L'alchimista di anima e spada

di Rakyr il Solitario
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Intro ***
Capitolo 2: *** 1: Steel and blood ***
Capitolo 3: *** 2: La prima visita del diavolo ***
Capitolo 4: *** 3: A black coat and a burial cross ***
Capitolo 5: *** 4: Il passato che non muore ***
Capitolo 6: *** 5: Ashes and dust ***
Capitolo 7: *** 6: Uno sguardo indietro nel tempo ***
Capitolo 8: *** 7: A lone wolf and a home ***
Capitolo 9: *** 8: Legge inesistente ***
Capitolo 10: *** 9: Soul of metal ***
Capitolo 11: *** 10: Incontro col destino ***
Capitolo 12: *** 11: something you can't run away to ***
Capitolo 13: *** 12: Ciò per cui combattere ***
Capitolo 14: *** 13: A fool or a lionheart ***



Capitolo 1
*** Prologo: Intro ***


Prologo: Intro


Si dice che l'alchimia sia l'arte perfetta, che può mutare, distruggere, plasmare.

Tuttavia la sua più grande lacuna è quella dell'impossibilità di creare: un pezzo di ferro non può essere evocato dal nulla...nemmeno una goccia d'acqua può apparire come per incanto.

Per ottenere qualcosa si deve dare in cambio qualcosa di ugual valore, questo è il principio dello scambio equivalente su cui si fondano le basi dell'alchimia.

Tuttavia fin da quando ciò esiste le persone hanno sempre cercato qualcosa che permettesse loro di infrangere questa fondamentale quanto a volte fastidiosa legge.

Quel qualcosa è la Pietra Filosofale, il cui potere trascende la comprensione umana, sarebbe così grande da riuscire a resuscitare il corpo e l'anima dei morti.

Infatti questo è il maggior tabù dell'alchimia, ed infrangerlo significherebbe creare un homunculus, una creatura semi immortale, non umana, che può morire solo davanti ai resti del suo originario corpo mortale e che non ricorda nulla della sua precedente vita.

Tuttavia il prezzo per creare questa misera crudele imitazione di un defunto è enorme, e se si è fortunati consiste nella perdita di uno o più arti, o alla morte stessa.

Però, anche se mutilati, da quel momento si conoscono tutti i principi ed i segreti di questa arcana scienza al massimo, permettendo loro di potere eseguire una trasmutazione senza bisogno di disegnare un cerchio alchemico.

Alcuni di questi sono i fratelli Edward ed Alphonse Elric, oltre alla loro insegnante Izumi, che infransero quell'odiato tabù per riportare in vita le persone a loro più care.

Esistono però anche persone che hanno queste conoscenze in mente fin dalla loro nascita, questi geni dell'alchimia di cui è difficile conoscere il numero esatto sono sparpagliati par tutto il mondo ed è attorno ad alcuni di loro che la storia di cui vado a narrare parla.

Siate pronti a tutto, perché il loro viaggio si perde per le mistiche nebbie dell'incredibile.

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Capitolo 2
*** 1: Steel and blood ***


1: Steel and blood
 
“Perso in questo mondo, totale straniero,
morire per la spada è un pericolo comune”
Dragonforce – Once in a lifetime
 
-Maestro!-
-Scappa!-
-Ma…-
-Niente obiezioni, vai ora!-
-Voglio…-
-Ti ordino di fuggire!-
-Maestro…la vendicherò, e lei tornerà tra i viventi…-
-Smettila di dire cazzate e vattene, salvati figliolo-
 
-Maestro!- un ragazzo si alzò violentemente, sbilanciandosi in avanti e tirando una capocciata al tettuccio del pickup da cui si era fatto dare un passaggio, tornò a sedere imprecando e tenendosi il cranio tra le mani.
-Tutto ok là dietro?- la voce gioviale del guidatore gli fece riprendere un po’ di compostezza.
-Si…solo un incubo fuori programma…- l’altro rise divertito –Ragazzo, come hai detto di chiamarti?-
-Celes, Rakyr Celes- si calò il cappello da cowboy sugli occhi verdi smeraldini lasciando sporgere alcune ciocche dei capelli neri e ribelli. Si mise con la schiena contro il posto dell’autista, salutando con lo sguardo l’ennesima cittadella che scompariva sotto l’orizzonte sabbioso e monotono.
 
Le ruote del veicolo sollevavano la sabbia in vaporose nuvole irritanti mentre il sole ardeva intensamente, intorpidendo i pensieri del giovane che pativa quel caldo infernale nonostante avesse accantonato la cappa nera in un angolo ed indossava solamente una canotta ed una collana avvolta più e più volta attorno al collo, che terminava con un ciondolo a forma di lupo.
-Che noia…- sospirò, tastando il suo zaino per assicurarsi che i suoi preziosi libri ed i suoi materiali fossero ancora lì. Rumore di freni. Disequilibrio. Caduta -Merda-
 
Rakyr si alzò massaggiandosi il naso –Ma cosa diavolo ti salta in mente? Avrei potuto farmi male…-
Nessuna risposta, sbuffò e si sporse a vedere cosa mai ci fosse di così imponente da ostacolare il suo viaggio.
Era un gruppo di banditi vestiti da beduini che non sembrava avere intenzioni troppo genuine nei confronti dei viaggiatori –Ehi ragazzi, guardate un po’, un vecchio e un bambino!- rise volgarmente avvicinandosi con un’espressione sadica.
Il giovane espirò rumorosamente, passandosi una mano sul viso in segno di esasperazione, per poi saltare sul tettuccio dopo aver messo a tracolla una delle armi rinfoderate che portava con se, in bell’ordine ed avvolte in un grande panno pulito. A guardare il fodero si sarebbe potuto facilmente dedurre fosse una spada lunga a doppio taglio, l’impugnatura spoglia e facilmente maneggiabile, la lama che si restringeva soltanto verso l’estremità. In più appuntò alla cintura dei piccoli foderi di cuoio che nascondevano daghe e pugnali.
-Se volete tornarvene da dove siete venuti sulle vostre gambe e non in grembo alla morte vi converrebbe lasciar perdere questo buon uomo- disse pacato, con una voce atona che non rifletteva alcun sentimento, incolore…chi l’avesse conosciuto a quella voce si sarebbe ritirato…se avesse avuto interesse a vivere s’intende.
 
-Avete sentito il poppante?- altre risa sguaiate si susseguirono mentre negli occhi vigili del ragazzo coperti dalla tesa del cappello scoccava una scintilla, quasi demoniaca e la spietata retta delle labbra si increspava in un ghigno –Vi do un’ultima possibilità…-
Scese sulla sabbia a piedi nudi, i jeans che veleggiavano per la brezza –Stai qui e chiudi gli occhi, non dovrai aprirli per nulla al mondo, capito?- sussurrò all’autista, che annuì spasmodicamente, per poi calargli sugli occhi il proprio cappello –Quando te lo toglierò potrai aprire gli occhi-
 
Si mise davanti ai predoni, valutandoli diligentemente, finché arrivò a capire che nonostante avessero un vantaggio numerico, rimanevano in svantaggio. Si tolse la collana, fatta di catena, sganciando il ciondolo, che finì in una delle sue tasche. Si mise un polsino metallico sulla destra, legandovi intorno la catena e poggiandola sul pomo della spada sulla sua schiena.
Batté le mani.
Luce. Il bracciale era fuso con la catena, tanto da sembrare una parte dei ceppi dei carcerati, il metallo della collana a sua volta era fuso con la spada, lasciando che il pomo fosse tutt’uno con la catena, ora più spessa e molto lunga.
 
Mise un guanto metallico che lasciava le dita libere ed arrivava fino al gomito sulla sinistra, per poi tenere i cinque pugnali che aveva con se tra le dita e batté nuovamente le mani, accorciando il guanto e tramutandone la parte frontale in una sorta di secondo mano artigliata e letale, le cui dita metalliche erano legate a quelle umane con sottili e resistenti fili metallici che facevano seguire a quella protesi ogni movimento del proprietario.
 
-Mi dispiace, ma ora è troppo tardi per tornare indietro impuniti…chiunque mi ostacoli non merita che morire…e poi…- tirò fuori un foglio piegato ordinatamente dai pantaloni –Bene, bene- ghignò –Penso che per un altro mesetto io possa considerarmi a posto-
 
Mano. Elsa. Lancio. Sangue. Lama. Strappata. Ripresa. Ghigno.
Il primo del gruppo cadde perdendo sangue dal petto trapassato da parte a parte, mentre Rakyr teneva in mano la spada insozzata dal sangue del criminale.
 
Nessuno era riuscito a seguire l’azione, né avevano capito come avesse potuto riprendere la spada in così poco tempo usando la catena a cui era legata.
 
Il corpo del morto non aveva fatto nemmeno in tempo a cadere, di sicuro non aveva provato dolore, forse non aveva nemmeno capito cosa fosse successo…
 
Tutti gli si avventarono contro, accecati dall’ira, mentre lui vibrava un fendente orizzontale, lasciando la presa sull’arma a metà movimento e lacerando il petto di parte dei briganti.
Non ebbero nemmeno il tempo di urlare di paura.
 
Gli altri continuavano nell’impeto, disperati.
Rakyr con un movimento veloce e circolare del braccio fece arrotolare la catena attorno al braccio destro ed usandola come protezione contro un attacco, per poi aprire uno squarcio nella gola del bandito riprendendo in mano l’arma.
Un altro provò a colpirlo sulla sinistra, ma gli artigli metallici ridussero la sua faccia ad una irriconoscibile maschera di sangue, per poi tranciargli la giugulare e le corde vocali in un solo colpo e trapassare il petto di un avventato che cercava un attacco frontale, mentre colpiva a morte un avversario dietro a sé con la spada ormai carminia.
 
Si allontanò con un balzo, sempre pronto, rompendo con un poderoso calcio il collo ad uno sprovveduto.
Due provarono a colpirlo simultaneamente davanti e dietro, ma la catena saettò verso il nemico frontale, affondandogli nel collo, per poi venire ritirata con un potente strattone che la mandò a conficcare nel petto del nemico dietro di lui.
Non aveva nemmeno provato a schivare.
 
-Patetico, erano davvero così forti per gli altri?- rivoltò con un calcio il corpo della sua prima, confrontandola con il foglio che aveva nuovamente estratto –Si, è lui…- con un colpo netto di spada gli staccò la testa che avvolse nelle vesti di uno dei cadaveri dopo averci pulito le armi, fatte tornare al loro stato originario.
 
Tornato al pickup nascose il macabro trofeo della caccia alla taglia e ripose con solennità le armi nel panno pulito. Si rimise la collana, a cui riattaccò il ciondolo.
Con noncuranza tolse il cappello dagli occhi del guidatore, calcandoselo in testa.
-Vecchio…non t’impressionare troppo e corri- l’autista fissò per un attimo con terrore e disgusto i cadaveri, poi scosse la testa e accelerò, lasciando i corpi agli omaggi di corvi ed avvoltoi.
 
Intanto il giovane guardava davanti a sé, con il vento che gli accarezzava il volto ed i capelli.
 
Negli occhi per un istante si sarebbe potuto leggere compassione, ma svanì troppo in fretta per poter dire che ci fosse realmente stata.


Ringraziamenti:
Havoc_Fan: La fanfic per ora continua ancora molto a lungo (30 capitoli e non accenna a voler smettere di imporsi), spero che gli svolgimenti di questa vicenda ti appassioneranno^^
The_Dark_Side: Come ho detto sopra la fic è lunghettina e ancora non completa

Nota dell'autore
La fic è scritta a 4 mani, quindi si noterà una diversità di stili (alcuni negano questo fenomeno, ma mi pare giusto puntualizzare)...per ben capirci i capitoli che avranno un titolo in inglese saranno scritti da me, mentre gli altri dalla mia meravigliosa ragazza (chiamata Romance su questo sito)

Prossimo capitolo: La prima visita del diavolo

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Capitolo 3
*** 2: La prima visita del diavolo ***


2: La prima visita del diavolo
 
“Improvvisamente scopro di essere sveglia
Ehi, sono qui
sono tutto ciò che è rimasto di ieri”
Evanescence - Hello
 
Aprì gli occhi, si sedette. Le coperte le si erano attaccate al corpo, minimamente coperto da quella canottiera e da quei pantaloni, ormai zuppi. Si toccò gli occhi, sconvolta. Ancora, di nuovo…quel sogno…
 
Alzandosi in piedi, lasciò caderle sulle spalle i lunghi capelli castani. Aprì la finestra e il sole le colpì violentemente gli occhi. Era fastidioso…ma era anche la prova che quello di poco fa non era stato altro che un incubo. Aveva la gola riarsa, gli occhi le bruciavano e la pelle era ormai madida di sudore. Il terrore per quell’episodio la torturava, soprattutto di notte, nei suoi sogni.
 
Lei, che non aveva paura di niente…
 
Scosse la testa, raccolse piccole ciocche dei suoi capelli e li legò in piccole trecce, che le caddero accanto ai lineamenti delicati del volto. Si guardò attorno e, visto lo zaino a terra aperto e ormai vuoto del suo contenuto, lo prese e lo poggiò sul letto. Si tolse i vestiti ormai appiccicati alla sua pelle e ve li mise alla buona dentro. Volse la testa, si avvicinò alla sedia sotto la finestra che aveva appena aperto e prese i suoi abiti, per poi buttarli sciattamente sopra il letto.
 
Entrata nel bagno, si tolse gli ultimi abiti rimasti e si fece una doccia, lasciando che l’acqua le carezzasse il corpo. La sua testa scoppiava…ma non voleva porvi attenzione…
 
Pulita degli ultimi residui di quella notte fastidiosa, lasciò che l’acqua le gocciolasse dai capelli, lungo le linee morbide del suo piccolo corpo. Si guardò, guardò l’acqua scivolarle addosso. Quell’unico, meraviglioso occhio nero che spuntava fuori dalla frangia lunga fino alle orecchie era ipnotico. L’altro, invece, rimaneva nascosto. In attesa di qualcosa.
 
Non ci pensò molto. Si lego i capelli in una coda alta, lasciando le due trecce penzolarle accanto al volto. Si vestì di un piccolo completo a maniche lunghe, con pantaloni a metà coscia, che aveva l’abbottonatura sul petto. Si coprì le spalle con un piccolo giubbotto con maniche corte e larghissime, la cui cerniera le era stata strappata via durante l’ultimo, se così lo poteva definire, combattimento. Alti stivali che le arrivavano fino ai pantaloni del completo le coprivano le gambe. E poi una gonna aperta davanti, che arrivava alle caviglie, le copriva, sui lati delle gambe, proprio attaccati agli stivali, le fodere dei suoi pugnali.
 
Socchiuse la finestra e guardò il suo riflesso nel vetro della stessa. Sorrise e poi, dopo essersi messa in spalla il suo piccolo bagaglio, assunse un’aria tremenda e cattiva.
 
- Non potete immaginare…quanto dolore io possa recarvi…-
E con queste parole si lasciò cadere dalla finestra. Scomparendo senza lasciare traccia.
 
Mentre si lasciava trasportare da quel vecchio, gentile signore, che si era offerto di accompagnarla alla più vicina città, pensava che la sua vita era ormai monotona, priva di adrenalina.
 
Niente la esaltava più, tutto ciò che faceva era ormai noioso e ripetitivo. Non pagava alle locande, scappava ogni volta senza far conoscere neppure il suo volto, derubava le persone che le sembravano, ad occhio, con qualche soldo in tasca e, così, riusciva a tirare avanti fino al domani.
Questo, ormai, andava avanti da un anno.
 
Il suo unico occhio visibile, quello destro, osservava il cielo. L’altro, irrimediabilmente, iniziò a bruciarle. Come se fosse pervaso dal fuoco, come se una lama l’avesse penetrato fin nei nervi. Lei non ci badava più, ormai. Vi poggiò la mano sopra, sospirò. E si lasciò cadere addormentata.
 
Ormai, lo sapeva…il suo passato l’avrebbe tormentata per sempre. Lei odiava i posti dove non si vedeva altro che il buio. Lei odiava le persone, i ragazzi soprattutto. Odiava le famiglie. Perché la sua, ormai…a pensarci il cuore le doleva. Sua madre, ricordava appena, aveva uno splendido sorriso. Suo padre era dolce e affettuoso. Suo fratello…
- Fratello…!-
Si lasciò cadere a sedere, come quella mattina. Di nuovo…ancora, un’altra volta…
- Se lascio che i miei occhi si perdano al buio, lui…di nuovo e ancora…lui…-
 
L’occhio sinistro aveva smesso di bruciarle ed il suo corpo, stavolta, non tremava come sempre. Non poteva essersi lasciata intrappolare dall’orrore del suo ricordo. Quel volto, quegli occhi, quelle mani…lei le voleva dimenticare. Perché lei, quella persona…lei la odiava. Infinitamente, dal più profondo del cuore. Lei aveva promesso…
- Troverò la pietra filosofale…e ti lascerò sprofondare nel più terribile degli abissi. Ti riporterò all’inferno cui appartieni…- le mani iniziarono allora a tremarle, la voce ferma in un tono roco e basso. La sua bellissima figura si sarebbe detta simile ad un demone, in quel momento - Non vi preoccupate, madre…padre…vi riporterò indietro. E offrirò il suo schifoso corpo come sacrificio-
 
Il vecchio l’aveva lasciata alle porte della piccola cittadina. Lei lo aveva ringraziato (per quanto il suo carattere le consentiva di fare) e si era incamminata per trovare una sistemazione. Aveva una gran fame. Peccato che, come al solito, lei non avesse nessuna intenzione di pagare…
- Vediamo….-
 
La ragazza si confuse fra la folla, cercando di coprirsi il volto per non essere notata. Trovò una piccola tavola calda, entrò cercando di tenersi il più coperta possibile, si sedette. Ordinò da mangiare e, intanto, si guardò attorno. La gente non la guardava, sembrava quasi non accorgersi della sua presenza. La ragazza però si accorgeva di tutto.
 
- Uhm…interessante…- Aveva trovato la sua preda. Un vecchio, distinto, elegante e raffinato. Lui la guardava e lei, ormai convinta di poterci giocare come voleva, rendeva lo sguardo. L’uomo alzò il bicchiere e le sorrise. La ragazza si sforzò di rendere il sorriso…quell’azione così poco naturale, ormai, le riusciva bene. Il vecchio arrossì alla magnificenza di quel faccino e, così, la ragazza si sentì in dovere di avvicinarsi al suo tavolo, dopo che lui le ebbe fatto un cenno con la mano.
 
-È da sola? - chiese con fare discreto, invitandola con una mano a sedersi -Si- risposte lei, continuando a guardarlo negli occhi con quel malizioso sorriso -Da sola. Sono appena arrivata in città…- Il signore sembrò incantato da quel modo di fare così naturale che in realtà era solo una vera e propria montatura -Ma come…? Una bella signorina come lei…- sbottò in un riso irritante -Beh…non potrebbe farmi lei compagnia?- La ragazza, accavallando le gambe, attirò l’attenzione di quel vecchio. “Vecchio porco” pensò. Ma ormai il suo gioco era iniziato…
 
-Mettiti comoda cara…mi faccio una doccia e sono subito da te- Il vecchio cercò di baciarle le labbra, ma lei spostò il viso, arrossendo -Dopo…ti farò conoscere il piacere di una giovane pura…- Il vecchio arrossì e, dopo essersi spogliato, entro nel bagno. La ragazza rimase da sola ed il suo viso si contorse di nuovo in una smorfia di disgusto. “Vecchio porco…prova ancora a baciarmi e ti strappo il vero cervello che hai…”. La ragazza era visibilmente irritata. Visti gli abiti abbandonati dal vecchio, vi frugò dentro. All’interno della giacca trovò una cospicua somma di denaro, la prese. Sorrise, contenta di aver visto proprio bene. Trafficò nella stanza, come a voler sistemare qualcosa. Il vecchio, intanto, cantava sotto la doccia, come a volerla deliziare. Così lei si avvicinò alla porta e, baciandola, sussurrò -Ci vediamo all’inferno…-
Lei scomparve e la stanza, non appena fu uscita, scoppiò in un tremendo botto.
-Il diavolo è arrivato…-
 
Si ritrovò appollaiata su un tetto di un edificio, con in mano tanti soldi da svenire. Aveva la faccia annoiata, come se l’azione appena compiuta non l’avesse per niente soddisfatta -Mah…forse, stavolta, dovevo lasciarlo in vita…- Chissà perché l’aveva ucciso…forse perché aveva tentato di portarla a letto? Eppure non era riuscito nemmeno a baciarla. La cosa l’aveva infastidita, moltissimo. Perché quel gesto, per lei…
-Devo smetterla…di pensare al passato. O i miei incubi mi tormenteranno per sempre…- Il vento le scompigliò i capelli, i vestiti frusciarono. La frangia le si sollevò, il suo occhio coperto si scoprì solo un attimo.
Era terrificante. Il solo vederlo dava i brividi, forse era quello il motivo che la portava ad uccidere chiunque lo vedesse. Gli urli delle sue vittime dovevano cessare, perché lei operava e scompariva nel silenzio. Per questo uccideva, per questo continuava a vivere e a lottare. Lei voleva vendetta.
 
Vendetta per quel corpo distrutto, per quell’occhio simile a quello di un demone. Macchiato di un alone di sangue.


Ringrazio Havoc_fan, sei gentilissimo, spero continuerai a seguire la storia ed apprezzerai i cambiamenti che si verificheranno nel corso della vicenda
Ringrazio anche Romance, senza la quale questa storia sarebbe scialba e piatta

Prossimo capitolo: A black coat and a burial cross

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Capitolo 4
*** 3: A black coat and a burial cross ***


3: A black coat and a burial cross

“Verso il selvaggio procede la nostra avventura,
lontana dall’alba, lontana dalla luce lunare”
Dragonforce – Through the fire and the flames

Il furgoncino entrò in una desolata cittadina, un insieme di piccole cassette squadrate di pietra calcarea, dei cubi con una porta ed un paio di finestre.
Case ammassate le une accanto alle altre in un caos propizio per i ladri e gli assassini, serviti da stretti vicoli bui e solitari, era quasi una città fantasma in bianco nero e ocra in cui l’unica punta di colore fosse la sabbia e l’unica fonte di attrazione fosse un piccolo decrepito locale con all’esterno dei tavolini e delle sedie consunti dalla sabbia e dalle intemperie.
La piccola tendina che doveva essere stata un tempo rossa fiammeggiante, larga abbastanza per coprire tutto il selciato di fronte ora era stinta dal sole e dal calore e pendeva lacerata dal vento e dalle bufere di sabbia, come uno stendardo di un paese che ormai marcisce nell’oblio.

Gli spigoli delle case, consunti dalle tormente, facevano capire come quell’idea fosse prossima all’avvenire…

Tuttavia ad un tavolino stava un giovane nerovestito sul cui braccio appariva il simbolo di una croce funerea, come quelle di un cimitero gotico, era a malapena coperto dalla lacera tenda dai raggi incandescenti, bevendo a piccoli sorsi da una tazzina sbeccata del liquido nero, probabilmente caffè.

Nakor, un insieme insolito di ironia e serietà, capelli corti dello stesso colore degli occhi castani, abbastanza alto e mediamente robusto, anche lui aveva praticato il lavoro, nonostante ora si occupasse principalmente dell’aspetto burocratico, diceva che dove c’erano scartoffie da compilare lui c’era, tuttavia svolgeva lavoretti occasionali per mantenersi in allenamento. Inoltre praticava un po’ d’alchimia e, nonostante non fosse al livello dell’altro, se la sapeva cavare bene.

Alla fermata del mezzo il ragazzo scese, trascinando dietro lo zaino ed i due panni, l’autista dal canto suo partì a tutta velocità.
-Ehi Nakor!- l’altro alzò la testa, vuotando con un ultimo sorso la tazzina e poggiandola, per poi, avendolo riconosciuto, fargli cenno di avvicinarsi
-Rakyr- si strinsero la mano –Buone nuove?-
-Mi devi dei soldi – disse slegando il panno insanguinato
Fischiò –Sempre preso con il lavoro a quanto vedo eh?- lo guardò ilare, ma l’altro rimase impassibile –Dai amico! Su con la vita, non ti si distingue da un morto!-
Rakyr sbuffò…quando ci si metteva un po’ Nakor era simpatico, quando ci si metteva troppo era semplicemente irritante –Nuove taglie?-
-Ecco che si rifonda sul lavoro, sei proprio una lagna!- rise, per poi allungare alcuni fogli con allegata una buona quantità di banconote.

Il cacciatore le sfogliò rapidamente, per poi scartarne una raffigurante una ragazza castana, l’occhio destro nero, il sinistro coperto dai capelli, un viso piuttosto attraente, sotto a cui spiccava il nome “Feren” seguito da “viva o morta” e da una cifra a dir poco esorbitante –Rifiuto di compiere questa missione- disse per poi intascare il resto.

L’altro riprese il foglio avvilito –Sempre con le tue idee di gentiluomo, non colpiresti una donna nemmeno se ti pugnalasse…- sbuffò -…si dice sia ricercata per furto, resistenza agli arresti e omicidio in diverse città-
-Non mi riguarda, non sono il suo baby-sitter…- Nakor sbuffò nuovamente -…inoltre mi serve un mezzo di trasporto veloce, sicuro e che dia poco nell’occhio-
-E va bene…- lo scrutò-…certo che mi sono proprio andato a cercare un bell’amico…-

Il burocrate si alzò sgranchendosi le membra con un paio di torsioni del busto –Non so se può andarti bene, soprattutto perché ti porti dietro tutta quella roba, però…- face cenno a Rakyr di seguirlo, portandolo davanti ad una grossa motocicletta nera, di sicuro molto veloce anche se non poteva passare del tutto inosservata – L’alternativa a quella è questo, ma non so se ti è comodo con i tuoi bagagli…- mostrò una tavola elaborata, lunga circa come uno skate-board ma piatta e con piccoli propulsori sotto di essa -…è un nuovo modello di overboard-
Il fabbro li guardò, confrontando vantaggi e svantaggi, ed infine decise che il partito più favorevole fosse il motociclo.

Vi salì rapidamente in sella, ancorando bene i suoi averi alla parte posteriore del bolide, per poi sorridere mettendosi un paio di guanti che arrivavano fino alle nocche -Metti questi- Nakor gli lanciò un paio di occhialoni che terminavano con una fascia elasticizzata dietro alla nuca.
Abbassò il capello, lasciando liberi i capelli, e lo mise nello zaino, da cui trasse una bandana che si legò dietro al cranio, tenendola sulla bocca per schermarsi dalla sabbia –Ci si vede Nakor…- approssimò un saluto militare, portando indice e medio davanti alla fronte, per poi accelerare, sfocando nell’orizzonte mentre il mondo diventava un corridoio di terra e cielo che gli scorreva velocemente affianco.

Era ormai quasi l’alba quando si fermò ad una piccola oasi, lasciando per precauzione la moto dietro ad un paio di cespugli e tenendo in mano una spada a taglio singolo, casomai qualche stupido predone avesse avuto ancora la poco propizia idea di intralciarlo. Si svestì della cappa, rimanendo in canotta ed abbandonò la bandana e gli occhiali, questi ultimi dopo averli puliti, sul veicolo.

Intinse le dita nell’acqua fresca, per poi pulirsi il volto ed il torso, sentendosi immediatamente rinfrancato dopo le corse degli ultimi periodi.

La disoccupazione o il riposo per un cacciatore esistono solo dopo la morte.

Un riflesso dalla parte opposta del laghetto lo allarmò, facendogli aguzzare la vista mentre stringeva le spada.
Una ragazza, capelli castani lisci le incorniciavano lo splendido viso, un occhio nero, l’unico visibile, osservava compiaciuto l’acqua limpida della fonte sotterranea.
Rimase ad osservarla per un po’ paragonandola all’immagine della ragazza in foto.

Era lei, nessuno dubbio, anche se quello non era il volto di un assassina, ma di una persona trista e che aveva conosciuto abbastanza disavventure da detestare la vita.

Sorrise.
In fondo erano simili.

Vide che la ragazza lo aveva notato e lo fissava, lui abbandonò l’ipotesi, seppur fosse stata un semplice balenio nella sua mente, di ucciderla.
Rinfoderò la spada sorridendo, per poi allontanarsi con una scrollata di spalle.
Si sarebbero rincontrati ancora.
Ci avrebbe potuto giurare.

Dentro di lui la piccola porticina dei sentimenti, da tempo sigillata, iniziò a muoversi scricchiolando.
Voleva rivederla…


Ringraziamenti:
Havoc_Fan: scusa il mio poco acume, sono un po' tonto. Spero che la ff continui a piacerti ^^
The_Dark_Side: Grazie per i complimenti, spero gli svolgimenti non ti deluderanno
Romance: Che dire...Amore, grazie di esistere, senza di te qst ff nn avrebbe senso d'esistere

Prossimo capitolo: Il passato che non muore

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Capitolo 5
*** 4: Il passato che non muore ***


4: Il passato che non muore

“Cammino per un sentiero oscuro,
Dormo con gli angeli
chiamo il passato per aiutarmi”
Nightwish - Nemo

Si faceva ormai notte, il sole era calato, il cielo era ormai scuro. Il vento gelido iniziava a soffiare più forte, era tagliente come una lama. E lei, da sola, aveva paura. Stava rannicchiata sotto ad un albero, in preda al terrore. Piangeva, singhiozzava, implorando che qualcuno la venisse a salvare. Sua madre, suo padre, oppure…
-Fratello…fratello…- sembrava che pregasse, tanto era flebile la sua voce -Salvami fratello…-
All’improvviso un rumore la fece sobbalzare. Si guardò attorno, spaventata: non vi era modo di scappare. Si portò la testa tra le mani, chiuse i suoi grandi occhioni neri.
Pensò: -Se devo morire…almeno, prima…fate in modo di potergli chiedere scusa…-
Irrigidì il corpo, in preda al panico. Dei passi si avvicinavano verso di lei. Nonostante avesse gli occhi chiusi, continuavano a scenderle lunghe lacrime dai suoi bellissimi occhi.
-Fratello…- sibilò -Salvami…-
I passi che aveva sentito si fermarono davanti a lei. Non osò aprire gli occhi, non osò muoversi. Pensava che sarebbe morta. Eppure, all’improvviso, sentì un abbraccio stringerla forte, delle braccia calde e grandi la stavano cingendo. Aprì gli occhi, alzò leggermente lo sguardo.
-Sorellina…mi hai fatto preoccupare…-
-Fra…fratello…-
Le sue lacrime non accennarono a smettere, anzi, aumentarono. Quegli occhi azzurri le davano così sicurezza…che non poté che scoppiare in singhiozzi disperati, stringendosi forte al petto di quel ragazzo.
-Fratello…fratello ho avuto tanta paura…!- il ragazzo le carezzò la testa con fare gentile -Oh, Feren…-

-Smettila…non mi toccare!- si alzò, sudando. I suoi occhi erano rossi, come avesse pianto. Ma lei, ormai, non aveva più lacrime da versare. Non per suo fratello. -Che…che schifo…-
Feren si alzò, ormai. Seppure fosse notte, lei si sentiva in ansia, come fosse ormai pieno giorno. Guardò i suoi abiti, piegati alla buona, ai piedi del letto. Scosse la testa.
-È solo…un altro incubo…- si sedette, lasciando che le gambe penzolassero accanto ai lembi delle lenzuola, ormai quasi del tutto in terra. Sorrise, irritata…i suoi piedi non toccavano terra. Così si sporse, ancora, finché i suoi piedi non sentirono il freddo del pavimento.
-Io…dovrei…essere grata di sentire ancora la vita, scorrere dentro di me…-
I suoi lunghi capelli castani le si pararono davanti agli occhi, disordinatamente, costringendola a soffiarvi sopra.
-Non posso…non posso rimanere qui…-
Si decise che fosse giunto il momento, ormai, di andarsene anche da lì. Si vestì in fretta e furia, prese le sue cose, si legò due ciocche di capelli davanti in trecce che le sfioravano delicatamente le guance. Guardò la stanza, ripensò al passato. E, per un attimo, sul suo volto apparve un’espressione triste. Allungò la mano nella tasca che aveva in fondo allo zaino, i soldi di quell’uomo bruciavano.
Eppure…
Uscita dalla finestra, che restò quindi aperta, non si voltò a guardare indietro. E non si pentì, almeno quella volta, di aver lasciato i soldi di quell’uomo sul comodino, insieme ad un biglietto con su scritto “Perdonatemi”.

Camminò a lungo, non sapeva quanto. Ma non era stanca, o meglio…aveva camminato così a lungo da non avere la forza di esserlo. Così, trovata una piccola oasi dopo tanto camminare sopra la sabbia scottante del deserto, non le spiacque di fermarsi.
L’acqua era così fresca e aveva un sapore così buono! Dallo zaino recuperò un blocco di ferro e, senza fare fatica, lo trasmutò immediatamente in una piccola borraccia. Non dovette tracciare il cerchio alchemico, non ne aveva bisogno. Lei, infatti…
D’un tratto, mentre riempiva la borraccia, fu attirata da qualcosa davanti a lei. Non se n’era accorta prima, però…
Quello davanti a lei era veramente un ragazzo? E la stava fissando.
Beh…realmente la stava fissando da un po’, l’aveva addirittura vista effettuare quella trasmutazione con così tanta facilità…che le aveva sorriso. Non ne era sicura, ma avrebbe giurato che avesse gli occhi verdi…
Feren lo guardò con la sua solita faccia monotematica e, alla fine, finì ciò che stava facendo, si alzò, e si rimise in viaggio. Il ragazzo, da parte sua, scrollò le spalle e si alzò a sua volta, preparandosi ad andare.
Feren non se ne accorse, eppure sul suo volto comparve, dopo tanti anni, un meraviglioso sorriso…


Ringraziamenti:

Havoc_fan: Grazie del commento positivo ^^
The_Dark_Side: Grazie, troppo buona
Romance: Amore...che dire, senza te questa storia non esisterebbe. Ti Amo!!!

P.S: Per chi volesse parlare con me di scrittura o di manga e anime, può contattarmi all'indirizzo msn nigermessor@hotmail.it

Prossimo capitolo: Ashes and dust (fragments of a past)

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Capitolo 6
*** 5: Ashes and dust ***


5: Ashes and dust

“Andrò
ai “campi rossi del nulla”
c’è una tomba,
c’è una rosa”
Blind Guardian – Carry the blessed home
 
La sabbia scorreva veloce accanto a lui, eterea, mentre il rombo del motore gli riempiva le orecchie, sovrastando la sferza incessante del vento e lasciando che i pensieri del giovane si perdessero altrove.
 
Quella ragazza…quegli occhi neri in cui aveva letto le sue stesse emozioni, degli occhi così solitari, misteriosi…
Così attraenti…
 
Scrollò il capo ed accelerò maggiormente, tentando invano di seminare dietro di lui quei pensieri, quei sentimenti per cui non aveva tempo, che il suo lavoro gli negava, che gli sembravano sintomo di debolezza…
Delle emozioni a cui non sapeva nemmeno dare un nome…
 
Percorso un breve tratto si fermò innanzi ad un ammasso di ruderi, sabbia e carbone. Travi annerite e incenerite pendevano da muri diroccati e anneriti dal fuoco e dal fumo. Si fece largo a piedi in mezzo a quella desolazione, quella memoria di un tempo che gli sembrava lontano ed i cui bordi sfocavano nel suo passato, intangibili e eterei.
Non sfiorò nemmeno minimamente una di quelle costruzioni in rovina…
Il passato deve rimanere tale…le promesse sono le uniche cose che durano.
-Maestro…sono tornato-
 
Notte, colpi alla porta.
Un uomo sulla quarantina, carnagione scura e occhi rossi, si alzò con espressione seccata dal letto morbido sfiorando con i piedi il duro pavimento di pietra per poi aprire la porta, sbirciando nella semioscurità notturna, illuminata solo dalla luna più piena che fosse mai esistita. Nessuno.
 
Imprecò sottovoce e stava per rientrare quando vide davanti ai suoi piedi un fagottino da cui spuntava il viso addormentato di un bambino che non aveva più di due anni. Era accompagnato dal semplice bigliettino “Rakyr”.
 
Un bambino di cinque anni zampettava per casa, allegro, seguendo i battiti ritmici di metallo su metallo –Signor Celes! Guardi cosa ho fatto con l’alchimia!- mostrò soddisfatto un pugnaletto di raffinata fattura, gonfiando il piccolo petto d’orgoglio.
Tuttavia l’ishibariano storse il naso, colpendo e frantumando la piccola arma con un colpo del maglio da fabbro davanti allo sguardo attonito e triste del pargolo.
-P-perché…-
-Una spada creata senza fatica, senza essere entrato in sintonia con essa non ha un anima…se vuoi diventare un fabbro ti posso far diventare mio garzone ed allievo- il bimbo sorrise un pochino ascoltando la voce ruvida del suo padre adottivo –Avrai un salario normale, come se fossi un mio dipendente, e dovrai lavorare duro per guadagnartelo, inoltre ti posso fornire io le materie prime ed i tomi per la forgiatura-
-Perché mi paghi allora?- chiese perplesso il bambino.
-Perché quei soldi potrebbero servirti per altro…- guardò distrattamente l’impugnatura che giaceva a terra, un corpo deforme e menomato -…tuttavia dovrai trovare il tempo per quell’“altro”-
Rakyr capì che intendeva l’alchimia con “altro” e gli abbracciò la gamba –Grazie maestro-
 
L’altro lo guardò con affetto, carezzandogli dolcemente i corti capelli neri –Di nulla figliolo-
 
Battiti, incessanti battiti, dolore alle braccia, sudore colava dalla fronte –Più forte…- un ragazzo di dieci anni circa immerse nell’acqua il metallo incandescente sbuffando mentre si asciugava le gocce di sudore con il dorso della mano guantata –Finita…- stirò le braccia -…ora manca solo la raffinazione…-
La porta si aprì di scatto ed apparve il maestro –Fammi vedere-
-Ecco…sta raffreddando-
L’uomo scrutò la lama, grattandosi il mento –Buon lavoro figliolo- si esibì in uno dei suoi rari sorrisi, che fece sentire appagato il giovane dopo tutta quella fatica.
-Vai avanti così e tra qualche anno mi supererai-
-Maestro…non dica così- il ragazzino arrossì.
-E con l’alchimia come va?- Rakyr rimase ammutolito –M-ma…-
-Fammi vedere se i tuoi soldi li investi bene- dicendo così uscì all’aperto, seguito dal garzone che, una volta all’esterno, tracciò un cerchio alchemico a terra e lo toccò, facendo apparire una spada a doppio taglio perfettamente bilanciata e porgendola al maestro.
Egli ne saggiò l’impugnatura e sfiorò il lucido metallo, scoppiando a ridere –Si…sono soldi spesi benissimo-
 
Un ragazzo di tredici anni disegnava con un paio di gessetti simultaneamente due cerchi alchemici sul terreno davanti a lui, per poi colpirli con il palmo delle mani, estraendo due spade splendide e lucenti.
-Su, fatti sotto- la voce del maestro lo spronò nell’allenamento di scherma in cui si stava cimentando.
Colpi veloci, affondi, parate, schivate in un turbine di velocità e spietata grazia.
Tuttavia un preciso colpo del mentore gli fece volare via di mano le due lame, che andarono a conficcarsi nel duro terreno.
 
Un ragazzo di quattordici anni stava osservando incuriosito la forgia, dove del metallo grezzo e resistente iniziava a fondere, non voltò nemmeno lo sguardo quando la porta si aprì, ma rivolse un cortese saluto al fabbro.
-Cos’è?- chiese indicando il materiale incandescente.
-L’ho comprato al mercato…dicevano fosse metallo meteoritico, ed in effetti ha una resistenza inconcepibile-
L’uomo lo guardò perplesso –Ti dovrà essere costato parecchio…dove hai trovato i soldi? Non è possibile che tu sia riuscito a comprare sia i tuoi manuali che questi materiali…-
-Infatti non compro più manuali d’alchimia, o almeno…solo quelli più avanzati di ogni tipo di alchimia-
-E come fai per il resto?-
-Odio che mi si dica sempre cosa fare, quindi parto dalle basi e deduco i procedimenti necessari, questo vale anche per l’arte della forgiatura-
-Sei sorprendente…- l’ishibariano era davvero perplesso, quel ragazzo era davvero in gamba…molto più di lui.
-Ah, dimenticavo…non so perché ma ho scoperto che posso compiere trasmutazioni anche senza cerchio alchemico, ma con il semplice battito delle mani-
-Come è possibile? Ho sentito solo di un alchimista di stato con questo potere, come anche suo fratello…se non sbaglio si chiama Edward Elric ed è in cerca della pietra filosofale-
Il ragazzo si grattò la nuca, per poi tornare a concentrarsi sul metallo.
 
Un ragazzo di 16 anni tornava allegro dal mercato –Maestro! Sono riuscito a…-
Le parole gli morirono in gola, la sua abitazione era stata rasa al suolo, bruciata.
Persone in uniforme blu uccidevano i cittadini, incendiandone le modeste case.
-MAESTRO!!!- iniziò a correre, e vide ciò che gli avrebbe cambiato la vita…
Il suo mentore giaceva in una pozza di sangue, davanti a lui c’era un uomo con un fucile in mano.
Non c’era nemmeno una traccia di rimorso sul viso del soldato
-Chi è stato ad ordinare tutto questo?-
Il militare si voltò di scatto, con l’arma spianata, per poi fermarsi alla vista del ragazzo –Non sei autorizzato a saperlo- gli puntò la canna dell’archibugio in fronte.
-Bastardi…- abbassò il viso, lacrime iniziarono a cadere a terra, bagnando il terreno arido –Morirete tutti cani bastardi!- con un movimento del piede tracciò un cerchio alchemico per terra e lo calpestò.
Dieci lame spuntarono da sotto l’assassino, trapassandolo da parte a parte prima ancora che lui se ne accorgesse, e rimase lì, morto, sospeso come una marionetta insanguinata appesa a mortali fili.
Il giovane si voltò, gli altri stavano partendo –Non andrete da nessuna parte…- sussurrò carico di rabbia, per poi battere le mani –Quest’alchimia l’ho nominata gabbia di catene- colpì il terreno e numerose catene imprigionarono i soldati –Crepate da cani che siete!- ripeté il gesto e i corpi sospesi dalle catene vennero trapassati da infinite lame, rimanendo sospesi in aria fino allo svanire delle catene che li intrappolavano.
 
Un ragazzo di diciassette anni toccò dolcemente il muro diroccato del resto di una casa –Sono di nuovo qui, maestro…cercherò i fratelli Elric e la pietra filosofale e tu potrai vivere ancora- i suoi pensieri vennero fermati da un calpestio vicino.
Estrasse un pugnale e, silenzioso, strisciò tra le costruzioni incenerite.
L’intruso era un ragazzo poco più grande di lui, capelli rossi e occhi azzurri, inespressivi ma che, tuttavia, sembravano traspirare malvagità e veleno.
Tutto in quel ragazzo, in quell’essere…tutto ispirava un cinismo ed una crudeltà senza limiti, si notava dall’indifferenza a quel massacro di tempo fa…non si scompose nemmeno minimamente quando il pugnale gli serrò la gola –Chi sei, perché sei venuto a profanare questo luogo?-
-E che te ne frega?- la sua espressione era glaciale, dura…rigida.
-Qui riposa il mio mentore- la maschera dell’altro non s’incrinò nemmeno minimamente.
-Ho saputo che a causa di uno sporco ishibariano tutta questa gente è stata massacrata…- rivoltò una trave incenerita con un calcio, polverizzandola -…si dice che sia stato un certo Erist ad ordinare il genocidio…-
Rakyr lo sollevò di terra fissandolo con occhi di brace –Non osare offendere le memorie del mio nobile maestro-
-Calmati…dicevo solo per dire- la voce trasudava indifferenza, ma venne lasciato comunque –Come ti chiami bamboccio?-
-Rakyr Celes, e sono un fabbro-
-Il mio nome è Arden, e sono un alchimista- ghignò per poi sputare a terra –Disprezzo questo luogo-
Rakyr stava per lanciare il pugnale, ma l’altro era misteriosamente sparito.
-Ci rincontreremo bastardo, ed avrai ciò che meriti…- il fabbro inforcò la moto e s’incamminò
Non si voltò indietro.


Ringraziamenti:
Havoc_fan: Ed eccoti il seguito...pubblicherò a ritmo settimanale ora, o quasi...
The_Dark_Side: Eccoti accontentata, spero ti piaccia!
Romance: Amore sei adorabile!!

Prossimo capitolo: Uno sguardo indietro nel tempo

Postilla: Ho aggiunto un'idea che mi è venuta leggendo una fic originale di michaelcry, mentre la leggete dovrebbero esserci le didascalia ad inizio pagina per ogni capitolo...enjoy^^

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Capitolo 7
*** 6: Uno sguardo indietro nel tempo ***


6: Uno sguardo indietro nel tempo
 
“Abbiamo tutti capito che non hai nessun
ONORE! ASSASSINO! STUPRATORE!”
System of a Down – Holy Mountains
 
Era così strano…Feren si scuoteva nel letto, come impazzita. Quel ragazzo dell’oasi…lei lo aveva già visto? Oppure la sua agitazione era dovuta solo alla curiosità di volerlo incontrare di nuovo?
Incontrarlo…di nuovo? Forse lei…era rimasta colpita da quel volto, da quelle iridi verdi così abbaglianti?
Il suo cuore era fermo in un sospiro.
-No…io non…- il suo occhio nero vacillò, un solo istante. Sembrava…confusa –Non ho niente da spartire con persone come lui. Lui non è…come me…-
In realtà quella frase le suonò come una bugia. Lo sguardo di quel ragazzo era strano, davvero strano. Uno sguardo triste, in verità…una verità che bruciava. Come il suo occhio sinistro.
-Come mai non riesco a dormire?- si raggomitolò su un lato, lasciando che lo spallino della canotta che indossava le cadesse lungo la pelle morbida –Non ce la faccio più…il mio occhio reclama sangue, dannazione…-
Il suo occhio sinistro iniziò a fremere, il dolore era così lancinante che chiunque si sarebbe messo a urlare dal dolore. Ma lei no, anzi…vedendo le lenzuola che si macchiavano di sangue, improvvisamente si sentì meglio.
L’occhio stava sanguinando…come ferito. Ma lei non sentiva più dolore.
Anzi, questo si era attenuato e lei poté finalmente chiudere gli occhi, per tentare di dormire.
Il suo passato non la spaventava.
Non quella notte.
 
-Feren! Feren!- una voce gentile, una voce dolce –Dove sei, Feren!-
-Fratello, sono qui…sono quassù!-
Il ragazzo sentì una voce, ma non capì da dove provenisse. I suoi occhi azzurrini brillarono alla luce del sole, la sua maglietta sventolava al soffio debole del vento. L’ombra di quell’albero, che si stagliava in mezzo al prato, era così piacevole…
Albero…? Lassù…? Il ragazzo ebbe un orrendo presentimento e, spaventato, alzò gli occhi al cielo.
-Ciao fratello!- la ragazzina scosse la mano, come a volerlo salutare –Feren! Scendi immediatamente di lì!-
Feren, allora, aveva 14 anni e suo fratello, invece, ne aveva quasi 18.
-E dai, fratello…ormai sono grande…- Feren sorrise, divertita –Non fare come papà…-
-Sciocca! Se cadi, ti farai male!-
-Ma che dici, fratello scemo!- disse la ragazzina dondolando le gambe dalla cima di quell’albero –Se dovessi cadere userei l’alchimia per non farmi del male!-
-E credi che sarebbe un bene? Mamma e papà non ti hanno forse detto che non si deve utilizzare l’alchimia per scopi futili come questo?-
-Uffa…-
Feren, guardando il fratello, si convinse di scendere. Eppure lei si divertiva così tanto! Seppure a malincuore, decise di dargliela vinta…ma non del tutto. Così, alzatasi in piedi sul ramo dell’albero, guardando sorridendo il fratello, si lasciò cadere a terra.
-Sei una palla, sai fratello?- il ragazzo guardò la ragazzina, sorridendo. Le sue braccia la strinsero, in un dolce abbraccio, la ragazzina si dimenò non poco.
-E smettila! Che schifo, fratello, che schifo!- rideva, perché in fondo le faceva piacere. Era raro che suo fratello la trattasse con tanta dolcezza…
-Oh Feren…quanto ti…-
-Feren! Arden!- Una voce di donna, che aveva capelli castani lunghi fino ai fianchi e dai magnifici occhi neri, li chiamava amorevolmente –Il pranzo è pronto!-
-Arriviamo mamma!- urlò Feren –Arden lasciami!-
Arden lasciò che l’abbraccio si sciogliesse, lentamente. Lui doveva dirle qualcosa, però…ogni volta, ogni santa volta quella donna li interrompeva.
Guardò Feren correre verso la madre, abbracciarla e sorridere dolcemente.
-Feren…tu non sei affatto la mia sorellina. Sei una donna, ormai…-
Arden osservò le curve appena accennate della ragazzina davanti ai suoi occhi, arrossendo imbarazzato –Oh, quanto ti vorrei avere, fra le mie braccia…sotto il tocco leggero delle mie dita…-
L’amore di Arden era un amore sincero. Dopo tanti anni ad osservarla come una bambina, davanti ai suoi occhi era diventata una donna. Lei non sapeva la verità che lui, fin da piccolo, sospettava: non erano fratelli.
Per Arden non lo erano mai stati. Adesso meno che mai.
 
-Oh…è crollata…-
La giovane donna poggiò una coperta sul corpo di quella ragazzina vivace, ormai stremata.
-Arden…va a letto anche tu, suvvia…-
Arden guardò la donna, vacuo, e riprese a leggere i suoi tomi. Non aveva intenzione di muoversi da quella posizione così comoda e poi, ancora, la candela che aveva accanto riusciva a fargli un minimo di luce. Finché non si fosse spenta non si sarebbe mosso da lì. No, non l’avrebbe fatto…
-Sei proprio come tuo padre…- il sorriso della donna era gentile –Non ti staccherai da lì finché non avrai finito, vero?- la donna si avvicinò ad Arden, come a volerlo carezzare –NON MI TOCCARE!-
Arden smosse bruscamente il braccio, facendo cadere la candela. La cera finì sopra la fiamma che si incurvò e, alla fine, si spense come dopo una lunga agonia.
-Non…non lo fare mai più, donna…- la donna guardò il volto rigido del ragazzo con un sorriso triste –Sei cambiato, Arden…da qualche tempo non sei più il solito…-
La donna si inginocchiò a terra, prese la candela. Poi, dopo averla rimessa sul tavolo, si avvicinò ad un cassetto, ne prese un’altra, l’accese –Tieni…e scusami…-
-Smettila, donna…- Arden era irritato. Quella donna teneva lo sguardo basso, come volesse farlo arrabbiare…
-Potresti chiamarmi…-
-Non lo dire!- il ragazzo si alzò, guardando la donna con occhi di fuoco –Non lo dire…tu non potrai mai essere mia madre, capito?!- si alzò, prese i suoi tomi, si avviò verso la sua camera. La voce della donna lo fermò.
-Anche Feren…non potrà più essere tua sorella…?-
Arden si voltò: quindi lo aveva capito?
-Lei…da quanto non è più la tua sorellina?- la voce della donna era rotta dal pianto –Se tuo padre sapesse…-
-Mio padre lo sa. L’ha sempre saputo. Mi ha chiesto di non…ma non ci riesco. Io Feren…-
-Mmh…mamma? Arden…?- la voce di Feren era bassa e roca –Che succede? State litigando?-
-No, amore, no…-
-Scusami Feren…- il ragazzo lasciò cadere i tomi a terra, in un tonfo scombinato. Poi uscì dalla stanza, correndo. Non voleva che lo vedesse in quello stato…non così…
-Mamma…che ha mio fratello…?-
-Niente amore…forse l’ho fatto arrabbiare. Se ci fosse ancora lui…-
-Papà…lo avrebbe calmato…?-
-Forse…forse si…-
La donna abbracciò Feren, forte forte a se. Feren si lasciò abbracciare, preoccupata delle lacrime della madre che, silenziose, stavano scendendole lungo le guance. Lei credeva che non avesse sentito.
Ma Feren le aveva sentite distintamente.
 
Passarono dei giorni…dei giorni che sembravano tranquilli…
 
-Fratello…?-
Il corpo della madre era a terra, coperto di sangue. Feren aveva sul volto un’espressione spaventosa –Che è…? Cosa ha fatto la mamma? PERCHÉ È MORTA?!-
-Feren…oh Feren, perdonami…-
Arden sorrideva, come impazzito –Lei non voleva che noi ci amassimo…-
-Arden, ma che cazzo dici?!- la ragazzina si buttò sul fratello, sconvolta. Picchiò sul suo petto, molte e molte volte –Cosa hai fatto alla mamma?!-
-Feren…oh, mia dolce Feren…io ho solo fatto in modo che lei stesse zitta…-
Arden avvicinò il mento della sorella al suo viso, dolcemente. La sua espressione era quella di un pazzo.
-Adesso noi due…possiamo stare insieme…-
-Fottiti, Arden!-
La ragazza cercò di allontanarlo con un calcio, ma il fratello non sembrò accettare quel gesto. Così, dopo averle reso un’occhiata di fuoco, la gettò a terra, tenendole ferme le braccia con la mano e le gambe con le sue.
-Non scappare da me, Feren…o altrimenti dovrò farti del male…-
Feren non fece complimenti: e sputò nell’occhio sinistro del fratello. Questo, accortosi del gesto, si asciugò della saliva. E dette inizio alla sua pazzia.
-Non dovevi farlo Feren…adesso ti devo punire!-
Solamente lasciando le mani della sorella, per un istante, Arden batté le mani e, come per magia, delle manette alle mani e ai piedi imprigionarono Feren al pavimento. Da quella posizione, la ragazza poté vedere la madre, il suo volto. Il suo volto contorto in un espressione di dolore.
-Ar…Arden! Ma che ti è preso?! Perché hai…?-
Arden tornò sopra di lei, le coprì la bocca. E le fece vedere un coltello, dalla lama appuntita.
-Dì pure addio alla luce, sorellina…-
Feren si sentì morire. Il coltello le finì conficcato nell’occhio sinistro, ma ne riuscì subito. Non ebbe modo di urlare ed il mondo iniziò a diventarle buio, per metà. Il fratello rideva, soddisfatto.
-Scusami, sorellina…ti ho fatto male…?-
La risata del fratello le fece capire che non c’era via di scampo.
Non era ancora finita.
 
Se n’era andato…se n’era andato davvero? Le braccia e le gambe adesso erano libere, ma lei si sentiva come imprigionata. Che schifo…sentiva una nausea incredibile…
Si alzò a fatica, dal suo corpo penzolavano lembi di stoffa. Lungo l’interno coscia, scivolava un rigagnolo di sangue.
-Fratello…perché?-
Le lacrime le scesero lungo la guancia, insieme al sapore ferroso del sangue che, scendendo dal suo occhio, si era appena fermato. Si sentiva ferita e violata. Arrabbiata.
-Bastardo…bastardo!-
Urlò, violentemente. E quell’urlo fece vibrare i vetri delle finestre della casa.
Feren si lasciò cadere a terra, senza forze. Il suo corpo violato…la sua luce distrutta…
Le lacrime che avevano il sapore di sangue…
 
Si voltò indietro un ultima volta, guardò casa sua come fosse un semplice blocco di cemento. I suoi nuovi abiti profumavano di fresco…ma dentro di se si sentiva marcia, andata a male.
Non era più un essere umano. Adesso non era più niente.
L’occhio sinistro era nascosto sotto la frangia, perché nessuno lo potesse vedere. I capelli castani, invece, lasciati sciolti sulle spalle.
Ricordò un attimo sua madre, per l’ultima volta. A volte le faceva le trecce, diceva che era bella.
Se le sarebbe fatte, un giorno.
Pensando questo, sorrise dura verso la sua casa e, datele le spalle, non si voltò più.
Nemmeno quando un boato scosse la terra e macerie varie giunsero fino a lei.
Che piangeva silenziosamente, per l’ultima volta.
Lo giurò a se stessa. Non l’avrebbe fatto mai più.




Ringraziamenti:

Faccina Felice: Grazie per i complimenti, cercherò di seguire i tuoi consigli...spero che continuerai a seguire questa piccola (mica tanto) storiella^^
Romance: Amore, sei sempre dolcissima...Ti Amo!!!!
The_Dark_Side: Grazie per il sostegno e spero la storia possa continuare a piacerti quanto (o magari più di) ora
Havoc_Fan: mi scuso per la prolungata interruzione a causa vacanze...se tutto andrà bene inizierò a pubblicare settimanalmente^^

Prossimo capitolo: A lone wolf and a home

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Capitolo 8
*** 7: A lone wolf and a home ***


7: A lone wolf and a home

“Frutto del buio
Il tuo seme cresce
In un mondo di malinconia”
Blind Guardian – Harvest of sorrow
 
Il secondo giorno di viaggio si fermò innanzi all’ingresso di una cittadina affollata e favorevole al commercio…
Contemplò un attimo il grande cartello all’ingresso recante la scritta “Rush Valley”, sorridendo per poi scuotere la testa.
Rush Valley, paradiso di fabbri e produttori di automail, protesi metalliche usate per rimpiazzare gli arti mancanti con le stesse funzioni di quelli. Case di tutte le dimensioni erano alternate a negozi di ogni genere, dove mercanti sorridenti e allegri trattavano con persone pulite e a posto con la legge.
 
Tuttavia sapeva cosa accadeva nei sobborghi di quella città, nei vicoli bui, la notte…
Una facciata ridente nascondeva il più grande giro di criminalità che fosse conosciuto, dopo quello di Central City, di solito non creava problemi a nessuno d’influente o, comunque, non provocava problemi che marginali alla popolazione. Raramente capitava che alzassero la testa un po’ troppo, in quei casi qualcuno dell’Organizzazione veniva mandato a tagliarla, così da rimandare la rinascita della feccia.
Nessuno si era mai preoccupato di estirparla del tutto.
In fondo era una discreta fonte di guadagno.
 
Spense la moto e la accompagnò a mano per i boulevard affollati di gente ricca.
Era stato molte volte in quella città e la conosceva quasi come le sue tasche, lo svantaggio era che anche la gente lo riconosceva, e di solito i membri dei Cacciatori non erano molto ben visti dal popolo e trattati alla stregua di assassini a pagamento dai borghesi.
La realtà non era poi tanto diversa.
 
Slacciò la cappa, lasciando in mostra il ciondolo di forma animale –Preparatevi…il lupo è tornato-
 
Per strada tutti si spostavano per lasciarlo passare, in un rispetto timoroso, dettato più da paura che da una vera stima per quel ragazzo che ad appena 17 anni aveva ucciso già più di cento uomini.
 
Il Lupo? Hai visto il pendaglio? Si…che vergogna, dovrebbero bandire quell’assassino. Fa comodo ad altri. È un mercenario. Dicono sia un demone. Che se ne torni da dov’è venuto. Meriterebbe di schiattare. Spero se ne vada in fretta. È portatore di disgrazia…
Questi erano i continui brusii che la sua mente coglieva distintamente ma che lui si costringeva ad ignorare, detti a mezzavoce, per paura, ma abbastanza forte per far capire al diretto interessato che non era il benvenuto.
 
Un sasso lo colpì al fianco.
Il colpo era troppo debole per anche solo infastidirlo, ma guardò comunque incuriosito l’unico che aveva avuto il coraggio di “aggredirlo” e scorgendo il visino determinato di un bambino che si stringeva alla sottana della madre.
-Che branco di buffoni…- pensò –tutti adulti e l’unico che ha coraggio è un bambino-
Tuttavia il gesto l’aveva profondamente colpito nell’animo…era odiato proprio da tutti.
Si calò il cappello sugli occhi per nascondere la piccola lacrima che gli scorreva sul volto, lasciandola cadere a terra.
Il bambino ora si era fatto triste, sentendosi in colpa per il gesto fatto, e cercò di andare accanto al ragazzo, ma venne fermato dalla madre, che guardò il cacciatore in cagnesco.
Rakyr ignorò la signora e si avvicinò al pargolo, carezzandogli la testa con fare gentile e sorridendogli.
La folla osservò il tutto indignata.
 
Un demone non meritava di avere sentimenti per loro.
Il bimbo invece sorrise e gli passò una manina sulla guancia, raggiante.
Agli occhi puri dell’infante era solo un ragazzo triste e solo che veniva rifiutato da tutti.
-Tu…felice…ora-
-Grazie piccolo-
Con un sorriso si congedò, continuando per la sua strada.
 
-Mamma, lui buono- disse seguendo la schiena ammantata con occhi allegri
La madre scosse il capo e lo portò via, nonostante le parole del piccolo erano inconfutabili.
 
La porta di un negozio si spalancò d’improvviso.
-Sono tornato-
Un uomo nerboruto con tendenze femminee gli si avvicinò ridente –Oh, Rakyr caro, sei tornato? Per quanto rimarrai questa volta?-
-Non lo so…l’incarico pare funghetto-
-Winry, accompagna nella mansarda il signor ospite-
Una ragazza bionda arrivò di gran carriera davanti ai due, con ancora un paio di cacciaviti in mano ed un top nero che le evitava ogni impaccio.
-Winry, lui è Rakyr…è un amico nonostante faccia un lavoro ingrato- si interruppe un attimo –In compenso è un fabbro eccezionale-
-Non esagerare…diciamo che me la cavo un pochino-
-Direi molto di più, comunque vai pure in camera a cambiarti e lavarti- fissò i suoi abiti sporchi di terra e sabbia e polvere –I tuoi abiti da borghese sono ancora qui dall’ultima volta, dopo il…ehm…litigio dell’ultima volta erano un po’ laceri, quindi mi sono permesso di sistemarli un po’-
-Sei un angelo-
-Ma che, ma che- l’omone arrossì ridacchiando.
 
Winry accompagnò il cacciatore davanti alla stanza –Dannazione, le chiavi…- si frugò addosso ma ne uscì con uno sconsolato sospiro.
-Non preoccuparti, faccio da solo- tracciò un cerchio alchemico attorno alla serratura e la aprì attivandolo –Grazie comunque-
-Tu sai usare l’alchimia?-
-Si, beh…diciamo che me la cavicchio, anche tu la pratichi?-
-Beh no, però c’è una persona bassa e scontrosa che è un vero genio…-
Fissò lo sguardo raggiante di Winry mentre parlava del piccolo alchimista –Dal tuo sguardo parrebbe una persona molto importante per te…è per caso il tuo ragazzo?-
Lei arrossì di botto –No, ma che dici…ehehehe- iniziò a ridere imbarazzata.
-Però non ti dispiacerebbe se lo fosse-
Lei arrossì ancora di più davanti all’espressione divertita del ragazzo –Beh…- iniziò a torturare un cacciavite che aveva alla cintura.
-Non fa nulla se non rispondi…ora scusami, ma vorrei riposare un attimo-
-V-va b-bene…- fece per andarsene, quando si voltò –Ah, dimenticavo, come ti chiami?-
-Rakyr Celes- sorrise per poi chiudere la porta.
 
Guardò gli abiti sul letto –Sono stupendi- una camicia e dei leggeri pantaloni bianchi giacevano sul letto ordinatamente, accompagnati da una semplice cintura marrone. Accanto c’erano comodi jeans resistenti ed un paio di guanti di buon cuoio.
 
Era a casa…



Ringraziamenti:
Romance: Amore, sei dolcissima!!!
The_Dark_Side: Grazie mille, non ti deluderò
Faccina felice/buffa: sono contento che la storia ti affascini, inutile dire quanto sia importante per me questo racconto
Dark Ailbhe: grazie mille del tuo commento anche su questa fic, spero riuscirai a leggere per intero questa storia!

Prossimo capitolo: Legge inesistente

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Capitolo 9
*** 8: Legge inesistente ***


8: Legge inesistente

“Così solo nel mondo distante,
I ricordi dei sogni rimarranno
Come il mondo che diventa insensibile e le nostre vane esistenze”
Dragonforce – The Flame of Youth

-Fermati! Abbiamo detto di fermarti!!!-
-Col cavolo che mi fermo- pensò Feren, scappando da quei due tizi che sembravano essere tutori dell’ordine –Poliziotti…è un anno che ci provano. Sono diventata famosa in fretta…-
Feren stava correndo, nemmeno con tanto impegno. Si limitava a fermarsi ogni tanto, per dare un vantaggio a quei poliziotti che la seguivano –Non ce la faranno mai…-
Feren si era fatta notare apposta, tanto per sgranchirsi un po’ le gambe. Ogni tanto lo faceva. Perché per lei, quello era un metodo di riconoscimento –Non preoccuparti, Arden…prima o poi verrò anche a giocare con te…-
Si fermò, di scatto, dando loro la schiena. I poliziotti dietro di lei si fermarono a loro volta.
-Ti dichiariamo in arresto, Feren Bloodbane…sei accusata di plurimo omicidio e di furto aggravato, truffa e…-
-Ah…siete noiosi. So ciò che ho fatto- Feren si voltò verso di loro, sorridendo –Poveri sciocchi…non vale proprio niente la vostra vita?-
-Non hai forse capito lo stato in cui ti trovi, non è forse così…?-
-Può darsi…- la ragazza aveva qualcosa in mente. Mise mano sotto la sua lunga gonna, prese dalle fondine i suoi pugnali, nascosti per non dare nell’occhio –Non costringetemi a farvi del male…-
-Non abbiamo paura, ragazzina…- i due mostrarono a Feren due pistole, lucide, a canna lunga, sicuramente cariche e senza la sicura inserita –Un passo falso e…-
-E…?- Feren era sempre più spavalda. La sicurezza non le mancava –Su, forza…provateci pure…-
I sue si guardarono, confusi. Ma loro erano in due e avevano in mano armi da fuoco –L’hai voluto tu…-
Un colpo, seguito da un altro. Due boati a distanza ravvicinata che non la spaventarono minimamente. Feren si limitò a piantare i pugnali a terra, a toccare il ruvido manto di cemento e sorridere. Un muro si parò tra lei ed i proiettili, i poliziotti rimasero di stucco e arretrarono di un passo –Ma come…-
-Non fatevi spaventare…questo non è certo niente…- Feren si alzò, toccò quel muro appena innalzato nel centro, aprendovi un buco perfettamente circolare –Questo è solo l’inizio…-
Feren fece scomparire del tutto quel muro, sgretolandolo in pezzi –Sarà la vostra fine…- si avvicinò a loro così velocemente che nemmeno se ne avvidero. L’unica cosa che notarono fu il suo sorriso. Un sorriso cattivo.

-Uhm…il mio occhio continua a reclamare sangue…- Feren guardò i corpi senza vita dei due poliziotti accanto a lei. Uno lo scostò con il piede, annoiata –Non mi hanno nemmeno fatto divertire…-
A volte capitava. Le capitava di mettersi in testa di dimostrare qualcosa. Ma non aveva niente da dimostrare, a nessuno. Lei era…
-Io sono…l’alchimista nera…- sorrise, quasi soddisfatta di quel soprannome che le avevano affibbiato. In molti luoghi era considerata una leggenda. Forse nemmeno credevano che potesse esistere. Un volto angelico, che poteva trasformarsi in quello del diavolo in persona. Piccola ed indifesa…
-Sono tutt’altro che indifesa. Ho la mia abilità nell’usare i pugnali…e la mia alchimia…-
Lei, però, odiava l’alchimia. Perché la sua alchimia era un regalo da parte di qualcuno che odiava dal più profondo del suo cuore –Per colpa sua, io…-
Feren non si spiegava come, da quel maledetto giorno, lei potesse usare l’alchimia senza tracciare il cerchio alchemico. Suo padre, che era il più grande di tutti, non riusciva a trasmutare niente senza prima tracciarlo.
-Padre…- Feren abbassò lo sguardo, distrutta. Prese la sua poca roba, guardò i corpi dei poliziotti con uno sguardo del tutto privo di espressione. E, come faceva sempre per dimostrare la sua presenza, lasciò sopra un bigliettino, quasi come fosse uno scherzo “Sempre vostra, Feren Bloodbane”.


Ringrazio tutti coloro che hanno seguito la storia fino ad ora e li invito a continuare ^^

Prossimo capitolo: Soul of metal

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Capitolo 10
*** 9: Soul of metal ***


9: Soul of metal
 
“Alziamo la spada lottiamo per la vita
Spada e scudo splendono chiari
colpiamo come draghi, senza paura
le nostre spade sono fatte d’acciaio”
Dragonforce – Cry of the brave
 
-Sveglia pigrone!!! Hai intenzione di dormire tutto il giorno?!-
La voce lo raggiunse come una secchiata di acqua gelida sul volto, facendogli aprire di scatto gli occhi e mettersi a sedere sul bordo del letto, con i piedi che sfioravano il pavimento di pietra tiepida a causa del calore della fucina.
Si crogiolò lentamente in quel piccolo piacere mentre scrutava chi l’aveva svegliato di forza.
 
Era una giovane donna dalla carnagione abbronzata di chi vive nel deserto sotto il sole cocente, occhi neri ed espressivi e capelli dello stesso colore raccolti in treccine dietro alla nuca –Paninya, i tuoi modi non ti smentiscono mai…sempre alquanto…diretta-
 
-E tu dormi sempre troppo- i due si fissarono negli occhi a vicenda per scoppiare in un riso sincero e piacevole.
Il primo a riprendersi fu Rakyr –Come sta il vecchio?-
-Ah, bene…credo gli farebbe piacere ricevere una delle tue rare visite, sembra tu gli stia simpatico- il cacciatore ridacchiò sommessamente mentre la ragazza si portava un dito affusolato al labbro inferiore come per ragionare –Ah, dimenticavo…come va con le taglie?-
 
Le labbra dell’altro tornarono ad essere una sottile e perfetta linea mentre la fissava con durezza.
-È vero…il lavoro è un tasto dolente per te…- fece per andarsene –Ah…Bentornato a casa- lo disse con voce dolce, fraterna.
 
Sul volto indurito dalla morte dell’alchimista tornò a splendere un tenero sorriso –Grazie Paninya, sorellona-
-Di nulla- alzò un braccio uscendo di schiena per salutarlo –Sorridi più spesso, sembri quasi un bel ragazzo quando lo fai- ridacchiò –E non cacciarti nei guai-
 
Una volta che la porta si fu chiusa alle sue spalle saltò giù dal letto, facendo un po’ di ginnastica per riscaldare e tonificare i muscoli e sgranchirsi gli arti, poi si spogliò per vestirsi con abiti leggeri e candidi, per poi mettersi al braccio un bracciale finemente intagliato con un cerchio alchemico, dei guanti bianchi ed avvolgersi il capo con il tipico copricapo dei beduini e uscì per strada, la spada saldamente legata alla sua schiena dopo essere stata avvolta in un panno bianco anch’esso.
 
Si fece strada per le vie affollate ed il caos di venditori ambulanti ai bordi delle strade, intervallati da botteghe con oggetti dai prezzi da capogiro e mendicanti dagli occhi e dalle tasche vuote, per poi uscire dalla cittadina commerciale e dai suoi dedali di vie.
 
Si avviò con calma per il sentiero accidentato che portava alla casa del forgiatore-eremita che aveva conosciuto tempo prima e sotto il quale aveva studiato per pochi mesi.
Calciava pensieroso i sassolini che erano sulla strada, in ricordo dell’infanzia che gli era stata strappata.
 
Appena fu davanti alla sua piccola ma accogliente casa uscì un piccolo ragazzo biondo, seguito da una rassegnata armatura decisamente imponente –Dannato testone!- imprecò il primo.
Dalla dimora uscì un giovane uomo sulla ventina che fissò con interesse il ragazzino che si allontanava pian piano, per poi sorridere a Rakyr –Il vecchio è di buon umore-
-Così pare- rise l’uomo, fissando lo strano duo.
 
-Oh, Rakyr, cielo come sei cresciuto, sembri più grande dei tuoi diciassette anni- una gentile signora gli faceva cenno di entrare ed accomodarsi.
-Devo proprio portarli male i miei anni!- tutti risero.
 
-Cos’è tutto questo baccano, è ancora quel tappetto?- un signore attempato, muscoloso nonostante l’età, con striature bianche nei capelli grigio scuro scrutò l’ospite –Certo che hai un senso della puntualità curioso…dall’ultima volta ne è passato…- si strinsero la mano ilari.
 
-Allora, come vanno gli affari…? Ti rifiuti ancora di lavorare per l’esercito?-
-Si, il piccoletto che è appena uscito voleva dei miei automail, tuttavia è un alchimista di stato e…-
-Alchimista di stato, eh?- passò la lingua sulle labbra –Non c’impiegherò molto-
 
Uscì dalla porta lasciando cadere il turbante e creò una lunga catena dal terreno, per fonderne le estremità al bracciale ed al pomo della spada, che ora lampeggiava irata.
 
-Ehi, alchimista nanerottolo!-
Il biondo si fermò, tremante d’ira, voltando le spalle al cacciatore, mentre l’armatura si cassava una mano davanti alle fessure dell’elmo, disperata.
L’altro esplose –Chi hai chiamato fagiolino ultraminuscolo che solo a vederlo viene voglia di schiacciarlo, eh?!-
-Fervida immaginazione- lo fissò negli occhi di miele –Pulce-
 
Il biondo batté le mani, per poi colpire con i palmi aperti il terreno, da cui comparve una gabbia di roccia che intrappolò il cacciatore, che rise –Tutto qui?- con un paio di precisi fendenti mirati tranciò le sbarre, uscendo all’aperto.
 
La spada percorse la distanza che li divideva in un istante, e l’unica cosa che l’alchimista poté fare fu alzare il braccio destro a difesa del suo corpo.
 
La lama lo trapassò da parte a parte, ma nemmeno una viscosa goccia insozzò il terreno polveroso, la nuda roccia spazzata da un’insistente brezza fresca.
-Automail…mi chiedo perché te li abbiano impiantati- Toccò il cerchio alchemico sul bracciale e dalla spada comparvero piccoli ma resistenti rostri, che si ancorarono al metallo del braccio.
 
L’altro batté nuovamente le mani –Ora quella spada svanirà- fissò l’avversario, che lo fissava con ilarità, per poi toccare la lama con la mano guantata.
Si aspettava di vederla svanire o sgretolarsi sotto lo sguardo attonito del suo presuntuoso padrone.
 
Non accadde nulla.
Il sole si rifletteva sulla lucida superficie del metallo, come schernendolo -Ma….-
 
-Hai provato a distruggerla vero? Che delusione…- scoprì i denti in un ghigno crudele –Spiacente tappo, ma non puoi infrangere un’anima così facilmente, e soprattutto non la mia e la sua!- strattonò la catena con forza sufficiente per strappare il ragazzo da terra, sfruttando gli artigli della spada.
Lo colpì mentre era a mezz’aria, inerme, con un poderoso pugno al petto, annullando l’alchimia e ritraendo la sua arma nello stesso momento in cui il corpo svenuto rovinava a terra.
 
Percepì una presenza ed alzò appena in tempo la spada, parando in extremis un vigoroso colpo dell’armatura –Sei anche tu un cane dell’esercito per caso?-
-No, ma…-
-Allora vattene, ho perso fin troppo tempo con voi- si voltò tornando verso la casa del forgiatore -Ah, dimenticavo, il mio nome è Rakyr Celes- si voltò a scrutarli con un'espressione rigida -E odio i militari-


Ringraziamenti:
Salve a tutti, sono Romance ^^ e  mi permetto di aggiornare al posto di Raky per la mancanza di tempo del mio socio (ihih) e, se permettete, mi permetto anche di ringraziare:
faccina buffa: stavolta parlo a nome mio (finalmente!) e ti ringrazio per i complimenti che mi hai fatto in uno scorso capitolo (non mi ricordo quale, mi spiace ^^') e devo chiderti un favore: scuoti la testa a questo zuccone! A ciò che gli dico io non ci crede mai...perciò, forse, se è qualcun altro a dirlo...
Evito di ringraziarmi per non mettermi a ridere ^///^ spero che tutti coloro che commentano e/o recensiscano continuino a seguire la ff fino alla fine.

Prossimo capitolo: Incontro col destino

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Capitolo 11
*** 10: Incontro col destino ***


10: Incontro col destino

“I venti del cambiamento, amico mio,

soffieranno per te in una notte morta”
Dragonforce – Evening star
 
Il muro contro il quale spingeva la schiena era ruvido e le stava facendo male. Eppure non sentiva dolore, anzi…sorrideva, divertita.
Seguire quel ragazzo non si era rivelato poi tanto sbagliato…e pensare che le sembrava così strano avere avuto quello smanioso interesse per lui.
Era forte…era curioso. E voleva proprio divertirsi un po’.
Sorrise maliziosa, mentre sentiva il suo occhio coperto fremere dall’impazienza, reclamando ripetutamente ancora sangue…ancora ed ancora…
-Aspetta…aspetta ancora un po’…-
Guardò il combattimento tra quel ragazzo dagli occhi verdi e quel piccoletto dai capelli biondi fino all’ultimo. Sentì la gioia della battaglia fremere in lei…si sentiva stranamente esaltata. Poi, quando vide quel piccolo corpo cadere a terra rovinosamente, seppe che la battaglia era finita. La sua schiena si sollevò dal muro appena di poco…ma subito la voce di quel ragazzo la frenò dal muoversi.
-Sei anche tu un cane dell’esercito per caso?-
Feren si voltò a guardare…non si era accorta, prima di quel momento, della grande armatura che era con quel piccoletto biondo. Sentì una voce metallica rispondere di no…e aspettò di vedere la reazione del ragazzo.
-Ah, dimenticavo, il mio nome è Rakyr Celes…e odio i militari-
Vide il ragazzo incamminarsi verso la sua direzione. Si, forse…l’avrebbe vista.
Voleva proprio testare la forza di quel ragazzino…
 
Sentiva i suoi passi vicini, sempre più vicini.
La sua sicurezza e tranquillità erano spaventose…chiunque altro avrebbe sentito l’emozione stringergli la gola…ma lei no. Era così tranquilla…che la sua espressione seria faceva spavento.
-Un alchimista…piuttosto curioso, già…- i pensieri di Feren erano tutti per quel ragazzo -Sarà un piacere giocare con te…- un sorriso, ironico, gli percorse il volto.
Questo faceva presagire a qualcosa di terribile. Forse, lei, in realtà…voleva ucciderlo…? Non ebbe modo di pensarci, perché i suoi passi erano ormai vicini.
-Eccola lì…!- una voce vicina fece sobbalzare le orecchie della ragazza che si voltò, di scatto.
I passi del ragazzo, il suo respiro…tutto era silenzioso. Si era fermato, a pochi passi da lei, forse ascoltando quelle voci. Feren imprecò silenziosamente, cercando di mantenere la calma.
-Dannazione…- la voce della ragazza era tutt’altro che tranquilla adesso. Quelli erano…
-Carogne. Proprio adesso…- sentì di dover abbandonare i suoi piani.
Fece due passi oltre il muro, camminando lentamente. Poi, senza procedere oltre, si fermò.
Voltò il capo abbastanza da incrociare lo sguardo di quel ragazzo.
Occhi verdi in occhi di notte…uno sguardo smeraldino serio e…sorpreso. Di vederla o di…incontrarla proprio in quel luogo. Occhi meravigliosi…cui Feren non riusciva a vederne veramente il colore…
-Salve…- Feren disse solo queste parole, il ragazzo non rispose.
Continuò invece a guardarla, assumendo un’espressione seria. La ragazza, sorridendo in modo malizioso, fece un leggero inchino con il volto, facendo dondolare davanti al viso i ciuffi lunghi e lisci e le piccole trecce, che risplendevano alla luce del sole. Quel ragazzo, osservandola, non aveva fatto alcun cenno. Al contrario di molti, non aveva nemmeno sorriso…e, cosa ancora più sbalorditiva, non era nemmeno arrossito.
-Sai…ora devo andare. Ma quando avrò finito, io…- fece un passo verso di lui.
Feren si accorse di quanto fosse alto quel ragazzo, in confronto a lei. Sorrise, mettendosi in punta di piedi, e sussurrò alle orecchie del ragazzo poche parole: -Vorrei parlare…con te…-
Sentì di aver utilizzato le parole giuste e, soprattutto, il tono giusto. Chiunque si sarebbe sciolto a quella civetteria così sfacciata…ma quel ragazzo no.
Il suo sguardo si fece serio e anche quello della ragazza, quindi, non poté che seguirla.
-Che vuoi da me, ragazzina…?- la voce di quel ragazzo era dura…
-Oh…ma che modi maleducati…- Feren sorrise, divertita.
Non si sarebbe mai aspettata che qualcuno non cedesse così facilmente al fascino di cui era sicura essere forte.
-Eccola…adesso non puoi più scappare…-
Feren e quel ragazzo, che aveva detto chiamarsi Rakyr, guardarono verso quei due uomini che li si paravano davanti. Rakyr sorrise, infastidito.
-Andatevene…- un comando secco e infastidito, la voce roca e bassa.
-Come…?- i due si guardarono straniti -Ma che…ehi, ragazzino…-
Un sorriso maligno percorse il volto del ragazzo, che scosse la testa -Dopo non ditemi che non vi avevo avvertito…-
 
Feren non riuscì a seguire interamente la scena. Però capì esattamente cos’era successo.
Quel ragazzo…era ancor più curioso di quanto non avesse pensato.
Sorrise divertita…colpendo con i piedi i corpi privi di sensi dei due uomini. Poi si voltò verso il ragazzo, sorridendo un po’ stupita -Non mi chiedi di aver pietà per questi due…?-
-Tze…non sono morti. E poi io li avevo avvertiti di andarsene…-
-Oh…capisco. Nemmeno tu sembri poi così calmo, come invece il tuo bel volto lascia immaginare…- una risata falsa fuoriuscì dalla bocca di Feren.
La ragazza credeva di ingannarlo facilmente, eppure…
-Smettila. Mostrami il tuo vero volto…-
Feren voltò la testa verso Rakyr, realmente divertita. La sua espressione tornò quella seria e inespressiva di solito e un sospiro rassegnato non poté che coglierla all’improvviso.
-Ma guarda…interessante, si si…-
Il ragazzo incrociò le braccia, spazientito -Si può sapere chi sei…?-
Feren accennò un sorriso…ma quello era realmente un sorriso?
-Ma che maniere…- Feren si voltò verso il ragazzo, fece un inchinò irrisorio. Ma alzato il volto ed incrociato il suo sguardo, la sua voce era quanto di può serio di potesse immaginare -Io sono…il tuo destino…-
I loro sguardi erano immersi l’uno dentro l’altro.
Nessuno dei due aveva intenzione di perdersi nemmeno un momento di quella lotta…appena iniziata.


Ringraziamenti:
Romance: Grazie Amore di esserci sempre! Ti Amo!!!
Onee-chan: Grazie Deni, sono contento che ti piaccia

Prossimo capitolo: Something you can't run away to

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Capitolo 12
*** 11: something you can't run away to ***


11: Something you can’t run away to

“E rimaniamo tutti, lottando fino a cadere,
Sperando in un giorno migliore senza arrendersi”
Dragonforce - Starfire

Rakyr scattò indietro, la spada ancora incatenata al braccio, mentre il metallo strisciava sulla terra arida.
Un piccolo taglio apparve sulla sua guancia destra, la ragazza era veloce e lui ci era cascato in pieno, tuttavia lo emozionava l’idea di combattere contro di lei, che aveva estratto il pugnale e l’aveva colpito senza che lui riuscisse a schivare del tutto il colpo.

Leccò la goccia di sangue che stava colando, un sorriso crudele sulle labbra.
Feren…davvero una bambina impertinente, però se la cavava, e pure bene.
-Questo significa che sei così stupida da sfidarmi?-
-Oh oh, il giovanotto si da delle arie-
-Taci!- la voce scherzosa della ragazza lo infastidiva, gli faceva sembrare di essere sottovalutato, insultato nell’orgoglio.
-Beh, allora vuol dire che inizio io-
Congiunse le mani, correndo verso il cacciatore, che parò il suo potente calcio con il piatto della lama –Scacco- la ragazza si mise in elevazione sulle mani, compiendo un’alchimia che congelò lo stretto sentiero, per poi colpire con un calcio più forte il giovane, che slittò indietro, usando come ancora la lama della spada, che incise ghiaccio e terra profondamente, fermando l’impeto.

-Vita o morte eh? Mi piace come regola- tagliò un pezzo di ghiaccio, evocando dal suolo di terra una katana che impugnò con la sinistra, correndo poi verso il suo avversario, che leggiadro si spostò, quasi danzando sul gelido terreno, come se fosse normale terra battuta.
Un’altra volta le lame fendettero il terreno, cantando stridule –Sei buffo, non ti reggi quasi in piedi-

Lei evocò una sfera infuocata, che bruciacchiò i vestiti del giovane, sorpreso per una così grande abilità.
Non ebbe tempo di rimuginarci.
Un pugnale volò preciso verso di lui, costringendolo a sbilanciarsi per schivarlo.
Proprio come lei desiderava.
Gli era già dietro e con un veloce gioco di gambe lo fece cadere a terra, lasciando che la katana scivolasse giù dal dirupo.

Feren si allontanò mentre l’alchimista si riprendeva brevemente dal colpo subito, dimostrando un vigore fuori dal comune –Il gioco è durato fin troppo- conficcò la punta della spada a terra e si tolse i guanti.
La ragazza non poté esimersi da un verso sorpreso…sui polpastrelli aveva disegnati, no…incisi dei cerchi alchemici potentissimi –Ma tu…cosa sei?-
-Qualcuno che non ha nulla da perdere-
Fece combaciare pollice e indice, passandoli nel vento.
Il cielo si scurì d’un tratto ed un fulmine solitario incenerì il terreno ai piedi della ragazza –La prossima volta non sbaglierò mira-
Il tono le fece intendere che non prenderla era stata una sua attenzione, e che quello era solo un minimo assaggio delle sue abilità.

Feren rise, non aveva mai trovato nessuno in grado di tenerle testa così, senza nemmeno vacillare davanti al suo sguardo, rivide le cicatrici sui polpastrelli di Rakyr, pensando a quanto a fondo la lama che li aveva incisi si era dovuta spingere.

Era come lei, uno che per vendetta avrebbe potuto sopportare qualsiasi sofferenza, anche quelle più tremende –Per ora mi sono trattenuta fin troppo, ti risparmio la vita questa volta- vide lo sguardo ironico del ragazzo, al quale rispose con uno di profondo odio –Non credere che questa sia una ritirata, o che tu mi faccia pietà, la prossima volta…- si rese conto di aver parlato troppo e svanì nei vicoli della città.

-Ora sono sicuro che questa prossima volta ci sarà, e un po’ ci spero- lasciò che la brezza sparpagliasse le sue parole.
Si guardò i vestiti bruciacchiati e la pelle scorticata in alcuni punti –Merda, Paninya e Garfiel mi uccideranno a vista!- dicendo così rientrò nella casa del forgiatore degli automail la signora lo curò diligentemente, preoccupata per le scottature e le ferite superficiali che aveva riportato, ma conoscendo il suo ospite non fece domande.

In fondo sapeva già che non avrebbe mai risposto.

-Grazie ancora ossan*, magari domani riusciremo a parlare più diffusamente- fece un piccolo inchino e tornò verso il suo appartamento, la spada legata dietro la schiena e la camicia aperta sul davanti perché priva dei bottoni, andati persi nel confronto.

Entrò timoroso, quasi tremante, infatti Paninya, dopo aver visto lo stato suo e dei vestiti lo trascinò in sala per un orecchio, dove un’altra persona stava venendo sgridata pesantemente e pregava una grande armatura di aiutarlo ad evadere.
-Ma Winry, non è stata colpa mia…- si voltò vedendo la giovane.
-Ciao alchimista nanerottolo…- salutò Rakyr soprappensiero.
-Tu…dannato!!-
-E sta zitto!- la bionda lo colpì con una chiave inglese, lasciandolo alle cure del colosso.
-A quanto pare vi siete conosciuti…-
-Beh…il fagiolino si riscalda per poco-
-Si chiama Edward, e quell’armatura gigante è suo fratello Alphonse-

Edward? Alphonse? I nomi gli ricordavano il maestro… come li aveva chiamati? Ah, si…i fratelli Elric.

Cercavano anche loro la pietra filosofale.
Ora però lui aveva trovato loro.

-È un piacere per me conoscervi- disse con un sorriso ambiguo.

Dopo essere tornato in camera rise allegro –Maestro…sono un altro passo più vicino a voi…-

Non poteva sapere che un corpo di metallo non ha bisogno di riposo, né che qualcuno potesse ascoltare i suoi discorsi.

Ma forse fu meglio così…

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Capitolo 13
*** 12: Ciò per cui combattere ***


12: Ciò per cui combattere

“Guardandomi, volendomi
posso sentire il tuo sottomettermi”
Evanescence - Haunted

Non poteva crederci. No, non voleva crederci.
Quel ragazzino l’aveva costretta ad andarsene, a fuggire…come era potuto accadere?
E poi, la sua frase…come aveva potuto dirgli che si sarebbero rincontrati?
Si fermò, dopo aver corso per un bel pezzo di strada, il confine della cittadine era ormai prossimo.
Voltandosi indietro, cercò di convincersi che tutto ciò che aveva passato nelle ultime ore fosse qualcosa da lasciarsi alle spalle, come gran parte del suo passato.
Quel ragazzo, il suo interesse per lui dovevano svanire. Eppure, ripensandoci, non riusciva a dimenticare quegli occhi smeraldini, quell’espressione fiera, quelle mani…
Scosse la testa, rendendosi conto che un pericolo maggiore di suo fratello stava annidandosi nel suo cuore. Dette un nome a quel pericolo, qualcosa che non credeva potesse essere. Cerco di capire se fosse solo curiosità, ma non lo era. Interesse, ma non lo era. Poi sorrise, un po’ stupita di averci pensato. Tutti questi appartavano alla categoria dei “sentimenti” e lei non aveva più sentimenti.
Da quel lontano giorno di un anno fa.

Le sue gambe erano stanche…e il suo cervello continuava a pensarci.
Povero sciocco…pensava forse che lei lo avrebbe lasciato in vita? Seppure non aveva visto il suo vero volto, non poteva certo lasciarlo in vita. Non dopo la loro battaglia fulminea…
Eppure era un vero peccato.
Quella maestria nei movimenti, nei particolari di ogni trasmutazione, quell’anima forte e quell’alchimia. Quell’alchimia diversa da qualsiasi altra avesse visto finora. Soprattutto quel fulmine…perché non colpirla, dal momento che per lui era davvero facile ucciderla?
Si fermò, pensierosa…vide una bancarella di frutta, vi si fermò davanti.
Osservò la merce in vendita, tutta frutta di un colore brillante e di un’ottima qualità.
La sua attenzione fu attirata da una stupenda mela rossa. Rossa…l’ammaliava quel colore, la ipnotizzava. Stava quasi per cedere alla tentazione di rubarla e scappare via. Poi, scocciata, ci ripensò.
Non aveva nessuna intenzione di cedere alla tentazione di un furto facile e incorrere, di nuovo, in un inseguimento che l’avrebbe portata ad uccidere qualcuno. Non ne aveva voglia.
L’unica persone che voleva uccidere, adesso, era solo lui. Arden.
Ormai priva di stimoli per rendere la giornata interessante, allungò una mano verso la sacca, prese in mano qualche moneta. Stava per pagare quella mela, quando qualcuno la esortò dal farlo.
-Gliela offro io, signorina…- Feren si voltò verso quella voce, così familiare.
Davanti a lei un bel ragazzo, alto, dagli occhi azzurrini e i capelli rossastri. Un’espressione gentile, dipinta sul volto. Eppure…il cuore di Feren si fermò, il suo occhio nero si spalancò a dismisura.
Il suo sentimento di quel momento si poteva racchiudere tutto in un parola: odio.
-A…Arden…?-
Un sorriso, dolcissimo. Feren guardò il fratello pagare la mela al fruttivendolo, lo vide che la prendeva per mano. Al di fuori sembrava l’avesse fatto con dolcezza…in realtà la sua morsa era stretta e dura.
Feren non sentiva dolore, ma solo rabbia. E voglia di uccidere.
Arden la portò in un luogo isolato, dove non c’era nessuno, lasciò la sua mano e la guardò ridendo. Ma stavolta il suo sorriso era cattivo, ironico. I suoi occhi divennero quelli di un pazzo, come tanti anni prima.
-Ciao sorellina…sono tornato…-

Feren guardò quel volto inumano con rabbia. Ma nel suo cuore si fece largo un sentimento ancora più insopportabile, che non credeva più di avere.
Paura…una paura tremenda. Feren non credeva che una persona potesse avere così tanta paura di un'altra persona.
-Che cosa vuoi, Arden…?- la sua falsa voce seria venne tradita dalla sincerità del suo corpo, che tremava.
-Oh, Feren…hai ancora paura di me? E pensare che io ti amo così tanto…- un passo verso la sorella.
-Non ti avvicinare a me!- Feren arretrò di un passo.
No, quella non era paura. Era terrore, terrore allo stato puro.
Il suo cuore non avrebbe retto ad uno sforzo come quello che stava sopportando, lei sapeva di non poter competere con Arden. Lui era…un genio, lui era troppo più bravo di lei.
Seppure la battaglia di poco prima ancora la scuotesse, lei…
-Non ti farò del male, sorellina…
-Non voglio che ti avvicini…io ti odio!- la voce di Feren si fece alta, distorta.
-Ma via, sorellina…lo sai che io…-
-Tu mi hai ucciso, Arden! Perché vuoi ancora infierire su di me? Non ti basta aver fatto del male alla mamma?-
Arden divenne serio e si fermò. Non fece più alcun passo verso la sorella, così terrorizzata, non infierì con il terrore psicologico di cui era capace. Era irritato…
-Quella donna mi voleva impedire di amarti…non voleva che ci amassimo…-
-Sei un bastardo, Arden! Io non ho mai chiesto di amarmi…non ho mai voluto amarti. Tu sei mio fratello!-
Arden sorrise, sempre più irritato. E cominciò di nuovo ad avanzare verso la sorella -Sbagliato. Io e te non siamo fratelli. Semmai fratellastri, Feren…-
Quella voce bloccò la retrocessione della ragazza…era proprio come quella di quel giorno. La voce di un pazzo che non sa di esser tale. L’essere peggiore di tutti.
Lei non poteva crederci…il suo odio era cresciuto, la sua forza aumentata, la sua alchimia arrivata a livelli tali da farla conoscere in tutto il paese. Ma ancora lei non riusciva a smettere di aver paura di Arden.
La sua paura così insistente e per lei insensata la portò a formulare pensieri insensati, a pensare a cose che, in altri casi, non si sarebbe mai sognata di pensare.
Pensò a quel giorno, al suo dolore. Alle sue azioni, a ciò che era. Al combattimento del giorno prima, a quel ragazzo. Al fatto che, in quel momento, avrebbe voluto che lui fosse lì, accanto a lei.

Intanto, molto vicino a quel luogo, qualcuno correva. Qualcuno che aveva una sgradevole sensazione dentro al cuore, una sensazione di pericolo imminente.
Aveva lasciato tutti a bocca aperta, scappando senza dare spiegazioni a nessuno. E infatti nemmeno lui sapeva perché stava correndo, dove stesse andando. Ma sentiva di doverlo fare, o qualcosa si sarebbe rotto.
Quella ragazza…che fosse stata lei ad essere in pericolo?
Non riusciva a dare un nome a quella sensazione sgradevole, a quella strana rabbia crescente che sentiva dentro.
Sentiva che, se fosse stata davvero in pericolo, qualunque cosa si fosse mezzo in mezzo fra loro due…sarebbe dovuto sparire. Dopotutto…il loro combattimento non era ancora finito.
Nessuno poteva permettersi di uccidere o di fare del male a quella ragazza.
Non l’avrebbe mai permesso. Almeno non prima che il loro combattimento fosse davvero concluso

-Arden, smettila…-
-Sorellina, andiamo…non ti ricorda niente questa scena…?-
Feren era bloccata ad un muro, mani e caviglia strette in una morsa di ferro. Le sue mani non potevano compiere trasmutazioni e la sua paura le stava annebbiando il cervello. Non poteva crederci…non si era nemmeno accorta che suo fratello le avesse fatto ciò.
-Come diavolo puoi aver…- la voce di Feren era flebile, un sussurro.
Non poteva credere alla sua sensazione orribile, alla sua stupidità in quel momento. Come poteva non rendersi conto che, se fosse morta adesso, tutto sarebbe stato inutile?
Lei credeva di esser diventata forte…eppure non era migliorata neanche un po’, non era riuscita a tenere a bada la sua paura. Come aveva pensato di poter tenere a bada suo fratello?
Sentiva di voler piangere…sentiva di volersi sfogare…ma non ne aveva la forza.
Era del tutto inutile opporsi, a questo punto. Pensava che non ci fosse ormai nient’altro da fare.
-Sorellina…non capisco perché continui ad opporti al tuo destino. Per quanto tu possa scappare, io ti ritroverò sempre…- un sorriso cattivo, che fece salire in Feren una rabbia tremenda.
-Non sono io quella che è scappata quella notte…quello sei stato tu. Sono io quella che ti ha cercato, per tutto questo tempo…- Feren non si accorse che la sua rabbia, ormai, aveva toccato un limite talmente alto che la sua paura se n’era andata.
-Ma guarda…hai smesso di tremare…- Arden si avvicinò alla sorella, le carezzò il volto -Ma lo sai che sei diventata bellissima Feren…? Quasi mi dispiace di aver distrutto la tua luce, di averti abbuiato la metà del mondo…-
-Ah si…? Allora perché non me la restituisci, quella luce…?-
-Non posso, sorellina…hai già trovato un sostituto…no?- Arden sollevò il ciuffo che le copriva l’occhio. Feren si stupì: come diavolo aveva fatto ad accorgersene? Sentì un bacio sopra la palpebra, una sensazione di disgusto si impadronì di lei. Si, non aveva dubbi…la rabbia era più forte della paura. Ed in quel momento non riusciva più ad aver paura di lui.
-Mi fai schifo…-
-Ma guarda…come siamo cattivi…- le pizzicò un braccio, in modo violento -Non si parla così al proprio fidanzato…-
-Fidanzato? Tu non sei altro che un…mostro…- Feren, come in passato, sputò in faccia al fratello.
Questi non sembrò accettare la ripetizione di quel gesto e, prendendole una ciocca di capelli fra le mani, la tirò verso di se.
-Ascoltami bene, sciocca…ti ho risparmiato la visione della morte di quella donna solo perché ti amavo. Non farmi rimpiangere la mia scelta…-
-Chi se ne frega. Non capisco come tu abbia potuto tenermi in vita. Dopotutto lo sai a cosa miro, no…?-
-Tze…non voglio di nuovo costringerti ad accettare il mio amore, Feren…-
-Non avresti mai il coraggio di farlo…- la sua voce tremò, per un istante.
Sapeva benissimo che lo avrebbe fatto comunque…e aveva paura. Ma non voleva che la paura le impedisse di trattarlo come meritava -Sei solo un patetico vigliacco…ed io ti odio…-
-Adesso basta, sorellina…adesso basta…-

Arden, con furia, tappò la bocca di Feren con un bacio. Ma le morse un labbro, mentre lo faceva, e la bocca di entrambi si riempì di sangue.
Arden si leccò il labbro…estasiato da quel sapore che lui adorava.
Di nuovo un bacio chiuse la bocca di quella ragazzina ormai completamente in suo potere…Feren sentì la lingua del fratello violarla, per la seconda volta, sapeva cosa sarebbe successo.
Le sue mani si strinsero in pugni, impotenti.
La mano di Arden si poggiò sui seni di Feren, cresciuti rispetto al passato, la sua violenza nel carezzarli le fece male. Arden apprezzò il mugolio di dolore che fuoriuscì dalla bocca della sorella.
Intanto, con dolcezza però, allungò la mano verso il ventre della ragazza, coperto da quella sua tuta. Cercò di aprirla, di arrivare al fiore della ragazza. Feren chiuse gli occhi, non voleva vedere niente. Quella volta no.
-Fermati, bastardo…!- uno schiocco di dita, un fulmine che fece allontanare Arden dalla ragazza -Non lo sai che le fanciulle non si toccano nemmeno con un fiore…?-
Il volto di Arden si aprì in un sorriso ironico e sorpreso -Ma guarda guarda chi si rivede…-
Il ragazzo rese lo stesso sguardo, cattivo per giunta -Come dire…è un dispiacere rivederti…-
-Rakyr..?- la ragazza guardò Rakyr guardarla, salutarla con un cenno del capo.
-Feren…anche tu qui?- si voltò di nuovo verso Arden, incitandolo con un cenno allo scontro -Non ti permetterò di farla franca. Abbiamo un conto in sospeso, noi due…-
Arden sorrise, sorpreso -Sei così ansioso di morire?- la sua voce era seria, troppo seria per far finta di non sentirla.
Ma Rakyr non aveva paura di Arden -Potrei chiederti la stessa cosa…-

Ringrazio Romance e Onee-chan, grazie per le gentili recensioni!!!!!
Romance, amore mio, ti Amooo!!!

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Capitolo 14
*** 13: A fool or a lionheart ***


13: A fool or a lionheart

“Occhi luminosi
accecati dalla paura della vita,
ed il drago oscuro s’innalza”
Blind Guardian – Bright eyes

-Ma…come vi conoscete?- Feren faticava a staccare lo sguardo dal moro, che aveva un’espressione tesa ma fredda, da cui non trapelava alcun sentimento, in cui riconobbe l’espressione che aveva nella lotta contro di lei.
-Questo bastardo ha profanato la tomba del mio mentore ed infangato il suo nome…ora pagherà-
Una risata scoppio, folle, dalla bocca del rosso –Credi di essere così in gamba?- le sue pupille erano ridotte a un puntino minuscolo, un concentrato di pazzia e crudeltà illimitata.

Catene spuntarono dai muri, intrappolando Rakyr al muro –Ora sei alla mia mercé…chiedi pure pietà, piangi, strepita…sarà più divertente farti soffrire!-

Gli si avvicinò sicuro di sé.
A tre metri.
Due metri.
Un metro.
-Spiacente per te- congiunse i polpastrelli di pollice ed indice e toccò le catene, che gli si legarono al bracciale al suo polso.
Arden era rimasto un po’ scosso…non aveva previsto un’azione del genere e non capiva come avesse fatto senza guanti, ma non gli importava.

La distrazione tuttavia gli costò una ferita sull’addome da parte della lucente lama del cacciatore, ora legata alla catena.
-Mi stupisci sai? Pensavo sarebbe bastato trattarti da pivello e invece…invece guarda, sei più abile di quanto pensassi-
Congiunse le mani ed una patina gelida ricoprì Rakyr, che si mosse a disagio, rallentato dal freddo e dalla rigidità del ghiaccio.

Questo permise al fratello di toccare il gelido strato con le mani.
Il ghiaccio s’infranse in un milione di scintillanti schegge che graffiarono la pelle, la perforavano come chiodi e s’incastravano nella carne.

Tuttavia il cacciatore non cedeva, era in piedi e, sebbene ansimasse per il dolore e la fatica, non avrebbe smesso di lottare.
Stava difendendo una persona importante.

La porticina dei sentimenti traballò, facendo accelerare il battito cardiaco e facendolo tossire saliva mista a vermiglio sangue.

Nello stretto vicolo Arden corse per colpirlo, alzando il pugno.
Rakyr tese l’indice verso il suo sangue, disegnando veloce due cerchi alchemici sui muri paralleli facendo attenzione che Feren fosse dietro ad essi.
Li colpì proprio mentre il pazzo tendeva il braccio.

Dai muri spuntarono due file di lame, poste orizzontalmente a protezione dei due, in modo che gli aggressori si ferissero ancora prima di raggiungere il bersaglio e che non potessero nemmeno sorvegliare la fuga della vittima.
Tutto troppo veloce perché Arden potesse sfuggire all’acciaio.

E così fu.

Caldo sangue tinse il metallo mentre il ragazzo si stringeva la mano, mutilata del pollice e quasi inservibile per il suo terribile stato.
Guardò con uno sguardo terribile Rakyr, che sorrideva soddisfatto dall’altra parte della barricata, per poi raccogliere il dito mutilato –Pagherai…ti ucciderò per questo affronto!- così dicendo fuggì.
-Ci conto…così potrò finalmente vendicarmi e salvare…lei- tossì di nuovo sangue.

La vista si annebbiava, i margini sempre più sfocati.
Le palpebre erano pesanti…troppo.
Barcollò in avanti e cadde stremato.

Tuttavia prima di cadere era riuscito a rivolgere un bel sorriso alla ragazza, che arrossì.

Ma lui non lo vide.

Si risvegliò su di una superficie morbida, tanto differente dal duro asfalto.
Il puzzo di alcool, urina e umidità era stato sostituito da profumo di pane appena sfornato e fiori freschi.
-Dove…sono?-
-Alla buon ora pigrone- Paninya gli stava davanti, gli occhi scuri severi lo scrutavano, esaminò la possibilità di darsela a gambe ma concluse che non sarebbe servito –Dovrei darti una bella lavata di capo…guarda come ti sei fatto conciare!- si guardò e ricordò tutto, la ragazza, le catene, il duello…era svenuto? E lei dov’era?

L’espressione della moretta si addolcì –Ma per questa volta lascio correre- fece per andarsene –Ah…la ragazza su cui hai messo gli occhi è davvero carina-
Lui diventò viola, ridendo, e lei rise a sua volta della sua goffaggine –Dico sul serio- ribatté.
-È una ricercata-
-La devi…uccidere?- lei si fece cerea.
-No…non lo farei mai…anzi, se poteste ospitarla…mi prenderei la responsabilità di ogni sua azione-
-Ci tieni così tanto?-
La porticina scricchiolò, iniziando ad incrinarsi -Non…non lo so-
-Vai ora…era sotto shock e appena l’abbiamo messa a letto si è addormentata…nel sonno ha fatto il tuo nome-
Lui arrossì –Grazie nee-san*-
-Di nulla, siamo una famiglia, no?-

Si avviò per il corridoio, appoggiandosi alla parete di legno.
Il giovane Edward al suo passaggio si voltò senza rivolgergli parola.

Entrò nella stanza di Feren piano per non svegliarla.
Era bellissima, i capelli lisci le incorniciavano il viso dai bei lineamenti.
Aveva un’aria angelica.

Si appoggiò alla finestra, al di fuori del raggio visivo della giovane, che iniziò ad aprire gli occhi.
-Buongiorno Feren- sussurrò con voce leggermente arrochita e dolce.
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Nee-san: sorellona
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Ringrazio molto Onee_chan e Romance (Ti Amo da morire!) e mi scuso per l'eccessivo ritardo di pubblicazione

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