A modo suo, anche una spia è un criminale.

di HPEdogawa
(/viewuser.php?uid=147028)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo.

Yesung.

 

Quando si risvegliò, non ricordava niente di se stesso. Né il suo nome, né dove si trovasse, tantomeno chi fosse. Sapeva solo di essere sdraiato sulla schiena, a contatto con il legno umido di una chiatta sul fiume Han. Si mise a sedere, confuso e stordito, nonché con un potente mal di testa. Solo quando portò una mano a sfiorarsi la tempia, in cerca di sollievo da quel dolore assillante, si accorse di stringere tra le mani un cellulare. Non lo riconobbe, non avrebbe saputo dire se fosse suo o di qualcun altro. Mise a fuoco l'immagine dell'apparecchio elettronico e notò i suoi polsi rossastri, le sue dita sporche di qualche vivida goccia cremisi, rafferma. Sangue. Sempre più confuso, ignorò quelle macchie sulla sua pelle e schiacciò un tasto del cellulare. Lo schermò si illuminò e, quando lo sbloccò, si ritrovò a leggere un messaggio formato da poche righe:

 

Hai inviato questo messaggio a te stesso.

Quando ti sveglierai non ricorderai più niente.

Ti chiami Kim Yesung. Sei una spia.

Cancella questo messaggio

non appena l'hai letto e getta il

cellulare.

 

Ancora più stranito, Yesung si alzò, e subito un giramento di testa lo colse, prendendolo alla sprovvista. Si appoggiò ad un tavolino accanto al muro, dove era appeso uno specchio, sul quale era attaccato un post-it giallo che recava solo poche parole, scarabocchiate con calligrafia indecisa, tremante:

 

Choi Siwon.

Euljiro, 20012 – Seoul.

 

-Come stai?- domandò una voce, roca e ruvida, come carta vetrata, alle sue spalle. Yesung sussultò e si voltò verso la fonte del rumore, ritrovandosi a fissare una ragnatela di rughe e due occhi scuri, liquidi. Il vecchio della chiatta gli sorrise appena, mentre gli porgeva una tazza fumante di thè.

-Non ricordi nulla, vero?

Yesung non rispose, nuovamente. Rimase semplicemente lì, in piedi, con i pensieri in subbuglio e il mondo ancora poco chiaro. Guardò l'uomo davanti a sé. L'osservò, a lungo. Solo dopo cinque lunghi minuti, riuscì a parlare e la sua voce uscì flebile ed indecisa. Come se non gli appartenesse.

-Cos'è successo?

-Non è mio compito dirtelo.

-Chi è Choi Siwon?

-Lo scoprirai da solo.

-Lei chi è?

-Non lo scoprirai mai.

-Chi sono io?

-L'hai già scoperto.

 

* * *

 

Le strade di Seoul erano affollate, come da stereotipo. La città che non dorme mai, quella che, a detta di molti, fa un baffo alla Grande Mela. Yesung camminava tra le vie di quella metropoli, stordito, confuso, con un odore poco piacevole addosso e sangue sulle mani, che teneva accuratamente nascoste nelle tasche del giaccone. Faceva freddo, e anche parecchio: il vento gelido si abbatteva sui volti delle persone senza pietà, e queste si imbacuccavano in giacche, sciarpe, guanti e berretti per scappare da quella morsa insopportabile. Yesung, invece, non indossava altro se non un maglioncino – che copriva una rivoltella infilata nei pantaloni – sotto quel cappotto di fortuna che aveva rubato da una bancarella particolarmente affollata. Tremava, stringendosi nella stoffa ruvida e fastidiosa, mentre, piano piano, nella sua mente iniziavano a farsi strada ricordi confusi. I suoi occhi, abituati da anni ed anni di addestramento, captavano ogni minimo particolare, dal colore delle scarpe di quell'uomo vestito con abiti fantasiosi, al numero ti targa dell'auto della polizia che sostava poco lontano da lui. Camminava sicuro, mentre cercava di ricordarsi cosa faceva nella sua vita, prima di quella misteriosa perdita di memoria. Era una spia, sì. Ma per quale agenzia lavorava? In quale dipartimento? Su che casi aveva, stava, o avrebbe lavorato? Era frustrante non ricordarsi nulla e avere solo tre informazioni tra le a cui far riferimento: il suo nome, il suo lavoro e l'indirizzo di un certo Choi Siwon. Reprimendo un'imprecazione, ebbe l'impulso di entrare in un bar a bere qualcosa, giusto per rendere totale la propria amnesia. Ma, proprio mentre stava per varcare la soglia di un locale, si ritrovò ad interrogarsi sulla propria età. Quanti anni ho?, si chiese e, quasi come per abitudine, i suoi occhi si misero a cercare una superficie a specchio. Si fermò davanti alla vetrina di un negozio, che risplendeva sotto le luci natalizie e le decorazioni dorate, rosse e blu. Osservò interamente la sua immagine, inclinando leggermente la testa verso destra. Sembro un diciottenne. O un diciannovenne, si disse, rinunciando all'idea del drink. Sospirò, ritornando in strada, maledicendo il vecchio se stesso – il Kim Yesung che non conosceva – per non aver lasciato delle informazioni in più. Non aveva nessun tipo di documento con sé, tantomeno dei soldi. L'unica cosa a cui si poteva aggrappare, era quel post-it, macchiato e umidiccio, che continuava a rigirarsi tra le dita della mano destra, nel calore rassicurante della tasca. Si fermò a chiedere più volte informazioni per raggiungere il posto che, forse, gli avrebbe dato delle risposte. Camminò per oltre un'ora, quasi senza meta, sperando che le persone non si prendessero gioco di lui, dandogli informazioni fasulle. Gli informatori falsi sono come un'appendice, si disse, sorridendo tra sé e sé: si era ricordato qualcosa, finalmente. Non provava una particolare simpatia verso gli individui che, alla fin fine, si rivelavano essere tutto fumo e niente arrosto. Mentre superava l'ennesimo incrocio, la millesima vetrina luccicante e il centesimo semaforo, si teneva in allenamento, cercando di captare più particolari possibili, o capire se fosse pedinato da qualcuno. Nonostante pensasse di essere pulito, ogni duecento metri si fermava e tornava sui propri passi per qualche minuto, per poi riprendere a camminare verso Euljiro. Una perdita di memoria – anche se di rilevante importanza – non bastava per fargli perdere le abitudini di un'intera vita. Yesung sapeva che mai si sarebbe scrollato di dosso l'intuito, la vista e l'udito impeccabili, le arti marziali, le lezioni di crittografia o di contropedinamento. Tutto sarebbe per sempre rimaste dentro di lui, nel suo sangue, nella sua mente e sulla sua pelle. Per questo, nonostante non sapesse cosa lo aspettava, mentre sostava davanti alla casa che recava il numero 20012, si sentiva tranquillo.

Poteva sempre contare su se stesso.

 

 

Siwon.

 

Erano le due di notte, quando il campanello di quella che da poco era diventata 'casa Choi' suonò, svegliandone il proprietario. Con uno sbuffo, Choi Siwon si alzò dal letto, trascinandosi letteralmente fino alla porta d'ingresso. Con uno sbadiglio, iniziò a rovistare sulla mensola accanto alla porta, in cerca delle chiavi. Il suono acuto si ripetè una seconda volta, e poi una terza.

-Sono qui, sono qui...- borbottò il venticinquenne, trovando finalmente il mazzo corretto e stringendo tra le dita la chiave esatta, che si affrettò ad infilare nella serratura, dopo aver mancato per due volte l'entrata. La girò per tre volte e finalmente il pomello si mosse senza alcun blocco, lasciando che la porta si aprisse.

Inizialmente, Siwon credette di star sognando. Sbattè le palpebre un paio di volte e poi aguzzò lo sguardo, temendo di essere sonnabulo e di star, in realtà, fissando il nulla. O forse qualcuno lo aveva drogato in qualche modo. Eppure, quella figura davanti a sé era troppo concreta, palpabile, percepibile. Quei ciuffi neri e morbidi erano reali. Quegli occhi scuri e lucidi, affilati e misteriosi, lo stavano fissando di nuovo, dopo tanto tempo.

Non poteva essere una visione.

-Yesung?- mormorò, ma l'altro non lo sentì, poiché aprì la bocca per parlare:

-Sei Choi Siwon?

-Ovvio, chi altri dovrei essere?

-Io sono Kim Yesung.

-Lo so- disse l'altro, sempre più stranito.

-Tu mi conosci?

-Yesung... ti conosco da sette anni.

-Io non mi ricordo di te.

-Entra in casa- disse Siwon, facendosi da parte, mentre una parte del suo cervello credeva ancora di star vivendo un sogno contorto.

Yesung non si fece ripetere l'invito due volte e si fiondò dentro l'abitazione, al caldo e al riparo dal vento esterno. Siwon chiuse la porta, con quattro giri di chiave nella toppa, e controllò che tutte le persiane fossero assicurate. Girandosi, si ritrovò a fissare la canna di una pistola.

Sbarrò gli occhi, alzando automaticamente le braccia, mentre gettava un'occhiata spaventata a Yesung: il suo sguardo era deciso, mentre gli puntava l'arma al petto.

-Portami dove c'è un po' di luce- gli disse, e Siwon lo condusse in sala, dove accese un'abat jour.

-Yesung, che cosa succe--

-Zitto. Le domande le faccio io. Chi sei?

-Sono Siwon, Yesung. Sono io...

-Ti ho già detto che non mi ricordo di te!

-Ma--

-Cosa fai nella vita?

-Sono un medico.

-Più preciso.

-Un chirurgo generale.

-Dove lavori?

-Al Hangang Sacred Heart Hospital.

-Quanti anni hai?

-Venticinque.

-E io?

-Tu, cosa?

-Quanti anni ho?

-Yesung, come fai a non--

-Quanti anno ho?!

Siwon sbarrò gli occhi, mentre il suo battito cardiaco accellerava notevolmente. Non aveva mai visto Yesung ridotto in quello stato: occhiaie, affanno, tremolii in tutto il corpo, lacrime agli occhi e mani sporche di sangue.

Deglutì, mormorando:

-Hai ventidue anni.

-Io sono una spia, vero?

-Sì, lo sei.

-Per quale agenzia lavoro?

-Non lo so.

-Ne sei sicuro?

-Non hai mai voluto dirmelo.

La mano con la quale teneva la pistola tremava visibilmente, così come le sue spalle e i suoi occhi lucidi. Non sembrava più il Kim Yesung di un tempo, glorioso, nel bel mezzo del periodo d'oro della sua carriera. Bello, deciso, con quel fascino misterioso che aleggiava attorno alla sua figura.

No, la persona che Siwon stava osservando era un'altra, totalmente diversa da quella che era abituato a vedere. Questo Kim Yesung era indeciso, debole e aveva paura: lo si leggeva in quello sguardo perso e nella sua voce flebile.

-Yesung... Cos'è successo?

-Io non ricordo nulla, Siwon...- era strano sentire di nuovo il suo nome pronunciato in quel modo da quella persona:

-Mi sono svegliato poche ore fa su una chiatta sul fiume... avevo un messaggio sul cellulare: prima di addormentarmi, avevo inviato a me stesso un sms con scritto il mio nome e la mia occupazione. Ho cancellato il messaggio e buttato il telefono perché... perché nel messaggio c'era scritto che avrei dovuto farlo. Poi ho trovato un post-it, dove avevo appuntato il tuo nome... e questo indirizzo.

-Perché sei venuto a cercarmi?

-I-io non lo so... non mi ricordo assolutamente niente.

-Niente, Yesung?

Il ventiduenne scosse il capo, abbassando appena la pistola. Siwon continuò a parlare:

-Yesung... sai che non ci vediamo più da due anni, vero?

L'altro, di nuovo, mosse appena il volto per negare.

Siwon prese un profondo respiro, prima di pronunciare quelle parole che aveva tentato di dimenticare, nei mesi precedenti, per poter andare avanti con la sua vita:

-Due anni fa, durante una missione, sei sparito nel nulla. Ti hanno cercato per mesi e mesi, fino a quando non sono riusciti a portare a termine ciò che tu avevi iniziato. Ciò nonostante, non sono riusciti a trovarti, Yesung...

Vide il ragazzo davanti a sé trattenere il fiato, mentre lui mormorava:

-Pensano tutti che tu sia morto.

 

 

 

Angolino dell'autrice.-

 

Ciao a tutti!

E' la prima long che mi azzardo a postare nei SuJu e, beh, in sostanza tutte le mie long parlano di ladri, spie e cose del genere, quindi è ormai chiaro che anche questa verte sui mondi dello spionaggio. Per ora non ho nulla da dire, è solamente il prologo, ma spero che vi siate incuriositi. ^^ E' una Wonye – amo questa coppia dall'alba dei tempi, non ci posso fare nulla – e in futuro ci saranno altri due (o tre) pairing, devo ancora delineare bene quella parte della storia. Aggiornerò a breve, in teoria entro lunedì. Mi farebbe piacere ricevere delle recensioni con i vostri pareri, giusto per sapere che non sto scrivendo spazzatura!

Perdonate evenutali errori di battitura: ho riletto, ma qualcosina sfugge sempre.

Alla prossima,

chu.--

Lara.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.

Yesung.

 

Yesung se ne stava seduto sul divano, la pistola lontana dalla sua portata e una coperta sulle gambe. Teneva lo sguardo fisso sul camino, dove ardeva un piccolo fuoco che stava ancora tentando di nascere dai ceppi di legno che Siwon aveva messo al suo interno qualche minuto prima. Un bicchiere d'acqua giaceva, ancora pieno, sul comodino vicino a lui, mentre la sua figura veniva perlustrata da cima a fondo dagli occhi magnetici del venticinquenne. Yesung si sentiva a disagio, sotto quello sguardo: studiato, perlustrato. Non era mai un bene, per una spia, venire osservati troppo a lungo: si individuavano punti deboli, armi, espressioni mal celate. Con un solo sguardo, un'occhiata di troppo, una copertura saltava in aria, una missione veniva conclusa in modo drastico. Per questo il ventiduenne non gradiva tutta quell'attenzione su di sé. Lui era un camaleonte, il ragazzo-parete della situazione, quello che si fonde nell'ambiente che lo circonda, fino a farne talmente parte da non essere visto. Le sue capacità da artista di strada erano la ragione per cui veniva spesso inviato a svolgere compiti come agente sotto copertura. Quel pensiero lo fece tornare alla realtà, alla sua ultima missione di cui non ricordava assolutamente nulla. Abbassando lo sguardo, colse ugualmente un movimento di Siwon, ma lo ignorò: il ragazzo si era alzato e lo aveva raggiunto, ma il più piccolo era ancora restio dal fidarsi di lui. A conti fatti, di Siwon conosceva solo nome, cognome e indirizzo. Anche la professione, ma, se c'era una cosa di cui Yesung si fidava, era ciò che gli avevano insegnato negli anni passati, ovvero che tutti mentono, in qualche modo.

-Yesung-ah...- gracchiò Siwon, porgendogli il bicchiere d'acqua:

-Devi bere qualcosa, visto che non vuoi mangiare nulla- tentò di convincerlo, prendendogli una mano. L'altro, cocciutamente, la rimosse, rifiutando nuovamente il bicchiere. Sentì Siwon sospirare, mentre si allontanava per tornare alla sua poltrona.

-Ti prometto, Yesung, che riuscirai a ricordare tutto. Ti aiuterò io, di me ti puoi fidare. Lo sai, vero?

Yesung alzò lo sguardò, incrociando quegli occhi lucidi, senza cambiare atteggiamento, perché la risposta era che no, non si poteva fidare. Affatto. Gli unici suoi ricordi – oltre a quelli delle ultime ore – erano gli insegnamenti assiepati nel suo cervello, e quello che citava “Mai fidarsi di nessuno, se non di se stessi” lampeggiava in primo piano, a caratteri cubitali. Non poteva ignorare ciò che l'istinto gli diceva, quando rappresentava la sua unica risorsa.

-Non posso fidarmi di te- disse, e il suo tono era freddo e distaccato, proprio come voleva che uscisse.

-Ma, Yesung...

-Io non ti conosco.

-Sì, invece!

-Questo è ciò che tu mi assicuri, ma come faccio a sapere se si tratta della verità o no?

-Segui il tuo istinto!

-Il mio istinto mi dice di non fidarmi.

-Allora non è così infallibile come ti divertivi a dire in giro.

-Come sarebbe a--

-Senti, lo so che credi di non conoscermi perché hai questa specie di amnesia che – lasciamelo dire – ti sta rendendo estremamente scorbutico. Ma noi, di fatto, ci conosciamo da sette anni. Sette, capito? E so che tu finirai per ricordare tutto, quanto è vero che in questi anni non ho mai creduto per un solo istante al fatto che tu fossi morto. Io mi fido di te, Yesung, nonostante la persona a cui mi sto rivolgendo mi sia del tutto nuova, perché – sì, Yesung – proprio come tu non sai niente di me, io non so nulla di questo nuovo te. Non ho idea di cosa sia successo negli ultimi due anni, dove tu sia stato, cosa tu abbia fatto. So solo che sei sbucato dal nulla, puntandomi una pistola addosso e trattandomi come un completo sconosciuto pronto ad ucciderti non appena volti le spalle. Ma io non sono così: sono solo un chirurgo che tanto tempo fa ha perso un amico e, adesso che lo ha ritrovato, vorrebbe aiutarlo. Non sono uno sconosciuto, non sono un assassino, un criminale, un traditore o altro: sono semplicemente Siwon, il ragazzo che sette anni fa si è seduto accanto a te su un bus qualunque in una giornata qualunque, così come tu sei il ragazzino che ha spostato uno zaino dalle dimensioni spropositate per liberare il posto accanto. Siamo ancora le stesse persone di sette anni fa, persone di cui ci possiamo fidare. Devi solo accettarlo, Yesung, e lasciare da parte l'istinto per qualche minuto. Fidati. Fidati di me.

Tra di loro corse, per qualche attimo, un silenzio carico di tensione: Siwon, durante il suo discorso, si era sporto in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e stringendosi le mani, l'una con l'altra. Yesung aveva, involontariamente, stretto tra le dita la coperta, alla vista di quello sguardo deciso e determinato che, non si sa bene né come né quando, aveva acceso al suo interno un meccanismo che lo aveva portato quasi a credere a quelle parole. Fecero durare il loro gioco di sguardi ancora qualche secondo, prima che Yesung sospirasse:

-Io vorrei potermi fidare.

-Fidati, te lo chiedo per favore, Yesung.

-Te l'ho già detto, in questo momento posso contare solo su me stesso! Non ho la minima idea di dove io sia stato nelle scorse ventiquattro ore, figuriamoci negli ultimi due anni. Non ho idea di dove sia la mia famiglia – supponendo che ne abbia effettivamente una. Non mi ricordo il giorno del mio compleanno, se sono mai stato fidanzato, licenziato o promosso ad una carica più importante. Ora so solo che in questa stanza ci sono diciassette foto, del pelo di gatto sul maglione appoggiato al davanzale, un orecchino sopra il camino e i quadratini segnati sul termometro digitale stanno lampeggiando, quindi presumibilmente hai i caloriferi accesi, o programmati. Il terzo bottone della maglia del tuo pigiama si sta sfilacciando, ti conviene riattaccarlo se non vuoi che il tuo gatto – o quello della tua ragazza, dato l'orecchino – lo ingoi e poi muoia. E, infine, so che tra esattamente quarantaquattro secondi saranno le tre, segno che, finalmente, sto riprendendo ad avere la cognizione del tempo. Tutto questo, Siwon, non sei stato tu a dirmelo, ma il mio cervello e l'addestramento che è rimasto dentro di me nonostante la perdita di memoria. Per cui, mi dispiace, ma non mi sento pronto a fidarmi di te, e a ragione.

-Sei nato il ventiquattro agosto- fu tutto quello che Siwon disse, alzandosi.

-Cosa?

-Sei nato il ventiquattro agosto. I tuoi genitori vivono a Cheongju fuori città e hai un fratello minore che è al penultimo anno alla Cheongshim International Academy. Non hai mai avuto né una ragazza né un ragazzo e no, non ti hanno mai licenziato, ma nemmeno promosso ad un livello superiore. Tre anni fa sei stato spostato dal dipartimento di Antiterrorismo al Controspionaggio. Eri arrabbiato, perché dall'attentato dell'undici settembre il controspionaggio è l'appendice dei Servizi Segreti. E tutte queste cose che hai elencato sono frutto dell'addestramento di sette anni che hai eseguito alla Heereul Academy, la scuola segreta di spionaggio che si trova a quaranta chilometri da Busan. Ti conosco Yesung. Ti conosco davvero. E ora anche tu conosci un po' più di te stesso. Adesso devi solo capire se il tuo amato cervello ti fa accettare il mio aiuto. Rinfrescati le idee. Dormi, bevi, mangia qualcosa: hai casa mia a disposizione. Io vado a dormire, puoi uccidermi quando vuoi.

Siwon gli gettò un'ultima occhiata, per poi allontanarsi. Arrivato sulle scale, la voce di Yesung lo fermò:

-Siwon?

Il venticinquenne si voltò, poggiandosi al corrimano.

-Sì?

Yesung, per la prima volta, si era voltato a guardarlo con un'espressione sincera e confusa.

-Io e te... cosa eravamo esattamente?

Siwon sospirò, abbassando la testa per qualche secondo, prima di guardarlo di nuovo e dire:

-Eravamo... amici. Sì, buoni amici.

Yesung annuì e, prima di voltarsi verso il fuoco ormai zampillante e pieno di vita del camino, disse:

-Buonanotte.

 

 

 

Kyuhyun

 

Le giornate di un criminale possono essere classificate come monotone o interessanti. Tutto è soggettivo, ovviamente. Cho Kyuhyun aveva sempre trovato che la sua vita fosse estremamente interessante. Insomma, non capita a tutti di dover sfuggire ogni giorno agli agenti in borghese della NIS* che ti pedinano ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. A Kyuhyun, invece accadeva spesso. Anche fin troppo, a parer suo, ma l'importante era non farsi beccare. Per questo, quella mattina, uscendo di casa quando ancora il sole faticava a superare la linea all'orizzonte, si premurò di indossare una parrucca bionda ed eccentrica, degli occhiali da vista e un paio di baffi con tanto di pizzetto all'apparenza del tutto veri, dipingendosi anche un neo appena sotto l'occhio destro. Evitò la sciarpa, chiudendosi, invece, in un piumino caldo e rassicurante, mettendosi in spalla una tracolla contenente accessori extra e la busta gialla che doveva spedire. Chiudendo la porta del condominio alle sue spalle, saltellò sugli scalini, simulando una scivolata – scampata grazie al corrimano. Tirandosi nuovamente in posizione eretta, Kyuhyun si guardò intorno e le sue guance s'imporporarono di un imbarazzo vero quando i suoi baffi. Un uomo imbacuccato in sciarpa e impermeabile, seduto sulla panchina del parcheggio condominiale, si alzò e lo raggiunse:

-Stai bene, ragazzino?

Kyuhyun sorrise, mostrando una sfilza di denti storti:

-Certo, sto bene. Sono solo un po' distratto – me lo dicono sempre tutti- ridacchiò stupidamente.

L'uomo annuì, allontanandosi con un:

-Fai attenzione a non cadere!

L'altro annuì, salutandolo con un inchino e allontanandosi, molleggiando sulle gambe. Una volta svoltato l'angolo, percorse ancora cento metri con quell'atteggiamento frivolo e superficiale. Quando raggiunse una bancarella della frutta particolarmente affollata, fece sparire il sorriso spensierato dal suo volto e iniziò a liberarsi della sua copertura – dentiera in primis. Ripose parrucca, baffi, denti e occhiali nella tracolla, estraendone poi un berretto e una sciarpa. Rimase ad osservare la bancarella per qualche secondo, inciampando poi nei propri piedi e scivolando tra un uomo – chiaramente un avvocato dato ciò di cui stava concitatamente discutendo con la segretaria al telefono – e la cassa delle mele. Aggrappandosi al giaccone di pelle del più grande, riprese l'equilibrio e si scusò velocemente, mentre l'altro lo ignorava quasi del tutto. Kyuhyun si allontanò, con del nuovo finto imbarazzo dipinto sul volto. Attraversato l'incrocio, iniziò a mangiare la mela sottratta dalla bancarella, mentre frugava all'interno di un portafoglio.

-Proprio un avvocato- disse, con un ghigno sul volto, mentre pensava che per un po' avrebbe evitato furtarelli inutili.

 

Con gli inizi di dicembre, il ghiaccio, la neve e il vento erano tutto ciò che attraversava le strade di Seoul. Kyuhyun amava questo periodo dell'anno: la gente era confusa e maldestra, troppo presa dal freddo pungente per notare che – ops – una mano si era appena infilata velocemente nella tasca del cappotto. Il ventenne era il primo ad odiare furti stupidi commessi su gente onesta, per questo – quelle poche volte in cui era costretto a rubacchiar soldi – puntava ai ricconi muniti di Porche, giacche in pura pelle, borse di Chanel e pellicce di feto. Solo in quel modo non aveva sensi di colpa che lo tormentavano per le settimane a seguire – nonostante di natura fosse un totale menefreghista.

Camminando per le strade, faceva lo slalom tra le lastre di ghiaccio e infossava il volto nella sciarpa, mentre stava attento ad evitare polizia, telecamere di sicurezza e – inutile dirlo – ogni due per tre si assicurava di non essere pedinato. Era una scocciatura, forse la scocciatura più scocciante del suo lavoro. Ma doveva ammetterlo a se stesso: era anche estremamente divertente. Forse erano gli anni che aveva passato a rubare, o semplicemente aveva il crimine nel sangue – come gli piaceva pensare. Il fatto di dover avere sempre una superficie riflettente a disposizione e tutti i sensi all'erta. Era pura adrenalina e quella sensazione di tensione era puro piacere per lui – anche perché nella maggior parte dei casi la situazione era completamente sotto controllo. Stranamente, sorrise – e fu un sorriso sincero – mentre raggiungeva la buca delle lettere lontana otto isolati dal suo appartamento. Gli capitava raramente di sfoggiare sorrisi che non fossero sarcastici, cinici o ghigni malefici. Non smise, però, di tenersi quell'espressione stampata in volto, nemmeno quando si libero della busta che – ovviamente – aveva aperto e richiuso (solo dopo averne memorizzato il contenuto). Mormorò poche parole, prima di tornare sui propri passi, schivando il vassoio volante di un cameriere scivolato sul marciapiede di un locale. Prendendo al volo l'oggetto, involontariamente nella sua mente sfilarono quattordici modi per usare un vassoio come arma. Sorrise, ma questa volta era un accenno di divertimento.

Il crimine era sicuramente parte del suo DNA.

 

 

Siwon.

 

La sveglia suonò alle sette meno un quarto, svegliando Siwon dal suo sonno profondo quanto tormentato da incubi. Yesung che lo accoltellava, Yesung che gli sparava, Yesung che moriva o spariva nuovamente nel nulla. Fu sinceramente sorpreso di svegliarsi ancora vivo ed intatto nel suo letto. Con un sospiro, si alzò e, dopo una doccia veloce, si vestì per andare al lavoro: quel giorno aveva in programma una colecistectomia e un trapianto di fegato – per certo. Dato il turno di dodici ore, di sicuro avrebbe avuto un caso urgente dopo l'altro e nemmeno il tempo di respirare.

Afferrando la tracolla, scese le scale e trovò Yesung coricato teneramente sul divano, appallottolato nella coperta di lana. Sorrise, carezzandogli dolcemente una guancia: il primo contatto con lui dopo due anni. Picchiettando un dito sullo schienale del divano, si fece forza e si allontanò, preparandosi psicologicamente per il turno estenuante che lo attendeva. Aprì la porta, ritrovandosi faccia a faccia con il postino: stava per suonare il campanello, ma si fermò non appena vide il ragazzo.

-Choi Siwon?- domandò e l'altro annuì, infilando la chiave nella toppa e girandola tre volte.

-Ho un pacco per lei.

-Un pacco?

-Sì.

-Da parte di chi?

Il postino si affrettò a scavare nella borsa, estraendo poi una busta sgualcita e giallognola. Aguzzò lo sguardo, cercando di decifrare il nome scritto sull'etichetta bianca posta nell'angolo in alto a sinistra:

-Kim Yesung.



Angolino dell'autrice.--

Ciao a tutti, eccomi con l'aggiornamento!
Visto che c'è ancora una settimana prima che la scuola riprenda, gli aggiornamenti saranno ancora frequenti, quindi entro mercoledì/giovedì dovrei tornare.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio chi ha recensito e messo tra le seguite/preferite, o semplicemente chi ha letto.
Vi chiedo per favore di farmi sapere con una recensione cosa pensate di questo capitolo: positive o negative che siano - tanto si ha sempre da migliorare.
Fate passare alcuni possibili errori di battitura, in questi giorni sono particolarmente dislessica.
Alla prossima,
Lara.--


*NIS: National Intelligence Service - una delle agenzie d'intelligence sudcoreane.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.

Siwon.

 

Come aveva calcolato, la giornata si era rivelata più pesante del previsto. C'era stato un incidente a catena a metà mattinata e le sue ore in sala operatoria e, di conseguenza, quelle da passare tra le scartoffie, si erano moltiplicate. Uscendo dalle porte scorrevoli all'entrata dell'ospedale, alle sette di sera, Siwon si sentiva stanco, affamato e desideroso di una doccia rigenerante. Da quella mattina aveva ingoiato solo qualche patatina e una carota e il suo stomaco non sembrava molto contento del digiuno. Solo quando si chiuse in macchina e gettò la borsa sul sedile accanto, Siwon scorse la busta gialla. In un nanosecondo, nella sua mente si ripresentarono i ricordi di ciò che era successo nelle ultime ventiquattro ore. Per tutta la giornata aveva pensato esclusivamente ai suoi pazienti, ai sacchetti pieni di liquido cremisi costantemente in arrivo dalla Banca del Sangue e agli imminenti esami del quarto anno di specializzazione, mentre la faccenda di Yesung, amnesico e, sotto un certo aspetto, pericoloso, era passata in secondo piano. Con un sospiro, prese la busta e la aprì, cercando di non danneggiarla sul lato dove era stato scritto il nome del mittente – ovvero, Yesung. Solo allora Siwon scorse un altro scarabocchio, segnato velocemente da una matita leggera. Aguzzò lo sguardo, provando a tradurre la scritta:

 

Spedita da: Park Seongha.

 

Stranito, ribaltò l'involucro e ne uscì un malloppo di fogli tenuto insieme da un elastico verde. C'erano foto, diagrammi, tabelle e rapporti lunghi chilometri. Parlavano di missioni, agenti dormienti, infiltrati, talpe e doppiogiochisti. Guidando verso casa, Siwon tentò di cogliere il nesso tra lui e quei documenti. Perché Yesung li aveva spediti proprio a lui? Chi era Park Seongha? Era una trappola? Per lui? Per Yesung? Per entrambi?

-Aish!- esclamò, dando un colpo al volante e suonando involontariamente il clacson. Il vecchietto che stava attraversando la strada davanti a lui si girò a guardarlo, irato, e lo mandò a quel paese più volte, borbottando qualcosa sui suoi ottant'anni e sulle sue povere gambe dolenti. Siwon si scusò, senza premurarsi neppure di essere sentito o meno, e, una volta che il signore si fu allontanato, riprese a guidare verso casa. Quando arrivò, le persiane erano chiuse, proprio come quella mattina, e nemmeno le luci sembravano accese. Infilò la chiave nella toppa, stringendo al petto la busta gialla e sgualcita. Entrando in casa, chiuse nuovamente la porta e si guardò intorno. In salotto non v'era alcun segno di vita, così come dal bagno o dal piano superiore. Raggiunse la cucina ed aprì la porta stranamente chiusa. Il locale era totalmente al buio, fatta eccezione per un angolo, illuminato dalla luce di una torcia tenuta in mano da Yesung.

-Yesung?- domandò, raggiungendolo. Il ragazzo ricambiò lo sguardo, ma non disse nulla.

-Cosa ci fai qui?- chiese Siwon, senza ricevere nuovamente una risposta. Sospirò e lasciò cadere nel vuoto quella conversazione a senso unico, gettando la famosa busta sul tavolo e togliendosi la giacca.

-Vado a fare una doccia- disse al più piccolo, uscendo dalla cucina: -La busta che ho lasciato sul tavolo l'hai spedita tu. A me. Prova a vedere se riesci a ricordarti qualcosa!

Aveva usato involontariamente – o, forse, in parte Yesung se l'era andato a cercare – un tono sgarbato e tagliente. Aveva passato una giornata stressante e al massimo della tensione. L'ultima cosa che voleva fare era arrivare a casa per avere a che fare con un ventiduenne testardo e non collaborativo, che aveva presumibilmente passato l'intera giornata chiuso in cucina, al buio, con la sola compagnia di quella torcia elettrica. Solo dopo che si fu calmato con una doccia calda e rilassante, si rese conto che, da quel che aveva visto, le mani di Yesung erano ancora sporche di sangue, i suoi polsi lividi e rossastri. Probabilmente non aveva nemmeno mangiato niente ma, con un poco di sollievo, notò, scendendo in sala, che il bicchiere d'acqua adesso giaceva vuoto sul tavolino. Rientrando in cucina – stringendo tra le mani una salvietta bagnata, garze e disinfettante – trovò Yesung seduto a tavola, davanti alla busta. Non l'aveva nemmeno toccata, i suoi occhi la stavano semplicemente esaminando, come se fosse pronta ad esplodere da un momento all'altro. Si sedette davanti a lui, domandandogli:

-Non la apri?

Yesung scosse il capo, persistendo con il suo improvviso mutismo. Siwon sospirò, tendendo una mano:

-Mi fai vedere i tuoi polsi?

Yesung lo scrutò per qualche secondo, come un piccolo lupo malfidente che entra per la prima volta a contatto con un umano, ma poi tese il braccio, distogliendo lo sguardo. Siwon arrotolò la manica del più piccolo fino al gomito, rivelando altri segni sulla pelle candida. Lividi e tagli più o meno superficiali e quasi rimarginati marchiavano interamente il suo avambraccio. Il più grande sgranò gli occhi: non si aspettava tutte quelle ferite. Chissà quante altre gli erano state inflitte.

-Yesung!- esclamò: -Come diamine te li sei procurati?- ma un'occhiata da parte del ventiduenne fu più che sufficiente per fargli capire l'inopportunità di quella domanda: Yesung non ricordava nemmeno chi fosse. Con un sospiro esasperato, iniziò a ripulire le ferite con il panno imbevuto d'acqua fresca, per poi disinfettarle una ad una e applicare dei cerotti sui tagli più superficiale, mentre mise le bende sulle ferite che, una volta toccate, si erano riaperte. Eseguì lo stesso procedimento anche sull'altro braccio ma, proprio mentre stava per alzarsi e buttar via tutto, Yesung gli afferrò una mano, sottraendogli lo straccio sporco e bagnato.

 

Yesung.

 

Mentre l'acqua di cui era impregnato il panno faceva sparire dalle sue mani le tracce di sangue, sentì un improvviso peso al petto. Iniziò a chiedersi di chi fosse il sangue che era rimasto sulla sua pelle per tanto tempo, quel sangue che si era perso a fissare per tutta la giornata. Era davvero diventato un assassino? Aveva ammazzato qualcuno perché doveva o perché voleva uccidere? A mano a mano che dalla sua pelle spariva sporcizia, sangue e terra secca, gli sembrava di perdere peso, diventare in qualche modo più leggero, pulito. Ciò nonostante, il sangue poteva pur sparire dalle sue dita, ma di certo quello che gli sporcava l'anima non se ne sarebbe andato tanto facilmente.

Quando ebbe finito, gettò lo straccio nella spazzatura. Siwon si era messo ai fornelli e stava cucinando della pasta – quella in bustine, precotta, già condita nonché difficilmente accettabile dalle sue papille gustative. Tornando al proprio posto, i suoi occhi ricaddero sulla busta gialla posata sul tavolo. Sedendosi, senza quasi rendersene conto, allungò le mani fino ad afferrarla e ad aprirla. Le sue dita scivolarono ben presto verso quei pezzi di carta, sfogliandoli uno ad uno, studiandoli e memorizzandoli. Siwon non si era ancora accorto di nulla, mentre fischiettava davanti al piano cottura, mescolando la pasta. I fogli sembravano non finire mai, mentre gli occhi neri di Yesung li analizzavano nel minimo dettaglio. I minuti passavano, ma per il ventiduenne il tempo si era fermato. Non si era accorto di nulla – né del piatto di pasta lasciato accanto a lui, dell'occhiata soddisfatta lanciatagli da Siwon o il fatto che questo avesse lasciato la stanza. Tutto ciò che, in quel momento, occupava la sua mente, era l'ultimo foglietto che aveva trovato sul fondo della busta: una foto sgualcita, un po' rovinata. Ritraeva due persone. Yesung si ritrovò inconsciamente a sorridere, mentre osservava il sé stesso di qualche anno prima, che abbracciava un Siwon non molto diverso diverso da quello attuale. Qualcosa lo spinse a voltare la foto, osservandone il retro. E, con sua sorpresa, trovò una scritta:

 

Kim Yesung e Choi Siwon.

Persone di cui fidarsi.

 

Un improvviso movimento alla sua sinistra lo fece sobbalzare e voltare: Siwon era tornato – nonostante non si fosse accorto nemmeno della sua assenza – con una bottiglia d'acqua tra le mani. Posandola a tavola, si sedette sulla sedia di fronte al più piccolo, che gli sorrise appena, provando a dargli realmente fiducia. Siwon ne fu chiaramente sorpreso ed iniziò a mangiare, mentre Yesung altro non faceva se non piluccare di tanto in tanto qualche spaghetto. Non aveva per niente fame, nonostante non mettesse nulla sotto i denti da tempo immemore, nel vero senso del termine.

C'era qualcosa che non tornava.

 

Leeteuk.

 

 

Gli unici problemi nella vita di Park Leeteuk – oltre all'essere un ventiseienne con un'irrisolta sindrome di Peter Pan – erano gli hacker e le scartoffie. Non capiva l'importanza del riempire moduli, stilare relazioni e fare qualsiasi altra cosa che comportasse l'utilizzo di una penna a sfera e quattordici fogli da compilare o semplicemente firmare in diecimila punti differenti, segnati accuratamente con una “x” più simile alla lettera alfa che alla terzultima componente dell'alfabeto. Continuava a sbuffare, mentre le sue dita sottili stringevano la penna, che scivolava velocemente sulla carta non riciclata. Maledette scartoffie, maledetta burocrazia, continuava a pensare, mentre gettava repentine e continue occhiate all'orologio appeso alla parete di fronte a lui. Erano le otto e trenta, ciò significava che aveva mezz'ora per consegnare quei moduli, tornare a casa, buttarsi sotto la doccia, indossare vestiti anonimi e uscire nuovamente, diretto verso il parco di Namsan, dove aveva un appuntamento. Beh, chiamarlo “appuntamento” era un po' scorretto, in quanto si trattava puramente di lavoro. Lavoro sotto copertura, per essere precisi. Scrivendo l'ultima parola, terminò la riga con un punto deciso e pesante, come a voler rafforzare il fatto di essere finalmente libero da qualsiasi fiscalismo. Si alzò dalla sua sedia girevole con un nuovo sorriso, brillante e genuino – abbellito con una tenera fossetta sulla guancia destra – e si diresse verso l'ufficio del direttore di dipartimento, Kang Jinyoung. Tempo dieci minuti, e finalmente lascerà l'Agenzia.

 

Il parco di Namsan è una gioia per gli occhi di giorno, la sera è semplicemente uno spettacolo da vedere almeno una volta nella vita. Luci rilassanti, persone sorridenti, spensierate e ben disposte. Solitamente Leeteuk si perdeva tra quei sentieri suggestivi nelle serate libere, quando non era costretto a stare in ufficio davanti al computer a rafforzare la protezione del sistema informatico o a scovare l'hacker di turno. Per questo, quella sera – che sarebbe dovuta essere la sua serata di libertà – entrando nel parco, sentì un peso all'altezza dello stomaco: per la prima volta, non si sarebbe sentito a suo agio in mezzo a tutte quelle persone.

Il punto d'incontro era stato stabilito il giorno prima: Leeteuk si sarebbe dovuto incontrare con il collega al chiosco della cioccolata calda. Da lì, avrebbero iniziato a camminare per il parco, dirigendosi “involontariamente” verso la zona est, molto frequentata – di conseguenza perfetta per un incontro segreto – dove i due, apparentemente dei criminali, si erano dati appuntamento. Non appena il chiosco entrò nel suo campo visivo, la figura di Kim Kangin si mostrò a sua volta, poggiata al tronco di un albero, mentre gli occhi del giovane uomo osservavano tranquillamente il display del cellulare. Leeteuk lo raggiunse con tranquillità, sorridendo come se fossero due vecchi amici del liceo. Dopo essersi scambiati i soliti convenevoli, iniziarono a camminare verso la loro destinazione:

-Di chi si tratta?- domandò Leeteuk, guardando una luminaria avvolta attorno al tronco di un albero.

-Non si sa esattamente di cosa si occupino. Si chiamano Park Seongha e Lee Jiwoo, ma crediamo che siano degli pseudonimi. Si sono già incontrati una volta, in questo stesso posto.

-Devono essere dei dilettanti. Non è sicuro organizzare incontri sempre nel medesimo luogo.

-Già, ma magari c'è qualcosa sotto. Eccoli...

Kangin si avvicinò ad un cestino, gettandovi un fazzoletto, mentre diceva, nello stesso modo in cui avrebbe detto “Che carino quel cucciolo di labrador!”:

-Seconda panchina a destra, sotto la quercia. Quello con i cappelli ossigenati e quello con gli occhiali da nerd.

-Dobbiamo avvicinarci?- domandò Leeteuk. Era alquanto frustrante non sapere cosa fare: era stato avvertito all'ultimo momento di quel lavoro e non gli erano stati dati molti dettagli. Sapeva solo che doveva pedinare due persone. Ma, a quanto pare, il signor Kang era troppo preso da cosa regalare alla moglie per l'anniversario – di cui si era puntualmente dimenticato – così era finito per fraintendere lo scopo del lavoro.

-No, dobbiamo mettergli addosso dei dispositivi, poi potremo levare il disturbo. C'è già una squadra pronta ad ascoltare la conversazione.

-Perché ho dovuto partecipare anche io?- chiese nuovamente Leeteuk. Non capiva il motivo per cui si stesse giocando la nottata libera: dovevano solo piazzare dei dispositivi, era necessaria solamente una persona. Specialmente se, quella persona, faceva di nome Kim Kangin. Questi si voltò a guardarlo, con l'ombra di un sorriso sul volto:

-Lavoro sul campo, Park. Non starai per sempre dietro alla tua scrivania aspettando di diventare strabico a furia di tutto quel battere sulla tastiera, o per colpa degli innumerevoli monitor che sei costretto a guardare ogni giorno.

-E' il mio lavoro, non posso far--

-Beh, 'sta sera il tuo lavoro è piazzare questo dispositivo- tagliò corto Kangin, passandogli in mano l'oggetto in questione. Come se avesse sentito il più grande, il ragazzo dai capelli ossigenati si voltò nella loro direzione, per poi girarsi nuovamente.

Leeteuk sospirò: -Su chi?

-Sul nerd.

-Ok- disse, annuendo.

Si guardò attorno, aspettando l'occasione perfetta, che si presentò pochi secondi più tardi. Scorse una bicicletta venire verso la sua direzione. Sorridendo appena, riprese a camminare sul sentiero, verso la bici e la panchina, guardando a terra. Era ormai troppo tardi, quando il ciclista iniziò a suonare il campanello. Leeteuk non riuscì a spostarsi in tempo e finì per perdere l'equilibrio, aggrappandosi al giubbotto azzurro di quello che, apparentemente, era il più giovane, mentre il ciclista gli ordinava di darsi una svegliata.

-Oh, mio Dio!- esclamò Leeteuk, rialzandosi e inchinandosi profondamente: -Scusami, scusami tanto!

Il ragazzo sorrise timidamente: -Non fa nulla.

Leeteuk sorrise, tornando verso Kangin, che gli rivolse un cenno del capo per mostrare la sua approvazione:

-Brillante- commentò.

-Lo so- sorrise il più piccolo, superandolo e tornando verso l'entrata del parco.

Il suo lavoro lì era finito.

 

Kyuhyun.

 

-Li vedi quei due?- domandò a Eunhyuk. Faceva freddo, quella sera, nel centro di Seoul. Era stretto nel suo giubbotto, il volto arrossato a causa del gelo e, nonostante fosse stata una sua idea, iniziava ad avere dei ripensamenti riguardo a quell'uscita. Eunhyuk lo guardò con scetticismo, dopo aver udito quella domanda:

-Ci sono almeno trenta persone qua attorno, Kyuhyun-ah. Come credi che possa sapere a chi ti stai riferendo?

Il più piccolo alzò gli occhi al cielo, evitando di rispondere con il suo solito tono saccente: Eunhyuk era un elemento da tenersi stretto.

-Quelli vicino al cestino, che stanno amorevolmente parlando come una coppietta.

Eunhyuk si girò in quella direzione, guadagnandosi un insulto da parte del genio del crimine:

-Idiota! Cosa stai facendo?! Non puoi semplicemente girarti e guardarli!

-Come dovrei fare, scusami?!

-Superfici riflettenti, specchi e specchietti, inventati qualcosa, ma non puoi girarti e fissare.

-Ok, ok... scusami- borbottò l'altro, abbassando la testa bionda. Kyuhyun sospirò, passandosi una mano sul volto dalla disperazione, per poi riprendere a parlare:

-Metteranno addosso un dispositivo ad uno di noi. Nel caso lo mettano su di te, non toglierlo. Per nessuna ragione al mondo. È fondamentale.

-Capito.

-Almeno questo...- mormorò Kyuhyun, sistemandosi gli occhiali sul naso e stringendosi le mani l'una con l'altra: erano entrambe gelate. All'improvviso, sentì una presa sul collo e venne leggermente tirato indietro. Quando si voltò, si ritrovò ad osservare sue occhi allegri e dei lisci capelli castani. Lo sconosciuto si scusò, ma lui non diede segno di essersela presa. Gli sorrise, tranquillizzandolo, e l'altro si allontanò. Quando Kyuhyun si voltò ad osservare il più grande, questo aveva chiaramente un'espressione sollevata in volto.

-Quindi toccherà a te- disse, infatti.

-Già- rispose il giovane. Aspettò che anche l'altro agente si allontanasse, prima di alzarsi:

-Torna a casa, Eunhyuk. Per qualche giorno siamo a posto.

-A quando il prossimo incontro?

-Ti farò sapere.

-Sempre qui?

-Ovviamente.



Angolino.--
Buonasera.-
Scusate il ritardo nell'aggiornare, ma la scuola è ripresa e negli ultimi giorni di vacanza ho dovuto fare i compiti perché ero rimasta un po' indietro *coff coff*. Volevo aggiornare in settimana, ma è appena iniziato il pentamestre e siamo già pieni di compiti.
Comunque, sono tornata. Questo capitolo è un poco più lungo dei precedenti e i prossimi saranno ancora più lunghi, in quanto aggiornerò una volta a settimana.
Spero che vi sia piaciuto, ma vi confesso che non mi convince per niente.
Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima.-- (:

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


 

Kyuhyun.

 

 

L'opinione di Kyuhyun sulla vita di un ladro era risaputa: niente di più interessante. Insomma, hackeraggi, sopralluoghi, contropedinamenti eccetera. Tutte cose eccitanti, adrenaliniche, di logica e attenzione ai particolari. Eppure, c'erano dei momenti, nella vita di ladro di Kyuhyun, in cui l'essere un criminale risultava più difficile di quanto già non fosse per principio – e, purtroppo, quei momenti non erano tanto sporadici quanto avrebbe voluto che fossero. Niente spargimento di sangue, ossa rotte, bocche sdentate o nasi fratturati. No. Peggio. Molto peggio, per la filosofia di vita del ventenne.

Grida e litigi.

-Ti ho detto di no, Heechul! Dobbiamo prima disattivare le telecamere della stanza di Campo in fioritura* e poi passare a quella di Nascita di un bambino**!- stava urlando Donghae, disperato, con una mano nei capelli e l'altra a puntare le planimetrie stese sul tavolo della cucina di Kyuhyun.

-Donghae, ma ci ascolti quando parliamo?!- la voce di Heechul era altrettanto alta, acuta e fastidiosa. Era in piedi accanto al tavolo e guardava il più piccolo come se fosse un deficiente patentato e, sebbene a Kyuhyun non dispiacesse affibbiare alle persone un tale aggettivo, non era in vena per farlo notare al più grande.

-Io ci sento benissimo, Heechul. Sei tu quello che ha perso le orecchie!

-Kyuhyun-ah, prova a spiegarglielo tu!

-No, passo. Ho già perso troppo tempo della mia vita a cercare di fargli capire come fare un passaggio radente: ho dato a sufficienza.

-Ci sono riuscito, alla fine!- protestò Donghae.

-Appunto, alla fine- disse Kyuhyun, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

-Non sono i passaggi radenti il punto!- esclamò Heechul, infastidito, mettendosi le mani nei capelli neri : -Il punto è che non riesci a capire il fatto di star sbagliando su tutta la linea!

-Non sto sbagliando!

-Sì, invece! Stai sbagliando e non lo ammetti – o non lo accetti.

-Heechul, se tu solo provassi ad ascoltarmi--

-Ti ho già ascoltato a sufficienza: nel tuo modo non c'è possibilità di eludere tutta la sorveglianza!

-Potreste urlare a bassa voce?- gemette Kyuhyun, cercando di concentrarsi sullo schermo del suo portatile.

-No!- esclamarono entrambi i litiganti, per una volta d'accordo su qualcosa.

-Ragazzi, basta con queste grida e con questi musi lunghi- mugolò il nuovo arrivato, allontanandosi dal piano cottura: -Fanno male alle orecchie e alla vista, e anche ai vostri volti: vi verranno sempre più rughe fino a quando non somiglierete alla corteccia di un albero. Prendete un bel respiro, sorridete, distendete il viso e bevete la cioccolata che vi ho preparato.

-Shindong, sparisci- lo interruppe Heechul.

-Ma--

-Non è il momento di venire qui a sparger miele: fino a quando Donghae non ammetterà di aver torto continuerò a urlare, anche al costo di avere la pelle di un settantenne!

-Povero me...- borbottò Kyuhyun, rinunciando all'idea di finire la partita di Starcraft.

-Allora continua ad urlare quanto vuoi, Heechul-hyung, perché io, a differenza tua, ho ragione.

-No!

-Sì!

-No!

-Sì!

-N--

-Donghae, tu hai torto- s'intromise il ventenne.

-A-ha! Visto?!- rise Heechul, soddisfatto.

-Si può sapere come potrei mai essere in errore?!

Kyuhyun si voltò facendo ruotare la sedia e fronteggiò Donghae, con un sospiro:

-Le telecamere di cui stai parlando sono telecamere criptate SHARP di tipo CCD, non manomissibili e con una staffa di brandaggio da trecentosessanta gradi l'una. Quindi, supponendo che tu non voglia essere arrestato nel giro di trenta secondi, ti consiglio di cercare un'opzione alternativa.

-Sei il solito guastafeste.

-No, sono il solito saccente.

-Almeno te lo dici da solo.

-Io ammetto i miei difetti, al contrario di te, Donghae-hyung.

-Ammettere i propri difetti è una debolezza.

-Classico pensiero della gente ottusa e stereotipata- borbottò Kyuhyun.

-Yah! Ti ho sentito!

-Cioccolate?- propose nuovamente Shindong, ma venne ignorato.

-Visto che sei così intelligente, perché non trovi tu il modo per eludere il sistema di sorveglianza del museo?- lo canzonò Donghae.

Il più piccolo ridacchiò: -Non ne ho voglia.

-Non lo sai, è diverso- fece l'altro con un ghigno. Kyuhyun scosse la testa:

-Oh, no. Lo so benissimo. Mi chiedo come voi non ci siate ancora arrivati, onestamente. Vi lascio semplicemente a nuotare nella vostra ignoranza.

Uscì dalla cucina, dirigendosi verso la porta d'ingresso.

-Dove vai?!- esclamò Heechul.

-Ho un colpo serio di cui occuparmi- disse semplicemente, lasciando l'appartamento.

Scendendo tranquillamente, sorrise, notando che i suoi passi non risuonavano nemmeno nella tromba delle scale: nessuno lo sentiva mai arrivare. E, ovviamente, per lui significava avere un grande vantaggio.

I tre rimasti all'interno dell'appartamento non fiatarono per qualche secondo. Donghae era ancora arrabbiato – nonché un po' offeso – mentre Heechul continuava a fissare le carte sotto i suoi occhi. Shindong sostava ancora in mezzo alla stanza, due tazze tra le mani. Guardò prima l'uno e poi l'altro, per poi esclamare, esasperato:

-Io non mi sono messo ai fornelli per niente!

 

Yesung.

 

 

Yesung non vedeva una doccia da parecchio tempo, a giudicare dall'odore che emanava e dalla terra sotto le unghie. Tutto ciò lo disgustava alquanto, ma più che altro gli faceva metabolizzare ancora di più il fatto di essere sparito dalla circolazione per due anni e di non ricordarsi assolutamente nulla. Nonostante fossero passate più di ventiquattro ore, non aveva ancora metabolizzato appieno la cosa. Era rimasto sorpreso quando, spogliandosi, si era ritrovato a fissare altri graffi e tagli cicatrizzati, quasi spariti, sulla schiena e sui fianchi. Si ritrovò a chiedersi da quanto tempo fossero lì, quando gli erano stati inflitti, ma soprattutto perché segnavano la sua pelle in modo quasi indelebile. Sfiorandoli, si era ritrovato a trattenere il fiato, stringendo i denti: alcuni dolevano ancora, leggermente. Aprendo l'antina di un armadietto, frugò tra le varie pomate e ne trovò una che, probabilmente, avrebbe alleviato il dolore che di sicuro gli avrebbe a breve provocato l'acqua bollente, scorrendo sulle ferite. La lasciò accanto ai vestiti puliti che Siwon gli aveva prestato. Sorrise, poiché non glieli aveva propriamente “prestati”: sia i pantaloni da ginnastica grigi che la maglia rossa appartenevano a lui, infatti. Siwon gli aveva detto che, due anni prima, li aveva dimenticati nel suo vecchio appartamento, ma poi era partito per la missione e non era più tornato a riprenderli – ovviamente. Si ricordava di averli messi in uno scatolone durante il trasloco ed era miracolosamente riuscito a ritrovarli. Mentre sentiva l'acqua scorrere nella cabina della doccia, si perse ad accarezzare quella stoffa un po' spessa, pesante, domandandosi chi fosse prima di quella missione che gli aveva letteralmente rovinato la vita. Prima di entrare in doccia, ricapitolò tutto ciò che sapeva di sé stesso: era una spia, era nato a fine agosto, aveva una famiglia a Cheongju e, a quanto pare, un quoziente intellettivo da non sottovalutare, nonché un'ottima conoscenza delle arti marziali. Non sapeva nient'altro, e la cosa lo distruggeva. Si chiedeva come fosse caratterialmente: aperto e simpatico o chiuso a riccio e scontroso? Amava la compagnia o preferiva stare da solo? Aveva tanti amici o la gente faticava a sopportarlo? Al pensiero di essere una persona odiosa e meschina gli vennero i brividi. Non c'era cosa più brutta che l'essere odiato da coloro che lo circondavano: poteva rivelarsi alquanto pericoloso. In quel momento lo capiva perfettamente. Fu allora che riuscì a vedere, per la prima volta, il lato positivo della situazione: poteva rifarsi una vita. Costruirsene una totalmente nuova, dove essere una persona migliore, riparare agli errori commessi in passato. Poteva essere chiunque volesse, aveva l'opportunità di rinascere, in qualche modo. Poteva fidarsi davvero di Siwon, bruciare la busta, crearsi una nuova identità, trovare un lavoro e vivere in un piccolo bilocale a basso prezzo. Poteva restaurare il vecchi rapporto che, a quanto pareva, aveva con Siwon e dare il meglio di sé stesso, poiché non aveva alcun rimpianto. Poteva far finta di essere nato a ventidue anni, sotto un certo aspetto. Poteva davvero dimenticare tutta quella faccenda – la missione, l'amnesia, il suo passato da spia – e diventare un cittadino modello. Sorrise, aprendo le ante della cabina ed entrando in doccia: avrebbe di sicuro fatto così.

 

L'acqua bagnò immediatamente la sua pelle, che sembrò distendersi sotto quel tocco caldo e rilassante. O, almeno, così parve a Yesung fino a quando non sentì delle leggere fitte sulla schiena, segno che, effettivamente, le ferite non erano del tutto guarite. Cercando di ignorare il leggero dolore che lo trapassava da parte a parte, serrò le labbra e chiuse gli occhi, bagnandosi i capelli. Afferrò il primo bagnoschiuma che gli capitò sotto mano, iniziando ad insaponarsi, sperando di tirare via una volta per tutte quell'odore stagnante e le macchie di terriccio e sangue rappreso. Passarono dieci minuti buoni, prima che si decidesse ad afferrare uno shampoo. Finalmente non sentiva più nessun odore sgradevole, solo una leggera fragranza di fragola. Sorrise, sollevato, chiudendo gli occhi e mettendo la testa sotto il getto d'acqua calda. Fu allora che un giramento di testa lo colse alla sprovvista, facendolo immobilizzare sul posto, come pietrificato.

 

Attorno a sé non vedeva altro se non acqua. Acqua scura, sporca e inquinata. La superficie era pochi metri sopra la sua testa, ma non poteva riemergere per prendere quella boccata d'aria che tanto stava desiderando. Sapeva che, se solo avesse messo fuori la testa per pochi secondi, lo avrebbero catturato all'istante – se non ucciso con un colpo ben piazzato alla nuca. Continuava a trattenere il fiato e, secondo l'orologio che ticchettava nella sua testa, era già passato un minuto e trentacinque secondi. Nonostante il dolore che provava in tutto il corpo, riuscì a nuotare ancora per qualche metro, fino a quando non vide le luci dell'elicottero sopra di sé sparire, e la barca che lo cercava allontanarsi. Con un sospiro, sentendosi sempre più debole ogni minuto che passava, mosse braccia e gambe per raggiungere la superficie. Quando riemerse, respirò come se fosse la prima volta. Chiuse gli occhi, continuando a respirare affannosamente, mentre tutto ciò che voleva fare era abbandonarsi alla corrente dell'acqua e andare incontro alla morte che aveva schivato per troppo tempo. Stava per finire nuovamente sott'acqua, svuotato di tutte le sue forze, quando qualcosa lo afferrò per il collo della maglia, tirandolo fuori dall'acqua. Quando sentì la solidità sotto di sé, tirò fuori quella poca forza che gli era rimasta per immobilizzare la persona che lo aveva tirato fuori dall'acqua.

Due occhi a mandorla furono l'ultima cosa che vide, prima di sentire un dolore al braccio, seguito da un formicolio, e svenire su quel corpo sconosciuto.

 

Yesung aprì gli occhi con un sussulto, ritrovandosi ad osservare il suo riflesso appena visibile sul vetro della doccia. Il cuore batteva all'impazzata nel suo petto, mentre la testa continuava a girare e il respiro veniva meno. Cercando di regolarizzare il suo battito cardiaco, chiuse il getto d'acqua, uscendo dalla doccia e avvolgendosi nell'accappatoio, poggiandosi un asciugamano sui capelli bagnati. Rischiò di scivolare e rompersi l'osso del collo un paio di volte, mentre apriva freneticamente la porta del bagno, correndo lungo il corridoio del piano superiore.

-Siwon-hyung! Siwon-hyung!- urlò, con voce tremante.

Aveva davvero ricordato qualcosa.

 

 

Leeteuk.

 

 

Il poligono di tiro era forse il posto preferito da Leeteuk. Indossando quegli occhiali e quelle cuffie, poteva, per qualche minuto, dimenticarsi del mondo che lo circondava – quel mondo pieno di dolore ed ingiustizia. Impugnava la pistola, puntandola verso il bersaglio e sparava, con calma e naturalezza, come se lo facesse da una vita. Il che, pensandoci bene, non era affatto errato. Raramente Leeteuk mancava il suo bersaglio. Nonostante facesse parte del dipartimento di Sicurezza Interna, non era una schiappa sul campo, come a quelli dell'Antiterrorismo piaceva credere. Sorrise, appena, ghignando, mentre pensava a tutti gli stereotipi che correvano tra i corridoi dell'agenzia. E a quanto tutti quegli stereotipi fossero sbagliati, se si parlava di lui.

Centrando anche l'ottavo bersaglio nel centro esatto, Leeteuk si fermò per ricaricare la pistola e, nonostante il suo addestramento, non sentì nessuna presenza alle sue spalle fino a quando una voce profonda non parlò:

-Sei bravo.

Leeteuk si voltò, fronteggiando Kim Kangin.

-Intendi per uno del dipartimento di Sicurezza?- lo canzonò, per voi dargli nuovamente le spalle: -Già, sono bravo.

-Non avevo mai visto nessuno del tuo dipartimento sparare così bene al bersaglio. Hai un'ottima tecnica e – dannazione – hai centrato il centro del centro.

Leeteuk sospirò: -Lo so, ci vedo.

-Dove hai imparato?

-Non lavoro al dipartimento di Sicurezza Interna da sempre, Kangin.

-A quale dipartimento eri assegnato prima?

Leeteuk sospirò, posando la pistola e togliendosi le cuffie, ormai demotivato dal continuare ad allenarsi: non c'era più pace e tranquillità.

-E' una storia vecchia- disse, guardandolo negli occhi: -E sinceramente non mi va di parlarne.

-Va bene...- annuì Kangin, infilandosi le mani nelle tasche, con fare sicuro.

-Sono venuto per dirti che passiamo il controllo dei due sospetti al tuo dipartimento. A te, per l'esattezza.

Leeteuk annuì, per nulla sorpreso, riponendo le munizioni e l'arma.

-Da quando inizio?- domandò.

-Da oggi pomeriggio.

-Che gioia.

-E' un lavoro noioso, eh?

-Un po'- annuì il più piccolo, togliendosi il giubbotto antiproiettile.

-Magari una sera potremmo uscire a bere qualcosa, che ne dici?- chiese Kangin di punto in bianco. Leeteuk si voltò a guardarlo, sinceramente sorpreso.

-Come?

-Sai, no?, per staccare un po'. Non fa bene lavorare sempre. Troppo di una cosa buona è una cosa cattiva.***

Leeteuk lo guardò a lungo, per poi sorridere gentilmente:

-In questo periodo sono piuttosto impegnato. Magari più avanti.

Kangin annuì, guardandolo allontanarsi.

-Magari più avanti- ripeté.

 

Mentre sedeva sulla poltrona posta nella cucina del suo bilocale, Leeteuk guardava la TV, impostata sul muto, mangiando ramen dalla scodella e ascoltando il nulla dall'altra parte del ricevitore. Park Seongha non aveva ancora detto nulla, da quando aveva iniziato ad ascoltare, venti minuti prima. In TV stavano facendo passare un drama di cui stava a malapena seguendo il filo, troppo perso nei suoi pensieri. Fu per questo che sussultò quando sentì una voce dire, direttamente nel suo orecchio:

-Eccoci.

 

 

Angolino.--

Ciao a tutti!-

Avrei dovuto aggiornare ieri, ma visto che la scuola sta riprendendo il suo ritmo normale, sono riuscita a finire il capitolo solo cinque minuti fa. Spero che anche questo vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate, per favore.- (:

Sono contenta che i capitoli passati siano piaciuti a così tante persone, ringrazio chi ha recensito e messo tra le preferite/seguite. (:

Visto che qualcuno è sclerato dopo aver letto l'ultimo capitolo (ciao, Ria ^^) vi dirò una cosuccia: niente è come sembra.

 

Aggiornerò sempre sabato/domenica prossima. Buon week-end e buona settimana a tutti.--

Alla prossima.-

Lara.

 

*Campo in fioritura **Nascita di un bambino: I quadri non esistono davvero, mi sono semplicemente inventata dei nomi.

 

***Troppo di una cosa buona è una cosa cattiva: Se non sbaglio è un proverbio cinese, l'ho sentito in un film... il remake di Karate Kid, se non sbaglio.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


Siwon.

 

 

-Siwon-hyung! Siwon-hyung!

Sentendo l'urlo di Yesung, Siwon si precipitò verso le scale, fermandosi di botto non appena vide il più piccolo precipitarsi verso di lui, con addosso solo l'accappatoio, stretto in vita, e un telo sui capelli bagnati. Sarebbe stata una visione estremamente comica, se solo Yesung non fosse scivolato sull'ultimo scalino. Siwon sgranò gli occhi, tendendo le braccia verso di lui, così che il più piccolo si potesse aggrappare. Una volta riacquistato l'equilibrio, Yesung alzò gli occhi verso il più grande, guardando Siwon con le pupille brillanti di gioia e incredulità. L'altro ricambiò l'occhiata, estremamente confuso, domandando:

-Yesung-ah?

-Ho ricordato qualcosa!- esclamò il più piccolo, a bruciapelo. Siwon si ritrovò a sgranare gli occhi:

-C-cosa?

Yesung annuì, come se stentasse a crederci anche lui:

-Ho ricordato qualcosa!- ripeté, sorridendo istericamente: -Ricorderò tutto, Siwon-hyung, proprio come hai detto tu!

Era elettrizzato, agitato, frenetico e parlava a macchinetta. Il suo respiro era affannoso e sembrava non rendersi conto di ciò che lo circondava, dei pericoli che aveva corso scivolando sulle scale. In quel momento, esistevano solo lui, il suo ricordo e Siwon, che sorrideva, contento e sollevato per il netto cambiamento che Yesung stava subendo.

-Calmati- disse infatti scherzosamente, afferrandogli le spalle: -Vestiti, datti una sistemata, ritorna in te e poi scendi. Parleremo non appena ti sarai dato un minimo di contegno.

Yesung annuì, capendo – forse solo in parte – quelle parole e, prima di correre nuovamente sulle scale, facendo il cammino a ritroso, abbracciò di slancio il venticinquenne, bagnandogli appena la camicia. Non si rese conto di ciò che aveva fatto, probabilmente, perché subito dopo era già sparito verso il piano superiore. Ciò nonostante, le labbra di Siwon non si rilassarono nemmeno per un secondo nei dieci minuti che seguirono, fino a quando Yesung non tornò da lui, in cucina. Siwon si sedette a tavola e indicò il posto di fronte a sé. Tra le mani stringeva la busta gialla. Yesung sospirò e annuì, sedendosi con un pizzico di indecisione.

Doveva iniziare a fare i conti col passato.

 

-Stavi affogando, quindi.

-No. Sì. Ok, non lo so.

-Tu sai nuotare, Yesung.

-Grazie dell'informazione, non ci ero arrivato.

-Perché stavi affogando, allora?

L'orologio appeso alla parete alle spalle di Yesung segnava le due di notte. Gli unici rumori – e l'unica luce – in tutta la casa provenivano dalla cucina, dove Siwon e Yesung stavano analizzando, da mezz'ora, il ricordo del più piccolo, il quale, al momento, aveva un gran mal di testa, che di sicuro non lo aiutava a sostenere una conversazione tranquilla.

-Non credo che stessi affogando... Voglio dire, uno affoga quando non riesce a nuotare a causa di forze maggiori, o semplicemente perché non ne è capace. Io... Era come se mi stessi lasciando andare volontariamente.

-Ti stavi suicidando.

-Probabilmente.

-Perché?

-Perché ero stanco... e ferito... e credevo che sarei morto lo stesso, probabilmente.

-E poi ti hanno afferrato.

-Già. E sono svenuto subito dopo.

-Ma hai provato a difenderti, quindi probabilmente sapevi che il tuo, se si può chiamare così, “salvatore” non faceva parte dei “buoni”.

-In quel momento mi sarei difeso anche da una mosca. Sapevo di non poter contare più su nessuno.

-E' un ricordo alquanto vago, Yesung-ah.

-Ma almeno so di essere riuscito a fuggire. E, in qualunque posto io sia stato, probabilmente vi sono rimasto per così tanto tempo poiché questa gente – chiunque fosse – voleva delle informazioni. Evidentemente non ho rivelato nulla di segreto.

Il giovane chirurgo corrugò la fronte: -Come fai a dirlo?

Yesung guardò Siwon come se fosse la persona più ingenua del mondo:

-Perché una volta che hanno ottenuto quello che vogliono, ti uccidono.

 

 

Henry.

 

Una melodia classica e intensa risuonava tra le pareti della grande casa nel centro di Shanghai. Sei persone erano sedute al tavolo del salotto, discutendo animatamente riguardo a un milionario in vacanza e a un albergo con delle scarsissime misure di sicurezza. Henry non stava realmente ascoltando quella conversazione, troppo preso a fissare la vista della città nella quale viveva da soli sei mesi. Nei tre anni precedenti era stato, in ordine, a New York, Londra, Hong Kong, Toronto, Nizza e, infine, era giunto a Shanghai. Tutto seguendo la sua amatissima famiglia, rispettata quanto temuta dai ladri migliori del mondo. Persino la famiglia Kim aveva temuto la sua, in passato, almeno tanto quanto, negli ultimi anni, li stava temendo la famiglia Park. Ad Henry non era mai piaciuto ottenere rispetto incutendo terrore. Secondo la sua modesta filosofia di vita, una persona doveva meritarselo, il rispetto, comportandosi correttamente ed evitando di uccidere il primo malcapitato di turno. Odiava maneggiare pistole, pugnali e qualsiasi altro tipo di arma. Odiava il fatto di dover sostenere il nome della famiglia Lau. Odiava il fatto di essere il più piccolo del circolo, ragione per cui, qualsiasi cosa facesse, doveva essere eccellente e superare chiunque fosse venuto prima di lui. Odiava sentire i racconti che parlavano di persone torturate fino alla morte, racconti che scendevano fin troppo nei particolari. Odiava il dormire di giorno e lo stare sveglio di notte – o il non dormire affatto. Odiava quando suo padre tornava a casa con macchie di sangue sui vestiti. Ma, al di sopra di ogni altra cosa, odiava il fatto di avere le mani sporche di omicidio a sua volta. Quasi ogni giorno, Henry si ritrovava a pensare a tutte le cose che non sopportava del mondo in cui viveva e, alla lista precedente, aggiungeva sempre il cibo scadente e l'impossibilità di stare nello stesso posto troppo a lungo. Non aveva mai conosciuto l'affetto di una vera famiglia – in quanto la sua viveva solo per i soldi – e non sapeva il significato di una vera amicizia, o di casa. Non aveva un posto da poter chiamare “casa”, nel senso più profondo del termine. L'unica cosa che riusciva a dargli un minimo di sollievo, era il fatto di sapere che il suo doppiogioco – che stava compiendo con gioia all'insaputa di tutti i malavitosi cinesi con cui aveva perennemente a che fare, la sua famiglia inclusa – una volta aveva salvato la vita di una persona.

 

Di quella persona, Henry non sapeva assolutamente nulla. L'aveva sentita nominare un paio di volte – ognuno, nel mondo dei ladri, conosceva quel particolare nome, e lo si pronunciava da generazioni. E quella persona nello specifico era da molti stimata da alcuni per, appunto, le sue particolari doti di ladro, mentre da altri era a malapena sopportata. Era stato più volte accusato di doppiogiochismo, congiure e infedeltà. Ogni qualvolta che a Henry balzava in mente il pensiero di quella persona – con annesse le accuse ingiuste – sorrideva. La gente si scannava a vicenda pur di accusare anche il fattorino della posta di essere in realtà un agente inviato sotto copertura. Trasformava un granello di polvere in una montagna, non rendendosi conto di avere dentro casa una montagna travestita da granello di polvere.

 

 

Yesung.

 

L'orologio alle sue spalle segnava quasi le quattro. Siwon era crollato sul tavolo poco prima, mentre leggeva un complesso rapporto su una missione in Canada. Yesung, vedendolo addormentato sul piano di legno, aveva sorriso senza sapere perché. Si era perso per qualche secondo a fissare i lineamenti del viso del più grande – la pelle chiara, i capelli neri, corti e ordinati, perfettamente tagliati in modo pratico e comodo, il naso perfettamente dritto e le labbra piene – per poi riscuotersi dai propri pensieri e ritornare a sguazzare tra le scartoffie – non senza un pudico rossore dipinto sulle guance.

Si era dato una sistemata ai vestiti – che gli andavano paradossalmente grandi, nonostante risalissero al suo guardaroba di due anni prima – ed aveva ripreso il suo lavoro. Aveva trascorso le ultime due ore a leggere rapporti, sfogliare pagine piene di dati e diagrammi, a memorizzare fotografie, e il suo cervello minacciava di subire un black-out da un momento all'altro. Ogni volta che gli capitava di leggere una parola o vedere un posto – o una persona – in qualche modo famigliare, chiudeva gli occhi in attesa di un qualche ricordo, ma ad attenderlo oltre le palpebre v'era solo il buio. Un buio invitante, che gli faceva venir voglia di spegnere tutto quanto per le otto ore di sonno tanto desiderate. Purtroppo, aprendo gli occhi, quelle pagine ritornavano a chiamarlo e – nonostante potesse recitarne alcune a memoria – continuava a leggerle e a rileggerle. Quando le lancette stavano per posarsi inesorabilmente sul numero cinque e sul dodici, gli occhi scuri e affilati di Yesung furono catturati dalla foto che ritraeva lui e Siwon – foto aveva accuratamente nascosto infondo alla busta. Sorrise, ripensando al giorno in cui si erano incontrati, sette anni prima. Era sul bus diretto a Daegu. Era il giorno del suo esame finale e nello zaino che portava con sé aveva tutto l'occorrente per affrontare quella missione scolastica. Siwon era arrivato in ritardo alla fermata e...

Un improvviso grugnito lo fece tornare in sé. Guardò Siwon, che aveva mormorato qualcosa nel sonno, e si ritrovò a sbarrare gli occhi. Stava ricordando di nuovo, senza rendersene conto. Riprese subito a fissare la foto. Già allora Siwon era più alto di lui, nonché con un fisico perfetto. Sorridevano entrambi, abbracciandosi, ed erano sorrisi sinceri e spensierati. Troppo sinceri e spensierati per essere finti. Siwon era vero. Era reale. Era fedele. Ed era davanti a lui, indifeso, immerso in uno strambo sogno che lo faceva borbottare di tanto in tanto. Non era un falso con due volti, non era una spia, non era un assassino. Se ne rese davvero conto solo in quel momento. Quella persona che lo stava pazientemente aiutando da ore era semplicemente Choi Siwon, un semplice chirurgo che tanti anni prima aveva perso un amico. Ricordando quelle parole, Yesung sorrise, alzandosi e raggiungendo il salotto, afferrando una coperta ed un cuscino. Tornando in cucina, mise delicatamente la coperta sulle spalle del più grande, sfiorandogli le spalle, per poi poggiare il cuscino sotto al suo volto, delicatamente, cercando di non svegliarlo. A missione compiuta, si perse di nuovo tra quei lineamenti decisi, pensando al fatto che, da ore ormai, c'erano due cose che non tornavano, nella sua testa. Innanzitutto, iniziava a farsi delle domande su chi fosse il mittente della busta. Il nome che aveva letto sulla carta gialla, poco lontano dal suo, brillava nella sua memoria. Gli diceva qualcosa, ma, a causa di quella dannata amnesia, non riusciva a capire cosa. La seconda non riguardava il lavoro. Né le persone che, forse, volevano ammazzarlo – o avevano tentato. Riguardava il suo passato, ma in modo diverso dal solito. Per una volta non pensava ad omicidi, talpe e tradimenti. Finalmente, c'era qualcosa nel suo passato che poteva dargli conferma del fatto che non fosse una brutta persona. Quella cosa aveva un nome e un cognome, un aspetto invidiabile e una gentilezza infinita.

Ed era un amico.

Forse, Choi Siwon era stato il suo migliore amico.

 

 

Kyuhyun.

 

Kyuhyun sorrise, rilassandosi sulla poltrona di quel piccolo monolocale abbandonato, situato nella periferia di Seoul, in un quartiere alquanto malfamato. L'unica luce proveniva dallo schermo del computer posto davanti a lui e dalle fessure delle persiane rigorosamente chiuse – nonché quasi totalmente mangiate dalle termiti. Si portò una mano all'orecchio, sistemandosi il dispositivo, prima di parlare nuovamente:

-Non ci sentiamo da parecchio, vero?

-Già, da un po'- rispose la voce dall'altra parte della trasmittente.

-Come stai?

-Me la cavo. Tu?

-Tutto a posto.

-I miei genitori?

-Zio e zia sono in Lussemburgo.

-Lussemburgo?

-Il colpo alla banca che progettavano da quattro a mesi.

-Ah, quello.

-Percepisco una nota di malinconia nella tua voce?- domandò il ventenne, ridacchiando.

-Percepisci male.

-Io non mi sbaglio mai.

-Una volta finito questo lavoro tornerò da voi. Perché dovrei mai provare malinconia?

-Perché al momento sei bloccato in un lavoro mediocre per le tue capacità e perché due personcine vogliono rapinare il Louvre.

-Heechul e Donghae.

-Già.

-E ce la faranno?

-Dai precedenti, sono in dubbio per Donghae.

-Fai in modo che non finiscano in carcere.

-Al momento non posso uscire dal Paese, lo sai meglio di me.

-Ringrazia il cielo che ci sia io.

-Io ringrazio sempre e solo me stesso. Ogni tanto zio Cholsu, ma principalmente me stesso.

-Posso quasi vedere la tua espressione di sufficienza.

-Immagina, puoi.

-Kyuhyun, sei loquace 'sta sera.

-Sono di buon umore.

-Wow, che cos'è successo? Hai finalmente trovato un modo per clonarti? O per viaggiare nel tempo così da giocare a Starcraft ventiquattro ore su ventiquattro?

Kyuhyun rimase in silenzio per qualche secondo, facendo un versetto: -Spiritoso, hyung.

-Dai, cos'è successo?

-Un amico è tornato tra noi.

-Gira ancora la voce di Yonghwa? È morto, Kyu. Non ci possiamo fare niente. Non credere a quello che dice zia Jihee. Lo sai che beve tequila corretta col caffè, al mattino.

-Yonghwa questa volta non c'entra nulla.

-Oh, davvero? E allora chi è tornato? Sooha è ancora in prigione dall'incidente in Tibet con lo yak. Quando esce, a proposito?

-Tra sei mesi.

-Alleluja. Ma allora di chi stai parlando? Jonghyun è sulla lista nera di zio Cholsu, Sooha è in prigione, Yonghwa è morto e Minhyuk si sta godendo i soldi racimolati dall'ultimo colpo a Tokyo. L'unico sarebbe...- la comunicazione si interruppe per qualche secondo, e Kyuhyun sorrise appena.

-Oh, mio Dio...

-Esatto, hyung.

-Non è possibile.

-Possibilissimo. Non l'ho ancora visto con i miei occhi, ma è tornato.

-Quando?

-Due giorni fa credo. Al massimo tre.

-Come sta?

-Ti ho già detto che non l'ho ancora visto.

-Come hai fatto a saperlo?

-Mi ha lasciato un messaggio.

-Stai scherzando...

-No, hyung. È tutto vero- sospira Kyuhyun e, per la prima volta dopo tanto tempo, sente il cuore battere all'impazzata nel suo petto, come se stesse ritornando davvero in vita:

-Jongwoon è tornato, Jungsu-hyung.

 

 

Angolino.--

Buonasera!

Sono tornata col nuovo capitolo! Ho provato in tutti i modi ad aggiornare prima, verso giovedì, ma mi sono beccata un raffreddore epico e si può dire che io abbia scritto questa robetta tra ieri e oggi – infatti non mi piace molto, come capitolo. Mi sembra di essermi quasi arrampicata sui vetri per scriverlo, non mi convince affatto. Voi che ne dite?

Adesso è entrato anche Henry nella scena, Yesung si sta dando una svegliata e che mi dite del finale? :D

Come sempre, ringrazio tantissimo chi mi ha lasciato un commento e chi continua a seguire la storia: grazie davvero!

Bon, ho finito. Ci sentiamo al prossimo aggiornamento, vi chiedo di farmi sapere cosa pensate di questo capitolo, per favore. (:

Lara.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


Siwon.

 

Il parco era paradossalmente deserto, per essere domenica pomeriggio. Siwon stava camminando fianco a fianco con Yesung, e il più piccolo aveva lo sguardo rivolto al cielo limpido, gli occhi chiusi e un'espressione serena. Il più grande sorrise, vedendo – finalmente – la tranquillità sul volto dell'amico. Da settimane, durante quei pochi momenti in cui riuscivano a vedersi e a parlare, Yesung gli era apparso distante, assente e stanco. Aveva perennemente gli occhi sbarrati e le sue pupille non si fermavano quasi mai, ritrovandosi ben presto ad osservare l'intero luogo in cui si trovavano, studiando anche l'angolo più remoto. Siwon aveva più volte provato a capire cosa non andasse, ma l'altro aveva sempre risposto con uno sguardo confuso, dicendo che tutto andava bene. Yesung era un bugiardo per professione, ma, su certe cose, non riusciva a farla franca, con Siwon attorno. Il più grande aveva insistito per giorni con quelle domande, sinceramente preoccupato, fino a quando Yesung non era arrivato quasi ad urlargli contro dal nervoso. Così, Siwon aveva capito che sarebbe stato meglio smetterla, per entrambi, e aspettare che Yesung si sentisse pronto ad aprirsi con lui.

-Sarebbe bello, non credi?- disse, di punto in bianco, Yesung. Siwon si scosse dai suoi pensieri, riprendendo a guardare l'altro. Si erano fermati nel bel mezzo del prato e non se n'era nemmeno accorto. Yesung spostò il suo sguardo dal cielo al volto di Siwon:

-Non mi stavi ascoltando?- domandò, trapassandolo da parte a parte con quelle sue profonde iridi nere. Siwon sospirò:

-Mi ero perso nei pensieri... Cosa stavi dicendo?

-Dicevo che sarebbe bello essere una rondine. Non appena arriva il freddo, volano e si trasferiscono di nuovo dove il clima è piacevole, dove poter vivere in pace. Sarebbe bello poterlo fare, non credi? Mollare tutto e scappare non appena si presentano dei problemi, creandosi una nuova vita in un posto migliore.

Siwon lo osservò a lungo, ma l'altro non ricambiò lo sguardo, perso ad osservare la rotta dei volatili:

-Sì, sarebbe bello- sussurrò, infine.

Yesung si voltò a guardarlo, con un sorriso in volto:

-Ho un po' fame, che ne dici di andare a prendere qualcosa al bar?

Siwon annuì, seguendo il più piccolo fino al piccolo chiosco posto nel centro del parco. Si sedettero, dopo aver ordinato al banco.

-Stai bene, Siwon-hyung? Sei pallido, mi sembri parecchio distratto.

Siwon non rispose subito, ma fece vagare il suo sguardo dal paesaggio, al cielo, all'amico. Più volte, fino a quando, dopo interminabili minuti, non si ritrovò a sbottare:

-Te lo chiederò per l'ultima volta, Yesung: c'è qualcosa che non va?

Tra di loro scorsero secondi carichi di tensione, mentre gli occhi dell'uno si infossavano in quelli dell'altro. Yesung stava per aprire bocca quando, all'improvviso, Siwon si sentì afferrare per una spalla.

 

-Siwon-hyung... Siwon-hyung, svegliati...

Una voce rauca s'infilò nelle sue orecchie, svegliandolo dal suo sonno. Siwon borbottò qualcosa, sentendo un dolore forte all'altezza del collo.

-Siwon-hyung, dannazione, svegliati...

Riconoscendo la voce, il più grande aprì gli occhi, percependo una presa sulla sua spalla. Voltandosi, vide Yesung, una mano poggiata su di lui e un'espressione preoccupata:

-Che succede?- biascicò, ancora addormentato.

-Stanno suonando alla porta...- mormorò l'altro: -Ho paura...

Siwon sorrise appena, alzandosi e andando verso l'ingresso: -Resta qui, non muoverti- disse a Yesung, che annuì, appoggiandosi al piano cottura. Il venticinquenne sentì nuovamente il campanello suonare, insistentemente. Gli sembrava di star vivendo nuovamente la notte in cui era arrivato – tornato – Yesung, con l'unica differenza che, al momento, la luce del giorno filtrava dalle persiane. Aprendo, si ritrovò ben presto sommerso da un ammasso di soffici capelli rossi, mentre una stretta si avvolgeva attorno al suo collo.

-Siwonnie!- esclamò una voce femminile, accompagnata da un inconfondibile profumo di pesca.

-Tiffany- sorrise infatti, ricambiando l'abbraccio.

-Come stai?- domandò la nuova arrivata, allontanandosi e schioccandogli un bacio sulle labbra.

-Sto bene, e tu?

-Sto meglio, adesso che sono qui con te. Non ci siamo visti per qualche giorno, ero preoccupata- borbottò lei, senza lasciare la presa.

Siwon sorrise appena, baciandole la fronte: -Sono stato impegnato con il lavoro, ma oggi sono libero- spiegò, chiudendo la porta. Tiffany annuì, comprensiva:

-Capisco, anche io sono stata parecchio presa dal lavoro. Erano tutti nel panico.

-Perché?- domandò il più grande, confuso. L'altra si strinse nelle spalle, svalutando la situazione:

-Una semplice inconvenienza, ci è scappato un articolo molto importante.

-Rimedierete.

-Speriamo- sospirò lei, guardando poi l'altro con un'espressione tenera: -Siwonnie, ho un favore da chiederti. Devo partire per qualche giorno per lavoro, potresti prenderti cura di Nuvoletta?

Il venticinquenne annuì, conducendola verso la cucina:

-La tua gatta è sempre la benvenuta, lo sai. Adesso, però, vieni con me: devo presentarti una persona.

-Chi?- domandò Tiffany curiosa.

Siwon sospirò, indossando un debole sorriso: -Un vecchio amico.

 

Yesung.

 

Il profumo di pesca era insistente e quasi nauseabondo. Era, ormai, impregnato ovunque, nelle pareti della stanza e, per quanto in teoria sarebbe dovuto essere piacevole, a Yesung stava solo causando sofferenza. Sospirò per l'ennesima volta, bevendo un sorso di tè e alzando gli occhi al cielo dopo l'ennesima risatina della raggazza. Stava raccontando di come la sua gattina avesse paura dello specchio. E dell'aspirapolvere. E di qualsiasi altro oggetto trasportabile o riflettente. Siwon aveva parlato poco, dopo aver fatto le presentazioni, in quanto la ragazza – Tiffany – aveva da subito fatto spettacolo. Yesung non la stava realmente ascoltando, annuiva di tanto in tanto e ridacchiava quando sentiva Siwon fare altrettanto. Si era perso ad osservare la ragazza, immersa in vestiti eccentrici, il volto perfettamente truccato e perennemente un sorriso gentile dipinto su di esso. Si rese conto del fatto che era già passata mezz'ora dall'arrivo della straniera quando questa si alzò da tavola, dicendo di dover andare in bagno. Yesung si ritrovò solo, con Siwon seduto di fronte a lui. Lo guardò, accennando un sorriso:

-E' carina- disse, per convenzione. Siwon annuì, rilassandosi appena:

-Sì, è una brava ragazza. Stiamo insieme da poco più di un mese.

-Come l'hai conosciuta?

-Per caso- sorrise il più grande, ricordando la scena: -Ero in un pub, da solo e annoiato. Lei si è seduta accanto a me al bancone e ha ordinato la stessa cosa che avevo chiesto io. Non l'avevo notata, ma quando il barista ha portato il mio drink, lo abbiamo afferrato insieme e così... Eccoci qui.

-Che cosa romantica- mormorò il più piccolo, stringendosi le mani l'una con l'altra, uno dei più falsi sorrisi mai visti da essere umano stampato in volto. Siwon parve non accorgersene – o lo ignorò – e continuò a parlare di come poi andarono avanti a incontrarsi per qualche settimana, fino a quando non si baciarono per la prima volta – sotto casa di lei. Yesung si ritrovò inconsciamente a sorridere, vedendo Siwon felice nel ricordare tutte quelle circostanze. E, per la prima volta, iniziò a pensare che, forse, lui era solo una seccatura nella vita dell'altro. Il silenzio calò nuovamente tra di loro, fino a quando il più piccolo non domandò:

-Lei... Non sa niente di me, vero?

Siwon scosse il capo: -Solo il tuo nome. Non le ho mai detto nulla di te.

Yesung annuì, non sapendo esattamente come sentirsi. Il suo cuore batteva all'impazzata, senza alcuna evidente ragione. Siwon stava per parlare nuovamente, quando l'odore di pesca si fece più intenso e Tiffany entrò nella stanza, sorridendo come al solito:

-Devo andare, mi hanno chiamato dall'ufficio. A quando pare hanno messo occhio su un affare alquanto importante.

Siwon annuì, alzandosi per accompagnarla.

-Ciao, Yesung- lo salutò la ragazza, prima di scomparire nel corridoio: -E' stato un piacere.

-Piacere mio- annuì il ventiduenne, senza davvero credere in quelle parole. Quando Siwon tornò in cucina, massaggiandosi il collo per la scomoda posizione in cui aveva dormito tutta la notte, Yesung si alzò, allontanandosi:

-Vado in bagno- disse all'altro, salendo poi le scale, senza aspettare una risposta. Chiudendosi nella stanza dalle piastrelle azzurre, si appoggiò alla porta e abbassò le palpebre, provando a calmarsi. Ogni tentativo però, era inutile: il suo cuore sembrava essere quello di un cavallo da corsa e il profumo che aleggiava attorno a lui non aiutava. Era forte. Troppo forte. Quasi insopportabile. Non appena sentì la testa girare, si poggiò al lavandino e un conato lo prese alla sprovvista. Ben presto si ritrovò piegato in due sul lavabo, a sputare quelle poche cose che aveva ingerito con il tè.

E il profumo di pesca continuava a intasargli i sensi.

 

Il pavimento su cui giaceva era freddo e ruvido. Ormai ne conosceva ogni rientranza, a causa di tutto il tempo che aveva trascorso su di esso, i polsi stretti in un laccio e le gambe molli. Non riusciva a muoversi, nemmeno a mettere insieme un pensiero di senso compiuto. Tutto quello che sentiva era dolore, dolore in ogni parte del suo corpo gelido e stremato. I crampi per la fame erano svaniti, la vista era offuscata, tutti i sensi annebbiati. I suoni giungevano ovattati, alle sue orecchie. Sentiva delle voci, ma non capiva di chi fossero, né cosa dicessero. Alle voce, ogni tanto si aggiungeva un verso di frustrazione, e dei tacchi a spillo. Le scarpe battevano sul pavimento su cui era sdraiato, e il rumore si propagava fino alle sue orecchie, penetrandogli fin nel cervello. Si ritrovò a chiudere gli occhi, infastidito all'inverosimile. Voleva sentire le gambe, avere la forza di alzarsi e vedere, dopo tanto tempo, la luce del sole. Voleva mangiare qualcosa, abbracciare la sua famiglia. Ma, soprattutto, voleva finalmente gridare al mondo la verità. Quella verità che lo stava consumando dentro, fino a mangiarsi l'ultima briciola della sua fermezza mentale.

Ripensando a ciò che aveva scoperto solo dopo essere stato catturato e torturato, sentì la rabbia crescere di nuovo nel suo petto e lascio fuoriuscire dalle sue labbra un grido di frustrazione.

Non passò molto tempo prima che le scarpe dai tacchi a spillo entrassero nel suo campo visivo e che una di esse raggiungesse il suo stomaco.

 

-Mi senti?

Yesung aprì gli occhi, di scatto, ritrovandosi ad osservare il bagno della casa di Siwon. Era steso a terra, appoggiato all parete, alcune lacrime bagnavano le sue guance. La testa continuava a girare, ma riuscì in qualche modo ad alzarsi, aggrappandosi al lavandino, che aveva ripulito prima di addormentarsi a terra dal fastidio alle tempie.

-Yesung?- ripeté la voce di Siwon, dall'altra parte della porta.

-C-cosa c'è?- balbettò il più piccolo, con voce appena tremante.

-Stai bene? Sei lì dentro da più di mezz'ora...

-Sì, sto bene, non preoccuparti. Esco subito.

-D'accordo... Ascolta, io devo andare a casa di Tiffany a prendere il suo gatto, ma tornerò presto. Non dovrei metterci più di mezz'ora.

-Va bene...

-In caso qualcuno suoni, fai finta di nulla. D'accordo?

-D'accordo.

-A dopo, allora.

-Sì, a dopo...

Yesung sentì distintamente i passi di Siwon sulle scale, all'ingresso e poi, con un tonfo, la porta di casa si chiuse alle sue spalle. Non appena sentì una macchina accendersi, sospirò, chiudendo gli occhi e scivolando di nuovo sulla parete.

Poteva rimanere lì dentro ancora per mezz'ora.

Mezz'ora nella quale poteva capire qualcosa da ciò che aveva appena ricordato.

 

Kyuhyun.

 

-Nome?

-Mulyeol. Jung, Mulyeol- specificò il giovane uomo in giacca e cravatta, stringendo la sua ventiquattrore tra le dita affusolate. Si sistemò i spessi occhiali rossi sul naso, spiegando: -Sono qui per fare un colloquio per il dipartimento delle operazioni.

Il signore seduto alla scrivania controllò alcuni documenti, annuendo: -Sì, i colloqui inizieranno tra mezz'ora. Salga al terzo piano e chieda di Lee Sungmin. Questo è il pass.

-Grazie mille- disse il giovane, afferrando il pass e inchinandosi, per poi allontanarsi verso gli ascensori. Chiamandone uno, aspettò con pazienza. Le porte si aprirono davanti a lui dopo qualche secondo ed, entrando, ritrovandosi da solo, schiacciò il pulsante numero quattro. Tempo qualche minuto, e davanti ai suoi occhi comparve la scritta Dipartimento di Sicurezza di Interna. Sorridendo, Kyuhyun si fece strada nel corridoio. Nessuno fece caso a lui, ognuno preso dal proprio lavoro. Il giovane non impiegò molto a trovare l'ufficio desiderato ed, entrando, ebbe la premura di chiudere la porta alle sue spalle, chiedendo alla persona seduta alla scrivania:

-Devo infiltrarmi in una delle agenzie di spionaggio più sicure del Paese per vederti, Jungsu-hyung?

 

-E' pericoloso!

-Neanche troppo.

-Potevi farti beccare! Hai idea dei casini che avresti procurato a tutti quanti?!

-Uno, è stato un giochetto da ragazzi, come hai notato. E due, sì, ho presente quello che sarebbe potuto succedere. Per questo sono venuto io a recuperarti.

Finalmente libero dagli occhiali ingombranti e dalla cravatta, Kyuhyun sedeva al tavolo di un bar, di fronte a uno dei suoi migliori amici, che lo guardava con un misto di preoccupazione e incredulità, mentre cercava di trattenere il sorriso che stava già formando una fossetta sulla sua guancia.

-Hai novità da Jongwoon?

Kyuhyun scosse il capo: -Non si è più fatto sentire. È per questo che sono qui.

Jungsu si fece interessato, sporgendosi in avanti: -Che succede?

-Ho bisogno del tuo aiuto.

Il più grande non trattenne più il sorriso: -Il genio Cho Kyuhyun ha bisogno di un aiuto. Wow, sono onorato.

-Stai zitto, e ascoltami- lo interruppe l'altro, riprendendo poi a parlare:

-Voglio rintracciarlo, capire effettivamente cos'è successo in questi due anni. E ho bisogno del tuo aiuto. Ho bisogno che tu sfrutti la tua identità di “Park Leeteuk” al massimo, Jungsu-hyung.

 

Note dell'autrice:

Ho giusto due minuti per dirvi che mi dispiace per il ritardo, ma sono impegnatissima con la scuola. ; ;

Siamo sommersi di compiti e interrogazioni, ma spero di poter aggiornare in tempo prossimamente!

Visto che in questi due giorni siamo rimasti a casa, ho scritto il capitolo ed eccolo qui! Spero vi sia piaciuto, vi chiedo di farmi sapere che ne pensate (: Vi avviso che non ho fatto in tempo a rileggerlo, quindi potreste trovare errori di battitura qua e là, e anche delle ripetizioni, probabilmente ; ; Non ho davvero il tempo per correggerlo, adesso. ;w;
Grazie a chi ha recensito quelli passati e a chi ha messo tra seguite/preferite. Lo apprezzo molto!

Ora devo andare, alla prossima!

Lara.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Capitolo 6.

Yesung.

 

Erano passati due giorni dall'incontro con Tiffany. Il gelo di inizio dicembre continuava a infilarsi in ogni antro della città ma, da quando aveva messo piede in casa Choi, Yesung non aveva più sentito l'aria fredda sulla pelle. Siwon era al lavoro e il più piccolo giaceva sul divano, annoiato e coi pensieri in subbuglio. Stava rileggendo alcuni rapporti dai quali sembrava ricordare qualcosa, ma c'era un esserino che continuava a infastidirlo, con i suoi miagolii e le sue zampette che ogni due per tre andavano a graffiargli le braccia, in cerca di qualche attenzione. Dopo l'ennesimo versetto, Yesung si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, afferrando quella palla di pelo bianca e coricandosi sul divano, portando quest'ultima sopra la sua testa, tendendo le braccia, per osservarla meglio. In altre occasioni, probabilmente, in quei grandi occhi azzurri avrebbe trovato tanta tenerezza, ma, in quel momento, tutto ciò che vi leggeva era fastidio.

-Sei sopportabile quanto il profumo che si mette addosso la tua padrona- disse, continuando ad osservarlo. Il gatto, per tutta risposta, mosse oziosamente la coda.

-Nuvoletta... Che nome triste. Sei davvero la banalità in forma felina, eh? Pelo bianco, occhi azzurri, un nome che richiama tutto ciò a cui il tuo aspetto fa riferimento. Mangi crocchette di qualità e vivi – ci scommetto la mia memoria tremenda – in un attico nel centro di Seoul. Allora, ho indovinato?

Ovviamente, non ricevette alcuna risposta.

-Nuvoletta...- continuò a borbottare, lasciandolo andare: -In fondo non è colpa tua se sei capitato tra le mani di quella ragazza. Ma poi, perché mi importa? Non la conosco e probabilmente non la vedrò per un bel po'. Perché continuo a pensarci e a provare questa strana sensazione di... insofferenza... nei suoi confronti?- si girò a guardare il gatto, che si era acciambellato accanto a lui, leccandosi una zampa: -Sto parlando con un gatto- sospirò, scuotendo il capo: -Sto impazzendo. Sto. Definitivamente. Impazzendo.

Stropicciandosi gli occhi, si sporse verso il tavolino posto tra il divano e il televisore, afferrando una foto che aveva studiato nel minimo dettaglio e che avrebbe potuto vedere dietro le palpebre semplicemente chiudendo gli occhi: era irrimediabilmente impressa nella sua mente.

-Siwon-hyung...- si ritrovò a sussurrare, come per non farsi sentire da nessuno, se non da se stesso: -Avrei tante domande da farti. Tantissime. In primo luogo, il motivo per cui mi stai aiutando. Eravamo amici. Siamo amici... Ho un brutto presentimento, sai?- continuò a mormorare, carezzando, involontariamente, il volto del più grande stampato sulla carta: -Ti sto mettendo in pericolo, me lo sento. Vorrei poter scappare di nuovo, lasciarti al sicuro e risolvere questa faccenda da solo. Ma sono spaventato. Sono spaventato dal domani, dal non sapere cosa potrebbe accadere tra ventiquattro ore, o tra pochi minuti. Ho paura che i ricordi svaniscano del tutto – o che tornino, rivelando verità orribili che, forse, era meglio non ricordare. Ho paura, anche se cerco di non darlo a vedere. Ho paura di essere diventato un assassino, di aver ucciso persone innocenti, di aver tradito qualcuno. Forse ho tradito anche la tua amicizia, in qualche modo. Nel caso io l'abbia fatto, mi dispiace. Sappi che mi dispiace. Lo sto dicendo ad una foto perché sono troppo vigliacco per dirtelo direttamente, ma mi dispiace per tutto il dolore che forse ti ho causato in passato- si interruppe per qualche secondo, e Nuvoletta miagolò. Sembrò ritornare alla realtà, sul divano di Siwon, con dei fogli in grembo e l'orologio che segnava le otto. Ridacchiò, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo: -Sto parlando con una foto... Con una foto... Devo uscire da questa casa.

Senza un attimo di esitazione, abbandonò i fogli sul tavolo, indossò le scarpe che giacevano abbandonate all'ingresso da giorni prima, prese una giacca di Siwon, dei soldi e, dopo aver detto al gatto di non fare i propri bisogni sui fogli abbandonati in sala, aprì la porta e la richiuse subito dopo, con la chiave che Siwon gli aveva consegnato il giorno prima. Non appena mise i piedi sul selciato, respirò a fondo l'aria invernale, stringendo tra le mani la foto che aveva deciso di portare con sé.

E si rese conto di non avere idea di dove andare.

 

Leeteuk.

 

Lee Sungmin non era una di quelle persone che Leeteuk avrebbe messo in cima alla lista della gente su cui contare. Figlio d'arte ed estremamente rigido, non ammetteva il minimo errore. All'apparenza era l'agente perfetto: devoto e concentrato sul lavoro. Leeteuk era, probabilmente, uno dei pochi a vederla sotto un'altra luce: c'era qualcosa di sbagliato in quella figura circondata da un alone di, forse apparente, perfezione. Cercava di evitarlo il più possibile, quando erano in agenzia, poiché la sola vista di quel sorriso sghembo lo rendeva suscettibile. Per questo, quel giorno, mentre scendeva al terzo piano verso il Dipartimento delle Operazioni, si osservava nello specchio dell'ascensore, cercando di indossare un'espressione apparentemente piacevole. Ripassò nella sua mente i convenevoli da rivolgere al più piccolo, cercando di eliminare dalla sua mente le parole “bastardo”, “raccomandato o “assetato di sangue”. Di sicuro quelli erano gli ultimi appellativi che poteva rivolgere al signorino Lee. Con un rumore leggero e coinciso, le porte si aprirono, e subito Leeteuk si diresse verso l'ufficio del direttore del dipartimento in questione, superando corridoi, macchinette, uffici dalle dimensioni microscopiche e servizi, fino ad arrivare ad un'antica porta in legno di mogano, sulla quale splendeva una targa d'ottone, dove, con cura, era inciso il nome del proprietario di quell'ufficio enorme. Scacciando l'idea di usare quella targhetta d'ottone come arma contro il diretto interessato, bussò un paio di volte alla porta e una voce acuta lo raggiunse dall'interno, dicendogli di entrare. Leeteuk abbassò il pomello, aprendo la porta e chiudendola subito alle sue spalle. Lee Sungmin era seduto alla scrivania posta con in fondo alla stanza: dava le spalle ad un'enorme finestra che mostrava una meravigliosa vista di Seoul. Il più grande lo trovò alquanto bizzarro: perché mai una persona si sarebbe dovuta privare di un tale spettacolo? Sospirando, si avvicinò al giovane dai capelli scuri e dal naso a punta, che lo osservava con un sorriso gentile in volto. Inchinandosi davanti a lui, tradusse a parole ciò che si era ripetuto in ascensore:

-Buongiorno, signor Lee. Grazie per avermi ricevuto.

-Si figuri, signor Park. Vuole sedersi?

Leeteuk negò con un cenno del capo: -E' questione di pochi minuti. Ho bisogno di accedere all'archivio delle operazioni degli ultimi due anni.

Lee Sungmin si pietrificò, guardandolo, estremamente incuriosito. Si appoggiò allo schienale in pelle nera della sedia, incrociando le braccia:

-E perché mai?

-Stiamo tenendo d'occhio dei sospetti e crediamo che da due anni abbiano un topo dall'interno.

-Un doppiogiochista dentro l'agenzia?

-Sì. Ho bisogno dei documenti per saperne di più. Crediamo che c'entrino anche dei cinesi, oppure dei giapponesi.

-Beh, noi non abbiamo nulla da nascondere- sospirò il più piccolo, aprendo un cassetto della scrivania e consegnandogli un pass.

-Con questo accede agli archivi. Deve riconsegnarlo, o a me o al mio segretario, prima di finire il suo turno.

-Lo farò- rassicurò Leeteuk, prendendolo e inchinandosi nuovamente: -Grazie mille, signor Lee.

L'altro sminuò la cosa con un'alzata di spalle e il più grande tornò verso la porta. Prima che potesse chiuderla, però, Sungmin lo richiamò, all'improvviso:

-Signor Park!

Leeteuk si voltò: -Sì?- chiese, confuso dall'espressione sul volto dell'altro, che però si riprese subito, sorridendo appena:

-Oh, nulla, mi sono sbagliato. Buon lavoro.

-Buon lavoro anche a lei- ricambiò Leeteuk, stranito. Chiuse la porta delicatamente, non prima di aver visto Lee Sungmin afferrare il telefono.

 

Siwon.

 

Tornando a casa, alle otto e trenta, Siwon trovò le luci spente e un silenzio apprensivo ad attenderlo. Tremando appena, accese la luce del corridoio e, immediatamente, Nuvoletta lo raggiunse miagolando. Salutò la palla di pelo con una carezza dietro l'orecchio, per poi procedere verso il salotto, che trovò altrettanto deserto. Sul tavolo erano sparsi fogli e foglietti, ma non c'era alcuna traccia della persona che si aspettava di trovare.

-Yesung?- domandò al silenzio che lo avvolgeva. Non ricevette alcuna risposta. Controllò la cucina e il piano superiore, ma Yesung era sparito, volatilizzato. Siwon si appoggiò a una parete, in cerca di sostegno, mentre cercava di riprendere il controllo di sé. Stava succedendo di nuovo.

Esattamente come due anni prima.

 

Era sera tardi, ormai. Yesung era arrivato a casa sua pochi minuti prima e, ad attenderlo, aveva trovato Siwon. Lo aveva salutato velocemente e, subito, si era fiondato dentro l'appartamento, parlando così velocemente che il più grande faceva fatica ad afferrare alcune parole. Aveva appena chiuso la porta, e Yesung gli si era parato davanti con una valigia, camminando velocemente verso la sua camera, continuando a parlare di ciò che doveva fare. Siwon era pietrificato, spaventato. La situazione stava, per una volta, prendendo una bella piega, stava volgendo tutto a loro favore. Perché le cose belle dovevano finire sempre, prima o poi?

-Yesung, te lo sto chiedendo in ginocchio... Non andare, per favore...- provò a fermarlo, ma l'altro continuò a piegare maglie e pantaloni e a ficcare armi impensabili in tasche a prova di controllori.

-Non posso restare. È il momento giusto, Siwon! Potremmo finalmente mettere una fine a questa storia, dopo più di dieci anni di duro lavoro in cui parecchia gente ha perso la vita.

-Appunto, “parecchia gente ha perso la vita”- citò il più grande, provando a guardare l'altro in volto: -Questa non è di per sé una valida ragione per non andare?

-Siwon...

-E' pericoloso.

-Anche attraversare un incrocio è pericoloso.

-Non scherzare, Yesung.

-Sto ridendo?

-Per favore, ascoltami--

-Siwon-hyung--

-Non voglio che tu sia in pericolo, ok?!

-Sono in pericolo ogni fottuto giorno!

-Ma questo è diverso! Da domani... Da domani sarai uno di loro! Vivrai alla loro maniera, farai ciò che loro vogliono che tu faccia e... E se dovessero scoprire la tua identità? Se la tua copertura saltasse? Cosa credi che faranno? Che ti lasceranno andare come se nulla fosse successo? O che ti tortureranno o, peggio, ti uccideranno direttamente?!

-Pensi che non conosca i rischi? So a cosa sto andando incontro, Siwon. Lo so benissimo. È vero, potrei anche morire, ma è un rischio che devo correre.

-No, non devi!

-Per favore, Siwon... E' il mio lavoro, non posso dire di no- Yesung si avvicinò al più grande, prendendo il suo volto tra le mani e facendo combaciare le loro fronti. Lo guardò negli occhi a lungo, prima di parlare di nuovo: -Sono spaventato anche io, ok? Sono così spaventato che quasi non riesco a respirare e... E io ho bisogno che tu sia forte. Sii forte per me, per favore... Perché, altrimenti, so già che non riuscirò a salire su quell'aereo. Ho bisogno di qualcuno che sembri sicuro, adesso, perché sto perdendo tutto e so che potrei morire domani. Quindi, ho bisogno che tu sia forte, per me, che mi dica che tutto andrà per il meglio e che tornerò entro qualche settimana. Per favore, Siwon... Per favore.

Si persero a lungo l'uno negli occhi dell'altro, fino a quando il più grande non lo strinse a sé, sussurrando:

-Andrà tutto bene, tornerai in poche settimane.

-Lo credi davvero?

-Lo credo davvero.

-Mi aspetterai?

-Anche se dovessero volerci anni.

Sentì la presa di Yesung intensificarsi, mentre mormorava:

-Non appena torno, organizzo quella cena che stiamo rimandando da un mese, ormai.

-Faccio il nodo al fazzoletto, eh.

Il più piccolo sorrise, allontanandosi: -E' una promessa. Tornerò e ceneremo insieme.

-A che ora parti?

-D-domani mattina...

-Allora faccio un salto al mini-market a prendere un po' di cibo, va bene?

Yesung annuì, semplicemente. Siwon uscì dalla camera, raggiungendo l'ingresso ma, prima che potesse richiudere la porta, il più piccolo lo richiamò:

-Siwon-hyung?

-Sì?- domandò questi, girandosi verso di lui. Yesung era in piedi in mezzo alla sala, con un'espressione indecifrabile in volto, a metà tra il disperato e il terrorizzato:

-Lo sai che ti voglio bene, vero?

Sorrise, Siwon, annuendo: -Lo so, Yesung. Ti voglio bene anche io- e con quelle parole, chiuse la porta.

Tornò all'appartamento mezz'ora più tardi. Le luci erano spente. Ogni stanza era silenziosa. Entrando, Siwon accese la luce della sala. Sul tavolino trovò un biglietto, che lesse con timore.

Yesung era partito. Era svanito dalla sua vita nell'ultima mezz'ora.

Solo in quel momento poté dire di provare davvero dolore.

 

Kangin.

 

Kim Kangin iniziava a sentirsi uno stalker. Non che l'essere una spia non comportasse simili incarichi, ma quando si ritrovava volutamente a seguire qualcuno, allora la faccenda era tutt'altra cosa. Seduto in macchina, osservò Park Leeteuk estrarre le chiavi di casa dalla tasca della giacca, mentre tra le mani reggeva dei fascicoli apparentemente pesanti per la quantità di fogli che contenevano. Era combattuto per via degli ordini che aveva da poco ricevuto da uno dei suoi colleghi. Le direttive erano passate dal direttore del dipartimento delle Operazioni ad un suo dipendente, il quale, per mancanza di tempo, aveva passato l'incarico ad una sua conoscenza nel dipartimento di Controspionaggio. Questa conoscenza, Kim Ryeowook, essendo amico di Kangin, aveva passato a lui l'incarico, in quanto aveva già un compito da svolgere per tutta la serata. Così, la visita di Kangin a Leeteuk si era trasformata da “del tutto causale” a lavorativa. In quel modo aveva sì una scusa per parlare col coetaneo, ma al contempo sperava che non ci fosse qualcosa di troppo losco sotto. Kangin sapeva che, in teoria, non avrebbe mai dovuto fidarsi di quasi nessuno dei suoi colleghi, perché, alla fine, si può far conto solo su se stessi, eppure non riusciva a non creare un qualche legame con la gente con cui lavorava a stretto contatto. Così, scacciando dalla mente le sue paturnie, scese dall'auto un secondo prima che Leeteuk chiudesse la porta del condominio. Incuriosito dal rumore, infatti, l'altro alzò la testa e incontrò il volto di Kangin. Lo osservò, incuriosito, prima di parlare:

-Kangin? Che ci fai qui?

-Sono qui per conto di un mio collega- spiegò, evitando di menzionare nomi troppo importanti: -Devo controllare una cosa di quei file.

-Ah- fece Leeteuk, indecifrabile: -Beh, entra pure.

Facendosi da parte, lasciò lo spazio sufficiente per fare entrare il più alto, che subito si rintanò lontano dal freddo notturno. Salirono silenziosamente le scale, immersi entrambi nel proprio imbarazzo, fino ad arrivare al terzo piano, dove Leeteuk aprì la porta del suo appartamento. Dopo essersi tolti giacche e scarpe, Kangin venne spintonato dalle parole del più basso verso la cucina, dove si sedette al tavolo, mentre Leeteuk gli domandava se volesse qualcosa da bere:

-Un caffè è più che sufficiente- sorrise, gentilmente. L'altro annuì, prendendo una caffettiera e iniziando a preparare la bevanda. Non ci impiegò molto e, mentre il liquido si riscaldava sui fornelli, Leeteuk si sedette a sua volta, con i file tra le mani:

-Tu cosa stai cercando?- domandò a Kangin, iniziando a sfogliare gli ultimi fogli – i più datati.

-Mi serve il resoconto di una missione in Cina risalente a due anni fa.

-Ah, sì?- fece il ventiseienne, distratto, mentre scartava qualche foglio.

-Sì, devo riportare in un ufficio il rapporto di quella missione, a quanto pare. Si tratta di quella di un certo Kim Yesung. Posso aiutarti a cercare?

Se solo Kangin fosse stato un filo più attento e un poco meno stanco, avrebbe notato le mani di Leeteuk diventare granito, i suoi occhi sbarrarsi e il suo respiro fermarsi. Fu questione di qualche secondo, perché subito si riprese, con un colpo di tosse, e si alzò per spegnere la caffettiera. Versò del caffè ad entrambi, dando le spalle a Kangin, che stava già rovistando tra i fogli alla ricerca di quel nome.

-Kangin, con o senza zucchero?- domandò Leeteuk, rovistando in una mensola nascosta al più alto.

-Senza, grazie- rispose lui, tornando alle carte. Dopo pochi secondi, accolse con un sorriso la tazzina tra le mani e ne bevve subito un sorso, con sollievo, ignorando il retrogusto particolare: stava davvero per addormentarsi sul tavolo. Aspettò che la bevanda facesse effetto, continuando a spulciare tra quei rapporti con occhi vigili. La stanchezza, però, si faceva sempre più pesante di secondo in secondo. Chiuse gli occhi un paio di volte, per farli riposare, per poi riaprirli e tornare alle scartoffie. Leeteuk non parlava, facendo passare a sua volta lo sguardo da un foglio all'altro. Erano passati pochi minuti da quando aveva bevuto il caffè, ma Kangin non riusciva a restare sveglio. Rinunciando ad ogni sforzo, e senza quasi accorgersene, poggiò la testa su un braccio e chiuse gli occhi, sprofondando in un sonno improvviso.

E Leeteuk poté solo sorridere e sfilargli un foglio dalle mani.

 

 

Eunhyuk.

 

La voce dall'altra parte del ricevitore era stanca e frustrata, Eunhyuk poteva tranquillamente dirlo, senza dubbio alcuno. Lui, però, non poteva farci nulla. Doveva finire il lavoro, al più presto possibile – ma, ciò nonostante, sapeva che ci sarebbe voluto più tempo del previsto.

-Kyuhyun, è da un po' che non ci sentiamo- disse, ignorando i lamenti dell'altro.

-Ti ho detto che ti avrei chiamato io.

-Sono passati un bel po' di giorni, lo sai, no?

-Lo so benissimo, Eunhyuk.

-Allora, qual è il prossimo passo?

-Eunhyuk, ti ho detto che ti avrei chiamato in caso di aiuto.

-E adesso non hai bisogno di aiuto?

-No!

-Ma--

-Senti, tu sei troppo inesperto, ok? Al momento ho bisogno di aiuto, certo, ma di sicuro non vengo a chiederlo ad un novellino come te. Ho già trovato una persona su cui fare affidamento, quindi, al momento, puoi rilassarti e cercare di non farti sfuggire nulla dei nostri precedenti incontri. Credi di esserne capace?

-S-sì...- borbottò, stringendo la presa sul cellulare.

-Bene.

Dall'altra parte della linea, dopo quell'ultima parola, sentì solo l'intermittenza causata dalla vicinanza col computer. La voce di Kyuhyun era sparita, sostituita dal rumore della linea, ora libera. Chiudendo a sua volta la chiamata, Eunhyuk sospirò, stiracchiandosi ed osservando lo schermo del PC. Rilesse le ultime parole che suo padre – anzi, l'assistente di suo padre – gli aveva mandato via mail. Non coincidevano con quello che il giovane Cho gli aveva appena sibilato. Rispose velocemente alla lettera, inviandola e alzandosi immediatamente, afferrando giacca e tracolla, uscendo dal bilocale che, da poco, era diventato casa sua. Era deciso, determinato. Ce l'avrebbe fatta, avrebbe sistemato la faccenda, ma alle sue condizioni.

Inesperto? Ok, vedrai, Cho Kyuhyun, quanto sono “inesperto”.

 

 

Yesung.

 

-Secondo te Nuvoletta è un bel nome?

-Eh?

-Secondo te Nuvoletta è un bel nome?

-Per un bambino?

-Per un gatto.

-Beh... Sì, suppongo.

-Bah, sono l'unico a trovarlo pessimo...

-Vuoi un altro bicchiere?

-Sì, grazie.

Il barman diede le spalle a Yesung, che sedeva scomodamente su uno sgabello posto al bancone, stringendo tra le mani l'ennesimo bicchiere vuoto, che un tempo era pieno di un drink non identificato. Teneva il volto appoggiato alle braccia, incrociate sul banco di legno, e osservava il barista, con il quale aveva da poco instaurato una conversazione. Anche lui trovava che Nuvoletta fosse un nome carino, così come la ragazza che fino a poco prima era seduta vicino a lui, e anche il tassista che lo aveva portato fino a quel bar. E, davvero, non riusciva a capacitarsi di come la gente non riuscisse a cogliere la banalità in quel nome.

-Insomma, un po' di originalità, no? Nuvoletta... Tu chiameresti così il tuo gatto? O il tuo cane? Insomma, è come avere un amico di nome Nuvoletta... E' tremendo!- continuò Yesung, esponendo la sua tesi al ragazzo che aveva posto davanti a lui l'ennesimo bicchierino.

-Beh, è soggettivo, non credi?

-Sì, sì, ma non cambia il fatto che sia un nome tristissimo. Come Fido, o Rex, per un cane. È la stessa cosa. Tu chiameresti mai il tuo cane Fido?

-Beh, no...

-Ecco, è troppo banale. Un nome deve avere un significato, no? Uno spessore... Non puoi chiamare un gatto Nuvoletta perché è piccolo, bianco e peloso.

-Wow, la tua vita dev'essere proprio piena di problemi- commentò il barista, sarcastico.

-I-i-io in realtà ho parecchi problemi, sai?- balbettò Yesung, ridacchiando: -Al di fuori del gatto col nome triste, ovvio. Che, tra le altre cose, non è nemmeno il mio gatto. È il gatto di una ragazza. Una ragazza che non sopporto, che si mette addosso quantità industriali di profumo alla pesca. Un tempo mi piaceva la pesca, sai? La adoravo. Adesso non la sopporto più.

-E perché non sopporti la ragazza?

-Onestamente? Non lo so...

-Quindi, odi il nome di un povero gatto perché provi dei sentimenti negativi nei confronti della sua padrona senza alcun apparente motivo?

-Triste, vero?

-Abbastanza.

-Probabilmente perché la mia vita è un gran casino, quindi sto cercando di distrarmi con alcool e problemi futili.

-Scappi, in sostanza.

A sentire quelle parole, Yesung rimase in silenzio, realizzando ciò che stava facendo, ciò che aveva fatto per tutto il giorno. Si stava lamentando per dei moscerini sul parabrezza.

-Già, sembra che io sia bravo, a scappare- mormorò con voce atona. Bevve un sorso del drink, per poi tornare a guardare il barista.

-Hai una faccia curiosa.

-E' la cosa più vicina ad un complimento che mi sia stata detta oggi.

-Come ti chiami?

-Hangeng.

-Io sono Yesung.

-Piacere.

-Sì, sì, certo- sminuì l'altro, con un'alzata di spalle: -Senti, Hangeng... Sei mai stato geloso di qualcosa? O qualcuno?

-Ovvio. Tu no?

-Non lo so... Cosa si prova?

Hangeng si appoggiò al banco, sospirando: -Beh, credo che anche questa sia una cosa alquanto soggettiva. Ognuno reagisce in modo diverso alla gelosia. Qualcuno piange, qualcuno si arrabbia, qualcuno sente di poter spaccare in due il mondo... So per certo che, in qualche modo, si prova dolore.

-Dolore?

Hangeng annuì, toccandosi il petto in corrispondenza del cuore: -Qui.

Yesung lo osservò a lungo, per poi chiudere gli occhi, lasciando fuoriuscire dalle sue labbra un sospiro di frustrazione: -Sono fottuto.

-Perché?

-Perché credo di essere geloso di una persona... Ma non so il motivo.

-Non sai parecchie cose, Yesung.

-Già- fece lui, con una punta di amarezza: -Puoi dire tranquillamente che io non sappia quasi nulla.

-Ti sei mai chiesto quali siano i tuoi sentimenti nei confronti di questa persona?

Yesung scosse il capo, osservando il liquido alcolico contenuto nel bicchiere davanti a lui. Hangeng continuò a parlare, ma Yesung colse appena le sue parole, ritrovandosi in uno stato di trance. Il liquido azzurrino gli fece ricordare un fresco pomeriggio estivo, una spiaggia sassosa e le limpide acque di un lago. Ricordava risate, chiacchiere e sassi fatti rimbalzare sulla superficie piatta del bacino d'acqua. Ricordava di aver vinto contro il suo avversario, che si lamentava per il fatto di non essere capace di far fare ad un sasso più di quattro rimbalzi. Ricordava di averlo canzonato affettuosamente, mentre lo abbracciava, ridacchiando. Ricordava che si erano poi guardati in volto, ancora sorridenti, e, finalmente, riuscì a dare un'identità a quella persona.

Siwon.

-Ehi, Yesung?- la voce del barista lo fece tornare alla realtà. Riscuotendosi dai suoi pensieri, guardò Hangeng, che lo osservava un po' preoccupato:

-Stai bene? Sei pallido. Hai bisogno di chiamare qualcuno per tornare a casa?

-I-io--

-Yesung!

Contemporaneamente, il diretto interessato e Hangeng si voltarono verso la voce profonda che aveva appena interrotto la loro conversazione. Yesung riconobbe subito Siwon, che lo raggiunse, con uno sguardo indecifrabile. Aspettandosi il peggio, il più piccolo si raddrizzò, ma tutto ciò che ricevette fu un abbraccio da parte dell'altro. Sbarrò gli occhi, prima di ricambiare, con fare incerto, la stretta. Siwon si allontanò dopo qualche secondo, afferrandogli le spalle e guardandolo negli occhi:

-Non farlo mai più, ok? Non sparire mai più in questo modo, mi hai sentito?

Yesung lo fissò a lungo, perdendosi in quelle pupille scure piene di terrore, e poi annuì, più volte. Si voltò verso Hangeng, pagando il conto e scendendo poi dallo sgabello. Riusciva, in qualche modo, a reggersi in piedi. Ringraziò il barista per la chiacchierata e i drink, e subito gli diede le spalle, mentre Siwon lo sorreggeva, dirigendolo verso l'uscita del locale. Mentre superavano la porta, andarono a sbattere contro una persona, che si scusò con Siwon, che fece altrettanto. Yesung scorse solo dei capelli estremamente biondi, poiché l'attimo dopo era già sul marciapiede. Siwon lo fece salire in auto. Il viaggio di ritorno verso casa fu silenzioso, mentre il più grande osservava la strada piena di gente e l'altro era preso dall'alcool che aveva in circolo e dalle vetrine che scorgeva da fuori il finestrino. Non lo fece notare a Siwon, ma per tutto il tempo tenne le mani nelle tasche, a carezzare la foto di qualche anno prima.

 

Note dell'autrice.

Non ho molto da dire su questo capitolo, onestamente... E più lungo dei precedenti e sono riuscita a postarlo come mi ero prefissata perché sono a casa ammalata ; w ; Ringrazio come sempre chi ha lasciato una recensione e chi ha messo tra le seguite/preferite. Grazie, davvero. Spero che questo capitolo vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate! Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori di battitura!

A presto,

Lara.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


 

 

Capitolo 7.

Kyuhyun.

 

 

La stanza in cui si trovava era buia e fredda. Ma lui non faceva caso al freddo, all'umidità stagnante e all'odore poco gradevole. Tutto ciò che gli interessava era una figura avvolta nell'ombra. Anche senza conoscere la sua identità, sarebbe riuscito a riconoscerlo facilmente. Gli sorrise, sedendosi su una poltrona bitorzoluta, l'unico segno di arredamento presente nella stanza, oltre ad un vecchio tavolo di legno. Accavallò le gambre, concentrando tutta la sua attenzione sul ragazzo di fronte a sé.

-Ciao, Jongwoon-hyung.

-Kyuhyun-ah- lo salutò l'interpellato, il sollievo era palese nella sua voce. Il più piccolo ridacchiò, rilassandosi contro la stoffa impolverata.

-Ti consola il fatto che ci sia io?- domandò.

Jongwoon annuì, sollevandosi fino a sedersi sul tavolo, posto al centro della stanza:

-Sì, ma avrei preferito Shindong.

-Accontentati- tagliò corto Kyuhyun, con il suo solito tono seccato e sbrigativo e i suoi modi spicci di quando ha un lavoro importante da portare a termine.

-Cosa succede, Kyuhyun-ah?- chiese Jongwoon, dondolando le gambe oltro il bordo del tavolo e andando dritto al nocciolo del loro incontro: non era di certo una simpatica rimpatriata.

Il più piccolo rimase in silenzio, ritrovandosi, forse per la prima volta in tutta la sua esistenza, a corto di parole. Fece vagare lo sguardo dal corvino alla finestra sbarrata, e viceversa, mentre il suo cervello si arrovellava in cerca dei termini giusti da utilizzare in una simile circostanza. Parlare non era mai stato un problema, per Kyuhyun: le risposte a tono e i piccoli monologhi erano il suo pane quotidiano; eppure, questa volta, faticava ad esprimere ad alta voce un problema che, nella sua testa, era estremamente chiaro – forse anche fin troppo. Alla fine, dopo interminabili minuti di assordante silenzio e imprecazioni pronunciate mentalmente, Kyuhyun si arrese con due semplici parole:

-Ti controllano.

Nonostante il buio, non fece fatica a nostare il cambiamento d'espressione sul volto del più grande, che si mosse a disagio sul tavolo.

-Come sarebbe a dire?

-Sospettano di te- spiegò l'altro, nonostante fosse sicuro che Jongwoon avesse compreso appieno.

-Devi fare attenzione, hyung.

-Credi che--

-Lo crediamo tutti- lo interruppe velocemente Kyuhyun. -Forse lo sanno.

Tra di loro corse, per qualche minuto, un silenzio attonito, carico di tensione. Dopodiché, Jongwoon scese dal tavolo, mostrandogli la schiena e dirigendosi verso la porta.

-Bene- disse, prima di chiudersela alle spalle, senza voltarsi indietro, e sparire alla vista di quel criminale tanto fuori dal comune.

 

Quando il taxi si fermò di fronte al condiminio, Kyuhyun si riscosse dai propri pensieri, distogliendo lo sguardo dal finestrino e riacquistando conoscenza con la realtà, che per i precedenti dieci minuti era svanita nel nulla, lasciando spazio solamente a ricordi indelebili. Pagò la corsa al tassista e si affrettò a scendere dalla vettura. Raggiunse l'ingresso del condominio, suonando al citofono abbellito dall'etichetta bianca, sulla quale compariva con anonimi caratteri neri il nome della persona che lo stava aspettando. Passarono meno di otto secondi prima che il portone si aprisse con un rumore secco, che rimbombò sulla tromba delle scale interne. Kyuhyun lasciò la porta chiudersi alle sue spalle, mentre saliva le scale a due a due. Arrivato al terzo piano, suonò il campanello dell'interno 8 e, subito dopo, la porta si aprì, rivelando il ragazzo che il più piccolo si divertiva a chiamare “Peter Pan”.

-Jungsu-hyung- disse, con il suo solito sorriso sghembo, entrando nell'appartamento senza troppi complimenti o convenevoli.

-Kyuhyun- lo salutò il più grande, chiudendo la porta. -Perché ci hai messo tanto?- aggiunse, seguendolo lungo il corridoio che il ventenne aveva imboccato con decisione, come se si trattasse di casa sua.

-Ho preso un taxi- spiegò con un'alzata di spalle, guadagnandosi un colpo in piena nuca.

-Ehi!- esclamò, girandosi verso Jungsu.

-Lo sai che non devi prendere il taxi!

-Non succede nulla, per una volta.

-Questa frase l'ho già sentita... Oh, giusto!- esclamò il ventiseienne, con fare teatrale: -Lo aveva detto anche Chaerin, tre giorni prima di finire in prigione.

-Stai zitto, hyung- sbuffò Kyuhyun, fermandosi in cucina, di fronte al corpo addormentato di uno sconosciuto.

-Piuttosto...- disse, voltandosi verso l'altro ragazzo e puntando alla persona ignota: -Spiegami questo.

-E' un agente- disse Jungsu con un sospiro.

-Perché dorme sui file dell'agenzia?

-Perché stava cercando anche lui quello riguardante Jongwoon.

-E l'ha trovato?

-Quasi. L'ho addormentato giusto in tempo- spiegò l'altro con un ghigno, puntando lo sguardo alla mensola che conteneva, in mezzo ai soliti oggetti da cucina, anche un potente sonnifero che aveva versato nel caffè.

-I classici funzionano sempre- ridacchiò Kyuhyun, cogliendo il significato nello sguardo del più grande. -Hai già fatto le fotocopie?

-Fatte, pinzate e fascicolate- sorrise Jungsu, mostrando la sua solita fossetta sulla guancia sinistra. Kyuhyun lo guardò, prendendo i documenti con uno sbuffo:

-Non abituarti al lavoro d'ufficio, Jungsu-hyung.

-Non sia mai.

-Perché il bell'addormentato sta cercando i documenti di Jongwoon?

Jungsu si voltò a guardare Kyuhyun con un sopracciglio inarcato.

-Hai davvero bisogno di una risposta?

Il più piccolo guardò il fascicolo che aveva in mano per pochi secondi, prima di scuotere il capo:

-No. In effetti, no.

-Risposta esatta. E ora esci di qui, prima che si svegli.

-Gli lascerai il fascicolo originale?

-Devo.

-Se finisce nelle mani sbagliate, lo distruggeranno.

-Kyuhyun-ah, è scontato che quei fogli diventeranno cenere entro domani mattina.

-Brindiamo alle fotocopiatrici, allora- esclamò il più piccolo, cercando di distendere la tensione, mentre Jungsu lo spingeva verso l'ingresso.

-Ci vediamo, Kyuhyun-ah, saluta tutti quanti da parte mia- disse, aprendo la porta e facendo uscire l'altro sul pianerottolo. Il ventenne annuì, mettendo il fascicolo al sicuro nella sua tracolla.

-Contaci. Yunho e Heechul ti stanno aspettando. C'è un colpo perfetto per voi, aspettano solo che tutto questo sia finito.

-Ci manca una persona, però- borbottò Jungsu, amaramente.

-Come ti ho già detto, tutto andrà alla fine di questa faccenda. E si spera che per allora, anche Jongwoon sia tornato tra noi- sospirò il moretto.

-Vorrei vederlo...- fece il ventiseienne, con un sussurro, per poi guardare l'espressione indecifrabile sul volto dell'altro. Espressione che, per lui, diceva tutto.

-Tu sai dov'è- dichiarò, incrociando le braccia al petto.

Kyuhyun sbarrò gli occhi, mettendo le mani avanti: -Ho un sospetto, nulla di più.

-Perché non verifichi?

-Perché deve capirlo da solo, non bisogna forzare le cose. Lo sai meglio di me.

Jungsu sbuffò, passandosi una mano sul volto pallido e stanco. Sentirono entrambi dei rumori dalla cucina e, velocemente, Kyuhyun venne spinto verso le scale, mentre l'altro chiudeva la porta con tutta la grazia possibile.

Il ventenne si ritrovò da solo su una rampa di scale fresca e pulita. Sospirò, guardando i documenti tra le sue mani e stringendoli tra le dita lunghe e affusolate.

-Tornerai, Jongwoon-hyung. Costi quel che costi, sarai di nuovo dei nostri.

 

 

Yesung.

 

Yesung fu svegliato da un pulsante dolore alla testa. Con un gemito, affondò il volto nei cuscini e impiegò un po' a capire dove si trovava. Rigirandosi tra le coperte, si ritrovò ad osservare un soffitto azzurro. Corrugando la fronte, iniziò a ricordare ogni dettaglio della giornata precedente. Si portò una mano alle tempie, serrando le palpebre e maledicendosi in tutte le lingue a sua conoscenza. Si sentiva svuotato di ogni energia, come se un trapano gli stesse traforando il cranio e un altro si stesse facendo strada lungo il suo esofago. Si accorse solo allora di trovarsi nella camera di Siwon: l'armadio posto davanti al letto matrimoniale era moderno e piuttosto grande; dalle finestre, assicurate dalle persiane, filtrava qualche spiraglio di luce. Voltandosi verso il comodino, vide parecchie foto incorniciate e poggiate su un centrino di pizzo. Incuriosito, si sporse per guardarle una ad una: Siwon con i suoi genitori; Siwon nel giorno della sua laurea; Siwon con i suoi amici; Siwon e un cane dalle dimensioni abnormi; Siwon il primo giorno di scuola, un sorriso sdentato in volto e la cartella decorata con i personaggi del suo cartone preferito. Sorrise davanti a quei ricordi indelebili, sistemati con ordine e cura, come se fossero un tesoro inestimabile. Lasciò vagare lo sguardo sulle ultime immagini e si pietrificò non appena notò una foto famigliare: lui e Siwon, stretti l'uno all'altro, gli occhi riflettevano il sorriso che avevano dipinto sui loro volti e la felicità che sembravano irradiare da ogni poro. Inconsciamente, si ritrovò a sorridere, sfiorando con le sue piccole dita il vetro che lo separava da quel ricordo cartaceo. Tastando le sue tasche, recuperò la sua foto – sgualcita, vissuta – per poi confrontarla con l'altra. Con sua sorpresa, notò come indossassero, in entrambe, gli stessi vestiti e come il paesaggio alle loro spalle fosse identico. Cambiavano solo le espressioni e le posizioni. Quella di Yesung sembrava programmata, mentre la foto di Siwon gli sembrava, in qualche modo, più vera e naturale, come se fosse stata scattata senza alcun preavviso. Chiudendo gli occhi, Yesung si sforzò, concentrando tutte le sue forze sull'immagine della foto impressa nella sua mente, cercando di ricavarne qualche ricordo. I suoi tentativi furono del tutto inutili, e si arrese non appena sentì la porta aprirsi delicatamente, con lentezza e in modo silenzioso: nel varco tra questa e lo stipite comparve, solo in parte, la figura di Siwon. Non appena notò lo sguardo di Yesung su di lui, sorrise appena:

-Oh, sei sveglio- disse, avvicinandosi al letto e stringendo tra le mani un bicchiere d'acqua e un'aspirina. Poggiandole entrambe sul comodino, si sedette sul bordo del letto, guardando l'amico in volto:

-Come ti senti?

-Come se un picchio cercasse di bucarmi il cranio.

Siwon ridacchiò, e si accorse solo in quel momento delle foto che Yesung stringeva ancora tra le mani. Il più piccolo seguì lo sguardo dell'amico, per poi borbottare:

-Stavo solo guardando certe... foto...

-Quella non è mia- mormorò Siwon, confuso, indicando la più sgualcità delle due.

-E' mia... L'ho trovata nella busta.

-Posso vederla?

Yesung annuì, porgendogliela. Siwon la prese delicatamente e la osservò, senza voltarla per vederne il retro. Yesung lo vide sorridere, mentre, probabilmente, richiamava a sé i momenti più belli di quella giornata. Studiando quel volto sereno, il ventiduenne si ritrovò a domandarsi cosa Siwon stesse ricordando, esattamente, desiderando di poter condividere quel momento con lui.

Notando il suo sguardo perso, Siwon corrugò la fronte:

-Yesung? Va tutto bene?

L'interpellato sobbalzò, per poi scuotere il capo:

-Va tutto bene.

-Sicuro?

Yesung sospirò, abbandonando lo sguardo sulle sue ginocchia, mordicchiandosi le unghie dal nervoso. Siwon ridacchiò, allontanando le mani di Yesung con le proprie, sottraendole a quella tortura:

-Smettila di strapparti le unghie, Yesung-ah. Non riesci proprio a toglierti questo vizio, eh?

 

E quella fu, per Yesung, la famosa goccia che fece traboccare il vaso.

 

-Vedi? E' questo che non va!- esclamò, irritato.

-C-cosa ho detto?- balbettò Siwon, sorpreso da quell'improvviso cambiamento. Yesung incrociò le gambe, afferrando con uno scatto il piumone tra le mani, e stringendolo tra le dita martoriate:

-Tu sai tutto di me, della mia famiglia, del mio passato. Sai persino che ho questa insana mania di mangiucchiarmi le punte delle dita, mentre io non so assolutamente nulla di me stesso, tantomeno di te! Io voglio sapere, Siwon. Voglio sapere com'erano i rapporti con i miei genitori e con mio fratello. Voglio sapere se avevo un cane, un gatto, o perché mi sento sciogliere dentro ogni volta che vedo una tartaruga. Sono allergico a qualcosa? Ho qualche fobia imbarazzante? Siwon, io mi sono stancato di stare qui ad aspettare un miracolo per recuperare un'intera esistenza. Voglio costruirmi una nuova vita, ma voglio anche sapere un minimo su me stesso. Tu sai tutto di me. E io voglio delle risposte.

Passarono interminabili secondi di puro silenzio, con il solo respiro affannoso di Yesung a far da sottofondo. Alla fine, Siwon sorrise, stringendo quelle mani ridicolosamente minuscole tra le proprie:

-Sai, oggi è il mio giorno libero. Non potrò illuminarti sugli ultimi due anni, ma ho tutto il tempo che vuoi per recuperare gli altri venti.

Non gli giunse nessuna parola in risposta, nessuna esclamazione di felicità.

Gli arrivò solo un sorriso.

Un sorriso ampio, bello e genuino.

Uno di quei sorrisi che fa sembrare le parole estremamente futili.

 

 

Heechul.

 

-Ti cedo il colpo al Louvre.

-Perché dovrei accettare?

-Se va a buon fine, arriveresti ad ottenere popolarità nel nostro mondo. Ti vorrebbero tutti per i colpi migliori. Andresti in Egitto, in Argentina – ci sono parecchie sciccherie da prendere, in quel Paese. Quindi, la domanda esatta è: perché dovresti rifiutare?

-No, la domanda esatta è: perché mi stai cedendo l'incarico? L'hai detto tu stesso: a colpo finito, si entrerebbe a far parte della bella vita.

-Per solidarietà? Un uccellino mi ha detto che sei inattivo da quattro mesi. Ti limiti a lavorare in quel bar in centro. È una cosa piuttosto triste.

-Ed è anche una cosa che non ti riguarda.

-Sono Kim Heechul, lo sanno tutti che ficco il naso in qualsiasi affare.

-Touché.

-Allora, accetti o no?

-Dimmi la verità, prima.

-Cioè?

-Non mi stai cedendo il colpo per solidarietà. Non esiste quella parola, nel nostro vocabolario.

-Bingo.

-Quindi?

-Non sopporto Donghae.

-E...?

-Non c'è nessun “e”. Non sopporto quel ragazzo.

-Non ti faresti sfuggire un affare del genere solo per un ragazzino apparentemente sbadato. La verità, Heechul.

-E' questa, accidenti!

-Sono un ladro anche io, Heechul. Ammettilo, hai trovato un colpo migliore.

-Può darsi.

-Di cosa si tratta?

-Non posso dirlo.

-Giusto, sono stato stupido a chiedere.

-Allora, accetti o no?

-Va bene, è andata. Ma se non finisce bene, verrò a cercarti.

-Basta tenere Donghae chiuso in un cubicolo, davanti ad un computer. Dopodiché puoi stare tranquillo.

-Lo terrò a mente. Posso sapere almeno con chi farai il prossimo lavoro?

-Con Cho.

-Kyuhyun?

-Chi altro, se no?

-Solo voi due?

-Credo.

-Di solito Kyuhyun lavora da solo.

-Oh, ancora non sa che faccio parte della squadra.

-Effetto a sorpresa.

-Il mio preferito.

-Allora affare fatto. Lo dici tu a Donghae?

-Sì, ci penserà lui a contattarti. Me ne lavo le mani.

Heechul si alzò dal tavolo, riponendo la sedia sotto di esso, senza staccare lo sguardo dal ragazzo seduto di fronte a sé.

-A mai più rivederci, Hangeng.

-Te l'ho detto: se finisce male, vengo a cercarti.

Sul volto efebico dell'altro ragazzo spuntò un ghigno e si fermò per pochi secondi prima di andarsene, giusto per dire:

-Se finisce male, non ci rivedremo mai più, a meno che io non venga a farvi visita in una prigione federale. Ma, sai com'è, non sono bravo a relazionarmi con gli sbirri.

 

Rientrando nell'appartamento di zio Cholsu, allo scoccare dell'una di pomeriggio, le narici di Heechul vennero riempite da un'inconfondibile aroma speziato. Sul lungo tavolo di legno posizionato nel soggiorno, quattro piatti erano pronti ad accogliere la prelibatezza che bolliva in pentola, sotto lo sguardo attento di Shindong. Heechul si fermò poco dopo la tavola imbandita, osservando una planimetria appesa alla parete, piena di profonde rughe scavate nella carta, determinati luoghi cerchiati, evidenziato o sottolineati in mille colori diversi e affiancati da qualche scritta scarabocchiata velocemente con una penna nera. Sorrise, notando come, alla fine, Donghae era riuscito a fare dei passi avanti anche senza il suo aiuto. Camminando con passo sicuro, entrò in cucina, chiamando l'amico intento a cucinare qualcosa.

-Shindong?

L'interpellato gli prestò attenzione, salutandolo con un sorriso carico della sua innata simpatia.

-Cosa c'è, Heechul?

-Kyuhyun è già a casa?- domandò, assaggiando il kimchi direttamente dalla pentola, e guadagnandosi così una spintarella dal più grande.

-Non si tocca, Heechul-ah. E, sì, è in camera sua. Quindi va' da lui, sparisci- gli intimò, fulminandolo con lo sguardo. Heechul annuì, allontanandosi e affondando le mani nelle tasche. Raggiungendo le scale, fece gli scalini uno ad uno, lentamente, quasi con svogliatezza. Arriato in cina alla seconda rampa, fece scivolare i piedi fino all'ultima porta a destra. Entrò nella stanza senza bussare, esordendo con un:

-Dongsaeng, dobbiamo parlare.

Kyuhyun non sembrava molto entusiasta della visita improvvisa, e lo fece ben capire con il lampo che gli attraversò gli occhi quando la figura felina del ragazzo non diede segno di voler tornare da dove era venuta. Incrociò le braccia al petto, allontanandosi appena dal computer:

-Cosa c'è?- chiese, con poca gentilezza.

Heechul si trattenne dal riprenderlo per quella mancanza di rispetto e, sedendosi sul bordo della scrivania, iniziò a parlare:

-Hai un colpo a Seoul.

-E tu a Parigi.

-Il tuo è più importante.

-Non mi pare che il Louvre sia una passeggiata.

-Voglio aiutarti.

-Non puoi.

-Sì, invece. Ho già ceduto il Louvre a qualcun altro.

-A chi?

-Te lo dico se mi fai entrare nella squadra.

Per tutta risposta, Kyuhyun alzò gli occhi al cielo e riportò la sua attenzione sul portatile. Purtroppo per lui, Heechul non era tipo da arrendersi facilmente. Otteneva sempre ciò che voleva. Sempre.

-Sai, Kyuhyun-ah, ho trovato certi documenti interessanti nel tuo computer... Cosa pensi che succederebbe se mi dovessi trovare a comporre accidentalmente il numero della polizia?

-Non oseresti.

-Tu mi hai messo una cimice addosso, un anno fa, rovinando un piano perfetto. Oserei eccome.

-Va bene, hai vinto... Cosa devo fare?

-Contarmi dentro.

-Mai.

-Oh, andiamo! Stiamo parlando di Jongwoon, dovrebbero saperlo tutti.

Il più piccolo si immobilizzò, fissando a lungo lo schermo luminoso del pc, prima di spostare gli occhi sul suo, sotto un certo aspetto, hyung preferito:

-Come fai a sapere che si tratta di lui?

-Che domanda idiota, sono Kim Heechul.

Kyuhyun guardò quelle due iridi traboccanti di determinazione e, dopo dei secondi apparentemente infiniti, annuì.

-Ok, sei dentro- borbottò, arrendendosi.

E Kim Heechul non si trattenne dall'esultare.

 

 

Siwon.

 

-No, non è vero.

-Sì, invece.

-Ma è una cosa imbarazzante!

-Era una scommessa – fatta da ubriachi – e diciamo che te la sei cavata alla grande.

Siwon stava cercando, con tutto il suo autocontrollo, di trattenersi dal ridere in faccia all'amico, ma era quasi impossibile a causa della storia che aveva appena raccontato e della faccia di Yesung, attraversata da mille sfumature di rosa e rosso. Il principale protagonista di quella serata esilarante non sapeva se ridere, affondare nella propria vergogna o scavare direttamente una buca nel salotto di casa Choi.

-Dio, una cosa del genere non avrei mai dovuto dimenticarla. Voglio dire... Lascia il segno.

A quelle parole – e alla vista dell'espressione confusa di Yesung – Siwon non riuscì più a trattenersi e, posando una mano sullo stomaco, rise con tutte le sue forze, fino a farsi lacrimare gli occhi, mentre il ventiduenne lo colpiva con i cuscini o con qualche leggero pugno sulla schiena e sulle braccia.

-Non posso credere di essere andato in giro per Seoul vestito da donna...- Yesung si poggiò al divano, scuotendo il capo, e Siwon potè finalmente raddrizzarsi, il sorriso ancora stampato tra quelle due adorabili fossette:

-E di aver rimorchiato sei ragazzi in un bar- infierì, guadagnandosi uno sguardo assassino dal più piccolo:

-Evidentemente ho un fascino da non sottovalutare.

-Di sicuro hai fatto di peggio in alcune delle tue missioni- Siwon sorrise, poggiandosi allo schienale e voltandosi verso Yesung, che se ne stava appolaiato in un angolo, le gambe rannicchiate contro il petto.

-Sai dirmi qualcosa anche su quelle?- chiese, poggiando il volto tra le ginocchia. Siwon si strinse nelle spalle, emettendo un leggero sospiro:

-Non volevi quasi mai parlarne. Accennavi solo a quelle meno importanti, ma solo se succedeva qualcosa di comico. Come quando il cammello su cui viaggiavi è rotolato lungo una duna in Marocco, o quando, in Tibet, uno yak piuttosto maldestro e una giocata clandestina ti hanno quasi fatto saltare la copertura. Insomma, cose del genere. Non andavi mai oltre, suppongo fossero tutte faccende top-secret.

Yesung annuì appena, e Siwon, osservando il suo sguardo perso, non sapeva cosa pensare, o come mandare avanti la conversazione. Ma, con sua sorpresa, fu l'amico e prendere in mano le redini:

-Beh, non voglio più pensarci.

Le sopracciglia di Siwon si contrassero a formare un'espressione leggermente confusa:

-A cosa?

-Al mio passato.

-Davvero?- Il venticinquenne non si sforzò nemmeno di nascondere la nota di sorpresa presente nella sua voce.

-Davvero. Voglio andare avanti, farmi un'altra vita. Evidentemente in passato non ero una brava persona, visto che, a quel che mi risulta, sei l'unico di cui mi sia mai realmente fidato. Voglio cambiare, diventare un cittadino modello – sai, pagare le tasse, avere un lavoro normale, non doversi nascondere per sopravvivere e, perché no?, sposarmi senza dovermi preoccupare dell'incolumità della mia famiglia. Capisci cosa voglio dire?- Lo sguardo di Yesung si spostò repentinamente dal motivo del tappeto al volto di Siwon, che annuì appena:

-Sì... Capisco.

-Voglio una vita normale. Tutti sognano sempre una vita fuori dagli schemi, ma, a dir la verità, una vita piena di suspense è la cosa peggiore che possa mai capitare. Manca poco a Natale, e in questo periodo dell'anno, più per leggenda che per verità, tutti sono più buoni. Quindi spero di poter trovare lavoro facilmente, così potrò anche farti un regalo che valga tutta la fatica e i problemi che ti ho causato. Credo di essere davvero pronto per lasciare il passato nel passato, e per dare un cambiamento radicale per rendere la mia misera vita un po' meno misera.

Siwon sorrise, percependo la determinazione nelle parole del corvino, e lo guardò sinceramente sollevato e contento.

Mancava poco a Natale, e stava per avere tra le mani il regalo più bello che potesse mai sperare, qualcosa che né i suoi soldi, né quelli di qualcun altro avrebbero mai potuto comprare.

Yesung stava tornando se stesso.

 

 

Sungmin.

 

La sera era calata senza che Lee Sungmin se ne accorgesse. Aveva passato la giornata a sfogliare fascicoli e a scribacchiare su post-it di mille colori differenti, la cornetta del telefono perennemente pressata contro l'orecchio, imprigionata tra esso e la spalla. Si era fatto portare colazione, pranzo e cena nel suo ufficio, dove aveva potuto mangiare in santa pace, senza doversi preoccupare degli sguardi altrui. Questi erano i momenti in cui amava la sua posizione all'interno dell'Agenzia più di ogni altra cosa al mondo: bastava schioccare le dita per ottenere cibo, acqua e caffeina sufficiente per varcare le mezzanotte.

Finendo l'ultimo boccone di bimbap, voltò la sedia ad osservare la città illuminata e sorrise, rilassandosi contro lo schienale di pelle nera. I file erano stati distrutti e, in quell'esatto momento, tra le luci al neon di Seoul e le strade più o meno trafficate, c'era già una squadra in azione, in perlustrazione per tutta l'estensione della capitale, mentre un paio di altri agenti tallonavano Park Leeteuk.

Lee Sungmin si fece sfuggire una risata, socchiudendo gli occhi a mandorla:

-Non mi scapperai, Kim Jongwoon.

 

 

Note dell'autrice.

 

 

Ho già la pala per sotterrarmi sotto metri di terra. Non aggiorno dal 22 febbraio ed è una cosa alquanto vergognosa. Ma è stato tutto a causa di forze maggiori (leggasi: scuola, blocco durato un paio di mesi, scuola, problemi vari e... oh, giusto: scuola). Ma adesso – finalmente – ci sono queste benedette vacanze estive, quindi gli aggiornamenti torneranno una volta a settimana, proprio come prima. Scusatemi ancora per la lunga assenza, ma sappiate che ho scritto sia questo capitolo che un quarto (?) di quello successivo sul quaderno degli appunti (della serie: quando in classe ci si annoia) quindi sono a buon punto anche con quello successivo!

Spero che questo vi sia piaciuto, e vi chiedo gentilmente di lasciarmi una recensione con un vostro parere, per favore. ^^

Ringrazio in anticipo chi si fermerà a lasciarmi due righe, chi in questi mesi ha messo tra le ricordate/seguite/preferite e anche chi legge in silenzio che apprezza questa FF.

A presto, e buon inizio di vacanze a tutti.

Lara.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1485843