Season of the Elves

di Notthyrr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cimitero ***
Capitolo 2: *** Narfi ***
Capitolo 3: *** La Villa ***
Capitolo 4: *** Nei Corridoi ***
Capitolo 5: *** Gli Elfi ***



Capitolo 1
*** Il cimitero ***


Il ragazzino dai capelli neri stava camminando lungo una strada sterrata ai margini della città. Più che camminare, il suo era un correre arrancando, quasi che le gambe non fossero le sue o fossero appena state investite da un carro da guerra.
Era già buio, indice evidente del suo ritardo. La terra tra i ciottoli sulla strada era ancora impastata di fango. Aveva piovuto, quella mattina di ottobre, e le fronde dei grandi faggi ai lati della carraia grondavano acqua sul terreno e sul capo del frettoloso viandante.
La Luna gli appariva di tanto in tanto, nascosta dai rami neri degli alberi che si chiudevano ad arco sulla sua testa, gettando ombre spettrali davanti a lui e dandogli una spiacevole sensazione di oppressione. Le stelle punteggiavano qua e là l’enorme tappeto nero che avvolgeva l’universo, restando però in oscurità rispetto al satellite, stranamente grande, quella notte, oscurato di tanto in tanto da lugubri nuvole solitarie che lo coprivano e lo rivelavano a intervalli, precipitando il mondo nel buio per poi restituirlo nuovamente alla luce.
La strada si biforcò e il ragazzo fu costretto a fermarsi: a destra svoltava un sentiero ancora più stretto; a sinistra, la carraia pareva continuare a serpeggiare come una viscida biscia grigia.
Gettò un’occhiata al sentiero che svoltava a destra e ne seguì il corso. Con la Luna che usciva dalle nuvole, riuscì a individuare una piccola salita sul fianco di una collinetta e, in fondo, nascosta tra i rami dei faggi, una chiesetta gotica dalla facciata bianca.
La chiesa
… Pensò, quasi tentato a seguire quella strada. Sperano di ingraziarsi un dio che sta nel cielo quando gli dèi camminano tra loro. Sono proprio matti… Sono umani.
Imboccò la stradina di sinistra e riprese la sua andatura strascicata. Un corvo che sbatteva le ali lo fece volgere verso destra, in direzione del ramo dove si era posato gracchiando. Quel luogo era più lugubre di quanto glielo avessero descritto e lui ne aveva una paura folle. Si costrinse a procedere, ripercorrendo mentalmente le istruzioni di suo fratello, ripetute fino alla nausea.
I rami dei faggi si aprirono su un enorme spiazzo circondato da un recinto di ferro battuto. Arrivava fino alle ginocchia del giovane ed era divelto in più punti. Il ragazzo gettò un gamba dalla parte opposta e affondò il piede in qualcosa di morbido. Guardò verso il basso e per poco non urlò: aveva calpestato la terra smossa di una tomba, poteva vederne la lapide biancheggiare sotto i raggi della candida Luna.
Me la pagano. Si disse seccato. Loro e quei maledetti elfi.
Divelse il piede interrato dalla tomba e proseguì: il sentiero lo aveva portato in un cimitero malandato che circondava una villa illuminata soltanto dalla Luna. Le imposte erano sbarrate e, se il ragazzo non l’avesse saputo, avrebbe potuto giurare che fosse completamente disabitata.
Sorpassò un cipresso che copriva una tomba la cui lapide era spaccata a metà da una grossa crepa e proseguì verso la villa, aguzzando la vista per individuare una minima traccia delle persone che stava cercando.
Tremava, il ragazzo, ma cercava di mostrarsi ben saldo sulle gambe nel caso qualcuno avesse deciso di attaccarlo all’improvviso. Glielo avevano detto: non bisognava mai dimostrarsi impauriti. Ma non lo si poteva biasimare a essere percorso da brividi di puro terrore in piena notte, alla luce di una Luna piena che dipingeva sul terreno le nere sagome degli alberi al centro di un cimitero.
Mise il piede su un rametto che scricchiolò sotto il suo peso, facendolo sobbalzare: sguainando un pugnale dal fodero che portava legato alla cintura, il ragazzo si volse indietro in posizione di guardia, ma lo spiazzo era deserto, se non per le lapidi bianche che parevano i denti di una qualche mostruosa creatura che ormai non percorreva più da secoli quel mondo.
Rinfoderò l’arma e proseguì a passi lenti: tutto era cupo e impregnato di morte. Lui, pauroso e dal viso da bambino innocente, non era adatto a quel compito. Anzi: non era adatto a un bel niente, se non a restare chiuso in camera come un codardo.
Udì uno fruscio alle sue spalle. Agendo d’istinto, senza riflettere, sfilò dalla tracolla in pelle un coltello da lancio d’argento e, ruotando su se stesso di centottanta gradi, lo scagliò verso il punto da cui gli era parso giungere il rumore. Il coltello si conficcò nella corteccia del tronco di un cipresso con un suono secco, mentre le foglie frusciavano lievemente per lo spostamento d’aria.
Sono un paranoico… S’accusò sconsolato prima di dirigersi verso la pianta per divellerne l’arma dal fusto.
Fu quando, con uno scricchiolio, riuscì a estrarre la lama del pugnale dall’albero che udì una voce lamentosa e ultraterrena, prima che una mano sbucasse dall’ombra per posarglisi su di una spalla.
«Váli! Voglio la tua anima!»
Il ragazzino strillò e si girò, trovandosi a guardare un viso pallido dagli occhi vitrei, color del ghiaccio. Gli occhi di un morto.







Note: Chiedo infinitamente scusa se da questo capitolo ancora non si riesce a comprendere granché, se non l’identità del malcapitato ragazzino dai capelli neri, ma questa piccola serie che conterà cinque capitoli era in realtà un unico prologo di circa una ventina di pagine A5, scritto in precedenza per qualcosa di molto più lungo.
Spero che il primo capitolo abbia suscitato nei — immagino pochi — lettori un briciolo di curiosità. Credo aggiornerò col secondo in giornata o, in 1-2 giorni.
Grazie mille per la lettura. Una recensione, seppur breve, mi farebbe tremendamente piacere per avere un’idea del risultato.

Grazie ancora.

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Capitolo 2
*** Narfi ***


Váli urlò ancora e lanciò in aria il pugnale, terrorizzato. Cercò di divincolarsi nella presa, ma le gambe gli cedettero per la paura e finì a terra, annaspando all’indietro per allontanarsi dalla figura che intravedeva a stento all’ombra del cipresso. Infine, si trovò la schiena contro una lapide e dovette restare appiattito lì, immobile, i denti che gli battevano incontrollabili per il terrore.
La misteriosa figura mosse un passo nel cono di luce che la Luna proiettava nel cimitero e scoppiò in una risata maliziosamente divertita.
Il ragazzino, che portava il nome di Váli, restò impietrito, cominciando a intuire chi potesse celarsi nell’oscurità, e strinse gli occhi per vederci meglio.
Gli si mostrò un giovane alto e particolarmente magro. Aveva i capelli legati in una corta coda corvina, fatta eccezione per qualche ciocca che gli scendeva sulla fronte e lungo le tempie. Come Váli aveva avuto modo di constatare poc’anzi, i suoi occhi erano chiarissimi, come la sua pelle, tanto da spaventarlo. Nel complesso, a meno che non fosse sbucato a tradimento nel mezzo di un cimitero, poteva essere considerato di bell’aspetto.
Riconosciuto il fratello maggiore, Váli gli lanciò un’occhiata colma d’odio: «Sei un cretino.» capitolò senza troppi preamboli.
Il giovane continuò a ridere divertito, poi gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi: «Non potevo non prendermi questa soddisfazione.»
«Resti un cretino.»
«Se fossi arrivato con la luce del Sole, il cimitero ti sarebbe quasi sembrato carino.»
Váli lo guardò torvo, ma non replicò: «Dove sono gli altri?»
«Nascosti.» rispose il giovane guardandosi attorno come per localizzarli. «All’ingresso del palazzo.»
Il ragazzino recuperò il pugnale e lo seguì tra le tombe, cercando di tanto in tanto di leggere i nomi riportati su di esse, anche se, per la polvere, la sporcizia, la corrosione o, semplicemente, per le edere avvolte attorno al marmo, risultava quasi impossibile.
«Ehi, Váli, tu dici che qua ci sono veramente gli elfi?» gli domandò inaspettatamente il fratello facendo correre istintivamente la mano al pomolo della spada che gli pendeva al fianco.
Váli alzò le spalle: «L’ha detto papà.»
Il giovane gli lanciò un’occhiata canzonatoria: «Papà dice tante cose. E tu non hai ancora imparato a non fidarti di lui.»
«L’unico di cui ho imparato a non fidarmi sei tu.» replicò imbronciato guadagnandosi nient’altro che una scompigliata di capelli che lo portò a imbestialirsi ancor di più.
«Psst!» li richiamò un ragazzo accovacciato dietro un cespuglio. «Narfi!»
I due ragazzi si volsero verso l’origine del rumore, individuando due giovani accosciati tra gli arbusti.
Narfi s’affrettò a raggiungerli e si nascose anch’egli tra il fogliame.
«È arrivato tuo fratello?» chiese il primo, spazientito. Era un ragazzo biondissimo, che avrà avuto l’età di Narfi. I suoi occhi erano color dell’oceano ed esprimevano costantemente serenità e gioia, anche se, in quel momento, erano cupi e  lugubri come quelli del fratello di Váli.
Narfi abbozzò un sorriso e indicò dietro di sé il punto in cui anche il fratellino si era inginocchiato per farsi spazio tra gli arbusti. Si accoccolò di fianco al secondo ragazzo, anch’esso biondo, ma di corporatura più massiccia e dagli occhi di una particolare sfumatura di viola.
«Scusa il ritardo, Moði…» mormorò Váli cercando il suo sguardo con un paio di occhioni verdi ai quali, sperava, non sarebbe stato facile resistere.
Moði alzò lo sguardo al cielo: «L’… L’importante è che tu sia venuto… e non te la sia svignata.»
«Come tu pensavi che facesse, non è vero?» gli domandò l’altro ragazzo biondo.
«Taci, Magni!» sbottò il primo. Erano fratellastri, Moði e Magni. Mentre il primo era figlio di Thor e Sif, il secondo era il risultato di uno dei tanti adulteri asgardiani, nato dal dio del tuono e dalla gigantessa Járnsaxa. Era stata dura convincere gli Asi ad annoverare tra loro un altro figlio di giganti, ma alla fine anche Sif, la quale aveva un figlio illegittimo chiamato Ullr, aveva accettato la sua presenza per discolparsi del suo tradimento.
«Sono usciti?» chiese Narfi creandosi un varco tra i cespugli per poter spiare la villa.
«Mai.» rispose Moði facendo altrettanto. «Non hanno nemmeno dato segno di essere lì.»
«Ma siete sicuri che ci siano veramente e non sia uno dei tanti falsi allarmi?» fece Magni appoggiando la schiena al fusto dell’albero alle sue spalle. Sfilò la spada dal fodero per controllare che fosse ancora lucida; la lama gli rimandò il riflesso del suo volto tirato dalla stanchezza.
«Chi ha fatto rapporto su questo posto?» chiese poi Moði.
«Loki.» mormorò Narfi.
«Appunto.» sospirò Magni.
«Sei un mezzosangue come noi…» lo rimproverò Váli. Era divertente vedere un ragazzino che dimostrava poco più di dieci anni prendersela con un giovane alto quasi due spanne più di lui e dai lineamenti già adulti.
«Lo so, lo so!» cercò di scusarsi lui. «Ma, andiamo, tutti diffidano di Loki e, nonostante siate suoi figli, dovreste stare attenti anche voi. È strano, ultimamente. Alcuni dicono che sia un po’ uscito di testa…»
«Balle: è lo stesso di sempre.» fece Narfi con una scrollata di spalle. «Non è mai stato molto… dentro
«Almeno su questo ci troviamo d’accordo.» ridacchiò Moði.
Váli li guardò imbronciato, ma decise di non mettersi in mezzo: ragionare con loro sarebbe stato come insegnare a un troll a giocare a scacchi.
«Ci sono due entrate.» disse poi Moði indicando la villa, ora poco illuminata per via della Luna oscurata da una nube. «Dannazione, abbiamo fatto male a non portare Thrúðr con noi…»
Thrúðr era la sorella di sangue di Moði, di riflesso la sorellastra di Magni. Era una fanciulla bionda dai capelli sempre raccolti in una treccia. I suoi occhi erano acquamarina e la sua pelle color delle pesche. Era particolarmente affezionata a Freyja, la dea dell’amore, pertanto era diventata come lei un’ottima telepate, capace d’individuare la presenza di amici e nemici in raggi di distanza molto ampi.
«Lei avrebbe potuto dirci se gl’ingressi erano presidiati da guardie…» sentenziò Magni, passando il dito sul piatto della spada.
«Váli, non è che…?» cominciò Narfi, interrompendosi subito quando, voltosi verso il fratello, non lo trovò al suo fianco.







Note: Ci risiamo. Che dire? Spero di non aver stravolto nulla in questo secondo capitolo... L'unica precisazione che ci terrei a fare è riguardo Freyja e Thrudr: insomma, la tendenza per le arti telepatiche l'ho immaginata sapendo che era pratica comune per le donne la magia, molto più che per gli uomini. Per il resto, spero sia risultato tutto chiaro e spero sia apprezzato.
Una recensione è sempre, sempre gradita.
Grazie.

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Capitolo 3
*** La Villa ***


Il ragazzino si era avvicinato di soppiatto alla villa e l’aveva aggirata sino ad appostarsi di fronte alla facciata rivolta a ovest.
Cominciò a considerarne la struttura, impegnando tutto se stesso in quello che credeva necessario per la buona riuscita della missione.
Era talmente assorto che nemmeno si accorse dei suoi compagni che gli si stavano avvicinando, prima invocando a sussurri il suo nome, poi rimproverandolo per essersi allontanato da solo e senza avvertire.
«Gl’ingressi sono solo due.» disse senza distogliere lo sguardo dalla villa, sperando che quella sua scoperta valesse a giustificarlo. «O, almeno… come direbbero gli umani… esiste un ingresso non-conventional situato proprio…» Indicò un punto al penultimo piano: «…là.»
Moði, a capo di quella missione, lo guardò interrogativo: «Sarebbe?»
«È un condotto di aerazione: permette all’aria calda e a quella fredda di muoversi verso l’esterno per non concentrarsi all’interno dell’abitazione, soffocando o congelando i suoi inquilini. Non ne esistono più, di questi tempi, ma in questa casa, essendo dotata di camini…» indicò le canne fumarie sul tetto. «… sembra essere necessaria, per nostra fortuna. Ci basterà divellere la grata e saremo dentro.»
Moði guardò prima il condotto, poi il giovane Váli, compiaciuto: «Meno male che hai il cervello di tuo padre…» commentò prima di sgusciare fuori dal suo nascondiglio, diretto all’albero più vicino.
I quattro ragazzi si arrampicarono sui rami della pianta, cercando di raggiungere in quel modo un punto abbastanza vicino alla casa per saltare o per scardinare direttamente la grata a protezione del condotto.
«È troppo stretto.» notò Magni, balzando sul balcone e, di seguito, su una sporgenza della grondaia. «Io non ci passo.»
Narfi, sostenuto da una corrente d’aria evocata grazie al seiðr, la magia, si spostò in volo sino al punto indicato dal fratello: «Nemmeno io.»
«C’è sempre la fregatura…» sospirò Moði constatando che nemmeno lui sarebbe riuscito a passare in quell’angusto condotto. «Però…» Lanciò un’occhiata al giovane e inesperto ragazzo che ancora stava scalando l’albero. Attese che si fosse appostato al suo fianco, sul piccolo balcone, prima di valutarne con precisione le dimensioni: «Tu sei il più piccolo tra noi.» osservò. «Se non ci passi tu…»
Váli, affaticato per l’arrampicata, si sporse dalla ringhiera per osservare il passaggio: forse per la distanza, lo aveva creduto molto più ampio. Tese le mani verso la grata e lasciò che queste s’illuminassero di una luce argentea. Dopo pochi secondi, la grata fu attratta magneticamente verso di esse.
«È sempre fantastico vederglielo fare…» commentò Moði colpendo con un gomito la gamba del fratello, a cavalcioni sulla grondaia.
«Sarebbe figo essere magnetici…» commentò ingenuamente Magni.
«Non sono magnetico.» replicò Váli posando la grata accanto ai suoi piedi. «Sfrutto un particolare principio di gravità che mi permette di attirare verso di me e a mia discrezione oggetti di qualsiasi materiale, forma e peso.» Si mise in piedi sulla ringhiera del balcone: «Non è che mi daresti un passaggio, fratello?» domandò poi puntando l’indice verso la corrente che sosteneva Narfi.
Il giovane balzò su di essa e s’aggrappò all’apertura lasciata dalla grata divelta, per poi issarsi al suo interno. Era davvero molto stretta e si trovò costretto a procedere con estenuante lentezza, muovendo prima una spalla poi l’altra e aiutandosi con il bacino.
Dopo lunghi minuti nei quali si sentì soffocare per il caldo, s’accorse che il condotto procedeva quasi verticalmente verso il basso. Imprecò: il passaggio era stretto e non avrebbe avuto modo di girarsi per scendere prima con i piedi. Infilò la testa nel condotto perpendicolare e guardò in basso: ne proveniva una soffusa luce biancastra. Con un sospiro e continuando a maledire suo fratello, i suoi cugini, gli elfi e sé, per la sua corporatura minuta, il ragazzo posò entrambe le mani sulle pareti del cunicolo verticale e vi entrò col resto del corpo, riuscendo a rimanere sospeso grazie al suo potere gravitazionale.
Riprese a scendere, una mano dopo l’altra, sino ad accorgersi che, come tanto aveva sperato che non fosse, il cunicolo ritornava su se stesso. Fu costretto a entrare nel nuovo condotto strisciando supino, per poi riuscire a tornare prono in una lotta contro lo spazio e il suo corpo.
Fortuna che sono piccolo…Pensò ritirando le precedenti maledizioni.
Finalmente, una seconda grata gli si presentò dinnanzi, rivelando l’origine della luce bianca: un corridoio dalle pareti in marmo.
Non ebbe nemmeno bisogno di appellarsi ai suoi poteri: la grata fu facile da rimuovere e il giovane, dopo essersi assicurato che nel salone dove sarebbe sbucato non ci fossero nemici, la lasciò cadere sul pavimento, per poi seguirla, atterrando sul ginocchio sinistro.
Si guardò attorno: non aveva la minima idea di dove si trovasse, ma, dal suono che la caduta del proprio corpo aveva provocato, poté intuire di essere giunto al pian terreno. Si ritenne fortunato.
Preparato il pugnale nella mano destra, corse a passi silenziosi verso una porta dalle rifiniture dorate e la socchiuse, rivelando l’interno di un salone sfarzoso dal cui soffitto pendeva un lampadario favoloso. Váli lo fissò incantato: l’interno di quella villa era tutto il contrario di quanto si potesse pensare vedendola dall’esterno.
Il ragazzo entrò nella nuova stanza e si chiuse la porta alle spalle. Sopra di sé, s’accorse di avere un balcone enorme che dava sul centro del salone. Ad esso conducevano due rampe di scale color del sangue. Ne restò affascinato. Poi, individuò il portone in fondo alla stanza e, nascondendosi di colonna in colonna, si avvicinò il più possibile. Una guardia era appostata alla sua sinistra.
Era il classico elfo scuro: alto e slanciato, dai lineamenti delicati ma, al contempo, duri e determinati. Aveva la pelle nera come il cielo notturno e la luce del lampadario vi lanciava particolari riflessi dorati. I capelli bianchi, completamente in contrasto con la pelle, erano legati dietro la nuca. Altre ciocche candide gli scendevano sulle spalle e sulla schiena, coprendo appena la leggera armatura argentea, come la lancia che reggeva nella mano destra.
Mi tocca combattere…Si disse Váli soppesando il pugnale. Lo rinfoderò e, fulmineo, sfilò dalla tracolla un coltello da lancio che, senza esitare, finendo come al solito per pentirsi di quanto stava per fare, lanciò in direzione dell’elfo. L’arma sibilò nell’aria e, prima che lo Svartálfr se ne rendesse conto, la lama gli penetrò la carne del petto, lasciandolo accasciare su se stesso senza un lamento.
Váli esultò e uscì allo scoperto, aprendo il portone  per i propri compagni.






Note: Bene, essendo questo capitolo una sorta di "passaggio-collegamento" per il quarto - che avrei proprio preferito mettere assieme a questo, ma che sarebbe risultato troppo lungo - non credo ci sia molto da dire a riguardo.  Un po' mi è dispiaciuto tagliare così, quindi credo aggiornerò sabato, visto che solitamente aggiungo capitoli il martedì, ma il prossimo è Natale ; )
Grazie per l'attenzione e spero di non essere risultata noiosa.
Ora che avete letto fin qui, immagino non vi prenda molto tempo lasciare un piccolo commento scritto che possa farmi capire che avete apprezzato. Una recensione è sempre, sempre, sempre gradita e ben accetta.
Ancora un grazie,
Notthyrr

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Capitolo 4
*** Nei Corridoi ***


Quando tutti e quattro furono dentro, un silenzio innaturale calò nella stanza. Narfi esaminò rapidamente la struttura di quel favoloso ingresso: «Gli elfi hanno buon gusto.»
Venivano da Svartálfheim, a sud di Midgard. Le invasioni erano cominciate qualche mese prima: arrivavano, s’insediavano in terre disabitate e aspettavano il momento giusto per impadronirsi di un fazzoletto di terra al quale nessuno avrebbe mirato. Spesso, si truccavano e tingevano i capelli per passare per umani.
Odino, padre di tutti gli dèi, li giudicava creature malvagie, sputate fuori dalla terra, una minaccia per il genere umano, dimentico forse che la sua leggendaria lancia, Gungnir, era stata forgiata proprio da loro. Il re di Asgard aveva quindi dato ordine di cacciarli o di catturarli, senza macchiarsi inutilmente le mani. Come al solito, Váli aveva disubbidito, nonostante quel piccolo sacrificio fosse necessario.
Moði si aggiustò l’ascia bipenne sulla spalla: «Andiamo.» disse, mettendosi in testa al gruppo.
Suo fratello sguainò la spada dai riflessi argentei e si slacciò lo scudo che si era assicurato sulla schiena, sistemandolo sul braccio sinistro.
Il gruppo prese la rampa di scale a destra e si trovò sulla balconata. Due porte, una a destra e una a sinistra, conducevano in due diversi corridoi.
«Dividiamoci.» diede ordine Moði.
Narfi stava per afferrare la mano del fratellino per accertarsi che lo seguisse, quando questi controbatté alla disposizione.
«No.» disse. «Soli siamo vulnerabili. Non sappiamo quanti elfi si stiano nascondendo in questa villa: se ci tendessero un attacco, tutti assieme avremo più possibilità di salvarci e non finire catturati.»
Moði valutò quel punto di vista: «Uff… voi figli di Loki avete sempre qualcosa da dire.» brontolò. «E quello che più mi dà ai nervi è che avete pure ragione…»
Narfi sogghignò: «Porta a destra o porta a sinistra?»
«Perché non lo chiedi a tuo fratello? Si può dire che sia lui, ormai, il capo di questa missione…» grugnì il giovane figlio di Thor stringendo con più forza l’asta della lancia. «Sto scherzando.» disse poi notando che Váli se l’era presa. «Andiamo a destra. Disponetevi a freccia.»
«No.» lo interruppe di nuovo Váli.
Moði alzò gli occhi al cielo, per poi puntarglieli addosso, attendendo l’ennesima correzione strategica.
«Se ci disponiamo a freccia, saremo troppo esposti alle spalle, poiché…»
«Vai al sodo.» gli ordinò Moði con un cenno sbrigativo della mano.
Váli sospirò tristemente: «Disponiamoci a croce. Tu, Magni, che sei il più forte di noi, fisicamente parlando, vai davanti.» dispose indicando un punto di fronte a sé. Studiò per qualche secondo il fratello e il cugino, come se, sui loro visi, potesse leggerne ogni capacità e peculiarità: «Modi, tu che porti un’arma pesante e sei destro, starai proprio su quel braccio della croce, in modo da poter reagire quasi subito agli attacchi provenienti da quella direzione.» Si volse verso Narfi: «Fratello, tu sei un bravo mago e ci potrai difendere nel caso di attacchi alle spalle. Starai sul retro.» Narfi annuì brevemente.
«E io…» continuò Váli. «… io starò sull’ala sinistra. Del resto, pugnale in una mano, coltelli da lancio nell’altra, non ho difficoltà a combattere con la sinistra, benché non sia mancino come mio padre. Accettate la disposizione?» Era quasi spaventoso veder parlare in quel modo un ragazzino di dieci anni.
Moði rispose con una scrollata di spalle e s’apprestò a prendere posto alla destra del cugino. Magni socchiuse la porta davanti a sé e sbirciò all’interno: «Nessuno. Procedo?»
«Vai.» mormorò Moði sgomitando per poter vedere a sua volta.
Il corridoio era costeggiato da alte colonne dorate che riflettevano le luci dei lampadari e le immagini dei ragazzi che procedevano, un passo dopo l’altro, sul pavimento dipinto di rosso. I loro calzari producevano un flebile e costante rumore metallico.
«La sala principale?» domandò Magni scrutando le scale che conducevano al piano superiore e la porta chiusa alla sua sinistra.
«Váli, Loki non ti aveva dato una sorta di mappa?» ingiunse Narfi picchiettando su una spalla del fratello, che sobbalzò.
«Erm… sì, ecco…» cominciò a frugare sotto la tunica e nella bisaccia che portava sul fianco sinistro.
«Non dirmi che l’hai persa!» sbottò Moði spazientito.
«Calma: è qui.» disse sventolando un ritaglio di pergamena.
«Ma se Loki è riuscito addirittura a farsi una mappa di questo posto, perché non ha svolto direttamente la missione? L’avremmo finita lì e subito!» sbottò Narfi.
Moði lo guardò, indeciso se parlare o meno. Optò per la prima: «Narfi… non voglio mettermi in mezzo, tanto meno a giudicare tuo padre, ma… credo sia la persona meno adatta per questo genere di missioni.»
Váli ascoltava silenziosamente quel discorso. Amava il padre più di chiunque altro. Lo apprezzava e lo ammirava. Quasi lo venerava. E odiava quando gli altri dèi ne parlavano come di un malvagio; o di un pazzo.
«Lo sai com’è fatto: spesso ha delle curiose alzate d’ingegno che lo portano a fare tutto il contrario di ciò che gli viene ordinato. Tutti sanno che ha un’incalcolabile tendenza per i guai…»
«Oh, andiamo…» fece Narfi, poco convinto.
Moði alzò le spalle. Lo faceva spesso. «Beh, io non lo so e non m’importa. Ma se Odino vuole questi elfi vivi, mandando lui, probabilmente, non ne avrebbe avuto nemmeno mezzo. Forse incaricando dei ragazzini alle prime armi, Padre Tutto era sicuro che non li uccidessimo… Ad ogni modo, Loki era l’ultimo cui chiedere la partecipazione.»
Váli mugugnò qualcosa tra i denti, ma decise di non intervenire.
«Allora, la mappa?» domandò nuovamente Magni, quasi annoiato da quel discorso.
Váli si fermò e la spiegò davanti agli occhi dei tre. Indicò prima il salone da cui erano entrati, poi la via che avevano seguito sino a quel punto: «Credo, però, che, a quest’ora, stiano dormendo…»
«Dormire? Gli elfi scuri sono creature della notte, Váli.» mormorò suo fratello. Fecce scorrere il dito sulla carta: «Devono essere qui.» disse poi battendo l’indice sulla rappresentazione di una stanza.
Váli abbassò la mappa per scrutare il corridoio: «Allora su per quelle scale.» ordinò indicando davanti a sé.






Note: Ok, ecco qui come promesso il penultimo capitolo. Probabilmente la spiegazione del perché delle "invasioni" elfiche può sembrare un bel po' impreciso e scostante, questo perché, ribadisco, il racconto doveva essere un semplice prologo a qualcosa di molto più vasto, dunque mi risulta del tutto impossibile spiegare bene le ragioni in una serie di cinque capitoli. Spero sia comunque apprezzato.
Detto questo, credo sia sufficiente.
A data da destinarsi con l'ultimo capitolo.

~Notthyrr

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Capitolo 5
*** Gli Elfi ***


Magni riprese a procedere silenziosamente, saggiando distrattamente la spada. Come posò il piede sul primo gradino, le scale scricchiolarono. S’arrestò senza fiatare e lanciò rapide occhiate attorno a sé: nessuno aveva sentito.
Un altro passo, un altro scricchiolio. «Narfi, non puoi fare qualcosa, maledizione?»
Il giovane mago si guardò disperatamente attorno come per cercare scritto su quei muri o su quei corrimani una formula che gli permettesse di attutire i suoni: «Tøgn1.» sussurrò col tono di chi quasi supplicava la formula di funzionare.
Magni azzardò un altro passo. Il pavimento di legno attutì il movimento come un cumolo d’ovatta. Il ragazzo sorrise, cercando di nascondere l’ammirazione nei confronti del cugino.
«Gira a destra.» mormorò Váli lisciando gli angoli della mappa e indicando la direzione.
Il corridoio si fece più buio e le torce appese al muro più rade, fino a scomparire del tutto.
«Ljøs2.» scandì Narfi mentre un globo di luce si andava a formare sul suo palmo sinistro.
Il bagliore rischiarò le pareti dipinte d’oro e il pavimento rosso. Moði lanciò un’occhiata al soffitto: era affrescato in verde con fiori ed erbe.
«È assurda, questa casa.» disse mentre suo fratello si accostava alla porta in fondo al corridoio. «I fiori sul soffitto… e tutt’attorno un cimitero…»
«Non si vede niente.» si lamentò Magni, chino sul buco della serratura.
«Fai passare me.» replicò Narfi piegandosi alla sua stessa altezza. «Hyggja3.»
Pronunciata la parola, i suoi occhi si colorarono leggermente di giallo e le pupille assunsero una particolare forma ogivale. La porta scomparve dalla sua visuale e alcune fiammelle azzurre si andarono a dipingere davanti a lui. La vista gli si schiarì e, seppur con colori anormali, tutti di sfumature dell’azzurro, gli apparvero gli elfi che stavano cercando. Erano tre in tutto, radunati attorno al fuoco del camino, ignari.
Narfi interruppe l’incantesimo e si tirò in piedi: «Sono tre. Il primo è davanti al camino, sta attizzando il fuoco. Gli altri due sono seduti sulle poltrone lì attorno.»
Moði si volse verso Váli, come se si aspettasse un intervento tattico da parte del ragazzino, che però rimase in silenzio.
«Non c’è un’altra entrata, non possiamo sfruttare l’effetto della sorpresa.» fece notare Magni.
«Ma siamo numericamente superiori…» disse Moði alzando nuovamente le spalle.
«E se…» Tutti smisero di discutere, guardando il ragazzino che si massaggiava il mento. «E se Narfi prendesse l’aspetto di un insetto e penetrasse nella sala attraverso la serratura?»
«Non posso combatterne tre da solo, Váli!» esclamò il giovane.
«No, non è questo…» mormorò il fratello tormentandosi le dita.
«E allora cosa?»
«Avete parlato di effetto sorpresa, no? Narfi entra e attacca uno degli elfi. Questi si spaventeranno e, nella confusione che seguirà, noi tre faremo irruzione dalla porta principale, prendendoli, per così dire, alle spalle, visto che saranno concentrati su Narfi.»
«Perché questo piccoletto ha sempre, dannatamente ragione?» fece Moði con una punta d’ironia.
«D’accordo, ma…?» cominciò Narfi.
«Prendi questo.» continuò Váli sfilandosi un coltello da lancio dalla tracolla e porgendolo al fratello.
«Lo sai che ho la mira di un cieco. Höder farebbe centro meglio di me.»
Váli scrollò le spalle: «Fattelo bastare per distrarli.» si volse verso gli altri. «Dal momento in cui Narfi sarà entrato, conteremo tutti e quattro fino a venti. Scaduto il tempo, Narfi lancerà il pugnale riprendendo il proprio aspetto e noi faremo irruzione. Accordato?»
Moði annuì svogliatamente e passò un dito sulla lama dell’ascia.
Narfi prese fiato e aspettò un cenno d’assenso da parte del cugino, prima di congiungere le mani e mormorare un formula che provocò una leggera nebbiolina bianca attorno a lui. Il suo corpo esplose in una miriade di sottili ali d’insetto, prima di ricomparire sotto forma di mosca.
Il giovane, prendendo a contare come i compagni, s’infilò nella serratura e penetrò nella stanza. Gli occhi leggermente appannati per il dispendio di energia che la trasformazione richiedeva, vide i tre elfi scuri sotto di sé. Calcolò la distanza che li separava e si spinse sino all’altra estremità della sala, nascondendosi tra i drappeggi delle tende. Continuò a contare, una crescente agitazione che gli animava il petto. Arrivato a diciannove, non poté attendere oltre e, riprese le proprie sembianze a mezz’aria, lanciò il coltello all’elfo più vicino al fuoco, che fu colpito ad una spalla.
Gli altri due scattarono in piedi, prendendo le lance da una rastrelliera alla parete. Narfi immobilizzò l’elfo ferito con un incantesimo, mentre dalla porta facevano irruzione i suoi compagni.
Due coltelli di Váli gli giunsero in aiuto, inchiodando lo Svartálfr al muro, un terzo lo ferì al braccio libero, impedendogli così di divellere le armi che lo costringevano contro la parete.
Moði spinse l’elfo a terra contro il fuoco, immobilizzandolo al suo posto, lamentoso e supplichevole.
Il terzo Svartálfr fu spinto da Magni contro la portafinestra alle sue spalle, che, con un colpo di spada, venne sfondata. L’elfo indietreggiò, ma perse l’equilibrio e cadde sulla grondaia. Magni lo sollevò di peso stringendogli una mano attorno al collo e lo riportò all’interno della casa.
Qualche minuto dopo, i tre erano legati assieme dalle corde magiche di Narfi.

«Un’ottima azione, davvero.» si complimentò Moði battendo una mano sulla spalla del cugino. «Credo che possiamo definire la missione conclusa.» decretò quindi, obbligando i tre Svartálfar ad alzarsi. Si volse verso i propri compagni: «Portiamoli ad Asgard.»
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1 “Silenzio”
“Luce”
3“Vista”




Note: Chiedo umilmente perdono per l'orribile finale, ma ho cercato di non dilungarmi troppo in scene di combattimento che sarebbero state alla fine pesanti. Per chi volesse saperlo, i tre incantesimi che ho appuntato in nota sono stati ricavati dall'antico scandinavo. Il significato è esattamente quello che ho trascritto. L'idea è pessima, ma io sono peggio a inventarmi strane formule magiche ; )
Con questo, concludo il mio racconto e concludo la missione dei giovani asgardiani.
Alla prossima, probabilmente con qualche altro viaggetto che ho già programmato (visto che è impossibile abbandonare gli Asi anche per soli due minuti!)
Grazie per aver letto anche quest'ultimo capitolo.
Notthyrr

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