La vita (non) è un film

di MadAka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alle 8.00 ***
Capitolo 2: *** Verso il negozio ***
Capitolo 3: *** Colleghi ***
Capitolo 4: *** L'incarico ***
Capitolo 5: *** Cinese ***
Capitolo 6: *** Champagne ***
Capitolo 7: *** I confronti delle nove ***
Capitolo 8: *** Sensazioni e Contrasti ***
Capitolo 9: *** L'appuntamento ***
Capitolo 10: *** Sveglia ***
Capitolo 11: *** Capelli blu ***
Capitolo 12: *** Buio ***
Capitolo 13: *** Fragole e panna ***
Capitolo 14: *** Aperitivo ***
Capitolo 15: *** E se... ***
Capitolo 16: *** Autoconvincersi ***
Capitolo 17: *** Consigli ***
Capitolo 18: *** Tequila ***
Capitolo 19: *** Calla ***
Capitolo 20: *** Pizza a domicilio ***
Capitolo 21: *** Quei maledetti biglietti ***
Capitolo 22: *** Riparare al danno ***
Capitolo 23: *** "Parla" ***
Capitolo 24: *** Luglio ***
Capitolo 25: *** Richiesta di aiuto ***
Capitolo 26: *** Auto gialle e divani ***
Capitolo 27: *** Il giorno dopo ***
Capitolo 28: *** Dopo sbornia ***
Capitolo 29: *** Verso la fine ***
Capitolo 30: *** L'inaugurazione (Prima Parte) ***
Capitolo 31: *** L'inaugurazione (Seconda Parte) ***
Capitolo 32: *** L'inaugurazione (Terza Parte) ***
Capitolo 33: *** Giorno lavorativo ***
Capitolo 34: *** La sera ***
Capitolo 35: *** Il terzo incomodo ***
Capitolo 36: *** Foto a colori ***
Capitolo 37: *** Duecentoquaranta minuti ***



Capitolo 1
*** Alle 8.00 ***


PARTE I



-Dannazione!!- l’urlo arrivò da fuori la porta e mi svegliò dopo essere stato accompagnato da una serie di suoni acuti e metallici.
Che cavolo stava combinando di là quell’altro? Mi rigirai di lato nel letto sperando che quel trambusto finisse in fretta ma parve invece aumentare. Si sentivano i suoi passi andare dal salotto con angolo cottura alla sua camera per poi tornare di fretta, quasi di corsa, ai fornelli, probabilmente stava anche inciampando in qualcosa, forse il divano.
“Taylor ti odio!” urlai, ma in realtà non aprii bocca e quello sfogo rimase chiuso dentro di me. Affondai le mani nel cuscino e mi alzai facendomi scivolare di dosso la coperta di cotone bianco. Mi infilai i primi pantaloncini che trovai, quelli dei Knicks, e spalancai la porta della mia camera con lo sguardo più spietato che mi era concesso verso le 8.00 del mattino dell’unico giorno della settimana in cui mi era possibile dormire: il martedì.
Mi trovai davanti il caos. 
Taylor era agitatissimo. Faceva avanti-indietro dal salotto alla camera completamente scalzo, con indosso solo i jeans, la camicia in mano e una fetta di pane tostato in bocca mentre sui fornelli il latte stava traboccando sporcando ovunque.
Appena mi vide mugugnò qualcosa che mi parve un “ ‘Giorno Jane” prima di riprendere il suo andirivieni inquietante.
-Ma che diavolo stai facendo??- gli chiesi.
Lui non si fermò, mandò giù, praticamente intera, la fetta di pane e disse:
-Ho il colloquio stamattina-
Ah già, il suo colloquio di lavoro. Certo che se per un colloquio il risultato era questo casino mattutino, forse era meglio che si trovasse un lavoro e in fretta…
-Merda!- urlò quando vide che il latte era tutto disperso sui fornelli. Si spettinò innervosito i capelli corti e scuri e se li risistemò immediatamente ricordandosi che quel giorno avrebbe dovuto essere presentabile.
Si versò del caffè mentre io continuavo a guardarlo per vedere come la cosa sarebbe andata a finire e, fra un sorso e l’altro, si infilò la camicia.
Diedi un’occhiata all’orario:
-Taylor ma a che ora hai questo incontro?- domandai, notando che erano le 8.25.
Lui mi rispose esasperato da se stesso:
-Alle 9.00…-
-Che?! Ma hai visto che ore sono?-
Si voltò mostrandomi di essersi abbottonato la camicia male e affermò:
-Secondo te perché sono così stressato?? Non ho sentito la sveglia stamattina!-
-Vieni qua!- gli dissi.
Lui prese la tazza e si avvicinò. Terminò di bere il caffè mentre io gli abbottonavo correttamente la camicia.
-Il problema, è che ieri sera te ne sei uscito a fare bisboccia con i tuoi amichetti. Prima di giorni del genere si sta a casa a dormire- gli feci notare.
Lui mi sorrise:
-Scusa mamma, hai ragione…- il suo alito profumava di caffè appena fatto e mi fece venire una voglia assurda di berne una tazza bollente.
Alzai lo sguardo e gli risposi: -Sei un idiota! Ora vattene!-
Eseguì immediatamente. Si infilò le scarpe, afferrò la borsa in cui aveva messo la carpetta con tutti i suoi lavori e diede un’occhiata ai fornelli lerci di latte.
-Ci penso io- dissi.
-Grazie Jane, sei un’amica!- mi fece “Ciao” con la mano e scappò.
“Scommetto che non arriverà mai in tempo”. Mi misi a pulire i fornelli mentre il mio caffè si stava preparando. Non avrei mai sopportato di essere svegliata alle 8.00 di mattina da qualcuno, ma per Taylor facevo un’eccezione, era una delle poche persone con cui si viveva bene.
Prima di lui, in questa casa, avevo avuto tre coinquilini differenti, uno peggio dell’altro.
La prima persona che rispose al mio annuncio era una signora sui quarant’anni. Una vera despota! La casa era mia ma lei pretendeva di dettare legge, dirmi cosa fare, quando pulire e come pulire. Meno di due mesi dopo l’avevo già cacciata e al suo posto avevo trovato una ragazza un po’ più piccola di me. Aveva ventitré anni, occhioni da sognatrice e viveva in un mondo tutto suo, infatti se ne stava sempre chiusa in camera. Usciva dopo di me da casa e rientrava prima e io non l’avevo praticamente mai incontrata salvo in poche e rare occasioni. Certo, silenziosa e ben educata, faceva la sua parte del lavoro, ma a che scopo avere un coinquilino se poi malapena ci parli? Comunque, tre mesi dopo lei se n’era andata e al suo posto era sopraggiunto un ragazzino di ventuno anni in fuga dal college. Anche lui era durato poco.
Per fortuna, era arrivato Taylor. Una persona normale in casa. Si era presentato in maniera decisamente amichevole e avevamo legato molto in fretta. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Tuttavia, dopo quattro mesi di convivenza, era stato licenziato al suo vecchio posto di lavoro e aveva trascorso gli ultimi trenta giorni a cercarne uno nuovo.
Sperai che arrivasse in tempo al colloquio anche se ero perfettamente consapevole che sarebbe arrivato in ritardo. Avrebbe dovuto prendere la metropolitana e, a New York a quell’ora del mattino, era un’impresa.
Dato che per colpa dell’ometto castano e affascinante ero sveglia prima del previsto, decisi di andare al negozio prima. Invece che farlo aprire a Chris come avrebbe dovuto, lo avrei fatto io.
Tornai in camera e mi vestii rapidamente, bevvi il mio caffè, afferrai la borsa, le chiavi del negozio e quelle di casa e qualche soldo extra per una ciambella lungo la strada, la mia colazione straordinaria che di solito non facevo.
Mi misi addosso una felpa, che era più che sufficiente per superare il clima mattutino di maggio e uscii diretta verso il mio negozio: lo studio fotografico.

 
 
Ed eccomi qua con una nuova storia a capitoli a cui sto lavorando.
Dico solo una cosa velocissima:
non so esattamente quando pubblicherò il prossimo capitolo (di solito cerco di mantenere una pubblicazione regolare). Visto che questo racconto è ancora in corso d’opera probabilmente ci vorrà un pochino per i prossimi capitoli.
Diciamo che questo è un capitolo pilota, per vedere se la storia può piacere e quindi se ha senso continuarla o meno…
Se vi va, sappiatemi dire
:)
Alla prossima!
MadAka

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Capitolo 2
*** Verso il negozio ***


La cosa bella del mio negozio era che distava solo cinque minuti a piedi dall’appartamento. Ovviamente era tutto calcolato, il negozio prima di diventare  di mia proprietà era di mio padre e quando lui decise di passare i suoi anni di vecchiaia in Ohio, da dove proveniva la mia famiglia, la sua attività era passata a me.
Per colpa sua avevo sempre avuto il pallino della fotografia fin da piccola, tuttavia crescendo scoprii la musica, i concerti, gli skater e i tatuaggi, e le cose si unirono in un’unica gigantesca passione. Io e i miei due collaboratori, Chris e Tess, avevamo trasformato il suo vecchio e tradizionale studio in qualcosa di più grande instaurando collaborazioni con magazine, siti web, testate di fama internazionale, tatuatori e atri privati, mettendo in piedi un vero e proprio business. Non fotografavamo matrimoni, battesimi, feste di compleanno o altro, no, noi fotografavamo concerti, moto, skater e tatuaggi e non avrei potuto chiedere di meglio. Innanzitutto perché gli affari andavano alla grande, ma soprattutto perché era la cosa che amavo di più fare e non avrei potuto avere colleghi migliori di quelli che ero riuscita a trovarmi e che erano, inoltre, i miei due migliori amici.
Mentre camminavo verso lo studio mi fermai a vedere la vetrina del negozio di abiti da sposa lungo la via. Avevano cambiato tutti i vestiti dei manichini. Ne avevano messi due bianchi classici, pieni di fronzoli e con grandi gonne vaporose che mi davano l’idea di essere orrendamente scomodi. Quello centrale invece mi colpì, era rosso porpora, dalla stoffa luminosa stretto in vita che seguiva meravigliosamente i fianchi, allargandosi  a metà delle cosce. Una vera bellezza. Anche se era una bellezza indosso a quel manichino taglia 38. Avrei voluto proprio vederlo sui miei fianchi 42/44. Non che fossi grassa, per mia fortuna mangiavo un sacco di porcherie e non mettevo su un kg, tuttavia mi infastidiva che gli abiti veramente belli stessero bene solo alle anoressiche top model e alle bambole di legno che li tenevano per presentazione.
Sospirai e mi voltai estraendo dalla tasca le chiavi del negozio. Poi vidi venire verso di me una faccia conosciutissima. Mi fermai sorridendo ed esclamai:
-Josh!!- spalancai le braccia e la borsa mi scivolò fino al gomito.
L’uomo rispose con un: -Oh Jane!- e mi fece un cenno con la mano come a dirmi di essere felice di vedermi.
Lo raggiunsi con finto passo cadenzato e lo guardai in faccia.
Joshua, per gli amici Josh, era il mio vicino di negozio. Mi ero sempre divertita molto a chiamarlo così perché suonava in maniera strana. Era un tatuatore, lo si capiva anche dal fatto che i tatuaggi ricoprivano quasi interamente il suo corpo. Aveva lettere gotiche sulle dita, tatuaggi in stile giapponese sulle braccia e le sue iniziali sul collo. Un uomo molto colorato, non c’era che dire! Era anche simpatico e in un certo senso affascinante. Una volta aveva meravigliosi capelli rossicci che ora si rasava in continuazione per via della fronte notevolmente stempiata che si ritrovava, aveva occhi azzurri leggermente appannati e il naso storto dovuto ad una rissa in cui era rimasto coinvolto anni prima. Ma era una splendida persona e lavoravamo spesso insieme. Tutte le fotografie dei suoi lavori sui giornali erano opera mia, mentre il mio tatuaggio era un suo lavoro.
-Cosa ci fai qui a quest’ora? Non arrivi dopo al martedì?- mi chiese
-Lasciamo perdere…- sbuffai. Lui scoppiò a ridere intuendo subito che centrava lo zampino di Taylor:
-Ho capito, ho capito. Bè, avevo giusto bisogno di parlare con te. Ho un ottima notizia, ma soprattutto ho del lavoro per te!- sorrise amabilmente.
-Fantastico!- esclamai: -Dimmi pure-
-No, non ora. Devo sistemarmi e aprire lo studio. Riesci a passare verso le 10.00? Altrimenti mangiamo qualcosa insieme, che mi dici?-
-Passo verso le 10.00. Tanto stamattina ci saranno fin dalle 9.00 sia Chris che Tess, quindi ho tempo-
Mi sistemai la felpa e cercai di riordinare i miei scombinati capelli mogano scoloriti dalla tinta mentre Joshua annuiva con la testa e faceva segno di ok.
-A più tardi allora!- disse salutandomi.
Io ricambiai e poi mi incamminai. Pochi passi dopo arrivai finalmente al mio negozio.
Girai la chiave per disattivare l’allarme, alzai la saracinesca e poi aprì la porta di ingresso con l’altra chiave del mazzo.
Il suono del campanello mi accolse e i mobili lentamente presero forma.
Il bancone in fondo alla stanza, gli scaffali con le foto scattate pronte per i clienti, le pareti piene di fotografie incorniciate che raffiguravano snowboarder, skater, rider e musicisti, il treppiede della reflex di Tess…che lì non dovrebbe esserci…
Sbuffai e andai a chiuderlo posandolo contro il muro. Odiavo il caos che quei due lasciavano in giro quando, la sera, erano gli ultimi ad uscire dal negozio.
Andai dietro al bancone e posai la mia borsa. Estrassi il cellulare e controllai l’ora, prima guardando il suo schermo, poi l’orologio posto sulla parete di destra. Mancavano cinque minuti alle nove. Chissà se Taylor aveva raggiunto l’ufficio per il suo colloquio in tempo. Ero tentata di mandargli un messaggio ma decisi di evitare di toccare tasti dolenti. Ero certa che avesse tardato ma lo avrei consolato quella sera.
Accessi il mio portatile, che era da sempre sul tavolo a destra del bancone e accanto alla prima porta della camera oscura, per sistemare alcune fotografie del contest di skate di pochi giorni prima chiedendomi che tipo di lavoro aveva in serbo per me Josh questa volta.

 
 
Ebbene, rieccomi!
Vorrei ringraziare chi ha seguito il primo capitolo  e mi ha fatto sapere che la storia le/lo sta interessando, anche se ovviamente siamo solo all’inizio.
Ho deciso di pubblicare capitoli brevi, in questo modo li riesco a scrivere in poco tempo e potrò pubblicarli con una certa frequenza (o almeno, farò il possibile).
Spero che continuiate a seguirla.
Alla prossima ;)

MadAka

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Capitolo 3
*** Colleghi ***


Dopo poco più di dieci minuti di lavoro su computer, il campanello posto sopra la porta tintinnò avvertendomi dell’ingresso di qualcuno. Non mi voltai subito perché ero troppo concentrata nel ritaglio al millimetro di una fotografia con uno skater intento ad effettuare un ollie.
Riconobbi chi era appena arrivato quando mi disse:
-Jane, come mai sei qui a quest’ora?-
Mi voltai per vedere Chris in faccia e rispondere:
-Buongiorno-
Lui raggiunse il bancone e vi posò sopra la sua borsa di similpelle così vintage e in tono con il suo stile.
Chris infatti era un Hipster. Lo era da sempre, da molto prima che diventasse una moda. Teneva anche lui un paio di baffi maestosi, gonfi e riccioluti, che trovavo bellissimi. Portava occhiali dalla montatura spessa e nera che gli coprivano i suoi limpidi occhi celesti e vestiva in maniera incredibilmente retrò. Ma lui era così da sempre, non lo faceva per essere attuale. Era cresciuto legandosi alle musicassette, ai film a pellicola, alle biciclette sgangherate e alla televisione a tubo catodico. Non per niente, lui era il nostro esperto di pellicole. Lavorava esclusivamente con la macchina fotografica analogica ottenendo risultati eccellenti. Inoltre, il suo lavoro, oltre che ottimo, era anche molto richiesto e accresceva il prestigio del nostro studio.
Estrasse dalla borsa una grossa carpetta di cartone, prese fiato e mi chiese:
-Allora, come mai sei già qui? Ieri sera eri così contenta di poter dormire, dicevi sempre “Ah, meno male che domani dormo” o giù di lì…-
Io alzai nuovamente gli occhi dallo schermo del portatile e gli lanciai un’occhiata torva dicendo solo:
-Secondo te cosa può essere successo?-
Sollevò le spalle affermando con nonchalance:
-Immagino che centri Taylor-
-Esatto, mi ha svegliato e così sono venuta prima-
Lui ridacchiò e io capii che non serviva aggiungere altro. Infondo lui e Tess conoscevano Taylor e i suoi modi di fare, capitava spesso che uscissimo tutti e quattro insieme, soprattutto nel periodo in cui lui era in cerca di un nuovo lavoro. Erano semplici uscite fra amici, niente di più.
Mentre sistemava le cose nella sua borsa afferrai la carpetta che aveva estratto prima e le diedi uno sguardo:
-Sono loro?- gli chiesi sorridendo eccitata. Lui si sistemò un momento i baffi facendo sì con la testa.
Aprii la cartellina ed estrassi le fotografie.
Rimasi letteralmente a bocca aperta quando le vidi. Erano incredibili, una più bella dell’altra ed erano così vintage. Raffiguravano ciascuna una pin-up differente nelle pose più tradizionali, ma quello che mi colpì di più fu l’effetto che Chris era riuscito ad ottenere. Le fotografie sembravano vissute, le carni morbide delle modelle le facevano apparire come sospese in un tempo passato e la grana della pellicola rendeva tutto indefinito.
-Sono stupende Chris, ti sei superato ancora secondo me!- esclamai consapevole che quel lavoro, richiesto da un privato per un libro sulle pin-up, avrebbe aumentato ancora di più la fama del ragazzo e del nostro studio.
-Ti ringrazio. Ne ho stampate due copie di ciascuna, lì ci sono le migliori. Poi le ho scannerizzate e ne ho fatto una copia digitale da tenere sul portatile-
-Il committente vuole i negativi?- gli chiesi.
Lui scosse la testa: -No no. Ma ne vuole ugualmente una scansione ad alta risoluzione. Verrà oggi in studio per vedere le foto, così potrai parlarci di persona-
-Perfetto. I negativi tienili sempre e se li volessero dirottali da me che glielo proibisco! Al massimo gli facciamo una copia ma niente di più…-
Essendo la proprietaria del negozio l’ingrato compito di essere antipatica con i clienti spettava a me, tuttavia era necessario. Tutti i lavori su commissione per privati o testate giornalistiche internazionali andavano conservati, per evitare che qualcuno si prendesse meriti che non gli spettavano e via dicendo.
Mi voltai nuovamente verso lo schermo del mio portatile e ricominciai a sistemare le foto degli skater. Purtroppo ero piuttosto indietro con il lavoro e la cosa mi stava un po’ snervando. Detestavo ritrovarmi all’ultimo a sistemare le cose, ma per via di una serie di contrattempi avevo sospeso quel lavoro più del dovuto.
Chris intanto continuò a guardare le foto finché non parve rassegnarsi e le rimise nella loro cartellina. Subito dopo il campanello tintinnò nuovamente ed entrò Tess.
Si tolse il cappellino liberando la sua testa, rasata alla Skrillex, dai capelli blu e se li spettinò leggermente, poi si sollevò gli occhiali da sole e si grattò il naso muovendo il piercing che aveva al setto. Era sempre bello vederla entrare al mattino, quando aveva i capelli scombinati e i suoi occhi marrone scuro assonnati.
-Jane, come mai sei già qui?- poi senza aspettare una risposta si rivolse subito a Chris: -Che diavolo hai combinato?-
-Io? Assolutamente niente!- affermò il ragazzo.
-E allora?- chiese nuovamente lei con quella sua voce da donna dura. Lei era la ragazzaccia, l’alternativa. Ascoltava musica pesante, amava l’alcool e usciva spesso, ma diavolo quanto le volevo bene! Era da sempre la mia ancora di salvezza.  Salvai la foto appena sistemata e mi voltai a guardarla.
-Taylor ha fatto un gran casino stamattina e mi ha svegliata. Ecco perché sono qui…-
Lei si tolse la felpa restando con una canotta a righe rosse e nere.
-Che ha fatto questa volta?- domandò mentre appoggiava a terra il suo zaino con l’attrezzatura.
-Aveva un colloquio di lavoro, solo che da bravo genio ieri sera è uscito con gli amici e ha fatto tardi. Questa mattina ha messo a soqquadro la casa, mi ha fatto scendere dal letto con il suo gran casino e alla fine sono venuta per le 9.00- mentre le rispondevo, lei aveva recuperato il suo cavalletto e l’aveva appoggiato al bancone. Poi scoppiò a ridere e disse:
-Che testa! Se fossi in te mi vendicherei in pieno il suo primo giorno di riposo. “Può dormire? Perfetto, allora io lo sveglio!”- fece simulando tutta la scena.
Io alzai le spalle: -Non so se ne avrò l’occasione…-
-Perché scusa?- mi chiese Chris anticipando Tess che si voltò a guardarlo e annuì alla domanda.
-Aveva il colloquio alle 9.00 e alle 8.30 stava uscendo di casa… secondo voi ce l’ha fatta?-
Entrambi fecero una smorfia poco convinta e il ragazzo si limitò a dire: -Dipende…-.
La conversazione terminò lì. Io mi rimisi a sistemare le fotografie mentre Chris gestiva il cliente appena entrato e Tess parlava al telefono per accordarsi sull’esatto orario del suo servizio fotografico di quel pomeriggio.
Alle 10.00 salvai l’ennesima foto e mi alzai. Presi la borsa e dissi:
-Ragazzi, io vado da Joshua. Ha del lavoro per me a quanto pare. Pochi casini ok? Sono qui accanto-
Annuirono entrambi e io uscii. Non è che non mi fidassi di loro, al contrario. Era solo che mi piaceva abbastanza sottolineare che il proprietario del negozio ero io, insomma, una soddisfazione di tanto in tanto me la potevo pur meritare no?

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Capitolo 4
*** L'incarico ***


Entrai nello studio di tatuaggi accanto al mio negozio e fui accolta dall’allegro “Ciao” di Vanessa, la “segretaria” di Josh.
-Buongiorno!- la salutai
 Lei appoggiò i gomiti al bancone della reception proprio di fronte alla porta e si sistemò i capelli neri da maschiaccio che si ritrovava.
-Josh mi ha detto che saresti passata. È nel suo angolino, a torturare un ragazzo- disse con tranquillità.
La ringraziai e raggiunsi l’uomo.
L’angolino, come Vanessa l’aveva definito, non era altro che la postazione in cui lui si metteva sempre a tatuare. Ogni suo collaboratore aveva un posto preciso. Di per sé lo studio di Josh era caotico alle pareti, con foto di lavori eseguiti e con altre di lui in compagnia di artisti famosi, disegni di opere e bozze varie e ordinatissimo sui tavoli, in cui regnavano solo attrezzature, aghi e tubetti di colore, oltre a qualche souvenir messi qua e là per abbellire la postazione.
Quando raggiunsi Joshua vidi che stava torturando per davvero un ragazzo. Mi notò e mi salutò con un cenno, dicendomi poi di prendere una sedia e sistemarmi. Io eseguii e mi sedetti di fronte a lui, con il ragazzo a dividerci.
Mi chinai leggermente per vedere quest’ultimo in viso, era un tipo carino, molto giovane e visibilmente sofferente.
-Primo tatuaggio?- gli chiesi mettendomi dietro l’orecchio le ciocche di capelli lisci che mi erano scivolate in avanti mentre compivo quel gesto.
Lui fece una smorfia mentre notai che Josh stava sogghignando.
-Già…- si limitò a dire a denti stretti.
Io gli diedi una pacca sulla spalla e dissi: -Tieni duro!-
Il tatuatore rise: -Gliel’avevo detto che gli avrebbe fatto male sul fianco. Vero che te l’ho detto, Dave?-
Il ragazzo, Dave, annuì e ritornò a fissare il nulla.
Poi Josh gli chiese: -Ti dispiace se parlo di affari con lei mentre finisco? Abbiamo quasi fatto…- l’altro acconsentì mentre la macchinetta continuava ad incidere segni tribali sul suo costato.
Io accavallai le gambe e dissi: -Sono tutta orecchi- anche se si sentiva male quello che ognuno diceva per colpa del ronzio dell’arnese che Josh stava usando.
Cercai di concentrarmi sulle sue parole mentre mi diceva:
-Ho una buona notizia. Sono entrato in affari con il NY TattoStudio e, a settembre, diventiamo soci a tutti gli effetti!- mi guardò con i sui occhi azzurri sempre un po’ appannati.
Ci misi del tempo a collegare le cose. Il NY TattooStudio era lo studio di tatuaggi più famoso e importante di tutta la città, capii quanto fosse importante quel traguardo per lui ed esclamai:
-Sul serio? Ma è fantastico! Quindi diventerai a tutti gli effetti un loro socio?-
-Esatto! Hanno richiesto di me personalmente, a quanto pare adorano i miei lavori-
Tolse l’eccesso di inchiostro in un punto con la salvietta e riprese dicendo:
-Purtroppo però ci trasferiamo là e quindi dovrò chiudere bottega…-
A quelle parole ci rimasi male, e molto. Mi dispiaceva l’idea di perdere il mio vicino di negozio preferito. Ma sapevo che, anche se Josh si sarebbe trasferito, avremmo continuato ad essere amici e a collaborare spesso come facevamo da sempre.
-Mi mancherai…- riuscii a dirgli. Lui mi sorrise e rispose:
-Anche tu. Tuttavia, prima di chiudere questo posto, voglio fare una bella cosa, e voglio che sia tu a farla!-
Ripose la macchinetta da tatuaggio sul piano e pulì accuratamente il suo lavoro dicendo:
-Abbiamo finito Dave, va un po’ a vedere com’è venuto-
Quello esclamò un “Grazie al cielo!” si alzò e andò allo specchio.
-Cosa devo fare?- chiesi a Josh mentre il ragazzo rideva compiaciuto vedendo l’ennesimo capolavoro del tatuatore.
-Voglio una mostra di foto, qui dentro, nel mio studio- disse lui indicando il suo regno con un ampio gesto della mano.
-È incredibile!!- urlò Dave continuando a guardare la sua immagine riflessa.
 -Una mostra fotografica?- esclamai sorpresa dalla richiesta: -E con cosa?-
Lui stava per rispondermi ma fu preceduto dal ragazzo più giovane che ci raggiunse e abbracciò Josh che intanto si era alzato in piedi e si era tolto i guanti.
-È favoloso Josh! È favoloso!- ripeteva di continuo quel giovane.
Il tatuatore si staccò dall’abbraccio e lo ringraziò ridacchiando. Poi prese la vaselina e iniziò a spalmarla sul fianco arrossato di Dave.
-Voglio che sia un omaggio al mio studio e agli anni di lavoro miei e dei miei colleghi…- iniziò Joshua rivolto a me: -Puoi realizzarle come ti pare, insieme a Tess e Chris se vogliono collaborare. Quello che per me è importante è che siano raffigurati i tatuaggi usciti da questo studio-
Terminò di mettere la pellicola trasparente e disse al ragazzo:
-Abbiamo fatto, vai da Vanessa e sistema le ultime cose con lei, d’accordo?-
-Certo! Grazie ancora Josh!- rispose quello e dopo una stretta di mano si allontanò.
Josh si rivolse poi a me:  -Andiamo sul retro, mi serve una sigaretta…-
 
Una volta usciti lui chiuse alle spalle la pesante porta antincendio e prese fuori dalla tasca dei jeans il suo pacchetto di sigarette offrendomene una. Entrambi l’accendemmo e tirammo le prime due boccate senza dire niente, assaporando brevi momenti di relax. Alla fine domandai:
-Ok, quindi?-
Lui si grattò il naso e mi sorrise:
-Pensavo che la cosa ti piacesse…- disse lasciando cadere la frase
-Certo che mi piace Josh, certo! Tuttavia non ho ben capito cosa vuoi fare…-
-Voglio una mostra fotografica, Jane, niente di più. Realizza le foto come ti pare, ritrai i soggetti come vuoi, l’importante per me è che si vedano i tatuaggi fatti qui-
-Vuoi tipo dei ritratti? O semplici foto dei lavori?-
Josh prese una lunga boccata dalla sigaretta:
-Sono pieno di singole foto dei miei lavori. Vorrei le figure per intero, o cose simili. Hai carta bianca per quello, so che farai un lavoro eccezionale!- il fumo gli usciva lento dalla bocca mentre pronunciava quelle parole.
Io riflettei un momento pensando che avrei potuto fare una serie di ritratti di figure, tatuate da Josh, alle prese con la vita quotidiana, mentre fanno cose di tutti i giorni. Come se i tatuaggi non cambiassero realmente la vita delle persone, che in fin dei conti era vero.
-Ne parlo con Chris e Tess e poi ti faccio sapere ok? Ho già una vaga idea…- dissi.
Lui buttò a terra il mozzicone e lo pestò per spegnerlo, la porta si aprì e comparve Vanessa:
-Josh, c’è il ragazzo delle 10.30- disse, poi scomparve dopo aver lasciato il tempo di dire all’uomo:
-Arrivo subito-
Joshua mi guardò:
-Vorrei che tutto fosse pronto per il primo Agosto, in corrispondenza del mio compleanno. Ti farò contattare tutte le persone con i nostri tatuaggi migliori da Vanessa. Farò il possibile per semplificarti il lavoro…- mi disse
-Grazie mille!- risposi
-Grazie a te, Jane. Sei un’amica!-
Era la seconda volta in un giorno che sentivo quella frase. All’improvviso mi tornò in mente Taylor e il suo colloquio.
Rientrammo nel negozio, Josh andò ad accogliere il prossimo cliente mentre io uscivo per tornare al mio studio da Tess e Chris.

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Capitolo 5
*** Cinese ***


Mi ci vollero quindici minuti abbondanti per spiegare ai miei due colleghi le intenzioni Josh e la mia idea iniziale, ma alla fine acconsentirono.
Chris stava già fantasticando su una serie di scatti in bianco-nero per i tatuaggi non a colori, mentre Tess, stropicciandosi i capelli blu, affermava che ci avrebbe riflettuto su.
Io iniziai a farmi un po’ di bozze mentali, fra il via e vai di clienti e gli squilli del telefono, constatando che l’incarico di Joshua era più complicato del previsto ma altrettanto coinvolgente.
Continuai anche a lavorare sulle fotografie degli skater iniziando a detestare notevolmente quell’incarico. Più tempo dovevo passare su un lavoro preciso, più diminuiva il mio livello di sopportazione per quello: era un mio difetto, lo sapevo perfettamente.
Verso mezzogiorno, mentre sistemavamo le cose in negozio prima della chiusura per la pausa pranzo, mi arrivò un messaggio di Taylor.
Appena lo lessi l’unica cosa che pronunciai fu:
-Ahi ahi…-
Tess si voltò verso di me:
-Cosa?- mi chiese.
Io le mostrai l’sms che mi era appena arrivato e lei lo lesse ad alta voce per rendere partecipe della situazione anche Chris:
-Stasera passi a prendere cinese?- poi fece un’espressione dubbiosa e mi guardò: -Ma che significa??-
Le spiegai la situazione mentre rispondevo al messaggio:
-Significa che il colloquio è andato male. Io e Taylor mangiamo sempre cinese quando a uno dei due va male qualcosa…-
-Sul serio?- mi domandò Chris.
Io annuii mentre rimettevo il telefonino nella borsa. Sapevo che come abitudine per molti era curiosa, oltre che strana, ma io e Taylor avevamo preso questo vizio e continuavamo a portarlo avanti da diversi mesi ormai.
Controllai i soldi nel mio portafoglio. Ce n’erano a sufficienza per prendere da mangiare d’asporto alla rosticcerie poco prima del nostro appartamento. Mi dispiaceva che l’incontro gli fosse andato male, ma magari avrebbe potuto servirgli da lezione, così la prossima volta evitava di far tardi il giorno prima di un evento del genere.

***

Quella sera, come promesso al mio coinquilino, mi fermai alla rosticceria cinese per la cena d’asporto.
Mentre aspettavo che il mio ordine si preparasse mi misi a sfogliare una delle innumerevoli copie di giornali di gossip lì presenti, trovandomi catapultata il flirt di persone di cui non sapevo neanche l’esistenza.
Tuttavia continuai a sfogliare la rivista con, come sottofondo, il proprietario della rosticceria che urlava alla consorte in cinese.
Poco dopo entrò un altro cliente, ma io ero voltata di spalle e lo sentii solo pronunciare il suo ordine.
-…poi vorrei spaghetti alla piastra con verdure e pollo in agrodolce- concluse.
Aveva preso le stesse identiche cose che avevo ordinato io. Mi voltai di poco, a sufficienza per riuscire a vederlo, incuriosita da questa coincidenza e non riuscii a credere ai miei occhi.
Conoscevo quell’uomo. Conoscevo il suo fisico asciutto, i capelli neri folti e indomabili, quegli occhi color ambra e quelle labbra di un delicatissimo rosso.
Rimasi incredula a guardarlo finché non mi uscii di bocca il suo nome:
-Roger…-
Lui si voltò verso di me e mi guardò con la stessa espressione:
-Jane!- esclamò sorridendomi, poi si avvicinò e mi abbracciò:
-Non posso crederci! Non avrei mai pensato di trovarti qui, come stai?- mi chiese guardandomi negli occhi.
Io non sapevo cosa rispondere ne come comportarmi.
-Io… io sto bene, ma tu… tu che ci fai qui?- farfugliai ancora sorpresa da quell’incontro.
-Sono tornato- disse.
Tornato? Quella parola aveva un suono così strano. Mi fece venire in mente tutto quello che era successo sei mesi prima, la sera in cui io e lui ci eravamo visti per l’ultima volta, quando mi aveva detto “C’è una cosa che devo dirti” e io già cominciavo ad immaginare la nostra vita insieme dopo quelle parole. Il mondo mi crollò addosso quando, subito dopo, si era limitato a dirmi “Mi trasferisco, lascio New York”.
Ritrovarmelo davanti era l’ultima cosa che mi sarei potuta immaginare quel giorno.
Notando che tardavo a dare segni di vita, fissandolo come una cretina, Roger cercò di ravvivare il dialogo:
-Lo so che per te può sembrare strano rivedermi..-
Non lo lasciai finire:
-Certo che è strano! Da quello che avevo capito io ti eri trasferito a Berkeley in via definitiva!-
Lui sorrise e mi appoggiò le mani sulle spalle, fui attraversata da una serie di brividi.
-Sì, sì. Hai ragione. Ma alla fine mi hanno rispedito qui. Sarei venuto a cercarti a breve, solo che sono tornato due giorni fa. Ho appena trovato un appartamento e devo ancora finire di sistemare le mie cose. Era solo questione di tempo…-
Concluse posando i suoi occhi ambra sui miei, banalmente nocciola.
-Saresti venuto per davvero?- domandai con un filo di voce. Lui sorrise di nuovo e mi resi conto di quanto stupida fosse stata la mia domanda.
Sei mesi. Sei mesi erano trascorsi da quando lui se n’era andato e avevamo smesso frettolosamente di frequentarci. Il suo addio mi aveva spezzato il cuore, ma ora lui era tornato e…
No! Dovevo lasciare perdere. Il passato doveva rimanere alle spalle. Avevo faticato a smettere di pensare a Roger e ricominciare a frequentarlo sarebbe stata la cosa più stupida che potessi fare.
Lui stava per rispondere alla mia domanda idiota da ragazzina ma fu anticipato dal gestore della rosticceria che disse, in un inglese storpiato:
-Il suo ordine signora-
Afferrai la borsina in plastica e guardai Roger un’ultima volta.
-È stato bello rivederti- feci con un sorriso un po’ imbarazzato.
Lui annuì con la testa e io uscii dalla porta.
Subito dopo sentii la sua voce chiamarmi:
-Jane! Aspetta un secondo- mi disse. Mi voltai a guardarlo e lui continuò:
-Ti va di vederci? Non so, per una birra magari. Vorrei che mi raccontassi di come ti vanno le cose…-
“NO! Digli di no! Digli che hai intenzione di andare avanti con la tua vita! Che non hai intenzione di tornare a rincorrere  un uomo che ti ha lasciata solo perché lo hanno trasferito dall’altra parte degli States! Diavolo ma gli aerei per cosa li hanno fatti a fare?!”. Ma zittii la mia testa mentre rispondevo:
-Volentieri-
Lui mi sorrise.
-Passo domani dal tuo negozio ok? Poi ci mettiamo d’accordo-
Io annuii con la testa e ci salutammo.
“Brava Jane, sei un’idiota!”

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Capitolo 6
*** Champagne ***


Rimasi immobile davanti alla porta dell’appartamento per un po’. Respirai a fondo cercando di non pensare all’incontro di pochi minuti prima, ma ero ancora sopraffatta da Roger, dal suo sorriso, dal suo tocco, dal suo profumo.
Scossi la testa come per scacciare quei pensieri e guardai la sporta in cui c’era la cena per me e Taylor.
Lui, quel giorno, stava peggio di me. Il suo colloquio di lavoro, per diventare il nuovo grafico dell’azienda a cui si era rivolto, era sicuramente andato male e spettava a me tirargli un po’ su il morale.
Girai la chiave nella serratura cercando di assumere un’espressione normale ed entrai in casa.
Silenzio. La luce del soggiorno era accesa, la televisione e la radio spente. Era curioso, perché ogni volta che tornavo a casa almeno una delle due riempiva l’appartamento di voci o suoni.
-Taylor...- chiamai mentre mi incamminavo dall’ingresso.
Appena voltai verso l’angolo cottura lui comparve da dietro la colonna porgendomi un bicchiere da vino contenente qualcosa di biondo e ricco di bollicine.
-Ciao Jane!- disse sorridendo: -Champagne?- continuò.
Io appoggia la cena sul tavolo lì accanto che lui aveva elegantemente apparecchiato. Presi il bicchiere dalla sua mano, annusai il contenuto e guardai Taylor di sbieco che era andato ad appoggiarsi con la schiena al bancone della cucina.
-Che significa?- gli domandai.
Lui bevve un sorso dal suo bicchiere poi rimase a guardarne il contenuto:
-Per la verità non è Champagne. L’ho preso al discount che c’è in fondo alla via. Per due dollari si poteva anche fare tu che dici? Uh, la cena!- disse notando la sporta sul tavolo. Si avvicinò e tirò fuori dalla borsa tutte le vaschette in alluminio chiedendomi:
-Mi hai preso il pollo con le mandorle?-
-Insomma, mi vuoi dire che cosa succede?!- esclamai esasperata dopo un po’.
Lui alzò lo sguardo su di me e sul suo viso si disegnò un sorriso vivace e felice:
-Ho avuto il posto! Il colloquio è andato bene, inizio domani!!- disse tutto eccitato.
Io rimasi incredula, con il bicchiere ancora a mezz’aria, non riuscendo a capacitarmi di come avesse fatto ad arrivare in tempo quella mattina.
-Quindi non sei arrivato in ritardo all’appuntamento?- gli chiesi
-Oh no, al contrario! Sono arrivato in ritardassimo! Ma ho avuto fortuna, parecchia fortuna. Infatti anche il tizio che dovevo incontrare io era in ritardo. Appena è arrivato, verso le 9.20, ha iniziato a scusarsi con me per la situazione e io mi sono “dimenticato” di dirgli che in verità stavo aspettando da meno di tre minuti…-
Si grattò il collo e si mise a fissare le mie scarpe.
-Non ci credo! Tu hai solo del gran culo, ecco cos’è!!-
Sorrise poi alzò lo sguardo su di me. Mi piaceva da matti ogni volta che lo faceva perché i suoi occhi bruni sembravano brillare ancora più di prima. Notai che ero rimasta imbambolata da quel suo gesto un secondo di troppo e cercai di riprendermi bevendo, in un solo sorso, tutto il contenuto del mio bicchiere.
-Che schifezza!- esclamai –Li hai buttati nel cesso ‘sti due dollari, credimi!-
Lui scoppiò a ridere e mi porse una mano:
-Ceniamo?- mi chiese.

***

La cena si rivelò rilassante e piacevole. Lui raccontò del suo colloquio della mattina e di quello che avrebbe dovuto fare nei giorni seguenti come nuovo lavoro.
Gonfiò il petto quando gli dissi: -Quindi ora sei un grafico a tutti gli effetti. Complimenti caro mio!- e scoppiò a ridere subito dopo.
Era sempre stato un ragazzo vivace, ma era da tempo che non rideva tanto e io ero veramente felice per lui.
I suoi occhi brillarono  quando mi raccontò dell’incarico e di quanto fosse felice di aver ottenuto quel posto.
Erano anni che Taylor cercava lavoro come grafico. Al computer era in grado di eseguire disegni bellissimi ed era molto talentuoso. Oltretutto quando lavorava a qualcosa che gli piaceva sul serio ci metteva una passione indescrivibile.
Per diverso tempo ero stata anche tentata di chiedergli di venire a lavorare per me, ma non lo avevo mai fatto perché temevo che averlo alle dipendenze avrebbe rischiato di rovinare la nostra convivenza che si rivelava sempre molto piacevole.
Poi toccò a me raccontargli la mia giornata e gli spiegai del lavoro che Josh mi aveva affidato. Lo trovò interessante e mi disse che, se volevo, poteva darmi qualche spunto da seguire. Lo ringrazia, ma me la sarei cavata da sola.
-Poi? È successo altro?- mi chiese a fine cena mentre con gli occhi bassi giocava con un fungo abbandonato in una della sue vaschette.
-Altro?- domandai guardandolo. Improvvisamente mi tornò in testa Roger. “Grazie mille! Ero giusto riuscita a lasciarlo perdere e ora mi ci fai pensare?” sbottai mentalmente.
Risposi dopo un po’ perché ero indecisa se dire o no a lui di quell’incontro. Poi mi venne in mente che Taylor non sapeva niente di Roger e del fatto che ci fossimo frequentati perché lui era venuto a vivere con me dopo che l’altro si era trasferito a Berkeley.
-Direi niente. Sono andata in rosticceria a prendere la cena convinta che il colloquio ti fosse andato male e invece torno qui e scopro che non è vero!- dissi guardandolo.
Ancora una volta lui sorrise e alzò gli occhi su di me. Di nuovo lo trovai irresistibile nell’atto di compiere quel gesto ma non dissi nulla e rimasi a fissarlo.
-È vero, scusa. Ma avevo voglia di pollo alle mandorle- concluse.
Io scoppiai a ridere e lui mi seguì a ruota. Poi mi alzai e cominciai a riordinare aiutata da Taylor.
La serata si concluse con noi due seduti sul divano a vedere un film melenso di cui criticavamo ogni singola scena. Terminammo la bottiglia di “Champagne” e, prima della fine del film, mi alzai in piedi e cercai di barcollare verso la mia camera. Ero indubbiamente alticcia e Taylor lo notò perché, ridendo, mi accompagnò fino al mio letto.
-Ce la faccio!- gli dissi per evitare di essere aiutata, ma lui non mi diede ascolto.
Mi sedetti sul letto e lo guardai mentre lui, fermo in piedi, stava lì con il sorriso in faccia e le mani sui fianchi.
-Quel vino faceva schifo!- esclamai.
Lui alzò le mani in segno di resa:
-Lo so, mi dispiace. Facciamo che la prossima volta pensi tu al vino e io alla cena, ok?-
Feci si con la testa e lui si allontanò.
-Buonanotte Jane- disse richiudendosi la porta alle spalle.
-‘Notte- bofonchiai e mi misi sotto le coperte ancora completamente vestita.

 

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Capitolo 7
*** I confronti delle nove ***


I capelli blu di Tess si spettinarono ulteriormente quando lei vi passò in mezzo una mano.
Stava lì a guardarmi con la sua espressione dubbiosa e un po’ inquisitrice e io mi sentivo sotto processo.
Avevamo aperto il negozio da venti minuti ma nessun cliente era ancora entrato, così noi due avevamo cominciato a parlare in attesa di Chris e lei, e il suo cervello super sviluppato, avevano già intuito che in me qualcosa non andava.
Le era bastato dire “Che diavolo ti prende?” per farmi vuotare il sacco e avevo finito col raccontarle di Roger.
-Allora?- chiesi dopo essermi sentita sufficientemente osservata. Volevo sapere il suo parere perché nonostante io avessi, anche se frettolosamente, deciso di lasciar perdere l’uomo, una parte di me voleva ancora fare parte della sua vita. Mi serviva l’opinione da qualcuno che vedesse la storia dall’esterno e chi meglio della schietta, e a volte spietata, Tess?
Fece spallucce e poi si decise a rispondermi:
-Cosa vuoi che ti dica, Jane? È una scelta che devi prendere tu…-
-Che? Tutto qui?- domandai
Lei alzò nuovamente le spalle e fece un gesto vago.
-No, Tess devi aiutarmi! Insomma, tu al mio posto cosa faresti?-
-Io non sono al tuo posto. Ma se lo fossi lo lascerei perdere-
-Perché?- chiesi rendendomi conto che eravamo al punto cruciale.
-Non funzionerebbe. Sei mesi fa è dovuto andare via e avete smesso di vedervi, di sentirvi. Non è neanche giusto che ora lui ritorni e pretenda di ricominciare da dove avevate sospeso la cosa. Porca vacca non sei mica la sua schiavetta!- esclamò
-E se fossi io a voler ricominciare a vederlo?- chiesi con un filo di voce, rendendomi conto che una gran parte di me voleva proprio quello.
Lei mi guardò e sgranò i suoi scurissimi occhi marroni:
-Che cazzo stai dicendo??-
Io risposi con un’espressione imprecisata e lei prese ad urlarmi contro:
-Ma ti sei ammattita? A che scopo tornare a vederlo? Non ti ricordi di quello che è successo dopo che lui si è trasferito? Hai passato giorni a telefonarmi la notte in preda a pianti isterici perché lui se n’ era andato senza dirti se gli piacevi o meno!-
Abbassai lo sguardo.
Aveva ragione. La parte dei “pianti isterici” in verità non me la ricordavo, ma tutto il resto era vero. Io e Roger ci eravamo frequentati per due lunghi mesi dopo esserci conosciuti al bancone di un pub. Eravamo in sintonia e stare con lui mi piaceva moltissimo, pochi giorni prima del suo trasferimento ero anche sicura di essermene innamorata. Ma poi le cose avevano preso la piega sbagliata e lui era partito per Berkeley. Mi ci erano volute settimane per togliermelo dalla testa, grazie soprattutto a Tess e alle dosi industriali di Tequila che mi faceva tracannare quando uscivamo insieme. Tuttavia mi ero resa conto, in una sola notte, che non lo avevo mai realmente dimenticato e che ero ancora interessata a lui.
-Tess, tu non capisci…- mi uscii spontaneo dirle, ma me ne pentii subito.
Lei infatti si mise le mani fra i capelli, segno che la cosa la infastidiva:
-Non capisco?! Ma mi prendi in giro?! Non ti ricordi di Maikol?-
Sì, mi ricordavo del suo ex fidanzato bastardo che l’aveva mollata e poi ripresa per poi lasciarla di nuovo facendola sentire uno schifo, ma non mi sembrava la stessa cosa, così decisi di dirglielo:
-Non è la stessa cosa! Roger e io non ci siamo potuti mettere insieme perché lui si è dovuto trasferire in California!-
-D’accordo, su questo non ci piove. Fatto sta che io sono contraria. Lascialo perdere, fidati di me una buona volta!-
-Oh, andiamo! Il suo viaggio a Berkeley ormai è passato…- dissi per cercare di farla ragionare.
Non volevo che fosse totalmente d’accordo con me, ma almeno che mi sostenesse un minimo.
Lei mi guardò ancora una volta di sbieco per poi esclamare:
-Appunto, è passato! Il passato si lascia alle spalle! Fra di voi non ha funzionato, devi fartene una ragione. Sei mesi fa ti ha lasciata per inseguire la sua carriera senza darti neanche uno straccio di possibilità, perché ora dovresti tornare a corrergli dietro?!-
-Perché è tornato e…-
-Sì, ma non per te Jane! È tornato perché lo hanno costretto, non per scelta sua!-
La nostra discussione aveva raggiunto volumi esageratamente alti. Nessuna delle due, infatti, aveva sentito entrare Chris che, stupefatto, chiese:
-Ragazze, ma che succede?-
Tess si voltò a guardarlo, si passò una mano fra i capelli e si allontanò. Io afferrai le mie sigarette e dissi:
-Niente…- prendendo la via della porta.

***

Me ne stavo ferma, in piedi, con la fronte contro il muro a fissare i mattoni fumando la mia sigaretta, nel vicolo sul retro del negozio. Ogni boccata che aspiravo la risputavo fuori accompagnata da un sospiro.
Dopo un po’ la porta antincendio cigolò e sentii la voce di Tess:
-Posso?- mi chiese.
Io staccai la testa dal muro e le feci cenno di accomodarsi. Lei si mise accanto a me e per un po’ nessuna disse niente.
Decisi di interrompere quel silenzio:
-Senti, Tess… mi dispiace- le dissi.
Si grattò il naso muovendosi il piercing e espirò il fumo argentato che aveva inspirato poco prima.
-Non volevo urlarti contro. A volte sono una vera stronza, mi conosci- continuò dopo essersi grattata la testa:
-È solo che non riesco a farmene una ragione. Probabilmente è perché non sono come te, anzi, di sicuro è per questo…-
Io rimasi a pensare un momento a Roger e a quello che Tess mi aveva detto, o meglio urlato, poco prima.
In verità ero d’accordo con lei, ma dentro di me c’era uno stupido e pesantissimo conflitto.
Ero combattuta fra la voglia di ricostruire qualcosa con l’uomo che, sei mesi prima, mi aveva completamente conquistata e la voglia di andare avanti e cercare qualcuno di diverso con cui stare.
Non ero riuscita a togliermelo dalla testa per tutto il tempo trascorso dal nostro incontro della sera prima.
Tess riprese la parola:
-Comunque, pensaci. Se poi deciderai di tornare a vederlo, bè… ovviamente ti sosterrò…-
La guardai e le sorrisi. Infondo era presto per prendere decisioni di qualsiasi tipo, non era neanche detto che durante la permanenza a Berkley, Roger, fosse rimasto lo stesso di sempre.
La porta cigolò ancora e sulla soglia comparve Chris.
-Jane, dentro c’è Roger che chiede di te-

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Capitolo 8
*** Sensazioni e Contrasti ***


Nei pochi metri che mi separavano dal retro al bancone del negozio fui attraversata da una valanga di ricordi e di sensazioni contrastanti.
Il mio conflitto interiore mi stava facendo uscire di testa in tempi record.
Da una parte avrei voluto mandare al diavolo Roger e dare a lui la colpa del mio stato di single da quasi un anno, dall’altra invece l’irrefrenabile voglia di chiedergli se per noi c’era ancora una chance.
Ma appena lo vidi non riuscii a mandarlo al diavolo.
Era fermo in piedi a guardarsi intorno con le mani nelle tasche dei pantaloni e la giacca aperta che lasciava intravedere perfettamente la camicia di un bianco candido. I suoi capelli neri e indomabili fecero risaltare ancora di più i suoi occhi ambra quando si voltò verso di me e mi sorrise.
-Ciao!- disse.
Gli sorrisi anche io e salutai allo stesso modo.
Dietro di me sentii rientrare in negozio anche Chris e Tess e mi venne spontaneo dire a Roger:
-Ti dispiace se usciamo?-
-No, assolutamente- fece lui guardando i miei due colleghi, poi mi seguì fuori dalla porta d’ingresso.
Ci spostammo di poco e ci fermammo sul bordo del marciapiede, in prossimità di una macchina parcheggiata lì accanto.
-Sono felice di vedere che il tuo negozio è ancora in gran forma- cominciò lui.
-Già, gli affari vanno ancora bene- mi limitai a dirgli.
Ci fu un momento di silenzio leggermente imbarazzato. La conversazione, che una volta fra di noi non mancava mai, stava faticando a partire.
Prese nuovamente lui l’iniziativa:
-Ascolta, sono passato solo per chiederti se stasera hai da fare, mi aspettano a lavoro per le dieci…-
-Questa sera?- chiesi.
Lui fece sì con la testa e dopo averci rapidamente pensato gli dissi:
-Per me può andare-
Sorrise: -Ottimo, ci troviamo per una birra, che ne dici? Verso, non so, le nove?-
-Sì, direi che alle nove va benissimo. Dove andiamo?-
Lui ci pensò un momento e poi mi chiese:
-C’è ancora quel pub sulla ventitreesima? Era carino…-
-Sì, c’è ancora- mi limitai a dirgli ricordandomi che proprio in quel pub tutto aveva avuto inizio. Era lì che noi due ci eravamo conosciuti.
-Bene, allora ci troviamo lì stasera alle nove?-
Io annuii e, dopo esserci salutati, lui si allontanò.
Rimasi ferma a guardarlo scomparire fra la folla incapace di capire cosa mi stesse prendendo. Quando avevo davanti ai miei occhi Roger mi sentivo completamente impotente.
Forse Tess aveva veramente ragione, forse dovevo lasciarlo perdere e cercare qualcun altro.
Comunque sia, quella sera sarei uscita con lui e avrei visto come andavano le cose, la decisione finale potevo pur sempre prenderla in seguito.

***

Taylor si voltò a guardarmi mentre metteva l’ultimo piatto a sgocciolare sopra il lavandino.
-Spiegami meglio questa storia…- mi disse riferendosi al mio appuntamento con Roger.
-Niente da spiegare, usciamo insieme e vedo come va- mi limitai a rispondergli.
Lui si asciugò le mani e si avvicinò a me. Mi guardò con i suoi occhi bruni e mi mise una delle mie ciocche mogano lisce dietro l’orecchio.
-Io ancora non ho capito, è il tuo ex fidanzato?- chiese gesticolando.
-Per la miseria!- esclamai esasperata.
Gli avevo già ripetuto tre volte, quella sera, la stessa identica cosa.
-Per la quarta volta, Taylor! Non è il mio ragazzo! Ci frequentavamo sei mesi fa, poi lui si è dovuto trasferire a Berkeley per lavoro e non ci siamo più sentiti. Ora è tornato e mi ha chiesto di vederci per ripristinare un po’ i rapporti-
Lui si grattò la testa, segno che si stava spremendo le meningi.
-Ma ti piace ancora? Insomma, ne è passato di tempo…-
-Io…no, cioè… non lo so…- farfugliai allontanandomi da Taylor.
-Che significa non lo sai?- domandò dubbioso.
Io ci misi un po’ a rispondere:
-È passato del tempo, sai, è presto per dire se provo ancora qualcosa per lui o meno. Francamente non ne ho idea…-
-Be, wow- disse.
Mi voltai a guardarlo notando che lui era rimasto fermo nella stessa posizione di prima a fissarmi:
-Che c’è?- gli chiesi.
-Non lo so, Jane. Non mi hai mai dato l’impressione di essere una attaccata al passato. Secondo me sbagli a rimetterti con il tuo ex. Poi, oh, questa è solo la mia idea…-
-Non è il mio ex!-
-Be, allora è peggio…- fece un’espressione vaga a quell’affermazione.
Io non gli risposi, non sapendo cosa dirgli. Era la seconda persona in meno di ventiquattr’ore a dirmi di lasciare perdere Roger. Che avessero ragione loro?
Tuttavia, io, a quell’appuntamento ci sarei andata e solo dopo avrei preso una decisone.
Guardai l’orologio digitale posto sopra il televisore notando che se non fossi uscita in quel momento avrei tardato ad arrivare al pub e afferrai le chiavi di casa.
-Devo andare- dissi a Taylor che, ancora immobile, mi guardò dirigermi verso la porta.
-Pensaci!- mi urlò invece di “ciao” prima che io potessi chiudere la porta. 

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Capitolo 9
*** L'appuntamento ***


La barista appoggiò davanti a me la mia seconda Guinness e mi sorrise gentilmente prima di allontanarsi dopo avermi dato il tempo di ringraziala.
Ne bevvi subito un goccio assaporandone la tostatura, in quel pub gremito di persone. Nonostante fosse un giorno infrasettimanale il locale era affollato come al solito. I tavoli pieni, il bancone occupato da un sacco di persone a sedere sugli alti sgabelli che parlavano e ridevano con una bionda fra le mani.
Era da tantissimo che non mettevo piede in quel posto, l’ultima volta risaliva a mesi prima ed io ero in compagnia di Chris e Tess.
Quella sera invece le cose erano diverse. Accanto a me c’era Roger con un boccale semivuoto in mano e i suoi capelli ribelli che mi era sempre piaciuti.
Eravamo nello stesso locale da dove la nostra relazione, se così la si poteva chiamare, era cominciata prima di interrompersi a causa del suo trasferimento.
E io non sapevo come sentirmi.
La conversazione non aveva avuto problemi a decollare, a differenza di quella mattina, e mi ero ritrovata a ricordarmi del perché mi fossi tanto invaghita di lui.
Avevamo parlato delle nostre vite in quel lasso di tempo in cui eravamo stati separati, dei nostri rispettivi lavori, di Berkeley e di New York.
-Quindi questo Taylor è il…- disse lui stringendo leggermente gli occhi
-Quarto…- continuai io
-Quarto coinquilino? Che è successo agli altri?- mi chiese ridendo.
Il nostro dialogo era arrivato al punto in cui ognuno raccontava all’altro le disavventure della convivenza, ed avevo cominciato io.
-Sorvoliamo!- dissi ridendo: -Sono stati uno peggio dell’altro. Taylor è la prima persona normale che mi è capitata in casa da quando ho affittato quell’appartamento!-
-Perché non Tess o Chris?- mi chiese.
Alzai le spalle: -All’epoca Tess viveva con il su ex fidanzato, invece Chris è sempre stato molto più indipendente di noi, ha una casa per i fatti suoi a venti minuti dal negozio-
-Ah capisco. Quindi ti sei vista costretta a mettere annunci qua e là-
-Eh sì, mi è toccato. Ma devo ammettere che non mi dispiace avere un coinquilino. Non sono la tipa da vivere da sola…- gli dissi mettendomi i capelli dietro l’orecchio.
-E tu?- mi venne spontaneo chiedergli dopo.
Roger bevve un sorso della sua birra e mi guardò:
-Io cosa? La mia situazione da coinquilino a Berkeley?-
Annuii con la testa perché stavo bevendo e lui fece spallucce.
-Be, niente di eccezionale. Mi aveva dato un appartamento l’azienda e la coinquilina me l’hanno trovata loro …- disse con tono vago.
“Aspetta un secondo…”
-La coinquilina?- chiesi marcando il “La”.
Mi sentii immediatamente una fidanzata gelosa. Ma fu più forte di me.
Tuttavia la sua risposta mi sorprese, o meglio, il tono della sua risposta mi sorprese.
-Sì era una ragazza, la mia collega californiana per la precisione. Simpatica, alla mano. Abbiamo avuto anche una relazione ma è durata poco…-
Lo aveva detto con tranquillità, come se la cosa fosse normale.
Venni attraversata da una fitta e improvvisamente mi mancò l’aria.
Tutti quei giorni in cui ci eravamo frequentati per lui non avevano significato niente?
Mi aveva lasciata di punto in bianco e poi, senza troppi problemi, si era trovato un’altra?
Nella mia testa ci furono attimi di totale silenzio, in cui non seppi assolutamente cosa pensare.
Mi ero illusa. Mi ero illusa troppo. Infondo, quante possibilità c’erano che l’uomo con cui in realtà non ero mai stata, dopo il trasferimento, che entrambi consideravamo definitivo, continuasse a pensare a me, alla fotografa newyorkese che non ha mai rappresentato nient’altro che un flirt?
Tuttavia io mi ero ritrovata a sperarci dalla sera prima. Da quando, in quella rosticceria, lui mi aveva detto che sarebbe venuto a cercarmi. Ero tornata a sperare di continuare da dove avevamo interrotto tutto, di tornare a passare ore in sua compagnia, come se il suo viaggio non ci fosse mai stato.
Le parole di Tess mi tornarono prepotentemente in testa: “Fra di voi non ha funzionato, devi fartene una ragione. Sei mesi fa ti ha lasciata per inseguire la sua carriera senza darti neanche uno straccio di possibilità, perché ora dovresti tornare a corrergli dietro?!” aveva detto.
E anche Taylor aveva rigirato il coltello nella piaga poco prima di quell’appuntamento: “Non mi hai mai dato l’impressione di essere una attaccata al passato. Secondo me sbagli a rimetterti con il tuo ex.”.
Non li avevo ascoltati ed ero ugualmente venuta all’appuntamento, ma invece avevano ragione.
Il passato andava lasciato alle spalle. Avrei dovuto fregarmene di Roger e cercare qualcun altro, invece no! Me l’ero cercata.
“Sai cosa, Jane? Ti sta bene!”.
-Hei, è tutto a posto?- mi chiese lui notando che ero assente da un po’.
Io guardai l’ora e mi alzai dallo sgabello del bancone.
-Devo andare- gli dissi rendendomi conto che volevo solo sparire perché mi si era formato un nodo alla gola.
-Cosa? Perché?- fece lui alzandosi con me.
-Mi dispiace, devo proprio scappare…-
Mi avviai all’uscita e lui mi seguì. Mi sentivo una vera cretina. Avrei preferito non sapere niente della sua relazione, così almeno non mi sarei resa effettivamente conto che, in realtà, di me glien’era sempre fregato poco.
Uscimmo dal locale e mi voltai per guardarlo. Lui era ancora sorpreso dalla mia reazione, ma forse sospettava qualcosa.
-Grazie per la serata- gli dissi cercando di sorridere
-Senti, se ho detto qualcosa di male io…-
-No, no. È solo che… sai domani c’è lavoro ed è tardi, preferirei andare a casa-
Lui si avvicinò a me:
-Ok. D’accordo. Ma possiamo rivederci un giorno? Magari quando sei meno di fretta?- domandò.
Io rimasi sul vago. Ma, nonostante tutto, non me la sentivo di dirgli di no.
-Potremmo. Il numero ce l’hai…- gli dissi.
Lui mi diede un delicatissimo bacio sulla guancia:
-Buonanotte allora-
-Buonanotte…-
Fermai un taxi il più in fretta che potei e tornai a casa.

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Capitolo 10
*** Sveglia ***


Piangere su un taxi giallo di New York era la classica scena da film americano.
Per la precisione succedeva sempre alla bellissima protagonista verso la metà del film, quando lei pensava che l’uomo della sua vita non l’amasse, salvo poi ritrovarselo, con un mazzo di rose rosse in mano, alla fine del lungometraggio che le dice “Ti ho sempre amata!”.
Peccato che io non fossi bellissima, che sapevo già che la mia vita non era un film e che un finale dolce e scontato non lo avrei avuto.
Dopo che il taxista mi scaricò sotto casa mia cercai di asciugarmi le lacrime meglio che potei, prima di girare la chiave nella serratura e ritrovarmi nel mio appartamento con un Taylor in pigiama che urlava al televisore.
Incredibilmente riuscì a strapparmi un sorriso e ringraziai il cielo per avere uno come lui sotto il mio stesso tetto.
Sentì chiudersi la porta e si voltò verso di me:
-Oh Jane, già di ritorno?-
Io annuii cerando di non farmi vedere in viso. Non volevo che sapesse che avevo pianto.
-Cosa guardi?- chiesi dopo un po’, una volta che la mia voce tornò normale.
-Football!- esclamò: -È la replica della partita di sabato scorso, ma va bene lo stesso!-
Decisi di sedermi insieme a lui, per cercare di distrarmi dal rovinoso, per me, esito dell’appuntamento con Roger.
Girai intorno al divano e mi ci accoccolai sopra. Taylor mi porse la sua bottiglia di birra e mi sorrise.
-Allora, com’è andata?- mi chiese mentre bevevo un lungo, lungo, sorso.
-Magari te lo racconto domani…- mi limitai a dirgli.
Lui mi guardò e io capii che aveva già intuito tutto, o quasi.
Si voltò di scatto verso il televisore urlando:
-Oh merda, arbitro!! Ma sei cieco?!?-
Io lo guardai un momento e poi scoppiai a ridere. Adoravo la sua compagnia e in quel momento non avrei potuto chiedere di meglio.

***

Sentii la mia radiosveglia avviarsi prima che il conduttore aprisse bocca, cosa che fece l’istante dopo:
-…prevede bel tempo su tutta la città dunque, molto bene! Ma ora direi che, dato che sono le otto in punto, possiamo dare la sveglia a tutti i nostri ascoltatori. Cominciamo la giornata con un bel pezzo passato ma sempre attuale: Life is a Highway dei Rascal Flatts!-
Mugugnai qualcosa mentre la canzone cominciava e cercai di cadere dal letto in modo da svegliarmi.
Fortunatamente non fu necessario perché mi misi a sedere sul bordo del materasso e mi strapazzai i capelli per cercare di sembrare normale di prima mattina.
Avevo dormito da cani! La notte precedente ci avevo messo ore, nel vero senso della parola, a prendere sonno, ma continuavo a rigirarmi nelle coperte con il pensiero fisso dello schifoso esito del mio appuntamento con Roger. Dopo essere tornata a casa, per fortuna Taylor era riuscito a farmi tornare il sorriso, anche se a sua insaputa. Tuttavia non volevo che scoprisse cos’era successo e non avevo potuto ringraziarlo per quanto fatto. Ero davvero fortunata ad averlo come coinquilino, nessun’altro sarebbe riuscito a farmi ridere dopo il modo in cui erano andate le cose.
Mi alzai decidendo di smetterla con i pensieri negativi e di concedermi una colazione coi fiocchi al caffè di fronte al mio negozio.
Cercai gli abiti fra il caos, inverosimile per una donna, della mia stanza e cominciai ad infilarmeli mentre la canzone continuava a suonare dalla radio. Mi stavo infilando i jeans quando la musica raggiunse volumi spropositati, ma non proveniva dalla mia radiosveglia, ma dal soggiorno. “Taylor!”
Aprii la porta di scatto cercando di capire cosa gli fosse saltato in mente, ma appena lo vidi non mi trattenni e scoppiai a ridere. Dovetti appoggiarmi allo stipite della porta per darmi un contegno, ma proprio non riuscii a resistere.
Taylor se ne stava lì, dai fornelli con il cucchiaio in mano ad usarlo come un microfono mentre, sul fuoco, controllava svariati pancake. Muoveva i fianchi in una maniera bizzarra, cantando la canzone a squarciagola con i capelli arruffati per colpa del cuscino e del suo strano modo di dormire.
Appena mi vide alzò una mano e disse: -Vaai Jane!-.
Incrociai le braccia con un sorriso che non riuscivo a cancellarmi sulla faccia e gli chiesi:
-Ma che diavolo combini alle otto?-
Lui fece spallucce:
-Adoro questa canzone… insomma, capiscimi!-
Annuii con la testa e tornai in camera per finire di vestirmi. Fortunatamente terminò anche il brano e, di conseguenza, il volume della radio tornò a livelli sopportabili.
Poco dopo Taylor comparve sulla porta della mia stanza:
-I pancake sono pronti, vieni a fare colazione?-
Mi voltai a guardarlo quasi incredula.
Lui sapeva cucinare, anche bene, ma non mi aveva mai preparato la colazione. Il mattino eravamo entrambi abbastanza irritabili e cercavamo di non intralciarci a vicenda. In poche parole significava: ognuno pensi a sé.
-Hai fatto i pancake?- domandai
Lui annuì semplicemente, poi disse:
-Se non ti vanno ,me li mangio io, ma sono un sacco e dopo farei indigestione. Questo significherebbe stare a casa il mio secondo giorno di lavoro e non è il massimo…- Ragionamento idiota, un classico alla Taylor Cooper.
-Non vorrei mai che stessi male per causa mia. Finisco qui e arrivo subito- risposi piegando una maglia e posandola sul letto.
Andai all’angolo cottura e mi sedetti a tavola trafiggendo il mio primo pancake senza troppe cerimonie.
Taylor rimase a fissarmi finché non mangiai il primo boccone.
-Sono davvero buoni- gli dissi.
Lui sorrise come i bambini quando gli si fa un complimento:
-Felice che ti piacciano-
-Posso chiederti per quale motivo questo cambiamento? Perché oggi mi hai preparato la colazione?  È merito del lavoro nuovo per caso?- 
Lui sollevò gli occhi dal piatto perché nel mentre aveva cominciato a mangiare e alzò le spalle:
-Non centra il lavoro. Semplicemente pensavo che ne avessi bisogno… sai no, uno di quei gesti carini… una volta tanto…- abbassò lo sguardo dopo quella risposta e riprese a masticare.
Io rimasi immobile qualche secondo a fissarlo.
Aveva capito tutto. Francamente non lo avrei mai creduto possibile, ma c’era arrivato. Mi serviva il conforto di qualcuno che mi facesse dimenticare di quanto mi fossi illusa con Roger. Nonostante non glielo avessi detto direttamente Taylor aveva voluto provare a fare qualcosa per me e lo apprezzai molto. Chissà, magari anche il balletto strano di quel mattino era calcolato… no, forse no.
-Ti ringrazio- feci cercando di non avere un tono sdolcinato o infantile.
Lui mi sorrise nuovamente e cominciammo a parlare di tutt’altra cosa, fino a svuotare il piatto, un pancake alla volta.

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Capitolo 11
*** Capelli blu ***


La cosa che mi preoccupava maggiormente durante il tragitto casa-negozio, era indubbiamente il primo incontro mattutino con Tess. Sì, perché lei me l’aveva detto di lasciar perdere Roger, ma io da furba non l’avevo ascoltata. Sapevo già quello che mi avrebbe detto, la conoscevo troppo bene e non feci altro che pensarci finché non raggiunsi il negozio. Persi addirittura il sorriso che Taylor era riuscito a farmi spuntare grazie alla sua insolita sveglia e alla pila di pancake che avevo ingerito. Fortunatamente quella mattina Tess non sarebbe arrivata prima delle undici e io avrei avuto tempo a sufficienza per formulare una frase da dire a mia discolpa.
Tuttavia quando aprii la porta dello studio, leggermente in ritardo rispetto al mio consueto orario, al computer non c’era la testa hipster di Chris, ma il taglio alla Skrillex e i capelli blu fin troppo famigliari della mia migliore amica.
Posai la borsa sul bancone e aspettai segni di vita da parte sua.
Si voltò di poco, mi salutò con un “Buongiorno” assonnatissimo e si rimise al lavoro, notai che stava sistemando dei ritratti, forse si trattava degli scatti di una band a cui aveva lavorato un paio di giorni prima.
-Dov’è Chris?- le chiesi. Infondo era una domanda legittima, quel mattino spettava a me e Chris essere lì dalle nove.
-Arriva dopo. Ti ho chiamata ieri sera per dirti che lui mi aveva chiesto se potevamo invertirci con l’arrivo delle nove perché oggi aveva da fare. Così sono venuta io prima e lui farà a stessa cosa domani al posto mio…c’è, mi sono spiegata?- chiese guardandomi.
-Certo, certo. Ma non mi hai chiamata, ecco perché è strano…-
-L’ho lasciato detto a Taylor. Non ti ha avvertita?-
Feci cenno di no con la testa e dopo poco all’unisono dicemmo, in tono esasperato:
-Ah…Taylor!-
Spostai la borsa da sopra il banco e iniziai a sistemare alcune fotografie stampate pronte per i clienti. Nessuna delle due disse nulla finché, dopo svariati minuti di silenzio, Tess mi chiese:
-Allora, com’è andata ieri sera?- lo aveva chiesto con un tono vago, come se in verità le importasse poco, ma sapevo che non era così. Fremeva dalla voglia di sentirsi dire che aveva ragione e che io ero un’idiota.
Sospirai cercando le parole giuste e le dissi tutta la verità.

***

Lei rimase ad ascoltarmi dall’inizio alla fine. Le raccontai di come la serata era iniziata bene e di come era degenerata dopo la semplice risposta di Roger sulla sua convivenza a Berkeley. Le dissi di quanto mi fossi sentita stupida, ferita e ingenua. Di come le mie speranze erano svanite in fretta e di come ero scappata per evitare di apparire infantile. Solo su Taylor stetti zitta, per qualche strano motivo non mi andava di dirle che era stato lui la prima persona a cercare di rincuorarmi un minimo, anche se forse lo aveva fatto a sua insaputa.
-…e questo è tutto…- conclusi il racconto nel più classico dei modi e abbassai lo sguardo su una ciocca di capelli che avevo preso a tormentare pochi attimi prima. Mi sentivo una schifezza. Ripensare a quanto successo mi faceva tornare in mente la sensazione di inutilità che avevo provato la sera precedente, dopo aver scoperto che a Roger non importava di me quanto sperassi.
Rimasi in attesa del colpo definitivo da parte di Tess, ma quando lei aprì bocca per parlare, le uscirono parole che non avrei mai potuto immaginare:
-Mi dispiace molto…- disse solo.
Sollevai gli occhi incredula, convinta che, invece, da un momento all’altro cominciasse ad infierire, ma il suo sguardo sembrava realmente dispiaciuto.
-Davvero?- le chiesi con un filo di voce per vedere se avevo capito male oppure no. Lei annuì con la testa e disse semplicemente:
-Sì, che ti aspettavi?-
-Non lo so, pensavo che mi facessi pesare la mia scelta e che sottolineassi la mia stupidità…- farfugliai.
Lei scoppiò a ridere divertita, poi mi lanciò un’occhiataccia e mi disse:
-Sii sincera cara mia, c’è veramente bisogno che io ti chieda se hai fatto bene ad uscire con lui?-
La domanda mi strappò un sorriso quasi impercettibile “Almeno è la stessa Tess di sempre…”.
Annuii per risponderle in modo da farle capire che mi conosceva fin troppo bene. Non c’era altro da aggiungere.
-Quindi ora che fai? Se ti cerca di nuovo cosa gli dici?- mi chiese poi, riferendosi chiaramente a Roger.
Io ci pensai un momento prima d risponderle. Pensai a lui e al suo sguardo quando mi aveva raggiunto fuori dalla birreria prima che fermassi il taxista. Non lo sapevo. Non avevo idea di come avrei potuto reagire ad una sua telefonata o ad un suo nuovo invito, sempre se mi avesse cercato dopo il modo in cui mi ero comportata.
-Non ne ho idea… è più forte di me, ma quando ho a che fare con lui mi sento così insicura…- mi misi le mani fra i capelli alla parola “insicura” e Tess, senza troppi preamboli, si limitò a dirmi:
-Cercatene un altro. Anzi no, sai cosa? Sabato sera io e te ce ne usciamo e andiamo a cercarci qualcuno in discoteca, che ne dici? È un po’ che non facciamo una serata del genere noi due-
Io la guardai dubbiosa:
-Ma scusa, Justin?-
Justin era il suo ragazzo, ed erano anche una gran bella coppia loro due. Quello che mi chiedevo io era: a lui andava bene che la ragazza lo lasciasse solo per accompagnare l’amica sfigata in amore (ossia la sottoscritta) a cercare qualcuno?
Ma Tess mi rassicurò con un’alzata di spalle:
-Sei la mia migliore amica, lui il mio ragazzo. Secondo te chi preferisco fra di voi?-
Mi venne spontaneo ridere perché sapevo che si stava riferendo a me. Lei in fondo voleva sempre far vedere di non dipendere troppo dagli uomini, ma sapevo che in realtà a Justin ci teneva moltissimo.
-Ok, allora vada per serata di sole donne-
Eravamo ancora intente a chiacchierare di quello quando il campanello, sopra la porta del negozio, tintinnò. Ci voltammo per vedere chi poteva essere e riconobbi immediatamente il taglio da maschiaccio di Vanessa.
Ci salutò alla maniera militare con un grande sorriso e un simpatico: -Signore!-
-Ciao!- la salutammo io e Tess all’unisono.
Lei si avvicinò e mi porse una carpetta piuttosto voluminosa.
-Allora, ti ho preparato tutto il materiale per le foto da fare per Joshua, ok?-
Si riferiva alla mostra fotografica che Josh aveva chiesto a me, Chris e Tess, per onorare il suo studio di tatuaggi prima della chiusura.
Dopo esserci messi d’accordo, Vanessa si era presa l’incarico di contattare tutte le persone che avevano incisi sulla pelle i lavori migliori eseguiti da Josh e dal suo staff.
Sfogliai il contenuto della carpetta trovando moltissime delle mie fotografie che immortalavano i vari tatuaggi. Insieme ad ogni foto c’era il nome completo della persona ed il suo recapito telefonico.
Guardai l’assistente di Josh e le chiesi:
-Sono tutti favorevoli vero?-
-Tutti quanti! Li ho già contattati, sotto il loro nome ci sono segnati i giorni in cui loro hanno dato disponibilità per le fotografie. Sta a te chiamarli e accordarti a modo, poi ora che sai anche che tatuaggio hanno puoi già pensare a come impostare la foto no?-
Tess mi si avvicinò e prese dalle mie mani le fotografie iniziando a guardarle e annuendo di tanto in tanto, sapevo che nella sua testa stavano cominciando a formarsi i primi scatti mentali, coloratissimi e articolati, com’era il suo stile.
Io sorrisi a Vanessa:
-Hai fatto davvero un ottimo lavoro. Non so come ringraziarti. Dì pure a Josh che per il primo Agosto sarà tutto pronto-
Lei mi fece segno di ok e, dopo averci salutate entrambe, uscì dal negozio.
Io guardai Tess:
-Ho già un paio di idee- mi disse
-Anche io, forse dovremmo iniziare a dividerci i soggetti una volta arrivato Chris-
-Sì, sono d’accordo, il lavoro da fare è tanto-
-Davvero… ma almeno, mi aiuterà a distrarmi…- feci a voce bassa, parlando fra me e me e riferendomi ancora alla questione di Roger che, anche se ci provavo, non riuscivo ad accantonare totalmente.
Tuttavia Tess mi sentì, si voltò dalla mia parte e disse solo:
-Anche la Tequila aiuta a distrarsi…-
Io non mi trattenni e scoppiai a ridere.
 

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Capitolo 12
*** Buio ***


Fortunatamente la giornata trascorse piuttosto in fretta. Una volta arrivato in negozio anche Chris , io, lui e Tess avevamo iniziato a “spartirci” i soggetti da fotografare e a discutere del risultato che volevamo ottenere. La mia idea iniziale, ossia quella di raffigurare i soggetti alle prese con la vita quotidiana, era piaciuta fin da subito sia a loro due che a Joshua e quindi avevamo continuato a seguire quella linea guida.
Ancora una volta il lavoro si era dimostrato l’unica cura per distogliere la mia attenzione dalla mia testardaggine e da tutto quel casino successo in così poco tempo con Roger.
Quando la sera aprii la porta del mio appartamento ero stanca e soddisfatta e, stranamente, non vedevo l’ora di salutare Taylor e trascorrere del tempo insieme a lui.
Tuttavia trovai la casa deserta. Le luci erano spente, così come il televisore e lo stereo, non si sentiva nessun tipo di suono eccetto quello del traffico e delle persone che passavano in strada.
Andai fino all’angolo cottura con ancora borsa e chiavi in mano, chiedendomi come mai Taylor avesse tardato a rientrare, difatti lui tornava a casa prima di me ogni sera.
Posai tutto sul tavolo e accesi la luce continuando a guardarmi in giro facendomi la stessa domanda.
Alla fine il mio sguardo si posò sul telefono e vidi un tre rosso lampeggiare a intervalli regolari: tre messaggi in segreteria.
-Vuoi vedere che…- mormorai fra me capendo che Taylor non sarebbe rientrato.
Premetti il tasto per ascoltare i messaggi e, dopo il primo “bip” sentii la voce del mio coinquilino.
-Ciao Jane. Senti, io stasera non torno per cena. So che sentirai questo messaggio tardi e ti chiedo scusa se non ho preparato nulla, ma Rusty e io usciamo a divertirci un po’…cioè, capisci cosa intendo, vero? Ci vediamo domani, ciao!-
Il messaggio si interruppe dopo una serie di strani suoni che mi lasciarono perplessa.
Tuttavia sorrisi. Rusty e Taylor, la coppia più assurda in cui si poteva incappare. Erano entrambi single per motivi che non avevo ancora capito e si divertivano ad andare a rimorchiare per poi bere troppo e dimenticarsi tutto quello che era successo. Due ventisettenni affascinanti che facevano tranquillamente colpo, simpatici e parecchio alla mano. Rusty era stato soprannominato così dai suoi amici perché assomigliava molto a Brad Pitt nei film di Ocean, quindi per lui trovare qualcuna non era certo un problema, ma gli piaceva conquistare gente nuova ogni volta e Taylor ovviamente era il suo braccio destro.
Alzai gli occhi al cielo scuotendo la testa divertita nell’immaginarmi la serata tutta Vodka e Rhum di quei due: insieme erano tremendi.
Il secondo messaggio partì subito dopo, era mia madre che mi ricordava dell’imminente compleanno della zia e quindi che era richiesta, perlomeno, una telefonata per farle gli auguri.
Mentre ascoltavo le solite frasi sul “Sei sempre troppo presa dal lavoro” tipiche della mia genitrice, iniziai a sistemarmi vestendomi con i miei bellissimi calzoncini da baseball e con una t-shirt gigante perfino per Magic Johnson.
Una volta concluso il messaggio di mia madre ce ne fu un terzo, di un’altra voce fin troppo familiare per me:
-Jane, sono Roger…-
A quelle parole mi voltai a guardare il telefono con gli occhi spalancati.
-…volevo sapere come stai … Ascolta, mi dispiace molto per ieri sera. Credo di aver capito cos’ho detto di sbagliato e ti chiedo scusa, ma vorrei che provassi a capirmi. Ero convinto che non ci saremmo più rivisti, che non avrei più potuto avere a che fare con te, capisci cosa intendo? Mentre ero a Berkeley mi sei mancata molto, quando ho saputo che dovevo tornare a New York sei stata la prima persona a cui ho pensato, la prima che avrei voluto rivedere. Dico davvero… non so cos’hai intenzione di fare, ma se ti va di rivederci io ne sarei più che felice. Ti lascio il numero del mio ufficio, preferirei che mi chiamassi lì… ciao-
Presi rapidamente carta e penna e copiai il numero e l’indirizzo del suo ufficio. Subito dopo premetti il tasto di eliminazione dei messaggi.
-Merda…- sussurrai.

***

-Jane…Jane… oh dai sveglia!!-
Aprii gli occhi dopo aver riconosciuto la voce di Taylor e mi trovai il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Lui sorrise, come felice di vedere che mi ero svegliata:
-Ah ma allora sei viva!- esclamò.
Mi misi a sedere sul bordo di quello che riconobbi come il divano. Mi passai una mano sulle tempie e tutto mi tornò in testa con la velocità di un lampo. La televisione era ancora accesa, con un volume talmente basso che non si riusciva a sentire nessuna delle parole pronunciate da quello che riconobbi come un cronista sportivo e sul tavolino davanti al televisore c’era ancora tutto il casino di bottiglie di birra e cicche di sigaretta che avevo causato. Dopo aver sentito il messaggio di Roger mi ero buttata sull’alcool nella maniera più patetica che avessi mai conosciuto.
-Notte da bagordi eh?- sentii dire a Taylor alle mie spalle.
Alzai la testa per guardarlo negli occhi: -Non direi…-
Lui scavalcò il divano con una leggerezza che lasciava a desiderare e si sedette accanto a me. Incrociò le mani e si voltò a guardarmi:
-Che succede, si può sapere?-
Abbassai lo sguardo e sospirai, era ora di raccontare anche a lui tutta la storia.
Respirai profondamente e cominciai, per qualche motivo mi imbarazzava un po’ dire a Taylor come erano andate le cose con Roger, probabilmente perché era un uomo, ma lo feci ugualmente, gli raccontai tutto quello che avevo detto quel mattino a Tess e aggiunsi anche la parte del messaggio sulla segreteria.
Quando terminai rimasi a fissare il televisore, era calato un tale silenzio che finalmente si riusciva a sentire quello che i giornalisti pronunciavano. Poi sentii Taylor prendere fiato “Ci siamo…”.
-Sfiga!- esclamò.
Io lo guardai sconvolta: -Sfiga?- ripetei come un pappagallo
Lui annuì con la testa: -Be, di certo non sei stata fortunata, tu che dici?-
-Ah, direi anche io-
Ancora silenzio, che fu nuovamente interrotto dal mio coinquilino:
-Senti, Jane… mi dispiace. Posso immaginare come ti senti…più o meno… be, forse no…-
Mi voltai per fulminarlo con gli occhi:
-Ma sei qui per aiutarmi o prendermi per il culo?!- dissi esasperata.
Lui alzò le mani: -Scusa, scusa! È che con i discorsi sono una merda!-
-L’ho notato!-
Ci furono nuovi attimi di silenzio, dopodiché non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere:
-Diavolo, sei il solito!-
Sorrise anche lui e quando mi calmai riprese a parlare:
-Ascolta, stavolta sarò serio… secondo me, dovresti lasciarlo perdere. Insomma, è ricomparso nella tua vita, cosa? Due giorni fa? E guarda come ti sta facendo sentire. Forse tutto questo è successo troppo in fretta, forse dovresti riflettere un po’ meglio su questa situazione e poi decidere se ne vale o no la pena…-
Le prime parole veramente serie che gli sentivo pronunciare da un po’. In effetti pensai che non avesse tutti i torti. Era successo tutto talmente rapidamente che me ne stavo a malapena rendendo conto io, fermarsi un po’ a riflettere su quanto accaduto non avrebbe potuto farmi che bene.
Mi abbandonai sul divano:
-Forse hai ragione…-
Lui mi mise un braccio intorno alle spalle e mi strinse a sé. Quel gesto mi prese alla sprovvista e mi fece sentire in imbarazzo, ma lo aveva fatto con una tale naturalezza che mi tranquillizzò. Quando posai la mia testa sulla sua spalla potevo ancora sentire il profumo della sua colonia, anche se flebile.
-Non ti sto dicendo di dimenticarlo, sia chiaro. Ti sto solo dicendo che forse, due, tre giorni, per pensare a cosa è meglio per te ti farebbero bene. Se veramente lui tiene tanto a te allora se ne farà una ragione e aspetterà…dico bene?-
-Sì…dici bene- mi limitai a rispondergli.
Avrei seguito il su consiglio. Avrei chiamato Roger e gli avrei chiesto di darmi un po’ di tempo solo per me, per riordinare i pensieri e cercare di far luce su tutte quelle strane sensazioni che mi stavano riempiendo la testa.
Sia io che Taylor rimanemmo in silenzio per un po’, come se entrambi avessimo paura di interrompere i pensieri dell’altro. Poi lui mi chiese:
-Che ne dici di andare a dormire? Domani si lavora-
Io ci pensai un attimo e gli risposi:
-Aspetta ancora un po’ per favore…-
-D’accordo…-
E rimanemmo lì, su quel divano, uno accanto all’altra.

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Capitolo 13
*** Fragole e panna ***


Il giorno seguente mi svegliai prima di Taylor e uscii di casa di buon ora. Dovevo schiarirmi le idee e soprattutto iniziare a pensare seriamente a cosa dire a Roger. Infondo il mio coinquilino aveva ragione. Finché non mi fossi chiarita esattamente con me stessa non avrei potuto ottenere niente di buono o di sensato continuando a vedere Roger. Perciò avevo deciso di telefonargli verso mezzogiorno e chiedergli di darmi tempo. Non sapevo ancora come esprimere il concetto, ma, in un modo o nell’altro, qualcosa mi sarebbe uscito.
Feci colazione nel bar di fronte al mio negozio e rimasi a fissare la vetrina di quest’ultimo dall’inizio alla fine del mio veloce, ipercalorico e insano pasto: non ero riuscita a resistere alla torta di panna e fragole.
Mentre ero intenta a sorseggiare il mio caffè, ancora concentrata a fissare il punto della strada opposto, sentii qualcuno bussare sul vetro del bar e appena alzai gli occhi vidi Chris. Questo mi salutò con la mano, alla quale risposi nello stesso modo, poi entrò e dopo i convenevoli con la barista si sedette al tavolo con me.
-Mattiniero- gli dissi, dal momento che erano appena le 8.34 e lui sarebbe dovuto arrivare alle nove al posto di Tess.
Lui mi sorrise:
-Direi anche tu, come mai qua così presto?-
-Non riuscivo più a dormire, ma soprattutto volevo mandare al diavolo i dietologi di tutto il mondo con un gesto insano- risposi indicando con la forchetta il mio piatto ormai vuoto.
Lui annuì con la testa e si pulì i suoi grossi occhiali da vista:
-Se tu sei d’accordo io oggi partirei con i primi scatti- mi disse poi, dopo essersi ricomposto ed essersi lisciato i baffi.
Come al solito la sua professionalità era invidiabile. Nella mia testa sapevo che aveva già in mente alcune fra le fotografie più belle che si potessero immaginare per la mostra di Joshua. Provai un leggero lampo di invidia per la voglia che quel mattino dimostrava di avere per il lavoro, mentre io me ne sarei rimasta a sedere in quel punto tutto il giorno a trangugiare caffè e mangiare torte sentendomi una perfetta idiota.
Ma Chris mi diede la spinta per alzarmi dalla sedia.
-Andiamo dai. Iniziamo a metterci all’opera-
Pagai la mia colazione e, dopo aver attraversato insieme la strada, aprimmo il negozio.
Sistemammo un po’ il casino che, come sempre, Tess lasciava in giro e poi prendemmo la carpetta che Vanessa ci aveva portato il mattino precedente. Avevamo separato le foto dei tatuaggi e i soggetti in modo tale che ognuno potesse fare venti scatti. Avevamo deciso di prepararne per la mostra sessanta e, dopo aver constatato che giusto venti dei tatuaggi erano in bianco e nero, avevamo optato per spartirci equamente le cose. Chris avrebbe fatto le sue fotografie a pellicola, in bianco e nero e con una grana particolarmente grossa, per dare un senso di vissuto, di attempato. Tess si era presa i venti tatuaggi più colorati e sapevo già che avrebbe fatto lavori incredibilmente vivaci, com’era nel suo stile. Infine io mi ero presa gli ultimi rimasti, che avrei realizzato diversamente in base al tatuaggio e alla personalità del tatuato.
Non era carino paragonare quelle persone a figurine da spartirsi, ma al momento, dato che non li conoscevamo nemmeno, li avevamo cinicamente trattati in quel modo.
Aspettammo entrambi che le nove passassero per iniziare a telefonare alle persone in modo da accordarci su dove e quando scattare le foto. Nell’attesa avevamo deciso di fumarci una sigaretta davanti all’ingresso e, dopo un po’ che parlavamo, Chris mi chiese:
-Senti, volevo chiederti…magari non è affar mio, ma… poi com’è finita quella storia di Roger?-
Io alzai le spalle. Avevo raccontato anche a lui le stesse cose dette a Tess e Taylor per il semplice motivo che era uno dei miei migliori amici e trovavo irrispettoso non dirgli la verità.
-Ieri mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria. Ha detto che gli piacerebbe che ci rivedessimo…- risposi.
Guardai la cenere sulla mia sigaretta e gli diedi un colpetto per farla cadere a terra.
-E tu cosa pensi di fare?- mi chiese. Si era avvicinato a me ed aveva abbassato la testa per guardarmi in faccia. Quando notai i suoi grandi occhi celesti quasi mi strappò un sorriso, sembrava un bambino incuriosito.
-Pensavo di chiamarlo e chiedergli di darmi del tempo. Voglio riflettere un po’ meglio su tutta questa storia. È successo tutto così in fretta che a malapena me ne rendo conto. Devo pensarci e soprattutto adesso devo concentrarmi sul lavoro per Josh, è mio amico e voglio onorare il suo studio come si deve!- fu la mia risposta.
Subito dopo mi resi conto che era proprio quello che volevo e che era quello che avrei fatto. Mi sarei concentrata prima su di me, avrei riflettuto sulla mia situazione con Roger e solo dopo avrei preso una decisione definitiva. Ancora una volta ero stata troppo impulsiva ed avevo corso troppo e le conseguenze non avevano tardato ad arrivare, anzi, erano arrivate con una rapidità sconvolgente!
-Secondo me fai bene. Ora non voglio sembrare antipatico ma, sai…lui non mi è mai piaciuto, neanche quando vi frequentavate prima della sua partenza. Penso che non sia il tipo per te… poi è ovvio che se deciderai di continuare a vederlo rispetterò la tua scelta, siamo amici no?-
Gli sorrisi per ringraziarlo della sincerità e finimmo la nostra sigaretta per poi rientrare in negozio.
Iniziammo finalmente a metterci al lavoro e a chiamare le persone per accordarci con loro su dove trovarci e quando scattare le fotografie.
Tutta quell’infinità di chiamate, dalle nove alle undici passate, mi distrasse ancora una volta, facendomi capire perché amavo tanto il mio lavoro.

***

Nonostante tutto, arrivò anche mezzogiorno.
Tess e Chris cercarono di rassicurarmi in un modo o nell’altro quando mi videro prendere il telefono cellulare e dirigermi sul retro del negozio.
Iniziai a sentire una morsa all’altezza del cuore e venni presa dall’ansia. Afferrai il pacchetto di sigarette che avevo in tasca e me ne accesi subito una cercando di farmi forza.
Dopodiché cercai nella rubrica la voce “Roger – Lavoro” e premetti il tasto di chiamata.
Uno squillo, due, tre… l’ansia che cresceva e il terrore di non riuscire a dire nulla una volta sentita la sua voce.
Non sapevo quanto tempo era passato quando lo sentii:
-Pronto?-
-Roger, ciao sono Jane- cercai di dire con calma
-Oh Jane! Che bello sentirti- sembrava davvero contento
-Ti disturbo?- chiesi, sperando nel profondo che dicesse di sì in modo da concludere in fretta la cosa
-No assolutamente, stavo per andare in pausa. Hai sentito il mio messaggio vero?-
-È proprio per questo che ti ho chiamato, volevo parlarne con te…- cominciai
-Ti ascolto-
Mi lasciò la parola, io cercai di staccare il cervello in modo che i pensieri non mi intralciassero e parlai:
-Senti Roger… non è semplice da spiegare ma… vorrei prendermi un po’ di tempo per pensare a tutta questa faccenda. È successo tutto davvero troppo in fretta e non so se stiamo facendo bene. Scusami, ma è difficile da spiegare…- presi fiato ripensando a quando avevo detto: non suonava tanto male.
Dall’altra parte del telefono ci fu un momento di silenzio:
-Aspetta un secondo… stai dicendo che non vuoi più che noi due ci vediamo?- mi chiese lui con un tono dubbioso.
-No, no! sto cercando di spiegarti che prima voglio riflettere un momento. Ho bisogno di schiarirmi le idee. Non è colpa tua, sia chiaro…-
-Jane, se è per quella cosa della mia coinquilina a Berkeley, sappi che…-
-No, non centra! Roger dico davvero, sono solo confusa, mi sto a malapena rendendo conto di quello che è successo in questi giorni… ti prego solo di lasciarmi stare per un po’. Mi schiarisco le idee e poi mi faccio viva io, che ne pensi?-
Altro lungo silenzio. Mi preparai ad uno scoppio di ira più che motivato da parte sua, ma la risposta mi sorprese e in positivo:
-Ok, hai ragione. Forse abbiamo corso troppo. Prenditi il tempo che ti serve. Ma, per favore, appena hai preso una decisione fammelo sapere. Ci terrei molto a rivederti…-
-Certo…- riuscii a dire soltanto.
Stranamente ce l’avevo fatta e mi sentii subito più sollevata. Non avevo tagliato i ponti con Roger, non l’avevo mandato al diavolo. Ma ero riuscita a prendere un po’ di tempo per me, un po’ di tempo per cercare di fare chiarezza in tutto quel caos mentale che mi aveva riempito la testa negli ultimi due giorni.
Avrei potuto capire se quello che volevo era veramente stare ancora insieme a lui o se tutte le sensazioni che provavo erano soltanto dovute a ricordi non scomparsi che fastidiosamente riaffioravano ogni volta.
Ci salutammo e riattaccai, dopodiché  lanciai lontano il mozzicone della mia sigaretta e lo guardai fumare fino a spegnersi.

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Capitolo 14
*** Aperitivo ***


La settimana trascorse con una rapidità incredibile. Il fatto di non dover pensare ad altro che al lavoro mi faceva sentire con un peso in meno addosso. Ogni tanto cercavo di sistemare i pensieri sulla piega che avevano preso le cose con Roger, ma ogni volta venivo interrotta da qualcosa, che fosse il lavoro, Tess, Joshua o , addirittura, Taylor. Fatto sta, che finalmente ero rilassata e il tutto si poteva vedere dall’ottimo esito che stava avendo la realizzazione degli scatti per la mostra. In meno di dieci giorni io e i miei colleghi avevamo già raccolto quasi venti scatti e la cosa ci stava rendendo molto felici, anche se mancava tutta la parte di ritocco e stampa che, anche se non si direbbe, era da sempre la parte del lavoro più lunga.
Quel giorno, per aiutarmi ulteriormente a non pensare a niente, avrei dovuto incontrare Anna, una ragazza con cui avevo già avuto a che fare mesi prima, quando era uscita dallo studio di Joshua con un meraviglioso tatuaggio su tutto il braccio sinistro.
Le avevo fatto la serie di foto che quel lavoro meritava ed avevamo finito col fare amicizia dato il suo carattere estroverso.
Avevamo appuntamento in un locale vicino al negozio in cui lei lavorava, ci saremmo prese un aperitivo, avremmo fatto due chiacchiere ed infine avremmo deciso come immortalare il suo tatuaggio per la mostra.
Arrivai al bar con un  leggero ritardo perché ero tornata indietro per recuperare la mia reflex, nel caso fosse stata necessaria per qualcosa, Anna era già là ad aspettarmi e mi accolse con un grande sorriso.
-Ciao Jane, che bello rivederti!-
Ci abbracciammo e ci scambiammo i primi e rapidi convenevoli, per poi entrare e andare a prendere posto in uno dei tavolini nella distesa posteriore del locale. Ordinammo entrambe da bere e ci mettemmo subito a parlare di “lavoro”.
-Ammetto che la cosa mi ha preso alla sprovvista…- cominciò lei
-Intendi la mostra di Josh?- chiesi
-Esatto. Insomma, sia chiaro, mi fa davvero piacere che si sia ricordato di me, ma la cosa subito mi ha fatto uno strano effetto, poi ho pensato: chi se ne importa? Facciamolo!- rise alle sue stesse parole e io le feci compagnia, era proprio come me la ricordavo.
-Che cos’hai in mente per me, fotografa?- domandò dopo aver fatto spazio alla barista in modo che potesse servirci il drink.
-Ancora non lo so… per sicurezza però mi sono portata dietro la macchina fotografica nel caso mi vengano idee…- le dissi dopo aver preso il primo sorso della mia bevanda.
Lei annuì con la testa prima di ricominciare a parlare:
-Da quello che ho capito al telefono il tema principale è una cosa tipo: la normalità? Sbaglio?-
-Non del tutto. Avevamo pensato di fare la mostra incentrandola interamente sul rapporto vita-tatuaggio, per mostrare che non influiscono in alcun modo sulla quotidianità della persona. Non so se mi sono spiegata…-
-Eccome, era proprio quello che intendevo io. Allora ho capito, bè, sappi che mi piace molto l’idea, il mio braccio è a tua disposizione!- fece indicando il braccio sinistro con un gesto ampio della mano destra e sorridendomi.
La ringraziai sorridendole a mia volta e bevvi nuovamente. Subito dopo Anna riprese a parlare:
-Gli altri scatti come sono venuti? Se si può sapere…-
-Certo che si può sapere!- esclamai: -Anzi, guarda, ho tutto sulla reflex- estrassi la mia fedele compagna dalla sua borsa e l’accesi iniziando a cercare le fotografie che avevo scattato giorni prima. Anche se le avevo già tutte copiate sul mio pc continuavo a tenerle nella memoria SD per sicurezza, nel caso fosse successo qualcosa di brutto al mio portatile.
Trovai il primo dei tanti scatti e allungai la macchina ad Anna dicendole:
-Tieni, premi questo tasto per andare avanti…-
-Sicura che le possa vedere?- mi chiese un po’ titubante
-Sì, non sono vincolate dal segreto di Stato e prima o poi le pubblicheremo, quindi tranquilla- le sorrisi.
Lei iniziò a scorrere tutta la moltitudine di immagini custodita nella mia macchina fotografica, sorridendo di tanto in tanto e facendo esclamazioni del tipo “Quanto mi piace questa!” oppure “Che bella!” mentre io finivo il mio aperitivo un sorso alla volta. Non erano passati neanche cinque minuti quando qualcuno raggiunse il nostro tavolo: una ragazza, dalla pelle olivastra e dal grande sorriso, diretta verso la mia interlocutrice.
Le mise una mano sulla spalla e disse:
-Ciao Anna!-
L’altra alzò lo sguardo per vedere chi l’avesse salutata e appena la riconobbe urlò il suo nome:
-Meg! Oddio, da quanto tempo!- posò delicatamente la reflex sul tavolo dandomi un’occhiata come a dire “Scusa, ma al momento questo è più importante” e appoggiò una mano sul braccio della ragazza appena arrivata, che era ancora in piedi ma leggermente piegata in avanti, come per vedere meglio in viso Anna. Io rimasi in silenzio a guardare le due donne che si scambiavano i convenevoli e ridevano felici per essersi ritrovate, e fu allora che mi venne la folgorazione. Il tatuaggio di Anna era perfettamente in vista e l’atmosfera che si era creata fra lei e la sua amica rendevano il tutto quotidiano, magnifico. La luce del tardo pomeriggio che intensificava le sfumature dei loro occhi e accresceva quel senso di felicità che loro trasmettevano. Senza neanche farlo apposta avevo trovato lo scatto che desideravo. Afferrai rapidamente la macchina fotografica cercando di non farmi notare, la impostai e scattai una serie di fotografie continue, ognuna più naturale della precedente, cercando di cambiare la messa a fuoco e alcune impostazioni come l’apertura del diaframma e giocando, quindi, sulla profondità di campo. Fortunatamente Anna e Meg erano talmente concentrate sulla loro conversazione da non rendersi conto di quello che stavo facendo.
Terminarono di parlare un po’ di tempo dopo e quando Anna si voltò verso di me stava ancora ridendo, felice per quell’incontro:
-Scusa, ma era una vita che non vedevo Meg…abbiamo fatto insieme due anni di college poi io ho lasciato... Ma questa è un’altra storia. Torno a vedere le tue foto…-
Io le allungai la macchina fotografica e aspettai di vedere la sua reazione, le avevo messo nella visualizzazione quello che, secondo me, ero lo scatto più bello appena eseguito di lei e la sua amica.
Vidi un’espressione stupita comparirle sul volto e subito esclamò:
-Non ci credo! Merda Jane, sei troppo brava! Ma quando cavolo l’hai fatta? Non mi sono accorta di niente… Oddio è davvero bellissima, guarda, non sembro nemmeno io!- scoppiò a ridere e la cosa mi fece notevolmente piacere. Rimase a guardare ancora un po’ le immagini finché non le chiesi:
-Allora non ti dispiace se uso una di queste?-
-No, no, anzi sono bellissime! Dovrò solo chiedere a Meg se è disposta ad accettare… la chiamo stasera e domani mattina ti saprò dire…-
-Se vuoi le telefono io, basta che tu mi dia il suo numero…-
-Non preoccuparti, così avrò una scusa per fare ancora due chiacchiere con lei…- mi disse sorridendo, poi continuò: -Comunque, dato che ora non dobbiamo più parlare di lavoro perché hai fatto degli scatti eccezionali, cambiamo argomento?-
-Sono d’accordo sul cambiare argomento- acconsentii: -E di cosa vorresti parlare?- le chiesi guardandomi un momento intorno.
Lei alzò le spalle:
-Non ne ho idea, infondo è un po’ che non ci vediamo… che mi dici, hai sotto mano un bell’uomo adesso?-
Puntai immediatamente gli occhi su di lei.
Mi resi conto che se fossimo state in un film, quello era il momento in cui la protagonista, con ancora tutto il contenuto del suo drink nelle bicchiere, avrebbe rischiato di morire affogata ripensando al suo stato sentimentale combattuto. Più o meno quella situazione valeva anche per me in quel preciso momento, solo che il mio bicchiere era vuoto.
 

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Capitolo 15
*** E se... ***


L’espressione che Anna assunse, dopo aver notato la mia, mi fece subito capire che avevo fatto un’autentica cazzata.
-Perché fai quella faccia?- mi chiese subito. Rimasi in silenzio un secondo di troppo e lei prese nuovamente la parola:
-Ho fatto una gaffe, vero?-
“Vagamente, cara mia…” pensai, ma mi limitai ad alzare le spalle. Le stavo per dire che in quel periodo non mi stavo preoccupando degli uomini quando mi venne in mente di raccontarle tutto. Lei non sapeva niente di Roger e anche se noi due eravamo amiche, in realtà lei non mi conosceva affatto, proprio come io non conoscevo affatto lei. Far analizzare la mia situazione da una persona estranea ai fatti e al contesto, forse, avrebbe potuto essere utile…
-Diciamo che sto… cercando di risolvere una situazione con un uomo…- le dissi in tono vago
-Ecco lo sapevo, ho fatto una figuraccia! Scusami Jane, non volevo… parliamo d’altro?-
“Ah, ora cambia argomento lei? No,no, col cavolo!”
-Ma no, non preoccuparti. Anzi, magari puoi darmi un consiglio…- usai un tono molto amichevole per tranquillizzarla e la cosa parve funzionare
-Sei sicura? Non voglio immischiarmi nelle tue faccende personali…-
-No, anzi… ne ho parlato con tutti i miei amici ma loro sono un po’ di parte. Forse riesci a consigliarmi meglio di chiunque altro…-
Lei parve pensarci per qualche breve momento fino a dire:
-Ok, allora spara!-
Mi resi conto che la parte più difficile era proprio quella di “sparare”, ossia di esporre la mia situazione con Roger in un modo in cui io non sembrassi idiota e lui non sembrasse…bè, lui.
Ci misi davvero un po’ a cercare di formulare una frase di senso compiuto e alla fine non ci riuscii nemmeno:
-È difficile da spiegare, sai?-
Anna mi guardò inclinando leggermente la testa da una parte e poi mi disse:
-Provo ad aiutarti, se vuoi... Lui chi è?-
-Si chiama Roger, ci siamo conosciuti nove mesi fa, ormai…- provai a partire dal principio, magari sarebbe potuto servire a qualcosa, ma Anna saltò tutti i preamboli e andò direttamente al punto:
-Nove mesi? E non state ancora insieme? Guarda che solo avere un figlio richiede tanto tempo…-
“Un momento…mi sta davvero paragonando ad una gravidanza? Vuole che le spacchi quel bel musetto che si ritrova?!” calmai me stessa rispondendo:
-Ci sono state una serie di complicazioni…-
-Del tipo?-
-Bè… sei mesi fa lui è stato trasferito a Berkeley per lavoro e non ci siamo mai realmente messi insieme…-
Mi aspettavo una risposta tipo “Quindi adesso vi state sentendo di nuovo?” o cose del genere, invece la sua affermazione mi lasciò decisamente di stucco:
-Uh, no!-
Uh, no?! Ma che cavolo voleva dire “Uh, no!”?!. Rimasi spiazzata per un momento e la guardai con visibile aria dubbiosa:
-Che intendi dire?- le chiesi.
Lei mi guardò con un espressione ricca di ovvietà e disse:
-Mai tornare con il proprio ex, dico davvero-
-Non è il mio ex…- perché quella frase mi ricordava tanto Taylor?
-Bè, è come se lo fosse in verità. Insomma, se non fosse andato via probabilmente vi sareste messi insieme, sbaglio?-
-…em… direi di no…-
-Appunto, quindi è come se fosse il tuo ex. Perciò fidati: lascialo perdere!-
Rimasi in silenzio a guardarla notando che nei suoi occhi c’era una luce piuttosto convinta della sue parole. Anche lei mi aveva  praticamente detto di smetterla di preoccuparmi di Roger e cercarmene un altro, ma la sola affermazione non mi bastava, volevo di più!
-Perché ne sei così convinta?-  domandai sperando di non aver usato un tono sbagliato.
Lei mi guardò bene in faccia prima di dirmi:
-Ascoltami, ci sono passata anche io. Voglio dire, anche io sono tornata insieme al mio ex e la cosa è stata una pessima idea. Dopo esserci rimessi insieme saremo durati si e no tre settimane… se due persone sono fatte l’una per l’altra non arrivano neanche a lasciarsi una sola volta, ma rimangono insieme per la vita-
Non aveva tutti i torti, ma infondo le cose fra me e Roger erano andate in maniera diversa, perché diavolo nessuno voleva capirlo?!
-Non posso darti torto… ma Roger si era trasferito per lavoro e ora è ritornato a vivere qua…non credo sia la stessa cosa…-
Anna fece un’espressione vagamente esasperata prima di dirmi:
-Più o meno è la stessa cosa… senti…prima che partisse, tu cosa provavi per lui?-
Ci pensai un momento:
-Bè, ho sempre pensato di essermene innamorata…- la frase mi uscì a stento dalle labbra e pronunciarla mi imbarazzò parecchio, anche se non capii esattamente perché.
L’altra mi guardò mentre abbassavo lo sguardo e respirò:
-Io penso di no…- disse poi, a voce bassa.
La guardai:
-Come sarebbe a dire?-
-Jane, non voglio sembrare antipatica o fare la sapientina, ma se veramente ne fossi stata innamorata avresti sicuramente fatto di tutto per tenertelo stretto… deve per forza esserci stato qualcosa che ti ha aiutato a dimenticare quanto successo, qualcosa o qualcuno, che per te era, o è, diventato più importante di Roger…-
Rimasi nuovamente sbigottita a guardarla: da quando in qua Anna faceva la psicologa?!
-E tu come fai a dirlo, scusa?- le chiesi.
Ero curiosa, curiosa di sapere per quale motivo più stavo a parlare con lei più mi sembrava avesse ragione su tutto…
-Te l'ho già detto: ci sono passata anche io. Quando il mio ex-bastardo mi ha lasciata per la seconda volta, io ero convintissima di esserne ancora innamorata persa, tuttavia mi resi conto che in verità avevo accettato il fatto che fra di noi non aveva funzionato perché accanto a me c’era Nate…-
-Nate?-
-Mio marito…- mi mostrò la fede che luccicava al suo anulare sinistro e che io non avevo notato fino a quel momento.
-Quando mi sono resa conto che del mio ex in verità mi importava ben poco, automaticamente mi ero resa conto che il merito era stato tutto di Nate…- concluse.
Mi sentii dannatamente confusa. Di per sé il ragionamento filava, ma davvero faticavo a ricondurlo alla mia situazione. Provai ad arrivarci per gradi:
-Ok, quindi tu mi stai dicendo che, secondo te, se sono riuscita ad accettare la partenza di Roger è stato perché qui a New York c’era qualcosa, o qualcuno, a cui tenevo di più?-
Lei annuì con la testa e io continuai a ragionare:
-Forse il mio lavoro… insomma, mi sono buttata a capofitto nel lavoro, sia dopo la sua partenza sia adesso che…gli ho chiesto se mi lasciava un po’ di tempo per pensare se vale la pena o no ricominciare a vederci…-
Sì, poteva avere senso, infondo io amavo veramente da impazzire il mio lavoro. Lei fece nuovamente sì con la testa ma poi aprì bocca:
-Sì, bè… il lavoro può essere uno dei motivi, ma non penso che possa essere l’unico…quanto ci hai messo ad accettare la partenza di Roger la prima volta?-
Ci pensai un momento:
-…direi due, tre mesi, quattro al massimo…-
-E davvero per tutto questo tempo ti sei concentrata solo sul lavoro? Non è cambiato niente nella tua vita?-
Ci pensai ancora. No, per quanto il mio studio di fotografia andasse bene la mia vita era piuttosto monotona, in quel lasso di tempo non era successo niente degno di nota, niente che potesse aiutarmi più di quanto non avesse potuto fare il mio lavoro…
“Oh cazzo! Aspetta un secondo…Taylor!”

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Capitolo 16
*** Autoconvincersi ***


Mi ci volle un’eternità per arrivare a casa, nonostante il posto non distasse che poco più di quindici minuti a piedi, ma avevo la testa esageratamente sovrappensiero e sfruttavo ogni possibile vetrina di negozio per cercare di distrarmi. Quando raggiunsi la porta dell’appartamento mi bloccai e rimasi a fissare la serratura come inebetita. Era come se avessi il terrore di rientrare nella mia casa, era assurdo! Ma tutta la conversazione che avevo tenuto prima con Anna aveva eliminato le mie certezze. Insomma, dal modo in cui lei aveva esposto la cosa sembrava che io fossi innamorata di Taylor solo perché era venuto a vivere da me dopo la partenza di Roger, ma non aveva senso! Con il tempo sarei riuscita a dimenticarmi di lui anche se il mio nuovo coinquilino fosse stato una donna, il fatto che fosse arrivato proprio Taylor era relativo. Certo, era davvero un bel ragazzo, andavamo molto d’accordo e con lui mi trovavo bene, ma era un semplice amico, se mi fossi veramente interessata a lui me ne sarei accorta da sola e molto tempo prima, la mia vita non era mica la trama di un film dalla sceneggiatura scarsa!
Mi sentii sollevata dalla conclusione di quei pensieri contorti e quasi privi di senso, a tal punto che aprii la porta di casa con rinnovato ottimismo. Il soggiorno era in penombra e prima di chiamare il nome del mio coinquilino (e niente di più) sentii l’acqua scrosciare oltre la porta del bagno: lui doveva essere lì dentro. Posai la borsa con la mia reflex sul tavolo e mi avvicinai alla porta.
Bussai un paio di volte prima di dire:
-Taylor, sono tornata…-
La risposta non tardò:
-Ciao! Ho quasi finito…-
-D’accordo- dissi e mi diressi verso la mia camera dove, in tutta calma, mi sfilai i vestiti e me ne misi altri mille volte più comodi.
Rientrai in soggiorno e mi accorsi che Taylor stava parlando, probabilmente credeva che fossi ancora lì vicino, ma non sentii praticamente nulla di quello che aveva detto.
-Non ho capito niente… ripeti per favore…- feci alzando la voce in modo che potesse sentirmi. L’acqua nel mentre aveva smesso di scendere, io mi avvicinai alla porta per sentire meglio e proprio quando l’ ebbi raggiunta quella si aprì di scatto e il ragazzo comparve. Mi ritrovai praticamente il suo petto in faccia e quando alzai gli occhi vidi i suoi vicinissimi ai miei:
-Ah ma sei qua!- esclamò sorridendo.
Ci misi un po’ troppo tempo per riprendermi. Rimasi a fissare i suoi occhi bruni notando delle leggere pagliuzze ambra che non avevo mai visto prima. Venni letteralmente avvolta dal profumo del suo bagnoschiuma, sentii una fastidiosa stretta allo stomaco e il mio cuore accelerò i battiti. Lui indietreggiò per potermi vedere meglio in faccia e io mi voltai un momento temendo di essere diventata paonazza.
-Prima ti avevo chiesto: è meglio la camicia bianca o azzurra?-
A quelle parole mi voltai verso di lui fregandomene del mio colorito:
-Ma che cazzo cambia?- gli chiesi. Non lo feci con cattiveria, reagii così semplicemente perché non avevo capito cosa cavolo mi era preso cinque secondi prima.
Taylor alzò entrambe le mani mostrandomi le due camicie rispettivamente bianca a destra e azzurra a sinistra. Indossava dei jeans neri che gli donavano un sacco e aveva ancora i capelli scuri bagnati e spettinati per colpa della doccia. Quando sentii che il mio cuore era tornato a ritmi sostenibili, risposi:
-Con quei jeans è meglio la bianca…-
-Ti ringrazio, l’avrei scelta anche io- mi strizzò l’occhio e mi regalò un sorriso, poi uscì dal bagno e si avvicinò ai fornelli abbottonandosi l’indumento.
-Ti ho preparato la cena…- disse infine, facendo un cenno verso una padella.
-Tu non mangi?- mi venne spontaneo domandargli
-No-
Il suo tono era vago, mi stava nascondendo qualcosa.
-E come mai?- lo incalzai.
Si passò le mani fra i capelli facendosi una corta cresta che si scompose immediatamente:
-Devo uscire a cena. E poi anche dopo cena…-
-Esci con Rusty?-
“Eddai rispondimi, devo metterti le parole in bocca io, porca miseria?!-
Si limitò a fare cenno di no con la testa, ma poi parve arrendersi:
-Esco con una…-
Non capii perché, ma non mi guardò in faccia a quella frase e, cosa ancora più fastidiosa, fui attraversata da un lampo di gelosia. Decisi di non farglielo notare:
-Taylor, ma ti vergogni?-
-Cosa? No… e solo che…lasciamo perdere…- dopodiché si mise a ridere. Chi lo capiva era proprio bravo!
Decisi di informarmi di più su questo appuntamento, ovviamente con discrezione:
-E lei chi è? Posso saperlo?-
-Si chiama Denise, è una mia collega di lavoro… ragazza simpatica, è un po’ che volevo chiederle di uscire…-
Detto questo mi fece capire che si doveva asciugare i capelli e si richiuse in bagno.
Denise, collega di lavoro… ci mancava solo che si dovesse trasferire per lavoro a Berkeley poi la cosa sarebbe diventata identica a tutto il casino di Roger…non potei fare a meno di sentirmi infastidita per quella scoperta. Avrei voluto starmene a casa a cenare insieme a Taylor e poi a passare il resto del nostro tempo a fare chiacchiere guardando il football alla televisione, come ogni settimana, e invece niente!
Quando uscì nuovamente dal bagno io ero seduta al tavolo a controllare le foto di Anna sulla reflex.
-Com’è andato il tuo incontro?- mi chiese avvicinandosi, era ancora scalzo.
-Bene, guardane il risultato- risposi allungandogli la macchina fotografica. Osservò la foto e sorrise:
-Hei, niente male! Mi piace molto il suo tatuaggio… bello anche il modo in cui brilla la fede…- disse ridandomi la macchina. Guardai l’immagine immediatamente, perché cavolo io quella fede non la notavo mai?!
-Comunque sia, mi dispiace saltare la nostra serata di football, Jane- la sua voce proveniva dalla sua camera, da cui riemerse pochi attimi dopo con indosso le sua All Star nere:
-Ma Denise riusciva ad uscire a cena solo stasera…- concluse.
“Mi sta già sui coglioni questa Denise” pensai:
-Ah, non preoccuparti!- risposi.
Lui mi sorrise:
-Allora come sto?- domandò lasciandosi osservare.
-Niente male…- mi limitai a dirgli.
In verità trovai che stesse benissimo. La camicia stirata gli donava molto e i suoi capelli appena fonati, visibilmente indomati, facevano risaltare tantissimo i suoi occhi, ma soprattutto il suo sorriso.
-Solo?-
-Oh sì. Se questa Denise a gusti raffinati mi sa che non te la porti a letto stasera…-
Lui scoppiò a ridere, si avvicinò a me e mi diede un bacio sulla guancia:
-Ci vediamo- disse infine. Poi prese la sua giacca, che aveva abbandonato sullo schienale del divano da prima e uscì, richiudendosi la porta alle spalle.
Io rimasi immobile a guardare il punto da cui lui era appena uscito e istintivamente mi portai una mano nel punto del viso che prima era entrato in contatto con le sue labbra.
-Maledizione!- esclamai, e lo pensavo veramente.

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Capitolo 17
*** Consigli ***


La luce entrava stancamente dalla finestra sulla destra, la tapparella abbassata la costringeva a ridurre notevolmente la sua intensità, come se la stesse stancando.
Lo specchio si alzava per poi riabbassarsi e permettere al sensore di registrare l’immagine, il soggetto era fermo immobile nell’atto di infilarsi la t-shirt. Il suo tatuaggio, che partiva dal costato fino ad arrivare alla schiena, pareva una gigantesca fiamma pronta a divorarlo. Chris era fermo accanto a me intento a lisciarsi i baffi con la mano e cercando una risposta alla mia domanda di qualche minuto prima:
“Perché a me?”.
-Corey, ti gireresti leggermente verso di me?- dissi al ragazzo fermo in posa.
-Così può andare?- mi chiese dopo un leggero movimento.
-Perfetto, va più che bene. Ne faccio altre due o tre poi abbiamo finito, promesso-
-Grazie, non mi sento più il braccio…-.
Premetti il tasto di scatto nel momento esatto in cui Chris aprì bocca:
-Secondo me ti stai preoccupando troppo…-
-No, Chris, fidati, non ci si preoccupa mai troppo-
-Oh, tu mia cara ti preoccupi troppo eccome, credimi-
Lo guardai di sbieco:
-Non è vero-
-Sì che è vero!- si intromise Corey
-Tu taci! I modelli non devono aprire bocca!- lo bacchettai.
-Ascoltami Jane, parliamone con calma dopo, che ne dici? So che sei confusa, fra la storia di Roger, che per la cronaca io non ho mai approvato, e questa di Taylor, ma ti stai solo confondendo le idee-
Sospirai e spensi la macchina fotografica:
-Abbiamo finito- dissi al ragazzo ancora seduto sul letto, che si infilò la maglietta e si alzò per vedere le fotografie.
 
Poco più di quindici minuti dopo io e Chris eravamo in strada, sotto casa di Corey, a fumarci una sigaretta.
Lo avevo pregato di fami compagnia per la realizzazione di quello scatto fotografico perché avrei avuto condizioni di bassa luminosità e lui, in quanto professionista nel campo della fotografia analogica, era la persona più indicata per aiutarmi ad avere effetti  eccellenti fin da subito, riducendo all’osso il bisogno di un successivo ritocco. Durante il servizio fotografico avevamo cominciato a parlare di Anna, del nostro aperitivo e di tutte quelle cose successe dopo con Taylor, o meglio, con i miei sentimenti. Mi sentivo nel caos più totale, ma se proprio volevo trovare un lato positivo in tutto quello, potevo sempre dire che cercando di capire se davvero ero interessata al mio coinquilino o meno, avevo finito con il dimenticarmi completamente di Roger, non gli avevo ancora detto se ero intenzionata o meno a tornare a vederlo…
Chris prese una boccata dalla sua sigaretta e si aggiustò gli occhiali.
Stava per dire qualcosa, rimasi in attesa:
-Però… se Anna avesse ragione, cosa ci sarebbe di male?-
-Direi niente…ma io non sono interessata a Taylor, te lo vuoi mettere in testa?-
-Se ne sei così convinta allora perché ce l’hai tanto con questa… come si chiama?-
-Denise- dissi con un tono acido che mi uscì spontaneo
-Ecco. Perché?-
Perché? Aveva rovinato il mio consueto programma serale di football insieme a Taylor, nei quattro giorni successivi aveva riempito la segreteria telefonica di messaggi assurdi su quanto fosse stata “…magica la nostra serata” e per colpa sua il mio coinquilino ritardava sempre a tornare a casa, oppure non tornava proprio! Elencai quelle cose ad alta voce al mio collega. Appena finì di ascoltarmi sulla sua faccia si dipinse un sorriso malizioso:
-Mmm…forse è vero che ti piace…-
-Chris!!- sbottai, ma lui subito rispose:
-Senti, da quello che mi racconti mi viene da pensare che le cose stanno proprio così. Di che ti vergogni, porca miseria?! È simpatico, andate molto d’accordo, è una delle poche persone di cui ti sento parlare bene, riuscite a passare delle intere giornate insieme senza scannarvi. Poi sa cucinare e si sa stirare le camice…se fossi gay te lo fregherei io, credimi…-
Non seppi cosa rispondergli. Buttai via quel poco che rimaneva della mia sigaretta e guardai altrove.
-Posso darti un consiglio spassionato, da amico?- mi chiese lui dopo un po’
-Sentiamo…- risposi
-Non ci pensare. Concentrati sul lavoro, che è la tua passione, o se proprio vuoi fare altro allora vai da Tess, portala fuori in discoteca o dove cavolo ti pare, bevi a più non posso e una volta ubriaca vai dove ti porta il cuore. Se il mattino dopo ti svegli fra le coperte di Taylor allora avrai la tua risposta-
Lo guardai per un po’ poi scoppiai a ridere, presi le mie cose e mi avviai verso la metropolitana:
-Tu sei fuori amico mio, fidati di me!-
-Guarda che da ubriachi si fa quello che si vuole realmente fare, ma che da sobri non si ha il coraggio di fare- disse dopo avermi raggiunto.
Ci pensai un momento….non aveva tutti i torti…

 ***

Prima di arrivare a casa mi fermai a prendere un caffè in uno dei bar vicino al condominio in cui vivevo, per qualche strano motivo ne sentii il bisogno, oltretutto ero consapevole del fatto che la casa sarebbe stata vuota fino a sera, quindi attardarmi un po’ a rientrare non era un problema per nessuno.
Era come se non volessi più mettere piede in casa mia. Stranamente ero sempre preoccupata di dire qualcosa di sbagliato a Taylor o di fargli intuire qualcosa che nemmeno io conoscevo. Ero nel caos mentale più totale e la cosa era snervante. Estrassi una sigaretta del pacchetto e me la fisi in bocca prima di girare la chiave nella serratura ed entrare.
Il mio appartamento avrebbe dovuto essere vuoto, proprio così, avrebbe…
Quando mi chiusi la porta alle spalle sentii un rumore provenire dal soggiorno, mi ci avviai convinta che si trattasse del mio coinquilino miracolosamente lasciato in pace dalla sua “nuova fiamma”, se la si poteva chiamare così, invece, appoggiata al banco da lavoro dell’angolo cottura, trovai quella che mi venne spontaneo riconoscere come la nuova fiamma in persona: Denise.
-Oh, ciao. Tu devi essere Jane…- disse con un tono innocente dopo avermi vista.
La guardai da capo a piedi prima di risponderle. Era la classica bella ragazza con capelli lunghi e chiari, un fisico da sballo, occhi azzurri e grandi e denti perfetti. Per i miei gusti, comunque, era troppo magra, per non parlare del tono della sua voce eccessivamente squillante. Mi innervosì perfino il modo in cui teneva in mano il bicchiere dal quale stava bevendo. Quando notai che indossava solo la camicia di Taylor, che le arrivava fino alle cosce, fui attraversata da un lampo di odio puro.
-Jane! Bentornata!- la voce allegra del mio coinquilino lo introdusse nella stanza.
Si fermò fra me e l’altra donna, con indosso una t-shirt e un paio di pantaloncini e dopo un’occhiata riprese la parola:
-Ti presento Denise-
-L’avevo immaginato…- dissi con un sorriso forzato che cercai di rendere il più naturale possibile.
La bionda si avvicinò a Taylor e gli disse:
-Vado a vestirmi…-
“Ecco, brava, vai!”
Il moro mi guardò con un sorriso imbarazzato:
-Ho interrotto qualcosa?- chiesi mentre mi accendevo la sigaretta
-No, stavamo solo facendo gli scemi…-
-Be, se volete continuare non c’è problema, io devo andare da Tess, ero rientrata solo per posare la borsa…- mi uscì spontaneo dirgli
-Ah sì? Quindi stasera non ceni a casa?-
Risposi d’impulso:
-Non ne ho idea, se mai ti mando un messaggio più tardi- e me ne pentii subito.
-Come sono andate le foto?- mi chiese lui per fare un po’ di conversazione.
Sorrisi pensando a Corey e alla sua faccia non appena si era rivisto negli scatti:
-Bene, lascio la macchina fotografica a casa, nel caso, se le vuoi vedere… tanto la sai usare, no?-
-Diciamo di sì- fece ridendo. Lo guardai di traverso:
-Facciamo una cosa, lascia perdere. Te le faccio vedere domani oppure stasera quando ritorno-
-Forse è meglio. Che se dovessi cancellartele credo che mi ammazzeresti…-
-No, ti farei ammazzare da Corey, che è dovuto rimanere mezz’ora, se non di più, con il braccio alzato per infilarsi una maglia che in realtà non si è mai infilato!-
Taylor rise nuovamente:
-Poveraccio, non lo invidio! Comunque, scherzi a parte, la so usare, ma se me le illustri tu con commenti e tutto il resto è meglio…-
Stavo per rispondergli, ma nel mentre ritornò Denise, così andai a spegnere la sigaretta nel posacenere posto sopra il tavolino davanti al divano. Appoggiai anche la borsa con la reflex e ripresi solo la mia tracolla, con dentro le chiavi, le sigarette, il portafoglio e lo stretto indispensabile.
-Allora ci sentiamo, Taylor. È stato un piacere conoscerti, Denise-
-Anche per me- rispose lei
-D’accordo, a più tardi- mi fece lui salutandomi con la mano.
Quando mi richiusi la porta alle spalle mi ritrovai a sospirare. Cercai selvaggiamente un’altra sigaretta e me l’accesi lungo le scale, anche se sapevo benissimo che non si poteva assolutamente fare.

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Capitolo 18
*** Tequila ***


La porta si aprì con un gesto rapido e deciso che per poco non mi fece sussultare. La persona che l’ebbe aperta rimase ferma a guardarmi con un’ espressione a metà fra il serio e il curioso.
-Jane, che ci fai qui?- mi chiese dopo poco la mia migliore amica con il suo tono da maschiaccio, si grattò il naso come faceva spesso e rimase ferma ad aspettare una risposta.
Sospirai e la guardai. Teneva i capelli blu legati in uno chignon da cui qualche ciocca cercava, ribelle, di uscire e si era sistemata la frangia indietro servendosi di svariate forcine, non sembrava neanche lei e la trovai bellissima.
-Ho bisogno di un posto dove stare…- le dissi dopo un po’
-Ce l’hai già un posto dove stare- mi rispose guardandomi di traverso.
Alzai lo sguardo verso di lei:
-Non in questo momento- mi limitai a dirle.
Capì tutto e si fece da parte per farmi entrare. Come sempre nel suo appartamento regnava il caos più totale. Ovunque c’erano vestiti e scarpe, qualche libro abbandonato qua e là e pezzi di macchine fotografiche sparpagliate da ogni parte. Non si scusò neanche per il disordine, consapevole che ci ero abituata. La sentii chiudersi la porta alle spalle e aprire bocca:
-Che è successo?- mi chiese.
Mi voltai leggermente dalla sua parte per poterla vedere con la coda dell’occhio e dissi solo:
-Denise…- ancora una volta quel nome mi uscì come un sibilo velenoso, ma era più forte di me.
Tess non rispose e mi precedette nel soggiorno, poi mi fece cenno di sedermi e andò a prendere qualcosa da bere e un pacchetto di sigarette. Me ne allungò subito una insieme all’accendino e ne presi le prime boccate senza dire niente. Non volevo essere compatita, quella era l’unica certezza che avevo, volevo solo sapere perché ce l’avessi tanto con quella maledetta biondina che usciva con il mio coinquilino!
Prima di sedersi, Tess appoggiò al piano che avevo davanti una bottiglia di Tequila e un paio di lattine di birra, poi si accoccolò sulla poltrona che avevo alla mia destra e si accese anche lei una sigaretta.
Guardai l’alcool e la stecca fumante che tenevo fra le dita, poi guardai la donna che avevo al mio fianco e le dissi:
-Se fossi un uomo vorrei che tu fossi la madre dei miei figli…-
Lei non si scompose e rispose immediatamente:
-Non ti uscirebbero dei gran elementi, fidati di me- sorridemmo entrambe.
Dopo un breve momento di esitazione finalmente mi decisi a parlare:
-Senti ma, anche secondo te… io sono…- ma Tess completò la frase al posto mio:
-Un’idiota?-
-Cosa?-  esclamai subito non capendo se fosse seria o se mi stesse solo prendendo in giro.
-Hai capito bene. Chi altro te l’ha detto, Chris?-
-Chris non mi ha mai detto che sono un’idiota!- la conversazione stava prendendo una piega inaspettata:
-E poi perché dovrei essere io l’idiota?- le chiesi subito dopo con fare un po’ stizzito e rendendomi conto che avevamo detto almeno cinque volte “idiota” nel giro di dieci secondi.
-Andiamo, stai scappando da casa tua, te ne rendi conto?- fece Tess dopo aver espirato una boccata di fumo precedentemente aspirata.
-Lo sarei solo per questo?- la domanda mi uscì con tono presuntuoso
-No, bella mia. Lo sei perché fino a tre settimane fa eri convinta di essere ancora innamorata del tuo quasi-ex e ora ce l’hai a morte con la tipa che si fa il tuo coinquilino, ecco perché- lo disse con fare calmo, come se tutto quello fosse ovvio. Io non seppi esattamente cosa risponderle e rimasi zitta per un po’, finché non la guardai negli occhi e ammisi:
-Mi sa che hai ragione tu…-
-Almeno ora lo ammetti- si limitò a dirmi
-In che senso, ora?- chiesi subito
-Chris mi ha appena telefonato dicendomi tutta la manfrina di oggi a casa di Corey e sulla tua convinzione a non essere minimamente interessata a Taylor, una cosa del genere… mi ha anche detto che sei parecchio testarda…-
-Lo sono sempre stata-
-Sì e io l’ho sempre saputo…- si aprì una lattina di birra appena terminata quella frase.
Io ripensai un momento a Chris e gli domandai:
-Ti ha anche detto della storia di bere un sacco e poi andare dove mi porta il cuore?-
-Vagamente- disse e subito dopo mi versò un bicchiere di Tequila senza aspettare, o pretendere, una risposta. Sollevò la sua lattina verso di me e mi guardò:
-Ai tuoi dubbi!-
La imitai: -Ai miei dubbi!-
 
Nell’arco di cinque bicchieri di Tequila la conversazione aveva attraversato vari stadi di argomenti, seri e non. Era incredibile come la mia migliore amica riuscisse a farmi dimenticare i problemi servendosi del suo amichetto alcool, di un paio di sigarette e del suo odio per l’alta moda. In quel lasso di tempo avevamo parlato di ogni argomento possibile, anche il più insensato. Ma una volta finito il quinto bicchiere, la nota malinconica era praticamente d’obbligo. Il discorso era un po’ scemato e io avevo preso a guardare tristemente il fondo del mio bicchiere chiedendomi cosa stesse facendo Taylor in quel momento, un pessimo segnale.
-Senti Tess…- iniziai dopo poco
-Cosa?- mi chiese lei sollevando la testa dalla mia spalla, dato che da un po’ ci eravamo ritrovate fianco a fianco sul divano a bere e ridere insieme.
-Pensi anche tu che io sia… innamorata di Taylor?- la semplicità con cui mi uscì quella domanda era solo merito dell’alcool.
Sentii lei alzarsi da me e sedersi il più comodamente possibile, si voltò a guardarmi e prese parola:
-Jane, qui nessuno pensa che tu sia innamorata di Taylor…- cominciò
-Ma Chris…- la interruppi, ma lei riprese immediatamente la parola:
-Nemmeno Chris. Ascoltami, l’amore è un sentimento troppo complesso e… enorme. Se tu fossi veramente innamorata di lui lo sapresti e smetteresti di tormentarti, e forse anche di tormentare me, fatto sta, che lo sapresti. Io e Chris non ti stiamo chiedendo di ammettere di essere innamorata di Taylor, ti stiamo solo chiedendo di provare a capire se sei interessata a lui o no…-
Abbassai lo sguardo e provai a pensarci. Ripensai a tutto quello che era successo a me e lui dopo il suo trasferimento nel mio appartamento, alla rapidità con cui avevamo fatto amicizia, alle serate che passavamo insieme guardando il football e scherzando. Ripensai alle parole di Chris di quel pomeriggio: “…andate molto d’accordo, è una delle poche persone di cui ti sento parlare bene, riuscite a passare delle intere giornate insieme senza scannarvi.”. Mi ritrovai a chiedermi a come potesse essere svegliarsi al mattino e trovarselo accanto, oppure a sapere che i suoi occhi bruni non avrebbero guardato altre donne nello stesso modo in cui avrebbero guardato me.
Sospirai e appoggiai il bicchiere vuoto al piano che avevo davanti. Presi forza e respirai prima di dire:
-Mi sa che avete ragione… sono davvero interessata a Taylor…-

***

La sera rientrai nel mio appartamento senza sapere esattamente come ci ero riuscita. Appoggiai le chiavi sul tavolo e barcollai fino al divano sentendomi stanca e un po’ troppo alcolizzata.
-Fottuta Tequila…- mi uscì fra i denti. Cercai a tentoni l’interruttore della luce e  finalmente l’accesi. La casa mi si dipinse sotto gli occhi e finalmente mi rilassai, sì, era casa mia.
Diedi un’occhiata in giro per vedere che fosse tutto a posto e che Taylor e la sua donnina non avessero combinato casini in mia assenza, ma sembrava tutto in ordine, anzi, lo sembrava molto più di prima.
Andai al frigo a prendere un bicchiere d’acqua e mentre lo stavo bevendo notai un vaso al centro del tavolo con un solo fiore, che pareva spaesato e quasi intimorito, ma bellissimo. Mi avvicinai e lo sfiorai con la mano, era una calla bianca, il mio fiore preferito. Alzai automaticamente lo sguardo verso la porta della camera da letto di Taylor chiedendomi se quel fiore, in quel vaso, fosse opera sua e, nel caso, se ne fosse consapevole. Arrivai alla porta e posai una mano sulla maniglia, l’aprii lentamente sicura di non trovare nessuno in quella stanza, ma mi sbagliai.
Lui era lì, stava dormendo in quel suo modo bizzarro, stringendo forte il cuscino in cui era completamente sprofondato con il viso, i capelli già arruffati e metà corpo completamente scoperto. Mi appoggiai alla parete e rimasi a fissarlo come una scema. Per la seconda volta in meno di dodici ore mi tornarono in testa le parole di Chris: “..bevi a più non posso e una volta ubriaca vai dove ti porta il cuore. Se il mattino dopo ti svegli fra le coperte di Taylor allora avrai la tua risposta.”. Mi venne da sorridere a ripensarci, ma non seguii il suo consiglio, avevo bisogno di dormire, di riflettere su tutta la faccenda. Oltretutto se avessi testardamente agito d’impulso avrei rischiato di vomitare sulle coperte azzurre di Taylor, visto come stavo, e non era quello che volevo…
Chiusi lentamente la porta della sua stanza ed entrai nella mia, mi accasciai sul letto e mi addormentai subito.
 
  

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Capitolo 19
*** Calla ***


C’era un vecchio detto che all’incirca diceva così: “Ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo”. Sì, valeva anche per me in quel preciso momento della mia vita…più o meno. Il fatto di aver ammesso a me stessa, a Tess e, alla fine, anche a Chris, di essere interessata a Taylor mi aveva risolto un bel mucchio di problemi, o meglio di pare mentali. Avevo smesso di pensare a Roger, e di per sé già quella era una bella vittoria, avevo smesso di domandarmi per quale motivo Denise mi stesse tanto antipatica se neanche la conoscevo e avevo ricominciato a concentrami sul lavoro consapevole che fra me e Taylor non sarebbe mai potuto succedere nulla finché avessimo continuato ad avere la biondina fra i piedi.
Ed era proprio al lavoro che stavo dedicando la mia più totale attenzione anche in quel momento, mentre avevo davanti agli occhi Joshua, il committente di turno.
-Siamo a metà dell’opera- gli dissi in risposta alla domanda che mi aveva fatto
-Metà? Però, siete bravi- sorrise e per la prima volta i suoi occhi mi parvero meno appannati del solito
-Lo sappiamo, grazie- scherzai
Josh mi diede un amichevole buffetto sulla guancia e recuperò la sua borsa che aveva abbandonato sul banco del mio negozio appena era entrato quel mattino.
-Mi raccomando, Jane. Mi serve tutto per agosto- disse prima di girarsi e avviarsi all’uscita
-Rilassati, non è ancora cominciato giugno- gli feci notare.
La risposta non arrivò mai e lui mi salutò con un cenno prima di aprire la porta ed uscire.
Tess alzò gli occhi dallo schermo del computer appena smisi di sospirare:
-Durante la pausa vado dal parrucchiere, vuoi venire?-
La guardai senza capire dove volesse arrivare:
-Cosa? Che centra il parrucchiere adesso?- le chiesi
-Non ti farebbe male sistemarti quei capelli…- si alzò, si avvicinò a me e prese una delle mie ciocche di capelli lisce che ormai erano impresentabili per aspetto e colore.
Avvicinò la sua bocca al mio orecchio e sussurrò:
-Scommetto che Denise ha dei capelli favolosi- scandì accuratamente la parola “favolosi”  e mi guardò con un sorrisino. Ripresi possesso dei miei capelli e la guardai male:
-Piantala!- mi limitai a dirle, ma lei si mise a ridere.
Si divertiva troppo a farmi uscire di testa e da quando avevo capito di provare qualcosa per Taylor, Denise era diventata l’arma preferita di Tess per riuscire nell’intento.
-Scherzi a parte, se vuoi venire mi fa solo piacere…- riprese poi, dopo un’alzata di spalle.
Ci pensai un momento. Infondo erano mesi che non mi sistemavo la testa incasinata che mi ritrovavo, non mi avrebbe fatto male andare da qualcuno che non si limitasse a lavare e asciugare.
-Tu cosa vorresti fare?- chiesi a Tess per sondare un po’ il terreno
-A me o a te?-
-A te…-
Alzò ancora le spalle e si grattò il naso:
-Li tingo e li taglio, mi hanno stancata i capelli lunghi, poi ora tutto hanno questo taglio solo perché ce l’ha Skrillex, mi sento troppo alla moda, meglio cambiare…-
Mi venne da ridere a quella affermazione, Tess odiava essere uguale agli altri, aveva resistito più del dovuto con quell’acconciatura.
Mi guardai ancora i capelli e alla fine mi decisi:
-Mi hai convinta, vengo con te…-
-Brava-
In quel momento dalla porta del negozio rientrò Chris.

***

A fine giornata mi sentivo decisamente meglio. La parrucchiera di Tess mi aveva fatto capire perché lei si divertisse tanto ad andare a tagliarsi i capelli proprio nel suo salone. Era una tipa strana, piena di piercing e tatuaggi e con lunghi boccoli che dall’inizio alla fine passavano attraverso svariate sfumature di rosa, ma era davvero brava. Una volta uscita dal suo negozio ero più che soddisfatta del mio taglio nuovo, anche se si trattava di un banale caschetto scalato più corto dietro e più lungo davanti,  e della tinta rossa dai riflessi intensi che mi aveva convinta a fare. La magia, se la si poteva chiamare così, erano durata poco, grazie all’affermazione di Tess: “Non sperare che Taylor se ne accorga, è un uomo”.
Sospettavo anche io che non se ne sarebbe accorto, nelle ultime settimane era troppo preso da una sola cosa: Denise.
Rientrai nell’appartamento grattandomi la testa e ripensando alle parole della mia amica e venni accolta dalla voce di Taylor, proveniente dalla sua camera da letto:
-Ciao! Arrivo subito…- l’affermazione fu seguita da una serie di deboli imprecazioni e da un sonoro tonfo.
Sospettai fosse cascato di nuovo mentre cercava di infilarsi le All Star in piedi, superai il soggiorno e andai in camera mia a cambiarmi.
Quando uscii trovai lui ai fornelli intento a rimescolare qualcosa di verde in una padella. Sul tavolo c’era apparecchiato per una persona sola e capii che anche quella sera saremmo stati solo io e la mia cena, poi io e il televisore e infine io e il mio letto…
Subito dopo notai il vasetto posto al centro del tavolo, contenente una calla bianca, un’altra.
-E questa?- chiesi a Taylor dopo essermi avvicinata al tavolo e aver toccato il fiore.
Lui si voltò verso di me e finalmente ci guardammo in faccia per la prima volta in quella sera:
-É una calla… pensavo ti piacessero…-
-Sì che mi piacciono, ma perché? E poi una, poveraccia, mette un po’ tristezza…- mi venne spontaneo fargli notare
-Le frego a lavorare, abbiamo un vaso di fiori in ufficio e ogni tanto me ne prendo uno…- mi sorrise.
Gli sorrisi a sua volta non sapendo cosa rispondere e lui subito riprese la parola:
-Mi piacciono i tuoi capelli, sai?-
Spalancai gli occhi e mi sentii leggermente arrossire:
-Ti ringrazio…- feci cercando di apparire il più disinvolta possibile, ripresi parola prima che si potessero creare silenzi imbarazzanti:
-L’idea è stata di Tess-
Mi guardò come incuriosito:
-Ha avuto una buona idea allora, secondo me stai molto bene, fidati-
-Ok, ok, grazie-
-Allora, qui c’è la tua cena- disse lui dopo un po’, mentre iniziava a mettere le cose nel piatto: -Come hai già capito esco con Denise…-
-Sì, l’avevo immaginato visto che bella camicia ti sei messo…-
-È quella che odio di più…-
-La camicia o Denise?- chiesi fingendo di scherzare.
Lui si mise a ridere e non rispose. Dopo poco mi passò il piatto e riprese parola:
-Pesce, con gli spinaci. Roba semplice, è buono, scommetto che ti piacerà!-
Afferrai il piatto:
-Grazie-
-Prego. Vado a finire di sistemarmi prima che arrivi Denise…-
Detto questo si chiuse in bagno. Io iniziai a cenare fissando in maniera assente la calla che avevo davanti agli occhi e continuando a mandare al diavolo quella situazione, finché non suonarono alla porta.
-Puoi andare tu? Sono mezzo nudo- urlò Taylor dal bagno.
Mi avviai controvoglia e aprii la porta solo per trovarmi l’irritante bionda in faccia.
-Ciao Jane!- mi fece con un sorrisino.
-Ciao Denise, entra, Taylor sta arrivando…-
La feci passare e chiusi la porta. Rimasi ferma in piedi accanto a lei ad aspettare che il mio coinquilino uscisse e me la togliesse di torno.
-Come stai?- mi chiese lei poco dopo
-Potrebbe andare meglio… tu?-
-Oh, io tutto a posto- rispose facendo insistentemente “sì” con la testa: -Cosa ti è successo?- mi chiese.
“Io l’ammazzo…”
-Problemi a lavoro…- sintetizzai mentendo.
Lei stava per riaprire bocca ma per fortuna la porta del bagno si aprì prima.
-Eccomi qua- disse Taylor uscendo. Prese la sua giacca e le chiavi di casa e salutò Denise baciandola proprio sotto i miei occhi.
-Andiamo?- chiese lei subito dopo.
Lui annuì e si voltò verso di me, mi accarezzò sulla testa e mi sorrise:
-Ci vediamo- mi salutò lui e io mi limitai a rispondergli con uno sbrigativo “Ciao”.

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Capitolo 20
*** Pizza a domicilio ***


Il giorno dopo mi svegliai stranamente prima di Taylor, o meglio, lui si svegliò stranamente dopo di me.
Per fortuna aveva avuto il buon gusto di non portarsi dietro la bambolina bionda, per cui, quando entrò in soggiorno mezzo nudo, sbadigliando e grattandosi la testa, era solo.
-Oh buongiorno…- mi uscì sarcastico dirgli
-Hei…- fece con voce impastata.
-Ore piccole?- chiesi allungandogli una tazza di tè
-Tu cosa ne pensi?-
Io non risposi e mi misi a sistemare la mia borsa prima di andare a lavorare, non volevo sapere di come aveva passato la notte, onestamente me ne fregava davvero poco.
Rimase in silenzio a sorseggiare dalla sua tazza con un’immotivata pace interiore, sembrava non avere fretta di uscire di casa quella mattina. Ma durò poco, appena vide che era in ritardo sulla sua tabella di marcia gli uscì una sonora esclamazione:
-Merda!- e corse a vestirsi.
Io mi rimisi a farmi gli affari miei finché, una volta pronta, mi avviai alla porta.
Pochi istanti dopo averla aperta sentii Taylor chiamarmi:
-Jane, aspetta un secondo…-
Mi fermai e mi voltai a guardarlo. Si era vestito con una delle sue tante camice, quella mattina aveva scelto quella blu, e si era sistemato i capelli apparendo più normale.
-Cosa c’è? Devo andare, stamattina tocca a me aprire il negozio- gli feci notare
-Sì, sì, lo so. Volevo solo dirti che stasera ceno a casa, così possiamo passare un po’ di tempo insieme, dopo tanto- concluse regalandomi un bellissimo e amichevole sorriso.
-Oh, bene. D’accordo, allora a stasera. Ciao-
Lo sentii rispondere allo stesso modo mentre mi richiudevo la porta alle spalle. Avevo cercato di sembrare il più noncurante possibile, ma mentre scendevo le scale mi fu impossibile trattenere il sorriso che insistentemente aveva tentato di uscire dopo quella notizia.

***

Quella sera ritornai a casa piuttosto stanca. Il pomeriggio avevo dovuto girare mezza New York rincorrendo uno dei miei clienti per avere informazioni riguardo all’incarico che ci aveva affidato, ma quello sembrava scomparso nel nulla. L’avevo trovato dieci minuti prima delle otto, fortunatamente nel suo studio privato, poco distante dal mio appartamento. Quando rientrai alle 20.30 spaccate, come mi capitava spesso, trovai la casa deserta.
“E Taylor?”.
Il silenzio che regnava nell’appartamento era sovrumano, non mi era mai successa una situazione simile, mi sentii addirittura a disagio. Arrivai al soggiorno e notai un foglietto abbandonato sul tavolo. Appena lo presi in mano riconobbi subito la calligrafia ingarbugliata del mio coinquilino.
“Contrattempo, scusami” e non aggiungeva altro.
Quale cazzo di contrattempo gli era capitato quella sera? Perché ogni volta che le cose si mettevano a posto, per me, qualcosa o qualcuno rovinava tutto improvvisamente?
Mi uscii spontaneo un verso indecifrabile e indispettito, mentre appallottolavo il foglio di carta e mandavo al diavolo lui e il suo fottuto contrattempo.
Andai in camera mia per cambiarmi pensando a come superare l’ennesima serata in casa da sola. Erano giorni che non passavo del tempo con Taylor, del vero tempo. Non mi bastava vederlo al mattino, quando neanche ci parlavamo, non mi accontentavo di vederlo di sfuggita e di tentare di mantenere viva un’amicizia che da un po’ di giorni avevo desiderato si trasformasse in qualcosa di più grande, ero stanca.
Mi infilai la canotta dei Knicks nel momento esatto in cui il telefono squillò. Non avevo voglia di rispondere e lo lasciai squillare finché non partì la segreteria telefonica.
La voce che sentii mi lasciò incredula:
-Ciao Jane, sono Roger. Come stai? …pensavo che ti avrei sentita a breve, dopo quello che mi avevi detto, ricordi? Che volevi del tempo per te, per chiarirti le idee. Be, ecco, volevo sapere se sei arrivata ad una conclusione. Io vorrei davvero rivederti, mi è dispiaciuto che le cose siano andate così, non sai quanto…. Ok, allora, spero di sentirti presto, il numero ce l’hai… ciao…-
La sua chiamata si concluse pochi istanti dopo. Mi avvicinai al telefono indecisa se richiamarlo subito oppure no. Anche a me era dispiaciuto il modo in cui le cose erano andate, ma non aveva senso dirgli che ero disposta a tornare a vederlo, non dopo che avevo fatto un esame di coscienza ed avevo ammesso a me stessa che tornare a frequentare Roger era sbagliato.
Subito dopo decisi di telefonargli. Proprio come quel giorno, quasi un mese prima, in un modo o nell’altro sarei riuscita a dirgli che era meglio lasciarci perdere e provare a restare amici, patetico, lo sapevo, ma cos’altro potevo dirgli?
Iniziai a comporre il numero ma qualcuno suonò alla porta. Mi avvicinai e prima di aprire chiesi:
-Chi è?-
-Pizza- arrivò dall’altra parte, con una voce maschile alta ed allegra.
“Pizza? Ma che cavolo…”
Aprii la porta dicendo:
-Guardi che io non ho ordinato nessuna…- ma mi bloccai appena vidi in faccia la persona che mi ero trovata difronte: -…Taylor…-
Il moro mi sorrise: -Ciao Jane-
Lo guardai incapace di capire per un po’. Aveva una grossa pizza in mano e teneva una sporta con l’altra il cui contenuto era voluminoso e scontato.
Mi spostai per farlo entrare e quello si fiondò all’angolo cottura del salotto parlando a ripetizione:
-Stasera si va di pizza, ne avevo una voglia matta, ho preso della birra-
Lo interruppi:
-Mi spieghi che trovata è? E il biglietto che mi hai lasciato sul tavolo?-
Alzò le spalle e sorrise:
-Era uno scherzo. Ci sei cascata, sono un genio!-
-Come sarebbe uno scherzo?- esclamai
-Sì, volevo farti una sorpresa, così ho inscenato questa storia del contrattempo improvviso. Ho rimandato tutti gli impegni di stasera, ho detto no a Denise, a Rusty, a degli altri colleghi che mi hanno invitato a bere una birra e che, per la cronaca, nemmeno conosco, solo per mangiare una pizza con te…- abbassò lo sguardo e cominciò a svuotare la borsina di plastica:
-Poi ho preso, due birre…- il rumore del vetro accompagnò le bottiglie mentre uscivano dalla borsa in plastica: -…e un film, ma non un film qualunque…-
Mi mostrò orgoglioso la custodia grigio del film che aveva preso a noleggio su cui, con un pennarello nero avevano scritto il nome del mio lungometraggio preferito “The Blues Brothers”.
Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere. Lui aspettò che mi fermassi e mi guardò sorridendo, aspettando una risposta, una qualunque.
-Sei davvero il solito…-
-Lo so…- fece con un’espressione vaga, prima di continuare: -È solo che mi dispiaceva il modo in cui stavano andando le cose fra di noi. È un bel po’ che non passiamo del tempo insieme, come facevamo prima…-
Annuii non sapendo cosa rispondere e lui riprese la parola immediatamente:
-Che ne dice di mangiare? La pizza fredda non mi piace-
Mi fece cenno di sedermi , ma prima di farlo rimasi ferma immobile a guardarlo mentre prendeva piatti e bicchieri dalla credenza.
Mi dimenticai completamente della telefonata di Roger di pochi minuti prima e fu allora che capii per quale motivo ero arrivata a provare dei sentimenti così profondi nei confronti di Taylor.
 
 

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Capitolo 21
*** Quei maledetti biglietti ***


PARTE II

 
Nelle ultime cinque settimane trascorse la piega monotona della mia vita era lentamente cambiata, trasformandosi in qualcosa di un po’ più interessante sotto svariati punti di vista.
Innanzitutto dopo la sera in cui Taylor si era presentato in casa con la pizza, dicendo di aver rinunciato ad uscire con Denise solo per passare del tempo con me, avevamo finalmente ricominciato a passare un po’ più di tempo insieme rispetto al suo primo periodo di coppia con la bionda. Un paio di sere a settimana riusciva a evitare di prendere ogni sorta di impegni per rimanere svaccato sul divano insieme a me a guardare il football bevendo birra o anche semplicemente a parlare e la cosa, rispetto a prima, non poteva che farmi felice. In secondo luogo, ma non meno importante, io, Tess e Chris avevamo cominciato a mettere anima e corpo nel terminare il lavoro di Joshua perché era luglio e i tempi per completare la sua mostra erano quasi agli sgoccioli. Dal nove luglio al primo agosto, infatti, il passo era breve e anche se avevamo terminato di realizzare i sessanta scatti che ci eravamo prefissati io e i miei soci mancava ancora tutta la parte della rifinitura, della stampa e dell’allestimento.
Dell’allestimento me ne stavo occupando io insieme a Vanessa e a Josh, mentre Chris si occupava della stampa e della rifinitura delle sue fotografie a pellicola lasciando a Tess il compito di terminare le stampe delle foto digitali.
In quel momento ero nello studio del tatuatore, a parlare con il diretto interessato, o il committente, come mi divertivo a chiamarlo, per sentire come voleva disporre le cose.
-Io direi di montare qualche pannello qui…- si mise al centro dello studio e fece un ampio gesto con la mano: -Qua sarà tutto vuoto, ad agosto, perché sarò già al NY TattoStudio quindi possiamo sfruttare questo spazio al meglio- mi guardò in cerca di un’affermazione.
-Non ci saranno più neanche le postazioni da lavoro?- chiesi
-Non saprei, credi che sia meglio lasciarle fino alla fine dell’esposizione?-
-Bè, contribuiscono a creare atmosfera, secondo me dovresti tenerle…-
Ci pensò su un momento, poi parve convincersi:
-Forse hai ragione, infondo a smontare il tutto ci vorranno solo poche ore e, a parte alcune cose, non mi servono tutte quante per il mio trasferimento. Là avrò una postazione mia, naturalmente collegata al loro impianto- si mise inspiegabilmente a ridere, poi riprese la parola:
-Per il resto cosa ne dici?-
Mi avvicinai a lui e misurai immaginariamente lo spazio centrale:
-Sì, con un montaggio di pannelli secondo me qua possiamo attaccarci dai trenta ai quaranta scatti. Per i restanti usiamo le pareti e magari anche là, dall’ingresso…- Joshua rimase ad ascoltarmi attentamente mentre continuavo a divagare parlando di quei dannati pannelli:
-Li facciamo scendere dall’alto, così non creano problemi di instabilità o cose del genere…-
-È fattibile?-
-Certamente, conosco la persona giusta. In mezza giornata ci monta tutto a prezzi più che ragionevoli…-
-Ok, mi fido ciecamente di te, lo sai. Fai quello che devi fare…-
Gli sorrisi per ringraziarlo di tanta fiducia e quello mi rispose allo stesso modo. Poi si allontanò e andò a frugare nella sua tracolla che aveva sul bancone dell’ingresso. Ne estrasse una busta da cui tirò fuori una serie di foglietti rettangolari stretti e lunghi. Ritornò da me e me ne passò un po’, li contai: erano sette.
Su ciascuno di essi c’erano data e ora dell’evento. Riconobbi lo stile della calligrafia e dei disegni che facevano da cornice al tutto di pura ispirazione al mondo dei tatuaggi, li aveva sicuramente fatti lui.
Alzai i miei occhi sui suoi e li ritrovai lì, appannati ma allegri:
-Sono gli inviti per la mostra. Per l’inaugurazione ho preferito fare una cosa con pochi intimi…- sorrise
-Dalli a Tess, Chris e a qualche altro tuo amico, tipo Taylor. Se i tuoi colleghi ne vogliono altri basta che vengano qua a chiedermeli…-
-Ti ringrazio- gli dissi
-Sono io che ringrazio te…- sorrise nuovamente, ma non potei fare a meno di notare una sorta di malinconia in quella frase. Capii che, dopotutto, abbandonare il suo studio gli dispiaceva molto.
Decidemmo di chiudere così il nostro incontro. Lo salutai abbracciandolo e mi diressi al mio negozio dopo le ultime raccomandazioni da parte di entrambi.

***

Quando la sera rientrai in casa, dei sette biglietti regalatimi da Joshua me ne restavano soltanto tre: uno per me, un per Taylor e l’altro… chissà.
Decisi di lasciare quello del mio coinquilino sul tavolo dell’angolo cottura. Quella sera infatti non lo avrei trovato in casa perché era uno dei giorni della settimana che lui passava con la sua bambolina bionda.
Tuttavia le mie previsioni furono smentite ancora una volta, perché quando aprii la porta ed entrai in casa fui accolta da un’esagerata esultazione:
-È un home run!!- la frase venne seguita da altri commenti sottintesi e da una serie di grida di giubilo che ricordavano molto le feste al termine della vittoria del super bowl.
Trovai Taylor intento a fissare il televisore con le braccia incrociate, un grande sorriso stampato in faccia, i capelli spettinatissimi e con indosso un paio pantaloncini e una t-shirt nera così grossa che gli arrivava fin sotto il sedere. Trovai che fosse una delle cose più belle che potessi sperare di vedere rientrando in casa al termine di una giornata di lavoro. Non appena si accorse di me mi salutò allegramente:
-Hei! La cena è quasi pronta- e tornò ai fornelli.
Guardai il televisore e poi gli chiesi:
-Che stai guardando? Non sapevo ci fosse il baseball adesso…-
-No, no è la replica. Non ho trovato niente di meglio-
Diedi un’occhiata in giro e vidi che la tavola era apparecchiata per due persone. Ci pensai un momento, poi mi uscì spontaneo chiedergli:
-Ma… Denise?-
Lui si voltò a guardami e alzò le spalle con noncuranza, come se quella domanda fosse una routine quotidiana, cosa che non era affatto.
-Alla fine stasera non siamo usciti. Così ho pensato di fare il bravo coinquilino e prepararti la cena- sorrise affabilmente e mi mostrò un piatto pieno di roba. Io annuii con la testa senza sapere esattamente cosa dire, poi mi diressi in camera mia per cambiarmi e mettermi qualcosa di decisamente più comodo dei jeans per starmene in casa. Mi aspettava una sera extra insieme a Taylor e avevo voglia di godermela fino in fondo, non capitava mai che una sua uscita con la bionda saltasse, era una pura botta di culo!
Ritornai in cucina non ricordandomi di dove avevo lasciato i biglietti che mi aveva dato Joshua e li ritrovai in mano al mio coinquilino. Stava leggendo quello che vi era scritto sopra e teneva la forchetta ferma a mezz’aria. Alzò gli occhi su di me:
-Sono della mostra a cui stai lavorando?-
Mi sedetti al mio posto mentre rispondevo:
-Già. Josh ha detto che all’inaugurazione vuole fare una cosa il più intimo possibile e quindi sarà aperta solo per quelli che hanno questi inviti… uno di quelli è tuo-
-Ah, forte. E l’altro?-
Non risposi immediatamente. Non avevo ancora deciso a chi dare l’ultimo biglietto che avevo. Non sarebbe servito a niente darlo ad Anna, oppure a Corey, loro erano già stati sicuramente invitati da Joshua. Mi sarei ritrovata con un biglietto in più in mano senza sapere cosa farmene.
Talor riprese parola prima di me:
-Sai, Denise ha detto che le piacerebbe molto venire a vedere quella mostra. Se non sai a chi darlo posso prenderlo io e darlo a lei? Così veniamo insieme…-
Cosa? No, assolutamente no! Lo avrei dato al diavolo in persona piuttosto che a Denise! Almeno la sera della mostra di Josh, almeno la sera del riconoscimento per gli sforzi di queste settimane compiuti da me, Tess e Chris, almeno la sera del nostro omaggio ad un caro amico, almeno quella sera io, lei, non la volevo vedere avvinghiata a Taylor! Tuttavia non seppi cosa dire, non seppi a chi dare immaginariamente quel biglietto, finché un nome non mi tornò rapidamente in testa.
-Bè, se mai posso chiedere a Josh se ne ha altri, quello volevo darlo a Roger, se non è un problema…-  cercai di apparire il più disinvolta possibile e parve funzionare. Taylor alzò gli occhi su di me in un’espressione stupita:
-A Roger?- mi chiese: -Non c’è problema, è tuo. Se mai Denise ce la porto il giorno dopo…-
Calò uno strano silenzio che mi parve più teso che imbarazzato. Avevo agito impulsivamente per l’ennesima volta e avevo fatto una cazzata.
Dopo un po’ fu lui a riprendere parola:
-Ma… quindi tu e Roger, vi siete tornati a vedere?- aveva un tono di voce basso, quasi assente mentre pronunciava quella domanda.
Io mi sentii stupida e vagamente infantile, ma ormai la stronzata l’avevo fatta e tanto valeva provare a farla girare dalla mia parte, magari riuscivo a fare ingelosire Taylor come lui era riuscito a far ingelosire me con Denise.
Tuttavia non mi uscii una risposta convinta:
-Più o meno…- fu l’unica cosa che riuscii a dirgli.
Terminammo di cenare di lì a breve e quella sera, non parlammo quanto avrei voluto.
 
 

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Capitolo 22
*** Riparare al danno ***


Riparare agli errori che io stessa commettevo era ormai diventata routine nei miei ventisette (quasi ventotto) anni di vita. Non che a due anni sapessi cos’era un errore, ma di certo già all’epoca ne facevo di madornali almeno quanto adesso. Il giorno dopo la consegna degli inviti di Joshua e il rovinoso esito della serata con Taylor, avevo deciso di sistemare le cose con Roger una volta per tutte, dato che la sera precedente l’avevo proclamato possessore di uno di quegli inviti a sua insaputa.
Avevo ritrovato il vecchio bigliettino su cui avevo annotato il suo indirizzo e, dopo un caffè d’incoraggiamento, avevo varcato la soglia della porta del suo luogo di lavoro determinata a concludere qualcosa, possibilmente qualcosa di positivo.
La signora alla reception aveva un’aria annoiata, continuava a controllarsi lo smalto lilla sulle unghie mentre stancamente annuiva al telefono. La raggiunsi pensando che mi stavo cacciando nell’ennesimo guaio e aspettai che posasse il ricevitore. Passò poco tempo prima che sollevò il suo sguardo, incorniciato da occhiali bianchi, e, con una voce stranamente giovanile per una che appariva più cinquantenne che altro, mi chiese:
-Salve. Di cosa ha bisogno?-
Mi autoimposi fiducia e le sorrisi nel risponderle:
-Sono venuta per parlare con Roger Dunn-
-Ha un appuntamento?-
“Addirittura l’appuntamento ci vuole? Maledizione agli assicuratori!”
-Veramente no. Ma è una cosa da pochi minuti…-
Mi interruppe: -Mi dispiace signora, ma senza appuntamento non può riceverla-
-Ma...veramente...- cercai di farfugliare, ma quella riprese subito la parola:
-Non insista per favore. Se non ha l'appuntamento non posso lasciarla passare-

Mi impuntai: -Senta, lo conosco, siamo amici e ho urgente bisogno di parlargli! Lo chiami con il numero interno, avrà un numero interno, o no?-
A giudicare dalla faccia che la donna assunse, stavo indubbiamente facendo la parte della fanatica. Neanche volessi incontrare Paul McCartney! La vidi sospirare prima di sollevare il ricevitore e digitare tre semplici numeri. Rimase in attesa prima di parlare a qualcuno. “Ora chiama la sicurezza” pensai, ma pronunciò un nome che con la sicurezza centrava relativamente poco:
-Roger, scusa il disturbo. C’è una donna che chiede di te…- momenti di silenzio prima che lei riprese parola, stavolta rivolgendosi a me: -Come si chiama?-
-Jane Ryan-
Riferì il mio nome al telefono senza staccami gli occhi di dosso, poi fece un’espressione sorpresa e riattaccò:
-Può entrare. Il suo ufficio è la seconda porta sulla destra di questo corridoio- fece indicando un punto.
La ringrazia e mi avviai, notando che ad ogni passo il mio livello di ansia cresceva. L’idea di trovarmi Roger davanti mi preoccupava notevolmente, perché ogni volta che lo avevo incontrato dopo il suo ritorno a New York, io mi ero sempre sentita infantile e impotente.
Feci un paio di respiri profondi prima di bussare alla sua porta.
-Avanti- arrivò dall’altra parte e subito riconobbi la sua voce.
Entrai nel suo ufficio cercando di apparire naturale e rilassata.
-Ciao- dissi appena incontrai i suoi occhi. Sul suo volto comparve un grande sorriso, si avvicinò a me e mi baciò come si faceva fra una coppia di amici che non si vedeva da tempo:
-Sono davvero felice di rivederti. Speravo tanto che alla fine ti decidessi a dirmi qualcosa…- si mise a ridere ma io non potei fare a meno di sentirmi in colpa. Era da maggio che non gli davo segni di vita, da quando lo avevo chiamato per chiedergli di darmi del tempo. Dopo che avevo capito di essere interessata a Taylor avevo finito per cancellare ogni contatto con Roger e non era proprio un comportamento corretto quello che avevo assunto.
-Mi dispiace di averci messo tanto. Ho avuto una serie di contrattempi, sai, lavoro nuovo e incombente, situazioni in casa abbastanza deplorevoli…- rimase ad ascoltarmi incuriosito.
Volevo trovare un modo per dirgli che alla fine mi ero decisa su cosa fare della nostra “relazione”, se davvero la si poteva chiamare ancora così. Ero in quel posto solo per sistemare le cose, solo per dirgli che era meglio per entrambi riprendere con la nostra vita come se i due mesi precedenti non ci fossero mai stati.
-Jane, sei qui per parlarmi immagino- riprese lui poco dopo.
Distolsi lo sguardo. I suoi occhi ambrati erano una maledizione, ogni volta che li guardavo mi stregavano completamente. Tuttavia in quel frangente non guardai da un’altra parte per quel motivo, ma perché non sapevo come esporgli la situazione.
Decisi di consegnargli immediatamente l’invito.
-Ti ho portato questo- lui lo prese in mano e mentre lo controllava continuai: -È l’invito per la mostra fotografica alla quale io, Tess e Chris stiamo lavorando. È per il tatuatore che ha lo studio accanto al mio negozio…-
-Ah sì, ho presente di chi parli-
-Bè, si trasferisce e questo vuole essere un omaggio ad un caro amico-
-Il primo agosto. Sembra interessante, ti ringrazio-
La prima parte era fatta, ora arrivava quella più complicata. Sperai vivamente che fosse lui a fare la mossa successiva.
Temporeggiai più del dovuto e le parole seguenti uscirono dalla sua bocca:
-Devo considerarlo un invito? Voglio dire… che per noi c’è ancora qualche speranza?-
Ecco, il momento cruciale era arrivato. Trovavo invidiabile il modo tranquillo con cui riusciva a parlare di quelle cose. Quando si trattava di sentimenti e sensazioni io, a parlarne, diventavo un’autentica frana.
Lo guardai e presi tempo a sufficienza per rispondere:
-Senti Roger… a proposito di questo. Penso che… sarebbe meglio lasciare perdere…-
-Perché?- chiese quasi immediatamente. Non mi parve sorpreso, indubbiamente l’aveva capito già da solo che io non ero più così convinta nel tornarlo a vedere, ma voleva, giustamente, una spiegazione.
Cercai le parole giuste ma non so se mi uscirono proprio quelle:
-In questi mesi ci ho pensato. E ho anche capito una serie di cose… non nego che quando uscivamo insieme, prima del tuo trasferimento, io stessi bene in tua compagnia, anzi benissimo. È solo che… è passato del tempo e io… non credo che le cose siano rimaste le stesse, capisci… capisci cosa voglio dire?-
Lui annuì silenziosamente con la testa e poi si passò una mano fra i suoi indomabili capelli neri. Mi guardò in faccia e poi prese parola:
-Sì, credo di aver capito. La finiamo qui…-
Anche io feci sì con la testa senza dire nulla. Non riuscii a guardarlo in faccia, cosa che non stava facendo neanche lui. Il silenzio parve durare ore, finché non riprese parola Roger:
-E quindi questo invito?- mi chiese mostrandomelo. Non sembrava arrabbiato, solo molto dispiaciuto.
Continuò prima che potessi rispondergli: -Devo considerarlo come un ramoscello di ulivo?-
Mi sentii stupida. Alzai le spalle e mi imposi di guardarlo in faccia mentre gli rispondevo:
-Vagamente. So che è la cosa più stupida da dire, in assoluto, ma vorrei che continuassimo a restare amici. Non fraintendermi, hai significato molto per me, ma mesi fa. Sono successe diverse cose, dopo la tua partenza… so solo che mi dispiacerebbe molto perderti… dico davvero…-
Conclusi così. Qualunque altra cosa avrebbe detto, io non avrei saputo rispondergli. Mi sentivo un nodo alla gola e volevo solo andarmene.
Lui sospirò sonoramente prima di tornare a guardarmi:
-D’accordo, credo di aver capito… lo sospettavo un po’ dopo che non ti eri più fatta sentire. Ammetto di esserti grato per aver avuto il coraggio di venire a dirmelo in faccia-
Mi sorrise e la cosa mi disorientò abbastanza.
-Tuttavia- riprese poco dopo: -Puoi immaginare che mi ci vorrà del tempo per accettare questa situazione, ci tenevo davvero molto a tornare a vederti…-
“Grazie per farmi sentire una merda…”.
Nuovamente silenzio che fu ancora una volta interrotto da lui:
-Per quanto riguarda la mostra, non so se ci sarò o meno, dipende…-
-Sì, lo capisco. Per me... mi farebbe piacere se tu ci fossi…- gli dissi.
Lui annuì di nuovo, dopodiché nessuno dei due seppe più cosa dire.  

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Capitolo 23
*** "Parla" ***


Continuavo a guardare distrattamente il bicchiere di carta in cui il mio caffè giaceva abbandonato da pochi minuti, si sarebbe lentamente raffreddato fino a raggiungere un temperatura non lavica e a quel punto avrei potuto berlo, sempre se prima Tess non me lo avesse versato in faccia, per qualche motivo che mi stava sfuggendo. Ero in pausa, il negozio era chiuso e come da abitudine io, Chris e Tess ci eravamo trasferiti dall’altra parte della strada per un pranzo incoerente con il nostro stile di vita, per poi recuperare le nostre cose e rimetterci nuovamente a lavoro. Era già passato un giorno da quando avevo “sistemato” le cose con Roger e, per ovvi motivi, lo avevo appena riferito ai miei due migliori amici. Chris si era rivelato il più soddisfatto del mio successo, aveva fatto un grande sorriso e i suoi occhi celesti mi avevano illuminata mentre affermava: “Molto bene Jane, brava!”. In quel momento stavo aspettando la reazione di Tess, che come al solito mi preoccupava perché, anche se la conoscevo perfettamente, non si poteva mai stare tranquilli quando si aveva a che fare con lei. La sua testa era tornata fresca di tinta, viola elettrica, e i suoi capelli erano ancora più corti rispetto a settimane prima. Si scostò di lato il ciuffo, la parte dei capelli che aveva più lunga in assoluto e mi guardò con i suoi occhi scuri:
-Smettila di fare quella faccia da cucciolo bastonato, non ti farò i complimenti perché ti sei sbarazzata del tuo quasi-ex. Sono mesi che vado avanti dicendoti di mandarlo al diavolo-
Tess era sempre Tess. Non ti dava una soddisfazione neanche a pagarla oro, fatto sta che io sapevo che quella frase era il suo modo migliore per dirmi: “Sì, sei stata brava”.
Le sorrisi e presi un sorso del mio caffè, che finalmente aveva raggiunto una temperatura accessibile.
Chris si guardò un paio di attimi intorno prima di domandarmi:
-E adesso, cosa conti di fare con Taylor?-
Lo guardai e alzai le spalle. Non avevo detto al mio coinquilino che avevo lasciato perdere Roger, nonostante gli avessi comunque affibbiato quel biglietto per la mostra, perché la sera precedente non lo avevo trovato in casa e quel mattino non lo avevo incontrato. Tuttavia non sapevo bene se dirglielo avesse senso e trovai che fosse meglio aspettare che lui mi domandasse qualcosa, piuttosto che andare inutilmente a riferirglielo: finché stava con Denise non gli sarebbe importato molto.
-Prima o poi verrà a saperlo- mi limitai a dire al mio amico
-Da come ce ne hai parlato, quando gli hai detto che l’invito era per Roger, lui non l’ha presa molto bene…- riprese Chris
-E come dargli torto, scusa? Non ne aveva più parlato per settimane…- intervenne Tess
Rimasi in silenzio un momento a guardarli entrambi. Vedendo la storia dal loro punto di vista, pareva quasi che Taylor fosse interessato a me, cosa improbabile visto che usciva con l’esatto opposto di quella che ero io…
-Sentite ragazzi- attaccai: -Sono successe troppe cose in poco tempo… io non ci sono abituata e, come avete ben visto, ho solo fatto dei gran casini. Ora voglio concentrarmi sulla mostra di Joshua, terminarla e fare un bel lavoro, perché se lo merita. Una volta che l’esposizione sarà superata allora ne possiamo discutere, ma adesso non voglio incasinarmi ulteriormente la vita, ok?-
Gli altri due mi guardarono e annuirono in maniera differente, nel loro modo più tipico, per farmi capire che avevano afferrato in pieno il concetto.
Decisi di dare la priorità al lavoro, che almeno non mi avrebbe tradito uscendo con una biondina.

***

Quella sera rientrai a casa più tardi del solito. Avevo incontrato Joshua all’uscita dal negozio e mi aveva proposto di cenare insieme in qualche pub per discutere dell’esposizione. Nonostante quella fosse una delle poche sere in cui io e Taylor potevamo stare insieme, non potei rifiutare quell’invito e inviai un sms al mio coinquilino per fargli sapere che, una volta tanto, avrebbe dovuto cenare con se stesso.
Mi chiusi la porta di casa alle spalle alle dieci e trenta di sera passate. Trovai Taylor in casa, disteso sul divano a guardare un punto fisso ascoltando gli Aerosmith. Mi sporsi sul divano e lo guardai in faccia:
-Che combini?- gli chiesi
Lui mi salutò sorridendomi, ma trovai nel suo tono qualcosa di insolito: non era la solita voce allegra che conoscevo.
Si alzò stancamente dal divano e andò a spegnere lo stereo. Io mi diressi nella mia stanza e mi cambiai di abito mettendomi una t-shirt e un paio di pantaloncini. Rientrando in soggiorno trovai Taylor all’angolo cottura, intento a fissare inutilmente il vuoto bevendo acqua.
C’era qualcosa che non andava. Mi avvicinai a lui e domandai:
-Hei, è tutto a posto?-
Lui si voltò a guardami e annuì con la testa, poi parve ripensarci e si passò una mano fra i capelli, segno che era stressato per qualcosa:
-Più o meno…-
Sì, decisamente c’era qualcosa che non andava, presi coraggio:
-Ne vuoi parlare?-
Lui sospirò poi parve arrendersi. Dentro di me sperai che mi raccontasse che Denise lo aveva mollato per qualche immaginario motivo e quando lui aprì bocca desiderai di sentire quelle esatte parole:
-No…è solo che…- sospirò nuovamente. A quanto pareva non era proprio bravo a trattare certi argomenti:
-Sai, credo di non essere più interessato al mio lavoro… non mi piace più…-
Non era quello che speravo di sentire. Ma quell’ammissione mi sorprese parecchio.
-Come sarebbe a dire? Sei un grafico, non volevi fare il grafico?- gli chiesi piuttosto confusa
-Sì, ma non è proprio quello che sto facendo. Mi limito a sistemare le cose degli altri, non sto creando niente. Era demotivante già alla seconda settimana, figurati ora che non faccio altro da tre mesi…-
Si sedette al tavolo e guardò da un’altra parte. Mi sedetti di fronte a lui e posò il suo sguardo sul mio:
-Taylor, magari ci vuole solo del tempo. Insomma, non puoi pretendere che ti diano tutto subito. Sei in gamba, lo so perché ti ho visto lavorare più volte, devono solo rendersene conto anche loro…-
Non mi vennero parole migliori. Lui mi sorrise per farmi capire che apprezzava lo sforzo che stavo compiendo. Probabilmente trovava la sua routine monotona e lui odiava la monotonia.
Cercai di dire qualcos’altro:
-Dagli dell’altro tempo ai tuoi capi, poi se proprio non si rendono conto del tuo potenziale, mandali al diavolo e cercati un lavoro nuovo, dove riconoscono e tue capacità… io farei così-
Sorrise nuovamente, stavolta mi parve con più dolcezza, come se si fosse reso conto che pensavo realmente tutte quelle cose.
-Dici che dovrei fare così quindi?-
Annuii come risposta e lui continuò: -Ci avevo già pensato… ma se lo dici anche tu mi sa che allora è l’unica soluzione…-
-Sei solo all’inizio. Di solito le cose ci mettono un po’ per cambiare, anche quando facciamo noi il possibile perché cambino prima…- dissi, facendo mente locale sull’esatto momento che stava attraversando la mia vita. Lo vidi fare sì con la testa per poi guardarmi. I suoi occhi bruni parvero scrutarmi nel profondo e mi sentii leggermente a disagio:
-Quindi, secondo te dovrei aspettare ancora un po’?- mi chiese
-Sì, solo un po’. Se vedi che però non ce la fai più, allora inizia a cercare qualcos’altro, perché ti conosco e so che moriresti di noia- gli risposi sorridendo.
Anche lui sorrise , facendomi sentire impotente di fronte a quel gesto. Stavo cominciando a provare le stesse sensazioni che provavo con Roger quando lo avevo davanti mesi prima e quello poteva significare solo una cosa.
Taylor mi guardò, sempre con il suo sorriso perfetto sul volto:
-D’accordo, seguirò il tuo consiglio, anche se in parte ci avevo già pensato…-
Non dartela vinta neanche a morire? Tipico di Taylor Cooper! Per certi versi ricordava Tess.
Ma poi disse qualcosa che mi fece capire che lo avevo aiutato:
-… ma ti ringrazio Jane-
Solo che non concluse così, ma così:
-Sei un’amica-
“...Già… un’amica…”

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Capitolo 24
*** Luglio ***


Tremendo luglio!
Non solo faceva un caldo improponibile, ma la gente era immotivatamente isterica, io ero immotivatamente isterica.
Mancavano esattamente tredici giorni all’inaugurazione dell’esposizione nello studio di Joshua e, nonostante io e gli altri avessimo quasi terminato tutti i preparativi, ero sopraffatta dall’ansia. Non mi era mai successa una cosa del genere, probabilmente era dovuta al fatto che volevo realmente, nel profondo, che Josh fosse fiero di me e dei miei colleghi.
Ma non ero l’unica ad avere problemi con luglio. Tess stava attraversando la terza fase critica con Justin, il suo ragazzo, per via di situazioni che mi aveva spiegato per telefono quando ero troppo indaffarata, con il risultato che non avevo assimilato niente di buono per poterle poi dare una mano. Taylor stava lentamente uscendo dalla crisi mistica che aveva affrontato circa una settimana prima, in cui si era reso conto che non stava esattamente facendo il lavoro dei suoi sogni. Io ero sudata e irritabile, invidiosa di Chris perché era l’unico a cui le cose stavano apparentemente andando bene e stressata per tutti i casini sentimentali che avevo e che, ovviamente, vedevano il responsabile nel mio coinquilino.
Quindi, sì, luglio, quell’anno, era decisamente un pessimo mese!
Quando quella sera rincasai mi sentii meglio solo dopo essermi chiusa la porta alle spalle. Non trovai Taylor in casa perché era sicuramente da qualche parte a scambiarsi il DNA con Denise, così abbandonai la mia cena tailandese sul tavolo per poi andare nella mia camera e cambiarmi. Ne ritornai fuori solo con una lunga maglia che mi arrivava fino alle ginocchia, dato che sarei stata a casa da sola volevo almeno essere comoda.
Cercai alla tv qualcosa, qualunque cosa. Mi buttai sui canali sportivi, come facevo sempre, e trovai una gran bella partita con i Giants, una replica naturalmente, ma, dato che non avevo visto quell’incontro, non mi importava.
Verso la fine della mia cena, e non della partita, qualcuno suonò alla porta. Lo maledissi non so quante volte mentre urlavo:
-Un momento solo!- e correvo ad infilarmi un paio di pantaloncini, giusto per non aprire la porta in mutande, anche se non si vedevano.
La persona che aveva suonato pochi secondi prima cominciò a bussare insistentemente alla porta e la cosa mi diede sui nervi, facendomi tornare isterica com’ero prima di cena.
Spalancai la porta con un’espressione visibilmente stressata e mi trovai di fronte il sensuale migliore amico di Taylor: Rusty.
Il biondo mi sorrise, mettendo in mostra la sua dentatura perfetta che faceva brillare i suoi occhi verdi. Tutto quello gli donava un incredibile appeal alla Brad Pitt, irresistibile per qualunque donna fosse attiva da un punto di vista ormonale. Nemmeno io che lo conoscevo ero immune al suo fascino, al contrario: ci avevo fantasticato su parecchie volte e da ubriaca anche in maniera un po’ spinta.
-Ciao Jane- disse lui dopo avermi attentamente analizzata, con quella sua voce pazzesca che, se non conosci, ti toglie il fiato.
-Rusty- risposi con un cenno della testa.
Lui diede un’occhiata al soggiorno da sopra la mia spalla, notando il televisore acceso parve essere sicuro della presenza di Taylor e mi chiese:
-Posso parlare con il tuo coinquilino?-
-Non c’è, è fuori da qualche parte, credo…-
-Credi?- fece guardandomi di sbieco.
Io annuii un paio di volte con la testa prima di dirgli:
-Sì, credo. È un po’ che non mi interesso più di quello che fa quando esce di qui…-
-Posso entrare?- non centrava niente con il discorso ma sì, lo feci entrare.
Lui si mise a dare ina sbirciata in giro per la casa, mentre io continuavo a guardarlo nei suoi pantaloni di stoffa chiari e in quella camicia azzurra che gli stava benissimo. Si voltò verso di me e dovetti alzare gli occhi di scatto, perché erano scesi un po’ più giù della sua cintura.
-Quindi non sai neanche a che ora ritorna?- attaccò sorridendo, probabilmente si era accorto del mio gesto.
Alzai le spalle con fare disinvolto:
-Non credo tornerà oggi. Se i mei calcoli sono esatti è a casa di Denise-
Lui fece una faccia sorpresa poi prese parola:
-Denise? Ah già, la biondina che si porta a letto…- parve pensare un secondo: -Ma escono ancora insieme?-
Me lo chiese con tono dubbioso e la cosa mi sorprese.
“Il migliore amico di Taylor che non conosce la vita sentimentale di Taylor? O meglio… c’è qualcosa che dovrei sapere anche io?”
Stavo per chiedergli qualche informazione in più, tipo se per caso il mio coinquilino e la sua donna si fossero lasciati a mia insaputa, ma lui mi precedette:
-Comunque, ti chiedo di farmi un favore-
-Spara- risposi subito
-Di’ a Taylor che domani sera esce con me, non voglio sentire storie. Ce ne andiamo a quel nuovo locale che hanno aperto sulla diciottesima, dicono che sia carino- concluse parlando a se stesso.
-Riferirò, o meglio… gli dirò di chiamarti, d’accordo?-
Lui si avvicinò sorridente:
-Esatto Jane, vedo che mi conosci-
“Fin troppo” pensai, notando che il biondo stava dando inizio alle sue operazioni di abbordaggio. In passato, visto il mio livello di stress, sarei caduta fra le sue braccia appena me lo fossi trovata davanti, ma non quella sera, non quella settimana, non quel mese. Avevo capito troppe cose troppo importanti e volevo focalizzarmi solo su un uomo, che magari, per qualche misterioso allineamento astrale, un giorno avrebbe finito per interessarsi a me. Mi avviai alla porta e l’aprii, facendo capire a Rusty che era ora del suo congedo. Lui mi fissò e scoppiò a ridere.
Si avviò all’uscio e, una volta superato, si voltò a guardarmi:
-Sei sicura di non voler venire a bere qualcosa con me?- mi chiese
-Dove vorresti arrivare?- domandai conoscendo la risposta
Assunse un’espressione pensierosa e divertita contemporaneamente e disse:
-Be, devi sapere che il mio letto è molto comodo-
Sorrisi guardandolo, era il solito, ci provava sempre perché sapeva che con le altre funzionava, ma non con me che ero sua amica. Lui si divertiva a tentarmi e io mi divertivo a respingerlo, anche se a volte faticavo molto a farlo.
Alzai gli occhi e con finta serietà dissi:
-In un'altra vita, Rusty-
Sorrise anche lui mentre mi salutava con la mano e si avviava affermando:
-Ci conto-
Poi scomparve lungo le scale. Io mi chiusi la porta alle spalle e fu allora che realizzai di non avergli chiesto se c’era qualcosa su Taylor che avrei dovuto sapere anche io. 

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Capitolo 25
*** Richiesta di aiuto ***


Il mattino seguente, appena uscii fuori dalla mia camera da letto, trovai Taylor indaffarato a bighellonare in giro per l’appartamento, apparentemente senza qualcosa di sensato da fare.
-Buongiorno- lo salutai appena mi passò davanti
-Ciao Jane- fu la risposta. Il suo tono di voce era sveglio e positivo come al solito, probabilmente la sera prima se l’era spassata.
Mi misi a fare colazione seguendo con lo sguardo il mio coinquilino, che fra una cosa e l’altra si stava caoticamente preparando per uscire di casa.
Nonostante l' allegria nella sua voce lo trovai un po’ più smarrito del solito. Finii di bere il mio tè freddo e decisi di chiedergli se stava bene o meno:
-Hei, è tutto a posto?-
Lui si fermò e si voltò a guardarmi:
-Sì, perché me lo chiedi?- mi rispose in maniera dubbiosa
-Ah, non lo so. Ti stai aggirando per casa come un leone in gabbia…-
-Lo so, lo so. È che oggi ho un incontro a lavoro e ho il terrore di dimenticarmi qualcosa che possa servirmi a casa…- detto questo riprese a cercare.
La risposta mi convinse poco, ma che potevo farci? Insistere non era mai la soluzione giusta…
Ripresi a fare le mie cose finché Taylor ricomparve in soggiorno e mi salutò:
-Io scappo a lavoro, se arrivo prima oggi è meglio-
Annuii con la testa per fargli capire che avevo afferrato, poi mi venne improvvisamente in mente Rusty e bloccai Taylor prima che potesse uscire con un sonoro:
-Oh giusto!- che lo prese alla sprovvista. Si girò preoccupato a guardarmi:
-Ma che… cos’è successo?- domandò
-Scusa, ma me ne stavo dimenticando-
Il moro rimase a guardarmi, in attesa, e io ripresi parola:
-Chiama Rusty- dissi semplicemente
-E perché?-
-Ieri sera è comparso qui, ha detto che oggi dovete assolutamente andare al nuovo locale sulla… diciottesima credo, non mi ricordo… ma tu chiamalo-
Lo vidi riflettere un momento prima di dire:
-Ok, ok, lo chiamo appena arrivo in ufficio… certo che poteva darmi anche un colpo di telefono!-
-Hei, è il tuo amico, mica il mio, lo sai come è fatto!-
Lui mi guardò e dal mio sguardo capì tutto:
-Ci ha provato, vero?- mi chiese convinto
-Logico- risposi con lo stesso tono.
Detto questo lui scoppiò a ridere, mi salutò ed uscì.

***

Quella sera io, Chris e Tess avevamo deciso di concederci una birra fuori, in un pub poco lontano da casa di Tess. Nessuno dei tre aveva intenzione di rincasare presto: io mi sarei ritrovata l’appartamento vuoto come, ultimamente, succedeva troppo spesso, Chris viveva solo e per lui era irrilevante l’orario di ritorno e Tess aveva bisogno di sfogarsi con noi due riguardo al suo fidanzato.
In verità, ad inizio serata, la conversazione si stava indirizzando verso me e Taylor, con Chris che mi diceva di farmi forza e dichiararmi e Tess che invece mi incitava ad andare a letto con Rusty per provare a vedere se il mio coinquilino si ingelosiva. Arrivati a quel punto mi ero passata una mano sul viso e avevo pregato i miei due migliori amici di parlare di altro. Quella richiesta era stata seguita da attimi di silenzio, finché la voce di Tess non lo aveva interrotto per chiederci: “È un problema se parliamo di Justin?”.
Così da circa venti minuti io e Chris stavamo cercando di far ragionare la nostra amica, che non si riusciva a capire esattamente quale problema avesse con la sua relazione.
-Ragazzi, sia chiaro. Io non voglio che finisca, Justin mi piace per davvero… è che a volte mi fa così incazzare!-  disse lei dopo un lungo sorso di birra.
Chris prese parola, con il suo tono più dolce e rassicurante, che, sommato ai suoi baffi e ai suoi grandi occhiali che coprivano gli occhi celesti, lo rendevano la cosa più tenera di tutta New York:
-Tess, ti sei risposta ai tuoi dubbi da sola, lo sai vero?-
Lei lo guardò e poi fissò me:
-Sta scherzando?- mi chiese con la sua voce da maschiaccio.
-No, ha ragione- attaccai: -Ascolta, se non vuoi che con Justin finisca significa che ti piace sul serio. Quindi dovresti anche renderti conto che non puoi  pretendere che sia sempre lui a sacrificarsi o cose del genere. In una relazione servono degli sforzi da parte di entrambi…- conclusi, mentre Chris mi dava ragione facendo sì con la testa.
Tess parve pensarci per un po’, poi si grattò il naso e sospirò:
-Che palle che fate venire voi due! Perché deve venir fuori che sono io la cattiva?-
-Nessuno ti sta dicendo che sei tu la cattiva…- dissi io
-Non ancora, almeno- intervenne Chris, che fu fulminato dalla mia occhiataccia subito dopo.
Ripresi parola non appena riuscii a formulare una frase di senso compiuto:
-Tess, guardami un po’…- puntò il suo sguardo nel mio e ricominciai a parlare: -Justin ti piace e parecchio, fidati che io lo so. Se fra di voi non vuoi che finisca allora devi parlargli, ascoltare le sue ragioni e spiegargli le tue. Siete una coppia stupenda, vedrai che si sistema tutto…-
-E se invece non si sistema?- mi chiese e per la prima volta le vidi una fragilità emotiva che non ero mai riuscita a leggerle prima. Da quella domanda capii subito quanto lei tenesse al suo ragazzo e quando le risposi subito dopo, credevo realmente alle mie parole:
-Fidati che si sistema. Se proprio hai paura a parlargli, bevi un po’ di Tequila e via, infondo, con me fai sempre così- dissi sorridendo. Lei sospirò un momento, avvicinò il boccale di birra alle labbra e prima di bere disse a voce bassa:
-Mi sa che hai ragione…-
Io e il mio amico ci scambiammo un sorriso, capendo che, lentamente, stavamo iniziando ad aiutare la nostra amica.
Stavo per dire qualcos’altro ma il mio telefono squillò. Appena lo presi in mano lessi il nome che lampeggiava sul display e ne rimasi sorpresa.
Risposi subito dopo aver fatto un cenno di scuse ai miei colleghi:
-Taylor, che c’è?- chiesi.
Non riuscii ad afferrare la risposta perché dall’altra parte del telefono c’era un casino assordante e mi ricordai che lui e Rusty si trovavano in una specie di discoteca. Misi il vivavoce sul cellulare e ripetei la domanda mentre Chris e Tess rimanevano in silenzio ad osservare.
Dopo un po’ di casino convulso finalmente riuscii a sentire una risposta:
-Non sono Taylor… Sono Rusty, Jane…-
-Rusty?- urlai per farmi sentire, dato che anche nel pub dov’eravamo noi c’era chiasso:
-Cos’è successo?- domandai
Nuovamente faticai a sentire la risposta in mezzo al rumore, avvicinai ancora di più il telefono all’orecchio:
-Ho bisogno che tu venga qui a recuperare Taylor…-
-Perché?-
La risposta tardò un po’ ad arrivare:
-…È ubriaco- capii
-E quindi? Se è ubriaco non lo puoi portare a casa tu? Sei suo amico, no?- mi uscii spontaneo
-Sì, è vero… ma non sono molto credibile in questi casi…-
-Cosa?!- chiesi, dato che non aveva afferrato bene il concetto
Mi parve di sentire Rusty sbuffare prima che riprendesse parola:
-Gli ho già proposto di portarlo a casa, non ne vuole sapere! Tu sei la sua coinquilina, no? Scommetto che a te darà retta!-
-Ma perché dovrei venire io?-
-Oh andiamo! Tra un po’ ci sbattono fuori dal locale, che cazzo ti costa venire a dare una mano ad un tuo amico?-
-Merda, Rusty, potrei chiederti la stessa cosa!- dissi con fare stizzito
-Io almeno ci sto provando ad aiutarlo è lui che non mi vuole dare retta…- fece.
Mi uscii un “Che palle!” fra i denti. Non avevo scelta, Rusty aveva puntato a farmi sentire in colpa per convincermi ad andare a dargli una mano. Ripresi a parlare al telefono:
-Dove cazzo è ‘sto posto?-
L’amico del mio coinquilino mi disse come raggiungere il locale. Appena misi giù il telefono guardai negli occhi le due persone che erano con me.
-È ubriaco, no? Che aspetti? Così magari almeno uno di noi tre stasera si diverte…- disse Tess.
Mi fece sorridere e puntai gli occhi su Chris:
-Questo giro lo offro io, Jane. Ci vediamo in negozio-
-Vi amo, ragazzi- dissi, non trovando frase più azzeccata in quel momento.
Radunai le miei cose e uscii rapidamente dal pub. Fermai il primo taxi che passò in strada e dissi all’autista dove portarmi, chiedendomi cos’avrei dovuto aspettarmi appena incontrato Taylor.
   

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Capitolo 26
*** Auto gialle e divani ***


Appena il taxi accostò sul ciglio della strada, davanti al locale, pregai l’autista di aspettarmi dicendogli che sarei tornata a breve e che dovevo solo recuperare un mio amico. Lui acconsentì e mi fiondai giù dall’auto. Davanti all’ingresso c’erano ancora persone in fila per entrare, dato che avevo fretta non potevo certo fermarmi ad aspettare che si togliessero dai piedi, così decisi di superarli e provare a parlare direttamente con il buttafuori, sperando di convincerlo. Appena lo raggiunsi mi resi conto che quella doveva essere la mia serata fortunata: lo conoscevo. Avevamo avuto modo di conoscerci proprio durante la realizzazione degli scatti fotografici per la mostra di Joshua. Era un omone alto e robusto, con un grande tribale maori che dal petto arrivava alla spalla per scendere fino al polso. Mi aveva spiegato che era di origine figiana anche se era nato e cresciuto negli Stati Uniti, cosa sottolineata dal suo nome, che cozzava notevolmente con il cognome.
-Pat!- esclamai appena fui accanto a lui. Si voltò verso di me e mi sorrise:
-Guarda un po’, Jane. Cosa ti porta qua? Non mi sembri il tipo da frequentare questo genere di locali…-
-Infatti non lo sono… non sapevo lavorassi come buttafuori..-
Alzò le spalle: -Come puoi vedere invece sì- sorrise. Mi decisi a chiedergli aiuto, non aveva senso continuare a temporeggiare, soprattutto perché il taxista stava aspettando e il costo della sua corsa stava salendo.
-Pat, devi aiutarmi- esordii
-Che cosa è successo?-
-Mi ha chiamato un mio amico, dicendomi che il mio coinquilino è qui dentro ed è ubriaco. Sono solo venuta per recuperarlo, non è che mi faresti entrare?- chiesi
-Sei venuta a recuperare il tuo ragazzo?- domandò lui un po’ confuso
-Coinquilino- puntualizzai: -E, sì, sono solo venuta per riportarlo a casa. Entro, lo recupero e esco, promesso. Guarda, là c’è il mio taxi- dissi per cercare di convincerlo, indicando la macchina gialla.
Il buttafuori si voltò verso il suo collega, dicendogli di prendere un attimo il suo posto, poi si rivolse nuovamente a me:
-Vieni, ti accompagno- lo ringraziai ed entrammo.
Dentro, il locale era sovraffollato. Ovunque c’erano persone con un’età compresa fra i venticinque e trentacinque anni, intenti a prendere cocktail sofisticati, a urlarsi cose nelle orecchie davanti ai banconi e a sedere sui divanetti e a muoversi scoordinatamente  in quella che doveva essere la pista da ballo. Mi misi a cercare in giro, sperando di trovare Taylor o Rusty il più in fretta possibile perchè quel posto mi metteva l’ansia, anche se l’idea di essere insieme a Pat mi tranquillizzava parecchio.
La ricerca continuò per un po’, finché, finalmente, non riconobbi il familiare viso di Rusty. Era a sedere accanto ad una donna e difronte a lui c’era Taylor, che teneva la testa appoggiata allo schienale del divanetto e sembrava sul punto di morire.
-Li ho trovati- urlai a Pat per farmi sentire. Lui mi rispose con un energico cenno della testa e mi aiutò a farmi strada. Appena arrivai al tavolino a cui erano seduti, Rusty mi vide subito:
-Jane! Sei venuta, alla fine. Brava!- esclamò. Lo fulminai con lo sguardo e mi trattenni dall’urlargli in faccia un sonoro “Vaffanculo”. Riprese parola subito dopo:
-Come vedi è vivo, solo che non vuole che lo accompagni a casa io. Parlaci tu…-
Mi voltai verso Taylor e vidi che si era messo a sedere normalmente. Stava immobile a fissarmi con un sorriso ebete in faccia e lo sguardo stanco.
-Forza Taylor, andiamo, ok? Torni domani sera a sbronzarti, che è sabato. Ora voglio solo andarmene da qui, domani mattina lavoro, non come te. Quindi alza il culo da lì subito- dissi, finendo per sentirmi un po’ Tess, ma sapendo che lei, probabilmente, avrebbe mollato qualche cazzottone qua e là.
Il mio coinquilino scoppiò a ridere e si alzò, forse troppo di fretta per il suo livello di alcool nel sangue, perché barcollò leggermente in avanti e fu bloccato dal possente braccio di Patrick.
-Hai chiamato il buttafuori?!- esclamò Rusty
-Si chiama Patrick. Lo conosco, ha solo voluto aiutarmi-
L’altro fece segno di aver capito. Alzò una mano verso il buttafuori e disse:
-Patrick- che voleva dire tutto ma non voleva dire niente.
Vidi Taylor dare una pacca sulla schiena a Pat mentre diceva:
-Ce la faccio, ce la faccio…-
Mi voltai verso Rusty e lo guardai. Lui sospirò, si alzò, si avvicinò a me e seriamente disse:
-Lo so, sono uno stronzo e ti chiedo scusa. Anzi, grazie per essere venuta a darmi una mano…-
Non dissi niente e lo salutai, seguendo Pat che, tenendo Taylor sotto braccio, ci faceva strada verso il taxi.
Appena vi fece salire sopra Taylor mi voltai verso di lui:
-Non so come ringraziarti, ti devo un favore-
-È il mio lavoro Jane. Tienilo d’occhio, ne vedo tanti come lui e domani non se la passerà affatto bene-
-Oh, ma lo so anche io- dissi convinta. Lo ringrazia ancora e salii sul taxi a mia volta.
Dissi l’indirizzo di casa all’autista e mi sistemai meglio sul sedile accanto a Taylor.
Per un po’ nessuno dei due disse niente, poi lui prese parola:
-Rusty rovina sempre tutto, vero?-
Lo guardai. Ubriaco o no questa frase non aveva senso:
-Che cavolo centra ora Rusty? Sei tu quello ubriaco, lui non ha rovinato proprio un bel niente!-
-Io dico di sì-
-No-
-Io dico di sì- insistette
-Per carità!- esclamai, per poi voltarmi a guardarlo mentre sorrideva come un bambino:
-Ascoltami, voglio solo andare a casa a dormire, ok? Prima che tu ti ubriacassi e facessi delle storie per non tronare a casa con Rusty, io ero insieme a Tess e Chris a parlare di cose importanti. Quindi, per favore, mettiti calmo. Dormi, ti sveglio io quando siamo arrivati!-
Lui rimase a fissarmi per un po’ e io ripresi a guardare fuori dal finestrino. Non sapevo esattamente come comportarmi, non mi era mai capitata di stare sola con Taylor ubriaco. Avrei potuto fargli mille domande a cui da sobrio non mi avrebbe mai risposto, ma ero imbarazzata alla sola idea e mi bloccavo. Improvvisamente sentii la sua testa appoggiarsi alla mia spalla e la sua voce leggera che diceva:
-Allora svegliami, ok?-
 
Arrivammo all’appartamento poco dopo. Taylor insistette per pagare il taxista e alla fine lo lasciai fare. Scesi dall’auto e rimasi ad aspettare mentre gli dava i soldi e gli faceva domande insensate.
-Ne becca spesso di tipi come me?- chiese mentre recuperava il resto all’autista. Quello fece una risatina divertita e rispose:
-Molti ragazzo mio, credimi. Ma sei il primo che incontro che si è fatto venire a prendere dalla propria ragazza- mi guardò e io subito gli feci cenno che non ero la sua ragazza, ma parve non capire.
Taylor si voltò a guardarmi e disse all’uomo:
-Cosa vuole che le dica, sono fortunato- scoppiò a ridere e scese dal taxi dopo aver augurato all’uomo buon lavoro.
Mi offrì un braccio:
-Vogliamo andare?- io lo ignorai e andai ad aprire la porta d’ingresso del palazzo.
-Hei, ma sei arrabbiata con me?- lo sentii dire alle mi spalle.
“No, merda, non sono arrabbiata, sono solo imbarazzata!”. Eccome se lo ero. Gli ubriachi erano imprevedibili e io ero terrorizzata che lui potesse farmi qualche domanda a cui non volevo e non sapevo come rispondere, tipo per quale motivo non gli avevo ancora raccontato che Roger era ormai roba passata.
-Non sono arrabbiata, sono stanca, te l’ho detto- essere stanchi era l’eterna e vincente scusa.
Lui fece sì con la testa e mi precedette lungo le scale, che riuscì a salire barcollando leggermente e tenendosi alla parete. Non appena arrivammo al nostro appartamento lo vidi dirigersi immediatamente verso il divano, sedendovisi sopra. Posai le mie cose e lo raggiunsi.
Stava fissando il pavimento, tenendo i gomiti sulle ginocchia e le mani congiunte:
-Devi vomitare?- gli chiesi dopo un po’
-No, non credo- fece lui, poi alzò gli occhi su di me e rimase a fissarmi.
Mi sentii avvampare. Anche con la luce elettrica le sfumature ambra donavano ai suoi occhi bruni un’intensità sconvolgente. Abbassai lo sguardo istintivamente, rendendomi conto che non sarei riuscita a reggere oltre.
Pensai di farmi forza e chiedergli se nell’ultimo periodo fosse tutto a posto nella sua vita, senza riferirmi esplicitamente a Denise, ma venni preceduta da lui:
-Senti… sappi che mi dispiace averti rovinato la serata. Non era mia intenzione sbronzarmi, è l’influenza di Rusty, è un pessimo soggetto, cazzo! Non frequentarlo mai- disse tutto d’un fiato.
Mi venne da ridere e tornai a guardarlo:
-D’accordo, ti perdono. Ma ora è meglio se te ne vai a dormire. Più dormi, meno possibilità ci sono che il dopo-sbornia  di domani ti uccida-
-Sarà tremendo, vero?- chiese
-Dipende. Quant’è che non ti ubriachi più tu?-
Parve rifletterci:
-Bè, un po’… quando uscivo con Denise non mi sono mai ubriacato, in effetti…-
“Aspetta, cosa? Ha detto –quando uscivo- oppure ho capito male?”. Stavo per trasformare i miei pensieri in parole ma Taylor mi precedette nuovamente:
-Domani ti saprò dire…- attaccò ridendo: -Però, davvero: grazie. So che sono un gran casino ultimamente… mi fa piacere vedere che continui ad essermi così vicina-
Lo guardai un momento. Gli sorrisi dolcemente, perché mi uscii spontaneo, e gli dissi:
-Figurati, siamo amici, no?- avrei voluto dirgli qualcos’altro, ma io non ero ubriaca e la mia timidezza, che quando non deve è più influente del solito, non mi fece aggiungere altro.
Tuttavia lui rimase serio a guardarmi. Nel silenzio sovrumano che si era creato nel nostro piccolo appartamento ero convinta che potesse sentire il mio cuore che batteva a mille. Stavo per abbassare nuovamente lo sguardo ma prima che potessi farlo Taylor si piegò verso di me e avvicinò lentamente il suo viso al mio. Il suo alito sapeva di alcool, di una serie di cocktail miscelati fra loro, e più lui si avvicinava a me  più il mio imbarazzo cresceva. Chiusi istintivamente gli occhi, in attesa, finché non sentii le sue labbra sfiorarmi il viso e appoggiarsi sulla mia guancia, regalandomi un bacio delicato.
Riaprii gli occhi sentendomi vagamente stupida. Taylor puntò il suo sguardo nel mio e poco dopo disse:
-Grazie Jane… Non so che farei senza di te…- detto questo si alzò stancamente e si avviò verso la sua camera. Arrivato davanti alla porta lo sentii dire:
-Buonanotte-
Io ero ancora ferma nella stessa posizione di pochi istanti prima, incredula di tutte le sensazioni che si stavano caoticamente accavallando dentro di me.
Sospirai.
-Buonanotte, Taylor-

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Capitolo 27
*** Il giorno dopo ***


I capelli viola di Tess erano ipnotici. Me ne resi conto perché ero ferma da minuti interi a fissarli come inebetita. Quella mattina ero assente e spaesata, avevo aperto il negozio per inerzia e sempre per inerzia continuavo a rimanere al mio posto, a provare a lavorare. Non riuscivo a stare concentrata, avevo ancora in testa la notte precedente, quel quasi-bacio con Taylor che in realtà era tale solo per me, pensavo ancora ai sentimenti che mi avevano frastornata dentro dopo che lui mi aveva lasciata ai miei pensieri sul divano.
-Che c’è?- mi chiese improvvisamente Tess dopo essersi accorta che continuavo a fissare la sua testa.
-Che cosa c’è?- ripeté un po’ scocciata pochi istanti dopo, grattandosi la spalla scoperta, notando che non l’avevo degnata di una risposta e che continuavo imperterrita a osservare la sua chioma violacea.
Alzai lo sguardo sugli occhi di lei e con voce monotonale e chiaramente pensante dissi:
-Ieri sera avrei voluto che Taylor mi baciasse…-
Mi resi conto di quello che avevo detto non appena Tess sgranò i suoi scurissimi occhi e li puntò su di me, mentre un leggero sorriso le spuntava sul volto. Contemporaneamente a quella scena la tranquillizzante voce di Chris mi disse:
-Jane, avremmo dei clienti…- come per farmi capire che a loro, dei miei flirt, non interessava assolutamente niente.
“Buongiorno Jane Ryan, sorgi e splendi, hai appena pronunciato la frase della tua quotidiana rovina”.
Bastava guardare la faccia della mia migliore amica per capire che avevo ragione.
Chris si liberò frettolosamente, ma in maniera incredibilmente educata, delle due ragazze che stava servendo quando, pochi minuti prima, mi era uscita di bocca quella frase infelice. Appena le due uscirono dal negozio e si chiusero la porta alle spalle, i miei colleghi si voltarono a guardarmi. La prima a parlare fu Tess:
-Cos’è successo ieri sera?!- chiese scandendo accuratamente ogni singola parola.
Io alzai le spalle:
-Niente…- mi limitai a risponderle, infondo era vero. Dopo aver recuperato Taylor in quel locale e averlo riportato a casa, effettivamente non era successo nulla, anche se mi sarebbe piaciuto accadesse qualcosa.
-Come sarebbe niente?- riprese la mia amica, poi Chris le diede manforte:
-Sì, Jane, infatti. L’uscita di prima su Taylor cosa doveva essere?-  rimase immobile a fissarmi con i suoi occhioni celesti.
Io li guardai per un po’ di tempo entrambi, pensando a come formulare le informazioni sulla sera precedente in modo accurato, senza creare visioni distorte del tutto. Mentre continuavo a pensarci entrò uno dei clienti abituali di Tess e lei, anche se visibilmente contrariata perché era più interessata a me che all’universo in quel momento, dovette sorridere e servirlo.
Chris invece mi rimase accanto e prese a parlarmi all’orecchio:
-Seriamente, c’è qualcosa che dovremmo sapere anche noi?-
Risposi con lo stesso volume di voce:
-Chris, fidati di me, non è successo niente, sul serio. Adesso ve lo racconto, sto solo cercando il modo corretto per farlo senza che voi due pensiate male…-
-Perché dovremmo pensare male?-
-Tess pensa sempre male-
Lui mi diede ragione con un cenno della testa e un’esilarante espressione e rimanemmo ad aspettare che la nostra amica si liberasse dal suo impegno per riprendere la nostra conversazione, che sapevo già avrebbe assunto tutta l’aria di una vera e propria confessione davanti a quella che mi sarebbe parsa la corte d’inquisizione.
Non appena l’uomo girò i tacchi e uscì salutandoci, Tess si voltò verso di noi:
-Che due palle, proprio ora!- esclamò esasperata, poi mi guardò: -Non credere che mi sia dimenticata di quello che devi dirci, eh?-
Mi venne da ridere e iniziai a spiegare loro cosa era successo la sera prima, dopo che li avevo lasciati soli al pub per andare ad aiutare Rusty e di cosa era accaduto non appena avevo avuto modo di recuperare Taylor e riportarlo a casa.
 
I miei due migliori amici rimasero ad ascoltarmi dall’inizio alla fine. Mi interruppero poche volte, solo per chiedere precisazioni o sincerarsi da aver capito bene. Dissi loro tutto quanto, incluse le sensazioni che avevo provato mentre ero immobile quando non sapevo se Taylor mi avrebbe baciata o meno e il modo in cui mi ero sentita non appena lui si era alzato dal divano per andarsene nella sua stanza. Parlare con loro due mi era incredibilmente semplice, un po’ perché i loro sguardi mi rassicuravano, un po’ perché sapevo che alla fine mi avrebbero consigliato nella maniera corretta, come erano sempre riusciti a fare. Appena il mio racconto terminò loro due rimasero in silenzio per qualche istante prima di prendere parola contemporaneamente:
-Io dico che gli piaci- disse Chris, mentre la voce da maschiaccio di Tess copriva il tutto con un sonoro:
-Ma che cazzo!-
Loro due si guardarono e il ragazzo, da gentiluomo qual era, lasciò la parola alla sua amica:
-Non hai fatto niente?- mi chiese.
Feci no con la testa, sapevo che, quasi sicuramente, avrebbe iniziato a dare di matto, dicendomi che ero un’idiota e che dovevo approfittare di queste situazioni al volo, ma non lo fece. Si stropicciò i capelli viola e guardò Chris, come in cerca di aiuto. Lui le venne incontro posandomi una mano sul braccio e guardandomi con infantile tenerezza:
-Non sapevi cosa fare?-
-Ero bloccata, vi giuro. In un certo senso ho quasi preferito che sia stato lui a fare tutto… intendo, alzarsi dal divano e andare via…-
Tess sospirò prima di dire:
-Jane, secondo me hai sprecato una buona occasione… Personalmente penso che ormai sia palese che gli piaci-
Rimasi un momento ad analizzare la seconda parte della frase per poi dire la prima cosa che mi venne in mente:
-Ma se era ubriaco!- l’esclamazione non sortì l’effetto desiderato.
La mia amica fece un cenno con la mano e poi disse:
-Appunto, era ubriaco. Avresti dovuto approfittarne. Se gli avessi detto che ti interessava magari lui ti avrebbe detto se ricambiava o no… difficilmente si riesce a mentire quando si ha bevuto troppo, noi due lo sappiamo bene- la risposta le uscì chiara e convincente, con un tono di voce tranquillo che faceva chiaramente intendere che lei sapeva il fatto suo.
Mi voltai verso Chris in cerca di sostegno morale, ma anche lui diede ragione a Tess.
-Non ne combino una giusta, vero?- chiesi guardandoli.
Tess riprese parola in maniera rassicurante:
-Non se ne combina mai una giusta, con il tipo che ci piace, credo che sia destino…- l’affermazione si riferiva, probabilmente, anche alla sua situazione con Justin.
-Be, puoi sempre provare a rimediare- disse Chris dopo un po’
-E come? Lo fa ubriacare di nuovo e poi gli chiede di limonare? Non funziona così-
Il ragazzo la guardò di traverso:
-A parte che potrebbe funzionare benissimo, non era questo che intendevo io. Jane, dovresti semplicemente parlargli. Magari tornando sull’argomento di ieri sera potrebbe uscire qualcos’altro, potresti chiedergli effettivamente come stanno le cose con Denise, se ci esce ancora o meno. Non è nemmeno detto che lui non si ricordi niente di ieri, a volte si beve troppo ma ciò non vuol dire che ci si dimentichi tutto…-
-Ne sai qualcosa tu, eh?- chiese Tess scherzando e riportando alla mente un vecchio aneddoto che vedeva protagonisti Chris, una donna un po’ troppo matura per lui e un dopo-sbornia che non aveva rimosso correttamente i ricordi. Il ragazzo rabbrividì visibilmente e sollevò il dito medio all’altezza del naso di Tess, che di tutta risposta si piegò in due dal ridere.
Aspettai a rispondere finché non si ricomposero:
-Comunque, ragazzi, ci ho provato, sul serio. Avrei voluto chiedergli di Denise, di perché avesse detto “quando uscivo” e tutto il resto, ma mi sono bloccata-
-Perché ce l’avevi davanti- attaccò Chris, Tess gli diede ragione con la testa, poi disse:
-È vero. Se averlo davanti ti blocca, per ovvi motivi, basta semplicemente che tu eviti di guardarlo…-
-E cosa dovrei fare? Parlargli mentre è chiuso nel cesso?!- esclamai
-Se la cosa può funzionare…- acconsentì lei
-Per carità!- intervenne Chris: -Jane, ma l’ascolti per davvero? Ok, la parte del “non guardarlo” può anche funzionare, ma non puoi certo chiederglielo mentre è al cesso-
-Guarda che scherzavo- fece Tess, ma Chris alzò gli occhi come a dire “Certo, come no” e riprese a parlare:
-Le alternative sono due: o gli telefoni, o glielo chiedi oggi, appena torni a casa. Non devi posticipare troppo oltre la cosa, sarebbe stupido e non avrebbe senso- lo ascoltai attentamente, pensando che avesse ragione.
-Sono d’accordo con te, caro mio- disse l’altra, appoggiandosi meglio con i gomiti al bancone, dietro il quale ce ne stavamo seduti io e il nostro amico.
Ci fu qualche istante di silenzio, in cui i miei due colleghi continuarono a guardarmi:
-Cosa?- chiesi dopo un po’
-Come sarebbe “cosa”?- iniziò Tess: -Dicci almeno cosa pensi di fare, no? Il consiglio buono oggi è quello di Chris-
Ci pensai un momento, capendo che avevano ragione. Posticipare le cose mi aveva sempre portato male, almeno stavolta volevo provare a fare qualcosa di sensato. Alzai le spalle e guardai i miei amici:
-Ci provo, stasera, quando torno a casa. Gli chiedo cos’ successo con Denise…-
-Brava, e magari prova anche a sondare il terreno per qualcos’altro, se capisci cosa intendo- disse Tess, con un tono che lasciava intendere esattamente a cosa si riferisse.
Tronammo in silenzio per un po’, finché la voce di Chris non disse:
-Allora, che ci fai ancora qui?-
Mi voltai a guardarlo:
-Cosa?-
-Vai a casa, raggiungi Taylor e parlaci, su! Siamo abbastanza grandi per gestire il tuo negozio da soli-
Lo guardai incredula. Apprezzavo che mi volessero aiutare, ma erano a malapena le undici di mattina:
-Non adesso, rientrerò un paio di ore prima, ma adesso  è troppo presto- infondo ero io il capo lì in mezzo.
Lui alzò le mani in segno di resa e disse:
-Va bene, ma sfrutta questa possibilità finché puoi, che se rimandi troppo poi te ne penti-
-Esattamente- gli diede ragione Tess.
Io sbottai qualcosa di incomprensibile e le espressioni che loro assunsero mi fecero capire che gli avevo dato ragione. 

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Capitolo 28
*** Dopo sbornia ***


Rientrai in casa solo un’ora prima del solito, Tess e Chris, anche con tutte le loro più buone e insistenti intenzioni, non erano riusciti ad impedire che un paio di clienti mi portassero via buona parte del pomeriggio e si erano visti costretti ad arrendersi e ad aspettare che mi liberassi da sola. Inutile dire che dopo mi avevano riempito a dovere la testa con frasi fatte su quanto tempo buono avessi sprecato in quella maniera invece che correre a casa e provare a passare la giornata con Taylor.
Come mi aspettavo l’appartamento era silenzioso e stranamente ordinato, cosa che mi fece sospettare che il mio coinquilino non si fosse mosso dalla sua camera da letto per tutto il giorno, probabilmente era morto.
Posai le mie cose sul tavolo e rimasi immobile per un po’, indecisa su cosa fare. Nella casa continuava ad aleggiare uno strano silenzio e alla fine mi decisi a darmi una svegliata e a raggiungere Taylor nella sua camera, dove era sicuramente rintanato.
Non bussai, per evitare di svegliarlo in caso stesse dormendo, aprii lentamente la porta e diedi una sbirciata dallo spiraglio che mi ero creata.
-Ci sono…- fu la frase che mi accolse.
Mi uscii un “Oh” frettoloso e terminai di aprire la porta della sua stanza.
Rimasi un momento a guardarlo prima di chiedergli:
-Allora, come stai?-
Lui fece un’espressione vaga e si rimise a osservare il soffitto, cosa che probabilmente aveva fatto per tutto il giorno:
-Non saprei. Ho provato ad alzarmi da qui un paio di volte ma mi viene sempre una gran nausea… penso che morirò in questa posizione- concluse, mettendosi  la mano destra dietro la nuca, a contatto con il cuscino, e quella sinistra sulla pancia.
Mi sedetti sul bordo del suo letto:
-Non può essere così tragica la situazione-
-Oh, lo è. Vuoi che provi ad alzarmi? Pulisci tu se dovessi vomitare-
Rabbrividii alla sola idea  e alzai le mani:
-Ok, ok, evita, ti prego-
-Ecco, visto che avevo ragione?-
-Veramente non me lo hai dimostrato. Ti do ragione sulla fiducia-
Si mise immotivatamente a ridere:
-Sulla fiducia eh? Wow…-
Il discorso non aveva senso e me ne stavo rendendo perfettamente conto. Provai a dirottarlo da un’altra parte:
-Quindi te ne sei rimasto qui tutto il pomeriggio?-
-Già, mi sono svegliato verso l’una e poi ho contemplato il soffitto- alzò un dito e indicò un punto nella stanza: -Laggiù c’è un ragno…-
Guardai dove aveva indicato e dissi semplicemente:
-Ok, tu non stai bene…-
-Credevo l’avessi capito-
Gli sorrisi e lui fece la stessa cosa, poi si spostò dal centro del suo letto per lasciarmi spazio:
-Mi fai compagnia?- mi chiese.
Mi sdraiai accanto a lui e per un po’ nessuno disse niente. Pensai che quello fosse il momento più opportuno per iniziare a parlare di cose serie, come ad esempio la questione “Denise”. Volevo sapere se si vedevano ancora, se quel “Quando uscivo con Denise” che aveva pronunciato la sera prima era un errore, una mia incomprensione o un’affermazione a tutti gli effetti. Però non potevo chiederglielo così, su due piedi, non era più ubriaco e forse si sarebbe insospettito troppo. Decisi di arrivare all’argomento per gradi, ma lui mi precedette chiedendomi:
-Ieri sera sono stato molto inopportuno?-
Come un flash mi tornò immediatamente in mente la nostra conversazione sul divano, ma soprattutto il modo in cui si era conclusa. Scacciai i pensieri in fretta e risposi:
-Non più del solito-
Fece una risatina divertita.
-Non ti ricordi niente?- chiesi dopo.
Assunse un’espressione dubbiosa:
-Ho qualche rapido ricordo a tempi alterni. Di sicuro mi ricordo che dopo il quarto rhum ho iniziato ad avere seri problemi a parlare. Poi… vuoto, finché non sei arrivata tu con un omone che era…-
-Il buttafuori-
-Ecco, sì. Poi ancora vuoto… No, poi solo vuoto. Mi spiace, è successo qualcosa?- concluse e si voltò verso di me.
-Niente degno di nota- risposi cercando di essere credibile.
Ripresi a parlare prima che lui potesse dire qualcos’altro:
-Ma come mai ti sei dato così tanto all’alcool ieri sera? Dovevi festeggiare qualcosa?-
La sua risposta tardò un po’ ad arrivare:
-No, non che mi ricordi. Forse è stata colpa di Rusty, diamo la colpa a lui…-
Mi suonava strano. Era vero che Rusty era un pessimo personaggio da frequentare in presenza di alcool, ma Taylor si sapeva benissimo controllare, altrimenti avrebbero già litigato un’infinità di volte per futili motivi, tipo a chi dei due spettasse la bionda della serata.
-Ho capito-
Ci fu nuovamente silenzio da parte di entrambi e ricominciai a parlare:
-Immagino che stasera sarai fresco e riposato come una rosa, pronto per uscire- scherzai.
Lui mi guardò in viso, i suoi occhi bruni erano spenti e chiaramente assonnati:
-Visto come sto messo è già tanto se riesco ad alzarmi dal letto. Penso avrò bisogno di un trapianto di fegato. Che gruppo sanguigno hai tu?-
-B-
-Merda, io sono A-
-Che sfiga, eh?-
-Già-
Decisi di approfittare del discorso insensato che stavamo facendo:
-Puoi sempre chiedere a Denise, immagino che stasera venga qui, visto come stai tu…-
Il sabato sera lui e la biondina uscivano sempre insieme, quindi la mia frase era più che motivata.
Taylor rispose immediatamente, con un tono di voce pacato e leggermente sorpreso:
-Non stiamo più insieme… Non te l’avevo detto?-
Feci “no” con la testa fingendomi sorpresa dalla notizia, mentre, in realtà, dentro di me era appena cominciato un festino.
-Strano, credevo di averlo fatto…- disse dopo aver rimuginato sul mio gesto.
Nuovamente scossi la testa, come per confermare il fatto che non ne sapessi niente. Provai a continuare ad indagare la cosa, senza però sembrare troppo curiosa a riguardo:
-Se l’avessi saputo mi sarei evitata quella domanda. È stato piuttosto imbarazzante…-
-Cosa?-
-Quello che ti ho chiesto prima su Denise. Insomma, se avessi saputo che non uscivate più insieme me ne stavo zitta, non ti pare?-
Fece un gesto che aveva tutta l’aria di voler lasciar correre la cosa, poi respirò profondamente, prima di riprendere parola:
-Non preoccuparti, non è un problema. Oltretutto sono stato io a lasciar perdere-
“Ok, devo stare calma, calma e disinvolta”
-Posso chiederti cos’è successo?- cercai di assumere il tono più innocente che conoscessi, come per fargli credere che mi dispiacesse dell’esito negativo della sua ultima storia, anche se mi ero resa conto, in quei pochi minuti, che era la notizia più bella che potessi apprendere.
-Bè… vedi, non lo so-
“Parte bene” pensai, ma lasciai che cercasse e trovasse le parole migliori.
-La verità è che credo sia ora che inizi seriamente a pensare a cosa voglio fare della mia vita. Insomma, ho quasi ventotto anni, credo sia ora che mi sistemi, capisci cosa intendo vero? Una storia seria, un lavoro decente e che mi piaccia… non credo di esserci ancora arrivato e sono sulla soglia dei trent’anni-
-Che centra? Anche io sono nella tua stessa situazione…-
-Ok, ma tu almeno un lavoro che ti piace parecchio ce l’hai, io ancora non so se voglio continuare là o meno. Ho iniziato a sistemare le cose nella mia vita partendo dalla mia relazione, che non consideravo sufficientemente seria-
Lo ascoltai attentamente e poi gli sottoposi una nuova domanda:
-Scusa se te lo chiedo, ma perché Denise non andava bene?-
Ci pensò un momento, ma non a lungo:
-Ti dirò… era simpatica e con lei ci stavo anche bene, ma non era quella giusta. Era un po’ oca e poi siamo finiti a letto praticamente una settimana dopo il mio invito ad uscire. Non è che una così mi ispiri “storia seria” e “famiglia”… forse fra qualche anno metterà la testa a posto, ma non l’aspetterò di certo-
Aveva fissato il soffitto tutto il tempo mentre pronunciava quelle parole. Mi faceva uno strano effetto sentire Taylor trattare quegli argomenti con tanta serietà, soprattutto perché mi sembrava strano vedere il migliore amico di un tipo come Rusty che parlava di storie serie e famiglie.
Dopo qualche momento di silenzio pensai di dover dire qualcosa:
-Però! Tutta questa confessione è dovuta all’alcool di ieri sera?-
Sorrise:
-Forse-
-Devo dire che è un po’ strano sentirti parlare così di certi argomenti. Che ti è preso?- domandai con un tono scherzoso.
Lui si voltò e mi guardò, il suo sguardo era ancora leggermente appannato dalla stanchezza, ma dovetti farmi forza per resistergli, dato che era così vicino a me:
-Ho aperto gli occhi…- lasciò cadere la frase e io sentii una forte fitta allo stomaco, che accompagnò il decollo del mio cuore dal petto fino alla gola.
Distolsi lo sguardo cercando di sembrare il più disinvolta possibile:
-Cielo, come sei inutilmente poetico stasera!- dissi scherzando.
Lui si mise a ridere e si sdraiò sulla pancia, appoggiandosi con i gomiti:
-Ma se lo sono sempre!-
-Oh sì, certamente. Guarda me le segno sempre tutte le tue uscite poetiche, ho un taccuino in camera mia-
-Sul serio? Fammelo vedere, ti prego. Ne uso un paio per far innamorare qualcuna di me-
Io scoppiai a ridere, così come lui, mentre fissavo il soffitto e mi usciva un divertito “Coglione” chiaramente rivolto a Taylor.
Appena mi fui calmata, non per le risate ma per la tachicardia che mi aveva colpito minuti prima, lo guardai nuovamente:
-Senti, io vado a preparare la cena, ti alzi o fai finta?-
Guardò giù dal letto:
-Secondo me vomito…-
-Bè, fai quel che ti pare, io vado a cucinare qualcosa. Non vuoi niente sul serio?-
 Parve pensarci qualche secondo prima di domandami:
-Mi faresti un brodino?- aveva un tono ironico e vagamente infantile.
-Un brodino?!- esclamai: -Taylor, è luglio, c’è caldo perfino a respirare, figurati se mi metto a farti un brodino!-
Lui scoppiò in una sonora risata e io lo mandai al diavolo. Mi alzai e mi avviai verso l’angolo cottura, sentendo che dietro di me anche il moro aveva trovato la forza per uscire dal suo letto.
Appena raggiunsi il tavolo mi voltai un secondo per vedere se era riuscito nel suo intento e lo trovai accanto alla porta della sua camera, con il braccio appoggiato allo stipite e la testa posata sul suo braccio. Stava ancora ridendo ripensando alla storia del brodino e mi guardava con i suoi occhi scuri che erano finalmente tornati vitali. I suoi capelli castani e scombinati contribuivano a renderlo la cosa più bella che potessi sperare di vedere in quel momento.
Anche se leggermente controvoglia, rimasi stregata da quella visione.

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Capitolo 29
*** Verso la fine ***


Il tempo era trascorso inesorabile nell’ultimo periodo. Mancavano soltanto tre giorni alla mostra di Joshua e sembrava quasi che gli ultimi preparativi non ne volessero sapere di finire. Ogni giorno succedeva qualcosa di nuovo, si aveva bisogno di un ritocco da qualche parte, di una nuova stampa perché la precedente sembrava rovinata, di una nuova cornice perché la precedente si era rotta. Era una situazione snervante, soprattutto con il caldo mortale di quel luglio. Personalmente, però, il tutto non mi pesava più del dovuto, principalmente perché, rispetto a dieci giorni prima, la mia situazione sentimentale aveva preso una piega accettabile. Non positiva, solo accettabile, ma era già qualcosa. Taylor era tornato single e, a sentire le sue parole, si era messo alla ricerca della donna giusta, cosa che avrebbe richiesto un po’ di tempo, forse a sufficienza per permettere a me stessa di svegliarmi e fare un tentativo. Sapevo benissimo che non avrei avuto la forza mentale di concentrarmi su due cose contemporaneamente quindi, dato che la scadenza per la mostra era alle porte, avevo dato la priorità, ancora una volta, al lavoro. Proprio per preparare al meglio l’inaugurazione dell’esposizione che ci sarebbe stata a breve, io Tess e Chris eravamo nello studio di Joshua, insieme a Vanessa, per sistemare il sistemabile e portarci avanti, evitando di ritrovarsi all’ultimo con un’infinità di cose da sistemare. Consisteva tutto nel disporre le foto nelle cornici e appenderle ai pannelli che avevamo fatto montare, un lavoro né lungo né breve, che diventava sopportabilissimo se lo si faceva ascoltando lo stereo.
-Ok, direi che per oggi può bastare- aveva esordito Vanessa ad un certo punto, dopo aver posato in terra le tenaglie: -O voi esperti fotografi volete continuare a montare ininterrottamente per tutta notte?-
-Che ore sono?- chiesi
-Le otto meno venti. Io e Josh avremmo da fare in serata- abbassò la voce: -Affari loschi e importanti- concluse strizzandomi l’occhio.
Io sorrisi:
-D’accordo, allora vi lasciamo ai vostri affari loschi- chiamai Tess e Chris, che in realtà avevano già sentito tutto e si erano fermati, pregandoli di andare a chiudere il negozio mentre discutevo le ultimissime cose con Josh, prima di salutarlo.
Appena uscirono dal negozio mi rivolsi nuovamente a Vanessa:
-Ma Joshua dov’è?-
Lei indicò la porta antiincendio che dava sul retro:
-Direi che sta fumando. Non se la passa molto bene ultimamente…-
-È per via del trasferimento?-
Annuì con la testa:
-Già. È felice che finalmente il suo lavoro sia stato riconosciuto, ma per lui è abbastanza dura abbandonare questo studio, era diventata la sua casa-
-E voi?-
-Oh, Josh ha già provveduto a noi! Ci ha aiutati a trovare lavoro dai suoi amici, se n’è occupato lui personalmente-
-Tiene davvero molto a voi-
-Già. Lo conosci no? Sembra tanto cattivo ma è un tenerone-
Mi venne da ridere immaginandolo, ma diedi ragione a Vanessa e uscii dal retro per cercare il “tenerone” in questione. Lo trovai intento a osservare il piccolo pezzo di strada, che si intravedeva fra le strette pareti,  fumando una sigaretta. Appena mi notò mi allungò il pacchetto nel chiaro intento di offrirmi una sigaretta, che rifiutai con un gesto della mano.
-Ci siamo quasi- dissi, voltandomi a guardarlo
-Bene- si limitò a dire, poi aggiunse: -Grazie-
-È un piacere Josh, lo sai-
Anche lui si voltò a guardarmi, sospirò debolmente e aprì bocca:
-Credo proprio che mi mancherà questo posto…-
-Come darti torto?-
-Credi che me ne pentirò?- mi chiese sembrando preoccupato della mia futura risposta.
Sorrisi:
-No, non credo. Forse nel primo periodo ti mancherà lavorare qui, ma quando vedrai che i tuoi lavori riceveranno il giusto riconoscimento che meritano vedrai che allora capirai di aver fatto la scelta giusta. Oltretutto hai aiutato gli altri ragazzi con cui lavoravi ad avere sempre un posto assicurato nel settore, non hai fatto del male a nessuno-
Parve essere rincuorato dalle mia parole, perché sorrise in maniera soddisfatta, donando nuovamente luce ai suoi occhi chiari che rimasero, comunque, inevitabilmente appannati.
Gli dissi che sarei tornata l’indomani a sistemare il resto delle cose insieme ai miei colleghi, gli dissi anche di non preoccuparsi, di solito, bastava superare il primo periodo per imparare a vivere appieno qualcosa di nuovo. Ci salutammo e feci per tornare al negozio, ma fuori dall'ingresso incontrai Tess e Chris con la mia borsa:
-Fatto tutto, ecco qua- disse Tess passandomi la borsa
-Perfetto, grazie ragazzi-
-Nessun problema- disse Chris: -Ci vediamo domani ragazze, io vado-
-Ciao Chris- lo salutammo all’unisono, poi Tess si rivolse a me:
-Salutami Taylor- disse in tono malizioso
Le sorrisi:
-Lo farò- ci salutammo anche noi e mi avviai con calma verso casa.
Tornando verso il mio appartamento avevo la testa da un’altra parte. Non stavo pensando a niente di preciso, ma non stavo neanche pensando. Ero come dentro una bolla, una bolla che venne scoppiata improvvisamente da una voce alle mie spalle:
-Jane-
Mi voltai leggermente in ritardo e mi trovai davanti la figura famigliare di Roger, vestito elegantemente, come sempre, e con i capelli più ordinati e composti del solito. Rimasi imbambolata un momento prima di rispondergli:
-Hei, ciao- lo salutai.
Lui mi sorrise e rimanemmo in silenzio per un attimo. Uno di quei silenzi sospesi e imbarazzati, in cui nessuno dei due sapeva esattamente che cosa dire, finché Roger non lo interruppe:
-Volevo solo salutarti, ti ho vista passare e… Sono un po’ di fretta, ho un tavolo prenotato al ristorante e rischio di fare tardi-
-Ah, sì, figurati. Non ti trattengo allora-
Mi sorrise e rimase nuovamente fermo a guardarmi per un po’. Mi chiesi perché cavolo non se ne andasse, ma quello aprì bocca:
-Tu, stai bene?-
-Sì, tutto a posto, grazie. E tu?-
-Oh, sì, anche io. La mostra come procede?-
-Bene, stiamo sistemando le ultime cose e poi sarà pronta per l’inaugurazione-
Lui fece sì con la testa diverse volte, prima di riprendere parola:
-Sai, pensavo di venire all’inaugurazione, se l’invito che mi hai dato è ancora valido-
-Certo che è valido, te l’avevo detto che mi avrebbe fatto piacere se tu fossi venuto-
Sorrise per l’ennesima volta:
-Ok, allora vedrò di esserci, adesso però scappo davvero, mi ha fatto piacere rivederti-
-Anche a me- risposi.
Mi salutò con la mano e si avviò, per poi girarsi e chiedermi:
-A che ora?-
Capii che si riferiva alla mostra e risposi:
-Alle diciotto-
-Alle diciotto, perfetto. Allora, ciao- mi salutò nuovamente e si incamminò.
Ritornando a casa mi sentivo strana. Rivedere Roger non mi dava più le sensazioni di un tempo, sapevo perfettamente di non essere più interessata a lui e se lo capivo io voleva dire che era vero. Solo mi sentivo ancora a disagio ad averlo davanti, come se mi sentissi responsabile, in prima persona, dell’esito della nostra relazione, sia prima della sua partenza che dopo il suo ritorno. Era come se fosse stata colpa mia, perché non lo avevo fermato e non gli avevo detto quello che sentivo e la stessa cosa si era ripetuta mesi prima, dopo che lo avevo rincontrato in quella rosticceria. Scacciai i pensieri scuotendo la testa, davanti alla porta del mio appartamento. Le cose erano andate così e non potevo più farci niente. Inoltre, il fatto che ora fossi interessata a Taylor era il chiaro segnale che anche se fossi riuscita a farmi avanti con Roger, tempo prima, le cose non avrebbero funzionato per più di diversi mesi, o magari alcuni anni.  Girai la chiave nella serratura ed entrai in casa, consapevole che finalmente non l’avrei trovata vuota. Tuttavia mi sbagliai, non c’era nessuno. Dove cazzo era finito Taylor? Perché si divertiva tanto a scomparire senza dire nulla. Guardai sul tavolo ma non c’era traccia di biglietti o cose simili per avvertirmi della sua assenza, perfino le calle avevano smesso di riempire il vaso, dove lavorava non le portavano più. Pensai che non avevo voglia di essere lasciata sola quel giorno, ma dovetti arrendermi all’evidenza. Feci per andare in camera mia a soffocarmi con il cuscino quando la porta si aprì di scatto. Il moro alzò lo sguardo e mi vide, sfoggiando poi un bellissimo sorriso:
-Giusto in tempo!- esclamò soddisfatto, mostrandomi la sporta che teneva in mano:
-La cena- concluse.
Mi sentii rassicurata ad averlo lì, mentre avanzava verso l’angolo cottura e posava tutto sul tavolo. Andai a cambiarmi rapidamente perché i jeans lunghi mi stavano soffocando e quando rientrai in soggiorno lui era fermo in piedi ad aspettarmi:
-Non sei a dieta, vero?- mi chiese dubbioso.
Inarcai un sopracciglio senza capire dove volesse arrivare:
-No, perché?-
-Ah, meno male. Perché sono andato a prendere un paio di hamburger e patatine fritte, è una vita che non li mangio. E se tu fossi stata a dieta le cose si sarebbero complicate. Comunque sia ho preso anche un’insalata- fece, tirando fuori dalla sporta un paio di sacchetti.
Mi fece cenno di sedermi sul divano, per goderci una delle nostre cene frettolose ma soddisfacenti. Eseguii e aspettai che lui aprisse nuovamente bocca:
-Ok, ho un cheeseburger e un baconburger, quale preferisci? O vuoi l’insalata? No perché c’è..-
-Dammi il baconburger- dissi, alzando una mano per fargli capire di appoggiarlo lì sopra. Lo sentii ridacchiare prima di rispondere:
-Ti adoro-
Mi diede il mio panino, poi prese il suo, le patatine e scavalcò il divano, posando il tutto sul tavolino che c’era lì davanti insieme a un paio di birre, forse le ultime rimaste in frigo.
Prima di iniziare a mangiare mi voltai a guardarlo:
-Devi andare da qualche parte? Di solito quando ceniamo qua è perché devi scappare…-
Mi sorrise:
-Stasera no- mi mise un braccio intorno alle spalle e prese il telecomando:
-Siamo solo io, te, questi panini e una partita dei Giants-
Detto questo accese la tv.

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Capitolo 30
*** L'inaugurazione (Prima Parte) ***



Mi scuso per aver saltato la mia pubblicazione settimanale, ma sono in pieno periodo esami all'università e non ho più tanto tempo quanto vorrei.
Buona lettura

MadAka


Il gran giorno, alla fine, era arrivato. Io e i miei colleghi eravamo nel salone di Joshua a dare gli ultimissimi ritocchi in modo da rendere tutto perfetto per la successiva inaugurazione della mostra, mentre Josh e Vanessa erano usciti, per accompagnare il servizio catering che si sarebbe occupato del rinfresco. In verità non c’era molto da sistemare, ci stavamo limitando a togliere la polvere dai vetri delle cornici e a posizionare attentamente le cose sui tavoli, in modo che non disturbassero le persone intente ad osservare le fotografie. Personalmente ero molto  soddisfatta del risultato finale. Il salone di Joshua, una volta svuotato da tutto il caos che aveva, soprattutto nella parte centrale, si era rivelato enorme e luminosissimo e il modo in cui erano stati disposti i pannelli non riduceva di molto quello spazio areato che si era creato. Quando avevo chiesto a Josh quante persone erano attese e lui mi aveva risposto circa un centinaio, mi ero preoccupata di come tutta quella gente potesse stare in quel posto, ma guardandolo in quel momento capii che, invece, ci sarebbe stata senza problemi.
Stavo pulendo l’ennesima cornice quando, da un punto non precisato della stanza, mi arrivò la voce di Chris:
-Allora signorine, chi viene stasera?-
-Chi viene?- sentii chiedere da Tess
-Sì, chi avete invitato. Insomma, gli inviti che ci ha dato Josh li avrete pur dati a qualcuno, no?-
-Viene Justin. Io ne avevo solo due- tagliò corto la mia amica
-E tu Chris, chi hai invitato?- gli chiesi, senza sapere da che parte rivolgermi perché non avevo idea di dove fosse.
-Nessuno- rispose.
Mi fermai e lo cercai, notando che Tess stava facendo la stessa cosa. Quando lo trovammo lui si voltò a guardarci e noi dicemmo:
-Nessuno?-
Alzò un sopracciglio:
-Perché? C’è scritto da qualche parte che dovevo per forza venire con qualcuno stasera?- ci chiese innocentemente, marcando accuratamente le parole “per forza”.
Io e Tess stavamo chiaramente pensando la stessa, ma lei, da sempre più sfacciata di me, ebbe il coraggio di chiederlo:
-Che so, la tua ragazza? Potevi venire con lei, no? Ti hanno dato due inviti apposta-
I baffi di lui fecero un movimento impercettibile quando Chris aprì bocca:
-Ragazze, io non ce l’ho la ragazza- aveva il tono più calmo del mondo.
A me e Tess venne spontanea un’espressione sorpresa. La vita sentimentale di Chris era abbastanza misteriosa, per il semplice fatto che lui non ce ne parlava a meno che non fossimo noi a chiederglielo, cosa che non facevamo spesso perché preferivamo lamentarci dei nostri problemi e lasciarci aiutare da lui: eravamo pessime amiche da quel punto di vista. Tuttavia mi venne in mente che un paio di mesi prima, io e lui avevamo affrontato una conversazione su una sua fiamma del periodo:
-Ma…e Rebecca scusa? Si… si chiamava così vero?-
Lui annuì con la testa:
-Sì Rebecca- alzò le spalle: -Diciamo che più che altro era un flirt. Non ci sono andato a letto, se è questo che volete sapere-
-Io veramente…- attaccai, ma lui mi fece un cenno per farmi capire che non ce l’aveva con me ma con Tess, che si era disegnata uno strano sorriso in faccia.
-Al diavolo, Chris, rimorchi alla grande e non ce lo dici?!- esclamò lei divertita
-Voi non me lo avete mai chiesto- fece lui lisciandosi i baffi.
Scoppiammo a ridere tutti e tre e ci mettemmo più del dovuto a ricomporci, forse per la stanchezza o forse per l’espressione con cui il nostro collega ci aveva risposto.
-E tu Jane, avevi tre biglietti, giusto? Oltre a Taylor a chi l’hai dato?- mi chiese Chris poco dopo.
Alzai lo sguardo e lo guardai, leggendo nei suoi occhi della vera curiosità. Pensai che accanto a me c’era Tess, con i suoi accesissimi capelli viola, ma soprattutto con i suoi micidiali pugni: “Sono morta”.
-Taylor voleva darlo a Denise- risposi cercando di apparire calma.
Non stavo mentendo, stavo raccontando loro una mezza verità. Taylor voleva realmente dare quell’invito a Denise, quando ancora stavano insieme, solo che glielo avevo impedito finendo per darlo a Roger. Speravo che, dicendo così, Tess e Chris non approfondissero l’argomento, dando per scontato che l’invito di Denise fosse andato per disperso e allontanando di qualche ora il mio decesso, perché sapevo che Tess mi avrebbe ammazzata non appena Roger avesse varcato l‘ingresso quella sera.
Tuttavia, non funzionò:
-E tu hai lasciato che lui lo desse a Denise?- mi chiese la mia amica con un tono più sorpreso del previsto. Si voltò per leggere la mia espressione, cosa che le era sempre riuscita più che bene:
-Ovviamente no…- dissi cercando di chiudere l’argomento il più in fretta possibile, ma nuovamente non ci riuscii.
-E quindi? Lo hai buttato, ti ci sei fumata una canna, cosa ci hai fatto?- chiese nuovamente lei.
-Ma perché lo vuoi tanto sapere?- le domandai infine, un po’ più seccata del previsto.
-Così, giusto per farmi un’idea di chi aspettarmi. Se dovesse comparire Sarah dovrei già prepararmi psicologicamente per evitare di tirarle un ceffone!- esclamò
-Non chiamerei mai lei! Ma per chi mi hai presa?!-
Sarah era l’ex fidanzata di Justin e per ovvi motivi lei e Tess si odiavano, soprattutto perché nell’ultimo periodo Sarah aveva ricominciato a ronzare intorno al fidanzato della mia migliore a mica e lei si stava preparando a sgozzarla con qualcosa di molto affilato.
Chris intanto aveva ripreso a pulire le cornici delle foto, aveva sicuramente perso ogni tipo di interesse per la conversazione inconcludente che io e Tess stavamo affrontando.
Alla fine, dopo un’ alzata di spalle da parte della mia amica, lei si allontanò con fare annoiato e Chris si voltò verso di me:
-A me puoi dirlo, Jane- disse abbassando la voce in modo che nessuno ci sentisse.
Mi faceva sempre tanta tenerezza quando si comportava così, sembrava un fratello grande e premuroso.
-Perché siete così curiosi di saperlo? Se non lo avessi dato a nessuno per davvero?- domandai, ma lui assunse l’espressione di chi aveva già capito tutto.
-Oh, andiamo, ti conosco. Lo avresti bruciato piuttosto che darlo a Denise, quindi da qualche parte deve essere finito. Su, a chi lo hai rifilato?- incrociò le braccia e si fermò a guardarmi.
Sospirai. Il fatto che sia lui che Tess mi conoscessero così bene era comodo e piacevole un sacco di volte, ma le restanti era un vero problema, soprattutto quando volevo provare a tenere qualcosa per me.
Abbassai lo sguardo:
-A Roger… l’ho dato a Roger- dissi con un filo di voce, sufficiente perché lui mi sentisse ma non altrettanto perché lo facesse Tess.
Tuttavia:
-A Roger?!- l’esclamazione arrivò alle mie spalle e con la riconoscibilissima voce della mia migliore amica.
“Merda!”
-Non ci credo! Jane ma che cazzo ti dice il cervello?!- esclamò lei con un’espressione chiaramente contrariata.
-Che c’è di male, scusa?- le chiesi guardandola in faccia, ma non prima di aver fulminato con lo sguardo Chris per quello che mi aveva fatto ammettere.
-C’è tutto di male! Vuoi conquistare Taylor e inviti a questa inaugurazione il tuo quasi-ex? È un paradosso!-
-Non ti sembra di esagerare ora?- intervenne Chris, ma io e Tess lo zittimmo all’unisono:
-Tu stanne fuori!-
Mi voltai verso la mia amica:
-Senti, io non ne farei un dramma. L’ho invitato perché preferivo vedere lui piuttosto che Denise qui questa sera e poi perché non mi dispiacerebbe se rimanessimo amici- dissi con fare calmo.
-Non si può rimanere amici del proprio ex-
-Solo perché non ci riesci tu non vuol dire che non ci riesca io-
Tess stava per ribattere ma la voce di Chris arrivò prima:
-Ragazze ora basta, smettetela. Sembrate due vecchie isteriche e questo non vi fa onore- lo guardammo entrambe. Aveva assunto un’aria austera e ci guardava dall’alto in basso da dietro i suoi occhiali.
Ci zittimmo e lui riprese parola:
-Tess, smettila di comportarti così con Jane, ok? Anche a me non va molto a genio che abbia invitato il suo quasi-ex- era abitudine che lo chiamassero così: -Ma è anche vero che l’invito era suo e poteva farci quello che voleva. Poi, personalmente, penso che avere Jane, Taylor e Roger nella stessa stanza possa essere molto interessante-  fece un sorriso e capimmo entrambe dove volesse arrivare.
Puntare a far ingelosire Taylor con la presenza di Roger. Io personalmente non credevo neanche lontanamente che la cosa avrebbe funzionato, ma Tess invece parve pensare il contrario, perché rilassò le spalle e mi guardò:
-Forse ha ragione. A quanto pare ti sei salvata anche questa volta-
Detto questo scomparve dietro a qualche pannello, io guardai Chris e lui mi sorrise. Lo conoscevo perfettamente, proprio come lui conosceva perfettamente me. Mi era bastato guardarlo per capire che non era convinto di quello che aveva detto pochi attimi prima, ma che aveva capito che poteva essere la scusa migliore per giustificare la presenza di Roger quella sera. Ci venne quasi da ridere pensando a Tess e alla sua reazione, ma riuscimmo a trattenerci e a rimetterci a lavorare.
Quando mancavano venti minuti alle diciotto Joshua ricomparve insieme a Vanessa e ad altri ragazzi vestiti elegantemente, che ci presentò come il servizio di catering. Riuscirono rapidamente a predisporre tutto per l’inaugurazione e cinque minuti prima dell’apertura della mostra io, Tess, Chris e Josh ci concedemmo una sigaretta sul retro del suo salone.
-Siete nervosi?- ci chiese il tatuatore guardandoci tutti negli occhi.
Nessuno fece una piega, eravamo abituati a persone che analizzavano i nostri lavori fino al più minimo dettaglio.
-Direi di no. E tu?-  gli domandai.
Lui fissò un po’ la cenere della sua sigaretta e fece cenno di sì con la testa, per poi mostrarci un sorriso eccitato:
-Ma sono contento che sia arrivato questo giorno, e sono felice che voi mi abbiate aiutato-
-È stato un piacere- rispose Tess a nome di tutti quanti.
Vanessa comparve sulla porta:
-Josh è ora-
Ci ricomponemmo tutti e quattro e gettammo lontano le nostre sigarette, alcune più consumate di altre. Rientrammo nel salone e dai vetri guardammo la sfilza di persone in attesa di entrare, erano già almeno una sessantina e notai la soddisfazione dipingersi sul volto di Joshua. Si avvicinò all’ingresso e fece un gesto per lui quotidiano, ma che quella sera aveva un significato speciale: voltò il cartellino in plastica con la scritta “Chiuso” e fece comparire quella “Aperto”.
 

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Capitolo 31
*** L'inaugurazione (Seconda Parte) ***


Le persone cominciarono ad entrare nel negozio, salutando Joshua con abbracci, cenni amichevoli e pacche sulle spalle. Di tanto in tanto qualcuno salutava anche me, Chris o Tess, dipendeva principalmente da chi dei tre avesse avuto a che fare con lui o con lei durante la realizzazione degli scatti fotografici. La stanza si riempì in fretta, alcuni iniziarono a vedere la mostra fin da subito, ricercandosi nelle fotografie e scivolando lentamente da una parte all’altra per avere modo di vedere ogni singolo scatto eseguito e stampato. Pochi coraggiosi iniziarono a servirsi al tavolo del catering, finché non divenne troppo affollato per via degli aperitivi che tentavano irrimediabilmente tutti. Io avevo sete ma allo stesso tempo non avevo voglia di perdere tempo cercando di avvicinarmi alla ragazza che serviva da bere per pronunciare la frase “Uno spritz, per favore”, quindi me ne rimasi nel mio angolino a parlare con quelli che venivano a salutarmi, inclusi Patrick e Corey che erano venuti alla mostra come “soggetti fotografati” ed erano tutti belli e soddisfatti per il risultato finale. Pensai più volte di chiedere a Pat di farsi largo con le sue braccia possenti e portarmi qualcosa da bere, ma non eravamo così amici da concedermelo, o almeno io la pensavo così.
I primi venti minuti successivi all’apertura trascorsero benissimo, si riusciva a sentire la gente soddisfatta per il risultato delle foto e ancora di più per quello della mostra. Joshua non aveva un attimo di tregua, tutti andavano a salutarlo e ad abbracciarlo per complimentarsi del suo successo e fargli sapere quanto fossero felici per lui. Io continuavo a fissare nervosamente l’ingresso del salone, chiedendomi chi per primo sarebbe arrivato fra Taylor e Roger. Improvvisamente sentii qualcuno darmi una gomitata sul braccio, sussultai e mi voltai a guardare di chi si trattasse, trovandomi davanti Tess con una sigaretta fissata dietro l’orecchio:
-Usciamo? Mi sento soffocare qui dentro- annuii e la segui.
Appena fummo fuori lei si accese la sigaretta e mi scrutò attentamente:
-Che hai?- mi chiese con il suo tono più severo.
Sospirai:
-Non lo so. Credo di essere un po’ preoccupata per dopo, quando ci saranno sia Taylor che Roger-
-E chi ti dice che Roger venga, scusa? Gli hai solo dato l’invito in fin dei conti-
-L’altro giorno l’ho incontrato per strada e… be, mi ha chiesto a che ora iniziava tutto stasera-
Lei sbuffò fuori il fumo e lo guardò allontanarsi, come per accertarsi che non tornasse indietro:
-Magari ci ha ripensato-
-O magari arriva appena finisce di lavorare, come Taylor- dissi più a me stessa che a lei.
Tess non rispose, si mise a prendere un’altra boccata dalla sigaretta per poi ricacciarla fuori alla stessa maniera di prima.
-E Justin?- chiesi io
-Mi ha appena detto che sta arrivando- rispose.
Ultimamente le cose fra loro due stavano ricominciando ad andare bene e sapevo perfettamente che una volta arrivato Justin io e Chris avremmo dovuto lasciare in pace Tess. Mi voltai un momento verso il salone, per cercare il mio collega. Una volta arrivato anche Taylor probabilmente lo avremmo lasciato solo e la cosa mi dispiaceva, ma quando lo trovai vidi che era attorniato da un gran numero di persone. Stava parlando e gli altri pendevano dalle sue labbra, come se stesse raccontando loro cose di vitale importanza. Capii che non avrebbe avuto problemi, non lui almeno. Poco dopo rientrai nel salone mentre Tess rimase fuori ad aspettare Justin. Dentro incontrai Anna che mi presentò suo marito Nate, l’uomo di cui mi aveva parlato, e ci perdemmo in una breve conversazione. Quando mancavano venti minuti alle diciannove, finalmente, arrivò Taylor. Veniva direttamente dal suo ufficio, infatti indossava ancora la camicia bianca che si era messo quel mattino. I capelli erano tutti scombinati, per uno come lui, abituato a mettersi le mani in testa innumerevoli volte, era pressappoco impossibile tenere i capelli in ordine fino a sera. Aveva un’espressione un po’ stanca, accentuata dalla barba incolta che non si faceva da almeno tre giorni ma che personalmente trovavo gli donasse tantissimo. Mostrò l’invito al ragazza all’ingresso e appena entrò si mise a cercare fra la folla che in quei quaranta minuti era cresciuta di almeno altre venti persone. Appena mi vide mi sorrise come solo lui sapeva fare e mi raggiunse:
-C’è un gran casino!- esclamò divertito, guardandosi intorno.
Gli diedi ragione e aspettai che dicesse qualcos’altro:
-Allora, come sta andando?-
-Per il momento direi bene. Quando saranno arrivati tutti Josh farà un discorso di ringraziamento-
-In stile “Grazie amici, vi voglio bene”?-
Annuii sorridendo:
-Direi di sì. Finisce tutto alle dieci, io rimarrò fino alla chiusura, se tu vuoi andare via prima sei libero di farlo, ovviamente-
Mi guardò come se avessi detto una scemenza. Averlo davanti mi faceva sentire bassa, se guardavo difronte a me riuscivo solo a vedergli l’ultimo bottone allacciato delle camicia.  
-Rimango con te, che problema c’è?- mi chiese, ma sembrava più un’affermazione che altro. La sua frase mi fece incredibilmente piacere, ma cercai di non farglielo notare, mi limitai a rispondere con un sorriso e un “Come preferisci”. Diede ancora un’occhiata in giro, prima alla folla accalcata al tavolo del catering, poi alla sfilza di pannelli presenti nel salone:
-Penso che andrò a vedere le vostre foto, sono qui anche per questo, giusto?-
-D’accordo, sono tutte mescolate, vediamo se riesci a distinguere le mie da quelle di Tess e Chris-
-Ci sto!- mi allungò una mano come per ufficializzare la scommessa, poi riprese parola:
-Poi penso che mi fermerò a prendere qualcosa al tavolo là, se non lo svuotano prima… vuoi niente?-
-Se mi prendi qualcosa da bere mi faresti un gran favore, è da un po’ che ho sete ma ho paura di avvicinarmi, sembrano degli animali-
Lui annuì sorridendo e mi fece segno di “ok” prima di scomparire in mezzo alle persone per guardare le fotografie.
Non so quanto tempo passò, a me parve un’eternità ma forse erano solo diversi minuti, fatto sta che, alla fine, sulla soglia del salone comparve anche Roger. Proprio come Taylor mostrò l’invito alla ragazza all’ingresso e proprio come Taylor indossava una camicia bianca, su jeans scuri. Diversamente dal mio coinquilino, però, non portava All Star nere, ma scarpe scure, eleganti. I capelli erano curati e più corti rispetto all’ultima volta in cui ci eravamo incontrati e il suo viso era fresco di rasatura. Iniziai a sentirmi a disagio, come mi capitava sempre, per un motivo o per l’altro, in sua presenza. Entrò e si guardò attentamente intorno, finché non mi vide e si avvicinò a me.
-Ciao Jane- mi disse sorridendo
-Hei. Grazie per essere venuto-
-Figurati, mi incuriosiva molto da come me ne avevi parlato, come procede? Sta andando tutto bene?-
-Sì, sì, per il momento fila tutto liscio. Ci sono praticamente tutti gli invitati che dovevano venire, le foto piacciono e Joshua è contento, quindi direi che va benone-
Sorrisi, ma poi guardai da un’altra parte imbarazzata, senza sapere cosa dire. Una volta riuscivamo a parlare per ore, di qualunque cosa, ma in quel momento mi sentivo stupida e nella mia testa balenava da un po’ lo stesso interrogativo: “Ma come abbiamo fatto ad arrivare fin qui?”. Notai che Chris ci stava guardano, quando me ne accorsi mi indicò un punto della stanza in cui, guardando, trovai Taylor. Era al tavolo del catering, a breve sarebbe tornato da me e mi ritrovai a sperare che lo facesse in fretta.
-Se ti va di andare a vedere le foto fai pure. Sono tutte mescolate… cioè, le mie, quelle di Tess e di Chris sono insieme, non le abbiamo divise in base a chi le ha scattate…- non mi era mai uscita una spiegazione tanto pessima, il problema è che non sapevo che pesci pigliare!
Roger guardò verso un punto alle mie spalle, mentre io continuavo a fissare davanti a me. Notai che era più basso di Taylor e che all’altezza dei miei occhi non c’era il bottone della sua camicia, ma c’erano  le sue labbra. Queste si schiusero quando prese fiato per parlare:
-Sì, certo. Ma prima volevo sapere come stai. Ora che hai sistemato questo lavoro immagino che tu abbia un po’ più tempo per te, giusto?-
-Bè, direi di sì- non capivo dove volesse andare a parare, così rimasi sul vago: -Ovviamente ho ancora un bel po’di lavoro per altre cose, sai, giornali, pubblicità, concerti, roba del genere-
Lui fece ripetutamente sì con la testa, continuando a guardarmi negli occhi. Mi chiesi se si trovasse anche lui a disagio come me, ma non sembrava.
-Ho capito, ma quindi…- non fece in tempo a finire la frase.
Venimmo interrotti da un bicchiere a mezz’aria, contenente qualcosa di bianco ricco di bollicine. Mi voltai e vidi che si trattava di Taylor, che mi stava porgendo quel bicchiere guardandomi in faccia. Lo afferrai e accennai un sorriso, ringraziandolo.
-Spero ti vada bene, è la prima cosa che sono riuscito a prendere-
Poi si voltò verso Roger e rimasero a guardarsi in silenzio per qualche istante, che a me parve un secolo da quanto ero in imbarazzo. Avrei voluto sprofondare, di quello ero certa.
Roger fu il primo a parlare:
-Tu devi essere…- attaccò, ma il mio coinquilino lo precedette:
-Taylor Cooper, piacere- disse porgendogli la mano. Non capii perché si fosse presentato dicendo anche il suo cognome, non lo faceva mai.
Roger gli strinse la mano e si presentò a sua volta. I due si persero brevemente in una conversazione sul mio appartamento e feci il possibile per restarne fuori. Fortunatamente, prima che potessero tornare a considerarmi, vidi Joshua arrampicarsi su una sedia, vicino al tavolo del catering, e pregare la folla di prestargli attenzione. Si voltarono tutti verso di lui e noi facemmo altrettanto. Il salone piombò in un religioso silenzio e il tatuatore si schiarì la gola prima di iniziare a parlare:
-Buonasera a tutti- attaccò e qualcuno già intervenne con un “Dai Joshua!” in stile liceale.
-Innanzitutto permettetemi di dirvi quanto io sia felice di vedervi qui, in questa giornata. Ho mandato molti inviti in giro per questa inaugurazione, convinto che non sarei riuscito a riempire questo salone, invece… non potete immaginare quanto sia felice di essermi sbagliato- prese tempo guardando le persone ferme difronte a lui, intente ad ascoltarlo attentamente. Riprese a parlare quasi subito:
-Sarò breve perché con i discorsi non sono mai stato molto bravo. Volevo solo ringraziarvi, tutti quanti. Ringraziarvi dal primo all’ultimo per essere venuti qui questa sera e aver reso le mie ultime ore in questo salone tanto piacevoli-
Si grattò il braccio e rimase ancora un momento in silenzio prima di continuare:
-Voglio ringraziare di cuore anche i miei colleghi: Vanessa, David, Heather e Mike- si voltò a guardarli:
-Grazie di tutto- si limitò a dire. Mi parve di sentire la sua voce leggermente rotta mentre pronunciava quelle parole. Nell’ultimo periodo avevo notato un lato fortemente sensibile di Joshua che, in totale onestà, non avrei mai creduto possibile in uno come lui, soprattutto per via del suo naso rotto e dei suoi tatuaggi, che gli donavano un aspetto da persona poco raccomandabile. Ma infondo era vero, l’apparenza ingannava e in quel momento ne stavo avendo la conferma.
Infine si mise a cercare fra le persone finché i suoi occhi si posarono su di me:
-E ultimo, ma non per importanza, volevo ringraziare i fotografi. Chris, Tess e Jane, grazie infinite per questa incredibile mostra. È stupenda ed è mille volte meglio di quanto avrei potuto desiderare. Grazie a tutti, davvero-
Concluse alzando le mani, come per far capire che non sapeva che altro aggiungere e che non sapeva neanche dove avesse trovato le parole dette fino a quel momento. Il salone esplose in un applauso, mentre qualcuno sollevava il bicchiere e gridava “A Josh” imitato da altri.
Quando Joshua scese dalla sedia rimasi per un momento ad osservarlo, mentre le persone intorno a lui lo abbracciavano e si complimentavano per il discorso. Sembrava soddisfatto dalle sue stese parole, ma non potei fare a meno di notare che era realmente commosso e che non mi ero sbagliata quando avevo sentito la sua voce tremare leggermente, minuti prima. Rimasi in silenzio per un po’, esternandomi completamente da quella stanza, finché non ritornai alla realtà, pochi secondi dopo. Mi ricordai che ero all’inaugurazione della nostra mostra e che sarei dovuta andare da Josh a ringraziarlo. E lo avrei fatto. Sarei andata da lui e lo avrei abbracciato forte, per poi ringraziarlo di tutto e dirgli che saremmo rimasti amici per sempre, come si faceva da bambini.
Mi ricordai anche che alla mia sinistra c’era Roger e alla mia destra Taylor. Guardai dalla parte del primo con la coda dell’occhio e notai che mi stava osservando, con un leggero sorriso in volto. Abbassai un istante lo sguardo per poi voltarmi leggermente verso Taylor. Era fermo in piedi, i suoi occhi scuri sembravano privi di ogni sfumatura in quel momento e mi resi conto che era serio, molto serio.
Ma non stava rivolgendo il suo sguardo verso di me, bensì verso Roger.

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Capitolo 32
*** L'inaugurazione (Terza Parte) ***


Ero fra due fuochi, anche se forse era l’esempio sbagliato. Era come se noi tre ci stessimo divertendo in quello strano gioco di sguardi, che per la verità non mi divertiva affatto.
Perché Roger guardava così me e perché Taylor fissava così Roger?
Mi sentivo come la protagonista di una di quelle commedie americane, guarda caso ambientate proprio a New York, in cui lei è contesa fra i due affascinanti protagonisti e in cui il finale, sotto sotto, è già chiaro.
Tuttavia io non ero la protagonista di un film e quella situazione mi stava facendo sentire decisamente a disagio. Capii che dovevo allontanarmene in fretta, così indicai verso Joshua:
-Penso che sia meglio che vada a ringraziare Josh- lo dissi senza rivolgermi specificatamente a qualcuno e mi avviai senza aspettare una risposta.
Cercai di farmi largo fra le persone il più garbatamente possibile, ma avevo fretta di allontanarmi dal punto in cui ero prima e non riuscii molto bene nel mio intento. Finalmente raggiunsi Joshua e appena lui si voltò verso di me mi sentii incredibilmente rassicurata. Lo abbracciai prima ancora che lui potesse dire qualcosa mentre ripetevo come una macchinetta “Grazie” senza sapere esattamente per cosa precisamente lo stavo ringraziando, ma consapevole che quella era la parola giusta, in quel momento, per tutto.
Fortunatamente ci perdemmo in una conversazione e iniziammo a dirci a vicenda che sarebbe rimasto tutto come sempre anche dopo il suo trasferimento, che avremmo continuato a collaborare e che saremmo rimasti amici. I cinque minuti che trascorsi con lui  mi rilassarono notevolmente e quando lo dovetti lasciare ad un’altra persona per tornare da Roger e Taylor ero stranamente tranquilla.
Il primo a parlare non appena tornai fu Taylor:
-Allora, tutto a posto?- mi chiese, chiaramente rivolgendosi al mio incontro-abbraccio con Joshua.
Gli sorrisi annuendo con la testa e aspettai che qualcun altro disse qualcosa.
Vidi Roger dare una rapida occhiata all’orologio che teneva al polso, per poi dire:
-Forse è meglio che io vada a vedere la vostra mostra, Jane. Non ho ancora avuto modo di farlo-
-Certo, vai pure. Ci trovi qui- risposi indicando me e il mio coinquilino.
Roger mi sorrise e si avviò, scomparendo poco dopo fra le persone e i pannelli.
Taylor rimase fermo a fissare il punto in cui l’altro era appena scomparso e poi si voltò verso di me, dicendo subito:
-Vuoi che me ne vada?-
Quella domanda mi lasciò decisamente a bocca aperta. Non ne capivo il motivo e soprattutto non capivo perché me lo avesse chiesto così. Non sembrava arrabbiato o infastidito da qualcosa, ma mi prese alla sprovvista. L’unica cosa di cui ero certa, in quel frangente, era proprio che non volevo vedere lui allontanarsi da me per lasciarmi in balia di sconosciuti e di Roger.
-Cosa? Perché dovresti andartene?- chiesi, forse apparendo più sconvolta del dovuto.
Lui si guardò un momento intorno e rispose:
-Non so quanto possa farvi piacere che io continui a girarvi intorno, o sbaglio?-
Inarcai un sopracciglio senza capire dove volesse andare a parare, poi la risposta mi arrivò di colpo, un po’ come un treno in faccia: Taylor non lo sapeva.
Non sapeva che io e Roger in verità non ci stavamo più vedendo, in quel senso, ma che l’invito era solo un modo patetico per cercare di rimanere un minimo amici. Lui era ancora convinto che noi due stessimo uscendo insieme, perché quella era l’ultima cosa che gli avevo detto quando volevo evitare che l’ultimo invito andasse in mano a Denise. Taylor era rimasto al “Più o meno…” che avevo sentenziato in risposta alla sua domanda sul mio ritorno a frequentare Roger.
“Oh cazzo!”.
Lo guardai un momento prima di mordermi preoccupata il labbro inferiore, senza sapere esattamente come spiegare nel modo migliore la situazione.
-Hei, ci sei?- mi chiese lui dopo un po’.
Alzai gli occhi e lo guardai, sentendomi veramente agitata:
-Sai, c’è una cosa che mi sono dimenticata di dirti…- esordii.
Lui drizzò la schiena e si mise ad ascoltarmi attentamente. Cercai le parole migliori, senza sapere se ci fossi riuscita o meno:
-In verità… io e Roger abbiamo accantonato la nostra relazione. Cioè, voglio dire che… che non ci frequentiamo più, ecco…-   
Lo guardai e vidi un’indecifrabile espressione comparirgli sul viso:
-Aspetta, vuol dire che non uscite più insieme?-
Feci sì con la testa un paio di volte e lui riprese a parlare:
-E allora come mai è qui?-
A quella domanda sapevo esattamente come rispondere:
-Diciamo che è un triste tentativo da parte mia di continuare ad essere amici. Visto che non siamo mai realmente stati insieme pensavo che almeno potevamo restare amici…. Anche se comincio a credere che non stia funzionando…-
-Quindi non uscite più insieme da un po’ ma vuoi comunque provare a rimanere sua amica?-
-Già…-
-Almeno le buone intenzioni le hai. Solo una domanda, perché non me lo hai detto?-
-Cosa?-
-Che non vi frequentavate più-
-Credevo di averlo fatto!- esclamai, finendo per sentirmi come lui quando mi aveva raccontato di Denise quel giorno nella sua camera da letto.
Parlai prima che lui potesse dire qualcos’altro:
-Ascolta Taylor, non puoi andartene, ok? Non so assolutamente come comportarmi in queste situazioni, se dovessi rimanere sola con lui chissà che cagate posso essere in grado di raccontargli! Tu non vuoi questo, vero?-
Lui mi fissò dubbioso per un istante poi scoppiò a ridere, mi mise una mano in testa e mi spettinò i capelli:
-Sei veramente un caso a parte- disse divertito
-Lo so, ma promettimi che non mi abbandoni, non stasera!- lo supplicai.
Alzò le mani e mi sorrise:
-Promesso, ora però vado a prendere qualcosa da bere- mi sorrise nuovamente e si allontanò.
Ritornò quasi subito e finimmo con il parlare di qualsiasi cosa ci potesse passare per la testa mentre Roger era scomparso dalla nostra vista e nessuno dei due sapeva dove fosse finito.
Ricomparve svariati minuti dopo e appena ci raggiunse si complimentò con me per la mostra, dicendomi di estendere gli elogi anche a Tess e Chris.
-Ti ringrazio, saranno sicuramente molto felici di sapere che hai apprezzato-
Lui sorrise. Si voltò un attimo verso Taylor e poi diede un’occhiata al suo orologio. Si avvicinò a me e mi mise una mano sulla schiena, per poi chinarsi leggermente e dirmi, a voce bassa:
-Possiamo parlare un momento?-
Acconsentii ed uscimmo dal locale, dove faceva meno caldo e dove c’era meno ressa e meno confusione, lasciando solo Taylor all’interno.
Fuori Roger si guardò intorno, prima di posare i suoi occhi su di me:
-Io devo andare- disse
-Di già?- mi uscii spontaneo chiedergli.
Lui annuì con la testa per poi dire:
-Ho una serie di cose da fare questa sera, sapevo che sarei rimasto poco ma sono voluto passare ugualmente per un saluto e per vedere tutto il vostro lavoro-
-Be, allora grazie. Se devi andare non ti trattengo- cercai di apparire disinvolta e leggermente dispiaciuta, anche se in realtà non vedevo l’ora che lui si allontanasse per porre fine a quella situazione di insicurezza che stavo vivendo.
-Volevo solo chiederti una cosa- fece lui subito dopo.
Venni assalita dal panico, cosa cavolo voleva sapere ancora?!
-Dimmi- mi sorpresi della mia nonchalance , perché in realtà ero terrorizzata.
-Avrei diverse fotografie che volevo fare sviluppare, alcune le avevo scattate con una macchina usa e getta, altre con una digitale. Posso passare da voi in studio?-
“Eh?!”. Rimasi imbambolata più del previsto, rendendomi perfettamente conto di aver capito bene, ma rendendomi anche conto che non mi aspettavo un’uscita del genere. Ero più pronta a frasi tipo “Non riesco a dimenticarti” o roba del genere, non a quello!
Improvvisamente il mio cervello mi diede una gomitata, imponendomi di rispondere:
-Oh…ehm, sì… sì certo, è il nostro lavoro in fin dei conti, no?-
-Ok, ho pensato che fosse meglio chiedertelo, dato che prima mi hai detto che avete un po’ di lavoro da fare, giusto per non sovraccaricarvi di roba-
-Tu non preoccuparti. Se passi domani mattina fallo sul tardi, io non penso che arriverò prima delle undici-
-D’accordo, ti ringrazio. Ora scusami ma devo proprio scappare-
-Certo, grazie mille per essere passato, significa molto-
-Nessun problema, ci tenevo a venire- detto questo si avvicinò e mi abbracciò, avvolgendomi nel suo profumo che mi era sempre piaciuto tantissimo, ma che in quel momento non significava niente di più che una semplice e piacevole aroma.
-A presto- mi salutò alla fine e poi si avviò lungo il marciapiede.
Lo guardai allontanarsi e ripensai al suo abbraccio. In verità mi bastò poco tempo per capire che ero finalmente guarita.  
 
Non passò molto che, una dopo l’altra, le persone cominciarono ad andarsene, lasciando il salone sempre più vuoto. Verso le dieci erano rimaste poche persone: un paio di amici intimi di Joshua, i suoi collaboratori, io, Taylor, Tess e Chris e il servizio di catering, che stava riordinando per andare. Tess fu la prima del nostro gruppo ad uscire, si grattò il naso e sbadigliò, per poi augurarci buonanotte, salutare Josh e accendersi una sigaretta appena uscita dal salone, diretta verso casa. Chris la imitò poco dopo, ma senza sbadigli e senza sigarette, riprese la sua borse in simil-pelle e ci salutò tutti quanti con un grande e dolcissimo sorriso. Poi venne il mio turno di dirigermi verso casa, guardai Taylor in faccia, mi parve assonnato anche lui:
-Che dici, andiamo?-
-E le foto? Non le riprendi?- mi chiese
-La mostra dura altri sei giorni, non le riprendo stasera di certo- dissi ridendo.
Lui fece una faccia strana e rispose:
-Ah, già. Scusa ma sono piuttosto stanco…-
-Lo vedo-
-Tu no? Con tutto questo lavoro che avete montato oggi?-
Alzai le spalle. Ero stanca, sì, ma non fremevo dalla voglia di rientrare a casa, anche se lo volevo. Mi piaceva l’idea di rimanere lì, in quel salone di tatuaggi in cui ero entrata sorridente tantissime volte, per fumare una sigaretta con il proprietario, per fare degli scatti a lui e ai suoi lavori, o anche solo per due chiacchiere. Avevo come la sensazione che rimanere lì dentro fosse come rivivere quei momenti per sempre, ecco perché non volevo uscire. Ma non potevo vivere di ricordi, dovevo andare avanti e il passo successivo lo avrei compiuto salutando Josh.
Mi avvicinai a lui:
-Io e Taylor andiamo…- esordii.
L’uomo si voltò a guardarmi, l’espressione stanca ma soddisfatta:
-D’accordo. Grazie ancora di tutto, Jane-
-Grazie a te Josh, ti dirò… è stato un onore- gli sorrisi ricevendo in cambio lo stesso gesto.
Poi ci abbracciammo, senza che nessuno facesse la prima mossa: avvenne spontaneamente.
-Ci vediamo- dissi infine.
Lui annuì con la testa e salutò Taylor a gran voce che rispose dalla porta con un gesto della mano e un “Alla prossima”.
Mi avviai all’uscita e una volta fuori respirai a pieni polmoni l’odore della città in quella sera di agosto, indecisa se accendere o no una sigaretta, cosa che alla fine non feci perché non mi piaceva fumare in presenza di Taylor. Lui mi sorrise e prima che potessimo avviarci verso il nostro appartamento mi porse un braccio, che stavolta afferrai come se fossi una ragazzina del liceo. Iniziammo a parlare di cose stupide, come facevamo spesso e prima di arrivare a casa, io, avevo già la testa appoggiata alla sua spalla.

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Capitolo 33
*** Giorno lavorativo ***


La mia radiosveglia doveva essersi attivata da un paio di minuti prima che riuscii a sentirla. Mi svegliai con le note dei Muse nelle orecchie, francamente non era la cosa migliore, quella mattina. Ero ancora parecchio assonnata e intontita e non avevo neanche la forza psicologica di alzare un dito per spegnere le note elettroniche che provenivano dalla mia sveglia. Mi stampai un cuscino in faccia e aspettai che la canzone finisse, ma in realtà sapevo benissimo che stavo usando tutto quello esclusivamente come scusa per non scendere dal mio letto quella mattina, dopotutto i Muse mi piacevano anche.
-Hei, sei morta?-
La riconoscibilissima voce del mio coinquilino arrivò pochi minuti dopo. Mi tolsi il cuscino dalla faccia e lo squadrai con espressione assonnatissima.
Se ne stava in piedi con le braccia incrociate, affianco allo stipite della mia porta e portava solo dei pantaloncini rossi, che in verità erano un costume da bagno.
-Che vuoi?- gli ringhiai contro, il mattino era la persona meno socievole del mondo.
Lui si mise a ridere e rispose:
-Hai davvero una pessima cera, potresti spaventare anche il tuo cucciolo che ti vuole tanto bene-
Mi misi a sedere sul bordo del letto a fatica:
-Io non ho un cucciolo…-
-Lo so, voglio dire: se avessi un cucciolo lo spaventeresti con quella faccia- precisò, marcando il “se”.
-Senti, Taylor, si può sapere che vuoi stamattina?-
Alzò le spalle:
-Niente, mi andava di fare due chiacchiere- detto questo scomparve in soggiorno, lasciandomi sola con la stazione radio che, in quel momento, stava pubblicizzando prodotti per il mal di testa.
Guardai il punto da cui lui era appena uscito. Che diavolo gli era preso? Aveva infranto, ancora una volta, il nostro tacito accordo di lasciarci stare a vicenda al mattino, quando eravamo isterici entrambi e sapevamo che era meglio non parlarsi affatto. Tuttavia dovetti ammettere che non mi dispiaceva più di tanto la cosa.
Mi sistemai meglio che potei prima di entrare in cucina e trovare lui intento a versare del tè in due tazze.
Lo guardai mentre metteva due cucchiaini di zucchero nella sua tazza blu e mezzo cucchiaino nella mia. Come sapeva zuccherarmi il tè lui, nessuno. Sembrava sempre che contasse il numero di granelli uno per uno, consapevole che il loro numero non doveva superare quella soglia immaginaria che, sicuramente, si era prefissato. Mi porse la tazza e lo guardai di sbieco:
-Cosa?- mi chiese subito, alzando le spalle.
Io non risposi e continuai ad osservarlo, volevo capisse da solo “cosa”. Ci arrivò subito dopo, perché sbuffò prima di dire:
-Ok, sì. Ho infranto la questione del “non importuniamoci al mattino”, ma mi stavo annoiando-
-Tu che ti annoi?-
-A quanto pare… Mi sono svegliato un’ora fa e non ho più ripreso sonno-
Bevve un sorso di tè e si mise a guardare da un’altra parte. Lo conoscevo fin troppo bene ormai e avevo capito da un po’ che c’era qualcosa che non andava. Da quando si era lasciato con Denise aveva iniziato a comportarsi in modo strano.
Decisi di chiederglielo:
-Senti, Taylor… c’è qualcosa che devi dirmi? Ultimamente sei piuttosto strano-
Mi guardò immediatamente, come se lo avessi sorpreso a fare qualcosa di illegale. Poi fece spallucce senza staccare le labbra dalla tazza.
Rimasi immobile aspettando una risposta che non fosse un incomprensibile mugugno.
Alla fine, vinsi io:
-Per strano cosa intendi?-
-Non saprei, ti svegli e mi importuni, giri per casa senza meta, quando rientro la sera ti trovo in silenzio davanti ai fornelli con la testa appoggiata alla dispensa, fissi nel vuoto più del dovuto… devo aggiungere altro?-
Fece per dire qualcosa ma si fermò con la bocca aperta e una strana faccia.
-Allora?- chiesi nuovamente, dopo un po’.
Lui sospirò e rispose:
-Diciamo pure che dipende da un lavoro che non mi appaga, dal caldo e dall’astinenza sessuale. Sì, soprattutto l’ultima-
Si mise a ridere da solo non appena ricevette il mio pugno sul suo braccio destro.
-Cosa? Guarda che è vero!- esclamò ancora divertito.
-Sei veramente pessimo!- gli urlai dalla mia camera, perché nel mentre mi ero allontanata da lui.
Cazzo, volevo aiutarlo per davvero, perché doveva fingere che le cose non andavano bene solo perché non finiva più a letto con qualcuna da settimane?!
Mi vestii senza considerare le sue frasi inconcludenti su quanto fossi permalosa quando lui voleva solo scherzare. Rispuntai in soggiorno solo quando ero pronta per uscire di casa.
-Vai?- mi chiese
-Sì, e dovresti andare anche tu, secondo me-
-Stamattina no, sono in ufficio oggi pomeriggio…-
Non dissi niente, presi la mia borsa e mi avviai verso la porta, ma venni chiamata da Taylor proprio mentre la mia mano si appoggiava alla maniglia:
-Senti… se per te va bene… ne possiamo parlare stasera?-
Mi voltai a guardarlo:
-Di cosa?- chiesi
-Di quello che mi sta succedendo- disse solo.
Venni attraversata da una fitta mentre lo guardavo. I suoi occhi scuri sembravano intenti a scrutarmi nel profondo e mi sentii leggermente agitata.
Annuii lentamente con la testa:
-D’accordo- e cercai di sdrammatizzare la tensione con un: -Ma niente cagate!-
Lui mi sorrise e si passò una mano fra i capelli scuri:
-Promesso-
Ci salutammo e uscii dall’appartamento, più presto del previsto.

***

Quando arrivai al negozio erano da poco passate le dieci. Anche se avevo puntato la sveglia alle nove non era mia intenzione essere a lavoro per quell’ora, ma per colpa (o per merito) di Taylor ero scesa dal letto invece che girarmi dall’altra parte e riprendere sonno.
Il campanello posto sopra l’ingresso tintinnò non appena aprii la porta e appena me la richiusi alle spalle la placca in metallo con scritto “Come here, we’re open” sbatté leggermente contro il vetro.
Dalla camera oscura mi giunse la voce di Chris:
-Un momento solo, per favore-.
Posai la mia borsa e mi affacciai alla stanza, la cui porta era aperta:
-Sono io- gli dissi.
Lui si voltò a guardarmi e fece un’espressione sorpresa:
-Oh, ciao Jane. Come mai già qui? Pensavo arrivassi più tardi-
Feci segno di no con la testa, sperando che bastasse per fargli capire che non mi andava di aggiungere altro. Avevo sonno e mi serviva un caffè, lungo la strada non avevo preso nulla da mangiare e, infatti, cominciavo anche ad avere fame.
-Dov’è Tess?- chiesi dopo un po’, rendendomi conto che lei era assente quando invece avrebbe dovuto esserci.
-All’arena. Le hanno telefonato per i pass di domani sera, sono pronti-
-Ah, già. Scusa ma stamattina non ce la posso fare-
-Lo vedo- rispose lui con un sorriso­.
Decisi di mettermi a lavorare, consapevole che solo concentrandomi su quello sarei riuscita a distrarmi e a non pensare a quanto in realtà volessi dormire, ma soprattutto a non pensare a cosa aveva da dirmi Taylor, cosa che avrei scoperto quella sera. A pensarci bene… la questione mi stava agitando leggermente.
 
Alle undici passate mi ero finalmente ripresa. Lavorare mi aveva svegliata e Chris si era gentilmente offerto di andarmi a prendere un caffè nel bar di fronte alla strada, che avevo ingerito a stomaco vuoto e senza troppe pretese, infine avevo festeggiato la mia ritrovata serenità con una sigaretta fumata sul retro del negozio.
Ero in camera oscura, luogo in cui da sempre ci rifugiavamo per telefonare, a parlare con uno dei miei più fedeli clienti, quando si affacciò il mio collega dopo una brevissima bussata.
Ci guardammo e lui disse qualcosa a voce talmente bassa che lo capii solo dal labiale:
-C’è Roger di là- e contornò il tutto con una faccia in stile Tess quando dice “Ma che cazzo!”.
Annuii con la testa per fargli capire che avevo afferrato e alzai un dito per dirgli che ci avrei messo ancora un minuto. Ripresi la mia telefonata:
-Senti, Seth, adesso hanno bisogno di me in negozio, che ne dici se ti richiamo?.... Bene, perfetto, perfetto. A dopo allora- e riattaccai.
Sospirai un secondo prima di sfoggiare un bel sorriso e comparire dietro al bancone, accanto a Chris e davanti a Roger.
-Buongiorno- lo salutai.
Lui mi sorrise rispondendo allo stesso modo:
-Vi ho portato le foto- disse, allungandomi una chiavetta USB e un rullino, che passai immediatamente a Chris. Lui lo guardò come se fosse ore e alzò gli occhi su Roger:
-Sono a colori, giusto?- gli chiese
-Sì, a colori. Però ti avverto subito che quel rullino ha almeno otto mesi, quindi non so se ci riuscirai a ricavare fuori qualcosa, nel caso ti pagherò per il disturbo…-
L’altro la guardò con aria di sfida:
-Tu non preoccuparti-
Mi venne da ridere prima di riprendere parola:
-Fidati, hai lasciato il tuo rullino nel miglior esperto di fotografia analogica di tutto il continente e non sto scherzando-
Detto questo Chris si lisciò i baffi compiaciuto e, dopo un’ulteriore analisi al rullino si avviò in camera oscura per preparare il necessario.
Io e Roger invece ci mettemmo a computer per vedere quali foto voleva stampare, come e di che dimensioni. Erano tutte fotografie di persone che non avevo mai visto e che lui mi presentò brevemente come “La mia famiglia”. Mi ritrovai inevitabilmente a pensare che avrei avuto a che fare anche io con quelle persone, se solo la storia fra me e Roger fosse andata in maniera diversa. Era incredibile la difficoltà con cui si tentava, invano, di uscire da una relazione, di dimenticarsene completamente.
Quando Roger uscì, dopo essersi accordato con me su quando venire a recuperare il tutto, sulla soglia della porta si incrociò con Tess, che lo salutò e aspettò che scomparve dalla vetrata per poi guardarmi di traverso e indicare dietro di sé con il pollice, chiaro segno che, anche senza dire nulla, mi fece capire che voleva sapere che, diavolo, ci facesse lui lì.
-Oggi ha fatto il cliente, non ti preoccupare-
-Dov’è Chris?- mi chiese. Era abitudine domandare dove fossero i vari colleghi, dovevamo tutti sapere gli impegni di tutti. Indicai con un gesto la lampadina rossa posta sopra la camera oscura che, accesa, indicava chiaramente che lì dentro c’era il nostro amico impegnato a fare il piccolo chimico.
-Com’è andata all’arena?-
Sollevò in aria il pass e assunse un’espressione che parlava chiaro:
-È stata un’odissea, per questi schifosissimi pass! Prima mi chiamano dicendo che sono pronti, poi sembra che io non sia sulla lista per ritirarli e di nuovo mostra il badge del negozio, il permesso del giornale…- la lasciai sfogare ascoltando attentamente ogni cosa, mentre la stampante produceva, una dietro l’altra, le foto della famiglia di Roger.
Dopo circa quattro minuti di sclero da parte della mia migliore amica, Chris uscì dalla camera oscura con ancora il tank per lo sviluppo del rullino in mano:
-Bentornata Tess, avevo immaginato che tutta la serie di imprecazioni fossero opera tua- fece con un sorrisetto
-Crepa!- fu la risposta che pose fine al dibattito, infatti la nostra collega afferrò le sigarette e uscì a fumarne una.
 
La mattina era trascorsa tranquilla, imprecazioni di Tess a parte. Una volta che il rullino si era correttamente sviluppato e asciugato Chris, come suo solito, aveva preso ad analizzarlo. Lo aveva scrutato tutto, dopo averlo adeguatamente diviso in parti più piccole, prima di chiamarmi:
-Ehm, Jane puoi venire un momento?-
Entrai chiedendo:
-Cosa c’è?-
Lui mi passò una delle strisce dicendo:
-Dà un’occhiata…-
Presi il rullino e lo guardai. Non ne capivo più molto di fotografia analogica, ma quel negativo parlava chiaro: erano foto di me e Roger, prima della sua partenza, quando eravamo vicini a metterci insieme.
In camera oscura entrò anche Tess:
-Che è successo?-
Chris glielo spiegò e lei mi guardò, cercando insensate parole di conforto:
-Magari non sei tu- disse con un’alzata di spalle. Sentii Chris sbuffare:
-Sono un esperto di negativi, ti so già dire come diventeranno tutte queste foto e ti posso garantire che è lei-
-Lo so, lo dicevo tanto per…- lasciò cadere la frase e poi nessuno disse niente, non c’era molto da dire.
Ripresi parola io:
-Sentite ragazzi, non è importante, magari neanche si ricordava di queste foto. Io per esempio non me ne ricordavo affatto. Oggi ho altro a cui pensare…- conclusi adagiando il negativo sul tavolo da lavoro di Chris.
Ed era vero, quel giorno avevo altro per la testa, per esempio a cosa aveva da dirmi Taylor quella sera.
 

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Capitolo 34
*** La sera ***


Prima di rincasare passarono parecchi minuti. Me ne ero rimasta giù, davanti all’ingresso del condominio, indecisa sull’espressione che avrei potuto assumere una volta varcata la soglia di casa. Mi ero scoperta più preoccupata del previsto riguardo a quello che aveva da dirmi Taylor,  anche se magari mi stavo facendo mille problemi mentali inutilmente. Insomma, se fosse stato qualcosa di veramente grave, importante o che riguardasse me in prima persona me lo avrebbe detto, no? Poteva anche essere dovuto al fatto che aveva scoperto di avere le emorroidi, infondo sono fastidiose….ok, non aveva senso!
Tuttavia ero agitata, immotivatamente agitata, tanto che mi ero messa a fumare una sigaretta prima di rincasare, cosa che non facevo mai perché volevo evitare di puzzare di fumo al mio rientro, infatti mi ritrovai a saltellare come un’idiota nella speranza di riuscire ad allontanare un po’ di quell’odore, ma senza risultati apprezzabili.
Alla fine mi arresi e mi avviai al mio appartamento, aprii la porta e trovai il televisore acceso sul canale sportivo, consuetudine in casa nostra, ma che da un po’ di giorni non accadeva più, sostituita da un Taylor vagamente depresso e malinconico.
-Ciao- lo salutai appena mi chiusi la porta alle spalle.
Lui comparve da dietro la parete dell’angolo cottura e mi salutò con un sorriso e un gesto della mano, per poi tornare a concentrarsi sui fornelli mentre ascoltava il giornalista che riassumeva, male, la partita appena conclusa.
Aspettai un paio di secondi prima di rendermi conto che non mi avrebbe detto niente di niente, in quel frangente, riguardo ciò che gli stava accadendo e mi diressi in camera mia per indossare qualcosa di più comodo.
Quando rispuntai in soggiorno lui mi fece cenno di sedermi e mi porse la cena.
Mangiammo contornando il tutto con un discorso consueto, cioè di come era andata la giornata lavorativa e su che novità ci fossero in giro per la città. Mi ritrovai anche a raccontargli di Roger. Ormai non aveva più senso non raccontargli cose del genere. Avevo accantonato la questione “Roger” e gli ultimi avvenimenti in quei due giorni me ne avevano dato una conferma e in fin dei conti la persona a cui stavo dicendo tutto quanto era Taylor. Non lo vedevo più solo come il mio coinquilino, ma come qualcosa di più importante e non solo per i sentimenti che avevo cominciato a provare per lui di recente. Convivevamo da quasi un anno e avevamo fatto amicizia talmente tanto in fretta da far sembrare quel periodo di tempo il doppio di quello che era in realtà. Conoscevo i suoi gusti musicali, le cose che gli davano fastidio, il colore che preferiva, la marca di birra che beveva e i programmi televisivi che detestava e la stessa cosa valeva per lui riguardo a me. Non mi era mai capitato di legare così tanto con qualcuno in così poco tempo, nemmeno con Tess e Chris, per questo volevo sapere che cosa gli stava succedendo, in modo da provare ad aiutarlo.
A fine pasto andò a prendere una birra in frigo, chiedendomi se ne volessi una anche io, ma rifiutai.
Quando tornò a sedersi, di fronte a me, calò un silenzio surreale che venne spezzato solo dalla sua birra che veniva stappata.
Rimasi a fissarlo mentre prendeva il primo sorso dalla bottiglia.
-Allora?- chiesi infine, curiosa e preoccupata allo stesso tempo.
-Sa di birra, ne vuoi un goccio?-
-Non fare il finto tonto, sai benissimo di cosa parlo, non avevi detto che stasera volevi parlarmi di quello che ti sta succedendo?-
Sorrise: -Non dimentichi proprio niente, vero?-
-No e tu lo sai. Se volevi evitare di raccontarmelo sperando che mi dimenticassi di questa faccenda hai proprio sbagliato... e sappi che ho usato una terminologia educata-
-Che non è quella che ti era venuta in mente, immagino-
-No, infatti-
Si mise a ridere un momento e bevve un altro sorso di birra.
-Allora, Taylor? c’è qualcosa che dovrei sapere?-
Sospirò, non sapevo se per colpa mia o della sua “confessione”, ma lo fece:
-Sì, c’è qualcosa che devi sapere…-
Mi parve che il tempo si bloccò, o qualcosa del genere. Sapevo soltanto che il mio cuore aveva cominciato a battere all’impazzata mentre il mio cervello sperava, invano, che il mio coinquilino dicesse frasi fatte da film su sentimenti che aveva capito di provare per me. Di certo io non sarei riuscita a dire niente, troppo persa nei suoi scurissimi occhi.
Cercai di apparire disinvolta:
-Spara- dissi soltanto.
Lui si passò una mano fra i capelli, con fare quasi infastidito, capii che qualunque cosa aveva da dirmi lo innervosiva per qualche motivo.
-Non so esattamente come spiegarlo, è la prima volta che mi capita una situazione del genere-
Ok, ora ero ancora più agitata!
Rimasi a guardarlo mentre cercava le parole, posando gli occhi su ogni singolo oggetto della nostra cucina e bagnandosi le dita con la condensa della birra.
Prese fiato prima di parlare:
-A lavoro mi hanno proposto di fare un master, o una cosa del genere, non ci capisco molto con tutti questi termini. So solo che dopo potrò realmente fare il grafico e non più solo l’assistente-
Le mie fantasie scoppiarono tutte, in un sonoro puff! Spontaneamente spalancai la bocca e mi ritrovai piuttosto delusa dalla sua affermazione.
Perché un master, o una cosa del genere (infondo con le sue spiegazioni ci capivo poco anche io), lo aveva preoccupato tanto in quest’ultimo periodo, di cosa diavolo aveva paura, di diventare troppo bravo? Era assurdo.
Mi accorsi che mi stava guardando e mi svegliai:
-Bè, ma è fantastico! E non sei contento?-
-Sì, direi di sì. Solo che… dura quattro mesi-
-Immagino che sia molto importante allora, visto quanto dura. Insomma, ok che hai già le carte in regola per fare il grafico e infatti non capisco perché ti costringano a fare questo corso, però se l’azienda vuole che tu lo compia e poi potrai fare finalmente quello che ti piace veramente, trovo stupido lasciarsi perdere questa occasione, o no?-
Mi guardò un momento. Mi sembrava ancora preoccupato e davvero non riuscivo a capire perché. Era stato sul punto di licenziarsi da quell’azienda perché lo avevano messo a sistemare i lavori di altri e ora, invece, gli stavano dando la possibilità di lavorare con i suoi progetti, doveva solo resistere quegli ultimi quattro mesi.
-Taylor ma c’è qualcosa che ti preoccupa di questa storia? Voglio dire: hai paura di sottoporti a questi quattro mesi di insegnamenti inutili, per te, e poi tornare a fare lo stesso lavoro di sempre?-
Alzò lo sguardo di scattò, sorpreso:
-No, questo no. Mi hanno già detto che quando avrò finito sostituirò Johan, che va in pensione-
-E allora perché hai quella faccia?-
-Il corso o chiamalo come ti pare, non è alla sede centrale, qui, ma nella filiale-
-Che sarebbe dove? A Brooklyn?-
-A Pittsburgh-
Venni attraversata da una fitta assurda e non riuscii a dire niente. Mi tornò in  mente il giorno in cui Roger mi disse che se ne sarebbe andato e vidi nella conversazione che stavo avendo con Taylor in quel momento, l’esatta fotocopia di nove mesi prima.
Che cazzo! Non aveva senso! Possibile che nella mia vita non ne filasse decentemente una? Era colpa del karma per caso? Oppure la mia vita era semplicemente una sceneggiatura scadente scritta da qualcuno di veramente infame?!
Riuscii a formulare una frase di senso compiuto dopo una serie di rumori senza senso:
-Pittsburgh? Stai scherzando? Quanto cavolo dista? Mille chilometri?!-
-Precisamente non lo so, ma sono circa sei ore di viaggio.Ho guardato su internet…-
Stavo per dire qualcos’altro di sconnesso e dal tono isterico, ma lui mi precedette, con voce rassicurante:
-Jane, sono solo quattro mesi, poi torno qui, tranquilla. Sapevo che la notizia ti avrebbe agitata un po’, per questo non sapevo come dirtelo…-
Mi avrebbe agitata?! Ovvio che la cosa mi avrebbe agitata!
Il mio coinquilino, che da un po’ speravo non rimanesse solo tale, se ne andava per quattro mesi in una città che non era New York, come poteva non agitarmi la cosa?
Dovevo far qualcosa, anche se non sapevo esattamente cosa e dissi la prima frase che mi passò per la testa:
-E l’appartamento? Come faccio senza di te se te ne vai?-
“Chissenfrega dell’appartamento!”
-Ci ho già pensato ad una soluzione, devi solo dirmi se ti è congeniale-
-Sarebbe?-
-Ti pago l’affitto per tutto il tempo che starò via, così non dovresti avere problemi e io potrò tornare qui appena finito a Pittsburgh-
Ok, sì, l’idea aveva senso, ma in quel momento l’appartamento era l’ultimo dei miei pensieri.
Abbassai lo sguardo e rimasi in silenzio, senza sapere esattamente che cosa dire.
Tutta quella situazione mi stava confondendo, parecchio. Non aveva il minimo senso e io mi sentivo presa per il culo da forze avverse. Cos’era? Colpa mia? Appena iniziavo a provare sentimenti per qualcuno quello doveva andarsene?
Taylor sarebbe tornato, sì, ma per uno come lui quattro mesi erano sufficienti per trovarsi una donna, magari proprio quella giusta. Faceva amicizia e colpo talmente in fretta che non mi sarei sorpresa se, il giorno del suo ritorno, mi avesse presentato una dicendomi: “Lei è la mia nuova ragazza”.
Merda! Non riuscivo a trovare un’altra parola per descrivere quella situazione.
-Jane senti, ho dovuto accettare, non avevo scelta. Anche a me dispiace parecchio andarmene. Credimi, non ne ho voglia-
Lo guardai. A giudicare dal suo sguardo forse era vero che non gli andava, ma perché? Era la sua buona occasione.
-E perché scusa? È la tua occasione Taylor, saresti stupido a fartela scappare, dopo che sei rimasto dei mesi a fare qualcosa che non ti piace…-
Si grattò il collo e diede un’occhiata all’appartamento:
-Onestamente la trovo un po’ una presa in giro. Sanno di cosa sono capace, non capisco perché pretendano che io segua quello stupido corso. È come se volessero allontanarmi…-
Si passò entrambe le mani sul viso, sospirando:
-Lasciare New York è l’ultima cosa che voglio. Non voglio lasciare questo appartamento, non voglio lasciare te…-
Il mio cuore saltò un battito a quelle parole e lo guardai più sorpresa del solito.
Quando lui si tolse la mani da davanti al suo viso puntò i suoi occhi scuri su di me. Quello sguardo stava diventando una maledizione, ogni giorno, sempre di più.
Rimanemmo a guardarci in silenzio. Era il momento giusto, quello che dovevo afferrare al volo per dare a lui una motivazione per non andarsene e rimanere con me, per dargli la mia motivazione.
Ma i momenti come quelli non durano mai più di brevissimi istanti e io non feci in tempo ad afferrarlo, neanche quella volta.
Guardammo entrambi la porta dell’appartamento quando, in quel silenzio, suonò il campanello.
 
 
 

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Capitolo 35
*** Il terzo incomodo ***


Taylor si alzò sospirando mentre la sua faccia assumeva un’espressione contrariata. Indubbiamente stava pensando la mia stessa cosa, ovvero che chiunque avesse suonato a quell’ora aveva scelto il momento meno opportuno.
Si avviò alla porta e io abbassai lo sguardo sul tavolo per cercare di riordinare i pensieri e farmi una ragione di quello che era appena successo.
Pittsburgh. Mi suonava ancora strano. Facevo fatica ad accettare una simile notizia perché sapevo che avrebbe complicato tutto. La distanza, i mesi, il fatto che lui sarebbe rimasto solo in un’altra città per tutto quel tempo, tutte queste cose contribuivano a rendere molto più complicato del previsto la situazione che stavo vivendo io, ovvero la mia intenzione di farmi avanti e dichiarare a lui i miei sentimenti, o almeno, provarci. Moltissime persone avrebbero visto quel suo allontanamento come un valido pretesto per fare la prima mossa, porre fine alle incertezze e farsi avanti, ma io non ero una persona del genere e non avevo tutto il sangue freddo che quelle situazioni richiedevano. Mi sentivo ad un bivio e mi conoscevo troppo bene per sapere che non sarei riuscita a prendere la strada giusta, anche se ci avessi provato.
Però ci avrei provato, di quello ero certa. Bisognava solo che la persona piombata in casa nostra in quel momento, si levasse dai piedi.
-Che ci fai qui?- sentii dire al mio coinquilino.
-Cosa credi che ci faccia qui? Mi fai entrare o no?-
Riconobbi subito quella voce e quell’atteggiamento: Rusty.
Il bellimbusto era solito comparire al momento meno opportuno, sempre e ovunque.
Spontaneamente mi passai una mano sulla fronte, consapevole che le cose, da lì a pochi minuti dopo, sarebbero solo degenerate con uno come Rusty in casa.
Taylor chiuse la porta d’ingresso e dopo una serie di passi entrambi comparirono in soggiorno, in modo che li potessi vedere anche io. Mi alzai e Rusty mi notò:
-Oh, Jane. Che piacere rivederti. Ti trovo in forma, sai?-
Se c’era una cosa che non mi sentivo in quel momento era proprio “in forma”.
Lo salutai con un sorriso forzato e un “Hei” e quello tornò a concentrarsi su Taylor:
-Allora, non mi dici niente?-
-Cosa dovrei dirti, scusa?-
-Taylor, Taylor… credi che non sappia del tuo trasferimento?-
Il moro sgranò gli occhi, sorpreso:
-Come fai a saperlo? Non l’ho detto a nessuno. Jane è l’unica a cui l’abbia raccontato e gliel’ho detto cinque minuti fa-
Rusty fece un’espressione eloquente e contornò il tutto con un sorriso:
-Che vuoi che ti dica? Io so sempre tutto-
Taylor lo guardò serio finché l’altro non scoppiò a ridere e svuotò il sacco:
-D’accordo, me lo ha detto Norah-
-Chi?- intervenni io.
Il biondo si voltò verso di me e ammiccò un sorriso vagamente malizioso, come a dire “So che sei gelosa”. La riposta me la diede Taylor:
-È una mia collega di lavoro-
-Già, me l’ha presentata lui, ragazza stupenda, credo proprio di essermi innamorato-
-Quelli come te non si innamorano- fu la sentenza dell’amico, a cui Rusty rispose con una sonora risata e un:
-Può essere-
Dopodichè passò in rassegna me e il mio coinquilino per un paio di volte, osservandoci dalla testa ai piedi:
-Non avete una gran cera. Stavate litigando?-
-No!- esclamai, pentendomene quasi subito.
-Stavamo appunto parlando del mio temporaneo trasferimento, prima che tu arrivassi e ci interrompessi- disse Taylor
-Oh, andiamo. È solo un trasferimento ed è solo di quattro mesi, cosa vuoi che succeda?- fece Rusty.
Il moro sbuffò e si guardò intorno:
-Magari a me l’idea non va a genio. Non ci hai pensato al fatto che mi senta preso per il culo? O al fatto che possa avere dei buoni motivi per rimanere a New York?-
Il suo amico guardò me, non so se per cercare manforte o per quale altro misterioso motivo, ma lo fece prima di rispondere:
-Sono solo quattro mesi. Se non lo fai ti conviene cercarti un altro lavoro, perché di certo io non rimarrò ad ascoltarti mentre, ubriaco, ti lamenti di quanto facciano schifo i lavori che devi sistemare e di quanto i tuoi siano migliori-
Sentii l’altro pronunciare un “Merda” fra i denti.
Poi fui chiamata in causa:
-Tu cosa gli hai suggerito, Jane?-
Mi voltai prima verso Rusty poi verso Taylor.
Cosa gli avevo suggerito? Di non fare cazzate e cogliere quell’occasione, in fin dei conti chi ci rimetteva ero io e me lo sentivo. Per quanto mi scocciasse ammetterlo, Rusty aveva ragione. Se il mio coinquilino non avesse approfittato di quell’opportunità, per poi sostituire il suo collega, avrebbe fatto meglio a cercarsi un altro lavoro e avrebbe solo faticato il doppio. Si trattava di quattro mesi non erano così tanti quanti potevano sembrare.
-Più o meno quello che gli hai detto tu…-
Il biondo si voltò verso l’amico:
-Visto? Se non vuoi dare retta a me, almeno dai retta a lei- poi gli si avvicinò: -È la tua occasione, bello. Vuoi lasciartela sfuggire così? Resisti questi quattro mesi e poi vedrai che tutto sarà come te lo sei sempre immaginato. La gente vedrà i tuoi lavori su ogni fottuto cartellone pubblicitario della città-
In quel momento non mi sorprese il fatto che Rusty facesse il banchiere: era bravo ad incantare le persone.
Ma Taylor non cascava in quel trucco, in quelle frasi fatte, lo si capiva dal suo sospiro e dall’espressione:
-È un gran presa per il culo, lo sai questo? Loro lo sanno che cosa sono in grado di fare, non mi serve questo corso, soprattutto in un’altra città che non è la mia città-
Anche Rusty sospirò: -Sì, lo immagino. Ma loro vogliono comunque che tu faccia questo stupido corso quindi…Poi, hei, parti fra quattro giorni, fai in tempo a ripensarci, mandarli al diavolo, licenziarti e cercarti un altro lavoro-
“Come quattro giorni?”. Il tutto mi prese dannatamente alla sprovvista e una vagonata di mattoni mi precipitò in testa, o almeno, mi sentii come se mi fosse successo.
Taylor mi lanciò una rapida occhiata da sopra la spalla dell’amico, per poi tornare a guardarlo:
-Sai che non mi conviene farlo- disse infine.
-Allora tu smettila di preoccuparti. È l’ultimo sforzo che ti viene richiesto, stringi i denti e sopporta. Poi torni qui, nel tuo bell’appartamento, con la tua stupenda coinquilina…-
“Ti pareva!”
-E tutto torna come al solito- concluse con un sorriso.
Il moro si passò una mano fra i capelli e disse:
-È che mi fa incazzare-
-Lo so-
-E parecchio-
-Lo so-
Rimasi a fissarli mentre si guardavano in faccia. Mi ricordarono me e Tess, forse perché lei riusciva sempre a motivarmi quando ne avevo più bisogno. Dovetti ammettere, però, che avrei voluto esserci io al posto di Rusty.
Quest’ultimo si voltò verso di me all’improvviso:
-Ti dispiace se te lo rubo?-
-Cosa?- dicemmo all’unisono sia io che Taylor, il quale continuò:
-Per fare che?-
-Ci andiamo a prendere una birra, uno scotch, quello che ti pare- rispose il biondo.
-Ma veramente…-
-È meglio se vai Taylor. Non lo schiodi di qui altrimenti- intervenni, anche se controvoglia, ma sapevo di avere ragione.
Il moro sospirò e si rivolse all’amico:
-D’accordo, lascia che mi cambi- e scomparve in camera sua.
-Ti sentirai un po’ sola prossimamente, immagino- mi chiese Rusty dopo un po’
-Ma tu non ti eri innamorato?-
Lui scoppiò a ridere e si voltò a guardarmi:
-Touché- dopo un attimo di silenzio riprese parola: -Ma, seriamente, se dovesse servirti della compagnia possiamo anche vederci ogni tanto, infondo anche io rimarrei senza il mio migliore amico per quattro mesi-
Annuii con la testa nel momento esatto in cui Taylor ricomparve dalla sua stanza. Rusty si diresse alla porta dopo avermi lanciato un’occhiata e il mio coinquilino si avvicinò a me:
-Ne riparliamo domani-
-Taylor, spiegami cos’altro c’è da dire?- gli chiesi alzando gli occhi su di lui.
-Qualcosa ci sarà sicuramente- disse facendo un gesto vago.
Venne chiamato dall’amico e mi salutò con un “Ciao” frettoloso e un bacio sulla guancia, poi se ne andò.
Rimasi a fissare la porta per un bel po’ prima di scuotere la testa e cercare di riordinare i pensieri. La casa così vuota mi parve fin da subito un’orrenda maledizione e l’idea di doverla vivere così per altri quattro mesi mi fece rabbrividire. In verità non era la casa vuota a spaventarmi, ma l’idea che Taylor se ne sarebbe andato e che là, a Pittsburgh, avrebbe potuto trovare una vita migliore, o una ragazza più furba della sottoscritta. Mi si formò un orrendo nodo alla gola e in preda alla frustrazione più totale afferrai il telefono e composi il numero della mia migliore amica, che rispose al terzo squillo.
-Pronto?- chiese con voce seccata
-Ho bisogno di parlarti…- dissi io e sentii la mia voce tremare.
Anche Tess dovette accorgersene, perché da seccata la sua voce assunse un tono chiaramente preoccupato.
-Jane, che ti è successo?-
Non riuscii a reggere oltre. Prima di poter riprendere parola ero già scoppiata a piangere.
 

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Capitolo 36
*** Foto a colori ***


La mattina ero assente, completamente assente. Me ne stavo seduta davanti al computer a cercare di lavorare, ma il risultato era solo un patetico tentativo di ritaglio che finivo sempre per annullare. Dopo che Rusty aveva portato via Taylor, la sera prima, mi ero sfogata al telefono con Tess. In verità avevo pianto e basta, come una stupida liceale che scopre che il ragazzo per cui ha una cotta si è appena trovato la fidanzata. Tuttavia non ero riuscita a formulare nulla di sensato per descrivere le mie emozioni ed avevo cominciato a piangere e basta, senza sosta. Finii con il pensarci anche in quel momento, dentro al mio studio di fotografia con i miei colleghi che continuavano a lanciarmi occhiate. Mi sentivo meglio rispetto al giorno prima ma ero ancora abbastanza confusa. Detestavo scoprire troppe cose all’improvviso e invece ecco che era successo anche stavolta: Taylor partiva fra tre giorni per starsene via quattro mesi. Sapevo che dovevo fare qualcosa prima che fosse troppo tardi, ma se ci pensavo finivo irrimediabilmente per provare una grande ansia e mi agitavo inutilmente.
Sospirai ancora una volta annullando l’ennesimo ritaglio mal riuscito.
-Scopatelo-
Il commento arrivò con il tono più rilassato del mondo, inutile dire da parte di chi. Mi prese alla sprovvista e abbandonai i miei pensieri, ma soprattutto prese alla sprovvista Chris, che per poco non fece cadere la sua preziosa reflex analogica che teneva in mano.
-Prego?- chiesi alla mia amica.
-Hai capito benissimo. Invece di stare a farti problemi fai qualcosa-
-E cosa ti fa pensare che quello che secondo te dovrei fare potrebbe aiutarmi?-
Lei alzò le spalle:
-Bè, se non dovesse aiutare almeno ti diverti un po’. Non sopporto vederti così-
Il nostro collega guardò prima me poi Tess, infine, dopo essersi ricomposto da vero gentiluomo, ci chiese:
-C’è qualcosa che dovrei sapere anche io?-
-Sì- rispondemmo all’unisono noi due.
 
Raccontammo tutto a Chris. Io gli parlai di quello che mi aveva detto Taylor, cioè del suo trasferimento, gli dissi che Rusty era comparso al momento peggiore, che aveva portato a bere il mio coinquilino  e che questo era rientrato a notte fonda sbattendo la porta. Tess invece si prese l’incarico di dirgli della mia telefonata. Il ragazzo ci ascoltò attentamente, come da sempre era abituato a fare, infine prese parola:
-Mi scoccia ammetterlo ma questa volta devo dare ragione a Tess-
Lei si voltò verso di me:
-Visto? Ho ragione, devi sc…-
L’altro non la lasciò finire:
-Per carità, non mi riferivo a quello. Mi riferivo al fatto che devi farti avanti, Jane. Hai detto che parte fra tre giorni, no?  Non devi costringerlo a rimanere a New York, devi solo fargli capire che ha un buon motivo per tornare-
Lo guardai in quei suoi occhi celesti che da sempre mi regalavano tanta tranquillità, ricominciò a parlare dopo avermi sorriso:
-Non devi perdere questa occasione, usa qualunque  mezzo, qualunque scusa, qualunque cosa possibile per dirglielo, ok? Se poi vuoi proprio usare la “tecnica” di Tess fai pure, ma te lo sconsiglio-
Lei si fece notare con un verso di disapprovazione e i due iniziarono immediatamente a battibeccare. Scoppiai a ridere guardandoli, adoravo quei due. Tuttavia, prima che potessero interrompere il loro teatrino, qualcuno entrò in negozio e appena mi voltai vidi Roger.
-Hei- mi salutò
-Ciao- risposi.
Sentii Tess e Chris smettere immediatamente di discutere e salutarono Roger anche loro, per poi tornare a dedicarsi alle loro faccende fingendo che, poco prima, non stessimo parlando di niente.
-Sei venuto a ritirare le foto, giusto?- chiesi poi a Roger, che annuì per rispondere.
Andai dietro al bancone e presi le due buste contenenti il suo materiale:
-Allora, eccole qua. Queste sono quelle della macchina fotografica digitale- gliele passai in modo che potesse vederle.
-E queste sono quelle della macchina a pellicola- e gli diedi anche quelle.
-Ci credi che non ho assolutamente idea di cosa ci fosse in quel rullino?- mi chiese sorridendo
-Immagino- risposi.
Lo guardai mentre estraeva le foto e le osservava una ad una, assumendo un’espressione sorpresa.
-Oh, cavolo. Questo è abbastanza imbarazzante…- disse dopo un po’, vedendo che si trattava di foto di noi due quando ci frequentavamo prima della sua partenza.
Gli sorrisi cercando di fargli capire che non era una cosa tanto grave, ma lui riprese parola prima di me:
-Non lo avrei mai detto, spero non sia stato un problema-
-Non preoccuparti Roger-
Mi pagò per il lavoro e poi fece per avviarsi. Sentivo gli occhi di Tess e Chris puntati su di me, i loro sguardi furtivi da dietro le postazioni da lavoro, così per cercare anche di distrarmi accompagnai Roger fuori dal negozio. Appena uscimmo mi accesi una sigaretta, la prima della giornata.
-È tutto a posto?- mi chiese il ragazzo dopo svariati secondi di silenzio da parte mia.
Ci pensai su prima di rispondere:
-Più o meno-
-Posso fare qualcosa?-
Ancora aspettai prima di rispondergli. Volevo veramente un consiglio dal mio quasi-ex? Forse.
In fin dei conti volevo che noi due continuassimo ad essere amici e questo significava renderlo ancora partecipe della mia vita. Tanto sapeva sicuramente che ero interessata ad un altro, se c’era una cosa che mi era sempre piaciuta di Roger era la sua astuzia.
-Potresti- iniziai
-Allora avanti…- mi incoraggiò.
Respirai profondamente prima di parlare, cercando il modo migliore per formulare la domanda:
-Cosa faresti se la persona per cui provi dei sentimenti dovesse andare via prima che tu possa dirgli che… si, bè, che ti piace?-
Mi guardò un momento e mi sentii avvampare. Se avesse frainteso le cose si sarebbero messe male. Invece lo vidi sorridere prima di chiedermi:
-Si tratta di Taylor, vero?-
Lo guardai sorpresa e annuii con la testa.
-Lo avevo immaginato che si trattasse di lui. Si capisce dal modo in cui lo guardi che ti piace-
“Spaventosamente astuto! Mette quasi paura. E io che credevo che gli uomini non ci arrivassero a capire queste cose di cuore…”.
-Jane, non c’è un modo migliore per dire a qualcuno che sei interessata, lo devi dire e basta-
-E se non avessi molto tempo per dirglielo? Facciamo finta che io abbia, non so, tre giorni?-
-Perché? Hai solo tre giorni?-
Feci un’espressione vaga e mi uscirono dei versi insensati. Alla fine mi ritrovai a raccontargli tutto, inspiegabilmente.
 
Roger mi ascoltò attentamente dall’inizio alla fine, annuendo con la testa o dicendo qualche “Ho capito” di tanto in tanto. Mi sembrava di essermi tolta un peso non appena finii di dirgli tutto, ma ero abbastanza agitata mentre aspettavo la sua reazione. Sospirò e mi sorrise, poi disse:
-Non ti rimane molto tempo-
Lo guardai non sapendo cosa dire, finché non ricominciò a parlare:
-Credo che tu debba farti avanti, dire a Taylor quello che provi-
-È lo stesso consiglio che mi state dando tutti da settimane ormai- sbuffai
-Forse perché è il consiglio giusto-
Abbassai lo sguardo e poco dopo disse:
-Non lasciare che le cose prendano la piega sbagliata o te pentirai. Hai idea di quanto mi sia pentito io quando mi sono trasferito senza riuscire a dirti quello che provavo?-
Mi colse alla sprovvista e lo guardai subito. Mi sorrise:
-Non fare il mio stesso errore-
Non sapevo come rispondergli, ma qualcosa dovevo pur dire:
-Roger, ascolta, io…- mi interruppe
-Jane, fra di noi è andata così e, credimi, ne sono dispiaciuto, soprattutto perché sento che la colpa è mia. Me ne sto facendo una ragione e se proprio devo essere sincero, correndo il rischio di sembrare melenso, ora voglio che tu sia felice. Se Taylor ti rende felice allora glielo devi dire. Ti aiuterei di più, ma sai anche tu che più di così non posso -
Feci di sì con la testa un paio di volte prima di puntare i miei occhi nei suoi ambrati. Non provavo altra sensazione se non una strana forma di gratitudine per quello che mi aveva appena detto. Solo nei film si potevano incontrare personaggi del genere e non avevo assolutamente idea di chi ringraziare per avermi fatto conoscere uno come Roger nella vita reale. Dopo quello che aveva detto sentivo che saremmo rimasti buoni amici o, meglio, che rimanere buoni amici non era più una semplice utopia.
-Grazie- dissi infine, con una voce che non sembrava neanche la mia.
Lui mi sorrise e mi passò una mano fra i capelli, come non faceva più da tempo:
-Fatti coraggio, d’accordo? E fammi sapere come va a finire, magari davanti ad un caffè-
Gli sorrisi:
-Volentieri-
Estrasse dalla sua borsa la busta contente le fotografie che aveva fatto sviluppare a Chris e me la porse:
-Tienine una, in onore dei vecchi tempi-
Le sfogliai tutte e infine ne scelsi una che avevamo scattato a Central Park, in un pomeriggio soleggiato. Sembravamo due quindicenni sovrappensiero ed avevamo un’espressione così rilassata da far sembrare la panchina su cui eravamo seduti il posto più bello in cui stare.
Gli mostrai la foto prescelta e lui disse:
-Allora è tua-
Lo abbracciai ringraziandolo ancora di tutto e quando ci salutammo e lo guardai allontanarsi, sempre vestito di gran classe, mi sentivo felice.
 
La sera rientrai in casa ottimista dopo i consigli di Tess, Chris e Roger. La mia migliore amica mi aveva detto “Stranamente apprezzo Roger in questo momento” e Chris aveva sottolineato il fatto che se anche il mio quasi-ex mi aveva detto che dovevo darmi una svegliata, allora era palese che dovevo farmi avanti. Tuttavia appena girai la chiave nella serratura l’ansia mi avvolse completamente. Entrai facendomi forza e non appena incrociai lo sguardo di Taylor sentii in cuore partire a mille.
“Iniziamo bene” pensai.
-Prima che mi dimentichi- attaccò Taylor dopo avermi raggiunto nella mia stanza.
-Dimmi-
-Mi accompagni in aeroporto quando parto?-
-E Rusty?-
-Non mi fido di lui. Correrei il rischio di perdere il volo se lo dovessi aspettare. Però se hai da fare ci vado da solo-
-No, no, nessun problema, ti accompagno io-
-Grazie mille- detto questo scomparve in soggiorno e lo sentii urlare che se volevo la cena era pronta.
Trascorremmo una serata tranquilla, solo noi due. Mentre non guardava staccai addirittura il telefono per evitare che qualcuno ci interrompesse.  Cenammo parlando di tutto quello che ci passava per la mente, lasciando il lavoro fuori da qualsiasi discorso. Ci ritrovammo a parlare di serie televisive scadenti  e di attori da quattro soldi, per poi passare a discutere di invasioni aliene e quant’altro.
Provai anche a farmi avanti più di una volta per cercare di dirgli quello che provavo, per trovargli una valida motivazione per ritornare in fretta a New York, come diceva Chris. Ma ogni volta che attaccavo con “Senti Taylor” e lui si voltava a guardami le parole mi morivano in gola e finivo sempre con il chiedergli cose che in realtà non mi interessavano. Verso l’una di notte ero troppo stanca per ragionare e avevo deciso di posticipare il mio tentativo di dichiararmi al giorno dopo, che avevo soprannominato come il giorno “Meno due”. Eravamo seduti sul divano, uno accanto all’altra, io avevo la testa sulla spalla di Taylor e faticavo a tenere gli occhi aperti.
-Jane, forse è meglio se vai a dormire- mi disse lui dopo un po’, con un tono a metà fra il dolce e il divertito.
Mugugnai solo un “Mh” e lui si mise a ridere:
-Decisamene è meglio se vai a dormire-
-Adesso vado… è solo che… c’è una cosa che devo dirti-
-Me la dirai domani, c’è tempo-
Non risposi, avevo troppo sonno. Glielo avrei detto domani.

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Capitolo 37
*** Duecentoquaranta minuti ***


Aprii gli occhi in concomitanza con la mia radiosveglia, che si accendeva e faceva pronunciare qualcosa ai cronisti. Mi passai una mano sul viso e cercai di riordinare i pensieri.
“Merda”.
Sì, non mi venne parola più azzeccata. Era il giorno della partenza di Taylor, il fatidico giorno in cui il mio coinquilino sarebbe salito su un aereo per Pittsburgh e mi avrebbe lasciata sola per quattro mesi.
Mi sedetti sul bordo del letto e rimasi in ascolto dei rumori provenienti dal soggiorno.
Non gli avevo ancora detto ciò che provavo e non sapevo esattamente cosa stavo aspettando per farlo.
Tuttavia, nei giorni precedenti, non è che avessi avuto molte occasioni. Prima perché Rusty ci aveva invitati ad una “Cerimonia di addio” di cui ricordo decisamente poco a causa dei cicchetti alcolici che si sono susseguiti e in cui non doveva essere successo niente degno di nota poiché, fra me e il mio coinquilino, le cose andavano come al solito. Il giorno prima invece lo avevamo trascorso in compagnia di Tess e Chris e anche loro due non mi avevano aiutata più di tanto a farmi avanti.
Decisi di alzarmi dal letto e cominciare a vestirmi. Avrei dovuto accompagnare Taylor in aeroporto e questo mi dava tempo per pianificare una mossa, magari che fosse efficace.
Fatto sta che dovevo darmi una svegliata, perché il pensiero che lui partisse senza che io gli avessi detto quello che provavo non mi piaceva assolutamente. D’altro canto l’idea di farmi avanti mi terrorizzava e il fatto che i miei numerosi tentativi, numerosi davvero, fossero miseramente falliti uno dopo l’altro ne era la dimostrazione.
Mi vestii e uscii dalla mia stanza, trovando il soggiorno sottosopra.
-Riordino appena torno!-
L’esclamazione arrivò dalla camera del mio coinquilino. Mi voltai verso di lui e lo guardai di traverso:
-Mi stai dicendo che dovrei vivere quattro mesi in questo caos?-
-Bè, se proprio non ti va puoi sempre riordinarlo- mi sorrise e gli diedi un pugno sulla spalla.
-Buongiorno Jane- disse.
Feci colazione con la prima cosa che trovai nella dispensa e bevvi una tazza stracolma di caffè nella speranza che, stimolandomi, potesse aiutarmi a fare la mia dichiarazione, che negli ultimi tre giorni era diventata la priorità su tutto.
Il suo volo partiva alle dieci e uscimmo di casa piuttosto presto per tentare di evitare il traffico.
-Hai preso tutto?- gli chiesi appena mi chiusi la porta alle spalle.
Lui parve pensarci:
-Direi di sì. Al massimo se ho dimenticato qualcosa lo compro là…-
-Sei contento di partire?-
-Assolutamente no. Ma almeno prima parto e prima ritorno qui- si voltò a guardarmi e pensai che fosse il momento giusto per provare di nuovo a dirgli tutto:
-Senti, Taylor…- venni interrotta.
-Oh, Taylor! Allora è stamattina che parti?- la fastidiosa voce uscì dalla signora Grace, la nostra vicina ficcanaso.
-Grace, buongiorno- la salutò lui e lei cominciò a tempestarlo di domande.
Riuscii a trarlo in salvo con la frase “Dobbiamo andare o perderai il volo” e scappammo giù dalle scale come se fossimo inseguiti da un serial killer.
Salimmo in macchina e ci avviammo verso l’aeroporto.
Taylor accese la radio e fece un po’ di conversazione, ma quando guidavo diventavo piuttosto irascibile e non ero della compagnia migliore, anche se il mio coinquilino mi trovava sempre molto esilarante.
Arrivammo in aeroporto quando mancava poco più di un’ora per la partenza del suo volo. Eravamo in estremo ritardo, tutta colpa della signora Grace!
Taylor diede un’occhiata in giro, cercando il posto per il suo check-in e quando lo trovò ci avviammo là insieme.
Le procedure dei voli aerei erano di una noia mortale: “Mi mostra un documento, prego?”, “Quella è la sua valigia?” eccetera. Nel tempo che trascorse dall’inizio alla fine del check-in del ragazzo cercai di pensare ad un modo efficace per parlare con lui prima che si imbarcasse e fosse troppo tardi, perché sapevo che se fosse partito sarebbe stato troppo tardi, ma non mi veniva in mente niente.
C’era la versione “Ti prego, non partire” classica dei film con i finali negli aeroporti, oppure quella “Promettimi che tornerai da me” che in verità era più drammatica e adatta ai film di fantascienza.
Sospirai, nessuna scena da film poteva aiutarmi nella vita vera, nessuna.
-È tutto a posto?- mi chiese improvvisamente Taylor risvegliandomi dai miei insensati ragionamenti:
-Ah? Sì, ero solo sovrappensiero, scusami-
-Ho capito- mi mostrò la sua carta d’imbarco: -La prima parte è fatta, andiamo al gate?-
Annuii e lo seguii verso il gate, il punto in cui sapevo che ci saremmo dovuti separare. Sentivo dentro di me l’ansia che cresceva, ero terrorizzata a morte all’idea di non riuscire a fare nulla, ma altrettanto terrorizzata all’idea di dover fare qualcosa e soprattutto di dovermi muovere per farlo.
Raggiungemmo il gate e lui si voltò a guardarmi:
-Ok, è meglio se mi imbarco-
Feci segno di sì con la testa e abbassai lo sguardo. Se non fossimo arrivati tanto tardi avrei avuto più tempo, ma dovevo comunque fare qualcosa:
-Mi mancherai, lo sai?- chiesi con un filo di voce.
Alzai gli occhi su di lui e una fitta mi attraversò quando vidi i suoi, così scuri, osservarmi seri:
-Anche tu Jane- disse.
-Grazie per avermi accompagnato fin qui, davvero- riprese dopo un po’, sorridendomi.
-Nessun problema. Almeno per il tuo ultimo giorno in terra newyorkese volevo esserci-
-Lo sai che non sarà l’ultimo-
Lo guardai:
-Lo spero-
Abbassai lo sguardo quando capii che era calato il silenzio. Dall’altoparlante dell’aereo vennero invitati i passeggeri del volo diretto a Pittsburgh a salire e io mi preparai a salutare Taylor cercando di dirgli qualcosa, qualunque cosa.
Ma quando tornai a guardarlo lui si stava avvicinando a me. Mi aspettai che mi desse l’ennesimo bacio sulla guancia, come da un po’ aveva cominciato a fare e quasi mi sentii svenire quando posò le sue labbra sulle mie.
Mi diede un semplice e leggero bacio sulla bocca, che non durò molto e che assaporai tutto. Quando si allontanò da me, mi sorrise:
-Stammi bene-
Lo guardai senza sapere cosa dire e dopo un nuovo sorriso e un “Ciao” appena sussurrato lui si allontanò.
Si fece largo fra le persone e mostrò la carta d’imbarco al gate.
“Merda! Fermalo, fai qualcosa! Datti una mossa, svegliati!”. Quasi urlai nella mia testa.
Quando mi ripresi dal mio momento di nulla cercai Taylor fra la folla, decisa a fermarlo, ma non lo vidi più.

 
 ***

Inutile dire che mentre bevevo un caffè al bar dell’aeroporto mi diedi mentalmente della deficiente, per usare un eufemismo, un’infinità di volte. Mi aveva baciata e io cosa avevo fatto? Lo avevo lasciato andare!
Avrei dovuto dirgli di restare con me, di mandare al diavolo il suo lavoro, avrei potuto assumerlo nel mio studio. Sospirai e mi alza dalla sedia. Erano le dieci passate, avevo scollegato il cervello troppo intenta a mandarmi a quel paese da sola e non avevo assolutamente sentito il volo di Taylor partire.
Mi avviai verso l’uscita pensando a quanto sarebbe bello se fossi la protagonista di un film. Sarebbe stato tutto molto più semplice. Mi sarei dichiarata a Taylor senza problemi, saremmo già finiti a letto un paio di volte e prima della sua partenza ci saremmo detti un sacco di cose smielate incuranti di essere in mezzo ad una moltitudine di persone. Mi venne da ridere a pensarci. Se tutto quello che non era stato possibile era solo colpa mia. Avrei dovuto prepararmi alle imprecazioni di Tess e alla manforte che le avrebbe dato Chris, ma, infondo, me l’ero cercata.
Ero quasi arrivata all’ingresso quando sentii la sua voca:
-Jane-
Scossi la testa, convinta di essermelo solo immaginata, o convinta che il mio cervello mi stesse proiettando un altro finale da film in cui lui rincorre lei e le dice di averla sempre amata.
-Jane!-
“Di nuovo? Ok, cervello, io e te dobbiamo parlare”
Una mano si appoggiò alla mia spalla e mi voltai. Mi trovai davanti Taylor intento ad osservarmi:
-Meno male che sono riuscito a raggiungerti- disse e si mise a ridere.
-Che ci fai qui?- gli chiesi incredula.
Fece spallucce:
-Mi hanno posticipato il volo, ci sono dei problemi. Ho provato a chiamarti ma non hai risposto-
Alzai lo sguardo verso i monitor e vidi che il suo volo era veramente posticipato, di quattro ore.
-Ho… ho il cellulare in borsa, scusami-
-Nessun problema-
Lo guardai e lui mi sorrise, mi sentii avvampare ma non mi importò.
-Ti va di farmi compagnia finché non parto?- mi chiese.
-Certo-
-Fantastico! Andiamo a prenderci un caffè-
Annuii e gli sorrisi.
Vederlo ancora lì, davanti a me, mi fece capire che non potevo comportarmi da persona testarda ed infantile in eterno. Avevo un’altra possibilità di fermare Taylor ed impedirgli di uscire dal mio mondo e l’avrei sfruttata. Non mi importava il modo in cui glielo avrei detto, il tono della voce che avrei assunto, il numero di volte che mi sarei bloccata nel dirglielo, non mi importava niente, lo avrei fermato, gli avrei impedito di andarsene dalla mia vita.
Mentre ci avviavamo verso il bar dell’aeroporto, uno accanto all’altra, mi mise un braccio intorno alle spalle e mi strinse a sé. Mi sentii mancare il respiro per quel gesto inaspettato, ma ne fui piacevolmente sorpresa.
Presi forza e, dentro di me, iniziai a pensare a cosa dire al moro per fargli capire i miei sentimenti e le mie emozioni.
Avevo quattro ore, solo quattro ore, duecentoquaranta minuti.
Non erano tanti e lo sapevo, ma ce l’avrei fatta!
Infondo, come dicevano i Beatles:
“…one minute, it’s a long time…”
 
 
-Taylor… c’è una cosa che devo assolutamente dirti…-
 
 
 


Ebbene, eccoci alla fine.
Innanzitutto permettetemi di dire che sono perfettamente consapevole di non aver scritto niente di nuovo. Si tratta di una classica commediola all’americana leggera incentrata su una situazione di cuore, come se ne trovano tante in giro, tuttavia sono contenta di averla scritta e se tornassi indietro la pubblicherei di nuovo.
Ora, vorrei davvero ringraziare di cuore tutti voi che siete arrivati a leggere fin qui, proprio fin qui, fino a questo punto. La mia storia ha ricevuto molte più attenzioni di quelle che mi sarei potuta immaginare e questo mi ha spronata a continuare. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno lasciato una recensione (positiva, neutra o negativa che sia) in particolare MomoHope e Novalis che sono state così carine da perdere, per me, parte del loro tempo ad ogni mia nuova pubblicazione.
Il mio racconto è finito, ammetto che i personaggi mi mancheranno perché mi ci sono davvero affezionata molto, a ciascuno di loro, anche il più insignificante. Non nego che mi piacerebbe scrivere qualcos’altro usandoli come protagonisti, ma non garantisco niente, perché ho nuove storie che mi ronzano in testa, differenti da questa.
Concludo ringraziando tutti i lettori ancora una volta, grazie mille a tutti, davvero.
 
Alla prossima ;)
MadAka
   

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