Il bacio dell'aspide ~ Bonus Track

di Cassandra Morgana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bonus Track 1 ~ L'uomo che non deve chiedere mai (Andrea/Gabriele) ***
Capitolo 2: *** Bonus Track 2 ~ La verità è che non gli piaci abbastanza (Andrea/Giulia) ***
Capitolo 3: *** Bonus Track 3 ~ Voci spezzate (Andrea/Giulia/Sara) ***
Capitolo 4: *** Bonus Track 4 ~ Gatti neri e capelli viola (Alex/Isa) ***



Capitolo 1
*** Bonus Track 1 ~ L'uomo che non deve chiedere mai (Andrea/Gabriele) ***


Il bacio dell’aspide – Bonus Track

 

 

Bonus Track 1

 

Titolo: “L’uomo che non deve chiedere mai”

Genere: Introspettivo, Romantico, Erotico

Pairing: Andrea/Gabriele

Rating: n.c.17 (per il finale)

Warning: tanto slash; inizia angst, naviga un po’ nel comico-fluff e termina nel p0rn

Riassunto: Restare soli alla casa dello studente nel week-end sotto Natale non è particolarmente piacevole. Tranne nel caso in cui qualcuno non abbia avuto la tua stessa idea…

Dedica: a Ichigo ? Regalino di Natale con qualche giorno di ritardo ;))

 

 

Natale 20091

 

La porta della stanza chiusa a doppia mandata, Andrea si gode i momenti che precedono l’esodo natalizio, quando il silenzio sovrasta ogni altra percezione, come il freddo del vetro su cui ha incollato il naso. Cullato dall’alternanza pioggia-sole-grandine, scruta fuori dalla finestra, la casa dello studente che si svuota ogni minuto che passa.

L’unica, quella mattina, ad averlo degnato di qualcosa in più di un’occhiata casuale, è stata Isa, incurante dei passati dissapori, con una fredda stretta di mano e un “buone vacanze” biascicato di fretta.

Imprevedibile Isa. Forse una parte di lei spera ancora di approfittare dell’assenza di Loria per riavvicinarsi quatta quatta al suo boccone prediletto. Forse è persino in buona fede. Ma uno sguardo apatico e una risposta ancora più distaccata hanno chiuso lì la parentesi.

Sorride, Andrea. Anche Loria è partita: l’ha baciato sulle guance e si è avviata con poco entusiasmo giù per la discesa dai marciapiedi scivolosi di pioggia, fino alla fermata. L’ha lasciato lì, con un vuoto in fondo al petto destinato a diventare voragine.

- Contenta di stare via per un po’?

Sopracciglio inarcato, occhiata scettica.

- Sai che palle…! Il tempo di liberarmi, e sono da te.

Mentre era ancora con lei, sua madre ha buttato il carico da undici con una telefonata improvvisa, e lui di nuovo, come sopra: irremovibile. La parte difficile, come sempre, è trovare le parole giuste. Ci ha provato, ma poi le labbra hanno iniziato a tremare, un nodo alla gola e la voce malferma.

Si tratta solo di preservare la pace in casa sua ed evitare piazzate controproducenti in pieno pranzo di Natale. Evitare il faccia a faccia con suo padre e qualche buon pretesto per saltarsi alla gola. Quale soluzione migliore, se non evitare direttamente di presenziare quale ospite sgradito? Sua madre sarebbe stata anche felice di rivederlo dopo mesi. E Adele. Ma è già tanto che suo padre abbia accettato un pranzo in amicizia con la ex-moglie per il bene della piccola. Manca solo lui, la causa di tutto.

- Mi dici almeno che scusa invento?

- Di’ che ho fatto tardi… – le ha sussurrato, tagliando corto – Accampa una scusa.

Perché il Natale è la tipica festa da trascorrersi in famiglia, mamma papà e Adele, e il sorriso di sua madre sarebbe stato radioso, il volto di suo padre disteso mentre aiuta la piccola a scartare i doni, senza il figlio cattivo che turba l’atmosfera e rovina la giornata. Il pazzo con l’unica ambizione di fare il clown su un palcoscenico e vendere il proprio corpo per un posto al sole.

Del resto, suo padre l’aveva messo in chiaro, che non lo vuole tra i piedi. All’epoca di Neri e del gran casino che seguì. Decreto sempre valido, l’eventualità di giungere ai ferri corti una conclusione troppo verosimile per scartarla.

Forse solo Loria ha intuito il problema. Non ha fatto domande, ma l’ha capito al volo, che neppure lui è felice di “staccare”. E sono rimasti così, immobili accanto alla porta e restii a congedarsi.

- Non posso fare altrimenti, Andre, davvero. Avrei voluto restare con te…

E lì ha dovuto farsi violenza per resistere all’implulso di stringerla a sé e non lasciarla andare. Si è risolto a un sorriso agrodolce per non farle pesare la situazione: se la caverà. Magari alla fine salterà tutto, oppure suo padre annuncerà improrogabili impegni di lavoro, tanto per non correre rischi di sorta, e a quel punto Adele sarà tutta per lui. Se poi riuscisse a trascinare Elena con sé almeno per una sera, sarebbe un uomo felice.

E invece eccolo lì, da solo, a rabbrividire contro il vetro e a guardare giù in strada.

 

Il secondo incontro-non incontro della giornata si è presentato come una massa di capelli ossigenati e un ticchettio di tacchi da “oh, guardate chi arriva!”. Giulia detta “Barbie” e la sua mascella quadrata e le mani troppo lunghe. Troppo lunghe addosso a lui.

Si è defilato dietro un pilastro, lontano dalla sua portata; senza fiatare, ha atteso il via libera.

Forse l’intenzione di quella mantide era augurargli semplicemente di passar buone feste, forse provarci di nuovo con lui o piazzargli qualche domanda impertinente, procurando così al branco un nuovo pretesto per ridere di lui, lo sfigato costretto a trascorrere il Natale lì a fare la muffa.

Nel dubbio, meglio evitare. Lo sa come la pensano. Loro.

Povero idiota… Sta sulle palle a tutti.

Nemmeno la sua famiglia deve sopportarlo volentieri.

Lo credo bene…!

Parole come pugnali. E giù altre risate.

No. La volontà di parlarci e farsi stampare due macchie di rossetto sulle guance, è pari solo alla voglia di prendersi un cazzotto in un occhio. Ha atteso lì, muto dietro il suo riparo provvidenziale, fino allo scampato pericolo.

Poi c’è l’sms equivoco ricevuto la settimana scorsa, che gli ha suggerito un’idea piuttosto chiara delle vere intenzioni di Barbie. Le allusioni a una sana scopata in amicizia modulate in modo tale che il passo successivo si chiama stalking.

Sarebbe stata un’idea niente male, se al posto suo ci fosse stato un altro. Se nella sua testa non ci fosse stato altro pensiero se non pendere dalle sue labbra e sfruttare la situazione per sbugiardare la versione ufficiale che lo vuole gay fino al midollo, gay senza speranza d’appello. E molto, molto sfigato.

Le occhiate maliziose seguite al rifiuto di trascorrere il Capodanno con i vecchi amici, hanno rispettato la prassi del caso, piantandosi come mille aghi sulla sua nuca. Risate e allusioni a seguire.

E pazienza, perché sopravvivrà anche con i fancazzisti dell’Accademia che proprio non riescono a dipanare il dubbio, a inquadrare il suo orientamento sessuale e farsene una ragione. Che preferirebbe farsi frate piuttosto che assecondare le avances di Barbie Machiticonosce, è un’idea troppo sottovalutata. Potrebbero, per una volta, evitare di farne una questione politica internazionale e starsene tranquilli: non attenterà alle chiappe di nessuno di loro.

Quel pomeriggio, pochi minuti dall’inizio dell’ultima lezione, è arrivato Riccardi, e i cavoli hanno rischiato di diventare acidi.

- Hai visto, Giu’? – ha berciato il suo Babbo Bastardo personalizzato, abbastanza forte da farsi udire a tre isolati di distanza – Non ti sei ancora convinta? Gli piace l’uccello, e che cazzo, finiamola qui. Magari non sa nemmeno scopare…

Okay, quando è troppo è troppo. Si è voltato di scatto, fulminandolo. Ora. Basta.

- Sicuro, Riccardi? – gli ha sibilato con voce flautata – Prova a chiederlo a tua sorella: ti dirà l’esatto contrario, ed è una testimonianza molto attenibile.

E, veloce come una freccia, ha raccattato borsa e cianfrusaglie assortite sparse sul banco ed è corso a rifugiarsi nello spazio provvidenzialmente vuoto tra Gabriele e Alexander Thompson. Giusto per evitare che la faida proseguisse oltre e Riccardi ne approfittasse per mettere su una bella sceneggiata napoletana. La rissa tamarra no, ti prego. Posso sopravvivere.

Il quinto esemplare che si è degnato di rammentare la sua esistenza, è proprio lui, l’ultimo acquisto dell’Accademia. Giù nel pianerottolo, gli ha sorriso e augurato buone feste in uno sfarfallio di ciglia pesanti, gli ha affibbiato un abbraccio veloce ed è scomparso tirandosi dietro la valigia.

Andrea l’ha seguito con lo sguardo finché non l’ha visto scomparire l’angolo. No, decisamente. Deve rivedere alcune congetture: è marcatamente effeminato, irrimediabilmente ambiguo, ma non è gay. Ché ché ne dicano Alberti arbiter elegantiarum e Riccardi “se quello non è frocio, giuro che ti regalo un tanga leopardato” – o il truce gruppuscolo del terzo anno che minaccia di fargli lo scalpo per motivi X. Il modo in cui Alex si mangia Elena con gli occhi – sguardo da triglia annesso – è un segnale interessante…

Andrea si stringe nelle spalle, un velo di tristezza. Restano soltanto lui, Gabriele ed Elena, frangia estremista e non allineare al sistema, a rigettare con polemica contrarietà le isterie collettive. Hasta la victoria.

Non è giornata. O forse sì: c’è solo da trovare un pretesto per non morire di noia da lì fino a Santo Stefano, e poi tutto andrà a posto. Più o meno. Tragicomicamente a posto.

 

Osserva fuori dalla finestra. Ancora e ancora. Segue la danza del nevischio nell’aria, il respiro che condensa contro il vetro. E ricomincia da capo, con metodica ossessione, a scandagliare i motivi che l’hanno riportato sui suoi passi. Di solito basta scartare le ipotesi più impraticabili e, se sei bravo, la tua scelta ti apparirà saggia.

Il regalo per Adele giace intonso sopra la scrivania, con la carta dorata e la coccarda rossa, e lui non tarderà un minuto in più del necessario.

La noia filtra sottopelle. Al momento tutto ciò di cui ha bisogno è un diversivo per stasera – la prima di quattro lunghe serate in solitudine. Un aperitivo giù al bar pare un’idea carina: basta cercarsi un tavolo tranquillo, guardarsi un po’ intorno e perdere tempo. Pochi passi e una rampa di scale, e potrà rilassarsi, depennare l’ipotesi dell’eremitaggio stretto e godersi l’atmosfera di intimità, un sapore fresco sulle labbra. Captare qualche voce nel brusio e perdersi in discorsi afferrati per caso.

- Ehi… – un sussurro appena percettibile.

La biondina slavata del tavolo a fianco dà di gomito alla sua compagna di bevute e si sposta i capelli dagli occhi.

- Lo vedi quel tipo? – sibila.

- Eh? – l’altra arriccia le labbra laccate di rosso, il bicchiere stretto tra le dita.

- Morettino, capelli lunghi, tutto solo… – la ragazza bionda scuote la testa.

Andrea per poco non si soffoca con l’aperitivo.

- Okay, ho capito. Uno gnocco di classe. E quindi?

- E quindi? È Andrea Nicoletti! Non lo conoscevi?

- Quell’Andrea Nicoletti?!

- E quanti altri ce ne sono? – la biondina soffoca una risata.

Labbra infuocate strabuzza gli occhi.

- Ma dai…! Quello lì è Andrea Nicoletti?! Il gay? Quello che si sbatteva Neri?

- Shh, piano coi nomi!

Pausa strategica, boccheggiamento stile pesce rosso. Risatina sarcastica.

- Dio, che spreco di roba!

Andrea aguzza le antenne. Per un attimo è tentato di ingollare in fretta il suo aperitivo, pagare e defilarsi in camera sua – e di nuovo, punto e a capo. Ma così il tempo non gli passerà più.

È un certo formicolio in fondo allo stomaco a farlo desistere dal proposito di scappare.

- Ma si è proprio dichiarato? Magari è solo un sospetto, una di quelle storie che mettono in giro… È proprio così?

La bionda annuisce, flemmatica. Si fissa le unghie con nonchalance.

- Bisex, dicono.

- Che fregatura! Non era anche amico di Isa, Alberti… loro? È sparito dalla circolazione.

- Già. È una cosa che si sapeva da un po’. Loro penso di sì. Gli amici lo sapevano.

- Ma non voleva farsi la francesina? O Elena Loria, stanno sempre appiccicati.

- Nah! – la ragazza bionda scuote la testa, decisa – Ai piani alti si fa il nome di Derossi. La sua nuova fiamma.

- Cielo, no! Il fattone, quello con la mamma hippy…?

Labbra infuocate guarda di nuovo verso di lui. Lo squadra da testa a piedi in una lunga radiografia, in cerca di qualcosa che non vada, un capello storto, un difetto di fabbrica. Poi scrolla il capo, delusa.

- Ma guarda che razza di figo… Sprecato.

- Figo quello? – Capelli d’oro sorride, cattiva.

- Beh, dai, ha un suo perché – Labbra infuocate storce la bocca, soprappensiero. Arrampicata sugli specchi in corso – Ma se gli piacciono i cetriolini sott’olio, tanto vale. Non se ne fa nulla.

- A me non piace – un taglio netto.

Oh, perdonami, Riccioli d’oro, ma credo non sopravvivrò a tanta delusione. Morirò di crepacuore.

E per poco non si strozza. Di nuovo quel nodo che gratta in fondo alla gola.

- Cioè… – pausa meditabonda, in cerca di inestricabili verità filosofiche nel fondo del bicchiere – Non è che sia brutto. Ma guardalo: è un nano da giardino. Con una voce irritante.

Okay, la misura è colma. Processare i cavoli suoi per direttissima non va bene. Ma passi “non mi piace, non è il mio tipo”… e chissenefrega. Passi il toto-gay – manca che lo accoppino con una trave del soffitto, e il resto delle opzioni è stato ben vagliato. Ma la sua statura, quella no, non si discute: è nella media italiana. E non ha una voce irritante! È ben impostata. E sexy. Non s’impenna negli acuti come le macchiette gay delle barzellette.

E questa non sa dire come gli è venuta, ma in capo a un secondo è lì, braccia incrociate sul petto, a tre centimetri dal quel tavolo. Con la peggior faccia da suola che abbia mai sfoderato in vita sua, e un sorriso tirato.

Le due sembrano orripilate. Labbra infuocate è un tutt’uno con il rossetto. La biondina finge di trovare interessante la carta del menù.

- No, continuate pure! – sogghigna, perfido – Però stavate parlando di me, e volevo partecipare. Ci sono domande, qualche altro cavolo da buttare in padella, o possiamo passare ad altro?

- Oddio, oddio, scusami! Non volevo offenderti!

Labbra di fuoco sembra mortificata. Salta sulla difensiva. Il potere di un’entrata in scena con i fuochi d’artificio.

L’amica sembra più scafata, incline alla figura di merda calcolata. Dopo lo shock iniziale si è assestata sulla faccia di bronzo di rimando. Lo fissa come una sfida, le sopracciglia che schizzano verso l’alto.

Non è neanche bionda. È più color carta da pacco.

- Beh, avete detto che sono uno spreco… Non è carino.

- No, ma… Non volevo dire questo.

- E cosa, allora? – cinguetta Andrea.

Se non fosse bastardissimo fino al midollo, si limiterebbe a classificare il contrattempo sotto la voce “figure di merda indotte” e girare sui tacchi. Invece continua a sorridere in tralice, gli occhi socchiusi e la faccia da schiaffi delle grandi occasioni.

- Ammesso che io non sia gay, credi che ci proverei con te? – arriccia il naso: ora la frittata è fatta, e tanto vale andare fino in fondo – Potrei non trovare un tuo perché. O essere già impegnato. O puntare alla castità.

- Scusa, Andrea! Noi… – Labbra infuocate punta il dito verso l’amica, tanto per spartire la colpa – Io e Porzia stavamo solo scherzando. Sai com’è… si fa per parlare.

- Interessante – Andrea assottiglia le palpebre, felino – Porzia hai detto? – senza pensarci, porge la mano a Capelli d’oro come una beffarda offerta di pace, prima a lei e poi all’amica – Come quella de “Il mercante di Venezia”?

Annuisce. Fa buon viso a cattiva sorte. Donna intelligente: potrebbe tenergli testa, se lo volesse, e la cosa a quel punto si farebbe divertente. Ma non sembra molto interessata.

- Bene – Andrea si sfrega le mani – Allora posso andare.

Tirate un sospiro di sollievo.

Fruga nella tasca interna della giacca – attimo di panico. Il portafogli giace dimenticato da qualche parte in camera nella fretta. Incrocia lo sguardo il cameriere che l’ha servito.

- Segna. Sto qui tutto il fine settimana.

E imbocca le scale a passi spediti.

- Andrea, aspetta un secondo!

Di nuovo?

La tizia con il rossetto vistoso. E vistosamente sbavato.

- Ti sei offeso?

Ma per favore!

- Guarda, non è un problema! Volevo solo divertirmi un po’…

- Mi dispiace di aver detto quelle cose. Mi sei anche simpatico…

Ahi. Questa oltrepassa i confini dell’assurdo. Perché lui è molte cose, ma non è “simpatico”.

- Ehm… scuse accettate. Ma non c’è bisogno…

- Posso farti una domanda?

Eccola là.

- È vero che sei gay?

E la speranza affondò miseramente nel cesso. Speranza che la rivalutazione del coltivare cazzi propri fosse un discorso recepito.

Calma. Respira.

- Se dicessi , per te cambierebbe qualcosa?

- Beh, sì. No.

Andrea solleva gli occhi al cielo. La situazione è così traballante che l’unico sarebbe metterci una pietra sopra. Oppure tentarsi l’ennesima acrobazia.

- Se ti dicessi la verità, mi daresti un bacio?

- Eh?!

Perfetto. Scioccata. Un manichino avrebbe una faccia più espressiva.

Ma si riprende in fretta: ha fiutato l’affare.

- D’accordo… – miagola – Ma questo significa che non lo sei, se no non mi avresti fatto una proposta simile.

- Chi vivrà vedrà – le sussurra, sibillino.

- E vabbè…

Silenzio. Un attimo e la tipa gli si aggrappa addosso in un tripudio di mani agganciate alla nuca e labbra che indugiano sulle sue con la delicatezza di un aratro – ragazza poco incline alle mezze misure.

Andrea cerca di respirare, di scollegare la mente e prendere la cosa per quello che è: un gioco cretino spinto troppo in là. Perché tra quella cosa che dovrebbe essere un bacio, e quando bacia Gabriele, ci sono anni luce di distanza. Le poche volte che si sono baciati, ciliegina sulla torta di discussioni ben intorcinate su sé stesse. No: non c’è e non ci sarà mai un punto in comune tra i due universi.

Il sapore della poltiglia rossa incollata alle labbra è dolciastro e leggermente nauseante. Se domani si sveglierà con un’eruzione cutanea, saprà a chi dare la colpa.

Okay, basta! Credo di aver bisogno di respirare. Non è colpa mia, mi rincresce, ma vivo di questo.

- E allora? Com’è stato? – sussurra, staccandosi da lei.

Masochista.

- Non c’è differenza – Labbra infuocate si attorciglia una ciocca di capelli scuri intorno al dito indice, civettando.

- Di cosa? – Andrea scuote le ciglia.

- Tra baciare un ragazzo etero e uno gay.

Oddio, oddio, oddio! Andrea distoglie lo sguardo. E una è andata.

Potrebbe scavarsi la sua fossa d’imbarazzo e uscirne quando il mondo si sarà dimenticato di lui e delle sue stranezze. Se non fosse per l’urlo e lo strattone che lo riportano nel mondo dei vivi.

- ‘anvedi ‘sto stronzo! Il bello è che si finge frocio…

Andrea fissa il nuovo arrivato, stordito. L’ha spintonato via che per poco non gli maciullava un braccio.

E un bel giorno salta fuori che ti piacciono i ragazzi, e mezza compagine maschile presente si sente in dovere di coniare nuovi appellativi per descriverti; un giorno fai l’uomo che non deve chiedere mai, e il risultato è lo stesso…

Allora fate tutti pace col cervello e decidete com’è che vi piace. Magari poi il verdetto me lo metto sotto le scarpe. Ma almeno, datemi un indizio…

È l’ultima goccia. A meno che Rossettopazzo non abbia un fidanzato. E se è così, tu, Andrea Nicoletti, sei ufficialmente nei casini.

- Ehm…

Il tizio appena sbucato dal nulla scruta la ragazza da capo a piedi senza battere ciglio, della serie “con te facciamo i conti più tardi”. La mano scivola su quella di lei a marcarne il possesso. Il che fa molto dramma della gelosia. Lo sguardo torna a vagare su di lui, scuro.

- Era uno scherzo. Una scommessa idiota e… beh, è tutto a posto – Labbra infuocate cerca di tirarsi d’impiccio.

Il tipo potrebbe esserne convinto. Magari non del tutto, ma i muscoli della faccia rilassati sono già qualcosa.

- Lo spero bene. Per lui – ringhia.

Si avvicina.

E no, va bene il Natale da solo. Va bene tutto. Ma da solo e col naso rotto per uno scherzo imbecille, no. Perché gli è già successa una cosa simile. Tra amiche troppo esuberanti e fidanzati gelosi. E fa un male cane.

- Volevi schiarirti le idee… con lei? – mormora il tizio.

Che visto da vicino sembra meno pericoloso del previsto. Meno brutto di Riccardi, il nemico giurato.

- No. Era una farsa.

Chiude gli occhi. Magari Coso si accontenterà di affibbiargli qualche innocuo insulto.

Tutto ciò che può fare è modellare il proprio viso in un sorrisetto finto-ingenuo. Non può farci più di tanto, se quella gli si è buttata addosso, cosa che non credeva possibile. Coincidenza, aveva pure un ragazzo, e il suo ragazzo era lì.

Quasi non ha udito i passi, la porta che si apre alle sue spalle. Qualcosa che gli si posa addosso e una sensazione di calore alla spalla, come un tocco magico che lava via la tensione.

- Ciao, Andrea.

Gabriele?!

Eri qui?! Ti sei goduto la terribile commedia degli equivoci?

Bacio sulla guancia come di rito. Sull’angolo della bocca. Molto vicino alle labbra.

Ecco. Va meglio.

Gabriele sembra radioso – no, non è fatto. Si guarda intorno come se cadesse dalle nuvole.

- Che c’è? È successo qualcosa?

Sguardi imbarazzati. Il fidanzato di Rossettopazzo diventa un sospiro di sollievo con le braccia e le gambe, lo sguardo fresco e luminoso come un bambino.

- Niente. Uno stupido malinteso. Va tutto bene.

Meravigliosamente.

Labbra infuocate – non più di tanto, dopo il bacio – accenna un timido saluto con la manina. Poi spariscono entrambi.

E tutto va ancora più fottutamente bene.

 

* * *

 

- Sei un idiota, Andrea! Il padre di tutti gli idioti. Che hai al posto del cervello?

- Okay, okay. Ti confesso che nella parte del cavaliere mascherato non ti ci vedevo così bene… Ma devo ricredermi: ti va da Dio.

Seduto sulla scrivania di Gabriele, vorrebbe buttarla sul ridere. Arginare il fiume di improperi che gli si è riversato addosso, da quando Gabriele l’ha trascinato dentro e si è sbattuto la porta alle spalle. Non ha accennato a smettere.

- Incosciente. Pagliaccio. Coglione e autolesionista. Incommensurabile testa di…

Andrea socchiude gli occhi. Un sorriso grande come il mondo, una calma celestiale che gli inonda il petto. Tutto sommato è anche divertente Gabriele che sbarella e misura a passi furiosi il perimetro della stanza; si prende la testa tra le mani, esasperato.

- Posso, Gabri? Adesso che hai snocciolato tutta l’enciclopedia degli insulti, possiamo parlare d’altro? – cinguetta, angelico.

- Perché, Andrea? Spiegamelo! – Gabriele scuote il capo, con violenza – Mi spieghi perché devo passarmi tre quarti della mia esistenza a farti da balia? A tamponare le tue cazzate? A evitare che qualcuno ti meni per davvero, alla tua ennesima uscita da psicopatico?

Perché è l’unico modo per avere la tua attenzione: la risposta giusta. Ma non può mettergliela giù così, perché l’unico risultato sarebbe ritrovarsi affanculo prima del previsto.

- Ehi! Stavolta non c’entro. Ti giuro che non c’entro niente – sospira: non è una verità a trecentosessanta gradi, ma ci si avvicina abbastanza – Ha fatto tutto da sola. È colpa mia, adesso, se quella non ha capito che stavo scherzando e mi si è buttata addosso? E poi neanche mi è piaciuto, ecco. Contento?

- Sei un cretino!

Lo yogurt scaduto gli fa un baffo.

- Sei geloso?

- No!

Gabriele si avvicina per scrutarlo bene in faccia: di solito fa così quando cerca di capire a che gioco stia giocando – missione impossibile. Non sembra particolarmente seccato, Gabriele: è solo il suo modo di farglielo pesare. Negargli la cosa a cui tiene di più: la sua considerazione. È tremendo nel prendere la sua autostima e farne carta straccia, con quel sopracciglio sollevato e l’espressione a metà strada fra “mio Dio, cosa mi tocca a fare” e “non mi curo di te”.

- Non si direbbe – Andrea sogghigna, e lo scontro ormai è all’arma bianca – Mi è sembrato di capire che ci tenessi molto a far capire a quel tizio che stiamo insieme… – soggiunge.

- Così si metteva il cuore in pace, aveva la prova schiacciante che non ci stavi provando con la sua ragazza, e ti risparmiava una sfilza di rotture.

Preciso come una freccia.

- Non avevo nessuna intenzione di baciarla. Mi ha baciato lei, e neanche mi è piaciuto – ribadisce – Preferisco questo.

Mille di questi.

Si alza in piedi – le gambe leggermente anchilosate.

Il tempo di afferrarlo tra le braccia e cingergli la nuca – i suoi capelli come un formicolio sotto le dita.

Il tempo di chiudere gli occhi e perdersi nel suo profumo così familiare, il naso affondato in quell’incavo paradisiaco tra il collo e la spalla. La pelle deliziosamente ambrata, calda sotto l’attacco a tradimento delle sue labbra.

Okay, Andrea. Calma. Sta’ calmo e respira. Sta’ calmo e non fare cazzate. Non farlo scappare di nuovo…

Dov’è il pericolo? Hai paura di cadere?

L’impulso razionale è sollevare il viso e catturare la sua bocca con un movimento fluido. Le labbra che si dischiudono, che cedono al punto di fusione.

Fa decisamente caldo. Troppo. Con uno strano torpore che si fa largo in tutto il corpo, una nenia incessante dentro la testa. Non sa cos’è di preciso: non è solo il bacio. È la sua presenza così palpabile. Se ne rende conto quando il corpo di Gabriele aderisce al suo, le mani allacciate intorno alla vita.

Piano, così. Rischi di spaventarlo.

Di fugare gli ultimi dubbi – se ancora ce ne sono – che hai perso completamente la testa. Che sei fritto. Di più: bruciato. Perso in fondo al baratro, in quelle iridi affilate che non sono semplicemente scure, semplicemente insondabili. Sono ambra liquida.

E quelle labbra… Ogni volta che le osservi, è come trovare l’incastro ideale e non venirne più a capo. È lo scorrere delle mani sulle sue, è cercare le scintille. La frustrazione di indugiare smarrito intorno all’orlo della maglia senza azzardare una carezza più audace sulla sua pelle nuda, perché poi sarebbe troppo. La tentazione abortita sul nascere.

 

Devo respirare.

 

È troppo dischiudere le labbra e staccarsi piano da lui. Un istante ancora e si perderebbe.

Gabriele gli sorride. È perfetto, con quel canino vampiresco e le labbra sottili, cesellate in un’arte sopraffina. Con quella luce strana in fondo alle pupille e quello schermo tra loro. Che sì, forse Gabriele si lascerebbe anche andare. Fino a un certo punto. Il respiro sotto stretto controllo, l’esplosione di gioia contenuta nella piega delle labbra, nel tremore delle ciglia.

È perfetto così, con quegli aghi di malinconia che gli infila sotto la pelle come ghiaccio. Perché ogni volta è una conquista, è ripartire da zero e rimettere in gioco tutto, ogni conquista solo apparente. E ogni respiro come una vittoria, una meta da sudarsi fino all’ultima goccia di sangue.

- Decisamente non c’è paragone – esala – Sì, la parte del cavaliere di Camelot in difesa dei deboli ti si addice.

Gabriele lo lascia andare. Arretra di qualche passo, sguscia via.

- A te quella del giullare di corte – gli soffia, gli occhi socchiusi come quelli di un gatto.

La più bella dichiarazione d’amore che potesse dedicargli tra quattro pareti di un bianco abbagliante, senza grilli e violini a fare da base. È così, semplicemente perfetto.

- Hai progetti per stasera? – si limita a ronzargli intorno, perché Gabriele ha ripreso a occuparsi dei fatti suoi come se niente fosse – Prepari i bagagli? Vai via anche tu?

Un’occhiata oltre le sue spalle gli offre la panoramica della valigia aperta, vestiti e oggetti random ficcati dentro alla rinfusa.

- Forse.

Andrea allunga le braccia – deve giocarsela, perché un’occasione simile non capiterà più. È sufficiente circondargli la vita con le mani e riprendere a lavorarsi la sua nuca e il suo collo, la pelle che sa di raso. Il lobo dell’orecchio trafitto da un anellino d’argento. La cute si è coperta di brividi da quando ha iniziato a sfiorarlo, a lambirlo con il solo respiro: il segnale che vale la pena di persistere.

Se non ci fosse il cellulare che suona e suona. All’infinito. Che urla e ruggisce melodie astruse, dimenticato in qualche anfratto. Gabriele si stacca da lui; quasi si scusa per l’interruzione. Scivola verso la porta e apre la comunicazione.

- Marina?

 

- Chi era?

Se posso chiedere. Perché potresti ridiventare Mister Hyde da un momento all’altro e schiaffeggiarmi una risposta sarcastica.

- Marina? Non dirmi che hai una spasimante… Non mi avevi detto nulla! – lo pungola.

Gabriele scuote le spalle. Sembra indeciso. Andrea lo blocca contro il tavolo, le mani sulle sue e il volto che quasi lo sfiora. Qualche centimetro più giù.

- Andrea! – Gabriele solleva gli occhi al cielo; soffoca una risata – Marina è mia madre.

- Ah… – Andrea impiega qualche secondo a riprendersi.

Non che dubitasse – sa bene che fine hanno fatto i bellicosi progetti delle sue corteggiatrici; e no, non ci sono Isa, Sara o Blanche che tengano. È troppo sfacciatamente bello per passare inosservato, e da qui a spargersi la notizia che a lui piacciono i ragazzi punto e basta, ci sono stati vari episodi esilaranti.

- Chiami tua madre per nome? – incalza.

Gabriele annuisce.

- Le piace così.

- Non smetti mai di stupirmi – ridacchia Andrea, scuotendo il capo – Cosa dice?

- Nulla di particolare… – Gabriele distoglie lo sguardo, sibillino – Le ho detto che l’avrei raggiunta domani sera. Poi… c’è stato un piccolo contrattempo.

- Che genere di contrattempo? – Andrea torna a riprendere la sua postazione sulla scrivania, braccia conserte e sguardo inquisitore: la posa che non lascia dubbi.

Gabriele procede verso di lui con un mezzo sorriso che gli taglia la faccia. Quattro passi e gli è quasi addosso, le mani puntate sulla scrivania, alla sua destra e alla sua sinistra, a chiudergli ogni via d’uscita. Non che abbia intenzione di scappare…

- Un certo amico che rischia di spararsi quattro giornate in solitudine, Natale compreso. A quel punto mi ha fatto “no, ma ci mancherebbe, rimani con lui”. E non c’è stato verso di insistere.

- Dev’essere importante questo amico…

Gabriele arretra, punto sul vivo. È troppo astuto per darglielo a vedere. È una maschera d’acciaio.

- Quanto basta.

- D’accordo. Ma spiegami una cosa: hai un radar? Come facevi a sapere che…?

Gabriele sorride di nuovo. Sarà una sua impressione, ma non l’aveva mai visto sorridere tanto e così a lungo in una sola manciata di minuti. L’angolo della bocca che trema, gli zigomi leggermente appuntiti che si sollevano. E non è mai stato così bello.

Chi ha detto che le cose più belle siano perfette?

- Non pensare, Andre. Le pareti della tua stanza sono fatte di polistirolo. Il resto lo devo a un messaggio di Loria, che mi ha spiegato un po’ di cose. Santa donna.

- Cupido non ne sbaglia una.

Può rilassarsi: ha pensato a tutto lei. Come al solito.

 

* * *

 

- Gabri, tua madre è una forza.

Li ha salutati pochi minuti fa, portandosi via la chioma ramata acconciata in un migliaio di treccine, e un volto che è la copia femminile di quello di Gabriele. Stessi occhi nocciola ben incassati. Chissà quale bizzarra divinità ha deciso di creare lo stesso prodigio in duplice copia. Ecco da chi Gabriele ha preso quell’instancabile mania di destabilizzarlo e non dargliele mai vinte.

Gabriele scuote il capo, sorridendo.

- È stato imbarazzante.

Il momento di leggero “imbarazzo” è arrivato poco prima che madame Derossi togliesse il disturbo.

- Quindi non resti proprio, per cena? – le ha domandato Gabriele, caracollandole dietro fino alla porta.

Lei si è voltata, lo sguardo sibillino e un sorrisetto obliquo, simile e speculare a quello del figlio. Ha squadrato da capo a piedi prima Gabriele e poi lui, immobile al centro della stanza. Ha roteato gli occhi al cielo come a sottintendere qualcosa di malizioso. Poi ha preso sotto braccio il figlio e ha scosso il capo, ammiccando.

- Non essere stupido, sonny! Non è il caso…

A quel punto l’allusione è divenuta chiara come il viso di Gabriele ridotto a un tutt’uno con la tovaglia natalizia.

- Mamma!

- Marina, per te. Non farmi sentire vecchia e stasera divèrtiti. Divertitevi.

E si è portata via la sua scatola magica.

 

- …e poi cucina questi piatti vegan2 che sono la fine del mondo – aggiunge Andrea, proseguendo nella beatificazione di mamma Derossi.

- Ha preferito andare sul sicuro – risponde Gabriele, sciogliendosi da quel lieve nodo d’imbarazzo.

Andrea socchiude gli occhi. Se Gabriele non lo volesse più, potrebbe sempre farsi adottare dalla signora Marina come genero ad honorem e mandare al diavolo il resto.

Non contenta di aver messo al mondo Gabriele, atto per cui la ringrazierà fino alla fine dei tempi, gli ha recapitato lì la cena già pronta – hanno letteralmente raschiato il fondo delle pentole – e consegnato suo figlio su un piatto d’argento. Cosa potrebbe desiderare di più?

- Ti ha anche dato dei buoni consigli.

- Tipo rimandare la partenza e non mollarti qui da solo.

- Non era necessario… Cioè, voglio dire – Andrea si arrotola una ciocca di capelli intorno alle dita, soprappensiero.

Forse così è troppo, e Gabriele avrà il diritto di trascorrersi un paio di giorni in casa propria, tranquillo. Di respirare aria pulita.

- Non preoccuparti – Gabriele solleva gli occhi al cielo; ammicca – Non mi pesa. So com’è fatta mia madre e temo abbia capito tutto. Se facessi i bagagli e me ne rientrassi, mi rispedirebbe indietro come pacco postale. O mi costringerebbe a trascinarti via.

Ha capito tutto. Anche la madre di Gabriele che è stata con loro il tempo di una visita veloce. Tutti tranne loro.

Da una parte c’è Gabriele che tergiversa e si nasconde dietro a un dito. Cambia discorso e prende tempo. Dall’altra c’è lui che si perde in strane domande e giri di parole.

Cosa farebbe una persona intelligente, al mio posto?

Elena tesserebbe la sua ragnatela di affermazioni e negazioni. Stringerebbe le maglie, confondendo l’avversario fino a capire se il gioco vale la candela. E magari al dunque volerebbe via come un elfo dispettoso, per poi riprendere tutto da capo.

Isa metterebbe tutto nero su bianco. Giocherebbe su una raffinata seduzione, a carte scoperte, e darebbe di matto se le cose non vanno come dice lei.

Barbie gli sbatterebbe la scollatura sotto il naso – esempio da non seguire, specie se manchi dell’attributo fondamentale.

Alberti farebbe lo splendido.

Alex farebbe gli occhi da cucciolo bisognoso di attenzioni.

Riccardi non pervenuto. Ma lui non rientra nel novero delle persone intelligenti, quindi non fa testo.

Andrea si schiarisce la voce. Diglielo ora. O perdi ancora tempo.

- Mi giri una sigaretta?

- Tabacco?

- Ci mancherebbe altro…!

Sospira. Il coraggio che manca e le parole che si inceppano sul più bello.

E adesso ritenta: obbedisci. Parla ora o taci per sempre.

- Andre? C’è qualcosa che non va?

Quasi sobbalza.

- Assolutamente nulla.

Bugiardo. Hai una faccia su cui potresti cuocerci le castagne, e pure lui se n’è accorto.

- Hai bevuto troppo? Hai gli occhi lucidi.

Acqua.

- Uhm… – solleva gli occhi al cielo, Andrea: ora o mai più – Resti con me stanotte?

Spalanca gli occhi, in attesa di una risposta.

 

* * *

 

La penombra soffusa nella stanza, non hanno fatto che ballarsi intorno da quando il silenzio è calato e la luce è diventata pallida – o forse è un prodotto della sua immaginazione. È il momento in cui l’attesa si misura con il metro di uno sguardo o di una carezza.

L’ombra è così densa che gli sguardi non si allacciano come dovrebbero, e i legami vengono meno. È come una coltre di fumo. Il paradosso di sentirsi più vicini mentre si naviga nel buio.

L’ha baciato come per rassicurarlo, e si è seduto lì al suo fianco, sulla sponda del letto, a misurare le sue reazioni. Lui che continua a giocare con i suoi capelli.

Le magliette scivolano via, e c’è il desiderio bruciante di vederlo nudo – finalmente –, di tastare l’attesa in punta di dita. Ma lo sguardo continua ad arenarsi tra le pieghe del lenzuolo, a fuggire e a tremare in una sorta di incantesimo. Poi è scesa la notte.

Gabriele è strano. Si ravvia i capelli all’indietro e continua a contargli le costole. Ipnotizzante come l’effetto del docciaschiuma alla cannella a contatto con la sua pelle. Come il suo respiro che scandisce i secondi. Ha sempre quell’insolita mania – da che lo conosce. Cerca di assumere il controllo per non farsi toccare e non perdere la lucidità. Lo capisce quando si inginocchia davanti a lui, e la sua bocca lambisce il contorno delle anche, indugia intorno all’ombelico e più giù, a filo dei boxer.

Sei sadico perché lo sai, Gabriele, dannazione, lo sai, che potrei morire per una carezza al basso ventre, improvvisa, a cute scoperta. È come esporre le terminazioni più sensibili, senza un filtro per proteggersi.

Ha sempre pensato alla reticenza di Gabriele come paura di essere toccato. Di farsi male. Ora sembra preoccupato di scalfire lui, scalfirlo fino alle ossa e fargli male. Magari non adesso: tra una settimana, un mese o un anno. Di uccidere le sue difese e lasciarlo sguarnito.

Non è il momento di ribaltare le posizioni, di mettersi sotto i tacchi quelle fisime assurde. Andrea respira profondamente. Non pensa a mostrarsi troppo, all’effetto che può fare. È eccitato ed è giusto che sia così.

La lingua di Gabriele gli brucia addosso; ha iniziato a premere sulla sua erezione, ed è stato come una scarica elettrica.

Forse ha gridato, il respiro gli si è spezzato in gola – non sa bene. Si è morso le labbra e ha artigliato il lenzuolo, ed è sicuro di avere dipinto in faccia lo sguardo di quando sta per cadere in deliquio, vagamente strabico e prossimo all’incoscienza. Gabriele dice che così lo fa impazzire. Infierisce e continua a leccarlo. È il dio del sesso, del preliminare e del durante e del dopo. È stupendo, e lui vorrebbe abbracciarlo, ricambiare quelle attenzioni.

È il ragazzo, l’uomo che ha desiderato prima di rendersene conto. L’ha quasi odiato per la frustrazione di non poterlo avere, di non poter essere come lui. Invece adesso è lì, chino su di lui. Che gioca con le sue sensazioni, che lo tende come una corda e modella il suo respiro come una sinfonia.

Sospira. Lo sente in basso, una sorta di formicolio mentre sfiora la sua apertura. Lo sente quando entra in lui con mezza falange, ed è come smarrirsi, perdere la cognizione del tempo, di prima e dopo, del dentro e fuori di sé, perché lo attacca su doppio fronte, e il piacere diventa furioso.

Okay. Bandiera bianca, o mi consumo.

Andrea solleva la mano aperta in segno di resa. Aspetta. Stop. Fermo così. Respira e trema, il desiderio impellente di abbattere quei paletti immaginari tra loro e fare come Gabriele, che fa magie sul suo sesso proteso ma non si lascia sfiorare, come un gioco a moscacieca.

Gabriele si rialza. Ha il volto accaldato, i capelli umidi che gli piovono sugli zigomi – troppo caldo e troppe stelle, per una notte di dicembre inoltrato Le labbra arrossate incurvate in una strana espressione, lo fissa e attende la sua mossa.

Andrea sospira. Serra le palpebre quando le labbra di Gabriele gli si serrano sulla gola e gli strappano brividi.

Va tutto bene. Meravigliosamente…

Gli cinge le spalle, delicato, lo spinge contro il materasso, lo lascia distendere sotto di lui. È nudo ed è suo, entrambi liberi dall’ultimo schermo dei vestiti.

Andrea socchiude gli occhi, la mente pervasa da un leggero ronzio. Riesce a indovinare i contorni nella penombra, le anche, le spalle. La linea sottile che si inabissa fino all’inguine.  Si piega verso di lui, cavalcioni sui suoi fianchi. In silenzio, segue il contorno delle labbra, delle orbite scure dove si addensa l’ombra. I lineamenti del viso hanno un’impronta fragile, mentre lo sfiora con le dita per assicurarsi che non sia un miraggio. C’è ancora quella leggera cicatrice sul naso – lontano episodio di una porta sbattuta sulla faccia, un pomeriggio di quasi un anno fa lontano come un sogno.

Ti voglio. Anch’io saprò fare i miracoli.

Ansima, le sue labbra indugiano sul collo di Gabriele generosamente offerto al suo assalto, la carezza reciproca inguine contro inguine che lo fa trasalire come una lunga scossa, e quasi vede sprizzare le scintille.

Potrebbe fissarlo dritto negli occhi – se la tenebra crescente non foderasse la sua visuale – e scherzare con lui, chiedersi da quando e per quanto tempo abbia desiderato quel momento, vagheggiandolo con la mente. E poi puntualmente arrivava lo schiaffo, la doccia fredda di una realtà da ridefinire.

- Come va, Gabri? – una domanda banale, così, infilata tra una carezza e l’altra, lo sguardo che vaga nel buio per riallacciare il suo.

Come va ora e come andava un anno, un mese fa, e come sarà domani mattina, perché tutto perde consistenza.

Gabriele si limita a sorridere; senza preavviso, la sua mano scivola più in basso fino a sfiorare il suo sesso, sommando il contatto delle sue dita allo strofinio sul ventre.

- Sei sicuro?

Lo dice come se dovesse morire domani, come se non sia possibile tornare indietro. Andrea sospira. Darebbe ciò che possiede, per poterlo osservare dritto negli occhi, leggere nella piega sarcastica delle labbra: l’oscurità ottunde i contorni, ma è come averlo nudo sotto gli occhi e sotto il sole pieno di mezzogiorno. Può indovinare le luci e le ombre sul suo viso dalla sfumatura della voce, dal modo in cui lo tocca e cerca di portarlo al limite.

Chiude gli occhi, la razionalità che si sgretola – il giorno che cede il passo alla luna. Inarca la schiena mentre le dita di Gabriele indugiano dentro di lui, stimolandolo fino al limite.

Avrebbe voluto possederlo lui, entrargli dentro, sentirlo cedere e ansimare sotto il suo attacco. Ma forse è prematuro… Forse è troppo presto, le piaghe sono fresche, bruciano come fuoco.

E allora cedi il passo. Comincia tu. È ciò che ti riesce meglio tra tutte le cose: ti sei svenduto per una promessa evanescente, tempo fa, per il tuo orgoglio tracotante, per un posto in prima fila; ti sei innamorato, ti sei ossessionato, sei stato illuso e poi deluso. È stato così con Neri, che ti ha preso e gettato al vento.

Ora, vinci questa barriera. Vinci la guerra camminando sul filo del rasoio. Dimostragli che ce la puoi fare, che ce la potete fare insieme.

È su di lui e, con qualche sforzo di immaginazione, riuscirebbe persino vedere il suo volto.

La barriera è lì tra loro, l’ha voluta Gabriele, l’hai voluta tu. È l’eco lunga del malinteso, lo strascico di ferite dalla lunga rimarginazione. La bolla d’angoscia che vuoi gettarti alle spalle, disperatamente; la paura di mettere il piede in fallo. Di tergiversare in eterno e impantanarti nel terreno infido dell’equivoco.

Non è nulla di complicato. Lo pensa mentre punta le ginocchia – un passo in avanti –, si piega e si lascia andare su di lui. È sufficiente rilassare i muscoli e ascoltarlo mentre si fa largo nel suo corpo. Adagio. Gli basta sentirlo mentre va alla deriva e urla il suo nome, da qualche parte nella sua mente, e scrolla le anche; sospira e getta la testa all’indietro in una resa. Basta recuperare un barlume di coscienza e oscillare su di lui per dirgli ci sono, sono qui. Tranquillo.

Guardami, Gabriele

Poi è la deriva totale, una cascata di sensazioni, il calore insopportabile al basso ventre che si arrampica lungo la spina dorsale e spegne ogni altra facoltà. Fa quasi male, mentre si tende e muove i fianchi. L’istinto è di piegarsi su di lui, di unire le labbra alle sue prima di rovinare nell’incoscienza, un desiderio annebbiante che fa da cornice. C’è solo la sua bocca a sradicargli i baci, le mani che gli scorrono lungo la schiena, intorno ai fianchi, sulla sua erezione. Il piacere bruciante che gli fa strizzare le palpebre, disperato, come una lunga scossa; la consapevolezza che stanno facendo l’amore, confusi nello stesso sogno.

E non sa quanto sia durato. Sa solo che Elena aveva drammaticamente ragione. E pure la madre di Gabriele, che nemmeno lo conosce. Sa che ha appena avuto l’orgasmo più torrido della sua intera esistenza, e che Gabriele è con lui.

Accoccolato al suo fianco, i capelli bagnati che gli offuscano la vista, lo osserva. Gabriele si solleva a sedere e sorride. Gli scosta i capelli dagli occhi e si lascia andare, la fronte contro la sua spalla. Sospira e lo bacia, lo stringe a sé circondandogli la vita col braccio.

Andrea chiude gli occhi. È buio, e la notte è ancora neonata. Forse domani si sveglierà su un letto di rose, e non conterà più nulla, non i giorni che seguono con le loro strane complicazioni. Nulla, se non la consapevolezza devastante di essere insieme.


 

 

 

 

 

 

1 – ho tenuto conto dei tempi in cui si svolge la storia-madre in cui questa storia si situa. Attualmente dovremmo trovarci verso marzo 2009. Ho fatto un po’ di conti e, pensando alla scaletta che ho in mente, il 31 dicembre 2009 ne “Il bacio dell’aspide” dovrebbe essere successo di tutto e di più (e alcuni sono spoiler anche per me). Questa one-shot natalizia-ma-non-troppo potrebbe tranquillamente situarsi a poco tempo di distanza dai fatti attualmente narrati ne “Il bacio dell’aspide” – sembrerebbe una prima volta tra Andrea e Gabriele – ma così non è. Volevo tenere però l’ambientazione natalizia, tutto qui: insomma, è stata una licenza poetica.

2 – qui ci ho messo io lo zampino, e si sente XD

 

Doveva essere una shot *breve*, invece sono riuscita a creare un papiro come al solito XD (beh, speriamo almeno ne sia valsa la pena).

Ad ogni modo, l’idea mi è stata ispirata da Ichigo, a cui questa storia è dedicata, come regalo non più di Natale, ma della Befana! <33333

 

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Capitolo 2
*** Bonus Track 2 ~ La verità è che non gli piaci abbastanza (Andrea/Giulia) ***



Bonus Track 2

 

Titolo: “La verità è che non gli piaci abbastanza”

Genere: Commedia, Romantico

Pairing: Andrea/Giulia

Rating: n.c.17

Warning: linguaggio, lime, fluff.

 

 

ottobre 2008

 

Andre, devo farti conoscere una persona.

Ti piacerà.

Non sei tu che volevi mettere a tacere certe voci?

 

Andrea si fissa la punta delle scarpe. Annuisce senza entusiasmo. Poi Isa gli rivolge quel suo sguardo fiducioso, e da quel momento non ce n’è più per nessuno. Quasi: potrebbe diventare la sua parola d’ordine.

- Dai, ma guardati! – Isa schiocca le labbra: mani sui fianchi, determinata – Devi darti una svegliata: sai cosa dicono di te? Sei lo scapolo d’oro dell’istituto.

Sospira, Andrea. Questo è troppo anche per Isa. Troppo per trattenere una risata piena, a gola spiegata.

- Isa, basta! Da quando la mia reputazione è la tua ragione di vita? Non è qui che vuoi arrivare – e solleva gli occhi al cielo, meditabondo.

Isa si passa una mano tra i capelli rossi tagliati corti – l’ultimo capriccio in fatto di look.

- Ehi, lo dico per il tuo bene – sembra quasi seria, adesso – Giudica tu: metà delle mie amiche ti sbava addosso, i professori ti portano in palmo di mano, qualche invidioso ti dipinge come un tristissimo secchione…

Andrea solleva un sopracciglio, sarcastico.

- Ammesso che m’interessino i pareri cretini e che la mia vita sociale sia così da buttar via… cosa che non è, stai uscendo fuori tema.

- La domanda ufficiale è chi sarà la fortunata… – Isa sorride, luciferina: ha gettato il sasso, con noncuranza – Per il resto, ti manca solo il fan-club…!

- La domanda ufficiale potrebbe farsela solo qualcuno in vena di gossip. Tu, magari – Andrea si ravvia i capelli, distratto; poi la guarda dritto negli occhi.

Il momento della verità.

- Una domanda che tutte ci poniamo – lo corregge Isa.

- E quindi?

Isa volteggia su se stessa.

- Non lasci indizi. Sei sfuggente… Poi non lamentarti se le chiacchiere fioccano! A furia di fare lo splendido coi prof, diranno che ti piace Neri!

Andrea distoglie lo sguardo: di colpo gli sembra di essere a corto d’aria.

Okay, calma. C’è una parte di lui che freme per l’irritazione, l’altra si chiede se Isa stia affondando il bisturi di proposito o stia solo usando una mezza bugia per scoprire una mezza verità.

Ed è un pensiero che vorrebbe levarsi al più presto dalla testa. Lui e Isa sono amici: che lei non osi dirglielo chiaro e tondo, ma che il suo lato bisex, sotto sotto, la infastidisca, è il dubbio che vorrebbe schiodarsi dalla testa una volta per sempre. È una punta di amaro che gli serra la gola. E poi Isa capirebbe. Qualunque cosa.

- Senti, Cortesi, vieni al dunque. Vuoi combinarmi un appuntamento al buio?

- Macché appuntamenti al buio! – Isa si lascia andare ad una risata argentina che per un attimo dissipa i più oscuri sospetti: sono ancora in campo neutro, le congetture più nere scivolano nel vuoto – Okay. C’è questa mia amica che ti vorrebbe conoscere, le ho promesso che vi avrei presentati… Tutto qui.

Andrea sbatte le palpebre, nervoso.

Isa che fa qualcosa senza un fine?!

- Non c’è dell’altro, no?

- No, per oggi è tutto. Ego te absolvo.

- Non lo so, non lo so… Non mi piace – Andrea scuote il capo, scettico – La mia migliore amica mi reputa così sfigato da farmi da sensale.

- Che sciocchezza! – rilancia Isa, che pure si è illuminata quando le parole “la mia migliore amica” le sono rimbalzate addosso – Ho appena detto che sei una specie di scapolo d’oro…

- E la sora Camilla! Dai, torniamo seri! Non sono questo gnocco stellare… – incalza – Non mi chiamo Derossi… Vedi tu.

Sì, ha detto la parola magica. Derossi: lui è figo. E quasi esulta tra sé, perché ha visto le guance di Isa avvampare sotto il velo di cipria, le labbra arricciarsi in quello strano tic. Segno che è imbarazzata o ha colto un’allusione.

E non è un caso che ogni volta che il buon Derossi si aggira nei loro paraggi – il naso per aria e l’occhio lucido, perso nella contemplazione dell’infinito –, lei di colpo si trovi sprovvista, in ordine sparso, di: appunti della lezione del giorno prima, accendino, zucchero nella credenza, monetine per le macchinette, neuroni connessi.

- Appunto! – replica Isa, arricciando il naso – Non voglio che faccia la sua fine. Non devi buttarti a terra perché la francese preferisce il tuo bel coinquilino.

Andrea distoglie lo sguardo, punto sul vivo. Ha iniziato a tamburellare con le dita sulla ringhiera quasi senza accorgersene: capita, quando è nervoso.

Quanto diavolo ci mette quell’altra schizzata che Isa ha deciso di appioppargli?

Sospira. Urge un diversivo, perché Isa è buona e cara, e lui le vuole bene, ma la conversazione sta deragliando nella ricerca spietata dei punti deboli dell’altro. Neri, Derossi, Blanche e poi chissà cos’altro.

È vero che ogni tanto qualcuna gli lancia sguardi ammiccanti, qualcun’altra gli strappa un invito per un caffè, qualcun’altra ancora lo fissa come se non avesse mai visto un paio di jeans aderenti in vita sua; ma da qui a eleggerlo divo dell’anno, ce ne passa.

Alberti dice che la vera sfiga è la sua bellezza ottimamente compensata dal carattere di merda –quella volta l’hanno finita a cuscinate.

Sarebbe la madre di tutte le fregature, se Isa avesse ragione e davvero a Blanche interessasse Derossi.

Vuoi che tra donne non si parli di queste cose? Devi credermi: l’ho sentito con le mie orecchie!

E se davvero, con tante che – secondo Isa – se lo mangiano con gli occhi, l’unica che gli interessa davvero è proprio quella che non se lo fila, preferendogli il dannatissimo Derossi, è il colpo di sfiga del secolo. Questo l’ha visto con i suoi occhi, poche ciance.

Tutto quello che può fare è aspettare. Una snervante, incolore via di mezzo. Aspettare e sperare che la situazione si smuova senza sputtanarsi ulteriormente.

Si tira indietro i capelli, a un passo dall’isteria. La cosa peggiore fra tutte è che, ogni qual volta gli sguardi di Gabriele e di Blanche si incrociano – e lui si trova abbastanza nei paraggi da sentirne le vibrazioni calde –, non riesce mai a decidere a chi dei due dedicare la sua fitta di gelosia.

E poi, dulcis in fundo, entra in gioco lei, la sua migliore amica dalle facili soluzioni.

 

È lì ormai da mezz’ora, dondolandosi da un piede all’altro e dubitando ormai dell’effettiva esistenza della fantomatica amica di Isa, e alla fine eccola farsi viva in un tripudio di capelli biondo platino, annunciata da una cappa di profumo che gli fa girare la testa.

Silenzio imbarazzante e ancora niente di rotto.

Andrea sbatte le palpebre; guizza con lo sguardo da lei a Isa e viceversa, chiedendosi dove stia la fregatura. Osserva la nuova arrivata, le palpebre assottigliate in cerca di informazioni archiviate in qualche cantuccio della mente.

Lo scoprirai solo vivendo, cantilena una voce sottile nella sua testa; voce che, con un certo disappunto, pare proprio quella di Isa. Ancorata in fondo al cervello come un fastidioso grillo parlante.

Calma e nervi saldi. L’unico è sorridere e fingere di trovarsi lì per caso, perché una volta in ballo, tanto vale sforzarsi di farsi piacere quella musica. O almeno, sciogliersi dal voto di silenzio…

- Piacere, Andrea – esordisce, cercando di atteggiare il viso in un sorriso fraterno.

Ma si è mangiato le parole, e il sorriso è solo una pallida imitazione.

- Ciao, io sono Giulia – risolino imbarazzato – Isa non ha fatto che parlarmi di te…

Prima caduta. Andrea scuote il capo, a disagio: no, non ce la fa. In fondo la tipa può essere vittima almeno quanto lui dei tramacci della comune amica. O, viceversa, può aver stressato Isa tanto da strapparle quella specie di appuntamento combinato.

Andrea socchiude gli occhi: no, non ce la fa. Non è brutta ma non gli piace. A pelle. Alta quasi quanto lui, il viso tagliato con la squadra e una nota stonata nell’insieme: qualcosa che non è riuscito a estrapolare dalle descrizioni di Isa. Gesticola e non la finisce più di ondeggiare avanti e indietro, come se la camicia strizzata sul petto prepotente e i jeans incollati ai fianchi opulenti la comprimessero in una morsa. Incurante del suo silenzio stampa, ha ripreso a cincischiare su “Dov’è che ci siamo già visti”, “Isa di qui e Isa di là”, fissandolo con degli occhi che, più che osservare, sorbiscono dettagli.

- Posso offrirti qualcosa da bere?

Andrea si riscuote in un sussulto. Non ha atteso risposta, Giulia: l’ha abbrancato per un braccio e trascinato fino all’angolo bar. Non rimane che fulminare Isa con un’occhiataccia.

Prova a dire “oh, adesso vado, vi lascio soli”, e ti incenerisco. Non sono in vena di flirtare o respingere avances non richieste. Ho solo bisogno di un alleato per filarmela quanto prima.

- Vieni anche tu, Isa? – la esorta, tirandola per la manica.

Cosa cazzo le hai raccontato di me?

- Verrei… – Isa si stringe nelle spalle.

Andrea schizza in modalità “sguardo da cucciolo implorante”.

Giulia continua a scostarsi la frangia dal viso, accompagnando il gesto con qualche risatina e cercando a sua volta di stabilire un contatto visivo con l’amica.

Peccato che lui e lei intendano l’esatto contrario.

- Verrei, ma poi perdo l’autobus. Sarà per la prossima – si risolve; il tempo di sbattere le ciglia ed è già volata via.

Andrea si osserva intorno, smarrito. Un profumo familiare e un altrettanto familiare cinguettio, “Oh, Gabriele! Vai via anche tu?”, ed ecco il pezzo mancante. Isa ha trovato di meglio che reggere la candela all’amico sfigato, e l’ha mollato lì.

Si stringe nelle spalle: deve rimandare la resa dei conti, fingere indifferenza e concentrarsi sul drink che oscilla dentro il bicchiere. E sull’incognita con la parrucca bionda che Isa ha pensato di parcheggiargli tra lo stomaco e il pancreas per le tre ore successive.

 

* * *

 

- Allora, com’è andata? – Isa lo accoglie in camera sua con un’arruffata ai capelli.

Che hanno visto condizioni migliori.

- Hai una gran faccia da culo! – la investe.

Forse non è corretto appioppare giudizi dettati dall’irritazione del momento, dal sentirsi tanto un burattino nelle mani di Isa, gettato in pasto all’amica vogliosa. Ma non può farci nulla: Giulia non lo ispira. E con lei l’intera faccenda.

Isa invece è furba: schioccando le dita, si è levata di torno l’amica scassacazzo presentandole lui, l’amico fighetto, che a sua volta ha dovuto accontentarsi di quell’alternativa alla monacazione forzata.

- E tu sei simpatico come un calcio nei denti! – rincara la dose Isa – Insomma: ti faccio trascorrere una serata carina, e mi ringrazi così?

Fa la finta tonta! Andrea serra le labbra, incassando il colpo.

- Ti ricordo che hai a che fare con persone, non con i pezzi degli scacchi.

- Okay, scusa! Sono stata precipitosa… Ma sapessi quanto mi ha rotto le palle con questa storia! Mo’ il ghiaccio l’avete rotto, bene, e se son rose fioriranno. Arrivederci e grazie – ridacchia.

- Pensi di cavartela così? – Andrea sorride: se i patti sono questi, fuori ogni riguardo – Però immagini bene: è stata una gran serata – sta mentendo e, piccolo particolare, non convince neanche se stesso – Come la tua con Gabriele Derossi.

- Non parlarmene nemmeno! – Isa storce le labbra come se avesse appena addentato un limone – Un comodino ti dà più soddisfazione.

- Ma va’?… E io che ti avevo detto? – Andrea china lo sguardo, le dita impegnate a torturare le frange della sciarpa – Per me è anche un po’ colpa tua: lo intimidisci. Se continui a sbattergli sotto il naso questa cavolo di scollatura, quello prima o poi ci rimane secco.

- E tu sei un ingrato – borbotta Isa con un falso broncetto.

Tutto ciò che riesce a replicare Andrea è un gemito di dolore: ha abbassato la guardia troppo presto e l’ha compreso a sue spese, quando il tonfo di una sonora cuscinata l’ha centrato in piena faccia.

- Ahi! Sei pazza?

- Peggio per te. Dovrei sbatterti fuori solo per esserti presentato qui così, reduce da una scopata galattica. Spero che almeno ti sia fatto la doccia – lo incalza, la voce querula.

- Naturalmente.

- Ecco, vedi che ho ragione? – sul volto di Isa compare un ghigno trionfante – L’avete fatto.

- Grazie mille! – Andrea si lascia ricadere ai piedi del letto, la testa tra le mani – Meno male che era timida. È stato… imbarazzante.

Isa si sdraia sul letto con un sonoro cigolio di molle. Si sporge verso di lui, alle spalle, infilando le mani nell’ammasso senza capo né piedi che sono suoi capelli – variamente manipolati.

- Dettagli, voglio i dettagli! – gli tuba nelle orecchie.

- Cosa vuoi che ti dica? – Andrea scuote il capo, infastidito – Siamo andati al bar, abbiamo fatto un paio di giri. Abbiamo parlato un po’, pago io paghi tu… Morale della favola: si è fatta notte.

- Ho capito – Isa si rimette a sedere, gambe incrociate – Non vuoi darmi soddisfazione. Sei… freddo. Avaro di particolari appetitosi. Dimmi almeno che impressione ti ha fatto!

- Ma che ne so! – Andrea si stringe nelle spalle – Normale. Voglio dire…

- Ci hai provato tu, immagino – lo interrompe Isa, leccandosi le labbra – Lo spero per te.

- Ci sto arrivando… Eravamo un po’ su di giri, lei si è avvicinata. Mi ha detto che ero bello e mi ha baciato. Tutto qui.

- Certo, e io sono Jessica Rabbit! – le sopracciglia di Isa schizzano verso il cielo, il volto scettico – Non ci credo manco se me lo giuri, che… che è tutto qui. Devo insegnarti io? Sei troppo rilassato. Se non ci avesse provato lei, a quest’ora sareste ancora lì a rigirarvi i pollici.

- Mah, proprio rilassato non direi. Dopo siamo saliti in camera sua – Andrea ammicca, angelico.

- E ci avete dato giù come conigli – conclude Isa al suo posto – E adesso, magari, dopo che ti sei scaricato i nervi, ti fai una bella dormita, e domani spariranno i vapori maligni che ti rendono così acido e intrattabile.

- Nah, non l’abbiamo fatto – Andrea deglutisce, a fatica.

L’avremmo fatto, se io fossi stato un po’ più ubriaco, lei un po’ più praticabile e tu un po’ meno stressante.

- Ci siete andati vicino, almeno? – lo interrompe Isa: adesso quasi urla – Mi auguro abbia preso tu l’iniziativa.

- Ma chi se ne frega di chi ha preso l’iniziativa! – Andrea sbuffa – Comunque, fuochino… – cinguetta, enigmatico.

- L’avete fatto vestiti?

Andrea avverte una risatina isterica raschiargli la gola.

- Ma dove ti vengono certe idee? Fuochino…

- Ti ha fatto un pompino? – Isa dondola pigramente le gambe giù dal materasso.

Il viso da bambola di porcellana, la delicatezza di un camionista.

Andrea annuisce dal banco dell’imputato.

- Lo dici come se ti avessero appena rigato la macchina! – Isa solleva gli occhi al cielo – Anche se sembri reduce da Woodstock.

Andrea distoglie lo sguardo. Si è accorto troppo tardi che la faccia gli sta andando a fuoco.

- Vuol dire che in fondo, molto in fondo, mi è piaciuto, no? A un livello puramente fisico, mi è piaciuto. Non è mica colpa mia se non ci vuole così tanto per… Dai, ci siamo capiti!

- Non è tanto – sul volto di Isa compare un sorrisetto storto, equivoco – Ti conosco. Sei suscettibile.

Andrea solleva gli occhi al cielo. Isa adora metterlo a disagio, scavargli voragini nello stomaco, giocare con le sue debolezze. E quando capisce di aver fatto leva nei punti giusti, non molla neanche a pregarla.

- Lasciami indovinare… – miagola Isa, infilandogli qualche brivido su e giù per la spina dorsale con qualche studiata carezza alla nuca – La ragazza ci sa fare?

Andrea scrolla le spalle. Vuole bene a Isa, ma sarebbe fortemente tentato di chiederle cosa ci trovi di divertente nel rigirarsi le amiche intorno al dito mignolo per poi farle a pezzi. Cosa le dia la certezza matematica di stare così al di sopra da potersi accomodare con nonchalance sullo scranno del giudice inflessibile.

- Lo dicevo io, era la persona giusta! – Isa serra le palpebre, godendosi il suo primo trionfo.

Tutto come preventivato.

Andrea sospira, a corto di parole. Non può andarle a dire che, se fosse stato per l’odore pungente di lacca che la impregnava da capo a piedi, probabilmente non sarebbero andati oltre il primo bottone dei jeans.

Peggio, che l’unico vantaggio della pratica erotica scelta per coronare il loro incontro, è stata la possibilità di chiudere gli occhi al momento topico, ignorare la consistenza plasticosa di quei capelli e lavorare di fantasia sull’identità del proprietario della bocca che calava impietosa ovunque la sua pelle rabbrividisse al tocco; di quella lingua che infieriva sul suo sesso generosamente proteso, massaggiandolo dalla base fino al glande, fino a fargli vedere le stelle.

- Ha cominciato così…?

Andrea riemerge dal suo più fresco ricordo solo quando sente – dritta al traguardo come una scarica d’adrenalina – la mano Isa che gli scorre su e giù lungo il ventre in una blanda carezza. Lo massaggia in circolo e indugia maliziosa verso il bordo della maglia.

Il primo istinto è sottrarsi a quella grossolana provocazione. Non è la prima volta che Isa lo tocca. È sempre stato un gioco, un gioco stranamente gratificante, ma senza quella morsa d’imbarazzo.

Il secondo istinto è il leggero spasmo che gli guizza per la schiena, prima di assestarsi in una morsa rovente all’inguine. Decisamente suscettibile.

- Ehi, giù le zampe! – Andrea scarta di lato, sciogliendosi dalla stretta e rotolando sulla moquette.

Isa scoppia a ridere. Lei e la sua mania di avere tutto sotto controllo. Incluse le reazioni più prevedibili.

- Povero Andre… – gli ha battuto una pacca sulla spalla come un pegno di pace – Non ti ha soddisfatto, è chiaro: sei ancora elettrico e su di giri. Le darò una tirata d’orecchi…

Hai mai pensato che il problema, per caso, dico per caso, è che non era lei che volevo? Che non puoi appiccicare una soluzione a ogni problema?

- Okay, hai vinto – ha ceduto: forse è l’unico – Non è stata una serata da buttare, però mi ha lasciato un senso… boh, di vuoto. Di ripiego.

- Capisco – Isa sbatte le palpebre, fissandolo – Non eri in vena di incontri galanti. Succede. Non eri dell’umore giusto. Mi spiace per aver insistito… Pensavo che ti avrebbe tirato su. Non solo in quel senso.

- Non me ne parlare – Andrea si prende il capo tra le mani, le ginocchia strette contro il petto – Mi ha preso malissimo. È stato meccanico, inutile. Fisicamente squallido. E lei mi ha messo una tristezza…

Volevi accoppiarci come pezzi del servizio da the? Ora bèccati questa e sèntiti un po’ in colpa.

- La Giulia ha un carattere esuberante…

- Perché tiri in ballo le tue amiche e poi ci spali fango? – se l’è tenuta sul gozzo tutta la sera, e ormai la frittata è servita.

Tanto lo sai: non puoi temere rivali. E tra tutte, continuo a preferire te.

- Avevo omesso dei dettagli – risponde Isa, con petulanza – Non sono l’unica che lo dice. La Giulia è un bel troione. Ho combinato l’incontro senza pensare a cosa ne sarebbe venuto fuori. Mi dispiace.

- Capito – Andrea deglutisce, a fatica – Me o un altro, per lei non avrebbe fatto una gran differenza, no? Le bastava impegnare il pomeriggio. Soddisfare un capriccio.

Magra consolazione, ma meglio di nulla. Un problema in meno.

- Non proprio – Isa sgrana gli occhi, e Andrea avverte il gelo di un cattivo presentimento – Penso che tu le piaccia davvero.

- Ecco, mi mancava chiudere in bellezza la giornata! – ribatte.

E mima il gesto di spararsi qualcosa in vena.

 

* * *

 

- Isa, il problema è lei! Non mi piace abbastanza – sentenzia Andrea, seduto al tavolino di un bar all’aperto, un paio di sere dopo quel primo incontro disastroso.

Forse metterlo giù chiaro e tondo è la soluzione migliore. Fissa Isa negli occhi, interrogativo. Veloce, manda giù il suo caffè e si sente già meglio.

Non è una storia cominciata sotto i migliori auspici: è andato tutto storto sin da principio. Prima quell’impicciona della sua migliore amica, autoelettasi arbitro ad interim della sua vita sentimentale. Lei ci ha provato, ha cercato di affibbiargli qualcuno per forza, ed ecco i risultati.

Poi Giulia ha buttato il carico da undici. Le ultime gocce sono state, in ordine sparso, pestare i piedi perché non le va giù la sua amicizia con la francese – manco fossero sposati e con prole –, e bollare Derossi come sfigato per l’unica colpa di non aver concluso ancora niente con Blanche.

- Non mi piace che passi tutto il tempo con lei – l’aveva beccato, inacidita – Non mi piace come ti guarda. Non mi piace lei. Non piace nemmeno ad Isa e ad Alessandro. Ti fa l’occhio gattamortesco e ti rigira come un pedalino. Appena la vedi, dimentichi pure come ti chiami. Dovresti guardarti le spalle.

Lui le aveva risposto con un gesto stizzoso a supplire un sonoro non rompere e, col pretesto dell’ultimo secondo, era corso a rifugiarsi nello studio del professor Neri. Liberté. Una mattinata da relegare nel purgatorio delle cattive intenzioni.

- Come fai a dirlo, Andre? Sei prevenuto. Dalle una possibilità! – Isa continua a rigirare pigramente il suo caffè americano – Siete usciti insieme un paio di volte. Okay, il primo giorno eri scazzato per i cavoli tuoi. E passi…

Andrea scuote il capo, stordito. Vorrebbe seguire il filo del discorso e pure riordinare le idee, ma non la ascolta più. Qualche tavolo più in là, c’è Gabriele Derossi che si gira una sigaretta artigianale, gli occhi d’ambra bruciata fissi sul suo note-book inseparabile.

E poi un calore inspiegabile che gli monta fino alle tempie. Indugia così a lungo che Gabriele si volta e ricambia lo sguardo. Con fare interrogativo, come a chiedersi che non abbia un principio di paresi facciale. Lo scemo che lo fissa senza più battere ciglio. E lui lì, imbambolato, a ricordarsi com’è che si fa a tenere le labbra ben serrate.

Ecco, decisamente meglio incassare con filosofia la mezza figuraccia e riportare l’attenzione su Isa – chissà, magari un giorno riuscirà a parlargliene.

- Quante possibilità ci sarebbero, ancora? Siamo usciti un paio di volte e mi è bastato. Non stiamo insieme, voglio dire, non spargerò sangue innocente – si affretta a ribadirlo, prima che Isa si faccia strane idee…

Un fastidioso campanello d’allarme continua a chiedergli perché Isa tenga tanto a programmargli la vita nei dettagli, e perché sia così simile a una gatta attaccata dove non batte il sole. Ha intuito un lato del suo carattere che non conosceva e, onestamente, gli fa paura.

- Allora troncala qui e via! – ribatte Isa, infastidita – Un taglio netto e zero paranoie.

- È questo il punto – Andrea abbassa lo sguardo – Che cosa devo troncare? Non è successo niente. Assolutamente niente.

- Tranne appartarvi ogni tanto… – sul volto di Isa compare un sorrisetto spazientito – Un po’ più di ogni tanto.

- Ecco, è questo! – Andrea decide che è meglio fingere di stare al gioco – Mi sento un gigolo! Cosa dovrei dirle? Non me la sento più di uscire con te? “Uscire”! Evita di infilarmi le mani nei pantaloni appena non vedi nessuno nei paraggi? Comunque ti rivolti il concetto, è robaccia patetica.

- E allora fa’ come preferisci – Isa solleva gli occhi al cielo, esasperata – Continua a mentire a te stesso.

Già. Come se non l’avesse ficcato lei in quel pasticcio. E la propria inqualificabile coglioneria.

- Grazie del permesso, mamma – cinguetta Andrea con un ridicolo inchino e, nell’enfasi, il cucchiaino gli sfugge di mano, descrive un arco e cozza contro la superficie di marmo del tavolo.

- Facciamoci conoscere, mi raccomando! – Isa solleva gli occhi al cielo.

Andrea distoglie lo sguardo. Forse ha ragione lei: sta diventando un po’ nevrotico. Si osserva intorno; sorride, prova ad allentare la tensione e uscire dalla voragine di silenzio che ha seguito la discussione con botto, e che ora si è chiusa su di loro come una morsa. Ognuno è tornato alle proprie occupazioni, nessuno lo sta spiando. Eppure si sente osservato…

- Ehi, Andrea!

- Blanche!

Andrea scatta in piedi, le palpitazioni accelerate. Non può farne a meno, perché è come se la sedia bruci. Due parole. Due semplici parole hanno riscritto i confini della sua giornata. E il suo nome, su quella bocca, è il nome di un dio.

Potrebbe essere l’occasione di tirarsi fuori dal casino – Isa capirà; e magari finirà pure per accettare ciò che tenta di spiegarle da settimane. Certo, non è un buon inizio il gesto con cui si affretta a rivolgere lo sguardo da tutt’altra parte ed estraniarsi dal mondo, non appena la voce della francese entra nel suo raggio uditivo. Su quello ci lavorerà in futuro.

 

È accaduto troppo in fretta.

Le ha rivolto il sorriso smagliante che prova e riprova ogni sera davanti allo specchio.

Lei gli ha sorriso giuliva e si è passata una mano tra i folti capelli biondi – cascate d’oro brunito che piovono sulle spalle con grazia regale, tenute su in un vezzoso semiraccolto. Gli occhi, miti perle di fiume che irradiano il loro chiarore su di me, proprio su di me, e su un punto oltre l’infinito

Il vento non osa frustale il viso. Cammina spedita e accenna qualcosa con la mano.

Lui tenta di deglutire, ma la salivazione è a zero.

- Andre, se hai intenzione di sfiorare il collasso, fammi il favore di sederti! – gli soffia Isa, velenosa – Almeno i melodrammi possiamo evitarceli.

Andrea la ignora e muove mezzo passo verso Blanche. Un altro e poi un altro ancora: non è così difficile.

Continua a sorriderle fino al crampo facciale, fino a che, a sorpresa, Blanche gli lancia qualcosa sul tavolo – mancandogli per poco la faccia. Una roba simile ad uno straccio stirato e piegato in quattro.

- Il tuo foulard. L’hai lasciato su l’altro giorno – gli sussurra, beffarda, per poi rivolgere la sua attenzione da tutt’altra parte.

Andrea boccheggia, un improvviso senso di vuoto, come un pugno allo stomaco. E lei è già passata oltre la sua sagoma immobile.

- Ciao, Gabriele!

Lo scatto del portatile che si chiude, provvede a dargli un’idea più precisa sul pretesto d’importanza capitale che l’ha distolta da lui. Ignora il cigolio della sedia alle sue spalle e il parlottio diffuso, il desiderio di trasformarsi in una statua di sale e porre fine ai propri patemi.

Lei è il Bianconiglio che sempre gli sfugge. E lui è Alice.

A riportarlo bruscamente alla realtà è Isa che si schiarisce la voce.

- Maledetta gallina! – ringhia, dandogli di gomito mentre si lascia andare sulla sedia – Vi tiene tutti in pugno. Vi rigira come trottole! Arriva lei, e tutti a fare i cretini come se non se non aveste mai visto un’oca bionda! E tu sembri una gelatina, sbavi senza ritegno…

- ‘fanculo a Derossi! – riesce a sibilare tra i denti, dopo la doccia fredda.

Se non altro, è stato un toccasana per i suoi neuroni liquefatti. E ‘fanculo anche a Isa che, incurante del momento, passa direttamente alla predica.

- ‘fanculo a quell’altra deficiente, scusa! – gli fa eco – Se se ne fosse rimasta dove stava, non avrebbe rotto le balle a nessuno. Dai, Andre: non è successo nulla.

Per te, forse.

- Ma che rogna! – Andrea afferra il portafogli.

Le dita tremano, mentre conta gli spiccioli. La tensione è un blocco di ghiaccio che si scioglie e gli gela il petto.

Il tempo di pagare il conto e girare sui tacchi, trascinandosi dietro Isa.

- Ma cosa ci trova in quello lì? – ruggisce – Che cos’ha?

- Eh…! – Isa ridacchia, gli occhi che ruotano verso il cielo – Lo vuoi proprio sapere?

- Posso farne a meno – la interrompe, senza curarsi di essere scortese – E tu sei proprio un bel tipo: non vuoi ammettere che ho ragione, eppure sei qui e rosichi almeno quanto me. Derossi ti piace ancora. Dico bene?

- Forse sì – Isa si passa una mano tra i capelli, distratta – Ma almeno con te ci si diverte. Quello è un morto in piedi, è il maestro delle seghe mentali.

- Solo perché non te lo dà – la corregge, acido.

- Solo per… per tutto! È una statua di ghiaccio. Non ti scambierei con lui per niente al mondo. E spero che la stessa cosa valga per te… Non c’è biondina insipida che tenga.

- Che palle!

 

* * *

 

- Ne abbiamo parlato ieri, Andrea, e non è venuto fuori niente di buono. Cosa vuoi fare con Giulia?

Isa l’ha raggiunto in un buco di dieci minuti tra una lezione e l’altra e gli si è avventata addosso a mo’ di rapace.

- Niente, per ora – Andrea scuote il capo, sibillino.

La verità è che non ha in mente nessun piano. Lo scaricamento dell’amica ninfomane può aspettare. E Isa può continuare a cuocersi nel suo brodo, mentre la situazione sfugge alle sue previsioni infallibili.

Solo che poi viene lei. Giulia. Troppo presa dalla situazione, mentre lui glissa e non sa dire fino a quando l’impalcatura reggerà. Ogni mattina, puntuale, gli piomba addosso con l’entusiasmo alle stelle, gli schiocca il bacio del buongiorno ed è sempre pronta a trascinarlo in qualche bizzarra trovata – mai innocente. Lui annuisce, quasi sempre, perché in fondo è facile: basta staccare la spina e concentrarsi sulle sensazioni meravigliose, rigorosamente fisiche, che è in grado di dargli il corpo di Giulia strofinato con vigore contro il suo. Basta chiudere gli occhi e ignorare chi c’è dall’altra parte: al resto penserà lei.

Tutto dura il tempo di un orgasmo. Poi resta l’amaro in bocca e un senso di oppressione a cui non sa dare un nome. Perché illudersi di uccidere la noia in quel modo non è un bene per nessuno.

In compenso, Giulia ha l’argento vivo addosso. Quando non parlano.

- Beh, almeno insieme state bene – gli sussurra Isa, a bruciapelo.

Andrea trasale. Poi sente qualcosa raschiargli in gola, come una risata isterica, e per poco non le sputa il caffè in faccia.

È l’ultimo dei problemi, ma belli da vedere proprio no: potremmo scambiarci i ruoli e nessuno noterebbe qualcosa di strano.

La grande matrona e l’elfo dei boschi. Il fratellino minore e scemo.

Lei che gioca al tiro alla fune, lui che va per inerzia, ma prima o poi sbrocca. È chiaro, non è lei la persona che vuole, ma lei fa orecchio da mercante: le basta portare il suo grosso fondoschiena su e giù per l’Accademia, in bilico sul suo tacco dodici, continuare a “vedersi con qualcuno” e sfoggiare il ragazzino belloccio e più piccolo di lei come una borsetta firmata.

- Andrea, non fare cazzate! – Isa lo osserva con un’espressione insolitamente grave – Conosco quella faccia.

- Ti ho appena detto che non faccio assolutamente nulla. Più nulla di così si muore! Mi lascio trascinare dagli eventi senza metterci mano… – risponde Andrea, trasognato.

Non farà proprio nulla. Di sua iniziativa.

- Ehi, Andre – lupus in fabula, Giulia lo raggiunge di soppiatto e gli allunga una mano sul fianco nel tentativo di regalargli qualche brivido preliminare.

Cosa che, puntualmente, non accade.

- Ciao, Giulia.

- Abbiamo qualche minuto di tempo… forse – lo pungola, gli occhi castani accesi da una scintilla maliziosa.

E ti pareva che non avesse in mente qualcos’altro. Che so, una bella sculettata da qui alla macchinetta del caffè, o una bella dissertazione su “La dodicesima notte”.

- Giulia, te l’ho detto, qua è pericoloso – abbozzare una misera protesta è solo prassi.

- Ci sono gli spogliatoi al piano terra – ammicca lei, carica come una miccia inesplosa.

- Sì, brava. Vuoi giocarti la carriera per una cazzata da pivelli?

- Ma non ci va mai nessuno… – ha messo su una specie di broncio finto-contrariato, ma tra il dire e il fare ha intrecciato le dita alle sue e lo sta letteralmente trascinando giù per le scale.

Opporsi è inutile, perché Giulia ha braccia e spalle possenti e, per costringerla a mollare la presa, dovrebbe applicare uno strattone deciso. Perché la nebulosa di un’idea malsana gli sta baluginando nella mente.

Questa sarà l’ultima. L’ultima puttanata colossale in cui farsi tirare dentro. Poi, a denti stretti, le dirà che lui ci ha provato, che è stata la curiosità della loro prima volta; poi si è accorto che lei non gli piace abbastanza, e non se ne farà niente. Non sarà una tragedia greca.

- Eccoci qua. Belli tranquilli – Giulia si passa la lingua sulle labbra, la voce un miagolio dispettoso.

Andrea si osserva intorno, in cerca di vie di fuga. Mai si è visto scenario peggiore per certe pantomime: il tipico spogliatoio seminutilizzato sullo squallido-grigiastro, che puoi trovare in qualunque scuola o palestra, con le panche di legno addossate alle pareti, le docce nella stanza in fondo e una porta ad arco a separare i due ambienti. Una sinfonia di ruggine e ragnatele agli angoli e il chiarore malaticcio di un piccolo lucernario. Il cielo bianco sporco di una lontana mattina d’autunno che non hai voglia di andare a scuola e ti chiedi che razza di giorno è.

Un bruttissimo nido d’amore.

- Puoi dirlo forte – Andrea sospira, tirando fuori di tasca un pacchetto di sigarette spiegazzato.

Giulia drizza le antenne – senza nascondere un fremito di delusione.

Deve solo perdere un po’ di tempo.

- Non sapevo che fumassi – abbozza.

- Infatti, no… –Andrea quasi sputa le parole, insieme alla prima boccata di nicotina – Solo quando sono molto nervoso – forse capirà l’antifona… – Stasera ho le prove, non sono riuscito a mandare giù mezzo copione, e Neri mi farà un mazzo tanto.

Ancora silenzio. Denso come lo yogurt, come le nuvolette di fumo che volteggiano verso il soffitto, come la cappa di nebbia dentro le loro teste.

- Non pensi che ci sia un modo più… salutare, per scaricare i nervi? – cinguetta lei, allungando una mano.

Andrea si sottrae al suo tocco e scarta verso la parete. Finge di non aver sentito, la sigaretta che si consuma e scandisce i secondi.

Un’idea decente. Una, cazzo!

- Vieni… – incalza Giulia – Nel ripostiglio laggiù in fondo non ci saranno problemi – sorride – Ho le chiavi.

- No.

Nossignora. Negazione.

Giulia sgrana le palpebre, tanto che per un attimo il sofisticato movimento ciglia-spalle-fianchi tanto sexy e accattivante si inceppa, lasciando lì di fronte a lui una statua di plastilina con un’espressione stupida e qualche problema di sopravvalutazione.

- No?! – sillaba, stranita.

Frena, cocca: non sei irresistibile come credi. E se fossi cattivo, avrei qualche parolina da dire. Che sei peggio di una cozza attaccata allo scoglio: ci conosciamo da poco, e già mi soffochi con i tuoi “andiamo”, “facciamo”, “vieni qua”, “fai così”. Se volessi scendere ancora più in basso, accennerei che il trucco non basta a nascondere che hai una faccia da maschio, e strizzarsi dentro magliette ai limiti dell’oltraggio al pudore non rende più sensuali.

- Non ho nessuna intenzione di seppellirmi dentro l’armadio delle scope. Non mi va di nascondermi, non sono un ladro e la polvere mi dà allergia.

Storce il naso: forse può giocarsela senza cadere nel patetico. Perché più ci pensa, più i pensieri si attorcigliano, le parole si accartocciano in punta di lingua. E tutto scade nel nulla di fatto.

- E allora stiamo qua! – Giulia annuisce, spazientita – Ma poi non lamentarti se ci beccano… O magari c’è più gusto.

Non era un nascondiglio a prova di bomba?

Andrea richiude gli occhi, pregando che quella sigaretta duri il tempo di un’eternità. Giulia si comporta con lui come farebbe con un bambolotto gonfiabile.

Il punto è che potrebbe tirarsi fuori in qualsiasi momento da quella girandola assurda; solo che poi viene il gelo dell’apatia a inibire ogni decisione abbozzata, a rimettere in gioco tutto, illudendolo in un qualcosa di meglio nascosto sotto la superficie. Che nel frattempo Blanche si accorgerà di lui, e Gabriele smetterà di guardarlo come se lì di fronte a lui ci sia un completo imbecille.

Aspira l’ultima boccata di fumo, in attesa – dannate, non durano mai abbastanza.

- Il bello è che non fumavi! – rilancia Giulia, tanto per riempire il vuoto – Poi c’hai sempre quel diavolo di pacchetto in tasca…

L’avete finita di sindacare tutto ciò che dico e faccio, tu, Isa e la banda al completo?

Ancora una volta, meglio tacere ed evitare l’esplosione definitiva.

- Macché. Era l’ultima. L’ho fregata stamattina al mio compagno di stanza.

Ha omesso il particolare di aver curiosato di proposito tra le sue cose.

- E lui non dice niente? – Giulia intreccia le braccia sul petto.

- Cosa vuoi che dica… Dormiva. E poi, è così svanito che non se ne accorgerà mai.

- Scusa, Andre… – Giulia si fissa la punta delle scarpe: fa la timida! – Si può sapere cosa ci facciamo qui a parlare di Derossi?

L’ultima parola sputata via con una smorfia, come un boccone indigesto.

- Nulla, appunto.

Ha soffocato un’imprecazione, quando il mozzicone gli è scivolato via dalle dita ed è rotolato fino allo stipite della porta.

Chiude gli occhi e attende che Giulia copra la distanza che li divide. E subito arrivano le labbra sul suo collo, una mano sotto la maglietta a indugiare sui suoi muscoli contratti, sulla pelle tesa. E poi più giù, come uno strano animale che striscia.

- Mi piaci – gli sussurra, giocherellando distrattamente con la cintura dei suoi jeans – Anche se hai un carattere di merda.

Non sei la prima che lo dice.

- Grazie, eh… – sogghigna, accomodandosi meglio schiena contro il muro, mentre Giulia fa scorrere la zip verso il basso per scoprirlo quanto basta. Dove inizia la sua peluria più intima.

Giulia gli si struscia contro l’inguine, con voluttà. Silenzio.

Poi un fremito violento lo scuote, tanto da fargli reclinare la testa all’indietro, un subisso di sensazioni che culmina in un ansito soffocato. Si morde il labbro, a occhi chiusi, con la lingua rovente di Giulia che comincia a scorrere sulla sua erezione.

Sospira, Andrea. È il momento in cui calano le ombre, la mente si scollega. Può perdersi nei luccichii che gli balenano davanti agli occhi, vagare con la fantasia fino a immaginarsi là sotto il volto che desidera. Che è sempre immerso nel buio.

 

* * *

 

- Com’è andata? – Isa si allunga verso Giulia, sovrastando il brusio che vige in sala mensa e catturando la sua attenzione.

Si alza di scatto, caracolla dalla parte opposta della tavolata e si accuccia ai piedi dell’amica.

- È andata di merda – Giulia mette giù il bicchiere con una certa violenza – Pensavo volesse scaricarmi…

E invece non l’ha fatto. Di nuovo al punto di partenza. Isa si morde il labbro: a questo punto, meglio tutto. A un simile stillicidio. Pure un bel dramma della gelosia. Invece Andrea tergiversa, e sembra lo faccia apposta.

Un eccesso di pudore le suggerisce che è meglio stendere un velo pietoso e passare ad altro. Ma Giulia non pare dello stesso avviso. Maledizione…

- Si può sapere chi mi hai presentato? – inveisce – Ma che diavolo c’ha quello? Sta sempre con la testa per aria, risponde a monosillabi, fuma quando non vuole degnarti di uno sguardo, dice cazzate, aspetta la grazia celeste; scopa che sembra ti stia facendo un favore…

Isa china lo sguardo: il prezzo da pagare per aver tentato di mettere insieme i cavoli con la cioccolata, è sorbirsi in diretta lo sfogo di Giulia e perdere sensibilità agli arti inferiori.

- E almeno scopasse come si deve! – Giulia vuole rigirare il coltello, vuole il sangue – Non fa nulla. Nulla! Sta lì a pancia all’aria a fissare il soffitto. Se non prendi tu l’iniziativa, rimarrebbe così in eterno: clinicamente morto dalla vita in su. Isa, il tuo amico non è normale… Vabbè, è un tuo amico! – sguardo disgustato – Secondo me qualche problema ce l’ha. È finocchio?

Isa solleva gli occhi al cielo. Questione da archiviare al più presto.

- Non credo… almeno questo, no. Che io sappia, è solo troppo preso dalle baguettes – soggiunge con perfidia.

- Ah, ecco! – Giulia ridacchia, trionfante – Le baguettes! Avevo ragione, lo sapevo che c’era qualcosa non va! Dovevo capirlo da sola, come si squadra il culo di Neri…

- No, non intendevo quello! Un altro tipo di baguettes – Isa si solleva in piedi di scatto.

Guadagnandosi un principio di capogiro.

- Intendevo… – riprende – Che forse gli interessa ancora la francese.

- Geniale! – Giulia sembrava propensa a concentrarsi sulla pasta collosa della mensa, ma il solo menzionare la francese le ha fatto cambiare idea – Scommetto che lei non ti sta simpatica o non se lo fila, e tu hai pensato ad una soluzione di ripiego… La sottoscritta. La cretina. La donna-schermo. Senza chiedere pareri a nessuno – conclude con voce gelida.

- Non dare la colpa a me! – Isa salta su, piccata – Io te l’ho presentato, io ti ho fatto un favore. È dall’inizio dell’anno che mi fai una testa così con Nicoletti…

- Però potevi dirmelo, che non era normale! No, sul serio. Andrea Nicoletti: un uomo, un esaurimento nervoso. E non lo facciamo qua perché è sporco; e voglio stare sotto perché sono stanco, non voglio muovermi; nel ripostiglio no perché la polvere mi fa starnutire… E basta! Quello è una paranoia con le braccia e le gambe – Giulia serra le labbra: sembra sull’orlo di una crisi di nervi, la voce che trema e si spezza – E non guardarmi così, non hai sentito l’ultima…

Troppo tardi, perché Andrea è lì che torreggia a due centimetri da loro e sorride, placido come un gatto, le sopracciglia inarcate con disappunto.

- Che c’è di buono a pranzo? – cinguetta, affibbiandole una leggera pacca sulla spalla – Oh, spaghetti ai cazzi altrui – soggiunge, freddo – I tuoi preferiti.

- Andre… – Isa all’improvviso prova l’immane desiderio di ridursi alle dimensioni di una formica e dileguarsi sotto la tavola.

- Ecco. Fattelo raccontare da lui, cos’è successo! – incalza Giulia, cacciandosi una forchettata di pasta tra i denti e tirandosi fuori con nonchalance – Vuoi un indizio? Siamo sospesi.

Isa vorrebbe farne a meno, ma una risatina isterica le punge la gola. Finge di trovare divertente l’esibizione di Alberti nella parodia di Neri, ma qualcosa la obbliga a concentrarsi su Andrea.

- Che diavolo è successo?

Andrea intreccia le braccia sul petto, sul piede di guerra.

- Succede che ci hanno beccati in quel cazzo di spogliatoio – prorompe, lanciando un’occhiataccia a Giulia – E niente. Figura di merda e sospensione.

- Non era ciò che volevi? – gli sussurra Giulia, risentita – Beh, ti do una brutta notizia: non ti ha costretto nessuno…

- Eravate nudi? – s’intromette Isa, e uno scrupolo estremo le impedisce di scoppiare a ridere.

- Ma chi se ne importa? – Andrea si batte una mano sulla fronte, esasperato.

- Quel tanto che basta – sibila Giulia, lanciandogli uno sguardo equivoco in direzione della cintura.

- Nicoletti, sei un caso disperato!

Isa si volta. Alessandro ride fino alle lacrime.

- No, non scherzo… È bellissima! Rimarrà negli annali: Nicoletti il Grande, l’imperatore del sesso nell’ora buca!

Isa si osserva intorno. Mezza tavolata ha gli occhi puntati su di loro. Al suo fianco, Andrea recupera la calma per miracolo. Rilassa le spalle e osserva tutti i presenti, interrogativo. Alessandro che si asciuga le lacrime e si riaggiusta gli occhiali sopra il naso; Giulia sul punto di incenerire tutti. Qualche tavolo più in là, Gabriele e Blanche, Mimì e Cocò: lei ha l’aria di non aver capito una mazza –una novità…! –, lui fissa Andrea in tralice, l’aria di chi è costretto a dividere la sala da pranzo con una manica di imbecilli.

Andrea ricambia il suo sguardo con un mezzo sorriso e un cenno di saluto, prima di riportare lo sguardo su di lei, su Giulia e su Alessandro e su coloro che attendono la fine della storia. Poi, senza preavviso, scoppia a ridere. E non si ferma neanche subito. Si accascia nel posto libero accanto al suo e scioglie la tensione.

- Cosa ci trovi di divertente? – Isa gli dà di gomito quasi per rassicurarsi che non si sia bevuto il cervello – Credevo volessi strangolarci fino a pochi secondi fa.

- Niente… – Andrea si serve di una lunga sorsata d’acqua, il respiro ansante.

A lui il cibo della mensa fa troppo schifo. Snob fino alla punta delle orecchie.

- È che nessuno si è ancora chiesto chi effettivamente ci abbia scoperto – ammicca.

- Un professore.

- Fuochino… – Andrea distoglie lo sguardo – Uno sì. Era Neri. Fabio Neri.

E adesso, ti supplico, abbi la grazia di arrossire.

- Oh, ci siamo fatti una lunga chiacchierata – prosegue – Non era incazzato. Il punto è che lui è un insegnante e deve fare il suo dovere. Ce la caveremo con un buffetto sulla guancia, vedrai.

- Vedo che si sta rivelando un’amicizia utile… – Isa gli scocca un’occhiata dispettosa.

Essere un leccapiedi con un sorriso da mozzare il fiato ha i suoi vantaggi. E Neri, se potesse, se lo papperebbe nudo e crudo, lì seduta stante, come un piatto di sushi. Ci scommetterebbe l’oro del mondo.

- Già. Se fosse capitata la Longoni, saremmo volati giù dalla finestra. Gli altri “visitatori” erano Derossi e Blanche. Non so cosa ci facessero…

- Ommiddio! Derossi… e la Cosa! – Isa trattiene un singulto di smarrimento – È questo che volevi? L’hai ottenuto. Pensavi di ingelosirla… Ma anche no. Secondo me hai solo vinto la figura di merda del secolo.

- Nah, non direi – Andrea si fissa la punta delle dita, annoiato – Ho il dubbio che dopo questa scossa mi vedrà con occhi diversi. Ci siamo fatti quattro risate. Il coitus interruptus…!

- E con Giulia, come pensi di metterla? – gli soffia, attenta che l’interpellata non colga i suoi maneggi.

Perché stavolta potrebbe appenderla per i capelli.

- Rimandato a data da destinarsi.

- Cioè? – Isa sbatte le ciglia, stordita.

Andrea sembra calmo e padrone di sé. Si stringe nelle spalle con aria innocente. Gli è pure passato lo scazzo. Oppure Neri gli ha offerto da bere.

- Mi ha detto di andare a farmi fottere – le confessa con voce candida.

Isa si scioglie in un sospiro di sollievo. Almeno, adesso torna tutto a posto. Tutto di nuovo al punto di partenza e da definirsi.

 

 

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Capitolo 3
*** Bonus Track 3 ~ Voci spezzate (Andrea/Giulia/Sara) ***


 

Bonus Track 3

 

 

Titolo: “Voci spezzate”

Genere: Introspettivo

Pairing: Andrea/Giulia/Sara

Rating: n.c.15

Warning: angst, linguaggio, threesome (accennata)

 

 

novembre 2008

 

Non credo esattamente di detestarlo, dopotutto. Il mio coinquilino, Nicoletti. Cerco almeno di contenermi. Ma non quando me ne rientra alle due di notte, e ci fosse una sola volta che fa in modo di non svegliare mezzo quartiere.

Tu sei lì e cerchi disperatamente di prendere sonno. Conti le pecore, gli ornitorinchi e le volte in cui lui ti ha fatto girare le palle; fingi di sentire le onde del mare, che la luce dei lampioni sia la luna piena, il tuo letto un oceano d’ovatta in cui sprofondare… sempre più giù.

Invece no: ci pensa lui. A farti schizzare fino al soffitto.

Se non sapessi che tipo è, direi che lo fa apposta. A fare più casino possibile.

Lo sento. Le chiavi che girano nella toppa, uno strattone improvviso. Il clack della maniglia. Posso solo aspettare e anticipare ogni singolo movimento.

Andrea, tranquillo: stiamo lavorando per te – addio, Morfeo: è stato un piacere.

La porta che sbatte e mi rimbomba nella testa, perché è notte e ogni percezione si taglia con il coltello. Ci siamo quasi.

Gli anfibi da cinque chili l’uno sbattuti giù accanto alla porta come se gli bruciassero. No, non fa come tutte le persone normali che casualmente rientrano all’ora che gli fa comodo e casualmente dividono la propria residenza con altri… Ci mancherebbe. Lui ti si deve scolpire nella testa.

Okay, calma. Non è successo nulla. È stata un po’ di corrente. Adesso il tutto è serrare le palpebre e fingere che la luce del suo cellulare sia un prodotto dell’immaginazione.

Lo sento mentre smanetta sulla tastiera e ridacchia tra sé. Forse si è bevuto il cervello. Oppure parla al telefono, non riesco a capire – figurarsi quello che dice.

Adesso striscia fuori dalla stanza. Forse è stato un falso allarme, forse non c’è pericolo di trovarsi centrati in piena fronte da uno degli anfibi di cui sopra.

Un attimo, e lo scroscio familiare della doccia ridesta la mia attenzione. Il profumo del suo bagnoschiuma gusto di arsenico si spande in tutta la stanza. Incrocio le dita: magari finirà la sua benedetta doccia, se ne andrà a letto senza colpo ferire, e tutto finirà qui.

Spero non riprenda a parlare nel sonno. A buttarmi in faccia i cavoli suoi contro la sua stessa volontà. È… grottesco. Le cose che non sai di lui, tipo con chi scopa, te le ritrovi spiattellate sul muso senza che gliele abbia chieste. Alcune possono rivelarsi pure interessanti.

Penso di detestarlo, almeno un po’: glielo devo. È che è più forte di me. Avete presente un gatto acciambellato sulla poltrona che socchiude gli occhi e vi ignora per libera scelta? Ecco, peccato che i gatti sappiano farsi perdonare, al contrario di lui che ce la mette tutta per rendersi indigesto. Per non farti dimenticare con troppa facilità che condividete lo stesso pugno di metri quadrati.

È rientrato in camera. Perfetto: posso premere la faccia sul cuscino e fingere di dormire. Il suo letto è a pochi passi dal mio, il suo regno oltre il séparé e un piccolo armadio messo per traverso. Se apro gli occhi posso scorgere la lucina malevola del suo cellulare che lampeggia. Almeno la buona grazia di settarlo in modalità silenziosa…

No, che dico? Fosse finita qui…! Stavo per riaddormentarmi, ma in capo a qualche minuto il clangore della maniglia ha mandato a ramengo le più rosee previsioni su una notte all’insegna della pace dei sensi. Tragico errore d’impostazione. Perché, prima che me ne renda conto, due figure scivolano nell’ombra e, un istante dopo, è tutto un brulichio di risolini soffocati e molle del letto che cigolano.

- Andrea! – un sussurro.

- Sssttt!

Non so se facciano più casino loro a girargli intorno come trottole e bisbigliargli nelle orecchie, o lui che cerca di imporre il silenzio. E ridacchia. Sembrano ubriachi come spugne.

La curiosità è tanta che non posso fare a meno di aprire un occhio, con prudenza, e portare il mio sguardo oltre la piega del lenzuolo. Oltre il séparé che è lì solo di nome, e la schiena di Andrea. È lì, mi dà le spalle, avvolto nell’accappatoio. L’oscurità non è tanta da impedirmi di distinguere i contorni, le ombre che si addensano e la luce che emerge per contrasto, facendo guizzare la sua figura. I suoi capelli.

Ci sono anche loro, naturalmente. Una è Giulia, la bionda vistosa che gli sbava dietro dai tempi di Noè: posso distinguere il profilo della mascella forte. Si porta alle sue spalle tutta pimpante, ben intenzionata a lenirgli il principio di emicrania post-sbronza con un bel massaggio alla nuca. Poi, di botto, interrompe le manovre e si gira verso di me. Ho appena la prontezza di trattenere il respiro e sforzarmi di diventare un tutt’uno con il materasso, ma qualcosa di inspiegabile mi spinge a ricambiare il suo sguardo oltre lo schermo delle ciglia.

- Andre, ma con lui come la mettiamo?

- Oh, Derossi! – Andrea accenna a una risatina.

Poi ci ripensa e quasi si soffoca.

- Dorme… forse.

Non posso vederlo, ma sono sicuro che sta ammiccando.

- E quindi?

- E quindi… niente. Fa’ finta che sia un soprammobile o qualcosa del genere. Non è poi un grande sforzo… – altra risatina, una punta maligna.

Più tardi. Lo ammazzo più tardi. Aspetto che faccia giorno e gli salto alla gola.

Non lo so, davvero, non so cos’è che mi trattiene da scaraventarli giù per le scale.

- No, dai! – altra voce soffusa; stavolta riesco a malapena a capirne la provenienza – Io con uno che mi guarda, non ce la faccio proprio.

- Ti dico che dorme! – Andrea e la solita delicatezza da elefante nel negozio di cristalli – Sarà fumato come sempre, col cazzo che si sveglia! Manco le cannonate!

No. Penso che non aspetterò a domattina. Adesso mi alzo e lo soffoco col cuscino. Caccio via le due arpie e mi occupo di lui.

- Ma almeno è vivo?

Sara, ecco chi è la terza furia. Un po’ di tempo fa ci provava con me. Poi Isa ci ha messo lo zampino e litri di veleno, e da allora l’unico contatto umano si limita alle sue risatine alle mie spalle. Come se l’associazione di idee Derossi - gay sia il gotha della comicità.

- Ma chi se ne frega! – sbotta Andrea, acidissimo.

Punta le mani sui fianchi e scuote la testa, contrariato – adesso, in controluce, è quasi distinguibile; e anche se non la vedo bene, posso immaginarla, la sua gran faccia di cazzo. Forse teme che per stasera gli si neghi l’osso da addentare, il principino, e non vuole andare in bianco. Deve apparire figo, sfacciato e sicuro di sé: è nelle regole del gioco. E lui è uno di loro: non può sfigurare.

Adesso ridacchia, la voce strascicata che promette catastrofi.

- Secondo te mi importa qualcosa, se ci vede? Che scopiamo alla faccia sua? Per me ci può crepare, su quel letto!

No, questa decisamente no.

Silenzio di tomba. Gelo. Non si è mossa una piuma, da quando ha parlato. Persino le due gufe impagliate sono rimaste pietrificate ai piedi del letto… O forse è la mia impressione. La fitta al cuore mi fa rivivere le sue parole all’infinito, come una moviola impazzita nella mia testa.

E tu calma, Gabriele. Adesso, calma. Lo scalpo glielo fai più tardi. Più tardi. Adesso ti concentri e provi a ricordarti com’è che si fa a respirare normalmente. È facile: a furia di frugare, qualcosa verrà in mente. Sta’ calmo. Niente gesti avventati, niente piazzate improduttive.

Il fatto è che una coltellata allo sterno sarebbe stata una morte più dignitosa – più immediata e meno crudele.

No, non era abbastanza. Non era abbastanza innamorarmi di un deficiente contro la mia volontà.

Non era abbastanza che suddetto deficiente mi levasse il sonno, e lo facesse pure portandosi dietro le fortunate di turno per una pomiciata d’onore.

Non era abbastanza stare lì a guardare, o almeno a sentire, l’imbarazzo come una camicia di forza: troppo, per alzarmi e dirgli di andare a scopare da un’altra parte: mi avrebbe dato dello sfigato invidioso, del moralista complessato, e avrebbe fatto spallucce.

Non era abbastanza usarmi come antistress personalizzato, affondare le unghie nella carne scoperta e pregare affinché mi smaterializzi all’istante dalla sua vista, da questa stanza o dalla faccia della terra, così che lui possa coltivare i cazzi suoi in santa pace.

È importante che lui si rotoli nel letto con le due sgallettate raccattate chissà dove, e dimostrare urbi et orbi che, maledizione, lui non è mica gay, come qualcuno inizia a sospettare. È questo: cancellare le impronte ora che la frittata è fatta, e lo sa lui e lo so anch’io. Deve destreggiarsi nel suo nido di vipere, e poco importa di chi si metterà sotto i tacchi.

Fottuto ipocrita. Fottuto pagliaccio che non ha nemmeno il coraggio delle sue azioni: preferisce delegare ad altri, imbastire una farsa perenne, muoversi nell’ombra e persino pugnalarti. Marciare sul tuo cadavere.

Calma, Gabriele.

Cos’è quel tic improvviso che ti contrae i muscoli della faccia, cos’è quel formicolio alle palpebre, quelle lacrime senza senso?

Non è successo niente. Un fottutissimo niente.

Ti è entrato qualcosa in un occhio, è così, può capitare a tutti. Pure con la faccia sepolta sotto il lenzuolo. Non è successo nulla. Quelle non sono lacrime, e Nicoletti non ha mai parlato, non ha mai pronunciato il tuo nome. Non è mai esistito.

Adesso, da bravo, ti asciughi il muso, e tutto torna magicamente come prima.

Posso davvero creparci su questo letto, perché tu te lo faccia succhiare in santa pace?

Non so se domani mattina sarai dello stesso pensiero. Non so chi sei, Andrea. Quale dei due? Sei una scatola chiusa. Non so se è vero quel sorriso, quel “buongiorno” che mi sputi in faccia ogni mattina, o se è questa la tua vera faccia. Dell’uomo che non deve chiedere mai. Che segue le regole del branco e non sgarra. Che se ne frega di tutti e ti pugnala a morte quando gli sei d’intralcio, pure per motivi banali. Deve vincere come uomo, schiacciarti sotto le scarpe.

Vaffanculo.

Cos’è, cos’è questa stretta al cuore? Questo gelo in fondo allo stomaco che mi impedisce quasi di respirare?

Sto male, scivolo più in basso e ho paura che stavolta non passerà più. Il morso che non se ne andrà mai: resterà lì, come un nodo allo stomaco, come un ammasso di ghiaccio stretto intorno alla gola.

Ho voglia di scaraventarlo contro il muro, Nicoletti. Di fargli male. Di sputargli in faccia e dirgli quanto mi fa vomitare lui e la sua corte di serpenti. Si acquattano sotto i sassi e ti mordono a tradimento. Pretendono che il mondo si modelli al loro modo contorto di leggere ciò che li circonda: è tutto troppo insignificante per meritare la loro attenzione, il loro rispetto. Non si accontentano di punzecchiarti, di guardarti dall’alto in basso: devono farti sentire merda, spogliarti di tutto. Sei una piccola pulce che ha osato incrociare la loro strada e interferire.

Hai mai giocato pulito in vita tua, Andrea? Sei mai stato coerente con te stesso? Di’ che ti sto sul cazzo, e facciamola finita qui: non nasconderti dietro la tua faccia pulita. Non giocare al gioco di chi non ti conosce, ma ha puntato il suo regno su di te. Tu non sei come loro. Sei semplicemente peggio.

 

Non so quanto sia durata. Non so quanto tempo è passato, cercando di soffocare il respiro contro il cuscino. Non posso sussultare senza controllo, non posso muovermi. L’unico imperativo, categorico, è ricacciare indietro quelle quattro lacrime inutili e smetterla di rendermi più patetico di loro. Vorrei piangere, ma dopo starei peggio, la stretta al cuore non se ne andrebbe. Con l’aggravante che dovrei ammettere a me stesso fino a che punto mi sia legato mani e piedi ai suoi mutevoli stati d’animo.

Nicoletti non piange per te. Nicoletti è la copia sputata dei bulli del cazzo di cui si circonda, e calpesterebbe sua madre pur di soddisfare un capriccio idiota. Non sono diversi.

- Senti, Andre… Se vuoi, camera mia è libera.

Mascellona ha parlato. Pensate a Ridge di “Beautiful” con una parrucca ossigenata, e avrete lei. La tirapiedi di Isa, la principessa ereditaria. La odio: giuro che non mi ha fatto nulla – almeno, che sappia –, eppure mi dà un senso di viscido.

- Non potevi dirlo prima? – Andrea salta su come se qualcosa gli abbia punto le chiappe.

Spero uno scorpione.

- Andiamo?

- Il tempo di vestirmi… – di nuovo lui, sarcastico.

Scazzato come se stesse facendo un favore all’umanità nel portare il suo preziosissimo culo fuori di qui.

Due secondi due, e sono già scomparsi – trascinano i piedi e si tirano la porta alle spalle. Con la loro selva di mormorii idioti.

Adesso posso respirare. Urlargli di andare all’inferno.

Non riderei al tuo posto, Nicoletti. È divertente comportarti da stronzetto sbruffone ventiquattro ore su ventiquattro, come una brutta parodia di se stesso? Un vigliacchetto senza palle, buono solo a sputare dall’alto della torre, disposto a cedere il suo corpo al miglior offerente per dimostrare di non essere un “anormale”? Di non aver nulla da invidiare a un Alberti qualunque? C’è solo del patetico. Del patetico da sommarsi al ridicolo.

Potrei dormire, adesso. Se questa costrizione al petto se ne andasse. Mi ha preso e non va più via. Sto da schifo. È come un nodo d’angoscia, un ribollio nauseante. Posso contare gli schiaffi che Nicoletti meriterebbe, e cercare di dormire. Oppure dimenticarmi che esiste.

‘fanculo.

 

* * *

 

Andrea ha appena fatto capolino in camera. Allora esiste davvero: non faceva parte dell’incubo. Maledetta insonnia… Devo essere crollato alle prime luci dell’alba, e adesso eccomi qui. Più morto che vivo alle sette meno un quarto di un mattino da condannati.

Detesto l’idea che il fango uscito dalla sua bocca abbia avuto la forza di scalfirmi. Non così. Non da ridurmi gli occhi a due fessure gonfie e la voglia di mettere il naso fuori di qui ai minimi storici. Preferirei morire.

È appena rientrato dalla sua notte brava, una faccia da pesce lesso indescrivibile, palpebre calanti, occhiaie fino alle ginocchia, capelli sconvolti. Ma se io sembro pronto per il suicidio rituale, lui sprizza adrenalina da tutti i pori e ha solo una faccia da sonno, la faccia di chi questa notte se l’è goduta, di chi sa stare al mondo, di chi sa scendere al giusto compromesso con la giungla che lo circonda.

Non so come sia finita con quelle due e non voglio nemmeno saperlo. Mi è bastato il breve fotogramma sui capelli biondi di Giulia sparsi sul suo petto. Il risucchio inconfondibile di un succhiotto e gli ansiti in sottofondo. Poi si sono fermati, hanno raccattato i loro stracci e tolto il disturbo.

- Fumi già di primo mattino?

Obbedisci, Gabriele. Continua a guardar fuori dalla finestra. Non ha parlato veramente, lo stronzo. È solo frutto della tua immaginazione, è il vento, e tu hai sentito male. Voci lontane, uno strano miagolio. E questo è fottuto, comunissimo tabacco.

Non ho abbastanza stomaco per guardarlo negli occhi: solo di sibilare contro il vetro che mi fa da specchio, e studiarmi la sua faccia.

- I cazzi tuoi, mai? – uno stappo secco, stavolta: come estrarsi un dente.

- Ehi! – Andrea trasale; sembra spaesato – Mi dici che ti ho fatto, stavolta?

Solleva un sopracciglio e sembra chiedersi se non abbia capito male. Però ha mosso un paio di passi indietro, come se temesse l’esplosione. Non è abituato a essere trattato come l’ultimo degli stronzi, lui.

Non ti avvicinare, Andrea. Non fare un altro passo.

Cosa mi hai fatto…?

- Non ti senti bene? Ti sei svegliato con lo scazzo in tasca?

Sì, scherza pure, bravo… Magari lo fa apposta. È così: lo fa apposta. O è cretino senza rimedio.

Non dire altro, Andrea. Perché qualunque parola è superflua. Per non dire nociva.

In silenzio, sfilo davanti a lui. Afferro la borsa con uno strattone e punto verso l’uscita. Non ho contato i passi. Ho evitato la sua faccia fino a farmi violenza fisica. E non gli ho rivolto parola.

- Gabriele, mi aspetti? Mi spieghi perché ce l’hai con me?

Chi ti ha detto che ce l’ho con te? Mi piacerebbe vederti spiaccicato contro il vetro, sarebbe molto estetico. Ma ti giuro che non ce l’ho con te.

Chiudo la porta. Solo per miracolo non gliela schianto sul muso: non ho calcolato bene i tempi, e quasi mi dispiace.

Aria, finalmente.

Non mi seguirà in corridoio e giù al bar: è molto presto e non c’è ancora nessuno in giro, ma metti che lo veda qualche suo amichetto e pensi che si stia rammollendo. Socializzando con dei comuni mortali…

C’è un silenzio strano, una cappa lattiginosa che ti spara in faccia luci e colori in un impasto confuso, ogni suono amplificato dal silenzio irreale; tanto che mi pare di sentirlo accasciarsi contro la porta chiusa. Un debole tonfo contro il legno, come se si fosse lasciato andare di peso, fino a terra – posso vedere la sua ombra dalla fessura in basso. Respira contro il muro – lo sento come se mi respirasse addosso.

Nella nebbia che mi imbroglia la mente, un sospiro al di là della barriera. Una specie di singhiozzo e un fremito, come se tirasse su col naso. La sua voce arriva spezzata, ovattata oltre il legno, ma intensa come uno schiaffo.

- Mi dispiace…

No, Andrea, non ti dispiace. Troppo tardi. Stavolta hai scelto tu.

 

 

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Capitolo 4
*** Bonus Track 4 ~ Gatti neri e capelli viola (Alex/Isa) ***


 

Bonus Track 4

 

Titolo: “Gatti neri e capelli viola”

Genere: Romantico, Introspettivo

Pairing: Alex/Isa

Rating: rosso

Warning: lemon, crack-pairing

 

Scritta per la sesta edizione del p0rn-fest.

 

 

maggio 2009

 

Capelli viola, viola melanzana senza sfumature, un pugno in un occhio incastrato tra il pallore trasparente del suo viso e il nero inchiostro dei vestiti di plastica consunta. Si scosta i capelli dalla faccia, mentre si serve in tutta calma di una generosa boccata della sua solita sigaretta al trinciato rollata male. Una ciocca ribelle gli spiove sulla fronte, a sottolineare quell’aria vagamente dark-barra-emo-barra-punk dal retrogusto effeminato, l’insegna dello Chat Noir che riversa il suo chiarore al neon su quei capelli da pazzo, sulla pelle che quasi rimanda indietro il bagliore azzurrino della sagoma di gatto stilizzata che lampeggia sulle loro teste.

È quasi simile a quello che ha tatuato sulla scapola sinistra, la camicia scivolata giù a scoprire una canotta all’americana che fa a pugni con tutto il resto – l’ha intravisto prima, sotto le luci intermittenti del locale e le vibrazioni di musica techno come un terremoto sotto le suole, un drink dal sapore ignoto stretto tra le dita e qualche vaga oscillazione a tempo di musica, mentre si faceva largo in mezzo alla piovra sudaticcia e tremolante sulla pista da ballo.

Serata dimmerda. Isa schiocca gli artigli frenchmanicurati in direzione del barman, le labbra fradice di rossetto e alcool incurvate in un mezzo sorriso – il solito, tesoro. Il tacco dodici incastrato nel poggiapiedi dello sgabello, per poco non perde l’equilibrio. Un tuffo al cuore, solo un attimo – forse, dopo questo giro, dirà basta, io sto a posto così, e poco importa se Barbie scuoterà la criniera bionda e le darà della “liscia” che ha paura della prova del palloncino – decerebrata totale.

E poi torna il caos, il brusio che pervade in ogni spazio vuoto e impedisce alla malinconia di emergere oltre gli strati di trucco steso con sapienza e quei sorrisi da prostituire al miglior offerente.

Meglio tornare dentro e cercarlo con lo sguardo senza chiedersi perché. Un bagliore viola elettrico nella massa gelatinosa e crocidante che dimena le chiappe a tempo di musica, che si esplora le tonsille sui divanetti di velluto o nel privè, che vomita bile nei cessi. Lui invece è una macchia d’inchiostro su un drappo immacolato, un elettroshock che la distoglie dalla sua personale pantomima. Le basta questo.

Nessuno ci ha ancora provato con lei, anche se il suo ragazzo è bello tranquillo a casuccia, anche se là dentro è la più figa, e poche palle. In barba al suo metro e cinquantacinque risicato e al cinturino della scarpa che le sega i talloni, all’andatura basculante da troppo alcool in corpo – ‘fanculo. Ancheggia tra la folla, la musica e il bagliore azzurrino che le sbatte addosso, arrampicata in cima ai suoi trampoli sottili, caracolla in giro per la stanza come una regina in visita ufficiale, dispensa occhiate all’arsenico a chi ammicca nella sua direzione, gelando ogni velleità di approccio.

Serata dimmerda. Lui non le interessa, ma ha qualcosa che ti brucia dentro, che ti spinge a cercarlo, ti rapisce lo sguardo. È l’antitesi vivente di chiunque potrebbe trovare vagamente appetibile. Ha una faccia da sfigato, nessuno spenderebbe un centesimo per lui.

Non è come Alessandro: è quasi omonimo, ma non è lui, qualche sfumatura d’accento a separarli, foni casuali infilati a cazzo nei loro nomi, qualche latitudine di troppo e un po’ di vento del nord che sbianca le gote, qualche chilo di muscolatura e di virilità che li divide, e tutto depone a favore del suo ragazzo. L’uomo che non deve chiedere mai. Che non è lì presente, ma, se sapesse che l’unica attrattiva della sua serata ha il nome e le anche ossute di Alexander Thompson, verrebbe lì a riprendersela, non prima di aver cancellato dalla faccia del rivale da strapazzo quel sorriso da ragazzino che si crede furbo.

Invece ha fatto tutto da sola, come al solito.

- Ehi… – gli sussurra, accavallando le gambe sul divanetto di velluto blu e facendo oscillare il ghiaccio nel bicchiere vuoto – Non sai che i bambini non vanno per locali e non bevono alcolici?

Alex sorride, accondiscendente: sta al gioco, ma lo sguardo si è incagliato altrove.

- La carta d’identità gliel’ho fatta vedere.

- Sei ubriaco – pallida constatazione.

Isa posa il bicchiere e divora i centimetri che li dividono.

- No – Alex scuote il capo e finalmente ricambia il suo sguardo – Solo… un po’ stanco.

Di agitarti come un idiota in mezzo ai tuoi amichetti fricchettoni e fingerti l’uomo di mondo che non sei. Ma a me andresti bene anche così, pulito e senza fronzoli, senza pose da finto alternativo, con la ferraglia di dubbia utilità che ti porti appresso. Andresti bene per una notte.

Lo osserva. Ha il viso eccezionalmente arrossato, i capelli bagnati che gli scorrono tra le dita e resistono a ogni tentativo di tirarli verso la nuca, di dar loro una forma presentabile. È bastato puntargli occhi addosso per individuare i confini della sua inadeguatezza: troppo liscio per quegli abiti fuori luogo, per la vodka all’amarena che si è buttato in gola senza troppe seghe mentali, per quell’immagine stereotipata, quella maschera di plastica, tatuaggi e kajal sbavato che si è dipinto addosso. La faccia troppo da cucciolo.

Dicono che sia un emo del cazzo, uno di quelli che non reagiscono alle prese per il culo, si piangono addosso tutto il tempo e ti annacquano il sangue. Alessandro dice che una volta l’ha visto tagliuzzarsi le braccia con una lametta, e che è uno che venderebbe la madre pur di attirare l’attenzione; peccato che la pelle degli avambracci spicchi liscia e intatta come quella di un bambino, quando si solleva le maniche fino ai gomiti e le fa cenno di seguirlo nelle toilette – troppo chiasso per continuare a urlarsi addosso, a sovrastare il rumore lanciandosi sguardi fraintendibili, a boccheggiare per mancanza d’ossigeno. Troppo fango speso, gettato addosso per nulla.

- Va meglio adesso? – Isa lo sorprende alle spalle, allunga la mano verso la spalla scoperta e segue in punta di dita il contorno del tatuaggio.

Se lo accarezza un po’, forse si anima e comincia a fare le fusa. Miao.

È nero come il peccato ed emerge come un marchio sulla pelle candida. Quello di Andrea invece è bianco, e le fusa le fa per davvero, è vivo, respira e gli si accoccola in grembo. Si chiama Oscar ed è stato il suo pegno d’amore per la dannatissima Elena Loria. Alex la vuole e non ne fa mistero, lei tergiversa, ma stasera Alex Thompson è solo per lei.

Occhio per occhio, dente per dente, Loria. Puttanella da due soldi.

Alex si sciacqua la faccia e si bagna i capelli che, sotto la luce giallognola e tremolante della toilette, sono color vino rosso.

- Isa… – mugugna.

Ma non si scosta di un millimetro.

- Perché? Non ti va? – ridacchia, risalendo verso il collo con la punta delle unghie.

- Sei fidanzata.

- Sarà il nostro piccolo segreto. Sei carino, stasera.

Non sei carino. Ma a me vai bene così. Per stanotte vai bene anche così.

- Non dire stronzate – Alex aggrotta le sopracciglia, scoccandole un’occhiata scettica attraverso lo specchio – Mi prendi in giro. Io non ti piaccio, neanche un po’. Lo so cosa dite, tu e i tuoi amici… Non sono figo come voi.

E poi si volta, braccia strette contro il petto.

- Siamo come il giorno e la notte. Cosa puoi volere da me?

- Cazzate…

Isa ridacchia e lo attira a sé afferrandolo per un lembo della canotta – almeno un accenno di muscolatura sul torace, almeno quello c’è –, e la sua lingua segue il contorno dell’anellino d’argento che gli scintilla sul labbro. Un sussulto, prima di forzare le barriere e spingergli la lingua tra le labbra socchiuse, tastarne le resistenze e togliergli il respiro con una pomiciata da manuale. Che abortisce sul nascere, ma solo perché lui è timido.

- Isa, non… non mi sembra la cosa giusta – sospira.

- È perché ti senti un alternativo? È così? Perché pensi che io sia una fighetta che veste firmato e si accoppia solo con i suoi simili? Perché non ascolto la tua stessa cazzo di musica? – Isa tamburella distrattamente col tacco sul pavimento – Però…! Credevo che le scuole anglosassoni insegnassero qualcosa. Sei gay?

- No – Alex solleva gli occhi al cielo – Se fosse?

- No, chiedevo… Magari Lastella ti ha leccato il latte dalle labbra.

- Io non sono gay. Ma tu sei fidanzata.

- Le cose non vanno alla grande tra noi.

- ‘fanculo! Non sono il punching-ball personalizzato per la vostra crisi del settimo anno.

- Non ti piaccio? – Isa occhieggia maliziosa verso il basso, verso quei pantaloni di plastica strizzati sui fianchi e quel bottone che soffre, e lo sfiora all’altezza del ventre, i muscoli contratti.

Stupido: un’occasione simile non ti capita mai più.

- Non… – Alex rabbrividisce e si porta le mani al volto, esasperato – Non è questo. È… è tutto. È questa situazione assurda.

- Hai bisogno di me. Di un diversivo che ne valga la pena.

- Ho bisogno di andarmene di qui. E di una doccia fredda.

- Tu hai bisogno di lei. Di Elena. Ma lei non è qui – Isa lo stringe tra le braccia, cullandolo.

- Ancora? È una tua fissa.

- Già… e chissà dov’è adesso? – Isa gli morde il lobo dell’orecchio e gli fa scivolare una mano dentro la canotta, con noncuranza e un sorrisetto sadico.

La pelle serica brucia sotto le sue dita, un brivido guizza lungo la schiena – può sentirlo riverberarle addosso. Sussulta, ma non le chiede di allontanarsi, di smetterla di fare la patetica e di renderlo ancora più patetico, di stuzzicarlo con i suoi artigli da strega.

- La tua Loria… chissà dov’è? – prosegue, trasalendo al contatto freddo del piercing al capezzolo – Magari si sbatte Andrea. In questo preciso istante. O quel biondino insulso, il chitarrista paranoico.

Sei tutto qui, piccolo caro: piercing al capezzolo, anellino al labbro, ferraglia varia ed eventuale appesa addosso, capelli viola Quaresima, gatti neri, tatuaggi seminascosti per non far arrabbiare paparino, ambiguità sessuale e complessi d’inferiorità. Sei malleabile come creta e puoi fare al caso mio.

- Fa male, vero?

La stoccata arriva con un miagolio crudele e una mano che si insinua furtiva oltre la cintura. È suo, ce l’ha in pugno. Lui e la sua erezione traditrice pressata tra i boxer in microfibra e il suo tocco impertinente. Lo baci, e quello scatta, il respiro accelera e le labbra si schiudono. Grumi di tensione che giungono al capolinea.

- Ma tu non stai meglio di me. Adesso te lo dico: tu vuoi Andrea, ma lui ha scelto Elena. Ha scelto Gabriele. La sua migliore amica, scopamica, quel cavolo che è, e il ragazzo che ama. È finita, Isabella.

Isa trasale. No, questo non se l’aspettava: è il fuori programma, la scheggia impazzita che manda a puttane ogni onesto progetto. Il programma diceva di sbattersi Alex perché è il suo ennesimo capriccio, per fingere di ripagare Elena con la sua stessa moneta, perché di Alessandro in fondo non le importa un cazzo. Ma questo no.

Impietrita, la mano rigida bloccata tra la cintura dei suoi pantaloni e la sua pelle tesa, una fitta al petto e le lacrime che salgono e scendono, ma alla fine restano bloccate lì e condensano in schegge di ghiaccio dritte verso il cuore.

- Ti credevo più scemo – sorride, ed è come ingoiare vetro.

Hai capito tutto.

In un’altra occasione, sarebbe venuta la rabbia, l’impulso di castrarlo, di sputargli addosso, di vomitare fiele. Invece c’è solo rassegnazione.

Alex tira su col naso, i lineamenti contratti.

- Fa male, Isa. Lo so benissimo.

Fa male stare qui come i terzi incomodi.

- Siamo più simili di quanto pensi.

- Perché mi vuoi… adesso?

- Non lo so, Alex. Lastella non ti ha insegnato nulla? Di come vanno a finire queste cose…

- Una serata da dimenticare… – Alex la cinge con le mani intorno alla vita e quasi collassa su di lei, fronte contro fronte.

Isa deve sollevarsi sulle punte dei piedi per sfiorarlo – di nuovo. Il sapore metallico di quell’anellino insulso che le scorre sulla lingua. Quasi lo morde.

- Pensi che dopo staremo meglio? – Alex solleva un sopracciglio.

- Penso che dopo avrai imparato qualcosa.

Isa sorride, ferina. Si osserva intorno – sono tutti di là a sfondarsi, a tessere i loro intrighi e le loro vite inutili da sfigati della prima ora. Fa scorrere la cerniera verso il basso e immerge la mano come a scartare un dono, stuzzicandolo e assaporando sulle labbra il suo respiro che accelera e si frantuma.

Almeno là sotto i peli gli sono cresciuti – Isa quasi gli ride in faccia. Ragazzino. Anche le sue misure sono niente male, e lui trema sotto il suo tocco. Peccato se ne stia lì impalato senza sapere dove mettere le mani, la schiena contro il muro e il volto che va in fiamme. Forse gli piace ciò che sta facendo, ma ha quasi paura di renderlo manifesto; sembra in imbarazzo, incerto sul da farsi, intrappolato tra la parete e la sua presenza. Isa sorride e segue con una carezza la linea spigolosa del suo fianco: è così tenero che un pompino glielo concederebbe giusto per questo, per dissipare quella sua maschera di reticenza, quella lotta insanabile tra imbarazzo e desiderio.

Anche di Andrea, del resto, dicono che sotto le lenzuola sia poco più che una borsa dell’acqua calda, ma lo dice Barbie, e a lui Barbie non è mai andata giù, quindi col cavolo che ci sarà andato volentieri. Forse adesso con Elena farà scintille, e buonanotte al gatto.

- Andiamo via – Isa si ricompone, leccandosi le labbra come una gattina e tirando su la spallina del vestito – In macchina andrà meglio.

Alex inarca un sopracciglio, stranito.

- Questo posto fa schifo – rincara la dose lei, occhieggiando malamente le pareti appiccicose.

Non sono una puttana da due soldi.

Sorride: per chi li vedrà attraversare il locale fino al parcheggio, sarà la conferma che il mondo si è davvero capovolto – o che ha esagerato con la tequila. Lei e i suoi capelli rossi spettinati ad arte, il vestito firmato con corpetto strizzato sulla sua terza abbondante, i tacchi a spillo come armi improprie; lui più sfatto che mai, in balia di lei, delle sue mani che giocano con lui e lo trascinano dove vogliono, i pantaloni riabbottonati di volata e la paura di far brutta figura.

- Isa, no! – Alex solleva gli occhi al cielo – Nel fuoristrada del tuo ragazzo, mi rifiuto.

- Zitto e sali! – Isa lo afferra per la manica scivolosa del giubbotto di finta pelle e quasi se lo tira addosso, dentro l’abitacolo dell’auto.

Fazzoletti e preservativo stanno al loro posto: devo proprio spiegarti tutto, ragazzino?

- Sei sicuro, Alex? – Isa si morde il labbro: non ha pensato nemmeno per un istante che potesse non trovarla irresistibile.

Non sei nessuno per rifiutare, cocco. Probabilmente sarà la tua unica occasione di posare le unghie su una donna con tutti gli attributi: approfitta dell’occasione. Benvenuto nel mondo degli adulti.

Alex annuisce, un mezzo sorriso accennato sulle labbra carnose. Non ha scelta. È fradicio, eccitato, poco lucido: vorrebbe Loria, ma Loria non è roba per lui.

Neanch’io, a pensarci bene.

- Qual è il problema? – Isa lo aiuta a liberarsi del giubbotto.

- Che non dovrei essere qui – quasi si mangia le parole.

- Sei vergine? Non l’hai mai fatto con una ragazza?

- No – Alex distoglie lo sguardo; ridacchia per dissipare la tensione, il rossore che gli sboccia sulle guance accaldate – Non è questo.

È sbagliato: l’hanno capito pure i sedili.

- E allora lascia che ti insegni qualcosa.

Dov’è che eravamo rimasti?

Alex deglutisce a fatica, gli occhi verdi spalancati nella penombra. Socchiude le labbra, un tremore improvviso, quando la sua mano riprende a massaggiargli l’inguine.

Non fare niente, resta così. Lascia fare a me.

- Quanti anni hai detto che hai? – cinguetta.

- Diciotto – le palpebre di Alex cedono, lo sguardo si smarrisce da qualche parte verso il parabrezza, mentre lei annuisce e indugia con le labbra verso il suo collo, lasciandogli l’ennesima chiazza di rossetto – Quattro anni di differenza sono niente, zia – ridacchia, la voce che si spezza al suo ennesimo assalto.

Un morso appena accennato sulla gola, i denti che si stringono sulla sua pelle e una leggera suzione. Alex si morde le labbra.

- Bravo… Almeno la matematica la sai.

La camicia di raso viola fa la stessa fine del giubbotto – abbandonato sul sedile posteriore –, seguita dalla canotta. Sotto la luce pallida di un lampione in agonia, la sua pelle ha una strana sfumatura violacea, gli spigoli emergono quasi con durezza, il volto come un enigma in controluce. E la barretta infilata nel capezzolo luccica come un invito.

- Ahi… fai quasi male così – una fioca protesta, smentita da un sorriso beato, a labbra distese.

Non te l’aspettavi, è così. Che potessi interessarmi a te.

Isa scorre con le labbra lungo il torace. Lui continua a subire le sue provocazioni, spalmato tra il sedile reclinato e il finestrino, bianco nudo dalla vita in su, i pantaloni sbottonati e bassi sui fianchi. Il secondo tatuaggio emerge come un marchio sotto l’anca, un minuscolo triskell nero su bianco – allora è un vizio. Tra qualche anno sarà una carta geografica in bianco e nero, ogni capriccio di adolescente semicresciuto vergato sulla pelle, ogni singola cazzata che gli sia passata si per la testa e lo faccia sentire vivo.

Il triskell sul basso ventre non è più un invito: è un “prego, da questa parte, un po’ più in basso”.

- Isa… – sospira.

Lei lo bacia di nuovo, la cute morbida e rovente sotto l’ombelico, per poi chinarsi tra le sue cosce.

- Isa…!

Zitto.

Solleva gli occhi su di lui – riderebbe, se le sue labbra non fossero impegnate a girare intorno al suo glande. Alex inarca la schiena, un sospiro appena percettibile, le labbra tirate, gli occhi che vagano in qualche punto oscuro sulla capote. Si lascia fare come se si vergognasse del proprio respiro che accelera, come se non sapesse che farsene delle mani, come se avesse paura di sbagliare, di dire troppo con un linguaggio del corpo del tutto involontario. È la sua prova del fuoco: il ragazzino inesperto e la donna che visse due volte.

D’un tratto si riscuote e si allunga verso di lei; incerto, armeggia con la cerniera posteriore del suo vestito, le dita che scorrono fredde sulla sua schiena – ne devi mangiare di pastasciutta, ragazzino. Indugia verso la nuca come se stesse maneggiando un cristallo – chi ti sei fatto, fino all’altro giorno?

Okay, basta così. Isa lo molla al suo destino e si solleva a sedere, i seni scoperti. Alex sembra in estasi mistica, occhi socchiusi, braccia abbandonate lungo i fianchi. Vorrebbe toccarla, andare oltre, ma non ne ha il coraggio, ha paura che lo morda. Oppure appartiene alla categoria del “massimo guadagno con il minimo sforzo”: si finge scemo, ma scemo non è affatto – è ciò che fa tutti i santi giorni, del resto. Lui non c’era, se c’era dormiva oppure non aveva capito una mazza.

Isa serra le labbra: srotolare un fottutissimo preservativo nella penombra dell’abitacolo di una macchina non è mai stato tanto dispendioso, non quando le dita tremano e lui non collabora. Gli circonda le spalle con un tocco che suona semi-rassicuranti e si lascia andare su di lui, sulla sua erezione protesa di cui sembra appena consapevole: è adamantino, in questo. Liberale, oserebbe dire: lascia fare. I secondi rotolano sul filo del rasoio, l’Arbre Magique quasi le sbatte in faccia e annacqua l’aria viziata dell’abitacolo, più dell’aroma di due pelli di differente gradazione.

Non perde il controllo, lei, neppure mentre si muove su di lui. Ha l’occhio vigile, le mani che gli accarezzano il torace, che afferrano le sue e lo guidano. È come una fitta che non esplode in tutta la sua intensità, ma resta latente, sospesa a mezz’aria, minuscoli spasmi che non si risolvono in un dolore sordo, in una caduta in deliquio. Alex continua ad ansimare – sa di cannella o qualcosa di vagamente speziato, un profumo da adolescente, oppure la schifezza che si è spalmato intorno agli occhi. Sa di pelle sudata e di vodka mandata giù di fretta: lo sente quando incastra le labbra alle sue, un intreccio che dura lo spazio di un istante – l’ultimo, il primo e l’ultimo per loro.

Ci sai fare, dolcezza: non sei imbranato come sembri. O forse è il non fare un cazzo che ti è congeniale: non prendi iniziative, ti siedi lì, in balia del destino, di ciò che una come me può decidere di fare di te, e attendi, attendi il colpo di grazia.

Un urlo smorzato. Alex che si inarca e cerca di prendere il controllo, la afferra per i fianchi e prova a oscillare – per la poca autonomia di movimento che gli consente il suo peso su di lui, il sedile appiccicoso e i pantaloni troppo stretti.

Isa si stringe a lui: un secondo di deriva può starci, una stilla di irrazionalità, poi torna tutto come prima, si ristabiliscono i ruoli. Infila una mano tra i suoi capelli viola melanzana, i suoi assurdi capelli viola melanzana che ha cercato per tutta la sera; si piega su di lui fino a seguire in punta di dita la sagoma del gatto nero tatuata sulla schiena, che sembra rispedirle indietro un gnignetto compiaciuto. Quasi soffoca. Stringe i muscoli delle cosce, la presa salda sulla sua nuca. Un urlo, un gemito che rotola via, una fitta fino al petto, e poi è tutto finito. Non resta Isa, non resta Alex. Resta un patto ridicolo e mai sussurrato – nemmeno per sbaglio –, uno sfogo a senso unico e una ripicca, un’auto che sa troppo di nuovo e di sesso, quell’odore che le dà la nausea.

È un sei e mezzo, dolcezza, perché almeno l’arnese lo sai usare; almeno non ti fai pregare per un’escalation semidecente. Non lo sai e non te lo dirò, perché poi succede che ti monti la testa, e tutto va a puttane.

Isa lo degna di un ultimo sorriso, mentre si risistema l’abito firmato ridotto a sacco della spesa. L’ultimo gesto di confidenza, l’ultimo che gli concede, lasciarsi tirar su la cerniera sulla schiena, il corpetto di pizzo che torna al suo posto sul seno prepotente.

Non è per te, dolcezza. Non è per te che sono venuta qui. Si tratta di ristabilire la gerarchia: uno alle stelle, l’altro alle stalle. Zero compromessi.

- Andiamo, Thompson – sussurra.

Il tempo di recuperare le scarpe e qualche altra stronzata, e la serata è già vecchia.

 

 

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