TardIF - E se di Edithed_ (/viewuser.php?uid=129994)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ; ***
Capitolo 2: *** A Doctor from the circus. ***
Capitolo 3: *** - Obsessedland, (1;2) ***
Capitolo 1 *** Prologo ; ***
Uno scricchiolìo.
Andromeda si voltò di scatto, ansiosa, spostando con la mano
quei due o tre ciuffi corvini di capelli che si erano avventurati sul
suo viso a causa del brusco movimento. Rimase allora immobile per
qualche istante, in attesa di un eventuale secondo suono.
Silenzio.
Le pupille dilatate dall'oscurità si mossero rapide da una
parte all'altra dell'occhio, indagando attentamente nel buio.
Silenzio, nuovamente.
Sospirò sollevata, forte di una falsa sicurezza donatagli
dall'assenza di ulteriori scricchiolii sospetti. Quello che poteva
sembrare un gesto eccessivo in risposta ad un rumore più che
banale era dovuto soprattutto all'ambiente cupo e misterioso dal quale
tale suono proveniva, ovvero la vecchia libreria del nonno della
ragazza, Theodore. Ma la sua non era una visita di cortesia,
considerando poi che il parente era deceduto ormai da tempo... e che
comunque lei non sarebbe andata a trovarlo neppure da vivo. L'unico
motivo per cui si trovava in quel luogo dimenticato dal tempo era
perché finalmente aveva raggiunto la maggiore
età, e poteva finalmente coronare il suo sogno di vivere in
una casa propria, lontana dalla famiglia, libera di avere i suoi spazi
e le sue distanze dal mondo.
La candida mano della ragazza reggeva tremolante una torcia nera opaca,
quasi scarica, la quale generava una flebile scia luccicante, che
andava ad irraggiare cataste di libri abbandonati da anni
nell'apparente libreria. Le suole di gomma di un vecchio paio di scarpe
da ginnastica aderivano perfettamente al parquet, che ogni tanto
cigolava per via dell'umidità che si disperdeva nell'aria.
Con curiosità si avvicinò ad un tavolino su cui
erano posati diversi libri, ricoperti da uno spesso strato di polvere,
a prova del lungo esilio subito in silenzio dai protagonisti dei vari
volumi.
La ragazza si chinò e raccolse uno dei tomi più
piccoli, soffiandovi sopra per poterne vedere almeno la copertina, la
quale riportava a grandi lettere una scritta giallognola su sfondo
verde neutro: "L'arte
della scienza".
Aggrottando le ciglia, un ghigno infastidito sfuggì dalle
labbra sottili di lei, che rieccheggiò flebile nella stanza
buia.
-"Ahhh, nonno. Eri proprio pazzo, eh? Ossessionato da tutte queste
cose..."- Puntò la torcia con enfasi verso il soffitto,
ridacchiando divertita - "La scienza!"-
Lasciò ricadere il libro in modo disordinato fra gli altri
fratelli sul tavolo, facendone scivolare un paio dalla loro posizione
originale, e allontanò le braccia dal corpo, volgendo i
palmi verso l'alto e riprendendo a parlare da sola, con non molto
coinvolgimento -"La conoscenza di tutto ciò che ci
circonda."-
Tornò nuovamente ad illuminare la zona circostante, un
sorrisetto torvo stampato in viso a testimoniare il suo svagarsi senza
troppi pensieri. Si avvicinò ad una scrivania poco distante
dal tavolo, sulla quale erano posti ulteriori libri, cartelle, penne e
diverse candele, il tutto ricoperto dal solito strato grigio di
polvere. Prese con indifferenza un altro libro fra le mani, continuando
a schernire il defunto nonno, piuttosto divertita. Non provava per lui
particolare odio o astio, semplicemente non lo sopportava, come non
sopportava ogni persona che tentava d'invadere il suo spazio
personale... E quello spazio era piuttosto larghetto.
-"Tuttavia questo non è bastato a non farti crepare."
Buttò l'oggetto nuovamente sulla scrivania, con la stessa
indifferenza con la quale l'aveva raccolto, provocando un tonfo deciso
ma non eccessivamente rumoroso, sollevando comunque una discreta
quantità di polvere dal mobile, avvolgendo in uno strato
stile nebbia il piccolo e tenero panda raffigurato sulla felpa bianca e
nera che indossava.
Al tonfo seguì un secondo scricchiolio, ma la ragazza lo
ignorò, presa ad osservare il nuovo bersaglio puntato dalla
sua torcia: Un armadio o forse un ripostiglio, bianco avorio, consumato
dalle tarme e dagli anni. Ma più interessante era il
lucchetto arrugginito color oro che teneva serrata l'anta, guardiano di
chissà quale segreto nascondesse al suo interno. Ma il
lucchetto era interessante perché forse la ragazza ne aveva
la chiave.
La mente di lei tornò indietro con gli anni, senza pensarci
più di tanto, ricordando quando il nonno le mandò
per posta quel girocollo dall'aspetto antico, sullo steam punk, formato
da un collarino di tela azzurro, al cui centro era posizionato un
quadrante color oro senza lancette, con ai lati due ali dello stesso
colore... E appesa poco più sotto la famosa quanto
misteriosa chiave. L'unicità e la bizzarria del regalo
ancora la lasciavano perplessa, ma aveva imparato ad accettare i regali
senza farsi troppi perché.
Estrasse quindi dalla tasca la chiave, ora separata dal vistoso
accessorio, e la passò fra le mani un paio di volte,
esitante. Non aveva idea di cosa la chiave potesse aprire,
né di cosa potesse nascondersi dall'altra parte della
serratura. Per quanto ne sapeva poteva portare ad un qualche tesoro
d'inestimabile valore. Non era mai stata una ragazza eccessivamente
avida, non cercava più di quanto non le fosse necessario per
sopravvivere... Ma l'idea di un quantitativo non indifferente di denaro
non le faceva certo così schifo.
Scosse la testa, ridacchiando infastidita pensando a quanto fosse
sciocca a fantasticare su tesori e favole improbabili.
Prese successivamente con la mancina l'arrugginito lucchetto e, decisa
a svelare ogni mistero a riguardo il prima possibile,
avvicinò la chiave alla serratura.
La infilò... O almeno tentò di farlo, con un
leggero nervosismo che cresceva man mano la verità si faceva
strada nella sua mente: Non era la giusta chiave per aprire il
lucchetto. E tutto questo la infastidiva decisamente tanto, soprattutto
perché ora oltre ad una chiave che non sapeva cosa aprisse
aveva anche un lucchetto di cui non aveva idea di come sbloccare.
Rimise la chiave nella tasca, ora conscia che stava solo sprecando il
suo tempo in uno dei soliti giochetti idioti di suo nonno, che anche da
defunto oramai da tempo sembrava volersi divertire con i suoi contorti
enigmi. Ma non era a conoscenza del fatto che la nipote avesse un modo
tutto suo di risolvere quei dannati quesiti che la perseguitavano
ovunque in quella casa. E applicando con fierezza tale metodo Andromeda
serrò fra le dita il lucchetto, strattonandolo seccata con
forza, provocando un sonoro 'crack' di vittoria. Un pezzo di legno
seguì il triste destino del lucchetto, staccandosi dalla
porta dell'armadietto, facendo così finire la ragazza a
terra, sbigottita.
-"Ahn."
La torcia rotolò lontana sotto un tavolo, fra le ragnatele
abbandonate persino dai ragni che in passato le abitavano. Ma la
ragazza ridacchiò soddisfatta, volgendo lo sguardo
all'armadietto oramai socchiuso e inerme.
Si alzò dolorante da terra, facendo peso sulle ginocchia,
avvicinandosi una volta in piedi alla porta biancastra, lentamente e
incuriosita. Con una delicatezza ben diversa da quella utilizzata prima
prese l'estremità della porta socchiusa con le dita,
avvicinandola a sé, mentre un cigolio triste
rimbalzò nella stanza, come se l'armadietto si stesse
lamentando con la ragazza che impudemente lo stava violando.
Spalancò gli occhi, incredula. Rimase per qualche istante a
fissare il contenuto dell'armadio, dandosi un piccolo pizzicotto sulla
mano giusto per controllare se fosse ancora nel mondo reale e non in
quello dei sogni. Ma il leggero dolore provocatosi confermava il
trattarsi di una incredibile, assurda realtà.
-"Nonno.." - Deglutì, basita. - "Sapevo che eri pazzo.. Ma
costruire un Robot. Oh. No." - Sogghignò soddisfatta,
portandosi le mani ai fianchi.
Cominciava ad essere interessante. Cominciava ad essere tutto
così fottutamente interessante.
Deglutì un'ultima volta e, esitando, si chiese se fosse
giusto toccarlo, aprirlo e aggeggiargi senza ritegno, come un bambino
con il suo primo giocattolo, ansioso di scoprire come funziona, di
vederlo fatto a pezzi smembrandone ogni parte. Ed erano queste
praticamente le sue prime ed uniche intenzioni a riguardo.
Voleva prenderlo, toccarlo, aprirlo, vedere come e se funzionava.
Voleva trovare i progetti. Voleva saperne di più, anzi...
Voleva saperne tutto.
-"Sei.. una meraviglia."
Si portò la mano destra sul viso, sfiorandosi le labbra,
sbigottita.
-"Sei proprio una meraviglia."
Assomigliava ad uno di quei robot che popolavano le vecchie serie tv
fantascientifiche, solo che questo era poco fanta ma parecchio
scientifico, questo glielo si poteva concedere. Aveva un corpo
metallico a pera color rame, con diverse appendici meccaniche: una che
pareva un cannochiale sul fronte di quella che doveva essere la sua
testa, due cosi simili a cornina sempre sulla suddetta testa, per poi
proseguire con un arnese che decisamente si doveva trattare di uno
sturalavandini, appaiato con un frustino da cucina a formare le braccia
della cosa. Infine, sulla parte bassa del robot, quella a forma di
fronte di nave, erano disposti in file verticali ordinate dei bozzi
sempre color ottone, come per completare l'accozzaglia di
assurdità che rappresentavano quello strano quanto
inquietante robot.
Avvicinò esitante la mancina al robot, ritraendola diverse
volte, ancora non decisa a toccarlo, forse spaventata. Serrò
le labbra, la sua mano tentò ancora di avvicinarsi
all'oggetto dei desideri della ragazza, solo per essere ritratta
nuovamente in un misto fra rassegnazione e timore. Restò
dunque a fissarlo immobile, per una manciata di secondi.
Aggrottò poi le ciglia, finalmente decisa a darsi una mossa
concludendo che nulla sarebbe potuto andare storto, era solo un folle
sogno fatto di ferraglia e dalla forma improponibile.
Poggiò il palmo su di lui, tastandone la consistenza,
trattenendo il fiato ancora non completamente convinta della sua
decisione. E, come se il robot volesse farla pentire a riguardo, Un
flebile bagliore provenì da sotto la sua mano, facendola
sussultare prima di essere riportata al sicuro il più vicino
possibile al suo corpo. Dal robot provenì uno sfrigolio,
come di carna lasciata cuocere nell'olio in padella, cosa che fece
chiedere alla ragazza se quel coso non fosse in realtà solo
una grossa ed appariscente friggitrice.
Ma le friggitrici, per quanto appariscenti ed ingombranti possano
essere, non mantengono l'impronta di una mano vivida sulla loro
superfice, facendola brillare quasi fosse cosparsa di lucciole di
campagna.
E le friggitrici non hanno lunghe unità oculari mobili sulla
parte superiore del corpo. O almeno, non ancora. Ma di questo si
parlerà in luoghi e tempi più adatti.
L'"occhio" della cosa si accese lentamente, avvampando in una fredda
tonalità di azzurro.
La ragazza indietreggiò di un passo, sconvolta. Si chiese se
quello non potesse essere semplicemente uno scherzo di cattivo gusto
preparato da suo nonno, o se era il momento di cominciare a pentirsi
delle proprie azioni. Ma decise che era ancora presto per giungere a
conclusioni, limitandosi a trovare un riparo sicuro dietro la scrivania
dove poter osservare il susseguirsi degli eventi.
L'automa cominciò poi a muovere gli apparenti arti
superiori, emettendo diversi rumori metallici scomposti. Suoni che ti
aspetteresti di sentire da una macchina, dai vari "vwwww" ai
più classici "bzzz".
Con la protuberanza oculare ocalizzò infine il volto
sconvolto della ragazza, zommando su di lei.
Una voce metallica, fredda e gracchiante eccheggiò dentro di
lui.
-"Restauro."
Lei indietreggiò ancora, finendo a sbattere contro una pila
di libri, facendoli cadere per terra in modo scomposto.
E ancora, quella voce.
-"Restaaauro. Restaaaaaaaaaaauro."
La ragazza aggrottò le sopracciglia e, non sapendo cosa
aspettarsi, si morse semplicemente il labbro inferiore come faceva
sempre nei momenti in cui lo stress si faceva insostenibile,
prendendosi poi il polso della mancina con la mano destra, serrando la
presa con decisione. Un po' come quando ci si tiene saldi a qualcosa
prima di infliggersi del dolore incredibilmente assurdo. Nel di lei
caso, come stringeva la presa della vasca del bagno prima di tirare con
forza la striscia della ceretta. Ma in quel momento forse era
più per sfogare parte dello stress attraverso la morsa delle
dita attorno al sottile polso che, innocente, subiva passivo il suo
destino da antistress.
-"Restaaaaaaaaaaaaaaaaaauro."
La ragazza si lasciò sfuggire una smorfia infastidita,
seccata e, rivolgendosi al robot, si guardò intorno,
cercando una via d'uscita dalla stanza.
-"Chi sei?"
-"Restaaaaaaaaaauro."
La voce del robot si fece più forte, più
metallica di quanto già non fosse. Il chè
portò il tutto ad essere più sgradevole che
pauroso.
-"Chi sei?!"
-"RESTAAAAAURO."
-"Dimmi subito chi sei, o ti disattivo!"
La ragazza puntò l'indice destro verso il robot, urlando. Il
polso della mano opposta ringraziò in silenzio di esser
stato liberato.
La voce acuta dell'umana rieccheggiò insieme ai movimenti
metallici della cosa nella stanza, arrivando fino al piano superiore.
Finalmente, silenzio.
Il robot zoomò ancora su di lei, analizzandone
apparentemente i dati.
Cominciò poi a parlare, scandendo una ad una le parole con
quella sua voce stridula, non avendo apparentemente altro modo per
comunicare.
-"I. Dati. Analizzati. Riferiscono. Che. Tu. Non. Hai. La. Conoscenza.
Per. Disattivarmi."
La ragazza si portò la mancina sul fianco, stizzita.
-"Ah sì, eh?"
Si guardò poi impaurita intorno, cercando di mantenere la
calma, in cerca di un'oggetto qualsiasi da scagliare contro al robot.
Dalla paura avrebbe scagliato contro persino suo nonno, maledetto il
giorno in cui si dette apparentemente alla robotica.
-"Sììì."
La risposta pungente della cosa la seccava intensamente.
-"Analizzami meglio, brutto ammasso di ferraglia."
Abbassò lo sguardo verso la scrivania dietro la quale era
riparata, buttando a terra tutti gli oggetti ancora posti su di essa e,
afferrandola, tentò di sollevarla, senza successo.
Si voltò nuovamente verso il robot, terrorizzata.
-"Non. Serve. Analizzarti. Nuovamente." - Il robot mosse lentamente il
lungo tubo a cui era attaccato l'occhio azzurro - "I. Dati.
Riferiscono. Che. Sei. Una. Creatura. Debole."
Respirando affannosamente, lei si chiese se era arrivato il caso di
buttare a terra il suo orgoglio da dura, sputarci sopra senza ritegno e
scappare a gambe levate.
E la sua coscienza la stava implorando di farlo, di fuggire.
Ma sapeva benissimo che non l'avrebbe mai fatto, e per questo in parte
si odiava. Il suo orgoglio sarebbe stata la sua morte.
-"Debole? Io?" - Sghignazzò - "Tutti quegli anni rinchiuso
qui ti hanno dato al cervello. Sempre che tu ne abbia uno."
Nuovamente, lo sguardò si posò sulla scrivania.
Si fermò un attimo a scrutarla, per vedere se poteva trarne
profitto.
Sul suo volto si formò allora un sorrisetto divertito.
Salì velocemente su di essa e senza pensarci due volte
saltò con forza, atterrando il più pesantemente
possibile, colpendo con forza il centro della scrivania.
Questa si ruppe in due, metà del lavoro effettuato nel tempo
dalle tarme, e alla ragazza non restò che cadere a terra fra
le scheggie e vari pezzi di legno.
-"Bene!" - Facendosi forza sulle ginocchia, si sollevò
faticosamente, non ancora del tutto ripresa dalla caduta, staccando una
gamba della scrivania - "Scannerizzami adesso, robottino."
Scagliò poi l'agognato trofeo di rovere contro il robot,
decisa a fare di tutto per uscirne a testa alta.
Ci fu un rumore, uno di quelli che ti capita di sentire dalle pistole
laser dei vecchi film di fantascienza. Al rumore seguì poi
una scintilla, e anch'essa poteva benissimo essere uscita da qualche
produzione cinematografica dei tempi che furono.
Dopodiché, solo cenere.
Andromeda spalancò gli occhi, sconvolta.
Il "robottino" aveva appena incenerito il pezzo di legno, sparando
dall'arto a forma di frustino da cucina una specie di luce violacea.
-"B-beh.." - La ragazza portò entrambe le mani al petto,
tremante - "Forse è meglio se non lo fai."
Il robot cominciò ad avanzare lentamente verso di lei,
impassibile.
-"N-no, fermo, che fai!" - Lei portò le mani avanti, come
per chiedere di fermarsi - "F-fermati, dove vai?"
Il robot si fermò per un'istante, osservandola.
-"Non. Sto. Andando. Via. Sto. Per. Sterminarti."
La ragazza fece tre passi indietro, sgomenta.
-"Ah, beh, mi sembra ovvio. Ma dimmi, robottino" - Cercò di
giustificarsi, annaspando fra le sue stesse parole - "Perché
vuoi sterminarmi? Hai un motivo preciso? Cosa ti ho fatto?"
Cercando di prendere tempo, la ragazza voltò la testa verso
destra, dove riconobbe la porta da cui era entrata.
-"I. Dalek. Non. Hanno. Bisogno. Di. Motivi. Per. Sterminare."
Lei voltò nuovamente la testa verso il robot, che si
avvicinava vertiginosamente.
-"O-oh, quindi ti chiami Dalek?" - Disse, indietreggiando ancora.
-"Errato. Il. Mio. Nome. E'. Dalek. Caan."
-"D-Dalek Caan! E' un nome carinissimo, complimenti."
La ragazza continuò a mentire spudoratamente, addolcendo il
tono della voce senza però riuscire a nasconderne il
tremolio.
-"I. Dalek. Non. Hanno. Il. Concetto. Di. Bellezza."
-".. Si vede."
-"STERMINARE."
Continuò ancora ad indietreggiare, aumentando
però la velocità, mentre cercava senza successo
di giustificarsi col robot. Apparentemente nessuno lo aveva informato
riguardo il lungo monologo che bisogna tenere prima di uccidere senza
pietà la propria vittima. Sempre nel caso che questa non si
sia suicidata prima a causa del suddetto monologo.
-"Aspetta, aspetta, aspetta! Prima di morire c'è un'ultimo
desiderio che vorrei e-esprimere.."
-"STERMINARE."
-"Vedo che non te ne importa! Sei proprio senza cuore!"
-"I. Dalek. Non. Hanno. Cose. Come. Il. Cuore. STERMINARE."
-"Siamo in due, allora."
La ragazza si buttò a terra, riuscendo per un pelo ad
evitare la violastra luce inceneritoria lanciata dal Dalek un secondo
prima, sgattaiolando via approfittando dell'oscurità per
mimetizzarsi.
-"STERMINARE. STERMINARE. STERMINAREE!"
Il Dalek la seguiva minaccioso, con la sua calma da Dalek,
emettendò i soliti cigolii metallici. Se c'era una cosa che
i Dalek sapevano fare bene era sterminare, e sapendo di essere i
migliori a riguardo non si prendevano mai più fretta del
dovuto. Si godevano la gioia del momento. Anche se in realtà
non potevano provare nè gioia nè tantomeno
godimento. Ma a loro bastava sterminare, ed erano felici
così. Nessuno si era mai lamentato a riguardo, nessuno
"vivo", e loro certo non si facevano troppi problemi. In
realtà qualcuno di vivo c'era, ma questa è tutta
un'altra storia.
Oh, e se non si era ancora notato, la seconda cosa che adoravano di
più dopo sterminare era l'urlarlo a squarciagola con le loro
irritanti vocine metalliche.
Anche se in realtà ai Dalek sfuggeva pure il concetto di
"adorazione".
-"STERMINAAARE!"
Strisciando sotto i numerosi tavolini, fra la polvere e le ragnatele,
la ragazza borbottava, seccata.
-"Dio, lo faccio saltare in aria."
-"STERMINAAAAAAAAARE!"
-"VUOI STARE ZITTO?!"
-"STERMINAAAAAAAAAAAAAAAAARE!"
-"Cristo."
La ragazza si alzò poi di scatto, sbilanciandosi in avanti,
correndo verso la porta che dava sull'uscita, lasciandosi dietro una
scia violacea che inceneriva ogni oggetto che sfiorava. Nello scappare
si dovette trattenere dal lanciare oggetti di varia natura verso
l'obbrobrio metallico, giusto per cercare di zittirlo.
-"STERMINAAAAAAAAAARE!"
Arrivò dunque alla porta, e fortuna volle che fosse chiusa.
Si affrettò quindi a cercare La chiave, non fosse mai che un
piccolo e insulso oggetto di ferro dovesse segnare il suo destino.
Tasche degli shorts.
Niente.
Girocollo.
Niente.
Si tastò il petto e i fianchi, disperata.
Niente di niente.
-"STERMINAAAARE!"
Il robot era oramai a pochi passi da lei.
Sospirò, sfinita.
Il cuore che pulsava, i respiri affannosi, l'adrenalina che le
percorreva il corpo.
Si voltò dunque verso il Dalek, sorridendo seccata,
sconfitta, pronta alla fine.
-"STERMINAAAAAARE!"
Si portò il ciuffo nero che le ricadeva sulla fronte intrisa
di sudore freddo all'indietro, sbilanciandosi in avanti.
-"Falla finita."
-"STERMINAAARE!"
-"Se vuoi uccidermi, fallo e basta."
-"STERMINAAAAARE!"
-"Cristo, devi essere così noioso anche quando mi uccidi?!
UCCIDIMI E BASTA!"
L'urlo della ragazza rieccheggiò nuovamente nella stanza,
facendo bloccare il robot a pochi passi da lei, che si zittì.
-"Bene. Procedi pure."
Sbattè quindi la testa sulla porta, buttando fuori l'aria
dai polmoni, serrando gli occhi, pronta alla fine.
C'erano tante cose che avrebbe voluto fare.
Le sarebbe piaciuto viaggiare, vedere il mondo.
Le sarebbe piaciuto scoprire chi avesse ucciso i suoi genitori, fare il
culo a quei bastardi - Così diceva.
Ma non c'era più niente da fare. Sarebbe stata incenerita da
uno stupido robot inventato da quel folle di suo nonno, da sola, al
buio, spaventata.
Si abbandonò all'idea della morte, al silenzio, al buio.
Non doveva essere poi così male.
Avrebbe ritrovato i vecchi amici, i genitori.. e avrebbe sgridato suo
nonno, per averla fatta morire in quel modo insulso.
E la lapide sarebbe stata la parte migliore di tutte: "Qui giace Andromeda, incenerita
da una friggitrice incazzata". Sì, non sarebbe
stato male dopotutto. Ma qualcuno non era d'accordo con tutto
ciò. E si dia il caso che quel qualcuno fosse l'uomo
menzionato poco prima. L'unico uomo che non va nominato di fronte ad un
Dalek, a meno che non lo si voglia fare arrabbiare. Cioè,
più del solito.
Improvvisamente, un suono quasi impercettibile provenì da
dietro la porta.
Un suono strano, come un fischio. Un fischio che si ripete, che si
aggancia all'ultima nota più alta, senza mai fermarsi.
Secco, anch'esso metallico.
Andromeda lo udì appena, persa fra i suoi pensieri di morte,
ma il rumore che udì subito dopo quello attirò
nettamente la sua attenzione. Il suono della serratura della porta che
si apriva alle sue spalle.
Miracolo?
Spalancò gli occhi, ritrovandosi di fronte il Dalek, pronto
a sparare.
-"Mi spiace bello." - Ridacchiò divertita - "Oggi non
è il giorno adatto per morire."
Si voltò poi di scatto verso la maniglia, aggrappandosi ad
essa e girandola velocemente, aprendo furiosamente la porta, pronta a
scappare.
Superò il varco, sorridendo maliziosa.
Ce l'aveva fatta ancora una volta.
..O no?
Perché andò a sbattere contro un qualcosa, che a
primo impatto sembrava un muro, ma era troppo morbido per esserlo, ed
emetteva un odore gradevole, un calore rassicurante. Si
sentì poi stringere, da qualcosa che probabilmente avrebbe
definito braccia.
Lunghe braccia.
Braccia?
Era un petto quello a cui era appoggiata quindi?
Alzò terrorizzata lo sguardo, riuscendo ad intravedere
nell'oscurita qualcosa che sembrava un papillon.
Un papillon? scherziamo?
Il cuore cominciò a pulsarle velocemente, la paura di
un'altro probabile pericolo la stava terrorizzando.
Si sentì accarezzare la testa, udendo una flebile risatina
maschile, molto serena e tranquilla. Quasi divertita nella sua
sicurezza. E dalle stesse labbra che avevano scaturito quella risata
un'unica, potente parola venne rivolta alla ragazza sconvolta e un poco
confusa, se le era permesso.
-"Corri."
~
Compagno di parole figoso che scrive bene (?): Black_Cat
I soci (?) vi augurano una buona lettura, speriamo che la fic sia di
vostro gradimento!
Vi aspettiamo al prossimo capitolo,
non mancate! (:
_S h i v e r & Black_Cat .
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Capitolo 2 *** A Doctor from the circus. ***
Sentì
stringersi la mancina in una presa ferrea e, in un batter d'occhio, si
ritrovò
a correre a perdifiato per il lugubre corridoio abbandonato dal tempo,
il
quale, circa mezz'ora prima, l'aveva condotta alla vecchia biblioteca
maledetta. Senza alcun avvertimento, il ragazzo era partito
trascinandosi
Andromeda dietro e, logicamente, per lo strattone iniziale che aveva
dato inizio
alla folle corsa per non essere inceneriti da una automa armato di
sturalavandini,
la ragazza aveva percorso quei cinque o sei metri a perdifiato,
sbilanciata in avanti,
osservando involontariamente i solchi delle antiche mattonelle presenti
a
terra, avendo avuto persino il tempo di contare i sassolini ricoperti
di
polvere sul suolo. Senza porsi troppe domande, dunque, cercò
di eguagliare il
passo del ragazzo, per non finire almeno a decorare con tracce di
sangue le
mattonelle che, a parer suo, andavano già bene
così com'erano. Correndo, cercò
di liberare la mancina dalla morsa delle mani altrui, senza
però alcun
risultato: a quanto pare il ragazzo non aveva nessun'intenzione di
lasciarla andare,
non ancora. Non che le dispiacesse, il tizio non era poi
così orribile, solo
che il contatto fisico non le andava decisamente a genio, specialmente
se la
persona che la toccava era un perfetto sconosciuto, carino o meno non
aveva
importanza. Gli rivolse un'occhiata di sbieco, cercando di fargli
intendere che
la cosa non era alquanto gradita, ma il ragazzo era ora più
che mai impegnato a
correre, e non sembrava voler smettere. E in parte aveva anche ragione,
insomma, gli "sterminare" che arrivavano da fondo corridoio non
somigliavano certo ad inviti per the e pasticcini. Deglutendo a fatica,
Andromeda si chiese se fosse giusto interrogare quindi il ragazzo, o
aspettare
un probabile rifugio dove riprendere fiato. Si ricordò poi
che il corridoio non
era esattamente così corto, e, cercando di trovare spazio
fra una boccata d'aria
e l'altra, rivolse la più palese domanda che mai ci si
potesse aspettare alla
figura accanto alla sua, indugiando un po', sempre guardandolo di
sbieco.
-"Chi
sei?"
Intravide
gli angoli della bocca del ragazzo formare un sorrisetto divertito, gli
occhi socchiudersi.
Lui aveva aspettato quella domanda da troppo tempo, insomma,la ragazza
era
troppo in ritardo. Di solito gliela porgevano dopo 30 secondi, massimo
un
minuto. Ma tre minuti e 58 secondi erano troppi, oh se erano troppi!
Considerando poi che a lui non piaceva aspettare, beh. Era come entrare
in
gelateria e fare una fila invisibile, e lui non lo sopportava. 'Il
gelato va
mangiato subito, o si scioglierà!' - Non era proprio il suo
motto, ma si disse
che dopo tutti quegli anni, si poteva anche concedere di coniare
nuove.. ehm,
citazioni? La figura maschile alzò quindi la testa, non
nascondendo l'aria
palesemente compiaciuta, apparentemente soddisfatto di sé
stesso, sollevando
prima la spalla destra e poi quella sinistra, come per aggiustarsi,
altezzosamente. Andromeda avrebbe giurato che se il ragazzo avesse
potuto, si
sarebbe persino aggiustato il papillon. Volse quindi la testa verso di
lei,
guardandola orgoglioso, per poi schiudere la bocca e pronunciare ben
scandita
la risposta, nonostante le prese d'aria per saziare i polmoni fossero
molto
invasive.
-"Sono
il Dottore."
Un medico? Andromeda non si fece
tuttavia troppe domande sul
motivo per cui un laureato in medicina era presente in quella
catapecchia
abbandonata dal tempo, si limitò a squadrarlo infastidita,
sia dalla risposta,
sia dal tono assunto del Dottore e sia dalla situazione, serrando le
labbra,
tornando poi a tentare di liberare la mancina asfissiata da lui, senza
riuscita.
Continuando a correre, sospirò quindi seccata, cercando
nuovamente di trovare
un buco fra un respiro affannato ed un'altro, per riuscire finalmente a
dare un
senso logico alla conversazione. Una porticina in legno, scurita dal
tempo e
dall'umidità, si affacciava intanto timida alla fine del
corridoio, segno che
le scale che portavano al piano superiore - e quindi, all'uscita -
della
catapecchia, erano oramai vicine.
-"Sì, okay, ho capito, un
dottore.. e poi?”
La morsa che stringeva la sua povera
manina si allentò
improvvisamente, dando finalmente respiro alla circolazione del sangue,
che
riprese quindi a scorrere nella mancina regolarmente. Il ragazzo di
fronte a
lei inchiodò, piantando di punto in bianco i piedi a terra,
come nei cartoni
animati, frenando la 'pazza corsa' con un leggero stridio delle scarpe
sul
suolo. Andromeda si voltò esterrefatta, la bocca schiusa,
gli occhi sbarrati.
Non era proprio il momento adatto per inchiodare in quel modo,
specialmente
adesso che la porta di legno era a pochi metri da loro. Alzò
quindi infastidita
le spalle, rivolgendo i palmi al soffitto e scuotendo leggermente la
testa da
destra a sinistra, come per chiedere spiegazioni.
-"No!"
Il Dottore sbatté i piedi
a terra, serrando gli occhi e
chiudendo le mani a pugno.
-"No, no, no!"
Si portò dunque la mano
destra sulla fronte e, con la
mancina andò ad afferrare saldamente il gomito dell'arto
opposto.
-"Assolutamente no!"
Picchiettò leggermente le
nocche sul cranio, scuotendo la
testa riluttante.
-"Non è così
che deve andare!"
Andromeda sporse il viso in avanti,
alzando le sopracciglia,
sempre più confusa. Si limitò quindi a sospirare,
portandosi le mani ai
fianchi.
-"Vuoi sbrigarti? Quella friggitrice
incazzata ci
ucciderà entrambi!"
-"Friggitrice incazz- No! Non
è questo il punto!"
Il Dottore riaprì di
scatto gli occhi, confuso sul termine
pronunciato dalla ragazza e avanzò rapidamente verso di lei
riaprendo le dita.
Gesticolando, si fermò poi con la bocca spalancata di fronte
a lei, le mani
aperte verso il basso e la schiena inclinata, in una smorfia che ora
come ora
non saprei descrivere, se non basandomi sulle facce che i pagliacci
imitano
quando un bimbo piange e vogliono tirarlo su di morale. Insomma,
piuttosto
idiota. Una faccia idiota. La ragazza indietreggiò di un
passo, visibilmente
irritata. Si chiese più volte se fosse meglio scappare e
lasciare quel pazzo lì
sotto, a morire incenerito, magari mentre –perché
no – si cimentava in una gara
di smorfie con la friggitrice. Si chiese poi se fosse un clown, ma si
limitò a
scacciare via l'idea non appena un'ombra spaventosa si
affacciò minacciosa sul
muro. Fece per prenderlo per il papillon e trascinarlo fuori a forza,
ma il
ragazzo la anticipò e la prese per le spalle, strattonandola.
-"Dottor chi!"
-"Dottor che?"
-"Dottor chi!"
-"Dottor cosa?"
-"Dottor chiiii-"
La smorfia del Dottore si fece via
via sempre più idiota,
stirando non si sa bene come gli ultimi muscoli facciali non ancora
utilizzati,
farfugliando seccato e agganciandosi all'ultima vocale della parola,
intenzionato a non smettere di far fuoriuscire tutte quelle fastidiose
serie di
i , finché Andromeda non indietreggiò,
liberandosi dalla presa di lui, adesso
più spaventata che sconvolta.
-"Tutti!" - Il Dottore assunse
nuovamente la sua
normale forma facciale, non nascondendo però l'aria
palesemente delusa, forse per non spaventare la
ragazza - "Lo dicono tutti! Sempre, tutti, la stessa frase!" -
Girò
su sé stesso, facendosi scappare diverse smorfie infastidite
e grugniti vari -
"Mi ci ero anche abituato, e mi piaceva anche la faccia confusa di
tutti
mentre li guardavo nuovamente e gli dicevo:" - Si fermò di
fronte a lei,
incrociando le mani e alzando il sopracciglio destro, guardandola
altezzosamente
- " 'Solo il Dottore' " - fece cadere poi le braccia incrociate sui
fianchi, avvicinando vertiginosamente il viso a quello della ragazza,
che indietreggiò
di nuovo - "ma tu, tuu!" - Il ragazzo la additò con l'indice
destro,
sospirando affannosamente per riprendere fiato, serrando le labbra in
un'altra
delle numerose smorfie che sembravano oramai far parte del repertorio
personale
da pagliaccio - "Hai rovinato tutto." - Fece un passo indietro, gli
occhi da cerbiatto delusi e la bocca socchiusa, come un bimbo a cui era
appena
scivolato di mano il gelato, amareggiato, guardando a terra.
Tornò poi
rapidamente a scrutare la ragazza, additandola nuovamente, con un fare
minaccioso che avrebbe probabilmente adottato solo un bambino -
"Dovresti
vergognarti, sai?" - Si voltò quindi dalla parte opposta
stizzito,
incrociando le braccia e guardandola con la coda dell'occhio, per
indurla probabilmente
a provare dei sensi di colpa per la 'battuta' non afferrata, che
però Andromeda
non intuì, troppo spaesata per collegare il filo logico
delle cose. Lo prese
quindi per la camicia, proprio sotto al papillon, perché una
qualche parte del
suo subconscio la fermò dal rovinare quel bel fiocco, quel
bel fiocco che
portava spesso anche suo padre.. Ma non siamo qui per parlare di
questo. Se lo
avvicinò dunque al viso, strattonandolo, aggrottando le
ciglia e digrignando i
denti, per fargli intendere che non era il momento adatto per discutere
di questo
e che c'era una diavolo di friggi-cose che li stava seguendo per
incenerirli,
ma il ragazzo, forse più sconvolto di lei,
non accennava ad accorgersene, sbadatamente idiota come
sembrava essere.
La ragazza dai capelli corvini si chiese se tutto questo suo fare
idiota fosse
una sottospecie copertura da agente segreto qual era (insomma, aveva
anche un
nome in codice!), magari mandato da un lontano amico di suo nonno, il
quale
aveva predetto che la ragazza un giorno avrebbe trovato il robot e
fosse stata
in pericolo di vita. Ma, più investigava sul suo volto e sul
suo modo di fare,
più l'idea che fosse un perfetto idiota si faceva strada
nella sua mente,
maledicendo così ogni agente segreto super-fico che
Hollywood mostrava gloriosa
in una marea di suoi film. Andromeda sospirò esausta,
prendendo il ragazzo per
le spalle e voltandolo verso la direzione da cui il Dalek si avvicinava
minaccioso,
accompagnato da i suoi fedeli 'sterminare' metallici.
-"Che dici, sarà meglio
scappare?" - Gli sussurrò
sarcasticamente nell'orecchio, pronta a correre ad un suo minimo
accenno.
Oh, povera, povera Andromeda.
Intravide il Dottore che aggrottava
le ciglia in una smorfia
contrariata e, il suo prenderla per le spalle a sua volta, guardarla
seducentemente negli occhi e urlarle contro pochi millesimi di secondo
dopo un
"no" secco, la portarono istantaneamente ad avere una crisi di nervi.
-"N-no- Come diavolo sarebbe a dire
no?!" -
Balbettò esterrefatta, spalancando gli occhi - "Vuoi
morire?" - Allargò le
braccia, volgendo con enfasi i
palmi verso il soffitto, sconvolta.
-"Ma, ovvio che no" -
Tagliò corto lui, scrollando
indifferente le spalle - "Solo che non posso correre a perdifiato con
te
se mi sbagli questa cosa!" - Tentò di esporle il Dottore,
più serio di
quanto lei lo avesse mai visto. E, per dire una cosa del genere in un
momento
simile, ce ne voleva proprio di stupidaggine.
-"Questa cosa quale?!" - La ragazza
scosse la
testa, esasperata.
-"Oh, andiamo! Intendo il 'Dottor
chi?'!" - Il
Dottore le fece il labbrino, annuendo convinto. Andromeda si convinse sempre di
più che aveva a
disposizione solo due scelte: o prenderlo a schiaffi finché
non avesse cominciato
a correre davanti a lei (insomma, tipo il classico trucco con i
doberman al
seguito), o lasciarlo a morire incenerito, al ché si
lasciò sfuggire un
"Oh, signore" non troppo convinto, scuotendo la testa turbata, senza
staccare un attimo lo sguardo da lui.
-"Mi prendi per i fondelli?" -
Alzò le
sopracciglia lei, aspettandosi una pacca amichevole su una spalla ed un
'Certo,
adesso scappiamo' sereno di lui.. Più che un aspettarsi era
uno sperare. Era
decisamente uno sperare, sì. Non poteva semplicemente essere
una “candid
camera” o qualcosa di simile, diamine?
-"Prenderti per i fondelli? In un
momento simile?"
- Il Dottore volse il palmo destro verso il fondo corridoio, attonito,
dove si
poteva adesso distinguere nell'oscurità la fredda
tonalità di blu che
illuminava il “cannocchiale” del Dalek che si
avvicinava spaventosamente. Andromeda
in quel momento ebbe veramente voglia di pestarlo senza
pietà, di buttarlo a
terra e di fargli sputare sangue, di fargli vedere cosa sarebbe
successo se non
si fosse messo a correre subito, ma si contenne, serrando le mani in
due pugni
e guardando in basso, sospirando per calmarsi. C'erano già
troppi killer al
mondo e lei, se proprio le fosse balenata in testa un'idea malata come
quella,
avrebbe compiuto il tutto in grande stile, con un ampio pubblico: non
di certo
in un corridoio polveroso. Annuì, autoconvincendosi
lievemente soddisfatta di
questa possibile svolta della sua vita.
-"Okay. Cosa vuoi che faccia?"-
Gli occhi del Dottore si illuminarono
appena quelle cinque
parole fuoriuscirono scandite dalla bocca della ragazza, le sue labbra
si
allargarono subito in un grande sorriso, che lo fece saltare sul posto
per due
volte, ridendo divertito.
-"Ripetiamo la scena."
-"Una specie di Take Two?"
-"Oh sì. Mi piacciono i
Take Two. Hai sempre la
possibilità di migliorarti." - Disse lui convinto, sfregando
entrambe le
mani contro e annuendo compiaciuto.
-"Okay. Allora, Chi sei?"
-"NONONONONO!" - Il Dottore
portò di punto in
bianco le mani in avanti, fermando la ragazza.
-"C-che c'è?" -
Balbettò Andromeda, scorgendo
ormai vicina la figura del Dalek, impaurita.
-"Non sono pronto."
-"Cosa?!"
-"Non mi sono riscaldato!"
-"Diio."
Il Dottore saltò un paio
di volte su un piede e poi
sull'altro, blaterando qualcosa su come gli attori si preparassero
duramente
per un altro Take Two, pronti apparentemente a dare il meglio, girando su sé
stesso e portando in alto e in
basso le mani, inspirando e espirando rumorosamente, in un modo che,
indovinate.. era perfettamente adatto ad un numero da circo. Si
fermò voltato
verso di lei, ed, inclinando la schiena, sputò sul palmo
della mano sinistra,
sfregandola di nuovo contro l'altra. Si raddrizzò subito
dopo, portandosi le
mani ai fianchi e facendo schioccare la schiena, inspirando
profondamente aria
a sufficienza per riempirsi i polmoni.
-"Ci sono!"
-"Chi se-"
-"No, aspetta!"
Un metallico 'Sterminare' giunse alle
orecchie dei due,
facendoli sobbalzare, e rimbombando per tutto il corridoio.
-"Cosa c'è adesso?!" -
Urlò esasperata lei.
-"Devo trovare una parola da urlare
appena finita la
cosa!"
-"Che diamine stai farfugliando?!"
-"Oh, dai, un qualcosa di vittorioso!
Mi piacerebbe
tanto trovare un’espressione di enorme potere e saggezza, e
di consolazioni per
l’anima nei momenti di bisogno. "
-"Oh, tesoro, siamo solo inseguiti da
una sottospecie
di bidone vagante che vuole incenerirci con uno sturalavandini, ti
prego,
mettici tutto il tempo che vuoi per farti venire in mente un'idea
geniale degna
delle tue aspettative, ti attenderò
con
ansia!"
-"B-beh, grazie." - Annuì
lusingato il Dottore,
sistemandosi in modo superbo il papillon.
-"Ma grazie cosa!" - Andromeda gli si
accanì
contro, pronta a prenderlo finalmente a pugni.
-"Hai detto che avresti atteso!"
-"Ero sarcastica, diamine!"
Un altro 'sterminare', anch'esso non
proprio dolce e carino,
rimbombò potente per tutto il corridoio, avvertendo
dell'imminente minaccia.
Andromeda sussultò, facendosi involontariamente
più vicina al Dottore, che,
istintivamente, si avvicinò a lei, facendo per toccarla,
ritraendo però la mano
esitante e, leccandosi il labbro inferiore, cominciò a
strofinare i
polpastrelli delle dita contro i palmi delle mani, come faceva sempre
quando
era sotto pressione, in una situazione imbarazzante o semplicemente,
quando era
indeciso, inspirando impacciato. Insomma, era lui che la stava
trattenendo, non
doveva certo pensare che un abbraccio rassicurante in un momento simile
potesse
servire a qualcosa. Certo, a qualcosa sarebbe servito, in
realtà. Sarebbe servito
a farlo finire per terra in una pozza di sangue, con diversi lividi sul
viso,
ma il Dottore sentenziò silenzioso che non era il momento
per cominciare una
rissa con la ragazza mora, specialmente adesso che era spaventata. La
scrutò
quindi attentamente, amareggiato, chiedendosi se era veramente la cosa
giusta
da fare, trattenerla, impaurendola più del dovuto. Si chiese
se dovesse smetterla,
se dovesse smetterla di giocare così con i sentimenti delle
persone, di far
girare le cose come andavano comode a lui, di aspettare sempre l'ultimo
momento, la carica elettrizzante. Ma si divertiva, e doveva
purtroppo ammetterlo almeno a
sé stesso. Conosceva bene quel
Dalek, sapeva dove si sarebbe rifugiato successivamente e sapeva anche
che non
sarebbero morti, quindi, perché non prendersela con comoda e
divertirsi?
Sospirò, avvicinando lentamente la mano destra alla mancina
tremante di Andromeda,
anche solo per sfiorarla, per donarle una piccolissima dose di calore,
per
farle capire che stava andando tutto bene, che non sarebbe finita
lì.. per
nessun motivo nell’Universo.
-".. Che.. Che ne dici di Geronimo?
Non sarà
un’espressione di enorme potere e saggezza
e di consolazioni per l’anima nei momenti di
bisogno o quello che ti
pare, ma suona bene, non trovi?" - La ragazza interruppe titubante le
gentili ma un po' insolite intenzioni del Dottore, scorgendo di
sfuggita la
mano destra di lui avvicinarsi incerta. Gli rivolse quindi un'occhiata
ambigua,
che bastò per far ritrarre istantaneamente l'arto del
ragazzo, che, esitante,
andò a grattare la nuca coperta di capelli arruffati mori e
scuri, mascherando
trasandatamente quel fallito e strano gesto di rassicurazione.
-"G-geronimo mi pare vada bene." -
Balbettò
impacciato, guardando altrove, le guance lievemente
porporee, fortunatamente velate
dall'assenza di luce
presente nel corridoio.
-"Okay! Quindi sei pronto!"
-"P-pronto? Ovvio. Io sono sempre
pronto." -
Incrociò le braccia, schioccando la lingua sul palato e
guardandola altezzoso,
barcollando distrattamente.
-"Certo, ho visto."
Il Dottore le fece la linguaccia,
muovendo sbilenco il
corpo, al ché Andromeda rise sottovoce, portandosi
istintivamente la mano sulle
labbra.
-".. Chi sei?" - Lo sguardo della
ragazza si
soffermò per un istante sul papillon, e gli occhi le si
inumidirono, ma durò
tutto per un solo istante, un breve, scarso, istante, che
però non sfuggì al
nostro Dottore, molto attento ai dettagli, che si limitò ad
accennare un
sorriso.
-"Sono il Dottore."
-"Dottor chi?"
-"Solo il Dottore!" - Sibilando la
"s",
il Dottore si sporse verso la ragazza, sghignazzando contento - "Beh,
ci
voleva tanto?"
-"Oh, andiamo, urla quel maledetto
'Geronimo' e
filiamocela." - Andromeda gli rivolse un'occhiata di sbieco, facendogli
intuire che la situazione non era affatto divertente .. E, anche se
Andromeda
sapeva che in realtà lo era veramente, non volle ammetterlo.
Non di certo
davanti ad un individuo del genere, insomma, il suo orgoglio prepotente
si
mostrava fiero di tutto il suo potenziale proprio in casi come questo.
Il
ragazzo si ritrasse istantaneamente, con una smorfia seccata sul volto
e,
alzando la mancina, aprì scocciato e chiuse diverse volte le
dita, imitando,
come si suol fare, la frase pronunciata dalla ragazza, muovendosi
scompostamente
e mimando il tutto con la bocca, sbuffando. Pronunciò poi
sottovoce la parola
che doveva dare quel che di "vittorioso" al tutto, indispettito.
Andromeda
si trattenne nuovamente dal prenderlo a pugni e, spingendolo,
cominciò a
correre verso la porta in legno, intenzionata a non fermarsi. Il
Dottore la
seguì stizzito a ruota, superandola e facendole una smorfia,
a cui la ragazza
non fece caso. I suoi modi di pseudo rivincita riconducevano
malvolentieri a
quelli dei bambini. E alla ragazza quei marmocchi perdi-moccio non
andavano
decisamente a genio, specialmente con quelle vocine stridule. Una luce
violacea
illuminò il corridoio dietro di loro, dando tempo ad
Andromeda di scorgere il
Dottore che la prendeva per le spalle e la faceva abbassare. Cadendo a
terra in
un tonfo, intravide la porticina in legno illuminarsi di viola, segno
che non
era lontana. Prese dunque per mano il ragazzo e, facendolo rialzare a
forza,
cominciarono nuovamente a correre verso la destinazione in legno,
oramai non
troppo lontana. Arrivarono quindi davanti alla scura porta, respirando
affannosamente e, per dare nuovamente un tocco Hollywoodiano alla
situazione,
la trovarono chiusa. Andromeda, tremando, sbuffò seccata,
per mascherare la sua
apparente debolezza, mentre il Dottore prese con la mancina parte della
giacca
che si ritrovava addosso e, con la mano destra andò a
frugare dentro la tasca
interna, estraendone un oggetto metallico dalla punta verde, simile ad
una
grossa penna. La ragazza lo guardò stupita, mentre lui
puntava il marchingegno
verso la porta e, appena premuto una specie di pulsante sopra di esso,
la punta
dell'oggetto si illuminò di verde, producendo quello strano
suono metallico che
aveva sentito pochi minuti prima. Quel suono secco, che assomiglia ad
un
fischio, che si aggancia all'ultima nota più alta e
continua, con alti e bassi,
a fischiare, stridendo. Si aspettò dunque che la porta si
aprisse magicamente
come era successo prima, ma, tutto ciò che successe, fu un
urlo graffiante del
Dottore, che sbatté riluttante la mano destra sulla porta,
sbuffando.
-"Diamine, lo so che è
legno, ma non possiamo andare
avanti così ogni volta!" - Il ragazzo si portò
davanti agli occhi
l'oggetto, sgridandolo (cosa non ci si poteva aspettare da quel pazzo
Dottore),
infilandolo nuovamente nella tasca, poggiando sfinito la testa sulla
porta,
ansimando. Andromeda lo spinse seccata di lato, facendolo cadere in un
tonfo al
suolo, sollevando una nuvola di polvere.
-"Togliti di mezzo!" -
Esclamò lei, mollando un
potente calcio alla porta, che, principalmente tremando, cadde in un
rimbombo
sulle scale, scivolando per pochi secondi prima di stabilizzarsi. La
ragazza
rivolse uno sguardo fiero al Dottore a terra, che, esterrefatto, si
limitò ad
additarla in un'altra delle sue smorfie, tentando di balbettare
qualcosa. Lei
pensò dunque alla raccolta facciale di smorfie del ragazzo
mostrate fin'ora, e,
rabbrividendo, concluse che un libro non sarebbe stato necessario per
raccoglierne nemmeno la metà. Certo, andava diviso in
sezioni. Dalle idiote -
alle più idiote.
-"S-Sei un mostro!" -
Balbettò lui, sconvolto.
-"Oh, grazie tesoro, sempre
così gentile." - Andromeda
si arrampicò dunque su per la porta, poggiando finalmente i
piedi sugli scalini
tanto ricercati. Scorse poi la figura del Dottore precipitarsi dietro
di lei,
e, giuntogli vicino, prese con entrambe le mani la porta, tentando di
tirarla
su. Andromeda sbuffò scocciata, urlandogli di lasciar
perdere, ma il ragazzo,
tremante per la fatica, riuscì però ad
incastrarla di nuovo nello stipite,
sospirando esausto. Andromeda si lasciò sfuggire un
sorrisetto compiaciuto sul
volto, che purtroppo durò ben poco e si trasformò
in una smorfia di orrore, non
appena la porticina in legno venne pervasa da una simpatica luce
violacea e
incenerita davanti agli occhi del Dottore, che si trovò di
fronte il Dalek,
adesso più minaccioso che mai. Il ragazzo portò
le mani di fronte a lui, per
impedire al robot di passare, beh, piuttosto per implorare di fermarsi,
allargando
le gambe e inclinando la schiena, in una posizione goffa come soltanto
lui era
in grado assumere. Andromeda aggiunse al libro che aveva intenzione
oramai di
scrivere, una sezione per le pose goffe, che avrebbe denominato "so
fare
anche il contorsionista" o random, in un bel arancione mandarino, su
sfondo giallo limone. O forse no. Il Dottore cominciò poi a
balbettare qualcosa
di insensato al Dalek, quando Andromeda scese di corsa le scale
rimanenti e lo
prese per la collottola della giacca, strattonandolo verso di
sé.
-"Ehi, ciao friggitrice. Ci siamo
incontrate oggi.
Bella giornata né? Sai, ti inviterei volentieri a bere un
caffè di sopra,
magari con i biscotti, ti piacciono i biscotti?" - Finse palesemente
lei,
facendo arretrare il Dottore - "Il problema è che io e il
signorino qui
presente abbiamo un impegno che non possiamo rimandare, e ci dispiace
veramente
tanto. Non tornare a trovarci, eh, che non ti aspettiamo." -
Strattonò poi
il ragazzo verso di sé, cominciando a correre su per le
scale velocemente,
pregando un qualsiasi Dio di non venir
seguita dal robot. Salite tutte le
scale, lei e il Dottore
si buttarono sfiniti sul parquet del primo piano, ansimando
rumorosamente.
Giusto il tempo di prendere un respiro, e Andromeda si alzò
di scatto per
serrare la porta blindata che portava al piano sottostante. Non sarebbe
probabilmente riuscita a fermare il Dalek, ma avrebbero guadagnato
tempo. Si
accasciò poi distrutta a terra, strofinando la schiena
contro la porta, le
spalle sulla fredda superficie ferrea, ansimando. Il Dottore
alzò il viso da
terra, rivolgendo alla ragazza un pollice alzato, incapace
momentaneamente di
parlare per il troppo ansimare, e si ributtò giù,
cercando di calmarsi.
Andromeda annuì faticosamente, poggiando l'orecchio alla
porta per udire una
qualsiasi prossima mossa della friggitrice. Si maledì per un
attimo: non
avrebbe mai dovuto aprire quella diavolo di porta. Insomma, era
blindata per un
motivo, no? Di certo suo nonno non aveva costruito anche la porta del
bagno blindata,
o magari quella della cantina.. e un motivo c'era. Stupida, stupida,
Andromeda.
Cercando di saziare i polmoni con grandi boccate d'aria, volse
un'occhiata
distratta al ragazzo inerme di fronte a lei e, dopo che un accenno di
un
sorriso le si formò in viso, giunse alla conclusione che
forse ne era valsa la
pena. Sbarrò istintivamente gli occhi, volendosi prendere a
schiaffi per aver
pensato una cosa così insulsa. Si limitò quindi a
scacciare dalla testa quello
stolto pensiero, tornando ad ascoltare qualunque rumore provenisse
dietro
quella porta. Niente. Niente di niente. Un brivido le percorse la
schiena: di
certo la friggitrice era più "simpatica" quando faceva
rumore. Adesso
poteva essere finita ovunque, magari, pensò Andromeda
sarcastica, teletrasportandosi
con un raggio giallognolo in un'altra stanza della casa. Magari in
bagno.
Perché sarebbe dovuta finire in bagno? La ragazza si
rimproverò da sola per
aver pensato una cosa così idiota (da far persino
concorrenza al Dottore!) in
un momento simile. Un brivido le percorse la schiena. Il solo pensiero
che
potesse distruggere la biblioteca del nonno la spaventava a morte.
Chissà quali
altri tesori c'erano là dentro, e lei non li avrebbe potuti
vedere. Il Dottore
si tirò faticosamente sulle ginocchia, guardando spaesato
Andromeda, aspettando
con ansia un qualsiasi riporto della situazione.
Toc Toc.
Due battiti metallici risuonarono
sulla porta, facendo
sobbalzare la ragazza, che cadde terrorizzata di schiena verso il
Dottore,
respirando rumorosamente, pronta ad un eventuale incenerimento della
porta, che
però non arrivò. Entrambi si fermarono in
silenzio ad osservare la porta,
mentre niente accadeva. Andromeda si voltò confusa verso il
Dottore, il quale,
alzando le spalle, deglutì, schiudendo la bocca.
-"Chi è?"
La ragazza gli mollò un
ceffone sulla nuca, al ché il
ragazzo rotolò per terra, strofinandosi la testa con le
mani, farfugliando
qualcosa di incomprensibile. Ce ne voleva davvero per essere
così idioti.
Andromeda si alzò lentamente, tremante. Si
avvicinò adagio alla porta,
poggiandoci cautamente l'orecchio.
-"E' inutile."
Il Dottore la fece sobbalzare di
nuovo. La ragazza si chiese
se fosse masochista.
-"Che significa?"
-"Significa semplicemente che
è inutile!" -
Risposte noncurante il ragazzo alzandosi, sempre massaggiandosi la
nuca.
Andromeda gli rivolse un'occhiataccia, avvicinandosi minacciosa.
-"So chi è. Se
n'è andato."
-"Andato dove?"
-"E io che ne so? Mica sono un
ufficio informazioni,
diamine." - Grattandosi distratto la testa con la mano destra, il
Dottore
le rivolse un'occhiata di sbieco, leccandosi il labbro inferiore.
La ragazza sospirò,
guardando in basso.
-"Tornerà, se è
quello a cui stai pensando."
-"Oh, non vedo l'ora." - Rispose
sarcasticamente
lei, scrollando le spalle.
-"Davvero? Nemmeno io!" - Il Dottore
le sorrise
divertito e, ricevendo un'altra occhiataccia, si limitò a
sbuffare,
strofinandosi l'occhio destro e serrando le labbra. Restarono in
silenzio per
pochi secondi, scrutandosi a vicenda, finché Andromeda si
appoggiò con le
spalle alla porta, incrociando le braccia.
-"Che ci fai qui?"
-"Chiedo scusa?"
-"Sì, insomma. Sei un
pagliaccio, no? Che ci fai qui?
Sei in tour?"
Il Dottore spalancò gli
occhi, incerto se fosse seria o
meno.
-"Pagliaccio?"
-"Non prendermi in giro, dai. Sei
troppo goffo e idiota
per non esserlo."
-"Oh, grazie." - Il ragazzo si
aggiustò il
papillon, lasciandosi sfuggire una smorfia infastidita. Andromeda
sghignazzò
sotto i baffi, continuando a bulleggiarlo, divertita.
-"Allora, che ci fai qui? E chi sei?"
-"Te l'ho detto. Sono il Dottore."
-"Sì, va bene, ma la
gente, ti chiama il Dottore?"
-".. Sì."
-"Cioè, ti chiami proprio
'Dottore'?"
-".. Sì." - Il ragazzo le
rivolse un'occhiata non
troppo intelligente, chiedendosi da dove fosse nata l'idea di quello
strano
nomignolo, tanti anni fa.
-"I tuoi genitori erano ubriachi la
sera del
parto?"
-"Oi!" - Il Dottore le si
avvicinò con il suo fare
minaccioso da bambino irritato, mentre Andromeda se la rideva
soddisfatta,
prendendosi la sua rivincita - "Smettila!"
-"Oppure?"
-"Faccio tornare qui il Dalek."
-"Oh, certo, lo chiami con un
fischietto?"
-"Ovvio che no." - Il ragazzo storse
la bocca,
come se fosse veramente così ovvio quanto diceva, mentre lei
lo fissava
divertita - "Mi basta invertire la polarità dei protoni e il
processo di
dematerializzazione base che ha usato per andarsene." - Rispose lui
altezzoso. – “Facile come bere un bicchier
d’acqua.”
Andromeda lo squadrò
divertita, nascondendo la confusione
che le cresceva man mano in testa.
-"Ah, quindi sei un Nerd?"
-"Nerd- Oh, andiamo ragazza, sii un
po' più
inventiva!" - Il Dottore lasciò sbattere i palmi delle mani
sulle proprie cosce
in un sonoro schiocco, prendendola a sua volta in giro.
-"Mhn, quindi, dimmi, chi saresti
tu?"
-"Ma te l'ho detto!"
-"Se non sei un pagliaccio" -
insisté lei -
"e non sei un nerd.. Allora chi sei?"
Il ragazzo si lasciò
sfuggire un ghigno beffardo sul viso e,
guardandola malizioso, si inumidì le labbra, schiudendo la
bocca in una frase
pronunciata sottovoce.
-"Sono un viaggiatore del tempo."
Andromeda scoppiò a
ridere, tenendosi il ventre con le mani.
-"Certo!"
-"Ehi, guarda che è vero!"
-"Sì, va bene! Poi,
cos'altro? Te ne salterai fuori
dicendo che sei un alieno supereroe incaricato di proteggere
l'universo?"
-"Beh, non ho mai preso in
considerazione quest’eventualità,
perché la maggior parte delle
persone/alieni/creature/varianti non appena mi
vede prova un forte impulso, ancora a me del
tutto sconosciuto, di prendermi a
schiaffi" - Si
interruppe lui, salendo sulle punte dei piedi, un po'
confuso - " ma se proprio vogliamo
metterla in questo
modo, sì." - Concluse infine soddisfatto, guardandola
provocante.
-"Conosco la sensazione." - Si
limitò a dire lei,
passandosi la lingua sui denti e alzando un sopracciglio. Restarono
dunque in
silenzio per un'altra manciata di secondi, finché lui,
scrollando le spalle, si
portò la mano destra sulla nuca, impacciato.
-"B-beh, potrei farti vedere che non
mento."
-"Mhn, e come? Portandomi a spasso
per
l'universo?"
-"Esattamente."
Andromeda sbarrò gli
occhi, chiedendosi quanto venisse
pagato per essere così convincente.
-"Non prendermi in giro."
Si diresse quindi verso la cucina,
seguita dal Dottore e,
aprendo il frigo, ne estrasse un cartone di cioccolato di latte di
soia, che
versò in un bicchiere preso da uno scaffale lì
vicino.
-"N-non ti sto prendendo in giro!" -
Insisté lui.
-"Certo."
Lei si portò il bicchiere
alla bocca, sorseggiandone
lentamente il contenuto, non staccando però lo sguardo dai
suoi occhi.
-"D-davvero!"
Andromeda finì il
cioccolato, poggiando il bicchiere sul
tavolo di ceramica al centro della cucina luminosa.
-"Anche se fosse vero, faresti
seriamente vedere ad una
come me tutta quella roba? A me? A me che ho persino un nome del
genere?"
-"Mhn, perché, come ti
chiami?"
-"Andromeda. Grazie per averlo
chiesto."
-"Oh, che nome grazioso." -
Sogghignò sarcastico
lui.
-"Sì, certo. Sa di un
guerriero Spartano."
-"Ti si addice." - Il Dottore fece
spallucce,
scrutandola malizioso.
Andromeda si limitò a
guardarlo in malo modo, sbuffando e
guardando in basso.
-"Va bene" - Concluse infine lui -
"Se
proprio non vuoi venire, allora me ne andrò." - Disse,
voltandosi verso la
porta d'uscita.
-"Fai pure." - Andromeda
scrollò le spalle,
versandosi un altro bicchiere di cioccolata.
Il Dottore si fermo di scatto sulla
punta dei piedi,
stizzito.
-"Va beeene" - Ripeté -
"Se proprio non vuoi
venire, allora me ne andrò!" – Concluse, a voce
più alta.
-"Guarda che ho capito. Quella bianca
è la porta,
ricordati di chiuderla. Ci si vede." - Andromeda
si portò il bicchiere alle labbra,
sorseggiando seccata. Il Dottore aggrottò le ciglia,
dirigendosi sdegnato verso
la porta bianca avorio, dove vi si fermò proprio di fronte,
esitante.
-"Io me ne sto andando!" - Le
urlò.
-"Ciao." - Una flebile parola
provenne dalla
cucina oramai lontana, perdendosi fra le pareti.
-"Ho detto che me ne sto andando!" -
Urlò più
forte.
-"E allora vattene!" - Un urlo di
rimando arrivò dalla
solita postazione, chiaro e conciso.
Il Dottore sbuffò
un'ultima volta, chiudendosi furiosamente
la porta alle spalle e uscendo di casa. Andromeda si portò
la mancina al viso,
e, sospirando, ripensò all'accaduto. Un robot. C'era un
fottuto robot nella
biblioteca segreta di suo nonno. Non nascondeva la curiosità
di andare a
controllare cos'altro ci fosse in quella diavolo di stanza, ma era
piuttosto
seccata per la perdita di quell'idiota, sebbene non lo volesse
accettare.
Decise quindi di rilassarsi un po', prima di tornare curiosare
là dentro, e
quindi si svaccò sul
divano in pelle rossa vicino alla
cucina, sbuffando. Una
lieve brezza le carezzò il viso stanco, mentre la ragazza si
decideva a trovare
una posizione più comoda sul divano, quando un pensiero le
lampò in testa: le
finestre erano chiuse. Erano indubbiamente chiuse, si ricordava di
averle
serrate personalmente, prima di scendere in quell'inferno di
biblioteca. Sbarrò
quindi gli occhi, mentre delle folate di vento provenivano da
davanti il suo divano,
scompigliandole i capelli corvini.
Indecisa fra lo scappare o l'attendere l'arrivo di un'imminente
friggitrice
incazzata, Andromeda si alzò in piedi, riparandosi dietro il
divano, mentre le
folate di vento si facevano più intense. All'improvviso, al
centro della
stanza, la ragazza distinse una strana figura rettangolare,
riconducibile ad
una scatola. No, anzi, una cabina. Una cabina blu della polizia, di
quelle che
usavano mettere per le strade un tempo. Ed ecco che davanti a lei, fra
folate
di vento taglienti, si materializzò una cabina blu della
polizia, seguita da
rumori strani e meccanici. Un suono strano, ma bello nella sua
diversità. Come
una macchina che fa fatica a partire, in questo caso, che fa fatica ad
atterrare.. Ma bello. Strano, ma decisamente bello. Andromeda si
avvicinò con cautela
all'oggetto, scrutandolo con diffidenza. Le porte della cabina si
aprirono poi
improvvisamente di fronte a lei, dalle quali uscì stizzito
lui, il Dottore,
che, con le braccia conserte, si appoggiò infastidito alla
cabina, guardando la
ragazza di sbieco.
-"Me ne stavo andando" - Si
lasciò sfuggire dalla
bocca, indispettito.
-"Però sei tornato, eh" -
Andromeda cercò di far finta
di niente, scrutando maliziosa il Dottore.
-"Beh, adesso me ne andrò
veramente" - Annuì
convinto lui, serrando gli occhi.
-"Okay, ciao" - La ragazza attese che
il Dottore
la guardasse sconvolto negli occhi, per sghignazzare poi divertita
sotto i
baffi, portandosi le mani ai fianchi.
-"Cos- " - Il ragazzo
lasciò cadere le braccia sui
fianchi, spalancando esterrefatto la bocca - "Non puoi!"
-"Non posso?" - Andromeda
portò le braccia
all'altezza del petto, ghignando divertita.
-"No, per niente!" - Il Dottore la
additò stupito,
avanzando verso di lei - "Non puoi proprio! Sai quanta gente aspetta
questo momento? Sai quanta? E non arriva mai?"
-"No, non lo so."
-"B-beh, tanta!" - Gli
urlò contro indispettito
lui, abbassando il braccio - "E tu non puoi proprio!"
-"Dove vuoi arrivare?" - La ragazza
incrociò le
braccia, scrollando le spalle.
-"Io ti offro tutto il tempo e lo
spazio e tu lo
rifiuti così, scrollando le spalle?" - Il Dottore le prese
una mano,
strattonandola verso di sé - "Mi dispiace, ma no." -
Buttò quindi di
forza la ragazza dentro la cabina, continuando ad urlare diversi 'non
puoi!' e
'vergognati!', chiudendosi le porte alle spalle.
Nella villa abbandonata di
città, quella in cima ad un
colle, dove abitava il vecchio Theodore e
dove i bambini andavano a nascondersi
la notte di halloween,
si sentirono degli strani rumori, quella sera. Ma questa, è
un'altra storia.
..
O
forse no?
~
Compagno
di parole figoso che scrive bene (?): Black_Cat
I
soci (?) vi augurano una buona lettura, speriamo che anche questo
capitolo sia di vostro gradimento!
Vi
aspettiamo al prossimo capitolo,
non
mancate! (:
_S
h i v e r & Black_Cat .
|
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Capitolo 3 *** - Obsessedland, (1;2) ***
-“Dove vuoi
andare?”- Le gridò dall’altro lato della
sala di
controllo, scivolando sul pavimento di vetro e sbatacchiando
scompostamente il
petto sulla console.
-“Dove voglio andare?”- Andromeda
aggrottò le ciglia, avvicinandosi verso il
ragazzo per soccorrerlo, in caso si fosse sfracellato la testa. Forse
gli
avrebbe fatto persino bene, magari lo avrebbe risanato –
pensò.
-“Sì, sì! Da dove vuoi
cominciare?”- Il ragazzo fece forza sul bordo della
console, tirandosi violentemente all’indietro, scuotendo
convulsamente la
testa-“Woargh. Giurerei di aver perso qualcosa.”-
Batté dunque con le nocche la
mano destra sul cranio, serrando gli occhi. Andromeda alzò
sarcastica un
sopracciglio, cercando di velare allo sguardo del ragazzo una risatina
malvagia, sfuggitale involontariamente per riflesso.
-“Stai ridendo?”- L’apostrofò
lui.
-“Uh, io? Ridendo di te? Quando mai?”- Andromeda
alzò le spalle, sorridendo
beffarda, alzando le mani in segno di resa e sviando lo sguardo del
Dottore,
che irritato, si limitò ad emanare un profondo suono
gutturale -“Allora?”
-“Allora?”
-“Eh?”
-“Cosa?”
-“Dove?”
-“Eh?”
-“Quando?”
-“Ma cosa diavolo stai dicendo?”
-“Ma voi esseri umani avete per caso una capacità
innata di arrestare il vostro
udito ogni qual volta lo desideriate oppure è solo la mia
faccia?”
-“Più che la tua faccia penso sia il tuo
cervello” – Lo squadrò seccata
Andromeda, con aria di superiorità.
-“Il mio cervell- Cos’ha il mio cervello che non
va?” – Il ragazzo sussultò,
sbarrando gli occhi.
-“Ma come! Non lo sai?” –
Iniziò la recita la mora – “Davvero non
lo sai?”
-“Cosa non so? Cosa? Cosa!? Non mi piace non sapere le cose.
Lo odio!” –
esclamò il Dottore, prendendosi i capelli fra le mani e
saltellando sul posto.
-“Oh, Dottore, mi dispiace così tanto!”
– Andromeda si portò drammaturgicamente
le mani alla bocca, spezzando la voce – “I-io non
pensavo che tu..”
-“Cos’ho?!” – Urlò
il ragazzo, esasperato – “Cosa mi è
successo?! N-non voglio
morire! Questo corpo è ancora troppo giovane!”
– Si scrutò dunque preoccupato
le mani, in cerca della classica luce rigenerativa che lo
caratterizzava quando
era giunto il fatidico momento, ma, non riuscendo a scovare indizi, si
limito a
guardare disperato la ragazza, che ricambiò con
un’occhiata beffarda. Il
Dottore alzò un sopracciglio.
–“Mi stai prendendo in giro?”
-“Ma chi? Io?” – Sbuffò
Andromeda, scoppiando in una fragorosa risata.
-“Mi stavi prendendo in giro?!” – Il
Dottore si portò severo le mani sui
fianchi, imbronciato – “Nessuno può
prendermi in giro! Nessuno ci riesce mai!”
-“Oh, non direi proprio, mascellone” –
cercò una boccata d’aria lei, fra le
risa che le scuotevano il corpo.
-“Tu.. Tu, ragazzina! Tu non sai con chi hai a che
fare!”- Il ragazzo le puntò
contro l’indice destro,
bofonchiando
irritato e gesticolando agitato – “ Io sono il
Dottore, la tempesta imminente!
Preparati a soccomb- ” – Andromeda, sghignazzando,
gli afferrò dunque l’indice,
tirandolo.
-“Continua.”
-“T-T-Tu!” – Sbraitando, il ragazzo si
picchiò violentemente le cosce con i
palmi della mani, scuotendo la testa da una smorfia scocciata e si
preparò a
rincorrere la ragazzina, digrignando i denti. Al ché
Andromeda se la svignò
lesta, passandogli di fianco, e trotterellò divertita dalla
parte opposta della
sala di controllo, volgendo una smorfia al goffo Dottore, che
inciampò su sé
stesso, finendo per sbaglio – di nuovo - sulla console e
attivando diversi
pulsanti.
-“Oh, diamine”- esclamò seccato,
massaggiandosi una tempia con la mano
–“cos’ho
premuto?” – si leccò dunque confuso le
labbra, serrando gli occhi per mettere a
fuoco. Si lasciò poi sfuggire una sonora smorfia
impertinente, grattandosi con
foga la fronte. –“Cos’ho
premuto?”
Andromeda si fece dunque più vicina alla console, con un
ghigno insolente
stampato in viso. Osservò poi sul monitor dei numeri, che
dedusse furono
coordinate. Oh, ma cosa sarebbe successo, se avesse buttato
giù quella leva
sulla sinistra? Sì, sì, Andromeda, proprio quella!
Oh, ops.
-“Andromeda! Cos’hai fatto?”
-“Uhn, ma chi, io?”
-“Non fare la finta tonta!” – La
ammonì severo il ragazzo –“Non ti
azzardare a
toccare niente!”
La mora serrò le labbra, alzando insolente le sopracciglia.
-“Dunque, dunque” – iniziò un
monologo lui –“Mettiamo caso che io abbia presso
per errore i tasti delle coordinate spazio-tempo, e tu, sempre per
caso, avessi
buttato giù la leva dei freni. Secondo questa ipotesi non
andrebbero, per
nessun motivo al mondo” – continuò,
annuendo fra sé e sé –
“accesi i propulsori
di accensione, proprio quelli” – indicò
sempre a sé stesso – “né
attivati gli
scudi esterni, i-i bottoncini arancioni lì”-
annuì nuovamente, fiero della sua
conoscenza dei comandi della TARDIS
–“perché non ce ne sarebbe
bisogno” – rivolse
uno sguardo complice ad Andromeda, che ricambiò subito
annuendo
sarcasticamente.
-“Questi, giusto?” – Indicò la
ragazza.
-“No, quelli” – la corresse sapiente il
Dottore, portando contro dei bottoni
arancioni e rossastri l’indice.
-“Aaah. Non vanno toccati.”
-“No. Non ce n’è bisogno.”
– Concluse lui, ritraendo di scatto le mani al
petto.
-“Capito.” – Andromeda serrò
le labbra e spalancò leggermente gli occhi,
portandosi le mani dietro la schiena e ondeggiando sul posto. Il
ragazzo con il
papillon le rivolse un’occhiataccia indagatrice, non troppo
convinto. Andromeda
poggiò distratta – coff - un fianco
sulla console, tamburellando le dita della mancina sulla propria
coscia.
-“Poi cos’altro non va
fatto?”
La TARDIS barcollò
pericolosamente d’improvviso, producendo
i consueti rumori metallici –“Cosa
diavolo hai combinato!” – le urlò contro
il Dottore -“Avevo menzionato il ‘non
toccare’!”
Andromeda sbuffò divertita, tenendosi al bordo della console
–“Ho solamente
seguito le tue istruzioni! Quindi se finiamo in uno pseudo buco nero
è solo
colpa tua che non sai quali sono i pulsanti
d’accensione!”
-“TU hai premuto le coordinate spazio-temporali!”
– Le gridò il ragazzo,
tentando di rimanere in equilibrio sull’assurdo pavimento che
ondeggiava
minaccioso.
-“Non è vero, sei stato tu a cadere sopra la
console!” – rispose immediatamente
lei, volgendo le mani al cielo. Pessima scelta: Andromeda perse
stabilità e si
ritrovò a terra, rotolando senza sosta.
-“Oh, hai ragione” – il Dottore si
batté con forza la mano destra sulla nuca,
finendo per terra come un sacco di patate, insieme alla ragazza,
venendo però
allontanato subito da lei da un potente scossone da parte della console
–“Se
finiamo in un buco nero” – le urlò in
lontananza, serrando gli occhi – “mi
offri una pizza!”
-“Sei tu l’uomo, dovresti fare da vero
gentleman!” – Le gridò lei di rimando,
ridacchiando.
-“Oh, che diamine” – esalò un
ultimo respiro il Dottore, prima di sbatacchiare
la schiena contro una parete della TARDIS e lanciare una smorfia di
dolore. Ad
Andromeda andò leggermente peggio, visto che si
ritrovò a cadere per le scale
che portano sotto alla sala principale. La TARDIS fu però
molto gentile, e
regalò anche a lei l’ebbrezza di sbatacchiar la
schiena contro una sua parete.
Dopodiché, tutto cessò.
Niente più
pavimenti barcollanti, nessun rumore inconsueto o troppo forte. Il
ragazzo
spalancò prima un occhio, per accertarsi che il manicomio
fosse veramente
finito e poi poggiò con forza una mano a terra, cercando di
tirarsi su.
-“Gambe, braccia, seder-, oh, diamine, ci sono.
Andromeda?!” – Urlò contro il
vuoto, aggiustandosi il papillon.
-“T-tutta intera.. forse” – una flebile
voce raggiunse le orecchie del Dottore,
che lesto, si diresse verso il monitor di comando della TARDIS.
-“Allora.. dove siamo, vecchia mia?” –
Sussurrò provocatorio alla console,
carezzandone distrattamente i comandi. Andromeda risalì
velocemente le scale,
curiosa di sapere dove quell’”ammasso di
ferraglia” l’aveva portata, trovandosi
davanti un Dottore immobile, incredulo, con gli occhi spalancati e
fissi sul
monitor.
-“D-Dove siamo?” – Azzardò a
chiedere lei, sempre presa dall’entusiarmo.
Il ragazzo non la calcolò minimamente, troppo indaffarato ad
accertarsi della
posizione attuale.
-“Dottore?”
Il Dottore si portò le mani sui fianchi, la testa bassa,
leccandosi le labbra.
-“C-cosa c’è?”
–“Obsessedland!” –
Urlò di gioia il ragazzo, lanciando prima le mani al cielo e
poi abbracciando la ragazza –“Ho sempre desiderato
andarci!
Graziegrazigraziegrazie” – strascicò
l’ultima parola più volte, che si perse
insieme a qualche residuo di saliva sulla felpa di Andromeda , la quale
tirò un
sospiro di sollievo, maledicendo quel deficiente che non faceva altro
che farle
prendere dei colpi.
-“Obsessedland?” – Ripeté non
troppo convinta lei.
–
“Sìsì!” – Il
Dottore si staccò dalla
sua felpa, facendo una giravolta su sé stesso e puntandole
contro un indice –
“Sai che una leggenda narra che gli ultimi visitatori siano
stati rinchiusi in
vetrine di negozi come manichini?” –
recitò eccitato –“Oh, ma è
solo una
leggenda.” – concluse, portandosi le mani sui
fianchi.
-“C-cosa? Che razza di pianeta è?” -
balbettò lei.
-“Eh? E io che ne so? Per questo sono esaltato! Insomma, gli
abitanti non fanno
altro che rebloggare su Social Galactwork frasi di film, telefilm e
fumetti,
con immagini e derivati! Non c’è una sola foto su
tutta la rete galattica che
mostri come sia realmente fatto il pianeta! Deve essere proprio
fico.” – Esordì
il Dottore aggiustandosi il papillon.
-“..Immagino, sì.”
-“Allora, signorina” – le porse un
braccio il ragazzo – “Vuole sperimentare
l’ebbrezza di poggiare i piedi su un nuovo
pianeta?”
-“Signore mio caro” – Andromeda si
strinse a lui –“Con piacere.”
Si sorrisero entrambi a vicenda, emozionati al solo pensiero, e si
diressero a
passo svelto davanti alla porta della TARDIS. Il ragazzo dal papillon
rosso le
fece un segno con la testa (vuoi aprire
la porta? ), ma la ragazza scosse violentemente la testa,
quindi lui fece
spallucce e poggiò delicatamente le dita sul meccanismo di
apertura.
-“Obsessedland, siamo arrivati!” –
Sbraitò il Dottore, spalancando emozionato
la porta. Poi ritrasse di scatto le mani al petto, aggrottando prima le
sopracciglia e storcendo la bocca, poi osservando confuso la compagna.
Andromeda
si sporse dubbiosa dalla TARDIS, per osservare meglio cosa vedeva
davanti ai
suoi occhi e, cercando una conferma della verità di tutto
quello che si
protraeva di fronte a lei, si mollò un piccolo schiaffo
sulla guancia, al ché
il Dottore la guardò di sbieco. Una grandissima distesa di
cuscini, divani e
poltrone si estendeva di fronte a loro, formando così una
possibile strada,
alle cui estremità giacevano, probabilmente, edifici
costruiti a forma di
persone, personaggi inventati e oggetti. La
“strada” era invasa da grassoni che
rotolavano su loro stessi per raggiungere la parte opposta,
evidentemente
troppo pesanti per alzarsi in piedi e camminare. Ma forse la distesa di
cuscini
era stata messa per evitare la fatica ai grasson- ehm, agli alieni, di
prendere
ogni qual volta un mezzo di trasporto per spostarsi da un luogo
all’altro.
Guardando verso il cielo, le cui nuvole erano colorate, a forma di
ciambelle,
cibo e cartoni animati, Andromeda poté distinguere
nettamente i mezzi di
trasporto che tempo prima aveva cercato di collocare nei suoi pensieri,
adesso
però non così consueti a quelli della sua
immaginazione. Un uovo volante passò
con nonchalance di fronte alla TARDIS, dando la possibilità
di indagare meglio
alla ragazza e al Dottore su come gli Obsessed si spostassero su quel
pianeta.
Somigliavano appunto a delle gigantesche uova metalliche aperte a
metà, dalla
cui parte superiore straripava il grasso del ventre
dell’alieno trasportatovi
sopra, che, con ogni probabilità, stava ingozzandosi di
patatine, ciambelle o
vario. Andromeda notò che la distesa di cuscini era
disgustosamente ricoperta
da ogni tipo di scarto di rifiuto, cibo o escremento possibile ed
inimmaginabile e, rotolandoci sopra, gli abitanti si portavano dietro
graziosi
regalini puzzolenti e appiccicosi. La ragazza si voltò
nauseata verso il
Dottore, che ricambiò la sua espressione annuendo
disgustato, portandosi le
mani al ventre.
-“Forse dovremmo cambiare le coordinate
spazio-tempo.” – suggerì lei perplessa.
-“S-scherzi?!” – Il Dottore
tossì schifato, convincendosi che in quel pianeta
ci sarebbe stato sicuramente qualcosa di interessante da vedere
– “Gli Obsessed
sono un popolo meraviglioso. Guardali! Vivono di cibo preso al fast
food, non
puliscono, non si lavano e passano una buona percentuale della propria
vita
davanti ad un computer. Che popolo meraviglioso! Riescono a vivere
modellandosi
action figures per conto proprio e collezionando i dvd inediti di serie
televisive.. che popolo..-“ – Un altro uovo volante
passò di fronte a loro,
concedendo ad un Obsessed di
ruttare di
gusto di fronte ai due ragazzi, che, disgustati, si voltarono a tossire
nella
TARDIS, quasi accasciati a terra –
“Disgustoso!” – Il Dottore
articolò quella
parola cercando di prendere fiato fra una boccata d’ossigeno
e un’altra,
occupato a cercare un po’ d’aria pulita per i suoi
polmoni. –“Ma
sì, senti che arietta, restiamo pure qua!”
– Andromeda tentò di riprendere fiato, intimando
l’opposto al Dottore.
-“Ci deve essere qualcosa di interessante, andiamo!”
-“Oh, certo” – Tossì lei
nauseata – “Potremmo metterci a misurare il tempo
impiegato da uno dei grassoni per attraversare la strada!”
-“Non sono grassoni!”
-“Ah no?”
-“Ovvio che no! E’ la loro costituzione
fisica!” – Continuò lui tossendo
–
“Sono fatti in quel modo poverini, non
discriminarli!”
-“Sta di fatto che assomigliano proprio in tutto e per tutto
al meme dei nerd
che si trovano in giro sul web.. tranne che per il colorito
grigiastro.” –
spiccò lei, riprendendosi dagli scossoni di tosse.
-“Ohw, ma certo! 2011!” – Il Dottore
puntò l’indice destro verso Andromeda, deglutendo
e sghignazzando – “C’è stato
un periodo sulla terra in cui i meme andavano di
moda.”
-“Fine 2012” – Bofonchiò lei
irritata.
-“Ohw, anno splendido! Obama mandato per la seconda volta in
carica come
presidente, Felix che riesce a sfondare il muro del suono, bello il mio
ragazzo! Per non parlare delle Olimpiadi a Londra e del primo Hunger
Games al
cinema! Ohh, che film.” – Il Dottore si
raddrizzò sulla schiena, schiarendosi
la voce – “Attenti a Suzanne. E’ una
ragazzaccia.” – Il ragazzo le fece
l’occhiolino, sghignazzando divertito –
“E che non vi venga in mente di usare
la storia del libro per punirci qualcuno, bada!” –
Il Dottore fulminò con lo
sguardo Andromeda, che rialzandosi a fatica, scosse la testa confusa
– “Dico,
per non ripetere gli stessi errori. No, aspetta, non è
ancora successo..”
Andromeda lo guardò di sbieco, cercando di riprendere un
po’ di fiato.
-“Farò finta di non aver sentito”
– continuò lei, raddrizzandosi sulla propria
schiena – “Okay. Mhn.” -
Andromeda serrò
le labbra, convincendosi a voltarsi verso il panorama di merendine che
si
estendeva dietro le sue spalle – “Mhhhn.”
– e, appena scoperto che gli Obsessed
si nutrivano anche del cibo presente a terra, si avvicinò
barcollante al
Dottore, prendendolo per le spalle – “Ti prego, ti
prego, cambiamo pianeta! Non
è una cosa adatta agli stomaci deboli!”
–cercò di convincerlo lei, gli occhi
umidi, visibilmente disgustata dal tutto.
-“N-no.” –Ribatté il Dottore,
tentando di alzarsi in piedi –“Sono sicurissimo
che ci saranno un sacco di cose interessanti, avanti”
–Insisté, prendendo la
ragazza per mano e strattonandola –
“Andiamo.”
Andromeda ebbe giusto il tempo di piagnucolare qualcosa ma, tastato con
la
suola delle scarpe il terreno, tacque, rivolgendo
un’occhiata, in un misto fra
l’orrore e il dispiacere al Dottore, che si sforzò
di non far caso al terreno
floscio e morbido, costituito da merendine putrefatte e.. Uhg.
-“B-bene” –Balbettò non molto
convinto lui, voltandosi per chiudere la porta
della TARDIS - “P-pronta?”
-“N-no.” – La ragazza non aveva davvero
pensato ad un’evenienza simile, quando
quello strano ragazzo le aveva
spiegato, accortamente, che quella era un’astronave che era
capace di viaggiare
nello spazio-tempo.
Non le era nemmeno passato per la mente.
Insomma, una parte di lei era ancora inchiodata con i piedi per terra e
le
diceva di uscire da quello strano
posto – sebbene fosse tutto così arancione, e, di
nuovo, strano -, in quel momento,
però..
Perché, andiamo, le astronavi non erano così.. strane. E soprattutto non venivano di
certo create seguendo il
design di una vecchia cabina della polizia! La coscienza di Andromeda
aveva
dunque fatto capolino di fronte alla ragazza e l’aveva
scossa; senza però
ottenere nessun risultato.
Un ragazzo strano, con una
navicella strana, che parla di cose
strane, in modo strano.
Come avrebbe potuto, la piccola Andromeda, non pendere dalle sue
labbra, ogni
volta che si accennava a nominare mondi, cieli diversi e popolazioni
ignote
alla razza umana? Come poteva non cogliere quella scintilla al volo? Al
massimo, se fosse stato un maniaco, l’avrebbe riempito di
botte e rinchiuso
nella biblioteca segreta, per fargli fare da esca alla friggitrice
incazzata
che era misteriosamente sparita. ( Andromeda era convinta fosse in
bagno,
nemmeno lei cosciente del perché.)
Era come nei film: una misteriosa figura sceglie un prescelto e gli
mostra
meraviglie a cui nessuno ha mai nemmeno pensato, facendogli vivere
fantastiche
avventure. Sembrava tutto così bello..
.. Rimembrò tristemente Andromeda, osservano sprofondare le
sue converse in
quella marmaglia marrone.
Il Dottore continuò la sua goffa marcia con la ragazza per
mano, le spalle
erette e il collo drizzato, forse per velare agli occhi quello
spettacolino non
proprio gradevole, fino a che non scesero la collina di merendine -
più omaggi
gratis indesiderati - su cui la TARDIS era atterrata poco prima.
Vedendo
avvicinarsi la strada, lievemente più pulita
dell’ammasso di rifiuti, entrambi
ebbero uno scatto istintivo, e si ritrovarono a correre a perdifiato
giù per il
“colle”, sempre per mano. Inchiodarono dunque sul
mini marciapiede che univa la
collinetta alla strada, entrambi cercando di pulirsi goffamente le
suole delle
scarpe, tentando di far finta di niente.
-“Un’avventura” – ripeteva fra
sé e sé il Dottore, per convincersi, forse
–
“Sarà un’avventura fantastica.”
-“Basta che ci creda tu” – Rispose la
ragazza dai capelli neri, alzando un
sopracciglio, al ché lo strano
tipo
le rivolse un’occhiata non troppo convinta. Si guardarono un
attimo intorno,
per fare il punto della situazione, e, constatato che le loro mani
erano ancora
intrecciate fra di loro, entrambi sussultarono, avvampando a vicenda e
cercando
di sviare il discorso.
-“Ah! G-guarda”- il Dottore puntò
l’indice mancino verso la grande strada che
si protraeva di fronte a loro – “Riconosci
qualcosa?”
Andromeda si sporse lievemente in avanti, cercando di mettere a fuoco,
e, visto
un’enorme edificio a forma di una macchinona nera, dal design
particolare e
dalle ruote anteriori posizionate quasi di fronte al parabrezza, si
ricordò di
Jack, e di quanto l’aveva stressata a proposito di quel
fumetto.
-“.. Ma quella non è la Batmobile?”
-“Esattamente” – ghignò il
Dottore – “La filmografia umana e tutti i suoi
derivati sono apprezzati in tutto l’universo, sai?”
Andromeda annuì non troppo convinta, tentando di distogliere
lo sguardo da un Homer Simpson
troppo grande e troppo
inquietante, i quali occhi erano apparentemente costruiti per seguire
gli
organismi viventi che vi passavano di fronte. Il Dottore
avanzò, poggiando i
piedi sullo strato di merendine e divano che formava la strada,
l’indice che
puntava ancora verso il cielo, blaterando di quale fosse il suo fumetto
preferito e di come la fine di un certo manga non gli fosse andata
giù, facendo
attenzione a schivare i numerosi obsessed che rotolavano da un lato ad
un altro
della strada.
-“Tipo Naruto! Hai mai
letto Naruto?”
– Si fermò di scatto sbraitando
contro la ragazza, che però non lo udì, presa
all’osservarsi intorno.
-“Cos- Cos’è quella roba?”
– Disse, indicando una struttura rosa a forma di
alga che si prolungava a dismisura verso il cielo. Balzarono entrambi
in
avanti, scansando un’enorme Obsessed che proseguì
rotolando il suo cammino.
-“A-ah. Oh, sono i razzi che sparano nel film in 34D di
Erofxis Trwop, ‘Il caffè
troppo amaro’.” –
Annuì fra sé
e sé il Dottore.
Andromeda si fermò di colpo, accigliandosi
–“34D?!”
-“Oh, sì, i buon vecchi tempi, quando ancora non
c’erano incidenti mortali al
cinema” – Spirò lui, sorridendo
tristemente. Andromeda decise dunque di
proseguire in silenzio, riconoscendo la perfetta riproduzione dello
stadio da Quidditch presente ad Hogwarts e l’Occhio
di Sauron,
spaventoso quanto nel film, mentre il Dottore trasaliva ad ogni
edificio,
sbraitando di quanto quel film/fumetto/serie televisiva/altro fosse
tremendamente “cool”
e del perché.
-“Dicevo, hai mai letto Naruto?”
–
Proseguì il discorso di prima il Dottore, avanzando per la
strada deserta.
-“Narut-”-
Andromeda si fermò di
scatto in strada, perplessa, punzecchiando il gomito del ragazzo
– “Dottore..”
-“Ah, dimmi.”
-“Dove.. Dove sono i ciccioni che erano prima in
strada?” – Balbettò la
ragazza, rivolgendogli un’occhiata non troppo convinta,
osservando la bocca del
Dottore spalancarsi ed udendo delle voci provenire da dietro.
Entrambi dunque si voltarono, con il dubbio impresso nella mente e
preparati al
peggio.
-“QUELLO E’ UN TARDIS!” –
sbraitò uno degli obsessed nascosti nella folla di
merendine e persone che si accingeva a ricoprire la povera cabina blu
sulla
collina.
-“QUESTO NON E’ UN SEMPLICE TARDIS”- Lo
ammonì un altro – “QUESTO E’..
SEXY”
Dalla folla si scatenò un delirio di gruppo.
Tutti gli obsessed mollarono merendine e cibo e si avvinghiarono alla
TARDIS,
urlando di gioia, mentre gli esemplari di sesso femminile –
riconoscibili per il
rossetto applicato alla meno peggio sulle labbra – si
accingevano a piangere. Un’obsessed
rotolò giù dalla collinetta, gridando e
piangendo: -“ALL THE FEELINGS” ,
seguita immediatamente da una scarica di altre che sbraitavano diversi:
-“I
JUST CAN’T”.
Il Dottore indietreggiò dunque di un passo, gli occhi
spalancati, e le mani nei
capelli.
-“Il mio.. IL MIO TARDIS!” –
Gridò distratto, ponendosi subito dopo le mani
sulle labbra. Andromeda indietreggiò con lui, sconvolta.
Silenzio.
Decine di teste rotondeggianti, piene di brufoli e dai capelli unti si
voltarono all’unisono, scrutando confusi con i propri
occhietti vispi – resi
abnormi dagli occhiali da vista che ognuno di loro teneva in equilibrio
sul
naso a patata- gli elementi della
scena
che si protraevano di fronte a loro, increduli. Si aggiustarono, con un
tempismo perfetto, gli occhiali sulla cavità nasale, ognuno
con un dito
diverso, facendo forse peso al forte impatto che personaggi di
libri/film/telefilm/fumetti avevano su di loro, portandoli dunque a
voler
assomigliare a pieno al proprio “pg” preferito,
inculcandogli nella mente
atteggiamenti e pensieri. Labbra screpolate, bocche piene di grasso,
briciole e
piene di strani intrugli si spalancarono – sempre, con grande
stupore sia mio,
sia del Dottore là sul posto e sia di Andromeda –
simultaneamente, lasciando
ricadere sul terreno quanto era precedentemente custodito
all’interno.
Occhietti piccoli e pieni di crosticine, ognuno caratterizzato dalle
più
bizzarre e diverse sfumature di colore, si dilatarono lentamente, le
pupille
sconcertate, che vagavano impazzite per tutta la bianca superficie
oculare,
incredule. Fiotti di lacrime si crearono sulle palpebre inferiori degli
Obsessed femmina, che, isteriche, cominciarono ad urlare, portandosi le
mani al
volto e scuotendo violentemente la testa.
-“E’ LUUUUUUUUUUI” –
Cominciarono in coro –“E’ VERAMENTE LUI
OMMIODDIO”
Un’obsessed dalla maglietta arancione e gialla si
buttò violentemente giù dalla
collina, gridando e piangendo, seguita da una marmaglia
d’altre donnicciole incontrollabili,
generando una sottospecie di frana collettiva. I più insulsi
urli di gioia,
dagli “OHH” agli
“ASDFGHJKL”
– pronunciati non si sa bene
come -, riecheggiavano nel quartiere di Obsessedland, conseguendo un
interesse
collettivo da parte degli alieni non ancora partecipanti al
meraviglioso evento
che stava sconvolgendo tutti. Branchi di Obsessed, patatine e dolciumi
cominciarono a dirigersi verso il Dottore e Andromeda, che, in una
smorfia
d’orrore e spavento, cercarono una via d’uscita, ma
si trovarono presto
spiaccicati contro un edificio a forma di ciambella rosa, ricoperta da
cioccolato, con gattini disegnati sopra e canditi appiccicati.
-“OMMIODDIO E’ LEI, E’
ANDROMEDA” – diversi Obsessed circondarono la mora,
strattonata via dal Dottore, che invano, aveva tentato di tenerla
stretta a sé
–“LA TUA ENTRATA IN SCENA NELLA STAGIONE
E’ STATA EPICA. SEI UNA FUCKING
BADASS” – le presero le mani,
ammaliati – “E POI, DIO! SYNCHRONIUM,
LA SEASON
FINALE. ”
Un’obsessed dagli occhiali rosa-fuxia le piombò
davanti, urlandole contro che
era la sua “companion
preferita” e “dio,
quando ho scoperto che quello non era
il Dottore mi sono messa ad urlare!” e “sei
così forte e coraggiosa!”,
sputacchiandole in viso resti di caramelle e
briciole di hamburger. Andromeda, da una parte lieta di ricevere
complimenti
per cose che non si ricordava di aver fatto, si chiese se fosse un
personaggio
cosciente di un fumetto, e che quelle fossero le principali azione che
lei
aveva compiuto in questo grande pezzo d’arte chiamato
‘Andromeda’s
Adventures’. Insomma, season finale? Cosa diavolo-?
Voltò allibita
il volto verso sinistra,
in cerca del papillon rosso e dalle grida angoscianti che provenivano
da quella
direzione. Il Dottore, sommerso da corpi appiccicaticci e urlanti,
cercava
invano di trovare una via d’uscita, un buchetto fra tutta la
massa corporea che
lo circondava, per sgattaiolare via; ma tutto ciò che
trovò furono altre aliene
che gli prendevano fra i polpastrelli cicciotti le bretelle,
facendogliele
schioccare dolorosamente sui pettorali, finendo in bellezza il gesto
con un
sonoro “Hello Sweetie!”
sputacchiatogli in viso. Il povero ragazzo cercò di
indietreggiare
ulteriormente, e l’unico risultato che ottenne fu il
diventare un tutt’uno con
la grande ciambella che si estendeva altezzosa alle sue spalle.
-“R-ragazze, r-ragazze, calma!” –
balbettò impacciato, portando le mani avanti
e tentando di fermare quella follia che oramai aveva preso il
sopravvento su
tutta la cittadina –“calma, per favore! Sono
cosciente di essere l’alieno più cool
di tutto l’Universo, ma vi prego”
–
delle risatine convulse provennero dalla folla impazzita, al
ché un’altra
obsessed gli si avvinghiò al petto, mordendogli il papillon
–“Ragazze, CALMA!”
– esalò un’ultima volta, prima di finire
sommerso definitivamente da corpi, hot
dog e muffin.
Andromeda aggrottò le sopracciglia: la tragicomica
situazione era divenuta
oramai insostenibile, e, visto che lei non aveva certo alcuna voglia di
sostare
in quel pianeta un secondo in più, si arrampicò
sui canditi colorati della
ciambella dietro di lei, in uno scatto improvviso, lasciandosi indietro
lo
sciame di mosconi fastidiosi che diffusero un “OHHHH”
collettivo per il quartiere, attirando l’attenzione degli
altri obsessed impegnati a sopprimere di ammirazione il Dottore per
quanto
fosse “cool”,
“bello”,
“gentile”,
“coraggioso” e
per la sua spettacolare “dark side”.
Arrampicandosi faticosamente
su per il cioccolato e per i canditi fatti – fortunatamente
– non di zucchero
ma di cemento vero, la ragazza raggiunse agilmente il grande buco al
centro del
dolce gigante, sostandovi sopra ed esaminando esasperata la situazione.
La
situazione che, vista dall’alto, sembrava più un
grande fiume colorato di
testoline unte e luccicanti, come omini della lego, ognuno con in mano
un
diverso alimento. Potevano farci un’altra grande bella
costruzione, quelli del
gioco di costruzioni – pensò – sempre
che non esistesse già e che proprio gli
Obsessed non l’avessero costruita. Gli “Ohh”
collettivi si erano dunque fatti superare da dei “sei la migliore!” o da
“l’ho
sempre detto che eri meglio di Martha!” e da
“Chiunque è meglio di
Martha!” e “Oi,
lasciala stare, è la mia companion preferita!”,
generando fra
gli Obsessed il caos più totale, che avevano adesso
cominciato a prendersi a
manate, discutendo animatamente su quanto Martha
fosse una ‘badass’,
su quanto Rose fosse esasperante e
su quanto Amelia fosse stupida.
Andromeda riuscì
ad udire delle grida del Dottore,
che,
esasperato, cercava di esprimere la sua opinione in campo da sotto la
matassa
di grasso, tentando di difendere ogni companion ed esaltandone i pregi.
Nessuno
sembrò però calcolarlo, e due Obsessed
cominciarono a prendersi a spintoni,
finendo dunque a spingere gli altri e scatenando un terribile effetto
domino
che in pochi secondi fece finire ogni alieno a rotolare per terra. La
mora si
morse il labbro e cercò di compatire il dolore del povero
Dottore, che forse,
non ce l’aveva nemmeno fatta. Quando oramai la situazione
stava degenerando più
del dovuto, Andromeda non si attardò a urlare contro lo
sciame inferocito,
spiegando che se non l’avessero fatta finita subito, avrebbe
demolito tutta la
città con i poteri di ‘Knosso’.
Si
ammonì dunque da sola, perché i pezzi delle
lezioni di storia con cui la
Professoressa Biagions la tartassò per ben 5 anni della sua
vita uscivano fuori
in momenti decisamente sbagliati. Insomma, i cretesi? In che anno li
aveva
studiati, in prima? Scosse dunque impercettibilmente la testa, tentando
di auto
convincersi che quello era il suo
fumetto e che poteva avere tutti i superpoteri che desiderava. Persino
quelli
di ‘Knosso’.
Anche se, pensandoci
bene, avere dei superpoteri chiamati con il nome di una
città storica non
sapeva quanto poteva giovare in quella situazione. Magari avrebbe
potuto
generare palazzi immensi con il solo potere
dell’immaginazione, e lasciarli
cadere a caso sulla terra, generando piccole scosse di terremoto e
architetture
distrutte sulla superficie planetaria.. E magari gli Obsessed li
avrebbero
rivenduti ad un probabile pianeta interessato ai Cretesi, che si
sarebbe
chiamato “Creta-for-living”
o
qualcosa del genere! Bel
piano, si
disse, complimentandosi con se stessa – avrebbe giovato a
tutti.
Adesso però doveva muoversi a generare un mega palazzo o gli
obsessed, finito
il cibo, li avrebbero sicuramente mangiati - pensò. Quindi
si accinse a tendere
la mano verso la folla, quando un: “..
Ma
quello era uno spoiler?” riecheggiò
nell’aria. Silenzio, nuovamente.
Andromeda si guardò intorno, confusa dalla domanda, cercando
invano il Dottore,
che stava ancora soffrendo sotto scarpe da tennis e piedi nudi.
Mormorii bisbetici cominciarono a formarsi sotto di lei, e con questo
piccoli
gruppi di alieni si vennero ad unire, scrutando malvagiamente la
ragazza lassù
in alto, che, apparentemente, aveva violato la prima legge sacra del
codice
degli Obsessed.
Non fare
spoiler. Mai.
Ma la povera Andromeda cosa ne poteva
sapere? Primo viaggio,
primi pericoli: sempre informarsi prima, cara ragazza, segnatelo per la
prossima volta. Gridi di rabbia e odio cominciarono ad arrivarle
contro, mentre
il branco di alieni inferociti le rivolgeva gestacci, pugni e parole
poco
consuete ad un linguaggio forbito. Qualcuno gridò parole
incomprensibili, e gli
altri Obsessed cominciarono a dargli manforte, esplicando che quel
gesto era
adatto al reato che la ragazza aveva appena compiuto. Andromeda
aggrottò
irritata le sopracciglia, esaminando se, fra la confusione, il ragazzo
era
riuscito a sopravvivere. E, con suo grande stupore, riuscì a
localizzarlo poco
dopo, schiena contro il muro dell’edificio accanto, intento a
respirare –
finalmente. Individuato, dunque, cercò di attirare
l’attenzione su di sé, ma il
povero ragazzo si buttò stremato a terra, rotolando fra le
merendine, sfinito.
Al ché la ragazza sospirò seccata e prendendo una
manciata di grande coraggio,
si buttò giù dal retro della ciambella,
atterrando su una caviglia e slogandosela.
O almeno quella sembrava una slogatura, visto che cercò di
trattenere un grido
straziato, cadendo anche lei fra i dolciumi, mani sulla caviglia
pulsante,
agonizzante. Ammonì le lacrime sul bordo delle ciglia e le
ricacciò furiosa
dentro, strisciando dolorante verso il Dottore.
-“Stupido.. Ehi, stupido!” – gli
mollò un forte schiaffo sulla nuca, al ché il
moro si alzò di colpo, con il volto crucciato in una smorfia
di disappunto –
“Dobbiamo filarcela!”
-“Ho visto che dobbiamo filarcela, sapientona”
– le rispose per le rime, volgendo
lo sguardo agli alieni inferociti che li stavano cercando
–“Dimmi però come
faremo con loro alle calcagna e tu zoppicante.”
Andromeda alzò gli occhi al cielo: -“Oh, ce la
caveremo!”
-“Certo che ce la caveremo” –
spirò lui non troppo convinto, prendendola per
mano e cercando di farla alzare in piedi. La ragazza
barcollò, saltellando sul
piede sano in cerca di equilibrio, tenendosi salda alla spalla del
Dottore, che
le aveva cinto la vita con la mancina, premuroso.
-“Pronta a correre?” – le
sussurrò in un orecchio il ragazzo, in fibrillazione
– “Non ho mai avuto degli Obsessed alle calcagna!
Che figo, forse nessuno non
li ha mai avuti!”
-“A parte quei poveracci rinchiusi nelle vetrine?”
-“Oh, andiamo, è solo una leggenda!”
-“Sì, eh?” –
ribatté lei, rivolgendo lo sguardo all’edificio di
fronte, nelle
cui vetrine giacevano incatenati due alieni dal colorito rosso e dagli
occhi
bianchi e tristi, con una struttura ossea della testa a dir poco
meravigliosa,
in rimando di quella dei triceratopi preistorici.
-“O-oh.”
-“Muoviamoci!”
– Lo sgridò lei con voce rauca, cominciando a
saltellare con una gamba sola verso la TARDIS. Il Dottore la
seguì a ruota per
pochi metri, quando entrambi si fermarono a coprirsi con le mani le
orecchie:
causa un’energica sirena che risuonava in tutto il quartiere,
forse addirittura
in tutto il pianeta, facendolo vibrare ad ogni onda sonora. Andromeda
perse
l’equilibrio e cadde per terra, il Dottore le si
avvicinò di scatto e le prese la
mano, o almeno cercò di farlo, perché il suo
busto risultava stretto e
dolorante, e qualcosa lo bloccava dall’allungarsi
maggiormente. Andromeda
spalancò terrorizzata gli occhi, schiudendo la bocca e
gridando qualcosa, che
però non raggiunse l’udito del Dottore, coperto
dai forti impatti d’onde sonore
della sirena che occupavano oramai tutto lo spazio circostante. Il
ragazzo si
portò d’istinto le mani al torace, trovandosi
dunque la giacca, la camicia e il
suo povero papillon stretti in una morsa soffocante da dei fili di
ferro.
Cercando quindi di strapparli, cominciò a dimenarsi
convulsamente, urlando
qualcosa che, ancora una volta, nessuno udì. Dopo diversi
tentativi, conclusisi
tutti in fallimenti, gli risaltò all’occhio la
figura in ombra di Andromeda, a
terra, di fronte a lei, sconvolta. Va bene, erano fili di ferro ed
erano
rincorsi da un branco di Obsessed impazziti, ma non era nulla di
ché! Forse la
ragazza doveva solo abituarsi a tutte quelle nuove meraviglie e
maturare un po’
più di coraggio, pensò, mentre cercava di
rivolgerle uno sguardo rassicurante.
Ma gli occhi di Andromeda non erano puntati su di lui; bensì
ricercavano
un’apparente figura dietro, che, seguendo i tratti che le
pupille della ragazza
compivano, risultava gigantesca. Il Dottore fermò i suoi
movimenti violenti,
aggrottando le sopracciglia e scuotendo la testa verso la ragazza, in
cerca
anche solo di fievoli spiegazioni. Andromeda non lo
considerò minimamente,
immobile ad esaminare, sconvolta, la creatura che si espandeva alle
spalle del
ragazzo.
Il Dottore cercò dunque di voltare la testa, ed, una volta
compiuto il gesto,
desiderò non averlo mai fatto.
Nemmeno il tempo di rendersene conto e si ritrovò
sottosopra, sbatacchiò la
testa da qualche parte, udì un latrato terrorizzato di
Andromeda e perse ,
impotente, i sensi.
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