardo verso il suo, un luccichio diverso che lui nota.
Ride,
mentre le prese si fanno sempre più forti.
<<
Oh, non vorrai dirmi che ci pensi ancora? Non hai imparato nulla
stando qui dentro, vero? >>.
Avvicina
la bocca al suo orecchio destro, sfiorando la pelle con le labbra.
<<
Lui non
verrà a
salvarti, uccellino. Il tuo principe non aprirà mai quella
porta >>.
Sputa
quelle frasi con cattiveria, sibilando come un serpente incantatore.
Lei
socchiude gli occhi, non volendo sentire.
Non
volendo accettare la verità.
Quella
verità che fa male, ma che è anche consapevolezza
sofferta.
Piange
silenziosa, mentre lui continua a bisbigliarle parole vergate di
veleno.
<<
Sai che c'è un modo per rivederlo. Devi solo dire
ciò che voglio
sentire: sono poche parole, in fondo. E poi potrai essere libera, e
volare dal tuo amato >>.
Le
sfiora il lobo con le labbra.
Rabbrividisce,
disgustata: tenta di scostarsi, ma le gambe le cedono.
Ha
perso troppo sangue.
Le
vertigini la prendono, rischia di svenire.
Ma
lui non
glielo
permette. La tiene stretta, tirandole i capelli sulla nuca.
<<
Dillo! >>.
L'ordine
è secco, non ammette repliche.
Lei
tace, anche quando le scosta la mano dalle labbra per permetterle di
confessare.
Non
vuole farlo, non lo farà.
E'
sempre più intontita, ogni cosa si confonde: le pareti
grigie si
dissolvono, sente quasi i raggi del sole riscaldarla, la brezza
l'accarezza.
E
lì, accanto a lei, c'è lui.
Il
suo
principe, fiero e
maestoso come è sempre stato. Le sorride, ma non
c'è un motivo in
particolare: sa che, per lei, i suoi sorrisi sono i più
sinceri e
pieni d'amore.
Lo
chiama, ma si accorge d'averlo detto a voce alta.
Lui ride ancora, ma i suoi tratti si deformano subito dopo
<<
Dillo, uccellino! La mia pazienza è al limite!
>>.
Lo schiaffo è violento.
Aggiunge altro dolore, ma non è nulla in confronto
a quello che
prova dentro di sé: è
logorata e distrutta. L'averlo visto
per poco le dona l'illusione di essere forte come lui, ma non lo
è.
Lei è debole.
Lui glielo ripete sempre, quando la tortura.
Da quanto tempo è lì?
Le paiono lunghi anni.
Vuole solo morire, non le importa del resto.
E' stanca, gli occhi le si chiudono: vuole dormire,
abbandonarsi
all'oblio nero del sonno.
Perché non la lascia in pace?
Sente che la trascina, ma non è preparata a quello
che viene
dopo: la sbatte al muro con violenza, urlando di rabbia con lei, che
urla di dolore.
Mille e mille lame conficcate nello stesso momento sulla
schiena si espandono lungo tutto il corpo, fino alla radice dei capelli.
Strilla ancora quando la spinge, altre lacrime si mescolano al
sangue del volto.
Basta, per favore!
Basta!
<< DILLO! >>.
Il
furore trasfigura i lineamenti delicati del viso; la presa si fa
impaziente.
La
ucciderà, se non parla.
Non
è questo che lei vuole?
Deve
continuare a stare zitta, e tutto finirà: solo, l'opprime il
pensiero che non potrà più rivederlo...
Il
muro le graffia i tagli, allargandoglieli di più: il sangue
le cola
lungo la tunica, impregnandola; sente il liquido viscoso scivolarle
lungo le gambe e i polpacci.
Urla
ancora.
No,
non la ucciderà subito; la torturerà, come fa ora.
Non
ha fretta.
Gode
nel vederla soffrire e sentirla urlare, glielo dice tante volte.
Lei
è stanca, non resiste più.
Ha
combattuto tanto, e a nulla è servito.
Si
odia, i Valar solo sanno quanto.
La
vergogna l'assale, ma non può
più stare in silenzio.
Chiede
perdono a Durin.
Chiede
perdono al suo principe.
Le
parole faticano a fuoriuscire, sono un esile sospiro. Le forze
l'abbandonano sempre più.
<<
Tradirò
>>.
Non
riesce ad aggiungere altro, ma sa che anche questo basta.
Lo
capisce dal trionfo che legge negli occhi spietati.
Dalla
risata gioiosa e folle che riecheggia nell'oscurità.
Le
gambe sono molli, non la reggono più; la stanchezza
è immane, ma
stavolta non c'è nessuno a sostenerla.
Le
ginocchia battono contro le pietre sudicie del pavimento.
Sporche
del suo stesso sangue. Del suo peccato.
Esala
un lieve sospiro, che diventa un singhiozzo: altre lacrime sfuggono
alle ciglia, ma non riesce a fermarle.
E'
spossata e distrutta, i contorni si fanno sfuocati, la vista si
annebbia.
Sviene,
la risata nelle orecchie, il pianto sulle labbra.
Non portò le dita ad asciugarsi le lacrime: rimase immobile,
le mani
intrecciate in grembo. Era al buio da un bel po' di tempo, ormai; ma,
come al solito, aveva perso il conto dello scorrere dei giorni.
Da quanto era rinchiusa lì dentro?
Non avrebbe saputo dirlo, ma era una sofferenza. Una tortura.
Da quando l'elfo l'aveva lasciata, aveva vagato con lo sguardo lungo
le pareti di pietra e i mobili di legno scuro e lavorato alla maniera
degli elfi: cercava Iris, ma non l'aveva scorta da nessuna parte.
Aveva tentato di alzarsi, con il risultato di cadere a terra e
vomitare quel maledetto liquido nero: scossa e tremante si era
rimessa a letto, in uno stato di dormiveglia agitato; non appena
chiudeva gli occhi, infatti, i ricordi la tormentavano, gli incubi
l'aggredivano senza sosta.
Poi si risvegliava con le guance rigate di lacrime, che non
asciugava: era talmente spossata e distrutta psicologicamente da non
riuscirvi.
Si era trincerata dietro un velo spesso, una cortina grigia che la
separava dal resto del mondo: lì era sola con la sua colpa,
i suoi
tormenti, i suoi pensieri.
Nessuno poteva accedervi, nemmeno gli elfi che le portavano il cibo
su piatti d'argento, tanto prelibati ma che lei non toccava: al solo
pensiero le si rivoltava lo stomaco, nonostante ne avesse bisogno per
rimettersi in forze.
Lei era inerte, al sicuro dietro al velo: si crogiolava nella
disperazione e commiserazione, ma le andava bene così; era
il prezzo
da pagare, dopotutto. Sembrò che il suo spirito abbandonasse
il
corpo, e si vide lì, prima seduta e immobile e poi nelle
mani delle
elfe, venute a lavarla e cambiarle vestaglia: vide che la spogliarono
della tunica di seta, sfilandogliela dalla testa. Vide una delle due
posizionarsi alle sue spalle, sciogliendole le trecce e lavandole la
chioma scura con gesti delicati: poi prese una spazzola e la
pettinò
con facilità, come se i numerosi nodi che avevano da sempre
costellato le sue ciocche non fossero mai esistiti; finì in
poco
tempo, per poi acconciarle i capelli con delle treccine ai lati della
testa e fermate dietro il capo.
Lo spirito si indignò quando vide i suoi capelli ribelli
divenire
lisci, come fosse stata un elfo della stirpe di
Elrond: ma il
corpo non volle reagire, rimanendo distaccato da tutto ciò
che
accadeva, come una bambola di pezza.
Poi l'avevano vestita e se n'erano andate, leggiadre e silenziose
com'erano arrivate, lasciandola sola.
Le candele che rischiaravano l'ambiente si erano consumate da tanto
tempo, e nessuno era venuto a sostituirle: sembrava quasi che
volessero farla pensare.
Non seppe per quanto rimase lì, gli occhi spalancati nel
buio.
D'un tratto la porta cigolò, e uno spiraglio di luce le
ferì gli
occhi, abituati all'oscurità densa: sbatté le
palpebre diverse
volte, riconoscendo due alte sagome, una delle quali reggeva un
candelabro d'oro. La luce delle candele si fece più intensa
man mano
si avvicinavano, facendole riconoscere i due elfi.
Il più alto e maestoso le si fermò accanto, di
lato, mentre l'altro
– quello che era venuto a visitarla il giorno in cui si era
svegliata – stava un poco indietro, capendo che la luce
rossastra
l'infastidiva.
Il primo aspettò qualche secondo, studiandola attentamente
in volto,
poi parlò.
<< Ti porgo le mie più sentite scuse per
ciò che ti è
successo, Karin. E le rinnovo per ciò che accadde tempo fa
>>.
Sembrò che la cortina grigia si dipanasse al suono della sua
voce:
non poteva rimanere in silenzio anche stavolta, non se lo sarebbe mai
perdonata. Strinse spasmodicamente le lenzuola bianche, un impeto di
collera le accese il petto.
<< Le vostre patetiche scuse non
cancelleranno queste
>> sibilò, la voce rauca data dal lungo
silenzio. Alzò una
manica, mostrandogli la pelle martoriata da numerose cicatrici
biancastre.
Thranduil distolse lo sguardo, come se la sola vista delle cicatrici
lo riempisse di vergogna; scosse la testa bionda, alzando una mano
elegante ed affusolata.
<< No, è vero. Ma possiamo alleviarti questa
spiacevole
situazione >> fece una pausa teatrale, sperando gli
pendesse
dalla labbra.
Convinzione vana.
<< Il tuo re è a qualche livello di distanza,
rinchiuso in una
cella. Se lo desideri potrai fargli visita: devi solo rivelarci qual
è lo scopo del vostro viaggio, tutto qui >>.
Karin spalancò gli occhi, indignata e furente: dopo tutti
quegli
anni si ritrovava nella medesima situazione, con l'elfo che le
proponeva un maledetto ricatto e lei, povera vittima, che doveva
obbedire; quando si dice “cerchio della vita”...
Fece vagare lo sguardo verso l'altro elfo, rimasto zitto di fronte a
quella richiesta: eppure, dietro lo sguardo impassibile scorse
risentimento e imbarazzo, misto a una rabbia sorda; sentendosi
osservato, Legolas ricambiò lo sguardo di Karin, facendole
intendere
quanto detestasse quel basso mezzo.
Ora più sicura, con sforzo immane riuscì a
sostenere con
tranquillità lo sguardo chiaro e freddo del re degli elfi,
mentre
dentro di sé ribolliva di furia.
<< Se non vi dicessi nulla mi torturereste nuovamente per
estorcermi una menzogna? >> domandò, la voce
tagliente e
sprezzante; Thranduil non si scompose, ma gli occhi scintillarono
minacciosi.
<< Sul mio onore, no >> rispose subito,
indignato che gli
ricordasse un fatto che aveva macchiato il suo buon onore di elfo.
<< E sul mio non dirò nulla >>.
Thranduil dilatò brevemente le narici, assottigliando lo
sguardo <<
Piccola testarda, hai la possibilità di andartene e non la
sfrutti,
e solo per salvare i piani del tuo sovrano ed essere sua complice!
>>.
Karin si morse la lingua per non rispondergli: Thorin non era il suo
re. Ma non riuscì a comprendere se la frase
implicasse anche un
altro significato, oltre alla fedeltà che, in quanto nano,
gli
doveva.
Per un attimo restò sconcertata, sbarrando gli occhi:
possibile
sapesse?
Tornò dietro al velo, celandogli i suoi pensieri,
rinchiudendosi nel
suo silenzio. L'elfo se ne accorse, lanciandole un'occhiata di puro
odio, alla quale lei rispose con soddisfazione e gioia malsana; le
diede le spalle, facendo cenno al figlio di seguirlo fuori.
La porta si richiuse con un tonfo secco, mentre lei
sprofondò meglio
nel cuscino, gli occhi spalancati nel buio.
Di nuovo sola, con i suoi tormenti e la voglia di riposare: ma il
terrore di incappare negli incubi era dietro l'angolo, lo sentiva.
Gli occhi le si chiusero e, vinta dalla stanchezza, si stese:
l'ultimo pensiero prima di sprofondare nel baratro gelido e nero dei
ricordi volò verso Thorin; lo vide avvicinarsi con un
sorriso sulle
labbra sottili, i raggi del sole che lo riscaldavano.
Il
buio si dipana.
Ora
riesce a vedere al di là dell'oscurità opprimente.
Sa
che è un sogno, ne ha fatti molti durante le notti
interminabili:
eppure il senso di angoscia e panico lo tormentano, stringendogli il
cuore.
Come
sempre, si aspetta d'udire le urla straziate, o il pianto sommesso e
via via sempre più forte ed acuto.
Invece
non accade nulla.
Tutto
è silenzio.
Si
preoccupa, anche se sa che dovrebbe essere rincuorato.
Ma
c'è troppa quiete.
E'
nervoso, e scalpita.
Muove
un passo ed un altro ancora, vedendo che la lieve penombra lo segue,
rischiarando lo spazio.
Riconosce
le pareti di pietra, umide e fredde: è nella sua cella.
Sbuffa,
perché nemmeno nei sogni può sperare d'evadere da
lì: ma si
rimprovera, perché quello non è un sogno.
E
non gli appartiene.
Ormai
lo sa.
Ha
dei sospetti, ma vuole conferme.
Cammina
ancora, tende le orecchie: ora percepisce un rumore.
Si
avvicina, sa che là c'è la porta.
Il
rumore si fa insistente, e sembra ci sia un qualcosa che graffia la
superficie lignea dello stipite.
Un
altro passo, e un altro ancora, poi si blocca: c'è qualcuno
inginocchiato, curvo su se stesso.
La
luce è ancora troppo debole per distinguere qualcosa che non
sia la
sagoma rannicchiata.
Quando
si avvicina, il buio diminuisce, ed ha un lieve tuffo al cuore.
Riconoscerebbe
quei capelli tra mille.
Quella
chioma indomabile, che amava così tanto...
Che
ama ancora.
Non
vuole crederci, non vuole vedere.
Ma,
anche se ha distolto lo sguardo, il rumore non cessa, gli martella le
orecchie. E il cuore.
Poi,
dalla figura si alza una melodia, canticchiata a bassa voce con voce
tremante.
Colma
di lacrime.
E'
la canzone dell'uccellino che vuole cercare la madre, ma non la
trova.
La
conosce anche lui, ed è questo ad annientarlo
definitivamente.
Allunga
una mano verso la spalla della ragazza, scossa da fremiti.
Ma
le dita la trapassano, si infrangono con l'aria.
La
figura inizia a svanire lentamente.
Il
pianto si mescola con le parole della canzone ed
il grattare delle unghie sul legno.
Non
può permetterle di sparire.
Glielo
ordinerà,
se
necessario.
<<
Karin! >>.
La
chiama, ma la figura continua a dargli le spalle, neppure si gira: sa
che è lì? Lo percepisce?
E'
quasi scomparsa del tutto e lui, impotente, non può fare a
meno di
chiamare.
<<
KARIN! >>.
Il
buio lo inghiotte, ancora una volta.
Lei
è sparita.
E'
solo.
Thorin portò le mani a strofinare il viso stanco, sfregando
gli
occhi con furia: non solo si era riaddormentato, ma era caduto di
nuovo preda degli incubi.
Per quanto cercasse di allontanarli, quelli si ripresentavano
più
nitidi alla sua mente: anche con gli occhi spalancati riusciva a
scorgere la sua schiena e i suoi
capelli scuri.
Si alzò, camminando spedito verso lo stipite della porta,
temendo
ciò che vi avrebbe trovato: ormai ne era sicuro, non erano
semplici
incubi quelli che lo tormentavano ogni volta che chiudeva gli occhi.
Erano ricordi.
Di Karin.
Si inginocchiò, poggiando le mani sul legno duro e vecchio:
le dita
corsero piano, indugiando su ogni piccola venatura alla ricerca
di nemmeno lui sapeva cosa.
Forse quello poteva essere stato un normale sogno, e lui stava
semplicemente impazzendo nel voler trovare per forza una risposta
logica che lo portasse a lei.
Si era quasi convinto di ciò, che trovò qualcosa.
Qualcosa di diverso dalle semplici venature, più profondo
per
essersi formato naturalmente.
“Scavato
nel legno”
Vi passò sopra le dita, riconoscendo dei caratteri
familiari: delle
rune naniche.
Formavano una parola, che lo fecero tremare e indignare come poche
volte, il cuore ormai sbriciolato dalla morsa ferrea.
karin
Karin
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonsalve,
e perdonate l'ENORME RITARDO ç_____ç
Avrei
dovuto aggiornare prima ma, tra lo studio e il blocco che mi era
preso – mannaggia a lui >.< - non ce l'ho
fatta! Ero giù di
morale, parecchio abbattuta: ma i vostri messaggi mi hanno ridato
speranza e vigore! Voi sapete chi siete, mie meravigliose ragazze
*_____*
Ehm,
qui non abbiamo nulla di carino e coccoloso tra i piccioncini
ritrovati: cause di forza maggiore chiamato Thranduil, che li ha
messi in celle separate e... causa passato che incalza e li tormenta,
tutti e due!!!
Riusciranno
i nostri eroi a venirne fuori??? Spero di sì, ma intanto
dubito di
me stessa: la mia salute mentale sta andando a farsi benedire con
'sta storia: mea culpa, dopotutto XD XD!!!
Bene,
come sempre vi esorto a farmi sapere che ne pensate con le recensioni
– oh, se qualcuno vuol aggiungersi sarà il
benvenuto/a, mica lo
mangio ;)))
Ringrazio
le carissime e specialissime J_ackie,
jaybeautifdarkangel, vanessa 90, miss_frenky92, LadyGuns56,
erica0501, pamagra, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack,
Mars PR_Black Rose e Carmaux. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!! La “family” si sta
allargando,
evvai!!!!
GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite- seguite- ricordate e a
chi legge soltanto! Siete meravigliosi!
Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna *sempre dietro lo scudo di quercia, non si sa mai* :P :P
P.s Posto anche stavolta ad un orario indecente
-.-''!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo undici ***
Note
autrice: oh
oh oh, qui la tristezza dilaga!!! Chiedo perdono per i capitoli un
po'... pallosetti (si può dire, vero O.o?); so che non
accade nulla
di che, ma portate pazienza, per favore u.u! Sono indispensabili per
la trama e lo svolgimento della storia: anzi, spero iniziate a capire
cos'è accaduto nel passato della nostra traditrice preferita
XD,
comunque sappiate che il passato spunterà fuori anche qui e
nei
prossimi capitoli (ancora uno sicuro, poi dovranno pur andarsene da
'sto postaccio, no ^^?)
Come
sempre vi faccio una marea di ringraziamenti per il sostegno, mie
stelline :* :*, spero vi piaccia anche questo! Ci leggiamo
giù, va
bene?
Ah, non
so se cambiare il rating della storia, a questo punto, comunque anche
qui il cap è GIALLO/ARANCIONE,per
sicurezza :) :)
CAPITOLO UNDICI
Bilbo scivolò in una stanza appena in tempo: il mantello di
un elfo
gli sfiorò le gambe, ma il proprietario non se ne accorse,
avanzando
spedito lungo il corridoio semibuio; in mano teneva una lancia, come
le guardie che aveva trovato davanti alle celle dei suoi compagni.
Espirando piano dato lo spavento, cercò di placare i battiti
furiosi
e incessanti del suo povero cuore, per poi avanzare adagio sulla sua
scia: riuscì a seguirlo ascoltando solamente i passi
affrettati
lungo corridoi sempre più illuminati da torce appese al muro
di
pietra, lungo scale addossate alla parete che portavano ai vari
livelli, sia superiori che inferiori.
Vagava libero da una settimana, ormai, eppure si stupiva sempre di
come quel palazzo fosse un vero e proprio labirinto!
Era riuscito a trovare il resto dei nani, ed aveva avuto un gran
daffare quasi ogni giorno a portare messaggi all'uno o all'altro;
stavano bene, e le notizie che riferiva li confortavano: ma non del
tutto.
Nei loro pensieri e nei loro cuori pensavano spesso al loro re e alla
compagna, dispersi chissà dove.
Svoltò ancora una volta, sentendo i passi farsi sempre
più vicini,
per poi arrestarsi: sbirciò dall'angolo, riconoscendo
l'elfo;
chiacchierava tranquillamente con una guardia, probabilmente doveva
dargli il cambio. Invece, con immenso stupore – e per poco
non
aveva urlato di sorpresa – quello che aveva seguito aveva
estratto
dal fianco sinistro una spada che ben conosceva, dalla guardia
d'acciaio lavorata a formare quattro larghi petali, che scendevano a
coprire il polso del possessore.
Iris
“Ma
allora Karin è qui!”
Fu questo l'unico pensiero che riuscì a formulare, mentre
osservava
i due elfi ammirare con interesse la lama, e le rune che vi erano
incise; fecero gesti di apprezzamento, per poi entrare in una stanza
ed uscirne poco dopo, senza spada.
Si allontanarono, e ciò permise allo hobbit di avvicinarsi
meglio
per spiare: fortuna avevano lasciato la porta aperta, così
poté
entrare tranquillamente.
Con un luccichio meravigliato negli occhi grigi, i piedi lo portarono
subito davanti a Iris, poggiata in orizzontale sopra un sostegno di
legno: con dita tremanti - come se toccasse un oggetto sacro a lui
proibito - accarezzò la lama lucida e fredda, che sembrava
assorbire la luce calda e il gioco delle lingue rossastre ed
infuocate delle candele accese ai suoi lati. Non si azzardò
a
smuoverla o prenderla, non gli sembrava giusto: era come se stesse
violando una parte di Karin; gli fece uno strano effetto vederla
lì,
piuttosto che dentro al fodero, allacciata alla cintura dell'amica.
Sbatté
le palpebre molte volte, confuso, quando per un attimo vide i suoi
occhi neri riflettersi e guardarlo: ma non era il solito sguardo
felice o amichevole, era... angosciato e triste, immensamente
addolorato. E perso.
Rimase
imbambolato
finché non sparì, poi si riscosse: lei aveva
bisogno di lui, non
poteva permettersi di perdere tempo prezioso.
Fece scorrere lo sguardo alla sua sinistra ed impallidì del
tutto,
anche se dentro di sé si sentì quasi euforico:
sopra un tavolo di
legno vi era anche Orcrist, riposta però dentro al fodero;
eppure,
anche lì dentro, la riconobbe dall'impugnatura di dente di
drago.
Quindi, anche Thorin era a palazzo! Non poteva crederci, ora erano
tutti insieme, anche se separati! Ed il saperli – magari - a
poche
stanze di distanza, gli diede la forza necessaria per spicciarsi,
muovendo un passo davanti l'altro.
Diede
un'ultima occhiata alla spada per poi voltarle le spalle, e
ripercorre lo stesso tratto di strada che l'aveva condotto
lì: era
inutile cercarli a vuoto, si sarebbe perso. Ora, ciò che gli
premeva
era far sapere anche agli altri che Karin e Thorin erano lì;
si
bloccò un attimo, sconcertato, quando un pensiero lo
folgorò: e se
gli elfi avessero preso le armi... e basta?
Insomma, se le avessero trovate e raccolte per non lasciare delle
spade di ottima fattura nelle profondità della foresta?
E loro... dove potevano trovarsi, allora?
No,
era certo fossero
a palazzo: lo sentiva.
Doveva
solo cercarli.
Con un impeto di coraggio e orgoglio ritrovati marciò a
testa alta
verso la prima cella, pronto a dare la notizia del ritrovamento ai
compagni: fortunatamente non v'era nessun elfo di guardia,
così
poggiò le mani alle sbarre, chiamando piano.
<< Psst, Dwalin! >>.
Il nano, che se ne stava appoggiato con la schiena alla parete, gli
occhi chiusi e le braccia conserte, si sciolse dalla posizione e si
avvicinò.
<< Scassinatore >> lo salutò, il
cipiglio minaccioso
affievolito << notizie da mio fratello? >>.
<< Oh, no, ma porto due buone nuove! Insomma, spero!
>>
esclamò.
Dwalin marcò l'espressione severa del volto, incrociando le
possenti
braccia al petto: anche se non riusciva a vederlo vista
l'invisibilità, sembrò guardarlo dritto negli
occhi, mettendolo a
disagio.
Bilbo sfilò l'anello, preferendo mostrarglisi.
<< Ebbene? >> disse, burbero
<< Non intendo
aspettare tutto il giorno specie se, come dici, sono buone notizie
>>.
<< Riguarda Thorin e Karin: poco fa, al livello
superiore, ho
visto le loro spade in una stanza; forse sono qui anche loro!
>>.
L'altro rimase in silenzio, mentre gli occhi mandarono lampi di
felicità. Per poi rabbuiarsi subito.
<< Devi trovare Thorin, per prima cosa: l'avranno
imprigionato
come noi, molto probabilmente >>.
Bilbo annuì, aggrottando poi la fronte << E
Karin? >>.
Dwalin, per tutta risposta, si pronunciò in un verso
sprezzante, che
la diceva lunga su ciò che avrebbe voluto rispondergli
<< La
traditrice? L'hai vista in un qualche angolo a complottare con un
elfo? >> domandò secco.
<< No >> ribatté Bilbo,
arrabbiandosi un poco: sapeva
che non sarebbe servito a nulla, ma non riuscì a calmarsi
<<
però potrebbe essere imprigionata: hai notato le sue
espressioni
nella foresta, mi pare. Parlavano chiaro >>.
<< Certo! Abile mentitrice, che riesce ad ingannare gli
sciocchi >>.
<<
Io non sono uno sciocco!
>>
ribatté, offeso.
<<
Lo sei, scassinatore >> replicò il nano, per
nulla turbato dal
tono dell'altro << Bastano poche paroline, un sorriso e
qualche
abbraccio per cadere nella sua trappola; oh, per non parlare della
“paura” ostentata! Dimmi, Bilbo, ti è
passato per la mente di
volerla proteggere
ad
ogni costo, non è così? >>.
Non aspettò la risposta dello hobbit: la sua espressione
parlava
benissimo per lui.
<< Lei è furba, una creatura che è
riuscita a piegare tutti
al suo volere, per poi tradirli >> disse, la voce dura e
improvvisamente sofferta; lasciò vagare lo sguardo lontano,
forse
perso nei ricordi. Ciò permise al povero Bilbo di ritrovare
la voce,
e parlare in difesa di Karin.
<< Quindi consideri Thorin uno sciocco, mio pari
>> con
un fremito di paura, vide gli occhi di Dwalin diventare profondi e
irati.
Sapeva
d'aver utilizzato un mezzo poco rispettabile, ma lo faceva per
difendere la sua amica da accuse che sapeva
essere
infondate!
<< So perfettamente quale sentimento li legava, lo
comprenderebbero anche i più ostinati, e... >>.
<<
Cosa vuoi saperne? Tu
non c'eri quando si rivelò per quel che realmente era!
>>
scattò il nano: afferrò le sbarre di ferro con
così tanta forza
che, per un attimo, Bilbo ringraziò quell'ostacolo tra loro;
ci
sarebbe stato il suo collo tra quella presa, altrimenti.
<< Spiegami, allora! Cosa ha fatto per meritarsi tanto
odio? >>
chiese, sull'orlo della disperazione e della rabbia cieca.
Voleva
sapere, assolutamente.
E se, per raggiungere lo scopo, avesse dovuto tirare fuori il lato
più oscuro di sé usando il disprezzo di Dwalin e
il suo carattere
burrascoso... l'avrebbe fatto.
L'altro sembrò accontentarlo, ormai preda della furia
incontrollabile << Fu lei a permettere la distruzione di
Erebor! Che possa essere dannata per questo finché
avrà fiato in
corpo! >>.
Bilbo spalancò la bocca, sbalordito: temette d'aver capito
male.
<< Co-cosa? >> la sua sicurezza si
sgretolò come le
macerie di un muro, tornando ad essere il Baggins spaventato dei
primi tempi.
Dwalin parve compiaciuto della sua sorpresa e, con somma gioia da
parte di Bilbo, continuò il racconto << Non te
l'aspettavi
dalla tua amichetta, vero? Te l'ho detto, in lei si nasconde un
mostro, un'ingannatrice perfida e subdola. Si è fatta docile
e buona
mentre, come un ragno, tesseva la sua tela fatta di trame e bugie;
catturò Thorin, portandolo dalla sua parte, facendolo
innamorare di
sé. Persino io le ero amico >> si
fermò, spostando brevemente
lo sguardo in un punto impreciso, lontano dal volto stupito di Bilbo
<< Ma poi è fuggita col padre, dopo che a
questo era stato
affidato un compito importante: cercare l'alleanza con gli Elfi
Silvani contro un drago avido. Non eravamo certi della sua venuta, ma
sapevamo che sarebbe giunto, prima o poi, desideroso d'impadronirsi
dell'oro di Erebor. Così accadde: e durante lo scontro,
molti di noi
videro la nostra unica salvezza – gli elfi –
volgerci le spalle
per tornarsene al bosco. Con loro, anche il padre della traditrice
>>
respirava affannosamente: l'odio traboccava da ogni parola, facendo
tremare Bilbo. Mai aveva sentito parole così piene di
disprezzo e
sofferenza.
<< Poi che accadde? >> domandò,
con un filo di voce:
parte della sua mente non avrebbe voluto saperlo, ma ormai era fatta;
se voleva conoscere ogni cosa sarebbe dovuto andare fino in fondo.
<<
Finì la battaglia e noi, stremati e decimati, lasciammo la
nostra
casa e tutto ciò che ci apparteneva: ci rintanammo come topi
nella
vicina Dale, ridotta ad un cumulo di macerie. Ma dovevamo riposarci e
piangere i morti. Un giorno si ripresentarono, volendo parlare con
Thròr: iniziarono a blaterare sul fatto d'essere stati costretti
a tradire. Non vennero creduti, e il re comandò che
venissero
esiliati: fu allora che Karin confessò. Lo fece guardando
Thorin
negli occhi - impertinente come sempre - chiedendogli di
risparmiare il padre dalla punizione, poiché era stata tutta
colpa
sua; volle parlargli in privato: non so cosa si dissero, so solo che,
alla fine, vennero banditi entrambi. Per sempre >>.
Bilbo aveva gli occhi lucidi, ed un peso allo stomaco e al cuore che
lo lasciarono senza fiato per lunghi ed estenuanti secondi.
Non poteva crederci: non riusciva nemmeno a immaginarla complice
degli elfi nella distruzione di Erebor, della propria casa.
No
rifletté
ci
dev'essere
un'altra spiegazione.
Doveva trovarla, e farsi raccontare la sua versione. Solo
così
sarebbe riuscito a comprenderla.
<< Karin continuava a sostenere di non essere una
traditrice,
fin dal principio. Dev'essere stata costretta a mentire, per forza!
>>.
<<
La tua ostinazione è pari alla mia, scassinatore
>> Dwalin
scosse il capo, in un muto rimprovero << Guarda in faccia
la
realtà: Karin è una traditrice,
e
meriterebbe d'essere trattata con freddezza; invece, da quando
è
qui, ha conquistato l'affetto di tutti. Soprattutto di mio fratello e
Thorin >> sbuffò piano, sprezzante
<< Proprio lui,
che
era stato tradito e ci ha rimesso più degli altri. Tu non
l'hai
visto distruggersi
con
le proprie mani, anno dopo anno: da allora è cambiato,
profondamente. Quel giorno non ha esiliato solo lei, ma anche la
parte di sé che si era donata a Karin, amandola. La nostra
amicizia
fraterna è continuata, è vero: ma non
è più stata la stessa >>.
Lasciò
la presa sulle sbarre allontanandosi un poco, venendo risucchiato
dall'ombra nera della cella << Noi tre eravamo
inseparabili: ne
abbiamo combinate tante, nell'infanzia; poi l'amicizia tra Thorin e
Karin è mutata, divenendo diversa e profonda. Ero molto
felice,
s'intende, ed auguravo loro il meglio: si completavano, in un certo
senso. Oh, insomma, non sono molto bravo con questi discorsi!
>>
proruppe, inalberandosi di fronte a quella imbarazzante confessione,
che fece scappare un leggero sorriso a Bilbo << Poi tutto
mutò
con una velocità spaventosa, e ci trovammo divisi.
Questo
è quanto >> grugnì, andando a
sedersi a terra.
Bilbo non seppe che aggiungere, ed ebbe una mezza idea di salutarlo e
andarsene, ma i piedi non si mossero: sapeva che doveva dire qualcosa
che potesse confortarlo o farlo ragionare, piuttosto che vederlo
annegare nel dolore dei ricordi. Aprì la bocca, timidamente.
<<
Io credo che Karin abbia avuto i suoi motivi per aver fatto quello di
cui è accusata: che siano buoni o sbagliati,
bé... è difficile da
dire, se non si conosce il perché. Ma, Dwalin, l'hai mai
sentita
piangere?
I suoi singhiozzi sono quelli di una bambina sperduta che si odia a
morte e vuole solo il perdono dei suoi amici. La colpa non l'ha mai
abbandonata, il rimorso lo porterà con sé per
sempre: è questo che
auguri ad una tua amica? Che soffra così tanto?
>> si fermò, un groppo alla gola gli impediva
di respirare, o
continuare a parlare.
Dwalin lo trafisse con lo sguardo, assottigliando le labbra
<<
Vattene, scassinatore. Le nostre chiacchiere finiscono qui
>>
sibilò, per poi voltare il capo dalla parte opposta.
Bilbo abbassò la testa, sconfitto; infilò
l'anello e sparì, i
passi leggeri che, via via, si allontanavano dal nano.
Assiste
alla sua
tortura, impotente.
Vorrebbe
scagliarsi contro quel bastardo,
ma non può.
Non
riesce a muoversi.
Non
riesce nemmeno a urlare, a chiamare.
Sente
dolore in ogni dove. Il suo.
Di
Karin.
Guarda
il sangue che cola, rosso vermiglio, dalle braccia bianche.
Dalla
schiena, martoriata brutalmente.
Con
orrore, capisce che i tagli formano un paio d'ali, grottesche
imitazioni di quelle di un volatile.
Di
un uccellino.
Il
fiato gli manca, la rabbia dilaga.
Come
osa
farle
questo? Uno
scempio del genere non può rimanere impunito!
Chiude
gli occhi alle numerosa grida straziate.
Stringe
le mani a pugno fino a farle sbiancare.
Conficca
le unghie nella carne, facendosi male: sanguina, ma non gli importa.
Nulla
è importante in confronto a ciò che lei
sta
patendo.
Apre
la bocca, un ruggito furioso e animalesco preme sulla gola, vuole
uscire.
Ma
non urla come vorrebbe, rendendolo più arrabbiato che mai.
Ci
riprova, con ostinazione.
Vuol
fare un passo avanti, raggiungerlo e spezzargli l'osso del collo con
un sol colpo.
Poi
avrebbe riso lui, sguaiatamente: come sta ridendo l'elfo di fronte al
sangue di Karin.
Di
fronte alle sue suppliche.
Di
fronte alle sue lacrime.
Lo
vede rialzarsi da terra: la lama del coltello, impregnata di rosso,
gocciola.
Lei
è immobile, i respiri sono bassi e rochi. E' stremata, le
forze
l'hanno abbandonata.
Rialzati
vuole
dirle ti
prego.
Ma
non lo fa, rimane stesa.
L'elfo
pulisce noncurante la lama con un panno, poi le si avvicina maligno,
schivando la pozza rossa che si allarga sempre più ai suoi
piedi.
<<
Sei debole,
uccellino >>.
La
furia rimonta in lui, potente come un fiume in piena.
Come
osa
dirle
questo?
Con
quale diritto
pronuncia
quella
frase?
Che
genere di mostro ha davanti?
Vuole
spaccargli la faccia.
Vuole
affondare la sua ascia nel suo petto, bearsi delle grida del nemico
ed infierire finché non avesse esalato l'ultimo respiro.
Si
sarebbe abbassato al suo subdolo livello, vendicandosi ferocemente.
Per
lei.
Solo
per Karin.
Poi
tutto si dissolve, lentamente, ritorna il buio.
Aggrotta
la fronte quando sente il terreno mancargli sotto i piedi.
Sta
andando verso l'alto, lo sente.
L'oscurità
diminuisce mentre sotto di lui riconosce le chiome degli alberi di
Bosco Atro.
Poi
si muove veloce, lasciandoselo presto alle spalle: davanti a lui,
ora, si erge la Montagna Solitaria.
Ha
un tuffo al cuore nel rivederla così vicina
e
vivida,
dopo
molto tempo.
Ma
teme anche ciò che può riservargli quell'incubo.
Rapido
come il vento sembra quasi scontrarsi contro il fianco roccioso, ma
ci passa attraverso, muovendosi tra le sale illuminate dai
giganteschi bracieri.
Lungo
i vari corridoi.
Si
inoltra nel centro della montagna.
E
poi, finalmente, si ferma.
Riconosce
la sala del trono.
La
grande stanza è circondata da possenti colonne scavate nella
roccia,
alte molti piedi; il pavimento è solo un corridoio di marmo
liscio e
nero che porta al trono sopraelevato, circondato da uno spiazzo
rotondo di pietra.
Non
ci sono pareti; sotto e attorno, il vuoto: scorge le numerose e
lunghe scale, ripide e scoscese, che portano ai vari livelli.
Le
grandi finestre rischiarano due figure: una è sui gradini
che
portano al trono possente, l'altra è poco più in
basso.
Il
cuore sembra spezzarsi quando si riconosce nella prima sagoma:
l'altra è Karin.
Da
molto tempo non sogna il loro ultimo scontro, prima dell'esilio.
Non
vuole ascoltare, ma deve.
Deve
ricordare
quelle parole, rivedere
ogni gesto rabbioso: è la sua tortura, dopotutto.
E'
così certo
della
sua
colpevolezza che mai si pone la domanda cruciale: ha davvero
tradito
di sua
spontanea volontà?
Lei
glielo dice, ogni volta: non è colpa sua, ma degli elfi che
l'hanno
torturata e costretta.
Ma
le orecchie di lui, Thorin Scudodiquercia non sentono. Mai.
Sposta
lo sguardo azzurro verso Karin, volendo chiederle perdono.
La
voce non esce.
Nonostante
lo sguardo colmo di lacrime versate, è fiera e orgogliosa.
Gli occhi
neri brillano di sofferenza e determinazione.
Il
capo è alto, la schiena è dritta.
L'elfo
si sbaglia pensa
Karin
non è
debole. Non lo è mai stata.
Prova
una certa soddisfazione nel vederla lì a fronteggiarlo,
anche se ha
il volto stravolto e paonazzo dal pianto furioso.
E'
ancora più bella.
Distoglie
a fatica lo sguardo, sapendo che non la rivedrà
più.
Fa
male, ma si volta verso se stesso, le dà le spalle: lui
è il
ritratto dell'indignazione più pura, dell'ira più
profonda.
Il
tradimento è un torto che non rimane impunito.
Il
suo stesso essere e il suo orgoglio reclamano vendetta.
Desidera
quella punizione che li porta nella disperazione, nella sofferenza
immane.
Nell'oblio
del dolore.
Lontani
per sempre.
Detestandosi
a morte.
Eppure
non si dimenticano, l'odio non prevale.
Si
maledice tante volte, però sa che non serve: è a
Karin che deve
chiedere perdono.
Ma
lei è morta.
Si
dispera perché non riesce a parlarle: è muto,
come prima nella
cella.
Di
nuovo, tutto inizia a dissolversi, l'oscurità ritorna.
L'accoglie
con gioia, perché non merita di vedere la luce.
Di
vedere lei.
Portò un dito alla guancia destra, sentendola umida:
asciugò le
tracce di pianto con un gesto al limite della stizza, infuriato.
Non rammentava l'ultima volta in cui avesse dato sfogo ai suoi
sentimenti più deboli: nemmeno quando Erebor era stata presa
da
Smaug, nemmeno quando suo nonno era morto e suo padre fuggito.
Nemmeno quando aveva compreso che Karin era morta.
Avrebbe voluto piangere, quello sì, ma nessuno lacrima era
fuoriuscita dagli occhi; era meschino e freddo, lo sapeva, eppure era
così.
Non sapeva piangere.
O non voleva, ma non esisteva alcuna differenza.
Perciò si stupì non poco quando sentì
le dita bagnate da lacrime
salate: solo negli incubi tornava a provare dei sentimenti.
Sospirò
affranto, volgendo lo sguardo alla sua sinistra, nel punto dove
campeggiavano le rune scavate nel legno dalle unghie di Karin, nel
periodo della prigionia: le sfiorò, con la stessa
delicatezza con
cui le aveva accarezzato la guancia dopo il bacio. Gli parve di
sentire il calore e la morbidezza della sua pelle a contatto con i
polpastrelli: ma si riscosse presto, amareggiato; quello era solo
legno,
duro
e ruvido.
Appoggiò la testa alla porta, guardando il soffitto, umido
quanto le
pareti: in alcuni momenti, piccole gocce risuonavano sulla pietra, in
una melodia continua che gli permetteva di contare il tempo.
Una settimana. Così tanti giorni, in cui si era lasciato
andare in
ricordi e colpe, piuttosto che cercare una soluzione per fuggire da
lì: si chiedeva spesso dove potessero essere i suoi
compagni, se
stessero bene e se erano riusciti ad uscire dalla foresta, ma i cupi
pensieri accumulatisi gli fecero perdere ogni speranza.
Anche se non si fossero imbattuti nei ragni – o negli elfi
–
rimanevano comunque troppo lontani dal sentiero, senza viveri: non
sarebbero durati a lungo.
Passò le mani sul volto, sconsolato: la loro era stata
un'impresa
suicida, destinata a fallire fin dal principio; e lui, come re e
guida, avrebbe dovuto saperlo, accorgersene in tempo. Ma la sua
voglia di rivalsa e vendetta avevano prevalso sul buonsenso,
rendendolo cieco.
Come era accaduto con Karin, d'altronde.
Qualsiasi gesto, qualsiasi azione che voleva compiere – o che
aveva
compiuto - erano sempre totalmente sbagliati: era lui la causa dei
suoi mali. La colpa era solo sua.
Si risvegliò dal baratro della commiserazione quando
sentì dei
passi affrettati farsi sempre più vicini: fuori, si stava
avvicinando qualcuno. Ed aveva capito da subito che, là in
fondo, la
sua era l'unica cella presente.
Si alzò di scatto: i muscoli protestarono debolmente,
risentendo
dell'inedia di quei lunghi giorni in cui non aveva fatto altro che
stare seduto ed immobile.
Rimase al centro della stanza, aspettando il visitatore: finalmente,
dopo attimi eterni, la chiave girò nella toppa e la porta si
aprì,
facendogli sbattere le palpebre per la luce della torcia, vivida e
rossastra.
Quando si abituò, riconobbe l'elfo biondo che gli aveva
intimato di
abbassare Orcrist: non appena entrò si squadrarono con
astio, senza
celare nulla.
Si erano aggiunti nuovi motivi per i quali odiava apertamente la
razza elfica, da quando era stato rinchiuso, e aveva intenzione di
farglieli capire chiaramente.
<< Ti conosco >> disse, glaciale
<< ci siamo
incontrati nella foresta >>.
L'elfo annuì, gli occhi chiari si strinsero leggermente
<<
Sono Legolas, figlio di Thranduil e principe di Bosco Atro
>>.
A Thorin scappò una risata a dir poco sprezzante e
sarcastica: il re
mandava il figlioletto a parlamentare?
<< A cosa debbo questa visita? >>
domandò duramente,
incrociando le braccia muscolose al petto ed inarcando un
sopracciglio.
Anche se era più basso di Legolas sembrò
sorpassarlo, data
l'alterigia e l'orgoglio fiero dei nani con cui aveva parlato.
Tornò
il Re sotto la Montagna che era sempre stato: era l'unica cosa che
gli rimaneva.
Aspettò impaziente la risposta, non capendo se il silenzio
dell'elfo
fosse studiato per lasciarlo sulle spine o se, effettivamente, stesse
cercando le parole adatte con cui esprimersi; finalmente,
parlò.
<< Karin è viva >>.
Lo disse senza giri di parole, diretto e conciso: Thorin
stentò a
credere a ciò che aveva udito, e dovette munirsi di tutto
l'autocontrollo che possedeva per non iniziare a ridergli in faccia.
O prenderlo a pugni.
Fece saettare lo sguardo indagatore sul suo volto, alla ricerca di
menzogna nei tratti delicati e perfetti: ma non ne trovò.
<< E' inutile che mi guardi in quel modo: è la
verità, lo
giuro sulla mia vita >>.
<<
I tuoi giuramenti puoi benissimo tenerteli! >>
sbottò irato
Thorin << Lei è morta,
l'ho
vista con i miei occhi! >> ribatté con
ostinazione.
Legolas, invece, scosse il capo << Lo credevo anche io,
quando
me l'hai detto: ma era solo l'effetto del veleno. Ha lottato
duramente per svegliarsi e ce l'ha fatta, il corpo ha reagito bene
>>.
Parole troppo belle che parevano impossibili.
Però il sospetto di un qualche tranello era in agguato: si
trattava
pur sempre del figlio di Thranduil, di colui che, per primo, aveva
architettato la menzogna più grande che li aveva
allontanati.
Come avrebbe voluto credergli, e bearsi della gioia e
felicità nel
saperla viva! Ma non doveva abbassare la guardia, era ancora troppo
diffidente nei suoi confronti.
<< Dov'è? >> si costrinse a
chiedere: aveva la gola
secca, e la domanda gli uscì male articolata.
<< E' ancora debole: si è nascosta dietro un
velo di freddezza
e paura. Non parla con nessuno, e non vuole guarire >>.
Sembrò che una lama gli si fosse conficcata in quel poco che
gli
rimaneva del cuore: Karin non voleva combattere per la sua vita e si
stava lasciando andare, preda dei tormenti del luogo.
Una rabbia inaudita minacciò di esplodergli in petto, ma
riuscì a
dominarla, anche se poco: iniziò a tremare, i pugni
contratti; ogni
sua fibra era impregnata d'odio verso quel popolo che l'aveva
condotta a quello stato, che le aveva fatto del male.
<< Se vuoi salvarla – come suppongo desideri
– devi
ritrattare, dopodiché chiamerò mio padre e lo
convincerò affinché
possiate incontrarvi >>.
<<
Lei
dove
si trova? >> chiese, sempre più irato:
ignorò la richiesta
dell'altro, maledicendo i ricatti e chi glieli proponeva.
Il silenzio ostinato dell'elfo lo mandò su tutte le furie.
<< DOV'E' KARIN? >> gridò, con
quanto fiato aveva in
gola: non gli importò di risultare impulsivo o privo di
controllo.
Semplicemente, non ce la faceva più a frenarsi.
<< Non posso dirtelo, ma devi fidarti quando dico che
è viva,
e potrai rivederla >> disse l'altro, sembrando
dispiaciuto.
<<
Lei non è viva,
vuol
lasciarsi morire! Ed è colpa della vostra razza!
>> sputò con
astio, gli occhi scintillanti.
Legolas si rabbuiò << Abbiamo sbagliato a
rinchiuderla, è
vero: ma non eravamo al corrente degli orrori che ha dovuto
sopportare >>.
<<
Dovevate vigilare meglio, allora >> sibilò
Thorin, malevolo <<
Sei mai stato imprigionato in questa
cella,
principe? Hai mai rivisto quegli orrori – come li chiami -
attraverso la sua
mente?
>> il tremore sembrò abbandonarlo, lasciandolo
solo
immensamente stanco e fiacco.
<< No, e ciò mi addolora >>
Legolas diede un rapido
sguardo alla cella, tornando a rivolgersi al nano << Fui
io ad
accorgermi di ciò che stava patendo, e la liberai dal giogo
di colui
che era il nostro consigliere più fedele >>.
<<
Gesto nobile da
parte tua >> sbottò sarcastico
<< Scommetto che le
vostre scuse saranno state talmente sincere che vi ha perdonati!
>>.
Lo vide arrabbiarsi, provando un piacere inaudito: che provasse sulla
sua pelle la furia che stava covando in lui!
<< Lei non ci perdonerà mai, ma non
perdonerà nemmeno te, Re
sotto la Montagna >> disse, tagliente. Thorin
sentì il sangue
gelarsi nelle vene, ed un impulso improvviso di scagliarsi contro
l'algida figura per farla tacere. Ma quella, sprezzante,
continuò ad
infierire.
<< Una volta che uscì di qui, impaurita e
violata
nell'orgoglio, tornò dall'unica persona che amava con tutta
se
stessa, a cui si era donata >> i tratti del pallido volto
si
contrassero, mentre la rabbia cieca deformava Legolas <<
Quando
lo ritrovò, lui le parlò duramente, cacciandola e
facendola
precipitare nella disperazione: la colpevolizzò per il suo
tesoro
perduto, le sue preziose pietre erano in mano del nemico per causa
sua. Le spezzò il cuore, non avendo alcun rimpianto!
>>.
Un macigno pesante quanto Erebor sembrò schiacciare il re,
portandolo verso terra: fu con sforzo immane che riuscì a
rimanere
in piedi - saldo sulle gambe tremanti - e non cadere in ginocchio,
sopraffatto dalla verità e dalla colpa.
Sopraffatto dalla vergogna per le sue azioni.
Perché l'elfo non lo capiva e non taceva?
<<
Sei responsabile del suo dolore tanto quanto me, Thorin
Scudodiquercia. Avevi la possibilità di farle dimenticare
Bosco
Atro, confortandola e tenendola al sicuro dai ricordi. Invece l'hai
accusata di un crimine che era stata costretta
a
compiere. Sei tu
che
l'hai annientata, il giorno in cui l'hai esiliata! Karin ormai ti
odia più di quanto odi gli elfi >>.
Thorin abbassò il capo, sconfitto: le parole di Legolas
sembrarono
ucciderlo nell'anima; ma, d'altra parte, era incollerito più
che mai
con se stesso che non con lui. Perché sapeva quanto fossero
vere,
quanto avesse maledettamente ragione.
<<
Credi che il rimorso non mi assalga? Che la colpa
non
permei il mio cuore? Che non mi detesti, ogni dannato giorno?
>>
scattò il re, guardandolo negli occhi. Fece un passo avanti,
i pugni
contratti spasmodicamente << Se potessi tornare indietro,
cambierei senza indugi il nostro destino! E per quanto voglia
scusarmi, non si potrà cancellare ciò che
è stato >> abbassò
il tono di voce, rendendolo poco più di un sussurro.
Non riuscì ad aggiungere altro: indietreggiò,
sedendosi sul
pagliericcio e incrociando le braccia al petto, distogliendo lo
sguardo dall'elfo; un chiaro invito ad andarsene, che Legolas
comprese. Nemmeno lui disse una parola e, poco dopo, Thorin
sentì la
porta chiudersi e la chiave girare.
Ancora in trappola, sommerso dai pensieri: quel giorno
rimuginò a
lungo, non riuscendo nemmeno a dormire.
Durante
le ore interminabili non riuscì a figurarsi il suo
volto
imbarazzato dopo il bacio, ma rivide quello pieno di astio e rabbia
del giorno dell'esilio.
Bilbo pensò per l'ennesima volta di essere la persona
più fortunata
della Terra di Mezzo: non solo era riuscito ad informare gli altri
–
senza essere notato dagli elfi - che, forse, Thorin e Karin erano a
palazzo, ma aveva scoperto dove era rinchiuso il re dei nani!
Per puro caso si era nuovamente perso tra i vari cunicoli poco
illuminati, scendendo nell'oscura profondità: aveva notato
da subito
che il posto non era familiare, quindi si era messo di bona lena ad
esplorarlo. E quale era stata la sua sorpresa nel vedere il principe
Legolas uscire stizzito ed infuriato da una spessa porta di legno,
per poi chiuderla a chiave con mosse rabbiose e tremanti.
Perché
mai compiere un gesto del genere, se non per nascondere qualcosa... o
qualcuno?
Lo hobbit si era insospettito e, impaziente, aveva aspettato che
l'elfo percorresse il corridoio per avvicinarsi cauto.
Aveva sbirciato attraverso il buco della serratura, reprimendo un
grido di giubilo: avrebbe riconosciuto quella figura ovunque!
<< Thorin! >> bisbigliò
euforico. Vide che l'altro aveva
alzato la testa, guardando sorpreso la porta. Lo chiamò di
nuovo,
stavolta a voce più alta e, in men che non si dica, quello
si era
avvicinato a grandi passi, quasi correndo.
Intravide l'occhio azzurro che lo scrutava al di là dello
spioncino,
per poi rabbuiarsi
<< Scassinatore? >> domandò,
incredulo: la voce era
tremendamente stanca e spenta, constatò Bilbo.
<< Sì, sono io >>.
Lo sentì sospirare di sollievo, ma durò solo un
attimo << Ma
dove sei, dannazione? >>.
<< Proprio di fronte a te. Perdonami, c'è un
fatto di cui devi
essere messo al corrente >>.
Gli raccontò di come avesse trovato l'anello magico, nelle
profondità della montagna degli orchi, e di come l'avesse
vinto a
quella orrenda creatura, Gollum, sorvolando sul fatto che aveva
barato spudoratamente. Se ne vergognava ancora, nonostante
ciò gli
avesse salvato la vita!
Dopo che ebbe concluso, Thorin rimase pensieroso e in silenzio per
alcuni secondi << Ora capisco come hai fatto a sfuggire
agli
sguardi degli orchi; ed è un vero peccato che ce ne sia solo
uno. Ci
farebbe comodo per uscire di qui >> disse, cupo
<< Ma
dimmi degli altri: come stanno? Dove sono? >>.
<< Stanno benone, per quanto siano anche loro in una
cella: si
trovano in livelli diversi, ma tu sei l'unico più lontano di
tutti
>>.
<< Vengono trattati bene? >> volle sapere,
improvvisamente angosciato.
<< Certo! Hanno cibo e acqua a sufficienza: solo Bombur
si
lamenta a causa dei pasti troppo parchi; ma gli elfi sono molto
gentili nei loro riguardi, anche se sono prigionieri >>.
Thorin emise un verso sprezzante << Non l'avrei mai
detto! >>
sibilò.
Bilbo non riuscì a capire il motivo della sua risposta:
forse lui
non veniva considerato come i compagni? O era solo l'orgoglio ferito
del sovrano a parlare per lui?
Scosse la testa, facendo la domanda che gli premeva più di
ogni
altra questione << Thorin >>
esordì, la voce incerta <<
E... Karin? Dove si trova? >>.
Lo vide aggrottare la fronte, negli occhi passò un lampo di
tristezza che mai gli aveva visto << Speravo potessi
dirmelo
tu. Non la vedo da settimane, da quando i ragni ci hanno attaccati ed
è stata ferita >>.
<< Ferita? >> esclamò Bilbo,
abbassando subito il tono e
dando una rapida occhiata alle spalle, alla ricerca di elfi o suono
di passi << Ma come, quando... ma ferita gravemente?
>>
domandò, concitato.
<< La credevo morta >> ammise il nano,
sfiorando con le
dita le rune sullo stipite; sentì lo hobbit trattenere il
fiato alla
notizia, mentre un pensiero nuovo e improvviso squarciò la
cortina
buia della mente.
<< Bilbo, ci sono due cose che devi fare per me
>>.
L'altro si riscosse dalla disperazione e dall'angoscia al sentire il
tono più sicuro con cui Thorin aveva parlato.
<< Tutto quello che vuoi, Thorin >>.
Il nano sorrise brevemente, ammirando il coraggio del membro che
aveva sempre considerato come il più debole, il peso del
gruppo.
<< Porta un messaggio agli altri, se puoi: che non dicano
nulla
agli elfi, e che pazientino un altro po'; presto usciremo di qui
>>.
Bilbo aggrottò la fronte, perplesso << Come
faremo a scappare?
Non potete certo oltrepassare le sbarre o, nel tuo caso, la porta di
legno! Senza chiavi... >>.
<<
Lo so, ma ci penseremo. Anzi, tu
ci
penserai: sei l'unico di noi che è libero e può
girare
indisturbato. Trova il modo, ma non è questa la seconda cosa
che ti
chiedo >>.
Lo hobbit gli concesse attenzione, relegando nella mente le proteste
che si erano formate nel sentire l'assurda richiesta del re.
<< Trova Karin, amico mio: assicurati che stia bene e poi
vieni
a riferirmelo. Salvala dalla sua prigione e da se stessa. Ti prego
>>.
Bilbo
strabuzzò gli occhi grigi, incredulo: Thorin Scudodiquercia,
Re
sotto la Montagna, lo stava supplicando?
Gli
si strinse il cuore in una morsa, sentendo il tono disperato con cui
glielo aveva chiesto. Sapeva quanto dovesse sentirsi impotente nello
stare rinchiuso lì dentro, senza poter far nulla, lontano da
tutti:
ma non si sarebbe mai
aspettato
tanto dolore nelle
sue parole, nei tratti del volto che stava guardando.
Gli sorrise leggermente per rincuorarlo, dandosi dello stupido
perché
non poteva vederlo, in quanto invisibile: quindi si affrettò
a
rispondergli, vedendo la pazienza del nano scemare, in attesa di
risposta.
<< Certo, farò del mio meglio per trovarla
>>.
<< Fa' in fretta: potrebbe essere troppo tardi
>>.
Il sangue gli si gelò nelle vene, non capendo a cosa potesse
riferirsi, ma rimase molto turbato dal tono che il nano usò.
<< Devo andare, ma tornerò quando
avrò notizie >> gli
promise.
<< Sì. Fai attenzione >>.
Bilbo
se ne andò col cuore gonfio di tristezza: il sapere delle
gravi
condizioni dell'amica, rinchiusa in un posto isolato e nascosto, lo
rese irrequieto; ma si sentì anche spaventato da
ciò che gli aveva
detto Thorin. Doveva
trovarla,
ne era sempre più convinto! Prima però avrebbe
dovuto far tappa
dagli altri, e rassicurarli che il loro re era vivo e stava bene.
Una piccola bugia non avrebbe fatto loro alcun male, si disse:
sarebbero caduti nello sconforto, apprendendo la sua angoscia per la
ragazza; e, di sicuro, Thorin non avrebbe voluto che venissero a
conoscenza della sua momentanea debolezza.
Ciascuno dei nani diede sfoggio della propria contentezza: chi
iniziò
a piangere, chi batté le mani, chi saltellò
euforico, chi lanciò
il cappello in aria ed ululò di gioia.
Balin gli strinse le piccole mani con gratitudine, gli occhi che
scintillavano di lacrime.
E poi giunsero le domande spinose, riguardo Karin; il povero Bilbo
non si sentì mai così vile come in quel momento.
Rassicurò tutti
dicendo loro che era solo stata ferita leggermente da un ragno, e che
doveva cercarla per conto di Thorin; il sollievo di quasi tutti nani
aumentò a dismisura nel sentire che stava benone e, anzi, lo
esortarono a non perdere tempo con loro e andare a cercarla in
fretta. Persino Gloin e Oin lo cacciarono di corsa, lasciandolo
stupito ma felice: anche loro, d'altra parte, erano preoccupati per
la compagna!
Bilbo percorse ogni corridoio conosciuto, sbirciando dal buco della
serratura quando le porte erano chiuse, o entrando brevemente nelle
stanze se erano aperte: ma non la trovò.
Amareggiato e angosciato, la cercò finché non si
sentì esausto e i
piedi non martellarono dolorosi: allora si scelse un angolino per
dormire. Ma nemmeno quando riprese la ricerca la trovò.
Sembrava essere sparita nel nulla.
Dove
sei, Karin?
Lo
sguardo penetrante e azzurro le mette soggezione, ma non lo da' a
vedere.
Il
re degli elfi è seduto sul trono intagliato e elaborato: non
la
guarda.
Guarda
suo padre, a pochi passi da lei.
Al
pensiero del genitore le monta una furia inaudita, accompagnata da un
senso di tradimento.
Le
ha mentito per portarla lì, dagli elfi.
L'ha
raggirata, allontanandola da casa.
Allontanandola
da lui.
Lo
guarda di sottecchi: gli occhi scuri non vacillano, il portamento
è
fiero, come il suo.
Non
si è nemmeno inginocchiato al cospetto del re.
L'ha
ammirato per questo, ma poi ha ricordato.
Ora,
vuol sapere perché
sono
lì, e non a
Erebor.
Glielo
deve.
<<
Così, sareste un ambasciatore del re dei nani. Mi chiedo di quale
>>.
Suo
padre si indigna, anche lei freme.
<<
Re Thròr, sovrano della stirpe di Durin! >>.
<<
Ho sentito voci che parlano di una sua malattia, che l'ha reso avido
di tesori
>>.
Lei
dilata le narici, si morde la lingua per dominarsi: se non è
interpellata non può rispondere.
Osserva
il re con odio, fa saettare lo sguardo anche verso le figure ai lati
del trono.
Alla
destra, un giovane elfo dai capelli biondi e gli occhi azzurri, i
lineamenti molto simili a quelli di Thranduil.
A
sinistra, un elfo alto e slanciato, dai capelli biondi e gli occhi
viola.
Una
caratteristica insolita, che la stupisce.
E
inquieta.
Perché,
a differenza dei due, non guarda suo padre.
Ma
lei.
Ha
un brivido, ma cerca di seppellirlo.
Lui
se ne accorge, sghignazza.
<<
Tutte menzogne! >> esclama Kario << Il
nostro re è sano
e in forze >>.
<<
Così sano
che non è stato lui a mandarvi qui, ma il figlio, il
principe
Thrain. Così sano
che
non presta
attenzione alle voci di un drago che si sta avvicinando a Erebor
>>.
Socchiude
le labbra, sorpresa: un drago?
Guarda
suo padre, ma non riesce a vederlo.
Ha
dimenticato il suo volto.
È
impaurita, adesso: teme per la sua casa.
Per
il suo principe.
Per
la sua gente.
Si
sforza di guardare Thranduil, dentro di sé infuria la
tempesta.
<<
Siamo qui per chiedere il vostro aiuto >> la voce del
padre è
riottosa, ma velata di supplica.
Gli
è stato ordinato d'andare a chiedere un'alleanza, lui ha
obbedito.
<<
Nemmeno il più potente esercito farebbe molto contro un
animale del
genere. Non manderò i miei valorosi soldati a morire per un
popolo
avido e amante delle ricchezze. È questo che conduce il
drago da
voi: la passione smisurata per l'oro
>>.
Kario
non parla, e lei non capisce perché.
Perché
non si difende?
Perché
non difende tutti loro?
La
lingua si muove, le corde vocali vibrano.
<<
Maestà, vi prego! >>.
L'elfo
la guarda come se la vedesse per la prima volta: gli occhi mandano
lampi, ma li ignora.
<<
Ci sono degli innocenti laggiù: nane, bambini e anziani, che
non
danno importanza all'oro. Senza il vostro aiuto non riusciremo a
difenderli e salvarli: verranno uccisi senza alcuna pietà,
perché
non riusciranno a fuggire in tempo! Per favore, intervenite!
>>.
Thranduil
l'osserva, poi sorride sarcastico.
<<
Molto onorevole
da
parte tua, un
discorso degno di una regina
>>.
Avvampa,
non tanto per il titolo con cui la chiama, ma di rabbia. Le sue
parole non hanno avuto effetto.
<<
Vostra figlia è abile a parole, ambasciatore. Ma dovrebbe
tenere a
freno la lingua, se non interpellata >>.
Abbassa
il capo, piena di vergogna.
Non
lo vede, ma sa che suo padre le lancia un'occhiata di rimprovero.
La
parte razionale
della
mente le
ricorda che questo è un sogno,
nulla
di più.
Allora
come mai gli stessi sentimenti di quel giorno riaffiorano prepotenti,
lasciandola senza fiato?
<<
Vi chiedo perdono. Anche a nome suo >> dice Kario,
imbarazzato
<< Spero che il suo intervento non vi abbia offeso
>>.
Suo
padre è irriconoscibile. Così servile
da
nausearla.
Vuole
scuoterlo per le spalle e farlo tonare in sé, ma non
può.
<<
Oh no, ambasciatore. Ma la mia risposta rimane negativa: gli elfi non
aiuteranno i nani; a meno che... >>.
Lascia
la frase in sospeso, così da farli fremere; Kario
è impaziente.
<<
A meno che? Vi prego, continuate! >>.
Thranduil
lo studia con malcelato divertimento: sa di averlo in pugno.
Lo
odia, con tutta la sua anima. Perché sta giocando
con
i sentimenti
del padre, e i suoi.
<<
A meno che il vostro sovrano non mi renda l'Archepietra. Più
una
parte del tesoro, anche un decimo del valore va bene >>
esclama
trionfante, la voce carica di desiderio.
Lei
ha un tuffo al cuore.
<<
Dovremmo pagarvi
per
avere il
vostro aiuto? >> chiede adirato suo padre; ha i pugni
contratti, la voce è incrinata di rabbia e disgusto
<< Non
accetteremo mai! >>.
Kario
fatica a parlare; lei può quasi sentire i denti
scricchiolare tra
loro da quanto sta serrando la mascella, indignato <<
Andiamo,
Karin! Ne ho sentite abbastanza: che tutti sappiano la mancanza di
pietà
del
popolo degli
Elfi, e la loro brama
di ricchezze, superiore perfino a quella dei Nani! >>
tuona,
sprezzante: si gira, sente il mantello frusciare.
Lo
segue ma, dopo pochi secondi, una voce diversa si leva nell'aria fino
a loro.
<<
Fermatevi, vi prego! Il mio re non ha ancora finito di parlare con
voi >>.
La
voce è strascicata e untuosa; mille brividi di ribrezzo le
percorrono la colonna vertebrale.
Si
arrestano, suo padre si gira: a malincuore lo fa anche lei,
riconoscendo l'alto elfo.
Thranduil
alza una mano per ringraziarlo, negli occhi un nuovo bagliore.
<<
Forse, ambasciatore, cambierà idea molto presto
>> continua il
consigliere << dopo che avrà sentito la
proposta del sovrano
>>.
Si
avvicina di molti passi a loro, raggiungendola; d'istinto, lei
indietreggia, ma lui le afferra saldamente una spalla in una morsa
ferrea.
Gli
lancia un'occhiata carica di disprezzo, ma non la nota.
Dentro
sé, è terrorizzata e sospettosa: non sa per quale
motivo, ma teme
quella
proposta.
Sa che non porterà a niente di buono.
I
palmi le sudano, mentre le ossa si congelano, lente.
<<
Posso concedervi un po' di tempo per pensarci, Kario della stirpe di
Gorin. Nel frattempo, però, vostra figlia
rimarrà... nostra ospite
>> è Thranduil che parla, ora.
La
terra le manca da sotto i piedi; il cuore le si blocca per alcuni
battiti, per poi riprendere veloce. Troppo veloce.
Le
orecchie le ronzano, forse per questo crede d'aver sentito male.
<<
Cos... mia figlia? >>.
Il
re annuisce << La terremo al sicuro in una delle nostre
confortevoli stanze, e non le faremo mancare nulla. Nel mentre, voi
avrete tutto il tempo per pensare: l'Archepietra per vostra figlia.
La salvezza o la distruzione di Erebor è nelle vostre mani.
Ma vi
conviene sbrigarvi, poiché il tempo incalza e il drago non
attende
>>.
Suo
padre è dubbioso e dilaniato, lo sa. Indugia troppo.
<<
Padre >> ha la voce incrinata, ma cerca di non renderla
tremante << non accettate, vi scongiuro! L'Archepietra
no, non
quella! Anche se gliela donassimo non ci aiuterebbe comunque, lo
sapete >>.
Sa
quanto è importante per il re dei nani e per la sua gente:
è il
loro tesoro più prezioso.
<<
Se acconsentirete vi concederemo tutto l'aiuto possibile. Avete la
mia parola >> prosegue l'elfo, sovrastando la sua voce.
Kario
è oltremodo indignato e incollerito << Questo
è un ricatto,
Thranduil! Non ci piegheremo mai
a
queste
richieste! >>.
<<
Voi
vi piegherete, invece? >>.
Kario
assottiglia lo sguardo, le grosse mani da fabbro si stringono fino a
sbiancare. Non parla, non dice nulla.
Thranduil
fa solo un cenno con la testa.
L'elfo
le stringe la spalla con forza ma riesce a sfuggirgli, correndo dal
genitore.
<<
Non accogliete la sua richiesta >> gli sussurra
all'orecchio <<
non mi faranno nulla, ma voi dovete tornare a Erebor e avvertire il
re! Devono
sapere!
>>.
Viene
spinta lontano da lui, verso una porta alle spalle del trono.
<<
Fatelo, padre! >>.
<<
Karin! >>.
<<
KARIN!!! >>.
Il volto le si piegò in una smorfia di dolore all'ennesima
fitta
alla tempia: spinse la fronte calda contro il palmo della mano, nella
speranza di alleviare il dolore martellante, non riuscendoci.
Era stravolta ed esausta, non dormiva da settimane: ogni volta che
chiudeva gli occhi il passato la tormentava senza sosta: poco fa
aveva sognato il suo arrivo a Bosco Atro; prima ancora la tortura e
poi, sorprendentemente, Erebor.
Non la rivedeva da anni, e la scosse molto più che non
rivedere se
stessa alle prese con i supplizi interminabili.
Una
fitta più forte le fece aggrottare la fronte e scrutare
lungo
l'oscurità della stanza: sapeva che, da qualche parte sopra
un
tavolino, c'era del cibo che gli elfi avevano portato per lei. Non
toccava quasi nulla, al massimo beveva un po' d'acqua: non voleva
alzarsi.
Non voleva far nulla, a dir la verità: voleva solo rimanere
da sola,
al di là del velo grigio.
Nuovi pensieri l'avevano trovata, affollando la mente già
stipata:
si era ricordata dei suoi compagni, e di Bilbo; si era chiesta dove
potessero essere, se stessero bene. Si era risposta che, dovunque
fossero, forse stavano pur sempre meglio di lei.
Chiunque avrebbe potuto stare meglio di lei.
Lei
era debole.
Una
frase che le rimbombava come un martello su un'incudine di ferro: lui
aveva
avuto sempre ragione, fin dall'inizio. Non era capace di
risollevarsi, di combattere e guardare avanti procedendo a testa
alta. Se incontrava un ostacolo non lo aggirava, ma si rintanava da
qualche parte a piangersi addosso: odiava quel comportamento.
Lo detestava con tutta l'anima, come detestava a morte quel luogo;
avrebbe dato ogni cosa in suo possesso per poter ritornare sotto le
fronde afose degli alberi della foresta.
Involontariamente,
il suo pensiero volò verso Thorin: si chiese dove fosse e,
per un
attimo, un sussulto sembrò scuotere il velo spesso dietro al
quale
si era nascosta. Per un attimo, aveva intravisto uno spiraglio di
luce.
Ma era durato un battito di ciglia, ripiombando poi nel buio
più
profondo e pericoloso. Rimuginare sul suo passato aveva portato in
superficie nuove considerazioni, nuove questioni: durante i suoi
interminabili monologhi, aveva ripensato spesso alla rabbia che
Thorin provava nei suoi confronti, e alle ragioni che l'avevano
portato ad esiliarla.
Era sempre stato geloso e possessivo, specie riguardo ciò
che
riteneva gli appartenesse di diritto: come il tesoro di Erebor, o la
Montagna in generale.
Si
immaginò uno scambio di ruoli, nel quale era lei quella che
bandiva,
infuriata perché tradita.
Ed
aveva compreso molte cose, che l'avevano lasciata senza fiato e con
un desiderio assurdo di ridere a voce alta. Di piangere
finché non
avesse avuto più lacrime da versare.
Ma
rimase immobile, fredda e rigida come marmo: a cosa sarebbe servito
sfogarsi
lì,
quando
avrebbe voluto farlo davanti a lui?
Il suo spirito si lasciò scappare una risata sarcastica,
constatando
che c'erano voluti tanti anni e un nuovo periodo di prigionia per
farglielo capire: la sua cocciutaggine non aveva limiti. Come la sua
cecità, la sua stupidità.
Era debole, allora. Lo era veramente.
Lo spirito sospirò, affranto: il corpo, invece, rimase
immobile, gli
occhi aperti nell'oscurità e la testa che, di lì
a poco, sarebbe
esplosa.
Passò
altro tempo, ma non avrebbe saputo quantificarlo:
ogni
cosa si confondeva; non sapeva distinguere il giorno dalla notte, i
giorni dalle settimane. Ma, in fondo, che importava?
Sentì la porta aprirsi, vedendo avanzare un cono di luce
rossastra:
girò lentamente il capo dalla parte opposta,
poiché abituata
all'oscurità. I passi del visitatore erano leggeri, quasi
impercettibili, ma li riconobbe all'istante, anche se non voleva: era
Legolas.
Dopo la visita di Thranduil era tornato a trovarla ancora, da solo:
rimaneva in piedi e le parlava, ma Karin si scordava subito
dell'argomento; non le interessava. Voleva solo essere lasciata in
pace, in quello stato di annullamento che le era di così
grande
conforto.
Le si avvicinò, stavolta sedendosi sul letto: prima,
però, aveva
appurato che il vassoio col cibo era ancora intatto, ed aveva
sospirato.
Appoggiò la candela accesa al comodino di legno, studiandola
in
volto, serio e preoccupato come non lo vedeva da anni; da quando
aveva scoperto lo scempio del consigliere, salvandola.
Gli occhi chiari brillavano, assorbendo le fiamme della candela, e
mandavano lievi bagliori; la bocca sottile era così stretta
che
formava quasi un'unica linea, in un muto rimprovero.
Sostenne tranquillamente il suo sguardo, il volto inespressivo in
netto contrasto con quello dell'elfo.
<< Non hai un bell'aspetto, Karin; queste occhiaie...
>>
lasciò la frase in sospeso, accarezzandole il punto con il
pollice:
lei, al contatto, aveva chiuso gli occhi, rimanendo in silenzio.
Ma, di nuovo, rivide il volto di Thorin e si scansò di poco,
per
fargli capire che doveva smetterla.
<<
Devi riprenderti, o non ce la farai. Lo capisci questo, vero?
>>
le parlò come fa un genitore col proprio figlio
disobbediente; ma,
anche di fronte a quella domanda, non si diede pena di rispondere.
Legolas abbassò un attimo il capo, sospirando di fronte alla
testardaggine di Karin; ma continuò, imperterrito: non poteva
lasciarla
al suo destino, doveva
aiutarla!
<< Cosa posso fare per farti star meglio? Nei miei limiti
e
capacità, s'intende >>.
La domanda trapassò il velo, imprimendosi in lei con la
stessa forza
con cui le rune erano state marchiate sull'acciaio di Iris, anni
addietro: il grigio si dissolse, il mondo tornò per poco ai
suoi
colori originali.
Non ci pensò troppo, sapeva la risposta.
Sapeva di cosa aveva bisogno.
Di
chi.
La
voce le uscì in un rantolo roco, ma sufficientemente chiara
<<
Thorin.
Ho bisogno di vedere Thorin >>.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonaseeeeeeera
XD!!! Ebbene sì, ho aggiornato in super velocità
^^: mi stupisco di
questo, e mi sto picchiando con il solito scudo di quercia:
perché,
care mie, DOVREI studiare – visto l'esame imminente -
piuttosto che
mettermi a scrivere! Invece, non appena inizio... puff, le idee
sgorgano, e mica posso lasciarle nella testa, che poi mi dimentico
u.u; va bé, sono un caso disperato!
Dunque,
dunque... sono soddisfatta del capitolo? Mah, insomma, se devo essere
sincera -.- avrei voluto scrivere mooolto di più, ma poi
veniva una
vera mazzata O.o! Quindi, tanto per aggiungere tristezza e rottura di
maroni a voi e a me, ho spezzato il capitolo ;): ora non resta che
scoprire se Karin riuscirà a vedere il suo Thorin!!! Pregate
ragazze, perché non è detto! Scherzo, scherzo XD
XD, sapete che
sono burlona ^^.
Maaaaaa,
che ne pensate dello sfogo di Dwalin O.o? Vi ha convinte o vi ha
lasciate l'amaro in bocca? E il motivo per cui Karin è
stata“trattenuta” a Bosco Atro? Non preoccupatevi
però,
l'Archepietra E' ancora a Erebor, non è stata data a nessuno
:D .D
Oh, e il dialogo tra Thorin e Legolas???
Bene,
come sempre vi esorto a farmi sapere che ne pensate con le
recensioni!
Ringrazio
le carissime e specialissime J_ackie,
vanessa 90, LadyGuns56, pamagra, Lady of the sea, Yavannah,
Krystal91, MrsBlack e Carmaux. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!!
GRAZIE
anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite -ricordate e
a chi
legge soltanto! Siete meravigliosi!
Bene, è
tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo dodici ***
Note
autrice: Vi
dico solo questo, ragazze mie: FUOCO e FIAMME!!!
P.S. Per coloro di voi donzelle che non sono ancora passate a leggere
la mia one-shot – dove, tra l'altro, si ritrovano dei
riferimenti
in questo capitolo – vi lascio il link:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1678784&i=1
Spero vi piaccia così come è piaciuta a me
scriverla XD
Inoltre, vorrei segnalarvi questo video:
http://www.youtube.com/watch?v=SXk8GFxwoyY
Nel cantuccino vi spiegherò il perché del
“consiglio” ;)
Buona lettura!!!
CAPITOLO DODICI
<<
Thorin. Ho bisogno di vedere Thorin >>.
Lo
dice: la voce, anche se stanca, risulta ferma e determinata.
Legolas
la guarda stupito, come se gli avesse tirato uno schiaffo.
<<
Perché vuoi vedere colui che ti ha esiliata?
>>.
Ci
sono così tante risposte che non sa decidere.
Tace,
ma sa che i suoi occhi parlano per lei.
<<
Devo
vederlo
>>
alla fine, è quella la sua scelta.
L'elfo
non dice nulla, i suoi occhi sembrano scavarle l'anima, alla ricerca
della verità.
Infine
si alza e, senza dire una sola parola se ne va, lasciandola sola.
Di
nuovo nell'oscurità.
Un
buio che però, lentamente, scema.
Karin mosse un altro passo, poi un altro ancora, avanti e indietro
per la stanza.
Le candele erano accese, ed illuminavano l'ambiente angusto ma ben
arredato secondo il gusto elfico.
Era irrequieta come poche volte, l'attesa la consumava: da quando
aveva fatto quella richiesta al principe e lui se n'era andato, il
velo era scomparso poco a poco, facendola tornare in sé. O
quasi. Le
erano occorsi alcuni caparbi tentativi per alzarsi dal letto,
poiché
troppo debole; incerta sulle gambe, aveva mosso i primi passi come
fa un bambino alle prime armi.
Si era aggrappata al muro, avanzando poco per volta, finché
non
aveva raggiunto il tavolino di legno; lì vi era ancora il
vassoio
colmo di frutta fresca: guardò per un attimo i grossi acini
d'uva
bianca, le pere succose e dorate e le belle e perfette mele rosse,
sorridendo brevemente al ricordo di un frutto simile – ma
caramellato – mangiato quando era poco più che
bambina.
Ne prese una, addentandola lentamente: poi, si ritrovò a
divorare
ogni cosa con gusto, mentre lo stomaco le gorgogliava forte e
affamato.
Pochi minuti dopo osservò il vassoio d'argento vuoto,
stentando a
credere alla voracità con cui l'aveva aggredito: d'altra
parte, non
toccava cibo da settimane.
Ora
che era tornata padrona delle sue azioni, squarciando il velo di
sofferenza e commiserazione, doveva assolutamente recuperare le
forze. Il pensiero di rivedere Thorin l'aveva fatta reagire,
facendola tornare viva,
in
un certo senso.
Ma Legolas tardava, e non ne capiva il motivo: era infuriata e
preoccupata insieme, non sapeva spiegarselo.
Cosa poteva essere accaduto? Forse Thranduil aveva scoperto delle
visite del figlio e voleva impedirle ad ogni costo?
O
non poteva
portarla da Thorin perché... Scosse la testa, scacciando
quei
maledetti pensieri negativi: se gli fosse anche solo accaduto
qualcosa glielo avrebbe detto. Dopotutto, Legolas sapeva
quali erano i suoi sentimenti per il re.
Più di una volta si era ritrovata con la mano sulla maniglia
di
ferro, ma aveva indugiato: vi erano dei rumori là fuori,
segno che
era sorvegliata, anche se la porta non veniva mai chiusa a chiave; se
fosse riuscita a fuggire, non avrebbe potuto attraversare i
vari livelli e la porta principale come niente. Era pur sempre una
prigioniera.
Si era riseduta sul materasso, la testa che le vorticava e le forze
che, ogni tanto, le mancavano nuovamente: quale genere di veleno le
era stato iniettato per renderla così spossata e priva di
energia?
Certo, la colpa era per buona parte sua, dato che durante i giorni di
convalescenza non aveva reagito, però...
La maniglia si abbassò, facendo convergere la sua attenzione
verso
Legolas, appena entrato: in mano reggeva una lanterna di vetro
accesa, gli occhi azzurri brillavano di determinazione.
Bastò quello sguardo per farla alzare di fretta e portarla
al suo
fianco, trepidante.
Non
appena Karin varcò quel sottile confine tra la stanza dove
era
rimasta rinchiusa per settimane e il corridoio, provò un
senso di
libertà
unico
e irripetibile: le sembrò che perfino l'aria fosse diversa,
più
leggera e meno opprimente.
Con stupore, vide che nessun elfo era di guardia, e nemmeno lungo gli
infiniti corridoi e le scale tortuose incontrarono anima viva; si
guardava continuamente indietro ma, con grande sollievo, non scorgeva
nessuno che sbucasse dalle porte chiuse. Sarebbe stato un bel
problema, allora.
Legolas rimase in silenzio per tutto il tempo, tranne quando si
girò
verso di lei per dirle che suo padre era andato a cacciare nella
foresta insieme a molti altri sudditi: per questo motivo non vi era
nessuno. Ma dovevano comunque agire in fretta, per sicurezza.
Scesero
sempre più in basso, mentre un serpente d'ansia le
aggrovigliava le
viscere e il cuore; il respiro le si fece irregolare quando comprese
dove
la
stava portando.
E ne ebbe conferma quando oltrepassarono il livello dove si trovavano
le celle.
Col cuore in gola, lo vide aprire la pesante porta di legno che
conduceva all'ultimo livello, il più terribile e temibile di
tutti:
la mano le saettò al braccio dell'elfo, facendolo fermare e
voltare
bruscamente.
<<
Legolas, no. Ti prego, non
lì >>
la voce le uscì più terrorizzata del dovuto,
mentre brividi gelati
le trapassavano le ossa.
Le dita artigliarono con forza il braccio dell'altro, ma la sua
espressione non mutò: la guardò intensamente,
mentre in lei la
disperazione cresceva con la forza di un uragano.
<<
Qualsiasi altro luogo, ma non
questo >>
lo supplicò, gli occhi quasi lucidi.
<< Se vuoi vedere il tuo re devi seguirmi
>> appoggiò le
mani sulle sue spalle, stringendogliele poco << Sii
coraggiosa, Karin. È tempo che le tue paure vengano vinte:
sarà
doloroso, ma ce la farai. Ne sono certo >>.
La sospinse dolcemente verso il lungo tunnel immerso
nell'oscurità,
i passi riecheggiavano rumorosi come il suo cuore.
Tum
Tum
Tum
Tum
I piedi le sembravano di piombo passo dopo passo, il respiro era
affannato, il gelo la rinchiudeva in un pugno di ferro;
iniziò a
sentire delle risate folli, dei pianti penetranti le trapanarono le
orecchie. Le si mozzò il respiro, trattenne un singulto con
una mano
sulla bocca.
Ogni
passo era una sofferenza, una tortura
immane:
il tunnel sembrava non avere mai fine ma, contemporaneamente, pareva
anche troppo corto. Dopo altre falcate, eccola là: la porta
di
legno.
Si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare, la vista le si
offuscò, le unghie affondarono nella pelle: si
arrestò bruscamente,
mentre Legolas le si fermò affianco. Portò una
mano affusolata
sulla sua spalla, accarezzandola; lo sentì inginocchiarsi di
fronte
a lei, il volto che trasmetteva comprensione e sofferenza insieme:
cercò di trasmetterle la forza che le sarebbe occorsa
là dentro.
Non fece caso al tremore violento che la scuoteva tanto forte da
farle battere i denti, né alla pelle gelata della guancia,
dove ora
stava la sua mano, in una piccola carezza per farle capire quanto le
fosse vicino.
Ma
nessuno
avrebbe
potuto comprendere
come
si sentisse lei, in quel momento: non vi erano parole, solo un
immenso terrore.
Legolas si alzò e andò verso la serratura,
facendo girare la chiave
nella toppa con un rumore secco e spaventoso; poi si girò a
guardarla, facendole cenno di avvicinarsi. E lei, a dispetto di
ciò
che, in realtà, avrebbe voluto fare – ovvero
girarsi e scappare –
eseguì.
<< Non posso lasciarti qui per molto tempo,
perciò fai in
fretta >> le disse, quando gli fu accanto.
Karin
non rispose, la voce le mancò: nemmeno ricordava
il motivo
per cui si ritrovava lì davanti dopo tutti quegli anni: ma
era
certa di voler fuggire.
Immediatamente.
La
porta cigolò sui cardini, l'odore della paura e della cella
l'invasero, lasciandola senza fiato: l'odore del sangue
le
arrivò alle narici, facendole salire un conato di vomito che
riuscì
a trattenere; sentì una leggera pressione alla schiena,
segno che
Legolas la stava letteralmente sospingendo dentro, pur con
delicatezza.
L'oscurità l'avvolse mentre entrava, tremante e pallida.
La
porta si richiuse, la chiave girò nella toppa;
spalancò gli occhi,
sgomenta, quando capì di essere chiusa dentro
la
cella. Di nuovo, come anni prima.
La bolla nella quale si era rintanata da quando aveva varcato il
tunnel oscuro scoppiò, il panico invase ogni sua fibra, ogni
sua
vena, ogni suo osso e organo: si girò di scatto,
slanciandosi verso
il legno; iniziò a picchiare i pugni con foga, urlando
disperata.
<< Ti prego!!! TI PREGO, non lasciarmi qui! NO!!!
>>.
Urla isteriche e colpi alla porta si mescolarono tra loro, in un
grido di angoscia.
<<
LUI
verrà
a punirmi! TI PREGO, TI PREGO!!! >>.
Perché
l'aveva portata lì, perché ora non veniva a
liberarla? Era stata
così buona in queste settimane, non aveva fatto nulla!
Doveva
parlare,
tradire
di nuovo? Ma perché, PERCHE'?
Non si accorse di un'ombra che emerse dall'oscurità,
portandosi a
pochi passi da lei; una voce si insinuò tra le sue suppliche
accorate e disperate, una voce che sembrò riportarla alla
realtà, e
placare il tumulto che sentiva in sé.
Bastò una sola parola per farla tacere.
<< Karin >>.
Il suo nome.
Aveva capito subito che erano riusciti a domarla: gli era bastato
vedere i capelli un tempo ribelli ora lisci, che le sfioravano i
seni.
Il vederla lì, anche se disperata e angosciata, dissolse il
pesante
macigno che gli opprimeva il cuore da quando era stato rinchiuso: era
vero, allora, l'elfo non aveva mentito.
Karin
era viva.
Una felicità inaudita mista a un terribile senso di colpa si
diffuse
in lui; avrebbe desiderato alzarsi dal giaciglio e correre verso di
lei, abbracciandola stretta come se, da quel gesto, dipendesse la sua
intera esistenza.
Si bloccò, però, quando Karin iniziò
ad urlare disperatamente,
battendo i pugni sulla porta con una tale forza che non credeva
possedesse: dopotutto, era ancora reduce dalla malattia.
Lo stomaco gli si strinse così tanto che rimase senza fiato:
le urla
di Karin gli rammentarono molto quei singhiozzi disperati degli
incubi; sentì il bisogno di intervenire, poiché
non poteva vederla
in quel modo. Doveva calmarla.
Le si avvicinò ma lei non se ne accorse, impegnata com'era a
gridare: quando le fu abbastanza vicino – solo pochi passi li
separavano – si azzardò a chiamarla con voce
sicura, anche se
risultò un poco tremante.
<< Karin >>.
Bastò questo per farla tacere.
Il suo nome.
Karin si immobilizzò, le mani strette a pugno ancora sul
legno scuro
della porta. Lentamente, girò il capo, i grandi occhi neri
dilatati
dal terrore; ma, quando si scontrarono con il vivido sguardo azzurro
del nano, ricordò: ecco per quale motivo era nella cella.
Era stata
proprio lei a volerlo vedere, l'aveva chiesto a Legolas. Ed era stata
accontentata.
<< Thorin >>.
Un'indicibile stanchezza le pervase le membra: l'agitazione del
momento scomparve, lasciandola spossata; sentì la testa
vorticarle
veloce, tutto si confuse. Le gambe tremarono, non riuscendo
più a
sostenere il peso del corpo esausto: barcollò mentre
tentava di tendere un braccio verso di lui, ma persino quel semplice
movimento le risultava estremamente complicato.
Thorin si slanciò in avanti, raggiungendola in tempo con un
paio di
falcate: lasciò che il corpo fragile si scontrasse col suo,
per poi
abbassarsi quel tanto che gli permise di portare un braccio sotto le
sue ginocchia e, con un leggero sforzo, la prese in braccio.
Karin provò a divincolarsi debolmente, ma tutto
ciò che ottenne fu
una stretta più vigorosa da parte del re che, nel frattempo,
teneva
le labbra serrate.
“E'
dimagrita molto” questo
fu il primo pensiero di Thorin: era leggera, ben più di
quanto
ricordasse; senza i soliti strati di indumenti indossati durante il
viaggio, era palese come il fatto che il sole sorgesse ad est. La
verde tunica elfica accentuava la magrezza della ragazza: le ossa del
bacino erano sporgenti e, ad ogni passo, picchiavano sul suo busto.
Il colorito del volto era pallido e, sotto gli occhi neri,
campeggiavano grandi segni violacei; le labbra erano percorse da
piccoli taglietti, fatti quando se le tormentava nervosamente.
Sembrava ancora malata, e stare lì dentro non avrebbe
accelerato di
certo la sua guarigione: con un moto di rabbia, Thorin si
augurò che
lo hobbit trovasse in fretta una via di fuga. Maledì ancora
e ancora
gli elfi, quella cella e quel palazzo: stando rinchiuso, non aveva
mai avuto la possibilità di trovarla e portarla via da
lì.
La adagiò piano sulla paglia, sedendosi accanto: le teneva
ancora un braccio dietro la schiena ma lei, sorprendendolo,
posò i
palmi delle mani sul suo torace, spingendolo via.
Gli
occhi neri non facevano che saettare ovunque lungo le pareti, il
panico li impregnava; tremava, ma cercò comunque di alzarsi,
non
volendo nemmeno toccare
quel
giaciglio maledetto.
Barcollò ancora ma fu sempre Thorin a sostenerla,
prendendola per la
mano e facendola nuovamente risedere.
<< Non dovresti alzarti in questo modo. Sei ancora debole
>>.
Karin non fece caso al tono dolce ma autoritario che usò:
un'altra
voce, fredda e spietata, si era sostituita alla sua, il volto del
nano era cambiato in quello di un elfo dagli occhi viola.
“Sei
debole, uccellino”.
Con uno scatto all'indietro sfuggì alla sua presa, alzandosi
in
piedi: non badò molto al giramento di testa che ne
seguì, ma sbatté
più volte le palpebre per scacciare la visione del suo
tremendo
carceriere.
<<
Io non sono debole
>>
il tono le uscì furioso, ma Thorin non si scompose; si
alzò, le
mani protese verso di lei. L'avrebbe riportata vicino a sé,
a
qualunque costo.
<< Fatichi a stare in piedi >>
iniziò calmo, muovendo un
passo << lascia che ti aiuti, Karin. Non stai affatto
bene >>.
La ragazza, per tutta risposta, indietreggiò di
più ed emise un
verso sprezzante, che fece arrestare Thorin: non riusciva a
comprendere perché dovesse comportarsi in quel modo. Voleva
semplicemente aiutarla.
<<
Oh, un gesto ammirevole
da
parte tua, Re sotto la Montagna >> disse malevola.
Una parte di lei si chiedeva che diamine stesse facendo: invece che
infierire verso di lui, avrebbe voluto corrergli fra le braccia e
baciarlo con foga, stringere le ciocche scure striate di bianco tra
le dita, aspirarne il profumo per trovare quella quiete e pace che le
erano mancati durante la prigionia; ma i ricordi dolorosi premevano
insistentemente per uscire, infettandole ogni cellula, ogni organo.
Infettandole il cuore.
<<
Dopotutto, non è così che si comporta un sovrano?
Aiuta i più
deboli, coloro che sono in difficoltà, non è
così? Li ascolta,
cercando
di migliorare le loro condizioni, spendendosi per loro >>.
<< Karin... >> tentò di dirle
qualcosa, ma le parole
vennero inghiottite da altre, irate e piene di risentimento.
<<
Un re è giusto nelle sue decisioni! E se colei che deve
essere
giudicata è la donna che dice di amare, non le volta le
spalle
condannandola senza averle dato tempo di spiegarsi!
>>
si bloccò, il petto che si alzava ed abbassava con foga: le
guance
iniziavano a tingersi di rosa, gli occhi scuri erano lucidi, i pugni
contratti.
Ogni
parte di sé le urlava di tacere,
perché
non erano quelli i suoi veri pensieri: era finalmente riuscita a
comprendere ciò che aveva portato Thorin ad esiliarla, ma
non
sarebbe riuscita a dirglielo. Non lì, tra le pareti che
avevano
assistito alle sue torture disumane.
In
ogni più piccolo anfratto, in ogni pietra grigia, le pareva
di
rivedere del sangue.
Rosso
vermiglio e rosso cupo, liquido come acqua e denso come pece.
In
ogni ombra rivedeva lo scintillio del pugnale, il brillio degli occhi
violetti iniettati di follia. In ogni passo mosso adesso,
le sembrava di rivedersi mentre si trascinava sui gomiti nell'assurdo
tentativo di sfuggigli, dolorante e piena di tagli sulla schiena.
Ogni suo respiro le riportava l'affanno con cui respirava allora,
ed
il fiato trattenuto innumerevoli volte mentre le si avvicinava e
premeva la lama d'acciaio sulla pelle delicata.
Ogni
goccia d'acqua che cadeva a terra le rammentava quando tentava di
tenere il conto dei giorni, per non impazzire. Anche la canzoncina
dell'uccellino doveva servire a quello scopo: per non sprofondare nel
baratro della follia; invece, aveva sortito l'effetto opposto. Lui
l'aveva
sentita, iniziando a chiamarla con il nomignolo con cui era
conosciuta a Bosco Atro: una parola che la faceva disgustare di
sé e
la terrorizzava al tempo stesso.
Ogni
parola detta la riportava ai loro
dialoghi,
al modo subdolo e infido con cui le si rivolgeva; persino quando
Thorin l'aveva presa in braccio aveva voluto allontanarsi. Ricordava
le dita fredde a contatto con la sua pelle, provandone repulsione.
Tenne lo sguardo fisso in quello del nano, immobile e silenzioso:
ciò
che temeva da tempo si stava avverando; la resa dei conti si
avvicinava inesorabile, una spada affilata che lo avrebbe dilaniato
più e più volte, come aveva fatto con lei molti
anni addietro.
Guardò Karin, il cui volto era una maschera di sofferenza e
dolore
che, presto, sarebbe esploso del tutto.
Non vi erano parole per esprimere lo stato d'animo in cui versava: ma
il rimorso per come si era comportato lo straziava.
<< Mi dispiace >> fu tutto ciò
che riuscì a dire: vi
erano così tante altre parole, ma quella breve frase gli
sembrò la
più adatta.
Karin schiuse le labbra, schiumante di collera: strinse gli occhi
finché non divennero due fessure, ed aggrottò la
fronte.
<<
Ti dispiace? >>
sussurrò, gelida come ghiaccio << TI DISPIACE?
>> urlò
poi, con quanto fiato possedeva.
Seppellì ogni parvenza di ragione dentro di sé,
nella parte più
nascosta della sua anima: ora, vi era spazio solo per una grande e
immensa furia, che si sarebbe riversata come un fiume in piena su
Thorin.
<<
E' un po' tardi,
ti pare? >> continuò ad inveire, il tono di
voce sostenuto.
Thorin
strinse le mani e le labbra, continuando a ripetersi che colei che
aveva davanti non era la sua
Karin,
ma la ragazza che era rimasta imprigionata in quella cella per
settimane, sottoposta ad ogni genere di crudeltà; ed ora,
desiderava
solo vendetta.
Come era giusto.
Aveva
ragione Legolas: lo odiava per ciò che le aveva fatto;
più che con
il suo carceriere, la sua rabbia era indirizzata a lui, che non aveva
voluto
proteggerla
e tenerla al sicuro.
Karin
scoppiò in una risata folle,
gli
occhi chiusi per non
vedere
ciò che stava facendo, per non vedere quanto dolore stava
portando
al nano che amava con tutta se stessa.
La
parte irrazionale continuò a parlare, ad affondare
quella
spada invisibile nel cuore di Thorin: desiderava
che soffrisse. Lo voleva più di ogni altra cosa: che anche
lui patisse
così come aveva patito lei; anche se sapeva
essere
totalmente sbagliato.
<<
Il tuo pentimento
mi
commuove >> sibilò, anche se la voce,
però, tremò <<
Ti ci sono volute quante... due settimane per rendertene conto? E
posso sapere cosa ti ha illuminato sul fatto che dicessi la
verità?
Ah no, aspetta! >> esclamò, senza dargli il
permesso di
parlare; girò leggermente il capo all'indietro, verso lo
stipite
della porta << Le mie rune, vero?
>> ogni tratto d'ilarità scomparve
dal volto << Quelle che
ho scavato nel legno con le unghie, spezzandomele mentre tentavo di
ricordare che ero una persona
e
non un essere inutile e debole,
come
venivo chiamata. Le stesse rune che mi rammentavano che, fuori di
qui, avevo una vita e qualcuno che amavo e a cui tenevo,
che mi avrebbe compresa e confortata una volta finito l'incubo. Una
mera utopia: un sogno sciocco dal quale mi sono risvegliata
bruscamente >>.
Le parole erano dure, piene di rabbia profonda, e colpirono
Thorin molto più di quanto avrebbe mai dimostrato.
Sapeva bene che Karin aveva ogni diritto per sputargli in faccia
quelle frasi, ma il suo maledetto orgoglio ne risentì
comunque.
<< Ho sbagliato, è vero, e mi scuso per
essermene reso conto
così tardi; ora ti sto chiedendo perdono, e...
>>.
<<
Perdono?
>>
lo interruppe lei << Thorin, è troppo tardi!
>>
sbraitò, scandendo ogni parola.
<<
Era troppo
tardi
anche quando ci siamo baciati? Ricordi, Karin, quel bacio? L'hai
desiderato tanto quanto me >> ribatté lui, la
voce ormai
indurita.
Karin si morse il labbro e distolse lo sguardo dal suo, mentre la
ragione cercava di prendere il suo spazio, sopprimendo la parte folle
di sé; ma venne sconfitta di nuovo.
<< Uno stupido bacio non cancellerà niente,
invece! Non
cancellerà il tempo trascorso qui, né
ciò che ho passato! E, più
di ogni altra cosa, non cancellerà l'esilio!
>>.
Thorin cercò di non badare al volto stravolto della ragazza,
né
alle parole che disse: doveva farle ritrovare la parte che
l'avrebbe fatta ragionare; doveva farle ritrovare la vera Karin.
<<
Tu stessa mi hai detto di voler scavalcare
il
muro che ci divide: non ricordi? >>.
Sperò
di riuscirci, ma peggiorò la situazione: lo
incenerì con
un'occhiata << E tu?
Tu ricordi le
mie suppliche, le mie richieste disperate? Ricordi quando ti chiedevo
di darmi ascolto, di credermi?
>> affondò le unghie nella pelle, facendosi
male: ma nulla era
in confronto a ciò che stava provando nella sua anima.
La parte razionale continuava ad urlarle di fermarsi, poiché
stava
compromettendo il lieve riavvicinamento che c'era stato durante il
viaggio; ma era diventata sorda a qualsiasi richiesta, a qualsiasi
invocazione.
Era impazzita, alla fine.
Thorin
abbassò il capo, mentre negli occhi si rifletteva il lampo
di colpa
che non l'aveva abbandonato durante la prigionia.
Karin non gli diede modo di parlare: se l'avesse permesso, avrebbe
iniziato a cedere. Invece doveva sfogarsi, espellere quel dolore e
riversarlo su di lui.
Non avrebbe voluto, ma non riusciva più a fermarsi.
<<
Dov'eri mentre mi torturava? Mentre affondava il coltello nella
pelle, beandosi delle mie urla? Dov'eri durante gli anni di esilio,
quando pregavo gli dèi ogni notte che mi portassi via e
cambiassi
idea? Dov'eri mentre vedevo mio padre spegnersi? Dov'eri quando, in
punto di morte, chiese perdono a te,
suo
principe, e non a me?
>>.
La promessa che non avrebbe mai più pianto davanti a lui si
infranse, sgretolandosi: gli occhi le si offuscarono, e non fece
nulla per fermare le calde lacrime salate che le scivolarono sulle
guance, chiamate dalla gravità.
<< A te, capisci? Perché aveva tradito colui
che doveva essere
suo re, il figlio che mai aveva avuto la gioia di abbracciare! Io ero
solo una copia della donna che aveva amato, un abominio che non
era nemmeno una vera nana! Come avrei potuto anche solo pensare di
diventare capo di uno dei clan più potenti dei Nani?
>> ora
Karin tremava senza sosta, scossa da singhiozzi violenti; le urla
disperate si dispersero tra le pareti, imprimendosi in lui con forza.
Non aveva mai immaginato quanto dolore e tormenti si celassero in
lei, e ciò non fece che accrescergli il senso di colpa che
l'opprimeva.
Quanto aveva sofferto, quanto avevano sofferto entrambi!
Ma ora Karin aveva bisogno di lui, di sentirsi rassicurata: la sua
corazza si era dispersa, lasciandola fragile e vulnerabile.
E lui ora era lì, non l'avrebbe abbandonata anche stavolta.
Avanzò
verso di lei, volendo consolarla. Volendo abbracciarla.
Le
si portò vicino, ad un lieve passo di distanza:
cercò di avvolgerla
tra le braccia forti ma Karin, caparbia e infuriata, non glielo
permise.
<< Non toccarmi! >> si divincolò
da lui, il volto
paonazzo e livido, le lacrime che fuoriuscivano senza sosta
<<
IO TI ODIO!!! >>.
Thorin
si sentì sprofondare in un baratro gelido e freddo: era
conscio che
ora non era in sé e che, magari, nemmeno lo pensava davvero;
ma il
sentirglielo dire lo lasciò sconvolto e... vuoto.
Non percepì il battito del cuore, certo di non possederlo
più.
Rimase attonito a fissarla, costantemente in silenzio: d'altronde,
che avrebbe potuto ribattere?
Hai
ragione ad odiarmi perché, se siamo giunti a questa
comclusione, la
colpa è solo mia.
Doveva dirglielo? Ma perché mai, se entrambi lo sapevano?
La vide tirargli un pugno al petto, e poi un altro, e un altro
ancora.
<< Ti odio ti odio ti odio ti odio ti odio
>>.
Un colpo, una parola, un colpo, una parola, un colpo, una parola.
Lo fece indietreggiare e gemere fino a fargli sbattere la schiena
contro la fredda pietra, mentre lei continuava a bersagliarlo con
pugni sempre più deboli, singhiozzando come mai in vita sua;
le
cinse i fianchi con un braccio, mentre l'altro glielo posò
sulle
spalle, in una morsa ferrea e determinata.
Smise di picchiarlo nel
momento esatto in cui si ritrovò imprigionata, ma
continuò a
piangere a dirotto, affondando il viso nel petto di Thorin. Le mani,
chiuse a pugno, afferrarono la camicia con forza, stringendo fino a
far sbiancare le nocche.
Sentì le dita di Thorin posarsi tra i capelli,
accarezzandole la
testa con dolcezza per calmarla. Non seppe dire per quanto tempo
rimase a piangere ma, finalmente, i singhiozzi cessarono e rimasero
solo le ultime lacrime: sentiva la testa svuotata da ogni pensiero,
ogni emozione; ora, solo un mal di testa incessante l'invase.
Sfogarsi in quel modo le prosciugò ogni grammo di energia,
di
vitalità. E si vergognò.
Tanto, troppo.
Tirò su col naso, abbassando ancora più il capo;
Thorin continuava
a tenerla stretta, non avendo intenzione di lasciarla. Aveva
appoggiato il mento sui capelli neri di Karin, lo sguardo azzurro che
brillava di furore puntato verso la porta: se avesse potuto, avrebbe
sfondato a calci la porta, solo per portarla via dal palazzo. Avrebbe
trovato gli altri ed avrebbe attaccato e raso al suolo l'edificio
dalle fondamenta alla sommità, trucidando personalmente ogni
singolo
elfo.
Invece, doveva attenersi ad altri piani.
Ora era più calma, anche se ancora percorsa da alcuni
tremiti: ne
avrebbe approfittato per metterla al corrente di ciò che era
capitato mentre era in convalescenza.
<< Karin >> mormorò piano,
mentre la vide abbassare
maggiormente la testa; portò il pollice e l'indice al suo
mento,
facendole alzare il capo per guardarla negli occhi, rossi di pianto e
lucidi.
Con le dita, asciugò delicatamente le scie di lacrime sulle
gote: la
vide guardarlo con paura, temendo una sua sfuriata; spianò
la fronte
e rilassò lo sguardo, cercando di farle capire che non le
avrebbe
fatto del male.
Avrebbe voluto sorridere, ma non vi riuscì: le parole dure e
sofferte che gli aveva urlato permeavano ancora le pareti della
cella, e il suo cuore.
<< Anche se non sono riuscito ad aprire quella porta,
anni fa,
stavolta posso rimediare >> mormorò con voce
roca.
Negli occhi neri passò un lampo di stupore, avendo
riconosciuto le
stesse parole che le aveva sibilato il consigliere con cattiveria.
Come poteva conoscerle?
Non riuscì a domandarglielo, troppo presa da ciò
che udì poco dopo
<< Lo scassinatore è libero per il palazzo, ed
è riuscito a
trovare la mia cella e quelle degli altri: ora sta pensando ad un
modo per tirarci fuori di qui, ma ti sta anche cerando. Devi dirmi
dove si trova la tua stanza, così da poterglielo riferire
non appena
tornerà >> il tono gli uscì freddo
e distaccato, nonostante
le stesse accarezzando le guance, ormai prive di lacrime, fino a
sfiorarle le labbra con i pollici.
Il
cuore di Karin era in tumulto, ed un'inaspettata gioia le invase il
petto, infiammandola: Bilbo era libero,
stava
bene! E, presto, li avrebbe portati via. C'era ancora speranza,
dunque.
Dovette fare mente locale sulla posizione della stanza, ancora troppo
scossa dall'accaduto: sondò alla ricerca delle parole e, con
voce
impastata, riuscì ad articolare una frase di senso compiuto.
<< Al... secondo livello. Subito dopo le stanze reali. E'
la...
>> rimase un po' a pensarci, contando mentalmente
<< …
quinta a sinistra >> gracchiò debolmente.
Thorin fremette, avendo capito il perché si trovava
lì: gli elfi
avevano maggiori possibilità di controllarla.
Annuì, guardandola intensamente negli occhi. Ma Karin gli
sfuggiva,
vergognandosi.
Sobbalzarono entrambi udendo la serratura scattare: Legolas si fece
avanti, puntando la lanterna accesa verso la stanza angusta; lo
sguardo gli cadde sulle loro figure ancora abbracciate e, con
preoccupazione, riconobbe i segni del pianto sul volto della ragazza.
Nessuno dei due prigionieri si mosse, anzi: Thorin la strinse a
sé
con possessività, e lei si rifugiò di
più tra le sue braccia
muscolose.
<< Karin, dobbiamo andare. Non c'è
più tempo, mio padre sta
per tornare >> disse l'elfo, ricevendo una dura occhiata
dal
nano anche se, d'altra parte, le parole del principe lo stupirono:
quindi Thranduil non era a conoscenza della visita.
Fu questa notizia inaspettata a farlo muovere, tenendosi comunque ben
stretto la ragazza: si avvicinò alla porta, mentre l'elfo
continuava
a guardare il corridoio deserto e buio nel cercare di scorgere
qualche fioca luce; guardò Karin un'ultima volta, muovendo
appena il
capo per farle capire che sarebbe andato tutto bene. Poi, con una
sofferenza immane si staccò da lei, indietreggiando di un
paio di
passi: lei lo guardò di sfuggita, poi gli diede le spalle e
uscì
fuori; rimasti solo loro, i due si guardarono con infinito astio e
disprezzo, incolpandosi a vicenda per ciò che aveva
– e stava –
passando Karin.
Infine, la porta di quercia si richiuse, lasciandolo al buio.
Un'oscurità densa di colpa e rimorso.
Di bruciante disperazione.
Bilbo si ritrovò a correre lungo i
corridoi, il cuore che batteva
furioso contro la gabbia toracica; non gli importò poi molto
di
venir scoperto, anche se indossava l'anello. In parte temeva di
arrivare nell'oscuro tunnel dell'ultimo livello, ma doveva fare in
fretta: vi erano voci di una festa imminente – forse proprio
quella
sera! - ed i numerosi barili nelle cantine, contenenti vino o altre
cibarie, sarebbero stati svuotati. Se ce ne fossero stati a
sufficienza, sarebbero potuti scappare da un passaggio che aveva
scoperto recentemente. Questo, infatti, era costituito da una botola
che dava direttamente sul fiume: la corrente li trascinava
finché
non raggiungevano il confine orientale di Bosco Atro; poi venivano
raccolti, legati insieme e spinti verso Pontelagolungo.
Era un'idea totalmente folle, lo sapeva! Eppure, in lui vi era una
minima speranza di riuscita: inoltre, tutti riponevano fiducia in
lui, e non voleva certo deluderli!
Finalmente giunse alla cella di Thorin, il cuore improvvisamente
gonfio di pena: alla fine, non era riuscito a scoprire dove avevano
rinchiuso Karin. Si sentì miserabile come poche volte, anche
perché
egli stesso era in pensiero per lei. E non osava immaginare come
dovesse sentirsi il re dei nani.
Spiò attraverso il buco della serratura, cercando di
abituare
l'occhio all'oscurità della cella: dietro di lui, una lieve
fiammella arancione era data dalla torcia accesa, illuminando
debolmente il corridoio.
<< Thorin >> bisbigliò piano, ma
comunque udibile.
Infatti, poco dopo, sentì dei passi affrettati
<< Bilbo.
Novità? >> chiese.
Al
povero hobbit mancò il coraggio di rivelargli i suoi
precedenti
pensieri, ma notò quanto fosse... stanco
e strano il
tono di voce del nano. Restò così turbato da
dimenticarsi la
risposta da dargli, facendolo spazientire.
<< Ebbene? >>.
<< Oh, sì, ecco... credo d'aver trovato il
modo per fuggire >>
bisbigliò concitato. Gli spiegò brevemente in
cosa consisteva il
piano, dovendo accennare al fatto che, forse, sarebbe stato costretto
ad entrare in un barile stretto e scomodo: come previsto, Thorin
iniziò ad agitarsi e bocciò l'idea sul nascere.
<< Non penso proprio, scassinatore! Non dentro un barile!
Deve
esistere un altro modo! >>.
<< E se non ci fosse altra soluzione? Un'occasione del
genere
potrebbe non capitarci più >>.
Era la verità, lo sapeva: così, a malincuore,
dovette dare il suo
consenso.
<< Senti Thorin, io >> ecco, ora arrivava
la parte
difficile << non sono riuscito a trovarla
>> disse con un
filo di voce; al re non occorse chiedere a chi si riferisse. L'aveva
capito subito dal tono esile con cui aveva parlato.
<< Non ce n'è bisogno, so dove si trova: al
secondo livello,
dopo le stanze appartenenti alla famiglia reale. La quinta porta a
sinistra >> disse, asciutto e sbrigativo, facendogli
intendere
che non avrebbe tollerato o risposto ad altre domande. Bilbo non ne
fece, recependo bene il messaggio.
<< Quinta a sinistra >> ripeté
piano, per memorizzarlo
<< D'accordo >>.
<< Liberala per prima, poi gli altri. Infine, verrai da
me >>.
Bilbo aggrottò la fronte, perplesso << Ma,
Thorin, potrei
liberarti adesso... >>.
<< No >> lo interruppe bruscamente
<< prima Karin
>>.
Lo hobbit non volle discutere o obiettare, quindi
acconsentì. Certo,
anche a lui premeva salvarla ed accertarsi della sua salute, ma
così
avrebbe dovuto fare più strada!
Si congedò dal re, rassicurandolo che sarebbe tornato presto
a
liberarlo: avrebbe lasciato gli altri alle cantine – non
molto
lontane – e sarebbe sgattaiolato fin lì.
Ripercorse ogni corridoio e tunnel, notando quanto crescesse la
luminosità man mano che saliva: divenne più
pericoloso nascondersi
dalle numerose ombre che venivano proiettate, e iniziò a
muoversi
con più lentezza e cautela, innervosendosi.
Mise piede al secondo livello dopo quella che gli parve
un'eternità:
scivolò silenziosamente a ridosso della parete bianca,
guardandosi
attorno con crescente disagio; con un moto di terrore vide una
guardia davanti alla quinta porta. Non ci voleva, non ora che il
tempo stringeva! Doveva pensare ad una soluzione, e in fretta! Stava
cercando di scervellarsi quando un'altra guardia si avvicinò
dalla
parte opposta a dove si trovava lui: in mano, reggeva due calici
colmi di vino.
<< Per allietarti la serata >> disse
quest'ultimo,
facendo sospirare il guardiano.
<< Tu a spassartela e io qui a far la guardia
all'uccellino!
Sai che non potrei farlo >> lo ammonì, negando
il calice.
<< Male non potrà farti, mio buon amico:
è molto poco >>.
<< Sarà, ma non posso accettare
>>.
<< Suvvia, non se ne accorgerà nessuno! E poi,
l'uccellino non
è nemmeno in grado di reggersi in piedi: il veleno l'ha
spossata
alquanto. E, anche se riuscisse ad aprire la porta, non saprebbe dove
andare >>.
<< So che la porta è sempre aperta, e tanto
basta per mettermi
in allerta! Comunque oggi è uscita, però: con il
principe. Mi ha
cacciato in malo modo, senza motivo >>.
L'altro scrollò le spalle, stando attento a non rovesciare
neppure
una goccia di liquido sanguigno.
<< Non ha molta importanza, dopotutto. Allora, vuoi farmi
reggere questi due calici all'infinito? Prendilo! >>
ordinò.
La guardia obbedì, rigirandosi la coppetta tra le dita.
Alzarono i
calici in un brindisi, per poi svuotarli in un sol sorso.
Bilbo pensò che gli elfi non riuscissero a reggere l'alcool,
visto
che dopo poco iniziarono a ridacchiare allegramente: ma, forse,
quello era un vino ben forte. O alle guardie non era propriamente
concesso bere.
Fortuna volle che, dopo una manciata di minuti, decisero di comune
accordo di sgattaiolare al livello superiore per gustare altro buon
vino di Dorwinion, lasciando così la porta incustodita.
Ora non gli restava che appurare se si trattava della camera giusta.
Provò a spiare, ma non scorse nulla: col cuore in gola e lo
stomaco
accartocciato, provò a chiamare l'amica, non ottenendo
risposta.
Ricordandosi della porta aperta portò la mano alla maniglia,
il
cuore che sembrava scoppiargli in petto: se si fosse sbagliato...
Non volle pensarci.
La porta cigolò, proiettando un lieve cono di luce che
spazzò
l'ombra densa e nera. Tolse l'anello, ma sentì qualcuno
gemere
debolmente e muoversi: un sottile gelo gli si diffuse in corpo, ma
passò subito non appena udì una voce conosciuta
chiamarlo,
incredula.
<< Bilbo? >>.
Karin entrò nel suo campo visivo; si scambiarono un breve
sguardo,
sconcertati ma felici, per poi gettarsi l'uno tra le braccia
dell'altra, in un abbraccio vigoroso e sincero. Iniziarono a
ridacchiare senza motivo, oltremodo contenti di essersi ritrovati
dopo tutti quei giorni; Bilbo strinse la presa sulla sua schiena,
facendole capire quanto le fosse mancata, mentre lei poggiò
il mento
sull'incavo del collo, lasciando che i capelli ricci dello hobbit le
solleticassero il naso e la fronte. Non si sentì mai
così felice
come in quel momento, nel saperlo lì con lei: dopo tutto
ciò che
era accaduto con Thorin, le fece bene vedere Bilbo, e consolarsi nel
suo abbraccio.
<< Sono così felice di saperti viva! Thorin
aveva detto che
eri stata ferita gravemente >> disse, scostandosi un poco.
Karin annuì, un improvviso groppo alla gola le
impedì di parlare:
dovette deglutire per rispondergli.
<< Sì, ma ora sto meglio. Più o
meno >> concluse,
facendo una smorfia.
Così vicini, Bilbo si rese conto delle tremende occhiaie e
della
cera pallida del volto, costatando che non aveva un aspetto sano: in
più, sembrava essersi assottigliata molto. Tutti loro
avevano
risentito della prigionia, portandone i segni sul corpo un tempo
forte e vigoroso: ma Karin aveva dovuto affrontare anche
l'avvelenamento e la conseguente guarigione, non del tutto ultimata.
Eppure era certo che, una volta usciti di lì, si sarebbe
ristabilita. Ciò gli rammentò che non dovevano
perdere altro tempo
prezioso, che dovevano sbrigarsi.
<< Karin, credo d'aver trovato il modo per fuggire, ma
dobbiamo
fare in fretta: dobbiamo liberare gli altri, poi scendere alle
cantine! >>.
<< Va bene, allora muoviamoci >>.
Lo hobbit si infilò nuovamente l'anello al dito, zittendo
una
stupita Karin che, nel frattempo, aveva iniziato a porgli moltissime
domande, spaventata. La trascinò fuori, sbirciando
cautamente lungo
il corridoio: se fosse arrivato qualcuno avrebbe visto l'amica,
riportandola dentro la stanza; avevano superato incolumi il quanto
livello quando lei lo strattonò, liberandosi dalla sua
stretta. Lo
costrinse a fermarsi, e Bilbo si girò verso di lei,
spazientito.
<<
Karin, non
dobbiamo
fermarci! >> le sussurrò, ma lei scosse la
testa.
<< Devo trovare Iris >>.
<< Co... come? >> domandò
incredulo.
<< Non me ne vado senza Iris, Bilbo. È l'unica
cosa che mi
rimane della mia famiglia >> lo guardò seria e
ferma anche se
lo sguardo gli trapassò il collo, data
l'invisibilità << Tu
non l'hai vista in questi giorni? >> chiese, speranzosa.
Lo hobbit rimase in silenzio per alcuni secondi, ma alla fine
scacciò
il pensiero di risponderle negativamente <<
Sì, un livello più
sopra della cella di Dwalin: andiamo >>.
Ripresero ad avanzare cauti, respirando il più piano
possibile per
non far rumore: finalmente scesero al livello giusto, fermandosi
di nuovo.
<< Tu vai pure a liberare gli altri >> gli
disse Karin,
ignorando l'occhiataccia che le rivolse l'amico << io
faccio in
fretta >>.
<< Karin, non sai nemmeno dove sono le cantine!
>>
protestò, di fronte alla proposta.
La ragazza gli sorrise << Bé, a questo si
può rimediare >>.
<< Se gli elfi dovessero vederti... >>.
<< Non accadrà, abbi fiducia! Starò
attenta >>.
Bilbo sospirò, rassegnato: per quanto avesse voluto
ribattere,
sapeva bene che nulla le avrebbe fatto cambiare idea.
<< D'accordo. Una volta che l'avrai recuperata
– in fretta,
mi raccomando – scendi sempre. Troverai qualcuno ad
attenderti, io
stesso o un nano >>.
Karin annuì, sorridendogli; dopodiché
percepì i passi silenziosi
di Bilbo che proseguivano, alla ricerca della cella di Dwalin: lei,
invece, si inoltrò cauta ed attenta lungo il corridoio
fiocamente
illuminato, il cuore che le martellava in petto.
<< Dov'è Karin? >> chiese
Thorin, non appena mise piede
nella cantina di Bosco Atro. Lanciò uno sguardo furioso al
povero
Bilbo, che dovette mantenere i nervi saldi nel rispondergli.
<< A cercare Iris >> disse, cercando di
nascondere
l'angoscia della voce; non aggiunse che, in realtà, avrebbe
dovuto
essere lì con loro da tempo. Era preoccupato, tremendamente
preoccupato.
Thorin contrasse la mascella ma non disse nulla: i suoi occhi
parlarono per lui. Si mise a passeggiare nervosamente per la stanza,
passando accanto ai barili di legno che contenevano i nani,
accuratamente imballati con della paglia e chiusi dallo scassinatore.
<< Sei riuscito a trovarla, dunque! Come sta?
>> volle
sapere Balin, che aveva il compito di sorvegliare la porta e le due
guardie addormentate a cui Bilbo aveva sfilato le chiavi delle celle.
<<
Bene. Almeno, da quello che ho potuto vedere >> rispose
lo
hobbit, evitando di prestare troppa attenzione ai passi pesanti del
re dei nani, e ai suoi continui borbottii: riuscì a
distinguere
alcune frasi, tra cui “maledetta
la sua testardaggine” e
“si può sapere
dov'è finita?”, seguite
da molti “mi
sentirà, per Durin!”.
<< Non potevi trovare un altro modo? >>
sbottò poi,
iroso << Non voglio venir rinchiuso come un cane!
>>.
Bilbo alzò gli occhi al cielo, esasperato: era
già la quinta volta
che glielo ripeteva << No, Thorin, non c'era altra
soluzione!
>> replicò << E puoi smetterla
di agitarti così tanto?
Mi rendi nervoso! >> lo rimbeccò, facendolo
arrestare di
botto: mai prima d'ora gli aveva parlato in quel modo. Il nano rimase
talmente basito da non riuscire a trovare parole adatte per
controbattere.
<< Eccola! >>.
Balin si sporse leggermente dalla soglia, agitando un braccio per
farsi vedere meglio da Karin: poi corse trafelato verso il proprio
barile, venendo aiutato da Bilbo, che lo chiuse per bene.
Nel frattempo la ragazza entrò, ricevendo una dura occhiata
da Thorin <<
Perché ci hai messo così tanto? >>.
Lei lo guardò, scrollando le spalle << Ad un
certo punto mi
sono persa >>.
Il nano aprì la bocca per sgridarla, ma venne fermato da
Bilbo <<
Thorin, ora non abbiamo tempo per una strigliata! Dobbiamo fare in
fretta! >>.
<< Alcuni elfi stanno scendendo: sentivo i loro passi
dietro di
me, ad alcuni metri di distanza >>.
Ciò smosse il re che, con un grugnito rabbioso, si
issò sul suo
barile, entrandovi. Bilbo posizionò il coperchio, per poi
fare un
occhiolino all'amica, che gli rispose con un sorriso di
ringraziamento: almeno si era risparmiata la ramanzina!
Lo hobbit finì appena in tempo di imballare Karin
– infilandosi
l'anello magico - che alcuni elfi entrarono, ridendo e
chiacchierando.
Svegliarono i due elfi ed iniziarono a far rotolare i barili verso
l'apertura della botola: caddero uno dopo
l'altro nell'acqua fredda del fiume, sollevando spruzzi e urtandosi,
per poi seguire la corrente. Fu allora che Bilbo trovò la
falla nel
piano: lui non
era dentro un barile!
Rimase a guardare gli ultimi barili rotolare lungo la botola buia,
per poi gettarsi sull'ultimo, che conteneva Karin.
Con un tonfo cadde in acqua, tornando a galla subito dopo: si
aggrappò con forza al legno, non riuscendo però
ad arrampicarcisi
sopra.
La botola si richiuse, e le voci degli elfi si spensero: ora era
solo, circondato da barili vuoti e altri contenenti i suoi amici;
l'oscurità era opprimente, il gelo del fiume era intenso.
Ma,
fortunatamente, pian piano iniziò a scorgere un lieve
bagliore che
rischiarò il tunnel: uscirono sotto i rami degli alberi che
si
chinavano sull'acqua, e fu proprio lì che la corrente
divenne più
forte; i barili e i tini acquistarono velocità, sobbalzando
di tanto
in tanto quando il letto del fiume era irregolare. Avanzarono sempre
più rapidi, girandosi di qua e di là con forti
scossoni, urtandosi
tra loro: dopo un poco si arenarono sulla riva, dove alcuni elfi
stavano pronti con delle pertiche per metterli da parte: li legarono
insieme e li lasciarono lì fino al mattino successivo,
quando
ripresero il loro sfortunato viaggio. Lo hobbit cercò di
memorizzare a
quale barile si era aggrappato fino ad ora e qual era la sua
posizione. Durante il
viaggio, Bilbo batteva di tanto in tanto un pugno sul legno e, col
cuore in gola, attendeva trepidante che Karin rispondesse; solo allora
si tranquillizzava un poco, capendo che stava bene.
Non osò pensare ai poveri nani rinchiusi nei barili, preda
dell'acqua che filtrava e della claustrofobia del luogo:
ringraziò
internamente d'essere fuori, sebbene zuppo ed infreddolito!
La corrente non migliorò affatto quel giorno, rimanendo
molto rapida
e veloce: ad un certo punto della navigazione, con immenso stupore di
Bilbo, il coperchio di un barile venne gettato lontano, nell'acqua
gelida; emerse la figura scarmigliata di Thorin a cui si aggiunsero,
poco dopo, quelle degli altri. Si urlarono qualcosa a vicenda, mentre
le parole si disperdevano a causa dello scrosciare del fiume, e del
vento che sferzava i loro volti.
Bilbo si sentì male al pensiero dell'amica, l'unica a dover
rimanere
chiusa nel proprio barile perché lui glielo impediva,
standovi
aggrappato. Batté più volte sull'asse di legno,
sentendo la
medesima risposta da parte sua.
Finalmente, la terra iniziò a stendersi davanti ai loro
occhi, così
come la figura imponente della Montagna Solitaria: ce l'avevano
fatta, il piano era riuscito! Quando il sole tramontò, il
Fiume
Selva si gettò nel Lago Lungo, una distesa d'acqua talmente
grande
che faceva concorrenza solo al mare: nonostante il raffreddore e il
freddo che percepiva, Bilbo si sentì emozionato oltre
ogni dire, non avendo mai assistito ad uno spettacolo del genere.
Ed eccola: la città di Pontelagolungo, costruita dentro il
lago. Gli
edifici erano di legno, enormi palafitte innalzate dagli uomini,
protetti dai vortici degli immissari del lago.
I barili galleggiarono pigramente fino all'immenso ponte di legno, ma
la compagnia non scorse nessuna torcia, nessun individuo ad
attenderli: e questo fu un bene.
Col favore dell'oscurità riuscirono ad uscire,
barcollanti e pallidi: si aiutarono l'un l'altro e, ora, Bilbo si
tolse l'anello e chiese aiuto a Kili e Fili, più vicini
rispetto agli altri.
Non appena i suoi piedi toccarono il legno del pontile, venne
sospinto malamente dai fratelli che, con un gran daffare, alzarono il
coperchio dell'ultimo barile rimasto.
<< Karin! >> gridarono in coro.
Allungarono entrambi un braccio, aiutando la ragazza: era pallida e
zuppa quanto loro che, invece, avevano compiuto l'ultimo
tratto con mezzo busto all'aria aperta, sfidando le rapide del fiume
e l'acqua impetuosa.
<< Fate piano, non sta ancora bene! >>
intervenne Bilbo,
preoccupato.
Tremava di freddo, le labbra erano livide, le gambe traballanti: ma
non fece in tempo a dir nulla che l'abbracciarono di
slancio, iniziando a ridere allegramente; in una manciata di secondi
si aggiunsero anche Nori, Ori, Dori e Bombur, stringendola talmente
forte da farle mancare il fiato.
<< Lasciatela, per la barba di Durin! Non vedete che non
respira? >> gridò Gloin, allontanando i
compagni << E tu
>> esclamò minaccioso, un cipiglio
severo rivolto ad una
povera Karin << è questo il modo di
comportarsi? Ci hai fatto
stare in pensiero, accidenti a te! >>
borbottò, per poi
avvolgerla tra le sue braccia: le batté rudemente una mano
sulla
schiena, per poi allontanarla quasi subito << Sei una
nana a
dir poco fortunata! Meno male che Bilbo è riuscito a
trovarti! >>.
Anche Oin allontanò il fratello per batterle una mano sulla
spalla;
Bifur iniziò a parlare nell'antico linguaggio dei nani,
allargando
le braccia di tanto in tanto, abbracciandola a sua volta.
Bofur si tolse il cappello, zuppo quanto il resto, e le rivolse
un'enorme sorriso << Bé, che dire. Bentornata
tra noi! >>.
<< Grazie >> riuscì a rispondere
lei, debolmente.
Karin non aspettò altro: gli gettò le braccia al
collo e serrò gli
occhi, contenta di rivederlo. Di rivedere tutti loro.
Quel “bentornata” le invase il cuore, nutrendolo
con meravigliose
sensazioni: si sentì accettata. Sentì di non
essere più sola, di
far parte della compagnia. Glielo dimostrarono quegli abbracci
sinceri, quegli sguardi felici e brillanti di commozione nel saperla
viva e in salute. Si sentì grata come mai in vita in sua, e
fu con
sforzo immane che non scoppiò a piangere come una bambina:
ma si
commosse, questo sì; alcune lacrime le sfuggirono dagli
occhi quando
venne il turno di Balin.
La guardò solamente, senza dire nulla: ma nei suoi occhi vi
era un
tale sollievo, un tale affetto, che
la lasciò senza
fiato; quelli erano sguardi che solo un padre amorevole poteva
riservare alla
propria figlia prediletta.
Con una punta di dispiacere, Karin si rese conto che suo padre non
glieli aveva mai concessi: ma vi era sempre stato Balin, per lei. Le
era rimasto accanto più di quanto Kario avesse mai fatto.
<< Abbiamo bisogno di vestiti asciutti e di un tetto
sopra la
testa. Fili, Kili, Bilbo, voi verrete con me: andremo dal Governatore
della città. Voialtri restate qui >>
intervenne Thorin,
rimasto in disparte con Dwalin, ad alcuni passi dall'assembramento
creatosi attorno alla ragazza.
Aveva le braccia incrociate al petto ed uno sguardo cupo, che non
ammetteva repliche: immediatamente, i tre gli si avvicinarono, pronti
per partire.
Avevano già voltato loro le spalle quando la voce di Karin
li fermò.
<< Aspetta! >> non aveva pronunciato alcun
nome, ma
Thorin seppe che era riferito a lui.
Si girò, incontrando la sua figura a pochi passi da lui; con
uno
sforzo enorme, gli occhi neri si posarono sui suoi.
<< Un re non è tale senza la sua spada
>> disse,
solenne.
Con immenso stupore di Thorin, il braccio dietro la schiena di Karin
gli rivelò cosa nascondeva: la lama di Orcrist
sembrò mandare un
lieve bagliore argentato quando si poggiò sul palmo della
mano;
l'altra impugnava il manico di dente di drago.
Le braccia erano tese verso di lui, in un muto invito a prenderla: e
Thorin lo fece. Allungò le mani e le posò nei
medesimi punti di
quelle di Karin, avvolgendole: erano gelate, ma non gli
importò.
Rimasero in quella posizione per lunghi secondi, mentre attorno a
loro regnava il silenzio: non un nano osava respirare, non davanti ad
una scena carica di significato come quella.
I due si guardarono negli occhi, esprimendo parole che non sarebbero
state pronunciate: non lì, non in quel momento.
Sentì le dita di Karin scivolargli via, abbandonando il
contatto:
rimasero solo le sue mani, strette alla spada, tenendola in
orizzontale così come gliela aveva presentata; le labbra del
nano si
incurvarono in un lieve sorriso di ringraziamento, ed una mano
callosa si posò sulla guancia di Karin, assaporandone la
morbidezza.
Durò poco, molto poco per la verità; poi, con un
cenno del capo la
ringraziò, dandole le spalle e avviandosi con gli altri
verso i
bagliori della città.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Sono imperdonabile, lo so ç_____ç! L'avrei
pubblicato anche ieri,
ma ho avuto una laurea :(
ad ogni modo, eccolo qui! Allora, che ve ne pare? Siete d'accordo nel
dire che vi sono fuoco e fiamme tra i due? Non sapete quanto mi sia
costato scriverlo, davvero: i nodi sono venuti al pettine, Karin
è
riuscita a sfogarsi; come scritto nel capitolo, lei non aveva
intenzione
di dirgli tutte quelle cose e accusarlo, ma cercate di capirla!
Tornare nella stessa cella dove si è stati brutalmente
torturati e
costretti a tradire avrebbe portato alla pazzia anche la persona
più
forte di questo mondo!
A questo proposito, mi ricollego al video ^^: dunque, avete presente
quando, ascoltando, leggendo, o guardando qualcosa vi sale un magone
allucinante e fortissimo, e vi ritrovate con gli occhi lucidi senza
motivo? Io non sono propriamente una che si lascia coinvolgere
così,
però... insomma, NON può capitarmi un video del
genere sotto gli
occhi, nossignore! E per TRE buoni motivi:
1. La musica di sottofondo: Two Steps from Hell,
coloro i
quali – grazie alle musiche epiche e struggenti –
mi aiutano a
produrre i capitoli. Ebbene sì, se non li ascolto non scrivo
nulla!!!
2. Il titolo della canzone: Love and Loss; ora, NON
possono
combinarmi 'sto brano E le scene de “lo Hobbit”
INSIEME O.o!!!
NO, NON SI FA!!! d'accordo, qui parlano della distruzione di Dale e
della presa di Erebor, però... insomma, la mia fantasia
è andata da
tutt'altra parte, portandomi al punto tre.
3. Ragazze, ciò che mi ha stesa del tutto
facendomi salire le
lacrime è stato che, molto probabilmente, in quel momento
Karin –
a Bosco Atro – era preda delle torture lette nel capitolo
dieci: il
momento esatto in cui si abbandona e si piega all'elfo, dicendo che
avrebbe tradito ç___ç
Ecco, ora capite la mia tristezza? Thorin e Karin erano GIA' divisi
e, mentre lui affrontava Smaug perdendo la sua casa, lei perdeva la
sua forza. Per questo motivo per me, Love and Loss, più che
far
pensare ad Erebor, fa pensare ai due! So che sono un caso disperato,
ma ormai tengo davvero troppo a questa storia
ç____ç ed alle
vicende che si svolgono man mano.
Vi chiedo perdono, ora ho finito di sparare cavolate ;)))
Dunque, ora ce l'hanno fatta a scappare dagli elfi, dirigendosi a
Pontelagolungo XD: ooooh, ora sì che si ragiona! Da qui in
poi
inizia un altro blocco importante del loro viaggio, che li porta
sempre più vicini a Erebor ^^ spero che, da adesso, la
tristezza e
la depressione dilaghino di meno... anche se ci sono ancora due o tre
cosette in sospeso ;)
Eheheheheeh! Bene, come sempre vi esorto a farmi sapere che ne
pensate con le recensioni!
Ringrazio
le carissime e specialissime jaybeautifldarkangel,
LadyGuns56,
miss
feenky92, vanessa 90, pamagra, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91,
MrsBlack, Carmaux e Mars PR Black Rose. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!!
GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite -
ricordate
e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!
Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo tredici ***
Note
autrice: e
rieccolaaaaa!!!
Spero che questo capitolo vi aggrada ;)) vi consiglio di leggerlo
–
se vi va, ovvio – con questa musica di sottofondo.
http://www.youtube.com/watch?v=kmrmHEzUQRs
Io
ho praticamente ascoltato SOLO questa mentre lo scrivevo O.o! Lo so,
sono malata!!! Bene, se sarete ancora vive dopo il cap, ci leggiamo
giù :*
Buona
lettura ^^
CAPITOLO TREDICI
Aprì con difficoltà gli occhi, mugugnando
infastidita per essersi
svegliata: avrebbe voluto dormire per giorni interi, persa nell'oblio
di un sonno senza sogni, buio come la notte senza stelle, sprofondata
nel materasso morbido e pulito.
Era esausta e si ritrovò a starnutire due volte ma, per il
restante
tempo, batteva i denti preda di interminabili brividi; gli scossoni
presi da dentro il barile si fecero sentire non appena il corpo si
mosse debolmente: ogni muscolo invocò pietà,
reclamando a gran voce
un po' di riposo.
Ma il sole era alto nel cielo, e i rumori che sentiva provenire dal
pian terreno le fecero capire che gli altri erano già alzati.
Imprecando silenziosamente riuscì a mettersi seduta,
gemendo: la
testa minacciava di esploderle da un momento all'altro, ed ogni
più
piccolo movimento era un'immensa fatica; cercò di
frizionarsi le
braccia per scaldarsi, ma fu inutile. Si passò una mano tra
i
capelli ancora lisci ma bisognosi di un urgente lavata e, con un
leggero sforzo, si diresse verso la porta, aprendola: si
ritrovò nel
corridoio - illuminato dalla luce del giorno – della grande
casa
che il Governatore di Esgaroth aveva messo a loro disposizione dopo
che Thorin gli si era presentato dinanzi come Re sotto la Montagna,
tornato a riconquistare Erebor ed uccidere Smaug.
La sera prima, Kili e Fili le avevano raccontato a bassa voce come si
era svolto l'incontro mentre si dirigevano verso l'abitazione,
scortati dalla popolazione incredula ma festante che li aveva accolti
come se avessero già sconfitto il drago.
<<
Avresti dovuto sentire lo zio >> le bisbigliò
Fili in un
orecchio, decisamente ubriaco, mentre la teneva a braccetto per
aiutarsi a camminare << quel “Io
ritorno!” ha fatto
ammutolire tutti! >>.
<<
E' vero! Dovevi vedere la faccia del Governatore, Karin: un altro
po', e avrebbe sbattuto il mento sul pavimento! >>
ridacchiò
Kili, reggendosi dalla parte opposta e alticcio quanto il fratello
maggiore << Poi la gente ha iniziato ad urlare e a
cantare vecchie
canzoni, presi dall'euforia del ritorno di un membro della stirpe di
Durin, e quindi il Governatore ha dovuto credere al racconto di
Thorin. Gli ha ceduto il suo scranno e ci ha fatti sedere accanto a
lui, mentre ordinava ai suoi uomini che venissero a prendervi
>>.
Ed erano venuti, ricordò Karin, mentre avanzava barcollante
verso il
bagno del primo piano: ogni elemento parve ruotare, comprese le
pareti bianche; dovette serrare gli occhi e mordersi le labbra per
acquistare un minimo di autocontrollo, ma continuava a tremare senza
sosta, infreddolita.
Cinque
abitanti li avevano sorpresi uno vicino all'altro, in un vano
tentativo di scaldarsi a vicenda: lei, ad esempio, era stata stretta
tra Bombur e Bofur che, per smorzare il silenzio e la tensione, aveva
aiutato il cugino a togliersi un pesce che gli si era conficcato
nell'ascia. Era perfino intervenuto Balin a calmare Bifur, che
continuava ad urlare come se qualcuno l'avesse appena minacciato di
morte.
Senza
altri intoppi, comunque, li avevano seguiti in città,
sentendosi a
disagio di fronte alle occhiate piene di curiosità e stupore
della
gente; avevano raggiunto la piazza principale, formata da uno
specchio d'acqua circondato da alti pilastri, su cui erano costruite
le case più grandi: da una di esse risuonava un gran vociare
allegro, e numerose luci erano accese, segno che vi era una festa.
Non
appena entrarono, le voci si spensero e molte teste si voltarono
verso il resto della Compagnia, squadrando ogni membro: se Karin ci
ripensava, sprofondava nuovamente nell'imbarazzo.
<<
Questi sono i miei valorosi compagni, ed amici >> disse
Thorin,
con voce chiara e tonante << Chiedo venga loro offerto un
posto
al banchetto, poiché è stato un viaggio molto
lungo e stancante
anche per i loro cuori volenterosi >> terminò,
rivolgendosi al
Governatore.
Quello
- un uomo alto dal ventre prominente ed un gran faccione rotondo -
fece saettare lo sguardo verso di loro, illuminato dalla brama di
nuove ricchezze che avrebbe portato il Re sotto la Montagna. Infine
acconsentì con enormi sorrisi e ossequi, pregandoli di
unirsi;
ricordò di essersi seduta accanto a Bilbo, mentre Oin prese
posto
alla sua destra, ma poi tutto si fece confuso: aveva bevuto e
sbocconcellato giusto qualcosa, anche se il suo stomaco reclamava
più
cibo ma, contemporaneamente, le ricordava una nausea imminente. Se
avesse potuto scegliere, si sarebbe messa in un angolino a dormire,
invece che partecipare alla gioia collettiva.
Molti
brindisi furono fatti, e molti boccali colmi di birra si alzarono
alla loro salute: i nani banchettarono molto, ritrovando il
buonumore; Thorin parlava con il Governatore, non curandosi di altro:
nemmeno di Kili e Fili che, abbastanza alticci, iniziarono ad
intonare delle canzoni stonate facendo ridere gli alti commensali,
che brindarono alla loro bravura.
<<
Stai bene, ragazza? >> le urlò Oin,
sporgendosi verso di lei e
facendola sobbalzare sulla sedia, impegnata com'era ad osservare gli
altri.
<<
Sono solo molto stanca >> gli rispose, cercando di alzare
quanto più possibile il volume di voce per farsi sentire.
Oin
fece un'espressione preoccupata, aggrottando la fronte <<
Hai
male all'anca? >>.
Karin
lo guardò confusa, per poi scuotere la testa e sorridere;
portò le
mani a coppa e gliele poggiò sull'orecchio, ripetendogli la
frase.
Il nano, allora, le fece un grande sorriso e le batté una
mano sulla
spalla.
<<
Non temere, non durerà molto! >>.
Lei
non ne fu ben convinta, ma cercò di essere paziente e di
divertirsi
comunque. Ad un certo punto si ritrovò gli angoli degli
occhi umidi,
ed alcune lacrime le scesero sulle guance mentre rideva a crepapelle
per delle battute degli altri.
Non
seppe quantificare il tempo trascorso a bere o mangiare; l'ultimo
ricordo della serata riguardò il Governatore, che li
condusse nella
nuova abitazione: mostrò loro le varie stanze e volle
salutare tutti
loro, scusandosi già se non avesse ricordato ogni nome;
inoltre,
invitò Thorin per la cena successiva. Poi augurò
la buonanotte,
allontanandosi nella notte.
Thorin
– più sobrio degli altri, anche se aveva bevuto
parecchio –
distribuì le varie stanze, dividendoli a coppie; quando
venne il suo
turno, però, le comunicò che avrebbe dormito in
una stanza a parte,
da sola.
Non
ebbe la forza di ribattergli che, al contrario, avrebbe preferito un
po' di compagnia, specie dopo le settimane passate e Bosco Atro: il
suo silenzio gli fece capire che non ci sarebbero state obiezioni,
quindi concluse il tutto mandandoli a letto.
Si
era trascinata verso la sua nuova stanza, appoggiandosi di tanto in
tanto al muro per rimanere in piedi; barcollò verso il letto
e,
senza nemmeno togliersi la tunica elfica umida e gli stivali
infangati, si buttò sul materasso addormentandosi
immediatamente:
non sognò nulla anche se, ad un certo punto, le apparvero
due occhi
azzurri che la resero irrequieta, facendole spostare il capo a destra
e a sinistra.
Con una smorfia di disappunto al ricordo dello sguardo ben
conosciuto, aprì la porta del bagno ma le gambe stanche le
cedettero, facendole appoggiare tutto il peso del corpo sul legno; si
sentì scivolare verso terra, le ginocchia batterono sul
pavimento.
Si lasciò scappare un gemito e percepì rumori di
passi che salivano
le scale, poco lontane.
<< Karin! >>.
Aprì con difficoltà gli occhi, riconoscendo i
lineamenti di Ori: le
si era inginocchiato accanto, guardandola preoccupato; le era
talmente vicino che la ragazza riuscì a distinguere e
contare le
lentiggini del volto. Ma, ben presto, quelle iniziarono ad aumentare
e vorticare e dovette serrare nuovamente gli occhi, la bocca piegata
in una smorfia.
<< Cos'hai? Stai male? Sei ferita? >> le
chiese il nano,
agitato come non mai; le posò una mano sulla guancia,
ritraendola
subito << Ma scotti! >> esclamò
allarmato.
Karin avrebbe voluto dirgli di tacere, ma le uscì una specie
di
rantolo: faticava persino a parlare, dato il tremore incessante dei
denti.
Non aveva più controllo del corpo, era spossata e
febbricitante:
anche pensare era ormai complicato. << Riesci ad alzarti?
>>.
Scosse la testa. Ori, allora, assunse un'espressione preoccupata,
torcendosi le dita macchiate d'inchiostro << Vado a
chiamare
qualcuno! Tu non ti muovere, e cerca di resistere! >>
parlò
velocemente, alzandosi ed inciampando nei suoi stessi abiti nuovi.
Caracollò lungo le scale, urlando qualcosa che non
capì; esausta,
appoggiò la nuca allo stipite della porta, avvolgendo le
braccia al
corpo bollente ma che le pareva gelato, ed iniziò a
respirare
velocemente come se avesse corso per miglia e miglia. Le palpebre
divennero talmente pesanti da non riuscire a tenerle sollevate e, con
gioia, le chiuse.
Tossì, aumentando i tremori; dopo quelli che le parvero
lunghi anni,
sentì i passi leggeri di Ori e altri più pesanti
avanzare di corsa;
alcuni fruscii le fecero capire che si erano inginocchiati ma, anche
stavolta, le risultò difficile aprire gli occhi.
Le voci erano lontane: Ori parlava concitato mentre l'altro nano
taceva, quindi non riuscì a capire chi potesse essere.
Sentì due braccia forti alzarla senza difficoltà
da terra; appoggiò
il capo alla spalla, ricevendo quell'agognato calore che tanto
voleva.
<< Ori, vai a prendere altre coperte >> fu
l'ordine
dell'altro.
Karin ebbe un colpo al cuore, riconoscendo la voce.
<< Sì, subito! >> rispose lo
scrivano, allontanandosi.
La ragazza oscillava tra le braccia del nano, segno che si stava
muovendo; dopo poco, infatti, la schiena entrò in contatto
con il
materasso morbido: sentì una grande mano posarsi sulla
fronte, e
borbottii che non capì. Con altri fruscii, le coperte
andarono a
coprirla fino al mento; stupendosi di se stessa, Karin fece saettare
la mano sulla sua, stringendogliela forte.
<< Thorin >> riuscì a mormorare,
dato il freddo
incessante nelle ossa; alcune goccioline di sudore le scesero dietro
le orecchie e lungo il collo, ma non vi badò. Non ora.
<< Mi... mi dispiace. Tan... to >>
deglutì, la gola
insopportabilmente secca.
Di nuovo, sentì la mano posarsi sulla fronte, ma non
udì alcuna
risposta.
Un sonno agitato la prese, facendola sprofondare in sogni e incubi
sofferti.
Ori tornò poco dopo, avvicinandosi all'imponente figura di
Dwalin,
seduto accanto all'ammalata; aggiunse le coperte, facendo ben
attenzione a coprirla bene e rimase a guardarla un attimo,
togliendole il leggero velo di sudore con un panno bagnato.
<< Grazie, Dwalin. >> disse il giovane
nano. Era stata
una bella sorpresa quando, entrando nella grande sala al piano terra
– ed avendo praticamente urlato come un forsennato che Karin
stava
male – Dwalin fosse accorso subito, ordinando a Bilbo, Dori,
Nori e
Oin di rimanere lì perché ci avrebbe pensato lui.
Il nano scrollò le spalle, borbottando un
“figurati” detto tra i
denti.
<< Davvero una bella sfortuna, ammalarsi proprio ora
>>
sospirò il giovane, grattandosi la testa <<
Questi giorni
l'avrebbero aiutata a rimettersi in sesto! >>.
<< Guarirà in fretta, la febbre le
passerà presto >>
disse asciutto Dwalin; si alzò, guardando il più
giovane nano della
Compagnia << Pensaci tu, Ori >>.
Se ne andò, dopo aver ricevuto un cenno dall'altro: richiuse
la
porta alle spalle, scoccando un'occhiata allo scassinatore, fermo in
corridoio. Osservò la sua faccia ansiosa e colpevole,
rassicurandolo
<< Ha solo la febbre alta, mastro Baggins. Tra pochi
giorni
starà meglio >>.
Bilbo annuì e fece per parlare ma Dwalin lo
oltrepassò, dirigendosi
verso le scale. Aveva bisogno di fare quattro passi, pensare e stare
da solo: ma, prima, avrebbe dovuto cercare Thorin.
Lo incontrò lungo il pontile che portava alla loro
abitazione: stava
chiacchierando con Balin, ma non appena li raggiunse si
zittì,
rivolgendogli un sorriso stanco.
<<
Buone notizie, amico mio >> gli disse, dandogli una
manata
sulla spalla << Il Governatore ci offre la sua generosa
ospitalità per tutto il tempo che sarà necessario
>> fece una
smorfia sarcastica, pensando con disappunto alla faccia dell'uomo in
questione, ed alla brama che gli leggeva sempre negli occhi.
<< Bé, ci occorreranno un po' di giorni,
questo sì >>
ammise Dwalin, guardando prima il fratello e poi il suo re
<<
Karin ha la febbre alta >>.
Il lieve sorriso di Thorin si spense rapido; procedette ad ampie
falcate verso la casa, venendo subito affiancato dai due fratelli.
<< Come l'hai saputo? Te l'ha detto lei? >>.
<< No. Ero in sala quando il giovane Ori è
sceso trafelato
dalle scale, urlando che Karin stava male: per un attimo ho temuto il
peggio, ma poi ho capito che i sintomi erano quelli di una forte
febbre >> confidò Dwalin, stringendo
involontariamente un
pugno; era inutile nascondergli la sua breve preoccupazione.
Dopotutto, Thorin lo conosceva meglio di chiunque altro.
Il re annuì, in parte sollevato << Ora come
sta? >>.
<< L'ho lasciata con lui, stava dormendo >>.
<< Bene. Il viaggio nei barili deve averla oltremodo
debilitata
>> disse il re, parlando più a se stesso che
ai due.
<< Povera ragazza >> commentò
Balin, mentre richiudeva
la porta della casa e si fermava nella sala, accanto agli altri due
<< non ha un attimo di pace >> scosse la
testa,
amareggiato.
<< L'avrà quando si rimetterà
>> rispose serio il re,
prima di avviarsi verso le scale.
<< C'è un'ultima cosa, Thorin >>
la voce profonda di
Dwalin lo fermò; gli si avvicinò, guardandolo
negli occhi <<
quando l'ho riportata a letto mi ha scambiato per te: ha iniziato a
delirare, dicendo che le dispiaceva >>.
Negli occhi azzurri dell'amico, oltre alla crescente irrequietezza e
preoccupazione, passò un lampo di rammarico e tristezza;
Dwalin
credette d'aver visto male, ma passò subito.
Thorin annuì poi fece i gradini a due a due, affrettandosi
verso la
camera della ragazza.
I due fratelli rimasero al piano terra: Balin prese posto in una
poltrona accanto al fuoco scoppiettante, pensieroso; Dwalin, al
contrario, non riusciva a stare in quella casa un minuto di
più.
Spalancò la porta e la richiuse con un lieve tonfo, la mente
stipata
di pensieri con un'unica persona in comune: Karin.
<< Oh, è stata tutta colpa mia!
>> esclamò agitato il
povero Bilbo, appena Thorin entrò nella stanza
<< Avrei dovuto
pensarci subito: era così debole... un pessimo piano
>> scosse
la testa riccioluta, le mani chiuse a pugno e l'espressione
sofferente di fronte alla consapevolezza del fallimento di quell'idea
che, inizialmente, gli era sembrata così perfetta e senza
falle;
Thorin, comprendendo i suoi pensieri, gli mise una mano sulla spalla,
stringendogliela.
<< Non angustiarti troppo, Bilbo: non è tua la
colpa per ciò
che le è accaduto >>.
Si avvicinò al letto mentre Ori, capite le sue intenzioni,
si spostò
indietro; passandogli accanto, lo fermò.
<< Grazie, Ori. Ben fatto >>.
Il giovane nano balbettò qualcosa, arrossendo fino alla
radice dei
capelli: non aveva avuto molte occasioni per parlare col suo re, e
quella era la prima volta che Thorin Scudodiquercia lo ringraziava
con gratitudine.
Lieto d'aver compiuto qualcosa di utile, s'inchinò e gli
rivolse un
leggero sorriso, avviandosi verso la porta; rimasti soli, Bilbo e
Thorin si scambiarono una breve occhiata, per poi indirizzarla alla
malata, preda d'un sonno agitato e febbrile.
Il nano si sedette sulla sedia al fianco della ragazza e,
inconsciamente, le scostò alcune sottili ciocche dal collo,
lucido
di sudore; con immenso stupore di Bilbo, prese la pezzuola dal catino
pieno d'acqua e, dopo averla strizzata, gliela passò sul
collo,
sulle guance e, infine, gliela posò sulla fronte calda. Al
contatto,
il rantolo affannato di Karin divenne quasi un respiro tranquillo e,
per un po', smise d'agitarsi: sembrò quasi che la sola
presenza di
Thorin l'avesse calmata e rigenerata.
Fu
una scena talmente... dolce,
ma al contempo così straziante,
che lo hobbit non volle rimanere tra le mura della camera: gli
sembrava totalmente sbagliato
restare
mentre il re si prendeva cura della nana.
Mentre Thorin si prendeva cura della sua Karin.
Sapendola in buone – anzi, ottime – mani, Bilbo
volse le spalle
alle loro sagome, chiudendosi lentamente la porta dietro di
sé.
Al tramonto, mentre la luce arancio-rossastra del sole invadeva la
stanza, Karin si mosse: aprì gli occhi, lucidi e rossi dalla
febbre,
posandoli prima sul soffitto e poi, come avvertendo una figura
accanto a sé, sul volto sollevato di Thorin; lo
guardò, confusa nel
vederlo al suo fianco.
<< Come ti senti? >> le chiese con voce
profonda e roca:
non aveva parlato per ore continuando, ogni tanto, a bagnare il panno
e a posarlo sulla fronte, per assicurarle un buon riposo.
<< Ho... tanto caldo >> disse, mentre le
palpebre
minacciavano di richiudersi ancora.
Thorin annuì, decisamente confortato: la febbre stava
diminuendo, ed
era un bene.
Karin tossì, facendolo ripiombare nella realtà
<< Ce la fai
ad alzarti di poco? Devi bere >> l'aiutò a
sedersi, prendendo
un bicchiere di vetro che, alcune ore prime, gli aveva portato Balin.
Lo riempì d'acqua e glielo avvicinò alle labbra,
agevolandola;
Karin portò la mano gelida sulla sua più calda,
poi la testa le
ricadde all'indietro, addosso alla testata del letto: anche quel
semplice movimento l'aveva lasciata spossata.
<< Grazie >>.
<< Di niente >> le si avvicinò,
posandole le labbra
sulla fronte: al contatto, Karin chiuse gli occhi e trattenne il
respiro, non impedendo al suo corpo di tremare.
La barba ispida le punse la pelle e i capelli lunghi del nano le
solleticarono il volto e il collo, ma non fece nulla per scostarli:
profumavano, e se ne riempì le narici. Sentì
d'andare a fuoco, ma
non seppe se per la febbre alta o meno.
<< Hai ancora una temperatura elevata >>
mormorò Thorin,
ad un nulla dalla sua pelle; abbassò il volto quel tanto che
gli
permise di guardarla negli occhi. Le dita le sfiorarono una guancia,
in una carezza così leggera che, se non fosse stata sveglia,
avrebbe
pensato d'immaginare. Ma Thorin, forse ripensando al litigio nella
cella, si riscosse, allontanandosi: Karin non volle indugiare,
afferrandogli la manica della nuova camicia blu, fatta dalle sarte di
Esgaroth.
<< Thorin, no... io, mi... mi dispiace tanto. Ti... ti
prego >>
gracchiò debole, mentre la stanchezza continuava a farsi
sentire.
Lo vide contrarre la mascella, gli occhi azzurri le ricordarono un
mare in tempesta << Non è il momento, Karin.
Ne parleremo
quando starai meglio >>.
<< No, io... adesso >> tentò di
staccarsi dal legno
intagliato, ma le mani forti di Thorin la spinsero giù,
sdraiandola.
<< Quando ti sarai ristabilita >> disse,
duramente. E non
avrebbe accettato alcuna replica.
Volse lo sguardo alla finestra, capendo che era tempo d'andare: il
Governatore lo attendeva.
<< Riposa, ora. Manderò qualcuno a
sorvegliarti >>.
Karin non gli rispose, ubbidendo controvoglia: la stanchezza immane
s'impadronì del suo corpo e della sua mente e, in breve, si
riaddormentò.
Thorin rimase ad ascoltare il respiro ora più tranquillo,
per poi
uscire e dirigersi al pian terreno, dove tutti erano radunati; alcuni
davanti al camino a fumare, altri già in cucina,
affaccendandosi per
preparare la cena. Al suo arrivo gli si avvicinarono, lasciando da
parte qualsiasi attività stessero compiendo.
<< Zio, allora? Come si sente? >> chiese
Kili.
<< Ori diceva che aveva la febbre alta! >>
disse Nori,
scoccando un'occhiata al fratello minore.
<< Ha bisogno di qualcosa? >>
domandò Bofur, mentre il
cugino annuiva alle sue parole.
<< Solo che uno di voi vada da lei. Non posso ritardare
oltre,
mi attendono >> rispose Thorin, trattenendo a stento un
sorriso
di fronte alla preoccupazione e all'affanno dei compagni.
<< Vado io, Thorin >> sentenziò
il vecchio Balin,
alzandosi dalla poltrona. Il re si mostrò più che
soddisfatto della
proposta, ringraziandolo.
<<
A più tardi, allora. Sempre che il nostro benefattore
non
voglia trattenermi più del necessario
>>.
Alcuni
ridacchiarono, per poi tornare alle loro mansioni; Thorin se ne
andò,
col cuore gonfio di rammarico, avvolgendosi il mantello nuovo sulle
spalle per ripararsi dall'aria frizzante della sera.
Cercò di fare meno rumore possibile, ma gli
risultò complicato.
Estremante arduo.
Quella sera aveva esagerato più del solito, affogando i suoi
pensieri nei boccali pieni di birra; era da tempo che non si
ubriacava in quella maniera: da quando abitava ancora a Erebor e
Karin era con lui.
Andò
a sbattere con la schiena contro la parete, ringhiando furioso con se
stesso per quei pensieri: aveva sperato
di
non pensare più a lei in quelle ore e, una volta appurato
che non
riusciva nemmeno ad ascoltare ciò che berciava il
Governatore, aveva
afferrato un boccale e ne aveva ingoiato il contenuto in una sola
sorsata; ma nemmeno dopo cinque pinte di birra aveva smesso di vedere
il volto di Karin: gli invadeva ogni pensiero, riempiendolo con i
suoi gesti, le sue espressioni, i suoi sorrisi, i suoi pianti.
Ciò
che gli faceva salire una rabbia inaudita era il fatto che, pur con
tutto quello che era accaduto tra loro in quei giorni, lui la volesse
più di ogni altra cosa al mondo.
La
desiderava
in
una maniera tale da fargli perdere il controllo e la ragione.
Come in quel momento.
Quasi inciampò nell'ultimo gradino della scala, imprecando a
mezza
voce; barcollante, si diresse verso la stanza, senza controllare che
gli altri fossero svegli o meno: ma la casa era immersa nel silenzio,
nessuno l'avrebbe disturbato.
E,
anche se fosse entrato qualcuno, lui l'avrebbe cacciato. Lui era il
re.
Tutti dovevano
obbedirgli
senza
porre domande.
Le dita strinsero la maniglia della porta e, con forza,
l'abbassò,
entrando: le tende erano tirate, ma un lieve spiraglio di luce lunare
era riuscito ad infiltrarsi, illuminando debolmente la stanza;
cercò
di mettere a fuoco i contorni dei mobili di legno, e del grande letto
addossato alla parete. Si avvicinò a passi pesanti,
accostandosi
alla figura addormentata: aveva abbassato le coperte fino ai fianchi,
probabilmente per il troppo caldo; dormiva supina, i capelli neri le
ricadevano scomposti sul cuscino. Le labbra erano dischiuse, la
fronte aggrottata: non era tranquilla nemmeno nel mondo dei sogni.
Si agitava, e ciò non fece che accrescergli la frenesia che
percepiva: mise un ginocchio sul materasso, salendovi e
posizionandosi a cavalcioni sopra di lei.
Forse fu il peso sconosciuto che percepì, o l'incubo che
continuava
a tormentarla: Karin mosse gli occhi, aprendoli.
Thorin fu rapido e, con violenza, le tappò la bocca prima
che avesse
il tempo d'urlare; con lo sguardo appannato dalla birra bevuta, vide
gli occhi neri spalancarsi di terrore, ancora lucidi per la febbre:
eppure, dopo poco sembrò calmarsi, anche se il petto
continuava ad
alzarsi e abbassarsi con foga.
Lentamente,
troppo
lentamente, le spostò la testa di lato per baciarle il
collo:
dapprima immediatamente sotto il lobo dell'orecchio, poi sempre
più
giù, seguendo la scia delle vene sotto la carnagione rosata.
Karin trattenne il fiato contro il palmo della mano di Thorin,
mordendosi il labbro inferiore e socchiudendo gli occhi:
iniziò a
tremare, innumerevoli brividi di gelo e calore insieme si dispersero
lungo il corpo bollente e preda della febbre; alle narici le
arrivò
il profumo inebriante del nano e l'odore della birra, ma non se ne
curò.
Spalancò gli occhi quando le morse con voluttà la
base del collo:
il mugugno stupito divenne gemito di piacere, trattenuto dalla mano
che ancora l'imprigionava; le braccia, abbandonate sul materasso, si
mossero verso l'ampia schiena del re, le dita artigliarono con forza
la camicia.
Thorin sentì la pressione sulla schiena, perdendo gli ultimi
residui
di controllo, accantonati sentendola gemere.
Le lasciò una scia umida di baci sulla clavicola: con un
gesto rude,
la mano grande e callosa artigliò il bordo della scollatura
della
tunica verde, abbassandogliela oltre la spalla e quasi fino al seno,
scoprendole la pelle bollente; la lambì con le labbra,
addentandole
la carne con ardore.
Karin fece un mezzo grido attutito, inarcando involontariamente la
schiena; il nano percepì la sua mano tra i capelli, le dita
strinsero con impeto alcune ciocche, facendolo gemere con voce roca
contro la sua spalla.
Lei
spostò il capo dalla sua parte, incontrando i suoi occhi:
erano
febbricitanti, e lo stavano implorando
di
toglierle la mano dalla bocca.
E
Thorin, a dispetto di ciò che si era prefissato,
l'accontentò: non
appena fu libera, lo baciò con una tale passione
da
lasciare entrambi senza fiato; le lingue danzarono e scapparono, le
mani percorsero i corpi dell'altro, frenetiche.
Karin tremava sotto le sue dita, la pelle scottava terribilmente; il
sottile velo di sudore prima scomparso, ora era tornato sul volto e
sul collo: Thorin riusciva ad intravvederlo anche sulla parte di
petto scoperta.
Fremette,
saziandosi dei suoi baci; da quanto tempo non aveva un corpo
femminile sotto di sé! Da quanto non aveva il
corpo
di Karin
in balia delle sue mani: eppure rammentava perfettamente ogni curva,
la dolce concavità dei suoi fianchi, le cosce morbide anche
sotto la
tunica...
Le passò una mano sotto la schiena, accarezzandola; con un
unico
movimento ed in perfetta sintonia, la fece sedere nel momento esatto
in cui lei, avvolgendogli le braccia al collo, si fece leva per
alzarsi. Si guardarono per alcuni secondi, annegando negli occhi
dell'altro: ma le labbra si reclamarono vogliose, la brama si
impossessò di loro.
I respiri si confusero, affannati, riempiendo l'aria della stanza; le
dita di Thorin indugiarono sul collo, risalendo lungo la linea della
nuca, perdendosi nella chioma scura.
Quando col fiato ormai corto si staccò, vide la testa
ciondolarle,
gli occhi neri lucidi e arrossati che faticavano per stare aperti;
lei gli accarezzò il volto e scese lungo il collo,
finché non
incontrò il colletto della camicia: con dita tremanti
riuscì a
sbottonargli i primi due bottoni, ma si fermò, sgranando gli
occhi;
sfiorò la base del collo, là dove vi era il
metallo. Poi lo baciò
come aveva fatto lui, sentendo le mani di Thorin stringerle
spasmodicamente i fianchi, trattenendo un basso ringhio di piacere
contro i suoi capelli.
Con
rabbia, sentì le forze venirle meno: sospirò
pesantemente, tremando
forte; un freddo improvviso calò su di lei, facendole girare
la
testa. Thorin se ne accorse, e fu questo a schiarirgli la mente:
l'alcol sembrò dissolversi, tornò lucido come se
nulla fosse
accaduto; sbatté le palpebre confuso, quando si rese conto
che cosa
stava
facendo.
Ma la ragazza, imperterrita e preda di una nuova ricaduta di febbre,
era tornata a posare le labbra bollenti sulla sua pelle, mordendogli
il collo con desiderio.
<< Karin >> riuscì a mormorare,
roco, inspirando con
vigore il suo odore << no >>.
Parole troppo vuote anche alle sue orecchie: non era stato forse lui
ad iniziare, lasciandosi andare a gesti lascivi e bramati da tempo?
Non era lui che voleva farla sua, ancora una volta, disperatamente?
Sì
si
rispose io la
voglio. Ma non ora, approfittandomi della sua debolezza.
Era
stato vile entrare nella stanza e avventarsi su di lei in quella
maniera. Non avrebbe mai
dovuto
farlo.
La scostò da sé, guardandola negli occhi lucidi e
deliranti <<
Non possiamo, Karin. Non ora >>.
Lei aggrottò la fronte confusa, cercando di metterlo a
fuoco: la
mente le fece ricordare il litigio nella cella, pensando che Thorin
si riferisse all'episodio; non pensò neppure per un attimo
al fatto
che, entrambi, non erano lucidi.
Scosse
la testa, determinata << Non... non è ve...
vero che ti odio
>> chiuse un attimo gli occhi, maledicendo quegli stupidi
denti
che avevano deciso di battere senza il suo permesso <<
Tho...
Thorin, mi dispiace. Tanto, dav... vero. Io >> strinse il
tessuto della camicia tra le dita quando un nuovo brivido la colse
impreparata << Io non ti odio.
Scu... scusa >>.
Il nano dovette fare uno sforzo per cogliere l'intera frase tra i
deliri sconnessi; quando Karin terminò, le
accarezzò piano una
guancia, facendole un mezzo sorriso.
<< Lo so >> bisbigliò, il timbro
di voce basso; la fermò
ancora poiché, alle sue parole, lei aveva provato nuovamente
ad
avvicinare le labbra alle sue.
<< Ma ora devi riposare, sei stanca e ti è
ritornata la febbre
>> disse, ad un soffio da lei.
Valar, se si stava odiando!
<< No, ancora >> mugugnò irata,
facendolo sorridere.
Provò a divincolarsi, ma la stretta di Thorin sulle sue
braccia era
energica: lentamente, la riaccompagnò giù, verso
il materasso; come
prima, si ritrovò a cavalcioni su di lei, che aveva
già chiuso gli
occhi ma continuava a tenersi aggrappata al suo collo: la sciolse
dalla posizione, adagiandole le braccia lungo il corpo. La
ricoprì
col lenzuolo ma, prima di scendere dal letto, le posò un
bacio sulla
fronte: non riuscì a resistere alla tentazione.
<< Io... io ti amo >> fu flebile, ma
riuscì comunque a
sentirla.
Thorin si bloccò, le labbra ancora sulla sua pelle: si
ritrasse,
guardandola. Gli occhi neri erano socchiusi, e lo osservavano
febbricitanti: probabilmente la temperatura corporea le si era alzata
di molto, portandola a delirare.
Gli si seccò la gola, non sapendo che rispondere: ma, per
fortuna,
la vide chiudere gli occhi sospirando piano; si addormentò
quasi
subito, così lui poté scendere.
La mente era già più lucida, ora, e fu con
immensa vergogna e
rabbia verso di sé che si allontanò, le unghie
conficcate nella
pelle: ciò che aveva fatto era un gesto a dir poco ignobile
e
meschino. E lui, come re, non avrebbe mai dovuto lasciarsi andare in
quel modo.
Per Durin, Karin nemmeno era cosciente!
Si sfregò il volto al ricordo della foga e della lussuria
che li
aveva tirati nella sua rete; si chiese come avesse fatto a fermarsi
anche stavolta, mentre una parte di sé si maledì
ancora e ancora
per non aver continuato.
No, era sbagliato, totalmente sbagliato!
Non era né il modo né il momento per perdersi
nella passione più
profonda: alcune questioni erano ancora sospese ed attendevano
giudizio.
Si sdraiò, rimanendo sveglio a lungo: fu con immensa
gratitudine
che, finalmente, accolse l'oblio nero del sonno, benedicendo la
stanchezza che lo avvolse.
Qualcuno aveva scostato le tende, permettendo ai raggi caldi del sole
di penetrare nella stanza: aveva il volto illuminato e, con
fastidio, aprì debolmente prima un occhio e poi l'altro.
Intontita,
fece vagare lo sguardo stanco lungo la stanza, riconoscendo a stento
una figura troppo minuta per essere un nano.
Aveva la testa poggiata al palmo della mano, lo sguardo perso nel
vuoto in pensieri celati.
<< Bilbo >>.
Lo hobbit si riscosse, guardandola apprensivo; fece un enorme
sorriso, rilassando i tratti del volto. La colpa per non aver pensato
alle conseguenze del piano l'attanagliava incessantemente.
<< Buon pomeriggio, dormigliona. Dormito bene?
>> scherzò
bonario, prendendola in giro.
Karin fece una smorfia, appoggiandosi sui gomiti: la testa le
vorticò
un attimo, ma passò subito; Bilbo le posò una
mano sulla fronte,
assumendo un cipiglio compiaciuto.
<< La febbre è scesa di molto, sai? Meno male
>>.
<< Ma... che è successo? >>
chiese Karin, tremendamente
confusa: si passò una mano sulla guancia, leggermente fresca.
<< Non ricordi nulla? >> Bilbo fece tanto
d'occhi, ma poi
si impensierì << Forse è normale,
dopotutto >>.
<<
Cosa
è
“normale”? >> chiese con insistenza,
facendolo sorridere.
<< Sì, stai decisamente meglio: il caratterino
è tornato >>
ridacchiò lo scassinatore, palesemente sollevato nel vederla
in
quello stato; poi, però, divenne triste << Mi
dispiace tanto,
Karin: è stata colpa mia se ti sei ammalata, sei stata male
due
giorni interi! Non sai la pena che ho provato >>.
Karin si sporse a stringergli una mano, sorridendogli <<
Non è
colpa tua, Bilbo, ma mia: a Bosco Atro non ho fatto altro che
piangermi addosso >>.
Lo hobbit la guardò con una strana espressione curiosa, ma
non gli
diede altra spiegazione, vertendo su un altro argomento.
<< Allora, vuoi dirmi che è successo? Sono
stata così male?
>>.
<< Sì, avevi la febbre elevata; stavi andando
verso il bagno
quando sei caduta, ma per fortuna Ori ti ha sentita ed è
corso da
te, solo che non riusciva ad alzarti di peso: allora ha chiamato
aiuto ed è giunto Dwalin, che ti ha riportata a letto
>>.
<< Dwalin? >> domandò, scettica.
Se non si fosse
trattato di Bilbo, probabilmente avrebbe pensato ad uno scherzo di
cattivo gusto.
Ebbe una fugace visione di due braccia che la sollevavano senza
alcuna fatica, adagiandola sul materasso: ma poi quelle stesse
braccia le avevano scostato la tunica dalla spalla... oppure no?
<< Sei sicuro? >> gli chiese, mentre un
sottile gelo si
impossessava della bocca dello stomaco.
<< Certo che sì, ero fuori dalla porta quando
lui è uscito
dalla stanza. Stai bene? >> domandò
preoccupato, vedendola con
gli occhi sbarrati.
<<
Sì, sì. Poi, che è accaduto?
>> si rimproverò per la sua
stupidità: Dwalin non avrebbe mai
osato
tanto.
<< Bé, Ori ed io siamo rimasti qui
finché non è arrivato
Thorin, e... >>.
<< Thorin? >> sentì un
improvviso calore al corpo, fino
al basso ventre; stupita, sentì il sangue affluire alle
guance,
nascondendo il viso incriminato tra le mani e facendo preoccupare il
povero Bilbo che, nel frattempo, non si era accorto di nulla.
<< Ka... Karin? >> balbettò,
aggrottando le
sopracciglia: boccheggiò leggermente, non riuscendo a
comprendere
ciò che turbava l'amica.
Ma quella, inaspettatamente, si riscosse veloce: gli sorrise, anche
se imbarazzata.
<< Sono solo molto stanca e bisognosa di un bel bagno.
Perciò... >> lasciò la frase in
sospeso, ammiccando <<
… ora vado >> tentò di alzarsi,
riuscendoci con qualche
difficoltà. Bilbo la guardò allarmato, tentando
di dissuaderla in
tutti i modi: ma fu irremovibile.
Così, alzando gli occhi al cielo esasperato,
l'aiutò a percorrere
quei pochi passi verso la camera.
<< Sai, non dovresti alzarti; sei ancora provata. E un
bagno
non dovrebbe essere nei tuoi programmi >>.
Ma un'occhiata raggelante lo zittì, facendolo sospirare. Gli
diede
una leggera gomitata sulle costole, rivolgendogli un'occhiata
bonaria.
<<
Bilbo, ti prego! Ne ho proprio bisogno
>>.
Lo hobbit rise di fronte al tono fintamente disperato dell'amica,
scuotendo la testa, ormai piegato al suo volere.
<< Va bene, allora: se hai bisogno di qualcosa non devi
far
altro che chiamare. Ti aspetterò in camera >>.
<< Grazie >>.
Si chiuse la porta alle spalle, girando la chiave nella toppa;
finalmente sola, espirò pesantemente, passandosi una mano
sulla
fronte: si guardò attorno, osservando dubbiosa la bianca
vasca di
marmo, domandandosi se doveva andare a prendere un secchio d'acqua e
portarlo lì, per riempirla; mosse qualche passo, sedendosi
del bordo
freddo. Fece scorrere le dita sulla superficie fino a quando non
incontrò due manopole d'ottone: curiosa, iniziò a
ruotarle,
gridando di sorpresa quando l'acqua fuoriuscì forte dal
rubinetto.
Girò immediatamente dalla parte opposta, riuscendo a
regolare il
flusso e la temperatura finché non ne fu soddisfatta e la
lasciò a
riempirsi, guardandola di tanto in tanto; non fece caso allo specchio
attaccato alla parete, concordando con se stessa che si sarebbe
specchiata una volta pulita e profumata.
Si
spogliò della tunica verde, ormai da buttare essendosi
rovinata, e
la lasciò a terra: fu con quel movimento che venne attratta
da
qualcosa di violaceo sulla spalla destra; con orrore e sgomento,
riconobbe il segno di un morso.
<< Oh, per Durin! >> si lasciò
scappare, strabuzzando
gli occhi.
Aggrottò
la fronte, perplessa, cercando di fare mente locale su quando
ma
soprattutto come
se
l'era procurato; proprio non vi erano dubbi, si trattava di un morso!
Si riconoscevano i segni dei denti.
Imprecò verso la sua pessima memoria, che non voleva
assolutamente
aiutarla a sciogliere quel maledetto dilemma!
Con
stizza, slegò le due treccine ai lati della testa e
ravviò la folta
chioma liscia, accompagnando il movimento fino al collo: lì
le dita
si scontrarono col metallo freddo della collana, dalla quale non si
separava mai. Per un attimo, le passarono davanti agli occhi
sensazioni che le mozzarono il respiro: labbra che le baciavano il
collo, lingua che leccava la pelle, denti che la mordevano; e un
odore così familiare
che
le riempiva le narici, un odore che aveva imparato a riconoscere
molto presto, anche ad occhi chiusi...
Finalmente l'acqua fu ad un livello sufficiente perché
potesse
lavarsi, quindi entrò, intontita dai pensieri che invasero
la mente:
gemette appena a contatto con la temperatura, piacevolmente calda. Si
immerse completamente, capelli compresi, rimanendo sott'acqua per
lunghi secondi: lì sotto nessun problema
l'infastidì, e fu con
dispiacere che riemerse, sfregandosi gli occhi. Allungò un
braccio a
prendere una saponetta grande quanto la mano, iniziando a sfregarla
sul corpo: provò a passarla più volte sulla
spalla, nel penoso
tentativo di cancellare quei segni rossi, fallendo miseramente.
Sbottando feroce passò oltre e, quando riuscì a
produrre un poco di
schiuma, lavò anche i capelli lunghi.
Appoggiò di tanto in tanto la nuca al bordo della vasca e
chiuse
brevemente gli occhi: peccato che, puntualmente, rivedeva la scena
nella cella e lo sfogo ignobile uscitole con Thorin.
Passò le mani sul volto, vergognandosi a morte per
ciò che aveva
detto e fatto: un rimorso che le aveva impedito di posare lo sguardo
sul re da quando si erano rivisti; non che vi fossero state altre
occasioni, comunque.
<< Karin, tutto bene? >>.
Sobbalzò, spalancando gli occhi e schizzando acqua sul
pavimento;
cercò di placare il furioso batticuore che le
rimbombò nelle
orecchie, causato dallo spavento nel sentir bussare alla porta.
<< Sì, Bilbo >> rispose, la voce
strozzata.
<< Ehm, non volevo disturbarti, solo che, ecco...
bé, ti
lascio dei vestiti puliti e nuovi sul letto >> disse,
imbarazzato.
<< Grazie >>.
Non le rispose, segno che si era già allontanato:
guardandosi le
dita, Karin capì che era tempo d'uscire; sospirò
pesantemente,
alzandosi e gocciolando sul pavimento. Prese un asciugamano,
avvolgendoselo attorno: fortunatamente era lungo e spesso abbastanza
da coprirla interamente fino alle caviglie, così non ebbe
particolari problemi ad uscire in corridoio, sbirciando cauta e
tendendo le orecchie alla ricerca di rumori di passi; ma, prima,
diede uno sguardo al suo riflesso, volendo appurare quel maledetto
segno: ed eccolo lì, il bastardo, messo ancor più
in evidenza dalla
pelle rosata.
Quando alzò gli occhi dalla spalla posandoli sul volto,
stentò a
riconoscersi: era scavato e pallido, troppo pallido, ed accentuava il
nero profondo degli occhi; le occhiaie violacee erano ben evidenti,
in uno spaventoso contrasto di colori. Le labbra presentavano dei
tagli – alcuni ancora sanguinanti - che ogni tanto
bruciavano;
inoltre, dubitava fortemente che, una volta asciugatisi i capelli,
sarebbe migliorata. Era davvero in pessime condizioni:
l'avvelenamento e la febbre alta l'avevano indebolita; doveva
rimediare al più presto, o non sarebbe stata in forze in
tempo per
la partenza verso Erebor. Ora più che mai non voleva essere
un peso
per i compagni: non ora che erano così vicini alla meta, e
al loro
scopo.
Entrò nella sua stanza, scorgendo la piccola pila di abiti
portati
da Bilbo: li esaminò, trattenendo a stento una risata e
un'alzata di
sopracciglio piuttosto scettica; doveva essere stato talmente
indeciso che, alla fine, aveva optato per prenderle sia abiti
maschili che femminili.
Allungò una mano verso i primi, ma si bloccò a
mezz'aria quando
cambiò idea: era da tanto tempo che non indossava un abito,
di certo
non le avrebbe fatto male.
Ne
alzò uno, rimanendo di stucco nel notare la scollatura a
barca: no,
decisamente no. Le
avrebbe messo in evidenza il bel marchio circolare e violaceo.
Spazientita
e irata lo scartò, scegliendone uno blu
notte,
talmente scuro da sembrare nero: ma pur sempre blu.
Alzò gli occhi al cielo, mandando al diavolo le sue
paranoie: lo
indossò, stando attenta a non bagnarlo coi capelli; aveva
una
scollatura quadrata abbastanza ampia ma, fortunatamente, le spalle
erano ben coperte. Il corpetto le scendeva morbido sui fianchi, dove
vi era una sorta di cintura dorata e scintillante che faceva da
stacco alla lunga gonna scura, che le arrivava alle caviglie.
Le sembrò... perfetto, anche se un po' largo sul bacino; e
si sentì
diversa dalla Karin esiliata: le sembrò di essere ritornata
a
Erebor.
Qualcuno bussò, e Karin non fu mai grata come in quel
momento
dell'opportuna interruzione; dalla soglia apparve la nuca riccioluta
di Bilbo: entrò di schiena per non sembrare troppo
indiscreto,
magari sorprendendola ancora mezza nuda.
<< Puoi voltarti, sono a posto >>.
Girandosi, schiuse le labbra: rimase un attimo sorpreso dalla figura
così diversa della ragazza ma poi, rosso e in imbarazzo, si
grattò
i capelli e la indicò.
<< Stai... davvero bene. Molto! Bellissima!
Cioè, io... >>
balbettò, facendola arrossire a sua volta.
<< Ti ringrazio, sei molto gentile. E grazie per avermeli
presi
>>.
<< Oh, di nulla. E poi, non potevi certo uscire con il
vecchio
vestito elfico: gli altri te l'avrebbero impedito! >>.
<< Io per prima! >>.
Si sedette sul letto, facendo cenno allo hobbit perché
l'imitasse;
poi gli prese una mano tra le sue, stringendogliela grata: Bilbo
comprese, rivolgendole un nuovo ed ampio sorriso.
Con fatica, Karin si impose di chiedergli ciò che le ronzava
in
testa << Per caso... bé, ho detto o fatto
qualcosa di
inappropriato, mentre ero malata? >>.
Bilbo la guardò serio e pensieroso, scuotendo la testa
<< No,
non che io sappia. Certo, mentre ero a vegliarti ogni tanto ti
svegliavi e deliravi, ma nulla di che >>.
<< Deliravo? >> il tono allarmato di Karin
lo fece
ridacchiare.
<< Borbottavi, però non sono riuscito a capire
granché:
assomigliava molto a “mi dispiace”, credo. Ti dice
qualcosa? >>.
Mi
dispiace.
Le scuse che avrebbe voluto porre a Thorin riguardo la scenata nella
cella: le scuse che doveva porgli, assolutamente.
Non
avrebbero aspettato troppo tempo.
<< Nulla >> mentì, mordendosi il
labbro inferiore. E,
ora, veniva il difficile << Non sai se, bé,
qualche nano ha
fatto... qualcosa di insolito mentre era... qui? >>.
Che
tono penoso, Karin!
Bilbo aggrottò la fronte, domandandosi internamente se
stesse bene:
forse era ancora preda della febbre. Ma gli occhi neri - anche se un
poco lucidi - erano fermi e presenti, diversi da quelli che aveva
potuto vedere durante i giorni precedenti.
<< Insolito? >> chiese, perplesso
<< Mi pare di no.
Come mai? >>.
Karin si morse più forte il labbro, inghiottendo la risposta
acida
che le era salita alla gola. Che avrebbe potuto dirgli?
No,
sai, vorrei solo sapere chi mi ha morsa come fossi un pezzo di carne!
Ma, visto che non è stato nessuno, me lo sarò
fatto da sola!
Eppure in cuor suo sapeva bene chi era stato il responsabile che le
aveva lasciato quel marchio: colui che voleva ricordarle a chi
apparteneva.
Thorin.
<< … rin? Karin? >> la voce
remota di Bilbo ruppe la
cortina di pensieri, facendole sbattere le palpebre più
volte <<
Hai sentito quello che ho detto? >>.
<< No, scusami >>.
<< Dicevo che ci siamo accordati per cenare tutti insieme
nella
saletta del primo piano, per non farti stancare troppo a scendere le
scale, sai >>.
<< Una buona idea, anzi, ottima: sono stanca di questa
stanza,
ho bisogno di uscire un po' >>.
Così, Bilbo l'aiutò ad alzarsi e, dopo aver preso
ben tre coperte
spesse e pesanti, l'accompagnò fuori, ricordandosi solo
allora che
aveva ancora i capelli umidi.
<< Sei impazzita? Vuoi che la febbre ritorni?
>> la
rimproverò, duro.
La fece sedere su una poltroncina di velluto, posta davanti al
caminetto acceso, coprendola ben bene; poi la lasciò sola,
scendendo
dagli altri.
Lei nel frattempo cercò di districarsi i nodi, trovandone
davvero
pochi, e mosse la chioma per asciugarla meglio, tentando di dare una
qualche forma alle ciocche nere.
Improvvisamente, concentrata com'era sul lavoro, si accorse di altre
dita che le sfiorarono le sue, insinuandosi e scompigliandole i
capelli umidi; girandosi – e col cuore che galoppava davvero
troppo
veloce - scorse la faccia sorridente di Kili.
<< Come si sente la nostra ammalata? >>
domandò,
scherzoso.
Fili oltrepassò la soglia, lanciandole uno sguardo e
sorridendo a
sua volta, felice nel vederla lì.
<< Dunque lo scassinatore non mentiva, quando diceva che
eri
sveglia ed eri qui >> si avvicinò a grandi
passi ai due,
strizzando gli occhi azzurri per osservarla meglio <<
Come mai
quell'espressione delusa? >>.
Alla domanda, Karin diede loro le spalle, lasciando che i capelli le
ricadessero sul volto leggermente rosato << Nessuna
espressione
delusa, anzi! Sono contenta di rivedervi! >>.
<< Se lo dici tu >> commentò
Kili, mentre dava una
gomitata d'intesa al fratello; i due ridacchiarono ma si zittirono
quando, con un gran trambusto, anche gli altri nani entrarono.
<< Karin! >> fu il loro saluto.
La ragazza, sentendosi a disagio lì seduta ed immobile si
alzò,
scostando il mucchio di coperte che l'avvolgeva: fu allora che, nella
sala, cadde il silenzio.
Gli amici ammutolirono attoniti, alcuni schiusero persino le labbra,
squadrando il corpo fasciato dal vestito; infastidita ed imbarazzata,
Karin sentì le guance leggermente calde, ma cercò
di non badarvi:
strinse un poco le dita attorno alla stoffa della gonna; i capelli le
ricadevano sulla spalla destra, lasciando scoperta la sinistra.
Kili e Fili si scambiarono un'occhiata, tornando poi ad indugiare
sulla sua figura: e su ciò che vi era alla base del collo.
La tensione si sarebbe potuta tagliare con la lama di una spada ma,
per fortuna, Bofur venne in suo aiuto: si tolse il colbacco,
facendole un regale e scherzoso inchino.
<< Mia signora, la vostra bellezza è pari alle
gemme più
preziose di Erebor! Perdonateci per il comportamento poco onorevole:
se sarete stanca della nostra presenza al colossale
desco che
abbiamo intenzione di prepararvi, non dovete fare altro che dircelo!
>> detto questo si rialzò, facendo ondeggiare
le trecce, un
sorriso sornione ed aperto gli illuminò gli occhi scuri.
Karin stette al gioco, mentre un largo e sincero sorriso si fece
spazio << Sarà un'immensa gioia poter
condividere la tavola
con ospiti e compagni tanto coraggiosi >> posò
un'occhiata
riconoscente sul volto di ciascuno dei presenti << Vi
ringrazio
immensamente, valorosi guerrieri >>.
Urlarono felici, ordinandole di sedersi e riposarsi: avrebbero
pensato loro ad ogni preparativo: si affaccendarono per portare il
lungo e pesante tavolo di legno su per le scale, imprecando e ridendo
sbracati ogni qual volta andavano a sbattere al muro o si urtavano
tra loro. Il momento più delicato giunse quando dovettero
inclinare
il mobile per farlo passare, essendo più largo della porta;
Karin
trattenne il fiato con loro che, con molti
“Attenti!” “Calmi”
“Ecco, ci siamo!” ci riuscirono, trasportandolo
fino al centro
della stanza.
Altri andirivieni furono fatti finché la tavola non fu piena
di ogni
sorta di vassoi colmi di cibo, con caraffe di birra e acqua, e grandi
forme di pane: con un sussulto, lo stomaco della ragazza di
contrasse, reclamando le vettovaglie.
Quando presero posto a tavola aggrottò la fronte, girandosi
verso
Ori, sedutole accanto << E Thorin? >>
chiese, curiosa.
Lo scrivano scosse la testa, amareggiato << Credo sia
andato
dal Governatore anche stasera >>.
<< Capisco >> commentò, cercando
di non mostrarsi
delusa: per un attimo, ebbe il vago sospetto che la stesse quasi
evitando; molto probabilmente era ancora furioso con lei per lo sfogo
a Bosco Atro.
Consumarono la cena tra risate e battute, mentre Bombur si ingozzava
di cibo come al solito e veniva sbeffeggiato dal fratello e dai
giovani Durin; le raccontarono che, per ordine di Thorin, ciascuno di
loro aveva scelto una mansione per ripagare la gente di Esgaroth
dell'ospitalità molto generosa: era merito loro se, in fin
dei
conti, potevano gustare tutte quelle prelibatezze. Karin
ascoltò
interessata, iniziando a pensare a cosa avrebbe potuto fare: ma le
dissero di non preoccuparsi, e di curarsi unicamente della sua
salute, ben più importante.
Quando furono sazi, dando prova di aver apprezzato la cena –
cosa
di cui, poi, si scusarono con lei – venne il momento di
sparecchiare; anche lì non le permisero di far nulla,
facendola
spazientire. Insistettero così tanto che dovette obbedire ed
incrociare le braccia al petto mentre loro, cantando e ridendo, si
passavano piatti, posate e bicchieri, ammucchiando tutto in perfetto
ordine; Bifur e Bofur portarono al pian terreno le stoviglie sporche,
mentre gli altri presero posto accanto al caminetto, tirando fuori
altre pipe comprate in città.
Karin aspettò che ci fossero tutti poi levò alta
la voce, per farsi
sentire sopra il loro chiacchiericcio << Mi dispiace
interrompervi, ma dovrei parlarvi >> bastò
questo per farli
ammutolire, attenti verso la sua figura.
<< Credo sia giunto il momento di rivelarvi
ciò che accadde
prima dell'esilio. Perdonatemi se non ve ne ho parlato prima,
però...
bé, non è così facile: nemmeno ora. Ma
l'affetto che mi avete
dimostrato mi ha fatto comprendere che c'è qualcuno che
tiene a me,
andando oltre ciò che rappresentavo, fidandosi: io stessa ho
imparato ad allontanare la solitudine e apprezzare ed amare col cuore
questa Compagnia, rispondendo alla vostra fiducia. Siete stati voi ad
insegnarmi la lezione più grande di tutte, e di questo non
potrò
mai ringraziarvi abbastanza >>.
Fece una pausa, guardando con affetto i volti emozionati e commossi
dei nani: alcuni cercarono di nasconderli molto bene dietro una
maschera di indifferenza, ma le parole della ragazza penetrarono la
corazza fredda, conficcandosi nel cuore.
Karin sospirò e deglutì, pronta a confidare ogni
cosa.
<< Come sapete, mio padre Kario era consigliere di re
Thror.
Iniziarono a circolare voci su un possibile attacco di un drago,
bramoso delle immense ricchezze della sala del tesoro di Erebor; il
principe Thrain in persona lo incaricò di svolgere il ruolo
di
ambasciatore a Bosco Atro, chiedendo aiuto agli elfi, coloro i quali
avrebbero potuto vincere la forza brutale del mostro.
Con un inganno mi raggirò, costringendomi a seguirlo verso i
Colli
Ferrosi: ma, lungo la strada, deviammo verso Bosco Atro; mio padre mi
rassicurò, dicendomi che doveva solamente parlamentare con
il loro
re, e che poi saremmo potuti ripartire >>.
Fece un sorriso amaro, guardando a terra.
<< A consiglio da Thranduil venni a conoscenza della
minaccia
di Smaug; l'elfo ascoltò mio padre, per poi dirgli che non
avrebbe
mai permesso ai suoi guerrieri di morire per dei nani avari di
ricchezze e tesori. Propose quindi un patto: avrebbe concesso il suo
aiuto solo se Kario gli avesse consegnato l'Archepietra, più
un'altra parte del tesoro di Erebor. Potete ben immaginare il
rifiuto, considerandolo un oltraggio: ma Thranduil giocò
bene le sue
carte. Usò me per colpire per mio
padre: disse che mi avrebbe
ospitata nella sua dimora finché non
avesse deciso il da
farsi; la salvezza di Erebor per la mia. Doveva solo acconsentire a
dargli il tesoro più prezioso di Thror. Ma il soggiorno a
Bosco Atro
non si rivelò molto piacevole >> fece una
smorfia, alzandosi
le lunghe maniche a losanga: mostrò le cicatrici biancastre
che,
anche alla luce rossastra del fuoco, parevano brillare sinistre. I
nani trattennero il fiato indignati, sporgendosi dalle poltrone
comode per vedere meglio.
<< Il consigliere dell'elfo, Synel, mi portò
nelle segrete,
nella cella più recondita del palazzo: lì mi
torturò, facendomi
questi segni; era sadico e malvagio, provava gusto a vedermi coperta
di sangue e a torturarmi psicologicamente. Non mi dilungherò
oltre
nel parlarvi di lui: dopo quelli che mi parvero anni ma che, in
realtà, furono quasi due settimane di prigionia... accettai
quel
maledetto patto. Avrei tradito, convincendo mio padre a cedere ai
loro ricatti: ma era già troppo tardi >>.
Si fermò, la gola si seccò; le si appannarono gli
occhi ma,
imperterrita, sbatté le palpebre: doveva liberarsi di ogni
peso, lo
doveva anche a loro.
<< Smaug era giunto a Erebor, devastando Dale e la
Montagna.
Quando giunsero gli elfi, accompagnati da mio padre, ogni nano sulla
piana li vide, gridando all'oltraggio quando diedero loro le spalle;
non li avrebbero aiutati, e mio padre fu etichettato come traditore.
Ma nessuno sapeva dell'ignobile ricatto a cui sottostava, e che io
ero ancora loro prigioniera; non seppi mai come scoprirono le mie
condizioni, so solo che, un giorno, Legolas mi liberò
dicendomi che
era tutto finito. Mi riportò da mio padre e Thranduil,
all'oscuro di
ciò che Synel aveva fatto: ci liberò,
sciogliendoci da ogni
promessa; si scusò enormemente, assicurando all'aguzzino una
degna
punizione. Alcuni elfi ci portarono fuori dalla foresta e, con un
gran peso al cuore e diversi da quando vi eravamo entrati,
proseguimmo verso Dale, ormai distrutta. Lì non venimmo
accolti come
eroi, anzi >> disse, sarcastica. Ma poi la sua
espressione si
rattristò, mentre la memoria le fece rivedere quei tragici
momenti,
più atroci di ciò che aveva patito in cella.
<< Al cospetto del re e dei principi, mio padre
dichiarò ogni
cosa, ma non lo ascoltarono: pronunciarono la sentenza di esilio, e
fu allora che parlai; chiesi di parlare con Thorin, dicendogli che
era stata colpa mia, solo mia: ero stata io a convincere Kario a
tradire. Lo supplicai di risparmiarlo, ma non servì a nulla:
accecato dal dolore e dalla rabbia, ci esiliò.
Da allora non lo rividi – come non rividi alcuni di voi -
fino a
quando non misi piede a Vicolo Cieco, mesi fa. Ecco, questa
è la mia
triste storia >> concluse, tentando di
sdrammatizzare
mentre gli altri rimasero seri, i volti enormemente tristi e
dispiaciuti.
<< Questa è la verità.
Ora è compito vostro decidere
se credermi o meno >> nel dirlo, lo sguardo si
ancorò a quello
di Dwalin, rimasto zito e con le labbra serrate, le braccia muscolose
salde al petto. Si squadrarono, ma fu lei ad abbassare gli occhi per
prima: una mano piccola si era posata sulla sua, stringendola
lievemente; il volto di Bilbo era stravolto, ed alcune lacrime gli
brillavano tra le ciglia: ma non ne scese nessuna.
<< Ci dispiace, Karin >> Balin si
alzò, guardandola
serio in volto, la voce solenne come mai l'aveva sentita
<< A
nome di tutti i nani presenti e di tutti quelli che ora sono
dispersi, ti domando perdono per non averti voluta ascoltare come
meritavi. Il nostro è stato un gesto ignobile
>>.
Uno ad uno, anche gli altri si alzarono, compreso Bilbo. Dwalin, dopo
lunghi secondi d'attesa, si sollevò a sua volta, anche se lo
sguardo
rimase truce.
Il cuore della ragazza sembrò scoppiarle in petto dalla
tanta
emozione e, senza rendersene conto, si ritrovò a piangere
silenziosamente: le tremò il labbro, ma riuscì a
rivolgere loro un
mezzo sorriso.
<< Grazie. Ma non c'è nulla di cui dovete
farvi perdonare >>
ammise. Ed era vero: era così stanca di covare odio e
rancore; per
cosa, poi? Non ne valeva più nemmeno la pena.
Aveva solo una grande voglia di voltare pagina, di cambiare e andare
avanti: grazie ai suoi amici e a ciò che le avevano detto,
ce
l'avrebbe fatta; in qualche modo, sembrò che il macigno che
aveva
fatto di lei l'esiliata e la traditrice si dissolvesse come polvere:
era merito loro se, ora, si sentiva in pace con se stessa.
Bé, in parte.
Mancavano le scuse che doveva porre a Thorin per come si era
comportata.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
C'è ancora qualcuno o vi ho perse per strada??? XD XD
Hahahahaha, se
siete ancora vive dopo ciò che avete letto, siete delle
toste! Io
non lo sono mica tanto, invece @____@: ad un certo punto, non
soddisfatta di quello che avevo scritto, ho cancellato tutto e
iniziato da capo!!! Ed ora... lo sono, immensamente
*________________*
Ringrazio jaybeautifldarkangel per avermi fatto
scoprire la
canzone: si tratta di “Nero” dei Two Steps from
Hell; non so voi,
ma a me ricorda tanto la musica del trailer di Anna Karenina, solo
che non ho mai verificato ^^; perdonooooo ç___ç!
Così come dovete perdonarmi per aver presentato questo
Thorin-non-molto-Thorin, che si presenta nella camera di un'ammalata
per approfittare di lei *fingo un malanno e spalanco la porta della
stanza*
Coff coff coff, beeeeeeeene, fatemi sapere cosa ne
pensate con
le solite e gradite recensioni! ^^
Ringrazio
le carissime e specialissime jaybeautifldarkangel,
LadyGuns56,
vanessa
90, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!! E grazie anche a quelle che recensiranno
più avanti :D :D!!!
GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite -
ricordate
e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!
Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
P.S.
Ah, qui ormai
il passato e la
verità si mostrano in tutto il loro splendore! Che ne
dite??? :*
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo quattordici ***
Note
autrice: bentrovate
ragazzuole!
Spero vada tutto bene ^^
A
titolo informativo sappiate che, oltre ad essere un capitolo un po'
lunghetto, ehm... probabilmente dovrete tirare fuori i vostri catini
raccogli-bava... mmh, spero. Cioè, in teoria :P
Anche
qui, una canzone dei TSFH come “colonna sonora”,
specie per
l'ultima parte di capitolo ;): portate pazienza, dal prossimo non ce
ne saranno più!
http://www.youtube.com/watch?v=vTx1ioO0i2c
Bé,
che altro
aggiungere... solo, allacciate le cinture ;), ci leggiamo
giù :*
CAPITOLO
QUATTORDICI
Thorin
alzò il
braccio destro, picchiando con forza il martello sull'incudine; il
colpo rimbombò nell'aria calda della forgia e, ben presto,
se ne
aggiunsero altri a cadenza ritmata. Di solito, qualsiasi pensiero
veniva abbandonato non appena impugnava lo strumento di legno e
acciaio: esistevano solo il materiale da forgiare, l'incudine sotto
di esso, i colpi incessanti, i muscoli che si tendevano e guizzavano
con uno spasmo al ritmo delle martellate, il sudore che si formava e
scendeva lungo il volto e il collo perdendosi nel torace.
Di
solito.
Da
quando aveva
messo piede nell'edificio colmo di utensili di discreta fattura
appesi a dei ganci nel soffitto, invece, i pensieri non l'avevano
abbandonato un attimo; nemmeno le poderose martellate e il
conseguente rimbombo ebbero il potere di distoglierlo. Digrignando i
denti bianchi, messi in risalto dal volto sporco di fuliggine,
caricò
con tutta la forza che possedeva, abbattendo con furia il martello
sulla lama della spada; alcune scintille sprizzarono, andando
lontane.
Percosse
ancora, ancora e ancora, sperando di cancellare
il
suo
volto dalla mente: gesto vano e inutile. Eppure si era convinto che,
con una buona dose di lavoro nella fucina di Esgaroth, si sarebbe
calmato... ma si era dovuto ricredere.
Martellò,
facendo
sbattere con violenza la bocca del maglio sull'acciaio della lama
incandescente, assottigliandola troppo: stupito e irato insieme si
fermò, alzando la spada e gettandola a terra con furia; un
lavoro di
ore buttato al vento per colpa dei suoi pensieri.
Al
tintinnio della
lama contro il pavimento, Kili e Fili alzarono le teste dalle loro
incudini, guardandosi perplessi; avevano ben udito i colpi tonanti
dello zio e re, ma non si sarebbero mai aspettati una tale reazione:
conoscevano molto bene la sua fama di abile fabbro, avendone avuto
prova nei vari anni in cui erano stati suoi apprendisti. E, ora,
vederlo stizzito ed arrabbiato oltre che sconcertato per aver
sbagliato, li lasciò stupefatti tanto quanto lo era lui.
Thorin
dava loro la
schiena, quindi non poterono osservare la sua espressione; al
contrario, notarono quanto si abbassarono le spalle e il capo:
appoggiò le mani al bordo del tavolo da lavoro, i bicipiti
nudi
contratti dalla foga con cui stringeva il legno.
Lo
sentirono prima
sospirare pesantemente e poi sbuffare, come se non condividesse quel
momento di debolezza: o, forse, i pensieri erano talmente pressanti
che gli risultava difficile ignorarli come, invece, avrebbe voluto.
Con
uno scatto
improvviso si raddrizzò, girandosi verso i nipoti; lo
sguardo
azzurro era indecifrabile, ma ebbe il potere di raggelarli: una sola
parola errata e Thorin Scudodiquercia avrebbe liberato la sua
collera.
Perciò
stettero in
silenzio finché non fu lui a romperlo << Voi
continuate a
lavorare. Ci vedremo più tardi, a casa >>
disse duramente.
Fili
annuì anche
per il fratello, ma Thorin aveva già oltrepassato la soglia
della
fucina, allontanandosi sotto il cielo plumbeo.
<<
Accidenti,
lo zio è parecchio pensieroso, non trovi? >>
Kili si passò un
braccio sulla fronte sudata, sporcandola di più.
<<
Oh sì >>
ammise il maggiore, grattandosi il naso; poi riprese il suo martello,
facendolo oscillare pigramente << Ci conviene riprendere
a
lavorare. Se dovesse tornare... >> lasciò la
frase in sospeso,
anche se Kili poté facilmente intuire quali sarebbero state
le
conseguenze.
<<
Fili >>
chiamò, facendo arrestare il movimento verso l'alto del
braccio <<
L'hai vista anche tu, non è vero? La collana di Thorin
>>.
<<
Sì. Nostra
madre ce l'aveva accennato, se ben ricordi >>.
Kili
sorrise
mestamente al ricordo della nana: si domandò se stesse bene
e se,
come lui, stesse volgendo i pensieri ai suoi cari, lontani leghe e
leghe di distanza. Se la missione si fosse conclusa per il meglio
avrebbero potuto chiamarla per farla ritornare a Erebor, dato che non
ci sarebbe stato altro motivo per trattenerla ai Monti Azzurri.
<<
Secondo te
si riappacificheranno? >> chiese pensieroso.
<<
Ma di chi
stai parlando? >> volle sapere Fili, aggrottando la
fronte.
<<
Dello zio e
Karin. Se indossano entrambi le collane, forse... >>.
<<
Non è
affar nostro, fratellino: torniamo a lavorare >> rispose
sbrigativo il maggiore.
Kili
sospirò,
arruffando la chioma castana con una mano; sapeva bene che, al
contrario, importava anche a Fili e che, spesso, si poneva le sue
stesse domande. Erano a conoscenza di ciò che avevano
passato i due
in questione e, avendo conosciuto personalmente Karin, non potevano
che sentirsi maggiormente coinvolti: certo, inizialmente aveva
mostrato un carattere ben diverso da come era stato loro descritto
–
conseguenza dell'esilio e dell'odio che aveva provato in quegli anni
– ma ora, già dopo pochissimi giorni, stavano
scoprendo il suo
lato più nascosto, quello tranquillo, scherzoso, dolce e...
femminile.
Deglutì,
ripesando al corpo fasciato dal vestito blu: e comprese per quale
motivo il freddo e distaccato Thorin Scudodiquercia si fosse piegato
al
suo fascino, sgretolando la corazza costruita.
Chissà
cosa doveva
aver pensato il giovane principe dei nani, quando aveva compreso che
il sentimento d'amicizia nei confronti della giovane stava mutando,
divenendo qualcosa di più; probabilmente, conoscendolo, si
era
trincerato dietro uno spesso silenzio fatto di domande e
perplessità:
magari aveva tentato addirittura d'allontanarla, mostrandosi
scorbutico e autoritario. Kili piegò la bocca in un sorriso
quando
ripensò al fatto che, alla fine, non era poi servito a
molto; e non
sarebbe servito nemmeno ora.
Con cautela, Karin
versò l'acqua bollente nella tazza, aggiungendo poi alcune
foglie di
tè; le guardò galleggiare pigramente, per poi far
vagare lo sguardo
lungo la cucina e la dispensa, collegate tramite uno stipite di
legno: la prima era una stanza abbastanza spaziosa, con lunghi
banconi di legno addossati alla parete bianca; vi era anche una
credenza dello stesso materiale con, all'interno, stoviglie e
scodelle.
L'ambiente
era
illuminato da finestre che davano direttamente sulla superficie del
lago; la dispensa, invece, era ben più piccola ma colma di
ogni
sorta di cibo che gli abitanti di Esgaroth avevano loro offerto:
alcune casse di verdura, infatti, erano state appoggiate sopra ai
banconi, non trovando altro spazio.
Quando
la bevanda fu
pronta tolse le foglie e le gettò, soffiando piano per
raffreddarla;
tamburellò le dita sul ripiano, persa in quei pensieri
costanti che,
ormai, erano per lei una benedizione e una maledizione insieme: per
quanto volesse, non sarebbe mai riuscita a ignorarli.
A
cancellarlo.
Portò
la tazza alle
labbra, bevendo un sorso di tè: era bollente.
Un
rumore secco la
fece sobbalzare spaventata: qualcuno era entrato in casa e, sbuffando
pesantemente, si stava dirigendo proprio lì.
Cercò
di calmarsi e
di rimanere lucida, pensando con rammarico che Iris giaceva di sopra,
troppo lontana per poterla afferrare: i passi, nel frattempo, si
avvicinavano sempre più; ormai non vi era tempo, avrebbe
dovuto
arrangiarsi con ciò che c'era in cucina. Forse un coltello
poteva
essere sufficiente...
La
porta si
spalancò, rivelando la muscolosa ed alta figura di Dwalin;
Karin
espirò lievemente, terribilmente sollevata: certo, avrebbe
dovuto
aspettarselo che qualche nano rientrasse prima dalle mansioni che
avevano deciso di svolgere. Ma non avrebbe mai pensato di trovare il
nano guerriero a pochi metri da lei, reggendo tra le mani un altro
cesto di frutta; si guardarono per alcuni secondi, poi si diresse
verso la prima piattaforma libera, appoggiandolo.
<<
Tra poco
non sapremo più dove mettere tutto quel cibo
>> commentò
Karin, cercando di spezzare il silenzio opprimente che si era creato.
Dwalin,
per tutta
risposta, grugnì qualcosa d'incomprensibile, versandosi da
bere:
trangugiò il contenuto in una sola sorsata e si
avviò ad ampie
falcate verso la porta, volendo tornare al suo lavoro.
Ma
Karin non sarebbe
rimasta zitta: le pesava terribilmente aver lasciato in sospeso
così
tante questioni con l'altro suo migliore amico.
<<
Volevo
ringraziarti >> esordì, facendolo fermare
<< Bilbo mi ha
detto che sei stato tu a portarmi in camera quando mi sono sentita
male. Perciò... grazie >> gli sorrise, grata.
Il
nano la squadrò,
glaciale << Di nulla >> borbottò
poi, scorbutico.
Per
poco, Karin non
si aprì in un ampio sorriso; sapeva bene che quel tono di
voce era
un segno del suo evidente imbarazzo, ma non disse nulla: anzi,
d'improvviso si rattristò.
<<
Ti chiedo
di perdonarmi: non sono riuscita a trovare le tue asce. Ho cercato a
lungo in ogni stanza del piano dove vi erano Orcrist e Iris, ma senza
successo. Sono mortificata >>.
Dwalin
non mutò
espressione, mantenendosi rigido << Erano vecchie. Le
sostituirò >>.
Anche
se il tono di voce risultò monocorde, Karin
sembrò percepire del
dolore,
nascosto
sotto le ceneri dell'indifferenza.
<<
Ma ci
tenevi molto >> disse, senza riuscire a trattenersi.
<<
Non tanto
quanto tu tieni alla tua spada >> ribatté
secco, iniziando a
spazientirsi.
<<
Sai, non ne sono così certa >>
sussurrò lei, dopo lunghi
secondi di silenzio: alzò gli occhi, incontrando i suoi;
improvvisamente divenne tentennante e insicura, timorosa anche solo
di continuare: ma la voce le uscì comunque << Afferra
e
Tieni
rappresentavano
qualcosa di più di due semplici armi, e... >>.
<<
Ti ho detto che non importa! >> sbottò irato,
punto sul vivo
<< Però, se preferisci sprofondare nel tuo prezioso
senso di colpa non ti fermerò di certo, per quel che mi
riguarda >>.
Karin
gli rivolse
una dura occhiata, ma non poté impedirsi di sospirare
tristemente di
fronte alla sua cocciutaggine.
<<
Va bene. Se
c'è qualcosa che posso fare... >>
lasciò la frase in sospeso,
non sapendo bene cosa voler aggiungere.
Dwalin
si costrinse
a tenere per sé la lunga lista di frasi – una meno
simpatica
dell'altra – che avrebbe voluto rivolgerle, maligno: invece,
preferì lanciarle quell'avvertimento che, per lui, era di
vitale
importanza.
<<
Solo una cosa: se hai intenzione di chiedere a Thorin un'altra
opportunità e lui ti perdonasse, dovrai stare molto
attenta.
Un passo falso e non sarà più così
magnanimo >>.
La
ragazza
assottigliò lo sguardo nero, incredula delle sue parole;
l'infastidì
il tono con cui si era rivolto, così minaccioso e brusco. Un
vago
sentore di rabbia iniziò a sprigionarsi dallo stomaco,
salendo verso
l'alto.
<<
Se fossi lui a
compiere un'azione moralmente sbagliata, lo difenderesti con ugual
ardore? >> replicò piccata, incrociando le
braccia al petto,
mentre non poteva fare a meno di squadrarlo con fastidio e astio
crescente.
<<
Thorin è
il mio re! Gli ho giurato fedeltà, al
contrario di te
>> ribadì ostile, facendosi quasi
più possente del solito: le
puntò addosso un indice accusatorio, cercando di intimorirla
o di
farla vergognare; ma il risultato fu ben diverso.
<<
Non ne ho
avuto il tempo, sai >> rispose, sarcastica
<< E comunque,
ciò non toglie che tu debba seguirlo nei suoi sbagli: essere
suddito
non significa privarsi del proprio pensiero, divenendo cieco e inerte
come un burattino >>.
Dwalin
sbuffò forte, sprezzante << Avevo dimenticato
quanto fossi
abile
a parole >>.
<<
Non è bravura, ma verità
>>.
<<
Di certo
non contesterò la tua lingua tagliente >>.
Le
diede le spalle,
pronto per uscire: ma, per la seconda volta, Karin lo fermò
<<
Anche se non ho giurato, Thorin rimane il mio re >>.
Seguì
un lieve
silenzio, nel quale piantò lo sguardo serio e determinato
sulla
schiena del nano, attendendo trepidante una sua risposta: ed
arrivò.
<<
Hai detto bene, è il tuo re. Nulla
di più. Non
siamo più ragazzini spensierati
>>.
Se
ne andò,
lasciandola immobile e sconcertata; un gelo improvviso le era sceso
nell'anima, una morsa le aveva attanagliato il cuore.
Non
poteva
averlo
detto davvero!
Indietreggiò
fino a
sbattere la schiena contro il bancone della cucina, gli occhi
spalancati e la frase che ronzava continuamente in testa, senza mai
fermarsi.
Si
sentiva vuota e
ferita: se le avesse detto che la odiava dal profondo del cuore si
sarebbe sentita meglio.
<<
Questo non cambia ciò che provo >> si
ritrovò a sussurrare,
indignata sia con sé per il comportamento – a suo
parere stupido -
sia con Dwalin, che aveva osato
rivolgerle
parole così ciniche quando, in realtà, sapeva perfettamente
quali
erano stati i suoi sentimenti per Thorin. E quali erano
in quel momento.
Strinse
il legno
così forte da perdere ogni briciolo di
sensibilità sulle dita, così
forte che iniziò a tremare di rabbia e risentimento; ma non
ebbe
tempo di sbollire poiché Bilbo entrò,
rivolgendole un sorriso. Lei
si girò di scatto, dandogli le spalle: non aveva alcuna
voglia di
farsi vedere in quello stato misero.
<<
Scusami per
il ritardo, ma ho fatto prima che ho potuto >> disse,
allegro:
fortunatamente non sembrò accorgersi di nulla.
<<
Hai trovato
ciò che cercavi? >> si costrinse a chiedere
schiarendosi la
voce poiché, purtroppo, le era uscita tremante.
<<
Certo! Ora
ho ciò che mi serve per preparare un gustoso pranzetto: non
so te,
ma io ho già l'acquolina in bocca! >>
esclamò, appoggiando il
cestino di vimini con le spezie.
Si
sfregò le mani,
gustando col pensiero i favolosi manicaretti che avrebbe servito a
tavola tra poche ore; Karin, d'altra parte, era completamente
nauseata al pensiero del cibo: lo stomaco le si era serrato.
Si
detestò ancora,
anche perché la sua tristezza era completamente
ingiustificata: non
spettava a Dwalin dirle quali azioni doveva compiere e quali
sentimenti doveva provare; era adulta, non si sarebbe fatta
influenzare da nessuno, men che meno da un precedente migliore amico
che, ora, la voleva solo a miglia e miglia di distanza da sé.
Io
non ho intenzione di fuggire.
<<
Ti aiuto >>
disse, inaspettatamente: si girò verso di lui, un bel
sorriso sulle
labbra e lo sguardo sereno; ma, se Bilbo fosse stato più
accorto,
avrebbe notato che celava ancora della sofferenza, sapientemente
nascosta.
Lo
hobbit la guardò,
ammutolito: ma poi, ricambiò il sorriso << Sei
sicura? Non
preferiresti riposarti? >>.
<<
Sono stanca
di oziare >>.
<<
D'accordo.
Forza, allora, mettiamoci al lavoro! >> proruppe felice.
Ma,
ben presto,
dovette smorzare l'entusiasmo: pur con tutta la sua buona
volontà,
non riuscì ad impedire a Karin di combinare un guaio dopo
l'altro,
al che fu costretto ad assegnarle – dicendoglielo in modo
molto
paziente e gentile – il compito di lavare e affettare la
verdura,
mentre egli si occupava dei chili di carne da cuocere e da condire
con rosmarino, e del brodo che bolliva placidamente in un grande
pentolone di rame.
Ora
che entrambi
erano molto più calmi e tranquilli, si azzardò a
esprimere il
commento che gli era balzato in mente non appena ella l'aveva
guardato confusa quando gli aveva chiesto quali erano gli ingredienti
per preparare il brodo.
<<
Sai, si
nota che non hai mai cucinato seriamente >>.
Karin
alzò lo
sguardo dal peperone che stava pulendo, scrollando poi le spalle
<<
Bé, ad Erebor no di certo, e in esilio... non preparavo
certo cibi
“raffinati”: mi bastava saper scuoiare un animale e
cuocere la
carne sopra un fuoco >> disse, gettando i semi nella
spazzatura.
Bilbo
si adombrò,
notando quanto fosse serio e scontroso il tono di voce,
rattristandosi: chissà cosa la turbava.
<<
Hai sempre
abitato a Erebor? >> si diede dello stupido subito dopo
capendo
che, forse, aveva posto una domanda spinosa e difficile: sapeva bene
che Karin era sempre stata riluttante a parlare del passato –
troppo doloroso per lei – e che, di certo, avrebbe sviato
l'argomento.
Invece
non accadde.
<<
No, ci
arrivai dopo la morte di mia madre: ero piccola, e i ricordi iniziano
proprio nella città dei Nani >>.
<<
Mi
dispiace. Anche io persi mia madre quando ero giovane >>.
<<
Non la
ricordo neppure, ed è questo che mi fa più male;
quando la sogno, o
l'immagino, la figuro sempre senza volto. Bé, ormai nemmeno
rammento
il viso di mio padre >> disse, flebile; iniziò
ad affettare
una carota con una tale forza, che Bilbo ringraziò di non
essere
l'ortaggio << Come si chiamava? >> gli
chiese poi,
incuriosita.
<<
Belladonna
Tuc >>.
<<
Bel nome >>
commentò, spianando la fronte.
<<
E... la
tua? >> domandò incerto Bilbo.
Karin
fece un
accenno di sorriso << Sena. Puoi star pur tranquillo, le
tue
domande non mi danno fastidio: è che ho altri pensieri meno
felici,
ma se chiacchiero con te mi sentirò meglio >>
rise di fronte
allo sbigottimento dello hobbit, incredulo di esser libero di
chiederle la sua storia. D'altronde, non era stata forse lei a
raccontare come era giunta all'esilio, la sera prima? Si era fidata e
si fidava a tal punto che, ora, concedeva il privilegio che Bilbo
Baggins bramava da quando aveva posato lo sguardo grigio su di lei:
saperne di più, risolvere il mistero che rispondeva al nome
di Karin
figlia di Kario, della stirpe di Gorin.
<<
Come vi
siete conosciuti? >>.
Non
ci arrivò per
inutili giri di parole, ma con una semplice frase: e Karin non ebbe
bisogno di chiedergli di chi parlasse; lo sguardo curioso e timoroso
insieme di Bilbo parlava per lui, così come il lieve calore
alle
guance e alla punta delle orecchie di lei.
A
dispetto
dell'imbarazzo, si aprì in un sorriso al ricordo
dell'episodio <<
A Dale. Ero scappata di casa. Ci incontrammo alla fontana della
piazza, se non ricordo male: io ero seduta e piangevo, lui mi si
è
parato davanti. Anche all'epoca aveva un tono ben autoritario, ed
eravamo solo bambini! >> dichiarò,
ridacchiando.
<<
Venne a
cercarti? >> chiese, senza nascondere il lieve sorriso
nell'immaginarsi il piccolo e futuro Re sotto la Montagna impettito e
pronto a blaterare ordini verso una bambina più piccola.
<<
Oh no, fu
per caso; anzi, per la verità non sapevo nemmeno chi fosse:
lo
scoprii un paio di giorni dopo, quando mio padre divenne consigliere
di Thror. Da allora diventammo amici >>.
Bilbo
annuì,
aggiungendo di tanto in tanto un po' d'acqua perché la carne
di
montone non si seccasse troppo.
<<
E Dwalin?
>> domandò, innocentemente.
A
Karin per poco non
sfuggì il coltello, riuscendo a schivare prontamente la lama
che,
rapida, si era diretta verso il dito.
<<
Lo conobbi più tardi, e ci misi un po' a divenire sua amica
poiché
era molto diffidente e sospettoso: non dev'essere stato facile
accettare una totale sconosciuta nel piccolo gruppo. Comunque,
diventammo davvero inseparabili, una volta fatto crollare il muro
>>
sorrise di nuovo, ma stavolta mestamente << Ogni tanto si
aggiungeva anche Dís
ma, per la maggior parte del tempo, eravamo sempre noi tre; Balin si
preoccupava sempre quando ci vedeva camminare furtivi, anche se non
avevamo ancora combinato nulla! >>.
Risero
insieme, l'una persa nelle memorie infantili e l'altro che, pur non
conoscendo i dettagli, poteva ben immaginare quali marachelle
avessero combinato i tre giovani nani.
<<
Mi sarebbe piaciuto vedervi in azione >>
scherzò Bilbo, dando
una leggera gomitata al braccio di Karin << e poi, che
accadde?
Una volta adulti, intendo >>.
<<
Crescendo, ciascuno iniziò a fare i conti con le proprie
responsabilità: io, ad esempio, cominciai ad abbandonare i
comportamenti e gli abiti maschili, anche se continuai a prendere
lezioni di scherma. Thorin venne avviato alle riunioni del consiglio
in qualità di principe ereditario; e Dwalin...
bé, divenne più
affidabile e serio >>.
Bilbo
si convinse che Karin non gli avesse detto proprio la
verità: gli
occhi neri si velarono di pena, i tratti ilari del volto mutarono,
tornando fermi e granitici.
Il
pentolone bollì, e lo hobbit fu costretto a darle le spalle
per
rimestarlo con un cucchiaio di legno; spostò di poco il
coperchio,
in modo da far uscire il vapore.
Fu
senza guardarla in volto che le pose la domanda più
importante di
tutte, alla quale voleva assolutamente una risposta che fugasse i
suoi dubbi: se si fosse voltato, non sarebbe stato certo di riuscire
a sostenere i suoi occhi. Di riuscire a sostenere la verità.
<<
Lo ami ancora, vero? >>.
Gli
uscì un sussurro, ma arrivò alle orecchie di
Karin come se avesse
urlato: si irrigidì, lasciando da parte la verdura, ormai da
condire. Posò lo sguardo verso la figura poco più
bassa della sua,
ma le dava le spalle; si morse il labbro, sapendo fin troppo bene la
risposta.
<<
Ti sei mai innamorato, Bilbo? >> domandò, ad
occhi bassi.
Lo
sentì girarsi e guardarla, e fu allora che finalmente
incontrò il
suo sguardo << Così profondamente da sentirti
in totale
sintonia con l'altro? Così disperatamente da sentire un
forte dolore
al petto, come se ti strappassero il cuore? Così dolcemente
da
sentirti scoppiare di felicità? Thorin per me è
stato tutto questo
e molto altro ancora, impossibile da esprimere a parole essendo
troppo grande.
Era il mio riferimento, il migliore amico pronto a proteggermi
addossandosi le mie colpe, il mio complice e confidente sicuro.
È
stato il mio amante, ricambiando l'amore maturato dall'amicizia con
una tale passione e dolcezza che non ho mai pensato di meritare. Ed
è
divenuto lo spietato fautore dell'esilio che ci ha allontanati per
anni. Mi chiedi se lo amo: ebbene, dopo tutto questo... sì,
lo amo.
Forse anche più di prima >>.
Karin
si sentì inaspettatamente meglio dopo quella confessione,
quasi più
leggera: e, per lunghi attimi, non vi fu la frase di Dwalin a
tormentarla, ma un'immensa quiete ed il battito accelerato del cuore
come unico e carezzevole sottofondo.
Bilbo
sorrise, accettando le sue parole e dovendo fare i conti con se
stesso: ma, per quanto volesse cercare, non trovò alcuna
forma di
gelosia; in lui vi era solo quella consapevolezza che, in fin dei
conti, non l'aveva mai abbandonato: Karin amava
Thorin e lui amava
lei. Un sentimento incontenibile che, presto, sarebbe venuto alla
luce più devastante e profondo di un tempo.
E
lui, lui ne era felice?
Sì
si
rispose se
questo rende lieta Karin.
E,
a giudicare dal lieve brillio negli occhi neri, lo era: non
completamente, questo no, ma essere riuscita semplicemente a
rivelarlo sia a se stessa che ad una persona esterna era già
un
passo avanti.
<<
E' un immenso piacere sentirtelo dire: era ora, a mio parere!
>>
scherzò, smorzando il silenzio creatosi; Karin
arrossì ma gli
sorrise, scuotendo la testa in uno scherzoso rimprovero, eppure
continuando il lavoro con una luce diversa.
Rimase
ancora qualche attimo a contemplarla, per poi venire interrotto dal
rumore della porta d'ingresso che si chiudeva e di alcuni passi che
si avvicinavano verso la cucina; girandosi, vide entrare Gloin: il
nano dai capelli fulvi squadrò l'ambiente con una strana
occhiata,
accentuandola vedendo Karin che si puliva le mani sul grembiule che
aveva indossato per non sporcare l'abito blu e si sistemava un
sottile ciuffo di capelli sfuggito alla treccia frettolosa dietro le
orecchie a punta. Sentendosi osservata, alzò la testa e lo
vide,
sorridendogli calorosa; e, con nuovo e sempre crescente
sbigottimento, Bilbo vide il fiero Gloin ricambiare: un sorriso
così
sincero e affettuoso che sembrava averle rivolto da sempre.
<<
Sai, mi ricordi mia moglie, quando era più giovane
>> confidò,
borbottando e cercando di riacquistare una sorta di dignità
<<
Anche allora lavoravo e, quando tornavo per la pausa, la trovavo
sempre in cucina: magari con qualche nuovo taglio o bruciatura sulle
mani – non avevamo cuoche, benché fossimo agiati
– ma mi
accoglieva sempre con un sorriso disarmante, come il tuo. Tu ti sei
ferita? >>.
<<
Affatto >> gli rispose, ancora commossa per il paragone
<<
però se oggi il pranzo sarà di tuo gradimento
dovrai ringraziare
solamente Bilbo: non è mio il merito >>
ammise, lanciando
un'occhiata d'intesa allo hobbit, che si imbarazzò e
congiunse le
mani dietro la schiena.
<<
Vedremo, vedremo >>.
<<
Immagino che tua moglie ti manchi molto >>
commentò,
appoggiando gli avambracci al bancone di legno.
Gloin
annuì impacciato, volgendo lo sguardo altrove
<< Voglio
riconquistare Erebor per donarle un futuro migliore e per far
crescere nostro figlio in armonia >>.
<<
Gimli, dico bene? >> disse Karin, sorridendogli
<< Sarà
fiero di suo padre! >>.
<<
E' giovane ma molto intraprendente. Sento che compirà grandi
imprese
>> gonfiò il petto con orgoglio, battendosi un
pugno sul
torace possente << Ha sangue di Durin, in fondo!
>>.
<<
Una stirpe che vanta valorosi guerrieri dal cuore forte e puro, le
cui gesta sono spesso cantate >> concordò la
giovane,
ricevendo un'occhiata di apprezzamento dal nano.
<<
Lo sarà anche la nostra, mia buona amica: si
narrerà di come Thorin
Scudodiquercia e la sua Compagnia uccisero il drago e ripresero
possesso delle ricchezze della Montagna! >>.
<<
Oh, siete tutti qui! >> esclamò Kili, entrando
in cucina;
immediatamente dietro entrò Fili, facendo diminuire
notevolmente lo
spazio della stanza.
<<
Abbiamo sentito la voce tonante di Gloin dall'ingresso: parlavi delle
canzoni che scriveranno su di noi, amico mio? >> chiese
sempre
il minore, battendogli una mano sulla spalla ed afferrando una mela
vicina al braccio di Karin; le fece l'occhiolino e si girò
verso il
fratello, volendogli lanciare il frutto rosso: ma quello storse il
naso in una buffa espressione che fece ridere tutti.
<<
Grazie del pensiero, Kili, ma credo che non mangerò
più mele per il
resto dei miei giorni! >>.
<<
Addirittura!? È un bel po' di tempo, sai? Dunque, dicevate?
>>
domandò, sedendosi sulla parte di bancone libera e pulita.
Karin
gli lanciò una severa occhiata, afferrandolo per la manica
della
camicia lercia di fuliggine, facendolo scendere con uno sbuffo: lui,
per tutta risposta, le indirizzò un sorriso sornione
mordendo la
mela.
<<
Sapete, sono molto curioso di ammirare il tesoro di Erebor, di cui
tanto parlate: se non ci fosse il drago a complicare tutto...
>>
disse tristemente Bilbo.
<<
Un misero drago non ci fermerà di certo, giusto?
>> esclamò
Kili, parlando con la bocca piena.
<<
Nemmeno noi l'abbiamo mai visto, non eravamo ancora nati quando
Thorin e la stirpe di Durin se ne andarono dalla Montagna. Nostra
madre ne ha decantato la bellezza, ma sai... ciò che si
immagina è
sempre diverso da ciò che è in realtà
>>.
Bilbo
annuì, dicendosi d'accordo con le parole di Fili.
<<
Ma tu l'hai veduto, non è vero Karin? >>
chiese sempre il
maggiore, curioso; le si avvicinò, prendendola sotto braccio.
Altre
tre teste si voltarono a guardarla, aspettando le sue parole
<<
Sì >>.
<<
Ed è davvero bello ed immenso come raccontano?
>> chiese
Bilbo, roso di curiosità.
Karin
rammentò le alte montagne fatte di monete d'oro, o le gemme
preziose
che mandavano bagliori alla luce delle torce; poi armature, spade e
asce, lunghe lance dalle lame affilate e dai manici dorati. E
l'Archepietra, fulgido tesoro tra i tesori, di incomparabile ed
incommensurabile bellezza e valore.
<<
Anche di più >> ammise infine, con nostalgia;
gli altri
sospirarono quasi all'unisono, forse riuscendo ad immaginare
ciò che
lei rammentava così nitidamente << Lo vedrete
anche voi,
statene certi. O rivedrete >> disse, girandosi verso
Gloin,
lanciandogli un'occhiata ammiccante.
<<
E ora, voi due >> aggiunse, adocchiando i fratelli
<<
andate a lavarvi, che tra poco il pranzo è pronto
>>.
<<
Lo faremmo, madre
>>
replicò scherzoso Kili, guadagnandosi un'ulteriore
occhiataccia
dalla ragazza << se Thorin non ci avesse preceduti.
Quindi...
dovrai accontentarti della nostra sporcizia ed aspettare paziente!
>>.
<<
Intanto perchè non iniziamo ad apparecchiare?
>> propose
Bilbo, fermando sul nascere la pessima risposta che stava salendo
alle labbra di Karin; fortunatamente si bloccò, girando il
capo
verso di lui ed annuendo.
Seguì
un lungo viavai dalla cucina alla sala da pranzo, immediatamente
adiacente l'ingresso: ben presto iniziarono ad arrivare anche gli
altri, riempiendo la casa con un vociare allegro e, dopo alcuni
minuti, la tavola fu pronta: mancavano solo i commensali che, a
turno, dovevano occupare il bagno per rinfrescarsi un poco dalla
lunga mattinata.
Karin
si era seduta su una sedia, in attesa: represse uno sbadiglio con la
mano, passando poi a sciogliersi la pettinatura ormai sfatta; si
stava ravviando i capelli quando sentì qualcuno scendere le
scale e,
un attimo dopo, la porta della sala venne spalancata.
Col
cuore in gola, Karin e Thorin mantennero un lungo contatto visivo
finché non fu lui a parlare. << Vedo che stai
meglio >>
giudicò, secco.
Con
un movimento improvviso si alzò dalla sedia, minacciando di
rovesciarla; allo scampato pericolo tornò a guardarlo,
annuendo.
Thorin
fece scivolare lo sguardo azzurro sul suo corpo, e sul vestito che
indossava: non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma era bellissima,
esattamente come lo era ad Erebor. Anzi, forse anche di più,
ora che
era veramente una donna.
Karin
si accorse dell'occhiata, non potendo impedirsi d'arrossire,
imbarazzandosi come mai in vita sua: nemmeno quando si erano baciati
la prima volta aveva reagito in quel modo, diamine! Avrebbe proprio
voluto sapere come mai si comportava così: quello non era il
suo
solito carattere. Era cambiata, soprattutto da quando aveva lasciato
che l'amore per il re tornasse più prepotente nel suo animo,
riempiendolo e facendolo suo.
Aspettò
che Thorin si sedesse a capotavola per imitarlo, chiudendosi in un
cupo disagio; strinse tra le dita la stoffa del vestito, pensando
all'ilarità della situazione: era della stessa ed identica
tonalità
della sua camicia.
Lo
osservò con la coda dell'occhio, vedendolo perso in
complicati e
tortuosi pensieri: trovando un po' del consueto coraggio, decise di
intavolare una qualche conversazione.
<<
Com'è andato il lavoro alla forgia? >>.
Thorin
si riscosse, facendo saettare lo sguardo improvvisamente sospettoso
sul suo << Cosa ti hanno raccontato Kili e Fili?
>>.
Karin
sgranò leggermente gli occhi, presa in contropiede: che
c'entravano
quei due, adesso? << Nulla. Perché avrebbero
dovuto
parlarmene? >> domandò curiosa.
Ma
Thorin scosse le spalle ed agitò una mano, in un caldo
invito a
dimenticare ciò che aveva detto: si rinchiuse in un ostinato
mutismo
e non accennò a volerle rispondere, nemmeno quando gli
lanciò
un'occhiata piuttosto eloquente.
Sospirò
piano, mentre malediva l'ostinazione della stirpe di Durin, tanto
decantata poco prima: fortuna volle che gli altri tornarono,
coinvolgendola con le loro chiacchiere allegri, facendole scordare il
malumore trasmessole dal re che, al contrario, faticava a rimanere
tranquillo e sereno mentre i pensieri riguardanti Karin non
l'abbandonavano.
Come
poteva non ricordare alcunché e non preoccuparsene?
A
lui bastava percepirne la presenza per ricordare e riprovare
le medesime emozioni, seppur ridimensionate dalla sobrietà.
Quando
era entrato in sala e l'aveva vista, aveva sentito il bisogno
incessante di baciarla e prenderla anche
lì, sulla tavola
imbandita; possibile che lei fosse immune a tutto
ciò? Come
poteva ridere e parlare tranquillamente con gli altri quando lui
era a poche sedie di distanza, lacerato e bruciante di desiderio?
<<
Direi di brindare al fantastico cuoco di oggi!!! >>
esclamò
Bofur tra il chiasso generale, parecchio felice <<
Finalmente
abbiamo trovato un degno sostituto: ero stufo di cucinare ogni giorno
per tutti! >>.
<<
Per questo abbiamo disposto dei turni >> fece notare
Dori,
seduto di fronte al giocattolaio << Così
possiamo ruotare >>.
<<
E non sono sempre i soliti a lavorare! Meno male! >>.
<<
Com'è giusto che sia >> si intromise Karin,
addentando una
fetta di pane; si sentiva irrequieta, ed aveva la sgradevole
sensazione che qualcuno l'osservasse attentamente, volendo coglierne
ogni più piccolo gesto. Però, alzando lo sguardo
dal piatto e
facendolo vagare lungo la tavola e i volti dei commensali, non
trovava nessuno a fissarla. Eppure il presentimento persisteva,
diventando sempre più forte.
<<
La prossima volta voglio assaggiare qualcosa preparato da te, Karin
>> sentenziò Bombur a bocca piena.
<<
Oh, meglio di no >>.
<<
Certo che sì, dai! Non dirmi che non sai cucinare!
>> la prese
in giro Bofur, agitando la forchetta nella sua direzione: fortuna non
gli era seduta accanto – trovandosi invece vicina a Dori
–
altrimenti le avrebbe tirato una gomitata nel fianco.
<<
Esatto, Bofur: se vuoi mangiare qualcosa adesso, dovrai accontentarti
delle verdure >>.
Cercò
con lo sguardo l'ultima ciotola rimasta con ancora un po' delle
suddette, ma l'espressione le si gelò quando vide che
l'aveva in
mano Thorin, intento a versarsene una generosa porzione. I loro
sguardi si incrociarono ancora – stavolta entrambi
consapevoli –
e Karin gli sorrise brevemente, tornando a mangiare.
Il
nano si accigliò, non riuscendo a comprendere il
comportamento della
ragazza: non ebbe nemmeno il tempo di pensarci che venne immischiato
in una conversazione sulle antiche battaglie da Dwalin, posto alla
sua sinistra. Ascoltò poco, poiché immerso in
molte riflessioni:
d'altronde, con quale diritto poteva giudicare insoliti
i
gesti di Karin quando, lui per primo, faticava a riconoscersi? Per
quanto cercasse e volesse ritardare il più possibile la
coscienza
dei cambiamenti che stavano avvenendo nel suo animo e nel suo cuore,
prima o poi avrebbe dovuto farne i conti, accettandoli e
convivendoci: e non sarebbe stato facile. Per niente.
Quando
varcò la soglia di casa e venne investita dal leggero
venticello che
soffiava su Esgaroth, si sentì rinascere, come se gli
ultimissimi
residui di malattia le scivolassero addosso, dissolvendosi.
Si
richiuse la porta alle spalle e si avviò lungo i ponti di
legno,
passeggiando lentamente, senza alcuna fretta: si guardò
attorno
meravigliata, concordando che non le era mai capitato di vedere una
cittadina costruita sull'acqua, trovandola a dir
poco
affascinante; un po' inquietante, certo, ma tutto sommato
affascinante.
Le
risultò difficile passare inosservata, dato che ogni
abitante che
sorpassava la osservava stupito: d'altronde, in quei pochi giorni era
sempre stata rinchiusa tra quelle quattro mura, delirante e preda
della febbre; non aveva avuto molte occasioni d'uscire.
S'infastidì,
accelerando il passo: evitò di passare dalle fucine,
conoscendo chi
ci lavorava, e
si incamminò
sopra un altro pontile, che conduceva alla zona più interna
della
città; lì si fermò, per poi
riconoscere una figura familiare
grazie all'ascia conficcata sul capo.
<<
Bifur! >> chiamò, correndo per affiancarlo
<< Andavi al
lavoro? >>.
Il
nano iniziò a parlare il linguaggio antico, annuendo
più volte e
facendole cenno di seguirlo; affiancarono alcune casette di legno a
due piani, al cui piano terra si aprivano delle botteghe: dalle
insegne, Karin riconobbe uno speziale, un fornaio e, finalmente, un
giocattolaio.
Non
appena entrò, rimase a bocca spalancata: su degli scaffali
stavano
una grandissima quantità di giocattoli, sia di legno sia di
pezza -
alcuni perfino di metallo – sapientemente dipinti con colori
vivaci, talmente perfetti ai suoi occhi da sembrare veri: erano pezzi
unici e di squisita fattura, senza alcun dubbio; doveva trattarsi di
un giocattolaio davvero formidabile, e difficilmente se ne trovavano
di così esperti. Di certo quel negozio era di inestimabile
valore
sia per il proprietario sia per Bofur e Bifur.
Dal
retrobottega apparve Bofur, avendo sentito il leggero tintinnio della
campanella posta sulla porta; non appena la vide le rivolse un gran
sorriso, pulendosi le mani sul grembiule da lavoro.
<<
Oh, qual buon vento ti porta qui, Karin? >>.
<<
Il vento del lavoro >> spiegò <<
Mi piacerebbe dare il
mio contributo, tutto qui >>.
<<
Thorin lo sa? >> domandò lui, facendole un
mezzo sorriso
sinistro.
<<
Perché dovrebbe saperlo? Si tratta solo di una mansione, per
Durin!
Piuttosto che di Thorin mi preoccuperei del proprietario: sai dove
possa essere? Vorrei parlargli >> rispose, stizzita.
Bofur
ridacchiò, mentre il cugino le batté una sonora
pacca sulla schiena
<< Dovrebbe tornare a momenti, era andato alla banchina
ad
aspettare il carico di nuovo legname; anzi, Bifur doveva proprio
andare ad aiutarlo, vero cugino? >>.
L'altro
si batté una mano sulla fronte, forse ricordandosene; poi se
ne
andò, borbottando quelle che le parvero imprecazioni,
benché non
conoscesse il Khuzdul.
<<
Vieni di
qua, intanto ti mostro i giocattoli da riparare o costruire
>>.
<<
Quelli
esposti sono strabilianti >> ammise lei, indicandoli
<<
sarai molto felice, immagino >>.
<<
Non sai
quanto! Mi sento un bambino nel giorno del suo compleanno!
>>.
Risero
di fronte al
paragone, raggiungendo il laboratorio; la stanza era quasi
più
grande del negozio, ed era occupata quasi interamente da lunghi
tavoli con sopra dei giocattoli, dei colori e dei pennelli e degli
scatoloni di accessori: rotoli di stoffa per confezionare dei
vestitini, lana per produrre capelli, della latta per elmi e molto
altro ancora.
<<
Davvero ben
attrezzato, non c'è che dire! >>
commentò, sbalordita dalla
quantità di materiale.
<<
Allora >>
esordì Bofur, sistemandosi meglio il cappello
<< cosa vorresti
fare, di preciso? >>.
Karin
ci rifletté
qualche secondo, guardandosi attorno con interesse: infine, prese la
sua decisione << Mi piacerebbe decorare e dipingere
>>.
<<
E' un
lavoro minuzioso, che richiede precisione e abilità
>>.
Lei
alzò un
sopracciglio << Lo so benissimo! Sappi che, a Erebor, ero
piuttosto brava come gioielliere: certo, è da un po' di
tempo che
non mi alleno, ma credo di essere rimasta abbastanza precisa
>>.
<<
D'accordo,
allora ti metto subito alla prova, così quando
tornerà il
proprietario potrai mostrargli il lavoro concluso >>.
Le
diede in mano una
bambola, alla quale mancava il colore del volto e le rifiniture di
occhi, naso e labbra; le mostrò i pennelli e i colori,
chiedendole
di scegliere i più adatti. Dopodiché la
lasciò fare, tornando ad
intagliare un pezzo di legno con un coltello dalla lama spessa ma
affilata, adatto per abbozzare la sagoma, non certo i dettagli.
Ogni
tanto le
lanciava un'occhiata divertita, nel vederla così presa e
concentrata: possedeva le medesime espressioni di quando era bambina.
<<
Diamine
Karin, ma sei mancina! >> esclamò poi, nel
vederle il pennello
stretto nella mano sinistra.
<<
Mmh, e
allora? Sto attenta, non vedi? Sono partita a dipingere da destra,
così non combino pasticci >> spiegò
saccente, senza staccare
gli occhi dal giocattolo.
Bofur
sorrise e
ridacchiò, apprezzando l'arguzia << Sai, non
me n'ero mai
accorto! Eppure è da parecchi anni che ci conosciamo
>>.
<<
Bé,
durante le varie Feste dell'Estate non ho mai avuto occasione di
scrivere davanti a te; credevo te ne fossi reso conto quando
impugnavo Iris >>.
Il
nano scosse la
testa << No, se devo essere sincero. E poi non
è detto che la
mano che regge la spada dica la verità: alcuni mancini
stringono
l'elsa con la mano destra, e viceversa >>.
Karin
annuì, mentre
una lieve ruga le si formava sulla tempia << Hai ragione
>>.
Aveva
steso la prima
mano di colore sul volto, ora rosato, e scelto un altro pennello
dalla punta più sottile, dedicandolo agli occhi: le dita
corsero
verso il barattolo del nero, svitandolo. Intinse le setole e,
delicatamente, le passò sul punto, trattenendo quasi il
fiato finché
non ebbe finito.
Si
sentì un
tintinnio dal negozio, e Bofur si alzò lasciandola dipingere
in
pace; poco dopo, però, la sua testa sbucò dalla
soglia,
chiamandola.
<<
Karin,
vieni di qua, è un'emergenza >>.
Il
tono ammetteva
pochissime repliche, perciò abbandonò il suo
lavoro, appoggiando il
pennello sopra una pezzuola.
Dietro
al bancone,
accanto al nano, stava una bambina in lacrime.
Karin
si stupì non
poco, specie quando vide Bofur con una stranissima espressione in
volto: sembrava impaurito e dispiaciuto insieme.
<<
Meglio se
ci pensi te, sai... tra donne! >> lasciò la
frase in sospeso e
sgattaiolò via, senza nemmeno lasciarla parlare.
Fulminò
il punto
dov'era sparito, per poi alzare gli occhi al cielo di fronte
all'immaturità dell'amico e si girò, sorridendo
alla piccola: bé,
alta quasi quanto lei. E Karin poteva vantare un'altezza superiore
alla media delle altre nane.
Impacciata,
le
rivolse comunque un caldo sorriso, abbassando un poco la testa per
incontrare i suoi grandi occhi verdi colmi di lacrime <<
Cosa è
accaduto di tanto grave da far piangere una bambina così
bella? >>
chiese affettuosa, accarezzandole i lisci capelli castani; la piccola
tirò su col naso, facendo tanto d'occhi quando
sentì la mano. Ma
non si ritrasse, e questo confortò la ragazza.
Senza
dir nulla,
mostrò ciò che nascondeva dietro la schiena: una
bambola di pezza,
con alcune toppe di fortuna, dal braccio destro sfilacciato e
penzolante; ancora poco e si sarebbe staccato del tutto.
<<
Oh,
poverina >> commentò Karin, partecipe
<< Posso? >>.
La
bambina annuì,
porgendogliela. Esaminò il punto, facendo un mezzo sorriso
per
rassicurarla. << Non temere, si può
riaggiustare. È la tua
preferita? >>.
Annuì,
mentre con
una manica si asciugava il volto; ora più calma la
guardò
attentamente, forse rendendosi conto che era una nana. Ma non disse
nulla, rimanendo a torcersi le dita, nervosa.
<<
Vieni di
là, così posso occuparmi di lei e farla tornare
come prima. Ha un
nome? >> le domandò.
Ma
l'altra scosse la
testa.
<<
Peccato: le
mie bambole ne avevano tutte uno >>.
Sentì
Bofur tossire
e, tra i vari colpi, poté distinguere chiaramente parole
come
“Bugiarda!” o “quali bambole!”,
ma lo ignorò, guidando la
ragazzina verso il banco da lavoro; armeggiò e
spostò i vari
oggetti presenti, trovando infine un ago e del filo resistente .
Sotto
lo sguardo
curioso ed attento dell'ospite, si mise a ricucire lo strappo
<<
E tu ce l'hai un nome? >> le chiese, guardandola di
sottecchi.
<<
Alhena >>
rispose infine, dopo lunghi attimi di silenzio: forse cercava di
capire se poteva fidarsi o meno nel rivelare il proprio nome a degli
sconosciuti.
<<
Gran bel
nome! >> esclamò Bofur, tornando gioviale come
sempre: senza
riuscire nell'intento di piacere alla bambina; lo guardò
timorosa,
sgranando gli occhi chiari. Istintivamente, mosse qualche passo verso
Karin, facendola sorridere.
<<
Non
preoccuparti, non ti farà del male! Sembra cattivo, ma non
lo è >>
scherzò, guadagnandosi un'occhiata truce dal nano.
<<
Dai, Karin!
Cercavo di esserle simpatico >> protestò,
offeso dalle sue
parole.
<<
Ti chiami
Karin? >> chiese la bambina, con un tono di voce
più sicuro di
come si era presentata. << Oh, scusa! Perdonami se non mi
sono
presentata prima >> le tese la mano destra e Alhena la
strinse
piano, dopo averla osservata guardinga << Sono Karin
>>.
<<
La simpatia
fatta nano >> borbottò Bofur, tornando ad
intagliare il suo
lavoro.
<<
Sei una nana?
>> domandò la piccola, stupita: buffo come,
ancora adesso, le
persone si meravigliassero sempre di questa notizia. Non era proprio
cambiato nulla da quando era giovane.
<<
Certo, ma
non devi aver timore: come vedi, non siamo pericolosi >>
evitò
di aggiungere “al contrario degli orchi, o dei
mannari”: era solo
una bambina, dopotutto.
Fece
un piccolo
nodo, assicurando la chiusura del braccio della bambola: poi la
rimirò, soddisfatta. << Ecco fatto! Proprio
com'era prima. A
te il giudizio >> sentenziò,
restituendogliela.
Alhena
l'esaminò
pensierosa, la piccola fronte aggrottata; se la rigirò tra
le mani
per verificare il lavoro, talmente concentrata che non notò
lo
sguardo buffo che si scambiarono i due amici: infine, rialzò
la
testa.
<<
Grazie.
Sembra anche più bella >> si aprì
in un timido sorriso,
accrescendo quello di Karin.
<<
Di nulla,
ne sono stata felice >> si rialzò, lisciandosi
la gonna blu <<
Immagino dovrai tornare a casa >>.
Al
cenno
affermativo, la riportò in negozio; ma, prima, la piccola
ringraziò
anche Bofur, facendogli un lieve inchino.
Karin
le aprì la
porta, salutandola sull'entrata << Mi raccomando,
trattala con
cura. E se avrai bisogno di qualcosa, non esitare a tornare
>>
le strizzò un occhio.
<<
Vi
ringrazio, mia signora >> le fece un inchino impacciato e
si
incamminò, tornando però indietro quasi subito
<< Credo
d'averle trovato un nome >>.
<<
Sul serio?
E quale? >> domandò curiosa e stupita insieme.
<<
La
chiamerò... Karin >>.
Le
due si sorrisero:
la nana annuì, inaspettatamente fiera della scelta. Col
cuore
traboccante di felicità le scompigliò i capelli e
la lasciò
tornare a casa, dove probabilmente la madre la stava aspettando.
Tornò
in bottega e
si rimise al lavoro finché non giunse il proprietario, un
uomo di
mezza età asciutto e alto, molto cordiale ed affabile: non
appena
gli chiese il permesso di poter lavorare per lui, e dopo che ebbe
verificato il risultato sulla bambola da decorare, accettò
di buon
grado e con tanti ringraziamenti, oltremodo onorato di venire
affiancato da dei nani così esperti e volenterosi. Nemmeno
quando
gli fece notare il tratto non proprio perfetto e le lievi
imprecisioni sembrò turbarsi, ma continuò a
ripetere di essere
diventato l'uomo più fortunato dell'intera Esgaroth.
<<
Dunque,
benvenuta nella bottega del giocattolaio! >> proruppe,
sorridendole e stringendole le mano.
<<
Finché
rimarremo vostri ospiti sarò lieta di contribuire. E, anzi,
permettetemi di farvi i più sinceri complimenti per
l'abilità: non
credo d'averne mai visti di così belli e perfetti
>>.
Fu
il suo turno di
sentirsi imbarazzato borbottando che, in realtà, erano
sciocchezzuole e che lei era troppo buona.
Poi
li rimandò a
terminare, poiché vi erano ancora molti altri giocattoli che
aspettavano di essere completati o iniziati, per poi venire spediti
in tutta la Terra di Mezzo o venduti ai bambini della città.
Quando
la giornata volse al termine, Karin si sentì esausta ma
tremendamente soddisfatta: si era sentita utile,
di
nuovo dopo molte settimane; ciò le fece accrescere di molto
il
buonumore, anche se venne attenuato bruscamente da ciò che
apprese:
Thorin avrebbe cenato di
nuovo
dal Governatore. Dovette rimanere presente a se stessa per non
alzarsi e fuggire nella notte, ma strinse i pugni sotto il tavolo,
convinta della decisione che, come un fulmine, si formò
nella mente.
Doveva
parlargli,
chiarire ogni cosa.
L'avrebbe
atteso, a
costo di rimanere sveglia per tutta la notte.
Si
era dovuta ricredere. La sua idea era totalmente e completamente
folle.
Insomma,
era passata
la mezzanotte da un bel po' di tempo, la dimora era sprofondata nel
silenzio e nella quiete dei sogni e le uniche creature ancora sveglie
erano lei e Thorin, al di là della porta della sua stanza.
Dopo
cena, infatti,
i nani erano rimasti accanto al fuoco a scambiare quattro
chiacchiere, finché i primi cedimenti del sonno non si erano
manifestati: allora si erano augurati la buonanotte e si erano
diretti alle rispettive stanze; ma lei era rimasta sveglia,
camminando a lungo e cercando, nel mentre, di trovare le parole
adatte che avrebbe rivolto al re dei nani una volta si fossero
trovati di fronte all'altra.
Aveva
atteso a lungo
ma, finalmente, aveva percepito dei rumori al pian terreno, e dei
passi pesanti lungo le scale e il corridoio, sentendoli sorpassare la
camera: non aveva potuto fare a meno di sorridere alla confusione
prodotta dal nano che, probabilmente, stava cercando di mantenersi il
più silenzioso possibile.
Iniziò
a torcersi
le mani e a mordicchiarsi il labbro, nervosa: dopo aver contato
cinque interminabili minuti era uscita, muovendosi anche fin troppo
rapidamente e portandosi al di là della porta di legno. Ed
era
ancora lì, indecisa se bussare o meno: ma, se avesse scelto
la
seconda opzione, avrebbe sprecato quell'occasione di
tranquillità
per parlargli. Certo, era una faccenda a dir poco delicata, dato che
doveva spiegargli il perché del comportamento nella cella di
Bosco
Atro, ed affrontare un argomento di tale portata oltre la mezzanotte
non era... molto consono. Però non poteva attendere oltre,
dato che
durante il giorno era praticamente impossibile comunicare: lui era
troppo impegnato alla fucina, e anche lei ora aveva trovato lavoro.
Perciò
si decise ed
alzò il pugno destro, battendolo piano sul legno. Due colpi.
Come
gli ultimi spasmi del suo cuore.
<<
Sono Karin
>> bisbigliò, serrando un attimo gli occhi in
attesa di
risposta.
<<
Entra >>
ordinò lui, dopo secondi di agonia.
Afferrò
la
maniglia, abbassandola ed aprendo la porta; gli occhi si spostarono
immediatamente verso la figura di Thorin, in piedi accanto al letto
ancora intatto. Si era tolto il mantello, gli stivali e la lunga
casacca marrone che sostituiva quella blu - persa dagli elfi -
rimanendo solo in camicia e braghe; lo sguardo severo e freddo non
l'aveva abbandonata un attimo, facendole pentire la decisione presa.
Si
diede della
stupida, cercando di racimolare un briciolo del carattere che le era
appartenuto e che, ora, sembrava averla abbandonata per tramutarla in
una ragazza sciocca e impaurita.
Fece
per parlare,
determinata, ma lui l'interruppe << A quest'ora dovresti
essere
a letto. Spero si tratti di una questione urgente >>
disse,
secco, rimproverandola con gli occhi.
<<
Lo è >>
replicò lei, semplicemente.
Thorin
le fece un
cenno con la testa perché iniziasse a parlare, incrociando
le
braccia al petto.
Aprì
la bocca, ma
non le uscì alcun suono: capì di non rammentare
nulla del discorso
che si era preparata pochi minuti prima.
Si
morse l'interno
della guancia, iniziando a torturarsi le labbra, preda di una crisi
di panico; chiuse gli occhi per alcuni brevi secondi puntandoli poi
verso il nano, in attesa.
<<
Ecco, io...
mi dispiace. Per ciò che è accaduto nella cella.
Non avrei dovuto
>> abbassò il capo, vergognandosi
terribilmente.
<<
No,
infatti. Ma dovevi pur sfogarti con qualcuno, dico bene? E anche io
ho la mia buona dose di colpa >> replicò
duramente; talmente
glaciale che Karin alzò lo sguardo, incredula che le stesse
parlando
in quel modo.
Ma
il merito nefasto
era solo ed esclusivamente suo. Aveva rovinato tutto, ancora una
volta.
<<
Ce
l'abbiamo tutti, chi più e chi meno. Tu invece hai solo
fatto ciò
che ritenevi giusto in quel momento >>.
Lo
vide
assottigliare gli occhi, stupito della frase tanto quanto lo era
stata lei quando era giunta a quella conclusione così
semplice ed
ovvia.
<<
Karin... >>
iniziò, rimproverandola ancora.
<<
No,
ascoltami! Durante quelle settimane ho... avuto modo di pensare, ed
ho compreso che la rabbia nei tuoi confronti era ingiustificata
>>.
<<
Ti ho
bandita senza ascoltarti! Quale atto può essere
più ignobile di
questo? >> domandò, perdendo lievemente il
controllo; strinse
i pugni muovendo un passo verso di lei che, al contrario, manteneva
una compostezza impeccabile.
<<
L'hai fatto perché ti era stata portata via Erebor, la tua
casa: io
non l'ho mai considerata tale perché non mi sono mai sentita
accettata. Sei stato tu
a farmelo comprendere, ma ormai era troppo tardi. Non ti sei mai
disperato per l'oro,
ma per quella dimora a cui avevi dato tutto, alla quale non avresti
potuto far ritorno. In questi anni ti ho odiato perché
credevo
d'antepormi sopra ogni cosa ma, in realtà, non avevo capito
nulla:
sono stata egoista, e me ne dispiaccio. Scusami >>.
Si
girò, non
riuscendo a sostenere lo sguardo scrutatore che le scavava l'anima;
essersi liberata di quella verità la fece sentire meglio,
molto: ma
la voglia di scappare e tornarsene sotto le coperte sprofondando nei
sogni e non pensando più a questi momenti era invitante.
Thorin
la vide
muoversi verso la porta, aumentando la distanza tra loro, facendola
diventare un immenso e profondo precipizio; le scuse e le parole
dette continuavano a riempirgli la mente e il cuore, devastandolo.
Non aveva parole per ribattere, né gesti da compiere per
trattenerla
lì; ma di una cosa era certo, profondamente sicuro: non
voleva
varcasse quella soglia.
Fermala.
<<
Giungesti
mai ai Colli Ferrosi? >> domandò, la gola
insopportabilmente
secca, il cuore che martellava più forte del necessario.
La
vide irrigidirsi e bloccarsi, ma rimase di schiena << No.
Non
ne ebbi il tempo; ma di sicuro Dáin
non avrebbe mai accettato come sposa una traditrice del suo popolo
>>.
Thorin
si diede dello stupido per quella domanda inopportuna ma,
contemporaneamente, si sentì tremendamente sollevato,
come se un peso si fosse dissolto in lui: nessun altro l'aveva avuta,
quindi.
Karin
era ancora sua.
<<
Anzi, a
questo punto dubito persino che sia mai esistita una vera proposta di
matrimonio: Kario cercava un pretesto per portarmi ed andarsene via
senza destare sospetti. Ma la verità è morta con
lui, e non ne
verrò mai a conoscenza >> disse, angustiata.
<<
Tuo padre
ha agito nel modo sbagliato, è vero: ma cercava solamente di
proteggerti >> ammise, continuando a guardare la sua nuca.
Infine,
Karin si voltò, lo sguardo duro e implacabile
<<
Allontanandomi da te?
È stata la decisione più sciocca che abbia mai
preso! >>
esclamò, ostinata.
Possibile
non riuscisse a capire?
<<
Non avrei
potuto difenderti perché ero impegnato a presidiare le porte
di
Erebor, e a condurre mio nonno lontano dal suo tesoro >>.
<<
Avrei
combattuto al tuo fianco, ne ero in grado... >>
iniziò; ma
Thorin alzò solamente una mano e scosse il capo, facendola
tacere.
Con due brevi passi le fu di nuovo vicino, lo sguardo non
più serio
ma colmo di tristezza.
<<
Se fosse accaduto qualcosa al mio
tesoro non me lo sarei mai perdonato. Il saperti lontana dalla
devastazione anche se stavi per raggiungere un altro nano, mi ha
permesso di ritrovare la forza necessaria per affrontare il problema
del drago >> ammise con un sussurro.
Karin,
che fino ad
allora aveva ancorato gli occhi neri ai suoi azzurri,
abbassò lo
sguardo con un mezzo sorriso mesto.
<<
Finché non
sono ritornata >>.
<<
Finché non
sei ritornata >> ripeté << La
rabbia che covai si
riversò su di te, che ti presentasti colpevole. Non ascoltai
nessuno, benché meno la ragione, o il cuore: se l'avessi
fatto ogni
cosa sarebbe mutata; saresti rimasta al mio fianco durante i
vagabondaggi nel Dunland, nell'Eriador e, infine, nell'Ered Luin.
Avresti allietato i miei giorni cupi e bui, avresti assistito mia
sorella e visto nascere Fili e Kili, partecipando alla mia gioia.
Avremmo condiviso insieme ogni anno, fino ad ora >>.
Le
accarezzò una
guancia, mentre nell'anima di Karin imperversava una tempesta di
commozione e malinconia: era talmente sopraffatta da sentire la testa
ronzarle, e gli occhi inumidirsi al suo tocco delicato.
<<
Io rimasi
sempre al tuo fianco, anche se non fisicamente: piansi quando tuo
nonno cadde a Moria insieme ad altri valorosi guerrieri che
conoscevo, mi rattristai quando il tuo animo ferito fu dilaniato dal
dubbio, risi di gioia quando i tuoi occhi videro per la prima volta
il viso di tuo nipote e trattenni il fiato estasiata quando,
timoroso, lo prendesti in braccio. Così piccolo e fragile,
ma al
sicuro tra queste mani così grandi e forti >>.
Gli
baciò i palmi e
intrecciò le dita con le sue, mentre un'unica lacrima le
sfuggiva
alle ciglia, scendendo sulla guancia; Thorin abbassò il
capo,
posando le labbra sulla goccia salata, raccogliendola. Le
sfiorò le
labbra con i pollici mentre, di nuovo, il desiderio lo ardeva vivo.
<<
L'orgoglio
ci ha fatti dividere, il risentimento odiare: ma non sono riusciti a
distruggere i sentimenti che provo. Forse >> non
riuscì a
terminare, venendo bloccata dalle labbra prepotenti di Thorin sulle
sue: e si rese conto solo in quel momento del fatto che avesse atteso
ed agognato quel bacio da quando era entrata.
Il
suo corpo lo
reclamava, lo sentiva: ma non si sarebbe accontentato. Chiedeva di
più.
Sentì
le dita del
nano perdersi tra i suoi capelli mentre l'altra mano andò a
posarsi
sul fianco, stringendolo ed attirandola maggiormente a sé,
facendo
aderire i loro corpi; Karin mosse le mani verso il petto ampio,
accarezzandolo. E Thorin perse ogni briciolo di autocontrollo.
Il
bacio divenne più
passionale, pieno di foga e lussuria: le lingue non facevano che
scontrarsi, ritrarsi e rincontrarsi, in una danza eccitante e
sensuale come poche. I respiri accelerarono, affannati, ma nessuno
dei due si sarebbe staccato dall'altro: se l'avessero fatto, se ne
sarebbero pentiti amaramente.
Sotto
la sua presa
salda, il nano poteva percepire la stoffa della camicia da notte di
Karin, che molto presto sarebbe scivolata via, essendogli d'impiccio;
si spostò, portandola con sé e facendola
arretrare finché non
incontrò l'ostacolo del letto: continuando a baciarsi la
spinse giù,
verso il materasso. Ora seduta, Karin divaricò
istintivamente le
gambe e scivolò all'indietro, facendosi leva con le braccia
per
permettergli di salire a sua volta e di sistemarsi meglio;
sembrò
quasi che le labbra di Thorin si staccassero dalle sue ma, portando
rapida una mano alla nuca, lo fece riavvicinare: dalla foga
prepotente gli morse il labbro inferiore, ed un basso ringhio gli
salì fino a scontrarsi col suo respiro caldo.
La
piccola stilla di
sangue si confuse con la saliva, mescolandosi e creando una
conturbante sensazione di calore, che si propagò nei loro
corpi come
un incendio di immensa portata. Thorin la fece sdraiare sotto di
sé,
mentre la dita iniziavano ad accarezzare con voluttà le
gambe
piegate; percepì la camicia sbottonarsi, e le dita gelide di
lei che
gli avevano afferrato le spalle forti per sfilarla. L'aiutò,
sollevando a turno le braccia e gettando l'indumento lontano, oltre
il letto: il lieve movimento lo staccò da lei, che
piantò gli occhi
nei suoi, abbozzando un sorriso malizioso quando li fece vagare lungo
il collo, poco sopra la collana luccicante.
<<
Direi che
ho fatto un buon lavoro >> scherzò,
bisbigliando e sfiorando
l'ormai contorno del morso che gli aveva lasciato.
La
guardò,
domandandosi da quanto tempo ricordava quella notte; ma non importava
granché, al momento.
Le
restituì il
sorriso, gli occhi azzurri che brillavano alla luce tremolante delle
candele << Mai quanto il mio >>
mormorò, la voce
profondamente roca e calda; si sporse a baciare il punto, ancora
coperto dalla camicia da notte.
Karin
sospirò
contro i suoi capelli, stringendogli una ciocca per farlo rialzare ed
indirizzarlo verso le sue labbra, coinvolgendolo in un altro bacio
appassionato, mai sazia di lui; gli toccò il petto nudo,
possente e
fiero come lo ricordava, costellato da cicatrici simbolo delle
battaglie combattute. Fremette di piacere, brividi potenti la
scossero: soprattutto quando Thorin incontrò l'orlo
dell'indumento –
davvero poco adeguato, se ne rendeva conto solo ora - alzandoglielo
fino al ginocchio; le mani percorsero ogni centimetro di pelle delle
gambe, ma capiva che non era sufficiente: inebriata e preda di
un'audacia inaspettata, andò alla ricerca dei lacci delle
braghe,
trovandole dopo due tentativi. Con movimenti impazienti
riuscì a
scioglierli, stringendo il tessuto con tanta forza che il nano
credette gliele strappasse di dosso; con un mugugno mal contenuto,
scalciò via quell'ulteriore fastidio, tornando ad aggredire
la pelle
di lei.
Come
quella notte,
Karin sentì la familiare pressione sulla schiena. Gli
circondò il
collo con le braccia, facendogli capire che era pronta: Thorin si
inginocchiò sul materasso, le mani che, ora sotto le sue
cosce, la
condussero ad allacciare le gambe ai suoi fianchi, alzandola e
portandola a sedersi su di lui.
Con
estrema lentezza
le alzò la veste, sfiorandole la pelle calda lungo il
percorso;
Karin socchiuse gli occhi quando gliela sfilò dalla testa,
sospirando non appena le mani vagarono sui suoi seni. Inarcò
la
schiena, facendo scontrare i loro bacini: di nuovo, il gemito
gutturale di Thorin si perse nell'aria, affiancato dal suo. Seguirono
altri innumerevoli baci, carezze prepotenti e altre più
dolci e
delicate, morsi e ansiti più o meno profondi e trattenuti:
ma, per
quanto cercassero di rimanere in silenzio, risultava difficile non
venire travolti da quell'ardore che li aveva presi.
Ben
presto, i loro corpi nudi si riempirono di goccioline di sudore, mute
testimoni della loro passione travolgente; i loro respiri divennero
più brevi, impazienti oltre ogni dire. Thorin non avrebbe
aspettato
oltre, non poteva:
il
bisogno imperioso di prenderla
gli riempì ogni pensiero, ogni cellula, facendogli ribollire
il
sangue.
Karin
teneva gli
occhi chiusi in balia delle emozioni che, come un fiume in piena,
l'invadevano: gli era sottomessa, succube delle sue attenzioni, della
sua frenesia. Del suo amore sconvolgente e intenso.
<<
Guardami >>
ordinò, rauco e sensuale.
La
fece sua non
appena i loro occhi si allacciarono.
Non
appena il loro
orizzonte si dissolse, ed il cielo si fuse con la terra.
Gemettero
in
sintonia, e poi ancora, ancora e ancora, mentre sprofondavano
nell'altro con violenza e trasporto.
Thorin
si inebriò di lei, dell'ebbrezza che leggeva in ogni tratto
di quel
volto accalorato dalla passione che l'aveva stregato così
tanto, di
cui conosceva ogni segreto e del quale, ormai, non poteva
più fare a
meno; vederla così docile
su
di sé, e obbediente,
lo
eccitava
più
di ogni cosa. Lui aveva in mano il potere,
persino
lì: e lei lo sapeva. Come aveva sempre saputo
d'appartenergli. Di
essere sua,
e soltanto sua.
Karin
dovette raccogliere ogni frammento di controllo per non
serrare gli occhi, disobbedendogli:
lo osservò
intensamente, mentre lo sguardo le si velava di passione,
esattamente come lo era il suo; i meravigliosi occhi azzurri, di
solito sempre così rigidi e autoritari, divennero uno
specchio
liquido di piacere. E l'eccitarono,
molto.
Con
uno spasmo
violento, Thorin raggiunse l'apice del piacere; Karin trattenne forte
il fiato, affondando le unghie nella carne delle spalle ed abbassando
e portando avanti la testa quel tanto che le permise di sfiorargli le
labbra, proibendogli però l'agognato avvicinamento.
Lo
torturava, lo
sfidava, sottraendosi a lui sempre un attimo prima:
il saperla
combattiva e indomabile anche mentre facevano l'amore lo divertiva e
innervosiva insieme. Eppure, poco prima, era stato certo della
sua autorità.
Le
spinte irruenti
si quietarono, diventando calme e languide; le mani di Thorin, prima
sui fianchi di lei, si portarono alla schiena, accarezzandogliela: la
pelle, un tempo liscia, era ricoperta dalle cicatrici più o
meno
estese inferte dal maledetto bastardo che l'aveva torturata.
Ne
assaporò una ad
una mentre lei alzò una mano ad accarezzargli la guancia,
scendendo
fino alla linea della mandibola, coperta dalla barba scura; i fiati
ansanti si mescolarono a formarne uno e, finalmente, le palpebre si
chiusero e le labbra si riunirono, suggellando l'appartenenza
all'altro con un bacio dolce e pieno di quel traboccante sentimento
che mai li aveva abbandonati.
Lentamente,
la
riportò verso il materasso, spostandosi dal suo corpo sudato
per
ammirarla ancora una volta; solo ora entrambi si rendevano pienamente
conto del significato e delle conseguenze a cui avrebbe condotto la
loro scelta, così irrazionale e impulsiva, forse dettata da
un
bisogno meramente fisico. Ma, inaspettatamente, Thorin le rivolse un
sorriso sincero e ardente, che unicamente Karin aveva avuto il
privilegio di ricevere: e lei ricambiò, felice come mai in
vita sua.
Non
era stato solo
uno sfogo, di ciò erano certi: semplicemente, era giunto il
momento
di accettare e dimostrare l'amore trattenuto e mai pienamente sopito
dei mesi di viaggio, come se non si fossero mai realmente separati.
Anzi, l'essersi allontanati aveva approfondito ogni singola radice
del loro sentimento, e fatto sì che crescesse sempre
più, arrivando
a mettere da parte l'orgoglio e il risentimento provati.
Thorin
scostò le
coperte, invitandola a sdraiarsi con lui: le cinse le spalle con le
braccia mentre lei poggiò la tempia nell'incavo del collo,
la punta
del naso a sfiorargli il metallo freddo; rimasero in un silenzio non
certo opprimente, tutt'altro. Era placido, ancora impregnato dei
ricordi di pochi momenti prima.
Le
dita di Karin,
ora calde, sfioravano con lentezza il suo torace, seguendo la leggera
peluria nera; sentì una pressione tra i capelli, sorridendo
nel
riconoscere un leggero bacio.
<<
Non credevo
l'indossassi ancora >> ammise, mormorando e toccandogli
delicatamente la collana.
Fortunatamente
non
alzò il volto ad incontrare il suo: negli occhi di Thorin,
infatti,
era passato un lampo di vergogna << Ho provato molte
volte a
sfilarla, ma poi mi fermavo >> affermò
<< Non ne avevo
il coraggio. Ma anche tu l'hai tenuta, a dispetto di ciò che
è
successo >>.
Stavolta
alzò la
guancia dalla sua spalla, appoggiandosi al gomito per guardarlo
<<
Non potevo separarmene. Era l'unico oggetto che mi ricordasse di noi.
Di te >>.
<<
Non un buon
ricordo, dunque >> usò un tono sarcastico,
alzando un angolo
della bocca in un leggero sorriso tirato.
Ma
Karin scosse la
testa con vigore << Erano i più belli, invece.
Rammenti quando
me la donasti? >> sorrise, donandogli pace.
<<
Rimanesti
talmente sorpresa che temetti non ti piacesse; mi arrabbiai,
poiché
spesi ore e ore di lavoro per forgiarla nei minimi dettagli, mettendo
da parte ogni altra questione >>.
<<
Già; e, in
realtà, ebbi quell'espressione perché ne creai
una identica per te
>>.
Il
nano fece
scivolare la mano dalla guancia morbida alla catena argentea,
percependo la consistenza estremamente resistente ma leggerissima del
Mithril, metallo di immenso valore.
<<
Perciò non
sono mai riuscita a lasciarla: avrei dovuto abbandonare
definitivamente il tuo ricordo, e non ne ero in grado >>.
Thorin
l'attirò a
sé, baciandole la fronte e le labbra, relegando l'alterigia
che lo
contraddistingueva per quei pochi attimi, nei quali avanzò
la
richiesta che doveva porle << Dimmelo, Karin: concedimi
il tuo
perdono >> le soffiò, ad un nulla dalla bocca.
<<
Ti ho già
perdonato. Molto tempo fa, ma non volevo ammetterlo >>.
Annullò
la lieve
distanza con un bacio nostalgico ma finalmente libero, che
ebbe il potere di ricongiungerli molto più di quanto
potessero
riuscirci a parole.
Si
separarono,
rivolgendosi un'ultima occhiata prima di distendersi insieme, vicini;
ben presto il sonno li colse e, per la prima volta, non ci furono
incubi di torture, né sogni di rivalsa e di vendetta a
tormentarli:
solo una grande e pacifica quiete.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Oh
oh oh oh, c'è
ancora qualcunoooooooo ;)))??? Ve l'avevo detto che sarebbe servito
il catino raccogli bava :D ahahahaha, scherzi a parte, spero d'essere
riuscita a descrivere tutto come si deve, specialmente attenendomi al
rating della storia: per qualunque lamentela o complimenti (eheheeh,
perdonatemi, ma sono TROPPO esaltata per questo capitolo, è
il mio
preferito ^^!!!) Spero di non esaltarmi per nulla O.o! Cioè,
insomma, io di solito NON riesco a scrivere CERTE SCENE,
perciò dopo
questa sono parecchio soddisfatta; voi fatemi sapere però,
non
tenetemi sulle spine, che ci tengo ai vostri consigli, lo sapete
<3
<3!
Dunque,
ringrazio le
carissime e specialissime Synne, Lady
Daffodil,
jaybeautifldarkangel, vanessa 90, Carmaux,
Lady of the sea,
Yavannah, Krystal91, pamagra, MrsBlack. VI VOGLIO BENE CARE
:*
:*!!!! E grazie anche a quelle che recensiranno più avanti
:D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
P.S.
FINALMENTE CE
L'HANNO FATTAAAAAAAAAAAAAAAA!!! Bwahaahahhahaahha
P.P.S
Scusate la mancanza di decoro, comunque... a breve
pubblicherò
un'altra piccola storiellina sul passato del trio ^^, dal titolo
“Afferra la donna che ami. Tienila
stretta” praticamente
vi ho già spoilerato tutto XD XD! Quindi, tenete d'occhio la
sezione
o cercate nella mia pag qui su efp :D, ma tra un po', sono appena
agli inizi :'(.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo quindici ***
Note
dell'autrice: PERDONATEMI
ç___ç! Non ci sono giustificazioni per l'immenso
ritardo di questo
capitolo, ma sappiate che mi sto odiando dal più profondo
del cuore:
sia per i maledetti inconvenienti della vita che mi sono capitati,
sia per questo capitolo che... mah, mi ha lasciata interdetta e con
l'amaro in bocca. Non ne sono ben soddisfatta, non è che
succeda
granché, è di passaggio!
A
voi il giudizio care, ci leggiamo giù :*
CAPITOLO
QUINDICI
Non
seppe per quale motivo si svegliò ma aprì
debolmente un occhio,
riconoscendo con fastidio la penombra presente: osservando fuori
dalla finestra, notò che era appena spuntata l'alba, anche
se il
sole non era del tutto sorto.
Un
brivido di freddo la percorse e girò il capo dalla parte
opposta,
vedendo Thorin già sveglio, seduto sul bordo del materasso;
le dava
la schiena, e si stava infilando i pantaloni. Si alzò per
allacciarseli, e fu allora che decise di parlare.
<<
Vedo che non hai perso l'abitudine di svegliarti presto
>>
commentò dolcemente, facendolo voltare. Le rivolse un
sorriso,
vedendola stiracchiarsi per svegliarsi meglio.
<<
Preferisco essere mattiniero, dovresti saperlo >> la
guardò,
provando l'irresistibile impulso di baciarla << Dormi,
Karin.
Ancora per qualche ora >> si sentì dire,
invece.
<<
No, io >> non riuscì a finire la frase,
reprimendo uno
sbadiglio con la mano; si mise seduta, reggendosi il lenzuolo al
petto con la mano destra << mi alzo, anzi, torno in
camera: se
mi vedessero uscire da qui... >>.
Thorin
si sedette di nuovo, osservandola attentamente << Non
devi
rendere conto a nessuno. Ciò che fai è affar tuo
>>.
<<
Sei mai stato bersagliato dalle loro
domande inquisitorie? Primi fra tutti i tuoi nipoti: spesso mi
ricordano qualcuno
>>
ridacchiò, lanciandogli uno sguardo eloquente.
Thorin
sorrise e scosse la testa, abbassandosi per raccogliere gli indumenti
rimasti a terra; Karin fu rapida e, liberandosi dal lenzuolo,
avanzò
carponi sul materasso circondandogli il collo con le braccia.
<<
Rimani qui >> la voce, prima calma e tranquilla, divenne
sensuale e carica di desiderio; gli baciò la pelle calda,
spostandosi poi di poco verso l'alto << con me
>> lo
baciò ancora, scostandogli i capelli dal collo e
portandoglieli
all'altra spalla.
Thorin
sentì la pressione dei seni sulla schiena; chiuse le
palpebre,
lasciandosi sfuggire un sospiro esasperato e rassegnato insieme:
dovette rimanere ben presente per non girarsi e assecondarla; lei,
abile tentatrice, sapeva quali corde toccare per farsi obbedire. Lo
conosceva fin troppo bene, in fondo.
<<
Karin, devo
andare. O non risponderò delle mie azioni >>
mormorò, la voce
maledettamente roca.
La
sentì sorridere contro il suo collo per poi baciarlo,
salendo sempre
più verso il lobo dell'orecchio << E' questo
lo scopo >>
rispose voluttuosa, leccandoglielo e mordendolo piano; il nano
espirò, avendo trattenuto il fiato non appena l'aveva
sentita
parlare.
Era
combattuto, tremendamente indeciso e diviso tra la mente e il corpo:
la prima non faceva che ripetergli di alzarsi da lì e
varcare quella
soglia - o sarebbe venuto meno ai suoi obblighi – il secondo,
invece, gli urlava
di
mandare tutto in malora e girarsi, baciarla con trasporto e consumare
ancora la passione ardente che non aveva intenzione di abbandonarlo.
Ma, alla fine, prevalse il buonsenso: seppur odiandosi, le
accarezzò
le dita intrecciate, girando il capo quanto bastava per lanciarle uno
sguardo sfuggente.
<<
Non adesso, devo andare alla forgia; e tu devi prepararti per il
lavoro >>.
Karin
scostò le labbra dall'orecchio, tenendogli comunque le mani
sulle
spalle ampie << C'è ancora tempo, e poi
>> ma si bloccò,
rendendosi conto solo in quel momento della frase rivoltale
<<
Aspetta, ma come fai a saperlo? >> domandò,
accigliandosi.
<<
Le voci corrono molto in fretta: me ne ha parlato il Governatore in
persona, ieri sera. Ma avrei preferito esserne già stato
informato:
detesto rimanere all'oscuro delle novità, specie se queste
riguardano le persone a me care e di cui sono responsabile
>>.
Anche
se parlò con tono di voce monocorde, Karin poté
chiaramente
percepire un rimprovero, e si morse il labbro inferiore
<< Hai
ragione >> ammise, annuendo lievemente <<
però ieri sera
il metterti al corrente non era propriamente il mio primo pensiero
>>
sorrise maliziosa, baciandogli la guancia.
<<
Gradire saperne di più >>.
Il
tono burbero che utilizzò le fece alzare gli occhi al cielo
e
sospirare internamente, ma l'accontentò <<
Lavoro dal
giocattolaio con Bofur e Bifur >>.
Thorin
annuì, forse conoscendo già quel dettaglio
<< Bene. Temevo
fossi sola: non sarei stato tranquillo >>.
<<
Perché mai? >> domandò, curiosa
<< Di cosa avevi paura?
>>.
<<
La debolezza degli Uomini >> ribatté, cupo.
Karin
sbatté le palpebre ed aggrottò la fronte,
perplessa <<
Thorin, so difendermi benissimo, non c'è bisogno di
preoccuparsi >>.
<<
C'è, invece! >> il nano si girò
finalmente tra le sue
braccia, guardandola negli occhi << Un Uomo
può compiere
azioni deplorevoli ben diverse da quelle di Orchi, o Elfi:
più vili
e subdole, e più crudeli
>>.
<<
Quindi dovrei barricarmi in casa e non far niente dalla mattina alla
sera solo per nascondermi agli Uomini? Hai mai pensato che potrebbero
ugualmente raggiungermi quando voi non ci siete? Non è che
la porta
sia molto resistente >> constatò, alzando un
sopracciglio.
Thorin
si rabbuiò, contraendo la mascella: gli occhi si spostarono
dal suo
volto, proiettandosi lungo la camera, guardandola come se volesse
incenerirla; il cuore di Karin si strinse di fronte alla sua
reazione, così premurosa e carica d'amore come quando erano
a
Erebor. Ma non sarebbe mai cambiato: rimaneva comunque fin troppo
geloso e protettivo.
<<
Thorin >> lo chiamò, cercando le parole adatte
per calmarlo;
al suono della voce pacata la guardò, gli occhi azzurri non
più
furiosi e irrequieti << Apprezzo moltissimo tu voglia
proteggermi, lo sai; certo, mi sembra che il tuo preoccuparti sia
eccessivo, ma... >>.
<<
Reputi eccessivo
il bisogno di voler tenere al sicuro la donna che amo? >>
sbottò, infervorandosi.
A
Karin mancò qualche battito, per poi sentire il cuore
accelerare
pericolosamente alla frase: era da così tanto tempo che non
lo
sentiva dire che l'amava, seppur implicitamente; ma le
scaldò il
cuore. Tanto. Troppo.
<<
No, non lo è >> replicò cauta
<< Ma se mi avessi
lasciato finire di parlare, avrei aggiunto che sarei stata attenta e
vicina a Bifur e Bofur: sono validi guerrieri >>.
Capì
di non essere riuscita a rabbonirlo del tutto: lo vide stringere i
denti, e gli occhi si spostarono ancora da lei.
<<
Se non sei del tutto convinto nasconderò un coltello tra le
vesti:
l'avrei chiesto a Fili, ma gli elfi l'hanno privato del suo prezioso
arsenale >>.
<<
Preferirei tenerti con me alla forgia, piuttosto che farti portare un
coltello in una città pacifica che ci ha ospitati
>> commentò,
grattandosi il mento.
Rimase
in silenzio per lunghi secondi ponderando la sua offerta, mentre lei
aspettava trepidante la sua resa; quando espirò di nuovo, le
spalle
si abbassarono, preannunciando la piccola sconfitta del Re sotto la
Montagna.
<<
D'accordo, posso accettare la tua proposta >>
mormorò
stancamente.
<<
Grazie. Ora sei più sereno? >> posò
le labbra sulla spalla,
baciandogliela dolcemente.
Lui
si voltò, accarezzandole una guancia; le fronti si
accostarono e
rimasero a guardarsi negli occhi per alcuni secondi, per poi unire le
labbra in un bacio profondo e possessivo che la lasciò senza
fiato.
La lingua calda e umida di Thorin trovò subito la sua,
intrecciandola con ardore; Karin serrò forte gli occhi,
gemendo
nella sua bocca quando sentì i denti del nano morderle di
poco il
labbro inferiore, e la barba ispida che le grattava la pelle liscia.
Involontariamente, portò le dita ad artigliare una ciocca
nera,
stringendola quando sentì la mano di Thorin cingerle il
fianco.
Col
fiato corto si staccò brevemente da lui, perdendosi
nell'azzurro
delle iridi celanti una profonda delusione << Vai,
altrimenti
sarò io a non rispondere più delle mie azioni!
>>.
Gli
era talmente vicina che i respiri brevi e impazienti si confondevano
tra loro ma, benché entrambi si fossero avvicinati ancora
pericolosamente all'altro dopo la frase, Thorin riuscì a
riprendere
il controllo di sé, spostandosi di poco; le sorrise ancora,
lasciandola col cuore traboccante di felicità: non le
sembrava
reale.
Tutto
ciò che era successo in quelle ore le pareva un meraviglioso
ed
incredibile sogno: quando si era svegliata aveva temuto di trovarsi
nella sua stanza, senza la presenza del nano accanto a sé;
invece si
era dovuta ricredere, con suo enorme sollievo. Era successo davvero,
infine: si erano amati. Si erano ritrovati.
Lo
osservò infilarsi la camicia e la casacca, in totale
silenzio.
Una
volta pronto, si avvicinò di nuovo al materasso,
sovrastandola con
la sua altezza << Passa da me oggi pomeriggio. Ti
darò ciò
che serve >>.
Karin
annuì e lui si abbassò ancora, posandole un dolce
bacio sulla
fronte; poi se ne andò, lanciandole un'ultima occhiata prima
di
chiudersi la porta alle spalle. Ora sola, Karin espirò,
ributtandosi
sul materasso testimone della loro passione, ancora impregnato dei
ricordi e degli odori della notte precedente: le venne naturale
sorridere, mentre il cuore non faceva che martellarle senza sosta.
Nonostante
i molti e dolci pensieri non l'abbandonassero mai, affiancati da un
bisogno
impellente
di fuggire dalla bottega per precipitarsi alla forgia e ripetere
ciò
che era accaduto quella notte, Karin lavorò alacremente
tutto il
giorno, cercando di concentrarsi sul lavoro affidatole dal
giocattolaio o, in sua assenza, da Bofur; spesso alzava lo sguardo,
puntandolo verso la finestra ed il cielo azzurro che si scorgeva.
Quando
ricordava di sbattere le palpebre, però, si dava della
stupida e,
scuotendo la testa, tornava alle sue faccende. Bofur aveva notato
quel comportamento, giudicandolo strano.
Avrebbe
voluto porle qualche domanda, ma poi lasciava perdere: probabilmente
si sarebbe seccata e non gli avrebbe risposto, limitandosi a
lanciargli un'occhiataccia.
Quel
giorno aveva terminato presto di intagliare un cavallo a dondolo, ma
non vi era alcun bisogno di decorarlo; così, si era acceso
la sua
pipa, aspirando ampie boccate e facendo storcere il nano alla
ragazza.
<<
Bofur, potresti evitare? Non ho ancora fumato da quando sono stata
meglio >>.
<<
Crisi d'astinenza? >> chiese lui, ridacchiando sotto i
baffi.
Karin
annuì, guardandolo di sfuggita << Non sai
quanto! Devo
comprarmene una al più presto. Comunque, è molto
poco professionale
fumare durante l'orario di lavoro, per di più in bottega
>> lo
riprese, anche se scorse un leggero sorriso sulle labbra rosee.
<<
Ha ragione, mia
signora !
>> esclamò, venendo trafitto da uno sguardo
gelido <<
Vorrà dire che me ne andrò fuori >>
detto questo di alzò,
uscendo dalla porta del retrobottega.
Karin
non fece in tempo a sentirsi sollevata per la solitudine che il
campanello trillò, e sentì dei passi fermarsi;
lasciò da parte il
lavoro e andò in negozio, trovandovi una giovane donna dai
lunghi
capelli castani e grandi occhi verdi: non vi erano dubbi nei
lineamenti, pareva la versione più adulta della piccola
Alhena.
Si
squadrarono brevemente, la nana con un sorriso appena accennato in
volto, l'altra parecchio perplessa e stupita nel trovarsela di
fronte; ma, infine, accennò la medesima espressione,
avvicinandosi a
lei.
<<
Perdonatemi, mia signora: sono venuta a pagarvi il lavoro per la
bambola di mia figlia >> esordì, abbassando il
capo; frugò
tra le pieghe del vestito, probabilmente alla ricerca del piccolo
gruzzolo: e infatti lo trovò, accuratamente avvolto in un
sacchetto
di velluto grezzo.
<<
Non ce n'era bisogno, davvero! >> replicò
Karin, con un secco
cenno del capo << Mi ha fatto piacere poter aiutare
Alhena:
dopotutto, era un piccolo strappo, un lavoro da nulla >>
tentò
di dissuaderla, ma la donna non si scoraggiò, allungandole
quasi fin
sotto il naso il sacchetto tintinnante.
<<
Vi prego, accettatele: non mi sentirei tranquilla sapendo che vi
debbo dei soldi >>.
Il
tono ammetteva davvero pochissime repliche, perciò Karin si
ritrovò
a sospirare, capendo che il volerla farla desistere era una battaglia
persa.
<<
D'accordo, se insistete >> disse, sconsolata: le dita si
strinsero al sacchettino e, per un breve attimo, si sfiorarono con
quelle dell'umana.
Girandosi
per appoggiarlo sul bancone di legno, Karin percepì le
continue
occhiate curiose della donna, che mai l'abbandonavano:
iniziò a
spazientirsi, ma rimase in silenzio e perfettamente composta,
aspettando che se ne andasse; ma non accadde.
<<
Sapete, in giro non si parla d'altro che di voi: è raro
poter vedere
una donna dei nani >> il tono risultò quasi
indifferente, ma
si poteva distinguere bene una nota d'eccitazione: ella sapeva
perfettamente d'essere la prima e l'unica abitante di Esgaroth ad
essere riuscita a parlarle. E questo, in qualche modo, la riempiva di
orgoglio.
<<
Di solito cerco di evitare di mostrarmi troppo >>
commentò
Karin, alzando le spalle << Un accorgimento tipico delle
femmine naniche >>.
L'altra
annuì, come se fosse già a conoscenza del fatto
<< Ho sentito
che i nani sono molto gelosi delle loro donne: deduco quindi che
siate sposata o, comunque, fidanzata >>.
Karin
si concesse un lieve sorriso mesto << No, affatto
>>.
<<
Non siete nemmeno legata a qualcuno della Compagnia? Oh, perdonatemi!
La mia era una domanda inopportuna! >> si
affrettò a scusarsi,
notando lo sguardo della nana, a suo dire molto scocciato dalla
frase: al contrario, dopo lo stupore iniziale, Karin aveva accennato
una espressione divertita << E' che... vi invidio molto.
Siete
libera di viaggiare lungo la Terra di Mezzo >>
esalò
lievemente.
Karin
drizzò le spalle, guardandola con le sopracciglia alzate:
oh, se
solo avesse saputo a che prezzo aveva pagato la sua libertà!
<<
Preferireste abbandonare la vostra famiglia, girovagando lungo lande
sperdute e desolate con scarso cibo, senza riparo ed inseguita dagli
Orchi? >> domandò, ben scettica sulla
prospettiva della donna;
quella, come previsto, sgranò gli occhi chiari, incredula:
cosa si
aspettava, la sua benedizione? Credeva sul serio si trattasse di una
semplice scampagnata?
<<
Orchi?
>> domandò, preoccupata.
<<
Già. Non siamo proprio ben amati: poco prima di giungere qui
eravamo
prigionieri degli Elfi Silvani di Bosco Atro. La nostra non
è
propriamente una passeggiata di piacere >>
replicò duramente,
di fronte a quello sbigottimento innaturale e infantile,
tipico
della gente spensierata che viveva sotto una campana di vetro: per
certi aspetti le ricordò molto la vecchia Karin, la figlia
del
Consigliere e l'abitante di Erebor.
<<
Ma se desiderate tanto viaggiare e visitare altri luoghi,
perché non
informate vostro marito? Certo, in queste zone non vi sono altre
città, tranne le Montagne dei Nani, ed essi sono fin troppo
gelosi
dei loro luoghi: vi toccherebbe percorrere molte leghe >>
constatò, attorcigliandosi una ciocca tra le dita.
L'altra
l'ascoltò pensierosa, scuotendo poi la testa
<< Mio marito non
può lasciare il lavoro alla forgia. E poi, tra pochissimo
nascerà
il nostro secondo figlio >> si toccò il
ventre, facendole
notare solo allora la rotondità che si celava sotto lo
strato della
veste.
<<
Congratulazioni! >> esclamò Karin,
rivolgendole un gran
sorriso.
Che
l'altra faticò a riportare << Spero tanto sia
un bel
maschietto; quando nacque Alhena, Renal ne fu felicissimo, ma so
che
desidera un bambino >> gli occhi, persi in un punto
indefinito
del pavimento di legno si spostarono, come a ricordarle che vi era
un'estranea di fronte a lei << Oh, vi chiedo perdono, mia
signora! Avrete di certo faccende ben più importanti a cui
pensare,
che ascoltarmi >>.
<<
Nessun disturbo, anzi! >> dichiarò Karin,
sorridente <<
Se lo volete, potete venire a farmi visita ogni giorno, alla stessa
ora: devo confessarvi che mi mancava terribilmente dialogare con una
donna!
Sapete, tutti quei maschi... >> lasciò la
frase in sospeso,
facendole intuire quanto potesse essere stata dura da sopportare.
Ridacchiarono
entrambe, poi l'altra annuì << Mi farebbe
molto piacere, ne
sarei onorata. Vi ringrazio >>.
<<
Non c'è di che. Anzi, dovete perdonarmi perché
non mi sono
presentata ufficialmente: Karin >> le tese la mano
destra, alla
quale si aggiunse immediatamente la sua.
<<
Eliese >>.
Scambiarono
ancora qualche battuta e poi si salutarono, tornando alle rispettive
mansioni: Karin si sentì inaspettatamente felice di fronte a
quell'inizio di amicizia; certo, non avrebbe potuto conoscere una
donna così... diversa da lei, opposta nel carattere. Ma ne
fu
contenta: come le aveva confidato, si era sentita incompleta,
mancandole una presenza femminile al fianco per molti anni;
precisamente da quando Dis se n'era andata.
Si
rabbuiò, mentre la mente la riportava ad annegare nel
passato,
ancora una volta: ma, per fortuna, non vi erano più i
pensieri
dolorosi riguardanti Thorin. Con lui si era risolta ogni questione.
Eliese
tornò a farle visita nel pomeriggio e, dato che Karin era
era
riuscita a portarsi a buon punto col lavoro, chiacchierarono a lungo,
conoscendosi reciprocamente: la prese subito in simpatia e, da quel
che ne dedusse durante lo scambio di opinioni, non era propriamente
una ragazza circondata da amiche con cui parlare, e di questo se ne
dispiacque perché, tutto sommato, era davvero una brava
persona –
seppur con la testa perennemente tra le nuvole; purtroppo
però
dovette congedarsi verso sera, ricordandosi dell'impegno preso con
Thorin.
Percorsero
un breve tratto di strada insieme, passeggiando lentamente data la
condizione della donna, per poi separarsi: ella si diresse verso la
propria abitazione, mentre Karin si camminò lungo il pontile
che
conduceva alla forgia.
Sembrò
quasi che l'aria si surriscaldasse man mano si avvicinava: le
orecchie vennero raggiunte dal suono martellante e dai colpi tonanti
dei martelli sull'acciaio, i piedi si mossero più veloci,
nel
tentativo di raggiungere in fretta la soglia.
Di
raggiungere Thorin.
Finalmente
arrivò, arrestandosi di botto: era passato così
tanto tempo
dall'ultima volta in cui aveva messo piede in una fucina, che
ricordava a stento la calura presente.
Fece
vagare lo sguardo all'interno, scorgendo Kili e Fili in un angolo,
intenti ad immergere utensili roventi nell'acqua, creando schizzi e
sbuffi: non si accorsero di lei poiché le mostravano le
ampie
schiene nude e sudate, mentre il costante martellare avrebbe potuto
coprire facilmente ogni suono, ogni richiamo; fece saettare gli occhi
verso la fonte del rumore, trovandolo: in un angolo remoto della
bottega stava Thorin, oltremodo concentrato nel suo lavoro.
Al
contrario dei nipoti non le dava le spalle, permettendole
così una
visuale del volto serio e sporco di fuliggine nera, grazie alla quale
i suoi occhi azzurri risaltavano come gemme preziose; i capelli neri
erano raccolti mollemente in una coda, dalla quale le due treccine ai
lati della testa erano riuscite a sfuggire. Il torso nudo pareva
brillare, dato il sudore che percorreva la pelle e le fiammelle
vivide dei bracieri presenti nella stanza; i pettorali si tendevano,
ogni suo muscolo guizzava, animato di vita propria, specialmente
quando faceva calare il grosso martello sulla lama incandescente -
posta sopra l'incudine - e poi lo rialzava fin quasi sopra la testa,
abbattendolo ancora a cadenza regolare.
Non
fece caso al fiato che le mancò di fronte alla sua vista, ma
permise
ad un sorriso di incresparle le labbra quando, con un moto d'orgoglio
che le infiammò le vene, si rese conto del forte sentimento
provato
nei suoi confronti: il fiero, autoritario e orgoglioso Re dei Nani
era suo.
Thorin
era suo, e suo soltanto.
Incrociò
le braccia al petto e si morse il labbro inferiore, contrastando
l'impulso di corrergli incontro: si erano accordati di comportarsi
normalmente, come se nulla fosse accaduto; impresa piuttosto ardua,
dal momento che, in casa, i loro occhi non facevano che cercarsi
senza sosta.
Thorin
smise di picchiare, abbandonando il martello sul tavolo e passandosi
un braccio sulla fronte sudata; casualmente alzò lo sguardo,
accorgendosi subito della sua presenza, così fuori tono
nella
fucina: le lanciò un'occhiata, le iridi azzurre brillarono
così
intensamente da farle salire un calore inaudito dal basso ventre al
petto.
<<
Karin, che sorpresa! >> esclamò Fili,
venendole incontro: non
avendo più sentito i colpi tonanti, infatti, i fratelli
avevano
spostato la loro attenzione verso il punto in cui guardava lo zio,
scorgendo la figura familiare della ragazza, appoggiata allo stipite
della porta con una espressione strana
sul
bel volto.
<<
Ragazzi >> li salutò, non appena furono
abbastanza vicini.
<<
Come mai da queste parti? >> volle sapere Kili, cercando
di
passarle un braccio sporco e sudato sulle spalle, gesto prontamente
schivato.
<<
Le ho detto io di venire >> intervenne Thorin, pulendosi
le
mani su uno straccio già lercio; mantenne un'espressione e
un tono
di voce neutri, nonostante lo sguardo tutt'altro calmo dei nipoti,
che sgranarono gli occhi di fronte alla confessione.
Allibiti,
spostarono il capo verso di lei, che annuì solamente senza
dire
nulla.
<<
Oh >> fu tutto ciò che riuscì a
dire Kili, compiendo un passo
indietro dalla ragazza: improvvisamente gli era parso totalmente
sbagliato aver provato ad abbracciarla, o comunque attirarla a
sé.
Impacciato
e silenzioso scoccò un'occhiata al fratello, in disagio
quanto lui,
seppur più contenuto: alzò brevemente le spalle,
cercando una
qualche scusa per lasciarli soli; ma non ce ne fu bisogno.
Dalla
porta sul retro emerse un uomo alto e muscoloso, piuttosto giovane e
attraente; Karin lo squadrò mentre lui fece altrettanto,
avvicinandosi al gruppetto.
<<
Mia signora >> salutò con lieve inchino, a cui
lei rispose
subito << Renal, al vostro servizio >>
pronunciò,
lasciando che alcune ciocche castano scuro gli coprissero gli occhi.
<<
Karin, al vostro >>.
Annuì
come se sapesse ogni dettaglio, per poi rivolgersi ai giovani Durin
<< Ragazzi, avrei bisogno del vostro aiuto giù
al molo. Se per
voi va bene, mio signore >> aggiunse, guardando Thorin.
Lui
annuì, e Karin poté sentire chiaramente i
fratelli sospirare
sollevati << Naturalmente >> concesse.
<<
A più tardi >> li salutò lei, con
un cenno della mano; i due
la guardarono, sorridendole leggermente e poi seguirono l'uomo fuori,
lasciandoli soli.
Con
un unico e fluido movimento si girò di scatto, portando una
mano
alla nuca del nano per attirarlo a sé in un bacio a dir poco
appassionato: le dita strinsero convulsamente la coda, sfilandogli
l'elastico con movimenti decisi. Invase con prepotenza la sua bocca,
sentendolo gemere dapprima sorpreso, seguito da un basso ringhio di
piacere; il calore della fucina e del suo corpo le mozzò il
respiro
già corto, soprattutto quando venne imprigionata dalle
braccia forti
e solide del nano.
Non
si curò del torace sudato premuto contro il suo vestito,
delle mani
sudice tra i suoi capelli o della barba ispida che puzzava di fumo;
ciò che contava era sentirlo aderire a lei con furia,
annegare nelle
sue labbra e nel desiderio
crescente:
si strinse ancora più a lui, aggrappandosi alle spalle nude
e
scivolose, mentre la sua presa sui fianchi diventava prepotentemente
serrata, tanto da farle male.
Mugugnò
ma non si fermò, preda d'una eccitazione senza limiti: aveva
atteso
questo momento per tutta la giornata, tenendo a freno la
necessità
di incamminarsi verso la fucina per dare sfogo alla sua lussuria.
Alla
loro
passione.
Sentì
il volto di Thorin scivolarle dalle sue mani, le labbra si staccarono
appena; con fastidio aprì gli occhi, notando quelli
dell'altro già
aperti, intenti a scrutarla attentamente ma increduli in
profondità.
<<
Karin, non è il momento >> si costrinse a
dire, cercando di
risultare determinato nonostante il tono di voce tradisse l'esatto
opposto << qualcuno potrebbe entrare >>.
Lei
piegò la bocca in un ghigno malizioso, percorrendo con un
dito i
pettorali e scendendo giù, sugli addominali: lo
sentì inspirare
leggermente, poi alzò lo sguardo ad incontrare il suo,
avvicinandosi
ancora alle labbra.
<<
Che guardino
>>.
Stavolta
non ebbe bisogno di chiedere alcun permesso, poiché le
labbra di
Thorin erano già schiuse, pronte ad accoglierla: il bacio
divenne
passionale e languido fin da subito, ogni gesto bruciava sulle loro
pelli, riuscendo ad oltrepassare il tessuto dei vestiti; i respiri
divennero ansimanti e brevi, la temperatura della bottega
sembrò
aumentare vertiginosamente, dando loro alla testa.
Capitava
raramente di vedere Karin così audace e assennata, ma non
gli
dispiaceva, tutt'altro; era da un bel po' di tempo che non si
comportava in quel modo.
Senza
rendersene conto la condusse al primo tavolo, facendole battere la
parte bassa della schiena contro il legno: con una mano le cinse la
vita, mentre l'altra la portò al piano, artigliandolo con
forza;
continuò a baciarla come se da questo dipendesse la sua
stessa vita,
percependo la costrizione dei pantaloni farsi tremendamente
fastidiosa, specialmente quando sentì la mano di Karin
abbassarsi
sempre più verso la stoffa delle braghe.
Non
credendoci, fece saettare la mano verso la sua, bloccandogliela prima
che potesse sciogliere i lacci: la sentì staccarsi e,
aprendo
nuovamente gli occhi, la vide guardarlo con la fronte aggrottata,
stupita dell'interruzione.
Le
accarezzò una guancia e, al contatto, lei abbassò
le palpebre
assaporandolo appieno; sospirò appena, talmente piano che
Thorin
credette d'aver udito male.
Quando
i pozzi neri si riaprirono sbatté un attimo le palpebre,
tornando in
sé: le guance si tinsero un po' di rosa al ricordo della
smania che
l'aveva stretta ma, nonostante ciò, si leccò il
labbro inferiore in
un gesto meravigliosamente erotico e inebriante che ebbe quasi il
potere di distoglierlo dai suoi propositi.
Quasi.
Anche
Karin alzò una mano ad accarezzargli la guancia, muovendo
lentamente
il pollice lungo la barba, sfiorandogli le labbra: Thorin non le fu
mai così grato, benedicendo il tocco delicato dopo tante ore
di duro
e faticoso lavoro.
<<
Mi sei mancato >> gli sussurrò semplicemente.
Thorin
la guardò, esprimendo con lo sguardo ciò che non
avrebbe ammesso a
parole; Valar, se le era mancata! Il suo pensiero non l'aveva
lasciato nemmeno un attimo, facendolo ardere di rabbia per non
poterla raggiungere e di incessante bramosia non appena ripensava
alla notte trascorsa, e alle molte altre che avrebbero passato
insieme: l'averla stretta l'aveva ripagato dell'attesa, concedendogli
un breve premio per la pazienza, un delicato e sensuale trofeo che
unicamente lui aveva il privilegio di reclamare.
<<
Vieni >> la prese per mano, conducendola alla sua
postazione,
dove campeggiava un pugnale dalla lama sottile e perfettamente
affilata; Karin lo osservò ammirata, sfiorando la guardia
ricurva
verso l'interno e la manicatura d'acciaio nera, terminante in un
pomolo semicircolare: lo impugnò, constatandone la
leggerezza.
<<
Come lo senti? >>.
<<
Bene >> rispose seria << Si adatta
perfettamente alla
mano, ed è molto leggero >>.
Lo
mosse in avanti, facendo ruotare il polso per accompagnare il
movimento, il tutto sotto lo sguardo attento e vigile di Thorin,
impegnato ad osservare le sue espressioni soddisfatte.
<<
Ricorda la consistenza di Iris >> mormorò lei,
lanciandogli un
breve sguardo.
Thorin
annuì piano, d'accordo << Ho cercato di
renderlo il più
possibile somigliante alla spada: spero d'essermi ricordato bene
>>.
<<
Altroché! >> ammise lei, rivolgendogli un
ampio sorriso; poi,
veloce com'era arrivato, si spense << E' proprio
necessario? >>
domandò ancora una volta, sperando di fargli cambiare idea.
Il
re, però, fu irremovibile << Ne abbiamo
già discusso, mi
sembra. Per la tua incolumità è meglio
così >> ribatté, non
facendo caso al profondo sbuffo spazientito della ragazza.
<<
Secondo me esageri >> protestò debolmente,
portando le mani
sui fianchi.
<<
Può darsi >> disse, cercando di non sbottare
in una risata di
fronte allo sguardo imbronciato di Karin << O forse no,
chi può
dirlo: di certo non voglio scoprirlo. Mi sentirei sollevato sapendoti
armata; non potrò sempre proteggerti, Karin >>.
Lei
aprì la bocca per ribattere che sapeva cavarsela
egregiamente da
sola, visto che ci era riuscita per molti anni durante l'esilio, ma
si trattenne: proprio ora che ogni faccenda si era sistemata, il
rivangare il passato non aiutava di certo; sarebbe stata una vera
carognata ricordargli la decisione nefasta.
<<
Ti prego, non discuterne ancora. Lascia almeno che il pensiero
dell'arma mi tranquillizzi >>.
Il
tono di Thorin la fece tacere del tutto; sospirò, passandosi
una
mano tra i capelli, scompigliandoli un poco << Occupo
così
tanto la tua mente da non lasciarti pace? >> la sua era
una
domanda retorica, poiché sapeva perfettamente quanto fosse
vera, in
realtà: eppure era sempre incredula di fronte a questa
consapevolezza.
Lui
le si avvicinò di un passo: i corpi si sfiorarono
nuovamente, così
come i loro volti, pericolosamente vicini << Esattamente
>>
bisbigliò roco, ad un soffio dalle sue labbra rosee
<< perciò
fa' come ti dico >> ordinò, allontanandosi
mentre lei cercava
di baciarlo.
Karin
si ritrovò ad annuire, maledicendo poi la sua profonda
volubilità;
assottigliò lo sguardo di fronte all'evidente compiacimento
del
nano, soddisfatto d'essere riuscito nell'impresa: lui aveva ordinato,
lei aveva obbedito.
Come
doveva essere.
Come,
in realtà, non era mai.
Borbottando,
cercò la piega della tasca nascosta che aveva creato
appositamente
durante la mattina, trovandola quasi subito: infatti, l'aveva posta
in un punto facilmente raggiungibile, che non sarebbe stato
d'impiccio se si fosse trovata in difficoltà.
Poi
lanciò a Thorin uno sguardo di sfida, alzando le
sopracciglia.
<<
Contento? >> chiese, ironica.
Thorin
evitò di roteare gli occhi di fronte alla sua
caparbietà, annuendo
solamente << Non sai quanto >>
replicò con lo stesso
tono, incrociando le braccia al petto muscoloso.
Si
squadrarono ancora ma poi Karin spostò la testa altrove:
Renal era
entrato di fretta, agitato come non mai.
Aveva
spalancato la porta con così tanta foga da farli sobbalzare
e
ringraziare internamente per essersi bloccati poco prima e non essere
andati oltre,
come avrebbero voluto.
Gli
occhi erano febbrili e preoccupati, tremendamente agitati: saettarono
prima verso Thorin e poi si spostarono rapidi verso il volto di
Karin.
<<
Mi... mia signora, presto! >> urlò, respirando
affannosamente.
Karin
guardò Thorin, nervosa, ma poi si concentrò
sull'uomo, che tentava
di prendere fiato dopo la lunga corsa.
<<
Mia moglie! Sta per partorire, e chiede... chiede di voi! Per favore,
venite!!! >>.
La
ragazza sentì le labbra schiudersi dalla sorpresa, e gli
occhi si
sgranarono disorientati.
Oh,
Valar!
Rimase
ferma, mentre brividi di gelo le scendevano lungo la schiena, ben
diversi da quelli provati minuti prima; forse aveva capito male,
Renal non
poteva
averle detto...
<<
Mia signora, vi prego! >> continuò ad urlare
l'altro,
scioccato e disperato << Mia moglie...! >>.
<<
Facci strada! >> ordinò perentorio Thorin,
prendendo in mano
le redini della situazione; aver acconsentito sembrò placare
in
parte il fabbro che, ora più rincuorato, annuì
solamente, pallido
in volto e sudato.
Nel
frattempo, il nano aveva stretto il braccio a Karin - che non aveva
ancora proferito parola – stringendoglielo piano per farla
tornare
padrona di sé: gesto alquanto vano, vista la paura folle che
le
aveva afferrato la bocca dello stomaco.
Era
nel panico, totalmente e completamente sconvolta; gli bastò
uno
sguardo per capirlo, unito al tremore incessante del corpo.
Ma
non si fece impressionare, portandola fuori alla luce della luna e
delle lanterne accese: seguirono l'uomo lungo pontili nascosti,
inoltrandosi nella città sull'acqua; sembrò loro
di non raggiungere
mai la casa, e questo diede l'opportunità a Thorin di porre
alcune
domande alla ragazza.
<<
Come conosci sua moglie? >>.
Karin
impiegò qualche secondo ad assimilare la frase, biascicando
una
risposta sconnessa << E' venuta... oggi, a pagare per la
bambola... quella della figlia! Abbiamo parlato per ore, l'avevo
presa in simpatia, diceva... diceva anche che ero l'unica sua...
amica
>>
fece una smorfia, anche se le sembrò ingiusto
<< ma non
sapevo
che... partorire adesso,
io... oh, Thorin! >> gemette, quasi sul punto di
scoppiare a
piangere: evidentemente non sapeva né come né
dove sbattere la
testa.
Finalmente,
Renal si fermò, aspettandoli sull'uscio finché
non gli si
affiancarono: solo allora aprì la porta, entrando nella
piccola sala
da pranzo; su una sedia a dondolo vi era Alhena, che stringeva la
stessa bambola di quel giorno: non appena li vide saltò in
piedi,
correndo incontro al genitore con gli occhi colmi di lacrime.
<<
Tesoro, la nutrice è arrivata? >> volle sapere
Renal,
preoccupato.
La
bambina, fortunatamente, annuì, sollevando il morale del
gruppo.
<<
Torno subito! >> disse l'uomo, per poi precipitarsi al
piano
superiore, saltando alcuni gradini nella corsa; ora soli, e vedendo
la piccola piangere, Karin sembrò riscuotersi. Con immensa
gioia di
Thorin.
Si
abbassò quel poco che le permise di guardarla negli occhi, e
l'attirò a sé in un abbraccio consolatorio,
cercando di mostrarsi
più sicura di quello che in realtà non era
<< Su, Alhena, va
tutto bene: non sei felice? Sta per arrivare un fratellino, o una
sorellina >>.
<<
Ma la mamma non fa che urlare! >> singhiozzò,
artigliando il
vestito di Karin con le piccole mani chiuse a pugno <<
Continua
a dire che è troppo presto!
>>.
Karin
alzò lo sguardo verso Thorin, leggendovi un leggero allarme:
lo
stesso che provava lei. Non erano buone notizie.
Deglutì,
anche se la gola era maledettamente secca; accarezzò i
lunghi
capelli castani della bambina, venendo folgorata da un'idea; si
costrinse a sorridere e a mostrarsi allegra, cercando con gli occhi
quelli del nano, volendo esporgli il piano.
<<
Non temere, sono certa che non è nulla di preoccupante! E
poi c'è
anche la nutrice, e lei sa come comportarsi, di sicuro!
>> non
aggiunse “al
contrario di me”: non
serviva agitarla ulteriormente.
<<
Senti un po', perché non vai a chiamare il tuo
papà? Devo
chiedergli una cosa >>.
Alhena
annuì, cercando di asciugarsi i segni del pianto; fece una
smorfia
in risposta al sorriso rassicurante di Karin e, pian piano,
salì le
scale.
<<
Non può rimanere qui >> constatò
Thorin, senza staccare gli
occhi di dosso dalla figura tormentata della nana; lei
annuì, lieta
che avesse compreso il problema.
E
vi era solo una soluzione, sempre che non venisse smentita dal padre.
Karin
si strinse nelle spalle e incurvò la schiena, tornando
spaventata
come prima: le si avvicinò e l'abbracciò,
cercando di consolarla e
calmarla. Le accarezzò i lunghi capelli ribelli, sapendo che
il
gesto l'avrebbe aiutata a sentirsi meglio; infatti, dopo poco, la
sentì sospirare affranta.
<<
Thorin? >> chiamò, la voce attutita dal
tessuto della casacca
marrone contro la sua bocca.
<<
Mmh?! Dimmi >> rispose, posandole un bacio sul capo.
<<
Non credo di farcela! Io... non ho mai assistito ad un parto, non ho
idea di cosa bisogna fare! Pagherei oro
per
avere un orchetto tra le mani, o un mannaro da squartare con Iris!
Io... io... >> balbettò, impacciata.
Thorin
trattenne una leggera risata, ascoltandola: di certo non avrebbe mai
dubitato della veridicità delle sue parole; conoscendola,
era sicuro
che avrebbe preferito rischiare la vita con l'amata spada in pugno
piuttosto che su un letto ad assistere una donna gravida.
Per
questo, e per molte altre cose, l'amava così tanto.
Portò
l'indice sotto il suo mento, alzandole il volto finché gli
occhi
impauriti non si incatenarono ai suoi; aveva la fronte aggrottata e
si mordeva il labbro, chiari segni di nervosismo.
<<
Sono certo che ce la farai; hai affrontato situazioni ben peggiori
>>
disse, cercando invano di farle ritrovare la sua sicurezza.
<<
Che rifarei immediatamente >> esclamò agitata,
spostando lo
sguardo dal suo viso.
<<
Guardami, Karin >> ordinò, stringendole di
poco il mento <<
ora tranquillizzati o non aiuterai nessuno, benché meno te
stessa >>
dichiarò, con voce più dura di quel che avrebbe
voluto; ma, se non
fosse riuscito a smuoverla, avrebbe perseverato.
Lei
espirò a fondo senza mai staccare gli occhi dai suoi,
cercando di
trarne la forza necessaria per affrontare quelle lunghe ore:
annuì,
girandosi e sciogliendosi dalla presa di Thorin quando rumori di
passi affrettati raggiunsero le sue orecchie; Alhena stava scendendo,
accompagnata dal padre.
<<
Renal >> chiamò lei, il tono ora
più sicuro e non più
tremante, che rese Thorin orgoglioso << avete altri
parenti a
cui poter affidare Alhena? Non le fa bene rimanere qui >>.
Ma
l'uomo scosse la testa << No, purtroppo >>.
<<
Lo immaginavo. Allora permettici di accompagnarla dai nostri compagni
>> si bloccò, poiché Alhena
iniziò a piangere ancora,
aggrappandosi al genitore
<<
No papà, voglio rimanere qui! Per favore! >>
piagnucolò.
Karin
le mise una mano sulla spalla, cercando di confortarla <<
Non
devi avere paura, ti tratteranno splendidamente! Sono molto
simpatici, specialmente il signor Baggins; è uno hobbit, una
razza
diversa da tutte le altre, molto educato e gentile! Scommetto che ti
divertirai molto, invece >>.
La
bambina smise di piangere, sgranando gli occhi verdi quando
sentì
nominare Bilbo: Karin seppe d'aver fatto leva sulla sua
curiosità,
ma la piccola non era ancora del tutto convinta; lanciò una
rapida
occhiata all'imponente e severa figura di Thorin, per poi tirarle la
manica e farle cenno di allontanarsi e abbassarsi un poco,
così che
potesse parlarle all'orecchio.
<<
Non voglio andare con lui, mi fa paura >>
sussurrò, facendola
sorridere.
<<
Non devi preoccuparti, non ti farà del male: lui
è il capo della
nostra Compagnia, nonché Re dei Nani di Erebor. Ti
proteggerà,
trattandoti come una principessa >> la vide sgranare gli
occhi, felice della notizia.
Questo
sembrò smuoverla e, decisa, annuì, avvicinandosi
a Thorin.
Renal
la guardò spaesato – poiché non aveva
colto il dialogo - ma
intervenne il nano << La scorterò
personalmente, non temere: i
nostri compagni sono nani validi, ai quali affiderei la mia stessa
vita >>.
Le
parole ebbero il potere di riscuoterlo << D'accordo, vi
ringrazio >> chinò il capo, mentre dal piano
superiore un urlo
li fece spaventare.
<<
Sarà meglio che vada >> dichiarò
Karin, girandosi a lanciare
uno sguardo d'intesa verso Thorin.
Nella
confusione che ne seguì, il nano riuscì a
bisbigliarle che sarebbe
tornato immediatamente, subito dopo aver portato Alhena a casa.
Lei
annuì, per poi schizzare rapida su per le scale; ora soli,
Renal si
concesse un momento con la figlia, raccomandandole di comportarsi
bene ed essere educata; poi si passò una mano tra i capelli,
seguendola con lo sguardo finché non sparì dietro
a Thorin.
“Sarà
una lunga nottata”
pensò, dopo aver tremato al suono dell'ennesimo urlo.
Alhena
non era pratica su come venisse trattata una principessa, ma di certo
non con quella freddezza e lieve distacco che mostrava il re; non
aveva fiatato per buona parte del viaggio, costringendola a porre
domande alle quali giungeva una risposta secca o un cenno del capo.
Strinse ancora di più la sua bambola – Karin
– cercando un po'
di conforto e, inevitabilmente, ripensò alle condizioni
della madre
e a ciò che le aveva detto la nana; eppure non
poté fare a meno
d'arricciare il naso di fronte alla paura che provava.
<<
La mamma morirà? >> sussurrò nella
notte frizzante e
silenziosa.
Thorin,
che le camminava al fianco, abbassò lo sguardo sul suo capo
<<
No, non accadrà: di lei se ne stanno occupando la nutrice e
Karin. È
solo un parto, nulla di più >>
decretò, svoltando lungo un
pontile.
Alhena
si sentì leggermente meglio, ma vi era una domanda che
continuava a
premerle nella mente, una di quelle che non ti abbandona
finché non
la poni.
<<
Tu sai da dove è venuto il fratellino? Mamma e
papà non mi hanno
mai risposto! >>.
Il
tono innocente con cui lo chiese sconvolse Thorin più di
ogni altra
cosa: si sentì tremendamente in imbarazzo, riuscendo a
celarlo alla
perfezione dietro la solita maschera glaciale e autoritaria; per
Durin, che avrebbe potuto risponderle?
<<
Te lo spiegheranno i tuoi genitori a tempo debito >>
replicò,
evitando di guardarla; la sentì sospirare, mentre il
silenzio
tornava ad avvolgerli.
Mantenendosi
per poco.
<<
Karin ha dei bambini? >> domandò, alzando la
testa verso di
lui.
<<
No >>.
<<
E perché? >>.
Thorin
si fermò, le mani strette a pugno e gli occhi ridotti a
fessure; si
stava spazientendo e arrabbiando ed Alhena pensò che, forse,
era
stata decisamente
inopportuna:
anche se non ne capì il motivo.
Deglutì
e abbassò la testa, rimanendo zitta ed aspettando che
riprendesse a
camminare per seguirlo a sua volta, lasciando qualche passo a
dividerli.
Nel
frattempo, Thorin cercava di munirsi di tutto l'autocontrollo
possibile; quella ragazzina non poteva sapere ciò che
avevano
passato, quali ostacoli insormontabili si erano frapposti alla loro
felicità e, ora che erano finalmente riusciti a superarli,
non erano
del tutto liberi:
Erebor
lo chiamava insistentemente da quando erano giunti ad Esgaroth, e non
avrebbe avuto pace finché Smaug fosse rimasto in vita e lui
avesse
recuperato il suo tesoro. Fintantoché non si fosse seduto
sul trono
appartenuto a suo nonno.
Benedì
il momento in cui scorse la casa a due piani e le luci che
provenivano dall'interno: si fermò sulla soglia, attendendo
che gli
si affiancasse per bussare e, quasi immediatamente, la porta si
aprì
rivelando la faccia preoccupata di Bilbo.
<<
Oh, finalmente! >> esclamò, guardandolo
<< Stavamo per
venire a cercarvi! >>.
<<
Non occorreva >> commentò asciutto Thorin,
alzando le
sopracciglia di fronte alla sua immobilità.
Bilbo
si spostò per farlo entrare e fu allora che scorse la
bambina,
impegnata a squadrarlo dalla testa riccioluta ai piedi pelosi
– e
fu lì che sbarrò gli occhi, incredula.
Le
sorrise brevemente, a disagio, per poi presentarsi <<
Benvenuta! Bilbo Baggins, al tuo servizio! >>.
La
ragazzina, nonostante la curiosità e le parole amichevoli si
intimidì, nascondendosi dietro Thorin quando gli altri nani,
sentendo la voce profonda del loro re, raggiunsero l'atrio: rimasero
ben stupiti nel vederla, ma il re spiegò la situazione,
presentandola; tutti fecero grandi inchini e le rivolsero i loro
più
cordiali sorrisi o, nel caso di Dwalin, l'occhiata meno truce che
riuscì a produrre.
Bofur
si fece immediatamente avanti, agitando il cappello per salutarla:
Alhena si tranquillizzò nel vederlo e fece un gran sorriso,
specialmente quando il giocattolaio le posò il proprio
cappello
sulla testa; l'atmosfera si rasserenò e in un batter
d'occhio la
piccola Alhena si trovò circondata dai nani, che
l'accompagnarono in
sala con gran schiamazzi e risate.
Solo
Dwalin e Balin rimasero lì, attendendo che Thorin parlasse
<<
Se la piccola dovesse addormentarsi, portatela nella stanza di Karin:
io ora torno da lei >>.
<<
Come stava? >> chiese Balin, con la fronte leggermente
aggrottata.
<<
Meglio, anche se ancora scossa: probabilmente ora sarà
terrorizzata
>>.
<<
Oh bé, un piccolo inconveniente ci voleva: eravamo fin
troppo
tranquilli per i miei gusti! E fai bene ad andare da lei, ragazzo
>>
asserì il vecchio nano senza nascondere un sorriso
soddisfatto <<
poter vedere qualcuno di familiare dopo un'esperienza del genere
conforta molto >>.
Thorin
annuì, lanciando un'occhiata a Dwalin, perennemente
impassibile.
Sospirò,
passandosi una mano sul volto stanco che desiderava solo una carezza
da Karin; ma quella sarebbe stata una lunga notte, e doveva essere
più lucido e sveglio che mai, almeno per lei.
<<
A più tardi, dunque >>.
<<
A dopo. O a domani mattina >> salutò Balin,
con un gran
sorriso.
Thorin
fece un cenno col capo a Dwalin – che ricambiò
– per poi
chiudersi la porta alle spalle e percorrere la stessa strada di
prima, venendo inghiottito dall'oscurità.
<<
Hai mangiato? >> domandò Bilbo ad Alhena,
sorridendole
apertamente.
Lei
negò col capo, troppo intimidita da tutti quegli estranei
per
parlare: erano ben diversi dal taciturno e scontroso Thorin che, bene
o male, le ispirava un forte senso di protezione e sicurezza; ed
erano anche molto lontani dalla figura di Karin: essendo una femmina,
era molto più facile per lei capirla e prenderla subito in
simpatia.
<<
Vieni in cucina: ci troveremo sicuramente Bombur che si ingozza!
>>
proruppe Bofur, prendendola per mano << E Bilbo ti
preparerà
qualcosa di molto buono, sicuro! Vero Bilbo? >>.
<<
Altroché! >> esclamò lo hobbit.
Si
mise immediatamente all'opera, dopo aver scacciato malamente Bombur
che, come previsto dal fratello, era impegnato nello spuntino serale;
una volta che il tutto fu pronto e servito a tavola, sotto lo sguardo
affamato e sbalordito dell'ospite, finalmente lei parlò.
<<
Ma... è tutto per me? >>.
<<
Dèi celesti! >> esclamò Bilbo,
contento e stupito insieme <<
Certo che sì! >>.
Rimasero
a guardarla mentre ingoiava tutto di gusto e, tra un boccone e
l'altro, parlava senza sosta << Karin aveva ragione
quando
diceva che eri un bravo hobbit, e gentile >> disse,
pulendosi
la bocca con un tovagliolo; fece un timido sorriso, ricambiato.
<<
Oh, grazie. Sei molto educata >>.
<<
Ehi, abbiamo un'ospite? >> la voce di Fili li raggiunse
e, poco
dopo, la sua figura entrò nel campo visivo della bambina,
facendole
sgranare gli occhi verdi. Lo guardò talmente tanto e
intensamente
che il nano si accigliò, iniziando ad imbarazzarsi.
<<
Sì, è una piccola amica di Karin >>
disse Bombur, finendo di
masticare un pezzo di formaggio.
<<
E' la figlia di Renal >> dichiarò Kili,
stravaccato sulla sua
sedia; si sporse verso Ori, intento a scrivere sul suo diario di
viaggio e, rapido come un fulmine, riuscì a strapparglielo
dalle
mani e a lanciarlo verso il fratello che, stupito, riuscì
comunque
ad afferrarlo, mentre le proteste del giovane nano vennero
prontamente coperte dalle risate del minore Durin.
Fili
lo sfogliò, strabuzzando gli occhi e scoppiando in una
grassa risata
quando lesse le rune; Bofur e Kili si alzarono e si avvicinarono,
incuriositi, seguendo subito l'esempio del nipote maggiore. Bilbo e
Bombur alzarono un sopracciglio, mentre Ori divenne della stessa
tonalità di un pomodoro.
<<
Ecco spiegato perché non chiedevi quasi mai a Bilbo di
portare dei
messaggi, là nelle segrete degli Elfi! >>.
<<
Giuro, se non l'avessi letto non ci avrei mai creduto! Hai capito
Ori... >>.
<<
Ragazzi, per favore >> gemette l'interessato
<<
Ridatemelo >>.
<<
Ma neanche per sogno! Questo ce lo vogliamo leggere tutto: magari
contiene qualche altra sorpresa! >>.
<<
Vi assicuro di no >>.
<<
Ma cosa c'è di tanto interessante? >> chiese
Bilbo, alzandosi
e venendo seguito da Alhena; riuscì a scorgere qualcosa, ma
erano
segni incomprensibili, che non riusciva a decifrare.
<<
Meglio se non guardi, piccola Alhena! >>
esclamò Bofur,
coprendo le pagine con la mano.
<<
Tanto non può leggerle, sono in nanico! >>
ribadì Fili,
spostando l'arto del giocattolaio per continuare a sfogliare.
<<
Che ha scritto? >> richiese Bilbo, curioso.
<<
Tutte imprecazioni verso gli elfi, alcune piuttosto pesanti!!!
>>
i nani scoppiarono ancora a ridere e anche lo hobbit
partecipò, non
credendo che un giovane nano timido e discreto come Ori potesse agire
in tale maniera; l'unica perplessa era Alhena, che non capiva la
ragione dell'ilarità.
<<
Cosa sono le... imprecazioni? >>.
Questo
bastò a smorzare il sorriso dei presenti.
<<
Brutte parole, che non si dovrebbero dire! >> si
affrettò a
spiegare Bilbo << Perché, ehm... non vieni di
là in sala? Ti
racconto qualche bella storia >> propose, cercando di
distoglierla dall'argomento.
Lei
annuì, guardando poi Fili << Può
venire anche lui? >>
domandò con un filo di voce, indicandolo e lasciando gli
altri
interdetti.
<<
Oh, bé... ehm, Fili? >> chiese Bilbo.
Kili
diede una pacca al fratello, un sorriso sornione sulle labbra
<<
Qui abbiamo fatto colpo, mi pare >> sussurrò,
beccandosi
un'occhiataccia.
<<
Sì, certo >> acconsentì lui,
sorridendo alla bambina.
Si
spostarono nell'altra stanza, sedendosi tutti sulle poltrone
imbottite poco lontane dal fuoco e, talmente presi dalle parole di
Bilbo e dal fumo delle loro pipe accese, non si accorsero dello
scambio di battute tra Balin e Dwalin, appoggiati alla ringhiera
della scala di legno, alcuni metri più in là.
<<
Ricorda la piccola Karin, non trovi? >>
domandò Balin con voce
affettuosa, mentre osservava la bambina cambiare velocemente
espressione ad ogni parola di Bilbo.
Dwalin,
al contrario, grugnì parecchio infastidito <<
Ecco perché hai
quell'espressione adorante, fratello; e se la marmocchia ne venisse a
conoscenza, potrebbe volgere la situazione a suo vantaggio. Come fece
Karin >>.
<<
Sai molto bene che non andò così, fratello
>>
commentò il maggiore, lanciandogli un'occhiata torva dal
basso della
sua statura.
Dwalin
si morse la lingua, prevedendo l'arrivo della strenua difesa nei
confronti dell'esiliata.
<<
Karin non ha mai volto
la situazione a suo vantaggio.
Non ne ebbe motivo: tutti ne eravamo affascinati, se ben ricordi; era
raro per una nana non possedere baffi o barba, e la mancanza si
è
rivelata una maledizione e una benedizione insieme. I suoi primi anni
ad Erebor non furono propriamente una passeggiata, ma per fortuna
incontrò te e Thorin >>.
<<
Se non le avesse parlato non l'avrei mai conosciuta >>
disse,
stringendosi nelle spalle ampie, con un tono che fece chiaramente
intendere quanto l'idea fosse stata sbagliata.
<<
Vero. Ma l'hai sempre considerata una sorella >>
constatò
piano Balin, alzando un sopracciglio.
<<
Tempo fa >>.
Balin
sospirò pesantemente << Thorin ha messo da
parte il passato,
Dwalin, anche se fai di tutto per non accettarlo. Perché non
liberi
te stesso iniziando da capo, e la perdoni? >>.
Il
guerriero non rispose, spostando lo sguardo altrove tranne che sul
viso di Balin; per un lungo momento si posò su Alhena,
trascinata
dall'euforia e dalle risate di qualche storia buffa raccontata da
Bombur e Bofur. Qualche volta la vedeva lanciare brevi occhiate a
Fili, vedendole brillare gli occhi verdi: esattamente come quando
Karin guardava Thorin.
<<
Sarà difficile >> borbottò, senza
rendersene conto: stupito
dalla frase si incollerì, schioccando la lingua
<< Lo so bene
che Thorin l'ha perdonata da tempo, mi basta guardarlo negli occhi
per capirlo; ma Balin, rammenti la disperazione
nella
quale versava subito dopo l'esilio? Era irriconoscibile
>>
ricordò, duro come la roccia.
<<
Brutti momenti per tutti >> ammise il fratello, annuendo
<<
specialmente per lui. Seguirono anni bui e ardui, nei quali temetti
che non sarebbe mai riuscito a superare il dolore. Per fortuna il
carattere orgoglioso e fiero l'ha aiutato, ed ora è riuscito
a
riconquistare la felicità perduta: dovresti sostenerlo ed
esserne
felice, in quanto suo migliore amico; anzi, loro
amico >>.
<<
Al momento, l'unica cosa che vedo quando guardo Karin è
l'angoscia
nel volto di Thorin: per questo mi viene così difficile
perdonarla
>>.
<<
Capisco. Bé, ti ci vorrà solo un po' di tempo,
tutto qui. Sono
certo che tornerà tutto come prima, vedrai >>
gli batté una
pacca affettuosa sulla spalla, la bocca piegata in un sorriso, al
quale l'altro rispose a fatica.
Poi
Balin si portò in sala, sedendosi accanto a Gloin e Oin, che
conversavano con i più giovani e con la piccola Alhena.
Dwalin
rimase in disparte, ascoltandoli cantare e ridere, mentre il cuore
gli si stringeva debolmente ripensando al discorso; era vero,
più
guardava quella ragazzina e più il pensiero e i ricordi
della
piccola Karin gli invadevano la mente: gli parve di rivederla nella
sua stanza, o lungo gli ampi corridoi di Erebor, intenta a
nascondersi da loro, la risata gioiosa e contagiosa che la
contraddistingueva.
E,
suo malgrado, si ritrovò a sorridere spontaneamente.
“Non
farò mai figli”
Questo
fu il primo pensiero che riempì la mente di Karin: insomma,
non
c'era nulla di più straziante nel sentire una donna
– ed ora amica
– urlare incessantemente, preda di dolori talmente forti da
risultare indescrivibili; la presa vigorosa sulle sue mani era nulla,
paragonabile alla contorsione delle viscere e al battito cardiaco
accelerato che percepiva ogni qual volta Eliese gridava.
Fortunatamente
la nutrice le aveva ordinato di inginocchiarsi dietro per sostenere
la testa della donna, così era riuscita ad avere una visuale
limitata – anzi, pressoché nulla – su
ciò che stava accadendo.
Dopo
altri incitamenti lanciò l'ultimo urlo, il più
temibile e
spaventoso di tutti, seguito dal vagito stridulo del piccolo, tra le
braccia della nutrice: a Karin sembrò di respirare dopo una
lunga
apnea, e sgranò gli occhi alla vista dell'esserino ricoperto
di
sangue, che agitava i pugnetti chiusi per aria.
<<
Eliese, congratulazioni! >> esclamò,
stringendo le dita
intrecciate con quelle della neo mamma; la sentì ansimare
forte ma
rise comunque, contagiando anche la nana.
<<
Mia signora, presto! Pensate voi a pulire il piccolo, e portatelo dal
padre >>.
Karin
si sentì sprofondare << Co...cosa? Io? Ma...
>>
balbettò, mentre i brividi gelati tornavano a tormentarla
<<
Va bene >> si decise, dopo la lunga occhiata dell'anziana
donna, che non ammetteva repliche.
Si
alzò, avvicinandosi: timorosa, prese in braccio il bambino,
constatando con gioia che era un bel maschio, seppur ancora sporco e
raggrinzito; deglutendo e cercando di essere il più delicata
possibile lo pulì con un panno e dell'acqua tiepida,
lavandolo dalle
incrostazioni. Al contatto iniziò ad agitarsi, aprendo la
bocca
rossa in un piccolo pianto calmato ben presto dalla ragazza, sempre
più nel panico.
Lo
cullò brevemente, ammirandolo estasiata tra le sue braccia;
senza
rendersene conto si ritrovò alla porta, aprendola piano:
fuori,
scorse Renal e Thorin, che scattarono in piedi non appena la videro.
<<
Congratulazioni >> la voce le uscì tremante e
commossa, mentre
parlava al fabbro << è un bel bambino, sano e
forte >>.
Gli
sfuggì qualche lacrima, ammirando il suo secondogenito con
un
sorriso talmente orgoglioso
e
paterno
che
anche Karin si commosse, lieta d'aver partecipato a quella piccola ma
immensa gioia.
<<
Mio figlio >> disse, tra le lacrime.
Lei
annuì, tendendogli il fagottino << Tuo figlio
>>.
Renal
lo prese in braccio e il piccolo si mosse, quasi percependo la
presenza di suo padre; il fabbro la guardò, annuendo
<<
Grazie, mia signora. Per tutto. E grazie anche a voi >>
disse,
accennando un inchino a Thorin; poi entrò nella stanza,
andando a
salutare la moglie e a godersi il piccolino.
Karin
si morse il labbro inferiore, mentre un'assurda voglia di piangere
premeva per uscire: improvvisamente sentì due braccia forti
avvolgerle i fianchi, il petto di Thorin aderì alla sua
schiena e il
suo mento si poggiò sulla spalla. Le sfuggì un
singhiozzo e si
portò la mano alla bocca, cercando di placarsi: ma non vi
riuscì,
l'emozione fu incontenibile, l'agitazione si disintegrò
lasciandola
spossata ed esausta.
Tremava,
grosse e calde lacrime salate le scivolavano sulle gote, cadendo a
terra; Thorin strinse la presa, facendole capire che non era sola,
che lui era lì per lei e non se ne sarebbe andato.
<<
Karin >> la voce, insopportabilmente roca, le giunse
vicinissima: il fiato caldo le solleticò il collo, facendosi
strada
tra i capelli mossi.
La
mano libera volò sulle sue, saldamente intrecciate sul suo
stomaco:
gliele strinse, grata, ma il pianto non voleva fermarsi. Aveva
bisogno di tempo, di sfogarsi.
Si
girò tra le sue braccia, trovandolo a pochi centimetri dal
suo volto
stravolto; quello di Thorin era mortalmente preoccupato e gli occhi
azzurri, di solito limpidi e freddi, erano adombrati e seri, perfino
dispiaciuti; uno sguardo che l'addolorò più di
tutti gli altri
pieni d'odio che le aveva rivolto all'inizio.
Desiderava
così tanto fermare quei singhiozzi violenti, quelle lacrime
che non
smettevano di scorrere! Invece, da quando aveva abbassato le difese,
molte immagini avevano trovato ampio spazio nella sua mente: la
figura indistinta di sua madre Sena, quella così lontana del
padre
Kario, benché fosse rimasto con lei anche dopo l'esilio.
Perfino
Thorin, che aveva giurato
di
proteggerla e le aveva dichiarato il suo amore, alla fine, l'aveva
abbandonata; e il pensiero degli anni che avrebbero potuto
condividere insieme, formando poco per volta una vera famiglia,
la
trascinò nella tristezza e nell'amarezza più
profonda.
Forse
era questo a rattristarla così tanto, non avrebbe saputo
dirlo.
Si
asciugò le lacrime con stizza, sfregandosi la pelle; il
repentino
cambiamento d'umore disorientò Thorin, ma non disse nulla.
Solo, si
limitò a posare la fronte sulla sua, in quel gesto pieno di
sottintesi che era sempre stato presente tra loro: bastava quello per
calmarli, per capirsi.
<<
Torniamo a casa >> disse lei, staccandosi in tutta fretta
senza
guardarlo negli occhi.
<<
Sì >>.
Si
mosse per primo, Karin lo seguiva a mezzo passo di distanza; per
tutto il viaggio rimasero in silenzio, ciascuno perso in pensieri
più
o meno sofferti.
Quando
due colpi rumorosi alla porta giunsero alle sue orecchie, Bilbo corse
ad aprire, e fece entrare Thorin e Karin: le rivolse un sorriso, ma
si spense subito quando notò sul suo volto i segni del
pianto; gli
occhi neri erano liquidi e arrossati, così come il naso e le
guance.
Pensò al peggio, al fatto che, forse, la piccola Alhena non
avrebbe
trovato un fratellino tornando a casa.
Forse
nemmeno la madre.
<<
Dunque? Quali notizie? >> chiesero gli altri, agitandosi
sulle
poltrone.
Alhena
balzò in piedi, gli occhi chiari che sfrecciavano
preoccupati sul
volto dei due nani: Karin sorrise debolmente, annuendo.
<<
E' un fratellino, Alhena. Ora sei una sorella maggiore >>
decretò, per poi volgere un'occhiata agli altri
<< Scusatemi,
ma credo che me ne andrò a dormire: è stata una
serata estenuante.
Buona notte Alhena. Ragazzi >> senza attendere una
risposta si
girò, lasciando gli altri a dir poco perplessi dalla
freddezza con
cui aveva parlato: ma non commentarono, capendo che doveva essere
veramente esausta.
<<
Fili, Kili, portate la bambina a casa >>
ordinò Thorin,
spezzando il silenzio.
Alhena
fu ben felice della notizia, anche perché aveva preso in
simpatia i
due fratelli, reputandoli divertenti e simpatici; però le
dispiacque
per una persona.
<<
Può venire anche il signor Bilbo? >>.
Thorin
la studiò in silenzio, lo sguardo freddo e distaccato
<<
D'accordo. Ma dovresti prima chiedergli cosa ne pensa: non è
bene
imporre a qualcuno delle scelte solo per un tuo capriccio
>>
dichiarò, facendola vergognare.
<<
Oh, ma certo che verrò! >> s'intromise Bilbo,
spazzando la sua
infelicità << E grazie per la proposta
>> le fece un
buffo inchino, per poi battere le mani.
Aspettarono
che la bambina salutasse tutti, ringraziandoli per
l'ospitalità e la
bella serata e poi, finalmente, ogni nano si ritirò nelle
proprie
camere, soddisfatti d'aver conosciuto quella piccola peste, ma anche
mortalmente distrutti e spossati.
Solo
uno si appoggiò alla pietra del caminetto della sala,
osservando il
fuoco scoppiettare e crepitare debolmente, le fiamme che si
riflettevano sugli occhi.
Perso
nei suoi pensieri non si rese conto dell'arrivo di un suo compagno ed
amico, finché questi non gli posò una mano sulla
spalla; solo
allora si riscosse, restituendo al sorriso del vecchio nano un altro
più tirato e stanco.
<<
Tutto bene, ragazzo? >>.
Thorin
impiegò qualche lungo minuto, indeciso sulla risposta:
infine optò
per una parte di verità << Ho solo bisogno di
un letto, Balin.
È stata una lunga giornata >>.
<<
Ne sono consapevole. Però la mia domanda si riferiva ad
altro >>
disse, alzando le sopracciglia.
<<
Ah sì? Allora perdonami, ma non sono riuscito a cogliere
l'argomento
>> ribatté il re, guardandolo di sfuggita.
<<
Cosa è accaduto con Karin? E non rifilarmi la solita frase
“è
solo stanca”, perché so
che è una menzogna; un parto non può averla
mutata e scossa così
profondamente, tanto da cancellarne la felicità di questi
giorni >>.
Il
re fece saettare lo sguardo sul volto dell'anziano nano, turbato.
Felicità.
Una
parola che riuscì a scuotere profondamente il re, e far
sogghignare
il suo consigliere.
Possibile
sapesse?
Thorin
indietreggiò, iniziando a camminare nervosamente, le mani
giunte
dietro la schiena << Non so cosa sia successo
>> esalò
lentamente, passandosi una mano sulla fronte, preda di troppi
pensieri ingarbugliati e contorti.
<<
Quella
è un vero mistero, lo sappiamo bene >>
intervenne Dwalin,
comparso sulla soglia della sala; era appoggiato allo stipite, gli
occhi ridotti a fessure e i muscoli tesi, come se il solo pensare
a
Karin gli facesse salire la bile << e non so con quale
convinzione cerchi di difenderla >>.
<<
Convinzione? >> disse sprezzante Thorin, iniziando a
percepire
un calore rabbioso allo stomaco << Sai quanto ci tenga e
quanto
sia stata – ed è tutt'ora
–
importante per me >>.
<<
Se dovesse tradire ancora la tua fiducia? >>
rincarò
cocciutamente il guerriero.
<<
Non lo farà >> replicò duramente
Thorin, ben convinto della
frase.
<<
Lo farà, invece, prima o poi: e quando avverrà,
ti ritroverai
devastato e ferito. Secondo me sprechi il tuo tempo >>.
<<
No, Dwalin. Per tutti questi anni ho sprecato
il mio tempo, il nostro,
convinto com'ero della sua colpevolezza. Ed ora, temo per il futuro
che ci si prospetta davanti: il pensiero di perderla ancora, e forse
per sempre, non mi dà pace; nemmeno quando la stringo tra le
braccia
>> confessò, ammettendo il sentimento che
voleva
disperatamente nascondere agli altri, reputandolo un segreto da
custodire gelosamente solo con lei;
si odiò e si fermò, stringendo la mano destra a
pugno: gli occhi si
rabbuiarono e divennero quasi più scuri, mentre il volto
rifletteva
l'angoscia e il tormento che lo dilaniava.
Balin
mosse un passo verso di lui, posandogli una mano sul braccio con fare
paterno, ben felice delle parole appena udite << Non le
accadrà
nulla, Thorin. La Compagnia veglierà e proteggerà
>>.
<<
Che speranze abbiamo contro un drago?
>> intervenne minaccioso Dwalin, rimasto zitto durante lo
scambio di battute tranne che per qualche sbuffo spazientito e
scettico << Saremo vulnerabili tanto quanto lo
sarà lei! >>.
Thorin
aprì la bocca per ribattere, improvvisamente furioso, ma
venne
preceduto << Ci aiuteremo a vicenda, come abbiamo sempre
fatto!
>> proruppe Balin, mentre la pelle gli si chiazzava di
rosso,
chiaro segno che aveva appena superato la soglia di sopportazione.
<<
Dov'è finito l'amico leale, il fratello che Karin
considerava tale?
Non ti vergogni, Dwalin? Se... >>.
<<
Ora calmati, Balin >> intervenne Thorin, con un semplice
sussurro che ebbe il potere di zittirlo << Non serve
alzare la
voce in questo modo, amico mio: tuo fratello ha solo una visione
diversa dalla tua, e dalla mia. Dagli tempo >>.
Balin
lo guardò stralunato, chiedendosi come potesse mantenere la
calma
quando il suo migliore amico disprezzava la donna che amava e non
approvava l'idea di una loro riconciliazione: eppure, osservandolo
attentamente, poteva ben scorgere quanto questo lo distruggesse. Era
riuscito finalmente a ritrovare Karin e, ora, rischiava di perdere
Dwalin.
Quanto
ancora avrebbe dovuto lottare per poter essere sereno?
Si
calmò, annuendo solamente; Thorin piegò un angolo
della bocca in un
lieve sorriso, aumentando di poco la stretta sull'avambraccio, che il
vecchio nano ricambiò.
<<
Credo sia meglio andare a riposare, e lasciarci questa giornata alle
spalle >>.
Una
proposta che venne accolta all'unanimità.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Approfitto
di nuovo
per scusarmi con tutte voi per l'immenso ritardo, e per avervi dato
questo capitolo – a mio parere – molto nonsense:
non so, non
riesco a trovare la logica in tutto ciò
ç___ç! Boh! Però mi sono divertita
veramente tanto a scrivere la parte nella forgia, anche se non
combinano nulla ;) : ma pazientate, perché arriveranno i
fuochi d'artificio nel prossimo :D :D!!!
Ah, comunque
sappiate che, probabilmente sempre dal prossimo, i nostri eroi
ripartiranno
per proseguire il viaggio: e chi ha letto il libro sa cosa li
aspetta :( !
Non so se esserne
eccitata o spaventata... un po' tutte e due O.o!!!
Dunque,
ringrazio
le carissime e specialissime Synne,
Lady
Daffodil,
jaybeautifldarkangel,
vanessa 90, Carmaux, Jackie, Lady Guns56, Ele Vera, Lady of
the
sea, Yavannah, Krystal91, pamagra, MrsBlack. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!! Sper di non aver dimenticato
nessuna!
E grazie anche a quelle che recensiranno
più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
P.S. Ringrazio le
ragazze per il supporto morale!!! Voi sapete chi siete ;)))
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo sedici ***
Note
autrice: Buonsalve
ragazze, visto che rapidità ^^?? Mi stupisco anche io :P!
Preparate
i vostri ormai affezionati catini, che dovete utilizzare subito ;)!
Stavolta penso d'essermi impegnata un po' di più, comunque
per
coloro di voi che sono minorenni non dovrebbero esserci problemi: non
so precisamente quanto possa spingermi o meno nella scrittura, e
credo d'essermi mantenuta sul livello del rating arancione;
però, se
avete qualche lamentela, NON esitate a dirmelo, d'accordo? Anzi, se
avete anche qualche suggerimento su fin dove possa scrivere per
sfruttare al meglio il rating, bé.. ben venga :D
In
ogni caso, spero
che anche questo capitolo vi piaccia XD!!!
Ci
leggiamo giù
care :*
CAPITOLO
SEDICI
Un
fruscio, poi un altro e un altro ancora, mentre gli abiti vengono
sfilati e lasciati a terra.
I
respiri si confondono e si alternano a mugugni e gemiti rochi,
finalmente liberi di riempire l'aria della stanza.
Piccoli
brividi percorrono le membra, la pelle d'oca compare su braccia e
gambe.
Le
labbra si staccano a baciare la pelle nuda, la lingua lascia scie
umide muovendosi verso il basso: giù, sempre più
giù, nel
desiderio più nero e abissale.
Con
un gomito, si puntella sul marmo freddo per alzare il busto; rotea
gli occhi verso il soffitto, trattiene il respiro, grugnisce un poco:
inarca la schiena sotto le sue attenzioni, la mano destra si insinua
tra la chioma scura e stringe una ciocca, in balia del piacere che
arriva a potenti ondate.
Inebriati,
schiudono gli occhi, guardandosi intensamente: azzurro e nero si
confondono. Cielo e terra. Luce e oscurità.
Altri
baci sfuggenti, altre carezze languide e delicate si aggiungono: il
ringhio eccitato raggiunge le orecchie, le perfora.
I
muscoli si contraggono, la pelle è di fuoco, la carne brucia.
Risale
leccando il basso ventre, si ferma a torturare l'ombelico: un nuovo
sospiro, passa a baciare il petto, accarezzandolo anche con le mani.
Arriva
finalmente al collo, trattiene un lembo di pelle tra i denti, succhia
con ardore, gemono entrambi.
Infine
torna con sensualità sulle labbra, baciandole.
<<
Apri >>.
L'ordine
viene eseguito subito, le dita corrono sulla superficie della
manopola, la girano: lo scroscio d'acqua è gagliardo, inonda
i loro
corpi, attutisce i gemiti e gli ansiti che non riescono a fermare.
Scosta
alcune ciocche dal volto e le porta dietro le orecchie per
approfondire il bacio, l'acqua sale di livello e raggiunge i fianchi:
la pelle si riempie di goccioline, le mani vagano sul torace e lungo
il collo; si fermano sulla nuca, perdendosi tra i capelli.
Le
cosce sono morbide sotto le sue carezze, risale ai glutei, li
stringe; rovescia la testa all'indietro, si arrende ai suoi morsi,
alla sua voluttà, alla sua passione: le dita artigliano le
spalle,
si muovono sulla schiena.
Gli
sguardi si cercano ancora, perché non possono farne a meno:
si
studiano, si saziano dell'altro, ammirano ogni più piccolo
particolare; tutto si congela per un attimo, immobile.
Solo
i respiri affannati e brevi hanno il permesso di esistere.
Poi,
rapido com'è venuto, tutto passa.
La
lussuria li riaccoglie, li brama: così come i loro corpi.
Thorin
si stacca dal bordo della vasca e, con un brusco movimento in avanti
del busto, la fa indietreggiare fino all'altro capo di marmo.
Karin
trattiene il fiato sentendo il freddo marmo a contatto con la
schiena, senza curarsi dell'acqua increspata che in alcuni momenti
trabocca sul pavimento; le braccia avvolgono il collo, le labbra si
uniscono ancora a quelle sottili del nano.
L'acqua
continua a scorrere, così come la passione nelle loro vene:
si
mescola al sangue facendolo ribollire; il calore incessante non
dà
loro tregua, il basso ventre non fa che bruciare, piacevolmente
doloroso.
Con
un gesto rude, Thorin allunga il braccio ad arrestare il flusso,
senza dividersi da lei. Non può.
Mentre
una mano si posa sulla guancia, l'altra scende e si immerge
nell'acqua: geme rocamente quando le sfiora l'interno coscia e,
piano, le allarga le gambe.
Karin
inspira e mugugna nella sua bocca, elettrizzata; il corpo divampa,
preme di più su quello di Thorin.
Non
riesce a resistere, non può.
Vuole
di più.
Le
lingue si uniscono, si intrecciano, scappano e si ricongiungono,
senza fermarsi: desiderano trovarsi.
Sono
al limite, lo sanno. Lo sentono.
È
tempo di arrestarsi e prepararsi per ciò che
avverrà a breve.
Si
separano e aprono gli occhi, specchi liquidi di piacere mal
trattenuto, pozze in cui annegare.
Thorin
guarda le sue labbra tumide e rosse, le sfiora con le sue, poi con le
dita; le mani si portano giù e accarezzano la schiena e i
fianchi
morbidi, senza mai interrompere il contatto visivo. Le stringe la
carne morbida dei glutei, la sistema meglio facendola scivolare di
poco in avanti, verso il suo corpo possente.
Lei
lo guarda assorta, rapita da ogni tocco, ogni carezza lieve o
irruente; le dita della mano destra lambiscono la treccia al lato del
volto, l'attorcigliano debolmente poiché sente le sue grandi
mani
accarezzarle i seni: le sfugge un gemito e fa ciondolare il capo di
lato, inspira e serra le palpebre quando percepisce il tocco umido
delle labbra sulla pelle calda, in un eccitante contrasto con l'acqua
che li avvolge.
<<
Thorin >> un lieve richiamo, un sussurro appena
percettibile.
Lo
guarda negli occhi, supplichevole.
Si
rialza e le poggia una mano sull'anca, l'altra stringe il bordo
gelido della vasca; lei allaccia le gambe ai suoi fianchi, pronta e
impaziente.
L'acqua
schizza in ogni dove sotto le spinte impetuose: il dolore si mescola
al piacere intenso e travolgente, i gemiti si fanno acuti e alti,
incontenibili.
Le
menti si svuotano, ogni pensiero viene annullato dalla libidine.
Il
volto di Karin è piacevolmente arrossato, gli occhi sembrano
ancora
più neri, profondi e magnetici: lo attira a sé,
gli sussurra
nell'orecchio; lui, con un ghigno compiaciuto, aumenta il ritmo.
I
bacini si scontrano e si allontanano man mano che la furia li
ghermisce, che l'emozione incontenibile si sprigiona: si muovono in
sintonia, la pelle si tende per poi rilassarsi brevemente,
riprendendo daccapo.
Le
artiglia la nuca tirandole indietro il collo liscio, espone la pelle
rosata: lecca e succhia forte, le fa male, la sente contrarsi sotto
di lui. Attorno a lui.
Le
unghie graffiano la schiena, ringhia e la stringe, la schiaccia e le
toglie il respiro.
Le
spinte diventano più rapide e brevi, agitate e imperiose.
Con
un suono cavernoso e rauco, che pare salire dal basso ventre alla sua
gola, finalmente Thorin si perde in lei; chiude le palpebre dinanzi
al piacere assurdamente potente: lei inarca la schiena, si morde con
forza il labbro inferiore, si aggrappa alle spalle con tutta la forza
che possiede e che l'amplesso le concede.
I
respiri affannati e i gemiti li avvolgono, lo sciabordio dell'acqua
ronza nelle orecchie.
Thorin
non si ferma, continua a muoversi ma rallenta il movimento; assapora
l'incavo del suo collo, segue la lieve sporgenza della clavicola fino
alla spalla e la bacia piano, dolcemente. Karin serra le gambe contro
i fianchi, appoggia il mento sulla scapola di lui, i capelli le
solleticano la fronte e il naso, la inebriano col loro odore: glieli
sfiora mentre preme poco la bocca sulla guancia.
Gli
accarezza i pettorali, scende verso lo stomaco: le labbra, al
contrario, baciano la tempia e si spostano di lato, sulla palpebra.
Si
guardano, persi negli occhi ancora appannati e lucidi,
meravigliosamente soddisfatti.
Un
leggero sorriso increspa le bocche, accresce quando si avvicinano e
annullano la breve distanza con un bacio dolce e calmo, privo di ogni
foga.
<<
Karin >> il bisbiglio roco di Thorin la raggiunge:
l'azzurro
dell'iride non è freddo e severo ma focoso e adorante, le fa
battere
il cuore.
Sembra
voglia dire qualcosa ma tace, ansima solamente; gli sorride, cerca
invano d'incoraggiarlo: lui si impossessa delle sue labbra per un
ultimo bacio d'amore. Poi, lento, si scioglie dall'abbraccio e
scivola indietro, abbassandosi a bagnare i capelli, riemergendo
gocciolante; torna all'altro lato della vasca, l'acqua gli sfiora i
fianchi, il torace muscoloso è coperto da innumerevoli
stille
trasparenti che non aspettano altro che le labbra di Karin le
raccolgano, sensuali e fameliche.
Lei
si immerge fino al petto e piega il capo di lato, i capelli mossi si
appiccicano al collo e alla spalla, gli altri sfiorano il pelo
dell'acqua: contempla il corpo del nano mentre il respiro –
poco
prima regolare – accelera di nuovo.
I
gomiti sono poggiati al bordo, i muscoli della schiena sono in
tensione, il petto sembra gonfiarsi: fa un cenno con la mano, lo
sguardo chiaro luccica.
<<
Vieni qui >> ordina.
Lei
obbedisce senza indugio, vuole colmare quella corta distanza: si
muove in avanti, arriva da lui che, serio, non perde un movimento.
L'accoglie tra le sue braccia, la guarda negli occhi e legge la
stessa pace, lo stesso appagamento che gli permea l'anima.
Lascia
che lo accarezzi, si abbandona al suo tocco, porta la mano sopra la
sua e preme: permette ad un sospiro beato di sfuggire, le sfiora il
palmo con le labbra.
Karin
ha un tuffo al cuore, sorride affettuosa; gli bacia la fronte e
accarezza le rughe che, pian piano, si spianano al suo tocco
delicato.
Non
dicono nulla, non servono parole tra loro: si comprendono bene,
l'hanno sempre fatto.
Gli
unici suoni nella stanza sono i respiri ora tranquilli e il dolce e
continuo suono delle gocce che cadono dai loro corpi abbracciati.
<<
Non avresti dovuto dirglielo >>.
Karin
alzò il mento dalle ginocchia raccolte al petto, e
girò di poco il
capo a sinistra.
Erano
ancora nella vasca, immersi nell'acqua; Thorin era appoggiato al
marmo bianco, le dita percorrevano la schiena piena di cicatrici di
lei, a pochi centimetri di distanza: lo affascinavano quei segni
perlacei più o meno estesi ma, al contempo, ne provava
repulsione
poiché ricordo di un momento del passato a dir poco
doloroso. Quelle
ali erano maledette, eppure non poteva fare a meno d'adorarle, in
qualche modo: erano parte della donna che amava.
Ma
ora non aveva tempo per pensare a ciò, vi era una questione
di cui
dovevano discutere.
<<
Non dovresti promettere qualcosa che poi non riuscirai a mantenere
>>
le ricordò severamente, più di quel che avrebbe
voluto.
Karin
sospirò, sistemandosi i capelli bagnati che Thorin le aveva
portato
in avanti sulla spalla destra, per poter baciare e accarezzare meglio
la schiena.
<<
Volevo solo dar loro un po' di speranza >>
confessò,
rammentando quando, nel pomeriggio, era andata a far visita a Eliese
e al piccolo Glir; chiacchierando, era caduta preda dell'emozione e
dell'impeto tipico del suo carattere, promettendo alla donna che, una
volta sconfitto il drago, avrebbe portato loro una piccola pietra
preziosa in ringraziamento e segno d'amicizia. Eliese aveva rifiutato
in ogni modo, cercando di dissuaderla, ma la nana era stata
irremovibile; solo ora, però, si rendeva pienamente conto
che
l'averlo accennato a Thorin, Re sotto la Montagna e custode del
Tesoro dei Nani di Erebor, non si era rivelata la migliore delle
idee: la sua possessività era ben nota, e lei avrebbe dovuto
riflettere prima di parlargliene. O prima di proporlo all'amica.
<<
Se falliremo non rimarrà nemmeno quella: e l'illusione
brucerà più
della sconfitta >> asserì, smettendo
d'accarezzarla; Karin
girò il busto, incrociando i suoi occhi calmi e
indecifrabili che la
scrutavano attenti: si sentì in colpa di fronte a quella
verità, ed
iniziò a tormentare la collana con le dita, mordendosi
l'interno
guancia.
<<
Hai ragione >> ammise << ma se riuscissimo
a sconfiggere
Smaug? >>.
Thorin
ponderò la risposta da darle, facendo vagare lo sguardo sul
suo
volto; abbassò di poco il capo e la guardò
<< Saranno le
prime persone che aiuteremo >> concesse, infine.
Karin
sorrise riconoscente, appoggiando la schiena al suo petto: il nano le
cinse i fianchi con le braccia, avvolgendola stretta, e la
baciò
sull'orecchio a punta.
<<
Grazie >> mormorò lei.
<<
Non ringraziarmi; non abbiamo ancora raggiunto la Montagna Solitaria
>> disse, il fiato caldo che le solleticò la
pelle.
<<
Quando ripartiremo? >>.
<<
Presto. Ormai abusiamo dell'ospitalità di Esgaroth da quasi
due
settimane >>.
Karin
annuì, pensierosa: tutti si erano ristabiliti dopo le
disavventure
passate, specialmente lei. Avevano recuperato le forze ed avevano
poltrito anche troppo, secondo il suo parere; eppure, però,
non poté
impedirsi di rattristarsi al pensiero che, una volta lasciata la
città alle spalle, tutto sarebbe tornato come prima.
Non
più baci fugaci, né sguardi complici,
né incontri clandestini:
ogni notte, infatti, scivolava nella stanza – o veniva lui a
prenderla se impiegava troppo tempo – e si univa a Thorin;
altre
volte, invece, rimanevano semplicemente abbracciati, coperti dalle
lenzuola, confidandosi stralci di passato. Infrangendo ogni
aspettativa, si erano stupiti del tono tranquillo e per nulla pieno
di rancore o tristezza nella voce: tranne quando parlavano dei
famigliari che avevano perduto.
Thorin
le raccontò della morte del giovane fratello Frerin durante
la
Battaglia di Azanulbizar e, benché Karin non avesse mai
provato
molta simpatia per lui – per svariati motivi di cui il re ne
era al
corrente – si dispiacque per la sua sorte: quando glielo
disse,
Thorin le rivolse un sorrise mesto e le sfiorò una guancia,
ricambiando e facendole le condoglianze per la morte di Kario, nano
che aveva sempre rispettato, considerandolo degno consigliere e
persona d'onore.
Per
quanto le parole di Thorin le scaldassero il cuore, Karin non era
riuscita del tutto a perdonare il genitore, ben sapendo che non aveva
alcuna colpa per ciò che le era accaduto dagli Efli: eppure,
ogni
qual volta osservava le braccia piene di cicatrici, o percepiva il
tocco delle dita del nano sulla schiena, la rabbia sopita minacciava
di esploderle in petto, rovinando quei dolci e teneri momenti che,
presto, sarebbero stati solo un piacevolissimo ricordo.
Sapeva
bene che, ora, arrivava la parte più tremenda e difficile
dell'impresa, soprattutto per il re: spesso lo sorprendeva perso nei
suoi pensieri o, se passeggiavano insieme sui pontili della
città,
lo vedeva volgere un'occhiata cupa e tormentata verso il profilo
della Montagna. Per quanto si lasciasse andare in sua presenza, le
rughe sulla fronte sembravano scavare sempre più la pelle;
la sua
anima era irrequieta come poche volte, e impaziente di arrivare a
Erebor.
Purtroppo
era assolutamente impotente; non vi era alcun gesto, o parola, che
l'avrebbe confortato, distogliendolo dal desiderio di vendetta e dai
nuovi incubi che lo tormentavano: lei stessa doveva combattere contro
quest'ultimi.
<<
Non mi sembri particolarmente entusiasta di riprendere il viaggio
>>
constatò Thorin, distogliendola dai numerosi pensieri.
Scrollò
piano le spalle, increspando l'acqua ormai gelida in piccole onde,
producendo cerchi concentrici << Mi ero abituata a tutte
queste
comodità >> dichiarò, decidendo di
rivelargli solo una parte
di verità << Sai, avere cibo in abbondanza, un
fuoco sempre
acceso, un letto comodo, una vasca con acqua corrente...
>>.
<<
Potrai trovare le medesime cose a Erebor >> disse con
voce
calda e avvolgente, stringendo di poco le braccia sul suo stomaco; le
baciò il collo scendendo alla base, dove vi era il metallo:
Karin
chiuse gli occhi, passandosi la punta della lingua sulle labbra,
improvvisamente inquieta e seria.
Girò
il busto, guardandolo intensamente negli occhi <<
Revocherai
l'esilio? >> domandò con voce ferma.
Thorin
la guardò, perplesso << Certo.
Perché lo domandi? >>.
Distolse
lo sguardo, facendolo vagare sulla parete bianca e sui mobiletti di
legno << La mia era solo curiosità
>>.
<<
Karin, guardami. Karin >> chiamò ancora,
quando non ricevette
risposta << cosa ti turba? >>.
Sospirò,
chiudendosi nel silenzio: ripensò a quel dannato sogno,
rabbuiandosi
<< Nulla >> replicò dura.
Thorin
assottigliò lo sguardo, iniziando a spazientirsi
<< Non
mentirmi >> ammonì minaccioso <<
Voglio la verità >>.
<<
Ti ho detto che non c'è
niente
>> disse, aggressiva.
Gli
occhi del nano brillarono rabbiosi, non credendo alla frase
<<
Molto bene >>.
Si
sciolse dall'abbraccio, spingendola rudemente in avanti per potersi
alzare dalla vasca, gocciolando ovunque: si avvolse un ampio
asciugamano sui fianchi, contenendo a stento la stizza nei gesti e
nelle parole che le rivolse.
<<
Fa' in fretta. Potrebbe tornare qualcuno >>.
Le
diede le spalle, sbattendo la porta dietro di sé; Karin
rimase a
contemplarla per alcuni brevi secondi, per poi nascondere il volto
tra le mani e sfregarlo con energia: si lasciò scivolare,
sommergendosi completamente per schiarirsi le idee. Rimase
finché
non sentì la testa ronzarle e il fiato mancarle, tornando
poi in
superficie; uscì, frizionandosi i capelli e il corpo con
l'asciugamano. Venne attirata dal suo riflesso nello specchio: sulla
pelle, vi erano numerose testimonianze della precedente passione che,
in circostanze normali, l'avrebbero fatta arrossire e sorridere;
invece, la bocca era seria, gli occhi neri adombrati e irrequieti.
Si
diede dell'idiota per aver rovinato il momento praticamente perfetto:
tuttavia, ripensare all'incubo l'aveva spaventata e messa in
agitazione, al punto da farle alzare quelle maledette difese
costruite durante l'esilio, contro le quali nemmeno Thorin poteva
fare breccia.
Soprattutto
Thorin.
Ma
non era giusto, ne era ben consapevole: stavano cercando di
ricostruire quella fiducia persa per un equivoco, quel rancore che li
aveva accompagnati per lunghi anni si stava dissolvendo. Se voleva
aggiustare la loro situazione doveva mettere da parte l'Esiliata e
tornare Karin: o avrebbe compromesso ogni piccolo passo compiuto.
Relegò
in un angolo remoto l'orgoglio che voleva impedirle di andare da lui
e, senza rendersene conto, si ritrovò con la mano stretta
alla
maniglia della stanza, testimone silenziosa del loro amore rinato: e
proprio perché amava
Thorin avrebbe impedito agli ostacoli di frapporsi tra loro.
Entrò,
trovandolo subito: si era rivestito e, non appena si accorse della
sua presenza, le rivolse una breve occhiata gelida, tornando ad
occuparsi della casacca marrone. Ostentò un pesante
silenzio, finché
Karin non decise di romperlo.
<<
Ho paura. È questa la verità >>
alle parole, lo sguardo di
Thorin sfrecciò al suo volto, la fronte si
aggrottò <<
Stanotte ho... fatto un sogno. Eravamo a Erebor, nella stanza del
tesoro: eri furibondo, ma non ne ricordo il motivo, e >>
si
bloccò, smettendo di torturarsi le dita per guardarlo
<< mi
bandivi, ancora una volta, intimandomi di non tornare. Nel mio cuore,
sapevo che nulla ti avrebbe fatto cambiare idea >>.
Rimasero
zitti, mentre tra loro aleggiava ancora quel monito; infine, Thorin
parlò << Il sogno può averti tratto
in inganno, come spesso
accade: non corrispondono sempre a verità >>
notò il palese
scetticismo di Karin, confermato dalle parole che uscirono dalla sua
bocca.
<<
Ti assicuro che i sogni degli ultimi cento anni non sono mai stati
menzogneri >> replicò asciutta, alzando appena
un
sopracciglio.
<<
Ho promesso a me stesso che, prima di stendere alcun giudizio, avrei
ascoltato attentamente >>.
<<
Quindi mi bandiresti ancora >> sussurrò,
più a se stessa che
a lui; ma gli inflisse ugualmente un duro colpo al cuore.
Le
si avvicinò, prendendole il volto tra le mani
<< No, non lo
farei >>.
“Non
dovresti promettere qualcosa che poi non riuscirai a
mantenere”
avrebbe
voluto replicare, nello stesso modo in cui lui le aveva risposto
prima; espirò solamente, cercando negli occhi azzurri una
qualche
traccia di incertezza, di ripensamento, di falsità:
ma lo sguardo di Thorin era fermo, e determinato. Era sicuro della
tacita promessa e, di conseguenza, anche lei si convinse, seppur
lasciando dentro sé una minima parte di dubbio: era un gesto
meschino, però una parte di lei non credeva completamente
alle sue
parole.
Ricacciò
quel maledetto pensiero infetto, lasciando che le labbra si
stirassero in un sorriso; vide i tratti del nano rilassarsi,
evidentemente contento d'averla tranquillizzata; si avvicinò
e la
baciò piano, cercando di farle capire quanto fossero
veritiere le
sue parole, e che avrebbe fatto in modo di mantenere il patto,
confermato dalle labbra sulle sue.
Una
volta separati, Karin annuì e sfiorò il naso
contro il suo, per poi
uscire e dirigersi verso la sua camera, il lembo dell'asciugamano
bianco stretto convulsamente tra le dita.
<<
No, ragazzi! Usiamo questi piatti, non quelli! >>.
I
richiami agitati di Bilbo furono spenti da un coro di risate e
imprecazioni naniche; era incredibile come, tutti insieme, potessero
ancora rendere nervoso il piccolo hobbit che, da una ventina di
minuti, cercava di organizzare la preparazione del pranzo: esplodendo
quasi subito in una crisi di nervi.
Karin
alzò gli occhi dalla patata che stava pelando al suo
ennesimo sbuffo
esasperato e al suo pestare di piedi a dir poco arrabbiato; scosse
brevemente la testa sentendo Bofur – accanto a lei
– trattenere a
fatica una risata.
Una
volta che ebbe terminato il lavoro, allungò una mano per
prenderne
un'altra, notando quanto il cesto fosse ancora colmo di tuberi tondi
e gialli.
<<
C'è da mangiare per un'intera popolazione, e noi siamo solo
in
quindici! >> esclamò sconsolata, ripensando
all'enorme
generosità
degli
abitanti della città << Non riusciremo mai a
finire tutto il
cibo >>.
<<
Oh, non temere: Bombur fa per metà gente! >>
ribatté il
giocattolaio, ridacchiando.
<<
E' impensabile che riesca a mangiare così tanto
>>.
<<
Impensabile, non impossibile!
Vedi, Karin, quello
>> iniziò, indicando il fratello col pollice
<< sarebbe
capacissimo di mangiare anche te, se ti cucinassimo come un arrosto!
>>.
Karin
aggrottò la fronte, ben dubbiosa; girò il capo a
guardare Bombur,
seduto in sala e intento a spazzolarsi i primi antipasti sulla tavola
con un appetito e una voracità che la preoccupò.
<<
Forse sì >> concluse, seria.
Bofur
le diede una pacca sulla spalla, ridendo di gusto << Devi
allenarti a vederlo in azione! So che eri abituata a ben altro
>>.
<<
L'opposto, direi >> concordò, annuendo
<< Mangiavo lo
stretto necessario. Non ho mai visto nessuno abbuffarsi così
>>.
Bofur
aprì bocca per ribattere, ma una voce alle loro spalle li
bloccò <<
Volete sbrigarvi, voi due? Le patate non si sbucciano da sole!
>>.
Thorin
era sullo stipite della cucina, un barile di birra tra le mani e lo
sguardo autoritario e severo sulle loro figure; il tono usato era
lievemente scocciato e infastidito, e subito il giocattolaio
cercò
di porre rimedio.
<<
Certo, Thorin! >> si scusò, tornando al
lavoro.
Karin
continuò a guardare il re, notando un brillio divertito
negli occhi
chiari ed un accenno di sorriso sulle labbra, che ricambiò
immediatamente, sollevata.
L'imponente
sagoma del nano sparì, probabilmente diretto in sala, dove
avrebbero
cenato.
Si
era appena rimessa al lavoro quando le era giunta una risata mal
trattenuta alle orecchie e, mossi gli occhi, aveva scorto Bofur
intento a scrutarla con un gran sorriso stampato in faccia.
<<
Che c'è? >> domandò curiosa.
<<
Stavi sorridendo, sai? >>.
In
risposta al suo sguardo – fintamente sorpreso ma molto
colpevole –
Bofur aveva allargato il sorriso, gli occhi che brillavano felici.
<<
Dai, Karin, non fare quell'espressione! Ne sono felice, lo sarebbero
tutti! >>.
La
ragazza rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva
quando
comprese il significato intrinseco dell'ultima parte di frase, e
cercò in tutti i modi di placare l'entusiasmo dell'amico.
<<
Non c'è nulla di cui essere felici, davvero >>.
<<
Mmh, quindi una certa riconciliazione
non
sarebbe da festeggiare? >> domandò sornione
<< Ma
guarda, mi pare tu sia arrossita! >> esclamò,
dandole una
gomitata tanto forte da farle rotolare la patata dalle dita,
improvvisamente molli.
Gli
lanciò uno sguardo di fuoco, ma la sua risposta venne
bruscamente
interrotta dall'arrivo di Fili << Chi è che
arrossisce? >>
chiese curioso, osservandola bene << E' vero, diamine!
Ehi,
Kili! >> chiamò, girandosi; Karin
scattò verso di lui,
afferrandolo per la manica della camicia: tentò di tappargli
la
bocca, mentre sentiva le orecchie e il volto che bruciavano e,
più
ci pensava, più il maledetto calore aumentava.
Kili
accorse, trovando il fratello che rideva di gusto e veniva
strattonato dalla ragazza che, al contrario, era imbarazzata e
infuriata insieme, effettivamente del colore di un bel pomodoro.
<<
Per la barba di Durin, Karin! Guarda quanto sei rossa! >>
scherzò il giovane Durin, ricevendo un'occhiata omicida.
Iniziarono
a ridere, Bofur si teneva addirittura le mani sulla pancia,
burlandosi di lei; alzò gli occhi al cielo, esasperata di
fronte
alla loro ilarità.
<<
Volete smetterla? >> sbottò, incrociando le
braccia.
<<
Qui qualcuno è un po' permaloso, mi pare >>
constatò Bofur,
asciugandosi una lacrima.
<<
Vorremmo sapere anche noi cosa ti rende così...
così... >>
iniziò a dire Kili, diventando poi pensieroso nel cercare il
termine
adatto.
<<
Irritabile >> gli suggerì il fratello.
<<
Sì, irritabile! >>.
<<
Niente.
Assolutamente
niente
>>
ormai era al limite della sopportazione.
<<
Non sei mai stata brava a mentire >> disse Bofur con un
mezzo
sorriso; Karin sbuffò, mordendosi la lingua e guardando
altrove
tranne che il trio, impaziente di ricevere una qualsiasi risposta.
<<
Non è giusto, però: a Bilbo racconti sempre
tutto, mentre noi non
possiamo essere messi al corrente! Questa è discriminazione!
>> rincarò Kili, agitando il pugno in aria
mentre gli altri
due annuirono, pienamente d'accordo.
<<
Vi state comportando come dei bambini >> scosse la testa,
passandosi una mano sulla fronte << E, comunque, non
rivelerò
nulla >>.
Fili
scrollò le spalle, improvvisamente indifferente
<< Bé, tanto
lo sappiamo che tu e lo zio vi siete perdonati >> disse,
noncurante.
Karin
schiuse la bocca, assumendo di nuovo un colorito paonazzo
<<
Chi... chi ve l'ha detto? >>.
<<
Quando abbiamo accennato a Bilbo quello che era successo alla forgia,
non ha nemmeno finto di esserne sorpreso, dicendoci che se lo
aspettava da tempo. Precisamente da quando eri a letto malata, e
Thorin era rimasto al tuo fianco per un intero pomeriggio, senza mai
muoversi >>.
<<
Veramente aveva detto che aveva avuto qualche sospetto già
dagli
Elfi >> puntualizzò Kili.
Karin
appoggiò le mani al bancone, iniziando a sudare freddo:
incredibile,
pur non avendo detto e fatto praticamente nulla di compromettente
–
i loro incontri si svolgevano sempre quando gli altri non c'erano o,
bene o male, quando dormivano della grossa. Perché dormivano
della grossa, vero? - tutti ne erano a conoscenza.
Tutti
sapevano.
E
questa verità le attorcigliò lo stomaco,
mettendola a disagio.
<<
Siamo rimasti un po' delusi perché non hai voluto
parlarcene, ma ti
perdoniamo >> concesse Fili, assumendo un tono da vero
principe.
<<
Già, siamo ben felici per voi! Eravamo stanchi dei continui
litigi
>> asserì Kili, muovendo una mano.
Karin
sospirò, non trovando parole adatte con cui ribattere
<<
Grazie >> esalò, infine << Ma
ora ci sono cose più
importanti di questa a cui pensare >>.
<<
Forse in realtà è proprio questo il momento
adatto per pensarci >>.
<<
No, Fili. Ormai le settimane qui sono agli sgoccioli: torneremo
sull'argomento quando questa missione sarà conclusa
>> mormorò
duramente, finendo di tagliare l'ultimo tubero.
Le
parve d'udire un sospiro che i nani esalarono all'unisono, poi la
voce di Bofur la riscosse << Almeno sei felice, Karin?
>>.
Lo
guardò, permettendo agli occhi di brillare e rasserenarsi
<<
Sì. Lo sono >>.
L'affermazione
sembrò tranquillizzarli e placarli e, tutti e tre, le
rivolsero un
gran sorriso che le scaldò il cuore; emozionata, li
ringraziò
internamente per l'affetto che le avevano sempre dimostrato, del
quale si sentiva tremendamente riconoscente e inadatta, ancora
adesso.
<<
Allora è questo ciò che conta >>.
Una
volta che i piatti furono spazzolati fino all'ultima briciola e i
boccali furono svuotati d'ogni goccia di birra, Thorin prese la
parola, aggiornandoli sui programmi imminenti.
<<
Amici, è tempo di proseguire il cammino >>
esordì, facendo
scendere un silenzio carico di tensione << Abbiamo
recuperato
le forze, i nostri spiriti si sono rigenerati >> fece una
pausa, impedendo agli occhi di soffermarsi sul volto di Karin, seduta
quasi all'altro capo della lunga tavola << Gli abitanti
di
Esgaroth si sono dimostrati molto generosi, fornendoci questa casa
confortevole e queste deliziose provviste che abbiamo gustato con
gioia. Ma il tempo è prossimo, il Dì di Durin
incombe; per quanto
piacevolmente rilassati, vi chiedo di non dimenticare la natura del
nostro viaggio, e ciò che ci aspetta: un ostacolo ci separa
dalla
vittoria, ed avremo bisogno dello spirito battagliero della nostra
gente e dei nostri avi per sconfiggerlo >>.
<<
Ben detto, ragazzo >> annuì Balin.
<<
Quindi, a quando la partenza? >> domandò
Dwalin, ponendo la
domanda che ronzava nella testa di tutti.
<<
Tra due giorni. Abbiamo aspettato anche troppo >>.
Bilbo
fece scorrere lo sguardo sugli altri, ansioso e improvvisamente
terrorizzato dalla prospettiva di trovarsi faccia a faccia con il
drago: ma i nani non mostravano la stessa paura, anzi; leggeva grande
determinazione e un nuovo vigore. Come detto da Thorin, lo spirito
combattivo era tornato in loro, la voglia di rivalsa scorreva nel
loro sangue più forte di prima; avrebbe dovuto esserne in
qualche
modo contagiato, eppure... proprio non riusciva a non scoraggiarsi.
Thorin
scattò in piedi, ruggendo nella loro lingua natia e la
Compagnia,
alzandosi a sua volta, rispose con energia, levando ciascuno un pugno
avanti a sé.
Poi,
Thorin chiese a Dwalin e Balin di accompagnarlo dal Governatore per
metterlo al corrente della decisione presa mentre gli altri si
occuparono di sparecchiare e lavare i piatti, sedendosi poi in sala
per una fumata.
Quando
i tre tornarono, circa un'ora dopo, annunciarono che il Governatore
–
molto dispiaciuto e affranto alla notizia - avrebbe indetto una festa
d'addio per la sera successiva, ed avrebbe consegnato loro delle
provviste e dei pony per il viaggio.
Bilbo
ricordò poco del giorno dopo poiché le ore
scivolarono rapide,
quasi a voler affrettare il momento della partenza: in un batter
d'occhio giunse la sera e la compagnia si ritrovò quasi al
completo
ad attendere gli ultimi ritardatari, tra i quali lo hobbit, impegnato
ad aiutare Karin nell'acconciarsi i lunghi capelli neri.
<<
Ecco, aspetta. Reggi questa ciocca >> disse lei,
indicandogliela con lo sguardo; Bilbo la prese tra le dita, guardando
un'impaziente Karin che soffiava sonoramente, la fronte aggrottata
dalla concentrazione.
<<
Se chiedessi aiuto a qualcun altro, forse... >>
iniziò,
alludendo a Fili, che aveva sporto la testa dallo stipite della porta
pochi minuti prima, curioso.
Ma
l'amica scosse di poco la testa, continuando ad intrecciare una
ciocca in velocità << Te l'ho già
detto: sono capace di fare
due trecce! Sono una nana, dopotutto >> lo
rimbeccò con
superiorità; e non vi era modo di farle cambiare idea quando
s'impuntava su qualcosa, o lasciava che l'orgoglio prendesse il
sopravvento.
Bilbo
sbuffò in silenzio, ma rimase sbalordito quando vide il
lavoro
compiuto: ammirò l'intrico di trecce più o meno
spesse culminanti
in una unica laterale, che le scendeva sulla spalla destra. Due
sottili ciuffi erano rimasti liberi davanti alle orecchie, ma per il
resto la pettinatura era semplicemente perfetta.
<<
Dunque? >> chiese, mentre si rimirava allo specchio,
cercando
una qualche imperfezione.
<<
Ottimo lavoro >> ammise lo hobbit.
Karin
gli sorrise raggiante, per poi fargli cenno d'uscire e, spediti,
scesero le scale dagli altri, che le lanciarono sguardi
d'apprezzamento per la bravura.
<<
Beh, che dire >> sentenziò Fili, con sguardo
critico <<
ci sono delle imprecisioni qua e là, ma >> le
lanciò uno
sguardo divertito in risposta all'occhiata glaciale che gli rivolse
<< accidenti, devo ammettere che sei veramente brava!
>>.
<<
Anni di pratica, novellino >> scherzò lei,
mentre si accodava
dietro Gloin lasciandosi alle spalle l'abitazione.
Rimase
quasi in fondo alla fila, chiacchierando con i compagni,
finché non
giunsero al grande municipio adibito a festa; scacciò il
lieve
panico che la prese nel notare tutta la popolazione di Esgaroth che
li attendeva, e cercò di rimanere il più
possibile vicina a Bilbo,
Kili e Fili. Seguendoli, però, si ritrovò ben
presto nel bel mezzo
della folla, dove vi era il Governatore con la sua famiglia, intento
a scambiare convenevoli con Thorin; quando il primo la scorse, si
inchinò talmente tanto da metterla in imbarazzo, mentre il
nano le
rivolse una lunga occhiata compiaciuta, facendo scivolare gli occhi
chiari sul vestito color Iris.
Bilbo
notò l'impercettibile cambiamento che avvenne in lei: stando
vicina
a Thorin, parve quasi sopraelevarsi, assumendo un contegno e un
portamento nobile. Da vera regina.
Continuò
a guardarli mentre chiacchieravano in modo distaccato e cortese con
l'uomo, ma poi venne distratto da Balin.
Vi
erano alcuni musicisti su un lato della sala, e al centro alcune
coppie danzavano a ritmo, sorridenti e gioiosi: i nani si erano
diretti immediatamente ai lunghi tavoloni colmi di cibo e bevande ed
avevano iniziato ad abbuffarsi; gli unici che si astenevano erano
Thorin e Karin e, in misura minore, il vecchio Balin.
Karin
fece vagare lo sguardo sui volti della gente che le stava attorno, e
che le rivolgeva inchini rispettosi e occhiate curiose che la
mettevano a disagio; silenziosa e rapida, riuscì a
sgattaiolare
fuori, venendo sferzata dall'aria frizzante della stagione autunnale.
Sospirò, mentre le orecchie ronzavano ancora, trafitte dal
suono
martellante e acuto dei flauti e dei tamburi; si avvicinò
alla
balaustra di legno appoggiandovi i gomiti, e rimase a scrutare la
città illuminata dalle lampade e la volta notturna,
puntellata di
stelle pallide.
Le
costanti riflessioni non l'abbandonavano nemmeno un attimo, ma quando
percepì dei passi pesanti avvicinarsi e arrestarsi di botto
girò il
capo, sorridendo alla sagoma inconfondibile di Thorin.
<<
Anche i tuoi pensieri sono rivolti ad essa >>
pronunciò,
riferendosi alla Montagna che si ergeva davanti a loro, immersa
nell'oscurità. Le si avvicinò, poggiando gli
avambracci a pochi
centimetri dai suoi, le spalle che si sfioravano.
Karin
annuì << Già. Temo per l'esito
della missione e per la nostra
sorte: tu non hai paura? >> domandò
guardandolo negli occhi,
impensierita.
Thorin
rimase in silenzio volendo dirle che sì, aveva paura, e non
solo per
ciò che aveva detto: più di ogni altra cosa,
temeva per lei.
Avrebbe preferito saperla al sicuro piuttosto che al suo
fianco
in quella parte di viaggio, ma comprendeva bene che Karin avrebbe
rifiutato in ogni modo ogni sua proposta e lui, d'altra parte, non
glielo avrebbe mai chiesto: era una nana valorosa e, anche se non era
mai scesa su un campo di battaglia, aveva saputo tirare fuori un
coraggio e una determinazione tali da far invidia al guerriero
più
esperto. Per questo la stimava e la rispettava.
Karin
aspettava trepidante una risposta e lui, senza rendersene conto, si
ritrovò a confessare << In ogni momento
>>.
La
guardò, facendole capire con uno sguardo i labirinti della
sua
mente, le sue preoccupazioni; vide la comprensione negli occhi neri
e, colta da un'intensa gratitudine che non sarebbe riuscita ad
esprimere a parole, gli poggiò il capo sulla spalla.
<<
Mi chiedo se riuscirò mai a sedere sul trono che fu di mio
nonno >>.
Thorin
ruppe il breve silenzio, gli occhi ora offuscati: in quell'attimo di
debolezza aveva bisogno di certezze, di rassicurazioni. E solo Karin
poteva dargliele.
<<
Certo, Thorin >> sussurrò <<
Smaug non riuscirà a
contrastarci. Sarai un grande Re, e renderai fieri i tuoi avi
>>.
Si
sentì in pace, e tranquillo con la sua anima; dovette
frenare
l'impulso di radunare i compagni per partire, preda d'una
determinazione senza precedenti. Ma dovette calmarsi, reprimendo
l'impazienza. Il pollice e l'indice volarono al mento, facendole
alzare il volto ad incontrare il suo, riconoscente.
Fu
spontaneo per lei sorridere; lo prese per mano conducendolo poco
lontano, nell'oscurità: così nessuno avrebbe
potuto vedere le loro
ombre congiungersi per un bacio a fior di labbra.
<<
Torna dentro, prima che possa fare qualcosa di cui potrei pentirmi
>>.
La
voce arrochita le mise i brividi, ed un lieve sorriso malizioso si
fece largo sulle labbra.
<<
Ovvero? >> domandò, innocentemente diabolica.
Il
nano lanciò uno sguardo allusivo al suo abito, e alla pelle
scoperta
del collo << Potrei prenderti qui e
ora >>
decretò, mandando in malora ogni buon proposito e lasciando
che il
desiderio – costantemente trattenuto durante le interminabili
ore -
s'impadronisse di lui.
Le
strinse i fianchi con foga, riuscendo ad alzarla per farla sedere
precipitosamente sul parapetto; spaventata, si aggrappò alle
sue
vesti, mentre Thorin sorrise maligno << Non ti fidi del
tuo re?
>> le mani callose iniziarono ad alzare la lunga gonna
viola
scuro, fermandola sulle cosce.
<<
Non mi fido del legno >> lo corresse, pensando al vuoto e
all'acqua gelida ad alcuni metri sotto di lei <<
è tutto
traball... ah! >> ansimò, non riuscendo a
terminare poiché
sentì le dita di Thorin compiere il medesimo percorso della
stoffa,
proseguendo però languide verso il centro del suo corpo
fremente e
caldo. Raddrizzò istintivamente la schiena e mosse
involontariamente
il bacino in avanti, aumentando il piacere selvaggio che le fece
mordere il labbro, gli occhi perennemente legati a quelli del nano
che, d'altra parte, era affascinato da lei e dalle sue movenze
inconsapevolmente erotiche.
<<
Mmh, hai ragione >> fece finta di staccarsi da lei,
leggendole
incredulità e fastidio.
<<
Non fermarti proprio ora >> i pozzi neri scintillavano
nella
notte, il volto talmente serio e corrucciato da farlo sorridere e
riavvicinare immediatamente.
<<
Non ne avevo intenzione >> le sussurrò,
riprendendo possesso
del corpo e delle labbra che lo aspettavano, pronte ad accoglierlo;
il bacio passionale li lasciò senza fiato nel giro di pochi
minuti,
ma tentarono di prolungarlo quanto possibile, anche se dovettero
interrompersi più di una volta per permettere a Karin di
gemere e
sospirare sotto le sue esperte attenzioni.
Si
estraniarono da tutto, la musica e le risate divennero solo un labile
ricordo.
Il
giorno successivo fu tremendamente pesante e triste, specialmente per
Karin: dopo aver raccolto i pochi abiti ed alcuni oggetti comprati
ad Esgaroth – tipo una bella e resistente spazzola
– li
cacciò in un fagotto, chiudendolo con un laccio. Iris
giaceva sulle
coperte del letto, al sicuro dentro il fodero; la prese, liberandola
e guardandola con affetto, come quando si ritrova una persona
preziosa dopo un lungo periodo di tempo.
<<
Perdonami se ti ho trascurata, amica mia >>
mormorò,
rattristandosi un poco: non avrebbe saputo dire se impugnarla le
procurasse sollievo o... dolore.
Si
stupì molto per la realtà che le venne sbattuta
in faccia, ma era
così: riprendere Iris significava riportare alla luce un
pezzo
dell'Esiliata e della Traditrice, che in quelle due meravigliose
settimane aveva cercato di dimenticare e accantonare, riuscendoci
grazie agli amici. Grazie a Thorin.
Sospirò,
constatando anche che non avrebbe mai potuto abbandonare realmente
ciò che era, ovvero una nana che, suo malgrado, aveva
affrontato
dure sfide; una nana che sapeva maneggiare una spada – e non
una
qualunque – e che, presto, avrebbe potuto ripristinare il
nome del
suo clan e quello del padre. Un pesante fardello, molto simile ma
anche molto diverso da quello che, dopotutto, gravava sulle spalle
del Re dei Nani.
Scosse
la testa, riponendola nel fodero; la allacciò alla cintura e
poi,
dopo aver raccolto il fagotto e dato un ultimo sguardo malinconico
alla camera, si era chiusa la porta alle spalle, lasciandovi un pezzo
di sé, del suo cuore.
Non
attese che gli altri si sistemassero e la raggiungessero: prima di
partire, vi era un ultimo saluto da porre; quella mattina si era
accordata con Thorin, il quale non aveva obiettato alla sua proposta,
anzi, si era dimostrato pienamente d'accordo, aggiungendo che anche
loro si sarebbero fermati brevemente.
E
quando aveva bussato alla porta della modesta casa di legno e le
aveva aperto una triste Alhena già al colmo delle lacrime,
il cuore
le si era serrato: l'aveva stretta a sé in un abbraccio
addolorato
che non sapeva d'arrivederci, ma d'addio; perché, in fondo
al cuore,
Karin sospettava che sarebbe sopravvissuta per poter tornare
indietro.
E
la piccola, dolce Alhena, ne sembrò consapevole: un drago,
specie
Smaug il Dorato – che aveva posto fine al regno dei Nani di
Erebor
e, ora, custodiva il loro immenso tesoro – non era certo una
creatura facile da sconfiggere: come potevano riuscirci quattordici
piccoli nani e uno hobbit?
<<
Alhena, ma chi è? Oh, Karin! >> Eliese
comparve dietro la
figlia, ancora avvinghiata alla nana; le osservò con una
espressione
dispiaciuta e sofferente, lasciandole a salutarsi: e quando venne il
suo turno, non poté impedire alle lacrime di fuoriuscire.
<<
Che sciocca! >> si rimproverò, agitando una
mano << Mi
ero ripromessa d'essere forte come te, e invece... >>
nascose
il volto tra le mani, ma la ragazza gliele prese tra le sue,
guardandola con affetto.
<<
Ma tu sei forte, amica mia: non dimenticarlo mai
>>.
La
donna sorrise tra le lacrime quando notò che anche agli
angoli degli
occhi neri si erano fermate delle lacrime, pronte a scendere sulle
gote: e quelle scesero, non appena Karin sbatté le palpebre.
<<
Che la fortuna vi assista, e che il coraggio non vi manchi. Mia
signora >> risero, stringendosi le mani.
Karin
annuì << Grazie. Che i Valar vi proteggano
>>.
<<
Noi ce la caveremo; siete voi ad avere più bisogno di
protezione, mi
pare >> commentò Eliese facendo ridere Karin,
il morale già
più sollevato nonostante il pianto.
<<
Avremo bisogno di un bel po' d'aiuto, questo sì
>> ammise la
nana << Addio, Eliese >> aggiunse poi,
seria.
<<
Addio, Karin >>.
Si
abbracciarono, stringendosi per trasmettersi forza e fermezza,
ringraziandosi mentalmente per tutto l'aiuto e l'amicizia che si era
sviluppata in quei pochi giorni, ma che si sarebbe mantenuta e
sarebbe cresciuta nel tempo.
Di
questo ne erano certe.
Sentirono
grandi schiamazzi e, sciogliendosi, notarono che la Compagnia
procedeva verso di loro: iniziarono dapprima con molti convenevoli ma
finirono poi per abbracciarsi cordiali, stritolando la piccola Alhena
che, giunta a salutare i più giovani, scoppiò in
un pianto
inconsolabile, acuito quando venne il turno di Fili; solo Thorin,
Dwalin e Balin apprezzarono una stretta di mano, che divenne vigorosa
quando si congedarono da Renal.
Infine,
col cuore desolato, si avviarono verso il municipio sotto gli sguardi
e le canzoni della gente, che riuscirono a portar loro un po' di
conforto: sulla scalinata che conduceva alla porta stava il
Governatore, ben felice di sbarazzarsi della loro costosa
presenza, anche se non lo diede a vedere.
<<
Capisco perfettamente, o Thorin figlio di Thrain figlio di Thor!
>>
disse, pomposo << Devi reclamare ciò che ti
appartiene. L'ora
è vicina, o re che aspettavamo. Tutto l'aiuto che possiamo
offrire
sarà tuo e ci affidiamo alla tua riconoscenza quando avrai
riconquistato il tuo regno >> ribadì a voce
alta, di modo che
tutti potessero esserne testimoni se il nano non avesse rispettato il
patto.
Thorin
abbassò il capo in un cenno, stupito ma anche tremendamente
irato
per l'astuzia che si celava dietro quell'uomo avaro; quello
sembrò
apprezzare il gesto e, con un cenno teatrale della mano ornata da
anelli d'oro, diede il permesso di far condurre loro dei pony, i
quali vennero avviati lungo il sentiero che costeggiava il lago. Li
avrebbero attesi al punto d'approdo previsto, mentre loro salirono su
tre grosse barche cariche di provviste: i bianchi remi si immersero
sollevando spruzzi, ed essi risalirono il lago verso nord,
trasportati dalla corrente placida e dal freddo vento autunnale, per
l'ultima tappa del loro viaggio.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonaseeeeera
^^!
Questo
capitolo è
un po' più corto dei precedenti, però ho
preferito terminarlo con
la partenza da Esgaroth così che, dal prossimo, si
inizierà con un
altro blocco importante del viaggio: e l'ultimo
ç____ç.
Duuuunque,
che dire
di questo? Bé, innanzitutto sono MOLTO soddisfatta,
perché l'ho
scritto in piena fase creativa – benedetta ispirazione che
è
tornata *___* - e, anche se ancora di transizione, l'ho semplicemente
adorato: perché qui, diamine... Thorin e Karin non riescono
a
contenersi e perché iniziano ad intravedersi le prime
avvisaglie del
nuovo periodo buio che dovranno affrontare. Maledetta Erebor T.T...
Tornando
al punto
principale: allora, vi è servito bene il catino/piscina
olimpionica
;)??? Ahahahah! Ah, come avrete notato, le prime righe sono
“diverse”
dalle altre, poiché non vi è un vero e proprio
soggetto finché non
si legge il nome di Thorin: no, non sono rimbambita del tutto ma ho
voluto fare un esperimento, ovvero quello di liberare la vostra
fantasia su "chi stesse facendo cosa” O.o;
d'accordo, sembra
molto perversa come faccenda – e forse lo è :P
– però... non
so, a me piaceva molto come idea ^^. Cooomunque, penso abbiate ben
capito che era Thorin quello che “subiva” ;) e che
Karin,
stavolta, si era fatta più sveglia XD!
Thehehehehehehheeheheheh, che
donna... e che culo *_____________*
Va
bé, come al
solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le
solite
recensioni ;)
ringrazio
le carissime e specialissime Synne,
vanessa
90, Carmaux, Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91,
MrsBlack. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
Modalità
minacciosa ON *Perché
recensirete, VOI che, ora, mancate all'appello, VERO???* Modalità
minacciosa OFF ;)))
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene, è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Capitolo diciassette ***
CAPITOLO
DICIASSETTE
<< Stabiliremo
qui il nostro accampamento >> decretò Thorin,
non appena
raggiunsero il grande sperone meridionale della Montagna.
<<
Ricordo che
vi era un posto di guardia, tempo fa: potremmo fermarci lì,
se non
fosse troppo esposto >> commentò Balin,
lisciandosi pensoso la
barba.
<<
Meglio
essere prudenti >>.
<<
Concordo >>
appoggiò Dwalin << e ora? >>
domandò poi, incrociando
le braccia.
Thorin
lanciò uno
sguardo a Karin, ad una manciata di metri da loro: sentendosi
osservata, alzò lo sguardo da terra incontrando gli occhi
azzurri
del nano, comprendendolo.
<<
Cerchiamo
la porta >> rispose Thorin per lei.
Karin
annuì una
volta sola, raggiungendoli. Dwalin la squadrò brevemente,
tornando
poi a considerare più interessanti le unghie della mano
destra;
Thorin non vi fece caso, giudicando il silenzio dell'amico come un
fatto positivo: almeno non aveva iniziato ad inveirle contro.
<<
Fili, Kili,
Bilbo: verrete con noi. Voialtri rimarrete qui finché non
avremo
buone nuove >> tornò a guardarla, facendole un
cenno con la
mano << Dopo di te, Karin. Mostraci la via
>>.
<<
Seguitemi
>> si diresse lungo la valle, camminando spedita verso le
rocce; una volta lì, premette la mano sulla superficie
ruvida della
pietra, improvvisamente incerta e perplessa. Eppure la runa doveva
trovarsi da quelle parti...
<<
Qualcosa
non va? >> Thorin le si era affiancato, e la stava
guardando
curioso.
<<
Il segno.
Dovrebbe essere qui >> mormorò, continuando a
cercare.
Osservò
meglio la
roccia, aiutandosi anche con le dita nella vana speranza di scoprire
qualche rientranza: non trovando nulla, venne presa da un senso di
panico, temendo d'averli condotti in un punto sbagliato.
Sentì
l'agitazione prendere possesso dello stomaco, risalendo fino al
cuore; frenetica, lasciò vagare lo sguardo lungo la
montagna,
trattenendo un'imprecazione tra i denti: poi, quando la speranza
iniziava ad abbandonarla, riconobbe l'agognata runa a pochi metri di
distanza da dov'era e, sospirando di sollievo, corse da lei. Una
volta giunta, si girò verso i compagni con un sorriso sul
volto,
facendo un cenno affinché si avvicinassero.
<<
Dobbiamo
scalare >> li informò, alzando il capo verso
l'alto <<
Vedete quella grossa pietra lassù? Dobbiamo raggiungerla e
strisciarci dietro: là ci sono dei gradini che salgono
ancora >>.
<<
Bene >>
commentò Thorin, schermandosi gli occhi – puntati
verso la roccia
indicata - con la mano destra.
<<
Temo
proprio di non potervi seguire >> disse Balin
<< Sono
troppo vecchio e fuori allenamento per una arrampicata >>.
<<
Tu e io
rimarremo quaggiù >> parlò Dwalin
<< Se per te va bene,
Thorin >> concluse, guardando il re.
Quello
assentì,
sfilandosi il fodero di Orcrist dalla cintura e porgendolo all'amico
<< Lasciate tutto ciò che è
superfluo. Dobbiamo viaggiare
leggeri >>.
Kili,
Fili, Bilbo e
Karin fecero come ordinato dal loro sovrano: una volta pronti, Karin
diede le ultime indicazioni al piccolo gruppo.
<<
Ora
prestate attenzione: queste rocce sono scoscese >>.
<<
Non ci
spaventeranno di certo quattro pietre! >>
esclamò spavaldo
Kili, facendole scuotere la testa in muto rimprovero.
Si
arrampicò per
prima, cercando appigli sicuri: sentì la pelle graffiarsi, i
muscoli
tesi iniziarono a bruciare poco dopo, risentendo
dell'inattività
delle due settimane; si issarono per ore e, ogni tanto, Karin
azzardava uno sguardo allo strapiombo, accertandosi se la seguissero
o meno. Bilbo, subito dietro di lei, era pallido ma concentrato: la
consueta ruga al centro delle sopracciglia era marcata, i capelli e
gli abiti erano sferzati dal freddo vento d'autunno. Il volto era
già
sporco e provato dagli sforzi, così come quello degli altri
che,
incolonnati, lo seguivano in quella lenta e faticosa ascesa.
D'improvviso,
un
grido ruppe il silenzio e un rumore come di frana la raggiunsero e,
arrestandosi, vide il minore dei Durin appeso per un braccio solo,
con le gambe che oscillavano pericolosamente nel vuoto. Il cuore si
arrestò di botto per poi accelerare bruscamente, tanto
veloce e
forte da farle ronzare la testa; innumerevoli brividi la percorsero,
ed un sudore gelido prese possesso del corpo.
<<
KILI!!! >>
gridò angosciato Thorin, lasciandosi penzolare cautamente.
<<
Kili!!! >>
strillò lei subito dopo, la voce dispersa dal vento
<<
Reggiti! >>.
Sapeva
che l'ordine
era superfluo, ma non era riuscita a trovare altre parole da dire,
troppo impaurita e sconvolta per pensare ad altro: se avesse mollato
la presa sarebbe caduto nel vuoto e... sarebbe morto.
Tentò
di deglutire,
vedendolo cercare di riportare anche l'altra mano ad afferrare la
roccia; nel frattempo, Thorin – poco più in alto
di lui -
continuava a chiamarlo spaventato, ruggendogli incoraggiamenti come
faceva Fili. Bilbo, al contrario, era totalmente ammutolito, gli
occhi sgranati e la bocca socchiusa in un muto grido disperato.
Karin
liberò il
fiato trattenuto per quegli interminabili minuti quando lo vide
aggrapparsi saldamente e riprendere possesso degli appigli,
sistemandosi meglio: fece un cenno verso di loro, tentando di
sorridere; ma in volto, gli lesse un immenso sollievo e un terrore
ancora tangibile.
Il
gruppo rimase
ancora qualche momento in silenzio e immobile, cercando di recuperare
la calma e il sangue freddo o, nel caso di Karin, aspettare che il
cuore smettesse di battere così furiosamente.
<<
Sali! >>
le gridò Thorin, ad alcune bracciate dietro Bilbo.
Non
annuì nemmeno,
cercando di spostare il piede e poi la mano: aggirò un punto
debole,
sperando di venir imitata dai compagni: fortunatamente non ci furono
altri intoppi e, benché avessero ripreso la marcia
abbastanza
lentamente, successivamente si ritrovò a scalare con
disinvoltura
finché le forze glielo permisero.
Verso
mezzogiorno
riuscì a raggiungere lo spiazzo di cui aveva parlato e, con
un
sospiro e un gemito, si rotolò sulla pietra respirando
affannosamente, mortalmente stanca e sudata; riconoscendo la chioma
di Bilbo, gattonò fino allo strapiombo per aiutarlo,
tendendogli una
mano. Una volta che le fu accanto, si adoperò per aiutare
gli altri
man mano salivano e, giunta al turno di Kili, aspettò fosse
al
sicuro per gettargli le braccia al collo, abbracciandolo d'impeto: il
giovane, sorpreso dalla reazione, non rispose subito all'abbraccio,
ma poi si sciolse in un gran sorriso stringendola forte.
<<
Stai bene?
>> gli chiese, staccandosi di poco da lui per guardarlo
meglio
in volto.
Gli
occhi castani
del nano non le mentirono << Certo, mai stato meglio!
>>
nonostante il tono baldanzoso percepì comunque ancora del
lieve
spavento, ma non l'avrebbe dimostrato con il fratello e lo zio a
pochi passi.
Per
fortuna
intervenne Thorin << Non è disonorevole
mostrare paura, Kili:
poco fa hai rischiato la vita >>.
Gli
si affiancò,
posandogli una mano sulla spalla, i lineamenti del volto ancora
adombrati e scossi; strinse la presa, facendogli capire quanto si
fosse turbato nel vederlo in difficoltà, esprimendo
risentimento per
non essere potuto andare in suo soccorso.
Kili
comprese: annuì
e ricambiò la stretta, per poi venire coinvolto in un
abbraccio
stritolatore di Fili; Thorin, ora con un debole sorriso sulle labbra
sottili, si avvicinò a Karin e lasciò che gli
prendesse la mano. La
guardò e, perso nei pozzi neri, disse addio all'ombra di
timore nei
suoi occhi: ora più sereno – e continuando a
lanciare occhiate
caute ai nipoti e allo hobbit, troppo impegnati per prestar loro
attenzione – si permise di baciarla sui capelli, sentendo una
delle
sue piccole mani posarsi delicata e veloce sul petto in un carezza:
purtroppo però interruppero presto il contatto per dedicarsi
al
resto della scalata.
<<
Ecco, ci
siamo >>.
Si
imbatterono in
rozzi gradini che salivano ancora verso l'alto, in quella che era una
stretta pista; seguendola, arrivarono ad una cornice stretta che
girava a nord, proprio in faccia alla Montagna.
Una
volta su si
affacciarono dal dirupo, notando che l'accampamento era proprio sotto
di loro: ma il viaggio non era affatto terminato, poiché
dovettero
afferrarsi alla parete di roccia alla loro destra, avanzando in fila
indiana finché essa non si aprì in uno spiazzo
circondato da pareti
scoscese, col suolo coperto d'erba, silenzioso e quieto.
Ansanti
ma
soddisfatti, si avvicinarono alla parete di pietra di fronte a loro
che, alla base, era liscia e diritta come se fosse stata fatta da uno
scalpellino; però non vi era alcun segno di giuntura o
fessura.
<<
Siamo certi
che la porta sia... questa? >> domandò
dubbioso Fili,
appoggiando il peso del corpo sulla superficie fredda nel tentativo
d'aprirla.
<<
Sì. Solo
che ogni tentativo di smuoverla sarà inutile: dobbiamo
attendere il
Dì di Durin >>.
<<
Oh, giusto
>> borbottò il nano, aggrottando la fronte in
un buffo
cipiglio.
Kili
e Bilbo
ridacchiarono, seguiti da Karin.
<<
Riposiamoci
un poco: ce lo siamo meritati >> concesse Thorin
sedendosi poco
distante dall'agognata porta.
Il
gruppo l'imitò
e, poco dopo, le pipe furono accese, grati nel sentire i nervi tesi
rilassarsi piacevolmente: le chiacchiere e le risate contenute si
sparsero ben presto nel vento, così come alcuni sguardi
penetranti e
ardenti.
<<
Sarà
meglio rientrare >> esordì Karin dopo alcune
ore, osservando
il sole scendere lento verso ovest.
Alle
sue parole
Thorin, seduto contro la roccia a riposarsi, aprì gli occhi
<<
Sono d'accordo >> mormorò, sfregandosi
stancamente la fronte.
Bilbo
si alzò,
facendo un cenno ai due fratelli perché lo seguissero: in
risposta
ad un'occhiata perplessa e confusa di Kili alzò eloquente le
sopracciglia, indicando i due nani ancora seduti e vicini; il
giovane, capite le intenzioni dello hobbit, annuì e lo
imitò.
<<
Noi
scendiamo >> borbottò imbarazzato, seguendo il
fratello nel
percorso di prima.
Ora
soli, Thorin si
accigliò non poco quando vide l'ombra di un sorriso ilare
sulle
labbra di Karin << Come spieghi quell'espressione?
>>
domandò, alzandosi con fatica.
Lei,
ancora seduta,
dovette alzare il capo per guardarlo << Ho apprezzato il
tentativo degli altri di lasciarci un attimo da soli >>
spiegò,
il sorriso che si allargava sempre più.
Thorin
le tese una
mano e, una volta che quella di lei vi si posò, strinse e
tirò
verso di sé, aiutandola ad alzarsi da terra: l'accolse tra
le sue
braccia, beandosi del contatto del corpo caldo e apparentemente
fragile contro il suo.
<<
Scioglili
>> ordinò, la voce sensuale e bassa che
vibrava.
Karin
obbedì,
slegando il laccio che li teneva fermi: le ricaddero scomposti e
ribelli sul collo, perdendosi poi oltre; Thorin affondò il
viso tra
i suoi capelli, inspirandone il profumo con forza, sospirando di
piacere: sorrise contro la chioma, e la mano posta sul collo si
portò
poco più in alto, affogando tra le ciocche nere e stringendo
un
poco. Quel tanto che bastava per farle alzare il volto e baciarle le
labbra.
Karin
le schiuse,
attendendo di sentire la familiare presenza della lingua calda di
Thorin a contatto con la sua, ma non avvenne: il nano continuava a
premere le labbra sulle sue per poi allontanarsi di poco, ripetendo
il dolce gesto infinite volte; le posò una mano sulla
guancia,
accarezzandola col pollice, mentre lei esplorava cauta il suo petto
facendolo rabbrividire.
Thorin
l'allontanò leggermente, deponendole un veloce bacio sulla
fronte
prima di separarsi del tutto e guardarla, piegando un po' il capo di
lato: di nuovo, gli occhi azzurri brillarono devoti e pieni d'amore,
facendole traboccare il cuore; gli si avvicinò, prendendogli
una
grande mano tra le sue, baciandogliela. Un gesto che implicava molti
e più significati, ma che il nano intese come una
sottomissione a
ciò che rappresentava in quanto re: o una sottomissione a lui,
Thorin.
<<
Scendiamo,
prima che cali il sole >> disse Karin con voce flebile;
si
avviò per prima e, una volta tornati alla parete rocciosa,
notarono
che gli altri erano a metri di distanza, ormai, e quasi a
metà
percorso.
<<
Mi auguro
non ci siano inconvenienti anche stavolta >>
commentò lui,
aggrottando le sopracciglia folte.
<<
La discesa
è più pericolosa della salita >>
affermò lei, non volendogli
mentire << ma staranno attenti, non temere. Quella di
prima era
stata una svista, vedrai che ora Kili sarà più
accorto >>.
Thorin
annuì una
sola volta, girandosi ed abbassandosi per primo: mise un piede al di
là del dirupo e, trovato un punto d'appoggio abbastanza
largo,
condusse anche l'altro; tenendosi aggrappato saldamente con le mani,
le lanciò un ultimo sguardo d'ammonimento.
<<
Sta'
attenta, ed allarga bene le gambe per distribuire il peso del corpo;
scendi con calma, non abbiamo alcuna fretta >>.
Karin
portò le mani
sui fianchi << Sarà fatto. Sta' attento anche
tu, ti prego >>
la seconda frase le uscì in un lieve mormorio comunque
udibile
dall'altro, che annuì.
Quando
sparì alla
vista, girò un'ultima volta il capo verso la porta, per poi
attendere che Thorin fosse sufficientemente a distanza; infine,
iniziò la lunga e faticosa discesa.
<< Dunque
l'avete trovata! >>.
<<
Meno male!
>>.
<<
E'
pericolosa la scalata? >>.
<<
Quando
partiamo? >>.
Il
torrente di
domande venne placato da un cenno di Thorin: non mentì
riguardo la
salita, anche se non accennò all'intoppo con Kili; Karin
ascoltava a
stento, lo sguardo perso tra le fiammelle arancioni del fuoco che
avevano acceso non appena si era fatto buio.
Si
erano rifocillati
con della zuppa calda, adatta al clima rigido che li aveva accolti
non appena il sole era tramontato e, ora, la stanchezza l'aveva
ghermita. Appoggiata al suo fagotto, aveva sentito dapprima la testa
svuotata d'ogni pensiero ciondolare pericolosamente, seguita dalle
palpebre abbassate che faticavano sempre più ad alzarsi.
Tremò,
avvolgendosi
nel mantello pesante: Thorin se ne accorse, decidendo di mandare
tutti a dormire per recuperare le forze, utili per la mattina
successiva quando sarebbero tornati alla porta. Balin si
offrì per
il primo turno di guardia, dando loro le spalle e sorridendo nella
notte quando sentì i passi del re portarsi verso il
giaciglio della
ragazza: infatti, passando poi da quel lato per andare a svegliare
Oin, li vide abbracciati e avviluppati nei mantelli –
dispiegati a
formare un'unica coperta - probabilmente per ripararsi dal freddo e
scaldarsi a vicenda.
Una
scena che lo
commosse e strinse il vecchio cuore, mettendogli buonumore:
sentimento che sembrò pervadere la Compagnia il mattino
successivo,
dopo un'abbondante - ma non secondo il loro giudizio –
colazione.
<<
Bofur,
Bombur >> chiamò Thorin, rivolgendosi ai
fratelli << voi
rimarrete a far la guardia ai pony e alle provviste: non potremmo mai
trasportare ogni cosa. Qualcuno verrà a darvi il cambio
più tardi
>>.
<<
D'accordo
>> asserì il giocattolaio: il fratello,
d'altra parte, scosse
la grossa testa.
<<
Non
riuscirò mai a salire, grasso come sono! Mi verrebbero le
vertigini
o inciamperei nella barba, e allora sareste di nuovo in quattordici
>> aggiunse, abbattuto.
<<
Questo lo
vedremo, amico mio >> replicò Thorin, dandogli
una pacca sulla
spalla << lo vedremo >>.
Il
resto del gruppo
si legò una robusta corda intorno alla vita, raggiungendo
senza
incidenti il piccolo spiazzo erboso: una volta sistemati, issarono
con le corde ciò di cui avevano bisogno.
<<
Potremmo
calarci anche più in fretta, in questo modo >>
disse Bilbo,
sorpreso dell'idea avuta da Fili.
<<
Che vi
avevo detto? Funzionerà perfettamente! >>
esclamò il giovane
nano, orgoglioso come non mai.
Non
essendoci
granché da fare, i nani si scelsero un posto dove riposare e
Karin
si portò vicino allo hobbit, osservandogli la nuca fitta di
capelli
già ingarbugliati.
Non
l'aveva sentita
arrivare e le dava le spalle, ma notò che aveva estratto
qualcosa
dalla tasca e la teneva sul palmo della mano: curiosa, si sporse,
riconoscendo la forma rotonda d'un anello d'oro.
<<
E quello?
>> chiese, facendolo sobbalzare: richiuse la mano di
scatto,
girandosi veloce.
Gli
occhi sembrarono
mandare dei lampi pericolosi, o forse fu solo una sua impressione:
veloce com'erano giunti passarono, lasciandoli solo confusi.
<<
Mi hai
spaventato >> borbottò, evitando di guardarla.
Karin
gli si sedette
al fianco, le spalle si sfiorarono << Non hai risposto
>>
osservò calma, come se stessero parlando dello scorrere del
tempo.
Bilbo
deglutì,
abbassando la testa e cercando un modo convincente per dissuaderla
dalle domande pressanti che, presto o tardi, sarebbero capitate
<<
Non è nulla, solo un vecchio anello >>.
<<
Quello l'ho
capito >>.
<<
No, invece!
>> scattò Bilbo, lasciando saettare gli occhi
grigi su quelli
neri << Tu non hai compreso niente! >>.
Karin
schiuse le
labbra, sorpresa dalla reazione dell'amico << Non
c'è bisogno
di rispondere così, né d'urlare >>
disse lentamente, senza
nascondere un lieve astio nella voce.
<<
Va tutto
bene? >>.
I
due si girarono
verso Bofur, alle loro spalle, l'espressione d'un tratto seria e
preoccupata.
<<
Sì, tutto
a meraviglia >> rispose Karin, lanciando uno sguardo di
fuoco
allo hobbit, tornato nel suo mutismo e ostinatamente rivolto col capo
dall'altra parte.
<<
Mmh, se lo
dici tu >> alzò le spalle, tornando a sedersi
con gli altri.
Karin
incrociò lo
sguardo severo di Thorin, che le domandava silenzioso che diamine
stesse accadendo: gli rispose scuotendo la chioma nera, venendo poi
attirata dalla voce esile di Bilbo.
<<
Mi
dispiace, Karin. Non so cosa mi sia preso >> ammise,
quasi più
scioccato di lei.
Sospirò,
aprendo
con fatica la mano che racchiudeva l'anello: lo guardò,
tendendolo
poi verso di lei << E' grazie a questo se ora sono vivo,
e se
siamo riusciti a fuggire da Bosco Atro >> le
raccontò di come
ne era venuto in possesso rivelandole tutta la verità,
omessa
parzialmente agli altri.
Una
volta terminato, Karin rimase in silenzio, gli occhi fissi su quel
piccolo ma potente oggetto: per una qualche ragione oscura l'attirava
immensamente, ma al contempo ne provava paura;
il
suo istinto la metteva in guardia dalla sua magia, poiché un
anello
che faceva sparire non era certo da prendere alla leggera.
Perciò,
fu ben
felice quando se lo infilò nuovamente in tasca, al sicuro da
occhi
indiscreti: e ciò che la fece intimorire maggiormente fu lo
sguardo... smanioso e bramoso di Bilbo. Un'occhiata che le mise i
brividi e gelò le ossa.
<<
Bilbo...?
>> azzardò, incerta nel timbro.
Lui,
al contrario, alzò le sopracciglia, gli occhi grigi ora normali.
Karin
sospirò rincuorata, facendogli un mezzo sorriso e lasciando
perdere
ogni discorso superfluo: promise a se stessa che non avrebbe parlato
dell'anello a meno che non fosse stato strettamente necessario.
Sì,
è la soluzione migliore, per tutti quanti.
Volse
uno sguardo
alla parete della Montagna, ed un senso di smarrimento e fallimento
s'impossessò di lei, accompagnato da un crescente nervosismo
per
l'immobilità alla quale erano costretti: si alzò
di scatto,
sopprimendo la smorfia di dolore quando i muscoli protestarono
sonoramente inviandole fitte lancinanti; ecco cosa doveva aspettarsi
dopo ben un mese d'inattività, contando anche il tempo
trascorso
dagli elfi!
Imprecò
in silenzio
e si massaggiò una spalla, gemendo internamente mentre si
avvicinava
a Thorin per esporgli il suo desiderio.
<<
Io scendo
>> esordì, portando su di sé la sua
attenzione.
<<
Prego? >>.
<<
Ho bisogno
di scendere: vado a far muovere i pony e faccio una passeggiata
>>
spiegò breve, aspettando un assenso.
Thorin
l'osservò,
forse percependone il disagio e il malumore: fu per questo che non
obiettò né impose la sua presenza, assecondandola
con un cenno; un
angolo della bocca rosea si piegò riconoscente verso l'alto,
ma gli
occhi rimasero seri e sfuggenti ai suoi azzurri.
Girò
su se stessa e
si diresse alle corde, saldamente legate a dei grossi massi: con uno
sbuffo si aggrappò ad una di esse e sparì alla
sua vista, scendendo
a terra.
Salutò
Bombur con
la mano e sciolse le briglie dei primi due animali: camminò
spedita
e a lungo cercando di placare i pensieri e il mal di testa crescente,
i pony che trottavano al fianco.
Li
fece muovere
tutti finché il pallido sole passò oltre il
mezzogiorno; il cielo
era grigio e freddo, e sembrava condividere il malumore che pervadeva
la Compagnia e il suo cuore. Legò di nuovo le briglie ai
rami secchi
di alcuni alberi scuri e contorti, soffermandosi poi a sfiorare il
pomolo di Iris, lo sguardo costantemente rivolto alla roccia
impietosa e aguzza della Montagna Solitaria: sfoderò la
spada,
guardando la lama non più luccicante ma spenta e opaca, che
pareva
assorbire la monotonia dei colori che la circondavano.
Strinse
l'elsa e la
fece ondeggiare, trovandosi a compiere ghirigori nell'aria e a
mulinare fendenti contro un nemico immaginario, tagliando l'aria con
suoni dolci e letali al tempo stesso.
I
pensieri
iniziarono a svanire man mano che li affrontava a suon di lama:
girò
su se stessa, scartò di lato, parò,
affondò più e più volte nei
loro cuori, beandosi delle loro urla straziate, del sangue che
ruscellava a fiotti rosso cupo; divaricò le gambe e si
piegò sulle
ginocchia doloranti, il braccio sinistro teso e lungo davanti a
sé,
culminante nella punta della spada. Ansimava ma non le importava,
continuando a combattere: i capelli danzavano scomposti con lei, il
sudore imperlava la fronte e il collo, perdendosi giù;
l'aria fresca
la faceva rabbrividire e spostava lievemente la camicia. Uno schiocco
secco, come se qualcuno avesse appena spezzato un ramo caduto, la
mise in allerta; rapida ruotò i piedi, spostandosi di colpo
verso la
fonte del rumore, alle sue spalle: la lama d'acciaio si
scontrò con
un'altra in un suono metallico per nulla spiacevole, addirittura
quasi melodioso.
<<
Lasci
sempre il fianco scoperto >>.
Si
morse l'interno
guancia, socchiudendo gli occhi di fronte all'ovvietà
<< Lo
so. Come vedi, certi sbagli sono difficili da correggere
>>
concluse, alzando le spalle ma senza abbassare il braccio
<<
Però sono riuscita a bloccarti >>.
<<
Vero >>
concesse Thorin, rimanendo nella sua stessa posizione <<
Questo
perché ho accidentalmente spezzato un ramoscello e ti sono
comparso
alle spalle in un gesto poco onorevole: ricorda sempre di stare
all'erta, Karin, e di mantenere un contatto visivo con la coda
dell'occhio >>.
Lei
annuì, ancora
indecisa se essere contenta della sua presenza o infastidita: certo,
in quel periodo le era mancata la solitudine e si era accontentata di
quelle brevi ore poiché aveva potuto concentrarsi sui
pensieri
pressanti che la martellavano spesso e volentieri però,
d'altra
parte... ne era veramente stufa marcia!
<<
Perché non
duelliamo, in ricordo dei vecchi tempi? >> propose con un
leggero sorriso. Sì, era stata la decisione adatta: l'averlo
al
fianco l'avrebbe rasserenata e confortata.
Lo
stesso pensiero
attraversò la mente del re che, senza indugio,
accettò: non senza
rimarcare una preoccupazione << Spostiamoci di qualche
metro,
però: non mi sentirei tranquillo nel sentire il rimbombo dei
colpi;
siamo pur sempre ai piedi di una montagna sorvegliata da un Drago
>>.
Solo
allora lei
sembrò ricordarsene << Non ci avevo pensato
>> dichiarò,
adombrandosi << Forse è meglio lasciar perdere
>>.
Thorin
scosse la
testa, in disaccordo << Se ci spostiamo da quella parte
sono
certo che nessuno ci sentirà. Il vento non
trasporterà alcun rumore
verso la montagna, giacché andrà nella direzione
opposta >>
affermò convinto.
Si
avviò per primo,
sicuro che lo avrebbe seguito, seppur con qualche titubanza: e,
infatti, avvenne.
Camminarono
a lungo
ma a passo spedito e, dopo circa quaranta minuti, erano ben lontani e
al sicuro: si allontanarono di poco dall'altro e, dopo alcuni sguardi
silenziosi e guardinghi, iniziarono a duellare.
L'aria
divenne
satura del cozzare di lame potenti e resistenti, scintille
sprizzavano quando si baciavano; benché lo stile di
combattimento
dei nani fosse grossolano e brutale, a vederli pareva danzassero
leggiadri. Più di una volta si misero in
difficoltà, ma trovarono
sempre il modo di venirne fuori e rispondere agli attacchi
dell'avversario: brandivano le spade con entrambe le mani, senza
risparmiare le forze, schivando, parando, affondando e attaccando,
mettendo in pratica ogni tecnica che conoscevano, ogni trucco
imparato.
Karin
ben presto si
ritrovò a indietreggiare sotto i colpi potenti e violenti
del nano,
lasciandolo sprecare energia: quasi inciampò in una radice,
ma
riuscì a rimanere in piedi; d'un tratto avvertì
la ruvidità di un
tronco a contatto con la schiena, finendo intrappolata tra l'albero e
Thorin che, con un sorriso di trionfo, le puntò Orcrist alla
gola
tenendo la lama di piatto.
Affannato
la studiò
in silenzio, gli occhi azzurri brillavano e le labbra erano piegate
in un sorrisetto divertito, lo stesso riservatole nelle due settimane
a Esgaroth quando erano soli nella sua stanza: il sudore aveva
appiccicato alcune ciocche sottili sulla fronte alta e autoritaria,
altre erano posate sul collo.
<<
Direi che
ho prevalso ancora una volta >> sibilò con
voce calda e
suadente, sporgendo la testa verso di lei.
Le
risultò
terribilmente complicato deglutire, ma si impose di restituirgli
l'occhiata e il sorriso maliziosi, ed arcuò leggermente un
sopracciglio << Io non direi >>.
All'occhiata
sorpresa di Thorin rispose abbassando gli occhi e la testa verso il
suo stomaco, dove si trovava la lama di Iris << Saresti
morto,
maestà
>>
aggiunse ironica.
Thorin
emise una
breve risata, ringraziandola dal profondo del cuore per quel lieto
momento, nel quale i pensieri e l'impazienza l'avevano abbandonato.
<<
Parità,
dunque >> decretò, riponendo Orcrist nel
fodero; poi, le si
avvicinò e posò la fronte contro la sua,
racchiudendole il volto
tra le mani. Chiuse gli occhi e respirò profondamente il suo
odore,
senza curarsi del fatto che non si lavavano da due giorni: le mani di
lei erano sui suoi fianchi ma poi si spostarono sulle braccia,
accarezzandogliele; rimasero a lungo in silenzio, ascoltando solo i
respiri vicini e il vento che soffiava tra le rocce producendo una
sibilante melodia, a tratti inquietante che, molto presto, li
riportò
alla realtà e ai problemi che li affliggevano.
Karin
sospirò sconsolata, aprendo gli occhi ed ammirando ogni
più piccolo
tratto del volto di Thorin, ancora con le palpebre abbassate; le dita
sfiorarono la tempia, scostandogli con amore i capelli che le
impedivano di vedere
il
suo re e, senza rendersene conto, si ritrovò ad
attorcigliarli
piano, scendendo poi verso una delle trecce laterali, percorrendone
la lunghezza fino alla placca metallica che la chiudeva.
Lo
sentì respirare
sereno, ora maggiormente rilassato solo grazie a quelle piccole e
insignificanti carezze: quando aprì gli occhi la
studiò in ogni
movimento e in ogni espressione, meravigliato e contento nel vederla
tranquilla, al contrario di com'era stamattina.
Sorrise
affettuosamente ma lei non se ne accorse, poiché teneva lo
sguardo
abbassato rispetto al suo e, una volta che lo guardò
finalmente
negli occhi era tornato serio, con la fronte un poco aggrottata:
aveva notato che il sole volgeva verso occidente, il che significava
dover tornare all'accampamento.
Karin
seguì lo
sguardo impensierito, capendo: sospirò nuovamente
abbandonandosi
alla carezza che tentava essere delicata del nano, ma che amava con
tutta se stessa, di cui non si sarebbe mai stancata.
Le
piaceva il tocco
rude della mano callosa, ben più abituata a maneggiare
manici di
martelli o else di spade che guance rosee e prive di barba, ma non
per questo meno esperta: fu naturale baciarne il palmo, era un gesto
che adorava compiere, così come quello di baciargli le
palpebre o il
collo, o toccargli i lunghi capelli neri striati di bianco.
Allungò
il capo
quel tanto che bastava per appoggiare le labbra sulle sue in un bacio
leggero e delicato, a cui se ne sostituì uno più
profondo e colmo
di sentimento; lo stomaco le sobbalzò in petto quando si
rese conto
d'averlo agognato per tutta la giornata, nonostante non ci avesse
pensato molto: ed ora, lo spirito sembrò risollevarsi, il
morale
crescere, la felicità prenderla. Gli circondò il
collo con le
braccia aderendo al suo corpo con trasporto, mugugnando e percependo
le mani del nano che vagavano sui fianchi per risalire lungo la
schiena, accarezzandola e portandosi poi verso il basso.
A
suo parere si
staccarono anche troppo presto, le sue mani ancora perse lungo il
torace di lui e quelle di Thorin sui suoi glutei.
<<
Andiamo >>
disse, baciandola sul capo.
Quando
raggiunsero
lo spiazzo erboso vennero accolti dalla voce burbera di Dwalin, che
si stava lamentando << La barba ci crescerà
fino a penzolare
da qui, in cima alla rupe, fin nella valle prima che succeda
qualcosa. Che cosa sta facendo per noi il nostro scassinatore? Visto
che possiede un anello invisibile, e ormai dovrebbe sapersene servire
egregiamente, comincio a pensare che potrebbe passare per la Porta
Principale e vedere cosa succede! >>.
Bilbo
taceva, lo
sguardo afflitto e infelice; gli altri sembravano volersi trovare in
un altro luogo piuttosto che lì ad ascoltare, e questo fu
troppo per
Karin.
<<
Che altro
pretendi, Dwalin? >> domandò stizzita
<< Che sconfigga
il drago da solo e poi venga cordialmente ad aprirci la Porta?
>>.
Il
guerriero voltò il capo verso di lei, infuriato per
l'interruzione e
la frecciata acida << Mi aspetto faccia qualcosa.
È
uno scassinatore, dopotutto... >>.
<<
Cos'è,
senza Gandalf non sai più dove sbattere la testa? Credevo
ripugnassi
l'aiuto di qualcun altro oltre te stesso: o questi anni ti hanno
fiaccato? >> non riusciva a credere d'aver detto quelle
frasi
ostili, ma la soglia di sopportazione si era notevolmente ridotta da
quando era in viaggio, specie dopo aver passato gli ultimi giorni
confinata su quello sperone isolato senza combinar nulla.
Seppe
d'aver
provocato un guaio quando scorse l'espressione sempre più
scioccata
ma arrabbiata oltre ogni dire di Dwalin: strinse i pugni talmente
forte da iniziare a tremare e, rapido, scattò verso di lei;
indietreggiò spaventata, chiedendosi cosa sarebbe successo
ma, per
fortuna, Thorin fu altrettanto veloce a frapporsi tra loro,
portandosi davanti a lei per proteggerla.
O
almeno, così
credeva.
<<
Calmati,
Dwalin! Anche se la punissi non riusciresti a tenerle a freno quella
lingua tagliente >> esclamò duramente a voce
elevata,
riuscendo a bloccare l'amico col suo corpo.
Il
nano ringhiò, allontanandosi dal suo re, facendo qualche
passo
indietro << Parola mia, esiliata,
un'altra frase del genere e ti farò pentire di essere nata!
>>
sbraitò, schiumante di collera << Mai
dare del codardo a me, sono stato chiaro? >>.
<<
Non
intendeva chiamarti a quel modo... >> iniziò
Gloin, tentando
di prendere le difese della ragazza.
<<
Ah no?
Togliti il cerume dalle orecchie, la prossima volta >>.
<<
Il cerume
mi pare ce l'abbia tu, e non certo nelle orecchie! >>
replicò
furente Gloin, lanciandogli un'occhiataccia.
Il
gruppo si divise
e si distribuì dietro i due contendenti, afferrandoli per le
braccia
possenti o gli abiti per evitare l'inevitabile scontro.
Le
grida riempirono
l'aria, ma vennero prontamente placate dalla voce tonante e ruggente
di Thorin, che faceva ancora da scudo a Karin; immediatamente tutti
ammutolirono e lo guardarono, mentre gli occhi si riempivano di
vergogna nel caso degli altri e di fiera determinazione nei due nani.
<<
Smettetela! Non dobbiamo permettere che questi litigi
insensati
avvengano, sono stato chiaro? >> fece vagare lo sguardo
su
ognuno di loro, soffermandosi sull'amico << Capisco come
tu ti
senta impotente - essendo lo stesso sentimento che ci pervade
– ma
non è azzuffandoci tra noi che risolveremo il problema:
dobbiamo
pazientare ancora un poco. E se non accadrà nulla nelle
prossime
ventiquattro ore, faremo come hai suggerito >> sentendola
trattenere il fiato indignata avvertì la rabbia crescere nel
petto:
si girò, fronteggiandola << Scusati per il
comportamento
insolente, Karin! >>.
Lei
schiuse le labbra, se possibile ancora più sorpresa di
quando aveva
capito che Dwalin l'avrebbe punita: insolente?
Aveva semplicemente difeso un amico dalla brutalità di un
nano
indisponente!
Si
morse le labbra e
lo sfidò con lo sguardo a costringerla, alzando il capo
fiera e
orgogliosa; Thorin non si fece certo intimorire, anzi,
accentuò lo
sguardo rabbioso e irritato: possibile non capisse e dovesse sempre
ergersi ad eroina della situazione e polemizzare per ogni questione?
Le
sue parole avevano inciso sull'orgoglio di Dwalin e, se solo avesse
provato a pensare
attentamente,
avrebbe ricordato che mai e poi mai avrebbe dovuto dirle, sapendo
quanto l'altro fosse suscettibile; non che lui lo fosse di meno,
d'altra parte. Se gli avesse rivolto quelle frasi, non ci sarebbe
stato nessuno in grado di fermarlo dal castigarla; e si
stupì non
poco constatando che lei – essendo ben altezzosa –
non l'avesse
capito subito.
Passò
molto tempo
nel quale nessuno dei due volle perdere quello scontro silenzioso e
visivo ma, finalmente, Karin capitolò, forse arrivando alle
stesse
conclusioni pensate dal nano: si spostò e si
avvicinò a Dwalin,
mantenendosi ad una distanza ragionevole.
<<
Scusa >>
sputò tra i denti, gli occhi neri fiammeggianti.
Dwalin
rimase
imperturbabile, ma comprese fin troppo bene quanto fosse soddisfatto
della resa: infuriata con se stessa, con lui e anche con Thorin, non
attese una risposta, non riuscendo a sopportare oltre
quell'espressione compiaciuta; si girò rapida,
allontanandosi il più
possibile – per quanto lo spiazzo glielo permettesse. Per un
attimo
fu tentata di scendere di nuovo, ma era troppo stanca anche solo per
sedersi a terra, con le gambe che penzolavano dal bordo roccioso.
Non
si sentì mai
così umiliata come in quel momento, e
dovette sbattere le
palpebre ed inspirare a fondo per impedirsi di piangere di rabbia:
d'accordo, era stata fin troppo brusca e offensiva, ma era
intervenuta in buona fede per difendere un suo amico! Non c'era nulla
di male in questo, a parte il modo con cui si era esposta.
Si
passò una mano
sulla fronte, lasciando che il suo animo venisse diviso dal senso di
colpa e dall'orgoglio ferito, in lotta per farla sentire peggio;
rimase a scrutare lontano per molto tempo, finché il primo
buio
della sera non li accolse e la cena fredda non fu pronta. Volendo
evitare ulteriori prediche, raggiunse gli altri cenando con loro
–
nonostante la voglia di stare da sola cercasse di tirarla nella sua
infida rete.
Il
clima non era dei
migliori: stettero in silenzio e si scambiarono solo qualche frase,
ricordando gli avvenimenti precedenti e il fatto che, a pochissimi
passi da loro, vi era l'unica apertura che potesse condurli
all'interno della Montagna, dove li aspettavano un feroce drago
pronto a divorarli e il loro prezioso tesoro.
Si
coricarono col
cuore pesante, ma Karin faticava a prendere sonno a dispetto
dell'indicibile stanchezza, quindi decise d'alzarsi e portarsi quasi
sullo strapiombo: sapeva che un solo passo falso le sarebbe costato
la vita ma, sinceramente, non le importava. Puntò lo sguardo
sul
pianoro, là dove vi erano i pony e Nori e Dwalin che li
sorvegliavano: ringraziò la decisione stessa del guerriero
di
abbandonare l'accampamento per la notte, così era riuscita
ad
evitarlo subito dopo cena.
Incrociò
le braccia
al petto, espirando ed osservando il lieve sbuffo che le si
formò
davanti, dato dal freddo che era sceso come una lama glaciale sulle
loro teste; reprimendo un brivido cercò di scaldarsi,
frizionandosi
il petto, ma non servì a molto: schioccò la
lingua, sapendo troppo
bene di cosa aveva bisogno. Di chi.
<<
Ehi >>.
Sobbalzò
un poco,
riconoscendo la piccola sagoma di Bilbo comparso al suo fianco senza
che se ne fosse accorta; gli sorrise debolmente, certa che l'avrebbe
vista in quell'oscurità.
<<
Stavolta mi
hai sorpresa. Non ti avevo nemmeno sentito arrivare >>
confessò, giusto per spezzare il silenzio.
<<
Eri
talmente assorta che, se anche fosse passato un olifante da queste
parti, non ci avresti fatto caso >> dichiarò
lui con una
risatina. Poi, però, tornò serio <<
Sono terribilmente
mortificato per ciò che è successo stasera.
Detesto quando litighi
con qualcuno, specie se si tratta di Thorin >>.
Karin
abbassò il
capo quando sentì la mano dello hobbit posarsi sul braccio,
accarezzandoglielo: non trovò niente da dire, limitandosi a
restituirgli la stretta.
<<
Non
rispondi nulla? >> domandò Bilbo, tentando di
coinvolgerla.
Scosse
le spalle <<
Anche a me dispiace. Ma lo rifarei >> ammise, con tono di
voce
sicuro.
<<
Non dire
così, Karin! Non ne vale la pena... >>.
<<
Dwalin ti
ha parlato ingiustamente, non avrebbe dovuto >> lo
interruppe,
dura << E che vuoi dire con “non ne vale la
pena”? Non
dovresti dire così: mi sono sentita in dovere di prendere le
tue
difese perché lo volevo >>.
<<
Compromettendo il tuo rapporto con Thorin >>
bisbigliò lui,
amareggiato.
Karin
si morse la
lingua e agitò una mano, a voler scacciare quella
consapevolezza
sofferta << E' stato solo un lieve diverbio, niente che
non si
possa risolvere >> borbottò <<
E' solo che il nostro
orgoglio ci impedisce di riavvicinarci e parlarci come si conviene.
Non temere per noi, Bilbo >> aggiunse con un mesto
sorriso <<
ne abbiamo passate di peggio, sai. Ma siamo riusciti a riconciliarci
>>.
Bilbo
le rivolse un
sorriso uguale al suo, arrendendosi << Grazie
>>.
<<
A che
servono gli amici, altrimenti? >>.
Profondamente
grato,
Bilbo l'abbracciò stretta, affondando il viso nell'incavo
del collo,
lasciando che i capelli gli solleticassero il viso: sentì
Karin
ricambiare, portandogli sollievo nell'amarezza in cui era
sprofondato.
Ora
poco più sereno
si staccò da lei, azzardando una carezza sulla guancia
destra <<
Riposati, amica mia; e poi parla con Thorin >>.
Lei
annuì,
sfregando brevemente la gota sul suo palmo, mortalmente distrutta e
spossata: sorrise ampiamente quando le strizzò la pelle in
uno
scherzoso buffetto, per poi allontanarsi verso il giaciglio; poco
dopo, era già sprofondato nel mondo confortante dei sogni,
lontano
da ogni problema, ogni preoccupazione e timore: chissà,
forse
avrebbe sognato Vicolo Cieco e i suoi abbondanti pasti, il suo
caminetto caldo, la sua poltrona comoda e il suo letto morbido.
Scosse
la testa,
mentre un dolore martellante alle tempie non le dava tregua: ah, come
avrebbe voluto coricarsi anche lei e dormire, abbandonando il ricordo
di quelle spiacevoli ore! Ma aveva altri pensieri pressanti, al
momento.
Schivò
con abilità
i compagni dormienti, raggiungendo il pagliericcio prescelto: si
chinò sui talloni, rimanendo qualche momento a contemplare
la figura
addormentata, i lineamenti non del tutto tranquilli nemmeno nel
sonno. Le dispiacque doverlo svegliare ma non riusciva a rimandare
oltre, benché meno la mattina successiva: perciò
lo scosse piano
per una spalla, e quello si svegliò di soprassalto,
mettendosi a
sedere non appena la riconobbe.
<<
Dobbiamo
parlare >> annunciò, senza dargli il tempo di
chiederle perché
non stesse riposando; alla sua occhiata colma di domande, rispose con
un semplice << per favore, Thorin >>.
<<
Allora
siediti accanto a me >>.
Karin
si sentì
sollevata dal tono che usò, ben diverso da quello con cui le
si era
rivolto, e obbedì, stringendosi il più possibile
nel mantello per
cercare di coprirsi bene: Thorin risolse quel problema sfilandosi il
pesante mantello ed appoggiandolo anche sopra le sue spalle,
attirandola inevitabilmente verso il calore del suo corpo. Il
mantello era tiepido, e Karin benedì l'idea con tutto il suo
cuore,
accoccolandosi contro il suo fianco.
<<
Mi dispiace
>> ammise, dopo alcuni momenti di silenziosa attesa
<< Ho
compreso che il mio modo di esprimermi è stato poco...
ortodosso. Ho
sbagliato a dargli del codardo, avendo dimenticato quanto detestasse
quell'aggettivo >>.
<<
Non
dovresti scusarti con me, ma con lui >>
obiettò il nano, non
senza nascondere un sottile sorriso vedendola storcere il naso,
contrariata.
<<
L'ho già
fatto. Non mi ero scusata con te, invece: e in queste ore sono stata
insofferente per questo motivo; detesto immensamente litigare
>>.
<<
Sono
pienamente d'accordo, specie se ci siamo riavvicinati >>
le
passò un braccio attorno alla vita, stringendo piano
<< mi
rammarico per non essere riuscito a relegare l'orgoglio e parlarti
prima: temo che per me sia alquanto difficile >>.
Lo
guardò di
sottecchi, per poi scuotere la testa con un'ennesima smorfia di
sofferenza << Dovevo essere io a rimediare, non tu. Ero
solo
contrariata dalla tua decisione - e lo sono tuttora, sia chiaro
–
ma l'accetterò: confido sempre in un qualche intervento
propizio per
salvare Bilbo dall'invisibilità e dal drago >>.
A
quel punto, il
sorriso di Thorin si fece ampio, lasciandola basita e perplessa
<<
Fai bene a sperare: domani è il Dì di Durin! E,
se ciò che ha
detto Elrond corrisponde a verità, al calar dell'ultimo sole
d'autunno scopriremo il buco della serratura che ci
permetterà
d'entrare >> la guardò, gli occhi azzurri
brillavano ilari e
gioiosi come poche volte, specialmente da quando si erano accampati
lì.
Karin
comprese il
motivo del suo buonumore, complimentando l'ottima pensata.
<<
Quindi, se
non erro, Bilbo... >>.
<<
Non sarà
costretto ad usare l'anello magico, né a sconfiggere
alcun drago
per poi aprirci cordialmente la Porta >>
replicò, citando
testualmente le parole da lei dette.
Dovette
trattenersi
dal ridere forte, permettendosi una delicata risata, felice e
consolatoria dopo quelle brutte ore << Ti ringrazio,
Thorin:
ora sono molto più tranquilla >>.
<<
Lo vedo >>
constatò lui, tornando serio << Il tuo affetto
per lo hobbit è
molto tangibile >> un certo tono infastidito nella sua
voce la
mise in allerta, facendole aggrottare la fronte.
<<
Tengo a
lui, è vero: lo considero un caro amico >>
rispose cauta ma
veritiera.
<<
Amico >>
sussurrò, più a se stesso che a lei. Rimase
qualche secondo perso
nei suoi pensieri, ma poi la fronte si spianò e
sembrò rilassarsi
semplicemente guardandola negli occhi, intensamente <<
Ora
riposa, Karin, e allontana i cattivi pensieri: l'alba è
sempre più
vicina >>.
Si
distese,
osservandola stupito nel vederla ancora seduta e immobile, lo sguardo
incerto e titubante.
<<
Posso...
dormire qui? >> chiese.
Senza
dir nulla la
condusse giù, tra le sue braccia; le baciò la
fronte donandole un
certo sollievo, poi depose un leggero bacio sulle labbra, a voler
confermare la pace.
<<
Il tuo
posto è con me >> le
sussurrò all'orecchio, assumendo
un tono di comando e minaccia << Non dimenticarlo mai
>>.
Il
giorno seguente
si svolse come il precedente, senza alcun cambiamento né,
per
fortuna, altre liti; solo durante il pomeriggio si mossero, non
volendo rimanere un minuto di più in quello spiazzo: alcuni
scesero
a far muovere i pony o a sgranchirsi le gambe, altri errarono sul
fianco della Montagna. Bilbo rimase a sedere tutto il giorno fissando
continuamente la porta, o l'Occidente attraverso la stretta apertura
rocciosa. Era in attesa di qualcosa, e si consumava nel tentativo di
capire quel cosa.
<<
Forse
tornerà Gandalf >> bisbigliò; ma
poi scosse la testa, sapendo
in cuor suo che ora doveva sbrigarsela da solo.
Quando
la palla
arancione del sole calò al livello dei suoi occhi,
illuminando ogni
cosa in colori ancora debolmente caldi, scorse anche un sottile
quarto di luna pallido e vago; aggrottò la fronte e
corrugò le
sopracciglia, alzandosi frettolosamente in piedi.
Proprio
in quel
momento sentì, dietro di sé, il rumore di
qualcosa che veniva
schiacciato: sulla pietra grigia c'era un tordo nero come il carbone,
col petto giallo chiaro; aveva preso una chiocciola e, con un sonoro
Crac! la stava sbattendo sulla pietra.
Eccitato
e agitato
insieme, venne colpito dalle parole che re Elrond aveva detto loro
mesi addietro, rimanendone scioccato: “Sta'
vicino alla
pietra grigia quando picchia il tordo e l'ultima luce del sole che
tramonta nel giorno di Durin splenderà sul buco della
serratura.”
Lì
c'era un tordo.
Un tordo, per l'amor del cielo! Tutto il
resto combaciava
alla perfezione! Quindi, il buco della serratura...
Balzò
sulla cornice
chiamando a gran voce i nani, urlando e agitando le braccia: i
più
vicini accorsero subito, spaventati, mentre chi si trovava
giù gridò
che li issassero sulle corde. Una volta che ci furono tutti, attesero
trepidanti che il sole calasse maggiormente, non emettendo il minimo
fiato; impazienti, iniziarono a gemere sconfortati quando non accadde
nulla, ma Bilbo li rincuorò con dei cenni. La luna si
abbassò
sull'orizzonte, la sera era imminente.
Poi,
improvvisamente, quando ogni speranza stava per svanire, un rosso
raggio di sole scappò attraverso uno squarcio nelle nubi: la
luce
entrò dritta nello spiazzo erboso e cadde sulla liscia
parete
rocciosa. Trasalirono quando il tordo trillò
inaspettatamente,
venendo seguito da un forte scricchiolio: una scheggia di roccia
cadde dalla parete, staccandosi con fragore, ed un buco apparve a un
metro dal suolo.
Alcuni
si fecero
avanti, timorosi che quell'estrema possibilità potesse
svanire, e la
spinsero: invano.
<<
La chiave!
>> gridò Bilbo << Thorin, la
chiave!!! Presto! >>.
Il
re si precipitò
in avanti, armeggiando tra gli abiti per trovarla: velocemente la
infilò nel buco, non senza un lieve tremore di frenesia;
entrò
benissimo e poi girò.
Il
bagliore si
spense, il sole tramontò, la luna sparì e la sera
balzò su nel
cielo; trattenendo il fiato come un sol compagno, si guardarono
dapprima timorosi e poi, sicuri, spinsero tutti insieme, facendo
sì
che una parte della parete rocciosa cedesse. Si delineò una
porta
alta proprio un metro e mezzo e larga uno – come riferito
dalle
rune – che si aprì senza un lamento verso
l'interno. Il buio e
l'umido parvero uscire come un vapore dalla Montagna:
un'oscurità
densa e profonda in cui non si poteva vedere nulla.
Un'oscurità
che non
ebbe il potere di spaventarli subito, giacché proruppero in
esclamazioni e risa, ben felici d'esserci riusciti: si raccolsero
attorno al loro scassinatore, dandogli pacche affettuose sulla
schiena o sulle spalle, sorridendo come non facevano da giorni. I
più
giovani, presi dall'entusiasmo, arrivarono addirittura ad alzarlo con
i loro abbracci vigorosi e grati. Persino Karin, ebbra di gioia,
lasciò da parte ogni accortezza e corse ad abbracciare di
slancio il
suo Thorin, allacciandogli le braccia al collo e ridendo come quando
era bambina, sorprendendolo. Ma, con immensa felicità, lo
sentì
restituire il gesto, seppur cercando di mantenere un'espressione
pacata e dignitosa di fronte agli sguardi bonariamente canzonatori
degli altri.
Una
volta placati
gli entusiasmi e ripristinato l'ordine – e ci volle un bel
po' –
rimaneva solo da discutere un nuovo piano.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonasera!
Anzi,
buonanotte mie care! Puff puff, ce l'ho fatta! E' da giorni che
scrivo, non mi sono fermata un attimo – tranne che per
mangiare,
andare in bagno, dormire, bere e... leggere ^^ - comunque, eccomi
qui!
Che ne dite, ci
siamo? ;) finalmente l'hanno aperta, 'sta porta! Mi scuso per il
capitolo un po' corto, non è che succeda granché
nella storia
originale, e non potevo certo farli litigare costantemente tutto il
tempo, no? Poveracci :'(! Ad ogni modo, spero l'abbiate gradito anche
se non succede nulla d'importante e/o esaltante :(, scusate u.u
Va
bé, come al
solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le
solite
recensioni ;)
Ringrazio
le carissime e specialissime jaybeautifldarkangel,
Lady_Daffodil, Carmaux, LadyGuns56, Synne, vanessa90, pamagra, Ele
Vera, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Capitolo diciotto ***
CAPITOLO
DICIOTTO
<<
Sapete, non
è che guardando in quest'oscurità senza dir nulla
troveremo una
soluzione al problema >>.
<<
Temi il
buio profondo, Bofur? >> chiese Nori, con un leggero
sorrisetto.
<<
Non più di
quanto lo tema tu, Nori >> rispose il giocattolaio,
indicandolo.
<<
Quindi, ora
che si fa? >> domandò Dori, lanciando
un'occhiata severa al
fratello minore.
Quattordici
teste si
voltarono verso Thorin, in attesa di risposta: era pensieroso e
rimase in silenzio per alcuni minuti, prima di proferire parola
<<
E' arrivato il momento per il signor Baggins di guadagnarsi la sua
Ricompensa, già ampiamente meritata dopo le dimostrazioni
del suo
coraggio e fortuna >>.
Bilbo,
dopo aver
scacciato la punta d'orgoglio che aveva infiammato il cuore alle
ultime parole del nano, si spazientì, lasciando che il lato
Tuc –
unito ad una buona dose di confidenza che era ormai certo di
possedere – emergesse << Se vuoi dire che il
mio compito
preveda d'entrare per primo nel passaggio, Thorin Scudodiquercia, che
la tua barba possa allungarsi sempre più >>
disse ironicamente
<< dillo subito senza tanti giri di parole! Vi ho
già tirato
fuori dai pasticci per ben due volte e ciò non era compreso
nel
patto iniziale, se be ricordo, quindi credo d'essermi già
guadagnato
una certa ricompensa >> spostò gli occhi dal
volto serio e
corrucciato di Thorin per posarlo su quello degli altri, in muta e
trepidante attesa; incontrò gli occhi neri di Karin che, a
braccia
conserte, ascoltava attenta, non senza una buona dose di divertimento
nei tratti.
Sembrava
pienamente
d'accordo, oltre che orgogliosa dal carattere dimostrato; col cuore
immensamente più leggero, lo hobbit riprese <<
Ma, come diceva
spesso mio padre, “la terza volta è quella
buona”, perciò non
rifiuterò. Andrò a dare un'occhiatina subito per
togliermi questo
pensiero. Chi vuol venire con me? >>.
Come
aveva previsto
non si fece avanti nessun volontario: Fili e Kili evitarono di
guardarlo, imbarazzati, ma gli altri non fecero neanche finta di
offrirsi; persino Karin che, di norma, accantonava le sue paure e si
dimostrava più coraggiosa di quel che era non
fiatò, scusandosi con
lo sguardo.
<<
Verrò io,
ragazzo >> annunciò Balin <<
Entrerò e, forse, ti
accompagnerò un poco più in là, pronto
a chiamare aiuto in caso di
bisogno >>.
Bilbo
annuì, grato,
per poi alzare brevemente il capo verso il cielo pallido striato di
nero, notando che piccole e luminose stelle iniziavano a spuntare.
<<
Fate
attenzione, specialmente tu, Bilbo >> disse Thorin,
avvicinandosi.
<<
Sii
prudente >> aggiunse Karin, posandogli una mano sul
braccio e
stringendo leggermente; Bilbo le batté qualche colpetto sul
dorso e
le regalò un breve sorriso tirato, sentendo improvvisamente
la sua
audacia vacillare: ma durò un battito di ciglia e, col cuore
martellante, strisciò attraverso la porta incantata,
intrufolandosi
furtivo nella Montagna.
Il
cunicolo era
dritto, con pareti lisce e ben spianato al suolo: si inclinava
leggermente verso qualche oscura meta lontana, nelle tenebre
sottostanti.
Camminarono
in
totale silenzio, scandito solo dal rumore dei passi di Balin
– ben
più rumoroso – e dal battito forte del cuore del
povero hobbit,
finché il nano non si fermò, costringendo l'altro
ad arrestarsi.
<<
Buona
fortuna, Bilbo! Mi spiace non poterti aiutare maggiormente, ma credo
sia meglio che mi fermi >>.
<<
Non temere
>> rispose Bilbo, tentando di non far tremare la voce
<<
Anzi, ti ringrazio per la compagnia >>.
<<
Inutile
raccomandarti la massima cautela: è mio desiderio
– anzi,
dell'intera Compagnia - rivederti presto sano e salvo >>
gli
strinse la mano, osservandolo poi inoltrarsi sempre più
giù, nelle
tenebre.
Dopo
essersi infilato l'anello, Bilbo parve quasi risollevarsi: ora era
invisibile e, cosa non meno importante, era silenzioso;
faticava
a sentire i propri passi incedere sulla pietra liscia del corridoio
stretto.
“Ora
ci sei proprio dentro, vecchio mio” si
ritrovò a pensare, sconsolato “e
non ti resta altro da fare che cercare di uscirne! Che pazzo sono
stato e sono!”
Continuò
ad
avanzare finché la fioca sagoma della porta non
sparì del tutto,
lasciandolo veramente al buio... e solo.
Deglutì,
cercando
di non dar peso ai brividi gelidi che percorsero la schiena, seguiti
da un insano calore che gli fece aggrottare la fronte.
Stupito,
si deterse
il sudore dal volto, strizzando gli occhi quando gli parve di
scorgere un bagliore, ancora più avanti; camminò,
notando quando
diventasse più forte e, senza alcun dubbio,
confermò l'ipotesi: si
trattava di una luce, e diventava sempre più rossa.
Sbuffi
di vapori
fluttuavano intorno a lui e sopra la sua testa, facendolo sudare:
boccheggiò, rischiando di strozzarsi quando udì
una specie di
brontolio, simile al ribollire di un grosso pentolone sul fuoco.
Si
fermò, portando
una mano al cuore nell'assurdo tentativo di placarlo; con una
smorfia, data dall'attorcigliarsi dello stomaco, compì
l'atto più
coraggioso che potesse mai anche solo pensare: avanzò.
E,
quando giunse alla fine del tunnel, restò a bocca aperta
dallo
stupore: la Sala, scavata alle radici della Montagna, talmente alta e
vasta che non riuscì a vederne i contorni, ospitava la
più grande
quantità d'oro che avesse mai visto; anzi, dubitava persino
di
essere anche mai riuscito a pensare
ad
una tale mole di tesori!
A
dispetto dell'oscurità ogni moneta, pietra preziosa,
armatura, arma,
cotta di mithril, coppa o calice, sembrava brillare di luce propria,
lasciandolo sbalordito e attonito; abbracciando la sala con lo
sguardo, però, capì da dove
proveniva quel bagliore.
O
meglio, da chi
proveniva:
da Smaug.
Fece
un passo
indietro, ricordandosi d'essere invisibile e chiunque, anche a
quell'enorme drago color oro rosso che giaceva addormentato su vere e
proprie montagne di monete: dalle fauci e dalle froge provenivano un
rumore sordo e sbuffi di fumo; la grossa coda era avvolta in spire,
le membra si alzavano ed abbassavano placide a ritmo del respiro.
Non
riuscì a
deglutire, benché meno a pensare: rimase immobile ad
osservare le
gigantesche ali raccolte, il pallido ventre incrostato di gemme e
frammenti d'oro per il lungo riposare su quell'insolito letto.
Eppure,
accanto allo
spavento che la vista di Smaug il Dorato gli procurava, non poteva
impedirsi di venir avvolto dal desiderio e dall'incanto che tanto
albergava nel cuore dei nani quando parlavano del tesoro
incommensurabile e invalutabile che li aspettava lì sotto.
Rimase
a fissarlo a
lungo, non riuscendo a quantificarne il tempo, prima di decidersi a
strisciare fuori dall'ombra della porta del cunicolo, attraverso il
pavimento fino al bordo più vicino dei mucchi del tesoro.
Guardingo
– e tenendo sempre lo sguardo puntato verso la figura
minacciosa –
afferrò una grande coppa a due manici, la più
pesante che riuscisse
a trasportare.
Fu
proprio in quel
momento che il drago scosse un'ala, aprì una zampa, e il
rombo del
suo russare cambiò di tono.
Bilbo
sentì
d'impallidire e, senza attendere oltre, scappò
nell'oscurità
confortante del tunnel, il cuore che rimbombava furioso e le gambe
talmente molli che minacciarono di farlo cadere più volte
durante
l'estenuante risalita. Tremava febbrilmente, mentre dentro di
sé
continuava ad urlare che sì, ce l'aveva fatta!
La
lieve luce della
porta gli fece riconoscere la grossa sagoma di Balin e, prima di
raggiungerlo, ricordò di sfilarsi l'anello: il vecchio nano
fu ben
felice e sorpreso di vederlo e, capendo la sua agitazione, lo prese
sottobraccio per portarlo fuori, all'aria aperta.
<<
Perché ci
mette così tanto? >> domandò per
l'ennesima volta Karin,
girandosi verso il tunnel oscuro.
<<
Le tue
continue domande non lo riporteranno più in fretta, se
è questo che
credi >> le rispose bruscamente Thorin, al limite della
pazienza: anche lui iniziava a preoccuparsi, poiché la
mezzanotte
era appena passata, ma non era arrivato all'irrequietezza e al
terrore che vedeva in lei.
Nonostante
il sempre
e crescente fastidio che provava ogni qual volta accennava allo
scassinatore, comprese bene ciò che provava, quale impotenza
le
permeasse il cuore: e questo lo placò, in qualche modo.
Le
si avvicinò a
passi pesanti, accarezzandole una spalla <<
Tornerà presto,
non temere >>.
Karin
si bagnò le
labbra, annuendo a fatica; improvvisamente, bisbigli concitati si
levarono come un sol nano, portando l'attenzione della coppia verso
due figure, appena uscite dal tunnel.
Senza
nemmeno
guardare Thorin, sgusciò dalla presa e corse da Bilbo, che
si era
disteso e respirava affannosamente tentando di placare lo spavento e
ricercava l'aria fresca mancatagli nelle viscere della Montagna; si
accorse a malapena dell'eccitazione dei nani ma, quando
percepì
qualcuno inginocchiarsi al suo fianco e prendergli una mano calda tra
dita gelate sorrise, riconoscendo Karin.
Balin,
che teneva la
coppa tra le mani e la guardava quasi con adorazione, lasciò
che gli
altri si congratulassero con lo scassinatore per poi mostrarla: il
silenzio calò sovrano, gli occhi accesi e brillanti di
contentezza
puntati sull'oggetto. Thorin fu il primo a riscuotersi ed
allungò un
braccio per prenderla ed esaminarla, senza dir nulla.
<<
E'
meravigliosa! >> esclamò Kili, quando giunse
il suo turno <<
Complimenti, Bilbo: non potevi scegliere oggetto migliore da
riportare >>.
<<
Ora la
riconquista del tesoro sarà una passeggiata, non
è vero Thorin? >>
domandò esaltato Fili, scordandosi del problema principale:
fatto
che, al contrario, non abbandonò la mente dello zio.
<<
E il Drago?
>> chiese a Bilbo che, nel frattempo, si era seduto ed
era
riuscito a calmarsi.
Lo
hobbit represse
un brivido, ma se ne aggiunse subito un altro mentre ricordava a cosa
aveva assistito << Quando sono giunto nella Sala era
addormentato, ma... >>.
<<
Ma? >>
ripeté Thorin, alzando le sopracciglia nere.
<<
Non appena
ho afferrato la coppa si è agitato nel sonno, come se avesse
percepito la mia presenza e le mani che toccavano il suo tesoro, e...
>>.
<<
Non è il suo
tesoro >> scattò Thorin, sibilando furente
<< ma nostro!
Vedi di non dimenticarlo >>.
<<
Ho detto
così in quanto lo ha vegliato per lunghi anni, ma so
perfettamente
che vi appartiene. Non intendevo offendere >>
spiegò, tentando
di placare l'irosità del nano.
<<
Anche se è un guardiano
>>
replicò con malcelato disprezzo << rimane
comunque il nostro
tesoro. Lui ce l'ha preso con la forza, e non abbiamo potuto far
nulla per impedirglielo! >> strinse la mani a pugno fino
a
farle sbiancare, gli occhi azzurri erano un mare in tempesta mentre
rimembrava quei giorni funesti: era adirato con se stesso e con il
povero Bilbo, che non riusciva a trovare altro con cui replicare.
<<
Bilbo non
ti sta accusando per la venuta di Smaug, Thorin >>
intervenne
Karin, tentando di placarlo: avanzò di qualche passo
portandoglisi
vicino, guardandolo negli occhi << né voleva
dire ciò che hai
inteso >>.
Alzò
una mano per
posargliela sul braccio ma lui, ancora furente, la scostò
bruscamente e, a grandi passi, si portò dal lato opposto
dello
spiazzo dando loro le spalle.
Karin
sentì una
stilettata al petto, ma non riuscì a fare o dire nulla che,
improvvisamente, un enorme rombo come di tuono eruppe dalla parte
inferiore della montagna; la porta alle loro spalle quasi si chiuse e
su per il tunnel, dalle profonde viscere della terra, giunse un
lamento furioso e un pestare che fece tremare il suolo.
Thorin
si riscosse
dal suo turbamento e corse dagli altri, che si erano raggruppati e
immobilizzati scrutando ansiosi sia l'oscurità alle loro
spalle, sia
quella che li circondava.
<<
Si è
svegliato, sicuro! >>.
<<
Si è
accorto che gli manca la coppa, accidenti! >>
esalò Bilbo con
un sussurro tra lo spaventato e l'infastidito.
<<
Shh, fate
silenzio! >> intimò Balin, portandosi l'indice
alle labbra,
ascoltando attentamente; anche gli altri l'imitarono e, con orrore,
sentirono chiaramente il suono dell'aria che veniva sferzata da un
paio di grandi ali e, alzati gli occhi al cielo, videro un enorme
sagoma nera che si librava fiammeggiante contro la luna posarsi in
cima alla montagna in una vampa di fiamme scarlatte.
<<
Indietro!
>> sussurrò Thorin, agguantando Karin per un
braccio; la coprì
col proprio corpo a ridosso della parete rocciosa, mentre gli altri
si acquattarono ai piedi dei massi, sperando di sfuggire agli occhi
spaventosi che li cercavano.
Col
cuore in gola
che le mozzava il respiro, Karin dovette fare i conti col ronzio
acuto nelle orecchie dato dalla paura che l'attanagliava, e la sempre
più crescente perplessità riguardo i
comportamenti di Thorin: la
disorientava il carattere prima amorevole, poi arrabbiato e, infine,
preoccupato e nuovamente protettivo del nano.
Scacciò
quell'ultimo pensiero concedendo la priorità al problema del
drago,
a metri di distanza ma, purtroppo, ben presente: la schiena di Thorin
la schiacciava contro la roccia, ed il respiro corto e breve muoveva
alcuni capelli, arrivando a solleticargli il collo; entrambi avevano
lo sguardo puntato verso l'alto alla ricerca dell'animale, ma
sobbalzarono quando la voce ansimante di Bilbo li chiamò
<<
Presto! La porta! Il tunnel! Via di qui! >>.
Thorin
si mosse,
portandola lentamente verso il tunnel, quando la voce preoccupata di
Ori lo fermò << Non possiamo entrare, Bofur e
Bombur sono giù
nella valle! >>.
Karin
si bloccò,
guardando piena di sgomento il giovane nano, dandosi della sciocca
per averli dimenticati in tutto quel trambusto: infatti, i due erano
stati mandati a sorvegliare i pony poco dopo che Bilbo e Balin si
erano addentrati nel varco oscuro.
<<
Verranno
uccisi, e anche i nostri pony, e perderemo tutte le provviste!
>>
gemette Dori, quasi piagnucolando.
<<
Sciocchezze! >> disse Thorin, parlando per la prima volta
e
placando i vari gemiti e sospiri già rassegnati degli altri
<<
Non li abbandoneremo! Bilbo, Balin e Fili, tornate dentro e portate
Karin con voi, il drago non ci avrà tutti. Voialtri,
prendete le
corde! Kili, lancia due frecce verso la valle, come stabilito
>>
ordinò perentorio, mentre gli altri già
obbedivano ai suoi comandi.
Karin
andrò dritta
verso il fagotto che conteneva alcuni corti archi di legno,
raccattando una freccia dalla faretra.
Si
portò al fianco
di Kili, che aveva già incoccato una prima freccia e, con
maestria e
precisione, la lanciava nella notte: lei tese la corda più
che poté,
seguendo con lo sguardo la traiettoria della prima – per
quanto
l'oscurità glielo permise – e, dopo un leggero
sospiro, la scagliò
veloce.
Il
giovane nano, che
non si era subito accorto della sua presenza, la guardò
dapprima
stupito, per poi rivolgerle sia un breve sorriso di ringraziamento
sia un'occhiata preoccupata, capendo che aveva appena disubbidito;
difatti, non appena aveva abbassato l'arco, si era sentita trascinare
lontano dal dirupo, trovandosi faccia a faccia con un furente Thorin:
aveva la mascella contratta e digrignava i denti dalla rabbia, e
stringeva il suo braccio con così tanta forza che le avrebbe
lasciato le impronte della mano sotto i vari strati di indumenti
pesanti, ne era certa.
<<
Fili! >> sbraitò, non riuscendo a placare la
rabbia nella
voce. Il nipote accorse subito, temendo la tremenda lavata di capo
che l'aspettava; invece non lo sgridò, più
furioso con la ragazza
che con lui << Portala dentro. Ora!
>>
scandì bene, senza guardarlo negli occhi: lo sguardo era
unicamente
ancorato al volto di Karin e vi rimase finché non la vide al
sicuro
con il piccolo gruppo.
Nel
frattempo, Bofur
e Bombur – dopo aver notato il segnale di pericolo dato dalle
frecce scagliate a pochissimi metri da loro – se l'erano data
a
gambe il più velocemente possibile, raggiungendo il punto
dove gli
altri li aspettavano con le corde per issarli su.
Furono
i momenti
peggiori che avessero passato finora, poiché i suoni
orribili
dell'ira di Smaug echeggiavano nelle conche rocciose; da un momento
all'altro, inoltre, egli poteva volare roteando sopra di loro e
scoprirli.
Tirarono
con vigore,
riuscendo a tirare su Bofur, che si mise alle spalle di Dori e
afferrò la restante corda per aiutarli a far salire il
grasso
Bombur.
Il
piccolo gruppetto
sulla soglia del tunnel, nel frattempo, attendeva col cuore
trepidante di saperli sani e salvi, e tirarono all'unisono un sospiro
di sollievo quando anche quest'ultimo fu in salvo, seppur con il
fiatone e la corda sfilacciata; arrivarono anche degli attrezzi e
diversi pacchi di provviste, ma poi la furia si abbatté su
di loro.
Si
udì un suono
rombante, talmente pericoloso che fece accapponare la pelle e tappare
le orecchie dallo spavento. Una luce rossa toccò le cime
delle alte
rocce, e venne il drago.
Karin
non si accorse
nemmeno d'aver iniziato ad urlare terrorizzata, ed ebbe solo la
fugace visione dei restanti nani, preda dalla paura cieca, che
correvano verso di lei trascinando i loro fardelli; Smaug
arrivò
rapido, rimbombando da nord, lambendo di fiamme i fianchi della
montagna, sbattendo le ali con un rumore simile al ruggire del vento.
Il
fuoco bruciò
l'erba davanti alla porta, e penetrò attraverso la fessura
che
avevano lasciato aperta: si alzarono fiamme guizzanti, e la Compagnia
arretrò e si strinse meglio che poté; Karin non
pensò neppure per
un attimo di lasciare il braccio di Thorin, al quale si era stretta
non appena l'aveva raggiunta. Tremava ed era pallida, i denti
battevano di paura nonostante il calore intenso prodotto dal drago:
e, quando egli li sorpassò per inseguire i poveri pony,
nessuno ebbe
il coraggio di fiatare per lunghi, lunghissimi minuti, ancora troppo
sconcertati.
<<
Scendiamo
di poco. Non è prudente rimanere sull'uscio >>
Thorin spezzò
quel gravoso silenzio e gli altri annuirono solamente, seguendo
Dwalin.
Si
sedettero vicini,
benché là sotto ci fosse un caldo afoso, in un
gesto di muta
solidarietà e felicità nell'essere ancora interi;
Karin dimenticò
qualsiasi conflitto o questione irrisolta con Thorin, stringendosi a
lui con forza e lasciandolo andare solo quando dovettero togliersi il
mantello e alcune casacche pesanti, rimanendo solo in camicia.
Pian
piano gli altri
scivolarono in sonni irrequieti e agitati ma, anche se non poteva
vederlo, sapeva che Thorin era ancora vigile: lo capiva dal respiro e
dal movimento del torace, sul quale aveva poggiato la mano destra.
Dovette
lottare con
se stessa a lungo ma, infine, confessò i timori che la
spaventavano
<< Non abbiamo alcuna speranza >>
sussurrò esile.
Lo
sentì
irrigidirsi sotto il suo tocco, ma non le rispose; alzò il
capo,
osservandogli il profilo severo e serio, gli occhi azzurri puntati
verso l'unica porta.
<<
Thorin >>.
<<
Non
aggiungere altro >> l'interruppe, prima che potesse
effettivamente dire alcunché. Incontrò i suoi
occhi, luccicanti di
determinazione: non si sarebbe mai arreso o piegato, lo capì
guardandolo.
Eppure,
ancora una volta, non poté fare a meno d'esternare i suoi
dubbi,
cercando di farlo ragionare << Se ci ha messo in
difficoltà
con una semplice vampata di fuoco come potremo combatterlo?
>> scosse la testa, spostandosi alcuni capelli dalla
fronte
sudata.
<<
Sai anche
tu che la forza di volontà può superare qualsiasi
ostacolo >>
ribatté fieramente.
<<
Non questo
ostacolo
>> rimarcò con una punta d'ansia
<< Sma... il drago
è un avversario contro cui non possiamo vincere
>>.
Thorin
la fulminò
con un'occhiata, sentendo i sintomi della rabbia tornare prepotenti
<< Mi chiedi di arrendermi? >>
domandò duramente <<
Sai che non acconsentirò mai! >>.
Karin
sospirò,
sapendolo perfettamente << Non ti chiedo nulla del
genere: non
è un mio diritto, dopotutto >>
mormorò tristemente; poi alzò
il capo, cercando i suoi occhi << però non
puoi chiedermi di
essere partecipe della nostra disfatta, perché si
tratterà di
questo, alla fine >>.
Thorin
la studiò a
lungo, prima di risponderle << Vorresti andartene?
>>.
Lei
si morse il
labbro, chiedendosi se avrebbe voluto lasciarlo, lasciare tutti loro:
forse, se glielo avesse chiesto i primi giorni di viaggio avrebbe
risposto affermativamente. Ma dopo tutto ciò che avevano
affrontato,
dopo tutto ciò che era stato detto e risolto...
bé, la risposta era
una sola.
Thorin
sentì il
cuore alleggerirsi di poco quando la vide scuotere con decisione la
testa, negando; ma si rabbuiò quando parlò
nuovamente.
<<
Non esiste
un'altra soluzione? Non so, forse se... aspettassimo? >>
domandò incerta sulle sue stesse parole.
<<
Cosa, che
il drago muoia di vecchiaia? >> si pentì del
tono per nulla
calmo, sospirando pesantemente << Capisco le tue
preoccupazioni, Karin, ma ho atteso a lungo questo giorno: il
pensiero del drago nella nostra Montagna non mi ha mai abbandonato.
Il desiderio di vendetta è forte e non vacillerà
di fronte alla sua
grandezza, o alla sua crudeltà: io lo ucciderò,
stanne certa. E
riprenderò ciò che mi appartiene >>.
L'alterigia
con cui
parlò le diede una scossa di nuovo e infiammabile vigore e,
solo
allora, sembrò ricordare il motivo del coinvolgimento nella
missione: suo padre aveva perduto l'onore a causa di Smaug.
Lei
aveva
perso Thorin a causa di Smaug.
Non
doveva
dimenticarlo.
<<
Capisco la
tua volontà, poiché è anche la mia:
troppe cose si sono concluse,
troppi cuori sono stati infranti a causa sua. Purtroppo però
devi
guardare in faccia la realtà: siamo numericamente inferiori
e
inesperti: il solo sferzare l'aria con la coda può spazzarci
come
foglie >>.
<<
Abbiamo uno
scassinatore >> le ricordò <<
Troverà un modo per
sopraffare il nemico >>.
Karin
schiuse le labbra, accigliandosi << Vuoi che sulle sue
spalle
gravi anche questo peso? >> sibilò,
guardandosi attorno
circospetta: tutti dormivano, compreso il povero hobbit, ignaro che
stessero parlando di lui << E poi, Thorin, diciamocelo:
credi
davvero
che
Bilbo possa sconfiggere il drago da solo? >>
domandò scettica
e arrabbiata, incredula dalla proposta.
<<
Non ho
detto debba soggiogarlo, so benissimo che non ne sarebbe in grado;
è
già riuscito a scendere una volta, trovandosi al suo
cospetto: l'ha
osservato e può farlo nuovamente per cercare un qualunque
punto
debole. Una volta trovato, scenderemo anche noi di soppiatto e lo
uccideremo! >>. Karin si morse il labbro, evitando di
dirgli
quanto quel piano fosse pieno di falle: si sentì
incredibilmente
stanca, e perse ogni grammo di energia per discutere con lui; se
Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna, si impuntava su una sua
convinzione – più o meno sciocca – non
vi era modo di farlo
ricredere, o ragionare.
<<
Dobbiamo
pensarci bene, e discutere anche con gli altri questo piano: una
lieve mancanza e saremo spacciati >> ammise, sollevata
nel
vederlo annuire; la strinse a sé in un abbraccio, facendole
posare
il capo sulla spalla.
Spossata
dagli
avvenimenti della giornata e ancora dolorante nel corpo si
lasciò
sfuggire un gemito appagato, mentre la mano tornò a posarsi
sul
petto del nano; lo accarezzò un poco, per poi fermarsi
quando lui
portò la mano sinistra sulla sua, allacciandole le dita.
Le
palpebre
divennero pesanti e non fece nulla per lasciarle aperte, agognando la
beatitudine del sonno che, presto, la prese.
Prima
di sprofondare
in un sonno denso di timori e presagi per nulla consolatori, le
arrivò la voce nitidamente avvolgente e bassa di Thorin,
abbassatosi
al suo orecchio per bisbigliarle la sua promessa <<
Riprenderemo ciò che ci appartiene. Lo riprenderemo. Lo
giuro >>.
Quando
venne il
mattino il terrore dei nani diminuì un po': consumarono una
colazione veloce nel più totale silenzio, ansiosi che il
drago
avesse potuto essere in allerta lì vicino, o che possedesse
un udito
fine in grado di captare ogni loro più piccolo suono. Una
volta che
si furono saziati – ma non completamente, poiché
era
indispensabile mantenere una buona quantità di cibo
– giunse il
momento di discutere il da farsi.
Come
aveva previsto
Karin, non trovarono alcun sistema per sbarazzarsi di Smaug,
rivelando il punto debole dei loro piani, come lo era stato fin
dall'inizio. Erano talmente amareggiati e depressi che rimproverarono
Bilbo per aver portato via la coppa, suscitando il furore del mostro.
Ed
un certo
risentimento nello hobbit << Non sono certo stato assunto
per
uccidere draghi, quello è compito vostro in quanto
guerrieri! Ho
iniziato come meglio potevo: vi aspettavate che tornassi con tutto il
tesoro di Thror in spalla? Se è per questo, anche io avrei
delle
lamentele da fare >> esclamò, squadrandoli
bene <<
Avreste dovuto portare un gran numero di scassinatori invece che uno
dato che, da solo, non riuscirò mai a riprendere tutto!
>>.
La
voce di Balin,
per nulla alterata ma calma, si levò
dall'oscurità << Ti
chiediamo perdono, Bilbo: non era nostra reale intenzione
rimproverarti. È vero, tu hai fatto ciò che hai
potuto, e ti
ringraziamo infinitamente per questo: il tuo aiuto è sempre
stato
prezioso, e anche stavolta non è da meno >>.
Questo
placò
nettamente il povero Bilbo, che agitò una mano imbarazzato a
mo' di
scusa per il comportamento.
<<
Dunque che
cosa ci suggerisci di fare, signor Baggins? >> chiese
Thorin
con curiosità.
L'altro
si strinse
nelle spalle, mentre un'idea prendeva forma nella testa
<< Dato
che non possiamo muoverci di qui, penso che potrei tornare
là sotto,
verso mezzogiorno >>.
<<
Perché
proprio a quell'ora? >> domandò Nori,
interrompendolo.
<<
E' il
momento in cui Smaug schiaccia un sonnellino >> rispose
<<
o almeno spero. In ogni caso, cercherò di scoprire quali
sono le sue
intenzioni. Forse ne verrà fuori qualcosa >>.
<<
Sei sicuro?
>> chiese Karin, senza nascondere la paura nella voce:
gli era
seduta accanto e lo hobbit, sorridendo alla sua preoccupazione, le
strinse affettuosamente una mano.
<<
Sicurissimo. È tempo che aiuti di nuovo la Compagnia
>>.
<<
Potrei
venire con te, per precauzione >>.
<<
No >>
rispose Thorin per lui << Tu non saresti invisibile e,
tra
l'altro, riconoscerebbe il tuo odore di nano. Rimarrai qui, e senza
discutere >> sentenziò.
<<
Ti
ringrazio comunque per il pensiero >> le disse Bilbo,
gentile
<< Non preoccuparti, Karin: ce la farò! Come
diceva sempre mio
padre, “Ogni drago ha il suo punto debole”
>> si fermò,
ridacchiando con lei e con Kili e Fili per l'imitazione ben riuscita
della voce del genitore, contento d'essere riuscito ad alleggerire
brevemente l'atmosfera pesante e greve che respiravano da giorni.
Rimasero
di nuovo in
silenzio, mentre l'eco delle lievi risate si disperdeva
nell'oscurità.
A
mezzogiorno, i
nani gli rinnovarono le raccomandazioni e, quando venne il turno di
Karin, Bilbo si ritrovò imprigionato in un forte abbraccio.
<<
Non sai
quanto vorrei venire con te >> gli sussurrò,
sapendo bene che,
se Thorin l'avesse udita, si sarebbe adirato; si staccò di
poco,
guardandolo negli occhi << Fai attenzione, ti prego. Se
la
situazione diventa pericolosa scappa senza esitare >>.
<<
Lo farò,
te lo prometto >> le accarezzò una guancia,
sorridendo piano
<< Ma tu sta' tranquilla >>.
<<
Lo sarò
quando tornerai >> gli rispose, seria e timorosa. Poi gli
diede
un bacio leggero sulla guancia e si allontanò in fretta,
forse per
evitare di scoppiare in lacrime. O, più probabilmente, per
impedirsi
di disubbidire ancora una volta.
Bilbo,
ancora
stordito per quell'inaspettata dimostrazione d'affetto, si
avviò
silenziosamente lungo il tunnel buio, ricordandosi a metà
strada
d'essere ancora visibile; con uno sbuffo si infilò l'anello
e, ora
più calmo e di nuovo padrone delle sue azioni,
tornò nella Sala del
Tesoro, esultando intimamente nel vedere il drago profondamente
addormentato.
Quel
che non sapeva
era che il mostro, insospettito, teneva un occhio mezzo aperto per
fare la guardia! Il povero Bilbo se ne accorse troppo tardi ed
indietreggiò immediatamente, benedicendo la fortuna d'avere
l'anello.
E
allora Smaug
parlò.
Karin
si svegliò di
soprassalto, chiedendosi quando si fosse addormentata: aveva una fame
atroce, ma erano d'accordo di ridurre le porzioni al minimo, almeno
finché non avessero pensato ad un altro piano; si
stiracchiò,
indolenzita, sospirando mestamente nel vedere l'oscurità
avvolgerla:
avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire un po' d'aria fresca sul
volto o, andarsene da lì. Si deterse il sudore dalla fronte
con la
manica della camicia, venendo attirata da un movimento alla sua
destra: Bofur entrò nel suo campo visivo, offrendole una
borraccia;
la prese e bevve avidamente, lasciando che il liquido colasse in
gola, mentre alcune gocce scivolarono sul mento.
<<
Grazie >>.
<<
Di nulla >>
rispose, prendendo posto accanto a lei; in quel momento lo stomaco di
Karin gorgogliò rumorosamente, e dato il silenzio opprimente
venne
udito da tutti, facendola precipitare nell'imbarazzo più
totale.
Bofur
scoppiò a
ridere, affondando il viso nel cappello per non far troppo rumore,
seguito a ruota dai fratelli Durin e dagli altri: persino Balin e
Thorin si concessero un sorriso ed una lieve risata, mentre Dwalin la
guardò con sguardo indecifrabile. Bombur, al contrario, fu
l'unico
che si lamentò << Hai espresso bene
ciò che provo! Ah, non
sai quel che darei per una bella porzione di cibo, come quello
mangiato a Esgaroth! >> esclamò, lo sguardo
vacuo e perso in
un punto indefinito << Ricordate gli arrosti succulenti,
quelle
verdure lucenti e rotonde, le minestre calde, il pane croccante e
dorato dal buon profumo, come una mattina d'estate... >>.
<<
Parola mia,
fratello, se non taci ti infilzo e ti faccio arrosto! >>
proruppe Bofur, con sguardo minaccioso.
<<
Esatto! >>
si intromise Nori a dargli manforte << Anzi, potremmo
anche
mangiarti crudo, però prima ti tireremo via quella
pellaccia: almeno
starai zitto!!! >>.
Bombur
si offese,
borbottando imprecazioni che fecero infuriare gli altri due nani;
solo l'intervento di Thorin li sedò, evitando lo scoppio di
una vera
e propria lite << Non puoi parlare tranquillamente di
cibo e
pretendere il silenzio, Bombur: farai meglio a tenere le fantasie
nella tua testa, così eviterai il macello >>
concluse con un
sogghigno.
I
nani ridacchiarono
e annuirono, poi ciascuno tornò a immergersi nei propri
pensieri;
Karin si scostò una ciocca dal volto, portandola dietro
l'orecchio,
lo stomaco contratto anche dalla paura: Bilbo mancava da ore, e
cominciava ad innervosirsi.
<<
In pensiero
anche tu, vero? >> domandò Bofur, il sorriso
ora spento <<
Non faccio altro che guardare il tunnel. Mi dispiacerebbe molto se
gli capitasse qualcosa: ormai mi ci sono affezionato >>.
<<
Parli come
se fosse in punto di morte! >> intervenne Kili,
portandosi
all'altro lato della ragazza e appoggiandole il mento sulla spalla
<<
Suvvia, è uno scassinatore provetto oramai – anzi,
forse anche
nato, visto il recente recupero: perciò non temete, ce la
farà >>
concluse, facendole l'occhiolino.
<<
Tornerà
prima di sera >> aggiunse Fili con un sorriso aperto
<<
Su, preoccuparsi così non serve a nulla, a parer mio
>>.
<<
Quando mai
ti sei preoccupato di qualcosa? >> domandò
Karin
rimproverandosi subito: specie dopo aver ripensato a tutti i pericoli
che avevano corso e, non ultimo e meno importante, alla quasi caduta
del fratello minore dalla scalata << Scusa, non intendevo
>>.
<<
Fa niente
>> replicò lui << capita di
parlare senza pensare,
specie in queste occasioni >> si sporse per darle
un'affettuosa
pacca sulla spalla, strappandole un sorriso accennato.
<<
E' l'ombra
di un sorriso? >>.
<<
Può darsi
Bofur, può darsi >> rispose enigmatica,
accentuandolo.
Ori
– seduto
qualche breve passo più in là ed attento ad ogni
loro parola - si
lasciò scappare un sospiro compiaciuto, tornando a raschiare
la
penna d'oca sul suo diario.
<<
Ehi,
secondo voi starà scrivendo altri insulti? >>
bisbigliò Kili,
allungandosi verso il fratello.
<<
Può darsi!
>> ripose quello, sempre sussurrando <<
Bofur, riesci a
leggere le rune? >>.
<<
Naa, troppo
lontano ragazzi: mi spiace >>.
<<
Che storia
è mai questa? >> chiese Karin a voce bassa,
curiosa <<
Da quando in qua Ori scriverebbe certe parole? >>.
<<
Ah, giusto,
tu non c'eri quella sera, impegnata com'eri a far partorire la mamma
della piccola Alhena! >>.
Le
raccontarono
dell'episodio e, man mano che procedevano a spiegarle i dettagli
–
tra una battuta e l'altra – lei sgranava maggiormente gli
occhi,
incredula, per poi unirsi alla loro risata sguaiata; dovette premersi
la stoffa del mantello sulla bocca per trattenersi e, con immenso
stupore e divertimento degli altri, portò le dita ad
asciugare le
lacrime.
La
mano destra volò
al fianco, che lanciava fitte di dolore, ma non smise un attimo di
ridere, grata come poche volte << Vi ringrazio
>> riuscì
a dire, quando si placò un poco << Ne avevo
bisogno >>
ammise sincera.
<<
Ridere fa
sempre bene, a parer mio! >> annuì convinto
Bofur, tirando su
col naso.
Si
sorprese a
pensarla allo stesso modo: almeno, per un breve momento, era riuscita
a dimenticare i problemi che la torturavano, e la condizione misera
in cui versavano!
Tolse
ogni residuo
di lacrime e si appoggiò meglio alla parete di roccia
quando,
improvvisamente e rapidamente, un rombo profondo e sinistro scosse le
fondamenta stesse della Montagna, risalendo minaccioso come vento.
Scattarono
tutti in
piedi, allarmati e, senza attendere alcun ordine da Thorin,
raccattarono in fretta i loro fagotti e pacchi, spostandosi il
più
possibile dall'entrata del tunnel: pochi ma interminabili secondi
dopo apparve in fretta Bilbo, che cadde svenuto sulla soglia, seguito
da una coltre di fumo grigio.
<<
Bilbo! >>
gridò Karin, col cuore in tumulto; gli si
inginocchiò accanto,
trasalendo inorridita quando vide le varie bruciature e i capelli
mancanti sulla nuca, abbrustoliti fino al bulbo sotto la pelle
<<
Presto, dobbiamo medicarlo! Dell'acqua, e delle bende, presto!
>>
ordinò agitata come non mai.
Gloin
rovistò in
fretta e furia nel fagotto giusto, trovando ciò che serviva
e
portandoglielo; l'aiutò a curarlo mentre gli altri, ansiosi,
avevano
formato un cerchio attorno ai tre, in trepidante attesa.
<<
Spostatevi,
così non riusce a respirare! >> disse Balin,
allontanando i
più giovani, che non riuscivano a staccare gli occhi di
dosso dalle
mani di Karin, intenta a bagnare delle pezzuole per lenire la
bruciatura sul collo.
Lo
hobbit gemette
forte, ridestandosi: aprì gli occhi iniziando a tremare di
dolore,
aggrappandosi al braccio offerto da Gloin; i due nani si guardarono
timorosi, sapendo di dovergli comunicare che la sua bella chioma
riccia e i peli sui talloni ora mancavano.
<<
Brucia >>
si lamentò, tentando di mettersi in ginocchio; Karin e Gloin
l'aiutarono a sollevarsi e, guardandolo negli occhi, lo misero al
corrente.
<<
Ci spiace,
Bilbo, ma credo dovrai pazientare un poco: i capelli ricresceranno di
certo >> mormorò Karin, afflitta, sfiorandogli
il punto; anche
lui portò una mano dietro sentendo che, effettivamente,
mancavano.
Sussultò
e tornò a
tremare agitato, ricordando il precedente incontro col drago.
<<
Ebbene? >>
chiese Thorin << Come mai ti ha ridotto in questo stato?
Cosa
ti ha detto? >>.
Bilbo
ebbe solo la
forza di scuotere la testa, pallido e tremante come una foglia: non
disse nulla, chiudendosi in un cupo silenzio che non
migliorò
affatto l'umore irascibile di Thorin, specialmente quando Karin
parlò
in sua difesa.
<<
Ti dirà
ciò che vuoi sapere, ma non ora. Lascialo riposare
>> disse,
calma.
Allargò
le narici e
la trafisse con lo sguardo, ma non parlò; le diede le
spalle,
ordinando furiosamente agli altri di spostarsi poiché lo
scassinatore stava bene, e non era certo guardandolo inebetiti che
sarebbe guarito prima.
Passò
del tempo
prima che la paura e il disagio di Bilbo diventassero rabbia e
malumore: raccolse una pietra e, notando un vecchio tordo appollaiato
su una roccia con la testa inclinata da un lato gliela
scagliò
addosso, provando soddisfazione nel vederlo volare via.
<<
Perché
l'hai fatto? >> domandò Karin, stupita.
<<
Credo stia
ascoltando e non mi piace il suo aspetto, uccellaccio della malora!
>> sbottò iroso.
<<
Potrebbe
essere l'ultimo superstite dell'antica stirpe di tordi che viveva da
queste parti, docili alle carezze di mio padre e mio nonno
>>
asserì Thorin con un cipiglio malinconico, seguendo con lo
sguardo
il volo dell'uccello, tornato a posarsi sulla roccia a pochi metri da
loro << Erano una razza longeva e dotata di poteri
magici,
visto che gli Uomini di Dale capivano il loro linguaggio e li usavano
come messaggeri >>.
<<
Bé, avrà
proprio delle belle notizie da portare, ne sono sicuro >>
borbottò l'altro, amareggiato.
<<
Spiegaci
quel che è accaduto >> disse il vecchio Balin
con gentilezza
<< sempre se te la senti, ora >>.
<<
Mi ha parlato, con una voce talmente profonda e spaventosa che pareva
essere uscita dalle profondità stesse della terra, antica
come il
Mondo: ha usato parole suadenti e abili per cercare d'estorcermi la
verità, utilizzando subdoli e sottili enigmi. E quando il
suo occhio
rovente si posava sul punto in cui ero nascosto, cercandomi, io...
provavo un forte desiderio di precipitarmi fuori! Probabilmente si
trattava del suo influsso magico, non so >> venne
percorso da
un altro brivido, ma continuò << Sa quanti
siamo, e mi ha
colto di sorpresa quando ha fatto delle supposizioni sul come
avremmo
potuto trasportare tutto il tesoro – e la mia quattordicesima
parte
fino a Vicolo Cieco - una più improbabile dell'altra
perché,
effettivamente, è impossibile! >> lo sguardo
grigio saettò
sul volto di Thorin, palesemente contrariato << Immagino
tu ci
abbia pensato, Thorin: o vi siete burlati di me per tutto il tempo?
>>.
Un
silenzio gelido e
imbarazzato scese sulla Compagnia: i nani spostarono il capo verso il
loro impassibile re, che spalancò leggermente gli occhi,
forse
ricordandosi in quel momento del problema.
<<
Ad essere
sincero no, non ci avevo pensato attentamente >> ammise,
chinando la testa << Ma ti prometto che ti aiuteremo ben
volentieri a portare la tua parte: è il minimo, dopo tutto
quello
che hai fatto per noi e dopo i pericoli che hai dovuto affrontare.
Hai la mia parola >>.
Bilbo
annuì,
lasciando che il dubbio provato scomparisse dal cuore <<
So che
manterrai il patto, Thorin >> si grattò la
nuca, impacciato <<
Perdonami per aver dubitato >>.
Il
nano agitò una
mano con noncuranza, facendogli intendere che tutto era risolto.
Bilbo prese fiato, riprendendo il racconto.
<<
Nessuna
lama può trafiggerlo, essendo corazzato con scaglie di ferro
e gemme
dure, tuttavia vi è un punto scoperto nella parte sinistra
del
petto! >> esclamò con un sorriso
<< Se si è abbastanza
svelti e precisi la si può colpire con un colpo solo.
Purtroppo
credo abbia indovinato molte cose grazie ai suoi enigmi, e sono
sicuro che sa che veniamo da Esgaroth e che siamo stati aiutati; ho
l'orribile sensazione che andrà là a vendicarsi
>> esalò,
guardando il volto cereo e gli occhi spalancati di Karin: era giunta
alla sua stessa conclusione, ed il cuore le si era stretto in una
morsa.
Eliese
e Alhena.
Il
piccolo Glir e Renal.
Tutti
gli abitanti...
Per
un po' nessuno
fiatò, sprofondati nei pensieri negativi <<
Ormai è fatta,
ragazzo, ed è difficile non compiere passi falsi con un
Drago; ti
sei comportato molto bene, a mio parere: hai scoperto il suo punto
debole e sei tornato sano e salvo. Non fatti trascurabili, oserei
dire >> lo confortò Balin, posandogli una mano
sulla spalla.
<<
Per quanto
l'ultima notizia possa averci rattristato >>
commentò Thorin,
facendo saettare brevemente lo sguardo verso di lei <<
dobbiamo
prima di tutto pensare a come sbarazzarci di Smaug >>.
Sedette,
imitato
dagli altri che erano in piedi, iniziando una lunga discussione; le
ore scivolarono rapide, mentre l'agitazione di Bilbo cresceva sempre
più: era ansioso, temendo di trovarsi faccia a faccia con
Smaug da
un momento all'altro.
<<
Sapete,
credo sia meglio allontanarsi da qui. Sono sicuro che siamo in gran
pericolo! >>.
<<
E dove
dovremmo andare? >> domandò Oin
<< E' buio, tutto
intorno a noi è arido: restiamo qui, dico io
>>.
Bilbo
scosse la
testa, cercando la comprensione di Karin, impegnata a guardare verso
l'alto alla ricerca di una gigantesca sagoma << Sono
d'accordo
con Bilbo >> affermò, lasciando trapelare
l'irrequietezza <<
entriamo nel tunnel, saremo al sicuro >> propose,
guardando
Thorin.
Il
nano le restituì
l'occhiata, poi annuì << Non chiudiamo la
porta però, visto
che non sappiamo se possiamo aprirla da dentro: rimarremo sulla
soglia >>.
Quella
notte la
furia di Smaug esplose: un urto immenso investì il fianco
della
Montagna, come lo schianto di mazze fatte di querce secolari brandite
da giganti. La roccia rimbombò, le pareti si creparono
minacciando
di seppellirli: Karin, stretta tra Bilbo e Gloin, si
rannicchiò
maggiormente contro i loro fianchi, portandosi le mani sulle orecchie
e mordendosi il labbro per non gridare di paura, come stava facendo
dentro di sé; dovettero alzare le braccia sul capo per
proteggersi
dalle schegge di pietra, e la lieve luce lunare si spense lasciandoli
nel buio più completo. Sentirono battere le ali, e profondi
e alti
ruggiti li raggiunsero, facendoli stringere l'un l'altro per cercare
un po' di conforto.
Tremanti,
ascoltarono Smaug fare a pezzi le rocce, abbattendo pareti e rupi con
la coda poderosa, coprendo lo spiazzo erboso di grossi detriti: una
volta che il suo furore si placò, sputò fuoco e
volò via, dove non
lo sapevano.
I
momenti successivi
furono peggiori, poiché non sapevano se potevano muoversi o
meno, e
se il drago si fosse spostato per tender loro una trappola: inoltre,
la porta non accennò a muoversi, facendoli sprofondare nello
sconforto più tetro.
Di
comune accordo –
anzi, costretti dalle circostanze – decisero di scendere
lungo il
tunnel e di andare nella Sala del Tesoro, incamminandosi quanto
più
silenziosamente possibile: se la situazione non fosse stata
così
tragica, Karin avrebbe sorriso di fronte al loro rumore e ai continui
rimproveri di Bilbo.
Vi
era talmente
tanto buio che, all'entrata della sala, Bilbo inciampò in
avanti e
rotolò lungo disteso a terra, senza nemmeno il coraggio di
respirare: ma nulla si mosse. Dopo aver appurato l'assenza del drago
li convinse ad accendere delle torce e, andando avanti per primo, ben
presto divenne solo un puntino luminoso: lo videro arrampicarsi su un
grande mucchio di monete, fermarsi e abbassarsi per un attimo, non
sapendone la ragione.
Ancora
impauriti, si
mossero poco finché si resero conto che non vi era nessun
reale
pericolo e, col cuore più leggero ma sempre in silenzio,
procedettero.
<<
Per Durin,
è veramente immenso! >> esclamò
Fili, dimenticando la
prudenza: abbassò la torcia ad illuminare le monete e le
gemme,
sorridendo quando mandarono bagliori caldi tutto intorno.
<<
Proprio
vero: ciò che si immagina è sempre molto diverso
dalla realtà >>
constatò Kili, prendendo un rubino tra le mani: lo
soppesò un
attimo, fischiando ammirato << Tieni, Karin!
>> glielo
lanciò e la ragazza lo prese al volo.
Era
veramente... bellissimo, si trovò a pensare: un crescente
desiderio
e bramosia si diffusero nel petto, lasciandola sconvolta; non era mai
stata attratta da ori o gioielli quando abitava a Erebor, e durante
l'esilio non aveva certo avuto quei pensieri. Eppure, adesso, non
considerava più tanto preziosa la collana di mithril,
tranne
che sul piano affettivo: paragonata a quel rubino rosso cupo dai
riflessi dorati, non era nulla.
Si
sorprese quando
s'accorse di infilarlo in tasca, come se quel gesto lo compisse una
persona estranea e lei, unica spettatrice, assistesse in silenzio
senza poter dire niente.
Il
sangue nanico le
ribollì nelle vene, cercando di far emergere il lato
materiale:
passi tintinnanti la condussero lontano dagli altri, tra grossi
mucchi di monete grandi quanto il suo palmo e armi dai manici
incastonati di gemme e lame lucide del miglior acciaio. Sapeva d'aver
le labbra dischiuse, ma non poteva farne a meno, specie quando
illuminava gioielli e gemme di squisita fattura, preziosi oltre ogni
dire.
Ansiosa,
camminò
ancora a lungo finché non s'imbatté in una
colonna possente e,
girato il capo, si accorse che gli altri punti luminosi erano molto
distanti, benché dispersi: tornò indietro,
prendendo comunque una
via più lunga per ammirare meglio quella minima parte di
tesoro.
Affascinata, raccolse un diadema d'argento finemente lavorato e
decorato con smeraldi lucidi dai bordi smussati: sulla
sommità, i
fili sottili che lo componevano si aprivano in piccole margheritine
argentate dai capolini fatti di perle.
Non
le risultò
facile contrastare l'impulso d'indossarla per rimetterla dov'era, ma
ci riuscì; nella tasca vi era solo il lieve peso del rubino.
Girò
attorno ad un
alto cumulo di monete, fermandosi di botto: Thorin le dava le spalle,
illuminato dalla luce fioca che proveniva dalla torcia impilata a
terra; borbottava, mentre spostava con i piedi gemme e soldi sonanti,
producendo un armonioso tintinnio.
<<
Thorin >>
chiamò, delusa dalla mancanza di risposta <<
Thorin! >>
tentò nuovamente, alzando il tono di voce.
Si
girò rapido, guardandola; aveva indossato una cotta di
maglia dorata
e una cintura incrostata di pietre scarlatte dove era appesa un'ascia
dal manico argento: possedeva un aspetto regale che la rese oltremodo
fiera e rispettosa del suo re ma, per un assurdo attimo, si era
convinta d'avergli intravisto uno sguardo strano,
dando la colpa alla luce tremolante e incerta.
<<
Dimmi, c'è
qualcosa che non va? >> le domandò, rimanendo
fermo.
<<
Dovrei
chiedertelo io: cosa stavi cercando? >>.
Thorin
scrollò le
spalle, continuando l'attività di prima; Karin si
accigliò non poco
ma rimase zitta, torturandosi le labbra con i denti, non riuscendo a
comprendere il suo comportamento.
<<
Cercavo una
collana adatta a te >>.
La
menzogna bruciò
con la stessa violenza di uno schiaffo.
<<
Non serve
che ti affanni tanto, ne posseggo già una >>
replicò,
imponendosi di rispondergli con calma.
<<
Non è
preziosa >>.
<<
Lo è,
invece; almeno, per me è così >> il
fastidio permeava le sue
parole, crescendo nel cuore con la stessa rapidità del
disgusto che
provava al ricordo del paragone tra il rubino e la collana regalatale
dallo stesso nano che le era di fronte: possibile avesse scordato
quanto quegli ornamenti valessero nei loro affetti, essendo anche
simboli delle peripezie che il loro amore aveva dovuto affrontare?
Scosse
la testa:
forse le sue erano reazioni esagerate e spropositate, certamente
colpa del luogo in cui si trovavano; perciò,
accantonò quei
pensieri e si avvicinò con un sorriso tirato a Thorin, che
aveva
abbassato di nuovo il capo a terra, preda della ricerca.
<<
Vieni,
Thorin: torniamo dagli altri >> disse, prendendogli una
mano.
La
guardò come se
la vedesse per la prima volta e, in lotta con se stesso – lo
capì
dall'ombra che attraversò i suoi occhi –
cercò una risposta
adatta.
<<
Ti prego,
non mi sento sicura qui; cerchiamo una via d'uscita, abbiamo sfidato
la fortuna troppo a lungo: Smaug potrebbe tornare >>.
Alla
supplica
accorata tornò in sé, annuendo con vigore
<< Hai ragione.
Abbiamo indugiato abbastanza >> si sciolse dalla presa
delicata
ma decisa di Karin, afferrando la sua torcia.
Poi,
senza una
parola, andò avanti per primo senza mai voltarsi a
guardarla:
nemmeno quando udì un lieve tonfo tra le monete sonanti.
Non
attese che gli
altri si raggruppassero: ringraziando il poco sangue hobbit,
uscì
furtiva e silenziosa dalla Sala, inoltrandosi tra i vari passaggi e
curve; non prestò molta attenzione agli antichi ornamenti
rovinati e
distrutti, né al resto, insudiciato e danneggiato dal
mostro, ma
lasciò che i piedi la portassero lontano. Aveva bisogno di
pensare,
e rimanere da sola era l'unico modo: per quanto cercasse una
spiegazione ai vari cambi d'umore di Thorin, o all'improvvisa
avidità
che l'aveva colta, per quanto tentasse e continuasse a ripetere che
si trattavano di sentimenti passeggeri... sapeva che niente si
sarebbe risolto. O, almeno, finché il pensiero del drago non
li
avesse abbandonati.
Divenne
irrequieta,
domandandosi dove fosse andato a finire: si era appollaiato sulla
cima della Montagna scrutando di sotto alla loro ricerca, o era
veramente volato via? Per andare dove? A Esgaroth?
Rabbrividì
al solo
pensiero, chiedendo ai Valar una grazia particolare per la famiglia
dell'amica: se fosse accaduto qualcosa, non se lo sarebbe mai
perdonato.
Il
mal di testa non
l'abbandonò per un attimo, nemmeno mentre attraversava le
grandi
sale o poggiava distrattamente le dita sulle gigantesche colonne di
pietra, alcune ridotte a basamenti poco più alti di lei.
Camminò
a lungo,
annegando nei problemi che l'affliggevano e nei ricordi di tempi
lontani: infine si fermò, sospirando nostalgica quando
capì dove si
trovava; le dita tremanti strinsero la maniglia e, con un fastidioso
cigolio dato dal legno vecchio entrò, venendo investita da
un odore
di chiuso e stantio che la lasciò senza fiato.
Starnutì due volte a
causa della polvere, assicurando la torcia alla parete; ora con le
mani libere, lasciò vagare lo sguardo lungo le pareti e i
mobili
senza tempo: si diresse lentamente verso il grande letto a
baldacchino, toccando le colonnine intarsiate e il copriletto rosso
scuro, perfettamente intatto e pronto per accogliere una giovane nana
tra le sue calde coperte, assicurandole sogni dolci e infantili,
pieni di speranza e amore; un amore che lì aveva visto la
sua
concretezza in un atto disperato e insensato ma che, allora, era
sembrato di vitale importanza.
Si
spostò sul
comodino, là dove vi era un vecchio libro dalla copertina di
cuoio:
lo prese tra le mani, rigirandolo rispettosamente, accarezzandone il
dorso inciso da rune dorate; soffiò, scacciando la polvere
che, per
più di cento anni, aveva regnato sovrana. Sorrise debolmente
quando
lesse il titolo, sfogliando quelle pagine ingiallite e secche di
vecchie guerre lontane: andò indietro con la memoria
ricordando
quando, felice, l'aveva ricevuto da Balin. Anche allora gli occhi si
erano illuminati pieni di stupore e meraviglia pregustando le ore in
cui si sarebbe immersa nella lettura, immaginandosi nei grandi campi
di battaglia, ascoltando i tamburi e i corni suonare e far vibrare la
terra; le urla e il cozzare di lame, lo schivare i colpi,
l'abbattersi di scudi, ed ergersi infine sui nemici proclamando la
vittoria.
Sbatté
le palpebre
quando un pizzicore al naso la disturbò e, scuotendo la
testa,
ripose il volume; si portò al centro della stanza, venendo
attirata
dalla grande toeletta di legno accanto all'armadio: lo specchio
impolverato le rimandò l'immagina sfocata di una ragazza
provata e
stanca, mortalmente spossata e invecchiata in pochi giorni, specie
dopo gli ultimi pensieri.
Abbassò
lo sguardo,
rifuggendo la sua vista: d'improvviso schiuse le labbra, attonita, il
cuore le si fermò per poi galoppare rapido.
Allungò le dita e,
cercando di contenere le lacrime che minacciavano di uscire, le
strinse attorno al gambo verde, alzandolo: ne aspirò il
profumo
ancora vivido e accarezzò con infinito amore i tre lunghi
petali
violacei ricurvi e quelli più piccoli che vi stavano
immediatamente
sopra partendo dalla corolla, screziati alle estremità di
bianco,
nero e giallo. Si aprì in un gran sorriso, persa nel ricordo
infantile di quella piccola gita a Dale durante la Festa dell'Estate,
accompagnata da Dwalin e Thorin e dove aveva fatto la conoscenza del
piccolo Bofur e di Gandalf il Grigio: ricordò nitidamente i
suoi
meravigliosi fuochi d'artificio, e le emozioni che traboccarono nel
suo piccolo cuore; aveva augurato il meglio all'allora forte amicizia
con i due nani, e sperato in un suo mantenimento duraturo.
Invece
il futuro
aveva loro riservato ben altri piani, non sempre felici; con stupore
notò che, su un petalo, vi era una goccia d'acqua: com'era
possibile, dal momento che non si era inumidito in quegli anni? Se ne
aggiunse un'altra, poi un'altra e un'altra ancora, mentre piccoli
singhiozzi la scuotevano per farle capire che era colpa sua se il
fiore d'Iris – dal tempo congelato – si stava
bagnando.
Lo
ripose sul piano,
salvandolo dalla tristezza: lasciò che l'agitazione e i
tormenti di
quelle ore trovassero sfogo e, lontana da occhi e orecchie
indiscrete, si abbandonò al tanto desiderato pianto. O,
almeno, era
quello che credeva.
Vi
era qualcuno,
nascosto dietro la porta socchiusa, che aveva visto tutto ma,
osservandola di spalle, non era riuscito a capire la causa del suo
turbamento.
Una
parte di sé non
avrebbe voluto uscire allo scoperto ma, sentendo i suoi singulti
bisognosi di conforto, si decise: aprì piano la porta ma
quella
cigolò, facendola trasalire spaventata, lo sguardo
dolorosamente
colpevole e spaurito.
Entrò
a grandi
passi, evitando di guardarla mentre cercava di darsi un contegno
<<
Liberati, Karin. Se ne senti il bisogno, piangi >>.
Liberarsi?
Oh, non le
sarebbe bastato un
semplice pianto per star meglio, poco ma sicuro! Respirò,
tremando,
e si strinse nelle braccia per cercare quell'abbraccio che Thorin le
negava; quest'ultimo fatto le fece versare altre lacrime, mentre
l'implorava con gli
occhi di stringerla a
sé, sussurrarle che sarebbe andato tutto bene e avrebbero
sconfitto
il drago e che, dopo, avrebbero ricostruito Erebor com'era, tornando
a vivere tra gli antichi splendori della città
finché i loro freddi
corpi non avessero trovato riposo nei sarcofagi di pietra.
Invece
Thorin se ne stava a pochi ma lunghi passi, dalla parte opposta del
muro che li divideva, invalicabile e indistruttibile: la scrutava in
silenzio, desiderando colmare
il vuoto che aveva inghiottito il suo cuore; non vi riusciva, e non
sapeva perché.
Rimpianse d'aver assecondato la scelta d'entrare, ma l'impulso di
poter rimanere da solo con lei per un momento era stato fortissimo:
se solo avesse voluto
l'avrebbe accarezzata sui capelli, asciugato le lacrime, baciato le
labbra.
Perché,
dunque, non muoveva un passo? Cosa
lo tratteneva?
Domande
a cui non sapeva rispondere, alle quali aveva
tentato di cercare una
risposta in quei giorni, senza trovarla: e, quando credeva d'essere
assorbito da altre preoccupazioni – riguardanti Smaug
– ecco che
appariva il suo volto vicino a quello dello hobbit, le sue braccia
che lo avvolgevano stretto, i suoi sguardi colmi di preoccupazione e
sollievo nel vederlo vivo, le sue labbra morbide e calde su una
guancia imberbe che non era sua. Si
rimproverava, poiché sapeva bene che era un comportamento
ridicolo,
una gelosia infondata e infantile: eppure lo ghermiva sempre
più, e
i gesti innocenti e amichevoli di Karin nei confronti di Bilbo lo
disturbavano
lasciandogli una gran furia nel cuore, avvelenandolo.
Quando
la sentì placarsi sembrò tornare presente a se
stesso, chiedendosi
quanto tempo avesse perso nelle sue elucubrazioni, volendo porre fine
a quel momento pietoso e folle che nulla aveva in comune con due
innamorati in cerca di sostegno nell'altro. Finalmente mosse un passo
in avanti ma lei, con orrore e rabbia cieca, si mosse rapida di lato
e, accusandolo con lo sguardo lucido di lacrime versate anche a causa
sua lo schivò e scappò via, lasciandolo solo.
Solo,
con una stanza vuota e polverosa.
Solo,
con un fiore d'Iris a ricordo di tempi felici.
Solo,
con l'eco della corsa disperata e spaventata.
Solo,
con la sua colpa e il suo tormento.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Holaaaaaaa!!!
Tutto
bene ^^?
Dunque, innanzitutto
vorrei scusarmi con Yavannah per la bugia sul
fiore: perdonami
ma, essendo un momento abbastanza “clou” della
storia, non volevo
proprio rovinarti la sorpresa spoilerandoti tutto, perciò ti
ho
mentito ç____ç!! Chiedo perdono!
Tornando
al
capitolo: vi è piaciuto? A me ha messo una tristezza...
anche
perché, diamine, quei due si sono separati ad una
velocità
spaventosa, e sono pieni di dubbi e preoccupazioni, e non capiscono
una benemerita cippa di quello che sta accadendo! Insomma, sono
troppo complicati :'( :'(. ad ogni modo, spero non mi odierete per la
piega che la storia ha assunto :(
Bene,
come al
solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le
solite
recensioni ;)
ringrazio
le carissime e specialissime
Lady_Daffodil, vanessa90, Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah,
Krystal91, MrsBlack e J_ackie. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Capitolo diciannove ***
CAPITOLO
DICIANNOVE
Asciugò con
rabbiosa stizza le ultime lacrime, sfregandosi gli occhi arrossati
con foga, facendosi male; appoggiò la nuca al muro della
piccola
nicchia di pietra dietro cui si era nascosta per pensare e stare
sola, come faceva spesso da bambina: era profonda abbastanza da
coprirla ancora nonostante fosse cresciuta. La benedì,
poiché
nessuno l'avrebbe trovata per un po' di tempo ma lei avrebbe potuto
captare ogni singolo rumore di passi se si fosse avvicinato qualcuno.
Sospirò
ancora una volta, alzando gli occhi verso le immense volte
trapezoidali, persa in quel maledetto labirinto di pensieri che non
l'aveva lasciata un secondo da quando era fuggita; ancora una volta,
una domanda le balzò nella mente: che
stava accadendo?
Come
doveva
comportarsi?
Domande
a cui, al
momento, non riusciva a trovare una risposta: era talmente piena di
grattacapi pressanti che la testa le doleva da impazzire,
martellandola senza sosta e lasciandola con i suoi mille e
più
dubbi.
<<
Karin! >>
la voce acuta di Ori le fece sbattere le palpebre e ripiombare nella
realtà; un senso di panico iniziò a diffondersi
dallo stomaco
salendo verso l'alto, finché non la chiamò una
seconda volta <<
Karin, ti ho portato qualcosa da mangiare! Karin! >>.
Espirò,
visibilmente sollevata: aveva temuto fosse tornato Smaug.
Deglutì,
ricacciando il senso di nausea: non avrebbe tollerato altro
rimpinzimonio.
Forse
sarebbe dovuta
uscire e andargli incontro, ringraziarlo e declinare lo spuntino, ma
non ne aveva la forza: non ne possedeva nemmeno per parlare.
Perciò
rimase
nascosta, chiedendogli silenziosamente perdono: dopo che Ori l'ebbe
chiamata ancora – e sempre più con voce flebile
– se ne andò,
forse a cercarla da un'altra parte.
Tornò
a poggiare la
nuca sulla fredda pietra, chiudendo gli occhi: il tempo volò
rapido,
non riuscì a quantificarlo; il silenzio l'avvolgeva,
estraniandola
da tutto.
Persino
dai passi
che, via via, si facevano più forti.
<<
Hai scelto
il momento sbagliato per digiunare >>.
Aprì
gli occhi:
Thorin era in piedi di fronte a lei, sovrastandola con la sua
altezza; la guardava attentamente, le mani giunte dietro la schiena.
Non
rispose, ma non
riuscì nemmeno a guardarlo: abbassò gli occhi,
osservandosi le
ginocchia.
<<
Dovresti
accumulare le forze in vista dello scontro >>.
Di
nuovo non proferì
parola, ancora troppo arrabbiata; ora si era ricordato di lei,
arrivando addirittura a parlarle? Ne era a dir poco commossa!
Thorin
percepì
l'astio che emanava, iniziando ad innervosirsi; sapeva d'aver
sbagliato, ma ora era intenzionato a rimediare: come poteva
riuscirci, però, se lei non aveva alcuna intenzione di
collaborare e
continuava ad ignorarlo? Spazientito e maledicendo se stesso si
girò,
pronto per andarsene; d'un tratto si bloccò, mordendosi
l'interno
guancia, considerando sbagliato il suo comportamento. Non doveva
permettere al suo caratteraccio irascibile di prendere il
sopravvento, non in quella situazione in cui il riavvicinamento con
Karin doveva mantenersi: perciò si impose di tornare
indietro,
acquistando un tono di voce neutro.
<<
Pensavo lo
volessi >> disse, mostrandole il fiore nascosto dentro
una
tasca della casacca marrone << l'avevi dimenticato
>>.
Tese
la mano destra;
Karin spostò gli occhi verso l'iris, guardandolo con sguardo
spento
e sofferente nella sua profondità: non avrebbe voluto
allungare a
sua volta una mano e sfiorargli le dita mentre accoglieva il gambo
tra le sue, in un gesto che implicava anche l'accettazione delle
scuse che Thorin le porgeva implicitamente. Ma, a dispetto di tutti i
suoi pensieri lo fece, seppur rimanendo costantemente in silenzio.
<<
Parlami,
Karin >> la pregò, non sapendo cosa pensasse
di lui, di
quell'incresciosa situazione.
Serrò
un attimo le
labbra e deglutì, prima d'accontentarlo <<
Cosa dovrei dirti?
>> sbottò con voce rauca <<
conosci già i miei timori
riguardo Smaug >> il tono si affievolì, mentre
si dava della
stupida per quella patetica scusa: in realtà, il drago non
era
propriamente in cima alla lista dei suoi pensieri quanto, piuttosto,
il recente comportamento di Thorin. E lui, come al solito,
riuscì a
comprendere la bugia, e ciò lo fece infuriare.
<<
Non
m'importa di lui, ma di quello che è successo poco fa!
>>
esclamò, alzando la voce. Sospirò pesantemente,
lasciando che l'eco
delle sue parole aleggiasse tra loro e si disperdesse poi negli ampi
spazi aperti di Erebor; quando non udì altro, riprese
<< So
bene quanto siano importanti e cosa le collane rappresentino: non
potrei mai dimenticarlo. Non... non intendevo dire che non sono
preziose. Solo che >> si bloccò, cercano
parole adatte per
continuare, probabilmente in imbarazzo << volevo donarti
qualcosa di prezioso per farti capire quanto tenga a te
>>
borbottò, evitando di guardarla e trovando più
interessanti le
colonne che erano poco più in là.
Karin
alzò la testa
e lo fissò stupita, poiché era raro che
esternasse in tal modo i
suoi sentimenti, arrivando addirittura a confidarglieli. Di solito
non avevano avuto bisogno di parole, sapendo e conoscendo bene il
profondo legame che li legava: sentirglielo dire la sconvolse nel
bene e nel male, ma la mente la riportò alla Sala del
Tesoro, là
dove l'aveva visto rovistare frenetico e turbato alla ricerca di
qualcosa che mai le avrebbe rivelato.
Si
chiese se fosse
la verità o un'ennesima menzogna per placarla e concedergli
quel
perdono che anelava; fu costretta a guardarlo negli occhi,
sondandogli l'anima: con un gran sollievo al cuore, gli occhi azzurri
mai vacillarono, nemmeno per un secondo. Al contrario dei suoi.
Li
distolse,
cercando qualcosa da dire per spezzare quel maledetto silenzio; e
finalmente, quando Thorin ormai era certo d'aver perso ogni speranza,
parlò.
<<
Un paio di
orecchini >> esalò controvoglia, osservando il
suo volto
confuso << Poco più avanti di dove ci siamo
incontrati,
c'erano un paio di orecchini di ametista: sono meno preziosi rispetto
a quelli con rubini o smeraldi, ma vi è il colore del mio
clan.
Quelli andrebbero bene >> spiegò, alzandosi da
terra e
avvicinandosi di poco; a fatica, gli prese una mano tra le sue, lo
sguardo serio in quello confortato e ora calmo di lui <<
Però,
Thorin, non serve regalarmeli, né dimostrare
alcunché. Lo so, così
come tu dovresti sapere quanto io ti... quanto tu sia importante
>>
si corresse appena in tempo, evitando di rivelargli quanto l'amasse.
Avrebbe
voluto
confessarglielo - benché ne fosse a conoscenza da molto
tempo – ma
qualcosa glielo impedì, lasciandola triste e attonita. Anni
prima
l'aveva pensato con orgoglio e anche durante l'esilio quella
certezza, seppur annientandola, l'aveva accompagnata con una sottile
dolcezza e molta malinconia; anche quando, finalmente, aveva fatto
sì
che il suo amore riaffiorasse più forte ne era stata felice.
Molto,
moltissimo. E la gioia delle due settimane a Esgaroth ne erano state
la prova.
Ma
adesso... non ne
era più certa.
Una
ragione che la
fece vergognare e ripugnare, che la confuse, persino.
Si
chiese dove fosse finita quella ragazza che si era fidata ciecamente
del suo principe nonostante i continui diverbi e scambi di opinioni;
si chiese dove fosse finita quella ragazza che aveva promesso una
sincerità
costante tra loro.
Una
sincerità che,
ora, faticava ad uscire dalle labbra.
Era
difficile sia da accettare che da dire, tremendamente difficile: non
avrebbe palesato ciò che provava, i suoi dubbi e
perplessità, i
suoi rimproveri verso quel nano che le stava diventando... estraneo.
Thorin,
il suo
Thorin,
si stava rivelando uno sconosciuto.
Il
lato mostratole nella Sala la destabilizzava: ripensava spesso a
tutti i timori che le aveva confessato quando si erano resi conto
della malattia di Thror e, ora, pareva trovarsi nella medesima
situazione; lo sguardo che gli aveva intravisto era proprio quello
del sovrano. E lei, impotente, ne aveva paura.
Sentì
una stretta
alle mani e, risvegliandosi da quegli orrendi pensieri, si accorse
delle dita del nano intrecciate alle sue; gli occhi azzurri la
stavano osservando sereni, ignari delle congetture che stava
avanzando.
Non
si sentì mai
così colpevole: da quando era diventata così
esperta nel mentirgli,
arrivando addirittura a rendere i suoi tratti granitici e
imperturbabili?
Stette
ancora peggio
quando le sorrise, evidentemente sollevato dalla richiesta e dal
fatto che aveva smesso di essergli ostile.
Sempre
tenendola per
mano la portò fuori dal nascondiglio conducendola lungo
scale,
scendendo per larghe vie riecheggianti, girando ancora e salendo;
sapeva dov'erano diretti e, quando arrivarono alla Sala del Trono,
non poté fare a meno di trattenere il fiato e rallentare
fino a
fermarsi, lo sguardo fisso lungo il passaggio sullo strapiombo che
portava all'alto scranno di pietra: lo stomaco le si contrasse,
notando il posto vuoto dell'Archepietra, e inevitabilmente
ripensò
al giorno della partenza da Erebor avvenuta centosettantuno anni
prima; allora la gemma brillava fulgida, assorbendo luce e
oscurità,
risplendendo fino ad ammaliarti.
<<
Proseguiamo, Karin. Raggiungiamo gli altri >> disse
Thorin a
voce bassa; forse rammentava anche lui il valore del Cuore della
Montagna, oppure si colpevolizzava per non essere stato presente il
giorno del suo addio?
Annuì,
non volendo
sapere; gli camminò al fianco senza mai lasciargli la mano
– ogni
volta che tentava di sciogliersi lui stringeva la presa – e,
in
breve, raggiunsero la sala dei banchetti e del consiglio.
<<
La Porta
Principale non è molto lontana >>.
<<
Oh! >>
replicò lei, guardando la rovina che li circondava.
C'erano
tavole
putrefatte, sedie e panche giacevano rovesciate, bruciate e in
sfacelo; teschi e ossa erano sparsi sul pavimento in mezzo a caraffe,
scodelle, corni per bere spezzati, e polvere.
Mai
aveva visto una tale disperazione,
un
tale massacro.
Dunque,
era a questo
che aveva portato la venuta di Smaug: morte, e distruzione di quella
che un tempo era la sua casa.
Si
domandò chi
fossero quei valorosi combattenti, caduti per cercare di contrastare
un mostro contro cui non avevano mai avuto speranza: forse li
conosceva, avendoli visti passare per andare alle forge; forse aveva
anche scambiato qualche parola con loro, o danzato durante le feste
annuali che riunivano i Nani sparsi nei vari regni della Terra di
Mezzo.
Le
salì una forte
oppressione e portò la mano libera al cuore, a stringere la
stoffa
della camicia; il respiro le si mozzò e vibrò e,
tremante, dovette
deglutire per non iniziare a piangere: eppure, oltre alla tristezza,
vi era un forte senso di bruciante vendetta.
Strinse
la mano di
Thorin e, quando lo guardò, vide il medesimo desiderio e il
medesimo
fuoco brillargli nelle iridi: avrebbero vendicato i loro compagni, e
ripreso la loro dimora.
Senza
aggiungere
altro si incamminarono e solo quando udirono il rumore dell'acqua del
Fiume Fluente, Thorin sembrò tornare di buonumore,
rievocando alcuni
allegri episodi che li riguardavano; Karin non sapeva se esserne
lieta o meno, propendendo però per esserlo: aveva bisogno di
distrarre la mente dai pensieri e dalle visioni che le si
riproponevano.
Guardandolo
ora
sereno senza l'ombra persistente che sembrava non volerlo abbandonare
si sentì decisamente meglio; non avrebbe sopportato la sua
scontrosità senza litigare, rovinando ulteriormente il loro
rapporto: perciò si costrinse a sorridere e a mostrarsi
partecipe,
rispondendo quando serviva e ascoltando quando ce n'era bisogno.
Senza rendersene conto si ritrovò perfino a ridere spesso,
rammentando la loro infanzia felice.
Eppure,
una volta
che uscirono dalla Porta Principale e dovettero schermarsi gli occhi
abituati all'oscurità, un fastidioso disagio la
ghermì, simile ad
un cupo presagio che si ha sempre prima dello scoppio di una
tempesta.
Ma
non volle
badarvi, lasciandosi piuttosto cullare dal lievissimo calore dei
raggi del sole che mostravano frammenti di antichi bassorilievi
spezzati e anneriti, solcando le gigantesche statue di pietra ai lati
della Porta lastricata.
Gli
altri li
attendevano, chi volgeva lo sguardo verso di loro e chi verso Dale e
la Desolazione di Smaug; ma anche quelli si girarono presto per
andarle incontro, e salutarla calorosamente.
<<
Finalmente!
Temevamo ti fossi persa! >> esclamò Bofur,
visibilmente
contento di vederla.
<<
Come
potrei? >> chiese lei, accennando un breve sorriso
<<
Dopotutto, è casa mia >> gettò una
rapida occhiata a Thorin
che, alle sue parole, l'aveva guardata con ammirazione e orgoglio,
mostrandosi d'accordo.
<<
Che vento
freddo! >> esclamò, poi.
Gli
altri annuirono,
avvicinandosi un poco di più per scaldarsi.
<<
Sembra sia
mattina inoltrata >> commentò Bilbo,
stringendosi nelle spalle
per ripararsi dalla fredda brezza orientale << quindi
sarà più
o meno ora di colazione; ma credo che la soglia non sia un luogo
adatto per mangiare. Non vi è un altro posto dove possiamo
stare
seduti e in pace? >>.
<<
Potremmo
dirigerci al vecchio posto di guardia all'angolo sud-ovest della
Montagna >> propose Balin.
<<
Quanto
dista? >> chiese lo hobbit.
<<
Cinque ore
di marcia, direi, e non sarà facile arrivarci! La strada
della Porta
lungo la riva sinistra del fiume è in rovina, ho appena
controllato:
ma guardate là! Il fiume disegna un meandro attorno a Dale,
a est:
in quel punto c'era un ponte che si collegava a ripide scale, verso
Collecorvo; dovrebbe esserci un sentiero che lascia la strada e
risale fino al posto di guardia. Una salita dura anche se i vecchi
gradini sono ancora lì >>.
Una
notizia troppo
incerta per rallegrare i loro cuori; sospirarono intensamente, e
Bilbo fu l'unico ad esternare i loro pensieri.
<<
Non finiamo
più di camminare e arrampicarci, e a pancia vuota per di
più! Mi
chiedo quante colazioni o pasti abbiamo saltato dentro quel buco
sordido senza tempo >> commentò, scuotendo
amaramente la
testa.
<<
Non
chiamare “sordido buco” il mio palazzo
>> disse Thorin
senza alcun tono ostile, sorridendogli apertamente <<
Aspetta
finché sarà stato ripulito e ordinato
>>.
<<
Accadrà
solo quando Smaug sarà morto >> rispose
cupamente Bilbo <<
Chissà dove sarà? Darei qualsiasi cosa per
saperlo! Spero solo non
sia in cima alla Montagna a guardare giù! >>.
Irrequieti
e
allarmati alzarono le teste per scrutare bene il punto, ma non
scorsero nulla; decisero di seguire in fretta il consiglio di Balin,
e si incamminarono nuovamente.
<<
In passato
tenevamo qui le sentinelle e quella porta lì dietro conduce
a una
camera scavata nella roccia che fungeva da guardiola. Purtroppo al
tempo della nostra prosperità non pareva ci fosse bisogno di
fare la
guardia, così le sentinelle se la prendevano comoda:
altrimenti
saremmo stati avvertiti prima dell'arrivo del drago, e le cose
sarebbero andate diversamente >> disse Balin in tono
nostalgico
e quasi di rimprovero. Dwalin annuì, e anche Karin fu
costretta a
dargli ragione; Thorin, invece, si era rabbuiato.
<<
Comunque
ora possiamo stare riparati per un po' e possiamo vedere molto senza
essere visti >>.
<<
Non è
granché, se siamo stati visti mentre venivamo qui!
>> constatò
Dori, guardandosi attorno preoccupato.
<<
Dobbiamo
correre questo rischio >> rispose malamente Thorin,
sfilandosi
la pesante cintura con appesa Orcrist << per oggi non
possiamo
andare avanti >>.
<<
Meno male!
>> esclamò Bilbo, gettandosi al suolo.
In
quella sorta di
stanza scavata nella roccia ci sarebbe stato posto per cento e,
più
avanti, ve n'era una più piccola, del tutto deserta;
posarono lì i
fagotti, e alcuni si misero immediatamente a dormire.
Karin,
benché
stanca, non riuscì a chiudere occhio per molte ore; era
seduta a
pochi passi dal gruppetto degli anziani, intenti a discutere vari
piani con Thorin: non prestò molta attenzione alle loro
parole,
lasciando vagare lo sguardo lungo la tremenda Desolazione di Smaug.
Ben presto si perse nelle memorie infantili, quando la piana era
percorsa da un sottile e morbido strato d'erba verde; il vuoto che ne
aveva preso il posto la mise di cattivo umore, e nemmeno la vista
delle prime stelle fredde la rincuorò.
Fu
così che la
trovò Bilbo, corrucciata e battagliera: stava mordicchiando
il
bocchino della nuova pipa di legno che aveva comprato a Esgaroth con
uno sguardo talmente serio che, se avesse potuto, avrebbe incenerito
chiunque.
Gli
dispiacque
vederla così angustiata e arrabbiata, ma sperò di
scoprirne il
motivo.
<<
Doveva
essere un bel posto, una volta >> esordì,
catalizzando
l'attenzione su di sé << Balin mi ha accennato
qualcosa, prima
>>.
Lei
annuì,
riponendo la pipa << Molto >>.
<<
C'è...
qualcosa che ti preoccupa? >> domandò
innocentemente;
tamburellò le dita sulle ginocchia mentre attendeva una
risposta, ma
Karin non l'assecondò subito.
Scrollò
le spalle e
fece una smorfia, indicando prima il paesaggio e poi il cielo
<<
Questo luogo. Il drago >> rispose, concisa
<< E il fatto
di non sapere dove sia >>.
Evitò
accuratamente
di parlargli dei timori riguardo Thorin, non sapendo perché
volesse
tenerglieli nascosti; e Bilbo ci credette, non domandandosi come mai
l'amica non passasse più molto tempo con il re dei nani,
attribuendolo al pericolo e alla serietà che l'ultima parte
di
missione richiedeva.
Non
seppe di quali
altri argomenti parlare così rimase in silenzio al suo
fianco finché
non sentì le palpebre abbassarsi e il sonno coglierlo; le
diede la
buonanotte – a cui lei rispose con un secco cenno della testa
–
per poi trovarsi un angolino riparato in cui riposare, sperando di
non incappare in sogni bui con un drago rosso sputafuoco e infido.
Thorin
sospirò
pesantemente sfregandosi il volto stanco: si era offerto per il turno
di guardia ma, ora, non gli sembrava una così bella idea; la
spossatezza fisica e mentale non gli dava tregua, lasciandolo
distrutto.
L'irrequietezza
non
l'aveva ancora abbandonato, specialmente se alzava lo sguardo verso
il cielo notturno alla ricerca di una grande sagoma nera; ancora una
volta la domanda si ripresentò nella sua mente: dov'era
Smaug?
Avrebbe
preferito
saperlo all'interno della sua Montagna piuttosto che fuori:
soprattutto se, stando a quel che sapevano, si era diretto a
Esgaroth.
Girò
il capo verso la caverna, cercando con gli occhi la sagoma
avviluppata nel mantello pesante: gli dava la schiena, come quella
notte di mesi fa dopo il violento litigio; al tempo le era sembrata
così lontana,
credendo ancora al suo essere traditrice.
L'odio
che aveva
provato nel vederla a Vicolo Cieco era esploso molte volte nel corso
del viaggio, in egual misura all'amore.
Durante
la
permanenza nella città degli uomini aveva riscoperto una
pace e una
serenità che mai e poi mai avrebbe creduto di riprovare: non
con i
pensieri perennemente rivolti alla sua città perduta e alla
sua
vendetta.
Non
con lei.
Eppure,
un sottile senso di disagio e... apprensione
strisciò in lui; c'era qualcosa di profondamente sbagliato
in
ciò che stava accadendo, e l'episodio nella stanza di Karin
ne era
stata la prova. Il loro rapporto si stava forse compromettendo,
incrinandosi?
Non
sarebbe stato
facile scacciare l'espressione delusa e accusatrice che le aveva
scorto tra le lacrime, né quella infinitamente triste nella
Sala del
Tesoro quando lui le aveva in parte mentito: non aveva smosso monete
e gemme per cercarle una collana, ma per cercare l'Archepietra.
Vergognandosi,
si
passò una mano sul volto, sospirando per l'ennesima volta;
e, di
nuovo, si domandò che genere di cambiamenti stessero
avvenendo nel
suo cuore, temendone la risposta.
Si
riscosse quando
udì un fruscio, ma non fece in tempo a girarsi che due
braccia –
più esili delle sue – gli avvolsero il collo e un
respiro
conosciuto gli solleticò il collo; non poté
impedirsi di sorridere
debolmente, accarezzando le braccia coperte dalle maniche della
camicia.
<<
Dovresti
dormire; è tardi, quasi l'alba >>.
Karin
scosse la
testa, inginocchiandosi meglio dietro di lui << Non ci
riesco
>> ammise con un sussurro.
<<
Troppi
pensieri? >>.
Le
dita gli
allontanarono i capelli dal collo e, dopo pochi secondi, le labbra vi
erano posate in un bacio delicato << Mmh >>.
Aggrottò
la fronte,
tentando di trovare una spiegazione al comportamento della ragazza,
ma un lieve morso lo fece gemere inaspettatamente.
<<
Karin >>
chiamò, sperando di farlo risultare un rimprovero; al
contrario, la
sentì ridacchiare e continuare quella lenta tortura: la
lingua
percorse il collo per tutta la sua lunghezza, arrivando al lobo
dell'orecchio; lo prese tra i denti e strinse piano, facendolo
inspirare sonoramente.
Con
un movimento
improvviso, Thorin riuscì a sciogliersi e a girare il busto:
portò
una mano ad artigliarle la nuca, attirandola a sé; non le
baciò le
labbra ma, con l'altra mano, le scostò la stoffa della
camicia
rivelando la pelle chiara della morbida spalla. Rapido e frenetico la
baciò, spingendo le labbra sulla carne come a volerla
marchiare; si
strinse a lui, facendolo fremere di piacere, liberando i suoi
più
bassi istinti che finora era riuscito a trattenere.
<<
Alzati >>
le ordinò, facendolo a sua volta.
Una
volta che gli
obbedì la sollevò di peso prendendola in braccio:
andò avanti a
tentoni, impegnato com'era a prendere possesso delle sue labbra con
una foga mai sentita prima; finalmente arrivarono alla stanzetta che
ospitava i fagotti e, incuranti dei pochi compagni dormienti si
inginocchiò e l'adagiò a terra, posizionandosi a
cavalcioni su di
lei. Con una mano le prese i polsi, portandoglieli sopra la testa,
mentre con l'altra iniziò ad accarezzarle un fianco, salendo
e
scendendo.
Con
qualche
difficoltà riuscì ad alzarle rudemente la camicia
e a scoprirle la
pelle: si abbassò, baciandole l'ombelico e solleticandola
coi lunghi
capelli neri e la barba ispida; la sentì contrarre i muscoli
e
sfuggirgli e, elettrizzato e infastidito insieme, la sollevò
un poco
facendole inarcare la schiena. Le gambe si strinsero attorno ai suoi
fianchi mentre i primi gemiti iniziarono a riempire l'aria
circostante, seguiti da mugugni e respiri forti.
<<
Lasciami >>
sussurrò lasciva, lo sguardo appannato di desiderio; ma lui
non le
rispose né fece un cenno, continuando a baciarla e a tirarle
su la
camicia fino a scoprirle i seni: quando le labbra ne raggiunsero uno
la sentì agitarsi sotto di lui, mentre cercava di liberare
le mani
imprigionate. Sorrise quando la vide roteare gli occhi verso l'alto e
serrare le palpebre, preda di un'eccitazione senza limiti come quella
che lo percorreva; portò la mano sull'altro e i gemiti acuti
lo
inebriarono come non mai, amplificando la lussuria e la brama di
possederla ancora una volta.
Spostò
la mano
conducendola verso il basso, sfiorandole il bordo delle brache e il
loro laccio così sottile: gliele slegò
lentamente, senza
sfilargliele, poiché le dita si insinuarono sotto la stoffa.
Karin
inspirò con
forza quando lui, raggiungendo il centro del suo corpo, strinse e
spinse verso l'alto facendole alzare il bacino.
<<
Ti piace?
>> parlò con voce mortalmente roca, smettendo
di leccarle un
seno solo per porle la domanda, tornando poi a torturarglielo con
maestria.
<<
Thorin >>
gemette << lasciami. Lasciami >>
ripeté, in estasi, non
avendo la forza di dire e pensare altro.
Quella
richiesta
così supplice e accorata lo eccitò maggiormente,
ma non
l'accontentò: risalì verso la clavicola e il
collo, dove si fermò;
inspirò il suo odore e morse la pelle, beandosi delle grida
attutite
che uscirono dalle labbra rosee, dei denti che le morsero nel vano
tentativo di contrastare l'onda di piacere, del bacino che quasi si
scontrò col suo, del petto scoperto che si impresse nel suo,
ancora
coperto dalla casacca e dalla camicia.
Solo
allora staccò
la mano dai suoi polsi, portandola ad aumentare il piacere che voleva
concederle; sentì le sue dita tra le ciocche scure, le altre
gli
percorrevano la schiena e gliela graffiavano facendolo grugnire
quando raggiungeva il suo obiettivo.
Con
un movimento
imprevisto si sentì muovere e portare giù: Karin
era riuscita a
farsi leva e a ribaltare le posizioni, così da poter essere
sopra di
lui; fin troppo accalorato, guardò con occhi increduli la
figura
sinuosa che torreggiava e lo rapiva con i suoi movimenti e gesti.
Si
sporse in avanti
ma non lo baciò, volendolo torturare come aveva fatto con
lei poco
prima: ansimò mentre gli leccava il collo e gli portava le
mani sui
suoi fianchi esili; gemette quando gli slacciò la casacca e
posò le
labbra sulla parte di petto scoperta, sfiorandolo anche con la punta
del nano mentre si abbassava; espirò con la bocca quando gli
alzò
l'indumento e glielo sfilò, compiendo il medesimo gesto con
la
camicia. Thorin si ritrovò a rabbrividire, ma non seppe se
per la
lussuria o per il vento freddo d'inverno: per uno sciocco attimo si
chiese se si sarebbe ammalato, ma relegò il pensiero quando
sentì
le sue labbra audaci sulla pelle scolpita e sui muscoli tesi e
scattanti.
Strinse
le dita
attorno ai fianchi, godendo della scia umida che gli lasciò
e del
percorso che fece la sua mano destra: dal petto si abbassò
sempre
più, raggiungendo gli addominali per finire poi a sfiorare
la stoffa
delle brache.
Thorin
fece
scivolare le mani fino ai glutei della ragazza, affondando le dita
nella carne; Karin piegò un angolo della bocca in un sorriso
malizioso, soddisfatta, percorrendo ancora il petto con l'altra mano:
si abbassò a baciargli la pelle, scie di puro fuoco che
bruciavano.
Staccò
una mano
portandola al suo collo per farla rialzare, in un gesto che voleva
rimarcare la sua autorità e non la sottomissione a quella
figura
ammaliatrice; strinse la presa sulla pelle chiara sentendola
ansimare, ma non di paura: gli occhi erano calmi, un pozzo liquido di
lussuria e bramosia in cui annegare. Sapeva che non le avrebbe fatto
male, che poteva fidarsi, e così avvenne: le dita lasciarono
il
punto spostandosi in basso, tra i seni; con un movimento veloce, lei
inarcò la schiena e mosse il bacino in avanti, specialmente
quando
la mano scivolò verso lo stomaco e la pancia,
finché non scese
ancora e ancora più giù.
Gli
ansiti si
dispersero nel vento ma, benché soffiasse gelido, non li
raggiungeva: i corpi erano bollenti, un sottile strato di sudore
imperlava le loro fronti, alcune ciocche erano appiccicate al collo.
Karin
inclinò la
testa, iniziando a muovere sensualmente il bacino avanti e indietro,
rapendolo: grugnì quando percepì il cavallo delle
brache farsi
insopportabilmente stretto e lei, notatolo, lo guardò con
occhi
luccicanti e maliziosi, bagnandosi le labbra con la punta della
lingua prima di abbassarsi nuovamente sulle sue labbra, stendendosi
sul suo petto: lo baciò con trasporto e sentimento mentre i
denti si
scontravano e le lingue si toccavano; le racchiuse un seno nel palmo
della mano, stringendolo e sentendola gemere forte.
Certo
di non riuscire a trattenersi oltre, lasciò che la voglia di
possederla lo riempisse: le mani le abbassarono le brache e strinsero
i glutei e lei, capendolo, fece lo stesso fino ad abbassargliele
sulle ginocchia; non attese altro, non avrebbe potuto.
Karin
gemette sotto
le sue spinte poderose, mandandogli scariche di piacere lungo tutto
il corpo, mescolate a sensazioni inebrianti e meravigliose
indescrivibili a parole; le artigliò i fianchi per dare un
ritmo
sostenuto, iniziando a gemere a sua volta con voce sempre
più alta,
in balia delle sensazioni travolgenti di quell'amplesso erotico; ma,
per un momento, la sua mente venne lacerata da una domanda
persistente: come mai nessuno si svegliava, dato il rumore crescente?
Non
trovò risposta,
impegnato com'era ad ammirare il viso accaldato e le espressioni
estatiche, i capelli neri che ondeggiavano scomposti e ribelli, la
gola esposta che attendeva solo d'essere baciata e morsa ancora una
volta; le orecchie si riempirono ben presto dei toni, dei suoni
gutturali e profondi che parevano uscire dallo stomaco e risalire
verso l'alto, dei nomi mal trattenuti e infine urlati di pari passo
con i movimenti sempre più profondi e veloci dei loro
bacini, come
se avessero voluto sprofondare e perdersi nell'altro fino alla
fine...
… Aprì gli occhi
di scatto, venendo accecato dal raggio di sole che lo colpì:
si
schermò con la mano destra, sbattendo più volte
le palpebre finché
la Desolazione non tornò a vedersi nitida.
Confuso
si guardò
attorno vedendo tutti gli altri ancora persi nel mondo dei sogni,
compresa Karin, stretta nel mantello; si sfregò il volto,
cercando
di cancellare i segni del sonno che l'aveva colto mentre era perso
nei suoi pensieri e, soprattutto, sperando di togliersi di dosso le
sensazioni che quel sogno gli aveva lasciato.
Imprecò
a denti stretti, assottigliando lo sguardo azzurro verso il
pallido sole d'inverno; tutto ciò era inaudito,
semplicemente
inaudito: non solo aveva dormito
durante la guardia ma, quel che era peggio – molto peggio
– era
che aveva sognato
un
fatto che non era accaduto e che, per quanto avesse voluto, non
sarebbe divenuto realtà.
Venne
attirato da un
mugolio e, spostando il capo, notò che proprio l'oggetto dei
suoi
ultimi pensieri si stava svegliando, stiracchiandosi: distolse lo
sguardo per non voler ripensare a poco prima, anche se la mente gli
fece rivedere ogni singolo frammento.
Sospirò
affranto,
attirando l'attenzione di Karin che lo guardò di sottecchi
cercando
di capire cosa fosse accaduto: non immaginava certo i suoi tormenti!
Curiosa, avrebbe voluto chiedergli spiegazioni ma si trattenne,
scuotendo la testa: fortunatamente venne distolta dal cinguettio di
un uccello, che si appollaiò su una pietra lì
vicino; il suo canto
svegliò gli altri - primo fra tutti Bilbo, che riconobbe il
vecchio
tordo.
<<
Credo stia
cercando di dirci qualcosa >> disse Balin, lisciandosi la
barba
<< ma non riesco a comprendere il linguaggio di questi
uccelli,
è molto difficile e veloce. Ci capisci qualcosa tu, Baggins?
>>.
<<
Non molto
>> rispose Bilbo che, in realtà, non capiva
affatto <<
ma sembra molto eccitato >>.
<<
Come vorrei
fosse un corvo imperiale >> esclamò Balin
<< C'era
amicizia tra loro e il popolo di Thror; spesso ci portavano notizie
segrete e venivano ricompensati con oggetti luminosi che amavano
nascondere nelle loro dimore. Conoscevo molti corvi imperiali quando
ero un nanetto; proprio questa altura è chiamata Collecorvo,
perché
c'era una coppia saggia e famosa, il vecchio Carc e sua moglie, che
vivevano qui. Ma credo che ora non vi abiti più nessuno
>>.
Non
aveva ancora
terminato di parlare che il tordo emise un trillo acuto e
volò via.
<<
Sono certo
che ci ha capiti >>.
<<
Teniamo gli
occhi aperti >> ordinò Thorin, risalendo
dall'imbarazzo e dal
disagio in cui era caduto << Vediamo che succede
>>.
Aspettarono
poco, in
verità: avevano appena iniziato una parca colazione che
quello
tornò, accompagnato da un uccello molto vecchio; stava
diventando
cieco e volava a stento. Era un corvo imperiale di grandi dimensioni:
si posò a terra davanti a loro, raccolse lentamente le ali e
saltellò verso Thorin.
<<
O Thorin
figlio di Thrain, e Balin figlio di Fundin >>
gracchiò,
parlando nella lingua corrente e lasciandoli sbalorditi, primi fra
tutti Bilbo e Karin << Io sono Roac figlio di Carc, che
è
morto. Io sono ora il capo dei corvi imperiali della Montagna. Siamo
in pochi, ma ancora ricordiamo il re del tempo antico. La maggior
parte del mio popolo è all'estero perché ci sono
grandi novità a
sud, anche se alcune non vi parranno buone: Smaug è morto!
>>.
Un
breve silenzio
scese sul gruppo, mentre ognuno tentava di fare i conti con la
notizia, cercando d'assimilarla; Karin fece saettare lo sguardo verso
Thorin, leggendovi ciò che si era aspettata: sconcerto e
rabbia,
tanta rabbia.
<<
Morto?
Morto? >> esclamarono tutti.
<<
Allora la
nostra paura era inutile! >> gridò Bofur.
<<
Il tesoro è
nostro! >> urlò Fili, saltando di gioia; Kili
scoppiò a
ridere e, ben presto, si aggiunsero anche gli altri, ben sollevati
nel sapere che la loro vita sarebbe stata risparmiata.
L'unico
che non la
prese molto bene fu Thorin: strinse così forte la mascella
che,
prima o poi, si sarebbe spezzata.
<<
Sì, morto
>> disse Roac << Il tordo l'ha visto morire
durante la
battaglia contro gli uomini di Esgaroth, tre notti fa allo spuntare
della luna >>.
<<
Mi perdoni, nobile corvo >> si intromise Karin,
facendogli
voltare il capo nero dal suo lato << E' stata una dura
battaglia? Ci sono state parecchie >> dovette fermarsi un
attimo per cercare di riuscire a parlare << morti?
>> domandò, pensando a Eliese e alla sua
famiglia; certamente
non le avrebbe detto niente, non conoscendo le persone in questione.
Eppure le era sorta spontanea, e il bisogno
di
sapere era difficile da contrastare.
<<
Non molte,
gentil dama >> le rispose << o, almeno,
conoscendo la
furia del Drago Smaug: egli è stato sconfitto da Bard della
stirpe
di Dale, discendente di Girion, un uomo aspro ma veritiero. Ora
però
una schiera di elfi è già in cammino, e gli
avvoltoi li seguono
sperando in una battaglia e massacro. Sul lago, uomini mormorano che
i loro dolori sono dovuti ai nani, e pensano di venir indennizzati
con parte del vostro tesoro, che voi siate vivi o morti
>>
finì, gravemente.
Un
silenzio ancora
più pesante e denso di prima scese, lasciandoli sconvolti e
stupefatti tanto da non riuscire a parlare; Karin
rabbrividì,
nauseata: cosa sarebbe accaduto da adesso in poi?
<<
Senza
dubbio spetta alla vostra saggezza decidere il da farsi; ma
quattordici è un piccolo avanzo del grande popolo di Durin,
che ora
è disperso lontano: c'è la possibilità
di rivedere la pace
albergare tra nani, uomini e elfi dopo la lunga desolazione, ma vi
costerà cara in denaro. Ho parlato >>.
<<
Ti
ringrazio, Roac figlio di Carc >> disse Thorin,
incollerito <<
Tu e il tuo popolo non sarete dimenticati. Ma finché saremo
vivi il
nostro oro non ci verrà tolto: se vuoi meritarti ancor
più i nostri
ringraziamenti, portaci notizie di chiunque si avvicini. Manda
inoltre alcuni dei tuoi più giovani dai nostri consanguinei
nelle
montagne settentrionali, ad ovest e a est di qui: mettili al
corrente. Andate da mio cugino Dain nei Colli Ferrosi, il
più vicino
a noi: ordinagli di affrettarsi! >>.
<<
Non dirò
se questo parere è buono o cattivo >>
gracchiò Roac <<
Ma farò tutto il possibile >> fece per volare
via ma venne
fermato.
<<
Aspetta! >> gridò Karin, muovendo un passo
avanti <<
Thorin, pensa a ciò che chiedi: è questo che
vuoi? Una guerra?
>> domandò sconcertata, alzando la voce.
Non
l'avrebbe
permesso, né tollerato; tremava, pallida e nervosa, mentre
guardava
la risoluta fermezza del nano ostentata con una freddezza che le
gelò
le ossa e fece contrarre lo stomaco: tutto in lui mostrava il suo
convincimento in quel folle piano.
<<
Tu cosa credi? >> le domandò, ironico
<< Pensi che
uomini
e elfi
verranno qui in pace? Sappiamo bene che, se non concederemo loro
ciò
che vogliono, arriveremo ad uno scontro >>.
<<
Ma non
potremmo... accontentarli? >>.
I
nani trattennero
il fiato, indignati anche solo dalla proposta; Thorin la
fulminò con
un'occhiata sprezzante, digrignando i denti bianchi.
<<
Accontentarli?
>> ripeté, la rabbia che montava veloce
<< Mai! Il
tesoro appartiene a noi nani >>.
Gli
altri
assentirono, annuendo energicamente; solo Bilbo rimase immobile, gli
occhi che si spostavano da lei a Thorin: non sapeva che pensare, ma
era certo di non voler affatto una battaglia quanto, piuttosto, una
soluzione pacifica. Però capì bene che il nano
non sarebbe mai
sceso a patti, nemmeno se a chiederglielo sarebbe stata Karin: era
del tutto impotente, e questo la distruggeva. Lo sentiva, e lo vedeva
anche troppo bene.
<<
Il tesoro
appartiene al popolo di Durin e al suo Re, è vero: ma come
pensi di
gestire una simile quantità d'oro? È troppa per
noi: se ne
concedessimo loro una parte tutto si risolverebbe per il meglio, ed
ognuno avrebbe ciò che desidera >>
ribatté stoicamente.
<<
Come puoi chiedermelo, dopo tutti gli anni che ho atteso per poterlo
riprendere? >> ora anche lui avanzò muovendo
alcuni passi, i
pugni serrati e pallidi << Come osi
dirmi
questo, Karin? >> ruggì.
Nessuno
fiatò, non
avevano abbastanza coraggio.
<<
Se si
arriverà ad una guerra... tanto meglio >>
decretò duramente,
perforandola con lo sguardo << Sapranno che i Nani del
popolo
di Durin sono ben vivi e pronti a difendere ciò che
è loro di
diritto. Ti prego di andare, Roac, e di fare in fretta. Ora torniamo
sulla Montagna! >>.
Si
girò, venendo
affiancato da Dwalin e Balin e, di seguito, si accodarono gli altri;
Karin rimase immobile con lo sguardo puntato alla schiena di Thorin,
intento a discutere le prossime mosse con i due fratelli. Si riscosse
quando sentì una lieve stretta sulla spalla e, girandosi,
incontrò
gli occhi grigi colmi di timore e dispiacere di Bilbo, gli stessi
sentimenti che sapeva di provare.
<<
Siamo in un
bel guaio >> commentò lei, schiarendosi la
voce.
<<
Riuscirai a
fargli cambiare idea >>.
Sorrise
amaramente di fronte a quella stupida convinzione << No,
Bilbo,
non ci riuscirò. Con questo
Thorin
è difficile ragionare >>.
Lo
hobbit aggrottò la fronte, perplesso << Questo
Thorin?
Che vuoi dire? >>.
Ma
lei non gli
rispose, lo sguardo velato e triste; scosse la testa e
sospirò,
incamminandosi verso la Montagna. E il povero Bilbo dovette seguirla,
mentre nella testa risuonavano continuamente le sue parole, facendolo
rabbrividire sempre più.
<<
Abbiamo
alcuni giorni di vantaggio prima del loro arrivo >>
dichiarò
Thorin alla Compagnia, che pendeva dalle sue labbra <<
Siccome
tutti gli altri ingressi sono stati bloccati tempo addietro –
eccetto la Porta Principale e quella più piccola e segreta
–
fortificheremo la prima e costruiremo un nuovo sentiero che parta da
lì. Abbiamo attrezzi e materiale in abbondanza, ma dovremo
essere
veloci e lavorare alacremente >>.
<<
Naturale!
>> commentò Dwalin, già impaziente
d'iniziare.
Gli
altri annuirono
e, rapidi, si divisero in piccoli gruppetti per facilitare il lavoro:
a Bilbo venne dato il compito di portare acqua e provviste e Karin,
in quanto femmina, lo avrebbe aiutato; inoltre avrebbe trasportato e
passato agli altri gli attrezzi necessari poiché li
conosceva.
Lavorando
a stretto contatto pressoché con tutti, cercò
quanto più possibile
di farli rinsavire, sperando
che
qualcuno fosse contrario alla decisione del loro sovrano.
Quando
si ritrovò a
parlare con Balin, però, capì che non sarebbe
riuscita a smuoverli.
<<
Per favore,
Balin >> lo pregò per l'ennesima volta
<< sei l'unico a
cui darebbe ascolto. Una battaglia ci distruggerebbe, e lo sai
>>.
<<
Non è
detto si giunga a questa drammatica soluzione, bambina mia
>>
tentò di mostrarsi convincente, ma anche lui sapeva che era
una
bugia. Fece una smorfia quando sollevò un blocco di pietra,
venendo
prontamente aiutato da Karin.
<<
Grazie.
Come ho detto, non credo arriveremo ad uno scontro >>
ripeté,
asciugandosi la fronte con la manica.
Gli
passò la
borraccia piena d'acqua aspettando che bevesse, prima di parlare
<<
Sai che Thorin non parlamenterà: è testardo,
oltre che orgoglioso
>>.
<<
Non ha
tutti i torti: il tesoro di Erebor è dei nani, non di altri
>>
ribatté caparbio.
Sospirò,
sfregandosi la tempia destra << L'hai visto anche tu,
Balin:
quel tesoro è immenso
rispetto a quello che v'era prima; il Drago ha accumulato altre
ricchezze che non ci appartenevano. Anche io non desidero venga dato
agli elfi,
lo
sai bene, ma... per aiutare coloro che ci accolsero... bé,
quello sì
>>.
<<
Capisco
anche il tuo punto di vista, Karin, ed è giusto
>> disse,
guardandola compassionevole; ma durò poco, perché
poi scosse la
testa << Ma non sono io a decidere, e nemmeno tu. Mi
dispiace
>> lo disse sinceramente, guardandola negli occhi e
stringendole una mano tra le sue.
Karin
annuì mesta,
allontanandosi; portò a tutti un po' d'acqua, notando
però che
mancava qualcuno << Dov'è Thorin?
>>.
<<
Non lo so
>> rispose Nori, il più vicino a lei
<< era qui fino a
poco fa >>.
Si
guardò attorno
ma, con un tuffo al cuore, non lo vide da nessuna parte: si impose di
mantenersi calma e di non arrivare a conclusioni affrettate; potevano
esserci migliaia di motivi per il suo allontanamento, non tutti
riconducibili alla stanza del tesoro.
Respirò
a fondo,
cercando di mostrarsi indifferente alle varie occhiate preoccupate
che le lanciarono gli amici e, senza dir nulla, tornò al
lavoro
sperando di occupare la mente.
Passarono
quattro
giorni e i corvi portarono loro altre notizie allarmanti: Thranduil
aveva cambiato strada dirigendosi verso il lago e, ora, le schiere di
elfi e uomini si affrettavano verso la Montagna; fortunatamente il
cibo che avevano sarebbe bastato per alcune settimane e l'ingresso
era bloccato da un muro spesso e alto di pietre squadrate e
appoggiate l'una sull'altra a sbarrare l'apertura. Vi erano diversi
buchi attraverso i quali potevano vedere, ma nessun ingresso:
entravano o uscivano servendosi di scale a pioli e, per permettere al
fiume d'uscire, avevano lasciato un basso archetto sotto il muro;
avvicinarsi alla Porta era possibile solo tramite una stretta cornice
rocciosa a destra.
<<
Tutto
sommato abbiamo fatto un buon lavoro, mi pare >>
commentò
Dori, lasciando trapelare la soddisfazione.
<<
Speriamo
funzioni! >> esclamò Ori.
<<
Funzionerà >> disse asciutto Thorin con le
mani dietro la
schiena, intento a contemplare l'opera << Deve
funzionare
>> lanciò un'occhiata collettiva, accennando
un lieve sorriso
che spianò la fronte << Riposate, amici
>>.
Gli
altri non se lo
fecero certo ripetere, scegliendosi un posto; Karin avrebbe voluto
parlargli, cercando di condurlo sulla via dell'ascolto e della
ragione, ma non ci riuscì: lo guardò coricarsi,
sentendo il suo
respiro tranquillo e profondo poco dopo, già dormiente. E
lei lo
seguì poco dopo, troppo stanca anche solo per pensare.
Venne
svegliata da
delle grida concitate nel cuore della notte e, sedendosi di colpo,
cercò di mettere a fuoco i volti dei compagni e le parole
che
stavano dicendo.
<<
Sono
arrivati! >> gridò Balin.
<<
Il loro
accampamento è grandissimo! >>
esclamò Kili, tornando di
corsa dopo essere andato a sbirciare.
<<
Devono
essere arrivati risalendo le rive del fiume >>.
A
Karin si
attorcigliò lo stomaco e iniziarono a sudare i palmi;
sentiva il
cuore battere più forte del solito e, guardando gli altri,
poté
scorgere la stessa ansia sui volti.
<<
E ora, che
facciamo? >> domandò Bilbo, spaesato.
<<
Aspettiamo
>> rispose gravemente Thorin << Prima o poi
arriveranno
>>.
E
così avvenne,
alle prime luci dell'alba: da dietro il loro muro, la Compagnia li
osservò salire fino all'inizio della valle e iniziare
lentamente la
scalata; vi erano sia Uomini del Lago in assetto da guerra sia
arcieri elfici. Karin si ritrasse un poco dalla feritoia non appena
li vide: cercò di reprimere la paura che, di nuovo, si era
impossessata del suo animo; si impose di smetterla. Non erano altro
che semplici elfi.
<<
Chi siete
>> gridò a gran voce Thorin, non appena si
fermarono indicando
sconcertati la Porta << voi che venite alle porte di
Thorin
figlio di Thrain, Re sotto la Montagna? Cosa volete? >>.
Ma
essi non
risposero, limitandosi a fissare le difese che i nani avevano eretto,
per poi andarsene; quel giorno spostarono l'accampamento verso est,
in mezzo ai bracci della Montagna. Le rocce echeggiarono delle voci e
dei loro canti, facendo desiderare a Bilbo d'unirsi a loro.
Il
gruppo venne
preso dallo sconforto e, ben presto, iniziarono a brontolare e
lamentarsi.
<<
Forse
avremmo potuto accoglierli come amici >> disse Kili,
accarezzando l'elsa della nuova larga spada; era seduto accanto al
fratello e a Karin e Bilbo e, alle sue parole, si voltarono a
guardarlo esterrefatti.
<<
Ma che
dici? >> domandò furente Fili <<
Non puoi pensarlo
davvero! >>.
<<
Certo che
posso >> ribatté << Andiamo,
Fili: se non parleremo con
loro... >>.
<<
Non
sopravvivremo >> concluse per lui Karin.
Il
giovane Durin
annuì di malavoglia e Fili richiuse la bocca, non riuscendo
a
ribattere: il germe del dubbio e della consapevolezza si stava
annidando nel suo cuore, così com'era successo al fratello;
come
stava accadendo ad alcuni di loro, ormai. Ma non avrebbero detto
nulla al loro Re, non esplicitamente.
Spostò
lo sguardo
verso Thorin, che camminava nervosamente avanti e indietro come un
animale in gabbia: digrignava i denti, e vari insulti in nanico
fuoriuscivano dalle labbra sottili; era teso e scattante, ed ogni
più
piccola reazione avrebbe potuto scatenare la sua furia.
Perciò
rimase immobile e zitta finché non venne coinvolto da Dwalin.
<<
Quanto ci
metteranno i nostri parenti ad arrivare? >>.
<<
Dipende >>
rispose, asciutto << Dipende se sono partiti non appena
hanno
ricevuto il messaggio: in quel caso, pochi giorni >>.
Dwalin
annuì,
iniziando a parlottare: Karin non capì ciò di cui
discutevano e,
sinceramente, non le importò; non avrebbe più
voluto sentir parlare
di eserciti in marcia, rese, guerre alle porte. Rimpianse le
settimane tranquille a Esgaroth; rimpianse persino i primi giorni di
marcia: tutto fuorché il pensiero di una battaglia che li
avrebbe
visti sconfitti.
E
morti.
Si
alzò, non
volendo rimanere un minuto di più; aveva bisogno di
camminare, di
correre, di esercitarsi con Iris: tutto purché smettesse di
pensare.
Se
c'era una cosa che aveva imparato nella sua lunga vita, era che
l'attesa era snervante. Tremendamente
snervante.
Il
mattino seguente,
di buon'ora, una compagnia di soldati armati di lancia
attraversò il
fiume e marciò su per la valle. Portavano il grande
stendardo del re
degli Elfi e quello azzurro del lago, ed avanzarono finché
non si
fermarono proprio davanti al muro della Porta.
Di
nuovo, Thorin li
apostrofò << Chi siete voi che venite armati
per far guerra
alle porte di Thorin figlio di Thrain, Re sotto la Montagna?
>>.
Si
fece avanti un
uomo alto, scuro di capelli: per un attimo, a Karin ricordò
un viso
familiare << Salute a te, Thorin! Perché ti
barrichi come un
ladro nel suo covo? Siamo venuti qui credendo di non trovare nessuno,
ma sono ben lieto di vedervi vivi: tuttavia, ora che ci siamo
incontrati, abbiamo alcune questioni di cui discutere >>.
Thorin
strinse la
mascella, rabbuiandosi in volto << Chi sei tu, e di che
vorresti discutere? >>.
<<
Io sono
Bard, e per mano mia il drago fu ucciso e il vostro tesoro salvato:
questa è una questione che ti riguarda, non è
vero? Inoltre sono
per diritto ereditario il successore di Girion di Dale, e in mezzo al
tuo tesoro c'è parte delle ricchezze della sua
città e del suo
palazzo. E di questo potremmo parlare. Per di più, nella sua
ultima
battaglia, Smaug distrusse le dimore della città di
Esgaroth, e io
sono ancora al servizio del suo Governatore. Vorrei chiederti se non
sei sfiorato dal pensiero del dolore e della miseria del suo popolo;
ti soccorsero quando eri in pericolo e ti accolsero ma, per tutta
risposta, finora hai portato solo rovina, anche se non l'hai fatto di
proposito >> si fermò, guardando il muro come
se avesse potuto
vederli << So che con voi è presente una nana,
Karin è il suo
nome >>.
Karin
si bloccò,
smise perfino di respirare: con gli occhi sgranati, sbirciò
dalla
fessura osservando l'Uomo, come paralizzata; no, gli elfi non avevano
detto nulla. E nemmeno Legolas. Vero?
<<
Perché vuoi sapere di lei?
Cosa vuoi,
esattamente? >> chiese Thorin, il tono di voce sempre
più
alterato.
Bard
non si fece
intimorire, alzando il mento e incrociando le braccia al petto
<<
Ella conosce mia sorella, Eliese: le è stata accanto nel
momento del
bisogno, e per questo volevo ringraziarla >>.
Schiuse
le labbra,
non credendo alle sue orecchie: dunque l'uccisore di Smaug era
parente di Eliese? Ora si spiegava la sensazione di
familiarità
provata!
<<
Come sta?
>> gridò dalla fessura, improvvisamente
angosciata << E
Ranel? I bambini? >>.
<<
Stanno
bene, non temere >> le assicurò
<< Sono riusciti a
fuggire appena in tempo >>.
Lei
espirò,
sollevata dalla notizia: loro per lo meno erano al sicuro e salvi; ma
la frase che Bard pronunciò dopo la fece arrabbiare e
deludere,
immensamente.
<<
La forgia è
bruciata e la loro casa è stata parzialmente distrutta dal
drago.
Sono certo che vorrai aiutarli, essendo loro amica: parla col tuo re,
e cerca di convincerlo >> concluse, rivolgendosi a lei
come se
non ci fosse stato Thorin a pochi passi di distanza.
Fatto
che lo fece ancor più infuriare << Come osi
presentarti
dinanzi alle mie Porte e presentare una simile condizione senza
volermi interpellare? Non sapevo che gli Uomini adoperassero la
compassione
per
circuire e attuare i loro scopi! >> sbraitò,
livido in volto.
I nani lo guardarono stupefatti, non avendolo mai visto in quello
stato; Karin si ritrovò a tremare involontariamente e Bilbo
cercò
di farsi più piccolo di quel che già era,
intimorito dalla figura
del re.
<<
Dopo ciò
non sarai certo il benvenuto, né ti verrà
acconsentito nulla di ciò
che chiedi! Vattene ora, prima che qualche freccia lasci il suo arco.
Dì agli Elfi che ritornino nei boschi, e tu dovresti fare
altrettanto tornandotene a casa con la tua gente >>.
<<
Il Re degli
Elfi è un mio amico, e ci ha soccorsi nel momento del
bisogno,
sebbene non avesse alcun obbligo verso di noi. Ti daremo tempo per
pensarci e pentirti delle tue parole: fa' appello al tuo buonsenso
prima del nostro ritorno! >>.
Guardò
un'ultima
volta il punto da cui Thorin aveva parlato; poi, con aria grave, si
girò e partì tornando all'accampamento.
Sulla
Compagnia calò
un silenzio di tomba, e molti osservarono con occhi bassi Thorin, al
limite della pazienza: senza dir nulla se ne andò anche lui,
lasciandoli soli. Solo allora si azzardarono a discutere; Bombur e
Nori cercarono di coinvolgere Karin ma non li ascoltò,
poiché
doveva assolutamente raggiungere il re.
Borbottò
delle
scuse e sgusciò via, inoltrandosi lungo i corridoi:
cercò ovunque,
persino nella vecchia stanza dell'allora principe di Erebor, ma di
lui non v'era traccia; con lo stomaco attorcigliato, un dubbio
s'insinuò nel petto.
Non
aveva cercato proprio dappertutto.
Mancava
un luogo.
Lo
trovò in mezzo
al suo tesoro: era da giorni che si comportava così, e a
Karin venne
il sospetto che stesse cercando accanitamente l'Archepietra; gli
andò
vicino, ma non parve notarla nemmeno quando sussurrò il suo
nome.
Allungò
una mano,
ma quando gli sfiorò una spalla sobbalzò,
lanciandole uno sguardo
rabbioso: gli occhi azzurri erano gelidi e covavano risentimento,
proprio come durante i primi tempi di viaggio.
Deglutì,
non
sapendo con quale forza riuscì a parlare <<
Non... non avrebbe
dovuto ignorarti così, lui... >>.
<<
Come si è permesso di parlarmi a quel tono? >>
tuonò,
interrompendola << Solo perché ha... ucciso
Smaug >> sputò con astio, allontanandosi dal
lei << Un
miserabile Uomo, cresciuto col timore del drago che dimorava nella
Montagna Solitaria; un Uomo che non ha mai provato il senso di
perdita, impotenza, rabbia e voglia di vendetta; un Uomo che non ha
mai avuto niente a che fare con il nostro mondo, che non ha mai
saputo niente!
Eppure questo estraneo è riuscito dove io ho fallito
>> la
voce divenne un sussurro; si sedette su un cumulo di monete,
posandosi una mano sulla fronte. Sembrava che la rabbia fosse
scemata, lasciandolo solamente stanco e avvilito.
Karin
non riuscì a
trovare parole adatte per confortarlo, poiché poteva
soltanto
immaginare il suo stato d'animo; ma di certo non gli avrebbe permesso
di lasciarsi sopraffare dal risentimento e dalla rabbia verso colui
che, implicitamente, li aveva salvati da morte certa.
Gli
si avvicinò,
inginocchiandosi di fronte: poggiò la mano su quella che
ancora gli
copriva il viso, spostandola delicatamente; lui la guardò
con occhi
pieni di dubbi, e le si strinse il cuore. Lo accarezzò sulla
guancia
ma il tempo stringeva, non avevano più molto tempo: presto
Bard
sarebbe tornato ed avrebbe voluto una risposta, un qualche
ripensamento; in cuor suo sapeva che non sarebbe riuscita
nell'impresa, eppure doveva almeno tentare!
<<
Thorin >> iniziò, la voce che tremava
leggermente << non
vuoi nemmeno pensare
alle
sue condizioni? >>.
Corrugò
le
sopracciglia, certo d'aver sentito male: invece gli occhi neri non
mentivano, erano sinceri; davvero credeva in ciò che gli
stava
proponendo?
<<
No >>
replicò, asciutto << Nessuno
reclamerà o prenderà il mio
tesoro finché vivrò >>.
Il
mio tesoro.
<<
E' in gran
quantità: se ti liberassi di una minima parte...
>>.
<<
No,
Karin!
Perché non lo capisci? >> esclamò,
scattando in piedi e
sovrastandola.
<<
Sei tu
che
non capisci! >> ribatté lei, alzandosi
velocemente a sua volta
<< Ci stai condannando, e per cosa? Quattro monete d'oro,
qualche gioiello e armatura luccicante! >>.
<<
Taci! Non
hai il diritto... >>.
<<
Ti sbagli,
ce l'ho in quanto membro della Compagnia: e siccome nessuno vuol
parlare, lo farò io >> disse, tagliente come
la lama di Iris
<< Ripensaci! La tua caparbietà ci
porterà a morte certa: è
questo che vuoi? Lasciare che un mero desiderio egoistico che nessun
sovrano dovrebbe possedere prenda il sopravvento? >> lo
guardò
disperata, vedendolo perdere la pazienza; perché si ostinava
a non
capire?
<<
Pensa
almeno alla vita dei tuoi nipoti >> continuò
<< vuoi
togliere loro il privilegio di continuare a vivere? >>.
Thorin
le lanciò
uno sguardo furente, gli occhi ormai glaciali << Non mi
rimangerò la parola, sai che non lo
farò. E Kili e Fili sono
esperti tanto quanto me nel combattimento: sono sangue di Durin
>>.
<<
Altri non
lo sono >> rispose con un filo di voce << Io
non
lo sono >>.
La
guardò,
cambiando espressione: ora, la rabbia pareva essersi smorzata.
<<
Cosa
proveresti se dovessi morire? >> gli chiese, ancorando lo
sguardo al suo << Ti dispiacerebbe? Ne saresti distrutto?
Oppure... continueresti nello sciocco proposito di difendere il tuo
tesoro? >> tremava, ma non sapeva se d'ira o di
paura:
sapeva solo che attendeva con trepidazione una risposta.
Attese
col cuore in
gola ma Thorin non diede una risposta, limitandosi a fissarla; e,
quando aprì la bocca per parlare, venne interrotto dallo
scalpiccio
di passi affrettati: Bilbo entrò, affannato come non mai.
<<
Stanno
ritornando! Bard è quasi al muro! >>.
Thorin
scattò e
corse via senza nemmeno scusarsi, senza degnarla di un'occhiata;
abbassò il capo verso le monete d'oro, provando l'insano
impulso di
distruggerle, di radere al suolo quella maledetta
Sala.
Amareggiata,
serrò
forte i pugni conficcandosi le unghie nella carne; si morse il labbro
inferiore per non gridare e piangere nello stesso momento: tutto le
stava scivolando dalle mani, nulla le restava. E per quanto tentasse
di tenerlo con sé disperatamente, le sfuggiva sempre.
<<
Karin,
facciamo in fretta: sono curioso di conoscere il motivo di questa
nuova venuta >>.
<<
Cosa
vorresti sentire, Bilbo? Una condizione di pace, di resa?
>>
mormorò, lo sguardo ancora a terra <<
Svegliati da questo bel
sogno pieno di speranza: essa ci ha abbandonati >>.
Si
avviò prima di
lui, senza aspettarlo: rimase con le orecchie tese per un po'
finché
non udì anche il rimbombo dei suoi passi; solo allora si
concesse un
profondo respiro, che aveva molto in comune con un singhiozzo.
<<
In nome di
Esgaroth e della foresta >> gridò l'araldo
accanto a Bard <<
parliamo a Thorin Scudodiquercia figlio di Thrain, che chiama se
stesso Re sotto la Montagna, e gli intimiamo di considerare
seriamente le richieste che sono state avanzate, sotto pena di essere
chiamato nostro nemico. Egli dovrà consegnare un dodicesimo
del
tesoro a Bard, in quanto uccisore del drago ed erede di Girion. Ma se
Thorin vorrà avere l'amicizia e il rispetto delle terre qui
intorno,
dovrà aggiungere qualcosa di suo per soccorrere gli Uomini
del Lago
>>.
Thorin
ringhiò
furioso e, preso un arco che stava a pochi passi da lui, lo tese e
scoccò una freccia verso l'uomo, mandandola a infilarsi
nello scudo
che portava.
Karin
chiuse gli
occhi, capendo che la spada della condanna a morte ora pendeva sulle
loro teste.
<<
Poiché
questa è la tua risposta >> si intromise Bard
<<
dichiaro la Montagna assediata. Non ve ne andrete finché non
ci
chiederete una tregua e un parlamento. Non prenderemo le armi contro
di voi, ma vi lasciamo al vostro oro. Mangerete quello, se vorrete
>>.
Thorin
sbuffò
sprezzante, battendo un pugno sulla pietra scura << Fate
pure!
Capirete ben presto che i nani reggono un assedio meglio di quanto
crediate >> tuonò, rivolto agli ultimi uomini
della fila che,
lentamente, lasciavano la Montagna per tornare agli accampamenti.
Nessuno
osò
contrastarlo, anche perché la maggior parte dei compagni
condividevano la sua opinione eccetto Bombur, Fili, Kili, Karin e,
naturalmente, Bilbo, che disapprovava completamente come si erano
messe le cose. Ne aveva già abbastanza della Montagna, ed
essere
assediato dentro di essa non era per niente di suo gusto.
Sbuffò
piano,
infilandosi distrattamente le mani nelle tasche della giacca blu;
corrugando la fronte, riconobbe il contorno liscio dell'anello magico
e, dall'altra parte, la consistenza più pesante
dell'Archepietra.
E,
lentamente,
iniziò a prendere forma un piano che, forse, avrebbe potuto
salvarli.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Eccomi!!!
Perdonate
l'immenso ritardo, sono un essere spregevole >.
Spero
vi vada tutto
bene, tra quelli di voi che hanno finiti la scuola, chi deve
affrontare la maturità – e qui ci sta un
gigantesco IN BOCCA AL
LUPOOOO – e chi, come me, deve ancora affrontare gli ultimi
esami
estivi T.T!!!
Dunque,
anche qui
non è che succeda granché, tranne un CERTO sogno
– ah, credevate
succedesse davvero, eh ;))?? Bwahahahaah – e, finalmente, si
introduce Bard! Inoltre, il rapporto tra Karin e Thorin è
sempre più
teso: riusciranno a riconciliarsi o andrà sempre peggio?
Scommetto
che, ormai, la vostra risposta coinciderà con la mia... In
ogni
caso, lo scoprirete meglio nel prossimo capitolo :/
Bene,
come al
solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le
solite
recensioni ;)
ringrazio
le carissime e specialissime
_Elentari_, Krystal91, Lady_Daffodil, Ele Vera, Lady of the sea,
Yavannah, MrsBlack e LilyOok_. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Capitolo venti ***
Note dell'autrice:
Salve
carissime! Scusate il ritardo, ma questo capitolo è stato un
vero parto, mi ha
lasciata distrutta @_____@!
Prima
di lasciarvi
volevo darvi delle spiegazioni ^^: qui la faccenda inizia a
complicarsi perché, chi ha letto il libro, sa che combina il
nostro
caro Bilbo; inoltre ci ho aggiunto anche del mio, quindi forse vi
ritroverete ad odiarlo man mano che procederete con la lettura :/.
Così, vorrei spezzare una piccola lancia in suo favore :
Bilbo fa
quello che fa solo per salvare i suoi compagni dalla rovina e dalla
battaglia, e anche qui non è da meno! Perciò non
detestatelo
troppo, poverino!
Inoltre, se non avete ancora ascoltato la colonna sonora del trailer
senza interruzioni o parti di dialoghi, eccola qui: http://www.youtube.com/watch?v=oZUUxrSzrAo
Io consiglierei di leggere con questo sottofondo, ma fate come
più volete ^^: ammetto d'aver scritto ascoltando
solo questa, accidenti @___@...
Bene,
questo è
quanto :), spero vi piaccia!
Allacciate
le
cinture e... buona lettura ^.^
P.S.
Ah, una
ragazza mi ha posto una domanda interessante: ma quale nomignolo
potremmo dare alla coppia Thorin/Karin??? Bene, dopo essermi
scervellata sono giunta ad una conclusione, ovvero la... Irishield!!!
Amatela così come io l'amo XD XD
Ok, ora ho
seriamente finito di sparare cavolate ;)))
CAPITOLO VENTI
<< Cercate
l'Archepietra di mio
padre in ogni angolo della Sala >> disse Thorin
all'intera
Compagnia, già sul luogo << Ha un valore
più grande di
qualsiasi altra cosa, e per me è inestimabile:
perciò, di tutto il
tesoro io reclamo solo quella pietra. Quando la troverete me la
consegnerete: non tollererò furti, sappiatelo
>> concluse,
minacciandoli con voce dura come roccia.
Bilbo deglutì
impercettibilmente: i
palmi iniziarono a sudargli, e un immenso desiderio di confessare che
già gli apparteneva si annidò in lui; dovette
mordersi la lingua e
guardare altrove tranne il volto severo di Thorin per calmarsi e
recuperare la freddezza.
Notò che Karin
si era nascosta di
proposito dietro l'ampia schiena di Dwalin, e l'espressione che
campeggiava sul volto non era delle migliori: gli parve di vederla
furiosa e disgustata insieme, ma poteva anche esprimere una profonda
delusione e tristezza, che gli serrò lo stomaco.
Nei suoi occhi, nei suoi
lineamenti,
non riusciva più a scorgere l'amore travolgente dei mesi
precedenti:
e ciò lo turbò, facendolo soffrire.
Quando vennero congedati
gli altri non
persero tempo, al contrario di lei: rimase ferma con le braccia
conserte al petto, guardando di malavoglia il pavimento ricoperto di
monete; Bilbo, spostatosi di pochi metri, la vide assottigliare lo
sguardo e sospirare. Non scorgendo Thorin le si avvicinò,
accennando
solo un mezzo sorriso di conforto al quale rispose lievemente.
Poi, senza dir nulla, se ne
andò; le
guardò la schiena leggermente curva, volendo scambiare ogni
singola
pietra preziosa presente in quella sala con un suo sorriso felice e
sereno. Era consapevole però che doveva essere Thorin a far
sì che
quel miracolo si compisse, quindi sperò col cuore se ne
rendesse
conto in tempo.
Man mano che le ore
trascorrevano
diventava sempre più inquieto, e Thorin con lui: a volte, se
si
trovava nelle vicinanze, lo udiva ringhiare e imprecare mentre il
dolce e tintinnante suono delle monete faceva da sottofondo alla sua
rabbia.
Si ritrovò a
sbuffare e a voler
andarsene da lì: inoltre, ogni volta che alzava lo sguardo e
vedeva
la frenesia del re dei nani, la sua convinzione diventava
più forte;
avrebbe attuato il piano quella sera stessa, poco ma sicuro!
I suoi propositi vennero
interrotti
dalle voci concitate dei compagni: si stavano raggruppando poco
più
lontano, intimandosi il silenzio per poter sentire le nuove notizie
di Roac.
<< Vostro
cugino sta marciando,
Re sotto la Montagna >> iniziò, volgendo il
capo di lato verso
Thorin << con più di cinquecento nani; ora
sono a due giorni
di marcia da Dale, e provengono da nord-est; non possono raggiungervi
senza essere visti, quindi temo ci sarà una battaglia nella
valle.
Non mi pare che sia buona cosa. Se non sopraffacessero l'esercito che
vi assedia, cosa ne guadagnereste? L'inverno e la neve incalzano, e
come potrete nutrirvi senza l'amicizia di chi vi sta attorno? Il
tesoro finirà con l'essere la vostra morte, anche se il
drago non
c'è più! >>.
Thorin non mutò
espressione,
mantenendola seria e determinata anche di fronte a quelle che, a
Bilbo, parvero giuste argomentazioni.
<< Ti
ringrazio per
l'interessamento, ma decideremo noi come meglio agire >>
replicò, scorbutico << L'inverno e la neve
morderanno tanto
gli uomini quanto gli elfi, perciò troveranno la permanenza
atroce
da sopportare. Con i miei amici dietro di loro e l'inverno addosso,
forse riusciremo a trovare una soluzione >>.
<< Come il re
comanda >>
rispose Roac, agitando le ali in una sorta di inchino.
Thorin fece un cenno
d'assenso col
capo, accettando l'omaggio << Ti prego d'andare, ora; e
torna
non appena hai altre novità >>.
Una volta che furono soli,
la voce di
Nori spezzò il silenzio << Saranno due lunghi
giorni, ragazzi!
>>.
<< Dobbiamo
solo aspettare! >>
esclamò Bofur, ironico << Cosa c'è
di meno snervante? >>.
<< Non
perdiamo la calma >>
disse Thorin << ne avremo bisogno, ora più che
mai. E adesso,
torniamo a cercare l'Archepietra >>.
<< Non
potremmo mangiare? Ho
fame, ed è da ore che siamo qui! >> propose
Bombur,
speranzoso. Thorin lo raggelò con un'occhiata ma, a fatica,
annuì;
gli altri tirarono molti sospiri di sollievo mentre si avviavano
verso l'uscita, talmente concentrati sul pensiero del cibo da non
accorgersi dell'assenza del loro sovrano.
<< Non pranza
nemmeno oggi? >>
chiese Bilbo, seduto accanto a Karin; non ebbe bisogno di chiedergli
di chi stesse parlando, poiché sospirò.
<< A quanto
pare no >>
commentò, masticando a fatica un boccone di pane nero, lo
stomaco
troppo serrato anche solo per deglutire; oh, se odiava quella
situazione! I Valar solo sapevano quanto avesse tentato di farlo
rinsavire e smuoverlo da quella sala, senza successo. Ed ora era
stanca, troppo stanca per combattere e opporsi: aveva scoperto di non
essere forte abbastanza.
<< Vuoi...
parlarne? >>.
<< No
>>.
Bilbo annuì,
mordendosi l'interno
guancia e chiedendosi se non fosse stata una domanda inopportuna;
forse non avrebbe dovuto impicciarsi ma, d'altra parte, teneva
davvero molto a lei essendo sua amica. Il vederla così mogia
e
distrutta lo abbatteva.
Karin si maledì
per la risposta secca
e brusca, cercando di rimediare << Anche se ne parlassimo
non
risolveremmo nulla >> disse, a voce bassa
<< E' giunto il
momento che sia lui a capire. Deve cambiare, tornare quello di prima
>>.
A Bilbo sembrò
di scorgere un
luccichio nelle pozze nere, ma passò subito. Si
alzò, decretando
che avrebbe provato a parlarci o, quantomeno, a convincerlo a cibarsi
e ad unirsi al gruppo; Karin scrollò le spalle indifferente,
ma
dentro di sé lo ringraziò dal profondo del cuore,
benedicendo il
suo lato Tuc che, da un po' di tempo, aveva prevalso su quello
Baggins: l'aver affrontato tutte quelle avventure l'aveva reso
più
coraggioso, perfino di lei.
Lo guardò
allontanarsi, raccogliendo
le gambe al petto e poggiando il mento sulle ginocchia; rimase in
quella comoda posizione per un po' di tempo finché le gambe
non
protestarono: allora si sciolse, sospirando ancora.
Si grattò la
punta del naso, venendo
sorpresa da uno starnuto che rimbombò tra le pareti.
<< Salute
>> borbottò
Bofur, scoprendo un occhio dal colbacco che aveva calato sulla testa
per riposare; dopo che l'ebbe ringraziato tornò a
dormicchiare, e
così anche gli altri.
Karin cercò un
fazzoletto nelle varie
tasche, ma si accorse di non possederne nemmeno uno: girando il capo
a destra, notò il fagotto di Bilbo proprio lì
vicino; non potendo
attendere il suo arrivo, allungò un braccio per prenderlo.
Lo aprì,
rovistando tra vari barattoli
di erbe medicinali ma si bloccò, aggrottando la fronte:
qualcosa
appallottolato in vari strati di stoffa aveva attirato la sua
attenzione.
Curiosa li
spostò e sbirciò; quando
scoprì di che si trattava, dimenticò ogni cosa:
l'incredulità
prese il sopravvento.
Insieme alla rabbia.
Bilbo tornò un
quarto d'ora dopo, da
solo; scuro in volto, ripensò spesso al mancato dialogo con
Thorin:
infatti, il nano non aveva risposto ad una sua sola domanda,
ignorandolo bellamente. Anche quando l'aveva supplicato di redimersi
per Karin non aveva mosso un muscolo, né fatto un cenno,
troppo
coinvolto dalla smania di trovare la stessa Archepietra che era
custodita nel suo fagotto. Sospirò, camminando con le mani
in tasca:
si ritrovò a giocherellare distratto con la superficie
liscia e
fredda dell'anello magico, venendo bel presto inghiottito da pensieri
che riguardavano quel minuscolo oggetto.
Era così
concentrato che non si
accorse della figura seduta di Karin che lo attendeva, né di
quello
che aveva tra le dita; non vide il suo disappunto sul volto,
né la
voglia di spiegazioni. Solo quando fu a pochi passi capì ma,
ormai,
era troppo tardi per tornare indietro.
<<
Perché ce l'hai tu? >>
gli sussurrò, la furia che trapelava nonostante cercasse di
tenerla
a bada.
Bilbo non rispose: gli si
seccò la
gola, ed un gelo penetrante fece capolino tra le vesti raggiungendo i
ricci sporchi e arruffati fino alla pianta dei piedi.
<< Bilbo
>> sibilò, lo
sguardo infuocato; la vide compiere uno sforzo enorme per trattenersi
dall'urlare, dato che gli altri si erano appisolati: si alzò
di
scatto, tenendo l'involto nella mano destra e, con l'altra, lo
afferrò per la giacca e lo strattonò malamente
poco più in là.
Lui si lasciò condurre quasi di peso, troppo sconvolto per
divincolarsi, avendo timore della nana.
<< Allora?
Voglio delle
spiegazioni! Perché questa era
tra le tue cose? >> chiese, mostrando la grossa gemma
sfolgorante; Bilbo osservò la luce che assorbiva e che
trasformava
in scintille di bianco fulgore screziato di riflessi iridescenti. Ne
rimase incantato come quel giorno, quando la mano gli parve comandata
da volontà propria e la prese tra i mucchi d'oro e
d'argento, tra
smeraldi, rubini e zaffiri.
<<
Io... io,
ecco... mi... io >>.
<<
Balbettare non ti salverà, sappilo >> disse
duramente;
digrignò i denti, arrabbiata oltre ogni dire
<< Avanti, voglio
una risposta, scassinatore
>>.
Bilbo
schiuse la
bocca, scombussolato: mai e poi mai l'aveva chiamato così,
né con
quel tono dispregiativo.
Fu
questo, forse, a farlo reagire << Vuoi sapere
perché, Karin?
>> la guardò negli occhi, senza l'ombra della
paura <<
Perché hai visto anche tu in che condizioni versa Thorin!
Siamo
sull'orlo di una guerra, e
solo per questa pietra! Ciò è sbagliato, lo sai
>>.
<<
E come
vorresti risolvere il problema? >> chiese lei, non
capendo.
Lo
hobbit la guardò
attentamente, non sapendo se rivelarglielo o meno; infine,
però, si
decise << Se non ci andrà nessuno –
e dubito potrà accadere
in futuro – andrò io stesso a parlamentare con gli
elfi >>.
Karin
aggrottò la
fronte, iniziando ad intuire il piano: pur non volendolo, la domanda
le affiorò sulle labbra, e non si impedì di porla.
<<
Portandoti l'Archepietra, vero? Ma... ma perché?
>>.
<<
E' l'unico
modo >>.
<<
No, Bilbo, non può essere l'unico! L'Archepietra appartiene
ai Nani,
appartiene a Thorin: non puoi sottrarcela!
>> esclamò, disperata.
<<
Se non lo
farò, Thorin impazzirà >>.
<<
Se lo
farai impazzirà comunque! Tu non capisci, non sei uno di
noi! >>
il suo sguardo gli rammentò molto quello del re, ed una
morsa gli
strinse il cuore: anche Karin era ammaliata dalla pietra, lo vedeva;
ed era gelosa del suo tesoro più prezioso.
<<
E' il
cuore della Montagna. È il cuore di Thorin >>.
<<
Sei tu il cuore di
Thorin! >> scattò Bilbo.
Karin
sgranò gli
occhi, sorpresa del tono e dalle parole, ma poi si rabbuiò
<<
Questo non c'entra: è il suo cuore in quanto Re sotto la
Montagna. E
non si sposterà da qui, costi quel che costi. Non ti
permetterò di
rubarla, né di consegnarla al nemico; confido che la
riporterai
nella Sala del Tesoro, e non ne parleremo più. Sono stata
chiara?
>>.
Gli
diede le spalle
- pronta ad andarsene – ma Bilbo la richiamò
<< Perché non
vuoi sbarazzarti di ciò che si frappone tra te e Thorin?
>>.
Karin
si bloccò,
rimanendo comunque girata; serrò i pugni, sapendo che la
domanda era
legittima: eppure, la risposta le parve altrettanto semplice e
corretta, poiché ci credeva davvero.
<<
Perché
appartiene al mio popolo. Se dovesse lasciare la Montagna, sarebbe
come se la stessa si sgretolasse >>.
Le
parole rimasero
immobili nell'aria a lungo, così come i loro corpi; infine,
Karin
mosse un passo e si sedette a fumare, giusto per calmare un po' i
nervi.
Bilbo,
intanto, era lacerato dal dubbio: come prima cosa, comunque, nascose
di nuovo l'Archepietra tra le piccole scatoline di carta contenenti
le erbe, ma si bloccò quasi stordito; un'altra idea... perfida
e subdola si insinuò
nella sua testa e, man mano che cercava di scacciarla, affondava le
radici nel cuore, avvelenandolo.
No pensò
non potrei mai farle questo. Non a lei.
Eppure
ci pensava
sempre più, arrivando addirittura ad accettarla.
Spostò
dapprima il
capo verso Karin e poi verso il fagotto; col cuore pesante –
troppo
pesante – e con dita tremanti, sfiorò il bordo di
una scatolina.
Il cielo era nero e senza
luna; non
appena fu buio, Bilbo andò in un angolo di una stanza
interna dietro
l'ingresso e tirò fuori dal fardello una corda e
l'Archepietra
avvolta nello straccio. Diede un'ultima occhiata al gruppo che
dormiva più o meno profondamente: tra il primo gruppo vi era
la sua
Karin, immersa in un sonno nero e senza sogni, sotto l'effetto di una
specie di pozione che aveva preparato senza essere visto con alcune
erbe che conosceva bene; ne era risultato un sonnifero abbastanza
potente da tenerla addormentata per alcune ore, giusto il tempo
perché non sospettasse la sua fuga.
Non si sentì mai
così meschino e
spregevole: non vi erano parole sufficienti per esprimere il suo
stato d'animo, e la sensazione del cuore sopraffatto dal rimorso e
dalla colpa.
Ma doveva attuare
il piano, per il bene di tutti.
Sospirò,
issandosi
in spalla la corda; poi si arrampicò in cima al muro
trovando
Bombur, intento a far la guardia.
<<
Fa un
freddo cane! >> disse quello, non appena lo
notò << Come
vorrei che potessimo avere un fuoco anche noi, come ce l'hanno
all'accampamento >>.
<<
Dentro fa
abbastanza caldo >> disse Bilbo, sperando di convincerlo.
<<
Purtroppo
sono costretto a rimanere qui fino a mezzanotte >> scosse
la
grossa testa, sconsolato << E' una gran brutta faccenda,
sai?
Non mi azzardo a criticare Thorin – che la sua barba diventi
sempre
più lunga; però è sempre stato un nano
molto rigido nelle sue
decisioni >>.
La
fiammella della
speranza di Bilbo sembrò diminuire, ma non cedette
<< Meno
rigido delle mie gambe! Sono stanco di scale e passaggi di pietra:
non so quanto darei per sentirmi l'erba sotto i piedi! >>
esclamò, allargando le braccia come a voler enfatizzare il
luogo
aspro che li circondava.
<<
Ti
capisco! Io vorrei sentire un liquore forte nella gola, e avere un
letto soffice dopo una buona cena! >>.
Lo
hobbit iniziò
ad esultare intimamente, capendo che la resa del nano era vicina
<<
Purtroppo queste cose non te le posso dare, finché continua
l'assedio. Ma posso sostituirti nella guardia: stanotte non ho voglia
di dormire >>.
Un
brillio diverso
negli occhi di Bombur gli fece intuire che aveva vinto, confermato
poi dalle sue parole << Sei una brava persona, Bilbo, e
accetterò volentieri! Se ci fosse qualcosa da segnalare
svegliami
per primo, mi raccomando! Starò sdraiato nella stanza
più interna
sulla sinistra, non lontano da qui >>.
<<
Vai, non
temere >> gli rispose, agitando una mano <<
Ti sveglierò
a mezzanotte, così potrai svegliare la prossima sentinella
>>.
Appena
se ne fu
andato si infilò l'Anello, fissò la corda e
scavalcò il muro,
ripetendosi che era stato immensamente fortunato: se non avesse
trovato Bombur sarebbe stato più complicato.
Non
appena ripensò
a ciò che aveva fatto a Karin, tuttavia, gli si strinse lo
stomaco e
la nausea lo pervase: si chiese se al risveglio sarebbe stata
clemente o meno; se fosse capitato a lui, non lo sarebbe stato
affatto.
Le
chiese
nuovamente perdono, constatando che aveva circa cinque ore davanti a
sé; inoltre, nessun altro sarebbe uscito sul muro
finché non fosse
arrivato il suo turno. O, almeno, così sperava!
Era
molto scuro, e
guadare il letto del fiume non fu affatto facile: era quasi arrivato
all'altra riva quando scivolò su una pietra, cadendo in
acqua;
riemerse infreddolito e sputacchiante ma si bloccò subito
non appena
scorse alcuni elfi con delle lanterne luminose, venuti a scoprire la
causa del rumore.
<<
Non poteva
essere un pesce! >> disse uno <<
C'è una spia in giro:
forse si tratta del loro piccolo servo! Nascondete le luci!
>>.
<<
Servo,
senti un po' questa! >> sibilò contrariato;
d'un tratto, un
fastidioso prurito al naso lo lasciò interdetto e, l'attimo
dopo, si
ritrovò a starnutire sonoramente: inutile dire che che gli
elfi si
mossero subito verso di lui.
<<
Chi va là?
Fatti vedere! >> urlarono, alzando le lanterne.
Spazientito
dalla
situazione li accontentò, sfilandosi l'Anello
<< Eccomi qua,
se mi volete! >> e fece capolino da dietro la roccia.
<<
Sei lo
hobbit dei nani? Cosa stai facendo, e come hai eluso le nostre
sentinelle? >> chiesero l'uno dopo l'altro.
<<
Sono Bilbo
Baggins, membro della Compagnia di Thorin, se proprio volete saperlo.
Conosco bene il vostro re, benché lui non sappia chi sono,
ma è
Bard che vorrei incontrare >> pronunciò
solenne, raddrizzando
la schiena per cercare di sembrare più alto.
Gli
elfi si
scambiarono un'occhiata, scettici << Quali sarebbero i
tuoi
affari? >>.
<<
I miei
affari mi appartengono >> replicò, piuttosto
brusco <<
ma gradirei potermi scaldare accanto ad un fuoco il più
presto
possibile, visto che sono bagnato: desidero venga fatto in fretta,
anche perché ho ancora a disposizione solo un'ora o due per
poter
parlare con loro >>.
Bilbo strofinò
le mani nel tentativo
di scaldarle, cercando di reprimere un ampio sorriso di fronte alle
espressioni stupefatte di Thranduil e Bard, seduti all'altro capo del
focolare: uno hobbit in un'armatura elfica, parzialmente avvolto in
una vecchia coperta, era una novità per loro.
<< Purtroppo,
come ben sapete, la
situazione si è fatta insostenibile >> disse
<< Io sono
stufo di questa faccenda, anche se ho un certo interesse che tutto
vada per il meglio, beninteso; comunque, non conoscete Thorin
Scudodiquercia bene quanto me: è prontissimo a star seduto
su un
mucchio d'oro a morir di fame, piuttosto che abbassarsi alle vostre
richieste >>.
<< Che lo
faccia pure! >>
esclamò Bard << Non merita altro!
>>.
<< Capisco il
tuo punto di vista,
uccisore del Drago >> disse Bilbo << Ma
l'inverno sta
arrivando; i rifornimenti saranno difficili persino per gli elfi,
immagino. E ci saranno altre difficoltà, come il
sopraggiungere di
Dain e dei nani dei Colli Ferrosi >>.
<< Dain?
>> chiese
Thranduil con voce pacata, nonostante nascondesse una lieve sorpresa.
<< Uhm,
deduco non abbiate
sentito le ultime novità: ebbene, sappiate che è
a due giorni di
marcia, ed ha con sé almeno cinquecento nani pronti a tutto!
Quando
arriveranno ci potranno essere guai seri >>.
<<
Perché ce lo dici? >>
l'interruppe Bard, un cipiglio severo in volto << Chi
stai
tradendo, hobbit? I tuoi amici o noi? >>.
<< Non ho mai
incontrato gente
così sospettosa! >> squittì Bilbo
<< Voglio solo
evitare guai, nulla di più: anche se ciò che sto
per proporvi ne
porterà parecchi, temo >> sospirò,
abbassando un attimo la
testa riccioluta, preda d'un breve ripensamento: ma ormai il danno
era fatto, si era spinto troppo in là; quindi la
rialzò
rapidamente, di nuovo padrone di sé << Ecco,
guardate! >>.
Tirò fuori
l'Archepietra, liberandola
dallo straccio che la copriva; Thranduil si levò in piedi,
lo
sguardo incredulo di fronte a ciò che aveva bramato per
così tanto
tempo.
<<
L'Archepietra di Thrain! >>
esclamò, fissando il globo riempito di luce lunare
<< Il Cuore
della Montagna. A lungo ho desiderato possederla, ordendo trame delle
quali non vado fiero. E, ora, essa è davanti ai miei occhi e
mi
viene offerta: come si è giunti a questo, mi domando?
>>.
<< Esatto!
>> rincarò
Bard, risvegliandosi dalla mirabile visione della gemma
<< Come
puoi avere il diritto di darcela? >>.
<<
Bé, non ho veri e propri...
diritti >> esalò Bilbo, tentennante
<< però, vedete,
sono disposto a darla in cambio di tutte le mie richieste, sapete.
Sono uno scassinatore, ormai, e nemmeno proprio onesto >>
ammise tristemente, pensando alle menzogne e a ciò che aveva
dato
alla povera Karin << ma con questo atto spero in qualche
modo
di redimermi. Ora devo andare, mi auguro che la troverete utile
>>
concluse, spiccio.
Porse l'Archepietra a
Thranduil, che
l'accettò con dita leggermente tremanti, rimanendone
oltremodo
affascinato; infine, dopo lunghi attimi, lo guardò con nuovo
stupore.
<< Bilbo
Baggins >> disse,
solenne << sei più degno tu di indossare
quell'armatura da
principe elfico che molti altri che l'hanno indossata con
più
grazia. Ti consiglio di rimanere con noi, giacché conosco
bene la
razza nanica, e Thorin Scudodiquercia. Non sarà affatto
clemente >>.
<< Vi
ringrazio, ma non mi pare
giusto abbandonarli: in fin dei conti sono miei amici >>.
<< Non lo
saranno più dopo ciò
>> disse il re elfico << nemmeno Karin: o
forse
appoggiava il tuo piano? >>.
Lo hobbit scosse la testa,
affranto <<
Affatto. Ahimè, stavolta non riuscirà a capire!
Ora devo andare, ho
promesso al vecchio Bombur che l'avrei svegliato a mezzanotte. Dunque
addio, o arrivederci >>.
<< Non vuoi
proprio pensare alla
nostra offerta di aiuto? >> chiese Bard, sperando di
convincerlo a rimanere.
Bilbo fece un sorriso
mesto, scuotendo
nuovamente la testa << Ti ringrazio, ma no. Preferisco
affrontare le conseguenze >>.
<< Qualunque
esse siano? >>
una voce nuova lo raggiunse, sferzando il breve silenzio creatosi.
Legolas entrò nel cerchio rossastro, gli occhi che
brillavano di
furore, o di sdegno.
<< Dai prova
di grande lealtà,
scassinatore >>
esclamò, stringendo le mani a pugno << Dunque,
è così
che tradisci i tuoi amici? >>.
“E'
così che tradisci Karin?”
sembrò
voler dire; Bilbo se lo
aspettava. Anche perché sapeva quanto l'elfo fosse legato
alla nana:
decise perciò di rispondere guardandolo dritto negli occhi.
<<
Ho dovuto farlo,
Legolas: per il bene di tutti... anche di Karin >>.
L'elfo
tacque ma
strinse la mascella, contrariato; chinò il capo quando suo
padre gli
parlò nella loro lingua e non aggiunse altro, permettendogli
così
di congedarsi.
Mentre
attraversava
il campo un vecchio avvolto in uno scuro mantello si alzò
dalla
soglia di una tenda dove stava seduto e gli si avvicinò.
<<
Ben fatto,
Bilbo! >> disse, dandogli una pacca sulla schiena
<< Sei
sempre più in gamba di quanto chiunque possa credere
>>.
Aggrottò
la
fronte, perplesso, ma poi si aprì in un gran sorriso quando
lo
riconobbe << Gandalf! >>
esclamò, felice come non mai <<
Ma come... cosa ci fai qui? >>.
<<
Ogni cosa a suo tempo! >> gli rispose, enigmatico come
sempre
<< Le cose ora stanno volgendo alla fine. Avete un brutto
periodo davanti a voi, ma non scoraggiatevi! Probabilmente
ne verrete
fuori sani e salvi
>>.
<<
Confortante! >>.
<<
Qualcosa
bolle in pentola, qualcosa di cui neanche i corvi imperiali hanno
sentito parlare. Ma ora ti conviene andare, o farai tardi!
>>.
<<
Andrò,
anche se avrei mille domande da porti! Buona notte! >>.
Corse
verso un
guado sicuro, e riuscì a portarsi sull'altra riva senza
bagnarsi;
cauto, si arrampicò verso la Porta e, sempre più
stanco, si
arrampicò sulla corda; poi la slegò e la nascose,
e si sedette sul
muro a ripensare ai precedenti avvenimenti: ormai era fatta, non
avrebbe potuto far finta di nulla. Fece congetture su quello che
sarebbe potuto accadere in seguito, e su quello che avrebbero pensato
gli altri una volta scoperto il misfatto; non poté impedirsi
di
pensare alle reazioni, specialmente a quella di Karin una volta che
avrebbe aperto gli occhi: forse, però, se si fosse
comportato
normalmente senza dir nulla non avrebbe destato sospetti, e lei non
si sarebbe mai accorta d'esser stata raggirata. Al solo pensiero gli
si accartocciò lo stomaco, e dovette respirare a fondo per
non venir
colto da un attacco di panico: ne era certo, l'avrebbe odiato. La sua
amicizia sarebbe stata compromessa per sempre.
Si
prese la testa
tra le mani e sospirò gravemente: rimase così per
alcuni minuti ma
poi volse lo sguardo al nero cielo stellato, e alla luna; era
mezzanotte.
Di
malumore e
irrequieto si mosse, andando a svegliare Bombur: non udì i
suoi
ripetuti ringraziamenti – per la precisione non volle,
giudicandoli
immeritati – e andò a coricarsi con la testa che
gli doleva, preda
di incessanti dubbi e paure oltre che pensieri.
A
dispetto di ogni
previsione si addormentò subito, ma non sognò
nulla: sprofondò in
un sonno oscuro, nero come gli occhi di Karin.
Non ci
fu bisogno
per Gloin di svegliare i compagni, poiché si mossero non
appena i
raggi freddi del sole colpirono la caverna, illuminando le pareti di
roccia scura; alcuni si stiracchiarono, altri grugnirono e
borbottarono, altri ancora rimasero semplicemente in silenzio, non
trovando abbastanza energia per parlare di prima mattina.
Eppure,
ci fu
qualcuno che non si mosse dal sonno profondo in cui era caduta; il
nano dai capelli fulvi, allora, si avvicinò meglio per
scuoterla,
non ottenendo alcun risultato.
<<
Karin >>
chiamò, afferrandola per la spalla: nulla accadde.
Le
palpebre
rimanevano serrate, il petto si alzava e abbassava regolare anche se
flebile.
<<
Karin! >>.
Di
nuovo nessuna
risposta, nessun movimento.
Gloin
intuì che
qualcosa non quadrava: era anomalo un sonno così profondo ed
iniziò
a preoccuparsi, anche perché la giovane gli stava molto a
cuore.
Corrucciò lo sguardo, incontrando gli occhi di uno
spaventato Bilbo,
saltato alle medesime conclusioni e agitato come non mai: eppure la
dose somministratale non era così alta, né
tantomeno... fatale.
E se
non si fosse
più risvegliata?
Un
fortissimo senso
di nausea gli salì in gola, e dovette respingere un conato
di
vomito; si lasciò cadere a terra e sedette su un masso
prendendosi
la testa tra le mani: fortunatamente non se ne accorse nessuno, anche
perché Gloin aveva iniziato a sbraitare ordini con voce
parecchio
alterata e elevata.
<<
Kili,
corri da Thorin! Karin non si sveglia! >>.
<<
Come “non
si sveglia”? >> domandò Bofur,
accorrendo: provò a
muoverla, ma lei non si destò nemmeno stavolta.
<<
Che è
successo? >>.
<<
Come può
essere possibile? >>.
<<
Povera
Karin! >>.
<<
Kili,
corri!!! >> ruggì Gloin, ancora accovacciato
al fianco della
giovane; il nano schizzò via, cercando di farsi spazio tra
l'assembramento del gruppo, sconcertato e inquieto.
Durante
l'attesa
snervante nessuno osò emettere un fiato, troppo impegnati a
guardare
il volto della ragazza placidamente perso nel sonno; Bofur si era
tolto il cappello e lo stava torturando con dita nervose, Ori si
stava mangiando le unghie e continuava a voltare la testa nella
speranza di veder correre i Durin; Fili sbuffava e spostava
continuamente il peso da un piede all'altro, Balin lisciava la barba
e fissava preoccupato il corpo disteso, così come facevano
gli
altri: persino Dwalin era teso e preoccupato, ma riusciva a
nasconderlo parzialmente sotto la solita maschera impenetrabile.
Lanciò
un'occhiata
torva a Bilbo, seduto poco più in là e perso
nella più totale
disperazione: dedusse fosse in pensiero come loro; dopotutto erano
molto legati, ed il vederla in quelle condizioni non gli sollevava il
morale.
Improvvisamente
però si riscosse, alzandosi e camminando di gran carriera
verso il
suo giaciglio: sedette sui talloni e aprì lo zaino,
rovistando
all'interno; tirò fuori vari incarti e, dopo averli aperti,
mischiò
in fretta annusandone l'odore.
Col
cuore in gola,
pregò che il contenuto nelle sue mani funzionasse, o non se
lo
sarebbe mai perdonato.
Kili
non aveva mai corso così tanto e così
disperatamente come in quei
momenti: certo, aveva affrontato varie situazioni di pericolo durante
quel viaggio, spesso mettendo a repentaglio la sua giovane vita; ma
nulla, nulla era
paragonabile al terrore puro
che l'attraversava. Era accaduto troppo velocemente e completamente
inaspettato, a suo parere: erano bastati pochi attimi, il tempo di un
lungo sospiro, e la situazione era degenerata; nella mente
continuavano a ronzargli le grida di Gloin, le parole “non si
sveglia” si erano impresse come un marchio infuocato. Quel
che era
peggio, però, era la continua visione del corpo disteso e
immobile a
terra; digrignò i denti, caracollando giù
dall'ennesima scala: le
gambe protestarono ma non se ne curò e, poco più
sollevato, scorse
l'entrata della Sala.
<<
Thorin! >>
gridò, fermandosi di botto; fece vagare lo sguardo alla sua
ricerca,
ma non vide nessuno nei paraggi.
Allarmato,
continuò
a chiamare nella speranza di farsi sentire dal parente <<
THORIN! >>.
Schivò
un cumulo
di monete appena in tempo, impegnato com'era a girare la testa di qua
e di là; mise le mani a coppa, tentando di nuovo.
<<
ZIO!!! >>.
<<
Perché
gridi tanto? >>.
In
parte sollevato,
Kili si concesse un breve respiro, ancora provato dalla corse
estenuante << Vieni, presto! >> disse
angosciato <<
Karin... Karin non si sveglia! >>.
Thorin
– girato
di spalle perché perso nella ricerca dell'Archepietra
– si volse,
accigliato << Che significa? Se dorme destatela
>>
replicò, brusco.
Kili
scosse il capo, avvicinandosi e strattonandolo per un lembo di
casacca << E' un sonno strano: abbiamo provato molte volte a
scuoterla, ma non accade nulla.
Devi venire con me, ora!!! >>.
Thorin
schiuse di poco le labbra, stentando a credere alle parole del
nipote: da una parte si infastidì, pensando ad un trucco
della
ragazza per smuoverlo dalla stanza; ma, dall'altra, prese coscienza
della veridicità della notizia. Di colpo, non gli
sembrò più così
importante la gemma, benché meno rimanere lì: il bisogno
di sapere,
unito alla paura
che aveva
preso possesso del
cuore lo convinse; come molti anni prima, le stesse pareti e le
stesse colonne furono testimoni della folle corsa del discendente di
Durin, ed il motivo era lo stesso di allora: il terrore di perderla,
di arrivare troppo tardi;
allora aveva fallito, ora non doveva ripetersi.
Ripercorsero
la
strada compiuta da Kili correndo più veloci che potevano e,
dopo un
tempo che sembrò infinito, raggiunsero il gruppo.
Subito
si
spostarono, aprendosi in due ali che permisero al re di avvicinarsi e
inginocchiarsi accanto alla sua Karin, ancora dormiente.
<<
Perché è
in queste condizioni? >> domandò furente, dopo
che l'ebbe
scossa violentemente per una spalla, senza ottenere una reazione.
<<
Non lo
sappiamo, Thorin >> rispose Gloin, pallido in volto
<<
Stamattina l'ho trovata così >> aggiunse,
flebile.
<<
Ieri stava
bene, dannazione! >> sbraitò, incenerendo con
lo sguardo i
compagni << Karin, svegliati! KARIN!!! >>.
<<
Non può
sentirti, Thorin: aspetta! >> parlò Bilbo,
inginocchiandosi
all'altro lato della ragazza; le mise sotto al naso la poltiglia
preparata, attendendo col cuore in gola una reazione: dopo secondi
infiniti, la videro aggrottare la fronte e arricciare il naso e, poco
dopo, le palpebre tremolarono e si alzarono rivelando gli occhi neri
spaesati.
Tutti
tirarono un
enorme sospiro di sollievo e si aprirono in sorrisi tirati, tranne il
re: evitò di lanciare uno sguardo a Bilbo, concentrandosi
piuttosto
sul volto di Karin, confuso nel vederlo lì.
<<
Che è
successo? >> domandò con voce impastata,
mettendosi seduta.
<<
Speravo
potessi dirmelo tu >> ribatté lui, mettendole
una mano sulla
spalla; Karin seguì il movimento con gli occhi, sbalordita
dal
comportamento: era la prima volta da giorni che la toccava.
Guardò
gli altri, vedendone i volti ora confortati ma ancora ansiosi, non
capendone il motivo. Gloin intuì il suo turbamento,
affrettandosi a
spiegarle l'accaduto.
Quando
ebbe
concluso scrollò le spalle << Mi spiace, ma
non saprei proprio
cosa possa essere successo >>.
<<
Non
ricordi nulla? >> domandò Thorin per
l'ennesima volta.
<<
No >>.
<<
Forse si è
trattato di un semplice malore >> ipotizzò Ori.
<<
Lo
escluderei >> rispose Dori << Un malore non
ti porta a
dormire così profondamente. Se non fosse stato per il
respiro... >>.
<<
Sembravi
morta >> bisbigliò Fili, evitando di guardarla.
<<
Scusatemi
>> disse lei, guardandoli in volto << per
avervi fatto
preoccupare >> spiegò, dinanzi alle facce
incerte. Fermò lo
sguardo negli occhi azzurri di Thorin, ancora irrequieti: lui
più di
tutti aveva avuto motivo di pensare al peggio; annuì,
sedendosi
accanto.
Gli
altri si
allontanarono lasciandoli soli, benché non ci fosse stata
alcuna
parola, alcun ordine; Karin portò le ginocchia al petto e
sospirò,
provando a scavare nella memoria: nulla, solo buio.
<<
Poco fa
non sapevo che pensare >> disse Thorin, spezzando il
silenzio;
lo guardò aggrottando le sopracciglia, a volergli chiedere
una
spiegazione.
<<
Non sapevo
nemmeno che fare: il vederti immobile... se non fosse stato per lo
hobbit saresti ancora in quello stato! >>
esclamò, sempre
rifuggendo il suo sguardo; Karin venne colpita dal suo senso
d'impotenza, dalla sua rabbia per non essere stato presente da
subito, dalla sua furia per non aver saputo reagire con
lucidità:
anche se non glielo disse, lo capì bene.
Un moto
d'amore la
travolse: il desiderio d'abbracciarlo venne fermato da un pensiero
che la fulminò, lasciandola impietrita.
<<
Cosa ha
fatto Bilbo? >> domandò, sperando di
sbagliarsi.
<<
Ti ha
risvegliata con delle erbe >> rispose, lanciandole una
breve
occhiata << Karin, stai bene? >>
domandò poi,
prendendola per un braccio.
No, non
stava
affatto bene! Davanti ai suoi occhi si erano succedute varie scene
della sera precedente: la discussione con Bilbo riguardo
l'Archepietra, le continue occhiate furtive per controllarne ogni
movimento, la cena e quel bicchiere che le aveva portato, la testa
ciondolante e pesante, il sonno persistente, il buio denso non appena
aveva chiuso gli occhi, mortalmente esausta...
<<
Karin, che
succede? Parlami >>.
Sbatté
le
palpebre, posando lo sguardo sul volto tirato e preoccupato del nano
<< Nulla >> ripose, poco convinta
<< Nulla >>
ripeté, cercando di mostrarsi più sicura.
Tentò perfino di
sorridere, ma le uscì una strana smorfia che non lo
confortò
affatto.
Aprì
la bocca per
ribattere ma si bloccò, udendo il suono di un corno.
<<
Avete
sentito? >> gridò Kili, scattando verso la
Porta.
Thorin
si alzò,
seguito da Karin; raggiunsero gli altri e scrutarono la piana,
notando l'avvicinarsi di un gruppetto di circa trenta persone,
accompagnate dagli stendardi della Foresta e del Lago: infatti, nel
mezzo riconobbero sia Bard sia Thranduil, accompagnati da un vecchio
con mantello e cappuccio che portava un cofanetto di legno fasciato
di ferro.
<<
Salute,
Thorin! >> disse l'arciere << Sei ancora
dello stesso
parere? >>.
<<
Io non
cambio parere in pochi giorni >> rispose il nano
<< Vedo
che l'esercito degli elfi non se n'è ancora andato via, come
avevo
intimato: perciò è inutile venire qui a trattare
>>.
<<
Non c'è
nulla per cui cederesti un po' del tuo oro? >>.
<<
Nulla che
tu o i tuoi amici abbiate da offrire >>.
<<
E se fosse
l'Archepietra di Thrain? >> disse Bard.
Oh no pensò
Karin No!!!
Alle
sue parole, il
vecchio aprì il cofanetto e tenne alta la gemma, lasciandoli
di
stucco; Thorin ammutolì, nessuno degli altri
fiatò, troppo
impegnati a guardarla.
Il gelo
scese sui
nani, facendo rabbrividire Karin: tutto ciò era sbagliato,
un
cattivo segno per tutti loro. I suoi occhi saettarono alla sua
destra, notando quanto fosse impallidito Bilbo: lo stomaco le si
accartocciò, ma non volle pensare al dubbio che si era
insinuato.
<<
Quella
pietra era di mio padre, e mi appartiene >> disse Thorin,
incollerito << Perché dovrei comprarla, se
è mia di diritto?
>> si fermò, non riuscendo a trattenere lo
stupore nella voce,
né nei tratti << Come avete fatto ad
impadronirvene? Ammesso
che ci sia bisogno di fare una domanda simile a dei ladri
>>.
<<
Noi non
siamo ladri >> rispose Bard << Quello che
ti spetta ti
verrà restituito in cambio di quello che spetta a noi
>>.
<<
Come avete
fatto ad impadronirvene? >> ripeté Thorin,
furente.
Bilbo
non riuscì
più a tacere: sentendosi male, decise che era tempo di
chiarimenti,
seppur sofferti << Gliel'ho data io! >>
squittì
spaventato.
Thorin
si volse
verso di lui, sperando d'aver capito male << Come?
>>
sibilò, assottigliando le palpebre.
Lo
hobbit deglutì,
cercando di tirar fuori la voce << Sono stato io
>> disse
nuovamente, piano.
A
Karin sembrò d'essere stata pugnalata al cuore:
perché, perché
l'aveva fatto?
Perché non le
aveva dato ascolto? Maledizione a lui e alla sua caparbietà!
<<
Tu? >> Thorin era sconcertato, così come gli
altri: faticava a
respirare, mentre la rabbia iniziava a montare prepotente nel petto
<< Quando... Perché?
>>.
Bilbo
si torse le
dita, abbassando gli occhi sui suoi piedi pelosi.
<<
PERCHE',
HOBBIT? >> gridò il re, stringendo le mani a
pugno.
Karin
trasalì e
così fece l'interpellato, troppo impaurito anche solo per
parlare;
ma doveva rispondergli, o avrebbe peggiorato la situazione.
<<
Per
aiutarti >> disse << e per salvarci
>>.
<<
Oh, bella
mossa, non c'è dubbio >> bisbigliò
sarcastico Bofur a Nori,
anche se quel bisbiglio raggiunse comunque le orecchie di tutti.
Bilbo
divenne rosso
in viso, mantenendo comunque uno sguardo convinto << Era
l'unica soluzione: lo rifarei, se potessi... >>.
<<
Taci,
dannato! >> esclamò Thorin, al culmine della
pazienza <<
Che tu sia maledetto, Baggins, così come sia maledetto il
giorno in
cui cedetti all'idea di Gandalf! Non hai idea dell'errore che hai
commesso! >>.
<<
Oh, ce l'ho eccome, invece! >> replicò,
trovando una forza
inaspettata dettata dall'adrenalina << Non avrei mai
dovuto
accettare l'incarico, tanto per cominciare! Non solo non ho ricevuto
i dovuti ringraziamenti per avervi salvato più volte, ma ora
vengo
trattato in questo modo solo per aver cercato la pace!
Non ho mai conosciuto razza più ingrata di voi nani,
nossignore! E
tutto per una stupida pietra, dannaz.... >> si
bloccò,
rimanendo a bocca aperta dallo smarrimento: Thorin, furibondo, aveva
sguainato Orcrist con un unico movimento e, ora, la stava puntando
alla sua gola; ancora pochi centimetri e l'avrebbe trafitto.
Lesse
nei suoi
occhi azzurri la pazzia e, sgomento, serrò gli occhi nel
vedere
vicina la sua fine: ma un urlo e un cozzare di lame glieli fece
riaprire.
<<
NO! >>.
Karin
si era
frapposta, dopo aver sfilato la sua Iris dal fodero; fronteggiava
Thorin e la sua furia con corpo tremante, con mano sinistra incerta.
<<
Spostati!
>>.
<<
No, non lo
farò! >>.
<<
Sei d'accordo con lui, non è vero? >>
l'accusò, maligno <<
Tu e il tuo caro hobbit
avete tramato alle mie spalle fin dall'inizio! >>.
<<
No Thorin,
lo sai! >>.
<<
Davvero?
>> domandò ironico, incenerendola con lo
sguardo <<
Scommetto che il tuo malore era un trucco per fargli guadagnare
tempo, giusto? >> gridò, spingendo la spada in
avanti, verso
di lei; Karin cercò di farsi leva con le gambe e, piegandole
un
poco, riuscì a mantenersi in equilibrio senza sbilanciarsi
troppo.
<<
Ti sbagli, nessun trucco! Non credevo gliela portasse! >>
gridò
di rimando, cercando di contrastare l'avanzata di Orcrist
<< Ti
prego, Thorin,
calmati! >> supplicò << Un re
giusto e clemente non
porrebbe fine alla sua vita: non macchiare il tuo onore inutilmente
>>.
<<
Quali
provvedimenti dovrei prendere, dunque? >>
replicò alterato,
abbandonando un poco la presa sulla spada.
Karin
rispose
subito, poiché erano troppe l'amarezza e la rabbia che
covava <<
Esistono altre sentenze >> disse duramente.
Ciò
placò il re,
facendolo indietreggiare; rimase con la spada in pugno volgendosi
verso Bilbo, ancora appiattito contro la roccia, tremante.
<<
Non
m'interessa sapere il motivo della tua scelta scellerata
>>
disse con furia << Sono stato tradito, e per questo tu
verrai
bandito; per l'Archepietra darò la quattordicesima parte del
tesoro
in oro e argento: tutto ciò verrà calcolato come
la parte promessa
al traditore, e con essa può andarsene e voi potrete
dividerla come
vi pare. Prendetelo, se volete che viva! La mia amicizia non lo
accompagna; adesso, scendi dai tuoi amici, e non tornare
più: o te
ne pentirai amaramente >>.
<<
Fino a
quando non vedremo l'oro e l'argento terremo noi la pietra
>>
gridò Bard.
<<
Non stai
facendo una bella figura, Re sotto la Montagna! >>
esclamò una
voce nuova ma al tempo stesso conosciuta.
Il
vecchio sfilò
il cappuccio del mantello rivelando il volto pieno di rughe di
Gandalf: sotto le sopracciglia cespugliose, gli occhi azzurri
brillavano irosi << Pensaci bene, Thorin: le cose possono
ancora cambiare! >>.
<<
Proprio
così >> gli rispose. E stava già
meditando, tanto forte era
il fascino del tesoro, se con l'aiuto di Dain non gli sarebbe stato
possibile riprenderla e trattenere la ricompensa << ma
voglio
il ladro fuori di qui. Ora >> si girò verso
Fili <<
Prepara una corda >>.
Bilbo
si mosse come
un automa sapendo che, disobbedendogli, avrebbe solamente peggiorato
la faccenda; prima, però, si avvicinò a Karin.
<<
Grazie >>
le sussurrò, riferendosi al precedente salvataggio.
Certo
non si
sarebbe aspettato un sorriso, ma il vederla delusa gli
lasciò un
enorme vuoto nel petto.
<<
Non l'ho
fatto per te >> rispose, implacabile; non lo
guardò, serrando
le mascelle mentre lottava con la pietà mista a vergogna e
la rabbia
più cieca che aveva provato poche volte in vita sua.
E
così Bilbo fu
calato dal muro, partendo senza niente per tutta la pena che si era
presa, tranne l'armatura che Thorin gli aveva già dato.
<<
Addio! >>
gridò loro << Spero che ci rincontreremo da
amici >>.
Questo
fu troppo
per Karin: non udì nemmeno la risposta di Thorin,
né l'ultimatum
posto da Bard; aveva bisogno di rimanere da sola, aveva bisogno di
piangere fino allo stremo e di sfogare l'ira a suon di fendenti o
pugni.
Scappò
via, senza
curarsi d'urtare qualcuno, senza badare alle grida dei compagni: non
fece caso a dove i piedi la stessero conducendo; solo quando si
fermò
col fiato grosso dalla corsa sfrenata capì, stupendosi.
Era
sulla soglia
della Sala del Tesoro.
Aggirò
una piramide di monete, illuminando uno scudo d'argento con dei
rubini sul bordo; avvicinò la torcia, ammirandone la
bellezza e la
manifattura, relegando per un momento i cattivi pensieri riguardanti
l'esilio di Bilbo: lo stesso esilio che l'aveva allontanata da Thorin
si era ripresentato poche ore prima. E l'artefice della condanna era
stata lei.
Si
ripeté per
l'ennesima volta che l'aveva proposto solo per salvarlo da morte
certa; eppure, non si impedì di tremare e sentirsi nauseata.
Si
rimproverò, giacché era colpa dello hobbit: se le
avesse prestato
ascolto ora non sarebbero accaduti quei fatti spiacevoli.
Era
colpa sua, unicamente
sua.
<<
Sei venuta a radunare la quattordicesima parte del tuo
ladro?
>>.
Trasalì,
girandosi
di scatto: Thorin stava a pochi passi di distanza, la torcia
fiammeggiante nella mano sinistra mandava cupi bagliori sul volto in
un gioco pericoloso di luci e ombre, ombre buie e insidiose.
<<
Non
cederemo ai loro ricatti. Morirei, piuttosto che assecondarli: anzi,
saranno loro a soccombere >> disse, con una punta di
malignità
<< Tutti, dal primo all'ultimo, sapranno cosa vuol dire
inimicarsi la razza nanica >>.
<<
Dunque
scatenerai una guerra? >> chiese, con voce bassa.
<<
La guerra aperta incombe, che tu lo voglia o no. E sta' pur certa
che, dopo il geniale piano
del tuo scassinatore, si avvicinerà più che mai
>>.
<<
Perché continui a ripetere quel “tuo”?
>> domandò, alterandosi di poco.
Thorin
piegò un
angolo della bocca, ma gli occhi rimasero freddi come ghiaccio
<<
Siete molto legati, a quel che ricordo >>.
<<
Eravamo, vorrai dire.
Ora non più >>.
<<
Ti aspetti forse che creda a questa menzogna? >> il
sorriso
maligno si allargò di più in risposta alla faccia
confusa di lei <<
Andiamo, Karin, mettiamo da parte le nostre maschere e mostriamoci
per quel che siamo veramente: non sei forse sua complice? Non lo sei
sempre stata? Così affettuosa,
così amorevole con il
povero, piccolo e spaesato hobbit! >>.
<<
Che stai
dicendo? >> chiese a fatica, iniziando a sentirsi male.
<<
La verità. Ciò che
non fa parte del tuo essere >>.
Karin
schiuse le labbra, incredula ma anche alterata: strinse la presa sul
legno della torcia, sentendo la pelle graffiarsi << Tu
parli di
verità? Proprio tu,
che non fai altro che raccontar bugie da quando siamo qui? Mi hai
forse detto la verità mentre
cercavi la tua preziosa Archepietra spacciandola per una collana?
>>
esclamò, con voce tremante.
Puntò
gli occhi neri sui suoi, alzando di poco il mento << Vuoi
la
verità? Ebbene,
l'avrai. Guardati, Thorin: non sei più te stesso,
ottenebrato dal
voler possedere le ricchezze di questa sala; il principe di cui mi
sono innamorata, il re che voleva riconquistare la sua città
unicamente per il bene del suo popolo non esiste più,
lasciando il
posto ad uno sconosciuto >>.
<<
Menzogne!
>> gridò lui, fermandola <<
Altre menzogne! >>.
<<
Io non
posso amare un estraneo >> continuò, come se
non l'avesse
interrotta << Non sei il Thorin che amo >>
disse, dura
come pietra e fredda come vento d'inverno.
Thorin
sentì il
sangue gelarsi nelle vene, per poi bollire caldo e fumante; per un
attimo fu anche solo terrorizzato di pronunciare quella frase, ma le
parole gli uscirono da sole subito dopo.
<<
Cosa
vorresti dire? >>.
<<
Finché
non sarà conclusa questa impresa, noi... >>
lasciò la frase
in sospeso, non sapendo come continuare. Troppo difficile. Troppo
doloroso.
<<
No! >> urlò, capendola << Tu
non ti allontanerai da me!
Te lo ordino >>
gridò, tremando di rabbia.
<<
Disubbidirò, sai che lo farò; non riesco a
sopportare questo
atteggiamento. Lo spettro di tuo nonno ha maledetto questo luogo,
infettandolo; io sono impotente e, per quanto provi a far tornare il
vero Thorin, non vi riesco: tu stesso lo stai soffocando
>>.
Il nano
mosse dei
passi in avanti e, con sommo orrore, lei indietreggiò come
impaurita.
No concluse
lui lo è veramente. È
terrorizzata da me.
<<
Tu non ti allontanerai da me! >> le ripeté,
non impedendosi di
gridare e di imporsi duramente << Te lo ordino in quanto tuo
re!
>>.
<<
Io non ho
giurato, Thorin: tu non sei il mio re! >>
scandì a voce alta,
rossa in viso.
La
furia si riversò
nuovamente come un fiume nelle vene, facendogli perdere ogni minima
parte di calma e lucidità: con uno scatto in avanti
l'agguantò per
un braccio, lasciando cadere sia la sua torcia che quella di Karin,
troppo atterrita per reagire e cercare di divincolarsi.
Nel
buio, la
strattonò con violenza, mentre gli occhi ci misero poco ad
abituarsi
all'oscurità: riuscì a distinguere i contorni del
volto teso, degli
occhi sgranati e costernati.
E
godette di
questo, del potere e del terrore che le stava iniettando.
<<
Ho sempre
disprezzato mio nonno e la sua morbosa passione per questo tesoro
>>
iniziò, stringendo la presa sulla carne rosea.
<<
Mi stai
facendo male >> gemette lei, portando le dita a cercare
di
staccare la mano salda.
<<
E TU, TU
MI RINFACCI... >>.
<<
Thorin,
lasciami! >> piagnucolò, quasi con le lacrime
agli occhi; si
contorse, ma la presa era ferrea. Il nano, indispettito, la
strattonò
malamente portandola ad un nonnulla dal volto livido.
<<
…
D'ESSERE COME LUI? >>.
<<
TU SEI COME LUI! >> strillò senza controllo,
in risposta al
ruggito furente << Tuo padre si vergognerebbe di te! Io
mi vergogno
per aver anche solo
provato un briciolo d'amore nei tuoi confronti! >>.
Thorin
fremette,
gli occhi brillarono di collera: le sue ultime parole furono la
goccia che fecero traboccare il vaso; ormai impazzito, alzò
il
braccio libero e aprì la mano con l'intento di colpirla.
I
riflessi di Karin la portarono a chiudere gli occhi senza badare allo
sconcerto della situazione e di quel gesto che mai,
mai
avrebbe creduto possibile, nemmeno quando l'aveva esiliata.
Serrò
di più le
palpebre e spostò il capo di lato, offrendogli
inconsciamente la
guancia destra: aspettò col cuore in gola e con le lacrime
che
brillavano sulle ciglia, ma nulla accadde; anzi, sentì vari
tintinnii e uno spostamento d'aria talmente vicini che
riaprì gli
occhi: basita ma grata, eternamente grata, vide l'imponente figura di
Dwalin a lato di quella del sovrano. Fortunatamente aveva
intercettato il braccio e la mano pronta a schiaffeggiarla,
afferrandola in tempo; non la guardava ma puntava lo sguardo irato
sul volto altrettanto sorpreso di Thorin che, solo ora, sembrava
rendersi conto della situazione.
Nessuno
fiatò per
lungo tempo, solo i pesanti respiri facevano da sottofondo ai tre
vecchi amici.
Infine,
fu proprio
l'ultimo arrivato a parlare per primo << Vai
>> ordinò.
Karin
seppe che si
stava rivolgendo a lei, ma i piedi non vollero obbedire, rimanendo
inchiodati al suolo dorato.
<<
Vai, ora!
>> ripeté, stavolta piantando gli occhi nei
suoi.
Karin
sbarrò gli
occhi sciogliendosi facilmente dalla presa di Thorin, ora molle;
diede loro le spalle, trovando estremamente complicato mettere un
piede davanti l'altro e indirizzarli verso l'uscita; dovette anche
prendersi il braccio perché tremava senza sosta, ancora
troppo
scossa e confusa.
Thorin,
invece,
parve tornare in sé: abbassò leggermente il capo,
assimilando gli
avvenimenti dei minuti precedenti; quel che non riusciva a togliersi
dalla mente era una semplice e dolorosa constatazione: aveva quasi
picchiato Karin.
Aveva
desiderato colpirla,
farle male.
Quale
genere di mostro era
diventato?
Aveva
ragione:
questo Thorin era uno sconosciuto, un essere abominevole; e lei
possedeva tutte le ragioni di questo mondo per smettere di amarlo.
<<
Karin >>
chiamò piano, guardando la sua schiena curva e l'incedere
lento e
barcollante << KARIN! >> urlò
più forte, disperato.
Nella
voce si
poteva udire il senso di colpa, e la muta richiesta del perdono; ma
era irrimediabilmente tardi, lo sapeva bene.
Lo
sapevano
entrambi.
La vide
aumentare
il passo, trasformandosi in corsa: Karin sparì veloce dalla
sua
vista, lasciandolo col rimorso e un terribile vuoto nel petto,
all'altezza del cuore.
Corse
veloce finché
il respiro divenne irregolare, finché la carne
bruciò, finché
incespicò: quasi cadde a terra, riuscendo però a
rialzarsi in
fretta spingendosi col palmo sul freddo pavimento.
Quando
cadde la
seconda volta, tuttavia, lasciò che le ginocchia sfregassero
contro
la pietra; le parve di udire il suono di uno strappo all'altezza
delle ginocchia, ed un lieve dolore sembrò raggiungerla. Ma
era
lontano lunghe leghe, scalfiva a malapena la bolla di disperazione
che la racchiudeva.
Respirò
affannata, lo sguardo perso in un punto indefinito: non era tanto la
situazione irreale a sconvolgerla, quanto il fatto che, se non fosse
intervenuto Dwalin, sarebbe stata picchiata.
Da
colui che amava
con tutta se stessa e che l'amava più della sua stessa vita.
O,
almeno, era così
fino a poco tempo prima.
Ora,
sinceramente,
non era più certa di nulla.
Sentiva
un bisogno
morboso di piangere ma, per quanto tentasse, non riusciva a sbattere
le palpebre preferendo crogiolarsi in quello stato catatonico.
Come si
era giunti
a quel punto di non ritorno?
Come
era possibile
che tutto le fosse scivolato dalle mani così velocemente?
Dov'era
mentre la sua vita, il suo amore,
prendevano il largo verso acque infide e fallaci?
Dov'era
la Karin
battagliera, la Karin coraggiosa che difendeva con le unghie e con i
denti ciò a cui teneva?
Domande,
domande che richiedevano una risposta. Che, tuttavia, non
la trovavano.
<<
Stai bene?
>>.
Qualcuno
glielo
stava chiedendo, o così credeva; nel campo visivo entrarono
un paio
di stivali che conosceva e, l'attimo dopo, il volto di Dwalin si
portò alla sua altezza. Anche lui si era inginocchiato,
guardandola
con un'espressione indecifrabile sul volto da guerriero.
<<
Karin >>
la chiamò, tentando di farla uscire dal baratro nero.
<<
Lui dov'è?
>> chiese, con voce remota; una parte di lei –
quella che era
ancora vigile – si domandò in quali condizioni la
vedesse il nano,
se riuscisse a riconoscere la sua vecchia amica, persino la
traditrice, in quel corpo senza energia e voglia di vivere.
Dwalin
sospirò,
grattandosi la nuca << All'accampamento, dagli altri. Era
molto
dispiaciuto e abbattuto: credo si senta oltremodo in colpa
>>.
Lei non
rispose,
iniziando a sentire i primi cedimenti del pianto.
<<
Karin,
stai bene? >> domandò ancora, quasi
apprensivo; vedendola
chiusa nel suo ostinato mutismo però si spazientì
e, con un
grugnito, si alzò sovrastandola << Fa' come ti
pare, allora! E
io che ero venuto fin qui per accertarmi se stessi bene... bah, ho
sprecato il mio tempo! >>.
Sapeva
che erano
parole ingiuste ma, così facendo, sperava che riacquistasse
il suo
animo: invece appurò la sua sconfitta nei tratti granitici e
pallidi
della giovane. Si girò, dandole le spalle: quando mosse un
passo,
però, la voce di Karin lo fermò.
<<
Dwalin >>.
Il
richiamo, che
aveva molto in comune con una supplica, lo fece voltare: ora gli
occhi neri lo guardavano, pozze liquide che aspettavano solo il
momento adatto per liberarsi; pur controvoglia – in quanto la
trovava una seccatura bella e buona – le si sedette affianco
e,
senza dir nulla, le circondò delicatamente le spalle con un
braccio
facendole poggiare il capo sulla spalla.
Karin
non ebbe
bisogno di altro: le palpebre si abbassarono un poco, lasciando
fuoriuscire le calde lacrime; ben presto i singhiozzi scossero
entrambi, essendo molto forti.
Il nano
la strinse
di più, cercando di trasmetterle solidarietà; nel
mentre, la
memoria lo riportò a altri episodi simili, a quando erano
bambini e
lei cercava riparo tra le braccia del suo fratellone, com'era
solita chiamarlo per dispetto. Eppure, dopo un po', egli stesso aveva
iniziato a considerarsi tale: nonostante i molteplici impegni, per
lei cercava d'essere sempre presente, anche solo per un consiglio o
un semplice abbraccio.
Come in
quel
momento, in fin dei conti.
Strinse
la mascella
maledicendo silenziosamente Thorin, il suo essere diventato
irriconoscibile ed estraneo;
dovette frenare l'impulso
di alzarsi e andare a percuoterlo con le sue mani: si chiese come
avesse fatto a trattenersi subito dopo la fuga della giovane. Solo i
Valar potevano saperlo!
Una
miriade di
emozioni l'invasero, portandolo a pensare ad una soluzione che
avrebbe giovato a tutti, specialmente a lei: fu facile, quindi,
formulare la proposta.
<<
Potresti
andartene >>.
Karin -
i cui
singhiozzi si erano in parte smorzati - lo sentì;
tirò su col naso,
asciugandosi gli occhi con la manica della camicia. Incredula lo
guardò negli occhi, scuotendo solo la testa.
<<
Dovresti,
a parer mio >> rincarò lui, stringendo la
presa sulle spalle.
<<
Perché?
>> chiese, scontrosa << Vuoi sbarazzarti
della
traditrice? >>.
<<
In parte
>> replicò sarcastico, anche se lei non colse
<< Però
non puoi continuare così. Che senso ha soffrire in tal modo?
>>.
<<
Non posso
lasciarlo >> sussurrò, abbassando lo sguardo a
terra.
<<
Perché te
lo ha ordinato? >>.
<<
Perché
non voglio, Dwalin >>.
Il nano
alzò un
sopracciglio, piuttosto scettico << Non sei mai stata
brava a
mentire >>.
<<
E tu non
sei mai stato bravo a farti gli affari tuoi >>
mugugnò,
facendolo sorridere leggermente: almeno stava recuperando la consueta
lucidità con quello sciocco battibecco.
<<
Forse può
ancora... cambiare >> esalò, non credendolo
veramente
possibile.
<<
Ha
allontanato le persone che, di norma, gli erano più vicine.
Se non
ci sei riuscita tu non potrà farlo nessun altro
>> concluse,
angustiato << Smettila di farti del male. Fagli capire
cosa
significa perdere la persona amata: faglielo
comprendere
un'altra volta, e rinsavirà >>.
Karin
ponderò,
indecisa sul da farsi; Dwalin non aveva tutti i torti, comunque: era
stanca, non più forte come una volta. La
sola indifferenza di
Thorin l'uccideva atrocemente; e i fatti di poco prima l'avevano
definitivamente annientata.
Non
avrebbe
sopportato oltre, lo sapeva.
Per
questo, forse,
avrebbe dovuto dargli ascolto.
Alzò
il viso,
guardandolo << Che devo fare? >>.
La
luna, quella
notte, osservò un'altra ombra furtiva che
sgattaiolò lontano
dall'accampamento nanico; si mosse silenziosa, anche se il passo
pesante tradiva un immane peso al cuore. Più di una volta la
vide
fermarsi e voltarsi indietro, verso il nero e minaccioso profilo
della Montagna che, per i nani, era confortevole in quanto loro
dimora.
E, per
Karin, non
si trattava solo d'abbandonare quella che un tempo era la sua casa,
ma anche gli amici, i compagni di viaggio con cui aveva condiviso
mesi di avventure: soprattutto, però, si trattava
d'abbandonare la
persona che amava. Una persona che, ora più che mai,
necessitava di
un suo aiuto.
Arrivò
al guado,
osservando l'acqua nera come pece; nella mente continuavano a
ronzarle le parole di Dwalin, concedendogli una ben meritata ragione:
forse, per farlo tornare come prima, serviva un metodo drastico. Si
chiese se il re si sarebbe scomposto la mattina successiva, non
trovandola da nessuna parte; si chiese se se la sarebbe presa con
l'amico per averle suggerito quella mossa; si chiese se sarebbe
impazzito ulteriormente o si sarebbe ripreso, com'era parzialmente
avvenuto dopo averla quasi percossa.
Si
diede della
stupida, oltrepassando il guado: davvero credeva d'essere
così
importante nel suo cuore da riuscire addirittura a cambiarlo?
Aveva
sperimentato
il suo fallimento e la sua impotenza in quei giorni.
E ora,
fuori dei
confini della Montagna, si sentì quasi più...
sollevata, come se il
cuore diventasse più leggero. Lo spettro del potere nefasto
si
affievolì, e così il giogo di Thorin.
Però
non poté
impedirsi di versare altre lacrime, ripensando al senso d'impotenza
che ancora l'attanagliava: il non essere riuscita ad aiutarlo la
faceva sentire inutile, vuota.
Si
fermò, notando
un lieve chiarore pochi metri più in là: qualcuno
si muoveva con
una torcia in mano, probabilmente una sentinella; si chiese che
diamine fosse passato nella testa di Dwalin per consigliarle un tale
piano! Doveva essere ammattito per mandarla dagli elfi!
D'altronde,
però,
quello era l'unico modo: principalmente non aveva altri luoghi dove
andare, e ritornare a Esgaroth era da escludere; tanto valeva unirsi
a Bilbo e Gandalf: avrebbe avuto maggior protezione in vista di una
guerra.
Si
asciugò gli
occhi rossi di pianto, nascondendosi dietro un cespuglio; attese con
impazienza l'avvicinarsi della guardia e, quando le fu accanto,
sbucò
fuori con un fruscio. Quello, abile e veloce, fece cadere la torcia e
imbracciò il lungo arco di legno, incoccando una freccia con
una
rapidità che la lasciò senza fiato; lei, di
riflesso, sguainò
Iris, bloccandosi in contemporanea con lui quando si riconobbero.
Rimasero
a
fronteggiarsi per lunghi secondi, nei quali poté cogliere
ogni più
piccola espressione di stupore sul volto leggiadro e perfetto
dell'elfo, intento a scrutarle il suo stravolto dalle lacrime;
infine, aprì la bocca per parlare, non credendo ai suoi
occhi
azzurri.
<<
Karin? >>.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Risalve,
tutto bene ^^?
Oh,
ma... l'avete visto il trailer della Desolazione di Smaug *___*? Io
ogni volta che lo guardo ho la bava alla bocca!!! Non vedo l'ora
arrivi dicembre!
Coooomunque... qui il ritmo aumenta vertiginosamente, come avrete
notato: avete letto capitoli noiosi e lunghi dove succedeva poco
niente e, di botto, ecco un capitolo ricco e denso di avvenimenti! Vi
è piaciuto in generale? Contente della
“resa” di Dwalin :3?
Credevate che si odiassero per sempre, vero? E invece no, il
caratteraccio di Thorin ( :( ) ha smosso le acque: bisognerebbe quasi
ringraziarlo... ma non lo faremo!!!
Avete
apprezzato i protagonisti, inclusi Thorin e Bilbo, oppure
dovrò
leggere tanti di quei cazziatoni nelle recensioni :P? Ahahahahaha,
scherzo, scherzo! Ognuno scriverà quel che vorrà,
insulti compresi
;)))), leggerò sempre con piacere ^^!
Bene,
come al
solito, belle mie, fatemi sapere se vi è piaciuto con le
solite
recensioni ;)
Ringrazio
le carissime e specialissime vanessa90,
_Elentari_, Krystal91,
Ele Vera, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack
e LilyOok_. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Capitolo ventuno ***
CAPITOLO
VENTUNO
Si
svegliò, dopo
aver attraversato una pessima nottata fatta d'incubi e immagini dai
contorni indistinti; rimase qualche minuto ad osservare l'alba che,
silenziosa, si innalzava nel cielo colorando il paesaggio e l'ormai
famigliare Desolazione con toni chiari e tenui.
Si mise
seduto a
fatica, sfregandosi il volto stanco; premette la mano sulla fronte
nel vano tentativo di calmare il feroce mal di testa, dato dalla
spossatezza. Con fastidio e senso di disgusto, non appena serrava le
palpebre rivedeva il terribile diverbio con Karin, e le sue reazioni
sconsiderate; si maledì, costatando che sarebbe servita ben
più di
una semplice scusa per farsi perdonare: l'espressione sconvolta e
terrorizzata della ragazza non faceva che riempirgli la mente.
Grugnì,
odiando quel silenzio denso che ancora aleggiava, e che lo faceva
pensare. Avrebbe
preferito ascoltare il chiacchiericcio dei compagni, le loro risate e
urla, le loro storie, piuttosto che fare i conti con la coscienza e
il terribile senso di colpa; in più, avrebbe dovuto
sopportare le
occhiate di disprezzo di Dwalin – pienamente meritate
– e quelle
impaurite e ferite di lei.
Sarebbe
impazzito
del tutto, allora.
Forse
l'avrebbe
salvato solo il pensiero della guerra imminente.
Allargò
le narici, fremendo di sorda collera: se ancora ripensava allo
scherzetto architettato dallo hobbit, la rabbia tornava; gli aveva
dato fiducia, fidandosi!
E come era stato ripagato? Con una pugnalata alle spalle,
l'Archepietra rubata e nelle mani del nemico: nelle avide mani di
Thranduil.
Strinse
la mascella
e digrignò i denti, spostando lo sguardo azzurro altrove che
non
fosse la piana dove sapeva esserci l'accampamento; anche se non lo
vedeva ne percepiva la presenza, così come poteva udire le
risate di
scherno degli elfi e degli uomini alle orecchie.
Che si godano pure
questi ultimi
momenti di tranquillità pensò
maligno presto non ne avranno; e rimpiangeranno
la clemenza
di Thorin Scudodiquercia.
Gli
occhi caddero inevitabilmente verso il suo
giaciglio: dormiva ancora, ma il volto era celato; poteva scorgere
solo la nuca, quasi del tutto coperta dal mantello. Sospirò
ancora,
affranto; per caso, abbassò la testa a terra e
s'immobilizzò,
aggrottando le sopracciglia scure.
La
mano si protese in avanti, le dita si aprirono e si chiusero
sull'oggetto; incredulo e sconcertato, Thorin comprese cosa
aveva
raccolto: la collana di
mithril.
La
collana di Karin.
Scattò
in piedi,
lasciando che il mantello scivolasse lungo il corpo e fino ai piedi,
dove si ammucchiò disordinatamente; il cuore parve fermarsi
per poi
rimbombare ancora più forte, mentre un sempre più
crescente dubbio
si insinuava nel suo essere.
Karin.
Fu
difficile
muovere il primo passo, e quello dopo, e quello dopo ancora: passati
lunghi attimi, eccolo davanti alla figura addormentata e distesa;
posò un ginocchio a terra e, lentamente e con lo stomaco
accartocciato, afferrò il lembo del mantello.
Tirò verso di sé,
inspirando violentemente.
Non
era Karin. Lei non era lì.
Al suo posto, vari fagotti erano stati messi in modo tale da formare
il suo corpo o, comunque, una parvenza di corpo nanico.
Sentì
d'immobilizzarsi, i muscoli s'irrigidirono, nulla rispose al
cervello; solo una domanda era talmente pressante da tenerlo
presente: dov'era?
In
cuor suo sapeva bene qual era la risposta: se
n'era andata.
Era
fuggita la
notte precedente, muovendosi silenziosa e rapida; parte dei suoi
ricordi si rivelarono: lui sprofondato in un sonno agitato, una
figura scura che gli si accucciava accanto, bisbigli d'amore e
d'addio troppo strazianti e dal sapore delle lacrime, movimenti che
rappresentavano lo sfilarsi della collana e l'adagiarla sul suolo
freddo e duro; altri fruscii, passi soffici e quasi impercettibili.
E il
gelo, unito ad un buco
nero,
all'altezza del cuore.
Rabbia
e senso di
perdita si impadronirono di lui, al punto da non riuscire a
ragionare: strinse talmente tanto il metallo tra le mani da sentirlo
imprimersi sulla pelle come un marchio; ogni più piccolo
anello
della collana era un pezzo di rimorso, di frustrante colpa.
Portò
il pugno che
racchiudeva la collana alla fronte, e chiuse gli occhi per impedirsi
di liberare la disperazione.
Karin
soffiò, sperando di raffreddare un poco il vino caldo datole
dagli
elfi; dopo tanti giorni chiusa all'interno della Montagna, aveva
dimenticato quanto fosse avanzato l'inverno all'esterno. Aveva
freddo, e l'essere avvolta in ben due coperte non l'aiutava
minimamente; forse, però, ciò che sentiva non era
dato dal tempo
quanto, piuttosto, dal cuore.
Il suo
cuore era
freddo. Gelido. Un blocco di ghiaccio.
A volte
le pareva
di non possederlo, come se le fosse stato strappato, e si spaventava:
solo quando portava una mano al petto e lo sentiva battere regolare
tirava un leggero sospiro di sollievo.
Doveva
ammettere,
però, che non avrebbe fatto una piega se glielo avessero
tolto,
tutt'altro: le sarebbe piaciuto. Immensamente. Tutto pur di non
soffrire come in quel momento, in quelle ore.
L'essersi
allontanata da Thorin dopo aver riaccolto il suo amore era la
più
feroce e dolorosa delle condanne.
La
stessa
sofferenza di cento e più anni prima si era ripresentata;
anzi,
probabilmente in maniera più devastante.
Alzò
la testa, venendo attirata dalle raffiche violente del vento che
soffiava sulla piana e si disperdeva tra la roccia della Montagna:
alle sue orecchie le pareva quasi di udire il ruggito furioso di
Thorin; un ruggito che sapeva anche di animo ferito, tradito,
abbandonato. Solo.
Sentì
un'oppressione al torace, la gola sembrò presa da una morsa
vigorosa
e ferrea: portò una mano al collo, il petto si alzava ed
abbassava
con foga. Serrò gli occhi e provò a deglutire, ma
non aveva nemmeno
una goccia di saliva; le dita volarono dove, poche ore prima, aveva
dimorato la collana: se possibile, si sentì ancora peggio.
Sembrava
le
mancasse una parte importante di sé e, a conti fatti, era
proprio
così; senza Thorin non era nulla.
Respirò
a pieni
polmoni, riuscendo a calmare i tremiti e a contrastare altre lacrime;
la mano che reggeva il bicchiere sembrò meno calda di prima,
e ciò
le permise di bere un sorso senza interrompersi. Il liquido forte le
scivolò fino allo stomaco, riscaldandolo.
Ora
più
tranquilla, ripensò con lucidità a quanto era
successo la sera
prima, subito dopo l'incontro con Legolas.
<<
Karin? >> lo
sbigottimento dell'elfo era palpabile; abbassò subito
l'arco,
riponendo la freccia nella faretra legata alla spalla.
La
guardò chinarsi e raccogliere la
torcia caduta ma, fortunatamente, ancora accesa; gliela porse e fu
allora che notò il colorito pallido e gli occhi e il naso
rossi e
lucidi.
Aveva pianto.
<<
Cosa ti porta qui? >>
domandò piano, il tono di voce addolcito ma, comunque,
all'erta;
cercò di captare qualsiasi rumore, anche il più
piccolo, ma non udì
nulla di pericoloso: era sola.
<<
Sono fuggita dalla Montagna
>> rispose semplicemente.
Nell'aria,
risuonarono le parole
taciute “fuggita da Thorin”; parole che non avrebbe
mai
pronunciato, nemmeno davanti a lui.
<<
Non c'era altro posto dove
andare >> proseguì, evitando di guardarlo
negli occhi celesti
<< qui, inoltre, sono ospiti anche Bilbo e Gandalf.
Chiedo
asilo agli Elfi, e a tuo padre >>.
Incrociò
brevemente il suo sguardo,
e l'elfo poté leggervi smarrimento e vergogna: ma
durò il tempo di
un battito di ciglia, poiché gli rifuggì.
Legolas
sospirò, combattuto su quel
che voleva dirle: da una parte non avrebbe esitato nemmeno un attimo
ad accoglierla e portarla al campo ma, dall'altra...
<<
Gandalf e Bilbo sono qui, è
vero: ma l'uno è nostro alleato, l'altro è stato
esiliato dai tuoi
compagni, e da te >>.
<<
Mi sono esiliata nel
momento esatto in cui ho scavalcato il muro >>
replicò lei,
sferzante << Perciò, non venirmi a dire certe
cose; sii
chiaro, o non parlare affatto >>.
<<
Sei una nana. In un campo
elfico. Di fatto, una nemica >>.
Lei si morse il
labbro inferiore;
poi, sorprendendolo – benché molto corrucciata
– slacciò la
cintura che reggeva Iris e il pugnale fattole da Thorin,
consegnandoglieli.
<<
Ora sono disarmata. Non
proverò a scappare, né tenterò di
farti del male >> alzò il
capo, fiera e orgogliosa nonostante l'aspetto devastato e le parole
che pronunciò << Lo giuro. Sono sotto la tua
custodia, Legolas
Verdefoglia, Principe di Bosco Atro >>.
Per il giovane
elfo fu più che
sufficiente; chinò il capo, facendole cenno di seguirlo
<<
Vieni >>.
Camminarono per un
po' nel buio più
completo rischiarato debolmente dalla torcia ma, poi, qualcosa
iniziò
a cambiare; davanti a loro si manifestò un chiarore lieve,
aranciato
che, man mano si avvicinavano, aumentava.
Di fronte a quella
vista, Karin
schiuse le labbra.
Piccole e grandi
tende erano
disposte in file ordinate, perdendosi a vista d'occhio; alcune
recavano gli stendardi della foresta, altre – più
indietro –
quelle del Lago; Uomini e Elfi condividevano lo stesso accampamento,
in un assembramento numerosissimo e letale, pronto alla battaglia.
Fuochi giganteschi
illuminavano il
campo, sentinelle vegliavano con archi e lance, con spade al fianco;
soldati correvano di qua e di là o camminavano, a seconda
dell'incombenza che dovevano assolvere. Molti erano seduti davanti
alle loro tende, chi da solo o in gruppo, altri erano in cerchio
intorno ai fuochi più piccoli, e cantavano e parlavano senza
timore
con l'altra razza; quando si addentrarono tra le varie file,
riconobbero Legolas e chinarono rispettosamente la testa. Poi i loro
occhi si spostarono su di lei, figura decisamente più bassa,
meno
aggraziata e terribilmente fuori luogo: le fronti si aggrottarono,
gli occhi si oscurarono e assottigliarono, parecchie teste si volsero
a scambiarsi un'occhiata perplessa, altri ancora allungarono il collo
per essere certi d'averla riconosciuta.
Ma nessuno
parlò con lei, né con
il principe; solo, il chiacchiericcio – dapprima poco
smorzato -
aumentò come un ronzio di api, riempiendole la testa e
stordendola.
Fortuna volle che
giunsero alla
tenda di Thranduil, ben più grande delle altre almeno il
doppio:
sulla soglia stava una guardia che, non appena lo vide, si
inchinò.
<<
Avverti mio padre, digli
che conduco Karin figlia di Kario: ella si presenta in pace, e
disarmata al suo cospetto >> parlò, con voce
alta e chiara.
<<
Come comandi >> disse
l'elfo, sparendo dentro.
Attesero molto
poco poiché, forse,
Thranduil aveva udito l'annuncio del figlio; la guardia fece loro un
cenno, e Legolas – spingendola leggermente con le dita
delicate –
la spronò ad entrare per prima.
Karin
scostò i lembi della tenda,
rimanendo sorpresa dall'arredamento spoglio: per una qualche ragione,
si era immaginata molto più sfarzo, specie nella tenda del
Re degli
Elfi; invece, gli unici ornamenti degni di nota erano rappresentati
da uno scrittoio di legno lavorato e stendardi dai bordi dorati
appesi al soffitto. Per il resto era tutto molto spartano, come il
tavolo al centro, le sedie di legno e il catino con la brocca
d'acqua; un panneggio separava quello spazio da un altro dove,
probabilmente, si trovava la sua branda.
Thranduil era
seduto su una sedia
più elaborata delle altre: poggiava la nuca bionda sullo
schienale
alto e lavorato simboleggiante due tronchi d'albero intrecciati,
culminanti in un arco a sesto acuto; le braccia erano poggiate sui
braccioli, una mano reggeva elegantemente un bicchiere di vetro
contenente vino rosso. I suoi occhi azzurri, freddi e
imperscrutabili, non la lasciarono per un secondo, seguendone ogni
movimento; Karin non si sentì mai così a disagio,
anche se una
parte di sé odiò quel comportamento e chi glielo
instillava: era
ancora forte il ricordo dell'ultima visita nella reggia,
così come
bruciava la memoria del loro primo incontro.
Strinse di poco i
pugni per tornare
padrona di sé, ma notò il lieve spostamento verso
l'alto del
sopracciglio destro dell'elfo; forse l'aveva notata.
<<
Cosa ti porta qui? >>
domandò, facendo oscillare leggermente il bicchiere.
Karin dovette
ricacciare l'orgoglio,
prima di rispondere << Chiedo ospitalità
presso la tua gente,
Thranduil >>.
<<
Perché pensi che dovrei
concedertela? Chi mi assicura non sia un trucco? >>.
<<
Io, padre >> si
intromise Legolas << Non ho colto alcun rumore insolito,
né
visto altre figure oltre lei >>.
Assottigliò
lo sguardo, frustrata:
bene, nemmeno Legolas era pienamente convinto della sua motivazione?
Thranduil parve
soddisfatto, e annuì
<< Dunque sei fuggita, non è così?
Per quale motivo, mi
domando? >>.
<<
Non... condividevo alcune
scelte di Thorin >> rispose, a denti stretti
<< né gli
ultimi gesti >> rivelò; abbassò lo
sguardo a terra, volendo
evitare l'occhiata indagatrice che arrivò per accertarsi
della
verità. Non del tutto convinto, decise di sorvolare
l'argomento.
<<
Qualcuno è a conoscenza
della tua fuga? >>.
Karin
alzò gli occhi neri,
incontrando il suo volto curioso << Solo uno ma non
tornerà a
prendermi, giacché è stata una sua proposta
>>.
<< E
che mi dici di Thorin? Se
sei scappata vorrà reclamarti >>.
<<
Ho scelto l'esilio
piuttosto che rimanere al suo fianco, anche se l'ho fatto per lui
>>
sospirò, scuotendo la testa << Non
capirà, ma non interverrà:
il suo orgoglio è troppo forte >>.
<<
Ciò lo porterà alla
rovina >> commentò l'elfo, sorseggiando la
bevanda rossastra
<< Mi rincresce, lo confesso. Ma permettimi di chiederti
dell'Archepietra: quali sono le tue reali intenzioni? >>.
<<
Non sono qui per rubarla,
né la porterò alla Montagna >>
disse duramente << Ora
vedrò Erebor unicamente da morta, se avranno
pietà e mi
permetteranno di venir seppellita con i miei avi. Ma
prometterò, se
ciò ti fa' piacere >>.
Thranduil non
rispose subito,
limitandosi ad osservarla; nella tenda scese il silenzio, i tre non
fiatarono finché lui non lo ruppe << So che
rispetterai la
parola data, perché negli occhi non leggo inganno
>>.
Poggiò
il bicchiere su un tavolino
lì vicino, e si alzò; si mosse con leggerezza,
facendo frusciare il
lungo abito verde bosco.
Le si
avvicinò, allargando di poco
le braccia << Che tu sia benvenuta, Karin figlia di
Kario. Un
mese è passato dal nostro ultimo incontro, eppure sei
più saggia e
coraggiosa che mai: grandi mutamenti sono avvenuti – e
avvengono
tuttora – nel tuo animo, nella tua persona. Permettimi
d'accoglierti con i dovuti onori nella mia tenda, poiché non
ci
siamo mai lasciati in amicizia. Vorrei rimediare, se me lo concedi
>>
le posò una mano sulla spalla, lasciandola interdetta
<< Che
si sappia: il Re degli Elfi è orgoglioso d'ospitare una
Nana. Lascia
che termini qui il tuo viaggio >>.
<<
Il mio viaggio non è
affatto concluso, Re degli Elfi >> rispose solenne ma
riconoscente nel profondo << troppe questioni sono
rimaste
sospese, ed una guerra è alle porte. Ma accetterò
volentieri la tua
offerta, e ti ringrazio: troppo a lungo ho serbato rancore e, ora, la
stanchezza mi pervade >>.
<<
Sagge sono le tue parole,
nobile nana, e giuste. Va' pure, e dormi sonni pacifici: qui non
temerai ombre e spettri >>.
Karin
chinò il capo in una specie
di inchino al quale, a sorpresa, lui rispose. Poi si girò e
uscì,
sentendo i passi agili di Legolas seguirla.
<<
Karin >>.
Si
voltò, incrociando il suo
sguardo divertito.
<<
Non sai qual è la tua
tenda >>.
Si concesse un
breve sorriso,
chiudendo gli occhi. In effetti, non aveva tutti i torti: non sapeva
dove andare.
<<
Perdonami, è la
spossatezza. Fammi strada >>.
Legolas
annuì, prendendo una via
alla sua sinistra; attese che gli si affiancasse per parlarle
<<
Hai solo bisogno di dormire, è stata una lunga giornata
>>.
<<
Non è solo questo. Da
quando siamo fuggiti da Bosco Atro ho conosciuto la felicità
più
luminosa e la sofferenza più cupa; eppure non cambierei un
singolo
istante di ciò che è stato, nel bene e nel male
>>.
<<
Mi pare tu abbia conosciuto
più dolore >> commentò dispiaciuto
<< Il tuo volto è
sempre più pallido e tirato, gli occhi pieni di
preoccupazioni e
timori >>.
Sorpassarono un
gruppo di uomini
raccolti attorno al fuoco che brindavano allegri sollevando boccali
verso la notte; le loro risate li accompagnarono per altri passi
finché non si affievolirono.
<<
Un mese è stato lungo
quanto un anno. Mi sento esausta e vecchia >>
mormorò
tristemente.
<<
E' solo un periodo
complicato; vedrai che si sistemerà tutto >>
le disse,
cercando di rassicurarla.
Si
fermò davanti una piccola tenda,
sorridendole incoraggiante << Eccola. Riposa, Karin:
domani ti
sentirai meglio >>.
Le mise una mano
sulla spalla,
stringendogliela; lei portò una mano sopra la sua,
restituendo la
stretta: apprezzò lo sforzo di tirarla su di morale ma,
sinceramente, non aveva la forza per superare questo momento. Non
ancora. Solo alcuni minuti prima aveva detto addio a Thorin,
decidendo di lasciarlo per trovare rifugio da quelli che, di fatto,
erano loro nemici.
Voltagabbana.
Una definizione di
sé che le fece
ribrezzo, che la fece vergognare.
Si sciolse dalla
presa con
malagrazia, il volto si rabbuiò << Buonanotte
>> disse,
cambiando umore.
Senza un'ulteriore
parola entrò
nella tenda, cercando con gli occhi la brandina, posta poco
più in
là; si tolse in fretta gli stivali e si sdraiò
completamente
vestita, pregando che il sonno la cogliesse presto.
Era stanca di
rimuginare.
Era stanca e basta.
Sbatté
le palpebre
quando si rese conto di venir chiamata; girata la testa verso la
soglia vide la testa di Gandalf che la scrutava attentamente, anche
se le labbra erano stirate in un sorriso.
Non si
alzò,
facendogli un cenno con la mano per farlo entrare; non appena fece
pochi passi, però, Karin notò una figurina
più piccola che lo
seguiva: Bilbo fece capolino, torcendosi le dita nervose e
guardandola di sfuggita.
Lo
stomaco le si
contrasse, e bastò l'odore del vino per nausearla;
appoggiò il
bicchiere a terra, stringendosi istintivamente nelle coperte per
dimostrare tutto il suo malcontento.
<<
Salute,
Karin! >> esclamò gioviale Gandalf
<< Confesso che è
una sorpresa vederti qui >>.
<<
Perché
mai? Ti aspettavi forse che obbedissi a Thorin in tutto e per tutto?
>> domandò acida. Il tono non ebbe alcun
effetto sullo
stregone, anche se alzò le sopracciglia e scosse la testa.
<<
No,
effettivamente no. Deve aver commesso qualcosa di grave per averti
fatto prendere questa decisione >>.
Karin
si morse l'interno guancia << Non del tutto, ma non
potevo
rimanere a guardare senza far nulla. E' stata una mia scelta
>>
spiegò lapidaria; non le importò che capisse o
meno: tanto, era
certa sapesse già ogni fatto. Il come,
proprio non poteva saperlo.
<<
Non l'avrà
presa molto bene >> commentò per la prima
volta Bilbo, con un
fil di voce.
<<
Nemmeno io
sono felice della piega devi eventi >> rivelò,
passandosi una
mano tra i capelli << Ma ormai il danno è
fatto, non si può
tornare indietro. Ad ogni modo, sono stata accolta nell'ultimo posto
in cui avrei mai pensato di chiedere aiuto; la vita non finisce mai
di sorprenderti >> concluse ironica, appoggiando il mento
sulle
ginocchia.
<<
Proprio
così, mia cara ragazza! >>
ridacchiò Gandalf << Il tuo
arrivo non è stato casuale; ognuno di noi fa parte di un
piano più
grande, ed ha una missione personale: la tua non si è ancora
conclusa >>.
<<
Vorrei lo
fosse, invece >>.
Gandalf
annuì
comprensivo, assottigliando le labbra << Ogni cosa a suo
tempo,
Karin. Ora le difficoltà ti sembrano insormontabili, ma
ricorda: la
felicità è sempre presente, se uno pazienta il
momento adatto per
coglierla, ed è altrettanto abile a trattenerla a
sé >> batté
i palmi sulle ginocchia, alzandosi in piedi << E poi, non
sei
da sola ad affrontare tutto questo. Bene, se volete scusarmi, ci sono
un paio di questioni di cui devo trattare con Thranduil; ah, Bilbo,
immagino vorrai rimanere un po' con la tua amica! Ci vediamo
più
tardi, d'accordo? >>.
Fece
l'occhiolino,
sorridendo con aria malandrina: Bilbo pensò d'essere stato
incastrato alla perfezione; accidenti allo stregone e alle sue idee!
Temeva
il confronto
con lei, ne era terrorizzato: era certo che l'avrebbe accusato
ancora, non perdonandogli il sonnifero; si sentì mortificato
come
non mai. Aveva perso la sua buona rispettabilità di hobbit.
<<
Perdonami
>> bisbigliò, dandosi dello stupido: di certo
non l'aveva
sentito << Perdonami, Karin. Davvero, mi spiace!
>> si
scusò a voce più alta, guardandola di sottecchi.
Lei,
però, non gli
rispose. Serbava ancora troppo rancore per perdonarlo: le aveva
mentito, l'aveva raggirata con uno sporco mezzo per attuare i suoi
scopi.
Se non
l'aveva
ancora capito era bene che lo sapesse: Karin figlia di Kario era una
persona rancorosa, e non dimenticava facilmente i torti subiti.
<<
Karin >>
la chiamò disperato, allungando una mano per toccarle il
braccio; ma
lei mosse la testa di lato, facendogli intendere che non voleva la
toccasse.
Bilbo
si bloccò
con la mano a mezz'aria, ritraendola subito; rattristato,
espirò a
bocca aperta e si alzò, avviandosi verso l'uscita.
Prima
di varcare la
soglia, però, girò lievemente il capo di lato,
dandole comunque la
schiena << So che non avrei dovuto ingannarti con il
sonnifero,
ma l'ho fatto perché mi avresti impedito di venire qui
>>.
<<
Ci hai
traditi, passando dalla parte del nemico. Hai portato loro
l'Archepietra >> disse, arrabbiata.
<<
Ho scelto
la soluzione che mi pareva più giusta. Speravo... speravo in
un
cambiamento >>.
<<
Non è
cambiato nulla, la guerra ci sarà comunque >>.
<<
Bé, io ci
ho provato! Che male c'era a provare? >> chiese
esasperato,
agitando le braccia << Se non fosse arrivato Dain ci
avrebbero
solo assediati! Prima o poi Thorin avrebbe ceduto, accogliendo le
loro richieste: invece il suo caratteraccio ho decretato la nostra
morte >>.
Karin
si alzò, furibonda << Thorin ha agito
così perché era
arrabbiato! Non era nemmeno in sé, o avrebbe pensato
prima di agire! Il pensiero dell'Archepietra in mani nemiche... tu...
tu non l'hai visto dopo, lui... >> respirò a
fondo, ritrovando
l'autocontrollo e cercando di scacciare le immagini nella Sala
<<
Ma tu, Bilbo, hai
fatto precipitare le cose; te l'avevo chiesto, ricordi? Ti avevo
pregato, ma non mi hai
ascoltata. Thorin avrà avuto la sua dose di colpa, ma sei
stato tu
a consegnarla
a loro!
>>.
Sentì
le accuse
rimbombare tra loro, le sentì ferire lo hobbit; ebbe una
voglia
assurda di piangere, ma la ricacciò: lasciò
invece che il senso di
colpa la sopraffacesse, portandola a parlare subito dopo.
<<
Non ti
biasimo, però: avevi buone intenzioni >>.
Bilbo
alzò il
capo, guardandola stranito: aveva forse sentito bene?
<<
Solo che... è difficile da comprendere, ben che meno da
spiegare; ma
l'Archepietra doveva rimanere
nella Montagna: apparteneva al mio popolo, alla mia gente. A me
>>.
<<
Mi
dispiace >> esalò, colpevole: non riusciva a
dire altro.
<<
Ormai è
tardi per cambiare le vicende >> tornò a
sedere, appoggiando
il mento sul palmo della mano destra << non ci resta che
vedere
come procederanno, cercando anche di rimanere in vita >>
concluse cupamente.
Bilbo
le si
avvicinò, titubante, finché non le fu a pochi
centimetri di
distanza: vedendo che non lo cacciava, si sedette al suo fianco.
<<
Ce la
caveremo, vedrai >>.
Le
circondò le
spalle con un braccio: lei non reagì bruscamente, quindi si
permise
d'attirarla a sé facendole appoggiare la testa sulla spalla;
la
sentì sospirare profondamente e tremare e, di riflesso, la
strinse
di più. Doveva aver passato dei brutti momenti se era
così
distrutta e affranta.
La
curiosità lo
ghermì come quando, ormai molti mesi prima, desiderava
interessarsi
al suo passato, al legame che la legava a Thorin.
Sembravano
passati
lunghi anni da allora, il ricordo dello hobbit impaurito circondato
da estranei era quasi labile, sfuggente; però ricordava bene
l'arrivo di Karin, la sua faccia sospetta e ostile, i suoi movimenti
guardinghi: e quegli occhi - neri come la notte senza luna
né stelle
- duri e glaciali, celanti invece una insicurezza e un dolore enormi.
Tutto
in lei l'aveva attirato, essendo così diversa
da
ogni altra creatura femminile.
Non ne
era
innamorato, beninteso: la sua era pura e semplice curiosità,
unita
ad una forte empatia e senso di protezione; sapeva perfettamente che
sapeva cavarsela da sola, era una nana in gamba! Eppure non poteva
fare a meno di preoccuparsi per lei, specie vedendola in quelle
condizioni: l'amore sofferto che provava per Thorin era qualcosa di
meraviglioso e... straziante, a parer suo.
<<
Se vorrai
parlarne >> esordì, sfiorandole i capelli con
le labbra <<
io ascolterò >>.
Non
disse altro.
Karin
non attese
oltre, perché non glielo avrebbe ripetuto un'altra volta:
iniziò a
raccontare a bassa voce, mettendolo al corrente di ciò che
era
capitato dopo il suo esilio; non tralasciò nulla, nemmeno i
suoi
pensieri. Si confidò come non succedeva da molto e, quando
giunse
alla fatidica parte, cercò nell'abbraccio di Bilbo la forza
per
terminare.
Era
incredulo: lo
sentiva dalle braccia che a volte tremavano, dai baci fugaci che le
lasciava sul capo, dai lunghi sospiri che uscivano dalle labbra.
Infine
parlò << Non credevo arrivasse a tanto. Non
con te
>>.
Il tono
era
accusativo, duro; una parte di sé si infuriò con
il nano che aveva
sempre rispettato, vedendo in lui una persona onorevole e saggia:
ora, al contrario, non sapeva che pensare. Tuttavia non si aspettava
che Karin gli dicesse d'aver ragione, ma nemmeno che scuotesse la
testa.
<<
La malattia di Thror ora è in lui, la stessa che ripugnava,
che
sapevo odiava col
cuore. Tu non l'hai visto, Bilbo:
non hai scorto nei suoi occhi la disperazione e il pentimento! La
consapevolezza d'essere diventato come colui che gli era diventato un
estraneo, un pazzo... l'ha devastato; e il fatto che stesse per
colpirmi l'ha fatto sentire peggio >> si passò
una mano tra i
capelli, staccandosi da lui.
Bilbo
si domandò
se Thorin avrebbe reagito allo stesso modo se avessero scambiato i
ruoli: l'avrebbe perdonata così facilmente, dimostrando
ancora una
volta l'amore incondizionato per lei? Oppure avrebbe perseverato
nelle sue convinzioni lasciando che l'orgoglio e la rabbia lo
allontanassero da Karin?
<<
Non riesco
ad odiarlo. Non ce la faccio >>.
Non
aveva davanti
il Re sotto la Montagna, perciò non poteva saperlo;
annuì,
prendendole le mani tra le sue: strofinò i pollici sui
dorsi,
muovendoli piano su e giù.
<<
Lo so >>
le disse, cercando di consolarla; la vide sbattere le palpebre
più
volte, cercando di contrastare il pianto.
<<
Io lo amo
>>.
La voce
tradiva il
tremore, il bisogno di sfogarsi e liberarsi di quell'enorme peso che,
fino a poco prima, era stato così dolce.
Le
baciò le mani,
annuendo ancora << Lo so >>.
Karin
espirò e
guardò altrove, vergognandosi d'essere così
fragile e debole:
eppure, anche se si rimproverava internamente, gli occhi non si
asciugavano, il labbro non smetteva di tremare; si schiarì
la voce,
borbottando un “grazie” poco convinto.
Poi si
sciolse dalla presa e si alzò, incrociando le braccia al
petto <<
Vieni a fare un giro con me? Ho potuto ammirare
l'accampamento
solo ieri sera,
mi piacerebbe vederlo col sole alto nel cielo >>.
<<
Certo.
Come vuoi >>.
Soddisfatta
della
risposta si avviò, lasciando che la seguisse per poi
affiancarla una
volta fuori; l'atmosfera della serata si era spenta con la stessa
facilità con cui si soffiava sulla fiamma di una candela:
uomini e
elfi, ora, sembravano ricordarsi della guerra incombente, ed agivano
di conseguenza.
Armigeri
indaffarati, soldati che affilavano le lame e sistemavano gli scudi
tondi, che percorrevano a lunghi passi i corridoi tra una fila e
l'altra di tende, capi che si radunavano in gruppetti a discutere di
strategie; poche parole, sguardi tetri e cupi.
Il
fantasma della
paura era strisciato fin lì.
O,
almeno, finché
la sera non fosse scesa nuovamente: così come la birra e il
vino.
Nessuno
badò a loro, nessuno si fermò a parlare con quei
buffi personaggi,
così piccoli in mezzo
a tutta quella Gente Alta.
Karin
alzò lo
sguardo verso gli stendardi, guardandoli animarsi di vita grazie al
vento proveniente da ovest; ma venne distratta da una voce profonda,
ed un'alta sagoma si parò davanti a loro sbarrando il
passaggio.
<<
Salute
mastro hobbit! E salute anche a te, signora dei nani! >>.
Karin
lo squadrò,
riconoscendo Bard l'Arciere; lo guardò stringere tra le dita
i lembi
del lungo cappotto marrone bordato di pelliccia, mentre la bocca si
piegava in un sorriso. I capelli neri erano raccolti alla nuca, e
quelli liberi ondeggiavano pigramente seguendo la corrente d'aria;
osservò i suoi occhi scuri ed i tratti marcati, chiedendosi
come
potesse essere fratello di Eliese. D'altronde, però, anche
Balin e
Dwalin erano molto diversi anche se fratelli, così come
Bofur e
Bombur, Kili e Fili.
Le si
attorcigliò
lo stomaco, e distolse in fretta lo sguardo facendo un breve cenno
col capo a mo' di saluto. Fortunatamente Bilbo la tolse
dall'impiccio.
<<
Salute
anche a te, Bard. Mattinata fredda e grigia, non trovi? Anche il
tempo si prepara alla battaglia >> scosse la testa, come
a
voler dimenticare quel dettaglio << Ma permettimi di
presentarti come si deve la mia amica, Karin figlia di Kario
>>.
<<
Ci
incontriamo formalmente, dunque; è un vero piacere conoscere
chi è
stato accanto a mia sorella >> le tese una mano, che lei
strinse subito.
<<
Ne sono
stata felice >> replicò, piuttosto schiva
<< Voi
dov'eravate, se posso chiedere? >>.
<<
Lontano,
per conto del Governatore; ero insieme a mio figlio, se vuoi saperlo
>> disse, sorridendo sardonico.
<<
Siete
sposato? >>.
<<
Perché
questo tono sorpreso? >> Bard rise, ma
l'accontentò <<
Vedovo. Mio figlio Bain mi aiuta spesso, nonostante sia giovane,
però
gli ho proibito di seguirmi qui: una battaglia non è posto
per un
ragazzino, ma nemmeno per voi >> constatò,
alzando un
sopracciglio << Ho chiesto molte volte al signor Baggins
se
desiderava andarsene, ma ho ricevuto sempre risposte negative:
immagino che anche con te sarà lo stesso >>.
<<
Siamo
coinvolti anche noi; abbiamo fatto parte della Compagnia di Thorin e
abbiamo affrontato molti pericoli: che senso avrebbe scappare ora?
>>.
<<
Non
sarebbe fuggire, ma salvarsi la vita >>.
<<
Solo i
codardi lo farebbero, o i deboli >> alzò fiera
il mento,
facendogli intendere di non appartenere né all'una
né all'altra
categoria.
Bard
sembrò
cogliere, poiché alzò le mani in segno di resa
<< Pace, pace!
Prometto di non insistere oltre, né di legarvi e
imbavagliarvi per
portarvi via di qui a forza >> disse ironico.
Bilbo
ridacchiò,
trascinando anche Karin: con l'umore leggermente sollevato, ripresero
a conversare.
<<
Come sei
riuscito a sconfiggere Smaug? >> volle sapere, curiosa.
<<
Con il mio
grande arco di tasso, e la Freccia nera appartenuta a mio padre e ai
miei avi prima di lui; un tordo mi si posò sulla spalla,
sussurrandomi il punto esatto in cui colpirlo, proprio qui
>> e
con l'indice picchiettò il punto del petto, a sinistra
<< era
scoperto, il nostro buon hobbit qui può confermartelo
>>.
<<
Non
occorre, conosco già questo dettaglio >>
replicò lei,
sorridendo furbamente subito dopo << E il punto era poco
più
giù >> lo corresse, saccente.
<<
Chiedo
venia! Sembra che non riusciamo ad andar d'accordo! >>
esclamò,
fintamente offeso << Venite. Se non erro, stavate
perlustrando
la zona >>.
<<
Vuoi
controllarci? >> chiese Karin, riducendo gli occhi a
fessure <<
E' Thranduil che ti manda? >>.
Bard si
stupì non
poco, e la sua espressione lo confermò.
<<
Karin! >>
la chiamò Bilbo, stringendole un braccio <<
Cosa stai
insinuando? >> le sibilò vicino all'orecchio.
<<
Dunque? >>
disse alterata, ignorando l'amico << Pretendo una
risposta,
Uccisore di Drago >>.
<<
Spiacente deluderti, ma non sono qui per ordine
di nessuno >> ribatté glaciale, perdendo ogni
traccia
d'umorismo << Mi credi capace di un tale basso atto?
>>.
<<
Non so,
dimmelo tu. Ad esempio, nessuno crederebbe mai alle storie di un Elfo
torturatore, eppure ne ho incontrato uno >> fece un passo
avanti guardandolo negli occhi, senza paura << Quindi,
chi mi
assicura della tua buona condotta? >>.
Bard
sospirò,
lasciando penzolare le braccia – poco prima conserte
– lungo il
corpo << Temo che siamo partiti col piede sbagliato, mia
signora. Sappi che non vi nuocerò in alcun modo: hai la mia
parola,
per quanto essa possa valere. Spero solo che vorrai concedermi la tua
fiducia >>.
Era
sincero, Karin
lo capì subito; abbassò le difese e si
sentì colpevole, cercando
parole adatte per redimersi.
<<
Ti chiedo
perdono, Bard della stirpe di Girion. Non avrei dovuto accusarti in
quel modo; hai ragione, siamo partiti col piede sbagliato
>>.
Fu lei,
stavolta, a
tendergli la mano: e l'uomo la strinse subito, facendole un sorriso
riconoscente; Bilbo espirò sollevato, battendole una pacca
sulla
spalla.
Senza
altri intoppi
proseguirono il loro cammino, chiacchierando amichevoli.
Era
pomeriggio
inoltrato quando Legolas si presentò nella tenda di Karin,
scuro in
volto.
<<
Buona
giornata anche a te >> lo salutò ironica,
poggiando Iris sulla
branda; lui non rispose, fermandosi di botto e lasciando vagare gli
occhi chiari in ogni dove, come era solito fare quando era
preoccupato.
<<
Legolas,
tutto bene? >> gli si avvicinò, inquieta come
lo era lui: per
un attimo pensò al peggio, al fatto che Thorin avesse
commesso
qualche sciocchezza e si era gettato a capofitto contro lo
schieramento nemico, magari rimanendo ferito o peggio: e l'elfo non
aveva parole per dirglielo, turbato da quel ruolo di ambasciatore
che, di fatto, gli stava stretto.
<<
Mio padre
vuole vederti >> disse, spezzando il silenzio
<< Sta
giungendo una delegazione dei nani di Dain. Bard andrà a
parlare con
loro >>.
<<
E io cosa
c'entro in tutto questo? >> domandò perplessa.
<<
Lo
scoprirai se verrai con me; in fretta però. Mio padre non
ama
aspettare, e nemmeno i nani >>.
Karin
ricacciò in
gola la pessima risposta salitale alle labbra e, rapida,
afferrò
Iris e la ripose nel fodero legato alla cintola; poi seguì
l'elfo,
venendo investita dalle raffiche di vento gelido. Camminarono un
poco, finché la tenda del Re non si mostrò alla
loro vista; Karin
fu sorpresa di non scorgere neanche l'ombra di un nano e, accigliata,
si domandò che razza di trucco fosse quello:
perché portarla lì
dicendole una bugia? Spazientita, stava per aprire bocca quando
Thranduil la precedette.
<<
Come ti avrà già accennato Legolas, Dain
è giunto fin qui: il suo
esercito è comparso dietro lo sperone orientale della
Montagna, e si
affretta. Quando arriveranno vorranno... parlamentare,
suppongo. O,
almeno, questo è
ciò che farai >>.
Karin
si bloccò, smise perfino di respirare: aveva sentito bene? Lei?
A parlare con
i Nani dei Colli
Ferrosi?
Alzò
le
sopracciglia, guardandolo confusa; Thranduil si concesse di sorridere
nel vederla così spaesata: giunse le lunghe dita al mento,
gli occhi
chiari scintillanti.
<<
Sì Karin,
figlia di Kario: tu, lo hobbit e Bard andrete a parlare con la
delegazione; chi meglio di te conosce i nani, essendo della tua
stessa razza? È risaputo che non scorre buon sangue con noi
elfi,
perciò non possiamo accoglierli, altrimenti ci avrei pensato
io
stesso. Confido che farete comunque un buon lavoro o, altrimenti, ci
proverete >>.
Il
suono alto e
squillante delle trombe elfiche lo fermò, facendo sussultare
la
povera Karin.
<<
Sono qui
>> disse semplicemente Legolas, scostando il lembo di
tenda per
osservare fuori; Thranduil annuì, accavallando una gamba
sull'altra.
<<
Vai, Karin: non vorrai far attendere i nani >>.
Usò
quasi un tono
dispregiativo, e Karin si adombrò: ma durò solo
un attimo, poiché
i piedi si mossero veloci e, in un battito di ciglia, era
già fuori,
consapevole solo d'essere stata abilmente incastrata dall'elfo;
diamine, non aveva nemmeno cercato di replicare!
Bell'impiccio!
<<
Karin! >>
Bilbo stava correndo verso di lei, stralunato << Sono
arrivati
i nani, e dovremo parlare con loro! C'è anche Dain, ho
sentito! >>.
<<
Anche lui?
>>.
Bilbo
annuì,
notando il volto pallido di lei << Hai accettato senza
fiatare?
>> domandò incredulo, preferendo sorvolare
sull'agitazione
della giovane.
<<
Veramente
non ho nemmeno fiatato >> mormorò a disagio;
poi scrollò le
spalle, quasi a farsi coraggio, e le raddrizzò
<< Forza, non
indugiamo oltre. Se Dain è come Thorin, non ama attendere
>>.
Si
avviò,
riconoscendo la figura di Bard poco più lontana, intento a
parlare
con alcuni suoi uomini; quando li vide fece un cenno secco, gli occhi
seri e adombrati quanto i loro: il compito che dovevano assolvere era
arduo, non dovevano prenderlo con leggerezza.
Percorsero
l'accampamento finché le tende non si diradarono e,
lasciatele alle
spalle, rimase solo la piana davanti ai loro occhi: li videro
attraversare il fiume e arrancare nelle loro pesanti maglie d'acciaio
che arrivavano fino alle ginocchia; una volta che furono abbastanza
vicini, deposero le armi e alzarono le mani in segno di pace.
Solo
uno non compì
quei gesti, catalizzando inevitabilmente l'attenzione sulla sua
figura massiccia e battagliera: vestiva come gli altri, anche se la
fattura del suo usbergo e degli schinieri tradivano il suo rango;
portava la barba brizzolata divisa in due, acconciata riccamente con
gioielli e placche metalliche così come lo erano i folti
capelli
grigi.
Sotto
l'espressione
dura, i tratti marcati erano attraenti e nobili: per certi versi le
ricordava Thrain nel fiore degli anni, visto in un busto di pietra in
una delle sale di Erebor. Quello era certamente Dain, non vi erano
dubbi: e vecchie rimembranze di balli e feste si affacciarono nella
sua mente, riportandole il tanto affezionato peso sul cuore.
<<
Ci
affrettiamo a raggiungere i nostri consanguinei nella Montagna,
perché siamo stati informati che il regno del passato
è risorto.
Che ci fanno Uomini e Elfi che siedono nella pianura come nemici di
fronte a mura difese? >> li apostrofò Dain,
senza nemmeno
salutarli.
<<
Salute a
te! Immagino di parlare con Dain, signore dei Colli Ferrosi
>>
disse Bard, cercando di non badare al tono con cui il nano gli si era
rivolto.
<<
Dici bene
>> rispose quello << Sono io. Lasciateci
passare verso la
Montagna >>.
<<
Non finché
non riceveremo il pagamento che Thorin Scudodiquercia ci ha promesso
>> replicò l'uomo, incrociando le braccia al
petto.
Karin
vide
l'impazienza e la rabbia negli occhi del nano, e decise d'intervenire
<< Lasciate che vengano inviati messaggeri verso la
Porta,
prima di compiere qualsiasi gesto avventato >>.
Dain
staccò gli
occhi da Bard, portandoli su di lei: se era sorpreso, lo nascose
molto bene dietro l'impassibilità; in effetti, quando erano
arrivati
non le aveva nemmeno rivolto un'occhiata, non giudicandola degna
d'attenzione: invece avrebbe dovuto ricredersi.
La
squadrò dall'alto in basso con freddezza, alzando appena un
sopracciglio ancora nero << Chi sei tu? No, mi correggo: cosa
sei, tu?
Troppo bassa per
un'umana, alta per uno hobbit; non hai un accenno di barba, e sotto
quella chioma vi sono orecchie a punta. Insolito per una nana
>>.
Karin
sentì le
orecchie e le guance andare a fuoco, ma non abbassò lo
sguardo, né
lo spostò altrove << Scommetto che conosci la
risposta: che
senso ha domandare? >> replicò, punta sul vivo.
Dain
non si fece
impressionare, non per così poco << Ripeto:
chi sei tu, e
perché sei presso gli Elfi e gli Uomini? >>
<<
Eravamo
parte della Compagnia di Thorin Scudodiquercia, e parliamo in loro
vece >> capì d'aver commesso un grosso errore
nel momento in
cui terminò di parlare: Dain aggrottò talmente
tanto le
sopracciglia da formare quasi un'unica linea. Di collera.
<<
Ma davvero? Curioso che siano una femmina
e uno hobbit i loro
portavoce. Cosa chiede mio cugino, sentiamo! >>.
Attendeva
una sua risposta, lo sapeva: eppure, proprio non riusciva a trovare
le parole adatte; le si era seccata la gola, non aveva più
una
goccia di saliva. Deglutì a vuoto, stringendo i pugni: non
doveva farsi vedere debole,
non stavolta che avrebbe potuto cambiare in meglio il corso di quella
storia.
<<
Vi
chiediamo di raccogliere il vostro esercito e tornare ai Colli
Ferrosi. Questa non è la vostra guerra >>.
<<
Ho
risposto ad una chiamata accorata di un mio parente, e non saranno
certo le tue parole a farmi cambiare idea >> disse
bruscamente,
fulminandola con lo sguardo.
<<
Eppure, se
rammento bene, quando Thorin venne a visitarti dicesti che non
l'avresti aiutato, poiché questa impresa era nostra e solo
nostra >>
ricordò << Come mai questo cambiamento
improvviso? Non è
stato forse l'odore della gloria e del tesoro a condurti qui?
>>.
Dain
si adombrò, Karin lo vide dal lampo scuro che
passò sui suoi occhi
<< La guerra è guerra, femmina! Non far finta
di sapere come
funziona, non ti si addice. È stato l'odore della giustizia
a portarmi qui, e la voglia di punire l'affronto >> la
guardò
eloquente, facendole serrare le mascelle.
<<
Giustizia e vendetta non sono la medesima cosa >>
replicò a
fatica << Tu vuoi sangue, e
morte >>.
<<
Sei arguta >> le concesse << ma non
abbastanza da capire
in tempo qual era il tuo posto. Tanto per cominciare, una nana
non avrebbe
vestito i panni
della guerriera >>.
<<
E' questo
che ti turba? Il mio corpo? Pensiamo piuttosto a risolvere questa
faccenda trovando un accordo >>.
<<
Un nano
non si piega alle richieste di Elfi e Uomini, benché meno a
quelle
di una che rinnega la sua razza. Non discuto con chi si trova in
campo nemico >> sibilò astioso.
D'un
tratto, però, parve ricordarsi di qualcosa,
perché si aprì in un
sorriso cinico e spietato << Ora ricordo: il tuo viso non
poteva essermi del tutto estraneo, traditrice >>.
<<
Traditrice? >> chiese stupito Bard, aggrottando la fronte.
Dain lo
ignorò <<
Sei coraggiosa a presentarti al cospetto di uno dei Nani che hai
tradito. O molto stupida >>.
<<
Non è più
una traditrice! >> esclamò Bilbo prima che lei
potesse
replicare. Gli mise una mano sulla spalla per calmarlo, ammonendolo
con gli occhi: un passo falso e sarebbe saltato ogni loro piano.
Dovevano star calmi, per quanto potesse essere difficile.
Il
nano sorrise freddamente << Oh, io credo lo sia ancora,
visto
che è qui. Credete che accetti la patetica scusa dell'essere
una
portavoce? Thorin non ti avrebbe mai mandata: è sciocco in
quanto ti
ha preso con sé cadendo nella medesima trappola di molti
anni fa, ma
non così tanto. Finalmente ha compiuto una scelta giusta:
creature
infide sono le femmine,
con poteri magici in grado di stregarti; la stupidità del
mio
parente ne è stata la prova >>.
Karin
digrignò i denti e strinse i pugni, perdendo a poco a poco
il
controllo e mandando in malora ogni precedente proposito
<<
Come osi? Non ti permetto di parlare di lui in quel modo!
>>
scattò furiosa << In primo luogo non
mi
ha esiliata, poiché è stata una mia scelta; e
secondo, non puoi
giudicare se non sai le ragioni che mi hanno spinta a farlo
>>.
<<
So che
avete rubato l'Archepietra, e tanto basta >>.
<<
E' stato
fatto per salvare Thorin da se stesso >> intervenne
Bilbo, più
conciliante: doveva esserlo per Karin, e perché in gioco vi
erano le
loro vite.
<<
Che
sudditi fedeli! >> replicò tagliente il nano
<< Immagino
che il vostro re vi abbia ricompensati a dovere >>
sghignazzò
quando vide le loro guance imporporarsi << ciò
non toglie che
il vostro gesto sia stato insensato, tipico dei deboli e delle
femmine dal cuore tenero. Fortunatamente la stirpe di Durin non cade
sotto influssi malvagi, il vostro allontanamento ne è la
prova >>.
<<
Ma cade
sotto influssi d'avidità! >> disse veemente
Karin, sentendo
l'aria grave che li circondava, la speranza abbandonarla e la furia
montare << Hai scordato la malattia mentale che
colpì Re
Thror? Si è ripresentata a Thorin, facendogli perdere il
senno:
perciò è stato attuato il piano >>.
Bilbo
la guardò,
mentre un pensiero gli si formava nella testa: si stava forse...?
A
confermare i suoi
sospetti, Karin alzò la testa, fronteggiando Dain con
fierezza <<
Lo rifarei altre cento volte, se potessi tornare indietro: riporterei
l'Archepietra qui, piuttosto che vederla consumare il mio re
>>.
Ottenne
l'effetto sperato: Dain si gelò, trattenendo il fiato con
forza;
alcuni dei suoi iniziarono a innervosirsi, così come fece
Bard, che
non aveva più parlato dall'inizio: per quanto volesse,
sapeva che
non poteva intromettersi. Quello era un discorso tra nani.
Eppure
non capiva
perché lo hobbit non intervenisse, dicendo che lei era
innocente;
era stato lui a portare la gemma! In silenzio cercò di
trovare una
risposta, mentre il diverbio continuava.
<<
Che animo nobile il
tuo! >> disse Dain, sprezzante << Dimmi,
perché un
semplice suddito non obbedisce agli ordini ma agisce così?
>>
i suoi occhi gelidi cercarono i suoi, allacciandoli stretti
<<
Cos'era per te il tuo Re? >>.
Tutto. Per me era
tutto.
Karin
si sentì
svuotata d'ogni energia, la stanchezza la prese: voleva solo
smetterla con quell'inutile farsa; non sarebbe servito a nulla
continuare oltre.
Il
silenzio si
protrasse, permettendo a Bilbo di prendere la parola <<
Mi par
di capire che non riusciremo a trattare. Un vero peccato! Vieni
Karin, andiamocene >>.
Sconfortato,
la
prese per un braccio, ma la voce bassa di Dain sferzò l'aria
<<
Karin? Certo, era questo il nome della femmina che rubò il
cuore del
Principe di Erebor, colei che fu fautrice delle sorti della
città:
Karin figlia di Kario. Mi rammarica che mio cugino ti abbia perdonata
>> scosse la testa, come a voler confermare la
gravità del
gesto, e la sua contrarietà.
<<
Non sei
autorizzato a giudicare >> sibilò lei,
trovando nuovamente la
forza.
<<
Oh, io giudico, e giudico abbastanza; non lo condanno, chiunque
rimarrebbe affascinato dalla tua persona e dal tuo essere
così...
indomita >>
sorrise ironico, i suoi soldati ridacchiarono facendole ribollire il
sangue << Tuttavia, mi infastidisce il tuo giocare
all'eroina
con le vite degli altri: credi di poterti elevare al di sopra di
validi guerrieri esperti, persino al di sopra del tuo sovrano
>>
la frase che pronunciò in seguito ebbe il potere di
lasciarla
costernata e furente oltre ogni dire: la sferzò con la
stessa
ferocia con cui Smaug si era abbattuto sulla città di Dale
molto
tempo addietro << Essere la sua amante non ti rende
automaticamente la sua Regina, e mi dispiace tu l'abbia pensato
>>.
Karin
sentì il
sangue abbandonarla lento per poi tornarle con prepotenza; tremante,
scattò in avanti, venendo agguantata in tempo da Bilbo e
Bard.
<<
Ora BASTA,
taci! Non tollererò altre calunnie! >>
ruggì, livida.
Dain
parve
soddisfatto, poiché ridacchiò e si
attorcigliò un'estremità della
barba attorno al dito tozzo e inanellato << Sei solo una
piccola e impertinente selvaggia, esiliata e traditrice; getti fango
sulla tua nobile stirpe, e su tuo padre: si vergognerebbe molto di
te, se potesse vederti. E io ho ascoltato abbastanza stupidaggini per
oggi. Non cambierò idea né la farò
cambiare a Thorin, se volevate
chiedermelo >> fece un cenno ai suoi e quelli,
obbedienti,
raccolsero le loro piccozze e le spade corte e larghe; gli scudi
rotondi, al contrario, erano rimasti appesi alle loro schiene fin
dall'inizio.
Dain
portò una
mano sul manico di una delle due piccozze, guardandola sorridente
<<
Sarà un piacere rincontrarti in battaglia >>.
Karin
ricambiò,
lasciando che la mano sinistra si stringesse attorno al pomolo di
Iris << Altrettanto >>.
Quando si voltarono,
però, li fermò:
aveva bisogno di sapere. Ora o mai
più << Mio
padre... ti aveva promesso la mia mano, prima che Smaug arrivasse ad
Erebor? >>.
Attese col cuore in gola
una risposta,
il tempo parve rallentare, l'ansia crebbe.
Dain si girò,
sorridendole sprezzante
<< Grazie ai Valar no. Anche se non
mi sarebbe
dispiaciuto insegnarti l'obbedienza e la lealtà verso
il tuo
popolo e il tuo Re >> senza altre parole o
malignità si
incamminò, lasciandola arrabbiata ma confortata insieme:
dunque, non
vi era stata nessuna promessa di matrimonio!
Suo padre le aveva mentito
solo per
condurla dagli Elfi senza destare sospetti, nulla di più. Lo
stomaco
fece una capriola al ricordo dei tormenti e delle discussione avute
con Thorin in proposito, ma ricordò anche con bruciante
frustrazione
la prima notte che avevano trascorso insieme prima della partenza;
l'urgenza, il dovere, l'angoscia
di amarsi
disperatamente erano state più potenti dell'amore che
provavano per
l'altro. Ricordava ancora le lacrime versate subito dopo, ed il cuore
le si appesantiva allo stesso modo.
Ancora sconvolta e
arrabbiata, Karin
udì a stento il richiamo di Bard.
<<
Andiamo.
Dobbiamo mettere al corrente Thranduil >>.
Fu
l'ultima ad
accodarsi, poiché i suoi occhi seguirono i Nani dei Colli
finché
non sparirono dalla sua vista: solo allora si concesse un lungo
sospiro come dopo una lunga immersione, ed impose ai piedi di
muoversi.
<< Dunque
sarà dinanzi ad Erebor che si deciderà il nostro
destino >>
disse Thranduil, sorseggiando vino e studiandoli attento dal suo
scranno.
<<
Abbiamo
provato a farlo ragionare, ma abbiamo capito subito che era una causa
persa >> disse Bard, non nascondendo il fastidio per aver
fallito.
<<
Con loro è
difficile trovare un qualsiasi compromesso, specie se non vengono
accontentati; noi elfi non avremmo potuto fargli cambiare idea, in
ogni caso: anzi, con molta probabilità i miei emissari
sarebbero
tornati prima >>.
Karin
alzò gli
occhi da terra: doveva suonare quasi come un complimento?
Sospirò,
lasciando che le parole scambiate con Dain risuonassero ancora una
volta nella sua testa “mi infastidisce
il tuo giocare
all'eroina con le vite degli altri: credi di poterti elevare al di
sopra di validi guerrieri esperti, persino al di sopra del tuo
sovrano.
Essere la sua
amante non ti rende
automaticamente la sua Regina, e mi dispiace tu l'abbia
pensato”
Sentì
le unghie conficcarsi nel palmo, ma non se ne curò:
sentì persino
il sapore del sangue in bocca, ma non se ne curò. Solo alla
rabbia
cieca era permesso esistere, nient'altro aveva importanza. Si era
elevata al di sopra di tutti, durante il viaggio? Aveva forse giocato
con Thorin?
Non era mai
stata la sua amante, e
non avrebbe accettato di farsi chiamare in quel modo squallido
da un
guerrafondaio qual era
Dain.
Lo giuro sui
Valar, su Mahal in
persona: se lo incontrerò in battaglia, lo
ucciderò per ciò che ha
detto.
Certo,
se non ci
avesse pensato prima lui: era forte e potente, su questo non v'erano
dubbi; aveva notato i suoi avambracci muscolosi pieni di cicatrici,
simboli di battaglie combattute... e vinte.
Sapeva
che era
spietato e letale, ma tutti i guerrieri avevano punti deboli:
bisognava solo cercarli. Si augurò non fosse troppo veloce:
forse lì
poteva essere avvantaggiata.
<<
I
messaggeri inviati alla Porta sono stati attaccati da numerose frecce
>> li informò Bard << Thorin non
ci consegnerà nulla di
quello che avevamo pattuito >>.
<<
Lo
sospettavo >> disse il re << E' sempre
stato molto
ostinato >>.
<<
Nell'accampamento c'è eccitazione: gli uomini sanno che la
battaglia
è imminente >> disse Legolas, lasciando
intendere la sua
inquietudine << Inoltre, i Nani avanzano lungo la riva
orientale >>.
<<
Pazzi! >>
rise Bard << venire così sotto le pendici
della Montagna! Non
capiscono nulla di guerre all'aria aperta, poiché ci sono
molti
arcieri e soldati nascosti tra le rocce sul loro fianco destro. Le
loro armature saranno anche buone, ma tra poco saranno messe alla
prova: attacchiamoli da entrambi i lati adesso, prima che si siano
riposati! >>.
Il
silenzio pesò
sul gruppetto come un macigno, l'aria divenne pesante; Karin
rischiò
si sentirsi male, ma ricacciò la nausea quando Thranduil
parlò.
<<
Aspetterò
a lungo, prima di incominciare questa guerra per l'oro. I nani non
possono passare di qui, se noi non lo vogliamo o se succede qualcosa
che non possiamo prevedere. Spero ancora che qualcosa porti alla
riconciliazione >> ammise, lasciando vagare lo sguardo
lungo i
presenti << In ogni caso, la nostra
superiorità numerica sarà
sufficiente a sbaragliarli, se mai si giungerà allo scontro
>>.
<<
La
scacchiera è pronta, le pedine si muovono >>
disse Gandalf, in
tono solenne << Ora dovremo solo attendere una qualsiasi
mossa
>>.
<<
E
attenderemo. Ma non abbandonate la speranza >> li
redarguì
Thranduil, lasciandoli poco convinti.
Solo
Legolas ebbe
il coraggio d'esternare i sentimenti che aleggiavano nei loro cuori
<< Padre, non possiamo confidare nella speranza: ha
abbandonato
queste terre >>.
Karin e
Bilbo si
lanciarono un'occhiata, comprendendosi perfettamente: aveva ragione.
Non vi
era
speranza. Non per loro.
Ed essa
precipitò
quando udirono i corni suonare e le trombe squillare: impietriti, si
guardarono l'un l'altro, mentre un pensiero comune prendeva forma nei
loro cuori, nelle loro menti.
Karin
sentì il
cuore martellarle nel petto, i palmi sudarono, la schiena
gelò e
venne percorsa da brividi.
Era
arrivata,
dunque: la battaglia era cominciata.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonsalve a tutte ^.^!!!
Allora, che ne dite? Non so voi, ma io l'ho semplicemente ADORATO
*____*! Ho amato scrivere ogni singola parola, ogni battuta, ogni
dialogo! Sia il breve momento in cui vediamo Thorin, sia il dialogo
di Karin con Thranduil ma, soprattutto, quello con Dain:
perché si
introduce questo nuovo personaggio e si nota il suo carattere duro e
diverso dagli altri; cavoli, secondo me... spacca :P! Hahahahaahha,
euforia e ego alle stelle a parte, spero vi sia piaciuto, e mi
farebbe piacere leggere le vostre opinioni :))), sempre gradite anche
per maturare e migliorare al meglio!
Non so
che sia
successo nello scorso capitolo, però mi ero quasi convinta
di
ricevere un po' di recensioni: insomma, era un punto cruciale, la
spaccatura tra i due amanti finalmente riuniti!
So che ora ci sono
le vacanze a cui pensare – io per prima mi sento talmente
libera ed
ho in arretrato tanta di quella roba che spesso ho rimandato la
scrittura :/ – però... ecco, cercate un posticino
anche per me!
Non tanto per il numero di recensioni – già
ENORME, in quanto non
ho mai raggiunto un simile risultato – ma per capire come sto
procedendo e, soprattutto, se non vi sto annoiando troppo e non sto
“dilungando il brodo”: ma cercate di capire che
succedono tante
cose anche nel libro, ed io le ho “approfondite”
mettendoci di
mezzo la protagonista, quindi è venuta fuori una vera
long... ma
ormai siamo alla fine, manca la battaglia! Non mollate proprio ora,
resistete, figli di Gondor e di Rohan XD!
Bene,
dopo questa
filippica lunga quanto il cap, passo ai saluti XP
Ringrazio
le carissime e specialissime Krystal91,
Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack e LilyOok_. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Capitolo ventidue ***
Note
dell'autrice
Attenzione attenzione attenzione mie/i care/i! Questo capitolo
–
oltre ad essere stato un parto gemellare da scrivere perché,
ahimè,
l'ispirazione mancava – è un bel po' lungo, e
pieno di cose
inaspettate (almeno spero ^^!): avevo pensato di spezzarlo, ma
così... bé, non sarebbe stata la stessa cosa, ed
in più non mi
piaceva molto come idea.
In ogni caso, spero lo apprezziate :) : nonostante la fatica nel
produrlo, mi sento pienamente soddisfatta del risultato!
Ah, vorrei segnalarvi una bellissima e stupenda colonna sonora che
certamente conoscete (o almeno il film “Inception”:
chi non
l'avesse visto rimedi, perché merita!!!):
inoltre, si tratta
del mio compositore preferito, Hans Zimmer XD!
Cooomunque,
eccola qui: l'ho considerata adattissima per il capitolo
http://www.youtube.com/watch?v=Z0kGAz6HYM8
Ci
leggiamo giù, baci :*
Mio
caro Frodo, fu la
più grande Battaglia del nostro tempo.
Venne
chiamata “dei
Cinque Eserciti”, ed avvenne alle
pendici
della Montagna
Solitaria.
Uomini,
Elfi e Nani
unirono le forze per far fronte al nemico comune.
[…]
Morte e
distruzione erano su di noi.
“Andata e Ritorno.
Un racconto hobbit”
di
Bilbo Baggins
CAPITOLO VENTIDUE
L'attimo di
immobilità che aveva
percorso il gruppetto nella tenda di re Thranduil si sciolse con la
stessa rapidità della neve al sopraggiungere della primavera.
Bard scattò
fuori insieme a Gandalf, e
Legolas li avrebbe certamente seguiti se il padre non l'avesse
richiamato parlandogli in elfico.
Karin era confusa e
stordita,
consapevole solo di voler scappare fuori, a far cosa non lo sapeva
nemmeno: le dita strinsero convulsamente l'elsa di Iris, la gola si
seccò, gli occhi volarono all'apertura della tenda, dove
sapeva
esserci il movimento frenetico dei soldati.
Solo un fatto le rimbombava
in testa.
La battaglia è iniziata.
Nel
frattempo, il
giovane elfo stava aiutando il padre a indossare gli ultimi
componenti dell'armatura argentata: e mentre Thranduil si posava la
sottile corona argentata sul capo, dava istruzioni al figlio.
<<
Io scenderò in campo
aperto con i nostri soldati; tu guiderai arcieri elfici e
umani nelle retrovie. Bard, invece, si apposterà sugli
speroni e
prenderà il comando di un altro gruppo di arcieri
>>.
Si
fermò,
spostando gli occhi azzurri sulle figure di Karin e Bilbo, immobili
come gli Argonath sulle rive dell'Anduin.
<<
Affida i nostri ospiti
all'arciere umano: che siano al sicuro >>.
Legolas
annuì,
porgendo la spada scintillante al suo re e padre; si guardarono un
lungo istante, preoccupandosi per le sorti dell'altro.
<<
Buona fortuna, padre >>.
Thranduil
sorrise appena per rassicurarlo <<
Buona fortuna,
figlio mio >> gli strinse
una spalla, e così fece Legolas; poi il re uscì,
richiamando i suoi
uomini a gran voce.
Karin
lo ascoltò
finché la voce non si attutì, finché
il principe non parlò
spezzando il silenzio.
<<
Venite con
me, presto! >> ordinò.
Cercò
di mettere
un piede davanti l'altro, mentre il cervello formulava una domanda
pressante << Dove andiamo? >>.
<<
Da Bard >>
rispose semplicemente.
Fuori,
il caos era
completo: soldati correvano in ogni dove, le facce scure e
battagliere, le armi in pugno; grida si spargevano nell'aria, ordini
sbraitati li sferzavano.
Il
vento le
scompigliò i capelli, e dovette tenerli fermi con una mano
perché
non le offuscassero la vista; seguì il più
velocemente possibile
l'elfo, arrivò persino a correre per tenere il passo: spesso
voltava
la testa di lato, dove trovava sempre Bilbo, teso e pallido in volto
quanto lei. Cercarono di farsi coraggio con lo sguardo, ma non ci
riuscirono.
Attraversarono
quasi tutto l'accampamento in larghezza e, finalmente, si
inerpicarono lungo un sentiero stretto e sassoso che conduceva ad uno
spiazzo roccioso sopraelevato e largo da contenere un buon numero di
soldati; lì trovarono Bard con alcuni elfi e uomini,
già
posizionati con l'arco teso e le frecce incoccate.
Quando
li vide, si
accigliò un poco << Non credevo venissi ad
aiutarci, principe
>> commentò, in un tono quasi scherzoso. La
tensione era
palpabile persino in quel luogo, abbastanza protetto in caso di
contrattacco nemico.
Legolas
si concesse
un breve sorriso tirato, ma scomparve subito: per alcuni secondi,
Karin dubitò d'averlo intravisto davvero.
<<
Sono solo
venuto ad accompagnare loro >> spiegò, facendo
un cenno nella
loro direzione << So che qui saranno al sicuro
>> lo
sguardo d'intesa che gli lanciò fu piuttosto eloquente; Bard
annuì,
per poi informarlo su quanto avveniva nella pianura sottostante.
<<
Stanno
marciando lungo il fiume, tra non molto ci raggiungeranno; in ogni
caso, abbiamo ancora un po' di tempo. È stata una fortuna
aver
piazzato le sentinelle: sono state in grado di avvistarli in tempo
>>.
Legolas
convenne
con lui, ringraziandolo per l'aiuto e annunciando che purtroppo non
poteva trattenersi a lungo, dato che doveva ritornare alla sua
postazione; si salutarono, dopodiché diede loro le spalle e
s'incamminò.
Aveva
già quasi
percorso metà sentiero quando un grido di Karin lo
fermò; giratosi,
la vide correre verso di lui, pallida e tremante.
<<
Perché
sei qui, Karin? Dovresti tornare indietro >> la
rimproverò.
Lei si
morse il
labbro inferiore, come ogni qual volta era nervosa o non riusciva a
trovare parole adatte per esprimersi << Volevo solo
pregarti di
stare attento >>.
A
dispetto di
tutto, non poté impedirsi d'aprirsi in un sorriso sincero:
come non
poté impedirsi di rassicurarla.
<<
Lo sarò,
promesso. Anche tu dovrai stare molto attenta: lassù sarete
esposti
alle frecce >>.
<<
I nani non
sono buoni arcieri >> disse, incupendosi.
Legolas
sembrò
intuire i suoi pensieri: posò entrambe le mani sulle spalle
ormai
esili della ragazza, e s'inchinò << Karin, non
devi temere:
nessuno ti ordinerà d'imbracciare un arco e uccidere la tua
gente
>>.
Gli
occhi neri si
alzarono dal terreno spostandosi verso i suoi chiari; espirò
sollevata e riconoscente, anche se ancora titubante.
<<
Dici
davvero? Va bene >> aggiunse frettolosa, dopo averlo
visto
annuire.
L'elfo
sorrise
ancora, stavolta furbamente << Eppure, se ben ricordo,
dicesti
che avresti ucciso Dain con le tue stesse mani >>.
Rimase
interdetta
qualche secondo << Come... come lo sai? >>
chiese
sconcertata: era certa di non averlo visto nei paraggi durante la
discussione!
<<
Desolato,
ma non infrangerò un giuramento >> sorrise
ancora di fronte
alle sopracciglia scure aggrottate << penso che
potrò
rivelartelo ugualmente, una volta finita la battaglia >>
concesse, riuscendo finalmente nel suo intento, anche se lieve: sul
viso di Karin passò un'ombra di sorriso.
<<
Avrai un
altro giuramento da rispettare, quindi >> disse,
cambiando
umore repentinamente << Fa' attenzione Legolas, ti prego.
Voglio rivederti sano a salvo >>.
Non
aggiunse che la
sua presenza in quel luogo estraneo le era stata di immenso conforto,
né che non avrebbe sopportato la sua morte, se fosse giunta,
poiché
teneva molto a lui: dopotutto, non era stato per merito suo se era
uscita dalle grinfie spietate del suo carceriere? Non era stato
merito suo se, ora, poteva ancora fidarsi di quel popolo che l'aveva
privata delle sua dignità e vitalità?
L'amicizia
che la
legava a Legolas era profonda, sincera e riconoscente: e nessuna
battaglia, nemmeno lo scorrere del tempo, avrebbe potuto cambiarla.
Per
questo era così
angosciata, e temeva per la sua vita.
Se
avesse perduto
anche lui...
Lo
abbracciò di
slancio, mentre il familiare dolore al petto l'invadeva: lo
sentì
irrigidirsi, sorpreso da quel gesto che, di norma, mai gli avrebbe
concesso; eppure gli fece piacere, gli scaldò il cuore.
Ricambiò,
chiudendo brevemente gli occhi mentre affondava il viso nella chioma
scura: cercò di trasmetterle tutto l'affetto che provava,
volendo
farle intendere che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbero
rivisti presto.
<<
Abbi cura
di te >> le sussurrò, sciogliendosi dalla
presa. Era tempo
d'andare, ne era consapevole anche lei.
<<
Sì.
Altrettanto >> gli occhi erano umidi, ma non
versò neppure una
lacrima, con sollievo di entrambi. Sarebbe stato troppo doloroso,
forse.
Annuirono
insieme,
poi si separarono prendendo strade opposte; un pensiero comune si
fece spazio nelle loro menti, e sperarono che l'altro lo recepisse.
Vivi. Ti prego.
Il silenzio regnava da
lunghi minuti,
ormai.
I soldati erano posizionati
in lunghe
fila ordinate: davanti la fanteria con lance e spade, i grandi scudi
saldamente impugnati al braccio opposto, gli elmi calati sulla testa
e l'armatura grigia al petto; immediatamente dietro e ai lati gli
arcieri, con i loro archi lunghi di legno, le frecce pronte ad essere
incoccate.
Tra lo schieramento elfico
Karin
riconobbe Gandalf, in piedi accanto a Thranduil: erano immobili, lo
sguardo puntato verso la piana, in ascolto; anche lei lo fece, e non
ci volle molto perché iniziasse ad udire un pestare poderoso
di
piedi, una marcia decisa tipica di chi non teme nulla,
benché meno
la sorte che lo attendeva.
I passi sembrarono
rimbombare, crebbero
d'intensità riuscendo ad entrare in sintonia col suo cuore.
Tum
Tum
Tum tum tum
Tum
Tum
Tum tum tum
Un
lieve contatto
la fece sobbalzare: Bilbo le aveva stretto la mano, intrecciando le
dita con le sue; gli occhi grigi la guardarono, e sembrarono volerla
rassicurare.
Andrà
tutto bene. Ce la faremo,
vedrai!
Ne era
davvero
convinto? Oppure sapeva anche lui che era una menzogna? Dovevano
essere realisti: quante possibilità avevano, loro due?
Bilbo
non avrebbe
saputo affrontare avversari temerari ed esperti quali erano i nani:
era già stato molto fortunato se era riuscito ad abbattere
qualche
orco e mannaro. In quanto a lei... l'idea di scontrarsi con la sua
stessa razza la ripugnava, ma doveva ammettere che, se se ne fosse
presentata l'occasione, non avrebbe esitato ad uccidere. Si sarebbe
difesa, ed avrebbe difeso anche lo hobbit. << Che
silenzio >>
disse, giusto per dire qualcosa, o sarebbe impazzita nei suoi stessi
labirintici pensieri.
<<
E' il
respiro profondo prima del balzo >> replicò
cupo Bilbo,
stringendole di più la mano.
Deglutì
a vuoto,
la gola era in fiamme: la situazione le piaceva sempre meno, la
tensione era salita ai massimi livelli; i palmi le sudavano, mille
brividi gelati la percorrevano, la pelle d'oca lambiva la sua
epidermide.
Questa era
la paura, dunque. E la paura di morire
era sopra ogni altra cosa: perché, in quel caso, avrebbe
lasciato
molte questioni sospese. E, tanto per citarne una, non avrebbe
più
rivisto Thorin e non avrebbe più potuto parlargli,
né aiutarlo.
Scosse
la testa,
poiché era il momento meno opportuno per certe
considerazioni; col
cuore ormai in gola e lo stomaco annodato, vide comparire l'esercito
nemico: più di cinquecento nani – disposti
anch'essi in file
ordinate – marciavano con determinazione, le asce e le
piccozze
tenute tra le dita tozze.
Molti
pensieri si
susseguirono nella sua testa, rendendola ancora più nervosa:
dovevano attaccare per primi? Oppure sarebbero stati i nani ad avere
quello scomodo onore?
Era
talmente
impegnata ad osservarli che si accorse a malapena del braccio di
Thranduil, levatosi in alto per impartire un ordine; il movimento
venne seguito da quello degli arcieri elfici: presero una freccia e,
veloci come il vento, tesero l'arco e la posizionarono, pronti a
scoccarla.
Scioccata,
sentì
la bocca schiudersi: era il momento.
<<
Infine, è
iniziata >> commentò Bilbo, accanto al suo
orecchio. Eppure la
sua voce era lontana, come se provenisse da un sogno!
E,
proprio come in
un sogno – o meglio, un incubo – centinaia di
frecce si
innalzarono nel cielo, sibilando nell'aria; e, quasi al rallentatore,
scesero verso terra.
Karin
avrebbe
voluto urlare, terrorizzata. Ma si trattenne, specialmente quando
notò che nessuna freccia aveva colpito un solo nano, andando
a
conficcarsi nel suolo secco e desolato ad alcuni metri dai loro
piedi.
Sembrò
respirare
di nuovo: era stato solo un avvertimento, nulla di più.
Ma i
nani,
imperterriti e tutt'altro che intimiditi, continuarono la loro
avanzata schiacciandole con le scarpe ferrate; doveva aspettarselo,
dopotutto.
Troppo
cocciuti,
troppo vendicativi: e la consapevolezza che l'Archepietra era nelle
loro mani non faceva altro che alimentare l'odio nei loro confronti,
e la fermezza nel proseguire.
Guadagnarono
terreno, e Thranduil decise di ripetere il gesto; stavolta,
però, si
girò di lato, verso coloro che stavano sulle rocce.
<<
Incoccare!
>> esclamò Bard, eseguendo lo stesso
movimento; tese la corda
più che poté, portando le dita che reggevano
l'impennaggio sotto il
mento.
<<
Mirate ai
loro piedi >> disse, concentrato e pronto a scoccare.
Attesero
il segnale del re degli elfi, ed avvenne: abbassò il braccio.
<<
Lanciare!
>> urlò l'uomo.
Numerosi
fischi e
sibili segnalarono che l'ordine era stato eseguito; Karin
seguì con
gli occhi anche quel nugolo, vedendolo precipitare esattamente nei
punti stabiliti: ma, come prima, non servì a nulla.
Ora
erano a pochi
metri.
Improvvisamente,
Dain alzò una mano, facendo fermare i suoi soldati; sulla
pianura
scese un silenzio opprimente e denso, la tensione era palpabile e
poteva quasi tagliarsi col coltello. Nessuno osava emettere un solo
fiato, tutti trattenevano il respiro come un sol uomo.
Il re dei nani mosse
qualche passo in
avanti, e così fece Thranduil; Karin vide il primo parlare,
ma non
avrebbe saputo dire quale potesse essere l'argomento: erano troppo
lontani.
<< Che
staranno dicendo? >>
domandò, senza distogliere gli occhi dalle figure;
sentì
avvicinarsi qualcuno e, subito dopo, la voce di Bard rispose al
quesito.
<< Forse Dain
ha chiesto
nuovamente di passare per raggiungere la Montagna >>
disse,
serio.
Karin lo guardò,
notando le profonde
rughe di preoccupazione; tesa, strinse i pugni, sapendo che l'elfo
non avrebbe mai concesso nulla di simile.
Infatti, vide la chioma
bionda
dell'elfo muoversi con fermezza in un secco diniego e, subito dopo,
iniziò una tremenda discussione: non riuscì ad
udire nulla, ma notò
le espressioni irate di Dain e i gesti concitati di entrambi.
<< Nessuno
dei due cederà, vero?
>> domandò scioccamente, poiché
conosceva già la risposta.
<< Temo di
no, mia signora >>
disse sinceramente << Ma non devi temere: farò
in modo che
nessun nano possa salire quassù >>.
Dettaglio per nulla
confortante, e
presuntuoso. Bard non conosceva affatto i nani e la loro
caparbietà:
se avessero deciso di raggiungerli, bé... solo i Valar
avrebbero
potuto salvarli. E il dirupo ai loro piedi.
Una forte e gelida folata
di vento la
fece tremare e, a questa, se ne susseguirono altre: gli stendardi
garrirono, si mossero impetuosi; sentì freddo, un freddo
brutale che
penetrò attraverso i vestiti facendole comparire la pelle
d'oca
sulle braccia.
Alzò gli occhi
al cielo, sgranandoli
quando notò la grande nube nera che si stagliava per lunghe
miglia:
ed ecco, un rombo lontano coprì la piana, dal suono simile
alla
furia di Smaug. Le rizzò i peli delle braccia, la nuca le
formicolò.
Il secondo rombo succedette
il primo
dopo lunghi minuti ma, a breve, una manciata di secondi li avrebbe
intervallati; inspirò a fondo, cercando di non farsi
cogliere dal
panico: l'ultima cosa che voleva era strillare come una pazza e
cercare un riparo sicuro.
I temporali non le erano
mai piaciuti,
e nemmeno gli anni d'esilio l'avevano aiutata a superare il terrore
che, puntualmente, la pervadeva.
La tempesta invernale,
trasportata dal
vento fortissimo, rotolò rombando contro la Montagna in un
contrasto
spaventoso e magnifico col chiarore del cielo al lato opposto: i
primi fulmini bianchi squarciarono le nuvole e saettarono a terra;
Karin si morse con forza l'interno guancia, sapendo ciò che
sarebbe
successo di lì a poco: ma, per nessun motivo, si sarebbe
messa in
ridicolo.
Il tuono fu tremendo, fece
tremare la
terra ai suoi piedi. Fece tremare lei.
Ormai nessuno badava
più allo scontro;
tutti guardavano verso l'alto, poiché mai prima d'ora
avevano
assistito ad uno spettacolo di quella portata, così insolito
ma
meravigliosamente strabiliante da distoglierli da ogni riflessione:
il cielo era divenuto giallo.
Il colore solitamente caldo
ora atipico
era in netta contrapposizione alle nubi sovrastanti, così nere,
blu e grigie,
da spaventare anche il più coraggioso degli uomini.
La luce vivida che
illuminava la
Montagna, l'intensità degli scoppi, il crepitio che seguiva
come un
eco... nulla di tutto questo era normale.
A
Karin si strinse ancor più lo stomaco quando un pensiero le
attraversò la mente: mai in
vita sua si era trovata faccia a faccia con una tempesta come quella,
e ciò la sgomentava.
Il
vento non
smetteva di soffiare, ricordandole il ruggito disperato ma anche
battagliero di Thorin, ed il cuore venne sopraffatto dalla tristezza;
si morse il labbro all'ennesimo potente tuono, indietreggiò
istintivamente quando un nuovo lampo di luce la sorprese.
La mano
destra si
mosse da sola, cercando conforto e sostegno: quando toccò la
mano di
Bilbo sembrò calmarsi, la sua stretta la
tranquillizzò.
Ma un
altro fatto
ruppe quel breve sollievo.
<<
Un'altra nuvola? >> domandò perplesso lo
hobbit, scrutando il
cielo senza paura, coraggioso come solo un vero Tuc poteva essere.
Anzi, come ormai era
Bilbo Baggins.
La
indicò con la
mano libera e lei la seguì, notandola: da nord, una macchia
scura
avanzava turbinando frettolosa, proprio al di sotto delle nubi
temporalesche.
Aggrottò
la
fronte, non riuscendo a capire di che poteva trattarsi <<
Non
lo so! >> ammise strozzata, chiudendo gli occhi di scatto
davanti al lampo che l'accecò.
Strinse
così forte
la mano di Bilbo da sentirlo gemere.
<<
Mi spiace
>> esalò, pallida e spaventata: l'unica cosa
che le importava
era vedere quel temporale passare oltre.
Dimenticò
del
tutto la nube, ma Bard – che aveva ascoltato - non lo fece:
mosse
qualche passo avanti, finendo quasi sul limitare del baratro,
concentrato ad identificarla; quel che disse ebbe il potere di
paralizzarla ancora di più.
<<
Non è una
nuvola, si muove troppo velocemente. E controvento >>
strizzò
gli occhi scuri ma poi il volto mutò espressione
<< ATTENTI!
>> gridò, le mani a coppa sulla bocca, rivolto
agli uomini e
agli elfi sulla piana << PIPISTRELLI! PIPISTRELLI!
>>.
In
effetti, ora
anch'ella poteva distinguerli chiaramente: grossi chirotteri volavano
verso di loro, in un assembramento così denso e fitto che
nessuna
luce poteva filtrare tra le loro ali.
<<
FERMI! >>
gridò con voce tonante Gandalf, facendosi udire da tutti
<<
Fermi! >> alzò le braccia e si pose tra i due
schieramenti, il
bastone levato e fiammeggiante << Il terrore è
calato su tutti
voi! Gli orchi sono qui! Che Dain venga subito da noi, c'è
ancora
tempo per un consiglio! >>.
Caddero
in preda
allo stupore e alla confusione; mentre Gandalf parlava il buio
cresceva, i lampi illuminavano il paesaggio a giorno.
Molte
voci
gridarono nelle schiere degli elfi, e anche dai nani si levarono
numerosi borbottii.
Dain
abbassò il
capo, in volto un'espressione feroce e combattiva: ripose le piccozze
e si tolse l'elmo, annuendo seccamente all'indirizzo dello stregone.
Karin
udì Bard
sospirare di sollievo, ed anche lei espirò, contenta della
scelta
del nano: ora più che mai dovevano cercare d'appianare le
divergenze, per il bene comune.
Gandalf,
Dain,
Thranduil e Legolas superarono le file dei soldati elfici
inoltrandosi velocemente nell'accampamento, verso la tenda del re.
<<
Deollyn,
affido a te il comando finché non torno >>.
Bard si
era
avvicinato ad un uomo possente, il suo attendente più
stretto; poi,
scuro in volto, si era girato verso di lei.
Karin
si mosse
rapida, sentendo lo scalpiccio dei piedi pelosi di Bilbo subito
dietro.
Ridiscesero
il
sentiero e, correndo, raggiunsero la tenda: poco prima d'entrare,
però, la voce di Legolas la fermò.
<<
Karin! Ti
stavo cercando, vieni con me! >> parlò in
fretta, afferrandola
per un braccio e trascinandola quasi di peso verso la sua piccola
tenda. Una volta giunti, la condusse verso la branda, sopra la quale
stava una cotta di mithril della sua misura.
<<
Ma... >>
iniziò a dire, venendo interrotta.
<<
Non c'è
tempo per le spiegazioni. Indossala in fretta, e poi raggiungici!
>>.
Schizzò
via,
veloce come il vento, lasciandola sola; senza indugiare oltre si
tolse in fretta e furia il mantello, la casacca e poi la camicia,
infilandosi la cotta argentata sopra la biancheria intima: le cadde
alla perfezione, e si chiese quando gliel'aveva commissionata.
Perché
di una cosa era certa: nessun elfo avrebbe potuto indossarla, essendo
troppo piccola.
Si
rivestì, le
dita cercarono disperatamente d'allacciare il nodo del mantello:
tremavano, e non volevano collaborare in nessun modo.
Era
sudata benché
patisse freddo, sentiva la testa girarle e la nausea le era risalita
in gola.
Una
battaglia.
Una
battaglia contro gli Orchi, creature
crudeli e spietate, senza alcuna morale né coscienza; certo,
si era
già scontrata con loro, ma... non contro un numero
così elevato!
Aveva paura, temeva quello che avrebbe passato tra non molto.
Sfiorò
l'elsa di
Iris, tranquillizzandosi visibilmente; fu una sensazione strana ma
appagante: sapeva che finché fosse rimasta con la spada in
pugno
sarebbe sopravvissuta. Ce l'avrebbe fatta.
Doveva
solo
mantenersi calma.
Ecco,
era pronta,
ma c'era un'ultima cosa che doveva fare: allungò una mano,
prendendo
il fiore d'iris e, cautamente, lo nascose sotto la casacca in una
tasca interna. Sperò con il cuore di non perderlo, ma non
poteva
rischiare di lasciarlo lì: se gli orchi li avessero
sconfitti,
avrebbero bruciato l'accampamento. Afferrò anche l'arco di
legno
procuratole da Bard, oltre alla faretra piena di frecce
dall'impennaggio rosso e, tenendole strette, corse fuori come
stabilito.
Non si
guardò
indietro, non ne ebbe il coraggio.
<<
Agoz sta
arrivando dal Nord, cavalcando il suo Mannaro e in testa al suo
esercito, pronto a dar battaglia. Inoltre si sono aggiunti i Goblin
delle Montagne Nebbiose >> li informò
cupamente Gandalf,
camminando nervoso con le mani dietro la schiena.
<<
I Goblin?
>> domandò Karin, incerta <<
Perché? Per vendetta? >>.
<<
Precisamente. Credo non abbiano apprezzato la morte del loro Re
>>.
<<
Come noi
non abbiamo apprezzato l'essere catturati, torturati e quasi uccisi!
>> ribatté lei rabbiosamente, al ricordo
dell'avventura con
quei mostri malaticci.
<<
In ogni
caso, abbiamo bisogno di un piano d'attacco >> proruppe
Dain,
serrando ancor più le braccia al petto, segno d'immenso
fastidio per
essere lì << o dobbiamo attenderli pensando
solo a discutere
di cose futili? >>.
Le
lanciò
un'occhiata severa e gelida, mostrandosi più che soddisfatto
quando
la vide abbassare gli occhi neri e contrarre i pugni: finalmente
taceva.
<<
Hai
ragione, Re dei Nani. Bisogna fermarli, questo è certo!
>>
concordò Bard, grattandosi pensieroso il mento.
<<
Potremmo
attirarli nella valle tra i contrafforti della Montagna; alcuni di
noi potrebbero occupare i grandi speroni che si sporgono a sud e a
est, a nostro rischio e pericolo >> propose Gandalf,
fermandosi
per guardarli negli occhi.
<<
La nostra
salvezza diverrebbe la nostra tomba! >>
esclamò Dain, irato <<
Se attaccassero contemporaneamente da dietro e da sopra, per noi
sarebbe la rovina! >>.
<<
Non può
esserci un numero così elevato di orchi >>
disse Karin,
cercando di mostrarsi convincente.
Ma
ciò che ottenne
fu che il nano proruppe in una risata di scherno <<
Faresti
meglio a tornare a vagare per i boschi, esiliata. La guerra non ti si
addice >>.
<<
Come a voi
non si addice la gentilezza! >> scattò
Legolas, facendo un
passo in avanti verso il nano; gli occhi azzurri fiammeggiavano
furibondi, e non si placarono nemmeno quando le mani piccole ma ferme
di Karin si aggrapparono alla sua manica, nel tentativo di placarlo.
L'ennesimo tuono spense qualsiasi risposta da parte di Karin;
inoltre, Thranduil alzò un dito per porre fine ad ogni
questione.
<<
Sagge sono
le parole di Mithrandir, e i suoi consigli si sono rilevati sempre
giusti e utili; perciò faremo come dice. Gli elfi si
posizioneranno
sui pendii più bassi dello sperone meridionale e tra le
rocce ai
suoi piedi; lo sperone orientale lo occuperete voi nani e uomini,
così da poterli fermare in uno scontro frontale
>>.
Dain si
prese
qualche lungo istante per ponderare gli elementi a favore o meno del
piano << Non c'è altra soluzione?
>>.
<<
No >>
rispose Thranduil, greve << Il tempo stringe, presto
incomberanno su di noi. E non possiamo chiedere altro aiuto
>>.
<<
Capisco >>
convenne il nano, attorcigliandosi distrattamente la barba grigia con
l'indice tozzo << Certezza di morte. Scarse
probabilità di
successo >> decretò, serio in volto e
consapevole di esternare
le preoccupazioni di tutti; ma poi, improvvisamente, alzò
fiero il
capo sorridendo spietato << Che cosa aspettiamo?
>>.
La
frase sciolse la
tensione del gruppo e, bene o male, risposero al sorriso nonostante
la tensione crescente: almeno erano in accordo sulla strategia da
utilizzare.
Il
resto era nelle
mani del Fato.
<<
Bene! Non
attardiamoci oltre >> esclamò Gandalf,
sguainando Glamdring.
Uscirono
tutti in
gran fretta, radunando velocemente i soldati per portarli nei punti
stabiliti; stavolta, Karin e Bilbo vennero affidati a Legolas, che
avrebbe guidato gli elfi.
Presto
il temporale
passò, rombando, verso sud-est; ma la nube di pipistrelli,
volando
più bassa, giunse sopra lo schienale della Montagna e
volteggiò su
di loro togliendo la vista della luce e riempiendoli di terrore.
Bard e
parecchi fra
gli uomini e gli elfi più agili si arrampicarono in alto sul
dorso
orientale per riuscire a vedere che cosa succedeva a nord.
Di
nuovo, il
silenzio regnò sovrano, finché essi non scorsero
le terre ai piedi
della Montagna nere per la moltitudine che si affrettava.
Bard si
girò,
scagliando una freccia per segnalare il loro arrivo imminente:
infatti, non ci volle molto perché l'avanguardia dei nemici
aggirasse l'estremità dello sperone ed entrasse
precipitosamente a
Dale. Gli orchi che cavalcavano i lupi erano i più veloci, e
l'aria
si impregnò delle loro grida e degli ululati.
Karin
si sentì
male, cercò sostegno nell'elsa fredda della spada. Era
giunta l'ora
di dimostrare il suo valore, di dimostrare che era la degna
proprietaria della spada dei suoi Padri!
Legolas,
nel frattempo, parlava in elfico ai suoi compagni, probabilmente per
dar loro coraggio << Non abbiate
per loro alcuna
pietà, perché voi non ne riceverete!
>> gridò.
Poi si
fermò tra
lei e Bilbo, posando le mani sulle loro spalle <<
Avrò bisogno
anche della tua mira, Karin >>.
<<
E l'avrai
>> gli assicurò, scegliendo già una
freccia dalla faretra.
Schiuse
le labbra
quando vide un manipolo di uomini coraggiosi schierati davanti, con
lo scopo di contrastarli; li vide combattere fino allo stremo,
soccombendo alla furia e alla spietatezza delle bestie: le fauci
schioccarono, le lame si abbatterono e si rialzarono vittoriose,
chiazzate di sangue rosso cupo. Grida disumane lacerarono l'aria,
facendole accapponare la pelle e serrare gli occhi di fronte a quello
spettacolo: molti uomini caddero prima che il resto si ritirasse
aprendosi su entrambi i lati.
Come
Gandalf aveva
sperato, il grosso dell'esercito degli orchi si era ammassato dietro
l'avanguardia mentre a questa veniva contrastato il passo, e ora si
riversarono furiosi dentro la valle spingendosi selvaggiamente in
mezzo ai due contrafforti della Montagna in cerca del nemico,
avanzando come una marea furibonda e disordinata, emettendo versi
striduli e agghiaccianti.
La
battaglia ebbe
inizio non appena le prime file di orchi si scontrarono in un feroce
corpo a corpo con gli elfi.
Con un
calma
glaciale, come se non appartenesse a lei ma a qualcuno che avesse
preso il suo posto, si voltò verso lo hobbit
<< Metti l'Anello
>> ordinò perentoria.
Lui si
stupì del
tono con cui gli si rivolse, e provò a ribattere
<< Posso
combattere! >> esclamò, non credendoci davvero.
Anche
Karin si
dimostrò piuttosto scettica, poiché
indurì maggiormente i tratti
<< Non è il momento per fare l'eroe. Infilalo
e basta! >>
sbottò, guardando la lama azzurrina di Pungolo
<< Potrai
attaccare anche se sarai invisibile, ma non ti salverai dalle frecce
o dalle lame; ti voglio al sicuro e, se dovesse accadere qualcosa di
grave, il più lontano da qui >>.
<<
Karin...
>>.
<<
Hai la
possibilità di salvarti, Bilbo: sfruttala >>
disse seria; di
scatto, però, l'abbracciò, lasciandolo interdetto
<< Almeno
tu, salvati >> sussurrò.
Ora la
voce tremava
terrorizzata, il corpo era scosso da tremiti; la sentì
inspirare
violentemente, come se si preparasse per una lunga apnea. Poi
tornò
lucida e fredda come prima, ben diversa dalla Karin a cui era
abituato: si sentì spaesato, capendo di non conoscere
affatto quella
ragazza dalle mille sfaccettature, dai mille volti.
Non
volle pensarci
troppo, attribuendo la trasformazione alla paura dello scontro,
né
la contestò: una volta invisibile, la vide annuire
compiaciuta.
Lance e spade
brillavano nella penombra con un gelido bagliore di fiamma, tanto
mortale era l'ira delle mani che le reggevano.
Appena
le schiere
nemiche si infittirono nella valle gli elfi – e Karin con
loro -
scagliarono una pioggia di frecce, e ciascuna guizzò volando
come un
fuoco pungente. Dietro, un migliaio dei loro arcieri
strisciò giù e
caricò.
Le urla
erano
assordanti. Le rocce erano macchiate di nero dal sangue degli orchi.
Proprio
mentre la
carica degli elfi si arrestava e i mostri si riprendevano
dall'assalto furioso, attraverso la valle si levò un ruggito
roco.
<<
Moria! >>.
<<
Dain,
Dain! >>.
I nani
dei Colli
Ferrosi si lanciarono all'attacco sull'altro lato, brandendo le
piccozze; dietro di essi venivano gli Uomini del Lago dalle lunghe
spade.
Il
panico si impadronì degli orchi, Karin lo vide dalle teste
deformi
che si spostavano continuamente in ogni dove, atterrite: e godette.
Una parte di lei bramò di poter scendere sulla piana e
mettere a
tacere la fame di sangue che
l'aveva assalita; ma, d'altra parte, era terribilmente irrequieta:
nella confusione e nella massa di corpi non riusciva a riconoscere
l'orco pallido. E, se Azog era nascosto, significava che dovevano
stare molto attenti e non dovevano abbassare le difese. Per nessuna
ragione.
Il
numero dei
combattenti aumentò a dismisura, corpi si ammassarono, si
scontrarono, caddero senza più rialzarsi.
Molti
nemici
fuggirono giù per il fiume per evitare la trappola; e molti
lupi si
rivoltarono contro i padroni, sbranandoli e squarciando morti e
feriti, sbavando feroci e ululando al cielo.
Pareva
che la
vittoria fosse a portata di mano – Karin per prima l'aveva
sperato,
mentre scoccava la penultima freccia – quando un grido
risuonò
sulle alture sovrastanti facendole gelare il sangue nelle vene.
Una
parte degli
orchi aveva scalato la Montagna dall'altro lato e molti erano sui
pendii sopra la Porta, e altri ancora scendevano a fiotti senza
badare a quelli che cadevano gridando da rupi e precipizi, per
attaccare gli speroni da sopra. Ognuno di questi poteva essere
raggiunto dai sentieri che correvano dal massiccio centrale della
Montagna; e i difensori avevano troppi pochi soldati per poter
sbarrare loro la via.
Anche
nel punto
dov'erano appostati dovettero fare i conti con alcuni orchi; col
cuore in gola, Karin si legò l'arco alla schiena e, con un
unico
movimento, estrasse Iris: veloce, l'abbatté sul primo mostro
urlante
spaccandogli il cranio sulla sommità. Il secondo orco non fu
altrettanto impreparato, poiché parò un suo
fendente e iniziò ad
attaccare costringendola a indietreggiare di alcuni passi: e il
precipizio era sempre più vicino.
Improvvisamente,
però, l'orco si accasciò uggiolando, il sangue
nero sgorgò dal
petto; confusa, lo vide morire ai suoi piedi, ma nessun alleato le si
mostrò.
<<
Ah! Questa
è la maniera di ringraziarmi? >>.
Bilbo.
Karin
sorrise,
notando il prossimo avversario: prima di correre definitivamente da
lui, si rivolse all'amico << Grazie! Ora però
rimani nascosto,
ti prego! >>.
<<
Assolutamente no! Ti guarderò le spalle: e non provare ad
obiettare!
>>.
Dovette
scuotere la
testa, decidendo di rispondergli più tardi: ora non era
proprio il
momento più adatto.
Passò
molto tempo
– o così le parve - prima che riuscisse a
prendersi un momento per
guardare con relativa calma la battaglia che infuriava sotto di lei;
capì che non vi era molta speranza di vittoria. Avevano solo
arginato il primo assalto furioso del mare nero.
Di
nuovo, la
domanda che più la tormentava si mostrò, e
l'irrequietezza la
ghermì.
Dov'era Azog?
Thorin
era
l'emblema della suscettibilità: rispondeva a grugniti o
monosillabi
e, anche se decideva di rimanere con gli altri, preferiva starsene in
disparte a rimuginare, odiandosi.
Dopo
aver scoperto
la fuga di Karin era impazzito del tutto; si era messo a correre
disperatamente, raggiungendo la terrazza di pietra: ma l'aveva
trovata bloccata da grossi detriti, caduti a causa di Smaug.
Una
rabbia cieca
l'aveva pervaso: ruggendo furibondo il suo nome, aveva battuto
innumerevoli volte i pugni sulla pietra, sentendo la pelle lacerarsi
e sanguinare; aveva digrignato i denti quando si era reso conto di
non avere più voce, ma non aveva prestato attenzione al
dolore nelle
mani, o al sangue fresco che gocciolava sulla collana, stretta in una
morsa ferrea. Non riusciva a separarsene, benché meno a
riporla in
tasca: non ancora.
Era
rimasto lì a
lungo, o forse gli era parso così; infine era tornato in
sé, anche
se gli occhi azzurri non riuscivano a distogliersi dalle macchie
rosse sulla pietra grigia.
Come
aveva potuto ridursi in quello stato? Perché non deteneva
più il
controllo di ogni cosa? Lui era Re, ed era sempre stato giusto
e fermo nelle
decisioni che lo
riguardavano, o che concernevano il suo popolo.
Non
aveva mai sbagliato,
da quando aveva preso sulle proprie spalle il fardello della
sovranità. Invece, ora... tutto gli si era frantumato tra le
mani, e
non aveva potuto impedirlo.
Anzi,
era riuscito
solamente a peggiorare la situazione.
La
colpa era unicamente sua, e non riusciva ad odiare Karin per averlo
abbandonato come, d'altra parte, si era imposto.
L'aveva
ferita, e
le aveva fatto del male seppur implicitamente. Di nuovo, il ricordo
della Stanza del Tesoro si riaffacciò, rendendolo irritabile.
Fu
così che lo trovò Dwalin: con i pugni serrati e
la mascella
contratta, lo sguardo implacabile e duro rivolto alle macerie; Thorin
sapeva che l'aveva
aiutata a fuggire: non ne era certo, ma ne era conoscenza. E non
sapeva se prenderlo come un fatto positivo o meno.
I suoi
sospetti
trovarono conferma poco dopo, non appena si accorse del suo arrivo.
<<
Dunque le
hai proposto la fuga >> disse, con voce incolore.
Dwalin
strinse le
labbra, mentre la collera tornava << Sì,
è così. Perché,
secondo te ho sbagliato a dirle d'andar via? >>.
Thorin
si chiuse in
un silenzio innaturale, che non gli apparteneva se era in collera,
come dimostrava il suo corpo: però, interiormente, l'amico
era certo
del suo profondo tormento.
<<
No, è
stata una buona decisione >> disse piano, dopo lungo
tempo <<
Non poteva più rimanere qui >>.
<<
Infatti >>
replicò, ben più duramente di quanto avesse
voluto; sapeva che
l'ultima cosa di cui avesse bisogno Thorin fosse l'astio del migliore
amico, ma proprio non riusciva a calmarsi!
Continuava
a
rivedere il volto pallido di Karin, le sue lacrime sofferte, lo
specchio del cuore spezzato nelle iridi nere e la consapevolezza di
quanto quella decisione fosse drastica: ma necessaria.
<<
Non devo rendere conto a te
di ciò che faccio >> disse Thorin, punto sul
vivo.
A
dispetto della
frase detta, il guerriero fu felice di sentirlo parlare con quel
tono: significava che il Re sotto la Montagna era ancora lì,
sepolto
da qualche parte e non annientato definitivamente come credeva.
Doveva solo cercare di farglielo comprendere.
<<
E a Karin?
>>.
Il nano
contrasse
nuovamente la mascella, abbassando lo sguardo sulla collana
insanguinata: solo allora Dwalin la vide, ed ebbe un tuffo al cuore;
ma lo dissimulò bene sbuffando piano.
Venendo
udito dal
re << Perché sei venuto? Spero sia qualcosa
d'importante >>
esclamò, facendogli intendere che, altrimenti, avrebbe
potuto girare
i tacchi e lasciarlo solo.
“Certo
che lo è. Riguarda il tuo
bene, Thorin. Il vostro”.
Ma non
riuscì a
dirglielo << C'è movimento, nella piana.
È iniziata la
battaglia >> spicciolò, osservando le sue
reazioni.
Come
previsto, lo
vide irrigidirsi e assottigliare lo sguardo << Da quanto?
>>.
<<
Un paio
d'ore, ormai >>.
Stavolta
fu il suo turno di sbuffare furioso << E come mai non ne
sono
stato informato prima? Là fuori c'è...
>> si bloccò,
respirando pesantemente per calmarsi; le chiazze rossastre sul volto
si smorzarono, segno che era lucido << Dain potrebbe aver
bisogno d'aiuto >> concluse a denti stretti. Dwalin
alzò gli
occhi al cielo, senza farsi vedere: quando sarebbe riuscito ad
ammettere a voce alta che aveva bisogno di
lei per essere felice?
Un mero sogno,
vecchio mio. È
troppo orgoglioso.
Anche
Thorin non
riuscì ad esternare i suoi sentimenti; in questo erano
veramente
simili, loro due: in fondo erano guerrieri, troppo duri e autoritari
per abbassarsi a simili confessioni.
<<
Dunque?
Parlami, Dwalin: e vedi di non tralasciare alcun dettaglio
>>
ordinò, senza alcuna gentilezza.
Dopo
aver incassato
l'ennesima occhiata di fuoco che gli rivolse lo affiancò
percorrendo
a grandi e veloci passi i corridoi di pietra, parlando di quanto
avevano potuto scorgere dalle strette aperture che avevano lasciato
sulla Porta finché non raggiunsero la Sala del Trono,
dov'erano
riuniti gli altri: al loro arrivo scese un silenzio denso e pesante,
poiché non avevano ancora accettato la partenza furtiva
della nana
e, anche se non l'ammettevano apertamente, attribuivano la colpa di
ciò al loro sovrano; persino Kili e Fili erano risentiti, ma
non
avevano il coraggio di affrontare l'argomento: o meglio, non avevano
il coraggio di discutere con un irrequieto e rabbioso Thorin.
E poi,
sapevano bene quanto stesse soffrendo, anche se non voleva sfogarsi
con nessuno, benché meno con loro; anche in quel momento
potevano
leggere il dolore sul suo volto austero, seppur cercando
attentamente. Bastava solo saper guardare.
Furono
loro a
zittire il chiacchiericcio sommesso del gruppo all'arrivo dei due e,
sempre loro, si alzarono e mossero qualche passo per avvicinarsi al
parente, volendo ascoltare ogni parola che sarebbe uscita dalla sua
bocca. Vennero imitati immediatamente dagli altri, ansiosi per
ciò
che avrebbe detto Thorin.
Ma non
ci furono
grandi discorsi pieni di speranza tipici dei Re degli Uomini, o dei
Re degli Elfi: bastò solo un'occhiata fiera e determinata
per
accendere i loro cuori di uno spirito battagliero senza pari.
<<
Là fuori
c'è un nemico da annientare >> disse Thorin a
voce alta,
allacciando lo sguardo su ciascuno di loro << Crede di
poter
prendere ciò che non gli appartiene: ha tentato tempo fa ed
è stato
respinto. Questa volta non sarà diverso! >>.
Sguainò
Orcrist,
alzandola verso la gigantesca volta geometrica; urlò in
nanico, e
altre dodici voci risposero con ugual fermezza facendo sì
che l'eco
si disperdesse in ogni dove e risuonasse a lungo, a dar loro
ulteriore forza.
I cuori
batterono
forte, rimbombando nelle loro orecchie: l'eccitazione era palpabile,
la voglia di uscire e affrontare gli orchi a testa alta e con il
coraggio tipico dei nani fece ribollire il sangue nelle vene.
Thorin
li guardò
un'ultima volta, sentendosi fiero e onorato d'essere accanto a loro;
aveva avuto ragione, a Vicolo Cieco: non li avrebbe cambiati con un
esercito dei Colli Ferrosi.
Lealtà,
onore, un
cuore volenteroso.
Non
poteva chiedere
di più.
E, ora,
si sarebbe
vendicato una volta per tutte: gli orchi di Azog stavano combattendo
e lui si sarebbe fatto certamente vedere, prima della fine.
L'avrebbe
ucciso,
lo giurò in quell'istante su Mahal.
Poi
avrebbe cercato
Karin e se la sarebbe ripresa una volta per tutte.
Lo
giurò,
stringendo la collana.
<<
Prepararsi
alla battaglia! >>.
Le ore
passavano, e
Karin era sempre più stanca: aveva terminato la terza
faretra, e la
lama di Iris era impregnata di sangue scuro e secco.
Gli
orchi si erano
raccolti di nuovo nella valle; ed ecco che una schiera di Mannari
arrivò in cerca di preda e, con essi, giunse la guardia del
corpo di
Azog, grandi orchi dalle scimitarre d'acciaio.
Infine,
lo vide:
cavalcando il suo Bianco Mannaro, Azog il Profanatore comparve sulla
piana.
Sollevò
il braccio
sinistro, quello mutilato da Thorin durante la Battaglia di
Azanulbizar, e diede ordine ai suoi orchi di attaccare con ferocia:
ed essi eseguirono, aizzando le loro cavalcature su di loro,
sbranando, dilaniando, mordendo, uccidendo.
Le lame
si
scontrarono, abbattendosi nella carne, mozzando arti e teste; grida e
gemiti si mescolarono e invasero l'aria, arrivando fino alle orecchie
di chi, ancora per poco, poteva considerarsi al sicuro.
Karin
chiese altre
frecce e, insieme agli elfi e a Legolas, cercò di abbattere
il
maggior numero possibile di nemici: tese la corda più che
poté,
rimpiangendo di non possedere più il suo arco corto; questo,
benché
più piccolo di quelli utilizzati solitamente dagli elfi, era
quasi
troppo grande per la sua stazza. Eppure riuscì a centrare
diversi
orchi mirando dritta alla testa deforme e orrenda, esultando
intimamente, perché non poteva perdere la concentrazione: al
contrario, Bilbo esultava ad alta voce anche per lei, gridando
felice.
Avrebbe
desiderato
spedire una freccia dritta verso Azog, ma era troppo distante.
Si
deterse il
sudore dalla fronte, osservando il buio infittirsi nel cielo
tempestoso; i grandi pipistrelli volteggiavano attorno alle loro
teste - ed aveva anche un bel daffare per tenerli a bada - o si
attaccavano come vampiri sui morti sul campo di battaglia.
Bard
combatteva per
difendere lo sperone orientale e retrocedeva a poco a poco: Karin si
morse le labbra nel vederlo in difficoltà, essendo proprio
in pena;
gli uomini morivano violentemente, e il loro numero s'assottigliava
sempre più.
Gli
elfi, d'altra
parte, resistevano accanto al loro re sullo sperone meridionale,
vicino al posto di guardia di Collecorvo.
La
confusione
regnava sovrana, ma accadde qualcosa che la distolse dal pensiero
della morte: ci fu un grido fortissimo, e dalla Porta venne uno
squillo di tromba.
<<
Thorin! >>
gridò, senza rendersene conto; un sorriso le
spuntò sulle labbra,
accompagnato però da una forte paura, poiché ora
temeva per la sua
vita e per quella degli altri.
Non
udì la
risposta di Bilbo, ma era certa della sua felicità; i suoi
occhi non
smisero un attimo di lasciare la figura possente e alta del nano. Lo
vide uscire fiero come il vero sovrano che era, rivestito di
un'armatura scintillante: e nella penombra, brillava come oro in una
luce morente.
Dietro
vi erano gli
altri, bardati in egual misura: ma nessuno aveva il suo portamento,
il suo orgoglio, la sua spietata bellezza.
Gridò
atterrita
quando gli orchi fecero rotolare su di loro dei macigni, ma
resistettero, precipitandosi a dar battaglia.
Li vide
uccidere
lupi e orchi, e molti fuggirono davanti a loro; Thorin assestava
colpi potenti con Orcrist, e sembrava invulnerabile: combatteva senza
sosta, un fuoco ardente brillava nelle iridi dandogli vigore. Ben
presto il suo volto si sporcò di sangue, accrescendo il
contrasto
con i denti bianchi digrignati dal furore, con gli occhi azzurri che
lei tanto amava.
Alzò
Orcrist,
ruggendo squillante come un corno nella vallata << A me,
Elfi e
Uomini! A me, miei consanguinei! >>.
Il
cuore di Karin si riempì di un sentimento che non avrebbe
potuto
spiegare a parole; era certa solo di un fatto: doveva
raggiungerlo per rispondere alla sua chiamata!
Tutti i
nani di
Dain si precipitarono in suo aiuto, senza badare allo schieramento; e
molti Uomini del Lago si aggregarono, senza che il povero Bard
riuscisse a impedirlo. A loro si aggiunsero molti soldati elfici,
provenienti dall'altro lato.
Combatterono
furiosamente, e gli orchi furono ancora una volta stretti d'assalto
nella valle: gli alti cumuli dei loro cadaveri resero Dale scura e
ripugnante.
Karin
stavolta si
unì ai festeggiamenti di Bilbo, urlando forte il suo
sollievo
insieme a decine e decine di alleati; ma, quando spostò lo
sguardo,
quello scemò e si trovò a rabbrividire: si era
totalmente
dimenticata del nemico più brutale.
Il
fiato le si
mozzò in gola quando capì che Thorin non sarebbe
riuscito a
sfondare i ranghi nemici; dietro di lui giacevano morti molti nani,
uomini e elfi, insieme agli orchi. E man mano che la valle si
allargava, il suo attacco si faceva meno impetuoso: ma Azog era
sempre più vicino in quanto aveva scorto il suo acerrimo
nemico,
l'altro Durin che non era riuscito ad eliminare anni prima.
E la
voglia di
vendetta bruciava come quella mutilazione dove, un tempo, si
trovavano il suo avambraccio e la sua mano.
Schiuse
le labbra
mentre percepiva di spostare l'arco sulle spalle, insieme alla
faretra con solo una freccia al suo interno.
Come in
un sogno,
si sentì muovere lentamente. O forse fu solo una sua
impressione; fu
sicura, però, della mano di Bilbo che la strattonava
cercando di
tenerla lassù, unita alle grida disperate di Legolas che
tentava di
richiamarla: ma nulla fu sufficiente.
Si
liberò
violentemente, Iris ormai sguainata: scese lungo il sentiero stretto
e polveroso, venendo avvolta dalle urla straziate, dai gemiti sempre
più forti e gli strilli e pianti striduli di chi era
prossimo alla
morte.
Si
sentì
sopraffatta, la nausea l'assalì; represse più di
un conato di
vomito, ricacciandoli. Con sommo orrore notò i primi nemici
correre
verso quella facile preda e, nel vederli così combattivi,
strinse
maggiormente l'elsa di Iris ritrovando la forza di sopravvivenza
necessaria per lottare con ogni grammo d'energia: si mosse rapida e
letale, stupendosi di sé. Abbatté gli orchi ormai
confusi e
storditi, anche se in ben più di un'occasione si
trovò in
difficoltà: ma, grazie agli dèi,
riuscì a superarli indenne, o
quasi.
La
spalla contusa
le dolse, il sudore le imperlò la fronte mentre parava
fendenti
violenti e ne sferrava altrettanti, purtroppo con minor forza; ben
presto si ritrovò al centro della battaglia, circondata da
nani,
uomini, elfi e orchi che cadevano sul suolo duro, ricoperti di sangue
e aventi, negli occhi, l'ultimo scintillio di vita.
Quegli
sguardi la
sconcertavano, la terrorizzavano; ma nulla era paragonabile alla
paura che provava nel vedere Azog avvicinarsi a Thorin, uccidendo
coloro che incontrava lungo il suo cammino.
E il
nano,
impegnato com'era a combattere, non si era ancora accorto di nulla;
forse, però, se fosse riuscita a correre...
Uccise
con un feroce urlo un orco piuttosto agguerrito e, finalmente,
iniziò
la sua folle corsa: saltò con un balzo dei cadaveri,
sentendo il
tempo scorrere troppo
velocemente: l'orco pallido le pareva così vicino!
Schivò
degli elfi,
urtò uomini, scansò orchi; il suo obiettivo si
avvicinò sempre
più, facendole tirare un sospiro di sollievo: doveva solo
guadagnare
tempo e trovare l'occasione giusta per scoccare quell'unica freccia.
Gli
arrivò di
lato, ma purtroppo non riuscì a coglierlo di sorpresa: Azog
si girò
come se l'avesse sentita arrivare, e abbatté un poderoso
colpo con
la sua ascia bipenne tanto potente da farla arretrare e piegare su un
ginocchio.
Digrignò
i denti
mentre lo vide ghignare pericolosamente, avendola riconosciuta: il
ricordo del loro primo scontro le tornò alla mente e, ora,
si
sarebbe replicato.
Egli
parlò nella
sua lingua aspra e raschiante ma non riuscì a capirne le
parole,
eccetto una: Thorin.
Azog
aveva intuito
il suo piano, e l'avrebbe uccisa dolorosamente per aver osato
frapporsi fra lui e la sua preda.
Le lame
intonarono
il loro canto d'acciaio.
Ansimava
sotto i
colpi dell'ascia, scintille si sprigionavano dalla lama di Iris; la
battaglia che infuriava attorno sembrava essersi dissolta: contava
solo il volto collerico e pieno di cicatrici dell'orco, i suoi gelidi
e crudeli occhi di ghiaccio. Il dannato era agile e veloce, ed
estremamente potente; benché avesse combattuto non mostrava
segni di
fatica, al contrario di lei: era stanca, i muscoli erano in fiamme,
le lievi ferite e contusioni si facevano sentire.
L'avrebbe
uccisa
senza pietà, ora ne era certa: il panico si
impossessò del suo
cuore riflettendosi nei suoi occhi; Azog se ne accorse, e la derise
ridendo dei suoi sentimenti. Sapeva di essere in netto vantaggio:
ancora pochi fendenti e avrebbe concluso quello spiacevole
contrattempo.
Kari
ormai si
ritrovava unicamente a parare, sperando di difendersi il più
a lungo
possibile: ma era sfinita, mortalmente esausta.
Bastò
una semplice
distrazione, ma fu fatale: Azog la ferì alla coscia destra.
Gridò
di dolore,
sentendo il fuoco divampare in ogni dove, fino all'attaccatura dei
capelli: mai aveva provato un simile tormento!
Sentì
le forze
venir meno, la gamba non sostenne il peso del corpo: si
accasciò a
terra, mentre il sangue colava copioso dalla ferita. Impaurita, vide
il sorriso malvagio dell'orco ampliarsi, e allora comprese del tutto:
non sarebbe sopravvissuta.
Thorin
uccise
l'ennesimo orco grazie all'aiuto di Dwalin e, l'attimo in cui cadde,
si guardarono negli occhi consapevoli di un fatto: la loro schiera
era troppo poco numerosa, i fianchi erano scoperti.
In ogni
dove gli
alleati cadevano ma la Compagnia resisteva, animata dall'energia
benché ora fosse smorzata dalla fatica.
Presto
furono
stretti in un gran cerchio, fronteggiati da ogni lato, circondati da
orchi e lupi che tornavano all'assalto; nessuno avrebbe potuto
aiutarli, poiché l'attacco dalla Montagna era rinnovato con
vigore,
e su entrambi i lati uomini ed elfi stavano lentamente per venir
sconfitti.
Era una
situazione
a dir poco disperata, su questo erano entrambi d'accordo.
Thorin
mosse lo
sguardo sulla carneficina che avveniva attorno, rabbioso e impotente:
l'aver ucciso tutti quegli orchi non era servito a nulla, dato il
loro numero nettamente superiore!
Strinse
i pugni e
serrò le mascelle, cambiando espressione un attimo dopo; gli
si gelò
il sangue nelle vene, la bocca si schiuse, gli occhi si spalancarono
sperando d'aver visto male: ma non fu così.
A
lunghi metri di distanza Karin era crollata a terra, il volto terreo
e angosciato: davanti a lei si ergeva imponente e trionfante l'ultimo
essere che Thorin
avesse voluto vedere.
Azog.
Sentì
il cuore
fermarsi, non udì alcun battito.
No, non lei!
L'urlo
disperato
eruppe dalla sua gola come un boato.
<<
KARIN! >>.
Senza
rifletterci
iniziò a correre, senza badare alle grida di Dwalin e degli
altri;
raccolse uno scudo tondo da terra, appartenuto probabilmente ad un
nano.
Era
tempo di
pareggiare i conti con Azog: poco importava se fosse morto nel
tentativo di riuscirci, ma gli avrebbe impedito con tutte le sue
forze di prendersi per sempre la donna che amava.
Avanti si
chiese perché non mi uccide?
Azog
godeva nel vederla a
terra, inerme e preda di un'agonia che andava oltre ogni parola,
mentre il sangue rosso ruscellava copioso dal punto in cui la carne
si era strappata; aveva poggiato la mano sul taglio cercando di
fermare l'emorragia, ma aveva urlato disperatamente.
Le
lacrime erano
salite agli occhi ed erano scese sulle guance sporche; l'orco
spalancò le braccia in segno di trionfo, alzando infine
l'ascia.
Il
petto della nana si alzava ed abbassava frenetico, la gola si era
seccata da tempo, deglutire era doloroso; la vista offuscata dalle
lacrime le impedì di vedere con chiarezza, ma la
verità era che
voleva serrare gli
occhi. Morire coraggiosamente col capo alzato e lo sguardo fiero,
senza mostrare alcuna paura... ah, quante volte l'aveva sognato!
Così
suo padre sarebbe stato finalmente fiero di lei, quella figlia
così
diversa da loro, da
lui.
Eppure,
a ben
pensarci, non erano mai stati tanto diversi, almeno caratterialmente.
Però, ad un passo dalla morte, Karin era solo terrorizzata:
singhiozzi la scossero, rendendola solo più vulnerabile e
sciocca;
ma non poteva farne a meno.
Attese
col cuore in
gola, udendo chiaramente quei sonori battiti che, di lì a
poco,
sarebbero spariti del tutto; ne provò una grande nostalgia,
come se
non le appartenessero già più.
E
mentre lo vedeva levare la sua grande arma, provò una sorta
di calma nonostante le
fitte lancinanti alla coscia: era finita, dunque.
Tuttavia
non fu
così.
Qualcuno
si
intromise tra loro, usando uno scudo come riparo dall'ampio colpo
d'ascia proveniente dall'alto; non riuscì a riconoscerlo, i
contorni
erano così sfuocati!
Il
dolore le aveva
raggiunto la testa, la sentiva spaccarsi in mille e più
pezzi per
poi ricomporsi e spezzarsi nuovamente, stavolta a metà
precisa.
Ma
quella voce... oh,
quella voce! Non
avrebbe potuto dimenticarla per nulla al mondo.
<<
Thorin? >>
esalò, incredula.
Il Re
sotto la
Montagna non si voltò, ma ora Karin riusciva a vederlo:
l'armatura
non più scintillante ma sporca di sangue emetteva ancora un
piccolo
bagliore di luce in quell'oscurità opprimente che sapeva di
morte;
la chioma nera era sudicia, piena di polvere e sangue rappreso.
Riconobbe Orcrist, salda nella mano destra, e lo scudo ancora levato
a contrastare il suo acerrimo nemico.
Cercò
di alzarsi
appoggiandosi meglio sui gomiti, ma la testa vorticava paurosamente:
preda delle vertigini e di sudori gelidi, assistette al
combattimento.
Era
all'ultimo
sangue, se ne accorse immediatamente: i rivali non si risparmiavano,
abbattendo con potenza inaudita dei colpi mortali, che venivano
sempre parati all'ultimo attimo. Thorin era implacabile e non
risparmiava le forze, poiché voleva porre fine alla vita di
Azog nel
minor tempo possibile; ma così facendo era fin troppo
feribile,
schiavo della sua ira.
Fece
indietreggiare
l'orco pallido per lunghi passi, menando fendenti con Orcrist,
facendole tagliare l'aria come si taglia qualcosa di molto morbido;
però Azog parava, senza mai perdere l'espressione di chi sa
perfettamente d'avere la vittoria in pugno.
Poi
venne il suo
turno di contrattaccare, riuscendo a mettere in seria
difficoltà il
nano: egli utilizzò lo scudo ancora e ancora, i colpi erano
violenti
e, ben presto, lo scudo si scheggiò più volte.
Karin
respirò
affannosamente quando quello volò in aria, lasciando
sbigottito
Thorin; ma non si perse d'animo e, con un urlo selvaggio,
iniziò ad
attaccare con foga sperando di indebolirlo.
Azog
aggrottò le
sopracciglia, sentendo forse le forze venir meno: gli parlò
ma non
riuscì a capire cosa stesse dicendo, e nemmeno Thorin, che
lo ignorò
e continuò a combattere.
Forse...
forse era
quello il momento adatto per scagliare la freccia. Non poteva
attendere, non ora che notava una sorta d'indebolimento.
Ansimante,
portò
un braccio a prendere l'arco e la faretra; trattenne un grido di
dolore quando si mosse leggermente, e strinse i denti talmente forte
da sentirli quasi spezzarsi: con braccia tremanti incoccò la
freccia, la corda tesa più che poté.
Proprio
in quel
momento, però, Thorin cadde.
Azog
l'aveva
colpito al petto ma, grazie all'armatura, non aveva riportato ferite:
era stato il contraccolpo a farlo inginocchiare.
Karin
urlò il suo nome, tremando così come tremava
Thorin: era esausto,
lo vide da come si appoggiò all'elsa di Orcrist; le
rammentò una
delle gigantesche statue di pietra che accompagnavano il passaggio
nella Sala del Trono. Lui però, al contrario di quelle
dritte e
maestose sculture, era sofferente.
Azog
sorrise
crudelmente nel vederlo prostrato e si preparò a terminare
ciò che
non era riuscito a compiere nelle Montagne Nebbiose: estinguere
definitivamente la stirpe di Durin.
Karin
si riscosse parzialmente dalla debilitazione, quel che bastava per
tendere l'arco e prendere la mira: doveva dargli
un'opportunità di salvarsi, non poteva rimanere a guardare!
Si
morse il labbro
fino a farlo sanguinare, lasciandosi sfuggire un mezzo singhiozzo:
espirando, lasciò andare la freccia, seguendola con lo
sguardo ormai
appannato.
A
dispetto
dell'indebolimento, andò a conficcarsi esattamente dove
aveva
sperato: nel braccio di Azog che, stupito, lanciò un grido
guardando
prima la freccia e poi lei, ancora con l'arco tra le mani
insanguinate e scivolose.
Gli
rivolse un
sorriso sprezzante ma tirato, poiché la ferita le doleva da
morire;
fu in quell'attimo di distrazione che, fortunatamente, Thorin
intervenne: si rialzò, affondando Orcrist nel petto possente
dell'orco, quasi fino all'elsa. Urlò con il nemico mentre lo
guardava negli occhi, capendo d'aver vinto.
Azog,
però, mosse
improvvisamente l'ascia mandandola contro la spalla di Thorin, appena
sotto l'attaccatura della corazza; il nano gridò e gemette,
mollando
la presa sulla spada.
<<
THORIN!
>>.
Karin
non si rese
conto d'urlare finché non sentì la gola ardere,
finché i colpi di
tosse la scossero con impeto.
No, non adesso! Ti
prego!
Crollarono
in
ginocchio uno di fronte all'altro, sanguinanti e ansanti.
Azog si
sfilò
Orcrist dal petto, lanciandola con spregio sul suolo impregnato di
sangue secco; tentò di rialzarsi ma la ferita era troppo
profonda, e
il liquido rosso cupo sgorgava senza sosta anche dalla bocca, in un
sottile rivoletto. Arrancò, crollando carponi:
guardò un'ultima
volta con profondo disprezzo il Re dei Nani, quel Durin che era
riuscito dove lui aveva fallito.
Poi
cadde a terra,
morto.
Karin
liberò il
fiato trattenuto in un grande sospiro, ma ora era tremendamente
preoccupata per la sorte del suo Thorin; con una fatica immane e con
una buona dose di coraggio, si abbassò e iniziò a
strisciare sul
fianco sinistro, quello della gamba sana. Ora, i rumori della
battaglia infuriavano come non mai, perforandole le orecchie: pianti
le giungevano, ma non sapeva se erano dei valorosi soldati morenti o
suoi.
Non
sentiva più
nulla, non capiva più nulla.
Voleva
solo
raggiungerlo e abbracciarlo ancora una volta, prima della fine.
Strisciò
senza
sosta, eppure le pareva di essere sempre troppo lontana; dal nulla,
però, un dolore atroce all'avambraccio si sommò a
quello della
gamba, e le forze l'abbandonarono di colpo.
Gridò,
lacerando
l'aria, venendo udita da Thorin; lo vide girare il capo nella sua
direzione, spalancare gli occhi e aprire la bocca: lesse il movimento
delle sue labbra, capendo che urlava il suo nome.
Tese un
braccio
ricoperto di sangue verso la fonte del dolore, riconoscendo l'asta di
una freccia; altre lacrime scesero, tracciando scie sul volto sporco
di polvere, sudore e sangue.
La mano
che avrebbe
dovuto spezzarla tremò, il coraggio l'abbandonò;
portò gli occhi
lucidi di lacrime verso Thorin, che si stava rialzando a fatica per
raggiungerla.
Ora in
piedi mosse
qualche passo, prima che una freccia gli trafisse una gamba; cadde di
nuovo, mentre altri orchi si precipitavano verso di lui volendo
vendicare il loro capo.
Angosciata,
Karin si chiese perché nessuno
dei loro compagni intervenisse: erano tutti così impegnati
da non
accorgersi della difficoltà in cui versava il loro sovrano?
Dov'era
Dwalin? E Gandalf? Gandalf doveva essere nei paraggi, giusto? Perché
non faceva
nulla?
<<
Thorin >>
sussurrò, sentendo tremiti e singhiozzi scuoterla;
l'impotenza la
fece disgustare di sé, della sua debolezza, delle sue
stramaledette
ferite: come poteva aiutarlo?
Lo
accerchiarono,
ma lo attaccò uno solo mentre gli altri si godevano quel
macabro
spettacolo; Thorin cercò in sé quel briciolo di
forza necessario
per contrastarlo, parando un colpo, schivandone un altro e, infine,
riuscendo a staccargli la testa di netto. Il secondo avversario lo
mise in difficoltà, ammaccandogli gravemente il pettorale
dell'armatura; il nano barcollò, tentando di rimanere in
piedi: e fu
allora che, finalmente, qualcuno sembrò udire le preghiere
silenziose della ragazza.
Kili e
Fili corsero
accanto al parente, eliminando gli avversari con pochi colpi: Fili
poi gli gridò qualcosa e la indicò, probabilmente
incitandolo ad
andare a prenderla; Thorin però, dopo qualche passo incerto
si
accasciò al suolo, sanguinando terribilmente dalle ferite.
<<
Thorin! >>
la voce le uscì più forte di prima, ma comunque
esile e debole,
esattamente come si sentiva in tutto il corpo. Freddo e caldo si
alternavano facendole battere i denti e sudare come non mai: era
così
spossata, così stanca! Aveva solo una gran voglia di dormire
e
lasciarsi alle spalle ogni brutto ricordo di quelle ore.
Però
non poteva
chiudere gli occhi, lo sapeva: altrimenti non si sarebbe più
svegliata. E come poteva contrastare quella sonnolenza così
pesante,
quel dolore che non le dava pace?
Non
guardando Thorin perché capiva che, come lei, non sarebbe
sopravvissuto.
Che
ironia! Infine,
era questo ciò che il destino le aveva riservato? Patire
lunghi anni
lontana dall'uomo che amava per un equivoco, ritrovarlo e amarlo per
poi perderlo definitivamente, separati dalla morte?
O
forse, piuttosto,
essa li avrebbe riuniti per l'eternità così come
l'avrebbe
riportata dai suoi genitori.
Pensieri
sciocchi e
inutili, eppure di grande conforto ad un passo dalla dipartita.
I
battiti del cuore
erano sempre più flebili, l'affaticamento immane, la
sonnolenza
persistente: forse poteva semplicemente riposarsi solo un pochino,
dopodiché avrebbe ritrovato le forze e sarebbe corsa da lui.
Sì,
sarebbe andata
così.
Sorrise
amaramente
nel comprendere la grandezza di quella bugia; sorrise all'indirizzo
di un agonizzante Thorin, a terra a pochi metri da lei, eppure tanto
irraggiungibile.
Lo vide
aggrottare
la fronte perplesso e poi piegare la bocca in un sorriso dolente e
fiacco, che la fece piangere e ridere al tempo stesso.
Sarebbero
morti
insieme.
Null'altro
contava.
Quella
era la loro
fine, l'ultimo atto prima del risveglio in quella terra verde carica
di riposo e pace.
Lo vide
chiudere
gli occhi, lentamente, come fosse in procinto d'addormentarsi.
<<
Ti amo >>
bisbigliò, sentendo le ultime lacrime scendere dagli angoli
degli
occhi e infrangersi a terra.
Poi la
vista si
annebbiò definitamente e abbassò le palpebre,
esalando l'ultimo
respiro.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Oddei
celestiali, ho
le lacrime ç______ç! Cavoli, spero d'aver reso
bene il tutto: per
me – e per lo svolgimento della storia - è un
capitolo a dir poco
importante! Se notate che il combattimento prima dell'arrivo di Azog
sia descritto “poco” o comunque non dettagliato,
non temete: l'ho
fatto di proposito, appunto perché volevo lasciare
più spazio alla
battaglia contro l'orco pallido. Spero vi sia piaciuto, e
così anche
la colonna sonora ;), che io adoro *_______*
Mamma, spero bene,
incrocio le dita!!!
Ringrazio
le carissime e specialissime Lady_Daffodil,
vanessa90,
J_ackie,
Carmaux95, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack, Krystal91e LilyOok_.
VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!! inoltre
ringrazio Aven90
per
avermi lasciato una recensione e per aver iniziato a leggerla,
così
come ringrazio chi lo fa ogni giorno ^^
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
<3
P.S.
Purtroppo questa fantastica avventura si sta concludendo :'( ; non so
di preciso quanti capitoli manchino, penso tre-quattro. In ogni caso,
non posso fare a meno di ringraziarvi per il meraviglioso sostegno,
ma il discorsone strappalacrime dovrà attendere :D!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Capitolo ventitre ***
Note autrice:
eccomiiii!!!
Voglio solo lasciarvi questa colonna sonora di un telefilm della Bbc
dove recitava il nostro bel Richard: “North &
South”: vi chiedo di ascoltarla verso la fine del capitolo.
Ah,
preparate i fazzoletti :') : vi ho avvisate!
http://www.youtube.com/watch?v=ycCpSJcQJCM
CAPITOLO VENTITRE
La Sala del
Trono non è mai stata illuminata come in quel momento.
La luce
proviene dalle gigantesche finestre, raggi di sole entrano prepotenti
a rischiarare l'immensa stanza; giochi di chiari e scuri si alternano
sulle grandi statue di pietra, in uno spettacolo bello da togliere il
fiato.
Anche lei ne è
affascinata, ed è partecipe di quell'irraggiamento dorato
che giunge
fino al suo vestito: è sontuoso, però si sente a
suo agio nel
corpetto indaco impreziosito di ametiste e fili argentati e nella
lunga gonna dello stesso colore e stessi ornamenti, simili a quelli
che intercorrono sul pesante mantello blu bordato di pelliccia nera
di colui che le da' le spalle.
Può vedere
solo la lunga chioma nera striata di ciocche bianche e l'ampia
schiena coperta dal mantello, anch'esso magnifico.
Anch'esso
regale.
Sorride, il
cuore batte placido all'interno della gabbia toracica; è
tranquilla
e serena, nessun pensiero negativo la sfiora.
È a
casa,
con lui.
Nient'altro
conta.
Impaziente,
vede che si gira lentamente: allarga il sorriso, è pieno di
quell'amore che non sempre riesce ad esprimere a parole, ma che prova
da tempo immemore.
Si smorza
lesto, come se una secchiata d'acqua gelida l'avesse colpita.
Lui
non
sorride.
I suoi occhi
azzurri non sono amorevoli né felici: sono pieni di rabbia,
e di
disprezzo profondo.
Tra le mani
regge la sua collana di mithril, quella che gli ha lasciato quando se
n'è andata: è insanguinata, grosse gocce rosse
cadono verso il
pavimento di pietra in un suono ritmico.
Plic.
Plic.
Plic.
Aggrotta la
fronte, titubante: non sa che succede.
Ma sa che non
promette nulla di buono.
Lo chiama,
però la bocca non emette alcun suono: si apre, non accade
nulla.
Porta una mano
alla gola, eppure è tutto a posto; allora perché
non parla?
Lui intanto si
avvicina, lo sguardo manda bagliori di fuoco.
<<
Perché te ne sei andata? >> urla rabbioso.
Vuole
rispondergli,
ma farlo è così complicato!
<< Avevi
detto che non mi avresti lasciato, Karin! >> continua,
fuori di
sé.
Poi agita la
collana davanti al suo volto, schizzi la raggiungono e si infrangono
sulla pelle << E' così che dimostri il tuo
amore? Con una
collana fredda, senza un corpo che la indossi? >>.
Le urla si
spargono lungo tutta la Sala, l'eco rimbomba e li accompagna a lungo,
finché non riprende ad esternare il suo livore.
<< Mi
fidavo di te più di qualunque altro mio compagno! Non
è questo il
trattamento che mi merito! >>.
Paonazzo in
volto alza il braccio e, con un unico movimento veloce, scaglia la
collana a terra.
Segue il
percorso fino al pavimento, la vede frantumarsi in miriadi di pezzi:
come lo è il suo cuore. Scioccata, alza gli occhi lucidi di
lacrime
verso il suo volto, che non mostra segni di turbamento né di
dispiacere.
Vuole
parlargli,
ma non riesce.
E lui, lui è
talmente arrabbiato!
Non
indietreggia quando lo vede percorrere a grandi falcate la minima
distanza che li separa perché, in fin dei conti,
ciò che desidera è
sentirlo vicino.
Vuole
abbracciarlo, a dispetto di tutto.
Vuole
baciarlo, perché senza di lui non è niente.
Vuole urlargli
che l'ama, anche se ha distrutto l'oggetto che, per lei, è
più
importante di qualsiasi altra cosa.
O meglio, era.
Riporta lo
sguardo alle schegge argentate, il groppo in gola le impedisce di
deglutire.
Lo spostamento
d'aria è talmente vicino che la fa sobbalzare, le labbra di
Thorin
sono ad un nonnulla dal suo orecchio.
<< Ti
amo >>.
La gioia che
prova non è esprimibile a parole: il cuore scoppia di
felicità, le
lacrime si riaffacciano e pungono agli angoli degli occhi; vorrebbe
ridere ma le manca la voce, allora sorride apertamente.
Di nuovo,
però, la bocca si deforma divenendo una smorfia.
Una smorfia di
sofferenza.
Spalanca la
bocca alla ricerca d'aria; non capisce, cosa succede?
Il dolore
raggiunge limiti che mai avrebbe immaginato, proviene dal ventre; gli
occhi cercano la causa delle fitte lancinanti, e rimane allibita.
La lama di
Orcrist – la sua
Orcrist!
- le ha perforato il corpo lacerandole la pelle.
Impregnata di
sangue che scorre senza sosta, l'arma manda bagliori di luce,
riflettendo i coni di sole che provengono da quelle finestre che
contemplava con tanta spensieratezza.
Perché
l'ha
fatto?
Sgrana gli
occhi, il dolore è assurdamente insopportabile.
Porta una mano
ad afferrare la camicia di Thorin, stringe convulsamente; l'altra,
invece, si abbassa per cercare di sfilare la spada.
Serra gli
occhi, non ce la fa, le forze crollano.
Vorrebbe
gridare, dirgli di smetterla, chiedergli che gli è preso: ma
non
riesce.
Improvvisamente
sente qualcosa di diverso;
la camicia sembra sparita, le dita percepiscono pelle fredda, e nuda.
Rialza le
palpebre, il terrore
la ghermisce in una morsa.
Azog
ha preso il posto di Thorin.
Tenta di
divincolarsi dalla sua presa, ma è forte; le serra il
braccio con la
mano sinistra, ora presente.
L'altra è
saldamente attorno all'impugnatura dell'ascia, torce con malcelato
divertimento.
La sua risata
è raschiante e brutale, le mette i brividi nonostante gli
spasmi
acutissimi; ora piange senza sosta, vuole andarsene, rivuole Thorin.
Come mai se
n'è andato?
Oppure non le
era mai stato accanto, ed ha avuto solo delle allucinazioni.
Il ghigno di
Azog si amplia, affonda la lama con animalesca crudeltà,
beandosi
delle sue grida mute.
Sente la
colonna vertebrale spezzarsi, gli organi squarciarsi. E il sangue
cola, cola, cola.
Impiegò
lunghi minuti per svegliarsi: dapprima riprese possesso dei suoi
pensieri, benché molto confusi; poi iniziò a
captare suoni lontani
e indistinti, l'olfatto le fece arricciare il naso e salire la
nausea: odori di sangue, disinfettante, erbe e morte
aleggiavano
nell'aria.
Poi
venne il turno del corpo, ma per quello servì più
tempo del
previsto: iniziò a muovere le dita delle mani, a contrarre i
muscoli
di braccia e gambe. E fu allora che notò qualcosa di strano.
La
gamba destra.
Non
riusciva a sentirla.
Aprì
gli occhi di scatto, riconoscendo il telo di una tenda
d'accampamento: per un attimo tralasciò il pensiero
dell'arto
ripensando all'incubo, provandone orrore: la collana frantumata,
Orcrist nel ventre, il volto furioso di Thorin e poi quello
perfidamente divertito di Azog...
Chiuse
gli occhi, non volendo rimembrare.
Abbassò
il capo notando di essere distesa su una piccola branda, quindi
dedusse di trovarsi nella sua tenda; istintivamente fece scivolare
una mano sotto la coperta, percependo la consistenza ruvida di una
camicia da notte di lana grezza: raggiunse il ventre, sentendolo
intero
e
liscio.
Espirò
sollevata e, stringendo i denti, decise che era tempo d'alzarsi: con
calma cercò di farsi leva sui gomiti, ma la testa
vorticò
paurosamente e il fastidio l'assalì ancora, più
forte di prima.
Lentamente
ridiscese, appoggiando la nuca sul guanciale; con le dita della mano
sinistra artigliò un lembo del panno, scostandoselo dal
corpo: così
facendo, però, si lasciò sfuggire un mezzo grido.
Si era
completamente dimenticata della ferita all'avambraccio!
Strinse
le labbra e si morse l'interno guancia, respirando affannosamente;
espirò ed inspirò diverse volte prima di riuscire
a placarsi e, con
assoluta cautela, continuò nel suo proposito.
Abbassò
la mano destra verso la coscia, alzando la camicia fino all'ombelico:
le dita sentirono al tatto la consistenza leggera e sottile della
garza, fasciata strettamente sul punto in cui l'ascia di Agoz l'aveva
trafitta.
Ma
la gamba...
non sentiva alcuna pressione né schiaffo leggero che diede
nel
tentativo di capirci qualcosa.
Si
preoccupò, la gola si inaridì e un'immensa voglia
di piangere e
urlare si annidò nel petto.
Gemette
quando pizzicò la pelle e si rese conto di non sentire
veramente
alcunché, al contrario dell'altra gamba.
Non può
essere, no! No!
Gridò
spaventata, preda di una nuova ondata di panico << Bilbo!
Dwalin! Aiutatemi!!! C'è qualcuno? AIUTO! >>.
Tentò
di rialzarsi, lacrime di frustrazione scesero fino al mento per poi
crollare verso il materasso: e crollò anche lei, quando si
rese
conto di essere troppo debole.
Se
le asciugò con stizza quando vide il lembo della tenda
scostarsi e
la faccia di Dwalin mostrarsi ai suoi occhi gonfi e rossi.
<<
Karin! >> esclamò, sorpreso <<
Non avresti dovuto
svegliarti così presto >> le disse, a mo' di
rimprovero.
<<
Che mi succede? >> chiese timorosa << La
gamba, io non...
oh, Dwalin! >> un singhiozzo sconcertato le
sfuggì dalle
labbra quando riuscì a vederlo meglio in volto, ma nessuna
lacrima
scese.
Il
nano guerriero entrò nella tenda, l'unico occhio non coperto
da una
spessa benda che attraversava tutta la testa calva la guardava in
maniera indecifrabile, forse perfino scocciata.
<<
Non servono a nulla tutte queste scene >>
parlò, duro <<
Si tratta solo di un sopracciglio spaccato >> concluse,
agitando la mano e sedendosi con uno sbuffo stanco su una seggiola di
legno accanto al letto.
<<
Solo
un
sopracciglio? >> ripeté, ben scettica
<< Sembra
piuttosto che abbiano tentato di togliertelo, quell'occhio
>>.
<<
Ci sono andati vicini >> l'osservò,
incrociando le braccia al
petto << Tu come stai? >> chiese,
sinceramente
preoccupato.
Karin
rispose immediatamente, senza pensarci due volte << Male.
Cosa
è accaduto dopo che sono stata ferita? Come stanno gli
altri? E
Thorin? >> la voce tremò, e dovette schiarirsi
la gola mentre
attendeva la risposta.
Dwalin
sembrò stringere maggiormente le braccia al petto, o forse
fu solo
una sua impressione.
<<
La battaglia sembrava perduta, ma fortunatamente sono sopraggiunte le
Aquile, chiamate da Gandalf; hanno snidato gli orchi dai pendii
montani, scaraventandoli giù per i precipizi o sollevandoli
in aria,
riuscendo così a liberare la Montagna. Il nostro numero,
però, era
comunque inferiore: ed è stato allora, quando anche l'ultima
speranza sembrava perduta, che è comparso il mutaforma
>>.
<<
Beorn? >> domandò stupita, reprimendo una
smorfia mentre
tentava di sedersi meglio; dopo che Dwalin le ebbe lanciato
un'occhiataccia, tornò a sdraiarsi.
<<
Sì, venne da solo e in forma d'orso; riuscì a
spazzare lupi e orchi
come fossero piume, e irruppe nell'accerchiamento. Gli orchi rimasti
fuggirono, o comunque tentarono: molti soldati li inseguirono,
comprese le aquile e lo stesso Beorn. Stanno dando loro la caccia
anche in questo momento, e con la nuova alba non sarà
difficile
scovarli: presto saranno di ritorno >>.
Rimase
in silenzio, guardando altrove; Karin finì di elaborare
quanto aveva
appena saputo, sentendo una dolorosa stretta al petto: il nano aveva
risposto solo ad una domanda.
<<
Dov'è Thorin? >> sussurrò, conscia
d'essere stata comunque
udita.
Di
nuovo, il silenzio fece da padrone.
Spazientita
e tremendamente preoccupata, strinse i pugni << Dwalin!
Dove è
Thorin? >> scandì bene, senza temere di
nascondere l'ira che
montava.
Perché
non diceva nulla? Era capitato qualcosa di talmente grave da non
poter essere detto?
Mi sta
nascondendo che Thorin è morto?
Ricacciò
quel pensiero, pronta ad urlare contro l'amico ritrovato e disposta a
litigare brutalmente, perfino; tutto, pur di sapere.
Aprì
la bocca, ma in quel momento qualcuno entrò nella tenda; lo
riconobbe dal suono della voce, non essendo riuscita a vederlo in
volto.
<<
Karin! Giorni celesti, sei sveglia! >>.
Bilbo
corse trafelato verso la brandina, gli occhi grigi lucidi e il volto
stanco e tirato; le prese una mano tra le sue baciandole il dorso con
sollievo, bagnandolo con lacrime salate.
<<
Non sai la pena che ho provato nel vederti in queste condizioni! Come
ti senti? La gamba ti da' noia? >>.
Scosse
la testa, amareggiata << A dirti la verità,
Bilbo, non la
sento nemmeno >> terminò, abbassando gli occhi.
<<
Oh, ma è assolutamente normale! >>
esclamò, stringendole la
mano << Il medico, sai, ha dovuto ricucirti quel brutto
taglio,
o avresti fatto infezione: così ha utilizzato l'anestetico
>>
le sorrise affettuoso, asciugandosi gli occhi con la mano libera;
lanciò un'occhiata a Dwalin per poi riportare lo sguardo su
di lei
<< Ho temuto per te, amica mia >>
bisbigliò, chinandosi
a baciarle la guancia: fu un bacio umido, ma ebbe il potere di
risollevarle lo spirito.
Solo
per poco.
<<
Sono davvero lieto! Almeno tu ti sei ripresa >>.
Karin
aggrottò la fronte, mentre brividi gelidi percorsero la
schiena <<
Chi altri è ancora dormiente? Thorin? >>.
Bilbo
perse ogni parvenza di sorriso, e di felicità; il volto
ridivenne
serio, tremendamente dispiaciuto.
<<
Per favore >> li supplicò, angosciata
<< devo
sapere
>>.
Strinse
la mano dello hobbit, facendogli comprendere quanto quel desiderio
fosse forte: la stavano torturando lentamente, non mettendola al
corrente della situazione del suo re. Del suo
Thorin.
<<
Lui... ha riportato delle gran brutte ferite, Karin >>
spiegò
Bilbo, evitando i suoi occhi.
<<
E' vivo? Bilbo, è vivo? >>.
<<
Sì. Ma non per molto, credo. Mi dispiace >>
esalò, mentre
un'altra lacrima solitaria scendeva.
Karin
guardò Dwalin, rimasto impassibile durante il dialogo;
dapprima si
sentì vuota, come se al posto del cuore si stesse allargando
un
enorme buco nero, poi però qualcosa cambiò:
doveva assolutamente
combinare
qualcosa. Non poteva rimanere lì senza far nulla!
<<
Vado da lui >> disse, asciutta; fece leva sui gomiti e,
mordendosi il labbro, si mise seduta: non volle badare alla testa che
le doleva e le girava, né al fastidio dell'avambraccio
ferito.
Grugnì, mentre Bilbo tentava in tutti i modi di calmarla e
rimetterla stesa.
<<
Karin, no! Sei ancora troppo debole, hai perso molto sangue!
>>
squittì, spaventato nel vederla perdere quel poco di colore
racimolato.
<<
No, voglio
andare
da lui, e non sarai certo tu ad impedirmelo >>.
<<
Ti chiedo di ragionare, Karin. Ti prego! >>.
<<
Nessuna assurda preghiera
mi
farà cambiare idea! Lasciami andare, Bilbo, o
sarò costretta ad
impugnare Iris: mettimi alla prova >> lo
sfidò, lanciandogli
uno sguardo di fuoco.
<<
Non potresti aspettare un po'? >> tentò ancora
lo hobbit, la
voce però sempre più incerta di fronte alla
determinazione e al
furore della ragazza.
<<
Aspettare? >> ripeté sdegnata <<
E cosa, di saperlo
morto e di non essere rimasta al suo capezzale per l'ultima volta? Mi
chiedi troppo. Se mi vuoi bene come dici, lasciami andare
>>.
Era
un colpo basso, lo sapeva: giocare con i forti sentimenti che Bilbo
provava per lei era scorretto, ma era l'unica scelta che avesse per
andarsene da quella maledetta tenda.
Bilbo
corrugò le sopracciglia ed espirò, guardando poi
Dwalin per cercare
appoggio << Dille qualcosa anche tu, per favore!
Convincila a
rimanere qui per qualche ora >>.
I
nani iniziarono un lungo gioco di sguardi: nessuno voleva cedere, e
sondarono le anime dell'altro come non accadeva da tempo, quando
bastava una semplice occhiata per capirsi. Infine, il nano guerriero
si alzò dalla seggiola, sciogliendo le braccia muscolose.
<<
Andiamo >>.
Il
cuore di Karin scoppiò di sollievo, e gli sorrise
riconoscente.
Bilbo
spalancò la bocca incredulo, per poi scuotere la testa
riccioluta <<
Ah, nani! >> commentò solamente, come se
questo potesse
spiegare tutto.
Karin
lasciò che Dwalin la prendesse in braccio prima di
rivolgersi
nuovamente allo hobbit << Se dovesse morire non potrei
mai
perdonarmi la mia assenza. Lo capisci, vero? >>.
Bilbo
sospirò dopo alcuni secondi di silenzio <<
Sì. Capisco bene
ciò che vuoi dire. Sono d'accordo con te, ma vedi di non
strapazzarti! Sei ancora così
affaticata >>.
<<
Va bene >> gli sorrise, rincuorandolo con un'energica
stretta
di mano e una carezza.
Dwalin
si incamminò, uscendo finalmente da quella prigione di tela;
la luce
rosata dell'alba appena sorta l'accecò un poco ma
portò la mano a
schermarsi gli occhi, riconoscendo la vecchia città di Dale.
Le
molte tende dell'accampamento erano ancora al loro posto,
però ve
n'erano anche di nuove: con sommo stupore capì che anche i
nani dei
Colli Ferrosi avevano deciso di accamparsi in quel luogo, insieme a
Uomini e Elfi.
Troppo
impaziente e ansiosa non si permise d'esser lieta per questa
novità,
ma numerose voci concitate e allegre la destarono dai tristi
pensieri.
I
membri della Compagnia si stavano dirigendo verso di loro, tutti con
un gran sorriso sulle labbra e gli occhi colmi di contentezza: e
anche lei, bene o male, sentì le labbra piegarsi in un
enorme
sorriso sollevato.
<<
Karin! Che bello rivederti tutta intera! >>
esclamò Bofur,
sventolando una mano guantata; percorse il suo corpo con gli occhi,
accennando una smorfia buffa << Bé,
più o meno >>.
Ridacchiò
con loro, sentendo la tensione smorzarsi lievemente <<
Sono
felice di sapervi illesi! Avete qualche ferita grave? >>
volle
sapere, lasciandosi sfuggire un tono preoccupato.
<<
Solo qualche graffio, nulla di più >> rispose
Balin,
allargando le braccia per farsi esaminare << Come puoi
notare
stiamo bene, e camminiamo sulle nostre gambe >> il
sorriso con
cui le si era rivolto scemò d'un tratto <<
Piuttosto, tu come
stai? Eravamo in pensiero >>.
Le
accarezzò il braccio ferito, guardandola negli occhi velati
di pena;
ah, quante domande e pensieri sottintesi nello sguardo che si
scambiarono! E come trapelò il meraviglioso e gigantesco
conforto
nel sapere l'altro vivo ed in salute più che sufficiente per
continuare il lungo viaggio in quel mondo!
Ciononostante,
nei loro occhi si riflesse anche lo smarrimento e la paura nel sapere
in quali condizioni versava Thorin – persona a loro veramente
troppo
cara.
Padre e
compagna
cercarono
negli occhi dell'altro la forza adatta per non perdere la speranza, e
quel coraggio che sarebbe servito finché non si fosse
conclusa ogni
cosa. Nel bene e nel male.
<<
Starà bene, vedrai >> le sussurrò
Balin, così che solo lei
potesse udirlo << E' un Durin >>.
Lei
accennò un mezzo sorriso, stringendo con affetto la mano del
vecchio
nano; egli agitò l'altra davanti al volto, forse per
impedirsi di
commuoversi.
Karin
alzò lo sguardo dal suo, spalancando un poco gli occhi:
Legolas si
stava avvicinando, salutando i nani con rispetto. Dietro di lui
veniva Gandalf, con un braccio appeso al collo ed il solito sorriso
contento sulle labbra.
<<
Ah! >> commentò solamente nel vederla, seppur
in braccio a
Dwalin << Non temere, non è nulla di grave!
>> spiegò
indicando il suo braccio, in risposta allo sguardo curioso di lei.
<<
E' bello saperti sveglia, Karin. Mio padre ci tiene a farti avere i
suoi saluti >> disse l'elfo, regalandole un piccolo
inchino.
<<
Grazie. Dove si trova? >> chiese, rispondendosi poi da
sola <<
Immagino partecipi alla caccia agli orchi >>.
Legolas
annuì << Soprattutto
lui.
Poco fa è giunto Roac, mettendoci al corrente della
situazione: sono
riusciti ad ucciderne molti e saranno di ritorno presto, verso
mezzogiorno >>.
<<
Te l'avevo detto >> borbottò Dwalin, ormai
stufo di tenerla in
braccio.
D'improvviso,
fu come se un lampo avesse squarciato la sua mente: guardò i
suoi
amici, notando l'assenza di qualcuno.
<<
Kili e Fili! >> gridò, dimenandosi
improvvisamente tra le
braccia del nano che, per poco, non la fece cadere <<
Dove
sono? Loro... erano accorsi in aiuto di Thorin durante la battaglia!
>>.
<<
E' esatto >> disse Gandalf, sospirando gravemente
<< Sono
stati feriti, dopo aver combattuto valorosamente; sono in una tenda,
poco lontano da quella di Thorin: ti stavi recando là,
immagino >>.
<<
Sì >> abbassò il capo, cercando di
nascondere agli altri il
suo profondo turbamento; rialzò la testa di scatto, puntando
lo
sguardo nero sul volto di Dwalin.
<<
Va' da loro >> ordinò, stringendogli la
camicia.
<<
Lo farò dopo che ti avrò accompagnata
>> rispose seccamente
lui.
Ma
Karin scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli ancora
sporchi << Vacci ora, o potresti pentirtene. Vigila sui
figli
di Dìs:
non c'è persona più adatta di te, e lei vorrebbe
così >>.
Dwalin
contrasse la mascella, stringendo involontariamente il suo corpo; in
combutta con se stesso, alla fine decise: la consegnò a
Legolas, e
Karin poté percepire chiaramente la differenza di presa.
Quella del
nano era forte, quella dell'elfo era più gentile, come se
avesse
timore di farle male. Però, non per questo, meno salda.
Il
nano li salutò per poi camminare a grandi falcate, mentre
loro si
trattennero un altro po' con gli altri: Karin parlò con
tutti,
abbracciandoli con qualche difficoltà data l'altezza
dell'elfo e il
fastidio provato al braccio; la gamba, al contrario, era ancora
insensibile.
Dopo
quelle che le parvero lunghe ore si congedarono, percorrendo la
stessa strada di Dwalin; camminarono in silenzio per un po',
finché
non lo spezzò.
<<
Anche io sono felice di saperti vivo, e vorrei chiederti perdono
riguardo la mia impulsività durante la battaglia: ma non
potevo
rimanere in disparte >>.
<<
So cosa ti ha spinta a correre in quel modo; o meglio, chi
>>
sorrise furbamente e la guardò negli occhi, svoltando lungo
una
nuova fila di tende << Avrei compiuto la medesima azione,
se la
persona da me amata si fosse trovata in difficoltà
>> ammise
<< Però la prossima volta sei pregata di
avvertirmi in tempo:
non hai idea della paura che ho provato >>.
Il
tono serio la fece vergognare, ma si disse che non avrebbe mai voluto
cambiare ciò che era stato.
<<
Spero non ci sarà una seconda volta >>
borbottò.
Finalmente
l'elfo si fermò e, col cuore che galoppava anche troppo
velocemente,
attese d'entrare; eppure, quando varcarono la soglia, ebbe un potente
desiderio d'uscire.
L'odore
di morte
che
aleggiava nell'aria le fece mancare il fiato, ed ogni speranza.
Gli
occhi si riempirono di lacrime ancor prima di vederlo disteso sul
giaciglio, col volto ancora percorso da ferite rosso vermiglio; una
coperta le nascondeva il petto nudo fasciato con bende, e l'olezzo
che emanavano suggerivano che dovevano essere cambiate in fretta.
Non
seppe spiegarsi i sentimenti che le invasero il cuore, ma la voglia
di piangere e urlare il suo nome fino a svegliarlo fu tanta.
Incontenibile.
Legolas
la depose delicatamente sulla seggiola accanto alla branda,
guardandosi poi attorno alla ricerca di qualcosa << Vado
a
cercarti un'altra sedia, poiché devi tenere la gamba
distesa; nel
frattempo tenterò di capire dove possa trovarsi il medico
>>.
Karin
non sembrò udirlo, troppo impegnata ad osservare il volto
dell'amato; quando comprese d'essere sola, alzò una mano e
sfiorò
dolcemente la sua guancia.
<<
Thorin, sono qui >> avrebbe voluto dire altre parole, ma
le si
impigliarono in gola; si diede della sciocca, certa di non essere
stata udita: che senso aveva parlare con qualcuno che non poteva
né
sentirti né risponderti?
Invece
di star meglio si sentì decisamente peggio.
Doveva
agire,
o
sarebbe impazzita dalla tristezza che le appesantiva il cuore.
Spostò
gli occhi alla sua sinistra, accorgendosi di un basso catino bianco
riempito d'acqua dove, sul bordo, si trovava una pezzuola pulita: si
allungò più che poté, riuscendo a
prenderlo non senza qualche
imprecazione trattenuta a fatica.
Sospirò
pesantemente quando se lo pose in grembo e, con la gamba sana, spinse
la sedia poco più vicina alla branda in modo da essere
agevolata nei
movimenti; intinse la pezza nello specchio limpido, strizzandola con
energia finché non smise di gocciolare: poi, delicata e
leggera, la
adagiò sulla fronte del nano dove, a destra, campeggiava un
lungo ed
esteso taglio che arrivava fino alla glabella. Tamponò, ma
fu
costretta ad utilizzare un po' più di energia per rimuovere
il
sangue ormai rappreso: dopo alcuni minuti sospirò
soddisfatta,
guardandola ora pulita e ridimensionata in larghezza - purtroppo non
in lunghezza – e posò gli occhi sull'acqua
già rossastra.
Una
smorfia le distorse i tratti del volto stanco: un lieve fastidio
iniziava a propagarsi dalla coscia, espandendosi fino al piede;
l'anestesia stava dissolvendosi in fretta e, presto, il dolore
sarebbe stato atroce da sopportare. Almeno finché il medico
non
avesse provveduto.
Si
concentrò sul ripulire le ferite visibili di Thorin, fin
dove riuscì
ad arrivare con la gamba malandata; non pensò molto, a dir
la
verità, limitandosi a compiere gesti meccanici quali
immergere la
pezzuola e pulire i tagli, o passargliela tra i capelli per togliere
ogni residuo di polvere e sangue.
Infine
ripose il tutto, prendendo tra le mani uno straccio pulito: stavolta
glielo poggiò sulle labbra sottili, bagnandole per non farlo
disidratare, e poi lo mise sulla fronte, constatando quanto questa
scottasse.
Rimase
immobile a lungo, osservandolo: il petto si alzava ed abbassava
regoalare, eppure molto flebile; la pelle era percorsa da goccioline
di sudore, segno che la febbre si stava alzando pericolosamente.
Bagnò
innumerevoli volte la pezzuola, dato che si seccava facilmente, e poi
tentò di non sussultare ad ogni fitta o movimento
improvviso.
Altre
lacrime scesero durante quel tempo interminabile però le
asciugò
sempre, speranzosa: se si fosse risvegliato si sarebbe preoccupato
nel vederla con gli occhi rossi e lucidi; e lei non aveva alcuna
intenzione di dargli quel dispiacere.
<<
Karin >>.
Trasalì
sulla sedia quando udì la voce di Legolas alle spalle, e
girò il
busto reprimendo un gemito: stando per ore in quella scomoda
posizione si era irrigidita, necessitava di sgranchirsi un po'; un
mero sogno, data la gamba.
L'elfo
reggeva tre le mani una sedia di legno in buone condizioni e, dietro
di lui, veniva un nano dalla corporatura robusta e dalla lunga barba
grigia, annodata in numerose e sottili treccine; i capelli del
medesimo colore erano anch'essi pettinati in varie trecce, ma la
chioma era fluente nonostante l'anzianità. Karin
giudicò potesse
avere la stessa età del padre, se fosse stato ancora in
vita.
Lo
osservò attentamente e così fece lui, lasciando
trapelare la
disapprovazione con sonori sbuffi e occhiate severe.
<<
Così non va bene, mia signora: devi riposarti e stare
distesa >>
disse con voce profonda e burbera << La guarigione
altrimenti
non avverrà in tempi brevi >>.
<<
Non ho alcuna intenzione d'andarmene, mastro nano >>
ribatté,
sicura di sé.
<<
Sii ragionevole, Karin >> s'intromise Legolas, quasi
pregandola
<< Non ti fa bene rimanere qui >>.
<<
Tu che ne puoi sapere? >> sibilò, sentendo la
rabbia montare
veloce in petto << Chi ti ha dato il permesso di
giudicare cosa
è bene per me e cosa no? Sono in grado di badare a me
stessa, sono
adulta e ho affrontato più prove di qualsiasi altra persona:
perciò,
non provare mai
più
a dirmi questo >>.
Il
silenzio che scese subito dopo sembrò penetrare nelle loro
pelli
come ghiaccio, lasciandoli anche allibiti: mai prima d'ora gli si era
rivolta con quel tono autoritario
e
ostile,
come
se non volesse accettare consigli da un amico.
Non
abbassò lo sguardo nemmeno per un secondo, non si
pentì delle
parole dette.
<<
Rimarrò qui, costi quel che costi. Non posso abbandonarlo
>>
l'ultima frase la sussurrò, voltando la testa verso il
malato; le
dita gli sfiorarono la mano ma si ritrassero subito, pentendosi
d'essersi mostrata così vulnerabile dopo il tono duro.
Legolas
ammutolì, così prese parola il nano
<< Bé, in questo caso
dovremo trasportare la tua branda qui dentro: c'è spazio
sufficiente
per entrambe >>.
Karin
lo guardò e annuì, oltremodo grata
<< Ti ringrazio >>
tentennò, non conoscendo il suo nome.
<<
Disin >> si presentò, inchinandosi lievemente
<< Al tuo
servizio, mia signora >>.
<<
Karin, al tuo >>.
<<
Conosco il tuo nome. Ed è un vero onore poter conoscere la
salvatrice del Re sotto la Montagna >>.
La
ragazza corrugò le sopracciglia << Salvatrice?
>>
domandò, imbarazzata.
<<
Non si parla d'altro che del tuo coraggio, in queste ore
>> le
si avvicinò, posandole la sedia sotto la gamba nuda per
esaminarla:
quando la toccò sussultò, strizzando gli occhi.
Disin la guardò di
sottecchi, tornando a concentrarsi di nuovo sulla ferita; tolse le
bende, e Karin sentì d'impallidire: il taglio era lungo e
rossastro,
percorso da punti di sutura. Fortunatamente non era cosciente quando
l'aveva ricucita, o sarebbe svenuta immediatamente! A dispetto della
visione non poté impedirsi d'immaginarsela grondante di
sangue
vermiglio con i muscoli esposti e, per un attimo, le vertigini la
presero.
Il
medico borbottò qualcosa, allarmandola <<
Qualcosa non va? >>.
Alla
mancata risposta osservò Legolas, teso quanto lei;
finalmente il
nano le rispose << Alcuni punti sono saltati, ecco
perché ti
dava fastidio oltre al normale dolore della cicatrizzazione. Comunque
non si infetterà! >>.
<<
Questo mi conforta >> mugugnò, incupendosi
<< Ti chiedo
di occuparti del re, ora: ne ha più bisogno >>.
Disin
la rifasciò con una nuova benda pulita, per poi scostare il
lenzuolo
dal corpo febbricitante di Thorin.
<<
Ben fatto: la benda fresca servirà a far scendere la febbre
>>
disse, soddisfatto.
<<
Io intanto chiedo ai tuoi compagni se possono aiutarmi a spostare la
branda, Karin >>.
Annuì,
dicendosi d'accordo con l'idea di Legolas; quando furono soli
calò
il silenzio, mentre lo vedeva srotolare con le dita callose ma
inaspettatamente delicate le varie bende impregnate di sangue dal
petto del nano.
Le
si attorcigliò lo stomaco quando l'odore della ferita le
arrivò
alle narici e si ritrovò a ruotare il capo di lato per non
vomitare,
stringendo gli occhi con foga per non scoppiare a piangere: non aveva
voluto
riconoscerlo
prima, ma ora comprendeva appieno la gravità della
situazione di
Thorin, e ne aveva paura.
Perché
ora, buona parte del suo cuore, le sussurrava che non sarebbe
sopravvissuto.
<<
Mia signora Karin, stai bene? >> domandò
Disin, riponendo il
disinfettante sul tavolino di legno accanto al sovrano.
Si
fece coraggio, cercando di recuperare la calma e la freddezza
<<
Sì, ti ringrazio. Quando hai finito, però,
gradirei rimanere sola
con lui: ho intenzione di occuparmene personalmente come ho fatto
finora >> sentì d'aver usato un tono troppo
autoritario, e
decise di correggerlo con un breve sorriso << Per favore
>>
aggiunse poi, di getto.
<<
Come comandi >> rispose lui, fin troppo servile.
<<
Non ti sto obbligando >> ribatté lei,
guardinga << E non
c'è bisogno di dimostrarsi così... sottomesso.
Non con me, almeno
>>.
<<
E quale comportamento dovrei tenere in tua presenza? >>
chiese,
smettendo di lavorare per scoccarle un'occhiata fredda.
Ecco pensò
Karin questo
è il tuo vero volto.
<<
Non saprei >> ammise, guardandolo sempre circospetta
poiché
non sapeva che pensare di lui << Ad esempio, so che
provieni
dai Colli Ferrosi, e conosci il mio nome e ciò che
rappresentavo:
perché, dunque, non mi disprezzi come gli altri e come il
tuo re? >>
domandò, sinceramente curiosa.
Quello
si aprì in un leggero sorrisetto divertito continuando il
suo
lavoro, cosa della quale Karin gliene fu grata; impiegò
qualche
minuto, ponderando la domanda e scegliendo la risposta adatta.
<<
Come potrei denigrarti? Conoscevo tuo padre, Karin figlia di Kario
>>.
A
quelle parole la ragazza rimase sbigottita; schiuse le labbra
screpolate, dimenticandosi perfino della costante pulsazione alla
coscia.
<<
Davvero? Non ti ha mai menzionato >>.
<<
Questo perché la nostra conoscenza risalì a prima
che tu nascessi;
mi capitò molte volte d'incontrarlo e, fin da subito, lo
reputai un
nano onorevole e giusto: autoritario e fiero, certo, ma rispettabile,
pieno d'onore e senso di giustizia! Inutile sottolineare che si
guadagnò la mia più profonda stima e fiducia dopo
appena spicce
parole >>.
Il
cuore di Karin fece una capriola, la sua anima si inorgoglì
nel
sentir parlare di suo padre con così tanta ammirazione: a
parte
Thorin e Balin – e anni prima anche Dwalin –
nessuno le aveva mai
confidato cosa provasse o pensasse al cospetto di Kario.
Sorrise
spontaneamente, un sorriso che le scaldò il cuore dolente:
era
felice di poter parlare con qualcuno di estraneo di suo padre, e
scoprire che non lo odiava per le calunnie riguardanti l'esilio.
<<
Hai creduto al tradimento? >> chiese, un po' titubante.
Il
medico scosse la testa energicamente, finendo di stringere con un
nodo le nuove bende di Thorin per poi occuparsi dei tagli sul viso,
mostrandosi soddisfatto del lavoro fatto da lei << Oh,
no! Non
lo credevo possibile! >> esclamò convinto
<< Non
immagini il dispiacere nello scoprire della sua morte: ne fui
oltremodo addolorato. E quando i soldati tornarono all'accampamento
dopo aver discusso le condizioni con voi e riferirono dell'esiliata
che aveva osato questionare contro Re Dain... ah, non potevo
crederci! Credevo fossi perita come tuo padre: invece, ti sei
dimostrata sua degna figlia ed erede >> la
guardò,
ridacchiando di fronte alla sua espressione inebetita e confusa.
<<
Kario mi raccontò la storia della spada della tua stirpe:
Iris,
Fulgore d'Oriente. I miei occhi non avevano mai avuto il privilegio
di posarsi su una lama talmente splendente e meravigliosa. Quando ho
potuto rivederla brandita da te durante la battaglia mi è
parso di
vedere lo spirito di tuo padre, e le sue parole hanno risuonato nella
mia testa: mi confidò il desiderio di volere un figlio
coraggioso e
leale verso il suo sovrano. E tu, mia signora, hai tutte le
qualità
a cui lui aspirava: Kario sarebbe oltremodo fiero di te
>>.
Dagli
occhi neri scesero lacrime di commozione, e nulla fece per
nasconderle: perché doveva vergognarsi della sua
felicità, di quel
peso che sembrava essersi dissolto dal cuore?
Abbassò
la testa in segno di rispetto, ringraziandolo per le belle parole;
lui agitò una mano noncurante, tornando leggermente
più scorbutico
dato l'imbarazzo provato.
<<
Ora mi congedo, lascio il re alle tue premure: sono certo saprai
proteggerlo ancora >> le lanciò uno sguardo
che valeva più di
mille altre frasi e, dopo averle consegnato delle erbe che avrebbero
attenuato il suo dolore alla gamba, si profuse in un inchino e se ne
andò, lasciandola sola con il malato.
In
parte si dispiacque, poiché il nano era socievole e di buona
compagnia, però le era mancato il silenzio e il poter
rivolgere la
sua attenzione unicamente verso Thorin; come prima, passò
altro
tempo ad accudirlo osservandone attentamente ogni tratto, dalle
labbra sottili leggermente dischiuse alle palpebre tremolanti che
molte volte la trassero in inganno, convinta di un suo imminente
risveglio: ma le ore passarono e non notò altri cambiamenti,
facendola cadere nel baratro della tristezza.
Legolas
si presentò con Nori e Bofur e, una volta sistematole la
branda
accanto a quella del sovrano, la fecero sedere lì; ora
più vicina a
Thorin, si permise addirittura di dormicchiare con il capo accanto al
suo, stando bene attenta a non girarsi troppo.
Così
la trovò Gloin, molte ore dopo; fuori era calata la sera, e
l'accampamento aveva acceso i suoi fuochi. I soldati ora erano
allegri e brindavano alla vittoria, ed anche i sovrani erano lieti;
Gandalf aveva congedato con molti ringraziamenti le Aquile ed ora
chiacchierava con Beorn, il quale voleva salutare la giovane prima
della partenza: ed ecco perché il nano si trovava
lì, accanto al
corpo addormentato di Karin.
La
scosse piano per una spalla e la vide aprire gli occhi di scatto,
mettendosi a sedere e gemendo debolmente.
<<
Gloin >> lo salutò con voce impastata
<< Che accade? >>.
<<
Ti chiedo di uscire per qualche minuto, Karin; Beorn sta partendo, e
gradirebbe dirti addio >>.
La
ragazza si stropicciò un occhio, annuendo con vigore
<< Certo.
Potresti aiutarmi a scendere dalla branda? >>.
Gloin
mosse il capo in un cenno d'assenso, portando una mano sotto
l'ascella della giovane; tirò verso di sé,
portandole poi un
braccio attorno al collo perché non cadesse.
Mossero
qualche passo incerto e la sentì lamentarsi ma, subito dopo,
arrivarono al punto dov'erano posate due grucce di legno.
<<
Ti senti sicura con quegli affari? >> domandò,
nel vederla
barcollare.
<<
Devo solo abituarmici >> borbottò, il volto
serio e
concentrato; le portò in avanti, seguendo il movimento con
le gambe.
Quella malandata - poco più su dell'altra - non toccava
terra e, al
momento, non le procurava grossi fastidi: ciò era un bene.
<<
Andiamo >> parlò, seguendo il nano.
L'aria
frizzante della notte la fece rabbrividire; si rimproverò
duramente
quando ricordò di indossare solamente quella tunica: sebbene
fosse
di lana, il freddo penetrava ugualmente.
Si
incamminarono e, dettaglio che la lasciò sbalordita, furono
i
continui sguardi lanciati dai soldati al suo indirizzo; imbarazzata,
cercò di non badarvi, non sapendo se gliele rivolgessero per
il
fatto di essere l'unica femmina
dell'accampamento
– per di più vestita in quel modo – o
perché rimembravano i
suoi appellativi: Traditrice e, ora, Salvatrice.
Finalmente
intravide le alte figure di Gandalf e Beorn accanto ad un
falò
rossastro; quando la scorsero, entrambi le rivolsero un gran sorriso.
<<
Karin! Vedo che ti reggi benissimo in piedi! >>
commentò lo
stregone, mostrandosi soddisfatto.
<<
Ci provo >> ribatté lei, che non si sentiva
così sicura nel
procedere; accolse come una benedizione il poter stare ferma, e
girò
la testa verso il mutaforma.
<<
Salute, Beorn. È da molto che non ci incontriamo
>>.
<<
Vero! >> esclamò l'uomo << Sono
dispiaciuto per le tue
brutte ferite, uccellino. E per quelle riportate dal tuo sovrano:
è
merito mio se possiamo ancora considerarlo tale, comunque
>>.
<<
Sei stato tu a salvarlo? >>.
<<
Precisamente >> rispose, grattandosi la barba ispida
<<
Ed ero accorso a prendere anche te, ma la tua aquila mi aveva
già
preceduto >> indicò col pollice un punto alle
sue spalle e
Karin, dubbiosa dalle parole rivoltale, seguì la traiettoria.
Sgranò
gli occhi quando riconobbe l'enorme aquila che l'aveva tratta in
salvo dopo la spiacevole avventura alle Montagne Nebbiose, e sorrise;
il rapace si stava pulendo le penne marroni screziate di bianco alle
estremità ma, forse accorgendosi della nuova presenza, si
fermò e
piegò il capo di lato, guardandola.
Karin
camminò verso di lei, finché non si
trovò a pochi passi <<
Ti ringrazio, poiché mi hai salvato la vita ben due volte.
Temo
d'essere in debito con te >> abbassò la testa,
inchinandola
rispettosamente.
L'aquila
lanciò un verso stridulo, piegando la testa fino a sfiorare
la terra
secca col becco affilato, in risposta.
Col
cuore colmo di gratitudine, Karin allungò una mano
– rimanendo
aggrappata all'altra stampella – e accarezzò
brevemente il becco
del rapace, donandole un sorriso.
Poi
indietreggiò, vedendola spalancare le ali maestose e
spiccare il
volo, perdendosi presto nell'oscurità.
Sentì
dei passi, e Gandalf e Beorn le si affiancarono perché non
si
affaticasse ulteriormente << Credo avremo ancora bisogno
di
lei, prima della fine >> sentenziò lo
stregone, col suo solito
tono enigmatico.
Leggermente
spossata e con un forte desiderio di dormire preferì non
indagare,
congedandosi anche dal mutaforma.
<<
Addio, dunque, coraggiosa nana! Possa il tuo viaggio concludersi
sotto i migliori auspici: dopo tutto, te lo meriti >>.
<<
Così come tu meriti di passare il resto della vita in pace e
tranquillità, senza dover intervenire in altre battaglie
>>
convenne lei, esprimendo riconoscenza << Spero che la mia
amicizia possa accompagnarti a lungo >> concluse poi,
sorridendogli.
Beorn
annuì, incrociando le braccia << Eccome!
Così come spero
possa accompagnarti la mia >> si schiarì la
voce goffamente,
gli occhi scuri brillanti nella notte << Che la fortuna
ti
assista in queste ore per te buie, amica mia. Oggi e per sempre
>>.
<<
Altrettanto. A nome di Thorin Scudodiquercia ti ringrazio per averlo
salvato. Addio, Beorn >>.
Non
si strinsero la mano, benché meno si abbracciarono: le
parole di
Karin furono le ultime dette, dopodiché Beorn il mutaforma
si
incamminò verso casa; ad un certo punto, una specie di
ruggito ruppe
l'atmosfera che aleggiava nell'aria. Era il suo ultimo saluto.
<<
Persona interessante, non sei d'accordo? >>
domandò Gandalf,
una volta soli.
Karin
espirò, stanca, quando un pensiero la colse di sorpresa
<<
Ma... dov'è Bilbo? >> chiese, guardandosi
attorno.
<<
Oh, ho ritenuto opportuno tenerlo impegnato, altrimenti sarebbe
venuto ad importunarti molte volte nel corso del pomeriggio! Devi
sapere che non approva granché la tua idea: ritiene che, nel
malaugurato caso della morte di Thorin, tu possa uscirne devastata
>>
spiegò serio.
<<
Ne sarò addolorata indipendentemente da dove mi trovi
>>
sbottò, adombrandosi; poi però il volto ridivenne
preoccupato,
anche se passò un lampo speranzoso nei tratti
<< Non puoi
aiutarlo in qualche modo, Gandalf? >> supplicò.
<<
Non in questo caso, bambina mia. È giusto che Thorin
Scudodiquercia
dimostri di possedere le forze di cui non
è sicuramente sprovvisto per svegliarsi e tornare dalle
persone che
lo attendono e lo amano. Però, se me lo permetterai, potrei
occuparmi della tua gamba >> concluse, strizzando
amichevole un
occhio azzurro.
Karin
sospirò internamente, sopendo la voglia di imporsi e
contestare
l'Istari; d'altra parte, però, sapeva che quelle motivazioni
erano
corrette, anche se dovette mordersi il labbro per non iniziare una
lunga e strenua discussione.
<<
Volentieri, grazie >> disse, infine.
<<
Oh, questo ed altro per la Salvatrice di Re >>
ridacchiò alla
sua smorfia, posandole una mano sulla spalla.
<<
Dori fu il primo a chiamarmi così, subito dopo aver salvato
Thorin
dal primo scontro contro Azog >> spiegò, con
una smorfia di
disaccordo << Non mi piace granché come
appellativo, mi mette
a disagio >> rivelò, sbuffando
<< Comunque, sempre
meglio di traditrice o esiliata >>.
<<
Ah, sono pienamente d'accordo! E, se me lo concedi, credo che
sentirai presto altri titoli, Karin figlia di Kario >>.
Di
nuovo, la ragazza aggrottò la fronte nel sentire l'ennesimo
enigma,
preferendo non badarvi: si lasciò condurre verso la tenda di
Thorin
– ora anche sua – trovando Gloin sull'uscio,
appoggiato alla sua
ascia; capì quanto fosse stanco, ma era rimasto sveglio ad
attendere
il suo ritorno.
<<
Ho preferito vegliarlo >> le rispose, dopo che gli ebbe
domandato perché non se ne fosse andato a letto
<< Sai, per
precauzione, nel caso si fosse destato >>.
Il
cuore di Karin si strinse e traboccò di riconoscenza
l'attimo
successivo; la voglia di abbracciarlo l'invase e, per una volta,
l'accontentò.
Lo
sentì irrigidirsi, stupito, ma poi ricambiò
goffamente lasciandola
andare quasi subito: non la guardò negli occhi, troppo
imbarazzato.
L'affetto
per il rude nano aumentò a dismisura, specie nel vederlo
così teso
<< Grazie, Gloin >> disse, commossa.
<<
L'ho fatto con piacere >> borbottò
<< Buonanotte >>.
Se
ne andò, permettendo ai due di entrare nella tenda; con
immensa
pena, Karin capì che nulla era mutato durante la sua
assenza: Thorin
era ancora febbricitante e dormiva, sprofondato in quella battaglia
personale che lo vedeva sospeso tra la vita e la morte.
<<
Temo per la sua vita, Gandalf >> si trovò a
sussurrare, seduta
sul giaciglio mentre lo stregone le sfiorava la ferita borbottando
litanie.
Egli
aprì immediatamente gli occhi, guardandola apprensivo
<< Come
tutti noi, del resto. L'unica cosa che posso dirti è di non
perdere
la speranza, e confidare maggiormente nel tuo re >>.
<<
E se ciò non bastasse? >>.
Il
tono pieno di timori ma ormai sconfitto nella sua profondità
lo
turbò << Basterà >>
disse, sperando di convincerla; non
ci riuscì del tutto, così decise di dimostrarsi
fiducioso e
allegro, sebbene il suo animo fosse tentennante << Su,
ora in
silenzio, altrimenti non potrò guarirti! Ecco, dovrebbe
bastare: da
adesso potrai sorreggerti solo grazie ad un semplice bastone; poco
prima mi sembravi oltremodo in difficoltà! >>.
Karin
si lasciò scappare una breve risata, scuotendo il capo
<< Non
ti si può nascondere nulla, vero? >>.
<<
Era piuttosto evidente, mia cara. Cerca di riposare, mi raccomando
>>.
<<
Va bene >>.
Gandalf
si congedò e, ora sola, Karin non si stupì nel
disobbedire al suo
consiglio: si ritrovò ad assistere il nano per lunghe ore,
accarezzandogli la fronte leggermente più fresca e le grandi
mani
abbandonate lungo il busto. Scostando di poco le coperte
notò la
bolla rossa dove Azog l'aveva ferito, proprio sotto l'ascella; le
parve di notarla meno estesa rispetto alla mattina, ma non volle
azzardare alcun giudizio: spesso le persone che sembravano
riprendersi mostravano improvvisamente una ricaduta e, nella maggior
parte dei casi, morivano.
Scosse
la testa, implorando gli dèi di risparmiarlo, chiedendo
perfino di
poter prendere il suo posto; tutto pur di rivederlo aprire gli occhi,
camminare fiero e dritto senza alcun timore. Tutto, purché
potesse
stringerla ancora tra le braccia salde, baciarla con ardore e
accarezzarla con mani ruvide ma delicate.
Si
lasciò scappare un singhiozzo, soffocando il successivo con
la
manica della camicia da notte premuta sulle labbra.
Non
seppe per quanto tempo rimase a piangere e disperarsi: l'unica frase
che riuscì a formulare le rimbombò continuamente
in testa, come
fosse una nenia. Una preghiera accorata.
Non lasciarmi,
ti prego!
Si
svegliò di soprassalto, chiedendosi quando
si
fosse addormentata: probabilmente in seguito al pianto furioso,
poiché non possedeva altri ricordi. La testa sembrava
esploderle, le
martellava senza sosta; si consolò col pensiero che, almeno,
la
gamba non le doleva più di tanto.
Sentendosi
osservata puntò gli occhi nella penombra verso l'imboccatura
della
tenda, dalla quale spuntò Dwalin, indecifrabile in viso.
<<
Come stanno Kili e Fili? >> domandò,
tremendamente
preoccupata.
Il
nano le si avvicinò, sorridendole << Si sono
risvegliati poco
fa, ed hanno già iniziato a chiacchierare e a chiedere di
tutti, te
compresa. Quando ho riferito dove ti trovavi hanno sorriso sornioni,
dicendomi che capivano perfettamente >>.
Karin
sbuffò, sprezzante << Forse non hanno inteso
che loro zio è
ferito gravemente! >> sbottò piccata.
<<
Oh, lo sanno! >> ribatté Dwalin
<< Ma il saperti accanto
a lui dopo la tua fuga li ha consolati. Diciamo che ci siamo calmati
tutti non appena ti abbiamo vista correre verso di lui, anche se
stavi compiendo un'azione stolta. Ma necessaria >> si
affrettò
ad aggiungere, non appena la vide aprire la bocca per replicare,
battagliera.
<<
Thorin, invece? Qualche miglioramento? >> volle sapere,
guardando l'amico disteso.
Karin
scosse la testa, affranta << Ciò che vedi. Ha
iniziato a
rantolare da poco, però, e non credo sia un buon segno
>>.
Abbassò
il capo, distrutta, senza rialzarlo quando percepì la
pressione
della grande mano di Dwalin sulla spalla, in un muto gesto di
solidarietà; la mano volò sulla sua,
stringendogliela in
ringraziamento. Rimasero in quella posizione per lunghi minuti, nei
quali cercarono di sostenersi a vicenda per superare il dolore e
l'impotenza che li accompagnava: vedere l'amico e re in quelle
condizioni non giovava loro, specie a Karin, i cui occhi si
inumidirono nuovamente; dovette inspirare a bocca socchiusa per
calmarsi, e Dwalin comprese di doverla allontanare dai cattivi
pensieri, seppur per poco tempo.
In
procinto di parlare, venne interrotto dalla voce incrinata della
stessa << In tutto questo tempo ho avuto modo di
riflettere. Se
Thorin non dovesse svegliarsi, non credo riuscirei a sopravvivere
>>.
Dwalin
si immobilizzò, staccandosi e indietreggiando di due passi,
incredulo << Non dirlo, Karin. Non glielo permetterai
>> disse, sicuro.
<<
Non ho potere di vita, né di morte >>.
<<
Basta che tu gli stia accanto: sentendoti, Thorin tornerà da
te, a
costo di sfidare la morte stessa >>.
Karin
rimase zitta, ponderando le parole dell'amico; infine, sorrise
malinconica << Elfi e Nani sono più simili di
quel che
pensiamo >> sussurrò amaramente.
<<
Che vorresti dire? >> domandò lui, non
riuscendo a trovare il
nesso col discorso precedente.
<<
Amiamo una volta sola, e moriamo per amore. Questo sarà il
destino
che mi attenderà: e l'accoglierò con gioia
>>.
<<
No! Dimorerai con noi, con me,
ad
Erebor >> proruppe, ben convinto della frase.
Karin
si commosse, guardandolo negli occhi: finalmente era giunto il tanto
agognato perdono.
<<
Da quando hai cambiato opinione nei miei confronti? >>
volle
sapere, asciugandosi una lacrima con la punta dell'indice.
<<
Da un po' di tempo, ad essere sincero >> ammise brusco,
trovando interessante il catino posto sopra il mobiletto
<<
Quando ti ho vista rischiare la vita per salvarlo anche stavolta,
bé... ricredersi è stato semplice
>>.
<<
E' bello saperlo >> concordò, sentendosi
felice e sollevata
sotto il baratro dell'afflizione.
Dwalin
sospirò, rincuorato d'aver momentaneamente appianato le
divergenze;
certo, non era stato il momento adatto per risolvere le loro beghe,
ma avrebbero avuto più tempo non appena Thorin si sarebbe
ristabilito. Profondamente convinto dei suoi pensieri, si permise di
rassicurarla.
<<
Non temere, Karin, e sii fiduciosa. Thorin sopravvivrà
>>.
Karin
annuì mesta, non volendo privarlo del compiacimento di
essere
riuscito nell'intento di risollevarle il morale a pezzi.
Seguì
con lo sguardo l'imponente figura finché non
oltrepassò la soglia
e, solo allora, si lasciò sfuggire un sospiro fiacco.
Tutti
erano fermamente certi di una sua ripresa: tutti tranne lei.
Era
semplicemente negativa, oppure realista? I suoi compagni non volevano
guardare in faccia la realtà, o era lei ad essere
così pessimista
nel considerarlo ormai perduto per sempre?
Domande.
Inutili domande che non chiedevano necessariamente una risposta.
Si
sporse verso Thorin, posandogli le labbra sulla fronte: era ancora
bollente, perciò si adoperò per abbassargli
l'elevata temperatura
corporea.
Attese
invano il medico, decidendo di conseguenza di occuparsi anche del
cambio delle bende; alzandosi a fatica in piedi, sciolse il nodo e
srotolò la fasciatura impregnata di sangue e pus. Con una
smorfia di
disgusto l'appallottolò e la gettò lontano, a
terra; lavò con
infinita delicatezza la ferita, disinfettandola ancora, senza mai
perdere di vista i tratti del volto nell'auspicio di un qualche
mutamento.
Poi
zoppicò lenta verso il sacchetto di erbe medicinali
lasciatele e,
con un tuffo al cuore, ne riconobbe una: l'Athelas campeggiava scura
tra altre pianticelle più chiare, probabilmente una sorta di
sedativo per il dolore.
Con
dita sicure afferrò numerose foglie dell'erba medicinale,
annusandole: la mente la riportò al loro breve soggiorno
alla
Carroccia, quando Thorin le aveva medicato la spalla e la guancia,
entrambe regalo della Città dei Goblin.
Quella
notte avevano discusso, com'erano soliti fare un giorno sì e
l'altro
pure, ma poi qualcosa era cambiato: si erano trovati ad un nonnulla
dal volto dell'altro, consci di colmare la breve distanza con un
bacio. Era stata la prima occasione in cui l'avevano desiderato
ardentemente,
con tutto il loro cuore; da quel momento non erano stati in grado di
sopire l'amore che, giorno dopo giorno, li aveva tormentati
prepotentemente.
Si
ritrovò a sorridere, persa in quei dolci ricordi; prese il
ritrovamento della foglia di re come un segno e, senza pensarci due
volte, la sminuzzò tra le dita e l'immerse in acqua.
Guardò i
pezzettini galleggiare pigramente, e la lenta trasformazione del
colore dello specchio trasparente; poi intinse una garza,
strizzandola e posandola sul taglio profondo, già verso la
cicatrizzazione. Arrotolò le bende pulite sopra di essa,
stringendo
il nodo in modo che non si staccasse il tutto; mortalmente stanca e
con un notevole bisogno di dormire qualche ora, si coricò
accanto
all'altro fianco di Thorin. A dispetto della stanchezza il sonno
tardò a sopraggiungere, così non le rimase altro
da fare che
contemplarlo; la figura addormentata e inerte contrastava
paurosamente con l'idea che aveva sempre posseduto nei riguardi del
Re sotto la Montagna.
Eppure
lo sapeva combattivo nel profondo della sua anima: si chiese se, dopo
averla sentita accanto a sé, avesse reagito e si fosse
ribellato
alla morte e, ora, stesse guerreggiando furioso e orgoglioso come
solo lui poteva essere per tornare a vivere.
Per
tornare da lei.
Chiuse
la mano a pugno e la portò alle labbra, stringendo la carne
dell'indice tra i denti; era così stanca,
e
furiosa
perché
impotente! Avrebbe voluto correre disperatamente il più
lontano
possibile da quella dannatissima tenda ma, al contempo, desiderava
lasciarsi spegnere lentamente lì dentro, vicino al suo
Thorin: e, in
fin dei conti, era proprio vicina all'obiettivo.
Si
avvicinò al suo volto, gli accarezzò la tempia
<< Torna da me
>> sussurrò affannata << ti
prego >>.
Premette
le labbra sulle sue, calde e sottili, quasi sperando di vederlo
aprire le palpebre e guardarla con occhi azzurri confusi ma
amorevoli. Non accadde.
Sopirò
per l'ennesima volta, lasciandosi scivolare al suo fianco;
benedicendo la sonnolenza, chiuse gli occhi.
Inizialmente
non si curò più di tanto dei lievi brividi
provenienti dalla testa,
imponendo la causa ad un semplice sogno; poi però il
dormiveglia
prese il sopravvento, e allora ne fu sicura: non erano dovuti al
sogno e, cosa più importante, non
si trattava di tremiti.
Ma
di carezze
leggere,
talmente impalpabili da sembrare irreali.
Si
accigliò, aggrottando la fronte, decidendo di indagare sulla
natura
di quei gesti; aprì debolmente gli occhi, rimanendo
costernata.
Il
cuore parve arrestarsi, non percepì i battiti.
Non
percepì più nulla, a dir la verità.
Il
suo sguardo era rivolto unicamente al viso di Thorin; gli occhi erano
aperti e vivi,
seppur
lucidi di febbre. La bocca era piegata in un debole sorriso, la mano
ancora levata e posata tra i suoi capelli neri.
Sgranò
gli occhi, non credendo a quell'incredibile evento. A quel
meraviglioso miracolo.
<<
Sei così bella mentre dormi >>
mormorò a fatica, la voce roca
e bassa.
Continuò
a toccarla delicatamente date le poche forze, senza smettere di
guardarla adorante come se la vedesse per la prima volta.
Il
cuore di Karin ripartì velocemente, mozzandole il respiro
con sonori
e dolorosi battiti; gli occhi neri si riempirono di lacrime e, prima
che potesse compiere alcunché per fermarle, le
sentì scendere senza
sosta. Singhiozzando senza ritegno, immensamente confortata e
traboccante di felicità come poche volte in vita sua,
pronunciò il
suo nome a voce troppo esile, per timore di svegliarsi e scoprire che
la realtà era invece ben diversa.
Quando
non lo vide sparire, né trasformarsi in un orco pallido,
prese
coscienza della verità: Thorin si era risvegliato, e stava
bene.
<<
THORIN! >> gridò felice, lasciando che la
spossatezza e tutte
le preoccupazioni provate in quelle interminabili ore soffiassero
altrove come vento; dimentica delle ferite di entrambi, e preda di un
impeto senza precedenti, lo abbracciò di slancio.
<<
Piano, ti prego >> bisbigliò, chiudendo le
palpebre al sentire
il tono troppo elevato e vicino alle orecchie; non curandosi del
dolore atroce al fianco ricambiò il gesto, affondando il
viso tra i
suoi capelli.
<<
Scusami! Scusami, davvero, io... io... >> il pianto
furioso le
impedì di continuare: venne sopraffatta dalle molteplici
emozioni
che le invasero il cuore, l'anima, ogni cellula presente.
La
voglia assurda di ridere a crepapelle si mescolò con le
lacrime e i
singhiozzi, fatto che preoccupò Thorin: riaprì
gli occhi,
scostandosi per asciugarle premurosamente le lacrime con le dita.
<<
No, Karin. Basta... piangere >> esalò stanco.
Sentiva le forze
venire meno ma cercò in tutti i modi di rimanere sveglio,
ancora per
qualche minuto: voleva
guardarla,
consolarla e udire il suono della sua voce.
Ancora,
ancora e ancora.
<<
Non sai... la paura >> singhiozzò, non
riuscendo a smettere <<
Ora però sono fe... felice >>.
Si
sedette, portando le mani al viso a nascondere l'evidente rossore
propagatosi dal collo alle guance; sapeva di non essere per nulla
presentabile, così scarmigliata e piangente, però
era del tutto
irrilevante. La gioia e la contentezza erano esplose prepotentemente,
null'altro importava. Il saperlo finalmente al suo fianco, di
nuovo,
fu tutto ciò a cui poteva anelare.
Compì
numerosi e profondi respiri, poiché doveva calmarsi: non
poteva
certo starsene a piangere tutto il giorno!
Prese
uno straccetto, soffiandosi il naso ed asciugandosi le lacrime, senza
perdere di vista il volto di Thorin; sorrise affettuosa quando lo
vide guardarla insistentemente, non perdendosi neppure un minimo
gesto.
Rimasero
in silenzio, rimirandosi a lungo, beandosi della presenza tangibile
dell'altro; anche Thorin era commosso, e oltremodo pago d'essere
sveglio: d'essere vivo.
Quando
lo vide deglutire a fatica, però, Karin tornò in
sé prendendo in
mano le redini della situazione << Devi bere
>>.
Sedò
ogni tentativo di protesta del nano con uno sguardo che non ammetteva
repliche e, con una piccola smorfia, si alzò lentamente dal
giaciglio. Avanzò zoppicando fino al tavolino, sul quale era
posata
una caraffa d'acqua; lì accanto vi era anche la solita
pezzuola e,
facendo attenzione, la imbevé.
Era
conscia che Thorin non l'aveva abbandonata nemmeno un secondo e,
presto, le arrivò alle orecchie la domanda che, prima o poi,
sapeva
le avrebbe posto.
<<
La ferita era profonda? Stai zoppicando >>
constatò, con voce
più sicura e ferma.
Karin
raggiunse la sponda della branda << Non molto,
però la zoppia
passerà presto. Gandalf stesso mi ha curata >>
passò la pezza
sulle labbra sottili e secche del nano, strizzando per far
fuoriuscire alcune piccole stille.
Thorin
assaporò avidamente, deglutendo e gemendo soddisfatto;
chiuse gli
occhi, respirando profondamente e con regolarità.
<<
Vado a chiamare lo stregone, ed il medico >> lo
informò,
sfiorandogli la fronte ora tiepida: si stupì della
rapidità di
ripresa, e ne fu assai contenta.
Gli
carezzò i capelli, scostandosi dalla sua figura:
d'improvviso però,
sentì le dita del nano cingerle il polso per fermarla;
girandosi,
scorse di nuovo gli occhi lucidi e febbricitanti che l'imploravano.
<<
Non lasciarmi ancora, Karin >>.
La
frase le strinse il cuore. Come poteva anche solo pensarlo?
Non aveva dedotto niente, dunque.
Avvicinò
il volto al suo, ancorando gli occhi neri a quelli azzurri
<<
Non ti ho mai abbandonato, almeno non fisicamente >>
disse,
rimembrando i pensieri rivolti costantemente al suo ricordo durante
l'esilio << E mai lo farò, a meno che tu non
voglia. Mio Re
>>.
Lo
vide sgranare di poco lo sguardo, sorpreso tanto quanto lo era lei:
mai avrebbe pensato di rivolgergli tali parole, eppure sapeva bene
che non potevano essercene altre. Il suo cuore apparteneva a Thorin.
La sua anima, la sua mente, il suo corpo, la sua fedeltà:
tutto
apparteneva a lui, a colui che amava e avrebbe amato per sempre,
finché la Morte non fosse sopraggiunta.
Sorridente,
gli baciò la fronte, lasciandolo solo.
Quando
uscì il sole del pomeriggio le ferì gli occhi;
non più abituata si
schermò gli occhi e, sorreggendosi salda al bastone,
compì qualche
passo verso gli altri.
Bilbo,
chiuso in un cupo silenzio, sembrò accorgersi della sua
presenza
perché si girò e, stupito, schiuse la bocca nel
vederla in piedi <<
Karin! >>.
Tutti
si voltarono, assumendo espressioni preoccupate; la vedevano
lì,
pallida e seria in volto con ancora visibili i segni di un pianto
disperato, e non sapevano che pensare.
Non
ascoltò nessuno dei loro richiami, non rispose alle loro
domande:
per quanto la ferita potesse farla camminare spedita, si
avvicinò ad
un nano in particolare, fermandosi a pochi centimetri dal corpo
possente.
Dwalin
e Karin si guardarono negli occhi per attimi lunghissimi: poi la
bocca rosea della nana si aprì in un gran sorriso, ed
iniziò a
ridere allegra e spensierata come quando era bambina; sorprendendo i
compagni – e se stessa – lasciò cadere
il bastone a terra per
gettarsi tra le braccia dell'amico, ridendo e piangendo al tempo
stesso.
Gli
altri si guardarono sbigottiti per poi capire e imitarla: urlarono
felici, gridando la loro contentezza; Bofur lanciò il
cappello in
aria ululando, Bilbo scoppiò a piangere, Bifur e Bombur si
presero a
braccetto e saltellarono, Dori batté le mani al contrario di
Ori che
se le portò alla bocca, incredulo. Nori pestò i
piedi a terra ed
arruffò i capelli del fratello minore, Oin e Gloin si
diedero delle
pacche sulle spalle e si unirono a Balin, che rideva senza sosta.
Mancavano
all'appello Kili e Fili, ma era certa che li avessero uditi e
stessero partecipando come fossero stati presenti.
Esultarono
a lungo, non accorgendosi della sparizione di Gandalf né
dell'arrivo
di Thranduil, Legolas, Bard e Dain, chiamati dagli schiamazzi e dalle
risate sguaiate; intuendo il motivo dell'ilarità, si unirono
ai
festeggiamenti del ritorno del Re sotto la Montagna.
Karin
rimase abbracciata a Dwalin, sentendo le forti braccia tatuate
stringerla con vigore, facendole capire quanto fosse lieto.
In
tutto quel trambusto, però, pervenne una frase pronunciata a
voce
tonante << Il Re reclama la sua Regina! >>.
Si
immobilizzarono, ogni vociare si acquietò.
Karin
si irrigidì, sciogliendosi dall'abbraccio; Dwalin
l'osservava con
sguardo serio, anche se i suoi occhi brillavano divertiti.
Credendo
d'aver capito male, si girò; l'assembramento confuso che si
era
creato poco prima era scomparso e, ora, gli amici si erano divisi in
due file, aprendosi in due ali per lasciarle libero il passaggio
verso la tenda. Gandalf, immediatamente poco prima della soglia, la
guardava con un sorrisetto compiaciuto e gli occhi chiari commossi e
lucenti.
Istintivamente
raddrizzò spalle e schiena, e si sentì muovere
sicura benché le
gambe tremassero e l'imbarazzo si annidava in petto; passando accanto
ai nani li scorse composti, tremendamente solenni. Balin
ammiccò al
suo indirizzo strizzando un occhio, Bofur si tolse addirittura il
cappello, Bilbo abbassò il capo in un inchino per poi
sorriderle
incoraggiante.
Sentendo
impressi sulla pelle gli sguardi di ogni membro delle razze
più
importanti della Terra di Mezzo, Karin figlia di Kario percorse quei
pochi ma interminabili metri verso la tenda: con il cuore che
martellava senza sosta e le fischiava nelle orecchie, scostò
i lembi
della tenda, ed entrò.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Oddei,
ce l'ho
fatta! QUESTO è stato il capitolo più difficile
da scrivere!!!
L'impotenza, la frustrazione, la paura di perdere Thorin ed il
sollievo nel vederlo vivo... spero d'aver descritto come si deve,
sennò ho combinato un pasticcio :(! Immagino siate felici,
non è
morto nessuno!!! Ora potranno avere quella benedetta pace che cercano
da tempo *___* Ci sarebbero talmente tante cose da commentare, ma non
possiedo sufficienti parole per farlo: spero solo l'abbiate gradito
^^, scrivetemi le vostre opinioni come sempre ;)))
Ringrazio
le carissime e specialissime Lady_Daffodil,
vanessa90,
J_ackie,
Carmaux95, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack, Krystal91, nini
superga, Elentari, lohobbit, LilyOok_. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Capitolo ventiquattro ***
CAPITOLO
VENTIQUATTRO
Thorin
aveva udito il gran vociare dei compagni e la loro palese
felicità
composta di urla, risa e battito di mani, sentendosi oltremodo
appagato e sollevato; non volle pensare alla terribile disperazione
che li avrebbe pervasi nel caso della sua morte.
Gemette,
avendo alzato involontariamente un braccio nel tentativo di sedersi
sulla branda; imprecò in nanico, rabbioso, e fu allora che
scorse i
lembi della tenda scostarsi.
Relegò
in un lontano angolo la breve delusione che l'aveva pervaso nel
constatare l'arrivo di Gandalf, e non di Karin.
La
contentezza nel poter rivedere il volto amico dello stregone gli
risollevò il morale, già alto: si aprì
in un caloroso sorriso,
dandogli il benvenuto.
<<
Gandalf! >> esordì, facendo un cenno con la
mano perché si
avvicinasse << Non sai quanto sia contento di poterti
parlare.
Siediti, ti prego >>.
<<
E' bello vederti sveglio, amico mio. Senti i tuoi amici festeggiare?
>> gli chiese bonario, senza nascondere un leggero
tremito
commosso; fece un cenno di ringraziamento per l'offerta, lasciandosi
sedere pesantemente sulla seggiola.
<<
Oh sì, e ne condivido la gioia. Ma dimmi, come sta il tuo
braccio?
Noto che è fasciato >>.
<<
Nulla di così tremendo, te l'assicuro! Strano come una
fasciatura
sia motivo di preoccupazione, non sei d'accordo? Anche Karin era in
apprensione, non appena l'ha notata >>.
<<
Questo perché sei il nostro mentore >>
spiegò serio Thorin,
guardandolo negli occhi << Senza i tuoi preziosi consigli
e la
tua presenza saremmo periti molte volte nel corso del viaggio. Hai
sempre trovato il modo di accorrere in nostro aiuto quando
più ne
avevamo bisogno, e di questo non ti ho mai ringraziato a sufficienza
>> fece una pausa, abbassando il capo in segno di
rispetto <<
Ti ringrazio, Grigio Pellegrino. E credo non ci siano altrettante
parole per esprimere il rammarico riguardo i miei ultimi...
comportamenti >> concluse a stento, vergognandosi nel
profondo
per la cupidigia mostrata.
Gandalf
scosse la testa e la mano << Ciò che conta
è l'aver ammesso i
tuoi sbagli, Thorin. Non vi è atto più nobile di
questo >>.
Gli
sorrise, venendo ricambiato poco dopo dal re, decisamente
più
tranquillo.
<<
Ebbene, direi sia tempo di dare uno sguardo al fianco, se me lo
concedi >>.
<<
Era quello che speravo >> confessò, scostando
la coperta dal
corpo; lasciò che Gandalf sciogliesse le bende, avvolte
strettamente
al petto, ed esaminasse la profonda ed orrenda ferita in fase di
rimarginazione.
Percepì
un piacevole calore quando lo stregone avvicinò la punta del
bastone
di legno, ed abbassò le palpebre nel sentirlo borbottare in
una
lingua sconosciuta.
Lasciò
che molti pensieri lo portassero altrove, ma non tanto lontano: il
prendere coscienza della liberazione di Erebor dal giogo di Smaug e
degli Orchi gli fece traboccare il cuore. La Montagna Solitaria gli
apparteneva, dunque. Apparteneva nuovamente al suo popolo.
Un'inaspettata
voglia di ridere, così
insolita per lui, si impossessò del suo cuore e della sua
mente. Le
narici inspirarono l'odore della libertà
dopo molti ed interminabili anni vissuti nel rancore e nell'amarezza.
Ora, ogni pensiero negativo si era allontanato come quelle nubi nere
che li avevano nascosti al chiarore del cielo; tutto ciò che
aveva
sempre sognato era tornato da lui, infine: la sua casa, la sua gente,
il suo orgoglio, il suo essere il vero Re
sotto la Montagna, la sua Karin.
La
pace che gli riempì l'animo sembrò durare poco, a
dir la verità;
udì Gandalf esprimere la propria soddisfazione e, aperti gli
occhi,
posò uno sguardo incredulo verso il taglio: era del tutto
rimarginato benché rossastro sui bordi, ma gli doleva ancora
un
poco, specie se compiva movimenti bruschi.
<<
Bene, ora devi solo attendere paziente che guarisca del tutto
>>
disse Gandalf << Lascialo senza bende per un po', ormai
il
pericolo di un'infezione è del tutto passato
>>.
<<
Sarà fatto >> rispose Thorin, volendo seguire
ogni suo
consiglio << Grazie, Gandalf >>.
<<
Di nulla, non occorre ringraziarmi >>.
<<
Invece sì. Anche se non sarà mai abbastanza
>> obiettò il
re, alzando un sopracciglio.
<<
Suvvia, tutti questi elogi non giovano al mio già grande
ego! >>
esclamò l'Istari, sogghignando << Il mio
lavoro è concluso,
ti lascio riposare >> si alzò dalla sedia,
posandogli una mano
sulla spalla << O preferiresti la compagnia di qualcuno?
Mmh? >> chiese furbamente, sentendolo irrigidirsi.
Thorin
sospirò internamente, senza mostrare la benché
minima emozione: in
questo era sempre stato notevolmente bravo << Karin
>>
rispose semplicemente, non rifuggendo mai lo sguardo azzurro chiaro
dell'altro.
Gandalf
annuì, sorridendo affabile; si toccò la tesa del
cappello grigio
con la mano libera e, procedendo ricurvo – come se
improvvisamente
sentisse il peso degli anni sulle spalle – si
incamminò: dopo
pochi passi, tuttavia, si fermò e si girò.
<<
Ah, che sciocco! Dimenticavo >> frugò nella
tasca della veste
grigia, alla ricerca di qualcosa; la trovò, soddisfatto
<<
Questa ti appartiene, se non erro: era tra i tuoi vestiti. Confido ne
farai tesoro >>.
Thorin
allungò una mano, stringendo ciò che gli porgeva
con tanta
delicatezza; lo ringraziò ancora, senza perderlo di vista
finché fu
solo.
Portò
l'oggetto alla fronte e alle labbra, in un gesto di rispetto.
Non
fece in tempo a riperdersi nei meandri dei propri pensieri che la
voce tonante e vicina dello stregone lo interruppe, portandolo alla
realtà.
<<
Il Re reclama la sua Regina! >>.
Il
silenzio scese come una pesante cappa sia dentro sia fuori la tenda;
sbuffò sonoramente e scosse la testa, non credendo a
ciò che aveva
udito.
Lui
non avrebbe mai pronunciato simili parole o, perlomeno, non in quel
momento e davanti ad un pubblico tanto numeroso! Ma Gandalf agiva
come più gli pareva, senza curarsi troppo di simili
sottigliezze.
Si
ritrovò ad immaginare l'espressione di Karin dopo
l'annuncio, ed un
lieve sorriso comparve sulle labbra sottili: la vide con gli occhi
neri sgranati e stupiti, la bocca rosea di poco dischiusa, i capelli
ribelli che ondeggiavano pigramente al vento, le guance rosate
dall'imbarazzo davanti a tutti quegli sguardi puntati verso la sua
figura coperta da una camicia da notte. Eppure, oltre al disagio,
Thorin sapeva di trovarle anche coraggio e fiera beltà; si
sarebbe
imposta di camminare dritta, senza mostrare alcun timore nonostante
lo provasse internamente, decisamente amplificato.
Poté
quasi percepirne i passi claudicanti, in perfetta sintonia ai battiti
del suo cuore. D'improvviso l'irrequietezza lo ghermì,
poiché non
aveva preparato alcunché di appropriato
da
dirle, non aveva preparato nessun discorso.
Nervoso
e terribilmente serio, attese di vederla comparire.
Ed
avvenne, anche se lo reputò troppo rapidamente.
Karin
entrò, lasciando che gli occhi si posassero dove sapeva
esserci
Thorin; per un lungo momento lasciò che lo stupore nel
vederlo
seduto, con la schiena appoggiata a dei guanciali, la distogliesse
dall'agitazione che le aveva stretto il cuore e lo stomaco in una
morsa.
Sapeva
nel profondo che non vi era motivo per provare quei sentimenti, ma
proprio non riusciva a calmarsi! La frase detta continuava a
rimbombarle nella testa come un violento tuono immediatamente dopo un
lampo bianco; e ne era terrorizzata in egual misura, perché
sospettava non l'avesse suggerita Thorin. Mai prima d'ora si era
spinto tanto da confessare i suoi reali sentimenti,
figurarsi
chiedere a Gandalf di urlare pubblicamente la sua richiesta. Doveva
essere accorta, e non illudersi inutilmente.
Passò
la punta della lingua sulle labbra secche, ancora immobile sulla
soglia, gli occhi ancorati ai suoi nonostante morisse dal desiderio
di spostarli altrove; dopo estenuanti attimi di pesante silenzio,
Thorin trovò il coraggio di parlare per primo.
<<
Siedi accanto a me >> ordinò, picchiettando le
dita sul
pagliericcio.
Karin
deglutì impercettibilmente, cercando la forza per compiere
quei
passi. Con le mani giunte tra loro, si mosse anche troppo rapida; in
breve gli fu accanto e, dopo avergli concesso un'occhiata al torace,
notò la ferita guarita.
<<
Si è rimarginata >> sussurrò,
sorpresa; la sfiorò con le
dita ma Thorin si ritrasse, sobbalzando.
<<
Hai le dita gelide >> constatò, poggiando
meglio la schiena
sui guanciali.
<<
Scusami >>.
Il
silenzio che scese subito dopo li rese irrequieti, in quanto
ripensavano con rammarico ai momenti dolci e spontanei successivi il
risveglio.
Ora,
sembrava che la frase di Gandalf li avesse in qualche modo obbligati
a pensare alla loro situazione così incerta,
così
instabile.
La
consapevolezza di non aver chiarito i termini del loro potente legame
li rattristava e contrariava contemporaneamente; Thorin, in
particolare, soffriva come un animale in gabbia poiché
sapeva che,
lui per primo, avrebbe dovuto scusarsi e parlarle.
Però,
al momento, erano altri i suoi pensieri.
<<
Giusto perché tu lo sappia >>
esordì, spezzando il silenzio
con un borbottio << non ho accennato quella frase a
Gandalf >>.
Karin
lo vide abbassare lo sguardo, e lo imitò: trovò
decisamente
interessanti le dita intrecciate in grembo << Immaginavo.
Non è
da te >> sussurrò.
Thorin
l'osservò, assimilando la tristezza - unita ad una piccola
dose di
fastidio – nella voce; si maledì internamente,
capendo che lo
aveva frainteso.
<<
Sei delusa? >> chiese, sinceramente curioso. Voleva
una risposta
immediata, e
chiara: solo così poteva capire.
Karin
ponderò la risposta, decidendo di tergiversare
<< Mi ha
spiazzata, tutto qui >>.
La
domanda successiva fuoriuscì dalle sue labbra prima che
potesse
fermarla: desiderava una reazione diversa da lei. Voleva che lo
guardasse, perlomeno.
<<
Ti spiazzerebbe saperlo reale? >>.
Il
suo desiderio venne esaudito: alzò gli occhi neri
rapidamente,
posandoli sul suo volto. Era sbigottita e confusa, credeva d'aver
udito male. Invece, aveva sentito bene.
Era
la decisione giusta, forse
la prima in tutta la sua vita; certo, il voler riconquistare Erebor
gli era parsa tale in molteplici occasioni, ma a che prezzo aveva
pagato la sua voglia di rivalsa? Quasi con la vita.
Adesso,
d'altra parte, non vi era più alcun ostacolo: doveva
solamente
attendere la risposta affermativa di Karin.
Più
aumentava il silenzio e meno si convinceva d'aver posto adeguatamente
quella proposta di matrimonio; cercava di capire tra i tratti pallidi
e granitici se possedeva una qualche possibilità,
però non se ne
pentiva: non vi era altra conclusione per loro tranne questa.
Aveva
sempre fatto i conti con la presenza amorevole di Karin, e non
immaginava altra nana al suo fianco come Regina sotto la Montagna:
piuttosto avrebbe scelto una via solitaria e vuota.
Ma
quell'attesa era a dir poco snervante, e dovette racimolare tutto il
suo autocontrollo e la pazienza per non sbottare, rovinando il
momento.
Perché
non parlava? Era nel dubbio? Certo, gli ultimi tempi non erano stati
per nulla facili, soprattutto quelli passati all'interno della
Montagna, tant'è che Karin aveva preso la drastica decisione
d'abbandonarlo. Eppure durante la Battaglia si era lanciata contro il
suo acerrimo nemico, Azog, per salvarlo: l'aveva ferita gravemente e
aveva rischiato di morire e, una volta svegliatasi, non aveva
lasciato il suo capezzale; ciò dimostrava che i sentimenti
nei suoi
confronti persistevano ancora. Magari non forti come anni addietro,
ma pur sempre presenti.
Mise
da parte l'orgoglio e qualsiasi altro sentimento volesse frenarlo; di
nuovo, le parole fuoriuscirono per conto proprio, sgorgando dal cuore
<< Aiutami a ricostruire la nostra casa, a governare con
saggezza e a diventare un sovrano migliore mettendo da parte
l'avidità e la stupidità. Aiutami a sopportare
ogni dolore e
condividi con me ogni gioia, fino alla fine dei miei giorni. Vuoi,
Karin? >>.
Vide
gli occhi neri riempirsi di lacrime, il mento le tremò;
deglutì e
schiuse le labbra, sorridendo emozionata <<
Sì, Thorin. Fino
alla fine dei miei giorni >> ripeté, sbattendo
le palpebre per
cercare di contrastare la caduta delle stille salate, senza
riuscirci.
Thorin
percepì un'immensa felicità propagarsi come un
incendio, sentimento
ben diverso dalle dolorose pene e tante delusioni sopportate nel
corso della vita; non riconoscendosi per l'ennesima volta,
sentì le
labbra piegarsi in un sorriso e sentì il suono di una risata
raggiungergli le orecchie.
Una
risata dal sapore di gioia, libertà e sollievo:
perché ora non
avrebbe compiuto gli ultimi passi della sua esistenza da solo.
Perché, ora, Karin gli era accanto.
Karin
era terribilmente scossa, il cuore le stava scoppiando nel petto:
però non provava dolore, tutt'altro. Gli gettò le
braccia al collo,
condividendone i sentimenti e la contentezza, moltiplicatisi quando
le braccia forti le cinsero i fianchi, stringendola in un abbraccio
pieno d'amore.
Rimasero
in quella posizione per un tempo indeterminato, non volendo
staccarsi;
sembrava passato così
tanto tempo dall'ultima volta in cui avevano espresso le loro
emozioni con un tale gesto, beandosi del contatto del corpo
dell'altro così vicino al proprio, inspirandone l'odore come
fosse
pura e fresca aria indispensabile alla loro sopravvivenza.
<<
C'è un'ultima cosa >> bisbigliò
Thorin, le labbra vicinissime
al suo orecchio.
Lo
sentì scostarsi di poco, il volto ad un nonnulla dal suo;
gli occhi
chiari brillarono, quanto mai commossi << Ti amo
>>
disse, con voce anche troppo bassa.
Karin
capì quanto gli fosse costato rivelarglielo, ma non gliene
fece una
colpa: Thorin Scudodiquercia era sempre stato restio ad esternare
qualsiasi suo sentimento tramite le parole. Il fatto che avesse
appena rivelato d'amarla dimostrava pienamente quanto ciò
fosse
vero, e reale.
Se
possibile, nuove lacrime si affacciarono agli angoli degli occhi
<<
Hai atteso di rischiare la vita per dirmelo? >>
scherzò
bonaria, senza riuscire a trattenersi.
Thorin
si irrigidì un poco, per poi sorridere e scuotere la testa
<<
Ero serio, Karin >>.
<<
Anche io >> rispose, posandogli una mano sulle sue
<<
Anche io ti amo >>.
Non
attese altro: si avvicinò alle sue labbra, colmando
l'inconsistente
distanza con un dolce e lento bacio; sentì la lingua del
nano
percorrerle il labbro inferiore, in un invito esplicito a concedergli
l'agognato permesso: e lei l'accontentò, poiché
non desiderava
altro.
Il
bacio si approfondì, divenendo traboccante di passione mal
trattenuta; le mani di Thorin si spostarono sulla sua schiena,
percorrendola in tutta la sua lunghezza, per terminare il loro
sensuale viaggio appena sotto i glutei. Sentendo una pressione e
capendo ciò che aveva in mente cercò di aiutarlo,
per quanto la
gamba ferita lo permettesse; reggendosi salda alle larghe spalle del
nano, lasciò che la sollevasse dal giaciglio per posarsela
sulle
cosce, avvicinandola maggiormente.
Il
desiderio di sentire il corpo premuto sul suo lo fece gemere, la
frenesia crebbe; relegò in un lontanissimo angolo il pulsare
doloroso del fianco e il costante bruciore che lo infastidiva,
lasciando che il pensiero di Karin gli invadesse il cuore, l'anima,
il corpo.
La
strinse di più, in risposta alle braccia che lo avvolgevano
con
forza e della mano persa tra la chioma; mai sazio di lei,
desiderò
che quel bacio si protraesse ancora a lungo.
Fu
Karin a staccarsi bruscamente, trattenendo una smorfia <<
Mi
dispiace... >>.
<<
No, scusami tu >> l'interruppe improvvisamente, con tono
grave
<< Ti chiedo di perdonarmi ancora, Karin. Non vi sono
parole
per esprimere la vergogna ed il disgusto che provo nei miei confronti
>>.
La
ragazza rimase qualche secondo basita, non riuscendo a comprenderlo;
poi, però, le parve tutto chiaro << Thorin, mi
riferivo
solamente alla gamba! Anche se il taglio si è rimarginato,
la carne
pizzica >> rimase a guardarlo colpevolizzarsi
internamente e,
per placarlo, gli accarezzò la guancia destra; il cuore le
si
strinse al sentire un pesante sospiro, ma tentò in tutti i
modi di
mostrarsi allegra e tranquilla << Non devi preoccuparti
di
nulla, te l'assicuro. Non c'è niente da perdonare
>>.
<<
Niente da perdonare? Dimentichi facilmente troppe cose >>
disse
duramente, rimembrando quando aveva voluto percuoterla nella Sala del
Tesoro.
<<
Se provassi del rancore non avrei mai accettato la tua dichiarazione,
né il tuo amore >> spiegò, sincera
come non mai <<
Thorin >> lo chiamò, alzandogli il volto con
il palmo della
mano e costringendolo a guardarla << Smettila di
ricordare il
passato; guarda il presente, e il futuro che ti aspetta. Che ci
aspetta
>>.
Il
nano l'osservò attento, lasciando che le rassicurazioni
penetrassero
nel suo cuore: e così fecero, sollevandogli il morale
afflitto da
rimorsi e sensi di colpa.
L'anima
si alleggerì d'un peso immane e, ora decisamente
più sereno, si
permise di baciarla ancora con ardore.
Si
staccò anche troppo presto - secondo il parere di Karin - ma
altri
pensieri vennero bruscamente interrotti da ciò che vide poco
dopo:
Thorin allungò una mano sotto i guanciali, tirandone fuori
qualcosa
che assomigliava molto a...
<<
La collana >> mormorò, incredula; non vi erano
dubbi, era
proprio lei! << L'hai tenuta. Non l'hai gettata, o
spezzata >>.
<<
No. Avevo giurato a me stesso che te l'avrei restituita, e ti avrei
ripresa per sempre. Direi che ho mantenuto la promessa >>.
Karin
annuì, palesemente grata. Tese una mano verso il mithril, ma
Thorin
scosse la testa.
<<
Girati >> le ordinò.
Obbedì,
raccogliendosi i capelli e tenendoli sollevati; ciò permise
al nano
di risistemare la catenina attorno al suo collo, chiudendo il
minuscolo fermaglio. Karin chiuse gli occhi quando avvertì
la lieve
pressione delle sue labbra sulla pelle, e sorrise gioiosa mentre si
sentiva di nuovo completa. Ogni
cosa era tornata al suo posto, e tutto si era concluso per il meglio.
Non
poteva volere più di questo.
Liberò
i capelli, lasciandoli scendere sulle spalle e lungo la schiena; si
volse verso di lui, senza smettere di sorridere dolcemente. Avrebbe
voluto trovare delle parole altisonanti, piene d'amore e
riconoscenza, per fargli intendere quanto aveva significato quel
gesto, quanto lui stesso era importante per lei: ma non vi erano tali
termini o, anche se fossero esistiti, non era in grado di
utilizzarli. Per questo motivo sorrise: per esprimere in altro modo
ciò che avrebbe voluto dirgli. Sperò che Thorin
capisse, e sembrò
così, poiché le prese il volto tra le mani e lo
avvicinò al suo,
unendo le fronti.
Il
silenzio li avvolse, ora non più pesante ma carico di
quiete, amore
e felicità, così potente da far chiudere le
palpebre per
assaporarlo meglio; rimasero così a lungo, venendo
però interrotti
bruscamente da vari colpi di tosse provenienti dall'ingresso.
Disin
aveva scostato di poco le tendine della tenda, ed aveva il capo
girato da un lato per non sembrare troppo indiscreto.
Alla
tacita domanda di Thorin, posta con un sopracciglio alzato e uno
sguardo battagliero, Karin rispose avvicinandosi al suo orecchio.
<<
Il medico >> sussurrò piano, sperando di non
venir udita dallo
stesso.
Gli
posò un veloce bacio sulla barba, ad un soffio dalle labbra,
e scese
dalle sue gambe nel momento esatto in cui Thorin gli ordinò
d'entrare.
<<
Disin, mio signore, medico dei Colli Ferrosi. Al tuo servizio
>>
si presentò, venendo accolto da un cenno del capo da parte
del re <<
Desolato interrompere, ma sono stato informato della tua guarigione.
Permettimi di esaminarti per poterlo accertare >>.
<<
Certamente >>.
Il
nano si avvicinò, inchinandosi di fronte a lei
<< Mia signora
Karin >>.
Lei
rispose, alzandosi e sorridendogli << Prendo congedo. Ti
chiedo
cortesemente di indicarmi la tenda dei giovani principi. È
tempo che
faccia loro visita >>.
<<
Appena esci di qui prosegui alla tua destra, e conta sette tende. Li
troverai là, in piena convalescenza! Hanno un corpo forte, e
forze
eccezionali >>.
<<
Appartengono alla stirpe di Durin >> disse Thorin,
lasciando
trapelare l'orgoglio nella voce.
<<
A dopo, allora >>.
<<
Mia signora, fuori il vento freddo sferza. Ti consiglio di coprirti
con un mantello pesante >>.
Schiuse
le labbra, non sapendo che rispondergli: non aveva il mantello,
avendolo lasciato nell'altra tenda.
<<
Karin >> al richiamo di Thorin lo guardò,
seguendo la
traiettoria immaginaria del suo dito << Prendi il mio
>>.
<<
Grazie >>.
Si
avvicinò titubante, sfiorando il tessuto con deferenza; non
appena
se lo posò sulle spalle e lo allacciò al collo si
sentì
decisamente meglio, ed anche più calda: certo, avrebbe
preferito
indossare il precedente mantello bordato di pelliccia, ma sempre
meglio di niente.
Li
salutò nuovamente e, zoppicando, procedette lungo
l'accampamento.
<<
Karin! >> gridò gioioso Kili, non appena
varcò la soglia;
individuò anche Bilbo, Bofur e Ori, seduti accanto ai letti,
che le
rivolsero grandi sorrisi sornioni mettendola a disagio.
<<
No Kili, ora dovremo chiamarla zia!
>> esclamò il maggiore, dandogli una gomitata
sulle costole a
mo' di rimprovero.
Il
giovane nano gemette, ma poi si aprì in un sorriso furbo
<<
Preferisco mia Regina.
Suona meglio >>.
<<
Uhm, decisamente! >>.
<<
Volete smetterla? >> sbottò lei, al limite
della pazienza;
appallottolò malamente il mantello lanciandolo addosso ai
due che
non si accorsero del suo brusco gesto, presi com'erano da un attacco
irrefrenabile di ridarella.
Il
vederli cercare di districarsi dall'indumento le permise di tirare un
sospiro di sollievo, sperando in un cambio d'argomento.
<<
Allora? Non dici niente? >> domandò Bofur,
avvicinandosi.
La
fortuna non era con lei, al momento.
<<
Riguardo? >> chiese, fingendosi stupita.
Il
giocattolaio alzò un sopracciglio, ma non rispose; lo fece
Bilbo <<
Ciò che ti ha detto Thorin, che altro? Forza, racconta!
>>.
Karin
si strinse nelle spalle, mentre una voglia assurda di scappare si
faceva sempre più spazio in lei << Mah, niente
di che >>
mugugnò, sentendo d'arrossire.
<<
Conosco quella faccia! >> gridò Bofur,
indicandola <<
Ragazzi, è davvero qualcosa di grosso! >>
improvvisamente
boccheggiò, arrivando alla conclusione << Hai
accettato! >>.
Il
silenzio scese nella tenda; dieci paia d'occhi non abbandonarono la
sua figura nemmeno per un secondo, incitandola con lo sguardo a
parlare poiché la curiosità li dilaniava.
Lei
sospirò, decidendo d'accontentarli: dopotutto, prima o poi,
l'avrebbero saputo << Bé, ecco...
sì >> esalò flebile,
guardando imbarazzata il pavimento.
Passarono
alcuni secondi, poi il gruppetto esplose in applausi e
congratulazioni che la lasciarono a dir poco stordita; Bilbo corse da
lei, volendo essere il primo ad abbracciarla, e la strinse
così
forte da farle mancare il fiato.
<<
Attento Baggins, così rischia di non arrivare viva al
matrimonio! E
poi come ci giustifichiamo con Thorin? >> disse Bofur,
facendoli ridere forte; persino Karin si unì, scuotendo la
testa.
<<
Perché non volevi dircelo? È una bella notizia,
sai? Finalmente un
po' di meritata pace >> disse Fili, facendole un cenno
perché
si avvicinasse a loro.
<<
Inoltre, farai parte della famiglia! >>
rincarò Kili,
esprimendo la sua contentezza tramite gli occhi scuri, brillanti di
felicità << Pensa quando lo saprà
nostra madre! >>.
<<
Non credo ne sarà molto felice >> ammise
Karin, tornando
seria; lasciò che i due fratelli le posassero ciascuno un
braccio
sulle spalle, abbracciandola con affetto.
<<
E perché? Ci parlava spesso di te >>.
<<
Non con tono amichevole, suppongo >>.
<<
Ad essere sincero non ricordo >> disse Kili, preoccupato;
cercò
con lo sguardo una risposta dal fratello, ma l'altro scosse la chioma
bionda, deluso << In ogni caso, non devi temere.
Dìs è come
Thorin: sbraitano molto ma, alla fine, non mordono >> le
fece
un occhiolino cercando di tirarle su il morale, e Karin fu costretta
a sorridere debolmente.
Ah,
lo sperava veramente col cuore! Non si erano lasciate nel migliore
dei modi, anni fa.
<<
Sono veramente felice per voi >> disse Ori, rimasto in
silenzio
ed in disparte fino ad ora.
<<
Grazie, Ori >>.
<<
Accidenti, so già che mi commuoverò!
>> scherzò Bofur,
giusto per farla sorridere e reagire.
Ci
riuscì, poiché Karin alzò gli occhi al
cielo e si lasciò scappare
una sonora risata << Bofur, ti prego! Non iniziare
già da ora!
>>.
<<
Non iniziare a fare che? >>.
Tutti
si girarono verso l'entrata, scorgendo la tozza figura sorridente di
Balin; i restanti membri della Compagnia lo seguivano, facendo
sì
che lo spazio diminuisse notevolmente benché si trattasse di
una
delle tende più ampie.
<<
Ad esasperarmi >> gli rispose, guardandolo con affetto.
Comprese che aveva saputo la notizia, ed i suoi sospetti vennero
confermati subito.
<<
Oh bé, in quanto futura Regina sotto la Montagna avrai molto
potere.
Consiglio di approfittarne immediatamente per volgere la situazione a
tuo vantaggio! >> scherzò, battendo
amichevolmente una mano
sulla spalla di Bofur.
<<
Regina sotto la Montagna >> ripeté Karin, i
tratti del viso
tesi << Un titolo altisonante e pauroso. Devo ancora
interiorizzare gli ultimi avvenimenti >>.
<<
Può spaventare, è vero >> disse
Balin, annuendo <<
però, credimi: sarà meglio di quel che
potrà sembrare >>.
<<
E non sarai sola >> intervenne Dwalin <<
avrai Thorin al
tuo fianco >>.
<<
Spaventato quasi quanto te, anche se non lo da' a vedere!
>>
ridacchiò Balin.
L'occhiata
e la risposta scettica di Karin vennero interrotte da Kili
<<
Noi ti sosterremo, è chiaro! >>
esclamò, battendosi un pugno
sul palmo dell'altra mano << Vero, fratello?
>>.
<<
Come è certo che mi chiamo Fili! >>.
<<
Grazie ragazzi. E grazie di cuore a tutti voi, davvero >>.
<<
Ciò che conta è che tu sia più
tranquilla e felice >> disse
Bilbo, sorridendole affettuoso.
Karin
annuì, ricambiando << Eccome! >>.
<<
Ah, bisogna festeggiare! Stasera tutti attorno al falò!
>>
ululò Kili, alzando il braccio destro.
<<
Ma dove vorresti andare conciato così? Non sai nemmeno
reggerti in
piedi! >>.
<<
Karin, sono più forte di quel che credi >>.
<<
Certo >> rispose ironica, incrociando le braccia.
<<
Adesso te lo dimostro! >>.
Fece
per alzarsi, ma la voce di Balin lo fermò <<
Per l'amor del
cielo, calmati e rimettiti seduto, ragazzo! E poi, credo che Karin
voglia passare un po' di tempo con Thorin, ora che è sveglio
>>
le lanciò un'occhiata ammiccante, alla quale non
poté fare a meno
d'arrossire.
Si
schiarì la voce per cancellare l'imbarazzo, ed
annuì << In
effetti sì. Mi dispiace, Kili, magari domani o quando
starete
meglio: ti ricordo che anche Thorin dovrebbe unirsi ai festeggiamenti
>>.
<<
Giusto >> disse il giovane, sprofondando sui guanciali.
Poi
cambiarono argomento – per la gioia della nana – e
parlarono a
lungo, chiedendosi quando Elfi e Uomini avrebbero smantellato
l'accampamento e se ne sarebbero andati, e se i Nani dei Colli
Ferrosi li avrebbero aiutati a liberare Erebor dalle macerie e a
ricostruirla.
<<
So che ora Thranduil è nella tenda di Thorin
>> disse Balin,
lasciando vagare lo sguardo su di loro << ma non saprei
proprio
di cosa stiano discutendo. In ogni caso, nemmeno Gandalf è
riuscito
ad entrare! >>.
<<
Faccenda importante! >> esclamò Bofur, dopo
aver fischiato.
<<
Già, già >> borbottarono in molti,
immersi in varie
congetture.
<<
E per la faccenda del tesoro? >> chiese Bilbo, attirando
tutti
gli sguardi << voglio dire, doveva essere diviso tra noi,
ma
ora... Thorin rispetterà i patti presi con Bard?
>>.
<<
Naturale >> rispose Karin, vedendo gli amici rabbuiarsi
<<
Andiamo, una parola presa va mantenuta! >>.
<<
Sì, ma, insomma >> balbettò Fili,
leggermente a disagio <<
Consegnare parte del nostro tesoro agli Uomini è giusto, ma
agli
Elfi... >>.
<<
Senza di loro non avremmo vinto la battaglia, ragazzo >>
disse
Balin << Per quanto non corrano buoni rapporti tra le
razze, è
innegabile che ci abbiano aiutati >>.
Karin
annuì, e così fece Bilbo; gli altri, bene o male,
erano ancora
leggermente perplessi.
<<
Non lasciate che l'avidità e i pregiudizi corrompano i
vostri cuori
>> intervenne Karin << Thorin stesso si
è pentito
profondamente del suo comportamento >> evitò
di aggiungere la
sua richiesta ad aiutarlo a diventare un nano migliore; ciò
che si
erano promessi e detti sarebbe rimasto un loro segreto.
<<
Ci comporteremo con coscienza >> assicurò
Gloin.
<<
Anche se sarà difficile! >> aggiunse Oin,
tenendo il corno
acustico appoggiato all'orecchio << Non dimentichiamoci
la
prigionia a Bosco Atro >>.
Bifur
iniziò a gesticolare e a parlare in nanico antico e molti
borbottarono, ricordando perfettamente le lunghe settimane
all'interno delle celle anguste; persino Karin dovette concordare,
anche se poi parlò.
<<
Si è trattato di uno spiacevole malinteso. Da quando sono
comparsi i
ragni, gli Elfi Silvani sono molto più guardinghi: una
compagnia di
nani li ha allarmati più del necessario, tutto qui
>>.
<<
Non credevo li difendessi >> ammise Dwalin, burbero
<<
Non dopo quello che hai passato >>.
Karin
si bagnò il labbro inferiore, alzando le spalle
<< Il passato
è passato, è inutile rivangarlo. Thranduil mi ha
accolta con
benevolenza quando sono fuggita, ospitandomi in un accampamento
–
di fatto – nemico e mi ha permesso di parlamentare con Dain,
concedendomi fiducia. Direi che le nostre incomprensioni sono ormai
finite >>.
Dwalin
stette in silenzio a lungo, poi abbassò il capo
<< Come credi
>>.
<<
Rimangono comunque molti dubbi >> constatò
Balin, pensoso <<
Ma non è il caso di pensarci troppo! Dobbiamo stare allegri,
poiché
i feriti si stanno riprendendo e la nostra dimora ci appartiene
nuovamente. Inoltre, e fatto non meno importante, dovremo organizzare
una Cerimonia d'Incoronazione degna di questo nome >>.
<<
Pensiamo prima a ricostruire Erebor >> si intromise
Karin,
sedando altri festeggiamenti degli amici <<
Più tardi avremo
tempo per cerimonie varie >>.
<<
Chi ha tempo non aspetti tempo! >> esclamò
Bofur.
<<
Sì, ma ora stiamo correndo troppo >>
ribatté lei <<
Sono sicura che anche Thorin la pensa allo stesso modo: la
priorità
assoluta spetta alla nostra casa. Non vorrete certo un'Incoronazione
presso una Sala del Trono piena di macerie! >>.
<<
Se la metti su questo piano >> disse Dori
<< siamo
d'accordo anche noi >>.
<<
Sono impaziente d'iniziare i lavori >> ammise Nori,
lisciandosi
i baffi << Abbiamo atteso anche troppo, amici!
>>.
L'eccitazione
dei nani divenne palpabile, e fu con un immenso sforzo che non
uscirono dalla tenda per entrare nella Montagna Solitaria, iniziando
i tanto agognati lavori di ristrutturazione e ricostruzione.
Passarono
altro tempo a chiacchierare ma, ad un certo punto, Karin fu colta da
un ampio sbadiglio.
<<
Dovresti andare a riposare >> le disse Bilbo, accennando
un
sorriso << In questi giorni hai dormito molto poco
>>.
<<
E la veglia delle ultime ore mi ha destabilizzata, è vero
>>
concordò, ravvivandosi i capelli <<
Perciò, amici, vi lascio
>>.
<<
Lascia che ti accompagni alla tenda >> le chiese lo
hobbit,
guardandola speranzoso negli occhi neri.
Lei
acconsentì con un cenno d'assenso, spossata in ogni sua
fibra.
<<
Torna a trovarci, Karin, mi raccomando! >>.
<<
Come potrei non venire? Senza il vostro buonumore mi sentirei persa
>> confessò ai due giovani nani, sorridendo
grata <<
Sono felice vi siate ripresi, ero molto preoccupata >>.
Fili
e Kili si lanciarono un'occhiata, guardandola sorridenti
<< Lo
sappiamo, non temere >> le assicurò il minore.
Tutti
le augurarono una lunga e buona dormita, seguendo le due figure con
lo sguardo.
Una
volta usciti, l'aria frizzante le intorpidì il volto,
svegliandola
in parte dalla sonnolenza; arrancando accanto a Bilbo,
lasciò che la
prendesse sottobraccio per aiutarla.
<<
Mi era mancato il tuo affetto, sai? >> gli
confessò,
preferendo non badare alle occhiate sempre più curiose dei
soldati
<< E mi ha rammaricato un nostro mancato dialogo:
però Thorin
aveva bisogno di me >>.
<<
Ovvio, Karin. Non temere, non sono arrabbiato: come potrei?
Finalmente questa brutta avventura si è conclusa con un bel
ed
inaspettato lieto fine: riavrete presto la vostra casa com'era un
tempo e tu e Thorin vi sposerete >> disse, allegro.
Invece
il cuore di Karin si appesantì improvvisamente quando scorse
un
evento infausto << Tu te ne andrai, però
>>.
Il
sorriso gioviale di Bilbo si spense rapido; si fermò,
costringendola
ad arrestarsi << Il mio posto è a Hobbiton,
anche se
desidererei rimanerti accanto >> disse pacato, ma non per
questo meno mesto << Però mi mancano la mia
poltrona, i miei
libri, il mio giardino, la mia casa; ultimamente ci penso spesso, ad
essere sincero >>.
Karin
si morse la guancia, rimproverandosi: ora era Bilbo quello lontano da
casa. E lei sapeva perfettamente come si sentiva in quel momento: la
nostalgia arrivava a distruggerti l'anima; si rimproverò
duramente,
il suo essere così egoista la fece vergognare.
<<
Hai ragione. È solo che >> iniziò,
torcendosi le dita <<
ecco, mi mancherai molto. Moltissimo. Più di quanto possa
confessare
>>.
Bilbo
la guardò, oltremodo commosso: gli occhi grigi
s'inumidirono, e
sbatté più volte le palpebre per impedirsi di
piangere <<
Dai, Karin, non dire così! Non è ancora il
momento della partenza
>>.
<<
Lo so, però, ecco: se non trovassimo altre occasioni per
parlare...
>>.
<<
Sarai la Regina di Erebor, per tutti i centrini! Un tuo ordine e
tutti ci lascerebbero soli a conversare tranquillamente
>>.
Karin
rise, annuendo << Concordo >>.
<<
E poi, non devi temere: rimarrò qui fino al matrimonio. Non
voglio
perdermelo per nessuna ragione al mondo! >>.
Stavolta
fu il suo turno di commuoversi; guardò altrove per non farsi
cogliere in lotta col pianto ma Bilbo intuì ugualmente, dato
che le
strinse affettuosamente una mano.
<<
Forza, andiamo. Ti ricordo che devi recuperare le forze
>>.
Raggiunsero
la tenda in silenzio e incontrarono Gandalf, appena uscito; rivolse
loro un saluto, prima di parlare.
<<
Stavo giusto per venire a cercarti, Bilbo >>.
Lo
hobbit l'osservò stupito, indicandosi con l'indice
<< Io? Come
mai? >>.
<<
Thorin desidera parlarti. Bé, ora che ti ho trovato il mio
compito è
concluso: buona giornata! >>.
Iniziò
a fischiettare allegro, camminando tenendosi al bastone; i due amici
si guardarono e poi entrarono, trovando un pensieroso Thorin seduto
sulla branda, con la schiena appoggiata ai guanciali.
Karin
trattenne un sospiro di sollievo nel vederlo riprendere rapidamente
vigore e, felice, gli donò un ampio sorriso.
<<
Come è stato l'incontro con Kili e Fili? >>
volle sapere il
re, facendo un cenno allo hobbit perché si sedesse sulla
seggiola di
legno; lei, al contrario, si avviò senza indugio verso la
sua
branda, desiderosa di stendere la gamba.
<<
Piuttosto movimentato >> rispose, lanciando un'occhiata
d'intesa a Bilbo << In breve sono sopraggiunti gli altri:
puoi
ben immaginare la confusione che ne è conseguita!
>>.
<<
Sì, posso capirlo >> ammise Thorin,
sorridendo.
Per
Bilbo fu un'enorme sorpresa rivedere l'espressione tranquilla e
serena che campeggiava sul volto del nano, rimembrando fin troppo
nitidamente i tratti deformati dall'ira. Ma ne fu felice, esattamente
come quando era stato finalmente accettato nel gruppo.
Si
riscosse dai pensieri quando comprese che lo stava osservando
silenzioso, attendendo la sua attenzione.
<<
Scusa, Thorin. Pensavo >> si giustificò
imbarazzato,
arrossendo.
<<
Sono io a dovermi scusare per la seconda volta, amico mio: hai agito
nel modo che ritenevi più legittimo, e come sei stato
ricompensato?
Ti ho trattato ingiustamente, accecato com'ero dalla rabbia e dalla
voglia di vendetta; e nemmeno una montagna d'oro può essere
un
adeguato compenso >>.
<<
No, Thorin, davvero, non occorre! >> si
affrettò a dire lo
scassinatore << Basterà la mia piccola parte,
come pattuito:
non pretendo altro, e ti ringrazio per le scuse – che accetto
volentieri, beninteso. Sono felice d'aver condiviso i pericoli della
Compagnia: questo è stato più di quanto un
Baggins possa meritare!
>>.
<<
In te c'è più di quanto tu non sappia, figlio
dell'Occidente
cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un
maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra
dei tesori d'oro, questo sarebbe un mondo più lieto
>> disse
Thorin, sorridendogli ed allungando una mano verso la piccola figura
di Bilbo, emozionato: si strinsero le mani, sancendo in tal modo
l'amicizia ritrovata, e il perdono concesso.
Karin
li contemplò in silenzio, non volendo interrompere in alcun
modo il
momento; dopo poco si sciolsero, e Bilbo balbettò svariati
“Grazie”
decretando che era tempo di ritirarsi, poiché stanco.
<<
Oh, un'ultima cosa >> si girò, guardandoli
benevolmente <<
Congratulazioni >> se ne andò, lasciandoli
soli.
Il
silenzio regnò per alcuni brevi secondi, interrotto dai
borbottii di
Thorin << Glielo hai rivelato, dunque >>.
<<
Mi hanno praticamente costretta >> svelò,
sdraiandosi con un
sospiro esausto << Non avevo altra scelta
>>.
<<
Le loro reazioni? >>.
<<
Decisamente euforiche! Non li avevo mai visti così felici
>>.
Thorin
annuì, decisamente sollevato: dopotutto, che temeva? Erano a
conoscenza da tempo dei loro sentimenti, anche se non ne avevano mai
parlato. Doveva essere sembrata loro la decisione più
sensata e
logica, specie dopo ciò che avevano passato.
<<
E tu? >> domandò assorto, vedendola aggrottare
la fronte <<
Tu sei felice, Karin? >>.
La
ragazza si aprì in un sorriso, e si sedette per poterlo
guardare
meglio negli occhi azzurri << Se solo riuscissi ad
esprimere
completamente quello che provo! Ma non riesco, non vi sono parole
sufficientemente perfette ed
adatte al mio stato d'animo. Ti amo, e voglio passare il resto della
mia vita al tuo fianco. Come puoi chiedermi se sono felice? Lo sono,
ed il cuore trabocca di gioia come non mai: perché, ora,
niente può
separarmi da te >>.
Gli
gettò le braccia al collo, abbracciandolo; pose il mento
nell'incavo
del collo, e lasciò che i capelli scuri le solleticassero il
naso.
Inspirò il suo odore, sentendosi rinvigorire nell'anima; lo
sentì
ricambiare il gesto con trasporto trasmettendole tutto il suo amore,
difficile da rivelare. Ripensò alla sua dichiarazione, a
quel suo
“ti amo” confessato a voce bassa, che le aveva
raggiunto le
orecchie come se l'avesse urlato; rimembrò le emozioni
provate, e
lasciò che l'inebriassero ancora una volta.
<<
Sarai un'eccezionale Regina >> le sussurrò
all'orecchio
sinistro << Coraggio. Lealtà. Passione. Non
posso chiedere di
più >>.
Si
staccò da lui, uno sguardo confusamente indecifrabile.
Thorin, per
tutta risposta, ampliò il sorriso << Hai
ristabilito appieno
l'onore di tuo padre, ed il tuo, poiché in battaglia hai
dimostrato
di possedere le qualità incise sulla lama di Iris
>> si fermò
per lasciarle interiorizzare le frasi, poi proseguì
<< Sono
onorato d'essere stato salvato da te, Karin figlia di Kario, della
stirpe di Gorin >>.
Karin
strinse le labbra, mentre dentro di sé infuriava una
tempesta di
sentimenti, ed alzò il capo << Ti sono
riconoscente per avermi
riportata a casa, sia adesso che molti anni fa, al nostro primo
incontro; e sono io ad essere onorata nel diventare tua moglie:
grandi sono la tua saggezza e correttezza e, benché la paura
di non
essere all'altezza del nuovo compito che mi si prospetta mi
attanagli, so che nulla potrà nuocermi. Non sei l'unico ad
essere
stato salvato: ci siamo salvati a vicenda >>.
<<
E continueremo a sostenerci per molti altri anni a venire
>>
confermò lui; continuava a rimarcare che, d'ora in poi, non
si
sarebbero mai più separati, ed il cuore le si strinse in una
morsa
dolorosamente appagata. Ormai si appartenevano senza riserve, senza
doversi giustificare o nascondersi agli altri: ed era una
consapevolezza tremendamente deliziosa.
Il
rumore della pioggia li sorprese e, istintivamente, alzarono la testa
verso il soffitto della tenda; l'acqua cadeva copiosa, lo scroscio
sembrava inghiottire ogni altro rumore. Karin ricordò un
certo
giorno ad Esgaroth, nel quale un simile suono li aveva accompagnati
durante la loro passione travolgente; d'improvviso, il basso ventre
si infiammò, ed un assurdo desiderio di ripetere
quell'eccitante
esperienza si annidò in lei.
Ammirò
il suo profilo - ancora perso nell'ascolto del fenomeno meteorologico
- partendo dalla fronte dritta e spaziosa; scese verso le
sopracciglia folte e scure, procedendo lungo le palpebre dalle ciglia
lunghe e dagli occhi azzurri colmi di pace. Seguì la linea
dritta e
importante del naso, notò quanto fosse cresciuta la barba
che
incorniciava le labbra sottili, ora un poco dischiuse; infine, il suo
viaggio terminò sul mento e sul collo, finché il
tessuto della
camicia da notte bianca non l'interruppe.
Muovendosi
lenta, si sporse a baciargli la guancia, ritrovandosi poi a seguire
la mandibola; lo udì espirare e abbandonarsi alle sue
attenzioni, e
ciò non fece che accrescerle l'ormai incontenibile bramosia.
Scese
sul collo, ma non fece in tempo a posargli due dolci baci che le mise
una mano sotto il mento, costringendola a rialzarsi per incontrare le
sue labbra; le lingue si trovarono subito, danzando come non accadeva
da tempo. Le mani iniziarono a percorrere i corpi dell'altro con
impazienza: fu ben difficile cercare di procedere con cautela e, dopo
poco, entrambi cedettero totalmente all'istinto.
Karin
rintracciò l'orlo della lunga camicia del nano e, trovatolo,
non
perse tempo a sfilargliela dalla testa, lasciandolo completamente
nudo: contemplò il petto possente ricoperto dalla leggera
peluria
nera, i muscoli tesi e gli addominali scolpiti; percorse il resto del
corpo con occhi luccicanti di malizia, pensando di non aver visto
niente di più bello. Lo constatava ogni volta che poteva
ammirarlo,
ed un bruciante desiderio si mescolava all'orgoglio di saperlo suo.
Si
morse il labbro quando riportò gli occhi sui suoi e lo vide
guardarla con un tale fervore da lasciarla senza fiato; fu il suo
turno di spogliarla e, con una lentezza e delicatezza inaudite,
lasciò che il corpo gli si mostrasse senza più
alcun impedimento.
Solo quando la camicia da notte raggiunse la sua a terra si permise
di guardarla, gli occhi si saziarono di ogni più piccolo
particolare, di ogni centimetro di pelle rosata che attendeva solo di
essere baciata: e così fece, portandola a sdraiarsi sotto di
lui.
Karin
sospirò pesantemente mano a mano che Thorin scendeva: prima
il
collo, poi l'incavo tra i seni, lo stomaco, la pancia, l'ombelico, il
ventre; e poi giù, sempre più giù,
acuendole il desiderio già
irrefrenabile.
Lo
voleva, come mai prima
d'ora.
Le
dita, perse ad accarezzargli la chioma, strinsero alcune ciocche
quando il piacere e il calore aumentarono, divenendo impetuosi come
onde del mare; gemette più volte, sentendolo eccitarsi al
suono
della sua voce.
Quando
risalì ed unì le labbra alle sue, le piccole mani
vagarono sul
torso e sulla schiena, facendo aderire maggiormente i corpi e
amplificando le sensazioni di entrambi.
Thorin
grugnì quando una mano scese verso il basso ventre e,
istintivamente, si mosse in avanti strusciando il corpo contro quello
più esile di Karin; brividi di un'inaudita
intensità la scossero,
le unghie si conficcarono nella pelle graffiando la carne. Thorin
gemette nella sua bocca rosea e le strinse con forza i fianchi,
volendo sentire la pelle nuda a contatto con la sua; il bacio intenso
non venne interrotto nemmeno quando mugugnarono infastiditi a causa
delle ferite appena guarite: ogni tanto un sussulto li coglieva ma
non vi badavano, preferendo lasciare che l'amore sopisse ogni altro
pensiero.
Il
nano si spostò di lato, non volendo schiacciarla col suo
peso, e ciò
le permise di sfiorargli inconsciamente la lunga cicatrice rosata che
dal fianco terminava appena sotto l'ascella; ma il fiato di Thorin si
spezzò e lo sentì tremare.
<<
Scusa >> mormorò interrompendo il bacio, i
pozzi neri
oltremodo colpevoli.
<<
Non è niente >> le rispose, ad un soffio dalle
labbra; un
secondo dopo erano nuovamente unite, come se non si fossero mai
separate.
Karin
fece scontrare i bacini ed abbassò una mano verso il suo
basso
ventre, aumentando il piacere già veramente troppo
elevato:
Thorin era al limite, il pensiero di farla sua era a dir poco
insopportabile, non gli concedeva tregua; non avrebbe resistito
ancora a lungo.
Serrò
gli occhi e smise di baciarla per grugnire forte, mentre la mano
volava su quella di Karin per imporle un ritmo sostenuto;
tremendamente soddisfatto, si abbandonò alle sensazioni
travolgenti
e all'appagamento intenso che lo avvolsero: respirava affannosamente
con la bocca socchiusa, numerosi gemiti rochi erompevano dalla gola;
Karin si eccitò nel comprendere quanto fosse pago delle sue
attenzioni, dei suoi tocchi così audaci e, se possibile,
desiderò
con tutto il cuore di soddisfarlo ancora, ancora e ancora.
Il
Re sotto la Montagna però la bloccò, intrecciando
le dita con le
sue << Sta' buona >> le ordinò
con voce impregnata di
lussuria, anche se il tono era severo.
Ritornò
nella posizione iniziale, sovrastandola col suo corpo; gli occhi
chiari erano uno specchio di bramosia e luccicavano incessantemente,
entusiasmandola. Si abbassò sul collo liscio e pallido, le
baciò la
pelle accarezzandola anche con la lingua; Karin tirò
indietro la
nuca esponendoglielo maggiormente, le mani vagarono sulla schiena
ampia e tra i capelli neri, intrecciando le dita con vigore:
gridò
sorpresa quando un morso piuttosto violento la raggiunse ed
inarcò
la schiena, ormai al culmine della pazienza.
<<
Thorin >> lo chiamò flebile, il tono a dir
poco implorante <<
ti prego >>.
Lui
sorrise sulla sua pelle, sapendo d'averla in balia delle potenti
emozioni create; si inginocchiò, guardandola intensamente:
Valar,
era talmente bella! Così accaldata, il
contrasto con gli
occhi brillanti di una luce maliziosa e sensuale era accentuato; le
gote e il petto erano di un rosso acceso, così come i vari
segni
presenti sul collo, ultimo il morso.
Capì
che era giunto il momento di soddisfare entrambi << Vuoi,
Karin? >> chiese con voce vibrante e roca, rimandando
alla
proposta fatta quel pomeriggio.
<<
Sì >> esalò lei <<
Prendimi >>.
Thorin
non se lo fece ripetere. Si abbassò su di lei, sentendo le
cosce di
Karin serrarglisi attorno ai fianchi, stringendo già con
foga; gli
circondò il collo con le braccia e, allora, comprese che era
pronta.
L'istante
successivo era dentro di lei.
Il
cuore di entrambi accelerò paurosamente i battiti,
sembrò esplodere
all'interno della gabbia toracica; con un movimento veloce, Karin
inarcò la schiena e conficcò le unghie nelle
spalle larghe del
nano, sentendolo trattenere un ringhio.
Iniziò
a muoversi dapprima lentamente volendo abituarla al movimento,
poiché
la sentì contrarre i muscoli e la vide aggrottare le
sopracciglia in
una smorfia di fastidio; poi le spinte si fecero più rapide
e
veloci, gli affondi più violenti. Karin gemette ad alta
voce,
esalando brevi respiri ansanti, assecondando ogni suo movimento
nonostante il bruciore alla gamba non le desse un attimo di pace.
Piantò gli occhi nei suoi, leggendovi un infinito desiderio,
il
medesimo che l'invadeva; la tenda si riempì di ansiti e
gemiti, di
grida, di nomi sussurrati e urlati con amore, liberi di viaggiare
nell'aria dato che la pioggia copriva ogni altro suono.
Thorin
aumentò il ritmo ed il piacere selvaggio che li percorse,
sussultando quando una spinta particolarmente vigorosa gli
ricordò
della cicatrice appena rimarginata; riprese incalzante, beandosi del
volto accalorato e sudato di lei, delle palpebre serrate, della bocca
dischiusa, del corpo che rispondeva in perfetta sintonia al suo.
Il
respiro si spezzò, gemette roco, arrivò a
ringhiare ad alta voce,
ma non gli importò: con violenti tremiti raggiunse il
culmine del
piacere, gettando la testa all'indietro e continuando a muoversi in
lei.
Dopo
altre spinte si fermò, ansimando: posò la fronte
sulla sua, i nasi
si sfiorarono; rimasero in quella posizione per qualche minuto,
mentre riprendevano a respirare regolarmente e tentavano di placare i
battiti dei cuori.
Si
mosse, sciogliendosi dall'abbraccio, e le si sdraiò accanto
avvicinandosela al petto: le circondò le spalle con un
braccio e le
baciò amorevole la fronte, lasciando che lei ricambiasse col
medesimo gesto; ora in pace stettero in silenzio, ripensando ai
meravigliosi momenti appena trascorsi.
La
quiete che permeava le loro anime si rifletté sui volti
placidi e
appagati, e Karin si perse per l'ennesima volta a contemplare il
volto di Thorin con un lieve sorriso sulle labbra.
Il
nano, sentendosi osservato, aprì le palpebre e
l'osservò, perplesso
<< C'è qualcosa che non va? >>.
Ma
lei scosse la testa, allargando il dolce sorriso << Sono
solo
stanca >> ammise, appoggiando la guancia al petto.
Il
braccio di Thorin la strinse, le sue labbra calde si posarono sulla
tempia << Dormi, Karin. D'ora in avanti
veglierò io su di te
>>.
La
rassicurazione ebbe il potere di farla ridacchiare e annuire,
estremamente contenta << Lo so, e ne sono felice
>>
mugugnò, sentendo le palpebre divenire pesanti; le chiuse,
lasciando
che la sonnolenza la ghermisse.
Dopo
tutta l'ansia, le preoccupazioni, i pianti e la disperazione provate
in quelle interminabili ore di veglia, si permise di riposare a
lungo, e serenamente.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Saaaaaaaalve,
siete ancora presenti ;)))? Stavolta il capitolo è un po'
più corto
e più tranquillo: ora i vari pericoli sono passati,
perciò ho
ritenuto giusto scrivere questo capitolo dolce: spero vi si sia
alzato il diabete (metaforicamente parlando, per carità
:D!)!!!
Spero
vi sia piaciuto e, perché no, vi abbia commosso (io lo sono
taaaantissimo ç___ç): come al solito, ci terrei a
leggere le vostre
importantissime opinioni :*!
Ringrazio
le carissime e specialissime J_ackie,
Carmaux95, Lady of the sea, Yavannah, MrsBlack, Krystal91, Elentari,
lohobbit, LilyOok_, LadyDenebola. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra
Anna
<3
P.S.
A breve questa long finirà il suo viaggio, ma non dovete
temere: una
nuova storia sta prendendo forma, ed alcune pagine sono già
state
scritte :). Perciò, se vorrete ancora accompagnarmi in
questa nuova
avventura, vi consiglio di tenere gli occhi bene aperti! Potrebbe
arrivare quando meno ve lo aspettate ;)!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** Capitolo venticinque ***
Note
autrice: Salve!
Perdonate
l'enorme ritardo, ma queste settimane si sono rivelate complicate, e
le difficoltà sono ricadute (guarda caso -.-) sulla storia;
spero mi
perdoniate e riusciate a gustarvi questo luuuuungo capitolo, scritto
col cuore!
Me
ne scuso, ma non ho ancora ringraziato a dovere Yavannah
e
vanessa90 per aver
chiesto che “La Quercia e L'Iris” venisse presa in
considerazione
come Storia tra le Scelte: GRAZIE DI CUORE,
semplicemente <3
E
un ENORME GRAZIE a
chi mi ascolta, mi consiglia e mi consola dicendomi il suo parere :D.
E' grazie a questo che sono riuscita a terminare questo capitolo!
Buona
lettura, ci leggiamo giù :*
CAPITOLO
VENTICINQUE
<<
Piano, appoggiati a me. Ecco, così >>.
Karin
gemette silenziosamente mentre aiutava Thorin nel tentativo di
alzarsi; si erano svegliati in tarda mattinata e, dopo aver
racimolato un qualcosa di commestibile per colazione, aveva espresso
quel desiderio. Lei non aveva obiettato, offrendosi come una sorta
d'appoggio almeno finché non si fosse stabilizzato.
Con
un braccio attorno al collo, e quasi tutto il peso appoggiato al suo
corpo più minuto, mossero dei primi passi incerti; Karin lo
osservò,
cercando di capire se si sentisse bene, ma il suo volto era
concentrato e non mostrava segni di dolore: bé, poco male.
Ciò che
contava era la sua totale guarigione imminente.
<<
Provo da solo >>.
<<
Sei sicuro? Non ti gira la testa? Hai perso molto sangue, e le forze
non tornano precipitosamente >>.
Thorin
sorrise brevemente di fronte alla sua preoccupazione, e
tentò di
rassicurarla << Sto bene, Karin >>.
Premette
le labbra sulle sue e si sciolse da lei, camminando un po'
barcollante; Karin osservò la sua andatura, constatando
quanto
migliorasse visibilmente già dopo pochissimi passi. In breve
riuscì
a camminare senza problemi, facendole nascere un sorriso spontaneo.
<<
E' proprio vero che la Stirpe di Durin è dura quanto la
roccia, e
che nulla vi può spezzare >>
commentò invidiosa, incrociando
le braccia al petto << Sembra tu abbia solo dormito a
lungo, e
molto serenamente >>.
Thorin
le si avvicinò, gli occhi azzurri brillanti e orgogliosi in
quanto
aveva ritrovato il proprio vigore << In fondo si
è proprio
trattato di una profonda dormita. Nulla di più
>>.
Karin
alzò le sopracciglia, piuttosto scettica verso
quell'affermazione,
ma non aprì bocca; si limitò a scuotere la testa
e a circondargli
il collo con le braccia << E ora, mio Re? Come hai
intenzione
di procedere? >>.
Il
nano le sfiorò i fianchi, senza smettere di guardarla negli
occhi
neri << Presumo che Thranduil vorrà tornarsene
a Bosco Atro, e
Bard a Esgaroth: però, come primo atto, dovrò
consegnare la loro
parte di Tesoro. Anzi, stavo ponderando che potrei anche aggiungere
dell'altro, in segno di gratitudine: senza il loro intervento
–
benché involontario – non saremmo qui
>> le accarezzò la
guancia sinistra, seguendo la linea del volto fino al mento
<<
Sei d'accordo? >>.
Karin
annuì, commossa ed imbarazzata insieme nell'apprendere che,
d'ora in
avanti, Thorin avrebbe chiesto i suoi consigli e le sue opinioni per
qualsiasi questione: o, almeno, per quelle che necessitavano un
consulto.
<<
Sostengo questa scelta: è giusta, hai pienamente ragione
>>
confermò, sorridendogli.
Thorin
ridacchiò lievemente, stupendola << Mi
mancheranno i nostri
litigi. Non vorrei che, d'ora in avanti, fossi troppo
accondiscendente >>.
Karin
rimase interdetta qualche secondo, per poi assottigliare lo sguardo e
schiudere le labbra; fintamente offesa e punta sul vivo si sciolse
dall'abbraccio, posando le mani sui fianchi << Attento a
ciò
che chiedi, mio signore. Potrei quasi decidere d'accontentarti
>>
il tono le risultò più giocoso di quel che
avrebbe voluto, e Thorin
comprese che il suo risentimento era del tutto fasullo.
<<
Chiedo venia, chiedo venia! Come posso farmi perdonare, mia Regina?
>> lo sguardo malizioso che le lanciò fu
estremamente
invitante e, per lunghi attimi, Karin fu ben tentata della risposta
da dargli; infine, però, optò per altro.
<<
Ti suggerisco di mettere in pratica ciò che hai detto,
ovvero
consegnare la giusta ricompensa a Elfi e Uomini. Sinceramente
parlando, sono ben stanca di rimanere rinchiusa in questa tenda
>>.
<<
Karin, per quanto la tua proposta sia allettante, ti ricordo che non
possiamo uscire con addosso solo delle camicie da notte; non io,
perlomeno >> le lanciò un'altra occhiata
eloquente e
penetrante, guadagnandosi un lieve schiaffo sul braccio a mo' di
rimprovero e un paio di occhi battaglieri che lo squadrarono focosi.
Trattenne
una sonora risata, stringendola a sé <<
Suvvia, è la verità!
Anche se mi dispiacerebbe alquanto dover attaccare ogni soldato che
posi gli occhi sulla tua figura, proprio ora che la pace è
stata
raggiunta >>.
Alzò
gli occhi al cielo, lasciandosi scappare uno sbuffo <<
Sai, mi
mancherà parecchio il tuo essere scontroso e taciturno! Ora
sei fin
troppo loquace e spiritoso per i miei gusti >>.
<<
Con gli altri mi comporterò come ho sempre fatto. Questo mio
nuovo
lato sarà il nostro piccolo segreto >> disse,
con voce roca.
Eccitanti
brividi bollenti le percorsero la schiena, e non poté
impedirsi di
sorridere << Lo custodirò con gioia
>> assicurò,
tornando a circondargli il collo.
Si
baciarono dolcemente ma Thorin si staccò presto dal
contatto, lo
sguardo pensoso << La sarta dovrebbe essere giunta
all'accampamento, ormai >>.
Karin
aggrottò la fronte, tremendamente confusa <<
Quale sarta? >>.
<<
Ti ricordo che non possediamo vestiti, li hanno gettati non appena ci
hanno portati qui. Bard stesso si è offerto di chiamare una
donna di
fiducia appositamente per noi. Non so altro >>
spiegò
paziente.
<<
Certo >>.
Si
diede della stupida, e tentò di placare il cuore che aveva
iniziato
a galoppare rapido; per lunghi attimi aveva creduto fosse arrivata
per prepararle il vestito sontuoso che avrebbe indossato al
matrimonio. Si morse il labbro, rimproverandosi: stava correndo
decisamente troppo.
Thorin
venne attirato da una figura estranea e puntò lo sguardo
azzurro
verso la soglia, dove stava Ori, in silenziosa attesa: probabilmente
non aveva avuto cuore d'interromperli.
Entrò
e, timidamente, posò lo sguardo su di loro <<
Perdonatemi, ma
è arrivata la donna di Esgaroth, e vorrebbe vedere Karin
>>.
<<
Non vuole entrare qui? >>.
<<
Meglio che sia tu ad andarle incontro >> disse Thorin,
rispondendo prima che potesse farlo il giovane nano << E'
giusto così >>.
Lei
richiuse le labbra e fermò la protesta prima che
fuoriuscisse; annuì
e, senza altre parole, seguì Ori.
Thorin
però la chiamò, facendola arrestare
<< Mi raccomando, Karin:
abiti femminili >>.
Non
lo degnò di risposta, sentendo le orecchie e le guance
improvvisamente accaldate; l'ultimo suono che sentì prima di
scostare i lembi della tenda fu la sua leggera risata.
L'aria
le scompigliò i capelli e la poca e fredda luce presente
ebbe il
potere di farle socchiudere gli occhi; si guardò attorno,
notando i
preparativi che stavano avvenendo. Entro sera l'accampamento si
sarebbe svuotato, il che significava che Thorin avrebbe dovuto
sbrigarsi con i dovuti pagamenti: non rimaneva molto tempo.
Camminarono
poco, con suo gran sollievo e, finalmente, notò l'alta
figura della
donna posta di spalle. Stava conversando con Bard che, non appena la
scorse, fece un cenno nella sua direzione. Allora si girò, e
Karin
non poté credere ai propri occhi: li sentì
sgranarsi sbalorditi, la
bocca si dischiuse sorpresa, avendola riconosciuta.
<<
Eliese! >> gridò, cercando di accorciare la
distanza con ampie
falcate – per quanto la gamba glielo permettesse.
L'amica
le rivolse un caloroso sorriso, andandole incontro con le braccia
aperte, pronte ad accoglierla: si abbracciarono strette,
trasmettendosi allegrezza nel sapere l'altra viva.
<<
Sono così contenta! >> esclamò
Karin << Non sai la pena
nell'apprendere dell'attacco di Smaug. Fortunatamente Bard mi ha
detto che siete riusciti a fuggire >>.
<<
Ci siamo mossi rapidamente, nonostante avessimo con noi Glir: ma si
è
comportato bene, e così anche Alhena >> si
sciolse,
guardandola attentamente negli occhi neri << Tu,
piuttosto!
Quando è giunta voce dell'imminente battaglia e della
miracolosa
vittoria ho tirato molti sospiri di sollievo, ma poi Bard mi ha
raccontato della tua ferita: ora stai meglio? >>
domandò
apprensiva.
Karin
ampliò il sorriso, annuendo << Nulla di grave,
davvero. Solo,
avevo perso molto sangue >> disse, minimizzando: non
voleva si
preoccupasse troppo << Thorin ha rischiato di morire,
però.
Gli sono rimasta accanto finché non si è
svegliato >>.
Eliese
le concesse un sorrisetto compiaciuto e malizioso, gli occhi verdi
brillarono intensamente << Sono a conoscenza anche di
questo.
Dunque avevo visto giusto: eri davvero legata a qualcuno della
Compagnia, anche se non mi sarei proprio aspettata si trattasse del
re. Ad ogni modo, è stato grazie a lui se ora sono qui: ha
chiesto a
mio fratello se ero in grado di cucire >> il volto le si
piegò
in una smorfia, come se la domanda del nano fosse stata totalmente
superflua << Una volta risposto affermativamente, non
abbiamo
atteso altro tempo. Bard è venuto ad Esgaroth, informandomi
della
situazione, e sono partita non appena ho potuto: ovvero, dopo che ho
lasciato Glir a Renal >>.
Karin
era a dir poco esterrefatta, apprendendo finalmente la
verità:
allora il non sapere l'identità della famosa sarta era stata
tutta
una messinscena architettata da Thorin!
Istintivamente
si girò verso la loro tenda vedendolo in piedi sulla soglia,
appoggiato al tessuto grigio; le braccia erano incrociate al petto e
le labbra erano stirate in un sorriso soddisfatto, capendo che il suo
piano aveva funzionato.
<<
Voleva farti una sorpresa >> continuò la
donna, la voce
traboccante d'emozione << A mio parere è stato
un bel gesto
>>.
Karin
rimase girata verso il nano, lasciando che un sorriso riconoscente si
formasse sul volto << Bellissimo >>
mormorò, vedendolo
annuire col capo, come se avesse colto il loro scambio di battute e
la sua gratitudine.
Si
girò bruscamente quando qualcuno le si gettò
praticamente addosso
e, con qualche difficoltà, riuscì a tenersi
saldamente in
equilibrio evitando di crollare a terra; una figura ben familiare la
stringeva con foga, il piccolo volto affondato nel petto.
<<
Alhena!? >>.
Era
lei, non vi erano dubbi: ma come era possibile?
<<
Ha voluto seguirmi a tutti i costi >> spiegò
Eliese, non senza
nascondere una nota di rimprovero << non c'è
stato modo di
farle cambiare idea! È veramente testarda >>.
A
Karin scappò una risata, stringendo maggiormente la bambina
<<
La testardaggine è una qualità tipicamente nanica
>> alla
frase, Alhena alzò la testa, incontrando i suoi occhi
<< Anche
se, spesso e volentieri, è più un grossissimo
vizio >> le
diede un buffetto sulla guancia destra e le scompigliò i
capelli,
oltremodo contenta d'averla rivista. D'aver rivisto entrambe.
<<
Meno male che stai bene! >> proruppe la piccola
<< Il
Drago ti ha fatto del male? >>.
<<
Dovrei essere io a chiedertelo, invece! Comunque no, sono stati...
bé, altri >> concluse, non volendo turbarla.
Ma
la ragazzina assottigliò lo sguardo, lasciandola basita per
l'ennesima volta << Lo so che sono stati gli orchi. Ormai
sono
grande, certe cose le capisco >> sentenziò,
alzando il mento
fieramente.
<<
Non ne dubito: sei una sorella maggiore >> ammise,
chiedendosi
nel profondo quando fosse
cresciuta. Con una fitta al cuore pensò che dovesse accadere
improvvisamente: un attimo prima constatavi che tuo figlio era ancora
piccolo, bisognoso delle tue attenzioni e della protezione che,
immancabilmente, gli donavi. L'attimo successivo ti rinfacciava di
voler diventare indipendente, e ciò che tanto gli avevi
donato non
serviva come un tempo; capivi che dovevi
lasciarlo andare, anche se il distacco sarebbe risultato doloroso ed
insopportabile da sostenere.
<<
Sei molto coraggiosa. I tuoi genitori devono essere fieri di te
>>.
<<
Lo siamo >> rispose Eliese, accarezzando i capelli
castani
della figlia << Ci aiuta moltissimo, specie con il
piccolo >>.
<<
E tu, Karin? >> domandò Alhena, spiazzandola
<< Sei
orgogliosa di me? Cerco di assomigliarti il più possibile,
perché
da grande vorrei essere come te! E come la mamma >>
aggiunse
subito, intuendo che, forse, non le avrebbe fatto molto piacere
venire esclusa.
Karin
si intenerì ma, a dispetto del cuore traboccante di gioia,
scosse la
testa << Vedi, Alhena, ognuno ha i suoi pregi e difetti,
e io
ne posseggo moltissimi di questi ultimi! Non sono un modello da
seguire. Preferirei sapere che tu voglia assomigliare solamente a te
stessa o, nel migliore dei casi, a tua madre: è una donna
fantastica
>>.
<<
Lo so >> affermò convinta, annuendo
più volte per enfatizzare
la risposta. Certo, la frase detta sul voler assomigliare a
sé non
l'aveva capita del tutto, però era certa che avrebbe
scoperto il
profondo significato tra pochi anni.
Eliese
si commosse un poco, ed agitò una mano davanti al volto per
calmarsi
<< Su, basta perdere tempo, o la fiducia che il tuo Re
nutre
nei miei confronti scemerà veloce! Ho portato degli abiti
anche per
lui, però prima volevo mostrarti i tuoi >>.
<<
Va bene. Seguitemi >>.
Le
condusse alla sua vecchia tenda dove stavano ancora tutti i suoi
averi, tra i quali Iris e il fiore dal medesimo nome, oltre al
mantello.
La
donna sciolse i legacci del fagotto che trasportava e, aiutata dalla
figlia, tirò fuori due bellissimi vestiti posandoli sulla
brandina;
Karin li ammirò estasiata, mentre una domanda le frullava in
testa.
<<
Quando hai avuto il tempo di confezionarli? >>.
Elise
si strinse nelle spalle << Sono stata aiutata dalla mia
vicina
di casa, non ho fatto tutto da sola: abbiamo lavorato alacremente
giorno e notte, poi sono partita >>.
<<
Capisco. Bé, sono magnifici, davvero! >>.
<<
Sono contenta ti piacciano. Noi usciamo, così potrai
cambiarti.
Vieni, Alhena >>.
Una
volta sola, Karin non perse tempo a sfilarsi la camicia da notte e,
attenta, vestì il primo abito color indaco: le stava a
pennello, e
l'ampia scollatura a barca le piaceva moltissimo. Provò
anche
l'altro, color rosso cupo dalla geometria poco più chiara:
alcuni
fili dorati correvano sul corpetto e sulla lunga gonna pesante,
adatta all'inverno già avanzato; le maniche erano a losanga,
bordate
d'oro alle estremità. Decise immediatamente d'indossare
quest'ultimo.
Uscì,
complimentandosi con la donna per l'ottimo lavoro e, senza
accorgersene, si ritrovò a formulare la propria richiesta.
<<
Deduco sarai tu a cucire il mio abito per la cerimonia nuziale
>>.
Eliese
la guardò sbalordita, credendo d'aver capito male;
sgranò gli occhi
chiari, arrivando alla soluzione << Ti sposerai? Con
Thorin
Scudodiquercia? >>.
<<
Esatto >>.
<<
Ma... ma questo farà di te... >>
balbettò, lasciando la frase
in sospeso così che lei potesse concluderla.
<<
La Regina di Erebor, sì >>.
L'amica
emise un gridolino esaltato, portandosi successivamente le mani alla
bocca nel tentativo di calmarsi << Per i Valar, non posso
crederci! >>.
Anche
Alhena la guardava stupita, e passava lo sguardo dal volto sbigottito
della madre a quello impacciato e rassegnato insieme di Karin,
capendo che era davvero una meravigliosa e grossa notizia.
<<
Che bello! >> esclamò, artigliandole una mano
<< Posso
vedere il tuo regno? >> domandò, supplicante.
<<
Non è ancora pronto >> rispose Karin
<< Dobbiamo
ricostruirlo dopo la furia del Drago >>.
<<
Non porre domande sciocche, Alhena >> la
rimproverò la madre,
seria in volto << Non devi essere tu a decidere, ma Karin
>>.
La
nana mosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli neri
<<
Non temere Alhena, lo vedrai. Sarete entrambe invitate al matrimonio,
quando avverrà; e, ovviamente, richiederò anche
la presenza di tuo
padre Renal >>.
Eliese
annuì, pienamente d'accordo << Glir
è ancora troppo piccolo,
ed un viaggio – seppur breve – non riuscirebbe ad
affrontarlo: lo
affideremo alla vicina. Ti ringrazio per l'invito, amica mia
>>.
<<
Non sareste mai mancate, ve lo posso garantire >>.
Si
abbracciarono nuovamente, ed Eliese espresse la propria
felicità
tramite qualche lacrima; poi si riscosse, consegnandole gli abiti per
Thorin e chiedendole di informarla se si fossero presentati dei
problemi. Karin la ringraziò di cuore, raccolse gli oggetti
e,
zoppicante, si diresse verso l'altra tenda.
Thorin
era seduto sul pagliericcio, intento a bere acqua da un boccale di
legno; non appena percepì la sua presenza la
guardò, facendo
scivolare lo sguardo azzurro sulla sua figura.
<<
Ti piace? >> chiese lei, allargando di poco la gonna e
roteando
su sé stessa, facendo frusciare il vestito.
<<
Mentirei se rispondessi negativamente >>
affermò lui, dopo
lunghi secondi di silenzio. Appoggiò il boccale e si
alzò,
raggiungendola: di nuovo, l'esaminò attento, non volendo
perdersi
neppure un particolare. Le camminò attorno come un predatore
fa con
la propria preda, e Karin si rese conto di non riuscire a trattenere
vari brividi.
<<
Ci sono dei vestiti anche per te, all'interno del fagotto
>>
disse, giusto per spezzare il silenzio << Eccoli
>>.
Lo
schivò, dandogli le spalle per non fargli capire l'evidente
disagio
che l'aveva colta: per quanto potessero essere intimi,
l'imbarazzo
che provava sotto il
suo sguardo rovente e scrutatore non accennava a scomparire, come se
si trovasse ancora alle prime armi; forse le sarebbe occorso del
tempo per abituarcisi di nuovo.
Thorin,
al contrario, trovava davvero interessante la sua effettiva
difficoltà: il vederla arrossire ancora dopo una sola e
semplice
occhiata era tremendamente amorevole, oltre che eccitante. Non
assecondò il suo desiderio di seguirla per circondarle i
fianchi con
le braccia e baciarle il collo, ma rimase fermo con le braccia
conserte, attendendo che gli porgesse gli abiti; quando avvenne si
girò e sfilò l'indumento dalla testa, indossando
le brache scure,
la camicia marrone e la casacca rosso mattone: infine,
assicurò la
spessa cintura di cuoio ai fianchi e calzò i pensanti
stivali.
Appagato
nel constatare che non dovevano essere apportate correzioni si volse
verso di lei, alzando un sopracciglio a chiederle se le piaceva, e se
poteva andar bene.
Lo
guardò esattamente come lui l'aveva squadrata, e si
trattenne dal
ridere forte; aspettò di vedere gli occhi posati sulla punta
degli
stivali, decidendo di parlare << Dunque? Direi che sono
piuttosto presentabile >>.
Si
riscosse sbattendo le palpebre, ed annuì <<
Sì, decisamente.
Andiamo? >>.
Senza
dire altro uscirono e, non appena Thorin si abituò alla luce
del
giorno, venne accolto da grandi schiamazzi e fischi, applausi e
risate; stupito, notò che i membri della Compagnia, compresi
i suoi
nipoti, erano in piedi proprio fuori dalla tenda, ognuno con un
enorme sorriso sul volto sollevato e contento. Non solo, anche
Uomini, Elfi, e Nani dei Colli Ferrosi si erano aggregati a rendere
omaggio a quel sovrano che aveva lottato con tutte le sue forze per
opporsi ai nemici, rischiando la vita.
Diede
una rapida occhiata alla sua destra vedendo Karin sorridere felice,
gli occhi neri che brillavano cospiratori; si sporse verso di lui,
prendendogli la mano << Questa è la mia
sorpresa per te,
Thorin >> disse semplicemente.
Il
nano distese la fronte aggrottata e le labbra sottili, ricambiando il
sorriso con uno affettuoso e grato; sentì le dita
sciogliersi dal
contatto e lasciò che si allontanasse di alcuni passi per
permettere
ai nipoti di salutarlo con un energico abbraccio, seguito da pacche
affettuose sulle spalle. Man mano che gli altri rendevano i loro
saluti ed esprimevano la propria felicità, la ragazza
sentiva gli
occhi inumidirsi, commossi. E, quando giunse il turno di Balin e
Dwalin, qualche lacrima scese sulle guance perdendosi lungo il mento
ed infrangendosi a terra; pianse e rise insieme agli amici,
costringendo Bofur a circondarle le spalle con un braccio e farle
appoggiare il capo sulla spalla per calmarla, mentre Bilbo le
accarezzava la testa.
Thranduil
e Legolas si inchinarono rispettosamente, e così fece Bard,
il quale
aggiunse anche una calorosa stretta di mano mormorandogli un
“Bentornato” detto col cuore. Quando
arrivò il momento di Dain,
tuttavia, Karin socchiuse gli occhi e ridivenne seria, ogni traccia
di pianto ormai cancellata.
Si
osservarono attenti, entrambi con uno sguardo che poteva definirsi
glaciale; Karin riuscì a capire cosa doveva pensare Dain, il
disappunto della decisione del matrimonio lo infastidiva tutt'ora. Ma
come mai Thorin possedeva quella freddezza? Era a conoscenza di
ciò
che si erano detti poco prima dello scoppio della Battaglia? Le parve
strano, giacché lui si trovava all'interno della Montagna, e
poi non
aveva avuto modo di parlargli: o forse sì, mentre lei si
trovava in
compagnia degli amici?
Oppure...
possibile rimembrasse e provasse rancore per ciò che sarebbe
dovuto
accadere centosettantuno anni prima? In fin dei conti, lei avrebbe
dovuto sposare Dain.
<<
Sono felice di saperti vivo ed in salute, cugino >> disse
Dain,
posandogli una mano sull'avambraccio.
Thorin
abbassò la testa in ringraziamento, capendo che avrebbe
aggiunto
altre parole.
<<
Permettimi però di parlarti francamente. Non qui, ma in
privato >>
pur cercando di impedirselo, gli occhi saettarono rapidi verso Karin,
e la mascella gli si contrasse. Gesto che non sfuggì a
Thorin.
<<
Non vedo perché no, cugino
>> rispose, controllando il tremito infastidito della
voce <<
Precedimi nella tenda >> gli fece un cenno, chiaro invito
ad
entrare; e lui lo fece, scomparendo alla loro vista.
<<
Vi ringrazio per la vostra solidarietà e il vostro affetto
>>
disse Thorin, passando lo sguardo sull'assembramento <<
però
vi chiedo di perdonarmi: mi aspetta un parente piuttosto bellicoso e
impaziente >>.
Il
gruppo ridacchiò, disperdendosi in fretta e tornando alle
proprie
mansioni: fu allora che si girò verso di lei, muovendo il
capo
perché lo seguisse; non ebbe il tempo di replicare e, cauta,
entrò
dopo di lui.
Non
appena la vide, il volto di Dain si adombrò <<
Mi era parso di
capire che saremmo stati soli >> commentò
duramente,
incrociando le braccia al petto.
Thorin
fece altrettanto, alzando il capo orgoglioso << Tra Karin
e me
non vi sono segreti. Dì ciò che devi, Dain
>>.
<<
Riguarda lei >>
disse aspro, indicandola. Gli occhi luccicarono minacciosi, ma prese
fiato e parlò << Non accetto che un mio
stimato consanguineo
voglia unirsi ad una traditrice del
suo popolo, per di più esiliata
>>.
Thorin
fremette però rimase in silenzio, mentre dentro Karin
iniziava a
montare una sorda rabbia: possibile ci fosse sempre qualcuno disposto
a ricordarle chi era
stata?
<<
Non commise nulla di cui venne accusata, posso garantirtelo sul mio
onore; venne imprigionata e costretta a tradire, non lo fece di sua
spontanea volontà. Ma io, cieco e sordo, non capii
né l'ascoltai >>
abbassò un attimo il capo, sopraffatto dai ricordi e dal
rimorso,
per poi rialzarlo e guardarlo dritto negli occhi <<
Aggregandosi alla Compagnia, Karin ha dimostrato un valore e un
coraggio degni del nano più determinato: ultimo ma non meno
importante fatto, mi ha salvato da morte certa, rischiando la vita.
Il suo onore e la sua lealtà sono stati ampiamente
riconosciuti, mi
sembra >>.
Dain
sbuffò sprezzante, scettico sulle parole di Thorin.
Karin,
allora, decise che era tempo d'intervenire << Se non
credi a
lui, credi a queste >>
si alzò la manica destra, mostrandogli le cicatrici
biancastre; lo
vide aggrottare maggiormente la fronte e serrare le labbra, ma non
gli concesse il tempo di replicare << Non me le sono
procurata
da sola, sono frutto della prigionia che doveva obbligarmi a tradire
il mio popolo; ho tentato di resistere il più a lungo
possibile,
ma... ha prevalso il mio carceriere >> tirò
giù la stoffa,
non sopportando la vista del suo braccio << I soccorsi
arrivarono troppo tardi, poiché Smaug era già
giunto ad Erebor,
distruggendone le difese. La colpa e la rabbia mi accompagnarono a
lungo, finché non intrapresi questo viaggio; sono cambiata
in questi
mesi, io stessa fatico a riconoscermi. Ma non tollererò
d'essere
nuovamente etichettata come rinnegata: non da te, Signore dei Colli
Ferrosi >>.
Thorin
fece saettare lo sguardo su di lei, senza nascondere un lieve ghigno
compiaciuto benché leggermente preoccupato riguardo la
reazione di
Dain: infatti, lo vide spazientirsi e serrare maggiormente le braccia
al petto.
<<
Non mi interessa conoscere le tue ragioni
>> rispose, brusco << Non approvo comunque
il matrimonio,
perciò non avrete la mia benedizione. In ogni caso,
rimarrò con i
miei soldati finché non avremo ricostruito Erebor com'era un
tempo.
I Durin devono aiutarsi tra loro: dopotutto, abbiamo legami di sangue
>>.
<<
Ti ringrazio >> rispose freddamente il cugino
<< Ma sappi
che non occorre il tuo consenso, poiché la
sposerò comunque. Non
devo rendere conto a nessuno delle mie azioni, né dei miei
desideri
>>.
<<
Thorin >> bisbigliò lei, posandogli una mano
sull'avambraccio;
capì che stava perdendo la pazienza, e Dain l'avrebbe
seguito a
breve se non avessero concluso in fretta la discussione.
Fortunatamente
l'altro parve intendere che era giunto il momento di congedarsi e,
con un rigido cenno del capo e uno sguardo furente, si avviò
a passi
pesanti sparendo presto alla loro vista; solo allora Thorin si
lasciò
sfuggire un grave sospiro, passandosi una mano sulla fronte.
<<
Non ho apprezzato il modo in cui ti ha parlato >> disse,
cupo
<< Però abbiamo bisogno di lui, e del suo
aiuto >>.
<<
Ne sono consapevole >> gli rispose, sospirando
dolorosamente
mentre uno spiacevole pensiero si formava << Credo che...
non
sarà l'unico ad obiettare la tua scelta >>.
Thorin
la guardò attentamente, intuendo i suoi timori; lei, invece,
evitò
qualsiasi contatto visivo << In me vedono ancora la
Traditrice
dei Nani, non la Salvatrice di Re. Nemmeno la Regina di Erebor
>>.
<<
Questo perché non conoscono le innumerevoli prove che hai
dovuto
affrontare! >> scattò, combattivo
<< Né quello che
rappresenti per me. Che hai sempre rappresentato
per me >> si avvicinò, prendendole il volto
tra le mani <<
Ti importa davvero di ciò che la gente pensa di noi?
>>
domandò, con un sussurro.
Lei
si morse il labbro, combattuta << Saranno miei sudditi,
Thorin.
Come posso ignorarli? >>.
<<
Non tutti la pensano come Dain >> ricordò
<< E coloro
che non hanno ancora potuto ammirare la vera Karin
cambieranno presto idea; te l'ho già detto, mi pare: sarai
una
Regina capace e giudiziosa, oltre che giusta. Vorrei lo capissi, e
l'accettassi >>.
<<
D'accordo >> mormorò, ancora un poco dubbiosa
e impaurita; nel
mentre, però, un enorme senso di riconoscenza verso Thorin
le riempì
il cuore, ed una dolce tranquillità scese in lei.
Si
ritrovò dapprima a sorridere e poi a ridacchiare, portando
una mano
alla bocca; il nano l'osservò perplesso, non riuscendo a
capire il
motivo di tanta ilarità, specie dopo le loro confidenze:
alzò
solamente le sopracciglia, aspettando una qualche spiegazione.
<<
Oh, nulla d'importante! Pensavo ad una frase che mi ha rivolto Dain
poco prima della Battaglia: ora come ora la trovo estremamente...
ironica >>.
<<
Ovvero? >>.
<<
Puoi promettermi che non ti arrabbierai né tenterai in alcun
modo di
ucciderlo? >> chiese scherzosa, portando le mani sui
fianchi.
Thorin
sospirò, impaziente << Lo prometto
>> ammise a
malincuore, nonostante possedesse la vaga sensazione che avrebbe
infranto il giuramento.
<<
Mi aveva detto che l'amante del Re non sarebbe mai
diventata la sua Regina. Direi che ha avuto pienamente torto
>>.
Thorin
si bloccò, cercando di sopire la rabbia e di mantenere fede
a ciò
che le aveva assicurato; fu ben complicato, ma gli bastò uno
sguardo
al sorriso di Karin – così fiducioso, che nessuno
d'ora in poi
avrebbe potuto spegnere facilmente – per calmarsi
visibilmente.
<<
Hai ragione >> le disse, allacciando una mano alla sua;
si
guardarono negli occhi, ora sereni e privi di ombre oscure
<<
Andiamo a riprendere possesso della nostra dimora, e a rispettare un
giuramento; prima, però, vorrei che facessi una cosa per me
>>.
La
Compagnia al completo – incluso Gandalf – si
trovò circondata
dalle enormi piramidi di monete sonanti della Sala del Tesoro. Non
avevano alcuna torcia, poiché il bastone dello stregone
aveva
proiettato una luce sufficientemente abbagliante; trepidanti,
attesero che il loro sovrano parlasse, istruendoli sulla
quantità da
recuperare, o sul numero di forzieri da trasportare.
<< Come ben
sapete >> esordì Thorin << non
sarà più possibile
dividere il tesoro in parti uguali, secondo il progetto iniziale.
Intendo rispettare l'accordo preso con Bard, seppur sancito tramite
bassi espedienti ed in mezzo a tanta rabbia >>.
I nani annuirono,
mostrandosi solidali col proprio sovrano.
<< Bard
chiede per sé un semplice quattordicesimo, una ricchezza
immensa ben
maggiore di quella di molti re mortali: sono certo che sarà
più che
sufficiente. La stessa quantità verrà accolta
dagli Elfi, ma
dovremo aggiungere un altro forziere >>.
<< Umpf! >>
sbuffò Gloin << Immaginavo che
l'avidità degli Elfi si
sarebbe mostrata in tutta la sua grandezza! >>.
Oin
gli posò una mano sulla spalla per calmarlo,
poiché aveva riaperto
bocca, pronto a lanciare altri insulti alla razza eterea.
<<
Non temere Gloin, è meno di quanto si aspettavano
>> disse
Karin, calma << Legolas e io abbiamo fatto da tramite e
pacificatori tra i nostri Re, e siamo giunti a questo compromesso
>>.
<<
Ah! >> commentò solamente, stupito.
<<
Dain rimarrà qui, presumo >> volle sapere
Dwalin.
<<
Sì. Abbiamo bisogno della sua gente per ricostruire Erebor
>>
pur non volendo, il tono di Thorin risultò infastidito, non
sfuggendo agli altri; ma nessuno, grazie al cielo, ebbe il coraggio
di replicare.
Poi
il silenzio calò di nuovo, permettendogli di ragguagliarli
sulle
prossime disposizioni: una volta terminato, ognuno si
affaccendò al
compito assegnato.
Passarono
diverse ore nelle quali vagarono lungo la Sala nel tentativo di
scegliere le pietre che ritenevano sì preziose, ma non quel
tanto
che bastava per disfarsene; l'andirivieni divenne presto motivo di
giocosità per i più giovani che, non appena si
incrociavano lungo
il percorso, non mancavano di farsi lo sgambetto a vicenda oppure si
scambiavano un cinque con i palmi bene aperti. Karin si
ritrovò
presto con un costante dolore alla milza – causato dalle
innumerevoli risate – oltre alla coscia ferita; quando
iniziò a
zoppicare vistosamente camminando più lenta, Thorin la
costrinse
bruscamente a sedersi in disparte e a controllare i numerosi
forzieri, distribuendo le varie monete dorate, i rubini, gli zaffiri
e gli smeraldi grossi quanto il suo palmo, oltre a gioielli e tiare
di diverse forme e colori, uno più strabiliante del
precedente.
Mentre
attendeva l'arrivo di un altro carico di monete, si perse ad
osservare i volti soddisfatti e sereni degli amici, e
respirò
un'aria ben diversa da quella dei giorni passati lì dentro:
era
tranquilla e quieta.
Appoggiò
il mento alle ginocchia raccolte al petto, e continuò a
guardarli
con un sorrisino sul volto.
<<
Hai la stessa espressione di nostra madre, quando ci vedeva giocare
con Thorin >> le confidò Fili non appena la
raggiunse,
reggendo un cofanetto pieno di ametiste. Lei si riscosse e
l'osservò
seria, credendo si stesse burlando di lei; ma negli occhi azzurri del
giovane Principe non scorse alcun divertimento.
<< Sono
felice che ogni faccenda si sia risolta per il meglio. E poi, il
sapere che state bene non fa che aumentare il buonumore
>>
spiegò, scrollando le spalle e rimettendosi al lavoro. Fili
le
chiese di spostarsi un poco, così le si sedette accanto
spiegandole
che non aveva più nulla da fare, poiché avevano
quasi terminato.
Ben presto
arrivarono anche gli altri e, a gruppetti di tre, riuscirono a
trasportare i forzieri al di fuori della Montagna, utilizzando la
Porta Principale; Thranduil e Bard li attendevano, insieme ai loro
soldati.
Il momento dei
saluti era giunto, infine.
<< Addio
Thorin, figlio di Thrain figlio di Thror, Re sotto la Montagna
>>
disse l'elfo, solenne << Possa la nostra benevolenza
accompagnarti a lungo, poiché ti sei privato di parte dei
tuoi
tesori senza remora; in segno della nostra rinnovata alleanza io,
Thranduil figlio di Oropher, Re degli Elfi di Bosco Atro, riconsegno
l'Archepietra come promesso >> si girò verso
il figlio,
prendendo il cofanetto incastonato di pietre preziose che gli veniva
porto e, con un aggraziato inchino, lo consegnò a Thorin.
Il nano lo
ringraziò mentre i suoi compagni trattennero il fiato come
un sol
individuo, vedendo ritornare il Cuore della Montagna al legittimo
proprietario << Che la riconoscenza del mio popolo e la
mia ti
accompagnino a lungo, Thranduil di Bosco Atro >>.
Il saluto tra
Karin e Legolas fu meno formale: dopo alcune frasi di circostanza,
l'elfo si chinò portandosi quasi alla sua altezza,
permettendole
così di abbracciarlo con affetto.
<< Ti
attenderò al matrimonio >> gli
sussurrò all'orecchio <<
e non accetterò rifiuti, sappilo >>.
<< Come la
mia signora comanda >> rispose scherzoso, ritornando
immediatamente serio << Abbi cura di te >>.
Karin si strinse
di più a lui annuendo solamente, il fastidioso groppo in
gola
perennemente presente. Poi si staccò, accennando un sorriso
con
occhi luccicanti; lo osservò camminare verso Thorin e
stringergli la
mano dopo qualche attimo d'esitazione, giacché era un gesto
insolito
per entrambi. Eppure, tra i tratti del nano non riuscì a
scorgere
quel malcontento e fastidio presenti durante il congedo da Thanduil;
avevano lasciato spazio ad una cortese freddezza, ben più di
quanto
potesse sperare: sapeva quanto fosse complicato per Thorin lasciarsi
totalmente alle spalle il rancore verso quella razza.
Si apprestò a
salutare Bard, Eliese e Alhena, venendo coinvolta in un abbraccio
stritolatore dalle ultime due; l'arciere, stupendola, la
salutò in
amicizia come se si conoscessero da molto tempo. L'informò
che
avrebbe mandato molto oro al Governatore, benché non lo
meritasse,
ed il restante l'avrebbe diviso tra i suoi seguaci e amici.
<< Inoltre,
desidererei ricostruire Dale com'era >> le
confidò, vedendola
aprirsi in un'espressione stupita << E lì
governare, se gli
Uomini vorranno >>.
<< Sono
certa che saranno ben felici, e desiderosi di seguirti. Uccisore di
Drago >>.
Al nomignolo
entrambi sorrisero, stringendosi la mano.
E così, alla
luce del tramonto, Uomini e Elfi lasciarono la piana e l'ormai
lontana Desolazione di Smaug, augurando pace e prosperità ai
Nani.
I giorni
successivi furono tremendamente stancanti; Thorin e Dain divisero i
compagni in numerose squadre e, armandosi degli attrezzi ancora
presenti nelle fucine – fatto alquanto pericoloso, dato che
molti
gradini di pietra erano praticamente distrutti, preoccupando
eccessivamente Karin per la sorte degli amici – realizzarono
robuste impalcature di legno con spesse travi, riutilizzando il
materiale ancora conservato e gettando quello ormai marcio.
Le varie sale si
riempirono ben presto dei rumori martellanti di scalpelli, piccozze e
picconi, del raschiare di pale e tonfi di blocchi di pietra lasciati
cadere a terra per venire trasportati altrove.
Dain aveva
mandato alcuni emissari ai Colli Ferrosi chiedendo manodopera sia
maschile che femminile e, in breve tempo, erano giunti; Bilbo era
rimasto totalmente affascinato da quel gruppo ormai numeroso di nani,
e gli parve di immaginare come doveva essere stata Erebor all'apice
della ricchezza. Lavorando alacremente, gli ambienti principali
furono ben presto sgombrati e ripuliti, grazie al gruppo capeggiato
dalla stessa Karin: quella mattina si erano spostati al livello
successivo, contenente le stanze reali, e si erano divisi in
gruppetti di due con l'intento di ripulire da cima a fondo quelle che
sarebbero state utilizzate.
<< Penso io
a questa camera >> disse Karin, rivolgendosi a due nane
pronte
ad entrare.
<< Come
desideri >> rispose distaccata una, dalla folta barba
castana
intrecciata sapientemente in numerose e sottili treccine.
<< Airi,
puoi venire con me? >> chiese, rivolgendosi ad una
giovane nana
simpatica e gioviale, che non si era mai mostrata indifferente nei
suoi riguardi.
<<
Certamente, mia signora >>.
Entrarono nella
vecchia stanza di Karin e, esattamente come in quel lontano giorno
prima del litigio con Thorin, venne sopraffatta un attimo dai
ricordi; si morse il labbro e si adombrò, gesti che non
sfuggirono
all'altra.
<< State
bene? >> domandò, preoccupata.
Karin annuì <<
Sì. Forza, iniziamo >>.
Lasciarono la
porta di legno aperta, poiché non vi erano finestre e, con
cautela,
spalancarono le ante del grande armadio, spolverando e sbarazzandosi
delle ragnatele e dei vestiti rovinati; quelli che potevano essere
salvati vennero posati in una cesta, prossimi al lavaggio. Disfecero
il letto, pulendo accuratamente sotto di esso per togliere gli strati
di polvere accumulatisi nel tempo, e Karin si occupò della
libreria
e della toeletta. Era intenta a lavare il vetro quando un calore
inconsueto le si propagò nel corpo, risalendo alle guance;
aggrottò
le sopracciglia, sentendosi improvvisamente più debole e
fiacca di
prima, ed artigliò tremante il bordo del tavolo. La vista le
si
offuscò, non vide alcun contorno, né figura: solo
innumerevoli
puntini blu e neri le danzarono davanti gli occhi, nauseandola
perché
vorticavano veloci. Ogni grammo di forza l'abbandonò di
colpo, sentì
le gambe cedere, le ginocchia divennero molli come burro: la
gravità
la chiamò, e lei rispose al suo ammaliante canto. Cadde a
terra,
trascinando con sé spazzole e alcune boccette di vetro
contenenti
profumi; al frastuono, Airi si voltò di scatto, sgranando
gli occhi
chiari impauriti.
<< Mia
signora! >> strillò, accorrendo in suo aiuto.
Le si
inginocchiò accanto, mentre Karin – ancora
cosciente – teneva
gli occhi serrati e sentiva innumerevoli ronzii nelle orecchie, oltre
a brividi gelati sulla schiena e sul volto bollenti << Vi
siete
ferita? Che è capitato? >> non ricevendo
alcuna risposta, girò
il capo verso l'uscita, urlando a gran voce << Aiuto!
Presto,
chiamate qualcuno! >>.
Una nana più
anziana si affacciò, notando la confusione all'angolo della
stanza;
schiuse le labbra ma mantenne un'espressione risoluta <<
Falla
stendere, vado a cercare qualcuno! >> e sparì,
veloce com'era
arrivata.
La povera Airi
obbedì, mentre un'inerte Karin lasciò che la
posasse sul pavimento,
la schiena a contatto con la pietra fredda; provò a
sollevare una
palpebra ma il mondo roteò paurosamente, infastidendola.
Perciò
rimase immobile, respirando profondamente per placarsi, ed
ascoltò
il furioso battito del cuore finché vari passi frettolosi
non
destarono la sua attenzione.
<< Karin!
>> esclamò una voce conosciuta
<< Che è successo? >>
domandò poi alla ragazza, avvicinandosi di corsa.
Lei scosse la
lunga chioma bionda, ancora scossa << Non lo so! Ero
impegnata,
quando ho udito vari tonfi e, quando mi sono girata... lei era seduta
a terra orribilmente pallida, proprio come ora! Mi hanno detto di
stenderla, ma non so se ho fatto bene >>
spiegò tremante, e
prossima alle lacrime.
Il nano, allora,
tentò di confortarla << Sei stata brava, non
temere: è questo
che bisogna fare quando qualcuno sviene. Ora su, aiutami a portarla a
letto! >>.
Airi annuì,
afferrando Karin per un braccio, mentre l'altro agguantò il
rimanente; nel frattempo, Karin sentì di stare un po'
meglio, quindi
ritentò d'aprire gli occhi: pur poco sfuocato, riconobbe il
volto
piuttosto teso del soccorritore.
Mormorò qualcosa
d'incomprensibile, ricacciando un conato in gola.
<< Diamine,
Karin, che spavento! Stai meglio? >> chiese il nano, in
parte
rincuorato nel sentirla.
<< Tutto...
vortica >>.
<< Una
bella batosta, oserei dire! Ecco, ci siamo, attenzione >>.
Delicatamente la
stesero sul materasso, poi ordinò alla giovane di alzarle un
poco le
gambe: nel frattempo, lui sarebbe corso alle cucine a prepararle un
tè caldo.
<< Dori >>
lo chiamò, prima che potesse sparire; lui si
voltò, guardandola in
attesa << Non... non dire niente a Thorin
>> disse, a
fatica.
<< Karin,
mi chiedi troppo, lo sai >>.
<< Ora
sto... meglio. Davvero, non occorre >> tentò
di dimostrarsi
più energica, ma non seppe se le aveva creduto
<< Mi assumerò
la... responsabilità >>.
Dori la guardò
dubbioso e combattuto; aveva ormai perso ogni speranza quando lo vide
annuire non proferendo parola, e le lasciò.
Solo allora
permise ad un sospiro di lasciare la bocca, e sprofondò
meglio sul
morbido cuscino; il ronzio alle orecchie era scemato, il calore alle
gote era diminuito notevolmente.
Airi corse alla
porta dove si trovava la vecchia nana, intenta a porgerle un pezzo di
stoffa << Bagnalo e posaglielo sulla fronte
>> spiegò
sbrigativa, accennando un brusco gesto col capo alla figura distesa
<< si rinfrescherà >>.
<< Ti
ringrazio, Mithe >>.
La nana agitò
una mano << Ora vado, non vorrei venir ripresa per la mia
negligenza. Informami, se accade qualcosa di sospetto >>
le
lanciò un'ultima occhiata di raccomandazione, per poi posare
gli
occhi verso Karin, assumendo un cipiglio pensieroso: ma non aggiunse
alcunché.
A dispetto del
distacco, Airi poté percepire una lieve nota d'apprensione e
non
riuscì ad impedirsi di sorridere dolcemente, prima di
chinare il
capo; seguì con gli occhi la notevole stazza che si
allontanava di
gran carriera e poi tornò dentro, avvicinandosi al letto. La
futura
Regina era ancora un po' pallida, però un debole colorito
rosato
iniziava già a comparirle sulle guance; quando
percepì la sua
presenza aprì le palpebre, osservandola con i profondi ed
espressivi
occhi neri come pece: le sorrise fiaccamente, tendendo una mano.
<< La pezza
>>.
Solo allora Airi
si riscosse, stringendo il tessuto tra le mani << Oh, mi
perdoni! Subito! >> corse verso il tavolino di legno, sul
cui
piano vi era una caraffa e, dopo averla portata in bagno,
aspettò
che si riempisse d'acqua. Era una vera fortuna che gli uomini
avessero appena terminato di sistemare le tubature! Ancora qualche
giorno ed avrebbero potuto sistemarsi stabilmente all'interno della
Montagna, abbandonando la piana. Sinceramente parlando, Airi non
stava più nella pelle! Scacciò quei pensieri poco
opportuni,
strizzò la pezzuola e quasi correndo la riportò a
Karin, che la
posò sulla fronte con un gemito soddisfatto.
<< Aah!
Decisamente meglio. Ti ringrazio, Airi >>.
La giovane
arrossì sotto l'occhiata riconoscente e il sorriso che
campeggiava
sul volto appagato; si perse a contemplare quella fisionomia poco
nanica, che
aveva affascinato
così tante persone e che affascinava tutt'ora: lei stessa
ammetteva
di non riuscire a staccarle gli occhi di dosso! Era così insolito
vedere una
nana senza barba e
con le orecchie appuntite; strano, ma anche molto armonioso,
specie nei suoi tratti.
<<
La prima volta si reagisce sempre così, però poi
ci si abitua >>
commentò noncurante Karin, come se stesse parlando del
tempo; rise
osservando l'espressione basita e colpevole di Airi, ed
allungò una
mano verso la sua, stringendola << Non preoccuparti, non
volevo
rimproverarti: era solo una constatazione >>.
<<
Certo >> balbettò, imbarazzata
<< mi spiace >>.
<<
Non serve, ci sono abituata >> borbottò lei,
tentando di far
leva sui gomiti: un lieve giramento di testa le fece serrare gli
occhi, ma durò il tempo di un battito di ciglia; una volta
appurato
che si sentiva ancora meglio riuscì a sedersi, sempre sotto
lo
sguardo vigile di Airi.
<<
E' la prima volta che viaggi al di fuori dei Colli Ferrosi?
>>
le domandò curiosa, sperando anche di sciogliere la tensione
che
permeava la figura della ragazza.
Come
previsto annuì, impacciata << Sì.
Sono venuta con mio padre –
che è minatore – e mia madre. Si è
trattato di un lungo viaggio,
eppure mi ha colpita ugualmente: ero molto emozionata >>
ammise, con occhi luccicanti di meraviglia.
<<
Immagino! Visitare nuovi luoghi porta una forte emozione
>>
inevitabilmente ripensò ai suoi numerosi vagabondaggi: pur
col cuore
gonfio di tristezza e solitudine, non aveva potuto impedirsi di
ammirare ogni più piccolo dettaglio.
Il
volto le si rabbuiò un breve attimo, sufficiente
però perché la
giovane se ne accorgesse; schiuse le labbra per domandarle se stesse
bene quando, nella stanza, irruppe un agitato Kili.
<<
Karin! Stai bene? Ma cosa è successo? Dori non ha voluto
raccontarmi
nulla, così ho dovuto chiedere ad una nana, e...
>> si bloccò,
posando lo sguardo sulla figura estranea; aggrottò la fronte
e si
schiarì la voce << Perdonatemi. Non sapevo
avessi compagnia >>
disse, composto.
Karin
sorrise, scuotendo la testa << Sto benissimo. Sono solo
svenuta. Ho chiesto espressamente a
Dori di non parlarne. Questa è Airi, proveniente dai Colli
Ferrosi
>> rispose, ordinatamente.
Alla
presentazione, il nano si inchinò << Kili
figlio di Rili, al
vostro servizio >> si soffermò a scrutarla a
lungo finché non
la vide arrossire: solo allora tornò a prestare attenzione a
Karin
<< Ti ho... ti ho portato il tè. Voleva venire
anche Fili, ma
è dovuto rimanere al lavoro; sai, per coprirmi con lo zio
>>
dichiarò, strizzando un occhio << Purtroppo
non potrò
fermarmi a lungo, o inizierà a sospettare qualcosa
>>.
<<
Se non lo sa già >> disse Karin, mordendosi la
guancia <<
Mi aspetto che compaia da un momento all'altro con uno sguardo truce
sul volto >>.
Kili
si grattò la poca barba presente sul mento, alzando le
spalle <<
Bé, converrai che non è stato molto carino
tenerlo all'oscuro, e
più tempo passerà più la sua ira
crescerà! Credimi, ti conviene
dirglielo >>.
<<
Non è successo niente di grave, per Durin! Oh, perdonami
Airi >>
si scusò in fretta, ma la ragazza la rassicurò
con un timido
sorriso, che non lasciò indifferente il ragazzo
<< Kili?! >>.
<<
Mmh? >>.
<<
Dicevo che non devo avvisarlo per ogni scemenza: sono adulta e so
come comportarmi. Se c'è un fatto che detesto, è
essere trattata
come una bambina >>.
<<
Nessuno ti tratta così >> ribatté
<< Siamo solo
preoccupati per la tua salute. Immagina se venissi a sapere che
Thorin non si sia sentito bene: come reagiresti? >>
alzò
eloquentemente le sopracciglia, facendole intendere che sarebbe
sprofondata nel panico, oltre che imbufalita per esserne rimasta
all'oscuro.
Sospirò
pesantemente, ammettendo la sua vittoria << D'accordo, mi
hai
convinta: gliene parlerò >> poi
lanciò una rapida occhiata ad
Airi, ed un sorrisetto furbo le increspò le labbra rosee
<<
Scusatemi, però ora sono alquanto stanca: credo ne
approfitterò per
riposarmi un poco >> la frase divenne un ottimo congedo e
ammetteva poche repliche, perciò i due si alzarono e la
salutarono,
avviandosi verso l'uscita; Kili, da vero Principe, lasciò
che Airi
lo precedesse, prima di voltarsi e salutarla con un cenno della mano
a cui Karin rispose.
Una
volta che la porta della stanza venne chiusa lasciò che le
palpebre
si abbassassero, esauste.
Le
parve d'aver appena chiuso gli occhi, invece mugugnò
infastidita:
avrebbe voluto rimanere al sicuro tra il tepore delle lenzuola ancora
per molte ore, dormendo finché il corpo non avesse
protestato; ma le
palpebre tremolarono e si alzarono lentamente, quasi contro
volontà
propria.
Era
girata sul fianco sinistro, entrambe le mani si trovavano sotto il
cuscino: l'abbracciò, facendo vagare lo sguardo lungo la
stanza. Non
dovette percorrere molta strada poiché una figura ben
familiare era
appoggiata al muro e l'osservava, le braccia parzialmente scoperte
strettamente conserte e uno sguardo prevedibilmente arrabbiato.
<<
Ben svegliata >> esordì, ironico
<< Dormito bene? >>.
Col
cuore in tumulto si sedette sul materasso, preparandosi mentalmente
ad affrontare la prima sfuriata dopo lunghe settimane.
<<
Spero non te la sia presa con Dori >>.
<<
Non ho parlato con lui >> disse, mantenendo un tono
sostenuto
oltre a quello sorpreso dalla notizia << Però
è stato
abbastanza semplice notare la tua assenza, se non ti si vede
né ti
si trova per tutto il pomeriggio; ho chiesto alle nane che ti
aiutavano, e mi hanno detto che ti trovavi qui >> la
guardò
attentamente, trafiggendole il corpo con occhi azzurri scrutatori
<<
Che è accaduto? >>.
<<
Solo un mancamento, nulla di più >>
rivelò, imponendosi di
guardarlo << Non c'è bisogno di preoccuparsi,
ora sto meglio
>>.
Thorin
sbuffò, passandosi una mano tra i capelli lunghi
<< Io temo
sempre per te, così
come faresti tu nei miei riguardi >> compì
alcuni passi,
portandosi vicino al letto << Lascia che ti protegga e ti
tenga
al sicuro. D'ora in avanti fai affidamento su di me, non solo su te
stessa: non esiliarti nuovamente, Karin >>.
Lei,
colpita profondamente dalle parole così toccanti, si
riscosse
all'ultima frase: schiuse le labbra, gli occhi neri si ottenebrarono
<< Non mi sto esiliando >>
ribatté, indignandosi al solo pensarlo << Ti
avrei avvisato
questa sera stessa, e non l'ho fatto immediatamente perché
si è
trattato solo di un maledetto capogiro dato dalla stanchezza. Stamani
non mi sono rifocillata a sufficienza, ed ho lavorato senza sosta
faticando più del necessario! Questo è quanto
>>.
Si
guardarono intensamente negli occhi, e Karin poté scorgere
in quelli
del compagno una grande tranquillità nell'aver appreso il
motivo del
malore << Mi assicuri che, se dovesse ricapitare, ti
recherai
immediatamente dal medico senza alcuna obiezione? >>.
La
guardò severo, vedendola già pronta a replicare;
però richiuse la
bocca, espirando rassegnata << Presumo che controbattere
sia
inutile! E va bene >> osservò il formarsi di
un sorriso
compiaciuto sulle labbra di Thorin e non poté fare a meno di
scuotere la testa, leggermente infastidita << Sei talmente
cocciuto! >>.
Il
Re sotto la Montagna sorrise apertamente nell'ascoltare i suoi
borbottii, e le diede le spalle camminando verso la toeletta;
curiosa, Karin allungò il collo per vedere, ma l'ampia
schiena le
coprì la visuale e qualsiasi gesto stesse compiendo;
tuttavia,
quando si girò, ogni traccia di risentimento scomparve: tra
le mani
reggeva un vassoio con due ciotole fumanti, ed altre due erano
coperte, probabilmente perché non si raffreddassero troppo
rapidamente. Fu spontaneo lasciare il posto ad un sorriso grato e
amorevole e, alla tacita domanda, Thorin si affrettò a
rispondere.
<<
Avrai fame, dato che hai saltato il pranzo. Bombur non ha fatto che
scuotere la testa e rimanere mogio per tutto il tempo, però
si è
offerto di prepararci la cena >> poggiò il
vassoio con due
semplici sostegni di legno sul materasso, in modo che fosse un poco
sopraelevato, e la guardò con occhi furbi <<
Se fossi così
cocciuto e fossi
rimasto saldo sulle mie posizioni, non avrei compiuto un tale gesto
>>.
<<
Posso resistere ad un giorno di digiuno, sai? >> disse
caparbia, incrociando le braccia al petto; tentò di non
badare ai
gorgoglii provenienti dallo stomaco ma Thorin se ne accorse, e rise.
<<
Chi sarebbe il testardo, tra i due? Avanti, mangiamo: al contrario di
te, sto morendo di fame >>.
<<
Mangiamo qui, sul letto?
>>.
<<
Ci siamo trovati in luoghi peggiori >> rispose, alzando
le
spalle; prese una ciotola e un cucchiaio di legno e glieli porse, poi
si servì.
Per
un po' rimasero in silenzio, sorseggiando con gusto la minestra calda
ed addentando con appetito lo stufato di carne e le patate, oltre al
pane croccante e dorato; una volta che il tutto fu spazzolato fino
all'ultima briciola, Karin parlò.
<<
Come procedono i lavori ai livelli inferiori? >>.
Thorin
si pulì la bocca con il dorso della mano << La
squadra di Dain
ha rilevato che non occorrono ricostruzioni, ed hanno già
iniziato a
togliere ogni grammo di polvere >>.
<<
Un lavoro virile! >> esclamò ridacchiando, non
potendo
trattenersi << Come vorrei poter osservare le varie
espressioni
di Dain! >>.
Anche
Thorin si concesse un sorriso ilare, al pensiero del nobile cugino
intento a pulire come una qualunque domestica << Credimi,
non
sono delle migliori. O delle più amichevoli >>.
<<
Voi, invece? >>.
<<
Stiamo ancora ripristinando alcune zone, rendendole sicure per quando
riprenderemo possesso di Erebor abitandoci stabilmente. Appena
abbiamo deciso di concludere la giornata sono corso qui,
perciò ti
domando perdono per il mio aspetto poco elegante
>> concluse, alludendo ai vestiti sporchi e al corpo
sudato.
<<
Ti sei fatto perdonare con la cena >> ammise,
indicandola; poi
assunse un cipiglio pensieroso e pericoloso, mentre lo squadrava
attenta << Quindi... dovresti lavarti? >>
domandò,
innocente.
Thorin
la guardò un attimo sorpreso, riprendendo il controllo della
situazione con un ghigno appena accennato << Temo proprio
di
sì, quindi forse è il caso che mi avvii verso la
camera. O avevi
altre proposte? >> la stuzzicò avvolgente,
sapendo che sarebbe
caduta nella sua tela. D'altra parte, lui era già caduto in
quella
di lei.
Gli
occhi di Karin brillarono seducenti, e si alzò in piedi
<<
Guarda caso c'è un bagno, dietro quella porta di legno
>>
sussurrò con voce carica di desiderio, facendogli aumentare
l'impazienza.
Si
alzò anche lui, non volendo perdere altro tempo prezioso e
le si
avvicinò, posandole le mani sui fianchi << Ma
guarda. Che
piacevole coincidenza >> le bisbigliò
all'orecchio destro,
sorridendo contro i suoi capelli.
Karin
proruppe in una risata leggera e gli circondò il collo con
le
braccia, sentendosi alzare da terra: lasciò che Thorin le
permettesse d'allacciargli le gambe ai fianchi e la conducesse di
peso verso la stanza, pregustando già con un piacevolissimo
calore
allo stomaco i momenti che avrebbero trascorso di lì a poco.
Anche se non vi
era alcuna finestra sapeva benissimo che l'alba era sopraggiunta: il
suo corpo conosceva perfettamente quando era il momento di
svegliarsi, essendo riuscito a recuperare le forze perdute; eppure ci
fu dell'altro oltre a quella consapevolezza, qualcosa che non
riuscì
a definire completamente finché non si destò del
tutto e non aprì
le palpebre, riprendendo possesso delle sue facoltà.
Dei violenti
conati rompevano il silenzio ad intervalli regolari.
Scattò a sedere
sul materasso, notando il posto vuoto accanto a sé: capendo,
scese
velocemente e, solamente con le brache indosso, si precipitò
angosciato verso la fonte del rumore.
Quando comparve
sulla soglia si bloccò per alcuni secondi, non sapendo che
fare:
solo una tremenda preoccupazione invase il suo cuore e la sua mente,
bloccandogli qualsiasi pensiero. Poi si riscosse, tornando padrone di
sé all'ennesimo sforzo; le corse incontro, aiutandola a
scostare i
capelli dal volto.
Rimase in quella
posizione finché Karin non iniziò a vomitare
liquidi gastrici con
tremori sempre più incessanti poi, con un ultimo rigurgito
– dove,
fortunatamente, non espulse nulla – si fermò,
scossa.
<< Karin
>>.
Le accarezzò la
testa con una mano, mentre l'altra la posò sulla pelle nuda
della
spalla sinistra, coperta da un sottile strato di sudore; la
sentì
inspirare ed espirare per calmarsi e la vide aprire con dita tremanti
il rubinetto del lavandino: l'acqua limpida trascinò ogni
residuo di
ciò che era accaduto, cancellando ogni disgustosa traccia.
Successivamente portò le mani a coppa sotto il getto,
raccolse un
po' d'acqua e se la spruzzò sul viso, dopodiché
si sciacquò la
bocca. Le mani pallide erano aggrappate al bordo bianco del
lavandino, talmente serrate che Thorin si domandò se avesse
intenzione di lasciarlo.
<< Sto
meglio, è passato >> esalò,
chiudendo gli occhi.
<< Da
quanto eri qui? >>.
<< Non da
molto. Fortunatamente ti sei perso la parte peggiore >>.
<< Mi
dispiace, avrei dovuto svegliarmi prima >> ammise, senza
smettere di passarle le dita tra la chioma; lei scosse la testa
girandosi lentamente verso di lui, il volto a dir poco pallido
<<
Vieni, ti riporto a letto >>.
Karin, troppo
spossata per rispondergli, rimase zitta e immobile costringendolo a
prenderla in braccio; la strinse contro il suo petto e
lasciò che
posasse il capo sulla sua spalla finché non la
riadagiò sul
materasso e la coprì col lenzuolo. Si sdraiò
lì vicino,
sfiorandole il braccio in impercettibili carezze.
<< So cosa
vuoi dirmi >> sussurrò lei, spezzando la
quiete <<
Quando starò meglio farò chiamare Disin
>>.
Thorin sorrise,
ma Karin non poté vederlo poiché aveva le
palpebre abbassate <<
Ci penserò io, non temere. E poi rimarrò qui
finché non sarai di
nuovo in forze >>.
Gli occhi neri
gli si mostrarono, e vi lesse disaccordo << Devi guidare
il tuo
gruppo, non badare a me; Disin mi curerà a dovere
>> aggrottò
la fronte, assorta, e Thorin le baciò la tempia, preoccupato
quanto
lei.
<< Sei
certa che non si tratti della ferita alla gamba? >>.
<< Non lo
so, non credo >> ammise, allacciando le dita alle sue
<<
Non ho mai provato sulla pelle i sintomi di un'infezione;
però ormai
è trascorso molto tempo >>.
<<
Probabilmente hai ragione. Comunque non sono tranquillo, Karin: non
finché non saprò cos'hai >>.
<< Ti
informerò presto >> gli assicurò,
baciandogli le dita <<
non appena Disin mi lascerà sola >>
usò il tono più gioviale
che riuscì a produrre, mentre dentro sé infuriava
una tempesta di
timore e ansia, poiché non riusciva a capire che stesse
succedendo
<< Ora va', su >> lo esortò con
un lieve sorriso.
Thorin era
combattuto, lo capì dai tratti induriti del volto: rimase
pensoso a
lungo, dopodiché annuì di malavoglia;
posò le labbra sulla fronte
e sulla sua guancia destra, ora tornata al solito colorito.
Si rivestì,
lanciandole continue occhiate alle quali Karin rispose alzando gli
occhi al soffitto << Sicura? >>
domandò ancora, sperando
avesse cambiato opinione.
<< Sì,
Thorin. Ti ringrazio, ma desidero così >>.
<< Va bene.
Allora ti manderò Disin >>.
<<
D'accordo. Ci vediamo più tardi >>.
Una volta uscito,
Karin sprofondò nei suoi pensieri e mille e più
congetture si
formarono nella testa, una meno probabile dell'altra; agitata, non
fece altro che torturarsi le mani e il labbro, sentendolo sanguinare
dopo averlo mordicchiato coi denti. Compì numerosi e
profondi
respiri, riuscendo dapprima a sedersi e poi ad alzarsi: necessitava
di sgranchirsi le gambe; un espediente per non pensare così tanto,
più
che altro. Si aggirò
nervosamente di qua e di là, il cuore che galoppava furioso
martellando senza sosta, accelerando i potenti battiti. Non andava
bene. Non andava bene per niente!
Qualcuno
bussò alla porta, facendola sobbalzare di paura; non facendo
caso
alla leggera camicia da notte estiva – unico indumento intimo
che
era scampato alla cernita – si affrettò ad aprire,
un poco
sollevata: la figura del medico le comparve davanti, e la
salutò con
un cenno del capo.
<<
Mia signora, ho saputo che hai passato due giorni stancanti
>>.
<<
Prego >> lo invitò e richiuse la porta, prima
di rispondergli
<< Sì, purtroppo. E confesso d'essere
preoccupata: non capisco
che succede >>.
L'altro
annuì, accompagnandola verso il letto ancora sfatto
<< Sono
qui per risolvere questo mistero >> le
assicurò, sorridendole
<< Siediti, e conversiamo un po' >>.
Ori
percorse il corridoio con una certa fretta, cercando di ricordare
l'esatta posizione della stanza: Thorin gli aveva parlato della terza
porta, subito dopo aver svoltato a sinistra... o era la sesta? Ma
soprattutto: aveva davvero svoltato, in quel
dedalo di
corridoi? Si rimproverò, dandosi dello stupido smemorato,
quando i
suoi occhi scorsero una figura zoppicante e familiare dai lungi
capelli neri, sciolti in parte sulle spalle e i restanti sulla
schiena. Aumentò il passo diminuendo la distanza tra loro ed
agitò
una mano verso l'alto a salutarla, però non ricevette
risposta; il
sorriso che gli aleggiava sulle labbra si spense man mano che si
avvicinava: Karin era tesa e seria, lo sguardo fisso davanti a
sé
che, in realtà, non vedeva nulla; era persa nei suoi
pensieri, e
solo quando l'afferrò per un braccio sbatté le
palpebre, confusa
nel vederselo davanti. O confusa d'essere lì fuori.
<<
Ori >> disse, stupita << Che ci fai qui?
>>.
<<
Sono venuto a cercarti, Thorin richiede la tua presenza nelle sue
stanze >> spiegò, guardandola come a cercare
ogni più piccola
traccia di sofferenza.
<<
Stavo giusto per raggiungerlo >> l'informò.
Il
nano annuì, poi però parve ricordarsi che altro
doveva dirle <<
Come ti senti? Che ti ha detto il medico? >>.
<<
Nulla di grave. Solo un'indigestione piuttosto spossante
>>
replicò sbrigativa; lo prese sottobraccio per aiutarsi a
camminare
più velocemente << Bilbo e gli altri?
>>.
<<
E' da giorni che lavoriamo sodo; quando abbiamo saputo la notizia era
già tarda sera, e Thorin era con te. Stamattina gli altri
sono
tornati alle loro mansioni, Bilbo compreso; io invece ho incontrato
Thorin per caso, e mi ha chiesto di portarti là
>> fermò
altre parole, portando le dita ad accarezzare il mento <<
Aveva
uno sguardo strano, euforico e impensierito insieme
>>.
Karin
alzò le spalle, la frase dell'amico le vorticava nella testa
<<
Ah. Bé, non ne conosco il motivo, ma lo scoprirò
tra poco >>.
<<
Ci farai compagnia a pranzo? Mangeremo nella Sala dei Banchetti!
>>.
Lo
guardò, tralasciando il malumore e l'abbattimento per non
aver visto
e parlato con gli altri << Sul serio? L'hanno
risistemata,
quindi! >>.
<<
Fino all'ultima pietra! >>.
<<
Sono impaziente di rivederla >> ammise, parlando a bassa
voce e
lasciandosi trasportare da ricordi giovanili; dimenticò i
presenti
pensieri per tutto il restante tragitto fino a quando non comparve la
familiare porta di legno: solo allora, i problemi le precipitarono
nuovamente addosso come una valanga gelida e compatta.
<<
Eccoci qui >> annunciò lo scrivano,
sorridendole spensierato.
<<
Grazie, Ori >> si staccò da lui e si sporse
verso la guancia,
baciandogliela riconoscente; sorrise quando lo vide arrossire e
balbettare, e seguì con gli occhi la sua schiena
finché non svolto,
scomparendo.
Col
cuore in tumulto e la gola secca bussò piano, annunciandosi:
lo
stomaco le si era spiacevolmente aggrovigliato e, per poco, non
udì
l'invito ovattato proveniente dall'interno; abbassò la
maniglia e
spinse, lasciando che l'ampia camera le si mostrasse. Subito
cercò
Thorin con lo sguardo, ma trovò ben due figure in piedi, una
maschile e una femminile che si girarono verso di
lei non
appena varcò la soglia.
Non
credendo ai propri occhi e totalmente attonita, Karin guardò
con un
fastidioso groppo in gola quella nana più bassa di Thorin ma
così
simile a lui nell'aspetto; e mentre lui l'osservava con un mezzo
sorriso sulle labbra sottili e gli occhi accesi di felicità,
lei
mantenne i tratti immobili e gli occhi azzurri ostili e freddi, senza
nascondere la malcelata sufficienza alla quale Karin cercò
di
replicare mantenendosi indifferente.
Non
si sarebbe mai aspettata quella visita, benché nel profondo
sapesse
fin troppo bene che, prima o poi, sarebbe giunta; ora, con Erebor
finalmente libera e ricostruita, nulla la legava al luogo in cui
aveva vissuto durante gli ultimi centosettantaquattro anni.
Un
tumulto mai provato prima la costrinse a non spostare lo sguardo, e
cercò di impedire una nuova ricaduta nel passato, anche se
ora lo
stesso le si stava mostrando concretamente tramite la figura della
nana.
Della
sua vecchia migliore amica.
Di
Dìs.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
E
rieccolaaaaaaaa! Facciamo un bell'applauso alla comparsa di
Dìs!!!
Aaaaaaah, non stavo più nella pelle, fortuna che questo
capitolo è
finito e ha fatto la sua glaciale comparsa! Ora ho il sospetto che se
ne vedranno delle belle... heheheheheheeheh! Spero vi sia piaciuto
anche se lungo; mi spiace, spero solo che non sia troppo noioso:
fatemelo sapere tramite le vecchie recensioni ^^!
Ringrazio
le carissime e specialissime idrilcelebrindal,
pamagra, J_ackie,
Carmaux95, Lady of the sea, MrsBlack, Krystal91, nini superga,
vanessa90, lohobbit, LilyOok_, LadyDenebola, Lady_Daffodil. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima che, molto probabilmente, sarà l'ultimo
capitolo ç____ç!!!
Vostra
Anna
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Capitolo ventisei. Prima parte ***
Note dell'autrice: Ma
buon pomeriggio ragazze! A tutte quelle che hanno ripreso la scuola e
il lavoro un grande abbraccio e un in bocca al lupo per tutto,
così
come lo mando a tutte quelle che ri-inizieranno a breve ;)
Eccomi qui con questo
ultimo
capitolo... o meglio, la PRIMA PARTE dell'ultimo capitolo:
perché,
effettivamente, condensare il tutto in uno unico era un po' un
suicidio. Perciò, ecco la decisione di spezzarlo in due;
spero non
me ne vogliate a male, non sto facendo di tutto per allungare il
più
possibile la storia e continuare a scrivere su di loro (anche se mi
piacerebbe ;), dato che è già dura pensare alla
fine :/).
Spero vi piaccia
così come è
piaciuto a me scriverlo ^^!
Buona lettura, ci leggiamo
giù :*
CAPITOLO VENTISEI. PRIMA PARTE.
L'aria divenne terribilmente densa e fredda mentre le due nane
si
scrutavano; nessuna delle due avrebbe rotto per prima il silenzio,
perciò Thorin pensò bene di accollarsi quella
gravosa incombenza.
<< Ti stavamo attendendo, Karin >>
esordì con voce
ferma, sorridendole cauto << Non potevo lasciare mia
sorella
qui da sola, dato che devo tornare a coordinare i lavori
>>.
Karin – capendo ciò che le stava
chiedendo - percepì una lieve
pressione alla bocca dello stomaco però mantenne i tratti
fermi e lo
sguardo in quello di Dìs che, d'altra parte, sembrava non
voler
abbandonare il suo viso.
Dopo alcuni attimi di esitazione, riprese << Vi
lascio.
Avrete molte faccende di cui discutere >>.
Hai detto bene, Thorin pensò
Discutere, non parlare.
Il nano mosse qualche passo
nella sua
direzione, ma la voce della nuova arrivata lo bloccò
<< Eri
solito salutarmi con un bacio, fratello. Il viaggio e la Riconquista
ti hanno fatto dimenticare le buone usanze? >>
domandò
ironica.
Thorin abbassò
il capo e piegò un
angolo della bocca verso l'alto, girandosi << Ti chiedo
perdono, Dìs; altre questioni occupano la mia mente
>> non le
diede il tempo di replicare che, avvicinatosi, le posò le
labbra
sulla guancia come richiesto.
La nana sorrise
soddisfatta, osservando
con malcelata compiacenza la schiena del fratello mentre si dirigeva
verso la porta; però, prima, si fermò accanto a
Karin. La guardò,
volendole chiedere con uno sguardo preoccupato se stesse bene, ma lei
non posò mai gli occhi neri sui suoi azzurri: li tenne
costantemente
fissi su Dìs. Quindi, a malincuore, Thorin fu costretto a
rimanere
all'oscuro delle condizioni di salute della sua futura moglie; al
contrario di prima, lasciò che il braccio destro –
intrecciato con
l'altro dietro la schiena – si adagiasse sulla sua schiena in
una
sorta d'abbraccio, e le depose un bacio sui capelli beandosi del loro
dolce profumo. La sentì inspirare leggermente tuttavia non
disse né
fece nulla e, dopo averle lanciato un'ultima occhiata di sottecchi se
ne andò, chiudendo piano la porta alle sue spalle.
Il silenzio divenne
nuovamente padrone.
Karin non riusciva a trovare parole adatte con cui cominciare un
dialogo perlomeno amichevole e Dìs, a dispetto di quel che
si era
prefissata – ovvero ignorarla freddamente – si
ritrovò a
schiudere le labbra rosee.
<< Dunque
diventerai Regina sotto
la Montagna >> constatò, alzando appena un
sopracciglio nero.
Karin alzò il
capo orgogliosa,
annuendo << Sì >>.
<< Confesso
che non mi aspettavo
nulla di diverso da Thorin. In cuor mio sapevo che te l'avrebbe
chiesto: non ti ha mai dimenticata >> osservò,
con una punta
di gelosia. O era solo un'impressione di Karin? Non avrebbe saputo
dirlo con certezza.
Non rispose, limitandosi a
fissare i
tratti un tempo dolci e ora severi, molto simili a quelli dell'amato;
d'altronde, sapeva perfettamente che non avrebbe atteso altro tempo
per metterla al corrente del proprio pensiero e delle conseguenti
polemiche: infatti non la smentì.
<< Conosci i
doveri di una Regina
verso il suo Re? Fedeltà, amore, obbedienza. Sei certa di
riuscire a
garantirli? >> chiese sprezzante, pensando soprattutto
alla
prima virtù.
Karin
assottigliò lo sguardo scuro,
incamminandosi lenta verso il letto spazioso di Thorin, dove si
sedette; Dìs non perse di vista un singolo movimento,
stringendo le
labbra con tanta stizza da formare un'unica linea.
<< Non mi
pare d'averti concesso
alcun permesso >> disse, gelida.
Karin si lasciò
scappare uno sbuffo
irritato, finalmente parlando << Ho una ferita alla
coscia che
mi infastidisce, non riesco a stare in piedi troppo a lungo. E poi,
non devo chiedere il tuo consenso: sono la futura Regina sotto la
Montagna, non una semplice dama >> notò il
poco colorito
rosato sulle guance della nana aumentare e, con un leggero sorrisetto
ironico, proseguì << In quanto a
ciò che hai detto prima,
sappi che ho dimostrato una fedeltà, un amore, e
un'obbedienza a tuo
fratello ben più potenti di qualsiasi altra forma di
reverenza che
un suddito mostrerebbe al proprio sovrano. Perciò non serve
rimembrarmelo così gentilmente >> concluse,
sarcastica.
La principessa
non riuscì a
nascondere del tutto l'odio e il fastidio per essere stata
bistrattata in quel modo, e cercò di fare appello a tutto il
proprio
autocontrollo << Molti nani esuli si ricordano di te e di
tuo
padre >> disse, rimarcando le loro colpe e l'esilio
<<
Dovrai convincerli della tua amorevole fede verso Thorin tramite l'erede
al trono; prima di allora, tutti ti ricorderanno negativamente
>>.
Karin alzò lo
sguardo incredulo verso
il suo, non scorgendovi nessun sentimento diverso dall'indifferenza;
come mai quell'improvviso cambio d'argomento? Aveva accettato la
faccenda del matrimonio senza opporsi? O aveva inteso che, per quanto
avesse potuto ribattere, Thorin non avrebbe mai cambiato idea? Per
quel che ne sapeva, potevano aver discusso per tutto il tempo
finché
non erano stati interrotti dal suo arrivo.
Un improvviso e travolgente
moto
d'amore verso il suo sovrano le infiammò il cuore, e fu con
un
immenso sacrificio che si impedì di sorridere e scappare da
lì, per
gettarsi tra le sue braccia.
Rimanendo presente a se
stessa ma
battagliera, lasciò che parte dei suoi dubbi si esternassero
<<
Chi mi assicurerà che considereranno mio figlio come
legittimo
erede? Lo seguiranno, quando la nuova alba spunterà?
>>.
<<
Sì >> rispose l'altra,
senza esitazione << perché amano Thorin: ha
portato speranza
in un momento di oscurità e dubbio, ha dato una casa alla
sua gente
promettendo sul suo onore di riprendere Erebor. Il popolo non ha
dimenticato, però si ricrederà sul tuo conto
quando ti mostrerai
una donna completa, moglie e madre di Re >>.
<< Quando mi
vedranno serva
devota, vorrai dire >> replicò, stringendo tra
le dita il
tessuto della gonna color indaco; sospirò, capendo che era
giunto il
momento di rivelare la verità << Comunque non
dovranno
attendere a lungo: succederà prima di quanto possano sperare
>>
sussurrò, temendo nel profondo le sue reazioni.
Dìs rimase
sbigottita, credendo d'aver
capito male; sgranò appena gli occhi azzurri, le strette
treccine
della barba nera parvero fremere quanto il suo corpo. Poi tutto
passò, come se Karin non avesse confidato nulla: solo,
incrociò le
braccia al petto.
<< Non mi
sembri molto entusiasta
>> commentò, rimproverandola con la voce: a
suo parere, non vi
era onore più grande del diventare madre del primo erede.
Karin ponderò la
risposta da offrirle,
optando per la sincerità << Lo sono,
però reputo sia accaduto
troppo in fretta: abbiamo appena trovato un nuovo equilibrio dopo
tutto ciò che abbiamo dovuto affrontare. Mi aspettavo un
lungo
periodo di pace, prima di poter anche solo pensare di crescere un
bambino >>.
<< Dovevate
pensarci in tempo >>
disse, maligna << Non avete provveduto a degli
accorgimenti?
>>.
Karin si sentì
arrossire, ma non
spostò lo sguardo << Non sempre
>> ammise <<
avevamo altri pensieri, non sapevamo se saremmo sopravvissuti
>>.
<< Mio
fratello avrebbe dovuto
riflettere sulle conseguenze, invece di decidere per conto suo!
>>.
<< Non l'ha
fatto di proposito >>
sentì la furia ghermirle la gola, ormai era la sua preda
<< Da
quando sei così cinica? Dove è finita la
Dìs che conoscevo? >>.
La nana non si
fece intimorire
nemmeno quando Karin si alzò, dopo averle urlato addosso
come ad una
qualsiasi domestica; la squadrò glaciale, sentendo gli
ultimi
residui di pazienza sbriciolarsi come polvere << E' morta,
così come sono morte le persone a me più care!
Non tutte ritrovano
la felicità perduta dopo molti anni >>
l'accusò, in un chiaro
riferimento alla sua situazione e all'amore recuperato.
<< L'ho
pagata a caro prezzo, Dìs
>> sussurrò.
<<
Perché, a tuo parere io
non l'ho
pagata a sufficienza?
>> sbottò rabbiosa; compì numerosi
e profondi respiri per
calmarsi, eppure non furono abbastanza: specie quando Karin decise di
continuare.
<< Hai anche
conosciuto la gioia:
Kili e Fili li consideri estranei? E Thorin? >>.
<< L'amore
fraterno e filiale non
colmano il vuoto del cuore. Penso tu sappia di cosa stia parlando
>>
replicò asciutta.
Sì,
Karin lo sapeva. Ma non
voleva ammettere che quella che un tempo era la sua migliore amica
–
così giovane, fresca e piena di quell'amorevole
altezzosità che
l'aveva sempre contraddistinta - ora fosse diventata così
fredda,
così estranea. Così vuota.
Con dolore, comprese che
anche lei
sarebbe mutata in quel modo se Thorin fosse morto.
<< Ho appreso
con dispiacere
della morte di Rili. E anche di Frerin >>
rivelò col cuore.
Dìs la
guardò ben diffidente <<
A quel che ricordo lo odiavi >>.
<< Era pur
sempre vostro
fratello, nonostante le divergenze >>.
Il mormorio di Karin
raggiunse le
orecchie della nana, che alzò impercettibilmente le spalle
<<
Era molto diverso da noi: forse il germe della pazzia dei Durin aveva
attecchito maggiormente nel suo cuore, aumentando la gelosia e il
risentimento verso Thorin >>.
Karin si stupì
nuovamente nel
constatare il suo distacco, ma non commentò;
abbassò gli occhi, non
riuscendo a sostenere oltre quelli azzurri. Pur con una leggera punta
di dispiacere al ricordo della loro passata amicizia, Dìs fu
oltremodo contenta d'aver vinto quella piccola battaglia, quello
scontro verbale. Piegò la bocca in una smorfia nel ricordare
il
contenuto delle lettere inviatele da Kili e Fili durante la
permanenza a Esgaroth, in cui le raccontavano le innumerevoli
peripezie affrontate e, implicitamente, la mettevano al corrente
della presenza di Karin e del nuovo rapporto con i membri della
Compagnia, incluso il fratello.
Quella mattina,
poi, non appena
aveva solcato la Porta Principale, aveva espresso l'ordine di voler
conferire con il Re sotto la Montagna, e l'avevano condotta da lui.
Dapprima si erano salutati con gioia e affetto, e Dìs aveva
quasi
dimenticato ciò che le premeva chiedergli; poi, d'altra
parte, era
stato lui stesso a raccontarle ogni cosa, e a farle intuire che non
sarebbe riuscita a dissuaderlo: le era bastato uno sguardo al volto
ora sereno di Thorin – così diverso
da
come ricordava, quando si erano salutati mesi addietro – per
capire.
Mentre le
spiegava i numerosi
fatti accaduti, compresa la verità sul tradimento, non aveva
aperto
bocca ascoltandolo e rimuginando sulle sue parole; si era ripromessa
che, una volta trovatasi faccia a faccia con lei, sarebbe stata
accorta nell'appurare il suo reale pentimento. Conosceva il fratello
e sapeva per certo che
lei non era mai stata in grado di mentirgli, perciò
ciò che le
orecchie stavano udendo corrispondeva al vero. Ma c'era una minima
parte di lei che sperava fosse
tutta una menzogna, che Karin non entrasse davvero a far parte della
famiglia. Non ne sapeva il motivo, però era così:
che si trattasse
di gelosia perché aveva da sempre detenuto il cuore del
famigliare... non avrebbe saputo dirlo. Ora come ora le risultava
difficile tornare a considerarla la vecchia amica, la vecchia
confidente di segreti, benché proprio pochi minuti prima lei
l'avesse messa al corrente della sua nuova situazione.
Thorin aveva compiuto la
sua scelta:
aveva perdonato Karin, l'aveva chiesta in sposa. E ora l'aveva
ingravidata.
Non vi era altra soluzione:
avrebbe
dovuto accettarla come cognata.
<< Presumo
che Thorin non sappia
nulla, altrimenti me ne avrebbe parlato immediatamente >>.
Karin la guardò
di sfuggita,
mortalmente spossata e con un leggero mal di testa: desiderava solo
stendersi e riposare, lasciandosi alle spalle gli avvenimenti e le
rivelazioni delle ultime ore << Tu sei la prima
>>
confermò, con voce incerta.
Dìs parve quasi
appagata <<
Dovresti essere già ai primi mesi, se sei riuscita a
scoprirlo.
Quando hai avuto i tuoi ultimi giorni di sangue? >>.
Karin
sospirò, sondando con la
memoria << Negli ultimi tempi non ho prestato molta
attenzione,
ma credo... bé, sono certa
sia da quando alloggiavamo a Esgaroth; quindi sono passati tre mesi e
mezzo, ormai >>.
La principessa tacque,
permettendo a
Karin di cambiare argomento e formulare la domanda che desiderava
porle << Devi essere partita mesi fa per essere giunta
adesso
>>.
L'altra si
ritrovò ad annuire, le
braccia costantemente conserte << I miei figli mi
scrissero
durante il soggiorno nella città degli Uomini; inoltre, il
pensiero
dell'imminente incontro col Drago non mi lasciò tregua,
perciò
decisi di partire subito. Non avrei sopportato la semplice notizia
della loro morte, o di quella di Thorin: se fosse accaduto qualcosa
sarei stata presente, che si trattasse di abbracciarli o di piangere
sulle loro tombe fredde. Raccolsi le mie cose e, scortata da alcuni
nani di fiducia, partimmo in sella ai nostri pony: li spronai
più
del necessario, specialmente quando seppi della dipartita di Smaug, e
delle pretese che avanzarono Elfi e Uomini >> fece una
smorfia
disgustata, che a Karin ricordò molto quella di Thorin al
sentir
nominare gli Elfi << Al Grande Fiume delle Terre Selvagge
accadde un fatto inaspettato: un gruppo di Aquile scese su di noi, e
Gandalf era con loro; mi raccontò della Battaglia e di come
eravate
stati feriti mortalmente, e si offrì di portarmi dai miei
cari. Ciò
è accaduto l'altro ieri: solo oggi ho potuto abbracciare
Thorin ma
non Fili e Kili, che vedrò tra poco >>.
<< Capisco
>> disse,
abbassando il capo << Hanno difeso con i propri corpi il
loro
Re e parente, rischiando la vita: devi essere orgogliosa di questo. E
sarai felice di sapere che ora godono di ottima salute >>.
Dìs si concesse
una brevissima ombra
di sorriso << Thorin li ha cresciuti come fossero figli
suoi,
trasmettendo loro la conoscenza necessaria riguardante il nostro
popolo, istruendoli sui doveri dei Principi di Erebor e dei futuri
sovrani. In lui hanno sempre riconosciuto una guida, e uno zio
autoritario ma onesto. Sappi che, per una madre, non c'è
notizia più
bella nell'apprendere dei figli vivi, e salvi; il loro gesto
è stato
avventato, certo, eppure giusto. Non avrebbero mai abbandonato Thorin
al suo destino >>.
<< Lo so
>> rispose lei,
avvicinandosi all'amica << Ho imparato molto da questo
viaggio
e, tra le tante cose, ho potuto apprezzare il loro carattere: sono
giovani, ma conoscono i loro oneri. Li hai educati come veri Re,
Dìs
>>.
<< Lo
sarebbero stati,
soprattutto Fili >>.
Per un breve attimo, Karin
sentì una
fastidiosa sensazione di colpa farsi spazio nella sua anima, spazzata
via come foglie dopo uno sguardo al volto di Dìs, ora
malinconico e
tristemente rassegnato << E' inutile rimuginare su
ciò che
sarebbero potuti diventare. Non appena lessi della tua presenza nella
Compagnia capii che saresti diventata moglie di Thorin, se foste
sopravvissuti entrambi: così è stato, e
né io né nessun altro
avremmo potuto cambiare il corso del Fato >>.
Karin non si
sentiva del tutto
tranquilla: doveva spiegare
la sua versione in qualche modo, anche se non sapeva bene come
<<
Sai bene che non ho mai aspirato a divenire Regina, benché
meno
avrei voluto impedire ai tuoi figli di insediarsi sul trono come
sovrani. Fin dall'inizio ho sempre e solo amato Thorin, non il Re di
Erebor >>.
<< Non
occorre ricordarlo né
volerti discolpare. Semplicemente, è accaduto
>> lanciò uno
sguardo alle sue spalle, dove si trovava la porta di legno
<<
Ora gradirei rimanere un poco da sola: presto giungeranno Kili e Fili
>>.
La ragazza si dispiacque
del tono
utilizzato, tornato freddo e cortesemente distaccato, come se i
lunghi anni passati all'interno della Montagna non fossero mai
esistiti; si morse il labbro inferiore capendo che Dìs si
sarebbe
mostrata ancora ostinatamente ostile nei suoi confronti, e per
chissà
quanto tempo. Però la capiva: non era stato facile convivere
con la
consapevolezza che la propria dimora era perduta a causa di colei che
era una cara amica, una sorella acquisita; il rancore, la rabbia e
l'impotenza nel vedere il proprio amato fratello distruggersi dal
dolore, poi, aveva alimentato l'odio nei suoi confronti. E ora,
nonostante le parole di Thorin e la sua palese felicità, le
risultava difficile perdonarla; si era ripresentata la medesima
situazione di Dwalin, insomma. Però Karin sperava che, al
contrario
del nano guerriero, la Principessa di Erebor impiegasse meno tempo e
la capisse in fretta, anche grazie alle pressioni che, di sicuro,
avrebbe compiuto Thorin.
Difese portate
strenuamente da
Balin proprio nei suoi confronti non molto tempo addietro, per fargli
capire che non era la traditrice che reputavano. Sembravano passati
lunghi anni da allora, tuttavia la ferita al cuore pulsava ancora
dolorosamente al ricordo, benché ora fosse tutto risolto;
per certi
attimi, Karin si domandò quando
i fantasmi del passato l'avrebbero abbandonata definitivamente:
forse, però, doveva essere proprio lei la prima a
rinchiuderli in un
angolo buio finché non avrebbe capito d'essere libera.
Ultima ma non meno
importante faccenda
riguardava il figlio che portava in grembo, colui che avrebbe
sostituito i giovani Durin sul Trono di Erebor come Re. Dìs
credeva
si trattasse di una ripicca nei suoi confronti? Credeva avesse
circuito e sedotto Thorin affinché il suo seme potesse
fecondarla e
svilupparsi?
Probabilmente sì si
rispose ma non nel profondo. Nel profondo, vi
è ancora la
Dìs che crede nella nostra amicizia, e nella mia innocenza.
Tornò a posare
gli occhi su di lei ed
annuì solamente senza proferire parola; le volse le spalle e
raggiunse la porta, aprendola. Lì, per poco, non si
scontrò proprio
con Fili, che la guardò curioso.
<< Karin!
Stai bene? Sei molto
pallida >> constatò, accarezzandole una
guancia. Kili, alle
sue spalle, la guardava preoccupato.
<< Ci hanno
detto di venir qui,
ma non ci hanno spiegato il motivo: tu lo sai? >>.
Karin
guardò l'arciere,
accennando una lieve smorfia che doveva essere un sorriso
<<
Entrate, e capirete >> si sciolse gentilmente dal gesto
di Fili
e se ne andò col cuore martellante e la mente stipata dalle
numerose
rivelazioni e dal dialogo appena concluso; strinse le mani a pugno e
guardò verso l'immensa e irraggiungibile volta di pietra
quando dei
rintocchi lontani e profondi di campana le annunciarono il pranzo
imminente. Deglutì, sapendo cosa doveva fare: i piedi si
mossero
velocemente portandola quasi a correre, ma non si curò delle
forze
che minacciavano d'abbandonarla a breve. Doveva raggiungere
la sala, e in fretta: prima che la sorpresa chiamata Dìs
raggelasse
e sbigottisse un certo nano.
Rallentò il
passo quando iniziò ad
incrociare alcuni nani lungo le ripide scale lisce; non era il
momento opportuno di dimostrarsi una selvaggia, come l'aveva chiamata
Dain nell'accampamento di Thranduil. Si costrinse a camminare con
disinvoltura e a salutare ciascuno di loro con un cenno del capo e un
sorriso in segno di rispetto, mentre dentro di sé
infuriavano una
miriade di sensazioni e sentimenti, ed il rimbombo dei battiti del
cuore l'avvolgeva come una bolla di cristallo.
Li schivò e
superò, procedendo più
in fretta una volta raggiunto il piano prescelto; qualche nana la
costrinse a fermarsi e scambiò qualche parola con lei,
avvisandola
sull'andamento dei lavori di pulizia. Ascoltò e diede il
proprio
parere, per poi scusarsi mortificata e riprendere il cammino
finché,
con immenso sollievo, non scorse le grandi porte dorate spalancate;
senza indugio varcò la soglia, fermandosi di botto
nell'ammirare la
Sala dei Banchetti: era proprio come la ricordava, con lunghi
tavoloni e panche di legno posti seguendo la lunghezza della stanza;
in fondo, un unico tavolo disposto orizzontalmente dava una buona
visuale d'insieme: lì sedeva il sovrano con i Consiglieri e
gli
amici più stretti. E lì, secondo le sue
previsioni, l'avrebbe
trovato.
Deglutendo alla vista della
moltitudine
di gente cercò di farsi coraggio e, con un sospiro, si
addentrò
alla sua ricerca; come prima, salutò cortesemente chiunque
incrociasse il suo sguardo, venendo ricambiata senza la precedente
freddezza. Più sollevata, in breve tempo raggiunse il
tavolo,
vedendo Thorin seduto al centro con una sedia vuota alla sua destra
e, subito dopo, notò Dwalin. Senza pensarci
aumentò il passo,
salutando la Compagnia con un secco cenno a cui risposero
pronunciando sorpresi il suo nome, mentre Bilbo addirittura si
alzò
per chiamarla: gli lanciò uno sguardo di scuse, ma proprio
non
poteva fermarsi; col fiatone, prese posto sulla sedia vuota tra i due
amici. Sorrise debolmente all'indirizzo di Thorin, che non smetteva
di osservarla pensieroso e con la fronte aggrottata, e poi si
voltò
verso Dwalin, intento a bere birra.
Quando si accorse di lei
poggiò il
boccale, alzando un sopracciglio << C'è
qualcosa che non va?
>> domandò.
Karin, con la
gola
insopportabilmente secca, tentò di deglutire; poi
piantò gli occhi
nei suoi << Lei è
qui >> disse, solamente.
Il nano non
ebbe bisogno di
chiederle di chi
stesse parlando; bastò una semplice occhiata ai tratti tesi
del
volto cereo per capire. Eppure, giungendo alla verità,
faticava ad
accettarla: non poteva
essere vero.
Non poteva trattarsi di...
Il sonoro chiacchiericcio
dei nani si
spense improvvisamente, come se qualcuno avesse ordinato di tacere:
ma Thorin non aveva aperto bocca, e nessun altro si era permesso di
imporsi su loro. Seguendo le occhiate curiose, Dwalin vide
ciò che
tanto strenuamente negava a se stesso: Dìs era comparsa,
scortata
dai figli. Incedeva con passo sicuro e il capo fieramente dritto, lo
sguardo azzurro privo di ogni sciocco timore o vergogna alla vista di
tutte quelle persone che, al suo passaggio, si scansavano e si
inchinavano rigidamente.
Karin
provò un leggero sentore
di invidia alla bocca dello stomaco nel constatare che nessuno le
aveva mostrato un tale rispetto; le parole dell'amica le risuonarono
come un martello sull'incudine, incidendo nella sua anima:
finché
non si fosse dimostrata degna consorte
non sarebbe stata accettata facilmente. Inconsciamente
sfiorò il
ventre con una mano, dubbiosa: davvero sarebbe bastato quel bambino
per accantonare ogni risentimento e diffidenza? Usare suo
figlio come pretesto
per far breccia nel cuore dei suoi futuri sudditi - benché
ora non
ce ne fossero essendo abitanti dei Colli Ferrosi – non le
piaceva
molto come prospettiva. Sbuffò corrucciata, continuando a
seguire il
lento percorso di Dìs sinché non raggiunse il
tavolo portandosi
dalla parte opposta alla loro, alla sinistra del fratello. Aveva
altre soluzioni? No, si rispose. Doveva attenersi alle parole della
sua futura cognata. Una parte di sé, però, fu
quasi sollevata:
l'indifferenza e l'incertezza sarebbero mutati nell'apprendere
dell'ormai presente gravidanza. O, almeno, così voleva
sperare:
sempre che qualcuno non lo reputasse indecoroso, giacché lei
e
Thorin non erano ancora uniti in matrimonio.
Sobbalzò sulla
sedia quando qualcuno
le posò una mano sul braccio e, con occhi sgranati,
girò il capo
verso sinistra: Thorin aveva richiamato la sua attenzione.
Preferì
non badare all'occhiata indagatrice che le rivolse, forse per
accertarsi che i minuti passati con Dìs non l'avessero
scossa più
del dovuto; o, molto probabilmente, per indagare una qualche forma di
malore sul suo viso: e, a giudicare dagli occhi adombrati, pareva
averla trovata.
<< Stai bene?
>> le
domandò, con voce bassa.
Karin spostò lo
sguardo davanti a sé,
notando che qualcuno le aveva portato una ciotola di stufato di
montone fumante e un boccale di birra densa e scura: si chiese quando
fosse accaduto, però preferì rasserenare lo
sguardo e posarlo su un
impaziente Thorin, in attesa << Sì, scusami.
È che... la
venuta di tua sorella è stata decisamente inaspettata
>>.
<< Lo so,
è stato così anche
per me >>.
Entrambi lanciarono uno
sguardo
all'amico, che non aveva più aperto bocca ed attaccava
rabbiosamente
il cibo come fosse un orco.
Karin si morse il labbro,
combattuta,
ma alla fine decise di provare a parlagli << Dwalin
>>
esordì, flebile.
Lui la fulminò
con un'occhiataccia,
lasciando cadere la forchetta nella ciotola << Da quanto
lo
sapevi? >> domandò, sibilando.
<< Stamattina
Thorin mi ha
chiamata nelle sue stanze, e l'ho vista; abbiamo parlato fino ad ora,
e sono corsa qui ad avvertirti. Mi dispiace >>.
Dwalin la
squadrò sotto lo sguardo
attento e vigile di Thorin; lanciò un'occhiata anche a lui,
a
conferma di quel che gli aveva detto, e lo vide annuire. Solo allora
chinò la testa tatuata, mentre un lieve sorriso
campeggiò sul volto
<< Ti chiedo perdono, non dovevo prendermela con te; so
che hai
agito nel migliore dei modi. In ogni caso, non devi preoccuparti:
sono solo sorpreso, tutto qui >> le diede un'affettuosa
pacca
sulla spalla e riprese in mano la posata di legno, mangiando con
più
calma.
Karin, d'altra parte, non
si
tranquillizzò; giocherellò col cibo, la nausea
perenne non le dava
tregua: si impose di masticare qualche boccone ma il tutto
minacciò
di ripresentarsi, quindi lasciò perdere. Bevve a piccoli
sorsi,
volendo solo alzarsi e andarsene da lì; inoltre, avrebbe
dovuto
comunicare la novità a Thorin: le aveva già
chiesto due volte se
stesse bene e se c'era qualcosa che doveva dirgli, ma lei si era
limitata a sorridergli e a rispondergli che stava bene – cosa
vera,
peraltro, a parte il leggero fastidio. Eppure non si era mai sentita
più infame e bugiarda come in quel momento.
Una volta terminato il
pasto riprese
l'assordante chiacchiericcio, e numerose nuvolette di fumo si
innalzarono dalle lunghe pipe rilassando i volti pienamente
soddisfatti dei commensali; Karin non riuscì a mentirgli
ancora,
perciò si sporse verso di lui <<
Più tardi dobbiamo parlare.
Devo dirti una cosa >> sussurrò, inspirando
involontariamente
l'inebriante odore di tabacco che lo avvolgeva.
Thorin
assottigliò lo sguardo,
tornando serio << Non puoi dirmela ora? >>.
<< No.
Preferirei fossimo soli
>>.
<< Possiamo
assentarci qualche
minuto >>.
Di nuovo, Karin scosse la
testa <<
Tra poco la pausa sarà terminata, e dovrai tornare al
lavoro.
Davvero, Thorin, te ne parlerò stasera >>.
<< Non sono
del tutto d'accordo
con te. Il tuo pensiero non mi abbandonerà un attimo, e
rischierò
di impazzire a causa del tuo silenzio >> disse duramente,
cercando di far leva sul suo senso di colpa; ma lei sorrise
furbamente per la prima volta da quella mattina.
<<
Proprio tu mi dicesti
che occupo sempre la
tua mente. E comunque, non riuscirai a farmi cambiare idea:
preferisco dirtela con calma >>.
Il Re sospirò,
rassegnato << Va
bene. Almeno informami se devo preoccuparmi eccessivamente o meno
>>.
<< Spero
sarà un piacevole
annuncio >> ammise, con un mormorio.
<< Riguarda
ciò che ti ha detto
Disin? >> volle sapere, sperando d'estorcerle qualche
altra
informazione.
Karin socchiuse le
palpebre, minacciosa
<< Saprai tutto stasera! Però...
però sì, si tratta di
questo >>.
Thorin annuì,
pensieroso e immerso in
numerose congetture; Karin gli strinse una mano e gli sorrise,
sollevandolo enormemente nel vederla diversa da come era apparsa
prima di pranzo: sembrava essere tornata in pace con se stessa, o con
qualunque riflessione vorticasse nella sua mente. Spesso desiderava
poter capire meglio i suoi pensieri, le sue idee, i suoi turbamenti:
l'avrebbe aiutata maggiormente, in quel modo. I Valar solo sapevano
quanto fosse frustrante non poterla comprendere, e rimanere impotente
di fronte ai suoi muri invalicabili.
Ricambiò
la stretta e il
sorriso, udendo il rintocco profondo come il baratro della Montagna
della campana di bronzo; immediatamente, un raschiare di legno su
pietra rimbombò nell'aria, e numerosi scalpiccii
accompagnarono
l'uscita dei nani, diretti alle rispettive mansioni; anche la
Compagnia si alzò, e Bofur e Bilbo – nelle vesti
di ambasciatori –
annunciarono battaglieri che nel pomeriggio Karin era attesa
al loro
cospetto, poiché non
avevano avuto modo di parlare con calma e chiederle come stava. La
ragazza si ritrovò ad annuire stupita senza nascondere
l'ilarità
della situazione, quindi promise che sarebbe passata: dopotutto
glielo doveva, le loro parole erano veritiere.
Li accompagnò
verso la prima rampa di
scale e poi si congedò, dicendo d'avere urgente bisogno di
riposarsi; fermò le proteste degli amici - che volevano
scortarla -
e, per il suo bene, concesse che Dìs le facesse compagnia
fino alla
camera. La sentì camminare ad alcuni passi di distanza nel
più
assoluto silenzio e, quando si fermò, decise di parlare.
<< Grazie,
Dìs >>.
<< Non dirlo
>> rispose
seccata << sono stata costretta da Thorin e dai miei
figli, non
l'ho fatto perché lo desideravo. Vedi di riposarti bene, non
hai un
bell'aspetto >>.
Karin si morse la lingua
per non
replicare, ciononostante le parole fuoriuscirono da sole
<<
Spero tu non abbia intenzione di ignorare Dwalin; dovresti
ringraziarlo, dato che ha vegliato su Kili e Fili mentre erano feriti
>>.
<< Non
accetto ordini da te,
Karin >> disse malamente, punta sul vivo <<
Sono più che
certa sia stata una tua idea >>.
<< Ostenti
una grande sicurezza
>> rispose, calma << Ma ne sei proprio
convinta? >>
con quell'ultima domanda sospesa la lasciò, chiudendosi la
porta
alle spalle; sospirò, volendo solamente dormire lunghe,
lunghissime
ore.
Si
sfilò il vestito e indossò
la camicia da notte, però i piedi la condussero verso il
piccolo
bagno: guardò il proprio riflesso allo specchio, notando
effettivamente quanto fosse smunta; eppure, tra i tratti timorosi e
tirati, scorse un brillio
negli occhi neri. Un brillio totalmente nuovo e diverso, una piccola
scintilla che, presto, sarebbe divenuta fuoco; capì d'averla
già
ammirata un'unica volta, e non poté fare a meno di sorridere
dolcemente: le rammentò il primo incontro con Eliese, quando
le
aveva rivelato d'aspettare Glir. Di nuovo, la mano si portò
lentamente verso il ventre ancora piatto, accarezzandolo con
un'espressione serena e materna sul volto, rigenerandosi. I mille
dubbi che la tormentavano svanirono come d'incanto, ed un grande
sospiro le scaldò il cuore: non sarebbe accaduto nulla di
grave.
Avrebbe confessato la verità a Thorin e lui ne sarebbe stato
felice,
immensamente. Si sarebbero sposati ed avrebbero atteso il loro primo
figlio con grande aspettativa e impazienza, unite alle preoccupazioni
legittime sull'essere buoni genitori; avrebbero superato qualsiasi
ostacolo, di questo era convinta. O, perlomeno, cercava di esserlo il
più possibile.
<<
Ah, alla buonora! >>
così l'accolse un Bilbo visibilmente irritato, seppur con un
lieve
sorrisetto e le mani sui fianchi << Ora dobbiamo pregarti
per vederti?
>>.
<< E' la
Regina di Erebor, mastro
hobbit >> s'intromise Bofur, con tono ironico
<< Agisce
come le pare. E noi poveri comuni sudditi dobbiamo solo sperare che
s'accorga di noi! >> concluse, portandosi il colbacco
all'altezza del cuore.
Karin alzò le
sopracciglia ed assunse
un'espressione colpevole << Mi sono già
scusata a dovere, non
occorre rimarcarlo! Mi dispiace, va bene? >>.
I due si guardarono poi
voltarono il
capo verso Ori, accanto a loro; rimasero pensierosi per alcuni
brevissimi secondi, dopodiché annuirono energicamente.
<< E va bene,
scuse accettate >>
dichiarò Bofur, posandole il cappello sulla testa e
calcandoglielo
fin quasi sugli occhi.
Karin se lo
sistemò come conveniva,
facendo una smorfia quando sentì aumentarle il calore alla
testa <<
Come puoi tenertelo quasi sempre? Si muore di caldo! >>.
<< Parla per
te! >> la
rimbeccò, riprendendoselo e indossandolo << Io
ci sto bene >>.
<< Ricordo
quando ti conobbi la
prima volta: ne avevi uno identico, ma più piccolo
>> disse
Karin, con un dolce sorriso.
<<
Già, me lo comprò mio padre;
un buon nano, gran minatore. Chissà come starà
>>.
<<
Sarà ansioso di rivederti >>.
Bofur scrollò le
spalle << Naa,
sarà contento di non avermi tra i piedi! Mi mandava sempre
il più
lontano possibile da casa a consegnare i giocattoli che fabbricavo
>>.
<< Posso
immaginarne il motivo >>
bisbigliò Bilbo, a voce abbastanza udibile. Il nano gli
lanciò
un'occhiataccia suscitando uno scoppio di risa in Karin; i tre amici
si bloccarono e la guardarono con un sorriso complice sul volto, al
che lei si placò immediatamente.
<<
Perché quelle facce? >>
chiese, stupita.
<< Oh, niente
>>.
<< Davvero!
>>.
<< Ragazzi
>> li ammonì
minacciosa.
<<
Bé >> esordì Bilbo,
cercando approvazione dai compagni << forse ci siamo
accordati
per farti sorridere >>.
Karin rimase interdetta
qualche secondo
poi schiuse le labbra, attonita.
<< Ci siamo
riusciti >>
disse Ori, posandole una mano sulla spalla << Hai
addirittura
riso! >>.
Il cuore
minacciò di scoppiarle in
petto, tanta era la felicità; sbatté le palpebre
più volte e, per
non farsi vedere piangente, abbracciò di slancio il giovane
scrivano, che minacciò di cadere all'indietro.
<< Grazie!
Grazie! >> fu
l'unica parola che riuscì a pronunciare. Ori
ricambiò la stretta,
poi la lasciò andare mentre le guance si coloravano di un
bel rosso;
Karin gli sorrise affettuosa e passò a ringraziare prima
Bofur e poi
Bilbo, lasciando che la stritolassero con affetto.
<< Non so
come farò senza di voi
>> ammise, cercando di guardarli in viso <<
Sarà
difficile quando tornerete a casa >> concluse, turbata.
<< Non devi
temere, non ti
libererai facilmente di noi! >> le assicurò
Bofur << Io,
personalmente, cercherò di rimanere il più
possibile, almeno oltre
il matrimonio. A casa non c'è nessuno che mi attenda, a
parte mio
padre >>.
<< E da quel
che hai detto, più
tempo starai qui e meglio si sentirà >> disse
Bilbo,
battendogli una pacca cordiale sulla schiena.
<<
Almeno io
non fremo per tornare
a sedermi sull'amata poltrona >>
ribatté, perfido.
<< Oh, questo
è un colpo basso!
>> esclamò Ori, che non aveva colto
l'espressione sul volto
dello hobbit; al contrario di lei.
<< Bilbo
>> chiamò Karin,
il volto dispiaciuto << stava solo scherzando
>>.
<< Te la sei
presa? Mi spiace,
non volevo offenderti! >>.
Lo scassinatore
deglutì e scosse la
testa, scuotendo poco la testa riccioluta << Sto bene,
sto
bene. Bofur ha solo detto il vero >> la guardò
con
un'espressione immensamente triste, ma tentò comunque di
sorriderle
<< Scusatemi, ho... ho bisogno di... >>
indicò un punto
alle sue spalle e, senza aggiungere altro, se ne andò.
<< Hobbit!
Dai, non volevo...
scherzavo! >> gridò Bofur, mortificato; fece
per seguirlo ma
venne fermato dalla voce di Karin.
<< Lascia,
Bofur: ci penso io >>
gli passò accanto e gli posò la mano
sull'avambraccio in una muta
comprensione. Lui annuì e la seguì con lo
sguardo, voltando la
testa in tempo per captare l'espressione delusa e ferita di Ori.
<< Che
c'è? Gli ho detto che mi
dispiace! >>.
Ori si limitò ad
alzare gli occhi al
cielo.
<< Bilbo
>>.
Lo hobbit girò
impercettibilmente il
capo verso sinistra, poi tornò ad osservare la piana che si
stendeva
ai piedi della Montagna Solitaria.
Karin lo raggiunse,
poggiando gli
avambracci ad un nonnulla dai suoi, e rimase in silenzio a
contemplare il paesaggio che stava ormai rinascendo dopo la tremenda
Desolazione e la Battaglia dei Cinque Eserciti; numerosi ciuffetti di
morbida erba verde punteggiavano il suolo altrimenti marrone, ed
oscillavano pigramente grazie al fresco venticello d'inverno, che
profumava di neve: prima o poi sarebbe scesa, imbiancando dovunque.
Alzando gli occhi al cielo uniformemente grigio, infatti,
capì che
sarebbe accaduto presto.
Sfregò le mani
tra loro poiché si
stavano raffreddando e, dopo avergli lanciato una breve occhiata,
aprì bocca per parlare: però venne preceduta.
<< Ultimamente salgo spesso quassù.
Adoro sentire il lieve
calore del sole o il freddo pungente del vento sul viso; e allora
ripenso a casa, alle dolci colline sempreverdi che si scorgono dal
piccolo giardinetto. Rivedo il grande albero dai numerosi rami,
spogli fino all'arrivo della primavera, quando inizieranno a
costellarsi di numerose foglioline verdi. Mi mancano gli amici e
conoscenti con cui facevo baldoria alla piccola locanda, e provo
nostalgia perfino di Lobelia Sackville-Baggins, quella hobbit
opportunista e arraffona! >>.
Karin ridacchiò, frizionandosi le braccia con le
mani per
scaldarle; Bilbo scosse la testa, un lieve sorriso sulle labbra
<<
Ripensandoci, credo non mi mancherebbe mai e poi mai! >>
la
guardò, il volto ritornato serio << Non
fraintendermi, sto
bene qui, mi piace: Erebor è immensa e meravigliosa, una
vera dimora
di gente fiera e orgogliosa. Ma non è casa. E dopo tante
avventure
la mia mente e il mio corpo la reclamano >>.
Lei annuì, volendo confidargli certe incertezze
delle quali non
aveva parlato a nessuno << Sai cosa mi spaventa? Il fatto
che
la parte vagabonda della mia anima aneli la sua libertà tra
non
molti anni. Erebor è la mia casa, ma temo... temo
potrà divenire
una gabbia dalla quale non riuscirò a
scappare; eppure,
d'altra parte, il solo pensare di voler abbandonare Thorin e
qualsiasi nostro figlio mi ripugna. Però il vago sentore
permane: il
camminare nei boschi seguendo tracce, il rinfrescarsi sulle sponde
d'un lago o fiume, il passeggiare lungo stradine tortuose e strette
di una città degli Uomini... tutto ciò
diverrà un dolce ricordo, e
in seguito desiderio irraggiungibile. Avrò doveri,
responsabilità e
regole a cui sottostare, e non mi saranno permessi molti gesti onde
arrecare disonore a Thorin; sono abbastanza saggia da capirlo,
perciò
lascerò perdere qualsiasi impulso sconveniente. Ma
sarà complicato
e difficoltoso >>.
Seguirono con lo sguardo gli ultimi residui di respiro
condensato,
che ben presto si dispersero nel vento. Karin osservava un punto
lontano e indefinito oltre Dale, l'immaginazione fervida e galoppante
aveva già raggiunto i luoghi che l'avevano ospitata durante
l'esilio. Bilbo era incredulo, però non la biasimava; poteva
solo
lontanamente comprendere il suo stato d'animo, ma non se lo sarebbe
mai aspettato: non ora che sarebbe divenuta Regina. Non ora che
avrebbe vissuto numerosi anni con Thorin. Ah, lui non sarebbe
sopravvissuto a lungo nelle profondità di Erebor,
nossignore! La sua
stessa essenza non l'avrebbe sopportato: amava la vita all'aperto,
non la reclusione. E Karin gli somigliava, anche se aveva passato
tanti anni senza fermarsi in un luogo stabile; Erebor l'avrebbe
distrutta, prima o poi. Una riflessione che lo preoccupò
più di
qualsiasi altra questione.
<< Se ne parlerai con Thorin sono certo che
giungerete ad un
compromesso >> affermò sicuro, a dispetto
della voce rauca.
Karin espirò, rabbrividendo visibilmente dopo una
folata
particolarmente potente; col naso all'insù notò i
primi fiocchi di
neve, delicati e gelidi, che turbinarono lenti fino a terra.
<< Può darsi. Ma ci sarà
sempre qualcuno disposto a
ricordarmi qual è il mio posto, e i miei compiti
>>.
<< Dìs, per esempio? >>
chiese piano Bilbo,
stringendosi nelle spalle ed osservando la neve scendere; dopo averla
notata annuire, riprese << E' davvero così
tremenda? >>.
<< No, è solo molto severa e
autoritaria: un po' come
Thorin ai primi tempi >> spiegò mordendosi il
labbro, e certa
che Bilbo comprendesse il paragone.
<< Capisco. A me è parsa una buona
nana, nel profondo >>.
<< Oh, lo è. Ha solo indurito il suo
cuore, specie dopo
quel che le è capitato durante la vita; non è
colpa sua >> lo
guardò sorridendogli rassicurante <<
così come non posso
colpevolizzarti per il tuo desiderio: è giusto pensare alla
propria
casa, e voler tornare ad essa. Quindi, cerca di pazientare ancora un
poco, per favore >>.
<< Mi sono comportato da sciocco poco fa, non
è vero? >>.
<< Te la sei presa un po' troppo, ma no. Non da
sciocco,
comunque; direi nostalgico >>.
<< Già >>.
Rimasero ancora un po' in silenzio a contemplare la lieve
tormenta
che, pian piano, stava avanzando; d'un tratto Bilbo starnutì
sonoramente, e si girò a guardarla << Ci
conviene andare. Non
è bene rimanere oltre >>.
A malincuore, nonostante il freddo ormai penetrante, Karin si
disse d'accordo << Sì >>.
Si incamminarono fianco a fianco, così lo hobbit
ebbe modo di
porle un'importante domanda << Ciò che hai
detto sul voler
fuggire... bé, insomma, eri... >>
balbettò, non sapendo come
continuare.
<< Non temere, non andrò da nessuna
parte. Il mio posto è
e sarà sempre qui >>.
<< No no, non volevo dire questo, solo che... se
mai
sentirai il bisogno di una lunga vacanza... potresti venire da me per
un po'. Ti accoglierei a braccia aperte, lo sai >>.
Karin si fermò, costringendolo ad arrestarsi
<< Non avevo
dubbi, e ti ringrazio per l'offerta ovviamente ricambiata: se mai
proverai nostalgia dei tuoi vecchi amici sarai più che
benvenuto >>.
Bilbo sorrise riconoscente << Chissà!
Magari tra alcuni
anni potrei imbarcarmi in una nuova avventura! >>.
Ripresero a camminare, tentando di mostrarsi lieti con
l'altro;
però, nel loro cuore, sapevano per certo che quelle frasi
avrebbero
aleggiato sulle loro teste senza mai divenire concrete. Non appena
Bilbo avesse varcato le immense e pesanti porte della città
si
sarebbero separati per sempre, senza mai più rincontrarsi.
Karin chiuse la porta della stanza alle sue spalle e si
appoggiò
con la schiena al legno, preda di numerosi pensieri; era talmente
concentrata che udì a stento alcuni flebili rumori dal bagno
e,
d'improvviso, la porta si spalancò facendole uscire un grido
atterrito.
Thorin alzò appena un sopracciglio nero e la
guardò portarsi una
mano al petto, all'altezza del cuore << Valar, Thorin!
>>
esclamò, scossa << Mi hai spaventata
>>.
<< Scusami, non ti avevo sentita arrivare
>> era a
torso nudo e tra le mani reggeva la camicia blu, che provvide
immediatamente ad indossare << Posso sapere dove sei
stata?
Credevo di trovarti qui >>.
Karin mosse alcuni passi verso di lui, l'agitazione le aveva
già
afferrato la bocca dello stomaco << Oggi ho incontrato
gli
altri, mi sono fermata a chiacchierare con loro e con Bilbo; ero
stanca di rimanere rinchiusa, avevo bisogno di prendere un po' d'aria
>> spiegò, cercando di mostrarsi il
più possibile tranquilla.
<< Bene. Dunque, eccomi: di cosa volevi
parlarmi? Sei andata
da Disin, immagino: che ti ha detto? Da cosa dipendeva il malessere?
>> incrociò le braccia al petto e la
guardò, attendendo una
sua risposta.
Che faticò ad arrivare. Era del tutto impreparata,
non aveva
pensato a parole sensate, ad inizi di discorso coinvolgenti; oppure
doveva essere schietta e diretta? Dirgli di sedersi e scoccare la
notizia come fosse stato un dardo infuocato, e lasciarlo
metabolizzare il tutto mentre stava in silenzio ad osservarne le
reazioni?
Prese un bel respiro mentre cercava le parole adatte e,
trovatele,
iniziò a parlare << Ha detto che la gamba
guarirà
completamente, anche se col tempo proverò dolore in certi
momenti;
però, tutto sommato... stiamo bene
>>.
Osservò il
disorientamento sul volto
del nano, confermato dalla fronte aggrottata e dalle labbra dischiuse
<< Stiamo? >> ripeté, confuso
<< Tu e chi altri?
>>.
Ecco, il
momento era giunto <<
Parlo di me. E di nostro figlio
>>.
Thorin si
immobilizzò, smise persino
di respirare; continuava a guardarla con uno sguardo spaventosamente
sconcertato mentre la notizia rimbombava nella sua testa come un eco.
Karin si torse le dita nel
vano
tentativo di calmarsi, poiché il silenzio sceso non le
piaceva
neanche un po': certo, non si sarebbe aspettata salti di gioia e
ululati, ma nemmeno questo! Sembrava divenuto di pietra, nessun
muscolo si muoveva.
<< Thorin, ti
prego, di' qualcosa
>>.
Ma lui era già
andato avanti, avendo
assimilato la novità; o meglio, era tornato indietro fino a
quando
non era giunto alla conclusione e alla certezza di aver compiuto i
giusti calcoli.
<< Tre mesi
>> iniziò a
sussurrare, fermandosi subito dopo.
<< E mezzo,
sì >> concluse
Karin per lui.
Finalmente
sbatté le palpebre e tornò
padrone di sé facendola sospirare di sollievo, anche se la
frase
pronunciata subito dopo le serrò il cuore <<
Avete rischiato
di morire a causa della mia stupidità >>
disse, accusandosi
esplicitamente.
Karin gli si
avvicinò ancora,
scuotendo la chioma corvina << Non potevamo saperlo. Non
angustiarti inutilmente per ciò che è stato
>>.
Thorin,
però, non fu d'accordo
con le sue parole << Sapevo che
avrei dovuto lasciarti ad Esgaroth! Non saresti mai dovuta venire con
noi ad affrontare un drago e
una battaglia >>.
<< Vi avrei seguiti, sai che l'avrei fatto!
>> ribatté
caparbia << Non ti avrei abbandonato. In qualsiasi
condizione
versassi ti avrei salvato ugualmente >>.
Thorin socchiuse le palpebre, leggermente infastidito
<<
Mettendolo a repentaglio? >> domandò, scettico.
<< Che senso avrebbe avuto salvare lui al tuo
posto? >>.
La domanda lo raggiunse con la stessa violenza di uno
schiaffo;
sbalordito e furioso, stentò a credere a ciò che
aveva appena
sentito << Ti rendi conto di quel che dici?
>> sbraitò,
a voce più elevata di quel che avrebbe voluto
<< Stai parlando
di nostro figlio!
>>.
Karin non
avrebbe mai pensato che
la bellissima novella si trasformasse in un violento litigio, ma
avrebbe utilizzato tutte le proprie argomentazioni per fargli capire
il suo pensiero.
<<
Lo so, eppure è la
verità! >>
esclamò, seguendo il suo esempio << Ti ricordi
ciò che mi
dicesti a Esgaroth? Che se fosse accaduto qualcosa al tuo tesoro non
te lo saresti mai perdonato. Ebbene, anche io condivido questa frase,
perché provo il medesimo amore per te. Darei la mia vita
cento e più
volte per salvarti, e non mi sarei mai potuta
perdonare se non mi fossi lanciata contro Azog a causa della
gravidanza. Avrei finito per odiare questo bambino perché
l'avrei
ritenuto in parte responsabile della tua morte, e sarebbe cresciuto
all'ombra di un padre defunto e compianto da molti; nessuno dovrebbe
convivere con queste consapevolezze, benché meno nostro
figlio, il
frutto del nostro amore >> titubante, alzò una
mano verso la
sua guancia destra, temendo si scansasse dalla sua carezza: invece
rimase granitico e immobile, gli occhi azzurri scintillanti di
incredulità.
<<
Desidero questo bambino
più di qualsiasi altra cosa al mondo >> gli
assicurò, sincera
<< Ma voglio attenderlo insieme a
te, vederlo nascere e crescere con te.
Possibile tu non lo capisca? Senza il mio Re, il mio Thorin... non
sono niente >> terminò, con un bisbiglio.
Sperò
d'essere riuscita nel suo
intento, e non lo seppe con certezza finché lo scintillio
negli
occhi di Thorin non mutò; si allontanò
leggermente, compiendo un
gesto che mai e poi mai avrebbe immaginato: per la prima volta da che
ne aveva memoria, Karin vide Thorin abbassarsi e posare un ginocchio
a terra. Non si inginocchiò di fronte a un grande sovrano ma
a lei,
semplice donna e ora madre.
Le posò le mani
sui fianchi, baciando
con infinito amore la stoffa del vestito che nascondeva e proteggeva
il ventre; dopodiché vi poggiò la fronte e si
abbandonò alle dolci
carezze sul capo, prendendo finalmente coscienza
dell'incommensurabile affetto dimostratogli dalla sua Karin.
<< Mio figlio
>> si ritrovò
a sussurrare, esterrefatto << mio figlio >>
ripeté,
emozionato oltre ogni dire .
Sorrise felice, lieta che
tutto si
fosse risolto per il meglio; continuò ad accarezzargli la
testa
anche quando non lo udì più. Anche quando alle
orecchie le giunse
il suono di quello che pareva un mezzo singhiozzo trattenuto.
Iniziò a
preoccuparsi, specie dopo
averne sentito un altro; perplessa, si sciolse lentamente dalla presa
e si inginocchiò curiosa, portandosi finalmente alla sua
altezza.
Con un tuffo al cuore lo vide trattenere a stento delle calde lacrime
salate, il capo chino per rifuggire al suo sguardo desolato.
Senza indugiare lo
abbracciò stretto,
posandogli il mento nell'incavo del collo; le braccia di Thorin le
avvolsero immediatamente i fianchi, e l'attimo successivo numerosi
singulti soffocati si liberarono dalle sue labbra. Lo lasciò
sfogare, mentre anch'ella faticava a contrastare il pianto che
minacciava d'invaderla, unito ad una buona dose di tristezza nel
vederlo in quell'inusuale stato. Eppure, però, lo
comprendeva:
ripensò al passato, a tutti quei difficili anni vissuti nel
rancore
e nella rabbia, al loro amore contrastato e spezzato, alla perdita di
ciò che era stato per loro caro. La notizia del bimbo aveva
semplicemente sgretolato le sue inespugnabili difese, le stesse
costruite per non dover soffrire mai più come era
già accaduto
molte altre volte. D'altronde lo sapeva immensamente felice, le
lacrime glielo confermavano. E lei stessa lo era, terribilmente.
Dopo pochissimo tempo si
calmò, poiché
lo percepì compiere dei profondi respiri; infine si
scostò da lei,
stravolto << Che questo sfogo rimanga tra noi
>> ordinò
bruscamente, in quanto smacco al proprio orgoglio.
<< Thorin,
non tutte le lacrime
sono un male >> gli rispose dolcemente, accarezzandogli
il
volto e asciugandogli le scie lucide << Dimostrano che
sei
umano, al pari degli altri >>.
Ma lui, imperterrito,
scosse
energicamente la testa << Non posso permettermelo, Karin;
sono
il Re >>.
<< Prima di
tutto sei una persona
con dei sentimenti. E poi sfogarsi fa bene, specie quando se ne sente
la necessità >>.
<<
La gioia che provo in
questo momento non può essere espressa a parole
>> confidò,
finalmente sorridendo << Sembra impossibile che dopo
così
tanti anni di sofferenza ora possa esserci la tanto agognata pace.
Tutto ciò che desideravo si è avverato: Smaug
è stato sopraffatto,
Erebor è stata riconquistata, tu diventerai mia moglie e
Regina, e
presto potrò abbracciare il mio primo erede >>
le prese la
mano destra, portandola alle labbra e baciandola piano; poi la
condusse al petto, dove vi era il cuore << Ascoltalo:
batte per
te, per noi, per il bambino. D'ora in avanti saremo una famiglia, una
vera famiglia >>.
Fu il turno di
Karin di
commuoversi, soprattutto dopo aver udito le potenti palpitazioni
sotto i polpastrelli, unite alle parole pronunciate; qualche lacrima
lasciò le ciglia quando sbatté le palpebre, e
Thorin le raccolse
prontamente con numerosi e soffici baci. Le prese delicatamente il
volto tra le mani, coinvolgendola in un bacio pieno d'amore e parole
inespresse, anche se lei dubitava fortemente ce ne potessero essere:
era tutto così perfetto, e
così concreto, che
non poteva crederci. Ma voleva farlo,
perché era esattamente quella la realtà. Una
meravigliosa ed
esaltante realtà.
Quando si staccarono si
sorrisero come
non accadeva da tempo, ed unirono le fronti assaporando il contatto
con l'altro finché la gamba malandata non
protestò inviandole fitte
insistenti al cervello; si mosse impercettibilmente e Thorin parve
capire il suo disagio, poiché si alzò tendendole
le mani per
aiutarla: lei le accettò con gratitudine, in un gesto che
implicava
il futuro appoggio che avrebbero rappresentato per l'altro.
Le
accarezzò una guancia e Karin
portò la mano sulla sua chiudendo gli occhi, beata.
Relegò in un
angolo le persistenti preoccupazioni, soffermandosi solamente su loro
due. Anzi, loro tre.
<< Che la
saggezza guidi la tua
sovranità e l'amore guidi la tua maternità, Karin
figlia di Kario,
Portatrice d'Iris e Regina di Erebor. Custode del mio cuore
>>.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Aaaaaah,
ma che
bello ^^! Non so voi, ma io sto lacrimando!!! Ora mi ricompongo, non
temete ;) dunque, piaciuto? Che mi dite di Dìs? Era come ve
la
immaginavate, più o meno, o vi ha sorprese o deluse?
L'intermezzo
con Bilbo e le confessioni di Karin? Non temete però, lei sa
benissimo qual è il suo posto d'ora in poi, e l'ultima parte
con
Thorin glielo ha confermato. A proposito di lui, come vi è
parso?
Troppo Ooc e distaccato dal personaggio? A mio parere, non vedo nulla
di male in questo sfogo: anche a lui può capitare, e dopo
averne
passate tante ora la felicità è incontenibile e
si è dimostrata
tramite il pianto. Insomma, sarà Re sotto la Montagna e
padre...
anche se guerriero, penso siano desideri che possa tranquillamente
provare ^^!
Ringrazio
le carissime e specialissime Lady_Daffodil,
Neryssa, Yavannah, pamagra, J_ackie,
Lady of the sea, MrsBlack, Krystal91, lohobbit, LilyOok_,
LadyDenebola. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
E
grazie anche a quelle che recensiranno più avanti :D :D!!!
GRAZIE
anche a chi
l'ha messa nelle preferite – seguite – ricordate, a
chi legge
soltanto e a coloro che mi hanno inserita nella lista “autore
preferito” ç_____ç! Siete meravigliosi!
Bene,
è tutto
ragazzi, alla prossima!!!
Vostra,
Anna
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Capitolo ventisei. Seconda parte ***
Note
dell'autrice: Salve
ragazze!
Stavolta non ho molto da dire, solo che il capitolo sarà un
po'
lungo. Gente avvisata mezza salvata ;); spero vi piaccia, quindi ci
leggiamo giù :*
Dato
che siamo alla fine, permettetemi di consigliarvi questa canzone per
la lettura: http://www.youtube.com/watch?v=kZIEbLb-rtU
SOLO per il SESTO paragrafo. Non avrei potuto sceglierne una
più
adatta ;)
CAPITOLO
VENTISEI. SECONDA PARTE.
Dove un tempo si
ergeva il trono alto e solitario del Re di Erebor se ne era
affiancato un altro di poco più basso, posto alla sua destra
e
destinato alla Regina. Fu lì, ai piedi della piattaforma
reale, che
i membri della Compagnia di Thorin Scudodiquercia si riunirono.
Erano passate
settimane dall'ultima volta in cui avevano potuto parlarsi con calma,
poiché erano stati impegnati nella ricostruzione di molte
ali del
palazzo e della città stessa; però avevano
risposto più che
volentieri alla chiamata del loro sovrano, quel giorno. E non avevano
potuto non notare la luce diversa nei suoi occhi, o in quelli di
Karin, lì accanto.
<< Vi
ringrazio per essere accorsi, fratelli miei, nonostante i numerosi
impegni >> disse Thorin, sorridendo riconoscente al loro
indirizzo.
<< Ormai i
lavori sono terminati >> gli rispose Balin
<< Non ci è
rimasto molto da fare, a dir la verità. A meno che tu non ci
abbia
chiamati per altre ragioni >> ammiccò
bonariamente verso la
coppia, mentre gli altri si limitarono a sghignazzare nel notare il
lieve rossore sulle guance di Karin.
Thorin guardò
brevemente sua sorella, un poco in disparte, domandandole con lo
sguardo se si fosse azzardata a divulgare la notizia che egli stesso
voleva annunciare; ma lei scosse impercettibilmente la testa, facendo
ondeggiare le treccine tra i capelli neri.
Più sollevato,
si decise a parlare << Se intendi la preparazione delle
nozze e
la conseguente incoronazione, Balin, allora sì: questi sono
gli
altri motivi. Ma non gli unici >> concluse, enigmatico.
Capì d'aver
fatto leva sulla loro curiosità quando li vide aggrottare la
fronte
o guardarsi l'un l'altro, perplessi.
Dwalin aveva
incrociato le braccia, quasi a volersi preparare maggiormente
nell'apprendere la novità << Che altro
dovrebbe esserci? >>
chiese, burbero. Ogni tanto scoccava qualche gelida occhiata verso
Dìs e tentava di calmarsi quando riportava lo sguardo verso
Karin,
che lo osservava preoccupata.
Lei stessa decise
di prendere la parola, dopo essersi mordicchiata nervosamente il
labbro inferiore.
<< Volevo
ringraziarvi >> esordì, schiarendosi la voce
nel sentirla un
poco roca << Per gli innumerevoli aiuti dati e per avermi
concesso fiducia quando raccontai la verità; la vostra
amicizia mi è
cara come poche altre cose, e mi riempie l'anima di affetto. Il
vostro perdono è stato quel balsamo che il mio cuore
anelava, ed è
per questo che mi sento in dovere di chiedervelo nuovamente, specie
dopo ciò che avverrà tra quasi cinque mesi
>>.
Le espressioni
dei compagni facevano intendere che non avevano afferrato il senso
ultimo di quel discorso, e i sorrisi che avevano inizialmente
costellato i loro volti ora si erano spenti.
Il silenzio
riempì l'enorme Sala dei Troni finché Bilbo,
curioso, non lo spezzò
con coraggio << Cosa dovrebbe accadere tra cinque mesi?
>>.
Karin prese un
bel respiro, come fosse pronta ad immergersi in gelide acque profonde
<< Sarà molto difficile che riposiate a
sufficienza, specie se
occuperete una stanza al piano delle camere reali. Ho motivo di
credere che i pianti notturni del Principe di Erebor terranno svegli
i suoi abitanti >>.
La Compagnia non
perse nemmeno tempo ad elaborare la notizia che proruppe in diverse
esclamazioni, e molti occhi si sgranarono stupefatti; solo Gandalf
ebbe il buon senso di ridere divertito, oltremodo contento. Non che
non lo fossero anche gli altri, però dovettero impiegare
qualche
minuto per calmarsi e, come spinti da un ordine esterno, lasciarono
posare i loro occhi sul ventre della nana.
<< Sei...
sei... >> balbettò Bofur, stranamente senza
parole.
La tensione
provata da Karin si sciolse come neve, e rise << Incinta,
sì
Bofur >>.
<< Per la
barba di Durin >>.
<< E' una
bella notizia! >> esclamò Kili, battendo una
manata piuttosto
poderosa sulla spalla di Fili, che gli sorrise di rimando.
<< Ah, non
sarai più il piccolo della famiglia, fratellino >>
poi si girò verso Dìs, un'espressione felice sul
volto << Sei
contenta, madre? Diventerai zia! >>.
La
frase ebbe il potere di far irrigidire ben tre persone, ma nessuno se
ne accorse; dopo un brevissimo silenzio la principessa si
limitò ad
annuire rigidamente, ma ciò bastò al suo
primogenito.
Egli si avvicinò
a grandi passi portandosi di fronte a Thorin, suo punto di
riferimento da che ne aveva memoria; con occhi azzurri brillanti di
gioia gli tese una mano, ed osservò i lineamenti duri e ora
non più
seri spianarsi e restituirgli la contentezza, oltre che la stretta.
Poi, inaspettatamente, si ritrovarono imprigionati in un abbraccio
che tanto aveva da esprimere, e le parole non sarebbero mai bastate.
<<
Congratulazioni, zio >> gli bisbigliò in un
orecchio.
Thorin gli batté
una lieve pacca sulla schiena, contento che il nipote lo chiamasse in
quel modo e non sempre per nome, come spesso accadeva. Quando si
sciolsero, Fili si precipitò da Karin, mentre gli altri si
complimentarono con lui.
<< Certo
che potevi dircelo in un modo meno... meno pomposo, ecco!
>>
dichiarò Bofur, ancora scioccato.
Karin, a dispetto
dell'irrequietezza che l'aveva posseduta quando aveva abbracciato
Fili e Kili, si ritrovò a ridere e a scuotere la testa,
portando le
mani sui fianchi << Se ti avessi semplicemente detto che
aspettavo un bambino avresti reagito ugualmente! >>.
<< O
sarebbe svenuto! >> disse Bombur, dandole una leggera
gomitata
sul braccio.
<< Ha ha
ha, molto divertenti, sul serio >>.
<< Hanno
ragione >> disse Kili, passando un braccio sulle spalle
del
giocattolaio << Dovresti vedere la tua faccia! Hai
presente
quella del signor Baggins dopo che abbiamo quasi rischiato di
distruggergli il servizio di piatti? Immaginatela ancor più
sbalordita >>.
<< Non mi
stupisce il fatto che non abbia accettato subito di prender parte
all'impresa >> disse Karin guardando Bilbo, ancora
visibilmente
emozionato << Partire con dei nani turbolenti e chiassosi
richiede una gran dose di coraggio e molta pazienza >>.
<< Vero! >>
ammise Gandalf, scuotendo la chioma argentata e ripensando alle
innumerevoli volte in cui i suoi nervi erano stati messi a dura prova
<< Ma alla fine si è dimostrata molto
gratificante, specie
dopo questo bell'annuncio: sapere che vi è vita dopo un
lungo
periodo di morte è terribilmente confortante
>>.
Thorin annuì,
posando una mano sulla spalla di lei – unico gesto che si
permetteva in compagnia degli amici << La gravidanza non
è il
solo pretesto, però desidero che le cerimonie si attuino il
più
presto possibile: se aspetteremo, Karin si affaticherà
sempre più
>>.
Annuirono,
dicendosi d'accordo << Organizzeremo il tutto, non temere
>>.
<< Grazie,
Balin >>.
Karin ruotò il
collo verso il trono del re, notando il posto vuoto un tempo occupato
dal Cuore della Montagna << Vorrei portare io
l'Archepietra al
tuo cospetto, Thorin >> propose di getto, sapendo
però nel
profondo che quel compito sarebbe dovuto spettare a lei.
Il nano la guardò
stupito, ma Dìs prese la parola prima che potesse farlo
<< Tu?
E per quale ragione? >>.
Karin posò i
suoi occhi su di lei, mantenendoli seri << Se
ciò convincerà
il popolo ad accettarmi maggiormente, ben venga >>.
<< Se ben
ricordo, non sei stata tu a rubarla >>
constatò, alzando le
sopracciglia scure e facendo un cenno verso Bilbo, che assunse
un'espressione mortificata.
<< Ha
ragione, Karin. Non dovresti portarla, dovrebbe essere compito mio
>>.
<< No,
Bilbo: io stessa mi accusai del furto con Dain. Riconsegnarla al
legittimo proprietario sarà un gesto simbolico, un'offerta
d'accettazione di fedeltà da parte della traditrice; con
questo
gesto pubblico, spero di risultare migliore ai loro occhi
>>.
Thorin era
totalmente attonito, convenendo fosse una mossa molto saggia e ben
pensata << Non fai che sorprendermi, da un po' di tempo a
questa parte >> lei si lasciò scappare una
lieve risata, e
così anche gli altri compagni <<
Sarò lieto d'accettare il
tuo dono, Karin, ma non la tua fedeltà: l'hai dimostrata
troppe
volte, e sarei un ingrato a chiedertene nuovamente prova
>>.
<< Ma, i
sudditi... >> iniziò a dire, venendo
interrotta.
<< Chiunque
ti abbia convinto di certe sciocchezze meriterebbe
una severa punizione >> ribatté indignato;
guardò sprezzante
sua sorella, la quale mantenne un contegno impeccabile senza mai
spostare gli occhi altrove << Mi hai salvato la vita
mettendo a
repentaglio la tua e quella di nostro figlio: non è
sufficiente? >>.
La
domanda aleggiò come un pesante macigno; alcuni nani si
mossero a
disagio, e persino Gandalf la guardò assorto.
<<
Che significa? >> domandò lo hobbit, con un
filo di voce <<
E' la verità? >>.
Karin
chiuse gli occhi per un momento poi li riaprì, amareggiata
<<
Sono incinta di quasi quattro mesi, e molti sono stati i fatti
avvenuti in questo lasso di tempo >>.
Bilbo
tacque, incapace di formulare altre frasi: abbassò la testa,
lasciandola ciondolare sul petto, il cuore racchiuso in una morsa
gelida; aveva rischiato così tanto...
<<
Indossavi la cotta di mithril >> intervenne Dwalin,
ricordando
quel dettaglio.
<<
Sì, è così >>.
<<
Bene >> sussurrò, confortato.
<<
E sei veramente certa
di aspettarlo? >> chiese Kili, pallido in volto;
guardò
spaventato prima Thorin e poi lei, gli occhi scuri timorosi anche
solo di pronunciare le parole seguenti << Insomma, non...
non
si vede ancora nulla >>.
Karin
alzò un angolo della bocca in un mezzo sorriso
<< Non dovete
temere, nessuna arma mi ha colpita al ventre, e non si sono
riscontrati problemi che potrebbero significare una disgrazia; sta
bene >> li rassicurò, accarezzandosi il punto.
Gli
altri la guardarono rincuorati, e nuovi flebili sorrisi spuntarono
sulle loro labbra, ampliandosi sempre più dopo la frase di
Balin.
<<
Bé, questi anni sono davvero benedetti! Il Dominio della
Bestia è
finito, e sui troni siederanno due combattenti: anzi, ben tre!
>>.
<<
La prima Regina guerriera di Erebor >> si intromise
Gandalf,
con un sorrisetto divertito alla smorfia della ragazza <<
Ti
avevo avvertita che avresti sentito altri titoli, Karin
>>.
<<
Non ti avevo creduto >> ammise << Ti chiedo
di
perdonarmi: ho imparato a mie spese che non si devono mai ignorare i
commenti d'uno stregone! >> concluse, divertita.
<<
Concordo >>.
<<
Molto bene >> disse Thorin, inserendosi nel discorso
<<
Se non ci sono altre questioni di cui discutere, vi congederei: la
giornata non è ancora terminata e nuovi incarichi devono
essere
portati a termine >> inaspettatamente si rivolse
direttamente a
Dìs, accanto a Kili << Sorella, sono certo che
aiuterai Karin
nel destreggiarsi lungo problemi prettamente femminili concernenti la
preparazione del matrimonio >>.
Alle
orecchie di Dìs non giunse come una richiesta, ma come un
vero e
proprio ordine che non avrebbe ammesso alcuna replica; persino i suoi
occhi glielo confermarono. Si morse la lingua per non rispondergli
sgarbatamente in pubblico, giurando di porvi rimedio una volta soli;
il pensiero di dover passare del tempo con Karin l'infastidiva non
poco.
Thorin
interpretò il silenzio come assenso, e lasciò che
un ghigno
piuttosto sarcastico si formasse, conscio d'averla in pugno;
abbassò
il capo in una sorta di ringraziamento, chiudendo così
quella breve
riunione. Fece per andarsene – portando Karin con
sé – quando
lei lo fermò, dicendogli che sarebbe rimasta un altro po'.
<<
Vorrei parlare solamente con Kili e Fili >>
annunciò. I due in
questione si bloccarono e tornarono indietro, attendendo il permesso
del parente; questo guardò attentamente la ragazza, cercando
di
scorgervi un segno che gli facesse comprendere il motivo di tale
richiesta, ma non scorse nulla di allarmante: forse voleva
semplicemente trascorrere del tempo con loro.
<<
Sia >>.
Le
baciò la fronte – con i nipoti presenti poteva
permetterselo – e
se ne andò lasciandoli soli.
Solo
allora i tre si sciolsero in grandi sorrisi, e Kili proruppe in
esclamazioni di gioia incontenibile, arrivando persino ad alzarla da
terra, euforico.
<<
Kili, fai piano! >> lo rimproverò il maggiore
<<
Potresti far male al piccolo! >>.
<<
Sto attento! >> lo rimbeccò, infastidito;
abbassò il busto e
portò le mani a coppa sulla bocca, appoggiandole al ventre
di Karin
<< Stai bene cugino? >> domandò
piano, appoggiando poi
l'orecchio tra le risate divertite della nana e qualche sbuffo
logorato di Fili; aggrottò la fronte come fosse in ascolto
di
qualcosa, poi si tirò su con un enorme sorriso sulle labbra
<<
Ha detto che sta benone! >>.
<<
Dove ha sbagliato nostra madre con te? >> chiese il nano,
massaggiandosi la radice del naso in segno di nervosismo. La ragazza,
d'altra parte, se la rideva di gusto insieme a Kili, che
alzò le
spalle in risposta alla domanda.
<<
Valar, mi gira la testa >>.
Kili
si affrettò precipitosamente a sostenerla per un braccio,
però non
svenne: si portò solo una mano a sfiorare la fronte calda
mentre il
sorriso non accennava a diminuire nonostante il volto cereo.
Anche
Fili accorse, posizionandosi all'altro lato << Sediamoci
sui
gradini, vieni >> disse, prendendo in mano le redini
della
situazione.
Karin
annuì e si lasciò condurre dai due, che le si
sedettero accanto.
Ora seri, arrivò senza troppi giri di parole al nocciolo del
suo
tormento interiore.
<<
Ce l'avete con me? >> volle sapere, guardandoli
attentamente
nei volti confusi; per ultimo osservò Fili, e fu a lui che
si
rivolse per il resto del tempo << Questo bambino vi
toglie ciò
che vi spetta di diritto, per cui siete stati educati. Avete
combattuto per riportare Erebor alla vostra stirpe, eppure ora non
governerete dopo vostro zio >> avrebbe voluto continuare
però
le parole si impigliarono in gola, e solo a fatica riuscì a
tirarle
fuori << Non ho circuito Thorin, né voluto... estromettervi
>>
respirò a fondo e
deglutì, incapace di sostenere oltre lo sguardo azzurro
così simile
a quello di Thorin, e di Dìs.
Sentì
il peso di un braccio sulle spalle, e capì che Fili cercava
di
consolarla << Non dire stupidaggini, Karin. Come potremmo
non
essere felici? Thorin ha ritrovato una serenità che mai gli
avevamo
visto sul volto, ed il merito è solo tuo; inoltre, siamo ben
contenti d'includerti nella famiglia, così come siamo felici
del
nuovo membro. E riguardo il governare... >>
lasciò la frase in
sospeso facendole temere il peggio; fortunatamente, però le
rivolse
un gran sorriso malandrino << … non
è un problema, ad essere
sincero. Anzi, molto meglio così: non mi sentivo ancora
pronto, e
credo non mi sentirò mai tale. Ben che meno il soggetto
qui di fianco >> indicò Kili col pollice,
zittendo ogni sua
lamentela con altre parole << Non volermene, ma quasi
speravo
in un vostro erede. Non possiedo un carattere forte e autoritario
come Thorin, benché abbia cercato d'emularlo molto spesso
– e
tuttora sia tentato di seguirne le orme. Forse sarei stato ugualmente
un buon re, chi lo sa >> alzò le spalle,
dandole un buffetto
sulla guancia << Però non voglio vederti
così abbattuta,
Karin: non per una notizia che dovrebbe portare gioia >>.
<<
Sorridi, zia. Fallo
per i tuoi piccoli nipoti!
>> la frase di Kili, pronunciata con tono piagnucolante,
ebbe
il potere di rallegrarla. La risata cristallina le proruppe dalla
gola, liberandosi nell'aria e contagiando i fratelli, che risero a
loro volta.
<<
Ti senti meglio, ora? >> le chiese, apprensivo. Le
accarezzò
una guancia, e Karin poté solo bearsi del tocco e
ringraziarlo
sentitamente.
<<
Molto. Mi avete risollevato il morale ragazzi. Grazie infinite
>>
ammise, attirandoli a sé e coinvolgendoli in un abbraccio.
<<
Per quel che riguarda Dìs >> esordì
Fili, facendola
preoccupare << Non devi temere alcunché: prima
o poi le
passerà. Sai quanto è cocciuta >>.
<<
Non mi tranquillizzi così, sappilo. Però
sì, so quanto è testarda
>> replicò lei, stancamente.
<<
Fili e io ti seguiremo come ombre. Non ti farà nulla
>>.
<<
Non ho paura di quel
che può farmi; già
una semplice frase ha il potere di destabilizzarmi! >>
esclamò,
arrabbiata con la sua debolezza.
<<
Non devi lasciarti coinvolgere! Se la ignorerai, o le dimostrerai la
tua forza, sono certo che ti lascerà in pace
>>.
<<
Kili ha ragione. Per una volta senti ciò che dice
>>.
Karin
sbuffò, mentre un fastidioso nodo allo stomaco non le dava
tregua <<
E' vostra madre. Come potete parlare di lei in questo modo?
>>.
<<
Appunto perché la conosciamo molto bene ci permettiamo di
consigliarti >> assicurò il maggiore
<< Credici, Karin:
dimostrale chi sei. Dimostrale chi è la Regina di Erebor
>>.
<<
Devi smetterla, Dìs! Così non fai altro che
peggiorare la
situazione! >> esclamò Thorin, poco incline a
calmarsi; era
nella stanza della sorella, dove l'aveva condotta una volta sciolta
l'assemblea. L'aveva praticamente costretta a seguirlo, e l'avrebbe
persino trascinata di peso se avesse mostrato una qualche forma di
opposizione; era giunto il momento di chiarire una volta per tutte
quella dannatissima faccenda.
<<
Cosa
dovrei smettere,
esattamente? >> domandò candidamente,
incrociando le braccia
al petto formoso.
<<
Sai benissimo di che sto parlando >> sibilò
lui, tentando di
sopire la rabbia che minacciava di esplodere in petto <<
Voglio
che tu la smetta di trattare freddamente Karin, e di tornare a
considerarla come un tempo! Sono stanco del tuo comportamento,
sorella >>.
<<
Di già? Sono qui da pochi giorni, fratellone
>>.
Thorin
la fulminò con un'occhiata che avrebbe fatto rabbrividire
molte
persone, pronte poi a rimangiarsi ciò che avevano
confessato; ma Dìs
era di tutt'altra pasta, e sapeva quali corde dolenti toccare per
farlo impazzire di rabbia. Il sarcasmo ostentato era una di quelle.
Inaspettatamente,
Dìs si lasciò scappare un suono tra lo sprezzante
e lo scocciato <<
Sai come la penso, Thorin, te ne avevo parlato: al momento mi risulta
difficile ricordare il sentimento d'amicizia che ci legava
>>
spiegò, lasciandolo basito dal cambiamento di tono.
<<
Sapevi fin dal principio che sarebbe finita in questa maniera
>>
disse, calmandosi visibilmente anche lui << Ma
ciò non toglie
nulla al nostro legame fraterno >>.
Dìs
sbuffò sprezzante, scuotendo la testa << Se
credi sia gelosa
ti sbagli enormemente. Ti avevo consigliato più di una volta
di
rifarti una vita, là nelle Montagne Azzurre >>.
<<
Sì, ma senza Karin!
>> disse, lasciando trapelare l'ira.
<<
La credevamo morta, o nel migliore dei casi la odiavi al pari del tuo
acerrimo nemico >> gli ricordò, facendogli
aumentare il peso
sul cuore. Sospirò lentamente quando lo vide abbassare il
capo, ed
un sentimento simile al senso di colpa le permeò il corpo.
<<
So che l'ami e che dovresti essere felice senza una sorella che ti
ostacoli >> gli si avvicinò, priva dell'ombra
di ironia o di
disgusto mostrata in precedenza; tornò la sorella amorevole
e
protettiva di sempre, e ciò lo rincuorò di poco.
Gli
posò una mano sulla guancia, accarezzandola piano;
guardandolo negli
occhi, però, esternò il suo pensiero
<< Non impormi
nulla,
fratello. Lascia che sia
io a decidere il momento di perdonare e ricominciare da capo,
però
ora proprio non posso. E non è tanto il fatto che ti abbia
sempre
allontanato da me, divenendo l'unica detentrice del tuo cuore, no.
Sono solo invidiosa, perché
lei è riuscita dove io ho fallito: lei ha ottenuto la pace,
creandosi una
famiglia completa;
e credimi, per una donna non c'è atto più
coraggioso di questo. Il
lottare disperatamente per questi semplici ma al contempo complicati
desideri la rende forte, e migliore agli occhi della creatura
più
cieca; forse è proprio per questo che mi risulta difficile
perdonarla: sai che non ho mai accettato d'essere considerata
più
debole di altri >>.
<<
Lo so, però... >>.
<<
Questo è quanto. Cerca di rispettare la mia
volontà, te lo chiedo
in nome del sangue che scorre nelle nostre vene >>.
Il
Re dei Nani non obiettò, giungendo alla conclusione che,
forse,
avrebbe dovuto lasciar perdere. Dìs aveva ragione, non
doveva
forzarla in alcun modo; così facendo, la situazione sarebbe
precipitata in brevissimo tempo. Era un diverbio che riguardava
unicamente le due nane.
<<
D'accordo >> concesse piano, regalandole un mezzo
sorriso; la
strinse in un abbraccio amorevole e rimasero in quella posizione a
lungo, finché non la udì sospirare.
<<
Ora va'. Ho del lavoro da sbrigare in quanto futura cognata della
Regina >>.
<<
Se preferisci, puoi esonerarti dall'obbligo >> disse,
sentendosi oltremodo in errore per averla praticamente costretta.
Ma
lei scosse la testa, stupendolo nuovamente << No,
l'aiuterò.
Non saprebbe dove sbattere la testa, altrimenti; è una
guerriera,
prima di tutto, non una donna qualunque >>.
Il
fratello si permise un sorriso sornione, ed alzò le
sopracciglia <<
Sento un tono quasi affettuoso, o è una mia impressione?
>>
sapeva che non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione, e infatti non
lo smentì.
<<
Ma certo che è una tua impressione, Thorin. Dovrei
nascondere altro?
>>.
Karin
posò il libro sul comodino, ordinando a colui che aveva
bussato di
entrare; dalla soglia fece la sua comparsa il volto dai tratti dolci
e gentili della giovane Airi, e la nana lasciò che le labbra
si
distendessero in un sorriso cordiale. Le fece cenno d'avvicinarsi e
parlare, seguendola con gli occhi neri in ogni suo movimento, dallo
sfiorarsi le treccine della corta barba bionda al portarsi una ciocca
di capelli dietro l'orecchio.
<<
Mia signora, è giunta dama Eliese, da Esgaroth
>>.
<<
Bene, l'attendevo da giorni. Falla accomodare, grazie >>.
Airi
annuì e s'inchinò rispettosamente, uscendo; poco
dopo comparve
l'alta figura sorridente della donna, e Karin s'alzò per
accoglierla
con un abbraccio.
<<
Amica mia, le tue sorprese non smettono mai di stupirmi! Mesi fa ti
ho lasciato fidanzata del Re, e oggi stai addirittura aspettando suo
figlio >>.
Karin
rise, alzando colpevole le mani << Anche a me risulta
difficile
crederci >>.
Eliese
posò un occhio critico sulla sua figura, soffermandosi sul
ventre;
lì sgranò gli occhi, contenta <<
Comincia ad intravvedersi il
rigonfiamento! >>.
<<
Sono passate alcune settimane da quando ti inviai la lettera; sono
giunta al quarto mese, ormai >>.
<<
E' una notizia meravigliosa! >> esclamò,
battendo le mani.
<<
Un po' meno per il vestito >> ribatté Karin,
con una lieve
smorfia << Dovrà essere largo. Credi di
riuscire a nascondere
il ventre? >>.
L'amica
la guardò dubbiosa, per poi aprirsi in un sorriso
<< Certo!
Avevo già pensato ad una fascia di cuoio da posizionare
appena sotto
il seno, e poi la gonna si aprirebbe a campana, così
>> mimò
il movimento, e Karin annuì avendolo compreso
<< Sarà un
vestito talmente sontuoso, Karin!
Ne rimarrai affascinata! >>.
<<
Sarà ancora più bello dei vestiti confezionatemi
dopo la Battaglia?
>> chiese, stupita.
Eliese
agitò una mano, annuendo energicamente <<
Quelli saranno
un'inezia rispetto a questo. Forza, non perdiamo altro tempo, ho
delle misure da prendere >>.
Tirò
fuori un laccio e iniziò a passarglielo nei punti
principali,
annotando le varie misure su un foglietto di carta, quando qualcuno
bussò e l'austera figura di Dìs entrò;
accortasi di una presenza
estranea, assottigliò lo sguardo e non perse tempo a
dimostrarsi in
disaccordo.
<<
Con chi ho il piacere di parlare? >> domandò,
nella Lingua
Corrente.
<<
Eliese di Egaroth, mia Principessa >> rispose, inclinando
il
capo in saluto.
<<
Sorella di Bard l'Arciere, colui che uccise Smaug il Dorato
>>
concluse Karin, intrecciando le dita tra loro <<
Nonché mia
amica e sarta >>.
Le
labbra di Dìs si strinsero, e gli occhi sembrarono mandare
lampi
azzurri << Credevo dovessi informarmi. A quel che
ricordo, ti
sto aiutando nell'organizzazione >>.
<<
Vero. Ma supponevo non ti importasse molto il confezionare il vestito
>> replicò gelida, in risposta al tono
risentito della
cognata.
Dìs
la maledì internamente, assumendo un cipiglio pericoloso
<< E'
giusto. Però volevo essere partecipe della tua decisione di
chiamare
un'umana
>> parlò, in
Khuzdul.
Karin
s'irrigidì, mentre lo sguardo di Eliese sfrecciò
dal suo volto
pallido e rabbioso a quello compiaciuto di Dìs.
<<
Ti infastidisce? >>
replicò, muovendo un passo verso la donna, quasi a volerla
sfidare
<< Abituati, Dìs,
perché non muterà finché il mio
abito non sarà concluso >>.
<<
Dovresti far affidamento sulle nane, non sulla
Gente Alta.
Ciò non farà altro che mostrarti negativamente ai
loro occhi >>.
<<
La tua premura mi
commuove >>
sibilò col
tono aspro della lingua nanica << Però
sappi che non
cambierò idea. Eliese rimarrà qui il tempo
necessario, e anche
dopo, se lo vorrò >>.
<<
Sei molto sicura >>
bisbigliò malevola Dìs << Credi
che te lo
lasceranno fare? O meglio, che io
lo permetterò? >>.
Karin
le si era avvicinata lentamente mentre parlava, ed ora si
ritrovò ad
alcuni lievi passi dalla sua figura più bassa, ma ugualmente
imponente.
Piegò
un angolo della bocca ironicamente, lasciando che la convinzione e il
sarcasmo permeassero le sue parole << Oh, io credo di
sì. A
quel che ricordo è Karin,
non Dìs, la futura
Regina di Erebor >>
parlò, tornando alla Lingua Corrente.
Se
l'avesse schiaffeggiata non avrebbe ottenuto la stessa espressione
sconcertata e allibita, di questo era profondamente certa: prima
impallidì, dopodiché il volto assunse una
tonalità rossastra che
si sarebbe adattata perfettamente al volto dai lineamenti dolci della
giovane Dìs; invece era brutalmente contratto dall'ira, e
l'indignazione si intuiva negli specchi ora scuri che erano i suoi
occhi. Karin attese un qualche gesto estremo e irreparabile uniti ad
una sfuriata, però non accadde alcunché.
Dìs tentò di recuperare
una parvenza di calma, respirando profondamente una volta sola,
mentre il cuore le batteva furioso e la frase le rimbombava nella
testa; la rabbia raggiunse le più alte vette, e dovette
stringere i
pugni per sedare la profonda umiliazione che l'aveva ghermita.
Senza
dire una parola – ma lanciando occhiate sprezzanti alle due
– se
ne andò, sbattendo la porta dietro di sé.
Solo
allora Karin espirò a lungo, ed Eliese ricordò di
sbattere le
palpebre << Meritava davvero di udire quella frase?
>>
chiese timorosa, vedendo che la nana faticava a ritrovare la
serenità.
<<
Ho dovuto, anche se mi pare d'averla pugnalata >>
confessò,
sedendosi sul letto << Se fossi rimasta zitta le avrei
fatto
capire d'essere sua succube, e ti avrebbe cacciata per poi impormi le
sue decisioni. Questo non posso permetterglielo >>
terminò,
dura.
<<
Capisco. Ti ringrazio, Karin >> le si sedette accanto,
posandole una mano sulla sua e guardandola preoccupata in volto
<<
Credi si stia dirigendo da Thorin? >>.
La
nana, a dispetto dei dubbi e del malumore, scosse la testa
<<
No, il suo orgoglio ferito non glielo permetterà.
Ritornerà in
camera sua, pensando ad una probabile vendetta >> si
passò una
mano tra i capelli lunghi, sconfortata << Davvero un bel
guaio
>>.
<<
Sono certa che non ti farà nulla >> la
rassicurò
incoraggiante, sorridendole lentamente << Deve solo
prender
coscienza della tua superiorità e ritrovata
libertà >>.
Karin
la guardò, pensando che non aveva tutti i torti; eppure,
però, il
suo cuore si mantenne pesante per il resto del tempo, persino lungo
le settimane successive: nonostante i molteplici impegni e decisioni
da prendere, rivolgeva spesso e volentieri i pensieri alle frasi
pronunciate, specie quando i suoi occhi si fermavano su Dìs.
Come
predetto da Eliese non si vendicò né disse
alcunché, volendo solo
dimenticare quello spiacevole diverbio, e lei non affrontò
mai
l'argomento. Dopo altre innumerevoli discussioni, tutte vinte da
Karin, gli inviti ad Elfi e Uomini furono spediti tramite messaggeri
volenterosi, e la tanto temuta data si avvicinò con una
rapidità
sconvolgente. Fu con sgomento e agitazione crescenti che giunse a ben
due giorni prima del matrimonio; le sere precedenti, benché
stanca e
affaticata, si perdeva in complicate elucubrazioni e timori sempre
più pressanti: Thorin vedeva ma non diceva nulla, sapendo
fin troppo
bene quanto fosse suscettibile in quei giorni, un po' a causa della
gravidanza e un po' a causa dell'imminente cerimonia. Si limitava a
stringerla a sé tentando di farle capire che sarebbe andato
tutto
per il meglio, e solo allora lei si tranquillizzava, con sua somma
gioia.
Qualcuno
la stava svegliando. Ne era sicura. Raggiunse lo stato di
dormiveglia, sentendo le prime domande affollarsi nella mente.
“E' tempo di
destarsi? Mi pare d'aver appena chiuso gli occhi”.
La
stanchezza che le appesantiva le membra le suggeriva che qualcosa non
andava per il verso giusto; normalmente, infatti, ogni mattina era
sì
stanca e fiacca, ma non così tanto da non riuscire nemmeno
ad aprire
le palpebre. Il che significava che era ancora notte fonda, e che
doveva essere accaduto qualcosa di grave se Thorin si permetteva di
provare a scuoterla.
Ciò
la convinse del tutto: strizzò gli occhi e aprì
le palpebre
confusa, pensando di trovarsi il volto dell'amato a pochi centimetri
dal viso, teso e mortalmente angustiato; invece, notò la
stanza
ancora immersa nell'oscurità della notte profonda. Si
sedette,
tentando di scrutare oltre la densa cortina buia alla ricerca di un
qualche indizio: non trovò nulla. Tentò di far
mente locale su quel
che stava sognando però non ricordò
granché, certa che non si
trattava di incubi: quelli l'avevano perseguitata alcune settimane
dopo la Battaglia per poi sparire miracolosamente.
D'improvviso,
lo stesso lieve movimento di prima la colse, stavolta preparata; e
quando comprese di che si trattava – o meglio, di chi
–
dovette
ricacciare a fatica le
lacrime: il bambino. Si stava muovendo.
Un'emozione
a dir poco travolgente l'avvolse e, con un gran sorriso sulle labbra,
portò la mano dove aveva percepito il lieve colpetto,
sperando
d'udirlo ancora; dopo pochissimo tempo, un altro la raggiunse, poco
più in là di dove teneva le dita.
Ridacchiò lievemente, sentendo
la pelle tendersi verso di lei a causa di un altro calcetto; per un
attimo fu tentata di svegliare Thorin, ma si bloccò quando
lo sentì
grugnire.
<<
Thorin? >> chiamò piano << Sei
sveglio? >>.
Non
le giunse risposta.
Perplessa,
udì il suo respiro prima calmo farsi agitato e affannato,
come se si
fosse appena fermato dopo una corsa; altri gemiti riempirono l'aria,
seguiti da suppliche rabbiose.
<<
No... ti prego... >> borbottò, iniziando ad
agitarsi; sentì
muovere le coperte e, d'istinto, indietreggiò quasi fino al
bordo
del materasso.
Le
mani corsero al comodino di legno, cercando a tentoni l'acciarino e
lo stoppino della candela; a fatica, preda dell'angoscia e del panico
nel sentire l'agitazione e i ringhi furibondi di Thorin,
riuscì ad
accenderla: con mani tremanti, catalizzò la fonte di luce
verso la
sua destra, dove si trovava il nano. Sapeva che non avrebbe dovuto
svegliarlo, perciò si limitò a sussurrare.
<<
Ssh, Thorin. Shh >>.
Normalmente
questo gesto aiutava, ma lui era immerso in quell'incubo troppo a
fondo per potersi calmare.
<<
No... no... >> continuava a ripetere, e a girarsi.
Karin
si tenne lontana per timore che le braccia muscolose raggiungessero
il ventre: e si odiò per questo, poiché non gli
era vicina a
scuoterlo. Ripeté la frase precedente, stavolta a voce
più alta, ma
non servì a niente. Col cuore in gola, appoggiò
la candela sul
piano di legno, guardando il corpo prestante del nano contorcersi
illuminato dalla fioca luce rossastra, il volto preda di paura e
deformato, i denti che si scontravano e digrignavano.
<<
NO, KARIN! >>.
Con
quell'urlo disumano, Thorin scattò a sedere e si
destò del tutto;
impaurita, e col cuore che batteva all'impazzata, Karin riprese
possesso di sé.
<<
Sono qui >> disse preoccupata, muovendosi verso di lui.
Thorin
spostò veloce il capo verso la sua figura seduta, negli
occhi uno
sguardo folle la
spaventò facendole sgranare di poco i suoi; compì
un gesto rapido e
rude afferrandola per un braccio e attirandola a sé in una
morsa.
Con orrore, Karin lo sentì tremare.
<<
Shh, calmati, era solo un incubo >> disse, stringendo le
braccia che gli cingevano il collo << Solo un incubo.
È
finito, è passato >>.
Le
braccia di Thorin rischiavano di farle mancare il fiato da quanto
l'opprimevano, però non disse nulla. Lo cullò
accarezzandogli i
capelli, nel tentativo di placarlo; ma i tremiti – furiosi o
spaventati che erano - non cessavano.
<<
Va tutto bene >>.
<<
Lui... ti uccideva >>
sentì la sua voce ovattata piena di risentimento, e non
poté fare a
meno di rabbrividire << Io ero lontano, e la folla mi
trascinava via. Tu urlavi disperata il mio nome, però lui
era troppo
vicino, e...
>> non
terminò, ma Karin sapeva bene a cosa aveva assistito: alla
sua
morte. Alla loro morte
atroce.
<<
Così tanto sangue >> lo sentì
borbottare.
Si
sciolse a fatica dalla presa salda giacché non voleva
abbandonarla,
e gli posò entrambe le mani sulle guance accaldate
<< Lui
è
morto: l'hai ucciso,
salvandoci la vita. Stiamo bene, siamo qui con te >> gli
prese
una grande mano callosa portandola al ventre << Tuo
figlio è
vivo, Thorin. Lo senti? >> chiese, sorridendogli.
Aggrottò
la fronte senza dir nulla, e l'attimo successivo le sue labbra si
schiusero sorprese; gli occhi azzurri, prima irriconoscibili, si
rasserenarono facendole battere forte il cuore.
<<
Scalcia >> constatò, meravigliato.
Portò anche l'altra mano,
lasciandosi accarezzare da lei, beandosi dei suoi tocchi delicati.
Però
vi era una domanda persistente che non le lasciava tregua
<< Da
quanto lo sogni? >>.
Thorin
si rabbuiò immediatamente, guardandola serio;
inspirò a fatica <<
Da quando sono scampato alla morte. Non era sempre lo stesso,
però;
solo ultimamente sogno... questo >>.
<<
Perché non mi hai mai avvertita? >>
domandò, stizzita.
<<
Di solito spalancavo gli occhi e mi accertavo tu fossi lì, e
fossi
viva. E' la prima
volta che mi sveglio urlando >> ammise a voce bassa,
abbassando
la testa; l'ultima cosa di cui aveva bisogno era leggere la
pietà
negli occhi di Karin.
<<
Avresti potuto parlarmene >> lo rimbrottò,
imbronciata <<
Tu sei a conoscenza dei miei, ed è anche così che
ci si aiuta, in
una coppia >>.
<<
Mi dispiace >>.
<<
Questo dimostra che non ti fidi di me >>.
Thorin
assottigliò lo sguardo, incredulo << Ti ho
domandato perdono,
Karin. Che altro pretendi? >>.
<<
La tua fiducia, ad esempio >> ribatté
duramente << Credi
non ne sia degna? >>.
La
situazione stava prendendo una gran brutta piega, se ne accorsero
entrambi; ma nessuno dei due avrebbe desistito dalle proprie
posizioni.
<<
Non volevo ti preoccupassi. Sei incinta!
>>.
<<
Non è una scusante, Thorin. Non sono malata
>>
le stava dicendo sul serio quelle frasi? Da quando la gravidanza era
una giustificazione? << Sono in grado di consolarti e
condividere un segreto! >>.
<<
Volevo solo proteggerti, per
Durin! Ti sarebbe piaciuto se avessi confessato che sogno la tua
morte? >>.
Karin
si bloccò un attimo, giusto il tempo di scoccargli
un'occhiataccia
<< Certo che no, però avrei preferito venirne
a conoscenza
comunque, piuttosto che sentirti agitare nel sonno continuando a
ringhiare come un animale ferito. Hai idea della spavento preso?
>>
chiese, alzando sensibilmente il tono di voce.
Thorin
sospirò, borbottando poi qualcosa che non comprese.
<<
Potresti ripetere? >> sbottò, incrociando
strettamente le
braccia.
<<
Ho detto che me vado, siamo troppo agitati >>
grugnì,
spostandosi verso il bordo del letto << Tu cerca di
dormire >>.
Karin
aprì la bocca, seccata << Non ordinarmi
niente,
Thorin Scudodiquercia! Se vorrò riposare lo farò,
altrimenti no!
>>.
Ora
in piedi la squadrò minaccioso; sembrò quasi che
il petto gli si
gonfiasse sotto i muscoli guizzanti e frementi << Si
trattava
di un consiglio, donna ostinata! Fallo almeno per il bambino, non
perché te l'ho suggerito >>.
Continuarono
a lanciarsi occhiate in tralice, poi Thorin le diede le spalle e se
andò; sbuffando sonoramente si appoggiò alla
testata del letto,
sussultando quando un colpetto la destò dai numerosi
pensieri.
<<
E tu? Sei d'accordo con tuo padre o con me? >> eruppe,
agitando
una mano quando non percepì nessuna risposta; si diede della
stolta,
stendendosi nuovamente e lasciando che la stanchezza la conducesse
nell'oblio.
Aprì
gli occhi di scatto e girò il capo verso destra, notando il
posto
ancora vuoto: ingoiò un'imprecazione al proprio indirizzo,
complimentandosi per l'ottima dimostrazione di maturità e
controllo;
possibile dovessero sempre sfociare in una discussione, senza
ovviamente riuscire a
risolvere nulla?
Scese
dal letto, rabbrividendo quando la pianta dei piedi entrò in
contatto col pavimento gelido di pietra, e si avvolse nelle pesanti
coperte che li riscaldavano in quel periodo d'inverno avanzato. Si
incamminò verso la porta del bagno, sbirciando all'interno
nella
speranza di trovarvi la figura di Thorin, ma con disappunto ne
appurò
la totale assenza; si morse il labbro, notando poi una luce fioca
proveniente da un'altra porta che conduceva al salottino adiacente la
camera. Speranzosa e molto titubante afferrò la maniglia e
la aprì,
venendo attirata dal fuoco scoppiettante del caminetto, davanti al
quale stava seduto Thorin, intento a fumare dalla lunga pipa; non
riusciva a vederlo in viso - in quanto le mostrava la schiena - ma lo
immaginò pensieroso e turbato, preda di quel senso di colpa
che
attanagliava anch'ella senza tregua.
Rimase
ad osservarlo a lungo, senza trovare scuse adatte per il
comportamento; lui, dopo un po', sembrò accorgersi della sua
presenza perché si girò, provando un moto
d'affetto e di tenerezza
nel vederla imbacuccata in quelle coperte grandi che la coprivano
totalmente lasciandone fuori solo la testa.
<<
Sei appena rientrato? >> gli domandò, con un
filo di voce.
Con
sua sorpresa scosse la testa << No. Sono ritornato dopo
dieci
minuti però tu dormivi, e non me la sono sentita di
svegliarti;
quindi ho deciso di farmi un lungo bagno rilassante e successivamente
venire qui: avevo necessità di pensare >>.
Spense
la pipa, riponendola sul tavolinetto di legno col piano di vetro; la
guardò attentamente, notandone l'imbarazzo e la tristezza.
Alzò
i colpevoli occhi neri da terra, posandoli sui suoi azzurri
<<
Preferisci rimanere da solo? >> domandò,
timorosa. Non
l'avrebbe biasimato se avesse risposto affermativamente.
Thorin
alzò un sopracciglio e scosse la testa, lasciando che le
labbra si
stendessero in un sorriso << Non dire sciocchezze, e
vieni qui
>>.
Karin
si dissetò della sua voce avvolgente, e dell'accettazione di
quell'offerta di pace che attendeva col cuore; sorrise felice e
s'impose di camminare normalmente senza mostrare alcuna fretta nel
raggiungerlo, benché ogni suo muscolo la stesse spronando
quasi alla
corsa.
Quando
gli fu accanto, tuttavia, non poté fare a meno di
ridacchiare <<
Un Re dovrebbe possedere maggior cura della sua persona
>>
affermò, indicando col capo i capelli ancora bagnati di
Thorin <<
Pensi sia questo il modo corretto d'asciugarseli? >>.
<<
Se hai altre soluzioni oltre al fuoco del caminetto sarò ben
lieto
di sentirle >>.
<<
Nessuna, ma non stai facendo alcunché per farli asciugare
rapidamente; non li stai nemmeno districando >> disse,
passando
le dita tra la chioma nera e inorridendo nell'appurare la presenza di
nodi.
<<
Non posseggo la pazienza per un tale compito >>
replicò,
alzando noncurante le spalle.
<<
A questo si può porre rimedio >>
annuì convinta,
allontanandosi dalla sua figura seduta a terra << Torno
subito
>> senza attendere risposta corse via, verso il bagno;
una
volta trovato ciò che cercava ritornò, con un
gran sorriso sulle
labbra.
<<
Girati verso il fuoco >> ordinò, vedendolo
obbedire senza dir
nulla; poi gli si sedette quasi di lato, lasciandogli la schiena
esposta al calore delle fiamme e, dopo aver represso un brivido
gelido, coprì entrambi con la coperta volendo aumentare il
dolce
calore dei loro corpi vicini.
<<
Ora chiudi gli occhi, Thorin, e rilassa il tuo spirito; comanda ad
ogni affanno di sparire, così come svaniranno questi nodi
>>
mormorò piano, sorridendo nel sentirlo respirare a fondo.
Iniziò
a passare lentamente i denti del pettine tra le ciocche scure e,
contemporaneamente, intonò una melodia canticchiata a bocca
chiusa;
non si scoraggiò quando incontrò resistenza, ed
utilizzò le dita
per sciogliere quei grovigli spessi, passandovi poi sopra il pettine
quando vi riusciva. Il motivetto era breve e pareva una ninnananna, e
si trovò a ripeterlo quattro volte prima di completare la
chioma; le
rimanevano solamente le treccine ai lati della testa da ricomporre.
Smise brevemente di cantare poiché si spostò al
suo fianco destro
e, quando riprese, la voce bassa di Thorin l'accompagnò in
perfetta
armonia. Col cuore traboccante di contentezza e gli occhi accesi di
fiammelle guizzanti lo guardò amorevole, mentre le dita
– esperte
e veloci – intrecciavano le ciocche con maestria. Lui
sostenne
tranquillamente il suo sguardo, volendo imprimersi sempre
più
ciascun suo lieve tratto, benché li conoscesse a memoria;
era stato
facile imparare quelle brevi e lente note, così come era
venuto
spontaneo seguirla. Il sentirla nuovamente cantare l'aveva scosso
profondamente, ed aveva ringraziato i Valar per quel fatto
inaspettato.
Quando
Karin assicurò le placche metalliche al termine di entrambe
le
trecce tacque, e così anche Thorin. Rimasero ad osservarsi
per un
po', dopodiché lei si accoccolò contro il suo
petto e lui
l'accolse, racchiudendola in un abbraccio protettivo.
Il
fuoco illuminava i loro visi sereni e, in pace col mondo intero,
sentirono che ogni litigio era risolto e perdonato; Thorin –
sedutole alle spalle - aveva spostato i suoi capelli portandoli sulla
spalla sinistra ed aveva poggiato il mento sull'altra, coperta dalla
camicia da notte. Aveva portato le mani al ventre, accarezzandoglielo
lentamente.
<<
Mia madre la cantava quando mi pettinava >>
sussurrò lei,
spezzando il silenzio << Non ricordo il suo viso,
solamente il
suono della sua voce: ed era bellissima. Rammento che chiudevo gli
occhi, e come per magia i nodi si scioglievano al suo tocco; per
lungo tempo ho creduto fosse una sorta di strega >>
confessò
ridendo lievemente, persa nel passato.
<<
Non me ne hai mai parlato >> disse lui, sondando nella
memoria
alla ricerca di un loro precedente dialogo; a confermare i suoi
sospetti, lei annuì.
<<
Non ho mai avuto occasione di pettinarti. E poi, non so, forse
desideravo che questo segreto rimanesse tra me e lei >>.
<<
E per quale ragione hai cambiato idea? >>
domandò, curioso.
Karin
rimase in silenzio, ponderando la risposta << Per il
bambino,
penso. Quando l'ho sentito scalciare ho provato un'emozione
indescrivibile a parole, ed ho compreso quale profondo legame lega
una madre al proprio figlio. Ora si è calmato, probabilmente
cullato
dalla nenia: o, almeno, mi piace pensarla così
>>.
<<
Gliela canterai, una volta nato? >>.
Karin
ruotò il collo, incontrando i suoi occhi sereni, e sorrise
<<
Ogni giorno >> promise, con voce spezzata
<< E anche nei
prossimi cinque mesi a venire, se lo riterrò necessario
>>.
Thorin
parve tremendamente commosso, e rispose al tenero bacio della sua
ormai quasi sposa << Dìs ti ha dato noia in
questi giorni? >>
volle sapere, cambiando repentinamente argomento.
<<
Non più di tanto. Ormai ha capito che la mia
scontrosità potrebbe
diventare un fiume incontenibile, se mi contesta apertamente
>>.
<<
Uno dei tanti vantaggi d'essere gravida >>
ridacchiò Thorin,
baciandole una guancia.
<<
Mmm >> asserì, tornando seria <<
Ti ricordo che domani
giungeranno Thranduil e Legolas, ed in serata Bard >>.
Al
nominare gli Elfi, il petto di Thorin – a contatto con la
schiena –
si irrigidì, ed un lieve sbuffo sfuggì alle sue
labbra.
<<
Lo rammento molto bene, e speravo non li nominassi fino al loro
arrivo >>.
<<
Così impari a parlarmi di tua sorella in un momento tanto
dolce e
delicato >>.
<<
L'hai detto per ripicca? >> chiese stupito, aggrottando
la
fronte.
<<
Può darsi >> rispose enigmatica, lanciandogli
un'occhiata
furba.
Thorin
scosse la testa simulatamente esasperato, colmandosi il cuore
nell'udire la risata di Karin così vicina alle orecchie; ma
si
smorzò presto e, preoccupato, la vide piegare il volto in
una
smorfia.
<<
Stai male? >> domandò ansioso.
Inspirò,
prima di rispondergli << Il tuo bambino. Sembra stia
combattendo contro orchetti invisibili >>.
<<
E' figlio di guerrieri >> rispose, inorgoglito. Se il
piccolo
avesse posseduto metà del suo carattere e metà di
quello di Karin
sarebbe risultata un'ardua sfida; la guardò, cogliendone gli
stessi
pensieri. Risero insieme, trovandosi d'accordo.
<<
Che i Valar ci aiutino! >> esclamò lei
fintamente sconcertata,
posandosi una mano sulla fronte << Saranno mesi
impegnativi, e
anni faticosi >>.
Thorin
le prese la mano e l'avvicinò alle labbra, baciandola
<<
Insieme supereremo ogni difficoltà. Se potessi mi accollerei
parte
del peso che devi e dovrai sostenere, solo per vederti più
quieta
>>.
Karin
sentì il cuore rimbalzarle in petto, enormemente felice
delle sue
parole << Sei anche fin troppo premuroso, e ti ringrazio
>>
disse, baciandogli una guancia << Sono spaventata per il
matrimonio, tutto qui >>.
Un
sopracciglio del nano si arcuò, scettico e incredulo
<< Karin,
è solo una formalità, dato che viviamo
praticamente già come
marito e moglie >>.
<<
Ne sono consapevole, eppure è così. Temo di
sbagliare qualcosa, non
saprei... sono solo irrequieta, e tirerò innumerevoli
sospiri di
sollievo quando tutto sarà concluso >>.
<<
Non devi, mio tesoro >> disse, con voce terribilmente
suadente;
si abbassò a baciarle la punta dell'orecchio
<< Sarai perfetta
>> sussurrò.
Sospirò
poco convinta, ma lasciò che un'ombra di sorriso spuntasse
al
nomignolo ricevuto << D'accordo >>.
<<
Ti sei scaldata a sufficienza? >>.
<<
Sì, e propongo di ritornare a letto. Sento una gran
sonnolenza >>.
Lo
sentì muoversi e poco dopo se lo ritrovò davanti,
intento a
porgerle le mani per aiutarla ad alzarsi da terra; terminò
di
stiracchiarsi e le afferrò, spingendosi in avanti per
facilitargli
il compito di sollevarla. Una volta in piedi gli sorrise e lo
precedette, ma fece appena in tempo a compiere due miseri passi che
sentì il terreno mancarle sotto i piedi; trattenne uno
strillo e,
completamente desta, si contorse tra le sue braccia forti pronte a
sostenerla.
<<
Sei impazzito? Che tu sia dannato, Thorin, ora sono più
sveglia di
prima! >> lo sgridò, scherzosa.
Lui
non si degnò di risponderle immediatamente, impegnato
com'era a
reggere il suo corpo; la condusse verso il letto e la fece sdraiare,
salendo subito dopo con uno sguardo pericolosamente brillante.
<<
Sono dannato, è vero: perché vorrei baciarti in
ogni momento fino a
non possedere più un alito di fiato; perché
vorrei prenderti e fare
l'amore con te ogni volta che i miei occhi si posano sul tuo
invitante corpo. Mi hai stregato, e condannato ad un destino di
lussuria e lacerazione >> soffiò,
meravigliosamente
accattivante.
Karin
sorrise sensuale, giocherellando col girocollo della maglia del nano;
lo attirò inesorabilmente verso di sé e lui,
docile, si lasciò
guidare verso il basso, ad un nonnulla dalle sue labbra
<< Non
sono una maga >> sussurrò, sentendo un
piacevole calore
risalire dal basso ventre al petto.
<<
Meglio così >> rispose Thorin con voce roca,
annullando la
breve distanza con un bacio pieno di passione.
Karin
accolse immediatamente la sua lingua umida e calda, intrecciandola
con la sua; il cuore parve scoppiarle in petto dati i poderosi e
sempre più accelerati battiti, uniti al divampante incendio
che
lambiva la sua carne. Lo percepì posizionarsi meglio, stando
ben
attento a non farle del male e senza mai interrompere il profondo
contatto; mai sazi l'uno dell'altra, lasciarono che l'amore
travolgente e conturbante li rendesse prigionieri, avvolgendoli in
dolci ed erotiche catene.
Inarcò
la schiena quando la mano sinistra di Thorin l'accarezzò
audace, e
si accorse di mugugnare soddisfatta; con suo enorme disappunto si
ritrovò presto a baciare il nulla, ed ostentò
un'espressione a dir
poco infastidita e delusa, al contrario di quella decisamente troppo
pacifica di Thorin.
<<
Sbaglio o avevi sonno? >> domandò
innocentemente, senza
nascondere un ghigno divertito.
Karin
fece schioccare la lingua, seguendolo con uno sguardo assottigliato
finché non le baciò amorevole la pancia, gesto
ormai diventato
quotidiano; solo allora si concesse un sospiro rassegnato e uno
sbadiglio piuttosto evidente, nonostante la mano a coprirle la bocca.
Thorin
si spostò da lei, riprendendo possesso del suo lato del
letto e
respirò stancamente, sentendo il peso della giornata
trascorsa
gravargli sul corpo e sulla mente; si riscosse debolmente quando
sentì un braccio esile sull'addome e un lieve peso sulla
spalla,
segno che Karin vi aveva poggiato una guancia: e infatti, aprendo
debolmente un occhio, la vide raggomitolata accanto a sé, il
volto
quasi totalmente nascosto dalle pesanti coperte.
<<
Sarà dura domani sera >> biascicò
lei, riferendosi alla notte
precedente le nozze: in quell'occasione non avrebbero dormito insieme
nella camera del futuro Re, ma ciascuno avrebbe riposato nelle
proprie.
Thorin
le accarezzò distrattamente i capelli ribelli, annuendo
solamente;
il sonno stava prevalendo su di lui, portandolo con sé.
<<
Rimango qui solo un pochino >> lo avvertì
flebile; oppure fu
lui ad immaginarselo? Non ne era certo, dato lo stato di dormiveglia.
Lasciò
che la mente si svuotasse di ogni pensiero, conscio solo del
confortevole calore che il corpo della sua Karin emanava.
Erebor
riaccolse il suo legittimo sovrano dopo ben centosettantuno anni.
Un
gran fermento agitava i Nani, quel giorno: perché non
avrebbero
incoronato solamente il Re sotto la Montagna, ma anche la sua Regina.
Inoltre, ella stessa si era offerta di custodire l'Archepietra per
riconsegnargliela, in risposta al furto perpetrato mesi addietro del
quale si era dichiarata colpevole; erano veramente pochi i nani delle
Montagne Azzurre – giunti qualche settimana prima - disposti
a
considerarla implicata nella faccenda, e a lungo avevano adocchiato
con sospetto quel piccolo esserino chiamato Bilbo Baggins che in quei
mesi si era limitato a girovagare qua e là lungo i numerosi
livelli,
e che in quella fredda mattina d'inverno stava ritto in piedi nelle
file destinate ai personaggi importanti presenti in quel viaggio di
Riconquista insieme ai reali.
Osservava
a dir poco emozionato le figure di Thorin e Karin, l'uno di fronte
all'altra, vestiti e ornati con abiti e gioielli degni del loro
rango, intenti a suggellare la loro unione con un semplice scambio di
fermagli di metallo posti alle estremità delle loro trecce.
Stupito
e un poco confuso, aveva chiesto silenziosamente spiegazioni a Balin,
ed il vecchio nano gli aveva risposto che era una loro tipica usanza;
non tutte le placche erano uguali, ed erano ornate da fregi o rune
importanti, simboleggianti l'appartenenza alla propria famiglia.
Tutti le possedevano, persino chi non era nobile – anche se
non
create nella miglior foggia - e durante il matrimonio se ne
scambiavano solo una.
<< Come
se donassi parte di te all'altro, in poche parole >> aveva
bisbigliato il nano dalla barba biforcuta, commosso <<
Eppure, anche con la placca dell'altro la metà diviene un
tutt'uno
>>.
Quindi,
a rigor di logica, sul metallo di Thorin vi sarebbe stata incisa una
d
e su quella di Karin una g.
Durin e Gorin.
Dain
officiava sia il matrimonio che l'incoronazione, e Bilbo non
poté
fare a meno di ricordare il furioso diniego dell'amica alla notizia,
ma Thorin era stato irremovibile: in quanto Signore dei Colli Ferrosi
era suo compito, non di altri. E Karin aveva dovuto rimangiarsi molte
pessime frasi.
La
guardò, provando già una forte, fortissima
stilettata al cuore al
pensiero di doverla lasciare per sempre; osservò il suo
sorriso
radioso ed entusiasmato, lo scintillio negli occhi neri brillanti di
una felicità che solo chi conosceva il vero significato del
mistero
chiamato amore poteva provare. La vide mantenere costantemente lo
sguardo sul volto di un altrettanto emozionato Thorin, seppur celato
sapientemente dall'aura di regalità e compostezza: lo
guardò negli
occhi anche quando lui li abbassò sulla sua treccia destra e
le
tolse la placca rimpiazzandola con la propria argentata. Quando venne
il suo turno dovette controllare il tremito delle dita, ma fu abile a
nasconderlo; con una moderazione e una calma che non appartenevano al
cuore – costantemente in tumulto – aprì
la placca argento e la
sostituì con quella bronzo, sorridendogli una volta che ebbe
concluso.
<<
Thorin figlio di Thrain della stirpe di Durin, e Karin figlia di
Kario della stirpe di Gorin, da ora sono uniti davanti a Mahal il
Fabbro. Così come egli ci creò, così
oggi sia testimone della
forgiatura di questa coppia, finché essa avrà
vita >>
pronunciò Dain, con voce altisonante e solenne.
Poi
tacque, facendo un cenno col capo all'indirizzo di Gandalf,
incaricato di portare un cuscino di velluto con entrambe le corone; i
nani posti più indietro cercarono di allungare il collo per
osservare quel momento a dir poco importante: canzoni erano state
composte sull'impresa e sulla Battaglia dei Cinque Eserciti, e altre
ne sarebbero nate dopo l'Incoronazione. Era un grande dono dei Valar
poter assistere a quell'evento.
Thorin
e Karin non ebbero bisogno di alcun ordine, poiché si
inginocchiarono sui gradini della piattaforma in corrispondenza dei
rispettivi troni nel momento esatto in cui Gandalf il Grigio
avanzò.
Gli sorrisero leggermente quando strizzò veloce un occhio
azzurro, e
tornarono seri non appena Dain avanzò verso Thorin.
Il
Re Esiliato chinò il capo, attendendo con cuore martellante
di
percepire il lieve peso dell'elaborata corona di Thror, creata dal
miglior gioielliere anche se si vociferava fosse opera di un fabbro.
Dain la alzò perché tutti potessero rimirarla, e
Karin non poté
che guardarla affascinata finché non si abbassò
lenta fino a
giungere sul capo di Thorin; i colori dorati e argentati della corona
sembrarono amalgamarsi perfettamente con il nero dei suoi capelli:
per la prima volta in vita sua, vide il Re prendere
il sopravvento sull'uomo. Come se fosse ritornato finalmente a
vestire i panni che gli spettavano, che gli erano sempre appartenuti.
Nella sua figura reale, Karin comprese di trovarsi al cospetto della
sua anima più nascosta.
Thorin
alzò la testa, mostrandosi fiero come non mai; e Dain
passò a lei.
Sentì
la gola insopportabilmente secca, la lingua sembrò aumentare
di
volume nella bocca; scambiò un breve sguardo con il nano dei
Colli,
notandone nel profondo la stizza nel doverla incoronare come sovrana.
E non poté trattenersi dal sorridere. Abbassò la
testa, seguendo
l'esempio di suo marito: l'attesa fu snervante, la consumò,
divorandone l'anima ed il cuore. Dain fu insopportabilmente lento,
quasi a voler sperare in un impedimento esterno: non ve ne furono, e
fu costretto ad abbassare le braccia e a posarle la corona ben
più
leggera e sottile. Espirò a bocca socchiusa chiudendo
brevemente gli
occhi, la tensione parve sciogliersi, ma l'impercettibile tremore
rimase.
<<
Arrivano i Giorni del Re e della Regina di Erebor! >>
esclamò
Dain, guardandoli un attimo per poi rivolgersi alla folla
<<
Possano essere benedetti! >>.
Gandalf,
rimasto alla sua sinistra, si unì per terminare le frasi di
rito <<
Lunga vita al Re! Lunga vita alla Regina! >>.
Il
popolo esplose in un sol boato di giubilo ripetendo le ultime parole,
augurando prosperità ai sovrani ed un buon governo, del
quale erano
assolutamente certi. Finalmente i due trovarono il coraggio di
guardarsi, e Thorin rispose annuendo semplicemente col capo al
sorriso ampio di lei, donandogliene uno ugualmente felice.
Le
porse una mano e si alzarono insieme; lei lo accompagnò fino
al
trono, non sedendosi sul suo: c'era un ultimo gesto da compiere.
Si
avvicinò ad uno scrigno intarsiato finemente, opera di
Bofur, e lo
prese tra le mani; incedette composta e a capo dritto e alto senza
mostrare timore ma solo una grande dignità, fermandosi ai
piedi
della piattaforma; nel frattempo, il silenzio era calato nuovamente
sui presenti, nessuno osava emettere il più piccolo suono,
troppo
concentrati sui suoi movimenti: il momento tanto atteso era giunto,
infine.
<<
Che il Cuore della Montagna faccia ritorno al suo proprietario!
>>
iniziò, con voce altrettanto alta e limpida <<
Possa splendere
finché la stessa non si sgretolerà, possa
guidarti nel tuo regno e
negli altri a venire. Accetta il mio dono per te, Thorin
Scudodiquercia, legittimo Re sotto la Montagna >> con una
mano
si afferrò la stoffa del vestito, alzandoselo leggermente
per
riuscire ad inginocchiarsi.
Una
volta a terra posò il cofanetto e l'aprì, sotto
lo sguardo vigile
di Thorin; un lieve bagliore provenne dall'interno e, con mani
sicure, prese la gemma e l'alzò verso l'immensa volta
luminosa, in
modo che assorbisse la luce proveniente dalle finestre. Molti,
stupiti, schiusero le labbra non avendo mai avuto occasione di
ammirarla, e persino i membri della Compagnia e coloro che la
rimembravano posta sulla pietra liscia del trono di Thror parvero
rimirarla per la prima volta, non avendola mai vista brillare
così
fulgida come quel giorno. Per loro si trattò di un segno: la
tanto
agognata rinascita del loro popolo un tempo potente e poi decaduto
era divenuta concreta e reale, e più splendente d'una stella.
Thorin,
a dispetto dei precedenti accordi, non parlò né
le fece cenno
d'avvicinarsi; si alzò dallo scranno e a passi misurati la
raggiunse, non badando al suo volto confuso.
<<
Accolgo il ritorno dell'Archepietra che mi porgi, mia Regina. Che
tutti ne siano testimoni, e ricordino chi fu a consegnarla al Re di
Erebor inginocchiandoglisi dinanzi! In ringraziamento, che sia io
stesso a renderti omaggio >>.
Karin
continuò a guardarlo stupita, sgranando gli occhi quando
comprese il
movimento: il Re sotto la Montagna si inchinò e, girando il
capo
verso la moltitudine della folla, li vide imitarlo.
<<
Alzati, Karin; goditi la sensazione >> le
sussurrò piano, così
che potesse udirlo solo lei.
Obbedì
titubante, rimanendo senza fiato alla vista di quei nani, elfi e
uomini che l'accettavano come sovrana; fu una sensazione strana,
del tutto insolita. Considerò che non ci si sarebbe mai
abituata,
benché l'anima parve esultare.
Si
alzarono, quindi comprese che Thorin era già in piedi; si
girò a
guardarlo stringere la gemma tra le dita inanellate e posarla egli
stesso al posto che le spettava. Fu una scena carica di significato,
talmente profonda che Karin trattenne il fiato senza accorgersene; e
quando l'Archepietra parve aver capito d'essere tornata nella propria
dimora, sembrò sfavillare di splendore liberando la luce
catturata
in sottili scie azzurre, arancioni e rosse.
<<
Lunga vita al Re! >> urlò l'intera Compagnia,
catalizzando
l'attenzione dei presenti << Lunga vita alla Regina!
>>.
Mentre
sedevano insieme sui troni per la prima volta, il popolo rispose con
vigore e gioia alzando alte le loro voci tonanti, disperdendole fino
alla vetta più alta della Montagna e raggiungendone le
profondità.
Era
distrutta. Letteralmente. Ogni suo muscolo invocava pietà,
lanciandole fitte lancinanti in ogni dove; il bambino aveva iniziato
a muoversi da poco, probabilmente infastidito dalla confusione
presente nella Sala dei Banchetti, decorata per l'occasione con
enormi stendardi della famiglia reale e del suo clan: dubitava
fortemente fosse stato merito di Dìs - addetta a tale
compito -
quindi doveva esserci lo zampino di Thorin.
Il
pranzo era stato il più sontuoso e delizioso che avesse mai
mangiato, e si domandò se sarebbe stata in grado di
camminare una
volta terminato. Altra questione di cui non era certa.
Si
girò verso Legolas, posto alla sua destra, e gli sorrise
divertita:
in quanto ospiti d'onore, infatti, lui e suo padre godevano del
diritto di sedersi allo stesso tavolo dei regnanti.
<<
Come si stanno comportando quei due? >> chiese l'elfo,
accennando al genitore e al nano.
<<
Hanno scambiato qualche frase di circostanza, ma fortunatamente non
hanno aggiunto altro; credo che il risentimento sarà
complicato da
allontanare >>.
Legolas
annuì << Sono molto simili in quanto a
testardaggine. Ho
dovuto faticare parecchio per convincere Thranduil a presenziare;
sono ricorso all'argomentazione di una minaccia di guerra
>>.
<<
Non voleva? >>.
Scosse
la testa, mortificato.
<<
Bé, ora è qui, no? È ciò
che conta >> lo rassicurò, seppur
col cuore gonfio di pena: eppure, era stata così sicura di
una sorta
di appianamento di divergenze!
<<
Sei riuscita dove molti hanno fallito, invece >> le
disse,
quasi leggendole nel pensiero << Hai riunito le razze
più
importanti della Terra di Mezzo, eccetto gli Orchi, naturalmente!
>>
si unì alla leggera risata di Karin, ora più
calma << L'hanno
chiamato il Matrimonio Pacificatore
>>.
La
Regina lo guardò stranita, non potendo crederci
<< Davvero?
>>.
L'elfo
annuì, bevendo dal boccale. Lei osservò il suo
piatto
precedentemente ripulito d'ogni sorta di cibo, e giunse le mani in
grembo percependo il piccolo muoversi.
Venne
attirata da una mano ben conosciuta sulle sue, ed alzò gli
occhi
incontrando quelli azzurri di Thorin << State bene?
>>
domandò, stringendole le dita.
<<
Sono solo un po' stanca. L'adrenalina della mattina è
scemata
velocemente >> disse, rassicurandolo con un sorriso
fiacco.
Lui
annuì, pensieroso << Potresti uscire a
prendere un po' d'aria,
e passeggiare un poco. Hai solo bisogno d'allontanarti da questo
trambusto >> disse, alludendo al chiasso proveniente
dagli
amici, persi in molteplici brindisi alla loro salute o a gare di
bevute tra una portata di carne stagionata con l'osso e di maiale
allo spiedo. Più di una volta si era trattenuta dall'alzarsi
da lì
per raggiungerli, e dissetarsi con della buona birra di malto, densa
e scura. Ma aveva allontanato quei pensieri con un sorrisetto appena
accennato.
<<
Forse è così >> concesse
<< Quindi ho il tuo permesso
di ritirarmi per alcuni minuti? >>.
Thorin
le sorrise dolcemente << Penso tu non abbia bisogno
d'alcuna
autorizzazione >>.
<<
Era ciò che volevo udire >> rispose
maliziosamente, tornando
immediatamente seria ed aggrottando la fronte << Come mi
giustificherò con gli invitati? >>.
<<
Tu pensi troppo, Karin. Alzati solamente ed esci, te lo ordino!
>>.
<<
Addio libertà, oserei dire >>
borbottò, ripensando a quel che
si erano appena detti. Thorin l'udì e sogghignò
senza dir nulla,
osservandola alzarsi e guardare indecisa l'uscita e i commensali;
mosse alcuni passi felpati rammentandogli la vecchia Karin, ma poi
cambiò repentinamente idea, camminando normalmente senza
badare alle
occhiate curiose di alcuni nani, e poi dell'intera Sala: persino i
musicisti smisero di suonare per guardarla, e ciò non fece
che
accrescerle l'enorme disagio. L'osservò compiaciuto
finché non
sparì, per poi rivolgersi direttamente a questi ultimi
<< Non
smetterete certo di allietarci il pomeriggio solamente
perché la
vostra Regina se n'è andata, mi auguro >>
disse, scorbutico <<
Avete degli ospiti da intrattenere >>.
Alla
frase, la musica ripartì lieta e allegra come era stata poco
prima,
e Thorin si riappoggiò allo schienale dell'alta sedia
alzando il
boccale verso la tavolata degli amici e parenti, in un brindisi
solidale e gioioso.
Senza
accorgersi che mancava qualcuno.
Karin
dovette sfilarsi la pesante cintura di cuoio per poter respirare
meglio, e fu con sollievo che l'appoggiò sul parapetto della
terrazza; puntò lo sguardo verso le deboli fiammelle di
Dale, segno
che alcune famiglie vi abitavano già nonostante fosse ancora
in fase
di ricostruzione. Fortunatamente il vestito era abbastanza pesante,
ma alcuni spifferi di freddo la penetrarono ugualmente facendola
rabbrividire e gelare le ossa. Però non le dispiaceva star
lì,
seppur in balia del vento; la rendeva presente,
al contrario del caldo opprimente che l'aveva intorpidita.
Rammentò
con chiarezza lo sgomento nell'aver guardato per la prima volta
quell'abito color iris; l'aveva riportata indietro catapultandola in
un recente sogno, spaventoso oltre ogni dire. Era molto simile a
quello che aveva lordato col proprio sangue, oltre a quello del
figlio; persino gli intarsi e le gemme erano posizionati in modo
molto somigliante. Aveva dovuto ricacciare l'urlo spaventato e la
nausea al ricordo dell'odore sgradevole del liquido rosso cupo.
Si
grattò nervosamente il collo, libero dalle ciocche scure; le
avevano
raccolto i capelli intrecciandoli sulla nuca, ed avevano lasciato
libere due trecce laterali del tutto identiche a quelle di Thorin, su
cui aveva posto la sua placca: la sfiorò, ripensando
all'incredibile
momento in cui aveva realizzato d'appartenergli ufficialmente
e totalmente.
Come
moglie.
Le
orecchie, ora abituate al silenzio più denso, si accorsero
di lievi
e soffici passi e fu naturale per lei sorridere nel riconoscerli;
girò il capo giusto in tempo per vedere un mantello posarsi
sulle
spalle intirizzite, e due occhi grigi – seguiti da un volto
imberbe
e dai tratti sereni – sorriderle amichevole.
<<
Grazie. Come mi hai trovata? Avrei potuto essere dovunque
>>.
<<
Ormai ti conosco troppo bene, amica mia. Come spieghi la tua assenza?
La scomparsa della Regina sotto la Montagna si nota, sai?
>>.
<<
Desideravo un po' di quiete. È stata una giornata
impegnativa >>.
<<
Come ti senti? Il bambino sta bene? >>.
<<
Ora sì. Era leggermente agitato, poco fa; ne deduco che
sarà un
vero e proprio terremoto, una volta nato >>.
Bilbo
rise stringendosi nel mantello di pelliccia, per nulla abituato a
quel freddo pungente << Se sarà degno erede
della sua stirpe,
avrò paura che ti darà un gran bel daffare!
>>.
<<
Questo non mi incoraggia affatto! Sentiamo, che combinava la mia
famiglia di tanto deplorevole? >> chiese, interessata.
<<
Fili stava aizzando un imbufalito Dwalin a sfidarlo ad una gara di
bevute seguita da una a braccio di ferro; erano piuttosto allegri,
non ancora ubriachi >>.
Karin
scrollò le spalle << Tutto nella norma, in
fondo. Finché non
“liberano“ tutto il loro potenziale tramite la
bocca, non ci vedo
nulla di errato. In quanto all'ubriacarsi, hanno a disposizione tutto
il pomeriggio e tutta la sera per riuscirci >>.
<<
E Kili stava corteggiando
spudoratamente una tua certa dama di compagnia >>
terminò,
rivolgendole un sorrisino complice, al quale lei rispose ben
contenta.
<<
Oh, finalmente! Ne sono veramente deliziata >>
esclamò,
calmandosi quando lo notò incupirsi <<
Dìs non sarà dello
stesso avviso, immagino >>.
A
conferma dei suoi sospetti, Bilbo scosse la testa riccioluta
<<
Precisamente. Credo riguardi il fatto che Airi non sia nobile
>>.
Karin
sbuffò sprezzante, imprecando subito dopo <<
E' talmente
retrograda! Certi pensieri non dovrebbero neppure sfiorarla, dato che
Kili avrà ben poche possibilità di governare
>> borbottò.
<<
Spero solo che lui sia abbastanza timoroso da contestarla
>>.
<<
Già. E completamente innamorato di Airi: lei lo è
di lui >>
sentenziò Karin, osservando il manto di neve che ricopriva
la piana,
giungendo ad una semplice conclusione << Non sei venuto
quassù
solo per rendermi partecipe di queste notizie, vero? >>.
Bilbo
non riuscì a sostenere il suo sguardo indagatore, ed
annuì
osservando Dale << Volevo passare un po' di tempo con te:
parto
dopodomani >> confessò, flebile.
Karin
sentì il cuore spezzarsi, sospirò a fondo per
cercare di ritrovare
la voce venuta a mancarle << Come possono della semplici
parole
esprimere il tremendo vuoto che provo nel petto? >>
domandò,
amareggiata.
<<
Non ce ne sono >> ammise lo hobbit, accarezzandole le
mani <<
Però esse mi giungono ugualmente al cuore perché
sono le medesime
che rivolgo a te >>.
Karin
si morse il labbro per non farsi sfuggire dei singhiozzi,
però le
lacrime iniziarono a scendere dagli occhi solcando le guance rosee.
Si abbracciarono di slancio, stringendosi forte per trasmettersi
quelle frasi che mai sarebbero uscite dalle loro bocche,
poiché
troppo complicate e profonde. In quel gesto infusero la loro solida
amicizia, nata e fortificatasi in un periodo difficile eppure a parer
loro il più bello e intenso della loro esistenza; unirono
l'affetto
che provavano per l'altro, e la tremenda nostalgia che li aveva
già
afferrati.
<<
Prometti di scrivermi >> disse, tra un singulto e l'altro.
Bilbo
le accarezzava piano la testa, per timore di rovinarle l'acconciatura
elaborata, ed annuì << Lo prometto.
Scriverò non appena
arriverò a Vicolo Cieco >>
sussurrò, chiudendo gli occhi per
impedirsi di versare troppe lacrime amare.
<<
Sei stato il mio conforto quando la speranza sembrava avermi
abbandonata, e per questo non potrò mai ringraziarti
abbastanza. Mi
mancherai, Bilbo Baggins. Più di qualsiasi altra persona
conosciuta
>>.
Il
povero hobbit sentì il cuore scoppiargli in petto, ed
un'inaspettata
voglia di sorridere si fece largo in lui nonostante l'immensa
tristezza e le piccole stille salate.
<<
Sei stata e sarai la mia luce in quegli oscuri luoghi attraversati,
che dovrò nuovamente calcare. Mi mancherai, Karin figlia di
Kario.
Più di qualsiasi altra persona conosciuta >>.
Il
giorno successivo trascorse rapido, esattamente come lo era stato
quello precedente il matrimonio; le sembrò di muoversi
dentro una
sorta di bolla, scoppiata brutalmente in quella mattina in cui
avrebbe dovuto dire addio al suo migliore amico, che mai più
avrebbe
rivisto. La Compagnia si era radunata dinanzi alle maestose Porte di
Erebor, e lì si trovavano anche Elfi e Uomini, pronti ad
accomiatarsi dai Sovrani sotto la Montagna.
<<
Bé, che dire >> esordì Bilbo,
lisciandosi l'orlo della nuova
e impreziosita giacca rossa dai bottoni dorati << addio,
miei
valorosi amici! Porterò sempre il vostro ricordo nel mio
cuore >>
disse, guardando una devastata Karin che tentava – con gran
dignità, doveva ammetterlo – di mantenere un certo
contegno.
Thorin
si fece avanti, stringendogli una piccola mano tra le sue
più grandi
<< Addio, amico mio. Il tuo prezioso aiuto non
verrà
dimenticato, così come la nostra amicizia >>
gli occhi azzurri
brillarono calorosi e, sorprendendolo come tempo addietro, lo
abbracciò riconoscente battendogli poi delle pacche sulle
spalle <<
Buon ritorno a casa >>.
Poi
vennero i saluti ai nani, nei quali dovette consolarne alcuni
–
Bofur, il giovane Ori, persino Kili, Fili e Balin – con
battute
anche scherzose sulla mancanza dei loro utilissimi fazzoletti da
viaggio e ricordando le avventure contro i Troll con un nuovo
cipiglio coraggioso e auto-ironico.
<<
Se sentirete la mia mancanza, chiurlate due volte come un barbagianni
e una come un allocco, ed io accorrerò! >>.
<<
Chissà perché ho la netta sensazione che non
accadrà! >>
esclamò Nori, coinvolgendoli in una risata liberatoria; poi
frugò
nelle tasche, ripescando alcune posate d'argento <<
Queste ti
appartengono, scassinatore >>.
Lo
hobbit provò a dirgli di tenerle, che non importava,
però l'altro
insisté e lui le accettò con immensa gratitudine.
Il
difficile giunse di nuovo al turno di Karin; lei non riuscì
a dire
nulla, limitandosi a fissarlo con occhi colmi di lacrime. Fu quindi
lui ad arroccarsi il gravoso compito di spezzare il silenzio, di
dirle qualcosa, qualsiasi cosa.
<<
Se mai passerai dalle mie parti non esitare a bussare. Il tè
è
servito alle quattro, ma tu sarai la benvenuta a qualsiasi ora
>>.
Le
labbra di Karin si piegarono in una smorfia che doveva somigliare ad
un sorriso; annuì, lasciando il permesso a due sole lacrime
di
sfuggire alle ciglia << Se mai tornerai a visitarci,
allora
splendidi saranno i festeggiamenti >> disse, con voce
tremula.
Dimenticò
d'avere davanti la Regina di Erebor e l'abbracciò di nuovo,
incapace
di staccarsi da lei; se avesse potuto – e se i fatti fossero
andati
diversamente – le avrebbe chiesto di andare con lui. Di
tornare a
casa, là nella Contea. Ma non era quello il suo posto, lo
sapeva
perfettamente; la sua vita era qui, e l'avrebbe resa infelice una
vita pacifica e tranquilla tra dolci colline verdeggianti e profumo
di fiori, buon cibo e feste allegre. Karin era un Nano, non uno
Hobbit.
La
sentì affondare il viso tra i suoi ricci e inspirare
profondamente
per calmare i tremiti del suo corpo: oppure appartenevano a lui? Non
avrebbe saputo dire, dato lo stravolgimento in cui versava la sua
anima, il suo intero essere. Quando si staccò, dopo un tempo
che a
lui parve infinito ma al contempo anche troppo
breve, gli
parve d'averle lasciato un pezzo importante di sé; eppure,
oltre a
sentirsi incompleto, si sentì anche colmo: poiché
aveva inteso che
Karin gli aveva lasciato una parte di lei, data dai ricordi di quei
mesi. Finché non fossero sbiaditi con l'avanzare del tempo
li
avrebbe custoditi con gelosia, come il più prezioso dei
tesori:
persino più ricchi delle due cassette d'oro e d'argento
scelte come
pagamento.
A
fatica salì sul suo pony, osservando con tanta pena l'addio
dei nani
a Gandalf, che l'avrebbe riaccompagnato per buona parte del viaggio,
forse fino alla fine.
Ed
ecco, quando il tempo dei commiati fu terminato la lunga schiera di
Elfi e Uomini partì lentamente, ed essi li seguirono. Bilbo
si
ritrovò a girare costantemente il busto verso Erebor,
notando gli
amici ancora ai loro posti con le braccia alzate in segno di saluto;
ricambiò finché poté, e quando la
Montagna Solitaria divenne
appena visibile a occhio nudo, contemplò la neve non ancora
disciolta sulla sua vetta più alta.
<<
Così, dopo il fuoco, viene la neve, e perfino i draghi
trovano la
loro fine! >> disse Bilbo, voltando la schiena alla sua
avventura. La parte Tucchica stava diventando stanchissima, e quella
Baggins diventava ogni giorno più forte <<
L'unica cosa che
vorrei, adesso, è starmene nella mia poltrona!
>> aggiunse.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Ecco.
Siamo giunte alla fine di questo lungo capitolo. Come avrete notato,
non vi è la parola “Fine”, a segnare il
termine di questa
storia. Questo perché manca ancora un Epilogo. E poi, con
immenso
dispiacere ma anche con gioia, dirò addio a questi
personaggi che mi
hanno accompagnata per ben nove mesi; certo, non è da
escludere
qualche one-shot! Se devo essere sincera, mi risulta difficile
staccarmi da “la Quercia e l'Iris”, che tanto mi ha
dato in fatto
di soddisfazioni e, perché no, anche d'amicizia. Sembro
sentimentale
ad usare questo termine – forse sottovalutato –
però per me è
così: grazie a efp e a questo meraviglioso fandom, ho potuto
conoscere VOI, persone incredibilmente eccezionali che tanto avete
fatto per me semplicemente parlandomi e consigliandomi. Sul serio,
non sapete il dispiacere che provo nel sapervi lontane,
perché
verrei personalmente a casa vostra a ringraziarvi di cuore ed
abbracciarvi con affetto. Spero vi arrivino comunque :)!!!
Come
Karin e Bilbo, non trovo parole per ringraziarvi o esprimere il mio
stato d'animo, perciò credo che quelle appena scritte
bastino.
Sappiate solo che sento un gran dolore al petto, eppure è
quasi
colmo di vostro affetto ;). Mi auguro vi sia piaciuto il capitolo
–
e le due colonne sonore incluse - così come io ho adorato
scriverlo,
e spero si capisca quanto del mio cuore ho lasciato in queste pagine.
Ho voluto terminare con il nostro buon hobbit, così come
egli aveva
iniziato le prime righe del primo capitolo: una sorta di cerchio
chiuso, insomma ^^.
La
ninnanna cantata da Karin e Thorin è questa:
http://www.youtube.com/watch?v=1fLnVYQQQek
So
che non è il massimo in fatto di qualità, ma la
desideravo senza
musica di sottofondo :/
Ringrazio
le carissime e specialissime Lady_Daffodil,
Neryssa, Yavannah, pamagra, J_ackie, vanessa90, MrsBlack,
Krystal91, innamoratahobbit, LilyOok_,
LadyDenebola, Lady of the sea. VI
VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!
Un
sentito e non
meno importante GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle
preferite
– seguite – ricordate, a chi legge soltanto e a
coloro che mi
hanno inserita nella lista “autore preferito”, per
non parlare di
chi l'ha proposta per le “Storie Scelte”: Lady_Daffodil,
Yavannah e vanessa90 ç_____ç!
Siete meravigliosi, non si
discute! Ciascuno di voi!!!
Alla
prossima (fa un certo effetto scriverlo per l'ultima volta)
Vostra,
Anna
<3
P.S.
Non posso NON ringraziare dal più profondo del cuore Krystal91
per aver
realizzato questa
bellissima Karin *____*: se fosse un cartone o un fumetto, QUESTO
sarebbe il suo aspetto! Perciò, grazie mille carissima
<3 <3!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Epilogo ***
EPILOGO
Mio
caro Bilbo
Spero
che questa lettera possa arrivarti in tempo: mi dispiacerebbe
alquanto augurarti un buon compleanno con qualche giorno di ritardo
ma Gandalf – fermatosi da queste parti per un periodo
piuttosto
breve – mi ha assicurato che te l'avrebbe consegnata di
persona,
dato che sta viaggiando proprio verso la Contea.
Ah,
non posso credere che festeggerai ben centoundici anni! Non sai
quanto vorrei poter bussare alla tua porta verde ed abbracciarti! Ne
è passato di tempo da quando ho varcato la tua soglia, non
è vero?
Ben sessanta anni, se non erro. E quante novità, quanti
fatti sono
accaduti in questo lasso di tempo, a cominciare da una notizia
importante ma piena di sofferenza: ti scrissi che Balin fu proclamato
Signore di Moria, e lì vi risiedeva insieme a Oin, Ori e
altri con
l'intento di ristabilire l'antico regno e trovare l'anello posseduto
da Thrain. Sai che nutrivo grandi speranze nella sua scoperta, certa
che non avrebbe intaccato in alcun modo l'animo del vecchio nano:
ricordi anche tu come niente e nessuno avrebbe potuto corromperlo, o
spezzarlo. Era la vera colonna portante del gruppo durante la
Riconquista: era a lui che Thorin confidava ogni suo dubbio, e in lui
cercava consiglio e conforto quando la speranza sembrava
così
inafferrabile e lontana. Ma anche noialtri lo rispettavamo e tenevamo
in gran conto la sua opinione. Per me era un padre, il
vero padre
che avrei voluto al mio fianco per sempre; mi vide crescere e,
impotente, assistette alla partenza che mi allontanò dalla
persona
amata, e dalla sua figura sempre presente. Ho saputo che venne a
trovarti con lo stregone, cogliendoti di sorpresa e raccontandoti
molti aneddoti sulla nostra vita qui, a Erebor. Perciò, per
me
risulta ancora più difficile doverti confessare
ciò che accadde. È
con mio immenso dolore che riporto queste terribili notizie: Balin
è
morto, Bilbo. Ucciso da un Goblin arciere nella Valle dei Rivi
Tenebrosi, preda di un'imboscata. Ori, sopravvissuto miracolosamente
insieme ad alcuni nani, ci inviò quasi subito una lettera
raccontandoci l'accaduto. Non ricordavo di riuscire a possedere un
tale dolore nel cuore, una sofferenza così profonda da non
lasciarmi
tregua. Pareva che la vita si fosse fermata a quelle righe vergate
col sangue,
impregnate
dall'impotenza e dalla rabbia, oltre che dalla tristezza. Un vuoto
così
nero,
e
denso
da
non lasciarti via di scampo. Era mio padre,
capisci?
Avrebbe dovuto morire sul suo letto accomiatandosi dalla vita con
serenità, accogliendo la Morte come una vecchia amica; con
la figlia
desolata al suo capezzale pronta ad alleviargli gli spasmi con delle
pezzuole umide di acqua e lacrime salate; con l'altro suo figlio
distrutto dal dolore, ma che avrebbe conservato una forza inaspettata
solo per confortare la sua amata per poi liberarsi una volta solo, o
insieme a lei, perché essi sono un tutt'uno e sanno quando
l'altro
soffre.
Sarebbe
dovuta finire così. Invece, altri erano i progetti dei
Valar, dei
quali non ero affatto d'accordo.
Confesso
che ci è voluto del tempo per ricominciare, sia per me che
per
Thorin, poiché fu lui a chiedergli d'andare a Moria: il
senso di
colpa lo tenne sveglio a lungo, e a nulla valsero i tentativi degli
altri compagni di rassicurarlo. Così, dovetti seppellire il
dolore
all'interno del cuore sanguinante e ferito, cercando di ricomporne i
pezzi e di mostrarmi forte solo per lui. A poco a poco si riprese,
tornò a sorridere come un tempo facendomi traboccare l'anima
di
gioia; e mi ringraziò, scusandosi perché non
aveva saputo aiutarmi
né consolarmi come meritavo: d'altronde, gli ero
più legata. Ma lo
rimproverai, dicendogli che fu lui a trascorrere ogni giorno con
Balin, non io: l'esilio ci divise per molti anni finché
Gandalf non
mi rese partecipe dell'impresa. Penso non esisteranno mai sufficienti
parole in ringraziamento.
Ad
essere sincera, non posso accollarmi l'intero merito della buona
ripresa di mio marito: a questo pensarono anche i nostri figli.
Ah,
Bilbo, i miei ragazzi! La mia gioia e il mio tormento più
grande,
come ben sai: a proposito, perdonami per non aver menzionato il tuo
giovane nipote. So perfettamente che Frodo compie gli anni il tuo
stesso giorno, perciò ti chiedo di salutarlo e baciarlo da
parte
mia; mi sarebbe piaciuto conoscerlo e rivederti, e non è da
escludere possa accadere, un giorno! Ormai i figli sono abbastanza
grandi e autosufficienti da potersela cavare egregiamente da soli,
anche se sarebbero costantemente seguiti da Dìs, Fili, Kili,
Dwalin
e gli altri. Forse, ripensandoci, sentirebbero anche troppo poco la
mia mancanza!
A
volte li osservo, e mi domando quando
sono cresciuti: Throrein ormai è un nano fatto, affianca
Thorin
nelle varie incombenze del regno e, spesso e volentieri, esterna il
suo giudizioso parere come fosse uno dei consiglieri più
fidati
venendo ascoltato; suo padre è molto fiero di lui, e ne
sarà il
degno erede una volta salito al trono. Il suo temperamento è
mutato
nel tempo, ed ora la calma che lo contraddistingue si alterna
raramente al suo animo ancora giovane rendendolo preda di impulsi
infuocati come quelli di Thorin alla sua età; o come i miei,
che
ancora fatico a dominare.
Mi
stupisco sempre della nostra somiglianza, non posso farne a meno: ha
ereditato la mia fisionomia, più marcata in quanto uomo.
Anche i
suoi tratti mi rispecchiano, e ne sono affascinata oltre che lieta,
dato che pare quasi d'osservarsi allo specchio! Per quanto ami
profondamente mio figlio, d'altronde, sono felice non abbia
completamente il mio carattere: posso ancora considerarlo unicamente
mio.
Laena
sta diventando una splendida giovane donna e, presto, Thorin
sarà
costretto a fare i conti con i numerosi pretendenti che busseranno
alla porta, anche se saranno ben timorosi del loro sovrano. Ha i
tratti nobili e severi dei Durin uniti ad una forte
espressività
degli occhi azzurri che la rendono adorabile e meno fredda di quel
che può apparire. Possiede un temperamento leggermente
altezzoso e
più impetuoso rispetto al fratello, ma ciò
è certamente dovuto
all'età: lei e Throrein hanno dodici anni di differenza,
eppure si
sostengono a vicenda e si vogliono bene; certo, i litigi non sono mai
mancati – specialmente con me, dato che Thorin tende a
parteggiare
spesso e volentieri per la figlia minore - ma erano semplici beghe
tra fratelli simili a quelle che caratterizzavano Balin e Dwalin
molto tempo fa.
Come
puoi ben immaginare, la morte del fratello maggiore l'ha segnato
profondamente: diretto a Moria con un manipolo di nani per
riprendersi la miniera ed esigere vendetta, non poté nulla
contro la
spietata crudeltà del nemico nettamente superiore alla
nostra.
Perciò, con infinito dolore tornò indietro
cercando conforto
dapprima nelle taverne e poi, grazie ai Valar, in Dìs. Oh,
non si
sono promessi niente, beninteso: solo, l'amicizia di un tempo si
è
fortificata e si manterrà nel tempo.
Con
lei i rapporti sono migliorati, lo confesso: mi è stata
accanto –
seppur seccamente - durante la prima gravidanza e, col tempo, abbiamo
instaurato una sorta di convivenza pacifica: ci parliamo con cortesia
evitando ulteriori e inutili litigi, e a entrambe va bene. Dopo
sessanta anni, ci riteniamo soddisfatte d'essere ancora in vita e
d'abitare sotto lo stesso tetto, anche se ci sono stati svariati
episodi in cui una cercava di prevalere sull'altra: specialmente per
quanto concerneva l'educazione dei miei figli o l'accettazione di
Airi come nuora.
Ebbene
sì, Kili è felicemente sposato con la giovane e
amabile nana dei
Colli Ferrosi, ma ha dovuto lottare accanitamente contro la sua
stessa madre per i motivi di cui eri a conoscenza; il loro
fidanzamento è durato a lungo poiché
Dìs sperava in un
impedimento, o che l'amore venisse sopito. Con mia somma gioia, al
contrario, esso si è solidificato portandoli a scambiarsi i
fermagli
davanti a Mahal e all'intera Erebor in una tiepida giornata
primaverile; poi, quasi per beffa del destino, è giunto
anche troppo
rapidamente l'arrivo del loro primo bambino, e dei successivi: erano
così buffi, tutti e quattro! Avevano faccette rotondette e
simpatiche, e grandi occhi vispi simili a quelli paterni. Si
cacciarono nei guai in più di un'occasione, e ancora oggi
puoi
ritrovarli in un qualche angolo buio a confabulare sottovoce riguardo
un piano per noi assurdo ma per loro molto serio.
Ogni tanto ricordo con un sorriso la faccia spaventata ed emozionata
di mio nipote alla
notizia di star per diventare padre e le espressioni stanche eppure
gioiose, oltre che esasperate, una volta nati e cresciuti! Bofur,
Fili e io l'abbiamo canzonato a lungo e tuttora lo rimembriamo
indispettendolo.
Era
praticamente certa la loro unione, questo non puoi negarlo, e sono
altrettanto sicura che non ti saresti mai aspettato il matrimonio di
Fili: seppur breve, è stato capace di renderlo infinitamente
felice,
e di riempire il cuore di chi gli era accanto. Purtroppo,
però, la
vita degli umani è molto più breve della nostra.
E Aule solo sa
quanto la morte di Alhena l'abbia distrutto. Quanto mi
abbia distrutta.
L'avevo vista crescere ed innamorarsi di Fili combattendo contro i
pregiudizi e le perplessità di entrambe le razze, ma con
coraggio e
testardaggine non vacillò mai coronando il suo sogno. Ebbe
il tempo
di donargli una splendida bambina e riuscire a crescerla per alcuni
anni prima che una febbre contratta in un viaggio a Dale la
strappasse alla vita e ai suoi cari.
Rammento
ancora i suoi occhi chiari sgranati e tondi durante il primo ingresso
a Erebor, ancora bambina; sembrava così piccola e indifesa
che
desiderai tenerla al sicuro sotto la mia ala protettiva: e
così
feci, fino alla fine. Persino dopo svariati anni ero suo modello e
guida, me lo ripeteva spesso.
La
piccola di Alhena e Fili si chiama Karin.
Al
momento sta dimostrando di possedere ben più della
metà di sangue
nanico nelle vene, e mi auguro sarà così anche
negli anni a venire,
poiché l'amore nei suoi confronti è il medesimo
che provo per i
miei figli; ma non si può mai sapere ciò che il
Fato ritiene
d'avere in serbo per noi, mentre gioca con i fili delle nostre
sottili vite. Possiamo solo procedere lungo i giorni, i mesi, gli
anni, andando a coricarci timorosi dopo aver salutato i nostri cari e
tirando numerosi sospiri di sollievo la mattina dopo, rendendoci
conto d'essere ancora vivi.
Perdona
queste divagazioni, amico mio: sono vecchia. Non sono la stessa nana
di una volta.
Siamo
cambiati tutti, chi prima e chi dopo. Il tempo, le grandi gioie e
dolori, le preoccupazioni varie, non hanno risparmiato nessuno:
sciocco colui che credeva il contrario!
Anche
tu sarai diverso, immagino, sia d'aspetto che d'animo. Bé,
non sono
proprio sicura del primo punto: Balin ci raccontò che non
eri
invecchiato d'un giorno, e ciò mi stupì! Se
così fosse stato – e
fosse tuttora – è comunque innegabile il mutamento
provato nel
cuore: anche tu desideri chiudere gli occhi e viaggiare lontano
quando tutto il resto sembra così opprimente e buio da
sconfortarti?
O saresti così coraggioso da raccattare pochi oggetti
affettivi
caricandoteli in spalla e partire senza voltarti indietro? Saresti
disposto a lasciare i tuoi amici, la tua casa e Frodo
al
suo destino? O, come me, ti imporresti di alzare le palpebre e
tornare alla vita scelta tempo addietro?
Ah,
come noti mi sto crogiolando in strambi pensieri. Eppure non sembrano
così fuori dall'ordinario quando percepisci la stanchezza
della
vecchiaia – non solo fisica, ma anche mentale.
I
pensieri allegri sembrano essere spariti al di sotto di queste brutte
notizie; e, a queste, se ne aggiunge un altro non estraneo: vorrei
rivederti, Bilbo.
Non
avrei mai immaginato di provare una tale nostalgia dei mesi trascorsi
a vagare lungo le Terre Selvagge in tua compagnia, eppure è
così:
mi mancano i tuoi consigli, la tua testardaggine unita a
quell'adorabile timidezza quando volevi pormi domande difficili alle
quali inizialmente non avrei risposto; mi mancano i tuoi abbracci,
capaci di sgretolare le solide mura costruite per non voler soffrire;
mi mancano le tue risate spensierate e nervose, e i tuoi occhi sempre
vigili e attenti che riuscivano a cogliere molto più di
quanto tu
stesso avresti pensato; mi manca il suono della tua voce, e le mille
inflessioni che ottenevi quando raccontavi qualche storia; mi manca
la tua ferrea determinazione che tante volte è riuscita ad
infondermi coraggio, o a farmi arrabbiare e maledirti.
Mi
manchi, Bilbo. Più di quanto riesca ad esprimere a parole.
Più di
qualsiasi altra persona conosciuta.
Ricordi
questa frase? Spero di sì.
Gli
anni potranno aver sbiadito e dissolto alcuni minimi particolari, ma
non sono riusciti a cancellare i ricordi più importanti,
né tuoi né
di altri. E ne sono immensamente lieta, poiché sono dolce
conforto,
e amara pena.
Rido,
perché tante volte ho rimproverato Thorin ed il suo
rifugiarsi nel
passato; ora, dovrebbe essere lui a redarguirmi. E l'ha fatto, sia
chiaro. Ma, sciocca e indisciplinata come in gioventù, tendo
a non
prestargli attenzione camminando a testa alta lungo la via della
ragione, pentendomene ogni qual volta capisco il mio torto e la sua
saggezza.
Si
deve procedere sempre e comunque, lasciando andare i fantasmi e
coloro che, anche marginalmente, hanno segnato la nostra vita. Sono
sicura vorrebbero così. Siamo noi che, per paura o altro, li
tratteniamo contro la loro volontà.
Oh,
no, non parlo di te, mio carissimo hobbit! Non potrei né vorrei
mai
lasciarti andare
via, lontano da me. È un pensiero inconcepibile. Tu
dimorerai nel
mio cuore insieme alla mia famiglia finché
batterà.
Così
come Thorin mi completa perché è l'uomo che amo e
amerò per
sempre, così tu completi l'altra parte di me
perché sei l'uomo che,
in poco tempo, mi ha capita più degli altri; sei il migliore
amico
che potessi mai desiderare, una persona estremamente eccezionale a
cui auguro il meglio per questo ragguardevole traguardo di vita.
Scusami
se questa lettera, inizialmente pensata gioiosa, sia divenuta
così
malinconica e sconsolata: ma proprio perché sei tu
so
che comprenderai e perdonerai. Chi meglio di te può farlo?
Che
l'augurio più affettuoso di buon compleanno ti sia rinnovato
con
infinito amore, Bilbo Baggins, anche da parte di quel che resta di
quella strampalata e turbolenta Compagnia di Nani che irruppe con
così poca cortesia, e senza prima essere stata invitata dal
padrone
di casa! Voglio rallegrarti nel farti sapere che stanno tutti bene, e
che riceverai dei piccoli regali. Doveva trattarsi di una sorpresa,
ma non ho resistito poiché sono molto curati e pensati con
amore e
grande amicizia a ricordo di quella passata.
Auguri
sinceri provenienti da coloro che hanno tanto sentito parlare di quel
coraggioso scassinatore proveniente dalla Contea grazie a racconti
confidati al chiarore di un caminetto acceso, o da pagine di un tomo
scritto da un giovane e volenteroso scrivano, curiosamente intitolato
“La Quercia e l'Iris”.
Infine
ti rinnovo i miei, perché altrimenti mi è
impossibile concludere la
lettera.
Auguri
di tutto cuore, Bilbo. Che il mio abbraccio e il mio bacio possano
giungerti attraverso queste parole percorrendo le numerose miglia che
ci separano con ugual calore e sentimento, come se ci trovassimo di
fronte all'altro. Ah, qual bell'incontro, non è vero? Una
volontà
che vorrà concretizzarsi presto: e perché non
assecondarla? Starà
a noi decidere se renderla reale.
Se
la vecchiaia non sopraggiungerà troppo presto, le nostre
membra
potrebbero portarci in un luogo assolato e ridente dove potremmo
ritrovarci e confidarci trovando la medesima armonia di un tempo.
Che
sciocca, sto piangendo! Ecco, oltre a queste pagine piene d'affetto
ti arriveranno anche due lacrime, cadute proprio in questi punti.
Thorin mi ha sentita sospirare e si è avvicinato, notando le
piccole
bolle che hanno rovinato la carta; senza dir nulla mi ha baciato il
capo per poi chiedermi di salutarti nuovamente da parte sua, quindi
nella tua prossima lettera non azzardarti a scrivere che me ne sono
dimenticata, o sarò costretta a bussare sonoramente alla tua
porta
rotonda!
Purtroppo
lo spazio è quasi finito, con mio enorme rammarico devo
affrettarmi
a concludere; però non voglio porre la mia firma, ho paura.
Perché avrà lo stesso significato della parola fine.
Ma
è necessario, prima o poi, non è così?
E allora dovo dimostrarmi
decisa così come mi hai insegnato.
Arrivederci,
mio coraggioso hobbit. Mio piccolo eppure grandissimo amico; sei
stato e sarai la mia luce quando tutto diventerà oscuro e la
speranza sembrerà lontana. Sarai la mia luce quando
vorrò ridere e
rammentare ogni singolo momento.
Ti
ringrazio per tutti i piccoli ma immensi gesti dimostrati: te ne sono
riconoscente. So che non li ho mai ricambiati adeguatamente, e me ne
pento. L'unico modo per redimermi è questa lettera che,
spero,
apprezzerai e conserverai a ricordo di questa amica ingrata che,
tutto sommato, ti ha voluto e ti vuol bene come non mai, come fossi
un fratello.
Abbi
cura di te, e saluta nuovamente Frodo.
Tua,
per sempre
Karin.
FINE
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Non
posso credere
d'averlo scritto. Ho... ho scritto DAVVERO... FINE O.o??? Oh. My.
God!
Sconcerto
a parte, spero vi sia piaciuto ^^: volevo qualcosa di diverso dai
soliti mallopponi di capitoli, quindi ho sfornato questa breve ma
intensa – mi auguro - lettera. Perdonatemi, ma le ultime
battute
dovevano
essere
di Karin. Volevo darle una voce, mi sembrava corretto: e qual modo
migliore se non attraverso una lettera scritta al migliore amico?
Spero d'essere riuscita a esprimere tutto o, almeno, qualcosa ;). Non
nego sia stato molto difficile, per tanti motivi che non
starò qui a
elencare.
È
la prima long che
concludo, e mi sento... strana! Da una parte c'è la
tristezza
infinita perché questo viaggio è finito: non
dovrò più pensare
“oddio, che posso scrivere adesso?”
“Karin, perché litighi con
Thorin? E tu, NANO, perché inveisci contro di lei??? Fate
pace come
si deve, ORA!” “Sarà credibile come
spiegazione o è una
buffonata? Piacerà, non piacerà? Mah,
boh!!!” XD
Dall'altra,
invece,
sento un vago sollievo: insomma, per me è un traguardo
importante,
ventisei capitoli più epilogo (efp dice ventotto) non sono
mica
noccioline!
Però,
la tristezza
più grande è lasciare VOI
ç___ç! Sul serio, come farò? GRAZIE,
GRAZIE DAVVERO! Per ogni cosa, anche la più banale: per ogni
parola
scritta, per ogni sclero passato, per ogni video/canzone mandata, per
ogni consiglio o perplessità che vi ha colte. Per aver
creduto in me
e nella storia, in Karin e negli altri appartenenti al meraviglioso e
stupendo mondo di Tolkien. Grazie per aver pazientato tra un capitolo
e l'altro, per aver sbavato con me in certi punti e dato di matto in
altri (moooolti altri :P); grazie per aver commentato e grazie a chi
non l'ha fatto sostenendomi silenziosamente: siete FANTASTICI, e vi
ADORO, dal primo all'ultimo. Siete sempre stati così tanti
che ho
sempre pensato di non meritarvi ^^.
Vi
abbraccio come
non ho mai fatto con nessuno, perché siete VOI che lo
meritate! E vi
ringrazio ancora, sinceramente <3
Spero
vogliate
seguirmi con la nuova storia che sto progettando! Spero di postare
presto il primo capitolo, ma penso che mi concederò un
attimo di
riposo (si fa per dire, con lo studio -.-...) per raccogliere i cocci
del mio cuore frantumato con la fine di questa e rimetterlo insieme
per la nuova avventura :). perciò, tenete d'occhio la pagina
delle
ff, mi raccomando ;)))
Un
bacione immenso,
ragazze mie (e ragazzi, perché no :) ), ARRIVEDERCI.
Vostra,
troppo
riconoscente
Anna
<3
Ringrazio
per l'ultima volta le carissime e specialissime Carmaux,
Lady_Daffodil,
Neryssa, Yavannah, pamagra, J_ackie,
MrsBlack, Krystal91, innamoratahobbit, LilyOok_, LadyDenebola, Lady
of the sea. VI
VOGLIO
BENE CARE :* :*!!!!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1470957
|