Un Passato alla Cannella di Gozaru (/viewuser.php?uid=193641)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Casa ***
Capitolo 2: *** Il Capopalestra. ***
Capitolo 3: *** Legami. ***
Capitolo 1 *** Ritorno a Casa ***
Cap 1
Un passato alla Cannella ~
Capitolo 1
RITORNO A CASA
I
capelli corvini al vento, lo sguardo all'infinito. Le braccia
incrociate appoggiate sul parapetto. Ai suoi piedi un grosso borsone
pieno di vestiti e cianfrusaglie. Ogni tanto sbuffa. Colpa mia per
averlo incastrato in questa situazione, controvoglia.
Con in mano due bicchieri caldi, quasi ustionanti, mi avvicino. Gli
allungo, davanti al naso, il suo caffè. Lui, quasi lo avessi
svegliato da un sogno, si rianima e mi guarda, sorridendo poco
convinto. Grazie, mi dice dandomi un piccolo bacio sulla guancia. Nonostante tutto non perde la sua dolcezza. Gli sorrido a mia volta.
«A che stavi
pensando?» gli chiedo. Il suo volto perde per un attimo la sua
lucentezza. Un ricordo triste e doloroso? Non importa, non posso
chiederglielo in modo così diretto. Alza
le spalle, riportando lo sguardo verso il mare davanti a noi. Le onde
si infrangono contro la prua del battello. Manca ancora molto
perché non ci sono isole all'orizzonte. Le sue iridi blu si
perdono ancora nell'immensità davanti a noi. Al sole del mattino
presto la sua figura risalta di più. «Te l'ho mai detto che sono nato a Cinnabar Island?» mi chiede. Faccio di No con
la testa. Intuisce ma sembra non importargli. Non lo forzerei mai a
parlare ma non ce n'è bisogno. Socchiude le labbra, sembra stia
per parlare ma si ferma. Un grosso respiro. Solo allora decide di
continuare, solo dopo aver soppesato ogni parola come se potessero
cadergli addosso e schiacciarlo. «Sono
andato via tanti anni fa» dice. Non tenta di affrettare il
discorso: ora che l'ha cominciato vuole concluderlo una volta per
tutte. «Pensavo
di conoscere mia madre ma non era vero. Niente era vero». Abbassa
lo sguardo mordendosi un labbro. Preoccupata, cerco di stringergli la
mano. Non mi allontana, non mi scaccia. Si lascia consolare come un
pulcino bagnato e rassegnato. «Ero
confuso e arrabbiato. Sono passati tanti anni dalla mia
partenza.» dice stringendo forte la mia mano. E finalmente torna
a guardarmi. La sua profonda tristezza mina i suoi occhi. Capisco cosa
intende dire. «Sai
perché ti sto dicendo tutto questo?» cerca di abbozzare un
sorriso, molto forzato. Ancora una volta agito la testa, non oso
parlare per spezzare la sua confessione. Sorride,
molto più rilassato. «Ti sto dicendo questo» e in un
attimo di pausa intreccia le dita della mano con le mie «perché
sono sicuro che tu sia la persona giusta. So che potrai
aiutarmi». Imbarazzata, arrossisco. Le sue sono parole
dolcissime. Il suo sorriso è finalmente tornato e lo Shinichi
che ho sempre conosciuto riemerge dietro ad uno sguardo più
sicuro di sé. Guarda le nostre mani e comincia ad accarezzare la
mia con il pollice, dolcemente. Il suo tocco è delicato,
perfetto. «Ci
sarò sempre quando avrai bisogno di me». Non ho resistito.
Ho dovuto dirglielo. Rialza lo sguardo e mi tira a sé. Mi
abbraccia forte appoggiando la sua guancia contro la mia. Il suo corpo
è caldo. Trema leggermente. È l'emozione? «Grazie» mi sussurra stringendomi forte. Grazie.
Il lungo viaggio volge al termine dopo circa sei ore di tragitto. Il
battello, per quanto piccolo possa essere, risulta sproporzionato al
porto di Cinnabar. Lì le imbarcazioni sono abituate a piccoli
tragitti tra Pallet Town e Fuchsia City quindi non sono poi molto
attrezzate; quelle del posto, almeno. Il grande vulcano che domina
tutta l'isola sembra una grande montagna protettrice. La fetta di cielo
ad esso annessa è percorsa da nuvole di passaggio. Non appena
scendiamo dal battello, borse al seguito, la nostra attenzione è
attratta verso l'alto. Quasi meccanicamente, guardiamo verso il cielo
alla cima del vulcano, piatta e smussata dalle passate fuoriuscite di
lava. «Quasi mi
mancava questa vista» ironizza Shinichi, al mio fianco. Si
sistema la borsa sulle spalle e comincia a camminare, oltre il porto. A
primo impatto mi stupisco ma poi ricordo la sua confessione: quella,
d'altronde, era stata la sua casa; Shinichi deve ricordarsi di quei
posti come se fossero le sue tasche, proprio come io conosco a menadito
le strade di Vermilion. Inutile dire che ad una piccola isola equivale
una piccola città. Le pendici del vulcano cominciano poco fuori
il centro abitato. Una grossa villa, in lontananza, testimonia la
ricchezza di un passato ormai abbandonato a sé stesso. Lì ormai non ci sono che pokèmon selvatici, accenna il mio compagno. Nemmeno lui sa dirmi a chi era appartenuta.
Il Centro Pokèmon non è molto lontano dal porto. Il mare
si estende davanti a noi, come a Casa mia. Però riesco comunque
ad avvertire la differenza. Non c'è l'atmosfera della mia
città, non ci sono persone che mi salutano ad ogni angolo e non
c'è la vita frenetica di Vermilion. Non c'è nemmeno la
mia palestra né Machisu che mi saluta da una finestra né tutti
gli allievi che mi corrono incontro per non farmi portare carichi
pesanti come la spesa. Mi guardo indietro, un'ultima volta. Niente nostalgia!
Cerco di ricacciarla in fondo al mio cuore. Mi costringo a pensare che,
nonostante tutto, quello è lo stesso mare che vedevo anche dalle
finestre della palestra.
Shinichi si ferma davanti ad un cancelletto pieno di edera di
un'altrettanto piccola casetta avvolta dal verde. Il giardino poco
curato e una persiana mancante potrebbero far presagire una mancata
cura delle apparenze. Delle luci, all'interno, testimoniano la vita in
quelle quattro mura. Non c'è il campanello ma né io
né il mio compagno osiamo farci avanti per bussare alla porta.
Sicuramente non sarò io a fare la prima mossa. Lo guardo: gli
occhi blu puntati verso una piccola finestrella. Sta ripensando al
passato? Ho paura ad interrompere i suoi pensieri ma non posso far
altro, vedendo il suo viso corrucciarsi.
«È
casa tua?» gli chiedo, quasi sussurrando. Non sembra risvegliarsi
da qualche trance. Si gira verso di me, appena mi sorride. Era.
Finalmente si decide. Apre il cancelletto. Questo cigola mentre noi
approfittiamo del suo movimento. Prendendo una maniglia che nemmeno
pesavo potesse avere, il mio compagno lo richiude alle mie spalle.
Però, dalla mia posizione non mi muovo. Lascio che mi superi e
che raggiunga la porta. Ho paura ad intromettermi, come se potesse
esserci un lato di Shinichi che non mi ha mai mostrato.
La sua mano esita prima di bussare. Rimane per un paio di secondi
alzata per poi abbattersi sulla porta. Un suono cupo, tetro. Dei passi
all'interno si accavallano. Non possono appartenere ad una sola persona.
Shinichi, davanti a me, abbassa la testa e mi lancia uno sguardo
ansioso con la coda dell'occhio. Le mani lungo i fianchi sono immobili,
non oso muovere un passo in avanti.
Il rumore di una chiave nella toppa e il cigolio dei cardini. Si apre
di poco, abbastanza per una persona. Io, però, non riesco a
vedere: la schiena del ragazzo mi copre la visuale. Non vedo ma sento.
«Ah. Sei
tu.» una voce stridula quanto il tono acido. Corrugo la fronte,
pronta a sentire ed eventualmente ribattere qualche insulto verso il
ragazzo. Ma prima di rendermene conto la situazione cambia.
Un «Shinichi! Sei tornato!» distrugge la tensione nell'aria, tagliando di netto un Sì
freddo del mio compagno. Due braccia gli avvolgono il collo e un viso
giovane e bello compare da dietro la sua spalla. La ragazza ha gli
occhi chiusi, non si accorge di me. I lunghi capelli biondi ricadono
attorno alle spalle nude. Senza volerlo, strabuzzo gli occhi, vacillo. E questa chi è? Perché non si stacca?
Lo coccola come fosse un pupazzo. «Finalmente!» gli grida nelle orecchie. Lui, ovviamente
imbarazzato, ridacchia e cerca di staccarla da sé. Almeno,
è quello che dovrebbe fare. Le sue braccia si muovono ma non
capisco quello che ha intenzione di fare.
«Che sei venuto a
fare qui?» gli chiede la stessa voce pungente. Ora riesco a
vedere una donna magra, un paio di occhiali che pendono dal collo, i
capelli in una crocchia scura. Non è vecchia ma dimostra
sicuramente più anni di quelli che dovrebbe avere in
realtà.
«Una
richiesta» dice, quasi apatico. Si toglie finalmente di dosso la
ragazza che, ora vista di fianco a lui, mi sembra fin troppo attraente
per stargli così vicino e si gira verso di me. Sorpresa con i
pugni stretti lungo il corpo e il viso corrucciato, tento di darmi una
certa compostezza. «da
un suo amico.» conclude, secco. La bionda mi guarda, leggermente
irritata. Il tipico sguardo di chi pensa tu sia il terzo incomodo.
Dopo un gelido susseguirsi di sguardi, la donna ci fa entrare. La casa
sembra molto più grande dall'interno. Ci porta in una grossa
cucina e ci fa accomodare al tavolo. Shinichi comincia il suo racconto.
Già, durante il viaggio me n'ero completamente dimenticata, felice com'ero di stare con lui.
Mi fa tirare fuori una lettera dallo zaino. È
leggermente spiegazzata ma tenuta con gran cura. Sulla busta c'è
l'indirizzo della palestra di Vermilion, cosa che salta subito
all'occhio delle due donne. Incuriosite e piuttosto scettiche mi
guardano. Ancora uno di quegli sguardi cristallini in cui posso leggere
Questa? In una palestra pokèmon?
Fortunatamente Shinichi riprende il discorso distraendo la loro
attenzione da me. Non permette alle due di leggerla ma chiede loro solo
riparo. La donna, allora, si alza e va alla finestra, la stessa a cui
manca una persiana. Guarda fuori, sta valutando la situazione. La
ragazza, invece, è molto più decisa: vuole il ragazzo
lì ed il motivo è più che lampante.
«Non lo so» dice schiettamente la donna. Finalmente si rigira. La sua decisione l'ha presa, lo si legge nei suoi occhi. «Questo suo amico? E questa ragazza? Cos'hai
intenzione di fare?» comincia a chiedere a raffica. Lui, per
niente sorpreso da questo cambio di loquacità, risponde a tutte
le domande. «Aiuterò tutti» il suo sguardo deciso non ammette né repliche né consigli. «E
poi? Che farai, dopo?» per la prima volta la donna mostra un
sentimento: preoccupazione. Delle rughe d'espressione segnano la fronte
di lei facendola sembrare di più una madre. Shinichi scuote la
testa. A stento trattiene una risata. «Non tornerò qui, se è quello che speri». È freddo, quasi cattivo. Ma il suo passato, d'altronde, non lo conosco.
«Perchè? Perchè non puoi restare?» comincia a urlare la ragazza. «Per
favore, Yukino...» cerca di zittirla. Finalmente noto un
comportamente leggermente repellente nei confronti della ragazza che va
in giro in pantaloncini corti e canottiera troppo scollata per i miei
gusti. In tutti i modi cerco di trattenermi dal sembrare soddisfatta ma
le labbra, di poco, si arricciano da sole. La ragazza mi guarda
malissimo e si avvicina al ragazzo. Alza il braccio e mi punta contro
l'indice. «È colpa sua, vero!?» chiede. Si direbbe furiosa ma non mi lascio certo intimidire. Alzo un sopracciglio. Come scusa?!
le faccio intendere ma lei non rimangia le sue parole. Mi provoca
apertamente ma prima ch'io possa far qualcosa, Shinichi agisce in mia
difesa. Le afferra il braccio e glielo tira giù a forza. «Non osare» la fredda con lo sguardo. La situazione precipita velocemente.
La donna, ancora accanto alla finestra, grida il nome del ragazzo che,
in un attimo, sembra tornare sé stesso. Lascia il braccio alla
bionda e si gira a guardarmi. Lo sguardo basso, tenta di scusarsi. Mi
fa segno con la testa di alzarmi. Raccoglie le sue cose e con passo
lento esce dalla stanza non senza avermi preso per mano e condotta
fuori. Mi giro qualche istante, il tempo per accennare un Grazie lo stesso con la testa alle due nella stanza.
«Mi dispiace...» si scusa Shinichi. Con questa a che quota siamo? 63 o 64? Ho perso il conto dopo la ventina.
Rifiutata la richiesta d'alloggio non ci rimane che chiedere una stanza
al Centro Pokèmon ed è lì che ci stiamo dirigendo.
Ci costerà parecchio rimanere lì per chissà
quanto; questa è la prima preoccupazione, senza contare la
lettera. È ancora tra le mie dita; non riesco a riporla nello zaino. Porta con sé troppi pensieri...
«Aki!»
mi chiamò Machisu. La sua voce risuonò nei corridoi della
Palestra. «Aki! È arrivata una lettera per
te!».
Mi consegnò una busta affrancata e leggermente sgualcita. Il mio
indirizzo scritto sul retro; la calligrafia di Masaru. Mi preoccupai
subito dal momento che il ragazzo non mi aveva praticamente mai scritto
lettere. La aprii subito, velocemente, strappandone leggermente un
bordo. Shinichi accorse subito al mio fianco e Machisu seguì il
suo esempio, preoccupati dalla foga con cui stavo quasi rompendo il
foglio.
Purtroppo dentro non trovai che un misero foglio. La calligrafia di
Masaru era molto piccola e concentrata. In quelle righe poteva aver
scritto di tutto.
"Cara Chiaki," cominciai a leggere.
Avevo deciso di prendermi un periodo
di pausa dal Dojo e dalle sue faccende. Ho pensato che Cinnabar Island
potesse essere un buon luogo per loro e non mi sono sbagliato. L'isola
è davvero bella ma da quando ho messo piede qui ho avvertito una
strana sensazione. Il Mare è in costante subbuglio, la Terra
instabile e il vulcano minaccioso. All'inizio ho pensato di ignorare
questo presentimento ma ho sbagliato.
Sono qui da ormai una settimana e la
situazione è precipitata. Lo sento, lo avverto sulla pelle e lo
stesso Vulpix e Scyther. Ho paura. So che non crederai a quello che
dico ma ho paura.
Purtroppo non posso, non riesco a tornare a casa. È brutto doverti chiedere aiuto ma da solo non credo di poter far niente.
Spero di esserci ancora quando arriverai.
Sta attenta.
Masaru"
I due, alle mie spalle, lessero con me. Inutile dire quanto mi
preoccupai ulteriormente dopo la lettura. Non riuscii a credere a
ciò che avevo davanti. La rilessi più volte e,
continuamente, la verità si spiaccicava sul mio volto,
ricoprendomi.
Non c'era tempo da perdere. Guardai Machisu e Shinichi. Entrambi mi
diedero il loro appoggio. Il capopalestra, però, non sarebbe
potuto partire; si limitò a procurarci una nave che potesse
andare diretta a Cinnabar senza scali e senza interruzioni di alcun
genere. Purtroppo per noi, il battello in questione sarebbe dovuto
prima arrivare dalla suddetta isola e poi tornare indietro. La partenza
fu quindi fissata a tre giorni dall'arrivo della lettera.
Mentre stavo preparando le mie cose, pensando bene a cosa mi sarebbe
servito e cosa no, Machisu entrò in camera mia. Bussò
sullo stipite della porta, attirando la mia attenzione. Subito gli
rivolsi lo sguardo.
«Tutto ok?» gli chiesi. Lui annuì, avanzando verso
di me. Mi strinse forte al suo petto muscoloso. Era passato ormai
un anno dalla faccenda della Centrale ma ancora non si sentiva
tranquillo. Certo, l'appello di Masaru non aiutava certamente. Entrambi
sapevamo che un ragazzo come lui non avrebbe mai chiesto aiuto
così apertamente quindi qualcosa doveva essere successo. Non
potevo certo lasciarlo in balia degli eventi, no? Potevo solo
raggiungerlo e fare del mio meglio.
«Se dovesse succederti qualcosa, va da Katsura (Blaine). Fa il
mio nome» mi sussurrò nell'orecchio. Katsura? Il
capopalestra di Cinnabar? Sentii la mano di Machisu scorrere sul mio
corpo, una lettera sotto di essa, fine, venne infilata in una delle mie
tasche.«Una raccomandazione; se così posso definirla».
Mi lasciò andare, tenendomi per le spalle. Il volto bruciato dal sole sbocciò in un sorriso. «Mi raccomando, torna sana e salva, questa volta!»
«Aspetta, Shin!» lo chiamo. Lui, pochi passi avanti a me, si ferma e si gira a guardarmi. Che c'è?
mi chiede. Grido il nome del capopalestra dell'isola. Lo sguardo del
mio compagno si fa sempre più confuso; non capisce. Ripeto
ancora quel nome, nel caso non l'avesse capito. «Machi ha detto che potrebbe ospitarci, se diciamo che vengo da una palestra!». Strabuzza gli occhi. «Non credo...» comincia a smontarmi «Perchè mai Katsura dovrebbe crederci?». Sorrido contenta che me l'abbia chiesto. «Ho una lettera di Machisu» gli dico, senza fargliela vedere, convinta di averla nello zaino.
E invece mi sbaglio, e alla grande. Davanti alla porta della palestra
mi riduco a rovistare nel mio zaino senza successo. La lettera del mio
capopalestra non si trova. Mi dispero, tiro anche qualche insulto ma
niente mi può aiutare a trovarla. Mi lascio andare, delusa e
affranta. Purtroppo Shinichi ha avuto ragione, ancora una volta. Non ci
resta che il Centro Pokèmon.
Intanto, a Vermilion City...
Sbuffa, Machisu. Si sente così solo tra le mura della sua
palestra. Gli allievi lo evitano, preoccupati tanto per lui quando per
la loro incolumità. L'ultima volta che l'espressione dell'uomo
rasentava la preoccupazione era stato l'anno prima alla partenza della
ragazza e questa volta... Inutile dire che questa situazione è
molto più grave; nettamente peggiore: lo si legge senza fatica
negli occhi di lui.
Si intrufola nella camera della ragazza, partita quella mattina. Ha
lasciato tutto in ordine, lei, per non costringerlo a faticare
più del dovuto. I vestiti dei giorno prima sono abbandonati ai
piedi del letto, un po' spiegazzati.
Saranno sporchi, pensa lui,
così decide di caricarseli per portarli nella lavanderia. Ed
ecco che, non appena alza i pantaloni, scivola fuori una lettera. La sua lettera.
Non ci crede; non vuole crederci. Si china a raccoglierla per averne la certezza. Scuote la testa, incredulo.
Ridacchia per non piangere. Quella stupida...
«Tornerò a
supplicarla» mi dice mentre ci dirigiamo al Centro Pokèmon
dell'isola. Si direbbe convinto ma non lo è sicuramente. Aspetta
forse che io glielo impedisca? Lo guardo e lui guarda me. Non voglio
che vada contro le sue idee per me. «Dobbiamo
trovare Masaru» gli ricordo; mi ricordo. Perchè non
abbiamo fatto sei ore di viaggio solo per essere presi a calci da una
vecchia conoscenza di Shinichi e vagare per l'isola. «Lo so» mi dice «ma
abbiamo bisogno di un posto dove lasciare le cose». E non ha
tutti i torti. Ma quella ricerca non è poi tanto urgente,
contando che al Centro delle camere ci sono sempre. Probabilmente
vorrà parlare da solo con le due donne; e chi sono io per
impedirlo?
«Sei
sicuro?» gli chiedo, ansiosa. Non voglio che se ne esca di nuovo
da quella casa con le orecchie basse. Ma annuisce, convinto. Sbuffo. Come vuoi tu.
E così ci separiamo. Se dovessero esserci sviluppi, mi
chiamerà con il PokèGear. Sapete, me ne ha regalato uno
al suo ritorno da Johto. Non sono esattamente pratica di questi aggeggi
ma una comunicazione so avviarla. Spero.
Passato tutto il pomeriggio a girovagare nei dintorni del porto, ho
raccolto solo poche informazioni. Purtroppo l'unica foto che ho di
Masaru risale a qualche anno fa; nonostante tutto qualche marinaio o
abitante afferma di averlo visto sull'isola per tutta la settimana
senza però sapere dove possa essere al momento.
Torno ancora al Centro Pokèmon per riprendere le mie cose.
L'infermiera mi saluta gentilmente; il suo sorriso è così
'lucente' che quasi mi riprendo. Vorrei tanto che uno di quei grossi e
cicciosi Chansey mi prendesse e mi mettesse in uno di quei macchinari
miracolosi che fanno riprendere i pokèmon. Giusto, già
che sono lì, ne approfitto. Le affido le mie tre pokèball
e mi siedo su una delle poltroncine, di fianco ad un giovane
allenatore; la foto di Masaru sempre stretta tra le dita.
Mi stiracchio tutta come un gatto che si è appena svegliato con
l'unica differenza che di energie non ne ho più e il mio corpo
sembra molto più goffo e meno aggraziato.
Mi appisolo sul posto, distrutta. Chiudo gli occhi solo per cinque secondi, e invece...
La mano del giovane vicino a me mi riporta alla realtà. «Il tuo Pokègear...»
Con un'imbarazzante bavetta che esce dalla bocca mi riprendo, cerco di
tirar fuori dalle tasche l'aggeggio che non avevo sentito suonare e,
dopo essermi spostata una ciocca di capelli dietro l'orecchio, leggo il
messaggio che Shinichi mi ha mandato.
Alloggio trovato. Ci vediamo al Centro!
Sorrido, inebetita. Bene, così non mi tocca camminare di più,
penso. E quando penso che, finalmente, le figure di palta per quel
giorno sono finite, ecco che un'altra piomba giù, inaspettata.
«Ehi!» mi
fa il ragazzo vicino a me. Sobbalzo, come se un Growlithe mi avesse
morso una chiappa, gridando anche. Questo mi guarda come se fossi una
pazza da compatire mentre mi giro nella sua direzione. Sì?
cerco un minimo di contegno e decenza, decisamente persi nel giro di un
secondo. Alza la foto di Masaru che tiene tra le dita. Deve essermi
caduta nella foga del risveglio.
«Lo stai cercando?» mi chiede. Annuisco, leggermente speranzosa. Sì, sì, giovane sbarbatello privo di tatto! «Io l'ho visto. Era nei pressi della Palestra, qualche giorno fa.»
Il mio visto s'illumina di felicità. Finalmente una pista!
[Finalmente
mi sono rimessa in carreggiata, riprendendo finalmente il fandom dei
Pokèmon! Purtroppo l'ultima storia che stavo scrivendo non me
l'ha cagata nessuno così rimane sospesa.
E così... Tornano Shinichi e Chiaki nella loro ultima e mirabolante avventura (?!).
Mi dispiace di aver scritto così tanto ma anche così poco.
Come avevo già
annunciato da qualche parte, questo 'capitolo conclusivo' farà
luce sul passato di Shinichi e tirerà un po' fuori dall'ombra
Masaru.
Non vi dico altro, altrimenti vi rovino tutta la sorpresa!
(Oh, il nome della bionda è stato scelto in un brainstorming con
un amico apposta per lei. Ci sembrava abbastanza zoccoloso. Love Ya,
zoccolina!)
Oh, note finalissime!
Purtroppo la prima storia l'ho scritta che ero ancora... nuova ed inesperta.
Vorrei dedicare non il capitolo ma quest'intera storia a tre ragazze: Oblakom, LenKiyomasa e Konny_
Diciamo che sono le mie PokèPreferite!
Grazie a loro che, qualunque cosa io abbia scritto, c'erano!
Tanti Pandori a voi!
E... Ho deciso di pubblicarla un po' prima così Konny non si dispera troppo per la sua!]
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Capitolo 2 *** Il Capopalestra. ***
Cap 2
Un passato alla Cannella ~
Capitolo 2
IL CAPOPALESTRA
Corro
a perdifiato. Il mio respiro affannoso mi rimbomba nelle orecchie
tappate. Il sudore mi si ghiaccia sulla pelle, i capelli si appiccicano
sulla fronte. Ero stanca, sono stanca ma la notizia che Masaru possa
essere più vicino di quanto abbia mai potuto immaginare viene
prima di ogni cosa, anche di Shinichi che sta arrivando. Con lo zaino
non più così pesante in spalla, corro. Cerco di ricordare
le strade fatte per arrivare alla Palestra anche se mi basta guardare
ogni tanto verso l'alto, verso il grande e imponente tetto che sovrasta
le altre case.
I miei passi, le voci sulla strada... Sento tutto ovattato. Sento solo
il mio respiro e i miei pensieri che si fanno strada. Quasi non mi
accorgo di due mani che mi toccano dentro. Tiro dritto senza farci caso
finché non vengo fermata a forza.
«Ehi! Ehi!
Fermati!» è la voce di Shinichi che mi riporta al
presente. Giro il volto verso il suo, sconvolta. Ansimo più di
quanto immaginassi. Le sue mani, le sue dita mi stringono forte le
braccia, come se volessero arpionarle. I suoi occhi blu scuro sembrano
preoccupati e confusi, cercano una risposta che non riesco ancora ad
articolare. «Che
è successo?» chiede. Deglutisco tutto ciò che tenta
di soffocarmi. Respiro un attimo per trovare le parole ma dalla bocca
asciutta mi escono solo frammenti sconnessi. «Masaru...
Alla palestra... Allenatore...visto». Sembro posseduta. Gli occhi
cominciano a riempirsi di lacrime che non riesco a contenere. Il suo
volto si fa sfocato finchè finalmente non sbotto. Lascio che
tutto esca, mi butto tra le sue braccia. Appoggio la fronte sulla sua
spalla e piango come se non lo avessi mai fatto. Piango così
forte che, probabilmente, tutti i passanti si girano a guardarmi; ma
non mi importa. «Ehi...»
dice ancora lui. Mi stringe forte tra le sue braccia e mi accarezza la
schiena con delicatezza.Ogni suo movimento sembra perfettamente
calibrato a me e alla situazione in cui mi trovo. A volte penso che
Shinichi sia stato creato apposta per me.
Mi calmo, finalmente. Tutta la pressione per quella storia mi aveva
sommersa. Decidiamo di recarci alla palestra prima di dirigerci verso
l'alloggio che il ragazzo dice di aver trovato. Mi prende lo zaino
liberandomi da un peso che non sarei riuscita nemmeno a portare. «Ce la fai?» mi chiede poco convinto. Che domande... Annuisco. Per Masaru questo e altro! penso ma non oso dirlo di fronte a lui nonostante consideri il moro come un fratello.
Il grande edificio è spento e vuoto. Le grandi finestre sono tutte chiuse e non sembra esserci vita all'interno. Strano, pensai. Bussiamo più volte ma non arriva risposta. Silenzio. Silenzio totale.
Abbasso lo sguardo verso i miei piedi. Mi sembrano tremare per lo
sforzo prolungato di tutta la giornata e l'ansia mista a rabbia che dal
mio cuore pervade tutto il corpo. Chiudo gli occhi cercando di calmarmi
quando il rumore di un campanello si fa largo tra i miei ricordi.
«Chi è? Insomma, chi è che disturba le persone a quest'ora della notte?!»
Mi strofino gli occhi, assonnata e irritata per l'irruzione alla
palestra verso le 3 del mattino. Apro la porta ritrovandomi davanti un
ragazzetto dall'aria strafottente. Lo guardo leggermente confusa.
Ho la bocca impastata, i capelli arruffati e la vista leggermente
annebbiata; per non parlare del formicolio che stava invadendo le
braccia, pronte a stendere qualcuno a pugni.
«Vorrei sfidare la palestra» mi dice, tranquillo, come se
fuori non ci fosse una grande luna piena e le case del vicinato non
fossero completamente immerse nel sacrosanto sonno che tutti dovrebbero
aver l'opportunità di godersi. Il mio sguardo si fa decisamente
più arrabbiato ma il mio interlocutore non sembra capire le mie
intenzioni. Allora?, continua nella speranza che lo faccia entrare. «Mi
spiace, siamo chiusi» sono le ultime parole che mi sente
pronunciare poco prima di ritrovarsi la porta della palestra sbattuta
violentemente in faccia.
E ora, come potrei mai stare calma dopo tutto ciò?
Mi rimetto a battere violentemente i pugni chiusi contro il portone della palestra. Aprite!, grido. Aprite!
Nella mia mente continuo a ripetermi di non essere una stupida
allenatrice dalle stupide idee e manie né qualcuno che vuole
attaccar briga. Ma ogni mia speranza resta inchiodata insieme a me
davanti al grosso portone che non mi permette di andare avanti.
Cominciano a farmi male le mani ma non posso smettere; non riesco
pensando che la soluzione potrebbe essere oltre quei due battenti. Le
lacrime ricominciano ad invadermi gli occhi. La vista si offusca e la
disperazione esce allo scoperto, venendo a galla come delle goccioline
d'olio che speravo di sommergere. Shinichi appoggia una mano sulla mia
spalla ma è inutile. A malapena la sento. La sua voce mi arriva,
ancora una volta, ovattata, come se fosse distante. Mi afferra un
polso, conscio che la forza sarebbe stata l'unica soluzione ma non
riesco a non aggrapparmi a quella piccola speranza che dentro
all'edificio ci sia qualcuno che ora si sta dirigendo verso l'entrata
anche solo per scacciare i molestatori.
«Fermati» mi dice, ma non voglio ascoltarlo. Mi rifiuto di farlo. «Aki,
è inutile. Non c'è nessuno.» Le sue parole mi
trafiggono come lame di ghiaccio, da parte a parte attraverso la mia
anima. Mi appoggio al portone e mi lascio scivolare a terra. Non
importa se le gambe si sporcano né se i vestiti si rovinano.
L'unica mia consolazione è che Shinichi stringe forte la mia
mano, anche se il braccio che non sono riuscita a trascinarmi dietro
comincia a fare male.
«Signorina, che succede? Va tutto bene?»
Mi ricompongo in fretta. Mi asciugo le lacrime e mi rialzo da terra
girandomi verso la provenienza di una voce roca ma piuttosto arzilla.
Un signore dall'aspetto anziano ma gioviale ci guarda accennando un
sorriso. Il sole del tramonto si riflette poeticamente sulla sua testa
pelata e lucida e negli occhiali da sole dalle lenti nere. Indossa un
camice bianco e tiene le mani nelle tasche. Gli darei circa
cinquant'anni ma sul viso non ci sono segni di rughe, anche se i baffi
ormai quasi tutti bianchi potrebbero nasconderle. Inclina leggermente
il capo aspettandosi una risposta. Tiro su col naso e abbozzo un
sorriso. Va tutto bene,
cerco di sembrare forte. L'espressione di Shinichi, leggermente
sconcertata, non è certo d'aiuto ma continuando ad annuire
sembra che mi sostenga.
«Cercate
il capopalestra?» chiede ancora. Guardo il portone in un attimo
di sconforto e poi riporto lo sguardo sull'uomo. «Veramente» dico in un sussurro abbassando leggermente lo sguardo «sto cercando un amico. E mi han detto di averlo visto presso la palestra». Capisco, annuisce tirando fuori una mano dalla tasca e portandola sotto al mento glabro. Posso aiutarvi?
«Se potesse
portarci da Katsura, il capopalestra...» cerco speranzosa un
ultimo appiglio di speranza quando Shinichi appoggia, ancora una volta,
la sua mano sulla mia spalla. Sussurra il mio nome, la sua voce trema,
imbarazzata. Mi giro cercando di fargli capire che ogni aiuto sarebbe
stato accettato con gratitudine. Ma..., cerca di dire prima che io lo fermi. Quand'ecco che l'uomo davanti a noi comincia a ridacchiare. «Ci
tenete così tanto ad incontrarlo?». Annuisco con vigore
mentre la risata del mio interlocutore non fa che crescere. Non
capendo, comincio anche a sentirmi presa in giro.
Shinichi fa un passo avanti, portandosi di fianco a me. Si inchina leggermente, chiudendo gli occhi. «La prego ci aiuti». Lo guardo esterrefatta.Non avevo mai visto Shinichi così... sottomesso.
Mh, fa l'altro tornando leggermente serio. «Devo anche dedurne che non vi interessa la mia medaglia?». Shinichi fa di No con la testa, anticipandomi. «Non
siamo interessati alle med- Aspetti!» collego in ritardo tutti i
fili. Davanti ai miei occhi comincia a delinearsi un quadro leggermente
diverso. «Quindi lei sarebbe...»
«Katsura. Capopalestra di Cinnabar Island» dicono in coro Shinichi e l'uomo davanti a noi.
La mia espressione stupita rispecchia assolutamente le mie emozioni. L'ennesima figuraccia.
Contrariamente a tutte le mie aspettative, Katsura scuote la testa. Non
sembra riconoscere il volto del ragazzo nella foto che tiene tra le
dita. Ci chiede i dettagli personali: il fisico, la camminata, la sua
squadra di pokèmon e tutto ciò che potrebbe aiutarlo a
ricordare. Niente, nemmeno un frammento risale tra le torbide acque del
suo inconscio e dei suoi ricordi.
«Posso
tenerla?» chiede l'uomo pelato agitando la foto in aria con una
particolare attenzione a non stropicciarla. «Magari qualcuno qui vicino l'ha visto».
E così decidiamo di dirigerci al fantomatico alloggio che
Shinichi dovrebbe aver trovato lasciando nelle mani del capopalestra un
senso di inadeguatezza che le mie spalle non riuscivano più a
reggere da sole.
«Dove andiamo?»
il passo sicuro per le vie mi fa presupporre che conosca perfettamente
la strada, come se l'avesse fatta per anni. Sulle spalle il mio zaino.
Gira il volto che pian piano si sta imperlando di sudore e mi sorride. Non preoccuparti,
sono le sue uniche parole. Ma, intuendo la sua fatica, non solo mi
preoccupo ma mi blocco in mezzo alla strada, cominciando a frugare
sotto la mia maglietta. Vista da fuori sembro sicuramente una maniaca
che si prepara per un qualche spettacolino imbarazzante quando invece
non sto che cercando una cosa. Oh, eccola!,
esulto facendo ingrandire nella mia mano una pokèball. Con un
bagliore rosso faccio uscire Arcanine dalla sfera. Il grosso cane di
fuoco, euforico di trovarsi ai piedi di un vulcano, immerso
nell'energia pura del fuoco, comincia a scodinzolare animatamente.
Lascia ch'io immerga il volto nel suo folto pelo accarezzandolo
dolcemente. «Oggi è stata una giornata spossante» gli dico grattandogli dietro le orecchie «Non
è che potresti portarci in groppa?». La mia richiesta
viene accolta con una leccata sulla guancia. Il pokèmon si volta
verso il mio compagno per abbaiargli di salire. Shinichi si avvicina e
dopo averlo accarezzato con amore gli salta sul dorso; mi tende la mano
così che possa salire pure io, di fronte a lui. Le braccia di
Shinichi si stringono alla mia vita e il suo corpo si avvicina. Sento
il suo respiro sulle orecchie e sulle spalle nude. La sua voce rimbomba
tra i battiti del mio cuore accelerati. E mentre il grosso
pokèmon comincia la sua corsa mi godo la vecchia sensazione di
avere il vento contro la faccia; solo che questa volta sono io a stare
davanti. Il viso di Shinichi, ora appoggiato sopra la mia spalla, da
indicazioni ad ogni incrocio mentre le vie passano veloci sotto le
zampe pelose del pokèmon. Senza nemmeno rendermene conto ci
fermiamo davanti alla piccola casetta diroccata di poche ore prima. Una
sorta di delusione comincia a prender piede attraverso la mia mente.
Cerco di girarmi per guardare Shinichi negli occhi. Mi ritrovo il suo
viso a pochi centimetri dal mio. Il suo sguardo si scusa prima che lo
facciano le parole. Non c'era altro posto, cerca di giustificarsi. Come se il problema fossi io. «Pensavo non volessi tornarci...». Un posto vale l'altro ma per lui? Quindi, ragiono, per le ultime ore è stato qui? Mi
sento stupida ad avvertire una certa minaccia dalla biondina che abita
lì dentro. Guardo preoccupata verso la porta al pensiero di
dover dividere Shinichi, l'unica persona al mio fianco in questo
momento. Il giovane preme il pollice sulla guancia che non gli mostro
forzandomi a riportare il volto verso di lui. Mi sorride ancora
dispiaciuto. Sposta le dita facendo scivolare i polpastrelli sulla mia
pelle e sulle labbra. «Sta tranquilla» mi dice, prendendomi dolcemente per il mento e avvicinandomi ancora di più. Wow, penso, quand'è stata l'ultima volta che l'ha fatto?
In effetti è passato un bel po' di tempo dal suo arrivo a Kanto
alla partenza di stamattina e solo pochissime volte ci siamo ritrovati
da soli; ancora meno sono state le occasioni come questa.
Il mio cuore batte all'impazzata. Sento il profumo di Shinichi e le sue
labbra che sfiorano appena le mie. Ogni volta è un'emozione
unica. Ho sempre pensato che due persone che si amano si bacino spesso
e invece... A volte mi chiedo che cosa realmente provi lui per me.
La sua mano si sposta sulla mia guancia e poi tra i capelli mentre mi bacia. È bello. Fantastico. Sono così felice che potrei-
«Ommioddio, un
Arcanine!». Il dolce squittio di una ragazza dispettosa si fa
largo dall'abitazione. Imbarazzata mi stacco di scatto da Shinichi
mentre la sua mano cade pesante alle mie spalle. Lo sento sbuffare
mentre mi rigiro a guardare il capo del mio pokèmon. «Shin,
non mi avevi detto di averne uno!» continua lei. Nonostante la
temperatura si stia abbassando velocemente, continua a vestirsi come se
fosse in spiaggia. Mi urta vedere così tanta pelle.
Gelosia. «Che
vuoi, Yukino?» le chiede scocciato il ragazzo mentre smonta dal
cane di fuoco. Io lo imito ma evitando accuratamente il lato 'ragazza
oca'. Mentre la loro conversazione sembra dover continuare, io faccio
finta di farmi gli affari miei, accarezzando il pelo del mio grosso
cagnone. Mi sposto strategicamente in modo da riuscire a vedere la
coppia senza che lei possa accorgersi delle mie occhiatacce. La sua
voce si espande in tutte le direzioni con il suo irritante squittio.
Faccio fatica a concentrarmi sulle sue parole, dette così a
raffica. A tratti capto parole sconnesse tra cui Arcanine, a cui rivolge complimenti a fiumi pensando che sia un pokèmon di Shinichi, Sei tornato
e felicissima cerca di abbracciarlo senza riuscirci più di
tanto, fermata dalle mani dell'altro, sulla difensiva e altri commenti
sconnessi su di me. «Senti, devi capire che-». «Dev'essere
morbido!» grida lei baipassando il ragazzo e dirigendosi verso il
mio pokèmon. Vuole accarezzarlo? Tende le mani verso il suo pelo
caldo ma, prima che possa toccarlo, Arcanine si gira di scatto verso di
lei ringhiandole contro. Le mostra i denti, minaccioso. Con tutta calma
mi avvicino al muso del mio cagnone e, accarezzandoglielo piano riesco
a farlo calmare.
La bionda, spaventata, comincia ad inveire contro di me e il mio
pokèmon. Ci addita, gridando e attirando l'attenzione della
donna magra che fa la sua silenziosa comparsa sullo stipite della porta
d'ingresso. «Un
mostro! Non è altro che un mostro!». Non sposto la mano
dal muso del cane di fuoco per impedirgli di scagliarlesi contro e
sbranarla in meno di dieci secondi, nonostante la tentazione sia
tanta. «E lei» sposta l'indice verso di me. «Lei
è-» ma non riesce a finire la frase. Shinichi le afferra
la spalla e con veemenza la tira verso di sè, cercando di
girarla. Infuriato, la sua voce risuona al di sopra di quella della
ragazza, al pari solo di quella della donna. In coro, esplodono. «Sta' zitta!».
Palesemente sorpresa mi giro verso la donna. I capelli ancora nella
loro crocchia nera. Lo sguardo, però,è leggermente
più irritato ma non per causa mia. Guarda la bionda come se
stesse per minacciarla. «Falla
entrare e smettila di fare la bambina». Questa, sommessamente,
abbassa il capo senza fiatare, lasciando ch'io ritorni al fianco del
suo amato.
«Così anche tu sei un'allenatrice...»
Mi guarda accennando un sorriso. La prima impressione avuta sulla donna
sta via via cambiando in qualcosa di più amorevole e materno.
Per la prima volta mi passa per la mente l'idea che possa essere la
madre di Shinichi; immediatamente cresce l'imbarazzo. Annuisco. «Una
specie...». Una risata alle mie spalle, proveniente da uno
Shinichi intento a cucinare qualcosa di non ben definito, precede un È molto più brava di quanto immagina.
Accanto ad Arcanine che da tempo già si era appisolato in un
angolo della cucina, compare il resto della mia squadra: Gengar, ormai
tornato tra le mie grinfie, e Pichu che saltella allegramente e va a
cacciarsi tra il pelo dell'amico canino. Subito dopo, ecco che arrivano
anche i compagni di Shinichi. Charizard è l'unico a non essere
chiamato per non distruggere la cucina, mentre Eevee si accoccola
vicino agli altri due pigroni e Butterfree svolazza allegramente per la
stanza, andando a posarsi sulla testa corvina del suo allenatore che,
soddisfatto, gli allunga un pezzo di cibo. La versione femminile di
Shinichi, col grosso fiocco alato tra i capelli, è molto
più graziosa di quanto avessi potuto immaginare.
Nello stesso momento, sul mare che divide l'isola dal resto del
continente, un forte e fiero Pidgeot sorvolale onde scure ad una debita
distanza affinché qualche pokèmon ostile possa accorgersi
in ritardo del suo passaggio. Ma non si vedono creature sotto la linea
del mare e nella notte che lentamente sta calando ogni essere vivente
cerca il suo rifugio lasciando che la vita sia animata da dei suoi
simili notturni.
Le ali del grande uccello terrestre sono per lo più immobili
durante il grande volo. Sulla sua possente schiena è legato un
pacco, una borsa ricoperta da un telo di plastica così che non
rischi di bagnare il contenuto e, come di consueto, sulla sua zampa
è legata una lettera contenente le volontà del mittente.
All'orizzonte il grande vulcano è ormai visibile da chilometri e
mentre il pokèmon si avvicina cominciano a delinearsi i contorni
delle case e le luci ancora accese. Ma la sua meta è l'edificio
più imponente a Nord dell'isola: la palestra. Scende in
picchiata emettendo il suo verso per segnalare il suo arrivo.
Da una finestra solitaria ancora accesa, uno scienziato dall'aria
assonnata si affaccia, conscio che il suo lavoro, per quella notte,
dovrà essere leggermente posticipato.
Un altro assistente corre attraverso le stanze spente del laboratorio
della palestra andando a cercare Katsura nel suo studio. Affannato,
apre la porta. Appoggia i palmi delle mani sulle ginocchia per
riprendere fiato mentre annuncia l'arrivo di una missiva da un suo
collega di Kanto. Il capopalestra, che tranquillo stava leggendosi un
libro in santa pace, chiude di botto il volume e, tirati giù i
piedi dalla scrivania, si alza chiedendo più informazioni.
Non passano che un paio di minuti da che l'assistente, accompagnato dal
capopalestra, torni al laboratorio. Il grosso pokèmon uccello
è appollaiato sul davanzale della finestra aperta. Il grande
pacco che prima portava sulla schiena è ora appoggiato contro il
muro portante, sotto le zampe del suo portatore; la lettera, invece,
è subito consegnata all'uomo pelato. Leggermente sgualcita e
estratta da una busta più grande che annunciava una certa
formalità verso l'attuale reggente del titolo di capo della
palestra di Cinnabar, la missiva viene finalmente aperta. Dietro agli
occhialini scuri, l'uomo divora le righe come un affamato farebbe con
un panino.
Sospira, alla fine. «Non
è niente di grave, per fortuna» annuncia sciogliendo
così tutta la tensione creatasi nel laboratorio. Quindi piega i
fogli e la busta, mettendoseli nella tasca del camice bianco. Fa un
grande sorriso a tutti e si dirige verso i suoi alloggi.
«Domani sarà una giornata dura. Andate a riposarvi».
Gli assistenti, increduli, ci mettono poco a chiudere l'edificio. Uno
di essi, il più giovane, porta il Pidgeot al Centro
Pokèmon prima di seguire l'ordine del suo capo. La città
cade nel sonno profondo, cullata dal familiare borbottio del vulcano e
dal rumore delle onde, che, nel silenzio totale della vitalità
giornaliera, si espandono all'infinito oltre i muri e le case.
Cerco l'immensa distesa blu ma, nonostante la camera sia al primo
piano, non scorgo che piccoli stracci del mare che a Vermilion City mi
ha sempre accompagnata. Quel senso d'inquietudine e stranezza provato
al mio arrivo ancora non se ne va via; anzi, la notte lo accresce.
Reggo una tenda con la mano, senza stringerla per paura di strapparla o
anche solo sgualcirla. Tremo al solo pensiero che casa mia possa essere
così lontana ma anche così vicina.
La porta si apre piano alle mie spalle. Cigola e le assi del pavimento
scricchiolano se calpestate; per questo resto immobile vicino alla
finestra. Mi giro piano e Shinichi si avvicina a me. Dev'essersi
abituato a tutto il frastuono della casa, per questo cammina come se
niente fosse. Mi abbraccia dolcemente da dietro, accarezzandomi le
braccia che ora tengo conserte. «Che
succede?» mi sussurra all'orecchio per poi darmi un bacio sulla
guancia. Faccio un respiro profondo; non so, non riesco ad esprimermi.
Mi piazzo in faccia un falso sorriso e gli rispondo Niente. Sa che mento, lo capisce sempre, ma non indaga di più.
Mi stringe più forte all'altezza dello stomaco e,
indietreggiando,cerca di portarmi con lui. All'inizio provo a
resistergli ma invano. «Ma che fai?» gli chiedo ridendo imbarazzata. Lui mi sorride e, dopo avermi fatta girare, mi spinge sul letto. «Lotta
pokèmon!» annuncia. Nella mia più totale
stupidità mi chiedo che stia dicendo, dal momento che le nostre
squadre sono appisolate da ore giù nella cucina o nel salottino.
Ma non ho bisogno di spiegazioni. Shinichi si mette a cavalcioni su di
me per poi chinarsi e baciarmi. Oh.
Mentre mi bacia, delle ciocche di capelli mi solleticano la fronte.
Dopo mesi e mesi è la prima volta che vedo Shinichi
così... spigliato. E mentre comincia a baciarmi sul collo, le
sue labbra sfiorano il lobo di un mio orecchio. Sento la sua voce
sussurrarmi:
«Il nostro rapporto si sta evolvendo».
Wow, dopo mesi ho finito il secondo capitolo! Ma quanto ci ho messo?
In realtà da programma, volevo pubblicarlo dopo aver scritto
almeno il terzo ma impegni di altri mi ci hanno fatta ripensare.
Diciamo che un'amica -Len- deve partire e vorrei lasciarle una bella
sorpresa prima della sua partenza. Così, quando
ritornerà, si renderà conto che non ho pubblicato il
terzo!
Beh, eccoci alla fine del secondo che vede implicato anche Blaine - Katsura (per chi non l'avesse capito).
Che succederà nel prossimo capitolo? Boh!
So solo che ritornerà un vecchio amico. Spero.
A presto! E scusate l'attesa!
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Capitolo 3 *** Legami. ***
Cap 3
Un passato alla Cannella ~
Capitolo 3
LEGAMI
Esco
per prima dalla piccola casetta. Arcanine al mio seguito con il piccolo
Pichu sulla groppa: il piccolino cerca ancora di godersi gli ultimi
istanti di riposo. Il sole ormai sorto da qualche ora emana forti
raggi, tipici in un'isoletta del sud. Inutile dire quanto la
temperatura sia diversa rispetto a casa;
infatti mi stupisco di quanto possa essere piacevole il tepore del sole
sulla pelle verso le dieci del mattino. Inizialmente avevo intenzione di
aspettare Shinichi ma un imprevisto mi costringe ad andare avanti da
sola: Yukino, alzatasi con il piede sbagliato aveva deciso di stare
incollata il più possibile al mio compagno, ignorando, per
fortuna i suoi pokèmon. Lasciato quindi il corvino solo in
compagnia del suo Butterfree, mi incammino verso la palestra. Ritirato
il cane di fuoco della sua sfera, decido di godermi appieno il
paesaggio della cittadina che sembra ancora assopita, nonostante l'ora.
Il tutto condito dalla pressante sensazione di un dettaglio, anche
minimo, fuori posto.
Non ci metto molto a raggiungere la palestra, cercando comunque di
cancellare le sonore figure di palta fatte con gli abitanti dell'isola
a cui sono stata costretta a chiedere informazioni dopo aver perso
svariate volte la strada. Riportata al Centro Pokèmon riesco ad
orientarmi sicuramente meglio. Intravedo di già il tetto
dell'edificio verso cui mi sto dirigendo quando un verso acuto e
minaccioso attira la mia attenzione alle mie spalle. Mi giro, di
scatto, evitando un profondo assalto di un Pidgeot impazzito. Lo vedo
volare velocemente sopra la mia testa, verso l'immensità del
cielo. Il mio cuore, salito in gola per lo spavento, non accenna a
calmarsi. Sperando, ovviamente, che la vicenda sia finita, mi concedo
due secondi per ansimare come un'asmatica. Abbasso lo sguardo mentre il
piccolo Pichu che prima tenevo sulla spalla mi sale sulla testa dandomi
delle piccole pacche sul capo cercando di rassicurarmi anche con i suoi
buffi e infantili versetti. Cerco di ridacchiare per sdrammatizzare la
situazione quando, ancora, il pokèmon volante torna alla carica,
questa volta più velocemente e subdolamente di prima. Avverto
solo l'aria che in blocco viene spostata, creando una potente corrente
che quasi mi sbatte a terra e l'urlo straziante del mio piccolo topino
elettrico. Un dolore acuto si fa largo dalla schiena fino al cervello
ma lo ricaccio indietro. Rialzo lo sguardo verso il cielo vedendo il
mio pokèmon tra gli artigli della bestiaccia. «Pichu!» grido sperando che stia bene. In quel momento un ragazzo dalla barbetta incolta e gli abiti trasandati sotto ad un perfetto camice bianco, mi raggiunge. «Stai bene?» mi chiede, per poi cercare di scusarsi «Scusa,
quel Pidgeot mi è scappato... Sembra impazzito! Non so che
fare!». Tra la sua raffica di parole non riesco a capire altro.
Poco basta per non lasciare che la mia furia s'abbatta tutta su di lui.
Ma ha comunque preso il mio pokèmon e non può passarla
liscia. Mi sento quasi impotente, pensando che nessun pokèmon
della mia squadra può volare. Guardo inorridita la scena mentre
le mie pupille si muovono velocemente da una parte all'altra e la
sagoma del pokèmon si allontana. Poi, il colpo di genio. Che stupida!
Nessun mio pokèmon, nemmeno Gengar può librarsi
nell'aria. Ma Charizard può. Afferro la sua pokèball
più rapidamente possibile mentre una traccia di speranza e
risolutezza si dipinge sul mio volto. Con un bagliore rosso fa la sua
comparsa il grande drago rosso che, ancora prima di sentire le mi
indicazioni e suppliche, mi fa segno di salire sulla sua groppa. Due
battiti delle sue possenti ali ed ecco che mi ritrovo ad un paio di
metri dal suolo, verso le urla del mio fedele compagno e lasciandomi
alle spalle le parole sconnesse del giovane che tenta di trovare un
nesso logico in tutta quella situazione. «Oddio!
Oddio, non ucciderlo! È un pokèmon delle consegne
Espress!» mi grida cercando di dissuadermi. Leggermente irritata
per il nuovo ma non insignificante dettaglio, gli faccio un gesto con
la mano per fargli capire che ho ricevuto il messaggio. Solo allora
Charizard aumenta la velocità verso il volatile che, grazie al
cielo, ama tanto l'isola da sorvolarla abbastanza a lungo da
permettermi di raggiungerlo. «Lanciafiamme!»
tento di gridare. La mia voce esce più roca del previsto a causa
dell'altezza ma abbastanza comprensibile da trasmettere il messaggio.
Una scia di fuoco esce dalla bocca del drago andando a colpire un'ala
del dannato pennuto. Pichu, tra le sue zampe, sembra terrorizzato. Resisti,
prego nella speranza che lui possa recepire il mio messaggio. Lo guardo
negli occhi e ricevo il suo sguardo, rassicurato. Gli sorrido,
facendogli intendere che sarebbe andato tutto bene. Appena un secondo
prima di vederlo scomparire. Con l'ala danneggiata, il Pidgeot non
riesce più a volare, cadendo in picchiata verso le stradine
dell'isola. Sotto di noi, il Centro Pokèmon e un'imminente
catastrofe. No... No, No, NO! «Charizard!» supplico «Dobbiamo
prenderlo!» senza contare che Pichu è ancora tra i suoi
artigli, più serrati che mai. Mi stringo forte al collo e al
corpo del drago che, senza aspettare un secondo di più, si butta
in picchiata. Chiudo gli occhi per la pressione dell'aria che mi sferza
la faccia. La sento sulla pelle e tra i capelli, impaurita che possano
venirmi strappati con violenza. Un tuffo al cuore, una bolla d'aria che
dalla pancia risale in gola facendomi venire quasi un infarto; come se
il vuoto, per un attimo, mi avesse invasa. E poi il nulla, la calma.
Sento i versi del mio topino che scoppia a piangere. Charizard che,
pian piano, muove le ali, probabilmente per atterrare. Le voci delle
persone si fanno più forti e festose. Apro gli occhi in un
impeto di coraggio. Attorno al giovane dal camice bianco è
apparsa altra gente tra cui l'infermiera del Centro, l'allenatore del
giorno prima e molti altri accompagnati dai loro pokèmon. Il
Pidgeot viene adagiato a terra, dolorante, e subito l'infermiera si
prodiga per il benessere di una creatura che, a detta mia, non lo
meriterebbe affatto. Libera, però, Pichu che corre da me in
lacrime. Scendo, con le gambe tremanti dal drago e inginocchiandomi a
terra, accolgo tra le mie braccia il mio compagno ormai salvo. Un
applauso scrosciante si anima dalla folla in visibilio come se fosse
stato appena compiuto un miracolo. Mi godo il dolce tepore del mio
giallo amico quand'ecco che tutta la pace che nel mio cuore si sta
facendo largo viene spezzata. Ancora una piccola fitta sulla schiena e
un urlettino non molto virile seguito dalla voce ormai familiare che,
scandendo ogni sillaba mi dice che sono ferita. Tre graffi abbastanza
profondi ma non letali che mi hanno anche squarciato la maglietta. Perfetto, penso, era una delle mie preferite, sminuendo totalmente la gravità di un qualcosa che potrebbe rivelarsi più serio.
Fortunatamente, una semplicissima medicazione basta e avanza ma nulla
si può fare per il mio abbigliamento e di tornare a casa per far
preoccupare Shinichi non ci penso nemmeno. Saputa la mia meta, il
giovane mi presta il suo camice, presentandosi come uno degli
assistenti del capopalestra nel suo laboratorio pokèmon. Mi
chiede, anche di riferire al suo capo l'accaduto e che lui sarebbe
rimasto al centro aspettando notizie sul pokèmon volante
ricoverato per ustioni gravi.
Quando esco dal grande edificio dalla porta a vetri scorrevole, la
folla accalcatasi prima è ormai dispersa, ognuno preso dalle sue
faccende personali. Senza più pokèmon liberi ma ognuno al
sicuro nella sua sfera, Pichu compreso, soprattutto dopo il breve
check-up completo al centro, mi dirigo alla palestra, sperando vivamente
di non rivivere niente di così adrenalinico. Non ci metto molto
a raggiungerla, senza intoppi.
Vengo subito accolta da un altro ragazzo che mi stava aspettando. Mi fa
i suoi complimenti per il salvataggio del Pidgeot in picchiata,
ignorando totalmente il mio scarso aiuto nella vicenda. E mentre, anche
lui continua a parlare, mi fa passare attraverso corridoi così
puliti che potrei specchiarmi nel pavimento spiegandomi, tra frasi
dette a casaccio, le varie funzioni delle stanza oltre le porte.
L'ufficio del capopalestra, fortunatamente, è molto vicino alla
porta d'entrata. Il giovane bussa alla porta, mi annuncia e, ancora
prima che la porta venga aperta, mi saluta con un piccolo inchino e se
ne va, tornando al suo impegnatissimo lavoro con cui mi aveva
assillata in quella breve visita guidata.
Apro la porta su invito, trovandomi davanti un
grosso borsone in texture militare targato in ogni sua fibra Machisu.
Non che ci sia scritto ma non può essere altrimenti: lo
riconoscerei tra molti, moltissimi altri. La stanza è vuota, non
c'è anima viva. Un libro abbandonato sulla grande scrivania
è riverso con la copertina verso il soffitto mentre le pagine,
spaccate quasi precisamente a metà, sono a stretto contatto con
la superficie di legno. Un'altra pila di grossi tomi spunta da dietro
al borsone. Mi avvicino. Che ci fanno degli effetti personali di
Machisu in questo posto? Tendo la mano verso il borsone quando una voce
mi chiama alle mie spalle. «Puoi
cambiarti se vuoi». Mi giro di scatto e sulla porta vedo il
capopalestra, Katsura, che mi sorride. Viene verso di me con fare
pacato facendomi le sue scuse per l'accaduto. Niente complimenti? Meno
male. «È stato quel pokèmon a portare il borsone». Lo guardo, poi guardo il motivo militare a me tanto familiare. «Cambiarmi?»
chiedo confusa. Inclino la testa e aggrotto le sopracciglia. Lui
annuisce puntando l'indice contro di me. «La schiena» fa un movimento circolare con il dito «Sei ferita e hai la maglia strappata». Oh!
rispondo. L'adrenalina che ancora mi scorre in corpo ha probabilmente
inibito il dolore e il ricordo delle medicazione quasi mi era passato
di mente. «C'è un bagno?».
Guardo la maglia e gli squarci che ormai l'hanno rovinata. Accanto a me
il borsone di Machisu. Lo apro, chinandomi su di esso. Come previsto ci
sono i suoi vestiti dentro e qualche altro oggetto che non avrà
avuto voglia di portarsi dietro. Ne tiro fuori una maglia bianca senza
maniche che subito indosso. Anche senza specchio mi sento molto
ridicola con la stoffa monocroma e candida che quasi nasconde i
pantaloncini. Eppure mi sento molto meglio, come se fossi al sicuro tra
le braccia del mio
capopalestra. Non contenta indosso anche una delle sue giacche
mimetiche. Risvolto le maniche fino a che non mi trovo a mio agio. Dal
fondo della borsa fanno la loro comparsa un paio di accessori che mi
appartengono, stretti attorno ad un paio di magliette. Sorrido pensando
a quanto sia stato carino nel pensare anche a me. Sono oggettini di uso
pratico e quasi ignorati nella vita quotidiana tanto che me li sono
dimenticata a casa. Prendo un elastico per capelli decidendo di farmi
una coda, alta. Sento i capelli solleticarmi il collo mentre tento di
rinchiuderli in una capigliatura non del tutto mia. Anche se sono
pronta mi prendo qualche secondo di pausa da tutta quella vicenda
pressante. Machisu è la mia famiglia, la mia casa. La persona
giusta con cui staccare. Prendo un suo indumento a caso e ci ficco il
viso. Inspiro profondamente lasciando che il suo profumo mi pervada i
polmoni. Sapone e vecchi ricordi. Ringrazio profondamente che li abbia
lavati prima di mandarli. E il mancato odore di sudore mi riporta
immancabilmente a Masaru. Tutta questa nostalgia da casa... Gli uomini
della mia vita così lontani da me. Sì, c'è
Shinichi ma lui è diverso. Come spiegarlo? Lui è tutto
ciò che ho adesso ma non può certo oscurare il mio
passato. Essere importante adesso non annebbia il passato. Non
potrà mai essere come Machisu che mi ha presa con se quando non
avevo nessun altro, che mi ha cresciuta come se fossi una sorella
minore facendomi sentire una persona importante; non potrà mai
essere come Masaru che mi ha sempre soccorsa quando cadevo a terra con
il naso sanguinante o le labbra spaccate da uno dei suoi pugni.
Una lacrima mi scende. S'impiglia tra le ciglia ma viene subito rubata
dalla maglia di Machisu. Anche se lontano, chissà come trova
sempre il modo di consolarmi.
Rimetto la maglia al suo posto, chiudo il borsone e esco dal piccolo
bagno in cui ho passato abbastanza tempo rinchiusa nella mia nostalgia
e nella paura di star sprecando il mio tempo. Una finestra da sul
grande vulcano dell'isola. Grande, imponente. Solo allora mi rendo
conto che è lui che emana quella strana sensazione. Ancora non
riesco a descriverla a parole ma l'impressione che ho è di una
grande parabolica che anziché raccogliere i raggi fa sì
che vengano espansi. Una cupola avvolge tutta l'isola; un getto di
strane vibrazioni che scende su tutta l'isola come il getto di una
fontana. E io ci sono dentro completamente.
Prima che possa accorgermene, il mio intero corpo comincia a tremare.
Shinichi sfonda praticamente la porta della palestra. Entra urlando il
mio nome. Quando mi giro per guardarlo nemmeno mi rendo conto di averlo
già addosso. Le sue braccia si stringono attorno alle mie spalle
e il suo respiro si fonde col mio, contro il mio collo. «Ho
saputo di un Pidgeot impazzito ma era troppo tardi» mi sussurra,
la voce rotta dagli ansimi della corsa a causa della quale il suo
intero corpo ancora trema. Davanti ai miei occhi sgranati svolazza il
Butterfree dai grandi occhi preoccupati. Mi ritrovo a sorridere e a
stringere il ragazzo a me mentre gli sussurro che sto bene. Katsura,
non lontano da noi, si schiarisce la voce per attirare la nostra
attenzione.
«Stavo dicendo
alla ragazza che prima di dirvi qualcosa vorrei testare le vostre
capacità». Annuisco ricordando il discorso appena
interrotto. Il viso di Shinichi si corruccia in una smorfia piuttosto
contrariata.
«Perché?». Ovviamente la sua reazione è
più che comprensibile, molto simile alla mia avuta molto prima
del suo arrivo. Quasi si stupisce non capendo perchè sia l'unico
adirato in quella stanza, tecnici e aiutanti inclusi. Sussurro il suo
nome facendolo calmare. Tento di appoggiargli una mano sulla spalla ma
la spazza via prima del contatto. «Lui
potrebbe essere là fuori in pericolo!» quasi grida,
facendo un passo avanti. Katsura, completamente calmo, lo guardo
impassibile. «E
tu vorresti fare la sua stessa fine?» il tono duro, distaccato
come un padre che fa una ramanzina. Shinichi, colto alla sprovvista, si
ritrova a riuscire solo a guardare torvo quella figura enigmatica. «Bene»
conclude l'uomo. Dandoci le spalle si dirige verso il lato corto del
campo disegnato a terra, il posto del capopalestra. Tsk!
Shinichi si allontana, visibilmente irritato. Non posso far altro che
seguirlo. Però non riesco a trattenere un leggero sorriso. In
fondo quella è una dimostrazione chiara di quanto tenga a
Masaru, anche se forse è solo un riflesso sull'amico d'infanzia
della ragazza che ama. Ama.
Che stupidi pensieri mi metto a fare in un luogo del genere? Tento di
nascondere il rossore quando prendo posto nell'area degli sfidanti.
Quante volte mi sono ritrovata da questo lato contro Machisu?
Shinichi mi stringe la mano. Lo batteremo, mi sussurra con lo sguardo fisso sull'avversario. Incastro le mie dita tra le sue. Ci penso io,
rispondo facendo un passo avanti, forte anche della sua squadra di
pokèmon. Giro la testa, incrociando il suo sguardo sorpreso. Gli
sorrido rassicurante e lui subito risponde fiducioso. Fa un passo
avanti, raggiungendo il mio fianco. «Questo cambio» comincia «ha a che fare con l'abbigliamento?». Il viso dall'espressione compiaciuta rivolto ancora davanti a se. «E se fosse?». Scuote leggermente la testa. «Sei bellissima comunque».
«Mi dispiace!» grida al capopalestra «ma
avremo quelle informazioni anche a costo di passare sul tuo
cadavere!». Così risoluto, così energico ma anche
così stupido. Scoppio a ridere e così anche l'uomo
davanti a noi. «Shinichi»
lo rimprovero tra le risate. Nella mia mano sinistra, quella libera
dalla stretta del ragazzo, si espande una sfera pokè.
«Se dovessimo ucciderlo non sapremmo mai dov'è Masaru, non credi?».
Aaaaargh!
Chiedo venia per il terribile ritardo! Ma ormai sapete come sono fatta,
no? Non stupitevi e, anzi, rallegratevi per il nuovo capitolo!
Più Masaru, più
Machisu e un po' meno Shinichi ma, ahimè, la storia sarà
sugli uomini che gravitano attorno alla ragazzina dai capelli rossi!
Fatemi sapere la vostra opinione, mi raccomando!
E un grazie speciale a chi ancora mi segue!
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