Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Il vento soffiava senza sosta
mentre sulle pendici di Dol Guldur cominciava a scendere la notte. Eredhil si
strinse tremando nelle falde del suo mantello, ma decise di continuare a
salire, ripetendo a se stesso che non sarebbero stati né il vento né l’oscurità
a fermarlo.
Mentre arrancava lungo lo stretto
sentiero di montagna, l’elfo pensò a cosa avrebbe detto il Re, se avesse saputo
fin dove aveva osato spingersi.
Il Re...non suo fratello, il Re.
No, sinceramente non sapeva
cos’avrebbe detto, né gli importava. Eredhil era abituato a disobbedire
regolarmente agli ordini del fratello maggiore sin da quando si era reso conto
che per tutta la sua vita sarebbe sempre stato il secondo. Il secondo
nell’affetto dei genitori, nella stima del popolo...nel diritto al trono.
Legolas era amato.
Legolas era saggio.
Legolas era un eroe, uno dei
Nove.
Legolas aveva una splendida sposa
e un figlio di cui era orgoglioso.
Legolas aveva avuto tutto per il
solo fatto di essere il maggiore, mentre a Eredhil toccava accontentarsi delle
briciole...
Io meritavo di più...molto di più...
Quando Thranduil era infine
partito per le Terre Imperiture e aveva ceduto il comando al suo primogenito,
Eredhil aveva visto rinchiudere la sua vita in una gabbia d’oro dalle sbarre di
cristallo, e aveva capito che niente per lui avrebbe mai potuto cambiare. E
Legolas rappresentava tutto questo, il suo involontario fallimento, tutto ciò
che lui non avrebbe mai potuto essere. Per questo lo odiava, l’aveva odiato per
tutta la vita senza che lui se ne accorgesse. Dietro ad ogni sorriso di Eredhil
si trovava solo un folle desiderio di eliminare per sempre quell’ostacolo posto
dal destino, ma sapeva che non ne sarebbe mai stato capace perché era più
vigliacco che furioso, e la frustrazione cresceva senza sosta mentre l’elfo era
costretto ad aspettare il momento giusto per riscattarsi.
Ma l’attesa
non era stata vana, perché quel momento era giunto.
Finalmente.
Eredhil si fermò ansimando,
giusto il tempo necessario per riprendere fiato, poi si rimise in cammino,
immergendosi nella completa oscurità.
Sto arrivando...
Sogghignò, pensando che si stava
facendo beffe del divieto imposto dal suo stesso padre migliaia di anni prima ;
a chiunque era proibito avvicinarsi a Dol Guldur e ai resti della fortezza che
Sauron aveva costruito quando era ancora il Negromante, perfino dopo che ne era
stato cacciato. Divieto pressochè inutile dal momento che gli abitanti del
Bosco Atro se ne tenevano volontariamente alla larga. Si diceva che la
malvagità dell’Oscuro Signore aleggiasse ancora intorno a quella montagna
maledetta, ma all’elfo non importava. Non gli importava nemmeno di non riuscire
a vedere dove metteva i piedi, ciò che contava era che nessuno vedesse lui.
Eredhil era impaziente, troppo
impaziente di raggiungere la vetta.
Il suo cuore era colmo di una
gioia perversa, la stessa che aveva provato il giorno in cui, al ritorno da un
viaggio solitario al Lago Lungo, aveva notato uno strano luccichio provenire da
una nicchia scavata nel tronco di un’enorme ed antichissima quercia, e dopo
avervi frugato con attenzione, aveva rinvenuto quel piccolo tesoro...una gemma
perfetta, grande come una noce e tanto luminosa che Eredhil aveva dovuto
ripararsi gli occhi con una mano per non esserne accecato.
Un Silmaril...una delle
tre mitiche pietre che racchiudevano in sé la luce degli alberi dei Valar,
Laurelin e Telperion.
Ma quelle gemme erano scomparse
da millenni, e nessuno le aveva mai trovate.
Perché lui ne era stato capace,
nonostante migliaia di persone avessero percorso il suo stesso sentiero molte
volte prima di allora ?
La risposta era una sola.
La gemma aspettava lui.
Solo lui.
Perché gli avrebbe parlato,
altrimenti ?
Eredhil sentì di nuovo quel
sussurro nella sua mente.
Dol Guldur...
Per un istante era rimasto senza
parole, incredulo davanti a quell’inspiegabile fenomeno.
Dol Guldur...
Poi aveva capito.
Aveva capito che afferrando il
Silmaril avrebbe afferrato anche l’ultima possibilità di cambiare il suo
destino.
Dol Guldur.
La cima.
Finalmente.
Sorridendo, Eredhil si asciugò il
sudore dalla fronte e bevve una lunga sorsata d’acqua vuotando la borraccia. Si
guardò intorno nel buio, e quando intravide le mura dell’imponente fortezza
stagliarsi di fronte a lui gli si bloccò il respiro. E ora ?
L’elfo non aveva la minima idea
di cosa cercare, ma sapeva che l’avrebbe trovata, qualsiasi cosa fosse, perché lui
l’aveva guidato fin lassù, e lui non poteva sbagliare.
Strinse con una mano la borsa
che aveva legato alla cintura per assicurarsi che la preziosissima gemma fosse
ancora al suo posto. Poi, titubante, oltrepassò un enorme arco di pietra,
facendo il suo ingresso all’interno delle mura diroccate.
Chiunque tu sia, guidami,
implorò l’elfo, disorientato, mentre avanzava in mezzo agli sterpi e alle
pietre cadute. Ma non ebbe alcuna risposta.
Continuò a camminare
nell’oscurità fino a quando il suo piede urtò qualcosa che era pesantemente
ancorato al suolo e che lo fece cadere a terra. Imprecando, Eredhil cercò di
rialzarsi, ma lo strano oggetto che gli aveva fatto perdere l’equilibrio
catturò la sua attenzione. Si trattava di un grosso anello di ferro
arrugginito ; con il cuore in subbuglio, l’elfo frugò tra le sterpaglie
fino a quando riuscì a definire, attorno ad esso, una scanalatura quadrata.
- Eccola ! - esclamò con gioia.
Con tutte le sue forze tirò l’anello di ferro finchè la grossa pietra quadrata
si spostò scoprendo una botola che dava accesso ad una lunga e oscura scala di
pietra che conduceva in basso, fin nelle viscere della montagna.
Senza esitare, Eredhil iniziò a
scendere i gradini fino a quando l’oscurità fu troppo fitta per proseguire.
Allora, con l’assoluta sicurezza che nessuno avrebbe mai potuto vederlo, prese
dalla borsa il Silmaril e lo tenne alto in modo che la sua luce si diffondesse
lungo l’umida galleria.
Continuò a camminare lungo quel
cunicolo per un tempo che gli parve infinito, e si fermò solo quando fu giunto
dinnanzi ad una massiccia porta di pietra, tanto grande che si chiese come
avrebbe potuto aprirla. Tenendo ben alto il Silmaril, l’elfo la esaminò
attentamente, e si accorse che un foro delle dimensioni di una noce si trovava
pressappoco all’altezza della sua mano.
- Forse... -
Fallo, risuonò la voce
misteriosa nella sua mente.
Lentamente, con il cuore che
batteva all’impazzata, Eredhil abbassò la mano che stringeva il Silmaril e lo
avvicinò al foro. La sua luce si fece più forte, e, in pochi istanti, la gemma
venne risucchiata all’interno del foro stesso.
Con la bocca spalancata dallo
stupore, Eredhil vide l’enorme porta aprirsi lentamente davanti ai suoi occhi,
e quando l’elfo, quasi impaurito, varcò la soglia, trovò il Silmaril ai suoi
piedi, sul freddo pavimento di pietra.
Eredhil raccolse la gemma e
osservò l’enorme sala vuota.
No...non del tutto vuota...
Ad un tratto la sua vista acuta
scorse, sulla parete opposta, uno strano blocco di marmo sul quale era posato
un oggetto dai contorni indefiniti.
L’elfo corse verso di esso,
arrestandosi a pochi passi di distanza, il cuore che gli martellava nel petto,
sempre più forte...
Immobile, Eredhil rimase ad
osservare con timore e cupidigia ciò che si trovava su quella specie di altare
: una corona di ferro a tre punte, con un incavo vuoto su ogni punta.
- La...la corona di Morgoth...la
corona portatrice dei Silmaril... -
Spezza il primo sigillo, disse
la voce, facendo sobbalzare Eredhil.
- Cosa...cosa devo fare ? -
Liberami.
- Come ? ! - gridò con
furia Eredhil - Dimmi come ! ! -
Lo sai, rispose la voce, per
questo ti ho chiamato.
Eredhil cominciò ad inquietarsi.
- Chi...chi sei ? -
Sai anche questo.
Per un attimo che sembrò durare
un’eternità, Eredhil tenne lo sguardo fisso sulla corona, incerto sul da farsi.
Io so cosa vuoi, Elfo,
continuò la voce, e ti dirò come ottenerlo. Ma prima devi liberarci...spezza
il primo sigillo.
In quel momento Eredhil vide
tutta la sua vita balenargli davanti agli occhi...tutta la sua infelicità, la
sua frustrazione...
Con una luce di vendetta nello
sguardo, Eredhil allungò la mano e pose il Silmaril nel primo incavo della
corona, e la luce della gemma sembrò affievolirsi per un istante.
Poi, improvvisamente, una
potentissima colonna di luce esplose dalla gemma, inondando la sala. Eredhil,
terrorizzato, si coprì gli occhi con una mano fino a quando la luce tornò ad
affievolirsi, e il Silmaril divenne una semplice pietra bianca incastonata
nella corona di ferro, che ora sembrava circondata da un tenue alone rossastro.
- Cosa...cosa mai ho fatto ?
- sussurrò l’elfo, quasi pentito di quell’azione - Ho spento il
Silmaril... ? -
Hai spezzato il sigillo,
disse la voce, ora prendila.
Deglutendo, l’elfo obbedì a
quell’ordine e, dopo aver afferrato la corona, se la pose sul capo.
Nel momento stesso in cui il
ferro della corona toccò i suoi biondi capelli, Eredhil sentì un fulmine
attraversargli l’intero corpo, mentre una spirale rossa usciva dalla gemma e
dava origine ad una strana figura. L’elfo urlò dal dolore e si accasciò al
suolo, mentre terribili immagini entravano e uscivano dalla sua mente.
Poi, quando il dolore fu passato,
Eredhil si rialzò, ma nei suoi occhi brillava una nuova luce e sorrise
nell’assaporare quella sensazione di potere che non aveva mai provato prima.
Ora so, si disse. ORA
SO !
- Quale sei ? - domandò,
stavolta senza alcun timore, all’indistinta sagoma rossa che era apparsa
davanti a lui.
- Sono il Primo dei Tre - rispose
con voce roca e tenebrosa - Armagh, la Lingua. Lui ti ha condotto qui e tu mi
hai liberato. Hai spezzato il sigillo che mi teneva prigioniero, e ora il
Silmaril che mi incatenava non è altro che un sasso senza valore. Trova gli
altri due e avrai il potere completo. -
- Lo farò - disse Eredhil - Ma
non voglio attendere troppo a lungo la mia ricompensa. Ciò che voglio ora è
certamente a portata delle tue capacità. Mi obbedirai ? -
- Sì, se mi lascerai entrare. -
Eredhil sorrise, e i suoi occhi
fiammeggiarono mentre pregustava la sua vendetta.
- E ALLORA VIENI ! - gridò,
spalancando le braccia.
Armagh si trasformò in un turbine
di fuoco e, roteando, si tuffò nel petto dell’elfo che scoppiò in una terribile
risata abbandonando la testa all’indietro.
Quando tutto fu finito, Eredhil
inspirò profondamente, senza perdere il suo inquietante sorriso di
compiacimento. Strinse i pugni e chiuse gli occhi per sentire tutto il potere
del demone scorrergli nel sangue.
A Elbereth Gilthoniel, avrebbe esclamato
Legolas.
Ma lui non era Legolas, anche se
presto avrebbe preso il suo posto.
Quando Legolas lasciò la sua
stanza, Anìrwen dormiva ancora.
La prima cosa che aveva fatto
dopo essersi svegliato era stato alzare la testa verso di lei, che gli volgeva
le spalle, i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino, per verificare se i suoi
occhi fossero chiusi. Poi le aveva rivolto un amaro sorriso mentre la sua mano
le accarezzava con dolcezza il braccio nudo sopra il lenzuolo, e si era infine
chinato verso di lei per sussurrarle in un orecchio : - Namarië, mia dolce Regina. Io parto, ma
il tuo cuore è con me. -
Il sovrano del Bosco Atro
pronunciava quella frase ogni volta che era costretto a lasciarla, anche per brevi
periodi. Una frase triste in tempi di guerra, scherzosa e spensierata in tempi
di pace. Come risposta, Anìrwen sorrideva e baciava a lungo il suo sposo.
Ma non ci sarebbe stato nessun
bacio, quella mattina.
Vista la condizione di Anìrwen,
Legolas aveva preferito lasciarla riposare.
Dopo essersi assicurato che
dormisse veramente, le aveva sfiorato delicatamente i capelli con le labbra, si
era alzato dal letto e, dopo essersi vestito, era uscito in punta di piedi
dirigendosi verso la stanza del piccolo Galien.
Legolas chiuse piano la porta
alle sue spalle, si avvicinò silenziosamente al lettino in cui dormiva il
figlio e si accucciò accanto a lui. Il sonno di Galien era inquieto come al
solito, e il bambino si rigirò più e più volte nel letto, facendo accartocciare
le lenzuola intorno al suo corpo.
Sorridendo, Legolas lo sollevò
con la maggior delicatezza possibile, e dopo aver sistemato le lenzuola, vi
ripose il bambino, rimboccandogliele. L’elfo rimase immobile, temendo che
persino il suo respiro potesse turbare il sonno del figlio. Ma il sonno di
Galien sebbene inquieto, era estremamente profondo, e nemmeno le manovre del
padre erano riuscite a svegliarlo.
Con un lievissimo gemito, il
bambino si girò su un fianco.
- Adar... - borbottò.
Il viso di Legolas si illuminò.
Nel sonno, Galien stava chiamando suo padre...stava chiamando lui.
L’elfo gli accarezzò una paffuta
guancia rosata e, scostandogli i capelli dalla fronte, gli baciò una tempia,
poi uscì piano dalla stanza.
Si appoggiò con la schiena alla porta
richiusa, un’espressione malinconica e pensierosa negli occhi persi nel vuoto.
Non era felice di partire. Non lo
era mai. Oscuri timori affollavano ogni volta la sua mente, sebbene non
avessero alcun fondamento. Sapeva che anche stavolta si sarebbe trattato solo
di pochi giorni, ma non poteva evitare di farsi prendere dalla preoccupazione.
Voltò lentamente la testa verso
il corridoio quando sentì avvicinarsi i passi rapidi e leggeri del Capitano
Nestir, ma non si mosse dalla sua posizione.
- Va tutto bene, mio
Signore ? - domandò il soldato, notando l’aria cupa del suo Re.
- Sì, Nestir. E’ solo che
lasciarli soli ogni volta...è estremamente doloroso. - rispose Legolas - E
avrei preferito restare accanto ad Anìrwen in questo periodo...potrebbe avere
bisogno di me, mentre io sarò lontano. -
- Il Principe
e la Dama sono in ottime mani, mio Signore - disse Nestir - E il figlio che
attendete non nascerà che tra qualche mese. Qualunque cosa accada potrai
tornare in poco tempo. Minas Tirith non è così lontana. -
Legolas annuì. - Hai ragione -
disse - Dimentica le mie parole. Sono solo quelle di un marito e di un padre
preoccupato, non quelle di un Re. I soldati sono pronti ? -
- Da poco meno di un’ora.
Attendiamo solo te per partire. Il tuo cavallo è già stato sellato. -
- Arod ? -
Nestir annuì.
- Preferirei che lui restasse
qui. - disse Legolas, pensando al fedele compagno in sella al quale aveva
gloriosamente combattuto, sette anni prima, durante la terribile Guerra
dell’Anello - E’ troppo vecchio, ormai, per sostenere un viaggio del genere. E
poi Galien gli è affezionato, potrebbe cavalcarlo durante la mia assenza. Ormai
Arod è abituato a portarlo in sella. -
- Come desideri, mio Signore. -
disse Nestir inchinandosi - Farò preparare immediatamente un altro cavallo. -
Con un cenno del capo, Legolas
pose una mano sulla spalla del soldato. - Non ce n’è bisogno, mio buon Nestir.
Me ne occuperò personalmente. -
Detto questo, seguì il fedele
Capitano verso le scuderie.
Ma, mentre camminava, il suo
pensiero tornò alla sera precedente.
Anìrwen era in piedi davanti alla finestra, le braccia conserte, e,
sebbene avesse sentito Legolas fare il suo ingresso nella stanza, non si voltò
ma continuò ad osservare le foglie degli alberi del Bosco Atro riflettere il
colore del sole al tramonto.
- Si è addormentato ? - disse.
- Sì, ma non ne aveva nessuna voglia. Mi ha chiesto di narrargli due
volte la storia di Lùthien Tinùviel...ma alla fine il sonno ha avuto la meglio.
- rispose Legolas avvicinandosi a lei.
Anìrwen sorrise. - Si addormenta solo con la tua voce. - disse - Hai il
potere di incantarlo ogni volta che gli parli. Resterebbe ad ascoltarti per
ore... -
- Peccato che non faccia lo stesso con il suo istitutore. - disse
Legolas abbracciando la sua sposa e baciandole una guancia - Il povero
Enchilion mi ha detto che stamani ha dovuto inseguirlo per l’aula urlando come
un pazzo...gli ho dovuto promettere che avrei preso provvedimenti, ma ancora
non so che fare ! -
La Dama rise e voltò il capo verso quello del suo sposo per ricevere un
leggero bacio sulle labbra.
Legolas fece scorrere le sue mani su quelle di Anìrwen, fino a quando
le loro dita si intrecciarono sul ventre di lei.
- Lo senti ? - le chiese accostando il viso ai suoi capelli.
- E’ troppo presto... -
- Mi domando cosa dirà Galien quando verrà a saperlo... -
- Lo sa già. -
Sorpreso, Legolas alzò la testa. - Davvero ? - disse - E chi glie
lo ha detto ? -
- Nessuno. L’ha sentito.
-rispose Anìrwen. Poi si girò verso
Legolas, e solo allora l’elfo potè vedere il timore che si celava negli occhi
della sua sposa.
- Galien ha il Dono, Legolas. - disse - Era di questo che mi premeva
parlarti. -
Legolas rimase a bocca spalancata.- Ne sei certa ? - disse senza
lasciare le mani di Anìrwen.
- Purtroppo sì. -
- Perché dici così ? - disse Legolas con un’esclamazione di
stupore - Tu stessa lo possiedi, fa parte dell’eredità dei tuoi avi del Bosco
d’Oro...cosa c’è di male in esso ? -
Anìrwen sospirò e si diresse lentamente verso il centro della stanza,
fissando il pavimento. - Il mio Dono è molto debole. - disse - Io mi limito a
leggere nei cuori, mentre Galien è in grado di penetrare nelle menti....e non
solo. - Alzò la testa e guardò il suo sposo negli occhi. - Può vedere nel
passato dei luoghi in cui si trova, Legolas. -
L’elfo scosse il capo, incredulo. - Com’è possibile... ? -
- Ne ho avuto oggi la prova. - continuò Anìrwen - Stavamo passeggiando
nel Giardino, quando, ad un tratto, ha esclamato ridendo “Com’eri bella, Naneth, quando Adar ti ha presa in sposa !”. Quando gli ho domandato cosa volesse
dire, ha descritto nei minimi particolari tutti coloro che erano presenti il
giorno del nostro matrimonio... -
- Glie ne avrà parlato Enchilion ! - esclamò Legolas alzando le
spalle.
- Anche del bracciale che tenevo nascosto sotto una manica del vestito
e che ti avrei donato la prima notte di nozze ? -
Legolas si avvicinò alla finestra, stupefatto, guardando il sottile
cerchio intrecciato di mithril che portava al polso. - Allora è proprio vero...
-
- Poi mi ha chiesto quando sarebbe nato il suo fratellino, perché non
vedeva l’ora di avere qualcuno con cui giocare...sono preoccupata per lui,
Legolas. - disse Anìrwen riavvicinandosi all’elfo e prendendolo per un braccio
- Io ho scoperto di avere il Dono quando ero già adulta...ma Galien non è che
un bambino, non è ancora in grado di controllarlo ! Per lui è solo un
gioco...senza contare che, se qualcuno lo scoprisse, potrebbe
approfittarsene ! -
Legolas scosse il capo. - L’unica cosa che possiamo temere è che Galien
abusi del suo potere. E’ vero, è ancora un bambino, ma imparerà presto, e
purtroppo a sue spese, che dovrà ben tenerlo sotto controllo. E poi vedrai, se
imparerà ad usarlo gli tornerà senz’altro utile in futuro. Nel frattempo, se te
la senti, cerca di spiegargli quello che è lecito e quello che non lo è. Ad
ogni modo - Legolas prese dolcemente Anìrwen per le spalle e la guardò negli
occhi - glie ne parlerò senz’altro quando tornerò. Sarà un discorso piuttosto
lungo, ma è un bambino intelligente e capirà.-
Senza abbandonare la sua espressione preoccupata, Anìrwen si rannicchiò
nelle braccia di Legolas, appoggiando la testa contro il suo petto.
- Vorrei tanto che tu non andassi a Minas Tirith... - disse.
Legolas sospirò, stringendo a sé la sua sposa. - Nemmeno io lo vorrei -
disse - Ma purtroppo devo farlo. Da quando Sauron è stato sconfitto,
l’equilibrio nella Terra di Mezzo si è dimostrato estremamente fragile...Per
questo ogni anno i sovrani dei Popoli Liberi devono radunarsi e rendere conto
delle situazioni interne ai loro Paesi. Anche se non lo sembra, è estremamente
importante, soprattutto per la faccenda di Esgaroth...-
- Ti preoccupa molto ? -
- Sì. - rispose Legolas con aria grave - Non riesco proprio a capire il
motivo per cui i signori di Dale stiano interrompendo i commerci con il Bosco
Atro... -
- Non pensarci, per ora.Pensa
solo che rivedrai i tuoi vecchi compagni d’avventura... - disse Anìrwen
cercando di apparire più tranquilla. Ma non lo era affatto, e Legolas se ne
accorse.
- Non starò lontano per molto - disse - Una settimana, due al massimo.
Tu e Galien siete al sicuro, ho dato a Eredhil tutte le disposizioni necessarie
per... -
Nel sentire quel nome, Anìrwen si sottrasse bruscamente dall’abbraccio
di Legolas e tornò verso la finestra, stringendosi nelle braccia.
- Anìrwen... - disse tristemente Legolas. Sapeva benissimo cos’aveva
turbato la sua giovane sposa, e ciò lo addolorava.
- Non mi fido di lui, Legolas. Non mi è mai piaciuto il suo sguardo,
soprattutto da quando è tornato da quel viaggio sul Lago Lungo, tempo fa...una
luce strana brilla nei suoi occhi, e sento che il suo cuore non è
trasparente... -
- Mia cara, sono trascorsi solo tre anni da quando ho preso il posto di
mio padre, ed ogni volta che ho affidato dei compiti a Eredhil lui li ha sempre
svolti degnamente. D’accordo, è ancora molto giovane e inesperto, ma ha
numerosi consiglieri ad affiancarlo, pronti a rimediare ai suoi errori e a
prendere in mano la situazione. E poi...è mio fratello, Anìrwen. Nelle sue vene
scorre il mio stesso sangue. Sebbene i nostri rapporti non versino nelle
migliori acque...io mi fido di lui. -
Anìrwen non rispose e continuò a guardare fuori dalla finestra ;
Legolas le si avvicinò e la fece voltare piano verso di lui.
-Non devi temere nulla, amore
mio. - le disse guardandola negli occhi - Ti prometto che non accadrà niente di
male, né a te, né a Galien...né al piccolo che arriverà presto. E io non ho mai
mancato ad una promessa. Se qualcuno, chiunque sia, dovesse tentare di farvi
del male, lo farò a pezzi con le mie stesse mani. -
Anìrwen alzò lo sguardo verso gli occhi di Legolase gli sorrise dolcemente.
- Mi credi ? - domandò Legolas sorridendo a sua volta.
La Dama tacque per un istante, con aria pensierosa, poi prese le mani
dell’elfo tra le sue. - Sai perché ti amo, Legolas ? - disse - Perché so
che tu ami me. Nient’altro conta. -
- E’ una mossa scorretta, leggere nel pensiero...credevo lo
sapessi ! - rispose Legolas in tono scherzoso.
- Non ho bisogno di leggerti nel pensiero. - disse Anìrwen prendendo il
viso del suo sposo tra le mani - Perché dovrei farlo, se mi basta guardarti
negli occhi per capire cosa senti ? -
Il Re e la Dama si scambiarono un lungo bacio mentre il sole cedeva il
suo posto alla luna e alle stelle.
- Questa sarà la nostra ultima notte insieme per molti giorni... -
disse languidamente Anìrwen.
- E’ vero - rispose Legolas sollevando la sua sposa tra le braccia e
portandola verso il loro letto - Rendiamola indimenticabile, allora... -
Mentre sellava il suo cavallo,
Legolas sorrise ripensando al corpo sottile di Anìrwen che aveva accarezzato e
stretto tra le braccia fino a poche ore prima. Tuttavia una strana inquietudine
si era impadronita del suo cuore, rievocando le parole che la sua Dama aveva
pronunciato.
Aveva fatto tutto il possibile
per cercare di tranquillizzarla, ma non era riuscito a fare lo stesso per sé.
Eppure non era la prima volta che lasciava soli i suoi famigliari, e, sebbene
ogni volta provasse gli stessi timori, Legolas sentiva che questa volta era
diverso.
Scosse la testa cercando di
levarsi quei pensieri dalla mente.
C’era ancora una cosa che poteva
fare.
- Nestir. - chiamò, dirigendosi a
passo spedito verso il Capitano della Guardia che stava impartendo gli ultimi
ordini ai soldati che avrebbero dovuto scortare Legolas a Minas Tirith.
- Comanda, mio Signore. - rispose
Nestir voltandosi non appena ebbe sentito la voce di Legolas.
L’elfo sospirò, sperando di fare
la cosa giusta. - Voglio che tu rimanga qui e che vegli costantemente su Dama
Anìrwen e sul Principe Galien. -
- Ma...mio Signore, sei
certodi quello che dici ? -
ribattè Nestir, sorpreso.
- Perfettamente. - rispose
Legolas - Come hai detto tu stesso, il viaggio è breve e il percorso è
sicuro ; i cinquanta soldati della scorta saranno più che sufficienti ;
preferisco che tu resti a vegliare su chi mi è più caro. Qualsiasi cosa accada,
e ripeto qualsiasi cosa, manda
immediatamente un messaggero a Minas Tirith, e io tornerò il più presto
possibile. So che non è un’incombenza che ti compete, ma non ho altri di cui
fidarmi. Accetti questo incarico ? -
- Ho giurato di servirti
fedelmente, mio Signore - rispose Nestir - La tua stima mi ripaga di qualsiasi
sacrificio, ma spero che tu sappia che obbedire ad un tuo ordine non è affatto
un sacrificio per me, bensì un onore. -
Legolas sorrise e si sentì più
sollevato. - Ora posso davvero partire. - disse.
Mentre si allontanava in testa
alla sua scorta, Legolas volse lo sguardo verso le finestre del palazzo e, con
sorpresa, vide Anìrwen appoggiata alla balaustra di una delle terrazze. Con un
sorriso triste, la Dama sollevò una mano per salutarlo e, in quel momento, il
sole, che si stava alzando, fece risplendere uno dei suoi raggi sui suoi
capelli d’oro.
A Legolas si strinse il cuore di
fronte a quella visione, e tutto ciò che potè fare fu ricambiare lo stesso
gesto per salutare quel raggio di sole.
Non fu solo Anìrwen a guardare
Legolas allontanarsi dal Bosco Atro con la sua scorta, quel mattino. Dalla sua
finestra anche Eredhil osservava il fratello prendere la strada per Minas
Tirith e scomparire in mezzo agli alberi.
Ti auguro di fare presto ritorno a casa, mio caro fratello, pensò
sogghignando. Ci sarà una bella sorpresa
ad attenderti...
Dopo aver inspirato
profondamente, il principe scoppiò in una risata tanto diabolica quanto
innaturale ; incapace di contenersi, si sedette sul bordo del letto,
sentendo il corpo scuotersi in maniera spasmodica, e questo lo turbò
notevolmente.
A poco a poco riuscì a
riacquistare il controllo di sé e a frenare le risa convulse.
Maledizione, si disse, è più
forte di quanto immaginassi.
Ad un tratto, un fulmine gli
attraversò il cervello.
Io sono pronto, risuonò una voce dentro di lui, quando mi farai uscire ?
- Presto, mio fedele Armagh -
rispose Eredhil, asciugandosi il sudore dalla fronte - Devi solo avere
pazienza. Del resto io ho atteso per più di duemila anni questo momento...non
saranno certo pochi giorni a rovinare tutto il mio progetto. -
Ho fame, continuò Armagh con voce roca e glaciale, ho bisogno di cibo. Quello che hai
intenzione di fare non mi interessa. Procurami un pasto, se non vuoi diventarlo
tu stesso.
Eredhil rabbrividì. - Cerca di
resistere... - disse - Si tratta solo...di poco tempo...presto potrai avere
nutrimento in abbondanza e io... -
NUTRIMI ! gridò Armagh, facendo sussultare violentemente il
corpo del principe elfo. SUBITO, O SARA’
PEGGIO PER TE !
- Non...non oseresti... -
Mettimi alla prova.
Eredhil si alzò tremante dal
letto, ansimante, e con occhi febbricitanti si portò una mano alla testa.
Deglutì, cercando di regolarizzare il respiro. Dopo essersi calmato, voltò lo
sguardo verso la preziosa cassapanca intarsiata che si trovava ai piedi del suo
letto ; corse verso di essa, spalancandola di colpo ed estraendone un
pesante sacco di tela. Con mani tremanti, aprì il sacco e ne tirò fuori la
corona di ferro, adornata con il primo Silmaril, e rimase a guardarla con gli
occhi pieni di timore e odio.
- Che...che cosa vuoi
fare... ? - disse, stringendo i denti, il volto coperto da gocce di freddo
sudore - Non avrai intenzione di ritorcerti contro di me,
maledetto ? ! -
Io servo a te e tu servi a me, sibilò Armagh in tono ancora più
minaccioso, e lo sapevi fin
dall’inizio...io non posso stare senza di te e tu non puoi stare senza di
me...non se vorrai ottenere il tuo scopo. Abbiamo stipulato un patto, e ormai è
troppo tardi per tornare indietro. Allora, ti chiedo cos’hai tu intenzione di
fare, principe...ti stai forse pentendo della tua decisione ?
Eredhil rimase ancora un momento
a guardare la corona.
- No - rispose con freddezza -
Non me ne sono affatto pentito. Vuoi sapere cosa farò ? -
Il principe ripose la corona nel
sacco e la rinchiuse nella cassapanca. - Farò quello che dici...ti metterò alla
prova. In fin dei conti è questo che vuoi, no ? -
Non te ne pentirai, rispose Armagh mentre Eredhil usciva dalla sua
stanza.
Con passo spedito, l’elfo si recò
verso le scuderie reali e vi fece il suo ingresso con circospezione. Il
silenzio che vi regnava era rotto solamente dal tramestio degli zoccoli e dagli
sbuffi dei cavalli. Ad un tratto, una voce famigliare fece sobbalzare il
principe, che si nascose dietro ad una delle poste. Lo stalliere, un giovane
elfo di nome Caerlind, apparve con un secchio di biada in mano.
- Ecco la tua colazione,
Arod ! - disse con voce limpida e gioiosa, accarezzando il muso
dell’anziano destriero del Mark - Allegro ! Doppia razione di biada,
oggi ! So che ti senti tradito perché il tuo Signore è partito senza di
te...ma non temere, tornerà presto ! E, nel frattempo, sarò io ad
occuparmi di te...ti farò passeggiare e baderò che il Principe Galien non ti
faccia galoppare troppo a lungo... -
- I tuoi propositi sono
eccellenti, Caerlind ! - esclamò Eredhil uscendo dal suo nascondiglio - Il
Re sarà orgoglioso di te, vedrai... -
Lo stalliere sobbalzò dallo
spavento, mentre il principe gli si avvicinava sorridendo.
- P...principe Eredhil... -
balbettò - Ti...ti prego di perdonarmi...non intendevo mancare di rispetto a...
-
Eredhil rise. - Lo so benissimo,
non temere...ma dimmi, Caerlind, sei soddisfatto di ciò che fai ? -
- Certo che lo sono, mio
Signore ! - esclamò il giovane, sorpreso da quella domanda - Amo i
cavalli, e per me è una gioia occuparmene ! E poi il Re mi permette spesso
di cavalcarli...mi ha anche promesso che un giorno potrò aggiungermi alla sua
scorta, durante le battute di caccia , e io non aspetto altro ! -
Nel sentire quelle parole, il
sorriso di Eredhil mutò in una smorfia di disgusto.
- Certo che hai delle ben misere
ambizioni...quando potresti ottenere molto di più... -
Caerlind aggrottò la fronte. -
Non ti capisco, mio Signore...cosa intendi dire ? -
Eredhil gli si avvicinò e gli
pose le mani sulle spalle. - Solo che tra breve avrai un immenso privilegio...quello
di essere il primo dei miei fedeli servitori ! -
Il giovane stalliere spalancò la
bocca dal terrore nel vedere una minacciosa fiamma accendersi negli occhi di
Eredhil, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Mentre cercava di divincolarsi,
vide una lingua di fumo denso e rossastro uscire dalla bocca del principe ed
introdursi nella sua. Sentì i visceri contorcersi mentre i suoi pensieri
scomparivano, inglobati e sostituiti dalla malefica presenza che sembrava
divorarlo dall’interno. La sua mente si fece sempre più leggera, fino a quando
non sentì più nulla.
Eredhil rimase con trepidazione
ad osservare il giovane elfo barcollare nelle sue mani e chiudere gli
occhi ; poi, quando li riaprì, il principe esultò nel vedere il vuoto che
contenevano.
- Obbedirai ad ogni mio ordine,
giovane Caerlind ? -
- Sì - rispose l’elfo con una
voce spenta che non gli apparteneva.
- Anche a costo della tua
vita ? -
- Sì - ripetè.
- Perfetto... - disse Eredhil,
soddisfatto - Ora torna nella tua stanza, ti chiamerò quando mi servirai. -
Muovendosi come un fantoccio, lo
stalliere obbedì a quell’ordine e si recò fuori dalle scuderie.
Le labbra di Eredhil si aprirono
in un inquietante ghigno. - Sei soddisfatto ora, Armagh ? - disse - La tua
fame si è placata ? -
Solo in parte, rispose la voce,
ho bisogno di ben altro che di quell’anima semplice...hai visto quello che
posso fare, Principe. E posso fare ancora di più, se mi darai di più.
- Non temere - rispose Eredhil,
stringendo gli occhi - Non è certo finita qui...tra breve avrai un pasto ben
più ricco, Armagh. Te lo prometto. -
Quando ?
- Presto, ti ho detto. E’
necessario attendere che Legolas sia lontano. Allora tu avrai il tuo pasto...e
io la mia vendetta. -
Erano ormai trascorsi tre giorni
dalla partenza di Legolas per Minas Tirith.
L’inquietudine di Anìrwen,
sebbene non fosse scomparsa del tutto, si era affievolita grazie alla costante
ma discreta presenza di Nestir che vegliava notte e giorno su di lei e suo
figlio. Eredhil si faceva vedere poco, e Anìrwen faceva tutto il possibile per
tenerlo lontano da Galien. Nonostante non lo reputasse giusto, era arrivata al
punto da usare tutto il potere del suo dono per sondare l’animo del principe,
ma tutti i suoi sforzi erano stati inutili ; sembrava che tra la sua mente
e il cuore di Eredhil si trovasse una corazza impenetrabile, e questo le faceva
paura perché non sapeva assolutamente cosa aspettarsi da lui.
Quel pomeriggio, Anìrwen si
trovava ad assistere ad una delle solite lezioni che il saggio Enchilion era
solito impartire al piccolo Galien, il quale, malgrado la presenza della madre,
non tentava minimamente di dissimulare la sua noia, sbuffando di tanto in tanto
e alzando gli occhi al soffitto.
- Naneth - disse ad un tratto, interrompendo il racconto
dell’imbarazzato istitutore nel punto più cruciale della battaglia di Dagorlad
- Devo proprio imparare tutto questo ? Mi sto annoiando... -
Enchilion arrossì fino alla punta
delle orecchie. - Ma...Principe Galien... -
- La storia è fondamentale,
Galien. - lo rimproverò dolcementeAnìrwen - Un giorno sarai il Re di questo paese, e non potrai mai
governare il tuo popolo senza conoscerne a fondo le radici. Studiare gli
avvenimenti del passato aiuta a non ripetere gli stessi errori in futuro,
ricordatelo. Inoltre... - la voce di Anìrwen assunse un tono più fermo - ...un
buon sovrano deve imparare ben presto ad ascoltare chiunque si rivolga a lui e
a valutare attentamente le sue parole... -
- Va bene...ci proverò. - disse
Galien, poco convinto, tormentandosi una corta ciocca di capelli biondi. Aveva
colto perfettamente l’allusione della madre, ma intanto la sua mente di bambino
continuava a vagare.
Che barba, pensò, come vorrei
che Adar fosse qui...magari mi
avrebbe portato a cavalcare o ad osservare gli scoiattoli nel bosco...quanto mi
piacerebbe giocare con uno scoiattolo tuttomio ! Mi seguirebbe dappertutto e mangerebbe dalla mia mano...gli
darei un nome e verrebbe da me quando lo chiamo...dunque, qual è il nome più
adatto ad uno scoiattolo ?
Anche se Galien pensava a
tutt’altro, fingendo il massimo interesse, l’intervento della Dama fece comunque
tirare un sospiro di sollievo al povero Enchilion, che si apprestò a continuare
la sua lezione.
- Dunque, stavamo
dicendo...l’esercito dell’Ultima Alleanza era schierato sul campo di
battaglia... -
- Galien non ha tutti i torti a
lagnarsi, mia cara. Le lezioni di Enchilion sono veramente una noia mortale. -
Anìrwen, spaventata, alzò gli
occhi verso la porta, dove si trovava Eredhil, le mani sui fianchi e il solito
sorriso di scherno dipinto sulle labbra. Galien guardò il fratello del padre
come se fosse la prima volta, scrutandolo a fondo con i suoi chiarissimi occhi
azzurri.
- Non è forse così,
piccolo ? Non preferiresti essere nel Giardino a giocare con gli altri
bambini invece di restartene qui ad ascoltare queste inutili sciocchezze ?
-
Galien non rispose e continuò a
fissarlo.
- Principe Eredhil... - balbettò
Enchilion, sempre più imbarazzato e rosso in viso - Non intendo mancarti di
rispetto, ma...io sto solo eseguendo il compito che mi è stato assegnato...e in
questo modo...le tue parole non mi aiutano affatto... -
Eredhil lo ignorò e si diresse
lentamente verso Anìrwen, che lo fissava inquieta.
- Cosa stai facendo qui,
Eredhil ? - disse Anìrwen.
L’elfo sorrise e alzò le spalle.
- Non ho forse il diritto di informarmi sui progressi nell’istruzione di mio
nipote ? - disse.
Anìrwen gli lanciò un’occhiata
glaciale. - In tutti questi anni non ti sei mai interessato una sola volta a
lui. Per te è come se Galien non fosse mai esistito. Come mai tante attenzioni
proprio adesso ? -
- Le persone cambiano con il
passare del tempo, Anìrwen. - rispose Eredhil piantandosi davanti alla Dama e
incrociando le braccia - In bene o in male, comunque cambiano. I sentimenti
possono spegnersi... -
- ...o crescere. - lo interruppe
Anìrwen - Ma non credo che i tuoi sentimenti verso Galien...o verso di me si
siano evoluti in meglio. -
Eredhil rise. - Hai ragione.
Potrei dire che le tue parole mi hanno ferito, ma non lo farò...perché non è
così. Hai centrato perfettamente il problema, Anìrwen, mia cara. -
In quel momento, Galien si sentì
scuotere da una strana sensazione che non aveva mai provato prima. Spaventato,
corse a rifugiarsi nelle braccia di sua madre.
Non è lui, si disse, c’è ma
non è solo...
- Te lo domando ancora una volta,
Eredhil. Cosa vuoi ? E stavolta esigo che tu mi risponda, altrimenti
vattene. Non tollero che le lezioni di Galien vengano interrotte. -
- E’ bello dare ordini, non è
vero, mia Signora ? Il potere è una sensazione meravigliosa e inebriante
che ti riscalda l’anima come il vino la gola. Le regole del mondo si reggono su
questioni di statura ; chi è più in alto vince sempre... -
- Naneth... - sussurrò Galien,
gli occhi spalancati dal terrore, mentre il suo piccolo cuore iniziava a
battere sempre più velocemente.
- A meno che chi si trova in basso
non lo faccia crollare, rovinosamente, al suolo. -
Eredhil schioccò le dita e,
immediatamente, due soldati irruppero nella stanza. Anìrwen sussultò mentre
Galien, incapace di staccare gli occhi dalla figura dello zio, si stringeva
ancora più forte a lei. Ma ciò che spaventava di più Anìrwen erano gli occhi
delle guardie che avevano affiancato Eredhil...non c’era nulla in essi, erano
freddi e spenti e sembravano aver perso tutta la luce che da sempre colmava lo
sguardo di ogni appartenente alla razza degli Elfi.
Enchilion si parò davanti ad
Anìrwen, per difenderla.
- Principe, che scherzo è
questo ? ! - esclamò - Richiama subito le guardie altrimenti... -
- Altrimenti cosa ? - lo
interruppe Eredhil - Non hai imparato la lezione, Enchilion ? Sono io a
dare gli ordini, ora. Tu ti trovi sul gradino più basso. - L’elfo fece un cenno
con la mano e uno dei due soldati si mise di fronte all’istitutore che, sebbene
spaventato, non retrocedette di un passo.
Anìrwen sentì il panico
impadronirsi di lei. - E’ così che ripaghi la fiducia di tuo fratello,
Eredhil ? Non ti stai comportando affatto come dovresti. Legolas ti ha
affidato il regno durante la sua assenza e tu , invece di proteggere il tuo
popolo, ti sei fatto trasportare dall’ambizione e dalla cupidigia per un
titolo di cui non conosci nemmeno il significato ! Non è così che si deve
comportare un Re ! -
- E tu che cosa ne
sai ? ! - tuonò Eredhil - Non hai mai provato a stare per un momento
dall’altra parte ? A rimanere indietro mentre tuo fratello, solo grazie alla
primogenitura, si accaparra il rispetto e la stima del suo popolo, e tu sai che
non avrai mai l’occasione di dimostrare quanto vali, perché vedi l’indifferenza
dipinta sul volto di chiunque ti guardi, dagli estranei, quei popolani che
potresti mettere a morte con un solo gesto della tua mano...a tuo Padre e tua
Madre...ma ora loro sono lontani, così come è lontano Legolas...e finalmente,
per la prima volta nella mia vita, posso fare ciò che voglio. -
- Tu stai farneticando... -
Eredhil ignorò le sue parole. -
Sono stufo, Anìrwen. - disse - Stufo di essere trattato come l’ultima ruota del
carro quando potrei essere io a condurlo. E sarò io a condurlo, stavolta, che
ti piaccia o no. Il tempo di Legolas sta per giungere. Ora ho chi mi
obbedisce... -
Il principe si voltò verso la
guardia che si trovava di fronte ad Enchilion e la fissò negli occhi. Senza
dire una parola, il soldato aggirò l’istitutore e lo afferrò per le spalle.
L’elfo iniziò a tremare, ma non disse una parola.
- Entra pure, mio caro Caerlind.
- disse Eredhil. Quando il giovane stalliere fece il suo ingresso e si fermò a
fianco del principe, Anìrwen vide il nulla anche nei suoi occhi e si sentì
perduta.
- E’ vero che farai tutto ciò che
ti dico, Caerlind ? - L’elfo annuì.
- Bene - continuò Eredhil -
Allora uccidi Enchilion. Subito. -
- NO ! - gridò Anìrwen,
senza alcun successo.
Con un movimento fulmineo,
Caerlind estrasse un lungo pugnale e lo conficcò nel petto di Enchilion, prima
ancora che questi potesse accorgersi di ciò che stava succedendo. Con un gemito
soffocato, spalancò la bocca e guardò per l’ultima volta il viso sogghignante
di Eredhil. Poi si accasciò al suolo e morì, mentre il suo sangue scorreva
verso i piedi di Anìrwen e Galien, che lo guardavano inorriditi.
- La dimostrazione è stata
sufficiente, mia Signora ? -
Prima che Anìrwen potesse aprire
bocca, Galien puntò il dito contro il principe.
- Non è solo, Naneth ! -
gridò - C’è qualcuno dentro di lui a comandarlo ! E’ rosso come una grossa
lingua di fuoco, e cattivo ! Ci farà del male, Naneth, a noi e ad
Adar ! Io... - Lo sguardo gelido e stupefatto di Eredhil trapassò gli
occhi del bambino. - ...io lo vedo ! -
Il principe face un passo in
avanti. - Tu... - disse.
- Non avvicinarti ! -
esclamò Anìrwen stringendo a sé il figlio e indietreggiando verso il muro.
Eredhil non la degnò di uno sguardo.
- Com’è possibile che tu,
moccioso, abbia potuto...ma certo... - Sorrise. - Tu hai il Dono...avrei dovuto
immaginarlo. Molto interessante. Credo che questo mi renderà le cose molto più
semplici. - Si voltò verso l’altra guardia. - Prendilo e portalo immediatamente
a Dol Guldur. Mi aiuterà a trovare gli altri Due, che ne abbia voglia o no. -
- No ! - gridò Anìrwen
cercando di lottare mentre il soldato le strappava il bambino dalle braccia -
Lascialo ! Prendi me, piuttosto, ma lascia stare Galien ! Ti prego,
Eredhil ! -
Il principe, impassibile, le si
mise di fronte, prendendole il mento con una mano. Galien, terrorizzato, smise
di divincolarsi dalla presa del soldato e tenne gli occhi fissi sulla madre.
Naneth...
- Tempo fa mi sarebbe piaciuto,
mia cara... - disse Eredhil in tono lascivo - In fin dei conti ho sempre
desiderato tutto ciò che mio fratello possedeva. E ora che potrei prenderti
davvero...beh, non ci trovo più gusto. Le cose hanno più sapore quando le si
ottiene con qualche difficoltà. Ad ogni modo, tra poco il mio caro fratello
perderà tutto quello che ha...tutto.- Lasciò andare il viso di Anìrwen, e le
posò la stessa mano in grembo. - Sai, mi sono spesso detto che avrei potuto
prendere questo bambino sotto la mia protezione, per aiutarlo a capire quanto
sia triste e doloroso essere il secondo per tutta l’eternità...e per evitare
che lui andasse incontro al mio stesso destino... -
Molto lentamente, Eredhil prese
il pugnale che portava alla cintura e lo tenne dritto davanti agli occhi di
Anìrwen.
- Sfortunatamente, non potrà
essere così. -
Con un colpo rabbioso, Eredhil
tagliò la gola della Dama davanti agli occhi sbarrati di suo figlio.
- Naneth ! ! NO ! ! - gridò il bambino, guardando
la madre accasciarsi lentamente a terra.
Con una smorfia di disgusto,
Eredhil afferrò il vestito di Anìrwen e vi pulì la lama insanguinata. Poi uscì
dalla stanza, seguito da Caerlind e dai due soldati.
- Portalo via. - disse alla
guardia che stringeva tra le braccia il piccolo Galien - Io ho ancora alcune
faccende da sbrigare, vi raggiungerò più tardi. -
Stesa sul pavimento, Anìrwen
sentì spegnersi lentamente per prima la piccola vita che portava dentro di sé.
Poi, con le sue ultime forze, tese una mano tremante verso suo figlio che
urlava e si dimenava senza sosta, mentre veniva condotto lontano da lei.
- Galien... - mormorò mentre
sentiva le forze venirle meno.
Grande Ilùvatar, fa’ che Galien viva...almeno lui...che il mio amore e
quello di suo padre lo aiutino a non soccombere al male che sta prendendo il
sopravvento...
Guardò un’ultima volta il corpo
di Enchilion, steso a pochi passi da lei, morto senza nemmeno sapere perchè, e
le lacrime le offuscarono la vista già appannata. Poi volse gli occhi alla
porta, quasi nella vana speranza di vedere suo figlio e suo marito tornare da
lei.
In un lampo, tutta la sua
lunghissima vita le balenò davanti agli occhi, arrestandosi nell’orribile
momento in cui Eredhil le aveva dato la morte, e pianse a dirotto mentre
rivedeva per l’ultima volta il viso del suo sposo...Legolas che la guardava
sorridendo il giorno delle nozze...la sua gioia quando lei gli aveva annunciato
di aspettare il loro primo, desideratissimo figlio...e poi il secondo...
Non doveva finire così, Legolas...morire in questo modo...mentre tu sei
lontano...e Galien è in pericolo...
Trasse un faticoso respiro.
Che il tuo amore protegga nostro figlio da questo orrore, Legolas...mio
unico adorato sposo...e che il mio protegga voi...per sempre...
Così pensava Anìrwen mentre i
suoi lunghi capelli biondi venivano bagnati dal suo stesso sangue.
Poi non vide più nulla.
Nestir stava effettuando la
solita ronda lungo i corridoi del palazzo quando sentì il grido di Galien.
- Naneth ! ! NO ! ! -
Naneth... ? Grande Ilùvatar...
Maledicendosi per aver lasciato
sole le persone che avrebbe dovuto custodire a vista, il Capitano della Guardia
corse verso le aule in cui Enchilion stava tenendo la sua lezione, il cuore che
gli martellava nel petto per l’ansia.
- Mia Signora ! Principe
Galien... -gridò, ma le parole gli
morirono in gola quando, arrestandosi bruscamente davanti alla porta, vide con
orrore Enchilion e Anìrwen stesi a terra in un lago di sangue, il petto e la
gola squarciati.
Con gli occhi spalancati dalla
disperazione, Nestir ispezionò la stanza, ma senza avere il coraggio di fare un
solo passo all’interno di essa.
- Cercavi qualcuno, Nestir ?
-
Il Capitano si voltò di scatto e vide,
dietro di sé, Eredhil, con un sorriso malvagio sulle labbra e le mani sui
fianchi.
- Principe Eredhil ! -
gridò, gettandosi in ginocchio davanti a lui mentre le lacrime gli rigavano il
viso - Non...non ho parole per giustificarmi...Ciò che è accaduto...io... -
- Alzati, Nestir. -
L’elfo alzò piano la testa e
guardò incredulo il suo principe mentre pronunciava quelle parole con
noncuranza.
- Ti ho detto di alzarti. Avanti,
obbedisci al tuo Signore. -
In un attimo, Nestir capì.
- Il mio Signore... - disse,
alzandosi e fissando Eredhil con i suoi occhi castani - Il mio unico Signore è
Legolas, figlio di Thranduil...e solo a lui obbedirò. Tu...tu ti sei macchiato
di un delitto orribile...e io te la farò pagare, dovesse costarmi la
vita ! -
Nestir sguainò la spada e la
puntò contro il principe, che rimase impassibile.
- Sei uno sciocco, Nestir... -
disse facendo un passo verso di lui - Vuoi rimanere un servo per tutta la
vita ? Non capisci che io ti sto offrendo la libertà ? -
- Forse è come dici, ma se per
affrancarmi da questa servitù dovrò sottostare ad una sorte ben
peggiore...allora preferisco seguire il mio destino ! -
Con un urlo selvaggio, Nestir si
avventò contro Eredhil brandendo la sua spada, ma il principe parò il suo
colpo, immobilizzando il suo avversario.
- Dov’è il Principe Galien,
maledetto ? ! -
- Dove nessuno lo troverà mai,
Capitano. Ma perché non ci segui, invece di cianciare ? -
Eredhil aprì lentamente la bocca
lasciando uscire Armagh, nella sua consueta forma di lingua di fumo rosso.
- No ! - gridò Nestir
dibattendosi per impedire che il demone entrasse in lui, ma Armagh lo avvolse
in una stretta spirale.
- Non hai via di scampo,
Capitano. - disse Eredhil ridendo - Tanto vale che tu ti arrenda. Vedrai, sarà
un grande onore far parte del mio esercito. -
Nestir sentì che per lui era la
fine. I suoi pensieri si stavano offuscando, mentre la malefica presenza
prendeva piano il sopravvento.
Mio Signore...io...non mi arrenderò...
- NO ! ! ! -
Con uno sforzo sovrumano, Nestir
riuscì a liberarsi dalla morsa del demone, lasciando Eredhil stupefatto mente
Armagh, sconfitto, si ritirava volteggiando sopra la sua testa.
- Sei più duro di quanto
pensassi, Nestir... - disse Eredhil - Per ora ce l’hai fatta, ma sai bene che
non potrai farlo per molto tempo. Ad ogni modo non ho mai amato i dissidenti. -
L’elfo fece un cenno con il capo
alle spalle di Nestir, che si girò di scatto, ma non fu abbastanza veloce da
evitare che Caerlind gli piantasse il pugnale nel petto.
Gemendo per il dolore, il Capitano
della Guardia cadde pesantemente sulle ginocchia.
- Stupido idealista... - disse
Eredhil a denti stretti - Non mi servono quelli come te. Resta pure qui a
marcire fino a quando tornerà il tuo Signore...perché ben presto ti
raggiungerà. - Poi si rivolse a Caerlind. - Vai a dare le disposizioni ai
soldati perché si preparino per il trasferimento a Dol Guldur. Annuncerò io
personalmente alla popolazione...che il nuovo Signore sta arrivando. -
Detto questo, si allontanò,
lasciando Nestir accasciato al suolo.
Il soldato rimase a guardare
Eredhil che se ne andava, ma, quando il principe fu sparito dalla sua vista,
l’elfo raccolse tutte le sue forze e si rialzò.
Posso farcela...devo farcela...si disse mentre, arrancando, si
dirigeva verso le scuderie.
Nestir non riusciva ad immaginare
cosa fosse successo ad Eredhil, ma non aveva intenzione di lasciare che un
folle invasato da un demone si impadronisse del Bosco Atro.
Legolas gli aveva ordinato di
proteggere le persone che aveva più care, e lui aveva fallito. Ora non poteva
morire senza aver portato a termine l’ultimo compito che il suo Re gli aveva
affidato : recarsi a Minas Tirith e informarlo di quei terribili
avvenimenti.
Pazzo...non ce la farai mai, si disse, non troverai mai un cavallo più veloce della morte...
Poi, mentre avanzava tra le
poste, alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Arod, e vide che in essi
brillava ancora quell’ardore che aveva sempre caratterizzato il piccolo
destriero del Mark.
No...esiste uno che può farcela...
Nestir fece uscire faticosamente
il cavallo grigio dalla posta, ed esso lasciò docilmente che l’elfo gli salisse
in groppa senza nemmeno farsi bardare.
- Noro lim, Arod... - sussurrò Nestir spronando il destriero che uscì
dalle scuderie al galoppo.
Mentre galoppava sul dorso di Arod,
Nestir sentì l’aria che gli sferzava il volto ridargli un po’ della vita che
stava perdendo. Udì le voci e le grida degli altri soldati che cercavano di
fermarlo mentre usciva dalle mura della città, ma non gli importava. Sapeva che
non sarebbero mai riusciti a raggiungerli. Legolas aveva sempre detto che quel
cavallo era nato per correre.
E ora lui l’avrebbe riportato dal
suo padrone, da quel Re che amava, che aveva giurato di proteggere a costo
della sua stessa vita e che si trovava lontano, a Minas Tirith.
E non poteva perdere tempo,
perché il suo tempo stava fuggendo via...
Ehm...so
che Bruce Springsteen con Tolkien c’entra come i cavoli a merenda...ma mentre
scrivo ho costantemente nelle orecchie il suo meraviglioso “The Rising”, da cui
è tratta la citazione all’inizio del capitolo (e ce ne saranno altre di
citazioni, non solo del Boss ! Io sono fissata con le colonne sonore, che
ci volete fare, abbiate pazienza !).
Non devo piangere, non devo piangere, non devo piangere, pensava
Galien mentre veniva portato a cavallo verso Dol Guldur. Il braccio con cui il
soldato lo cingeva a sè stringendolo alla vita gli faceva male, e il dolore,
insieme alle terribili emozioni del momento, gli toglievano quasi il respiro.
Sua madre e suo padre dicevano
sempre che i coraggiosi non devono mai piangere, e lui voleva dar loro
quell’ultima dimostrazione, anche se non potevano vederlo. Ma Galien aveva solo
sei anni, e i suoi genitori gli avevano insegnato a sopportare il dolore che si
prova quando si cade da un albero o ci si sbuccia un ginocchio, e per lui non
era facile distinguere tra il dolore fisico e quello mentale. E ora sua madre
non c’era più, e suo padre era lontano, chissà dove, e non ci sarebbe stato più
nessuno a proteggerlo.
Naneth, Adar...pensò, con un nodo alla gola.
Un incubo, doveva essere un
incubo da cui Galien voleva solo svegliarsi per trovare suo padre e sua madre
accanto a lui per consolarlo con le loro dolci parole.
- Mi fai male... - disse al
soldato, cercando di cacciare indietro le lacrime.
L’elfo non gli rispose e aumentò
ancora di più la presa, facendo gemere Galien per il dolore.
Un conato di vomito lo assalì.
Non ce la faceva più, era stanco e voleva tornare a casa.
Casa...quale casa ?
- Dove mi stai portando ? -
Il soldato sbuffò. - Non deve
interessarti. Ora sei anche tu un servitore del Signore di Bosco Atro. - disse,
con una voce che non gli apparteneva.
- No ! - esclamò Galien -
Solo mio Padre è il Signore del Bosco Atro, e quando tornerà vi imprigionerà
tutti per quello che avete fatto e... -
- Vuoi tacere ? ! - lo
interruppe bruscamente il soldato - Tuo padre non farà assolutamente nulla,
anche ammesso che riesca a trovarti. Non vuoi capire che la dinastia dei
Sovrani del Bosco Atro ha avuto fine, e una nuova epoca sta prendendo
inizio ? Legolas non potrà mai più fare un passo nelle mura della città,
perché se dovesse farlo non ne uscirebbe vivo. -
- Allora...lo lascerete
andare ? -
- Dipende. Sarà il mio Signore a
deciderlo. Ma qualunque sarà la sua scelta, tu non vedrai mai più tuo padre. Il
tuo potere serve al mio Signore per trovare gli altri Due. -
Il nodo che Galien sentiva alla gola
si fece più stretto.
- Voi...voi lo ucciderete, come
avete fatto con mia madre...e poi ucciderete anche me, quando non vi servirò
più... -
Il soldato non rispose.
- E’ davvero così forte ? -
disse il bambino.
- Non capisco di cosa parli. -
rispose freddamente l’elfo.
- Di quello che è dentro muinadar* Eredhil...e che ora è anche
dentro di te...non lo senti ? Io sì, e mi fa paura... -
- Ora basta, mi hai
stufato ! - esclamò il soldato con voce fredda e alterata - Fai silenzio
fino a quando saremo arrivati a Dol Guldur, altrimenti sarò costretto ad
imbavagliarti ! -
Galien tacque e guardò avanti. Dol Guldur...
Ricordò che aveva chiesto spesso
a suo padre cosa si trovasse là, e perché fosse proibito andarci, e ogni volta
che ne parlava, Legolas rabbrividiva.
- Là si trovava un Nemico terribile che io ho visto da vicino, Galien.
Per questo tuo nonno, mio padre, ha vietato di avvicinarvisi. E io lo vieto
anche a te, figlio mio, perché, anche se è scomparso, il Male lascia segni
indelebili su qualunque cosa tocchi... -
Quando, infine, furono in vista
delle pendici del monte, Galien sentì l’aura che lo circondava, grigia, pesante
e crudele come una cappa di piombo, mentre terribili immagini del passato si
insinuarono nella sua mente. Cominciò a tremare.
Non è scomparso, Adar...il Male c’è ancora, anche se il Nemico non è
più lo stesso...e adesso mi ci stanno portando, Adar...
Il suo respiro si fece più
frequente e affannoso. - Non voglio andarci... - sussurrò debolmente con voce
impaurita.
- E invece ci andrai. Stai zitto,
ora. -
Galien volse disperatamente lo
sguardo in tutte le direzioni, come per cercare un’impossibile via d’uscita,
fino a quando i suoi occhi si posarono sul pugnale che il soldato portava alla
cintura. Cercando di non farsi notare, lanciò un’occhiata al volto dell’elfo,
e, quando lo vide fisso in lontananza, decise. No, non mi ci porterai...
Veloce come un fulmine, sguainò
il pugnale e con esso pungolò il collo del cavallo, il quale scartò di lato
sgroppando e impennandosi, imbizzarrito. Galien si tenne forte alla criniera
per non cadere.
- Cosa... ? ! - esclamò
il soldato lasciando per un attimo la presa intorno alla vita di Galien per
cercare di controllare l’animale.
Il bambino non aspettava altro.
Più forte che potè, diede una gomitata nello stomaco del cavaliere, facendolo
cadere a terra, mentre lui prendeva le redini e colpiva con le gambine il
ventre del destriero.
- Fermati, maledetto ! -
esclamò il soldato, rialzandosi da terra e cercando di raggiungere il bambino.
Ma ormai Galien era già lontano, ed egli non potè fare altro che rimanere a
guardarlo scomparire oltre gli alberi, respirando affannosamente.
- Non andrai lontano ! -
gridò - Ti troveremo, prima o poi, dannato moccioso ! Vuoi cercare tuo
padre ? E allora vai a morire con lui ! -
Dopo essersi assicurato che il
soldato non lo stesse più seguendo, Galien fermò il cavallo e scese. Il suo
piccolo viso era paonazzo e gli occhi azzurri luccicanti e spalancati dal
terrore.
Accarezzò il muso del destriero
per calmarlo, poi si sedette per terra e cercò di riprendere fiato.
E adesso... ?
Con la mente e il cuore in
subbuglio, si guardò intorno, per valutare quale fosse la strada migliore da
seguire.
Era terribilmente difficile a
dirsi, soprattutto per lui che non era mai andato così lontano. Non vedeva
altro che alberi e sentieri sterrati, non avrebbe mai saputo dire quale fosse
la strada giusta...
...per andare dove ?
Sconsolato, si cinse le ginocchia
con le braccia e chinò la testa, mentre sentiva calde lacrime affiorargli agli
occhi. Deglutì, cercando di ricacciarle indietro.
Già, dove sarebbe potuto
andare ? Era libero, sì, ma ormai non aveva più nessuno ad aspettarlo a
casa...aveva avuto la libertà, ma ad un prezzo troppo alto...
- Naneth è morta, cavallino... -
disse al destriero che aveva chinato il muso a brucare l’erba accanto a lui - E
Adar...non so dov’è... - Sospirò dolorosamente. - Cosa faccio adesso ? -
Non poteva certamente tornare a
palazzo, dato che non aveva la minima intenzione di finire nelle mani di
Eredhil. Ma non sapeva dove altro andare...da quando era nato non era mai
uscito dai confini del Bosco Atro, e tutti i territori che si trovavano fuori
da esso li aveva visti solo disegnati sulle mappe che Enchilion gli mostrava.
Cercò di ricordare quando suo
padre gli raccontava dei meravigliosi luoghi che aveva visto durante la sua
avventura con la Compagnia dell’Anello...Gran Burrone, Lothlorien con il suo
bosco d’oro...se solo gli Elfi non se ne fossero andati per sempre nelle Terre
al di là del mare, forse avrebbe potuto trovare rifugio là...
Gli Elfi del Bosco Atro erano
rimasti soli.
Lui era rimasto solo.
Galien si alzò in piedi,
stringendo i pugni per cacciare la rabbia e il dolore.
No, non era solo. Suo padre era
lì fuori, da qualche parte, e lui doveva trovarlo ad ogni costo.
Si guardò intorno un’ultima
volta, poi si avvicinò al cavallo che brucava placidamente nell’erba. - Mi
dispiace, amico, ma dobbiamo dividerci. So che tu potresti portarmi lontano, ma
questi sentieri sono più agevoli a piedi, e poi mi troverebbero facilmente se
seguissero le tue tracce...torna a casa, là nessuno ti farà del male. -
Detto ciò, gli colpì il fianco
con la mano e gli disse alcune frasi in elfico, per incitarlo ad andare, e
rimase a guardarlo trottare via fino a quando non fu scomparso nella foresta.
Poi trasse un altro, profondo
sospiro.
- Forza, Galien. - si disse - Non
sai dove andare, ma ci andrai lo stesso... -
E così si incamminò senza sapere
dove, facendosi strada tra rami e cespugli, sentieri scoscesi ed impervi, e,
per farsi un po’ di coraggio, aveva solo la sua voce e una canzone che sua
madre gli aveva insegnato tanto tempo fa...
“Come i pini che
fiancheggiano strade tortuose
Io ho un nome, io ho
un nome !
Come il passero
canterino e il ranocchio che gracida
Io ho un nome, io ho
un nome !
E lo porto con me come
fece mio padre
Ma io vivo il sogno
che lui teneva nascosto...
Dritto per la mia
strada, dritto per la mia strada,
Dritto finchè la vita
mi porterà...
Come il vento del nord
che soffia nel cielo
Io ho una canzone, io
ho una canzone !
Come il canto del
canarino e il pianto del bambino
Io ho una canzone, io
ho una canzone !
E la porto con me e la
canto forte
E dovunque mi porti,
ci andrò a testa alta
Dritto per la mia
strada, dritto per la mia strada,
Dritto finchè la vita
mi porterà...
E ci andrò libero...
Come il matto che sono
e sempre sarò,
Io ho un sogno, io ho
un sogno !
Potete cambiare le
vostre idee ma non cambierete me
Perché io ho un sogno,
io ho un sogno !
E possiamo
condividerlo se tu lo vuoi,
Se fai la mia strada,
verrò con te...
Dritto per la mia
strada, dritto per la mia strada,
Dritto finchè la vita
mi porterà...”
- E così te lo sei lasciato
scappare.... - disse Eredhil, assiso sul trono che non gli apparteneva.
- Sono desolato, mio Signore. Mi
ha colto di sorpresa e... -
Eredhil ghignò, e per un attimo
la corona di ferro che aveva sul capo brillò di una fredda luce.
- Certo, ti ha colto di
sorpresa... - disse, alzandosi e dirigendosi verso il soldato - Dimmi, come può
un ragazzino di sei anni farla in barba ad una guardia più che esperta ? -
- Io...io non so che dire, mio
Signore... -
- Non sai che dire perché non c’è
niente da dire. Sei un idiota, e questo è sufficiente. -
Eredhil stese una mano verso
l’elfo, e da essa si sprigionò una spirale di fumo rosso che avvolse la gola
del soldato.
- Non ho bisogno di gente come
te...di validi soldati ne ho a bizzeffe. - disse mentre l’elfo soffocava e
crollava a terra morto, il respiro bloccato dal demone che, nutrendosi
dell’anima delle sue vittime, stava diventando sempre più forte.
- Portalo via, Caerlind - ordinò,
seccato, tornando a sedersi. - Dannazione, questo complica tutto...senza il
potere di Galien mi sarà decisamente più difficile trovare gli altri due
Silmaril... -
- Non rattristarti, mio Signore -
disse Caerlind con voce fredda e vuota - Tu puoi tutto, se lo vuoi... -
Senza guardare in faccia l’elfo,
Eredhil aprì le labbra in un inquietante sorriso.
- Hai ragione...potrò benissimo
fare a meno di lui. L’unica cosa che mi dispiace è di non averlo potuto
ammazzare con le mie mani, come ho fatto con sua madre...ma anche a questo si
potrà rimediare. Il Bosco Atro non avrà certo pietà di lui. A quest’ora, con
ogni probabilità, sarà già morto. -
E se non lo fosse ? disse la voce di Armagh nella mente del
principe.
- Non importa - rispose Eredhil,
stringendo gli occhi verdi che brillarono per la nuova, crudele idea che aveva
appena avuto - Ciò che conta è che sia Legolas a crederlo... -
*”Zio”,
letteralmente “fratello del padre” (padre = Adar ; madre = Naneth)
La canzone che
canta Galien è “I got a name” di Jim Croce.
Ultima
cosa : forse le parole di Galien non sono proprio adatte ad un bambino di
sei anni...ma considerate che è un elfo, quindi avrà avuto un’educazione un po’
diversa... (seee...trovatene un’altra di scusa ! NdTutti)
- La delegazione del Bosco Atro è
arrivata, Sire. -
Aragorn sorrise. Mentre usciva, lanciò
un rapido sguardo fuori dalla finestra della sua stanza ; una magnifica
giornata di sole avrebbe accolto l’ultimo dei partecipanti all’Assemblea,
nonché il suo più caro amico.
Erano trascorsi molti anni,
ormai, da quando la Compagnia si era divisa, ma i sentimenti che univano i suoi
membri non erano affatto cambiati, sebbene le loro occasioni di incontro
fossero sempre più rare. La grande Assemblea delle Nazioni era una di
queste ; e, sebbene le discussioni durante il suo svolgimento vergessero
su argomenti piuttosto gravi, il solo fatto di ritrovarsi di nuovo insieme era
comunque fonte di gioia per i vecchi compagni d’avventura, ognuno dei quali
aveva sempre qualcosa da raccontare.
Uscendo dal palazzo, Aragorn vide
Legolas e i soldati della sua scorta scendere dai loro cavalli e consegnarli
agli stallieri di corte. Ridendo, corse incontro al Re del Bosco Atro,
allargando le braccia.
- Bentrovato, amico mio ! -
disse, mentre l’elfo, stanco ma felice, contraccambiava il suo abbraccio -
Spero che tu abbia fatto un buon viaggio ! -
- Non poteva essere migliore -
rispose Legolas - Così come la tua accoglienza, Aragorn...dimmi, gli altri
Rappresentanti sono già qui ? -
- Sono già arrivati tutti -
rispose Aragorn - Ora stanno riposando nelle loro stanze. -
- Mancavo solo io, dunque. -
Aragorn sorrise, appoggiando una
mano sulla spalla dell’elfo mentre lo conduceva nel grande cortile all’interno
della reggia. - Averti finalmente qui dopo tutto questo tempo farà certamente
perdonare il tuo ritardo ! - esclamò - Gimli non ha fatto altro che
lagnarsi perché non arrivavi...voleva a tutti i costi mostrarti i suoi
progressi con arco e frecce prima dell’inizio dell’Assemblea ! -
- Legolas, finalmente ! Ora
potremo tornare a cavalcare insieme, amico ! -
Legolas e Aragorn voltarono il
capo e videro, con gioia, farsi loro incontro il buon vecchio Gimli, che
sfoggiava un enorme sorriso. Al suo fianco, ugualmente felice, si trovava Sam
Gamgee, ora sindaco di Hobbiville.
- Che bello rivedervi, Mastro
Legolas !...ehm volevo dire... - si corresse Sam.
L’elfo sorrise dando
un’amichevole pacca sulla schiena dello Hobbit. - Per voi tutti resto Legolas,
amici, dovreste saperlo ! - disse ridendo - Allora, Gimli, spero che,
oltre ad un buon arciere, tu sia finalmente diventato anche un bravo
cavaliere ! -
- Se non altro ha imparato a
rimanere in sella da solo... - disse Sam prima che il nano potesse aprire
bocca.
- Farai bene a starmi lontano
prima che mi venga voglia di farmi un paio di stivali di pelle di Hobbit, caro
il mio Samvise ! -
Sam scoppiò a ridere, segno che
non aveva decisamente preso sul serio la minaccia di Gimli.
- Molto bene ! - esclamò Legolas
unendo le mani - Ora la Compagnia è di nuovo riunita ! -
- Solo in parte, purtroppo. -
sospirò Sam - Merry e Pipino non potranno raggiungerci. Merry è malato, e
Pipino ha deciso di prendersi cura di lui...e questo vale a dire che, vista
l’esperienza del nostro Tuc nell’arte della guarigione, non so se e quando
riusciremo a vedere Merry di nuovo sulle sue gambe... - continuò lo Hobbit in
tono ironico.
- Non saranno gli unici a
mancare, allora. - disse Legolas guardando in lontananza con un velo di
tristezza negli occhi.
- E’ vero. - aggiunse Aragorn
pensando a Frodo e Gandalf, partiti ormai da molto tempo per le Terre Imperiture.
I quattro amici sapevano benissimo che non li avrebbero più rivisti, e
nonostante questo li ricordavano ancora con affetto e malinconia.
Ma non era solo il pensiero dei
due amici lontani a gettare un’ombra sul cuore di Legolas. Oltre il mare si
trovavano anche tutti gli Elfi di Lothlorien e Gran Burrone, che avevano voluto
seguire i loro signori, Elrond e Galadriel, in quell’ultimo viaggio, e lo
stesso era stato per Cìrdan dei Porti Grigi...e per suo padre, Thranduil. Lui e
la sua gente erano rimasti gli ultimi rappresentanti degli Elfi in tutta la
Terra di Mezzo...almeno fino a quando non avessero ceduto anche loro al
richiamo del mare.
- Capisco quello che stai
pensando. Siamo rimasti soli, Legolas. -
Con un sorriso dolce e sereno,
nonostante le sue parole, Arwen si avvicinò alla piccola compagnia, prendendo
la mano di Aragorn.
- La tua mente e il tuo cuore
sono rivolti al nostro popolo, non è vero ? - disse Arwen - Perché tutti
gli Elfi hanno un’unica mente e un unico cuore che li unisce gli uni agli
altri. Io, ormai, ho dei legami ben più saldi con un uomo e una terra che ora
amo più di me stessa, ma sento che, presto o tardi, anche tu cederai alla voce
del tuo sangue. E allora sarò io a rimanere veramente sola... -
Legolas guardò Arwen senza dire
nulla.
- Ciò che dici è vero - disse
infine Legolas - Sento che il momento in cui anche noi lasceremo la Terra di
Mezzo si avvicina sempre di più, anche se so che quello non sarà affatto un
momento di gioia. Ma non passa giorno senza che io pensi alla nuova vita che
attende me, la mia famiglia e la mia gente al di là del mare...forse l’ultimo
erede della Casa di Oropher* non vedrà mai il suo regno. -
La sua voce si ruppe, e l’elfo
abbassò lo sguardo. Notando il turbamento nei suoi occhi, Arwen gli portò una mano
al viso. - Le mie parole ti hanno rattristato e mi dispiace. - disse -
Perdonami, figlio di Thranduil, e sorridi per me, per Elessar e tutti coloro
che sono felici di averti qui, ora ! Bando alla malinconia, abbiamo ben
altro a cui pensare ! Ma dove sono tua moglie e tuo figlio ? Non li
hai portati con te ? -
Il volto di Legolas si illuminò
mentre apriva le labbra in un radioso sorriso. - Temo che Anìrwen non sarà in
grado di viaggiare per i prossimi mesi... -
Sam spalancò gli occhi per la
sorpresa. - Vuoi dire che... ? -
- Esatto, Sam. La nostra vita
sarà riempita ben presto dal pianto di una altro bambino...e Galien ne è felice
quanto noi ! -
Aragorn batté una mano sulla
schiena dell’elfo. - Congratulazioni, amico mio ! E’ davvero una
bellissima notizia. Spero che, non appena nascerà, ci informerai, così potremo
unire la nostra gioia alla vostra ! -
- E’ davvero splendido - disse
Gimli sorridendo - Solo mi dispiace che il piccolo Galien non sia qui...avevo
una gran voglia di prenderlo sulle ginocchia e raccontargli le favole del regno
dei Nani... -
- Ti assicuro che ne avrebbe
davvero avuto piacere. Galien mi chiede spesso di te. -
Gimli si accarezzò la barba
gongolando dalla gioia.
- Prenderlo sulle ginocchia,
dici ? - disse scherzosamente Sam - Quel bambino sarà cresciuto tanto che
potrà essere lui a prendere in braccio te, Gimli ! -
Il nano corrugò la fronte e
lanciò un’occhiataccia allo Hobbit. - Attento, Sam...cominciano a prudermi le
mani... -
Ridendo, Aragorn invitò gli amici
a farsi strada verso il palazzo. - Ora è meglio che andiate tutti a riposare. -
disse - Ti accompagnerò io alla tua stanza, Legolas. Ho bisogno di parlarti un
momento. I miei attendenti si occuperanno della tua scorta. -
Legolas annuì, ed entrambi
congedarono Gimli e Sam, che tornarono nelle loro stanze, mentre Arwen seguiva
i due Re all’interno del palazzo.
- Che cosa ti preoccupa,
Aragorn ? - disse Legolas, turbato da ciò che il Re di Gondor aveva detto.
Aragorn tacque per un attimo,
cercando le parole.
- Ti avevo detto che eri stato
l’ultimo ad arrivare - disse infine - Ma non è così. Manca ancora uno dei
Rappresentanti all’Assemblea. -
Legolas sospirò e tenne lo
sguardo dritto davanti a sé. - Il Signore di Dale. - disse.
- Esatto. Non si è ancora
presentato e non ha nemmeno fatto avere sue notizie. Io credevo che Garn di
Esgaroth fosse venuto con te, ma... -
- Non so nulla di quanto sta
accadendo a Dale, Aragorn, credimi. - lo interruppe Legolas - E la cosa mi
preoccupa. Da circa un mese Esgaroth ha chiuso la frontiera con il Bosco Atro e
interrotto il flusso delle merci da Pontelagolungo. E io non capisco perché. Ho
provato più volte a chiedere un incontro con Garn in territorio neutrale, ma mi
è stato sempre rifiutato senza spiegazioni. Non sono tranquillo, Aragorn ;
è come se la gente di Esgaroth volesse isolarsi... -
- O isolarvi. -
Legolas non rispose. - Non so
cosa fare, Aragorn. -
- Ti capisco. Questa situazione
non ci voleva in un momento come questo. -
- No che non ci voleva...non ci
vorrebbe in nessun momento, a dire il vero. I rapporti tra gli Elfi del Bosco
Atro e la gente di Dale sono sempre stati pacifici...ed ora su di essi si pone
un grosso interrogativo che non riesco a risolvere. -
I tre si fermarono davanti alla
porta della stanza di Legolas.
- Forse domani potrai trovare una
risposta alle tue domande. - disse Arwen - L’Assemblea delle Nazioni prenderà
sicuramente una decisione in proposito. Ma ora è meglio che ti conceda un sonno
ristoratore. -
Legolas sorrise e ringraziò i
Sovrani di Gondor, che si congedarono rapidamente da lui.
Ma, nel calore della sua stanza,
avvertiva comunque un oscuro timore farsi strada dentro di lui come un
serpente...
Corri, Arod, non fermarti, pensava febbrilmente Nestir mentre
galoppava senza sosta verso Minas Tirith. Il coraggioso Capitano della Guardia
sentiva la vita uscirgli dal corpo, e non aveva intenzione di lasciarsi andare
prima di essere giunto dal suo Re.
Aveva corso per tutto il giorno e
avrebbe continuato per tutta la notte, finchè non avrebbe visto le bianche
torri della capitale di Gondor. Con un po’ di fortuna avrebbe potuto anche
raggiungere la scorta di Legolas ; il fatto di essere solo e di non voler
effettuare soste (l’unica era servita ad abbeverare il buon Arod) gli avrebbe
dato un po’ di vantaggio, e, anche se si trovava in pessime condizioni,
sicuramente ci avrebbe messo meno tempo ad arrivare.
Respirando a fatica, si aggrappò
tenacemente alla criniera dell’instancabile destriero del Mark, che non
sembrava avvertire il minimo segno di stanchezza.
Nestir, invece, sentiva la vista
offuscarsi sempre di più, e il gelo invadere il suo corpo. Non si voltò mai, ma
sapeva di aver lasciato dietro di sé una lunga scia di sangue.
Grande Ilùvatar, fa che me ne resti abbastanza per fare ciò che devo...
Il primo a prendere la parola
durante l’Assemblea fu Gimli. Non aveva molto da raccontare, a dire il vero,
salvo illustrare il procedimento dei lavori di ristrutturazione delle Miniere
di Moria, molto interessante dal punto di vista tecnico quanto terribilmente
noioso. Così Legolas approfittò dell’intervento del nano per riordinare le idee
su ciò di cui avrebbe dovuto parlare, e, nel frattempo, dare un’occhiata alle
persone che lo circondavano.
La sala era rotonda, e rotonda
era anche la tavola attorno alla quale i Rappresentanti dei Popoli Liberi erano
seduti. Esattamente di fronte a Legolas, su un trono di legno intarsiato, stava
seduto Aragorn, Signore di Gondor e moderatore dell’Assemblea. Alla sua
sinistra era seduta sua moglie, Dama Arwen Undòmiel, e alla sua destra Faramir,
Sovrintendente di Gondor. Intorno alla grande tavola erano poi seduti molti
Uomini e Nani provenienti da tutte le regioni della Terra di Mezzo, ma nessun
altro Elfo oltre a Legolas e Arwen.
Il Re del Bosco Atro scrutò con
attenzione i volti di chi lo circondava, e non potè fare a meno di scorgervi
note di preoccupazione ; come aveva detto ad Anìrwen, la condizione di
pace che si era instaurata dopo la caduta di Sauron era estremamente precaria,
e qualsiasi soffio di vento rischiava di farla crollare. Qualsiasi soffio di vento...proprio come quello che iniziava a
spirare da Esgaroth.
- Io ho finito. - disse ad un
tratto Gimli sedendosi - Lascio la parola al prossimo. -
Legolas si scosse dai suoi
pensieri.
- Legolas Verdefoglia, Signore del
Bosco Atro - disse Aragorn facendo un cenno con la mano nella sua direzione -
Vuoi essere tu a prendere la parola ? -
Legolas si alzò. - Sarò breve. -
disse - Come tutti sapete, il Bosco Atro confina con la regione di Esgaroth sul
Lago Lungo, con la quale il mio popolo da secoli intrattiene fruttuosi scambi
commerciali, soprattutto per via fluviale. Da poco tempo, però, il Signore di
Dale li ha interrotti bruscamente, rifiutando qualsiasi spiegazione e chiudendo
le porte della sua città in faccia agli ambasciatori che avevo mandato per
proporgli un incontro. Speravo di poter risolvere la questione durante
l’Assemblea, ma vedo che Re Garn non si è presentato. Chiedo quindi consiglio
ai Rappresentanti. -
- Il sedile vuoto di Garn indica
una grave mancanza ad un patto stipulato per la salvaguardia delle Nazioni
Libere. - intervenne Faramir - Pertanto propongo che una delegazione si rechi a
Dale per ricevere una spiegazione immediata a tale comportamento. -
Imrahil di Dol Amroth alzò una
mano. - Parli come se il torto giungesse da una sola parte. Ma se, invece... -
- Gli Elfi del Bosco Atro non
hanno mai mancato ai trattati commerciali stipulati con Esgaroth. - lo
interruppe Legolas - Non cercare in questo il motivo di questa mancanza,
Imrahil, perché non si trova lì. Posso illustrarvi tutti gli accordi che
abbiamo sottoscritto, e vedrete con i vostri occhi che sono sempre stati più
che onesti per entrambe le parti. -
- A maggior ragione la nostra
richiesta di spiegazioni è legittima. - aggiunse Faramir.
- Ma non credo sia opportuna in
questo momento. Garn potrebbe far equivalere un’ingiunzione del genere con una
rottura dell’equilibrio... - disse Aragorn.
- Ma quale equilibrio ! -
esclamò Gimli - E’ stato Garn il primo a solcarvi una crepa. Io sono d’accordo con
Faramir. -
La questione sollevò le voci di
tutti i rappresentanti dell’Assemblea, chi più chi meno d’accordo con
l’opinione del Sovrintendente di Gondor, generando una gran confusione.
Ad un tratto, una guardia
spalancò il portone della sala e fece il suo ingresso, la preoccupazione
dipinta sul volto. - Mio Signore - disse, rivolgendosi ad Aragorn - Perdona la
mia intrusione, ma un Elfo del Bosco Atro chiede di parlare urgentemente con il
suo Re. Si tratta del Capitano Nestir ; l’abbiamo trovato ferito davanti
alle porte della città. L’abbiamo portato alle Case di Guarigione, ma temo gli
rimanga poco tempo... -
Legolas impallidì, e un terribile
presagio balenò nella sua mente.
Nestir...
Si alzò di scatto. - Chiedo di
lasciare momentaneamente l’Assemblea. Temo sia successo qualcosa di molto
grave. - disse.
- Non hai bisogno di chiedere il
permesso, Legolas. - rispose Aragorn - Va’ pure. Ti raggiungerò quando la
discussione sarà terminata. -
Legolas si chinò davanti al Re di
Gondor e agli altri Rappresentanti, e uscì di corsa dalla sala, seguendo il
soldato che gli faceva strada.
Sentiva il cuore battergli nel
petto all’impazzata, mentre ripensava alle parole che aveva detto a Nestir
prima della sua partenza.
“Qualsiasi cosa accada manda immediatamente un messaggero a Minas
Tirith...”
Ma il messaggero era lui.
Ferito a morte.
Lui che avrebbe dovuto rimanere a
proteggere la sua famiglia...
Legolas conosceva bene Nestir, e
sapeva che sarebbe morto piuttosto che abbandonare il suo incarico. E ora stava
morendo veramente...
- Nestir, che cos’è
successo ? ! - esclamò Legolas entrando nella stanza in cui l’elfo,
agonizzante, era vegliato da due guaritori.
- Mio...mio Signore... - sussurrò
Nestir con l’ultimo filo di voce che gli era rimasto.
- Ti sento, mio fedele Capitano,
cerca di non affaticarti... - disse Legolas chinandosi sul suo letto.
Nestir deglutì dolorosamente. -
E’ stato il Principe Eredhil, mio signore...è stato lui...io...io non sono
arrivato in tempo... -
- Cos’ha fatto Eredhil... ?
- sussurrò Legolas con voce tremante.
Legolas sentì il suo sangue
diventare ghiaccio. - Nestir...ti prego, dimmi cos’ha fatto Eredhil alla Dama e
al Principe... -
Nestir spalancò gli occhi pieni
di lacrime. - Dol...Dol Guldur... -
- Dol Guldur ? ! -
- Io...non ho potuto
fermarlo...perdonami...è colpa mia... -
Legolas si passò una mano sul
viso, la mente e il cuore in subbuglio.
- Nestir... -
- Dovevo avvertirti, mio
Signore...stai attento...io...io ho fallito... -
- Non parlare più, Nestir... -
- Perdonami...-
Dagli occhi del soldato scese
l’ultima lacrima ; poi rimasero aperti mentre la vita sfuggiva
definitivamente dal suo corpo.
- Che Mandos abbia pietà della
tua anima, mio fedele Capitano...e che la tua attesa nelle sue Aule sia
breve... - disse Legolas chiudendo gli occhi di Nestir.
- Legolas... -
L’elfo si girò, il viso
sconvolto, e vide Aragorn in piedi, dietro di lui. Arwen, Sam e Gimli l’avevano
seguito.
- Devo tornare a casa, Aragorn. -
disse - Ti prego di spiegare la situazione ai Rappresentanti...e di dare una
degna sepoltura al mio valoroso Capitano. -
Aragorn annuì preoccupato,
vedendo che, nonostante Legolas avesse cercato di mantenere un tono di voce
ferma, all’elfo tremavano le mani.
- Sella i due cavalli più veloci.
- disse alla guardia - Legolas, io vengo con te. Dammi solo il tempo di dare
qualche disposizione a Faramir. -
- Aragorn, io... -
- Niente discussioni, Legolas. Io
ho preso la mia decisione. -
Legolas trasse un profondo
respiro per cercare di mantenere la calma, ma inutilmente. - D’accordo. Vado a
convocare i soldati della mia scorta. Noi andremo avanti e loro ci seguiranno,
così non ci rallenteranno troppo il viaggio. -
Detto ciò, uscì di corsa dalla
stanza senza badare agli amici che lo guardavano preoccupati.
- E noi ? ! - esclamò
con ansia Sam.
- E’ meglio se restiamo qui, Sam
- rispose Gimli posandogli una mano sulla spalla - Temo che in questo momento
la nostra presenza non gli sarebbe di alcuna utilità. -
- Gimli ha ragione. - disse Arwen
- L’unica cosa che possiamo fare ora è aspettare...aspettare e pregare... -
In breve, Legolas e Aragorn
furono pronti per partire.
- Allora è tutto chiaro ? Se
non avrai nostre notizie entro una settimana, sai cosa fare. - disse Aragorn.
- Sì, mio Re. - rispose Faramir -
Partirò immediatamente con lo squadrone dei lancieri, lasciando di guardia la
cavalleria e i fanti. Non temere, non accadrà nulla a Minas Tirith. Intanto
penserò io a dare il comunicato ai Rappresentanti. -
- Molto bene. Sciogliere
l’Assemblea è l’unica cosa giusta da fare in questo momento. -
- Aragorn... -disse Legolas. Il Re si girò a guardarlo, e
vide dipinti nei suoi occhi l’ansia e il terrore.
- Sì, Legolas - disse congedando
Faramir - Sono pronto. Andiamo. -
Legolas e Aragorn cavalcarono per
un giorno e una notte senza mai fermarsi. Il cavallo dell’elfo schiumava dalla
fatica, ma sembrava avere le ali ai piedi, e correva tanto veloce, spronato
com’era dal suo cavaliere, che Aragorn stesso faticava a stargli dietro. La
scorta di Bosco Atro, nel frattempo, li seguiva a breve distanza.
Quando finalmente giunsero al
confine del Bosco Atro, Legolas fermò di colpo il suo cavallo e tenne alta la
testa, annusando l’aria e tendendo le orecchie per captare ogni minimo rumore.
- Fuoco... - rispose l’elfo senza
voltarsi - Fuoco e legna bruciata...piante abbattute... -
I due si fecero strada tra gli
alberi fino a quando il bosco si aprì, lasciandoli alla piena vista di Dol
Guldur.
- Per Ilùvatar... - esclamò
Legolas spalancando gli occhi nel vedere ciò che stava accadendo.
Molti elfi carpentieri stavano
terminando di erigere un’enorme e larghissima palizzata attorno alle pendici
del monte, una sorta di provvisoria muraglia ottenuta dagli alberi che
circondavano Dol Guldur, ormai ridotti a ceppi bruciati e senza vita. I
carpentieri lavoravano senza sosta, tenuti costantemente sotto controllo dagli
stessi soldati del Bosco Atro. Sulla cima della montagna la fortezza che era
appartenuta a Sauron sembrava essere tornata all’antico splendore, e sulla sua
torre sventolava una bandiera nera che portava uno stemma sconosciuto :
una corona grigia a tre punte, ognuna delle quali portava una pietra bianca.
- Chi...chi può essere l’artefice
di tutto questo ? - disse Aragorn. Legolas tacque, ma dentro di sé
conosceva la risposta a quella domanda. Ed essa non si fece attendere.
- Ben arrivato, mio caro
fratello ! -
Legolas e Aragorn alzarono la
testa e videro Eredhil che passeggiava nell’alto corridoio che si trovava
dietro la palizzata.
Legolas scese da cavallo e gli
andò incontro, gli occhi pieni di rabbia e paura.
- Ti piace la mia nuova fortezza,
Legolas ? Queste mura di legno sono solo temporanee, verranno presto
sostituite da pietra robusta. Sarà un’opera grandiosa... -
- Cos’hai fatto,
Eredhil ? ! - esplose Legolas - Hai violato il divieto e ora stai
costringendo con le armi il nostro popolo a costruirti un castello là dove
nessuno avrebbe mai dovuto mettere piede ! Come risponderai di tutto
questo, ora ? ! -
- Rispondere ? - disse
Eredhil ghignando - Io non devo più rispondere di nulla a nessuno. Ho solo
fatto quello che avrei dovuto fare molto tempo fa...prendere ciò che mi
spettava. Sei arrivato tardi, Legolas. O forse troppo presto...del resto aveva
ragione Anìrwen a dire che non avresti dovuto andare a Minas Tirith ; ma
non avrebbe fatto alcuna differenza, con te o senza di te avrei comunque
ottenuto ciò che volevo. Guardati intorno, fratello... - Eredhil stese il
braccio descrivendo un semicerchio davanti a sé. - Tutto ciò che vedi mi
appartiene. Ti chiederai certamente come sono riuscito ad ottenerlo ;
diciamo solo che ho un alleato molto potente...ed estremamente persuasivo. -
Detto questo, Eredhil prese la
corona ferrea e se la mise sul capo.
- Che cosa... ? - disse
Aragorn, confuso.
- Per tutti i Valar ! !
- esclamò Legolas - Quella è la corona di Morgoth ! ! Come puoi
averla tu ? ! -
- Mi ha semplicemente chiamato,
fratello. Era destino che giungesse nelle mie mani, così com’era destino che
trovassi il Silmaril...ed ora, grazie a questa corona e a quello che essa
contiene, tutto quello che era tuo è finalmente diventato mio. Il momento del
mio riscatto è giunto. Oh, dimenticavo...ho ancora qualcosa che ti
appartiene... - Eredhil fece un cenno con la mano e, accanto a lui, apparve un
soldato che sorreggeva per le spalle una figura femminile.
- Anìrwen ! ! - gridò
Legolas precipitandosi verso la palizzata - Lasciala andare, maledetto ! !
-
- Ogni tuo desiderio è un ordine,
fratello. -
Eredhil voltò il capo verso il
soldato che gli stava accanto, e questo sollevò il corpo della Dama
scagliandolo oltre le mura di legno.
- NO ! ! - gridò
disperatamente Legolas.
Ma il suo strazio non era ancora
finito, poiché vide con orrore il corpo della sua sposa penzolare dalla cima
della palizzata con un cappio al collo. In quel momento gli parve che il suo
cuore si fosse fermato.
- A... a Elbereth Gilthoniel... - sussurrò con voce tremante, gli
occhi spalancati, incredulo di fronte al terribile spettacolo che gli si
presentava, mentre tendeva disperatamente le braccia come per raggiungere la
moglie.
- In nome di Ilùvatar... - disse
Aragorn, correndo al fianco dell’elfo - Legolas... -
- Tuo figlio ha fatto la stessa
fine, fratello ! - disse Eredhil - Vuoi vedere anche lui ? -
Legolas strinse forte i pugni e
gli occhi gli si riempirono di lacrime di rabbia e dolore. Incapace di
distogliere lo sguardo dal corpo senza vita di Anìrwen, si morse un labbro e
gridò : - Perché, cane maledetto ? ! Perché loro ? !
Perché non hai ucciso me se ero io la fonte del tuo odio e del tuo
rancore ? ! -
Il malvagio sorriso scomparve
dalle labbra di Eredhil. - Sarebbe stato troppo semplice, Legolas...la vendetta
va gustata a poco a poco, e per ora mi basta vedere la disperazione nei tuoi
occhi. Voglio vederti soffrire, una lunga e lenta agonia come quella che ho
dovuto subire io per più di duemila anni ! -
- Tu...tu non sai nemmeno cosa
significhi soffrire veramente... -
- Perché, tu sì ? Hai sempre
avuto una vita perfetta, mentre io dovevo accontentarmi delle
briciole ! ! Ma ora non resterò più indietro, nella tua ombra,
fratello ! Ho un popolo da comandare, e se non mi obbedirà ci penserà
l’esercito ad insegnargli la devozione ! L’attesa è stata lunga ma
fruttuosa...ho potuto tramare alle tue spalle con la massima tranquillità senza
che tu te ne accorgessi ! Allora dimmi, Legolas...l’Assemblea ha forse
risolto il tuo dilemma riguardo ad Esgaroth ? -
Legolas non sentì nemmeno le sue
parole. Tutta la sua esistenza stava lentamente crollando a pezzi, le sue
certezze erano in frantumi, sbriciolate.
- L’Assemblea ? - esclamò
Aragorn - Allora c’eri tu dietro a tutto ciò, maledetto ! -
- Naturale ! - rispose
Eredhil - E chi altri ? Per mesi ho lavorato nell’ombra, cercando prima di
convincere Garn a rompere i legami che lo univano al Bosco Atro, e invece poi
l’ho portato dalla nostra parte...anzi, dalla mia parte...ormai Garn, come questi soldati, non è altro che un
fantoccio nelle mie mani ! Signore di Gondor, dì pure addio ad uno dei
membri dell’Alleanza...molti altri lo seguiranno, a poco a poco ! -
- Lurido verme... - disse Aragorn
a denti stretti - Se solo riuscissi a capire come ha fatto a... -
- Avanti, Legolas ! - continuò
Eredhil - Hai riavuto tua moglie, ora non vuoi tuo figlio ? Vieni pure a
riprenderlo ! Anzi... - Il ghigno perverso sul suo volto si allargò. - Te
lo manderò io stesso...un poco alla volta. Dimmi, quale pezzo preferisci avere
per primo ? La testa ? Una mano ? Sono tutti pronti... -
Legolas alzò la testa verso il
fratello, lanciandogli uno sguardo carico d’odio, e fece un passo avanti. - Hai
avuto la tua inutile vendetta, vigliacco. - gridò con la voce tremante dal
dolore - Mi volevi distrutto, finito, e mi hai portato via tutto quello che
amavo di più. Hai ottenuto quello che volevi, e lasciandomi in vita potrai
godere della mia disperazione. Ma non potrai difenderti da essa...perché ti
dico che tutto ciò che hai conquistato spargendo il sangue del mio sangue ti si
ritorcerà contro ! La tua fortezza diventerà la tua tomba...e quando la
terra ti si spalancherà sotto i piedi e le fiamme del suo abisso ti
inghiottiranno io sarò lì, Eredhil, e sputerò sulla mano che mi tenderai per
salvarti ! ! -
Eredhil tacque per un istante, e
i suoi occhi fissarono quelli del fratello.
- Vedremo chi di noi due
precipiterà nell’abisso, Legolas. - disse, ed estraendo un pugnale tranciò di
netto la corda che reggeva Anìrwen, lasciandola precipitare al suolo. Legolas
corse verso di lei, e abbracciò il suo corpo insanguinato. Aragorn lo seguì.
- Credo che ci incontreremo di
nuovo, fratello. - disse Eredhil allontanandosi. Un’aura rossastra sembrò
avvolgerlo. - E forse, se ne avrò voglia, metterò fine al tuo tormento...per
sempre. -
Aragorn rimase immobile a
guardare Eredhil scomparire oltre le mura. Poi abbassò lo sguardo verso
Legolas, che stringeva forte il corpo della sua sposa singhiozzando
convulsamente, e vide il lungo taglio che le solcava la gola.
- Era già morta, Legolas. - disse
posando una mano sulla spalla dell’amico - L’aveva uccisa molto prima. Non
avresti...non avremmo comunque potuto salvarla. -
L’elfo lo ignorò e guardò il
volto cereo della Dama, bagnandolo con le sue lacrime, e accarezzandole i
lunghi capelli.
- Perdonatemi... - sussurrò
baciandole la fronte per l’ultima volta - Anìrwen, Galien...perdonatemi... -
Legolas restò a vegliare il corpo
di Anìrwen per tutta la notte, fino a quando arrivarono i cavalieri della sua
scorta. Affranti, aiutarono il loro Re a seppellire la Dama, e Legolas piantò
in cima al tumulo alcuni boccioli di
elanor.
Aragorn non abbandonò l’elfo
nemmeno per un istante, sebbene Legolas non avesse più detto una sola parola.
E per molto tempo ancora rimase
lì in piedi, in silenzio, gli occhi fissi sul tumulo sotto il quale giaceva la
sua sposa.
Anìrwen, mia Anìrwen...
La rivide bella e sorridente come
sempre al suo fianco, e si maledisse per non averla potuta salutare il giorno
della sua partenza, per dirle quanto l’amava e che sarebbe morto per lei...che
avrebbe preferito essere lui al suo posto sotto quel cumulo di terra...al posto
di sua moglie e del suo bambino mai nato.
E Galien...
Non aveva neppure potuto riavere
il corpo del suo amato primogenito. Non aveva nulla su cui piangerlo, se non i
suoi ricordi.
Così piccolo...
Strinse i pugni, tremando.
Eredhil, vigliacco, schifoso bastardo, come hai potuto...come hai
potuto fare questo a mio figlio...ai miei figli...e alla loro madre...
Gli occhi gli facevano male, ma
non aveva più lacrime per piangere.
Come... ?
COME HO POTUTO PERMETTERTELO ? !
Trasse un profondo respiro.
- Non mi aveva mai detto niente,
Aragorn... - disse infine con voce spenta, senza voltare lo sguardo verso il Re
- Credevo fosse mio fratello, e invece non lo conoscevo affatto. Per tutti
questi anni ho allevato una serpe nella mia casa senza nemmeno sapere chi
fosse...ed ora che l’ho scoperto è troppo tardi. -
Chiuse gli occhi, come per
cacciare indietro il terribile dolore, e alzò la testa verso il cielo. - Tu non
puoi immaginare quello che sento, Aragorn...perché nemmeno io lo posso
concepire. E’ una sensazione che non ho mai provato prima ; un odio così
profondo che mi stringe i visceri...mi sento contorcere e bruciare dentro, e
non posso urlare per lenire il mio dolore... -
- Perché ? - disse piano
Aragorn - Perché non puoi ? Tormentarti non servirà a nulla... -
Legolas deglutì, e voltò di
scatto la testa verso l’amico, fissandolo con i suoi occhi profondi. Ma ciò che
Aragorn vide in essi lo spaventò. Una rabbia muta e terribile li colmava...
In quel momento Aragorn capì che
qualcosa, nel profondo dell’animo di Legolas, era cambiato per sempre.
- Tu lo credi ? - disse - Le
persone che amavo più della mia vita sono morte e il mio regno è in mano ad un
infame. La responsabilità di tutto questo è mia... -
- La tua unica colpa è di aver
dato fiducia a chi non la meritava affatto, Legolas. - lo interruppe Aragorn.
L’elfo scosse il capo, senza
togliergli lo sguardo di dosso. - Odio Eredhil per ciò che ha fatto, ma non posso
evitare di odiare anche me stesso per averglielo permesso. La mia vendetta è
doppia, Aragorn ; contro Eredhil e contro di me. -
Aragorn rabbrividì. - E io temo
fortemente la seconda, Legolas...a cosa ti servirebbe, ormai ? Non hai
bisogno di vendetta contro di te, perché non hai nessuna colpa. Solo tu hai il
diritto di rivalerti sul sangue di tuo fratello, ma non potrai, se continuerai
a farti del male...ricorda che Eredhil ha l’appoggio di qualcuno o qualcosa di
estremamente potente, altrimenti non sarebbe mai riuscito a fare ciò che ha
fatto. E per sconfiggerlo avrai bisogno di tutte le tue forze... -
Un improvviso rumore di zoccoli
sul terreno lo interruppe. - Cosa... ? - disse Aragorn. Le guardie di
Legolas si misero in posizione di difesa, ma tornarono tutte al loro posto
quando videro di chi si trattava ; tutti i Rappresentanti erano giunti
dinnanzi a Dol Guldur, e Faramir era alla loro testa.
- Spero che tu abbia una
spiegazione per tutto questo, Legolas ! - esclamò Imrahil indicando il
monte e ciò che lo circondava.
- Per la barba di Durin,
Legolas ! Cos’è successo ? - disse Gimli scendendo dal cavallo di
Arwen, seguito da Sam che era giunto fin lì in groppa al suo fedele pony Bill.
- Perdonami, mio Sire - disse
Faramir - Sono stati loro ad insistere perché li portassi qui. Ho provato a
farli desistere, ma... -
- Non importa, Faramir. - disse
Aragorn spostando lo sguardo verso Legolas, che continuava a fissare il tumulo
in silenzio ignorando i nuovi venuti - Alle spiegazioni penserò io. -
- E spero che siano convincenti,
Aragorn, perché quello che vedo non mi piace affatto ! - disse Imrahil.
Mentre Aragorn spiegava
l’accaduto ai Rappresentanti, Gimli si avvicinò a Legolas e si inginocchiò
acanto al tumulo.
- Anìrwen... ? - disse
piano.
- E Galien. - rispose Legolas
senza guardare in faccia il nano - Anche se lui non è qui sotto... -
A Gimli si strinse il cuore e
riuscì a malapena a trattenere le lacrime. Cercò le parole per consolare
l’amico, ma appena aprì bocca fu subito bloccato da Imrahil.
- Sono addolorato per quanto è
accaduto a tua moglie e a tuo figlio, Legolas - disse - Ma il dovere di un
sovrano va oltre i suoi legami personali. A causa della tua sventatezza hai
perso il comando del tuo regno, e l’Alleanza ha perso uno dei suoi membri più
preziosi. Senza contare la defezione di Garn di Esgaroth...mi dispiace,
Legolas, ma dovrai rispondere di tutto questo davanti all’Assemblea. - Alcuni
dei Rappresentanti annuirono, spalleggiando Imrahil, ma Legolas non disse nulla
e nemmeno si voltò verso di loro.
Aragorn si fece paonazzo dalla
rabbia. - Come puoi dire una cosa del genere in un momento come
questo ? ! - esclamò - Legolas ha subito un terribile tradimento,
perpetrato alle sue spalle dal suo stesso fratello, colui al quale aveva
affidato la guida del suo regno durante la sua assenza e che invece ha
corrotto l’esercito per impadronirsi del potere ! -
Imrahil accennò un sorriso di
sfida e guardò Aragorn dritto negli occhi. - Se un esercito si ribella al suo
Signore significa che non è soddisfatto della sua guida. Se io fossi in
Legolas, comincerei a riflettere sulle mie mancanze. Ad ogni modo ora
l’equilibrio è spezzato e le nostre terre sono in pericolo per colpa sua. - Il
Re di Dol Amroth risalì a cavallo, imitato dai suoi seguaci. - Appena tornato
nel mio regno preparerò una mozione contro di lui, Aragorn, e la metterò al
voto dei Rappresentanti. Conosco bene l’amicizia che ti unisce a Legolas, ma
non puoi impedirmelo; sei il moderatore, ma non l’Assemblea. -
Detto questo, partì al galoppo e
scomparve tra gli alberi.
Arwen, preoccupata, corse dal suo
sposo e lo prese per un braccio. - Non lascerai che faccia una cosa del genere,
vero Elessar...? -
Aragorn non rispose e,
pensieroso, prese la mano di Arwen tra le sue. Poi si rivolse a Legolas.
- Non preoccuparti, nessuno
prenderà provvedimenti contro di te, Legolas. Imrahil ha dalla sua parte molti
Rappresentanti, ma anche tu ne hai altrettanti. -
- Noi non voteremo mai a tuo
sfavore, Legolas. - disse Sam - Sappiamo benissimo che tu non hai nessuna
colpa. E poi Imrahil dev’essere davvero senza cuore per prendere una decisione
del genere in un momento come questo... -
- Imrahil ha ragione, amici. -
Tutti i presenti spalancarono gli
occhi nel sentire le parole dell’elfo.
- L’equilibrio è stato infranto a
causa mia, anche se non so come avrei potuto impedirlo...ed ora anche i legami
all’interno della stessa alleanza sono sempre più fragili. Imrahil si sta
comportando da sovrano responsabile ; anche se non capisco dove, ho
sbagliato e pagherò. -
- Quel fanfarone potrà prendere
tutti i provvedimenti che vorrà - sbottò Gimli - Ma vorrei vedere cos’avrebbe
fatto se si fosse trovato al tuo posto ! -
Legolas sorrise amaramente. - Vi
ringrazio per il vostro appoggio. Non sapete quanto sia importante per me in
questo momento. Ma per ora c’è solo una cosa che posso fare. -
L’elfo si avvicinò ad Aragorn e,
quando gli fu di fronte, sguainò la spada e la tenne dritta davanti a sé.
Faramir portò la mano alla sua, pronto ad estrarla, mentre la piccola compagnia
rimase con il fiato sospeso.
- Per la barba di Durin, cosa
vuoi fare ? ! - esclamò Gimli.
Legolas non prestò attenzione
agli amici che lo circondavano, e, dopo aver capovolto la spada, ne conficcò la
lama nel terreno. Poi si inginocchiò.
- Ora sono un Re senza regno e un
soldato senza armi. - disse - L’unica cosa che ancora possiedo è la mia
vita...e la metto al tuo servizio, Signore di Gondor. Ti chiedo solo di poter
combattere al tuo fianco il nemico che per causa mia ora minaccia la Terra di
Mezzo. Se i miei soldati vorranno seguirmi, saranno anch’essi a tua
disposizione, altrimenti saranno liberi di prendere la loro strada. -
Gli elfi della scorta di Legolas
si scambiarono uno sguardo tra loro e annuirono. Poi uno di essi si avvicinò al
suo Re e parlò.
- Quando giurammo di servirti a
costo della nostra vita giurammo anche di non infrangere mai questa promessa.
Tu ci hai sempre guidati con saggezza, e noi non ti lasceremo se non sarai tu a
decidere il contrario. Siamo con te. -
Dopo queste parole, tutti i soldati
si inginocchiarono chinando il capo. Legolas li guardò con gratitudine.
Aragorn, sbigottito, guardò prima
Arwen, poi Faramir, Sam e Gimli, e infine posò i suoi occhi su Legolas.
- Alzati, amico. - gli disse
porgendogli una mano - Anche se non mi avessi detto tutto questo, sarei sempre
stato più che certo della tua fedeltà. E anche tu potrai sempre contare sul
nostro appoggio. Fino a quando sarai un esule, saremo lieti di accogliere te e
i tuoi fedeli guerrieri a Gondor, e lì nessuno potrà mai danneggiarti ;
l’aiuto che ci potrai dare per sconfiggere questo nuovo nemico sarà
estremamente prezioso. -
Legolas prese la mano di Aragorn
e la strinse. - Farò tutto ciò che mi sarà possibile, Aragorn, te lo prometto.
- disse. Poi alzò la testa e il Re vide che nei suoi occhi duri e freddi
brillavano rancore e disperazione.
- Ma ti chiedo solo un’ultima
cosa... - continuò - Quando quel verme sarà nelle nostre mani, ti
prego...lascia che sia io a schiacciarlo. E’ l’ultima cosa che posso fare per
Anìrwen e Galien. -
Rhiannon guardò fuori dalla
finestra. Si stava facendo buio, ma gli ultimi avventori della “Locanda dei Tre
Passi” non sembravano avere intenzione di andarsene. Sbuffando, pose sulla
mensola l’ultimo bicchiere appena asciugato.
- E’ inutile che ve ne restiate
lì a guardare, i vostri bicchieri non si riempiranno da soli. - disse, seccata,
ai quattro uomini seduti al bancone.
Il primo dei quattro, un
individuo dai lunghi capelli neri che evidentemente non vedevano l’acqua da
molto tempo, rise. - Ci stai forse invitando gentilmente ad uscire, Rhiannon ?
- disse - Non credo di essere in grado di trovare la strada da solo...perché
non mi aiuti tu, mia cara ? Potremmo tenerci compagnia a vicenda per un
po’... -
La ragazza lo guardò storto. -
Scordatelo, Frey. - disse - Non mi piacciono quelli che puzzano di birra.
Piuttosto che sentirmi il tuo fiato sulla faccia preferisco tagliarmi un
dito...con questo. - Con un sorriso di sfida, la ragazza afferrò un coltello da
cucina e lo tenne dritto davanti a pochicentimetri dal naso dell’uomo.
Frey ammiccò. - Uhm...mi
piacciono le donne audaci... -
- Rhiannon, piantala di giocare
con i coltelli e finisci di riordinare. - disse sbrigativamente Potter Mayne,
il proprietario della locanda, rovesciando gli sgabelli sui tavoli. - Quanto a
voi, sarà meglio che le diate retta, prima che ci pensi io a buttarvi fuori con
la scopa. Sbrigatevi a finire la vostra birra, è ora di chiudere. -
- Vuoi buttare fuori i tuoi
ultimi clienti, Potter ? - disse Frey - E non dico ultimi per questa
sera...se non sbaglio gli affari non vanno affatto bene per questo posto. -
Rhiannon guardò Potter
raddrizzare la schiena e mettersi una mano su un fianco, appoggiandosi ad un
tavolo con l’altra. Le piaceva quando faceva così ; lo immaginava giovane,
quando il suo viso liscio e abbronzato doveva aver riscosso un grande successo
con le donne. Ma con il passare degli anni la fatica e le sofferenze della vita
gli avevano reso la pelle sottile e le guance cadenti, e i corti capelli
bianchi delimitavano una fronte molto ampia e solcata da profonde rughe, uno
strano contrasto con gli occhi nerissimi e vivaci, in cui sembrava che l’ardore
della gioventù convivesse con la saggezza della vecchiaia.
Dagli una bella lezione, Potter, pensò la ragazza. Fagli sentire una delle tue frasi famose,
quelle con cui hai vinto più di una discussione ed evitato più di una
rissa !
Ma l’aspettativa di Rhiannon fu
delusa. Il vecchio sospirò e tornò a testa bassa dietro al bancone, con gli
occhi della ragazza che lo seguivano passo dopo passo.
- Che c’è, ti sei mangiato la
lingua per la fame ? - disse l’uomo dai capelli neri in tono provocatorio.
Il più giovane dei quattro, un ragazzino ancora imberbe ma già iniziato ai
piaceri della birra, si lasciò sfuggire una risata.
Potter sospirò e si appoggiò al
bancone, guardando l’uomo negli occhi. - Facciamo così, Frey... - disse - Se
non ti prendo a schiaffi non è solo perché non ho voglia di ripulirti la faccia
dal lerciume che la ricopre... - Frey arrossì, mentre il giovane scoppiò a
ridere buttando indietro la testa e lasciando ondeggiare i capelli bruni. -
...ma perché preferisco dirti che hai ragione. Sì, per la prima volta nella tua
miserabile vita hai ragione...cosa ne dici ? -
- Dico che non avrei mai
immaginato che ti saresti ridotto a dar corda ad un ubriacone solo per il
quieto vivere, Potter ! - esclamò Rhiannon aggrottando le sopracciglia.
- A parte il fatto che non stavo
parlando con te - puntualizzò Potter - Questo ubriacone ha detto una sacrosanta
verità. Forse non te ne sei mai accorta, o forse non hai mai voluto dirmi
niente per non ferirmi...ma le cose stanno andando decisamente male in questi
ultimi tempi. I viaggiatori che fanno sosta da queste parti continuano a
diminuire. Io speravo che la fine della Guerra dell’Anello riportasse la
prosperità che la guerra stessa ci aveva tolto...e invece la paura continua a
dilagare come una macchia d’olio. Ma avrei dovuto saperlo, Rhiannon. La guerra
e tutto ciò che la segue non portano bene a nessuno. Temo che prima o poi la
più vecchia locanda dei dintorni di Aldorath dovrà chiudere per sempre...ma
tanto meglio così. Comincio ad essere stanco. - Nel sentire quelle parole,
Rhiannon impallidì.
Frey ridacchiò. - Tanto meglio
davvero ! - esclamò - E’ ora che questa topaia chiuda i battenti !
Così non potrai più propinare ai tuoi poveri clienti questo ignobile piscio di
vacca invece delle squisitezze che ti scoli tu nel retrobottega, Potter !
-
- Parli proprio tu, che sei il
mio miglior cliente ! - ribattè Potter - Ma dove credi di andare, se
questa bettola chiuderà ? Insulti la mia birra e te ne scoli almeno tre
boccali ogni sera ! Sei proprio un idiota ! -
- Lo sai perché questa si chiama
“Locanda dei Tre Passi”, Frey ? - intervenne un vecchio dai lunghi capelli
bianchi legati in una treccia - Perché quando ti alzi dal tavolo fai tre passi
e ti ritrovi steso per terra ! E’ la birra di Potter, Frey...il vero
“piscio di vacca”, come lo chiami tu, non fa quest’effetto, credimi ! -
Frey borbottò qualcosa di
incomprensibile e ingurgitò l’ultima sorsata di birra, sbattendo il boccale sul
bancone. Potter sorrise e inarcò un sopracciglio.
- Questa sera voglio essere
generoso. Vi offro l’ultimo giro, amici, in nome dei bei tempi che non
torneranno più... - disse. Poi raccolse i boccali dei quattro e si apprestò a
riempirli di nuovo, ma si fermò quando si accorse che uno di essi era ancora
mezzo pieno. Alzò la testa e guardò il proprietario del bicchiere ; era un
giovane di nemmeno trent’anni, dai corti capelli castani, la barba incolta e un
triste sguardo fisso nel vuoto.
- Che c’è, Val ? Non hai più
sete ? - disse Potter. Il giovane non gli rispose e sospirò.
- E’ malato d’amore... - lo
punzecchiò il vecchio - ...per la nostra bella locandiera dai capelli rossi.
Non è vero, Rhiannon ? - Il ragazzino bruno scoppiò nuovamente a ridere,
ma era talmente ubriaco che non sapeva nemmeno perché.
Persa nei suoi pensieri, Rhiannon
non prestò la minima attenzione a quelle parole.
- Fatti gli affari tuoi, Finbar.
Quanto a te, imbecille... - ribattè Val dando uno scappellotto al ragazzino che
smise immediatamente di ridere - stasera hai bevuto anche troppo. Fila a casa.
- Barcollando, il ragazzo uscì dalla locanda.
- Quello non sa nemmeno dove sono
i suoi piedi, Val... - disse Finbar.
- Allora che si arrangi. Non ho
certo intenzione di riportarlo a casa a spalle. -
- Non sei davvero un buon
fratello maggiore, Valerius... - disse Potter - Di questi tempi un ragazzino
rischia di fare brutti incontri, andandosene in giro da solo... -
- Yain è grande abbastanza per
cavarsela, Potter. E poi siamo a due passi da Aldorath. Di certo non si
perderà. -
- Sarà... - disse Potter,
dubbioso - Ma io, se fossi in te, non sarei del tutto tranquillo. Qui siamo
troppo vicini al Bosco Atro, e ultimamente corrono strane voci sugli Elfi... -
- Che c’entrano gli Elfi ? -
domandò Rhiannon scuotendosi e interrompendo il flusso dei suoi pensieri -
Viviamo tra Bosco Atro e Lothlorien da anni e nessun elfo ci ha mai dato grane.
Abbiamo avuto problemi ben peggiori con certi clienti che si rifiutavano di
pagare... -
- I tempi sono cambiati,
Rhiannon... - disse Finbar - E le voci di cui parla Potter sono vere. Qualcosa
di subdolo si è insinuato tra gli Elfi del Reame Boscoso...in giro si parla di
un Re decaduto in cerca di vendetta e dell’orrore che sembra stia risvegliandosi
a Dol Guldur... -
- Tu devi smetterla di
frequentare altre bettole che non siano questa, Finbar. - disse Rhiannon -
Chissà cosa ti hanno propinato per farti credere a queste idiozie... -
- Può darsi che lo siano, ragazza
mia... - intervenne Potter - Io so solo che quando si tratta degli Elfi c’è
poco da scherzare. Sono un popolo tanto meraviglioso quanto crudele... - La
voce del vecchio si fece più cupa e profonda. - Ho combattuto sui Campi del
Pelennor durante l’ultima, terribile battaglia contro Sauron, sette anni
fa...ero lì, tra le schiere degli uomini di Gondor, e non dimenticherò mai
quello che ho visto. Quegli enormi eserciti scontrarsi e massacrarsi senza
pietà... -
Nella locanda non volava una
mosca, e gli occhi di Rhiannon e dei tre uomini erano fissi su Potter Mayne.
Il vecchio locandiere rabbrividì.
- Augurati di non vedere mai un
elfo in battaglia, Rhiannon. - disse.
Per qualche istante, nessun
parlò.
- Vuoi sfuggire a tutto questo,
Rhiannon ? Metterti al sicuro ? Io conosco il modo... - disse infine
Val sospirando. Il giovane alzò gli occhi e incontrò quelli della fanciulla. -
Sposami...io potrei portarti via da questo buco e... -
- E mi faresti finire in un buco
peggiore ? - lo interruppe Rhiannon. La ragazza si appoggiò al bancone e
si sporse verso Val, fissandolo con i suoi occhi verdi come l’acqua.
-Val - disse - Quante volte mi hai chiesto di sposarti ? -
- Credo di aver perso il conto...
-
- E quante volte ho
accettato ? -
- Nessuna. - disse Val facendo
spallucce e sorridendo amaramente.
- Quindi, cosa ti fa pensare che
stavolta io possa cambiare idea ? -
- Beh, tentar non nuoce... -
- E invece nuoce ! - rispose
seccamente Rhiannon sbattendo un mano sul bancone e raddrizzandosi - Non mi
piace ripetere sempre le stesse cose. Un solo uomo ha avuto posto nella mia
vita, e non ho intenzione di sostituirlo, chiaro ? -
- Oh, andiamo, Rhiannon ! -
sbottò Val allargando le braccia - Non dirmi che stai ancora aspettando il
ritorno del tuo bel principe in sella al suo cavallo bianco...qualsiasi posto è
meglio di questo per una ragazza come te ! -
Potter guardò la sua aiutante,
cercando di prevederne la reazione.
Era davvero bella,
Rhiannon ; nonostante i suoi capelli fossero una nuvola rossa che le
incorniciava il viso ovale e perfetto e i suoi occhi fossero chiarissimi, non
aveva una pelle bianca e diafana, ma dorata e ricoperta di lentiggini che
sembravano illuminarla. La sua bellezza era fiera, ma anche un po’ triste.
Potter la conosceva bene, e sapeva quando era il caso di scherzare con lei. E
quello non era decisamente il caso.
Rhiannon squadrò il giovane e
strinse gli occhi. - Vorresti essere tu il mio principe, Val ? - sibilò.
- Lo sai.... -
- E allora torna quando sarai
padrone di un regno...o quantomeno di un cavallo bianco. -
Detto questo, gli volse le spalle
e tornò a riordinare i bicchieri.
Frey e Finbar risero, ma Potter
non lo fece. Stava ancora guardando il viso di Rhiannon, i suoi occhi brillanti
di rabbia. Quella sera, la ragazza non aveva proprio voglia di ridere.
- Fai come ti pare, Rhiannon -
disse Val alzandosi e sbattendo sul bancone alcune monete - Resta pure qui ad
asciugare bicchieri per tutto il resto della tua esistenza... -
Detto questo, se ne andò.
- Voialtri potreste imitarlo, che
ne dite ? - disse Potter.
Finbar si alzò sospirando e batté
una mano sulla spalla di Frey. - Andiamo, amico. E’ ora di tornare a casa. -
Detto questo, i due pagarono e uscirono.
Potter prese uno straccio e finì
di pulire il bancone, mentre Rhiannon sbatteva furiosamente caraffe e bicchieri
puliti in un piccolo armadio.
- Quello tornerà alla carica,
vedrai... - disse Potter, alludendo a Val.
- Che torni pure. Saprò bene come
accoglierlo. -
Potter si fermò a guardare la
ragazza muoversi a scatti, come per sfogare la rabbia che portava dentro di sé.
- Prima o poi dovrai deciderti,
Rhiannon... - disse il vecchio locandiere sospirando - Non avrai davvero
intenzione di passare qui dentro tutta la tua vita... -
- E’ la mia vita, Potter ! - sbottò Rhiannon voltandosi di colpo - E
tu non sei mio padre, quindi non dirmi cosa devo o non devo fare ! -
Sbattè gli sportelli dell’armadio
e andò a chiudere gli scuri delle finestre.
- Non ti servo più ? Se vuoi
che me ne vada non devi fare altro che dirmelo. -
- Oh, per il cielo... -
La ragazza si mise le mani nei
capelli e si accucciò per terra traendo un profondo respiro. Potter scosse il
capo e andò a sedersi accanto a lei.
- Non dico queste cose per me,
Rhiannon...le dico per te... -
Rhiannon si prese le ginocchia
tra le braccia e guardò Potter con disappunto.
- Val è un bravo ragazzo.
D’accordo, forse è un po’ troppo insistente, ma ti vuole bene e potrebbe darti
una vita migliore. E poi ha anche un bell’aspetto...insomma, preferiresti uno
come Frey, capace di uccidere le mosche con una fiatata ? -
Rhiannon si concesse un fugace
sorriso, che cancellò immediatamente.
- Non voglio uno come Frey, ma
non voglio nemmeno Val. Sto bene qui, Potter, non mi importa di trascorrere il
mio tempo cucinando o lavando pavimenti ! E’ la mia vita, ormai. Ogni
volta che provo a cambiarla non faccio altro che peggiorare le cose...pensavo
che tanto valesse rimanere al punto di partenza, così nessuno avrebbe potuto
portarmi via quel poco che avevo guadagnato. E invece adesso mi toccherà
ricominciare da capo...per l’ennesima volta. -
Potter sospirò e appoggiò la
testa al muro.
- Mi dispiace, Rhiannon. - disse.
- Oh, dispiace anche a me, e non
sai quanto... - ribattè la ragazza.
- Dico davvero. Ma non ho altra
scelta, dannazione ! I clienti sono pochi e gli affari vanno male. Non
posso contare solo su gente come Finbar e Frey... -
- Per loro questo posto è come
una casa, Potter. Qui trovano calore e comprensione, non si limitano ad
annegare i loro dispiaceri in un boccale di birra ! Che ne sarà di
loro ? -
- Non avranno difficoltà a
trovare un altro posto come questo, puoi starne certa. Ad Aldorath ci sono
bettole in ogni angolo. -
Rhiannon si alzò. - D’accordo,
Potter. E io ? Cosa farò io ? Dove pensi che possa andare ? -
Levò una mano e indicò fuori dalla finestra. - Lui non tornerà a prendermi, Potter...se n’è andato per sempre,
ormai ; l’ho capito e mi sono stancata di aspettarlo. E anche Roslyn se
n’è andata. Se anche tu mi mandi via, cosa mi resta ? -
Il vecchio locandiere si alzò a
sua volta. - Non ho mai avuto molto da offrirti, Rhiannon, lo sai. E adesso
posso fare ancora meno. Se tu ti decidessi a trovare un marito... -
- Oh, maledizione,
finiscila ! - lo interruppe la ragazza - Non ho bisogno di nessuno, quante
volte te lo devo ripetere ? ! -
Potter la guardò, rassegnato. -
Non sei ancora riuscita a dimenticarlo, vero ? -
Rhiannon tacque e respirò
profondamente, senza staccare i suoi occhi da quelli del vecchio.
- Sono affari miei, Potter. -
disse - E non devo renderne conto a nessuno, tantomeno a te. -
La ragazza afferrò il secchio che
si trovava vicino alla porta.
- Dove vai ? - disse Potter.
-A prendere l’acqua. - rispose Rhiannon aprendo la porta e
sbattendola dietro le sue spalle.
- Adesso ? - disse Potter
cercando di fermarla - Ma è già buio, Rhiannon, aspetta... -
La ragazza lo ignorò e lui non
potè fare altro che restare a guardarla mentre si allontanava verso la foresta.
Era preoccupato per lei, ma d’altro canto non poteva impedirle di sfogarsi.
E di questo Rhiannon aveva
veramente bisogno.
Galien aveva camminato per quasi
due giorni ed era veramente esausto. Si sedette dietro ad un grosso cespuglio,
ansimando, e capì che non sarebbe stato in grado di proseguire oltre ; le
sue gambe erano deboli per la fame, e il sonno si stava impadronendo di lui.
Si guardò intorno, incapace di
riconoscere il luogo in cui si trovava ; del resto, aveva girovagato a
caso per tutto quel tempo, e non aveva nemmeno la più pallida idea di dove
stesse andando, né di dove sarebbe potuto andare. In quei due giorni aveva
cercato di evitare le strade più frequentate, per non rischiare di imbattersi
nei soldati di Eredhil, ed era più che deciso a continuare a farlo fino a
quando non fosse stato ben lontano dai confini del Bosco Atro. Poi avrebbe
pensato a cosa fare. Forse avrebbe cercato la strada per Erebor, il regno dei
Nani, alla ricerca di Gimli, il grande amico di suo padre...o forse avrebbe
chiesto aiuto a Re Elessar, di cui ricordava il viso severo ma buono. Sì, forse
poteva ancora contare su qualcuno...se solo fosse riuscito a trovarlo...
Ma, in quel momento, era
solamente stanco, sporco e affamato, e non riusciva a pensare ad altro che al
suo stomaco che brontolava. Tutto ciò che aveva potuto mangiare erano stati
alcuni frutti e un pezzetto di pane, rubato dal davanzale di una finestra sul
quale era stato messo a raffreddare, mentre attraversava furtivamente i
villaggi di confine con il Bosco Atro.
Si frugò nelle tasche per
verificare se contenessero ancora qualche frutto che aveva tenuto da parte, ma
le trovò desolatamente vuote. Represse un singhiozzo e si accoccolò tra le
fronde del cespuglio.
Dove sei, Adar... ? Ho paura...ti prego, vieni a prendermi e
riportami a casa...
Si sfregò gli occhi con le manine
graffiate e si strinse nelle braccia.
Poi si addormentò.
Si svegliò poco più tardi,
sentendo uno strano rumore di rapidi passi e di ramoscelli spezzati. Galien si
sedette di scatto e si accucciò dietro il cespuglio, mettendosi in ascolto e
cercando di non fare il minimo rumore.
Ai passi seguì ben presto un
borbottio rabbioso, ed apparve tra gli alberi una fanciulla dai capelli rossi
come il fuoco e dall’espressione furibonda che imprecava mentre camminava
speditamente reggendo il manico di un secchio che ondeggiava avanti e indietro.
- Dannazione a Valerius... -
disse tra sé e sé la ragazza a denti stretti - E anche a Potter ! Che si
facciano gli affari loro una buona volta ! ! “Se tu ti trovassi un marito...” Stupidi idioti ! Un marito è
l’ultima cosa di cui ho bisogno, adesso ! Non mi serve nessuno che pensi
per me, sono abbastanza grande per cavarmela da sola ! ! -
Nonostante i continui improperi,
Galien si sentì istintivamente più tranquillo alla vista di quella strana
ragazza che parlava per conto suo. Incuriosito, il bambino tese le orecchie e
continuò a seguirla con lo sguardo mentre lei gli sfrecciava davanti a testa
bassa.
Certo che, se continua così, andrà a sbattere contro un albero...
pensò Galien.
Infatti non si sbagliò. Persa nei
suoi mugugni, la fanciulla prese male le misure e non si inchinò abbastanza per
evitare di picchiare la testa contro un ramo un po’ troppo basso.
- Ahi ! Maledizione,
MALEDIZIONE ! Anche tu ce l’hai con me, stupida foresta ? ! -
esclamò Rhiannon portandosi una mano alla fronte.
Galien si lasciò sfuggire una
risata, ma si tappò subito la bocca con una mano, temendo di essere scoperto.
Troppo tardi, però.
Dopo aver sentito quello strano
rumore, Rhiannon si azzittì e si guardò intorno, quasi spaventata.
- Chi...chi è là ? ! -
disse con voce incerta.
Galien, terrorizzato dall’idea
che la ragazza lo vedesse, restò immobile a guardarla.
- Chiunque tu sia, vieni
fuori ! Non mi fai paura ! -
Galien smise di respirare e si
guardò disperatamente intorno alla ricerca di una via d’uscita. Si girò piano
per scappare, approfittando della copertura che il cespuglio gli offriva...
- E tu chi saresti ? !
-
Galien sussultò nel trovarsi di
fronte il viso di Rhiannon, che lo guardava sorpresa. Con un’esclamazione di
stupore, il bambino ricadde seduto e, con le gambe tremanti, cercò di
indietreggiare. Ma dietro di lui si trovava il cespuglio che gli impediva la
fuga, così Galien, con il cuore in gola, rimase a guardare la misteriosa
ragazza con gli occhi spalancati dal terrore.
- Non preoccuparti, piccolo, non
ti farò del male... - disse Rhiannon, confusa, cercando di assumere un tono di
voce pacato. Galien deglutì, incapace di staccarle gli occhi di dosso.
- Sei un elfo... - aggiunse la
ragazza, notando le piccole orecchie a punta che sbucavano da sotto i capelli
del bambino - Vieni dal Bosco Atro ? Che cosa ci fai fuori dai confini da
solo, ti sei perso ? - Il bambino tacque e non si mosse.
- Beh, non aver paura, vedrò di
portarti a casa in qualche modo. -
- NO ! -
Stupita da quell’esclamazione, la
ragazza vide gli occhioni azzurri del piccolo elfo riempirsi di lacrime
disperate.
- Per favore...non portarmi
indietro...mi faranno del male...per favore... -
Rhiannon lo guardò senza capire,
turbata dalla sua espressione. Mille interrogativi le turbinavano in mente, ma
capì che, in quel momento, l’unica cosa da fare era tranquillizzare quel bimbo
spaventato.
- Non ti porterò indietro, se non
lo vuoi. - disse - Te lo prometto. -
Galien non rispose, ma qualcosa,
nel suo cuore, gli diceva che la ragazza non stava mentendo.
- Io mi chiamo Rhiannon. - gli
disse con voce calma, senza avvicinarsi a lui - E tu ? -
- Galien... - sussurrò il
bambino.
Rhiannon sorrise. - Dov’è tua
madre, Galien ? -
- Morta. -
- Oh...mi dispiace. - La ragazza
lo guardò con dolcezza, sinceramente addolorata per ciò che poteva essere
capitato al piccolo. - E tuo padre ? -
Galien alzò le spalle. - Non lo
so... -
L’espressione di Rhiannon si fece
pensierosa e confusa. Cosa poteva essere capitato di così terribile a quel
bambino per essere costretto a fuggire dal suo regno ? Lo guardò di
nuovo ; respirava affannosamente ed era quasi incapace di muoversi ;
aveva i capelli spettinati, i pantaloni strappati e la tunica macchiata, e il
suo visetto era sporco di fango e polvere. Per un momento le ricordò la piccola
Roslyn, quando la guardava con i suoi occhioni da cerbiatta impaurita, e lei
non poteva fare altro che prenderla tra le braccia e stringerla a sé, per farle
capire quanto le volesse bene...
Ma Roslyn non c’era più, e al suo
posto si trovava quel piccolo elfo, un altro cucciolo spaventato che non aveva
più nessuno che si prendesse cura di lui.
Sentì che doveva assolutamente
fare qualcosa...
- Hai fame, Galien ? -
domandò.
- Un po’... -
- Allora vieni con me. Forse è
rimasto ancora un po’ di pane e latte nella dispensa...e magari qualche
biscotto. Ti piacciono i biscotti ? -
Galien annuì, e nei suoi occhi
sembrò riaccendersi un po’ di speranza.
- Forza, allora. Andiamo a casa.
-
Il bambino rimase immobile ancora
per un momento, mentre scrutava la ragazza nei suoi occhi color del mare.
Rhiannon non sapeva perché, ma lo sguardo di Galien, in quel momento, la
inquietava. Non poteva immaginare che l’elfo stava leggendo nel suo cuore...
Piano piano, Galien tese una
manina tremante verso la ragazza, e lei, sorridendo, la prese nella sua,
aiutando il bimbo ad alzarsi.
- Credo che tu abbia bisogno di
un bel bagno e di qualche vestito pulito...vedrò cosa posso fare. Riesci a
camminare ? -
Galien le sorrise e annuì. Sì,
forse aveva trovato qualcuno di cui potersi fidare...
- Niente da fare - disse Potter -
Il marmocchio non può rimanere qui. Con tutti i problemi che abbiamo, quello è
l’ultimo che ci serve. -
Galien non aveva ancora toccato
cibo ; la tazza di latte e le grosse fette di pane imburrato che aveva
davanti a sé erano il primo vero pasto che si fosse concesso dal giorno della
sua fuga, eppure il bambino non sembrava di averlo degnato della minima
attenzione. Seduto su uno sgabello quasi più alto di lui, faceva dondolare le
gambe e tendeva le orecchie per captare la concitata discussione tra il vecchio
e la ragazza, nella stanza accanto.
Rhiannon sbuffò. - Benissimo.
Dimmi cosa devo fare, allora. -
- Rhiannon... -
- Devo buttarlo fuori ? -
- Maledizione, io non... -
- Darlo in pasto ai lupi ?
Venderlo a qualche bottegaio senza scrupoli che lo ammazzerà di lavoro ?
Conosci la gente di Aldorath, Potter...non sa nemmeno cosa significhi provare
pietà per una donna...figuriamoci per un bambino. -
Potter sospirò. - Non sarebbe
molto più semplice riportarlo dai suoi genitori ? - disse.
- Quali ? Ha detto che sua
madre è morta, e non sa dove sia suo padre. -
- Ma avrà pure qualcuno che si
prenda cura di lui, dannazione ! Dammi un solo motivo per cui non hai
intenzione di riportarlo indietro ! -
- Vuoi un motivo ? Guardalo.
- Rhiannon indicò Galien, seduto al tavolo, che osservava con attenzione lo
strano posto in cui era capitato. - E’ un elfo, Potter...un bambino. E, dai
suoi vestiti, non mi sembra un bambino qualsiasi. Potrebbe essere un nobile, o
qualcosa del genere, ma questo non mi interessa. Se un elfo ha paura di tornare
tra la sua gente, un motivo ci sarà. -
Il vecchio tacque, guardando
Galien.
- Ha davvero paura, Potter...glie
l’ho visto in faccia. Non immagini il terrore che c’era nei suoi occhi mentre
mi supplicava di non riportarlo indietro...forse qualcuno lo cerca e vuole
fargli veramente del male... -
- E’ proprio questo che mi
preoccupa, Rhiannon... - ribattè Potter - Non hai sentito quello che ha detto
Finbar poco fa ? Se qualcuno cerca questo bambino e lo trova qui, noi
potremmo passare dei guai seri. Non si scherza con gli elfi, mi sembrava di
essere stato chiaro. Meno che mai quando non sono animati da buone intenzioni.
E questa è una locanda, Rhiannon...la gente che la frequenta, anche se è poca,
ha la lingua svelta, dopo il secondo boccale di birra...e se qualcuno lo
vedesse... -
- Non mi dire che hai paura di
proteggere un bambino che ti chiede aiuto... - disse Rhiannon, con un filo di
disgusto nella voce, incrociando le braccia.
Potter sbuffò. - Sì, ho paura. -
disse - Ma non per me, se è questo che intendi. -
Rhiannon lo guardò con aria
interrogativa. - Cosa diavolo vuoi dire ? -
- Io sono vecchio, ormai. Non temo
più niente, perché so che la campana sta battendo gli ultimi rintocchi per me.
E’ quello che sarò costretto a lasciare che mi spaventa. - Camminò lentamente
verso la finestra, mentre Rhiannon lo seguiva con lo sguardo. - E’ per te che
ho paura, Rhiannon. -
La ragazza alzò gli occhi verso
il soffitto. - Per il cielo, Potter...risparmiami la predica da saggio padre di
famiglia ! -
L’uomo la ignorò. - Hai già
passato abbastanza guai per andarti a cacciare in altri ancora più grossi. La
gente come noi non ha grandi possibilità di difendersi dagli attacchi di chi è
più potente...e non parlo solo in senso fisico. -
- Ti capisco sempre meno... -
- Parlo di sentimenti, Rhiannon.
Dei tuoi sentimenti. E un pochino
anche dei miei. -
Rhiannon tacque e abbassò lo
sguardo, mentre qualcosa iniziò a bruciare nel suo petto.
- E’ a Roslyn che ti riferisci,
vero ? - disse con voce bassa. Potter annuì.
- Credi che io non l’abbia ancora
superato ? E’ questo che credi ? -
- Non l’ho superato nemmeno io,
Rhiannon...come puoi averlo fatto tu ? E’ ancora troppo presto, e io penso
che la vicinanza di questo bambino possa... -
- Roslyn era mia figlia, Potter, non tua. - lo interruppe bruscamente Rhiannon -
Capisco quanto tu ti fossi affezionato a lei, ma non puoi comunque capire
quello che ho provato...e che provo tuttora. Tu pensi che io voglia tenere qui
quel bambino per...per sostituirla ? Come puoi credere ad una cosa
simile ? -
Potter non rispose. Rhiannon gli
si avvicinò, tirandosi indietro i capelli con una mano.
- Può darsi che tu abbia anche
ragione...che io mi stia prendendo a cuore Galien per dare sfogo al mio
“desiderio” di tornare madre ancora per un po’...ma dimmi, Potter... - La
ragazza si piantò davanti all’uomo e lo fissò con i suoi occhi verdi. - E’ così
sbagliato cercare di dare un po’ d’amore e protezione a qualcuno che ne ha
davvero bisogno ? -
Potter distolse il suo sguardo,
non riuscendo a reggere quello profondo e inquisitore della ragazza. Non aveva
ancora capito come, ma con gli occhi Rhiannon riusciva a scavare nella sua
anima e a ribaltare tutti i suoi stati d’animo. Si era sempre detto che quegli
occhi non appartenevano al popolo degli Uomini...probabilmente qualcuno dei
suoi antenati era un elfo...ma questo non aveva importanza.
- Non lo vedrà nessuno, Potter,
te lo prometto. - disse Rhiannon - Anche se siamo vicini ad Aldorath, restiamo
comunque fuori dal villaggio. Il bambino non dovrà fare altro che restarsene
nel retrobottega durante gli orari d’apertura. Baderò io a lui, non ti
preoccupare. Non darà alcun fastidio. -
Il vecchio sbuffò con le narici e
lanciò un’occhiata alla ragazza. Poi, senza dire nulla, uscì dalla cucina e
andò da Galien, mettendosi di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo, a
braccia conserte.
Il bimbo alzò gli occhi, e guardò
Potter con aria tranquilla.
- Senti un po’, piccoletto -
disse l’uomo - Non so quali siano le tue abitudini, ma sappi che qui non siamo
in una reggia. Al mattino ci si alza presto, si fa colazione alla svelta e si
dà una mano a fare le pulizie ; quello che avrai intenzione di fare per il
resto della giornata non mi interessa, basta che tu non ti cacci nei guai o,
peggio, ci faccia finire anche noi. Finchè resterai qui, queste sono le regole.
Siamo d’accordo ? -
Galien sorrise. - Sì. - disse.
- Molto bene. Ora sbrigati a
finire il latte, i bambini come te devono andare a letto presto, la sera. -
Rhiannon incrociò le braccia e
guardò Potter sogghignando, mentre il vecchio saliva le scale e si dirigeva
nella sua stanza.
- Grazie, Potter... - disse ad un
tratto Galien. L’uomo si fermò a metà scala e rimase un momento interdetto.
- Prego. - rispose poi,
ricominciando a salire.
Rhiannon scosse la testa e si
avvicinò a Galien, che aveva finalmente cominciato a mangiare di gusto. - Non
preoccuparti, piccolo. - disse sorridendo - Potter fa sempre del suo meglio per
sembrare un vecchio scorbutico con tutti, e forse un po’ lo è...ma io lo
conosco bene, ed è un uomo buono. -
Galien si voltò verso la ragazza.
- Lo so. - rispose.
Rhiannon sorrise e gli scompigliò
i capelli.
- Beh, è un po’ grande, ma in
mancanza di meglio... - disse Rhiannon guardando Galien con aria perplessa. Non
avendo altro a disposizione, aveva fatto indossare al bambino una vecchia
camicia che Potter gli aveva ceduto ; ma l’orlo e le maniche gli
arrivavano sotto le ginocchia, e Galien era così buffo che la ragazza riuscì a
malapena a reprimere una risata.
- A me piace - disse il piccolo
elfo, serio, guardandosi allo specchio - E’ morbida e comoda. -
- Sicuramente più dei tuoi
vestiti, almeno per dormire... -
Rhiannon guardò la camicina color
avorio, la tunica ricamata e i pantaloni chiari che aveva in mano, ora sporchi,
sgualciti e strappati. - Ora darò una bella lavata alla tua roba e la metterò
ad asciugare davanti al camino, almeno domattina la troverai pulita...poi vedrò
di rimediarti qualcosa, va bene ? - disse.
Galien non rispose e rimase un
momento a guardarsi allo specchio.
- Mi piace questa. Profuma di
buono. - disse. Poi si voltò verso la ragazza e sorrise. - Anche questo posto
ha un buon odore...non l’avevo mai sentito prima. Quando ero a casa mi piaceva
il profumo dei fiori e della rugiada sull’erba...ma questo odore è ancora
migliore... -
Rhiannon lo guardò, sorpresa. -
Un buon odore, dici ? E io che non vedo l’ora che arrivi il momento di
chiudere per non sentire più la puzza della birra e del fumo... -
- Non è quello che intendo. E’ un
odore caldo, che ti avvolge come una coperta...è l’odore del vecchio legno
grezzo, delle braci nel camino, delle pietre che potrebbero raccontare tutte le
storie che hanno visto svolgersi tra loro... -
- In effetti questo posto ha
visto tempi migliori... -
- Forse. Ma mi piacerebbe che i
muri potessero parlare per raccontare di quei tempi. Sai... - Galien sbadigliò.
- Mi sento al sicuro, qui... -
Rhiannon sorrise amaramente,
domandandosi cosa potesse aver passato quel povero bambino.
- Forza - disse prendendolo in
braccio e mettendolo a letto - E’ ora di dormire. Se avessi bisogno di
qualcosa, non devi fare altro che bussare alla parete dietro il letto...io
dormo nella stanza accanto. Sarò da te in un baleno. -
- Grazie. - disse Galien mentre
Rhiannon gli rimboccava le coperte.
- Di niente... - rispose la
ragazza baciandogli la fronte - Dormi bene, cucciolo d’elfo. -
Poi si alzò e si diresse lentamente
verso la porta.
- Rhiannon... - chiamò
timidamente Galien.
- Cosa c’è ? -
Il bambino si strinse nelle
spalle, raggomitolandosi sotto le coperte. - Non...non potresti cantarmi una
canzone ? Adar lo faceva sempre
per farmi addormentare... -
Rhiannon lo guardò, intenerita,
ma i suoi occhi si velarono improvvisamente di malinconia, come se un ricordo
troppo vicino tornasse piano alla superficie lacerandole il cuore. Tornò verso
il letto e accarezzò i capelli del bambino.
- Ti mancano molto i tuoi genitori,
vero ? -
Galien annuì.
- Ti aiuterò a cercare tuo
padre...e lo troveremo, vedrai... -
Il piccolo elfo, quasi
tranquillizzato da quelle parole, socchiuse gli occhi. Poi Rhiannon inspirò
profondamente e iniziò a cantare con voce dolce e sommessa :
Un vecchio e un bambino si preser per mano
E andarono insieme incontro alla sera,
La polvere rossa si alzava lontano
E il sole brillava di luce non vera,
L’immensa pianura sembrava arrivare
Fin dove l’occhio di un uomo poteva guardare,
E tutto d’intorno non c’era nessuno
Solo il tetro contorno di torri di fumo.
Rhiannon non si accorse della
presenza discreta di Potter ; nascosto dietro ad uno stipite della porta,
l’uomo ascoltava la malinconica canzone che lui stesso aveva insegnato alla
ragazza, e il suo cuore si strinse. Rhiannon aveva amato quella canzone fin da
quando lui l’aveva cantata la prima volta alla piccola Roslyn, e anche per la
bambina era stato lo stesso...
I due camminavano, il giorno cadeva
Il vecchio parlava e piano piangeva
Anche in quell’istante il vecchio
Potter sentì le lacrime affiorare ai suoi occhi...
Con l’anima assente, con gli occhi bagnati
Seguiva il ricordo di miti passati...
Non avrebbe voluto rivivere quei
momenti, la ferita era ancora troppo fresca...e Rhiannon come doveva sentirsi ?
I vecchi subiscono l’ingiuria degli anni,
Non sanno distinguere il vero dai sogni,
E’ vero, Rhiannon...per tutta la vita ho rincorso sogni che non si sono
mai avverati...e quando ormai credevo che nemmeno nei miei sogni avrei potuto
avere una vita felice, ecco che siete arrivate tu e Roslyn. Non avevate niente
quando bussaste alla mia porta...eppure mi avete donato una gioia che mai avrei
immaginato di provare...
I vecchi non sanno nel loro pensiero
Distinguere nei sogni il falso dal vero.
...ma Roslyn non c’è più, Rhiannon...se n’è andata per sempre. E tu non
puoi cercarla in questo bambino...
E il vecchio diceva, guardando lontano,
Immagina questo coperto di grano
Immagina i frutti, immagina i fiori
E pensa alle voci, e pensa ai colori,
E se fosse un segno del cielo ?si disse poi il vecchio asciugandosi le lacrime che, quasi senza che
lui se ne accorgesse, avevano cominciato a scendere, bagnandogli il mento
ruvido e cadendo sulla sua camicia. Se
fosse stata proprio Roslyn a mandarlo, per ricordarti di non perdere mai la
speranza... ? Per ricordarti che, anche quando credi di aver perso tutto,
puoi sempre scoprire di avere ancora qualcosa da dare...perché ci sarà sempre
qualcuno ad aver bisogno di te...ed è questo che ti tiene in vita, Rhiannon...che
ci tiene in vita...
E in questa pianura, fin dove si perde,
Crescevano gli alberi e tutto era verde
Cadeva la pioggia, segnavano i soli
Il ritmo dell’uomo e delle stagioni.
Ma forse sono solo un vecchio sciocco, Rhiannon...io non posso leggerti
nel cuore e nemmeno lo voglio...perché ho paura di cosa potrei trovarci. A cosa
pensi, ragazza, mentre canti la canzone di tua figlia a quel bambino ?
Cosa pensi che provi lui di fronte a versi che non può capire perché non gli
appartengono ?
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste
E gli occhi guardavano cose mai viste
Potter scosse il capo e cacciò
quei pensieri, mentre tornava stancamente nella sua stanza.
Rhiannon vide che Galien aveva
chiuso gli occhi e che il suo respiro era diventato profondo e regolare. Allora
la sua voce si abbassò, fino a quando divenne un lieve sussurro...
E poi disse al vecchio, con voce sognante,
Mi piaccion le fiabe, raccontane altre...
La ragazza baciò di nuovo la
fronte del bambino e si allontanò senza fare rumore. Nella piccola stanza non
si avvertiva più alcun suono se non quello dei grilli che, fuori dalla
finestra, lasciavano che le loro canzoni si alzassero sopra gli alberi e
raggiungessero la luna.
- Buonanotte, Galien... -
sussurrò malinconicamente, chiudendo la porta.
E buonanotte anche a te, mia piccola Roslyn...
Spero che i fans di
Francesco Guccini non si offendano troppo per lo scempio che ho fatto della sua
splendida “Il vecchio e in bambino”, ma è una canzone legata ad un piccolo,
vecchio ricordo.
Il capitolo e la canzone
sono dedicati a Cristina.
Legolas non riusciva a prendere
sonno. Quella era la sua prima notte trascorsa a Minas Tirith, e sicuramente ne
sarebbero seguite molte altre, ma probabilmente non ci si sarebbe mai abituato,
così come non si sarebbe mai più abituato all’idea di dormire da solo per il
resto della sua vita immortale...
L’elfo si alzò dal letto e si
diresse verso la finestra ; la luna splendeva alta nel cielo, illuminando
di un pallido riflesso argenteo le bianche torri della capitale di Gondor. Aprì
i vetri e si sporse sul davanzale, chiudendo gli occhi e inspirando
profondamente per permettere alla leggera brezza notturna di entrargli nei
polmoni ; poi la espirò completamente, fino all’ultimo soffio, come per
permettere a quell’aria di portare con sé tutto l’odio, il dolore...e la
terribile sensazione di solitudine che si erano impadroniti di lui.
Ma non gli servì.
Legolas sentì un forte singhiozzo
salirgli dal petto verso la gola e non potè reprimerlo come avrebbe voluto, come
si era ripromesso di fare perché lui doveva essere forte e mantenere tutta la
sua lucidità per trovare il modo di fermare Eredhil, riportare l’ordine nel suo
regno e nella parte di Terra di Mezzo che quel pazzo stava sconvolgendo...e
liberarla per sempre da quella tara vergognosa di cui lui non si era mai
accorto...ed esisteva un solo modo per farlo...solo uno...
Cercando di fermare le lacrime
che cominciavano ad affiorargli agli occhi, Legolas alzò una mano tremante e la
strinse forte davanti a sé ; con quella mano avrebbe afferrato il collo
del fratello e l’avrebbe stretto fino a sentire le sue vertebre spezzarsi tra
le dita, e mentre lo guardava morire avrebbe riso, avrebbe riso nel vedere gli
occhi di Eredhil riempirsi di terrore e nel sentirlo implorare pietà...
Pietà...
Pietà...
Legolas crollò. Riaprì la mano e
se la portò al volto ; poi scoppiò in un pianto disperato e sentì il suo
corpo, chino sul poggiolo, sussultare dai singhiozzi che era ormai incapace di
trattenere.
Mio fratello...mi ha portato via tutto...eppure è mio fratello...
Alzò il viso rigato di lacrime e
guardò in lontananza, verso un luogo in cui nemmeno la sua vista da elfo poteva
arrivare. La sua casa...
Poi si voltò lentamente a
guardare il suo letto, quasi temendo di vederlo vuoto. Andò verso di esso e
tornò a sdraiarsi, tenendo lo sguardo fisso verso il soffitto, la mente persa
nei ricordi, l’unica cosa che gli rimaneva...
Improvvisamente si scosse e si
girò su un fianco, immaginando di aver vissuto solo un incubo, e sperando di
trovare Anìrwen sdraiata accanto a lui come un tempo, pronta ad accoglierlo tra
le sue braccia e stringerlo a sé, accarezzargli i capelli...
Sciocco, si disse, dimentichi che l’hai appena sepolta ? Non
ricordi che non l’avrai più vicina, che le sue labbra ormai non ti appartengono
più e la sua voce è persa per sempre nel vento della notte ? Non
ricordi ?
Chiuse nuovamente gli occhi e li
strinse più forte che potè.
Anìrwen, Galien...come vorrei avervi ancora qui tra le mie braccia...se
solo il mio pensiero potesse giungere fino a voi...se solo potessi dirvi quanto
sento la vostra mancanza e chiedervi perdono...
Un’ultima lacrima, una piccola
perla lucente, scese dai suoi occhi.
...ma sono io che non potrò mai perdonarmi...perché non so ancora se
sarò in grado di fare quello che devo...
Poi la stanchezza prese il
sopravvento su di lui, facendolo sprofondare in un sonno tormentato.
Lontano, ai limiti del piccolo
villaggio di Aldorath, Galien si svegliò di soprassalto. Istintivamente si
guardò intorno per accertarsi di essere ancora nella locanda. Non sperava
nemmeno più di aver vissuto in un brutto sogno e di risvegliarsi nella sua
stanza ; conosceva bene la cruda realtà dei fatti e stava iniziando ad
accettarla.
Ma in quel momento, una voce
risuonò nella sua mente...dapprima confusa, poi sempre più chiara...fino a
quando nel suo cuore si riaccese una fiammella di speranza...
Il bambino saltò giù dal letto,
corse a prendere uno sgabello che mise accanto alla finestra e vi salì,
appoggiando i palmi delle mani ai vetri.
Il suo cuore batteva forte,
mentre continuava ad ascoltare in silenzio quella voce, e non aveva paura come
quando aveva sentito la presenza demoniaca che albergava in Eredhil, perché
quella era la voce di suo padre...
Suo padre gli stava parlando...gli
parlava, parlava a lui e a sua madre e piangeva...
Perdonatemi...
- Adar... - sussurrò Galien,
spalancando gli occhi mentre guardava fuori dal vetro, senza sapere dove - Io
sono vivo e sto bene...ho trovato delle persone buone che hanno promesso di
aiutarmi e portarmi da te...ti prego, non tormentarti più... -
Tacque per un momento, cercando
di captare il più possibile di quelle parole, come se potessero avvolgerlo in
quell’abbraccio che tanto desiderava da quando l’orrore e la follia l’avevano
strappato dalla sua famiglia. Ma a poco a poco la voce si spense e Galien tornò
di nuovo solo nel buio di quella piccola stanza.
- Non so dove sei, padre mio... -
disse - E nemmeno tu puoi sapere dove sono io...ma un giorno ci ritroveremo e
torneremo a casa...insieme... -
La prima cosa che Rhiannon fece
dopo essersi svegliata, il mattino successivo, fu andare da Galien per
controllare che stesse bene. Ma quando aprì la porta e vide la stanza vuota, il
suo cuore sussultò.
- Per il cielo...Galien ! -
si disse, sgomenta, scendendo le scale.
Ancora scarmigliata e in camicia
da notte, la ragazza corse in cucina, ma Galien non era lì. E non era nemmeno
nella taverna, né nel magazzino, né da nessun’altra parte nella locanda...
- Se n’è andato...ed
ora... ? - disse mettendosi le mani nei capelli.
Ad un tratto Rhiannon udì delle
voci provenire dall’esterno ; con il cuore che batteva all’impazzata, uscì
dal retro della locanda e vide, con sua grande sorpresa, che Potter stava seduto
su una pietra nel piccolo orto in cui coltivava verdure, erbe e fiori diversi,
e ascoltava attentamente Galien descrivere le diverse pianticelle su cui stava
chino.
- Queste altre le chiamiamo Athelas - disse il piccolo - Messe su
una ferita fermano il sangue, ma servono anche a tante altre cose. E queste
invece si chiamano... -
- Galien ! - esclamò la
ragazza.
- Si chiamano Galien ? -
disse Potter.
Rhiannon lo ignorò e si precipitò
dal bambino che si era girato a guardarla, sorpreso.
- Buongiorno, Rhiannon ! -
disse Galien ridendo.
- Maledizione, mi hai fatto
spaventare ! Che state facendo qui ? -
- Non ci crederai mai,
ragazza ! - esclamò Potter - Sono anni che coltivo queste erbacce e solo
adesso scopro che non sono buone solo per lavare i panni o preparare tisane
digestive ! Certo che il piccoletto se ne intende di queste cose ! -
- E’ un elfo, Potter...neanche
immaginiamo tutto quello che sa. - rispose Rhiannon - E comunque mi stupisce
trovarti qui con lui... -
- Beh, nessuno di noi due aveva
voglia di dormire, stamattina...così ci siamo fatti una bella chiacchierata...
-
- Fuori dalla locanda. Non eri tu
quello che aveva paura che qualcuno lo vedesse ? -
Nel frattempo, Galien, stufo
delle solite discussioni tra il vecchio e la ragazza, si era seduto nell’erba e
giocava con un piccolo oggetto di legno.
- Qua dietro ? Stai
scherzando ? - continuò Potter - Qui viene al massimo qualche coniglio
selvatico a mangiarmi le carote...e poi non vorrai tenerlo rinchiuso notte e
giorno tra quelle quattro mura ! Lo sanno tutti che gli elfi amano gli
spazi aperti e... -
- Non rigirare il discorso come
al solito, Potter ! Non...un momento ! - La ragazza si interruppe di
colpo ; la sua attenzione era stata catturata dal giocattolo che Galien
aveva tra le mani...un piccolo cavallo di legno.
- Dove hai preso quel cavallino,
Galien ? - domandò, avvicinandosi a lui.
- Questo ? - rispose
distrattamente l’elfo alzando la testa - Me lo ha dato Potter. -
- Cosa ? ! Ma... - La
ragazza volse il capo verso il vecchio, che si strinse nelle spalle e assunse
l’espressione di un bambino che sa di aver combinato qualcosa di grosso.
- Potter, come hai
potuto... ? ! -
- Su, Rhiannon...è così
grazioso...era un peccato che stesse ad ammuffire in un armadio ! -
- Non posso giocarci, Rhiannon ?
- disse Galien dispiaciuto, alzandosi in piedi e tendendo il giocattolo verso
la ragazza - Te lo ridò se vuoi. -
Rhiannon gli prese il cavallino
dalle mani, gli occhi freddi e duri.
- Avresti dovuto almeno chiedermi
il permesso, prima. - disse la ragazza, rivolgendosi a Potter.
- Rhiannon... -
- Mi dispiace. - disse Galien. Il
bambino indicò una piccola area, nell’orticello, in cui crescevano solo fiori
colorati. - E’ della bambina che sta lì sotto, vero ? -
Rhiannon e Potter si scambiarono
uno sguardo sgomento.
- Giuro che non gli ho detto
niente ! - esclamò Potter alzando le mani, trafitto dallo sguardo di fuoco
della ragazza.
- No, non me l’ha detto Potter. -
disse Galien con la massima naturalezza - L’ho vista. Ho visto quando l’avete
messa sottoterra. Eri così triste, Rhiannon... - Prese una mano della ragazza e
la guardò con tenerezza. - Era la tua bambina, vero ? -
Rhiannon non rispose, gli occhi
fissi nel vuoto.
- Va’ in casa, Galien. - disse
infine.
- Ma... -
- Ti ho detto di andare in casa. -
Il piccolo elfo si strinse nelle
spalle, dispiaciuto, e lentamente si avviò verso l’ingresso posteriore della
locanda, ma si fermò pochi passi prima, girandosi di nuovo verso la ragazza.
Rhiannon voltò piano gli occhi verso quelli di Potter, che ora la guardavano
con aria severa.
- Credo che tu abbia dimenticato
quello che ci siamo detti ieri sera. - disse l’uomo - Se vuoi affogare nei tuoi
ricordi, fa’ pure. Ma se cerchi qualcuno che ti commiseri, non contare su di
me. - Quindi girò i tacchi e seguì il bambino.
Rhiannon tacque per un
istante ; poi chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.
- Mi dispiace, Galien. - disse
voltandosi - Puoi tenere il cavallino, se ti piace... -
- Rhiannon... - disse Potter con
voce tremante. La ragazza guardò il vecchio, le mani sulle spalle di Galien,
che teneva gli occhi fissi verso la porta ; due giovani si stavano
dirigendo verso di loro, gli sguardi rivolti verso il bambino.
- Valerius, Yain...cosa state
facendo qui ? - disse, sorpresa.
- Cosa facciamo qui ? Cosa
ci fa lui qui ! - disse Valerius
indicando Galien, stupefatto - Non credevo che i tuoi rapporti con gli Elfi
fossero tanto amichevoli...c’è forse qualcosa che non ci hai detto,
Rhiannon ? - aggiunse in tono malizioso e allo stesso tempo seccato.
- Non sono affari tuoi, Val. -
rispose Rhiannon raggiungendo il vecchio e il bambino.
Valerius continuò a guardarla
freddamente, mentre il fratello minore, incuriosito, si avvicinò al piccolo
Galien e si accucciò davanti a lui.
- Mae govannen ! Im Yain... - disse il ragazzo, portandosi una
mano al petto.
- Im Galien. - sussurrò timidamente l’elfo a quello strano ragazzo
dai lunghi capelli bruni e le guance ancora lisce come quelle di un bambino - Mae govannen... -
Rhiannon guardò i due, sorpresa.
- Da quando tuo fratello parla la lingua degli Elfi ? - disse.
- E’ una lingua meravigliosa, non
trovate ? - rispose Yain sorridendo - E’ così musicale...e poi non è tanto
difficile da imparare. Qui siamo al confine con il Bosco Atro, e gli Elfi
passano spesso per Aldorath... -
- Mai da queste parti, però... -
obiettò Valerius - Quello da dove
salta fuori ? -
Yain ignorò le parole del
fratello e cercò di imbastire un dialogo con le poche parole elfiche che
conosceva. Galien e Potter rimasero ad ascoltarlo, divertiti.
- Cosa vuoi, Val ? - ribattè
Rhiannon.
Il giovane sbuffò. - Volevo
solo...darti questo. - Si tolse dalla tasca un fagottino che porse a Rhiannon.
La ragazza lo prese, guardando Valerius con sospetto, e quando lo ebbe aperto
lo stupore riempì il suo viso.
- Val...sapevo che eri pazzo, ma
non fino a questo punto... - disse, tenendo tra le mani un ciondolo costituito
da una pietra verde e levigata avvolta da una spirale di metallo luccicante.
- Non preoccuparti...è ferro, non
argento. Lucido finchè vuoi, ma ferro resta. E di pietre più belle di quella ne
ho mille... -
Rhiannon sorrise amaramente.
Valerius era il miglior fabbro del villaggio ; sapeva lavorare il metallo
come pochi, e si dilettava spesso a creare piccoli gioielli di scarso valore
commerciale ma di grande bellezza. La ragazza sapeva anche che Valerius
disprezzava gli Elfi, ma in fondo al suo cuore ne invidiava l’arte...un’arte
che aveva sempre cercato di imitare, perfezionandosi giorno dopo giorno.
- Lo sai che non posso accettare,
Val. -
Valerius la guardò, sconfortato.
- Non ti chiedo nulla in cambio, Rhiannon... - disse - Voglio solo chiederti
scusa per quello che ho detto ieri sera, tutto qui. E’ solo una piccola cosa
senza valore...ne posso fare quanti ne voglio. -
Potter sorrise nell’udire quelle
parole ; aveva capito benissimo che quel ciondolo era un pezzo che
Valerius aveva creato esclusivamente per la ragazza che amava...e che quella
pietra aveva lo stesso colore dei suoi occhi.
- D’accordo, Val. - disse infine
Rhiannon - Ti ringrazio comunque, anche se non ce n’era affatto bisogno. Sai
che in me la rabbia viene e se ne va in fretta. Ma non farti venire strane
idee. -
- Beh, potresti darmi almeno una
spiegazione... - disse Valerius, indicando Galien.
Rhiannon sospirò. - Val - disse -
Non devi parlare con nessuno di questo bambino, chiaro ? -
- Ma... -
- Si è semplicemente perso. -
mentì Rhiannon - Lo riporterò a casa prima possibile, ma nessuno deve sapere
che si trova qui. -
- Viene dal Bosco Atro ?
Posso accompagnarlo io, allora. La strada non è molto battuta, per una ragazza
può essere un viaggio pericoloso... -
- Insomma, Val ! - sbottò
Rhiannon - Ho detto che mi occuperò io di lui ! Tutto ciò che devi fare è
tenere a freno la lingua ! -
Stupito da quell’esclamazione,
Valerius guardò la ragazza negli occhi.
- Tu non lo riporterai affatto a
casa. - disse - Ti conosco, Rhiannon, e capisco quando hai in mente
qualcosa...che hai intenzione di fare ?
- Te lo ripeto, Val. - rispose
seccamente Rhiannon - Non sono fatti tuoi.
Se vuoi fare qualcosa di utile, taci. -
- Hai deciso di adottarlo ?
E’ questo che vuoi fare ? -
- Grande Eru... - disse Rhiannon
stringendo i denti.
- Val, piantala... - lo avvertì
Potter.
Il giovane ignorò entrambi.
- Ti porterà solo guai,
Rhiannon... guai e altre sofferenze. Rimandalo indietro. Lo porterò a casa
io... -
- HO DETTO DI NO ! -
Il grido di Rhiannon atterrì
tutti i presenti.
- Dannazione, è mai possibile che
non ci sia qualcuno che deve dirmi come devo comportarmi ? ! Ne ho
abbastanza di tutti voi ! So benissimo quello che devo fare, e non ho
bisogno dei vostri stupidi consigli né delle vostre prediche ! Quindi
piantatela e lasciatemi in pace tutti
quanti ! -
Detto questo, afferrò Galien per
la mano e lo trascinò in casa.
I tre rimasero per un attimo a
guardare la giovane donna dai capelli rossi dirigersi in fretta e furia verso
la locanda con il piccolo elfo costretto a seguirla, e sbattere la porta dietro
le sue spalle.
- Se io fossi in te seguirei il
suo consiglio, Val. - disse Potter - Rhiannon è impulsiva, ma sa anche troppo
bene quello che fa. - Detto questo tornò nella locanda.
Yain voltò lo sguardo verso il
fratello, che fissava il vuoto con aria pensierosa.
Prima Roslyn, adesso il marmocchio elfo...si disse il giovane
fabbro. Rhiannon si sta solo facendo del
male...e non lo capisce...
Ma non erano solo i sentimenti
che la ragazza doveva provare verso quel bambino a turbarlo...
- Val - disse Yain tirandogli una
manica - Ce ne andiamo ? -
- Sì - rispose Valerius - Adesso
ce ne andiamo. -
Per tutta la giornata Rhiannon fu
di cattivo umore, e Potter sapeva che, quando la ragazza era arrabbiata,
sembrava che una nuvola aleggiasse intorno a lei, pronta a scoccare fulmini
verso chiunque la circondasse. Cercò di rasserenare il piccolo Galien
prendendola in giro senza che lei se ne accorgesse, ma nemmeno lui era
tranquillo.
Le parole di Galien nell’orto lo
avevano lasciato di sasso. Possibile che sapesse davvero di Roslyn... ? E
come accidenti aveva fatto ? Gli elfi erano creature speciali,
d’accordo...ma non immaginava che potessero giungere fino a quel punto.
No, non riusciva più a trattenere
quella domanda. Gettò sul bancone lo straccio che stava usando per asciugare i
bicchieri e andò nel retrobottega, dove Galien stava giocando con il suo
cavallino di legno.
- Dimmi un po’, Galien. - disse
Potter avvicinandosi al bambino - Quello che hai detto prima riguardo alla
bambina...ecco...tu non l’hai vista sul
serio, vero ? -
Galien alzò la testa e guardò
l’uomo negli occhi. - Certo che l’ho vista - disse tranquillamente - E l’ho
vista anche giocare. Aveva dei bei riccioli biondi e le guance rosse...ma non
erano più rosse quando l’avete messa sottoterra. -
Potter era rimasto a boccaaperta. - Come...come accidenti puoi
farlo ? ! -
- Mia madre diceva che è un dono.
Anche lei lo poteva fare, ma non come lo so fare io. Lei poteva solo leggere i
pensieri. Mio padre, invece, non ne era...non ne è capace. -
- Come sarebbe a
dire ? ! - esclamò Potter.
Galien rimase un momento a
guardare l’uomo senza dire una parola. - Sarebbe a dire che in questo momento
tu non sai se essere meravigliato o avere paura di me. Giusto ? Beh, non
vedo perché dovresti avere paura...non potrei farti proprio niente di male, e
nemmeno lo vorrei, dato che mi sei simpatico. -
Potter si lasciò andare ad una
risatina isterica. - Ah, no ! - esclamò - Non mi incanti, piccolo !
Io credo che tu sia solo molto furbo e pensi di aver capito con chi hai a che
fare ! -
- D’accordo. Guarda. - Senza fare
una piega, il bambino si alzò e si diresse verso la porta che dava verso la
taverna, acquattandosi dietro uno stipite per poter vedere gli avventori senza
che nessuno si accorgesse di lui. Molto lentamente, fece scorrere lo sguardo su
tutti i presenti.
- Quello - disse indicando un
uomo che rideva sguaiatamente in compagnia di altri - sembra felice ma non lo è
affatto. Suo figlio è morto sul campo di battaglia, sua moglie è tanto triste
che non gli rivolge più nemmeno la parola e lui si sente terribilmente solo.
Quell’altro, invece - indicò un uomo seduto in un angolo, con gli occhi persi
nel vuoto - fa finta di niente, e invece sta ascoltando attentamente quello che
si dicono i suoi vicini di tavolo. Crede che stiano ridendo di lui, ma non è
così ; stanno solo parlando di una donna molto bella e di quanto piacerebbe
a tutti ricevere una cosa da lei...ma non ho capito cosa. -
- Lascia perdere... - disse
Potter, arrossendo -E quell’altro,
invece ? Quello con i capelli neri a cui Rhiannon ha appena portato un
boccale di birra ? -
- Quello ? - disse Galien, sorpreso - Perché ti interessa
proprio quello ? Non credo che ti piacerebbe sapere cosa sta pensando... -
Potter sospirò. - Allora vuol
dire che sta ancora pensando a lei...
-
Galien lo guardò di sottecchi e
incrociò le braccia. - Se non ti ha ancora perdonato, devi averla combinata
proprio grossa, Potter... -
- Lui certamente non mi ha perdonato. Lei, forse, sì...ma è una
vecchia storia. E ora smettiamola con questo giochetto, non è carino spiare i
clienti... - Potter si allontanò dalla porta.
- Allora, ho indovinato ? -
cinguettò Galien seguendo l’uomo.
- Su tutta la linea, piccoletto.
-
- E adesso mi credi. -
- Accidenti, non si può più
pensare liberamente in questo posto ! - esclamò ironicamente Potter
allargando le braccia.
- Ma non posso mica farlo sempre.
Solo quando voglio. - rispose il bambino, serio.
- Ah...e come faccio a sapere
quando vuoi ? -
Galien rise.
Rhiannon non sapeva cosa dire,
quella sera, quando mise a letto Galien, ma ci pensò il bambino a spezzare la
tensione.
- Mi piace Yain. - disse - Parla
la mia lingua. Almeno, ci prova... -
- Yain ha l’animo dello studioso,
non del guerriero, come invece vorrebbe suo fratello. Uno come lui è
assolutamente sprecato in un posto del genere. -
- A Val invece piaci tu... -
- Di questo me n’ero accorta da
un pezzo, saputello ! - disse Rhiannon corrugando la fronte e ridacchiando
- Non c’era bisogno che tu gli leggessi nel pensiero ! -
Galien sussultò e spalancò la
bocca, sorpreso.
- Niente paura, me l’ha detto
Potter ! - disse Rhiannon notando la reazione del bambino - Per conto mio
puoi leggere nella mente di chi ti pare, basta che non diventi un vizio... -
Galien sorrise e annuì, avendo
capito l’allusione.
- Val è buono. -
- Lo so. -
- E ti vuole davvero bene... -
- So anche questo. E ora chiudiamo
questo discorso, d’accordo ? -
Rhiannon baciò la fronte del
bambino.
- Mi dispiace per oggi. - disse
Galien mentre la ragazza gli rimboccava le coperte - Non volevo ferirti, scusa.
-
Rhiannon sospirò e si sedette sul
letto. - Non importa. - disse - Solo che quando ti ho visto con il suo
giocattolo preferito in mano...beh, non sono riuscita a controllarmi. -
- E’ un cavallino bellissimo. -
disse Galien, gli occhi luccicanti di gioia - Sembra quasi che debba partire al
galoppo da un momento all’altro...l’ha costruito Potter ? -
La ragazza scosse amaramente la
testa. - Potter non sarebbe capace nemmeno di tagliare un ramo d’albero,
figurati intagliare un cavallino nel legno...E’ stato...il padre di Roslyn. -
- E lui dov’è ora ? -
- E’...è morto da tempo. -
Galien tacque per un momento, poi
si mise a sedere e guardò Rhiannon con aria interrogativa.
- Rhiannon...dove andate voi
quando morite ? -
- Cosa ? ! - La ragazza
spalancò gli occhi, stupita da quella domanda
- Voglio dire...vi ritrovate
anche voi nelle Aule di Mandos ? -
- Le aule di chi... ? -
- Mandos, il Vala dei morti... -
ripetè Galien, stupito dal fatto che la ragazza non conoscesse quel nome.
- Ah, sì. Perdona la mia
ignoranza, piccolo, ma dalle mie parti mi hanno insegnato che, quando si muore,
si finisce semplicemente sotto un buon palmo di terra e nessuno ti vede più. I
Valar non si ricordano di quelli come noi. -
- A me invece hanno insegnato che
quando un Elfo muore la sua anima torna nelle Aule di Mandos e lì attende il
giudizio...ma non so quanto si debba aspettare. Nessuno è mai tornato per
raccontarlo. Ma vorrei che Naneth lo
facesse... - disse amaramente il bambino.
Rhiannon gli accarezzò i capelli.
- Tua madre ti aspetta lì ? -
- Dovrà aspettare ancora per un
bel po’, temo. Noi Elfi abbiamo una vita molto, molto lunga, sai. A meno che...
-
Galien rabbrividì, sentendo i
ricordi affiorare alla pelle e farla accapponare.
- Non pensarci. - gli sussurrò
Rhiannon in un orecchio - Tu sei qui e sei vivo, è tutto ciò che conta. Lascia
che arrivi domani, per pensare al domani. -
Il bambino annuì e chiuse gli
occhi, sperando di riuscire a dormire.
Trascorsero i giorni, e cattive
notizie giungevano spesso a Minas Tirith, portate dai viaggiatori e dagli esploratori
mandati in ricognizione da Aragorn.
Gli Elfi del Bosco Atro tentavano
frequenti sortite oltre il confine, e alcuni erano così temerari da essersi
spinti addirittura fino ai limiti delle terre di Gondor. Non era semplice
ricacciarli indietro ; essi avevano una conoscenza del territorio molto
più vasta di quanto potesse averla il migliore dei Cacciatori del Re e si
muovevano con estrema semplicità perfino nelle foreste più inestricabili.
- La situazione è esasperante,
Sire. - disse il Capitano dei Cacciatori - Si muovono ad una velocità troppo
elevata ; appaiono all’improvviso e scompaiono prima che possiamo
intervenire...in piccoli gruppi attaccano interi villaggi durante la notte,
travolgendo chiunque si trovi sul loro passaggio. Pensiamo che le loro azioni
abbiano uno scopo puramente intimidatorio ; bruciano piccoli campi,
trafiggono con le loro frecce le insegne delle botteghe, tagliano i rami degli
alberi...non fanno grossi danni, ma la gente ha comunque paura. -
- E’ come se volessero dimostrare
che, se sono in grado di seminare il terrore da soli, potrebbero fare molto
peggio radunati in un esercito... - disse Aragorn, cupo.
Il Capitano annuì, e, turbato,
guardò Legolas, che durante tutto questo discorso, era rimasto accanto alla
finestra, lo sguardo fisso in lontananza. Anche Aragorn volse gli occhi verso
di lui ; sapeva che l’elfo aveva ascoltato ogni frase e che, molto
probabilmente, il fuoco del rancore lo stava divorando. Le sue parole non
tardarono a venire.
- Sta trasformando la mia gente in
un’orda di assassini - disse, senza voltarsi - e quello che mi fa infuriare di
più è che non capisco come ci sia riuscito. Gli Elfi sono i custodi delle
meraviglie della Terra di Mezzo, non un popolo di distruttori. Amano la vita,
non la morte... -
Con un gesto della mano, Aragorn
congedò il Capitano dei Cacciatori, che uscì dalla sala dopo essersi chinato al
cospetto del suo Re. Poi si alzò dal trono e, con passo deciso, diresse verso
uno dei suoi consiglieri, che avevano seguito la discussione accanto alla
porta.
- Convoca immediatamente i miei
Generali - disse - e anche i Rappresentanti che non sono ancora partiti per le
loro terre. Di’ loro che si preparino per un Consiglio straordinario...è
estremamente urgente. -
Il Consigliere fece un profondo
inchino e uscì.
- Mi dispiace per tutto quello
che stai subendo, Legolas - disse Aragorn avvicinandosi all’elfo - So che temi
per il destino del tuo popolo, ma Eredhil va fermato prima che sia troppo
tardi... -
Legolas si voltò lentamente verso
l’amico, e nei suoi occhi tristi e spenti vi era solo rassegnazione.
- E come pensi di farlo,
Aragorn ? - disse.
Aragorn tacque, turbato. Sapeva
che Legolas non aveva tutti i torti, dato che Eredhil aveva dalla sua parte un
potere oscuro e terribile di cui lui stesso ignorava la natura...
- Troveremo il modo, vedrai. -
rispose, posandogli una mano sulla spalla. Ma quelle parole furono di scarso
sostegno per Legolas.
- Mi sembra che sia tutto anche
troppo chiaro. - disse Gimli dopo che Aragorn ebbe spiegato la situazione ai
Rappresentanti rimasti e ai maggiori condottieri del suo esercito - Arriviamo
subito al punto ; quel pazzo dispone di un potere troppo grande anche per lui,
e inoltre ha l’appoggio di Garn di Esgaroth. Può muoversi come e quando vuole
nel suo territorio e fuori da esso, e l’abbiamo visto tutti. Non sarà per
niente facile bloccarlo. -
Un brusio si levò dai
partecipanti al Consiglio, mentre Legolas lanciava ad Aragorn uno sguardo
carico di timore.
- Di cosa avete paura ? -
intervenne Sam - Eredhil è solo, mentre noi siamo tanti. Uniamo le nostre forze
e lo sconfiggeremo ! -
- Non credo sia così semplice,
Messer Samvise - disse Faramir - Eredhil ha nelle sue mani un oscuro potere di
cui non sappiamo nulla ; qualsiasi nostro tentativo potrebbe avere esiti
estremamente tragici... -
- Le tue parole sono sagge ed
accorte, mio Sovrintendente. - disse Aragorn - E’ vero che i nostri eserciti
riuniti potrebbero facilmente aver ragione di quello degli Elfi del Bosco
Atro...ma a quale prezzo ? Rischieremmo di mettere inutilmente in pericolo
le vite dei nostri soldati...oltre a quelle del popolo di Legolas. -
- E credi che questo sia un
problema per noi ? - esclamò il rappresentante dei Dùnedain, alzandosi di
scatto dal suo sedile - Credi forse che gli Elfi pensino alle conseguenze di
ciò che stanno facendo ? A nessuno di loro è mai interessato nulla di ciò
che si trova al di fuori dei loro confini, sono un popolo chiuso ed
egoista ! Dove sono, adesso che abbiamo bisogno di loro ? Se ne
stanno al di là del mare, incuranti di quello che i loro congiunti stanno
tramando contro al terra per cui un tempo anche loro avevano combattuto !
-
- Modera le tue parole, perché in
esse non si trova una briciola di verità e si smentiscono da sole! -
esclamò Legolas con voce dura - Se non fosse stato per gli Elfi e per il loro
contributo, avreste tutti invano combattuto per una terra malata che non
sareste mai riusciti a difendere da Sauron ! Ringrazia la mia stirpe per
l’erba su cui cammini, Dùnadan, e non condannare un popolo intero per gli
errori di uno solo dei suoi figli ! -
Il Ramingo si sedette
pesantemente. - Ci penserà Dol Amroth a zittirti, Elfo... - sibilò con rabbia.
- Non credo che Dol Amroth
prenderà alcun provvedimento, ora che la situazione è così grave e l’Alleanza
ha bisogno dell’accordo tra tutti i suoi componenti. - disse Aragorn - Confido
nella saggezza di Imrahil, sebbene sia assente, e di tutti coloro che approvano
la sua iniziativa. Vedo comunque che non è stato affatto colto il significato
delle parole di Faramir e delle mie. -
Il Re di Gondor si alzò dal suo
sedile e si mise a camminare lentamente intorno al tavolo, le mani dietro la
schiena.
- Il pericolo a cui ci
riferivamo non si può sconfiggere con un esercito...abbiamo visto tutti che
Eredhil ha la corona di Morgoth, e certamente sta usufruendo del suo potere. Ma
qual è questo potere ? Cosa è in grado di fare ? -
Tutti i presenti tacquero,
turbati, finchè una voce roca ruppe il silenzio che regnava nella sala con uno
strano canto...
“Chi mai mi porterà
una freccia spezzata ?
Chi mai mi porterà
una bottiglia di pioggia ?”
- Cosa... ? - disse il
rappresentante dei Dùnedain, alzandosi di scatto e afferrando la spada.
Uno strano vecchio fece
lentamente il suo ingresso nella sala. La logora veste marrone arrivava fino a
terra, mentre una lunga barba grigia gli copriva le guance rugose ; in
mano teneva un bastone nodoso la cui sommità era avvolta a spirale attorno ad
un brillante globo di vetro color del cielo.
- Uhm...credo di essere arrivato
al momento giusto. -
Tutti i presenti erano sbalorditi
da quella strana apparizione ; Legolas e Aragorn, increduli, non
riuscivano a distogliere lo sguardo dal vecchio.
- Gramparagorn ? Un nome
piuttosto insolito per il Signore di Gondor... - disse il vecchio con aria
svanita.
- Ora basta ! Dicci
immediatamente chi sei e come hai fatto ad entrare qui, altrimenti... -disse il Rappresentante dei Dùnedain
brandendo minacciosamente la sua arma.
- Posa quella spada, amico
mio ; sono venuto ad aiutarvi a risolvere i vostri problemi, quindi vi
consiglio di non crearne a me, come hanno tentato di fare le guardie che ora
stanno placidamente dormendo là fuori. -
Il vecchio alzò lentamente una
mano, e, all’improvviso, uno schianto fece sobbalzare tutti i presenti.
- Per Ilùvatar... - disse
Legolas, vedendo che il vetro di una delle finestre era ridotto in mille pezzi,
e che ora, su una spalla del vecchio stava tranquillamente appollaiato un
piccolo tordo, intento a ripulirsi le ali, come se nulla fosse accaduto - Tu
sei... -
Nessun altro fiatò.
- Mi dispiace, mio giovane Hobbit
- disse il vecchio rivolgendosi a Sam - Non sono Gandalf, anche se un tempo
l’ho conosciuto e apparteniamo alla stessa stirpe. Lui ora è lontano, e non può
fare nulla per voi. Ma io, forse, posso ancora esservi di qualche aiuto. -
Il vecchio si avvicinò lentamente
ad Aragorn, che lo guardò senza capire, e fece scorrere lo sguardo su tutti i
partecipanti al Consiglio.
- Il mio nome è Radagast il
Bruno, e sono il terzo degli Istari, i saggi Maghi mandati dai Valar a
sorvegliare le terre ad Est. E ora lasciate che vi spieghi qualcosa di cui,
forse, non siete a conoscenza... -
Quando fu certo che l’attenzione
dei presenti fosse interamente rivolta a lui, Radagast continuò a parlare.
- Di certo sapete chi era
Morgoth, il più crudele dei Valar, e conoscete le sue nefaste imprese. Tra esse
ricorderete senz’altro il furto dei Silmaril, le preziosissime pietre che
racchiudono in sé la luce degli alberi dei Valar. Egli rubò le tre gemme e le
incastonò in una corona di ferro, dalla quale non si separò mai, fino a quando,
alla sua caduta, gli fu tolta dal capo e i Silmaril recuperati. Secondo la
leggenda, poi, le gemme andarono perdute, e non si seppe più nulla né di loro
né di Morgoth...ma le cose, in realtà, non andarono esattamente così. -
Il vecchio abbassò lo sguardo e
respirò profondamente, quasi temendo ciò che doveva dire.
- Morgoth non era solo...si
avvaleva di due terribili demoni, due “propaggini” del suo essere malvagio,
troppo potenti per essere imprigionati da semplici catene ; Armagh, la
Lingua, che appare in forma di nube color del fuoco, e che possiede il dono
della persuasione, e suo fratello Fermanagh, il Braccio, un essere grigio come
metallo brunito, che invece possiede il dono della distruzione. Questi esseri
mostruosi erano parti di lui, come i rami sono parti di un albero. Ma Morgoth,
l’albero, era marcio, e la sua linfa velenosa...e i suoi figli non potevano
essere da meno. Grazie a loro riuscì a portare dalla sua parte numerosi
alleati, e gli oppositori a poco a poco caddero sotto il potere dei Tre che
formavano il Tutto...
Ma i suoi crudeli piani erano
desinati a fallire, e così fu...Morgoth venne sconfitto e imprigionato, ma
bisognava trovare il modo per imprigionare anche gli altri due. Così, per mezzo
dei Silmaril, su di loro vennero gettati potenti incantesimi, i Sigilli. Tre
erano i Silmaril, e tre furono i Sigilli, come tre erano le creature che
dovevano custodire...e per lungo tempo i tre demoni non furono in grado di
nuocere. -
- Un momento ! - esclamò
Aragorn - Ci stai forse dicendo che ora...i Sigilli hanno ceduto ? -
- Lasciami finire, Signore di
Gondor. - lo apostrofò Radagast. Poi continuò il suo racconto.
- L’unico modo per spezzare
quell’incantesimo era riunire i tre Silmaril e incastonarli di nuovo nella
corona di ferro. Per questo motivo le gemme vennero nascoste e fu sparsa la
voce che esse fossero andate perdute. -
- E la corona ? - disse
Gimli - Perché non venne anch’essa distrutta ? -
- Perché chi avrebbe dovuto
farlo, non lo fece, come avvenne per l’Unico Anello. Forse per cupidigia, per
sete di quel potere che derivava dai tre demoni...fatto sta che la corona
sopravvisse insieme ai Silmaril, nascosta chissà dove...fino a quando Sauron la
trovò e la portò a Dol Guldur. -
Legolas spalancò gli occhi. -
Vuoi dire che la corona è rimasta nel Bosco Atro per tutto questo
tempo ? ! -
- Sì, Legolas. Voi l’avete
custodita senza saperlo. E nemmeno noi Istari lo sapevamo, quando fummo mandati
ad Est dalle terre al di là del mare. Il nostro compito consisteva nel
proteggere la Terra di Mezzo e sorvegliare l’Oscuro Signore ; i Valar
temevano infatti che avrebbe tentato ciò che, alla fine, fece. -
- Parli dell’Unico Anello -
intervenne nuovamente Aragorn - Cos’ha a che fare Sauron con i tre
Sigilli ? -
- Molto più di
quanto tu possa immaginare. - rispose Radagast - L’Unico Anello era solo uno
dei mezzi con cui Sauron cercò di prendere il sopravvento sulla Terra di Mezzo,
ma gli servì anche ad altro...con il potere dell’Anello e la corona, Sauron
cerò di indebolire i Sigilli, e in parte vi riuscì. Ma non trovò mai i
Silmaril, quindi non potè completare il lavoro. Sauron, poi, finì come tutti
sappiamo...ma ora qualcun altro sta proseguendo la sua opera. Eredhil del Bosco
Atro ha trovato la corona ferrea e uno dei Silmaril, ed è riuscito a liberare
il primo dei Tre. Da quanto ho potuto capire, dovrebbe trattarsi di Armagh,
almeno così si spiegherebbe la defezione di Garn di Esgaroth... -
Legolas era sconvolto. Come
avrebbero potuto sconfiggere Eredhil, ora che possedeva quel potentissimo e
crudele alleato ?
- Radagast - disse - Cosa
succederebbe se Eredhil trovasse gli altri due Silmaril... ? -
Lo stregone lo fissò negli occhi
e scosse la testa.
- Non deve trovarli, Legolas. -
disse - Se Eredhil riuscisse a spezzare tutti e tre i Sigilli, sarebbe la fine
per tutti...e anche per lui, sebbene non possa saperlo. Morgoth, Armagh e
Fermanagh non accettano il dominio di nessuno. Voi - Alzò il bastone e lo fece
girare, indicando tutti i presenti. - dovete arrivare prima di lui. -
Gimli si batté le mani sulle
cosce e si alzò in piedi. - Parli come se fosse la più semplice delle
soluzioni ! - esclamò - Secondo te dovremmo trovare delle pietre nascoste
chissà dove e distruggerle per... -
- Io non ho mai parlato di
distruggerle, figlio di Gloin - lo interruppe Radagast - anche perché i
Silmaril non possono essere distrutti. Anche se Eredhil dovesse trovarne
un’altra, una sola delle gemme sarà sufficiente a ripristinare tutti e tre i
Sigilli e a cacciare nell’ombra i tre demoni. Ma se Eredhil spezzasse anche il
secondo sigillo, le probabilità di riuscita di quest’impresa diminuirebbero
notevolmente... -
- Resto della mia opinione. -
continuò Gimli - Quest’impresa è una follia. Non sappiamo dove sono i Silmaril,
né come fare a ripristinare i sigilli. E oltretutto non mi è nemmeno chiaro il
tuo ruolo in questa storia, vecchio. Come fai a sapere tutte queste cose ?
-
Radagast sorrise e si portò una
mano verso la spalla, lasciando che il tordo salisse su di essa.
- Chiedilo al vero Re del Bosco
Atro, Gimli. - disse - Lui conosce la risposta. -
Tutti i Rappresentanti si
voltarono verso Legolas, che, stupefatto, vide lo stregone tendere il braccio
verso di lui e lasciare che il tordo volasse sulla sua spalla.
- Io... - disse, con voce incerta
- Io so chi sei, Radagast...sei da sempre il custode delle creature che vivono
sopra la terra...e di quelle che affondando le loro radici nella terra
stessa... -
- I Kelvar e gli Olvar. -
disse Radagast annuendo - Dici bene, Signore del Reame Boscoso. Dalla mia
dimora di Rhosgobel, nelle vallate dell’Anduin, proteggo ogni creatura, animale
o pianta che sia, con l’aiuto dei saggi Elfi, coloro che più hanno a cuore
tutte le forme di vita. Ma non ho saputo svolgere degnamente il mio
compito...perché non sono stato capace di impedire, Legolas, che il tuo
malvagio fratello si impadronisse del primo Silmaril e della corona, pur
sapendo quali potevano essere le conseguenze di quel gesto. Sono
involontariamente venuto meno al mio compito, e ora devo riparare in qualche
modo, dando il mio contributo a questa causa che ci riguarda tutti. -
- Una causa persa in partenza,
sembrerebbe. - disse Faramir - Eredhil non impiegherà molto a scoprire i nostri
piani...anche se per ora non ne abbiamo. -
- Forse no, Sovrintendente, forse
no...io so dove trovare delle risposte, ma da solo non posso farlo. Ho bisogno
di uno di voi, colui che riesce a muoversi più velocemente e con maggior
destrezza tra i boschi...il tempo che abbiamo è estremamente limitato. -
Legolas si alzò. - Verrò io. -
disse - Questa situazione è frutto anche delle mie mancanze. Ma dove pensi di
trovare le risposte che cerchi, Radagast ? -
Lo stregone sorrise. -
Lothlorien. - disse - Interrogheremo lo Specchio di Galadriel. -
- Cosa ? ! - esclamò
Sam - E come pensi di fare ? Lo specchio di Galadriel può essere usato
solo da Galadriel ! -
- E’ quello che pensi tu, mio
buon Samvise. Sono o non sono uno degli Istari ? Avrò pure qualche
potere... - disse Radagast ammiccando - Ma avremo bisogno anche del contributo
di Gondor e degli altri Popoli Liberi... -
Aragorn annuì. - Capisco cosa
vuoi fare, e ho un’idea. Con il mio esercito mi sposterò a nord, verso Dol
Guldur, e ci fermeremo a breve distanza dal confine, in modo tale da distrarre
l’attenzione di Eredhil mentre tu e Legolas vi recherete a Lothlorien. Nel
frattempo gli altri eserciti, se lo vorranno, si porteranno anch’essi verso i
confini meridionali del Bosco Atro. Temo che gli scontri saranno inevitabili,
ma forse, in questo modo, riusciremo almeno ad arginare le sortite da parte
degli Elfi e a controllare i loro movimenti. -
Gimli sembrava titubante. - Quali
garanzie abbiamo ? -
- Il fatto che nemmeno Eredhil sa
da che parte cominciare la ricerca. E’ poco, ma sarà abbastanza se riusciremo a
batterlo sul tempo. - disse Radagast.
Legolas aprì le labbra in un
piccolo sorriso. - Forse abbiamo davvero qualche speranza... -
- Certo ! - esclamò il nano
alzandosi e avvicinandosi a Legolas - Non ricordi le parole di Galadriel ?
“La speranza rimane finchè la compagnia sarà fedele”...e stavolta sarai tu ad
avere la mia ascia, amico. -
Legolas galoppava veloce in sella
al suo fedele Arod, il mantello grigio che gli svolazzava dietro le spalle
mentre teneva lo sguardo dritto davanti a sé, voltandosi di tanto in tanto per
controllare che Gimli, in sella al suo pony, lo seguisse. Radagast il Bruno li
precedeva con il suo possente destriero morello, e a Legolas sembrava di
rivedere Gandalf in sella ad Ombromanto, quando lui, Aragorn e Gimli
galoppavano per le praterie di Rohan.
L’elfo non sapeva a cosa stesse
andando incontro, ma la sua disperazione e il suo istinto l’avevano convinto a
seguire il vecchio stregone nella sua impresa. Quell’uomo aveva una traccia...e
quella traccia, forse, era l’unica possibilità di salvezza per la Terra di Mezzo.
Ripensò al giorno della partenza
da Minas Tirith.
Erano partiti all’alba, appena terminati i preparativi.
- Sei proprio certo di volerci seguire, Gimli ? - disse Legolas
guardando l’amico nano sellare un tozzo e vigoroso pony grigio.
- Non temere, non vi rallenterò il passo. - rispose Gimli - Non puoi
immaginare i progressi che ho fatto ; sono finiti i tempi in cui la sola
idea di salire in groppa ad un cavallo mi provocava le vertigini ! E poi senza
le mie mani aggrappate alla tua schiena, sarai certamente meno impacciato...ci
muoveremo tutti più velocemente. -
- Non mi preoccupa affatto di procedere più lentamente. - disse Legolas
- Quello che temo è farti correre dei rischi inutili...ho già perso troppe
persone a cui tenevo, e non voglio perderne un’altra. -
Gimli alzò gli occhi e sbuffò sonoramente. - Mi prendi per un
bambino ? Proprio io che al Fosso di Helm ho tagliato la testa a
quarantadue Orchetti ? Uno più di te, se non ricordo male... -
Legolas sorrise, guardando l’espressione corrucciata del nano.
- E poi io non abbandono gli amici in difficoltà. E tu sei ben più di
un amico, dovresti saperlo. Quello che hanno fatto a tua moglie e a tuo
figlio...beh, è come se l’avessero fatto a me, perché ti considero un
fratello... ma ora basta parlare in questo modo, la malinconia poco si addice
ad un Re dei Nani ! Sella il tuo cavallo, ti mostrerò le prodezze di cui è
capace il figlio di Gloin ! Arriverò a Lothlorien prima di te...peccato
solo che non ci sia Dama Galadriel ad attenderci. -
- Se i Galadhrim fossero rimasti nel Bosco d’Oro, forse questa
situazione non si sarebbe verificata...è proprio vero, gli Elfi hanno esaurito
il loro compito di custodi. Ora tocca ad altri proteggere la Terra di Mezzo. -
disse amaramente Legolas - Comunque ti ringrazio per le tue parole, amico
mio...anche se avrei preferito che l’occasione fosse diversa, non vedevo l’ora
di poter tornare a cavalcare insieme a te. Nessuno ci fermerà, vedrai. -
L’elfo era più sereno. L’idea di
avere i più cari amici al suo fianco gli aveva alleggerito il cuore dal
tremendo peso che lo stava schiacciando.
I tre si erano da poco divisi
dall’esercito che Aragorn stava conducendo verso il Bosco Atro, coprendo il
loro percorso, e avevano iniziato a seguire a ritroso il fiume Nimrodel, a partire
dal punto in cui esso sfociava nell’Anduin, mentre le schiere di Gondor si
erano dirette più ad est. Legolas aveva messo a disposizione tutta la sua
conoscenza del territorio per condurre l’armata lungo una via sicura e schivare
le zone in cui gli Elfi avrebbero potuto facilmente tendere loro un’imboscata.
Tuttavia un esercito in marcia non poteva passare inosservato, per cui i
soldati di Gondor erano stati preparati a qualsiasi evenienza.
Sam non aveva voluto sentire
ragioni, e aveva deciso di marciare alla testa della schiera insieme ad Aragorn
e Faramir, mentre alla saggia Arwen era stato affidato il governo del paese.
- Non temere, Estel - aveva detto
la Stella del Vespro al suo sposo, prima della partenza - Al nostro regno non
accadrà nulla che io non possa impedire. E poi non sarò sola in questo
compito ; i tuoi saggi consiglieri e la coraggiosa Eowyn mi saranno di
grande appoggio. -
Rincuorato da quelle parole,
Aragorn aveva baciato lafronte della
sua sposa ed era partito, ma dopo quanto era successo ad Anìrwen, il suo animo
era ancora inquieto.
Terribili cose stanno accadendo nella Terra di Mezzo, pensava. Il Male è stato risvegliato a
nord...riusciremo noi a rimetterlo a dormire prima che dilaghi nelle nostre
terre ?
- Non ricordavo che il percorso
per Lothlorien fosse tanto lungo ! - disse Gimli ansimando, mentre era
sballottato sulla sua sella, stanco per il viaggio - Sono tre giorni che
cavalchiamo ! Non mi sento più le gambe e ho la schiena a pezzi...non
potremmo fermarci solo un momento ? -
- Abbiamo fatto anche troppe
soste, Gimli. - rispose Legolas affiancandosi al nano - Possiamo permetterci
solo di perdere il tempo necessario per abbeverare i cavalli e farli riposare,
cosa a cui abbiamo già provveduto. Cerca di resistere, ormai non manca molto. -
- Meno di quanto pensiate,
amici... - disse Radagast fermando il suo cavallo e guardando in lontananza.
Gimli e Legolas lo imitarono, e l’elfo lanciò uno sguardo davanti a sè,
riparandosi gli occhi con una mano.
Dall’alto delle colline brumose,
vide il sole pallido splendere su un’enorme distesa di alberi dalle chiome
brillanti, la cui estensione si perdeva oltre l’orizzonte ; in mezzo ad
essi il Nimrodel scompariva, come inghiottito da quella foresta d’oro e
d’argento.
- Lothlorien... - disse Gimli con
voce tremante ; perfino il suo duro cuore di Nano si sentiva smarrito di
fronte a tanta bellezza.
- Non possiamo fermarci proprio
ora che siamo arrivati. - disse Legolas spronando il suo cavallo - Andiamo. -
- Aspettate ! -
La voce di Radagast costrinse
bruscamente l’elfo a fermarsi. Con sguardo interrogativo, Legolas vide lo
stregone tendere un braccio e permettere al piccolo tordo, che l’aveva seguito
fin da Minas Tirith, di salire sulla sua mano. Dopodichè gli sussurrò qualche
parola in una lingua che né Gimli né Legolas poterono capire, e lo lasciò
volare via verso il Bosco d’Oro.
- Radagast... ? - azzardò
Gimli, non comprendendo le intenzioni dello stregone.
Il vecchio non rispose e continuò
a tenere lo sguardo fisso nella direzione in cui l’uccello si era allontanato.
Trascorsero alcuni minuti,
durante i quali i tre compagni rimasero in assoluto silenzio. Infine videro il
tordo tornare e posarsi cinguettando sulla spalla di Radagast.
- Bene - disse lo stregone
spronando il suo cavallo - Il campo è libero. Possiamo andare. -
I tre avanzarono a piedi nella
foresta, guardandosi intorno come se non riuscissero a riconoscere quel luogo.
Gli elfi avevano abbandonato Lorien da anni, ormai, e i segni della loro
partenza erano evidenti ; nel bosco regnava un silenzio quasi innaturale,
molto diverso da quello garantito dai suoi stessi abitanti, spezzato solo dal
canticchiare sommesso di Radagast. Quando gli Elfi c’erano nessuno li vedeva,
eppure si poteva benissimo percepire la loro presenza. Questo, invece, era un
silenzio diverso, un silenzio che spezzava il fiato, come se la foresta avesse
smesso di respirare...
Gimli si decise a parlare,
sperando di spezzare quella strana tensione.
- Come hai fatto a trovarci,
Radagast ? -
Lo stregone proseguì il suo
cammino senza voltarsi. - Ho i miei messaggeri. - disse. Legolas e Gimli si
scambiarono un’occhiata d’intesa e guardarono il piccolo tordo che rimaneva
appollaiato sulla spalla di Radagast, come una strana appendice pennuta.
- Ad ogni modo era il posto più
ovvio in cui avrei potuto cercare aiuto... - continuò - Gli elfi di Lorien e
Rivendell se ne sono andati, e, quanto a quelli del Bosco Atro...beh, scusami
tanto, Legolas, ma non credo fosse il caso di rivolgermi a loro. -
L’elfo annuì amaramente.
- Sapevo che il Signore di Gondor
era l’unica persona che avrebbe compreso la gravità del problema - continuò
Radagast - e il fatto di aver trovato a Minas Tirith i Rappresentanti dei
Popoli Liberi mi ha decisamente aiutato, anche perché, a quanto ho capito, ne
erano già in parte a conoscenza... -
- Per la barba di Durin, vedo che
nutri una grande stima nei nostri confronti, Radagast ! Perdonami se non
ti ringrazio ! - disse Gimli con una punta di indignazione nella voce.
Radagast non battè ciglio. - Non
prendertela per le mie parole, Messer Nano - disse - E’ noto che il vostro
popolo ha più interesse per ciò che si trova sottoterra che perciò che vi sta sopra. Gli Hobbit, invece, è
noto che non amino immischiarsi in tutto ciò che possa fargli saltare l’ora del
tè. Quanto agli Uomini...non credo ci sia bisogno di grandi spiegazioni. Si
sono già rovinati abbastanza con le loro mani. -
- Mi dispiace, ma non sono
d’accordo con te. - intervenne Legolas - La Guerra dell’Anello è stata orribile
per tutti, eppure in quel periodo ho imparato molte cose. Ad esempio che in
certe situazioni la gente può rivelare risorse davvero imprevedibili e
mostrarsi molto diversa da come appare. La Terra di Mezzo ha un enorme debito
con i pacifici Hobbit della Contea ; quanto ai Nani, ne hai accanto a te
uno che reputò una ciocca dei capelli di Dama Galadriel estremamente più
preziosa di tutte le gemme di questo mondo. - Gimli sorrise, compiaciuto. - Gli
Uomini, poi, da tempo hanno riscattato la debolezza del loro sangue. Dobbiamo
conoscere, prima di giudicare, Radagast...ma non credo che dovrei essere io a
dirtelo. -
Radagast sospirò. - Ammetto di
aver generalizzato troppo. - disse - E forse sono rimasto per troppo tempo
fuori dal mondo, avendo a che fare con chi non è in grado di capire certe
sottigliezze. - Accarezzò, sorridendo, le piume del suo tordo. - Comunque, la
gente non matura mai al punto giusto per certe cose. O resta acerba o cade
dall’albero ; per tutto il tempo in cui sono stato inqueste terre, non ho mai trovato una via di
mezzo...spero comunque di non avervi recato un’eccessiva offesa. Ma ora
guardate...siamo arrivati. -
Scostando i rami di un grosso
cespuglio che gli ostruiva la vista, lo stregone mostrò ai due compagni di
viaggio uno spettacolo terribile e grandioso ; le meravigliose dimore dei
Galadhrim, avvolte come nastri di seta attorno ai tronchi d’argento dei
maestosi Mallorn...erano ormai cadute in rovina. Di esse erano rimaste le
lunghe scale, ora distrutte, ricoperte da edera e foglie morte, i tetti dei talan caduti a pezzi, le preziose statue
di pietra segnate dal tempo e dalla pioggia...
Legolas si sentì stringere il
cuore, mentre Gimli si guardava in giro con gli occhi pieni di malinconica
meraviglia. Radagast continuava a cantare la sua strana canzone.
“Chi mai mi porterà
una freccia spezzata ?
Chi mai mi porterà
una bottiglia di pioggia ?”
Questa potrebbe essere la mia casa, si disse Legolas. Questo è ciò che rimarrà del Bosco Atro
quando anche noi lo avremo abbandonato... Per Ilùvatar, è così buffo...lottare
per una terra che poi lascerai a se stessa...
- Legolas. - La secca voce di
Radagast interruppe i suoi pensieri.
Gimli guardò l’elfo con aria
interrogativa. - Tutto bene ? - disse il nano.
- Perdonatemi - rispose Legolas
continuando a guardarsi intorno - Ma è così difficile immaginare...di essere
rimasti soli... -
- Capisco. - disse Radagast - Ma
ora ti prego di mantenere tutta la tua concentrazione. Ci siamo. -
L’elfo e il nano seguirono lo
stregone che aggirò gli alberi e li condusse in una piccola radura, al centro
della quale si trovava un bacile in pietra sorretto da una colonna scheggiata.
- Lo Specchio... - disse Legolas,
affrettandosi a raggiungere Radagast. Quando vi fu accanto, notò che anche lo
Specchio di Galadriel aveva subito l’ingiuria del tempo. L’elfo allungò una
mano per togliere dal fondo del bacile le foglie secche che vi si erano
depositate in spessi strati, ognuno dei quali rappresentava un autunno
trascorso senza che nessuno lo consultasse...
- Fermo, non toccarlo ! -
esclamò Radagast. Legolas ritrasse di scatto la mano e guardò lo stregone senza
capire.
Radagast si avvicinò ad un
Mallorn, ai piedi del quale giaceva una brocca d’argento finemente lavorata e
ora sporca e incrostata.
- Non puoi nemmeno immaginare il
potere che si trova in quel catino incrostato, Signore del Bosco Atro... -
disse lo stregone prendendo la borraccia che portava alla cintura e versando
nella brocca l’acqua che in essa si trovava. Poi avanzò lentamente verso il
bacile di pietra e vi versò l’acqua.
- Yenillor morne... - bisbigliò, mentre l’acqua riempiva piano lo
specchio, facendo crepitare le foglie secche e rompendo il silenzio.
Gimli guardò lo stregone senza
capire.
- Cosa sta dicendo... ? -
domandò a Legolas, sottovoce.
L’elfo non riusciva a distogliere
lo sguardo da Radagast, rapito dall’espressione concentrata e dalle strane
parole dello stregone.
- ...tulinte I quettar... -
Legolas si sentiva come
stranito...qualcosa in lui, la più antica delle sue radici, avrebbe voluto
unirsi allo stregone mente pronunciava quelle parole in una lingua che non gli
apparteneva...
- Insomma, si può sapere cosa sta
dicendo ? - sussurrò Gimli.
- “Dagli anni Oscuri...giungono
le Parole...” - disse Legolas. Anni
Oscuri...il suo pensiero tornò alla Guerra dell’Anello. Ma l’oscurità stava
tornando a stendersi sopra di loro, minacciosa...
- Quali parole ? ! -
domandò Gimli, senza riuscire ad afferrarne il significato.
Legolas lo ignorò. - Sta parlando
in Quenya...l’antica lingua degli Elfi... -
- Hlasta !Qyetes... -
continuò Radagast, con un tono che fece sobbalzare il nano. Legolas, ormai
avvolto dalla musicalità di quell’antico linguaggio, continuò a seguire i
movimenti delle labbra dello stregone.
- “Ascolta...esse parlano...” -
Ma fu l’ultima frase a far rabbrividire l’elfo.
- Hfirimain... -
Legolas tentennò.
- “...parlano a...a coloro che
non nacquero per morire...” -
L’ultima goccia d’acqua cadde nel
bacile, ormai colmo.
- Presto, ora ! - esclamò
Radagast, abbandonando a terra la brocca e tendendo la sommità del suo bastone
verso lo specchio d’acqua. La sfera che portava in cima al bastone si illuminò.
Legolas e Gimli si sporsero verso
lo Specchio, ma non videro nulla in esso se non il riflesso azzurro creato
dalla verga di Radagast. Ad un tratto, però, il liquido cominciò a turbinare
creando uno strano miscuglio di luci e colori.
- Ascoltate - disse lo stregone
rivolgendosi a Legolas e Gimli - Non potrò mantenerlo a lungo. Concentratevi
più che potete sui Silmaril e sul luogo in cui dovremo agire per ripristinare i
Sigilli. -
- Luogo ? - disse Legolas
sorpreso - Ma non ci avevi parlato di... -
- Non era la cosa più urgente, ti
sembra ? - sbottò Radagast chiudendo gli occhi per non finire abbagliato
dalla sua stessa luce - Sbrigatevi ora, non so per quanto potrà durare... -
Legolas e Gimli tornarono a
guardare lo Specchio, quasi sbigottiti. I colori che prima avevano creato un
vortice luminoso ora iniziavano a formare delle immagini sfuocate. Nel più
assoluto silenzio, i due mantennero lo sguardo fisso su di esse, finchè...
- Cosa... ? - sussurrò
Legolas.
L’immagine che si era appena
creata nello Specchio rappresentava lui...
Lui, lo stesso Legolas, che
sembrava tendere una mano davanti a sé...come per afferrare qualcosa...
L’elfo ebbe quasi l’impressione
di vedere un altro se stesso tentare di prenderlo alla gola, e si ritrasse
d’istinto, ma Gimli lo afferrò per un braccio.
- Non perdete la
concentrazione ! - esclamò Radagast, gli occhi ancora chiusi.
Esitante, Legolas tornò a
guardare nello Specchio, e vide l’immagine cambiare.
La seconda visione era ancora più
inspiegabile della prima ; sembrava un’immensa macchia verde, prima
uniforme, poi sempre più chiara finchè i due capirono che si trattava di una
distesa erbosa...un prato, forse. No, una collina...una collina sulla cui
sommità ardeva un fuoco impetuoso, che però non sembrava danneggiare l’erba...
Poi il verde del prato e il rosso della fiamma si unirono in un turbine e,
davanti agli occhi pieni di stupore del nano e dell’elfo, l’immagine cambiò di nuovo.
Questa volta il colore era il
bianco. Tutto era bianco, tranne una minuscola macchia nera al centro esatto
dell’immagine. Ad un tratto la macchia si ingrandì, fino a quando al suo
interno apparve una strana figura : due lucidi coni, uno con la punta
rivolta verso l’alto, l’altro al contrario sopra il primo. Le loro sommità
sembravano toccarsi, ma Gimli e Legolas poterono definire, tra esse, uno spazio
di piccole dimensioni. Poi la macchia nera che inglobava quella stana forma si
rimpicciolì di nuovo, e il bianco tornò a predominare...ma il punto nero non
scomparve, bensì si fermò al centro di un’immagine frastagliata, che pareva
formare una riga sottile che divideva il bianco di fondo in due parti, quasi
fossero i denti digrignati di un drago. La macchia nera si trovava esattamente
a metà altezza della punta centrale, la più aspra e appuntita.
L’elfo e il nano si guardarono
negli occhi, esterrefatti. Tre visioni, una più incomprensibile dell’altra...
I due amici stavano per ritrarsi
dallo Specchio quando Radagast esclamò : - Fermi ! Non sono
finite ! Sento che qualcos’altro sta per giungere... -
Gimli e Legolas tornarono ad
affacciarsi sulla superficie dell’acqua, e quello che videro...
Legolas sentì il suo cuore
fermarsi.
- A Elbereth Gilthoniel... - bisbigliò.
Un bambino...un bambino biondo
che giocava e rideva serenamente accanto ad un vecchio...
- Galien ! - esclamò
Legolas, tendendo una mano verso lo Specchio.
- No ! Non toccare
l’acqua ! -
Nel momento stesso in cui le dita
dell’elfo sfiorarono la superficie del liquido, un’esplosione di luce lo
scaraventò indietro, e lo stesso accadde a Radagast e Gimli. Poi la luce si
spense e il magico Specchio di Galadriel tornò ad essere un semplice bacile di
pietra scheggiata.
- Per la barba di Durin !
Che accidenti è successo ? ! -esclamò Gimli, alzandosi goffamente. Vedendo che Radagast era ancora a
terra, dolorante, corse ad aiutarlo a rialzarsi.
- Ahimè... - disse lo stregone,
una volta in piedi, recuperando il suo bastone e spolverandosi via le foglie secche
dalla veste bruna - Le mie povere, vecchie ossa non sono più quelle di un
tempo... -
Gimli guardò Legolas ancora
sdraiato su un fianco, ansimante, gli occhi spalancati e fissi nel vuoto.
- Legolas...va tutto bene ?
- disse il nano avvicinandosi all’amico e tendendogli una mano. Ma l’elfo non
la prese, e rimase ancora in quella posizione ; sembrava che tutto ciò che
lo circondava fosse scomparso, e nel suo sguardo si trovava ancora quella
visione, indelebilmente impressa...
Galien.
Suo figlio.
Vivo...
- Era lui, Gimli... - sussurrò
mentre il cuore gli galoppava nel petto - L’hai visto anche tu, vero ? Era
Galien, non posso sbagliarmi... -
Il nano tentennò, non sapendo che
dire.
- Vi dispiacerebbe informare
anche me su quello che avete visto ? - disse Radagast. Gimli gli descrisse
le visioni, mentre Legolas si rialzava, ancora sconvolto.
- Uhm...davvero strane ed
enigmatiche, non c’è che dire... - disse lo stregone, pensieroso - Legolas che
tende una mano...verso di sé, fuoco che non brucia l’erba, un misterioso
disegno bianco e nero... -
- E mio figlio ! - esclamò
Legolas, guardando lo stregone con occhi febbricitanti - Quello era mio figlio,
ne sono sicuro... -
Radagast non disse nulla e
continuò a rimuginare su ciò che gli aveva raccontato il nano.
- Io stento ancora a credere a
ciò che ho visto... - disse Gimli - Ma se quel bambino era veramente Galien,
cosa può voler dire ?-
- Non lo so. Ma ora mi sento
ancora più confuso...ricordi ciò che Galadriel disse a Frodo ? “Lo
Specchio mostra cose che furono, cose che sono e cose che devono ancora
essere”. Ma quell’immagine non apparteneva al passato di Galien, ne sono
certo...e se appartiene al suo presente o al suo futuro, significa... -
- Che è ancora vivo ! -
esclamò Gimli prendendo un braccio all’elfo - E se è così, allora possiamo
ricominciare a sperare, amico mio ! -
- Tutto è perduto solamente
quando lasciamo morire la speranza, Gimli. - disse Legolas scuotendo la testa -
E io non l’ho mai persa del tutto. Nel profondo del mio cuore non l’ho mai voluto.
Se solo avessi la certezza che Galien è davvero vivo e sta bene... -
Radagast continuava a rimuginare.
Una freccia spezzata...una bottiglia di
pioggia...
- Tu cosa ne pensi,
Radagast ? - disse Gimli.
Lo stregone smise di borbottare,
ma mantenne lo sguardo fisso nel vuoto, segno che non aveva interrotto il
flusso dei suoi pensieri.
- Che le prime due visioni
dovevano indicare i luoghi in cui trovare i Silmaril, la terza quello in cui
ripristinare i Sigilli. - rispose con noncuranza - Forse conosco il terzo
luogo...se solo riuscissi a ricordare... -
- E la quarta ? Cosa c’entra
il bambino in tutto questo ? - domandò Gimli, corrugando la fronte e
incrociando le braccia.
- Questo dovrà scoprirlo Legolas.
- disse Radagast fissando l’elfo con i suoi occhi scuri - Forse lo Specchio ha
avvertito la tua speranza di ritrovare il figlio che, se non ho capito male,
credevi morto, e ha voluto in qualche modo aiutarti...eppure sono convinto che
non te l’abbia mostrato per caso. Galien deve avere molto a che fare con questa
storia, ma ancora non capisco come... -
Detto questo, lo stregone si
diresse a passo spedito verso il suo cavallo, che lo attendeva legato ad un
albero poco distante.
- E adesso dove vai ? ! -
esclamò Gimli.
- Credo di aver capito il
significato della terza visione - rispose Radagast - Ma prima devo verificare
una cosa. Voi raggiungete le schiere dell’esercito di Gondor ; so dove
sono, ci troveremo là. -
Lo stregone balzò in sella,
lasciando interdetti i due amici.
- Un’altra cosa - disse poi Radagast
dopo essere balzato in sella - Se mai doveste trovare i Silmaril, state molto
attenti...poiché essi accendono terribili desideri in chiunque li possieda. -
- Aspetta un momento,
Radagast ! Anche se trovassimo i Silmaril, come faremo a ripristinare i Sigilli ?
- disse Gimli.
- Oh, non ne ho la minima
idea ! - esclamò lo stregone spronando il cavallo - Ma è quello che ho
intenzione di scoprire con l’aiuto delle visioni. A presto, amici. -
L’elfo e il nano rimasero a
guardare il vecchio allontanarsi al galoppo saettando tra gli alberi.
- Quello stregone è ancora più
pazzo di Gandalf...bell’affare abbiamo fatto a seguirlo. E ora cosa
facciamo ? - disse Gimli, sbuffando.
- Torniamo indietro. - rispose
Legolas dirigendosi a sua volta verso i cavalli con passo sicuro - Raggiungiamo
Aragorn e portiamogli il nostro aiuto. E poi, dato che abbiamo bisogno di
risposte, cerchiamo di riflettere su quanto abbiamo visto... -
- Ho l’impressione che tu non ci
sarai di grande aiuto... - borbottò Gimli guardando l’elfo di traverso e
sorridendo sotto i baffi. Legolas capì le parole del nano e gli restituì il
sorriso.
- E’ vero, amico. - disse, il
cuore istintivamente più leggero e il viso più luminoso - Sento che ora ho
qualcos’altro a cui pensare, e un altro motivo per sperare...e per vivere... -
Le parole di
Radagast in Quenya fanno parte del brano “The prophecy”, tratto dalla colonna
sonora del film “La compagnia dell’Anello”, pezzo che ho usato come
sottofondo...non ho reso affatto l’idea, ma è un brano che mi fa rabbrividire !
Yain alzò la testa bagnata e
guardò il sole che stava tramontando su Aldorath. Mentre tornava a casa con il
suo cavallino pezzato alla mano pensò che era stata davvero una giornata
splendida e fruttuosa.
Cercando di non farsi notare dai
pochi passanti (comunque troppo impegnati a farsi gli affari propri per badare
a lui) estrasse piano dalla tasca una delle molte pietre brillanti che aveva
recuperato durante l’ennesima immersione nel letto dell’Anduin ; erano ancora
sporche e incrostate, ma con una bella ripulita sarebbero tornate a splendere
di nuovo come meravigliose gemme colorate. Il fiume ne era pieno ; da
quando le aveva trovate per la prima volta, Yain era tornato spessissimo a
cercarle, e ora ne aveva accumulato un bel mucchietto.
Sospirò e sorrise, pensando ai
consueti rimproveri che gli avrebbe rivolto Valerius ; secondo lui c’era
il rischio che gli Elfi del Bosco Atro (quelli di Lothlorien se n’erano andati
da tempo, ormai) considerassero il piccolo interesse di Yain come una
profanazione del Grande Fiume o, peggio ancora, un furto, e gli aveva
categoricamente vietato di recarcisi. Ma il ragazzo, testardo come un mulo, se
n’era sempre infischiato e, senza farsi scoprire, era tornato più volte al
fiume, portandosi regolarmente a casa un piccolo bottino.
D’altronde, che cosa ne sapeva
Val degli Elfi ? Non più di quanto ne sapesse lui...
Yain si strofinò la testa con il
mantello, cercando di asciugarsi un po’ di più i capelli bruni. Se tornava a
casa con i capelli ancora bagnati, Val avrebbe sicuramente capito che era
tornato al fiume, e magari l’avrebbe punito...
Il ragazzo fece spallucce. Beh,
chi se ne importava. Si sarebbe fatto perdonare regalando al fratello una delle
pietre più belle della sua collezione, come quella verde con cui Val aveva
fabbricato il ciondolo per Rhiannon.
Chissà se Rhiannon l’aveva
indossato. Doveva esserle piaciuto di sicuro, l’aveva capito dal suo sguardo,
ma forse, dopo la discussione che i due avevano avuto quel giorno, l’aveva
gettato via...
Yain ripensò alla ragazza dai
capelli color del fuoco ; era passato parecchio tempo da quella
malaugurata giornata, e lui era tornato ancora diverse volte con Val alla
“Locanda dei Tre Passi”, ma il fratello e Rhiannon non si erano più parlati.
Sembrava quasi che fosse calato un velo di imbarazzo, più che di collera, tra i
due. Certo, dopo l’ennesima proposta e l’ennesimo rifiuto, Val avrebbe dovuto
rassegnarsi...e invece Yain sapeva che il fratello conservava ancora dentro di
sé la speranza che la ragazza cambiasse idea. Ma con Galien di mezzo, ora, Val
era quasi certo di non avere più nessuna possibilità di conquistare il cuore di
Rhiannon...perché se l’era già accaparrato qualcun altro.
Yain sospirò di nuovo.
Affari loro, pensò, sono adulti
e sapranno uscirne da soli.
E poi a Yain piaceva Galien.
Quando andava alla locanda, con o senza Valerius, riusciva sempre a
sgattaiolare nel retrobottega per chiacchierare un po’ con il bambino. Da
quando l’aveva conosciuto, aveva migliorato molto la sua conoscenza della
lingua e delle usanze degli Elfi ; e anche se Val la giudicava una perdita
di tempo, lui era convinto che prima o poi gli sarebbero tornate entrambe
utili, soprattutto in quegli ultimi tempi, in cui con gli Elfi bisognava stare
molto attenti...
Mentre camminava per le strade
del villaggio si domandò cosa potesse essere successo per sconvolgere un popolo
così pacifico. Nessuno aveva mai avuto problemi con gli Elfi, eppure in quegli
ultimi tempi le cose sembravano essere molto cambiate...
Yain pensò che, magari, avrebbe
potuto parlarne con Galien...meglio se di nascosto a Rhiannon, però. Alla
ragazza non piaceva che si facessero domande al piccolo elfo, e anche lo stesso
Galien era molto restio a parlarne ; anche se non sapeva quasi nulla del
suo passato, Yain sapeva comunque che doveva nascondere qualcosa di molto
triste dietro a quegli occhioni azzurri.
Sì, quella sera sarebbe andato
alla locanda. E avrebbe regalato una bella pietra colorata al bambino, magari
quella grigia con i riflessi azzurri...gli sarebbe piaciuta tantissimo...
- Toh, guarda...siamo già
arrivati ! - disse, alzando la testa, e portando il cavallo nella stalla
che si trovava dietro la piccola bottega di fabbro di Valerius, sopra la quale
i due fratelli vivevano. Liberò il cavallo dai finimenti e gli diede un secchio
di biada, poi aggirò il piccolo edificio e sbirciò l’ingresso principale. Le
imposte erano chiuse anche se non era ancora sceso completamente il buio, segno
che forse Val era uscito. Ma quando aprì lentamente la porta si trovò davanti
il fratello che lo guardava con aria severa e le braccia conserte.
- Ehm...Val, cosa stai facendo
qui ? - disse Yain, sorpreso.
- E’ la mia bottega e ci lavoro.
- rispose seccamente Valerius - Tu, piuttosto...sei andato un’altra volta al
fiume, vero ? -
Yain fece un sorrisetto
imbarazzato, i capelli ancora umidi incollati alla fronte. - Cosa te lo fa
pensare ? - disse.
- Non fare il furbo con me,
ragazzino ! - sbottò Valerius - Ti ho detto un’infinità di volte di
piantarla con questa sciocchezza delle immersioni nell’Anduin ! Per colpa
di quelle stupide pietre finirai per cacciarti nei pasticci una volta o
l’altra, e scordati che ci pensi io a tirartene fuori ! Niente grane con
gli Elfi, Yain...sono stato chiaro ? -
Yain sbuffò. - Andiamo,
Val...cosa vuoi che importi agli Elfi di quattro sassi ? E poi non dirmi
che non ti ha fatto piacere quando ti ho regalato le ultime che ho trovato...il
ciondolo che hai regalato a Rhiannon era veramente bellissimo. -
Nel sentire nominare la ragazza,
il viso di Val divenne freddo. - Lascia perdere Rhiannon, d’accordo ? -
disse, voltando le spalle al fratello - Lei non ha tempo per pensare ai miei
doni. Ha occhi solo per quel bamboccio elfo, crede di potergli fare da madre
come ha fatto con Roslyn, ma... -
Val si interruppe bruscamente.
- Ma... ? - lo incalzò Yain.
Val alzò una mano. - Zitto. -
disse, correndo verso la finestra e aprendo uno spiraglio tra le imposte. Yain
affiancò il fratello e sbirciò a sua volta dallo stretto pertugio, e capì cosa
aveva attratto la sua attenzione. Non era stato un rumore particolare tra
quelli che risuonavano nel villaggio, ma...l’improvviso silenzio che si era
creato. Sembrava che nemmeno una mosca avesse il coraggio di ronzare nell’aria
di Aldorath.
- Guarda guarda... - disse ad un
tratto Valerius. Yain si spinse ancora di più contro il fratello e, dalla
fessura, vide un elfo a cavallo avanzare nell’oscurità che era ormai scesa.
Normalmente quella visione non gli avrebbe provocato nessuna particolare
sensazione, ma in quel momento c’era qualcosa di strano... Forse erano state
tutte le voci che stavano circolando in quei giorni sugli Elfi a
suggestionarlo, ma quel cavaliere biondo dallo sguardo gelido non gli diceva
niente di buono...tutta la sua figura emanava qualcosa di
inquietante...qualcosa che toglieva il fiato...e Yain non riusciva a spiegarsi
cosa fosse...
All’improvviso, lo sguardo
incuriosito dei due fratelli mutò in un incomprensibile timore quando videro
l’elfo guardare verso di loro e spronare il cavallo in direzione della bottega.
Valerius spinse indietro Yain e
chiuse di colpo le imposte.
- Ci ha visti, maledizione !
- disse, passandosi una mano sul viso - Che sciocco, era ovvio... -
- Cosa facciamo, Val ? -
disse Yain, agitato.
Valerius si diresse di corsa
verso il banco di lavoro e afferrò il primo pugnale che gli capitò sotto mano,
infilandoselo nella cintura.
- Vai di sopra, Yain - disse - E
nascondi le pietre. -
- Ma... -
- Vai di sopra, ho detto ! -
Il ragazzo non riuscì ad obbedire
a quel secco ordine perché la porta della bottega si spalancò all’improvviso.
Valerius si mise davanti al fratello minore per proteggerlo, portando una mano
al pugnale ma senza sguainarlo. Attenzione
alle mosse false, si disse.
Il cavaliere elfo fece il suo
ingresso guardandosi intorno, senza apparentemente badare all’atteggiamento
ostile e spaventato dei due.
- Cosa vuoi ? La bottega è
chiusa a quest’ora. - disse Valerius, cercando di mantenere un tono di voce
fermo mentre suo fratello, dietro di lui, tremava dalla paura.
L’elfo passò oltre e si diresse
verso il banco. Davanti ad esso si fermò e si voltò verso i due, guardandoli
con occhi di ghiaccio.
Potrebbe essere un cadavere che cammina, pensò Yain, non ha niente di vivo...e niente di
elfico...
- Mi hanno detto che sei un
fabbro. - disse il misterioso cavaliere.
Valerius si mostrò piuttosto
irritato da quella domanda. - Ma no...sono un fornaio, invece. Questa ferraglia
mi serve per impastare il pane... - disse.
L’elfo non parve nemmeno
sentirlo. - Mi hanno detto anche che sei il migliore nella zona. - continuò.
Val tacque e si guardò i piedi,
quasi imbarazzato. - Dipende...dipende da chi te l’ha detto. Ripeto, cosa
vuoi ? -
Con una mossa fulminea, l’elfo
estrasse la spada e la tenne dritta davanti a sé. I due fratelli balzarono
indietro per lo spavento.
- E’ scheggiata. - disse il
visitatore con il consueto tono glaciale - Me ne serve un’altra. La migliore
che hai. -
Lentamente, Valerius si diresse
verso l’elfo ed esaminò la sua arma, senza toccarla.
- E’...è una spada molto bella...
- disse - La fattura è squisita...non so se tra quelle che ho fatto posso
trovartene un’altra uguale... -
- Devi trovarla. - replicò l’elfo.
Valerius non ebbe bisogno di
rispondere. Con il cuore che batteva forte per la paura si diresse nel
retrobottega. L’elfo rimase davanti al banco, gli occhi fissi su Yain, che non
aveva il coraggio di muovere un muscolo. Dalla stanza accanto poteva udire il
rumore di oggetti metallici che sbattevano uno contro l’altro, segno che
Valerius si stava dando da fare per cercare un’arma che fosse adatta allo
sgradito visitatore.
Già, e quando l’avrai trovata cosa pensi di fare, Val ? si
disse Yain. Non credi che questo bel
cliente vorrà saldare il conto a modo suo ? Sarà anche troppo se
respireremo ancora quando sarà uscito da qui...
- Ecco, forse ho trovato qualcosa
che fa al tuo caso. - disse Valerius tornando indietro a passo spedito. Tra le
mani teneva una lunga spada dalla lama dritta, non così sottile e stretta come
le spade degli elfi, ma ugualmente robusta e maneggevole. La porse all’elfo che
la afferrò senza esitazione. - Non potrà mai competere con quella che avevi,
naturalmente...ma è la spada che mi è riuscita meglio. Speravo quasi di poterla
tenere per me. La lama è così forte e affilata che potrebbe tagliare in due il
tronco di un albero... -
Valerius si morse la lingua,
rendendosi conto di aver detto una frase profondamente infelice ; sapeva
benissimo, infatti, quanto gli Elfi rispettassero la natura in tutte le sue
forme...
Chiudendo gli occhi, il giovane
fabbro sembrò quasi aspettare il colpo di grazia, che però non giunse mai.
Quando riaprì gli occhi, Valerius vide l’elfo osservare attentamente la fattura
dell’arma e soppesarla tra le mani.
- Hai fatto un buon lavoro. -
disse quest’ultimo con il suo solito tono di voce freddo e distaccato, gettando
sul banco un sacchetto di monete d’oro. Incredulo, Valerius guardò Yain che
ricambiò il suo sguardo. Nel frattempo, il cavaliere stava lentamente
guadagnando l’uscita.
- Un’ultima cosa. - disse l’elfo
voltandosi verso i due. Val e Yain lo fissarono senza muoversi.
- Sto cercando un bambino. Un
elfo, che deve certamente essere da qualche parte nei paraggi. Se lo trovate,
portatelo a Dol Guldur, e il mio Signore vi ricompenserà ; ma non provate
a nasconderlo, altrimenti sperimenterete la sua collera. -
Galien.
Yain sentì un tuffi al cuore.
Guardò suo fratello, ma vide che Valerius teneva gli occhi fissi sul pavimento.
Non dirglielo, pensava Yain. Se
tieni davvero a Rhiannon, non dirglielo, ti prego...
Dal canto suo, Valerius stava
facendo lavorare freneticamente il suo cervello.
Non sapeva perché quell’elfo
stesse cercando Galien, né era riuscito a capire perché Rhiannon insistesse per
nasconderlo anziché riportarlo a casa. L’unica conclusione che aveva trovato
era che la ragazza temesse per l’incolumità del bambino. Ma perché ?
Perché non farlo tornare tra la sua gente ?
Certo, quello strano elfo dallo
sguardo di ghiaccio non gli piaceva per niente...come non gli piacevano le voci
che giravano nel villaggio sul nuovo Signore di Dol Guldur...ma come potevano
dei miserabili come lui e Rhiannon opporsi al volere di un Re degli Elfi ?
Con il terribile rischio di incorrere nella sua vendetta, se non gli avessero
consegnato Galien...
Ma Rhiannon si stava affezionando
troppo a quel bambino...come avrebbe reagito se glie l’avessero
strappato ?
Lo perderà comunque, prima o poi, pensò Valerius.
E quando sarebbe successo,
Rhiannon avrebbe avuto certamente bisogno di qualcuno che le stesse vicino e le
desse tutto l’affetto necessario ad aiutarla a dimenticare e a superare il
dolore...per la prima volta da quando si era innamorato di lei, Valerius
avrebbe potuto restare al suo fianco per sostenerla...avrebbe fatto qualsiasi
cosa per lei, perché tutto ciò che desiderava era la felicità di quella
ragazza...
Il giovane fabbro alzò gli occhi
e incontrò quelli del fratello.
Yain scosse il capo, tremante,
pregando che Valerius non facesse ciò che lui temeva.
Val fissò suo fratello e annuì,
con espressione fiduciosa, sperando quasi nella sua approvazione.
In fin dei conti lo sto facendo per Rhiannon, pensò.
Ed era sincero. Lo era davvero.
- Credo di sapere dove si trova
quel bambino. - disse.
we turned around and suddenly you were gone, gone,
gone...
Simple
Minds, “Street fighting years”
- Pioverà. - disse Potter.
Rhiannon smise per un attimo di pulire i tavoli e si voltò a guardare il
vecchio che stava accucciato a sistemare i piatti in un armadietto sotto al
bancone. Galien ignorò i due e continuò a giocare con il suo cavallino di
legno.
- Cosa te lo fa pensare ? -
domandò la ragazza.
- La mia schiena. Una stilettata
nelle reni significa tempesta in arrivo, puoi scommetterci. -
- Ne sentirai di stilettate, se
continui a restare in quella posizione ! - esclamò Rhiannon ridendo.
Il vecchio si rialzò a fatica e
si stiracchiò con una smorfia di dolore.
- Comunque è strano... - aggiunse
la ragazza guardando fuori dalla finestra - L’aria è calma e non c’è una nuvola
in cielo...guarda quante stelle, Galien ! -
Il bambino si alzò e raggiunse la
ragazza accanto alla finestra, alzandosi sulla punta dei piedi per guardare
fuori.
- Come si chiama la vostra stella
più luminosa ? - domandò Rhiannon, affascinata dalla vista di tutti quei
punti luminosi nel cielo nero.
- Eärendil - rispose Galien.
- Già, Eärendil...vuoi sapere
cosa diceva mia madre a proposito delle stelle, Galien ? -
Il bambino annuì.
- Mi raccontava spesso una
vecchia favola...parlava di un uomo che aveva deciso di percorrere la via delle
stelle perché aveva sentito che esse indicavano il destino di ogni persona, ma
il suo viaggio non terminava mai, perché le stelle formano infinite strade...e
così lui non si fermò mai e diventò vecchissimo... -
- E morì ? -
- No, non morì. Continuò a
seguire le stelle e attraversò tutti i paesi del mondo...i boschi degli Elfi,
le grotte degli Orchi, le montagne dei Nani, le città degli Uomini...ed è
diventato l’uomo più saggio che fosse mai esistito. Tutti lo incontrano prima o
poi, nella loro vita. -
- Non ho capito niente. - disse
Galien - Perché è diventato saggio ? E com’è possibile che tutti lo incontrino ?
-
- E’ una favola, Galien -
intervenne Potter - E le favole, in genere, non significano un bel niente,
salvo per chi le racconta... -
Rhiannon sbuffò. - Ignoralo,
piccolo. - disse - La fantasia di Potter non riesce nemmeno ad uscire da questa
locanda... Lascialo perdere e pensa alle stelle. Esse formano milioni di strade
che si incrociano tra loro all’infinito ; tu puoi seguirne una, ma essa ne
incrocerà un’altra e un’altra, e un’altra ancora...e così incontrerai tutte le
persone che percorrono quelle strade, fino a quando non smetterai di seguire la
tua, perché il nostro destino è legato a quello di tutti gli esseri che vivono
su questo mondo...alla fine, ci incontreremo tutti, più avanti, lungo la
strada...questo aveva imparato l’uomo delle stelle. Per questo era saggio.
Avete capito ? -
- No - dissero all’unisono Galien
e Potter.
Rhiannon alzò gli occhi e le mani
al soffitto. - D’accordo...ci rinuncio ! - disse - Comunque mangerò un
gatto se scenderà una sola goccia d’acqua, qualsiasi cosa dica la tua
schiena ! -
Potter corrugò la fronte. - Non
parlavo necessariamente di una tempesta di pioggia. Non so perché, ma i miei
acciacchi non mi dicono niente di buono... -
- Dovrai farci l’abitudine, se
vuoi trascorrere una serena vecchiaia, Potter ! Se non sbaglio, i dolori
fanno parte dell’affare ! -
- Chissà se incontrerò anch’io
l’uomo delle stelle... - disse Galien riemergendo dai suoi pensieri.
- Oh, se non l’hai ancora
incontrato lo farai di certo ! - esclamò Rhiannon prendendo in braccio il
bambino - Anche se forse non te ne accorgerai...bisogna essere molto saggi per
riconoscerlo. -
- E come farò a diventare
saggio ? -
- Andando a letto presto, dando
ascolto agli anziani e...bevendo molta birra ! - disse Potter.
Rhiannon e il vecchio sorrisero,
ma la loro espressione cambiò quando videro che il bambino era rimasto serio e
fissava il vuoto alle spalle del vecchio.
- Stavo scherzando, Galien...lo
so che la mia birra non ti piace ! - disse Potter, tentando di nascondere
la preoccupazione.
Il piccolo elfo non si mosse.
L’uomo e la ragazza si guardarono l’un l’altra in silenzio senza capire,
quando, ad un tratto, Potter spalancò gli occhi e, voltandosi, comprese.
- La porta... - disse il vecchio
- Sta guardando la porta... -
All’improvviso Rhiannon sentì il
respiro del bambino farsi più affannoso. Istintivamente lo strinse al petto.
- Stanno arrivando... - sussurrò
impercettibilmente Galien.
- Chi... ? -
- DEGYD ! DEGYD O ERYN LASGALEN ! ! ! -
Potter e Rhiannon si scambiarono
uno sguardo allarmato, e la ragazza strinse ancora più forte il bambino.
- La botola ! - disse,
spingendo la ragazza verso il retrobottega - Presto ! ! -
Vogliono me...vogliono me...pensava febbrilmente Galien mentre
Potter faceva entrare lui e Rhiannon nello stretto cunicolo che si apriva nel
pavimento della piccola stanza.
- Non muovetevi da qui, qualsiasi
dannata cosa debba accadere. - disse Potter tenendo sempre d’occhio la porta
d’ingresso - Il tunnel sbuca dietro la stalla ; se capite che è il caso di
farlo, prendete i cavalli e correte ad Aldorath. -
- Ma...Potter ! - gridò
Rhiannon allungando una mano verso il vecchio mentre questo chiudeva la botola
sopra la testa della ragazza e del bambino - Cosa vuoi fare ? ! Vieni con
noi, almeno ! -
L’uomo scosse la testa. - No. -
disse.
- Perché ? ! -
- Chiunque ci sia là fuori, è
meglio che trovi qualcuno qua dentro ad aspettarlo...e non voglio che trovi
voi. -
- Potter ! ! -
Il vecchio non rispose e, con un
colpo secco, chiuse la botola e si precipitò nella sala da pranzo, afferrando
la vecchia ascia arrugginita che teneva sotto il bancone.
- Ora sono pronto... - disse il
vecchio, sentendo il suo cuore battere come impazzito.
In quel momento, la porta della
locanda venne abbattuta da un calcio poderoso, e due elfi armati di lunghe
spade fecero il loro ingresso, minacciosi.
- Indietro ! - gridò Potter
brandendo l’ascia verso i due sconosciuti che non si curarono delle sue parole.
- Vogliamo il bambino. - disse
uno dei due, continuando ad avanzare - Sappiamo che è qui. Consegnacelo e forse
ti risparmieremo. -
- Non c’è nessun bambino
qui ! - disse Potter scuotendo la testa - Andatevene subito ! -
- Le tue bugie sono pietose,
vecchio. In questo modo non farai altro che procurarti una morte lenta e
dolorosa...avanti, consegnaci il bambino ! -
Potter strinse l’ascia e lanciò
uno sguardo di fuoco ai due elfi. - Dovrete passare sul mio corpo, maledetti...
- disse.
- Stupido uomo ! - esclamò
uno dei due afferrando velocemente un pezzo di legno in fiamme dal camino -
Credi forse che per noi sia un problema ? ! -
- Ho paura, Rhiannon... -
sussurrò Galien con voce tremante stringendosi forte alla ragazza.
Rhiannon alzò la testa nel buio
di quello stretto cunicolo. Anch’io,
avrebbe voluto rispondere ; ma dalle sue labbra uscì solo un
flebile : - Andrà tutto bene, vedrai... -
Ma la ragazza non ne era affatto
convinta, e Galien lo percepì.
- Sono venuti per me... - disse,
stringendo i denti - Vi ho messo nei guai...mi dispiace, Rhiannon... -
- Non parlare più. - disse
Rhiannon abbozzando un debole sorriso e accarezzandogli i capelli, senza
riuscire però a dissimulare il terrore e l’angoscia che stava provando.
Tese le orecchie, cercando di
percepire ogni suono che proveniva da sopra le loro teste ; sentiva voci
confuse, rumori di passi pesanti, clangori di armi. Cosa stava succedendo a
Potter ? Chi c’era di sopra con lui ?Elfi, forse...sicuramente qualcuno che voleva Galien. Ma
chiunque fosse, lei non gli avrebbe mai permesso di portare via il
bambino...mai. Lei l’avrebbe protetto, come Potter stava proteggendo loro.
Poi udì un grido strozzato e un
tonfo sordo. La ragazza chiuse gli occhi.
Potter.
- E’ morto... - disse Galien, gli
occhi spalancati dal terrore e dalla disperazione.
Rhiannon inspirò più
profondamente che potè per calmare il suo cuore che sembrava impazzito.
I cavalli. Aldorath.
- Vieni - disse, prendendo in
braccio il bambino - Usciamo da qui. -
Non ci volle molto perché Galien
e Rhiannon arrivassero in fondo al tunnel. La ragazza aveva gli occhi gonfi di
lacrime, e non riusciva a distogliere i suoi pensieri da ciò che poteva essere
successo a Potter.
Forse non era morto...forse non
era nemmeno lui ad essere caduto...forse...
Forse.
Non c’è tempo per i “forse”, si disse Rhiannon, continuando a
correre nel buio. Doveva uscire dal cunicolo e portare Galien in salvo ad
Aldorath. Sicuramente Valerius li avrebbe aiutati ; si sarebbero nascosti
da lui fino a quando le acque non si fossero calmate, poi lei sarebbe tornata
alla locanda per capire cos’era successo.
All’improvviso, un pallido raggio
di luna ruppe l’oscurità che circondava la ragazza e il bambino, e anche l’aria
si fece meno soffocante.
- Adesso usciamo, Galien. - disse
Rhiannon, cercando di rassicurare il bambino che ansimava sempre di più. Alzò
una mano e, a tentoni, afferrò il chiavistello che teneva chiuso lo sportello
in legno forato che chiudeva l’apertura per l’esterno, e lo tirò di lato con
tutta la sua forza. Poi sollevò piano lo sportello e si guardò intorno.
I suoi occhi erano all’altezza
dell’erba, e non vide né udì nulla di strano. Solo il silenzio della notte e il
fruscio del vento tra le fronde degli alberi.
- La strada è libera. - disse
sottovoce aprendo del tutto la botola. Con un piccolo sforzo si issò sull’erba,
poi si chinò a prendere il bambino.
Galien continuava ad ansimare e
si guardava intorno, spaventato.
- E’ tutto finito, Galien - disse
Rhiannon accucciandosi davanti a lui - La stalla è qua dietro e c’è un bel
cavallino baio che ci aspetta. Cavalcheremo insieme, d’accordo ? -
Senza aspettare la risposta del
bambino, la ragazza si rialzò e lo prese per mano.
- Corri, ora ! - disse,
precipitandosi con lui verso la stalla.
- Cyth tollen ! - gridò ad un tratto Galien.
- Cosa... ? -
Improvvisamente, la ragazza sentì
un dolore lancinante e, quasi senza accorgersene, si ritrovò accasciata a terra
con una freccia conficcata nella spalla sinistra.
Si girò piano, confusa, e vide
due elfi avvicinarsi con aria minacciosa e Galien, terrorizzato, chino su di
lei.
- Ai na vedui, Principe Galien - disse uno dei due con un sorriso
inquietante - Ti abbiamo cercato a lungo...è ora di tornare a casa...a Dol
Guldur. -
Il bambino vide negli occhi del
soldato lo stesso sguardo di fuoco e ghiaccio che si trovava in quelli di
Eredhil.
- Andate via ! - gridò.
Rhiannon, gemendo per il dolore,
si rialzò lentamente, appoggiandosi al bambino, ma la ferita le doleva troppo e
ricadde seduta.
- Rhiannon ! - esclamò
Galien mentre i due elfi si avvicinavano. La ragazza si strinse la spalla
ferita, da cui il suo sangue sgorgava copiosamente.
- Scappa, Galien... - disse con
un filo di voce mentre, stringendo i denti, si estraeva lentamente la freccia
dalla spalla. Il bambino guardò la ragazza, poi i due elfi, quindi di nuovo la
ragazza.
- No...non ti lascio qui...non da
sola... -
- Scappa ! - gridò Rhiannon - E’ te che vogliono ! Non mi
faranno niente, ma non permettergli di prenderti... -
Galien lanciò un ultimo sguardo
ai due elfi e alla ragazza. Poi le diede un rapido bacio su una guancia e corse
via più veloce che potè.
- Scappa... - disse debolmente
Rhiannon. Ma un attimo dopo sentì il bambino gridare, e vide i due elfi, che lo
avevano raggiunto con facilità, sollevarlo per la vita e portarlo verso uno dei
loro cavalli.
- Lasciatemi andare ! !
- strillò Galien scalciando e dimenandosi nel vano tentativo di liberarsi - Non
voglio tornare da muinadar
Eredhil ! Non voglio ! Rhiannon ! ! -
La ragazza non si mosse,
intontita e priva di forze, e restò a guardare i due Elfi issare Galien su un
cavallo e allontanarsi al galoppo.
- Rhiannon ! -
Il dolore e la paura le avevano
fatto perdere lucidità ; non riusciva quasi a rendersi conto di ciò che
era appena accaduto, e credette che da un momento all’altro si sarebbe
svegliata da quell’incubo. Ma quando l’acre odore del fumo e della legna
bruciata le penetrò nelle narici, mischiandosi all’odore del suo stesso sangue,
capì che non si sarebbe svegliata.
Rhiannon...
Fu allora che tutto si chiarì,
come se la nebbia che avvolgeva e offuscava la sua mente si fosse dissolta
all’improvviso, rivelando una realtà terribile e desolata.
Potter era morto.
La “Locanda dei Tre Passi” stava
bruciando.
Galien era stato portato via.
Le era stato portato via.
Aveva perso tutto. Di nuovo. Di
nuovo per colpa sua.
E, stavolta, per sempre.
Con il cuore in gola, la ragazza
iniziò ad ansimare e scoppiò in un pianto disperato, sola, avvolta dal manto
nero della notte e dal rosso delle fiamme che divampavano dalla locanda, alle
sue spalle.
- Non so le tue, ma le mie idee
sono ancora più confuse di prima, Legolas. - disse Gimli, galoppando al fianco
dell’amico sul suo robusto pony - Quelle dannate visioni non hanno senso !
Niente ha senso, in questa storia ! Oltre tutto, non mi hai ancora detto
cos’hai intenzione di fare... -
Legolas non rispose e continuò a
cavalcare.
- E poi io non lo capisco,
Radagast... - continuò Gimli ignorando il silenzio dell’elfo - Lui e tutto il
suo parlare di frecce spezzate e bottiglie di pioggia...dice di volerci aiutare
e ci pianta in asso nei momenti meno opportuni ! Comincio a dubitare che
lo rivedremo... -
Questa volta il nano attese
qualche istante la risposta di Legolas, ma si rese presto conto che l’amico non
gli stava affatto prestando attenzione.
- Legolas... -
L’elfo voltò di scatto la testa
verso il nano. - Scusami, Gimli...cosa stavi dicendo ? -
Gimli alzò gli occhi al cielo. -
Bentornato tra noi ! - sbuffò, corrucciato.
Legolas capì ciò che il nano
intendeva e fermò il cavallo.
- Perdonami, amico - disse l’elfo
- Ma non riesco proprio a pensare a nient’altro che a quello che ho visto...non
riesco nemmeno a pensare, a dire la verità. Ho sempre sperato, in fondo al
cuore, che tutto quello che è successo fosse solo un incubo...ed ora che scopro
che Galien potrebbe essere vivo...vorrei aggrapparmi a questa speranza con
tutte le mie forze. Ma non so cosa succederebbe se si rivelasse del tutto
infondata. Quella visione mi ha lasciato in bilico tra la vita e la morte,
Gimli ; perché se ora ritrovassi mio figlio tornerei a vivere, ma se
questo non dovesse accadere...se Galien fosse davvero morto...allora preferirei
morire anch’io, piuttosto che sopportare di nuovo tutto quel dolore. -
Gimli guardò l’amico, ma non
parlò.
- Mi sto chiedendo se sono
davvero pazzo, Gimli... - continuò Legolas sorridendo amaramente.
- Non sei pazzo, amico mio -
rispose il nano scuotendo latesta -
Altrimenti lo sarei anch’io, dato che condividiamo la stessa speranza. Ma per
ora cerca di rimanere con i piedi per terra e ragionare con la testa, anziché
con il cuore ; non farti più male di quanto non te ne sia già fatto. -
Con un sorriso, Legolas ringraziò
l’amico per la comprensione, ma, ad un tratto, alzò la testa e si guardò
intorno con quell’inquietante attenzione tipica di quando avvertiva qualcosa di
strano.
- Non senti niente, Gimli ?
-
Il nano annusò l’aria. - Fumo. -
disse.
- Come quella volta, a Dol
Guldur... - disse Legolas, ripensando al terribile giorno in cui aveva scoperto
l’amara verità su suo fratello.
- C’è qualche villaggio, qui
vicino ? - domandò Gimli.
- Aldorath - rispose Legolas -
L’odore viene da quella direzione... -
Gimli spronò il suo pony.- Andiamo. - disse, temendo il peggio.
Arrivarono alla “Locanda dei tre
passi” quando, ormai, l’incendio aveva quasi completamente distrutto il piccolo
edificio, e le fiamme erano troppo alte per tentare di soffocarle.
I due amici scesero velocemente
da cavallo e si avvicinarono il più possibile a ciò che rimaneva della locanda.
Legolas la aggirò e si mise in ascolto, cercando di captare un’eventuale
richiesta d’aiuto.
- Dubito fortemente che ci sia
ancora qualcuno, là dentro - disse Gimli - Qualcuno di vivo, per lo meno...per
la barba di Durin, che fine orribile... -
Ad un tratto, una flebilissima
voce giunse alle orecchie di Legolas.
- Elfi.... -
Legolas si voltò di scatto. -
L’hai sentito anche tu ? - disse a Gimli, fissando nell’oscurità.
- Cosa ? - rispose il nano,
allarmato.
L’elfo continuò a guardarsi
intorno fino a quando, improvvisamente, sbarrò gli occhi.
- Per Ilùvatar ! - esclamò.
Appoggiata ad un albero, si
trovava davanti a loro una ragazza con la spalla sanguinante e il viso sporco e
sconvolto.
- Elfi... -
La ragazza tentò di fare un passo
in avanti, ma crollò in ginocchio sull’erba. Legolas si precipitò da leie cercò di aiutarla a rialzarsi, ma qualcosa
lo trattenne, quando vide da vicino il suo sguardo...
- Stai...stai bene ? -
balbettò tenendola per le braccia, accucciato davanti a lei. Non sapeva che
dire, era completamente perso di fronte al vuoto che si trovava in quegli occhi
che lo fissavano.
Legolas aveva visto un simile
vuoto solo una volta prima di allora...nei suoi stessi occhi, guardandosi allo
specchio, dopo la morte di Anìrwen...
A poco a poco negli occhi verdi
come l’erba della fanciulla l’espressione mutò prima in paura, poi in collera,
una collera furibonda e incontrollabile, più terribile del fuoco che aveva
divorato la locanda.
- Assassini... - sibilò,
stringendo le braccia dell’elfo al punto da conficcargli le unghie nella carne,
sebbene fosse quasi priva di forze - Me li avete portati via...me li avete portati via ! ! -
L’ultima frase
del contorto discorso di Rhiannon sulle stelle viene da “Further on (up the
road)” del solito Bruce Springsteen...il resto dei deliri è opera mia (vi
rifornirò di Aulin, non preoccupatevi !).
- Me li avete portati
via ! ! - continuava a gridare Rhiannon, tempestando di pugni il
petto di Legolas che, sbigottito, cercava di trattenerla.
- Stai calma ! - esclamò
Legolas - Sei ferita ! Non ti farò niente, ma cerca di non agitarti !
-
L’elfo ottenne esattamente
l’effetto opposto.
- Lasciami stare,
maledetto ! - gridò la ragazza. Cercò di alzarsi in piedi, ma per
l’estrema debolezza ricadde pesantemente sull’erba.
- Sanguina troppo...Gimli,
trovami dell’Athelas. - disse Legolas
soccorrendo la ragazza.
Il nano rimase fermo per un
attimo, confuso, poi corse verso alcuni cespugli che si trovavano poco lontano,
mentre Legolas si strappava una striscia di stoffa dal mantello.
- Ora ucciderete anche me,
vero ? Come avete fatto con Potter...e ora che vi siete ripresi il
bambino...siete soddisfatti ? - disse Rhiannon con voce roca, la mente
offuscata dal dolore.
Bambino ? pensò Legolas mentre tamponava la profonda ferita
della ragazza.
- Sapevo che prima o poi l’avrei
perso...ma non così... - continuò Rhiannon piangendo ininterrottamente - Non
così... -
- Sta’ ferma - disse Legolas -
Devo farti una fasciatura provvisoria, altrimenti non ti resterà più una goccia
di sangue... -
Rhiannon non sembrò nemmeno
sentirlo.
- Galien... -
Legolas sentì un tuffo al cuore e
si bloccò di colpo. Voltò piano gli occhi verso quelli della ragazza, vuoti e
arrossati dal pianto.
- Cos’hai detto ? - disse -
Ripeti quello che hai detto ! -
Inspirando profondamente,
Rhiannon fissò Legolas con odio.
- Cosa vuoi ancora da me ?
Non pensi di aver fatto abbastanza ? Avete ucciso Potter e portato via
Galien con la forza...avete ottenuto quello che volevate, ormai non vi servo
più a nulla... -
- Galien... - disse tra sé e sé
Legolas, sconvolto, portandosi una mano alla bocca.
- Non vi servo più a nulla, hai
capito, Elfo ? ! - ripetè la ragazza - Uccidimi pure, adesso...non
avrai una parola di più da me... -
Legolas la ignorò. - Dunque era
con te...? -
Ansimando, Rhiannon lo guardò
senza rispondere.
- Ti prego, dimmelo...era con te ? -
La ragazza gli rivolse un sorriso
glaciale. - Chiedilo ai tuoi compagni...lo sapranno meglio di me... -
Legolas abbassò lo sguardo mentre
sentiva il sangue salirgli alla testa.
- Allora, cosa aspetti ?
Uccidimi... - ripetè Rhiannon.
Rosso in viso, Legolas scosse il
capo.
- Guardami...guardami negli
occhi... - disse.
- Uccidimi... - continuò
Rhiannon, ignorando le sue parole - Sono stanca di soffrire... -
L’elfo la afferrò violentemente
per le spalle. - Maledizione, guardami ! !
- gridò, costringendo la ragazza ad incontrare i suoi occhi.
Rhiannon si sentì mozzare il
fiato, incapace di reggere lo sguardo con cui quella tanto splendida quanto
letale creatura dagli occhi di cielo la stava trafiggendo. Ma capì subito cosa
si celava in esso, perchè era esattamente quello che lei stava provando in quel
momento...un’angoscia e una disperazione che l’avrebbero reso pronto a tutto,
come una bestia selvaggia a cui fossero stati strappati i cuccioli...
- Tu... -
- Il mio nome è Legolas
Verdefoglia - disse l’elfo con voce tremante, senza smettere di guardarla - E
sono...ero il Re del Bosco Atro. -
Rhiannon si portò una mano alla
fronte e sentì che le forze stavano per abbandonarla del tutto.
- Io sono il padre di Galien. -
- Svelto, Gimli ! - gridò
Legolas mentre il nano, trafelato, correva a portargli una manciata di erbe.
Sorreggendo delicatamente la ragazza con un braccio, le avvicinò la borraccia
alle labbra e la costrinse ad ingurgitare un sorso del liquore che essa
conteneva. Rhiannon lasciò che il liquido le scivolasse in gola, fresco e
leggero, ridonandole una piccola parte delle forze che aveva perduto.
- Avrei...avrei dovuto capirlo
dai tuoi occhi... - sussurrò, mentre una lacrima le rigava la guancia.
- Legolas, cosa... ? - disse
Gimli. L’elfo non rispose e gli strappò le erbe dalle mani.
Non puoi morire, si disse,
non adesso...non adesso che ho bisogno di sapere...
Si sentì un egoista, ma non gli
importava. Il suo destino e quello di suo figlio erano legati a quella
sconosciuta dai capelli di fuoco, e se lei fosse morta sarebbe morta anche la
sua ultima speranza di ritrovare Galien. E allora sarebbe davvero morto anche
lui.
- I tuoi occhi....sono uguali ai
suoi... - continuò Rhiannon mentre Legolas applicava le foglie di Athelas sulla
sua ferita e la bendava alla bell’e meglio con brandelli del suo mantello - Ad
occhi del genere...è impossibile mentire...ti penetrano nell’anima...sono
così... -
- Sta perdendo forze ! -
esclamò Gimli - Falla tacere, o si indebolirà ancora di più ! -
- ...così puri e trasparenti... -
- No, Gimli, deve continuare a
parlare. - rispose l’elfo cercando di mantenere la calma - Se perde conoscenza
è finita... -
- ...come l’acqua... -
Legolas deglutì e si asciugò il
sudore dalla fronte con il dorso della mano.
- Puoi sentirmi ? - disse. La
ragazza annuì, e l’elfo si chinò su di lei.
- Non so chi sei - le disse piano
- Ma se davvero hai conosciuto mio figlio, ringrazio i Valar per averti messa
sulla mia strada... -
- E aver messo te sulla mia... -
disse Rhiannon con un filo di voce, sorridendo debolmente - Ma io non ho più il
tuo bambino con me...cosa farai, ora ? Mi lascerai qui, a bruciare insieme
a Potter...nella nostra locanda...? -
- Non permetteremo che tu muoia,
non temere. - continuò Legolas - Non l’avremmo mai fatto, in nessun caso. Ma
non possiamo rimanere qui. -
L’elfo lanciò uno sguardo a
Gimli, che capì all’istante e corse a prendere i cavalli. Poi aiutò Rhiannon ad
alzarsi.
- Non voglio andarmene. - disse
la ragazza indicando la locanda che ormai stava finendo di bruciare - Potter è
ancora là dentro... -
- Non possiamo fare più nulla per
lui, ora. - rispose Legolas - Ma tu puoi ancora salvarti. Ti porteremo in un
luogo sicuro, dove potremo curare la tua ferita. -
- La mia vera ferita non potrà
mai essere curata, Legolas... -
L’elfo tacque per un istante,
mentre Gimli si avvicinava tenendo Arod e il suo pony per le redini. - So cosa
significa. - disse poi amaramente - Ma tu puoi ancora aiutarmi a trovarlo...e
lo troveremo, vedrai. -
La ragazza afferrò la tunica
dell’elfo e lo costrinse a guardarla negli occhi. - Lui...lui non voleva
andare, Legolas... - disse - Ha detto che non voleva che lo portassero da
muni...muandar... -
- Muinadar - la corresse l’elfo - Eredhil, mio fratello. Non avevo
dubbi. -
- Proprio così, Eredhil. Ha detto
quel nome...non so cosa significhi, ma Galien aveva paura... -
- Significa traditore del suo
sangue, ecco cosa significa. Ha ucciso mia moglie e mi ha fatto credere che
Galien fosse morto. Ma ti giuro che non avrà mio figlio, dovessi morire. -
Rhiannon sospirò dolorosamente.
Aiutato da Gimli, Legolas fece
salire la ragazza in sella ad Arod, poi balzò a sua volta in groppa al cavallo,
dietro di lei.
- Sai, Legolas - disse Gimli
salendo goffamente in sella al suo pony - Credo che il significato della quarta
visione stia diventando più chiaro... -
- Lo sarà se lei sopravviverà,
Gimli - rispose Legolas - Ma dobbiamo raggiungere Aragorn, e in fretta. -
L’elfo stava per spronare Arod ma
qualcosa lo trattenne.
Un rumore di passi veloci, forti
e chiari. Anche Gimli lo sentì, ed afferrò la sua ascia senza esitazione mentre
Legolas, lasciate le redini, incoccava una freccia sul suo arco.
- Rhiannon ! - gridò una
voce.
La ragazza alzò la testa e vide
due giovani spaventati correre verso di loro.
- Val... - sussurrò.
Vedendo i due cavalieri, i
ragazzi si fermarono di colpo. Legolas abbassò istintivamente la sua arma.
- Per tutti i Valar, cos’è
successo ? ! - esclamò Valerius guardando le macerie di quella che
fino a poco prima era stata la “Locanda dei Tre Passi”.
- Abbiamo visto il fumo... -
disse Yain con un nodo alla gola - Abbiamo chiamato aiuto, ma nessuno ci ha
ascoltati...dicevano che non era successo niente...e invece...invece avevano
paura, come al solito... -
Valerius guardò Legolas con occhi
pieni d’odio. - Lasciatela andare ! - gridò, estraendo un corto pugnale
dalla cintura - Non avete trovato quello che cercavate ? ! Cosa
volete ancora da lei ? ! -
Legolas guardò il giovane senza
capire, ma Rhiannon, invece, afferrò al volo il significato di quella frase
piena di preoccupazione. Sebbene intontita, alzò la testa e fissò Valerius con
occhi increduli.
- Sei stato tu... - disse.
Val tentennò. - Cosa...? -
Yain guardò il fratello e capì
che era finita davvero.
- Glie l’hai detto tu...hai detto
a quegli elfi di Galien... -
Legolas lanciò uno sguardo
rovente a Valerius, che tacque, impaurito. Gimli strinse la sua ascia con tanta
forza da farsi sbiancare le nocche.
- Val... - disse Rhiannon mentre
lacrime di rabbia le affioravano agli occhi - L’hanno portato via...e hanno
ucciso Potter...tu l’hai condannato a
morte...tu... -
Il giovane si portò le mani al
viso, raggelato da quella frase.
- Io...io non potevo
immaginare... -
Rhiannon indicò Legolas alle sue
spalle. - Questo è il padre di Galien... - disse - Poteva ritrovarlo...potevano
tornare entrambi ad essere felici...e invece tu glie l’hai impedito... -
- ...consegnandolo a colui che ha
assassinato sua madre. - continuò Legolas in tono glaciale.
Valerius chinò la testa. -
Perdonatemi...io...io non pensavo...non potevo sapere... - balbettò.
- Vattene, Val... - disse la
ragazza, tremando.
- Rhiannon... -
- VATTENE ! ! -
Senza distogliere lo sguardo
dagli occhi del ragazzo, Legolas spronò Arod, facendolo camminare nervosamente
in cerchio attorno ai due fratelli.
- Augurati che questa donna si
salvi e che mio figlio viva ancora, uomo - sibilò rabbiosamente l’elfo -
Altrimenti giuro che ti verrò a prendere...e non ti servirà a nulla
nasconderti, perché la mia collera non ti risparmierà... -
Detto questo, Legolas partì al
galoppo, seguito da Gimli, mentre Valerius e Yain, allibiti, guardavano
Rhiannon scomparire per sempre dalla loro vita.
- Lo sapevo ! - esclamò
Yain, la voce rotta dal pianto - Stupido imbecille, perché l’hai
fatto ? ! Maledetto ! Maledetto ! !
-
Le parole di Yain echeggiarono
nelle orecchie del fratello come un rumore lontano ; nella sua mente stravolta
Valerius non vedeva altro che quell’elfo dal volto di ghiaccio a cui aveva
venduto Galien nella speranza di riconquistare l’affetto di Rhiannon...e poi
quell’altro elfo, il padre del bambino. Così diverso...nel suo sguardo, nella
sua voce si trovava il fuoco della collera...e dell’amore...l’amore che l’elfo
provava per uso figlio e che lui, Valerius, provava per Rhiannon...
Il ghiaccio e il fuoco.
Il fuoco.
Per colpa sua Potter era morto
tra le fiamme, ucciso dagli elfi, e Rhiannon lo odiava e l’avrebbe odiato per
sempre.
Grande Ilùvatar, cos’ho fatto ?
Sconvolto, Valerius cercò
disperatamente una giustificazione a quanto era avvenuto, ma non riuscì proprio
a trovarla.
Perché non ci sono giustificazioni per la mia colpa.
Il giovane inspirò profondamente
e cercò di recuperare almeno in parte la lucidità. In un lampo la situazione si
chiarì davanti ai suoi occhi.
C’è ancora una cosa che posso fare, si disse.
E in quel momento prese la
decisione che avrebbe cambiato il corso della sua esistenza.
- Molto soddisfacente. - disse
Eredhil camminando lentamente avanti e indietro - Molto, molto soddisfacente. -
Galien non aprì bocca, gli occhi
fissi sul fratello del padre che lo guardava a sua volta con un ghigno dipinto
sul freddo e bellissimo volto elfico. Eredhil assomigliava davvero molto a
Legolas, gli stessi capelli biondi, gli stessi tratti delicati, gli stessi
occhi azzurri...ma a differenza di Legolas, gli occhi del fratello erano uno
schermo ingannevole che nascondeva la sua meschinità. Impossibile leggere negli
occhi di Eredhil. Solo Galien poteva. E vedeva benissimo cosa vi si trovava.
- Non pensavo nemmeno più di
ritrovarti, lo sai, caro nipote ? - disse Eredhil con una nota di scherno
nella voce. Galien non rispose. - Invece i miei soldati hanno svolto un ottimo
lavoro. E adesso che sei qui... - si chinò verso il bambino, rivolgendogli un
sorriso malvagio - ...qui resterai, finchè mi servirà il tuo aiuto. -
Eredhil si rialzò.
- Perché il tuo aiuto mi serve, e tu me lo darai, non è
vero ? - Indicò la corona che portava sul capo, un’unica gemma incastonata
sulla punta di destra. - Ho cercato le altre per tutto questo tempo, ma non
sono mai riuscito a trovarle. E sai perché ? Perché non riuscivo a
sentirle... - Si interruppe un istante, volgendo lo sguardo altrove. - Vagavo
nell’ombra, cercando disperatamente la luce. E mi sarebbe bastato sentire il
suo bruciante calore per trovarla...ma io non ne sono in grado. Non ancora,
almeno. Ma con il tuo potere e quello che già possiedo...non avrò più la minima
difficoltà. -
Galien non smise nemmeno per un
attimo di fissare l’elfo negli occhi. Infastidito, Eredhil strattonò il bambino
per un braccio e lo attirò verso di sé.
- So perché mi guardi in questo
modo. - sibilò - Io ti faccio paura, non è vero ? Ho ucciso tua madre, ti
ho strappato da tuo padre. E’ logico che tu abbia paura di me. Beh, d’ora in
poi dovrai averne molta, molta di più. -
- Io non ho paura di te. -
Eredhil spalancò gli occhi. -
Cos’hai detto ? ! - disse.
- Ti sbagli se credi di
spaventarmi. Non mi fanno paura le bambole vuote. Dici di avere un grande
potere, e invece è quel potere che possiede te e ti manovra a tuo
piacimento ; quelli come te sono burattini, e i burattini non spaventano
nessuno. Ma forse questo non lo sai. -
Eredhil sbattè il bambino a terra
e lo colpì con un calcio.
- Piccolo insolente ! !
- gridò - Ti insegnerò a rispettarmi come devi ! ! -
- Io...non ho paura di te...ASSASSINO ! ! - gemette Galien.
- Ah, no ? - disse Eredhil
facendo rialzare il bambino a forza.
- No. -
- Ne sei così sicuro ? -
- Sì... -
- Lo vedremo. -
Eredhil trascinò Galien fuori
dalla stanza, costringendolo a percorrere un interminabile corridoio. L’ultima
cosa che il bambino riuscì a vedere fu un portone scuro che si aprì e si
richiuse con un tonfo subito dopo il suo passaggio.
Poi, il buio.
Buio.
Un’oscurità così fitta che
nemmeno gli occhi di un elfo avrebbero potuto penetrarla.
Galien sforzò tutti i suoi sensi
per riuscire a capire dove si trovasse. Un penetrante odore di muffa gli chiuse
la gola ; si chinò a terra e sentì il freddo della pietra sulle sue mani.
A malapena riusciva a vederle, le sue piccole mani bianche...
Il piccolo elfo alzò piano la
testa e sobbalzò dallo spavento quando vide, nel buio, due punti luminosi, come
minuscole perle, puntati su di lui ; le pupille di Eredhil, che
risplendevano delimitando i contorni della sua sagoma nera.
Un elfo avrebbe brillato perfino
nella notte più scura...ma la luce di Eredhil si era spenta da tempo, ormai, e
quella di Galien era troppo debole per contrastare quella notte maledetta.
- Come ci si sente, quando si è
avvolti dall’oscurità, mio caro nipote ? -
Eredhil sorrise lasciando
intravedere il tenue luccichio dei suoi denti, che, insieme ai suoi occhi,
disegnavano un’espressione demoniaca sul volto invisibile dell’elfo. Galien
rabbrividì.
- E’ inutile che tu resista,
Galien. Tutti dicono che noi Elfi non siamo fatti per vivere nell’ombra,
che portiamo la luce dentro di noi...ma quando essa ci viene tolta, non
sappiamo più chi siamo veramente. La luce ci confonde, mio piccolo Principe. La
Notte è la risposta. Sai dirmi chi sei, ora ? -
- Io so chi sono. Sei tu che non
lo sai. - rispose Galien cercando di nascondere il tremore della sua voce - E
non accoglierò la menzogna dell’Ombra come hai fatto tu, che ora ne sei parte.
E’ solo la luce che ci rivela la verità, la nostra salvezza... -
- Posso garantirti che quando
uscirai da qui non sarai più di quest’opinione. - disse freddamente Eredhil -
Riceverai presto una visita, e non so quanto la gradirai. Ma sono certo che
implorerai l’Ombra che tanto detesti di lenire la tua sofferenza...per sempre.
-
Detto questo, gli occhi dell’elfo
scomparvero dalla vista di Galien. Il bambino sentì i suoi passi allontanarsi e
vide il portone aprirsi e lasciar filtrare un tenue raggio di luce, che
scomparve una volta che il portone si fu nuovamente chiuso.
Il bambino si strinse nelle
spalle, tremando dalla paura. Non sapeva cosa significasse la vera oscurità,
quella che gli penetrava nei polmoni togliendogli il respiro, che lo avvolgeva
come la tela di un ragno soffocandolo nella sua morsa.
Avrebbe voluto piangere, ma
sapeva che non doveva farlo. Doveva dimostrare a suo padre tutto il suo
coraggio ; sarebbe stato orgoglioso di lui...
Ad un tratto, Galien percepì un
suono indistinto, come un lieve sussurro. Spaventato, girò la testa per capire
da dove provenisse, ma la sua paura crebbe quando si rese conto che quello
strano rumore giungeva dalla sua stessa mente.
- Cosa...cosa c’è ? - gridò,
con il cuore in gola.
Non avere paura, disse la voce.
C’era qualcosa di indefinibile in
quella voce che il bambino riusciva appena a sentire ; qualcosa di lontano
e al tempo stesso calmo e rassicurante. No, non poteva essere il demone che si
era impadronito di Eredhil.
- Ma chi sei... ? -
Sta per arrivare, continuò la voce, ignorando la domanda del
bambino, ma non devi avere paura. Non ti
succederà niente, se lascerai che sia io ad occuparmi di lui.
- E’...è quel demone, vero ?
E’ lui che sta arrivando ? Vuole prendere anche me ? - disse Galien.
Ma che voce era ? Uomo, donna...non riusciva proprio a capirlo...era solo
un fruscio, come di vento nell’erba..
Fingi, Galien. E’ importante che tu finga. Devi farlo, se vuoi uscire
da qui.
- Mi...mi porterai via ? -
Sì, se mi ascolterai.
Galien chiuse gli occhi e inspirò
profondamente, senza smettere di tremare.
Quando arriverà, pensa ad Elbereth.
- Elbereth... ? -
Elbereth. La sua luce non potrà entrare in questo posto, ma entrerà
dentro di te. Ti aiuterà a non sentirlo.
Elbereth, la
Semprebianca...Galien conosceva bene l’invocazione a quella stella.
Mentalmente, ringraziò i suoi genitori per avergliela insegnata.
- Perchè mi stai aiutando ?
-
Perché tu puoi aiutare me.
Il bambino riaprì gli occhi e, in
quel momento, si sentì istintivamente al sicuro. Quel “puoi aiutarmi”, anziché “devi
aiutarmi”...
Era poco, ma gli era bastato per
convincerlo che quella presenza lo avrebbe davvero protetto. E, se avesse
dovuto fare qualcosa in cambio, l’avrebbe fatto più che volentieri, qualsiasi
cosa fosse, bastava solo che lo portasse via da quell’incubo...
Improvvisamente un altro suono
trapassò la mente del bambino, che si accasciò a terra, dolorante. Con il
terrore nello sguardo, vide una piccola spirale di fumo rosso prendere forma
davanti a lui e diventare sempre più grande...
E’ arrivato, disse la voce. Fai
come ti ho detto.
Dopo aver udito queste parole, il
bambino vide materializzarsi davanti a lui una sottile colonna luminosa,
attorno alla quale si avvolse la spirale rossa. La testa cominciò a dolergli,
come se qualcosa, o qualcuno, stesse cercando di entrare in lui...
Elbereth, Galien. La luce di Elbereth...
Galien chiuse di nuovo gli occhi,
e, dentro di sé, cominciò a recitare l’invocazione alla stella, mentre i due
colori, bianco e rosso, si intrecciavano senza mai fondersi, come in una lotta
tra pari.
A Elbereth Gilthoniel
silivren penna miriel...
Una preghiera, un’invocazione
perché la luce non abbandonasse anche lui. Quante volte l’aveva udita durante
le celebrazioni festose alla Signora delle Stelle...
O menell aglar elenath !
Na-chaered palan-diriel...
Galien sentì il dolore alla testa
affievolirsi, come se quell’intruso ne fosse stato scacciato. Scacciato, ma non
allontanato...era ancora intorno a lui, ma non poteva entrare...
O galadhremmin ennorath...
...come se qualcuno avesse
innalzato uno scudo attorno al bambino, e la forza malefica non riuscisse né ad
abbatterlo né ad aggirarlo.
Fanuilos, le linnathon
naf aear, si nef aearon !
Aprì piano gli occhi, senza mai
smettere di ripetere quei versi. La lotta tra quelle misteriose entità stava
infuriando...erano strette l’una all’altra come due facce della stessa
medaglia...
Improvvisamente ricordò le parole
di suo padre.
- Bene e male sono la stessa cosa...non possono esistere l’uno senza
l’altro. Siamo noi a lasciare che uno dei due prenda il sopravvento. E questo
non significa che l’altro se ne sia andato per sempre...continuerà ad esistere
negli angoli più bui della nostra anima, preparandosi a riemergere, quando meno
ce lo aspettiamo. La vittoria del male o del bene non è mai definitiva... -
Il pensiero del padre scaldò un
poco il cuore del bambino, già rinfrancato dalla luce di Elbereth, che stava
tornando a splendere dentro di lui.
Improvvisamente, le due forze
misteriose si separarono in un fragore di colori, illuminando a giorno la tetra
prigione in cui Galien si trovava. Poi la colonna di fumo rosso tornò a
riavvolgersi su se stessa a spirale, e rimpicciolì fino a scomparire del tutto.
Ricordati di fingere, Galien, tornò a dire la strana voce, prima
che la luce azzurra scomparisse a sua volta. Fingi, e salverai la tua vita.
- Ma...anche tu mi hai chiesto
aiuto ! - esclamò il bambino - Cosa devo fare ? -
Non temere, rispose la voce, svanendo piano piano, lo farai senza nemmeno rendertene conto.
- Aspetta ! - esclamò
Galien. Ma il silenzio era tornato a regnare in quella stanza buia.
- Non...non lasciarmi di nuovo
solo... -
Il piccolo sospirò e si
rannicchiò su se stesso, guardandosi di nuovo intorno. Ora la sua prigione
sembrava meno scura, riusciva perfino a distinguere i contorni delle pareti
spoglie e umide.
- Che la luce di Elbereth sia
tornata per me... ? - si disse piano.
Un lieve tepore gli diede un po’
del conforto che tanto desiderava.
Possono imprigionare il mio corpo, si disse, ma non la mia mente, né il calore di una stella.
Il bambino chiuse gli occhi e
lasciò che il suo pensiero attraversasse le mura di quella prigione e volasse
via, lontano e libero dalle catene della paura, verso le stelle che, nel suo
cuore, poteva ancora vedere...
- Ma guarda ! E tu cosa ci
fai in un posto come questo, piccolo ? -
Nel sentire quella strana vocina,
Galien sobbalzò.
- Sei...sei tornato ? -
domandò con gioia ansiosa.
- A dire la verità non me ne sono
mai andato, purtroppo ! Sono mesi che cerco di uscireda qui ! -
Deluso, Galien capì che quella
non era la voce che gli aveva parlato e che l’aveva protetto dal demone rosso,
ma fu comunque lieto di non essere solo nell’oscurità. Si guardò di nuovo
intorno per capire da dove venisse la voce, quando, ad un tratto, i suoi occhi
si fermarono su un topolino grigio, dritto sulle zampe posteriori, a pochi
centimetri da lui. Lo guardava, e sembrava che sorridesse.
- No...non puoi essere stato tu a
parlare... - disse il bambino, incredulo.
- Vedi qualcun altro, qui in
giro ? - disse il topo, incrociando le braccine - Comunque io ti vedo
adesso per la prima volta... -
- Ma...come fai ? -
- A fare che ? -
- A parlare ! -
- Esattamente come fai tu, credo
- rispose il topino indicandosi la boccuccia - Muovendo le labbra...così... -
Galien sorrise. - Ma sei un
topo ! -
- Ora sono un topo. Ma prima ero un grande mago... - continuò l’animaletto allargando le braccine per
enfatizzare la frase.
- Un mago ? -
- Un mago. -
- E allora perché non torni
normale ? -
Il topo sospirò. - Se ci
riuscissi non sarei certo qua dentro... -
Galien lo guardò, dubbioso. -
Scusa se te lo dico, ma non devi essere proprio un grande mago se non riesci a
riprendere la tua forma... -
- E a te non ha insegnato nessuno
l’educazione, ragazzino ? ! Abbi almeno un po’ di rispetto per chi è
più anziano di te ! - esclamò. Poi il suo sguardo da topo si fece
perplesso. - Oh, già, ma tu sei un elfo...potresti avere già, che so, centomila
anni... -
- Veramente ne ho solo sei. -
rispose Galien.
- Ah, beh, allora...ma via,
lasciamo perdere questa storia ! Come ti chiami, piccolo ? -
- Galien - rispose - E tu ?
-
- Felice di conoscerti,
Galien ! Io mi chiamo Polo. -
- Polo ? ! -
- Polo. -
- Ma...che nome è ? ! -
- E che nome sarebbe
Galien ? - disse il topo, contrariato.
- E’ un nome elfico. - rispose il
bambino.
- Bene. Polo è un nome Hobbit.
Polo Tronfipiede di Lungacque, per essere precisi. -
- Tu sei uno Hobbit ? -
disse Galien, sorpreso.
- Lo ero, ti ho detto. -
- Ed eri un mago ? -
- Esattamente. -
- Un mago Hobbit. -
- Proprio così. -
- E come hai fatto a ridurti in
questo stato ? -
- Incantesimo sbagliato. Qualcosa
è andato storto...se solo riuscissi a capire cosa ! ! Ma è una lunga
storia... Tu, piuttosto, non hai ancora risposto alla mia domanda ! Che ci
fai qui al buio ? Hai combinato qualche guaio e ti hanno punito ? -
Galien sospirò, e il suo sguardo
si fece triste. - Anche la mia è una lunga storia. - disse - Vorrei solo poter
uscire da qui e tornare da mio padre... -
- Tuo padre ? - disse Polo -
Quell’elfo biondo con la corona in testa ? Da quando sono qui non l’ho mai
visto sorridere una sola volta. Non fa altro che starsene per conto suo a
mugugnare su qualcosa che non riesce a trovare e a prendersela con le
guardie...sempre al buio, mai una volta che esca a guardare il cielo...oh, beh,
è un po’ che nemmeno io vedo il cielo, a dire la verità ! Comunque è un
elfo ben strano... -
- Quello non è mio padre. -
rispose seccamente Galien, stringendosi le ginocchia al petto - E non vorrei
mai nemmeno che lo fosse. E’ suo fratello ; ha ucciso tutti quelli a cui
voglio bene...mia madre, Rhiannon, Potter... -
- Oh, perbacco, mi dispiace
davvero... - intervenne Polo, sgranando i suoi piccoli occhi da topo.
- Mio padre è lontano, e forse
non sa nemmeno che sono vivo. Devo uscire da qui, Polo...per favore,
aiutami ! Tu sei piccolo, potresti... -
Il topino scosse la testa. - Se
credi che io conosca qualche cunicolo segreto che conduca all’aperto, ti
sbagli, purtroppo...sono finito qui una settimana fa, almeno credo...questo
posto è sempre buio, il tempo non sembra passare mai...e comunque nemmeno io
riesco ad uscirne. Ogni volta che imbocco una galleria, anche una semplice
fessura in un muro, ritorno sempre al punto di partenza. Ormai credo che ci
morirò, qua dentro. -
- Bel topo sei - disse Galien.
- Lo so, ma che posso
farci ? Beh, se non altro ci terremo un po’ di compagnia... -
Galien tirò su con il naso. - Non
credo che resterò qui dentro ancora per molto. Ho paura che Eredhil abbia altri
programmi per me. -
Il muso del topolino sembrò
illuminarsi. - Allora potrei venire con te ! Sono piccolo, potrei
nascondermi nella tua tasca...guarda ! -Detto questo, Polo si arrampicò velocemente lungo la gamba di Galien, e
scomparve nel taschino della sua casacca. Il bambino rise per il solletico che
la bestiolina gli aveva provocato durante la sua corsa.
- Eccomi qua ! - disse,
facendo spuntare la testolina dalla tasca - Non sono molto pesante, vero ?
Chi mai potrebbe notarmi ? E poi - Polo si fece serio - potrei sempre
proteggerti...anche se sono un topo ho mille risorse ! -
- Certo, come no... - disse
Galien sorridendo.
Ad un tratto si udì un rumore di
passi e il portone della prigione si aprì di nuovo.
- Stai giù ! - disse Galien
sottovoce. Polo non se lo fece ripetere e si rannicchiò sul fondo della tasca.
Il bambino si alzò in piedi dopo
che Eredhil ebbe fatto il suo ingresso e richiuso il portone alle sue spalle.
- Spero che tu ti sia divertito a
giocare con Armagh, mio caro. - disse l’elfo con un sorriso malvagio sulle
labbra.
Armagh, si disse il bambino, così
è questo il suo nome...
- Allora, ti sei deciso a
collaborare o vuoi un altro assaggio del suo potere ? E bada che stavolta
non avrà nessuna pietà... -
Galien aprì la bocca ma si fermò
un istante prima di parlare. Mentre Polo tremava in fondo al suo taschino, il
bimbo ricordò ciò che gli aveva detto poco prima la voce misteriosa.
Fingi e avrai salva la vita.
Doveva fingere, adesso ? Era
quello, il momento ? Cosa sarebbe successo ?
E, soprattutto, poteva davvero fidarsi di quelle parole ?
- Allora ? - lo incalzò
Eredhil - Un topaccio ti ha mangiato la lingua ? -
- Topaccio a chi, brutto... -
disse Polo cercando di riemergere in superficie. Galien lo trattenne portandosi
piano una mano alla tasca. In un istante, decise di fidarsi di quella voce che,
in fin dei conti, lo aveva protetto da Armagh.
Deglutì. - Sì - rispose a voce
bassa, senza guardare Eredhil negli occhi.
- Molto bene. - disse Eredhil
ghignando. L’elfo si tolse la corona dal capo e la porse a Galien.
- Avvicinati. -
Il bambino tentennò.
- Avvicinati, ho
detto ! ! -
Galien obbedì a quell’ordine e,
sempre più spaventato, avanzò piano verso lo zio.
- Avanti - disse Eredhil - Dimmi
dove sono. -
Lentamente, il bambino allungò
una mano verso la punta centrale della corona. Nel momento stesso in cui la
toccò, gli sembrò che un fulmine attraversasse il suo corpo e il suo calore lo
fondesse con il metallo della corona maledetta.
Un turbinare di immagini sempre
più confuse gli entrò e gli uscì dalla mente senza sosta, una serie di
particolari indistinguibili l’uno dall’altro.
Il dolore era
insopportabile ; Galien stava per urlare, quando, ad un tratto, vide
qualcosa, anzi, qualcuno, che gli sembrava di conoscere...
Spalancò gli occhi. - No... -
Polo fece sbucare la testolina
dalla tasca, guardando il bambino con preoccupazione, ma sapeva bene di non
poter fare nulla per lui.
Quell’immagine fissa tormentò per
un istante il cuore di Galien rendendogli impossibile decidere cosa fare ;
ma la soluzione giunse insieme alla visione successiva, sempre più chiara.
Il bambino gridò e staccò le mani
dalla corona, crollando a terra. Polo rotolò fuori dal taschino, squittendo, ma
ci tornò di corsa cercando di non farsi notare da Eredhil.
- Allora ? - disse l’elfo
con impazienza, rimettendosi la corona sul capo - Dove sono ? -
Ansimando, Galien alzò la testa.
- Ne ho visto...uno solo... -
- Per il momento basterà. - disse
Eredhil - Dimmi dov’è. -
Il bambino deglutì e pregò che
quella che stava facendo fosse la cosa giusta.
I’m
a man of the world and they say that I’m strong
But
my heart is heavy and my hope is gone...
Queen, “Mother love”
Rhiannon dormì per un giorno
intero. Aveva perso i sensi poco dopo la partenza, e non si era ancora
svegliata, ma il suo riposo non fuaffatto tranquillo.
Le immagini dell’orrore che aveva
appena visto turbavano il suo sonno, costringendola a muoversi e agitarsi sotto
le coperte come se in questo modo potesse scacciare le presenze che affollavano
la sua mente.
- Basta... -
Eppure non voleva che se ne
andassero...perché tra quelle presenze che la tormentavano ce n’erano ancora
alcune da cui non voleva separarsi, perché la facevano sentire viva, viva e
felice come raramente era stata. Piccoli sorrisi, sguardi pieni di affetto,
braccine tese verso di lei, sembravano chiamarla e incitarla a raggiungerli una
volta per tutte.
Ma Rhiannon sapeva di non poterlo
fare, perché era ancora legata al mondo dei vivi, e quel sogno in cui sembrava
aver finalmente trovato la pace le avvelenava l’anima.
- Roslyn... - borbottò.
Il viso della bambina le si
ripresentò davanti agli occhi facendola piangere nel sonno. Ora le immagini si
erano mescolate tra di loro diventando confuse e grigie.
- Non ti vedo più...dove sei,
Roslyn... ? -
La cercava, sapeva che era da
qualche parte in mezzo a quella folla, ma non la trovava più, non riusciva a
trovarla...
- ROSLYN ! ! ! -
Le lacrime continuarono a
scendere senza interruzione.
- Non ...non lasciarmi... -
Ad un tratto, la ragazza sentì
una mano, leggera e calda, posarsi sulla sua fronte.
Non ti lascio, sussurrò una voce. Poteva essere quella della
bambina...o era Galien ? Il piccolo Galien che le aveva fatto riscoprire
cosa significava essere di nuovo madre ? Possibile che fosse
tornato... ?
Non ti lascio...
Invece era lei, Roslyn. La stava
guardando e sorrideva con quelle fossette sulle guance che Rhiannon adorava...
Grande Ilùvatar...perché deve essere solamente un sogno ?
Lentamente, la ragazza sollevò la
mano e se la portò alla fronte, e in quel momento sentì qualcosa che, se si
fosse effettivamente trattato di un sogno, non avrebbe dovuto esserci.
Proprio una mano. Posata davvero sulla sua fronte. Leggera e calda...ed estremamente
rassicurante.
- Svegliati - disse dolcemente
una voce.
Rhiannon aprì piano gli occhi
stanchi, svegliandosi del tutto, e per un istante si sentì accecata da ciò che
vide.
In tutta la sua vita non aveva
mai visto nulla di più bello. Un viso liscio e perfetto, circondato da lunghi
capelli biondi e due occhi di zaffiro che brillavano come stelle. Sorrideva.
Tanto meraviglioso che la sua figura sembrava emanare un tenue bagliore
luminoso. Non poteva essere reale.
- Sei...una creatura del
cielo ? - domandò la ragazza, incredula.
- No, i miei piedi sono ben saldi
sulla terra... - rispose quella figura eterea scostando la sua mano dalla
fronte di Rhiannon.
In quel momento, la fanciulla
riconobbe quella voce, e la sua vista e la sua mente si snebbiarono.
- Dove sono ? - domandò.
- Al sicuro. - rispose Legolas -
Questo è l’accampamento dell’esercito di Gondor ; e tu trovi nella tenda
di Re Elessar in persona. -
Rhiannon si guardò intorno e si
vide circondata di drappeggi rossi e dorati. Fece scorrere una mano sulla
pesante e morbida coperta che la avvolgeva ; fattura elfica, senza dubbio.
- Credevo di essere morta... -
disse.
- E invece, per fortuna, non lo
sei. - rispose Legolas sorridendo nuovamente - Dovresti ringraziare Elessar per
questo. -
Lo sguardo della ragazza si fece
grave. - Avrei preferito essere morta nella mia casa, insieme a Potter,
piuttosto che trovarmi qui, ora...viva.
-
- Non dovresti parlare in questo
modo. - replicò Legolas.
- No ? - disse
sarcasticamente Rhiannon - Sai cosa significa perdere la tua casa ? Le
persone che ami e quel poco che hai in un colpo solo ? -
L’elfo la guardò dritta negli
occhi. - Sì. - rispose - Lo so benissimo. -
Quella risposta colpì la ragazza
come uno schiaffo in pieno viso. Abbassò gli occhi, imbarazzata, ma qualcosa,
forse il suo sciocco orgoglio, le impedì di chiedere scusa.
- Non ti ho nemmeno chiesto come
ti chiami. - disse Legolas, dopo un istante di silenzio.
- Rhiannon - rispose la ragazza
con voce spenta.
- Rhiannon - ripetè Legolas - E’
un bel nome. Cosa significa ? -
- Non significa nulla. Ma mia
madre diceva sempre che suonava bene. Per lei tutto era musica... -
- E lei come si chiamava ? -
- Roslyn, come... - La ragazza si
interruppe bruscamente, e la sua voce si fece più triste. - ...come mia figlia.
-
- Tu hai una figlia ? -
chiese Legolas, stupito.
Rhiannon non rispose, e Legolas
capì.
- Così era lei che hai chiamato
per tutta la notte... - disse l’elfo.
- Ho dormito molto ? -
- Esattamente da ieri a
quest’ora. Ti fa molto male la spalla ? -
La ragazza inspirò profondamente.
- No, non mi sembra. Così ho dormito per un giorno intero...eppure mi sento
come se non avessi dormito affatto. Credo di aver sognato troppo... -
Legolas si alzò in piedi e iniziò
a camminare lentamente nella tenda. - Sai, non cercavi solo lei, nel sonno. Hai
chiamato molti nomi... -
- Tu hai vegliato su di
me... ? -
- ...e uno di questi era Galien.
-
Rhiannon chiuse gli occhi e si
portò una mano alla fronte. - Sono molto stanca. - disse con voce tremante - Ti
prego, lasciami sola, ho bisogno di riposare ancora un po’... -
Legolas ignorò le sue parole e
tornò a sedersi accanto a lei. - Perdonami se te ne parlo proprio ora...ma non
riesco a smettere di pensarci. Tu sei stata l’ultima persona che ha visto mio
figlio vivo... -
La ragazza inspirò profondamente
e tornò a guardare gli occhi dell’elfo, che ora brillavano di speranza...quella
speranza che a lei era stata strappata per sempre.
Il suo viso si fece freddo e
duro.
- Cosa vuoi che ti dica, che già
non sai ? E’ tuo figlio, lo conosci meglio di me. E’ un bambino
meraviglioso, e gli ho voluto bene come se fosse stato mio. Ma ora l’ho perso,
e non avrò pace fino a quando non l’avrò trovato e lo saprò al sicuro. -
Legolas la guardò senza capire.
- “L’avrò trovato”... - ripetè.
Rhiannon guardò l’elfo negli
occhi con un atteggiamento di sfida, e sorrise.
- Perdonami, volevo dire “lo troverai”... - disse - E io lo perderò
di nuovo. Per sempre. Lasciami in pace, Legolas. -
L’elfo si alzò in piedi di
scatto. - Stiamo parlando di un bambino, non di un oggetto ! - esclamò - E
si dà il caso che quel bambino sia mio
figlio...e aveva una madre, mettitelo bene in testa, che nessuna donna potrà
mai sostituire ! Nessuna, hai
capito bene ? ! -
Legolas era furioso. -
Levatiqualsiasi idea dalla mente. -
sibilò con rabbia, stringendo i pugni finoa farsi sbiancare le nocche - Ti sei presa cura di Galien per tutto
questo tempo, e hai tutta la mia gratitudine, ma non osare nemmeno sperare di
strapparmelo di nuovo...quando tutto sarà finito, mio figlio tornerà a casa. Con me. -
I due rimasero per qualche
istante in silenzio, a fissarsi negli occhi, entrambi fiammeggianti per la
rabbia e la frustrazione.
- Non ho mai pensato di
portartelo via. - disse infine Rhiannon, con voce spenta - Galien ha avuto una
sola madre, e io una sola figlia. Il nostro scontro può finire qui. Ma non
potrai mai, tienilo a mente, mai
impedirmi di ricordarlo e volergli bene. -
Legolas strinse gli occhi e cercò
di ricacciare indietro la rabbia che stava esplodendo dentro di lui.
- D’altronde è giusto... -
continuò Rhiannon, con le lacrime agli occhi - Ognuno di noi ha un destino al
quale non può sfuggire...e il mio è di perdere tutti coloro che amo. Ma va
bene, davvero, va bene così. Ci sono abituata, ormai. -
Legolas ricadde nuovamente
seduto. - No, non è giusto... - disse, prendendosi il viso tra le mani tremanti
- Perdonami...non volevo farti del male. -
- No - disse Rhiannon con occhi
spenti - Sono io che ti devo chiedere perdono. Stiamo provando gli stessi
sentimenti ma non ce ne rendiamo conto... -
Legolas alzò la testa, il viso
pallido e stravolto. - Ti è mai capitato... - disse - Ti è mai capitato di fare
un sogno meraviglioso e di svegliarti desiderando ardentemente che fosse
reale ? E di scoprire, invece, di essere di nuovo te stessa e non avere
niente di più di quello che avevi quando ti eri addormentata ? A me capita
ogni notte, da quando Anìrwen è stata uccisa e Galien portato via. Da allora
non dormo più, Rhiannon...perché quei sogni meravigliosi sono diventati incubi
per me, perché so che non potranno mai avverarsi, e prego i Valar perché mi
facciano tornare da loro...dalla mia sposa e dal mio bambino. -
Rhiannon inspirò profondamente. -
So cosa significa, perché l’ho provato anch’io questa notte...e tante altre
notti addietro, quando ho perso per sempre Roslyn. Quando Galien è entrato
nella mia vita, mi sembrava che il tempo fosse tornato indietro e mi avesse
restituito ciò che avevo perduto, ma mi sbagliavo. Avrei dovuto immaginare che
non sarebbe durato molto, e, ripeto, è giusto così. Tuo figlio tornerà da te,
ne sono sicura. Solo...spero che non mi dimentichi. -
- Galien dovrà dimenticare molte
cose, ma tu non sarai certamente tra quelle. - disse gravemente Legolas - Dovrà
dimenticare il tradimento, l’odio e il rancore, tutte cose che non ha mai
conosciuto, e che ha dovuto sperimentare di colpo sulla sua pelle, come un
fuoco impazzito. La sua innocenza è stata messa a dura prova. -
- Credo che nulla potrebbe
scalfire l’innocenza di tuo figlio, Legolas. - continuò Rhiannon, guardando
l’elfo negli occhi.
I due rimasero ancora un attimo
in silenzio.
- Vuoi sapere una cosa,
Legolas ? - disse poi la ragazza - Tutte le persone a cui ho voluto bene
sono entrate ed uscite dalla mia vita in un baleno. Ma ho goduto ogni singolo
istante in cui ho potuto averle accanto. -
Legolas la guardò con tristezza.
- Come hai perso Roslyn ? - disse.
- Era andata a giocare sul retro
della locanda, come al solito. Là cresceva un vecchio melo che Roslyn adorava.
Ci si arrampicava sempre, quando non la vedevo. Sapeva che non volevo che lo
facesse, ma penso che disubbidire ai genitori sia il gioco preferito da molti
bambini, quindi io facevo finta di arrabbiarmi e lei faceva finta di ascoltare.
Ma quando, quel giorno, la trovai ai piedi del melo con il collo spezzato... -
Legolas voltò la testa con una
smorfia di dolore.
- Potter abbattè la pianta quel
giorno stesso. Né io né lui parlammo più per giorni. Era burbero e scontroso,
ma voleva molto bene a Roslyn, anche se non era suo padre. E a modo suo ne
voleva anche a Galien, ne sono sicura. Quei due si divertivano un sacco,
insieme. -
Legolas non disse una parola, ma
stava facendo i conti con il nodo che aveva in gola e che stava minacciando di
sciogliersi.
- Ricordo che un giorno Galien
innaffiò le piante di Potter con la birra...la birra, ti rendi conto ? -
disse poi Rhiannon.
Legolas sorrise, gli occhi
lucidi. - Potter gli chiese cosa gli era saltato in mente, e sai lui cosa gli
rispose ? “Hai visto i tuoi clienti che pance hanno ? Se la tua birra
li ha fatti crescere così tanto, perché non dovrebbe far crescere anche le
piante” ? E...ci crederesti ? -
Legolas annuì.
- Quelle pianticelle sono fiorite
prima delle altre...il risultato che Potter cercava da anni l’aveva ottenuto
quel bambino nel giro di un giorno...Era straordinario. L’ho sempre detto, dal
primo momento in cui l’ho visto. Straordinario. -
- E’ sempre stato un bambino
curioso. - disse Legolas cercando di nascondere un lieve tremolio nella voce.
Rhiannon rise tra sé e sé, lo
sguardo perso nel vuoto.
- La birra alle piante...non è
pazzesco ? -
Legolas si asciugò rapidamente
una piccola lacrima, mentre cercava di rivedere suo figlio nelle parole di
quella strana ragazza. - Parlami ancora di lui. - disse - Ti prego...parlami
ancora di lui... -
Rhiannon annuì, ed entrambi
parlarono e piansero a lungo quella notte, confidandosi i dolori, le paure e i
ricordi che li accomunavano.
Poco prima dell’alba, quando la
ragazza sentì che i suoi occhi si erano fatti pesanti, disse :
- Sono stanca...stanca...e non
riesco più a sperare in niente... -
- Riposa, ora. Avremo il tempo di
ricominciare a sperare. E’ un segno del destino, che io e te ci siamo trovati
proprio adesso. -
Rhiannon socchiuse gli occhi. -
Come dite voi Elfi... ? “Una stella brilla sull’ora del nostro
incontro”... -
L’elfo annuì sorridendo
dolcemente. - Sono felice di averti incontrata, Rhiannon. -
La ragazza sorrise a sua volta. -
Tu...conosci la storia dell’uomo delle stelle ? - disse.
- No - rispose Legolas scuotendo
la testa.
- Non importa - disse Rhiannon
prima di addormentarsi - Non importa. -
Era molto tardi quando Legolas
lasciò la tenda in cui riposava Rhiannon. Aveva ancora gli occhi gonfi per il
lungo pianto, ma il suo cuore si era alleggerito dall’angoscia.
Nell’oscurità vide Aragorn
farglisi incontro.
- Non riesci a dormire ? -
gli disse l’elfo.
- No, ma non importa. Sta
meglio ? - domandò il Re - Ho preferito non disturbarvi. Credevo... - si
interruppe, tentennando - ...che aveste molte cose da dirvi. -
- Infatti - rispose Legolas
stancamente - Ancora non riesco a crederci...Galien era così vicino, e l’ho
perso per un soffio. -
- Ma hai trovato lei - aggiunse
Aragorn - E ti aiuterà ad arrivare da lui. -
Legolas scosse la testa. - Lei ha
molto più bisogno d’aiuto di me. A quanto sembra, il suo cuore sta sanguinando
da molto, molto tempo. -
Aragorn capì che non era il caso
di andare oltre.
- Cos’hai intenzione di fare,
ora ? - disse.
L’elfo sospirò, guardando nel
buio. - Non lo so. Radagast non è ancora tornato ? -
- Te l’avrei già detto. - rispose
Aragorn - Ma arriverà presto, ne sono sicuro. E’ come Gandalf, ricordi ?
Se ne andava all’improvviso e ricompariva quando meno te lo aspettavi. Non ha
mai mancato alla sua parola. Tornerà, vedrai. E porterà con sè delle risposte.
-
- Lo spero ; ma non riesco
ancora a fidarmi del tutto di lui. Quanto vorrei che fosse davvero Gandalf... -
L’Elfo e l’Uomo si diressero
verso il grande falò che era stato acceso al centro dell’accampamento, e vi si
sedettero accanto.
- I soldati non sono tranquilli.
- disse Aragorn - Temono un’incursione improvvisa, ma, a mio avviso, non
dovremmo correre rischi. Abbiamo le spalle ben coperte e ci sono dieci
cavalieri pronti a correre a Minas Tirith in qualsiasi momento, per far
intervenire il grosso dell’esercito. Tu... - si interruppe per un istante -
...credi che Eredhil possa tentare una sortita a sorpresa ? -
Legolas scosse la testa. - Lo
escludo. Non ora, almeno. Mio fratello potrà essere audace, ma non sciocco ;
aspetterà, per lo meno fino a quando non avrà messo le mani su un altro
Silmaril, per sentirsi al sicuro. -
Un altro breve momento di
silenzio calò tra i due.
- Ho provato anch’io a riflettere
sul significato delle visioni. - disse poi Aragorn - Ma non sono riuscito a
venire a capo di nulla. Credo che nessuno ci riesca, per la verità...perfino il
povero Gimli ci si sta ancora arrovellando. Non so se riuscirà a dormire,
questa notte ! -
- Io non ho nemmeno avuto il
tempo per pensarci, Aragorn. - rispose Legolas - In questo momento, l’unica
cosa che vorrei fare è correre lassù in cima - Alzò una mano, indicando un
punto nel buio, in cui solo i suoi luminosi occhi da elfo potevano vedere in
lontananza Dol Guldur, il monte due volte maledetto - a riprendermi Galien.
Solo questo vorrei. -
Aragorn scosse la testa. -
Comprendo i tuoi sentimenti, Legolas, ma sarebbe un rischio troppo grande e
inutile da correre. Eredhil non farà mai del male a Galien, semplicemente
perché gli serve vivo, altrimenti non si sarebbe dato tanta pena per
riprenderlo, non credi ? Ma se tu cadessi nelle sue mani, tuo fratello non
avrebbe alcuna pietà per te. -
Legolas, gli occhi fissi sulle
braci, aprì la bocca, ma Aragorn, con un cenno della mano, gli impedì di
parlare. - So quello che stai pensando - disse - Ma se non vuoi farlo per te,
pensa almeno a tuo figlio. Non lasciarlo solo per sempre, Legolas. -
L’elfo voltò piano la testa e i
suoi occhi color del cielo incontrarono lo sguardo rassicurante dell’amico, e
gli sorrise debolmente in segno di gratitudine. Sapeva che Aragorn non
l’avrebbe mai abbandonato, così come Gimli, Sam e gli altri. Era una sorta di
patto di sangue stipulato in silenzio durante l’incredibile avventura che aveva
avvicinato i membri della Compagnia dell’Anello gli uni agli altri. Potevano
essere lontani migliaia di miglia, come lo erano ora Frodo e Gandalf, ma non si
sarebbero mai separati veramente.
Aragorn si alzò e si allontanò
verso le sue tende, dopo aver dato una pacca affettuosa alla schiena dell’elfo.
Legolas decise di rimanere
accanto al falò ancora un po’ a riflettere, con l’unica compagnia delle guardie
silenziose che sorvegliavano l’accampamento. La notte si stava facendo fresca,
e l’elfo si strinse con un mano il mantello, tendendo l’altra verso il fuoco.
Restò per un attimo a guardare la sua pelle chiara, illuminata dai bagliori
dorati delle fiamme, e fu piacevole per lui avvertire quel calore risalirgli il
braccio e raggiungere il suo cuore.
Anche il mio cuore sta diventando di ghiaccio ?si domandò Legolas.
Senza staccare lo sguardo dalla
sua mano, tese ancora di più il braccio verso il fuoco e si immaginò avvolto da
esso. Ricordò che Gandalf poteva dominarlo, il fuoco, come aveva fatto durante
la terribile lotta contro il Balrog, al ponte di Khazad-Dûm. Doveva essere una
sensazione incredibile, afferrare il potere delle fiamme, vedere se stessi in
esse e...
Un momento.
Lo sguardo dell’elfo mutò di
colpo, mentre osservava il suo braccio teso verso il falò.
- Dannato stupido ! -
esclamò colpendosi la fronte con la mano. Poi si alzò di scatto e corse via.
- Aragorn ! - gridò.
Il Re di Gondor uscì di corsa
dalla sua tenda, spaventato. - Cosa c’è, Legolas ? Cos’è successo ? -
- Sveglia Gimli - disse l’elfo,
ansimando, dopo aver raggiunto l’amico che lo guardava con aria interrogativa.
- Credo di aver capito dove si trova il secondo Silmaril ! -
Pochi minuti dopo, Sam, Gimli e
Faramir erano stati convocati al cospetto di Aragorn e Legolas, il quale rivelò
ai compagni d’avventura l’illuminazione che lo aveva folgorato.
- Sei proprio sicuro che si trovi
lì ? - domandò Aragorn.
- No - rispose l’elfo, facendo
dipingere un’espressione delusa sul volto speranzoso del buon Sam - Non del
tutto, almeno. Ma ho una sensazione che non mi abbandona...Gimli, ricordi la
visione che si è presentata per prima ? -
- Come no - rispose il nano - Eri
tu che tendevi la mano dritta davanti a te...sembrava quasi che volessi
afferrare qualcosa che si trovava fuori dallo specchio. -
- Ma questo significa tutto e
niente ! - esclamò Sam aprendo le braccia - Per conto mio potrebbe
semplicemente voler dire che tu, Legolas, troverai uno dei Silmaril...ma come
non si sa ! -
L’elfo sorrise. - E invece
l’indicazione che ci è stata data è estremamente utile, mio buon Sam ; e
l’ho capito solo poco fa, guardando il falò. Ho teso un braccio verso il fuoco
per scaldarmi, e sono rimasto un po’ ad osservare le fiamme. Ad un certo
momento ho provato ad immaginarmi riflesso in esse...ed è stato allora che ho capito.
-
- Molto bene ! - mugugnò
Gimli incrociando le braccia - E ora ti spiacerebbe spiegarlo anche a
noi ? -
Legolas tacque per un istante,
facendo scorrere lo sguardo sui volti perplessi dei presenti.
- Mi è tornata in mente la
visione, Gimli. Ero più che certo che in essa ci fosse qualcosa che non
riuscivo ad afferrare. E quella cosa era proprio lì davanti ai miei occhi,
chiara ed estremamente semplice ! -
L’elfo sollevò la mano destra. -
Nella visione io tendevo una mano verso qualcosa...e la mano che tendevo era la
sinistra. Io non sono mancino, lo sapete bene. Al momento non ho dato la minima
importanza alla cosa, ma quando, prima, ho guardato la mia mano tesa verso il
fuoco, ho capito. L’immagine era rovesciata, come... -
- Come in uno specchio ! -
esclamò Gimli.
- Esattamente ! - esclamò
Legolas sorridendo - Quella visione era tanto realistica e determinata che
sembrava quasi voler balzare fuori dall’acqua per afferrare qualcosa. Ma quella
cosa non si trovava fuori dallo
Specchio, bensì nello Specchio stesso.
Ma te ne rendi conto, Gimli ? Gli eravamo così vicini... -
- Questo discorso non ha senso. -
disse Faramir scuotendo la testa - Non riesco proprio a capire dove vuoi
arrivare. -
- Io sì. - disse Aragorn -
Pensavamo che la visione avesse qualche strano significato simbolico...e invece
era molto più semplice e concreta di quanto pensavamo. -
- Cosa vuoi dire ? - domandò
Sam corrugando la fronte.
Aragorn sorrise a sua volta. -
Che il secondo Silmaril è nello Specchio di Galadriel. - disse - Quello che
Legolas ha visto era se stesso, riflesso nello Specchio, nell’atto di
prenderlo. -
L’elfo annuì, davanti allo
sconcerto di tutti i presenti.
- Non potrebbe essere ? -
disse in tono speranzoso.
- Potrebbe essere - rispose
Gimli.
- Finora è l’unica pista che
abbiamo - disse Aragorn - Sarebbe sciocco non seguirla, vi sembra ? -
- Quando si parte ? -
esclamò Sam, ora entusiasta per quella rivelazione.
Legolas sospirò, e la sua
espressione speranzosa mutò in ansia. - Sono estremamente combattuto, amici. -
disse - So che non possiamo permetterci di perdere tempo, e che dobbiamo
assolutamente arrivare ai Silmaril prima di Eredhil...ma ogni minuto che passa
è un minuto in più in cui Galien sarà costretto a rimanere nelle mani di
quell’infame... -
Aragorn guardò l’amico con
comprensione. - Sai bene che hai tutto il mio appoggio, ma questa volta credo
che non sia il caso di lasciare attendere il destino. Lo Specchio non mente, se
gli si dà ascolto, e dobbiamo assolutamente sfruttare ogni minima possibilità
per evitare che Eredhil commetta l’irreparabile. Ricordati che anche tuo
fratello è sulle tracce dei Silmaril, ed è assai probabile che abbia Galien con
sé. Troviamo le pietre e troveremo anche il bambino. -
Legolas sospirò. - D’accordo -
disse - Ma facciamo in fretta. -
Aragorn annuì. - Possiamo partire
anche subito.Faramir, tu resterai qui
e ti occuperai dell’esercito in mia assenza. Non credo che avremo bisogno di
portare con noi dei cacciatori ; ci muoveremo meglio da soli, come abbiamo
fatto un tempo. Sam, vuoi seguirci anche stavolta ? -
- Certo che sì ! - esclamò
lo Hobbit, felice di essere coinvolto in quella nuova impresa - Non sarò venuto
fin qui per restarmene con le mani in mano ! -
- Non avevamo dubbi che saresti
stato dei nostri, Sam Gamgee ! - disse Gimli - Le tue instancabili
gambette da Hobbit ti hanno sempre portato lontano. Non potevamo volere di
meglio ; siamo pochi ma buoni. E poi il quattro è un buon numero, checché
si dica. -
- Ma cinque è ancora meglio,
Nano. - disse una voce - Anch’io sono della partita. -
I presenti si voltarono,
spalancando gli occhi. Rhiannon fece un passo e uscì dall’oscurità in cui era
rimasta nascosta fino ad allora.
Legolas era allibito.
- Credevo dormissi. - disse
freddamente - Non ti conviene andartene in giro con la spalla in quelle
condizioni. -
- Sto bene - rispose la ragazza -
E vengo con voi. -
- Credo che tu non abbia
capito... -
- Ti ho detto che sto bene.E poi non ho più niente da perdere, salvo
Galien. -
- Questo discorso non ti
riguarda, Rhiannon. - disse l’elfo, incredulo e irritato dalla decisione della
ragazza- Torna nella tua tenda e
dimentica quello che hai sentito. -
- Oh, mi riguarda eccome,
invece ! - ribattè la ragazza - Ti ho detto che quel bambino è sotto la
mia responsabilità e non ho intenzione di restare in ansia fino al vostro
ritorno. Io, da sola, non posso fare nulla, ma ho delle risorse che non
immaginate. E quando voglio ottenere una cosa la ottengo, in ogni modo
possibile. Vi tornerò utile, non dubitate. -
Legolas cercò di protestare, ma
la ragazza lo interruppe ancora prima che potesse aprire la bocca.
- Non temere, Legolas, non ho
intenzione di portartelo via. Abbiamo già discusso su questo punto e siamo
stati abbastanza chiari, mi pare. Non ho ben capito cosa avete intenzione di
fare, ma se riguarda anche Galien, allora riguarda anche me. Non voglio nulla,
solo aiutarvi a trovarlo, dopodiché mi leverò dai piedi e non sentirete mai più
il mio nome, ve lo giuro sulla mia testa, che è l’unica cosa che mi rimane. -
Legolas rimase interdetto di
fronte alla determinazione della ragazza. Guardò Aragorn, come per chiedergli
un parere, ma l’uomo rispose semplicemente : - Sei tu ad essere
maggiormente interessato dalla cosa. La decisione spetta solo a te. -
L’elfo tornò a guardare i freddi
occhi verdi di Rhiannon, ecapì che non
sarebbe arretrata di un solo passo.
- Non so chi di noi due sia il
più cocciuto. - disse - Se è proprio questo che vuoi, non te lo impedirò. Ma
sappi che non ho intenzione di sprecare tempo per toglierti dai guai, per cui
sarai solamente tu la guardiana di te stessa. -
Rhiannon sorrise. - Affare fatto.
- disse.
Gli occhi di Legolas rimasero
fissi in quelli della ragazza, mentre i due sembravano lanciarsi una sfida
vicendevole su chi di loro non sarebbe riuscito a mantenere i suoi propositi.
- Bene. - disse infine l’elfo -
Allora partiremo all’alba. -
I cinque si misero in marcia non
appena il sole ebbe tinto di arancio il cielo nuvoloso.
Ma nello stesso momento in cui la
piccola compagnia era partita per Lorien, un’altra compagnia aveva lasciato Dol
Guldur per raggiungere il medesimo posto...
Il viaggio dei cinque verso
Lorien, sotto la guida di Aragorn, trascorse in relativo silenzio.
Rhiannon non parlava e continuava
a guardarsi intorno con un’espressione quasi nostalgica negli occhi, e
cavalcava con sicurezza.
- Sembra quasi che tu conosca la
strada meglio di noi - disse ad un tratto Legolas affiancandosi al cavallo
della ragazza.
- Ho percorso molte volte questi
sentieri - rispose Rhiannon senza degnare l’elfo di uno sguardo - Mai fino a
Lothlorien, però. Erano Val e Yain che conoscevano bene la strada... -
Il viso di Legolas si adombrò. -
Val ? - disse - Non mi meraviglia che un idiota del genere osi spingersi
tanto vicino alle terre degli Elfi ignorando il pericolo che corre... -
Rhiannon capì l’irritazione
dell’elfo al pensiero di ciò che la sventatezza del ragazzo aveva provocato.
Inghiottì il rancore e lasciò che la rabbia passasse da sé.
- Val non è cattivo. - disse - Ha
solo il vizio di essere innamorato di me. Per questo a volte agisce senza pensare.
-
- E in questo modo si è giocato
il tuo amore - disse Legolas - Per non parlare del resto...o mi sbaglio ?
-
- Voglio bene a Val, ma non ho
mai corrisposto i suoi sentimenti, se è questo che intendi. -
- Non ne dubitavo. - disse
Legolas - Se non fosse stato così, forse non sarebbe successo quello che è
successo. -
Rhiannon si voltò di scatto e il
suo sguardo trafisse l’elfo con odio. - Stai dicendo che se Potter è morto e
tuo fratello ha rapito Galien la colpa è mia ? E’ questo che vuoi
dire ? - La ragazza tornò a guardare davanti a sé. - Mi meravigli,
Legolas...non credevo che gli Elfi considerassero l’amore come merce di
scambio... -
- Come al solito non hai capito
niente. - ribattè Legolas - Le cose più preziose, come l’amore, non si possono
comprare, ma si trovano semplicemente lungo la strada, e guai a non essere
pronti a raccoglierle...io intendevo solo dire che è curioso come il destino di
molte persone dipenda dalle azioni di una sola. -
Rhiannon sorrise amaramente. - E’
questo il significato dell’ultima favola che ho raccontato a Galien... - Il
viso della ragazza tornò serio. - Chissà, forse ora ha capito cosa voleva
dire... -
Legolas sentì nuovamente il suo
cuore farsi pesante. - Credo sia meglio tacere, ora. - tagliò corto - Ci stiamo
addentrando nel fitto della foresta e non ho idea di quello che potremmo
trovarci davanti. -
Detto questo, l’elfo spronò il
suo cavallo e trottò avanti per raggiungere Aragorn.
- Hai toccato un nervo scoperto,
ragazza. - disse Gimli, dietro di lei - Quando Legolas parla di Galien tutte le
sue ferite si aprono contemporaneamente. -
- E credi che le mie non lo
facciano ? - ribattè Rhiannon voltandosi verso il Nano. Gimli spostò lo
sguardo altrove, imbarazzato. - Qualunque cosa accada, il dolore è sempre lo stesso,
Gimli...ciò che cambia è il modo di affrontarlo. -
Ad un tratto Aragorn fece fermare
la piccola compagnia con un gesto della mano. Legolas scese velocemente da
cavallo, guardando con attenzione davanti a sé.
- Ci siamo. - disse Aragorn.
- Quanto manca ? - sussurrò
Polo facendo capolino dalla tasca di Galien.
- Poco - rispose sottovoce il
bambino.
- Meno male...ho lo stomaco in
gola ! belle bestie, questi cavalli, ma per niente comodi ! -
Galien si girò piano e guardò di
sbieco il soldato che lo portava a cavallo con sé, sperando che non avesse
sentito le sue parole e quelle del topino, e notò con sollievo che i suoi occhi
guardavano dritti di fronte a sé e non avevano espressione.
Più avanti Eredhil conduceva il
gruppo di cavalieri, i capelli biondi che gli ondeggiavano sulle spalle. Senza
la corona di ferro, lasciata a Dol Guldur per non rischiare di perderla, si
sentiva meno sicuro, come se il potere di Armagh dentro di lui fosse diminuito.
Ma non doveva aver paura, perché, grazie a Galien, il secondo Silmaril sarebbe
stato presto nelle sue mani, e Fermanagh avrebbe aggiunto il suo potere a
quello del fratello.
Fermanagh...o Morgoth.
Sì, con l’aiuto di quei demoni
sarebbe stato davvero invincibile.
- Proseguiremo a piedi, ora. -
disse Eredhil fermando il gruppo e scendendo da cavallo. Fece un cenno al
soldato che scortava Galien, il quale gli si avvicinò e, sollevato il bambino,
lo posò a terra accanto ad Eredhil, per poi scendere lui stesso da cavallo. Nel
taschino, Polo si aggrappò alla stoffa interna del taschino per non esserne
sbalzato fuori.
- Bene. - disse Eredhil
mettendosi di fronte al nipote e afferrandogli il braccio - Ora sarai tu a
guidarci. Il Secondo è qui, giusto ? Allora portaci da lui. -
Galien tentennò per un istante,
mentre il suo cervello iniziavaa
lavorare furiosamente, alla ricerca di una via d’uscita. Si guardò
intorno ; i soldati lo circondavano da ogni lato, era impossibile fuggire.
Oppure no...forse un modo c’era...
Il bambino guardò dritto davanti
a sé, con espressione concentrata, e, avanzando lentamente ma con sicurezza,
condusse lo zio fuori dal cerchio degli altri soldati.
Eredhil diede loro ordine di
lasciarli passare, e Galien continuò a camminare verso un gruppo di altissimi
alberi di Mallorn, un tempo splendide dimore dei Galadhrim. Quando il bambino
non ebbe più nessuno davanti a sé, abbassò gli occhi verso il taschino da cui
Polo lo stava guardando, e gli sussurrò velocemente alcune parole. Il topolino
annuì e Galien sorrise. Quindi condusse il gruppo sempre più vicino agli
alberi, e, quando ritenne che fosse il momento giusto, fece a Polo un
lievissimo cenno con il capo.
Fulmineo, il topo schizzò fuori
dal taschino, morse la mano di Eredhil e si tuffò nella tunica del bambino.
Lanciando un grido di dolore, l’elfo ritrasse velocemente la mano ; in
quello stesso istante, Galien scattò avanti e corse più veloce che potè verso
la scala che avvolgeva il Mallorn più grande.
Gli occhi di Eredhil si
riempirono di rabbia, mentre i suoi soldati, dopo un attimo di esitazione
dovuto alla mossa a sorpresa, correvano all’inseguimento del bambino.
- Fermi ! - gridò l’elfo,
tenendo lo sguardo fisso sulla piccola figura di Galien che saliva velocemente
la scala a chiocciola - Lasciatelo a me ! ! -
Tendendo una mano in avanti,
lasciò che Armagh uscisse dal suo corpo e si lanciasse all’inseguimento del
bambino ; ma la spirale di fumo rosso compì solo un breve tratto,
fermandosi, quasi esitante, a pochi passi dall’albero su cui Galien stava
salendo.
Tu non lo avrai, disse una voce che nessuno poteva sentire. Non l’hai avuto prima...e non lo avrai
nemmeno adesso !
Armagh percepì le sue parole e
cercò di forzare la sua resistenza, ma invano.
Era come se una forza invisibile
stesse facendo da scudo al piccolo elfo, e ad un tratto sembrò quasi essere più
forte del demone, visto che, compiendo un semicerchio nell’aria, Armagh tornò
da dove era venuto.
- Cosa ti sta succedendo,
maledizione ? ! - sbottò Eredhil mentre il demone tornava a
rifugiarsi dentro di lui - Il moccioso è là, non riesci a vederlo ? Dov’è
finito tutto il tuo potere ? ! -
Qualcosa mi sta ostacolando, disse Armagh. Non capisco cos’è, ma lo sta proteggendo resistendo ai miei
attacchi.
- Hai paura di qualcosa che
nemmeno vedi ? - lo canzonò Eredhil - L’inattività ti ha infiacchito fino
a questo punto ? -
Non mi fa paura. Non vuole attaccarmi perché si indebolirebbe, invece
deve resistere per proteggere il bambino. La batterò, non temere, ma mi occorre
tempo.
- Non abbiamo tempo - disse
Eredhil. Poi si rivolse ai suoi soldati.
- Trovate il bambino ! -
esclamò -Sparpagliatevi per il bosco,
ma fate attenzione : queste dannate piante hanno scale e passerelle che
portano dove meno ve l’aspettereste, e Galien lo sa bene. Qualsiasi pertugio
sarà un nascondiglio perfetto per lui ; non tralasciate il minimo
passaggio ! Voi - disse poi a quattro arcieri, mentre gli altri sparivano
tra gli alberi - restate con me. Questa faccenda non mi piace affatto. -
Il Principe del Bosco Atro e le
sue guardie camminarono per qualche minuto, fino a quando alcune strane voci
attirarono l’attenzione di Eredhil...
- Così è questo... - disse
Rhiannon - ...lo Specchio di Galadriel... -
I cinque si trovavano attorno al
bacile di pietra coperto da foglie secche in cui Gimli e Legolas avevano, pochi
giorni prima, visto il loro futuro senza rendersene conto. Nessuno rispose alle
parole della ragazza ; tutti tenevano gli occhi fissi sullo Specchio,
titubanti e incapaci di decidere cosa fare.
- Radagast ci aveva detto di non
toccarlo per nessun motivo... - disse Gimli.
- Di certo non si aspettava che
saremmo stati costretti a farlo. - replicò Aragorn - Ma ora lo dobbiamo fare,
Gimli, anche se... - Alzò gli occhi su Legolas. - ...non so cosa potrebbe
accadere. -
L’elfo non rispose, né staccò lo
sguardo dallo Specchio, il pensiero che correva alle parole di Radagast. Anche un solo Silmaril sarebbe stato
sufficiente a ripristinare i Sigilli, questo aveva detto lo stregone. E
forse quella pietra si trovava proprio davanti a loro...
- Tu conosci la leggenda dei
Silmaril, Aragorn ? - disse infine l’elfo.
Aragorn annuì.
- Credi che sia vero...che
scatenino desideri inconfessabili in chiunque li possieda ? -
Il Re di Gondor sospirò. - Temo
che sia proprio quello che è capitato a Eredhil, Legolas. - disse - Ascolta,
capisco quello che stai pensando. Io non so cosa potrebbe succedere quando
toccherai quel bacile...né cosa accadrà se troverai veramente il secondo
Silmaril. E’ vero che la visione mostrava te, ma sappi che non sarai costretto
ad affrontare questa prova, se non te la senti. -
L’elfo sorrise e scosse la testa.
- Lo Specchio mostra solo la verità, Aragorn. Quello che ho visto è solo una
parte del mio futuro e di quello di noi tutti, e non sarò certo io a cambiare
ciò che è scritto. Qualsiasi cosa debba accadere, è un rischio che intendo
correre. -
Rhiannon fissò intensamente
Legolas mentre quest’ultimo avanzava lentamente verso il catino, e l’unico
suono che le parve di poter percepire fu quello delle foglie secche scostate
dalla mano tremante dell’elfo e il battito del suo cuore spaventato.
Tum.
La ragazza si domandò per quale
motivo si sentisse così turbata.
Tum tum.
Forse perchè da quel gesto
all’apparenza insignificante dipendeva il destino della sua terra ? No,
certe considerazioni erano troppo complicate per il suo spirito ingenuo. Eppure
qualcosa la spaventava.
Tum tum.
Fu forse il tenue fascio di luce
che si levò quando Legolas, incredulo, scoprì il fondo dello Specchio rivelando
una grossa gemma dai brillanti riflessi azzurri, perfetta nella sua semplicità ?
Era quella che la spaventava ? O ciò che implicava quella pietra ?
Non riuscì a trovare una
risposta ; quando Legolas sollevò tra le mani il Silmaril, un lampo
divampò dal suo contenitore, abbagliando la piccola compagnia, liberandolo da
tutto il potere di cui era permeato. Dopodichè, lo Specchio di Galadriel tornò
ad essere un semplice bacile di pietra coperto di muschio.
E, stavolta, per sempre.
Rhiannon continuava a non capire,
mentre Gimli, Sam e Aragorn guardavano stupefatti Legolas, il quale, a sua
volta, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla gemma che teneva tra le
dita. Il bagliore del Silmaril era molto tenue, tuttavia la sua luce illuminava
gli occhi dell’elfo facendoli brillare in maniera inquietante.
- E così il Silmaril è sempre
rimasto qui...il potere dello Specchio dipendeva da lui... - disse Sam - Ma
perché, quando sono partiti, i Galadhrim non l’hanno portato con loro ? -
- Forse hanno voluto lasciare un
ultimo custode - disse Aragorn - Qualcosa che portasse avanti il compito che
era affidato a loro. Probabilmente immaginavano quello che sarebbe
accaduto...forse l’avevano visto, e avevano visto anche come sarebbero andate
le cose... -
- Beh, quello che conta è che
abbiamo trovato quella maledetta pietra. - disse Gimli tirando un sospiro di
sollievo - Ora dobbiamo solo aspettare che Radagast torni con qualche
indicazione sul luogo in cui la dovremo portare e finalmente ci saremo liberati
da questo incubo. Giusto, Legolas ? Legolas... ? -
L’elfo non rispose e continuò ad
ammirare la gemma che stringeva quasi con cupidigia.
E’ così bella...perché mai dovrei liberarmene ? disse tra sé e
sé. Posso sentire il suo calore...mi sta
penetrando nell’anima...era da troppo tempo che non provavo una sensazione
tanto inebriante...è...è come se...mi ridesse tutto quello che ho perduto...io
non posso... NON POSSO...
- Legolas ! -
La voce e lo strattone di Gimli
fecero scuotere l’elfo dai subdoli pensieri che si stavano insinuando
lentamente dentro di lui. Portandosi una mano alla fronte sussultò. Boromir, si disse. E’ esattamente quello che è successo a Boromir...per
l’Anello...Radagast aveva ragione... Strinse gli occhi cercando di
ritrovare la lucidità che stava perdendo.
- E’ tutto a posto, Gimli -
disse, tremando al pensiero di quello che gli stava accadendo - Tutto a posto,
davvero... -
Ma Rhiannon capì che non era
affatto così. Lo sguardo dell’elfo l’aveva spaventata perché, come lei stessa
non riusciva a capire il terribile potere che il Silmaril portava dentro d sé,
così anche Legolas non aveva la forza e il potere per farlo, né per
resistergli.
- Allora possiamo andarcene da
qui ! - disse Sam - Quando siamo giunti qui la prima volta mi sembrava di
stare sognando...ora, invece, questo posto mi mette i brividi ! -
- Sì, Sam, ora ce ne... -
- Un momento ! -
L’esclamazione di Legolas
costrinse tutti a voltarsi verso di lui. L’elfo aveva alzato di scatto una
mano, e il suo sguardo penetrante sembrava perlustrare ogni angolo della
foresta che lo circondava.
Aragorn capì che qualcosa non stava
andando per il verso giusto ; fece cenno ai cinque di stringersi tra loro
e impugnò la sua spada.
D’istinto, Sam prese Pungolo con
mani tremanti. - Non si illumina... - sussurrò.
- Questo non significa che non ci
siano nemici nei paraggi. - rispose Gimli.
- State vicini. - disse Aragorn
impugnando Andùril.
D’istinto Legolas, che aveva
appena messo mano al suo arco, si voltò verso Rhiannon, che tremava dalla
paura.
- Allora prendi questo - disse
Legolas porgendole il suo pugnale dalla lunga lama intarsiata, che la ragazza
si rigirò goffamente tra le mani - E stai nel gruppo. -
Appena terminata la frase, una
figura avvolta in un lungo mantello scarlatto, seguita da altre, armate di
archi, frecce e spade, uscì dal fitto della foresta e si mostrò ai cinque
sbigottiti compagni.
- Sapevo che i sentieri del
destino hanno strani percorsi, ma non avrei mai creduto che ci avrebbero
portati dritti allo stesso punto, fratello ! -
- Arriviamo subito al punto. - lo
interruppe Eredhil - Tu hai il Silmaril e io ho tuo figlio, e penso che tu
abbia capito dove voglio arrivare. -
Legolas sentì un tuffo al cuore. -
Allora era vero - disse - Galien è vivo... -
- Lo è. Ma non so per quanto
tempo ancora. Tutto, inclusa la vostra vita, dipenderà dalla collaborazione che
mi darete. -
- Non mi sembri nella posizione
migliore per dettare condizioni ! - esclamò Gimli stringendo la sua ascia
- Siamo cinque contro cinque, e ti consiglio di non sottovalutarci ! -
Eredhil rise. - Sottovalutare
voi ? Un Elfo, un Uomo, un Nano e uno stupido Hobbit, oltre ad una ragazza
che non sa nemmeno da che parte impugnare un coltello ? Non siate
ridicoli ! -
- Lurido verme... - sibilò
Rhiannon a denti stretti. Eredhil non la sentì.
- Evidentemente ignori le nostre
risorse. - disse Aragorn - Sette anni fa abbiamo sgominato nemici ben peggiori
di te contando solo sulle nostre forze... -
- Oh, lo so bene... - disse
Eredhil ghignando - La Compagnia
dell’Anello...chi non è a conoscenza delle vostre gesta ? Ma
credetemi, il vostro stupido coraggio non vi servirà a nulla contro di me. Ho
quattro arcieri al mio fianco, e altrettanti, ben nascosti alla vostra vista,
pronti a colpire... -
- Vedremo subito chi sarà più
veloce ! - esclamò rabbiosamente Legolas incoccando rapidamente una
freccia e mirando al cuore del fratello, il tutto senza lasciare la gemma.
Eredhil alzò una mano. - Non ti
conviene fare mosse avventate, fratello. Se io non torno, Galien muore, sappi
solo questo. -
Legolas sentì una morsa allo
stomaco. Continuò a fissare Eredhil con odio, mentre le sue mani tremanti
facevano vibrare la corda dell’arco.
- Legolas... - disse Aragorn.
Lentamente, l’elfo allentò la
corda e la freccia gli cadde a terra. Poi aprì la mano che impugnava l’arco,
lasciando cadere anche quest’ultimo, ma con l’altra continuò a stringere il
Silmaril con tutta la sua forza. C’era suo figlio in gioco...eppure, anche se
la cosa lo ripugnava, non poteva rinunciare alla pietra...
Rhiannon retrocedette di un
passo, calpestando un ramoscello secco. Eredhil voltò di scatto la testa verso
di lei e allargò le labbra in un malvagio sorriso.
- Tu devi essere la sguattera a
cui i miei cacciatori hanno strappato il moccioso... - disse, e, avanzando
verso la ragazza, le si piantò davanti. - Credevo che avessero ammazzato anche
te come quel pezzente del locandiere...però...sai, credo che abbiano fatto bene
a risparmiarti... -
Allungò una mano verso il viso di
Rhiannon, che tremava dalla paura, e le strinse il mento tra le dita.
- Sei bella...chissà se saprai
essere una buona amante, oltre che una buona schiava... -
Rhiannon si ritrasse all’istante,
inorridita, e, nello stesso momento, la mente di Legolas si snebbiò del tutto.
- Lei non sarà la schiava di
nessuno ! - esclamò - Vuoi il Silmaril ? Prenditelo ! -
Con una mossa istintiva e
fulminea, Legolas scagliò con forza la pietra contro Eredhil, colpendolo ad uno
zigomo. Quel che accadde poi, fu questione di un attimo.
Aragorn estrasse velocemente il
pugnale che portava alla cintura e lo conficcò dritto nella gola di uno degli
arcieri, che non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di quanto era successo.
Lanciando un grido furibondo, Sam e Gimli si lanciarono in una lotta corpo a
corpo con altri due elfi, anche loro colti di sorpresa dal gesto di Legolas, il
quale, a sua volta, si era lanciato addosso al fratello.
Solo Rhiannon, nella confusione
che era venuta a crearsi, restava immobile a guardarsi intorno, terrorizzata e
incapace di agire.
- Attenta ! - gridò ad un
tratto Aragorn.
La ragazza voltò la testa verso
di lui giusto in tempo per vedere un elfo correre verso di lei brandendo la
spada.
- Scappa, Rhiannon ! !
- gridò il Re - Scappa ! !
-
La ragazza non se lo fece
ripetere due volte, dato che il soldato elfo le era ormai addosso. Gettandosi
da un lato, senza lasciare il pugnale, riuscì ad evitare il suo fendente e,
dopo essersi rialzata, corse a perdifiato nella macchia degli alberi,
scomparendo alla vista di amici e nemici.
Nel frattempo, Galien continuava
la sua fuga da un albero all’altro, con i soldati di Eredhil perennemente alle
calcagna.
Essere più piccolo e leggero gli
dava un certo vantaggio ; aveva già seminato una delle guardie, il cui
peso era stato fatale ad un vecchio ponte sospeso tra due Mallorn, che era
crollato al suo passaggio costringendo i rimanenti inseguitori del bambino a
tornare sui loro passi e cercare un’altra strada.
- Non...non ce la faccio...più...
- disse Galien ansimando, mettendosi a sedere su un talan mezzo sfondato e coperto da rami e foglie secche.
- Se ne sono andati ? -
disse Polo uscendo dalla tunica del bambino e correndo verso il bordo del talan.
- No - rispose Galien - E non se
ne andranno mai, finchè non ci avranno trovato...e ci troveranno, vedrai... -
- E perché dovrebbero ? -
disse Polo - Questa foresta è più fitta di un campo di grano, e ogni
albero...beh, parola mia, non è un albero...è un vero labirinto... -
- Appunto ! Secondo te come
faremo noi ad uscirne ? -
- Vuoi dire che... -
- Esatto ! - esclamò Galien,
prendendosi la testa tra le mani - Non ho la più pallida idea di dove
andare ! Anche ammesso che i soldati di mio zio si stanchino di inseguirci
e se ne tornino a Dol Guldur, noi due moriremo certamente di fame prima di
riuscire a trovare la strada che ci porti fuori da questo bosco ! -
- A questo punto tocca a me dire
“bell’elfo sei” ! - esclamò Polo incrociando le zampine anteriori -
Credevo che conoscessi ogni angolo di questo posto ! -
- Conosco questo posto, ma non so
coma fare ad uscirne...accidenti alla mia idea ! Oh, se solo i Galadhrim
non se ne fossero andati...ci sarebbero loro ad aiutarci ! -
- Se i Galadhrim non se ne
fossero andati, forse noi non saremmo nemmeno qui... - sospirò Polo - Comunque
non preoccuparti, non moriremo di fame...io conosco bene qualsiasi tipo di
erba, procurerò tutto il cibo di cui avremo bisogno e, chissà...magari riuscirò
anche a tornare normale ! -
- Magari ! - esclamò il
bambino sorridendo - Se devo essere sincero, ne dubito molto... -
- Ora la smetterai di farci
impazzire, dannato marmocchio ! -
Galien cacciò un urlo mentre una
mano lo afferrava per il collo e un’altra lo sollevava prendendolo per la vita.
Polo schizzò verso il braccio del soldato che aveva catturato il bambino e gli
morse una mano. L’elfo gridò di dolore e lasciò andare Galien, che cadde a
terra e cercò di saltare su un ramo vicino, ma l’elfo gli fu di nuovo addosso
prendendolo per i piedi. Polo cercò nuovamente di morderlo, ma il soldato se ne
liberò con uno schiaffo, facendo sbattere il povero topolino contro il tronco
del Mallorn sul quale si trovavano.
Il soldato afferrò Galien per una
spalla e lo costrinse a voltarsi verso di lui, facendogli sbattere la schiena
contro il pavimento del talan.
- Potrei anche ucciderti per
quello che stai combinando - ruggì l’elfo - Ma al mio Signore non piacerebbe,
quindi ora te ne starai buono mentre ti riporto da lui... -
Improvvisamente, una strana
spirale di fumo bianco, come una nuvola allungata, avvolse la testa dell’elfo e
la cinse sempre più strettamente fino a quando quest’ultimo perse i sensi e
cadde svenuto. Galien si rialzò in fretta, guardando sbalordito ciò che era
successo.
Vai, disse la voce che lo aveva già protetto aDol Guldur, mentre un filo di fumo rosso
usciva dalle narici dell’elfo svenuto e si dissolveva nell’aria. C’è qualcuno che ti aspetta ; vai da
lui, baderò io agli altri.
Ancora confuso, Galien raccolse
Polo, ancora dolorante per il colpo, e corse verso il bordo del talan.
- Chiunque tu sia, grazie !
- disse. Poi spiccò un balzo e si aggrappò ad un ramo che sporgeva da un
Mallorn vicino, e, arrampicandosi lungo esso, risalì su un altro talan.
- Per tutta l’erba-pipa del
Decumano Sud, che botta ! - esclamò Polo, scivolando fuori dalla solita
tasca, sfregandosi con una zampa il bernoccolo che gli era spuntato in mezzo
alla fronte. - Che...che accidenti era quella cosa ? -
- Non lo so - rispose Galien,
ancora sbigottito - Ma è già la seconda volta che mi toglie dai guai. -
- La seconda... ? -
- La prima credevo fossi stato
tu. -
- Oh, bella ! - esclamò Polo
- E quando ? -
- Nella prigione di Dol Guldur.
Ha impedito che Armagh, quell’orribile mostro rosso, si impossessasse di me
e... -
Galien si interruppe bruscamente.
- ...e ? - lo incalzò Polo.
Il bambino non gli badò e gattonò
fino al bordo del talan, guardando
giù.
- Arriva qualcuno. - disse.
Correva, Rhiannon, correva a
perdifiato senza mai voltarsi indietro, senza nemmeno sapere dove andare. Inciampò
in una radice, rotolò tra l’erba e le foglie e si rialzò senza nemmeno
chiedersi se fosse tutta intera. Non sentiva altro che i suoi passi sul terreno
e il suo cuore impazzito dalla paura ; la stavano ancora inseguendo ?
Non lo sapeva e non aveva il tempo di fermarsi a verificarlo. Solo quando fu
troppo stanca per proseguire che si fermò ansimando e crollò in ginocchio
nell’erba. Voltò piano la testa e non vide traccia del suo inseguitore ;
allora si rialzò piano e, ansimando, si appoggiò al tronco di un albero,
cercando di riflettere su quanto era appena accaduto.
Si sentiva una vigliacca ;
non avrebbe dovuto abbandonare la compagnia, anche se il suo aiuto sarebbe
stato pressochè nullo in quel frangente, ed era certa che gli altri se la
sarebbero cavata egregiamente. Anzi, forse aveva fatto la cosa giusta,
liberandoli di un impiccio, ma ora cos’avrebbe fatto lei ? Non conosceva
la strada...non sarebbe mai riuscita a tornare indietro. Così come nemmeno
sapeva se Legolas, Aragorn e gli altri avevano avuto la meglio o la peggio sui
loro nemici. No, decisamente la sua non era stata la mossa migliore.
Ansimando, gettò indietro la
testa. - Grande Ilùvatar...fa’ che per una volta, nella mia vita, riesca a fare
la cosa giusta, qualunque essa sia... -
Poi abbassò la testa e si accorse
di avere ancora in mano il pugnale di Legolas.
Torno indietro, si disse. Se
devo morire in questo maledetto bosco, tanto vale che lo faccia combattendo.
Ad un tratto, Rhiannon sentì un
fruscio provenire dalla sua destra. Sgomenta, voltò il capo giusto in tempo per
vedersi piombare addosso un elfo che la gettò a terra. Gridando, la ragazza
cercò di divincolarsi dalla presa del soldato e, quasi senza volerlo, gli
conficcò la lama elfica nel collo. Rhiannon gridò ancora più forte quando un
fiotto di sangue caldo le investì il viso ; cercò di divincolarsi dalla
presa del soldato morente e si rialzò, terrorizzata, incapace di distogliere lo
sguardo dal corpo agonizzante dell’elfo che spirò dopo pochi istanti. Rhiannon
pianse forte, ma quasi senza accorgersene ; aveva visto la morte molte
volte, ma così da vicino mai.
- Spargi le tue ultime lacrime,
ragazza, perché sarò pietoso e ti darò una morte rapida. -
Tremando, Rhiannon voltò la testa
e, quando vide un altro soldato elfo, in piedi accanto al grande albero,
puntare arco e freccia contro di lei, capì che i suoi colpi di fortuna erano
finiti. Inspirò profondamente aspettando il peggio, ma il peggio non avvenne.
Un istante prima che l’elfo scoccasse la sua freccia, un grosso ramo gli cadde
dritto in testa, facendolo svenire sul colpo. Nello stesso istante, una lunga
corda calò dall’albero proprio davanti alla ragazza, che non riusciva ancora a
credere ai propri occhi.
- Rhiannon ! Pssst !
Rhiannon ! -
La ragazza alzò la testa e sentì
un tuffo al cuore.
- Presto, Rhiannon, sali ! -
- Galien ! ! - gridò,
felice. La ragazza si arrampicò sulla robusta coda più in fretta che potè e,
con l’aiuto del bambino, si issò sul talan.
- Stai bene ? Per fortuna
gli Elfi hanno lasciato qui questa corda che... - fu tutto ciò che Galien
riuscì a dire prima che Rhiannon lo stringesse nell’abbraccio più forte che
potè dargli.
Felice, il bambino si strinse a
sua volta alla ragazza, che singhiozzava convulsamente per la paura e
l’emozione.
- Quasi non riesco a
crederci !- cinguettò Galien - E non sai quanto sono felice ! Credevo
che fossi morta anche tu... -
- Nemmeno io riesco ancora a
crederci... - disse Rhiannon asciugandosi una lacrima - Come hai fatto a
scappare ? -
- Qualcuno mi ha aiutato -
rispose Galien - Anche se non so chi... -
- Come sarebbe ? ! E io
chi sarei ? ! -
Polo si arrampicò velocemente
sulla spalla del bambino. Rhiannon lanciò un grido più per il disgusto che per
la sorpresa e, con una mano, cercò di scacciarlo.
- No, ferma ! - esclamò
Galien proteggendo il topolino - Non fargli del male, è mio amico ! -
- Amico ? - disse Rhiannon -
Sei diventato amico di un ratto schifoso ? -
- Non sono un ratto schifoso, madama, sono un topo
campagnolo. C’è differenza. - disse Polo, serio.
Rhiannon guardò Galien,
sconvolta.
- Sì, parla. - disse il bambino,
intuendo i pensieri della ragazza - E non è nemmeno un topo campagnolo...è uno
mago Hobbit... -
- Un mago Hobbit ? - disse
Rhiannon, perplessa - Questa non l’avevo mai sentita ! -
- Quando riuscirò a tornare
normale te lo dimostrerò, ragazza diffidente ! - disse Polo incrociando le
zampine anteriori.
- Prega i Valar di riuscirci al
più presto ! Io detesto i topi... - disse Rhiannon.
Galien ignorò quest’ultima frase.
- E tu come mai sei qui ? Val è con te ? -
- Lascia perdere Val - disse
Rhiannon - Anche se devo ammettere che, se non fosse stato per lui, forse non
avrei mai incontrato tuo padre... -
- Mio padre ? ! -
esclamò Galien.
Rhiannon sorrise. - E’ stato lui
a salvarmi. E ora ti porterò da lui, ma dobbiamo sbrigarci... -
Galien era fuori di sé dalla
gioia. - Hai sentito, Polo ? - esclamò, stringendo forte a sé il topolino
- Mio padre è qui ! -
- E non è solo. Ma ora dobbiamo
sbrigarci, tuo zio e i suoi quattro sgherri l’hanno già trovato, anche se
Aragorn e gli altri gli daranno pane per i loro denti. - Rhiannon raccontò
brevemente al bambino i fatti accaduti tra la morte di Potter e il ritrovamento
del secondo Silmaril.
Terminato il racconto, Galien,
eccitato e timoroso allo stesso tempo, guardò giù dal talan.
- Quanti erano i soldati che vi
hanno attaccati ? - disse il bambino.
- Quattro più Eredhil. -
Galien sbuffò. - La scorta era di
otto soldati - disse - E due sono fuori combattimento. -
- Sperando che tuo padre e gli
altri riescano a resistere a quelli che sono rimasti. Vieni, scendiamo da qui.
-
- Voi non andrete da nessuna
parte. -
Quella voce fece gelare il sangue
nelle vene dei tre. Rhiannon si voltò e vide che alla sua sinistra si trovava
un altro elfo armato di arco e frecce ; guardò poi a destra, alla ricerca
di una via d’uscita, ma anche quella era bloccata da un secondo soldato. Adesso
erano veramente in trappola.
- Fate troppo chiasso - disse il
secondo elfo - Vi avremmo sentiti anche dall’altra parte del bosco. Ora venite
con noi. -
- No - ribattè il primo puntando
la freccia contro Rhiannon - La ragazza resta qui. -
L’elfo tese la corda dell’arco e
si preparò a scoccare.
- No ! - gridò Galien. In
quel momento Polo schizzò verso il soldato e gli si arrampicò lungo la gamba,
mordendolo forte al basso ventre. L’elfo urlò per il dolore e si accasciò a
terra, mollando la corda dell’arco e sganciando la freccia. Rhiannon si gettò
su Galien per proteggerlo, mentre la freccia volava sopra la testa dei due e si
conficcava nel petto dell’altro soldato. Quest’ultimo spalancò gli occhi per la
sorpresa, guardò la sua ferita e, senza dire una parola, cadde morto.
Rhiannon, quindi, approfittò
della situazione che si era creata e, alzandosi di scatto, colpì con un calcio
l’elfo che si contorceva ancora dal dolore per il morso di Polo e lo fece
cadere sull’erba, molti piedi più in basso, con un tonfo sordo.
Con il cuore che batteva ancora
all’impazzata, Rhiannon si sporse dal talan e controllò che nessuno degli elfi
che si trovavano ai piedi dell’albero si muovesse.
- Sembra che la fortuna sia dalla
nostra, per il momento ! - esclamò.
- Può darsi - disse Polo - Ma se
alla fortuna non si dà una mano... -
Rhiannon e Galien sorrisero. -
Hai ragione - disse la ragazza - Anche un topaccio come te può essere di grande
aiuto ! -
Polo aggrottò la sua piccola
fronte da topo. - Su, non prendertela ! - disse Galien rimettendosi Polo
in tasca - Ti sei comportato da vero eroe ! Chiederò a mio padre di
nominarti Salvatore del Popolo Elfico e di scrivere il tuo nome negli Annali
del Bosco Atro ! Sarai ricordato come un eroe, messer Polo ! -
Rhiannon rise e scosse la testa
nel vedere il topolino gonfiarsi tutto dall’orgoglio.
- Ora dobbiamo davvero andare,
messer topo - disse, porgendo a Galien l’estremità della corda che aveva usato
per salire - Non credo che i tuoi denti aguzzi possano servire a qualcosa
contro Eredhil... -
Nel frattempo, la situazione
sembrava volgere al meglio per gli alleati di Gondor. Un elfo era già caduto
sotto i colpi dell’ascia di Gimli ; il nano era poi corso ad aiutare il
buon Sam che, brandendo Pungolo, stava egregiamente tenendo a bada il suo
avversario, mentre Aragorn, con movimenti agili e rapidi, era impegnato in
un’estenuante schermaglia con l’ultimo rimasto.
Ma la furia con cui Legolas e
Eredhil lottavano uno contro l’altro non aveva uguali.
- E’ tutto qui il tuo valore in
battaglia, fratello ? - disse Eredhil sogghignando, parando i colpi di
Legolas con la sua spada - Legolas, figlio di Thranduil, l’eroe del popolo
elfico... -
- Le tue parole non mi toccano,
Eredhil ! - ribattè rabbiosamente Legolas - Parla pure a vanvera, perché
non potrai mai più farlo, quando ti avrò tagliato la lingua ! -
Con un colpo ben assestato,
Legolas riuscì a disarmare il fratello. La spada di Eredhil volò lontano, ma
l’elfo non perse il suo sorriso malvagio.
- Non vorrai uccidermi sul
serio...se non sbaglio, nostro padre ci ha insegnato ad avere pietà per il
nemico sconfitto...e nemmeno la dolce Anìrwen te l’avrebbe permesso... -
- Non osare nemmeno pronunciare
il suo nome, maledetto ! - gridò Legolas puntando la sua spada alla gola
di Eredhil - E’ una bestemmia nella tua bocca...per quello che hai fatto
meriteresti una punizione ben più atroce della morte... -
- Perché, non credi che io sia
già stato punito abbastanza...per quello che non ho fatto ? -
- Taci, miserabile ! - disse
Legolas. Ma Eredhil non tacque.
- Credi che non abbia mai visto
il disprezzo negli occhi di nostro padre quando mi guardava e capiva che non
avrei mai potuto eguagliare il suo primogenito ? -
- Nostro padre ti amava
esattamente quanto amava me ! - ribattè Legolas - E tu hai avuto tutto
quello che ho avuto io, ricordatelo ! -
- Ti sbagli, fratello...una cosa
io non l’ho mai avuta...l’amore dei nostri genitori, quella stima per te così
abbondante e che a me è sempre stata negata,
qualsiasi...maledetta...cosa...facessi. Mi hanno sempre lasciato indietro
portando avanti te, perché tu dovevi essere l’erede al trono, e non mi hanno
mai permesso di dimostrare che anch’io potevo valere qualcosa...perché non glie
n’è mai importato niente. Per anni ho dovuto fingere di rispettarti e mostrare
ammirazione per tutte le tue...eroiche
gesta...Hanno mandato te al Consiglio di Elrond, tu sei partito con la
Compagnia dell’Anello e sei tornato vincitore...ma credimi...se non fossi
tornato, se ti avessero riportato indietro a pezzi...io avrei ballato sulla tua
tomba... -
Detto questo, Eredhil afferrò la
lama della spada di Legolas sotto i suoi occhi esterrefatti e glie la strappò
di mano, lanciandola lontano.
- Molto bene. Cosa abbiamo,
qui ? - disse Eredhil. Legolas guardò rapidamente in basso e spalancò gli
occhi ; suo fratello stava raccogliendo il Silmaril, che giaceva a terra
accanto a lui, con la mano sanguinante. Eredhil guardò la gemma con occhi
cupidi, tenendola tra due dita.
- Non avrebbe potuto andare
meglio ; liberarmi di te e trovare questo piccolo tesoro in un colpo
solo...la buona sorte ti ha finalmente abbandonato per passare dalla mia parte,
fratello ! -disse.
- Io mi sono fidato di te,
Eredhil. - disse Legolas, il viso paonazzo per la collera - Ho affidato alle
tue mani le persone che amavo di più, proprio perché credevo che tu fossi degno
di questo compito. La fiducia è rispetto, prima di qualsiasi altra cosa, quel
rispetto che dici di non aver mai avuto...ma tu sei stato tanto ottuso da non
riuscire a vederlo. E in questo momento mi rammarico solo di non averti ucciso
prima che mi vomitassi addosso il tuo stupido egoismo... -
Eredhil ghignò e alzò una mano.
Una spirale rossa iniziò a roteare sul suo palmo, ingrandendosi sempre di più.
- Oggi verrà versato sangue
reale, fratello - disse Eredhil - Ma non sarà certo il mio. -
Poi la spirale si sollevò sopra
la testa di Eredhil, e si diresse verso Legolas, che la guardava sbigottito,
temendo il peggio. Invece, una saetta bianca si interpose tra l’elfo e il
demone che stava tentando di impadronirsi di lui, costringendolo un’altra volta
a ritirarsi dopo una breve lotta tra luci bianche e vermiglie.
- No ! - esclamò Eredhil stringendo
forte il Silmaril - Maledizione, non di nuovo ! -
In quel momento, Aragorn, Gimli e
Sam riuscirono a sbarazzarsi dell’ultimo soldato rimasto.
- Legolas ! - esclamò
Aragorn.
Approfittando della disattenzione
del fratello, Legolas si gettò sul suo arco e sulla freccia che aveva
abbandonato poco prima, incoccandola velocemente e mirando al cuore di Eredhil.
- Questa volta è davvero finita,
miserabile verme. - sibilò Legolas con rabbia, stringendo i denti. Ma la sua
espressione tradiva la sicurezza che ostentava, e Eredhil se ne accorse.
- Cosa aspetti ? - disse -
Uccidimi...è la tua ultima possibilità. Mantieni fino in fondo la promessa che
hai fatto. -
Le mani di Legolas cominciarono a
tremare, mentre tutt’intorno, nella foresta, cadeva il silenzio più assoluto.
- Legolas... - disse Aragorn,
avvicinandosi all’amico. L’elfo lo ignorò, e continuò a fissare il fratello con
odio
- Ho assassinato tua moglie e
rapito tuo figlio...avanti, fratello mio...uccidimi...
- continuò Eredhil - Uccidimi, e Galien morirà con me... -
Fratello mio...
- Io non ho più nessun fratello -
disse Legolas con voce tremante, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Ma non erano solo lacrime di rabbia e di rancore, quelle che rigavano il viso
contratto dell’elfo ; nessuno seppe mai dire cosa provasse Legolas in quel
momento, mentre le sue dita non si decidevano a lasciare la corda dell’arco.
Eredhil sorrise e lanciò un
fischio acuto. Poi, nel silenzio del Bosco d’Oro risuonò un rumore di zoccoli
che colpivano il terreno, e in meno di un attimo un cavallo sauro apparve
galoppando tra gli alberi, e si arrestò, impennandosi, al fianco dell’elfo.
- Tu non lo farai. - disse,
balzando in groppa al suo destriero, tenendo ben alto il Silmaril nella sua
mano in modo che tutti i presenti lo vedessero - Non hai abbastanza coraggio
per farlo. Il grande figlio di Thranduil è così vigliacco da aver paura di
colpire un uomo disarmato ! -
Nel sentire quelle parole, Sam
estrasse fulmineamente Pungolo dal suo fodero, pronto ad avventarsi contro il
cavaliere, ma Gimli lo trattenne.
- Ci rivedremo, Legolas. E sarà
davvero per l’ultima volta. -
Detto ciò, Eredhil spronò il
cavallo e sparì al galoppo in mezzo agli alberi.
- Vigliacco ! Come ha potuto
rivolgersi in quel modo a Legolas dopo tutto ciò che ha fatto ? - esclamò
Sam - Io non sarei stato tanto generoso da risparmiargli la vita ! -
- Ma tu non sei lui, Sam. -
disse semplicemente Gimli. Poi il nano si voltò verso l’amico elfo, che aveva
lasciato andare lentamente la corda dell’arco lasciando cadere la freccia. Poi
la sua mano aveva allentato la presa sull’arco stesso, facendolo scivolare a
terra, e Legolas era caduto in ginocchio, il viso sgomento e lo sguardo fisso e
incredulo sull’erba sotto di sé.
Aragorn si avvicinò lentamente
all’amico e gli pose una mano sulla spalla.
- Stai bene ? - gli disse.
- Non sono ferito. - rispose
Legolas. Quelle parole gli uscirono di bocca senza quasi che se ne accorgesse,
mentre il suo pensiero era rivolto a tutt’altro. Dentro di sé si maledisse.
- L’ho lasciato andare - disse
con un filo di voce - Potevo vendicare la mia Anìrwen...e invece l’ho lasciato
andare. -
- Hai fatto quello che ritenevi
giusto - disse Aragorn - Se l’avessi ucciso, avresti condannato a morte Galien.
Almeno ora sai che è vivo... -
- E come posso esserne
sicuro ? Eredhil mi ha già mentito una volta, potrebbe averlo fatto di
nuovo...per tutti i Valar, cosa devo fare ? -
Legolas sospirò stancamente, poi
girò lentamente il capo verso Aragorn, che trasalì nel vedere il suo sguardo.
- Aragorn...io volevo solo
uccidere Eredhil in quel momento...te lo giuro, lo volevo con tutte le mie
forze, e l’avrei fatto, anche se avesse significato la morte per mio figlio,
tanto ero fuori di me. Ma non ho potuto...qualcosa ha fermato la mia mano prima
che gli trafiggessi quel cuore marcio con la mia freccia. E non è stata la
pietà...nonostante tutto il male che ha fatto...nei suoi occhi ho visto mio
fratello, capisci, Aragorn ? Mio
fratello ! -
Il Re di Gondor strinse l’elfo,
tremante, il respiro affannoso, in un forte abbraccio, che valse più di tutte
le parole che avrebbe potuto pronunciare.
- L’hai detto tu stesso, Legolas,
Eredhil ti ha sempre mentito. - disse Aragorn - Pensa solo a questo. Non l’hai
ucciso perché, in fondo al tuo cuore, non lo volevi ; ma se lui fosse
stato al tuo posto ti avrebbe eliminato senza alcun rimorso. -
Legolas non sembrò nemmeno udire
le parole dell’amico e, inspirando profondamente, si sciolse dal suo abbraccio.
- E poi...e poi quella dannata
pietra...non so cosa mi sia successo...non volevo lasciargliela...sarei morto
pur di tenerla per me. -
Gimli scosse la testa,
preoccupato. - Radagast ci aveva avvisati, ricordi ? Il potere dei
Silmaril è troppo grande perché lo si possa dominare. E’ stata la pietra a
dominare te, anche solo per un momento. Temo che, se mai riusciremo a trovare
il terzo Silmaril, avremo dei grossi, grossissimi problemi a liberarcene... -
- Se mai riusciremo a trovarlo,
Gimli. - disse Aragorn - Ora abbiamo un problema in più ; adesso che anche
questo Silmaril è nelle mani di Eredhil, non credo proprio che riusciremo a
riprenderlo prima che abbia liberato il secondo demone. -
Legolas sospirò. - Mi dispiace,
amici, è stata tutta colpa mia. -
- Non dire sciocchezze ! -
esclamò Sam - Credo che nessuno di noi avrebbe potuto resistere con quella
pietra fra le mani ! E’ già stato un buon risultato che tu abbia reagito
alle minacce di Eredhil nei confronti di Rhiannon... -
- Un momento ! - disse Gimli
- E Rhiannon dov’è ? -
- Qui... -
La ragazza apparve dalla boscaglia,
sporca e scarmigliata, tenendo per mano un bambino stanco e spaventato.
Aragorn, sbigottito per la
sorpresa, lasciò cadere la sua spada.
Lo sguardo di Rhiannon, che
tremava ancora per la paura, scorse sul Re, poi su Gimli, Sam, e infine su
Legolas. Ma gli occhi dell’elfo non incrociarono i suoi ; erano fissi
sulla piccola figura che si trovava al fianco della ragazza.
- Adar ! - gridò Galien felice, lasciando all’improvviso la mano
di Rhiannon per correre verso Legolas. Il Re del Bosco Atro rimase immobile per
un istante, incapace di ragionare.
- Galien... -
Poi i suoi piedi sembrarono
muoversi da soli, prima piano, poi sempre più veloci, verso il piccolo elfo
biondo che gli correva incontro. Si mosse goffamente, come se i suoi passi
fossero troppo corti e lenti, perché la distanza che lo separava da suo figlio
sembrava incolmabile e il tempo che si ostinava a separarli era eterno...e lui
doveva raggiungere quel bambino, stringerlo a sè, per avere la certezza che
fosse veramente lui, che non gli sfuggisse mai più, mai più...
- Adar ! ! -
Galien si gettò tra le braccia
del padre, che barcollò e cadde seduto, le gambe che non lo sorreggevano più
per l’enorme emozione che gli stava facendo scoppiare il cuore.
- A Elbereth Gilthoniel... ! -
Legolas era incapace di frenare le lacrime che gli scendevano
dagli occhi mentre, ancora incredulo, abbracciava suo figlio, stringendolo al
petto, e accarezzandogli i capelli.
Stava bene ? Cosa gli aveva
fatto Eredhil ? Come era riuscito a fuggire ?
Mille domande affollarono la
mente confusa dell’elfo. Ma il visetto sorridente del bambino era l’unica
risposta.
- A hên nìn...mail hên nìn... -
Tutto ciò che circondava Legolas
era scomparso. Non esistevano più morte, paura, tradimenti, nemici da
sconfiggere. Non esisteva più niente, solo suo figlio...
Padre e figlio allentarono il
loro primo abbraccio dopo così tanto tempo e si guardarono negli occhi.
- Non piangere, Padre... - disse
Galien, asciugando con una manina il viso di Legolas, bagnato di lacrime - Io
non l’ho fatto, sai ? Avevo promesso di essere coraggioso, ma è stato
tanto difficile... -
Legolas annuì. - E’ stato tanto
difficile anche per me... - disse. Poi baciò la fronte e una guancia al bambino
e lo strinse nuovamente a sé, lasciando che Galien affondasse il viso
nell’incavo del suo collo, cullandolo dolcemente.
- Io ti ho sentito, Padre... -
disse Galien - Ho sentito che mi chiamavi per nome, ho sentito i tuoi pensieri
e sono stato felice perché ho capito che eri vivo e che non mi avevi
abbandonato... -
- Non ho mai smesso di pensarti,
Galien...né di sperare, anche se tutto sembrava perduto. E averti qui, ora...mi
riempie il cuore della gioia più grande. -
Aragorn non riuscì a dire nulla
davanti a quell’immagine commovente, e non potè fare a meno di sorridere mentre
gli occhi grigi gli brillavano di gioia. Sam si soffiò rumorosamente il naso
nel suo fazzoletto rosso, ma nessuno parve sentirlo. Condividevano tutti la
gioia di Legolas, ma non ebbero il coraggio di interrompere il dialogo tra
padre e figlio, perché sapevano che quel momento era importante per entrambi, e
così avrebbero aspettato...d’altronde avrebbero avuto tempo per festeggiare
quell’evento, quel raggio di sole che era riuscito ad attraversare la fitta
coltre di nubi che si erano addensate sulla loro terra. Avrebbero aspettato
ancora un po’ a mostrare quanto fossero tutti felici...tutti tranne Rhiannon.
Fu Gimli il primo ad
accorgersene. Tirando su col naso, alzò lo sguardo verso la ragazza,
aspettandosi di vederla sorridere, e invece era seria e guardava nel vuoto
faticando a trattenere le lacrime. Era quell’immagine che le stava spezzando il
cuore ? Padre e figlio finalmente riuniti a ricordarle che avrebbe dovuto
accontentarsi di partecipare dall’esterno a quella gioia, perché non avrebbe
mai più potuto viverla di persona ?
Istintivamente, Gimli prese la
mano di Rhiannon, così piccola e delicata nella sua, larga e callosa, e la
strinse più forte che potè, senza mai smettere di guardare la ragazza negli
occhi.
Rhiannon si voltò lentamente verso
il nano, lasciando, impassibile, che una lacrima scendesse dai suoi grandi
occhi verdi, ora ancora più chiari, e le solcasse la guancia. Poi si chinò e
strinse Gimli nell’abbraccio più forte che lui avesse mai ricevuto, tornando a
volgere lo sguardo verso Legolas e Galien.
- Oh, Gimli... -
Imbarazzato, il nano la ricambiò.
Ad un tratto, entrambi gli elfi
si voltarono verso di lei. Rhiannon vide le labbra di Legolas aprirsi in un
grande sorriso mentre Galien gli sussurrava qualcosa all’orecchio. Poi, con gli
occhi colmi di gratitudine, Legolas disse qualcosa che Rhiannon non avrebbe più
dimenticato.
- Grazie... -
Fu una semplice parola, ma
pronunciata con una tale sincerità che nessuna frase ampollosa avrebbe potuto
essere più efficace.
- Ha fatto tutto da solo - disse
Rhiannon sciogliendosi dall’abbraccio di Gimli e cercando di dissimulare il suo
malinconico imbarazzo con un sorriso.
- Non ce l’avrei mai fatta senza
il tuo aiuto e quello di Potter. Sarei morto di fame, sete e freddo molto
prima ! - disse Galien stringendosi al padre.
Ora bisogna ricordare che, per
tutto quel tempo, il povero Polo era rimasto nascosto nel taschino della tunica
di Galien. Ma i continui abbracci lo stavano letteralmente stritolando e
soffocando, per cui decise finalmente di uscire allo scoperto, consapevole
della protezione che comunque Galien gli avrebbe offerto contro qualunque
malintenzionato, come quella strana ragazza dai capelli rossi.
- E questo cos’è ? ! -
esclamò Legolas, spalancando gli occhi.
- Un amico ! - rispose
Galien mentre Polo si arrampicava velocemente sulla sua spalla.
- Un topo che parla ! -
disse Aragorn, sorpreso - Che diavoleria è mai questa ? -
- E’ un topo Hobbit - disse
Rhiannon.
- Non un topo, un mago Hobbit, prego. - disse.
- Di’ che sei un topo e farai una
figura migliore, amico ! - disse Rhiannon - Questo tuo strano aspetto non
è forse frutto di un incantesimo malriuscito ? -
- Incantesimo ? - disse
all’improvviso Sam, guardando Polo con sospetto - Aspetta un momento... -
Nel sentire la voce dello Hobbit,
Polo drizzò le orecchie.
- Dimmi un po’, come ti chiami,
mago dei miei stivali ? - disse Sam acciuffando il topo un attimo prima
che si rituffasse nella solita tasca.
- Ehm...squit, squit ! !
- disse Polo, facendo spallucce (come può fare spallucce un topo).
- Che c’è, l’incantesimo che ti
ha dato la parola ora non funziona più ? - continuò Sam.
- Squit ! Squit ! -
- Non fargli del male, Sam !
- lo supplicò Galien.
- Oh, non gli farò proprio
niente...per ora ! - rispose lo Hobbit, scuotendo il topolino mentre lo
teneva per la collottola.
- Insomma, Sam, si può sapere
perché ti ostini a prendertela con questo povero animale ? - intervenne
Aragorn.
- Animale ? Questo topaccio
mi ricorda stranamente qualcuno...ma ci penserà lui a dirvi chi è ! Sai,
amico - disse poi Sam rivolgendosi a Polo - Ho visto un bel gattone selvatico
nei paraggi...non sarebbe bello se faceste amicizia ? -
- No ! Ehm...squit ! ! -
- Ah, vedo che ti è tornata la
parola... -
- Si chiama Polo ! -
intervenne Galien, temendo il peggio per il suo piccolo amico.
- Polo ? - disse Sam,
voltandosi di scatto - Polo Tronfipiede di Lungacque ? -
Galien annuì, e Polo impallidì
(come può impallidire un topo, per quanto umano).
- Ecco dov’eri finito,
disgraziato ! ! - esclamò Sam continuando a scuotere Polo avanti e
indietro - Ti ho cercato in lungo e in largo per...per non so più nemmeno
quanto tempo, e ora che ti ritrovo non posso nemmeno darti le sonore bastonate
che ti spettano ! -
- Adesso basta ! -
intervenne Gimli, strappando Polo di mano a Sam, sotto gli sguardi stupefatti
di tutta la compagnia - Vuoi spiegarci una buona volta che cosa ha combinato
questo...topo parlante ? -
- Ve lo dico subito ! -
esclamò Sam - Avete davanti a voi il peggiore imbroglione di tutta la
Contea ! -
Legolas sorrise. - Beh, direi che
ha subito una degna punizione... -
- Punizione ? Aspetta di
tornare normale, poi vedrai ! ! -
- Ehm...ascolta, Sam, vecchio
mio, parliamone...forse riusciremo ad appianare le
nostre...ehm...divergenze ! - disse Polo, sentendosi al sicuro tra le mani
di Gimli.
- Non cercare di fare il furbo
come al solito ! - disse Sam Poi si girò verso i compagni. - Questo
furfante ha fatto sparire un intero servizio da tè, un annaffiatoio, il vaso di
cristallo che avevo regalato a Rosie per il suo compleanno e i miei attrezzi da
giardino ! Che fine hanno fatto, eh ? Te li sei rivenduti come l’ombrello
che ti avevo prestato e che ho rivisto, non più di tre mesi fa, al braccio di Edelgardo
Serracinta da Pietracasa ? -
- Se tu mi lasciassi spiegare...
-
- Giusto, Sam, lascia che si
spieghi... - disse Aragorn, visibilmente divertito.
Polo sospirò. - Ti avrei
restituito tutto, giuro... -
- Certo, come no. -
- Dico davvero ! La faccenda
dell’ombrello è stato solo un...ehm...increscioso incidente ! -
- Perché, si è trasferito da solo
a casa di Edelgardo ? L’hai fatto diventare un ombrello volante con i tuoi
dannati intrugli ? -
- No...ehm...avevo un piccolo
debito da saldare con Edelgardo...solo un paio di sacchi di farina, ma GIURO
CHE TE L’AVREI RISCATTATO ! -
- Tanto sai benissimo che non
l’avresti fatto. Continua, prima che perda del tutto la pazienza. -
Polo deglutì. - Quegli oggetti mi
servivano per i miei incantesimi, appunto...sono ancora nel mio laboratorio
segreto, a Lungacque, e se avrò la fortuna di tornare a casa te li restituirò
tutti, davvero. L’avrei già fatto se nono fosse stato per...l’inconveniente. -
- Quale inconveniente ? -
Il topolino tacque per un
momento, poi sospirò e disse, con voce malinconica : - Sam, amico
mio...sai benissimo quanto desiderassi diventare un mago, un vero mago... -
- Mago ? - disse Gimli,
sorpreso - Per gli Hobbit la magia è sinonimo di disturbo...nessuno Hobbit
vorrebbe mai fare veramente il mago ! -
- Io sì ! - ribattè Polo,
stizzito - Sapessi, Sam...ogni volta che Gandalf veniva a trovare Bilbo per me
era una festa ! I suoi fuochi artificiali erano uno spettacolo
grandioso...per non parlare di tutti quegli strani giochetti che sapeva fare con
il suo bastone ! Era incredibile, in quel mantello grigio come la nebbia e
il cappello a punta...faceva paura a guardarlo, se ti imbattevi in lui in una
notte buia e non lo riconoscevi ! Avrei tanto voluto essere come
Gandalf... -
- Nientemeno. - disse Sam.
- ...fino a quando, un
disgraziato giorno, ci ho provato. -
- Come sarebbe a
dire ? ! - esclamò Sam.
- Accadde qualche tempo dopo il
vostro ritorno a Hobbiville. Frodo era malato e Gandalf venne a trovarlo. Io lo
vidi arrivare da Lungacque, e lo seguii fino a Hobbiville, nella speranza di
convincerlo ad insegnarmi qualcuna delle sue magie...ma non ne trovai il
coraggio. Però, quando vidi che aveva lasciato il bastone fuori dalla porta di
casa Baggins, non riuscii a resistere... -
- Polo - disse Aragorn - Non
avrai osato... -
- L’ho solo toccato ! Non
glie l’avrei mai rubato, lo giuro ! Ma...questo è stato il
risultato ! - disse Polo con voce piagnucolosa.
- E quel mago non ha fatto niente
per aiutarti ? - domandò Rhiannon.
- Oh, tutto ciò che disse fu che
mi ci sarei abituato in fretta, e che sarebbe stato meglio che rimanessi topo
ancora per un po’...fatto sta che, dopo essere stato scacciato da tutte le
rispettabili case di Hobbiville e, dopo una serie di traversie che non vi
racconterò, arrivai a Dol Guldur...dove, per fortuna, ho incontrato
Galien ! Temevo di crepare in quella galera ! -
- Poverino... - disse Galien,
sinceramente dispiaciuto.
- Una punizione piuttosto crudele
da parte di Gandalf ! - disse Legolas.
- Non credo proprio - disse Sam -
se provi ad immaginare cosa ti avrei fatto io se ti avessi pescato con le mani
nel sacco ! ! -
Detto questo, lo Hobbit afferrò
il topo e se lo sbattè in tasca. - Sequestro il tuo amico, Galien. - disse -
Sarà meglio che tenga d’occhio io questo furbacchione...non si sa mai cosa
potrebbe combinare di nuovo ! -
- Ma...non esiste un modo per
farlo tornare normale ? Un destino da topo è un destino terribile ! -
disse Galien.
Aragorn sorrise. - Forse ti sei
imbattuto nelle persone giuste, Polo. - disse - Per tua fortuna, gli Stregoni
come Gandalf non hanno ancora abbandonato la Terra di Mezzo, e, tra breve, ne
incontreremo uno molto, molto potente ! -
- Stregone ? Se è come
Gandalf, allora posso anche mettermi il cuore in pace...qualcuno ha un po’ di
formaggio ? Sarà bene che mi abitui a pensare davvero come un topo !
- disse Polo, sconsolato.
Tutti i membri di quella piccola
compagnia scoppiarono in una risata liberatoria ; Gimli, Rhiannon, Sam,
Aragorn...e infine Legolas, che, dopo tanto tempo, poteva finalmente tornare a
ridere insieme a suo figlio.
Radagast non pensava a frecce
spezzate né a bottiglie di pioggia mentre cavalcava instancabilmente verso sud.
Era già in viaggio da alcuni giorni e sapeva che né il vento né la neve che
aveva cominciato a cadere avrebbero potuto fermarlo.
Nella sua mente la descrizione
della terza visione era stata trasformata in una vivida immagina...l’immagine
di un luogo che conosceva bene.
Una linea spezzata su fondo bianco ; come denti di drago
luccicanti e minacciosi...e un punto nero che si allargava, mostrando una
strana figura...
Lui sapeva cosa significava.
Gli Emyn Muil, la catena montuosa
ad ovest di Rohan, l’ultimo ostacolo da superare prima di addentrarsi nelle
oscure terre di Mordor. Era quella la risposta al terzo degli enigmi dello
Specchio, Radagast ne era certo ; e quella misteriosa macchia nera doveva
certamente essere una caverna. Ma ciò che doveva trovarsi all’interno di
essa...questo lo ignorava.
Ma lo avrebbe scoperto al momento
opportuno. Ora, per prima cosa, bisognava ovviamente trovare la caverna.
Finalmente giunse ai piedi della
catena montuosa e arrestò il suo cavallo ; fece poi scorrere il suo
sguardo sulle cime innevate che si stagliavano, alte e aguzze, contro il cielo
bianco. Riflettè brevemente, quindi spronò il cavallo verso uno stretto
sentiero che saliva costeggiando il più centrale dei monti.
Lo stregone non sembrava sentire
il freddo pungente che avrebbe ghiacciato le ossa a chiunque, come lui, si
fosse avventurato in quell’aspra regione con la sola protezione di un mantello
e un largo cappello appuntito.
Quando il sentiero divenne troppo
impervio per poter proseguire a cavallo, Radagast scese di sella.
- Aspettami qui - sussurrò al suo
destriero in una lingua che solo lui conosceva - E stai attento ai lupi. -
Detto ciò si strinse nel mantello
marrone e, con l’aiuto del suo bastone, proseguì con sicurezza.
Il suo pensiero tornò a Legolas e
Gimli, che aveva lasciato all’improvviso per recarsi a cercare una conferma
alla sua ipotesi. Avevano trovato anche loro una risposta ? E,
soprattutto, avevano trovato i Silmaril...e sarebbero stati capaci di resistere
al loro potere ?
Inciampò in una radice sporgente,
ma si rialzò subito con l’aiuto del suo bastone.
Sicuramente i rimanenti membri
della Compagnia dell’Anello sarebbero stati meno sprovveduti di lui,
soprattutto ora che conoscevano i loro veri nemici. Dentro di sé, Radagast si
maledisseper la leggerezza con cui
aveva preso il suo compito di guardiano ; durante gli anni della guerra
contro Sauron non aveva fatto altro che rimanere a Rhosgobel e preoccuparsi che
la mano dell’Oscuro Signore non riuscisse a giungere nei territori che
sorvegliava, mentre Gandalf si occupava di tutto il resto. Ma ora Gandalf era
al di là del mare, nelle Terre Imperiture, e non c’era più nessun altro che
potesse prendere il suo posto. Saruman era caduto miseramente, e l’ultimo
custode della Terra di Mezzo rimaneva lui. Un grande peso per le sue vecchie
spalle, ma ormai quali nemici avrebbero potuto mettere nuovamente le terre ad
Est in pericolo ? Certo che ormai tra gli ultimi Elfi regnasse la pace a
la serenità, non aveva compreso la vera natura di Eredhil del Bosco Atro, e non
aveva sufficientemente sorvegliato i suoi movimenti...e quello era stato il
risultato.
Il Bosco Atro perduto, la corona
ferrea di Morgoth riesumata da Dol Guldur, il primo dei Sigilli infranto.
Non poteva accusare il figlio di
Thranduil di sventatezza, quando il primo ad essere sventato era stato lui.
Quando vide il sentiero dividersi
in due, Radagast si scosse dai suoi pensieri ; si guardò intorno per un
momento, poi scelse con sicurezza la strada alla sua sinistra, mentre la neve
continuava a cadere sempre più fitta spolverando di bianco il suo cappello a
punta.
Guardò più in alto e capì che il
suo percorso sarebbe stato ancora molto lungo quando vide che la parete della
montagna sembrava traforata da grotte e gallerie ; come avrebbe fatto a
trovare quella giusta ?
Sbuffando, si rimise in marcia, e
per consolarsi pensò che se Gandalf aveva guidato la Compagnia fino al passo di
Caradhras, per di più ostacolato da Saruman, lui non avrebbe potuto essere da
meno.
Avrebbe percorso l’intera
circonferenza della montagna fino alla cima e sarebbe tornato indietro, se
fosse stato necessario.
Lo stregone camminò per un giorno
e una notte senza mai fermarsi, senza lasciare che la fame e la stanchezza
annebbiassero la sua mente. La neve e il vento gli sferzavano il viso,
trasformando al sua lunga barba grigia in un bizzarro mosaico di cristalli di
ghiaccio, ma lo stregone continuava a camminare riparandosi con un braccio.
Ad un tratto le sue gambe
cedettero, e Radagast si ritrovò bocconi nella neve, ansimando, il viso e le
mani rosse ed intirizzite per il gran freddo. Lentamente, avvicinò a sé la
punta del suo bastone, e avvicinò l’altra mano alla pietra azzurra che si
trovava in cima ad esso. In un istante, la pietra cominciò ad emanare una luce
prima fioca, poi sempre più intensa e calda ; lo stregone parve trarre
conforto da quella piccola sorgente di calore, e dopo qualche minuto si rialzò.
La pietra azzurra non smise di splendere.
- Ora tocca a te. Io posso fare
ben poco, ora. - disse Radagast.
Lo stregone chiuse gli occhi e si
concentrò sulla pietra, mormorando qualche parola incomprensibile. Poi inclinò
il bastone e lo orientò in diverse direzioni. La luce emanata dalla pietra
sembrò affievolirsi, ma Radagast non la potè vedere, perso nella sua strana
litania e continuando a girare lentamente su se stesso.
Improvvisamente dalla magica
pietra esplose una luce abbagliante, e in quello stesso momento Radagast riaprì
gli occhi.
- Eccola ! - esclamò con un
grido di soddisfazione, tenendo il bastone rivolto verso una macchia scura e
irregolare, molti piedi più in alto. Ma il suo sorriso si spense quando vide
che il sentiero che stava percorrendo si interrompeva bruscamente dopo un breve
tratto ; l’unico modo per raggiungere la caverna consisteva nello scalare
la parete rocciosa, sperando di non scivolare sul sottile strato di ghiaccio che
la ricopriva...oppure...
- Mio caro Gandalf - disse lo
stregone colpendosi la fronte con una mano - Ora metterò a frutto ciò che ho
imparato dalle tue imprese... -
Detto questo, lanciò uno strano
fischio acuto e attese, scrutando il cielo, e temendo che quel rumore
improvviso potesse provocare una valanga.
Invece non accadde quanto
Radagast temeva, bensì ciò che auspicava di cuore ; in breve vide
all’orizzonte una sagoma alata farglisi incontro e diventare sempre più grande
man mano che gli si avvicinava, finchè quella sagoma assunse la forma di una
gigantesca aquila che prese a volteggiare sopra la sua testa, in cerca di uno
spazio in cui atterrare.
Radagast non perse tempo e,
spiccando un balzo, si aggrappò tenacemente agli artigli dell’aquila,
arrampicandosi poi faticosamente sul suo dorso.
- Quanto vorrei averci pensato
prima ! - esclamò con sollievo - Grazie per aver risposto al mio richiamo,
Gwaihir. Il nostro debito con te continua ad aumentare. Ed ora, da quella
parte. -
In meno di un attimo, Radagast si
ritrovò all’altezza giusta e, scivolando lentamente lungo il corpo dell’aquila,
saltò a terra proprio davanti all’ingresso della misteriosa grotta che cercava.
- Resta nei paraggi, ti chiamerò
quando sarò pronto. - disse. L’aquila si alzò nuovamente in volo e scomparve
tra le nuvole.
Poi lo stregone lasciò che la
pietra sul suo bastone si illuminasse e, guardingo, entrò nella caverna.
Dall’ingresso si dipartiva un
lungo cunicolo buio, tortuoso ed estremamente umido ; dalle pareti e dal
soffitto cadevano ritmicamente piccole gocce d’acqua che si raccoglievano
ovunque in stalattiti e stalagmiti ostacolando il cammino dello stregone.
Radagast avanzò lentamente per
lungo tempo, addentrandosi fin nelle viscere della montagna, chinandosi man
mano la galleria si faceva più bassa e stretta.
- Spero solo di non rimanere
incastrato qui dentro, altrimenti non mi troveranno mai... - disse lo stregone,
preoccupato.
Ma ecco che, dopo l’ennesima
curva, il cunicolo tornava ad allargarsi e, stranamente a, farsi più luminoso.
Alzando la testa, Radagast si ritrovò in un’ampia caverna dalle pareti assai
lisce, al centro della quale si trovavano due enormi coni di ghiaccio, uno
attaccato al soffitto, il secondo appoggiato al pavimento, perfettamente
levigati, uniti per i vertici. Su di essi si rifletteva la luce del bastone di
Radagast, illuminando la grotta con un’innaturale bagliore azzurro.
Radagast si avvicinò alla strana
costruzione senza toccarla e vide che tra i vertici dei due coni di ghiaccio si
trovava un piccolo incavo ovale non più grande di una noce.
- Molto bene ; allora non mi
sbagliavo affatto. Ecco la terza visione. - disse, sorridendo compiaciuto.
Chiudendo gli occhi, lo stregone
tese entrambe le mani verso i due coni, senza toccarli ; un turbinare di
antiche immagini fluì nella sua mente, catapultandolo nella storia di quel
luogo misterioso...
All’interno della grotta si trovavano dieci persone ; Radagast non
poteva vederle in faccia, ma sapeva bene che si trattava di coloro i quali, tra
Elfi, Uomini e Nani, erano i più esperti nel padroneggiare la magia.
Erano tutti disposti a semicerchio attorno alla costruzione di
ghiaccio, che in quel momento brillava in maniera del tutto innaturale, e uno
di loro, che Radagast non riconobbe, volgeva la schiena agli altri. Lo
sconosciuto tese le mani verso l’incavo che si trovava tra i due vertici e vi
pose qualcosa che Radagast non riuscì a vedere, ma che potè facilmente
immaginare. Lo fece lentamente, con mani tremanti, come se temesse di portare a
termine quel gesto.
Radagast si sentì inquieto ; le pareti stesse della caverna
sembravano traspirare la tensione che i presenti emanavano. I loro sguardi
erano lucidi, consapevoli di ciò che sarebbe accaduto di lì a breve, eppure sui
loro volti era dipinta la paura...ma era la paura del fallimento...o del
successo ?
Quando, infine, le mani dello sconosciuto posero la pietra all’interno
dell’incavo, una luce fortissima divampò da esso, accecando tutti i presenti.
Un urlo agghiacciante rimbombò nella grotta, e infine un turbine multicolore
venne risucchiato nell’esatto punto d’incontro dei due vertici.
- L’ultimo incantesimo - dissero più voci dal gruppo - Il terzo
Sigillo...il Male è stato imprigionato per sempre... -
Per sempre... ?
Quando il potente bagliore cessò, i presenti si lanciarono l’un l’altro
sguardi di sollievo, tutti tranne uno ; dello sconosciuto che aveva posto
la pietra nell’incavo non c’era traccia.
Radagast si incupì. - Questo non mi piace, e temo che non piacerà
nemmeno agli altri...ma, almeno, so cosa deve essere fatto... -
Radagast spalancò improvvisamente
gli occhi, interrompendo bruscamente l’incantesimo e ritornando nel suo tempo.
Si portò una mano alla tempia, cercando di capire cosa avesse scosso la sua
mente in quel modo così violento.
Diede un’ultima occhiata alla
strana costruzione, di cui aveva capito perfettamente l’utilizzo, ma i suoi
pensieri non erano rivolti ad essa.
- Cosa...ah ! ! -
Un nuovo fulmine attraversò la
sua testa, e il dolore questa volta fu insopportabile. Con una smorfia di dolore
Radagast riaprì gli occhi e guardò la punta del suo bastone.
- E’ qui...maledizione, è
qui ! ! - gridò, sgomento, notando che la pietra azzurra non brillava
più. In un istante si lanciò fuori dalla grotta e corse lungo il cunicolo buio,
incespicando sui suoi passi.
Radagast si arrestò ansimando
appena fu giunto all’aperto, e si guardò velocemente attorno mentre, nel
frattempo, imperversava una bufera di neve, e poi rimase immobile, come in
ascolto. Per un lunghissimo istante lo stregone non mosse un muscolo ; ma,
nell’esatto momento in cui tentò di fare il primo passo, una saetta grigia lo
investì, facendolo cadere a terra.
D’istinto, Radagast strinse
ancora più forte il suo bastone, e si girò su un fianco sputando la neve che
gli copriva il volto. Quando vide chi si trovava davanti a lui, gli si fermò il
cuore per un istante ; era un’alta e massiccia figura dal contorno
indistinto, grigia e luccicante come metallo brunito...
- Fermanagh, il Braccio - disse
lo stregone - Ti riconosco. Così sei stato liberato anche tu... -
Il demone non rispose.
- E so anche perché sei qui...ti
hanno ordinato di fermarmi, non è vero ? Oppure hai semplicemente sentito
la mia presenza in questo posto...in cui troverai la tua fine ? -
Radagast sorrise, mentre
Fermanagh rimaneva zitto e immobile a guardarlo con occhi invisibili.
- No... - disse - Tu non sei qui
per me...è stato solo un caso che tu sia finito sulla mia strada... -
Improvvisamente, dal corpo grigio
di Fermanagh uscì una lunga propaggine, come una sorta di tentacolo che puntò
dritto su Radagast. Lo stregone rotolò nella neve e, per un soffio, riuscì ad
evitare che il tentacolo si abbattesse su di lui come un colpo di frusta. Poi
si alzò di scatto, brandendo il suo bastone.
- ...ma non ti libererai di me
così facilmente ! - gridò, mentre una nuova propaggine usciva dal corpo
del demone e cercava nuovamente di colpirlo. Radagast tese il suo bastone verso
di esso e dalla pietra uscì un lampo azzurro che si scontrò con il tentacolo di
Fermanagh. Dall’impatto scaturì una violenta fiammata grigio-azzurra che
immediatamente divenne ghiaccio e spinse lo stregone all’indietro. Puntando
fermamente i piedi, Radagast riuscì a non cadere, ma da Fermanagh uscì un nuovo
tentacolo che si attorcigliò attorno alla caviglia dello stregone,
trascinandolo nella neve : Radagast, però fu abbastanza rapido da colpirlo
con la sua fiamma ghiacciata, inducendolo a lasciare la presa. Una volta
libero, lo stregone si rialzò, giusto in tempo per colpire il demone prima che
un quarto tentacolo gli si avvinghiasse intorno al collo.
Questa volta fu Fermanagh a
barcollare, mentre il ghiaccio che usciva dal bastone di Radagast lo avvolgeva
completamente. Lo stregone si concesse un sorriso.
- Sei debole, Fermanagh - disse -
Non sarai di grande utilità a chi ti ha convocato, se non recupererai le tue
forze...e come pensi di fare, se sarai costretto a rimanere qui, intrappolato
sotto questa montagna di ghiaccio ? -
- Io...non sono...debole... -
Le parole di Fermanagh,
pronunciate con una voce così cupa e profonda che fece tremare la montagna,
colsero Radagast di sorpresa.
- ...e
tu...sei...MORTO ! ! -
Fermanagh sembrò esplodere in una
pioggia di ghiaccio che investirono in pieno lo stregone, il quale si
riparò creando, con la mano, una sorta di scudo luminoso che lo protesse.
- Torna dal tuo padrone ! -
gridò, dirigendo un nuovo lampo di ghiaccio verso il demone. Ma questo, con uno
scatto fulmineo, si levò in aria, sopra Radagast, assumendo la forma di una
spirale grigia. Lo stregone rimase ad osservarlo, sconcertato, temendo il
peggio ; ma il demone, anziché tornare a combattere, si srotolò come un
serpente e si diresse verso sud, scomparendo rapidamente alla vista.
- No... - disse Radagast,
asciugandosi il volto dalla neve - Tu non sei venuto per me... -
Lanciò un fischio acuto, e dopo
pochi istanti riapparve Gwaihir, che lo riportò velocemente ai piedi del monte,
dove il suo cavallo lo attendeva.
- Vai, Signore del Vento, e sta’
in guardia. - disse Radagast all’aquila - Di’ ai tuoi compagni di prepararsi ;
ciò che temevo si è verificato, e ora non abbiamo più tempo da perdere. -
Quindi attese che Gwaihir
scomparisse nuovamente oltre le nubi, poi balzò in sella, ma prima di spronare
il suo destriero lanciò un nuovo sguardo preoccupato oltre gli Emyn Muil, verso
il punto in cui Fermanagh era scomparso ; sapeva al di là di quella cima
innevata correva il fiume Anduin, e, oltre l’Anduin, c’era Gondor...
Arrivò la notte, e Legolas e
Galien non avevano ancora terminato di dirsi tutto ciò che dovevano. Alla fine
il bambino si addormentò, esausto e felice, tra le braccia del padre,
finalmente al sicuro, mentre i rimanenti membri della compagnia, inclusa
Rhiannon, che per tutto quel tempo era rimasta in disparte, si prepararono per
dormire.
Gimli avrebbe preferito tornare
subito all’accampamento, ma Aragorn non era della stessa opinione.
- Con il buio rischieremmo di
farci sorprendere sul nostro cammino - disse - I soldati di Eredhil conoscono
sicuramente meglio di noi questo posto ; in fin dei conti, è anche il loro
territorio. Accampandoci qui, almeno avremo la possibilità di riposare, e ne
abbiamo veramente bisogno tutti quanti. Stabiliremo dei turni di guardia ;
farò io il primo, se nessuno preferisce altrimenti. -
I compagni non ebbero nulla da
obiettare e andarono a coricarsi, mentre Aragorn si sedette accanto al tronco
di un albero, si avvolse nel suo mantello scuro e accese una lunga pipa.
Ben presto Gimli iniziò a russare
sonoramente, disturbando Sam che, seccato, si girò bruscamente su un fianco,
voltandogli le spalle e schiacciando il povero Polo, che si era addormentato
nella tasca della sua giubba. Con un gemito, il topolino si trascinò fuori e si
guardò intorno, cercando un posto più confortevole in cui dormire. Quindi
sgattaiolòverso un ciuffetto d’erba
poco lontano, un giaciglio morbido e comodo, ma non appena vi si fu accoccolato
sopra si accorse che lo sguardo arcigno di Rhiannon lo sovrastava.
- Non pensarci nemmeno ! -
disse la ragazza fulminandolo con gli occhi.
- ...prego ? -
- L’ultima cosa di cui ho bisogno
è svegliarmi con un topaccio schifoso davanti al naso, quindi, eroe o non eroe,
vattene a dormire da qualche altra parte ! -
Polo sbuffò. - Parli così solo
perché sono più piccolo di te... - disse, tornando da dov’era venuto -
D’accordo, tornerò a farmi spiaccicare dal pancione del mio caro, vecchio amico
Samvise, così Sua Signoria non dovrà affrontare spaventosi incubi su enormi e
ferocissimi ratti ! -
- Ci mancherebbe altro ! -
esclamò Rhiannon.
La ragazza non perse d’occhio
Polo fino a quando non lo vide acciambellarsi in mezzo alla folta barba di
Gimli, che dormiva a pancia in su con le mani incrociate sul ventre. Poi alzò
lo sguardo e i suoi occhi incontrarono quelli di Legolas, seduto poco lontano.
Rhiannon arrossì. - Non posso
farci niente se detesto i topi ! - disse, facendo spallucce.
Con grande sorpresa per la
ragazza, Legolas sorrise, divertito. Era la prima volta che Rhiannon vedeva il
Re del Bosco Atro concedersi un vero sorriso ; il suo viso era ancora
stanco, ma non più teso e preoccupato com’era da quando si erano incontrati, e
i suoi chiarissimi occhi parevano aver ritrovato la serenità.
Con un cenno della mano, invitò
Rhiannon ad avvicinarsi a lui. La ragazza accolse l’invito, pur con un certo
imbarazzo ; senza sapere cosa dire, guardò il piccolo Galien, rannicchiato
contro il petto del padre.
- Dorme bene, vedo... - sussurrò.
- Era distrutto - rispose
Legolas, accarezzando dolcemente i capelli del bambino - E lo sono anch’io...lo
siamo tutti, credo. -
- E’ stata una giornata troppo
ricca di emozioni. -
- Sì. -
Entrambi tacquero ; mentre
Legolas guardava le stelle, che si riflettevano nei suoi occhi, Rhiannon,
sempre più imbarazzata, pensava ad una frase adatta alla circostanza, senza
riuscire a trovare le parole.
Maledizione, se Potter fosse qui...si disse. Lui riusciva sempre a dire la cosa giusta al momento giusto...
Dopo aver pensato e ripensato per
qualche istante, Rhiannon si voltò verso Legolas, ma, nello stesso momento in
cui stava per aprire la bocca, l’elfo le disse :
- E adesso, cosa farai ? -
La fanciulla restò così, a bocca
aperta, momentaneamente incapace di rispondere a quella domanda. Perché, se
pronunciata in un altro modo, quella frase avrebbe potuto significare “Bene, le
nostre strade si dividono qui”, Rhiannon capì che ciò che Legolas aveva omesso
di dire era “Perché io, io non so ancora cosa fare...”
Rhiannon si prese le ginocchia
tra le braccia, guardando nel vuoto. - Credo...sì, credo che tornerò ad
Aldorath. D’altronde, che altro potrei fare ? Ho ancora qualche amico,
laggiù. Forse mi aiuterà a ricominciare da capo, anche se non so come... -
- Quello è l’unico modo,
Rhiannon. - disse Legolas, voltandosi a guardare la ragazza - Torna ad
Aldorath, torna a casa, tu che puoi, mettiti al sicuro...resta fuori da tutta
questa pazzia, lo dico per te. Salvati almeno tu. -
- Non mi resta molto da salvare,
ormai. - sospirò Rhiannon.
- Non è vero. - ribattè Legolas -
Ci sei tu, e sei preziosa quanto basta. Tu e la tua storia, la nostra
incredibile storia. Risparmiala per i tuoi bambini. -
La ragazza sorrise. -
Bambini ? Non so se avrò ancora questa benedizione... -
- E perché mai ? Sei ancora
giovane e forte, Rhiannon. E sei molto bella. Sono certo che non faticherai a
trovare qualcuno che si innamori di te ! -
- Parli come se tu fossi così
vecchio... - disse Rhiannon, pensando, poi, che, in effetti, Legolas doveva
essere decisamente più vecchio di lei, forse di qualche migliaio d’anni, anche
se non lo dimostrava affatto...
- Forse lo sono - rispose l’elfo,
guardando nel vuoto - per questo posto...per questa terra...il nostro mondo sta
cambiando, Rhiannon, e io non posso impedirlo. Resterò apparentemente giovane
per l’eternità, a guardare la mia terra morire e rinascere e morire di
nuovo...e io sono stanco. Sono davvero troppo stanco per questo. Ho bisogno di
andare. -
- Così seguirai la tua
gente ? -
- Credo che lo farò, se e quando
sarà possibile. E’ da molto tempo che ci penso. Non c’è più posto per gli Elfi,
nella Terra di Mezzo ; il nostro compito di guardiani si è esaurito con la
distruzione dell’Unico Anello. Per una vita come la nostra, non ha più senso
rimanere qui. -
Rhiannon scosse la testa. -
Possibile che non ci sia un’alternativa... ? -
- L’alternativa - rispose
amaramente Legolas - Sono le Aule dell’Attesa...dove potei riunirmi con la mia
Anìrwen. E ti assicuro che terrei vivamente in considerazione
quest’opportunità...se non fosse per Galien. E, una volta che saremo nelle
Terre Imperiture, sarà impossibile tornare indietro...ma, prima di partire, ho
ancora molte cose da portare a termine. -
- Capisco. - disse Rhiannon -
Vorrei...vorrei tanto poter fuggire anch’io da tutto questo... -
- Noi non stiamo fuggendo,
Rhiannon ; vi stiamo lasciando un’eredità piuttosto pesante e difficile da
mantenere. Vi lasciamo il vostro futuro da proteggere... -
- A noi ? - sbottò Rhiannon
- A me ? Una stupida sguattera che non ha...nemmeno gli occhi per
piangere ? Io non ho più niente, Legolas...sono inutile per tutti,
compresa me stessa...e non sono
coraggiosa, se è questo che vuoi dire. Non potrò mai farcela da sola. -
- Ce la farai, invece. - disse
Legolas sorridendo - Perché sei molto più coraggiosa di quanto tu non creda.
Hai preso di petto la vita allevando tua figlia da sola, dandole tutto il tuo
amore, e hai impedito che un bambino morisse, cercando di proteggerlo fino
all’ultimo. Se questo non è coraggio... Hai così tanto da dare, Rhiannon ;
non gettarti via in questo modo. -
Rhiannon sospirò. - Mi piacerebbe
tenere queste parole per quando ne avrò ancora più bisogno...ma allora tu non
ci sarai... -
- Può darsi. - disse Legolas - Ma
sappi che non dimentico mai uno sguardo sincero. -
La ragazza capì e sorrise
tristemente.
Entrambi tacquero per un momento.
- Sai una cosa ? - disse
Rhiannon.
- No. - rispose Legolas.
La ragazza sorrise. - Ci siamo
incontrati pochissimo tempo fa, non abbiamo fatto altro che scontrarci e credo
anche di averti odiato...eppure mi sembra di conoscerti da sempre... -
Legolas le mise un braccio
attorno alla vita e la attirò a sé, lasciando che appoggiasse la testa contro
la sua spalla.
- Pensa a noi, quando sarai ad
Aldorath. - le disse.
Rhiannon sorrise e chiuse gli
occhi, abbandonandosi al sonno.
- Rhiannon, svegliati ! -
La ragazza aprì lentamente gli
occhi e vide, sopra di lei, il volto teso di Sam, che la stava scuotendo per un
braccio. Legolas non le stava più accanto, ma stava preparando i cavalli,
mentre Aragorn parlava con Gimli. Sembravano tutti molto preoccupati.
- Che c’è, Sam ? - domandò,
sbadigliando - E’ ancora buio... -
- Dobbiamo andarcene subito. -
rispose lo Hobbit.
Rhiannon si alzò e si guardò in
giro, cercando Galien. Lo vide accanto ad un cespuglio, con Polo su una spalla,
gli occhi fissi e spaventati verso il padre. In un attimo, la ragazza gli fu
accanto.
- Cos’è successo ? -
domandò.
Galien scosse la testa. - Non lo
so. Ci sono degli strani rumori, nella foresta... -
Prima che il bambino potesse
aggiungere una parola, Aragorn e Legolas si avvicinarono ai due. L’elfo lanciò
uno sguardo inquieto alla ragazza, poi prese in braccio suo figlio e lo issò su
Arod.
- E’ ora di partire - disse
Aragorn a Rhiannon - Il tuo cavallo è già pronto. -
Rhiannon si guardò intorno per
accertarsi che Galien fosse abbastanza lontano da non sentirla.
- Perché tutta questa
fretta ? - sussurrò - Hai detto tu stesso che non era sicuro viaggiare con
il buio. Cosa ti ha fatto cambiare idea ? E’ successo qualcosa ? -
Aragorn non rispose e porse alla
ragazza un piccolo fagotto insanguinato. Rhiannon lo fece cadere a terra non
appena lo ebbe aperto, lanciando un’esclamazione d’orrore.
- Per il cielo ! Sembra... -
- Non sembra, Rhiannon.E’. - disse Aragorn raccogliendo in
fretta il fagotto e nascondendolo tra le pieghe del suo mantello - Un orecchio
d’elfo. Un elfo morto. E questa -
disse, mostrando a Rhiannon una piccola spilla d’argento - viene dalle uniformi
dei soldati del Bosco Atro. -
- Dove...dove li avete
trovati ? -
- Strani rumori, nella notte. -
sussurrò Aragorn - Forse passi, forse altro... Li ha sentiti Gimli durante il
suo turno. Mi ha svegliato e abbiamo fatto un piccolo giro di ricognizione qui
attorno, e, poco lontano, ho trovato questo. - Soppesò di nuovo il fagotto
nella sua mano, sotto il mantello. - Legolas ha subito riconosciuto la spilla.
Devono averli lasciati come avvertimento ; ma chi li abbia lasciati, non
lo so. -
Rhiannon tremò. -
Eredhil... ? -
Aragorn scosse la testa. - Così
stupido da uccidere i suoi stessi soldati ? No...gli servono tutti vivi,
dal primo all’ultimo. -
Rhiannon pensò che quell’orecchio
avrebbe potuto appartenere a uno degli elfi che aveva ucciso lei stessa, con
l’aiuto di Polo...ma restava comunque il dubbio : che senso aveva quella
messinscena ? Ci pensò Aragorn a rispondere alla sua domanda.
- Qualcuno sta dando la caccia
agli elfi del Bosco Atro, Rhiannon, e vuole dimostrarcelo. Chiunque sia, è qui
intorno e non possiamo vederlo, né conosciamo le sue vere intenzioni. -
- Galien lo sa ? -
- No. Questo è un altro motivo
per cui ce ne andiamo. E’ quasi giorno, ormai ; sia che ci muoviamo, sia
che restiamo, non conosciamo comunque il pericolo che ci attende. Se ci fossimo
trovati di fronte i soldati di Eredhil, almeno avremmo saputo come affrontarli.
-
- Capisco... - disse Rhiannon.
La ragazza si strinse nelle
spalle, spaventata, e d’istinto guardò Legolas, che era già in sella assieme a
Galien. Quasi le avesse letto nel pensiero, l’elfo disse :
- Non aver paura, Rhiannon. Ti
accompagneremo noi fino ad Aldorath. -
Galien si voltò di scatto verso di
lei, spalancando gli occhi. - Aldorath ? ! - esclamò - Te ne
vai... ? -
La fanciulla annuì, con un triste
sorriso sulle labbra. - Temo di sì, Galien. -
- Io...credevo che venissi con
noi... -
- Sarebbe troppo rischioso per
lei rimanere, piccolo. - intervenne Legolas.
- Ma... -
- Galien - Rhiannon si avvicinò
ad Arod e tese le mani prendendo quelle del bambino tra le sue. - Fin dal
giorno in cui ti ho trovato, nel bosco, sapevo che prima o poi avrei dovuto
separarmi da te. E ora quel momento è giunto. Hai trovato tuo padre, e io non
posso più rimanere. Devo tornare a casa, Galien, e devi farlo anche tu. -
- No ! - strillò il bambino
- Voglio che resti...Padre, ti prego...non farla andare via... -
- Fino ad Aldorath, Galien. -
disse Legolas, con voce ferma - Fino a quando saremo arrivati là, non la
lasceremo. Ma poi dovremo seguire le nostre strade, e potrebbero essere strade
pericolose. Lei non potrà venire dove andremo noi, questo lo sai... -
Galien annuì, con gli occhi più
tristi che mai.
- ...ma il suo ricordo non
lascerà mai il tuo cuore. -
- Né il tuo lascerà il mio. -
disse Rhiannon stringendo forte le manine del piccolo elfo - Te lo prometto. -
Galien sottrasse le sue mani alla
stretta di Rhiannon ; quindi restò un momento a guardarla e infine si
sporse verso di lei per stringerla in un caldo abbraccio.
- Non è ancora il momento dei
saluti. - disse la ragazza.
- Mi porto avanti - ribattè
Galien, raddrizzandosi - Così dopo non sarà troppo triste. -
Legolas guardò suo figlio e
sorrise dolcemente. Ma uno strano suono gli fece alzare la testa di scatto.
- Che c’è ? - disse Gimli,
allarmato.
Il rumore sembrò avvicinarsi
sempre di più, fino a quando tutti poterono udire il suono distinto di zoccoli
sul terreno.
Aragorn estrasse fulmineamente la
spada, avvicinandosi a Rhiannon. Gimli, Sam e Legolas fecero lo stesso.
- Tieni giù la testa. - disse
Legolas a Galien. Spaventato, il bambino obbedì e si accucciò contro il collo
di Arod.
I cinque erano pronti a
difendersi da un eventuale attacco, quando, all’improvviso, quattro cavalieri
si fecero largo tra gli alberi e girarono in cerchio attorno alla compagnia,
guidati da un uomo dal viso famigliare.
- Faramir ! - esclamò
Aragorn, abbassando la spada - Perché hai lasciato l’accampamento ? Non
erano questi i miei ordini ! -
Il Sovrintendente di Gondor scese
da cavallo e si inchinò al cospetto del suo Re.
- Perdonami, mio Signore. - disse
- Ma proprio questa notte ci hanno raggiunto questi messaggeri da Rohan. -
Indicò i tre cavalieri alle sue spalle. - Hanno urgente bisogno di parlare con
te...e con Legolas. -
Uno dei tre cavalieri scese da
cavallo. - Portiamo notizie dall’Assemblea delle Nazioni, Sire. - disse.
Legolas si incupì.
L’Assemblea.
Imrahil.
Sapeva cosa significava.
- Il Re di Dol Amroth, insieme a
molti altri Rappresentanti, ha deciso di convocare una nuova Assemblea in
territorio neutrale, per deliberare sulla situazione contingente, oltre che sui
provvedimenti da prendere contro Esgaroth, il Bosco Atro...e il suo Re. -
- Non mi pare proprio il momento
migliore ! - esclamò Aragorn.
- Potrebbe esserlo, invece.
All’orizzonte si profila una nuova guerra, e dobbiamo essere preparati. Perciò
vi preghiamo di seguirci ad Edoras. L’Assemblea ha bisogno del suo Moderatore.
-
E del capro espiatorio, si disse Legolas.
Aragorn si voltò verso i
compagni, colti alla sprovvista da quella notizia. Anche Rhiannon appariva
stranamente nervosa.
Edoras, si disse, ma guarda
dove mi porta il destino...
Il cavaliere che aveva parlato si
rivolse poi a Sam. - Tu devi essere Samvise Gamgee, il sindaco di Hobbiville. -
Sam annuì.
- Il tuo voto varrà per tre.
Peregrino Tuc e Meriadoc Brandibuck ti hanno nuovamente delegato come unico
rappresentante della Contea. -
- Almeno questa è una buona
notizia ! - disse.
- Beh - disse Gimli, sbuffando -
se proprio dobbiamo andare, andiamo. Mostrateci la strada. -
Aragorn guardò Legolas.
- Andiamo. - disse l’elfo - Non
mi tiro indietro di fronte alle mie responsabilità. -
Galien osservò il viso
preoccupato del padre. - Dove dobbiamo andare, Adar ? - disse.
Legolas sorrise, sforzandosi di
non mostrare il suo timore. - A Rohan. - rispose - Vedrai dei cavalli
meravigliosi, Galien. -
- Ma... e Rhiannon ? -
I compagni si voltarono a
guardare la ragazza. Non ci avevano proprio pensato...non potevano lasciarla
tornare ad Aldorath da sola, con quell’oscura minaccia che vagava per Lorien...
La ragazza sorrise, mentre i suoi
occhi verdi brillavano come il ghiaccio.
- Non vi preoccupate - disse -
Penso proprio che verrò ad Edoras con voi. Ho qualcosa da sistemare, là. -
Il primo giorno di viaggio
Rhiannon non aprì bocca se non per mangiare. Seguiva i cavalieri di Rohan, che
avrebbero scortato la piccola compagnia a Edoras, con la mente occupata da
mille pensieri, quasi senza accorgersi che Legolas, che cavalcava al suo
fianco, la osservava con sguardo interrogativo, ma senza chiederle nulla. Anche
lui era parecchio preoccupato per ciò che lo attendeva, sebbene cercasse di non
darlo a vedere. Ma, come Aragorn e gli altri, non temeva solo le deliberazioni
dell’Assemblea, ma un pericolo invisibile e ignoto ; poco prima di uscire
dai confini del Bosco d’Oro, infatti, il cavaliere che viaggiava in testa al
piccolo gruppo scorse qualcosa di strano in mezzo alla boscaglia ; e la qual
cosa si rivelò essere il cadavere di un soldato elfo del Bosco Atro, mutilato
di un orecchio. La compagnia ripartì in fretta, ma ben presto si imbatté in un
altro elfo, sgozzato e appeso per i piedi ad un ramo d’albero.
- La scorta di Eredhil - disse piano
Aragorn, guardando Legolas per ottenere conferma alle sue parole - Quello che
ne era rimasto, per lo meno... -
- Evidentemente sì - rispose
l’elfo, stringendo a sé suo figlio per evitare che vedesse quell’orribile
spettacolo.
Mentre i cavalieri si lasciavano
alle spalle la foresta di Lorien, si chiesero, rabbrividendo, chi mai avesse
potuto commettere un gesto del genere, e, soprattutto, perché ; ma queste
domande erano destinate a rimanere senza risposta per qualche tempo ancora...
Il gruppo fece la prima sosta
quando ormai il sole era già sceso da alcune ore ; i Rohirrim accesero il
fuoco e si prepararono per i turni di guardia.
Mentre Aragorn raccontava a
Faramir ciò che era accaduto, e viceversa il Sovrintendente informò il suo Re
circa l’organizzazione dell’esercito che aveva lasciato al confine con il Bosco
Atro, gli altri membri della compagnia si concessero un po’ di riposo.
Sam si sedette accanto al fuoco,
prese dalla sua borsa una manciata d’erba-pipa e iniziò a fumare, sospirando di
tanto in tanto e sbuffando fumo dalle narici mentre pensava con nostalgia a
casa Baggins e alle adorate persone che lo stavano aspettando laggiù, nella
Contea. Ma i suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da uno strano
movimento che proveniva dalla sua tasca ; vi guardò dentro e vide Polo
grattarsi furiosamente il collo con una zampa.
- Senti un po’,
topaccio ! - esclamò, seccato - Cerca di tenere per te le tue
maledette pulci, chiaro ? -
- Non è colpa mia se ho buon
sangue e cattivo pelo ! - ribattè Polo, senza smettere di grattarsi -
Vorrei proprio vederti al mio posto ! Se fossi ancora uno Hobbit ben
lavato, rassettato...e pasciuto come te, forse non avrei questo problema !
-
- Tu sei sempre
stato pulcioso, anche da Hobbit... -
- Beh, non mi sembrava che Rosie
fosse di questa opinione... -
Sam diventò paonazzo. -
Rosie ? ! ? - tuonò - Cosa c’entra mia
moglie ? ! ? -
- Oh, nulla... - rispose Polo con
un sorrisetto malizioso.
Senza pensarci due volte, Sam
afferrò il topo per la collottola e se lo tenne dritto davanti agli occhi.
- Non provare a fare il furbo con
me - disse - E ricordati bene delle tue dimensioni. Se l’idea non mi
disgustasse, potrei anche mangiarti in un sol boccone. -
Polo incrociò le zampette e
guardò lo Hobbit dritto negli occhi. - Insomma, credi di essere stato sempre tu
l’unico amore di Rosie ? Ma se non sapeva nemmeno chi fossi fino al giorno
della festa di Bilbo ! Non avrei mai dovuto permetterti di ballare con
lei, quella sera...”Sam qua, Sam là”...mi hai fatto fare la fine del povero
ebete, scaricato come un barile di birra vuoto in una legnaia ! Ma
prima che la signorina Cotton si invaghisse di te, il suo cuoricino batteva per
qualcun altro ! -
Sam lo guardò torvo. - Per te,
suppongo - disse - E suppongo anche per Fastolfo Soffiatromba, Cornelio Paffuti
e per il nipote di Will Piedebianco...come si chiamava ? -
- Odo - rispose Polo, scornato.
- Esatto ! Credi che Rosie
non mi abbia mai parlato di tutti i suoi pretendenti ? Ma se me lo
rinfaccia ogni volta che bisticciamo ! E poi sapevo anche di te, bestia
che non sei altro...solo temevo che, con i tuoi stupidi filtri d’amore, avessi
provocato un...ritorno di fiamma senza che io me ne fossi accorto ! Ma ora
posso stare tranquillo. Sai, purtroppo sono stato piuttosto impegnato, ultimamente.
-
- Non abbastanza. - mugugnò Polo
prima che Sam lo sbattesse di nuovo nel suo taschino. Per vendetta riprese a
grattarsi più forte di prima.
Seduto poco lontano dal falò,
Legolas osservò divertito quella scena. Poi trasse un profondo sospiro e guardò
Galien, seduto sulle ginocchia di Gimli, intento ad ascoltare per l’ennesima
volta le avventure del nano e di suo padre durante la Guerra dell’Anello.
- ...e poi Gandalf, dopo aver
gridato “Fuggite, sciocchi !” precipitò nell’ombra assieme al Balrog... -
- Ma poi Gandalf tornò,
vero ? - disse Galien, tirando piano la barba di Gimli.
- Certo ! - rispose il nano
- Più potente che mai ! Lo riconoscemmo a stento... -
Legolas sorrise. Gimli voleva
molto bene a Galien, e anche il bambino adorava la compagnia del nano, il
quale, per quella sera, si era offerto di badargli per permettere a suo padre
di riposare un po’...pur sapendo che, a causa delle sue preoccupazioni, non
l’avrebbe fatto.
L’elfo si voltò verso
Rhiannon ; la guardò mentre mangiava in silenzio un frutto che le era
stato offerto da uno dei Rohirrim e poi le si avvicinò, pensando che un po’ di
compagniaavrebbe certamente giovato ad
entrambi.
- A cosa stai pensando ? -
le domandò, sedendosi accanto a lei.
Rhiannon continuò a masticare il
frutto, senza nemmeno guardare l’elfo in faccia.
- A Potter. Gli ho pensato molto,
in questi giorni. Mi manca, sai. Ma forse sta bene dove sta, visto che non deve
più preoccuparsi per me. -
- Gli volevi molto bene ? -
- Era il padre che non ho mai
avuto. -
Legolas tacque dispiaciuto per
aver scavato di nuovo nel dolore della ragazza.
- Cosa devi fare a Edoras ?
- chiese poi, cercando di cambiare discorso.
- Incontrare una
persona...ammesso che voglia ricevermi. E tu ? -
- Oh, solo farmi accusare di
tradimento, inettitudine al comando e qualsiasi altra cosa passi per al testa
del Re di Dol Amroth... -
Rhiannon si voltò e guardò
Legolas negli occhi. - Non credo di capire. - disse.
L’elfo le spiegò brevemente tutto
ciò che era accaduto prima del loro incontro ; l’Assemblea, il tradimento
di Eredhil, culminato con l’assassinio di Anìrwen e del figlio che portava in
grembo, la corruzione di Esgaroth e l’accanimento di Imrahil nei suoi
confronti.
- Quell’uomo non ha pietà... -
disse Rhiannon.
- Purtroppo non esiste pietà
quando si tratta di potere...e di guerra. - disse amaramente Legolas.
- Ma tu ne hai avuta per Eredhil.
Gimli me l’ha raccontato. Mi domando perchè tu abbia lasciato andare quel
miserabile... -
- Perché quel miserabile,
nonostante tutto, è mio fratello. -
Legolas prese un ramoscello secco
e lo gettò nel fuoco, che lo bruciò in un istante.
- No, non so perché l’ho lasciato
andare. Lo odiavo con tutto il cuore e lo odio tuttora...eppure sento che
Eredhil non è sempre stato così...qualcosa deve aver corrotto la sua mente... -
- Parli dei Silmaril ? -
- Può darsi. Ma ciò che Eredhil
cova dentro di sé ha radici molto più profonde. Non ha fatto altro che
rinfacciarmi l’invidia che provava nei miei confronti, per l’affetto che,
secondo lui, ho rubato ai nostri genitori, che l’hanno sempre tenuto in secondo
piano. E, a volte, mi domando se non abbia ragione...se non siamo stati noi,
con il nostro comportamento, e farlo diventare quello che è...i Silmaril,
forse, non hanno fatto altro che rinforzare l’odio che già provava verso di
me... -
Rhiannon tacque e fissò il fuoco.
- Sai una cosa ? - disse
Legolas - Avrei tanto voluto che il mio secondo figlio fosse un maschio...per
non ripetere con lui gli stessi errori che io e i miei genitori abbiamo
commesso con Eredhil. -
Rhiannon sorrise.
- Magnifico. - disse con sarcasmo
- Davvero magnifico. In questo modo tuo fratello ha ottenuto esattamente quello
che voleva. Ti ha portato via tua moglie, tuo figlio, il tuo regno e ha anche
cercato di ucciderti, e nonostante questo ti stai convincendo che la vittima è
lui. Complimenti, davvero. -
Legolas la guardò, incredulo. -
Rhiannon, non puoi capire che... -
- No, ho capito benissimo,
Legolas. - lo interruppe la ragazza - Sei così stupido e ingenuo da cercare una
giustificazione per il suo comportamento, ma non riuscirai mai a trovarla
perché non ci sono giustificazioni. Eredhil è marcio, marcio dentro ; e
non lo è diventato, lo è sempre stato. Un’anima nera è e resta un’anima nera,
ricordatelo. -
- Come puoi parlare in questo
modo ? - sbottò Legolas - Tu non conoscevi Eredhil come lo conoscevo
io ! -
- Infatti - disse Rhiannon -
Guarda a cosa ti ha portato il fratello che conosci tanto bene. -
Legolas tacque per un istante,
gli occhi luccicanti di rabbia.
- Non hai nient’altro da
dire ? -
- Sì. - continuò Rhiannon - Tutti
noi commettiamo degli errori, ma è solo perché siamo noi stessi a scegliere di
commetterli. Nessuno ci spinge a farlo. Eredhil aveva molte strade da seguire,
ma ha scelto quella sbagliata. E l’ha scelta lui. Credimi, ha avuto la possibilità di tornare indietro prima che
fosse tardi, ma non l’ha fatto. Non ti chiedi perché ? Io lo so, perché. E
lo sai anche tu, Legolas ; deciditi ad ammetterlo, una buona volta. -
Detto questo, la ragazza gettò
nel fuoco i resti del frutto ; quindi si alzò e andò a coricarsi poco più
in là, accanto ad un cespuglio.
Legolas restò a guardarla senza
dire nulla, profondamente ferito dalle sue parole. Eppure sentiva che, in
fondo, Rhiannon non aveva affatto torto. Ma le cose non erano molto semplici
per lui ; pur sapendo che presto o tardi sarebbe successo, continuava a
temere ciò che sarebbe accaduto quando lui e Eredhil si sarebbero di nuovo
scontrati. Perché non sapeva, né riusciva ad immaginarsi, quello che avrebbe
potuto accadere.
- Rimarrà uno solo di noi due. -
si disse - Ma chi ? -
Il viaggio verso Edoras durò
altri tre giorni, durante i quali Rhiannon e Legolas si parlarono molto poco.
Infine, il gruppo raggiunse la
capitale di Rohan ; mentre i compagni attraversavano le mura della città
con la massima disinvoltura, come se conoscessero perfettamente quel posto,
Rhiannon rimase a bocca spalancata nel vedere risplendere alla luce del sole i
tetti d’oro di Meduseld, la dimora dei Re del Mark.
Ma non erano d’oro i capelli della
donna che li accolse nel palazzo, avvolta da un abito scarlatto ; erano
neri come la notte, e neri erano anche i suoi occhi, così profondi che la
ragazza, guardando in essi, temette di sprofondarvi dentro.
- Strane figure stanno varcando
quest’oggi la soglia di Meduseld. - disse - Un Re degli Uomini che non avrebbe
voluto divenire tale e il suo fidato Sovrintendente, un Re degli Elfi che non
lo è più, un Signore dei Nani che ama gli Elfi. E un piccolo Hobbit che non è
Re di nient’altro che della sua casa...ma che, forse, di tutti è il più felice.
Non è forse così, amici miei ? Perché, anche se oggi il sole splende alto,
vedo ombre minacciose oscurare i vostri volti...alcuni dei quali credo di non
conoscere. -
Rhiannon chinò la testa, incapace
di reggere lo sguardo gelido e penetrante della dama. Per un istante la folle
paura e l’immensa rabbia che provava, confuse dal terribile desiderio di
incontrare la persona per cui era giunta fin là, le fecero credere che la
donna, in qualche modo, sapesse.
Poi, quando Rhiannon fu quasi sul
punto di balbettare il suo nome, la dama spostò all’improvviso lo sguardo su
Galien, e i suoi occhi parvero addolcirsi.
- E tu, meraviglioso cucciolo dai
capelli di miele, sembri il più stanco e addolorato di tutti... - disse in tono
mellifluo ma sincero, chinandosi verso il bambino e tendendogli una mano.
Istintivamente, Galien si strinse alle gambe di Legolas, turbato da un lampo
che aveva colto nello sguardo della donna. Anche lui, come Rhiannon, ebbe paura
della strana maschera imperturbabile adagiata sul suo viso.
- Ithildis... - disse
all’improvviso una voce. La dama retrasse la mano e si raddrizzò, e il sorriso
scomparve dalle sue labbra pallide e sottili.
Eomer, figlio di Eomund, Re del
Mark, apparve sulla soglia di Meduseld, accompagnato da due soldati in alta
uniforme. Ithildis chinò la testa e si fece da parte, mentre Eomer, lo sguardo
stranamente inquieto, accoglieva il piccolo gruppo.
- L’erede della Casa di Eorl da’
il benvenuto al Signore di Gondor - disse ad Aragorn, il quale aveva fatto un
passo avanti e gli aveva rivolto un profondo inchino - E anche a voi, Gimli,
figlio di Gloin e Sam Gamgee della Contea. Ricordo i giorni in cui combattei
l’Oscuro Signore al vostro fianco ; sono certo che il tempo abbia mantenuto
inalterato il vostro valore, così come vi ricordo. Legolas Verdefoglia - disse
poi - Anche tu hai un posto molto vivido nella mia memoria ; sappi che,
prima che ci si pronunci in qualsiasi modo per te o contro di te, sono
partecipe dell’immenso dolore che ti ha recentemente colpito. -
- Ti ringrazio - rispose Legolas
- tuttavia non credo che sarà sufficiente a lavare tutto il disonore di cui
sono stato coperto senza averne colpa. -
Legolas chinò il capo e, senza
accorgersene, strinse la spalla di Galien, che era al suo fianco.
Lo sguardo di Eomer incrociò
quello di Galien. - Dunque questo bambino è tuo figlio. - disse, sorridendo -
Sono lieto che anche tu sia qui, piccolo. Sii fiero di tuo padre, perché è
degno d’onore, nonostante le vicissitudini che si sono verificate. -
Galien tacque e si nascose dietro
a Legolas.
Eomer sorrise nuovamente e si
avvicinò alla dama dai capelli corvini, cingendole la vita con un braccio. -
Questa è Ithildis, la mia Signora. La gemma più preziosa del mio regno. Credo
che alcuni di voi non l’abbiano mai vista... -
- Lo credo anch’io - ribattè la
dama - Ma abbiamo rimediato prima del tuo arrivo. Se a questi valorosi
combattenti non dispiace, preferisco ritirarmi. Sono piuttosto stanca,
oggi ; la luce della luna mi ha disturbata per tutta la notte. -
Detto questo, voltò le spalle
alla compagnia e scomparve, con passo veloce e portamento altero, lungo il
corridoio che conduceva agli appartamenti reali.
Eomer abbassò lo sguardo,
cercando di nascondere il misterioso turbamento che gli si leggeva negli occhi.
- Ma ora è tempo di riposare. -
disse infine - Le mie guardie vi mostreranno le stanze riservate ai
Rappresentanti...e ai loro accompagnatori. -
Detto ciò, lo sguardo del Re
cadde su Rhiannon, seminascosta dietro ad Aragorn. La ragazza non disse nulla e
si limitò a ricambiarlo con un’occhiata indecifrabile, mentre il cuore batteva
sempre più rapidamente nel suo petto, quasi temendo che l’enigmatica Ithildis,
Dama di Rohan, tornasse sui suoi passi e, leggendo nei suoi occhi, scoprisse la
menzogna che vi si trovava ben nascosta.
Legolas non si rese conto di
quello che stava accadendo, ma Galien era concentrato sulla tensione che si era
creata tra il Re e la locandiera dai capelli rossi, e che nessuno, tranne lui,
aveva avvertito.
- Galien - sussurrò Legolas,
indicando Eomer - Hai capito chi è quell’uomo, vero ? -
- Certo che l’ho capito. -
rispose il bambino, guardando di sfuggita la ragazza che si stava allontanando
insieme agli altri - E’ il padre di Roslyn. -
Legolas era rimasto senza parole.
Sbalordito, seguì Galien e gli altri mentre si dirigevano verso le stanze che erano
state loro assegnate, incapace di pensare ad altro che a quella strana ragazza
dai capelli rossi, che il destino aveva voluto fargli incontrare.
Galien non poteva essersi
sbagliato ; Legolas sapeva perfettamente che, grazie al Dono, suo figlio
poteva portare alla luce anche i pensieri più nascosti.
Rhiannon ed Eomer.
Eomer, padre di Roslyn...
Era semplicemente incredibile.
Non assurdo, sicuramente
possibile, ma incredibile.
Per tutta la sera non pensò ad
altro fino a quando dovette raggiungere i suoi compagni per la cena.
Eomer aveva riunito tutti i
Rappresentanti alla stessa tavola, e non appena Legolas fece il suo ingresso
nella sala tenendo per mano Galien, si levò un fastidioso brusio. Si guardò in
giro ; tutti gli occhi erano puntati su di lui, da quelli freddi e
apertamente ostili di Imrahil a quelli grigi e rassicuranti di Aragorn, che,
con un cenno del capo, lo invitò a sedersi accanto a lui.
Gimli e Sam avevano già preso
posto e parlottavano tra loro sussurrando, o almeno questo parve a Legolas,
qualche maligno commento sui presenti. Galien si augurò che Polo fosse con
loro, ed ebbe la conferma di ciò quando vide Sam che, furtivo, si cacciava in
tasca un pezzetto di pane e formaggio, sperando di non essere visto.
Anche Rhiannon era già seduta e
guardava il suo piatto in silenzio, apparentemente incurante della situazione.
Ma di tanto in tanto Legolas vedeva la ragazza alzare lo sguardo e incrociare
per un brevissimo istante gli occhi castani di Eomer, che sedeva a capo della
lunga tavola accanto alla sua sposa, la quale, invece, non sembrava curarsi di
nessuno degli ospiti.
Quello strano e silenzioso gioco
di sguardi inquietò profondamente l’elfo ; Imrahil, lui, Rhiannon, Eomer,
Ithildis...Galien.
Perché in realtà la Dama di Rohan
seguiva la situazione molto meglio di lui, e Legolas ne ebbe la certezza quando
vide il suo sguardo balenare da Eomer a Galien e posarsi su di lui, fisso e
penetrante.
Istintivamente ebbe paura. Paura
per suo figlio, che mangiava tranquillamente, ignaro di tutto tranne che della
più pericolosa delle verità.
Poi lui stesso si ritrovò a
fissare intensamenteIthildis, quasi
per cercare di capire fino a che punto si sarebbe spinta ; finchè, ad un
tratto, lo sguardo della Dama incontrò il suo.
Per un istante Legolas non percepì
più alcun rumore alzarsi nella sala. Sembrava che il silenzio più totale avesse
inghiottito i suoi commensali e li avesse trascinati altrove, lasciandolo solo
a fronteggiare Ithildis.
Anche se in quel momento desiderò
ardentemente di possedere lo stesso Dono di Galien, capì che non gli sarebbe
servito, perché, anche se fosse riuscito a penetrare lo sguardo della Dama,
sarebbe sprofondato inesorabilmente nell’abisso che esso nascondeva e nel quale
si sentiva trascinato a poco a poco...
Colto da un improvviso senso di
vertigine, Legolas si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi.
- Legolas ! -
Si sentì scosso per un gomito e
riaprì gli occhi. Alla sua destra, Aragorn lo guardava preoccupato.
Istintivamente l’elfo si voltò verso Galien, e vide che stava chiacchierando
allegramente con Gimli. Tese le orecchie, e si sentì sollevato nell’udire
nuovamente i rumori di fondo rimbombargli in testa.
- Cos’hai ? - domandò
Aragorn.
Legolas tornò a guardare
Ithildis. La Dama ora aveva spostato lo sguardo ed era tornata a concentrarsi
unicamente sul suo piatto, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata
sfuggente verso Rhiannon.
- Tu...l’hai mai vista,
Aragorn ? - domandò l’elfo.
Il signore di Gondor scosse il
capo. - E’ la prima volta. Eomer non l’ha mai portata con sé in nessuna
occasione. Non so perché, ma quella donna ha qualcosa di inquietante... -
Legolas tornò a guardare Galien,
che mangiava tranquillo, e non potè fare a meno di rabbrividire nel pensare
agli occhi di Ithildis fissi su suo figlio.
Improvvisamente Faramir si alzò.
- Se non c’è bisogno di me, io andrei a riposare. - disse ad Aragorn. Dopo che
il suo Re lo ebbe congedato, Faramir si diresse verso la porta, passando
accanto a Legolas. Quindi si fermò un istante e si chinò verso di lui, in modo
che Galien non potesse sentirlo.
- Eowyn mi ha parlato di lei,
Legolas. - sussurrò - Secondo lei, Ithildis è stata la scelta peggiore che
Eomer potesse fare. Qualcosa, in quella donna, non funziona come dovrebbe... -
Si interruppe per un istante, rabbrividendo. - Tieni tuo figlio lontano dalla
Dama Nera, Legolas. -
Il sole stava calando sui monti
che circondavano Edoras, donandogli un innaturale colore rosa e arancione.
Rhiannon era salita sulla
terrazza del palazzo e stava ammirando quello sterminato paesaggio, così
diverso dai boschi in cui era immerso il suo paese natale. Chiuse gli occhi,
lasciando che la brezza le scompigliasse i capelli, facendola sentire quasi
libera di raggiungere quelle cime perennemente innevate, lontano da tutti gli
affanni che la schiacciavano a terra e che le impedivano di spiccare il volo
verso la sua libertà.
Ma c’era ancora qualcosa, o
meglio, qualcuno che la teneva ancora legata al suolo.
- Rhiannon. -
La ragazza non si voltò
nemmeno ; aveva riconosciuto i passi dell’uomo prima ancora della sua
voce.
- Perché sei venuta fin
qui ? - disse Eomer avvicinandosi a lei.
A Rhiannon parve che quelle
parole le strappassero il cuore dal petto.
Si girò piano, gli occhi lucidi
dalla rabbia, ma quando incontrò quelli di Eomer vide che in essi non c’era
altro che malinconia e rassegnazione.
- Speravo di vederti, così ho
colto la prima occasione che mi si è presentata. Non sapevo nemmeno dove fosse
Edoras ; sapevo solo che esisteva perché me ne avevi parlato tu. -
- Hai fatto bene. Anch’io
desideravo da tempo vederti...e parlarti. -
- Bene. Ora sono qui ;
parliamo, dunque. -
Eomer sospirò e si diresse verso
la balaustra, guardando le montagne con aria grave.
Rhiannon sentì la collera
crescere mentre guardava l’uomo che aveva amato e che amava ancora allontanarsi
piano da lei.
Quanto ti odio, Eomer...pensò. Vorrei
strangolarti con le mie stesse mani e gettarti dalle mura, così pagheresti una
volta per tutte per il male che mi hai fatto...e per quello che hai fatto a
Roslyn.
Ma non era questo che intendeva
veramente, perché il suo cuore bruciava ancora per il desiderio che quell’uomo
la prendesse tra le braccia, che la stringesse a sé come aveva fatto un
tempo...voleva solo che lui la amasse di nuovo, perché era solo del suo amore
che aveva bisogno...ma sapeva che non era più possibile.
Avanti, si disse, cosa
aspetti ? Parla...di’ quello che devi dire...
- Rhiannon, io... -
Tu... ?
La ragazza allungò una mano
tremante verso il braccio dell’uomo.
- Non potevo lasciarla, Rhiannon.
-
La ragazza tenne la mano sospesa
a mezz’aria, mentre le sue più segrete e irrealizzabili speranze si
sgretolavano lentamente.
- Io non ti ho mai chiesto
questo... - disse piano Rhiannon.
Bugiarda, non era forse quello che hai sempre sperato ?
- Io lo sapevo, Eomer - continuò
Rhiannon - Sapevo che non saresti tornato. Non ho mai voluto ammetterlo, ma ero
certa che non ti avrei mai più rivisto. Perché avresti dovuto tornare, del
resto ? Io ero solo una sguattera da quattro soldi, tu il sovrano di un
regno lontano... -
- Rhiannon... -
- ...davvero, non posso
biasimarti per questo. Ma ti amavo sul serio, credimi... -
- Rhiannon. - Eomer la interruppe
bruscamente, prendendola per le spalle e fissandola negli occhi. - Sarei
tornato, te l’assicuro. Sarei tornato davvero se non fosse stato per Ithildis.
-
Ithildis...
- Ithildis mi è stata imposta,
Rhiannon. Se avessi potuto scegliere in quel momento non avrei avuto dubbi. -
- Perché, ora ne avresti ? -
Eomer non rispose. Rhiannon
abbassò lo sguardo.
- Voglio solo sapere se la ami
davvero. Ti prego, dimmelo. E’ l’unica certezza di cui ho bisogno. -
Eomer sospirò e spostò lo sguardo
alle spalle della ragazza. - Non posso descrivere quello che provo per
Ithildis ; è una sorta di miscuglio di pietà, senso di responsabilità
e...perché no, anche amore. Mi ha unito a lei con un filo invisibile, Rhiannon,
e mi tiene sempre più stretto. Non posso lasciarla...e nemmeno lo voglio, ora.
-
- Non ti capisco. -
Il Re tornò a guardare Rhiannon
negli occhi. - Ithildis è pazza, Rhiannon. Mi accorsi che la sua mente
vacillava all’incirca un anno dopo il nostro matrimonio. Ithildis... - Si
interruppe un momento, guardandosi intorno con aria circospetta, come per
assicurarsi che non ci fossero orecchie indiscrete nei paraggi. - ...non può
avere figli. E questo non fa altro che precipitarla nella disperazione più
nera...e tra la disperazione e la follia non c’è che un passo. Ben presto
cominciò ad assumere strani atteggiamenti, che sono peggiorati di giorno in
giorno. La notte urla e strepita nel sonno, quando non si alza e vaga per il
palazzo fingendo di tenere un bambino tra le braccia...di tanto in tanto scende
in città, da sola, nel suo mantello nero che si confonde con il buio, e spia le
donne che stanno per partorire...per portare via i loro neonati. -
Rhiannon rabbrividì.
- Li nascondeva sotto la veste, e
li portava a palazzo. - continuò Eomer - Riuscì a farlo più di una volta. Con
l’aiuto dei miei cortigiani riuscii sempre a restituire i bambini alle loro
madri, ma uno di loro morì. Non fu facile mettere a tacere la cosa. La gente ha
paura di lei ; a corte la chiamano la Dama Nera... -
- E tu - disse Rhiannon - Tu non
hai paura ? -
- Non immagini quanta. Ma non per
me, se è questo che intendi. Io riesco a controllare Ithildis, lei si fida di
me. Quando stiamo insieme diventa un’altra persona. E’ felice, basta poco per
capirlo. Negli ultimi tempi sembrerebbe anche migliorata...si agita meno la
notte, ride, è più serena. Ma quando è da sola si trasforma. L’hai vista oggi,
Rhiannon ; hai visto con che occhi guardava il figlio di Legolas. Tremo al
solo pensiero di quello che potrebbe fare se non la tenessi sotto controllo.
Non posso nemmeno partecipare di persona all’Assemblea delle Nazioni perché non
so cosa succederebbe se rimanesse sola a lungo. Ithildis non è affatto
malvagia...ha solo bisogno di qualcuno che le stia accanto. Ho promesso a me
stesso di farlo e non tornerò indietro. Non lo voglio nemmeno. -
Rhiannon spostò lo sguardo
altrove e strinse i pugni, tremando.
- Capisci perché non la posso
lasciare, Rhiannon ? - disse Eomer - Capisci ? -
Ma Rhiannon non capiva. O forse
aveva capito anche troppo bene dove Eomer voleva arrivare.
- Non credo che tu ti sia
semplicemente votato ad una vita da guardiano. - disse - La ami, vero ? In
qualche modo devi amarla. Non faresti tutto questo se non fosse così... -
- Rhiannon... -
- ...altrimenti non avresti
rinunciato così facilmente a... -
...a tua figlia ?
No, non poteva dirglielo. Non
prima di aver saputo, almeno. Ma anche quando lo avesse saputo...a cosa sarebbe
servito ? L’unica cosa che la legava ancora a lui era Roslyn ; e la
bambina non sarebbe tornata indietro.
- ...a ? -
Rhiannon scosse la testa.
- A niente, Eomer. Vai, torna da
lei. -
- Mi dispiace, Rhiannon... -
disse Eomer con sincerità.
- Vai, Eomer. - continuò la
ragazza stringendosi nelle spalle e voltandosi verso le montagne.
Il Signore di Rohan chinò la
testa, senza sapere più cosa dire, e tornò sui suoi passi mentre Rhiannon
continuava amassaggiarsi le braccia
intirizzite.
Comincia a fare freddo.
Respirò profondamente, cercando
di cacciare indietro le lacrime. Si era resa conto di aver appena detto addio
all’uomo che amava ; e in quel momento, mentre Eomer si allontanava
lentamente, desiderò di tornare da lui, di chiamarlo ancora per nome...
Eomer...
...di essere per lui quello che
era stata un tempo...
Un rumore di passi leggeri alle
sue spalle le fece balzare il cuore in gola.
- Eomer ! - disse,
voltandosi di scatto.
Ma dietro di lei, le braccia
conserte e un’espressione dubbiosa dipinta sul viso, non c’era Eomer.
C’era Legolas.
Rhiannon impallidì.
- Hai sentito... ? -
balbettò la ragazza.
Legolas scosse la testa. - Non ce
n’era bisogno. So già tutto. -
- Tutto...quanto ? -
- Tutto. - confermò l’elfo
fissando la ragazza - Me l’ha detto Galien. -
- Te l’ha detto...ah, già. -
ripetè Rhiannon, capendo - Beh, qualcuno avrebbe dovuto insegnare la
discrezione sia a te che a tuo figlio. -
- Rhiannon... -
- Qualsiasi cosa tu voglia dire -
lo interruppe la ragazza con un cenno della mano - non dirla. Non ho bisogno di
sentire altre prediche. -
- Ma io... -
- E’ mai possibile che a questo
mondo tutti vogliano impicciarsi dei miei affari ? ! - esclamò
Rhiannon, furiosa - Cos’ho fatto di male per... -
- Io non ti ho chiesto nulla - la
interruppe, stavolta, Legolas, alzando inaspettatamente la voce - Quindi tu non
devi dirmi nulla. Sono...sono solo sconcertato...ti rendi conto ? Roslyn
poteva essere l’unica erede al trono di Rohan... -
- Certo, la principessa degli
straccioni. - ribattè seccamente Rhiannon - E poi prima di essere l’erede al
trono di Rohan era mia figlia...nostra figlia, mia e di Eomer. Non
dimenticartelo, Legolas. -
- Scusa, non intendevo affatto...
-
- Lo so che non intendevi.
Nessuno intende mai dire quello che dice. Però lo fa. -
Entrambi tacquero per un istante
che sembrò eterno.
- E poi... - continuò Rhiannon,
quando la rabbia si fu un po’ calmata - Cosa dovevo aspettarmi ? Che
tornasse a prenderci ? Nemmeno lo sapeva. -
- Non lo sapeva ? - disse
Legolas, stupito - E tu non glie l’hai detto ? -
Rhiannon scosse la testa. Legolas
stava per chiederle perché, ma si bloccò quando incontrò il suo sguardo.
- Sarebbe cambiato
qualcosa ? - disse Rhiannon.
- No, suppongo di no. -
- Non ho intenzione di tormentare
Eomercon sensi di colpa...ammesso che
ne abbia nei miei confronti. Sapevo benissimo che sarebbe finita così. Roslyn
non c’è più, io tornerò ad Aldorath e lui resterà il Re del Mark...con una
moglie malata di mente. -
Legolas guardò Rhiannon
allontanarsi verso l’interno del palazzo.
- Allora perché sei venuta
qui ? -
Rhiannon si voltò e sorrise
amaramente. - Perché volevo vederlo un’ultima volta. - disse - E guardare in
faccia la verità. E sai di cosa mi sono resa conto, Legolas ? ...Che
abbiamo pagato entrambi per il nostro errore. -
- Può darsi. Ma non credo che tu
ti sia pentita di averlo commesso. -
Il triste sorriso scomparve dalle
labbra di Rhiannon. - No - disse - Non me ne sono affatto pentita. - disse.
Dopodichè se ne andò, lasciando il Re degli Elfi solo e pensieroso
nell’oscurità che stava abbracciando la città di Edoras.
Rhiannon camminava a testa bassa
lungo i corridoi di Meduseld, cercando di ricordare da che parte fosse la sua
stanza. Si sforzò inutilmente di far uscire Eomer dai suoi pensieri, sapendo
bene che nemmeno il tempo avrebbe potuto cancellarlo dalla sua mente e dal suo
cuore.
Si accorse troppo tardi, quindi,
della donna dal vestito scarlatto e dai lunghi capelli neri, a cui la luce
delle torce donava una parvenza quasi spettrale, che la attendeva in fondo al
corridoio.
Rhiannon si fermò a pochi passi
da lei, e, quasi senza accorgersene, si ritrovò a fissarla negli occhi.
Il fuoco nello sguardo di
Rhiannon contro il ghiaccio che si trovava in quello della Dama Nera.
Quale dei due elementi avrebbe
sopraffatto l’altro ?
Fu Ithildis a parlare per prima.
- Non so quale sia stato il tuo
ruolo nella vita di Eomer e non voglio saperlo - disse - Anche se lo posso
immaginare. -
- Non ho più nessun ruolo da
molto tempo, ormai. - rispose Rhiannon senza abbassare gli occhi.
- Meglio così. - continuò
Ithildis - Ma voglio dirti lo stesso una cosa : vattene finchè sei in
tempo. Non mettermi alla prova. -
Rhiannon si sentì attanagliare il
petto da una sensazione di gelo mentre guardava la Dama Nera scomparire lungo
il corridoio.
Per ora poteva aver vinto il
ghiaccio, ma il fuoco non aveva comunque ceduto.
Si saprà di più sulla faccenduola di
Eomer e Rhiannon nel prossimo capitolo. Bye !
Sembrava che nemmeno il sonno
riuscisse a dare pace a Rhiannon, quella notte, poiché ogni volta che chiudeva
gli occhi le si presentava davanti il viso fiero di Eomer a ricordarle che
ormai avrebbe potuto vederlo solo in sogno.
Il sogno.
Cammini sul selciato, non alzi la testa per non incrociare gli sguardi
della gente che ti vede passare.
Te li senti addosso, appiccicosi e pesanti come la pece.
Rhiannon la sguattera.
La bettola che ti dà da vivere è diventato il tuo mondo, da quando tua
madre è morta e tuo padre si è accorto che può fare a meno di te.
Raccogli la biancheria, prendi l’acqua al pozzo, porta la legna senza
che nessuno finga nemmeno di volerti aiutare.
Sì zia, sì zia, vado zia, tornerò subito e anche se non dovessi tornare
sarebbe lo stesso, non è vero, zia ?
Non hai bisogno di nessuno, nessuno ha bisogno di te.
Passi sul selciato, poi nell’erba del bosco.
Rumori diversi.
Hai paura e non puoi nasconderti. La legna ti cade dalle braccia.
Cavalli.
Ti piacciono i cavalli, Rhiannon ? domanda il mercante che
vorrebbe averti tutta per lui.
E’ lui ? Ti sta seguendo ?
Non puoi nasconderti.
Cavalli.
Resti ferma a guardarli, cavalli e cavalieri, uniformi mai viste, una
più bella di tutte le altre.
Lui si china verso di te e ti guarda, e lo guardi anche tu.
Cerco Owler, il mercante di cavalli, dice.
Dal primo istante sai che i suoi occhi resteranno per sempre nei tuoi.
Poi parole, un turbine di parole, parole, nel bosco, sul suo cavallo,
al tavolo dove guarda le tue mani porgergli il bicchiere, sotto la luna,
parole, parole, le sue mani, le tue mani, i suoi occhi, le sue labbra.
Non sei più una sguattera, sei una regina.
Per quanto tempo resti la sua regina ?
Un giorno, tutti igiorni.
Fino alla fine.
Parte, ti dice, ma non ti dice che non tornerà, anche se questo tu lo
sai, sai che resterai di nuovo sola.
Ti ama, dice, non ti potrà mai dimenticare, e nemmeno tu potrai
dimenticarlo perché una parte di lui ti è rimasta in grembo.
Liberatene.
No, zia, no.
Liberatene, o non potrai rimanere qui.
No, no.
Allora vai.
E tu vai, con un fagottino tra le braccia.
Vai, ma non sai dove.
Tutte le porte sono chiuse.
Non quella ai limiti del bosco.
Il vecchio ti guarda, guarda la bambina, ma non sorride.
Il padre di Roslyn è morto, gli dici, desiderando quasi che fosse morto
veramente.
Lui non ti crede, lo leggi nel suo sguardo. Un giorno mi racconterai la
verità, ti dice. Ma ora seguimi, c’è del lavoro da fare.
E tu sai che hai trovato casa.
Rhiannon si svegliò di colpo e si
alzò a sedere sul letto, gli occhi sbarrati e il cuore a pezzi.
- Potter... -
Il buon vecchio locandiere che
aveva accolto lei e sua figlia se ne andò in poco tempo, anche se lei voleva
che rimanesse, perchè se lui se ne fosse andato sarebbe tornato Eomer a
perseguitarla con il suo volto fiero e i suoi occhi castani che le bruciavano
ancora la pelle.
Rhiannon si maledisse per essere
stata tanto sciocca.
Se solo fossi tornata ad Aldorath, si disse, se solo non avessi dato retta al mio stupido cuore...forse ora avrei
cominciato a dimenticare...avrei ricominciato un’altra vita senza le persone
che amo...Roslyn, Potter, Galien...e Eomer.
Scosse la testa.
Ricominciare l’ennesima vita fasulla...perché nessuno di loro mi è mai
appartenuto, tantomeno Eomer...e nessuno mi apparterrà mai, sono solo passati
in un lampo lasciandomi delle vecchie cicatrici come ricordo...
Sospirando, si alzò dal letto e
guardò la finestra. Ithildis aveva detto che la luce della luna la
infastidiva...forse era il suo candore a dare risalto alla notte che la donna
portava dentro al cuore.
Ithildis.
Ithildis e Eomer.
Eccolo di nuovo...
Rhiannon non ce la fece più. Aprì
la porta senza far rumore e, assicuratasi che non ci fosse nessuno nei paraggi,
uscì dalla stanza e si incamminò lungo il corridoio, lasciandosi guidare dai
suoi pensieri. Non sapeva dove stesse andando, né cosa stesse cercando ;
era un burattino senza fili, e i suoi passi erano semplicemente fatti muovere
dal suo cuore.
Aria, si disse, ho bisogno di
aria...
Avrebbe potuto camminare per
tutta la notte, percorrendo tutti i passaggi della grande reggia, e il mattino
successivo non si sarebbe nemmeno resa conto di dov’era stata.
Ma non fu così, perché,
avvicinandosi ad una porta socchiusa, udì una voce calda e melodiosa intonare
un canto sommesso...
Rhiannon si fermò di colpo,
riconoscendo quella voce, e sbirciò dallo spiraglio per avere conferma di ciò
che immaginava.
La prima cosa che la colpì fu la
luce.
La stanza doveva essere
completamente buia come tutte le altre, eppure era come se una luce soffusa
risplendesse in essa...una luce calda, che emanava dalla figura dell’elfo seduto
accanto al letto, la pelle chiara come la luna.
Legolas accarezzava piano i
capelli di Galien, profondamente addormentato, e cantava per lui.
Rhiannon avrebbe pagato oro per
capire le parole di quella canzone ; era come quella di Roslyn, su vecchi
e bambini persi tra il sogno di un vecchio ricordo e una triste realtà ?
No...era un canto elfico...quel popolo aveva la capacità di rendere struggente
e meravigliosa anche la cosa più semplice. Era il canto del vento che agita le
foglie, accarezza l’acqua e porta la loro voce fin sulle montagne innevate,
dove nessuno lo può fermare...
Sarebbe rimasta ad ascoltarlo per
tutta la notte.
Ma quel canto si interruppe
prima.
- Puoi entrare, se vuoi. - disse
Legolas, senza voltarsi.
Rhiannon si irrigidì, imbarazzata.
Sebbene, per la vergogna, avrebbe preferito tornare di corsa nella sua stanza,
decise di accettare quell’invito. Socchiuse la porta, entrò e la richiuse piano
alle sue spalle, avvicinandosi al letto.
- Non serve che cammini in punta
di piedi. - disse l’elfo - Galien non si sveglierebbe nemmeno se crollasse il
palazzo... -
Rhiannon sorrise. - E’ una
fortuna, non trovi ? - disse.
- Vorrei avere anch’io questa
fortuna... - disse Legolas restituendole il sorriso.
Rhiannon si sedette piano sul
letto di Galien, di fronte a Legolas.
- Non riesci a dormire ? Il
viaggio è stato lungo e faticoso, credo che gli altri siano nel mondo dei sogni
da un bel pezzo... -
- Anche tu dovresti esserlo. -
disse Legolas - E invece sei qui a parlare con me. -
Rhiannon guardò l’elfo negli
occhi. - Io non dovrò affrontare un’Assemblea che deciderà del mio destino,
domani mattina. -
- Tu hai già affrontato una prova
piuttosto dura, oggi. Domani toccherà a me. -
- Hai paura ? -
- Un po’. - rispose Legolas
accarezzando dolcemente una guancia al suo bambino - Ma non tanto per me. -
Rhiannon non disse nulla, rapita
da quel semplice gesto che rendeva l’elfo ancora più luminoso. Il suo sguardo
risalì la mano di Legolas, il suo braccio, fino al viso e agli occhi in cui
doveva brillare la luce di Eärendil...la stessa che splendeva negli occhi di
Galien.
Bellissimo. Il bambino sarebbe
diventato bellissimo come suo padre, un giorno ; quella bellezza eterea e
fiera, così tipica degli Elfi, inquietante e affascinante al tempo stesso.
Ma anche Roslyn era bellissima.
Era bellissima perché era figlia
di un uomo meraviglioso.
Un uomo meraviglioso che l’aveva
abbandonata senza nemmeno sapere di averlo fatto, perché Rhiannon non aveva mai
avuto il modo di dirglielo...
Si può amare e doverlo nascondere ?
Lei aveva dovuto farlo. Aveva
amato Eomer, lui aveva amato lei ed ora l’aveva respinta.
L’aveva respinta.
Non avrebbe più potuto stringerlo
tra le braccia, baciare le sue labbra, lasciare scorrere le dita tra i suoi
capelli...l’avrebbe fatto un’altra donna al suo posto.
No, non resterò di nuovo sola, pensò Rhiannon con rabbia. Aveva
perso l’uomo che amava, ma non sarebbe rimasta sola, mai più.
Mai più.
Avrebbe trovato qualcun altro che
avrebbe spezzato la sua solitudine ; che Eomer restasse pure con quella
pazza, se ne sarebbe pentito ben presto. Ma, quando sarebbe tornato indietro,
non avrebbe più trovato Rhiannon ad aspettarlo.
Ti farò pentire amaramente della tua scelta, Eomer...Io posso avere chi
voglio...perché ne ho bisogno...ne ho DISPERATAMENTE bisogno...
Di chi ?
Qualcuno...qualcuno solo come me...
Ad un tratto Rhiannon si accorse
che Legolas la stava guardando, un’espressione interrogativa dipinta sul viso.
La ragazza spostò rapidamente lo sguardo altrove, imbarazzata, mentre l’elfo si
alzava e si dirigeva verso la finestra.
- Non è vero, sai... - disse
Legolas, riprendendo il discorso - Ho molta paura, invece. Imrahil ha dalla sua
parte molti Rappresentanti, riuscirà facilmente a convincere gli altri...tranne
quei pochi che mi sono ancora fedeli...i miei unici amici. -
Sospirò amaramente, mentre
Rhiannon si avvicinava a lui.
- Cosa temi, ora ? - disse
la ragazza appoggiandogli una mano sulla spalla - Hai già perso tutto quello
che potevi perdere. Non potranno toccarti finchè Eredhil è al tuo posto. E tu
avrai molte occasioni per riscattarti... -
- Credi ? -
Rhiannon annuì. - Certo. Possono
prenderti quello che vogliono, ma non ti porteranno mai via il tuo onore... -
- Del mio onore non mi importa
nulla. -
Rhiannon sorrise mentre i suoi
occhi incontravano lo sguardo deciso dell’elfo.
- Lo so - disse la ragazza - E
non ti porteranno via nemmeno Galien. -
Legolas sospirò. - Lui è tutto
per me... - disse debolmente.
- So anche questo. -
Ma lui non sarà sufficiente a riempire la tua vita...anche tu sei
solo...come me...
Senza distogliere gli occhi da
quelli dell’elfo, Rhiannon alzò una mano e gli scostò delicatamente una ciocca
di capelli dalla fronte.
E se volessi...
Istintivamente, Legolas si
irrigidì quando percepì il tocco di Rhiannon sulla pelle e gli occhi della
ragazza puntati nei suoi.Quanto tempo
era passato da quando le mani di una donna lo avevano sfiorato... ? E da
quando non riceveva più uno sguardo del genere ?
Anìrwen...
L’elfo rimase immobile, senza
capire cosa, in quegli occhi verdi, gli impedisse di ragionare.
Forse un ricordo ?
O forse era qualcosa di cui da
tempo sentiva il bisogno, senza volerlo ammettere a se stesso ?
Senza smettere di guardarlo,
Rhiannon lasciò che le sue dita scorressero lentamente lungo la tempia dell’elfo,
quindi gli tracciarono lo zigomo alto e liscio, infine la linea del collo.
Io voglio...
Legolas chiuse gli occhi mentre
un brivido gli percorreva la schiena.
...te...
La mente gli si svuotò
all’improvviso da tutte le preoccupazioni per riempirsi di ricordi.
Quelle carezze..
Rhiannon pose una mano sulla
guancia di Legolas, mentre le sue labbra sfioravano quelle dell’elfo.
Quelle carezze mi portavano...così in alto....
Legolas sentì il fuoco invadere
il suo corpo, la sua bocca sentiva il sapore di quella della ragazza che ora
era stretta a lui. Ma sarebbe stato lo stesso ?
Potevo sentire la musica...
Quasi senza accorgersene, l’elfo
sollevò una mano e la portò alla nuca di Rhiannon, accarezzando i suoi capelli
e stringendola a sé nell’estasi che precedeva l’abbandono, ogni muscolo del suo
corpo attanagliato dal desiderio.
...la musica degli Ainur...
- Anìrwen... - sussurrò, mentre
le labbra di Rhiannon scendevano piano sul suo collo e una mano di lei,
insinuata attraverso la tunica slacciata, gli accarezzava il petto.
Anìrwen... ?
Come se si fosse risvegliato da
un sogno, Legolas spalancò improvvisamente gli occhi.
Anìrwen non era lì...non era lì
come lui sperava...e come era quasi arrivato a credere. E non ci sarebbe stata,
mai più.
Per Ilùvatar...cosa sto facendo ? ! COSA STIAMO
FACENDO... ? !
Abbassò la testa, sgomento,
mentre Rhiannon continuava ad accarezzarlo e baciarlo.
Nonostante tutto, Legolas non riuscivaa muoversi, ancora sconvolto da ciò che
aveva fatto.
Aveva baciato Rhiannon e si
sarebbe lasciato andare a ben altro...e stava dimenticando lei...
- Ho detto basta ! ! -
esclamò prendendo la ragazza per i polsi.
Rhiannon non alzò nemmeno la
testa ; cadde lentamente in ginocchio ai piedi di Legolas. I suoi capelli
rossi le coprivano il viso, ma Legolas vide il suo corpo scuotersi lentamente.
- Stai...stai
ridendo ? ! - esclamò, il viso livido di collera verso di sé e verso
la fanciulla.
Ma quando vide una lacrima cadere
a terra ai suoi piedi capì che Rhiannon non stava affatto ridendo ; il suo
corpo non era scosso dalle risa, ma da singhiozzi convulsi.
Con gli occhi spalancati dallo
stupore, Legolas le lasciò andare i polsi, e la ragazza si portò le mani al
viso.
- Rhiannon... -
- Stupida...che stupida sono....
- disse la ragazza con voce rotta, senza avere il coraggio di guardare l’elfo
in faccia.
Legolas si chinò piano verso di
lei, posandole una mano sulla spalla, ma Rhiannon si alzò di scatto.
- Perdonami ! ! -
esclamò. Quindi spalancò la porta e corse fuori, scomparendo lungo il
corridoio.
Rhiannon corse a perdifiato,
accecata dalle lacrime, fino a quando non riuscì a vedere la luce della luna
spezzare l’oscurità del palazzo attraverso una grande finestra. Istintivamente
la spalancò e si ritrovò sulla stessa terrazza in cui aveva incontrato Eomer
quella sera.
Si fermò accanto alla balaustra,
ansimando, a guardare nuovamente i monti.
- Non ne posso più... - disse
piano, accucciandosi a terra e stringendosi le ginocchia contro il petto - Devo
andarmene da qui...devo andarmene da qui... -
Nascose il viso tra le ginocchia
e continuò a piangere.
Ad un tratto sentì il tocco
leggero di una mano sul braccio e una voce chiamarla per nome.
- Rhiannon... -
La ragazza alzò piano la testa e
vide Legolas accucciato davanti a lei, che la guardava sorridendo dolcemente.
- Vattene, Legolas... - disse
Rhiannon con voce tremante - Come puoi pretendere riesca a guardarti di nuovo
in faccia dopo quello che ho fatto ? -
- La colpa è stata anche mia. -
disse Legolas - E’ stato...un momento di debolezza. Avrebbe potuto succedere a
chiunque. -
- Non a me. - replicò Rhiannon -
A me non doveva succedere. E nemmeno a te. Oh, per tutti i Valar,
perdonami...perché riesco solo a fare del male a tutti coloro che mi
circondano ?-
- Non hai fatto del male a
nessuno - disse Legolas - Solo a te stessa. Non chiedermi perdono e
dimentica quello che è successo, Rhiannon ; io l’ho già fatto. -
La ragazza voltò lentamente il
capo, gli occhi ancora colmi di lacrime e di vergogna.
- Pensavi ad Eomer, vero ? -
disse Legolas, sorridendo mentre asciugava con una mano le lacrime di Rhiannon
- Non stavi baciando me, ma lui...avrebbe potuto esserci chiunque altro, al mio
posto, non è così ?-
Rhiannon annuì. - Che
sciocca...credere di cancellare tutto buttandomi tra le braccia di un altro...
-
- Certi sentimenti non si possono
cancellare, Rhiannon. - disse Legolas sedendosi accanto a lei.
- Cosa...cosa ne sai tu dei miei
sentimenti ? - disse la ragazza con rabbia - Tu non sai niente, Legolas...
-
- So anch’io cosa significa
perdere qualcuno che ami. - rispose Legolas - E mi sembra che ne abbiamo già
parlato. -
Rhiannon tacque e si guardò
intorno, respirando profondamente. Poi, tra le lacrime che continuavano a
scorrere sulle sue guance, raccontò all’elfo tutta la sua storia, fino
all’incontro con Ithildis e la fine dei suoi sogni.
- Io non amo Eomer, Legolas. -
disse infine - Io lo odio, e tu non puoi nemmeno immaginare quanto... -
- Tu credi di odiarlo. - disse
l’elfo - Ma amore e odio non sono altro che due facce della stessa medaglia,
anche se spesso l’amore fa terribilmente male e il dolore è ad un passo dal
piacere...non puoi odiare qualcuno che ti è entrato nel sangue, Rhiannon. E
penso che nel profondo del suo cuore, anche Eomer ti ami ancora. -
- Amarmi ? - disse Rhiannon
- Mi ha lasciata, Legolas. Ha lasciato me e sua figlia. E’ amore, questo ?
No...lui non ama me. Non più, ormai. La Dama Nera ha preso il mio posto. -
- Come puoi esserne certa ?
-
- Non farebbe quello che sta
facendo, se non la amasse. - rispose Rhiannon - Si sta annullando per lei...ma,
scegliendo di sacrificare la sua vita, ha sacrificato anche la mia. E me lo ha
forse chiesto ? No, ha semplicemente deciso al mio posto. E ora non posso
fare altro che rassegnarmi e lasciare che la sua strada si allontani per sempre
dalla mia... -
Legolas scosse il capo. - Tu puoi
ancora sperare, Rhiannon. - disse.
- Sperare ? Sperare
cosa ? Hai idea di chi sono io, Legolas ? Di chi è Ithildis ?
Queste cose succedono solo nelle stupide favole che raccontavo a Roslyn... -
- Ma tu sei qui, ora. -
insistette Legolas - L’avresti mai creduto ? Accadono molte più cose di
quante ne possiamo immaginare, Rhiannon, e continueranno ad accadere finchè
avremo vita...e finchè avremo speranza. -
L’elfo si rialzò e guardò la
ragazza con i suoi occhi luminosi ma tristi. - Io ho perso quella speranza,
ormai. Vivo solo per avere la mia vendetta...e per vedere mio figlio crescere.
Non ci sarà nient’altro per me, fino ad allora. Ma tu puoi ancora farcela, se
davvero lo vorrai. -
Rhiannon tacque per un momento.
- Tu la ami ancora, vero ?
Ami ancora Anìrwen ? -
- Sì. - rispose Legolas con voce
sicura.
- E continuerai ad amarla anche
se è morta ? -
Legolas sorrise amaramente. -
L’amore, il vero amore, non muore,
Rhiannon. Continua a vivere nelle persone che hanno amato, come te, Eomer...e
me. Io sono legato ad Anìrwen per tutta la vita...e oltre. -
Rhiannon guardò l’elfo,
incredula. - Non immaginavo che si potesse amare così...ho sempre creduto che
una vita fosse più che sufficiente a lenire qualsiasi dolore... -
Legolas tacque e continuò a
tenere i suoi occhi fissi in quelli di Rhiannon.
- Sai quanto può durare la vita
di un elfo ? - domandò - Puoi concepire l’eternità ? Qualsiasi legame
per noi dura per sempre. Siamo eterni, Rhiannon ; per noi il tempo non può
far appassire i sentimenti più puri. Io e Anìrwen siamo parte l’uno dell’altra,
ormai ; quando lei è morta, è morta anche una parte di me, così come una
parte di lei vive ancora dentro di me, e non morirà fino a quando io avrò vita.
Nessun’altra donna potrà mai prendere il suo posto, fino alla fine. -
- Fino alla fine... - ripetè
Rhiannon.
- Suppongo che per voi sia
difficile da capire. -
- No - rispose la ragazza,
pensierosa, lo sguardo perso nel vuoto - Meno di quanto tu creda. -
I due rimasero in silenzio per un
lungo istante, lasciando che la brezza notturna rischiarasse le loro menti e
lenisse il bruciore dei ricordi.
Poi Rhiannon parlò di nuovo.
- Raccontami di lei. -
Legolas guardò la ragazza senza
capire.
- Cosa vorresti sapere ? -
domandò.
- Tutto. -
- La storia è lunga... -
- Anche la notte è lunga.
Raccontami tutto. -
Legolas sorrise e cominciò a
parlare.
- La guerra dell’Anello era
terminata da poco ; il Male era stato sconfitto ma aveva lasciato delle
profonde ferite in tutti coloro che l’avevano combattuto.
La visita alle Caverne
Scintillanti insieme a Gimli non era stata sufficiente a sollevare il mio cuore
dal peso che portava, ora gravato ancora di più dalla consapevolezza che molte
cose, troppe, sarebbero cambiate per sempre.
Mio padre si era reso conto della
malinconia che mi pervadeva ma non riusciva a trovare il modo di
consolarmi ; decise quindi di portarmi con sé in visita a Lorien, presso i
Signori del Bosco d’Oro, sperando che la vista di quei luoghi mi portasse un
po’ di serenità. Non immaginava di certo che lì avrei ritrovato la luce che mi
stava abbandonando.
Giungemmo al cospetto di Celeborn
e Galadriel dopo due giorni di viaggio, e i Signori di Lothlorien ci
ricevettero con grandi onori.
Li sentivo dare il benvenuto a me
e mio padre, ma non ascoltavo le loro parole ; ascoltavo invece il
sussurro dell’aria che scuoteva le foglie degli alberi del Bosco d’Oro,
sperando che portasse con sé la mia profonda stanchezza. I Signori dei
Galadhrim non erano altro che ombre davanti a me, ombre di cui non desideravo
la vista.
Ma quando voltai il capo e vidi lei...
Quasi non riuscivo a credere che
fosse reale ; la sua pelle era candida come la sua veste e lunghi capelli
d’oro le cadevano sciolti sulle spalle. Ne ero abbagliato e allo stesso tempo
non riuscivo a distogliere i miei occhi dai suoi ; in quel momento pensai
che il sole avesse abbandonato il cielo per scendere sulla terra.
“Arien...” dissi, quasi paralizzato. Mi sentivo uno sciocco.
Ad un tratto, quella visione mi
si avvicinò e sorrise.
“Lei è mia nipote Anìrwen, della
casa di Orodreth.” disse Galadriel.
Non la ascoltai nemmeno, perso
nei suoi occhi azzurri come il cielo. Non riuscivo a dire una parola.
Ad un tratto, Anìrwen tese
lentamente una mano di seta verso il mio viso e mi accarezzò dolcemente la
fronte, indugiando poi sulla mia guancia.
“Il tuo sguardo è sereno” mi
disse “eppure leggo nel tuo cuore un profondo turbamento. Non lasciare che
avvizzisca il tuo animo nobile ; vieni con me.”
Come in un sogno, lasciai che
quella splendida creatura mi prendesse per mano e mi conducesse via.
Mi parve di vedere l’erba fiorire
sotto i suoi piedi, e le fronde degli alberi chinarsi mentre lo squillante
canto degli uccelli accompagnava il suo cammino.
Giunti in riva ad un ruscello, mi
invitò a sedermi sull’erba accanto a lei.
“Chiudi gli occhi” mi disse,
immergendo un mano nell’acqua. Io obbedii, e poco dopo sentii le sue dita fresche
posarsi sulle mie palpebre.
“Il Male non può entrare in
questo luogo.” mi disse dolcemente “Lascialo fuori dai tuoi pensieri.”
“I miei pensieri sono pesanti
come montagne, mia Dama.” risposi “Mi stanno schiacciando e non riesco a
rialzarmi. Intorno a me non vedo altro che desolazione.”
“Allora lascia che ti aiuti a
sopportare questo peso.”
Detto questo, intonò il canto più
dolce che mi fosse mai capitato di udire da quando mia madre cantava per me,
quand’ero bambino, per farmi addormentare.
Non so dirti quello che provai
quando il canto finì e io riaprii gli occhi, ma desiderai ardentemente che
durasse per sempre.
Guardai il viso sorridente di
Anìrwen, e mi scoprii a desiderare di potere accarezzare quelle guance
vellutate.
“La tua mente è più leggera,
ora ?” mi domandò.
Io annuii, restituendole il
sorriso.
Quindi ci rialzammo e gli sguardi
lasciarono il posto alle parole. Conversammo fino al calare del sole, ma il mio
sole non tramontò quella sera, quando ci congedammo ; continuò a splendere
nel viso di lei, nella sua figura esile e delicata che mi accompagnò nei miei
sogni, regalandomi una dolce notte.
Io e mio padre restammo a
Lothlorien per cinque giorni ; all’alba del sesto, quando ci accomiatammo
dai nostri ospiti, sentii il mio cuore riempirsi di malinconia al pensiero di
non vederla più.
Ma quando andai da lei per
porgerle i miei saluti, prese le mie mani tra le sue e mi disse :
“Tornerai.”
Io la guardai, confuso.
“Non era una domanda” disse poi
“Io so che tornerai. Aspetterò quel giorno.”
Quando tornai a Bosco Atro mi
sentivo rinato, e mio padre se ne accorse e ne fu felice.
Eppure qualcosa mi mancava ;
era come se avessi lasciato qualcosa a Lothlorien, qualcosa che non avrei mai
potuto ritrovare in nessun’altra parte della Terra di Mezzo.
Ogni notte vedevo il viso di
Anìrwen in sogno e ricordavo le lunghe conversazioni a cui ci lasciavamo
andare. Piano piano il sonno mi abbandonò, costringendomi a vagare per la
foresta cercando i suoi occhi nelle stelle...
Era come se mi avesse rapito
l’anima per costringermi a tornare da lei, ma non era un obbligo per me...era
un desiderio disperato che non riuscivo a placare.
Avrei dovuto tornare ? E
l’avrei ritrovata ? Sapevo che gli Elfi stavano abbandonando le terre
dell’Est, e i Galadhrim sarebbero stati tra i primi a farlo, mentre noi del
Nord eravamo ancora riluttanti a lasciare le nostre foreste.
Ma io dovevo rivedere Anìrwen, ne
avevo bisogno, e nel frattempo ero quasi spaventato da quella ridda di emozioni
che mi sconvolgevano il cuore e la mente.
Poteva essere amore ? E se
non era amore, cos’era ?
Tornai a Lorien con il cuore in
subbuglio, cavalcando giorno e notte, più confuso che mai. E fui ancora più
confuso quando, giunto a Caras Galadhon, mi si fece incontro Galadriel in
persona.
Mi guardò negli occhi con aria
grave e capii che ciò che doveva dirmi riguardava me, riguardava Anìrwen,
riguardava noi due.
“Lei non verrà con noi” mi disse
“Ti sta aspettando, Legolas ; il suo destino non si compirà nelle Terre
Imperiture.”
Capii appieno quella frase solamente
molto tempo dopo. In quel momento ebbi una sola certezza : che la mia
parte mancante mi era stata restituita.
Quando la vidi, mi parve di nuovo
un sogno. Con il cuore ormai impazzito la strinsi a me, e lei si lasciò andare
al mio abbraccio e ai miei baci, e ogni istante in cui ci allontanavamo le
nostre labbra si cercavano disperatamente...
“Sposami.” le dissi.
Ma non era un ordine, era una
supplica...la stavo implorando di darmi il sole ogni giorno della mia vita.
Anìrwen, la Desiderata...e io, quanto la desideravo...
Non sapevo cosa aspettarmi da
lei ; una parola, un sorriso, un gesto...qualsiasi cosa purchè non mi
lasciasse a tormentarmi in quell’attesa...
“Sì.” Mi disse, semplicemente.
Allora la presi tra le braccia,
la feci salire sul mio cavallo e, senza pensare ad altro che a noi due,
partimmo al galoppo verso la mia terra, che sarebbe divenuta ben presto anche
la sua.
Le nostre nozze furono celebrate
immediatamente, e solo dopo allora potei dire di aver conosciuto la più grande
felicità...
Anìrwen era come l’avevo sempre
ricordata ; splendida e raggiante. Il suo solo pensiero mi riempiva la
vita, e la mia vita era finalmente completa.
Ma la vita di un Elfo non conosce
solo gioia, ma anche la più grande delle sofferenze.
Era trascorso poco meno di un
anno dal nostro matrimonio, quando, una notte, il mio sonno fu tormentato da
qualcosa di peggiore degli incubi. Era una sensazione di devastante dolore, che
non riuscivo a placare perché non mi apparteneva...
Mi svegliai di colpo, il viso
bagnato di lacrime, incapace di scacciare ciò che avevo provato ; quando,
ad un tratto, mi accorsi che quelle lacrime non erano mie.
Mi alzai a sedere sul letto, e
vidi che Anìrwen non era più accanto a me. Turbato, la cercai per tutto il
palazzo, e infine, dopo averla a lungo chiamata, la trovai in cima alla torre
più alta, immobile, a guardare in lontananza. Mi avvicinai a lei e la presi
dolcemente per le spalle.
Quando si voltò a guardarmi, vidi
che stava piangendo.
Non dimenticherò mai i suoi
occhi, in quel momento...
“Stanno partendo...” mi disse.
Capii.
In breve preparai due cavalli e
partimmo alla volta di Lothlorien, senza mai fermarci.
Quando arrivammo, ci si presentò
una visione desolata ; i Galadhrim stavano dirigendosi verso i Porti
Grigi, per recarsi nelle Terre Imperiture, da cui non sarebbero mai più
tornati.
Anìrwen aveva sentito il dolore
che accompagnava quella partenza...o forse le fu comunicato. Non mi fu dato
saperlo.
Ma il suo addio a Galadriel e
Celeborn mi straziò l’anima.
Fu come se una parte di lei le
venisse strappata per sempre...
Mi sentii un egoista. Ero stato
io ad impedirle di seguire la sua gente in quell’ultimo viaggio, io l’avevo
strappata alla sua terra in nome del mio amore.
In quel momento non mi importò
che il suo amore per me fosse meno grande di quello che provava per il suo
popolo ; tutto ciò che volevo era solamente che non soffrisse più. Che
fossi io a soffrire per lei, non mi importava.
“Vai con loro.” le dissi infine,
cercando di nascondere la mia profonda tristezza “Se il tuo legame con questa
terra ti rende infelice, non ti costringerò a restare. Vai con loro.”
In quel momento mi guardò, gli
occhi pieni di un’innocente e malinconica meraviglia, e mi disse : “Per la
mia felicità...rinunceresti a me ?”
“Lo farei, anche se potrebbe
sembrare folle...se tu lo volessi.”
Lei tacque per un momento, poi mi
prese una mano e la pose sul suo ventre.
“E rinunceresti anche a tuo
figlio ?” disse.
Quella frase mi colpì come un
fulmine. La guardai senza sapere cosa dire, completamente senza parole. Volevo
solo stringerla a me, per mostrarle tutta la mia gioia. Ma avevo il diritto di
farlo, in quel momento ? Mio figlio...nostro
figlio...
Ero più confuso che mai.
“Cosa...cosa devo fare ?”
dissi, con un filo di voce, prendendola per le spalle sottili.
“Tu mi hai chiesto cosa voglio”
disse “E io voglio rimanere. Se partissi con la mia gente, il mio cuore
resterebbe comunque con te. E mi consumerei nell’attesa del tuo arrivo, mentre
il nostro bambino crescerebbe senza aver mai conosciuto suo padre.”
Poi sorrise e mi accarezzò
dolcemente le guance con le sue mani di velluto.
“La mia felicità è qui, Legolas.”
disse “E’ qui, accanto a te e a nostro figlio, quando arriverà. E’ solo questo
che desidero.”
Lentamente le sue labbra si
avvicinarono alle mie.
“Io resterò qui.”
Forse piansi mentre la baciavo,
ma non me ne resi conto. La felicità mi stava facendo scoppiare il cuore.
Galien nacque pochi mesi dopo il
nostro ritorno a Bosco Atro, quando ormai le navi degli Elfi erano partite dai
Porti Grigi portando con loro anche il Portatore dell’Anello. Fummo felici per
sette anni...un periodo lungo per un uomo, estremamente breve per un Elfo,
durante il quale il veleno ribollì nelle vene di Eredhil senza che nessuno di
noi se ne accorgesse. E infine, quando anche mio padre lasciò la nostra terra,
cedendomi la corona, proprio quando credevo che nulla avrebbe potuto essere più
perfetto... -
La voce di Legolas tremò.
- E’ assurdo come la realtà non
sia mai come vorremmo che fosse ; ero convinto che avrei ridato la vita ad
Anìrwen...e invece le ho dato la morte. L’ho sepolta con le mie mani, Rhiannon.
-
- Non è tua la colpa di quello
che è successo. - disse Rhiannon, comprendendo di quanto poca consolazione
fossero le sue parole.
- E invece lo è. - continuò Legolas
- Se non avessi portato con me Anìrwen, se fosse rimasta a Lothlorien... -
- Se tuo padre non ti ci avesse
portato, a Lothlorien, se tu non fossi partito con la Compagnia, se Bilbo
Baggins non avesse trovato l’Unico Anello... - lo interruppe Rhiannon alzando
inaspettatamente la voce.
Legolas guardò la ragazza,
stupito.
- Ci sono troppi “se” nella vita
di chiunque. - continuò Rhiannon - Lo sai ? Basta schioccare le dita e ti
ritrovi catapultato in qualcosa che non avresti mai immaginato. Sono scherzi del
destino, Legolas, e non c’è modo di impedirli perché sono del tutto
imprevedibili e assurdi... -
Questa volta fu la voce di
Rhiannon a tremare. La ragazza cercò di nasconderlo con un sorriso forzato.
- ...e invece un senso ce
l’hanno...devono averlo. E se c’è una cosa di cui sono convinta è che alla fine
lo scopriremo. -
- Vorrei poter essere d’accordo
con te. - disse amaramente Legolas - Io non ho ancora trovato un senso in tutto
questo, e credo che non lo troverò mai. -
- Nemmeno io l’ho ancora trovato
- ribattè Rhiannon, alzandosi e avvicinandosi all’elfo - Ma ho trovato te. E mi
stai aiutando a capire, anche se forse non lo sai...perché sei come me, anche
se sembriamo appartenere a mondi separati. Siamo soli nonostante tutto,
Legolas. E’ questo che ci unisce. -
Legolas sorrise. Lo sguardo
sincero di quella strana ragazza in un certo senso lo rincuorava ;
Rhiannon non aveva più nessuno, mentre lui poteva contare ancora su molti amici
sinceri...ma nessuno di loro poteva comprendere del tutto quale peso portasse
sulle spalle. Rhiannon poteva farlo, invece, perché lo stesso peso gravava
anche su di lei.
- Qualunque senso abbia tutto
questo, lo troveremo insieme. - disse l’elfo - E torneremo alla luce. -
Rhiannon annuì sorridendo, gli
occhi lucidi, e lasciò che Legolas la stringesse a sé, appoggiando il viso
contro il suo petto e lasciandosi avvolgere dalla luce che l’elfo aveva dentro
di sé, e che, ne era certa, nulla avrebbe mai potuto offuscare.
E la ragazza fu felice, perché in
quell’abbraccio trovò l’affetto e il sostegno del fratello che non avrebbe mai
avuto.
Com’erano calde quelle
braccia...tanto calde quanto freddo e penetrante era lo sguardo di Ithildis,
che li spiava di nascosto da dietro una colonna.
Ma dietro al ghiaccio che copriva
i suoi occhi come un velo bruciava un fuoco indomabile, che non desiderava
altro che nutrirsi della disperazione di quella strana ragazza.
Doveva distruggerla del tutto,
anche solo per quanto sapeva.
E l’avrebbe fatto, ma
lentamente...e nel modo più atroce e doloroso in cui avrebbe potuto
farlo...distruggendo quelle poche persone che la amavano.
Non ci avrebbe certo impiegato
molto...
Silenziosa come un gatto,
Ithildis tornò di corsa nella sua camera, dove aveva lasciato il suo sposo
addormentato, ed entrò sbattendo la porta alle sue spalle.
Eomer si svegliò di colpo.
- Dove sei stata ? -
domandò, sorpreso e preoccupato.
- La tua servetta si è consolata
alla svelta, vedo...tra le braccia dell’elfo. - disse Ithildis.
Eomer la guardò senza capire,
mentre Ithildis si sedeva sul letto fissandolo negli occhi.
- Cosa vuoi dire ? -
- Sai, mio adorato sposo...credo
che tu sappia molte meno cose di quanto credi. -
- Per esempio ? -
- Per esempio, che io so tutto di
te e quella sgualdrinella...l’ho sempre saputo. Sei stato un ingenuo a credere
di potermelo nascondere. -
Eomer sospirò e tacque.
Istintivamente si avvicinò ad Ithildis e le prese una mano.
- Se ti riferisci a Rhiannon, non
so perché sia venuta qui. - le disse, cercando di rassicurarla - Ad ogni modo,
qualsiasi cosa ci sia stata tra me e lei ora non c’è più, credimi. Forse non
c’è mai stato nulla. Quello che è successo è stato solo un errore. Tu sei la
mia sposa, solo questo conta ; Rhiannon se ne andrà, e tu resterai con me.
Non c’è nulla che mi leghi a lei. -
- Credi ? -
La Dama Nera si alzò e fronteggiò
il suo sposo, incrociando le braccia e guardandolo con atteggiamento di sfida.
- No, mio caro, forse ignori che,
quando l’hai abbandonata, le hai lasciato un ricordo molto prezioso... - Si
chinò verso di lui, avvicinandogli le labbra ad un orecchio. - Una figlia...ciò
che io non ti posso dare l’hai avuto da una patetica serva che credeva di farsi
regina. -
Eomer impallidì, incredulo. -
Cosa... ? -
Il Re del Mark alzò lo sguardo e
si chiese come avrebbe dovuto sentirsi. Alla fine di tutto aveva quello che
desiderava tanto...ma non avrebbe mai potuto goderne. Si domandò come si
sentisse Ithildis, e provò per lei un’immensa pietà.
- Sei contento ? Buon per
te. Ma la questione è più seria di quanto tu immagini. -
- Io... - balbettò Eomer,
incapace di ragionare.
- Perché credi che sia venuta fin
qui ? Certamente non per darti questa bella notizia, altrimenti ci avrebbe
certamente pensato prima. Hai visto come si guardano, lei e l’elfo ? Forse
no...ma tu non li hai visti insieme...come li ho visti io. -
Eomer fissò intensamente la sua
sposa negli occhi.
- Non senti vacillare il trono
sotto di te, Eomer figlio di Eomund ? Non capisci che te lo porteranno
via ? -
Eomer scosse il capo e capì, o
almeno credette di capire. - Stai farneticando, Ithildis. - disse - Devi
riposare un po’. Ti farò portare un infuso d’erbe che ti aiuterà a ritrovare la
calma... -
- Io non ho bisogno di niente,
Eomer - disse Ithildis con voce sicura - Ma tu avrai ben presto bisogno di un
cavallo che ti porti lontano da qui. Rhiannon rivendicherà il trono di Rohan in
nome di sua figlia, e il suo amante, Legolas, il Re senza terra, la
aiuterà...il popolo non sarà dalla parte di un sovrano adultero, mio caro. Te
en andrai, e qualcun altro sarà abbastanza furbo da insediarsi al tuo posto. -
Eomer tacque e distolse lo
sguardo. Nel suo cuore sapeva benissimo che le parole di Ithildis erano pura
follia, eppure il tarlo del dubbio iniziò a rodere la sua anima...
E se fosse stato veramente
così ? In fin dei conti, per quali altri motivi Rhiannon avrebbe dovuto
seguire Legolas fin là ? E se la notizia che la ragazza gli aveva dato una
figlia si fosse diffusa, come avrebbe reagito il popolo ?
Scosse la testa. Conosceva
Legolas, si fidava di lui fin dai tempi della Guerra dell’Anello. Ma molte cose
erano cambiate. Doveva continuare a fidarsi ?
Ithildis si chinò nuovamente
verso di lui, ponendogli una mano sui una spalla e accarezzandogli una guancia
con l’altra.
- Ascolta le mie parole, Eomer -
sussurrò con voce suadente - Devi liberarti di loro...ma prima devi liberarti
di lui... -
Piccola
nota : soprattutto in questi ultimi capitoli, la storia sta prendendo una
decisa piega da alternate-universe, e me ne vergogno profondamente, soprattutto
dal momento che ho appena finito di rileggere ISDA dopo parecchi anni...molte
cose non le ricordavo affatto come sono, quindi prego i puristi di Tolkien di
prendere la storia semplicemente per quello che è : il parto della mia
fantasia in un mondo creato da un uomo geniale. Spero di riuscire, nei prossimi
capitoli, a riportare la storia sui binari canonici. In ogni caso, confido
nella vostra clemenza e nel fatto che la verdura costa cara, quindi sarebbe uno
spreco enorme tirarmi dietro cesti di pomodori e cavolfiori, seppure via
Internet!
Dal seggio del Moderatore,
Aragorn volse gli occhi su tutti i presenti, seduti dietro a due lunghe tavole
rettangolari poste una di fronte all’altra.
Alla sua destra, il fidato
sovrintendente Faramir.
Alla sinistra, Eomer, figlio di
Eomund, Re del Mark.
Di fronte a loro, seduto tra le
due tavole, schiacciato dagli sguardi dei Rappresentanti e degli altri
spettatori, soldati e cortigiani, stava Legolas, in attesa del giudizio
dell’Assemblea che avrebbe deciso del suo destino e di quello del suo popolo.
Un compito ingrato, quello che
spettava ad Aragorn : giudice di un tribunale che avrebbe giudicato uno
dei suoi amici più fidati, e che secondo lui non aveva alcuna colpa di nulla. E
ancora più ingrato doveva essere il compito dei giurati che gli erano ancora
fedeli ; Gimli, Sam...lui stesso.
Perché anche Aragorn si sarebbe
pronunciato quel giorno, ovviamente in suo favore.
Ma quanti altri lo avrebbero
fatto ?
Il Re di Gondor continuò a
guardare i volti dei partecipanti a quell’Assemblea straordinaria, fino a
quando i suoi occhi grigi si posarono su un visetto curioso e spaventato,
vicino al pesante portone d’ingresso, e sorrise.
Legolas aveva accettato il
sostegno di Rhiannon, ma non voleva che Galien assistesse all’Assemblea. Invece
il bambino non aveva voluto sentire ragioni ed era riuscito ad intrufolarsi
nella grande sala luminosa, stretto alle gambe della locandiera dai capelli
rossi.
- Ehi, fai vedere anche me !
- squittì Polo facendo, come al solito, capolino dalla tasca di Galien -
Accidenti, ho troppe teste davanti...se una di loro mi ospitasse non sarebbe
male ! -
- Guai a te se ti muovi da
qui ! - rispose Galien afferrando il topolino, pronto alla fuga, per la
collottola - E sta’ zitto ! Non c’è niente da vedere ! -
- State zitti tutti e due !
- sussurrò Rhiannon - Voi non dovreste nemmeno essere qui ! Queste non
sono cose per bambini ! -
- E’ di mio padre che parleranno
- ribattè Galien - E io ho il diritto di sapere cos’hanno intenzione di
fare di lui ! -
- A me, invece, piacerebbe tanto
sapere chi ti ha insegnato a parlare in questo modo... - disse Rhiannon
scuotendo la testa - Avresti dovuto studiare un po’ meno e giocare un po’ di
più con i tuoi coetanei ! -
- Io avrei imparato un sacco di
cose se fossi stato lassù nel Bosco Atro ! - disse Polo con aria sognante.
- Al massimo avresti imparato a
non farti mangiare dai ragni... - ribattè Rhiannon.
- Silenzio, adesso ! - disse
Galien, terminando la discussione - Cominciano a parlare ! -
Rhiannon e Polo sospesero le
ostilità nel momento in cui Aragorn prese la parola.
- Legolas Verdefoglia, alzati. -
disse, cercando di nascondere l’angoscia che lo tormentava. Legolas obbedì.
-Sei qui per rispondere
degli avvenimenti che hanno recentemente scosso le fondamenta dell’Alleanza dei
Popoli Liberi…- fece una pausa, quasi vergognandosi per le parole che stava
pronunciando. - I Membri Querelanti esporranno ora i provvedimenti che
riterranno più opportuni e che saranno messi al voto di tutti i Rappresentanti.
-
Ma, anche se stava ascoltando
quelle parole, il cuore di Legolas era altrove. Mentre il suo sguardo vagava
per la grande sala alla ricerca dei pochi volti che gli erano rimasti amici,
incontrò gli occhi di suo figlio, colmi di preoccupazione. Sorrise, cercando di
rassicurarlo, pur sentendosi lui stesso profondamente turbato; ma il timore che
lo opprimeva si sciolse un poco quando vide Rhiannon.
La ragazza taceva, e,
apparentemente, sul suo viso non era dipinta nessuna espressione; eppure
Legolas sentì ciò che gli occhi della ragazza gli stavano comunicando in quel
momento.
Sono con te, diceva,
fino alla fine.
Ma quanto ancora avrebbe tardato
ad arrivare, la fine?
L’elfo tornò al presente quando
udì Imrahil di Dol Amroth prendere la parola.
- Non sarebbe nemmeno necessario
esporre il grave pericolo a cui le nostre terre sono esposte a causa della
sconsideratezza del Re del Bosco Atro. - disse - Una terribile potenza si sta
risvegliando, e noi non abbiamo i mezzi per contrastarla. Riconosco che Legolas
Verdefoglia è sempre stato uno dei nostri alleati più fedeli, eppure ora il
Male marcia a grandi passi dalla sua Terra, e noi abbiamo tutto il diritto di
fermarlo. -
- Arriva al punto, Imrahil!-
ruggì Gimli - Ne abbiamo abbastanza dei tuoi inutili preamboli. -
Il Signore di Dol Amroth fulminò
il Nano con lo sguardo, quindi riprese la parola.
- Vedo che hai molta fretta di
fare giustizia, figlio di Gloin. - disse - Dunque, questa è la mozione proposta
dai Membri Querelanti per arginare il più possibile il pericolo. Chiediamo che
l’Alleanza muova guerra contro il Bosco Atro affinché ogni possibilità di
azione venga soppressa; che l’usurpatore del trono sia messo immediatamente a
morte ; l’interruzione immediata di qualsiasi commercio con il Reame Boscoso e
il regno di Esgaroth, del quale ci occuperemo in un secondo tempo; la
proibizione dell’uso della lingua elfica nelle Nazioni Libere; infine, per il
popolo dell’Eryn Lasgalen …l’esilio, e la consegna di tutte le terre. -
Legolas impallidì, mentre più
voci si levavano da ogni angolo della sala.
Aragorn scosse il capo.
- Il provvedimento che richiedete
è molto duro… - intervenne Faramir - Siete certi di volerlo veramente? -
- E’ semplicemente ciò che è
necessario. - rispose Imrahil - Il ritorno dell’Ombra non deve essere solamente
impedito, deve essere fermato per sempre. Se il Male sopravvivrà, ancorché
incatenato, chi ci potrà garantire che un giorno non riesca a liberarsi? No, la
sua resurrezione dev’essere stroncata con ogni mezzo a nostra disposizione. -
Aragorn respirò profondamente e
si apprestò a parlare, ma fu bloccato da Legolas, che gli tolse semplicemente
le parole di bocca.
- Come puoi credere che,
semplicemente allontanando un popolo dalle sue terre, il Male non si
ripresenterà più? Sei un ingenuo, Imrahil! Il Male è in ognuno di noi, te
compreso, e aspetta solo che ci riconsegnamo a lui! Se Eredhil non l’avesse
accolto, avrebbe certamente trovato qualcun altro al suo posto! Ma forse ti
consideri tanto forte da non cedere alle sue lusinghe… -
- Le tue parole mi spezzano il
cuore, Legolas… - disse Imrahil con sarcasmo - Dimmi, il tuo popolo avrà forse
una cattiva permanenza nelle Terre Imperiture, proibite a noi mortali? O
trovate che la Terra di Mezzo sia tanto più accogliente? Elrond e Galadriel
sarebbero felici di riavervi tra loro; in fin dei conti siete gli ultimi della
loro stirpe che non abbiano ancora preso la via dei Rifugi Oscuri. -
- Le tue parole non hanno senso.
- ribatté Legolas, accecato dall’ira.
- No, sei tu che non capisci…qui
non c’è più nulla per voi, ma non volete arrendervi all’evidenza che le vostre
terre stanno morendo e il controllo dei loro cicli vitali non è più in mano
vostra. Voi non siete fatti per vivere in questo mondo; la vostra permanenza
nelle terre ad Est vi consumerà nel desiderio di riportare le cose a com’erano
prima che l’Unico Anello fosse distrutto. Dimmi, Legolas, cosa sareste disposti
a fare pur di arrestare il tempo? Costruireste nuovi Anelli di Potere? Vi
consegnereste ad un nuovo Signore Oscuro? -
Mentre il brusio si faceva sempre
più forte, il cuore di Legolas batté sempre più velocemente e la voce gli morì
in gola, perché sapeva che, dietro alla tracotanza di Imrahil si celava un
fondo di verità. Avrebbe avuto davvero ragione un giorno, il Re di Dol Amroth?
A cosa avrebbe portato il suo popolo l’eccessivo amore per la propria terra?
Poi, la voce di Imrahil si levò
di nuovo sopra le altre.
- Le nostre richieste non sono
affatto finite. – disse – A causa del pericolo in cui ora si trova la sua
gente, e di conseguenza tutta la Terra di Mezzo, chiediamo che Legolas, Sovrano
del Bosco Atro, non resti impunito; che sia quindi imprigionato e il suo potere
sia delegittimato fino a quando sarà ritenuto opportuno. -
Le voci crebbero, in toni di
stupore e sdegno.
- Sei un ipocrita, Imrahil! –
sbottò nuovamente Gimli – Perché non dici le cose come stanno veramente? Una
volta che gli ultimi Elfi avranno perso la loro guida e saranno definitivamente
costretti ad andarsene, voi tutti non avrete che guadagno da ciò che verrà dal
Bosco Atro! Avrete eliminato un rivale, non un colpevole! -
A Legolas la terra sembrò
spalancarsi sotto i piedi. Incapace di parlare, volse lo sguardo verso
Rhiannon, anche lei incredula di fronte a ciò che aveva appena udito. Galien si
strinse forte alla ragazza.
- Gli faranno del male…? -
sussurrò.
- No, stai tranquillo…non
potranno fare nulla a tuo padre. Non fino a quando Aragorn sarà con lui… -
In quel preciso istante, il
Signore di Gondor si alzò dal suo seggio, furibondo.
- Non ho intenzione di sprecare
una parola su quanto ingiusta e illegittima sia la mozione che hai presentato,
Imrahil - disse - Mi opporrò ad essa con ogni potere che mi è concesso, stanne
certo! -
- Per ora è sufficiente che tu
svolga il tuo compito, Sire. - disse Imrahil, ancora indignato per le parole di
Gimli - L’Assemblea è un organismo libero di decidere, e la parzialità non è
una dote degna di un moderatore. -
- Il mio compito è distinguere
ciò che è giusto da ciò che non lo è. Mi rimetterò ai voti dell’Assemblea, ma
sappi che non tollererò altre parole d’arroganza da parte tua, Imrahil. - lo
zittì Aragorn. Imrahil si sedette. - Legolas, puoi prendere la parola. Cosa
vuoi dire a tua discolpa? -
L’elfo sospirò e scosse la testa.
– Non ho molto da dire. La mia colpevolezza deriva solo dall’aver nutrito
eccessiva fiducia in mio fratello e nel non aver mai sospettato quale fosse la
sua vera natura. Se dovrò pagare per la mia ingenuità, allora così sia, ma non
accusate il mio popolo di essermi complice. Nei miei anni di regno non ho fatto
altro che operare per il suo bene, ma il Male è sottile e può insinuarsi
ovunque voglia. La protezione che noi Elfi potevamo dare alla Terra di Mezzo è
svanita con la distruzione dell’Unico Anello. La punizione non mi spaventa; ho
già perso tutto quello che potevo perdere. Decidete quello che volete, solo… -
Tentennò, e gli si strinse il cuore. - …solo abbiate pietà per mio figlio. Lui
non ha colpe. -
Detto ciò, si sedette in
silenzio.
Aragorn pensò ad Arwen, che lo
aspettava aMinas Tirith. Le parole di
Imrahil riguardavano anche lei; sebbene il Re sapesse che non avrebbe mai
lasciato né lui né Gondor, il suo cuore era comunque legato al popolo di
Legolas, gli ultimi Elfi che ancora soggiornavano nella Terra di Mezzo. E se
loro fossero stati costretti ad andarsene, una parte di lei li avrebbe comunque
raggiunti…
- Che la mozione sia messa ai
voti. - disse infine, sospirando. - Io, Aragorn, figlio di Arathorn, Signore di
Gondor, mi dichiaro contrario a quanto proposto. - Quindi, partendo dalla sua
destra, interrogò tutti i presenti.
- Faramir, figlio di Denethor,
Sovrintendente di Gondor. Come ti dichiari in merito? -
- Contrario. - rispose Faramir.
- Barahad, Capitano dei Dunedain,
come ti dichiari in merito? -
- Favorevole. -
Piano piano toccò a tutti gli
altri.
- Contrario. -
- Favorevole. -
- Favorevole. -
- Favorevole. -
- Contrario. -
- Contrario. -
- Favorevole. -
Legolas inspirò profondamente
mentre osservava i volti di chi lo stava giudicando; era certo che molti
ritenessero eccessivamente rigida la proposta di Imrahil, ma avrebbero comunque
votato a favore di essa…che gli Elfi abbandonassero le loro terre poteva essere
una situazione estremamente vantaggiosa, che la giudicassero giusta o meno. Ma
sapeva che non era certamente quello lo scopo di Imrahil; conosceva il Signore
di Dol Amroth dalla Guerra dell’Anello, ed era un uomo d’onore, per quanto la
devozione per la sua terra fosse portata all’eccesso. Imrahil non aveva secondi
fini, poteva leggerglielo nel cuore; ma gli altri…
Rhiannon stringeva forte la
spalla di Galien, che non riusciva a distogliere gli occhi da suo padre.
Li avrebbero separati di nuovo e
lui non avrebbe più potuto vederlo…no, non poteva andare così…non di nuovo…non
ora che si erano ritrovati…
- Favorevole. -
- Contrario! -
Gimli gridò il suo voto,
indignato, balzando quasi in piedi sul suo sedile.
Aragorn si concesse un sorriso,
pensando all’affetto che il Nano provava per Legolas, e a quello che anche lui
provava. Nessuna mozione avrebbe mai potuto distruggere quei sentimenti;
avrebbero difeso Legolas fino in fondo.
Faramir interruppe i suoi
pensieri.
- Mancano pochi voti, mio Signore
- disse il Sovrintendente con aspetto preoccupato - E la maggioranza è in
favore della mozione… -
- Lo sarà ancora per poco, Faramir.
- rispose Aragorn - Tra i mancanti ci sono persone dotate di buon senso, non
temere. -
Aragorn non sbagliava; gli ultimi
cinque voti riavvicinarono il risultato alla parità, ma la speranza si era già
allontanata dal cuore di Legolas e dei suoi compagni, sostituita dalla
rassegnazione, poiché mancavano due soli voti e i favorevoli superavano i
contrari di tre…
- Samvise Gamgee, sindaco di
Hobbiville. Come ti dichiari in merito? -
- Io sono contrario, ma avrei
qualcosa da dire. - disse lo Hobbit alzandosi. I presenti lo guardarono con
aria interrogativa. - Alcuni dei Rappresentanti sono assenti, e tra loro vi
sono Meriadoc Brandibuc e Peregrino Tuc della Contea. Io raccolgo le loro
deleghe…e dico che per entrambi il voto è contrario! -
Voci di sorpresa per alcuni,
sdegno per altri, si levarono dall’Assemblea.
Legolas chiuse gli occhi e
sorrise.
- Diavolo di uno Hobbit! -
esclamò Gimli - Non avrei mai immaginato che la tua accortezza potesse arrivare
a tanto! -
Rhiannon trasse un profondo
sospiro di sollievo. - Ora è veramente finita, Galien. - disse, abbracciando il
bambino. Ma Galien non rispose.
Qualcosa non va, si disse.
Rhiannon non si accorse di nulla,
e tenne gli occhi fissi sull’ultimo dei Rappresentanti che avrebbe votato.
- Eomer, figlio di Eomund, Re del
Mark, come ti dichiari in merito? - disse Aragorn, ormai certo del buon esito
della situazione. Favorevoli e contrari erano in parità e il voto di Eomer
avrebbe deciso; Legolas e la gente del Bosco Atro erano salvi.
Eomer non disse nulla, ma il suo pensiero era rivolto a ciò che
Ithildis gli aveva detto la sera precedente.
Ti toglieranno tutto…
No, non poteva essere così. Legolas non avrebbe mai potuto farlo. E
nemmeno Rhiannon.
Fai ciò che ti dico, amore
mio…non avrai speranza, altrimenti. Noi non avremo speranze…
Ithildis era pazza. Come avrebbe potuto darle retta? Eomer sapeva
cos’era giusto in quel momento; e non era certo ciò che gli aveva proposto la
sua sposa.
Eppure…
I pazzi spesso vedono oltre le
apparenze, oltre il muro che ci divide da ciò che può ucciderci…forse per
questo sono pazzi…perché vedono l’orrore oltre quel muro…
Ma non poteva comunque condannare un innocente…perché Legolas e il suo
popolo non avevano colpe…
Si voltò piano e incrociò lo sguardo di Ithildis.
- Fai ciò che devi. -gli
sussurrò - Fallo per noi. -
Doveva salvare il suo trono…doveva salvare Ithildis…perché era pazza,
ma lui lo era ancora di più, perché la amava…
Non posso…non posso…
Riportò una mano tremante al viso.
- Come ti dichiari in merito? - ripetè Aragorn, guardando Eomer con
aria dubbiosa.
Il Re di Rohan si voltò di scatto verso di lui, gli occhi febbricitanti
e il cuore impazzito, ma non parlò.
Rhiannon alzò lentamente la testa e sentì il suo sangue gelarsi nelle
vene.
No, pensò, non farlo…non farlo…
Eomer deglutì e chiuse gli occhi.
Il trono da un lato, i sentimenti dall’altro…o entrambi dalla stessa
parte?
Che i Valar mi perdonino,
si disse, ho preso la mia
decisione.
- Favorevole. - disse.
Aragorn e Faramir impallidirono, mentre i vincitori esultavano.
- Chiediamo che la mozione abbia decorrenza immediata, secondo quanto
dettato dalla Legge! - gridò Imrahil.
- Decorrenza immediata! - fecero eco gli altri.
Nei pensieri dei perdenti, invece, regnava la confusione.
- Silenzio! - esclamò invano Aragorn, cercando di riportare l’ordine.
- Aragorn! - gridò Gimli - Fa’ qualcosa, non permettere che lo portino
via! -
Aragorn guardò il Nano con un’infinita tristezza. - Ho le mani legate,
Gimli. - disse - La Legge prevede decorrenza immediata per le delibere dell’Assemblea…Legolas
dovrà restare qui in attesa di una nuova Assemblea che decida del suo destino.
Io non posso fare nulla, ma ti prometto che veglierò su di lui perché non gli
accada niente. Farò quanto mi è possibile per aiutarlo, ma nemmeno io posso discutere
la Legge. -
Nel frattempo Rhiannon lasciò Galien e si fece largo tra la folla.
- Eomer!! - gridò mentre le guardie la fermavano - Eomer! Pazzo! Perché
l’hai fatto?! Perché?! -
Eomer voltò piano gli occhi verso di lei, e la ragazza non vide in essi
altro che rassegnazione e pentimento.
- Perché…? - disse un’ultima volta Rhiannon prima di cedere alle
lacrime.
Eomer, invece, sentiva su di sé lo sguardo di Legolas, greve come un
macigno.
L’Elfo si era alzato di colpo non appena aveva udito il Re di Rohan
decretare la sua condanna. La collera stava per sopraffarlo, quando udì le risa
della Dama Nera alzarsi sopra le voci dei presenti.
In quell’istante, tutto gli fu chiaro.
Eomer non era un traditore…era prigioniero delle volontà della sua
sposa.
- Mi dispiace, Legolas. - disse Eomer.
- A me dispiace per te, Eomer… - rispose l’Elfo.
Sospirando, Eomer fece un cenno alle guardie, che si diressero verso
Legolas.
- NO! - esclamò Rhiannon - Legolas!! -
L’elfo si voltò di scatto verso il Re di Dol Amroth, mentre i soldati
lo circondavano.
- Potrai prendere tutti i provvedimenti che vorrai, Imrahil - gridò -
Ma non potrai impedirmi di soccorrere il mio popolo!! -
Galien non riusciva a capire quanto era accaduto.
- Adar! - gridò disperatamente mentre il sangue gli
martellava nelle tempie.
Legolas udì la voce del bambino e si guardò disperatamente intorno
senza riuscire a vederlo.
- Galien! - lo chiamò - Avo
gaer, hên nìn!! -
Non aver paura, figlio mio…
- Adar!! -
All’improvviso, Galien si immobilizzò, sentendosi avvolgere da una
strana vampata di calore, che gli si insinuò lentamente nel cuore, e una voce
conosciuta risuonò nella sua mente.
E’ il momento, Galien.
- Sei tu…? -
- Galien, cosa ti succede? - disse Polo-
In quel momento Rhiannon, accortasi di aver lasciato solo il bambino,
corse da lui e gli si accucciò davanti, prendendolo per le braccia.
- Galien, sono qui, non temere…Galien? -
Il piccolo non rispose e, sempre immobile, chiuse gli occhi.
Ma quando Galien riaprì gli occhi non era più lui.
Lentamente avanzò fino al centro della sala, mentre i Rappresentanti,
tacendo incuriositi da quello strano comportamento, lo seguivano con lo
sguardo.
Legolas, spaventato, cercò di avvicinarsi al bambino, ma le guardie
glie lo impedirono.
Ad un tratto, Galien parlò con una voce che non gli apparteneva.
- Vedo molte persone in questa stanza - disse - E tra loro c’è qualcuno
che conosco. -
Rhiannon impallidì e sentì le gambe tremare.
- Non è possibile… - disse - Non è possibile…non è possibile…-
- Qui vedo mio padre, il Re - disse, guardando Eomer - E là in fondo
vedo mia madre, che non è la Regina. -
Rhiannon scoppiò in lacrime, riconoscendo quella voce e quello sguardo
quando si posò su di lei.
- Roslyn… - balbettò la ragazza, incapace di muoversi.
Eomer si sentì quasi mancare, mentre Ithildis restava immobile come una
statua di ghiaccio, quando gli occhi di Galien si posarono su di lei.
- Per la barba di Durin, cosa sta succedendo? - disse Gimli, ma nessuno
gli prestò attenzione.
- E là, nascosta tra uomini valorosi ma ciechi, vedo la vera Regina…che
per amore di mio padre mi ha spezzato il collo. -
In quello stesso istante una spirale di luce bianca abbandonò il corpo
di Galien che crollò a terra. Legolas spinse via le guardie e corse da lui,
prendendolo tra le braccia.
- E’ tornata.. - disse prima di perdere del tutto i sensi - E’ tornata
per avere giustizia… -
Rhiannon sentì la sua vita crollarle addosso.
- Tu… - disse, voltando gli occhi verso Ithildis, nel medesimo istante
in cui lo fece anche Eomer, sconvolto. Barcollando, si fece largo tra la folla
verso la Dama Nera. - …hai ucciso mia figlia…HAI UCCISO MIA FIGLIA!!! -
Ithildis non si mosse e non parlò, mentre Rhiannon le si avventava
contro, pazza di rabbia e dolore.
- Rhiannon, no! - esclamò Aragorn, trattenendo la ragazza.
- ASSASSINA!! - gridò Rhiannon tra le lacrime - EOMER, HAI SPOSATO
UN’ASSASSINA!!! -
Ithildis volse lentamente lo sguardo verso Eomer, uno sguardo
diabolicamente innocente. Eomer scosse lentamente il capo, incredulo e
sgomento, incapace di dire una parola.Avrebbe voluto urlare, unirsi alla
disperazione di Rhiannon perché Ithildis gli aveva mentito, e la figlia che in
cuor suo avrebbe sperato di poter stringere tra le braccia era morta, uccisa
dalla follia della donna che amava…
- Portala via. - mormorò ad un soldato che gli stava accanto,
indicandogli Ithildis - Portala nella sua stanza e bada che non possa nuocere a
nessuno…tantomeno a se stessa. -
Poi si guardò in giro, tentando invano di frenare le lacrime che gli
rigavano le guance, ma non riuscì a sentire nessun rumore. Non potè sentire
Legolas chiamare suo figlio svenuto, mentre gli accarezzava il viso, né Aragorn
discutere animatamente con Imrahil e gli altri Rappresentanti, né le grida e i
singhiozzi di Rhiannon mentre Gimli e Sam la stringevano a loro e cercavano di
calmarla.
Tutto ciò che sentì fu il suo cuore che agonizzava mentre qualsiasi
speranza lo abbandonava a se stesso, lasciandogli solo un immenso vuoto che
nulla avrebbe più potuto colmare.
Non era finita come lui aveva invano sperato.
Non era finita affatto…
Capitolo un
po’ troppo politico, sorry! Ad ogni modo nei prossimi capitoli ci saranno
diversi sviluppi…
La faccenduola
di Galien, momentaneamente posseduto dallo spirito di Roslyn è basata sulla
splendidacanzone “The bonny swans” di
Loreena McKennitt
Legolas continuava a camminare nervosamente avanti e
indietro nella stanza in cui era stato relegato, sempre più confuso e inquieto.
Si sentiva la testa pesante e un senso di oppressione gli soffocava il cuore;
diede un rabbioso calcio al pavimento della sua lussuosa cella, poi si sedette
pesantemente sul letto, pervaso da un inutile senso di rancore nei confronti
della guardia che gli aveva strappato suo figlio dalle braccia e ora lo
sorvegliava fuori dalla porta.
Ripensò agli avvenimenti di poco tempo prima, ma era ancora
troppo stordito per riuscire a capire cosa fosse accaduto. Si portò le mani
alle tempie, cercando quasi di impedire ai pensieri che lo tormentavano di
fargli esplodere la testa, quando una voce famigliare che proveniva dal
corridoio lo fece voltare di colpo verso la porta.
- A Elbereth Gilthoniel ! - esclamò vedendo Aragorn
entrare nella stanza tenendo Galien per mano.
L’elfo corse verso
suo figlio e lo sollevò da terra, in un caloroso abbraccio. Galien sorrise ma
non parlò, ancora scosso da ciò che era accaduto, e Legolas, assicuratosi che
stesse bene, si guardò dal tormentarlo di domande.
Poi, senza smettere
di stringere il suo bambino, l’elfo volse gli occhi stanchi e angosciati verso
il Signore di Gondor, che non aveva ancora detto una parola.
- Come stai? - gli
domandò Aragorn.
- Meglio, ora.
Almeno, credo. -
- Devi stare bene.
Lui ne ha bisogno. - continuò Aragorn accennando con il capo a Galien.
Legolas inspirò
profondamente e accarezzò i capelli di suo figlio, che tremava nelle sue braccia.
- Non riesco ancora
a credere a ciò che è successo. A niente di ciò che è successo… -
- Nemmeno io. E’
tutto così confuso… -
Aragorn si sedette
sul letto, prendendosi il viso tra le mani.
- Come sta
Rhiannon? - domandò Legolas.
- Ha pianto a
lungo; adesso dorme, ma il suo sonno non è affatto sereno. Gimli e Sam sono con
lei… per impedirle di commettere sciocchezze. -
Legolas non disse
nulla e il suo sguardo si fece cupo.
- La situazione è
pessima, amico mio. - continuò Aragorn - Rhiannon rischia di impazzire per il
dolore ed Eomer è incapace di dire una parola. La verità lo ha sconvolto più di
quanto potessi immaginare; ha fatto sorvegliare Ithildis e si è chiuso nelle
sue stanze, cercando un po’ della pace che non avrà. E, per aggiungere male al
peggio, tra i Rappresentanti regna il caos, per via dello scandalo di Ithildis
e del comportamento di Eomer nei tuoi confronti. -
- Roslyn… - sospirò
Legolas stringendo ancora più forte Galien al suo petto - Decisamente non è
stato il momento migliore per il suo breve ritorno. -
- Quella povera
bambina voleva solo un po’ di giustizia, Legolas. - disse Aragorn - Per sè e
per Rhiannon. Questa era la sua unica occasione per mettere sua madre e suo
padre di fronte alla verità, per quanto crudele potesse essere. Era la sua
unica occasione e ha dovuto coglierla. -
- La verità…quale
delle mille? - intervenne Legolas - La verità su questa storia ha molte
facce…troppe, forse. E sono tutte terribilmente dolorose. - L’elfo sospirò
nuovamente, pensando ai poteri di suo figlio, troppo grandi perché persino lui
potesse capirli, ora definitivamente messi allo scoperto.
Come se avesse
letto i pensieri del padre, Galien si sciolse dolcemente dal suo abbraccio e lo
guardò negli occhi.
- Non accusate
Roslyn - disse - Lei è sempre stata con me, mi ha protetto da Eredhil…se non ci
fosse stata lei forse io non sarei qui. Dovevo aiutarla, dovevo fare qualcosa
per lei...perché nessuno l’ha mai fatto. Nessuno pensa mai ai più deboli. Ora
può davvero riposare in pace. -
L’Elfo e l’Uomo tacquero
per un istante.
- Sarai un buon Re,
Galien. - disse Aragorn.
- Come mio padre? -
- Come tuo padre. -
ripetè il Signore di Gondor, accarezzando i capelli del bambino.
Legolas sorrise, il
miglior ringraziamento per il suo vecchio amico, ma quel sorriso fu rapido a
spegnersi.
- E adesso? - disse
- Cosa succederà adesso? -
- Non lo so,
credimi. - rispose Aragorn - Non riesco nemmeno ad immaginarlo. Ma prima che
accada qualche altra diavoleria troverò il modo per toglierti da questa
situazione. Fidati di me, Legolas. -
Legolas sorrise di
nuovo.
- La fiducia in te
è tutto quello che mi resta, Elessar. In te, in Rhiannon e tutti gli
altri…fiducia e speranza. Nient’altro. -
Rhiannon si girava
e si rigirava nel letto, attorcigliandosi le coperte attorno al corpo sottile,
scosso dai brividi, mentre gli occhi vigili di Gimli e Sam vegliavano su di
lei.
- Non credo che
stia dormendo. - sussurrò lo Hobbit, preoccupato.
- Io credo di sì,
invece. - rispose Gimli - Le erbe che le hanno somministrato avrebbero
addormentato un olifante. Ma non mi preoccupa tanto che stia dormendo o meno:
mi preoccupa quello che accadrà quando si sveglierà. -
Sam rabbrividì. -
Non sarà più la stessa. -
- No, Sam. Non sarà
più la stessa. -
- Povera Rhiannon…-
squittì Polo che, spaventato dalla confusione, si era rifugiato in tasca allo
Hobbit - Anche se non siamo mai riusciti ad andare d’accordo, mi ci stavo quasi
affezionando, sapete? Non era cattiva…non meritava tutto questo. -
- No, non lo
meritava affatto. - disse Gimli - Nessuno meriterebbe una cosa del genere.
-
La ragazza si girò
per l’ennesima volta tra le coperte, borbottando delle parole incomprensibili.
- Secondo voi sta
sognando? - continuò Polo.
- Non fare domande
idiote. - sbottò lo Hobbit - Certo che sta sognando. E non credo sia un bel
sogno. -
Difatti Rhiannon
sognava. Sognava la risata stridula di Ithildis che sovrastava lo schiocco
delle fragili vertebre di Roslyn, e il terribile momento in cui lei aveva
trovato la bambina accanto al melo, inconsapevole di quanto orribile fosse la
verità. Quanta sofferenza, quanta paura doveva aver provato prima di morire, il
suo piccolo tesoro…e Rhiannon non era con lei, a proteggerla. Non era con lei,
nell’unico momento in cui avrebbe dovuto esserci.
Non c’era.
Era questa la
verità che, balenando nella mente della ragazza, la fece alzare di scatto sul
letto urlando.
- Per la barba di
Durin, Rhiannon!! - esclamò Gimli afferrandole la mano - Va tutto bene? -
La ragazza guardò
il Nano e lo Hobbit, ansimando. No, non andava tutto bene. Niente andava bene,
niente. A partire da lei.
- Cosa ci fate qui?
- disse con voce gelida.
- Volevamo solo… -
- Fuori. -
- Cosa…? -
- Ho detto fuori! -
- Ma … -
- Non sono stata
abbastanza chiara? Uscite di qui!! -
Gimli scosse la
testa. - Vogliamo solo aiutarti, Rhiannon! Non sei in grado di… -
- Di fare cosa? Di
accettare la verità che mi è stata sbattuta in faccia? Di sopportare il lurido
cumulo di miseria e orrore che me l’ha tenuta nascosta fino ad ora? E’ questo
che non sono in grado di fare? -
Gimli e Sam si
scambiarono uno sguardo incredulo, senza sapere cosa dire né cosa fare.
- Posso sopportarla
benissimo, se è questo che vi preoccupa. Ho sopportato il peggio da sola per
tutti questi anni, posso farlo ancora. Non ho bisogno delle vostre spalle per
piangere, non ho bisogno di voi né di nessun altro. E adesso, ripeto, FUORI!! -
Sam sospirò, buio
in viso. - D’accordo, se è questo che vuoi. -
- E’ questo che
voglio. -
- Sam, Polo,
andiamo. - disse Gimli dirigendosi verso la porta. Poi si voltò verso Rhiannon.
– Di sicuro avrai bisogno di stare da sola, e ne hai tutto il diritto. Ma non
credere di poter restare da sola per sempre. Ad ogni modo, quando cambierai
idea, basta che ci chiami. -
Rhiannon restò seduta sul bordo del letto, gli occhi fissi sul muro,
mentre la porta si chiudeva piano alle spalle dei suoi amici.
La solitudine non la spaventava più, ormai. Ciò che la terrorizzava era
l’idea di affrontare il terribile abisso che si trovava dentro di lei…
La sua mano strinse la coperta, tanto forte da farle sbiancare le
nocche.
Roslyn era stata uccisa dalla moglie di suo padre…ci sarebbe stata una
giustizia per lei? No, a questo avrebbe dovuto pensare Rhiannon.
Non ho più nulla da perdere, ormai, si disse. E della mia
vita non mi importa nulla…
Si alzò di scatto dal letto e, con le mani tremanti per la collera e il
dolore, iniziò a frugare tra le poche cose che aveva con sé.
Lungo la strada per Edoras, Aragorn le aveva donato un pugnale dalla
lama sottile con l’impugnatura in avorio…un’arma poco appariscente ma letale
all’occorrenza. Quella lama avrebbe bevuto il sangue di Ithildis, lo giurò
sulla sua testa. Non sapeva come, ma avrebbe certamente trovato un modo.
- Dove l’ho messo, maledizione?! - esclamò la ragazza ribaltando il suo
bagaglio sul pavimento.
- Cercavi questo, forse? -
Rhiannon si immobilizzò, sentendosi puntata alla gola la fredda lama di
un pugnale…il suo pugnale.
Ed era Ithildis brandirlo.
- Ti avevo avvertito. - disse la Dama Nera costringendo la fanciulla ad
alzarsi - Nessuno può permettersi di sfidarmi sul mio terreno e vincere.-
Rhiannon si guardò disperatamente intorno, troppo spaventata da
quell’improvvisa apparizione per reagire.
- Non gridare - disse Ithildis - Abbrevieresti solo la tua fine, e io
non voglio che sia troppo rapida. Ora vieni con me. -
Ciò detto, afferrò Rhiannon per un braccio e la trascinò verso la
parete accanto al letto, sulla quale si apriva il passaggio segreto attraverso
il quale la Dama Nera era silenziosamente entrata.
- Legolas, svegliati. -
L’elfo aprì lentamente gli occhi, la vista ancora appannata dal sonno,
e si trovò davanti il volto preoccupato di Aragorn.
- Aragorn…cosa…? - disse, spaventato da quella visita inattesa.
Aragorn scosse la testa senza parlare, e volse lo sguardo verso il Re
di Rohan, in piedi alle sue spalle, il volto pallido e teso. Legolas lo guardò
senza capire.
Eomer fece un passo verso di lui. – Devi venire con noi. – disse –
Subito. –
- E’ successo qualcosa a Galien? – disse Legolas.
- No, tuo figlio sta bene. – rispose Aragorn – Ho incaricato delle
persone fidate di vegliare su di lui.Ma… -
Eomer inspirò profondamente e chiuse gli occhi, cercando di non
apparire più terrorizzato di quanto già non fosse, ma un lieve tremore nella
sua voce lo tradì.
- Ithildis è scomparsa - rispose - E nemmeno Rhiannon è nella sua
stanza. -
- Quando ve ne siete accorti? – domandò Legolas seguendo Eomer e
Aragorn lungo i corridoi del palazzo.
- Poco fa. - rispose Eomer - Avevo bisogno di parlare con mia moglie,
ma quando ho aperto la porta della sua stanza l’ho trovata vuota. Eppure la
guardia mi ha assicurato che era chiusa a chiave, e che nessuno è entrato né è
uscito… -
- E Rhiannon? -
- Sono corso da lei appena ho scoperto la fuga di Ithildis. E quando ho
visto che nemmeno lei era nella sua stanza... -
Eomer si fermò davantiall’elfo
e lo guardò negli occhi.
- E’ successo qualcosa, Legolas, lo sento. Ma sento anche che possiamo
impedire l’irreparabile…e l’unica persona che possa aiutarmi sei tu. -
- Vorrei farlo con tutto il cuore, ma non vedo come… -
- Il tuo udito, la tua vista…i sensi di un elfo sono molto più acuti di
quelli di un uomo. - intervenne Aragorn - E anche il tuo cuore può avvertire
cose di cui noi non ci rendiamo conto. Ithildis e Rhiannon non possono essere
lontane; abbiamo sguinzagliato le guardie per tutto il palazzo…ma se la loro
esperienza dovesse fallire…solo il tuo istinto potrebbe farcela. Lascia che il
tuo legame con Rhiannon ti porti da loro. -
L’elfo guardò il suo vecchio amico, perplesso.
- Legolas… - disse all’improvviso Eomer - Trovale, ti prego. Trovale
prima che sia tardi. -
- Ammesso che non lo sia già. - rispose Legolas.
Nell’oscurità del tunnel in cui Ithildis l’aveva fatta introdurre,
Rhiannon incespicò e cadde a terra, le gambe deboli e tremanti, sbattendo una
guancia contro il pavimento in nuda roccia. Nella sua bocca sentì il sapore del
sangue, troppo simile a quello della paura che stava prendendo il sopravvento
su di lei.
La Dama Nera la afferrò bruscamente per un braccio, stringendola tanto
da farle male, e la costrinse a rialzarsi.
- Non farmi perdere tempo. - disse - La strada è ancora lunga. -
Rhiannon non rispose e si rimise in cammino, sotto la minaccia del suo
stesso pugnale.
- E’ impossibile che siano scomparse nel nulla… -
Legolas si mosse lentamente nella stanza di Ithildis, che fino al suo
arrivo era rimasta sbarrata e sorvegliata da due guardie.
- Ma è altrettanto impossibile che sia uscita da qui senza che nessuno
l’abbia vista! - ribattè Eomer - Le guardie non si sono mosse e non hanno
sentito né visto nulla di sospetto… -
Legolas si guardò intorno per un momento, quindi si diresse deciso
verso la finestra e guardò fuori, appoggiando una mano sul pesante infisso in
legno scuro.
- No, non da lì. - disse Aragorn intuendo il pensiero dell’elfo - E’
chiusa dall’interno. -
Legolas non parve ascoltarlo e tornò al centro della stanza, dove
rimase immobile, come in ascolto. Poi, lentamente, si riavvicinò alla parete e
lasciò scorrere una mano sul muro, percorrendo in questo modo il perimetro
della camera.
- Eomer, ci sono passaggi nascosti che collegano le varie ali del
palazzo? – domandò.
- Non credo proprio. Anche se non lo appare, Meduseld è un
inestricabile labirinto di corridoi. Un passaggio segreto non avrebbe nessuna
utilità, qui dentro…ad ogni modo è un’ipotesi che anch’io avevo preso in
considerazione, ma le pareti sono ben salde… -
Ad un tratto, Legolas volse di scatto la testa verso Eomer.
- Sento freddo. - disse.
- Può darsi, il vento è molto forte… -
- Non si tratta del vento. -
Legolas corse verso il grande specchio e fece scorrere il palmo della
sua mano intorno alla cornice intarsiata, fino a quando le sue dita indugiarono
su un fregio ovale piuttosto profondo. Poi inspirò profondamente e premette l’intarsio
con decisione.
- Grande Ilùvatar! - esclamò Aragorn quando vide lo specchio ruotare
attorno ad un perno e scoprire un cunicolo che, dopo pochi gradini, si
approfondiva nella solida roccia entro al quale erano state gettate le
fondamenta del Palazzo d’Oro.
Senza indugiare, Legolas si tuffò nello stretto passaggio e scomparve
nell’oscurità.
Aragorn seguì l’elfo incitando Eomer a fare lo stesso.
- Legolas, dove sei? – gridò nel buio.
- Qui…-
Ben presto i due uomini trovarono l’elfo fermo ad un intricato
crocicchio di corridoi nei quali il cunicolo di partenza si sfioccava.
- E’ uscita da qui - disse Eomer - E’ sempre uscita da qui, quando si
allontanava dal palazzo, la notte…ma dov’è andata? -
- A prendere Rhiannon – disse Aragorn - Il passaggio porta sicuramente
anche nella sua stanza. Ma ora il problema è un altro: dove l’ha portata? -
Legolas si guardò intorno, e i suoi occhi luminosi risplendettero
nell’oscurità mentre i suoi sensi erano all’erta, alla disperata ricerca di
qualsiasi segno che lo potesse condurre dalla ragazza.
Poi, ad un tratto, tese le orecchie e fece un passo avanti.
- Stanno scendendo. - disse.
- Dove vuoi portarmi? – disse Rhiannon con un filo di voce,
strascicando i piedi per la stanchezza ma senza fermarsi.
- Sei così impaziente di saperlo? Tra poco lo vedrai con i tuoi occhi.
– rispose la Dama Nera.
Le due donne camminarono ancora per qualche minuto, quando una luce
fioca illuminò debolmente il freddo cunicolo.
- Puoi ritenerti fortunata. – disse Ithildis – Sei una delle uniche due
persone che conoscono l’esistenza di questo passaggio segreto. L’altra,
ovviamente, sono io. -
Rhiannon non disse nulla.
- Pensa, fu fatto costruire secoli fa da Eorl il Giovane in persona, il
primo Re del Mark…doveva servire a favorire la fuga della famiglia reale in
caso di necessità, ma non ce ne fu mai bisogno. Inutile dire che la sua
esistenza fu dimenticata da tutti fino a quando io non ne scoprii il progetto
nella biblioteca del Palazzo d’Oro…i libri sono un’ottima compagnia quando devi
rimanere isolata dal resto del mondo. Ci si possono scoprire cose davvero
interessanti. -
-
E’ questa la strada che hai preso quando sei andata ad uccidere Roslyn, vero? –
disse Rhiannon disgustata.
Ithildis
sogghignò. – No, non questa. Per di qui si va in un’altra direzione. Ma ora lo
vedrai da te…siamo arrivate. –
La
luce si fece un poco più intensa, abbastanza per illuminare la fine del
passaggio che si allargava in un’enorme grotta dalla volta altissima, sorretta
da alte e possenti colonne dalla forma irregolare, scolpite nella pietra,
mentre il pavimento era attraversato da uno stretto e limpidissimo corso
d’acqua. Qua e là giacevano armi e pezzi d’armatura arrugginiti di foggia
diversa, ormai dimenticati da anni. L’illuminazione era fornita da poche torce
attaccate alle pareti.
Rhiannon
sarebbe stata sbalordita da quel posto, se solo non fosse stata terrorizzata.
-
Ci fu una grande battaglia, qui – disse Ithildis – E una grande vittoria, anche
se furono in molti a morire. Questo luogo resistette a malapena, e ora il tempo
e l’oblio stanno solo portando a termine ciò che la guerra aveva iniziato anni
fa. -
Si
voltò verso Rhiannon, che la guardò senza capire.
-
Ovviamente non sai di cosa sto parlando, vero? Ma certo…sei solo una povera
piccola ignorante che non è mai uscita dalla sua catapecchia, come potresti
saperlo? -
Ithildis
sorrise con cattiveria e allargò le braccia.
-
Sì, Rhiannon. Questo è il Fosso di Helm. - disse Ithildis ruotando su se
stessa, le braccia alzate - Non senti l’odore della morte che aleggia qui
dentro? Non vedi i corpi dei soldati di Rohan e dell’Ovestfalda cadere sotto i
colpi degli Uruk-hai, prima di massacrarli a loro volta? Non senti le loro
grida disperate, mentre nei loro occhi si dipinge il terrore di vedere scorrere
il loro sangue? -
La
ragazza scosse il capo, rabbrividendo, mentre la Dama Nera interrompeva la sua
danza vorticosa e alzava il capo verso il soffitto di nuda roccia.
-
Ma forse solo io sono in grado di sentirlo… - disse - Del resto, tutti dicono
che sono pazza. Ma comunque conosco cose che voi sani di mente non potreste mai
immaginare…ma ora non parliamo di questo. Vieni, Rhiannon. Sono sicura che tu
tieni molto a visitare questa fortezza. -
-
Voglio solo sapere perché. - rispose Rhiannon senza muoversi.
-
Perché…cosa? -
-
Perché l’hai uccisa. -
Ithildis
fissò la ragazza negli occhi e le sorrise con odio. - Hai anche il coraggio di
chiedermelo? - disse - Pensavo che tu fossi abbastanza intelligente per
arrivarci da sola. -
-
La mia bambina non aveva fatto niente… - disse Rhiannon con gli occhi colmi di
lacrime di rabbia e paura - Se la tua collera era così terribile dovevi
uccidere me, non lei…se davvero volevi trovare un colpevole… -
-
Un colpevole? - la interruppe Ithildis - Non c’è un solo colpevole, in questa
storia. Tutti sono colpevoli, nessuno è innocente. Avrei dovuto uccidere Eomer
per primo, ma come avrei potuto? Non sarebbe stata una vendetta abbastanza
dolce…e poi io…io amavo il mio sposo… -
-
Anche lui ti ama, non l’hai ancora capito? Eomer ha scelto te e abbandonato
me…sei stata tu a vincere. -
Ithildis
voltò le spalle a Rhiannon, senza ascoltare una sola parola. - Quando Eomer è
rientrato da quel viaggio al nord, ho capito che qualcosa era cambiato…glie lo
leggevo negli occhi. Mentre prima mi guardava con la stessa tenerezza con cui
una madre guarda il suo bambino, ora lo faceva come se io fossi un peso da
scaricare...io ero la sua catena, Rhiannon. Non poteva correre da te perché io
lo tenevo legato a me… -
La
Dama strinse forte il pugnale, e, girandosi di scatto, lo brandì contro
Rhiannon. - Ogni giorno lo osservavo mentre guardava lontano, fuori dalla
finestra, oltre le montagne…cercava te, Rhiannon, ma non ti vedeva. E invece io
potevo farlo, dentro di me potevo vederti, la volgare sguattera che aveva
rubato il cuore al Signore del Mark. Ti vedevo, Rhiannon…per anni ho letto
nella tua mente, ho visto come trascorrevi le tue giornate e ho rimpianto di
non poter essere al tuo posto…perché se fossi stata al tuo posto, Eomer sarebbe
corso da me… -
-
Potevi…vedermi? - disse Rhiannon - Eomer ha ragione. Sei completamente folle. -
-
Vero? - confermò Ithildis senza la minima reazione - E’ stata la mia follia a
rendermi lucida…a permettermi di vedere più lontano di quanto potessero fare i
miei occhi. A gettarmi in faccia una squallida realtà in cui io avrei fatto
tutto per guadagnare l’amore di Eomer, tutto…tranne ciò che lui voleva
veramente…e che era l’unica cosa che non potevo concedergli. Un figlio,
Rhiannon…un brandello della mia carne e della sua. Te ne rendi conto, Rhiannon?
Io ero la Regina…e non ero in grado di assolvere il compito di una qualsiasi
popolana. Ma allora, se io non potevo…nessuna avrebbe più potuto. -
Il
tono della sua voce fece rabbrividire Rhiannon per il terrore. Le orecchie le
ronzavano e la testa le girava vorticosamente.
-
Sai come mi chiamano, non è vero? Sai che mi chiamano la Dama Nera, perché non
sono altro che un’ombra di morte per chi mi sta accanto. Ma non sono solo
morte…sono anche vendetta. Vendetta contro tutti coloro che mi hanno strappato
un pezzo della mia vita, confinandomi nella pazzia. Ho giurato che avrebbero
pagato, e stanno pagando, credo che te ne sia accorta. La prima è stata Roslyn,
per il solo torto di esistere. Ho costretto un servo dirmi tutto e a portarmi
in quel miserabile villaggio, e quando ho visto il tuo adorabile
mostriciattolo…beh, non è stato difficile capire. E decidere. Sai, gli
assomigliava davvero molto.-
-
Maledetta… -
-
Poi c’eri tu…tu che ti sei arrogata il mio posto nella vita di Eomer.
Strappandomi lui, mi avevi strappato tutto. Dovevi provare esattamente quello
che avevo provato io, dovevo distruggerti a poco a poco, demolire il tuo mondo,
con tutte le persone che ti erano vicine…e penso di esserci riuscita, non
credi? -
-
E ora sei convinta di sentirti meglio? - disse Rhiannon reprimendo un conato di
vomito.
-
Io sì - rispose Ithildis - Ma tu no. Anzi, tra breve non sentirai più nulla…per
sempre. -
La
Dama Nera afferrò Rhiannon, terrorizzata, per un braccio, e la spinse davanti a
sè. - Andiamo. Ti porterò a visitare il Trombatorrione. Faremo suonare
un’ultima volta il corno di Helm Mandimartello…per annunciare la tua morte. -
Rhiannon
sgranò gli occhi e cercò invano di divincolarsi dalla presa di Ithildis.
-
Cosa c’è, non vuoi sentire il suono del corno di Helm? - disse Ithildis,
conducendo la ragazza lungo una stretta scala tortuosa - E’ semplicemente
meraviglioso…io l’ho udito, sai? Ho udito il suo richiamo di morte per gli
orchi di Saruman, anche se quel giorno non ero presente. Risuona ogni notte
nella mia mente, e ho tento desiderato di poterlo ascoltare davvero, un
giorno…è così potente che scuote le viscere della terra e tutte le creature che
vi si nascondono fuggono terrorizzate… - Si voltò a guardare negli occhi
Rhiannon. - Il che significa anche che nessuno ti potrà sentire, quando
urlerai. -
Il
percorso che portava dai sotterranei del Fosso di Helm al Trombatorrione era
breve, ma a Rhiannon parve infinito. Con il sangue che le pulsava nelle tempie,
incapace di reagire in qualsiasi modo, sentiva i passi di Ithildis, che la
seguiva, rapidi e leggeri, come se avessero già percorso quella via migliaia di
volte. Tenendosi in piedi a fatica, chiuse gli occhi quando vide la tenue luce
lunare illuminare la terrazza del Trombatorrione, l’aria immobile della sera
che le portava via il respiro. Con un stretta morsa allo stomaco, pensò alle
persone che avrebbe raggiunto tra breve: Roslyn, Potter, i suoi genitori…
Finalmente avrò pace, pensò, ma allora perché ho così paura?Nessuno si
preoccuperà per me…
O
forse no.
Galien, Legolas…
Lei
significava qualcosa per loro. L’abbraccio di Legolas, le lacrime di Galien.
Non poteva lasciarli.
Non
poteva permettere che quella donna li separasse ancora per colpa sua.
Non
poteva permettere che li distruggesse.
-
Ci siamo.- disse Ithildis costringendo
la ragazza a sporgersi dalle mura, verso il fossato - Saluterai il mondo
imparando a volare, Rhiannon. -
Improvvisamente
la nebbia che avvolgeva i pensieri di Rhiannon si diradò.
-
NO! - gridò, e con tutte le sue forze spinse Ithildis a terra, correndo di
nuovo verso le scale.
Ma
la Dama Nera si rialzò rapidamente e inseguì la ragazza.
-
Scappa pure! - gridò - Non avrai altro che una fine più lenta! -
Rhiannon
non la ascoltò, ma continuò a correre nell’oscurità fino a quando una mano la
afferrò per i capelli. La ragazza lanciò un grido, subito soffocato dal
contatto di una lama con la sua gola.
-
Mi hai decisamente stancato. Non ho più voglia di giocare con te. - disse
Ithildis - Facciamola finita qui, subito. -
Rhiannon
chiuse di nuovo gli occhi, aspettando il colpo di grazia. Che non venne, perché
una voce famigliare risuonò nelle sue orecchie e in quelle della Dama Nera.
-
Ithildis! Dove sei? Rispondi!! -
-
Eomer… - sibilò la donna, mentre il panico si accendeva suo volto.
- Resisti, Rhiannon! Stiamo arrivando! -
esclamò un’altra voce lontana, la voce di Legolas.
Improvvisamente,
Ithildis sorrise, un sorriso folle e insano, mentre nei suoi occhi di tenebra
si accendeva la luce della disperazione. - Bene, molto bene - disse, spingendo
di nuovo Rhiannon verso il Trombatorrione - Ora vedremo. Ora vedremo chi
vincerà di noi due. -
-
Sei sicuro che siano andate da questa parte? - domandò Eomer, il cuore in gola
mentre, insieme ad Aragorn, seguiva Legolas che correva come il vento nel buio.
L’elfo
non rispose a quella domanda, troppo concentrato nel seguire quel filo di voce
che solo lui riusciva a sentire, l’unico suono che si era imposto di percepire
oltre al battito del suo cuore che era diventato incontrollabile. Nel silenzio
spezzato dai rapidi passi dei tre, Legolas seguiva la voce delle due donne, i
sussurri sibilanti di Ithildis e le parole disperate di Rhiannon, seguiva il
loro cammino, la loro paura…
-
Sono vicine, lo sento. - disse infine, mentre saliva verso la pallida luce che
si trovava in fondo alla lunga scala che conduceva sulla cima del
Trombatorrione.
Aragorn
si guardò rapidamente alle spalle, mentre si lasciava indietro la fredda e
umida grotta, e con essa i suoi terribili ricordi; la pioggia, i tuoni, i
mostruosi ruggiti degli Uruk-hai, l’angoscia e il terrore di venire spazzati
via in un soffio…e infine la speranza che si era riaccesa nel suo cuore
all’arrivo di Gandalf e degli Ucorni. Dopo l’ultima, terribile battaglia su
campi del Pelennor aveva giurato che quel sangue sarebbe stato l’ultimo ad
essere versato; ma avrebbe potuto mantenere quel giuramento?
Giunsero
sulla cima del Trombatorrione senza nemmeno accorgersene. Eomer si guardò in
giro, ma non riusciva più a vedere; la pallida luce che filtrava per le scale
sembrava scomparsa e la luna tentava invano di farsi strada tra le nubi che
sovrastavano i monti e soffocavano le stelle.
-
Ithildis…- chiamò, con voce tremante.
-
Sono qui. -
I
tre amici impallidirono quando videro la Dama Nera, vicino ai merli della
torre, stringere Rhiannon per un braccio e puntarle il lungo pugnale alla gola.
- Vieni
avanti, Eomer. - continuò la donna - Hai portato degli amici? Falli avvicinare,
non riesco a vedere i loro volti. -
- Sai
benissimo chi siamo - disse Legolas facendo un passo verso di lei - E sai anche
perché siamo qui. Lasciala andare, Ithildis. -
La donna
sorrise con crudeltà. - Lei?E perché
mai? -
- Ithildis -
disse Eomer - Ti prego, non fare sciocchezze. Lascia andare la ragazza e vieni
da me. -
- La ragazza…
- Ithildis rise. - Perché ora non la chiami per nome, mio caro? O vuoi dire che
non la conosci affatto? -
Eomer tacque.
- Sai, Eomer,
credevo che tu mi amassi…e invece in tutti questi anni non hai fatto altro che
raccontarmi bugie. -
- Non è vero,
Ithildis. Non ti ho mai mentito. - Ma Ithildis non lo ascoltò.
- Eri la mia
luce, Eomer…e ora è tutto buio. Mi hai sepolto mentre ero ancora viva, amore
mio…sei stato tu ad uccidermi, giorno dopo giorno. Avevi paura di me? -
Avvicinò lentamente la punta del pugnale alla gola di Rhiannon.
- Ti prego… -
mugolò la ragazza.
- Ma non sono
ancora morta, Eomer…forse ora ce la farò a prendermi la mia vendetta, l’unica
cosa che è riuscita a tenermi in vita. Scegli, Eomer: o me o lei. Ma sappi che
quando uscirai da qui una di noi due sarà morta. -
Eomer trasse
un profondo respiro e richiamò a sé tutta la sua lucidità.
- Se uccidi
Rhiannon non avrai più nessun motivo per vivere, Ithildis. Se la vendetta era
la tua unica ragione di vita, una volta che l’avrai ottenuta non ti resterà più
nulla. E allora sarai morta veramente. Vuoi morire, Ithildis? -
La Dama Nera
non riuscì a rispondere.
- Vuoi davvero
lasciarmi, amore? -
Ithildis
spalancò gli enormi occhi neri, lucidi di pazzia, e una lacrima le rigò la
guancia.
- Amore… -
sussurrò - Dove c’era l’amore non c’è più niente. -
- Non è vero,
Ithildis - continuò Eomer avanzando lentamente, le braccia tese verso di lei -
Lasciala andare e permettimi di asciugare le tue lacrime… -
- Non
avvicinarti!! - gridò la Dama tirando indietro la testa di Rhiannon e facendola
sporgere oltre le mura - Non avvicinarti o la getto dal Trombatorrione, Eomer!!
-
In quel
momento, Legolas lanciò un rapido sguardo d’intesa ad Aragorn, e, senza farsi notare,
strisciò accanto ai merli della torre, riparato dalla loro ombra.
- Le mie
lacrime sono solo pioggia per tutte le menzogne che mi hai raccontato… -
continuò Ithildis, la mente ormai definitivamente annebbiata - Per tutto il
dolore, per tutta la vergogna…io ci ho provato, Eomer…ho provato…ma nessuno è
venuto da me…nessuno… -
- Ithildis… -
- E così siamo
alla fine, Eomer…sarà quel che sarà. Dì pure addio…dì pure che non ho provato…-
continuò a farneticare Ithildis mentre Legolas era ormai a pochi passi da loro.
- Vieni da me,
Ithildis. -
La donna
scosse la testa. - Ora è tardi…tieniti le tue lacrime e riprenditi le menzogne,
il dolore e la vergogna…è ora di affrontare la fine…da sola. -
Con uno sforzo
inatteso e sovrumano, afferrò Rhiannon per la vita e la scaraventò dalle mura.
- NO!!! - urlò
Eomer mentre Aragorn si precipitava verso la donna.
Rhiannon gridò
mentre sentiva il vuoto sotto i suoi piedi e pregò che la morte la prendesse
rapidamente. Ma, invece della morte, fu Legolas ad afferrarla per una mano e ad
impedirle di sfracellarsi nel fossato sottostante.
- Non
lasciarmi!! - singhiozzò la ragazza, resasi conto della situazione - Per il
cielo, non lasciarmi!! -
- Non ci penso
nemmeno! - rispose Legolas stringendo i denti e cercando di tirare Rhiannon
verso di sé. Ma non ce l’avrebbe mai fatta se Aragorn non fosse corso in loro
aiuto.
Nel frattempo,
Eomer e Ithildis si fronteggiarono a breve distanza l’uno dall’altra.
- Vieni,
Ithildis... -
- E’ tardi -
disse lei, stringendo ancora il pugnale nella mano tremante.
- No, non è
tardi - disse Eomer cercando di nascondere la sua paura e tendendo sempre di
piùle mani verso la sua sposa- Non è successo nulla. Ti riporterò a casa
e tutto tornerà come prima, te lo prometto. -
- Non posso
tornare, Eomer… -
L’uomo si
avvicinò ancora di più, e la sua mano sfiorò quella di Ithildis.
- Perché non
puoi? -
- Perché mi
sono persa - rispose la donna, con una voce da bambina - Mi sono persa…e non
potrò mai più tornare a casa… -
- Ti aiuterò a
trovare la strada - disse piano Eomer, sfilandole il pugnale di mano.
- Non la vedo
più... - disse Ithildis lasciando che il suo sposo la abbracciasse, e guardando
nel vuoto oltre le sue spalle - E’ tutto buio…non riesco a tornare indietro… -
- Non
temere…rivedrai la luce molto presto… - sussurrò Eomer, piangendo, mentre le
conficcava il pugnale nella schiena.
Rhiannon,
appena tratta in salvo da Aragorn e Legolas, gridò con tutto il fiato che aveva
in gola.
- Per
Elbereth, Eomer!! - esclamò Legolas, inorridito da quell’azione.
Ithildis
spalancò gli occhi e si sottrasse lentamente dalle braccia del suo sposo,
mentre un rivolo di sangue le colava dalla bocca, e lo fissò incredula.
- Mi dispiace,
amore mio… - disse Eomer accarezzandole il viso - Ma l’ho fatto solo per te… -
La donna non
rispose e crollò a terra senza un lamento.
Aragorn,
Legolas e Rhiannon si avvicinarono piano ad Eomer, che si era chinato a
chiudere gli occhi senza vita della sua sposa.
- Perché…? -
disse Aragorn, ancora sconvolto, mentre Rhiannon piangeva tra le braccia di
Legolas - Perché l’hai fatto? -
Eomer rialzò
lentamente lo sguardo verso i tre e sorrise amaramente, gli occhi ancora umidi
di pianto.
- Perché era
l’unico modo per salvarla - rispose.
Rhiannon si
sciolse dall’abbraccio di Legolas e si chinò verso Eomer, e quando guardò nei
suoi occhi, e vide in essi l’amore, il terribile, disperato amore che
quell’uomo provava per Ithildis, capì che stava dicendo addio anche a lei.
L’uomo distolse
rapidamente lo sguardo dalla ragazza.
- Scappa,
Legolas. - disse.
- Come…? -
- Salvati.
Vattene da qui, finchè sei in tempo. Nessun altro innocente dovrà pagare per
colpe che non ha, d’ora in poi. Prendi tuo figlio e scappa. -
- Eomer… -
- Ti sto offrendo
la salvezza che meriti, Legolas. Tu non dovevi essere condannato per niente. Mi
assumerò la responsabilità di quello che accadrà, è ora che lo faccia; non temo
l’Assemblea. Torna indietro e trova l’uscita dietro le mura orientali; sono le
più sguarnite. Nessuno si accorgerà della tua fuga. Ma ora vai, presto! -
Legolas guardò
prima Rhiannon, il capo chino a terra, come se non avesse sentito nulla, poi
Aragorn, che gli sorrideva, speranzoso.
- Vai! - lo
incitò.
Legolas era
ancora confuso, l’unica cosa che riuscì a capire era che non aveva tempo da
perdere.
- Abbiate cura
di lei - disse ai due uomini indicando Rhiannon, che non si era minimamente
mossa.
- Non temere -
rispose Aragorn.
Detto questo corse via, ma il suo cuore era
ancora gonfio di rammarico.
La stanza di
Galien non doveva essere lontana. Sapeva che si trovava accanto a quella di
Rhiannon, e che non avrebbe faticato molto a trovarla. Ma mentre correva nel
buio, i sensi all’erta per capire dove si trovasse suo figlio al minimo segno
che gli venisse offerto, Legolas non riusciva a smettere di pensare.
Pensava a
Rhiannon, che stava abbandonando nel momento in cui forse aveva più bisogno di
lui, mentre Eomer si stava sacrificando per concedergli la salvezza. Ma
Rhiannon non era affatto sola..Aragorn, Gimli e Sam erano con lei…mentre Eomer
se la sarebbe certamente cavata con i rimproveri dell’Assemblea per non essere
riuscito ad impedire la fuga di Legolas…
Ma ciò che
tormentava di più l’elfo era il pensiero di Galien.
Tutto quello
che lui doveva fare, ora, era recarsi a Dol Guldur e regolare i conti con suo
fratello; ma era giusto che portasse Galien con lui?
Era giusto che
esponesse di nuovo suo figlio ad un pericolo mortale?
Se fosse
successo qualcosa al bambino sarebbe stato tutto inutile, tanto valeva che
morisse anche lui...
No, aveva
deciso: avrebbe salutato Galien un’ultima volta, ma non l’avrebbe portato con
sé.
Non ci volle
molto perché Legolas riuscisse a trovare il passaggio che conduceva nella
stanza di suo figlio; riusciva perfino a sentire il suo respiro e a
distinguerlo da quello degli altri cortigiani addormentati.
Si chinò piano
sul bimbo che dormiva serenamente e gli accarezzò piano i capelli.
- Addio,
figlio mio. - sussurrò - La tua vita vale mille volte la mia. Devo andare, ma non
smetterò di pensarti un solo istante. -
All’improvviso,
il piccolo elfo spalancò gli occhi, facendo sobbalzare il padre dalla sorpresa.
- Dove devi
andare, Padre? - domandò, con voce assonnata.
Legolas si
sentì preso alla sprovvista, ma decise di dire tuta la verità a suo figlio.
- Torno
indietro, Galien, a casa. Ma non potrò portarti con me. Devo affrontare Eredhil
da solo. -
Galien si
drizzò a sedere, gli occhioni spalancati.
- Ma…avevi
promesso… -
- Non posso,
Galien. - disse Legolas con un nodo alla gola, prendendo delicatamente il
figlio per le spalle - Non posso. Se mi succedesse qualcosa,che ne sarà di te?
-
- Me la caverò
- disse il bambino saltando giù dal letto - L’ho già fatto. -
- E…se
succedesse qualcosa a te…che ne sarà di me? -
Galien non
rispose e fissò negli occhi suo padre.
- Devi
salvarti, piccolo mio…non lasciare che il sacrificio di tua madre sia stato
vano…e che non lo sia nemmeno il mio… -
- Tu non vuoi
lasciarmi qui. -
Legolas rimase
sbigottito dall’affermazione netta di Galien.
- Lo sento nel
tuo cuore. Hai paura, ma vorresti che io venissi con te. -
Legolas
sospirò. Il Dono…una maledizione…
- E anch’io
voglio venire con te. Qualsiasi cosa succeda, la affronteremo assieme. Io non
avrò paura di nulla, se sarai con me. Ma se io rimanessi qui, mi sentirei solo
per sempre… -
- Galien… -
L’elfo
abbracciò suo figlio e lo strinse a sé, sospirando profondamente.
- Andiamo. -
disse infine, conducendolo verso il passaggio segreto.
Quando padre e
figlio uscirono dalle mura orientali, coperti dal buio della notte, videro
alcune sagomestagliarsi contro il
cielo scuro.
Legolas
dovette sforzare parecchio la sua vista elfica per riconoscere in esse Aragorn,
completamente ammantato di nero, che teneva per le redini due cavalli, uno dei quali
era Arod. Dopo essersi guardato attorno con circospezione, prese in braccio
Galien e corse verso l’amico.
-Tutti
dormono. Nessuno si accorgerà della loro sparizione prima di domattina, quando
sarete già lontani. - disse l’uomo alludendo ai due destrieri.
Legolas
sorrise e mise Galien in sella ad Arod.
- Non correre
rischi inutili, Estel - disse - Un solo cavallo sarà sufficiente per entrambi.
-
- Chi ti dice
che sarete solo in due? -rispose Aragorn.
In quel
momento, dall’oscurità avanzò un’altra figura avvolta in un lungo mantello. A
stento Legolas trattenne un’esclamazione di sorpresa quando la riconobbe.
- Rhiannon! -
intervenne Galien.
Legolas era
esterrefatto . - Sei impazzita? - esclamò - Sai dove stiamo andando? -
- Non me ne
importa un accidente. Se viene lui, posso venire anch’io. - replicò duramente
la ragazza, alludendo a Galien.
- Ho cercato
di farle cambiare idea, ma non è servito a niente… - disse Aragorn.
Legolas
sospirò. - Ma…perché? Qui sei al sicuro, e mi sembra che tu abbia già avuto
abbastanza guai per cercarne altri! -
Rhiannon lo
fissò negli occhi. - Non resterò qui, Legolas. - disse - Non resterò qui a
guardare Eomer mentre si consuma per la donna che amava e che l’ha distrutto.
Qui non c’è posto per me, non ce n’è mai stato. Voglio tornare a casa, Legolas;
se nemmeno tu mi vuoi con te, almeno accompagnami fino ad Aldorath, così potrò
morire nella mia terra. -
- Stai
soffrendo terribilmente, non è vero? - disse Legolas con dolcezza.
Rhiannon non
rispose, ma i suoi occhi erano lucidi quando lo guardò.
- Allora vieni
con noi. Correremo nel vuoto, ma almeno avremo qualcuno con cui dividere la
paura e il coraggio. -
Quelle parole
furono sufficienti a far tornare un fugace sorriso sulle labbra della ragazza,
che balzò in sella senza esitazione.
- Sono pronta
a dividere qualsiasi cosa con voi! - esclamò - Qualsiasi cosa! -
Galien
sorrise, il cuore traboccante di felicità, e così fece anche Legolas.
Poi l’elfo si
voltò verso Aragorn.
- Dille di
tacere, altrimenti vi scopriranno ancora prima che partiate! - disse il Re di
Gondor.
Legolas guardò
l’amico negli occhi e lo strinse in un forte abbraccio.
- Non ho
paura. - disse.
- Lo so. -
rispose Aragorn.
- Abbi cura di
te e degli altri. -
- Lo farò, non
temere. -
- E grazie di
tutto. -
Quindi Legolas
sospirò e si sciolse dall’abbraccio dell’amico, montando in sella.
- Namàrië,
mellon hìn… - disse, spronando Arod e scomparendo nell’oscurità, seguito da
Rhiannon.
- Non è un
addio - rispose Aragorn, alzando una mano - Ci rivedremo presto, lo sento!
Che Elbereth vi protegga, amici miei…sempre… -
Radagast,
ormai al termine del suo lungo viaggio, fermò il suo cavallo mentre scendeva il
fianco della collina, vedendo passare al galoppo i due destrieri che portavano
tre cavalieri nella piana sottostante.
Sorrise,
mentre il tordo, il suo piccolo messaggero piumato, si appollaiava sulla sua
spalla.
- Corri,
Legolas…corri verso la tua terra. I Valar ti proteggeranno, e sono certo che
avrai grande aiuto da chi ti accompagna, chiunque sia… -
Detto ciò
spronò il suo cavallo e ripartì al galoppo verso la sua destinazione.
I guardiani
del Palazzo d’Oro si meravigliarono nel vedere quello strano vecchio dalle
vesti marroni bussare allo porte di Meduseld ad un’ora così tarda, tuttavia,
memori della saggezza di Gandalf, e che quel vecchio sembrava portare dentro di
sé, lo lasciarono entrare e lo condussero al cospetto di Eomer.
Il Re del Mark
era nella sua stanza, seduto accanto alla finestra in silenzio, e Aragorn era
con lui.
- Radagast! -
esclamò il Signore di Gondor, stupefatto, andando incontro allo stregone -
Finalmente! Come ci hai trovato? -
- Me l’hanno
detto il vento e gli uccelli, i miei migliori messaggeri. - rispose Radagast,
dando una fugace occhiata all’affranto Eomer - Ma ora ascoltatemi. Sento che è
successo qualcosa di molto grave, qui dentro, ma qualcosa di peggio è già
avvenuto non lontano da qui. -
- Cosa vuoi
dire? -
- Il Secondo è
stato liberato. - rispose Radagast - Ora dobbiamo davvero sbrigarci. -
Sicuramente ve ne sarete accorti…comunque parte
delle folli parole che Ithildis dice a Eomer vengono dalla bellissima “Gollum’s
song” dalla colonna sonora di “Le due torri”, pezzo che ho tenuto come
sottofondo. Come sempre, lode
a Howard Shore!
Mio
fratello è debole, lo sento. Perché mi hai impedito di andare da lui?
Eredhil
sorrise mentre la voce di Armagh risuonava cupa nella sua mente.
- La missione
che gli ho affidato non gli richiederà un grande sforzo. E poi tu mi servi qui
a tener a bada l’esercito. – rispose.
L’elfo si
avvicinò ad una stretta finestra, l’unica che permettesse ad un pallido raggio
di luce di illuminare la grande sala che aveva fatto costruire nella sua nuova
fortezza. La luce del giorno lo infastidiva, lo indeboliva…lo rendeva
consapevole della sua fragilità, della debolezza che cercava invano di
nascondere. Anche se non poteva rendersene conto, Eredhil stava morendo, l’odio
che l’aveva travolto come un fiume in piena lo stava consumando così come si
stavano consumando le torce appese alle pareti, mentre il sole non poteva
essere consumato né fermato dalle spesse mura di pietra.
Se almeno
tu avessi aspettato, Fermanagh avrebbe potuto nutrirsi, diventare più forte. La
prigionia l’ha indebolito e il contatto tra le nostre menti potrebbe non funzionare
a dovere…
- Funzionerà,
funzionerà. A Minas Tirith non esiste nessuno in grado di fermarlo né di
percepire la sua natura. Non avrà alcuna difficoltà a prendere possesso del
corpo della mente della persona più insospettabile, né a trovare ciò che cerco.
Dopodiché, nulla ci potrà più fermare. –
Sei certo
che si trovi ancora là?
- Non del
tutto. Secondo le cronache andò perduto durante il rogo di Denethor II, al
termine della Guerra dell’Anello. Ma nella mia ricerca ho trovato fonti
attendibili secondo cui fu salvato e messo al sicuro nella Torre di Echtelion.
Ed è lì che attende… - Il sorriso di Eredhil si allargò mentre guardava nel
vuoto che lo circondava. – Il Palantìr di Minas Tirith…l’ultima rimasta delle
perdute Pietre Veggenti dopo che Gandalf si fu impadronito di quella di
Orthanc. –
L’elfo si
incamminò lentamente verso un blocco di marmo che si trovava al centro della
sala. Era lo stesso sul quale aveva trovato la corona di Morgoth, e che si
trovava ancora là, una sola delle tre punte vuota, in attesa dall’ultima gemma
che avrebbe finalmente liberato il suo antico padrone. Eredhil accarezzò piano
l’ultima punta.
- Non sarà
necessario che lo porti qui. Fermanagh guarderà nel Palantìr e vedrà il
Silmaril. Tu raccoglierai i suoi pensieri e li convoglierai a me. In questo
modo avremo più tempo per trovare la gemma. –
Lui non ce
la farà. E’ forte, ma non abbastanza intelligente. Avresti dovuto mandare me al
suo posto…
Eredhil
scoppiò a ridere.
- Sei geloso
di tuo fratello, Armagh? Hai paura che quando sarà tornato a Dol Guldur io gli
ceda il tuo posto e tu non ti possa più nutrire come fai ora? E’ così, Armagh?
Hai paura di lui? –
Una forte
scossa attraversò la mente dell’elfo, che a stento trattenne un grido di
dolore.
Io temo mio
fratello molto meno di quanto tu tema il tuo. Bada, Eredhil, senza di me tu non
saresti più nulla. Potrei liberarmi di te in un attimo...
- …ma non lo
farai. – lo interruppe Eredhil stringendo i denti – Io vi ho liberati,
ricordalo. E’ solo grazie a me che hai recuperato i tuoi poteri. Ciò che vi
chiedo non è molto in confronto a ciò che mi dovete. –
La Lingua e
il Braccio non hanno creditori, rispose
Armagh. Ricordati di quello che ti dico: ti ho creato dal nulla, e nel nulla
ti posso ricacciare. E ti garantisco che per te o chiunque altro avrà
intenzione di ostacolarm, sarà atrocemente doloroso pronunciare il mio nome e
quello di mio fratello.
- Fermanagh… -
disse Aragorn – Sei proprio certo che fosse lui? –
Il Re di
Gondor cavalcava insieme ai compagni di sempre e la loro scorta, in parte
composta da alcuni Rohirrim che Eomer aveva messo a loro disposizione, alla
volta di Minas Tirith. Con loro si trovava anche il piccolo Polo, piuttosto
risentito dall’improvvisa partenza di Galien, del quale stava diventando un buon
amico, e si teneva in disparte, ben protetto dal freddo nel taschino del
panciotto di Sam.
- Ne sono
assolutamente sicuro Aragorn. – rispose Radagast – Anche se è debole è lo
stesso estremamente potente. Dobbiamo fermarlo prima che recuperi del tutto le sue
forze. –
- Non mi
spaventa tanto dover combattere contro quel demone, quanto il fatto che si stia
dirigendo verso Gondor. Mi aspettavo che Eredhil lo liberasse da un momento
all’altro sin dal maledetto istante in cui ha messo le mani sul Silmaril, e ora
che la mia terra è in pericolo… -
Radagast si
voltò di scatto verso Aragorn, negli occhi un lampo di curiosità e stupore
forse fuori luogo in quel momento. – Dunque hai visto il Silmaril? – disse – Ci
sono troppe cose che la nostra frettolosa partenza ti ha impedito di
raccontare. Com’era? –
- Una pietra
come tante, solo molto più luminosa. Ma non tanto quanto mi sarei aspettato
dopo aver sentito i racconti degli Elfi. –
Radagast
scosse il capo. – Un tempo la sua luce ti avrebbe accecato. Oltre alla luce degli
alberi dei Valar, essa era anche una manifestazione dellapotenza delle creature che imprigionavano.
Ma il loro splendore ha cominciato ad attenuarsi con la liberazione di Armagh,
e ora che anche Fermanagh ha abbandonato la sua prigione sarà veramente
un’impresa per noi distinguere il terzo Silmaril da una pietra qualsiasi. –
- Ammesso che
quel maledetto demone non lo trovi prima – disse Gimli – E non sto parlando
solo di Fermanagh. E’ ovvio che Eredhil l’ha sguinzagliato perché cercasse la
pietra per lui; se Fermanagh si è diretto a Gondor, forse… -
- Non è detto,
mio buon Nano, non è detto. – lo interruppe Radagast – Non credo che il
Silmaril si trovi tanto ad Est. Penso piuttosto che Eredhil, nella sua mente
contorta, abbia deciso di servirsi di Fermanagh per altri scopi. –
Aragorn non
disse nulla ma si voltò istintivamente indietro verso Faramir, che non aveva
ancora aperto bocca. Notando lo sguardo turbato del suo Sovrintendente,
rallentò il passo e gli si affiancò.
- Comprendo
quanto tu sia preoccupato, Faramir – disse – perché lo sono anch’io, credimi.
Ma… -
- So cosa stai
per dire, mio Signore – lo interruppe Faramir – Il Male ha già minacciato il
nostro popolo da vicino una volta, ma non è riuscito a toccarlo. E non ci
riuscirà nemmeno stavolta, ne sono certo; eppure in fondo al mio cuore sento
che ciò che ci minaccia è estremamente più subdolo delle forze che assediarono
Gondor durante la Guerra dell’Anello. Più subdolo e pericoloso. –
Faramir alzò
di scatto la testa e fissò Aragorn negli occhi. Il Re non poté reprimere un
brivido accorgendosi dell’inquietudine che in essi si celava.
- Temo che ci
renderemo conto di chi è il nostro nemico solo quando ce lo troveremo di
fronte, mio Signore. E allora potrebbe essere troppo tardi... –
Il sole stava
tramontando su Minas Tirith, tingendo d’oro la bianca torre di Echtelion.
Arwen
Undòmiel, Dama di Gondor, era appena rientrata in città dopo la consueta
cavalcata in compagnia di Eowyn, la Bianca Dama di Rohan, e teneva rivolti a
terra gli occhi velati di malinconia.
- Sei
taciturna oggi, mia Signora – disse Eowyn dissellando il suo cavallo – Eppure
le giornate si stanno facendo più lunghe e assolate. L’arrivo della primavera
non allieta il tuo cuore? –
- Il mio cuore
è lontano da qui. – rispose Arwen sospirando.
- Capisco –
disse Eowyn – Sire Aragorn manca da diversi giorni… -
- …e la brezza
della primavera, che ho mandato a chiamarlo, torna muta e carica d’angoscia.
Tempi cupi stanno tornando, Eowyn…lo sento. – Accortasi del turbamento che
stava velando il viso della donna, sorrise. - Ma dimmi, tu non senti la
mancanza di Faramir? A volte mi rammarico quasi che la sua devozione ad Elessar
lo tenga lontano da te. –
- Faramir
morirebbe piuttosto che tradire la fiducia del suo Signore, ne sono certa. E
non solo la sua. – rispose Eowyn arrossendo – Non temo la sua lontananza,
perché so che ovunque vada tornerà da me. –
Arwen sorrise
nuovamente e posò una mano sulla spalla di Eowyn mentre rientravano nel grande
palazzo. – Un tempo non avrei mai creduto che questa sarebbe stata la mia vita
. – continuò Eowyn camminando per i lunghi corridoi – Il Palazzo d’Oro mi era
stretto, mi soffocava, tutto ciò che desideravo era la libertà, era vivere una
vita di cui fossi padrona, e l’unico modo in cui potevo realizzare il mio desiderio
era sognare di galoppare per le praterie di Rohan brandendo una spada e
mettendo in fuga terribili nemici venuti dall’Est. Credevo che solo quella potesse
essere la felicità per me, ma ora capisco che non lo era. Ora ho trovato la
vera felicità, la vera libertà, e non le cambierei con una vita da guerriera.
La mia vita è qui, accanto a Faramir. Io… -
Fu un istante.
Eowyn non fece in tempo ad accorgersi del lampo grigio che le aveva colpito la
schiena e che stava diffondendo la sua essenza malefica in ogni parte del suo corpo.
La fanciulla
barcollò e chiuse gli occhi.
- Eowyn! –
esclamò Arwen, spaventata, sorreggendola per un braccio – Eowyn, cosa ti
succede? –
La Bianca Dama
si portò una mano agli occhi. – Sì…tutto…bene… - farfugliò – Devo
tornare…tornare… -
- Sarà meglio
che ti accompagni nella tua stanza. – disse Arwen – Chiederò a Ioreth di
prepararti una bevanda che… -
- No! –
rispose Eowyn sottraendosi di colpo dalla presa di Arwen che la fissò,
stupefatta – Conosco la strada…devo andare… -
- Come
preferisci – disse Arwen, preoccupata, osservando la Dama di Rohan allontanarsi
lungo il corridoio.
Trovalo…trovalo…
continuò a borbottare
tra sé e sé Eowyn mentre Fermanagh guidava i suoi passi verso la torre di
Echtelion.
Sapeva
benissimo cosa cercare, e ora sapeva anche dove cercarlo.
Eowyn salì le scale della torre più veloce che poté. La
testa le girava vorticosamente, le sue gambe si muovevano da sole, governate
dalla terribile forza che Fermanagh donava loro. Ma la sua mente non era morta,
era solamente prigioniera del suo corpo e si sforzava invano di lottare per
uscire, mentre il demone d’acciaio aveva preso il suo posto.
Quante volte aveva percorso quella scala, per arrivare in
cima alla torre e rimanere, anche per pomeriggi interi, fino a quando non
scorgeva Faramir e la sua Compagnia comparire all’orizzonte, prima punti scuri
sulla terra bruciata, poi figure sempre più distinte, e quindi scendeva, sempre
di corsa, per poter essere la prima ad aprire le porte della Cittadella e dare
il benvenuto al suo sposo.
Ma ora non era il momento di restare ad osservare; non
avrebbe potuto farlo, nemmeno se lo avesse voluto. Doveva aprire la porta
proibita, cosa che nessuno, ad eccezione del Re, poteva fare. Nessuno avrebbe
potuto comunque farlo, dato che la chiave della robusta serratura che la
chiudeva era stata gettata nel fiume Isen da Re Aragorn in persona.
Eowyn non sapeva cosa si trovasse dietro quella porta, ma
aveva sempre rispettato il divieto che era stato imposto senza nemmeno
domandarsi il perché di quel divieto.
Ma era ormai giunto il momento di infrangerlo, benché non
lo volesse.
Con espressione sofferente, la Bianca Dama pose una mano
sulla pesante porta di legno che si trovava sul lato opposto della piccola
terrazza; quindi, dalla sua stessa mano, scaturì un violento lampo metallico
che sbriciolò le grate d’acciaio che la sostenevano, e la porta si aprì da
sola, cigolando lievemente.
La stanza era completamente buia, ma al centro di essa
Eowyn riuscì a distinguere un lieve bagliore rossastro scaturire da una forma
sferica, appoggiata su un pilastro di pietra.
- Finalmente…finalmente!! – esclamò la fanciulla
con una voce che non poteva controllare.
Tremando, pose piano una mano sul Palantìr, concentrandosi
su di esso; un fulmine attraversò il suo corpo e la sua mente, e all’improvviso
seppe cose di cui mai avrebbe immaginato l’esistenza, vide un turbinio di
immagini sfuocate, orrori senza nome dibattersi in oscuri meandri che non erano
altro che le menti di coloro che avevano osato guardare dentro la pietra nera e
che in essa erano rimaste intrappolate.
Poi, quando il dolore fu scomparso e le immagini si furono
fatte più chiare, Eowyn seppe.
E anche Fermanagh, e Eredhil che lo controllava da Dol
Guldur, seppero dove si trovava il terzo Silmaril. La visione era stata chiara,
questa volta. Molto, molto più chiara.
A miglia e miglia di distanza, Eredhil esplose in una
folle e incontrollabile risata, la stessa che riecheggiò nella torre, facendo
scuotere violentemente il corpo di Eowyn, che, con gli occhi spalancati e
febbricitanti allargò le braccia stringendo i pugni, esultante in un tripudio
di malvagità.
- Chi avrebbe mai detto che fosse così semplice… - disse
l’elfo – Troppo semplice! E’ come se il Silmaril fosse già mio! E’ già mio!!
–
- E’ già mio!! – gridò Eowyn, contorcendosi dal
dolore che il contatto con la mente perversa di Eredhil e lo spirito di
Fermanagh le provocava.
- Eowyn! Cosa…cosa stai facendo qui?! –
La Bianca Dama si voltò; Arwen era immobile dinnanzi alla
porta, e il suo sguardo sconvolto si spostò lentamente dal Palantìr al volto di
Eowyn, deformato dalla malvagità del demone.
-Nessuno ha il
permesso di aprire questa porta, tranne il Re!! Sai cos’hai fatto, Eowyn? Lo
sai?! -
- Certo che lo so, mia Signora – rispose la voce
metallica di Fermanagh – So benissimo quello che sto facendo…ma tu…tu non
sai cos’hai fatto, venendo qui!! -
Improvvisamente Eowyn sollevò una mano e da essa scaturì
un lampo grigio che avvolse il corpo di Arwen prima ancora che lei potesse
accorgersene. Senza emettere un suono, la Signora di Gondor crollò a terra
svenuta.
Con un ghigno demoniaco dipinto sul viso, Eowyn si chinò
su di lei e le avvicinò una mano alla gola; ma prima che le sue dita si
stringessero su di essa, un gran trambusto catturò la sua attenzione. Si
diresse verso la terrazza e, guardando in basso, vide un gruppo di soldati
dirigersi verso il Cancello, attraverso cui stava facendo il suo ingresso una
piccola compagnia di cavalieri piuttosto eterogenea, in testa alla quale si
trovavano il Sovrintendente e il Re. Scesi da cavallo, i due uomini si
guardarono intorno, come per cercare qualcuno che non vedevano.
- Hai scelto il momento sbagliato per tornare, Elessar…
- sibilò Eowyn con disappunto – Adesso dovrò perdere del tempo prezioso
per liberarmi anche di te… -
Legolas fermò
il cavallo, mentre la notte cominciava a calare sui confini meridionali del
Bosco Atro. Avevano cavalcato senza quasi fermarsi per un giorno intero, ed ora
la stanchezza cominciavaveramente a
farsi sentire.
- Per tutti i
Valar, non mi sento più le gambe… - disse Rhiannon rimettendo, finalmente, i
piedi per terra.
L’elfo si
accostò l’indice alle labbra, zittendola; poi si mise in ascolto. La ragazza
non si mosse fino a quando l’elfo, espirando profondamente come per rilasciare
tutta la tensione che aveva accumulato, non le ebbe fatto segno di avvicinarsi;
quindi Legolas prese tra le braccia Galien, che dormiva profondamente
accoccolato contro il suo petto, e lo mise in quelle di Rhiannon, che lo cullò
dolcemente accarezzandogli i capelli.
- Credi che
siamo al sicuro, qui? – domandò la ragazza mentre Legolas legava i cavalli al
tronco di un albero.
- Non saremo
mai al sicuro, vicini a Dol Guldur. – rispose – Ma non abbiamo altri posti in
cui andare. Forse la foresta ci proteggerà, ma dobbiamo stare molto attenti. –
- Vuoi
dell’acqua? – disse Rhiannon dopo aver fatto sdraiare Galien sull’erba.
- Ti
ringrazio. – Legolas prese la fiasca che la ragazza gli porgeva e si rovesciò
parte del suo contenuto in gola e parte sul viso per sciacquare via la stanchezza.
– Aldorath non dovrebbe essere molto distante, ma non possiamo continuare a
cavalcare. Dobbiamo riprendere un po’ di forze, non sappiamo ancora cosa ci
aspetta. -
Rhiannon si
massaggiò una spalla, prese del pane dalla sua borsa da sella.
- Non mangi nulla?
–
- Non ne ho
bisogno. Non ora,almeno. –
- Storie –
disse Rhiannon addentando il pane – Tutti hanno bisogno di mangiare. O forse
voi elfi vivete d’aria? –
Legolas
sorrise e guardò il suo bambino. – Galien ne avrebbe bisogno – disse – Ma non
me la sento di svegliarlo. E’ distrutto... –
- Anche tu lo
sei – disse Rhiannon guardandolo negli occhi – E lo sono anch’io, a dire la
verità. Ma non tanto per il viaggio…direi che questa cavalcata è stata una
bazzecola confronto a quello che è successo in questi ultimi giorni. –
- O in questi
ultimi anni… -
- O in questi
ultimi anni. – Rhiannon abbassò lo sguardo e sospirò. – Quando…quando credi che
finirà? -
Legolas le
pose una mano leggera sulla spalla e Rhiannon si sentì subito rincuorata da
quel tocco.
- Presto,
Rhiannon. In un modo o nell’altro finirà molto presto, vedrai. -
Un fruscio
improvviso fece sussultare l’elfo.
- Che hai
sentito? – disse Rhiannon, allarmata.
- Stai vicina
a Galien – disse Legolas alzandosi di scatto e afferrando il pugnale.
L’elfo mosse
qualche passo in direzione di una macchia d’alberi, fissando nell’oscurità.
Rhiannon si avvicinò a Galien e lo prese tra le braccia.
Ci hanno
trovato, continuava a
ripetere tra sé e sé, il cuore in gola, gli occhi sbarrati fissi sull’elfo che
scompariva lentamente dalla sua vista.
Non
lasciarci soli…ti prego, non lasciarci soli…
Ad un tratto,
Legolas alzò di scatto la testa e si immobilizzò.
- Heruamin!! – esclamò, gettandosi di lato.
Rhiannon gridò, mentre qualcosa di grosso e nero precipitava dalle fronde
dell’albero e si schiantava a terra, immobile.
Legolas non parve prestare attenzione alle grida della
ragazza e del bambino; si alzò e, con cautela, si avvicinò alla forma contorta
che giaceva sull’erba.
- Elbereth Gilthoniel … - disse a denti stretti,
rivoltando la figura con un calcio.
- Per il cielo, Legolas! Cos’è successo?! – esclamò
Rhiannon correndo verso l’elfo con Galien in braccio.
- Non avvicinatevi! – gridò Legolas, ma inutilmente.
Rhiannon soffocò un’esclamazione di disgusto e paura, stringendo il viso di
Galien al petto, in modo che il bambino non vedesse quella carcassa informe.
- Per Ilùvatar…cos’è? –
- Cos’era, vorrai dire. – rispose Legolas scoprendo il
volto del cadavere che si trovava ai loro piedi – Posso anche dirti chi era,
se preferisci. –
L’elfo si portò una mano alla fronte e bisbigliò una breve
preghiera elfica.
Rhiannon, sconvolta, non riusciva a staccare gli occhi da
quel corpo sfigurato; i tratti del viso erano deformati in un orribile ghigno,
entrambe le orecchie tagliate, gli arti mutilati.
- Elearion? – disse ad un tratto Galien, senza voltarsi.
- Sì – disse Legolas guardando il bambino, ormai incapace
di stupirsi per il suo potere – Il Secondo Capitano dei miei cavalieri. –
Rhiannon tremava, coprendosi la bocca con una mano quasi
per impedire a se stessa di gridare.
- Di nuovo. Come a Lothlorien… - disse – Ma…chi può aver
fatto una cosa del genere? –
- Non ne ho la minima idea e non voglio nemmeno saperlo,
ora. –
- E’ vicino, sempre più vicino…ci troverà, ne sono sicura!
Come ha ucciso tutti loro ucciderà anche noi!! – Rhiannon era sconvolta. – Ti
prego, andiamocene… -
- Dove? – sussurrò Legolas, spostando gli occhi qua e là
per la boscaglia – Chiunque sia, non potremo sfuggirgli a lungo. Tutti questi
cadaveri sono avvertimenti…tutto sta a vedere per chi. –
L’elfo, seguito da Rhiannon, tornò verso i cavalli e li
sciolse, sussurrando qualche parola elfica nelle loro orecchie. Poi prese
Galien dalle braccia di Rhiannon, lo avvolse nel suo mantello e lo fece
sdraiare sull’erba, in mezzo ai cavalli.
Le bestie rivolsero un placido sguardo al bambino , nuovamente addormentato, e
ricominciarono a brucare l’erba, senza muoversi da quel piccolo accampamento
improvvisato.
- Chiunque
sia, non ci faremo trovare impreparati. – disse Legolas porgendo a Rhiannon la
sua spada – Se vuole noi, dovrà venire a prenderci, e ti assicuro che non
saremo prede facili. –
La ragazza,
ancora spaventata, si sentì un po’ rincuorata da quelle parole, e si sdraiò
contro il tronco di un albero, sperando di non addormentarsi, mentre Legolas
ammucchiava alcuni rami per accendere un piccolo fuoco.
- Sei
impazzito?! – esclamò Rhiannon – Così ci troverà di certo! –
- E’
esattamente quello che voglio. – disse Legolas – Così gli risparmieremo la
fatica di venirci a cercare. E a noi risparmieremo quella di scappare; si
combatte male, in fuga. –
- Tu sei
pazzo… -
- Può darsi,
lo devo essere per forza se ti ho permesso di seguirmi. Ad ogni modo, fidati di
me. –
Rhiannon
sospirò e chiuse gli occhi, piombando, pur senza volerlo, in un sonno profondo.
Quando il
fuoco fu del tutto spento, nel bosco scese un profondo silenzio. Il passerotto
che guardava le tre figure addormentate si alzò in volo dal ramo e sorvolò per
un attimo la sagoma nera, immobile, acquattata dietro l’albero su cui era
posato. Anche quell’ombra osservava i tre viandanti, e lo stava facendo da un
pezzo. Forse era il momento di uscire allo scoperto; la brace era spenta, le
ceneri, ormai fredde, avevano appena smesso di fumare. L’oscurità era totale, a
malapena riusciva a distinguere le sue stesse mani.
Fiutò l’aria
immobile, alzando un poco la testa, e decise di avvicinarsi ancora un po’.
Sapeva che non era prudente, gli elfi erano pronti a tutto, ed era dell’elfo
che non si fidava, ma voleva, doveva vedere quella donna. Ne aveva
bisogno, un disperato bisogno...
Non potevano
essersi accorti di lui; li stava seguendo da quando si erano inoltrati nella
foresta, tenendosi bene alla larga in modo da non farsi scoprire, ma avevano
trovato i suoi “avvertimenti”…ora sicuramente sarebbero stati molto più in
guardia.
Non ci sarebbe
voluto molto, comunque.
Lo sconosciuto
si alzò e uscì silenziosamente dal suo nascondiglio. La mano che stringeva il
pugnale gli tremava, non sapeva perché, ma questa volta aveva paura.
E aveva
ragione ad averne perché, dopo pochi passi, si sentì piombare addosso qualcosa
di molto pesante che lo fece cadere in avanti.
Rhiannon si
svegliò di colpo, lanciando un grido. Legolas si sedette sulla schiena dello
sconosciuto, afferrandogli la gola con una mano e puntandogli il pugnale alla
nuca con l’altro, ma questi lo colpì al costato con una gomitata e lo fece
cadere a terra, avventandosi poi su di lui. Ma l’elfo fu più veloce e rotolò su
un fianco, lasciando il suo aggressore con un pugno di mosche.
- Gli elfi
vedono perfettamente al buio, non lo sai? – disse poi Legolas rialzandosi di
scatto e colpendo con un calcio il volto dello sconosciuto, disarmandolo e
lasciandolo dolorante a terra. Quindi gli strappò il cappuccio e lo bloccò
tenendogli un piede sul petto.
- Tutto a
posto, Rhiannon! – disse – Vediamo un po’ la faccia di questo sterminatore di
elfi! -
- Cosa…? –
bofonchiò lo straniero, cercando di coprirsi con le braccia il volto tumefatto.
Rhiannon
raggiunse di corsa Legolas, mentre Galien si svegliava.
-
No…aspettate… - disse il bambino, ancora intorpidito.
Preso dalla
disperazione, lo sconosciuto cercò di divincolarsi, ma Legolas lo sbatté ancora
più violentemente al suolo. Poi lo prese per i capelli e lo fece rialzare con
un forte strattone.
- Voglio
essere clemente; ti darò il tempo di dirmi il tuo nome e raccomandare la tua
anima a Mandos o chi per lui, prima di tagliarti la gola. – disse Legolas.
Con le poche
forze che gli rimanevano, lo straniero sputò a terra con rabbia.
- Crepa,
maledetto elfo. –
- Per
Ilùvatar…!– esclamò Rhiannon, vedendo il viso dell’uomo.
- Volentieri.
Tu mi precederai, però. – disse Legolas, premendo la lama del pugnale contro la
gola del suo aggressore.
- Per l’amor
del cielo, Legolas! Lascialo! –
L’elfo e
l’uomo si voltarono, entrambi sorpresi, verso la ragazza.
- No…ti prego, non guardarmi… - disse lo sconosciuto.
- Legolas! Ti prego!! -
- Rhiannon, si può sapere cosa ti prende?! – disse l’elfo,
senza però allentare la presa.
La ragazza lo afferrò per un braccio, sconvolta, senza
staccare gli occhi dal volto dell’uomo.
- Lascialo andare!! E’ Val!! –
- Non mi aspettavo di certo un benvenuto, ma fino a questo
punto... – disse Val, sciacquandosi la bocca con un po’ d’acqua che Rhiannon,
furibonda, gli aveva passato.
Legolas si asciugò il sudore dalla fronte. – Diciamo che
non hai fatto molto per meritarti una buona accoglienza. Oltretutto non ti
avevo nemmeno riconosciuto. –
- Non avresti nemmeno potuto farlo. – rispose Valerius,
sorridendo amaramente. Un lieve tremolio nella voce rivelava che l’uomo era
ancora spaventato. L’uomo…sì, perché il giovane Val sembrava improvvisamente
invecchiato. – Ci siamo visti per la prima ed ultima volta in una circostanza
piuttosto spiacevole. Credo che allora tu avessi in mente ben altro che far
caso alla mia faccia… E poi anch’io sono parecchio cambiato da allora, anche se
non è passato molto tempo. Ad ogni modo, hai fatto solo quello che avresti
dovuto fare allora. Credo di essermelo meritato. –
- Sei fortunato che ultimamente le cose abbiano cominciato
a girare per il verso giusto, altrimenti non so davvero cosa ti avrei fatto; ma
bada a non fare un solo movimento di troppo, perché ora so anche troppo bene
cosa fare. – disse Legolas.
Val rivolse uno sguardo a Rhiannon, che lo fissava
tenendosi in disparte.
- Vuoi dirmi anche tu quanto mi odi? -
Rhiannon tacque.
Val sospirò. – Potrei avere ancora un po’ d’acqua? –
Rhiannon gli gettò un’altra borraccia. – Strozzatici. –
disse.
- Sei crudele – disse Val.
- Cosa vuoi che ti dica? Che sono felice di vederti? –
ribattè la ragazza. Val scosse la testa. – Ci hai fatto morire di paura!! Si
può sapere cosa diavolo ti è saltato in testa? Volevi ucciderci come…come hai
fatto con gli altri? –
- Io volevo solo proteggervi!! – sbottò Valerius.
- Un bel modo per proteggerci, senza dubbio! Ci hai
aggrediti nel buio, armato di coltello. Se Legolas non ti avesse fermato, chi
avresti sgozzato per primo, Val? Me o Galien? Volevi finire il lavoro che hai
lasciato incompleto… -
- Smettila, Rhiannon… -
- …la sera in cui Potter è morto? –
- Ti ho detto di smetterla!! –
Val scattò in piedi e la sua reazione fece sobbalzare
Rhiannon. Legolas, invece, non si mosse di un passo, ma la sua mano si chiuse
sull’elsa del pugnale.
– Il pugnale mi serviva solo per difendermi. Non vi avrei
fatto niente di male. – disse Val – Vi avevo riconosciuti, tutti e tre. Volevo
solo vederti un’ultima volta, Rhiannon…poi vi avrei lasciati andare. -
- E il cadavere che ci siamo trovati sui piedi? Era un
regalo d’addio? – disse Rhiannon.
- No. L’avevo ucciso da tempo. Era solo un avvertimento,
ma non per voi. –
- Per chi, allora? – disse Legolas avvicinandosi all’uomo
e guardandolo negli occhi – Chi dovevi avvertire? Quello era il mio Secondo
Capitano. Un guerriero valoroso e fedele. L’hai ucciso senza un motivo, come
hai fatto con tutti gli altri. Perché? Per vendetta, forse? –
Valerius sogghignò. – Quello non era più nessuno, Legolas.
– disse – Non era più un elfo…non era più niente. Solo fuoco e magia nera, come
gli altri. Erano già morti, tutti quanti, ancora prima che io gli tagliassi la
gola. E’ stato Eredhil di Dol Guldur a farlo…lo Stregone Rosso. –
- Lo Stregone Rosso? – disse Legolas – E’ così che lo
chiamate, adesso? –
- E’ lui a farsi chiamare così. Ha rubato l’anima a tutti
i tuoi soldati, Legolas. Li sta usando come marionette; quando non gli
serviranno più, li butterà in pasto ai suoi nemici. I tuoi elfi hanno perso
tutto, credimi. Si aggirano come spettri per il Bosco Atro, guardando ma non
vedendo altro che morte e oscurità. Eredhil ha il pieno controllo su di loro,
ma non gli importa del loro destino. Li manda allo sbando, come bestie
randagie. Sono anche troppo facili da eliminare. -
- Mi sarei aspettato tutto ma non una cosa del genere… -
- Abbiamo…ho organizzato delle squadriglie ad
Aldorath – continuò Valerius – Conosciamo questa foresta come le nostre tasche.
Li prendiamo di sorpresa, li uccidiamo e lasciamo in giro i loro pezzi, come
monito. Siamo perfino riusciti a spedire un paio d’orecchie al tuo fratellino;
non so quanto abbia gradito la sorpresa… -
Rhiannon era rimasta senza parole.
- Direi che abbiamo avuto abbastanza prove della vostra
efficienza – disse Legolas – Mi auguro, però, che non abbiate lasciato il
vostro quartier generale ad Aldorath…mio fratello è pazzo, ma non stupido né
ingenuo. –
Valerius sorrise e si alzò. – Non temere, non lo siamo
nemmeno noi. Se ora volete seguirmi, farò prima a mostrarvi il nostro piccolo
esercito clandestino che parlarvene. –
Rhiannon e Legolas si scambiarono uno sguardo dubbioso.
- Restate vicini a me e non abbiate paura. Nessuno vi farà
del male; garantisco io per voi. – disse Valerius.
- Vuoi dire che ti farai uccidere al nostro posto se i
tuoi prodi soldati prendessero l’iniziativa? – disse sarcasticamente Rhiannon.
Lì per lì Val non rispose, ma fissò intensamente la
ragazza negli occhi, aggrottando le sopracciglia. Ci pensò Galien, che per
tutto il tempo era rimasto zitto, a rispondere.
- Sì. – disse il bambino.
- Legolas, stiamo camminando da un pezzo – sussurrò
Rhiannon, stanca e nervosa – Se il mio senso dell’orientamento non sbaglia,
direi che avremmo dovuto uscire dalla foresta da parecchio tempo, ormai… -
L’elfo guardò Valerius, che gli faceva strada discostando
cespugli e bassi rami d’albero dal loro cammino. – Non preoccuparti – disse –
Sta solo cercando di confonderci le idee. In modo piuttosto maldestro, direi;
non abbiamo fatto altro che girare in tondo, sarei in grado di ritrovare la strada
in un baleno. –
- Sarà – disse Rhiannon – Ma la cosa non mi rassicura
molto. Non so cosa tu stia pensando, ma io non mi fido ancora del tutto di lui.
–
- Nemmeno io – rispose Legolas – Ma mi fido di Galien. E
ho imparato a fidarmi anche delle sue sensazioni, ormai. Guardalo, sembra che
sappia perfettamente dove sta andando. –
L’elfo indicò suo figlio, che era corso un poco avanti e
si guardava intorno con occhi attenti come per imprimersi nella memoria ogni
minimo particolare di quella foresta.
Ad un tratto, Valerius si fermò, bloccando con un cenno
della mano i suoi compagni di viaggio. Restò zitto e immobile per un momento,
quindi emise un fischio acuto che riecheggiò in mezzo agli alberi, zittendo il
canto degli uccelli.
- Finalmente, Val! cominciavamo a preoccuparci! – esclamò
una voce.
Rhiannon sobbalzò per lo spavento, mentre Legolas e
Galien, per nulla turbati, si voltarono lentamente. Poi, dai loro nascondigli
dietro ai cespugli e gli alberi sbucò alla spicciolata una decina di uomini i
tutte le età, con abiti vecchi e logori, ma armati di tutto punto.
Un uomo di mezza età, con lunghi capelli neri e la barba
incolta si avvicinò al piccolo gruppo.
- Sei in ritardo. Ti aspettavamo per il
rapporto…Rhiannon?!? –
- Il rapporto Rhiannon? – disse ironicamente Legolas.
L’uomo lo ignorò.
- Per tutti i Valar, ragazza mia! Ti credevamo morta da un
pezzo! Mai e poi mai avremmo immaginato di trovarti a spasso per il Bosco Atro
con un elfo! –
- Se sono ancora viva lo devo a lui, Frey – rispose la
ragazza, seccata, notando gli sguardi di disprezzo e stupore che gli uomini,
che ormai li avevano circondati, rivolgevano a Legolas – Se fosse stato per
qualcun altro, a quest’ora sarei cenere spazzata dal vento. –
- Lui non è un nemico – disse Val, avvertendo il risentimento
che Rhiannon provava nei suoi confronti – E’ il vero Re del Reame Boscoso,
Legolas Verdefoglia. –
- Il fratello dello Stregone? – disse Frey.
- Sì – rispose Legolas con un sorriso sarcastico – ma ti
assicuro che lui non riceverà trattamenti di favore per questo. –
- Lo spero. – ribattè Frey – Ad ogni modo lo vedremo.
Ignoro ciò che fate qui, ma deduco che vi dobbiamo scortare all’accampamento,
giusto Val? –
- Esattamente – rispose Valerius – Hanno bisogno di cibo e
riposo, almeno per questa notte. Dopodiché se ne andranno per la loro strada,
se lo vorranno. –
- La nostra strada corre molto vicino alla vostra, Val. –
disse Legolas – Noi andiamo a Dol Guldur…per l’ultima volta, forse. –
L’accampamento non era molto lontano da Aldorath. Tendendo
bene le orecchie, forse Rhiannon sarebbe riuscita a sentire i rumori del
piccolo ma indaffarato villaggio, avrebbe potuto sentire l’odore del pane e
della carne arrostita che ora aveva quasi dimenticato.
Casa…
- A cosa stai pensando? – domandò Legolas, notando l’espressione
assorta della ragazza.
- A niente – rispose, secca, Rhiannon – Anzi, che i piedi
mi stanno facendo impazzire. Quando arriviamo? –
Ad un tratto un ragazzino corse fuori dalla boscaglia,
incontro al gruppo.
- Rhiannon! –
- Yain! – rispose la ragazza, facendoglisi incontro a sua
volta.
- Come sono felice, Rhiannon! – esclamò Yain
abbracciandola – Avevo paura di non rivederti più! –
- L’avevo temuto anch’io, Yain – disse piano Rhiannon,
accarezzando la testa del ragazzo – L’avevo temuto anch’io… -
Senza staccarsi da Yain, la ragazza alzò gli occhi e
incontrò quelli di Valerius. Erano occhi spenti e tristi, quasi senza speranza,
ma ancora pieni di orgoglio e dignità. Rhiannon abbassò lo sguardo, incapace di
mascherare l’imbarazzo con la rabbia che provava. La vista di Val la lasciava
in subbuglio; sembrava così cambiato, in quel breve periodo…l’aveva lasciato
ragazzo e lo ritrovava uomo, più maturo di lei, sebbene avessero la stessa età.
Il terribile errore che aveva commesso doveva averlo cambiato molto…
- Guarda, Yain – disse quindi la ragazza scuotendosi dai
suoi pensieri – Guarda chi c’è. -
Galien fece capolino dietro le gambe del padre; quando
ebbe riconosciuto il ragazzo, gli corse incontro, felice nonostante la
stanchezza.
- Mae govannen, Yain! – esclamò il bambino,
abbracciando l’amico.
- Galien! – esclamò, gli occhi che gli brillavano per la
gioia – Sei…sei vivo! –
Il bambino annuì, sorridendo.
- Ho ritrovato mio padre, Yain – disse. Yain guardò oltre
le spalle di Galien e vide Legolas avanzare lentamente fuori dal gruppo. Con un
tuffo al cuore si sciolse dall’abbraccio del piccolo elfo e scattò in piedi,
spalancando gli occhi.
- Hîr…hîr nìn… - balbettò, incerto. Legolas gli
faceva paura; per tutto quel tempo, Yain non aveva potuto dimenticare la sua
figura stagliarsi, splendida e terribile, contro il cielo nero, rischiarato
appena dalle fiamme scarlatte che divoravano la “Locanda dei Tre Passi”, la
notte in cui Val aveva consegnato Galien ai soldati di Eredhil. Eppure quella
figura sembrava così diversa, ora…
L’espressione di Legolas, pur stanca e preoccupata, era
rasserenante; non poteva essere altrimenti, dato che padre e figlio si erano
riuniti. Ripensò al volto dell’elfo che era entrato nella bottega di Val
cercando notizie di Galien, e di quelli che suo fratello e gli altri avevano
ucciso; loro non avevano la stessa luce, erano involucri svuotati e colmati di
malvagità. Era bello, finalmente, rivedere il viso di un vero elfo, di una di
quelle splendide creature a cui lui e tutti gli uomini tanto dovevano…
- Oio nae elealla alasse' – disse di slancio, quasi
senza ricordare il significato delle sue parole.
Legolas sorrise. - Ta nae amin saesa – rispose – Ma
non avresti detto la stessa cosa, la prima volta che ci incontrammo. Allora,
non fu certo una gioia. –
Yain abbassò lo sguardo, ma il battito del suo cuore in
tumulto si tranquillizzò.
- Non aver paura – continuò Legolas – I miei propositi di
vendetta ora sono solamente contro mio fratello. Lo sono sempre stati.
Dimentica ciò che ho detto quella notte; era la mia collera a farmi parlare.
Voi siete stati vittime di Eredhil quanto noi. –
- Yain. –
Il ragazzo sussultò a quel richiamo secco e si trovò
addosso lo sguardo severo di Valerius.
- E’ tardi e non hai ancora cenato. Vai. –
- Ma Val… -
- Muoviti. –
Yain borbottò qualche frase confusa e si allontanò.
Valerius lanciò un’occhiata sprezzante a Legolas e lo seguì.
- Val è arrabbiato con te, Adar? -disse Galien.
- Lascialo perdere – intervenne Rhiannon – Tuo padre ha
molto più diritto ad essere arrabbiato con lui. -
- Ma…perché? –
Rhiannon avrebbe voluto rispondere ma venne preceduta da
Legolas.
- E’ anche colpa di Valerius se Eredhil ti ha rapito,
Galien – disse.
- Oh… - disse il bambino spalancando gli occhi. Ricordava
perfettamente la terribile notte in cui Potter aveva perso la vita e lui era
stato portato a Dol Guldur. Sarebbe stato impossibile dimenticarla.
- …ma, in un certo senso, se ci siamo ritrovati è stato
anche merito suo. Il destino ha giocato degli scherzi crudeli a tutti noi,
figlio mio…e non è stato molto più clemente con Valerius. –
Come se si fosse sentito chiamato in causa, Val chiamò la
piccola compagnia.
- E’ meglio che visbrighiate, se volete qualcosa da mangiare. Abbiamo preparato i vostri
giacigli; almeno stanotte non dovrete temere di essere sorpresi nel sonno… -
Rhiannon incrociò le braccia e lanciò uno sguardo seccato
a Legolas, il quale, come risposta, le sorrise con un’immensa stanchezza
dipinta sul viso.
- Coraggio, Rhiannon – disse, prendendo in braccio suo figlio
– Abbiamo fame e sonno, e non ho intenzione di accettare discussioni, stanotte!
–
- Come vuoi - disse la ragazza alzando le braccia. Diede
un rabbioso calcio alla terra e si incamminò verso Valerius, che li stava
aspettando. – Io non ho fame, credo proprio che me ne andrò dritta a dormire.
Ah, Legolas…tienilo lontano da me, per favore – disse, indicando Val.
Legolas sospirò con amarezza.
Rhiannon non riuscì a mantenere il suo proposito, dato che
la struttura circolaredell’accampamento prevedeva che anche i giacigli si trovassero tutti
attorno al fuoco, in modo che nessuno fosse completamente isolato.
Mentre il piccolo Galien raccontava la sua terribile
avventura, la ragazza, imbronciata, non aprì bocca nemmeno per mangiare,
nonostante le insistenze dei membri della squadriglia e degli sguardi severi di
Legolas.
- Smettila di comportarti come una bambina – le sussurrò
l’elfo – Non sappiamo quando vedremo un altro vero pasto, quindi mangia e non
fare storie. Devi rimetterti in forze. –
Rhiannon sogghignò. – Sbaglio o eri tu che non volevi che
ti facessi da balia? – disse- Lasciami
in pace, Legolas, per favore. –
L’elfo sospirò. – Portare rancore non ti servirà a niente,
Rhiannon. Loro stanno correndo nel vuoto esattamente quanto noi. So che è difficile,
ma ti prego, cerca di superare questo scoglio… -
- Mi dispiace, Legolas, ma non ce la faccio. – Rhiannon si
alzò e si scosse i vestiti. – Tu non sei come me. Sei più forte di me. –
Legolas non potè fare altro che seguire con sguardo triste
la ragazza che abbandonava il suo posto attorno al fuoco e si allontanava dalla
radura.
- Ehi! Dove sta andando quella matta? Vuole farci
scoprire? – esclamò Frey.
- Lasciala stare – disse Legolas – Non è stupida, non se
ne andrà. Ha solo bisogno di stare in pace. -
- Anch’io ho bisogno di un po’ di pace – disse
all’improvviso Valerius – E c’è un solo modo per ottenerla. –
Val si alzò, e, con passo deciso, seguì la ragazza.
- Val! – chiamò Frey, alzandosi di scatto – Dannazione,
non cominciare anche tu! -
- Rassegnati, amico mio – disse Legolas – Quei due hanno
parecchie cose da chiarire, e non avranno pace finchè non l’avranno fatto. –
- Prima di tutto non ho ancora deciso di essere tuo amico,
elfo – disse sgarbatamente Frey, agitando l’indice verso Legolas – E poi anch’io
ho tutto il diritto di avere un po’ di tranquillità! Quello sventato di
Valerius finirà per cacciarsi in qualche brutto guaio, prima o poi, e io sono
stufo di preoccuparmi per lui! –
Galien guardò suo padre e rise, divertito dalla tono
burbero di Frey.
- Credo che Val abbia cominciato a cacciarsi nei guai da
quando si è innamorato di Rhiannon – disse Legolas – E temo che la questione
non sia ancora conclusa... –
Ancora prima di uscire dall’accampamento, Rhiannon si era
accorta che qualcuno la stava seguendo, e sapeva anche chi era.
- Ti ho detto di lasciarmi stare, Val. – disse,
allontanandosi verso la boscaglia.
- Non hai mangiato niente. Affrontare Eredhil di Dol
Guldur a stomaco vuoto potrebbe essere una cattiva idea, non credi? -
- Pensi di essere divertente? –
- No – rispose Valerius – Solo realista. –
- Non ho bisogno che tu ti preoccupi per me – ribattè
acidamente Rhiannon – L’hai fatto anche troppo. -
Valerius incassò il colpo senza, apparentemente, battere
ciglio.
- Veramente non mi sto preoccupando per te – disse – Sono
anni che dici di non aver bisogno di nessuno, anche se non ti ho mai creduta.
Tu hai tutto il diritto di vivere la tua vita, ma non di rovinarla a chi ti sta
vicino, come stai facendo ora. –
Rhiannon scoppiò a ridere. – Complimenti, Val, hai davvero
un bel coraggio! Come ti permetti, proprio tu, con tutto quello che hai fatto,
di parlare di vite rovinate? Come diavolo ti permetti?! –
Valerius la ignorò. – E tu, Rhiannon? Non hai mai
sbagliato? Certo…così come non hai mai avuto bisogno di nessuno. Ce l’hai
sempre fatta da sola, e tutti quelli che volevano intromettersi nella tua vita
erano semplicemente dei seccatori, perché solo tu sapevi come affrontare le
difficoltà, come no…dannazione, possibile che tu non ti sia mai accorta che hai
ottenuto quel poco di serenità solo perché qualcun altro te l’ha concessa? –
- Avrei dovuto lasciare che Legolas ti uccidesse, prima.
Almeno avresti evitato di dire bestialità! – esclamò in tono acido.
- Già, ma non l’hai fatto. Come mai? –
Rhiannon tacque.
- Allora, adesso rispondi alla mia domanda; credi di non
aver mai sbagliato, Rhiannon? –
La ragazza si morse un labbro, mentre gli occhi le si
riempivano di lacrime di rabbia.
- Lascia stare Roslyn – disse con voce tremante – Se
concepire quella bambina è stato un errore, sono più che felice di averlo
commesso. Lascia stare Roslyn... –
- Per il cielo, Rhiannon… - disse Val scuotendo la testa.
- …se vuoi prendertela con qualcuno, fallo con me, ma
tieni mia figlia fuori da tutto questo! – esclamò la ragazza, alzando gli occhi
fiammeggianti verso quelli di Valerius. Ma quando incrociò lo sguardo del
giovane uomo, triste, mite e ormai privo di speranza, qualcosa dentro di lei si
incrinò.
- Non parlavo di Roslyn. Quella bambina è stata una
benedizione per tutti, me ne rendo conto. Ma nessuno merita soffrire per te,
renditene bene conto. Né Legolas, né suo figlio…e nemmeno Yain, o il povero
Potter lo meritavano. E nemmeno tu meriti di soffrire per colpa mia… -
Rhiannon abbassò la testa, tremando non per la rabbia ma
per l’immenso dolore che la stava distruggendo da tempo.
- …quindi risolviamo questa maledetta faccenda tra noi,
senza mettere in mezzo chi non c’entra nulla. L’abbiamo già fatto
abbastanza…non credi? –
La voce di Valerius tremò e Rhiannon si lasciò andare ad
un abbraccio disperato, singhiozzando convulsamente con il viso affondato sul
petto del ragazzo.
- Mi dispiace tanto, Rhiannon… - disse Val accarezzando i
capelli della fanciulla – Tutto quello che ho fatto…l’ho fatto solo per te… -
- Non ne posso più, Val – disse Rhiannon con voce spezzata
– Tutta la mia vita è stata un fallimento… -
- Non è vero, Rhiannon… -
- Sì che lo è! Perché credi che stia correndo nel nulla?
Ho bisogno di darmi un senso, ma non ci riesco! Non mi resta più nulla…spero
solo di rendermi utile e togliermi di mezzo prima che questa dannata storia
finisca… -
- E Legolas, allora? E Galien? Credi di non contare nulla
nemmeno per loro? –
- Loro se ne andranno, prima o poi, Val. Io non faccio
parte del loro mondo, né loro del mio, per quanto bene gli voglia…e loro ne
vogliano a me…ma prima o poi se ne andranno, lasceranno questa terra come hanno
fatto quelli della loro stirpe. E a me non resterà che invecchiare da sola,
marcendo trai ricordi…è meglio che me ne vada prima, non credi? -
Valerius la strinse ancora più forte a sé, ingoiando
lacrime amare.
- Se è questo che vuoi, allora sia – disse – Ma sappi che
non ti lascerò da sola allora, né in nessun altro momento. Te lo giuro, lo
giuro sulla mia testa. -
Rhiannon alzò il viso rigato di lacrime e, per la prima
volta dopo molto, molto tempo, guardò negli occhi quel ragazzo diventato uomo
troppo in fretta.
- Non ti sto chiedendo di perdonarmi, Rhiannon. So che
sarebbe troppo. Ma almeno, non mandarmi via di nuovo… -
- Forse ti ho già perdonato, Val – rispose piano la
ragazza, accarezzando la fronte abbronzata di Valerius – Forse l’ho già fatto,
non lo so. Non so più niente. Ma ti ringrazio per quello che hai detto,
davvero. –
Gli occhi di Valerius si illuminarono e, per la prima volta
dopo tanto tempo, sulle sue labbra comparve un vero sorriso. Ma quell’attimo di
gioia non durò molto, perché, all’improvviso, alle orecchie dei due giunse un
rumore di passi affrettati e una voce affannata.
- Val! – gridò un giovane, raggiungendo i due – Val,
presto! Aldorath è stata attaccata! –
- Quando? – disse Valerius, con il fiato corto, appena fu
rientrato nell’accampamento insieme a Rhiannon. I componenti delle squadriglie
di guardia stavano già raccolto le loro armi e stavano spegnendo il fuoco,
pronti a partire.
Gli occhi di Rhiannon si posarono prima su Legolas, che si
stava a sua volta preparando per la partenza, dopo aver issato Galien sul suo
cavallo. L’elfo non disse nulla, ma, dopo aver incrociato lo sguardo della
ragazza, fece un cenno con il capo ad una ragazzina spaventata a morte,
rannicchiata a terra con le ginocchia contro il petto; Yain le abbracciava le
spalle tremanti e le sussurrava qualche inutile parola di conforto.
Rhiannon le si avvicinò e si chinò davanti a lei, accarezzandole
i capelli.
- Per tutti i Valar… - disse, sconvolta – E’ la nipote di
Finbar… -
Valerius si girò verso di lei.
- E’ successo poche ore fa – disse Frey – Ha corso come
una pazza per la foresta finchè non ci ha trovato. Ha detto che i soldati dello
Stregone hanno messo a ferro e fuoco il villaggio, massacrando chiunque gli
capitasse a tiro. –
- Dovevamo aspettarcelo – disse Valerius scuotendo la
testa – Ha fatto una sortita improvvisa per costringerci a rientrare. Sa che
non siamo preparati ad uno scontro diretto…siamo condannati, ormai.
Maledizione, maledizione…quel mostro si è procurato la sua vendetta! Per ognuno
dei suoi soldati, ucciderà dieci di noi…abbiamo sbagliato tutto! –
- Aspetta, Valerius – intervenne Legolas – Forse abbiamo
ancora qualche speranza. Un’armata dell’esercito di Gondor si trova ad est,
lungo la strada per Esgaroth; manda dei messaggeri. Con loro abbiamo qualche
possibilità. –
Valerius scosse la testa e sorrise nervosamente. – Non
arriveranno mai in tempo. Aldorath è troppo piccola, l’avranno rasa al suolo
prima ancora che un messaggero possa giungere al cospetto del Capitano di
Gondor. No, dobbiamo rientrare, anche se è una pazzia. –
- No! – si oppose Frey – Sarebbe una pazzia farlo, invece!
Ascolta l’elfo, se è vero che l’esercito di Gondor non aspetta altro che un
segnale, mandiamoglielo! –
- Frey… -
- Stanno cercando qualcosa. –
I tre si voltarono verso la ragazzina, che ora li stava
guardando con occhi pieni di terrore.
- Stanno cercando qualcosa, ne sono sicura. Non se ne andranno
finchè non l’avranno trovata. E continueranno ad uccidere… -
Legolas e Rhiannon si scambiarono uno sguardo atterrito.
Possibile che…?
Quando arrivarono ad Aldorath, la tempesta era già
passata.
Rhiannon, Valerius e i loro compagni a stento riconobbero
il paese che avevano lasciato da poco; i pochi sopravvissuti piangevano i loro
morti tra le misere macerie delle loro case, molte delle quali erano ormai
ridotte in cenere fumante. Un cane uggiolava mentre scavava tra le rovine sotto
cui erano sepolti i suoi padroni, cercando invano di raggiungerli. Con passo
faticoso, un’anziana donna dagli occhi spenti si aggirava tra i vivi e i morti
chiedendo notizie del figlio.
- No…no! – esclamò Rhiannon correndo in mezzo all’abitato,
mentre l’acre odore del sangue dei suoi compaesani le serrava la gola. Yain la
seguì con le lacrime agli occhi, cercando la sua casa, disorientato in mezzo a
quel disastro. Gli altri uomini della squadriglia si sparpagliarono, cercando
disperatamente notizie dei loro famigliari.
Valerius non cercò nemmeno di fermarli; restò fermo in
mezzo a quella che fino a poche ore prima era stata la piazza del mercato e si
guardò intorno, attonito. Una lacrima gli solcò il viso privo di espressione,
come se quel tremendo spettacolo gli fosse rimasto pietrificato negli occhi.
Strinse forte i pugni. Era troppo per lui; sentirsi
addosso la responsabilità della morte di Potter, e della distruzione del suo
villaggio per rimediarla, era veramente troppo.
Volse la testa altrove, sperando che nessuno lo vedesse
crollare, ma scorse lo sguardo di Legolas.
- Di chi credi che sia la colpa di tutto questo? – disse.
- Non tua, qualunque cosa tu stia pensando. – rispose
l’elfo avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla.
- Oh, smettila… - disse Valerius scostandosi – Finiamola
di prenderci in giro. –
- Perché, credi che avresti potuto evitarlo? –
- Avrei potuto aiutare la mia gente, se fossi rimasto. Avrei
potuto morire con loro, maledizione! E invece li ho mandati a morire…come ho
mandato a morire Potter. –
- Non è il momento per i rimpianti – ribattè Legolas – Non
siamo padroni del nostro destino, tantomeno di quello degli altri. Se avessi
immaginato cosa sarebbe successo, non avrei mai lasciato la mia sposa in balia
del suo assassino. Forse è questo che ha scatenato tutto...in tal caso sarebbe
colpa mia. Ma che importanza ha, adesso? Anìrwen è morta, Potter è morto,
Aldorath è distrutta. Non possiamo più tornare indietro, Val, anche se ci
assumiamo la colpa di tutto. Lasciamo in pace i morti, non possiamo fare più
nulla per loro; i vivi hanno bisogno di noi, adesso. –
Valerius trasse un profondo respiro, ma non ebbe la forza
di alzare gli occhi verso quelli dell’elfo, che lo fissavano con intensità.
- Dov’è andata Rhiannon? – disse ad un tratto Galien,
afferrando il bordo della tunica del padre.
I tre raggiunsero la ragazza mentre vagava senza una meta,
guardandosi intorno sconvolta.
- Hanno distrutto tutto…tutto! – esclamò, allargando le
braccia, mentre lacrime di rabbia le rigavano le guance – Maledetti assassini!!
Perchè?! –
Legolas non riusciva a togliersi dalla mente le parole di
quella ragazzina; stanno cercando qualcosa…
C’era solo una cosa che Eredhil poteva cercare, per
mettere a ferro e fuoco un villaggio, ma rifiutava perfino a se stesso di
ammettere che si trattasse di quello.
Il terzo Silmaril.
Ad Aldorath?
No, non aveva senso. Non spiegava il significato della
terza visione.
- Val! Rhiannon! Venite, presto! –
La voce trafelata di Yain scosse l’elfo dai suoi pensieri;
prese in braccio Galien e corse, con i compagni, nel luogo in cui si trovava il
ragazzino.
Tre uomini avevano appena disseppellito dalle macerie di
una vecchia casa un uomo piuttosto anziano, dai lunghi capelli bianchi
scompigliati e macchiati dal suo sangue, sgorgato da una profonda ferita alla
testa. A Rhiannon si spezzò il cuore quando capì che si trattava del vecchio
Finbar, uno dei clienti più affezionati della “Locanda dei Tre Passi”*; era
vivo, ma non lo sarebbe rimasto ancora a lungo.
La ragazza si chinò sul corpo del vecchio, che respirava
faticosamente, tossendo sangue.
- Finbar…puoi sentirmi? – disse, accarezzandogli la
guancia barbuta.
L’uomo voltò lentamente la testa verso di lei, e le sue
labbra si aprirono in un sorriso tremante.
- Rhiannon…sei…sei viva… -
La ragazza annuì. Sapeva che avrebbe dovuto dirgli addio,
ma un nodo le stringeva la gola e non voleva che lui la vedesse piangere.
- Dove…dov’è mia nipote? –
- Kayla sta bene, non preoccuparti. –
- Povera…povera piccola…abbiate cura di lei, vi prego… -
- Certo, Finbar. Non sforzarti, adesso…-
L’uomo sospirò con un immenso sforzo.
- Sono felice di rivederti adesso…così…potranno dire…che
sono morto tra le braccia di una bella donna… -
- Non riesci a non dire sciocchezze nemmeno ora, vecchio
mio? –
L’uomo socchiuse gli occhi, e il suo volto si deformò in
una smorfia di dolore.
- Ti stanno cercando, Rhiannon… -
- Me?! Ma…che stai dicendo?! – esclamò la ragazza. Valerius
e Legolas si guardarono senza capire.
Finbar annuì faticosamente. – Torneranno…torneranno per
te…per la ragazza dai capelli di fuoco… -
– Non è possibile. – disse Rhiannon scuotendo la testa -
Perché dovrebbero volere me? Io non ho nulla per loro! Finbar… -
L’uomo le prese una mano; la sua vista stava svanendo e il
suo sguardo si perse nel vuoto.
- Sta morendo, Rhiannon. – disse Valerius.
- Lo vedo da me, idiota – ribattè la ragazza, stringendo i
denti.
- Rhiannon – sussurrò Finbar - Cantami quella canzone,
ragazza -
Rhiannon inghiottì le lacrime. – Quale canzone? –
- Lo sai- disse
l’uomo – Quella che detesti… -
La ragazza si asciugò il viso, incapace di trattenere il
pianto.
- E’ una canzone triste, Finbar. – disse.
- Anche questo…è un momento triste… -
Rhiannon tacque per un istante mentre Valerius voltava la
testa dall’altra parte. Galien si strinse forte a suo padre, che osservava i
tre accarezzandogli i capelli, non riuscendo a provare altro che un sentimento
di pietà e impotenza. Aveva assistito innumerevoli volte a situazioni del
genere, ma non era mai riuscito a farci l’abitudine.
Era impossibile farlo.
Era impossibile abituarsi alla morte.
Per un momento gli balenò in mente il ricordo degli
avvenimenti di Amon Hen, anni prima; Aragorn che teneva tra le braccia il corpo
di Boromir, trafitto dalle frecce degli Uruk-hai.
Una scena così diversa, eppure così simile…
Tutti sono uguali davanti alla morte…i vivi e i morti.
- Sì, vecchio
zuccone – disse infine Rhiannon – Anche questo è un momento triste. –
Poi si schiarì la voce ed intonò una dolce canzone, che
risuonò sopra il silenzio di tomba che sovrastava il villaggio distrutto.
Ma adesso che viene la sera ed il buio
Mi toglie il dolore dagli occhi
E scivola il sole al di là delle dune
A violentare altre notti…
La voce della ragazza tremò per un istante, e la canzone
si interruppe. Legolas sorrise con tenerezza nel vedere Rhiannon stringersi
nelle spalle e gettare la sua nuvola di riccioli rossi all’indietro. Quanta
forza e quanta debolezza combattevano dentro di lei…
Poi ricominciò il canto, stavolta in tono più alto e
deciso…
E io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore…
… come se volesse lasciarlo innalzare nell’aria,
insieme all’anima che stava abbandonando Finbar.
…nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore.
La canzone finì. Rhiannon lasciò cadere una lacrima sulla
guancia del vecchio, mentre gli chiudeva per sempre gli occhi con una dolce
carezza. Ma ciò che provava in quel momento non era amore, ma una terribile
collera e un odio profondo verso chi aveva potuto commettere un gesto del
genere nei confronti di quella povera gente.
Valerius le si avvicinò e le strinse le spalle; il corpo
della ragazza tremava ma lei non si mosse e continuò a tenere gli occhi fissi
sul corpo di Finbar, mentre lacrime di rabbia e dolore le solcavano le guance.
- Kayla è con Frey? – domandò con voce rotta, asciugandosi
le lacrime.
- Sì – rispose Valerius.
- Che ci resti. Non voglio che veda suo nonno in questo
stato. Forza, aiutami a seppellirlo. –
Poi si voltò e i suoi occhi incontrarono quelli di
Legolas; i due restarono così, immobili, per qualche istante, e non ci fu
bisogno di parlare perché entrambi capirono perfettamente cosa stavano
provando. Era tutto negli occhi di Rhiannon, quegli occhi verdi come l’erba in
cui bruciava il fuoco dell’orgoglio, un fuoco così impetuoso che nemmeno le
lacrime più amare potevano spegnere.
Le lacrime.
Il fuoco.
L’erba.
Per tutti i Valar…allora è proprio vero…
L’espressione di Legolas cambiò. Volse di scatto la testa
verso suo figlio, che lo guardava fisso, e nemmeno allora ebbe bisogno di
comunicargli il suo pensiero, il suo dubbio, la sua folgorazione, perché Galien
li conosceva già.
- Tu…pensi che sia possibile? –
Il bambino annuì. – Credo di sì, Padre. -
- A Elbereth Gilthoniel… -
L’elfo andò dalla ragazza, che lo guardò, dubbiosa, quando
vide sul suo viso quell’espressione stupefatta.
- Legolas, cosa…? –
- Io…io non riesco a credere che fosse così semplice… -
- Ma di cosa stai parlando? – disse la ragazza, quasi
spaventata, alzandosi di scatto.
L’elfo la prese per le spalle, sorridendo, incredulo.
- Che diavolo ti salta in mente?! – esclamò Valerius senza
capire – Lasciala andare! –
Legolas non gli obbedì.
- Ma non capisci? – disse – Questa è la soluzione di
tutto! Rhiannon…Finbar diceva che i soldati di Eredhil stavano cercando te… -
- Finbar delirava – disse Rhiannon sciogliendosi dalla
presa dell’elfo – Stava morendo, non sapeva quello che diceva. Perché avrebbero
dovuto cercare me? –
- Ma non lo capisci? –
Rhiannon si irrigidì e fece un passo indietro mentre Yain
si avvicinava a Valerius. Il giovane uomo scambiò uno sguardo con il fratello
minore; nel vederli, Galien sorrise, perché Yain, al contrario di Val, aveva
perfettamente capito di cosa Legolas stesse parlando.
- Non volevano te. Volevano qualcosa che tu hai. – disse
Yain.
- Ah, sì? E’ buffo, credevo di non avere più un accidente.
Insomma, volete spiegarvi meglio? – ribattè Rhiannon, stizzita.
L’elfo le prese una mano. – Tu hai il terzo
Silmaril, Rhiannon. Non c’è altra spiegazione. –
- Cosa?! – esclamò Valerius.
Rhiannon sentì il suo sangue ghiacciarsi nelle vene.
Arretrò di un passo, togliendo bruscamente la sua mano da quelle dell’elfo.
Non credeva ad una sola delle sue parole, eppure sentì la
paura stringerle lo stomaco.
- Non dire sciocchezze. Come diavolo potrei averlo io? Non
so nemmeno come sia fatto, un Silmaril. E poi…non c’ero io, nelle tue visioni…
Non c’ero, non è vero? Ti sbagli, Legolas… -
L’elfo non rispose, e Rhiannon si sentì ancora più
spaventata nel sentire i suoi profondi indagatori fissi su di lei.
- Legolas, ti prego…ti stai sbagliando, vero? –
- Il fuoco che non brucia l’erba, Rhiannon. Avrei dovuto
capirlo subito. – disse l’elfo dolcemente, accarezzandole una guancia – Avrei
dovuto capire che parlava di te. E l’ho fatto quando guardavi Finbar morire. Lo
Specchio parla per enigmi; nemmeno le altre visioni erano chiare. –
- Io continuo a non capire – disse Valerius – Come fai ad
esserne così sicuro? –
- Non lo sono, non ancora almeno- ripose Legolas ridendo – Solamente Rhiannon potrà risolvere
questo dilemma. Io credo che sia lei il fuoco che non distrugge l’erba. La
rabbia e l’orgoglio che bruciano dentro di lei non possono distruggere la
purezza che i suoi occhi custodiscono. Occhi verdi, come un prato di primavera…
-
Rhiannon si portò una mano alla fronte. Era appena
sfuggita ad un terribile incubo e ora stava piombando in uno peggiore.
- Molto romantica come spiegazione – disse Valerius – Ma
mi sembra un po’ vaga, Legolas. Rhiannon non può avere quel dannato Silmaril,
qualsiasi cosa sia. –
- E’ una pietra, Val – insistette Legolas – Una gemma
luminosa e splendente, dotata di immensi poteri, persa migliaia di anni or
sono. Ne esistevano tre; due si trovano nelle mani di mio fratello, che,
evidentemente, ha scoperto anche dove si trova la terza. Finbar non delirava
affatto! E anche sua nipote ha detto che gli elfi di Dol Guldur stavano
cercando qualcosa…e cos’altro avrebbero dovuto cercare in questo minuscolo
villaggio? Eredhil non ha agito affatto per vendetta, credimi! -
- Una pietra…come queste? –
Yain fece timidamente un passo in avanti, porgendo a
Legolas alcune delle pietre che aveva trovato sul fondo dell’Anduin e che non
si era mai tolto dalla tasca, il suo piccolo tesoro.
Legolas le guardò per un istante, poi sorrise al ragazzino
e gli pose una mano sulla testa.
- Sono molto belle, Yain, ma nessuna di esse è quella che
sto cercando. –
- Nemmeno questa? –
I quattro si voltarono verso Rhiannon, pallida e
sconvolta. La ragazza teneva tra le mani il ciondolo che Valerius le aveva
regalato il giorno dopo che Galien era arrivato alla locanda.
- Ce l’hai ancora… - disse Val, stupito – Credevo te ne
fossi disfatta. –
Rhiannon scosse la testa e guardò il monile, sorridendo
tristemente. – Non so perché l’ho tenuta. Forse ho perfino dimenticato di
averla con me. –
Valerius le restituì il sorriso, ma né Legolas né Galien
vi badarono. Gli occhi dell’elfo erano fissi su quella luminosa gemma verde,
che non brillava come avrebbe dovuto. Tese una mano tremante verso di essa, e
mentre le sue dita le si avvicinavano, una pallida luce sembrò avvolgerla
sempre di più.
Legolas non ebbe più dubbi.
Afferrò lentamente il Silmaril e lo osservò. Era lui, ne
era più che sicuro. Eppure di fronte a quella pietra non provò le stesse
sensazioni che gli aveva dato quella trovata a Lothlòrien. All’elfo parve che
qualcosa gli stringesse il cuore, costringendolo a sputar fuori delle
sensazioni e desideri inconfessati e dolorosi.
Una smorfia di sofferenza comparve sul suo volto.
- Dallo a me, Adar – disse Galien, prendendo delicatamente
il Silmaril dalle mani del padre
- Cosa… - disse Legolas, avvolto dal torpore di quelle
sensazioni.
- Potrebbe farti del male. – disse il bambino, stringendo
la pietra.
Legolas si scosse e si portò una mano alla tempia, quasi
stordito.
- Che ti prende, Legolas? – disse Valerius.
L’elfo rimase un momento in silenzio. – E’ il Silmaril,
Val – disse – Non…non capisco cosa mi sia successo, ma non credo sia stata la
stessa cosa che ha fatto a Eredhil. –
- C’è qualcosa di molto forte qui dentro, Padre. – disse
Galien – Ma è diverso dagli altri, lo sento. –
- Io…io l’ho sempre avuto con me…e non ho mai sentito
nulla… - disse Rhiannon.
- Tu non sei un’elfa. Non puoi percepire il suo potere,
perché non ti appartiene. Ed è un bene che sia così, credimi…se non l’avessi
avuto tu, Eredhil l’avrebbe già trovato di sicuro. -
Legolas sospirò profondamente. Nessuno, tranne Galien, si
accorse che stava tremando, e lo faceva perché l’idea del potere di quella
pietra e di ciò che avrebbe potuto fare Eredhil per averla lo spaventava a
morte.
- Legolas… -
L’elfo alzò la testa e vide Rhiannon terrorizzata come
lui. La ragazza si strinse le mani al petto e, prima di scoppiare nuovamente in
lacrime, corse a rifugiarsi tra le braccia dell’elfo.
- Eredhil tornerà…sa che io ho il Silmaril…cosa faremo,
allora? -
Legolas prese Rhiannon per le spalle e la guardò negli
occhi, deciso.
- Dobbiamo tornare indietro – disse – Prima che sia troppo
tardi. Non abbiamo tempo da perdere; raggiungeremo le schiere di Gondor oggi
stesso, quindi torneremo a Minas Tirith, dove ci aspetta Aragorn. E preghiamo
che i Valar siano con noi… -
- E noi? – disse Valerius – E Rhiannon? Cosa faremo? –
- Verrete tutti con noi, almeno fino all’accampamento dei
gondoriani – rispose Legolas – Qui non siete al sicuro. E nemmeno il Silmaril
lo è, per lo meno finchè resta nelle sue mani… -
- Non lo è nemmeno nelle vostre – ribattè Valerius – Ti ho
visto prima, quando lo guardavi…quella maledetta pietra potrebbe corrompere
anche te… -
I due continuarono a discutere su quale fosse la cosa
migliore da fare e non si accorsero che Rhiannon, ancora sconvolta, si era
allontanata verso il limite del villaggio, dove un tempo si trovava la “Locanda
dei Tre Passi”, né che qualcuno la stava seguendo.
Cercava solo un po’ di conforto, nient’altro. Solo
qualcosa che le ricordasse chi era.
Nella sua mente offuscata dagli avvenimenti, Rhiannon
aveva quasi dimenticato che la “Locanda dei Tre Passi” era stata distrutta e
con essa aveva perso anche l’ultimo brandello della sua identità.
Smarrita nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, si fermò a
pochi passi dal luogo in cui un tempo era situata la sua unica, vera casa, e
non sentì nemmeno i passi leggeri della minuta figura che l’aveva seguita in
silenzio.
- Rhiannon… –
La ragazza sussultò. – Yain – disse – Mi hai spaventata… -
- Mi dispiace, scusami. –
Rhiannon rivolse di nuovo lo sguardo verso le macerie
della locanda, senza badare alla strana tensione che traspariva dal volto del
ragazzino.
- Che ci fai qui? – gli disse – Non avresti dovuto
allontanarti da tuo fratello. Soprattutto per seguire me. –
Yain la ignorò. – Ho paura, Rhiannon – disse – Non voglio
che accada di nuovo ciò che è successo quella notte… -
- Nemmeno io, te l’assicuro – rispose la ragazza – Ma sono
stanca di fuggire, anche se capisco benissimo che è l’unica soluzione. Sono così
stanca…se potessi, butterei questa dannata pietra nel fiume e chiuderei qui la
faccenda. Ma non posso, Yain, lo capisci? Non posso…e non ci sono altre
vie d’uscita. Cosa credi che potrò fare quando mi troverò davanti Eredhil
pronto a reclamare il Silmaril in cambio della mia vita…e della vostra? Io non
sono una guerriera, Yain. Ho combattuto come ho potuto, e ora non ce la faccio
davvero più. –
Yain le si avvicinò lentamente e le pose una mano sulla
spalla.
- Ho avuto un’idea, Rhiannon – sussurrò – Non vale molto,
ma forse ci permetterà di guadagnare un po’ di tempo. –
L’idea di Yain poteva funzionare; almeno, Rhiannon se
l’augurava. E si augurava anche che il ragazzino non avesse le stesse idee
sconclusionate del fratello. Ma, d’altronde, non c’erano altre soluzioni.
Sospirò e pregò i Valar che non succedesse nulla nemmeno a
lui, mentre correva da Valerius, e lei frugava tra le macerie della locanda
rasa al suolo. Potter era ancora lì sotto, lo ricordava bene, e se fosse stata
fortunata avrebbe trovato i suoi miseri resti da seppellire.
Rabbrividì a quell’idea, ma continuò a cercare con tutte
le sue forze, tra i frammenti delle suppellettili scampate all’incendio e alla
razzia degli sciacalli di Aldorath.
Avrebbe tanto voluto un oggetto da portare con sé, come
ricordo di Potter e Roslyn. Si chiese se anche il cavallino di legno con cui
giocava Galien fosse bruciato. Che sciocca, certo che lo era! Il fuoco non
risparmiava nulla, nemmeno i sentimenti.
Ad un tratto, un passo leggero fece scricchiolare le
macerie.
- Aiutami, Yain, dev’essere qui sotto. – disse Rhiannon
senza voltarsi – Dobbiamo togliere queste assi per tirarlo fuori…da sola non ce
la faccio. –
Ma chi le rispose non era Yain.
- Non c’è più niente lì sotto, ragazza. Solo cenere. –
Rhiannon raggelò nel riconoscere quella voce, e il cuore
le si fermò nel petto quando, dopo essersi voltata lentamente, vide che i suoi
incubi avevano preso forma.
- Sono davvero contenta di rivederti, ragazza dai capelli
di fuoco…e tu non lo sei? – disse Eredhil,con un crudele sorriso sul volto.
Rhiannon non riuscì ad emettere altro che un’esclamazione
strozzata. Cercò una via di fuga, ma le travi incenerite la fecero inciampare e
cadere goffamente all’indietro.
- Vattene! – gridò cercando di rialzarsi, mentre Eredhil
avanzava lentamente, ma con sicurezza, verso di lei. Con la mentre svuotata per
la paura, afferrò un’asse annerita dal fuoco e la brandì verso l’elfo.
Eredhil scoppiò a ridere. – No, mia cara…tu possiedi
qualcosa che io sto cercando da tempo, e non me ne andrò a mani vuote. –
Veloce come un fulmine, l’elfo afferrò Rhiannon per la
gola, mentre la ragazza si maledisse per non aver chiamato aiuto. Ma dov’erano
Val e Legolas? Perché non la stavano cercando?
- Io…io non ho niente per te… -
- Oh, sì che ce l’hai – disse Eredhil – Non avrei sprecato
il mio tempo con questi straccioni se non fossi stato sicuro di trovare quello
che cerco. Dammi il Silmaril, ragazza…dammelo subito, e forse avrai salva la
vita. –
La sua mano si strinse ancora più forte sulla gola della
ragazza.
- La…lasciami, ti prego!! –
Eredhil avvicinò il suo viso a quello di Rhiannon; in
quell’istante, per lei, il tempo parve fermarsi.
Se fosse stata Galien, avrebbe saputo leggere ciò che si
trovava oltre quei lineamenti così freddi eppure delicati; avrebbe visto una
spietata lingua di fuoco che parlava alla mente del suo schiavo-padrone, e lo avvertiva
che qualcosa non stava andando per il verso giusto…ma Eredhil era troppo
eccitato per dare ascolto alle parole di Armagh, in quel momento. Vedeva
solamente il proprio potere affermarsi ancora una volta su una creatura più
debole di lui, e questa sensazione lo inebriava.
- No – disse – Ho in mente altro per te, piccola
sgualdrina… -
Una vampata di fuoco scaturì dalla sua mano, e Rhiannon
crollò a terra priva di sensi.
-AH!! –
Galien cadde in ginocchio, stringendosi la testa tra le
mani per il dolore.
- Galien! – esclamò Legolas, chinandosi sul bambino e
prendendolo tra le braccia – Cosa ti succede?! –
Il piccolo non rispose subito; ansimando, afferrò il
braccio del padre, mentre i suoi occhi si riempivano di terrore.
- Adar… - disse – Lui è qui…lo sento! -
A Legolas si mozzò il fiato e si guardò intorno, scorgendo
solo il volto di Valerius, anche lui preso dal panico.
- Dov’è Rhiannon? – disse.
- E’ in pericolo… - disse Galien.
Valerius sentì una morsa attanagliargli lo stomaco.
- Yain… -
In quel momento il ragazzino raggiunse i tre,
trotterellando come se nulla fosse accaduto.
- Yain! – esclamò Valerius andando incontro al fratello e
prendendolo per le spalle – Dov’eri finito? E dov’è Rhiannon? -
- E’ alla locanda…almeno, quello che resta della locanda.
Voleva rimanere un po’ da sola. –
- Da sola?! – esclamò Legolas – Rhiannon non deve
assolutamente restare da sola! –
- Ma… -
- Valerius, corri a prendere i cavalli – ordinò Legolas.
- Volo –rispose
il ragazzo allontanandosi di corsa.
- NO!!! –
Galien si portò nuovamente le mani alla testa,
contorcendosi tra le braccia del padre.
- Hen nîn! – esclamò Legolas – L’hai sentito di
nuovo?! –
Galien annuì, con gli occhi pieni di lacrime, incapace di
parlare.
- Yain, portaci da lei, presto! – esclamò Legolas.
Il ragazzo annuì e corse via, seguito dai due elfi. Non
ebbe il tempo di metterli al corrente della sua idea, anche perché non avrebbe
potuto immaginare che qualcosa sarebbe andato storto.
Ma la corsa dei tre fu presto interrotta da un cavallo al
galoppo, che tagliò loro la strada. Yain cadde di lato, colpito leggermente ad
una spalla da uno zoccolo dell’animale, mentre Legolas prese velocemente in
braccio Galien e si tolse dalla strada.
- Cosa…? – disse l’elfo, ma dopo aver visto chi
trasportava quel cavallo non riuscì più a pronunciare una sola parola.
Dopo aver visto i tre, il cavaliere arrestò il cavallo e
lo fece voltare, con un’impennata, in modo che loro lo potessero vedere bene in
faccia.
- Tu! – esclamò Legolas.
Eredhil sorrise. – Guardami, Legolas! – esclamò in un
tripudio di gioia perversa, sollevando una mano che stringeva una pietra
luminosa – Guarda la tua sconfitta! –
- Rhiannon!! – gridò Yain, vedendo la ragazza, priva di
sensi, seduta scompostamente in sella davanti ad Eredhil.
Veloce come un fulmine, senza nemmeno pensare, Legolas
afferrò il suo arco ed incoccò una freccia.
- Provaci – disse Eredhil puntando un coltello alla gola
di Rhiannon – E lei muore. –
Legolas non si mosse, ma la mano gli tremò. Non di
nuovo, si disse, non un’altra volta…
- Non la passerai liscia – disse, stringendo i denti –
Dovessi inseguirti fino alla fine del mondo, questa volta te la farò pagare
cara, Eredhil…te lo giuro! -
- Risparmia il fiato– disse Eredhil spronando il suo
cavallo – Ti servirà per gridare, quando lui verrà a prenderti, e sai
bene di chi parlo…allora implorerai di morire in fretta! –
Detto questo, ripartì al galoppo, lasciando Legolas, Yain
e Galien sconcertati e travolgendo Valerius, che stava correndo loro incontro.
- Dannazione! – esclamò il giovane rialzandosi – Chi era
quel pazzo?! –
Preso dalla collera, Legolas sbatté a terra il suo arco e
la freccia incoccata.
- Padre! – esclamò Galien.
- Eredhil – disse l’elfo con voce tremante – Era Eredhil.
Ha preso Rhiannon…e il Silmaril. –
- Cosa?! – esclamò Valerius – No…non è possibile… -
- Questa volta è davvero la fine – disse Legolas chinando
il capo – Per Rhiannon, per noi…per la Terra di Mezzo… -
- No!! –
I tre si voltarono a guardare Yain, che, conle guance rigate di lacrime, stringeva una
mano davanti a sé, ansimando.
- Yain, cosa…? – disse Valerius, prendendo per le spalle
il fratello.
- Io non volevo…credevo che sarebbe stata una buona
idea…non avrei mai immaginato che lui l’avrebbe portata via… -
- Ma cosa stai dicendo…? –
- Perdonatemi!! –
Il ragazzo aprì la mano; sul palmo ruvido e sporco,
giaceva una pietra splendente, circondata da un alone diverso da tutte le
altre.
- Ma questo è… -
- E’ il Silmaril – disse Yain, singhiozzando – Quella di
Rhiannon è solo una delle mie pietre. Le abbiamo scambiate, prima che Eredhil
la portasse via… -
- Stai dicendo che Eredhil non ha il vero Silmaril? –
esclamò Legolas – Ma come ha fatto a non accorgersene?! -
- Non lo so – disse Yain – Ma ho condannato a morte
Rhiannon…appena Eredhil si accorgerà dello scambio la ucciderà! –
- Non permetterlo, Adar, ti prego… - disse Galien con voce
supplichevole.
Legolas rimase un istante in silenzio.
- No – disse infine – Rhiannon non morirà, ve lo prometto.
Ora abbiamo qualche speranza in più; è giunto il momento di andare incontro al
nemico…a Dol Guldur. –
- Tu sei pazzo – disse Valerius – Non usciremo vivi da lì…
-
- Uscirò, vuoi dire – ribattè Legolas – Tu porterai tuo
fratello e Galien all’accampamento dei soldati di Gondor, e da lì a Minas
Tirith. Più lontani starete da questo posto, meglio sarà. Le vostre vite sono
già state messe abbastanza a repentaglio, e io ho una questione personale da
regolare con Eredhil, in un modo o nell’altro. –
- Non se ne parla nemmeno – disse Valerius scuotendo la
testa – Io vengo con te. –
- Dammi solo un buon motivo per farti ammazzare insieme a
me! – disse Legolas, mettendosi le mani sui fianchi.
- Te ne do tre – rispose il giovane – Primo, io tengo alla
vita di Rhiannon quanto voi, e il solo pensiero di lasciarla nelle mani di quel
verme mi fa accapponare la pelle. Secondo, ci penseranno i miei uomini a
scortare Yain e Galien verso le schiere dei Gondoriani; sono combattenti
fidati, e anche se io fossi con loro potrei fare ben poco. E terzo… -
Valerius fece una pausa, fissando Legolas dritto negli
occhi.
- …io so come entrare a Dol Guldur. Ed è una bazzecola,
credimi. –
- Ma se prima avevi detto… -
- Ho detto che è impossibile uscirne vivi – disse Val – Ma
entrare, quello è semplicissimo. Molto più di quanto tu non creda. -
*Vedi
capitolo 7
(La
canzone che Rhiannon canta per Finbar è, ovviamente, “Il testamento di Tito”,
del grande Fabrizio De Andrè.)
The villain goes to jail, while the hero goes free
I wish it were that simple for me
David Crosby, “Hero”
La prigione.
Legolas sperò ardentemente che Valerius non sbagliasse.
- La prigione dovrebbe essere il luogo più sorvegliato in una fortezza. Com'è possibile che l'accesso sia così facile? - chiese a Val aiutandolo a spiegare la pianta della fortezza di Dol Guldur.
- Di solito chi sorveglia una prigione si preoccupa che nessuno esca, non che qualcuno entri – rispose Valerius. Il giovane aveva fatto scorrere un dito sulla carta, indicando un punto ad ovest.
- L'ingresso è su questo lato, alla base della montagna. L'ha scoperto tempo fa uno dei miei esploratori. Il cunicolo parte dal fondo di una piccola caverna; compie un percorso piuttosto tortuoso e si restringe sempre di più, continuando a salire. Immagino che un tempo fosse un canale di scolo. -
- Sei sicuro che Eredhil non ne sappia nulla? -
- No. Ma dallo stato in cui l'abbiamo trovato potrei dire che è inesplorato da anni, ormai. Comunque sia, arriva diretto a quelle che un tempo dovevano essere le prigioni di Dol Guldur. Ora Sono adibite a magazzino, immagino che tuo fratello non abbia bisogno di fare prigionieri... -
- Certamente non con la forza – constatò amaramente Legolas – Ha a disposizione un popolo intero da sottomettere per mezzo di quell'essere diabolico che sta dalla sua parte. -
Osservò ancora la pianta, pensieroso. Valerius scrutava impaziente il viso dell'elfo, illuminato dalla spettrale luce del falò.
- E dimmi, se è davvero così semplice raggiungere l'interno della fortezza da qui, perchè non avete mai tentato un'ingresso a sorpresa? Una semplice azione di disturbo sarebbe potuta bastare a disorientarli... -
Valerius sospirò. - Il condotto è troppo stretto. Abbiamo allargato il cunicolo alla base, ma non possiamo lavorare più di tanto sulla feritoia che permette l'ingresso vero e proprio, se ne accorgerebbero. Non possiamo far passare più di un uomo alla volta, una ritirata sarebbe impossibile. E poi, anche se ormai è un semplice magazzino, le guardie sono armate fino ai denti e, quel che è peggio, sono Elfi. Sempre all'erta al minimo rumore, e non hanno pietà. Sarebbe un massacro. Abbiamo pensato più volte ad un sabotaggio, ma non abbiamo i mezzi per metterlo in pratica. Un rude uomo di Aldorath non passerebbe certo inosservato in mezzo agli eterei soldati Elfi del Bosco Atro... -
- Un uomo di Aldorath sicuramente no – disse Legolas alzandosi – Ma un altro Elfo del Bosco Atro sì...forse. -
Valerius tenne gli occhi fissi sul volto dell'elfo, più che mai impenetrabile come in quel momento. Legolas aveva alzato la testa verso il cielo, la pelle bianchissima e i capelli biondi sembravano risplendere contro il cielo nero, incorniciando di pallida luce quello che doveva essere il volto di un Re, e che il giovane non aveva mai visto davvero prima di allora, e chiudendo gli occhi trasse un profondo respiro. Rimase così, immobile a testa alta per un lungo istante; poi si diresse verso la tenda in cui dormiva il piccolo Galien, e allora Valerius capì.
Capì che l'ultimo Signore degli Elfi stava chiedendo ai Valar il coraggio di dire addio a suo figlio.
Entrato nella tenda, Legolas osservò la sagoma del bambino, profondamente addormentato su un pagliericcio. Un sorriso triste comparve sulle labbra dell'elfo, che pose una mano sulla fronte del bambino e mormorò una breve preghiera.
- Questa volta non verrai con me, piccolo mio – sussurrò dolcemente – La fine di tutto sta per arrivare, ma non è in mio potere sapere cosa accadrà. Ma ti prometto che se dovessi raggiungere tua madre al cospetto di Mandos, il nostro amore non ti abbandonerà mai. -
Una piccola lacrima lucente cadde dalle sue ciglia, posandosi come una piccola perla sulla guancia del bambino; il padre glie la asciugò con un bacio leggero e uscì dalla tenda, dove Valerius lo stava aspettando.
Si diresse verso Arod, che brucava placidamente l'erba, e gli pose una mano sul collo. Rimase immobile per un istante, con lo sguardo adombrato. - Dovrò separarmi anche da te, amico mio, lo sai? - disse, sorridendo debolmente. Poi si volse gli occhi luminosi e tristi verso Valerius.
- Non dite a Galien che suo padre tornerà – disse – Non ditegli niente. Solo di ricordarmi. -
Valerius scrutò il volto dell'elfo, mentre un nodo gli saliva alla gola.
- Cos'hai in mente? - disse.
- Ancora nulla – rispose Legolas, balzando in sella – Aspetterò che Eärendil guidi i miei passi...e la mia mano. - Ma prima che potesse spronare il suo cavallo al galoppo, Valerius gli afferrò le redini.
- Lo sai che non ti lascerò andare da solo, vero? - disse.
Legolas sospirò e sorrise. - Lo so, Valerius. Avrò bisogno di te per trovare l'ingresso. Che aspetti? Prendi il tuo cavallo e andiamo. -
I due cavalcarono in silenzio fino a Dol Guldur, e quando furono in vista della fortezza Arod sembrò non voler proseguire oltre, come se riuscisse a percepire il male rinchiuso tra quelle mura.
Legolas scese di sella e accarezzò dolcemente il muso del suo inseparabile compagno, sussurrando alcune parole che Valerius non capì.
Il giovane smontò a sua volta da cavallo. - Possiamo proseguire a piedi, se vuoi. La grotta da cui si apre la galleria è oltre quegli alberi. -
Valerius passò oltre Legolas, tenendo Arod per le redini, e si diresse verso una parete di roccia in cui sembrava che fossero inglobate alcune pietre parzialmente erose dal vento e dalla pioggia. Scostò un fitto muro d'edera rossa e fece cenno a Legolas di avvicinarsi.
L'elfo prese una torcia e un acciarino dalla borsa da sella.
- Aspetta – disse il giovane – C'è ancora una cosa che mi serve. -
Si guardò intorno, avvicinandosi alla brulla parete, e dopo aver scostato alcune pietre con il piede si chinò e ne soppesò una sulla mano.
- Questa ci servirà per tracciare il percorso – disse. Legolas gli lanciò uno sguardo interrogativo, mentre Valerius rabbrividiva.
- Uno di noi due potrebbe non tornare. E non è detto che non sia io. - disse.
Legolas scosse il capo e prese la pietra dalle mani di Val. - Questa servirà a Rhiannon, se dovesse tornare da sola. -
Valerius tentennò.
- Forse non l'hai ancora capito – disse Legolas – Tu non verrai con me. Non ho intenzione di farti rischiare la vita. All'accampamento hanno un disperato bisogno di una guida, e quella guida puoi essere solo tu. Ho visto quello che hai fatto, come hai organizzato la resistenza. Non possono perdere anche te. Arod resterà qui – aggiunse, accarezzando la groppa del suo cavallo – Conosce la strada per Aldorath, riporterà indietro Rhiannon se io non dovessi tornare. -
- Ma... -
- Rhiannon tornerà da voi, te lo prometto – lo interruppe Legolas portandosi una mano al petto – Dovesse costarmi la vita, sono due le cose che devo fare in quella maledetta fortezza e questa è la più importante. Lei tornerà, con me o senza di me. E avrà bisogno di te. -
Valerius si adombrò. La notte era buia e senza luna, ma Legolas poteva benissimo scorgere un lampo di malinconia e rimorso negli occhi del giovane uomo.
- E ti chiedo ancora una cosa – continuò l'elfo – Manda Yain e Galien a est, alle schiere di Gondor. -
Il cuore di Valerius gli balzò nel petto. - Yain? Perchè? -
- Lui ha il vero Silmaril, Val. Se io dovessi fallire l'ira di Eredhil sarebbe tremenda e si abbatterebbe prima di tutto su di voi. Galien e Yain si devono salvare; mandali da Re Elessar prima che mio fratello si accorga di avere tra le mani una pietra senza valore. Promettimelo. -
Il giovane uomo non si mosse. - Anche tuo figlio avrà bisogno di te. Cosa gli rimarrà se anche tu lo lascerai? -
- Prometti, Valerius. -
L'elfo guardò un'ultima volta il giovane negli occhi; il suo sguardo era duro e determinato, e Val capì che sarebbe stato irremovibile.
- Vuoi proprio tornare da lei? -
Legolas guardò Val senza capire.
- Vuoi tornare da lei, da tua moglie. L'ho capito, sai? E' per questo che non ti tiri indietro di fronte a nulla. Sai che stai andando incontro alla morte e vuoi andarci da solo. -
- Non sai quanto lo vorrei, a volte – rispose cupo Legolas – Ma non sono più padrone del mio destino; altri lo sono per me. Se Mandos lo vorrà, allora così sia. Non spero più in niente, ormai. -
- E Galien? Perchè non hai voluto nemmeno dirgli addio? -
Legolas chinò la testa.
- Perchè non mi avrebbe lasciato andare – rispose.
- Ma avrebbe capito! - gridò Valerius.
- Sì, questo è il problema. Avrebbe capito perfettamente. Val – Legolas prese il giovane per le spalle e lo guardò negli occhi lucidi di rabbia. - Questa non è una di quelle favole in cui l'eroe sa quello che deve fare e non ha paura di combattere. E nemmeno una di quelle in cui torna a casa dalla sua amata e vivono tutti felici e contenti. No, questa è una di quelle in cui l'eroe credeva di salvare la fanciulla e invece l'ha uccisa con un bacio. E io non voglio che mio figlio mi ricordi così. -
Val sentì il nodo alla gola premere più forte. - Hai paura? -
- Sì – disse dolcemente Legolas – Perchè non so cosa mi attende, lì dentro. Ciò che temo di più sono i miei spettri e dovrò essere solo ad affrontarli. Capisci, Valerius? -
- Io capisco solo che tu e Rhiannon siete maledettamente simili. - rispose il ragazzo digrignando i denti – Non potete affrontare tutto da soli... -
- Questa volta sì – rispose Legolas – Questa volta è necessario. -
Valerius emise un ruggito di rabbia e diede un calcio ad una zolla di terra. - Dannati gli Elfi e la loro caparbietà! - esclamò.
Legolas sorrise. - Ho già sentito queste parole – disse – E chi le ha pronunciate è diventato il mio più grande amico. Ora spiegami il percorso e torna ad Aldorath, ma in fretta: il tempo non è dalla nostra parte. -
L'oscurità non era amica degli Elfi. Non lo era dai tempi in cui Melkor aveva imprigionato i priminati nelle tenebre di Utumno, trasformandoli in Orchi, malvagie ed infelici creature che odiavano la luce più di ogni altra cosa. Ad ogni passo, Legolas si sentiva soffocare da quel buio che pareva voler crescere anche dentro di lui. Ricordò quando aveva seguito Aragorn lungo i sentieri dei Morti, unico a non temere le profondità sotterranee né gli spiriti degli Uomini; ma ora la pallida luce della torcia che reggeva non bastava a rischiarare il suo cuore in quel momento, e allontanare le ombre che se ne stavano impossessando. Avrebbe tanto voluto che Aragorn e Gimli fossero di nuovo al suo fianco, era quella la luce di cui aveva bisogno. La luce portata dall'affetto dei suoi più cari amici, dall'amore della sua adorata compagna. Quella era la luce di cui aveva davvero bisogno e che ora non riusciva a vedere, nemmeno scrutando nel profondo del suo cuore.
Continuò a guardare avanti, un passo dopo l'altro, aggrappandosi alla parete di roccia con la mano libera. Il pungente odore di muffa e umidità si fece sempre più forte man mano saliva, ma cercò di non badarci troppo. Il sentiero era abbastanza sicuro: Val e i suoi uomini dovevano averlo percorso numerose volte, ormai, cercando inutilmente il modo di introdursi nella fortezza. Da quanto tempo si trovava là dentro? Tempo...l'oscurità e il silenzio ne avevano fatto perdere a Legolas la cognizione. Ad un tratto, una debole luce, così fioca da essere visibile solamente agli occhi di un elfo, parve accendersi in fondo a quel cunicolo buio, segno che la strada era finita.
L'elfo inspirò profondamente, ma l'odore di chiuso gli serrò la gola. Spense la torcia e, dilatando le pupille come quelle di un gatto, si lasciò guidare da quella luce fioca, muovendosi con tutta la leggerezza di cui era capace, fino a raggiungere una stretta fessura nella parete. Valerius aveva ragione, era davvero troppo stretta, forse ancora più di quanto gli avesse detto. Per un uomo di una certa stazza, e pure armato, sarebbe stato impossibile passarci; ma Legolas era snello e agile, ed era solo. Non avrebbe avuto grosse difficoltà nemmeno se fosse riuscito a portare con sé Rhiannon.
Senza fiatare, osservò con attenzione tutto quello che riusciva a vedere attraverso quella feritoia; al di là della parete rocciosa si apriva una larga stanza ricolma di botti e casse gettate alla rinfusa. Non c'erano finestre, e la luce che la illuminava proveniva da una torcia appesa alla parete, unico segno di una presenza vivente. Legolas tese le orecchie ma non riuscì a percepire nessun rumore di passi; così, molto lentamente, si insinuò attraverso la feritoia e andò a nascondersi dietro ad una grossa botte polverosa.
Aspettò qualche istante, cercando di captare un qualsiasi rumore; Val aveva detto che le guardie erano armate fino ai denti, quindi lui e i suoi uomini dovevano averle viste in giro da quelle parti. Considerando che Legolas non aveva altra arma che il suo lungo pugnale elfico, forse valeva la pena aspettare un po' prima di uscire allo scoperto.
Non dovette attendere a lungo. Un pesante rumore di passi, molto poco elfici, cominciarono a risuonare sempre più forti nella sua direzione. Passi sicuri, i passi di chi aveva compiuto lo stesso percorso centinaia di volte senza il minimo sospetto: una ronda, quasi certamente.
Legolas si mosse in assoluto silenzio per controllare, attraverso una fessura tra le botti, di chi si trattasse. Ovviamente era uno dei suoi soldati, che indossava ancora l'uniforme degli arcieri del Bosco Atro, sebbene la sua grazia fosse stata completamente cancellata dal potere di Armagh.
A Legolas si strinse il cuore pensando a quello che avrebbe dovuto fare.
Al momento opportuno balzò fuori dal suo nascondiglio e sgozzò la guardia, maledicendosi per il suo gesto; ma non poteva permettere che questi lanciasse un allarme nel momento meno opportuno. Quindi le tolse il mantello, l'elmo e la leggera armatura e la lunga spada ricurva e si vestì di tutto punto, dopo aver nascosto il cadavere dietro alla botte. Poi, con il cuore che gli martellava nelle tempie, si incamminò lungo il corridoio imitando quella calma innaturale che pervadeva i suoi soldati, completamente svuotati da qualsiasi tipo di emozione, i sensi all'erta e la spada in pugno, pregando che Eärendil guidasse i suoi passi.
Rhiannon riprese i sensi a causa del vento gelido che le sferzava il viso e capì subito di trovarsi nella torre più alta della fortezza di Dol Guldur. Con la vista ancora appannata alzò la testa verso il cielo rabbrividendo, e vide la luna sopra di lei avvolta da nubi rossastre; cercò di alzarsi ma una fitta di dolore ai polsi fece sì che si accorgesse di averli legati da una stretta cinghia di cuoio. Innanzi a lei, una figura indistinta, snella e bionda le volgeva le spalle, apparentemente circondata da una leggera spirale di fumo dello stesso colore delle nubi.
- Legolas... - chiamò istintivamente. La figura si voltò e a Rhiannon si gelò il sangue nelle vene alla vista del ghigno demoniaco dipinto sul suo volto.
- E' curioso – disse Eredhil muovendo un passo verso di lei – Nessuno mi aveva mai scambiato per mio fratello prima d'ora. Non ci siamo mai assomigliati molto. -
Rhiannon respirò profondamente. - Perchè mi hai portato qui? - disse.
- Tu cosa ne pensi? - rispose Eredhil. In quel momento Rhiannon si rese conto dell'oggetto che l'elfo teneva tra le mani: una corona di ferro con due gemme luminose incastonate nelle sue punte.
- Forse non ti rendi conto di quanto sei fortunata ad essere qui stanotte – continuò Eredhil – Sarai l'unica persona a poter assistere al mio trionfo definitivo prima di diventare mia schiava. -
- Io non sarò mai schiava di nessuno – ribattè Rhiannon – Piuttosto preferisco morire. -
Eredhil rise. - Non dirlo due volte, ragazza! Lo farai sicuramente, dopo che mi sarò stufato di te. D'altronde nessuno sentirà la tua mancanza...o meglio, nessuno sarà ancora vivo per sentirla. -
Detto ciò, prese dalla tunica la pietra incastonata nel ciondolo di Rhiannon.
- Questa sarà l'ultima notte per i Popoli Liberi...domani sorgerà un nuovo giorno, in cui gli Elfi rialzeranno la testa e saranno i padroni di tutta la Terra di Mezzo! -
La ragazza strinse i denti: era indispensabile prendere tempo per evitare che Eredhil si accorgesse troppo presto di aver esultato per un sasso senza valore, anche perchè era terrorizzata dalle reazioni che l'elfo avrebbe potuto avere.
- Elfi? - disse, con voce tremante - No, tu non sei più un elfo. Guardati, guarda il posto in cui vivi; gli elfi amano la vita e la luce, tu ti circondi di fuoco e di morte...-
Eredhil scosse la testa. - Tu e mio fratello eravate molto intimi, vero? Dici le stesse sciocchezze che direbbe lui... -
- Lavati la bocca quando parli di Legolas, verme – sbottò Rhiannon a denti stretti – Lui è tutto ciò che tu non sei e non potrai mai essere... -
- Morto, ad esempio? - la interruppe Eredhil con una risata – E dimmi, mia cara, dov'è Legolas adesso? Perchè non è qui a salvarti? Si è dimenticato di te o ha capito di aver perso la guerra e sta battendo in ritirata dai suoi vecchi e malconci compagni d'avventura? -
Rhiannon si alzò di scatto, barcollando. - Lui verrà a salvarmi!! - gridò, ma senza troppa convinzione. La paura si stava facendo strada dentro di lei, ma non la paura di morire, la paura di essere abbandonata al suo destino senza che nessuno le venisse in soccorso.
- Lui verrà – disse poi, con voce tremante – Perchè io credo in lui. Perchè è fedele al suo popolo e a coloro che ama e morirebbe piuttosto che tradire la loro fiducia. Io credo in lui... -
Non perdere tempo con parole inutili, ruggì all'improvviso Armagh, stringendo la sua spirale rossa attorno alla corona ferrea.
- No, non perderò altro tempo – continuò – Credi in quello che ti pare, il tempo di mio fratello è finito. Era finito il giorno in cui ho ucciso la sua sposa e portato via il suo regno, condannandolo ad un'esistenza da spettro. Legolas è morto allora...che venga pure, avrò il piacere di seppellirlo con le mie stesse mani. E ora...il momento che aspettavo... -
Con un movimento lento, quasi solenne, incastrò, quasi a forza, la pietra nell'incavo che le spettava. Rhiannon trattenne il fiato e chiuse gli occhi nel terrore di ciò che sarebbe accaduto, e in effetti qualcosa accadde, ma non esattamente ciò che Eredhil si sarebbe aspettato.
- Non è possibile...la visione non può aver mentito... -
Non è stata la visione a mentire, ruggì Armagh.
Nel vedere che la corona era rimasta completamente inerte, l'elfo capì immediatamente di essere stato ingannato e la sua esplosione di collera fu terribilmente violenta.
- Tu...TU!! - esclamò rivolgendosi a Rhiannon, mentre Armagh roteava sulla sua testa in forma di spirale sempre più densa di fumo. L'ira di cui era pervaso il demone sembrava aver assunto una forma solida, fondendosi con quella del suo schiavo-padrone.
La ragazza si rannicchiò contro il muro mentre Eredhil si avvicinava a grandi passi verso di lei, imprecando.
- Dov'è?! Dov'è il Silmaril?! - urlò, chinandosi sulla ragazza e afferrandola per la gola e lasciandola quasi senza respiro – Non crederai di essere stata così furba da vanificare il mio piano, stupida ragazza! Ti sei preparata la tomba con le tue mani...se non mi dirai immediatamente quello che voglio sapere ti farò soffrire così tanto da implorarmi di darti la morte!! -
Rhiannon cercò di deglutire, tremando. E' finita, pensò, prima di notare, con uno sguardo fugace, la figura che si trovava alle spalle di Eredhil.
- Il tuo vino, mio signore... -
- Non ho chiesto vino, maledizione! - disse Eredhil voltandosi di scatto. Ma solo per vedere suo fratello assestargli potente pugno in faccia e scaraventarlo da parte.
- Sapevo che saresti arrivato – sussurrò la ragazza ansimando, mentre Legolas si affrettava a tagliarle il laccio che le stringeva i polsi.
- Scappa, Rhiannon – disse Legolas – Scendi da qui, prendi il primo corridoio a destra e percorrilo fino in fondo, al magazzino delle botti. C'è una feritoia che porta all'esterno... -
- E le guardie? -
Legolas le mostrò, con sguardo grave, la spada insanguinata.
- Tu verrai con me, vero? Non resterai qui a... - disse la ragazza.
Legolas scosse la testa rassegnato, cercando di non incrociare lo sguardo di Rhiannon, che aveva capito benissimo perchè non l'avrebbe seguita. Ma una frazione di secondo più tardi la sua espressione cambiò e i suoi occhi si spalancarono in un'espressione di stupore e dolore. Crollò in avanti, un pugnale conficcato con forza nella schiena, attraverso la leggera armatura, e Eredhil in piedi, dietro di lui, fiammeggiante d'odio.
Rhiannon gridò, prendendo Legolas tra le braccia e cercando di sorreggerlo.
- Ricordi cosa ti avevo detto durante il nostro ultimo incontro, fratello? - disse Eredhil tendendo una mano verso di lui. Una nube di fumo rossastro si alzò dal suo palmo e iniziò a roteare, prima piano, poi sempre più vorticosamente. - Siamo giunti alla fine...e sarà un piacere restare a guardare la tua agonia mentre lui ti ucciderà lentamente! -
Rhiannon scoppiò in lacrime e strinse Legolas a sé. Erano veramente giunti alla fine del viaggio, ma ci sarebbero giunti insieme.
- Non ti lascio – gli sussurrò in un orecchio – Non ti lascio, qualunque cosa accada. -
L'elfo, con una smorfia di dolore, le si sottrasse delicatamente. - Ho giurato che saresti tornata, con o senza di me – disse, sorridendo debolmente – Fuggi e non voltarti indietro. Mai. Fallo per me. -
Tossendo sangue, si sfilò il coltello dalla schiena e si mosse incespicando verso Eredhil.
- Nessuno di noi due uscirà vivo da qui oggi, fratello – disse – Anch'io avevo fatto una promessa, tempo fa, e stavolta la manterrò. -
- Oh no, Legolas. Sarò io a decidere il mio destino, non tu. -
Ruggendo, Eredhil richiamò a sé tutta l'energia distruttiva di Armagh, risucchiandola da tutti coloro di cui il demone si era nutrito. Lampi di fuoco tinsero il cielo sopra le teste bionde dei due fratelli, e lampi di sangue confluirono in una spessa nube che si assottigliò sempre di più, prima turbinando sora la testa di Eredhil, poi saettando verso Legolas.
L'elfo gridò di dolore mentre le propaggini del demone lo stritolavano e lo trafiggevano da parte a parte, e Rhiannon gridò con lui, incapace di muoversi.
- Avrei potuto darti ancora una possibilità, fratello – esclamò Eredhil, pazzo d'ira – Avrei potuto farti diventare come me e ci saremmo divisi il dominio della Terra di Mezzo. Ma il tuo inganno merita una punizione severa! -
Legolas non sentì nemmeno quelle parole, tanto insopportabile era il dolore che stava provando, come se milioni di lame sottili lo stessero trafiggendo in tutto il corpo.
Valar, ho fallito. Lasciatemi morire, pensò, lasciatemi raggiungere Anìrwen a Mandos.
L'elfo cercò di rievocare il dolce viso della sua sposa, come per lenire parte della sua sofferenza, ma ciò parve solo renderla ancora più acuta. In un lampo gli passarono davanti tutti i giorni convulsi a partire dalla sua morte, la perdita e il ritrovamento di Galien, Rhiannon, la fedeltà dei suoi compagni, Val, la distruzione di Aldorath, la morte dei suoi soldati per la sua stessa mano. Tutto questo perchè non aveva compreso la portata del rancore e della falsità che albergavano nel fratello che, nonostante tutto, amava, e per cui aveva provato fin troppa pietà. Quanti avevano sofferto inutilmente per le ambizioni di Eredhil, e quanti avrebbero continuato a soffrire...fino alla fine del loro mondo.
- Legolas!! - gridava Rhiannon tra le risa convulse di Eredhil.
In quel momento, nel cuore dell'elfo iniziò a farsi strada un sentimento che aveva provato di rado e che cresceva sempre più forte man mano Armagh lo prosciugava dalle poche energie rimaste.
Non poteva, non doveva finire in quel modo. Non per mano del suo stesso sangue.
E nel sangue di Legolas iniziò a ribollire rabbia, che mutò in ira, che mutò nella collera tremenda e potentissima rimasta sopita fino ad allora nei figli di Thingol e Melian.
Se Rhiannon avesse potuto vedere oltre la spessa nube rossa che avvolgeva l'elfo, l'avrebbe visto risplendere di una nuova, effimera vita e di una grande e terribile bellezza mentre alzava la testa verso il cielo e urlava con tutta la forza distruttiva che aveva potuto richiamare a sé; invece tutto ciò che vide fu il dissolversi di Armagh in polvere rossa che fece tremare la fortezza dalle fondamenta mentre uno stridore acuto decretava la fine del demone della parola, e lo vide anche Eredhil, la bocca spalancata dallo stupore e dal terrore che lo stava pervadendo. Quando Legolas riemerse dalla nube di polvere ormai dissolta i suoi occhi luminosi e febbricitanti, splendenti della luce dei Primi Nati, riempirono Eredhil di terrore. Sangue vivo continuava a sgorgare dalla ferita sulla sua schiena e un sottile rivolo rosso gli colava dall'angolo della bocca. Rhiannon gli corse incontro per sorreggerlo, ma l'elfo le fece cenno con la mano di restare lontana, senza staccare gli occhi da quelli di Eredhil e, continuando a stringere il pugnale che il fratello gli aveva conficcato tra le scapole, avanzò verso di lui.
Eredhil scosse la testa e indietreggiò fino a ritrovarsi con le spalle al muro.
- Non vorrai uccidermi... - farfugliò - Non ora che sono disarmato e impotente, non è vero, fratello? Sei troppo nobile per farlo... -
Legolas lo ignorò.
- Abbi un po' di compassione in quest'ultima notte! Hai ucciso le mie guardie, i tuoi soldati, per arrivare fin quassù...e ora vuoi uccidere tuo fratello, il tuo stesso sangue...sei davvero cambiato così tanto? E' così grave la pena per chi ha sbagliato per rabbia? -
Legolas scoppiò in una risata roca. - Sei esattamente il vigliacco che ricordavo – disse – Perchè non hai parlato in questo modo anche prima...quando avevi un demone al tuo fianco? -
- E' stato lui! E' stato lui a farmi fare tutto questo! Lui mi ha spinto a commettere tutti questi crimini terribili, lui! Ti prego, risparmiami! - gridò, allungando un braccio davanti a sé, come per proteggersi.
Legolas rimase immobile per un istante; un sorriso balenò sulle sue labbra per spegnersi in uno sguardo d'odio profondo.
- Questo è per Anìrwen – disse. Poi, con un movimento fulmineo, tranciò di netto la mano che Eredhil gli aveva teso.
L'elfo urlò, mentre un fiotto di sangue schizzava dal moncherino. A Legolas non bastò.
- Questo è per Rhiannon – disse dopo avergli afferrato l'altro braccio e tagliato anche la mano rimasta.
- E questo è per me. -
Rhiannon chiuse gli occhi mentre l'elfo conficcava il pugnale a fondo nel ventre del fratello. Eredhil si accasciò a terra e Legolas ci chinò su di lui.
- Non morirai subito – gli sussurrò in un orecchio – Non meriti una fine rapida. Il sangue ti abbandonerà molto lentamente, mentre tu avrai il tempo di meditare su come hai condotto te stesso alla tomba. -
Legolas si rialzò barcollando e Rhiannon corse a sorreggerlo. Il viso dell'elfo era pallido e tirato per la sofferenza e ogni respiro gli costava un'enorme fatica.
- E' finita davvero – disse Rhiannon tra le lacrime mentre Eredhil imprecava rabbiosamente contro il fratello e gemeva per il dolore – Andiamocene da qui. -
I due avanzarono lentamente verso le scale, ma ad ogni passo un crepitio sinistro echeggiava dai piani inferiori.
- Grande Eru...cos'è questo odore? - disse Rhiannon.
- Dol Guldur sta bruciando – disse Legolas con una smorfia di dolore – La fine di Armagh ha decretato anche la fine di ciò che era stato creato per mezzo del suo potere... -
- Allora muoviamoci prima di finire arrosto anche noi... -
- Legolas! -
L'elfo si voltò a guardare Eredhil che, perdendo copioso sangue dall'addome, tendeva un moncherino verso Legolas, come per afferrarlo con la mano che non aveva più.
- Legolas, maledetto, finiscimi! Finiscimi! Dov'è la tua pietà adesso?! -
Legolas strinse gli occhi. - Hai detto di essere padrone del tuo destino? - disse – E allora salvati da solo. -
Eredhil sibilò e sputò dalla rabbia. - Vai, vai, fratello! - esclamò – Lasciami qui a morire come un cane! Io ti ho distrutto con le mie mani, ma tu non osi sporcare le tue fino in fondo...chi è il peggiore di noi due adesso, Legolas?! Legolas!! -
Ma mentre si allontanava zoppicando, l'elfo ignorò le urla rabbiose di Eredhil, che cercava di seguirlo trascinandosi verso l'uscita in fiamme, ma che sarebbe presto rimasto sepolto in una tomba di fuoco.
A Dol Guldur si era scatenato l'inferno. Braceri e torce erano caduti a terra nel momento in cui, alla morte di Armagh, la terra aveva tremato e ora l'intera fortezza era in fiamme. Legolas e Rhiannon arrancarono a fatica fra travi in legno bruciate e i cadaveri dei soldati morti nel'istante in cui il demone aveva abbandonato i loro corpi, cercando di raggiungere lo stretto cunicolo d'uscita.
Ad un tratto una fitta di dolore mozzò il fiato a Legolas, già debolissimo per la ferita infertagli dal fratello. L'elfo si arrestò e si accasciò a terra, scivolando via dalle braccia di Rhiannon che si chinò immediatamente su di lui.
- Vai Rhiannon, sbrigati... - disse.
Rhiannon scosse la testa. - Legolas, devi resistere, siamo quasi all'uscita... - disse, aiutandolo ad appoggiarsi al muro.
Ma quando l'elfo, romai esanime, girò la testa verso di lei, Rhiannon capì che le loro strade si sarebbero irrevocabilmente separate.
- Quando ho detto che nessuno di noi due sarebbe uscito vivo da qui, stanotte, parlavo sul serio – sussurrò Legolas, quasi senza voce – Ma tu devi tornare. O... - strinse i denti, mentre sentiva le forze abbandonarlo - ...o il mio sacrificio sarà stato inutile. Il mio cavallo ti aspetta all'uscita. Torna ad Aldorath più in fretta che puoi. E dì a tutti che non dovranno più temere lo Stregone Rosso... -
Rhiannon prese una mano del'elfo tra le sue e la strinse forte. - Anch'io avevo fatto una promessa - disse, cercando inutilmente di cacciare indietro il pianto – Avevo promesso che non ti avrei lasciato. E io sono molto più testarda di te. -
- Lo so – disse Legolas sorridendo debolmente – Ma stavolta l'avrò vinta io...anche se avrei tanto desiderato il contrario. -
- Non può essere – singhiozzò Rhiannon – Non può essere un addio... -
L'elfo chiuse gli occhi e voltò la testa dall'altra parte, per impedire alla ragazza di vedere una lacrima argentea scorrere lungo la sua guancia sporca di fumo e sangue. - La vita mi sta abbandonando, Rhiannon...migliaia d'anni svaniti in un soffio. Ma non sarà così doloroso. Lei mi aspetta...nelle Aule di Mandos. -
Rhiannon baciò la mano di Legolas e se la portò al viso, lasciando che lui le accarezzasse dolcemente una guancia, asciugandole le lacrime.
- Avrei tanto voluto poter essere amata come lei – disse.
- Lo sei stata – rispose Legolas sorridendo – E continuerai ad esserlo...rimpiango solo di non avere un'altra vita per dimostrartelo. Ti avrei mostrato il mio regno, a passeggiare sotto un cielo di foglie e di diamanti. Insieme avremmo cercato il mare... -
Tossì. - Vai, ora. Che i Valar ti proteggano...sempre. -
Rhiannon chiuse gli occhi e, tremando, baciò delicatamente le labbra dell'elfo.
- Non ti dimenticherò mai, Legolas – disse, alzandosi e dirigendosi verso l'ingresso del tunnel – Con te sarei andata ovunque. - E sparì nel tunnel, scossa dai singhiozzi, incapace di pronunciare la parola “addio”.
Raccogliendo le poche energie che gli rimanevano, Eredhil era riuscito a strisciare lungo la scalinata che scendeva dalla torre fino al corridoio, ormai pieno di macerie e di fumo, insozzando i gradini, già sporchi e ricoperti di fuliggine, con il sangue che usciva copiosamente dai suoi polsi monchi.
Era vivo, ferito, distrutto ma ancora vivo e più impaurito che mai. E finchè era vivo, nel suo corpo e nella sua mente c'era ancora spazio per collera e speranza.
Un rumore di passi lenti risuonò lungo il corridoio; l'elfo non aveva forze nemmeno per alzare la testa ma nel suo cuore nero esultò, certo di averla vinta di nuovo, per l'ultima volta, quando una figura avvolta dal fumo gli si fece incontro, camminando lentamente. Tutto ciò che Eredhil riusciva a distinguere di essa erano gli stivali di cuoio annerito, ma per lui furono sufficienti.
- Legolas? Sapevo che saresti tornato, fratello... - disse faticosamente, quasi con gratitudine, quando la figura avvolta dal fumo si fermò di fronte a lui. - Non mi avresti mai lasciato qui a morire, vero? Ormai tutti mi hanno abbandonato...ma io sono tuo fratello, il tuo stesso sangue...andiamo, aiutami ad uscire da qui, non riesco a reggermi in piedi... -
La figura non rispose.
- Legolas...? -
- Non sono Legolas – disse infine lo sconosciuto – Purtroppo per te. -
Eredhil non potè far altro che cogliere il rapido luccichio di una lama e un istante più tardi la sua testa rotolò sul pavimento, gli occhi per sempre spalancati in un'espressione di sorpresa e vana speranza.
Ehi, non è ancora finita!!! Per mettere la parola “fine” a tutto questo serviranno ancora un paio di capitoli, forse (ma spero di no) tre. Perchè, dopo dieci anni in cui questa ff è rimasta “nel cassetto”, non sarà facile riprendere i fili di tutto...ma la conclusione è ormai vicinissima! Cosa succederà ai nostri amici rimasti ad Aldorath? E ad Arwen e Eowyn? Riusciranno i nostri eroi a ripristinare i sigilli? E soprattutto...Legolas???
Ok, torniamo a noi. Ho aggiornato per l'ultima volta questa storia nel 2004, esattamente dieci anni fa. Avevo cominciato a scriverla nel 2003, mentre stendevo la mia tesi di laurea, sparandomi per consolazione Springsteen, Loreena McKennitt e Howard Shore a ruota continua. E buttare giù i miei cattivi sentimenti all'epoca mi aveva aiutato davvero molto. Poi, come spesso capita, la mia vita è cambiata del tutto: ho conosciuto quello che adesso è mio marito, ho trovato lavoro, ho cambiato città e cambiato lavoro (ma non marito ^_^) e quella cosa strana chiamata ispirazione, che in me è sempre stata ballerina, se n'è andata. Ho scritto altre storie, ma di questa non ne volevo più sapere, ogni volta in cui mi mettevo davanti alla tastiera e aprivo l'ultima pagina il blocco era completo. Perchè non se n'era andata solo l'ispirazione, se n'erano andate anche le idee. Questa è una storia complicata, quasi come me, e ammetto che quando l'ho cominciata non sapevo nemmeno come sarebbe finita. Era bello farsi guidare dall'ispirazione del momento, imboccare nuove strade, complicare quelle già prese, ma non mi ha portato a nulla.
Poi, dieci anni dopo, mi sono capitate due cose.
Ho guardato “Lo Hobbit – La desolazione di Smaug” e improvvisamente mi si sono parate davanti le facce di Eredhil e Val, che erano solo contorni sfumati nella mia testa.
E ho riascoltato “The rising”, l'album che mi ha portato a butar giù questa storia.
Sono andata su EFP e ho visto che la storia era ancora lì, non aggiornata da dieci anni esatti (e ringrazierò mille volte Erika per questo). E mi sono sentita in colpa per tutti coloro che avevano seguito la storia ed erano rimasti con l'amaro in bocca, sospesi sul (forse) più bello.
Ero nel mood giusto; ci ho riprovato.
So che rimarrete delusi da quest'ultimo capitolo e lo sarete dai seguenti; la mia intenzione oiginale, visti i mille errori (e orrori) cronologici, di distanze ecc. era riprenderla in mano e correggerla, ma ci sarebbe voluto troppo tempo. Prima dovevo finirla in qualche modo.
Per cui spero che mi perdonerete per l'attesa e per questo calo qualitativo (se mai una buona qualità c'è stata) ma in dieci anni anche il mio modo di scrivere è cambiato parecchio, non so se in meglio o in peggio.
Ma ve lo dovevo.
Per cui, se tra coloro che bazzicano nel fandom di ISDA c'è ancora qualcuno che aspetta il finale di questa storia, sappia che arriverà e sarà solo per lui (o lei) ^_^
Vi chiedo perdono, ma ora vedo la luce in fondo al tunnel (e spero non si tratti di un treno!). Ce la posso fare. E' il mio “rising”. Perchè tutto inzia e finisce con Bruce Springsteen ^_^
I sink 'neath the water cool and clear
Drifting down, I disappear
I see you on the other side
I search for the peace in your eyes
But they're as empty as paradise
Bruce Springsteen, “Paradise”
Legolas chiuse gli occhi e attese, mentre tutto intorno a lui crollava tra le fiamme ed il fumo.
Non aveva paura della morte; non ne aveva avuta nemmeno attraversando il Sentiero dei Morti con Aragorn e Gimli. Per un elfo la morte non significava fine ma rinascita a nuova vita, un apparente privilegio da cui qualsiasi altra creatura era esclusa. Ma Legolas sapeva benissimo, anche se non avrebbe voluto ammetterlo nemmeno a se stesso, che la sua riunione con Anìrwen nelle Aule di Mandos sarebbe stata temporanea; ben presto sarebbero stati separati e destinati a nuove vite, probabilmente lontani l'uno dall'altra.
Riunione, rinascita, separazione.
Un privilegio a cui, in quel momento, avrebbe rinunciato volentieri.
Ignorò il dolore e il sangue che lo abbandonava portandosi dietro le poche forze che gli rimanevano e, trattenendo il respiro, cercò rifugio tra i ricordi che albergavano nel suo cuore, troppi anche per una vita lunga come quella di un elfo, che sarebbero presto andati perduti.
Lo sommersero dolcemente, come una marea che si sollevava portandolo in un mondo ovattato in cui l'unico rumore che poteva udire era il battito del suo cuore.
Quindi è così che si muore, si disse.
Ma ciò che lo stupì fu il pensiero che si alzava sopra tutti gli altri e che lo trasportava con sé più del viso della dolce Anìrwen, del profumo della sua terra o della risata di suo figlio...il pensiero di qualcosa che era sempre rimasto nascosto dentro al suo cuore, inconfessato perfino a Legolas stesso.
Più che un ricordo, un rimpianto inespresso.
Insieme avremmo cercato il mare, erano state le sue ultime parole per Rhiannon.
Il mare.
Radagast aveva detto che i Silmaril potevano scatenare i desideri più oscuri e inconfessati in chiunque li possedesse. Ma come poteva l'oscurità farsi strada nei desideri di una creatura fatta di luce?
Immaginò se stesso nel corpo di un gabbiano, alzarsi in volo lasciandosi accarezzare dal vento e percorrere quell'infinita distesa brillante su cui il sole si specchiava, e vedere la sua luce tornare in alto, riflettendosi in mille pezzi di vetro...potè quasi sentire le sue grida di gioia scorgendo in lontananza i foschi contorni della terraferma, l'Ovest, le Terre dei suoi padri...
E sulla riva, ad aspettarlo, lei.
Legolas sentì il cuore stringersi in una morsa di dolore.
- Anìrwen... -
Perchè, se il desiderio era grande, l'amore lo sopraffaceva.
- Torno da te per lasciarti di nuovo, amore mio... - sussurrò - Perchè ci hanno fatto questo? Perchè i Valar l'hanno permesso? -
Una lacrima gli rigò il viso mentre l'unico vero amore della sua vita gli si faceva sempre più vicina, splendente nella luce del sole che portava tra i capelli, e socchiuse piano gli occhi mentre lei tendeva lentamente una mano verso il suo viso accarezzandogli la guancia. Legolas si lasciò andare a quel morbido tocco, sperando in cuor suo di poter morire in quel momento, conservando quella carezza come l'ultimo e il più prezioso dei suoi ricordi, troppo reale, dolce e doloroso per essere un'illusione.
Quindi lei parlò.
- Sai bene che ti ho amato più di ogni altra cosa fin dal primo momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati – disse Anìrwen chinandosi sul suo sposo. La vista di Legolas era annebbiata, ma poteva avvertire il calore, il respiro, le labbra dell'amata vicine alle sue. – E che ho giurato che non ti avrei mai lasciato, né in vita né nella morte. Ciò che è accaduto non doveva accadere...e non si ripeterà. -
- Perchè parli per enigmi? – disse Legolas – Cosa stai cercando di dirmi? -
- Che non è giunto il momento di riunirci – continuò Anìrwen - Perchè non ci siamo mai separati. Le Aule di Mandos sono lontane per entrambi. -
- Ma tu sei morta – disse Legolas - Eredhil ti ha uccisa...sei viva solo nella mia mente e nel mio cuore...e tra poco anch'io morirò... -
Anìrwen scosse la testa sorridendo dolcemente.
- C'è un confine che possiamo attraversare, amore mio - disse - E sconfiggere il tempo per sempre. -
La fanciulla prese le mani di Legolas tra le sue, sottili e diafane. L'elfo sorrise guardando i begli occhi calmi della sua sposa.
- Ho tanto desiderato di poter stringere le tue mani ancora una volta... - disse.
- Le stringerai di nuovo, come stai facendo in questo momento - disse Anìrwen attirando delicatamente l'elfo a sé.
- Vivi, ora – disse.
Legolas inspirò profondamente e si sentì sollevare, ma non dalle mani delicate della sua sposa.
Qualcuno, molto più robusto, si stava issando il suo corpo, ormai quasi inerte, sulle spalle.
- Anìrwen... - disse con un fil di voce.
- Non sono Anìrwen – disse quella voce ormai famigliare - Sono parecchio più brutto. Non credo che ti dispiaccia, però, se provo a farti uscire da qui vivo. -
Legolas sorrise debolmente. - Ero sicuro che non mi avresti ascoltato, Valerius... - disse mentre il giovane imboccava lo stretto cunicolo che avrebbe condotto entrambi alla salvezza.
- Era ora che qualcuno mi riconoscesse, oggi. E ora andiamocene da questo inferno. Là fuori c'è un cavallo che ci aspetta. - disse Val.
Ma Legolas non lo potè sentire.
Era sospeso tra ricordi e desideri, come se avesse fatto un balzo indietro nel tempo e fosse rimasto invischiato in una ragnatela tesa nel buio. Anìrwen pareva non averlo abbandonato; Legolas si ritrovò tra le sue braccia, come nella notte precedente la sua partenza da Bosco Atro, e poteva sentire il calore del corpo della sua sposa mentre la stringeva a sé e si donavano l'uno all'altra con passione. Ma ogni brivido di piacere si trasformava sulla pelle dell'elfo in un colpo di coltello, in un taglio profondo, come se fosse sdraiato su un tappeto di schegge di vetro.
Il dolore divenne insopportabile. Cercò di divincolarsi dall'abbraccio di Anìrwen, sempre più stretto e soffocante, ma inutilmente; i capelli della fanciulla gli ricadevano sul viso, avvolgendolo come un serpente con le sue spire, impedendogli di vedere e di respirare. Quando, finalmente, riuscì a scostarseli dagli occhi, si accorse, con orrore che al posto di Anìrwen si trovava Ithildis, la Dama Nera, un ghigno demoniaco dipinto sul volto, le unghie piantate nella sua carne.
Urlò e lei scomparve, ma il dolore non cessò. Tornò il buio. E, nel buio, una voce che lo chiamava da lontano.
Legolas...fratello...
Conosceva anche troppo bene quella voce.
Un solo sangue...una sola carne...una sola morte...
E, ad ogni richiamo, una pugnalata.
Per tutti i Valar, perchè lo stavano torturando in quel modo?
Legolas sentì le sue tempie pulsare in modo irregolare mentre il suo corpo si contorceva dal dolore infertogli...fino a quando un'altra eco lontana giunse al suo orecchio.
Non ci siamo mai separati.
No, Anìrwen non lo aveva abbandonato. Ma quelle parole...
C'è un confine che possiamo attraversare...
Non riusciva a comprenderne il significato, ma erano tutto ciò a cui poteva aggrapparsi in quei terribili istanti.
...e sconfiggere il tempo per sempre.
Una falsa speranza, forse un'illusione, ma così vivida...
Meleth nìn, cercò di dire, ma le sue labbra non volevano saperne di aprirsi e le parole gli morirono in gola, in un'urlo silenzioso.
Torna...
E ora parevano due voci riunite in una, le voci di chi aveva amato e continuava ad amare con tutto se stesso. Una lo implorava di tornare, l'altra glie lo comandava dolcemente. E lui non potè far altro che obbedire.
Torna...
Il battito del suo cuore accelerò e divenne sempre più regolare.
Ora basta.
Eredhil era morto, Ithildis era morta. Lui era ancora vivo e doveva continuare a vivere. Lo doveva a quanti non l'avevano abbandonato.
Una debolissima luce si fece strada in lontananza; il dolore si attenuò, i tagli sulla pelle sembrarono chiudersi con un leggero prurito.
Non avrebbe mai capito quanto tempo quell'apparente agonia era durata.
Lentamente, nell'oscurità che si diradava, Legolas distinse il contorno di un viso famigliare e, su quel volto, un sorriso.
Una piccola, morbida mano toccò la sua; istintivamente, le sue dita si mossero tremanti verso di essa, e allora capì di essere tornato alla luce.
- Adar! - esclamò Galien, facendo tornare un ricordo la liscia e suadente voce di Eredhil.
Legolas aprì lentamente gli occhi; la sua vista era ancora sfuocata ma riuscì, nel tenue bagliore di un braciere, a distinguere il sorriso e gli occhi luminosi di suo figlio che lo guardavano colmi di gioia.
- Hên nìn... - disse debolmente mentre Galien prendeva la sua mano e se la portava al visetto, cercando una carezza a lungo desiderata. Sorridendo debolmente, lasciò scorrere la mano dalla guancia ai morbidi capelli di suo figlio: come aveva potuto essere così egoista da pensare di abbandonarlo per seguire l'amore nella morte?
Cercò di chiedergli perdono, ma la sua voce fu poco più che un sussurro; ogni parola, ogni movimento erano per lui una stilettata nel costato.
- Va tutto bene Padre...non affaticarti. Polo, svelto, vai a chiamare gli altri! - disse Galien, eccitato.
Legolas strinse gli occhi, inspirando profondamente.
Polo?
Ricordava di averlo lasciato a Edoras insieme ad Aragorn e gli altri compagni...dove si trovava ora?
Spossato, cercò di aguzzare la sua vista da elfo, ancora sfuocata, per distinguere i contorni del luogo che lo circondava: sicuramente una tenda, dati i pesanti panneggi di tela grezza tutt'intorno a lui. Valerius l'aveva tratto in salvo, quindi, ragionevolmente, doveva averlo riportato all'accampamento; si trovava ancora lì? E per quanto tempo era rimasto privo di coscienza?
Richiamando a sé tutta la sua lucidità cercò disperatamente di alzarsi da suo giaciglio, ma ogni movimento era così doloroso da levargli il respiro.
- Calmati. Va tutto bene, ma non ti devi agitare. Sei ancora troppo debole. -
Sentendo quella voce, l'elfo provò un'immenza sensazione di sollievo.
- Rhiannon... –
La ragazza lo sorresse, aiutandolo a mettersi seduto, mentre Galien stringeva forte la mano destra del padre tra le sue, temendo quasi di vederlo alzarsi e lasciarlo solo un'altra volta.
- Sapevo che saresti tornato – disse Rhiannon.
Lentamente, Legolas mise a fuoco prima la folta chioma rossa, poi il volto della ragazza, pallido e teso nonostante gli stesse sorridendo con tutto il cuore, e ciò che vi lesse lo inquietò perchè non si trattava né di gioia né di sollievo, ma di paura e rassegnazione.
Rhiannon distolse rapidamente lo sguardo da quello dell'elfo, ma troppo tardi.
- Bevi questo – gli disse, accostando alle sue labbra una ciotola piena di un liquido tiepido e profumato. Legolas pose la sua mano sinistra su quella della ragazza, come se la stesse aiutando ad aiutarlo, e bevve una lunga sorsata di quell'infuso che sembrò riportare immediatamente calore ed energia nel suo corpo.
- Siamo...siamo ad Aldorath? - domandò, riprendendo lentamente le forze.
Rhiannon annuì. - Siamo sempre all'accampamento. Hai dormito per due giorni. Deliravi. -
- Ho avuto incubi terribili – sussurrò Legolas – Un'atroce tortura...nel corpo e nell'anima... -
Rhiannon si incupì. - Ne sono sicura. La lama con cui Eredhil ti ha colpito era avvelenata – disse in tono grave – I guaritori di Aldorath hanno fatto tutto ciò che era possibile per loro...per il resto ci è voluta la tua tempra da elfo. La forza per combattere non ti ha mai abbandonato. -
- E nemmeno noi ti abbiamo abbandonato! - aggiunse Galien.
Legolas sorrise, stringendo la manina di suo figlio nella sua. Avrebbe voluto dirgli che ora non doveva più temere nulla, che Eredhil non sarebbe mai più tornato, che il sangue di suo zio aveva lavato quello versato da sua madre, da Potter e da tutti coloro che si era portato via per sempre, ma non ci riuscì. Non si sentiva orgoglioso del suo gesto, né pensava di aver fatto semplicemente ciò che doveva. Se solo ci fosse stato un modo per evitarlo, l'avrebbe trovato. Semplicemente, non era stato possibile.
- E'...è finita? - fu tutto ciò che riuscì a pronunciare. Ma lo sguardo di Rhiannon, il suo volto teso, incapace di sorridere con sincerità, gli rese facile immaginare quale potesse essere la risposta a quella domanda.
Rhiannon si scostò dal giaciglio di Legolas, lasciando scorrere la mano dalla spalla al petto dell'elfo.
- No, Legolas – disse una voce conosciuta – Non è finita. -
L'elfo si voltò. Una sottile lama di luce avanzò all'interno della tenda, aiutandolo a distinguere una sagoma scura, avvolta in un logoro mantello marrone.
- Radagast...? - disse Legolas, sorpreso. Un'ombra di inquietudine si impadronì del suo cuore.
Lo stregone, impassibile nella penombra, sollevò il suo bastone e la pietra azzurra che si trovava alla sommità di esso iniziò ad emettere una tenue luce azzurra, cosa che aiutò Legolas a distinguere le fisionomie di coloro i quali stavano facendo il loro ingresso nella sua tenda e si avvicinavano al suo giaciglio: Valerius, Yain e Galien, con il piccolo Polo sulla spalla. Rhiannon non si mosse dal fianco del'elfo, gli occhi gelidi e rivolti verso il basso.
- Sono lieto di ritrovarti vivo, Signore del Bosco Atro. Abbiamo temuto fortemente per te. - disse Radagast.
- Alla luce delle tue parole...vorrei poter dire la stessa cosa – ribattè debolmente Legolas – Dove sono Aragorn, Gimli e Sam? Credevo foste partiti per Gondor... -
- E ci siamo arrivati, tutti – rispose Radagast – Ma qualcosa non è andato come avrebbe dovuto. Mi dispiace, Signore del Bosco Atro, ma non porto buone notizie. -
Si sedette accanto all'elfo e cominciò il suo racconto.
Rieccomi! Innansi tutto, devo precisare che una piccolissima parte del dialogo tra Legolas e Anìrwen è mutuato dalla splendida e commovente canzone “Wolfe” degli Albion Band...non vi dico quale, ascoltate e scoprite ^_-
Ah, nel capitolo precedente avevo dimenticato di precisare che una parte del dialogo tra Valerius e Legolas veniva da “Hero” di David Crosby, stra le mille cose che avevo in testa mi ero dimenticata di scriverlo!
In secondo luogo mi scuso per il mostruoso ritardo nell'aggiornamento e per aver pubblicato questo capitolo un po' monco. Il motivo per cui ho deciso di sdoppiarlo forse è stupido, ma rientra in una delle mie fissazioni, in questo caso la citazione iniziale. Se questa storia dev'essere un omaggio a “The rising”, che lo sia fino in fondo! Ma capirete con il prossimo capitolo ^_-
Terzo, confermo che mancano ancora due capitoli alla conclusione, la seconda parte di questo e il gran finale, poi BASTA. Questa parte non è granchè, la prima parte del prossimo capitolo l'ho ODIATA e vi spiegherò poi perchè. Quello che mi dispiace più di tutto è di non riuscire a finire tutto entro la fine dell'anno...avrei tanto voluto entrare nei dieci anni esatti dalla pubblicazione del primo capitolo, e invece niente da fare. Da qui ho deciso che, come buon proposito per l'anno nuovo, non farò più buoni propositi. E, soprattutto, mai più long-fic.
Ringraziandovi ancora per la pazienza, vi auguro buonissime feste!
Left the house this morning
Bells ringing filled the air
I was wearin' the cross of my calling
On wheels of fire I come rollin' down here…
(Bruce Springsteen, “The rising”)
Quando Gimli si svegliò non si rese conto di dove fosse. Gli ci volle qualche minuto per trovare la forza di alzarsi dal pavimento sul quale giaceva riverso, gli arti intorpiditi dal freddo e un soffocante odore di muffa nelle narici. Un pallido e freddo raggio di luce illuminava l'ambiente ma non a sufficienza perchè la vista ancora offuscata del nano potesse distinguere ciò che si trovava intorno a lui. Il silenzio era rotto solo dal ritmico cadere di una goccia d'acqua, ma era momentaneamente impossibile capire da dove provenisse quel suono.
- Sam...? - chiamò, stringendosi la testa dolente fra le mani - Aragorn? -
Lentamente, si alzò sulle gambe traballanti e si appoggiò al muro, cercando invano di ricordare cos'era successo, come aveva potuto finire lì dentro, ovunque si trovasse.
Ricordi disordinati si affollarono nella sua mente: la torre di Ecthelion al calar del sole, i cancelli della Città Bianca che si chiudevano alle loro spalle, Eowyn che attendeva la piccola compagnia all'ingresso della Cittadella, sorridendo...
Poi il buio.
Il nano strinse gli occhi cercando di adattare la sua vista, già avvezza all'oscurità delle miniere, all'ambiente che lo circondava. Un dolore pulsante gli attanagliava la testa, rendendogli difficile anche solo restare in piedi e guardarsi intorno, ma doveva trovare i suoi compagni, o quantomeno capire cosa gli fosse successo. Chiamò nuovamente Aragorn, ma invano; la sua voce si spense tra mura che non riusciva a vedere.
- Maledizione! - disse, appoggiandosi di peso ad una parete umida. Era sfinito; rimase in quella posizione per un tempo indefinito, scandito solamente dal rumore lento della goccia che cadeva e che sembrava trapassargli il cranio, come nelle peggiori torture.
-Basta...basta!! - esclamò, stringendosi la testa tra le mani – Sam, Aragorn...dove siete?! -
Improvvisamente un’ondata dolciastra gli penetrò nelle narici, provocandogli un moto di nausea. Si scostò bruscamente dal muro, andando a sbattere contro una massa informe che pendeva dal soffitto e che gli rimbalzò contro, gettandolo a terra. Il nano imprecò cercando di alzarsi per la seconda volta, ma qualcosa in quella sagoma appesa catturò la sua attenzione.
Tese le orecchie; il silenzio era totale, anche quella dannata goccia aveva cessato di cadere, ma non fu un sollievo. Quando il nano riuscì finalmente a distinguere quella sagoma capì anche che il misterioso liquido che aveva ormai formato una piccola pozza sotto di essa non era acqua.
-Che Aulë ci protegga – disse con voce tremante, paralizzato dal terrore.
Davanti a lui, Sam dondolava appeso al soffitto, le mani legate ad una corda, le braccia e il volto rigati di sangue che continuava a scorrere dalle ferite.
Una goccia dopo l'altra, plic, plic, plic.
-Sam!! -
Il nano si lanciò verso l'amico, ma l'unico risultato fu di finire riverso sul pavimento con un'esclamazione soffocata. Una spessa corda assicurava la sua caviglia sinistra ad un anello di ferro incastonato nella parete.
-E' vivo, non temere – disse ad un tratto una fredda voce nel buio – Morto, non mi servirebbe a nulla. -
Eowyn fece un passo fuori dall'ombra, un gelido e inquietante sorriso dipinto sulle labbra. - Non che mi sia servito a molto, comunque – aggiunse – Benvenuto nelle segrete di Minas Tirith! Spero che la sistemazione sia di tuo gradimento. -
Gimli si mise faticosamente a sedere e guardò la fanciulla immobile davanti a lui, sbalordito.
-Che i Valar ti maledicano, Dama!! - esclamò infine – Perchè hai fatto questo ad un amico onesto e sincero? Che ne è degli altri? -
-Le domande spettano a me, Nano. Eravate in cinque, quando vi siete presentati ai Cancelli. Alla vostra compagnia manca un membro. Dov'è lo stregone? -
-Radagast? Vorrei saperlo anch'io...per ucciderlo con le mie mani, se ci ha abbandonato nel momento del pericolo! -
-Oh, mi dispiace, ma sarò io a togliermi quella soddisfazione. Mi è già sfuggito una volta, non ho intenzione di farlo accadere di nuovo. -
Un lampo metallico balenò negli occhi della fanciulla, e fu solo in quel momento che Gimli ritrovò del tutto la propria lucidità.
-Tu non sei Eowyn - disse, quasi in un sussurro - Avrei dovuto immaginarlo subito. Sei Fermanagh. Radagast aveva ragione... -
-I miei complimenti per la sagacia. Mi chiedevo quando ci saresti arrivato. -
-Te lo domando di nuovo...che ne è degli altri?! - tuonò Gimli – Aragorn, Faramir... -
...e Polo. Ma il nano si arrestò prima di pronunciare quel nome. Fermanagh aveva parlato di cinque compagni. A meno che tra loro non si celasse un traditore, all'appello mancava proprio lui.
Eowyn ghignò e spalancò del tutto la porta della cella. - Vuoi vederli?- disse - Sono qui. -
Gimli deglutì nel vedere il Sovrintendente e il Re di Gondor fare il loro ingresso a passi lenti, come marionette in mano ad un'entità più potente, negli occhi ormai vuoti la stessa luce metallica che illuminava quelli della Dama di Rohan.
Gimli impallidì. - Oh, no... - disse.
-Oh sì - ribattè Eowyn - Credo che ormai tu non possa fare altro che collaborare. L'Elfo è fuggito da Edoras, così mi ha detto il tuo inutile amico prima di perdere i sensi, vsto che al Re e al suo Sovrintendente non è rimasta molta memoria...loro mi servono per altro. Ora voglio sapere dov'era diretto e voglio saperlo subito. Bada, ho la stessa capacità di persuasione del mio sciocco fratello, ma utilizzo metodi molto più efficaci. -
Gimli deglutì e pregò che il demone non si accorgesse del topolino che era schizzato fuori dalla cella passando tra i piedi di Aragorn.
E così la nostra ultima speranza è riposta nella piccola gente della Contea, pensò, chiudendo gli occhi. Di nuovo, come allora.
Il percorso che divideva le segrete dall'uscita dalla Città Bianca sembrava infinito per le piccole zampe di Polo, che correva a perdifiato cercando di orientarsi in quello spazio così grande e di schivare tutto ciò che poteva costituire un pericolo per un topo.
Il suo cuore era gonfio di paura e angoscia.
-Tieniti vicino alle mura e non fermarti – disse Radagast.
Polo annuì. Non poteva vedere lo stregone né sentirne il peso, rimpicciolito com'era alle dimensioni di una pulce, ed era terrorizzato all'idea di farlo cadere.
Fai esattamente ciò che ti dirò e non temere di perdermi perchè non succederà, gli aveva detto Radagast.
Lo stregone aveva percepito il pericolo appena Eowyn gli si era fatta incontro e aveva capito che le sue forze non sarebbero mai state sufficienti per combattere la creatura che si era impossessata di lei. La fuga era la soluzione forse meno onorevole, ma di certo più utile.
Polo oltrepassò il cancello con un solo balzo, il più lungo consentitogli dalle sue minuscole zampe, le forze amplificate dalla paura e dall’angoscia, e continuò a correre a perdifiato nell’arida pianura, lasciandosi guidare da Radagast, aggrappato al suo pelo.
-Aldorath è troppo lontana! - squittì – Non riusciremo mai ad arrivare in tempo, nemmeno se corressi senza sosta...e non credo di reggere ancora per molto! -
-Non temere – rispose lo stregone - Abbiamo più alleati di quanti tu non immagini. Ora continua a correre e non temere, qualsiasi cosa accada! Fidati di me! - E lanciò un fischio acutissimo, che provocò quasi un moto di dolore alle orecchie di Polo, costringendolo a rallentare l’andatura.
-Corri! - lo esortò Radagast – Corri e non fermarti! -
Polo obbedì, ma il suo piccolo cuore rischiò di fermarsi quando all’improvviso un enorme corvo nero si gettò su di loro in picchiata e lo sollevò da terra con i suoi artigli acuminati.
-No!! Non può finire in modo così stupido!!- esclamò.
-E non finirà, infatti! - disse Radagast, sorridendo – Perchè credi che il mio vero nome sia Aiwendil, “amico degli uccelli”? Grazie Aranac, nipote di Roac – disse infine rivolgendosi al corvo – A debito si aggiunge debito, ma sapremo ripagarlo al momento opportuno. E ora, verso Aldorath! -
-Non esiste alcun debito – gracchiò in risposta Aranac, continuando a volare sicuro – Dobbiamo tutti giocare la nostra parte nella ricerca della salvezza, se non vogliamo che l’oscurità si abbatta nuovamente su tutti noi. -
Così si concluse il racconto dello stregone. Legolas lo guardò attonito, come se le poche speranze che erano cresciute nel suo cuore al suo risveglio si fossero sbriciolate in un istante.
-Mi dispiace, Signore del Bosco Atro – disse Radagast – So che speravi di essere giunto all’epilogo di questa storia. Invece, prima di mettervi la parola “fine” qualcuno dovrà ancora giocare la sua parte...ai Denti del Drago. E avrà tutto il mio aiuto. L’ultimo Silmaril va portato là e incastrato in una sottile colonna di roccia. Quel che accadrà dopo...non è ancora in mio potere dirlo. -
A quest’ultima notizia Legolas si lasciò cadere sui gomiti, come colto da un’improvvisa debolezza portata dallo sconforto. Guardò negli occhi tutti coloro che lo circondavano, Rhiannon, Val, Galien con il piccolo Polo sulla spalla, soffermandosi su quelli profondi e senza età dello stregone, implorando una risposta alla domanda che temeva di fare.
Radagast lo precedette.
-So cosa vorresti sapere – disse – Ma questo compito non cadrà di nuovo sulle tue spalle, troppo deboli per sopportare oltre in questo momento. Qualcun altro combatterà quest’ultima battaglia. -
Legolas trattenne il respiro per un istante. Dal suo risveglio, quando credeva che ormai tutto fosse finito, gli era parso invece di precipitare di nuovo nel vuoto. Qualcun altro dovrà giocare la sua parte. E lui che parte aveva avuto? A cosa era servita tanta sofferenza se ora qualcun altro doveva caricarsi sulle spalle quel fardello? E soprattutto, a chi sarebbe toccato adesso?
Val si alzò in piedi, indovinando il pensiero dell’elfo. - Andrò io, Legolas – disse – E Polo verrà con noi. -
Rhiannon uscì dalla tenda senza dire una parola.
L’Elfo e l’Uomo si guardarono per un tempo che sembrava infinito, cercando, senza riuscirci, di intuire i pensieri l’uno dell’altro.
Infine Legolas parlò.
-Per favore, lasciateci soli un momento. -
-D’accordo, Signore del Bosco Atro – rispose Radagast – Ma ricordate che non ci resta molto tempo. Non sprecatelo con parole inutili. -
-Non lo saranno – ribattè Legolas mentre Radagast e Galien lasciavano la tenda.
Legolas si raddrizzò faticosamente, mettendosi a sedere sulla branda e continuando a fissare Valerius negli occhi. Lo sguardo dell’Elfo l’aveva sempre inquietato, a partire dalla terribile notte del loro primo incontro; eppure questa volta il giovane non percepì nessuna tensione, come se Legolas stesse scavando con delicatezza nel profondo della sua anima. L’unica cosa di cui aveva paura era di ciò che vi avrebbe potuto far emergere. Senza rendersene conto, Val trattenne il respiro.
-Elen sìla lumenn’ omentielvo – disse quindi Legolas rompendo il silenzio – Sai cosa significa? -
Val scosse la testa.
-Significa “una stella brilla sull’ora del nostro incontro”. Ma sul nostro primo incontro non ha brillato nessuna stella. Ammetto di aver avuto una pessima opinione su di te, ma forse ero troppo cieco per non vedere la luce di quella stella...e la strada su cui ci ha portato. Ti ho giudicato molto male e ne sono addolorato, ora più che mai. Questa responsabilità non avrebbe dovuto ricadere su di te. -
Il giovane scosse la testa. - E su chi avrebbe dovuto ricadere? Sui miei uomini? Su di te, che sei appena scampato alla morte? Su tuo figlio? -
-Non credere che non senta quello che provi – disse Legolas fissando il giovane negli occhi. - So che hai paura, come tutti noi. Ed è normale, perché un condottiero non deve mostrar paura, ma ha tutto il diritto di averne. Questa decisione ti fa onore, ma ora devi dirmi perché l’hai presa e voglio la verità. Lo fai per lei? O per me? Tu non hai più debiti con nessuno, ricordatelo. -
Val distolse lo sguardo e il suo pensiero corse velocemente a Rhiannon. - L’ho fatto perché ho qualcuno per cui combattere. E a cui lasciare questa terra. Continui a giudicarmi male, Legolas, non sono un egoista. Non fino a questo punto, anche se mi sono comportato spesso da tale. Da egoista e sventato. -
-Senza la tua sventatezza forse non sarei qui, ora – disse Legolas sorridendo. - Credo...credo di doverti ringraziare per avermi disobbedito. -
-Senza di te nemmeno Rhiannon sarebbe qui. - ribattè Valerius – Comunque...in un certo senso sì, ho preso questa decisione anche per voi. E per me. -
La sua voce si incrinò. - E’ come se mi fossi reso conto...di non essere più un ragazzo. Di essere diventato uomo all’improvviso, quando credevo di esserlo già. Oh, grande Eru...tu sei una creatura millenaria...non so nemmeno se puoi capirmi… - disse chiudendo gli occhi, e prendendosi la testa tra le mani si chinò in avanti come se un forte dolore l’avesse attraversato all’improvviso.
Legolas allungò il braccio e gli pose una mano sul capo, in modo quasi paterno. - Posso capirti, invece. Per me si è trattato di molto, molto tempo fa. Il momento in cui ho capito di non essere responsabile solamente di me stesso... Ma il prezzo che tu rischi di pagare è molto alto, te ne sei reso conto? -
-Non sarò solo, lo sai. -
Legolas tacque. Lo sarai, avrebbe voluto dirgli. Quando ti troverai faccia a faccia con il nemico sarai solo ad affrontare la tua paura, la tua insicurezza, la tua debolezza...solo come chiunque altro. Elfi, Uomini, Nani...fatti di carne e di sangue, fallibili, fragili. Ed è proprio questo che ci rende fratelli…
Lo pensò, ma non lo disse.
-Nemmeno io ti lascerò solo, anche se non potrò venire con te. O ra passami quello – disse poi, indicando un lungo oggetto avvolto in un pesante panno verde, appoggiato al suolo vicino all’ingresso della tenda. Val lo depositò con attenzione nelle braccia dell’elfo che lo svolse con cura, svelando in tutta la sua maestosa bellezza l’arco che aveva ricevuto in dono da Dama Galadriel. Legolas lasciò scorrere lo sguardo su quell’arma tanto letale quanto splendida, accarezzandone lentamente gli intarsi come per imprimersi quel raffinato disegno nella memoria. Come se lo stesse guardando per l’ultima volta.
Valerius era un abile artigiano, ma alla vista di quell’arco capì che mai avrebbe potuto eguagliare la maestria degli Elfi.
-E'...è meraviglioso – disse.
-Mi fu donato dalla Dama del Bosco d'Oro. E' stato tutt'uno con le mie mani e i miei occhi durante la Guerra dell’Anello. Ora è tuo. Ti sarà di grande aiuto, come lo è stato per me. -
Valerius trattenne il respiro dallo stupore. - Non posso. Non ho le mani né gli occhi di un elfo. Non sono degno di possedere né di utilizzare un'arma del genere. -
-Ti sbagli. Tu sei l'unico ad esserne degno, ora. -
Legolas serrò le mani di Valerius intorno al suo prezioso arco, allontanandolo da lui, poi prese la testa del giovane tra le sue mani, costringendolo a guardarlo negli occhi.
-Non rifiutare mai l'aiuto di chi trovi sul tuo cammino – disse – Anche se l'aiuto più grande verrà da ciò che porti nel tuo cuore, dal tuo coraggio...ma potrebbe non bastare. A questo proposito, abbi cura di Polo. Tende un po' troppo a confondere l'incoscienza con il coraggio. Ma tu non commettere gesti sventati. Nessuno qui ha bisogno di un eroe morto, ricordatelo.-
Valerius aprì le labbra in un sincero sorriso. - Lo farò – disse, sollevando l'arco di Galadriel – Anche perchè ho intenzione di riportarti indietro questo. Lo considero un prestito, chiaro? -
Legolas sorrise a sua volta e appoggiò la sua fronte a quella di Val.
-Possa la tua forza darci forza...e possa la tua speranza darci speranza. - disse - Addio, Valerius di Aldorath...benedetto dagli Elfi. -
Valerius chiuse gli occhi e si lasciò andare a quel tocco forte e delicato allo stesso tempo, ricevendone sicurezza e calore, ma soprattutto fiducia. Non avrebbe fallito; lo doveva a Legolas, a Rhiannon, alla sua gente, ma soprattutto a se stesso.
Valerius uscì a passo deciso dalla tenda di Legolas, e quasi non si accorse che Rhiannon lo stava aspettando fuori da essa.
-Sei sicuro di volerlo fare?-
Val si voltò di scatto, distinguendo a fatica la figura della ragazza avvolta in un mantello scuro, nella prima luce dell'alba.
-Ho scelta?- rispose.
Rhiannon tentennò, cercando di reggere lo sguardo stanco ma deciso del giovane.
-Sì. Non sei costretto a farlo. Puoi cambiare idea quando vuoi, nessuno ti biasimerà per questo.-
-Perchè mi stai dicendo questo? Vuoi che resti? -
Rhiannon tacque, stringendosi nelle braccia.
-L'avrei fatto, sai? - continuò Valerius - Per te l'avrei fatto, se tu me l'avessi chiesto. Avrei preferito di gran lunga aspettare la fine accanto a te. Ma come posso tirarmi indietro dopo aver visto cosa restava di Aldorath, del posto in cui sono nato e cresciuto? Li hai visti anche tu...le case distrutte, gli alberi bruciati...e tutti quei morti. Non avresti fatto la stessa cosa, al mio posto? E anche se non so come potrebbe finire...sono certo che è l'unica cosa giusta da fare. – disse, stringendo forte l'arco di Galadriel tra le mani.
Rhiannon lo guardò, meravigliata, e lasciò scorrere le dita di una mano sull'intarsio che faceva risplendere quella preziosa arma di riflessi argentati. - Te l'ha dato lui? - domandò.
Valerius annuì. - Mi ha dato molto di più – disse – Mi ha dato la forza di andare avanti. Credo di aver capito perchè lo ami così tanto. -
Rhiannon scosse la testa e fece qualche passo, voltando le spalle a Val.
-Non lo amo come credi tu. Pensavo di amarlo quando ho temuto di perderlo, forse perchè temevo di perdere chi mi aveva fatto riemergere dall'ombra alla luce, dividendo con me il suo dolore e la sua paura, e mi aveva offerto un braccio a cui aggrapparmi quando ero sul punto di cadere, esattamente come ha fatto Potter. Ma ho capito che l'amore ha molti volti e molte forme, e quello che c'è tra noi è diverso da quello che lui prova per la madre di suo figlio. Il suo cuore apparterrà per sempre ad un'altra e io non ho intenzione di prenderglielo. Sei soddisfatto adesso? Era questo che volevi sapere? -
-No – rispose Val – Perchè lo sapevo già. Ed è la stessa cosa che sto provando io in questo momento; non si può non amare chi non ti biasima per aver paura ma ti aiuta a capire...che è una sensazione come un'altra, come aver caldo o freddo, o sete. Non si può non amare chi ti aiuta a trovare te stesso. -
Rhiannon si voltò e i suoi occhi verdi incontrarono quelli scuri e profondi del giovane.
-Se Potter ti avesse sentito mi starebbe implorando di sposarti – disse, ridendo.
Val non si risentì; il suo cuore era calmo e sereno, pronto per la missione che stava per compiere, anche se sapeva che sarebbe bastato poco per rompere quella serenità.
-A proposito...tieni, questa è per te – continuò Rhiannon porgendo al giovane una fiaschetta di pelle che teneva sotto il mantello. - Ti scalderà e ti darà un po' di forza...e di incoscienza. Di coraggio ne hai già anche troppo. -
Val stappò la fiasca e la portò al naso; l'effluvio alcolico, dolce ma stordente, del liquore gli fece retrarre la testa.
- Ricetta di Potter, vero? -
Rhiannon annuì. - Era un maestro nel preparare queste cose. -
-Spero che non sia quella con cui ha steso Frey con un solo bicchiere... -
Rhiannon rise. - Oh no, quella era un segreto perfino per me! E comunque erano tre bicchieri. Ci voleva ben altro per stendere Frey... -
-Come quella volta in cui gli rovesciasti un secchio d'acqua gelata in testa? -
-Ho sviluppato delle buone tecniche per far capire ai clienti quando esagerano – disse Rhiannon ridendo – E lui stava schiamazzando un po' troppo. Dava fastidio alla gente...e anche a me. E' stata la prima e l'ultima volta in cui ha provato a mettermi le mani addosso! -
Ora toccò a Valerius ridere. - I tuoi metodi sono stati sempre molto convincenti! -
-Frutti di anni di esperienza... -
Val sorrise di nuovo e lanciò uno sguardo timido e malinconico alla ragazza.
-Sai... ricordo ancora la prima volta che ti ho vista. Ero entrato alla locanda mentre stavi raccogliendo i cocci di una caraffa di vino che qualcuno aveva fatto cadere. E mentre pulivi imprecavi contro tutti i Valar, anche quelli che non esistono... -
Risero entrambi.
-Sì, sì, eri proprio furibonda. Però...una ciocca di capelli ti scendeva sul viso, proprio in mezzo alla fronte. Ho pensato che eri bellissima. -
-Io invece devo aver pensato che avresti potuto anche darmi una mano invece di startene lì a guardare... -
-Ah, probabilmente me l'avevi anche detto! -
I due giovani risero di gusto, ma la loro spensieratezza durò poco.
-Sai, riesco a credere di poter ridere in una situazione come questa – disse Valerius.
-Nemmeno io. Ma abbiamo già pianto tanto e non è servito a niente. -
Valerius si rabbuiò e le sue risa parvero spegnersi in un singhiozzo sommesso.
-Mi dispiace, Rhiannon. Non riesco proprio a credere che debba finire così... -
-Val... -
-Ti prego ricordati di Yain e prometti... -
-Val! -
-...che ti prenderai cura di lui... -
-Val!! -
Rhiannon fissò Valerius negli occhi.
-Non è ancora finita. Non farmi rimangiare quello che ho detto prima. Anch'io sto morendo di paura, cosa credi? Ricordati che non sei solo. -
-Ad avere paura? -
-Anche. -
Valerius tacque per un istante. - Promettimi lo stesso che lo proteggerai. Promettimelo. Se io non torno, non gli rimane più niente. -
Rhiannon scosse il capo. - Non avevi nemmeno bisogno di chiedermelo, Val, lo sai. -
I due giovani tacquero per qualche istante, finchè un rumore di passi leggeri sull'erba non ruppe il silenzio che era caduto tra loro.
-Valerius – disse Radagast – E' ora di andare. -
Il giovane annuì e si rivolse a Rhiannon.
-Allora addio, Rhiannon. Grazie per questa – disse Val sollevando la fiaschetta, un sorriso triste sulle labbra – La berrò alla tua salute. Ricordami qualche volta. -
Rhiannon non disse nulla, ma i suoi occhi verdi tornarono fissi sul volto del ragazzo; Valerius abbassò lo sguardo e trattenne il respiro, incapace di dire ciò che la ragazza sapeva benissimo.
Dimmi di andarmene, ti prego, pensò. Perchè se tu mi dicessi di restare io lo farei, ma mi sentirei un vigliacco per il resto della mia vita. Grande Ilùvatar, che sciocchezza innamorarsi...
- Val - disse infine Rhiannon.
Il giovane si immobilizzò e trattenne il respiro.
- Io non voglio ricordarti. Voglio rivederti. -
E corse via.
Valerius, incredulo, tenne gli occhi fissi sulla ragazza finché non fu scomparsa dalla sua vista, incapace di sentire altro che il battito del suo cuore. Per lui, in quel momento, l’aria che gli sferzava il viso era solo il vento del nord che cominciava a soffiare, sempre più forte, scuotendo le fronde degli alberi. Perciò ebbe un sussulto quando si accorse della gigantesca ombra che stava calando sulla radura, sopra di lui.
-Ben ritrovato Gwaihir, Signore del cielo – disse Radagast, chinandosi per porgere il suo saluto all’enorme aquila che stava atterrando con tutta la grazia che le sue dimensioni le concedevano. -Ora più che mai abbiamo bisogno di te. E molto probabilmente sarà per l’ultima volta. -
Val spalancò la bocca e fece un passo indietro, impressionato. Il piccolo Polo, fino ad un attimo prima fermo ai piedi di Radagast, schizzò nel taschino della sua casacca, tremando come una foglia.
L’aquila non rispose ma si chinò per permettere allo stregone e ai suo compagni di montarle sul dorso.
-Coraggio, sali – disse Radagast rivolgendosi a Val. Il giovane deglutì e afferrò la mano che lo stregone gli porgeva. Polo si accoccolò ancora più in profondità nel taschino, tenendosi più stretto che poteva alla stoffa.
-Non avrei mai creduto di poter volare, un giorno – disse il giovane, ancora incredulo – Forse nei miei sogni. Ma erano sogni molto diversi da questo. -
-Se fosse un sogno sarebbe tutto molto più semplice – ribattè Radagast. - Ora tieniti forte. -
-A cosa…? - disse Valerius, traballando sul dorso ricoperto dalle morbide piume dell’aquila.
-A tutto quello che ti rende sicuro – rispose Gwaihir con voce tonante, facendo sussultare i suoi passeggeri – Ma non temere: non permetterò a nessuno di voi di cadere. -
Val non potè vedere il viso di Rhiannon rigato dalle lacrime mentre lo guardava partire, forse per l’ultima volta, ma mentre si alzava in volo sopra la foresta sentì il suo cuore farsi più leggero.
Sì, sarebbe tornato a casa. Doveva tornare a casa.
Ora aveva un buon motivo per farlo.
It's a fairytale so tragic
there's no prince to break the spell
I don't believe in magic
but for you I will, for you I will
If I'm a fool, I'll be a fool
darlin' for you
(Bruce Springsteen, countin' on a miracle)
Note: questa storia è stata aggiornata per l’ultima volta nel 2014. Sei anni fa. Ho riletto le note finali del capitolo precedente e giuro che NON ricordo perché ho odiato l’inizio di questo capitolo, ma suppongo fosse per la fatica nella stesura e per la mancanza di ispirazione, che andava a pezzi. La cosa più faticosa è stato metterli insieme, questi pezzi. Ma alla fine, eccoli qua. Sei anni, durante i quali io sono cambiata perché la mia vita è parecchio cambiata, sono cambiato i miei sogni, la mia ispirazione, che c’è ancora anche se il tempo per buttare giù qualsiasi cosa ormai è ridotto all’osso. Ma va bene così :) Manca un capitolo, un capitolo solo. Non so se i lettori che hanno iniziato a seguire questa storia staranno ancora spettando seguito e finale o se l’avranno dimenticata. Io non l’ho dimenticata. Per loro forse sarà una delusione ma per me avvicinarmi alla fine è una piccola conquista. Speriamo di non dovervi far aspettare altri sei anni. Ovunque siate, grazie per esserci stati <3
Can't see nothin' in front of me
Can't see nothin' coming up behind
Make my way through this darkness
I can't feel nothing but this chain that binds me
(Bruce Springsteen, “The Rising”)
L’aria gelida che, sopra le montagne, sferzava il volto di Radagast era così pungente che lo stregone faticava a tenere aperti gli occhi. Con una mano reggeva il bastone, sulla cui punta la pallida luce azzurra cresceva di intensità con l’avvicinarsi alla meta, con l’altra stringeva più forte che poteva il folto e morbido piumaggio di Gwaihir. Radagast adorava volare, ma non era mai riuscito ad abituarsi alla sensazione di vuoto allo stomaco che gli provocavano le improvvise planate e le velocissime ascese che il Signore delle Aquile compiva senza preavviso. Si voltò verso Valerius, che si teneva stretto al suo torace al punto da bloccargli il respiro; a giudicare dal suo colorito verdognolo, il giovane se la stava passando decisamente peggio di lui.
-Cerca di coprirti un po’ di più – disse ad alta voce lo stregone, temendo che Val non udisse le sue parole – Non manca molto e se arriverai a destinazione già congelato temo che non ci sarai di grande utilità! -
Valerius non si mosse e borbottò qualcosa sull’allacciarsi meglio il mantello, che ora gli svolazzava alle spalle. Radagast non comprese le sue parole ma gli bastarono per capire che era ancora vivo. Lo stregone annuì e tornò a guardare davanti a sé, gli occhi ridotti ad una sottilissima fessura tra le palpebre. Lentamente si guardò intorno, sperando che il nemico non gli fosse già addosso; di certo Fermanagh, che ormai disponeva di poteri molto più grandi di quanto lui poteva immaginare, non avrebbe impiegato molto a capire dove erano diretti. Un mezzo di trasporto più discreto forse li avrebbe aiutati a passare inosservati; del resto lo stesso Gandalf aveva evitato di proporre alle Aquile di condurre Frodo a Monte Fato per lo stesso motivo, un essere così grande e potente avrebbe potuto essere molto più facilmente intercettato rispetto ad una piccola compagnia di viandanti. Ma il tempo era ormai contro di loro ed ogni minuto che passava rischiava di avvicinarli alla fine.
La luce azzurra del bastone si fece ancora più intensa.
- Tieniti forte, ora scendiamo – disse Radagast mentre Gwaihir planava curvando verso una parete rocciosa coperta di neve.
Val annuì senza che lo stregone potesse vederlo e strinse forte gli occhi. Il gelo gli bruciava la pelle del viso, ma in quel momento era il minore dei suoi problemi; l’essere sospeso nel vuoto lo terrorizzava e gli provocava dei violenti spasmi allo stomaco che riusciva a trattenere a fatica. Oltretutto era preoccupato per Polo, che sperò fosse ancora rannicchiato nel suo taschino, ma non aveva il coraggio di staccare una mano dalle morbide piume dell’Aquila e portarsela al petto per assicurarsene. Fortunatamente per entrambi, Polo pensò bene di appallottolarsi il più possibile sul fondo del taschino, artigliandone la stoffa con una zampa. Quel movimento rincuorò un po’ il giovane che cercò di concentrarsi il più possibile sulla missione che avrebbe dovuto compiere. Radagast, prima della partenza, gli aveva spiegato tutto: la grotta, le punte di ghiaccio, il Silmaril. Il tutto più velocemente possibile poiché il nemico non avrebbe tardato molto a trovarli, e il pensiero gli provocò una stretta al petto che gli mozzò quasi il respiro.
Chiuse gli occhi e cercò di richiamare alla mente l’unica immagine che gli potesse essere di conforto in quel momento: il viso di Rhiannon, con la sua tipica espressione corrucciata che veniva sbugiardata dallo splendere dei suoi occhi brillanti e pieni di vitalità.
Non voglio ricordarti. Voglio rivederti.
-Ci rivedremo, te lo prometto – sussurrò tra sé Valerius – In questa vita o nell’altra, se ne esiste una... -
Sorrise pensando a quelle parole, a quanto avrebbe voluto trovare il coraggio per dirgliele di persona; ma quel sorriso, come era nato, si spense con un improvviso scossone che rischiò di fargli perdere l’equilibrio. Un lampo d’acciaio si era abbattuto contro il fianco di Gwaihir, che aveva perso la direzione inclinandosi pericolosamente di lato. Val si strinse ancora di più contro la schiena di Radagast spingendolo in avanti; lo stregone soffocò un’imprecazione e, dopo essersi rapidamente guardato intorno, sollevò il bastone creando rapidamente una scudo luminoso per proteggere l’Aquila e i suoi passeggeri dal secondo colpo, che arrivò altrettanto improvvisamente.
-Là!! - gridò Radagast indicando una stretta apertura nella parete rocciosa – Gwaihir, avvicinati il più possibile! E tu, Val, preparati a saltare! -
Il giovane, ancora scosso, recepì a malapena le parole dello stregone. Questa volta l’istinto gli fece portare una mano al taschino stringendo nella fodera il corpicino tremante di Polo, quasi per proteggerlo, ma un terzo, violento scossone gli fece perdere l’equilibrio. Il giovane si aggrappò, urlando, al mantello di Radagast, sbilanciandolo verso un fianco e costringendo Gwaihir ad inclinarsi per non far cadere i suoi passeggeri. Il tutto complicato dal fatto che il Signore delle Aquile era costretto a schivare i numerosi colpi che, in forma di lampi color acciaio, arrivavano da ogni parte.
-Ci siamo! - gridò infine Radagast – Val, quando ti dico di saltare, salta!! -
-Cosa?! - rispose Valerius. Il giovane, che capiva a malapena dove si trovasse, aveva la vista completamente appannata e la testa che gli girava vorticosamente.
-Ora! SALTA! -
Aiutato dall’ultima planata di Gwaihir, molto vicina al punto in cui dovevano dirigersi, Radagast balzò a terra, tirandosi dietro il giovane che gli era rimasto aggrappato come un fagotto, mentre l’aquila si allontanava. Entrambi rotolarono sull’ampio spiazzo ricavato sulla roccia, fermandosi al limite del bordo, e lì rimasero un istante ansimanti per il dolore. Stordito, Val si rimise in piedi barcollando tra il sottile strato di neve ghiacciata e le rocce. Si portò una mano al petto: il ciondolo con il Silmaril era ancora appeso al suo collo. Poi si guardò intorno e vide le frecce sparse tutt’intorno e l’arco di Legolas, fortunatamente intatto, a pochi passi da lui.
-Polo? - disse Radagast rialzandosi a fatica mentre il giovane recuperava le sue armi.
Val si portò di scatto una mano al taschino, terrorizzato all’idea di aver schiacciato con il suo peso, durante il salto, il povero topo. Ma il taschino era vuoto.
Il giovane impallidì. - Polo!! - gridò, guardandosi intorno con gli occhi spalancati.
Un debole squittio gli giunse alle orecchie da dietro un sasso. Barcollando nella sua direzione, il giovane si chinò per raccogliere il topolino, giusto in tempo per evitare l’ennesimo colpo da parte di Fermanagh, che si schiantò sulle rocce circostanti. Val si rannicchiò dietro un masso, stringendo Polo, tremante, tra le mani. Radagast gli fu accanto in un istante.
-Vedi quell’apertura nella parete rocciosa alle nostre spalle? - sussurrò lo stregone ansimando - E’ lì che dovrete andare. Uscite da qui esattamente quando ve lo dirò io. -
-Ma… -
-Ora!! -
Radagast diede un forte spintone a Val che rotolò via da dietro il masso che lo proteggeva e balzò oltre con un’agilità inimmaginabile, stringendo il bastone con entrambe le mani.
Poi tutto accadde in un istante.
Non appena i suoi piedi toccarono terra, lo stregone lanciò un grido selvaggio e puntò il bastone dritto davanti a sé; dalla pietra che portava sulla sommità si sprigionò un cono di luce azzurra che fece da scudo contro cui il lampo d’acciaio di Fermanagh si schiantò, venendone respinto. Radagast venne spinto all’indietro ma non cedette.
Valerius giaceva bocconi, incapace di rialzarsi dalla paura e dallo stupore.
-Che accidenti stai facendo?! Muoviti!! - urlò Radagast, trattenendo il bastone con uno sforzo quasi inumano.
-Ma...dov’è?! - esclamò Val.
Radagast indietreggiò senza abbassare la guardia finché fu di nuovo accanto al ragazzo. I due si guardarono intorno con circospezione; Val si rialzò lentamente in piedi e rimise Polo, tremante di paura, nel taschino. Il silenzio che li circondava gli parve quasi innaturale.
-...Se n’è andato? - bisbigliò il topolino.
-No – rispose Radagast – Ma voi dovete farlo prima che… -
Non riuscì a terminare la frase. Da un punto imprecisato all’orizzonte il lampo d’acciaio schizzò nella loro direzione e improvvisamente si divise in due parti, ognuna delle quali atterrò a breve distanza dai tre compagni.
Come rocce sottili conficcate nel terreno, le due propaggini di Fermanagh si modellarono lentamente in due figure umane.
Radagast raggelò e imprecò tra sé appena ebbe capito di chi si trattava.
- Maledetto! – gridò con voce tremante dalla rabbia - Qual è il tuo gioco adesso?! Parla!! -
Val non riusciva a staccare gli occhi dai due uomini che ora li fissavano con sguardo vitreo, immobili come statue.
-Chi diavolo sono?! - disse, stringendo una spalla allo stregone che taceva.
-Hai davanti a te Aragorn, figlio di Arathorn, Signore di Gondor, e il suo Sovrintendente Faramir, figlio di Denethor – disse infine Radagast a denti stretti - O meglio, quelli sono i loro corpi, i loro involucri...interamente posseduti da Fermanagh, che ne farà ciò che vorrà. E’ andato a prenderli ed è tornato...in un lampo, letteralmente. Temo che quel maledetto non sia ottuso come credevo...e che si voglia divertire con noi, prima di finirci. -
Val sbiancò in volto e capì. Avrebbero dovuto combattere contro i loro stessi alleati. Non avrebbero potuto uccidere Fermanagh a meno di non uccidere chi invece gli era amico: avrebbero potuto solo difendersi.
-Ascoltami – disse Radagast afferrando Valerius per una spalla – Io cercherò di coprirti come meglio potrò. Tu pensa a ripristinare il Sigillo...e non voltarti mai indietro, qualunque cosa mi accada. -
Val annuì, facendo appello a tutto il suo coraggio, senza riuscire a staccare gli occhi dal Sovrintendente e dal Re che avanzavano lentamente verso di loro sguainando le spade.
-Non avete nessuna possibilità – dissero ad una sola voce, quella metallica e stridente di Fermanagh – Quindi penso che mi divertirò un po’ con voi...prima di distruggervi. -
- Vai ora – sussurrò Radagast stringendo il bastone fino a farsi sbiancare le nocche.
Val lo guardò come se non avesse capito le sue parole.
- VAI!! -
Lo stregone puntò il bastone contro Aragorn cercando di colpirlo con la sua luce azzurra, ma il Re lo evitò piegandosi di lato ad una velocità mai vista e gli corse incontro urlando di rabbia. Nello stesso istante Faramir si lanciò verso Valerius, che era fuggito verso l’apertura della grotta. Il Sovrintendente gli fu addosso in un attimo ma Val lo colpì alla tempia con l’arco di Legolas, facendolo cadere di lato. Poi si rifugiò dietro ad un masso, ansimante, con le gambe che gli tremavano, mentre Faramir si rialzava come nulla fosse. Poco più in là, Radagast lottava incessantemente contro Aragorn, che gli si faceva sempre più vicino.
-Cosa credi di ottenere? - disse Faramir – Io posso cadere e rialzarmi ogni volta che voglio...al contrario di te! -
La mente di Valerius lavorava in maniera furiosa per trovare una via d’uscita da quella trappola. Le sue uniche armi erano la sua corta spada e l’arco e le frecce di Legolas: tutte perfettamente inutili, le armi erano inutili se voleva risparmiare la vita sia al Sovrintendente di Gondor che al suo Re, o a ciò che ne restava.
Ma se falliremo, che ne sarà di loro?
Era tutto troppo veloce per lui.
Con mani tremanti incoccò una freccia all’arco e ne tese con fatica la corda di capelli elfici: poi trattenne il respiro e mirò alla mano con cui Faramir impugnava la spada. La freccia partì sibilando e centrò l’elsa, lasciando stupefatto lo stesso Val; se quell’arma non era magica, ci andava molto vicino. Ma nemmeno le frecce di Lothlòrien potevano qualcosa contro la forza sovrumana di Fermanagh: Faramir barcollò ma non cadde, né mollò la presa.
Valerius ripose l’arco imprecando e portò la mano al fianco cercando la spada, ma la mano gli finì sulla fiaschetta di liquore che Rhiannon gli aveva donato prima della partenza.
Un’idea gli attraversò la mente come un fulmine.
Non funzionerà mai, pensò il giovane, ma ci devo provare.
Più velocemente possibile prese la fiasca e ne rovesciò una parte del contenuto sulla punta di una freccia; poi, con un unico, forte colpo, sfregò la stessa punta contro il masso, a mo’ di acciarino, e le scintille a contatto con la forte bevanda la fecero prendere subito fuoco. Incoccando la freccia all’arco, Val fece un rapido calcolo mentale della distanza che lo separava da Faramir.
Valar, fate che questa pazzia funzioni, pregò il giovane.
Quindi lanciò in aria la fiasca con ciò che rimaneva del liquore e appena credette che si trovasse nel punto giusto incoccò e scoccò la freccia infuocata, che trapassò la fiasca di pelle proprio sopra la testa di Faramir.
In un attimo il liquido si incendiò e cadde come una pioggia infuocata sulla testa del Sovrintendente, appicandosi ai suoi vestiti.
Faramir si guardò attorno senza capire cosa gli stava succedendo e colpendosi con le mani i vestiti che stavano prendendo fuoco.
Val sorrise e trasse un sospiro di sollievo ringraziando i Valar per averlo ascoltato, ma soprattutto l’arco di Legolas che sembrava aver guidato la sua mano, e per un breve istante gli vennero in mente gli strani versi che Radagast canticchiava tra sé e sé la sera precedente.
-Frecce spezzate e bottiglie di pioggia...forse ho trovato un senso a quella stupida canzone! - disse, sperando quasi che lo stregone, troppo impegnato in una lotta senza quartiere con Aragorn, lo potesse sentire.
Ma il senso di sollievo durò poco; il giovane sapeva che quel poco tempo guadagnato non era sufficiente.
Doveva prendere una decisione, e doveva prenderla in fretta. Faramir, che si stava già rotolando nel
sottile strato di neve per spegnere le fiamme che lo avevano avvolto, avrebbe recuperato presto i suoi poteri.
Troppo presto, pensò Val.
Doveva prendere una decisione, e la prese.
Si slegò il ciondolo con il Silmaril dal collo e, dopo aver tirato fuori dal taschino un Polo terrorizzato e tremante, glie lo legò addosso.
-Mi dispiace, piccolo. Avrei voluto risparmiarti tutto questo. Ma ora tocca a te. – disse.
Polo capì. - Non ho scelto di venire per restarti nascosto addosso – disse, facendo appello al poco coraggio che gli era rimasto.
Val sorrise amaramente. - Sai cosa devi fare. Loro pensano che lo abbia io – disse, indicando il Simaril – Farò in modo che continuino a crederlo fino alla fine. Ma tu corri. Corri più veloce che puoi. -
Polo annuì con la sua testolina. L’aveva già fatto, nella fuga da Minas Tirith; ci sarebbe riuscito di nuovo. Ma mentre scendeva di corsa dalla mano del giovane e schizzava velocissimo in direzione della grotta, il topolino sapeva in cuor suo che non avrebbe mai più rivisto né Val né gli amici che aveva trovato in quell’ultimo, terribile periodo.
Arrivato all’ingresso, prima di imboccare la galleria che gli si apriva davanti, si fermò e si voltò un’ultima volta a guardare Valerius, che usciva dal suo nascondiglio e, spada in pugno, si preparava per l’ultima volta ad affrontare la seconda incarnazione del demone d’acciaio.
Scosse la testa e continuò la sua corsa nell’oscurità del tunnel.
Non doveva finire così, pensò. Perchè proprio noi? Perchè proprio io?
Ad un tratto l’oscurità del tunnel parve diradarsi, ma non cancellò quel pensiero cupo.
Polo continuò a correre.
Quanto vorrei che nulla di tutto questo fosse successo...vorrei tanto essere a casa, nella Contea, a fumare della buona erba-pipa invece di sognare di giocare al grande mago…E che il piccolo Galien fosse al sicuro con sua madre e suo padre, e Rhiannon…
Al pensiero della ragazza aggrottò la sua piccola fronte da topo. Non le era mai piaciuto, ma a lei non sembrava piacere mai nessuno. In ogni caso, aveva sofferto anche troppo. Aveva ritrovato Val, e ora lo stava perdendo di nuovo.
Non è giusto!
Ad un tratto, ciò che Polo cercava apparve davanti ai suoi occhi. La galleria si allargò in una caverna illuminata dal bagliore di una sorta di clessidra di ghiaccio fatta da due coni appuntiti e uniti per i vertici, tra i quali però si trovava un piccolo spazio fatto apposta per accogliere il Silmaril.
Polo si fermò, senza fiato, ad osservare quella strana costruzione. Rabbrividì, ma non per il freddo; sapeva di essere giunto alla fine della sua missione.
Si drizzò sulle zampe posteriori e, con le anteriori, tastò la pietra che Val aveva legato al suo corpo. Era grande quasi come la sua testa e, con la corsa, era arrivata a penzolargli sul petto. Poi guardò i coni di ghiaccio, la loro superficie liscia e lucente: come arrivare lassù? E come mettere al suo posto il Silmaril, visto che non sapeva nemmeno come slegarselo di dosso?
Il suo cuore accelerò il battito e il suo respiro si fece più affannoso nella paura. Si guardò intorno finché vide uno spuntone di roccia staccarsi dalla parete della grotta.
Deglutì.
Era abbastanza vicino.
Poteva farcela. Doveva farcela.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi mentre si arrampicava velocemente sulla parete rocciosa e prendeva la rincorsa, avrebbe voluto chiuderli durante il salto da quella piattaforma improvvisata e lo fece, alla fine, mentre si afferrava alle punte di ghiaccio e incastrò il Silmaril, ormai tutt’uno con il suo corpicino, tra esse.
Avrebbe voluto pensare ai capelli di Rosie Cotton, alla birra del Drago Verde, agli alberi sotto cui si sdraiava al tramonto a fumare la pipa.
Non doveva succedere, pensò invece. Vorrei che non fosse mai successo niente di tutto questo.
Poi ci fu un’esplosione di luce e tutto scomparve.
...sky of memory and shadow
(a dream of life)
your burnin’ wind fills my arms tonight...*
Rhiannon ebbe una strana sensazione, come se qualcuno le avesse ordinato di svegliarsi dopo un lungo sonno. Si sentiva la testa leggera, quasi galleggiante nel vuoto, ma forse era solo l’emozione del momento, pensò.
Quale momento?
Ebbe un brevissimo istante di consapevolezza che scomparve come era giunto e tornò definitivamente nel presente.
O in quello che pensava fosse il presente.
I ricordi andavano e venivano. Volti amati, volti odiati, volti che non avevano più un nome. E che da un momento all’altro avevano smesso di esistere, almeno nella sua mente.
Il sogno era finito.
Se solo ricordassi quale…
Valerius era dritto davanti a lei e la guardava, ancora più confuso.
-Anche tu eri nel mio sogno – gli sussurrò Rhiannon, seria.
-Sì... – rispose Val. Poi sembrò scuotersi dal torpore e riprendere coscienza di sé. – Sì. Hai detto di sì… - aggiunse.
Rhiannon aggrottò la fronte, come se cercasse di ricordare. Quelle parole avevano un senso, ma in quel momento le sfuggiva. La sua mente era un rompicapo in cui quasi tutti i pezzi erano al loro posto tranne uno, quello fondamentale.
Si guardò intorno: nella Locanda dei Tre Passi il tempo sembrava quasi essersi fermato. Cercò la sua solita sicurezza negli occhi di Potter, che la fissava a sua volta attonito e immobile, appoggiato al bancone come se faticasse a reggersi in piedi; gli altri pochi avventori, Finbar, Frey e Yain, sembravano partecipare a tutto quel complicato gioco di sguardi sorpresi.
-Potter…? - disse la ragazza.
L’uomo trasse un profondo respiro e le rivolse un sorriso rassicurante.
-Beh, ragazza mia...questa sì che è una sorpresa! - disse.
Rhiannon si portò una mano alla tempia. - Sopresa..? -
Tornò a guardare Valerius, che, a differenza di tutti gli altri, non sorrideva, ma sembrava ancora più confuso di prima.
Il giovane scosse leggermente la testa. - Non chiedermi niente – sussurrò. E Rhiannon capì che Val era confuso quanto lei.
-Qualcuno vuole spiegarci cosa sta succedendo?! - sbottò infine la ragazza.
Finbar scoppiò a ridere. - Non dirci che hai già cambiato idea! - esclamò.
-No! - disse Val, quasi con disappunto, ma si bloccò all’istante, come se avesse di nuovo perso e ritrovato la consapevolezza del momento che stava vivendo.
Potter alzò una mano che tremava impercettibilmente. - Rhiannon – disse – Forse non te ne sei accorta, ma si dà il caso che il qui presente Valerius ti abbia chiesto per l’ennesima volta di sposarlo. E fin qui niente di strano, è una scena a cui ormai siamo tutti abituati. Se non che…-
I due giovani trattennero il fiato.
-...stavolta hai detto sì. -
Sì.
E la mente dei due giovani si snebbiò del tutto, lasciando che il turbinare di vaghi ricordi e volti senza nome che aleggiavano intorno a loro svanisse per sempre.
Certo, pensò Rhiannon, cosa c’è di strano?
Era giunto il momento di mettere un po’ di ordine nella sua vita. Non sapeva come, ma all’improvviso aveva lasciato andare tutto il suo passato; Roslyn era morta e il suo grande amore non sarebbe tornato da lei, mai più. Perchè farsi del male con false speranze?
E poi, in fin dei conti, voleva bene a Val, anche se era sempre stata così stupidamente orgogliosa da non volerlo ammettere nemmeno a se stessa. E lui ne voleva a lei, da sempre.
Lo guardò nei suoi brillanti occhi neri e le parve di aver condiviso con lui molto più di quello che aveva condiviso con Eomer.
Il ragazzo le sorrise, con il cuore sulle labbra.
-Sì – disse Rhiannon – Ma a due condizioni. -
-Quali..? - disse Val sospirando e alzando gli occhi al soffitto.
Rhiannon tornò a guardare Potter, l’uomo che era stato tutta la sua famiglia, la sua luce guida negli anni più bui; non aveva smesso di sorridere, come per incoraggiarla ad andare avanti.
-Primo, scordati che ti faccia da serva: in famiglia dovremo aiutarci tutti quanti, chiaro? Soprattutto quando avremo dei figli. -
Figli?!
Val spalancò gli occhi e soffocò un’esclamazione di sorpresa. Le aveva semplicemente chiesto di sposarlo, immaginando l’ennesimo rifiuto e lei gli stava già parlando di figli?
-E mi lascerai tornare qui alla locanda ogni volta che vorrò. Potter è vecchio, non ce la farà mai a mandare avanti la baracca senza di me. Chiaro? -
-Vecchio?! - protestò Potter.
I due lo ignorarono.
-Ogni volta che vorrai – rispose Val sorridendo. Ecco la Rhiannon che conosceva, la sua Rhiannon. Prese delicatamente una mano della ragazza e intrecciò le sue dita con quelle di lei.
Rhiannon le strinse forte, ricambiando il sorriso.
E’ ora di tornare ad essere felici, pensò.
...sky of longing and emptiness
(a dream of life)
sky of fullness, sky of blessed life...*
E’ora di tornare ad essere felici, pensò.
Legolas si svegliò con quella frase in mente e un dolore lancinante nel petto, come se qualcuno gli stesse dilaniando l’anima con un coltello, un contrasto di emozioni che non riusciva a capire né affrontare.
Una mano leggera gli accarezzò la guancia; d’istinto, l’elfo sussultò e si ritrasse da quel tocco mettendosi a sedere di scatto, con il cuore che batteva all’impazzata.
-Legolas…? -
Inspirando profondamente cercò di calmarsi e mettere a fuoco la figura che gli stava accanto nel buio della stanza, illuminata solamente dalla pallida luce della luna.
Anìrwen lo guardava preoccupata: era la prima volta che il suo sposo si sottraeva da una sua carezza.
Anìrwen.
Legolas non sapeva perché, ma si sentì sollevato nel vederla lì, vicino a lui, nel loro letto. Perchè era là che si trovavano, dove se non nella stanza che condividevano da anni, anche se per un breve istante l’elfo aveva provato l’inquietante sensazione di non doversi trovare lì in quel momento.
O meglio, la sensazione che lei non avrebbe dovuto trovarsi lì. Nè lui né lei avrebbero dovuto trovarsi lì, nudi, nel loro letto...
-Un incubo? - disse dolcemente Anìrwen.
-Non lo so. Ma fa male – rispose lui, tremando – Troppo male. -
-Cosa ricordi?-
-Nulla. Come...come un salto nel vuoto. -
Lei non disse nulla ma il suo volto, dapprima teso, si rasserenò. Sorrise e lasciò nuovamente scorrere le dita sul viso confuso di Legolas, che questa volta glie lo permise, indugiando sulla sua fronte.
-Domani ci aspetta un lungo viaggio; e questo, per te, è stato un periodo molto impegnativo, carico di preoccupazione e di aspettative. - disse poi, incapace, nonostante il suo Dono di percepire l’origine del turbamento del suo sposo.
Legolas annuì e, pian piano, la sua mente tornò a tutto ciò che era accaduto nei giorni precedenti.
Era stanco, stanco da tempo. Il matrimonio con Anìrwen, la nascita di Galien e l’ascesa al trono del Bosco Atro avevano portato una ventata di novità nella sua vita ma non erano mai riusciti a cancellare quel senso di vuoto e fragilità nascosto in fondo alla sua anima e che di tanto in tanto si ripresentava, al mutare delle foglie in autunno, al morire degli alberi, al trascorrere delle stagioni.
Il periodo della bellezza immortale era finito; Legolas si trovava immobile in un mondo che mutava in continuazione, incapace di rassegnarsi all’idea di non appartenervi più, lacerato tra il desiderio che gli albergava nel cuore, il disperato desiderio di andarsene verso il mare, di raggiungere infine suo padre, e il suo dovere di sovrano.
Inoltre, per quanto solo la spumeggiante vivacità del figlio e la pazienza e dolcezza della sua sposa riuscissero a portargli un po’ di serenità, si era reso conto che anche Anìrwen doveva provare la sua stessa inquietudine. La trovava spesso a vagare con lo sguardo perso ad ovest, il pensiero sicuramente rivolto a quel che rimaneva della sua famiglia e di quella tanto agognata luce divina nella quale essi ora camminavano, ma anche se ne avevano spesso discusso lei non aveva mai voluto ammetterlo apertamente.
Doveva prendere una decisione, per il bene della sua famiglia e di coloro che, nel loro popolo, provavano il medesimo desiderio.
E la prese.
Con quanti avrebbero voluto seguirli, si sarebbero diretti verso l’Ithilien, e lì, con il permesso di Aragorn, avrebbero soggiornato almeno fino alla nascita del bambino che Anìrwen portava in grembo, elevando ad ulteriore splendore quella regione selvaggia. Poi, al momento opportuno, avrebbero fatto vela lungo l’Anduin fino al mare, esaudendo finalmente il suo desiderio, e da lì nelle Terre Imperiture. Il secondogenito di Legolas e Anìrwen non avrebbe mai conosciuto la sua terra di origine, ma non avrebbe nemmeno sofferto nel vederla sbriciolarsi sotto i suoi occhi. Forse nemmeno Galien l’avrebbe fatto, sperò Legolas.
Comunicarlo alla sua sposa e al loro figlio fu più semplice di quanto aveva previsto: contrariamente a quanto temeva, furono estremamente felici di quella decisione, lo avrebbe letto anche nei loro occhi durante i giorni successivi.
Più difficile fu comunicare ad Eredhil che gli avrebbe ceduto il trono del Bosco Atro.
-Solo se non vorrai seguirci anche tu – aveva aggiunto Legolas, sentendosi quasi in colpa per non aver consultato il fratello nel prendere quella decisione. Ma del resto lui e Eredhil si erano allontanati da tempo, nonostante il figlio minore di Thranduil si fosse sempre adoperato al meglio nell’eseguire gli ordini che il fratello gli impartiva, e nonostante Legolas avesse sempre una parola di elogio per lui.
Eredhil era rimasto completamente ammutolito, come se tutte le sue aspettative fossero tutto d’un tratto svanite e rinate. Tremando, aveva portato una mano chiusa a pugno sul cuore in un solenne giuramento e fissato il fratello negli occhi.
Quanto orgoglio e quanta gratitudine aveva letto Legolas nel suo sguardo, in quel momento...
I giorni successivi erano stati frenetici e privi di riposo, tra i preparativi per la partenza e le discussioni con Eredhil circa le direttive di governo del loro paese; infine, la sera prima di quella strana notte, la notte prima della partenza, lo aveva convocato, solo, nella sala del trono. Gli si era presentato ammantato d’argento, come amava vestirsi il loro padre, in testa la corona di foglie autunnali che invece lui non aveva mai voluto indossare, come se sentisse che non era quello il suo posto.
Prima aveva ceduto al fratello lo scettro di quercia, poi si era tolto la corona e, sorridendo, glie l’aveva posta sul capo con un sospiro, come se si fosse finalmente liberato da un peso troppo gravoso.
Eredhil, con gli occhi umidi dall’emozione, si era inginocchiato al suo cospetto, ma Legolas gli aveva stretto le mani tra le sue e costretto ad alzarsi.
-Il nostro mondo è nelle tue mani, adesso, solo nelle tue - gli aveva detto – Prenditene cura. -
-Non dubitarne – aveva risposto Eredhil, tenendo a freno le lacrime.
-Non lo farò. Non ho nessun motivo per farlo. -
Legolas sapeva di avere ragione. L’aveva veramente, lo sentiva nel profondo della sua anima.
Quindi aveva lasciato la sala con il cuore che gli batteva più forte che mai, la mente finalmente lucida e serena, aveva controllato che Galien dormisse tranquillo e infine aveva raggiunto Anìrwen nelle loro stanze.
-Siamo liberi – le aveva detto mentre la stringeva a sé, e si erano concessi un’ultima notte d’amore in quella che l’indomani non sarebbe più stata la loro casa.
E si erano infine addormentati l’uno nelle braccia dell’altra fino a quando…
...fino a quando si era svegliato con quel terribile malessere nel corpo e nella mente, un malessere che nemmeno il dolce viso della sua sposa riusciva a scacciare.
-Credo che tu abbia semplicemente bisogno di riposare. Forse avremmo dovuto farlo entrambi invece di… - Anìrwen si interruppe e abbassò lo sguardo sorridendo timidamente; poi si portò il lenzuolo al petto, un gesto di ingenuo e inconsapevole pudore che suscitò nel suo sposo un’immensa tenerezza.
Legolas conosceva bene quel corpo che lei tentava invano di coprire e che stava sbocciando in tutto lo splendore della gravidanza; la pelle luminosa, i seni più colmi, la lieve rotondità del ventre.
Le sorrise dolcemente e la guardò con lo stesso amore con cui la guardava fin dal primo giorno, ma non riusciva comunque a nasconderle il suo turbamento.
D’istinto prese la mano della sua sposa, appoggiata al letto.
Ho tanto desiderato di poter stringere le tue mani ancora una volta…
Scosse la testa. Cosa significava tutto questo?
-Conosci quella sensazione che ti prende quando svanisce un incubo? Tu non lo ricordi già più, ma il malessere che lo accompagna rimane e non capisci perché, né da dove provenga...ma lo senti così reale fino a quando sparisce anch’esso, facendoti perfino dubitare che sia mai esistito, se non fosse per il suo ricordo. Ti è mai successo? -
Anìrwen lo guardò negli occhi,tolse la mano da sotto la sua e glie al pose, leggera, sul petto. Immediatamente il cuore in subbuglio di Legolas si calmò e il suo respiro tornò regolare.
-Solo in parte – rispose poi la fanciulla – Perchè al mio risveglio c’eri sempre tu accanto a me. -
Allora l’Elfo sentì il suo cuore traboccare d’amore per la sua sposa, e capì quanto era sciocco.
Gli tornò in mente la frase che gli si era fissata nella mente al suo risveglio; era vero, sarebbero stati di nuovo felici, ma quando mai lui era stato veramente infelice?
Accarezzò il viso di Anìrwen e la rivide in tutto ciò che era stata per lui.
Lei, che per amore di Legolas aveva lasciato tutto e l’avrebbe fatto di nuovo.
Lei, che gli aveva dato uno splendido figlio, luce dei suoi occhi, e ne portava un altro in grembo.
Lei, che era l’unica persona al mondo a cui bastava uno sguardo per riportare la pace nel suo cuore e nella sua mente.
Lei, era lei la sua pace.
Bosco Atro, Ithilien, Terre Imperiture, non importava dove purché Anìrwen fosse al suo fianco.
E Legolas capì anche da dove proveniva il dolore che aveva provato: dall’idea, inconsapevole e devastante, che un giorno avrebbe potuto perderla, che non non l’avrebbe potuta rivedere mai più.
No.
Non doveva succedere, non a lei, non a loro, mai.
E non sarebbe successo.
Pose la mano su quella di Anìrwen e se la strinse al petto. Era un gesto che condividevano da sempre; il mio cuore ti appartiene, significava, e non me lo riprenderò.
Poi la abbracciò e lasciò che lei si rannicchiasse nelle sue braccia; baciandole la fronte la strinse a sé, per sentire la pelle della fanciulla contro la sua, fremendo in una sensazione di appartenenza reciproca.
-Ti amo. Ti amo, ti amo, ti amo… - le sussurrò poi sulle labbra, prima che lei glie le chiudesse dolcemente con un bacio.
A dream of life comes to me
like a catfish dancin’ on the end of my line...*
L’immagine turbinò e si dissolse, mentre Radagast sollevava la punta del suo bastone dallo Specchio di Galadriel, lasciando che l’acqua tornasse immobile.
-Bene – disse lo stregone, raddrizzando la schiena – Direi che ora possiamo concedere ai nostri amici un po’ di discrezione. -
Il giovane hobbit riccioluto al suo fianco arrossì e si ritrasse, imbarazzato.
-Andiamo, Polo – disse Radagast sistemando i finimenti del suo cavallo, ma Polo non lo seguì.
-Radagast… - disse lo hobbit, incapace di distogliere lo sguardo dal bacile di pietra – Ehm...perchè credi che lo Specchio ci abbia voluto mostrare proprio quelle immagini? Voglio dire… -
Lo stregone sorrise. - Capisco cosa intendi. Beh, lo Specchio non sceglie cosa mostrare, lo fa e basta, a volte ascoltando il cuore di chi vi guarda. Credo che abbia voluto farci vedere quello che hanno provato i nostri compagni nel momento della loro...rinascita, se mi passi il termine. -
-Quindi quello che abbiamo visto appartiene al loro passato? -
-Al loro passato, al loro futuro...o al loro presente, questo ancora non possiamo saperlo. Ricorda: lo Specchio mostra cose che furono, cose che sono e cose che devono ancora essere, ma noi non siamo in grado di stabilire a quale periodo appartenga ciò che vediamo. -
-E Aragorn? Faramir, Eowyn…? Come possiamo essere sicuri che tutto sia tornato al suo posto? - lo incalzò Polo raggiungendolo e tirandolo per il mantello.
Radagast gli pose una mano sulla spalla. - Non possiamo essere sicuri di niente. Credo che lo Specchio non abbia voluto mostrarceli perché nel loro cuore sono stati meno colpiti da ciò che è accaduto. Ma credo che la dimostrazione più evidente che le cose sono cambiate sia che tu sei qui, Polo. E che non sei più un topo. -
Lo hobbit sorrise, grattandosi i disordinati capelli neri. - Mi sembra ancora impossibile. E’ come...essermi svegliato da un brutto sogno. -
-E hai svegliato anche tutti gli altri, permettendone il ritorno alla normalità. Tu hai desiderato che nulla fosse successo e nulla è successo, inclusa la tua trasformazione. Ancora una volta il piccolo popolo della Contea ha avuto una parte fondamentale nella salvezza della Terra di Mezzo... -
Polo parve ignorare quest’ultima frase, anche se in cuor suo lo sapeva e ne era orgoglioso.
-Ma io non ho avuto la stessa reazione di Rhiannon e Legolas. Io ricordo tutto, perché loro no? -
-Perchè, per quanto la loro vita sia stata sconvolta dal potere del Silmaril, tu ti sei trovato a strettissimo contatto con il suo potere nel momento in cui hai ripristinato il Sigillo. Ne sei stato completamente investito. E forse è un bene che sia stato così, perché il ricordo di quello che hai passato ti impedirà di commettere la stessa sciocchezza in futuro… -
-Come hanno fatto gli altri? -
-Quello che gli è successo è dipeso da loro in minima parte, Polo. -
Lo hobbit si incupì. - Eredhil… -
-Lui ha avuto quello che desiderava fin dall’inizio. Non possiamo essere certi che non asseconderà mai più la sua ambizione e il suo desiderio di potere, ma di certo Legolas, abdicando in suo favore, li ha decisamente placati. Ha reso immotivato il suo desiderio di rivalsa, annullando, di fatto, il potere che il Silmaril ha esercitato su di lui. Sempre ammesso che, in questo presente, passato o futuro, l’abbia trovato. Vedi, le nostre azioni dipendono sempre da noi stessi, ma spesso sono altri a guidarle… -
-Allora il pericolo è scongiurato? -
Radagast sospirò e salì a cavallo. Polo montò in sella al suo pony.
-Possiamo solo sperarlo, Polo – disse lo stregone mentre si allontanavano. - Quanto a te, sei proprio certo della tua decisione? -
Lo hobbit abbassò lo sguardo.
-Sai, la magia mi ha sempre affascinato più di ogni altra cosa...ma non mi apparterrà mai. Ma credo che l’unico modo per avvicinarmisi sia...studiarla da vicino. Vedere come funziona, senza interferire. Per questo sono venuto a cercarti, lo sai. -
-Sì, l’avevo capito...ma spero che tu abbia capito anche che la vera magia si trova in tutto quello che ci circonda, e che ciò che farò sarà semplicemente insegnarti ad apprezzarla. -
Polo annuì, convinto.
-E...tutte quelle altre cose adorabili della Contea... birra, erba pipa, tè e dolcetti, pennichelle sotto le fronde degli alberi? -
-Oh, c’è bel di meglio nel vasto mondo! - rise Polo - E poi...non credo che qualcuno sentirà la mia mancanza, nè che la mia presenza sia così gradita nella Contea. Oh, maledizione, sono un eroe e non posso nemmeno raccontarlo a nessuno! -
Radagast scoppiò a sua volta a ridere. - Meglio così, amico mio! Meglio così… -
I due compagni si allontanarono, sollevati, lasciando lentamente alle loro spalle il cuore di Caras Galadhon.
Ma quando lo Specchio di Galadriel fu lontano dalla loro vista, un vento freddo e leggero iniziò a soffiare tra gli alberi, spazzando via le foglie cadute e incurvando i fiori.
Quindi la superficie liquida dello Specchio si increspò e iniziò a turbinare di nuovo...fino a quando vi apparve la figura chiara di un elfo dai lunghi capelli biondi che portava sulla testa una corona di foglie. Si aggirava smarrito in una grande sala vuota e silenziosa, guardandosi intorno come se non la riconoscesse sebbene l’avesse desiderata a lungo.
Si sedette sul trono, lo sguardo perso nel vuoto, e dopo aver inspirato profondamente aprì una mano tenendone il palmo rivolto verso l’alto, per osservare ciò che conteneva.
Una pietra liscia e luminosa…
L’elfo rimase ad osservarla per un tempo indefinito, con lo sguardo di chi è roso dai dubbi e dai desideri.
In quel momento, tra i possenti alberi di Mallorn parve risuonare una voce lontana...
Lo Specchio mostra cose che furono, cose che sono e cose che devono ancora essere…
Eredhil, sovrano del Bosco Atro, socchiuse gli occhi e strinse di nuovo la mano intorno alla pietra.
Poi l’immagine tremò e svanì.
FINE
* Bruce Springsteen, “The Rising”
Fine. O no? Beh, indubbiamente per me lo è, ed è stato talmente difficile arrivarci che non ho intenzione di rimettere in discussione questa parola :D
Duuunque, dopo la bellezza (o meglio, bruttezza) di DICIASSETTE ANNI arrivo al momento a cui speravo di arrivare: quello delle scuse e dei ringraziamenti. E siccome sono ancora confusa all’idea di aver chiuso per sempre questo capitolo della mia vita (perché di questo si è trattato, indipedentemente dalla bellezza – o bruttezza – di questa storia, che è QUASI OOC, QUASI AU, QUASI song-fic...insomma, non ho ancora ben capito cos’è ma le ho comunque voluto molto bene) credo che partirò con ordine.
LE SCUSE: sempre troppo poche… Innanzi tutto per il tempo che ho impiegato a finire questa storia. Purtroppo, come capita a tanti, molti fattori (lavoro, famiglia, altre cose per la testa, mancanza di ispirazione ecc.) hanno concorso nel ritardarne mostruosamente la conclusione. E’ banale, banalissimo, ma è così. Per cui mi cospargo il capo di ceneri, mi scuso veramente con chi l’aveva amata e se l’è trovata abbandonata. Non so se qualcuno dei vecchi lettori sia ancora in fedele attesa (dopo tutto questo tempo non credo proprio) ma se fosse ancora davanti al pc vorrei dirgli: questa conclusione è per te. Scusa se non è quello che avevo in mente all’inizio (il finale che avevo pensato in origine era totalmente diverso, ma è cambiato esattamente come sono cambiata io, che non sono la stessa di 17 anni fa) e che forse non ti piacerà perché, se inizialmente doveva essere praticamente un massacro, alla fine mi sono sentita in colpa per come avevo trattato i miei “ragazzi”. Scusa per gli svarioni tolkieniani (tra i tanti: Thranduil non è mai partito per le Terre Imperiture, e nemmeno Celeborn; il palazzo di Thranduil non ha finestre perché è costruito in un insieme di grotte; la distanza tra Edoras e il Fosso di Helm non è decisamente un tiro di schioppo, e così quella tra il Bosco Atro e Minas Tirith, gli Elfi non hanno mai combattuto ai campi del Pelennor ecc. ecc.) veramente terribili, di cui mi sono resa conto mano a mano che rileggevo “Il signore degli anelli” e le altre opere correlate. Spesso, troppo spesso, sono una lettrice frettolosa e distratta, anche se alcuni di loro sono stati funzionali allo svolgersi della storia. Mi riprometto (ma lo scriverò più vanti) di fare una bella correzione.
I RINGRAZIAMENTI: eh, qua ci dovrei perdere le ore…
Grazie a chi ha letto la storia in passato e l’ha amata e si è sentito tradito e deluso dalla sua incompiutezza. Se ci siete ancora...l’ho detto sopra <3
Grazie ai nuovi lettori, pochi o tanti che siano, quelli che hanno aspettato a lungo tra un aggiornamento e l’altro (ma non 17 anni :D), soprattutto Attemptastic che ha lasciato delle recensioni che mi hanno quasi commosso, e che spero abbia resistito ai mesi passati tra il penultimo e l’ultimo aggiornamento (e soprattutto che non sia rimasta delusa da questo finale).
Grazie a Erika, la webmistress , e ai suoi preziosi collaboratori per aver mantenuto questa storia sul sito per tutto questo tempo...fiducia ripagata :)
Grazie a Cowgirl Sara, che ho conosciuto grazie a questa storia (e che mi ha regalato delle bellissime fanart *_*) e con cui abbiamo costruito un’amicizia che dura ancora <3
Grazie a Hareth, che scriveva favolosamente e che ora è scomparsa da EFP...se qualcuno ne avesse notizia gli sarei grato se mi dicesse che fine ha fatto. Ovunque tu sia, ripenso ancora alle tue storie e a quanto mi piacerebbe rileggerle <3
E ora, grazie alla mia musa...la musica.
Quasi song-fic, dicevo all’inizio, ma avrei voluto che lo fosse davvero, perché senza la musica non sarebbe mai nata.
Quindi grazie, in ordine sparso, a Peter Gabriel, Fleetwood Mac, Jim Croce (che Dio mi perdoni per lo scempio che ho fatto con la traduzione della meravigliosa “I got a name”), David Crosby, Loreena McKennitt, Albion Band, Sting, Francesco Guccini, Queen, Fairport Convention, Simple Minds, Fabrizio De Andrè, Howard Shore (la colonna sonora dei film di Jackson è stata fondamentale) ma soprattutto a lui. Bruce Springsteen. E al suo MERAVIGLIOSO “The rising”. Questa storia non sarebbe mai nata senza quel disco; dentro c’è tutto, in un modo o nell’altro, ve lo garantisco, e la title-track DOVEVA essere nel finale.
Ecco, una delle cose che mi piacerebbe accadesse è che qualche lettore provi ad ascoltare le canzoni che ho usato come sottofondo per la storia. E che magari mi dicesse “Non c’entrano un tubo ma sono bellissime” <3
E infine, grazie a mio marito e al mio bimbo, mie principali fonte di ispirazione. Perchè, come per la musica, per scrivere devo amare quello che scrivo, ma prima di tutto devo amare <3
Ora vado a postare questo capitolo e a cliccare sul tasto “storia completa”.