Il Ragazzo ... del mio migliore amico

di Alaire94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un nuovo arrivato ***
Capitolo 2: *** fare conoscenza ***
Capitolo 3: *** shopping col migliore amico ***
Capitolo 4: *** la festa ***
Capitolo 5: *** la festa (parte 2) ***
Capitolo 6: *** un imbarazzante risveglio ***
Capitolo 7: *** esternazione ***
Capitolo 8: *** non è facile dimenticare ***
Capitolo 9: *** quando le cose si mettono male... ***
Capitolo 10: *** lezioni d'italiano ***
Capitolo 11: *** Tutto sistemato ***
Capitolo 12: *** Turbamento ***
Capitolo 13: *** Come una tartaruga senza guscio ***
Capitolo 14: *** niente è perfetto ***
Capitolo 15: *** Con un piede in due staffe ***
Capitolo 16: *** La complicità di un segreto in comune ***
Capitolo 17: *** Travolta dalla tempesta ***



Capitolo 1
*** un nuovo arrivato ***


 

  1. Un nuovo arrivato

Un caldo asfissiante assediava la città rendendo laria irrespirabile. Le strade erano quasi deserte, proprio perché la gente, spaventata da quel torrido clima, aveva deciso saggiamente di fare su le canne e andarsene al mare per rimanerci più tempo possibile.

Eppure, in città era rimasto qualcuno: dei poveri cittadini masochisti o sfortunati che passavano la giornata in casa con laria condizionata o nei parchi con gli amici. Io facevo parte proprio di questi ultimi. Con la mia bicicletta ormai vecchia e scassata pedalavo veloce , maledicendo i ciottoli delle strade del centro storico e sperando di arrivare il prima possibile, visto che come al solito ero in ritardo.

Girai a destra, poi sinistra, schivando per un pelo unauto che usciva da un garage proprio sulla strada, infine continuai ad andare dritto fino ad arrivare al parco dove mi aspettavano i miei amici.

Oltrepassai la cancellata, le due querce centenarie e finalmente li vidi: erano seduti su una panchina che si trovava soltanto qualche metro davanti a me. Ancora non si erano accorti del mio arrivo: ne avrei approfittato per fare una sorpresa.

Camminai e arrivai ad abbracciare Giulia da dietro, facendole fare un salto.Ehi, Ale! Ma che fai?chiese, guardandomi con quegli occhi piccoli e neri.Volevo proprio spaventarti -

- possibile che devi sempre fare la scema?!mi rimproverò con un sorriso.

Mi sedetti sulla panchina, di fianco a Francesca, unaltra mia amica. Quel parco era davvero rilassante: gli uccellini cinguettavano in libertà insieme alle cicale, qualche fontanella con pittoresche statue zampillava e le aiuole, piene di fiori, rendevano tutto colorato e attiravano farfalle stupende.

Ad un certo punto guardai davanti a me, verso la cancellata in ferro battuto, e improvvisamente le farfalline cominciarono ad esplorarmi convulsamente lo stomaco. Lui, con quel suo portamento disinvolto e guardandosi intorno con gli occhi verdi, così vispi e furtivi, era appena entrato nel parco. Non resistetti un secondo di più: quasi spinta da una forza attrattiva impossibile da controllare, gli corsi incontro.

- Ciao, piccolache bellaccoglienza!esclamò il ragazzo, guardandomi e stringendomi a sé. Gli risposi con un semplice sorriso: nonostante fossimo insieme da più di quattro mesi, certe volte il mio ragazzo era ancora in grado di togliermi la parola.

- Che ci fai qui?chiesi un poconfusa.

Volevo salutartirispose semplicemente, staccandosi un poda me.

Perché? Dove vai?

- vado un week end con dei miei amici a Riminirispose.

Strinsi gli occhi.Non me lo avevi detto- osservai con un tono di voce arrabbiato e allo stesso tempo un polamentoso.

Scusame ne sono dimenticato

Un altro ragazzo sui diciotto anni arrivò dentro il parco. Aveva i capelli corti alla marines e la mandibola pronunciata.Dai, Nicholasandiamo che facciamo tardi!lo avvertì il ragazzo.

Mi stavano già salendo i nervi a fior di pelle: lo avevo visto poche volte, eppure non mi andava molto a genio visto che ogni volta mi portava via il mio Nick. Effettivamente non lo conoscevo neanche, magari era simpatico, ma per ora era una di quelle persone che mi stavano antipatiche a pelle.

- No, non andare vialo implorai, accompagnando quella frase con gli occhioni dolci che a lui piacevano tanto. Nicholas, infatti, sorrise e mio baciò teneramente.

Rimasi molto sorpresa da quellazione: di solito Nicholas era restio a baciarmi in pubblico, ora invece lo aveva fatto. Lo amavo sempre di più, non avevo dubbi.

- Ti amodisse Nicholas, così improvvisamente che mi sorpresi ancora una volta, arrossendo leggermente.

Aananche io ti amobalbettai, totalmente abbagliata da quello sguardo intenso che lui mi stava lanciando.

Ora devo andare davverodisse Nicholas, facendosi serio, altrettanto improvvisamente di quando mi aveva detto il fatidicoti amo.

- Resta altri cinque minutiimplorai ancora.

No, devo andare.

Era inutile: quando Nicholas decideva qualcosa non cera modo di fargli cambiare idea. Ormai avevo imparato a convivere con quella sua testardaggine e con il suo carattere risoluto.

Mi diede un ultimo bacio, poi si infilò gli occhiali Ray Ban, si sistemò i capelli e si incamminò verso lamico con il suo passo ondeggiante e deciso.

Nicholas era davvero un bel ragazzo; sapeva di esserlo e purtroppo lo sapevano almeno altre dieci ragazze. Mi sentivo fortunata ad essere la sua ragazza: lui mi aveva scelta fra tante e ancora mi stupivo di quel colpo di fortuna.

Ritornai dalle mie amiche. Vidi Francesca scuotere la sua folta chioma riccia, quasi schifata: odiava le scene melense.Ma dai! Non ti vergogni? Mi hai fatto venire la carie- commentò Francesca con una smorfia disgustata.

Tu non puoi capire, Francyprima o poi ti innamorerai anche tu-

- io? Ma quando mai?! Si sta tanto bene single!esclamò Francesca. Era una ragazza così spensierata e libera, tanto che certe volte la invidiavo

- Invece secondo me siete tanto carini voi due- commentò Giulia, sedendosi sulla panchina accanto a me e mettendosi bene a posto il vestitino lilla.

- Be', se non altro qualcuno mi capisce- sospirai.

- E Luca? Che fine ha fatto?chiese Francesca, cambiando discorso, probabilmente proprio per non sentire altri discorsi melensi.

Dovrebbe essere tornato ormai- risposi. Effettivamente in quei giorni mi ero completamente dimenticata di lui

- Guarda un po: parli del diavolo e spuntano le cornacommentò Giulia, ridacchiando fra sé.

Mi voltai e rimasi lievemente stupita: Luca stava entrando lentamente nel parco con quel suo solito sorrisino compiaciuto.

Credo che tutte le donne desiderino un amico gay. Ebbene, io avevo la fortuna di averlo: Luca, un ragazzo biondo e alto, con un fisico magro e asciutto e sul viso qualche segno dellacne. Era un diciassettenne normale, anche carino volendo, addirittura qualche ragazza laveva adocchiato poco tempo prima e le si era spezzato il cuore scoprendo le sue tendenze. Luca, infatti, era in tutto e per tutto abbastanza mascolino, solo quando lo si conosceva nel profondo si poteva capire che era gay.

Questa volta, però, con mia immensa sorpresa, non era solo. Di fianco a lui vi era un altro ragazzo; la sua pelle bianca non sembrava mai essere stata sfiorata dal sole, i lineamenti stranieri erano resi graziosi da qualche lentiggine sulle guance.

Guardai Giulia e Francesca: anche loro erano stupite almeno quanto me.

Luca ci raggiunse e ci abbracciò tutte e tre felice e contento, baciandoci le guance.Ben tornato!esclamai.

Ero davvero contenta di rivedere il mio migliore amico, nonostante la presenza del nuovo arrivato mi inquietasse non poco, visto che non avevo mai incontrato un vero inglese fino a quel momento.Allora, ragazze, sono lieto di presentarvi il mio ragazzo: Matthew J. Priseannunciò Luca ad alta voce, tanto che probabilmente lo sentì tutto il parco. Vidi Matthew arrossire fino alla punta dei capelli, imbarazzato ed evidentemente piuttosto spaesato.

- Hello!lo salutai con un sorriso, cercando di farlo sentire a suo agio, ma lui arrossì ancora di più.Hello- sussurrò lui di risposta.Im Alessiami presentai, tentando di essere disinvolta, nonostante mi sentissi piuttosto imbarazzata pure io, ma daltronde era unottima occasione per sperimentare sul campo tutto ciò che avevo studiato a scuola fino a quel momento.

Anche Giulia e Francesca si presentarono, un popiù imbarazzate.

- Be', vedo che ti ha fatto bene questo viaggio in Inghilterra- commentai con un sorriso malizioso.

Oh, mi ha fatto benissimodisse Luca, stringendo la mano a Matthew. Lui sorrise, lanciando a Luca uno sguardo dolce.

Rimasi un posconvolta dalla scena. Non mi dava fastidio visto che Luca aveva avuto altri ragazzi prima di Matthew, ma lui non era come gli atri: lui era uno spreco, se dovevo essere sincera.

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Capitolo 2
*** fare conoscenza ***


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2. Fare conoscenza


Matthew e Luca, dopo quella presentazione si sedettero sulla panchina con noi. – Cosa si racconta di nuovo qui? – ci chiese Luca con un sorriso, forse felice di essere ritornato nel suo Paese.

– Proprio un cazzo, come al solito – rispose acida Francesca.

Luca non ebbe nessuna reazione: ormai conosceva bene Francesca, almeno quanto me e sapeva che quello era semplicemente il suo carattere. – La cosa non mi stupisce … - commentò.

– Sai … poi in estate, con questo caldo non c’è proprio nessuno qui – osservò Giulia. Io annuii, aveva perfettamente ragione: ogni giorno si faceva sempre le stesse cose, non c’era una novità neanche a pagarla oro. Però ora era tornato Luca dall’Inghilterra: avrebbe avuto un bel po’ di cose da raccontarci.

- Invece tu in Inghilterra cos’hai combinato a parte incontrare Matthew? – domandai.

– Oh, be' … abbiamo visitato la città … è così bella! – esclamò Luca con gli occhi luccicanti. Luca era davvero un incurabile amante dell’arte. - … poi con i miei amici abbiamo visitato le discoteche più cool di Londra, dove ho incontrato il mio amore – aggiunse, stringendo la mano a Matthew, che questa volta non sembrò imbarazzarsi, anzi: gli lanciò uno sguardo passionale con quegli intensi occhi azzurri e si avvicinò per avere un bacio. Luca non esitò e baciò Matthew. Nonostante la scena fosse piuttosto strana, io li trovai davvero carini insieme, addirittura non avevo mai visto Luca così contento con un ragazzo.

Francesca, invece, li guardava inorridita e sembrava davvero sul punto di vomitare. – Wow, come se oggi non ne avessi abbastanza di scene sdolcinate … ci mancava proprio quella fra due gay … - mi sussurrò all’orecchio.

Io la fulminai con lo sguardo. – E dai, Francy … non è carino – commentai, sottovoce.

Nel frattempo i due piccioncini si erano staccati da quel bacio e avevano cominciato a parlare a bassa voce in inglese. L’unica frase che riuscii a intercettare fu “I love you”, detta da Luca. Sorrisi. Era davvero bello vedere il proprio migliore amico così innamorato, oltretutto di un ragazzo inglese che era anche piuttosto carino. In un altro momento mi sarei fatta raccontare tutto per filo e per segno.

- Andiamo a prendere un gelato? Ne ho una voglia matta! – propose Giulia.

– Sì, non è una brutta idea! – commentò Francesca, alzandosi dalla panchina. Giulia cominciò a saltellare, entusiasta proprio come una bambina quando le si offre una caramella.

– Posso venire anche io? – chiese Luca. – Sapete … a Londra è venuta anche a me una voglia di gelato … - spiegò e le due amiche furono ben felici di accoglierlo.

– E tu, Ale? Non vieni? – chiese Francesca.

– No, no … vi aspetto qui: io non ho fame – risposi, mentre loro già si stavano allontanando verso il cancello.

Improvvisamente mi accorsi che neanche Matthew era andato con loro ed ora eravamo soli, ognuno all’estremità opposta della panchina.

Passò qualche secondo e un silenzio imbarazzante, anzi, molto imbarazzante, interrotto soltanto dai canti delle cicale, calò fra di noi. Non sapevo perché, ma questa volta non avevo proprio idea di cosa dire e ciò rendeva l’atmosfera piuttosto pesante. Eppure qualcuno doveva rompere il ghiaccio e probabilmente avrei dovuto essere io che, però, non ci riuscivo.

Altri secondi passarono e l’imbarazzo crebbe ancora di più. Matthew si guardava in giro convulsamente, evitando di guardarmi negli occhi, proprio come facevo io.

A quel punto non potevo più resistere: dovevo fare qualcosa per calmarmi. Aprii la borsa e ne tirai fuori il pacchetto di sigarette e l’accendino.

- Ti da fastidio? – chiesi, scandendo bene le parole e sperando che avesse capito. Non era proprio il massimo rompere il ghiaccio in quel modo, ma d’altronde non potevo fare altrimenti. Lui scosse la testa. Allora mi accesi una sigaretta in santa pace. A dire il vero non fumavo spesso, ma certe volte, soprattutto quando ero nervosa, non potevo farne a meno.

- How are you, Matthew? – chiesi, ora che mi ero rilassata.

I’m fine, but … non chiamare me Matthew, io sono Matt – rispose, nell’ultima parte con un forte accento inglese, per poi rivolgermi un sorriso confortevole.

Rimasi quasi sorpresa: era la prima volta che diceva una frase così lunga a qualcuno che non fosse Luca, mi sentii quasi onorata. – E tu chiamami Ale – dissi io ricambiando il sorriso. In fondo sembrava simpatico questo ragazzo inglese. – Do you like Italy? – chiesi, tanto per dire qualcosa, ma subito me ne pentii: era una domanda tanto stupida!

- I don’t know, because I’ve just arrived, but Ferrara is beautiful! - esclamò . Sembrava davvero contento di essere in Italia. Io ormai Ferrara non la trovavo così bella: una città piccola in cui non vi era nulla da fare, ma a quanto pareva suscitava un grande fascino negli stranieri.

- Have you visited Ferrara yet? – chiesi ancora. Altra domanda stupida e decisamente banale, ma d’altronde in quel caso era meglio dire cavolate che stare zitti.

- No … solo castello – rispose. Ora sembrava piuttosto disinvolto, non più tanto imbarazzato e anche io, effettivamente, mi sentivo abbastanza tranquilla. Infatti buttai a terra la sigaretta e la spensi con la scarpa: fumavo solo se era necessario, perché in fondo ci tenevo alla mia vita.

Guardai Matt negli occhi azzurro cielo. Sono proprio belli pensai, ma subito feci in modo di far scomparire quel pensiero: era pur sempre il ragazzo gay del mio migliore amico.

- Ti è piaciuto il castello? – domandai.

Lui mi guardò, perplesso. – Can you repeat? –

- Ti piace il castello? – ripetei con un sorriso, cercando di incoraggiarlo e fargli capire la mia disponibilità al dialogo. Matt questa volta capì e annuì con la testa.

- Luca parla … molto … di te – affermò, un po’ titubante. Sorrisi: ero contenta che Luca dimostrasse la sua amicizia per me anche agli altri.

He’s my best friend.

Matt sorrise. – Lui … - cominciò a dire, ma sembrava non trovare le parole. Io aspettai pazientemente che riuscisse a formulare la frase, in fondo lo capivo: era difficile parlare in una lingua che non si conosce ancora bene. – Lui vuole bene a te – disse infine.

– Anche io gli voglio bene – dissi con un sorriso. Lui ricambiò. Aveva un bel sorriso: coi denti bianchissimi e quelle piccole fossette che gli si formavano sulle guance.

Proprio in quel momento tornarono Francesca, Giulia e Luca. Sembravano tutti contenti, soprattutto Giulia che come al solito era entusiasta di qualunque cosa.

Luca si sedette nuovamente sulla panchina vicino a Matt e gli mise un braccio intorno al collo. – Allora? Avete fatto conoscenza voi due? – chiese Luca urlando come al solito. Non si vergognava proprio di niente … certe volte era davvero imbarazzante andare in giro con lui.

Matt annuì, un po’ imbarazzato. – E’ simpatica – affermò. Luca poi, guardò verso di me: voleva sapere cosa pensavo io.

– Anche Matt è simpatico – commentai.

Mentre Giulia e Francesca parlavano del più e del meno, io guardai il cellulare: erano le cinque e mezza. Improvvisamente mi venne in mente quella peste di mia sorella e la raccomandazione che mi aveva dato mamma prima che uscissi: “vieni a casa alle cinque, perché io devo andare via e tua sorella non può rimanere a casa da sola”.

- Cavolo! Sono già le cinque e mezza devo andare via! – esclamai, zittendo tutti.

– Noooo! Perché devi già andare? – si lamentò Giulia.

– Scusate, ma mia madre mi vuole a casa – mi giustificai, salendo in sella alla bici. – Ciao a tutti! – salutai, prima di sparire oltre il cancello del parco.

Mia sorella mi aspettava a casa, tutta intenta a giocare con le barbie. Sembrava tutto apparentemente normale, almeno finché non entrai in cucina. Vi erano briciole di pane ovunque e i muri schizzati di nutella. A quella visione subito mi alterai. – Angy! Cos’hai combinato?! Possibile che non ti si può lasciare sola un minuto?! – gridai.

Angy, però, mi raggiunse tutta felice, come se neanche avesse sentito ciò che avevo detto. Sorrise e chiese: - giochi con me? –

Buttai gli occhi al soffitto, esasperata. Sarebbero state ore infernali.

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Capitolo 3
*** shopping col migliore amico ***


 

 

3. Shopping col migliore amico


Un raggio di sole oltrepassò prepotentemente le palpebre, costringendomi a svegliarmi dal sogno stupendo che stavo facendo. Rimasi quasi delusa nello scoprire che non mi trovavo ai Caraibi con Nicholas, ma semplicemente nella mia cameretta tappezzata di poster di animali. Nonostante quella triste scoperta, mi sentivo già pronta per affrontare quella nuova giornata. Il delfino attaccato all’armadio sembrava sorridermi mentre saltava fuori dall’acqua, come a invitarmi ad uscire dal letto, ma io tutto d’un tratto avevo ancora voglia di immergermi nelle lenzuola azzurre.

Angela, la mia piccola sorellina birbante, aprì la porta della camera proprio in quel momento. – Ale, Ale! Svegliati! – urlò con quella sua vocina stridula. Era così insopportabile quando urlava!

- Sì, mi sveglio Angy, stai tranquilla … non c’è bisogno che urli o ti sentiranno anche gli zii a Bologna – osservai.

Improvvisamente sentii bussare sul pavimento. – Ecco, vedi? Ti hanno sentita anche quelli di sotto – dissi, cercando di farle capire.

– Ma la mamma ha detto che a quei signori non va mai bene niente – commentò Angy, con un sorriso furbo su quel viso infantile.

Non risposi e mi alzai dal letto. – Su, Angy … vai dalla mamma mentre io mi preparo – dissi mettendo una mano sulla spalla alla mia sorellina e conducendola verso la cucina mentre io mi dirigevo verso il bagno.

Sorrisi; nonostante fosse una bambina birichina e certe volte fastidiosa, le volevo davvero molto bene.

Dopo essermi lavata la faccia con l’acqua fredda per svegliarmi del tutto, alzai la testa verso lo specchio. Il ciuffo castano che avevo sulla fronte stava cominciando ad essere troppo lungo, finendomi spesso sugli occhi, di quello schifoso colore fra il verde e il marrone. Lo avrei dovuto tagliare. Mi voltai un attimo di lato e notai che i capelli avevano ormai raggiunto metà schiena: probabilmente avrei dovuto fare proprio un taglio completo.

Lasciai il bagno e mi diressi verso la cucina, dove vi erano mia madre e Angela. – Alessia, io adesso devo uscire, tieni a bada tua sorella, mi raccomando: non voglio che combini guai – disse mamma, prendendo le chiavi della macchina dalla ciotola sulla credenza e correndo verso la porta.

– E dove vai? – chiesi.

– Al lavoro: devo fare una sostituzione – rispose, uscendo di casa e lasciando sia me che mia sorella piuttosto sconcertate. Quel cavolo di lavoro non le lasciava davvero un attimo libero.

– Dai, Angy, facciamo qualcosa io e te – affermai, prendendole la mano e portandola in salotto.

 

Quel pomeriggio il sole picchiava forte sulle teste della povera gente e sui palazzi del centro. Io mi ero messa uno di quei top senza spalline proprio per stare fresca e prendere tutta l’abbronzatura possibile, mentre Luca, il quale quel pomeriggio era uscito con me senza la sua dolce metà, aveva una camicetta a maniche corte che lo faceva morire di caldo.

- Accidenti! Certe volte vorrei essere donna per andare in giro come te! – esclamò Luca, in un modo che certamente era poco mascolino. Alcuni passanti si misero a ridere sentendo quella frase da Luca che come al solito parlava ad alta voce. Non si vergognava proprio di nulla.

– Cerca di non farti troppa pubblicità per favore – commentai con un sorriso.

Lui per tutta risposta ammiccò con sguardo malizioso a un ragazzo che lo fissava con disapprovazione. Quest’ultimo spalancò la bocca scandalizzato e si affrettò ad andarsene.

– Be', che problema c’è? Sono gay, e allora?! Se alla gente non sta bene che vada da un’altra parte! – osservò Luca, tranquillo.

Scoppiai a ridere: certe volte era proprio divertente. Tuttavia lo ammiravo: affrontava la vita e i pregiudizi della gente con una tale leggerezza che continuava a sorprendermi ogni volta.

- A proposito … con Matthew come va? – chiesi con un sorriso malizioso e assestandogli una gomitatina nel fianco.

– Bene, bene – rispose lui semplicemente, forse pensando di far cadere l’argomento così presto.

– No, no … voglio sapere tutto! – esclamai, senza celare la mia curiosità.

– Cosa vuoi sapere? – chiese con un finto sospiro.

– Come vi siete conosciuti –

- be', la sera, visto che ci lasciavano liberi lì al college, sono andato in uno di quei locali per gay di Londra e l’ho incontrato – rispose, forse questa volta leggermente imbarazzato.

– Voglio sapere tutto, racconta! – insistetti ancora.

– Ero al bancone a bere una birra quando l’ho visto da solo poco più in là. Aveva un’aria triste, forse stava aspettando degli amici che erano andati a ballare perché … sai, Matt non è un amante del ballo. Allora mi sono avvicinato e gli ho chiesto il suo nome. Così ci siamo conosciuti – spiegò Luca. Annuii: la mia curiosità era stata in parte soddisfatta.

– Comunque … cosa ne pensi? – mi chiese a bruciapelo.

Ci pensai qualche secondo. – Hai fatto una bella scelta: lui sembra un bravo ragazzo ed è pure carino – commentai.

– Dici? –

- certamente! – risposi, entusiasta.

– Secondo te mi vuole bene sul serio? –

- Io credo di sì: certe volte ti lancia degli sguardi languidi … però non posso esserne sicura. Solo tu puoi scoprirlo vivendo questa storia – dissi, con aria saggia.

Luca annuì. – Hai ragione – concluse.

- Ma come farai quando ritornerà in Inghilterra? –

– Non lo so a dire la verità, è l’unica cosa che mi lascia dei dubbi – rispose con un sospiro e assumendo un’aria triste.

– Una soluzione si troverà – commentai, cercando di consolarlo.

– Lo spero – disse con aria malinconica che, però, scomparve presto dal suo volto. - Comunque, ora si fa shopping! Tu hai bisogno di un vestito! –

Lo guardai perplessa, senza sapere di cosa stesse parlando: - perché mi dovrei comprare un vestito? –

- Perché domani sera ti aspetta una grande festa! – annunciò, ora di nuovo felice. Sgranai gli occhi: - una festa?! –

- Certo, domani sera c’è il compleanno di un mio amico, Tommy! Lo fa a casa sua che è una villa enorme e ha detto di invitare più gente possibile perché vuole una festa epica! – spiegò Luca, entusiasta come al solito.

Anche io mi sentivo rinvigorita e felice: ci voleva davvero una gran festa per movimentare un po’ quell’estate dove tutti i giorni si assomigliavano terribilmente. – Wow! Ma questa è una notizia fantastica! –

– Dai, vieni … dobbiamo correre a cercare un vestito adatto!

Entrammo in un sacco di negozi e mi provai tantissimi vestiti. Mi stavano quasi tutti bene, a parte uno di colore blu a palloncino con il quale assomigliavo a un uovo di pasqua, e decidere fu davvero un’impresa. Alla fine comprai un abito con la gonna corta e stretta, aderente al corpo e con una sola spallina. – Beh, direi che magari potresti abbellirlo con una cintura … così mi sembra troppo semplice … - consigliò Luca dopo avermi osservata criticamente.

Era proprio il bello di avere un amico gay: per quanto riguardava i vestiti riusciva a dare consigli migliori perfino di una donna. L’avrei visto bene come stilista famoso del calibro di Dolce e Gabbana. A quell’ultimo pensiero mi spuntò un sorriso sul viso.

– Che c’è? – mi chiese.

– Nulla … hai ragione. A casa ne dovrei avere una che fa al caso mio –

- e le scarpe? –

- Tranquillo, le ho … sono i sandali bianchi col tacco – dissi.

Lui annuì. Come immaginavo se li ricordava: Luca faceva sempre caso a ciò che la gente indossava. – Vanno benissimo, quindi direi che possiamo andare … - osservò.

 

Mi guardai un’ultima volta al grande specchio che si trovava nella camera dei miei genitori. Volevo essere sicura di essere perfetta. Avevo messo il vestito blu comprato il giorno prima insieme a Luca e dopo quasi mezz’ora ero riuscita a trovare la cintura da abbinare.

Quell’abito era costato un occhio della testa, tanto che mi era venuto un infarto quando avevo notato il prezzo, ma nel momento in cui me ne accorsi ero già alla cassa, non potevo tornare indietro. Nonostante ciò, sembrava valerne davvero la pena: stavo divinamente.

I capelli li avevo arricciati e raccolti in un’acconciatura che avevo visto su un giornale, mi ero messa al collo una collana di perle e alle orecchie gli orecchini ad anella che mi piacevano tanto, mentre il trucco era molto semplice: avevo sempre paura di sembrare Moira Orfei.

Mentre sistemavo le ultime cose ero un po’ agitata: in fondo era da un bel po’ di tempo che non andavo a una festa da sola, senza il mio amato Nicholas. Certe volte mi sentivo persa senza di lui: era la mia sicurezza, la persona a cui potevo sempre chiedere aiuto, ma ora non c’era e avrei dovuto cavarmela da sola. Dio quanto mi manchi Nick! Perché sei andato via coi tuoi amici? Pensai un po’ nervosa mentre uscivo di casa … 

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Capitolo 4
*** la festa ***


 

 

4. La festa (parte 1)


Aspettavo sul marciapiede, impaziente e oltretutto leggermente a disagio in quel vestitino stretto. Perché non arrivava nessuno dei conoscenti? Vedevo ragazzi vestiti elegantemente entrare nell’enorme villa, ma di Luca, Matt e delle mie amiche non c’era neanche l’ombra. Che avessi sbagliato qualcosa?

Proprio in quel momento Giulia scese da un’auto. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e un vestito rosa tutto a pieghe che le stava d’incanto su quel fisico snello. In confronto io ero un anatroccolo brutto e spennacchiato nel bel mezzo del lago dei cigni.

- Oh, ciao, Ale! Stai benissimo con questo vestito! – esclamò Giulia vedendomi. Subito si abbassò leggermente per scoccarmi due baci di saluto sulle guance.

– Anche tu stai da dio! – esclamai, sfoderando un sorriso: d’altronde se lei era stupenda non era colpa sua.

- Francesca che fine ha fatto? – chiesi, perplessa. Giulia storse il naso, come se avessi rigirato il coltello nella piaga.

– Lo sai che lei odia questo tipo di feste – osservò.

Io annuii. Giulia mi afferrò per un polso, facendomi segno di entrare, ma feci resistenza. – Aspetto qui Luca, poi ti raggiungo – mi giustificai. Giulia, allora, senza una parola, entrò dal cancello aperto e percorse il vialetto d’entrata sculettando leggermente.

Quando mi voltai, vidi Matt arrivare a piedi. Per quella sera anche lui si era messo in tiro, con i capelli biondi ben pettinati con il gel e una camicia a quadretti, lasciata leggermente aperta, lasciando intravedere i sodi pettorali.

Non sembrò accorgersi di me. Si guardava continuamente in giro spaesato, ma senza fare veramente caso alle persone che aveva davanti, immerso in chissà quali pensieri.

Finalmente guardò dritto davanti a sé e mi vide. Sul momento forse non mi riconobbe, poi alzò lentamente una mano e, un po’ titubante, mi fece un cenno di saluto.

- Ciao … - mi salutò imbarazzato, dopo avermi raggiunta. – Dove … dove è Luca? – domandò lentamente, balbettando leggermente.

– Non lo so … non era con te? – chiesi di risposta, parlando piano. Lui scosse la testa e io decisi di non indagare oltre.

Aspettammo più di un quarto d’ora, uno di fianco all’altra, osservandoci a vicenda, ancora decisamente imbarazzati. Avrei voluto dire qualcosa e rompere quel silenzio opprimente, ma come al solito, quando era necessario parlare, non sapevo mai cosa dire.

Proprio quando stavo cominciando davvero ad innervosirmi, anche per colpa di quel vestito stretto e di quei sandali alti, il cellulare squillò.

- Pronto? – risposi, una volta preso in mano il telefono.

– Ciao, Ale … - disse una voce flebile dall’altra parte della cornetta che riconobbi a stento.

– Luca? Che ti succede? Io e Matt siamo qui ad aspettarti da trent’anni! – esclamai un po’ alterata. – Scusa, ma non sto per niente bene … devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male e ora sto avendo un incontro ravvicinato con il water – spiegò Luca con non poca fatica. A quelle parole feci una smorfia disgustata che provocò uno sguardo perplesso da parte di Matt che in quel momento mi stava guardando.

– Non voglio sapere i particolari … meglio che stai a casa a riposarti, ci vedremo un altro giorno – commentai. Passò qualche secondo in cui sentii degli strani mugolii attraverso la cornetta.

– Sì … è meglio … ciao Ale! – concluse Luca. Lo salutai anche io e chiusi la comunicazione.

Matthew mi guardò, impaziente di sapere cos’era successo al suo ragazzo. – He can’t come with us … He feels very bad – spiegai, sperando che avesse capito. Lui annuì, mi rivolse un sorriso e mi fece segno di avviarci dentro la villa.

Lo seguii lungo il vialetto, che per l’occasione era stato illuminato con tante candele poste sull’erba, per poi entrare dal portone. Ci trovammo in una sala dai muri bianchi, spogliata di tutti i mobili, i quadri e qualsiasi altro oggetto facilmente rompibile, ma affollata di ragazzi che parlottavano fra loro con qualche bicchiere in mano.

Un po’ titubanti avanzammo in quel marasma, per raggiungere l’altra stanza, ancora più affollata, dove una musica a palla impediva alle mie orecchie di sentire qualsiasi altro rumore e delle luci psichedeliche mi accecavano. – Chi sa dove si è ficcata Giulia – dissi fra me e me, sapendo benissimo che nessuno poteva sentirmi, nemmeno Matt che era proprio dietro di me. Avanzai ancora fra la folla danzante, guardandomi intorno alla ricerca del vestito rosa di Giulia che, però, non vidi da nessuna parte.

Esasperata mi fermai in un angolo della stanza per non essere spinta dalla gente. Mi stavo decisamente innervosendo: Luca che stava male e non poteva venire e ora la sparizione di Giulia, non che mi desse fastidio stare con Matt, ma dovevo assolutamente trovare la mia amica!

- Where are we going? – chiese Matt, davvero perplesso. Probabilmente lui era più spaesato di me trovandosi da solo con un’amica del suo ragazzo, in una festa di sconosciuti dove nessuno parlava la sua lingua.

Giulia … where is Giulia? Have you seen her? – domandai, un po’ frettolosa e sempre guardandomi in giro.

Yes – rispose Matt semplicemente, facendomi sgranare gli occhi dalla sorpresa. Lo guardai stupita in quegli occhi azzurri, mentre le sue guance diventavano rosee d’imbarazzo.

– E dov’è? – lo incalzai.

Senza una parola indicò un punto davanti a me in mezzo alla folla. Seguii la traiettoria del suo dito e vidi finalmente il vestito rosa di Giulia. Stavo per raggiungerla senza aspettare altro tempo, quando notai che era avvinghiata a un ragazzo coi capelli lunghi e ricci che si strusciava sapientemente sul suo corpo con un sorriso malizioso.

Ovviamente decisi di non interferire, almeno per quella volta: ci sarebbero stati altri momenti per farle notare in che modo la guardava quel tipo, visto che ora mi avrebbe sicuramente cacciata via con qualche scusa.

- What’s the problem? – domandò il ragazzo, urlando per sovrastare la musica che proprio in quel momento era diventata ancora più forte.

She’s with a boy – risposi semplicemente. Matt annuì con un sospiro, forse chiedendosi cosa avevo intenzione di fare adesso.

Restammo qualche secondo in silenzio, guardandoci negli occhi senza sapere cosa dire, mentre la musica a palla mi stava distruggendo i timpani. – What are you going to do? – chiese il ragazzo, prendendo coraggio.

Sospirai rumorosamente e risposi: - come with me, out of this place – risposi, ora completamente assordata. Matt, sgranò gli occhi, un po’ stupito: - where? –

Io non risposi, ma gli feci segno di seguirmi. Uscii fuori da quella sala con la musica a palla e mi sembrò di essere piombata in paradiso. Matt era al mio fianco, piuttosto spaesato. – Vuoi andare a casa? – gli chiesi lentamente, sperando che rispondesse negativamente: non volevo stare da sola a quella festa. Lui scosse la testa e si sedette vicino a un tavolo imbandito di stuzzichini e bevande. Io feci lo stesso, presi un bicchiere e vi colai dentro un cocktail alla frutta: magari un po’ di alcol mi avrebbe tirata su di morale. Mentre sorseggiavo la bevanda in silenzio, tirai fuori dalla borsetta il cellulare e mandai un messaggio a Nick, visto che mi mancava già tanto.

- E’ tuo ragazzo? – chiese Matt, con quel suo forte accento, indicando il cellulare. Per un attimo il fatto che mi avesse rivolto la parola per primo mi stupì: che finalmente stesse facendo qualche passo avanti?

- Sì – risposi, e lui annuì, poi indicò la caraffa dentro la quale vi era il cocktail che avevo bevuto.

– Cosa è? – chiese.

– Cocktail – risposi, ma lui sembrò non capire, facendo un’espressione perplessa. – Alcol – dissi e lui annuì, avvicinandosi al tavolo e prendendosene un bicchiere: forse anche lui aveva lo stesso mio bisogno di darsi la carica.

Mi fissò per qualche secondo, mentre anche io lo guardavo in quegli occhi di ghiaccio così timidi e indagatori in quel luogo sconosciuto. Chissà come mi sentirei da sola in un Paese straniero mi chiesi, facendomi pensierosa.

- Sei venuto in Italia solo per Luca? – gli chiesi all’improvviso, rompendo quell’imbarazzante silenzio. Lui esitò un attimo, forse ancora immerso nei suoi insondabili pensieri.

– No, voglio imparare italiano, questo è mio gap year … non so come dite voi … - rispose, indugiando parecchio fra una parola e l’altra. Annuii: - sì, sì … ho capito.

Effettivamente sapevo alla perfezione cos’era il gap year per gli inglesi benestanti, visto che la professoressa di inglese ce ne aveva parlato fino alla noia: era un periodo di un anno in cui i giovani appena usciti dalla scuola se ne andavano in giro per il mondo.

- Quindi tra un anno te ne andrai – osservai, chiedendomi dentro di me come avrebbe fatto Luca una volta che Matt avrebbe concluso il suo gap year. Con mio stupore, però, lui scosse la testa. – Voglio rimanere … cerco lavoro come waiter – spiegò Matt, nonostante non riuscisse a trovare le parole.

– Cameriere? – gli suggerii e lui annuì.

Continuammo a parlare per molto tempo e Matt stava cominciando davvero a diventarmi simpatico, mentre tra una chiacchiera e l’altra riempivo continuamente il bicchiere del cocktail proprio di fianco a noi.

– Prendi! – dicevo a Matt, mentre il mio viso cominciava già ad essere paonazzo e prima che potesse rispondere gli versavo dell’altro cocktail dentro il bicchiere. Lui, senza farselo ripetere due volte, lo trangugiava con una risata cristallina che gli scopriva i denti bianchissimi. Minuto dopo minuto la caraffa si svuotava sempre di più e io ridevo a più non posso ad ogni battuta che faceva Matt, nonostante le capissi a stento.

Volevo pensare a Nick e a tante altre cose, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a pensare a nulla, vedevo solo quegli occhi azzurro intenso fissarmi e quel viso dalla pelle candida diventare sempre più roseo grazie all’alcol. Mi si era completamente fuso il cervello, eppure non me ne volevo rendere conto e continuavo a ridere e a bere senza freno. Se non altro, il lato positivo della situazione era che finalmente mi stavo divertendo da morire e fra me e Matt si era definitivamente rotto il ghiaccio, dando vita a una stramba amicizia.

Versai l’ultimo goccio di alcol nel bicchiere di Matt, mentre lui continuava a ridere a crepapelle, proprio come me. Era bello con quell’espressione divertita e quegli occhi azzurri che in quel momento stavano inspiegabilmente indugiando sulla scollatura del mio abitino. A dire il vero, anche io ero piuttosto ammaliata da quei pettorali che spuntavano dalla camicia e dagli addominali scolpiti che la stoffa delineava perfettamente, ma cercavo di non pensarci, anche se ormai la volontà sul mio corpo era pressoché nulla.

Matt si alzò improvvisamente in piedi. – Balliamo … - disse, in un tono che doveva suonare come un invito. Annuii, ora desiderando ardentemente di ficcarmi ancora in mezzo alla calca di giovani danzanti … 

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Capitolo 5
*** la festa (parte 2) ***


 

 

5. La festa (parte 2)


La musica mi rimbombava nella mente e ora non capivo davvero più niente; quel fracasso mi copriva qualsiasi pensiero logico, lasciando soltanto un turbine di emozioni, sensazioni e desideri che appartenevano soprattutto alla sfera fisica.

Ballavo sfrenatamente, muovendo le braccia e il bacino sensualmente, stando abbracciata a Matt che mi osservava con quei suoi occhi color del mare. Ora non sembrava più quel ragazzo timido e riservato che avevo conosciuto soltanto qualche giorno prima, bensì era attivo e loquace. Continuava a parlare senza freno, soprattutto in inglese, e ballava anche lui saltando e dimenando le braccia, mentre cercava in tutti i modi di tenermi stretta a lui.

Le luci di tutti i colori sembravano sfrecciare davanti ai miei occhi a ritmo di musica e, nonostante la calca attorno a me sembrasse ondeggiare paurosamente, io non mi fermavo, ma continuavo a ballare e ballare, sempre più vicina a Matthew. Il suo profumo mi entrava nelle narici e mi inebriava ancor di più di quanto facesse quella pazza musica. Io amo Nick, dicevo nella mia mente, cercando di mantenere un minimo di ragione. Io amo Nick, io amo Nick, io amo Nick … ripetevo, ma quelle parole che ero arrivata perfino a sussurrare mi sembravano non avere nessun senso, mi parevano parole vuote, come pronunciate in una lingua a me sconosciuta.

Io amo Nick ripetei ancora una volta nella mia mente. Eppure le braccia di Matt, quel suo profumo, quel suo calore erano talmente confortanti … Nik mi pareva così astratto, lontano anni luce da me, e la sua immagine era sfocata nella mia mente, come fosse un vecchio ricordo che ormai avevo buttato nel dimenticatoio.

- You’re beautiful! – esclamò all’improvviso Matt, sovrastando quella musica altissima e stringendomi ancora di più a sé in quel ballo folle.

Oh, thanks! – risposi io ridacchiando e guardando i suoi lineamenti illuminati a intermittenza dalle luci. Aveva le gote tutte rosse, che risaltavano sulla pelle pallida, mentre i suoi occhi azzurri erano più luccicanti che mai. Non c’era più dubbio: eravamo tutti e due completamente partiti per la tangente, ormai arrivati a un punto di ubriachezza da cui non avremmo più potuto tornare indietro.

- You’re beautiful! – ripeté ancora con un sorriso sereno che lo rendeva ancora più bello di quanto già non fosse. Mi fermai un secondo di ballare, anche lui si fermò e per un lungo istante ci fissammo intensamente negli occhi. Lui è gay, è il ragazzo di Luca e io amo Nik mi dissi ancora, eppure sembrava non mi importasse, non provavo alcuna emozione a quei pensieri, anzi, una specie di forza attrattiva sembrava trasportarmi ancora più vicino al ragazzo inglese.

Sentii le braccia di Matt stringersi attorno la mia schiena e la sua mano destra scivolò più in alto, accarezzandola. Dei brividi mi scossero dalla punta dei piedi a quella dei capelli, facendomi perdere anche quel pizzico di ragione che mi era rimasta.

Lui mi guardò per qualche secondo perplesso, come se neanche lui sapesse cosa stesse facendo, poi avvicinò il suo viso, mentre anche la mia testa si tendeva per raggiungere al più presto la sua. Ora il suo profumo mi premeva potentemente nelle narici, così inebriante da assuefarmi, mentre i nostri volti si avvicinavano istante dopo istante, finché le nostre labbra non si sfiorarono, per poi unirsi in un bacio profondo.

Appena ci staccammo da quel bacio inaspettato e totalmente insensato, ricominciammo a ballare sfrenatamente, anche se questa volta stretti stretti, uno vicino all’altro, strusciando i nostri i corpi e muovendoli come fossero uno solo. Ogni tanto ci scambiavamo lunghi baci passionali e mille brividi mi attraversavano il corpo come scosse elettriche. Nonostante nel profondo la mia coscienza sopita dalla sbornia sapesse che ciò che stava succedendo era ingiusto e completamente amorale, l’attrazione di quel momento mi impediva di staccarmi da lui. Eravamo come un pezzo di ferro e una calamita: finché ci trovavamo insieme eravamo inevitabilmente destinati a stare vicini, senza possibilità di poterci staccare.

Inoltre, lui era così bello, le sue labbra così morbide … ero ingorda di lui, come avrei potuto farne a meno?

- Oh, Alessia … sei bella … - disse con la voce impastata dall’alcol, per poi prendermi il mento con le mani e scoccarmi un altro bacio fantastico. – Andiamo via … - affermò ancora, lasciandomi di stucco.

– E dove? –

- I don’t know … but I want you – disse, mentre nel suo viso si aprì un sorriso malizioso.

Ricambiai quel sorriso e lo abbracciai forte, sentendo i suoi muscoli premere sul mio corpo. Cercai in un qualche modo di resistere al desiderio che mi rodeva l’anima, ma a un certo punto non ce la feci più.

- Andiamo via … - affermò ancora il ragazzo, in tono quasi supplicante. A questa richiesta non seppi davvero resistere. Lo presi per mano e attraversai ancora una volta la folla di ragazzi che ballavano al ritmo di quella musica. Detti spinte in qua e in là, penetrando in quella barriera umana quasi insormontabile.

Quando finalmente aprimmo la porta che portava alla sala del buffet, venni investita da una luce forte che quasi mi accecò. In quel luogo la musica era cessata e non era altro che un eco lontano proveniente dall’altra stanza, eppure la mia situazione mentale non era cambiata di una virgola. Mi sentivo eccessivamente euforica, senza capacità di ragionamento e in completa balia dei miei desideri.

Non conoscevo quella casa, ma l’istinto mi portava verso i piani superiori e a dir la verità, non sapevo bene neanche io cosa volessi fare e dove stessi andando: il potere dell’alcol sembrava aver preso completo possesso del mio corpo.

- Where are we going? – mi chiese Matt, perplesso. Mi girai e mentre gli scoccavo un altro bacio a fior di labbra, gli lanciai uno sguardo malizioso.

I don’t know … but follow me … - risposi semplicemente. Lui ricambiò quel sorriso e ridacchiò leggermente, scoprendo i denti bianchissimi e accentuando i lineamenti stranieri.

Aprii la prima porta che mi trovai davanti e la chiusi immediatamente dietro di noi, senza neanche guardare dove fossi capitata. Lo strinsi forte a me e lo baciai appassionatamente. Matt ricambiò il bacio, facendo salire il mio entusiasmo alle stelle.

Aprii gli occhi e mi guardai attorno: eravamo in una camera da letto, potevo vedere un armadio proprio dietro Matt, di legno chiaro e delle pareti bianche. Nonostante cercassi di sforzarmi non riuscivo a vedere i particolari: il mondo ondeggiava, come fossimo su una nave in mezzo alla tempesta. Eppure non me ne curai: se in quel momento poteva interessarmi qualcosa, era solo Matt e del resto del mondo non mi importava nulla.

Chiusi nuovamente gli occhi, immergendomi appieno in quel bacio e indietreggiai, piano piano, mentre le mani di Matt stringevano sempre di più e mi accarezzavano la schiena, desiderose di avermi. Sentivo il mondo girare come una trottola e cominciai a dondolare, quasi facendo fatica a reggermi in piedi, finché, nel mio indietreggiare, non incontrai il bordo di un letto. Senza pensarci due volte mi lasciai cadere su quel morbido materasso. Il corpo di Matt mi premette addosso e altri brividi mi pervasero, riscaldandomi ancora di più.

Non capivo assolutamente più niente, ma l’unica cosa di cui ero interiormente conscia era il fatto che stavamo lentamente sorpassando il limite massimo. Ora le sue mani stavano dolcemente indugiando sulle mie cosce, sollevando il mio vestito blu, mentre io alzavo inconsciamente la sua maglietta.

Da quelle semplici azioni, i nostri baci e le carezze si fecero sempre più intensi, innestando così una lunga serie di azioni completamente fuori dal nostro controllo.

In men che non si dica, ci trovammo tutti e due nudi, in quel letto sconosciuto, a muoverci l’uno sull’altro come un unico corpo. Non avevo la minima idea di come fossimo arrivati a ciò, né cosa sarebbe successo poi, completamente sopraffatti dall’alcol che circolava nelle nostre vene, avevamo dimenticato tutto ciò che ci circondava. Perfino la timida voce della mia coscienza si era sopita nel profondo della mia anima e, per ora, non sembrava accennare il suo ritorno, nonostante ciò che stavo facendo fosse totalmente sbagliato e peccaminoso …

 

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Capitolo 6
*** un imbarazzante risveglio ***


1.    Un imbarazzante risveglio

Aprii lentamente gli occhi e mi ritrovai in una camera sconosciuta, senza avere la più pallida idea di come ci fossi finita. Una tenue luce, forse quella della luna ancora in cielo, entrava dalla finestra aperta e rischiarava quella stanza. Mi guardai intorno, spaesata, e il mio cuore prese a battere più velocemente. Un tremendo mal di testa sembrava trapanarmi la mente e le tempie mi pulsavano terribilmente.

Mi alzai a sedere e con mio enorme stupore mi accorsi di essere completamente nuda. Girai la testa verso destra e un urlo mi uscì spontaneo dalla bocca: sul letto a fianco a me vi era Matt, nudo anche lui.

Il ragazzo, a quell’urlo soffocato, si svegliò di soprassalto e si guardò intorno, perplesso almeno quanto me. – Oh my god! – esclamò spalancando gli occhi e portandosi le mani alla fronte.

Io non dissi niente, ma semplicemente mi appoggiai con la schiena contro lo schienale del letto, cercando di fare mente locale di come fossi finita lì.

Qualche immagine mi saltò alla mente: Giulia col vestito rosa in mezzo alla calca, la caraffa di coktail, il ballo, il bacio e poi …

Non riuscivo a ricordare tutto con esattezza, bensì avevo sprazzi di memoria, piccoli scorci che, però bastavano a farmi capire cosa fosse successo. E ciò che ricordavo era abbastanza inquietante da farmi accapponare la pelle: ero andata a letto con Matthew, il ragazzo del mio migliore amico, tradendo Nik. Che avrei fatto adesso? Con che coraggio avrei guardato in faccia Luca dopo essere andata a letto col suo ragazzo?

Cominciai a sudare freddo, paralizzata da quel flusso continuo di pensieri che mi distruggevano la mente forse più del mal di testa.

- What have we done1? – domandò Matthew con un tono di voce lamentoso e allo stesso tempo incredulo, come se quasi non riuscisse a comprendere di essere nella realtà e non in un incubo.

Io non trovai le parole, mi limitai a socchiudere la bocca e sospirare: in fondo sapeva benissimo cos’era successo, non c’era nessun bisogno che glielo confermassi.

- And now? – chiese ancora, portandosi le mani alla testa.

- Maybe we should go away from this room… if someone finds us here, all naked, we are dead!2esclamai con enfasi e un po’ imbarazzata. Matthew annuì leggermente e restò qualche secondo fermo, fissando il vuoto e con le labbra rosate dischiuse, come se stesse ancora elaborando le informazioni ricevute.

Approfittando di quel momento d’esitazione, mi alzai dal letto e cominciai a camminare per la stanza in punta di piedi, come una ballerina classica, recuperando i miei vestiti seminati sul pavimento. Mentre compivo quell’operazione dovevo essere rossa in viso come un pomodoro fresco: era il momento più imbarazzante che avessi mai vissuto fino a quel momento. Oltretutto lui mi osservava con gli occhi spalancati, rendendomi ancora più imbarazzata.

Anche Matthew a quel punto si alzò dal letto ma, a differenza mia, lui non sembrò essere particolarmente imbarazzato e se lo era, era bravo a nasconderlo; camminò anche lui tutto nudo per la stanza, raccogliendo i suoi vestiti e infilandoseli con naturalezza. Nel frattempo lo guardavo mentre mi vestivo. Aveva un fisico asciutto, i pettorali sporgenti e un accenno di addominali, la pelle era così chiara che in alcuni punti, soprattutto nel collo si potevano scorgere piccoli segni violacei. Nonostante ciò, aveva un portamento, un modo di muoversi, che lo rendevano estremamente affascinante, tanto che solo l’idea di essere andata a letto con un ragazzo così bello, mi faceva venire la pelle d’oca. Eppure, non riuscivo proprio a staccare lo sguardo da quel corpo perfetto, era una calamita per i miei occhi.

Dopo esserci vestiti e preparati psicologicamente, uscimmo dalla stanza.

Guardai l’orologio appeso nel corridoio: erano le cinque di mattina, eppure qualcuno girava ancora per la casa con bottiglie di vino in mano e andamento traballante. Delle ragazze, appoggiate al muro, chiacchieravano e ridevano animatamente, con la bocca impastata dall’alcol.

Io non me ne curai e guardai i quadri appesi alle pareti di paesaggi di collina coi prati verdi e le casette dai tetti spioventi, cercando di ignorare i brevi flash che mi arrivavano alla mente di quella nottata.

- Don’t say anything to Luca about this night, please 3disse Matt all’improvviso, mentre scendevamo le scale, distogliendomi dai quadri alle pareti. Lo guardai in viso: dagli occhi e dall’incrinazione delle labbra sembrava davvero preoccupato.

- Sure, I don’t want to lose a friend and my boyfriend 4commentai. Lui sembrò rassicurarsi e rilassò le spalle con un sospiro.

Attraversammo la sala dove io e Matt ci eravamo ubriacati. La caraffa incriminata era ancora lì, sul tavolo, vuota come l’avevamo lasciata. Un ragazzo era seduto sulla sedia sulla quale ero seduta io proprio qualche ora prima. Aveva le guance rosse come un peperone e gli occhi lucidi e rossi; vedendo che lo stavo guardando, mi salutò sollevando la caraffa che teneva in mano. Risposi imbarazzata con un cenno del capo e corsi verso l’uscita, rischiando di inciampare sul tappeto dell’ingresso, ma fortunatamente Matt mi afferrò per un braccio con un sorriso gentile, impedendomi di cadere. Trovai davvero incredibile che dopo averlo fatto ubriacare e avergli rovinato la vita, riuscisse ancora a sorridermi come prima, con una gentilezza e dolcezza che dai ragazzi italiani si può solo sognare; chissà, forse era così gentile perché ora avevamo un segreto in comune.

- Now I have to go 5disse Matt, fermandosi appena fuori dal cancello della villa. Sembrava piuttosto spossato a giudicare dal modo in cui si tormentava le dita della mano destra e dalle linee violacee che aveva sotto gli occhi, ma era comprensibile vista la notte che gli avevo fatto passare; probabilmente anche io non dovevo essere conciata piuttosto bene, motivo per cui uscendo dalla casa, avevo evitato di buttare uno sguardo agli specchi della villa.

- Ok, I’m sorry for what it happened, it is my fault… even if I know that my apologies doesn’t change anything 6mi scusai, guardando in basso, verso la punta dei miei sandali; non avevo neanche il coraggio di guardarlo in faccia, era stata tutta colpa mia se era successo quel tanto.

Lo sentii ridacchiare leggermente, dandomi forza ad alzare la testa. I suoi occhi sembravano aver ripreso vitalità e il suo sorriso aveva fatto comparire delle affascinanti fossette sulle guance, ricordandomi tutto d’un colpo le sue risate della serata.

- Oh, don’t worry… it was a evening so fun! 7commentò, lasciandomi sconcertata. Che stesse cercando di sdrammatizzare la situazione?

- If you don’t tell the truth to Luca, there’ll be no problem… this evening will be one and only… 8divertentespecificò con un’alzata di spalle, pronunciando l’ultima parola in un tono strano che non riuscii ad identificare.

Annuii.

- Goodbye, Alessia – mi salutò, alzando timidamente la mano e cominciando ad allontanarsi.

Sorrisi; mi sembrava strano sentir pronunciare il mio nome con quel forte accento straniero, soprattutto se colui che l’aveva pronunciato era il ragazzo gay con cui ero andata a letto soltanto poco tempo prima.

- Goodbye, Matthew – risposi prima che se ne andasse.

Sentendomi forse più sollevata, mi guardai intorno: forse Giulia era ancora nei paraggi, considerando che lei rimaneva sempre fino a tardi alle feste.

Stavo ritornando nella villa a cercarla, ma poi mi resi conto di non avere voglia di incontrare nessuno: avevo bisogno di stare da sola in compagnia delle mie colpe, cercando di trovare una soluzione per non fare l’inevitabile figura della bastarda, della poco di buono e della bugiarda.

Però, proprio mentre mi allontanavo lungo la via, sentii qualcuno chiamarmi. Avrei riconosciuto quella voce alta e squillante ovunque: era Giulia.

Dei ticchetti si avvicinarono e una mano mi premette sulla spalla. – Dove vai così di fretta? – mi chiese con la voce rotta da forti respiri: probabilmente doveva aver fatto una corsa per raggiungermi e, dando uno sguardo ai tacchi che portava, potevo comprendere il perché fosse così affaticata.

- Sto andando a casa – risposi, forse un po’ troppo seccamente. Giulia alzò le sottili sopracciglia.

- Cos’è successo? – mi domandò, facendosi improvvisamente seria.

- Nulla, tranquilla… forse ne parleremo domani… - dissi in un sussurro, rimanendo sul vago. Stavo ancora una volta per riprendere a camminare, ma Giulia mi afferrò un braccio. La guardai in viso: sembrava davvero preoccupata, d’altronde per lei ero un libro aperto, riusciva sempre a capire quando qualcosa non andava o se avevo combinato qualcosa e questa volta l’avevo combinata davvero grossa.

- Perché non possiamo parlarne adesso? – propose Giulia. Scossi leggermente la testa.

- Sono davvero stanca e non sono per nulla lucida: non sarei obiettiva – mi giustificai.

- Va bene, ma domani non mi scappi – acconsentì, lasciandomi il braccio e permettendomi di allontanarmi veloce lungo la via, in mezzo ai rumori della città.

 

Visto che alcuni hanno trovato difficoltà, queste sono le traduzioni alle frasi segnate col numerino:

 

1Cosa abbiamo fatto?!

2Forse dovremmo andare via da questa stanza… se qualcuno ci trova qui, tutti nudi, siamo morti!

3Per favore non dire nulla a Luca di questa notte…

4Certo, non voglio perdere un amico e il mio ragazzo

5Ora devo andare

6Ok, scusa per quello che è successo, è colpa mia… anche se so che le mie scuse non possono cambiare nulla

7Oh, non preoccuparti, è stata una serata davvero divertente!

8Se non dirai la verità a Luca, non ci saranno problemi… questa serata resterà solo e soltanto…

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Capitolo 7
*** esternazione ***


7.  Esternazione 

Una frase squillò da un altoparlante in strada. – Frutta e verdura! Frutta e verdura! –
Entrò nella mia testa, insinuandosi fra i miei sogni e strappandomeli dalla mente come falchi che afferrano la loro preda scendendo in picchiata. Cercando di riacchiapparli ritornai bruscamente alla realtà.
Fissai il soffitto sopra di me, dove i riflessi dei raggi del sole che penetravano dalle fessure della tapparella tracciavano macchie di luce. Un’imprecazione mi sfuggì dalle labbra: avevo sempre odiato quei maledetti furgoncini che girovagano per la città spandendo quella frase snervante.
- Frutta e verdura! Frutta e verdura! – trillò ancora l’altoparlante in strada.
Misi un piede giù dal letto e mi alzai. Traballai qualche istante, resa instabile da un improvviso giramento di testa. Quando cessò le gambe mi rimasero comunque tremanti come quelle di un cerbiatto appena nato; ero così devastata che mi sembrava di essere stata travolta da un camion. Forse mi sentivo anche peggio di quando ero andata a letto, soltanto qualche ora prima. Di certo non era stato un sonno tranquillo né ristoratore.
Alzai le tapparelle con uno sforzo e vidi giù in strada il furgoncino incriminato. Comiatti & Co vi era scritto sulla fiancata con grandi lettere verdi. Quanto avrei voluto scendere e bucare tutte e quattro le gomme, sfogando così la mia rabbia!
Invece mi limitai a imprecare e a guardarmi allo specchio posizionato sopra il comò di legno scuro. Avevo un aspetto spaventoso: i capelli castani erano annodati e parevano un groviglio di lana, gli occhi erano lucidi e con grande orrore mi resi conto di essermi dimenticata di togliere il trucco la sera prima. Ciò però non mi stupiva: ero corsa a letto con l’intenzione di smaltire la sbronza e di dimenticare tutto quanto, ma a quanto pareva non era così semplice come pensavo.
A quel pensiero uno dei ricordi della notte mi affiorò alla mente come un flash: Matt che sollevava con la mano la gonna corta…
Un brivido mi corse lungo la schiena mentre il senso di colpa cominciò nuovamente a rodermi le membra. Era come un orrendo tarlo: si era appena insediato in me e aveva cominciato il suo lento lavoro, rosicchiandomi la carne e facendo da infimo sottofondo a tutti i miei pensieri; non se ne sarebbe andato prima di avermi mangiata tutta. Quel bastardo!
Mentre cercavo con non poca fatica di districare i nodi fra i miei capelli, il cellulare trillò. Per un attimo appoggiai il pettine e lessi: “TI ASPETTO AL BAR DEL CORSO… MI DEVI RACCONTARE QUALCOSA… BY GIULIA”. 
Deglutii amaramente. Non ero completamente sicura che sarei riuscita a raccontarle ciò che era successo: era così imbarazzante e io ero ancora così sconvolta! Avevo una tale confusione in testa!
Forse lei mi può aiutare. Pensai e ciò mi convinse a prepararmi di fretta e uscire di casa mentre il furgoncino gridava ancora la sua frase: - Frutta e verdura! Frutta e verdura!
 
Tirai la porta a vetri del bar. Giulia era seduta a destra dell’entrata, coi capelli lunghi e mossi legati in una coda sulla nuca e gli occhi fissi sulla sua tazzina di caffè.
Mi avvicinai lentamente e solo quando mi sedetti di fronte a lei alzò lo sguardo. Aveva gli occhi grandi e marroni con una sfumatura verdastra; non mi stupiva il fatto che molti ragazzi vi si perdessero.
- Ciao, Ale! – mi salutò, vivace come sempre. Io le risposi in un sussurro.
- Ma perché hai quella faccia? Che ti è successo? – mi chiese, rimescolando il liquido scuro.
Abbassai gli occhi, perdendomi nelle venature sul tavolino. – Non credo che sia una buona idea parlarne… -
- Avanti! Non sarà così terribile! –
- Oh, sì che lo è, credimi! – la contraddissi, mentre un sorriso amaro mi increspò le labbra.
Sospirai rumorosamente. – Giuly… mi sembra di essere qualcosa di peggiore di una merda – commentai sconsolata.
Alzò lo sguardo verso di me, gli occhi le luccicarono. – Senti, perché non ti prendi un bel cornetto al cioccolato? –
- Non credo che… - cercai di oppormi, ma prima che potessi finire la frase Giulia aveva già chiamato un cameriere ordinando un cornetto e un succo di frutta.
- Vedrai che poi ti sentirai meglio e mi racconterai tutto – disse stringendomi la mano amichevolmente.
Nonostante all’inizio non fossi d’accordo, dovetti ammettere che aveva ragione. Appena il cornetto arrivò fra le mie mani, caldo e profumato, subito sentii l’umore migliorare. Poi, quando gli diedi qualche morso e il cioccolato mi sporcò le labbra, un’onda di energia mi riempì le vene, facendomi venire voglia di liberarmi di quel peso che mi gravava sulla schiena.
- Sono andata a letto con Matthew – dissi all’improvviso, per poi portarmi la mano alla bocca, quasi incredula che quelle parole fossero uscite proprio dalle mie labbra.
Vidi Giulia perdere improvvisamente colorito, gli zigomi si abbassarono e gli occhi si spalancarono. Sembrava quasi che non riuscisse a riprendersi dallo stupore.
La capivo: io stessa non ci avrei creduto se non fossi stata sicura al cento per cento di quello che era successo. Purtroppo, però, era tutto vero e nella mia poca memoria di quella notte si trovavano le prove inconfutabili.
- Stai scherzando spero! – esclamò Giulia dopo qualche secondo.
Scossi la testa lentamente, con un sospiro fatalista.
- Ma Matthew è… è… -
Non riusciva a pronunciare la parola, l’aiutai: - gay. Lo so… ma per quanto possa risultare incredibile, è successo - 
Giulia tentò di ricomporsi, ma sembrava che quasi non riuscisse a comprendere ciò che era accaduto. Mentre rifletteva posò nuovamente lo sguardo sulla sua tazzina di caffè che ormai si stava raffreddando.
- Io non capisco, Ale… nessuna persona sana di mente farebbe una cosa del genere – commentò dopo alcuni secondi.
- Non è successo volutamente… ci siamo ubriacati mentre te la facevi col polipone dai capelli lunghi – replicai con un sorriso accennato, domandandomi fra me e me come facessi ancora a scherzare nella situazione in cui mi ero cacciata.
- Giacomo non è un polipone! – ribatté, pronunciando l’ultima parola con un particolare tono di disapprovazione. – E poi… ora non siamo qui per parlare di me –
- hai ragione, a quello penseremo dopo –
- ok, ad ogni modo… mi puoi spiegare esattamente come sono andate le cose? – mi chiese in tono spiccio, cercando probabilmente di riportare la conversazione sulla giusta pista.
- Non lo ricordo bene… sai, ero sbronza! Ricordo solo che ti abbiamo cercata e ti abbiamo vista col polipone, quindi siamo andati a consolarci insieme alla caraffa di cocktail… insomma, un bicchiere tira l’altro e… beh, sai come vanno queste cose! – spiegai approssimativamente, piuttosto imbarazzata: avevo l’impressione che la gente negli altri tavoli stesse origliando la nostra conversazione. Infatti, una donna lì vicino stava mangiando il suo cornetto con un fare troppo concentrato e un signore più in là, con gli occhiali e una pancia tonda, leggeva il giornale (o faceva finta di farlo), lanciando ogni tanto un’occhiata verso il nostro tavolo.
Nel frattempo Giulia annuì.
- E adesso? Cos’hai intenzione di fare? – mi chiese poi, dopo una breve riflessione.
- Sinceramente non lo so proprio… sono così confusa… - risposi, scuotendo leggermente il capo.
- Hai combinato davvero un casino totale! Hai tradito Nick e il tuo migliore amico! –
- Lo so… ma tu cosa faresti al posto mio, GIuly? – le domandai, quasi disperata.
Giulia fece spallucce. – Le opzioni sono semplicemente due: o sei sincera e rovini il rapporto con Nick e il tuo migliore amico, oppure tieni il segreto e dimentichi cosa è successo –
Riflettei qualche secondo, accigliata. Mi sentivo profondamente oppressa perfino dai miei stessi pensieri, oltre a sentirmi la coscienza sporca. Probabilmente non ero pronta ad affrontare il peso della verità, non ero pronta ad affrontarne le conseguenze.
- Penso che opterò per la seconda – conclusi dopo il mio ragionamento.
Giulia sorrise e mi prese la mano che avevo appoggiato sul tavolo dopo aver mangiato il cornetto. – Qualunque cosa succederà io ti starò vicina – disse.
Sorrisi: era davvero un’amica fantastica!
In quel momento il mio cellulare squillò, facendo voltare tutti i presenti e facendomi sentire notevolmente imbarazzata.
Con la mano tremante infilai le dita nella borsa tirandone fuori il cellulare. Avevo paura di sapere chi fosse…
CIAO AMORE, SONO TORNATO. SCUSA SE IERI NON TI HO RISPOSTO: AVEVO IL CELLULARE SCARICO. TI ASPETTO FRA DIECI MINUTI AL PARCO.
A vedere quelle poche parole il cuore mi salì in gola, rischiando di strozzarmi. Era arrivato il momento che più temevo: come avrei fatto a guardare ancora in faccia Nick?
- Chi è? – mi incalzò Giulia: aveva tutta l’aria di essere sulle spine.
- E’ Nick –
- capisco perché hai quell’espressione devastata… - commentò mordicchiandosi un labbro.
Feci un respiro profondo e mi alzai dal tavolo. – Già… senti, Giuly… anche se preferirei restare qui con te, ora devo proprio andare… -
Lei annuì, preoccupata almeno quanto me. A differenza mia però, Giulia non poteva sapere davvero cosa volesse dire sentirsi così cattiva e sporca da volersi sotterrare sotto metri e metri di terra e desiderare di non riemergere mai più.
Dopo aver salutato Giulia e pagato alla cassa, uscii dal bar, pronta ad affrontare l’incontro con Nick. Non sapevo neanche io cosa gli avrei detto, né cosa avrei fatto, sapevo solamente che per la prima volta non avrei potuto essere me stessa fino in fondo.

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Capitolo 8
*** non è facile dimenticare ***


8.      Non è facile dimenticare

Camminavo veloce lungo il marciapiede, col sole che batteva prepotentemente sulle mie spalle. Erano infatti già le dieci e mezza di una giornata di piena estate ed era normale per quel periodo che il caldo non lasciasse tregua.

Le strade a quell’ora erano vive: qualche ragazza della mia età si stava dirigendo verso il mercato in centro città e uomini d’affari sfrecciavano lungo il marciapiede con la loro ventiquattrore alla mano, urtando senza riguardo gli altri passanti.

Io invece mi stavo dirigendo con calma verso il parco mentre nella mia mente cercavo di ideare un alibi convincente che potesse nascondere ciò che avevo combinato alla festa. Bastava inventare qualche aneddoto che non lasciasse dubbi sulla sua veridicità … per esempio avrei potuto dire che  avevo incontrato sia Francesca che Giulia e che avevo passato il tempo a ballare con loro, almeno finché  Francesca non si era sentita male e l’avevo accompagnata fuori dalla villa.

Potrebbe essere un’idea… pensai, ma non ebbi il tempo di formulare bene ogni particolare del mio alibi che giunsi davanti al cancello in ferro battuto del parco.

Davanti ai miei occhi vi era la fontana al cui centro due dei greci nudi espellevano acqua dalla bocca e, proprio sul muretto della grande vasca, Nick era seduto guardando dritto davanti a sé.

Per qualche secondo sembrò non vedermi, immerso nei suoi pensieri, poi mi notò e un bel sorriso si aprì sul suo volto. Era così bello quando sorrideva! Gli occhi neri rilucevano di una luce diversa, accentuando quello sguardo misterioso che tanto mi aveva colpita.

Mentre camminavo verso di lui, accennando un sorriso, il cuore mi pulsava in gola. Non sapevo esattamente la causa di quell’agitazione: si trattava della paura che scoprisse tutto o della voglia di vederlo?

Di solito ero sempre sicura di me stessa e di quello che provavo, non avevo dubbi o incertezze. Anzi, ero la prima a dire che l’amore lo si avverte dentro di sé e che è impossibile confonderlo con altro o ignorarlo, perché è come un fuoco che arde dentro il nostro corpo, diffonde calore e condiziona ogni pensiero. Non si può amare un po’ o amare troppo, ma semplicemente o si ama o non si ama.

Eppure questa volta era diverso: ciò che era successo quella notte aveva messo in discussione qualsiasi cosa, anche i miei sentimenti.

Nonostante ciò, non mi allarmai o perlomeno cercai di tranquillizzarmi: sarebbe bastato un po’ di tempo e tutto sarebbe ritornato come una volta.

Nick si alzò in piedi, ma non si diresse verso di me, bensì mi aspettò e mentre camminavo mi osservava attentamente, come fosse estasiato.  Di fronte al suo sguardo indagatore mi sentivo imbarazzata, perché in fondo non ho mai pensato di avere un bel corpo e mi sentivo a disagio quando qualcuno mi osservava, ma allo stesso tempo anche lusingata dal fatto che il mio ragazzo mi guardasse in quel modo.

- Ciao amore – mi salutò, accogliendomi fra le sue braccia. Sentii il calore del suo corpo contro il mio e un leggero brivido mi attraversò la schiena.

Alzai la testa e lo guardai negli occhi con un sorriso. Non sapevo proprio con quale coraggio ero riuscita a fare ciò, senza il timore che nel mio sguardo potesse scorgere qualcosa di diverso.

Per fortuna, però, tale paura sarebbe stata infondata: lui non si accorse di nulla, mi osservò qualche secondo coi suoi occhi profondi in cui mi persi e mi baciò.

Per quei pochi secondi mi sembrò che tutto il mondo sparisse, perfino il mio tradimento mi sembrò cosa da nulla in confronto a quel bacio ricco di passione e pensai davvero che fosse tornato tutto come prima, come se nulla fosse successo.

- Mi sei mancata – mi sussurrò sensualmente in un orecchio. Io lo strinsi a me e sorrisi, ora davvero felice di essere con lui.

- Anche tu mi sei mancato – risposi. Ed effettivamente non era una bugia: prima che andassi a quella festa Nick mi era mancato davvero.

Ci staccammo dall’abbraccio e Nick mi prese per mano, dirigendosi fino a una panchina di fianco al sentiero in acciottolato. Non era altro che un blocco di pietra, ricoperto di scritte ed incisioni e posizionato di fianco a un cespuglio rigoglioso, ma per noi quel posto era speciale: era lì, seduti su quella panchina che ci eravamo scambiati il primo bacio.

Era una giornata di marzo, ma dal clima e dalle nuvole grigie che si addensavano nel cielo sembrava ancora pieno inverno e io e Nick ci eravamo dati appuntamento nel parco. Parlavamo del più e del meno, finché verso metà pomeriggio si alzò un vento gelido. Io mi ero messa soltanto un giubbino leggero, confidando nel miglioramento del tempo, e cominciai ad avere freddo. Nick mi prestò la sua giacca, ma soltanto pochi minuti dopo cominciò a cadere una pioggerellina fine, di quelle tipiche delle mezze stagioni. Non volemmo separarci l’uno dall’altra, perché presi dai nostri discorsi, e fu così che il primo bacio ce lo scambiammo sotto la pioggia di quel pomeriggio.

Un sorriso mi spuntò sul viso ricordando quei momenti così belli.

- A che pensi, amore? – mi domandò Nick, invitandomi con un gesto della mano a sedere sulla panchina.

Presi posto di fianco a lui. – Ripensavo al nostro primo bacio –

- anche io ogni tanto ci penso quando ritorniamo qui – mi confidò, prendendomi una mano e lanciandomi uno sguardo dolce.

Ricambiai il suo sguardo e, senza una parola, lo baciai.

Fu proprio in quel momento che come un fulmine a ciel sereno un pensiero mi attraversò la mente.  Dovevo dimenticare tutto: volevo continuare a stare con Nick e non potevo lasciare che una serata rovinasse ciò che avevo costruito in quattro mesi. Non dovevo più vedere Matt, per il bene di tutti e due.

I nostri visi si separarono ancora dopo quel bacio, ma ora sul mio volto vi era probabilmente un’espressione pensierosa.

- C’è qualcosa che non va? – mi domandò Nick, incrinando le sopracciglia.

Sorrisi. – Tutto a posto, tranquillo.

Lui, però, non sembrò totalmente convinto e per qualche secondo restò a fissarmi, cercando nel mio sguardo ciò che lui pensava gli nascondessi.

Io non mi sottrassi a quell’analisi e sostenni il suo sguardo: se avessi cercato di guardare altrove o avessi vacillato, avrebbe significato che effettivamente avevo qualcosa da nascondere. Non potevo permettere che Nick lo scoprisse o solo sospettasse l’accaduto.  

Dopo interminabili secondi mi sorrise e, avvicinando il viso al mio, mi scoccò leggeri bacini sulla guancia. Mi sfiorava solamente la pelle con le labbra morbide, ma ciò era sufficiente per farmi scendere piccoli brividi lungo la spina dorsale che si intensificarono quando arrivò ad appoggiare le labbra sulle mie.

Lo strinsi a me, assaporando tutta la sensualità del momento. La mia mente si liberò da qualsiasi pensiero, il tempo sembrò quasi fermarsi…

Nick si allontanò leggermente e avvicinò le labbra al mio orecchio. – Ti amo – sussurrò e il suo respiro mi accarezzò, facendo scendere altri brividi lungo la schiena.

Io esitai qualche secondo, ma poi le parole uscirono da sole dalla mia bocca, ancor prima che potessi fermarle. – Anche io ti amo…

Nick sorrise e i suoi occhi quasi si illuminarono, sembrava davvero felice…

A quella constatazione un nodo mi strinse la gola: gli si sarebbe spezzato il cuore soltanto a sapere ciò che avevo fatto.

Subito mi maledissi per il pensiero che avevo appena formulato: dovevo convincermi che non era successo nulla, che era stato soltanto un brutto sogno.

- Ci facciamo un giro? – proposi all’improvviso, sfoderando un bel sorriso.

Nick annuì e una volta alzatosi dalla panchina, mi prese la mano e cominciò a percorrere il sentiero in acciottolato che si snodava fra il verde del parco fino ad arrivare al cancello d’entrata.

- Allora, cosa hai fatto durante la mia assenza? – mi domandò Nick, rompendo il silenzio che si era insinuato fra noi.

Il cuore mi balzò in gola, feci lavorare freneticamente i neuroni. – Oh, beh… sono uscita con Luca e poi ieri sera c’è stata una festa…

Le parole fortunatamente mi uscirono dalla bocca con un tono abbastanza naturale, nonostante fossi non poco agitata come si poteva notare dal modo con cui tormentavo il bordo della mia canottiera lilla.

Lui sembrò non accorgersi di nulla. – Ah, davvero? Cosa hai fatto di bello alla festa? –

A quella domanda un ricordo che non sapevo neanche di avere prese possesso della mia mente. Si trattava di Matthew disteso sopra di me che mi accarezzava e baciava il collo.

Cercai di mandare via quelle immagini, tenendo fede a ciò che mi ero ripromessa, ma non sembravano proprio propense ad abbandonarmi.

Mi schiarii la voce. – Sono stata con Giulia e Francesca, abbiamo ballato e parlato un po’ e… - deglutii amaramente, mentre i ricordi cominciavano a dissiparsi. – E… beh… Francesca a un certo punto si è sentita male e l’abbiamo accompagnata in giardino – continuai, questa volta con un tono più indeciso.

- Adesso sta meglio? – domandò Nick.

Io annuii, contenta di non aver destato nessun sospetto.

Alzai gli occhi, puntando lo sguardo verso il cancello d’entrata al parco. Dal punto in cui mi trovavo era in parte coperto dagli zampilli della fontana, ma riuscivo ugualmente a vedere la gente che faceva il proprio ingresso. Proprio in quel momento, infatti, vidi entrare due ragazzi.

Probabilmente dovevo essere suggestionata dalla mia mente, ma uno di questi assomigliava terribilmente a Matthew. No, non può essere lui, mi dissi, riportando la mia attenzione a Nick che camminava al mio fianco.

Quando però guardai nuovamente dritto davanti a me, incontrai uno sguardo color del mare che mai avrei potuto confondere. A quanto pareva il destino non aveva nessuna intenzione di farmi dimenticare quella stramaledetta serata; voleva perseguitarmi, farmi pentire di essere nata…

 

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Capitolo 9
*** quando le cose si mettono male... ***


   9.  Quando le cose si mettono male…

Ci guardammo per qualche istante negli occhi, cercando di far finta che ciò che vedevamo non fosse reale, ma ben presto il ragazzo che si trovava al fianco di Matt sollevò gli occhi dal sentiero che stava fissando.

Lo sguardo di Luca si illuminò e, allargando le labbra in un caldo sorriso, aumentò il passo.

Anche io sorrisi mentre il mio migliore amico si dirigeva entusiasta verso di me, ma a differenza sua non ero completamente contenta del suo arrivo: avevo l’impressione di scivolare lentamente dalla padella alla brace.

- Ciao, Ale! – esclamò Luca abbracciandomi, senza curarsi del fatto che fossi in dolce compagnia.

Nick parve un po’ contrariato nell’osservare i soliti modi plateali di Luca; sapevo che nonostante me lo tenesse nascosto Luca non era nelle sue simpatie, probabilmente perché trascorreva molto tempo con me e Nick non era del tutto convinto che fosse veramente gay.

Una volta sciolti dall’abbraccio Luca spostò finalmente lo sguardo su Nick. – Ciao… come va? – lo salutò rivolgendogli un sorriso un po’ spento. Luca si sentiva un po’ in imbarazzo in presenza di Nick: percepiva la sua ostilità.

- Tutto bene, tu? – rispose Nick, accennando un sorriso.

- Anche io, grazie.

Nel frattempo Matt mi rivolse un sorriso imbarazzato, forse sentendosi leggermente fuori posto: sembrava tornato nuovamente il ragazzo timido e introverso che avevo conosciuto all’inizio.

- Nick… - dissi, cercando di attirare nuovamente la sua attenzione. Lui spostò lo sguardo da Luca a me e sembrò accorgersi soltanto in quel momento della presenza di una persona estranea fra noi.

- Lui è Matthew, il ragazzo di Luca… - annunciai.

- This is Nicholas, my boyfriend– tradussi, rivolta a Matt che annuì semplicemente.

Il viso di Nick si illuminò di un bel sorriso felice e porse la mano verso Matthew. – Ciao Matthew! –

Matt la afferrò. – Ciao Nicholas – salutò, col suo forte accento inglese.

- Questa è proprio una bella notizia! – commentò Nick, appoggiando una mano sulla spalla a Luca che però lo fulminò con lo sguardo.

D’altronde Nick era stato piuttosto freddo con lui fino a poco prima e quell’improvvisa confidenza certamente gli sembrava falsa.

- Sei inglese? – chiese poi Nick rivolto a Matt.

- Yes, I live in London – rispose lui, forse pensando che Nick conoscesse la sua lingua madre, ma invece lo guardò perplesso.

- Ha detto che vive a Londra – tradussi e lui annuì.

Io amavo Nick perché era dolce come il miele, ma purtroppo non era mai stato una cima a scuola e l’aveva lasciata quasi subito per dedicarsi al lavoro in officina con il padre. Era comprensibile quindi che d’inglese sapesse poco o nulla, ma per fortuna io compensavo la sua mancanza visto che studiavo lingue.

- Matt mi ha raccontato tutto dell’altra sera… è come se fossi venuto anche io – irruppe improvvisamente Luca.

A quelle parole il sangue defluì dal mio cervello, lasciandomi per qualche secondo incapace di formulare qualsiasi pensiero. Com’era possibile che Matt gli avesse raccontato tutto?!

Eppure se davvero gli avesse raccontato la verità in quel momento non avrebbero dovuto essere ancora insieme…

Guardai verso Matt, cercando di trovare nel suo sguardo cristallino qualche risposta ai miei dubbi. Quando i nostri occhi si incrociarono mi rivolse un piccolo sorriso furbo che certamente stonava coi suoi lineamenti dolci e innocenti.

Il sangue tornò allora nuovamente a colorire un po’ il mio viso che per quei brevi istanti era diventato pallido come un cencio.

- Ah, davvero? – dissi, cercando di sembrare disinvolta, ma la mia voce uscì dalle mie labbra un po’ troppo stridula. Per fortuna nessuno sembrò accorgersi di nulla.

- Certamente, mi ha detto che vi siete divertiti – disse Luca, facendo definitivamente tornare la calma dentro di me.

- Anche Ale mi ha raccontato della festa dell’altra sera – aggiunse Nick.

Io imprecai nella mia mente: con l’ultima affermazione di Luca pensavo che il discorso si chiudesse così, ma andando a cercare i particolari le cose potevano mettersi male… certamente Matt aveva dato una versione differente dalla mia.

- Mi ha detto che Francesca si è sentita male – disse infatti il mio ragazzo, mentre imprecavo nuovamente dentro di me.

Immediatamente vidi Luca assumere un’espressione piuttosto perplessa e in quel momento capii che la situazione stava degenerando.

- Ma Francesca non è venuta alla festa – obiettò infatti Luca.

Mi sentii sbiancare e cercai disperatamente lo sguardo di Matt per trovare un qualche appoggio morale, ma anche lui era perplesso: non era riuscito a comprendere quella conversazione, per sua fortuna. Così ero io a dovermi tirare fuori da sola da quella situazione.

- In realtà è venuta alla festa, ma si è sentita male prima che Matt arrivasse… - spiegai, cercando di sorridere.

- Ma Matt non era in ritardo… era presente sin dall’inizio – replicò Luca che ora si era fatto decisamente sospettoso, esattamente come Nick che mi fissava con la fronte aggrottata e le labbra strette.

I miei neuroni lavoravano freneticamente, ma purtroppo il sole di mezzogiorno che sembrava bruciarmi la testa coi suoi raggi non mi aiutava certo a trovare una soluzione, tanto che stetti qualche secondo con la bocca spalancata senza sapere più cosa replicare. Ero stata colta in fallo, presto tutto quanto sarebbe stato smascherato e la mia vita sarebbe andata a puttane.

- Before the party, I went to a bar to ask for a job1 intervenne Matt, facendomi tirare un bel sospiro di sollievo. Probabilmente era riuscito a carpire qualche parola chiave così da comprendere il nocciolo della questione.

I lineamenti di Luca si distesero nuovamente. – Ah, ho capito! – disse.

Il silenzio calò qualche secondo fra di noi e io lo utilizzai per prendere nuovamente il controllo della situazione che, a partire dall’affermazione di Nick, mi era decisamente sfuggito di mano.

- Matt ha bisogno di qualche lezione di italiano se vuole cominciare a lavorare qui… potresti aiutarlo tu, non credi? – propose Luca.

Io sospirai mentre riflettevo alla risposta giusta da dare.

- Che c’è? Non ti va? – mi incalzò, aggrottando la fronte.

Effettivamente alla luce dei fatti avrei trovato piacere nel declinare l’offerta, in fondo meno tempo stavo con Matt meglio era, ma come potevo rifiutare? Luca si sarebbe offeso e mi avrebbe chiesto spiegazioni che non avrei potuto dargli. Non avevo altra scelta se volevo continuare a tenere il segreto.

Cercai di mostrarmi contenta. – No, no, anzi! Mi fa davvero piacere! –

- Bene, allora è deciso! – esclamò Luca, entusiasta come al solito.

- Alessia will be your teacher… are you happy? 2chiese poi a Matt.

Quest’ultimo sollevò un sopracciglio e ridacchiò leggermente. – It’s fantastic! – esclamò con un tono sarcastico che solo io riuscii a cogliere.

Guardai l’orologio: era mezzogiorno e venti. Si era decisamente fatto tardi.

- Io devo proprio andare – annunciai.

Abbracciai Luca, baciai sulle guancie Matthew e infine mi lasciai andare fra le braccia di Nick, che mi strinse a sua volta. Gli scoccai poi un bacio a fior di labbra. – Ciao amore, ci vediamo – dissi prima di scomparire al di là del cancello del parco.

 

Quando arrivai a casa mi buttai sul letto. Non avevo fatto nessuno sforzo fisico, eppure mi sentivo esausta come se avessi appena fatto quaranta chilometri di maratona.

Fissai il soffitto bianco che illuminato dalla luce del sole quasi mi bruciava gli occhi. Il segreto che mantenevo mi pesava tanto sulle spalle, mi spingeva a mentire alle persone a cui volevo bene e mi stancava come fosse un reale macigno.

Avrei tanto voluto farmi del male; mi sarebbe piaciuto che quella luce prepotente mi bruciasse fino a farmi scomparire insieme al mio segreto. Invece dovevo rimanere lì, viva e vegeta, a scontare le mie pene.

Una volta pensavo di essere forte, di avere una grande volontà che mi permetteva di resistere a qualsiasi cosa, ma la verità era che invece ero debole. Era bastato un po’ d’alcol per spazzare via la mia volontà e farmi cedere a una delle più banali tentazioni.    

Una lacrima mi scese lungo la guancia fino a ricadere da un lato, sui capelli disposti a corona sul letto. Ciò che più mi faceva male era che non ero una persona meschina, non riuscivo a non sentirmi in colpa per quello che era successo, a non pensare che avrei ferito persone a cui volevo bene. Eppure, nonostante non fossi in grado di dimenticare, le immagini di quella notte mi perseguitavano, tanto che per quanto fosse sbagliato cominciai a chiedermi se Matt non fosse ciò che nel profondo desideravo…

 

1 

Prima della festa sono andato in un bar a chiedere per un lavoro

2

Alessia sarà la tua insegnante, sei contento?

 

Angolo autrice:

ultimamente non ho aggiornato molto questa storia e in effetti ho notato che è finita nel dimenticatoio XD spero che comunque qualcuno legga ugualmente

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Capitolo 10
*** lezioni d'italiano ***


10.     Lezioni d’italiano  

 

Francesca mi sorprese alle spalle, facendomi buttare il busto in avanti. I suoi soliti modi bruschi! Commentai fra me, facendole spazio sui gradini. – Sono la prima? – domandò.

- Vedi qualcun altro? – osservai, ironica e lei per tutta risposta mi assestò una gomitata nel fianco per poi sistemarsi con noncuranza la t-shirt dentro i pantaloni della tuta.

Chiunque, forse, si sarebbe vergognato a girare in città abbigliato da maschiaccio, ma lei sembrava andarne perfino fiera. In fondo era una ragazza alla mano che non badava né ai chiacchiericci della gente né alla moda, ma seguiva solamente ciò che il gusto personale le indicava. A mio parere faceva più che bene.

Mentre aspettavamo Giulia, guardai annoiata davanti a me, dove la facciata marmorea del duomo si innalzava fino al cielo. Mi soffermai ad osservare i bassorilievi scolpiti sul protiro e un senso di disgusto mi invase, ricordando la noiosa lezione di storia dell’arte in cui la professoressa ci aveva spiegato il significato di ogni singola incisione. Odiavo quella donna, bassa e con quei due occhietti piccoli, fissava gli studenti come una mantide religiosa in procinto di mangiare il compagno e, come se il suo sguardo non inquietasse abbastanza, costringeva a rispondere a domande totalmente prive di senso. Non a caso quell’anno avevo rischiato il debito nella sua schifosa materia di cui non m’importava nulla, visto che non occupava altro che una misera oretta a settimana.

In quel momento Giulia si affiancò a noi, distogliendomi con sollievo da quei pensieri poco invitanti. – Non dirmi che stavi pensando a… - esordì la ragazza trattenendo una risata.

Scossi la testa, sperando di farle intuire che non avevo intenzione di tirare in ballo l’argomento. Francesca si alzò, pronta a sapere quale sarebbe stata la nostra meta.

- Che ne dite? Andiamo al solito bar? – propose Giulia.

Io e Francesca annuimmo, incamminandoci sui fastidiosi ciottoli della piazza. Il mio passo era decisamente strascicato mentre mi trascinavo lungo la strada piuttosto annoiata, resa fiacca dal caldo asfissiante e da quella città che non offriva molto svago ai ragazzi che non erano in vacanza. Quanto avrei voluto partire per una località lontana, possibilmente dove l’acqua cristallina del mare permette di rinfrescarsi dopo la giornata al sole!

Non lontano dalla città vi erano località di mare, ma quest’ultimo, inquinato dagli scarichi del fiume e dalla sabbia, era di un color verdognolo di certo non invitante.

- Vi siete poi divertiti alla festa? – chiese Francesca, impaziente d’instaurare una conversazione.

Sollevai lo sguardo riluttante, cercando di farle capire che quello non era un argomento che desideravo trattare, ma la mia espressione non sembrò toccarla. Lasciai allora che fosse Giulia a rispondere.

- E’ stata una serata, come dire… interessante – disse, rivolgendomi un breve sguardo.

- Si è trovata un nuovo ragazzo… un capellone! – raccontai, ridacchiando divertita.

Questa volta fu Giulia a fulminarmi con lo sguardo mentre entravamo nel bar dove eravamo solite passare qualche ora il pomeriggio.

Il fresco dell’aria condizionata mi avvolse non appena misi piede nel locale, regalandomi una lieta sensazione di benessere che, tuttavia, scomparve in breve tempo non appena buttai lo sguardo sulla destra, dove si trovavano la maggior parte dei tavolini.

- Allora è una persecuzione! – esclamai, costernata, mentre trattenevo l’istinto di fare dietrofront.

Giulia, che stava per rispondere alla provocazione di poco prima, si fermò. – Dai, mettiamoci qui – disse, indicando un tavolino di fianco all’entrata. – Ormai non possiamo tornare indietro – aggiunse, rivolta a me.

Io e Francesca ubbidimmo, sedendoci al tavolino insieme a lei. Ero decisamente irrequieta, tanto che tamburellavo le dita sul piano del tavolino metallico.

Dalla posizione in cui mi trovavo lo vedevo perfettamente. I capelli biondissimi gli ricadevano ai lati del viso, il corpo coperto dalla divisa da cameriere.

Non capivo perché vedere Matthew mi provocasse quella reazione, forse perché erano passati solamente due giorni dall’ultima volta che l’avevo incontrato per caso insieme a Luca e cominciavo a pensare che la sorte si stesse prendendo gioco di me.

Matt, intento a pulire con uno strofinaccio umido la superficie di un tavolino, voltò la testa, incrociando il mio sguardo. Mi sorrise timidamente e accennò un saluto con il capo che io ricambiai volentieri.

- Cosa c’è? – domandò Francesca, non capendo il motivo del nervosismo di poco prima, che si era quietato un po’.

- Nulla, hai visto chi c’è? – dissi, facendole capire di voltare la testa.

Le due ragazze, allora, si voltarono, rivolgendo anche loro un cenno di saluto al ragazzo.

- Questa storia non mi convince – commentò Francesca, storcendo sospettosa un angolo della bocca. Non feci in tempo a darle una risposta: Matt si diresse verso di noi, con un bel sorriso e pronto a raccogliere le ordinazioni.

- Ciao, Matt… why are you here 1? – domandai forse un po’ ingenuamente, ma stupendomi della rapidità con cui avevo reagito alla nuova situazione.

- It’s my new job… they wanted someone who knew English and so…2 - alzò le spalle, per poi concludere: - I’m here. 3

Dalla sua espressione pareva davvero felice della sua nuova posizione, d’altronde era più che comprensibile: si era sistemato del tutto dopo aver trovato lavoro, oltretutto un bel lavoro considerando che Matt era straniero.

- Cosa desiderate? – domandò, senza traccia del suo accento inglese: probabilmente gli avevano fatto imparare a memoria quella frase, forse senza saperne neppure il significato.

- Un caffè – risposi. Magari quella bevanda amara mi avrebbe aiutata a riprendermi un po’.

Dopo aver preso le ordinazioni, scrivendole in un blocchetto che portava nel taschino della camicia, fece per portarle al bancone, ma si fermò d’improvviso, come se si fosse dimenticato qualcosa di fondamentale importanza. Ritornò al nostro tavolo e si rivolse a me, con un’espressione poco soddisfatta: - When we meet for my Italian lesson? 4

A quelle parole condivisi il suo stato d’animo e risposi apatica: - tomorrow afternoon? – 5

Lui annuì. – Yes, it’s perfect – commentò, per poi sorridere timidamente alle mie amiche e tornare al suo lavoro.

Appena si allontanò mi lasciai andare ad un sospiro che certo non sfuggì a Francesca, seduta al mio fianco. – Cos’è successo? –

- Nulla, Luca mi ha solo chiesto di dare a Matt qualche lezione d’italiano – spiegai, guardando distrattamente il bordo del tavolino, senza accorgermi dello sguardo scettico che mi riservò Francesca.

- Allora si può sapere perché tutti questi sospiri? Mi sembri riluttante all’idea… eppure non mi pare che tu abbia mai avuto problemi a rapportarti con ragazzi dell’altra sponda – osservò, ancora più sospettosa.

Sospirai ancora; non avrei avuto intenzione di raccontarle ciò che era successo, ma dovevo immaginare  che si sarebbe accorta che qualcosa non andava. Aspettai qualche secondo per radunare le idee e cominciai a raccontarle di quella maledetta notte, mentre aspettavamo che il cameriere ci portasse ciò che avevamo ordinato.

 

Mi infilai un top senza spalline a fantasia floreale, un paio di shorts, mi sistemai un po’ i capelli castani lunghi fino alle spalle ed uscii di casa dopo aver salutato mamma e Angela che era intenta a dipingere con i colori che le avevo regalato il giorno prima.

Il mio cuore galoppava un po’ mentre pedalavo verso l’appartamento di Luca, ma nulla   che non si potesse controllare: in fondo non potevo combinare null’altro di male dopo ciò che era successo. Peggio di così non poteva proprio andare.

L’abitazione di Luca si trovava da tutt’altra parte della città rispetto alla mia casetta a schiera, in una zona dove un affitto era decisamente meno costoso rispetto ad altri quartieri. D’altronde Luca, lavorando appena da un anno, non si poteva permettere chissà quale casa di lusso.

Il loro appartamento, tutto sommato, era grazioso: una piccola cucina che Luca teneva scrupolosamente in ordine, un salotto al cui centro si trovava un divano beige in tinta col tappeto e con le mensole alle pareti, una camera da letto matrimoniale, un bagno piccolo ma adatto alle loro esigenze.

Quando Matt aprì la porta d’ingresso, trovandomi un po’ trafelata per aver fatto tutti e tre i piani di scale di corsa, mi rivolse un bel sorriso e mi fece entrare spostandosi dalla porta.

- Permesso – dissi, un po’ titubante.

- Avanti – rispose prontamente lui, indicandomi che potevo accomodarmi in cucina.

Mi ci diressi, ma non prima di aver dato uno sguardo in giro: erano passati mesi dall’ultima volta che avevo fatto visita a Luca e notai che aveva fatto qualche cambiamento. Il divano, infatti, era stato spostato dal muro, dove era stata piazzata una ciclette e sulla parete destra avevano appeso un quadro d’arte moderna a motivi geometrici.

Matt mi fece sedere al tavolo della cucina e, dopo aver spostato il vaso a centro tavola, si sedette di fianco a me. Nel frattempo tirai fuori da una sporta del materiale che avrebbe potuto servirci: i miei vecchi quaderni e i libri di scuola.

Contrariamente a quanto mi aspettassi, mi sentivo abbastanza a mio agio, anche se l’assenza di Luca mi turbava un po’. Mi avrebbe fatto piacere avere la compagnia del mio migliore amico in quel momento.

- Where is Luca? 6domandai, sperando in fondo al cuore che tornasse mentre facevamo lezione.

- He’s working…  7- rispose rapidamente, probabilmente impaziente di cominciare il suo studio.

Non mi stupii della risposta: in fondo immaginavo che dopo la vacanza a Londra avrebbe ricominciato a lavorare. Cercai di non preoccuparmene, concentrandomi invece su ciò che avrei dovuto insegnare a Matthew.

Non sapevo quale fosse il suo livello e, per avere un’idea su che cosa lavorare, decisi di testare le sue conoscenze.

Perciò chiusi i libri e lo fissai negli occhi color del mare, in cui scorsi qualche venatura grigiastra. Lo vidi agitarsi un po’ sotto il mio sguardo, mentre le gote si coloravano di rosso, così decisi di distoglierlo: l’ultima cosa che  volevo era incutere timore.

Eppure non ci riuscii: i suoi occhi mi avevano letteralmente ammaliata, soprattutto accompagnati da quella sua aria tenera. Allora sorrisi. – Parlami un po’ della tua famiglia, dei tuoi hobby… di ciò che vuoi – esordii semplicemente.

Matt esitò qualche secondo, probabilmente nel tentativo di raccogliere le idee, poi cominciò a parlare un po’ titubante.

Io semplicemente mi limitai ad ascoltare, a porgli qualche domanda, sinceramente incuriosita dalla sua vita: in fondo mi interessava scoprire qualcosa di più di lui, non solo come compagno di Luca. Magari il nostro piccolo incidente ci avrebbe fatto diventare amici così come lo ero con il suo ragazzo.

Mi raccontò della famiglia, mi descrisse brevemente la sua casa e qualche particolare della Londra che conosceva. Certe volte si fermava, non riusciva più a trovare le parole per continuare, ma io non suggerivo: aspettavo che fosse lui a trovare un altro modo per esprimere lo stesso concetto con parole che conosceva.

Escluse pause varie, parlammo per una mezzoretta, poi decisi di fare un ripasso dei verbi, soprattutto dei tempi al passato in cui aveva qualche difficoltà. Dopodiché dichiarai conclusa la lezione.

- Thank’s… you’re a very good teacher!8si complimentò con un sorriso divertito mentre riponevo nuovamente i libri nella sporta.

- And you’re too kind! 9replicai, facendolo arrossire leggermente.

Mi alzai dalla sedia, dirigendomi lentamente verso la porta, accompagnata da Matt. – Has Luca realized something about… the night when…? 10 - domandai, facendomi seria. Rivangare nuovamente quella storia era imbarazzante e masochistico, ma Matt non si scompose; sembrava quasi che per lui si trattasse di una domanda come un’altra.

- No, I’m careful to not say anything about the party 11disse, aggrottando la fronte e mostrando così quanto in realtà la cosa lo preoccupasse.

- Me too 12conclusi.

Matt aprì la porta e dopo averlo salutato me ne andai un po’ dispiaciuta: in fondo mi ero divertita a fare l’insegnante.

 

***

Traduzioni:

1 Perché sei qui?

2 E’ il mio nuovo lavoro… volevano qualcuno che sapesse l’inglese e così…

3 Sono qui

4 Quando ci incontriamo per la lezione di italiano?

5 Domani pomeriggio?

6 Dov’è Luca?

7 Sta lavorando

8 Grazie, sei davvero una brava insegnante!

9 E tu sei troppo gentile!

10 Luca ha capito qualcosa riguardo… alla notte in cui…

11 No, sono attento a non dire nulla riguardo alla festa

12 Anche io

 

***

 

Angolo autrice:

eccoci qui al decimo capitolo… la storia sta entrando veramente nel vivo, chissà come proseguiranno le lezioni d’italiano e le relazioni fra i nostri personaggi! ;) Beh, per saperlo l’unica cosa che si può fare è continuare a seguire…

Sono contenta che si sia aggiunto qualcun altro ai miei lettori e ne approfitto quindi per ringraziare coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, le 15 anime che hanno aggiunto la storia fra le seguite, le 5 che l’hanno messa nelle ricordate e quelle pie e santissime che l’hanno addirittura inserite fra le preferite! Grazie di cuore!

Spero che anche il proseguimento della storia sia altrettanto gradito

 

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Capitolo 11
*** Tutto sistemato ***


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11 Tutto sistemato

 

Mi stavo lavando i denti dopo aver fatto colazione.

Il telefono squillò, squillava incessantemente con quella suoneria distruggi-timpani che avevo scordato di cambiare.

Subito i nervi salirono a fior di pelle: se c'era una cosa che mi innervosiva era quando il telefono suonava mentre mi trovavo in bagno. Esso era un luogo sacro: mi regalava istanti di quiete e relax e non potevo sopportare quando questi venivano spezzati con tanta brutalità.

- Arrivo! - gridai ancora con la bocca impastata di dentifricio. Urlare agli squilli del telefono era un vizio che avevo preso da mia madre e, per quanto lo odiassi, non potevo eliminarlo.

Mi asciugai velocemente e, una volta giunta in camera, spinsi il pulsante verde sul cellulare.

- Pronto? - dalla mia voce traspariva perfettamente la mia irritazione.

- Ehi, ti disturbo? - chiese la voce di Giulia dall'altro capo. Nella foga di rispondere non avevo nemmeno controllato chi mi chiamava.

- No, no, tranquilla... cosa volevi? - domandai, cercando di far tornare i nervi al proprio posto.

- Volevo solo chiederti com'era andata la lezione d'italiano con Matt -

- tutto a posto, penso che ormai si sia tutto sistemato - affermai cercando di convincere anche me stessa. Certo, alla lezione non era accaduto nulla, ma ce n'erano molte altre prima di poter dire che il pericolo era scampato.

- Sicura?

La odiai per inserirmi quella maledetta pulce nell'orecchio, ma decisi che dovevo mostrarmi risoluta.

- Sicurissima -

- speriamo... certo che questo proprio non ci voleva: forse per dimenticare tutto avresti avuto bisogno di non vederlo per un po' - osservò Giulia.

Sospirai. - Purtroppo ciò non sarebbe stato possibile: ti ricordo che è il ragazzo di Luca, il mio migliore amico e oltretutto ora lavora anche nel nostro bar preferito. Per non vederlo mi dovrei segregare in casa.

Anche Giulia sospirò. - Però le lezioni di italiano si potevano evitare... -

- sai che è impossibile dire di no a Luca.

La sentii sospirare ancora. Era una triste verità: il mio era un caso disperato e il destino non sembrava avere pietà di me.

- Va bene, allora ci vediamo oggi pomeriggio? - domandò Giulia.

- Sì, va bene -

- penso venga anche Luca - precisò con un tono strano, probabilmente con l'intenzione di darmi il tempo di prepararmi psicologicamente.

- A dopo allora! -

Ci salutammo e chiusi la comunicazione con un lieve sorriso. Nonostante mi avesse disturbata nel momento peggiore, ero contenta che Giulia mi desse un po' di conforto anche attraverso il telefono.

Aprii l'armadio in cerca di qualcosa da mettermi: mi aspettava un'uscita con Nicholas per il parco. Per quanto fosse pericoloso, avevo davvero voglia di vederlo. Immaginai le sue labbra che si posavano sulle mie, il suo abbraccio confortante ed ebbi un brivido di trepidazione.

Diedi un breve sguardo alla sveglia a forma di mucca appoggiata sul comodino: erano già le nove e quarantacinque, dovevo assolutamente sbrigarmi se volevo arrivare in orario.

Invece di riflettere con concentrazione di fronte all'armadio in cerca dell'abbinamento perfetto, afferrai le prime cose che mi capitarono davanti agli occhi, controllando semplicemente che i colori non facessero a pugni l'uno con l'altro.

Mi infilai velocemente gli shorts con effetto strappato e un top a righe bianche e azzurre con un fiocco sul seno. Calzai i sandali; erano a infradito con qualche pietra colorata che ricordava vagamente il mare. Li avevo comprati soltanto qualche giorno prima e quella mi sembrava una bella occasione per metterli: mi sentivo stranamente più ottimista dei giorni precedenti e bruciavo dal desiderio di rivedere Nick, per cui vi erano validi motivi per festeggiare indossando i nuovi sandali.

Dopo aver preso borsa e cellulare ed essermi data un filo di trucco, uscii di casa per poi inforcare la solita vecchia bicicletta e pedalare verso il parco.

Mi sentivo felice mentre l'aria faceva sventolare la parte inferiore del mio top, sfiorandomi i fianchi con la stoffa. Già mi immaginavo il volto di Nick davanti a me, le sue mani che accarezzavano i fianchi...

Oltrepassai il cancello di ferro battuto, trattenni il respiro, pronta a vederlo aspettarmi vicino all'entrata. Espirai, delusa; lui non c'era.

Non mi preoccupai troppo. Scesi dalla bici e una volta aver fatto scattare il cavalletto, mi sedetti sul bordo della fontana, perdendomi nell'osservare l'acqua sgorgare dalle bocche delle statue.

Stetti lì, immobile, per un tempo imprecisato, mentre la mia mente vagava in pensieri che per una volta erano ben lontani dalla maledetta festa. Che stessi finalmente cominciando a superare la cosa?

Pensavo invece a Nick, al nostro primo bacio sulla panchina non lontana da lì e alla prima volta che avevamo fatto l'amore. Era stata la prima in assoluto per me, sul letto di casa sua con le coperte color verde acqua e i suoi occhi scuri fissi nei miei. Pensavo che non l'avrei fatto più con nessun altro, chi avrebbe mai detto che invece mi sarei concessa da ubriaca a un ragazzo gay?

Per un attimo mi parve come di uscire dal mio stesso corpo e vedere la cosa da un punto di vista oggettivo, senza altri coinvolgimenti.

Era stato diverso con Matt. Non avrei saputo dire se era stato più o meno bello che con Nick, era solamente diverso. Avevo provato sensazioni completamente differenti: i suoi tocchi erano stati scosse elettriche, le carezze di Nick invece erano petali di rosa, dolci e delicati. Niente a che vedere con il travolgente desiderio che avevo provato con Matt.

Staccai gli occhi dall'acqua zampillante, mi voltai verso il cancello, sperando di vedere Nick varcarlo e raggiungermi, ma non successe. Soltanto una vecchietta bionda tinta in bicicletta spuntò sul vialetto del parco.

Sospirai. Dov'era finito? Era quasi passata mezzora!

Estrassi il cellulare dalla tasca e, dopo aver cercato il suo numero in rubrica, lo chiamai. Subito mi rispose la segreteria telefonica: ce l'aveva spento.

Imprecai fra me e me mentre infilavo il cellulare nella borsa. Cercai di immergermi nuovamente nei pensieri, ma mi fu impossibile: stavo cominciando ad innervosirmi.

Restai per un tempo infinito a osservare ancora l'acqua zampillare, con gli occhi spalancati e persi nel vuoto, mentre i nervi si tiravano come le corde di un violino.

D'improvviso il cellulare squillò, avvisandomi dell'arrivo di un messaggio. Tirai un sospiro di sollievo, convinta che fosse Nick e che mi stesse avvisando del ritardo, ma come scoprii premendo il tasto centrale, era mia madre che mi chiedeva di tornare a casa per le undici e mezza.

Il nervosismo cominciò a trasformarsi in irritazione e se lui non fosse arrivato entro cinque minuti, sarebbe giunto all'ultimo stadio: la rabbia.

Aspettai impaziente, il piede che tamburellava sul porfido del vialetto, sul viso un'espressione che allontanava chiunque si avvicinasse alla fontana. Passarono cinque minuti, poi dieci, un quarto d'ora e la rabbia ormai aveva preso in me la sua fissa dimora.

Provai a richiamare, ma il cellulare continuava ad essere staccato. Poi, quando ormai era passata mezzora, lo vidi entrare nel parco con un bel sorriso stampato sul viso.

Se fino a poco prima sarei stata felice di vederlo, in quel momento dovetti trattenere l'istinto di strozzarlo. Aveva un sorriso troppo aperto per aver fatto attendere per un'ora la sua ragazza.

Lui allargò le braccia, pronto ad accogliermi fra di esse, io invece incrociai le mie. E come molti sanno, nel linguaggio della comunicazione tenere le braccia conserte equivale a una totale chiusura al dialogo.

Il sorriso di Nick si spense. - Che c'è? -

- Hai notato che ore sono? - la mia voce era piatta, non lasciai trapelare alcun sentimento. Lui non rispose e alzò solamente le sopracciglia.

- Te lo dico io: sono le undici e ci dovevamo incontrare alle dieci - questa volta lasciai che la mia rabbia fuoriuscisse, non solo dalla mia voce, ma anche dalla mia espressione.

Nick si avvicinò lentamente, così come si farebbe con una bestia feroce perché non attacchi.

- Scusami, davvero... questa mattina non dovevo lavorare e mi si è scaricato il cellulare durante la notte, così non è suonata la sveglia - disse, sembrava seriamente dispiaciuto.

La mia rabbia si placò leggermente, sebbene quelle parole non mi convincevano del tutto: suonavano come una scusa.

Si avvicinò ancora, appoggiò le mani sulle spalle, accarezzandole dolcemente. - Mi dispiace tantissimo - mi sollevò con un dito il mento - ogni tanto può capitare di fare uno sbaglio, non credi?

La sua voce era vellutata e riuscì a fare breccia nella spessa corazza che la rabbia aveva costruito dentro di me, la distrusse completamente con un sol colpo.

- Mi perdoni? - chiese, fissandomi con quegli occhi magnetici a cui non riuscii a resistere. - Sì, ti perdono.

Si avvicinò e ci baciammo dolcemente, sfiorò le mie labbra come fossero fiori che con un tocco più deciso avrebbero potuto appassire.

Ciò fu sufficiente per farsi perdonare; che le sue parole fossero state vere o no, quel bacio bastò a spazzare via ogni dubbio, sia su di me che su di lui. Per la mezzora che restammo insieme, tutto il resto scomparve.

 

Il bar quel pomeriggio era più pieno del solito, probabilmente a causa di un gruppo di turisti tedeschi che lo aveva affollato.

Mentre io, Giulia e Francesca bevevamo un caffè e Luca leggeva il giornale per aggiornarsi sugli ultimi avvenimenti, non facevamo che ridere nell'osservare come Matthew cercasse disperatamente di soddisfare quegli esigenti turisti che, oltre alle ordinazioni, chiedevano informazioni sui luoghi da visitare in zona.

- Am I a tourist guide? 1- sbottò proprio in quel momento Matthew, evidentemente esasperato dall'ennesima richiesta di informazioni turistiche.

Il turista, un uomo alto con un cappello in testa e due belle guance rosse, lo squadrò contrariato e si allontanò senza rispondere.

Io, vedendo la buffa scena, scoppiai a ridere, rischiando di sputare il caffè che avevo appena bevuto.

- Povero Matthew - commentò Giulia fra le risate.

- Sì, dovremmo smetterla di ridere... pensate essere al suo posto! - osservò Luca, appoggiando sul tavolo il giornale che stava leggendo. Nonostante cercasse di rimanere serio, era chiaro che riusciva a trattenere a stento le risa.

- Hai ragione, ma fa davvero troppo ridere! - dissi, cercando di calmarmi.

Fortunatamente il proprietario del bar ebbe pietà vedendo Matthew così provato - i capelli biondi scompigliati, gli occhi stralunati - e decise di lasciarlo andare.

Lo vidi così togliersi il grembiule nero, sbottonarsi un po' la camicia bianca e uscire dal bancone, finalmente col sorriso sulle labbra.

- Non ti piaceva quel bell'omone tedesco? - scherzai appena si sedette al nostro tavolo, guardandolo negli occhi azzurri.

Dopo la mattina che avevo passato con Nicholas ero davvero convinta che che ciò che era successo con Matt non mi avrebbe più causato problemi, ero finalmente nuovamente sicura di ciò che provavo e non avevo più nessuna paura a scherzare con lui.

- Oh... era davvero bello! - rispose lui stando al gioco, con quel suo accento che mi fece ridere ancora di più.

Anche il suo viso era illuminato da un bel sorriso e mi guardava coi suoi penetranti occhi azzurri che però questa volta non mi fecero più alcun effetto.

- La prossima volta allora vogliamo il bacio! - esclamai ancora.

Fra le risate generali, mi lanciò in viso uno straccio che si stava rigirando fra le mani e che aveva evidentemente dimenticato di depositare. - Scema! - esclamò.

Io rimasi leggermente stupita da quell'insulto e, invece di rilanciare lo strofinaccio a Matt, lo lanciai verso Luca che emise un gemito sorpreso. - Ehi! -

- Gliel'hai insegnato tu, vero?

Lui ridacchiò con aria furba. - Certamente e gli ho insegnato molte altre cose! -

- stronzo, testa di cazzo, pezzo di merda - disse Matt sottovoce, probabilmente attento che negli altri tavoli non lo sentissero. Anche lui aveva stampato lo stesso sorriso furbo di Luca, un sorriso che trovai estremamente sexy (oggettivamente parlando, ovviamente non avevo nessun interesse).

Tutti scoppiarono a ridere ancora, più forte di prima e dal tanto che risi mi venne perfino mal di pancia e le lacrime agli occhi.

- Gli italiani hanno molte parolacce - commentò ancora Matt, provocando un'altra raffica di risa.

 

Mentre tornavo a casa mi sentivo veramente felice come non lo ero da giorni. Nonostante la litigata, quella mattina ero stata bene con Nick senza ripensare più morbosamente a quella notte e nel pomeriggio mi ero divertita come non mai.

Ero finalmente fiduciosa: le cose potevano andare bene anche a me.

 

***

Traduzioni

 

1 Sono una guida turistica?

 

***

 

Angolo autrice: dopo un po' di tempo, ecco qui l'undicesimo capitolo! Spero che nonostante il tempo passato ci sia ancora qualcuno disposto a leggere e recensire, mi farebbe enorme piacere!

Scusate per l'inserimento di parolacce, ma non potevo rendere il concetto in altro modo!

 

Ciao a tutti e al prossimo capitolo! 

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Capitolo 12
*** Turbamento ***


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12. Turbamento

 

Per quanto mi frustrasse l'idea, in quell'afosa mattina di luglio, decisi di estrarre il libro di matematica dal cassetto della scrivania. L'avevo riposto lì nel momento esatto in cui avevo messo piede in camera dopo l'ultimo giorno di scuola: la mia intenzione era quella di non averlo sotto gli occhi per almeno un mese.

Tale arco di tempo era passato abbondantemente e, dopo vari ripensamenti, avevo respinto le sensazioni sgradevoli che accompagnavano la vista dei libri di scuola durante le vacanze e avevo cominciato a fare qualche esercizio. Non certo perché ero una studentessa diligente - anzi, spesso studiavo anche meno del minimo necessario - ma semplicemente perché ero riconoscente al professore che mi aveva graziata agli scrutini dell'ultimo quadrimestre.

Nonostante questo incredibile gesto di pietà, sapevo più che bene che non avrebbe più avuto alcuna forma di compassione di fronte alla mia mancanza d'impegno.

Mi ero decisa così a lavorare sodo; ero riuscita perfino a resistere alle suppliche di Giulia che mi aveva domandato in ginocchio di uscire con lei.

Anche le urla dei bambini che giocavano nel cortile mi invitavano a lasciare la camera, ma non avevo nessuna intenzione di abbandonare il campo.

Ero immersa fino al collo in esercizi sui limiti, quando il computer, che avevo dimenticato acceso, produsse l'inconfondibile suono che avvisava di un messaggio in chat.

Voltai soltanto leggermente la testa, intravedendo lampeggiare un'icona arancione sul desktop.

La mia concentrazione si dissipò in un batter d'occhio: sentii una forza attirarmi verso il monitor, estraendomi lentamente da quel mondo di numeri in cui avevo tentato di chiudermi.

Feci appello alla mia forza di volontà che mi costrinse a ritornare con lo sguardo sul foglio, ignorando il messaggio che mi aspettava.

Per qualche minuto rimasi nuovamente in pace, concentrandomi sui numeri e sulle lettere che cominciavano lentamente a confondersi fra loro. Poi un altro suono ruppe la quiete, facendomi sobbalzare: questa volta si trattava del bip del cellulare.

A quell'ultimo richiamo non seppi proprio resistere: mi alzai dal letto come una molla e mi sedetti alla scrivania.

Lessi il messaggio che mi era appena arrivato: "Lezione oggi pomeriggio?".

Mi era stato inviato da un numero sconosciuto e la persona in questione non si era nemmeno firmata, ma non ebbi difficoltà a capire di chi si trattasse.

Stetti per qualche secondo ad osservare lo schermo che diveniva sempre meno luminescente, pensando a una possibile risposta.

Se dovevo essere sincera, non avevo nessuna intenzione di impartirgli altre lezioni, almeno non dopo che l'equilibrio era stato ristabilito. Avrei preferito di gran lunga trascorrere un pomeriggio fra le braccia di Nick, consolidando ancora di più la situazione, ma era anche vero che non potevo sottrarmi all'impegno. In fondo non era gentile negare il mio aiuto a Matthew: aveva bisogno di lezioni e io ero la persona più qualificata che potesse offrirgliele senza spendere un quattrino, senza contare che Luca si sarebbe offeso.

"Certamente, ci incontriamo alle quattro?" scrissi velocemente, per poi inviare.

A quel punto mi dedicai al computer, dove un'icona in basso lampeggiava instancabilmente. Ci cliccai sopra: si trattava di Luca.

"Uno di questi giorni usciamo?" recitava il messaggio.

Mi morsi un labbro; uscire con Luca era anche più pericoloso di una lezione di italiano con Matt, ma anche questa volta non avevo scelta. D'altronde, per quanto mi sentissi in colpa, avevo voglia di uscire col mio migliore amico.

"Ok, magari domani o dopodomani! Oggi comunque vengo da te per la lezione di Matt" risposi a Luca.

Immediatamente la chat si illuminò ancora. "Perfetto, allora ci mettiamo d'accordo dopo!"

Restai qualche secondo con le mani sulla tastiera, poi espressi il dubbio che mi aveva toccata nel momento in cui avevo ricevuto il messaggio di Matthew. "Hai dato tu il mio numero a Matt?"

Anche questa volta la risposta non si fece attendere. "Sì, me l'ha chiesto qualche giorno fa per chiederti delle lezioni. Non dovevo?"

"No, tranquillo. Era solo curiosità" mi affrettai a scrivere.

"Ok, allora ci vediamo dopo!" concluse Luca.

Scrissi un piccolo saluto e chiusi la finestra, mentre il bip del cellulare mi ricordava dell'arrivo di un messaggio. "Sì, ti aspetto! see you later! " vi era scritto.

Appoggiai il cellulare sulla scrivania, spensi il computer e mi dedicai agli esercizi di matematica una volta per tutte.

 

Inforcai la bicicletta, diretta verso l'appartamento di Luca e Matthew. Pedalavo lentamente, guardandomi attorno e cercando di concentrarmi sul traffico: non era la prima volta che qualche auto suonava il clacson, mentre il conducente mi ricopriva d'insulti perché gli avevo tagliato la strada. Soltanto il pensiero che da lì a qualche mese avrei dovuto cominciare a mettermi alla guida mi faceva rizzare i capelli in testa.

Mentre già la mia mente si era persa in tali considerazioni, notai una figura familiare seduta sui gradini davanti a un portone.

Subito inchiodai e l'auto dietro di me suonò il clacson, per poi superarmi e lanciarmi uno sguardo tagliente.

Non me ne curai: i miei occhi erano già puntati verso il ragazzo dall'altra parte della strada.

Aspettai che le carreggiate si liberassero e attraversai, stupendomi del fatto che lui non si fosse accorto di me. - Ehi! - esclamai, cercando di attirare la sua attenzione.

Nick sollevò la testa. Nei suoi occhi nocciola passò prima stupore e poi una punta di malinconia che mi sorprese alquanto.

Le sue labbra si tirarono in un sorriso un poco forzato.

- Non sei contento di vedermi? - gli domandai, mentre la malinconia si faceva strada anche in me.

Si alzò in piedi e mi appoggiò una mano sul fianco, attirandomi lentamente a sé.

- Certo che sono contento - tali parole, però, non suonarono alle mie orecchie così sincere.

Nascosi quella considerazione in un angolino della mia mente, cercando invece di concentrarmi sulla fortuna di averlo incontrato per caso.

Mi baciò, stringendomi a sé, mentre io allungavo le braccia attorno al suo collo. Eppure, anche in quel momento, non potei evitare di notare che non mi era parso un bacio così entusiasmante.

- C'è qualcosa che non va? - gli domandai.

Lui sollevò un sopracciglio e si scostò, per poi sedersi nuovamente sui gradini. - No - disse semplicemente.

Dentro di me qualcosa cominciò a smuoversi, una sensazione che mi attanagliò la bocca dello stomaco: rabbia.

Sospirai, cercando di ignorare quel fastidio: d'altronde ormai conoscevo Nick e sapevo più che bene che certe volte era dolce come un cucchiaio di miele e altre brusco e malinconico. La sua natura incostante non era un mistero, eppure non riuscivo a non irritarmi.

- Perché non mi vuoi dire cosa è successo? -

- Non è successo nulla.

Cercai di guardare altrove, perdendomi nell'osservare un'auto color verde acqua giungere da destra. Tentai di trovarci qualcosa di rilassante, ma non ci riuscii.

- Odio quando fai così! - commentai.

Lui allungò la mano verso di me, con l'intenzione di afferrare la mia per calmarmi, ma io mi scansai.

- Non è necessario che ti sforzi: è chiaro che non hai voglia di vedermi, quindi ora me ne vado perché ho un appuntamento e sono anche in ritardo! - esclamai, inforcando già la bicicletta.

Mentre mi immettevo sulla strada, scansando un pedone che stava per attraversare nel punto sbagliato, speravo che lui mi chiamasse a gran voce o che mi rincorresse per scusarsi, ma non lo fece. D'altronde ero sicura che non l'avrebbe fatto: non era una persona da gesti così plateali. Finché si trattava di baci, di carezze al parco o lungo le strade tutto andava per il meglio, ma quando era necessario mettere da parte l'orgoglio, non se ne parlava neanche. Quale disonore inseguire una donna!

Quando suonai il campanello a casa di Luca, ancora il sangue ribolliva nelle vene, ma cercai di fare buon viso a cattivo gioco.

La porta si aprì, rivelando il viso di Matthew che si piegò leggermente di lato vedendo il mio aperto sorriso.

- Perché mi guardi così? - gli chiesi oltrepassando la soglia.

- Sei... strana - rispose lui, facendomi segno di dirigermi verso la cucina come l'ultima volta.

Mi sedetti a tavola, appoggiando la borsa con i quaderni sulla sedia di fianco a me. - Mi sembra di essere come al solito - mentii, sentendo ancora la rabbia mangiarmi lo stomaco.

- Tuo sorriso non era vero - replicò, senza rivolgerle lo sguardo perché intento a sistemare qualche tegame rimasto dal pranzo.

Sospirai, accorgendomi con un pizzico di amarezza che negli ultimi tempi avevo mentito talmente tanto che non ero più in grado di far sembrare vere le mie bugie.

- Forse altri non capiscono, ma ho mentito tanto e ormai io capisco se altri mentono - spiegò, rivolgendomi un leggero sorriso, per poi riporre un piatto pulito.

Mentre si spostava per la cucina lo sguardo non poté non fermarsi sul suo sedere sodo, messo in evidenza da un paio di pantaloncini sportivi che a mio parere gli donavano fin troppo.

Mi imbarazzai nell'accorgermene e mi affrettai a osservare l'orologio dalla cornice di legno appeso sopra il frigorifero, concentrandomi su ciò che aveva appena detto.

- Sono arrabbiata con Nick - dissi infine, capendo che probabilmente voleva che gli dicessi cosa era successo.

- Avete... litigato? - domandò, incerto sull'ultima parola.

- No, sono andata via prima - gli risposi mentre lui si sedeva di fronte a me.

Mi faceva uno strano effetto parlare a lui di Nick, o forse in generale trovavo strano parlargli delle mie questioni sentimentali, probabilmente perché ancora non eravamo così in confidenza.

Lui sollevò le sopracciglia ed annuì. - Dobbiamo cominciare la lezione - osservò.

Prima che potessi rispondere, Luca spuntò dalla porta della cucina, con il suo solito sorriso solare stampato sul viso; soltanto questo riuscì a mettermi di nuovo di buon umore.

- Allora, si studia qui? - domandò.

- A dire il vero non abbiamo ancora iniziato - risposi.

Si avvicinò al lavello e, dopo aver estratto un bicchiere dal mobiletto in alto, aprì il rubinetto e lo riempì d'acqua. - Mi raccomando, sii severa perché Matthew non è proprio uno studente modello! - scherzò, avvicinandosi al suo ragazzo e appoggiandogli una mano sulla spalla.

Lui sorrise, scuotendo la testa sconsolato. - I was the best student of the class! - 1 obiettò.

- Davvero?! - esclamai, favorevolmente sorpresa.

Lui annuì e, forse per la prima volta, lo vidi veramente orgoglioso di sé.

- Posso assistere anche io a questa interessante lezione? - chiese Luca e, senza nemmeno aspettare una risposta, si sedette di fianco a me, accavallando le gambe in un modo davvero poco mascolino. In quel momento constatai che probabilmente era proprio lui il passivo della coppia; d'altronde Matthew mi aveva dimostrato di saper cavalcare alla perfezione, perciò mi veniva facile immaginarlo come partecipante attivo.

Il corso di quegli imbarazzanti pensieri mi portò su sentieri che non avrei dovuto percorrere. D'improvviso rividi Matthew sopra di me, che si alzava ed abbassava, i suoi sospiri che mi accarezzavano la guancia, il mondo che ondeggiava al di là delle sue spalle.

- Ehi?! Terra chiama Ale! - esclamò Luca, muovendo una mano davanti ai miei occhi e risvegliandomi da quella sottospecie di trance a cui mi avevano condotta i pensieri.

Un risolino imbarazzato fuoriuscì dalla bocca prima che lo potessi impedire e si fece più acuto nel notare con che espressione perplessa mi stessero osservando i due ragazzi.

- Scusate, ero sovrappensiero - mi giustificai, anche se ormai avevo fatto l'irreparabile figura dell'idiota.

Luca si lasciò andare a una risata che rimbombò per la cucina. - Sembrava avessi una paresi! - cercò di tornare serio, ma la malizia prese subito il posto del divertimento. - Erano pensieri sconci?-

- Ma che cosa dici?! - sbottai, indignata. - E' meglio che cominciamo la lezione: abbiamo già parlato troppo! - conclusi, estraendo da un quaderno la scaletta della lezione.

 

Dopo aver fatto un breve ripasso dei verbi, gli consegnai un foglio in cui avevo stampato un brano estratto da un libro che avevo letto da bambina: pensavo fosse proficuo che facesse qualche esercizio di lettura.

- Quella sera i gatti si stupirono che la gabbianella non venisse a mangiare il suo piatto preferito: i calamari che Segretario trafugava nella cucina del ristorante. Molto preoccupati... - leggeva Matt, il gomito a sostenere la testa.

Ovviamente non aveva una lettura fluida e molto spesso si inceppava su qualche parola, risultando noioso alle orecchie di Luca che, a differenza mia, non aveva il compito di correggerlo laddove sbagliava.

Luca, infatti, a un certo punto si alzò dalla sedia e se ne andò in salotto.

Io invece rimasi lì, guardandolo mentre leggeva; gli occhi che seguivano le righe del foglio e la bocca che si muoveva a formare le parole.

Notai che aveva le labbra rosee e sottili, in contrasto con la sua pelle diafana. Dei flash mi inondarono nuovamente la mente prima che fossi abbastanza veloce per fermarli: quelle labbra che si posavano sulle mie leggermente, You're beautiful sentii riecheggiare nella testa.

- Ehi!

La voce di Matt mi arrivò lontana, mi risvegliai solamente vedendo le sue labbra, che stavo fissando intensamente, fermarsi e rimuoversi d'un colpo.

Feci uno scatto improvviso, mossi il braccio verso destra e la matita cadde dal tavolo.

Mi piegai istintivamente per riprenderla, ma ci abbassammo tutti e due nello stesso momento. La mia mano appoggiata sulla matita a terra, la sua sulla mia.

Il tempo parve arrestarsi, come cristallizzato. Voltammo gli occhi l'uno verso l'altro: i suoi parvero perforarmi, i miei lo fissarono quasi timorosi. Timorosi perché ogni protezione eretta crollò, ogni certezza si sgretolò in quel medesimo istante.

Feci per rialzarmi con la matita in mano, ma lui la trattenne, stringendola. E solo allora colsi che c'era qualcosa di diverso nel suo sguardo: preoccupazione, turbamento, meraviglia. Forse anche lui non aveva dimenticato del tutto.

- Scusa - sussurrò, con un velo d'imbarazzo.

- Tranquillo... direi che per oggi basta così - mi affrettai a dire, chiudendo il libro in tutta fretta.

Mi tremavano le mani, erano diventate gelide nonostante il caldo estivo.

Dovevo andarmene al più presto, dovevo andare via prima di... no, non voglio neanche saperlo.

Raccolsi la mia roba nel minor tempo possibile, evitando di incontrare il suo sguardo.

- Grazie della lezione - disse lui, cercando di suonare calmo, ma capii il suo turbamento da come si torturava una pellicina del pollice.

- Di niente - risposi, mentre mi avviavo verso la porta.

Salutai Luca e, dopo aver salutato anche Matt con un sorriso imbarazzato, ritornai a casa più scossa che mai.

 

***

Traduzioni

 

1 Ero il miglior alunno della classe

 

 

 

***

Angolo autrice:

dopo un bel po' di tempo, eccomi con il dodicesimo capitolo...

Innanzitutto un piccolo appunto: il brano citato è tratto da "La gabbianella e il gatto" che tutti conoscerete.

A parte ciò non ho molto altro da dirvi se non esprimere la speranza che ancora qualcuno segua questa storia. Chi passa di qua non esiti a inserire una recensione!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Come una tartaruga senza guscio ***


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13. Come una tartaruga senza guscio

 

Mi passai una mano fra i capelli, cercando di sistemarli dopo il viaggio in bicicletta, mi tirai giù la canottiera a fiori sul dietro e suonai il campanello con un sospiro. In fondo non dovevo preoccuparmi: era tutto assolutamente normale. Non si trattava di nient'altro che una delle solite uscite con il mio migliore amico, quelle che avevo sempre affrontato col sorriso sulle labbra e in cui mi ero divertita come una scema. Conoscevo Luca dalla prima media e l'idea di incontrarmi con lui non doveva neanche lontanamente spaventarmi.

Dovevo dimenticare, fare finta di non essere mai andata a letto col suo ragazzo. O forse dovevo solo sminuire il fatto di fronte alla mia coscienza, magari mi avrebbe aiutata. Non è stato che un piccolo errore, causato dall'alcol che avevi in corpo: non devi sentirti così in colpa. Luca non lo verrà a sapere. E' tutto normale, mi dissi.

Avrei voluto continuare su quella strada, ma la porta si spalancò e spuntò il viso angelico di Matthew su cui albergava un delizioso sorriso.

Sospirai di sollievo vedendolo: ormai mi ero abituata, grazie alle lezioni di italiano, a essere a contatto con lui. Soltanto qualche volta avevo momenti di defaillance in cui la sua presenza mi turbava, ripensando agli avvenimenti di quella notte.

- Luca sta facendo la doccia. E' in ritardo - spiegò, spostandosi per lasciarmi entrare in casa.

Annuii leggermente, sentendomi momentaneamente più tranquilla di fianco a lui: sapevo che in momenti di difficoltà lui mi avrebbe aiutata, come già aveva fatto. In fondo io e lui eravamo sulla stessa barca.

Mi sedetti sul divano beige, affondando nella pelle morbida, il mio sguardo si perse nelle forme geometriche del quadro appeso alla parete. Mi sentivo estremamente leggera e decisi di godermi la pace prima della tempesta.

Matthew si sedette di fianco a me, appoggiando le braccia allo schienale del divano. - Sei contenta di uscire con Luca?

Spostai lo sguardo dal quadro a lui. Possibile che riuscisse sempre a leggere tanto bene nelle mie preoccupazioni? Ero così prevedibile?

- Non saprei. L'idea mi spaventa un po'... tu come fai a nasconderglielo? Non sospetta nulla?

Lo guardai dritto negli occhi, costringendomi a non perdermi in quel mare infinito, ma a squadrarlo con fare autoritario. Volevo che mi dicesse l'assoluta verità: cominciavo a pensare che lui fosse riuscito a dimenticare completamente, che fossi solo io quella che si era fatta trascinare dalle emozioni. Tale sospetto nel profondo mi spaventava più di ogni altra cosa: avrebbe significato che la mia reazione non era del tutto normale, che sentivo qualcosa che non avrei dovuto sentire.

Il leggero sorriso che ancora aleggiava sul suo viso scomparve, il suo colorito divenne da pallido a verdognolo, ma non abbassò lo sguardo. - Tu... - sospirò, cercando di trovare le parole - non devi pensare che io ho dimenticato. Io sono bravo attore ... every day I lie to him. 1

Provai un'inspiegabile tumulto dentro di me, vedendo quanto soffrisse.

- I hate... 2 io mi odio per questo - fece un'altra pausa - non solo per Luca, anche per me. Io ... repress 3 qualcosa in me...

Voleva continuare, ma io lo fermai, incapace di trattenere le domande. - E cos'è? - dissi, con la voce leggermente strozzata. Il mio cuore batteva all'impazzata spinto dal turbine d'emozioni che mi si agitavano dentro. Forse era la stessa cosa che sentiva lui, il problema era che io non riuscivo a reprimerla.

Scosse la testa. - I can't explain 4 , ma è più difficile adesso ... continuare a recitare.

Stavo per aprire la bocca, per fare altre domande, ma Luca spuntò dalla sua stanza, facendomi balzare il cuore in gola. Quei due mi avrebbero fatto venire un infarto.

Mi chiedevo perché io e Matt ci fossimo inoltrati in quei discorsi. E se Luca avesse sentito tutto?

No, mi dissi parlavamo troppo piano.

Luca aveva il suo solito sorriso divertito stampato in faccia, i capelli spettinati, nonostante probabilmente li avesse appena sistemati.

- Ehi, Ale! Mica mi starai rubando il ragazzo? - scherzò lui, facendo seguire a quelle parole una risata.

Sentii il cuore fare un carpiato nel petto prima che capissi che si trattava di una semplice battuta; a quanto pareva non sospettava assolutamente nulla. Matt doveva essere molto bravo come attore.

Accennai una risata piuttosto innaturale, ma Luca non se ne accorse. Pensandoci bene, per nostra fortuna, Luca non era una persona così attenta ai comportamenti di chi lo circondava: non sempre si accorgeva di litigi avvenuti o nascite di amori e ringraziai questo suo difetto perché mi permetteva di non essere smascherata.

- Stai tranquillo, stavamo solo chiacchierando - dissi, sorridendogli.

Lui assunse un'espressione soddisfatta. - Sono contento che abbiate fatto amicizia, ci tengo davvero che due persone così importanti per me vadano d'accordo.

Aveva un'aria così sincera che il senso di colpa mi strinse la gola in una morsa d'acciaio. Quanto ero crudele?

- Matt è davvero... - mi si spense la voce e tossicchiai per schiarirla, cercando di sciogliere il nodo che la intralciava - davvero dolce e simpatico.

Matt mi lanciò uno sguardo riconoscente. - Anche Alessia è simpatica.

A Luca luccicarono gli occhi. - Quanto mi fa piacere! - esclamò, per poi chiamarmi con la mano - che ne dici se andiamo a fare un giro? -

Annuii. - Certo, andiamo! - risposi, anche se con una certa insicurezza.

Luca, dopo aver salutato Matt, si avviò verso la porta e io lo seguii. Poco prima di oltrepassare la soglia, gettai uno sguardo di nuovo al divano, lì dove Matt aveva appena acceso la televisione.

Si voltò proprio in quell'istante e i nostri sguardi si incrociarono. Non fu più di un attimo, non più di qualche secondo, ma quello sguardo fece vacillare ancora una volta ogni mia sicurezza.

Certo, ci eravamo guardati negli occhi prima di allora, ma mai in quel modo. Mai avevo letto la stessa preoccupazione che c'era nei miei e non solo per sé stesso, per paura che rivelassi qualcosa, ma anche per me: aveva notato quanto soffrissi.

Avevamo scoperto di provare le stesse cose, anche se in modi diversi. Eravamo complici, soggetti alla stessa sorte. E quando chiusi la porta dietro di me, mi accorsi di sentirmi vulnerabile senza di lui, come una tartaruga senza il suo guscio o un porcospino senza aculei. Ci infondevamo forza a vicenda e insieme potevamo sostenere quel segreto, mentre per me da sola il peso era senz'altro insostenibile.

- Tutto a posto? - mi domandò Luca, scendendo le scale.

- Sì, certo - risposi, cercando di controllare il nervosismo. - Dove hai intenzione di andare adesso?

Mentre teneva aperta la porta del d'ingresso al palazzo, mi sorrise. - Hai voglia di un gelato?

- Certamente!

Non sapevo bene perché, ma il cibo mi metteva sempre di buon umore.

 

- Così Giulia adesso sta con questo Giacomo? - mi domandò Luca, curioso degli ultimi gossip.

Ingoiai una bella cucchiaiata della coppa di gelato che avevo davanti. La tensione se n'era andata e, merito del gelato e della solita allegria di Luca, mi era ritornata un poco di serenità.

Mi sentivo davvero sollevata di aver ritrovato la normalità di una chiacchierata col mio migliore amico.

- In realtà non credo. Sai com'è fatta Giulia - precisai, spostando l'attenzione su una signora in bicicletta che passava in quel momento davanti alla veranda del locale dove eravamo seduti.

- Sì, certo, capisco. Si è fatta intortare di nuovo - commentò, buttando gli occhi al cielo.

Scoppiai a ridere e per poco non sputai il gelato. - Intortare? Ma che parole usi?! -

- Non c'è nulla che renda altrettanto bene il concetto. Si è fatta imbrogliare, ingannare... - storse il naso - ... in-tor-ta-re. Senti come suona bene?

Le risate mi fecero quasi piangere dal ridere. Soltanto quando riuscii a calmarmi, ripresi la parola. - E' vero, comunque. Con ogni ragazzo è sempre la stessa storia -

- non me ne parlare: ormai lo so a memoria pure io. Conosce qualcuno a una festa, ci sta insieme un po' e quando lui si è stancato, la tradisce con un'altra in discoteca. La solita vecchia storia, insomma.

Annuii: Luca aveva dipinto perfettamente la situazione sentimentale di Giulia. Quante volte avevo cercato di metterla in guardia! Lei non mi dava mai ascolto e a ogni ragazzo che la piantava, piangeva come un annaffiatoio.

- Le ho sempre detto che deve smetterla di dare corda ai ragazzi che conosce alle feste o in discoteca: la maggior parte delle volte vogliono solo dello squallido sesso.

Luca sospirò e si passò una mano tra i capelli. - Tranquilla: prima o poi finirà. Farà uno di quegli incontri casuali, al cinema o a scuola, e finalmente capirà che ci sono anche uomini diversi.

Mi ritrovai ad annuire e il silenzio calò, rotto soltanto dal rumore delle auto che sfrecciavano lungo la via principale.

- Con Nick come va? Ti vedo un po' triste in questo periodo.

Sollevai le spalle. - Tutto bene - risposi, infilando in bocca un altro cucchiaio di gelato.

- non fate sesso?

Mi strozzai e tossii più volte, sconvolta dalla domanda. Il mio cuore cominciò a battere veloce nel petto: perché ci dovevamo imbattere proprio in quell'argomento? Tutto stava andando stupendamente soltanto qualche secondo prima!

- Ma che domande mi fai?! - esclamai, con le guance rosse d'imbarazzo. D'altronde certe uscite erano un classico quando si stava con Luca, avrei già dovuto abituarmi.

- Allora, lo fate sì o no? -

- Ma che diavolo c'entra con la mia tristezza?

Assunse un'espressione maliziosa. - C'entra eccome! Anche quando io e Matt lo facciamo... io, be'... sono felice - il suo tono di voce si fece quasi suadente, segno che si stava perdendo in ricordi a luci rosse. - Sai... è così bravo!

Non sai quanto hai ragione!, mi ritrovai a pensare, mentre nella mia mente riaffiorarono i ricordi della notte con Matt e quasi mi parve di sentire lo stesso piacere che provai allora.

Cercai di scacciarli, ma rimasi stupita da quanto ricordassi bene ogni minimo dettaglio a distanza di tempo. Tutto era nitido ed estremamente doloroso.

- Allora lo fate sì o no? - mi esortò Luca.

- Ultimamente no - ammisi con un sospiro.

- Dovreste farlo: vedrai che dopo ti sentirai meglio.

Avrei voluto dirgli che il sesso era l'ultima cosa che potesse aiutarmi, visto che era proprio ciò che aveva causato tutti i problemi. Ripensandoci, però, una bella serata di fuoco con Nick forse avrebbe potuto ricordarmi il mio amore per lui e la nostra passione cocente. Forse avrei sostituito i ricordi della notte incriminata con quelli più vividi che Nick mi lasciava ogni volta.

Sorrisi, felice che Luca mi avesse donato una nuova speranza. - Penso che tu abbia ragione! - commentai, finendo il gelato.

- Certo, io ho sempre ragione - affermò, gonfiando il petto come un uccello in amore.

Luca era davvero un amico fantastico che in un qualche modo mi dava sempre la carica ad andare avanti: con le sue battute mi faceva tornare il buon umore e con i suoi consigli trovava una soluzione ai miei problemi.

Il senso di colpa calò di nuovo sulla mia testa: come avevo potuto fargli questo dopo tutto quello che lui aveva fatto per me?

Sospirai, pensando che l'inferno sarebbe stato una punizione fin troppo leggera per il peccato che avevo commesso.

Mi alzai in piedi, spostando la sedia. - E' ora che vada - annunciai.

Luca mi salutò con un abbraccio, invitandomi a venirlo a trovare a casa non solo per le lezioni di italiano di Matt. - Ogni tanto mi manca la mia amica del cuore - disse, facendomi quasi commuovere.

Me ne andai in bicicletta, coi capelli accarezzati dal vento, in un misto di malinconia, gratitudine e speranza. In quel momento c'era solo una cosa che volevo più di ogni altra: le braccia forti di Nick che mi accogliessero e mi confortassero.

Imboccai la via di casa e subito lo vidi: un'alta figura maschile appoggiata al cancello della mia abitazione. Non appena fui abbastanza vicina da essere riconosciuta, staccò la schiena dal cancello e mi venne incontro. Un bel sorriso aperto sul volto e un mazzo di fiori rosa stretto fra le mani erano proprio quello di cui avevo bisogno...

 

***

Traduzioni:

1 ogni giorno gli mento

2 Odio..

3 Reprimo

4 Non so spiegare

 

 

 

***

Angolo autrice:

come al solito è trascorso un bel po' di tempo dall'ultimo aggiornamento, ma mai disperare! Ogni tanto sento proprio il bisogno di continuarla, di prendere in mano le vite di Alessia, Luca, Matt e tutti gli altri. Grazie ancora a chi recensisce o semplicemente legge questa storia :)

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Capitolo 14
*** niente è perfetto ***


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14. Niente è perfetto

 

Nick mi strinse fra le braccia, lasciando che mi immergessi nella camicia a righe sottili. Il suo calore penetrò attraverso la pelle fino al cuore.

- Ho qualcosa per te, amore mio - annunciò, allontanandomi leggermente da sé e mettendomi fra le mani il mazzo di fiori.

Li annusai, sentendo il profumo risalire le narici e inebriarmi. - Grazie! Sono profumatissimi.

Alzai la testa, guardandolo negli occhi; luccicavano di gioia. La malinconia e la traccia di irritazione che avevo scorto l'ultima volta che ci eravamo visti era completamente scomparsa. Ciò non mi stupiva: doveva essere stata una brutta giornata per lui, eppure non capivo perché non me ne avesse parlato.

Mi diressi verso il cancello, lo aprii e mi incamminai verso il portone, senza rompere il contatto visivo.

Ad ogni secondo che passava sentivo la voglia di baciarlo attirarmi a lui, come una forza magnetica irresistibile, ma io mi decisi ad oppormi. Con più avrei aspettato, con più sarebbe stato bello dopo, in camera mia o sul divano del salotto, sfogare tutto il bisogno che avevo di stare con lui.

Aprii il portone e salii le scale più veloce che potei, sentendo il suo sguardo scrutare le mie forme, probabilmente con lo stesso desiderio impellente che stava consumando anche me.

Poi ecco, la porta del mio appartamento. Infilai la chiave. Click e la serratura scattò, abbassai la maniglia e sgattaiolai dentro sinuosamente, attendendolo nell'ingresso.

Tesi l'orecchio a verificare che in casa non vi fosse nessuno. Nessun movimento, nessun rumore: a quell'ora mamma doveva aver accompagnato Angela a nuoto. La casa era vuota, tutta per noi. Dei brividi mi scesero lungo la schiena a quella consapevolezza.

Nick chiuse la porta dietro di sé. Vi fu un attimo di silenzio, di immobilità, in cui il tempo parve cristallizzarsi; quanto bastò per scambiarci uno sguardo intenso, carico di desiderio e passione, una piccola anticipazione di ciò che sarebbe accaduto da lì a qualche secondo, quando il tempo avrebbe ricominciato a scorrere normalmente.

Nick accennò un passo in avanti. Fu un movimento leggero e silenzioso, ma sufficiente per spezzare l'attesa, per liberare tutto ciò che era stato trattenuto fino a quel momento.

Feci qualche passo e lo raggiunsi, buttandogli le braccia al collo. Lo baciai con avidità, come se le sue labbra fossero aria e io stessi per morire, come se fossero state troppo a lungo lontane.

Le nostre lingue danzarono, poi si allontanarono, si rincorsero e si unirono ancora in un gioco bizzarro e senza regole se non quelle della passione.

Le sue mani agguantarono il mio corpo, scorsero sulla mia pelle, delicate e poi voraci. Volevano farmi sua.

Indietreggiai a grandi passi, lasciando che l'abitudine e l'istinto mi portassero verso il salotto, poi verso il divano di velluto bordeaux. Cadei e portai lui con me, come dovessimo affogare insieme in un mare di completa perdizione.

Il suo corpo si adagiò sul mio, aderì perfettamente alle mie forme, infondendomi un confortante ed eccitante tepore. Le sue mani non smisero di esplorare la mia pelle, la stessa che aveva accarezzato ormai talmente tante volte da conoscerne ogni centimetro, finché le sue dita non si spinsero in giù, verso l'orlo della t-shirt.

Non opposi resistenza mentre me la sfilava e, anzi, mi affrettai a liberarlo della sua. Passai le mani sul suo petto, seguendo con le dita le linee ombreggiate dei pettorali e assaporando quello sguardo che si faceva ogni attimo sempre più focoso.

Mi baciò ancora, con più foga, con più passione, mordicchiandomi leggermente il labbro e cominciando già a farmi prendere il volo come solo lui sapeva fare.

Poi sollevò le labbra dalle mie e le poggiò sul mio collo, delicatamente, baciandolo e scendendo sempre più in basso, verso la spalla, fra i seni e poi sulla pancia e così come una goccia d'acqua scorrendo sulla pelle lascia un serpentello umido e trasparente, i suoi baci lasciarono su di me una scia di piacevoli brividi.

I miei jeans finirono insieme ai suoi sul tappeto rosso ai piedi del divano, inutili ostacoli a un abbraccio più completo, più intimo. Un abbraccio che portava con sé emozioni intense, che mi lasciava sulle labbra il sapore piccante dei suoi baci.

Poi ecco; la sua mano accarezzò dolcemente il mio fianco nudo e si appoggiò su una natica, la strinse possessivamente. Mi irrigidii, come fulminata, come se una secchiata d'acqua gelata mi fosse appena stata rovesciata in faccia. Ognuna di quelle fantastiche emozioni che avevo provato soltanto fino a poco prima mi sfuggirono fra le dita ancor prima che potessi pensare di riafferrarle. Erano già lontane, irraggiungibili.

Soltanto dei ricordi mi sfilavano davanti agli occhi come un film che non volevo vedere...

 

Il suo corpo premeva sul mio, ogni suo centimetro di pelle lattea trovava il gemello sulla mia.

Le nostre rientranze, le nostre protuberanze coincidevano; erano pezzi di un puzzle che finalmente potevano unirsi.

Eppure, tutto si confondeva. Ogni colore, ogni sensazione. Sentivo solo il calore di un contatto intimo, i suoi sospiri che rompevano il silenzio, i nostri respiri che si fondevano.

Mai avevo provato qualcosa di simile, mai mi ero sentita tanto riempita ed appagata. Per quanto fossi ubriaca e i miei pensieri non avessero né capo né coda, capivo che niente poteva competere con quegli attimi.

Avevamo una sintonia perfetta, eravamo strumenti musicali che suonavano bene soltanto insieme; ogni suo tocco era nel punto giusto, ogni suo sospiro mi faceva impazzire.

Proprio come in quel momento, quando la sua mano morbida e seducente scivolò sulla mia natica e piccole stille di piacere penetrarono in profondità, mi fecero spalancare gli occhi e volare in alto, oltre il soffitto di quella stanza, oltre il tetto e al di sopra delle nuvole.

 

Scostai Nick da me, mettendomi lentamente a sedere, sconvolta. Cosa mi stava succedendo? E perché?

Era tutto così perfetto fino a qualche secondo prima. Perfetto come ogni volta che facevo l'amore con Nick. Eppure...

Un tarlo si insinuò nella mia mente, o forse era sempre lo stesso, quello che si era infilato dalla notte con Matthew; aveva solo aperto una nuova strada nel mio cervello, pronto a scavare ancor più in profondità.

Forse... forse se mi stava succedendo ciò era perché non tutto era perfetto come volevo dipingerlo.

- Che ti succede? - mi domandò Nick, mettendosi a sedere di fianco a me.

Gli lanciai uno sguardo; aveva quella piccola pieghetta sulla fronte, quella che conoscevo bene e che non portava nulla di buono. Era irritato, insoddisfatto.

- Penso di non avere tanta voglia - risposi, sentendo il pranzo rimescolarsi nello stomaco.

Si passò una mano fra i corti capelli e sollevò le sopracciglia; era chiaro che stava trattenendo la rabbia. - Prima sembrava ne avessi -

- scusa, penso di non sentirmi molto bene - replicai. E non era del tutto una bugia: mi sentivo male sul serio. Avevo come l'impressione di avere una lisca di pesce infilata in gola, impossibile da estrarre.

Sospirò e mi avvolse le spalle nude con un braccio. Appoggiai la testa sulla sua spalla, mentre dentro di me si snodavano una serie di sgradevoli sensazioni. Lui era buono con me, lui mi era fedele, perché gli avevo fatto questo? Perché ero stata così debole?

Lo abbracciai, nascondendo le lacrime che mi stavano salendo agli occhi e reprimendo dentro di me tutto il mio malumore.

- Mi dispiace tanto, Nick, davvero - sussurrai. E non solo per questo, per tutto, aggiunsi fra me.

- Tranquilla: in fondo non è nulla di grave. Ogni tanto immagino possa capitare.

Sospirai e sciolsi l'abbraccio, cominciando a raccogliere i miei vestiti.

- Vuoi che venga un'altra volta? O più tardi? Ho l'impressione tu abbia bisogno di riposarti - osservò, prendendomi il mento fra le mani e stampandomi un bacio a fior di labbra.

- Te ne sarei grata.

Ci vestimmo tutti e due, poi lo accompagnai alla porta. Proprio lì, sulla mensola dell'ingresso avevo appoggiato il mazzo di fiori. - Sono bellissimi, sai? - commentai, prendendolo in mano - mi sono piaciuti molto.

Accennai un sorriso mentre affondavo il naso nei petali. Lui sorrise a sua volta e mi accarezzò una guancia.

Era romantico, come tutte le volte in cui non aveva la luna di traverso, eppure nei suoi occhi leggevo malinconia. Mi sentii morire sapendo che ero io a provocarla.

- Quello che volevo era farti felice.

Pronunciò quella frase con una certa titubanza, come se se ne vergognasse o come... come se non ci credesse davvero.

- E ci sei riuscito - dissi, avvicinandomi e appoggiando le mie labbra alle sue, dandogli un bacio dolce al retrogusto di rimorso.

- Ci sentiamo - concluse, per poi scoccarmi un ultimo bacino sulla fronte e avviarsi lungo le scale del palazzo.

Lo guardai dalla finestra del salotto allontanarsi lungo la via, con passo veloce e irruento, calciando una lattina dimenticata da qualche maleducato.

Non provavo più niente in quel momento. Non malinconia né senso di colpa. Solo una domanda mi ronzava nella mente come un'ape fastidiosa: perché con lui non era più tutto perfetto?  

Angolo autrice: 

Nel giorno del mio compleanno, col mal di denti e di pancia nasce il quattordicesimo capitolo XD So che vi ho fatto attendere, ma tra la scuola e la patente trovare ritagli di tempo per scrivere non è semplice. Vogliate scusarmi. 

Ad ogni modo, eccolo qua. Spero che sia di vostro gradimento come gli altri :) 

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Capitolo 15
*** Con un piede in due staffe ***


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15. Con un piede in due staffe

 

- Vuoi dire che lui se n'è andato via così? Non si è arrabbiato?

Giulia mi guardò di sottecchi, stendendo i piedi nudi sul letto, di fianco a me. - No, non ha alzato la voce. Si è trattenuto.

Alzò le sopracciglia e avvicinò a me la sedia della scrivania, con un fastidioso rumore di rotelline sul pavimento.

- Tu credi davvero che si sia trattenuto? - domandò, sottolineando duramente il "davvero".

Piegai la testa da un lato, non capendo che cosa volesse dire: avevo analizzato mille altri punti della situazione, ma nulla di questi si fondava sul fatto appena preso in considerazione.

- Avanti, Ale! Non essere così ingenua!

Continuai a guardarla come stesse parlando in arabo. - Che c'è? Dici che ha capito tutto e sta progettando un piano per smascherarmi?

Giulia puntò gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto. - Ma quale piano?!

Io la fissai impaziente e incredibilmente seria, chiedendomi seriamente dove volesse andare a parare.

- Mi sembra strano che lui non si sia arrabbiato: non dici anche tu che di solito è impulsivo? - osservò, assumendo un'aria pensierosa.

- Sì, ma ci sono dei giorni in cui è particolarmente di buon umore e non è in vena di arrabbiarsi, soprattutto con me -

- bene, ma dimmi: ogni quanto capita uno di questi giorni?

Piegai di nuovo la testa di lato, sentendo per qualche secondo tutta l'ansia che provavo scivolare via da me per fare spazio a una briciola di divertimento. - Cos'è questo? Un sondaggio nazionale sulle relazioni di coppia?

Le sue labbra si incresparono in un sorriso. - Ale, è una cosa seria! Dovresti essere preoccupata! -

- E lo sono, ma mi fa ridere questa sottospecie di intervista - replicai, trattenendo una risata.

Giulia sospirò, per poi arricciare una ciocca di capelli sul dito, come faceva ogni volta che si spazientiva. - Ti prego, Ale: lo faccio per il tuo bene.

- Avanti, allora! Cercherò di stare seria.

Mi lanciò uno sguardo sospettoso. - Bene... allora dimmi ogni quanto tempo capitano quel tipo di giorni.

Ci pensai seriamente, cercando di rivangare nella memoria i ricordi di quei giorni. Mi saltò alla mente di quella volta che era venuto a prendermi a scuola e mi aveva portato a pranzo in un ristorantino sui monti, in una rocca sulla cima di una collina da cui si poteva godere di un panorama mozzafiato. Ecco, quello era sicuramente uno di quelli: mi aveva detto di aver avuto una giornata odiosa, ma che si era svegliato col buon umore e voleva che la giornata continuasse in bellezza, con me.

Scavai ancora, sempre più in profondità, ma non trovai niente di niente: quello era stato l'unico.

- A pensarci bene è capitato solo una volta.

Giulia si lasciò andare a un sorrisetto soddisfatto. - Ciò non può che distruggere la tua affermazione: è capitato solo una volta, è stata nient'altro che un'eccezione.

Le sue parole mi provocarono un senso di nausea: troppe certezze si stavano demolendo tutte in un colpo solo.

- E quindi? - sentivo l'irritazione farsi strada in me: odiavo rimanere sulle spine, girare troppo intorno alle questioni. - Dove vuoi arrivare? -

- Secondo me ti nasconde qualcosa: forse lui non reprimeva la rabbia, bensì non la provava proprio. Magari pensava ad altro...

Trattenni il respiro durante le sue parole, per poi aspirare una grande boccata d'aria non appena concluse il discorso. Aria che servì a tranquillizzarmi. - Ad altro?

Giulia buttò di nuovo gli occhi al cielo, mi prese per le spalle e mi scosse leggermente. - Ale, sveglia! Torna sulla Terra -

- io sono sulla Terra! - ribattei, mentre lei ritornava al suo posto, con la schiena appoggiata allo schienale della sedia.

- Mi guardi come stessi esplorando con la mente paesi alieni -

- Giuly, prova a capirmi: sono insieme da più di cinque mesi a un ragazzo, sono andata a letto con un altro, per di più il fidanzato del mio amico gay! Sto cercando di dimenticare la cosa, ma non riesco a fare l'amore con il mio ragazzo. Secondo te come dovrei sentirmi?

Vi fu una pausa di silenzio in cui inchiodai Giulia con gli occhi, mentre lei pareva quasi pietrificata. Quando riprese a muoversi, scrollò le spalle. - Una merda, è così che dovresti sentirti. Una merda -

- infatti. Per di più ora mi dici che il mio ragazzo pensa ad altro quando sta con me... non pensi che abbia bisogno di assorbire la notizia?

Giulia annuì. - Hai ragione, scusami.

Presi un bel respiro profondo, calmando l'irritazione che si era fatta via via più potente. - Al di là di ciò, mio malgrado credo possa essere vero: ciò spiegherebbe perché non si è accorto di niente e ringrazio per questo.

Giulia portò le mani alla testa, chiuse gli occhi e massaggiò le tempie. - C'è un altro punto che è necessario analizzare: perché nel momento più bello hai ricordato la scappatella con Matt? -

- io non lo so, Giuly, se lo sapessi non starei qui a parlarne con te.

Le forze parevano essere scivolate via dal mio corpo, lasciandomi spenta e indebolita. Ero stanca di quella situazione: avrei voluto addormentarmi e svegliarmi dopo dieci anni, prendere il primo aereo e volare in destinazioni dimenticate. Tuttavia non potevo scappare: i problemi ti seguono ovunque tu vada.

- Ti piace - affermò Giulia all'improvviso.

- Chi? - risposi pacatamente, immersa fino al collo nella più nera malinconia.

- Matthew.

A quel nome ritornai bruscamente sulla Terra, pronta per irritarmi di nuovo. - Non è vero.

- E invece sì - insistette lei.

- NO! - sbottai, alzandomi in piedi.

Lei si alzò a sua volta e mi poggiò una mano sulla spalla. - Va bene, facciamo finta non sia così, ma devi prendere una decisione. Non puoi stare con un piede in due staffe -

- sei stata tu a dirmi che dovevo dimenticare tutto!

Quanto odiavo questa cosa, la odiavo con tutto il mio cuore. Tempo fa pensavo che tutto fosse recuperabile, che non avevo combinato niente di così irreparabile, ma la verità era che ogni cosa era cambiata da quella notte. Ogni maledetta cosa. Mi pareva persino di vedere il mondo con una prospettiva diversa, quella della traditrice, per la precisione. E - che mi venisse un colpo! - odiavo anche questa mania di Giulia di dispensare consigli per poi ritirare tutto quando le cose si facevano complicate.

- Non pensavo che la situazione fosse tanto grave - si giustificò.

La guardai ancora una volta come stesse parlando arabo. - Grave?

Giulia sospirò, estrasse il cellulare per guardare l'orario. - Sì. Ora devo andare, tu pensaci su e vedrai che capirai quello che voglio dire.

 

Camminavo lungo una delle strade principali del centro, a passo spedito e con l'ombrello in mano. I tuoni di un classico temporale estivo avevano appena finito di squarciare il cielo e ormai non erano più che un'eco lontana, portata via dal vento. Eppure la pioggia continuava a cadere, implacabile, picchiettando contro la tela dell'ombrello e inondando le strade di acqua piovana.

Pochi condividevano con me il marciapiede e non si percepiva alcun rumore che non fosse il picchiettare della pioggia o quello delle auto che sfrecciavano al mio fianco di tanto in tanto. Soltanto nella mia testa c'erano urla impossibili da ignorare. Voci che si sovrapponevano, che lottavano e che non riuscivano a conciliarsi. Niente di quella situazione mi sembrava facile, sempre che lo fosse mai stata.

Non puoi più stare con un piede in due staffe, ripeteva una delle tante voci. Io non ero in due staffe, io amavo Nick e basta. Matthew era stato solo il terribile errore di una notte, era stato solo sesso da ubriachi. Niente di più, niente di meno. Era qualcosa che non aveva niente a che fare coi miei sentimenti.

Ti piace, contestò il ricordo di Giulia del pomeriggio precedente. Ti piace, ripeté.

Strinsi gli occhi, cercando di scacciare dalla mia mente quei pensieri. Quando li riaprii mi costrinsi a concentrarmi sull'ambiente circostante, sui palazzi storici che scorrevano dall'altra parte della strada, con le loro finestre timpanate e le decorazioni rinascimentali.

I ricordi delle lezioni di storia dell'arte riaffiorarono insieme alla costante tensione che provavo ogni volta che vedevo la professoressa: era un'arpia quella donna. Ogni volta non faceva che porre domande a tappeto, assegnando dei brutti voti a chi non le dava la risposta che voleva. Era un incubo.

Svoltai a destra ed eccomi arrivata: ormai sapevo bene dove si trovava l'appartamento di Luca. Sospirai, senza avere la minima voglia di suonare il campanello, gesto da cui sarebbero derivate conseguenze non indifferenti: Luca che mi avrebbe riempito di domande a cui non avrei avuto voglia di rispondere e la lezione che dovevo dare a Matthew con la perenne paura che l'altro potesse scoprire il nostro legame. No, l'idea di premere quel piccolo bottoncino di fianco al nome " Luca D'Annunzi" non mi ispirava per niente.

Devi farlo, mi dissi e ciò, fortunatamente, fu abbastanza per far sì che prendessi un bel respiro e suonassi il campanello.

Non passò che qualche secondo e la porta venne aperta, permettendomi di salire su per le scale e trovarmi poi faccia a faccia col sorriso a trentadue denti di Luca.

Mi abbracciò, ridacchiando proprio come una femminuccia. - Ehi, Ale, ti sei presa un po' di pioggia, eh?!

Non potei fare a meno di sorridere anche io per il suo consueto buon umore. - Sai... piove.

Si spostò dall'uscio per lasciarmi entrare. - A stare qui in casa non me ne ero proprio accorto!

Infilai l'ombrello nell'enorme anfora sulla destra, unendolo ad altri lì riposti. - Eh, vero?! Sempre io devo faticare!

- Tranquilla, prossima volta io vengo - irruppe una voce che non tardai a riconoscere.

Mi girai di scatto e i miei occhi non poterono che impigliarsi in Matthew, appena spuntato dalla porta della cucina, con un braccio appoggiato allo stipite. Portava una maglietta bianca almeno quanto la sua carnagione, un paio di pantaloncini che lasciavano intravedere le gambe muscolose e soprattutto aveva un'espressione talmente sexy, con le sopracciglia alzate e un angolo della bocca leggermente inclinato, che sentii le gambe cedere.

Ti piace, mi rammentò la voce dentro di me. La ricacciai indietro senza pietà, evitando di darle abbastanza spazio da poter rappresentare un serio pericolo. No, non è vero.

- Non è necessario... stavo scherzando - replicai, quando fui abbastanza padrona di me stessa da poter formulare frasi coerenti.

Si staccò dallo stipite e fece qualche passo verso di me. - No, è necessario: tu vieni sempre qui, io devo venire da te.

Scossi vigorosamente la testa. Lui a casa mia? Nel mio territorio, nella mia camera? La mia mente non riusciva a concepirlo. - Io non penso che... -

- e invece ha proprio ragione! - intervenne Luca - la prossima volta verrà lui da te a lezione; è deciso!

Sospirai, sapendo che da quel momento ogni replica sarebbe stata inutile: niente e nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea. Era il Re Sole della situazione. 

Angolo autrice: 

come promesso non vi ho fatto attendere troppo questa volta: mi sto davvero impegnando ad arrivare a una conclusione :) spero che questo capitolo vi piaccia :) 

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Capitolo 16
*** La complicità di un segreto in comune ***


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16. La complicità di un segreto in comune

 

Un quarto d'ora dopo io e Matthew eravamo piazzati in cucina come al solito, immersi in vecchi libri e quaderni. Mentre io gli spiegavo a grandi linee come usare il congiuntivo, lui prendeva appunti su un taccuino. Ogni tanto alzava la testa e mi fissava con quei suoi occhi azzurri e profondi che tutte le volte facevano prendere alla mia voce un'insolita tonalità acuta.

- E' il modo del dubbio... - staccai lo sguardo dal suo, fissando la sua scrittura svolazzante. Il cuore palpitava, prendeva maggior vigore ogni volta che i suoi occhi si posavano su di me. Perché mi faceva questo effetto? E soprattutto, perché si faceva sempre più intenso?

La sua mano si posò sul mio braccio, scuotendolo leggermente. - Ehi!

Alzai la testa di scatto, accorgendomi di essere caduta in uno dei miei momenti di trance. Avvampai di vergogna e ancora una volta non ebbi il coraggio di guardarlo dritto negli occhi, sapendo che ciò non avrebbe che accentuato il mio imbarazzo. - Scusa... riprendiamo - affermai a voce bassa, sfogliando senza motivo il quaderno che avevo davanti agli occhi.

Lui non tolse la mano dal mio polso, anzi, lo strinse di più e quel contatto non fece che far aumentare i battiti del mio cuore. Lo sentivo rimbombare nel petto, nelle vene e perfino nella testa; faceva procedere i miei pensieri a velocità di lumaca.

- Qualche... problema?

La sua stretta al polso si allentò. Io tentai di sollevare la testa, di guardarlo, di fargli capire che non c'era alcun problema, ma non ce la feci; pareva bloccata.

Fu lui a lasciare il mio polso, a sporsi leggermente, quanto bastava per toccarmi il mento. Il mio collo non si tese, non gli impedii di farmi sollevare il viso; ero come un serpente che aveva trovato il suo incantatore. Quando i nostri sguardi si incollarono l'uno all'altro, non potei che provare una piacevole sensazione di sollievo a cui mi abbandonai impotente, trascinata da una corrente da cui non potevo sottrarmi. Mi ritrovai a navigare nell'azzurro dei suoi occhi, completamente perduta, e non potei non notare quanto fosse bello, quanto i suoi lineamenti fossero perfetti, le sue labbra invitanti e quanto lo desiderassi.

- No, non c'è nessun problema - affermai, sforzandomi di chiudere gli occhi per qualche secondo e rompere definitivamente la magia.

Quando li riaprii, Matt si era di nuovo ricomposto, con le mani appoggiate al bordo del tavolo. Eppure la sua espressione era mutata, non più calma come poco prima, ma traboccante di tensione. Avevo fatto qualcosa di sbagliato?

- Perché non guardi me? - mi chiese, con la stessa impudenza che aveva dimostrato quella notte che tanto volevo dimenticare.

Lo fissai dritto negli occhi, cercando di trattenere tutte le emozioni che mi provocava il contatto visivo. - Ti sto guardando.

Matt accennò un sorriso divertito che sciolse momentaneamente la tensione. - Adesso... prima non guardavi. Perché?

La domanda rimase in sospeso per qualche secondo, mentre elaboravo una risposta che avesse un minimo di senso, ma proprio quando stavo per dire qualcosa, Luca spuntò alla porta. - Vado a fare una doccia... - annunciò e solo in quel momento notai che nella mano stringeva della biancheria. - Se squilla il telefono rispondi tu - disse, rivolto a Matt. Quest'ultimo annuì e Luca sparì diretto al bagno, proprio in fondo al corridoio.

Il silenzio calò, dandomi la possibilità di approfittare della pausa per riprendere la lezione. - Dicevo... il congiuntivo è il modo del dubbio, della... -

- no! - esclamò Matt, lasciandomi di stucco. Avevo ignorato deliberatamente la domanda, ma certo non pensavo che avrebbe avuto una reazione simile vista la sua indole così calma e dolce.

- Cosa c'è? - domandai, alzando un sopracciglio per donare più enfasi. Fare finta di niente mi era sembrata la tecnica migliore per deviare il discorso.

- Non hai risposto - disse, riprendendo un tono più delicato.

Sospirai. E adesso? Cosa mi sarei inventata?

- Non possiamo non parlarne? Riprendiamo la lezione: non posso stare qui cent'anni.

In realtà nel profondo sarei rimasta anche fino alla morte, ma lui non doveva saperlo. Non doveva proprio saperlo e io, soprattutto, non dovevo pensarlo.

Scosse la testa. - Non penso bene se tu non rispondere.

Abbassai lo sguardo, verso il foglio, sapendo che senza i suoi occhi sui miei la mia mente ragionava più velocemente. Lasciai che i neuroni lavorassero, aiutati dal rumore rilassante dello scrosciare dell'acqua, proveniente dal bagno, ma non ne uscì proprio nulla. Non avevo nessuna scusa che non fosse la verità.

- Io non so cosa dirti.

Si sporse, appoggiando i gomiti sul tavolo, sopra la miriade di quaderni sparsi, e mi squadrò attentamente, cercando forse di trovare da solo la risposta nei miei occhi. Non ottenne niente se non le capriole che fece fare al cuore nel mio petto.

- Tell me the truth1-

Deglutii a fatica. Nella mia mente c'era una confusione indescrivibile, per non parlare di quello che si agitava nel mio petto.

Ogni secondo si avvicinava sempre di più; mi voleva mettere alle strette o era calamitato da me almeno quanto lo ero io di lui?

- Sai... ricordi quello che mi hai detto l'ultima volta? Di qualcosa che non riesci a spiegare e che reprimi?

Lui annuì leggermente, mentre l'azzurro dei suoi occhi parve quasi farsi più intenso. Intenso quanto il ritmo del mio cuore.

- Io sento la stessa cosa.

Espulsi quelle parole con sforzo, estraendole dal profondo e buttandole fuori quasi in uno sputo. Non avrei mai voluto che fossero vere, ma lo erano, eccome se lo erano! La sua vicinanza mi inebriava, mi faceva sentire ubriaca anche senza alcol.

Ci guardammo per un lungo istante che parve non finire mai. Il mondo esterno scomparve.

Ero perduta. Scomparsa. Andata.

Appoggiò una mano sulla mia guancia, infilando le dita fra i capelli, accarezzandoli leggermente. Non sapevo più quello che stava succedendo: i miei neuroni avevano smesso di funzionare da tempo ormai. Era il mio istinto che mi guidava verso di lui, centimetro dopo centimetro, finché un leggero profumo di pino non mi entrò nelle radici, finché il suo caldo respiro non mi accarezzò una guancia.

- Che state combinando?

Quella frase, pronunciata con un briciolo di stupore, perforò la bolla che si era formata attorno a noi, la frantumò in mille pezzi e penetrò senza pietà, portando con sé un vento gelido di terrore che mi congelò anche il midollo osseo. Non ci eravamo accorti di niente, non avevamo sentito l'acqua cessare di scrosciare nel bagno e la porta aprirsi. Che stupidi!

Per qualche secondo il silenzio si fece opprimente, poi Matt mi prese una ciocca di capelli, estraendone il frammento di una foglia; doveva essersi impigliata durante il tragitto.

Ancora con il residuo fra le dita, si ricompose. - Aveva questo su capelli.

Il cuore mi pulsava nelle tempie, un po' per le emozioni appena provate, un po' per l'ansia.

Luca alzò un sopracciglio e io cominciai a pregare dentro di me perché se la bevesse. Doveva bersela: Matt era stato fin troppo bravo a simulare la situazione.

Scoppiò a ridere. La sua risata rimbombò nella cucina e fece sorridere anche noi, portandoci una ventata di sollievo.

- Sembrava quasi che vi steste per baciare! Che cosa ridicola! - esclamò quando le risa si estinsero.

- Ma che idee ti vengono? Sei solo arrivato nel momento sbagliato, senza sapere il contesto - affermai, cercando di essere il più credibile possibile.

- Hai ragione! Il caso a volte fa veramente brutti scherzi - commentò Luca, grattandosi distrattamente la nuca. - Vi lascio al vostro dovere - concluse, per poi andare in salotto e accendere la televisione.

Mi abbandonai sulla sedia, sentendo tutta la tensione maturata fino a qualche secondo prima scivolare via, lasciandomi esausta; stare in quella casa era uno dispendio di forze incredibile.

Matt mi lanciò uno sguardo complice, storcendo un angolo della bocca. Io ricambiai; c'era un bizzarro legame fra noi. C'era la complicità di un segreto in comune.

 

***

TRADUZIONI

1 Dimmi la verità

 

****

Angolo autrice: ecco il sedicesimo capitolo, scusatemi se ci ho messo più tempo di quanto avevo promesso. Purtroppo il tempo libero a disposizione non è molto... ad ogni modo spero questo capitolo vi possa piacere!

Come al solito, non esitate a esprimere un parere :)  

Ultima cosa: io e e altre due utenti di Efp abbiamo creato un gruppo su Facebook per scrivere una storia in comune... chi è interessato non esiti a raggiungerci: http://www.facebook.com/groups/461443630574907/

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Capitolo 17
*** Travolta dalla tempesta ***


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17. Travolta dalla tempesta

 

I gamberetti nel mio piatto mi guardavano con i piccoli occhi neri. Parevano mortificati, indifesi e io mi sentivo crudele ad infilzarli con la forchetta. Così mi limitavo a spostarli da una parte all'altra del piatto, pensierosa.

Da un giorno a quella parte non facevo che pensare al pomeriggio precedente, quando a casa di Luca, Matt mi aveva sfiorato la guancia, aveva infilato le dita fra i miei capelli. E quel profumo di pino! Aveva avuto il potere di ubriacarmi.

Ciò, però, che più mi sconcertava era che stavo per farlo, stavo per baciare Matt. E sarebbe successo davvero se non fosse arrivato Luca. Era questo il punto che più mi debilitava: sarei stata in grado di tradire Nick, ancora, ma questa volta senza...

- Ehi! Si può sapere che ti succede?

La voce di Nick penetrò con prepotenza nella mia mente, facendomi sollevare la testa dal piatto.

- Nulla, stavo solo pensando.

Mi fissò con aria sospettosa. I lineamenti del suo viso erano tesi quanto la corda di un arco; avevo l'impressione che prima o poi una freccia sarebbe stata scoccata dritta nel mio cuore.

- Perché non me ne parli?

Cercai di accennare un sorriso, nel tentativo di far scomparire la disapprovazione che leggevo nei suoi occhi. - Non è niente di importante: stavo pensando che ho ancora molti compiti da fare prima che ricominci la scuola.

L'aria di sospetto, anziché sparire, si intensificò. - Di solito non pensi alla scuola -

- ogni tanto sì, solo che non mi va mai di parlarne -, mi giustificai.

Il silenzio calò tra noi, interrotto soltanto dal chiacchiericcio educato degli altri clienti del ristorante. Ne approfittai per abbassare di nuovo gli occhi verso il mio piatto. Questa volta non ebbi pietà verso i gamberetti: ne infilzai uno con la forchetta e me lo portai alla bocca, giusto per avere una scusa per non parlare.

Nick non staccò gli occhi da me, quegli occhi color nocciola che avevo sempre amato e che ora mi apparivano fin troppo invadenti. Avevo paura a guardarli: cosa vi avrei visto? E lui, nei miei?

Un tintinnio di posate mi fece sollevare la testa; aveva appena lasciato cadere bruscamente la forchetta sul piatto.

Qualcuno, seduto ai tavoli vicini si voltò a guardarci; trovai i loro sguardi del tutto offensivi.

Nick appoggiò la schiena alla sedia, mi inchiodò con lo sguardo e io mi sentii morire: aveva l'aria così severa! Nemmeno nei suoi momenti di luna storta l'avevo mai visto così.

- Non possiamo continuare in questo modo! Forse questo è un momento di crisi, ma dobbiamo superarlo! - si passò una mano sulla testa, accarezzando i capelli corti. Era evidentemente alterato. - Ti ho portato qui, in questo ristorante, per stare con te, per vedere se ti aprivi di nuovo, ma tu non mi parli neanche!

Abbassai di nuovo la testa, sentendo la gola annodarmisi. Aveva ragione su tutta la linea e io non avevo assolutamente idea su come replicare; semplicemente perché non c'era proprio nulla da ribattere.

Nick mi afferrò un braccio. - Perché?

Provai ad aprire la bocca, a far uscire qualche parola, ma con più la sua stretta sul mio braccio si stringeva, con più la mia gola si annodava.

- Perché? - ripeté, in un tono talmente alto che fummo costretti ad assorbire le occhiate infastidite di tutto il ristorante.

Nick allentò un po' la presa e nel medesimo istante anche il nodo in gola si fece più debole.

- Io non lo so -, mi limitai a dire.

Vidi Nick incupirsi; la fronte si aggrottò, gli occhi furono attraversati da un'ombra scura. - Come fai a non saperlo? Cosa senti per me?

A quella domanda fu lo stomaco a stringersi, a farmi provare per un istante un fastidioso senso di nausea. Ero confusa, come sempre da quella maledetta festa che aveva provocato un terremoto nella mia realtà. Cosa dovevo fare? Cosa dovevo dire?

Nick continuava a fissarmi, con quello sguardo accusatore mi stava mettendo in croce. Non volevo perderlo.

- Ti amo, Nick - dissi, ma non sapevo se era la verità. Avrei tanto voluto saperlo.

- Allora perché? Cosa sta succedendo? -

- E' solo un periodo -, risposi, abbassando lo sguardo sui gamberetti, ormai freddi. Questa era ormai l'ultima speranza: che tutto passasse prima o poi.

Nick si alzò dalla sedia, spostandola rumorosamente. - Non lo so, Ale, non sono più sicuro che sia davvero solo un periodo.

Fu l'ultima cosa che disse prima di voltarsi e uscire dal locale, senza che io avessi il tempo di fermarlo. Rimasi lì, impotente: lui era già lontano, lo vedevo attraverso la vetrata camminare dall'altra parte della strada.

Come eravamo arrivati fino a quel punto? Poco prima eravamo felici, ci amavamo, eravamo fatti l'uno per l'altra. Poi, d'improvviso, eccomi qui: lasciata sola al ristorante, con un piatto di gamberi freddi e il conto da pagare.

Le lacrime mi scesero copiose sulle guance, le coprii con le mani e mi spalmai sul tavolo, la schiena scossa dai singhiozzi.

Tutti i clienti del locale mi guardavano; sentivo i loro occhi addosso, ma non me ne curai. Avrebbero anche potuto prendermi a botte per quel che m'importava.

- Ah, beata gioventù! Il mare è pieno di pesci, ragazza! - sentii esclamare una vecchietta che vidi soltanto attraverso il velo opaco delle mie lacrime.

La gioventù certe volte non è beata come credeva lei, sapeva essere terribile. Con le sue emozioni amplificate, gli ormoni in fermento, con tutto il tempo che ti pone davanti a cui non sai come dare un senso. Su una cosa, però, la vecchietta aveva ragione: non potevo rimanere a piangermi addosso. Dovevo armarmi di coraggio, tirarmi fuori da quella situazione in cui mi ero infilata da sola e da cui da sola sarei uscita.

Mi asciugai gli occhi con il braccio e sospirai. Non tutto è perduto, non tutto è perduto... mi ripetei mentalmente, prendendo in mano la forchetta e infilzando un gamberetto. D'improvviso mi era tornata la fame.

 

Il giorno seguente parve interminabile: compiti a non finire che si stavano accumulando l'uno sull'altro con l'avvicinarsi dell'inizio della scuola, pulizie in casa e Angela che mi correva dietro per tutta la casa chiedendomi di giocare con lei a Barbie. Di solito non mi dispiaceva, ma quel giorno, con tutti i pensieri deprimenti che mi vorticavano in testa, non ero proprio dell'umore giusto.

Per non parlare del fatto che i ricordi non facevano che perseguitarmi, mi seguivano ovunque andassi come un masso attaccato al collo da cui non riuscivo a liberarmi. Non che fossero spiacevoli - mi facevano scendere brividi lungo la schiena - ma erano del tutto fuori luogo e non facevano che farmi diventare ogni secondo più scema.

Nel frattempo, avevo provato mille volte a chiamare Nick, gli avevo inviato almeno venti messaggi, ma non mi rispondeva. Il suo cellulare era perennemente staccato; era questo che più spingeva il mio umore al di sotto del pavimento.

Poi, sul finire del pomeriggio, mentre mi godevo un attimo di pausa senza la voce squillante di Angela che mi rimbombava nelle orecchie (mamma l'aveva portata a nuoto), suonò il campanello. Il mio cuore fece un balzo nel petto. Dimmi che è Nick, sperai mentre mi dirigevo verso la porta. Volevo che fosse lui, che fosse venuto a dirmi che non poteva stare senza di me.

Quando però aprii la porta, piena d'aspettativa, dall'altra parte trovai Matthew.

- Che cosa...?

Non riuscivo nemmeno ad esprimere il mio disappunto nel trovarlo lì, sul mio uscio. Ero alquanto stupita.

- Tu hai detto che potevo venire oggi per la lezione -, rispose. A giudicare dal rossore sulle guance doveva provare un certo imbarazzo.

Mi portai una mano alla fronte. - Me n'ero completamente dimenticata! - esclamai. E per fortuna! , aggiunsi fra me: ci mancava solo questo pensiero a distruggermi psicologicamente.

- Entra -, lo invitai, facendomi da parte.

Lui fece qualche passo in avanti, mi rivolse un leggero sorriso che io ricambiai e poi lo condussi verso il salotto. - Stiamo qui, va bene? Tanto non c'è nessuno... mia madre è con mia sorella a nuoto - spiegai, mentre gli facevo segno di sedersi.

- Hai una sorella? Io non lo sapevo... - , nel suo tono c'era una sincera curiosità, come fosse interessato a carpire qualsiasi informazione potesse servire a conoscermi meglio.

- Sì, si chiama Angela, cinque anni di pura energia -, risposi, estraendo i libri dalla libreria di fianco alla televisione.

Lui ridacchiò leggermente. - Mi piacerebbe conoscerla.

Mi sedetti al tavolo di fianco a lui, cercando di resistere a quella forza magnetica che mi spingeva ad avvicinarmi sempre di più. Era pericoloso per me, per la mia vita e la mia sanità mentale.

Sfogliai il libro che avevo davanti agli occhi, sforzandomi di estraniarmi dalle sensazioni che mi provocava la sua presenza. - Fidati, è meglio se non la conosci.

- Why not? Immagino lei sia simpatica e carina come te.

Il mio sguardo scattò come una saetta verso di lui, sfuggendo alla mia volontà, mentre il mio cuore compiva una dolorosa capriola.

Mi aveva fatto un complimento e io mi sentivo fin troppo colpita da ciò. Talmente tanto che ogni muro di protezione venne abbattuto dal suo sguardo color del mare che, se di solito era quieto, in quel momento era una feroce tempesta.

Avrei dovuto riprendere il controllo della situazione, calmare il mio cuore impazzito, ma ormai ero stata completamente travolta. Non sarei rinsavita tanto presto, almeno finché lui avrebbe continuato a guardarmi in quel modo.

Fai altro, non guardarlo, mi dissi e stavo per farlo davvero, quando lui scattò come una molla, colmando ogni distanza fra noi.

Mi mise una mano sulla nuca, fra i capelli, incollò le sue labbra sulle mie. Erano più morbide, più calde di quanto ricordassi.

Il suo profumo di pino mi entrò nelle narici, mandò in tilt ogni mia cellula cerebrale. E il suo sapore! Era così fresco, mi ricordava il mare dei suoi occhi, mi faceva viaggiare in terre paradisiache dove alte onde blu s'infrangevano sugli scogli e scrosciavano sul mio cuore, trascinandolo nel profondo abbraccio degli abissi. Sarei riuscita a risalire? Forse no, ma che importava? In quel momento volevo solo perdermi nella sua bocca, nella sua lingua che esplorava la mia dolcemente, delicata come una piuma.

Quando ci allontanammo leggermente l'uno dall'altra, la tempesta negli occhi di Matt si era placata. Ora c'era qualcosa di diverso, che non avevo mai visto fino a quel momento e mi chiesi se ci fosse anche nei miei.

Continuò a guardarmi, a pochi centimetri dal mio viso, ad accarezzarmi i capelli, mentre qualcosa di indescrivibile si agitava dentro di me.

Soltanto dopo un minuto che avrei voluto durasse per sempre, si ricompose. Come avesse realizzato solo in quel momento cosa aveva fatto, assunse un'aria sconvolta e si alzò in piedi di scatto.

- Devo andare - annunciò, cominciando già ad avviarsi verso la porta.

Anche io, ora che non era più così vicino a me, mi sentii completamente spaesata, come fosse piombata sulla Terra dopo un volo vertiginoso. Avevo reazioni lente, la mente che andava a velocità di lumaca dopo essersi del tutto arrestata durante quel bacio.

- Ma... ma la lezione... - , biascicai seguendolo alla porta.

- Altro giorno -, rispose semplicemente, per poi salutarmi con un semplice cenno della mano e scendere le scale del palazzo a due alla volta.

Richiusi la porta e mi lasciai cadere lentamente sul pavimento. Sbattei più volte la testa contro il legno duro dell'uscio, ogni volta sempre più forte: dovevo essere punita per quello che avevo appena fatto. Avrei bruciato tra le fiamme dell'inferno.

Non ebbi nemmeno il tempo di commiserarmi che il campanello suonò di nuovo, costringendomi ad alzarmi. Temevo che fosse Matt, che avesse cambiato idea e che volesse cominciare la lezione, invece era Giulia.

- Ehi, Ale? Hai visto un fantasma?! - , esordì, entrando in casa.

- No, perché? -

- Sembri sconvolta.

Sospirai mentre ci dirigevamo in camera. - Perché lo sono.

Giulia si sedette sul letto e mi indicò di sedermi di fianco a lei. - Su, avanti... raccontami tutto!

Presi un respiro profondo, nel tentativo di calmare tutte le emozioni che turbinavano in me. - Giuly, ho fatto una cosa terribile... ho baciato Matt.

Giulia scoppiò a ridere di gusto, portando la testa all'indietro. - C'era da aspettarselo -, disse non appena finì l'ilarità.

- Perché dici questo?

- Ale, non nascondere la testa sotto la sabbia! Secondo me sai anche meglio di me che fra voi due c'è qualcosa e non parlo solo di sesso.

La memoria mi riportò al bacio di poco prima, agli sguardi intensi che ci eravamo lanciati, alle emozioni che avevo provato. Mi ritornò in mente quella volta che le nostre mani si erano sfiorate per sbaglio; era stata come una scintilla improvvisa che non avrei potuto prevedere né spegnere. E tutte quelle emozioni che provavo quando si avvicinava a me? Quando mi parlava? Erano solo il riflesso di quella notte? Non credo proprio, rispose la mia coscienza e, forse per la prima volta da quando tutta quella storia era cominciata, mi ritrovai a darle ragione.

- Sì, immagino ci sia qualcosa tra noi.

A Giulia parvero uscire gli occhi dalle orbite. - Scherzi? Davvero mi stai dicendo che l'hai capito?

Abbassai lo sguardo sul tappeto sotto i miei piedi ed annuii leggermente. - Sì, l'ho capito. Mi costa fatica ammetterlo, ma hai ragione: è la verità -

- quindi ti piace, non è così?

Ripensai ancora al bacio e ancora a quello tentato, a come non mi ero sottratta. - Sì, mi piace.

Giulia sospirò, poi si distese sul letto e io di fianco a lei; mi pareva di aver perso tutte le forze che avevo in me.

- Adesso cos'hai intenzione di fare?

Ci pensai qualche secondo, alla disperata ricerca di una soluzione, ma purtroppo, non ne esisteva una assoluta, che mi permettesse di porre rimedio ad ogni aspetto del problema.

- Innanzitutto devo fare pace con Nick e poi devo far finire le lezioni con Matt.

Giulia si sollevò sui gomiti e mi squadrò con rimprovero. - Pensi davvero che sia la soluzione migliore? Pensi che quello che provi per Matt possa svanire facendo solo finire le lezioni? E poi che senso ha stare ancora con Nick se ti piace un altro? -

- Penso che mi potrà passare: non sono innamorata di lui. Se non lo vedo, se non lo sento, forse i miei pensieri potranno di nuovo focalizzarsi su Nick. Non lo voglio perdere -

- non mi pare, però, che fino ad ora tu sia riuscita a dimenticare Matt.

La guardai negli occhi, lasciando che vi leggesse quanto il mio animo fosse tormentato, quanto tutta quella situazione mi facesse soffrire.

- Ci devo riuscire davvero, questa volta.

Giulia si mise a sedere, senza smettere di guardarmi; era chiaramente preoccupata per me. - Secondo me quest'idea è nata per fallire, ma non so cosa dirti, Ale. Fai quello che credi giusto.

Avrei potuto chiederle di esplicitare quale era la cosa giusta da fare per lei, ma non era necessario, perché in fondo lo sapevo anche io: lasciare Nick, ma la mia mente, il mio cuore, il mio corpo si rifiutavano di fare una cosa del genere. I ricordi dei momenti passati insieme non facevano che sfilare davanti ai miei occhi come la pellicola di un film che sapevo a memoria e che non mi stancavo mai di vedere. Non volevo dargli un finale tragico, volevo che non finisse mai quel film.

- Ora devo andare - annunciò Giulia, avviandosi già verso l'uscio.

La seguii con passo strascicato e le aprii la porta. Prima di andarsene mi prese una mano e la strinse fra le sue, cercando di infondermi un po' di conforto. - Se hai bisogno di parlare, non esitare a chiamarmi - disse, con un sorriso.

Annuii. - Grazie - risposi, prima che mi rivolgesse un veloce saluto e cominciasse a scendere le scale del palazzo. 

***

Angolo autrice 

Ciao a tutti, ecco qui il diciassettesimo capitolo... lentamente ci stiamo avvicinando alla fine della storia :) Spero che sia di vostro gradimento e non vedo l'ora di leggere qualche vostro commento! 

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