Remember

di Felya
(/viewuser.php?uid=35980)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il rumore dei proiettili che si scontrano con le spade di Zoro, l’odore di zolfo, di ferro e di polvere, il sudore freddo sulla mia fronte, sulla sua fronte, e poi più nulla. Il buio.
Sento un dolore lancinante al fianco sinistro e le urla dei miei compagni.
Quel secondo di distrazione deve esser costato loro molto caro, perché li sento accasciarsi al suolo uno dopo l’altro; Zoro resiste stoicamente facendo scudo davanti a me e urlando cose che non riesco a capire, ma alla fine deve aver ceduto anche lui, o almeno così immagino, perché dopo pochi secondi crollo sul corpo privo di sensi del mio capitano.
  


Mi sveglia un tiepido raggio di sole che fa capolino dalla finestra di fianco a me. L’odore di disinfettante è così forte da farmi salire la nausea, così cerco di portarmi una mano al naso per tapparmelo, ma mi accorgo presto che qualcosa me lo impedisce. Abbasso lo sguardo e inorridisco: due spessi lacci di cuoio bianco mi fermano le braccia all’altezza dei polsi e il tubo della flebo è pieno di una strana sostanza trasparente. Provo a muovere le gambe ma spessi legacci inchiodano anche i piedi al lettino.
Dove diavolo mi trovo? Sono in una stanza con altri 5 letti, tutti vuoti, attrezzature e macchinari sono disposti per tutto il perimetro della sala e le finestre si trovano troppo in alto perché possano essermi d’aiuto nell’orientarmi.
Prima che possa anche solo cominciare a pensare ad un piano di fuga sento dei passi venire dal corridoio alla mia destra; la curiosità di sapere dove mi trovo ha il sopravvento su tutto e decido di farmi trovare sveglia e cosciente.
Un bizzarro ometto che mi arriverà sì e no all’altezza delle spalle sbircia dalla porta e, vedendo che sono sveglia, entra.
“Bene, bene! Sisisi! Ci siamo svegliati, vedo! Come si sente, signorina?” mi dice, con un ampio e rassicurante sorriso.
“Io.. beh, bene, direi. Mi gira un po’ la testa..”
“Sisisi, tutto nella norma direi.. sente male da qualche parte?”
“No, io.. credo di no.. non sento un granchè da nessuna parte, in verità. Dove sono?”
Intento a controllare la cartella clinica, mi lancia solo una veloce occhiata, prima di dire: “Si trova nella clinica privata dell’isola di Barrif.” Dopo qualche secondo di silenzio prosegue: “Non ricorda?” “E’ stata rapita da un gruppo di pirati! L’abbiamo recuperata per un soffio! Il Signor Noko è stato molto in ansia per lei.”
Devo avere proprio la faccia di una che cade dal pero, perché, dopo una seconda occhiata alla mia espressione, l’ometto decide di lasciar perdere con la cartella e di controllare la flebo, proseguendo. “Le hanno sparato, signorina. Ha sbattuto la testa, cadendo, ma non pensavamo che avrebbe dimenticato proprio..Tutto.”
“Sparato? Ma cosa..” Mi interrompo perché il medico, con un gesto vagamente spazientito e l’espressione preoccupata, scosta il sottile lenzuolo che mi copre. Mi accorgo di essere completamente nuda, ma lo sgomento non cede posto all’imbarazzo, bensì all’orrore: sul mio fianco destro, poco al di sotto dell’ultima costola, si stende una cicatrice di almeno una ventina di centimetri.
Un po’ in imbarazzo, il medico aggiunge: “Si, beh, abbiamo faticato non poco a tirarlo fuori, naturalmente. I proiettili di Noko non sono proiettili normali, sisisi!”
“COSA? Cosa sta dicendo?! Dove mi trovo e chi è questo Noko? Io non so nulla di nulla! Mi sleghi subito! Mi sleghi…”



Deve avermi sedata, perché quando mi risveglio è notte fonda.
Ho come la sensazione che mi manchi qualcosa, ma non saprei dire cosa.
Ho la mente completamente vuota e non riesco a pensare a nulla, il solo sforzo di cercare di ricordare mi provoca un gran mal di testa e una forte sensazione di nausea.
Noko..Noko… questo nome mi dice qualcosa, ma nel ripeterlo, più che un’immagine, ciò che si forma nella mia testa è la sensazione di fastidio, che si trasforma quasi subito in panico.
Mi riaddormento, esausta. I miei sogni sono costellati di pirati, urla, odore di ferro e zolfo, e sudore.
Quando mi sveglio è mattina inoltrata.
Verso mezzogiorno il medico, che dice di chiamarsi Sishinobi, torna a trovarmi.
Mi sorride rassicurante e mi annuncia che nel pomeriggio passerà a salutarmi Noko in persona.
 
Trascorro le ore seguenti a chiacchierare con una delle assistenti della clinica, una splendida ragazza di nome Noah, che è tanto pronta a raccontarmi della sua famiglia, della sua vita, tanto quanto a glissare sulla mia. Ogni qualvolta le chiedo di raccontarmi qualcosa di me, svia, dicendo: “Sono sicura che il signor Noko saprà essere molto più esauriente di me!”
Finalmente si sentono dei passi in corridoio ed entra il Sishinobi, il quale fulmina l’assistente con lo sguardo; la poverina in silenzio si alza e fa per andarsene, ma poco prima di varcare la soglia si ferma, fa un inchino profondo e la sento dire: “Buon pomeriggio, padrone.”
Sulla porta appare un uomo alto, con i capelli scuri e gli occhi verdi, porta uno splendido abito di sartoria come se non avesse mai portato altro in vita sua, sulle spalle un lungo cappotto nero.
Lancia uno sguardo indecifrabile alla ragazza, a metà tra l’interessato e il sospetto, sfodera un sorriso smagliante e risponde: “Buon pomeriggio a lei, mademoiselle!”.
Direi che come prima impressione, non è niente male.
Sishinobi attacca con una parlantina medica di cui capisco solo qualche parola sparsa: morfina, flebo, trauma.. alla parola cicatrice ho il terrore che possa sollevare nuovamente il lenzuolo, lasciandomi nuda come un verme davanti al nuovo ospite, ma fortunatamente non succede.
Per tutto il tempo sento gli occhi dell’uomo scivolarmi addosso come un serpente, indugiare troppo in punti del mio corpo irrilevanti nel discorso del medico, fissarsi sul mio collo e non staccarsi più.
Alla fine Sishinobi tace, forse rassegnato, e si mette ad armeggiare con un macchinario all’altro capo della sala.
“Devi sentirti stanca, mia cara. Dimmi: cosa ricordi?”
“Uhm.. non molto in realtà, solo urla, odore di zolfo e degli stani tizi; sembrerebbero i pirati di cui mi parlava il dottore…”
Noko annuisce con fare comprensivo, poi mi prende la mano, la porta alla bocca e, con la voce calda e suadente mi dice: “E’ tutto finito, mia dolce Fusha”
 
NdA: Dedico questa Fanfic alla più grande autrice di sempre di questo genere: Emanuela, creatrice del capolavoro non concluso che è "The Est Wind".
Non ti ringrazierò mai abbastanza per il tuo meraviglioso lavoro. Grazie.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Scopro che il mio nome è Fusha, sono la figlia di un uomo molto importante e quando i pirati ci hanno attaccati, Noko e un piccolo seguito mi stavano scortando da lui. Mi sembra tutto abbastanza sensato, e comunque, non ho versioni alternative da contrapporre a questa, quindi me la faccio andare bene.
Trascorro le giornate successive tra le visite di Noah, quelle del dottore e quelle, sempre più frequenti, di Noko. Sembra davvero un gentil’uomo, ma nonostante il suo aspetto sempre curato e le parole galanti, quando sono in sua compagnia non riesco a staccarmi di dosso quella sensazione di fastidio che avvertii la prima volta che lo vidi. È un qualcosa che mi arriva dal profondo dell’anima, una specie di paura atavica che mi suggerisce di stargli il più possibile alla larga.
Quando, un giorno, gli domando il significato del mio tatuaggio, capisco il perché.
“Noko, dimmi, cosa significa questo disegno?”
Dopo un attimo di esitazione, si alza dalla sedia, viene alla mia destra e osserva le volute nere sul mio braccio. “Non so, cara, ma a me sembra proprio una F.”
“Che significa che non lo sai?! Non ci conosciamo forse da anni?” gli rispondo, un po’ alterata.
“Si, certo, ma vedi... Ecco… non ti avevo mai visto così… Svestita. Non mi era ancora concesso, nonostante tutto.” Dice, con un sorrisino timido.
“Che vuol dire che non ti era ANCORA concesso?” Da mera sensazione di disagio, passo alla paura. Ma perché? È solo una conversazione, in fondo.
“Vedi Fusha...” comincia, prendendomi le mani tra le sue. “C’è un motivo preciso per cui ti stavo scortando da tuo padre.” Si ferma, mi guarda negli occhi e dice: “Tu sei la mia futura moglie!”
 


Ecco. Di nuovo buio, odore di zolfo, ferro e sudore. Stavolta riconosco anche la voce di Noko in mezzo alle altre, ma non riesco a capire cosa stia gridando, né a chi.
Devo aver dato in escandescenza dopo la dichiarazione di Noko, perché mi trovo di nuovo legata, con un gran mal di testa e una nausea da record.
Per un giorno intero nessuno passa a visitarmi. Poi, finalmente, Noah fa il suo ingresso nella stanza.
La accolgo con un sorriso, al quale lei però risponde con un timido accenno. Si mette ad armeggiare ai macchinari al mio fianco e per qualche minuto non proferisce parola.
“Noah...” la chiamo. “Che succede? Perché non mi parli?”
La vedo esitare; girarsi verso di me, mettermi il vassoio del pranzo sulle ginocchia, sussurrare: “Trova il modo di andartene da qui.” Ed uscire di fretta dalla sala.
 

 
Cosa diavolo significa?! Andarmene da qui? Perché?! Forse intendeva dalla sala della clinica! Si, credo che sia così, credo che cercasse di dirmi che devo rimettermi in fretta… credo.
I miei pensieri vengono interrotti da una porta che sbatte in fondo al corridoio, e dopo pochi minuti dalla visita del dottore e di Noko.
Sembrano entrambi in agitazione, e ho l’impressione che cerchino di essere il più gentile possibile con me.
“Buongiorno signorina, sisisi, come si sente oggi?” “Bene, grazie” rispondo. Cerco di sembrare tranquilla anch’io, ma ho tutta l’intenzione di chiarire la storia del matrimonio con Noko oggi stesso.
Tengo lo sguardo su di lui, mentre il dottore apre le fibbie dei legacci e controlla la flebo.
Anche lui mi guarda intensamente e, dopo qualche secondo, si avvicina; mi bacia la mano e si siede di fianco al mio letto.
Decido di rompere il silenzio: “Mi avete sedata ieri. Perché?”. Vedo dalla sua reazione che non si aspettava questa domanda. Prende di nuovo la mia mano, la porta alla bocca e, baciandomi il dorso risponde: “Non ti fa bene agitarti, mia cara. Altrimenti sarai costretta a letto ancora per molto tempo. Mentre io non vedo l’ora di poter di nuovo cenare con te!”
No, direi che nemmeno io mi aspettavo questa risposta. Dopo essersi guardato intorno con sguardo furtivo, si avvicina di più a me e sussurra: “A dir la verità, non ne posso più di mangiare con Sishinobi… E’ terribilmente maldestro a tavola, e fa un sacco di rumori strani!”  
Cerco di trattenermi, ma non ce la faccio proprio, e scoppio in una fragorosa risata.
 
Il dottore si gira di scatto verso di me, con lo sguardo di uno che ha appena sentito andare un vetro in frantumi; Noko rimane immobile per qualche secondo, l’espressione sorpresa e la bocca ancora socchiusa, ma dopo qualche secondo si unisce a me con una risata cristallina.
Quando finiamo di ridere, mi dice subito: “Ti andrebbe? Cenare con me, intendo…”
Non esco da questa sala da giorni; il massimo del movimento che mi è permesso fare qui è quello di arrivare fino alla porta e tornare indietro, ho una voglia assurda di fare un bagno e francamente non ne posso più dell’orribile verdino delle pareti! Così, senza nemmeno un secondo di esitazione gli rispondo: “Sì, mi andrebbe!” 


NdA: Vorrei ringraziare  simo249510 e SmileGiveMeFive, che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite: spero davvero di non deludervi! Un sincero ringraziamento va anche ad Akemichan che, con i suoi ottimi consigli ma sta aiutando a migliorare il mio stile per rendere il tutto più piacevole alla lettura. grazie davvero di cuore!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Quindi, riassumendo, dovevo affrontare Noko a muso duro, chiedergli spiegazioni sulla frase di ieri, farmi promettere che non mi avrebbero più sedata e invece sono finita ad accettare un invito a cena. “Credo che qualcosa sia andato storto” penso, mentre con un piede giocherello con la schiuma della vasca da bagno più sontuosa che abbia mai visto.
Dopo che ho accettato l’invito, e che Noko e Sishinobi sono andati “a preparare la cena migliore della mia vita”, sono stata raggiunta da una ragazza vestita da cameriera, che mi ha accompagnata fuori dalla stanza, per un lungo corridoio e fino alla sala da bagno.
Non avevo capito quanto mi mancasse la luce diretta del sole finché non ho varcato la soglia della stanza verde pallido e mi sono trovata davanti una vetrata stupenda, che correva lungo tutto il passaggio, e che dava su di un magnifico giardino fiorito.
Per tutto il percorso non ho fatto altro che fissare incantata i raggi del tramonto che giocavano con i fiori dai mille colori e con le foglie verde acceso, così in netto contrasto con il colore sbiadito della mantellina che indosso ormai da giorni.
Una volta entrate nella sala da bagno la ragazza, che per inciso mi sembra essere molto meno socievole di Noah, mi ha lasciata sola, dicendomi con un inchino formale che sarebbe ripassata dopo una mezz’oretta.
Noah… Noah… Chissà perché non c’era lei ad accompagnarmi! Prendo un appunto mentale e decido di inserire anche lei nella lista delle spiegazioni da chiedere stasera a cena. Sì, perché non ci sarà nessun gesto abbastanza galante da farmi dimenticare i miei dubbi stasera, nessun sorriso sarà abbastanza affascinante da distrarmi dal mio scopo.
 
 
 
L’armadio più grande che io abbia mai visto in tutta la mia vita.
Ecco quello che mi trovo davanti quando, una volta finito il bagno, la cameriera mi accompagna in un’altra stanza, attraverso il corridoio ormai illuminato dai lampadari.
Davanti a me, un’intera parete è occupata da ante e cassetti, tutti pieni zeppi di splendidi vestiti, scarpe, borse, guanti… Insomma, il paradiso di qualsiasi ragazza!
Non ho idea di cosa si debba indossare in un’occasione del genere. Strano, perché a detta di Noko, ero la stella di ogni ballo o cena di gala si organizzasse nella città in cui vivevo.
Ad ogni modo, prima ancora che abbia il tempo di pensare, la silenziosa cameriera ha già tirato fuori l’abito per me. Lo indosso e mi ritrovo coperta fino ai piedi di splendida seta viola scuro, che scende morbida e leggera dalla vita, con uno spacco laterale che lascia ben poco all’immaginazione. Posso scommetterci la faccia: deve averlo scelto Noko!
La ragazza si allontana per prendere un paio di scarpe adatte e io osservo incantata la mia immagine riflessa nello specchio; mi sembra quasi di essere la principessa di una favola! Faccio qualche giro su me stessa e poi mi siedo sulla poltrona di velluto di fronte alla specchiera.
Ma nel momento in cui mi ci appoggio, qualcosa cattura la mia attenzione; alla sinistra dello specchio, nell’anta aperta dei cappelli, qualcosa mi attira come una calamita, ma non mi rendo conto di cosa sia finché non mi ritrovo tra le mani un cappello da cowboy di morbida pelle scamosciata. Perché quest’oggetto mi sembra tanto famigliare?
Ancora una volta i miei pensieri vengono interrotti dal ritorno della cameriera, che mi porge un paio di tacchi e mi informa che il signor Noko mi sta aspettando nel salone da pranzo.
 

Entro nella sala, che si trova in un’altra ala del palazzo, e rimango letteralmente incantata.
Al centro della stanza un tavolo che potrebbe tranquillamente ospitare una ventina di persone è apparecchiato per due, con tanto di candele, argenteria e bicchieri di cristallo scintillante. Ringrazio il cielo di aver perso la memoria, così da avere una scusa per non sapere quale delle mille posate usare in ogni occasione, o quale sia il calice per l’acqua e quello per il vino.
Ma ciò che più mi colpisce è l’enorme vetrata che corre lungo tutta la parete di destra; i pesanti tendaggi sono stati scostati così da lasciar intravedere la magnifica terrazza. Il mio sguardo la percorre tutta, si incanta nell’intricato disegno del mosaico del pavimento, si sofferma sui dettagli delicati della balaustra, e poi lo vedo. Il mare.
A passi lenti percorro la distanza che mi separa dalla vetrata, senza mai staccare gli occhi dall’iridescente scintillio delle onde. Arrivata lì appoggio una mano sul vetro freddo e, per la prima volta da quando mi sono svegliata nella clinica, mi sento davvero in trappola.
È come se una forza invisibile mi stesse attirando verso di sé, la sento, quasi fisica, spingermi verso quella massa scura, forte, un’attrazione intima, capace di farmi ribollire il sangue nelle vene.
 
“Credo che poche persone al mondo possano dire di aver mai goduto di una vista simile.” Non l’ho nemmeno sentito arrivare, tanto ero presa dal paesaggio: mi volto e vedo Noko in piedi ad un paio di metri da me. “Si, è davvero stupendo.” Rispondo, voltandomi di nuovo verso il vetro.
“Parlavo di te.”
Naturalmente. Ecco che ci risiamo con la galanteria. Ah, ma stasera non attacca, mio caro, non mi incanti! Sfodero un sorriso cordiale e lo raggiungo. Con un gesto elegante mi fa cenno di accomodarmi a tavola; sfortunatamente do le spalle alla vetrata. Aspetto che anche lui raggiunga il suo posto, ma invece lo vedo allontanarsi e tornare poco dopo con una scatoletta piatta e quadrata.
“Quando l’ho vista, questa mattina, ho pensato subito a te” dice, porgendomela.
La apro e mi accorgo di essermi fregata con le mie stesse mani. Come diavolo faccio a rimanere impassibile davanti ad un collier di zaffiri? Proprio una bella mossa, caro il mio Noko, non c’è che dire!
Lascio che le sue mani vellutate me lo mettano al collo, che il suo sguardo indugi un po’ troppo sulla pelle nuda della mia spalla, che un sospiro sfugga dalle sue labbra.
Poi, finalmente, prende posto davanti a me.
Due camerieri in alta uniforme ci servono la prima portata, un terzo ci versa il vino, dopodiché rimaniamo soli. Decido di andare subito al sodo: “Sono onorata di questo invito, Noko, ma ci sono delle cose che vorrei chiarire.” Dico, prendendo con pratica disinvoltura la stessa forchetta che ho appena intravisto prendere a lui.
Lui mi fa un cenno cortese con la mano, incitandomi a proseguire, anche se i suoi occhi guizzano lateralmente per una frazione di secondo, cosa che non mi sfugge.
“Innanzitutto, non vedo Noah da questa mattina. Dov’è?”
“Noah?”
“Sì, Noah. L’infermiera che si è occupata di me in questi giorni. Ci siamo trovate così bene… Mi aspettavo che fosse lei ad aiutarmi questo pomeriggio.”
“Oooh! Noah! Si è… Presa un periodo di riposo.” Dice, rivolto al piatto. Il mio silenzio e il mio sguardo devono fargli capire che non mi basta, come spiegazione; così, dopo un attimo di esitazione, continua: “La madre, che vive in un paesino un po’ lontano da qui, non sta molto bene. Così è dovuta andare da lei. Starà via per un po’, temo.”
“Oh.” Commento.
“Cosa c’è che non va in quella che ti abbiamo mandato oggi?” mi chiede.
“No… Nulla, nulla! È solo che mi stavo affezionando a Noah e… Beh, mi è spiaciuto.”
“Affezionando?” il suo sguardo ironico e sinceramente divertito mi lascia intendere che non sia usuale che ci si affezioni ad un componente della servitù.
Arrossisco vistosamente, posso sentirlo sulle guance, e continuo a mangiare in silenzio.
Fortunatamente, oltre ad essere un galantuomo, Noko è anche un abile oratore, e la piccola conversazione non langue mai durante il resto della cena.
Gli chiedo di lui e vengo a sapere che si occupa di protezione di carichi preziosi, in pratica gestisce una società che fornisce navi di scorta ai mercantili che trasportano merci preziose, o personaggi illustri.
All’arrivo del dolce, però, decido di tornare alla carica con le mie domande: “Noko, non posso fare a meno di ripensare a ciò che mi hai detto ieri. Alla faccenda del matrimonio.”
Lui posa delicatamente la forchetta sul piatto, si passa il tovagliolo sulla bocca e mi risponde, gelido: “Non credo ci sia molto da dire. Tuo padre ti ha promessa in sposa a me quando ancora eravamo bambini. È così da sempre, lo sanno tutti.”
Dopo una breve pausa, in cui io fisso il bordo del bicchiere con aria assente, incalza: “Poi, non potrei mai deludere le aspettative del tuo povero padre… Non ora che è in fin di vita.”
In fin di vita? Ma come? Non ho fatto nemmeno in tempo a rivederlo, che già rischio di perderlo?
“Che significa, Noko?” chiedo, un velo di incrinatura nella voce.
“Beh, la notizia della nostra piccola disavventura in mare è corsa velocemente di isola in isola, ed è arrivata presto anche a lui. Credo che il suo cuore non abbia retto. In questo momento lo stanno rimandando a casa, per poter… Dipartire in pace.”
La forchetta mi cade dalla mano e va a finire nel piatto con un rumore secco.
“Devo andare da lui, allora!” Non lo conosco nemmeno, ma l’idea di perdere il mio unico genitore mi manda in uno stato di panico; sento la testa girarmi e le mani tremare.
“Non dire sciocchezze, Fusha. Rimarrai qui.” Dice lui, senza nemmeno alzare gli occhi dal piatto.
Mi alzo e sbatto le mani sul tavolo mentre urlo: “PORTAMI DA LUI!”. Ho l’affanno, ma non lascio trasparire nemmeno un po’ di insicurezza. Devo sembrare forte.
Noko solleva appena lo sguardo dal dessert e, con un filo di voce sussurra: “Siediti.”
Quello mi fa andare fuori di testa. Non so nemmeno chi sia e si permette di darmi ordini; no, non posso accettarlo.
“Domani mattina preparerai una nave e mi condurrai da mio padre. Chi ti credi di essere per impedirmi di vederlo? Non starò ai tuoi ordini, nemmeno se dovessi diventare tua moglie! Voglio che tu mi porti al più presto da l…”
Una frazione di secondo. La sua mano picchia il tovagliolo sul tavolo, la sedia si rovescia dietro di lui e io mi trovo a fissare i suoi occhi verdi e gelati.
“NESSUNO LASCERA’ QUESTA CASA!” 



NdA: Vorrei ringraziare Ellie Chan, per la sua gentile recensione; elelu96, monkey_d_mary e Namijima27 per aver aggiunto la mia storia tra le preferite; Nasashi_Taka, NicotrisAmaltea, NykyLOL1, oOBlackRavenOo e SaraKudo per averla aggiunta tra le seguite e, naturalmente Akemichan che, con le sue esperte recensioni mi sta aiutando molto!

A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Per qualche istante ci guardiamo in silenzio. Sono sconvolta dalla sua ultima affermazione: che cos’è questa? Una specie di prigione?
Non mi sforzo nemmeno di nascondere l’espressione stupefatta del viso, voglio delle spiegazioni. Ora.
Lui, per contro, sembra realizzare solo in quel momento di aver alzato la voce. Si schiarisce la gola, si raddrizza, si guarda intorno con aria imbarazzata e poi mi dice: “Perdonami, Fusha. Ho… Perso il controllo. Vieni: c’è qualcosa che voglio mostrarti.”
Esito.
Davvero posso fidarmi di quest’uomo?
Ma la consapevolezza di non avere alternative, unita ad una tremenda curiosità, hanno il sopravvento.
Lo seguo fuori dal Salone da Pranzo attraverso il lungo corridoio scuro; ora che non c’è più il sole a giocare con i fiori del giardino, le foglie e i boccioli creano solo ombre inquietanti, così distolgo subito lo sguardo.
Noko mi conduce in una stanza più piccola della precedente, ma non meno lussuosa. Credo sia il suo studio, perché al centro, proprio davanti a me, campeggia una gigantesca scrivania in legno scuro, con intagli e ornamenti lungo tutto il bordo. Quando Noko vi si accosta, per prendere alcuni fogli da una cartelletta, l’intero quadretto ha davvero un’aria severa.
“Ecco, guarda.” Dice, mostrandomi una carta nautica riccamente decorata: “Noi ci troviamo qui.” Indica un punto nella zona più orientale della carta. “Tuo padre invece si trova… Mmm… Qui.” Lo vedo scorrere con il dito lungo tutta la superficie della mappa, ed andarlo a posare su di un’Isola dall’altra parte del foglio.
“Vedi?” Prosegue: “E’ per questo che non credo sia il caso che tu ti metta in viaggio: non arriveresti comunque in tempo. E poi ci sono quei pirati… Potrebbero essere ancora in giro e…”
Le sue parole però mi arrivano lontane, esili; il mio sguardo è fisso sulla cartina e ne percorre le linee precise, le sfumature, i nomi pieni di mistero. Mi ritrovo a chiedermi se possa esistere oggetto più bello al mondo. Sento il cuore battermi in gola e il respiro diventare affannoso.
Noko deve accorgersene perché mi chiede, premuroso: “C’è qualcosa che non va, cara?”
Ma io non rispondo. Il mio sguardo si è posato su di una scritta, e da lì non riesco più a staccarlo. Un dolore lancinante alla testa mi costringe a chiudere gli occhi, e mi porto istintivamente le mani alle orecchie. Noko decide di mettere via il foglio e di accompagnarmi di nuovo nella clinica, dove chiama il dottor Sishinobi e, con la voce alterata gli ordina di venire subito.
Dopo pochi minuti il medico compare sulla soglia, la vestaglia e le babbucce ancora addosso, ma chiaramente sveglio, e pronto ad intervenire.
Mi lancia un rapido sguardo e lo intravedo armeggiare con la flebo.
L’ultima cosa che vedo è lo sguardo preoccupato e un po’ arrabbiato di Noko, l’ultima immagine che la mia mente mi ripropone è la scritta che mi ha causato l’attacco di panico: “Isola degli uomini pesce.”



Mi sveglio madida di sudore qualche attimo prima dell’alba.
Sono di nuovo nel mio letto, alla clinica, ma indosso ancora l’abito di seta di ieri.
Il prezioso collier mi è stato tolto, e giace ora nella sua elegante custodia, appoggiato sul comodino. Ho bisogno di una doccia fredda ma, trovando la porta chiusa a chiave, sono costretta ad attendere e decido quindi di analizzare con calma la situazione.
Ero a cena con Noko, abbiamo avuto una discussione, mi ha chiaramente fatto capire che non mi lascerà uscire da questa casa; dopodiché mi ha portata nel suo studio, mi ha mostrato una carta nautica e da lì ho cominciato a non capirci più nulla.
Penso che mi abbia di nuovo fatta mettere sotto sedativi, cosa che, dannazione, devo assolutamente ricordarmi di proibirgli.
E adesso passiamo alla parte più complicata: la notte. Il mio non è stato certo un sonno tranquillo, tutt’altro.
Faccio mente locale e cerco di riportare a galla il primo dei due incubi che hanno turbato il mio riposo.
Mi trovavo in un campo di alberi da frutto, una ragazzina sui dieci anni con i capelli corti mi sorrideva e, più in là, una giovane donna dal fisico atletico portava una cesta; pur non riconoscendo nessuna delle due, il tutto aveva un’aria comunque familiare. Ad un certo punto, la giovane donna guardava sorridente una carta nautica e mi metteva una mano sulla spalla. Poi il caos. Urla, strane risa, il rumore di qualcosa che va in pezzi; mi mettevo a correre, abbracciavo la donna e poi qualcuno mi allontanava da lei, mentre un gruppo di orrendi uomini con la faccia da pesce mi osservava con un ghigno divertito.
Il sogno finiva con il rumore secco di uno sparo.
Per quanto io mi sforzi, non riesco a vederci nulla di chiaro.
La seconda parte della notte segue un copione che già conosco.
Mi trovo sotto il sole cocente, intorno a me solo rumori indistinti, odore di ferro, zolfo e sudore.
È lo stesso incubo che mi perseguita quasi ogni notte da quando sono qui, ma questa volta noto un particolare che prima non ero riuscita ad afferrare.
Proprio qualche secondo prima di ricadere nel buio e di risvegliarmi nel letto fradicio di sudore, sento una donna urlare e vedo un cappello cadere a terra. Ma non è un cappello qualunque, è identico a quello che ho visto nell'armadio ieri sera: un cappello da cowboy.



NdA: Ciao a tutti! Si, lo so che il personaggio in questione non porta più il cappello da cowboy da parecchie saghe, ma mi piace pensare che lo indossi ancora, di tanto in tanto, visto che a mio parere era un elemento molto caratterizzante.
Passando ai ringraziamenti, un sincero grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite o le seguite (cominciate ad essere un po', ma dal prossimo capitolo prometto che vi citerò uno ad uno!); inoltre un ringraziamento speciale va a Hika56 e a LuNa_35 per la loro recensione, che sicuramente mi aiuterà a migliorare nei prossimi capitoli.
Un consueto grazie va, naturalmente, ad Akemichan: la critica di cui ogni scrittore di FanFic avrebe bisogno! Grazie davvero per tutto, i tuoi consigli sono preziosi!
In ultimo, rinnovo la mia dedica iniziale e ne approfitto per fare un appello: se qualcuno conoscesse Emanuela e la sua FanFic perduta "The Est Wind", gli sarei immensamente grata se mi contattasse. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Sono ancora immersa in questi pensieri quando qualcuno apre la porta alle mie spalle.
Mi giro di scatto, pensando che sia Noko, ma invece delle iridi verdi e gelate di lui, quello che mi trovo davanti sono i grandi occhi neri della misteriosa cameriera di ieri.
A giudicare dall’espressione terrorizzata del suo viso, devo averle lanciato uno sguardo assassino girandomi, così, per scusarmi, le sorrido dolcemente.
La vedo arrossire in modo vistoso, prima che mi dica: “Immagino che voglia fare un bagno. Mi segua.”
Senza aggiungere altro torna sul corridoio, comincia a camminare, e sono costretta ad affrettarmi per raggiungerla.
La vedo guardare di sottecchi nella mia direzione, chissà se Noko le ha riferito i miei pensieri riguardo a Noah, e se si sia offesa.
“Come… Ehm… Come va?” le chiedo, un po’ in imbarazzo.
Chiaramente a disagio, riesce, dopo qualche secondo di esitazione, a rispondermi: “Io… Molto bene, grazie. E lei?”
“Ti prego, dammi del tu: tutte queste formalità mi fanno davvero sentire sola! Comunque, mi sento un po’ stordita e alquanto confusa…” le dico, sforzandomi di sorridere.
Siamo quasi arrivate alla porta del lussuoso bagno di ieri, ma lei si ferma qualche passo prima, si gira, mi guarda negli occhi e dice: “Posso chiederti una cosa?”
Le faccio un cenno di assenso e lei prosegue: “So che ieri sera hai domandato di Noah.”
Eccoci. Sicuramente Noko le ha raccontato tutto e ora pensa che io la detesti per aver sostituito Noah.
Magnifico.
Sto già preparando una risposta conciliatoria, quando lei aggiunge: “Ti interessa davvero? Perché?”
Oddio, ma perché lo trovano tutti così strano? “Si, certo, è stata molto carina con me, perché non dovrei interessarmi?”
I suoi occhi scuri mi fissano per qualche interminabile secondo, come a voler capire se può o meno fidarsi di questa povera ragazza confusa; poi la vedo abbozzare un sorriso scaltro, prima di dirmi: “Temo proprio di aver smarrito la chiave del bagno. Forse, ti troverai meglio nell’altro. Seguimi.”
Proseguiamo lungo il corridoio, svoltiamo l’angolo e superiamo la porta d’ingresso della grande sala da pranzo. “Conosco questa zona!” dico.
“Shhht… non fare rumore.”
Camminiamo fino ad una porticina, più modesta delle altre, che lei apre con cautela. Il bagno è decisamente più discreto dell’altro, c’è solo una piccola finestra che dà sul giardino e da cui si intravede il mare.
“E’ il bagno delle inservienti, ma nessuno ci viene mai perché preferiscono tutti usare stanze più confortevoli. I muri sono spessi, ma ti conviene comunque non fare rumore. Forse… Troverai che ci sono cose per cui vale la pena fare silenzio.”
Detto questo mi saluta con un sorriso e se ne va.
In questa casa le inservienti sono delle sfingi.

Mentre faccio scorrere l’acqua nella vasca, mi avvicino alla finestra per sbirciare fuori. Il sole caldo illumina lo splendido giardino e, più in là, posso intravedere il piccolo porto di un paesino affacciato sul mare. Però non sento alcun rumore insolito: a cosa si riferiva la ragazza?
Mi immergo nell’acqua tiepida e mi lascio scivolare fino a ritrovarmi completamente sommersa. La cartina, il sogno, il cappello, mio padre e ora persino la cameriera: la mia testa sembra la tavolozza di un pittore che ama sperimentare nuovi abbinamenti cromatici. Decido di partire dalle cose più semplici, tre cose che so per certo essere vere, i miei tre colori primari da cui partire per ottenere tutte le sfumature del mondo.
Sono una ragazza, “Questo mi sembra evidente.” penso, lanciando un’occhiata fugace al mio corpo semicoperto dalla schiuma; direi anche piuttosto prestante, con un fisico giovane e atletico e la pelle leggermente scurita dal sole. Forse non sono una di quelle nobili spocchiose che passano le giornate nei salotti bevendo tè. No, direi di no.
Bene, passiamo ad altro.
Silenzio.
“Ottimo, questo è tutto quello che hai, Fusha?” mi dico ad alta voce.
E in quel momento realizzo per la prima volta che il mio nome non mi suona per niente familiare.
Eppure dev’essere quello per forza, altrimenti che senso avrebbe il tatuaggio sulla mia spalla?
Ecco il secondo punto: ho un tatuaggio. Una cosa piuttosto insolita per una nobildonna, no?
Estraggo il braccio dall’acqua e cerco di sbirciare otre la mia spalla. Più che una F da qui sembrerebbe…
Un flash.
Nel mio sogno c’era anche un uomo con uno strano cappello, un berretto da militare, su cui era montata…
“UNA GIRANDOLA!” Mi accorgo di aver alzato troppo la voce, mi tappo la bocca con le mani e mi immergo di nuovo completamente nell’acqua tiepida.
E’ meraviglioso, mi sembra di aver ritrovato una parte di me, anche se non so dare una spiegazione a tutte queste cose, il mio istinto mi dice che sono sulla strada giusta, e che la mia intuizione è corretta.
Sto per passare al terzo punto quando il rumore di una porta che si apre mi blocca. Rimango immersa nell’acqua trattenendo il fiato per paura che qualcuno sia entrato nel bagno, ma presto mi accorgo di essere ancora sola. Riemergo furtiva, ascoltando i rumori dei passi e degli oggetti spostati nella stanza di fianco alla mia.
“Chiamami Sishinobi.”
“Si, padrone.”
Sono la voce di Noko e della cameriera!
Devo andarmene subito, se Noko mi trovasse qui e in queste “condizioni”, non so cosa potrebbe succedere.
Faccio per alzarmi ma il trambusto che provoco mi convince a rientrare in acqua seduta stante. Dannazione, sono bloccata.
In quel momento la porta di quello che deve per forza essere l’ufficio di Noko si riapre.
“Buongiorno Noko. Che aspetto terribile! Sembra che tu non abbia dormito molto questa notte, sisisi!”
“Fai poco lo spiritoso Sishinobi. Qui la faccenda sta diventando più grossa del previsto.”
Sento il rumore di una sedia che si sposta, poi Sishinobi prosegue: “Raccontami della serata.”
“Abbiamo cenato nel salone. È andato tutto bene finché non ho accennato a suo padre; a quel punto è diventata una belva: voleva a tutti i costi che la portassi da lui e non c’è stato verso di farle cambiare idea. Così ho perso le staffe e ho alzato la voce.”
“Primo errore.” Commenta il medico.
“Lo so.” Risponde Noko
“Concordo.” Penso io. Be’, almeno ha capito di aver sbagliato. Forse sono stata troppo dura con lui.
“A quel punto non avevo scelta: l’ho portata qui nello studio e le ho detto che suo padre era su un’isola troppo lontana perché la potessimo raggiungere in tempo, anche partendo subito. Le ho mostrato le carte nautiche e…”
“Tu COSA?!” La voce di Sishinobi è chiaramente alterata. Lo sento alzarsi dalla sedia e cominciare a camminare per lo studio.
Forse sto per svelare l’enigma della sfinge.
“Le hai mostrato delle carte nautiche? Noko, ma sei impazzito?” La sua voce si è quasi ridotta ad un sussurro, così sono costretta a muovermi nell’acqua per avvicinarmi alla parete, ma così facendo perdo una parte della frase.
“Non capisci che cosa rischi? Il farmaco è potente, ma non infallibile.”
“Dici che… Ricorda?”
“Non lo so. Ma non posso più dargliene, ho già superato il limite massimo ieri sera. Non possiamo rischiare di farle del male.”
“Questo no. Ma cerca di svolgere il tuo lavoro nel miglior modo possibile. Non abbiamo un piano B.”
“Anche tu.” Risponde secco il medico. Sento i suoi passi pesanti avvicinarsi alla porta.
“E… Noko? Questo è già il piano B.”
La porta si richiude e tutto sprofonda nel silenzio.
 
 
 
Piano B? Che diavolo significa? E la storia del farmaco? Serve per farmi recuperare la memoria o piuttosto cerca di impedirmelo? Tutte le volte che Sishinobi me lo inetta, in effetti, faccio degli strani sogni; forse sono provocati da quello; oppure è la mia mente che cerca di ricordare e il farmaco la blocca.
E come fa il medico a sapere delle carte nautiche? Perché per lui è stato un rischio mostrarmele?
Ho davvero troppe domande in testa. Devo uscire di qui e chiarire questa faccenda.
“Padrone, il sindaco è arrivato. Lo faccio accomodare nel salone?”
“Sì, grazie. Arrivo subito.”
Aspetto che Noko abbia lasciato la stanza per uscire dalla vasca ed avvolgermi nel telo morbido e profumato, e a quel punto torna la cameriera.
“Ti ho portato degli abiti puliti” dice, chiudendosi la porta alle spalle.
“Grazie”. Mi infilo gli indumenti che mi porge e rimaniamo in silenzio a guardare per terra.
“Non so chi tu sia, né se quello che Noko sta cercando di fare con te sia legittimo o meno. Ma tu ti sei interessata a mia sorella, e io farò lo stesso con te.”
Alzo gli occhi, spalancati per la sorpresa, e li punto sulla cameriera. “Noah è tua sorella?”
“Sì. E il mio nome è Laviah, comunque.”
“Noah è davvero da vostra madre?” le chiedo. Vedo i suoi occhi farsi lucidi, le sue labbra serrarsi e le sue mani tremare.
“No. È a casa, giù in paese. L’hanno ridotta in fin di vita.” Mi risponde con la voce alterata dal nodo alla gola.
“Chi l’ha ridotta in fin di vita?!” Chiedo.
“Noko.”



NdA: Ciao a tutti!
Innanzitutto, vorrei scusarmi con il ritardo di questo aggiornamento: Tra università al mattino e lavoro la sera è un periodo assolutamente frenetico!
Ed ora i ringraziamenti: un primo, sentito grazie va a tutti coloro che hanno aggiunto, chi prima chi poi, la storia tra le preferite e le seguite; Quindi un grazie a: ChibiRoby, Ellie chan, Gelidha, LuNa_35, Namijima27, nami_55, NicotrisAmaltea, NykyLOL1, oOBlackRavenOo, rorox92, SaraKudo, TheLadyVampire97, elelu96, hika56, monkey_d_mary, simo249510 e SmileGiveMeFive.
Un secondo, grande grazie va a tutti coloro i quali hanno recensito la storia fin’ora, in particolare a monkey_d_mary, LuNa_35 e Gelidha, per le loro gentili recensioni sul Capitolo 4.
Infine, come di consuetudine, un grazie sincero ad Akemichan, sempre assidua, cordiale e sincera in tutti i suoi commenti. Grazie davvero.
 
A presto!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Sento la testa farsi improvvisamente vuota e le mie gambe cedere, ma la vista della ragazza in lacrime mi ridà subito forza.
Vado verso di lei e cerco prendere le sue mani tremanti nelle mie, ma questa le scosta bruscamente: “Io non…Posso aiutarti, non lo capisci?” mi dice, allontanandosi da me di qualche passo.
“Io… No, non capisco, davvero, Laviah. Cos’è successo a Noah?” Cerco di avere un tono rassicurante, ma la verità è che ho paura del responso che potrebbe darmi la cameriera, una paura terribile di scoprire la verità.
Per tutta risposta lei mi offre il gesto più schiettamente coraggioso che potessi aspettarmi in quel momento: si asciuga le lacrime, fa un respiro profondo e incrocia il suo sguardo col mio.
“Fuori da qui non potremo parlarne più, d’accordo? In questo posto anche i muri hanno orecchie, e questa è l’unica stanza, insieme alle scale di servizio e al corridoio, a non essere sorvegliata.”
Faccio un breve cenno d’assenso: ha tutta la mia attenzione in questo momento.
Dopo una breve pausa, in cui sembra di nuovo indecisa se fidarsi o meno della povera ragazza confusa, prosegue: “Io non lavoravo qui, prima. Ho sostituito Noah dopo che l’hanno rimandata a casa in quelle condizioni. Le ragazze che vengono considerate carine vengono mandate tutte qui a lavorare per Noko e i suoi amici.”
Avverto un’inflessione spregiativa nella sua voce e intanto faccio nota mentale di chiedere chi mai possano essere gli amici di Noko.
Lei però prosegue imperterrita: “Per questo motivo non so nulla di tutta questa faccenda. Noah però deve per forza essere al corrente di qualcosa, visto che da un po’ lavorava con il dottore; purtroppo non era in grado nemmeno di parlare quando ce l’hanno riportata a casa.”
Sto per aprire bocca, ma ancora una volta lei mi precede. Per la prima volta da quando l’ho incontrata, mi ricorda Noah: la parlantina dev’essere di famiglia!
Questi pensieri però vengono letteralmente spazzati  via dalla frase che pronuncia, che colpisce le mie orecchie come un tuono: “Lei è stata ridotta così perché ha tentato di aiutarti. Per quanto ti sia grata per il tuo interessamento, non posso fare altro, o picchieranno anche me; e la mia famiglia ha bisogno che io rimanga in salute.”

È stata ridotta così perché ha tentato di aiutarmi.
 Di nuovo quel flash.
Il signore in divisa con la girandola sulla testa, le facce aberranti di quelle strane creature mezze umane e un terribile senso di impotenza. No. Non posso permettere che nessuno si metta nei guai per colpa mia. Tuttavia, mi rendo conto di dover chiedere a Laviah una mano, ancora una volta.
“Devi portarmi da lei.” Dico, guardandola negli occhi.
“Sei impazzita?! Come? Quando?”
“Stanotte. Dalle scale di servizio. Hai detto che sono l’unico posto a non essere sorvegliato, no?”
La vedo esitare, forse non mi faceva così intraprendente e, a dirla tutta, sono un po’ sorpresa anch’io di questa nuova me. O forse si tratta solo della vecchia me che lotta per tornare in superficie, chi lo sa?
“Mi ucciderà.” I suoi occhi sono inespressivi e fissano un punto non definito tra la mia spalla e il mio gomito.
Mi avvicino e tento nuovamente di prendere le sue mani tra le mie: “E’ stato davvero lui a picchiarla?” chiedo con cautela, mentre lei, ora docile, scoglie i pugni serrati sotto i miei palmi.
“Lui e il medico. Non hai idea di cosa possono fare; la gente dell’isola non ne può più della loro tirannia.” dice, lo sguardo ora più accesso d’odio.
“Eppure il sindaco è qui.” La frase mi scivola fuori prima ancora che possa rendermi conto di quanto sia indelicata.
Vedo Laviah serrare le labbra, alzarsi e rimettersi in ordine: “Qui ognuno pensa solo a salvare se stesso. Benvenuta sulla Rotta Maggiore.”
“Rotta… Maggiore.” Assaporo questo nome come se fosse acqua di sorgente, lo lascio scendere puro e cristallino fino a riempirmi. Possibile che mi suoni più familiare del mio stesso nome?
Lei non si accorge del mio improvviso cambiamento d’umore, si è già voltata  verso la porticina di legno e mi dice, laconica: “Stanotte vengo a prenderti io. Dovrai aspettare che Noko sia andato a dormire, ci metterà un po’. Ora andiamo.”
Nel corridoio è di nuovo la cameriera di poche parole che ho conosciuto –accidenti!- appena ieri.
Eppure mi sembra di vedere qualcos’altro in lei ora; qualcosa che gli altri non riescono a percepire; una sorta di determinazione che però, stranamente, mi risulta familiare.
 
 
 
Quando mi lascia nella clinica sono esausta; vorrei tanto stendermi e cercare di fare chiarezza nella mia testa, o anche solo riposare; ma evidentemente qualcuno ha altri progetti per me oggi.
Sishinobi entra dopo pochi minuti con il suo passo pesante, le guancie paffute sovrastano un sorrisino finto e imbarazzato.
“Buongiorno signorina! Abbiamo proprio un bell’aspetto oggi eh,? Sisisi! Come si sente?”
Mi sembra di essere tornata indietro di qualche giorno: “Bene, grazie!” rispondo con un sorriso. “Mi sento molto meglio ora! Ieri sera ho avuto un mancamento; la ringrazio per il suo intervento!” proseguo, cercando di sembrare il più ingenua possibile.
Proprio come il primo giorno, alza gli occhi dalla cartella clinica, mi fissa per qualche secondo, decide di lasciar perdere con ciò che stava facendo e rivolge tutta la sua considerazione a me, improvvisamente interessato.
“Si… Ecco… A proposito di ieri sera. Ricorda per caso cosa le abbia provocato il mancamento?”
Il tono è indagatore, il passo con cui si avvicina al letto incerto, e lo sguardo da dietro gli occhialetti a mezzaluna è preoccupato.
Vuole sapere se ricordo qualcosa. Decido di giocare d’astuzia. Se vuole qualcosa da me, dovrà guadagnarsela: “Oh… Io… Non saprei, dottore. Forse la discussione con Noko, o magari, non so, qualcosa che mi ha provocato uno stress improvviso. Ma la sua medicina mi ha rimesso in forma. Posso sapere di cosa si tratta?”
Il suo sguardo passa da preoccupato ad allarmato in meno di una frazione di secondo; le sopracciglia schizzano verso l’alto e lui si allontana dal letto, schiarendosi la voce: “La mia medicina… Oh ma non è nulla di speciale, è lei ad essere forte, signorina, sisisi!”
Così nemmeno lui vuole scoprirsi. Bene bene, palla al centro allora.
Ma la partita è ancora tutta da giocare, dottore.



NdA: Ciao a tutti!
Ancora una volta, scusate per il ritardo: la sessione d'esami e l'avvicinarsi della prima dello spettacolo teatrale a cui partecipo mi stanno riempiendo le giornate!
I consueti ringraziamenti vanno, naturalmente, a tutti coloro i quali hanno aggiunto la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite, ma il ringaziamento più grande di tutti va a Gelidha Oleron, LuNa_35 e ad Akemichan, sempre assidue e gentilissime nelle loro splendide recensioni. Grazie davvero di cuore!

A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Il pranzo mi viene servito in camera da una nuova ragazza vestita da cameriera.
In effetti, anche lei è bellissima; non ha gli occhi scuri o la carnagione olivastra di Noah e Laviah, ma due iridi azzurre come il cielo e dei lunghi capelli biondi, raccolti sulla nuca.
Capisco che è nuova da come si comporta: mi tratta come una principessa e, poco prima di andarsene, mi annuncia con voce cristallina che “il signor Noko verrà a farmi visita tra poco”.
 
 

In effetti, di lì a poco Noko mi raggiunge nella clinica. Sembra rilassato: lo sguardo è disteso, e sul suo viso dai lineamenti perfetti aleggia un sorriso suadente. Se non sapessi di cosa è capace, potrei persino trovarlo attraente; ma decido comunque di stare al gioco, per non insospettirlo, e ricambio con un sorriso anch’io.
“Ciao.” La sua voce è vellutata e leggera.
Sì, potrei davvero essere attratta da lui se non avessi appreso come tratta le ragazze.
“Ciao.” Rispondo.
“Ti senti meglio?”
“Molto. Grazie.”
Ehy? Svegliati! Tutto qui quello che sai fare?
“Io… Perdonami per ieri sera, mi sono comportata da stupida. Non dovevo alzare la voce.” Proseguo.
“E io sono stato un vero cafone. Ti andrebbe una passeggiata?”
La sua risposta mi spiazza. Basta così poco per riconquistare la fiducia di questo gigolò?
“Certo!” gli dico con un sorriso, che trova immediatamente risposta sulle sue labbra.
 
Il giardino della villa è, se possibile, ancora più impressionante dell’interno.
Alberi enormi, di mille verdi, ora brillanti ora scuri come la notte, punteggiano l’enorme prato delimitato da aiuole.
Ci teniamo vicino all’edificio, passeggiando lungo il lastricato, e non so più se guardare davanti a me o se perdermi nello squisito mosaico che sta sotto i miei piedi.
Per il momento decido di assaporare l’aria fresca e salmastra, che così tanto mi è mancata in questi giorni di reclusione.
Noko mi conduce ad una panchina che dà le spalle alla villa. La vista è sorprendente: il prato perfettamente uniforme lascia spazio ad una balaustra in marmo, che sia affaccia direttamente sul mare, e io mi ritrovo nuovamente ammutolita di fronte a tanta bellezza.
Il mio interlocutore mi ricorda della sua presenza schiarendosi la voce.
Abbiamo parlato del più e del meno fin’ora: gli ho accennato alla nuova cameriera, ma lui pareva non saperne nulla, anche se si è dimostrato particolarmente interessato all’argomento quando gli ho riferito della bellezza della ragazza.
Ora mi fissa con i suoi gelidi ed affascinanti occhi verdi e io mi ritrovo a chiedermi se ci sia qualcosa che non va in me: sono dell’idea che una persona del genere non sia solita intrattenersi con ragazze dai capelli fuori posto, o dall’abbigliamento semplice come il mio.
“Cosa c’è?” gli chiedo, imbarazzata.
“Dopo tutto questo tempo, rimango ancora basito davanti alla tua bellezza.”
Ah, ma certo.
I suoi complimenti però mi fanno piacere, e continuiamo a flirtare per qualche minuto; in fondo, stamattina ho convenuto che la mia prima inconfutabile verità è essere una ragazza,e una ragazza ha bisogno di essere adulata un po’.
Mi accorgo di essermi spinta oltre quando lui si china verso di me per baciarmi.
Lo respingo con delicatezza, ma faccio in modo di sembrare autoritaria quel tanto da non indurlo a riprovarci, cosa che, peraltro,  mi viene totalmente spontanea.
Lui in tutta risposta incassa il colpo da vero signore e si accende una sigaretta.
L’odore acre e vagamente dolciastro di tabacco mi invade, ma non posso fare a meno di notare che non mi infastidisce affatto, come se ci fossi abituata, nonostante l’idea di fumare mi inorridisca.
In effetti, mi fa quasi sentire al sicuro.
Noko si accorge del mio interessamento e, dopo aver soffiato via il fumo mi dice, con fare galante: “Ogni gentiluomo dell’alta società che si rispetti fuma. È una moda.” Il mio sguardo interrogativo lo esorta a proseguire: “Sì, come… Non so, andare a cavallo o… Usare una spada. È qualcosa che devi fare se vuoi piacere alla gente.”
“Usare una spada?” chiedo io. La cosa mi incuriosisce.
“Certo. Vuoi vedere?”
 
Rientriamo nella villa e mi lascio condurre nell’enorme salone sulla destra, che si trova proprio al di sotto della sala da pranzo.
Mi trovo davanti alla più grande collezione di armi che abbia mai visto.
Sulla parete di sinistra danno mostra si sé decine di spade dalle fogge più svariate. Alcune sono così decorate che da sole potrebbero valere più dell’abito e del collier di ieri sera messi insieme.
“La mia famiglia le colleziona da generazioni: questa per me non è solo una moda. Anche se la mia vera passione, è un’altra.”
Nel dirlo si volta verso di me, la mano tesa in un gesto plateale ad indicare la parete di fondo, su cui spiccano numerose armi da fuoco di ogni genere.
Mi avvicino con cautela: la vista di Noko circondato da tutti quegli armamenti mi turba, e un brivido freddo corre lungo tutta la schiena.
Tuttavia lui prosegue imperterrito: “Mi alleno con le pistole da quando ho dieci anni, fin’ora non ho mai mancato un bersaglio.” Dopo qualche secondo di esitazione prosegue: “Beh, quasi mai.”
L’odore pungente della polvere da sparo mi riempie le narici, e io mi ritrovo di nuovo a pensare a quanto anche questo sentore mi sia familiare.
La sua ultima frase, però, attira la mia attenzione: non è da Noko ammettere così palesemente la propria fallibilità; sto per ribattere con un sorriso, ma il mo sguardo scivola oltre la sua spalla e si fa curioso.
Lui deve accorgersene, perché si volta seguendo la direzione della mia occhiata e, una volta capito quale sia l’oggetto del mio interesse, sorride compiaciuto.
“Hai buon gusto per le armi, mia cara.” Dice, avvicinandosi al tavolo, completamente spoglio se non fosse per l’espositore laccato su cui poggiano tre splendide custodie nere.
“Solo per le armi?” ribatto, maliziosa.
Sorride di nuovo, e mi scocca uno sguardo decisamente poco pudico, mentre prende in mano la custodia di mezzo e sfodera una lama splendente, che poi tiene in bella mostra davanti a me.
“Queste non sono spade qualsiasi: sono le migliori katane dell’intera regione. Si dice che le spade di questo armaiolo producano un suono così melodioso, in duello, da sembrare un canto.”
Nel dire ciò, sfodera con un solo gesto la katana più bassa e vibra un colpo su quella che ha già in mano. Rimaniamo entrambi in ascolto del suono prodotto dal ferro: in effetti, sembra una nota musicale.
“Davvero stupende, Noko.”
Ciò nondimeno, vederlo con delle armi in mano mi mette tremendamente a disagio, così lo convinco a riportarmi nella mia stanza, dove troviamo la nuova cameriera intenta a rifare il letto.
Alla nostra vista, prende il carrello del pranzo, ci fa un inchino formale e se ne va.
Rivedo sul viso di Noko lo stesso sguardo, a metà strada tra l’interessato e il sospetto, che gli vidi lanciare a Noah il primo giorno della mia permanenza. Ora però la cosa mi infastidisce notevolmente.
Non lo lascio a vedere e, quando lui si volta di nuovo verso di me, sfoggio un sorriso smagliante.
Lui però è già altrove con la testa, e con tono dispiaciuto mi dice: “Mia cara, temo proprio di doverti lasciare, ora. Ho degli impegni importanti e una cena con un personaggio molto influente da preparare.” poi, abbassando la voce e con fare cospiratorio aggiunge: “Se tutto va bene, potrei aggiudicarmi la scorta di un carico davvero prezioso.”
“Ci vedremo domani?” gli chiedo.
“Sì, magari a pranzo, se ti va. Sarei onorato di pranzare con te.”
Detto questo, mi sfiora il dorso della mano con le labbra e lascia la stanza.
Io invece, crollo sul letto, esausta, e cado in un sonno profondo.
 
 
 
Quando mi risveglio è già sera inoltrata.
Qualcuno ha portato la cena e l’ha lasciata sul comodino; addento una focaccia, giusto perché non posso rischiare che il mio fisico troppo provato ceda mentre sono fuori con Laviah, ma non ho per niente fame.
Come di consueto, il mio sonno è stato turbato da incubi e flash: la mia mente ha vagato tra isole bizzarre e strani personaggi.
In una piccola isola fatta di cactus giganti una suora mi faceva bere fino ad ubriacarmi; poi un’anziana signora vestita come un’adolescente, che viveva in un castello in cima ad una montagna, mi parlava di un elisir di lunga vita; infine, passavo dalle sabbie del deserto ad un mare di nuvole, per poi navigare in mezzo ad una città con strade fatte d’acqua.
Non so a cosa serva in realtà la medicina di Sishinobi, ma una cosa è certa: mi rende parecchio confusa.
Tuttavia non posso fare a meno di domandarmi se si tratti solo di scherzi della mia mente o se io sia davvero stata in tutti questi luoghi.
Sto cercando di ricordare meglio se l’elemento vestito da suora fosse un uomo o una donna, quando Laviah fa il suo ingresso nella stanza.
Rimanendo davanti alla porta mi fa un cenno veloce con la mano per indicarmi di raggiungerla; una  volta arrivata da lei, sempre nel più totale silenzio, mi porge una divisa da cameriera, che indosso sopra i miei vestiti leggeri, e una mantellina scura.
Poi, appena uscita sul corridoio, indica con un dito i suoi piedi nudi. Mi accorgo solo ora che ha in mano il suo paio di scarpe, e mi invita fare lo stesso con i miei sandali, immagino per non fare rumore sul marmo del corridoio.
Ci dirigiamo verso destra, superiamo la porta del lussuoso bagno e proseguiamo fino all’angolo del corridoio.
Laviah svolta a sinistra e io sto per seguirla, quando un rumore attira la mia attenzione e il mio corpo si immobilizza.
Trattengo il respiro per qualche secondo, atterrita all’idea che qualcuno possa già averci scoperte; metto la mente al lavoro per elaborare una scusa credibile, ma le mie orecchie non percepiscono più nulla, a parte il battito accelerato del mio cuore. Sto per riprendere a camminare, quando lo sento di nuovo: arriva lieve, da dietro una porta che si trova sulla destra.
Sembra un sospiro, eccone un altro.
Sulle punte mi avvicino all’uscio per capire da cosa sia provocato, ma la mano di Laviah mi blocca, mentre, con l’espressione seria, mi fa cenno di no.
Mentre ci allontaniamo sento di nuovo quei sospiri, seguiti da dei colpi lievi, come di qualcosa che batte contro il muro. Ad ogni modo, seguo Laviah lungo tutto il corridoio, e poi giù dalle scale di servizio, fino ad una porticina che da direttamente sul grande giardino.
La osservo richiudere il pesante chiavistello e riporre la chiave nella tasca del grembiule.
Il parco, che questa mattina mi sembrava così allegro e soleggiato è ora terrificante: i lunghi rami degli alberi, le balaustre e le statue formano ombre spaventose, e istintivamente mi avvicino a lei, stringendomi nel mantello.
Senza proferire parola, Laviah mi conduce lungo un sentiero invisibile, che passa tra querce secolari e grandi abeti profumati, scende lungo tutta la collina e arriva fino al robusto muro di cinta.
Qui estrae dalla tasca un’altra chiave e la inserisce nella serratura di una porticina di legno massiccio: se non ci fosse stata lei, probabilmente non l’avrei nemmeno notata.
Quindi, una volta fuori, richiude accuratamente il passaggio e si appoggia al muro, apparentemente esausta.
Sto per togliermi il cappuccio dalla testa, ma lei, ancora una volta, mi blocca la mano: “Non è ancora finita” mi dice, con un leggero affanno.

Dopo esserci guardate intorno con cautela, imbocchiamo una stradina stretta; la luce pallida di un raggio di luna mi permette di vedere le modeste case in mattoni, i vasi di piante sui davanzali, e le porte colorate illuminate da piccole lanterne, ma non incontriamo nessuno.
Affretto il passo per poter camminare al suo fianco.
Non ho nemmeno bisogno di aprire bocca: Laviah sa già cosa sto per chiederle.
“Era Noko.” mi dice, senza nemmeno spostare lo sguardo dalla strada. “La nuova cameriera deve essergli piaciuta parecchio.”
Avverto una nota vagamente ironica nella sua voce, ma questa volta capisco di non dover indagare oltre.
“Non credevo che sarebbe stato così facile uscire dalla villa” dico, per cambiare discorso.
“Non è un posto costruito per tenere prigionieri. A quanto ne so io, serve solo ad organizzare feste.” Mi risponde, gli occhi vigili sempre puntati sulla strada davanti a noi.
 
Prigionieri. È davvero questo, quello che sono? Prigioniera di un uomo che dice di volermi sposare e intanto se la spassa con le cameriere? Prigioniera di una persona di cui non so quasi nulla, di cui non ricordo nulla.
È un termine che mi brucia dentro. Io non voglio essere prigioniera di nessuno.
Immersa in questi pensieri, seguo Laviah per gli stretti vicoli della cittadina; superiamo un arco di pietra completamente coperto da una pianta di glicine che ha messo radici nell’unico spiraglio di terra rimasto libero tra due lastre di pietra.
Mi ci ritrovo perfettamente. Schiacciata tra ricordi che non riesco ad afferrare e una verità che sembra appartenere più ad altri che a me, mi aggrappo all’unica cosa che in questo momento può aiutarmi: Noah.



NdA: Ciao a tutti!
Come di consueto, sento di dover ringraziare coloro i quali continuano a recensire ogni mio capitolo: LuNa_35, Gelidha Oleron e, naturalmente, Akemichan; Grazie, siete davvero una fonte d'incoraggiamento (oltre che di ispirazione) inesauribile! Un saluto anche alle nuove critiche: taichi90 e monekey_d_mary; grazie anche a voi per l'enusiarmo e le recensioni così gentili e positive! 
Non perdetevi il prossimo capitolo: saranno svelati un po' di arcani! ;-)

A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


“Mi dispiace.”
È l’unica cosa che riesco a dire quando Noah compare sulla soglia del soggiorno.
La casa è piccola ed alquanto modesta, ad illuminarla ci sono solo un paio di candele, poste sul tavolo di legno grezzo, ma quando, in risposta alle mie scuse, sul viso della giovane si accende il più sincero dei sorrisi, l’abitazione sembra rischiarata a giorno.
Zoppica ancora un po’, ed ha bisogno dell’aiuto della madre per arrivare fino alla sedia di fronte a me. Quando si siede, la luce flebile delle candele ad illuminarle il viso, posso vedere sulla sua pelle i segni delle percosse, e una fitta di dolore mi stringe lo stomaco.
“Come stai, Fusha?”
Come sto io? A mala pena si regge in piedi dopo la lezione che ha ricevuto a causa mia e, comunque, la cosa che la preoccupa è come stia io?
“Noah, io sto bene. Ma tu… Non so nemmeno da dove iniziare. Perché l’hai fatto?”
La vedo abbassare lo sguardo, incantarsi per qualche secondo sul legno del tavolo, prima di girarsi verso la madre: “Forse la nostra ospite desidera qualcosa di caldo, Mamma. Perché non vai a preparare un tè per tutti?”.
“Certamente” risponde la donna, prima di allontanarsi verso la stanza adiacente. Ha gli stessi occhi scuri ed espressivi delle figlie, ma una lunga chioma rossa che le scende sulla schiena, proprio come la mia.
Noah tira un sospiro prima di riprendere: “Perché non potevo non farlo… Fusha.”, poi rimane ad osservarmi per qualche secondo, come se si aspettasse una particolare reazione da parte mia. Devo aver deluso le sue aspettative, perché sospira di nuovo e si appoggia allo schienale della sedia, lo sguardo preoccupato di nuovo fisso sulla tavola.
“Speravo sarebbe stato più semplice.” Dice in un sussurro.
Non ci sto capendo nulla. Più semplice… Cosa?
Non ho il tempo di ribattere, perché vengo subito incalzata dalla ragazza, che mi chiede: “Sishinobi ti ha dato ancora la medicina?”
Faccio solo cenno di sì con la testa e mi volto verso Laviah: il fatto che anche sul suo viso ci sia un’espressione confusa un po’ mi consola; forse non sono l’unica a non capirci molto.
“Partiamo dal principio.” La voce di Noah mi fa voltare di nuovo verso la mia interlocutrice che, con una smorfia di dolore si sta sistemando meglio sulla sedia.
“Io non ho mai fatto la cameriera, nella tenuta di Noko; né tantomeno l’infermiera. Ho studiato nella città di Libeir, la capitale dell’isola, e sono una delle massime esperte in chimica in questo tratto di mare.”
Il mio sguardo attento la invita a proseguire: “Qualche anno fa il dottor Sishinobi si è trasferito con Noko nella villa sulla collina e da allora tutte le ragazze del villaggio considerate carine vengono scelte per andare a lavorare lì. Quando il dottore è venuto a sapere delle mie conoscenze in materia chimica, mi ha offerto di lavorare come sua assistente. Naturalmente ho accettato: all’epoca mi sembrava un’ottima occasione, senza contare che Sishinobi non si era ancora rivelato per quello che davvero è.”
“Allora tu sai che cosa mi sta somministrando il dottore! E perché io abbia perso la memoria!” incalzo io, sollevata all’idea di scoprire finalmente la verità.
La vedo inspirare profondamente, vedo il suo sguardo rattristarsi e mi rendo conto che forse le cose non sono così semplici come mi aspettassi.
“Ecco, Fusha… In questi anni io e il dottore abbiamo lavorato a due progetti; lui mi ha sempre fatto credere che sarebbero serviti a combattere la minaccia dei continui attacchi pirata, ma ora comincio a pensare che la vera minaccia sia costituita da gente come Noko e Sishinobi.”
La madre di Noah ha fatto ritorno dalla cucina ed entrambe la osserviamo in silenzio disporre le tazze di tè fumante davanti a noi. Poi lei prosegue: “Insieme abbiamo creato un nuovo tipo di proiettile, con un nucleo in Agalmatolite. Sai cos’è?”
“Sì, è un minerale in grado di sprigionare l’essenza dell’oceano.” Mi blocco, stupita dalle mie stesse parole, uscitemi di bocca prima ancora che me ne rendessi conto.
Anche Noah sembra sorpresa, ma ben presto sul suo viso si forma un sorriso furbo: “Allora non tutto è perduto.” Dice con tono sollevato.
“Come faccio a saperlo?” le chiedo. Sembra nascondermi qualcosa.
Noah fa un cenno di capo con fare conciliante, per poi proseguire: “I proiettili servono a far perdere le forze e i poteri ai fruitori dei frutti del diavolo, così da renderli vulnerabili. E qui entra in gioco il secondo progetto: una volta resi vulnerabili i soggetti, si inietta loro, tramite un altro speciale proiettile inventato da Sishinobi, una sostanza, chiamata Kuraina, che ha il potere di cancellare completamente e definitivamente ogni sorta di ricordo e forza di volontà.”
Frutti del Diavolo.
Dentro di me so di conoscere questo termine, ma non riesco a portarlo in superficie.
“Il punto è…” prosegue Noah prima di darmi il tempo di chiedere, “…Che questa sostanza è stata progettata per essere utilizzata su coloro che hanno il potere dei frutti. Non ho idea di come possa reagire su di una persona normale. Una cosa però è certa: il proiettile che ti ha colpita conteneva la Kuraina. E non era destinato a te.”
All’improvviso capisco: “Il paino B!”
Noah mi fissa con sguardo interrogativo, così proseguo: “Questa mattina ho sentito Sishinobi dire a Noko qualcosa a proposito di un piano B!”
“È possibile che dopo aver mancato il bersaglio, abbiano deciso di ripiegare su di un’altra strada.” È Laviah ad intervenire questa volta; appoggiata al muro, fissa la sorella in attesa di conferma.
“Ferme. Non capisco.” Le interrompo io, prima che il discorso si faccia troppo complicato. “Cosa sono i frutti del diavolo? So di saperlo, in fondo, ma non riesco proprio a ricordare. E cosa c’entro io con tutto questo?”
“I frutti del Diavolo sono dei frutti maledetti che donano a chi li ingerisce dei poteri particolari. Sono molto rari, ma chi ne mangia diventa capace di cose incredibili. L’Agalmatolite è uno dei pochi modi conosciuti per contrastarli.” È di nuovo Noah a rispondermi: Laviah si è voltata di scatto verso la finestra e, protetta dalle persiane, scruta nel buio del vicolo.
“E cosa c’entro io con tutto questo? Il proiettile era per uno dei pirati che, a detta di Noko, mi hanno rapita, giusto? Quindi la medicina che Sishinobi mi sta somministrando è l’antidoto?”
Gli occhi stanchi e gonfi di Noah si incatenano nei miei, mentre lei scuote la testa piano, le labbra sottili serrate con un tremito.
“La sostanza che ti sta iniettando il medico è un derivato della Kuraina. Serve a rendere l’effetto definitivo.”
Mi appoggio allo schienale della sedia, la mia mente è completamente offuscata, la mano istintivamente corre a serrarmi la bocca, così che l’unica cosa che riesco a fare è sussurrare un flebile “No…”
“Dobbiamo andare. Subito.” Laviah è piuttosto agitata, sembra aver visto qualcosa dalla finestra; ma io non mi muovo: rimango in silenzio a fissare Noah, la quale ricambia il mio sguardo terrorizzato con uno pieno di sensi di colpa.
“Adesso, Fusha!” incalza la sorella.
Mi alzo, ma i miei movimenti sono irrigiditi dall’ultima rivelazione della ragazza che mi sta di fronte, la quale, con un ultimo, doloroso sforzo, mi afferra la mano e dice: “Non tutto è perduto. Qualcosa non ha funzionato nel processo chimico: il farmaco non è pensato per le persone normali. Devi trovare il modo di ricordare! Conquista la fiducia di Noko,fingi di fidarti di lui, così che ti dia maggiore libertà: se si accorge che sai, ti rinchiuderà nella clinica, e tu… Dimenticherai tutto.”
 
Ci infiliamo le mantelle e usciamo nel vicolo.
È la mia accompagnatrice a rompere immediatamente il silenzio:“Mi dispiace avervi interrotto così, ma non possiamo perdere tempo. Sta per…”
“Piovere!” percepisco il tono sorpreso della mia voce, quasi come se a pronunciare quella parola fosse stata un’altra persona.
“Come facevi a saperlo?” lo sguardo di Laviah è sorpreso.
“Non ne ho idea.” 



NdA: Ciao a tutti!
Spero davvero di aver soddisfatto almeno un po' di curiosità! 
Ora che ho finito gli esami dovrei lavorare ad un ritmo un po' più spedito!
Grazie davvero a Gelidha Oleron e Akemichan che continuano a sostenermi con le loro splendide recensioni! 
E un grazie va anche a tutti i (18!) che hanno aggiunto la storia tra le seguite!

A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Il ritorno alla villa non è stato semplice come la fuga: ha iniziato a piovere nel preciso istante in cui abbiamo rimesso piede nel parco, cosa che ci ha obbligate a correre a perdifiato su per la collina per non lasciare tracce di bagnato una volta rientrate.
 
Ora, stesa sul letto della clinica, cerco di riportare i battiti del mio cuore ad un ritmo più normale. Credo manchino ancora un paio di ore all’alba, ma è difficile a dirsi, per via del forte temporale che si è scatenato subito dopo il nostro rientro.
La mia mente è talmente piena di nuove notizie che non so nemmeno da dove iniziare per fare chiarezza. Inspiro profondamente e mi metto seduta, scrutando nell’oscurità alla ricerca di qualcosa da fare; di starmene con le mani in mano non se ne parla nemmeno: potrei impazzire.
Così, vago tra i letti della sala, osservo i complicati macchinari, apro gli armadietti, sposto e metto in disordine le delicate strumentazioni che trovo sui tavolini immacolati; ad ogni minuto che passa i miei gesti diventano sempre più irrequieti e veloci.
Quando un tremito nervoso della mia mano manda in mille pezzi una boccetta di vetro racchiudente un liquido viola, decido di darmi una calmata e mi siedo sul pavimento tra due brande in fondo alla stanza.
Sulla mia destra, un comodino bianco:“Sarà chiuso come tutti gli altri” penso; ma ancora una volta il fato mi dimostra che non sono io a condurre i giochi: è aperto e, all’interno, un paio di bottiglie di liquido ambrato mi fissano come se non aspettassero altro da giorni.
Ne afferro una e con diffidenza ne annuso il contenuto.
Sembra liquore.
“Be’…” sussurro tra me e me: “… Male che vada potrei ubriacarmi. Ma tanto, andando avanti di questo passo, il giorno dopo non me ne ricorderei.”
 
 
 
È Laviah a svegliarmi.
La prima cosa che vedo è il suo sguardo, a metà tra l’infuriato e l’impietosito; poi una fitta di mal di testa mi costringe a richiudere gli occhi.
Senza dire una parola, cosa di cui le sono sinceramente grata, mi aiuta ad alzarmi.
Fortunatamente il tempo è ancora pessimo, e la luce che penetra dalle finestre non è abbastanza forte da infastidirmi. Mi siedo sul letto, ancora intatto, la osservo prendere il vassoio della colazione e appoggiarmelo sulle ginocchia: “Mangia. E vedi di far sparire quello sguardo confuso dalla faccia, o Noko capirà che è successo qualcosa.”
Mangio in silenzio, mentre lei ripulisce con cura il disastro da me causato questa notte.
 
 
 
Con la pioggia il panorama dalla grande vetrata della sala da pranzo è un po’ più malinconico di come lo ricordassi, ma la vista dei fulmini che toccano la superficie del mare mi da quella scossa di adrenalina che necessito, dopo una nottata come quella appena trascorsa; Laviah mi ha fatto fare un bagno caldo e mi ha dato dei vestiti puliti, ma non credo di essermi ancora ripresa del tutto.
Mentre ero nella vasca ho trovato delle tracce di cera sulle dita; sicuramente erano state lasciate dalle candele che c’erano sul tavolo a casa di Noah, ma non so per quale strano motivo per la mia testa è passata l’assurda idea di una gigantesca torta di compleanno in cera, con tanto di statue a grandezza naturale, e la sensazione di esserne completamente ricoperta mi ha avvolta per qualche secondo.
Un sospiro sfugge dalle mie labbra: e se non riuscissi mai a ricordare? Se anche questi lampi di ricordi dovessero finire, un giorno?
Il rumore della porta che si apre mi fa voltare, e Noko fa il suo ingresso nella stanza.
Devo dire che oggi è davvero raggiante.
Sto per farmi pervadere dalla piacevole sensazione di avere accanto un uomo così affascinante, quando ricordo a cosa è dovuto il suo buonumore, e la voglia di sorridergli scivola via in un attimo.
Nonostante ciò, seguo le indicazioni di Noah: sfodero la più serena delle espressioni nel mio repertorio e mi avvicino.
“Sei un incanto.” Mi dice, sfiorandomi il dorso della mano con le labbra.
“E tu un bastardo.” penso.
Riesco a trattenermi e, abbozzando un sorriso timido, rispondo semplicemente: “Grazie.”
Come al solito le buone doti oratorie di Noko tengono viva la conversazione durante il pranzo, ma stavolta sono io a fargli da spalla per qualche battuta, a sorridere quando lui lo fa, a flirtare maliziosamente imboccandolo con il dessert.
Tutto sommato è una persona davvero piacevole.
È proprio al momento del dessert che il nostro pranzo viene interrotto da un inserviente, che si avvicina a Noko e gli sussurra qualcosa nell’orecchio.
Lo osservo mentre si fa improvvisamente nervoso, si passa il tovagliolo sulla bocca e congeda con un gesto il cameriere; dopodiché alza lo sguardo su di me e con un sorriso sinceramente dispiaciuto mi sussurra: “Mi dispiace, tesoro, devo proprio andare. Sembra che in paese sia richiesta la mia presenza.”
Gli rispondo anch’io con un sorriso e, dopo avermi fissata per qualche istante, ed aver bisbigliato un “Con permesso”, lascia la sala.
Rimango seduta a fissare quel che rimane del mio dolce per un tempo indefinito, dopodiché mi alzo e mi dirigo di nuovo verso la vetrata, dove faccio appena in tempo a scorgere la macchina di Noko che si allontana verso il paese.
Nuovamente, il rumore di una porta che si apre alle mie spalle, mi fa voltare verso la tavola, dove la cameriera con i capelli biondi sta appoggiando qualcosa.
Mi avvicino di qualche passo, mentre lei si congeda con un inchino formale.
Raggiungo il mio posto e osservo il piccolo cestino di paglia lasciato dalla ragazza: è colmo di piccoli agrumi dal colore intenso.
Per qualche motivo, quella vista mi provoca una strana sensazione all’altezza dello sterno, e il mio respiro si fa più faticoso.
Con le mani tremanti prendo il cestino, lo avvicino al viso e aspiro l’aroma di paglia e agrumi.
Lascio che la fragranza secca della paglia e quella leggermente acidula dei frutti mi riempia i polmoni.
C’è qualcosa di più della semplice attrazione per un buon profumo: io… Non riesco a smettere di aspirare quel sentore.
 E calde lacrime cominciano a rigarmi le guance.
 
 Quando rialzo il capo ho davanti la ragazza con i capelli biondi che, indecisa sul da farsi, alterna uno sguardo a me e uno alla tavola. Ho ancora tra le mani il cestino di paglia: per quanto tempo sarò rimasta seduta sul pavimento a piangere?
Raccolgo tutta la dignità che riesco a racimolare, mi alzo, appoggio il cestino sul tavolo e lascio la sala senza dire una parola; stretto nel pugno chiuso, un mandarino.



NdA: Ciao a tutti!
Il capitolo è cortissimo, me ne rendo conto, ma ho pensato che servisse una pausa più leggera tra il precedente e quello che vi aspetta, visto che sarà un po' più lungo e "pieno" del solito.
Che dire, ringraziare ancora una volta i gentilissimi recensori che mi incoraggiano ogni volta con le loro critiche positive può sembrare scontato, ma non lo è! Quindi grazie a tutti! In particolare ad Akemichan, Gelidha Oleron e LuNa_35, sempre costanti e gentilissime!

A prestissimo!

Felya

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 Un ragazzo in piedi dietro a me mi da la schiena, mentre il rumore dei proiettili che si scontrano con le sue spade mi riempie le orecchie; l’odore di zolfo, ferro e polvere, così intenso da sembrare reale; il sudore sulla mia fronte, mentre stringo i lembi di una casacca rossa, e poi più nulla. Il buio.Un dolore lancinante all’altezza della ferita ormai in via di guarigione mi toglie il fiato, e continua a torturarmi persino ora, che sono seduta sul mio letto, nella clinica, col fiato corto e un mandarino stretto in mano.
Nel momento in cui il sentore intenso di paglia e agrumi è sceso nei miei polmoni, la mia mente ha cominciato a ripropormi immagini e flash, ricordi sepolti da qualche parte, come germogli che spuntano ai primi raggi del sole primaverile.
 
Ho rivisto mia madre, Bellemere.
Ho rivisto Genzo e Nojiko; il nostro campo di mandarini e gli orrendi uomini pesce.
È tutto ancora così confuso, ma credo che sia stato il profumo del piccolo frutto che ora sta sul palmo della mia mano a riportare tutto in superficie.
È strano, però: proprio ora che comincio a ricordare, un enorme senso di vuoto e malinconia mi assale, e si posa come un macigno proprio in mezzo al petto.
Devo ancora capire così tante cose: chi erano le persone che combattevano intorno a me, sotto quel sole cocente? Perché annusando il cesto di mandarini la mia mente ha riproposto le loro figure sfocate? E, ancora, perché stavolta oltre al cappello da cowboy, ricordo le spade, una sigaretta e un’enorme fionda?
Chi stavo proteggendo col mio stesso corpo?
E perché alla domanda “da chi lo stavo proteggendo” una vocina nella mia testa risponde: “Noko”?
Devo scoprirlo.
 
Mi alzo dal letto, appoggio il mandarino sulle coperte, ed esco nel corridoio.
La pioggia sferza ancora con intensità i finestroni davanti a me, e posso intravedere sopra le cime degli alberi i bagliori dei fulmini che toccano il mare.
Ricordo la prima volta che ho messo piede in questo stesso passaggio: il verde brillante del fogliame e i raggi del tramonto che giocavano con i fiori del giardino. Sembra tutto così diverso, ora.
Il più silenziosamente possibile mi dirigo verso lo studio di Noko: so che se in questa casa ci sono delle risposte, è lì che le troverò.
La porta è stranamente aperta: Noko deve essersi dimenticato di chiuderla per via della fretta; la mia teoria trova conferma non appena me la chiudo alle spalle, e davanti a me lo studio appare completamente avvolto nel disordine: carte e cartine giacciono sparse sulla massiccia scrivania, alcune sono cadute e ora si trovano per terra.
Per qualche secondo rimango immobile, la schiena appoggiata alla porta, mentre i miei occhi si abituano alla penombra della stanza.
Bene. Ora che sono qui?
Non so nemmeno da che parte iniziare, così mi siedo alla scrivania e comincio a far scorrere lo sguardo sui fogli davanti a me.
Per la maggior parte si tratta di resoconti sul traffico marittimo, lettere di privati che informano Noko sulle principali merci che attraversano un dato tratto di mare, o inviti per feste e riunioni, ornate da preziosi decori in filigrana.
Ne prendo uno e lo osservo con più attenzione: dice solo “Libeir, tra 15 giorni”. Cerco il mittente, ma non trovo nessun nome; al suo posto c’è solo l’immagine stilizzata di un gabbiano e una volpe.
Non ho il tempo di farmi altre domande, perché la mia attenzione viene catturata da un’altra busta.
Sembrerebbe identica a tutte le altre ma, non so per quale motivo, la linea blu che ne decora il bordo ha un che di familiare. La rigiro più e più volte tra le mani: è ancora sigillata e, se dovessi aprirla, Noko se ne accorgerebbe di sicuro.
La rimetto sulla scrivania, ma proprio nel momento in cui la appoggio sopra le altre carte un fulmine illumina la stanza; è questione di una frazione di secondo, ma sono certa di non essermi sbagliata: sulla busta c’è disegnato qualcosa.
La porto davanti alla finestra e la rigiro attentamente, inclinandola in varie posizioni finché non trovo quella giusta, ed ecco che lo vedo: il gabbiano simbolo della marina.
Il ricordo della divisa di Bellemere si fa strada, doloroso, all’altezza dello stomaco, ma non lascio che il panico mi assalga, non ora.
Velocemente, rimetto la lettera al suo posto e apro il primo cassetto della scrivania. Dallo spiraglio fa capolino una pistola e lo richiudo con la stessa velocità. Il secondo è chiuso a chiave e così tutti gli altri, ma non l’ultimo, che si spalanca docile al mio tocco.
Faccio un respiro profondo e tiro fuori la busta al suo interno.
È molto più grande delle altre, ma la bordatura blu è la stessa dell’altra lettera.
Nessuna intestazione, nessun mittente, solo il nome di Noko scritto a penna nell’angolo in basso a destra.
Faccio un altro respiro profondo e ne estraggo il contenuto.
Il primo foglio è una notifica di avvenuta cattura di una certa Cocoa, una strana tizia con i capelli neri e il nasone.
“Merita l’arresto solo per il terribile vestito che indossa” sussurro, con una smorfia.
Scosto il foglio e lo appoggio sul pavimento di fronte a me.
La pagina seguente è un breve elenco.
 
Totale membri ciurma: 9
Utilizzano frutti: 4
Taglia totale: 842.000.050 Berry
Ultimo avvistamento: Sabaody
Priorità: massima
 
Un bel gruppo di cattivoni, non c’è che dire.
 Ma il sorriso mi muore sulle labbra nel momento stesso in cui scosto il foglio e davanti a me appare il primo avviso di taglia.
Per qualche secondo rimango immobile, le labbra ancora socchiuse, il battito irregolare del cuore che mi pulsa nei timpani, la mano ancora sospesa a mezz’aria dopo aver lasciato cadere il foglio dell’elenco.
I suoi occhi neri si incatenano nei miei, la mano aperta in un saluto spensierato fa capolino sul bordo della foto. Ci appoggio la mia, lascio che il suo sorriso rassicurante mi contagi, e un’ondata di ricordi invade la mia mente.
 
Un mare di spruzzi mi bagna i vestiti, mentre un ragazzino con un cappello di paglia mi sorride e si regge al parapetto della scialuppa che mi è appena piombata di fianco.
 
Il polverone formatosi dopo il crollo di Arlong Park si dissolve, e la sua voce forte, decisa, perentoria, urla che io sono la sua nakama. Porto la mano alla bocca, il suo cappello calato sulla mia testa, e annuisco.
 
Una folata di vento gelido mi investe, mentre il suo corpo caldo si muove sotto di me, e le sue mani non allentano mai la presa, mentre cammina nella neve.
 
L’eco di una campana che suona in lontananza svanisce piano piano, mentre fisso il sorriso del mio Capitano, sdraiato al mio fianco su una nuvola.
 
Mi sembra quasi di risentire la sua stretta sul mio fianco, mentre mi dice di aggrapparmi forte a lui e insieme scappiamo sui tetti di Water 7.
 
Mi rivedo sfogliare il giornale e perdere un battito alla vista di lui che, da solo, porge l’ultimo saluto al fratello.
 
Quando riapro gli occhi il manifesto del mio capitano è bagnato di lacrime e sangue: mi accorgo solo ora di essermi morsicata il labbro con tanta forza da romperlo, macchiando la scritta dei 400.000.000 berry che pendono sulla testa del pirata Monkey D. Rufy.
Così lo appoggio sul pavimento, mi pulisco il viso con la manica e scorro una ad una le taglie che seguono.
 
Zoro. Era lui il ragazzo in piedi davanti a me che urlava e lottava con tutte le sue forze per difendermi. Posso ancora sentire il rumore delle sue spade contro i proiettili.

Sogeking. Alla vista della sua taglia sorrido. Era così entusiasta di essere comparso di sbieco sulla taglia del Capitano e ora che ne ha una tutta sua, non si riconosce nemmeno!

Sanji. Povero Sanji, nemmeno a lui hanno reso giustizia nella foto sul manifesto. In un attimo lo vedo cadere al mio fianco, nella polvere; la sigaretta ancora accesa gettata a qualche spanna da lui.

Chopper. Cosa direbbe se sapesse che ci sono medici come Sishinobi? Lui, sempre così ligio al dovere, anche quando gli viene ordinato di non esserlo.

Robin. Perdo un altro battito mentre realizzo che il cappello da Cowboy apparteneva a lei. Se solo fossi qui, Robin.

Franky, Brook. Il primo si è giocato tutto a costo di aiutarci; il secondo dopo aver perso tutto, condizione invidiabile per un pirata, si è rimesso in gioco e ci ha seguiti senza remore.

Appoggio i loro manifesti sul pavimento, vicino a quello di Rufy.
Tengo l’ultimo stretto tra le mani e mi ritrovo a fissare la mia stessa immagine; il sorriso ammiccante e il tatuaggio bene in vista.
Sotto la frase di rito campeggia in lettere maiuscole il mio vero nome: Nami.
Eccolo il mio terzo colore primario: il mio blu intenso e brillante come il mare.
Sono una ragazza… Ho un tatuaggio… E sono un pirata.



NdA: Le mie più sentite scuse per l'incredibile ritardo! Non volevo pubblicare questo capitolo prima di aver pronto il successivo perchè sapevo che poi sarebbe stato difficile andare avanti!
Quindi ora eccomi qui: con mille scuse ai lettori e i consueti sentiti ringraziamenti a Monkey_d_mary, Gelidha Oleron ed Akemichan per le loro magnifiche recensioni, e a tutti coloro che seguono o leggono la storia!

A presto!

Felya

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il click improvviso della serratura mi fa alzare lo sguardo e, seminascosta dalla scrivania, osservo impotente la porta dello studio aprirsi piano.
Il più silenziosamente possibile, scivolo sotto il piano dello scrittoio, e attendo.
Nulla.
Non un rumore rompe il silenzio carico di tensione, e sto per rilassarmi, quando alcuni passi leggeri si dirigono verso la scrivania.
Con orrore mi accorgo di aver lasciato gli avvisi di taglia in bella mostra di fianco alla sedia.
Dannazione!
Velocemente allungo la mano per avvicinarli a me; afferro quello di Rufy, poi tutti gli altri. Sto per recuperare anche la notifica di cattura della tizia dal dubbio gusto estetico, quando qualcosa attira la mia attenzione.
Il silenzio.
Nessun rumore di passi, nessuna porta che si richiude, nulla.
Trattengo il respiro e, molto lentamente, alzo lo sguardo oltre il bordo del piano di scrittura.
Due occhi neri, profondi come l’oceano, mi stanno fissando con sgomento.
Per qualche, interminabile, secondo rimaniamo così: a fissarci con stupore; poi una mano liscia e affusolata fa capolino nella mia visuale, l’indice alzato ad intimarmi il silenzio, mentre dietro di essa Laviah scuote piano la testa.
Espiro, lasciando che la tensione accumulata scivoli fuori dalle mie labbra.
Laviah però non sembra affatto tranquillizzata e, con lo sguardo fisso su di me, mi fa cenno di uscire da sotto la scrivania.
Dopo un secondo di esitazione rimetto l’avviso di avvenuta cattura e l’elenco nella busta indirizzata a Noko, infilandola poi nel cassetto, che richiudo con cautela; afferro le taglie e scivolo fuori dal mio nascondiglio.
Laviah è voltata verso la porta, lo sguardo attento fisso sulla maniglia, il volto serio e le mani strette a pugno; quando sono ormai in piedi dietro di lei e sto per aprire bocca, alza la mano, porta di nuovo l’indice davanti alle labbra e, con gli occhi sbarrati, mi indica una piccola lumaca, posata proprio sul muro a destra dell’uscio.
Non ho idea di cosa sia, ma ho afferrato il concetto che Laviah vuole trasmettermi: dobbiamo uscire di qui il più in fretta e silenziosamente possibile.
La seguo docile fin fuori dallo studio, la osservo richiudere con cautela la porta a chiave, la guardo espirare piano e fissarmi con rimprovero.
“Che cosa credevi di fare? Qui è tutto sotto sorveglianza, mi sembrava di avertelo detto.” Mi dice in un sussurro, mentre insieme ci avviamo di nuovo verso la clinica.
“La lumaca?”
“Sì. È una lumacamera, ma è talmente vecchia e mal ridotta che ormai registra solo l’audio. A Noko va bene così, perché non ama essere osservato, ma puoi star certa che qualsiasi rumore molesto tu abbia fatto, Sishinobi nel suo studio ha la gemella, e l’ha sentito.”
“Non ho fatto alcun rumore, e non ho spostato nulla. Ho solo preso dei fogli.”
“Tu, cosa?” Laviah si ferma in mezzo al corridoio, con lo sguardo fisso sugli avvisi di taglia nella mia mano e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Credo di non averla mai vista così terrorizzata.
“Forse non hai ancora capito che tipo sia Noko. Se dovesse scoprirlo lui…” si ferma, inspira ed espira profondamente, poi prosegue: “Verrai con me, ora, e rimetterai quei fogli dove li hai trovati.” Nel dire ciò si è già voltata e si sta dirigendo nuovamente verso lo studio.
La seguo docile, un sorriso divertito ad incresparmi le labbra.
“Davvero, che cosa credevi di fare? Fusha, io…”
“Nami.”
“… Ci metterai tutte nei guai. Spero tu ti ricordi dove… Cosa?”
Si ferma di nuovo, la mano già allungata verso la porta; stavolta però lo sguardo è fisso sul mio viso, mentre le sorrido serenamente.
“Nami. Il mio nome è Nami.” Le dico, senza smettere di sorridere.
“Tu…” sussurra piano, ma stavolta sono io a non darle il tempo di proseguire, ed incalzo: “Navigatrice sulla nave Thousand Sunny; membro della ciurma dei Mugiwara; pirata sotto la bandiera di Monkey D. Rufy.”
“… Ricordi.” Finisce lei, in un soffio.
“Sì.”

Per quella che sembra un’eternità rimaniamo ferme a qualche passo dalla porta dello studio, immobili.
Non distolgo mai lo sguardo da quello di Laviah; sembra davvero indecisa. Che io abbia calcato troppo il timbro sulla parola pirata?
Faccio un passo verso di lei e la vedo indietreggiare impercettibilmente; sì, forse ho esagerato.
“Laviah, puoi fidarti: pirata non significa assassino.”
Dopo aver esitato un attimo la vedo rilassarsi: “Sì. Hai ragione, scusa. È che non me lo aspettavo proprio.”
Non sapendo cosa risponderle, rimaniamo nuovamente in silenzio, ascoltando il rumore della pioggia contro le vetrate. Un tempo anch’io odiavo i pirati, o almeno così mi sembra di ricordare: certe cose sono ancora confuse come aloni sbiaditi nelle pagine della mia memoria. Ad ogni modo posso capire come si senta, e sto cercando qualcosa da dirle per tranquillizzarla, quando Laviah mi dimostra, ancora una volta, la sua grande forza: lascia da parte dubbi ed incertezze e mi chiede, pratica: “Cosa farai ora?”
“Non lo so.” Le dico, accostandomi alla vetrata e guardando fuori:“Non so nemmeno se siano ancora vivi.”
Si avvicina a me di qualche passo, con delicatezza prende gli avvisi di taglia dalla mia mano e osserva il primo: “E’ questo il tuo Capitano?”
Mi volto verso di lei e osservo il sorriso spensierato di Rufy: “Sì, è lui.” Rispondo.
Per una manciata di secondi la mia interlocutrice osserva intenta l’avviso, le labbra serrate per la concentrazione e gli occhi che vagano per la foto, alla ricerca di non so quale segno; poi solleva lo sguardo e, per la prima volta da quando si è presentata, mi sorride rassicurante.
“Uno così non può certo farsi sconfiggere facilmente! Verranno a prenderti.”
Ricambio il suo sorriso e annuisco. So che lo faranno, come ogni volta. Ma non rimarrò con le mani in mano: mi serve un piano.
I miei pensieri sono interrotti dalla vista di Laviah che, con un’espressione talmente concentrata da risultare al limite del comico, rigira il manifesto del mio Capitano, scrutando la foto da varie angolazioni.
“Eppure… Ha un viso familiare.” Dice, senza alzare nemmeno lo sguardo dal foglio.
Sorrido e la osservo scorrere piano piano le altre taglie, fino a soffermarsi sulla mia.
Sospira piano, prima di dirmi: “Non posso permetterti di scappare, lo sai, no?” il suo sguardo è inespressivo mentre fissa un punto del corridoio davanti a sé.
“Se tu scappassi, Noko e Sishinobi se la prenderebbero con me, con mia sorella… Con mia madre. Non posso farlo stavolta.”
Mi volto di nuovo verso la vetrata e osservo le foglie degli alberi sferzate dal vento e dalla pioggia battente, mentre la consapevolezza di non poter abbandonare al loro destino queste ragazze si fa strada in me, accompagnata da una sgradevole sensazione di nausea.
Il silenzio è interrotto dai passi leggeri della ragazza coi capelli biondi che, portando un cesto pieno fino all’orlo di lenzuola, si sta dirigendo verso di noi.
Vedo Laviah aggrottare le sopracciglia, fissando la cameriera con un misto di curiosità ed astio; quindi mi porge i manifesti con un gesto veloce e si avvicina alla ragazza: “Cosa stai facendo?” le chiede, autoritaria.
La testa bionda della giovane spunta da dietro la montagna di biancheria, per un attimo il suo sguardo indugia su di me, poi, accortasi della reale identità della sua interlocutrice, si fissa su Laviah: “Oh. Questi? Sono per gli ospiti. Quattro camere.”
Dal tono della conversazione intuisco che non debbano starsi particolarmente simpatiche, anzi, mi pare di capire che la ragazza bionda sia seriamente intimorita dall’autorità di Laviah.
Sorrido al pensiero che, pur essendo qui solo da qualche giorno, abbia già messo in chiaro la gerarchia.
“D’accordo. Va’ pure.” Con un gesto spazientito congeda la giovane, la quale, accennando un inchino prosegue oltrepassandomi.
Sento il suo sguardo su di me nella frazione di secondo durante la quale ci troviamo spalla a spalla, e un brivido freddo mi percorre la schiena.
“Andiamo, ti riaccompagno alla clinica.” È Laviah a riportarmi alla realtà.
La raggiungo e insieme ci avviamo di nuovo verso la mia stanza.
“Chi sono gli ospiti di Noko?” le chiedo, dopo qualche passo.
Di fianco a me Laviah aggrotta le sopracciglia fini e, mantenendo lo sguardo sul pavimento davanti a sé risponde: “Non lo so, ma questa storia non mi piace.”
Non so se sia l’inquietudine di Laviah, o i troppi ricordi confusi che d’improvviso colmano la mia mente, ma la sgradevole sensazione di nausea che mi ha assalito poco fa torna a farsi sentire mentre camminiamo fianco a fianco nel corridoio, e quando arriviamo alla porta della clinica ho la fronte madida di sudore per lo sforzo.
Laviah sembra notarlo, e senza dire una parola mi fa stendere a letto. L’ultima immagine che riesco ad intravedere tra le palpebre semichiuse è la sua espressione; sta tentando in tutti i modi di nascondermelo, ma nei suoi occhi si legge a chiare lettere una cosa sola: paura.



NdA: Ciao! Che dire, pensavo seriamente che questa sarebbe stata una breve ff da qualche capitolo e nulla più, ma mi sono presto resa conto che se si scrive di One Piece non si può evitare di inserire intrighi e trame complesse! =)
Spero con tutto il cuore di non deludere mai i lettori e prometto solennemente che i Mugiwara arriveranno prestissimo a fare un po' di sano casino! 
Ne approfitto per ringraziare Gelidha Oleron, Akemichan e monkey_d_mary, sempre assidue e gentilissime nelle loro recensioni, e agginungo un grazie anche a Melody97, per aver letto la fan fiction tutta d'un fiato e aver anche recensito! Grazie davvero!
E grazie anche, naturalmente, a tutti i lettori!!

A presto!

Felya

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


“Svegliati!”
Quando apro gli occhi Laviah è di nuovo accanto a me, ma questa volta non si sforza nemmeno di nascondere l’espressione di panico dei suoi occhi; delicatamente mi strattona di nuovo e sussurra: “Devi svegliarti ora!”
È notte, e non si sente nessun rumore, se non quello del respiro affannoso della mia interlocutrice, che ora mi sta aiutando a mettermi seduta.
Un brivido mi percorre e mi accorgo di essere completamente fradicia di sudore; sento il freddo penetrarmi nelle ossa e allo stesso tempo percepisco il bollore della mia fronte. In un lampo mi ritrovo sulla Going Merry, a fissare un orizzonte che diventa sempre meno nitido, mentre Bibi, seduta di fianco a me, mi fissa preoccupata.
“Ho la febbre, Laviah.” Dico, flebilmente.
“Lo so. Non ho idea di come sia potuto succedere, però ora ascoltami: devi riprenderti e andartene.”
“Cosa?!” la fisso sconcertata, mentre mi mette sulle spalle un mantello e lega stretti i nodi che lo allacciano all’altezza della mia spalla.
“Gli amici di Noko. Sono qui. Ho appena finito di servire loro la cena nel salone.” Dice, senza nemmeno alzare lo sguardo.
“E quindi?” Sarà la febbre, ma non riesco proprio a seguirla.
Spazientita, Laviah si lascia sfuggire un sospiro; ha finito di allacciarmi il mantello e mi fissa, seria: “Sono solo due, e in questo momento si trovano, ubriachi, nelle proprie camere… E in dolce compagnia. Noko è andato a prenderli oggi pomeriggio al porto. Ma gli altri arriveranno domani mattina all’alba. Se non te ne vai ora, non avrai altre occasioni.”
Mi alzo con fatica; la febbre ha inibito la mia capacità di analisi e, nonostante ci sia chiaramente qualcosa che mi sfugge, seguo Laviah docile fino alle scale di servizio.
“E Noko?” le chiedo, mentre scendiamo.
“Noko è con la cameriera bionda.”
C’è ancora qualcosa che non mi torna.
Arrivate alla porticina di legno che da sul parco Laviah si china per rimettermi le scarpe, mentre io, seduta sull’ultimo gradino, riprendo fiato. Sto davvero malissimo, ma la mia mentre sta cominciando ad elaborare le informazioni.
“Aspetta: perché devo andarmene? Perché Noko dovrebbe farmi del male? Se avesse voluto uccidermi, avrebbe potuto farlo in mille modi in questa settimana, no?” le chiedo, rialzandomi.
Laviah è girata verso la porta; sento il rumore della vecchia serratura che si apre, e il sospiro della ragazza, poco prima che si volti verso di me e mi dica: “Sa che tu sai.”
In silenzio, usciamo nel giardino.
La pioggia battente mi riempie le orecchie e mi rinfresca la fronte calda.
“Com’è possibile?” le chiedo, sconfitta.
“Ha trovato delle gocce di sangue sul pavimento dello studio, vicino ai cassetti.”
Devo avere la faccia di una che confessa un crimine, perché vedo lo sguardo di Laviah passare dai miei occhi alle mie labbra, ancora tagliate.
“Non hanno buone intenzioni, Nami. Devono solo aspettare che arrivino gli altri, per decidere.” la mia accompagnatrice sospira piano, prima di dirmi: “Ho già aperto la porta del muro di cinta. Spero tu ti ricordi dov’era casa mia.”
Quest’ultima frase mi sveglia dal torpore:“Cosa? Tu non vieni?!” posso percepire il panico nella mia voce, ma non posso fare a meno di pensare che, no, in queste condizioni non mi ricordo dove diavolo sia casa sua.
“Noko mi ha dato dei compiti; si accorgerebbe troppo presto della mia assenza… E della tua.”
In un lampo capisco cosa questo implichi per lei e mi oppongo fermamente: “No. Laviah, no. Non posso lasciarti qui. Cosa ti succederà?!”
Con un gesto spazientito mi sistema il cappuccio sulla testa, fissa i suoi occhi scuri nei miei e mi dice: “Non farmi cambiare idea, pirata. Vai a casa mia, prendi mia sorella con te e trovate il modo di andare via da quest’isola il prima possibile. Mia madre è già partita.”
Rimaniamo a fissarci negli occhi per qualche secondo, poi Laviah si gira e rientra in casa.
“Buona fortuna.” Mi dice, sorridendo.
Rimango inebetita per qualche secondo:“Anche a te.” sussurro poi; ma è troppo tardi: Laviah ha già chiuso la porticina di legno, e io mi ritrovo da sola, sotto la pioggia battente.
 
 
Appoggiata al muro di cinta osservo, confusa, la strada davanti a me.
Il mio senso dell’orientamento mi ha guidato attraverso il parco, fino alla vecchia porta in legno massiccio.
Ma ora che il profumo degli abeti del giardino ha lasciato il posto all’odore di terra, misto al sapore ferroso dell’acqua piovana, davanti a me l’acquazzone confonde i colori e le forme delle case e delle piante, e non so nemmeno da che parte girarmi.
Maledizione.
Mi lascio guidare dall’istinto e mi infilo nel primo vicolo davanti a me.
Perdonami, Laviah: sto scappando come un coniglio; ma se l’unica cosa che posso fare ora per aiutarti è salvare tua sorella e portarla via da qui, questo è quello che farò. Puoi giurarci.
I gradini del vicolo scivolano via veloci sotto i miei piedi; cerco di orientarmi guardando le porte colorate e i vasi di fiori che tanto mi avevano colpito l’altra notte, ma senza le lanterne ad illuminarle sono solo aloni scoloriti nella mia visuale confusa dalla pioggia e dalla febbre.
Mi accorgo di essermi persa quando mi ritrovo in una piccola piazza circolare, da cui si diramano quattro strade in direzioni completamente diverse. Non sono mia stata qui: se ci fossi passata, con Laviah, mi ricorderei sicuramente della statua al centro dello spiazzo.
Rallentando il passo per riprendere fiato, mi avvicino al monumento; è la scultura di un uomo in abito elegante, che indossa un mantello.
Scostando il bordo del cappuccio fradicio dalla fronte, cerco di osservarne meglio il viso: è quasi completamente pelato, se non fosse per una folta cresta di capelli in cima al capo, e due lunghi baffi spioventi.
Dove ti ho già visto? Sforzati, Nami, avanti!
Un lampo improvviso illumina la piazzetta, colorando per un secondo le porte variopinte delle case e i vasi colmi di fiori.
Ma quello che vedono i miei occhi è ben altro: il buio mi aveva ingannato, ciò che sta sulle spalle dell’uomo non è un semplice mantello, è un’uniforme della Marina.
“Che ci fa la statua di un… Viceammiraglio in un paesino come questo?” sussurro, sporgendomi per osservare meglio le spalline del cappotto.
Rimango in silenzio a fissare la statua per qualche secondo, cercando di ricordare dove io abbia già visto quel volto, ma la febbre rende difficile qualsiasi ragionamento, e la nausea torna a farsi sentire; così decido di proseguire prendendo il vicolo che scende verso sinistra e, a fatica, mi incammino.
 
 
 
Saranno passati una decina di minuti al massimo da quando ho cominciato a percorrere il vicolo in discesa, ma mi sembra di vagare sotto la pioggia da ore.
Barcollo appoggiandomi al davanzale di una finestra, urto un vaso che si infrange al suolo e abbasso lo sguardo per verificare l’entità del danno, ma quello che vedo è solo una chiazza indistinta di colori confusi.
Dannata pioggia.
Quando passo la manica della maglia sul viso, per asciugarlo, e mi accorgo che la visuale non migliora, però, capisco di dover trovare un riparo e un rimedio per la febbre il più in fretta possibile.
Quindi mi avvio di nuovo lungo il vicolo.
Svolto a sinistra e, dopo una decina di faticosi passi, mi accorgo con sollievo di una tettoia che crea un punto riparato dalla pioggia.
Sospiro, lasciandomi cadere a terra: la schiena appoggiata al muro, gli occhi chiusi e l’affanno.
Come diamine sono finita in questa situazione? Appoggio l’avambraccio sulla fronte bollente, sollevo il viso in cerca di aria fresca e tento di fare il punto della situazione.
Che diavolo, persino Zoro avrebbe faticato a perdersi in un paesino così piccolo, possibile che la navigatrice di Monkey D. Rufy non riesca a trovare la strada giusta tra una manciata di casupole?
In un attimo il pensiero vola a Bellemère, e la rivedo, sorridente, mentre osserva la mia prima carta nautica: cosa penserebbe ora di me?
Sarà la febbre, ma mi soffermo su quel ricordo: lascio che il sole di Coco mi scaldi le spalle, e per un attimo posso sentire il profumo intenso dei mandarini scivolarmi nei polmoni.
Aspiro avidamente quel sentore: “Più che mandarino, per la verità, sembra il profumo di un fiore.” Penso, aggrottando le sopracciglia e cercando di annusare più a fondo.
Sì, decisamente questo non è il profumo dei miei agrumi, questo è profumo di….
“Glicine!” esclamo, spalancando gli occhi.
Ora che la pioggia non intralcia più la mia visuale, mi accorgo di non trovarmi sotto una tettoia, ma sotto un arco di pietra.
La pianta di glicine che l’altra notte mi aveva ricordato me stessa mi sovrasta con i suoi rami carichi di fiori violacei e la pioggia sparge il suo profumo intorno me, in un abbraccio consolatorio.
Il pensiero che la casa di Noah e Laviah si trovi a qualche passo da qui mi ridà forza, e l’energia ritrovata mi solleva da terra. Lancio un ultimo sguardo alla base dell’arbusto prima di svoltare l’angolo: le radici scoperte scavano con determinazione nello spiraglio di terra tra le lastre della pavimentazione. La piccola bambina che disegnava carte nautiche nel villaggio di Coco ha superato ogni genere di peripezia, la Nami adulta non si farà sconfiggere da una semplice febbre.
È con questo pensiero che arrivo, barcollando, fino alla porta della piccola casa in mattoni e busso; quando Noah mi apre riesco appena ad intravedere le sue labbra scandire il mio finto nome, prima di perdere conoscenza e cadere tra le sue braccia.



NdA: Ciao a tutti!
Che dire, andare sulla pagina delle ff di One Piece e trovare sotto la scritta Remember ben 39 recesioni è qualcosa che fa davvero un bell'effetto!
Quindi per prima cosa un mega ringraziamento a Gelidha Oleron, Melody97, monkey_d_mary, Akemichan e LuNa_35 ( a lei anche doppia, visto che mi sono dimenticata di ringraziarla la scorsa volta!) che, con le loro recensioni mi spronano a proseguire e sono continua fonte d'ispirazione per la storia! Un grazie anche a tutti i 25 (!) che seguono la storia, a tutti coloro i quali l'hanno aggiunta tra le preferite e a tutti quelli che leggono ed attendono pazientemente l'arrivo dei Mugiwara!
A questo proposito, vorrei tranquillizzare i lettori dicendo che arriveranno presto, ma ricordate che sono senza navigatrice.. e lo sappiamo  che senza Nami si perderebbeo persino in una piscina! =)
Già che ci sono... Buona Pasqua del Signore a tutti!

A presto!

Felya

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Il rumore dei proiettili che si scontrano con le spade di Zoro, l’odore di zolfo, di ferro e di polvere, il sudore freddo sulla mia fronte, sulla sua fronte.
 Un dolore lancinante mi perfora il fianco e mi toglie il fiato, mentre le urla dei miei compagni mi colmano le orecchie. Stringo a me i lembi sporchi della casacca del mio capitano, mentre li vedo cadere uno dopo l’altro sotto i colpi dei nemici. In piedi a fare scudo davanti me, Zoro urla insulti in direzione di due figure ormai fin troppo familiari, ma dopo pochi secondi tace anche lui. Nel silenzio che precede l’oblio l’ultima immagine che la mia mentre riporta in superficie è lo sguardo di Rufy: a pochi centimetri da me il mio capitano mi fissa severo, prima di abbandonarsi completamente tra le mie braccia.
Buio.
 
Non ricordavo di avere la testa così pesante.
Apro gli occhi piano, mi ritrovo a fissare un muro di mattoni ai piedi del letto e mi ci vuole qualche secondo prima di realizzare dove mi trovo.
Non so come ci sia riuscita, ma Noah deve avermi portata sin qui; mi tolgo la pezza bagnata dalla fronte e ascolto, un po’ stordita, i rumori provenienti dalla cucina.
Sul tavolo del soggiorno sono posate decine di boccette piene di liquidi colorati, erbe, sacchetti e libri aperti e, con la sola luce delle candele ad illuminare la sala, l’intero quadretto ha un che di inquietante.
“Ciao!” la testa di Noah sbuca fuori dalla cucina e lei mi sorride rassicurante.
“Ciao, Noah. Ti senti meglio?” le chiedo, mettendomi seduta.
A passo sicuro si dirige verso il tavolo, afferra una sedia e si accomoda di fronte a me: “Cavarsela in materia medica ha qualche vantaggio, sai.” Mi dice, appoggiando il gomito sul tavolo e la mano sotto il mento, proprio come faceva Nojiko quando, con l’aria di chi la sa lunga, ascoltava i miei progetti sulla liberazione del villaggio o, semplicemente, mi guardava esaminare con cura il bottino del’ultimo furto.
Mi sorride e le sorrido di rimando.
“Tu, invece? Come ti senti?” mi chiede, improvvisamente seria.
“Sto meglio, grazie. Per lo meno, non ho più la nausea.” Rispondo, tastandomi la fronte e scoprendola ancora bollente.
“La febbre non passerà facilmente.” Risponde, con l’espressione preoccupata: “Non ho idea di cosa te la stia provocando.”
Non sapendo cosa rispondere, ed essendo ancora parecchio confusa su tutta la situazione, rimango in silenzio, a fissare la fiamma delle candele posate sul tavolo.
“Cosa ci fai qui, Fusha?” è Noah ad interrompere il mio stato di isolamento.
In un lampo di lucidità ricordo il motivo della mia visita forzata e mi rendo conto di non avere tempo da perdere: fisso il mio sguardo negli occhi della ragazza seduta di fronte a me e tutto d’un fiato le racconto gli avvenimenti delle ultime 24 ore. Sarà per via della febbre, ma quando alla fine taccio sono di nuovo esausta.
Davanti a me Noah mi fissa con il fuoco negli occhi: “Cavolo, un pirata! Così, quando arriveranno, i tuoi compagni sconfiggeranno per sempre Noko! È magnifico! Nami, arriveranno presto? Che facciamo nel frattempo?”
Sorrido lievemente: sembra di sentir parlare Rufy.
Seduta sulla sedia mi guarda con gli occhi curiosi, come se, per la prima volta, mi vedesse davvero; mi si spezza il cuore all’idea di doverle dire la restante parte del piano.
“Laviah mi ha incaricato di portarti via da qui, quindi prenderemo una barca e raggiungeremo tua madre, ovunque essa si trovi.”
La vedo socchiudere le labbra, aggrottare le sopracciglia e tirarsi indietro di scatto, come se la mia rivelazione l’avesse scottata.
“Ma… Laviah è ancora alla villa.” Mi dice, con un filo di voce, ma senza mai distogliere lo sguardo da me.
“Lo so.” Rispondo, sconfitta.
“Non me ne vado senza di lei.” mi comunica, perentoria, mentre si alza dalla sedia e comincia a mettere in ordine i sacchetti e le fialette posati sul tavolo.
“Noah, ascolta, dobbiamo andare via e chiedere aiuto: non possiamo fare nulla da sole.”
Cerco di alzarmi anch’io ma un capogiro improvviso mi rimanda a sedere. Vedo Noah tirare un’occhiata nella mia direzione, afferrare una boccetta e sedersi al mio fianco: “Bevi.” Mi dice, per poi fissarmi preoccupata mentre ingoio il liquido ambrato e leggermente dolciastro. Certe persone non possono fare a meno di prestare soccorso: è più forte di loro.
Seduta al mio fianco, la mia ospite fissa il pavimento davanti a sé, in silenzio.
Come avrei reagito, io, se mi avessero detto di salvare me stessa abbandonando mia sorella al proprio destino?
L’immagine del dottore che ordina a me e a Nojiko di prendere il mare per salvare la vita di nostra madre mi si para di fronte: no, non avrei voluto lasciarla.
“D’accordo: andremo a prenderla.” Dico, in un sospiro.
Di fianco a me, Noah solleva di scatto la testa: il fuoco di nuovo negli occhi e un sorriso luminoso sulle labbra.
“Nami! Grazie!” mi dice, mentre, in uno slancio d’affetto, mi abbraccia.
Laviah mi ucciderà.
Senza esitare un secondo Noah si alza dal letto e comincia a radunare libri, boccette e contenitori:
“Ho un amico che lavora al porto: lui può fornirci la barca.” Dice, senza smettere di infilare oggetti nello zaino.
“Bene, andremo subito da lui, allora. Gli diremo di preparare l’imbarcazione mentre noi recuperiamo tua sorella.”


 
Usciamo di nuovo nella notte e per un secondo mi faccio prendere dallo sconforto: se il temporale non si calma sarà difficile navigare con una barca di piccole dimensioni.
Mentre Noah mi guida attraverso i vicoli del paese, cerco di informarmi sulla direzione da prendere: “Dov’è andata vostra madre?” le chiedo, dopo pochi passi.
In risposta, lei sembra illuminarsi, come se si fosse appena ricordata di una cosa importante: “Giusto! Ecco: questo è l’Eternal Pose dell’isola in cui si trova ora. Ci vive nostro fratello, che sta per avere un bambino; per questo nostra madre è partita.”
Mi passa l’oggetto e cerco di leggere il nome inciso sul legno, ma il buio e la pioggia ricoprono tutto con una coltre sfocata.
A richiamare la mia attenzione è la voce di Noah che, svoltato l’angolo esclama: “Accidenti, non ho mai visto il porto così affollato.”
Alzo lo sguardo e osservo il piccolo porticciolo ingombro di navi. Proprio davanti a noi si staglia un enorme vascello, l’ancora alla fonda e le vele ammainate. Nella foschia causata dalla pioggia il mio sguardo percorre il parapetto da poppa a prua, per scorgere eventuali passeggeri, per poi spostarsi in alto, alla ricerca di un vessillo di identificazione.
E la vedo.
Nella luce abbagliante di un lampo improvviso scorgo un guizzo di colore e i miei piedi si muovono veloci ancor prima che io debba ordinar loro di farlo.
Ormai alle mie spalle, Noah mi chiede spiegazioni, ma la mia mente e le mie gambe non sentono ragioni: accelerano il passo e percorrono di corsa la banchina dello scalo, per mostrare agli occhi ciò che il cuore ha già capito.
Mi fermo solamente quando ho superato del tutto l’enorme vascello che la nascondeva; calde lacrime cominciano a rigarmi le guance mentre osservo il leone sorridente sulla polena della Thousand Sunny.
 
Sono arrivati.



N.d.A: Ciao a tutti!
So che il capitolo è corto e molto in ritardo e mi scuso profondamente per questo! Ultimamente non  ho avuto un attimo libero!
Devo davvero ringraziare con tutto il cuore Melody97, Geligha Oleron, LuNa_35, Akemichan e tutti coloro i quali hanno recensito: leggere i vostri incoraggiamenti è davvero magnifico e mantiene viva in me la voglia di dare sempre il meglio! Spero, con questo capitolo, di avervi ricompensato almeno un po'! =)

A presto!

Felya

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


“Sono qui, sono qui, sono qui…”
Ripeto queste parole nella mia testa come se fossero una formula magica mentre, affiancata da Noah, percorro quasi di corsa le stradine che riconducono alla villa.
Abbiamo chiesto informazioni al guardiano, giù al porto, e questi ci ha risposto di aver visto scendere dalla nave un gruppo bizzarro e di aver dato loro indicazioni per arrivare alla residenza di Noko; per qualche strana ragione era convinto che si trattasse di una banda di musicisti, ma non v’è dubbio sul fatto che fossero i miei compagni: non si incontrano ogni giorno un uomo di gomma, una renna, uno scheletro e un cyborg tutti nello stesso gruppo.
La vista della nostra nave ancorata al porto e la certezza di trovarmi sulla loro stessa isola mi ha ridato forza, e ora accelero il passo, mettendo in difficoltà la mia accompagnatrice.
“Nami, ti prego, rallenta.” Qualche spanna dietro di me, Noah arranca nella pioggia e sono costretta a fermarmi.

Raggiungiamo la villa mentre la pioggia si fa più rada ma, questa volta, invece di passare per la piccola porta di legno massiccio sul lato nord-est, ci dirigiamo verso l’ingresso principale e superiamo ciò che rimane del cancello in ferro battuto: come sospettavo, infatti, dopo il passaggio dei ragazzi si è ridotto ad un insieme di macerie.
Poi ci incamminiamo a passo deciso attraverso il parco.
La voce di Noko mi arriva, nitida, alle orecchie, mentre saliamo la scalinata che dall’ingresso porta al secondo piano; ironico, sprezzante, si rivolge ai suoi interlocutori esprimendo tutta la sorpresa di rivederli ancora vivi.
Osservo Noah percorrere a fatica gli ultimi gradini e raggiungermi sul pianerottolo: i suoi occhi neri cercano i miei, la mia determinazione si scontra per la prima volta con il terrore nello sguardo della mia soccorritrice e, senza parlare, le faccio cenno di aspettare; poi, in silenzio, faccio il mio ingresso in corridoio.
 
Musicisti.

È la prima cosa che mi viene in mente mentre osservo lo schieramento di persone che ha occupato il corridoio.
Avvolti in kimono tradizionali, ognuno con il proprio strumento musicale, i miei compagni fronteggiano Noko, dandomi le spalle, cosicché è proprio quest’ultimo ad accorgersi per primo della mia presenza.
“Bentornata, dolcezza.” Mi dice, con un sorriso.
Uno dopo l’altro i miei compagni si girano verso di me; leggo sui loro volti il sollievo, che però viene quasi subito soppiantato da un’espressione preoccupata: in effetti, devo avere una cera davvero pessima se nemmeno Sanji proferisce parola sul mio aspetto.
L’unico a non perdere di vista Noko nemmeno per un secondo è l’individuo al centro del corridoio: senza nessuno strumento musicale, con le braccia tese lungo i fianchi e i pugni serrati, il mio capitano continua a darmi le spalle.
“Ehy, Nami!” Il primo a rivolgermi la parola è Usopp: “Stai bene?” mi chiede, avvicinandosi.
“Io… Sì. Ma come diavolo siete vestiti, tutti?!”
“Shttt! Non farti sentire!” mi sussurra, con l’espressione allarmata e un dito davanti alle labbra.
“No! È giusto che sappia! Abbiamo un idiota al posto di un capitano! Non ha nemmeno idea di cosa sia una carta nautica!” è Zoro a ribattere, senza spostarsi dalla destra di Rufy, e con gli occhi puntati su Noko.
“Da che pulpito! Ci hai fatto risalire un fiume, dannata testa d’alga!" Gli rimbecca Sanji dall’altra parte del corridoio in uno sbuffo di fumo.
“La prossima volta ci stai tu di vedetta in piena notte!”
 “Ti prego, Nami, non tocchiamo l’argomento.” Osservo la faccia sconsolata di Usopp e decido di non indagare oltre.
“Cara, come vedi abbiamo ospiti. Signori, vi presento la mia dolce metà.” Noko si intromette con un sorriso, troncando il battibecco di Sanji e Zoro e facendo qualche passo in avanti, verso di me.
Sto per ribattere, non capisco perché continui con questa farsa, ma la sua camminata si è già interrotta: senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, Rufy blocca la strada al mio rapitore con il braccio teso e il pugno chiuso.
Osservo Noko considerare con attenzione l’ostacolo, sollevare il mento e guardare di sottecchi il volto del mio Capitano. Per un paio di secondi rimaniamo tutti in attesa, e la tensione addensa l’aria, rendendola quasi palpabile, pesante; poi, finalmente, Rufy solleva il volto, guarda negli occhi il suo interlocutore e, con voce sommessa, dichiara: “Pensi di potetela cavare facilmente dopo aver fatto del male alla mia Navigatrice? Forse non l’hai capito, ma noi siamo Pirati.”

Avevo sentito altre volte Noko ridere, ma se durante le sue visite alla clinica, o nelle passeggiate attraverso il parco, la sua risata mi era parsa cristallina e piacevole, questa volta il suo scoppio di risa mi mette i brividi. La sua reazione scatena immediatamente quella dei miei Nakama, e mi accorgo solo ora che quelli che prima avevo scambiato per strumenti musicali, altro non sono che nuove armi, abilmente camuffate ma dall’aspetto comunque letale.
“Pirati” ripete Noko, quasi assaporando ogni sillaba. “Non avete idea di cosa ci sia, là fuori. Siete solo dei ragazzini senza esperienza. Non mi spaventa la tua taglia, Mugiwara: la marina tende sempre a sopravalutare quelli come te. Ora, se permettete…”
È questione di un paio di secondi: nell’attimo stesso in cui Noko tocca il braccio di Rufy per scostarlo, il Capitano lo sposta indietro e assesta al suo interlocutore un pugno dritto verso il viso. Credo che il mio rapitore sia riuscito a pararlo, ma questo non gli ha impedito di finire contro il muro, causando una lunga crepa che ora corre sopra di lui fino al soffitto.
Il rumore creato dall’impatto richiama l’attenzione degli ospiti della villa che, uno dopo l’altro, si presentano in corridoio, allarmati.
I due amici di Noko non proferiscono parola, lanciano uno sguardo al loro compagno, ancora appoggiato contro la parete, e si posizionano ai suoi lati.
Ho la vaga sensazione di averli già visti, e probabilmente erano con i miei due rapitori il giorno dell’attacco, anche se il ricordo di quell’ultimo avvenimento è ancora completamente sfocato; tuttavia la mia attenzione è attirata dall’enorme ventaglio che uno dei due porta sulla schiena, quasi fosse una spada.
“Noko, cosa diavolo…” Sishinobi arriva correndo dal fondo del corridoio, ma si interrompe non appena vede i miei compagni: “Ah, bene. Sono arrivati, finalmente. Vi aspettavamo per colazione, ragazzi, avete fatto in fretta. Noko, tirati su! Che modi sono questi? Abbiamo ospiti.”
Osservo Noko lanciare uno sguardo infastidito verso il medico, poi alzarsi con agilità e ripulirsi i vestiti, mormorando uno “Sta zitto, Sishinobi.” e in un attimo ripenso alla conversazione origliata dalla vasca da bagno: anche quella volta era stato il dottore a rimproverare lui. Forse dopo tutto non è Noko a comandare, qui.
“Tu, col camice bianco: hai qualcosa che mi appartiene.” Zoro interviene, tenendo ben stretto in mano uno shamisen tradizionale che nasconde una sola spada. Solo ora mi accorgo della mancanza delle altre due, e subito rivedo la vasta collezione di Noko, nella sala al piano terra.
Un sorriso furbo si dipinge sulle labbra dei due complici, ma è Noko a ribattere: “Due gran belle armi, non c’è che dire.”

“Usopp. Credo di sapere dove siano le katane di Zoro” sussurro alle spalle del mio compagno, mentre la conversazione tra i miei rapitori e i miei compagni prosegue in modo tanto tranquillo da risultare inquietante.
“D’accordo, vai a prenderle. Ti copro io.” Mi risponde, senza staccare lo sguardo dal tizio col ventaglio, che, a sua volta, sembra fissarlo con insistenza.
Faccio appena qualche passo verso il corridoio ed è proprio lui ad intervenire: spicca un salto, sfodera la sua arma e la usa come una vela per darsi slancio e planare su di me; subito dopo mi ritrovo sbalzata via da una violenta folata di vento e scivolo lungo il pavimento di marmo.
Quasi come se quello fosse stato un tacito segnale, tutti si muovono: Sanji e Usopp si parano tra me e lui; Zoro sfodera la sua unica katana e raggiunge Sishinobi; Brook e Chopper fronteggiano, in tutta la loro statura, il compagno di Noko, rimasto impassibile per tutto il tempo; Robin incrocia le braccia e in un attimo un paio di mani mi aiutano delicatamente ad alzarmi. Con ognuno dei miei compagni a bloccare ogni possibile avversario, sento che è il momento giusto per recuperare Noah e andare a cercare le spade.
La voce del mio Capitano, però, interrompe ogni piano di fuga: “Robin, Chopper, portate Nami alla nave e dite a Franky di tenersi pronto a salpare. Noi vi raggiungeremo presto.” Rimango immobile a fissare la schiena di Rufy, mentre Chopper e Robin mi raggiungono e mi accompagnano verso le scale. Ma come? Io sono qui, eppure non mi degna di uno sguardo e parla agli altri come se non ci fossi. Sembra quasi che sia arrabbiato con me.
La risposta al mio sospetto arriva, fredda e affilata come la lama di una spada, una frazione di secondo prima di varcare la soglia che dal corridoio porta alle scale; per la prima volta da quando sono arrivata, Rufy distoglie lo sguardo da Noko, per spostarlo, oltre la spalla destra, su di me.
Non è il sollievo che ho ritrovato sui volti dei miei compagni quello che ho letto negli occhi scuri del mio capitano, penso, ormai in piedi sul pianerottolo in cima alle scale.
Nei suoi occhi c’era solo delusione.



NdA: In ritardo, come al solito! =) Fortunatamente tra una settimana la compagnia teatrale di cui faccio parte porterà in scena lo spettacolo su cui lavoriamo da due anni, quindi il tempo di aggiornare la storia si è prosciugato come un rivolo d'acqua ad Agosto! Tuttavia, vi garantisco che non ho perso la voglia di scrivere, anzi: ora che sono arrivati i Migiwara comincia la vera sfida e spero di ricevere le vostre opinioni e critiche costruttive per migliorare ancora! Un grazie, a questo proposito, va a Gelidha Oleron, Aregilla, Melody97, LuNa_35, Akemichan e SuperMimi_ per le loro gentilissime recensioni! Grazie davvero di cuore: siete il miglior incoraggiamento possibile! Ne approfitto anche per fare gli auguri di compleanno all'uomo che diventerà il Re dei Pirati: Buon compleanno, Capitano!
A presto!

Felya

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


“Le ho trovate!” grida Chopper dall’altra parte della sala.
Il suono della sua voce mi arriva ovattato, lontano, e si mischia con la confusione creata dallo scontro al piano di sopra. Ho convinto i miei compagni a non portarmi subito alla nave e, appena messo piede nella grande stanza delle armi, Chopper e Robin hanno cominciato la ricerca delle spade di Zoro, aprendo tutti i mobili del salone e frugando dappertutto; nel frattempo Noah, preoccupata, mi ha fatto sedere per terra ed ora mi ritrovo appoggiata alla parete, ansimante, cercando di combattere per mantenere a fuoco le figure davanti a me.
“Sta peggiorando. E questa è l’ultima dose di preparato; speravo che l’effetto sarebbe durato di più.” Ascolto la voce sommessa della ragazza mentre bevo il liquido dolciastro dalla fialetta e cerco di focalizzare la mia attenzione sulla figura di Chopper che si avvicina a noi.
“Nami! Come ti senti?” mi chiede la renna, appena mi raggiunge.
“Fatico a mettere a fuoco e ho la nausea.”
“E febbre alta. Non riesco a fargliela passare.” aggiunge Noah, accovacciata al mio fianco.
Guardo il mio compagno esaminare con cura il mio viso, prendermi il polso, tastarlo e soffermarsi ad osservare le vene.
“Il colore del sangue è alterato. È un veleno.” sentenzia.
“Questo spiegherebbe perché il mio preparato non ha effetto. E perché le sue condizioni stiano peggiorando così velocemente.”
“Non capisco.” Replico.
“La medicina che ti ho dato è ricavata da un’erba locale, una specie di panacea tradizionale. Ma la corsa per arrivare qui e le ultime forti emozioni hanno accelerato il battito cardiaco, consentendo alla sostanza velenosa di circolare più velocemente, quindi l’effetto si è dissolto presto. Non riconosco i sintomi, comunque. Sishinobi ti ha dato qualcosa da mangiare?”
“No. Tutto quello che ho mangiato o bevuto io l’ha mangiato e bevuto anche Noko a cena. Ho cominciato a stare male subito dopo.”
Un rumore sordo ci interrompe, e dal piano superiore la voce di Rufy che urla il nome di Sanji giunge fino a noi, facendomi venire i brividi.
Chopper e Robin si scambiano uno sguardo preoccupato, prima che lei si rivolga a me:“Nami. Ascolta bene: dobbiamo aiutare i nostri compagni. Tu aspettaci qui e non muoverti per nessuna ragione. Ti controllerò, ogni tanto.”
Osservo l’occhio della mia compagna spuntare all’altezza del mio ginocchio, guardarsi intorno per un paio di secondi e poi sparire in una nuvoletta di petali.
“Nami. Io devo cercare mia sorella. Forse lei sa chi ti ha dato il veleno.” La voce di Noah, incrinata dalla paura, mi arriva flebile da destra, ma io ho già chiuso gli occhi e riesco solo ad annuire stancamente. Gli ultimi rumori che sento sono quelli dei passi veloci dei miei compagni che si allontanano.
 
Passi.
 
Leggeri, lenti e scanditi.
 
Apro gli occhi piano: forse Noah è tornata con Laviah.
 
In effetti, riesco ad intravedere una divisa da cameriera che si avvicina lentamente a me, anche se non riesco assolutamente a mettere a fuoco nulla che si trovi oltre la punta del mio piede.
È per questo che quando la ragazza si china su di me, così vicina da poterne sentire il profumo, e riconosco in lei la misteriosa cameriera bionda, ho un tuffo al cuore.
Mi fingo semi cosciente, anche se sento di riacquistare lucidità ad ogni secondo che passa, e spio di sottecchi le mosse della giovane.
 La vedo osservare con attenzione il mio volto, prendermi il polso, tastarlo con i polpastrelli e studiarne accuratamente le vene.
Non capisco. Da che parte sta?
Quasi come se avesse udito la mia domanda, solleva lo sguardo verso di me.
Mi ritrovo a fissare due iridi celesti, e un brivido di paura mi corre lungo tutta la schiena; se la prima volta non ho voluto dare retta al mio istinto femminile, ora capisco in un lampo di lucidità tutta la faccenda.
Velocemente faccio leva con le mani sul pavimento e le assesto un calcio sulla spalla; la ragazza indietreggia di qualche metro, un po’ per il colpo ricevuto, un po’ per la sorpresa, e rimane immobile a fissarmi.
Per qualche secondo restiamo così: lei in piedi a diverse spanne da me e io ancora seduta, le spalle contro il muro e lo sguardo, ora vigile, puntato sulla mia avversaria.
Mi rendo conto di essere in una posizione di estremo svantaggio, e prego mentalmente Robin di far apparire un occhio per poter chiedere aiuto; tuttavia, dopo qualche secondo di esitazione, la ragazza si volta e corre via, in direzione di una porta dall’altra parte del salone.
Senza pensarci oltre, mi alzo anch’io e mi dirigo verso le scale che portano al piano superiore, dove la battaglia prosegue senza sosta.
 


Le urla e i rumori dello scontro mi riempiono le orecchie nel momento stesso in cui metto piede nel corridoio affollato, rimuovendo in me anche gli ultimi accenni di stordimento.
Non so se il farmaco di Noah abbia sortito l’effetto desiderato, o se io mi trovi ancora nell’occhio del ciclone, a cavallo tra una ricaduta e l’altra, ma di una cosa sono certa: per adesso mi sento piena di energie e pronta a dare una mano ai miei compagni.
Raggiungo velocemente Sanji, appoggiato alla parete sulla mia sinistra, lontano dallo scontro;
Robin e Chopper hanno preso il suo posto nella battaglia contro il laconico compagno di Noko, e sembra che, per ora, riescano a tenergli testa.
Non sembra essere cosciente, così mi chino su di lui, l’orecchio teso ad ascoltarne il respiro regolare.
“Ehy, Nami-san, così mi dai il colpo di grazia…” lo sento ridacchiarmi nell’orecchio e mi rialzo di colpo, indecisa tra il tirargli un pugno per la battutaccia e l’abbracciarlo dalla felicità di saperlo vivo e vegeto.
“Sei sempre il solito, Sanji-kun. Cos’è successo?”
“Non lo so nemmeno io. Quel tizio è così veloce che non riuscivo neanche a capire da dove arrivassero i colpi. Sembrava di lottare contro un’ombra.”
Tiro un’occhiata veloce in direzione del trio, che combatte nell’angolo del corridoio vicino alla vetrata e noto che questa è stata infranta, così, sempre tenendo d’occhio il misterioso uomo vestito di nero che sembra svanire e ricomparire di continuo mentre combatte contro Robin, mi avvicino per osservare il giardino interno della villa.
In mezzo al porticato a U della casa, il tizio con il ventaglio che aveva cercato di attaccarmi si guarda intorno visibilmente scocciato, prima di venire colpito da qualcosa e di mettersi a correre nella direzione da cui è provenuto l’oggetto.
Deduco che Usopp gli stia dando del filo da torcere e quindi mi volto e mi dirigo di nuovo verso Sanji.
Continua a rimanere immobile, fissando il pavimento davanti a lui senza nemmeno girarsi in direzione dello scontro; deve essere davvero ridotto male per non avere nemmeno la forza di accendersi una sigaretta.
Ne prendo una dal pacchetto infilato nell’obi azzurro cielo del suo kimono, gliela appoggio sulle labbra e l’accendo, mentre mi sorride con gratitudine.
“Ti ringrazio. Non riesco a muovere nemmeno un muscolo, è come se avesse bloccato qualcosa e…”
Un tonfo proveniente dal fondo del corridoio lo interrompe e tutti nel passaggio si voltano in direzione di Sishinobi; credo che Zoro l’abbia gettato contro il muro, perché lo vedo rialzarsi a fatica, pulendosi il camice dai pezzi di intonaco rosso indiano staccatisi dalla parete dietro di lui.
Per qualche istante rimane fermo davanti al mio compagno, le mani appoggiate sulle ginocchia e il fiato corto; poi, senza nessun preavviso, si solleva e comincia a correre lungo l’ala nord del corridoio, seguito, dopo un attimo di smarrimento, dallo spadaccino.
“Che facciamo, Noko?” per la prima volta sento la voce del misterioso combattente vestito di nero; è esattamente come lui: leggera, veloce e totalmente fredda.
“Vigliacco.” Voltato in direzione dell’ala nord, Noko si asciuga il sudore con la manica della giacca, prima di proseguire: “Non faremo nulla, Kage. Se sopravvivrà ci sarà l’alveare ad attenderlo, e solo il vento sa quante cose avrò da dire sul nostro medico in quell’occasione. Isfahan non perdona né i debili, né i traditori.”
 
A qualche metro da me, Robin sussulta visibilmente, come fa sempre quando ha un’intuizione. Che conosca il tale nominato da Noko?
Non ho il tempo di chiederglielo: anche il suo avversario si è accorto della sua folgorazione e, con un movimento veloce del braccio, le assesta un colpo a mano tesa sul collo.
“Robin!”
La mia voce è sovrastata da quella, più potente del mio capitano.
Come in un agghiacciante effetto rallenty, Robin cade, inerme, oltre il bordo frastagliato della vetrata infranta. Sento il respiro bloccarsi all’altezza dello sterno, e il calore febbrile invadermi il volto.
Mi sento come se fossi la spettatrice impotente di un film dell’orrore mentre mi volto verso Rufy, in cerca del suo sostegno, e lo scorgo, girato verso il vetro infranto con gli occhi sbarrati e l’espressione attonita.
Non faccio nemmeno in tempo ad avvertirlo: Noko ha recuperato la pistola ed ora la punta in direzione della testa del mio capitano.

Preme il grilletto nel momento stesso in cui Rufy si rigira di nuovo verso di lui, ma io ho già distolto lo sguardo.



Ciao a tutti!
Come vedete non ho intenzione di mollare l'osso e intendo portare avanti la storia sino alla fine!
Avrete intuito che questo capitolo mi ha dato parecchio filo da torcere, quindi aspetto le vostre opinioni e i vostri consigli!
A questo proposito devo assolutamente ringraziare NamyMoon, PRINCE_OF_FLAME, Super Mimi_, Aregilla, Tsuki_lol, Melody97, monkey_d_mary, LuNa_35, Gelidha Oleron e Akemichan per le loro splendide recensioni e per l'infinito supporto! 
Grazie davvero di cuore!!!

A presto!

Felya

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


D’istinto mi copro il viso con le mani, ma questo non impedisce al mio udito, affinato dalla tensione, di percepire l’orribile rumore della pistola che esplode il colpo, del proiettile che lacera la pelle e di un corpo che colpisce la parete, mandando in frantumi l’intonaco e facendo cadere d’un colpo tutti i quadri del corridoio.
 
Un secondo. Un corpo che colpisce la parete? Non era il mio Capitano quello con le spalle al muro: era Noko!

Trovo il coraggio di voltarmi nel momento stesso in cui un infuriatissimo Rufy si rivolge al suo avversario, coperto di polvere e ancora intontito dall’urto; un brivido mi corre lungo tutta la schiena mentre ascolto la sua voce esclamare con un tono agghiacciante: “Te lo ripeto: pensi di poter fare del male ad un membro della mia ciurma e passarla liscia?”
Mentre la nuvola di polvere causata dall’impatto si dissolve la risata di Noko echeggia lungo tutto il corridoio.
Mi chiedo cosa ci trovi di divertente in tutta questa situazione; lui, pieno di lividi, appoggiato alla parete su cui è stato appena gettato dall’avversario e ricoperto di polvere rossa e bianca.
Sposto lo sguardo istintivamente su Rufy, nel tentativo di capire se anche lui trovi la faccenda divertente: a volte, nel bel mezzo di uno scontro, è capitato che due avversari si mettessero a ridere in segno di apprezzamento per le abilità del proprio rivale… La rotta Maggiore è popolata di strani individui, in fondo.
Ma il mio Capitano non sta affatto ridendo. Ansimante, stringe il braccio sinistro all’altezza della spalla, dove il kimono dai delicati disegni rossi e oro è stato strappato di netto e da dove un rivolo di sangue fuoriesce colando sulla manica.
Rufy è stato abbastanza veloce da far sì che il proiettile non lo colpisse alla testa, ma non è riuscito ad evitare che si conficcasse nella spalla.
“Tra pochi minuti l’effetto dell’Agalmatolite si sarà diffuso in tutto il corpo” dice Noko col sorriso sulle labbra, rialzandosi: “Ti conviene giocare le tue ultime carte ora… Pirata.”

Non riesco a trattenermi; prima che me ne renda conto le mie labbra si muovono e la mia voce chiama il suo nome: lo urlo, con un tono tremante che racchiude mille domande. E lui si immobilizza.
Poi, lentamente, toglie la mano dallo strappo sul kimono, allarga le gambe strisciandole sul pavimento coperto di polvere e, per la prima volta, si rivolge direttamente a me, incatenando i suoi occhi scuri coi miei: “Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni di navigazione è che una battaglia è perduta solamente nel momento in cui è perduta: mai un minuto prima. Fidati di me, Nami.”
Lo osservo immobile e senza parole mentre si rigira verso il suo avversario sussurrando “Gear Second”; un attimo carico di tensione e poi l’aria si riempie nuovamente del caos dello scontro.
 


È l’urlo di Sanji a riportarmi alla realtà: il misterioso compagno di Noko ha spiccato un balzo, scagliandosi verso di me.
Il colpo viene parato dalla lama di Brook e io mi ritrovo a correre lungo l’ala nord, verso le scale di servizio che solo una manciata di ore prima mi hanno condotto fuori dalla villa.
Le scendo di corsa, nel buio più totale, il rumore dei miei passi sugli scalini di legno che si confonde col battito incalzante del mio cuore. La porta che da sul parco è chiusa a chiave, ma la sua gemella dall’altra parte del minuscolo ingresso mi conduce direttamente al corridoio del piano terra; svolto a sinistra e mi infilo nella prima stanza che trovo.
Davanti a me si apre un enorme salone, con ampi e pesanti tendaggi ad incorniciare le altissime finestre e mobilio in legno lungo tutte le pareti.
Sfiancata, mi trascino fino al divanetto più vicino e mi lascio cadere sul morbido cuscino in seta, col cuore ancora in subbuglio e la testa dolente.
L’effetto della medicina comincia a svanire e le mie palpebre sembrano più pesanti ad ogni minuto che passa; sto per cedere quando una voce che chiama il mio nome mi riporta alla realtà.
“Nami! Stai bene?” chiede Noah, accovacciata davanti a me con le mani poggiate sulle mie ginocchia e lo sguardo preoccupato.
“Noah! Laviah! Io… Mi sento così stanca. Oh, ma sono felice che stiate bene. Dovete… Venire via con noi. Tutte e due.” Riesco a rispondere stancamente.
“Abbiamo trovato l’antidoto, Nami. Starai meglio presto. Laviah ha scoperto chi è stato a somministrartelo.”
Sposto lo sguardo, di nuovo vigile, sulla sorella maggiore, la quale tiene in mano un fazzoletto bianco contenente qualcosa. Mentre lo dischiude delicatamente un guizzo di colore cattura la mia attenzione: “Era ricoperto con un veleno inodore. Grazie al cielo non l’hai mangiato.” mi dice, mentre mi ritrovo ad osservare scioccata lo stesso mandarino grazie al quale ho ricordato Bellemere, Nojiko e tutti gli altri.
Bevo tutto d’un fiato il contenuto della fialetta che Noah mi porge, un liquido blu dalla consistenza viscosa e dal sapore pessimo, e non riesco a trattenere una smorfia di disgusto mentre sento il composto scendere giù per la gola.
“Perdonami: non c’era tempo per renderlo più appetibile.” si scusa la ragazza, regalandomi un lieve sorriso che non posso fare a meno di ricambiare.
Esattamente come accadeva con Bibi, Noah riesce a trasmettermi calma e positività. Ed esattamente come lei, possiede una forza ed una determinazione fuori dal comune.
“È stata la cameriera bionda, vero?” chiedo, nuovamente seria.
Laviah si volta verso di me ed annuisce, tenendo lo sguardo sulla fialetta vuota nelle mie mani: “Come la sai?” chiede.
“La Rotta Maggiore è un percorso pericoloso, e spesso ti costringe a dover decidere se fidarti o meno di qualcuno nel momento stesso in cui il tuo sguardo si posa su quella persona: o impari presto a fare assegnamento sul tuo sesto senso o sei finito.” Rispondo, alzandomi dal divanetto e raggiungendo la sorella taciturna al centro della sala.
“A volte, però, la prima impressione ci inganna.” Proseguo, porgendole la mano destra con un sorriso: “Scusami se non mi sono subito fidata di te. E grazie per avermi salvata, stanotte.”
La vedo gettare uno sguardo stupito alle mie spalle, in direzione della sorella, prima di stringermi la mano e ricambiare il sorriso.
“Che facciamo, ora, Nami?” chiede Noah dopo qualche istante.
“I miei compagni si stanno prendendo cura di Noko e dei suoi amici; appena li avranno sconfitti verrete con noi alla nave e vi porteremo sane e salve fino all’isola dove sta vostra madre. Noah, ci serve l’antidoto per i proiettili all’Agalmatolite: credo che il mio Capitano sia stato colpito.”
“Ce l’ho” dice, improvvisamente seria, scattando in piedi come un soldatino e tenendo una borsa di pelle bene in vista davanti a lei, prima di proseguire: “Dici… che il tuo amico potrà aiutarmi a prepararlo? Servono quattro mani esperte in certi passaggi.”
“Certo! Ma appena Zoro avrà acciuffato il medico, avrai ben due aiutanti tutti per te!”
“Sishinobi? L’ho visto correre in direzione del paese più di dieci minuti fa seguito da un tale in kimono, ma nessuno dei due è ancora tornato.” Interviene Laviah scostando una tenda e scrutando fuori dalla finestra.
Oh, cielo.
 L’immagine di Zoro perso in quel dedalo di stradine si dipinge chiara e nitida nella mia mente; spero di aver avuto ragione a pensare che persino lui avrebbe faticato a perdersi tra quelle quattro case. Ma non c’è tempo per pensare a questo ora: Robin è nel giardino interno e ha sicuramente bisogno di aiuto.
“Laviah, c’è un’uscita sul retro? Credo che la mia compagna sia caduta lì dal primo piano.”
“Sì, da quella parte” dice, indicandomi una porta finemente intarsiata in fondo alla sala.
Con un tempismo raggelante, non appena compiamo il primo passo verso l’uscita, il battente in legno scuro si apre verso l’interno e sulla soglia compare la figura snella della cameriera bionda: “Non un altro passo.” Scandisce con voce tremante e cristallina.
Nelle mani, una pistola.
 

Ciao a tutti!
Per prima cosa, come vorrebbe la mia cara ex insegnante di Giapponese: Moshiwake arimasen, scusatemi tantissimo! La lunghissima attesa a cui vi ho sottoposti è stata causata da alcuni problemi personali che non mi hanno consentito di proseguire la stesura dei capitoli e nemmeno l'accesso al sito per rispondere alle vostre gentili recensioni in tempo ragionevole. 
Nonostante ciò, spero davvero che vogliate continuare a leggere il mio lavoro e ad aiutarmi a migliorarlo come avete fatto fin'ora: il vostro suppporto è davvero prezioso!
Detto questo, beh, ringrazio tutti coloro i quali hanno recensito lo scorso capitolo (davvero tantissimi!) e coloro i quali mi hanno supportata attraverso messaggi privati: davvero un grazie col cuore!

A presto! (questa volta per davvero!)

Felya

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1488861