L'alchimista di anima e spada di Rakyr il Solitario (/viewuser.php?uid=12729)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Intro ***
Capitolo 2: *** 1: Steel and blood ***
Capitolo 3: *** 2: La prima visita del diavolo ***
Capitolo 4: *** 3: A black coat and a burial cross ***
Capitolo 5: *** 4: Il passato che non muore ***
Capitolo 6: *** 5: Ashes and dust ***
Capitolo 7: *** 6: Uno sguardo indietro nel tempo ***
Capitolo 8: *** 7: A lone wolf and a home ***
Capitolo 9: *** 8: Legge inesistente ***
Capitolo 10: *** 9: Soul of metal ***
Capitolo 11: *** 10: Incontro col destino ***
Capitolo 12: *** 11: something you can't run away to ***
Capitolo 13: *** 12: Ciò per cui combattere ***
Capitolo 14: *** 13: A fool or a lionheart ***
Capitolo 1 *** Prologo: Intro ***
Prologo:
Intro
Si dice
che
l'alchimia sia l'arte perfetta, che può mutare, distruggere,
plasmare.
Tuttavia la
sua più grande lacuna è quella
dell'impossibilità di creare: un pezzo di ferro
non può essere evocato dal nulla...nemmeno una goccia
d'acqua può apparire come
per incanto.
Per
ottenere qualcosa si deve dare in cambio qualcosa di ugual valore,
questo è il
principio dello scambio equivalente su cui si fondano le basi
dell'alchimia.
Tuttavia
fin da quando ciò esiste le persone hanno sempre cercato
qualcosa che
permettesse loro di infrangere questa fondamentale quanto a volte
fastidiosa
legge.
Quel
qualcosa è la Pietra Filosofale, il cui potere trascende la
comprensione umana,
sarebbe così grande da riuscire a resuscitare il corpo e
l'anima dei morti.
Infatti
questo è il maggior tabù dell'alchimia, ed
infrangerlo significherebbe creare
un homunculus, una creatura semi immortale, non umana, che
può morire solo
davanti ai resti del suo originario corpo mortale e che non ricorda
nulla della
sua precedente vita.
Tuttavia il
prezzo per creare questa misera crudele imitazione di un defunto
è enorme, e se
si è fortunati consiste nella perdita di uno o
più arti, o alla morte stessa.
Però,
anche
se mutilati, da quel momento si conoscono tutti i principi ed i segreti
di
questa arcana scienza al massimo, permettendo loro di potere eseguire
una
trasmutazione senza bisogno di disegnare un cerchio alchemico.
Alcuni di
questi sono i fratelli Edward ed Alphonse Elric, oltre alla loro
insegnante
Izumi, che infransero quell'odiato tabù per riportare in
vita le persone a loro
più care.
Esistono
però anche persone che hanno queste conoscenze in mente fin
dalla loro nascita,
questi geni dell'alchimia di cui è difficile conoscere il
numero esatto sono
sparpagliati par tutto il mondo ed è attorno ad alcuni di
loro che la storia di
cui vado a narrare parla.
Siate
pronti a tutto, perché il loro viaggio si perde per le
mistiche nebbie
dell'incredibile.
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Capitolo 2 *** 1: Steel and blood ***
1: Steel and blood
“Perso in questo
mondo,
totale straniero,
morire per la
spada è un
pericolo comune”
Dragonforce – Once
in a
lifetime
-Maestro!-
-Scappa!-
-Ma…-
-Niente
obiezioni, vai ora!-
-Voglio…-
-Ti ordino
di fuggire!-
-Maestro…la
vendicherò, e lei tornerà tra i
viventi…-
-Smettila
di dire cazzate e vattene, salvati figliolo-
-Maestro!-
un ragazzo si alzò violentemente, sbilanciandosi in avanti e
tirando una
capocciata al tettuccio del pickup da cui si era fatto dare un
passaggio, tornò
a sedere imprecando e tenendosi il cranio tra le mani.
-Tutto ok
là dietro?- la voce gioviale del guidatore gli fece
riprendere un po’ di
compostezza.
-Si…solo un
incubo fuori programma…- l’altro rise divertito
–Ragazzo, come hai detto di
chiamarti?-
-Celes,
Rakyr Celes- si calò il cappello da cowboy sugli occhi verdi
smeraldini
lasciando sporgere alcune ciocche dei capelli neri e ribelli. Si mise
con la
schiena contro il posto dell’autista, salutando con lo
sguardo l’ennesima
cittadella che scompariva sotto l’orizzonte sabbioso e
monotono.
Le ruote
del veicolo sollevavano la sabbia in vaporose nuvole irritanti mentre
il sole
ardeva intensamente, intorpidendo i pensieri del giovane che pativa
quel caldo
infernale nonostante avesse accantonato la cappa nera in un angolo ed
indossava
solamente una canotta ed una collana avvolta più e
più volta attorno al collo,
che terminava con un ciondolo a forma di lupo.
-Che noia…-
sospirò, tastando il suo zaino per assicurarsi che i suoi
preziosi libri ed i
suoi materiali fossero ancora lì. Rumore di freni.
Disequilibrio. Caduta
-Merda-
Rakyr si
alzò massaggiandosi il naso –Ma cosa diavolo ti
salta in mente? Avrei potuto
farmi male…-
Nessuna
risposta, sbuffò e si sporse a vedere cosa mai ci fosse di
così imponente da
ostacolare il suo viaggio.
Era un
gruppo di banditi vestiti da beduini che non sembrava avere intenzioni
troppo
genuine nei confronti dei viaggiatori –Ehi ragazzi, guardate
un po’, un vecchio
e un bambino!- rise volgarmente avvicinandosi con
un’espressione sadica.
Il giovane
espirò rumorosamente, passandosi una mano sul viso in segno
di esasperazione,
per poi saltare sul tettuccio dopo aver messo a tracolla una delle armi
rinfoderate che portava con se, in bell’ordine ed avvolte in
un grande panno
pulito. A guardare il fodero si sarebbe potuto facilmente dedurre fosse
una
spada lunga a doppio taglio, l’impugnatura spoglia e
facilmente maneggiabile,
la lama che si restringeva soltanto verso
l’estremità. In più appuntò
alla
cintura dei piccoli foderi di cuoio che nascondevano daghe e pugnali.
-Se volete
tornarvene da dove siete venuti sulle vostre gambe e non in grembo alla
morte
vi converrebbe lasciar perdere questo buon uomo- disse pacato, con una
voce
atona che non rifletteva alcun sentimento, incolore…chi
l’avesse conosciuto a
quella voce si sarebbe ritirato…se avesse avuto interesse a
vivere s’intende.
-Avete
sentito il poppante?- altre risa sguaiate si susseguirono mentre negli
occhi
vigili del ragazzo coperti dalla tesa del cappello scoccava una
scintilla,
quasi demoniaca e la spietata retta delle labbra si increspava in un
ghigno –Vi
do un’ultima possibilità…-
Scese sulla
sabbia a piedi nudi, i jeans che veleggiavano per la brezza
–Stai qui e chiudi
gli occhi, non dovrai aprirli per nulla al mondo, capito?-
sussurrò
all’autista, che annuì spasmodicamente, per poi
calargli sugli occhi il proprio
cappello –Quando te lo toglierò potrai aprire gli
occhi-
Si mise
davanti ai predoni, valutandoli diligentemente, finché
arrivò a capire che
nonostante avessero un vantaggio numerico, rimanevano in svantaggio. Si
tolse
la collana, fatta di catena, sganciando il ciondolo, che
finì in una delle sue
tasche. Si mise un polsino metallico sulla destra, legandovi intorno la
catena
e poggiandola sul pomo della spada sulla sua schiena.
Batté le
mani.
Luce. Il
bracciale era fuso con la catena, tanto da sembrare una parte dei ceppi
dei
carcerati, il metallo della collana a sua volta era fuso con la spada,
lasciando che il pomo fosse tutt’uno con la catena, ora
più spessa e molto
lunga.
Mise un
guanto metallico che lasciava le dita libere ed arrivava fino al gomito
sulla
sinistra, per poi tenere i cinque pugnali che aveva con se tra le dita
e batté
nuovamente le mani, accorciando il guanto e tramutandone la parte
frontale in
una sorta di secondo mano artigliata e letale, le cui dita metalliche
erano
legate a quelle umane con sottili e resistenti fili metallici che
facevano
seguire a quella protesi ogni movimento del proprietario.
-Mi
dispiace, ma ora è troppo tardi per tornare indietro
impuniti…chiunque mi
ostacoli non merita che morire…e poi…-
tirò fuori un foglio piegato
ordinatamente dai pantaloni –Bene, bene- ghignò
–Penso che per un altro mesetto
io possa considerarmi a posto-
Mano. Elsa.
Lancio. Sangue. Lama. Strappata. Ripresa. Ghigno.
Il primo
del gruppo cadde perdendo sangue dal petto trapassato da parte a parte,
mentre
Rakyr teneva in mano la spada insozzata dal sangue del criminale.
Nessuno era
riuscito a seguire l’azione, né avevano capito
come avesse potuto riprendere la
spada in così poco tempo usando la catena a cui era legata.
Il corpo
del morto non aveva fatto nemmeno in tempo a cadere, di sicuro non
aveva
provato dolore, forse non aveva nemmeno capito cosa fosse
successo…
Tutti gli
si avventarono contro, accecati dall’ira, mentre lui vibrava
un fendente
orizzontale, lasciando la presa sull’arma a metà
movimento e lacerando il petto
di parte dei briganti.
Non ebbero
nemmeno il tempo di urlare di paura.
Gli altri
continuavano nell’impeto, disperati.
Rakyr con
un movimento veloce e circolare del braccio fece arrotolare la catena
attorno
al braccio destro ed usandola come protezione contro un attacco, per
poi aprire
uno squarcio nella gola del bandito riprendendo in mano
l’arma.
Un altro
provò a colpirlo sulla sinistra, ma gli artigli metallici
ridussero la sua
faccia ad una irriconoscibile maschera di sangue, per poi tranciargli
la
giugulare e le corde vocali in un solo colpo e trapassare il petto di
un
avventato che cercava un attacco frontale, mentre colpiva a morte un
avversario
dietro a sé con la spada ormai carminia.
Si
allontanò con un balzo, sempre pronto, rompendo con un
poderoso calcio il collo
ad uno sprovveduto.
Due
provarono a colpirlo simultaneamente davanti e dietro, ma la catena
saettò
verso il nemico frontale, affondandogli nel collo, per poi venire
ritirata con
un potente strattone che la mandò a conficcare nel petto del
nemico dietro di
lui.
Non aveva
nemmeno provato a schivare.
-Patetico,
erano davvero così forti per gli altri?- rivoltò
con un calcio il corpo della
sua prima, confrontandola con il foglio che aveva nuovamente estratto
–Si, è
lui…- con un colpo netto di spada gli staccò la
testa che avvolse nelle vesti
di uno dei cadaveri dopo averci pulito le armi, fatte tornare al loro
stato
originario.
Tornato al
pickup nascose il macabro trofeo della caccia alla taglia e ripose con
solennità le armi nel panno pulito. Si rimise la collana, a
cui riattaccò il
ciondolo.
Con
noncuranza tolse il cappello dagli occhi del guidatore, calcandoselo in
testa.
-Vecchio…non
t’impressionare troppo e corri- l’autista
fissò per un attimo con terrore e
disgusto i cadaveri, poi scosse la testa e accelerò,
lasciando i corpi agli
omaggi di corvi ed avvoltoi.
Intanto il
giovane guardava davanti a sé, con il vento che gli
accarezzava il volto ed i
capelli.
Negli occhi
per un istante si sarebbe potuto leggere compassione, ma
svanì troppo in fretta
per poter dire che ci fosse realmente stata.
Ringraziamenti:
Havoc_Fan: La fanfic per ora continua
ancora molto a lungo (30 capitoli e non accenna a voler smettere di
imporsi), spero che gli svolgimenti di questa vicenda ti
appassioneranno^^
The_Dark_Side: Come ho detto sopra la fic
è lunghettina e ancora non completa
Nota
dell'autore
La fic è scritta a
4 mani, quindi si noterà una diversità di stili
(alcuni negano questo fenomeno, ma mi pare giusto puntualizzare)...per
ben capirci i capitoli che avranno un titolo in inglese saranno scritti
da me, mentre gli altri dalla mia meravigliosa ragazza (chiamata
Romance su questo sito)
Prossimo capitolo: La
prima visita del diavolo
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Capitolo 3 *** 2: La prima visita del diavolo ***
2:
La
prima visita del diavolo
“Improvvisamente scopro di
essere sveglia
Ehi, sono qui
sono tutto ciò che è rimasto
di ieri”
Evanescence
- Hello
Aprì gli
occhi, si sedette. Le coperte le si erano attaccate al corpo,
minimamente
coperto da quella canottiera e da quei pantaloni, ormai zuppi. Si
toccò gli
occhi, sconvolta. Ancora, di nuovo…quel sogno…
Alzandosi
in piedi, lasciò caderle sulle spalle i lunghi capelli
castani. Aprì la
finestra e il sole le colpì violentemente gli occhi. Era
fastidioso…ma era
anche la prova che quello di poco fa non era stato altro che un incubo.
Aveva
la gola riarsa, gli occhi le bruciavano e la pelle era ormai madida di
sudore.
Il terrore per quell’episodio la torturava, soprattutto di
notte, nei suoi
sogni.
Lei, che
non aveva paura di niente…
Scosse la
testa, raccolse piccole ciocche dei suoi capelli e li legò
in piccole trecce,
che le caddero accanto ai lineamenti delicati del volto. Si
guardò attorno e,
visto lo zaino a terra aperto e ormai vuoto del suo contenuto, lo prese
e lo
poggiò sul letto. Si tolse i vestiti ormai appiccicati alla
sua pelle e ve li
mise alla buona dentro. Volse la testa, si avvicinò alla
sedia sotto la
finestra che aveva appena aperto e prese i suoi abiti, per poi buttarli
sciattamente sopra il letto.
Entrata nel
bagno, si tolse gli ultimi abiti rimasti e si fece una doccia,
lasciando che
l’acqua le carezzasse il corpo. La sua testa
scoppiava…ma non voleva porvi
attenzione…
Pulita
degli ultimi residui di quella notte fastidiosa, lasciò che
l’acqua le
gocciolasse dai capelli, lungo le linee morbide del suo piccolo corpo.
Si
guardò, guardò l’acqua scivolarle
addosso. Quell’unico, meraviglioso occhio
nero che spuntava fuori dalla frangia lunga fino alle orecchie era
ipnotico.
L’altro, invece, rimaneva nascosto. In attesa di qualcosa.
Non ci
pensò molto. Si lego i capelli in una coda alta, lasciando
le due trecce
penzolarle accanto al volto. Si vestì di un piccolo completo
a maniche lunghe,
con pantaloni a metà coscia, che aveva
l’abbottonatura sul petto. Si coprì le
spalle con un piccolo giubbotto con maniche corte e larghissime, la cui
cerniera le era stata strappata via durante l’ultimo, se
così lo poteva
definire, combattimento. Alti stivali che le arrivavano fino ai
pantaloni del
completo le coprivano le gambe. E poi una gonna aperta davanti, che
arrivava
alle caviglie, le copriva, sui lati delle gambe, proprio attaccati agli
stivali, le fodere dei suoi pugnali.
Socchiuse
la finestra e guardò il suo riflesso nel vetro della stessa.
Sorrise e poi,
dopo essersi messa in spalla il suo piccolo bagaglio, assunse
un’aria tremenda
e cattiva.
- Non
potete immaginare…quanto dolore io possa recarvi…-
E con
queste parole si lasciò cadere dalla finestra. Scomparendo
senza lasciare
traccia.
Mentre si
lasciava trasportare da quel vecchio, gentile signore, che si era
offerto di
accompagnarla alla più vicina città, pensava che
la sua vita era ormai
monotona, priva di adrenalina.
Niente la
esaltava più, tutto ciò che faceva era ormai
noioso e ripetitivo. Non pagava
alle locande, scappava ogni volta senza far conoscere neppure il suo
volto,
derubava le persone che le sembravano, ad occhio, con qualche soldo in
tasca e,
così, riusciva a tirare avanti fino al domani.
Questo,
ormai, andava avanti da un anno.
Il suo
unico occhio visibile, quello destro, osservava il cielo.
L’altro,
irrimediabilmente, iniziò a bruciarle. Come se fosse pervaso
dal fuoco, come se
una lama l’avesse penetrato fin nei nervi. Lei non ci badava
più, ormai. Vi
poggiò la mano sopra, sospirò. E si
lasciò cadere addormentata.
Ormai, lo
sapeva…il suo passato l’avrebbe tormentata per
sempre. Lei odiava i posti dove
non si vedeva altro che il buio. Lei odiava le persone, i ragazzi
soprattutto.
Odiava le famiglie. Perché la sua, ormai…a
pensarci il cuore le doleva. Sua
madre, ricordava appena, aveva uno splendido sorriso. Suo padre era
dolce e
affettuoso. Suo fratello…
-
Fratello…!-
Si lasciò
cadere a sedere, come quella mattina. Di nuovo…ancora,
un’altra volta…
- Se lascio
che i miei occhi si perdano al buio, lui…di nuovo e
ancora…lui…-
L’occhio
sinistro aveva smesso di bruciarle ed il suo corpo, stavolta, non
tremava come
sempre. Non poteva essersi lasciata intrappolare dall’orrore
del suo ricordo.
Quel volto, quegli occhi, quelle mani…lei le voleva
dimenticare. Perché lei,
quella persona…lei la odiava. Infinitamente, dal
più profondo del cuore. Lei
aveva promesso…
- Troverò
la pietra filosofale…e ti lascerò sprofondare nel
più terribile degli abissi.
Ti riporterò all’inferno cui
appartieni…- le mani iniziarono allora a tremarle,
la voce ferma in un tono roco e basso. La sua bellissima figura si
sarebbe
detta simile ad un demone, in quel momento - Non vi preoccupate,
madre…padre…vi
riporterò indietro. E offrirò il suo schifoso
corpo come sacrificio-
Il vecchio
l’aveva lasciata alle porte della piccola cittadina. Lei lo
aveva ringraziato
(per quanto il suo carattere le consentiva di fare) e si era
incamminata per
trovare una sistemazione. Aveva una gran fame. Peccato che, come al
solito, lei
non avesse nessuna intenzione di pagare…
-
Vediamo….-
La ragazza
si confuse fra la folla, cercando di coprirsi il volto per non essere
notata.
Trovò una piccola tavola calda, entrò cercando di
tenersi il più coperta
possibile, si sedette. Ordinò da mangiare e, intanto, si
guardò attorno. La
gente non la guardava, sembrava quasi non accorgersi della sua
presenza. La
ragazza però si accorgeva di tutto.
-
Uhm…interessante…- Aveva trovato la sua preda. Un
vecchio, distinto, elegante e
raffinato. Lui la guardava e lei, ormai convinta di poterci giocare
come
voleva, rendeva lo sguardo. L’uomo alzò il
bicchiere e le sorrise. La ragazza
si sforzò di rendere il
sorriso…quell’azione così poco
naturale, ormai, le
riusciva bene. Il vecchio arrossì alla magnificenza di quel
faccino e, così, la
ragazza si sentì in dovere di avvicinarsi al suo tavolo,
dopo che lui le ebbe
fatto un cenno con la mano.
-È da sola?
- chiese con fare discreto, invitandola con una mano a sedersi -Si-
risposte
lei, continuando a guardarlo negli occhi con quel malizioso sorriso -Da
sola.
Sono appena arrivata in città…- Il signore
sembrò incantato da quel modo di
fare così naturale che in realtà era solo una
vera e propria montatura -Ma
come…? Una bella signorina come lei…-
sbottò in un riso irritante -Beh…non
potrebbe farmi lei compagnia?- La ragazza, accavallando le gambe,
attirò
l’attenzione di quel vecchio. “Vecchio
porco” pensò. Ma ormai il suo gioco era
iniziato…
-Mettiti
comoda cara…mi faccio una doccia e sono subito da te- Il
vecchio cercò di
baciarle le labbra, ma lei spostò il viso, arrossendo
-Dopo…ti farò conoscere
il piacere di una giovane pura…- Il vecchio
arrossì e, dopo essersi spogliato,
entro nel bagno. La ragazza rimase da sola ed il suo viso si contorse
di nuovo
in una smorfia di disgusto. “Vecchio porco…prova
ancora a baciarmi e ti strappo
il vero cervello che hai…”. La ragazza era
visibilmente irritata. Visti gli
abiti abbandonati dal vecchio, vi frugò dentro.
All’interno della giacca trovò
una cospicua somma di denaro, la prese. Sorrise, contenta di aver visto
proprio
bene. Trafficò nella stanza, come a voler sistemare
qualcosa. Il vecchio,
intanto, cantava sotto la doccia, come a volerla deliziare.
Così lei si
avvicinò alla porta e, baciandola, sussurrò -Ci
vediamo all’inferno…-
Lei
scomparve e la stanza, non appena fu uscita, scoppiò in un
tremendo botto.
-Il diavolo
è arrivato…-
Si ritrovò
appollaiata su un tetto di un edificio, con in mano tanti soldi da
svenire.
Aveva la faccia annoiata, come se l’azione appena compiuta
non l’avesse per
niente soddisfatta -Mah…forse, stavolta, dovevo lasciarlo in
vita…- Chissà
perché l’aveva ucciso…forse
perché aveva tentato di portarla a letto? Eppure non
era riuscito nemmeno a baciarla. La cosa l’aveva infastidita,
moltissimo.
Perché quel gesto, per lei…
-Devo
smetterla…di pensare al passato. O i miei incubi mi
tormenteranno per sempre…-
Il vento le scompigliò i capelli, i vestiti frusciarono. La
frangia le si
sollevò, il suo occhio coperto si scoprì solo un
attimo.
Era
terrificante. Il solo vederlo dava i brividi, forse era quello il
motivo che la
portava ad uccidere chiunque lo vedesse. Gli urli delle sue vittime
dovevano
cessare, perché lei operava e scompariva nel silenzio. Per
questo uccideva, per
questo continuava a vivere e a lottare. Lei voleva vendetta.
Vendetta
per quel corpo distrutto, per quell’occhio simile a quello di
un demone.
Macchiato di un alone di sangue.
Ringrazio Havoc_fan,
sei gentilissimo, spero continuerai a seguire la storia ed apprezzerai
i cambiamenti che si verificheranno nel corso della vicenda
Ringrazio
anche Romance, senza la quale questa storia sarebbe scialba e piatta
Prossimo capitolo: A
black coat and a burial cross
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Capitolo 4 *** 3: A black coat and a burial cross ***
3:
A
black coat and a burial cross
“Verso
il selvaggio procede
la nostra avventura,
lontana dall’alba, lontana
dalla luce lunare”
Dragonforce – Through the
fire and the flames
Il
furgoncino entrò in una desolata cittadina, un insieme di
piccole cassette squadrate di pietra calcarea, dei cubi con una porta
ed un paio di finestre.
Case ammassate le une accanto alle altre in un caos propizio
per i
ladri e gli assassini, serviti da stretti vicoli bui e solitari, era
quasi una città fantasma in bianco nero e ocra in cui
l’unica punta di colore fosse la sabbia e l’unica
fonte di attrazione fosse un piccolo decrepito locale con
all’esterno dei tavolini e delle sedie consunti dalla sabbia
e dalle intemperie.
La piccola tendina che doveva essere stata un tempo rossa
fiammeggiante, larga abbastanza per coprire tutto il selciato di fronte
ora era stinta dal sole e dal calore e pendeva lacerata dal vento e
dalle bufere di sabbia, come uno stendardo di un paese che ormai
marcisce nell’oblio.
Gli spigoli delle case, consunti dalle tormente, facevano
capire come
quell’idea fosse prossima all’avvenire…
Tuttavia ad un tavolino stava un giovane nerovestito sul cui
braccio
appariva il simbolo di una croce funerea, come quelle di un cimitero
gotico, era a malapena coperto dalla lacera tenda dai raggi
incandescenti, bevendo a piccoli sorsi da una tazzina sbeccata del
liquido nero, probabilmente caffè.
Nakor, un insieme insolito di ironia e serietà,
capelli
corti dello stesso colore degli occhi castani, abbastanza alto e
mediamente robusto, anche lui aveva praticato il lavoro, nonostante ora
si occupasse principalmente dell’aspetto burocratico, diceva
che dove c’erano scartoffie da compilare lui c’era,
tuttavia svolgeva lavoretti occasionali per mantenersi in allenamento.
Inoltre praticava un po’ d’alchimia e, nonostante
non fosse al livello dell’altro, se la sapeva cavare bene.
Alla fermata del mezzo il ragazzo scese, trascinando dietro
lo zaino ed
i due panni, l’autista dal canto suo partì a tutta
velocità.
-Ehi Nakor!- l’altro alzò la testa,
vuotando con
un ultimo sorso la tazzina e poggiandola, per poi, avendolo
riconosciuto, fargli cenno di avvicinarsi
-Rakyr- si strinsero la mano –Buone nuove?-
-Mi devi dei soldi – disse slegando il panno
insanguinato
Fischiò –Sempre preso con il lavoro a
quanto vedo
eh?- lo guardò ilare, ma l’altro rimase
impassibile –Dai amico! Su con la vita, non ti si distingue
da un morto!-
Rakyr sbuffò…quando ci si metteva un
po’ Nakor era simpatico, quando ci si metteva troppo era
semplicemente irritante –Nuove taglie?-
-Ecco che si rifonda sul lavoro, sei proprio una lagna!-
rise, per poi
allungare alcuni fogli con allegata una buona quantità di
banconote.
Il cacciatore le sfogliò rapidamente, per poi
scartarne una
raffigurante una ragazza castana, l’occhio destro nero, il
sinistro coperto dai capelli, un viso piuttosto attraente, sotto a cui
spiccava il nome “Feren” seguito da “viva
o morta” e da una cifra a dir poco esorbitante
–Rifiuto di compiere questa missione- disse per poi intascare
il resto.
L’altro riprese il foglio avvilito
–Sempre con le
tue idee di gentiluomo, non colpiresti una donna nemmeno se ti
pugnalasse…- sbuffò -…si dice sia
ricercata per furto, resistenza agli arresti e omicidio in diverse
città-
-Non mi riguarda, non sono il suo baby-sitter…-
Nakor
sbuffò nuovamente -…inoltre mi serve un mezzo di
trasporto veloce, sicuro e che dia poco nell’occhio-
-E va bene…- lo
scrutò-…certo che mi
sono proprio andato a cercare un bell’amico…-
Il burocrate si alzò sgranchendosi le membra con
un paio di
torsioni del busto –Non so se può andarti bene,
soprattutto perché ti porti dietro tutta quella roba,
però…- face cenno a Rakyr di seguirlo, portandolo
davanti ad una grossa motocicletta nera, di sicuro molto veloce anche
se non poteva passare del tutto inosservata –
L’alternativa a quella è questo, ma non so se ti
è comodo con i tuoi bagagli…- mostrò
una tavola elaborata, lunga circa come uno skate-board ma piatta e con
piccoli propulsori sotto di essa -…è un nuovo
modello di overboard-
Il fabbro li guardò, confrontando vantaggi e
svantaggi, ed
infine decise che il partito più favorevole fosse il
motociclo.
Vi salì rapidamente in sella, ancorando bene i
suoi averi
alla parte posteriore del bolide, per poi sorridere mettendosi un paio
di guanti che arrivavano fino alle nocche -Metti questi- Nakor gli
lanciò un paio di occhialoni che terminavano con una fascia
elasticizzata dietro alla nuca.
Abbassò il capello, lasciando liberi i capelli, e
lo mise
nello zaino, da cui trasse una bandana che si legò dietro al
cranio, tenendola sulla bocca per schermarsi dalla sabbia –Ci
si vede Nakor…- approssimò un saluto militare,
portando indice e medio davanti alla fronte, per poi accelerare,
sfocando nell’orizzonte mentre il mondo diventava un
corridoio di terra e cielo che gli scorreva velocemente affianco.
Era ormai quasi l’alba quando si fermò
ad una
piccola oasi, lasciando per precauzione la moto dietro ad un
paio di cespugli e tenendo in mano una spada a taglio singolo, casomai
qualche stupido predone avesse avuto ancora la poco propizia idea di
intralciarlo. Si svestì della cappa, rimanendo in canotta ed
abbandonò la bandana e gli occhiali, questi ultimi dopo
averli puliti, sul veicolo.
Intinse le dita nell’acqua fresca, per poi pulirsi
il volto
ed il torso, sentendosi immediatamente rinfrancato dopo le corse degli
ultimi periodi.
La disoccupazione o il riposo per un cacciatore esistono
solo dopo la
morte.
Un riflesso dalla parte opposta del laghetto lo
allarmò,
facendogli aguzzare la vista mentre stringeva le spada.
Una ragazza, capelli castani lisci le incorniciavano lo
splendido viso,
un occhio nero, l’unico visibile, osservava compiaciuto
l’acqua limpida della fonte sotterranea.
Rimase ad osservarla per un po’ paragonandola
all’immagine della ragazza in foto.
Era lei, nessuno dubbio, anche se quello non era il volto di
un
assassina, ma di una persona trista e che aveva conosciuto abbastanza
disavventure da detestare la vita.
Sorrise.
In fondo erano simili.
Vide che la ragazza lo aveva notato e lo fissava, lui
abbandonò l’ipotesi, seppur fosse stata un
semplice balenio nella sua mente, di ucciderla.
Rinfoderò la spada sorridendo, per poi
allontanarsi con una
scrollata di spalle.
Si sarebbero rincontrati ancora.
Ci avrebbe potuto giurare.
Dentro di lui la piccola porticina dei sentimenti, da tempo
sigillata,
iniziò a muoversi scricchiolando.
Voleva rivederla…
Ringraziamenti:
Havoc_Fan: scusa
il mio poco acume, sono un po' tonto.
Spero che la ff continui a piacerti ^^
The_Dark_Side:
Grazie
per i complimenti, spero gli svolgimenti non ti deluderanno
Romance: Che
dire...Amore, grazie di esistere, senza di te qst ff nn avrebbe senso
d'esistere
Prossimo capitolo: Il passato
che non muore
|
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Capitolo 5 *** 4: Il passato che non muore ***
4: Il
passato che non muore
“Cammino
per un sentiero
oscuro,
Dormo con gli angeli
chiamo il passato per
aiutarmi”
Nightwish
- Nemo
Si faceva ormai notte, il sole
era calato, il cielo era ormai scuro. Il
vento gelido iniziava a soffiare più forte, era tagliente
come una lama. E lei, da sola, aveva paura. Stava rannicchiata sotto ad
un albero, in preda al terrore. Piangeva, singhiozzava, implorando che
qualcuno la venisse a salvare. Sua madre, suo padre, oppure…
-Fratello…fratello…-
sembrava che pregasse, tanto
era flebile la sua voce -Salvami fratello…-
All’improvviso
un rumore la fece sobbalzare. Si
guardò attorno, spaventata: non vi era modo di scappare. Si
portò la testa tra le mani, chiuse i suoi grandi occhioni
neri.
Pensò:
-Se devo morire…almeno,
prima…fate in modo di potergli chiedere scusa…-
Irrigidì
il corpo, in preda al panico. Dei passi si
avvicinavano verso di lei. Nonostante avesse gli occhi chiusi,
continuavano a scenderle lunghe lacrime dai suoi bellissimi occhi.
-Fratello…-
sibilò -Salvami…-
I passi che
aveva sentito si fermarono davanti a lei. Non
osò aprire gli occhi, non osò muoversi. Pensava
che sarebbe morta. Eppure, all’improvviso, sentì
un abbraccio stringerla forte, delle braccia calde e grandi la stavano
cingendo. Aprì gli occhi, alzò leggermente lo
sguardo.
-Sorellina…mi
hai fatto preoccupare…-
-Fra…fratello…-
Le sue
lacrime non accennarono a smettere, anzi, aumentarono. Quegli
occhi azzurri le davano così sicurezza…che non
poté che scoppiare in singhiozzi disperati, stringendosi
forte al petto di quel ragazzo.
-Fratello…fratello
ho avuto tanta paura…!- il
ragazzo le carezzò la testa con fare gentile -Oh,
Feren…-
-Smettila…non
mi toccare!- si alzò, sudando. I
suoi occhi erano rossi, come avesse pianto. Ma lei, ormai, non aveva
più lacrime da versare. Non per suo fratello.
-Che…che schifo…-
Feren si
alzò, ormai. Seppure fosse notte, lei si sentiva in
ansia, come fosse ormai pieno giorno. Guardò i suoi abiti,
piegati alla buona, ai piedi del letto. Scosse la testa.
-È
solo…un altro incubo…- si sedette,
lasciando che le gambe penzolassero accanto ai lembi delle lenzuola,
ormai quasi del tutto in terra. Sorrise, irritata…i suoi
piedi non toccavano terra. Così si sporse, ancora,
finché i suoi piedi non sentirono il freddo del pavimento.
-Io…dovrei…essere
grata di sentire ancora la
vita, scorrere dentro di me…-
I suoi
lunghi capelli castani le si pararono davanti agli occhi,
disordinatamente, costringendola a soffiarvi sopra.
-Non
posso…non posso rimanere qui…-
Si decise
che fosse giunto il momento, ormai, di andarsene anche da
lì. Si vestì in fretta e furia, prese le sue
cose, si legò due ciocche di capelli davanti in trecce che
le sfioravano delicatamente le guance. Guardò la stanza,
ripensò al passato. E, per un attimo, sul suo volto apparve
un’espressione triste. Allungò la mano nella tasca
che aveva in fondo allo zaino, i soldi di quell’uomo
bruciavano.
Eppure…
Uscita
dalla finestra, che restò quindi aperta, non si
voltò a guardare indietro. E non si pentì, almeno
quella volta, di aver lasciato i soldi di quell’uomo sul
comodino, insieme ad un biglietto con su scritto
“Perdonatemi”.
Camminò
a lungo, non sapeva quanto. Ma non era stanca, o
meglio…aveva camminato così a lungo da non avere
la forza di esserlo. Così, trovata una piccola oasi dopo
tanto camminare sopra la sabbia scottante del deserto, non le spiacque
di fermarsi.
L’acqua
era così fresca e aveva un sapore
così buono! Dallo zaino recuperò un blocco di
ferro e, senza fare fatica, lo trasmutò immediatamente in
una piccola borraccia. Non dovette tracciare il cerchio alchemico, non
ne aveva bisogno. Lei, infatti…
D’un
tratto, mentre riempiva la borraccia, fu attirata da
qualcosa davanti a lei. Non se n’era accorta prima,
però…
Quello
davanti a lei era veramente un ragazzo? E la stava fissando.
Beh…realmente
la stava fissando da un po’,
l’aveva addirittura vista effettuare quella trasmutazione con
così tanta facilità…che le aveva
sorriso. Non ne era sicura, ma avrebbe giurato che avesse gli occhi
verdi…
Feren lo
guardò con la sua solita faccia monotematica e,
alla fine, finì ciò che stava facendo, si
alzò, e si rimise in viaggio. Il ragazzo, da parte sua,
scrollò le spalle e si alzò a sua volta,
preparandosi ad andare.
Feren non
se ne accorse, eppure sul suo volto comparve, dopo tanti
anni, un meraviglioso sorriso…
Ringraziamenti:
Havoc_fan:
Grazie del commento positivo ^^
The_Dark_Side:
Grazie, troppo buona
Romance:
Amore...che dire, senza te questa storia non esisterebbe. Ti Amo!!!
P.S: Per chi
volesse parlare con me di scrittura o di manga e anime, può
contattarmi all'indirizzo msn nigermessor@hotmail.it
Prossimo
capitolo: Ashes
and dust (fragments of a past)
|
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Capitolo 6 *** 5: Ashes and dust ***
5: Ashes and
dust
“Andrò
ai “campi rossi del nulla”
c’è una tomba,
c’è una rosa”
Blind
Guardian – Carry the
blessed home
La sabbia
scorreva veloce accanto a lui, eterea, mentre il rombo del motore gli
riempiva
le orecchie, sovrastando la sferza incessante del vento e lasciando che
i
pensieri del giovane si perdessero altrove.
Quella
ragazza…quegli occhi neri in cui aveva letto le sue stesse
emozioni, degli
occhi così solitari, misteriosi…
Così
attraenti…
Scrollò il
capo ed accelerò maggiormente, tentando invano di seminare
dietro di lui quei
pensieri, quei sentimenti per cui non aveva tempo, che il suo lavoro
gli
negava, che gli sembravano sintomo di debolezza…
Delle
emozioni a cui non sapeva nemmeno dare un nome…
Percorso un
breve tratto si fermò innanzi ad un ammasso di ruderi,
sabbia e carbone. Travi
annerite e incenerite pendevano da muri diroccati e anneriti dal fuoco
e dal
fumo. Si fece largo a piedi in mezzo a quella desolazione, quella
memoria di un
tempo che gli sembrava lontano ed i cui bordi sfocavano nel suo
passato,
intangibili e eterei.
Non sfiorò
nemmeno minimamente una di quelle costruzioni in rovina…
Il passato
deve rimanere tale…le promesse sono le uniche cose che
durano.
-Maestro…sono
tornato-
Notte,
colpi alla porta.
Un uomo
sulla quarantina, carnagione scura e occhi rossi, si alzò
con espressione
seccata dal letto morbido sfiorando con i piedi il duro pavimento di
pietra per
poi aprire la porta, sbirciando nella semioscurità notturna,
illuminata solo
dalla luna più piena che fosse mai esistita. Nessuno.
Imprecò
sottovoce e stava per rientrare quando vide davanti ai suoi piedi un
fagottino
da cui spuntava il viso addormentato di un bambino che non aveva
più di due
anni. Era accompagnato dal semplice bigliettino
“Rakyr”.
Un bambino
di cinque anni zampettava per casa, allegro, seguendo i battiti ritmici
di
metallo su metallo –Signor Celes! Guardi cosa ho fatto con
l’alchimia!- mostrò
soddisfatto un pugnaletto di raffinata fattura, gonfiando il piccolo
petto
d’orgoglio.
Tuttavia
l’ishibariano storse il naso, colpendo e frantumando la
piccola arma con un
colpo del maglio da fabbro davanti allo sguardo attonito e triste del
pargolo.
-P-perché…-
-Una spada
creata senza fatica, senza essere entrato in sintonia con essa non ha
un
anima…se vuoi diventare un fabbro ti posso far diventare mio
garzone ed
allievo- il bimbo sorrise un pochino ascoltando la voce ruvida del suo
padre
adottivo –Avrai un salario normale, come se fossi un mio
dipendente, e dovrai
lavorare duro per guadagnartelo, inoltre ti posso fornire io le materie
prime
ed i tomi per la forgiatura-
-Perché mi
paghi allora?- chiese perplesso il bambino.
-Perché
quei soldi potrebbero servirti per altro…- guardò
distrattamente l’impugnatura
che giaceva a terra, un corpo deforme e menomato -…tuttavia
dovrai trovare il tempo
per quell’“altro”-
Rakyr capì
che intendeva l’alchimia con “altro” e
gli abbracciò la gamba –Grazie maestro-
L’altro lo
guardò con affetto, carezzandogli dolcemente i corti capelli
neri –Di nulla
figliolo-
Battiti,
incessanti battiti, dolore alle braccia, sudore colava dalla fronte
–Più
forte…- un ragazzo di dieci anni circa immerse
nell’acqua il metallo
incandescente sbuffando mentre si asciugava le gocce di sudore con il
dorso
della mano guantata –Finita…- stirò le
braccia -…ora manca solo la raffinazione…-
La porta si
aprì di scatto ed apparve il maestro –Fammi vedere-
-Ecco…sta
raffreddando-
L’uomo
scrutò la lama, grattandosi il mento –Buon lavoro
figliolo- si esibì in uno dei
suoi rari sorrisi, che fece sentire appagato il giovane dopo tutta
quella
fatica.
-Vai avanti
così e tra qualche anno mi supererai-
-Maestro…non
dica così- il ragazzino arrossì.
-E con
l’alchimia come va?- Rakyr rimase ammutolito
–M-ma…-
-Fammi
vedere se i tuoi soldi li investi bene- dicendo così
uscì all’aperto, seguito
dal garzone che, una volta all’esterno, tracciò un
cerchio alchemico a terra e
lo toccò, facendo apparire una spada a doppio taglio
perfettamente bilanciata e
porgendola al maestro.
Egli ne
saggiò l’impugnatura e sfiorò il lucido
metallo, scoppiando a ridere –Si…sono
soldi spesi benissimo-
Un ragazzo
di tredici anni disegnava con un paio di gessetti simultaneamente due
cerchi
alchemici sul terreno davanti a lui, per poi colpirli con il palmo
delle mani,
estraendo due spade splendide e lucenti.
-Su, fatti
sotto- la voce del maestro lo spronò
nell’allenamento di scherma in cui si
stava cimentando.
Colpi
veloci, affondi, parate, schivate in un turbine di velocità
e spietata grazia.
Tuttavia un
preciso colpo del mentore gli fece volare via di mano le due lame, che
andarono
a conficcarsi nel duro terreno.
Un ragazzo
di quattordici anni stava osservando incuriosito la forgia, dove del
metallo
grezzo e resistente iniziava a fondere, non voltò nemmeno lo
sguardo quando la
porta si aprì, ma rivolse un cortese saluto al fabbro.
-Cos’è?-
chiese indicando il materiale incandescente.
-L’ho
comprato al mercato…dicevano fosse metallo meteoritico, ed
in effetti ha una
resistenza inconcepibile-
L’uomo lo
guardò perplesso –Ti dovrà essere
costato parecchio…dove hai trovato i soldi?
Non è possibile che tu sia riuscito a comprare sia i tuoi
manuali che questi
materiali…-
-Infatti
non compro più manuali d’alchimia, o
almeno…solo quelli più avanzati di ogni
tipo di alchimia-
-E come fai
per il resto?-
-Odio che mi
si dica sempre cosa fare, quindi parto dalle basi e deduco i
procedimenti
necessari, questo vale anche per l’arte della forgiatura-
-Sei
sorprendente…- l’ishibariano era davvero
perplesso, quel ragazzo era davvero in
gamba…molto più di lui.
-Ah,
dimenticavo…non so perché ma ho scoperto che
posso compiere trasmutazioni anche
senza cerchio alchemico, ma con il semplice battito delle mani-
-Come è
possibile? Ho sentito solo di un alchimista di stato con questo potere,
come
anche suo fratello…se non sbaglio si chiama Edward Elric ed
è in cerca della
pietra filosofale-
Il ragazzo
si grattò la nuca, per poi tornare a concentrarsi sul
metallo.
Un ragazzo
di 16 anni tornava allegro dal mercato –Maestro! Sono
riuscito a…-
Le parole
gli morirono in gola, la sua abitazione era stata rasa al suolo,
bruciata.
Persone in
uniforme blu uccidevano i cittadini, incendiandone le modeste case.
-MAESTRO!!!-
iniziò a correre, e vide ciò che gli avrebbe
cambiato la vita…
Il suo
mentore giaceva in una pozza di sangue, davanti a lui c’era
un uomo con un
fucile in mano.
Non c’era
nemmeno una traccia di rimorso sul viso del soldato
-Chi è
stato ad ordinare tutto questo?-
Il militare
si voltò di scatto, con l’arma spianata, per poi
fermarsi alla vista del
ragazzo –Non sei autorizzato a saperlo- gli puntò
la canna dell’archibugio in
fronte.
-Bastardi…-
abbassò il viso, lacrime iniziarono a cadere a terra,
bagnando il terreno arido
–Morirete tutti cani bastardi!- con un movimento del piede
tracciò un cerchio
alchemico per terra e lo calpestò.
Dieci lame
spuntarono da sotto l’assassino, trapassandolo da parte a
parte prima ancora
che lui se ne accorgesse, e rimase lì, morto, sospeso come
una marionetta
insanguinata appesa a mortali fili.
Il giovane
si voltò, gli altri stavano partendo –Non andrete
da nessuna parte…- sussurrò
carico di rabbia, per poi battere le mani
–Quest’alchimia l’ho nominata gabbia
di catene- colpì il terreno e numerose catene imprigionarono
i soldati –Crepate
da cani che siete!- ripeté il gesto e i corpi sospesi dalle
catene vennero
trapassati da infinite lame, rimanendo sospesi in aria fino allo
svanire delle
catene che li intrappolavano.
Un ragazzo
di diciassette anni toccò dolcemente il muro diroccato del
resto di una casa
–Sono di nuovo qui, maestro…cercherò i
fratelli Elric e la pietra filosofale e
tu potrai vivere ancora- i suoi pensieri vennero fermati da un
calpestio
vicino.
Estrasse un
pugnale e, silenzioso, strisciò tra le costruzioni
incenerite.
L’intruso
era un ragazzo poco più grande di lui, capelli rossi e occhi
azzurri,
inespressivi ma che, tuttavia, sembravano traspirare
malvagità e veleno.
Tutto in
quel ragazzo, in quell’essere…tutto ispirava un
cinismo ed una crudeltà senza
limiti, si notava dall’indifferenza a quel massacro di tempo
fa…non si scompose
nemmeno minimamente quando il pugnale gli serrò la gola
–Chi sei, perché sei
venuto a profanare questo luogo?-
-E che te
ne frega?- la sua espressione era glaciale, dura…rigida.
-Qui riposa
il mio mentore- la maschera dell’altro non
s’incrinò nemmeno minimamente.
-Ho saputo
che a causa di uno sporco ishibariano tutta questa gente è
stata massacrata…-
rivoltò una trave incenerita con un calcio, polverizzandola
-…si dice che sia
stato un certo Erist ad ordinare il genocidio…-
Rakyr lo
sollevò di terra fissandolo con occhi di brace
–Non osare offendere le memorie
del mio nobile maestro-
-Calmati…dicevo
solo per dire- la voce trasudava indifferenza, ma venne lasciato
comunque –Come
ti chiami bamboccio?-
-Rakyr
Celes, e sono un fabbro-
-Il mio
nome è Arden, e sono un alchimista- ghignò per
poi sputare a terra –Disprezzo
questo luogo-
Rakyr stava
per lanciare il pugnale, ma l’altro era misteriosamente
sparito.
-Ci
rincontreremo bastardo, ed avrai ciò che meriti…-
il fabbro inforcò la moto e
s’incamminò
Non si
voltò indietro.
Ringraziamenti:
Havoc_fan:
Ed eccoti il seguito...pubblicherò a ritmo settimanale ora,
o quasi...
The_Dark_Side:
Eccoti accontentata, spero ti piaccia!
Romance:
Amore sei adorabile!!
Prossimo capitolo: Uno sguardo
indietro nel tempo
Postilla: Ho aggiunto
un'idea che mi è venuta leggendo una fic originale di
michaelcry,
mentre la leggete dovrebbero esserci le didascalia ad inizio pagina per
ogni capitolo...enjoy^^
|
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Capitolo 7 *** 6: Uno sguardo indietro nel tempo ***
6:
Uno sguardo indietro nel tempo
“Abbiamo tutti
capito che
non hai nessun
ONORE!
ASSASSINO! STUPRATORE!”
System of a Down – Holy Mountains
Era così
strano…Feren si scuoteva nel letto, come impazzita. Quel
ragazzo dell’oasi…lei lo
aveva già visto? Oppure la sua agitazione era dovuta solo
alla curiosità di
volerlo incontrare di nuovo?
Incontrarlo…di
nuovo? Forse lei…era rimasta colpita da quel volto, da
quelle iridi verdi così
abbaglianti?
Il suo
cuore era fermo in un sospiro.
-No…io
non…- il suo occhio nero vacillò, un solo
istante. Sembrava…confusa –Non ho
niente da spartire con persone come lui. Lui non
è…come me…-
In realtà
quella frase le suonò come una bugia. Lo sguardo di quel
ragazzo era strano,
davvero strano. Uno sguardo triste, in verità…una
verità che bruciava. Come il
suo occhio sinistro.
-Come mai
non riesco a dormire?- si raggomitolò su un lato, lasciando
che lo spallino
della canotta che indossava le cadesse lungo la pelle morbida
–Non ce la faccio
più…il mio occhio reclama sangue,
dannazione…-
Il suo
occhio sinistro iniziò a fremere, il dolore era
così lancinante che chiunque si
sarebbe messo a urlare dal dolore. Ma lei no, anzi…vedendo
le lenzuola che si
macchiavano di sangue, improvvisamente si sentì meglio.
L’occhio
stava sanguinando…come ferito. Ma lei non sentiva
più dolore.
Anzi,
questo si era attenuato e lei poté finalmente chiudere gli
occhi, per tentare
di dormire.
Il suo
passato non la spaventava.
Non quella
notte.
-Feren!
Feren!- una voce gentile, una voce dolce –Dove sei, Feren!-
-Fratello,
sono qui…sono quassù!-
Il ragazzo
sentì una voce, ma non capì da dove provenisse. I
suoi occhi azzurrini
brillarono alla luce del sole, la sua maglietta sventolava al soffio
debole del
vento. L’ombra di quell’albero, che si stagliava in
mezzo al prato, era così
piacevole…
Albero…?
Lassù…? Il ragazzo ebbe un orrendo presentimento
e, spaventato, alzò gli occhi
al cielo.
-Ciao
fratello!- la ragazzina scosse la mano, come a volerlo salutare
–Feren! Scendi
immediatamente di lì!-
Feren,
allora, aveva 14 anni e suo fratello, invece, ne aveva quasi 18.
-E dai,
fratello…ormai sono grande…- Feren sorrise,
divertita –Non fare come papà…-
-Sciocca!
Se cadi, ti farai male!-
-Ma che
dici, fratello scemo!- disse la ragazzina dondolando le gambe dalla
cima di
quell’albero –Se dovessi cadere userei
l’alchimia per non farmi del male!-
-E credi
che sarebbe un bene? Mamma e papà non ti hanno forse detto
che non si deve
utilizzare l’alchimia per scopi futili come questo?-
-Uffa…-
Feren,
guardando il fratello, si convinse di scendere. Eppure lei si divertiva
così
tanto! Seppure a malincuore, decise di dargliela vinta…ma
non del tutto. Così,
alzatasi in piedi sul ramo dell’albero, guardando sorridendo
il fratello, si
lasciò cadere a terra.
-Sei una
palla, sai fratello?- il ragazzo guardò la ragazzina,
sorridendo. Le sue
braccia la strinsero, in un dolce abbraccio, la ragazzina si
dimenò non poco.
-E
smettila! Che schifo, fratello, che schifo!- rideva, perché
in fondo le faceva
piacere. Era raro che suo fratello la trattasse con tanta
dolcezza…
-Oh
Feren…quanto ti…-
-Feren!
Arden!- Una voce di donna, che aveva capelli castani lunghi fino ai
fianchi e
dai magnifici occhi neri, li chiamava amorevolmente –Il
pranzo è pronto!-
-Arriviamo
mamma!- urlò Feren –Arden lasciami!-
Arden
lasciò che l’abbraccio si sciogliesse, lentamente.
Lui doveva dirle qualcosa,
però…ogni volta, ogni santa volta quella donna li
interrompeva.
Guardò
Feren correre verso la madre, abbracciarla e sorridere dolcemente.
-Feren…tu
non sei affatto la mia sorellina. Sei una donna, ormai…-
Arden
osservò le curve appena accennate della ragazzina davanti ai
suoi occhi,
arrossendo imbarazzato –Oh, quanto ti vorrei avere, fra le
mie braccia…sotto il
tocco leggero delle mie dita…-
L’amore di
Arden era un amore sincero. Dopo tanti anni ad osservarla come una
bambina,
davanti ai suoi occhi era diventata una donna. Lei non sapeva la
verità che
lui, fin da piccolo, sospettava: non erano fratelli.
Per Arden
non lo erano mai stati. Adesso meno che mai.
-Oh…è
crollata…-
La giovane
donna poggiò una coperta sul corpo di quella ragazzina
vivace, ormai stremata.
-Arden…va a
letto anche tu, suvvia…-
Arden
guardò la donna, vacuo, e riprese a leggere i suoi tomi. Non
aveva intenzione
di muoversi da quella posizione così comoda e poi, ancora,
la candela che aveva
accanto riusciva a fargli un minimo di luce. Finché non si
fosse spenta non si
sarebbe mosso da lì. No, non l’avrebbe
fatto…
-Sei
proprio come tuo padre…- il sorriso della donna era gentile
–Non ti staccherai
da lì finché non avrai finito, vero?- la donna si
avvicinò ad Arden, come a
volerlo carezzare –NON MI TOCCARE!-
Arden
smosse bruscamente il braccio, facendo cadere la candela. La cera
finì sopra la
fiamma che si incurvò e, alla fine, si spense come dopo una
lunga agonia.
-Non…non lo
fare mai più, donna…- la donna guardò
il volto rigido del ragazzo con un
sorriso triste –Sei cambiato, Arden…da qualche
tempo non sei più il solito…-
La donna si
inginocchiò a terra, prese la candela. Poi, dopo averla
rimessa sul tavolo, si
avvicinò ad un cassetto, ne prese un’altra,
l’accese –Tieni…e scusami…-
-Smettila,
donna…- Arden era irritato. Quella donna teneva lo sguardo
basso, come volesse
farlo arrabbiare…
-Potresti
chiamarmi…-
-Non lo
dire!- il ragazzo si alzò, guardando la donna con occhi di
fuoco –Non lo
dire…tu non potrai mai essere mia madre, capito?!- si
alzò, prese i suoi tomi,
si avviò verso la sua camera. La voce della donna lo
fermò.
-Anche
Feren…non potrà più essere tua
sorella…?-
Arden si
voltò: quindi lo aveva capito?
-Lei…da
quanto non è più la tua sorellina?- la voce della
donna era rotta dal pianto
–Se tuo padre sapesse…-
-Mio padre
lo sa. L’ha sempre saputo. Mi ha chiesto di non…ma
non ci riesco. Io Feren…-
-Mmh…mamma?
Arden…?- la voce di Feren era bassa e roca –Che
succede? State litigando?-
-No, amore,
no…-
-Scusami
Feren…- il ragazzo lasciò cadere i tomi a terra,
in un tonfo scombinato. Poi
uscì dalla stanza, correndo. Non voleva che lo vedesse in
quello stato…non
così…
-Mamma…che
ha mio fratello…?-
-Niente
amore…forse l’ho fatto arrabbiare. Se ci fosse
ancora lui…-
-Papà…lo
avrebbe calmato…?-
-Forse…forse
si…-
La donna
abbracciò Feren, forte forte a se. Feren si
lasciò abbracciare, preoccupata
delle lacrime della madre che, silenziose, stavano scendendole lungo le
guance.
Lei credeva che non avesse sentito.
Ma Feren le
aveva sentite distintamente.
Passarono
dei giorni…dei giorni che sembravano tranquilli…
-Fratello…?-
Il corpo
della madre era a terra, coperto di sangue. Feren aveva sul volto
un’espressione spaventosa –Che
è…? Cosa ha fatto la mamma? PERCHÉ
È MORTA?!-
-Feren…oh
Feren, perdonami…-
Arden
sorrideva, come impazzito –Lei non voleva che noi ci
amassimo…-
-Arden, ma
che cazzo dici?!- la ragazzina si buttò sul fratello,
sconvolta. Picchiò sul
suo petto, molte e molte volte –Cosa hai fatto alla mamma?!-
-Feren…oh,
mia dolce Feren…io ho solo fatto in modo che lei stesse
zitta…-
Arden
avvicinò il mento della sorella al suo viso, dolcemente. La
sua espressione era
quella di un pazzo.
-Adesso noi
due…possiamo stare insieme…-
-Fottiti,
Arden!-
La ragazza
cercò di allontanarlo con un calcio, ma il fratello non
sembrò accettare quel
gesto. Così, dopo averle reso un’occhiata di
fuoco, la gettò a terra, tenendole
ferme le braccia con la mano e le gambe con le sue.
-Non
scappare da me, Feren…o altrimenti dovrò farti
del male…-
Feren non
fece complimenti: e sputò nell’occhio sinistro del
fratello. Questo, accortosi
del gesto, si asciugò della saliva. E dette inizio alla sua
pazzia.
-Non dovevi
farlo Feren…adesso ti devo punire!-
Solamente
lasciando le mani della sorella, per un istante, Arden batté
le mani e, come
per magia, delle manette alle mani e ai piedi imprigionarono Feren al
pavimento. Da quella posizione, la ragazza poté vedere la
madre, il suo volto.
Il suo volto contorto in un espressione di dolore.
-Ar…Arden!
Ma che ti è preso?! Perché hai…?-
Arden tornò
sopra di lei, le coprì la bocca. E le fece vedere un
coltello, dalla lama
appuntita.
-Dì pure
addio alla luce, sorellina…-
Feren si
sentì morire. Il coltello le finì conficcato
nell’occhio sinistro, ma ne riuscì
subito. Non ebbe modo di urlare ed il mondo iniziò a
diventarle buio, per metà.
Il fratello rideva, soddisfatto.
-Scusami,
sorellina…ti ho fatto male…?-
La risata
del fratello le fece capire che non c’era via di scampo.
Non era
ancora finita.
Se n’era
andato…se n’era andato davvero? Le braccia e le
gambe adesso erano libere, ma
lei si sentiva come imprigionata. Che schifo…sentiva una
nausea incredibile…
Si alzò a
fatica, dal suo corpo penzolavano lembi di stoffa. Lungo
l’interno coscia,
scivolava un rigagnolo di sangue.
-Fratello…perché?-
Le lacrime
le scesero lungo la guancia, insieme al sapore ferroso del sangue che,
scendendo dal suo occhio, si era appena fermato. Si sentiva ferita e
violata.
Arrabbiata.
-Bastardo…bastardo!-
Urlò,
violentemente. E quell’urlo fece vibrare i vetri delle
finestre della casa.
Feren si
lasciò cadere a terra, senza forze. Il suo corpo
violato…la sua luce distrutta…
Le lacrime
che avevano il sapore di sangue…
Si voltò
indietro un ultima volta, guardò casa sua come fosse un
semplice blocco di
cemento. I suoi nuovi abiti profumavano di fresco…ma dentro
di se si sentiva
marcia, andata a male.
Non era più
un essere umano. Adesso non era più niente.
L’occhio
sinistro era nascosto sotto la frangia, perché nessuno lo
potesse vedere. I
capelli castani, invece, lasciati sciolti sulle spalle.
Ricordò un
attimo sua madre, per l’ultima volta. A volte le faceva le
trecce, diceva che
era bella.
Se le
sarebbe fatte, un giorno.
Pensando
questo, sorrise dura verso la sua casa e, datele le spalle, non si
voltò più.
Nemmeno
quando un boato scosse la terra e macerie varie giunsero fino a lei.
Che
piangeva silenziosamente, per l’ultima volta.
Lo giurò a
se stessa. Non l’avrebbe fatto mai più.
Ringraziamenti:
Faccina
Felice: Grazie per i complimenti, cercherò di
seguire i tuoi consigli...spero che continuerai a seguire questa
piccola (mica tanto) storiella^^
Romance:
Amore, sei sempre dolcissima...Ti Amo!!!!
The_Dark_Side:
Grazie per il sostegno e spero la storia possa continuare a piacerti
quanto (o magari più di) ora
Havoc_Fan:
mi scuso per la prolungata interruzione a causa vacanze...se tutto
andrà bene inizierò a pubblicare settimanalmente^^
Prossimo
capitolo: A
lone wolf and a home
|
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Capitolo 8 *** 7: A lone wolf and a home ***
7: A
lone
wolf and a home
“Frutto del buio
Il tuo seme
cresce
In un mondo di
malinconia”
Blind Guardian –
Harvest of
sorrow
Il secondo
giorno di viaggio si fermò innanzi all’ingresso di
una cittadina affollata e
favorevole al commercio…
Contemplò
un attimo il grande cartello all’ingresso recante la scritta
“Rush Valley”,
sorridendo per poi scuotere la testa.
Rush
Valley, paradiso di fabbri e produttori di automail, protesi metalliche
usate
per rimpiazzare gli arti mancanti con le stesse funzioni di quelli.
Case di
tutte le dimensioni erano alternate a negozi di ogni genere, dove
mercanti
sorridenti e allegri trattavano con persone pulite e a posto con la
legge.
Tuttavia
sapeva cosa accadeva nei sobborghi di quella città, nei
vicoli bui, la notte…
Una
facciata ridente nascondeva il più grande giro di
criminalità che fosse
conosciuto, dopo quello di Central City, di solito non creava problemi
a
nessuno d’influente o, comunque, non provocava problemi che
marginali alla
popolazione. Raramente capitava che alzassero la testa un po’
troppo, in quei
casi qualcuno dell’Organizzazione veniva mandato a tagliarla,
così da rimandare
la rinascita della feccia.
Nessuno si
era mai preoccupato di estirparla del tutto.
In fondo
era una discreta fonte di guadagno.
Spense la
moto e la accompagnò a mano per i boulevard affollati di
gente ricca.
Era stato
molte volte in quella città e la conosceva quasi come le sue
tasche, lo
svantaggio era che anche la gente lo riconosceva, e di solito i membri
dei
Cacciatori non erano molto ben visti dal popolo e trattati alla stregua
di
assassini a pagamento dai borghesi.
La realtà
non era poi tanto diversa.
Slacciò la
cappa, lasciando in mostra il ciondolo di forma animale
–Preparatevi…il lupo è
tornato-
Per strada
tutti si spostavano per lasciarlo passare, in un rispetto timoroso,
dettato più
da paura che da una vera stima per quel ragazzo che ad appena 17 anni
aveva
ucciso già più di cento uomini.
Il Lupo?
Hai visto il pendaglio? Si…che vergogna, dovrebbero bandire
quell’assassino. Fa
comodo ad altri. È un mercenario. Dicono sia un demone. Che
se ne torni da
dov’è venuto. Meriterebbe di schiattare. Spero se
ne vada in fretta. È
portatore di disgrazia…
Questi
erano i continui brusii che la sua mente coglieva distintamente ma che
lui si
costringeva ad ignorare, detti a mezzavoce, per paura, ma abbastanza
forte per
far capire al diretto interessato che non era il benvenuto.
Un sasso lo
colpì al fianco.
Il colpo
era troppo debole per anche solo infastidirlo, ma guardò
comunque incuriosito
l’unico che aveva avuto il coraggio di
“aggredirlo” e scorgendo il visino
determinato di un bambino che si stringeva alla sottana della madre.
-Che branco
di buffoni…- pensò –tutti adulti e
l’unico che ha coraggio è un bambino-
Tuttavia il
gesto l’aveva profondamente colpito
nell’animo…era odiato proprio da tutti.
Si calò il
cappello sugli occhi per nascondere la piccola lacrima che gli scorreva
sul
volto, lasciandola cadere a terra.
Il bambino
ora si era fatto triste, sentendosi in colpa per il gesto fatto, e
cercò di
andare accanto al ragazzo, ma venne fermato dalla madre, che
guardò il
cacciatore in cagnesco.
Rakyr
ignorò la signora e si avvicinò al pargolo,
carezzandogli la testa con fare
gentile e sorridendogli.
La folla
osservò il tutto indignata.
Un demone
non meritava di avere sentimenti per loro.
Il bimbo
invece sorrise e gli passò una manina sulla guancia,
raggiante.
Agli occhi
puri dell’infante era solo un ragazzo triste e solo che
veniva rifiutato da
tutti.
-Tu…felice…ora-
-Grazie
piccolo-
Con un
sorriso si congedò, continuando per la sua strada.
-Mamma, lui
buono- disse seguendo la schiena ammantata con occhi allegri
La madre
scosse il capo e lo portò via, nonostante le parole del
piccolo erano
inconfutabili.
La porta di
un negozio si spalancò d’improvviso.
-Sono
tornato-
Un uomo
nerboruto con tendenze femminee gli si avvicinò ridente
–Oh, Rakyr caro, sei
tornato? Per quanto rimarrai questa volta?-
-Non lo
so…l’incarico pare funghetto-
-Winry,
accompagna nella mansarda il signor ospite-
Una ragazza
bionda arrivò di gran carriera davanti ai due, con ancora un
paio di cacciaviti
in mano ed un top nero che le evitava ogni impaccio.
-Winry, lui
è Rakyr…è un amico nonostante faccia
un lavoro ingrato- si interruppe un attimo
–In compenso è un fabbro eccezionale-
-Non
esagerare…diciamo che me la cavo un pochino-
-Direi
molto di più, comunque vai pure in camera a cambiarti e
lavarti- fissò i suoi
abiti sporchi di terra e sabbia e polvere –I tuoi abiti da
borghese sono ancora
qui dall’ultima volta, dopo
il…ehm…litigio dell’ultima volta erano
un po’
laceri, quindi mi sono permesso di sistemarli un po’-
-Sei un
angelo-
-Ma che, ma
che- l’omone arrossì ridacchiando.
Winry
accompagnò il cacciatore davanti alla stanza
–Dannazione, le chiavi…- si frugò
addosso ma ne uscì con uno sconsolato sospiro.
-Non
preoccuparti, faccio da solo- tracciò un cerchio alchemico
attorno alla
serratura e la aprì attivandolo –Grazie comunque-
-Tu sai
usare l’alchimia?-
-Si,
beh…diciamo che me la cavicchio, anche tu la pratichi?-
-Beh no,
però c’è una persona bassa e scontrosa
che è un vero genio…-
Fissò lo
sguardo raggiante di Winry mentre parlava del piccolo alchimista
–Dal tuo
sguardo parrebbe una persona molto importante per
te…è per caso il tuo
ragazzo?-
Lei arrossì
di botto –No, ma che dici…ehehehe-
iniziò a ridere imbarazzata.
-Però non
ti dispiacerebbe se lo fosse-
Lei arrossì
ancora di più davanti all’espressione divertita
del ragazzo –Beh…- iniziò a
torturare un cacciavite che aveva alla cintura.
-Non fa
nulla se non rispondi…ora scusami, ma vorrei riposare un
attimo-
-V-va
b-bene…- fece per andarsene, quando si voltò
–Ah, dimenticavo, come ti chiami?-
-Rakyr
Celes- sorrise per poi chiudere la porta.
Guardò gli
abiti sul letto –Sono stupendi- una camicia e dei leggeri
pantaloni bianchi
giacevano sul letto ordinatamente, accompagnati da una semplice cintura
marrone. Accanto c’erano comodi jeans resistenti ed un paio
di guanti di buon
cuoio.
Era a casa…
Ringraziamenti:
Romance: Amore, sei
dolcissima!!!
The_Dark_Side:
Grazie mille, non ti deluderò
Faccina felice/buffa:
sono contento che la storia ti affascini, inutile dire quanto sia
importante per me questo racconto
Dark Ailbhe: grazie
mille del tuo commento anche su questa fic, spero riuscirai a leggere
per intero questa storia!
Prossimo capitolo: Legge
inesistente
|
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Capitolo 9 *** 8: Legge inesistente ***
8:
Legge inesistente
“Così
solo nel mondo
distante,
I ricordi dei
sogni
rimarranno
Come il mondo
che diventa
insensibile e le nostre vane esistenze”
Dragonforce – The
Flame of
Youth
-Fermati!
Abbiamo detto di fermarti!!!-
-Col cavolo
che mi fermo- pensò Feren, scappando da quei due tizi che
sembravano essere
tutori dell’ordine
–Poliziotti…è un anno che ci provano.
Sono diventata famosa
in fretta…-
Feren stava
correndo, nemmeno con tanto impegno. Si limitava a fermarsi ogni tanto,
per
dare un vantaggio a quei poliziotti che la seguivano –Non ce
la faranno mai…-
Feren si
era fatta notare apposta, tanto per sgranchirsi un po’ le
gambe. Ogni tanto lo
faceva. Perché per lei, quello era un metodo di
riconoscimento –Non
preoccuparti, Arden…prima o poi verrò anche a
giocare con te…-
Si fermò,
di scatto, dando loro la schiena. I poliziotti dietro di lei si
fermarono a
loro volta.
-Ti
dichiariamo in arresto, Feren Bloodbane…sei accusata di
plurimo omicidio e di
furto aggravato, truffa e…-
-Ah…siete
noiosi. So ciò che ho fatto- Feren si voltò verso
di loro, sorridendo –Poveri
sciocchi…non vale proprio niente la vostra vita?-
-Non hai
forse capito lo stato in cui ti trovi, non è forse
così…?-
-Può
darsi…- la ragazza aveva qualcosa in mente. Mise mano sotto
la sua lunga gonna,
prese dalle fondine i suoi pugnali, nascosti per non dare
nell’occhio –Non
costringetemi a farvi del male…-
-Non
abbiamo paura, ragazzina…- i due mostrarono a Feren due
pistole, lucide, a
canna lunga, sicuramente cariche e senza la sicura inserita
–Un passo falso e…-
-E…?- Feren
era sempre più spavalda. La sicurezza non le mancava
–Su, forza…provateci
pure…-
I sue si
guardarono, confusi. Ma loro erano in due e avevano in mano armi da
fuoco
–L’hai voluto tu…-
Un colpo,
seguito da un altro. Due boati a distanza ravvicinata che non la
spaventarono
minimamente. Feren si limitò a piantare i pugnali a terra, a
toccare il ruvido
manto di cemento e sorridere. Un muro si parò tra lei ed i
proiettili, i
poliziotti rimasero di stucco e arretrarono di un passo –Ma
come…-
-Non fatevi
spaventare…questo non è certo niente…-
Feren si alzò, toccò quel muro appena
innalzato nel centro, aprendovi un buco perfettamente circolare
–Questo è solo
l’inizio…-
Feren fece
scomparire del tutto quel muro, sgretolandolo in pezzi
–Sarà la vostra fine…-
si avvicinò a loro così velocemente che nemmeno
se ne avvidero. L’unica cosa
che notarono fu il suo sorriso. Un sorriso cattivo.
-Uhm…il mio
occhio continua a reclamare sangue…- Feren guardò
i corpi senza vita dei due
poliziotti accanto a lei. Uno lo scostò con il piede,
annoiata –Non mi hanno
nemmeno fatto divertire…-
A volte
capitava. Le capitava di mettersi in testa di dimostrare qualcosa. Ma
non aveva
niente da dimostrare, a nessuno. Lei era…
-Io
sono…l’alchimista nera…- sorrise, quasi
soddisfatta di quel soprannome che le
avevano affibbiato. In molti luoghi era considerata una leggenda. Forse
nemmeno
credevano che potesse esistere. Un volto angelico, che poteva
trasformarsi in
quello del diavolo in persona. Piccola ed indifesa…
-Sono
tutt’altro che indifesa. Ho la mia abilità
nell’usare i pugnali…e la mia
alchimia…-
Lei, però,
odiava l’alchimia. Perché la sua alchimia era un
regalo da parte di qualcuno
che odiava dal più profondo del suo cuore –Per
colpa sua, io…-
Feren non
si spiegava come, da quel maledetto giorno, lei potesse usare
l’alchimia senza
tracciare il cerchio alchemico. Suo padre, che era il più
grande di tutti, non
riusciva a trasmutare niente senza prima tracciarlo.
-Padre…-
Feren abbassò lo sguardo, distrutta. Prese la sua poca roba,
guardò i corpi dei
poliziotti con uno sguardo del tutto privo di espressione. E, come
faceva
sempre per dimostrare la sua presenza, lasciò sopra un
bigliettino, quasi come
fosse uno scherzo “Sempre vostra, Feren Bloodbane”.
Ringrazio tutti coloro
che hanno seguito la storia fino ad ora e li
invito a continuare ^^
Prossimo capitolo: Soul
of metal
|
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Capitolo 10 *** 9: Soul of metal ***
9:
Soul of metal
“Alziamo
la spada lottiamo
per la vita
Spada e scudo splendono
chiari
colpiamo come draghi,
senza
paura
le nostre spade sono
fatte
d’acciaio”
Dragonforce
– Cry of the
brave
-Sveglia
pigrone!!! Hai intenzione di dormire tutto il giorno?!-
La voce lo
raggiunse come una secchiata di acqua gelida sul volto, facendogli
aprire di
scatto gli occhi e mettersi a sedere sul bordo del letto, con i piedi
che
sfioravano il pavimento di pietra tiepida a causa del calore della
fucina.
Si crogiolò
lentamente in quel piccolo piacere mentre scrutava chi
l’aveva svegliato di
forza.
Era una
giovane donna dalla carnagione abbronzata di chi vive nel deserto sotto
il sole
cocente, occhi neri ed espressivi e capelli dello stesso colore
raccolti in
treccine dietro alla nuca –Paninya, i tuoi modi non ti
smentiscono mai…sempre
alquanto…diretta-
-E tu dormi
sempre troppo- i due si fissarono negli occhi a vicenda per scoppiare
in un
riso sincero e piacevole.
Il primo a
riprendersi fu Rakyr –Come sta il vecchio?-
-Ah,
bene…credo gli farebbe piacere ricevere una delle tue rare
visite, sembra tu
gli stia simpatico- il cacciatore ridacchiò sommessamente
mentre la ragazza si
portava un dito affusolato al labbro inferiore come per ragionare
–Ah,
dimenticavo…come va con le taglie?-
Le labbra
dell’altro tornarono ad essere una sottile e perfetta linea
mentre la fissava
con durezza.
-È
vero…il
lavoro è un tasto dolente per te…- fece per
andarsene –Ah…Bentornato a casa- lo
disse con voce dolce, fraterna.
Sul volto
indurito dalla morte dell’alchimista tornò a
splendere un tenero sorriso
–Grazie Paninya, sorellona-
-Di nulla-
alzò un braccio uscendo di schiena per salutarlo
–Sorridi più spesso, sembri
quasi un bel ragazzo quando lo fai- ridacchiò –E
non cacciarti nei guai-
Una volta
che la porta si fu chiusa alle sue spalle saltò
giù dal letto, facendo un po’
di ginnastica per riscaldare e tonificare i muscoli e sgranchirsi gli
arti, poi
si spogliò per vestirsi con abiti leggeri e candidi, per poi
mettersi al
braccio un bracciale finemente intagliato con un cerchio alchemico, dei
guanti
bianchi ed avvolgersi il capo con il tipico copricapo dei beduini e
uscì per
strada, la spada saldamente legata alla sua schiena dopo essere stata
avvolta
in un panno bianco anch’esso.
Si fece
strada per le vie affollate ed il caos di venditori ambulanti ai bordi
delle
strade, intervallati da botteghe con oggetti dai prezzi da capogiro e
mendicanti dagli occhi e dalle tasche vuote, per poi uscire dalla
cittadina
commerciale e dai suoi dedali di vie.
Si avviò
con calma per il sentiero accidentato che portava alla casa del
forgiatore-eremita che aveva conosciuto tempo prima e sotto il quale
aveva studiato
per pochi mesi.
Calciava
pensieroso i sassolini che erano sulla strada, in ricordo
dell’infanzia che gli
era stata strappata.
Appena fu
davanti alla sua piccola ma accogliente casa uscì un piccolo
ragazzo biondo,
seguito da una rassegnata armatura decisamente imponente
–Dannato testone!-
imprecò il primo.
Dalla
dimora uscì un giovane uomo sulla ventina che
fissò con interesse il ragazzino
che si allontanava pian piano, per poi sorridere a Rakyr –Il
vecchio è di buon
umore-
-Così pare-
rise l’uomo, fissando lo strano duo.
-Oh, Rakyr,
cielo come sei cresciuto, sembri più grande dei tuoi
diciassette anni- una
gentile signora gli faceva cenno di entrare ed accomodarsi.
-Devo
proprio portarli male i miei anni!- tutti risero.
-Cos’è
tutto questo baccano, è ancora quel tappetto?- un signore
attempato, muscoloso
nonostante l’età, con striature bianche nei
capelli grigio scuro scrutò
l’ospite –Certo che hai un senso della
puntualità curioso…dall’ultima volta ne
è passato…- si strinsero la mano ilari.
-Allora,
come vanno gli affari…? Ti rifiuti ancora di lavorare per
l’esercito?-
-Si, il
piccoletto che è appena uscito voleva dei miei automail,
tuttavia è un
alchimista di stato e…-
-Alchimista
di stato, eh?- passò la lingua sulle labbra –Non
c’impiegherò molto-
Uscì dalla
porta lasciando cadere il turbante e creò una lunga catena
dal terreno, per
fonderne le estremità al bracciale ed al pomo della spada,
che ora lampeggiava
irata.
-Ehi,
alchimista nanerottolo!-
Il biondo
si fermò, tremante d’ira, voltando le spalle al
cacciatore, mentre l’armatura
si cassava una mano davanti alle fessure dell’elmo, disperata.
L’altro
esplose –Chi hai chiamato fagiolino ultraminuscolo che solo a
vederlo viene
voglia di schiacciarlo, eh?!-
-Fervida
immaginazione- lo fissò negli occhi di miele
–Pulce-
Il biondo
batté le mani, per poi colpire con i palmi aperti il
terreno, da cui comparve
una gabbia di roccia che intrappolò il cacciatore, che rise
–Tutto qui?- con un
paio di precisi fendenti mirati tranciò le sbarre, uscendo
all’aperto.
La spada
percorse la distanza che li divideva in un istante, e l’unica
cosa che
l’alchimista poté fare fu alzare il braccio destro
a difesa del suo corpo.
La lama lo
trapassò da parte a parte, ma nemmeno una viscosa goccia
insozzò il terreno
polveroso, la nuda roccia spazzata da un’insistente brezza
fresca.
-Automail…mi
chiedo perché te li abbiano impiantati- Toccò il
cerchio alchemico sul
bracciale e dalla spada comparvero piccoli ma resistenti rostri, che si
ancorarono al metallo del braccio.
L’altro
batté nuovamente le mani –Ora quella spada
svanirà- fissò l’avversario, che lo
fissava con ilarità, per poi toccare la lama con la mano
guantata.
Si
aspettava di vederla svanire o sgretolarsi sotto lo sguardo attonito
del suo
presuntuoso padrone.
Non accadde
nulla.
Il sole si
rifletteva sulla lucida superficie del metallo, come schernendolo
-Ma….-
-Hai
provato a distruggerla vero? Che delusione…-
scoprì i denti in un ghigno
crudele –Spiacente tappo, ma non puoi infrangere
un’anima così facilmente, e
soprattutto non la mia e la sua!- strattonò la catena con
forza sufficiente per
strappare il ragazzo da terra, sfruttando gli artigli della spada.
Lo colpì
mentre era a mezz’aria, inerme, con un poderoso pugno al
petto, annullando
l’alchimia e ritraendo la sua arma nello stesso momento in
cui il corpo svenuto
rovinava a terra.
Percepì una
presenza ed alzò appena in tempo la spada, parando in
extremis un vigoroso
colpo dell’armatura –Sei anche tu un cane
dell’esercito per caso?-
-No, ma…-
-Allora vattene, ho perso fin troppo tempo con voi- si voltò
tornando verso la casa del forgiatore -Ah, dimenticavo, il mio nome
è Rakyr Celes- si voltò a scrutarli con
un'espressione rigida -E odio i militari-
Ringraziamenti:
Salve a tutti, sono Romance ^^ e mi permetto di aggiornare al
posto di Raky per la mancanza di tempo del mio socio (ihih) e, se
permettete, mi permetto anche di ringraziare:
faccina buffa:
stavolta parlo a nome mio (finalmente!) e ti ringrazio per i
complimenti che mi hai fatto in uno scorso capitolo (non mi ricordo
quale, mi spiace ^^') e devo chiderti un favore: scuoti la testa a
questo zuccone! A ciò che gli dico io non ci crede
mai...perciò, forse, se è qualcun altro a dirlo...
Evito di ringraziarmi per non mettermi a ridere ^///^ spero che tutti
coloro che commentano e/o recensiscano continuino a seguire la ff fino
alla fine.
Prossimo capitolo: Incontro col
destino
|
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Capitolo 11 *** 10: Incontro col destino ***
10:
Incontro col destino
“I venti del cambiamento, amico mio,
soffieranno
per te in una notte morta”
Dragonforce
– Evening star
Il muro contro il quale
spingeva la schiena era ruvido e le stava facendo male.
Eppure non sentiva dolore, anzi…sorrideva, divertita.
Seguire
quel ragazzo non si era rivelato poi tanto sbagliato…e
pensare che le
sembrava così strano avere avuto quello smanioso interesse
per lui.
Era
forte…era curioso. E voleva proprio divertirsi un
po’.
Sorrise
maliziosa, mentre sentiva il suo occhio coperto fremere
dall’impazienza, reclamando ripetutamente ancora
sangue…ancora ed ancora…
-Aspetta…aspetta
ancora un po’…-
Guardò
il combattimento tra quel ragazzo dagli occhi verdi e quel piccoletto
dai capelli biondi fino all’ultimo. Sentì la gioia
della battaglia fremere in
lei…si sentiva stranamente esaltata. Poi, quando vide quel
piccolo corpo cadere
a terra rovinosamente, seppe che la battaglia era finita. La sua
schiena si
sollevò dal muro appena di poco…ma subito la voce
di quel ragazzo la frenò dal
muoversi.
-Sei
anche tu un cane dell’esercito per caso?-
Feren
si voltò a guardare…non si era accorta, prima di
quel momento, della
grande armatura che era con quel piccoletto biondo. Sentì
una voce metallica
rispondere di no…e aspettò di vedere la reazione
del ragazzo.
-Ah,
dimenticavo, il mio nome è Rakyr Celes…e odio i
militari-
Vide
il ragazzo incamminarsi verso la sua direzione. Si,
forse…l’avrebbe vista.
Voleva
proprio testare la forza di quel ragazzino…
Sentiva
i suoi passi vicini, sempre più vicini.
La
sua sicurezza e tranquillità erano
spaventose…chiunque altro avrebbe sentito
l’emozione stringergli la gola…ma lei no. Era
così tranquilla…che la sua
espressione seria faceva spavento.
-Un
alchimista…piuttosto curioso, già…- i
pensieri di Feren erano tutti per
quel ragazzo -Sarà un piacere giocare con te…- un
sorriso, ironico, gli
percorse il volto.
Questo
faceva presagire a qualcosa di terribile. Forse, lei, in
realtà…voleva
ucciderlo…? Non ebbe modo di pensarci, perché i
suoi passi erano ormai vicini.
-Eccola
lì…!- una voce vicina fece sobbalzare le orecchie
della ragazza che si
voltò, di scatto.
I
passi del ragazzo, il suo respiro…tutto era silenzioso. Si
era fermato, a
pochi passi da lei, forse ascoltando quelle voci. Feren
imprecò
silenziosamente, cercando di mantenere la calma.
-Dannazione…-
la voce della ragazza era tutt’altro che tranquilla adesso.
Quelli erano…
-Carogne.
Proprio adesso…- sentì di dover abbandonare i
suoi piani.
Fece
due passi oltre il muro, camminando lentamente. Poi, senza procedere
oltre, si fermò.
Voltò
il capo abbastanza da incrociare lo sguardo di quel ragazzo.
Occhi
verdi in occhi di notte…uno sguardo smeraldino serio
e…sorpreso. Di
vederla o di…incontrarla proprio in quel luogo. Occhi
meravigliosi…cui Feren
non riusciva a vederne veramente il colore…
-Salve…-
Feren disse solo queste parole, il ragazzo non rispose.
Continuò
invece a guardarla, assumendo un’espressione seria. La
ragazza,
sorridendo in modo malizioso, fece un leggero inchino con il volto,
facendo
dondolare davanti al viso i ciuffi lunghi e lisci e le piccole trecce,
che
risplendevano alla luce del sole. Quel ragazzo, osservandola, non aveva
fatto
alcun cenno. Al contrario di molti, non aveva nemmeno
sorriso…e, cosa ancora
più sbalorditiva, non era nemmeno arrossito.
-Sai…ora
devo andare. Ma quando avrò finito, io…- fece un
passo verso di lui.
Feren
si accorse di quanto fosse alto quel ragazzo, in confronto a lei.
Sorrise, mettendosi in punta di piedi, e sussurrò alle
orecchie del ragazzo
poche parole: -Vorrei parlare…con te…-
Sentì
di aver utilizzato le parole giuste e, soprattutto, il tono giusto.
Chiunque si sarebbe sciolto a quella civetteria così
sfacciata…ma quel ragazzo
no.
Il
suo sguardo si fece serio e anche quello della ragazza, quindi, non
poté che
seguirla.
-Che
vuoi da me, ragazzina…?- la voce di quel ragazzo era
dura…
-Oh…ma
che modi maleducati…- Feren sorrise, divertita.
Non
si sarebbe mai aspettata che qualcuno non cedesse così
facilmente al fascino
di cui era sicura essere forte.
-Eccola…adesso
non puoi più scappare…-
Feren
e quel ragazzo, che aveva detto chiamarsi Rakyr, guardarono verso quei
due uomini che li si paravano davanti. Rakyr sorrise, infastidito.
-Andatevene…-
un comando secco e infastidito, la voce roca e bassa.
-Come…?-
i due si guardarono straniti -Ma che…ehi,
ragazzino…-
Un
sorriso maligno percorse il volto del ragazzo, che scosse la testa
-Dopo non
ditemi che non vi avevo avvertito…-
Feren
non riuscì a seguire interamente la scena. Però
capì esattamente cos’era
successo.
Quel
ragazzo…era ancor più curioso di quanto non
avesse pensato.
Sorrise
divertita…colpendo con i piedi i corpi privi di sensi dei
due uomini.
Poi si voltò verso il ragazzo, sorridendo un po’
stupita -Non mi chiedi di aver
pietà per questi due…?-
-Tze…non
sono morti. E poi io li avevo avvertiti di andarsene…-
-Oh…capisco.
Nemmeno tu sembri poi così calmo, come invece il tuo bel
volto
lascia immaginare…- una risata falsa fuoriuscì
dalla bocca di Feren.
La
ragazza credeva di ingannarlo facilmente, eppure…
-Smettila.
Mostrami il tuo vero volto…-
Feren
voltò la testa verso Rakyr, realmente divertita. La sua
espressione tornò
quella seria e inespressiva di solito e un sospiro rassegnato non
poté che
coglierla all’improvviso.
-Ma
guarda…interessante, si si…-
Il
ragazzo incrociò le braccia, spazientito -Si può
sapere chi sei…?-
Feren
accennò un sorriso…ma quello era realmente un
sorriso?
-Ma
che maniere…- Feren si voltò verso il ragazzo,
fece un inchinò irrisorio.
Ma alzato il volto ed incrociato il suo sguardo, la sua voce era quanto
di può
serio di potesse immaginare -Io sono…il tuo
destino…-
I
loro sguardi erano immersi l’uno dentro l’altro.
Nessuno
dei due aveva intenzione di perdersi nemmeno un momento di quella
lotta…appena iniziata.
Ringraziamenti:
Romance:
Grazie Amore di esserci sempre! Ti Amo!!!
Onee-chan:
Grazie Deni, sono contento che ti piaccia
Prossimo capitolo: Something you
can't run away to
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Capitolo 12 *** 11: something you can't run away to ***
11: Something you can’t
run away to
“E rimaniamo tutti,
lottando fino a cadere,
Sperando in un giorno
migliore senza arrendersi”
Dragonforce - Starfire
Rakyr
scattò indietro, la spada ancora incatenata al braccio,
mentre il metallo strisciava sulla terra arida.
Un piccolo
taglio apparve sulla sua guancia destra, la ragazza era veloce e lui ci
era cascato in pieno, tuttavia lo emozionava l’idea di
combattere contro di lei, che aveva estratto il pugnale e
l’aveva colpito senza che lui riuscisse a schivare del tutto
il colpo.
Leccò
la goccia di sangue che stava colando, un sorriso crudele sulle labbra.
Feren…davvero
una bambina impertinente, però se la cavava, e pure bene.
-Questo
significa che sei così stupida da sfidarmi?-
-Oh oh, il
giovanotto si da delle arie-
-Taci!- la
voce scherzosa della ragazza lo infastidiva, gli faceva sembrare di
essere sottovalutato, insultato nell’orgoglio.
-Beh, allora
vuol dire che inizio io-
Congiunse le
mani, correndo verso il cacciatore, che parò il suo potente
calcio con il piatto della lama –Scacco- la ragazza si mise
in elevazione sulle mani, compiendo un’alchimia che
congelò lo stretto sentiero, per poi colpire con un calcio
più forte il giovane, che slittò indietro, usando
come ancora la lama della spada, che incise ghiaccio e terra
profondamente, fermando l’impeto.
-Vita o morte
eh? Mi piace come regola- tagliò un pezzo di ghiaccio,
evocando dal suolo di terra una katana che impugnò con la
sinistra, correndo poi verso il suo avversario, che leggiadro si
spostò, quasi danzando sul gelido terreno, come se fosse
normale terra battuta.
Un’altra
volta le lame fendettero il terreno, cantando stridule –Sei
buffo, non ti reggi quasi in piedi-
Lei
evocò una sfera infuocata, che bruciacchiò i
vestiti del giovane, sorpreso per una così grande
abilità.
Non ebbe tempo
di rimuginarci.
Un pugnale
volò preciso verso di lui, costringendolo a sbilanciarsi per
schivarlo.
Proprio come
lei desiderava.
Gli era
già dietro e con un veloce gioco di gambe lo fece cadere a
terra, lasciando che la katana scivolasse giù dal dirupo.
Feren si
allontanò mentre l’alchimista si riprendeva
brevemente dal colpo subito, dimostrando un vigore fuori dal comune
–Il gioco è durato fin troppo- conficcò
la punta della spada a terra e si tolse i guanti.
La ragazza non
poté esimersi da un verso sorpreso…sui
polpastrelli aveva disegnati, no…incisi dei cerchi alchemici
potentissimi –Ma tu…cosa sei?-
-Qualcuno che
non ha nulla da perdere-
Fece
combaciare pollice e indice, passandoli nel vento.
Il cielo si
scurì d’un tratto ed un fulmine solitario
incenerì il terreno ai piedi della ragazza –La
prossima volta non sbaglierò mira-
Il tono le
fece intendere che non prenderla era stata una sua attenzione, e che
quello era solo un minimo assaggio delle sue abilità.
Feren rise,
non aveva mai trovato nessuno in grado di tenerle testa
così, senza nemmeno vacillare davanti al suo sguardo, rivide
le cicatrici sui polpastrelli di Rakyr, pensando a quanto a fondo la
lama che li aveva incisi si era dovuta spingere.
Era come lei,
uno che per vendetta avrebbe potuto sopportare qualsiasi sofferenza,
anche quelle più tremende –Per ora mi sono
trattenuta fin troppo, ti risparmio la vita questa volta- vide lo
sguardo ironico del ragazzo, al quale rispose con uno di profondo odio
–Non credere che questa sia una ritirata, o che tu mi faccia
pietà, la prossima volta…- si rese conto di aver
parlato troppo e svanì nei vicoli della città.
-Ora sono
sicuro che questa prossima volta ci sarà, e un po’
ci spero- lasciò che la brezza sparpagliasse le sue parole.
Si
guardò i vestiti bruciacchiati e la pelle scorticata in
alcuni punti –Merda, Paninya e Garfiel mi uccideranno a vista!- dicendo così
rientrò nella casa del forgiatore degli automail la signora
lo curò diligentemente, preoccupata per le scottature e le
ferite superficiali che aveva riportato, ma conoscendo il suo ospite
non fece domande.
In fondo
sapeva già che non avrebbe mai risposto.
-Grazie ancora
ossan*, magari domani riusciremo a parlare più diffusamente-
fece un piccolo inchino e tornò verso il suo appartamento,
la spada legata dietro la schiena e la camicia aperta sul davanti
perché priva dei bottoni, andati persi nel confronto.
Entrò
timoroso, quasi tremante, infatti Paninya, dopo aver visto lo stato suo
e dei vestiti lo trascinò in sala per un orecchio, dove
un’altra persona stava venendo sgridata pesantemente e
pregava una grande armatura di aiutarlo ad evadere.
-Ma Winry, non
è stata colpa mia…- si voltò vedendo
la giovane.
-Ciao
alchimista nanerottolo…- salutò Rakyr
soprappensiero.
-Tu…dannato!!-
-E sta zitto!-
la bionda lo colpì con una chiave inglese, lasciandolo alle
cure del colosso.
-A quanto pare
vi siete conosciuti…-
-Beh…il
fagiolino si riscalda per poco-
-Si chiama
Edward, e quell’armatura gigante è suo fratello
Alphonse-
Edward?
Alphonse? I nomi gli ricordavano il maestro… come li aveva
chiamati? Ah, si…i fratelli Elric.
Cercavano
anche loro la pietra filosofale.
Ora
però lui aveva trovato loro.
-È
un piacere per me conoscervi- disse con un sorriso ambiguo.
Dopo essere
tornato in camera rise allegro –Maestro…sono un
altro passo più vicino a voi…-
Non poteva
sapere che un corpo di metallo non ha bisogno di riposo, né
che qualcuno potesse ascoltare i suoi discorsi.
Ma forse fu
meglio così…
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Capitolo 13 *** 12: Ciò per cui combattere ***
12:
Ciò per cui combattere
“Guardandomi,
volendomi
posso
sentire il tuo sottomettermi”
Evanescence
- Haunted
Non poteva crederci. No, non voleva crederci.
Quel ragazzino l’aveva costretta ad andarsene, a
fuggire…come era potuto accadere?
E poi, la sua frase…come aveva potuto dirgli che si
sarebbero rincontrati?
Si fermò, dopo aver corso per un bel pezzo di strada, il
confine della cittadine era ormai prossimo.
Voltandosi indietro, cercò di convincersi che tutto
ciò che aveva passato nelle ultime ore fosse qualcosa da
lasciarsi alle spalle, come gran parte del suo passato.
Quel ragazzo, il suo interesse per lui dovevano svanire. Eppure,
ripensandoci, non riusciva a dimenticare quegli occhi smeraldini,
quell’espressione fiera, quelle mani…
Scosse la testa, rendendosi conto che un pericolo maggiore di suo
fratello stava annidandosi nel suo cuore. Dette un nome a quel
pericolo, qualcosa che non credeva potesse essere. Cerco di capire se
fosse solo curiosità, ma non lo era. Interesse, ma non lo
era. Poi sorrise, un po’ stupita di averci pensato. Tutti
questi appartavano alla categoria dei “sentimenti”
e lei non aveva più sentimenti.
Da quel lontano giorno di un anno fa.
Le sue gambe erano stanche…e il suo cervello continuava a
pensarci.
Povero sciocco…pensava forse che lei lo avrebbe lasciato in
vita? Seppure non aveva visto il suo vero volto, non poteva certo
lasciarlo in vita. Non dopo la loro battaglia fulminea…
Eppure era un vero peccato.
Quella maestria nei movimenti, nei particolari di ogni trasmutazione,
quell’anima forte e quell’alchimia.
Quell’alchimia diversa da qualsiasi altra avesse visto
finora. Soprattutto quel fulmine…perché non
colpirla, dal momento che per lui era davvero facile ucciderla?
Si fermò, pensierosa…vide una bancarella di
frutta, vi si fermò davanti.
Osservò la merce in vendita, tutta frutta di un colore
brillante e di un’ottima qualità.
La sua attenzione fu attirata da una stupenda mela rossa.
Rossa…l’ammaliava quel colore, la ipnotizzava.
Stava quasi per cedere alla tentazione di rubarla e scappare via. Poi,
scocciata, ci ripensò.
Non aveva nessuna intenzione di cedere alla tentazione di un furto
facile e incorrere, di nuovo, in un inseguimento che
l’avrebbe portata ad uccidere qualcuno. Non ne aveva voglia.
L’unica persone che voleva uccidere, adesso, era solo lui.
Arden.
Ormai priva di stimoli per rendere la giornata interessante,
allungò una mano verso la sacca, prese in mano qualche
moneta. Stava per pagare quella mela, quando qualcuno la
esortò dal farlo.
-Gliela offro io, signorina…- Feren si voltò
verso quella voce, così familiare.
Davanti a lei un bel ragazzo, alto, dagli occhi azzurrini e i capelli
rossastri. Un’espressione gentile, dipinta sul volto.
Eppure…il cuore di Feren si fermò, il suo occhio
nero si spalancò a dismisura.
Il suo sentimento di quel momento si poteva racchiudere tutto in un
parola: odio.
-A…Arden…?-
Un sorriso, dolcissimo. Feren guardò il fratello pagare la
mela al fruttivendolo, lo vide che la prendeva per mano. Al di fuori
sembrava l’avesse fatto con dolcezza…in
realtà la sua morsa era stretta e dura.
Feren non sentiva dolore, ma solo rabbia. E voglia di uccidere.
Arden la portò in un luogo isolato, dove non c’era
nessuno, lasciò la sua mano e la guardò ridendo.
Ma stavolta il suo sorriso era cattivo, ironico. I suoi occhi divennero
quelli di un pazzo, come tanti anni prima.
-Ciao sorellina…sono tornato…-
Feren guardò quel volto inumano con rabbia. Ma nel suo cuore
si fece largo un sentimento ancora più insopportabile, che
non credeva più di avere.
Paura…una paura tremenda. Feren non credeva che una persona
potesse avere così tanta paura di un'altra persona.
-Che cosa vuoi, Arden…?- la sua falsa voce seria venne
tradita dalla sincerità del suo corpo, che tremava.
-Oh, Feren…hai ancora paura di me? E pensare che io ti amo
così tanto…- un passo verso la sorella.
-Non ti avvicinare a me!- Feren arretrò di un passo.
No, quella non era paura. Era terrore, terrore allo stato puro.
Il suo cuore non avrebbe retto ad uno sforzo come quello che stava
sopportando, lei sapeva di non poter competere con Arden. Lui
era…un genio, lui era troppo più bravo di lei.
Seppure la battaglia di poco prima ancora la scuotesse, lei…
-Non ti farò del male, sorellina…
-Non voglio che ti avvicini…io ti odio!- la voce di Feren si
fece alta, distorta.
-Ma via, sorellina…lo sai che io…-
-Tu mi hai ucciso, Arden! Perché vuoi ancora infierire su di
me? Non ti basta aver fatto del male alla mamma?-
Arden divenne serio e si fermò. Non fece più
alcun passo verso la sorella, così terrorizzata, non
infierì con il terrore psicologico di cui era capace. Era
irritato…
-Quella donna mi voleva impedire di amarti…non voleva che ci
amassimo…-
-Sei un bastardo, Arden! Io non ho mai chiesto di amarmi…non
ho mai voluto amarti. Tu sei mio fratello!-
Arden sorrise, sempre più irritato. E cominciò di
nuovo ad avanzare verso la sorella -Sbagliato. Io e te non siamo
fratelli. Semmai fratellastri, Feren…-
Quella voce bloccò la retrocessione della
ragazza…era proprio come quella di quel giorno. La voce di
un pazzo che non sa di esser tale. L’essere peggiore di tutti.
Lei non poteva crederci…il suo odio era cresciuto, la sua
forza aumentata, la sua alchimia arrivata a livelli tali da farla
conoscere in tutto il paese. Ma ancora lei non riusciva a smettere di
aver paura di Arden.
La sua paura così insistente e per lei insensata la
portò a formulare pensieri insensati, a pensare a cose che,
in altri casi, non si sarebbe mai sognata di pensare.
Pensò a quel giorno, al suo dolore. Alle sue azioni, a
ciò che era. Al combattimento del giorno prima, a quel
ragazzo. Al fatto che, in quel momento, avrebbe voluto che lui fosse
lì, accanto a lei.
Intanto, molto vicino a quel luogo, qualcuno correva. Qualcuno che
aveva una sgradevole sensazione dentro al cuore, una sensazione di
pericolo imminente.
Aveva lasciato tutti a bocca aperta, scappando senza dare spiegazioni a
nessuno. E infatti nemmeno lui sapeva perché stava correndo,
dove stesse andando. Ma sentiva di doverlo fare, o qualcosa si sarebbe
rotto.
Quella ragazza…che fosse stata lei ad essere in pericolo?
Non riusciva a dare un nome a quella sensazione sgradevole, a quella
strana rabbia crescente che sentiva dentro.
Sentiva che, se fosse stata davvero in pericolo, qualunque cosa si
fosse mezzo in mezzo fra loro due…sarebbe dovuto sparire.
Dopotutto…il loro combattimento non era ancora finito.
Nessuno poteva permettersi di uccidere o di fare del male a quella
ragazza.
Non l’avrebbe mai permesso. Almeno non prima che il loro
combattimento fosse davvero concluso
-Arden, smettila…-
-Sorellina, andiamo…non ti ricorda niente questa
scena…?-
Feren era bloccata ad un muro, mani e caviglia strette in una morsa di
ferro. Le sue mani non potevano compiere trasmutazioni e la sua paura
le stava annebbiando il cervello. Non poteva crederci…non si
era nemmeno accorta che suo fratello le avesse fatto ciò.
-Come diavolo puoi aver…- la voce di Feren era flebile, un
sussurro.
Non poteva credere alla sua sensazione orribile, alla sua
stupidità in quel momento. Come poteva non rendersi conto
che, se fosse morta adesso, tutto sarebbe stato inutile?
Lei credeva di esser diventata forte…eppure non era
migliorata neanche un po’, non era riuscita a tenere a bada
la sua paura. Come aveva pensato di poter tenere a bada suo fratello?
Sentiva di voler piangere…sentiva di volersi
sfogare…ma non ne aveva la forza.
Era del tutto inutile opporsi, a questo punto. Pensava che non ci fosse
ormai nient’altro da fare.
-Sorellina…non capisco perché continui ad opporti
al tuo destino. Per quanto tu possa scappare, io ti
ritroverò sempre…- un sorriso cattivo, che fece
salire in Feren una rabbia tremenda.
-Non sono io quella che è scappata quella
notte…quello sei stato tu. Sono io quella che ti ha cercato,
per tutto questo tempo…- Feren non si accorse che la sua
rabbia, ormai, aveva toccato un limite talmente alto che la sua paura
se n’era andata.
-Ma guarda…hai smesso di tremare…- Arden si
avvicinò alla sorella, le carezzò il volto -Ma lo
sai che sei diventata bellissima Feren…? Quasi mi dispiace
di aver distrutto la tua luce, di averti abbuiato la metà
del mondo…-
-Ah si…? Allora perché non me la restituisci,
quella luce…?-
-Non posso, sorellina…hai già trovato un
sostituto…no?- Arden sollevò il ciuffo che le
copriva l’occhio. Feren si stupì: come diavolo
aveva fatto ad accorgersene? Sentì un bacio sopra la
palpebra, una sensazione di disgusto si impadronì di lei.
Si, non aveva dubbi…la rabbia era più forte della
paura. Ed in quel momento non riusciva più ad aver paura di
lui.
-Mi fai schifo…-
-Ma guarda…come siamo cattivi…- le
pizzicò un braccio, in modo violento -Non si parla
così al proprio fidanzato…-
-Fidanzato? Tu non sei altro che un…mostro…-
Feren, come in passato, sputò in faccia al fratello.
Questi non sembrò accettare la ripetizione di quel gesto e,
prendendole una ciocca di capelli fra le mani, la tirò verso
di se.
-Ascoltami bene, sciocca…ti ho risparmiato la visione della
morte di quella donna solo perché ti amavo. Non farmi
rimpiangere la mia scelta…-
-Chi se ne frega. Non capisco come tu abbia potuto tenermi in vita.
Dopotutto lo sai a cosa miro, no…?-
-Tze…non voglio di nuovo costringerti ad accettare il mio
amore, Feren…-
-Non avresti mai il coraggio di farlo…- la sua voce
tremò, per un istante.
Sapeva benissimo che lo avrebbe fatto comunque…e aveva
paura. Ma non voleva che la paura le impedisse di trattarlo come
meritava -Sei solo un patetico vigliacco…ed io ti
odio…-
-Adesso basta, sorellina…adesso basta…-
Arden, con furia, tappò la bocca di Feren con un bacio. Ma
le morse un labbro, mentre lo faceva, e la bocca di entrambi si
riempì di sangue.
Arden si leccò il labbro…estasiato da quel sapore
che lui adorava.
Di nuovo un bacio chiuse la bocca di quella ragazzina ormai
completamente in suo potere…Feren sentì la lingua
del fratello violarla, per la seconda volta, sapeva cosa sarebbe
successo.
Le sue mani si strinsero in pugni, impotenti.
La mano di Arden si poggiò sui seni di Feren, cresciuti
rispetto al passato, la sua violenza nel carezzarli le fece male. Arden
apprezzò il mugolio di dolore che fuoriuscì dalla
bocca della sorella.
Intanto, con dolcezza però, allungò la mano verso
il ventre della ragazza, coperto da quella sua tuta. Cercò
di aprirla, di arrivare al fiore della ragazza. Feren chiuse gli occhi,
non voleva vedere niente. Quella volta no.
-Fermati, bastardo…!- uno schiocco di dita, un fulmine che
fece allontanare Arden dalla ragazza -Non lo sai che le fanciulle non
si toccano nemmeno con un fiore…?-
Il volto di Arden si aprì in un sorriso ironico e sorpreso
-Ma guarda guarda chi si rivede…-
Il ragazzo rese lo stesso sguardo, cattivo per giunta -Come
dire…è un dispiacere rivederti…-
-Rakyr..?- la ragazza guardò Rakyr guardarla, salutarla con
un cenno del capo.
-Feren…anche tu qui?- si voltò di nuovo verso
Arden, incitandolo con un cenno allo scontro -Non ti
permetterò di farla franca. Abbiamo un conto in sospeso, noi
due…-
Arden sorrise, sorpreso -Sei così ansioso di morire?- la sua
voce era seria, troppo seria per far finta di non sentirla.
Ma Rakyr non aveva paura di Arden -Potrei chiederti la stessa
cosa…-
Ringrazio Romance e Onee-chan,
grazie per le gentili recensioni!!!!!
Romance, amore mio, ti Amooo!!!
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Capitolo 14 *** 13: A fool or a lionheart ***
13:
A fool or a lionheart
“Occhi
luminosi
accecati dalla
paura della vita,
ed il drago
oscuro s’innalza”
Blind Guardian
– Bright eyes
-Ma…come vi conoscete?- Feren faticava a staccare lo sguardo
dal moro, che aveva un’espressione tesa ma fredda, da cui non
trapelava alcun sentimento, in cui riconobbe l’espressione
che aveva nella lotta contro di lei.
-Questo bastardo ha profanato la tomba del mio mentore ed infangato il
suo nome…ora pagherà-
Una risata scoppio, folle, dalla bocca del rosso –Credi di
essere così in gamba?- le sue pupille erano ridotte a un
puntino minuscolo, un concentrato di pazzia e crudeltà
illimitata.
Catene spuntarono dai muri, intrappolando Rakyr al muro –Ora
sei alla mia mercé…chiedi pure pietà,
piangi, strepita…sarà più divertente
farti soffrire!-
Gli si avvicinò sicuro di sé.
A tre metri.
Due metri.
Un metro.
-Spiacente per te- congiunse i polpastrelli di pollice ed indice e
toccò le catene, che gli si legarono al bracciale al suo
polso.
Arden era rimasto un po’ scosso…non aveva previsto
un’azione del genere e non capiva come avesse fatto senza
guanti, ma non gli importava.
La distrazione tuttavia gli costò una ferita
sull’addome da parte della lucente lama del cacciatore, ora
legata alla catena.
-Mi stupisci sai? Pensavo sarebbe bastato trattarti da pivello e
invece…invece guarda, sei più abile di quanto
pensassi-
Congiunse le mani ed una patina gelida ricoprì Rakyr, che si
mosse a disagio, rallentato dal freddo e dalla rigidità del
ghiaccio.
Questo permise al fratello di toccare il gelido strato con le mani.
Il ghiaccio s’infranse in un milione di scintillanti schegge
che graffiarono la pelle, la perforavano come chiodi e
s’incastravano nella carne.
Tuttavia il cacciatore non cedeva, era in piedi e, sebbene ansimasse
per il dolore e la fatica, non avrebbe smesso di lottare.
Stava difendendo una persona importante.
La porticina dei sentimenti traballò, facendo accelerare il
battito cardiaco e facendolo tossire saliva mista a vermiglio sangue.
Nello stretto vicolo Arden corse per colpirlo, alzando il pugno.
Rakyr tese l’indice verso il suo sangue, disegnando veloce
due cerchi alchemici sui muri paralleli facendo attenzione che Feren
fosse dietro ad essi.
Li colpì proprio mentre il pazzo tendeva il braccio.
Dai muri spuntarono due file di lame, poste orizzontalmente a
protezione dei due, in modo che gli aggressori si ferissero ancora
prima di raggiungere il bersaglio e che non potessero nemmeno
sorvegliare la fuga della vittima.
Tutto troppo veloce perché Arden potesse sfuggire
all’acciaio.
E così fu.
Caldo sangue tinse il metallo mentre il ragazzo si stringeva la mano,
mutilata del pollice e quasi inservibile per il suo terribile stato.
Guardò con uno sguardo terribile Rakyr, che sorrideva
soddisfatto dall’altra parte della barricata, per poi
raccogliere il dito mutilato –Pagherai…ti
ucciderò per questo affronto!- così dicendo
fuggì.
-Ci conto…così potrò finalmente
vendicarmi e salvare…lei- tossì di nuovo sangue.
La vista si annebbiava, i margini sempre più sfocati.
Le palpebre erano pesanti…troppo.
Barcollò in avanti e cadde stremato.
Tuttavia prima di cadere era riuscito a rivolgere un bel sorriso alla
ragazza, che arrossì.
Ma lui non lo vide.
Si risvegliò su di una superficie morbida, tanto differente
dal duro asfalto.
Il puzzo di alcool, urina e umidità era stato sostituito da
profumo di pane appena sfornato e fiori freschi.
-Dove…sono?-
-Alla buon ora pigrone- Paninya gli stava davanti, gli occhi scuri
severi lo scrutavano, esaminò la possibilità di
darsela a gambe ma concluse che non sarebbe servito –Dovrei
darti una bella lavata di capo…guarda come ti sei fatto
conciare!- si guardò e ricordò tutto, la ragazza,
le catene, il duello…era svenuto? E lei dov’era?
L’espressione della moretta si addolcì
–Ma per questa volta lascio correre- fece per andarsene
–Ah…la ragazza su cui hai messo gli occhi
è davvero carina-
Lui diventò viola, ridendo, e lei rise a sua volta della sua
goffaggine –Dico sul serio- ribatté.
-È una ricercata-
-La devi…uccidere?- lei si fece cerea.
-No…non lo farei mai…anzi, se poteste
ospitarla…mi prenderei la responsabilità di ogni
sua azione-
-Ci tieni così tanto?-
La porticina scricchiolò, iniziando ad incrinarsi
-Non…non lo so-
-Vai ora…era sotto shock e appena l’abbiamo messa
a letto si è addormentata…nel sonno ha fatto il
tuo nome-
Lui arrossì –Grazie nee-san*-
-Di nulla, siamo una famiglia, no?-
Si avviò per il corridoio, appoggiandosi alla parete di
legno.
Il giovane Edward al suo passaggio si voltò senza
rivolgergli parola.
Entrò nella stanza di Feren piano per non svegliarla.
Era bellissima, i capelli lisci le incorniciavano il viso dai bei
lineamenti.
Aveva un’aria angelica.
Si appoggiò alla finestra, al di fuori del raggio visivo
della giovane, che iniziò ad aprire gli occhi.
-Buongiorno Feren- sussurrò con voce leggermente arrochita e
dolce.
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Nee-san: sorellona
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Ringrazio molto Onee_chan
e Romance (Ti
Amo da morire!) e mi scuso per l'eccessivo ritardo di pubblicazione
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