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Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1. And at the end of all your knees fall down to me *** Capitolo 2: *** 2. The descendant *** Capitolo 3: *** 3. I ain't never seen nothing like a Galway girl *** Capitolo 4: *** 4. Mr. Mischief and me (tell each other fairy tales) *** Capitolo 5: *** 5. Wrapped up in chemicals *** Capitolo 6: *** 6. Thousand Fahrenheit hot metal lights behind your eyes *** Capitolo 7: *** 7. I put a spell on you *** Capitolo 8: *** 8. When they finally come to destroy the Earth they'll have to go through you first *** Capitolo 9: *** 9. Baby, we were born to rule *** Capitolo 10: *** 10. Not a destination – it's a creation I desire *** Capitolo 11: *** 11. A bunch of lonesome heroes *** Capitolo 12: *** 12. Won't you let me know? *** Capitolo 13: *** 13. Burn it to the ground *** Capitolo 14: *** 14. We will stand tall at skyfall *** Capitolo 15: *** 15. Dying is the day worth living for *** Capitolo 16: *** 16. Beloved freak, the world is at your feet *** Capitolo 17: *** 17. The wolf is getting married ***
Capitolo 1 *** 1. And at the end of all your knees fall down to me ***
1
1.
And at the end of all your knees fall down to me
Erin
Anwar sorrise al proprio ghigno annoiato nello specchio della toilette.
Quando
una violinista di sua conoscenza aveva invitato lei e Sylvia Neu alla serata di
gala organizzata alla Galleria Schäfer, rinomata sede di scintillanti
iniziative in Köningstrasse numero ventotto, entrambe avevano pensato che
trovarsi a Stoccarda proprio in quel periodo per una serie di concerti fosse
una gran bella fortuna: partecipare a feste come quella significava indossare
abiti eleganti e pavoneggiarsi e fare incontri che potevano tornare utili,
anche nell’ambiente musicale.
Ma,
trascorse le prime due ore tra champagne da migliaia di dollari e tartine
microscopiche ricoperte di pregiatissimo caviale, Erin aveva cessato di
ritenere la situazione interessante. Parlava a stento tedesco – e comunque
con chi avrebbe dovuto conversare, dal momento che gli invitati erano tutti
ricchi snob privi di argomenti che esulassero dal confronto di quella festa con
feste passate esattamente identiche? Inoltre lei e Sylvia erano le uniche
musiciste presenti, escludendo i loro amici del quartetto d’archi che allietava
gli astanti, e la mostra d’arte allestita al piano superiore del palazzo si era
rivelata di una banalità eclatante.
«Ne hai ancora per molto?» chiese in tono spazientito nella
toilette deserta: «Credo che
faremmo meglio a scappare di qui. Io non ne posso più.»
La testa
rossiccia di Sylvia fece capolino da uno dei bagni: «A me non sembra tanto male.»
«Ah, no? L’unica cosa decente di
stasera è lo champagne. Per quel che mi riguarda il resto è prevedibile e
noioso, e la gente peggio che mai.»
la freddò Erin.
«Anwar, possibile che tu debba
essere sempre così intollerante?»
«E perché non dovrei, Neu?»
L’altra
scrollò il capo ridendo: «Dai, una mezz’ora e ce ne andiamo. Vorrei salutare Hilde.»
Hilde era
la violinista che le aveva invitate, ed Erin assentì con un grugnito. Poi si
sistemò i capelli raccolti con rapidi gesti e recuperò la piccola borsa che
aveva lasciato sul lavabo.
Le due
donne uscirono dalla toilette prendendosi a gomitate scherzose, tornando tra la
folla che occupava il salone centrale. Era, questo, un vastissimo spazio di
marmo bianco screziato dall’oro dei grandi lampadari che lo illuminavano; colonne
in stile ellenico ne delimitavano il perimetro, e sul fondo una maestosa
scalinata conduceva sinuosamente al primo piano. Al centro spiccava una sorta
di antico altare, anch’esso in marmo e oro, decorato da due minacciose teste di
bove che parevano controllare ogni cosa: probabilmente faceva parte della
famosa collezione di Heinrich Schäfer, il proprietario della galleria, ma Erin
non condivideva la scelta di averlo piazzato lì, proprio in mezzo alla sala,
poiché era troppo sfacciato, di dubbio gusto. Il medesimo dubbio gusto di molte
signore presenti, sogghignò tra sé.
Afferrò
al volo un calice colmo dal vassoio di un cameriere che transitava nei paraggi,
mentre Sylvia si eclissava stacchettando in direzione dei quattro musicisti, e
con uno sbuffo sonoro si appoggiò contro una colonna. Portò il bicchiere alle
labbra e prese a bere lentamente il liquido fresco e frizzante, gli occhi che
vagavano indolenti sugli affreschi che ornavano la balconata del piano superiore,
indugiando sulla figura che in quel preciso istante vi stava transitando senza
fretta. Il quartetto d’archi attaccò il primo movimento del Rosamunde di Schubert ed Erin aguzzò la
vista, incuriosita: era un uomo alto ed elegante, vestito di scuro, e si
avviava verso le scale con passi misurati e fluidi, un bastone dorato nella
mano destra e una sottile sciarpa verde al collo. Appariva sicuro di sé e
diverso da chiunque altro in quel salone, e lei si avvicinò alla base della
gradinata per osservarlo meglio, dimentica del calice ormai vuoto che reggeva
tra le dita; con un certo, immotivato stupore constatò che l’uomo era assai
attraente, dal viso pallido e magro e occhi chiari e capelli nerissimi
pettinati all’indietro, e che emanava uno strano carisma. Erin trattenne per un
attimo il respiro, mentre questi le passava accanto, e l’attimo successivo ebbe
l’impulso di rivolgergli la parola.
Ma l’uomo
si diresse con decisione verso uno degli addetti alla sicurezza e fece roteare
in aria il proprio bastone, impugnandolo a mo’ di arma: prima che qualcuno
capisse cosa stava accadendo egli colpì la guardia con violenza e subito dopo
planò rapidissimo su Heinrich Schäfer in persona, e sollevandolo come un
fuscello lo scaraventò sull’antico altare.
Con un
accordo stridente il Rosamunde
s’interruppe bruscamente. Erin lasciò cadere a terra il bicchiere e tutti
s’immobilizzarono, fissando lo sconosciuto che estraeva da una tasca della
giacca un marchingegno bizzarro e lo calava, con un lieve sorriso compiaciuto,
sull’occhio destro di Herr Schäfer. E giacché non accennò a spostarlo e il corpo
dell’altro divenne presto preda di tremendi spasmi, grida si levarono dai
quattro angoli della sala e gli invitati iniziarono a correre freneticamente
verso l’uscita travolgendosi a vicenda.
«Erin! Erin! Cosa fai lì impalata?» urlò Sylvia scuotendo l’amica per
una spalla.
Lei la
guardò in tralice: «Vorrei capire
che accidenti sta facendo quello.»
spiegò con calma.
«Ti sei fottuta il cervello? Gli
sta cavando un occhio, Erin!»
«Me ne sono accorta, Sylvia, e mi
piacerebbe sapere perché.»
La rossa
scalpitò e la trascinò via con forza: «La
cosa non ci riguarda. Vieni via!»
Erin si
arrese, roteando le pupille con fare scocciato, ma la seguì camminando
all’indietro per non perdere di vista la scena, e per una manciata di secondi
l’uomo dai capelli neri la fissò di rimando, forse sorpreso e forse divertito.
Erin non era né un’incosciente né un’amante del macabro, eppure aveva uno
spirito pratico e disincantato che la portava a lasciarsi suggestionare assai
di rado e a valutare ogni situazione con logica lucidità, a non farsi prendere
dal panico come invece capitava alla maggioranza dei suoi simili. Per questo
indugiò sulla soglia della Galleria, ignorando gli strilli di Sylvia: per
questo e perché lo straniero, che adesso avanzava verso di loro, si stava come
trasformando, avvolto da stralci di luce.
La
giovane donna distolse finalmente lo sguardo, scossa, e con l’amica si perse
tra la folla rumoreggiante e tremebonda. Con la mente confusa dall’eccessivo rimuginare
sull’assurdità di quella faccenda udì lo stridìo delle sirene della polizia, il
botto di un’esplosione e il suono incomprensibile delle frasi sconnesse che la
gente attorno a loro si scambiava, ondeggiando da una parte all’altra della
piazza antistante il palazzo su cui si erano riversati tutti.
Poi una
voce chiara e potente si levò: «In ginocchio. In ginocchio, ora!» intimò.
Erin si
voltò, e lo vide. L’uomo troneggiava sui presenti, bellissimo e terribile, e
non indossava più il completo nero che aveva alla festa: era avvolto in abiti
scuri di foggia antica e da un’armatura leggera, e un ampio manto verde gli
ondeggiava dietro le spalle facendolo sembrare ancor più alto e possente. Il
bastone era divenuto una lancia sulla cui punta elaborata brillava qualcosa
d’azzurro, e in testa portava un lucente elmo dalle corna ricurve.
Lo
stomaco di Erin si strinse in una morsa enigmatica e il cuore le balzò in gola,
mentre egli ripeteva l’ordine, e non cessò di fissarlo nemmeno nell’obbedire a
quell’anacronistico comando. Si chiese chi fosse e quali propositi avesse, e
vaghe rimembranze di vecchi racconti del Nord le suggerirono che non
appartenesse al genere umano, che venisse da lontano.
Una volta
che tutti si furono inginocchiati sul lastricato dello spiazzo l’uomo sorrise con
condiscendenza e allargando le braccia si fece strada tra la folla:
«Non è più semplice così? Non è
questa la vostra naturale condizione?»
disse; «È la verità taciuta dell’umanità
che bramate l’asservimento. L’illusione della libertà riduce le gioie delle
vostre piccole vite ad una folle lotta per il potere, per un’identità.»
S’interruppe
per osservare la moltitudine prostrata ai suoi piedi, ed Erin non seppe
reprimere un sorriso fremente. Quel folle diceva il vero e sfoggiava
un’opinione sulla natura umana fin troppo simile a quella che aveva lei, un
ragionevole disprezzo:
«Cazzo se ha ragione.» sibilò infatti tra i denti.
Sylvia
emise un lamento strozzato e l’implorò di tacere; «Tu sei pazza.» soggiunse.
«Voi
siete nati per essere governati.» riprese l’uomo: «Alla fine
v’inginocchierete sempre.»
A Erin
ribollì il sangue nelle vene – non perché discordasse, bensì perché si riteneva
sufficientemente superiore al resto degli umani da poter stare in piedi e
dimostrare a gran voce il proprio appoggio alla causa del misterioso guerriero
dall’elmo cornuto.
Allora si
sollevò da terra con espressione fiera ed egli posò su di lei gli occhi chiari
e ardenti, attendendo una sua mossa, e per un attimo a Erin parve che nella
piazza fossero rimasti soltanto loro due. Aprì la bocca per parlare e Sylvia,
dal basso, soffocò un singulto, ma in quella una seconda persona si alzò in
piedi, frapponendosi tra la donna e lo sconosciuto.
Era un
vecchio canuto e gracile, e tuttavia non mostrava alcun timore di fronte al
lucore minaccioso della lunga lancia dell’altro:
«Se
c’inginocchieremo non sarà davanti a uomini come te.» asserì con veemenza.
Lo
sguardo verde dello straniero si spostò da Erin a lui:
«Non
esistono uomini come me.» ghignò con
garbo, e di nuovo era forse nel giusto.
Il
vecchio scosse tristemente il capo: «Esistono sempre uomini come te.»
Erin si
agitò a disagio sul posto, infastidita dal paragone sottinteso tra quell’uomo
incredibile e le cupe, prevedibili e meschine figure di dittatori terrestri del
passato ai quali l’anziano coraggioso lo aveva scioccamente associato. Era
l’unica a vedere in lui qualcosa che lo faceva rassomigliare a un re
dimenticato?, si domandò. I despoti erano per lo più sciocchi, limitati e
brutali, non certo intelligenti, raffinati ed elegantemente crudeli come costui
appariva.
L’uomo
inclinò la lancia, puntandola contro l’esile vecchio, e annuì sarcastico:
«La voce
saggia del popolo! Sarai dunque d’esempio per gli altri.» annunciò.
Il
cerchio azzurro sulla punta dell’arma si fece più luminoso e il tempo parve
fermarsi su quella scena implacabile; il vecchio chiuse le palpebre,
rassegnato e la giovane donna avvertì una fitta di pietà per lui e per la sua
imminente fine, e quasi scattò in avanti per aiutarlo.
Ma il
raggio sprigionatosi dalla lancia dello sconosciuto non colpì mai il bersaglio
designato: dal cielo scese il rombo di un aereo e una sagoma guizzante
bluvestita riparò l’anziano tedesco col proprio corpo e con una sorta di
barriera metallica, quindi fronteggiò il guerriero.
«Capitan
America! È Capitan America!» esclamò Sylvia alzandosi di scatto.
La folla
mandò un grido di unanime sorpresa e la imitò, fissando con meraviglia il nuovo
arrivato: anche Erin lo riconobbe, identico a come lo raffiguravano da decenni
e a come suo fratello lo disegnava sin da quando era bambino, e strinse i pugni
per l’eccitazione.
Al
Capitano l’uomo dall’elmo cornuto non doveva essere estraneo, poiché lo
interpellò senza mezzi termini e gli ingiunse di restituire un oggetto dal nome
incomprensibile – e di arrendersi. L’altro rise con scherno e, sotto gli occhi
avidi di Erin, gli si lanciò addosso a lancia spianata. La gente urlò e prese a
disperdersi alla cieca, lontano dai duellanti, e per la seconda volta di fila
Sylvia strattonò l’amica pregandola di non rimanere lì incantata.
Ma Erin
era su di giri e la afferrò per entrambe le spalle:
«Io devo vedere come va a finire, Sylvia!
Come puoi non essere curiosa? Magie, re e supereroi in una notte sola! Come
puoi resistere?»
La rossa
si divincolò: «Comunque stiano le cose non è un gioco, Anwar, e io non voglio
rimetterci la pelle per scoprire cosa cazzo c’è dietro!» rispose, furente e
spaventata; «Voglio tornare in albergo e dimenticarmi di tutto questo, e
pensare alla replica di domani. Tu no?»
Erin
sospirò, lo sguardo che non abbandonava le figure scattanti dei due uomini:
«Sì e
no, Neu. Ti direi di avviarti e lasciarmi qui, ma so che non me lo
permetteresti.»
Sylvia si
ammorbidì, pur seguitando a stringerle un braccio e a muovere verso il lato
opposto della piazza: «Esatto. Perciò mettiti l’animo in pace, domani saprai
dai giornali com’è andata.» disse; «Avremo una storia interessante da
raccontare a Francis e gli altri.»
Il nome
di Francis convinse Erin definitivamente. Le due donne corsero così a fermare
un taxi, miracolosamente disponibile nonostante la confusione generale, e
Sylvia comunicò in fretta al conducente l’indirizzo dell’hotel in cui
alloggiavano, bramosa di togliersi d’impaccio.
Ma Erin
guardò ancora verso la piazza: distinse con chiarezza la forma delle corna
arcuate dell’ignoto guerriero e il ricordo dei suoi occhi piantati nei suoi,
assieme alla delusione della fuga, le accelerarono il battito cardiaco e
tinsero il viso di rosso.
L’ultima
cosa che colse prima che il taxi svoltasse l’angolo fu il ritornello di una
nota canzone degli AC/DC che sembrava provenire dal cielo come il rombo d’aereo
e Capitan America.
Poi la Köningstrasse
scomparve oltre i palazzi e quella bizzarra notte rimase alle loro spalle.
> Note a piè
di pagina
Premetto che erano anni che non mi dedicavo così intensamente
alla stesura di una fan fiction, e amo
follemente ciò che vado a presentarvi dopo sei mesi di lavoro. Tutto ha avuto
inizio dopo aver visto The Avengers
per la prima volta, film che con mia grande sorpresa mi ha riportata a livelli
di fannerdaggine che non manifestavo da tempo immemore – fannerdaggine non
soltanto per il film nel suo complesso ma anche e soprattutto per un certo Dio
degli Inganni. Adoro quel dannato bastardo di Loki (e il fatto che sia il
signor Tom Hiddleston a interpretarlo è di sicuro un incentivo) e questa mia
storia è, in sostanza, un tributo a lui.
Nozioni tecniche su di essa:
– nella presentazione ho scritto che si svolge dopo gli avvenimenti
del film e così è, sebbene questo primo capitolo ricalchi fedelmente la scena
di Stoccarda; era necessario in vista di ciò che seguirà.
– Erin Anwar: personaggio originale creato per l’occasione di
cui vado molto orgogliosa; presto scoprirete altro su di lei, ma vi dico
intanto che il suo cognome è preso da quello dell’attrice Gabrielle Anwar e che
è di origine araba, sebbene lei con l’Oriente non c’entri nulla; mi piacevano
il suono che ha e il fatto che se attribuito a una donna significa “collezione
di luci”. Sylvia porta il cognome di una mia cara amica di Boston (si pronuncia
nòi).
– Rosamunde è il
titolo dato popolarmente al Quartetto n° 13 in La Minore D.804 Op. 29 di
Schubert, il cui primo movimento è la musica che accompagna mirabilmente le azioni
di Loki alla Galleria Schäfer.
– Il titolo del capitolo è un verso della canzone Need your love dei Temper Trap, assai
adatto al dio asgardiano in questione; in realtà tutta la canzone ben si adatta
alle vicende che seguiranno.
– The Majestic Tale è
tratto dal titolo del brano di chiusura della colonna sonora della VI stagione
di Doctor Who, intitolato appunto The
Majestic Tale (of a Madman in a Box).
– La storia si basa quasi interamente sulla versione
cinematografica, sia per background dei personaggi che per loro caratteristiche
fisiche e mentali, e tuttavia troverete qua e là alcuni riferimenti alle
mitologie originali.
– I capitoli sono 17 in totale e in media piuttosto lunghi,
se si escludono i primi quattro, ed avendoli già tutti pronti aggiornerò
regolarmente (di domenica, salvo imprevisti, visto che oggi è domenica).
Augurando a tutti buon anno nuovo e buone feste spero che
leggerete, apprezzerete e seguirete – perché, ve lo garantisco, non ve ne
pentirete. Ossequi asgardiani e a presto!
Il Dio
degli Inganni si voltò appena in direzione della grande porta aurea, ora
spalancata, che delimitava l’ingresso alle sue stanze: sulla soglia v’era il
Sommo Cerimoniere di Odino, circondato da un drappello di guardie in alta
uniforme, e l’espressione pacata e quasi rispettosa con cui lo stava osservando
gli procurò uno spasmo d’insofferenza.
Loki non
riusciva a comprendere per quale motivo quella gente si ostinasse a
considerarlo come uno di famiglia, come una persona cara. Tornando ad Asgard da
prigioniero assieme a Thor – Thor che ancora lo chiamava fratello – si era aspettato parole d’odio e una punizione esemplare
e lo scherno del popolo; eppure Frigga
aveva pianto stringendolo a sé e il Padre degli Dei lo aveva mirato con occhio
dolente e commosso, e invece di comandare la sua disfatta lo aveva fatto
rinchiudere nei suoi vecchi alloggi ponendo soldati a controllare ogni suo
movimento e blocchi magici a impedirgli l’uso di incanti.
Loki
avrebbe preferito una pena capitale alla quale sfuggire con abili trucchi,
piuttosto che quella prigione dorata e le visite inconcludenti dei suoi
sciocchi parenti: l’amore che questi seguitavano a dimostrargli lo soffocava,
infastidiva e confondeva, giacché per lui sarebbe stato più logico rispondere
all’odio con l’odio. Invece costoro apparivano
semplicemente delusi ma al contempo felici per averlo ritrovato vivo, come se
mai l’avessero perduto. La loro debolezza lo rendeva debole a sua volta, e questo
non poteva tollerarlo.
Per
giorni e giorni si era dunque sentito una bestia in gabbia e aveva camminato da
una parte all’altra della stanza, talvolta con passi violenti e talaltra con
maggior lentezza, soffermandosi a guardare il cielo oltre le alte finestre e
studiando opzioni per un’eventuale fuga; e aveva ripensato con rabbia al
proprio fallimento su Midgard, all’occasione che aveva sprecato con tanta
leggerezza e al modo in cui avrebbe potuto, magari, tentare ancora la conquista
senza armate di alieni indisciplinati al seguito e, soprattutto, senza promesse
fatte a folli titani.
Ma le ore
erano trascorse e niente era cambiato e Loki era rimasto dov’era, intuendo che
presto o tardi Odino avrebbe fatto la sua mossa. Del resto era sempre stato
paziente – di certo più paziente di quello sciocco di Thor – e agire d’impulso
non lo aveva mai aiutato troppo.
Rifletteva
su questo, i verdi occhi puntati sulle lucenti acque e torri di Asgard
illuminate dal sole del meriggio, quando la voce ossequiosa del Cerimoniere lo
aveva d’un tratto raggiunto: Odino aveva infine scelto la mossa da fare.
«A cosa
devo tale novità?» domandò con freddo sarcasmo.
«Vostro
padre vi ha convocato nella sala del trono.» rispose l’altro inchinandosi: «Di più non mi è dato sapere, principe.»
Loki fu
nuovamente attraversato da un brivido di fastidio nell’udire quell’appellativo:
«Mi
adeguerò a ciò che Odino comanda. Fai strada.» si limitò però a dire,
imperioso, e si affiancò al dignitario sulla soglia tenendo le mani intrecciate
dietro la schiena.
Subito i
guerrieri della scorta li circondarono, disponendosi in due file ordinate, e il
Sommo Cerimoniere lo precedette lungo i vasti corridoi della reggia;
traversarono le molte lame di luce solare che penetravano dai colonnati,
infrangendosi in danzanti scintillii sulle armature delle guardie, e
incrociarono pochi cortigiani e dame che si fecero da parte per lasciarli
passare. Loki catturò i loro sguardi e si compiacque nel cogliervi timore e
disprezzo, e sogghignò. Quelle erano le reazioni che lo facevano sentire a
proprio agio, che gli miglioravano l’umore e gli ricordavano chi era realmente:
l’affetto degli sciocchi non faceva più per lui.
La sala
del trono era immersa nella penombra e solo tre figure vi si distinguevano con
chiarezza. Una era quella di Odino, assiso sul suo grande seggio d’oro e con lo
scettro in mano; poi la sua sposa, in piedi accanto a lui, e naturalmente Thor,
alla base della gradinata. V’erano anche diversi soldati disposti lungo il
perimetro del salone, immobili, mentre l’assenza di Lady Sif e dei Tre
Guerrieri fece assai piacere a Loki. Qualunque decisione avesse preso Odino, e se l’aveva presa, era ovvio che sarebbe
rimasta segreta ai più.
«Puoi
ritirarti adesso, Cerimoniere.» annunciò l’anziano re con un gesto vago.
Il
dignitario s’inchinò e abbandonò la sala in fretta, seguito dalla scorta,
lasciando il Dio degli Inganni solo al centro di quel vasto spazio, le spalle
dritte e le gambe ben piantate a terra.
Per una
manciata di secondi nessuno parlò, ma Frigga aveva gli occhi lucidi e Thor si
muoveva nervoso sul posto, incerto sul da farsi. Loki restò immobile a
fissarli.
Poi Odino
disse gravemente: «È giunto il momento, figlio mio.»
«Perché?» scattò il giovane dio, la voce aspra: «Perché ti incaponisci nel volermi
chiamare così? Per prenderti gioco di me? O magari per negare la verità?»
Il
sovrano scosse il capo canuto:
«E tu
perché ti ostini nel rifiuto? Sei mio figlio, Loki. Lo sei sempre stato e
sempre lo sarai, questa è la sola verità che conta.»
Loki
avanzò di un passo e nell’ombra le guardie si spostarono appena, pronte ad
agire qualora le cose fossero degenerate. Frigga tese le mani verso di lui:
«Amarti significa
forse prenderci gioco di te?» domandò tristemente.
«Il vostro amore si basa su una menzogna.» sibilò Loki sprezzante; «Il vostro
amore è una menzogna,
è pietà, e io non ne ho bisogno.»
«L’affetto non è compassione, fratello.» intervenne Thor.
L’altro gli
si rivolse con espressione febbrile, le braccia spalancate: «Allora è follia.
Voi siete incapaci di detestarmi, e dunque siete folli. Non sarebbe più
semplice rispondere all’odio con l’odio?» interloquì. Le sue parole suonavano
convinte, eppure dentro di sé Loki sapeva perfettamente di non essere in grado,
nemmeno lui, di detestare fino in fondo coloro che aveva creduto per un tempo
lunghissimo la propria famiglia.
Odino si
alzò dal trono con un profondo sospiro e disse:
«Hai
ragione, figlio, e lo stesso vale per te. Tuttavia, nonostante l’amore che ti
portiamo, non posso lasciarti impunito per le malefatte che hai commesso. Ho
rimandato questo momento più che ho potuto e adesso non posso più permettermi
di attendere.»
Loki fece
un mezzo sorriso, inarcando le sopracciglia: «Finalmente. E dimmi, Padre degli
Dei, quale destino hai pensato per me? Come ripagherai il male che ho seminato?» lo provocò.
Il re non
rispose, non subito. Raggiunse invece la sommità della gradinata del trono e vi
si pose proprio al centro, tenendo lo scettro con entrambe le mani; la regina e
il Dio del Tuono distolsero lo sguardo e il sorriso di Loki svanì, mentre una
cappa d’oscurità sembrava calare su Odino e concentrarsi in lui. Poi questi
alzò il bastone d’oro dei sovrani di Asgard e con grande forza lo battè a terra
per tre volte: una sottilissima crepa di luce parve disegnarsi sugli scalini e
sul lucido pavimento, e serpeggiando raggiunse i piedi di Loki.
Quivi si
fermò e gli si dipanò attorno in un alone luminescente, e il Dio degli Inganni
avvertì una fitta al petto e con un grido si piegò in avanti serrando i pugni.
«Io ti
bandisco da Asgard, Loki figlio di Odino, e sottraggo i poteri dal tuo corpo
immortale.» tuonò il Padre degli Dei: «Sarai esiliato su Midgard, tra gli
umani che tanto disprezzi, e come tuo fratello prima di te dovrai apprendere
umiltà e onore per poter fare ritorno.»
Il
giovane dio crollò su un ginocchio, sentendosi debole e colmo al contempo di
una furia cieca per l’onta che quel vecchio pazzo lo stava costringendo a
subire. Urlò di nuovo, provando a rimettersi in piedi e a contrastare la forza
che lo asserragliava, ma Odino parlò ancora:
«Impara,
figlio, o la tua condanna sarà di vivere e morire da mortale tra i mortali.»
Picchiò
lo scettro a terra per la quarta volta e per un istante la luce si fece così
intensa da cancellare le forme della stanza e le sagome degli astanti. Thor e Frigga
chiusero gli occhi.
Lentamente
il fulgore scemò, e così il drappo tenebroso che gravava sul sovrano. Madre e
figlio riaprirono le palpebre e il Padre degli Dei voltò le spalle al salone.
Loki era scomparso
nel nulla.
Il Dio
degli Inganni precipitò nel vuoto per attimi lunghi quanto una vita terrestre.
Attorno a
lui vorticavano il cosmo e aurore boreali, e stelle pulsanti e altre morenti, e
pianeti e galassie che riusciva soltanto a intravedere. Con mente confusa
rimembrava le proprie passate cadute attraverso gli universi, i viaggi che
aveva compiuto: ricordava quando si era lasciato andare sotto gli sguardi
disperati di Thor e Odino, ricordava i mondi che aveva scoperto e i popoli in
cui si era imbattuto – i titani, i chitauri. Gli umani.
Era stato
vinto per l’ennesima volta, e vilipeso, abbandonato a una sorte ridicola e
beffarda che lo allontanava sempre di più dai suoi obiettivi, dai
riconoscimenti che bramava.
Precipitò
nel vuoto ancora e ancora, fin quando i suoi occhi non furono colpiti da un
bagliore accecante e il suo corpo oltrepassò qualcosa di vaporoso e umido che
rassomigliava a una cortina di nuvole. Loki distinse, dall’alto, campi e strade
e piccoli punti luminosi immersi nella penombra violetta che segue il tramonto,
e seppe che Midgard era sotto di lui, in attesa.
L’impatto
col suolo fu meno violento del previsto, o quantomeno tale gli risultò. Per un
po’ rimase sdraiato a faccia in giù, le dita conficcate nella terra odorosa e
fresca, il cuore che gli martellava furiosamente e le membra fastidiosamente
doloranti: quella era la sua rovina, e non ci sarebbero state stupide lezioni
da apprendere in grado di restituirgli ciò che aveva perduto, poiché lui non
era Thor e non possedeva il suo debole animo.
Mille
volte meglio una pena capitale cui sottrarsi, si ripeté, mille volte meglio la
morte di quel ridicolo atto di clemenza! Si sollevò a fatica, maledicendo la
stanchezza terrena che lo pervadeva, e rovesciando indietro la testa gridò al
cielo tutta la sua rabbia e la sua frustrazione, e bestemmiò contro ognuno e
ogni cosa e vagò come ebbro tra i verdi campi.
Arrivò
così nei pressi del ciglio di una strada e si accorse di non essere solo: un
veicolo di medie dimensioni si era fermato a poca distanza da dove si trovava
lui, i fari accesi che illuminavano un’ampia zona tutt’intorno, e un’ombra
esile ne era scesa.
Loki
aguzzò la vista. Era una donna giovane, con indosso una maglia e dei calzoni
stretti tipicamente midgardiani che ne mettevano in risalto le forme snelle, e
lunghi capelli che nel chiarore morente del crepuscolo sembravano del color
dell’oro brunito. Avanzava cauta ma sicura e l'accenno di un sorriso incredulo
si andava dipingendo sul suo volto.
Quando fu
a meno di un metro da lui la donna si fermò, lo squadrò da capo a piedi e
infine sorrise apertamente: «Non posso crederci. Sei tu!» esclamò, e la sua voce tradiva emozione.
Il dio
caduto si lasciò sfuggire una risata di scherno: «Dunque tu sai chi sono,
mortale? Ho forse accidentalmente ucciso qualche tuo congiunto nella grande
città che ho invaso?»
Con sua
enorme sorpresa lei scoppiò a ridere di rimando, affatto sconvolta:
«Per
fortuna io vivo a Boston! E no, non so chi sei, ma ti ho già
incontrato e ho sperato di poterti ritrovare, un giorno.» rispose
tranquillamente.
Loki
corrugò la fronte: «Non riesco a comprenderti.»
«Stoccarda.» disse la giovane; «“Voi siete nati per essere governati”.»
Quel
riportare sorridendo le parole ch’egli aveva pronunciato e l’assenza di paura
che ostentava fecero pensare a Loki che la donna non lo ritenesse né una
minaccia né un nemico; inoltre la sua postura decisa e la luce fiera che le
brillava negli occhi non gli erano del tutto sconosciute, e con rinnovato
stupore la riconobbe: era la mortale che si era alzata subito prima del vecchio
sciocco, nella piazza in cui gli umani si erano inginocchiati a lui. Quella sera
portava un abito blu come la notte trapunto di scaglie d’argento e delicate
calzature azzurre e aveva i capelli raccolti, ma i lineamenti gradevoli e gli
occhi intelligenti erano gli stessi.
«Tu. Tu
non sei fuggita come i tuoi simili, quella notte, e mi guardavi.»
«Ti
guardavo, sì, perché ero curiosa e perché hai detto cose interessanti.»
Loki le
si avvicinò, sovrastandola con la sua statura e ghignando cortesemente:
«Io sono
Loki, assurda mortale, e vengo da Asgard. Qual è il tuo nome?» le domandò.
Non che
gl’importasse davvero, dal momento che aveva ben altri pensieri a cui far
fronte, eppure qualcosa in lei lo incuriosiva a sua volta e gli suggeriva che
avrebbe potuto tornargli utile: era solo e senza poteri, e un’alleata
volontaria avrebbe costituito una piacevole novità.
La donna
gli rivolse l’ennesimo, incredibile, arrogante sorriso:
«Io sono
Erin Anwar e vengo dall’Irlanda.» lo parafrasò; «Il piacere è tutto mio.»
> Note a piè
di pagina
E qui si comincia a entrare nel vivo: gli Avengers hanno
vinto, Loki è tornato ad Asgard insieme a Thor e al Tesseract ed Erin lo ha
ritrovato. Cosa sia successo a lei dopo la notte di Stoccarda, quanto tempo sia
passato da allora e come sia capitata vicino al luogo in cui è caduto sono
questioni che rientreranno nel prossimo capitolo.
Qui inizio anche a delineare la mia visione del Dio degli
Inganni e dell’intera famigghia reale
asgardiana, ed è una parte assai delicata. So che molti immaginano crudeli
prigionie e labbra cucite e chissà cos’altro, terribili punizioni inflittegli
come fio da pagare per le malefatte commesse, ma è pur vero che non ritengo
Odino capace di fare realmente del male al figlio adottivo – non adesso,
almeno, sebbene nelle storie originali lo diventi in seguito all’assassinio di
Baldr (quando incatena Loki alla roccia col simpatico rettile che gli sputa
veleno in volto); inoltre secondo me esiliarlo sul mondo che ha tentato di
soggiogare, rendendolo oltretutto debole come un mortale qualsiasi, è di per sé
una condanna sufficientemente pesante per un dio che paragona Midgard e i
midgardiani a formiche e che è nato per essere re, molto più pesante di quanto
lo fu per Thor.
Soliti aneddoti tecnici:
– la “cappa di oscurità” che sembra calare su Odino fa
riferimento a una cosa che Loki dice a Thor nel film, quando gli domanda “quanto
potere oscuro” abbia dovuto raggranellare il Padre degli Dei per permettere al
figlio maggiore di tornare sulla Terra in assenza del Bifröst;
– il titolo del capitolo è ripreso da quello del film The descendants (per noi italici Paradiso amaro) con George Clooney, e
sta a indicare tanto la “discendenza” quanto la “discesa”, la“caduta”, la “rovina” (da descent);
– una canzone che si abbina perfettamente a questo capitolo e
ai personaggi in generale è Fine line
di sir Paul McCartney, poiché oltre ad essere bella ha un testo che sembra
scritto apposta per i due divini fratelli;
– no, Erin non è del tutto sana di mente, no :D
Ringrazio chi finora ha recensito, messo la storia tra le
seguite e letto soltanto: continuate a dirmi cosa ne pensate, mi raccomando.
Ossequi asgardiani e alla prossima settimana!
Capitolo 3 *** 3. I ain't never seen nothing like a Galway girl ***
3
3.
I
ain’t never seen nothing like a Galway girl
Il giorno
successivo agli strani avvenimenti della Galleria Schäfer la vita di Erin e
Sylvia tornò placidamente alla normalità, come se niente fosse accaduto. A
colazione tennero banco coi colleghi e amici d’orchestra per raccontare loro le
cose incredibili che avevano visto, ed Erin definì il tutto Paura e delirio a Stoccarda,
premurandosi di sottolineare che la paura era stata soltanto dell’amica, non
certo sua: lei anzi tessé le lodi del misterioso guerriero dall’elmo cornuto,
ricevendo parole scandalizzate da parte delle altre donne e un notevole
interesse da parte maschile. Ma gli uomini vollero sapere soprattutto di
Capitan America, della lotta e dell’occhio cavato e il resto rimase
miseramente in secondo piano.
Tuttavia
Francis Bright domandò a Erin cosa avesse detto lo straniero magico, e pur non
trovandosi d’accordo con lei nel dargli ragione la ascoltò con attenzione,
discutendone.
Erin
aveva una cotta per Francis sin da quando, tre anni prima, era entrata a far
parte della Boston Philharmonic Orchestra; lui suonava la tromba e per un po’
erano persino usciti insieme, senza eccessivo impegno. La cosa però non era
andata avanti e Francis aveva posato gli occhi su Sylvia e sui suoi capelli
fulvi, Sylvia che ancora non se n’era resa conto.
Nonostante
ciò tra le due donne non c’era rivalità, né Erin ne aveva mai fatto una
tragedia.
Così il
soggiorno tedesco si concluse senza ulteriori incidenti, per gli orchestrali, e
al momento di partire Erin prese un volo diverso da quello dei colleghi: avendo
una settimana vuota di lì all’inizio delle nuove prove ne approfittò per fare
visita alla sua famiglia, in Irlanda.
Erin era
una “ragazza di Galway” e ne andava fiera. Non aveva i capelli neri e gli
occhi blu come narrava l’omonima canzone, ma la sua bellezza e il suo carattere
non passavano comunque inosservati, specialmente in America dove viveva.
Era
dunque a cena nella sua casa natale, appena giunta dall’aeroporto e desiderosa
soltanto di dormire, quando il telegiornale internazionale divulgò
l’incredibile notizia di un attacco alieno ai danni di New York e di un
manipolo di eroi che lo avevano debellato. Nel vedere le immagini di quel che
stava succedendo al di là dell’Oceano il fratello minore di Erin saltò su come
una molla, sua madre si fece pallida come un cencio e suo padre e suo nonno
finirono misteriosamente col disquisire di politica. Lei tenne gli occhi
incollati allo schermo, riconoscendo il Capitano a stelle e strisce e pensando
che i fatti di Stoccarda e di Manhattan non potevano che essere collegati tra
loro, forse proprio dalla presenza del “suo” guerriero. Nei giorni seguenti
setacciò giornali e notiziari in cerca di qualcosa che parlasse di lui, invano,
e al termine della settimana trascorsa a Galway si convinse a malincuore che
l’uomo dai capelli neri doveva essere svanito o fuggito, magari per sempre.
Allora
rientrò a Boston, dove abitava, tranquillizzando i genitori e il nonno e
promettendo al fratello che se mai avesse incontrato Capitan America per strada
gli avrebbe chiesto una foto con autografo da mandargli. Li salutò con affetto
e abbracciò con sguardo amorevole le verdi campagne e la pioggia leggera della
sua infanzia, e fece ritorno allo scintillìo del nuovo mondo.
Un altro
mese passò snocciolandosi senza fretta. L’orchestra cominciò le prove per il
concerto che avrebbe avuto luogo in città a breve ed Erin riprese la sua solita
routine: dormì fino a tardi ogni volta che poté, uscì con Sylvia, fece nottata
con colleghi e vecchi amici e in un paio di occasioni dette buca a tutti per
rimanere in casa a guardare telefilm o per filarsela fuori da Boston a scattare
fotografie che non comprendessero figure umane nell’inquadratura.
Non cessò
mai di pensare allo sconosciuto dall’elmo lucente, ma poiché a Sylvia scoppiava
un embolo al solo sentirlo nominare e agli altri non interessava troppo Erin
tenne quei pensieri per sé: si sentiva come Amy Pond di Doctor Who, “la ragazza che aveva
atteso” un tizio stropicciato piovuto dal cielo una notte, un uomo che
nemmeno conosceva – e questo le dava l’impressione di essere una sciocca
bamboccia fantasiosa malgrado i suoi ventisei anni.
Poi, in
una giornata particolarmente tiepida e limpida, dopo una prova intensa e
sfiancante, Erin decise di andare di nuovo in campagna armata di reflex e
cavalletto; fece rombare il motore della sua gloriosa Alfa Romeo Duetto 1600,
splendido esemplare arrivato direttamente dagli anni settanta italiani, e
sfrecciò lungo le strade di periferia nella luce gonfia del pomeriggio. Fare
foto la rilassava e appagava il suo senso estetico, e lei non aveva pretese di
spacciarsi per una vera fotografa come invece molti facevano: quel voler sempre
apparire dannatamente intelligenti e artistici e intellettuali pur non
essendolo era uno dei molti aspetti dei suoi simili che mal tollerava. Non
avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma la sua mente era come scevra dagli
schemi e dalle etichette tipiche della società che la circondava, ed era semplicemente più logica e lineare. Erin veniva spesso definita "cinica", anche
da chi ben la conosceva, eppure l’aggettivo era abbastanza riduttivo. Le era
difficile trovare persone con cui sentisse di potersi confrontare alla pari,
persone che avessero opinioni vicine alle sue, e probabilmente era per questo
che il ricordo dello straniero di Stoccarda la ossessionava.
Rimuginò
sull’argomento per l’intero pomeriggio, mentre metteva a fuoco spighe e fiori e
distese di campi rigogliosi, il sole che piano piano si abbassava
sull’orizzonte.
Al tramonto
la batteria della macchina fotografica era andata a farsi benedire e lo stomaco
di Erin protestava per l’assenza di cibo. La giovane reimpacchettò
l’attrezzatura e saltò sul Duetto per rientrare in città. Ma non aveva
percorso che un quarto del tragitto quando i suoi occhi acuti colsero, mescolato al
chiarore morente del giorno, un bagliore che squarciava il cielo a ovest:
rassomigliava al lampeggiare di un temporale, e tuttavia non si vedeva alcuna
nuvola; e d’un tratto una lieve scia luminescente se ne dipartì, disegnando una
linea nell’aria tersa e svanendo in un istante. Erin rallentò e col cuore in
subbuglio osservò le campagne attorno a lei, chiedendosi se non stessero
piovendo altri alieni e se non avesse scelto un perfetto momento di merda per
allontanarsi in solitaria dalle sicure vie di Boston.
Mandando
l’auto a passo d’uomo abbassò il finestrino e tese le orecchie. Per un po’ udì
solo canti d’uccelli e il ronzìo del proprio motore, e dato che il cielo era
tornato alla normalità Erin mandò giù un bel sospiro di sollievo: forse era un
pezzo di satellite, si disse.
Ed ecco
che, d’improvviso, una voce scaturì dal nulla. Non era troppo distante da lei e
suonava rabbiosa, la voce di qualcuno che urlava come un matto – e tra i campi
alla sua sinistra, Erin si accorse con un sussulto, si muoveva una sagoma alta
e vacillante, una sagoma umana.
«Porca
puttana!» imprecò la ragazza, e inchiodando accostò al ciglio della strada.
Scese di
macchina e si avviò tra le spighe e l’erba, squadrando con cautela la figura
che effettivamente barcollava e gridava furiosamente qualche metro più in là,
rivolta al cielo. Nella debole luce violacea del crepuscolo Erin distinse un
uomo con indosso una tunica verde scuro e pantaloni e stivali neri, e capelli
corvini pettinati all’indietro; gli andò incontro con maggior decisione e
l’altro la notò e si fermò, tacendo, e volse il viso verso di lei.
Non
portava né elmo cornuto, né bastone dorato, né armatura, ma Erin lo avrebbe
riconosciuto in mezzo a mille altri. Un sorriso trionfante le fece brillare gli
occhi: il guerriero misterioso era tornato.
«Io sono
Erin Anwar e vengo dall’Irlanda.» lo parafrasò; «Il piacere è tutto mio.»
Loki
emise un piccolo sbuffo e prese a camminarle intorno in cerchio:
«Com’è
possibile che tu non dia l’impressione di temermi, donna?» disse.
Lei fece
spallucce: «Boh. Dammi una buona ragione e avrò
paura di te. Ma adesso non sei armato e possente come a Stoccarda, e io non so
cosa pensare.»
Il Dio
degli Inganni fremette di rabbia, conscio della propria ridicola condizione
terrena, e a pugni serrati si allontanò di pochi passi. Trovava surreale
conversare con quell’umana, eppure l’idea di poter volgere quell’imprevista
situazione a proprio vantaggio tornò a tentarlo.
«Non vi
sono buone ragioni, al momento.» ammise senza guardarla: «Sono stato bandito
dalla mia casa e sono l’ombra di ciò che ero, di come tu mi hai veduto laggiù.
Perciò va’ pure per la tua strada, donna d’Irlanda, e non aver tema di me. A
meno che...»
S’interruppe
e la fissò con un’ombra di sospetto. Erin aggrottò la fronte:
«A meno
che?» incalzò con una certa strafottenza.
«A meno
che tu non sia affiliata allo S.H.I.E.L.D. In tal caso le cose si farebbero più
complicate. Non ho intenzione di avere a che fare di nuovo con quegli
inetti.» rispose Loki.
La
giovane incrociò le braccia e ricambiò l’occhiataccia: «Cacchio sarebbe lo
Shield? Io sono musicista, e l’unica affiliazione che ho è quella con la Boston Philharmonic Orchestra.»
Lui
sogghignò al suo tono carico d’orgoglio e si rilassò, l’espressione
conciliante:
«Allora
non abbiamo spinose questioni da risolvere. Puoi andartene.» concesse.
Ma Erin
non mosse un muscolo: «E tu cos’avresti intenzione di fare?»
«Niente
che possa riguardarti, assurda mortale! O magari vorresti aiutarmi?» la
schernì Loki.
«Perché
no? Avrei voluto esprimerti il mio appoggio a Stoccarda, quindi perché non
rimediare ora?» disse lei; «Puoi raccontarmi come sei finito qui e cosa cerchi,
e se eri tu la scia luminosa piovuta dal cielo poco fa. Puoi spiegarmi cosa
facevi alla Galleria Schäfer e che diavolo è successo a New York un mese fa, e
io vedrò cosa posso fare per te.»
L’asgardiano
esultò in silenzio a quelle parole, all’implicito aiuto che la mortale gli
stava offrendo e in cui lui aveva sperato sin dal principio della loro
conversazione.
Tuttavia
si mostrò ancora dubbioso e domandò: «Perché lo faresti?»
«Perché
tu mi piaci, Loki, e perché non
andrai lontano senza denaro in tasca.»
«E
perché ritieni che avrei bisogno di denaro o di una mano, come se fossi un
mortale tuo pari?» seguitò a provocarla lui. Voleva capire se ne valeva la
pena – se lei valeva la pena.
Erin
sorrise di nuovo: «Prima hai detto di essere l’ombra di te stesso. Credo che
se tu potessi agire come a Stoccarda lo avresti già fatto, e magari mi avresti
uccisa o costretta con la forza a fare qualcosa per te. Ma ti ho trovato solo e infuriato
in mezzo alla campagna, e quali che siano i tuoi piani ti serve qualcuno che ti
dia una mano a muoverti tra gli umani come un uomo normale.»
Al Dio
degli Inganni piacque quel ragionamento, tanto più che, suo malgrado, non
faceva una piega. Dimostrava che la donna che gli stava di fronte era più
intelligente della media e che il suo pensiero si avvicinava probabilmente al
suo, in una qualche enigmatica maniera. Perciò decretò tra sé che ne valeva la
pena, e annuì:
«Mi hai
convinto, assurda mortale.»
«Ti fa
così schifo chiamarmi Erin? L’accezione “mortale” ha un che di offensivo.» replicò
la ragazza mentre si avviava verso l’auto facendo tintinnare un paio di chiavi.
Loki non
si curò di risponderle ma la seguì fino al Duetto parcheggiato sul limitare del
campo, osservandola aprire lo sportello e prendere posto all’interno, e la
imitò dopo un attimo di principesca esitazione: in fondo, l’ultima volta che si
era servito di un veicolo midgardiano aveva controllato la situazione dal
tetto, non certo dal sedile del passeggero.
Erin
riavviò il motore e riportò l’auto in carreggiata, acquistando presto velocità.
Guidò nella notte ormai calata con un piccolo sorriso segreto dipinto sulle
labbra e guardando l’uomo che le sedeva accanto con la coda dell’occhio: si
sentiva euforica, l’adrenalina che le scorreva come un fiume rovente nelle vene
e il cuore in gola per l’eccitazione e il trionfo. La sua speranza non si era
rivelata vana, e come se non bastasse adesso era lei a tenere le redini della
situazione, ad avere un vantaggio sul guerriero piovuto dal cielo; avrebbe
potuto saperne di più sul suo conto e sui suoi propositi, e magari con un po’
d’astuzia questo l’avrebbe portata a realizzare un paio di folli, grandiosi
desideri che aveva in animo da sempre. E poi, non riusciva a negarlo, quel
Loki era maledettamente attraente.
Erin
scosse il capo per tornare a concentrarsi sugli aspetti seri della faccenda:
«Mi hai
detto che vieni da Asgard. Il nome non mi è nuovo, ma dimmi di più, ti prego.»
lo interpellò dopo diversi minuti di silenzio. In lontananza si scorgevano le
luci di Boston.
«E il mio
nome non ti dice niente, invece?» chiese lui, la voce maliziosa.
«Entrambi mi dicono qualcosa.» confermò l’irlandese, pur non sapendo cosa.
Loki la
fissò: «Asgard è il mondo in cui sono stato allevato. Gli umani lo chiamano
anche Valhalla, la Dimora degli Dei. E io sono Loki, Signore dell’Inganno e
della Menzogna, legittimo erede a un trono che mi è stato sottratto con
stoltezza e stupidità.» disse, e le sue iridi fiammeggiarono di fiera collera
nel buio abitacolo del Duetto.
La
giovane donna sobbalzò e la macchina sterzò pericolosamente verso destra:
«Cazzo!» esclamò riprendendo a stento il controllo del volante; «Sospettavo che tu
fossi un re poco terreno, ma addirittura un dio, quel dio...»
Loki
parve divertito e lusingato dalla sua reazione: «Questo cambia qualcosa?»
«Non
credo. Comunque sia al momento non sei molto divino, o sbaglio?»
mormorò Erin; lui fece uno stizzito gesto d’assenso e lei proseguì: «Dunque
cos’è successo lassù? Chi ti ha spedito qua come un pacco postale prendendosi i
tuoi poteri?»
«Odino.» rivelò Loki in un ringhio. Quel dialogo iniziava a stancarlo.
«E Odino
non è tuo padre?» indagò lei, che aveva le idee confuse al riguardo.
«Va’ a rileggerti
la mia storia su qualche sciocco libro midgardiano.» fu la secca replica del dio caduto, e
la ragazza di Galway comprese che per quella sera l’argomento era da
considerarsi chiuso.
Percorsero
l’ultimo tratto di strada senza parlare, entrambi a disagio, mentre l’auto
s’immetteva nel raccordo d’ingresso occidentale di Boston e sfrecciava sotto le
luci sempre più fitte e intense della grande città. Loki osservò la frenesia di
quel luogo con infastidito distacco e i suoi alti palazzi ricoperti di specchi
gli ricordarono New York e la sconfitta subìta, e il sangue gli ribollì
nuovamente all’idea del ridicolo destino che lo aveva condotto da misero esiliato
in un’altra città umana, scarrozzato da una folle mortale su uno strano veicolo.
Il Duetto
svoltò in un groviglio di vie centrali meno trafficate e imboccò una discesa
lastricata che conduceva a un parcheggio seminterrato, sotto una robusta casa
di mattoni a più piani. Erin tirò nervosamente il freno a mano, spegnendo il
motore.
«Merda,
domani devo fare benzina.» borbottò nell’aprire la portiera; raccolse la
borsa e la macchina fotografica dal sedile posteriore e guardò Loki, in attesa.
«Dove mi
hai portato?» questi volle sapere scendendo finalmente dall’auto.
«A casa
mia. Ti ospiterò per questa notte, poi vedremo che fare.»
Chiuse la
macchina e lo condusse nell’ascensore, e salirono fino al penultimo piano del
palazzo: qui, in un corridoio dipinto di bianco e rosso, Erin puntò con
decisione su una portone di legno scuro e lo aprì, una mano posata sul pomello
d’ottone che lo ornava. Loki indugiò, mirando le forme in penombra che si
distinguevano all'interno e la sagoma esile dell’irlandese stagliata contro il
chiarore che filtrava dalle finestre dell’appartamento.
Erin accese la luce dell’ingresso e gli dedicò un sorriso storto:
«Allora?» disse in tono più morbido, ignorando di proposito l’ambiguità della
situazione e il calore che suo malgrado le era salito alle guance e alla punta
delle orecchie.
Il Dio
degli Inganni varcò infine la soglia ed Erin richiuse la porta.
> Note a piè
di pagina
Ed ecco che comincio con le Citazioni Colte Da Veri
Intenditori: il riferimento a Doctor Who e
a Amy Pond, “the Girl who Waited”, e l’Alfa Romeo Duetto, che oltre a essere
un’auto strepitosa è anche quella che si vede ne Il laureato, se avete presente di che film si tratta. In origine la
macchina di Erin era una Giulietta, sempre Alfa e sempre degli anni ’70, quella della
polizia nei poliziotteschi nostrani, ma poiché negli USA non è mai stata
omologata ho dovuto scegliere il Duetto. Non che sia una perdita, sono belle
entrambe e molto badass.
Così avete scoperto nuovi elementi sulla nostra mortale fuori
di cucuzza, la quale si è appena portata a casa un asgardiano pluriomicida come
se niente fosse. Sta giocando col fuoco ed è probabile che abbia un paio di
idee malsane in testa, e credo che l’asgardiano pluriomicida in questione sia
piuttosto intrigato dalla cosa.
Ammetto di non essere sicura che intorno a Boston vi siano
campi e campagne come quelli in cui la donna d’Irlanda cazzeggia con la reflex
prima d’incappare nel suo dio stropicciato, perché ho semplicemente
occhieggiato le foto satellitari e letto qualcosa qua e là – voglio dire, ci
saranno, ma di certo non nelle immediate vicinanze della metropoli. Chiudete un
occhio, per favore.
Il titolo del capitolo è l’ultimo verso della canzone tradizionale
irlandese Galway girl cui faccio
riferimento nel descrivere Erin. Adoro l’Irlanda, sapevatelo ♥ ascoltatela nella versione di
Sharon Shannon e Steve Earle, merita.
Di nuovo grazie mille a chi legge, a chi segue la storia e a
chi l’ha messa tra preferite e ricordate. Però andiamo, scrivetemi le vostre
impressioni: continuerò a pubblicare comunque, poiché la adoro e vado fiera di
ciò che ho creato, ma sapere cosa ne pensate non potrà che farmi un immenso
piacere.
Capitolo 4 *** 4. Mr. Mischief and me (tell each other fairy tales) ***
4
4.
Mr.
Mischief and me (tell each other fairy tales)
Erin non
riuscì a chiudere occhio, quella notte. Si rigirò per ore come una biscia tra
le lenzuola fresche di bucato, alzandosi tre volte per tre differenti motivi:
il primo fu la fame nervosa che la assalì, dal momento che prima di coricarsi
aveva lo stomaco chiuso e non aveva mangiato; il secondo fu la voglia
impellente di un thé caldo e della puntuale tappa in bagno che ne seguì, e il
terzo fu Loki – o per meglio dire fu il bisogno di controllarlo.
Il Dio
degli Inganni giaceva, profondamente addormentato, sul letto che occupava la
piccola stanza degli ospiti. Indossava ancora gli abiti impolverati coi quali
era giunto, sebbene si fosse premurato di lasciare gli stivali fuori dalla
porta, e dormiva supino come se si fosse gettato sul materasso a peso morto
piombando subito nel sonno. Erin ne fu sollevata e ripensò con notevole
divertimento alla smorfia di superiorità che l’asgardiano aveva sfoggiato
mentre gli mostrava la casa e dove avrebbe alloggiato, non ritenendolo un
ambiente a lui consono.
La
giovane se ne tornò quindi in punta di piedi nella propria camera,
annaspando nel goffo tentativo di fare silenzio, e si tuffò di nuovo sotto le
coperte, sveglia come un grillo.
Dalle
veneziane abbassate filtrava la luce dei lampioni, disegnando strisce aranciate
sul muro, e lei le fissò cercando di fare mente locale: avere un
ingannatore divino nel proprio appartamento non era esattamente ciò che si
sarebbe immaginata, nemmeno nei suoi sogni più estremi, e l’incognita che
quella situazione rappresentava andava crescendo di minuto in minuto. Erin
voleva che il dio nordico piovuto dal cielo rimanesse, senza ombra di dubbio,
ma non aveva la più pallida idea di come agire o come comportarsi. Gli aveva
offerto d’impulso un aiuto e adesso non riusciva a concepire un piano sensato
né una strategia di conoscenza. Si spremeva le meningi per ricordare almeno un
paio di leggende sul Valhalla e al contempo si chiedeva, confondendosi da sola,
cosa avrebbe inventato per tenere quei ficcanaso dei suoi amici fuori dalla
faccenda. Inoltre l’adrenalina le scorreva ancora a fiotti nelle vene e,
complice l’orario antimeridiano, le era assai difficile concentrarsi.
Quando il
cielo sopra Boston iniziò a rischiararsi e i primi rumori della città si
risvegliarono, Erin guardò speranzosa l’orologio: mancava poco alle sette e
finalmente poteva cominciare a fare qualcosa di costruttivo. Con calma scelse
degli indumenti puliti, afferrò della biancheria a caso da un cassetto e si
barricò in bagno per un’ora buona, concedendosi una lunghissima doccia calda
che la aiutò a rilassarsi. Poi sgattaiolò in cucina in accappatoio e coi
capelli bagnati avvolti in un asciugamano, e controllando l’agenda si preparò
un abbondante caffellatte; le prove quel giorno erano fissate per le tre del
pomeriggio, pertanto aveva una mattinata intera per sbrogliare almeno un po’ la
matassa legata a Loki.
Questi
non si svegliò neppure al suono del phon e delle imprecazioni che Erin sbraitò
nello scivolare sul tappetino della toeletta, e lei se ne stupì al punto di
arrischiarsi a verificare che non gli fosse successo qualcosa o che non fosse
magicamente scomparso, magari.
Ma il dio
nordico era lì dove lo aveva lasciato quella notte, placido e immoto, e aveva
soltanto cambiato posizione nel sonno. Erin ridacchiò della propria stupidità e
ancor più stupidamente s’incantò a guardarlo: nella luce tenue del mattino che
rischiarava la stanza appariva simile a una figura dipinta, e pur essendo un
essere antico e immune al tempo in quel momento aveva l’aspetto di uomo nel
pieno della propria giovinezza. Osservandone il volto disteso Erin pensò che
era bello in maniera inconsueta, con quei lineamenti marcati e regali, le
labbra sottili e la fronte alta, e la pelle quasi diafana che contrastava coi
capelli color del buio; ed era magro e forte assieme, e il suo carisma era
rimasto immutato nonostante tutto.
L’irlandese
si piantò una manata in fronte per darci un taglio e battè
rapidamente in ritirata dalla camera degli ospiti per finire di truccarsi e
vestirsi. Poi s’infilò nelle orecchie le cuffie dell’iPod, prese la borsa e si
mise gli stivali saltellando verso la porta, e quando fu in strada si diresse
verso il centro commerciale più vicino ascoltando i Tower of Power.
Loki aprì
lentamente le palpebre, sollevandosi a sedere sul letto. La pesante stanchezza
della sera precedente era scomparsa dalle sue membra, e la lunga dormita gli
aveva giovato. La stanza in cui si trovava era piccola ma confortevole,
immersa nella luce soffusa del giorno che ormai brillava sfacciato oltre la
finestra oscurata dalla bizzarra tenda rigida a listelli. Loki si alzò e
recuperò i propri stivali sulla soglia, continuando a guardarsi intorno: la
dimora era silenziosa, segno che l’assurda mortale non era presente, e lui ne approfittò
per studiare quel luogo con mente finalmente lucida. Era una casa abbastanza
spaziosa e arredata con una certa classe, se comparata con lo stile generale di
quel misero pianeta; le molte finestre e la posizione elevata ne facevano un
ottimo punto d’osservazione, fatto utile qualora si fosse presentata
l’occasione di sfruttare l’appartamento come base strategica. Il Dio degli
Inganni sogghignò apertamente, per un attimo dimentico di quel che era accaduto
e concentrato sulle prospettive ancora ignote che gli si stendevano dinnanzi,
come se non fosse cambiato niente da quando aveva tentato di conquistare
Midgard, come se quella conquista fosse ancora a portata di mano.
Il
sorriso svanì dal suo viso come fumo nell’aria: prima di ritentare l’impresa
doveva riappropriarsi dei poteri perduti, e se ben conosceva Odino non sarebbe
bastato abbassarsi a vivere come un mortale per due o tre dì per convincerlo
che era degno di tornare. Forse restare con la donna d’Irlanda gli avrebbe
indicato la via per risolvere la questione o almeno accelerarla, oppure lei
stessa si sarebbe rivelata una soluzione. Troppi erano gli interrogativi, pensò
Loki, e d’altronde in quella situazione poteva permettersi di non avere fretta.
Avrebbe
sondato minuziosamente l’animo e le intenzioni di Erin Anwar e si sarebbe
accertato di non avere alle costole ridicole organizzazioni di sedicenti
supereroi midgardiani, pianificò, e soddisfatto del ragionamento prese a
camminare per il soggiorno. Notò che vi si trovavano molti libri e alcuni apparecchi
tecnologici di fattura più semplice di quelli visti sulla grande nave volante
dello S.H.I.E.L.D. e riconobbe che certi orpelli tipicamente femminili erano
identici in ogni angolo del cosmo, da Asgard a Midgard. Ma ciò che catturò la
sua attenzione furono degli spartiti musicali fitti di note, sistemati su un
leggìo nero e sottile, e un astuccio anch’esso nero poggiato sul tavolo lì di
fianco: Loki ricordò vagamente che l’irlandese si era definita “musicista”, la
sera precedente, e nell’aprire l’astuccio vide che conteneva uno strumento
lucente diviso in tre pezzi di diversa lunghezza. Sembrava fatto d’argento, e
nonostante i complicati meccanismi che lo componevano doveva essere un flauto.
In quella
la porta dell’appartamento si spalancò ed Erin entrò in casa canticchiando una
canzone ritmata, le mani cariche di sacchetti colorati. Loki richiuse
l’astuccio.
«Ehilà,
dio nordico, ben ritrovato.» lo apostrofò la giovane: «Come ti senti?»
Lui
ignorò la domanda e ne fece una a sua volta: «Che genere di flauto è questo?», e indicò la custodia sul tavolo; Erin inarcò le sopracciglia, stupita, e
mise a terra le sporte.
«Un
flauto traverso in argento. Non è artigianale e non è il migliore che possiedo,
ma per studiare è un ottimo strumento.» disse con tranquillità. «Comunque
vedo che stai bene.»
Poi,
mentre l’asgardiano si passava una mano tra i capelli scompigliati e la
studiava senza avvicinarsi, tirò fuori dai sacchi una pila di indumenti e una
scatola di cartone, che depose sul divano che si trovava in mezzo a loro, e un
paio di grossi libri dalla copertina elaborata.
«Ti ho
preso qualcosa da indossare per confonderti tra noi tristi esseri umani, e
anche per avere vestiti puliti da mettere nel caso tu volessi fare una doccia.» gli spiegò, sorniona.
«Doccia?
Non possiedi una vasca per le abluzioni?»
«Il mio
bagno è troppo piccolo per contenere una vasca, per quanto io ne desideri una.»
Loki le
dedicò un’occhiata di regale e sprezzante pietà:
«Mi
abbasserò a fare uso della doccia, allora, e di questi poveri stracci terreni.»
Erin
scoppiò in una sincera risata: «Credimi, il mio mortale tenore di vita è
abbastanza elevato da permettermi quasi sempre il meglio! Ma non sono sicura
che questi abiti ti vadano bene addosso e ho preferito spendere poco
nell’ipotesi di doverli cambiare. Inoltre c’è da sperare che questa tua
condizione sia passeggera, perciò vedi di sopportare.»
Il Dio
degli Inganni ridacchiò, apprezzando lo spirito pratico dell’irlandese, e
afferrò il mucchietto di indumenti dirigendosi verso il bagno, l’espressione
appena contrariata.
«Nella
scatola invece c’è un paio di scarpe.» disse ancora Erin; «Io intanto cucino
qualcosa che anche il tuo nobile stomaco possa approvare. Buone abluzioni!»
Ma Loki
era già scomparso nell’altra stanza, chiudendo sonoramente a chiave la porta.
La
ragazza di Galway, colta da culinaria ispirazione, preparò una sostanziosa
zuppa di cipolle tipica delle sue parti e due braciole di carne di maiale che
passò sulla gratella, lasciandole mediamente al sangue come voleva la
tradizione. Nel frattempo tolse dal frigorifero due bottiglie di Guinness e ne
sorseggiò una nell’attesa che il cibo cuocesse, il naso immerso tra le pagine
di uno dei libri che aveva preso in prestito alla biblioteca del quartiere: una
raccolta di fiabe e leggende vichinghe e un saggio sulla complessa mitologia
del Nord Europa di cui l’uomo che al momento si trovava nella sua cabina doccia
sembrava far parte a tutti gli effetti. Le storie legate al Valhalla e ai suoi
potenti abitanti erano molte e lunghe, epopee a tinte forti che avevano
condizionato l’immaginario di quasi un intero continente, e leggendo qua e là
Erin prese finalmente a ricordare ciò che le era stato raccontato da bambina,
sebbene avesse sempre preferito elfi, uomini e druidi ai roboanti dèi norreni.
Con
sguardo febbrile corse ai capitoli dedicati a Loki l’Ingannatore, e il modo in
cui questi veniva descritto le strappò una risata nervosa: forse, si disse
tracannando un robusto sorso di birra, stava giocando col fuoco, se doveva dar
retta al mito, e forse la cosa peggiore era che non gliene importava granché.
«Dall’odore si direbbe che tu sappia cucinare, donna d’Irlanda.»
L’Ingannatore
in questione fece il suo ingresso in cucina coi capelli umidi e una delle maglie
di cotone che lei aveva comprato indossata sopra i soliti calzoni e stivali
neri asgardiani, ed Erin sobbalzò sputando metà Guinness e inghiottendo a
fatica il resto.
«Ovvio
che so. Le abluzioni sono state di tuo gradimento?» chiese tossendo.
Di nuovo,
Loki rispose con un’altra domanda: «Cosa leggevi su quei tomi?»
«Leggevo
di te.» disse la giovane guardandolo di sotto in su: «I miei simili non ti
hanno mai dipinto in toni eccessivamente lusinghieri, eppure li trovo un po’
esagerati.»
«I mortali
hanno sempre avuto una fervida fantasia.» commentò il dio caduto, e qualcosa
nel suo tono indusse Erin a non ritenerlo un
complimento.
Lui
sedette al tavolo, e l’irlandese si affrettò a servire la zuppa calda e densa:
«In
effetti preferirei sentire direttamente da te la storia di come sei giunto qui
per ben due volte, di cosa cercavi e perché, e dei fatti del tuo mondo.
Non amo molto l’umanità, sebbene ne faccia parte mio malgrado, e poiché ritengo
la gente mediamente stupida tendo a non fidarmi molto di quel che dice.»
asserì con cautela, iniziando a mangiare.
Loki
dovette riconoscere che quella donna aveva la straordinaria capacità di
rapportarglisi da pari a pari, o almeno dava l’impressione di non ritenersi inferiore
a chicchessia, nemmeno a lui. Sceglieva con cura le parole e sapeva far leva
sui tasti giusti, segni di una forza di persuasione non indifferente. Il Dio
degli Inganni decise di premiarla per questo e di dirle ciò le interessava:
così avrebbe guadagnato una buona fetta della sua preziosa fiducia, e più tardi
si sarebbe occupato di far parlare lei. Cominciò allora a raccontare e cominciò
dall’inizio, da Asgard e Jotunheim, da Odino e Laufey e Frigga e da suo
fratello Thor; narrò della sua prima caduta attraverso il cosmo e del
Tesseract, del piano per divenire sovrano di Midgard dopo che il trono degli
Æsir gli era stato sottratto, dei Vendicatori, dell’iridio nei laboratori di
Heinrich Schäfer e della battaglia di New York; rimembrò ad alta voce la bruciante
sconfitta, la prigionia tra mura dorate che non si era aspettato e infine
l’umiliante punizione che Odino gli aveva inflitto, ma non accennò minimamente
al ricatto del titano rosso.
Erin non
interruppe mai, fece solo qualche domanda e si alzò dal tavolo con l’unico
scopo di mettere le braciole nei piatti. Ascoltò avidamente ogni parola, con una fascinazione genuina dipinta nei grandi occhi color
nocciola e sorridendo a tratti.
Quando
infine l’asgardiano concluse il proprio racconto l’irlandese lo guardò:
«Proverai di nuovo a conquistare la
Terra per esserne il re?» chiese.
Lui annuì
e indagò di rimando: «E tu? Cos’è che ti ha condotta fin qui, fino a me?»
«Vedi,
vengo da un paese che crede ancora in cose antiche, e sin dall’infanzia ho
udito storie su mondi dimenticati in cui regni e sovrani erano sempre descritti
come aspetti positivi, come qualcosa di cui avere nostalgia. E poiché l’epoca
in cui vivo non è migliore di epoche passate in cui queste cose esistevano
ancora, mi sono fatta l’idea che le democrazie e simili sistemi di governo
siano fallimentari e ipocriti, non troppo diversi da monarchie e dittature e
tuttavia privi di figure forti e trascinanti che i popoli possano amare
o anche temere.» rispose Erin, le mani che si muovevano nell’aria come se
stesse cercando di riunire i propri pensieri per dar loro una forma. «È
l’illusione di essere liberi di cui parlavi tu a Stoccarda: la gente è convinta
che la libertà sia questa, far parte di una società che si professa democratica
in modo che qualunque idiota possa diventare qualcuno, spesso a discapito di
chi lo meriterebbe sul serio. Ecco perché da anni spero che prima o poi salti
fuori una figura diversa da tutte le altre, come un personaggio di quelle
storie dimenticate, e che riesca a cambiare le cose. Quando ti ho visto e
sentito parlare, quella sera, ho capito che tu avresti potuto esserlo, e ti ho
ammirato con tutta me stessa. E comunque...»
S’interruppe
e rise rovesciando indietro la testa, a metà tra l’imbarazzo e il
compiacimento:
«E
comunque ammetto di aver sempre pensato che la soluzione migliore sarebbe che
io stessa divenissi sovrana di questo mondo. Credo che saprei come governarlo.»
Loki
avvertì il sangue rombargli nelle vene, eccitato e colpito dalla folle
intelligenza di quella donna geniale, dalle sue idee e dalla sicurezza che
ostentava e finanche dal suo bel sembiante illuminato dalla risata e dalla
fierezza del suo discorso. Allora le sorrise a sua volta, poiché non avrebbe potuto
desiderare alleata più confacente di lei: Midgard spettava a lui, questo era
fuori discussione, ma su certi dettagli si sarebbe concentrato molto più
avanti.
E
rimasero così, seduti ai due capi del tavolo, a sorridersi e guardarsi dritti
negli occhi con le labbra ancora fresche di birra scura.
> Note a piè di
pagina
Bene, con questo capitolo si chiude la parte introduttiva della storia: di
Erin ormai si sa quel che c’è da sapere – chi è, da dove viene, che lavoro fa,
che strumento suona e persino come la pensa sul mondo in cui vive – e lei sa
altrettanto del suo ingannevole ospite. Compreso il fatto che è dannatamente
gnocco con una maglia di cotone e i capelli bagnati, diciamocelo.
Riguardo alle idee “politiche” della nostra folle irlandese vorrei
chiarire un paio di punti: il suo NON è un pensiero simil fascista/nazista o
che, è più un modo idealizzato e romantico di intendere la “monarchia”; è una
cresciuta a pane e storie, e ha pure delle notevoli manie di grandezza. È estrema prima che estremista, ma del
resto non credo che Loki si sarebbe mai lasciato incuriosire da una persona
(tanto più se umana e donna) che fosse meno assurda e attratta dal potere.
Dal prossimo capitolo si aprono le danze, e da danzare ci sarà.
Il titolo di questo è tratto da un verso della canzone Mr. Jones dei Counting Crows che dice “Mr. Jones and me / tell each other
fairy tales”; il pezzo in sé non rientrerebbe nella colonna sonora della
storia, però la frase calzava a pennello. Un brano che invece ci rientra eccome
e che mi fa pensare a Loki è Man of
simple pleasures dei Kasabian.
In tutto questo se c’è qualcuno in ascolto batta un colpo, per favore, ché
qui mi par d’essere dispersa nel vuoto siderale tra i Nove Regni peggio del Mr.
Mischief di cui sopra… Ossequi asgardiani a tutti e a presto!
Nick Fury
contemplò con fare inquieto lo schermo del computer che aveva di fronte: i
grafici indicavano un inequivocabile picco di energia elettromagnetica rilevato
qualche giorno prima nei dintorni di Boston, sebbene dopo quell’episodio gli
strumenti dello S.H.I.E.L.D. non avessero registrato altre attività che
potessero collegarvisi, e ciò lo innervosiva.
«Hill,
sai meglio di me che questi dati non sono rassicuranti.» disse a voce bassa.
L’interpellata
si voltò a guardarlo, la fronte corrugata: «Lo so bene, direttore, eppure non
abbiamo altri segnali che possano ricondurre a questo fenomeno. Ho già mandato
alcuni agenti a controllare la zona, e nessuno di loro ha trovato elementi
anomali.» ribatté.
L’uomo
incrociò le braccia al petto e prese a camminare avanti e indietro:
«Probabilmente non è niente di cui dobbiamo preoccuparci, ma preferisco prendere
precauzioni. Fa’ tenere d’occhio l’intero distretto bostoniano, Maria, e manda
un messaggio urgente a Selvig e al suo team. Li voglio qui tra meno di una
settimana.»
«Crede
che lui e Jane Foster potranno vederci più chiaro, signore?» chiese la donna.
Fury
assentì: «Più chiaro di noi sicuramente. E metti sul chi vive anche Stark.»
La bella
Hill sorrise appena: «Non ne sarà molto felice. In fondo è passato poco più di
un mese dall’ultima volta.» commentò ironica, considerando l’indole di Iron
Man.
«Quel
che pensa lui non ha grande importanza.» tagliò corto l’altro scrollando le
spalle.
In una
decina di giorni di convivenza forzata Loki aveva finito con l’abituarsi alla
presenza di Erin Anwar e alla modestia della sua dimora. Non aveva ancora messo
piede fuori da quelle quattro mura, e ciononostante il solo osservare lei, i suoi
comportamenti e i suoi gusti gli aveva fornito un soddisfacente quadro della
natura midgardiana che mai prima aveva considerato.
Non che
l’irlandese potesse definirsi un esempio attendibile di essere umano, ma
tramite lei aveva per contrasto scoperto molte cose: i mortali erano facilmente
plagiabili, per prima cosa. Governi e potenze economiche plasmavano il loro già
labile pensiero attraverso l’apparecchio chiamato televisione, proponendo immagini convincenti e falsi miti e
seguendo quelle che Erin medesima aveva definito “regole di mercato”. Era una rete
di finzioni e di vuote promesse sì ben congegnata che persino il Dio degli
Inganni dovette riconoscerne l’efficacia.
Erin
colse la palla al balzo e gli illustrò un paio di tattiche di marketing facendo
riferimento all’esperienza dell’asgardiano, in una tiepida serata in cui se ne
stavano sul tetto del palazzo a guardare, dopo cena, le luci abbacinanti della
città che si stendeva ai loro piedi. Gli disse che se avesse dato corda agli
amici di Thor e se non avesse mentito a quest’ultimo, se non gli avesse mandato
contro il Distruttore, avrebbe mantenuto la propria posizione di reggente per
molto tempo, e forse Odino lo avrebbe preferito al figlio maggiore persino
quando questi fosse tornato dall’esilio. Lo stesso valeva per i fatti di
Stoccarda: minacciare di morte un vecchio innocente e disarmato non era
esattamente la strategia più funzionale per farsi amare dalle masse, spiegò la
ragazza di Galway. Il popolo andava conquistato blandendolo e quindi guidandolo
con polso e saggezza, e a tal proposito gli consigliò di leggere un libro
antico intitolato Il Principe,
scritto da un tal Machiavelli nella lontana Italia. Loki non ebbe mai modo di
leggerlo, forse suo malgrado, e tuttavia le dritte della giovane gli rimasero
in mente.
La
smisurata ambizione di costei seguitava a piacergli e a sconcertarlo,
ribaltando qualunque convinzione che sino a quel momento aveva avuto sui
terrestri – se terrestre nel senso comune del termine Erin Anwar si poteva
definire. Era al contempo allegra e rumorosa, incline a perdere facilmente la
pazienza, ottimista e appassionata malgrado l’animo disincantato e arrogante
che possedeva, e tali contraddizioni attraevano la curiosità del dio caduto
come una calamita fa col ferro. Egli si sorprese dunque spesso a studiarla, in quei
giorni, specialmente mentre suonava il suo flauto d’argento producendo
intriganti melodie del tutto sconosciute alle orecchie di lui. Loki non aveva
mai apprezzato molto il genere femminile, per quanto lo conoscesse, ma per
l’irlandese dovette fare un’eccezione.
Erin lo
osservava di rimando, confrontando ciò che vedeva coi propri occhi con ciò che
i libri della biblioteca narravano. Prese così l’abitudine di leggere al suo
divino ospite passi dei miti che lo riguardavano, chiedendogli conferma, e Loki
trovò la cosa piuttosto divertente: non le dette mai una risposta che non fosse
ambigua o maliziosa, e lei stette al gioco più a lungo del previsto. Talvolta
le parve di cogliere barlumi di tristezza negli occhi ardenti dell’asgardiano,
ben celati dietro i suoi affascinanti sogghigni, nel parlare del suo presunto e
reale passato, e fu tentata di indossare la maschera dell’amica comprensiva per
indurlo ad aprirsi e rivelare qualche debolezza. Scacciò però presto l’idea,
intuendo che non avrebbe funzionato.
Entrambi
erano convinti di avere un vantaggio l’uno sull’altra, di avere in mano le
redini della situazione a vicendevole insaputa: se Erin guardava e pazientava,
ritenendo opportuno pianificare una cosa alla volta a seconda degli
avvenimenti, Loki si muoveva in sordina, ben calibrando atti e parole conscio
dell’occhio vigile di Odino puntato su di lui, sperando che questi notasse che
stava vivendo come un midgardiano e che da una midgardiana si lasciava
incantare. Del resto con quello sciocco di Thor aveva più o meno funzionato.
C’era
però un aspetto che nessuno dei due aveva considerato, nel fare i propri calcoli:
l’intimità. Non certo intimità a livello fisico, giacché non si erano mai
sfiorati nemmeno per sbaglio, da quando si erano incontrati nelle campagne –
no, era l’intimità del vivere assieme. Era intimo, per Erin, farsi trovare in
pigiama in cucina a preparare la colazione o incrociarsi sulla porta del
bagno, o trovarlo seduto a leggere nel rientrare dalle prove o studiare i
brani per il concerto imminente sapendo che lui si trovava poche stanze più in
là. Era intimo mangiare allo stesso tavolo e persino conversare, dato
che si conoscevano appena e che tra loro c’era un abisso di tempi e universi
opposti.
Per Loki
era intimo e bizzarro il fatto in sé di condividere una dimora così piccola con
una fanciulla, e lo era perciò tutto quello che la situazione
comportava. In quella prima decina di giorni vi fu un singolo episodio
che più di qualunque altro gli parve intimo e bizzarro: fu quando decise di
indossare da capo a piedi alcuni degli indumenti comprati dall’irlandese – una
blusa abbottonata, delle braghe strette di pesante cotone azzurro, delle
calzature in cuoio basse e chiuse da lacci – e nel comparirle di fronte così
abbigliato la vide fissarlo basita e sorridente, le guance appena colorite,
e ne fu colpito perché ben poche dame di Asgard lo avevano mirato in quel modo
in vita sua, con le iridi velate da un incoscio desiderio.
Quell'intimità comunque non impedì loro di mantenersi ragionevoli e distaccati, concentrati
sui rispettivi piani e propositi, e nel frattempo si depositò in silenzio tra i
due iniziando lentamente a colmare l’abisso profondo che li separava.
Due
lunedì dopo la caduta di Loki su Midgard, Erin andò alle prove di buon’ora.
Mancavano
poco più di quindici giorni al concerto fissato in un importante teatro
cittadino, e il direttore aveva premura di esercitarsi con l’intera orchestra
sulla Karelia Suite di Sibelius.
Sylvia,
Francis e il resto del gruppetto di amici più stretti dell’irlandese stavano già
accordando gli strumenti quando lei arrivò, e dai loro sguardi ammiccanti capì che
non avrebbe potuto rifiutarsi oltre di uscire con loro: dall’arrivo
dell’asgardiano aveva sempre trovato qualche scusa per non uscire la sera o per
non farseli piombare in casa, e ormai il suo atteggiamento rischiava di
risultare sospetto ai suoi pettegoli compari.
«Anwar,
oggi niente storie. Stasera vieni con noi a ubriacarti.» la apostrofò infatti
la rossa saltandole praticamente al collo: «Si può sapere cos’hai combinato in
queste settimane?»
Erin fece
un gesto vago con le mani: «Ero in fase pantofola selvaggia e l’altro giorno
mi sono sentita poco bene.» tentò alla cieca.
«Ma
davvero? Due settimane in pantofole? Tutto qui?» rise Francis, e Sylvia inarcò
un sopracciglio con aria scettica.
Erin si
mise a montare il flauto eludendo i loro sguardi: «Ho anche avuto
problemi col bagno. Mi si è intasato lo scarico e il cesso è praticamente eruttato.» si affrettò ad aggiungere.
Owen
Wilde, altro amico e contrabbassista, si unì alla conversazione puntando
scherzosamente contro la flautista di Galway il proprio archetto: «Erinni, tu
non me la racconti giusta. Di solito se una donna si comporta così ha qualcosa
da nascondere.» disse.
«Io non
sono una donna normale.» si vantò Erin.
«Effettivamente no.» concessero Sylvia e Francis all'unisono.
«Secondo
me c’è un uomo di mezzo.» continuò Owen col tono di chi ci ha preso in pieno.
L’irlandese
scattò in piedi come se un mazzo di carciofi le si fosse appena materializzato
sulla sedia e senza dire una parola corse a prendere un accordatore elettronico
su uno scaffale. Avvertiva sulla nuca le occhiate divertite degli amici, e
imprecando tra sé pensò che per certe cose avrebbe avuto molto da imparare dal
Dio degli Inganni.
«Non c’è
nessun uomo.» rispose con assoluta
calma nel tornare al proprio posto, e a voler essere pignoli non era una bugia.
«Ve lo giuro.» insistette, e involontariamente si ritrovò a fissare Francis
dritto negli occhi come per giustificarsi con lui soltanto.
Il
trombettista ricambiò lo sguardo e rise di nuovo:
«Erin,
non è mica una colpa! Anzi, se tu avessi una storia saremmo tutti felicissimi per te.»
Lo disse
con affetto e senza malignità, e tuttavia il cuore di Erin mancò di un battito.
Con le eccitanti novità degli ultimi giorni si era quasi dimenticata della
propria storica cotta per lui, e il sentirsi rammentare proprio dal diretto
interessato che tra loro non c’era più niente non la rese felice. Le
insinuazioni di Owen le avevano d’altro canto ricordato quanto equivocabile
fosse, seppur immotivatamente, la sua convivenza con l’asgardiano, e il battito
cardiaco le fece strani scherzi per un istante in più.
«Allora
stasera uscita alcolica collettiva?» domandò il contrabbassista.
Gli altri
confermarono e Francis annunciò che lo avrebbe riferito al resto della ghenga;
Sylvia propose invece a Erin di passarla a prendere a casa con un po’
d’anticipo per chiacchierare in pace tra loro, ma l’altra ululò un deciso “no!”
e si offrì di passare lei dalla rossa con il Duetto a capote abbassata, perché
con quella macchina facevano sempre una figura migliore. L’amica accettò con una punta di dubbio nella voce e lasciò correre.
Poi il
direttore salì sul podio reclamando l’attenzione degli orchestrali e tutti
presero posizione rumoreggiando. Erin aprì il cartolare degli spartiti e
accordando il proprio La a 442 hertz si gettò alle spalle gli strani pensieri
di poco prima.
La prova
fu lunga e produttiva e terminò che il sole era già calato a occidente, tra i
grattacieli scintillanti della metropoli. Il gruppetto di amici si dette
appuntamento in un noto locale del centro per il dopocena e si separò lanciando
ancora battute all’indirizzo dell’irlandese che rispose a tono mentre correva per
prendere l’autobus. Era convinta che sarebbe stato problematico spiegare al dio
nordico la ragione per cui quella sera si sarebbe assentata, ma non aveva fatto
i conti col proverbiale disinteresse di costui per le sciocchezze umane: gli
annunciò la novità in cucina e lui a malapena la guardò, ed Erin finì col
trovare stupido l’aver ritenuto importante parlargliene, dal momento che la
casa era sua e che tra loro non esisteva alcun tipo di relazione che prevedesse
il giustificarsi per ogni singola uscita.
Allora
scelse di disinteressarsi a sua volta, mangiò in fretta e altrettanto
frettolosamente uscì, notando con la coda dell’occhio quanto familiare e
surreale assieme fosse l’immagine della nobile figura di Loki, ancora seduto al
tavolo, stagliata nella luce soffusa della stanza.
Rimasto
solo, il Dio degli Inganni contemplò in silenzio la tranquillità della dimora e
di quella serata midgardiana la cui aria tiepida filtrava dalle finestre che
l’irlandese aveva lasciato aperte, non sapeva se per volere o per più probabile
distrazione. Terminò con calma il proprio pasto, sorseggiando il vino rosso di
buona qualità che Erin aveva servito e considerando che in un certo senso si
stava abituando ai sapori del cibo terreno: non era troppo diverso da quello
che veniva preparato ad Asgard, sebbene la qualità lasciasse spesso a
desiderare; e il vino era più secco e pungente ma gli piaceva più della birra
scura d’Irlanda. La birra era una bevanda che meglio si adattava agli animi
grezzi e semplici come quello di Thor, giudicò tra sé.
Quindi si
alzò e si spostò nel salotto, dove nessuna lampada era stata accesa, e ne trovò
gradevole il buio morbido che solo gli aloni dell’illuminazione esterna
intaccavano. Si accomodò su una poltrona – la cosa più simile a un trono che
avesse trovato in quella casa – e fissò il mondo oltre i vetri spalancati
senza realmente vederlo.
Per
quanto il suo corpo fosse al momento paragonabile a una mera forma umana, la
mente di Loki poteva ancora perdersi in riflessioni insondabili, giungendo in
luoghi e dimensioni che pochi avrebbero potuto anche solo scorgere. Vagò
così nuovamente col pensiero attraverso ciò che aveva visto, vissuto e appreso,
finché non scattò in piedi come colpito da una frusta: un nome gli era balenato
in testa, un nome non desiderato, e un’idea allarmante si era fatta strada tra
le altre. L’asgardiano andò alla finestra, le mani dietro la schiena.
Thanos,
questo era il nome. Il titano rosso gli aveva promesso il dominio su Midgard e
i mezzi per ottenerlo in cambio del Tesseract, promettendo dolore e distruzione
nel caso in cui lui non fosse riuscito nell’impresa, e Loki aveva a tutti gli
effetti fallito. Non era dunque strano, si disse, che quell’essere temibile
avesse lasciato correre, che non gli avesse dato la caccia?
Forse la
prigionia su Asgard glielo aveva tenuto a distanza per qualche tempo, e forse
l’esilio tra i mortali lo aveva sinora celato agli occhi acuti del titano, ma
era questione di tempo: presto Thanos avrebbe ripreso a
cercarlo, se già non lo stava facendo, e infine lo avrebbe trovato, e Loki si
augurava che per allora avrebbe riavuto i propri poteri.
Lo
avrebbe cercato e avrebbe cercato pure di impadronirsi in maniera diversa del
Cubo Cosmico, e poiché il Cubo si trovava adesso ad Asgard, ben controllato da
Odino, quel demone ossessionato dalla Morte non avrebbe esitato a
scatenare una guerra contro il Padre degli Dei per averlo. Come avrebbe fatto
lui stesso, pensò quasi con sorpresa il dio caduto.
In
quell’istante la porta dell’appartamento si aprì ed Erin entrò con impeto in
casa incespicando e schiavicciando, e lui si rese conto che dovevano essere
passate almeno tre ore da quando era uscita. L’irlandese chiuse l’uscio
poggiandovisi contro e sorrise:
«Eeeeeeeehi, Loki!» lo salutò con voce eccessivamente amichevole.
L’asgardiano
le si avvicinò cauto: «Sei ubriaca, donna d’Irlanda?»
«Sono allegra, il che è piuttosto diverso.»
rispose Erin andandogli incontro.
«Puzzi
di birra come quel decerebrato di Thor nei suoi momenti migliori.» commentò
l’altro, e subito dopo trovò strano aver parlato del Dio del Tuono in tono così
leggero.
La
ragazza di Galway scoppiò a ridere di gusto e rimase incastrata con la borsa
all’angolo di un mobile. Sempre ridendo cadde in avanti, e prima che uno dei
due potesse evitare o capire cosa stava facendo Loki tese d’istinto le mani ed
Erin gli si aggrappò per non rovinare a terra.
Era la
prima volta che si toccavano, e il contatto fu
per entrambi scottante e piacevole – per lui la pelle tiepida di lei
sotto la propria, per lei le braccia solide dell’asgardiano che la sostenevano, e il
trovarsi vicini come mai prima erano stati.
E se
Erin notò a malapena il brivido che la percorse, intenta com’era a
metabolizzare l’ormai netta verità che Francis Bright non la desiderava più,
Loki non riuscì a ignorare l’inconsueta sensazione che provava. Guardò
l’irlandese, il suo volto colorito a poca distanza dal proprio, e ne vide la
bellezza pura e semplice e non condizionata, adesso, da alcun tipo di follia,
genialità o ambizione, perché in quel momento Erin Anwar era umana e
vulnerabile.
E questo,
paradossalmente, gli piacque. Lei gli
piacque, così calda e viva e diversa dalle splendide, ieratiche dame di Asgard
e tuttavia di non inferiore beltà, e pensò che gli sarebbe
piaciuto possederla almeno per una notte per sentire di nuovo e di più il suo
calore.
Erin
colse qualcosa di differente e intrigante nell’uomo che la stava praticamente
abbracciando, e ne fu turbata. Nonostante questo cedette al
sonno che i fumi dell’alcol le provocavano e si sciolse dalla stretta gentile
del dio dopo un attimo di esitazione, e l’episodio rimase nei meandri della sua
mente come una luce che si scorge con la coda dell’occhio.
«Grazie.» disse sorridendo e socchiudendo le palpebre, e scivolò verso la propria
camera.
Loki fu
tentato di seguirla per soddisfare il desiderio che gli infiammava il sangue,
e si sforzò di mantenersi lucido: non poteva rischiare – non adesso – di gettare al vento
un’alleanza e una vantaggiosa sistemazione solo per placare un bisogno futile
come quello.
Ma quella
notte l’abisso di tempi e universi opposti che li divideva si colmò ancora un
po’.
> Note a piè di
pagina
Ed ecco entrare in scena i primi comprimari e un paio di idee allarmanti.
Erin sta praticamente tenendo corsi lampo di abbindolamento à la Midgard per il suo divino ospite e
quest’ultimo sta considerando l’opzione di mostrarsi “ammaliato” dalla sua
padrona di casa perché “con Thor ha più o meno funzionato”. O magari ne è
ammaliato davvero e sta iniziando a rendersene conto… Ecco a voi anche il resto
della Boston Philharmonic Orchestra, ora che il concerto è alle porte: per
precisare un paio di cose al riguardo, il La a 442 Hz è la nota sulla quale ci
si accorda in orchestra, la cui frequenza è solitamente tarata sul La del primo
violino o del primo oboe (nelle orchestre di fiati). Se non si fosse capito,
sono musicista anch’io :)
L’appellativo di Owen per Erin, “Erinni”, non è un errore di battitura bensì
un nomignolo riferito al suo essere un po’ fuori di cucuzza – le Erinni sono le
Furie nella mitologia greca e romana. Nella mia testa i fatti degli Avengers si sono svolti ad aprile, più o
meno, perciò adesso nella storia siamo a maggio molto inoltrato.
Il titolo del capitolo è tratto da un verso di Wonderful di Gary Go: we are
miracles / wrapped up in chemicals.
Il prossimo atto è l’ultimo della quiete prima della tempesta – ma CHE
quiete sarà…!
C’mon ladies, sotto con queste recensioni! Grazie di cuore a tutti coloro
che seguono, leggono e apprezzano.
Capitolo 6 *** 6. Thousand Fahrenheit hot metal lights behind your eyes ***
6
6.
Thousand
Fahrenheit hot metal lights
behind
your eyes
Passò
dunque un mese dalla caduta di Loki su Midgard, e due abbondanti da quando i
Vendicatori avevano fermato l’attacco dei chitauri a New York.
Non vi
furono grandi cambiamenti, ma alcune cose presero a muoversi. Erik Selvig e
Jane Foster risposero alla chiamata di Nick Fury, recandosi alla nuova base che
lo S.H.I.E.L.D. aveva costituito dopo la distruzione della precedente a causa
del Tesseract, e aiutarono gli agenti a indagare sui recenti fenomeni. L’idea
originaria era quella di scoprire se il picco di elettromagnetismo registrato
nelle campagne di Boston nascondesse qualcosa di più, e questo fecero finché
non scoprirono che i macchinari stavano rilevando altre lievi e anomale
attività nell’atmosfera terrestre: non riuscirono a individuare precisi punti
d’origine e fu loro difficile anche solo ipotizzare di cosa potesse trattarsi.
I valori erano in media simili a quelli di Boston e, per l’accelerazione del
battito cardiaco di Jane, a quelli raccolti durante la prima venuta del potente
Thor – eppure questo non li aiutò minimamente.
Anthony
Stark ricevette l’allerta del direttore di notte, e poiché era intento ad
amoreggiare con l’adorata Pepper la faccenda lo annoiò non poco. Ma aveva un
impegno da mantenere nei confronti di Fury e della sua organizzazione e si
dichiarò a disposizione.
Nel
frattempo, a molte miglia di distanza il Dio degli Inganni e la flautista di
Galway seguitavano nella loro assurda convivenza, abituandosi sempre di più alla
reciproca presenza. Più che abituarsi, anzi, si può dire che iniziavano a
trarne un certo piacere, sebbene Loki ritenesse che da troppo ormai si trovava
in quella situazione senza che una virgola fosse mutata. Odino rimaneva silente
e Asgard lontana anni luce, così come i suoi divini poteri, e da umano era
assai improbabile riuscire a sottomettere altri umani. Lo aveva imparato
osservando e ascoltando dall’interno, in quei giorni, e facendo parlare
l’irlandese: quando i midgardiani intendevano conquistare i propri simili
mettevano in piedi eserciti, colpi di stato, rivoluzioni, e nessuno era mai
arrivato a governare il pianeta per intero. Alcuni ci erano andati vicino, a
sentire Erin, come gli imperatori di Roma, ma neppure loro avevano ottenuto
quel che lui voleva ottenere. Perciò gli serviva la sua originaria natura per
compiere l’impresa, per quanto avesse per un breve periodo sperato di iniziarla
in condizione mortale.
A tale
impazienza si aggiungevano le sensazioni fisiche che la vicinanza di lei continuava
a provocargli: non gli dispiacevano affatto, e tuttavia le riteneva un
ulteriore sintomo di terrena debolezza. Era convinto che col tornare in sé
anche quelle sarebbero passate.
Da parte
sua Erin sembrava non essersi accorta degli sguardi che l’asgardiano aveva
preso a lanciarle, ma il calore del loro primo contatto le era rimasto in
circolo nel sangue come una droga e faceva sì che tra i due spesso fluisse una
sorta di morbida elettricità.
Morbida
era pure la stagione, che piano piano scivolava verso l’estate, e presto giunse
il giorno del concerto che la Boston Philharmonic Orchestra avrebbe tenuto alla Boston
Symphony Hall. Era un concerto non troppo impegnativo ma di grande effetto, ed
Erin arrivò al mattino del giorno fatidico con addosso una notevole
fibrillazione: Loki la vide ballettare per tutto l’appartamento canticchiando
una delle melodie che suonava col flauto d’argento quando studiava, un sorriso
ebete dipinto sulle belle labbra, e pensò che da ebbra e da felice si mostrava
in tutta la sua sciocca e attraente umanità.
Dopo un
pranzo veloce l’irlandese si recò al teatro per un’ultima prova in vista della
serata, e quando tornò aveva in mano un sacchetto di carta e una busta bianca e
le brillavano gli occhi.
«Posso
farti una proposta?» esordì Erin all’indirizzo del dio caduto.
Questi,
che si trovava alla finestra e osservava la strada sottostante, la guardò
scettico:
«Che
genere di proposta, donna d’Irlanda?»
Lei gli
porse la busta bianca e sorrise: «Per il concerto di stasera hanno dato un
invito a ciascun orchestrale. Questo è il mio, e vorrei che lo usassi tu.»
disse.
Loki le
si avvicinò: «Vuoi che assista al tuo concerto? Perché?»
Erin
arrossì appena: «Primo, non ho altri a cui dare l’invito, visto che tutti i
miei amici sono con me in orchestra e che la mia famiglia vive a Galway. Secondo, puoi uscire di casa e studiare
noi mortali da vicino. Terzo, credo che la nostra musica ti piacerebbe, e a me
piacerebbe che tu venissi.»
Lui
sogghignò a quell’ultima affermazione: «Parli sul serio, Erin Anwar?» la
provocò.
«Io parlo
sempre sul serio!» esclamò la musicista, contenta che l’avesse chiamata per
nome.
«Allora
accetto la tua gentile offerta.» decretò il dio prendendo la busta con
l’invito.
«Basta
che tu presenti il cartoncino alla biglietteria e ti faranno entrare con tutti
gli onori.» spiegò Erin: «Non avrai bisogno di bastoni magici o minacce, ma
in compenso mi sono presa la libertà di pensare che ti servirà questo.», e tirò fuori dal sacchetto un
completo maschile verde scuro e una camicia bianca, ben piegati e sistemati su
un paio di grucce.
Il ghigno
garbato di Loki si allargò: «Somigliano agli abiti umani che ho sfoggiato a
Stoccarda. Hai dunque apprezzato così tanto il mio sembiante di allora, donna
d’Irlanda?»
Il
rossore sulle guance di lei s’intensificò: «Sì, l’ho apprezzato da morire.»
ammise.
Poi batté
in rapida ritirata verso camera propria e lasciò l’asgardiano di fronte alle
finestre infuocate dal tramonto imminente, a riflettere su quanto gli piaceva
la sua schiettezza. Forse era strano, per il Dio degli Inganni, apprezzare in
qualcuno la sincerità al posto della furbizia e della capacità di persuasione,
ma in Erin Anwar cominciava ad apprezzare qualunque cosa, specialmente se
diretta a lui. Forse avrebbe dovuto preoccuparsene, ma non lo fece e non se ne
pentì, e soppesando la notevole qualità dei nuovi indumenti andò nella stanza
degli ospiti a prepararsi a sua volta.
Erin si
rimirò soddisfatta nello specchio verticale che campeggiava vicino al suo
letto: la stoffa nera e frusciante dell’abito da sera la avvolgeva alla
perfezione, e la parure d’oro bianco le sottolineava la linea del collo e dei
polsi, brillando al di sotto dei capelli sapientemente raccolti. Si passò
l’ultima mano di eye-liner sugli occhi e prese la borsa contenente il suo flauto
più prezioso dall’armadio, muovendosi a proprio agio sulle elegantissime scarpe
dal tacco alto e sottile. Era bella oltre ogni dire e sapeva di esserlo, e
spense la luce uscendo dalla stanza con un’aggraziata giravolta. Non era però preparata
a ciò che la attendeva nel soggiorno: il Dio degli Inganni era già pronto e se
ne stava in piedi vicino alla libreria con espressione distaccata, alto e
splendido nel completo di velluto leggero verde scuro che lei aveva scelto. Il
taglio sartoriale della giacca metteva in risalto le sue spalle ampie e dritte,
e così faceva la cravatta allentata col suo collo magro. L’irlandese
deglutì a vuoto e azzardò un sorriso.
Loki
stesso non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, poiché il vestito le
sottolineava la scollatura e le belle gambe e l’intera sua
figura riluceva come bagnata da miriadi di stelle, e la sua postura
era quella di una regina.
«Possiamo andare?» le domandò con voce arrochita dalla sorpresa.
«Possiamo andare.» gli fece eco lei senza smettere di sorridere.
«Questa
notte sarai la mia guida, Erin Anwar.» disse l’asgardiano, e le offrì il
braccio.
Uscirono
così dal condominio, regali e fieri, e la giovane chiamò un taxi con un gesto
imperioso. Arrivarono alla Boston Symphony Hall in perfetto orario: Erin guidò
il dio alla biglietteria e quivi lo salutò, promettendo che sarebbe passata a
salutarlo durante l’intervallo. Quando fu scomparsa nei corridoi che
conducevano ai camerini degli artisti, Loki si godette le occhiate ammirate e
stupite che i midgardiani presenti nel salone d’ingresso del teatro gli
lanciavano e il fatto di svettare su gran parte di essi nonostante l’assenza
di poteri e di propositi crudeli. La donna che controllò il suo invito lo
squadrò con malcelato interesse e gli sfiorò di proposito le dita nel porgergli
il programma del concerto, ma lui ritenne che non meritasse neppure metà
dell’attenzione che invece serbava per l’irlandese.
Si
accomodò allora nella sala principale del teatro, su una delle piccole poltrone
color sangue che la riempivano: sul fondo campeggiava un palco sopraelevato
fatto di legno chiaro e stucchi, colmo di sedie disposte a semicerchio e di
alcuni grandi strumenti musicali già pronti per essere suonati. L’aria era
leggera e profumata nonostante l’ambiente chiuso, e gli umani che sedettero
intorno a lui indossavano indumenti eleganti e piacevoli alla vista, come alla
serata di gala di Stoccarda. Ciò lo mise a proprio agio, giacché
quell’estetica non si distaccava troppo dalle feste scintillanti e misurate che
si tenevano nel palazzo di Odino.
Mentre le
molte luci del teatro lampeggiavano a intervalli regolari, annunciando l’imminente inizio dello spettacolo, Loki lesse rapidamente il foglio che la
bigliettaia gli aveva consegnato: era un elenco non troppo lungo di nomi a lui
sconosciuti, tra cui parole in lingue bizzare come il Dies Irae di Giuseppe Verdi e l’Intermezzo
di Pietro Mascagni, la Sicilienne di Gabriel
Fauré e una certa Karelia Suite di
Jean Sibelius.
Poi tutto
fu buio, in sala, e nella pozza luminosa dei riflettori puntati sul proscenio i
musicisti della Boston Philharmonic Orchestra presero posto tra gli applausi del
pubblico; l’asgardiano non faticò a riconoscere l’irlandese, che coi capelli
color oro brunito e la figura flessuosa spiccava tra le altre donne come un
sole in una galassia, il flauto argenteo tra le mani. Lo teneva come avrebbe
forse tenuto una spada, e lui trovò la cosa fin troppo seducente.
Il
concerto cominciò e la potenza della musica colpì Loki dritto al petto con la
stessa forza di un’arma: il suono prodotto da quel vasto insieme di fiati, corde e percussioni non rassomigliava a niente che avesse udito prima d’allora,
ed era corposo e violento e meraviglioso e trovò che gli si addicesse. Gli orchestrali
seguivano il ritmo e ondeggiavano con i rispettivi strumenti come un esercito in
marcia, Erin pareva danzare da seduta e il Dio degli Inganni ne fu
irrimediabilmente ammaliato – non da lei soltanto ma da lei soprattutto, e non
perché voleva riconquistare così il favore del Padre degli Dei bensì perché
davvero la ammirava.
Il Dies Irae fu possente e trascinante, l’Intermezzo si rivelò un brano di estrema
e struggente bellezza e la Sicilienne, il cui
solo di flauto fu eseguito da Erin medesima,placò gli animi infuocati degli spettatori prima che l’orchestra si
ritirasse per una breve pausa in vista del lungo pezzo conclusivo.
La
ragazza di Galway mantenne la parola e comparve in platea subito dopo, ridente
e seguita a distanza da Sylvia. Volle sapere se Loki era soddisfatto della
capacità mortale di musicare e la sua risposta affermativa la rese felice.
Ebbe il suo bel daffare per convincere l’amica che l’uomo con cui conversava
non era lo stesso della Galleria Schäfer, però si divertì a lasciare che gli
altri compari e colleghi spettegolassero sul suo conto, per quella sera. E il
cuore le batteva forte e il respiro le si mozzava in gola, e sapeva
perfettamente che quella gioia e quell’eccitazione non erano dovute unicamente
all’ottima riuscita del concerto.
Il
secondo tempo fu dedicato alla Suite di
Sibelius, e fu un successo clamoroso: il pubblico ne salutò la conclusione
alzandosi in piedi e gridando ovazioni entusiaste all’indirizzo dei musicisti e
del direttore della BPO, e la sala si riempì di lampi di flash e scrosci di
applausi simili a pioggia battente. Erin rideva felice dietro il proprio
leggìo, e il suo sorriso incredibile era tutto per il dio nordico seduto al
centro della platea.
«Erinni,
noi andiamo a cena tutti insieme da qualche parte. Sei dei nostri?» la
apostrofò Owen quando furono finalmente dietro le quinte e poterono riporre gli
strumenti.
La
flautista nicchiò, incerta sul da farsi:
«Mi
piacerebbe, Owen, ma avrei un altro programma.»
«Il
cosiddetto “altro programma” sarebbe il bel tenebroso da cui sei corsa durante
l’intervallo?» indagò la collega che suonava l’ottavino, ammiccando, e Sylvia
si fece attenta.
«Maledetti impiccioni!» rise Erin: «Da me non saprete un bel niente.»
«Ah no?
Vorrà dire che lo chiederò direttamente a lui, così magari scoprirò anche se è
il tipo di Stoccarda.» disse la rossa Neu di rimando.
«Il tipo
di Stoccarda? Il supereroe con l’elmo cornuto?» s’intromise Francis con un
certo entusiasmo, e l’irlandese ci tenne a sottolineare che non era affatto uno
stupido supereroe.
«Allora
è lui veramente!» insistette Sylvia puntandole un dito contro.
«Ho
forse detto questo?» sogghignò Erin, e chiuse l’astuccio del flauto. «Andate,
abbuffatevi e sbronzatevi, amici miei, e divertitevi tanto quanto me!»
Gli altri
le fischiarono dietro mentre usciva dal camerino e le augurarono cose
innominabili e fantastiche da realizzare prima che giungesse l’alba, e lei volò
leggiadra fino al salone d’ingresso della Symphony Hall con la mente
concentrata solo sull’immagine di Loki che di nuovo la aspettava sulla soglia.
Gli annunciò che sarebbero andati a mangiare da qualche parte, loro due da
soli, e volle sapere cosa gli era parso sinora degli umani e del loro
comportamento; lui rispose che i terrestri erano scialbi e prevedibili come li
rammentava ma che quella sera non gl’interessava più di tanto studiare la loro
sciocca essenza. Il significato sottinteso di quella frase gonfiò enormemente
il cuore già entusiasta di Erin.
Si recarono a piedi fino a un locale rinomato e piuttosto antico di Boston, celebre per
l’ottima carne e per i gruppi musicali che sovente vi si esibivano. Camminarono
senza fretta per le strade affollate della città, e il loro incedere nobile e
sicuro fece sì che coloro che incrociavano lungo i marciapiedi si scostassero
per lasciarli passare, osservandoli con meraviglia e stupore, uomini o donne
che fossero. Loki colse il proprio riflesso e quello d’irlandese in una vetrina
oscurata e trovò che i loro sembianti fossero perfetti l’uno accanto all’altro:
assieme erano splendidi come due sovrani di divini natali su cui mai occhio
terreno si fosse posato, ed era bizzarro, dato che Erin Anwar di natali divini
certo non era.
Il
ristorante scelto dalla ragazza di Galway era un trionfo di legno lucido e
rossiccio e lumi soffusi ben distribuiti al suo interno, con vetrate che si
affacciavano sulla via e pochi fronzoli. Un cameriere li accolse con garbo e li
fece accomodare a un tavolo rotondo lasciando loro due menu e una carta dei
vini disponibili. Ordinarono una bistecca al sangue ciascuno e una bottiglia di
buon vino rosso, e nell’attesa che il cibo fosse loro servito riempirono i
propri bicchieri e presero a conversare senza impegno, guardandosi negli occhi.
«Talvolta non è così male essere umani.» commentò Erin d’un tratto.
«Talvolta.» precisò l’asgardiano, eppure il suo tono era leggero e più caldo
del normale.
Aveva
pensato di sfruttare quella cena improvvisata per concretizzare i propri obiettivi,
ma via via che il nettare d’uva gli bagnava la bocca e la carne tenera gli
riempiva lo stomaco Loki finì col dimenticarsi di quei piani e di quei
propositi d’inganno. L’irlandese parlava e lui non si tirava indietro, le dava
corda, godeva della sua bellezza così come del vino e se ne inebriava; lei non
si stancava di ammirarlo e di assorbire ogni singolo particolare delle sue
espressioni e dei suoi gesti, di quelle sue iridi di ghiaccio ardente e della
sua voce profonda. Le sembrava di essere immersa in una bolla dorata e tiepida,
e quando la band ospite della serata prese posto sul palco del locale,
lanciandosi in un moderato swing, quella sensazione sognante si
fece incredibilmente forte.
Chiese
con malizia al dio nordico di raccontarle delle dame che fino a quel momento
aveva conosciuto – non era forse definito una divinità lasciva, nelle leggende?
– e Loki si prese bonariamente gioco di lei senza mai risponderle davvero,
senza negare né confermare come già aveva fatto nei giorni precedenti.
Terminarono il cibo e vuotarono la bottiglia di vino, e ordinandone un’altra si
spostarono sui bassi divani che arredavano la zona riservata al palco e alla
piccola pista da ballo, nella sala posteriore del ristorante. I musicisti
proposero pezzi via via più rapidi e coinvolgenti, e quando la cantante intonò
il ritornello di un noto brano rockabilly Erin non seppe resistere e posando il
bicchiere si alzò per ballare.
L’asgardiano
trovava strano quel genere di musica, specie se confrontato con quella che
aveva ascoltato al concerto della Boston Philharmonic, con quei suoni più stridenti
e il ritmo più serrato, più irregolare, e nonostante tutto non gli dispiaceva.
Inoltre l’irlandese si muoveva dinanzi a lui in maniera quasi conturbante e si
divertiva, e sorridendo irriducibilmente lo invitava a seguirla in pista. Loki
bevve ancora il buon vino scuro e ancora la guardò, e infine si decise: balzò
in piedi e le afferrò una mano, assecondandone i movimenti senza dimenarsi
troppo a sua volta, ma Erin era trascinante e così la musica e ben presto si
ritrovarono pressoché abbracciati a danzare all’unisono. Ogni idea o strategia
di conquista, ogni tattica per avere il controllo sulla situazione e sull’altro
scomparvero dalle loro menti e il ricordo del primo contatto fisico che
avevano avuto vi si sostituì, e il desiderio dirompente che il Dio degli
Inganni reprimeva da giorni tornò alla ribalta con prepotenza.
Eppure anche
Erin lo provò, mentre la stretta di Loki intorno ai suoi fianchi si rafforzava,
e lo accolse come qualcosa di conosciuto e a lungo bramato. Magari non sarebbe stato niente,
e magari sarebbe stato tutto.
Le mani
dell’asgardiano le carezzarono lentamente la schiena, in su e in giù, e le dita
sottili della donna d’Irlanda gli scivolarono tra i capelli folti più e più
volte.
Loki la
strinse a sé e portandole una mano sulla nuca avvicinò il suo viso al proprio,
e per un attimo si fissarono attraverso le palpebre abbassate. Erin inghiottì
un grosso respiro, sentendosi affogare con gratitudine, e il dio caduto la
baciò.
La baciò
a lungo e intensamente e l’irlandese ricambiò quel bacio con gioia, e unirono
labbra e sospiri per un tempo che parve loro infinito.
Continuarono
a baciarsi uscendo dal locale e sul taxi che Erin fermò per tornare a casa.
Nelle
pause tra un bacio e l’altro si guardavano e sorridevano, maliziosi e affatto
turbati dal repentino cambiamento del loro rapporto fuori dal normale, e poi
riprendevano a baciarsi con foga, le mani che ormai vagavano libere chiedendo
qualcosa di più.
Entrarono
nell’appartamento avvinghiati, e mentre la ragazza di Galway lasciava cadere a
terra la borsa del flauto e calciava via le proprie scarpe, sfilando al
contempo la giacca dalle spalle del Dio degli Inganni, questi la spinse
sull’ampio divano del salotto e le fu sopra, e il resto dei loro abiti presto
raggiunse la borsa, la giacca e le scarpe sul pavimento.
Con
tocchi abili Loki blandì il corpo di Erin, sentendolo caldo e fremente sotto di
sé, ed Erin rispose con baci che bruciavano sulla pelle come scintille.
E quando
finalmente fu dentro di lei l’irlandese gli s’inarcò contro aggrappandosi alla
sua schiena e lo chiamò per nome, e di nuovo danzarono insieme seguendo un
ritmo noto a loro due soltanto e che trascendeva l’abisso di universi opposti
che sino ad allora li aveva separati. Quel ritmo crebbe e crebbe e simile a un’onda raggiunse i loro lombi in fiamme, e nell’istante in cui toccarono
l’apice Loki catturò la bocca di Erin in un bacio più profondo di tutti gli
altri.
A miglia di
distanza i tecnici dello S.H.I.E.L.D. osservarono nervosi i grafici sugli
schermi dei computer, certi che qualcosa di brutto stava accadendo nel buio del
cosmo – e nel buio del cosmo Thanos il Rosso scoppiò in una risata di pura e
maligna soddisfazione.
Ma il dio
caduto e la donna d’Irlanda nulla sospettarono e rimasero avvinti l’uno
all’altra su quel divano, consci solo del piacere immenso che si erano appena
procurati.
> Note a piè di
pagina
Aggiornare con un po’ di ritardo e a orari improbabili: pardon, è da due
settimane che son sempre a suonare!
Questo capitolo è piuttosto importante, perciò volevo ricontrollarlo con
calma. È veramente l’ultimo “introduttivo” e mediamente calmo, e come avrete
notato rappresenta un punto di svolta (o di non ritorno) per la relazione tra
Erin e Loki: perché, lasciatemelo dire, questi due fanno quello che vogliono –
e anch’io – ed essendo adulti e consenzienti e desiderandosi a vicenda non
aveva senso girarci attorno, né tenerli altri dieci capitoli a punzecchiarsi e
mordersi le mani. Inoltre il loro rapporto è sì fondamentale, ma altrettanto lo
è la storia che va dipanandosi e in cui tale rapporto andrà a inserirsi. Spero
di aver creato un’atmosfera sufficientemente intrigante intorno al suddetto
punto di svolta :)
Il Dies Irae è il secondo
movimento del Requiem di Giuseppe
Verdi, la Sicilienne
è il quarto della suite sinfonica Pelléas
et Mélisande di Gabriel Fauré e l’Intermezzo
fa parte della Cavalleria Rusticana
di Pietro Mascagni ed è uno dei brani più belli che mai siano stati scritti; anche
la Karelia Suite di Jean Sibelius, composta
da tre ‘tempi’, è strepitosa.
Rimanendo in tema musicale, il titolo del capitolo è tratto da Invincible degli Ok Go, una delle
canzoni portanti della storia; per la scena alla Boston Symphony Hall (teoricamente la “sede” della Boston Symphony Orchestra,
benché spesso vi si esibisca pure la Boston Philharmonic Orchestra) trovo
perfetto il dittico Instrumental I e Love of an orchestra dei Noah And The
Whale, mentre il brano rockabilly su cui Erin balla al ristorante potrebbe
essere Da doo ron ron delle Crystals. E dal bacio in poi, Trembling hands dei Temper Trap.
Io li amo, questi due. E voi? Ossequi asgardiani e alla prossima!
«La cosa
più strana,» disse Erin rivolta al soffitto, «è che da tre giorni faccio
regolarmente sesso con un ingannatore divino piombato dritto dal Valhalla.»
Pronunciare
quelle parole a voce alta la fece ridere, e con compiaciuto imbarazzo si rotolò
tra le lenzuola sfatte e ancora tiepide del proprio letto. Affondando la faccia
nel cuscino rifletté sulla piega folle che quella situazione folle di per sé
aveva preso dalla sera del concerto alla Symphony Hall: il coinvolgimento
fisico non era previsto e lei non ci aveva pensato fino a che non aveva
guardato Loki con gli occhi di una donna che rimira un uomo, e non come
un’irlandese dai gloriosi propositi che osserva un potenziale, potente alleato.
Non aveva idea di come la vedesse l’asgardiano, sebbene fosse evidente che
anche lui apprezzava quella nuova intimità. Aveva il dubbio che avesse
orchestrato tutto per conquistare la sua fiducia e per confonderle la mente, ma
essendo lei furba abbastanza da aspettarselo il problema non si poneva. Erin poteva godersi la situazione finché non fosse mutata ancora.
E chissà come sarebbe mutata, si domandò: il dio
caduto e reso mortale sarebbe rimasto tale? Oppure finalmente i suoi poteri
sarebbero ricomparsi – e lei, a quel punto, che ruolo avrebbe avuto? Come
sarebbe stato l’uomo che aveva imparato a conoscere, una volta tornato nei suoi reali e regali panni? Che cosa sarebbe successo? Quella che
era iniziata come un’eccitante avventura si stava trasformando in un’incognita,
e un lievissimo presentimento pungente la fece balzare a sedere sul letto. Non
capiva di cosa si trattasse, ma le suscitò un sussulto che rassomigliava alla
preoccupazione.
Con la
fronte aggrottata scese dal materasso, s’infilò distrattamente una maglia
larga e un paio di slip e rimuginando andò nel soggiorno: Loki era in piedi
davanti alla finestra, come suo solito e con indosso una delle camicie che lei gli
aveva comprato, e scrutava il cielo con un’espressione distante e concentrata
che Erin non ricordava di aver mai visto in quel lungo mese di convivenza.
Allora seguì il suo sguardo, incuriosita, e notò che grosse nuvole opache
avevano coperto il sole che sino a poco prima aveva brillato e che un leggero
vento si era levato dando un’aria autunnale a quella giornata di giugno.
Il
presentimento senza nome si fece più acuto e la flautista di Galway sfiorò con
le dita il polso sinistro dell’asgardiano, affiancandoglisi.
«Ti vedo
pensieroso.» gli disse.
Lui
annuì: «Sta accadendo qualcosa sopra i cieli di Midgard.»
«Qualcosa di poco piacevole?» chiese Erin, e d’istinto gli si strinse contro.
«Non lo
so.» ammise Loki in tono asciutto; «Non mi piace ciò che vedo, ma da qui e
con occhi mortali ben poco posso capire. Andrò sul tetto per cercare una
prospettiva migliore.»
Poi
abbassò lo sguardo su di lei e trovandola corrucciata si chinò a baciarla, e
assaporò il momento in cui la sentì ammorbidirsi tra le sue braccia come una
piuma. Sapeva che certe sensazioni prima o poi avrebbero rischiato di renderlo
debole, similmente allo stolto amore della sua famiglia, eppure lui stesso le
cercava e non intendeva ancora privarsene: era pur sempre Loki di Asgard,
pensò, e faceva quel che desiderava fare.
Si
sciolsero dall’abbraccio e l’irlandese gli sorrise, il volto di nuovo disteso e
convinto:
«Io ne
approfitto per studiare un po’. Se hai bisogno di me sai dove trovarmi.»
ammiccò.
Il Dio
degli Inganni andò quindi a mettersi un paio di calzoni e gli stivali e uscì
dall’appartamento per imboccare le scale che conducevano alla sommità del
palazzo; Erin si sistemò al leggìo con il suo flauto d’argento.
Trascorsero
un paio d’ore, durante le quali l’unico cambiamento sostanziale fu un
progressivo e ulteriore oscuramento del
cielo a opera di nuvole più dense e basse. Anche il vento s’intensificò, e
sembrò che tutto si stesse preparando per una tempesta o un temporale.
All’improvviso
squillò il telefono ed Erin prese la comunicazione sbuffando, scocciata per
l’interruzione: «Casa Anwar. Chi parla?» borbottò con voce strascicata.
«Dannata
irlandese che non sei altro! Sono io!» proruppe Sylvia all’altro capo del
filo.
«Neu,
accidenti a te, com’è che mi telefoni sul fisso?» rispose lei scherzosamente.
«Hai il
cellulare staccato e sono tre giorni che non ti fai viva. Avevo paura che il
maniaco di Stoccarda ti avesse rapita dopo il concerto.»
Erin
scoppiò in una grassa risata: «Diciamo che il rapimento è stato reciproco.»
le sfuggì, e subito si pentì di quelle parole. Non era sicura di voler rivelare
la verità all’amica.
«Prova a
negare l’evidenza adesso, Anwar! Sapevo che era lui, lo avevo riconosciuto.»
la rimbrottò infatti questa, grave: «Mi spieghi chi diavolo è e dove lo hai ripescato?
E se gli hai dato l’invito per la Symphony Hall cosa significa, che ci stai uscendo?»
«Non
credo di volertene parlare attraverso una cornetta.» nicchiò Erin prendendo
tempo, e contemporaneamente guardò fuori dalla finestra: le era parso di vedere
un lampo.
«Allora
andiamo a bere qualcosa stasera, ti prego. Voglio sapere ogni cosa, e anche io
devo raccontarti... Ehi, Francis, lo hai visto pure tu?» s’interruppe di botto
Sylvia.
«Francis
è lì con te?» domandò l’irlandese a metà tra l’incredulo e il piccato.
«Ti ho
appena detto che anche io devo raccontarti alcune novità, Erin, e...»
Ma la
rossa non terminò nemmeno quella frase ed Erin udì in lontananza il
trombettista gridare qualcosa d’incomprensibile all’indirizzo di Sylvia, la
quale a sua volta urlò con voce strozzata: «Che cos’è quello? Erin! Erin, ci sei? Francis, vieni qui!»
La
flautista scostò l’orecchio dal telefono, turbata, e fece per parlare, ma in
quel preciso istante una deflagrazione esterna coprì ogni altro suono e un
bagliore rossastro la accecò.
«Signore, emergenza generale! Signore!» annunciò Maria Hill nel proprio
auricolare.
La sala
comandi della base era come impazzita, tra agenti e specialisti che vociavano
all’unisono, suoni d’allarme e luci lampeggianti; Jane Foster fissava
agghiacciata e immobile il grande schermo olografico del computer principale ed
Erik Selvig armeggiava con una tastiera come se una giusta sequenza di comandi
avesse potuto risolvere la situazione.
Nick Fury
arrivò di corsa: «Mi aggiorni, agente Hill.» ordinò con fermezza.
La donna
non si curò neppure di mettersi sull’attenti: «Emergenza generale, direttore.
Oggetti non identificati sono comparsi nell’atmosfera terrestre e stiamo
registrando attacchi mirati alle principali città degli Stati Uniti. Una di
queste è Boston, signore.» riferì in fretta.
«Attacchi di che genere, agente Hill? L’ultima anomalia rilevata stamane non era
più intensa delle precedenti! Com’è possibile che nessuno si sia accorto di
niente sino a ora?» incalzò Fury, e il suo sguardo furibondo si posò sui due
scienziati del New Mexico.
«Direttore,
è avvenuto tutto in pochissimi minuti, compreso un innalzamento abnorme dei
valori elettromagnetici.» spiegò Selvig: «Non potevamo prevederlo.»
«Attacchi di che genere, agente Hill?» ripetè l’uomo duramente.
«Aerei,
signore, compiuti da velivoli simili a quelli dell’assedio di New York.
L’esercito e la guardia nazionale sono già stati avvisati.»
Fury fece
una smorfia di sdegno: «Me ne fotto di quegli incapaci. Stark?»
«È già
in viaggio col suo jet privato. Anzi, per la precisione sta scortando il suo jet privato.» rispose
Maria; «Immagino che lungo il tragitto Iron Man avrà del lavoro da fare.»
«Bene.
Qualcuno sa dirmi se abbiamo registrato tracce del Tesseract?» chiese il
direttore.
Selvig
scosse il capo: «Nessuna traccia del Tesseract né di Loki, se è questo che
vuole sapere. A quanto ci risulta sono entrambi al sicuro su Asgard.»
«E
allora come possono essere giunti qui dei nuovi invasori alieni, professore?»
L’altro
esitò e scambiò un’occhiata allarmata con la sua giovane collega: «Non ne ho
idea, signore. Ma chiunque vi sia dietro questi attacchi è potente abbastanza
da non aver bisogno di portali artificiali per arrivare fino a noi.»
Le due
donne impallidirono e Nick Fury incrociò le braccia al petto:
«Agente
Hill, chiami a raccolta gli altri Vendicatori. È il momento.» disse.
Erin
riaprì le palpebre serrate giusto in tempo per udire la porta dell’appartamento
spalancarsi e i passi di Loki che rientrava correndo:
«Sei
ferita?» la apostrofò aiutandola a rialzarsi da terra, ed era affannato.
L’irlandese
lo fissò con sospetto: «Cosa cazzo hai combinato sul tetto? Ti sono tornati i
poteri e hai deciso di far saltare in aria cose a caso per rimetterti in
forma?» lo aggredì.
«Folle
mortale, credi che tutto questo sia opera mia?» ribatté l’asgardiano punto
sul vivo, ma senza lasciarle le mani: «Se lo fosse, come spiegheresti il fatto
che le esplosioni di cui parli non accennano a fermarsi?», e a confermare ciò
una nuova deflagrazione si schiantò contro i vetri delle finestre del
soggiorno, mandandole in pezzi e costringendo i due a ripararsi dietro la
poltrona preferita del dio caduto. Dalla strada salivano grida e rumori
stridenti.
Erin bestemmiò
e chiese: «E quindi? È colpa di quelle nuvole?»
«Le
nuvole erano soltanto un preavviso, Erin, e l’ho capito troppo tardi. Lui mi
ha trovato e ha messo in atto il suo piano e, che sia maledetto, non si
limiterà a questo.»
«Lui chi, Loki?» urlò
rabbiosa la ragazza di Galway.
Ma il Dio
degli Inganni non riuscì a rispondere. Dalle finestre rovinate giunsero in volo
due bizzarri veicoli simili a quelli che i telegiornali avevano mostrato durante
la battaglia di Manhattan e una mezza dozzina di esseri dalle fattezze umanoidi piombarono nella stanza: brandivano lunghe lance e strane armi da fuoco
che puntarono contro Erin e Loki, e quello che aveva l’aria del capo si abbassò
su quest’ultimo sogghignando.
«Ecco
dunque dove ti nascondevi, asgardiano.» lo apostrofò con voce innaturale,
fredda e terribile: «Thanos mi ha mandato a cercarti con l’espresso ordine di
rammentarti una sua antica promessa. E tu sai bene di quale promessa parlo, non
è vero?»
Lo
afferrò per il collo con lunghe dita artigliate e lo forzò ad alzarsi in piedi,
godendo nel vederlo annaspare e impallidire appena sotto la propria stretta;
l’irlandese sentì il sudore ghiacciarlesi fastidiosamente addosso e allungò una
mano tremante verso il flauto che ora giaceva a terra poco lontano da loro,
cercando di non farsi notare dagli intrusi. Con mente annebbiata collegò il
nome di Thanos a quel “lui” cui Loki si era riferito poco prima, ma non aveva
idea di quale fosse la promessa tirata in ballo dal comandante alieno né del
motivo per cui il dio caduto fosse la loro preda.
«Lo so
benissimo, infido skrull.» rispose Loki in un sibilo: «Tuttavia solo Thanos
ha il potere e il diritto di metterla in pratica, non certo un suo orrido
sottoposto.»
L’altro
emise un suono orribile che sembrava una risata e con violenza mandò il Dio
degli Inganni a sbattere contro una parete.
«Ma
guardati, asgardiano! Nelle ridicole condizioni in cui versi chiunque potrebbe
procurarti quel dolore, persino
l’umana che è con te!» esclamò trionfante. «Credimi, vorrei assistere allo
spettacolo, eppure Thanos mi ha detto di condurti finalmente al suo cospetto e non ho intenzione di deluderlo.»
«Oh,
temo che dovrai.» azzardò Loki, tossendo nel tentativo di sollevarsi.
Non
sopportava più quell’impotenza e tra sé implorò il Padre degli Dei affinché lo
aiutasse: quanto ancora voleva attendere, Odino? Avrebbe lasciato che quegli
esseri inferiori lo trascinassero via come uno schiavo, come un mortale
qualsiasi? Lo avrebbe lasciato morire, assistendo alla scena e piangendo senza
muovere un dito? Di quale dimostrazione ancora aveva bisogno da parte sua per
decidersi a intervenire? Il dio caduto strinse i denti e guardò con odio il
nemico avanzare verso di lui a lancia spianata, un ghigno soddisfatto dipinto
sul muso squamato.
«Non un
passo di più, stronzo.» intimò però una voce chiara e decisa.
Erin
Anwar stava fronteggiando lo skrull a gambe divaricate, il flauto d’argento
impugnato a mo’ di spada e l’espressione feroce nonostante la maglia larga, gli
slip gialli e i piedi nudi.
«Togliti
di lì, donna d’Irlanda! Sei forse impazzita?» le urlò Loki.
«Non lo
sono forse sempre stata?» fu l’arrogante replica.
Ma il
capo alieno non aveva tempo di giocare alla guerra con una midgardiana armata
di uno strumento musicale, e con un colpo ben assestato la scaraventò all’altro
capo della stanza. Erin si afflosciò a terra con un breve grido, il Dio degli
Inganni scattò in avanti per raggiungerla e il comandante lo bloccò puntandogli
la lancia al petto:
«Tu hai
fallito, asgardiano, e questo è il prezzo da pagare. Thanos ti aveva avvertito.»
Thor
misurava a grandi e nervosi passi la sala del trono, Mjölnir in pugno.
«Padre,
come puoi restare immobile a guardare?» disse a Odino che lo mirava dall’alto,
combattuto. «Loki è in pericolo e tu
hai permesso che questo avvenisse! Lascia ch’io torni su Midgard per aiutare
gli eroi umani e per soccorrere mio fratello! Oppure...»
Il Dio
del Tuono s’interruppe e s’inginocchiò davanti al sovrano, fremente:
«Oppure
restituiscigli i suoi poteri, padre. Merita di riaverli, ormai! Se non gli
concederai quest’occasione Loki morirà, e con lui la donna che sta proteggendo.»
Odino
sospirò pesantemente: «Temo ciò che tuo fratello potrebbe fare una volta
tornato se stesso. Non intendevo renderlo nuovamente divino così presto, Thor.»
«E non
temi ciò che potrebbe accadergli se non mi dai ascolto?» gridò il figlio.
Allora il
Padre degli Dei si levò dal seggio d’oro, brandì lo scettro con entrambe le
mani come aveva fatto nel giorno dell’esilio di Loki e guardò gravemente il suo
rampollo maggiore:
«Farò
come suggerisci. Ma per tuo fratello sarà un’ulteriore prova, e se si
dimostrerà ancora indegno lo priverò per sempre dei suoi poteri e della sua
natura immortale.» decretò. «Ora va’, figlio, e fa’ in modo che entrambi mi
rendiate fiero di voi.»
Il biondo
guerriero balzò in piedi sorridendo:
«Ti
ringrazio, padre mio.» si congedò con gratitudine, e attese.
Odino
sollevò il bastone reale e con esso percosse il lucido pavimento una volta
soltanto, e l’intero salone fu avvolto da una luce accecante nella quale Thor
si dissolse. E mentre questi viaggiava a tutta velocità verso Midgard, verso i
Vendicatori, nell’appartamento di Erin una bolla luminosa s’innalzò attorno al
corpo del Dio degli Inganni e come un’esplosione scagliò lontano da lui gli
assalitori. L’irlandese fissò quel bagliore, meravigliata e dolorante, e con un
tuffo al cuore ricordò gli stralci lucenti che avevano avvolto l’asgardiano a
Stoccarda, quando i suoi abiti umani si erano trasformati sotto gli occhi di
tutti.
E anche
adesso Loki parve crescere in possanza e statura, e nell’aria colma di luce
presero forma le grandi corna ricurve del suo elmo, l’ampio manto verde, l’armatura leggera e la lunga tunica di cuoio nero che lo avvolgeva sino ai
polpacci. Erin seppe allora che i suoi poteri e la sua vera natura erano rientrati
in lui, e ne fu felice e spaventata insieme.
Egli
sentì nuova vita e forza circolargli infine nelle vene e arroventargli il
sangue, il cuore che gli martellava in gola dal trionfo e dalla gioia: lanciò
un’esclamazione vittoriosa verso il cielo, grato al Padre degli Dei
per quel dono e a se medesimo per averlo ottenuto indietro.
I nemici
lo fissarono tremebondi e confusi, stupiti da quell’imprevisto, e prima che
potessero studiare una contromossa Loki agitò rapido le mani nel fulgore che
scemava e uno a uno li colpì con armi invisibili e incantesimi silenziosi. Nel giro di pochi minuti due skrull almeno giacquero morti a terra e gli altri vennero
scaraventati giù in strada con i loro velivoli.
Il Dio
degli Inganni proruppe in una risata d’esultanza e allargando le braccia si
voltò verso l’irlandese ancora riversa sul pavimento. Erin d’impulso si
ritrasse e sollevò il flauto, stupidamente, colta da un irrazionale timore per
colui che le torreggiava sopra. Si detestò per questo, e tuttavia non potè fare
a meno di pensare che Loki era ormai libero di sbarazzarsi di lei: non gli
serviva più, se mai gli era servita a qualcosa, e non c’era che un po’ di buon sesso e di un
mese di convivenza surreale a legarli l'uno all'altra.
Ma Loki
le tese una mano e la guardò serio. Aveva creduto che tornando in possesso di
ciò che gli spettava per nascita avrebbe cessato di trovare attraente l’assurda
mortale, di desiderarla, e in un lampo di comprensione si rese invece conto che
così non era: era ancora bella, ai suoi occhi, e ancora gli s’incendiavano le
viscere al pensiero di averla tra le braccia.
Si era
aspettato di disinteressarsi al suo destino, una volta passata quella triste
fase umana, eppure ora che il momento era giunto un’idea completamente diversa
gli balenò in mente. Voleva che Erin Anwar rimanesse al suo fianco, nella
guerra che gli si prospettava dinnanzi, la voleva come complice e alleata, perché gli
piacevano la sua intelligenza e il suo corpo e il suo modo così poco umano di
vedere il mondo.
Tenne la
mano tesa fin quando lei non si rilassò e gli porse la propria, accettando
l’aiuto per rimettersi in piedi e convincendosi che poteva fidarsi. Loki la
tirò su senza sforzo e afferrandola per la vita la strinse a sé: e al centro
della stanza in subbuglio, col mantello che avvolgeva entrambi tra fruscii di
stoffa, il Dio degli Inganni tornò a baciare ardentemente la donna d’Irlanda, e
mentre la baciava pose la mano libera sul flauto che lei ancora brandiva.
Erin lo abbracciò,
e oltre al piacere dirompente che quel nuovo bacio le procurò avvertì
qualcos’altro, un’energia densa e tangibile che la colmò da capo a piedi: era
il potere di Loki, era la sua innata magia, e fluiva tra loro come energia
elettrica.
«Adesso
va meglio.» asserì l’asgardiano coi uno dei suoi ghigni eleganti a bacio
terminato.
«Oh,
immagino.» commentò lei: «Di’, mi hai appena fatto qualcosa di strano?»
Loki
indicò il flauto: «Farai bene a portatelo sempre appresso, d’ora in poi.»
«Riformulo la domanda: cos’hai fatto al mio flauto?» si corresse Erin osservando
l’oggetto.
«Lo hai
impugnato come un’arma, prima, nel nobile tentativo di difendermi dagli skrull. Ho ritenuto opportuno renderlo davvero tale.» spiegò lui seguitando a
sogghignare.
L’irlandese
azzardò un paio di fendenti a vuoto: «Posso usarlo a mo’ di spada? Che
razza di incantesimo ci hai messo sopra?»
«L’ho
reso indistruttibile. Ma penso che potrai ancora suonarlo, se vorrai.»
Erin lo
squadrò con espressione accesa: «Qual è la prossima mossa?» indagò.
In strada
vi furono altre deflagrazioni e urla, e il cielo che s’incupiva fu squarciato
da bagliori rossastri. L’asgardiano guardò le finestre dai vetri spaccati,
l’elmo cornuto stagliato nettamente contro di esse, e parlò con voce profonda:
«Dobbiamo lasciare questa dimora. Thanos sa dove trovarmi, e se resto qui i suoi
sciocchi soldati ci faranno visita ogni giorno. Midgard è nuovamente sotto
attacco e non per merito mio, e non permetterò che colui che mi ha incastrato
la conquisti impunemente.»
«O tu o
lui, quindi.» puntualizzò
la ragazza di Galway. «Devi raccontarmi questa faccenda di Thanos come si
deve.»
«Ti
accontenterò strada facendo. Prendi le tue cose e andiamo, Erin Anwar.»
L’irlandese
volò a vestirsi e riempì due grosse borse con indumenti, libri, generi di prima
necessità femminile, alcune provviste e coi suoi averi più preziosi – il flauto
migliore che aveva, carte di credito, risparmi, computer portatile e macchina
fotografica. Dubitava che avrebbe utilizzato anche solo metà di quelle cose,
nei giorni a venire, ma non poteva separarsene. Indossò un paio di jeans, una
maglia di cotone, un cardigan e i suoi stivali di cuoio preferiti e si passò a
tracolla la custodia contenente il flauto magico.
Mentre il
Dio degli Inganni stava di guardia Erin abbassò le veneziane e chiuse i
vetri e le porte, controllò il rubinetto del gas e quelli del bagno e con una
lievissima stretta al cuore spense tutte le luci: non volle chiedersi in quali
condizioni avrebbe ritrovato la sua piccola casa, se mai vi avesse fatto
ritorno, e sapeva che andarsene era la scelta giusta.
Caricò le
borse in spalla e fece tintinnare le chiavi del Duetto tra le dita:
«Sono
pronta.» annunciò decisa.
Loki la precedette verso la porta dell’appartamento e insieme ne
uscirono, camminando affiancati e sicuri.
> Note a piè di
pagina
Da qui in poi i capitoli saranno sempre (più) lunghi, sapevatelo. Spero non vi dispiaccia :)
Gli skrull, che hanno appena fatto la loro comparsa, sono una razza di alieni
che nei fumetti Marvel spesso si scontrano con gli Avengers stessi; il loro
aspetto fisico è un misto tra umanoide e rettile, e per quanto non mi risulti
che si siano mai alleati con messer Thanos ce li vedevo troppo bene. E non loro
soltanto – ma questo lo appurerete poi.
Thor aveva bisogno di un suo primo, piccolo momento di gloria: sarà pure
una biga vichinga più avvezza a tirar martellate che a riflettere, però ci sono
troppo affezionata e ritengo che non sia quello soltanto. Mentre per la
faccenda del flauto… beh, mi auguro che non risulti un’idea troppo imbecille :D
I put a spell on
you è una celeberrima canzone di Nina Simone che ai due si addice, anche se ancor
di più si addice loro la già citata Invincible
degli Ok Go: sulla scena dello scontro e della “trasformazione” di Loki sta da
dieci. E a tal proposito – a proposito di Loki che è tornato “Loki”, della
decisione che ha preso, di Erin e della nuova minaccia – state pronte, signore,
perché d’ora innanzi tutto sarà badassery
allo stato puro.
Ringrazio tantissimo le donzelle che hanno recensito lo scorso capitolo!
Adoro conoscere le vostre impressioni e ipotesi, perciò non tiratevi indietro
;)
Capitolo 8 *** 8. When they finally come to destroy the Earth they'll have to go through you first ***
8
8.
When
they finally come to destroy the Earth
they’ll
have to go through you first
Uno dopo
l’altro gli eccezionali individui membri del Progetto Avengers fecero la loro
comparsa nella base dello S.H.I.E.L.D.: i primi furono Thor e Tony Stark, il cui
jet privato con a bordo Pepper Potts e un paio di suoi stretti collaboratori
cozzò contro il Dio del Tuono che calava dal cielo proprio sulla pista
d’atterraggio della struttura. Giunsero quindi Natasha Romanoff e Clint Barton,
insieme, e un’ora più tardi da un elicottero scese Bruce Banner. L’ultimo ad
arrivare fu Steve Rogers, in sella alla sua moto.
Jane
Foster volò letteralmente tra le braccia di Thor non appena lo vide, e i due si
abbracciarono e baciarono davanti a tutti finché Nick Fury non segnalò la
propria presenza con un secco colpo di tosse e pregò i Vendicatori di seguirlo
in sala riunioni, dove li attendevano Erik Selvig e Maria Hill. La tensione era
palpabile, e una volta che i sei si furono accomodati attorno al tavolo il
direttore prese la parola:
«Vi
ringrazio per aver risposto al nostro appello celermente e senza troppe
rimostranze.» esordì in tono asciutto e pratico, gettando un’occhiata
significativa a Stark; «Quest’oggi un cospicuo numero di esseri provenienti da
altri mondi ha lanciato un attacco combinato contro le maggiori città statunitensi, e ci
stanno pervenendo notizie di fatti simili dal Canada. Sembra si tratti di
avamposti di un esercito ben più grande, a giudicare dalle loro azioni, e a differenza del precedente scenario in cui ci siamo trovati ad agire stanno
conducendo un’invasione su scala più vasta. Per ora essa è tuttavia limitata
all’America del Nord.»
«Che
generi di alieni sono, signore?» interloquì il Capitano.
«Forse
gli stessi in cui ci siamo già imbattuti, più altri tizi simili a loro e ugualmente
brutti.» gli rispose Iron Man: «Ne ho incrociati un paio venendo qui.»
Fury
annuì: «Sì, la razza potrebbe essere la medesima. Eppure non si sono aperti
varchi dimensionali nel cielo, questa volta, e qualunque sia il modo in cui
hanno raggiunto la Terra ci risulta ancora sconosciuto. In breve, niente Tesseract.»
«Il che
dovrebbe essere un bene o un male?» domandò la spia russa.
«Un
male, più probabilmente.» mormorò Selvig: «Come dicevo al direttore Fury, il
fatto che non abbiamo rilevato portali del genere implica che chi o cosa ha
organizzato l’invasione sia potente abbastanza da utilizzare altre vie per
arrivare a noi. Molto potente.»
Nel
frattempo l’agente Hill si era spostata in un angolo, la fronte corrugata e due
dita premute sul proprio auricolare come se stesse ascoltando qualcosa con
estrema attenzione:
«Signori, devo interrompervi. Ho appena appreso novità importanti da Boston.»
annunciò infatti, e i suoi occhi grigi saettarono nervosamente da Fury a Thor.
«Si sbrighi
a riferircele, agente Hill. Il tempo stringe.» la sollecitò il primo.
Maria
esitò un istante: «Diversi invasori sono stati uccisi prima che la nostra
squadra di ricognizione giungesse in città, e non a opera dell’esercito o dei
civili. Molti testimoni hanno confermato di aver visto un’auto decappottabile di marca italiana color
verde oliva sfrecciare per le strade con a bordo due persone armate che hanno
attaccato i nemici in almeno due differenti occasioni per poi scomparire verso
le campagne. Una di esse portava in testa un elmo cornuto.»
Il Dio
del Tuono balzò in piedi senza riuscire a trattenere un sorriso di sollievo e
il resto dei presenti s’irrigidì sul posto; il direttore serrò pugni e
mascella:
«Loki è
qui?» disse in un ringhio sordo.
«Nessuno
ha parlato esplicitamente di lui, signore.» nicchiò l’agente Hill.
«Questo
però spiegherebbe la nuova ondata di invasori alieni.» intervenne Barton.
«Ma
perché ucciderli, se fosse ancora in combutta con loro?» fece notare
Banner.
«Se ben
ricordo le azioni del nostro comune amico non sempre sono sensate.» fu il
leggiadro e veritiero commento del genio miliardario playboy filantropo.
«Silenzio!» gridò Fury battendo una mano sul tavolo per ristabilire l’ordine,
quindi si rivolse al guerriero biondo con rabbia malcelata: «Tuo fratello non
dovrebbe trovarsi ad Asgard, dove tu stesso lo hai ricondotto più di due mesi
fa? Oppure c’è qualcosa che dovremmo sapere e che ci hai taciuto, figlio di
Odino?»
Thor
rimase alzato e sostenne lo sguardo dell’uomo: «Come avrei potuto dirvi
alcunché, dal momento che sono appena tornato su Midgard? Loki è stato bandito
dal nostro regno e privato dei suoi poteri divini, poiché così nostro padre ha
comandato per punirlo per le sue malefatte. Lo ha esiliato tra gli umani, come
già aveva fatto con me, e per trenta giorni terreni mio fratello ha vissuto da
mortale nella città che avete appena nominato.»
«Questo giustificherebbe
il lieve picco di valori elettromagnetici che avevate registrato nei pressi di
Boston il mese scorso.» s’intromise Jane.
«Eppure
ce lo siamo fatti sfuggire.» constatò aspramente il direttore: «Poteri divini
o meno, avremmo dovuto indagare più a fondo e tenerlo d’occhio.»
La Vedova Nera si sporse verso il semidio: «Come li ha recuperati?»
«Quando
ci è giunta voce dell’attacco ai danni di Midgard ho pregato mio padre di fare
due cose. La prima era permettermi nuovamente di raggiungervi, la seconda era
restituire i poteri a Loki.» disse Thor. «Era circondato da nemici e
rischiava di soccombere. Non potevo lasciarlo morire, anche se immagino che non
condividerete la decisione.»
Sei paia
di sopracciglia si sollevarono all’unisono e i due scienziati e Maria si
schiarirono vistosamente la gola, confermando il dubbio sollevato da Dio del
Tuono.
«Dunque
tuo padre ha acconsentito, tuo fratello è rientrato nei suoi cenci e adesso
scorrazza per Boston a bordo di una spider italiana verde
uccidendo i propri ex alleati.» riassunse Stark, sarcastico; «Forse dovremmo
ringraziarti.»
«Non
potevo lasciarlo morire.» ripetè Thor con maggior durezza.
L’agente
Hill richiamò l’attenzione degli astanti: «Non è detto che Loki si trovi
ancora a Boston. Potrebbe aver lasciato la città, come i testimoni ci hanno
raccontato.»
«Allora
metta un paio di nostre squadre sulle tracce di quell’autovettura, agente. Per
ora ci limiteremo a monitorare le sue azioni per capire cos’ha in mente.»
comandò Fury.
«Ammesso
e non concesso che ci sia possibile capire cos’ha davvero in mente.» disse cupo Hawkeye, e il dottor Banner concordò
con lui.
Rogers si
agitò sulla propria sedia, forse a disagio e forse ansioso di passare
all’azione:
«Ci dica
come dobbiamo muoverci, signore.»
Nick Fury
li guardò uno a uno. Sui loro volti lesse un misto d’insofferenza e determinazione,
e intuì che nonostante la sorpresa e il ristretto lasso di tempo trascorso
dalla precedente e prima missione tutti loro erano pronti ad
agire, senza riserve e senza paura.
Non
sarebbero mai stati un gruppo semplice da gestire e avrebbero sempre presentato
dei punti deboli per carattere e legami, ma erano e rimanevano una straordinaria mezza
dozzina.
«Dovremo
spostarci di città in città per arginare ogni singolo attacco, Capitano. Avremo
aiuti e coperture dal Governo e dall’Esercito, e per quanto io li ritenga degli
inetti in questa situazione non potranno che farci comodo. Inizieremo stanotte,
da Washington.»
Natasha
Romanoff si alzò e scosse i capelli rossi: «Andiamo a prepararci.» disse.
Gli altri
la imitarono e abbandonarono la stanza a passi decisi; solo Thor si attardò una
manciata di attimi per scambiare un’ultima occhiata col direttore. Infine
baciò Jane in fronte e seguì i colleghi midgardiani verso la battaglia
imminente.
Erin e
Loki non si allontanarono da Boston alla chetichella.
L’irlandese
fece rombare il motore del Duetto e s’immise sgommando in strada, evitando
cassonetti infuocati e passanti in fuga, e attraversarono la città in piena
vista per sgominare il più alto numero di skrull e compagni che fosse loro consentito.
Il Dio degli Inganni lanciò magie ferali e lame create dal nulla ed Erin mise in mostra le proprie incredibili capacità di pilota.
Non ebbe il coraggio di servirsi del flauto reso arma, avendo ancora qualche
remora al riguardo, ma non ce ne fu bisogno: l’asgardiano era inarrestabile e
la sua mira infallibile, e godeva enormemente dei propri rinnovati poteri.
Quando
ebbero superato la periferia occidentale della metropoli e si furono inoltrati
a sufficienza nella zona rurale, la ragazza di Galway fermò la macchina nei
pressi di una stazione di servizio e prese a trafficare con
alcuni oggetti che teneva nel cruscotto. L’elmo, l’armatura e il manto di Loki
si dissolsero nell’aria, lasciandolo con indosso il resto degli abiti da
guerra.
«Potresti parlarmi di Thanos mentre sistemo l’autoradio?» lo pregò lei.
Lui la
accontentò. La mise al corrente, senza perdersi in dettagli, del patto che
aveva stretto col titano a proposito del Cubo Cosmico e del dominio della Terra
e di come questi gli avesse garantito grandi sofferenze qualora non avesse
rispettato l’accordo. I piani di entrambi erano falliti, quelli di Thanos per
colpa della sconfitta di Loki, e i nuovi attacchi erano l’inevitabile
conseguenza di tutto ciò: il titano voleva punirlo e riuscire laddove lui
non aveva avuto successo per dimostrare la propria forza, disse con astio il
Dio degli Inganni.
Erin
sollevò lo sguardo dall’apparecchio: «E il Cubo? Non gli interessa più?»
«Gli
interessano entrambe le cose, ed entrambe vorrà prendersi.» rispose Loki: «Manderà qui i suoi soldati e nel frattempo penserà a come impossessarsi del
Tesseract.»
«E il
Tesseract dove si trova, adesso?» chiese l’irlandese cercando di avere un
quadro generale della situazione. Con un clic
inserì la radio nel vano apposito.
L’asgardiano
fissò il vuoto: «Ad Asgard. Odino lo ha in custodia da quando io e Thor siamo
tornati con esso. Ma Asgard non è facilmente espugnabile né assediabile, e
immagino che Thanos studierà con cura una strategia vincente.»
«E
intanto i suoi conquisteranno la
Terra per lui.» concluse Erin.
«Dal tuo
tono si evince che forse agiresti nel medesimo modo.» ghignò Loki, soddisfatto
che la donna d’Irlanda si confermasse sì affine al suo animo e pensiero.
Lei fece
spallucce: «Perché no? È un buon piano. Peccato che ci si ritorca contro,
cazzo!» esclamò, e in quella girò la manopola d’accensione della Kenwood che
aveva fatto installare a caro prezzo sull’impianto originario del Duetto. Le
note di una canzone dei Rolling Stones riempirono l’abitacolo, ed Erin battè le
mani a tempo sul volante; il Dio degli Inganni emise un suono di leggero
disprezzo e poggiò il capo contro lo schienale del sedile.
«Per
contrastare l’invasione dovremo sapere quali città sono sotto attacco e come si
evolvono le cose, e la radio è un ottimo mezzo per ottenere informazioni in
tempo reale.» spiegò la flautista. «Inoltre abbiamo il mio computer, il mio
iPhone e le tue cazzutissime capacità divine. Dovrebbero bastarci.»
L’asgardiano
rise compiaciuto e lei abbassò il volume della musica, facendosi seria.
«Loki.»
lo chiamò poi, e nella sua voce vi fu un tremito appena accennato che indusse
l’interpellato a voltarsi nella sua direzione: «Perché vuoi restare qui?
Perché non tornare subito ad Asgard e bloccare Thanos? Potresti avere il Cubo
per te soltanto, se lo volessi.»
Si
guardarono negli occhi, e il Dio degli Inganni ebbe la netta impressione che
nella mente di Erin Anwar – e finanche nel suo cuore – si agitassero due idee
differenti, una che le suggeriva di proporgli scenari allettanti e l’altra che
la turbava con l’ipotesi di perderlo.
Optò
allora per la risposta più semplice e vicina alla verità:
«Midgard
doveva essere mia e mia sarà, e non lascerò che Thanos si prenda gioco di me. Asgard
e il Cubo possono attendere.»
Ma non le
disse che probabilmente non avrebbe potuto farvi ritorno neppure volendo,
poiché niente lasciava intendere che Odino avesse revocato la sua messa al
bando, nonostante gli avesse restituito i poteri. Per sfuggire all’esilio
avrebbe dovuto compiere qualcosa che fosse grandioso e degno del Padre degli
Dei, qualcosa che lo facesse apparire cambiato in meglio.
«Se la
conquisterai col mio aiuto mi concederai di governarla assieme a te?» lo
provocò Erin con uno dei suoi sorrisi arroganti dipinto sul bel viso.
Loki le
catturò le labbra con le proprie in un bacio veloce e sogghignò di nuovo:
«Non lo
escludo.»
L’irlandese
scoppiò a ridere e afferrandolo per il risvolto del pastrano lo tirò a sé per
baciarlo a sua volta, intensamente. Quindi riaccese i motori e rientrò in
carreggiata.
Nella
settimana che seguì tanto i Vendicatori quanto il duo diedero del filo da
torcere agli avamposti di Thanos, da una parte all’altra dell’America del Nord,
e se lo S.H.I.E.L.D. seguì a distanza gli spostamenti di Loki ed Erin senza
intervenire, dato che non intralciavano le azioni degli Avengers, i due
prestarono orecchio alle notizie diffuse dai media per conoscere i movimenti
degli altri. Stettero bene attenti a non incrociarsi, o magari fu soltanto una
coincidenza se in quei sette giorni scelsero sempre città diverse in cui
combattere gli invasori.
Nick Fury
avrebbe voluto scoprire perché diavolo il fratello del Dio del Tuono pareva
stare dalla loro parte, se realmente ci stava e chi era la persona che gli si
accompagnava, ma in quel frangente mettere in sicurezza i civili era la
priorità assoluta. Thor invece avrebbe voluto raggiungere Loki direttamente per
parlargli, e com’era ovvio non gli fu permesso.
Intanto
gli attacchi proliferavano, e presto il raggio d’azione dei soldati alieni si
estese all’intero continente americano, dall’Alaska all’Argentina, e il numero
di nemici che giungeva sulla Terra aumentò: erano skrull, chitauri e kree, tre
razze appartenenti allo stesso ceppo genetico, e Tony Stark definì i secondi
“gli avanzi dell’altra volta”, riferendosi al magistrale colpo di testata
nucleare che aveva personalmente lanciato contro la loro nave madre.
Sembrava
che lo scopo di quegli assedi mirati fosse fiaccare le difese terrestri in
vista di un attacco più vasto e definitivo, e sia lo S.H.I.E.L.D. che la N.A.S.A. controllarono il
cosmo attorno al pianeta con satelliti e sonde spaziali per capire quale fosse
il punto d’origine dell’invasione e se vi fossero flotte in attesa oltre
l’atmosfera: non trovarono niente, e d’altronde il temuto attacco definitivo
non aveva ancora avuto luogo. Il punto d’origine e le sedicenti flotte, se ve
n’erano, rimanevano ben celati anche alle sofisticate apparecchiature
S.H.I.E.L.D.
Nel
frattempo Erin e Loki macinavano miglia di strada a bordo del Duetto verde e badavano
di non incappare in interviste o telecamere che avrebbero attratto troppo
l’attenzione dei ridicoli combattenti midgardiani, come il Dio degli Inganni
soleva chiamare i Vendicatori. L’irlandese era di opposto avviso e fece
presente al compagno che farsi un po’ di pubblicità era un ottimo metodo per
conquistare le folle che avrebbero seguito con passione le loro gesta. Lui però
non volle sentir ragioni ed Erin lasciò correre.
In fondo
l’adrenalina della lotta e del viaggiare sulle highways americane col vento tra
i capelli insieme a un ingannatore divino di cui era l’amante e la complice era
sufficiente, pensava sempre mentre guidava, occhiali da sole inforcati sul
naso, finestrini e capote abbassati e cursore della Kenwood puntato su Virgin
Radio nonostante le sprezzanti proteste di Loki. Ed era fantastico non doversi
crucciare circa i soldi per carburante, cibo e pernottamenti, poiché le arti
magiche dell’asgardiano permettevano la moltiplicazione di banconote di
qualunque taglio.
Lui si
affidava alle capacità diplomatiche della donna d’Irlanda e alla sua natura
umana che tanto tornava utile nell’interazione con altri mortali, specialmente
adesso che erano spaventati e all’erta per colpa degli stolti invasori.
Come
Fury, anche Loki si domandava quando Thanos si sarebbe mostrato, scatenando un
attacco degno di questo nome, e di notte si spingeva sovente nei meandri degli
universi con la mente per cercarlo e raccogliere indizi sui suoi oscuri
disegni. Ma come per lo S.H.I.E.L.D. e la N.A.S.A. egli restava celato alla sua vista, per
quanto questa fosse acuta.
Attrversando
il paese più o meno da costa a costa, l’asgardiano e l’irlandese giunsero alle
porte di San Francisco. La metropoli californiana non era ancora stata
liberata, e alte colonne di fumo s’innalzavano nel cielo abbacinante sotto il
caldo sole di mezzogiorno; la maggior parte degli abitanti doveva essere già
fuggita nelle campagne, a giudicare dall’assenza di auto in uscita dalla città,
e le sirene e gli spari che si udivano in lontananza indicavano che v’erano
scontri in atto. Erin e Loki ne seguirono il suono, spingendosi fino alla zona
più elevata di San Francisco per avere una visuale completa, e qui scesero di
macchina per osservare la distesa di palazzi e strade che si stendeva ai loro
piedi sino all’oceano. La guerriglia pareva concentrarsi nei pressi della
costa, nel centro della città.
L’elmo,
il manto e l’armatura fecero la loro comparsa sulla figura eretta del Dio degli
Inganni, e la ragazza di Galway tirò fuori dalla custodia il flauto magico.
«Mezzogiorno di fuoco.» citò lei. «Andiamo in auto?»
«Almeno
fino al campo di battaglia. Pare che arrivare a bordo di un veicolo ordinario
sortisca sempre un vantaggioso effetto sorpresa.» rispose lui: «Metti in
moto, donna d’Irlanda.»
Saltarono
di nuovo a bordo del Duetto ed Erin lo mandò a rotta di collo giù per le ripide
discese di San Francisco, passando accanto a case distrutte e sbaragliando
postazioni di guardia nemiche atte a sorvegliare i civili rimasti bloccati
nella metropoli – civili che allora uscirono allo scoperto e seguirono correndo
la vettura verde, gridando frasi d’incoraggiamento all’indirizzo dei due. Erin
ammiccò e Loki scrollò le spalle.
In un
baleno furono nella zona dello scontro e arrivarono proprio dietro alle linee
che i soldati di Thanos avevano schierato per fronteggiare poliziotti e
marines. Uscirono di nuovo dall’auto e l’irlandese diede un paio di secchi
colpi di clacson che riecheggiarono tra i grattacieli come squilli di tromba. Skrull
e chitauri presenti si voltarono e nel vedere i due indietreggiarono
d’istinto, più per lo stupore che per lo spavento, e il Dio degli Inganni
lanciò il primo incantesimo sogghignando. Mentre questo esplodeva tra le file
nemiche, uccidendo una decina di invasori, Erin scattò in avanti e col flauto
disegnò un arco argenteo nell’aria, colpendo con violenza gli alieni più
vicini; poi incrociò una delle loro lunghe lance e prese
a combattere corpo a corpo col proprietario di essa, e Loki avanzò, possente e
temibile, seguitando a lanciare magie ferali.
Nell’accorgersi
della venuta di alleati insperati i militari midgardiani riacquistarono
convinzione e caricarono gli avversari a fucili spianati, facendo sì che questi
si trovassero stretti in una morsa cui non poterono sottrarsi: da una parte
avevano le pallottole degli umani, dall’altra l’arma indistruttibile
dell’irlandese e l’incantatore asgardiano.
Lo
scontro si risolse in fretta e i soldati di Thanos ne uscirono sconfitti, e i
loro superstiti fuggirono verso il mare. Loki afferrò per un braccio il
comandante dei poliziotti:
«Altri
dei vostri stanno ancora combattendo, mortale?» lo interpellò imperiosamente.
«Sissignore, abbiamo squadre impegnate sul Golden Gate.» rispose l’uomo
fissando con occhi sgranati le lucenti corna ricurve dell’elmo del Dio degli
Inganni.
«E
immagino che il Golden Gate di cui parli si trovi nella direzione in cui sono
scappati gli skrull sopravvissuti.»
L’altro
annuì, desideroso di scappare a sua volta: «È il ponte sull’oceano. Avete ancora
bisogno di noi, signore?» balbettò scioccamente.
Loki lo
guardò con condiscendenza e lo lasciò andare: «Non abbiamo mai avuto bisogno
di voi, ma i tuoi colleghi avranno sicuramente bisogno di noi.» sentenziò.
Quindi
tornò da Erin, che si era messa a chiacchierare amichevolmente con un drappello
di marines, e platealmente le cinse i fianchi per tirarla via di lì; gli uomini
li guardarono andare verso il Duetto con una punta di delusione, e lei volle
sapere cosa aveva detto il poliziotto. L’asgardiano la mise al corrente sulla
battaglia in corso al Golden Gate e subito la ragazza di Galway fece sgommare
gli pneumatici sui detriti che ricoprivano l’asfalto per raggiungere il ponte.
Durante il tragitto notò che nel cielo sopra la città erano comparsi un paio di
grossi velivoli dall’aspetto governativo, e pensò che fossero arrivati dei
rinforzi.
La
gigantesca struttura metallica del viadotto era presidiata da ambo i lati
d’accesso da due nutriti squadroni di kree, impegnati a respingere i corpi speciali dell’esercito, e i rumori della lotta
aleggiavano sullo scintillìo delle acque sottostanti.
Di nuovo,
la comparsa di Loki ed Erin ebbe il potere di distrarre i soldati di Thanos e
di procurare un leggero vantaggio d’azione ai militari americani. Quando i
due si lanciarono nella mischia lo scontro si fece infuocato, e molti tra
invasori e difensori caddero morti o finirono in mare. Tuttavia con l’aiuto del
Dio degli Inganni e dell’irlandese gli umani riuscirono a conquistare metà del
ponte, ed esultando volarono a dare manforte ai compagni che ancora
combattevano per la metà rimanente. L’aria era satura di grida e fumo.
Ma mentre
Erin seguiva i midgardiani, Loki si bloccò: aveva udito suoni e voci familiari,
e nella foschia creata dagli spari e dalle esplosioni riconobbe, oltre le linee
nemiche, la forma di un grande martello e una corpulenta sagoma verdastra.
Stringendo i pugni con malcelato fastidio attese che la battaglia si placasse,
sebbene già sapesse cosa avrebbe visto, e per non perdere prematuramente la
pazienza si concentrò sulla figura sinuosa della donna d’Irlanda
che come una furia maldestra colpiva gli avversari, dipingendo scie lucenti intorno a sé.
Infine
gli umani ebbero la meglio ed Erin corse da Loki ammaccata e sorridente, e soldati e poliziotti si prodigarono in lodi e ringraziamenti diretti
tanto ai due quanto all’altro gruppo di persone presente sul Golden Gate, quello
che aveva liberato l’altra metà.
E come il
fumo si diradò il Dio degli Inganni si ritrovò a fissare l’inconfondibile e
colorita mezza dozzina dei Vendicatori, e Iron Man, l’Hulk, Capitan America,
Hawkeye e la Vedova Nera fissarono lui a bocca aperta. Thor lasciò cadere a terra Mjölnir e gli si fece
incontro sorridente tuonando: «Finalmente, fratello!», e Loki non mosse un
muscolo.
Erin
scoppiò in una risata incredula: «Non è possibile.» esclamò.
> Note a piè di
pagina
Se c’è una cosa che ho sempre trovato improbabile nei film d’azione/fantascienza
sono gli attacchi nemici concentrati in una sola
città americana a scelta tra NY, Los Angeles e al massimo Washington: così mi
son voluta togliere lo sfizio di dipingere uno scenario post-apocalittico
con attacchi ben distribuiti in tutti gli Stati Uniti e con resistenze civili e
militari asserragliate tra case e bidoni come nei migliori film del genere.
Erin e Loki intanto sono on the road
come due novelli Bonnie & Clyde, e com’era inevitabile che fosse si sono imbattuti nei sei casi umani (?) più straordinari dei Nove Regni…
Il luuuuunghissimo titolo del capitolo è nuovamente tratto da Invincible degli Ok Go, che se non si
fosse ancora capito mi garba da morire. Come musica d’accompagnamento
suggerisco invece caldamente Too old to
die young di Brother Dege, tratta direttamente dalla CLAMOROSA colonna
sonora di Django Unchained.
Ah, in questi mesi ho prodotto (e produco tuttora) una quantità non
indifferente di disegni e grafiche sulla pericolosa accoppiata Erin-Loki. Se vi
incuriosiscono ditemelo e troverò il modo di mostrarveli :)
Thor
afferrò Loki per le spalle e lo scosse fraternamente:
«Sono
così felice di trovarti in salute, fratello! Non vedevo l’ora di parlarti di
persona.»
Il Dio
degli Inganni roteò gli occhi con insofferenza e si scostò bruscamente:
«Non
condivido il tuo sentire.» sentenziò in tono glaciale.
Il biondo
parve non farci caso e cavallerescamente prese una mano di Erin, che osservava
i due asgardiani con un sorrisetto di scherno e un sopracciglio inarcato.
«E
costei deve essere…» iniziò a dire il Dio del Tuono.
«Ottima
domanda, fustacchione.» s’intromise Tony Stark facendo un passo avanti e
togliendosi la maschera di Iron Man: «Chi è la bella signorina? È lei che
hanno visto con te a Boston a bordo della decappottabile, Camoscio d’Oro?»
Loki si
voltò verso di lui come una biscia e lo fulminò con lo sguardo, e
automaticamente gli altri quattro Vendicatori assunsero una posizione di
guardia: Barton gli puntò contro l’arco e Natasha una delle proprie pistole,
Rogers sollevò lo scudo e Banner si limitò a ringhiare per rammentare al dio
cosa gli era accaduto l’ultima volta che si erano trovati a meno di un metro di
distanza; Stark si strinse nelle spalle ed Erin sfilò la mano da quella di
Thor.
«Non
cominciamo con le idiozie, signori.» intimò Nick Fury facendosi largo tra gli
astanti, vestito di nero da capo a piedi come al solito nonostante la calura: «Cerchiamo di fare chiarezza in fretta e senza venire alle mani. E voi,» disse
ai poliziotti e ai soldati che si trovavano ancora sul ponte e che fissavano
ammaliati la scena, «filate immediatamente a fare qualcosa di utile in città.»
Quelli
obbedirono, e al centro del Golden Gate rimasero solo i diretti interessati:
«Dunque,
signorina, potrei sapere il suo nome e perché si accompagna al qui presente
individuo?» chiese Fury interpellando l’irlandese direttamente. Si era
aspettato un uomo, quando i testimoni avevano riferito di una seconda persona,
di sicuro non una giovane donna attraente armata di uno strumento musicale.
Adesso che l’aveva vista era convinto che la ragazza fosse manipolata
dall’asgardiano, e intendeva appurarlo.
Ma Erin
mantenne il sorrisetto e utilizzò una delle tattiche di conversazione preferite
di Loki: «Allora siete voi i famosi Vendicatori? E fate parte di quello
S.H.I.E.L.D. di cui ho sentito parlare? È un onore incontrarvi.»
ammiccò in risposta.
«Se ti consideri
onorata di conoscerci come mai lavori per lui?» interloquì l’arciere indicando
il Dio degli Inganni, che ora osservava la ragazza di Galway per scoprire come
si sarebbe relazionata ai ridicoli supereroi umani.
Il
sorriso scaltro di Erin si trasformò in una squillante risata: «Io non lavoro
per lui, io sto con lui! E niente mi
vieta di provare simpatia per voi, dato che a quanto mi risulta non siamo in
guerra tra noi. Comunque, per accontentare il signore con la benda sull’occhio,» e s’inchinò scherzosamente in direzione di Fury, provocando in lui una
contrazione irosa della mascella e in Stark un ghigno divertito, «il mio nome
è Erin Anwar, sono irlandese e suono da tre anni nella Boston Philharmonic
Orchestra. C’è altro che volete sapere?»
«Con
“sto con lui” intendi che sei sua complice o che c’è qualcosa di più?» indagò
la russa.
L’irlandese
sogghignò e Loki la affiancò, ponendole una mano sulla spalla:
«Non
avete niente di più importante a cui pensare del domandarvi quale relazione vi
sia tra me e la donna d’Irlanda? Me ne compiaccio.» li schernì.
«Piccolo
cervo, devo ammettere che hai buon gusto.» approvò Iron Man.
«Piantala di provocarlo, Stark.» suggerì Steve Rogers in tono grave.
«Fate
silenzio!» urlò il direttore dello S.H.I.E.L.D. prima di tornare a rivolgersi
alla bizzarra coppia: «Perché siete qui, asgardiano? Qual è il tuo piano,
stavolta?»
Il Dio
degli Inganni allargò teatralmente le braccia: «Mi sembra evidente. Non stiamo
forse contrastando la stessa invasione aliena ai danni del vostro piccolo
pianeta? Oppure ho frainteso le vostre intenzioni?»
«Le
nostre intenzioni sono sempre limpide, al contrario delle tue.» replicò secco
Fury.
«Eppure
sembra proprio che stavolta combacino.» chiosò Loki, la voce blanda.
Thor lo
guardò speranzoso: «Allora unitevi a noi, fratello! Combatteremo fianco a
fianco questi nemici e salveremo Midgard insieme. Nostro padre sarà fiero di
noi.»
L’espressione
dell’altro s’indurì: «Ho detto che combaciano le nostre intenzioni, non i
nostri scopi finali. Bloccare gli attacchi non prevede necessariamente una mia
alleanza con voi.»
«Se non
t’interessa proteggere la Terra,
cosa che in effetti è più logica da parte tua, perché stai prendendo a mazzate
il tuo ex esercito?» intervenne Stark.
«Per non
farla cadere nelle mani sbagliate.» ghignò Loki con eleganza.
Il significato
sottinteso nelle sue parole indusse i membri del Progetto Avengers ad assumere
nuovamente posizioni di guardia, pronti all’attacco o alla difesa, e per
riflesso anche Erin impugnò il flauto con entrambe le mani, frapponendosi tra i
sette e il suo compagno.
Ma il Dio
del Tuono sollevò Mjölnir e si mise tra l’irlandese e i propri colleghi:
«No!
Lottare tra noi adesso non servirebbe a nulla. Prima dobbiamo fermare i nostri
comuni nemici, o Midgard sarà perduta.» gridò con fermezza.
«Tu non
parli con obiettività, Thor.» lo freddò il capo dello S.H.I.E.L.D.
Il biondo
guerriero lo squadrò: «Sarò il primo a combattere Loki se la situazione lo richiederà,
direttore Fury. Voglio bene a mio fratello, ma ciò non mi rende stolto.»
affermò orgogliosamente, e i suoi fieri occhi color del cielo cercarono quelli
del Dio degli Inganni.
«Oh, ciò
ti ha sempre reso stolto.» lo
corresse questi in un sibilo, e nel dirlo cinse la vita della flautista di
Galway e la tirò a sé. Erin dedicò un arrogante cenno di saluto ai loro
interlocutori, intuendo che la conversazione era terminata, e in un attimo lei
e l’asgardiano scomparvero dal ponte, dissolvendosi nell’aria infuocata di quel
pomeriggio di giugno.
«Ci
siamo teletrasportati!» trillò deliziata l’irlandese nel ritrovarsi di punto
in bianco accanto al Duetto, ancora abbracciata a Loki.
«Voi
midgardiani avete modi singolari di definire le cose.» commentò lui, pallido e
lievemente stanco; muoversi nello spazio con qualcuno a carico non era
semplice.
Montarono
in macchina ed Erin accese la radio domandandogli: «Credi che ci seguiranno?»
«Non
adesso. Ci controlleranno a distanza, ma non sprecheranno energie preziose per
noi, non ancora. Thor sa essere
persuasivo.» rispose il Dio degli Inganni.
Lei
sorrise: «Tuo fratello non è stupido come appare.»
Loki
scrollò il capo e tacque. Le ultime parole del Dio del Tuono gli riecheggiavano
in testa e non poteva negare di aver avvertito una tiepida morsa al cuore
nell’udirle, quella debolezza che lo coglieva ogni volta che un membro della
sua sciocca, adottiva famiglia gli dimostrava il proprio incondizionato
affetto. Al contempo il riferimento al Padre degli Dei gli aveva suggerito
un’idea per riconquistarne il totale favore: gli sarebbe bastato dichiararsi
amico e alleato degli eroi umani, di Thor medesimo, e lottare al loro fianco
per un’unica battaglia. Questo, unito al legame che aveva stretto con la donna
d’Irlanda, avrebbe dimostrato a Odino che era degno di tornare, che era degno
di fiducia. Ma il legame che ormai esisteva tra lui ed Erin Anwar non era stato
in alcuna maniera programmato, e per unirsi alla causa dei Vendicatori aveva
bisogno di un proprio tornaconto, di un concreto vantaggio per sé.
«Sembra
che Baltimora sia in grave difficoltà. Ci facciamo un salto?»
La voce
dell’irlandese lo strappò a quelle riflessioni, e Loki la guardò: il suo
profilo elegante si stagliava come disegnato contro il chiarore estivo che li
circondava e i capelli raccolti in una coda alta mettevano in risalto il
suo bel collo e la scollatura della maglia che indossava. Col passare dei
giorni l’attrazione che esercitava su di lui non accennava
a diminuire, ed egli si rendeva conto che per la prima volta nel corso della
sua lunga vita non provava il desiderio di tessere inganni e trame per far sì
che quell’assurda mortale restasse con lui – magari perché poco gl’importava, magari perché trame e inganni non servivano: Erin Anwar sarebbe rimasta comunque
al suo fianco, e quella consapevolezza lo colpì d’improvviso come un pugno in
pieno petto. Tuttavia era un pugno piacevole, e un po’ ne fu turbato.
«Una
meta vale l’altra, donna d’Irlanda.» replicò infine, tornando a sogghignare.
La
ragazza di Galway ruggì per l’eccitazione e accelerò, abbandonando le strade
semideserte di San Francisco, la musica che fluiva dalle casse dell’auto a
tutto volume.
Trascorsero
così altri giorni e vi furono altri scontri. Il Duetto verde oliva continuò a
viaggiare attraverso i molti Stati dell’America del Nord e diverse città ricevettero
il prezioso aiuto sia del Duo degli Inganni, come Stark ribattezzò la musicista
e l’asgardiano, sia dei Vendicatori.
Le due
fazioni riuscirono a incrociarsi una volta soltanto, a Miami, e con gran
dispiacere di Thor ed esasperazione di Nick Fury finirono con l’iniziare una
schermaglia poco amichevole tra loro dopo aver sgominato uno squadrone di
soldati di Thanos su una delle splendide spiagge della metropoli: Loki ebbe la
meglio su Hawkeye, ancora bramoso di rivalsa nei suoi confronti, per poi trovarsi
faccia a faccia con l’Incredibile Hulk e battere di conseguenza in abile ritirata; Erin ingaggiò suo malgrado un fallimentare
duello contro l’agente Romanoff, al quale Iron Man assistette con evidente
interesse, e soltanto il perentorio intervento di Capitan America evitò il
peggio. L'ordine era di dare la massima priorità alla messa in sicurezza
dei civili, non di lottare per questioni futili.
Ma per
quanto efficacemente agissero, per quanto liberassero le città dagli invasori,
skrull, chitauri e kree non si fermavano, e sempre di nuovi e più numerosi ne
arrivavano, e sempre più capitali e paesi subivano i loro attacchi. Giunsero
notizie allarmanti dall’Europa e ben presto anche dagli altri continenti, e
forze d’ogni tipo si mobilitarono per contrastare quell’invasione su scala
mondiale: eserciti regolari, squadre speciali, polizia, persino improvvisati
giustizieri spesso più coraggiosi che pericolosi. Proliferarono
incredibili atti d’eroismo ai quattro angoli del globo e tantissime persone ne
seguirono l’esempio dando nel loro piccolo filo da torcere agli spietati
nemici. In molti persero la vita e i Vendicatori combatterono con maggior
ardore, spingendosi oltre i confini americani.
La gente
parlava nuovamente di loro e delle loro gesta, e al tempo stesso presero a
circolare voci sulle rapide e infallibili apparizioni di una giovane donna
armata di un flauto magico e di un guerriero dall’elmo cornuto, sebbene mai i
media li avessero immortalati ufficialmente.
Eppure
niente di sostanziale cambiava e del titano rosso non v’era segno in alcun
dove, e l’impressione generale era che quelle scene e quelle battaglie si
sarebbero ripetute all’infinito.
Un
pomeriggio il telefono di Erin squillò senza preavviso.
Lei e
Loki si trovavano in un anonimo tratto di campagna, e per sfuggire al caldo
torrido si erano riparati sotto un grande albero frondoso attorniato da campi
di grano maturo: il Dio degli Inganni riposava con la schiena poggiata al
tronco, la mente persa in chissà quali pensieri, e l’irlandese se ne stava
distesa tra l’erba e le spighe mandando messaggi agli amici di Boston per
assicurarsi che fossero vivi e interi; il Duetto era parcheggiato poco più in
là, sportelli spalancati e capote abbassata per rinfrescarlo, e dall’autoradio
uscivano discrete le note delle canzoni del primo album degli Ok Go.
D’un
tratto il cellulare prese a vibrare tra le dita di Erin: sullo schermo
apparvero il numero e il volto sorridente di suo fratello Seamus, e lei si alzò di scatto. Aveva sentito la sua famiglia di recente, chiamando a casa
per sapere com’era la situazione, e suo nonno le aveva detto di non
preoccuparsi, che loro stavano bene e che a Galway era tutto tranquillo.
Il fatto
che suo fratello le stesse telefonando ora la rese dunque inquieta:
«Mus!
Mus, che succede?» gridò convulsamente nell’apparecchio.
Loki aprì
un occhio per capire cosa stesse accadendo e la fissò.
«Erin,
dove sei?» rispose Seamus dall’altra parte, e la sua voce concitata sembrava
provenire da molto lontano. In sottofondo si udiva un gran rumore.
«In
America, dove vuoi che sia? Cosa succede?»
«Erin,
devi aiutarci! Devi venire qui, e subito!» la pregò il fratello.
L’irlandese
emise un verso d’impazienza: «Seamus, porca puttana, dimmi cosa cazzo sta
succedendo e dove cazzo è “qui”! Non ho tutta la giornata!»
Loki aprì
anche l’altro occhio e si tirò su in piedi, e dal telefono il ragazzo spiegò:
«Siamo
tutti a Dublino e quegli affari ci hanno attaccati. Cioè, hanno
attaccato Dublino e non possiamo andarcene via. Siamo in trappola, e non credo
che questi vogliano razziare la fabbrica della Guinness. Vieni qui e fai
qualcosa, ti prego!»
«Aspetta, aspetta.» lo frenò la sorella: «Dublino è stata invasa dai soldati
di Thanos? Dagli alieni? Voi che accidenti fate a Dublino, Mus? E perché pensi che potrei aiutarvi?»
All’altro
capo dell’apparecchio ci fu una deflagrazione, la comunicazione gracchiò e
Seamus lanciò una sonora bestemmia: «Sì, gli alieni, chi altri? Io, mamma,
papà e il nonno eravamo venuti qui a fare un giro, visto che è domenica, e ho
pensato di chiamarti perché non sono stupido, Erin, e su internet non si parla
d’altro che di te e del tuo amico con le corna in testa.»
«Chi ti
dice che quella di cui parlano sia io?» ridacchiò Erin per sviarlo.
«“Una
tizia belloccia che usa un flauto traverso come arma e impreca con forte
accento irlandese”.» citò suo fratello in fretta: «Descrizione calzante.»
«D’accordo, mi hai beccata. Ma sono in America e voi in
Irlanda, Mus, e dubito che troverò un aereo che possa portarmi lì in dieci
minuti.» concesse lei.
«Inventati
un modo! Sennò qui...» incalzò Seamus, ma la linea cadde di
colpo ed Erin rimase immobile con l'iPhone muto in mano e il cuore che le
picchiava violentemente nel petto. La sua famiglia era in pericolo, riusciva a
pensare soltanto, e non sapeva cosa fare.
«Che
accade?» domandò il Dio degli Inganni avvicinandolesi.
La
flautista deglutì a vuoto e lo guardò: «Dublino è tenuta in scacco dai nemici.
I miei si trovano lì, adesso, e mio fratello mi ha chiamata per chiedermi
aiuto. Non ci voleva, cazzo, non ci voleva proprio.» mormorò. Le sudavano
odiosamente le mani.
«Immagino che suggerirai di recarci laggiù.» ipotizzò l’asgardiano in tono
piatto.
«Che altro
dovrei suggerire? Stiamo parlando della mia famiglia, del mio paese e della
fabbrica di birra migliore del mondo.» ringhiò lei camminando
nervosa sul posto.
In
silenzio entrambi considerarono i pro e i contro per prendere una decisione e
darsi una risposta: l’Irlanda era distante un oceano intero e solo usando i
suoi poteri avrebbero potuto raggiungerla, calcolò Loki, e la presenza dei
parenti avrebbe rischiato di indebolire e distrarre la ragazza di Galway,
poiché legami del genere creavano sempre problemi. Però era pur vero che si
trattava di combattere gli stolti esseri mandati dal titano e che Dublino era
un’altra città da riconquistare, come le precedenti. Il Dio degli Inganni rammentò una cosa che la musicista gli aveva spiegato a proposito del farsi
pubblicità e del farsi amare dalle folle, e ritenne che probabilmente quella
era un’occasione d’oro per sperimentare quel metodo midgardiano di raccogliere
consensi e farsi temere e rispettare. Metterlo in pratica nella terra
natìa di Erin Anwar sarebbe stato un bene.
«Chiudi
il veicolo e reggiti a me.» le disse allora.
Erin
sgranò gli occhi e ubbidì: «Lo rifacciamo? Ci teletrasportiamo a Dublino?»
«Che
termine dannatamente sciocco.» fu il laconico commento di Loki, e senza
aggiungere altro la abbracciò e si concentrò a fondo.
Di nuovo
i loro corpi parvero divenire parte integrante dell’aria e l’irlandese serrò le
palpebre e si strinse all’ampio torace del compagno, il flauto già pronto tra
le dita. Avvertì prima caldo e poi freddo, sentendosi come sbalzata in alto
con un ascensore fuori controllo; non ebbe l’impressione di volare, ma la
vertigine fu simile.
Quando
capì di essere tornata coi piedi per terra e il senso di squilibrio scemò, si
gettò un’occhiata intorno: riconobbe le basse case di mattoni e pietra e le
strade lastricate del centro di Dublino e il profumo inconfondibile della
pioggia d’Irlanda, e con un sorriso nervoso si scostò appena da Loki per
muovere qualche passo. Come in America, la città risuonava di una babele di
rumori assordanti, di grida ed esplosioni e spari, e la gente correva senza
meta per le vie in rovina nel tentativo di sfuggire alla prigionia e alle
picche degli skrull.
Nel
vedere i due nuovi venuti materializzarsi dal nulla coloro che si trovavano lì
smisero di correre e li mirarono con meraviglia e speranza.
«Dublinesi! Qual è la situazione?» li interpellò Erin a gran voce levando le
braccia in alto.
«Ci sono
scontri ovunque e l’esercito non riesce a fermare quei tizi.» rispose
un uomo indicando un punto indefinito alla fine della strada, oltre il fumo.
«Stanno
riunendo molte persone vicino al porto per tenerle sotto tiro, e uccidono
chiunque si ribelli.» aggiunse una signora dal volto fuligginoso rigato di
lacrime e sudore: «E non sono pochi quelli che ci hanno provato.»
L’elmo di
Loki baluginò d'improvviso nella luce velata del sole e una sorta di lungo e
sottile bastone dorato prese forma tra le sue mani, sotto gli sguardi incantati
dei presenti.
«Renderemo onore a questa umana ribellione.» decretò con il suo innato carisma, e
la ragazza di Galway sorrise ben sapendo che quel comportamento avrebbe
catturato il cuore della folla. Infatti i dublinesi li acclamarono e li
pregarono di fare giustizia, e il Duo degli Inganni avanzò a grandi passi sul
lastricato umido.
La gente
li seguì formando un corteo e lungo il tragitto ognuno raccolse da terra
oggetti di ogni tipo e dimensione da usare come armi, e altri si unirono a loro
tenendo dietro alle figure erette di Erin e Loki. Incontrarono
un drappello di kree che inseguivano uno sparuto gruppo di civili e
militari in fuga, e con un ruggito la musicista si lanciò all’attacco, subito
seguita dall’asgardiano: il flauto d’argento e il bastone aureo brillarono
assieme mentre calavano e colpivano i nemici, e la folla ruggì
a sua volta dando loro manforte.
Avanzarono
ancora, e sempre più persone uscirono dalle case e dai nascondigli per
accodarsi a quella marcia inaspettata.
E quando
raggiunsero la piazza affacciata sul mare in cui gli invasori tenevano
in ostaggio metà dei cittadini e combattevano contro i soldati
irlandesi – quando quel piccolo esercito di gente comune guidato da un dio
nordico e da una donna di Galway fece la sua roboante comparsa in scena – i
guerrieri di Thanos si ritrovarono come travolti da un’ondata di piena, e fu
battaglia. Loki ed Erin parvero danzare nell’aria, il verde manto del Dio degli Inganni che fluttuava come un glorioso
vessillo e i capelli sciolti dell’irlandese che ondeggiavano come una cometa d’oro brunito. Le sembrava di avere una palla di fuoco nel
petto fatta d’eccitazione, paura e trionfo che la faceva sentire viva più che
mai: si stava battendo per la terra che l’aveva vista nascere, e per quanto
quel pensiero avesse un sapore antiquato in quel momento non avrebbe potuto
esserci emozione più grande.
Erin
cercò Loki con lo sguardo e per una manciata di istanti ammirò la forza e la
bellezza della sua sagoma intenta nella lotta, avvertendo la palla di fuoco nel
proprio petto bruciare di più.
Lo
scontro ebbe fine dopo un indefinito lasso di tempo. Morti e feriti giacevano
in tutta la piazza e sulle banchine più prossime del porto, e l’esercito
d’Irlanda teneva sotto il tiro dei propri fucili gli invasori sconfitti e
sopravvissuti; c’era chi cercava qualcuno, chi si abbracciava e chi piangeva,
e nessuno riusciva a distogliere gli occhi dalla strana coppia giunta come un
miracolo a liberare Dublino e la sua gente.
Loki ed
Erin stavano al centro della folla, fieri come un re e una regina nonostante i
tagli e le ecchimosi sulla pelle e i respiri affannosi, e si sorridevano
vittoriosi. Per la prima volta la flautista di Galway provò qualcosa di più
profondo e articolato del semplice desiderio fisico per colui che aveva al
proprio fianco, qualcosa che le procurò un groppo in gola e una ridicola voglia
di piangere. Tuttavia non cessò di sorridere né di guardarlo con gioia.
Poi voci
festose si levarono, coprendo i lamenti, e la gente di Dublino e i militari
presero ad acclamare con ardore crescente coloro che li avevano aiutati; c’erano persino giornalisti armati di telecamere e macchine fotografiche
che immortalarono finalmente il Duo degli Inganni in tutta la sua gloria,
portando così a compimento i pronostici di Erin.
E d’un
tratto accadde: un uomo di mezza età si avvicinò, prese le mani
dell’asgardiano e dell’irlandese, li ringraziò con impeto e s’inginocchiò. Uno dopo l’altro il resto degli astanti lo
imitò, e ben presto i due si trovarono circondati da una folla prostrata e
riconoscente. Loki seppe allora che la sua compagna aveva ragione e che lo scopo
della loro venuta a Dublino poteva dirsi raggiunto.
Il timore
da solo non era sufficiente a guadagnare il rispetto, la fiducia e la deferenza di un popolo: questa era la lezione di Erin Anwar.
«Se mai
dovessi un giorno regnare su questo mondo,» asserì il Dio degli Inganni in tono
forte e chiaro, «avete la mia parola che sempre vi proteggerò come ho fatto
quest’oggi.»
Forse i
midgardiani non capirono esattamente cosa intendeva, o forse smisurato era il
loro sollievo per lo scampato pericolo, eppure fatto sta che tutti esultarono a
quella frase, applaudirono e inneggiarono a Loki ed Erin, e l’intera piazza fu
in festa. I due ne furono immensamente sorpresi e compiaciuti, e il sangue
rombò loro grato nelle vene.
> Note a piè di
pagina
Conflitto d’interessi in atto tra la nostra mezza dozzina di eroi
prediletti e il DUO degli Inganni – perché Stark è Stark e i soprannomi
migliori li deve trovare lui. I miei “proto-lettori”
(ovvero il mio consorte e alcune fidate compari) hanno trovato strana la
presenza di Fury sul campo di battaglia, dal momento che è il direttore
operativo e che la leadership degli interventi spetta di solito al Capitano; tuttavia
il vecchio Nick è troppo cazzuto per starsene sempre alla base a
monitorare i suoi scavezzacollo. Insomma, pensate alla scena in cui tenta di
fermare il velivolo con la testata nucleare armato di lanciarazzi! Spero perciò
che mi perdonerete questa piccola licenza narrativa.
Per i novelli Bonnie & Clyde dei Nove Regni non poteva mancare una
parentesi irlandese, tanto più se per prendere gli invasori a legnate. Inoltre Loki
sta iniziando a recepire lo stile midgardiano di Erin per abbindolare la gente…
Il titolo del capitolo è una variazione su quello della celeberrima Born to run del Boss, al secolo Bruce Springsteen.
Come musiche d’accompagnamento suggerisco Shake
the ground delle Cherri Bomb (già parte dell’album dedicato a The Avengers), Kill your heroes degli Awolnation o Nicaragua di Jerry Goldsmith, di nuovo dalla colonna sonora di Django Unchained.
Capitolo 10 *** 10. Not a destination – it's a creation I desire ***
10
10.
Not
a destination – it’s a creation I desire
La
famiglia di Erin si rivelò essere salva e in buona salute.
Non
appena l’euforia che aveva contagiato la piazza si placò la gente prese a
disperdersi – chi per aiutare qualcuno, chi per tornare a casa propria, chi per
approntare dei doverosi, irlandesi festeggiamenti – e da una via laterale
sbucarono gli Anwar al completo: erano malconci, Seamus zoppicava e il padre
aveva una ferita sul braccio destro, però erano vivi e chiamarono la
giovane a gran voce, correndole incontro. Erin li abbracciò contenta,
momentaneamente dimentica del suo asgardiano compagno e della loro freschissima
consacrazione a eroi nazionali della verde Eire, e loro le domandarono come
aveva fatto a trasformarsi in una sorta di paladina della giustizia, cosa stava
accadendo nel mondo, cosa volevano gli invasori e soprattutto chi era l’uomo
incredibile insieme a lei.
La
flautista glissò abilmente sull’argomento e promise ai trepidanti familiari che
un giorno, quando la situazione fosse tornata alla normalità, avrebbe
raccontato loro ogni cosa fino all’ultimo particolare. Eppure nel dirlo ci fu
una microscopica parte della sua mente che in un soffio le suggerì che la sua situazione non sarebbe mai tornata
alla normalità, e più che spaventarsene Erin pensò distrattamente che fosse
un’ipotesi più plausibile: tornare alla vecchia vita, ai vecchi amici, ai
telefilm e alle sbronze del venerdì sera non sarebbe stato logico, non dopo
aver vissuto ciò che stava vivendo. Non dopo Loki.
Ma se e
una volta che lui se ne fosse andato, cos’altro avrebbe potuto fare? Non
aveva mai contemplato quella possibilità, prima, e per un attimo ne fu
angosciata. Per fortuna suo fratello le chiese dei Vendicatori, e quell’ombra
le svanì dal petto.
Nel mentre
il Dio degli Inganni si era recato sul molo dove i militari avevano riunito i
prigionieri. Dalla sera del primo attacco a Boston, quando aveva recuperato i
propri poteri, non c’erano stati altri segnali di minaccia o tentativi di
catturarlo ordinati da Thanos, e lo trovava assai strano: forse la riconquista
della sua natura divina aveva indotto il titano ad agire con maggior prudenza,
o forse si stava concentrando su qualcosa di diverso. E poiché questo qualcosa
poteva essere l’assedio della Dimora degli Dei, Loki voleva essere sicuro di
non sbagliarsi per poter eventualmente ideare la giusta contromossa.
Puntò con decisione verso il kree che aveva l’aria del capo squadrone,
ignorando l’ammirazione che i soldati irlandesi gli dimostravano, e si chinò su
di lui per guardarlo in faccia; l’umanoide lo fissò con odio e i suoi occhi violacei saettarono.
«Thanos
non sarà molto contento di voi.» lo schernì il dio.
«Taci,
asgardiano. Dovresti essergli grato per averci ordinato di lasciarti perdere.»
sibilò l’altro, e precisò: «Per adesso.»
Loki non
si lasciò impressionare: «Un gesto magnanimo, invero, ma privo di senso. O mi stai dicendo che non sono io il suo principale cruccio?»
«Non lo
sei mai stato, figlio di Odino. Non sei che una piccola macchia, nei suoi
disegni, e tali risultano le tue azioni. Non avrai questo misero mondo
per te.» gli sputò contro il kree. «Siamo troppi sia per te che per gli
umani, e presto Thanos il Grande diventerà invincibile e non avrà più bisogno
di noi per conquistare ogni cosa.»
Il Dio
degli Inganni lo afferrò repentinamente per il collo:
«Calibra
bene le tue parole quando ti rivolgi a me, kree. E dimmi, se il tuo signore ha
tale grandiosa opportunità, perché sprecare energie preziose e tempo mandando
voi stolte creature a tenere in scacco un misero mondo come Midgard?» incalzò,
e un’ipotesi ben precisa circa i piani del titano prese forma nella sua mente.
Il
guerriero alieno gli rivolse un sorriso orribile:
«Non
avrai nessuno dei Nove Regni per te, asgardiano.»
Quella
precisazione all’apparenza inutile soddisfece Loki, ed egli si alzò decidendo
che l’irritante dialogo non sarebbe proseguito oltre. Ringraziò il sottoposto
di Thanos con fare ironico e tornò verso la piazza, dalla quale ora si levavano
voci più allegre e persino della musica: i dublinesi si apprestavano a
celebrare la vittoria di quel giorno, e soltanto l’indomani avrebbero pianto i
loro morti. Un piccolo drappello di musicanti si era raccolto in mezzo alla
folla, e tra un violino, un mandolino, una chitarra e un tamburo di legno nero
il dio non fu sorpreso di riconoscere Erin, che con sguardo acceso suonava il
suo flauto magico. Le melodie e i ritmi che producevano avevano un sapore arcaico
che piacque a Loki, ricordandogli ciò che spesso aveva udito da cantori e
menestrelli durante i banchetti e le feste di corte.
Qualcuno portò della birra e qualcun altro si mise a danzare e battere le mani,
e la ragazza di Galway sorrise al Dio degli Inganni senza smettere di suonare; lui intuì che se le avesse lasciato fare baldoria con la sua gente ne sarebbe
stata felice, perciò scrollò le spalle e annuì. Fece scomparire dalla
propria figura l’elmo, l’armatura, il manto e il bastone, e mirò il cielo ormai
terso e il sole che abbacinante si rifletteva sulle acque calme del mare: entro
il tramonto avrebbero dovuto far ritorno nel continente americano, ma per il
momento potevano ancora godersi la devozione dei mortali d’Irlanda nella brezza
salmastra del meriggio.
La
notizia della battaglia di Dublino e delle eroiche gesta di Erin e Loki fece il
giro del mondo, e le immagini dei due divennero popolari tanto quanto quelle
dei Vendicatori e degli altri paladini terrestri. I più li definirono
“supereroi”, chiamandoli coi nomi più fantasiosi e disparati, e coloro che
avevano avuto la sfortuna d’imbattersi nell’asgardiano a Stoccarda rimasero
sorpresi da quelle novità; gli orchestrali della Boston Philarmonic Orchestra
furono orgogliosi di proclamarsi amici della donna col flauto d’argento, sebbene
Sylvia seguitasse a nutrire qualche remora sull’uomo dall’elmo cornuto.
Naturalmente
lo S.H.I.E.L.D. fu tra i primi a venire a conoscenza dell’accaduto, e le
reazioni all’interno della squadra del Progetto Avengers furono assai
contrastanti.
Thor, com’era
ovvio, ribadì che le azioni di suo fratello avevano un fondo di bontà che
presto sarebbe venuta a galla e finì per convincerne anche quell’animo limpido
di Jane; Fury, Barton e Rogers protestarono vivamente, ribadendogli che il suo
parere non era imparziale, mentre Banner, Natasha, Maria e Selvig si mantenevano
neutrali, curiosi di sapere quale sarebbe stata la mossa successiva del loro
vecchio nemico e della sua alleata. Stark espresse invece apprezzamento per la
capacità dimostrata dal Duo degli Inganni nel farsi amare dalla folla: vi si
riconobbe, da bravo genio miliardario playboy filantropo qual era, e si chiese
chi tra i due pericolosi amanti avesse quello spiccato senso per gli affari.
Anche la
ragazza di Galway e il dio ebbero modo di ammirarsi immortalati in uno dei
molti servizi televisivi che furono mandati in onda sui fatti di Dublino. Da
due giorni erano tornati dall’Irlanda, e dopo aver recuperato il Duetto si
erano diretti verso New Orleans per scacciare un esiguo avamposto di chitauri
che tentava di mantenere una postazione in città in attesa di rinforzi.
Complice la recente popolarità acquisita erano riusciti nell’impresa senza
grande sforzo, ed Erin aveva proposto di fermarsi nella storica capitale della
musica nera americana finché non si fosse presentato un nuovo attacco da
contrastare.
Trovarono
alloggio in un antico albergo, nel quale furono accolti con tutti gli onori e
di cui venne loro assegnata la camera migliore: Loki non si era ancora abituato
a quella riverenza non indotta da minacce, eppure iniziava a ritenerla
piuttosto gradevole.
«Il
soprannome che preferisco è Flauto Magico.» se ne uscì allegra la musicista, che
guardava la televisione stesa a pancia in giù sul grande letto a due piazze
della stanza.
«Non è più bello Furia Irlandese? Trovo ti si addica di più.» la schernì
l’asgardiano.
«Mio
fratello ti chiama Quello Con Le Corna In Testa, quindi non sfottere.» tagliò corto
lei con un ghigno. Vedere se stessa combattere su uno schermo era strano,
rimuginava, e le metteva chiaramente sotto gli occhi ciò che era diventata in
grado di fare col flauto e col proprio corpo. Benché non fosse mai stata una tipa molto
sportiva sfoggiava forza e agilità sorprendenti durante le lotte, compensando così la propria inesperienza.
Loki le
restituì il ghigno in uno scambio d’espressioni che ormai era diventato loro
familiare e sedette sulla bassa poltrona imbottita sistemata in un angolo;
l’irlandese lo guardò, e trovandolo più attraente che mai nel lucore soffuso
che permeava la camera avvertì uno spasmo rovente scuoterle i lombi ed ebbe
voglia di lui. Ma non era sicura che il compagno condividesse il suo
sentire, al momento, perciò rotolò sul materasso fino alla porta del bagno, afferrò un
mucchietto d’indumenti e annunciò che si sarebbe fatta una doccia.
Quando la
porta della toeletta si fu chiusa alle sue spalle, il Dio degli Inganni allungò
le gambe e schioccò le dita per spegnere l’apparecchio televisivo e per
rimanere con indosso la casacca, i calzoni e gli stivali che portava sotto gli
abiti da guerra. Era stanco, e le parole
che il kree gli aveva rivolto a Dublino gli martellavano in testa: Thanos lo
considerava un mero ostacolo cui dare poca importanza e al contempo non gli
avrebbe permesso di avere nessuno dei
Nove Regni per sé, riassunse in silenzio. Ciò implicava che il titano si stava
effettivamente dedicando alla realizzazione del suo vero piano – il piano che
gli avrebbe procurato quel che gli serviva per diventare invincibile – e che
gli attacchi contro le città midgardiane altro non erano che uno specchietto
per le allodole. Loki sapeva che il Tesseract avrebbe fornito al malvagio
figlio di Mentore un potere illimitato e sufficiente a soggiogare gli universi
senza l’ausilio di stolte truppe, e sapeva che il suo unico, vero obiettivo era
Asgard: l’invasione di Midgard aveva il solo scopo di tenere impegnati
Thor e lui medesimo, l’uno in quanto eterno protettore degli umani e il secondo
in quanto esiliato e reietto. L’asgardiano fremette di collera, e tuttavia si
ripeté che la soluzione più semplice era quella di unirsi alla causa dei
Vendicatori. Così avrebbe probabilmente fatto credere a Odino di essersi
redento e a Thanos di essere interessato soltanto alla salvezza dei mortali; Thanos lo avrebbe sottovalutato, il Padre degli Dei gli avrebbe
permesso di tornare giusto in tempo per fermare il folle titano e Asgard tutta
lo avrebbe acclamato.
Perché in
verità erano il trono perduto e l’ammirazione della gente tra cui aveva sempre
vissuto che bramava al di sopra d’ogni altra cosa: la
conquista di Midgard poteva aspettare, e una volta riavuto il proprio posto
nella casa di Odino sarebbe stata finanche più attuabile. Da Midgard, pensò,
adesso voleva solo Erin Anwar.
La
udì canticchiare nella stanza attigua e lentamente si sfilò gli stivali,
godendo della frescura del pavimento sotto i piedi nudi. Si alzò dalla
poltrona e attraverso i vetri smerigliati della porta del bagno scorse la
sagoma esile dell’irlandese, e il desiderio gli entrò in circolo nel sangue
accelerandogli cuore e respiro. L’intensità di quelle sensazioni e l’appurare
come non lo indebolissero affatto erano per lui una fonte di continuo stupore.
Poi Erin
uscì dalla toeletta avvolta in una corta veste da notte dalle spalline sottili,
i capelli sciolti, e notò come Loki la guardava e capì che aveva voglia di lei
esattamente come lei ne aveva di lui.
La donna
d’Irlanda si avvicinò all’asgardiano e allungò le braccia per accarezzargli i
folti capelli neri come aveva fatto la sera del concerto alla Symphony Hall, ed
egli slacciò senza fretta i lacci della propria casacca lasciando che cadesse a
terra. Le dita tiepide di Erin scesero dapprima sul suo viso, seguendone
delicatamente i lineamenti e soffermandosi sulle sue labbra, e tosto presero a
seguire la linea delle sue ampie spalle, a disegnargli fugaci percorsi sul
petto e sulla schiena. Loki fremette al suo tocco e tolse anche i calzoni,
mentre le tende frusciavano intorno a loro mosse dalla brezza notturna che
filtrava dalle finestre aperte, e nella morbida luce delle lampade le cinse la
vita e la spinse sul letto. Erin vi si distese con un sorriso da cui trapelava
un’emozione che finora nessuno dei due aveva creduto di conoscere, e lui le si
adagiò sopra cercandole la bocca in un lungo e lento bacio.
Con
entrambe le mani il Dio degli Inganni lambì le cosce dell’irlandese e piano
salì verso l’alto, sollevandole la veste senza mai interrompere il contatto,
fino a che non raggiunse la base del suo collo: allora lei si liberò
definitivamente della leggera stoffa che aveva indossato e le mani di lui
tornarono indietro, verso il basso, sfiorandole i seni e la pancia con voluta
lentezza, ed Erin gemette sospirando e chiuse gli occhi. Sentì il compagno
sfilarle gli slip e il suo respiro farsi più rapido, e sorridendo allargò le
gambe e rovesciò indietro la testa, felice. Riaprì le palpebre e vide
l’asgardiano sovrastarla, le verdi iridi illanguidite e ardenti, e di nuovo il
sentimento senza nome di poco prima rischiò di soffocarla, tanto era intenso.
Ma Loki
la afferrò per i fianchi e con fermezza la prese, e la ragazza di Galway gridò
appena premendo il proprio bacino contro il suo e stringendo i pugni sulle
lenzuola. Il dio tuffò le dita tra le sue chiome sparse sui cuscini e si
mosse dentro e su di lei come forse mai aveva fatto, impetuosamente, e
altrettanto impetuosamente Erin Anwar si abbandonò a lui: lui amò vederla e
sentirla così, perdutamente sua, sua fino all’ultimo respiro – non per brama di
possesso, bensì per il profondo e folle desiderio che aveva di lei.
L’irlandese
ripeté il suo nome con voce sempre più acuta e affannosa, abbracciandolo, e il
fuoco che li divorava crebbe inesorabile, e un attimo prima che il piacere li
colmasse l’asgardiano la chiamò per nome a sua volta.
Più
tardi, quella notte, mentre giacevano vicini e nudi a lumi spenti, Erin ripensò
alle proprie movenze immortalate durante la battaglia di Dublino: cominciava a
trovare strano anche il fatto che un flauto, per quanto reso indistruttibile,
riuscisse a contrastare vere armi e avversari temibili, e che lei uscisse sempre più o meno illesa dagli scontri. Era come se lo strumento,
carico della magia che il Dio degli Inganni vi aveva impresso, la contagiasse
col suo potere ogni qualvolta lo impugnava e le fornisse una sorta di
protezione che la preservava da gravi ferite.
Erin si
girò su un fianco e guardò Loki, poggiando il mento su una mano:
«L’incantesimo che hai fatto al flauto,» esordì a bassa voce, «vale solo per
l’oggetto o c’è la possibilità che si stia spostando su di me?»
«Quale
serietà, donna d’Irlanda. Ero convinto che al momento la tua mente fosse
impegnata in ben altri pensieri.» rispose lui con malizia, un lieve ghigno che
s’indovinava nel buio.
L’irlandese
arrossì: «La mia mente ha una logica tutta sua.» grugnì.
«È
probabile che tu stia assorbendo parte di ciò che su Midgard chiamate “magia”,
se è questo che chiedi. Ti giunge dal flauto e probabilmente da me, poiché quando ho
posto l’incanto sullo strumento ti avevo tra le braccia.» disse il dio.
«Il che
accade piuttosto spesso, mi pare.» lo interruppe lei restituendogli la malizia
di poco prima, ma Loki non si lasciò distrarre e proseguì:
«Esso non
può essere scalfito e può invece scalfire molte altre cose, e tu sei
diventata meno vulnerabile di quanto dovresti essere per tua natura. Il tuo
corpo mortale si è rafforzato, sebbene io ritenga che a lungo andare tale
esposizione a un potere estraneo potrebbe finire col danneggiarlo. Gli umani
hanno un fisico assai debole.»
Erin
ignorò l’ennesima, delicata offesa contro la razza alla quale apparteneva e
ripeté: «A lungo andare?», e nel suo tono vibrò una punta di speranza di cui
nemmeno lei si accorse.
«Non so per quanto ancora andrà avanti tutto questo.» ammise l’asgardiano
parlando quasi tra sé; «Forse è giunta l’ora di cambiare strategia.»
La
ragazza di Galway gli si fece più vicina: «Come la cambieresti?» indagò,
pragmatica.
«Accontentando quello sciocco di Thor. Se ci dichiareremo intenzionati a unire
le nostre forze a quelle dei ridicoli eroi suoi compari essi ci daranno
fiducia, e Thanos mi riterrà abbastanza indebolito e incline a proteggere
Midgard accelerando la messa in atto del suo piano.» spiegò Loki; «E se la
medesima fiducia mi verrà finalmente dimostrata da Asgard, se Odino mi crederà
redento, mi verrà concesso di tornare, e sarò lì quando quel folle
scatenerà il suo attacco per ottenere il Cubo Cosmico. Sarò io a fermarlo e
tutti mi acclameranno.»
Nella
penombra i suoi occhi brillarono all’idea del trionfo che avrebbe potuto
ottenere nel luogo che lo aveva cresciuto e poi rifiutato, all’idea del
rispetto che chi mai gli aveva creduto gli avrebbe infine portato. Aveva già
tentato di conquistarlo attirando Laufey nelle stanze del Padre degli Dei con
l’inganno per ucciderlo al momento opportuno di fronte a Frigga, ma all’epoca
era giovane e inesperto e aveva giocato male le carte a sua disposizione:
questa volta aveva meno da perdere e maggior convinzione, e non avrebbe
fallito.
Per una
manciata di secondi la sua mente si soffermò sul re dei Giganti di Ghiaccio, su
colui che era il suo vero padre e che lui avrebbe dovuto considerare tale. Eppure
Laufey era stato il primo ad abbandonarlo e l’ultimo che avrebbe dovuto farlo,
e coloro che Loki si sforzava di disprezzare erano, suo malgrado, la sola,
reale famiglia che aveva, e Asgard la sola sua patria. Le folle di Midgard
ormai lo amavano e voleva che gli asgardiani facessero altrettanto,
riconoscendo il suo valore: sarebbe stato il premio più alto, una luminosa
vendetta.
«Approvo
la strategia. Come ci metteremo in contatto con quei pazzoidi?» domandò ancora
Erin distogliendolo dalle sue profonde riflessioni.
«Da
quando abbiamo lasciato Boston c’è almeno una squadra di uomini in nero dello
S.H.I.E.L.D. che controlla a distanza i nostri movimenti.» disse il Dio degli Inganni voltando la
testa verso di lei: «Saranno loro a dirci in quale città trovare i
Vendicatori, e noi li raggiungeremo.»
L’irlandese
annuì sorridendo appena e d’istinto posò una mano sul petto del compagno. L’ombra
che le aveva offuscato cuore e pensiero già a Dublino era di nuovo lì, e le
sibilava all’orecchio con voce fredda che presto il suo ingannatore divino
piombato dritto dal Valhalla se ne sarebbe andato: allora lei avrebbe cessato
di avere un ruolo nei suoi propositi e, sopra ogni cosa, nella sua vita, e con
tristezza avrebbe mirato il cielo ogni notte sperando di vederlo aprirsi e
lasciar cadere sulla Terra il guerriero dall’elmo cornuto ancora una volta.
Era inevitabile che andasse così, e inevitabile fu la stretta che le serrò la
gola.
«Non
t’importa più della conquista di questo pianeta?» mormorò Erin, e si
dette dell’idiota nel rendersi conto che quella frase avrebbe tranquillamente
potuto suonare come “non t’importa più di me?”. Si sentiva una frignante,
inutile donnicciola qualsiasi.
Loki
colse il sottinteso e ne fu colpito: a quello
non aveva davvero pensato. Il destino di Erin Anwar era per lui un’incognita, e
non sapeva cosa avrebbe desiderato nell’abbandonare Midgard. L’avrebbe voluta
sempre al suo fianco, oppure avrebbe compreso che il loro bizzarro rapporto
poteva terminare lì? Non riusciva a prevederlo, ed era strano.
Con
un’unica, fluida mossa fece sì che la donna d’Irlanda tornasse a stendersi
sulla schiena e nuovamente le si adagiò sopra prendendole le mani:
«Midgard
sarà mia. Ma prima intendo riappropriarmi del posto che ad Asgard mi spetta di
diritto.» disse per mettere a tacere le sue angosce. Ebbe la
fugace idea di prometterle o di farle credere, quando fosse giunta l'ora
di andarsene, che sarebbe tornato per conquistare gli umani assieme a lei.
Poi la
baciò con voluttà e i crucci di entrambi svanirono come nebbia al sole.
Rintracciare
gli agenti che li seguivano fu facile.
Il giorno
dopo uscirono dall’albergo di buon’ora e trovarono l’auto blindata parcheggiata
non lontano dal Duetto, con a bordo gli uomini dello S.H.I.E.L.D. già svegli e
intenti a trafficare con le proprie sofisticate apparecchiature.
L’asgardiano
progettava di farsi avanti ed estorcere loro le informazioni necessarie senza
mezzi termini, ma Erin suggerì di fare tutto alla chetichella sfruttando quelle
che amava definire “le cazzutissime capacità divine” del compagno.
Loki
sogghignò compiaciuto e decise di darle retta: si rese invisibile a occhio
umano, come la notte in cui si era introdotto nella base provvisoria in New
Mexico per mentire a Thor e per tentare di prendere Mjölnir, e mentre
l’irlandese attendeva si avvicinò al veicolo.
Uno degli
agenti stava facendo rapporto a Nick Fury circa la situazione e un altro parlava
nell’auricolare con la collega Hill chiedendo aggiornamenti sulle azioni dei
Vendicatori: voleva sapere quale fosse il loro prossimo obiettivo da liberare e
se avessero bisogno di uomini in più, dato che in seguito ai fatti di Dublino
il monitoraggio degli spostamenti del Duo degli Inganni era divenuto
leggermente obsoleto. La risposta del braccio destro del direttore fu chiara e
precisa, e il dio la udì distintamente attraverso l’apparecchio.
Gli
agenti avrebbero continuato a stare loro alle calcagna, ma adesso sapeva in
quale città andare incontro agli sciocchi supereroi. Gli uomini in nero sarebbero
rimasti assai sorpresi nel capire quale direzione avrebbe preso la vettura di
Erin quel giorno.
Quindi
tornò da lei, si spogliò dell’invisibilità e pronunciò una parola soltanto:
«Seattle.»
> Note a piè di
pagina
Se penso che ho scritto questi capitoli tra giugno e luglio mi prende una
voglia d’estate da star male – sigh.
Erin e Loki continuano a fare quello che vogliono dandomi
delle gioie non indifferenti, ma al contempo vanno delineandosi lo scenario
venturo e le strategie sia del dio che di Thanos; parlando di quest’ultimo, l’epiteto
“figlio di Mentore” non è attribuito a caso, visto che nei fumetti Mentore l’Eterno
è effetivamente il padre del titano.
Parlando di Loki, invece, spero che la sua personale digressione sul
passato e su ciò che intende ottenere sia in linea col personaggio, oltre a
chiarire come io lo vedo e come credo che lui stesso si veda *giri di parole,
oh yeah*
Erin inizia a domandarsi cosa (le) accadrà, dal canto suo, perché in fondo
è giovane e umana e non può farne a meno…
Not a destination,
it’s a creation I desire è un verso di Save
your best bits dei Parlotones, mentre per i momenti d’intimità tra i nostri
due amanti intergalattici consiglio vivamente Think twice dei Groove Armada.
Capitolo 11 *** 11. A bunch of lonesome heroes ***
11
11.
A
bunch of lonesome heroes
I soldati
di Thanos che avevano occupato Seattle erano più cocciuti, numerosi e coriacei
del normale: da circa due ore l’eccezionale mezza dozzina del Progetto Avengers
stava dando loro battaglia nelle vie centrali della città e i nemici sembravano
non finire mai. Attaccavano a piccoli gruppi, di continuo, e nemmeno quelli
feriti o mutilati davano l’impressione di volersi arrendere. Dall’alto del
velivolo di supporto Fury imprecava sparando sporadici colpi ben assestati con il lanciarazzi e
incitava la squadra a spingere gli invasori verso il porto, dove avrebbero
potuto crivellarli di pallottole senza temere per la vita dei civili o per
l’integrità degli edifici, cosa che risultava difficile nel ristretto
spazio disegnato dalle strade. La lotta era però troppo serrata per consentire
ai Vendicatori grande libertà di manovra, persino per Banner.
D’un tratto potenti squilli di clacson risuonarono tra i palazzi e lungo
la via principale arrivò sgommando un Duetto 1600 Alfa Romeo
dipinto di verde che travolse molti guerrieri alieni per poi fermarsi di botto
a pochi passi dai sei eroi. Tutti si bloccarono per un istante, giusto in tempo
per vedere Loki di Asgard ed Erin di Galway scendere dalla macchina con sguardo
temibile e già pronti allo scontro.
«Aspettate il vostro turno, signori.» intimò Clint Barton puntando l’arco su di
loro, convinto, come i propri colleghi, che i due fossero lì per
contrastarli.
Ma questi
neppure li considerarono e si lanciarono come furie contro gli invasori, e fu
chiaro che per qualche oscuro motivo erano lì per aiutare lo
S.H.I.E.L.D.
«Sono
dalla nostra parte! Continuate a combattere!» incitò Steve Rogers.
«Hulk,
costringi i nostri nemici a ripiegare verso l’oceano. Noi ti copriremo le
spalle!» tuonò Thor, rallegrato dalla provvidenziale comparsa di suo fratello.
Il
gigante non se lo fece ripetere e con un poderoso ruggito si scagliò sugli
avversari menando pugni a più non posso; i suoi compagni e il Duo degli Inganni
si disposero dietro di lui per impedire al resto dei soldati di Thanos di
superare la linea da loro formata: in tal modo Banner portò a compimento la
mossa suggerita dal direttore, il quale lo seguì con l’elicottero per dargli
manforte, e la battaglia si distribuì equamente su due fronti differenti.
Grazie a
questo e alla venuta dell’asgardiano e dell’irlandese lo scontro si risolse in
fretta e fu spettacolare a vedersi, per la gioia dei temerari giornalisti
rimasti per documentarlo e per la meraviglia dei cittadini di Seattle che non
erano riusciti a fuggire in tempo.
Quando
infine gli invasori accettarono la propria pesante sconfitta e batterono in
ritirata, l’attenzione dei Vendicatori si spostò puntualmente su Loki ed Erin. Tra l’esultanza generale della folla, mentre Fury e Banner facevano ritorno
dal porto, il Capitano parlò a nome della squadra e interpellò la coppia con
malcelata diffidenza:
«Siate
così cortesi da dirci la vera ragione per cui siete qui, adesso. Dubito che fosse
solo quella di offrirci supporto, per quanto esso ci sia risultato gradito.»
«Gli
uomini incaricati di seguirvi ci avevano già riferito che vi stavate dirigendo
qui. Non eravamo del tutto ignari del vostro arrivo.» interloquì Natasha
Romanoff.
La ragazza
di Galway scambiò un’occhiata divertita col dio:
«Sono
bravi nel loro lavoro. Io nemmeno mi ero accorta di averli sulle nostre tracce, finché non me lo hai detto tu.»
«Devo
riconoscere che alcuni mortali si distinguono dalla massa.» rincarò
l’asgardiano con ironia; quindi dedicò un cenno del capo a
Rogers e gli rispose direttamente:
«Ho
riflettuto, Capitano, e sono giunto alla conclusione che unire le forze in via
ufficiale sia vantaggioso per noi e per voi. In due è arduo uscire
sempre vittoriosi dalle battaglie, ma in compenso conosco particolari sul
nostro comune avversario che voi non immaginereste mai. Ci saremo utili a
vicenda e assieme solleveremo le sorti di questo vostro piccolo mondo. Le
discussioni sul suo destino possono aspettare.»
«Siamo
qui per proporvi un armistizio.» riassunse Erin.
Il Dio
del Tuono sorrise con un fremito di gioia e i Vendicatori fissarono
la coppia inarcando le sopracciglia come un sol uomo, in preda a un evidente
dilemma. Fu poi Stark a dar voce ai pensieri dei suoi colleghi:
«Perché
dovremmo fidarci di voi? Vorrei ricordare che il
nostro Camoscio d’Oro è noto ai più come Dio dell’Inganno e della Menzogna.»
«E non
avete considerato che potreste essere voialtri a fregarci, magari
rinchiudendoci in qualche stanza speciale governativa per il resto dei nostri giorni?» ribatté l’irlandese,
seria; «Noi ci stiamo fidando di voi e credo che dovreste fare lo stesso, per
una volta.»
Iron Man rise:
«Io considero che tu, essendo umana e comportandoti così, sei ancora più
inquietante del tuo psicotico sposino, mia bella flautista.»
«Nessuna
stanza speciale governativa vi aspetta, se non ci state imbrogliando.» affermò
una voce alle spalle del gruppo.
Nick Fury
era lì, in compagnia di Banner di nuovo nei panni del
dimesso Bruce e di un nutrito drappello di agenti, e senza indugio si piantò
davanti a Loki sostenendone lo sguardo fermamente: «Ci seguirete alla base, e
lì parleremo come si deve. L’armistizio è stipulato.»
«Sei
sempre il più ragionevole, direttore Fury.» commentò l’asgardiano con un
ghigno soave; Erin non aprì bocca, impegnata com’era a cancellarsi dalla testa
il termine “psicotico sposino” con relativo e imbarazzante aggettivo
possessivo. Il dio proseguì:
«Accettiamo l’offerta. E ditemi, avete ancora la lancia che mi avete sottratto?»
Il
quartier generale dello S.H.I.E.L.D. si trovava in una non ben identificata
zona centrale degli States, lontana da case e città e in mezzo a brulle colline
senza nome. Il gruppo vi si recò a bordo di due dei neri velivoli
dell’organizzazione, ed Erin si vide costretta ad affidare il prezioso Duetto
alle cure degli agenti rimasti a terra, a Seattle: non ne fu entusiasta, ma
quelli le garantirono che avrebbero riportato l’auto a Boston in tutta sicurezza.
Sulla
pista d’atterraggio Maria Hill, Selvig, Jane e Pepper Potts attendevano il
rientro della squadra, una mano sulla fronte per proteggersi gli occhi dal sole
calante, e non indifferente fu la loro perplessità quando si accorsero dei due
ospiti inattesi. La scienziata e la manager non avevano mai avuto occasione di
vedere di persona quel Dio degli Inganni fratello di Thor di cui gli altri
tanto parlavano e ne rimasero affascinate e intimorite al tempo stesso, mentre
l’aspetto grazioso e familiare della ragazza di Galway fu una sorpresa anche
per il braccio destro di Fury e per il fisico europeo. Jane le sorrise d’impulso,
avvertendo una certa affinità con l’irlandese: erano le due donne midgardiane
che avevano intrecciato il proprio cammino a quello dei due principi asgardiani,
pensò, e ciò le accomunava profondamente.
Erin
colse l’espressione della giovane dai capelli castani e non ne capì il motivo,
dato che nulla sapeva di lei e del Dio del Tuono. Tuttavia le restituì il
sorriso, e nello sfilare davanti ai quattro per raggiungere l’ingresso della
base li salutò con un divertito cenno del capo. Camminare tra
quella gente fuori dall’ordinario, tra supereroi e agenti speciali, diretta alla sede operativa di un ente governativo altamente qualificato in compagnia del dio nordico suo compagno, era epico e ridicolo assieme, e le metteva voglia di ridere dal nervoso.
Le
porte blindate si richiusero frusciando alle loro spalle, lasciando fuori il
sole e la calura, e attraverso lunghi e dritti corridoi rivestiti di metallo e
marmo grigio il direttore Fury fece loro strada fino all’ampia sala riunioni
dove i suoi sei eroi si erano riuniti subito dopo la seconda chiamata alle
armi. Le tre donne e Selvig li seguivano a pochi passi di distanza, e dietro di
loro si radunò un contenuto drappello di agenti armati col preciso ordine di intervenire
al minimo accenno di attacco da parte di Loki – ma lui appariva
perfettamente tranquillo, come Erin, e aveva dipinto sulle labbra uno dei suoi
lievi, eleganti e indecifrabili ghigni.
Quando
tutti furono nella stanza, guardie comprese, Thor si precipitò dal Dio degli
Inganni ansioso di parlargli.
«Sono
felice che tu mi abbia infine dato ascolto, fratello mio. Non avrei mai
tollerato di dover combattere di nuovo contro di te, o di perderti ancora. Ma adesso
sei qui, e insieme andremo in battaglia e insieme ne usciremo vittoriosi.»
esclamò cingendogli le spalle con un braccio, le iridi blu ardenti e lucide; «Abbiamo così tante cose di cui conversare!»
«Converserò
io per primo con lui, se non ti dispiace.» s’intromise Nick Fury perentorio,
facendo segno al biondo di farsi da parte, e Loki fu grato all’uomo per
avergli evitato la seccatura di scrollarsi di dosso il suo sciocco congiunto:
«A me non dispiace, direttore. D’altronde siamo
qui per questo.» affermò infatti.
Il Dio
del Tuono annuì, lasciando la presa, e Fury fronteggiò l’altro dio a braccia
conserte:
«Ci hai
promesso informazioni di grande importanza sul nostro nemico comune,
asgardiano, e prima ce ne metterai al corrente prima tutto questo avrà fine.»
disse.
«Inizierò dal principio, da prima che il Tesseract aprisse un varco per me
all’interno dei vostri laboratori.» esordì il Dio degli Inganni senza
scomporsi, e tutti lo guardarono e sedettero attorno al tavolo. Il riferimento ai
fatti di New York e la prospettiva di scoprire quali oscure trame si celassero
dietro alle sue passate azioni avevano catturato
l’interesse dei guerrieri midgardiani, ed era proprio ciò cui Loki puntava. Contemporaneamente rifletté in fretta su cosa e quanto rivelare ai
Vendicatori: parlare delle mire che Thanos aveva sul Cubo avrebbe messo
in luce che il reale obiettivo del titano rosso era Asgard e avrebbe
insospettito il suo rutilante fratello circa la sincerità dei suoi piani – e,
cosa di gran lunga peggiore, lo avrebbe spinto a precipitarsi a casa per
sventare la minaccia di un assedio, così che ancora una volta sarebbe stato il
figlio prediletto a prendersi glorie e onori che spettavano al figlio bandito e
dimenticato.
«Non
nego di aver avuto in animo la totale conquista e sottomissione di Midgard per
divenirne il sovrano.» prese allora a raccontare: «Tuttavia non fu mia l’idea
di assoldare un crudele esercito e di seminare morte e distruzione contro umani
inermi. La lancia e l’armata dei chitauri mi furono offerti da qualcuno che in
cambio richiese il mio appoggio per assoggettare altri mondi e che mi garantì
che l’egemonia sul vostro pianeta sarebbe stata mia soltanto. Egli si sarebbe
servito unicamente delle vostre risorse e tecnologie per proseguire nella sua
folle corsa al potere, questo mi promise. Io gli credetti e fui uno stolto. Avrei dovuto capire che si stava prendendo gioco di me e che la mia sola
utilità era quella di mandarmi in avanscoperta per mettere le mani sul
Tesseract, creare scompiglio e aprire il varco tra gli universi. Non pensò
neppure per un istante di lasciare Midgard a me, come gli accadimenti di questi
strani giorni stanno dimostrando. E se io non fui abbastanza saggio da
rendermene conto, lui seppe comprendere la mia rabbia e il mio desiderio
di rivalsa e li sfruttò a suo favore.»
Il tono
di Loki era amareggiato e infastidito, e nessuno dei presenti dubitò che stesse
dicendo la verità.
«Chi è
stato in grado di ingannare il Dio degli Inganni?» saltò su la Vedova Nera, l’espressione
impassibile e la voce fredda come di consueto. Sembrava la meno
convinta, tra i suoi colleghi, ma l’asgardiano conosceva ormai il suo gioco e
non si lasciò impressionare:
«Un
essere dalla mente geniale e terribile, padrone di così profonde e
fondamentali nozioni sul cosmo da aver trovato altre vie per far giungere qui i
suoi soldati. Egli è un Eterno del pianeta Titano, e Thanos è il suo nome.»
rispose.
«Il
figlio di Mentore!» esalò Thor facendosi pallido in viso.
Fury si
voltò verso di lui: «Pare che sia un individuo ben noto a entrambi voi.»
«Si
narra che abbia sventrato la propria madre e che sia devoto a colei che
chiamano Morte.» disse piano Loki. «I titani discendono in parte da coloro
che un tempo abitarono sulle cime del Monte Olimpo e sono belli, saggi e
forti. Ma Thanos venne alla luce brutto e deforme, più simile a un rampollo degli skrull che a un Eterno, e l’invidia per coloro che lo
circondavano corrose il suo spirito ed elevò il suo pensiero. Questo si narra.»
Nel pronunciare
quelle parole serrò le palpebre per una frazione di secondo, d’improvviso
conscio di avere fin troppi punti in comune con la propria nemesi. Altrettante
erano però le differenze, e un’empatia del genere poteva rivelarsi
vantaggiosa.
«Ti
credevo il megalomane con tendenze omicide più intrattabile del creato, ma da
come lo dipingi questo tizio ti batte senza sforzo, piccolo cervo.» se ne uscì
Stark, la fronte aggrottata a indicare che la sua non era, stranamente, una
battuta: «Perché vuole la Terra e gli altri mondi? Vuole esserne il re, come te, oppure il suo è un delirio
d’onnipotenza?»
«Thanos
farebbe qualunque cosa pur di compiacere la Morte. Immagino che
vorrà offrirle le vite dei midgardiani e il sangue di un altro
milione di galassie come pegno del proprio sconsiderato amore. Sì, il suo è un delirio d’onnipotenza.» suppose il dio annuendo in
direzione del miliardario.
L’asgardiano
dai capelli biondi si alzò e prese a camminare nervosamente intorno al
tavolo, carezzandosi sovrappensiero la corta barba, per fermarsi infine accanto
al fratello:
«Come
pensi che potremmo sconfiggerlo? Se gli attacchi dei suoi soldati seguiteranno
ad avere luogo su così vasta scala la nostra sarà una corsa impossibile. E se
Thanos non si mostrerà di persona come lo raggiungeremo, nella vastità
del cosmo?»
La
domanda era intelligente e quasi insidiosa, e fu il turno di Loki di
stupirsi:
«Non lo
so. La mia speranza è che essendoci riuniti decida finalmente di affrontarci qui, su Midgard,
magari sferrando il colpo finale dell’assedio, o non avremo modo di stabilire
una strategia di contrattacco.» ammise guardando Thor dritto negli occhi. «L’aver
unito le nostre forze potrebbe finanche rivelarsi inutile, fratello.»
L’udire
quell’appellativo dalle sue labbra provocò l’esatto effetto che il Dio degli
Inganni era andato cercando nell’utilizzarlo, e le reticenze che i Vendicatori
ancora nutrivano nei suoi confronti sbiadirono come colori al sole: non
avrebbero certo smesso di controllare che tenesse fede alla parola data, ma il
radioso sorriso che il Dio del Tuono gli dedicò fu sufficiente perché si
rilassassero e credessero a ciò che aveva loro detto.
«Un’unione simile non potrà mai essere priva di senso, fratello mio.» disse il
biondo.
«Me lo
auguro proprio.» convenne Nick Fury levandosi in piedi: «Ci daremo due giorni
di tempo per attendere una mossa risolutiva da parte del nemico, signori. Se al
terzo giorno non avremo visto niente di nuovo riprenderemo a contrastare gli
invasori di città in città, cominciando ad agire anche oltreoceano. Voglio che
il dottor Selvig e la dottoressa Foster non si allontanino dai monitor e che ci
avvertano di qualunque fenomeno anomalo, terrestre o celeste che sia. Agente
Hill, lei si occupi di chiamare a raccolta ogni uomo e corpo speciale che non
si trovi alla base in questo momento, nessuno escluso. Quanto a voi,» si rivolse
sbrigativo all’asgardiano dai capelli neri e alla ragazza di Galway, «sarete
accompagnati al vostro alloggio seduta stante. Non prendete iniziative di testa
vostra, nemmeno per arrampicarvi sul tetto a scolarvi una birra, o ve la
vedrete con me.»
«Io non
bevo birra.» fu la laconica precisazione di Loki.
«Alloggio? Uno solo?» s’informò
invece Erin con interesse.
«Sapete,
cominciamo a essere in molti qui, e le camere scarseggiano. Ma immagino che a
voi due non dispiaccia troppo, così come non dispiace a me e alla mia
incantevole signora.» rispose Stark con estrema nonchalance mentre Pepper
alzava gli occhi al cielo.
L’irlandese
scoppiò in una risata argentina: «Perspicace, mastro Iron Man!»
«La
riunione è terminata, signori.» decretò seccamente il direttore dello
S.H.I.E.L.D.
Erin sistemò
le due grosse borse che costituivano il suo bagaglio nello stretto armadio
della stanza che Nick Fury aveva loro assegnato, tirando fuori gli
indumenti di ricambio e oggetti per la toeletta, e volle sapere dall’asgardiano cosa avrebbero fatto se il titano rosso non si fosse mosso in quelle quarantotto ore di tempo che avevano.
Il Dio
degli Inganni, seduto su una delle due brande che occupavano l’alloggio, fissò
il vuoto con espressione concentrata: «Thanos dovrà mostrarsi. Stark
non ha torto nel definirlo un megalomane. Non resisterà alla tentazione di
sfidarmi e prendersi gioco di me adesso che ho accettato di collaborare con i
paladini midgardiani e con Thor. Ci ha entrambi qui, ai suoi occhi deboli e
sciocchi e lontani da Asgard, e vorrà ostentare tutta la sua potenza
prima di attuare il suo piano conclusivo. Io così farei, almeno.»
E il
figlio di Mentore non era troppo dissimile da lui, si ripeté mentalmente.
«Ne sei
talmente sicuro che mi fiderò di te.» sorrise l’irlandese.
Loki la
guardò e per un attimo sul suo volto si dipinse qualcosa di innocente e
genuino che mai aveva lasciato trapelare, qualcosa che stava a metà tra
l’incredulità e la commozione e per cui Erin fu attraversata da un sussulto che
le mandò il cuore dritto in gola.
«Dunque
ti fidi di me, donna d’Irlanda?» egli chiese con voce roca e calda.
«Certo
che mi fido. Lo capisci solo ora?» mormorò la musicista in risposta.
L’asgardiano
la prese per un polso e la tirò a sé per baciarla, e fu un bacio diverso dai
precedenti, quasi dolce e grato e tuttavia non meno intenso. L’ombra
dell’imminente separazione tornò a gravare su di loro, ma vi fu anche una
scintilla completamente nuova, una luce che andava prendendo forma già da
qualche tempo e che avvertivano entrambi.
Poi il
dio si alzò e annunciò che sarebbe andato a cercare Fury per convincerlo a
rendergli l’arma che aveva utilizzato per conto di Thanos, facendogli presente
che essendo stata creata da quest’ultimo potevano sfruttarne il potere contro
di lui.
«Allora
avverti il signor direttore che io me ne vado sul tetto a scolarmi una birra.
Naturalmente con qualcuno alle calcagna.» sogghignò la ragazza di Galway, e
nell’uscire dalla camera Loki annuì. Erin indossò un paio di
corti calzoni di jeans, sostituì gli stivali impolverati con scarpe sportive di
tela e infilò iPod e cuffie in una tasca, uscendo a sua volta; si diresse dagli
uomini che stavano di guardia nel corridoio e li pregò di procurarle una buona
birra fredda e di accompagnarla sul tetto della base, poiché desiderava
respirare aria fresca e godersi la sera che avanzava. Gli agenti considerarono
che potevano permetterglielo e la accontentarono, e l’irlandese si premurò di
invitarli a farle compagnia, se lo ritenevano un buon modo per tenerla
d’occhio. Quelli però sorrisero e le dissero che aspettarla nei pressi della
botola che conduceva al tetto sarebbe stato sufficiente.
Erin ne
fu soddisfatta e si accomodò sulla superficie liscia e piatta che ricopriva il
quartier generale dello S.H.I.E.L.D., una bottiglia di Red Stripe ghiacciata
tra le dita e gli occhi puntati sulla vastità di alture e terra brunita che si
stendeva sotto di lei. Il sole era da poco scomparso a occidente, lasciando nel
cielo un nitido alone d’oro rosato, e il vento leggero del crepuscolo aveva
spazzato via la calura diurna; dalla pista d’atterraggio giungevano fiochi
rumori e sommesse erano le voci degli uomini di Fury che chiacchieravano alle
sue spalle.
La
ragazza di Galway incrociò le gambe e accese l’iPod, gli auricolari ben calcati
nelle orecchie, scegliendo di ascoltare della buona musica classica: le
mancavano le prove e i concerti con l’orchestra, si disse nel mirare le prime
stelle che si accendevano sopra la sua testa.
Poi dalle
cuffie fluirono le note d’inizio della Sicilienne
di Fauré, la stessa che avevano proposto alla Symphony Hall, e subito i ricordi
di quella serata la travolsero – dapprima complici e splendidi, quindi
colmandosi rapidamente d’un significato ben più profondo, di quella luce che
Erin tentava invano di afferrare tra le malinconiche prospettive che da troppi
giorni la attanagliavano. E quando la Sicilienne cedette il passo all’Intermezzo di Mascagni, l’irlandese
seppe con certezza di non aver mai provato niente del genere in vita sua e di
provarlo adesso e paradossalmente per una creatura straordinaria, insidiosa, antica
e lontana che mai avrebbe potuto avere davvero, per un folle sogno: e per
quanto non riuscisse a dargli un nome, o per quanto non volesse farlo, quel
sentimento era tanto forte da pungerle gli occhi con lacrime non richieste.
Erin
strizzò le palpebre per scacciarle e scrollò il capo con violenza,
interrompendo la musica, e in quella udì un discreto colpetto di tosse a pochi
passi da lei. Si guardò intorno e scoprì che gli agenti non erano più gli unici
suoi compagni di tetto: la giovane donna dai capelli castani che aveva notato
scendendo dall’elicottero e che Nick Fury aveva chiamato “dottoressa Foster”
era lì e le stava di nuovo sorridendo, osservandola con aperta simpatia.
> Note a piè di
pagina
Ecco i Magnifici Sei tornare in scena in grande spolvero, mentre Loki
affina il proprio piano ed Erin si lascia distrarre, suo malgrado, da
sentimenti non richiesti. Ancora un capitolo di pensieri e parole e poi avranno inizio
almeno un paio di grandiose battaglie definitive: perché i capitoli sono 17 in
tutto, lo rammento, e non manca molto alla fine.
La base “a terra” dello S.H.I.E.L.D. me la sono immaginata in una zona che
potrebbe essere il deserto dello Utah – quello che fa da sfondo alle prime due
puntate della sesta stagione di Doctor
Who; e sempre parlando di DW, ho inserito una piccola citazione dalla
quinta stagione nel discorso che Loki fa su Thanos. Non è niente di che, ma se
la riconoscete ditemelo :)
La Red Stripe è una buonissima birra prodotta in Jamaica. Se vi capita
assaggiatela, merita!
Il titolo del capitolo è quello dell’omonima canzone di Leonard Cohen (a bunch of lonesome and very quarrelsome
heroes / were smoking out along the open road / the night was very dark and
thick between them / each man beneath his ordinary load).
Cominciano a sentirsi in sottofondo le note di Burn it to the ground dei Nickelback e di Everybody is on the run di Noel Gallagher e i suoi High Flying
Birds, pezzi che la faranno da padrone tra un paio di capitoli; qui il brano
portante è Mad about you degli
Hooverphonic, perché è perfetta, veramente, per descrivere ciò che esiste tra
Erin e Loki.
O, dovrei forse dire, per descrivere ciò che Erin prova per lui…
Loki
afferrò con entrambe le mani e con una sorta di fremito reverenziale il bastone
dorato dalla punta azzurra e luminosa che Thanos gli aveva donato a suo tempo:
i tecnici dello S.H.I.E.L.D. lo avevano tenuto al sicuro in uno dei molti
arsenali della base, non senza averlo studiato a fondo per comprenderne il
funzionamento, e Nick Fury glielo aveva porto con cautela prendendolo dalla
teca in cui era stato racchiuso per quasi tre mesi.
Il Dio
degli Inganni piegò le labbra in un mezzo sorriso soddisfatto, stringendo le
dita attorno al liscio metallo dell’arma e assaporando in silenzio la
sensazione di averlo nuovamente con sé, il potere che gli comunicava nonostante
fosse un artefatto plasmato dal folle titano.
Il
direttore colse la sua espressione e gli si rivolse in tono asciutto:
«Perché
Thanos ti ha consegnato quell’oggetto? Non soltanto per combattere, immagino.»
«Dovresti
dirmelo tu, direttore. Non è forse con questa mia lancia che l’agente Romanoff
ha interrotto il contatto tra il Cubo e il varco dimensionale, a New York? Io
me ne sono servito per scopi ben più banali e non ho mai avuto modo di scoprire
se Thanos lo avesse progettato con ulteriori e più precisi propositi.» replicò
pacatamente l’asgardiano.
Fury lo
squadrò con occhio sospettoso: «Neppure noi siamo giunti a conclusioni più
approfondite. È innegabile che vi sia un qualche legame tra il Tesseract e il
tuo bastone, ma quale esso sia non saprei proprio. Nessuno lo sa.» rispose
misurando bene le parole; «Se però affermi che ci sarà utile in battaglia, per
il momento mi basta.»
«Combattere il nemico con le sue stesse armi o con armi da lui create è sempre
utile.» si limitò a dire Loki mentre ancora soppesava il manufatto. In verità
ciò che gl’importava realmente era l’averlo recuperato, sebbene fosse un
peccato che l’uomo dalla pelle scura non potesse dirgli alcunché di
interessante e che già lui stesso non sapesse. L’idea di domandare la lancia
indietro gli era balenata in mente a Seattle, all’improvviso, e non aveva
pensato al come e al perché gli sarebbe di nuovo servita; per quanto avrebbe
potuto ricrearne una identica dal nulla, qualcosa gli aveva suggerito che avere
l’originale avrebbe aumentato le possibilità di un confronto alla pari col titano
rosso – e forse la chiave era il nesso con il Cubo.
«Confido
che non te ne avrai a male se terrò il bastone con me, direttore.» soggiunse
quindi, e senza aspettare risposte fece danzare le dita nell’aria e l’oggetto
scomparve.
L’altro
lo fulminò con lo sguardo: «Confido che non lo userai per commettere idiozie
qui dentro. Dov’è la tua dama irlandese?»
«Mi ha
pregato di riferirti che si sarebbe fatta scortare sul tetto per gustare una
birra. Perdonami se ho dimenticato di avvertirti.» sogghignò l’asgardiano
andando verso la porta. Gli agenti la aprirono per lasciarlo passare e lo
seguirono fuori dal laboratorio per accompagnarlo nuovamente al suo alloggio,
ma nel corridoio trovarono il Dio del Tuono ad attenderli, le gambe divaricate
e l’espressione un po’ incerta:
«Anche
Jane si è recata sul tetto. Suppongo che voglia parlare con Erin.» disse a
Loki, e d’istinto gli uomini dello S.H.I.E.L.D. si allontanarono di un passo
dai due.
«E tu
vuoi parlare con me, non è così?»
Thor
annuì: «È quello che ti chiedo da quando siamo partiti da Seattle, fratello.»
«Se
convincerai il qui presente signor Fury a lasciarci da soli per qualche minuto
sarò felice di accontentarti. Del resto dovrebbe permettercelo, se si fida di
te.» suggerì il Dio degli Inganni.
Il direttore,
che nel frattempo li aveva raggiunti, incrociò le braccia e scrollò le spalle:
«Posso
concedervi una stanza fuori dalla quale metterò questi agenti, pronti a
intervenire. Di un asgardiano in media mi fido e dell’altro non mi fido
affatto, se non vi fosse chiaro.»
«Cristallino, oserei dire.» ribatté Loki alzando gli occhi al cielo con fare
annoiato: «Eppure, direttore, se avessi voluto nuocervi lo avrei già fatto, e
per esperienza sai che persino un centinaio di tuoi uomini avrebbe difficoltà nel
contrastarmi. E se volessi approfittare di una conversazione privata per
colpire mio fratello a tradimento sarei un perfetto sciocco, poiché ciò non mi
recherebbe alcun vantaggio.»
Fury
rilassò appena i muscoli facciali e piegò impercettibilmente la testa, e il dio
dai capelli neri intuì che il proprio logico ragionamento, peraltro sincero, lo
aveva convinto:
«Una
stanza, due soli agenti di guardia e tutto il tempo che volete.» concesse
infatti l’uomo, indicando una porta scorrevole a pochi metri da loro che venne
prontamente aperta.
Thor
ringraziò il direttore, Loki sorrise con sufficienza e insieme varcarono la
soglia.
Nella
luce tenue del crepuscolo e dei fari accesi sul tetto Erin osservò Jane di
rimando, incuriosita, e sollevandosi da terra le porse d’istinto la bottiglia
di Red Stripe:
«La
dottoressa Foster, giusto? Gradisci un sorso di birra?» la apostrofò.
Non
riusciva a capire per quale motivo la giovane fisica si mostrasse tanto
cordiale e quasi empatica nei suoi confronti, come nessuna delle altre donne
presenti alla riunione e sulla pista d’atteraggio; forse perché doveva avere
circa la sua stessa età, ipotizzò l’irlandese.
«Jane Foster. “Dottoressa” mi fa sentire
vecchia.» sorrise la ragazza accettando l’offerta, quindi le restituì la
bottiglia e le si fece più vicina. «Spero di non averti disturbata, Erin. Vorrei scambiare quattro chiacchiere con te, ora che sei qui.»
«Figurati, stavo solo...» iniziò a tranquillizzarla la musicista agitando
l’iPod che ancora aveva in mano, ma si bloccò e la fissò corrugando le
sopracciglia: «Aspetta un attimo. Ho la sensazione che mi sia sfuggito
qualcosa che dovrei sapere e che tu invece sai benissimo.»
Jane
sgranò i grandi occhi castani, stupita: «Non hai la più pallida idea di chi io
sia?»
«Sei
un’astrofisica e collabori con lo S.H.I.E.L.D.» rispose Erin con ovvietà.
La sua
interlocutrice scoppiò a ridere, le guance tinte lievemente di rosso: «Oh,
accidenti, credo di aver appena fatto una gaffe clamorosa! Perdonami, ero
assolutamente convinta che tu fossi al corrente del mio legame con Thor e del
mio ruolo nelle sue vicende, visto che in parte riguardano anche suo fratello.
Ora ammetto che fosse un pensiero un po’ presuntuoso.»
La
ragazza di Galway aprì la bocca per parlare, la richiuse subito e ridacchiò a
sua volta rimettendosi a sedere, stupita e divertita dalla rivelazione di Jane
Foster. Erano entrambe umane, entrambe giovani ed entrambe legate in qualche
modo ai due fratelli piovuti dal Valhalla, ed era ovvio che la dottoressa,
essendo a conoscenza della sua esistenza e del suo rapporto con Loki, si
sentisse a lei affine e depositaria di un fato simile al suo.
«Scusami
tu, non ne sapevo nulla.» disse guardandola dal basso: «Che genere di legame?»
Jane le
si sedette accanto, il bel viso più colorito di prima: «Non è semplice da
definire. Ci incontrammo più di un anno fa in New Mexico, durante il suo esilio
sulla Terra, e fino al mese scorso siamo stati lontani. Ma per quanto possa
sembrare stupido e infantile io amo lui e lui ama me, e davvero non so a cosa
questo potrà condurre.» raccontò.
«Odino aveva cacciato anche Thor di casa privandolo dei suoi poteri? Dev’essere
una prassi educativa molto gettonata, in quella famiglia.» commentò Erin
cercando di suonare sorniona, eppure la voce le uscì più debole di quanto
avrebbe voluto.
Era
turbata, e il verbo “amare” utilizzato dall’altra nel parlare di ciò che
provava per il biondo le suonò fin troppo familiare, fin troppo adatto per dare un
nome a quel che lei sentiva ormai per il Dio degli Inganni, a quel groppo che
le infuocava il petto.
«Perché
non è tornato da te per più di un anno?» domandò allora alla fisica per
distrarsi, mandando giù l’ultimo dito di birra rimasto.
«Esisteva una sorta di ponte tra Asgard e la Terra, una via tra i mondi che Thor chiama Bifröst
e che mi ha descritto come un infinito arcobaleno. Nell’andarsene dal New
Mexico mi promise che avrebbe fatto ritorno subito dopo aver fermato suo
fratello, ma il loro scontro provocò grossi danni al Bifröst e i contatti
diretti col nostro pianeta furono irrimediabilmente compromessi.» spiegò Jane:
«Thor dice che adesso soltanto suo padre può permettere a qualcuno di superare
le barriere dimensionali tra i Nove Regni, e che finora lo ha fatto unicamente
per aiutare i Vendicatori e nel bandire Loki da Asgard.»
Erin alzò
il capo verso il cielo che andava tingendosi di blu notte sopra di loro:
«E se il
Bifröst tornasse a funzionare?» mormorò quasi tra sé.
«Penso
che sarebbe tutto molto più facile. Per loro, per i Vendicatori e naturalmente
anche per te e per me.» sospirò l’altra con un sorriso malinconico.
Era buffo
e sciocco disquisire di affetti e sogni con la guerra alle porte, e per un po’
nessuna delle due parlò. Tutto era sereno e immoto intorno a loro, al punto che
quando l’irlandese spezzò il silenzio lo fece con cautela per non intaccare
quella pace:
«Ci
ritieni così simili l’una all’altra, Jane?»
«Non ti
conosco, Erin, e non conosco il tuo carattere, ma come potremmo non rassomigliarci?
Siamo legate a due fratelli di un mondo lontanissimo dal nostro, siamo mortali
e ignoriamo quel che ci accadrà. Eppure li amiamo, Erin, e questa è la cosa più bella e strana di tutte.» replicò
l’astrofisica con fervido slancio, protesa verso la ragazza di Galway.
Questa la
fissò senza realmente vederla, incapace di formulare una frase sensata: si
trattava di questo? Era questo che Jane pensava della relazione tra lei
e il Dio degli Inganni? Li paragonava a sé e a Thor e nulla sapeva di
loro, e pronunciava con eccessiva facilità la parola “amore”.
Dalle
labbra le sgorgò una risata altezzosa che sorprese entrambe:
«Non
esagerare con le affinità, dottoressa! Cosa ti fa credere che il mio sentimento
per Loki sia uguale a quello che tu provi per suo fratello? Cosa ti fa credere
che io senta qualcosa del genere per lui?» se ne uscì in tono così convincente
e beffardo che per pochi istanti credette a ciò che stava dicendo. Ma la
scienziata tornò a sorridere con la piacevole malinconia di poco prima, gli
occhi accesi e l’espressione incredibilmente limpida:
«Che
cosa senti, allora?» le chiese con tranquillità.
Erin
esitò, colpita suo malgrado dalla pacatezza della sua interlocutrice, e con il cuore più pulsante che mai prese a mettere in fila tutto quel che si portava dentro
per sbrogliare la matassa delle proprie sensazioni.
«Lo
desidero, lo ammiro, mi piace il suo modo di vedere il mondo. Lo sento a me
vicino più di chiunque altro e mi affascina terribilmente, anche se ne ho
un po’ paura. All’inizio era come aver trovato un inestimabile tesoro da sfruttare
a mio esclusivo beneficio, un’eccitante novità e un’occasione per mettere in
mostra la mia misantropia. Ma ora la sola idea di
vederlo andare via e di dirgli addio mi rende triste, e immaginare di tornare
alla normalità senza di lui mi sembra di uno squallore eclatante.» confessò tutto d’un fiato, e man mano che parlava ogni cosa pareva farsi chiara e
lampante e acquistare un senso. Poi un singulto la colse, e vinta dall’emozione
l’irlandese aggiunse in un soffio:
«Non
voglio perderlo, cazzo.»
Jane le
strinse amichevolmente una mano: «Lo so. E come chiameresti tutto questo?»
«Che
sono un’imbecille, ecco come lo chiamerei.» borbottò la musicista con una
smorfia.
«Amare
qualcuno non ci rende mai molto più furbi, Erin.»
E lei,
finalmente, si arrese. Sotto la volta celeste ormai ammantata di buio e di
stelle, su quel tetto in penombra e tra i suoni ovattati della notte, la donna
d’Irlanda seppe di amare profondamente il Dio degli Inganni: e benché il solo
pensarlo fosse folle, benché lo avesse compreso troppo tardi, Erin Anwar
fu felice di ammetterlo e capì, come quando si erano baciati per la prima volta
a ritmo di swing, che non avrebbe potuto essere altrimenti e che era giusto
così. Ridendo si godette quel momento e pensò che di fronte a una verità
tanto assurda e splendida persino la tristezza poteva aspettare, e ricambiando
la stretta di mano di Jane Foster la guardò e disse: «Qui urge un brindisi. Ti
va un’altra birra?»
Thor si
era ripromesso di raccontare al fratello cos’era accaduto ad Asgard durante il
primo attacco bostoniano dei guerrieri di Thanos e di come avesse pregato il padre di
restituire i poteri al secondogenito, ma adesso che poteva avere con questi un
confronto che non prevedesse l’avere armi in pugno, dopo tanto tempo, il biondo
tentennò: una simile rivelazione avrebbe soltanto avuto l’effetto di scatenare
la collera di Loki e il proverbiale rancore che gli serbava, e certo lui non
cercava lo scontro. Per una volta poteva permettersi di essere quello che
taceva una verità all’altro, convenne tra sé il Dio del Tuono, e lo faceva a
fin di bene.
«Come
fai a essere certo che il figlio di Mentore ci attaccherà a breve, fratello?»
esordì quindi nella stanza vuota che Fury aveva loro messo a disposizione; non
era proprio l’argomento di conversazione che aveva in mente, eppure i dubbi che
la riunione aveva sollevato in lui continuavano a renderlo inquieto.
Loki, che
misurava a passi lenti il perimetro della saletta, si fermò e appoggiando
pigramente le spalle al muro lo guardò: «Non lo sono. Diciamo che lo ritengo
assai plausibile.» rispose.
«Non si
è mai mostrato e non ha mai dato segno di voler cambiare strategia. Perché dovrebbe farlo proprio ora, proprio nel momento in cui coloro che
possono contrastarlo hanno unito le forze?» proseguì Thor in tono grave,
avvicinandosi.
Il Dio
degli Inganni pensò che se il suo roboante congiunto fosse stato lievemente più
intelligente e sospettoso il quesito che aveva appena posto avrebbe potuto
essere interpretato come un avvertimento, come il segnale che il figlio
prediletto di Odino aveva colto un barlume d’imbroglio nelle sue intenzioni, giacché il suo collaborare coi Vendicatori puntava effettivamente a provocare il
titano rosso. Tuttavia niente nell’atteggiamento di Thor lasciava supporre che
lo stesse velatamente accusando di qualcosa, e l’asgardiano dai capelli neri
decise che poteva arrischiarsi a non negare del tutto:
«Se
fossi al posto di Thanos è proprio adesso che attaccherei, con i miei nemici
riuniti sotto il medesimo tetto. È ciò su cui ho ponderato nel venire da te e
dai tuoi midgardiani compari, ritenendola un’ottima occasione per indurlo a
uscire allo scoperto.» disse.
«E non
hai considerato il pericolo cui andiamo incontro?» gli ribatté il fratello; «Non
fraintendermi, l’averti qui mi riempie di gioia. Eppure mi chiedo se non stiamo
giocando col fuoco, fornendo addirittura un vantaggio al nostro
avversario.»
Loki
scosse il capo: «Valeva la pena tentare, e la vale tuttora. Inoltre,» asserì
mentre i suoi occhi si spostavano ad arte verso la porta della stanza, «combattere in due soltanto stava divenendo altrettanto pericoloso.»
Thor
sorrise, cogliendo il voluto riferimento dell’altro alla ragazza di Galway:
«Erin è
forte e straordinaria. In tutta Midgard non avresti potuto incontrare
donna più degna di te, così come Jane lo è per me.»
Le sue
parole, oneste come sempre, produssero un inatteso sussulto nel Dio degli
Inganni, che si rese conto di aver appena scoperto il più inusuale dei punti in
comune che mai si sarebbe sognato di avere col Dio del Tuono: non nel
pensiero, non nelle armi e non nell’ambizione, bensì nella rovina e negli
affetti. Entrambi avevano subìto l’umiliante punizione dell’esilio per aver
deluso il Padre degli Dei ed entrambi in quella sconfitta avevano trovato,
senza volerlo, qualcosa di piccolo e inestimabile che li aveva in qualche modo mutati: un’astrofisica del New Mexico per il primo e una flautista di
Galway per il secondo.
E se
l’incontro con Jane Foster aveva reso Thor miracolosamente saggio e umile,
l’avere Erin Anwar al proprio fianco non aveva cambiato molto l’animo di Loki,
se non nei confronti dell’irlandese stessa. Era divenuta parte integrante del
suo modo d’essere, d’agire e di sentire, e nel pensarlo egli ne fu
irrimediabilmente felice.
«Forse
hai ragione.» concesse quindi con un mezzo sorriso.
«Quando
tutto questo sarà finito e torneremo ad Asgard pregherò Jane di venire con me. Implorerò nostro padre affinché escogiti una soluzione per
ricreare il Ponte che la nostra follia ha distrutto, e molte cose miglioreranno
per molti.» proclamò il biondo con ardore. «E tu cosa farai, fratello? Porterai
Erin ad Asgard quando verrà il momento?»
«Se verrà il momento, per me.» lo freddò
Loki con voce tagliente. Non aveva intenzione di rispondere, nulla aveva deciso al riguardo e d’altronde la riuscita del suo piano non era affatto scontata. Così ritenne opportuno concludere la conversazione
prima che suo fratello toccasse altri argomenti delicati con quella sua
spontaneità che spesso si dimostrava più insidiosa di abili menzogne e
persuasive favelle.
«Si è
fatto tardi. Io torno da lei.» annunciò avviandosi verso la porta.
Thor
indugiò un istante e gli strinse una mano: «Ti ringrazio per aver parlato con
me, Loki.»
Il Dio
degli Inganni gli volse le spalle e si allontanò per avvisare gli uomini dello
S.H.I.E.L.D. che lì avevano finito. Abbandonarono la stanza in silenzio, scambiandosi
soltanto un ultimo sguardo, e i due agenti rimasti di guardia scortarono l’asgardiano
al suo alloggio.
La camera
era illuminata solo dai bassi neon sopra i letti e tutto vi appariva più
morbido e confortevole. Erin era già rientrata e se ne stava in piedi, appoggiata
alla scrivania metallica posta accanto all’armadio, e sollevò il capo quando
Loki rientrò. Lui notò il suo volto colorito e i suoi occhi lucidi nonostante
la poca luce e le si avvicinò lentamente, cogliendo qualcosa di completamente nuovo
nella sua espressione e nella sua postura: era morbido e confortevole come
l’atmosfera che permeava la stanza, e vibrante e acceso come soltanto
l’irlandese sapeva essere. Lei sorrise e parve quasi trattenere il respiro:
«Com’è
andata col caro direttore? Hai riavuto la lancia?» s’informò.
Il dio
sogghignò e fece ricomparire il bastone in forma di scettro, la bolla blu che vivida brillava sulla sua punta: «È stato meno arduo del previsto. La tua
conversazione con la donna di scienza si è rivelata interessante?» chiese di
rimando.
«E tu ne
hai avuta una con Thor, a quanto pare.» chiosò Erin sforzandosi di risultare
arrogante. Il cuore le rimbombò nelle orecchie, battendo con orgoglio nel suo
petto, e nello sfiorare con attenzione il metallo dell’arma che il compagno le
stava mostrando pensò che avrebbe dovuto confessargli i propri sentimenti fintanto che ne aveva la possibilità. Le emozioni che provava premevano per uscire
allo scoperto con l’irruenza di un’onda, ma rivelarle avrebbe comportato venire
a conoscenza di ciò che Loki sentiva e non era sicura di volerlo sapere.
Tutto sarebbe finito a breve, in un modo o nell’altro, e che il Dio degli
Inganni la ricambiasse o meno aveva ormai poca importanza: l’aver compreso
l’amore che gli portava era sufficiente.
«Cosa ti
turba, donna d’Irlanda?» domandò l’asgardiano a bassa voce.
«Il
futuro.» sussurrò Erin, e involontariamente ritrasse la mano
destra dal bastone dorato per carezzargli il viso. Egli intuì con
chiarezza che il turbamento dell’irlandese era dovuto a lui, più che alle
incognite sul destino di Midgard, e facendo svanire nuovamente la
lancia nell’aria premette il proprio corpo contro quello di lei e la baciò.
Erin gli
si aggrappò con impeto, beandosi del suo sapore, e Loki fece scivolare le dita
lungo il suo busto sino a raggiungere l’orlo dei corti calzoni di jeans che indossava: senza fretta glieli sbottonò, e con la mano cercò la carne calda e
tenera tra le sue gambe.
Lei
annaspò e con un gemito nascose il volto nell’incavo del collo del compagno,
mordendoglielo appena e chiudendo gli occhi per assaporare ogni singola goccia
del piacere che il movimento delle dita del Dio degli Inganni le procurava. Sentì i di lui abiti da guerra dissolverlesi tra i polpastrelli e con gesti
febbrili gli aprì la tunica che portava al di sotto per stringersi alla pelle
nuda e tiepida del suo torace. Quindi gli slacciò i pantaloni e lasciò che i
propri cadessero a terra assieme agli slip, e Loki la fece sedere sul freddo
ripiano metallico della scrivania cui si appoggiavano e la guardò negli occhi –
e per un attimo si chiese se l’emozione che vi leggeva altro non fosse che un
riflesso di ciò che aveva nei propri.
Tenendola
saldamente per i fianchi entrò in lei, affondando con gratitudine nel suo
calore, ed Erin gli allacciò le gambe intorno alla vita e rispose con tutto il
fuoco e la forza che aveva: si convinse che quella sarebbe stata l’ultima volta
che univa cuore, pelle e respiro col suo ingannatore divino piombato dritto dal
Valhalla, e desiderò che quella notte non avesse mai fine.
> Note a piè di
pagina
Ricordo a tutti che ho scritto questa storia l’anno scorso, perciò non è
collegata in alcun modo a quella che probabilmente sarà la trama di The Dark World.
Doveroso era il confronto incrociato tra i due fratelli asgardiani e le
loro signore, per chiarire e definire quali sono i pensieri e il sentire di
Erin e Loki. È ricomparso lo scettro che quest’ultimo usa in Avengers e che come arma apprezzo un
sacco: non vedevo l’ora che tornasse a utilizzarla, anche se si tratta pur
sempre di un oggetto creato da Thanos e i suoi.
Il titolo del capitolo è una frase di Violet
Hill dei Coldplay (if you love me /
won’t you let me know?), canzone che potete tranquillamente ascoltarvi
durante la lettura – insieme, eventualmente, a What if? (sempre dei Coldplay).
Prima di salutarvi volevo lanciare un piccolo appello: recensite, o miei
lettori. Vedo che leggete, vedo che seguite, eppure conosco il parere di
pochissimi tra voi (che colgo l’occasione per ringraziare direttamente – Maura77, Smith of Lies, Artemis Black,
Tony Stark e Dama Galadriel) e questo mi dispiace. Se entro la fine della storia
mi faceste tutti sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuta, se vi ha coinvolto e
incuriosito, ne sarei oltremodo contenta :)
L’allarme
generale fu lanciato l’indomani mattina di buon’ora.
Alle
prime luci dell’alba l’intera base dello S.H.I.E.L.D. risuonò di passi e voci
concitate, e tra i corridoii e le sale di monitoraggio vi fu un un gran viavai
di agenti e specialisti dalle espressioni ansiose e ancora annebbiate dal
sonno.
Erin e
Loki, che si erano addormentati assai tardi allacciati l’uno all’altra su uno
dei piccoli letti dell’alloggio, si svegliarono di soprassalto nell’udire quel
trambusto, e subito l’asgardiano intuì che Thanos era vicino e che tutto si
avviava a compimento.
L’irlandese
indossò in fretta e furia un paio di jeans scuri, una canotta bianca e i suoi
soliti stivali di cuoio chiaro e corse a sciacquarsi la faccia mentre alcune guardie
bussavano alla porta pregando lei e il dio di seguirli al centro di controllo
del quartier generale; prima di uscire si ricordò distrattamente di prendere la
custodia del flauto magico, e seguendo il compagno e gli uomini in nero scrollò
il capo per darsi una svegliata. Le avrebbe fatto bene un caffè, pensò
scioccamente, ma certo quello non era il momento adatto per chiederne uno.
Nick Fury
e Maria Hill erano già sul posto ad attendere i Vendicatori e il Duo degli
Inganni, assieme a Thor, Jane Foster ed Erik Selvig, e nessuno di loro aveva
l’aria di aver chiuso occhio. Erin gettò uno sguardo agli schermi sottili che
baluginavano come impazziti tutt’intorno e riconobbe una ripresa satellitare
della base e della zona circostante: vi si muovevano una miriade di piccoli
punti luminosi che aumentavano di minuto in minuto e che andavano cingendo il
complesso dello S.H.I.E.L.D. in un ampio cerchio.
« Cosa
diamine significa questo? » chiese la musicista indicando l’immagine.
« Che
siamo sotto assedio, temo, signorina Anwar. » rispose Bruce Banner, appena
entrato nella stanza; dietro di lui venivano Tony Stark, sfacciatamente in
pigiama di raso, e Pepper Potts avvolta in una vestaglia leggera. Il direttore
annuì:
« Sembra
un esercito. Un grosso esercito. Hanno fatto prima del previsto. »
« E a
nessuno viene il dubbio che lui
c’entri qualcosa? »
Clint
Barton, giunto in quell’istante e pronto all’azione nella sua tenuta da
combattimento, puntò un dito contro Loki con fare accusatorio, Natasha Romanoff
a spalleggiarlo; l’asgardiano aprì la bocca per ridere di loro e sviarne i
fondati sospetti, e inaspettatamente Stark lo prevenne: « Oh, ma lui c’entra qualcosa, in effetti. Abbiamo
monitorato la toccante conversazione tra voi fratellini, ieri sera, e il fatto
che tu abbia deciso di unirti a noi anche per attirare qui il nemico è piaciuto
sia a me che al direttore. Ottima mossa, piccolo cervo. »
« Questa
me l’avevi già detta. Stai diventando prevedibile. » lo schernì il dio.
La russa
pose d’istinto una mano sul calcio della pistola che recava al fianco:
«
Dovrebbe essere una buona notizia? Magari la trappola è a nostro sfavore, visto
che siamo circondati come topi in una gabbia. » disse in tono lugubre.
« E
secondo te io e Loki ce ne staremmo qui con voi, assediati da un branco di
alieni incazzati, se il giochetto mirasse a fregarvi? Dacci un taglio, ti
prego. » sbottò Erin sorprendendo tutti. Cominciava a sentirsi nervosa e ne
aveva abbastanza di illazioni inutili e perdite di tempo che non giovavano a
nessuno: « Siamo asserragliati e inferiori di numero come i Rohirrim al Fosso
di Helm, non lo nego, ma d’altro canto abbiamo gli avversari riuniti in un
unico punto e armi d’ogni tipo a disposizione. Potremmo persino arrivare a
Thanos, e a me questo sembra molto meglio che continuare a scorrazzare come dei
cretini di città in città per chissà quanti mesi ancora. Si tratta di semplice
buon senso, non di darci fiducia. » aggiunse.
Per un
po’ nessuno fiatò, e la Vedova tolse le dita dall’arma; il Dio degli Inganni
lanciò un sorriso d’intesa alla donna d’Irlanda, soddisfatto e inorgoglito
dalla sua sfrontatezza e dalla sua naturale capacità di persuasione. Gli aveva
risparmiato un noioso discorso.
« Adoro
le citazioni colte. » fece allegro il playboy filantropo.
Il
Capitano Rogers, comparso per ultimo nella sala, levò alta una mano per
ottenere l’attenzione degli altri: « La signorina Anwar ha ragione. Ci troviamo
in una posizione di apparente svantaggio che indurrà i nemici ad abbassare la
guardia e a ritenerci già spacciati, permettendoci di conseguenza di studiarne
l’assetto e organizzare un’adeguata strategia. »
« Ho già
alcuni agenti impegnati a osservare le immagini che ci forniscono i satelliti. Presto
faranno rapporto circa la disposizione e gli armamenti dei soldati di Thanos. »
confermò Fury.
« Inoltre
ho provveduto io stessa a inoltrare una richiesta d’intervento all’esercito
degli Stati Uniti e mi auguro che un contingente armato sarà qui tra meno di
un’ora. » interloquì Hill.
Il Dio
del Tuono mirò cupamente i monitor che mostravano la struttura del quartier
generale ormai stretta nella morsa di un compatto anello di truppe avversarie:
« E se non avessimo un’intera ora a nostra disposizione? » mormorò, e in quel
preciso momento una potente esplosione esterna fece tremare ogni cosa,
costringendo molti degli astanti a ripararsi la testa con le braccia per il
timore che cadesse loro qualcosa addosso. Thor e Tony abbracciarono d’istinto
le rispettive compagne per proteggerle, il dottor Selvig imprecò, Banner
strinse i pugni in uno spasmo di tensione e gli altri scattarono in posizioni
di difesa; Erin sussultò e si morse un labbro, le dita serrate sulla custodia
del flauto, e Loki le si avvicinò. Quel fin troppo celere assalto aveva colto
di sorpresa anche lui, e questo non gli piaceva affatto: gli dava l’impressione
di essersi lasciato sfuggire un dettaglio importante dei piani di Thanos, se
non addirittura di non averli per niente compresi. Era come essere caduto in un
sottile tranello proprio mentre era convinto di averne teso uno ai danni del
titano.
In quella
la porta si aprì con gran fracasso e un agente sulla trentina entrò di corsa
nella stanza, senza fiato: « Direttore, siamo sotto attacco! » annunciò; «
Hanno agito con tale rapidità che noi... »
« Lo
sospettavo, agente Gregg. » lo interruppe freddamente Nick Fury: « Cerchiamo di
recuperare in fretta il tempo perso finora. Quanti sono, all’incirca? Muovono
soltanto da terra o hanno una sorta di contraerea? E da quel che ha potuto
vedere il loro scopo è costringerci a uscire allo scoperto, agente, o piuttosto
fare irruzione nella base? »
L’uomo
tentò di mettersi sull’attenti: « Credo siano non meno di duemila soldati,
signore, e hanno alcuni di quei velivoli di cui fecero uso a New York. Sembra
che abbiano mandato avanti un primo plotone per debellare le nostre difese e
conquistare almeno il nostro perimetro più esterno, signore, ma non ho potuto
vedere granché. » rispose ansimando.
Seguì un
gelido silenzio costellato di netti rumori provenienti da fuori – spari e nuove
detonazioni e grida concitate e passi frenetici nei corridoi – e l’irlandese
pensò “ci siamo” e provò una strana paura infiammata dall’eccitazione: quel
giorno tutto sarebbe giunto a conclusione, e poco le importava di come ciò
sarebbe avvenuto fintanto che non fosse finito definitivamente; aveva la mente
lucida e vigile e il sangue le ruggiva nelle vene.
« Per
adesso tali informazioni sono sufficienti. » sentenziò infine il capo in carica
dello S.H.I.E.L.D.: « Hill e Gregg, voglio che tutti i nostri uomini si armino
e si rechino alle postazioni di combattimento. Abbattete la minaccia aerea, per
prima cosa, e mettete agenti di guardia sul tetto; la nostra priorità è quella
di impedire che i nemici entrino qui, perciò assicuratevi che non vadano subito
sprecate vite o munizioni. Dottoressa Foster e dottor Selvig, voglio che voi
rimaniate in questa sala e che controlliate la situazione dall’interno insieme
alla signorina Potts: sarete mediamente al sicuro per un po’ e ci riferirete le
eventuali novità che giungeranno dalle città americane e dal resto del mondo.
Se Thanos ci ha attaccati direttamente e con un simile dispiegamento di forze
immagino che i suoi stiano sferrando ovunque il colpo finale dell’assedio, ed è
nostro dovere tenerci informati. » disse col suo miglior tono pragmatico
indicando uno ad uno gli interpellati. I due agenti se ne andarono
immediatamente a eseguire gli ordini ricevuti e Jane, Erik e Pepper si
precipitarono a tre diversi computer; poi Fury fronteggiò la sua straordinaria
mezza dozzina e il Duo degli Inganni, le gambe divaricate e ben piantate a
terra:
«
Signori, vi prego di andare a prepararvi per la battaglia. Vi aspetto in sala
riunioni per fornirvi attrezzature di comunicazione e direttive. »
Tutti
assentirono con un cenno e abbandonarono la stanza, i Vendicatori in una
direzione e l’asgardiano e l’irlandese in quella opposta. Nick Fury li imitò
subito dopo.
Non
avendo armi né armature da recuperare altrove, Erin e Loki ebbero modo di
osservare la situazione all’interno della base frattanto che si recavano al
luogo convenuto. Gli uomini e le donne che lavoravano e combattevano per lo
S.H.I.E.L.D. si muovevano rapidi e concentrati intorno a loro, urlandosi
istruzioni e comandi e sfrecciando tra le pareti metalliche dei lunghi corridoi
dell’edificio. Sembrava che nessuno skrull, kree o chitauro fosse ancora
riuscito a eludere le difese esterne, e tuttavia il fragore degli scontri in
atto si faceva sempre più vicino e i muri tremavano più frequentemente di
prima. Il pensiero del dio era però concentrato sul senso di disagio che l’imprevista
piega presa dai propri piani gli procurava: per quanto si rendesse conto alla
perfezione del vantaggio che Thanos aveva su di lui, un punto del suo operato
gli rimaneva oscuro e lo turbava, e soltanto vedere il folle titano coi propri
occhi sul campo di battaglia avrebbe acquietato il suo animo e dissipato i suoi
dubbi. Temeva che se da un lato lo stratagemma di riunirsi aveva funzionato,
spingendo il figlio di Mentore ad attaccare come aveva immaginato, dall’altro
era altrettanto probabile che questi lo avesse fatto per tenerli impegnati e
distratti mentre si dedicava a qualcosa di diverso. C’era quel dettaglio che
continuava a sfuggirgli, e il Dio degli Inganni detestava quella sensazione.
Si girò verso
la flautista, convinto che gli avrebbe rivolto qualche domanda sull’argomento
come suo solito. Erin però taceva e camminava al suo fianco con lo sguardo
puntato innanzi a sé, il portamento regale: teneva la borsa dello strumento a
tracolla e le spalle dritte, e sulle labbra aveva dipinta un’espressione
severa. La morbidezza vulnerabile della notte appena trascorsa era scomparsa e
lei appariva quasi distante, più dura – e se ciò fosse un bene o un male Loki
non era in grado di giudicarlo.
A pochi
metri dalla porta della sala riunioni si fermò all’improvviso e la afferrò per
entrambi i polsi, facendola voltare così da trovarsi faccia a faccia con lei;
non disse una parola e strinse delicatamente la presa, e la ragazza di Galway sentì
del metallo tiepido e liscio sostituirsi via via alle dita del compagno sulla
propria pelle, nascendo dal nulla: quando il calore scemò e l’asgardiano tolse
le mani, Erin scoprì di avere un robusto bracciale d’argento lavorato su
ciascun avambraccio che scintillava nella fredda luce dei neon.
« Un
piccolo dono. » disse piano Loki; « Ti saranno utili in battaglia. »
« E
spariranno magicamente una volta compiuto il loro scopo? » domandò l’irlandese.
La voce le uscì aspra e non le piacque, e tuttavia non seppe controllarla. Non
le piacque neppure la velata allusione a Loki medesimo e nemmeno quella seppe
controllare.
« Non
scompariranno affatto. Sono un mio dono per te. » egli ripetè, e anche nelle
sue parole vi fu un sottinteso. Ma fu un sottinteso rassicurante ed Erin alzò
il capo e lo guardò, e per un istante fu di nuovo morbida e vibrante come la
sera prima, il viso acceso.
Poi
scrollò le spalle e sogghignò, tornando la sfrontata donna d’Irlanda di sempre:
« Mi
piacciono molto, s’intonano al flauto. Sei davvero il dio nordico dotato di
maggior gusto che io conosca. » se ne uscì; « Ti ringrazio. » aggiunse.
Il Dio
degli Inganni annuì e le dedicò un sorriso scaltro: « Onorato di averti
soddisfatta, Erin Anwar. Ora andiamo a sentire cos’ha da dirci il nostro
guercio direttore. »
Varcarono
la soglia della stanza e trovarono l’uomo in questione ad attenderli, una
valigetta metallica posata sul tavolo davanti a lui. I Vendicatori giunsero uno
dopo l’altro nel giro di cinque minuti, e nel frattempo l’irlandese si premurò
di estrarre il flauto dalla custodia e di montarlo; Loki decise invece che
avrebbe sfoggiato armamenti e lancia solo all’ultimo momento, esattamente come
Banner che si manteneva ancora in forma umana e per il quale l’idea di
tramutarsi in Hulk all’interno della base non doveva essere troppo allettante.
Una volta
che il gruppo fu nuovamente al completo e riunito, Nick Fury aprì la valigia
mostrandone agli otto il contenuto: dentro vi erano oggetti neri e rotondi di
assai ristrette dimensioni, simili a bottoni, uno per ciascuno dei presenti.
«
Gradirei che ognuno di voi indossasse il proprio auricolare, signori. I membri
del Progetto Avengers hanno già avuto modo di testarli durante gli scontri di
New York, benché questi siano un prototipo più evoluto, ma ne illustrerò
comunque in breve il funzionamento a beneficio esclusivo di coloro che non sono
avvezzi a questo genere di attrezzatura. » li interpellò il direttore lanciando
un’occhiata di sfida al Duo degli Inganni.
Erin
sbuffò con una scrollata di spalle e il dio dai capelli neri ghignò soavemente,
chinandosi sulla valigetta per prendere uno dei minuscoli apparecchi tra le
dita:
« Credo
di aver intuito come funzionano, direttore. Non sarò forse avvezzo alla vostra
tecnologia, eppure sovente mi dimostro più intelligente di essa. » ribatté, e
senza indugiare oltre sistemò l’auricolare nell’orecchio sinistro suscitando in
Stark un cenno d’apprezzamento. Subito la musicista e gli altri lo imitarono e
Fury chiuse la valigia, ordinando attraverso il proprio dispositivo che quelli
della sua squadra venissero attivati.
Quindi si
rivolse al Capitano a stelle e strisce: « Poco fa parlavi di strategie e
vantaggi, Rogers. Come suggeriresti di agire? Stiamo contenendo la minaccia
aerea ma rimaniamo scoperti sui lati dell’edificio, e finché non arriveranno i
rinforzi militari dubito che i miei agenti, per quanto preparati e numerosi,
possano bastare a bloccare i nemici. »
« Allora
daremo loro manforte su ciascuno dei lati esterni. » affermò Steve, le mani
guantate che carezzavano distrattamente la superficie lucente del suo scudo: «
E ritengo che il modo migliore per farlo sarebbe attaccando dall’alto. Il tetto
è ancora raggiungibile, signore? »
« Pensi
davvero che attaccare dal tetto sia una buona idea? Ci vedranno appena ci
metteremo piede e non ci permetteranno alcuna mossa a sorpresa. » s’intromise
Barton.
Capitan
America puntò un indice sul tavolo, come su un’immaginaria mappa:
« Sono
impegnati a combattere e il loro obiettivo primario è penetrare in questa base.
Qualcuno potrà notarci, senza dubbio, e noi dovremo muoverci il più rapidamente
possibile. Il rischio maggiore che corriamo è quello che abbiano sentinelle
lontane dal perimetro dello scontro e dunque con una visuale più ampia, e
tuttavia anche in quel caso avremmo il tempo di portare a compimento l’azione.
» rispose all’arciere; « Vi ripeto che a parer mio attaccarli dall’alto
lanciandoci dal tetto è l’unica soluzione efficace che abbiamo adesso. Se avete
altre proposte o se il direttore è contrario, ditemelo e non insisterò oltre. »
« Quando
fai così sembri quasi vero, Stewie. » commentò Stark, beffardo, ma tosto si
fece serio e incrociò le braccia corazzate: « E quando fai così, non posso che
darti ragione. »
Nick Fury
li fissò: « Non abbiamo molta scelta, Capitano, e io non ho niente in
contrario. Andate sul tetto e fate quel che dovete fare. Io raggiungerò Hill e
Gregg e dividerò con loro le ali dell’edificio da difendere. Ci terremo in
contatto attraverso gli auricolari. » convenne.
« Non
sono sicura di essere in grado di lanciarmi da un tetto e rimanere intera. »
borbottò l’irlandese picchiettandosi una spalla con lo strumento con malcelato
nervosismo.
« Ci sarò
io. Non hai di che temere, donna d’Irlanda. » disse Loki, e lo disse a voce
alta e tutti lo udirono e lo osservarono con una certa meraviglia, poiché il
suo tono era caldo e così il suo sguardo, ed Erin lo ricambiò con un lieve,
vibrante sorriso e a nessuno di coloro che li circondava sfuggì l’intensità che
fluiva tra i due, sincera e disarmante.
Thor
strinse il pugno intorno all’impugnatura del martello e i suoi occhi
sfavillarono:
« Che
motivo abbiamo per indugiare ancora? Andiamo! » esclamò con ardore.
Il
miliardario nell’armatura rossa, il soldato leggendario, la coppia di provetti
assassini, il dottore dalla forza sovrumana e il Dio del Tuono avanzarono
ancora una volta uniti e sicuri, marciando per i corridoi a grandi passi
decisi. Ma adesso a loro si accompagnavano il Dio degli Inganni e un’arrogante
ragazza di Galway armata di un flauto magico, e gli agenti che ne incrociarono
il cammino esultarono e si scoprirono più forti, poiché l’immagine fulgida di
quegli otto straordinari esseri che assieme si recavano in battaglia era ciò di
cui tutti avevano bisogno per riacquistare coraggio e fiducia.
Erin
sentiva l’eco del battito del proprio cuore fin dentro le orecchie e pensò che
quel suono rassomigliava al fragore dei tamburi di guerra, dandole il ritmo per
avanzare.
Giunsero
sotto la botola che conduceva al tetto e uno per uno s’inerpicarono su per la
stretta scala – e uno ad uno guadagnarono la piatta sommità del quartier
generale dello S.H.I.E.L.D., e quando furono tutti lassù l’irlandese rise
perché avrebbe voluto avere con sé la macchina fotografica e il cavalletto per
immortalare quell’incredibile istante: eccomi qua, si disse, in mezzo a dei ed
eroi e in procinto di piombare su nemici provenienti da ignoti universi per
prenderli a badilate nei denti. Rise ancora, e con la coda nell’occhio vide le
corna arcuate e la lancia acuminata di Loki prendere forma nell’aria satura di
rumori e Banner tramutarsi in un sol colpo nel verde Hulk, e con piglio feroce
inforcò i propri Ray-Ban a specchio per schermare il chiarore del sole ormai
alto e per sembrare uscita da un violento film poliziesco italiano degli anni
Settanta. L’eccitazione aveva sostituito il timore, e il flauto era rovente tra
le sue dita.
Fecero
per avanzare verso il bordo del tetto, ma in quella l’asgardiano dai capelli
neri si bloccò e impallidì appena, scrutando con espressione indecifrabile e terribile
un punto indefinito del paesaggio brullo che avevano intorno. I Vendicatori ed
Erin seguirono il suo sguardo e videro, tremolante nella calura del giorno che
avanzava, una figura corpulenta e minacciosa che torreggiava sulla cima spoglia
di un’altura poco distante dall’area dello scontro: portava un elmo e una
corazza di metallo scuro, e rossastro era il suo volto ghignante.
Un
brivido serpeggiò lungo la spina dorsale della musicista; Thor emise una sorta
di rauco ringhio e Stark chiese, da dietro la maschera di Iron Man, se fosse “lui”.
Le
sottili labbra di Loki s’incresparono lievemente all’insù:
« Sì, è
lui. Quello è Thanos il Rosso. » egli confermò con voce strozzata.
Natasha
si portò una mano all’orecchio destro e piegò la testa di lato:
«
Signore, abbiamo individuato il comandante nemico. Si trova su una collina a
sud e pare che stia soltanto osservando la situazione. Procediamo comunque come
convenuto? » riferì.
Il
responso di Fury fu udito da tutti, grazie agli auricolari: « Buono a sapersi,
agente Romanoff. Del capo però ci occuperemo più tardi. Adesso vedete di
sbrigarvi a fare fuori i suoi sottoposti, signori, prima che Thanos li avverta
della vostra presenza sul tetto. »
«
Potrebbe averlo già fatto. » interloquì seccamente il Dio degli Inganni.
« Una
ragione in più per darvi una mossa. » concluse asciutto il direttore prima di
troncare il contatto in una babele di spari e urla rabbiose.
La donna
d’Irlanda mosse un passo in avanti e la luce del mattino s’infranse,
abbagliante, sull’argento dei bracciali e dello strumento e sulle lenti degli
occhiali da sole:
« Concordo.
Diamogliene secche, a questi bastardi. » sentenziò.
Allora
gli otto si disposero a ventaglio, il Duo al centro, e corsero ad armi spianate
fino al limitare del tetto e con un grido unanime lo superarono d’un balzo e
saltarono giù, Loki che con un braccio cingeva la vita di Erin per sorreggerla
durante il volo.
Il sole
colpì le loro sagome scattanti, delineandole con chiarezza contro il cielo
terso, ed essi piombarono inesorabili sui nemici ignari che proprio lì sotto
cercavano di irrompere nel perimetro della base. Li travolsero come furie e fu
subito battaglia.
Nei
ricordi e nei racconti dell’irlandese due sarebbero stati i dettagli
fondamentali di quei minuti interminabili e feroci: il clangore assordante
prodotto dal flauto e dai bracciali nel cozzare contro le picche e le armature
dei soldati di Thanos e il sapore metallico del sangue in bocca quando venne
colpita in faccia per la prima volta. Le membra e il viso le dolevano ma non vi
badava, e tale era la sua concentrazione che nemmeno tentò di osservare le
azioni degli altri, per spettacolari che fossero. Per un tempo impossibile da
calcolare il mondo di Erin fu composto unicamente dalla violenza dello scontro,
dallo schivare colpi e menarne di rimando, e nel frattempo intorno a lei lo
scettro del Dio degli Inganni brillò della sua luce azzurra, e Mjölnir calò
inesorabile, e Iron Man volteggiò come una fiamma sgominando intere truppe di
avversari con l’aiuto possente di Hulk, e né Hawkeye né la Vedova Nera né
Capitan America mancarono un solo bersaglio, e tra i nemici s’insinuò il
panico.
D’improvviso
gli auricolari gracchiarono e una voce concitata disse:
«
Direttore? Signori? C’è qualcosa che dovreste sapere. »
« Jane,
sei tu? » chiamò Erin con affanno senza smettere di combattere.
Al capo
opposto dell’apparecchio vi fu una breve interferenza, quindi l’astrofisica
rispose:
« Abbiamo
ricevuto notizie da tutto il mondo, e credo dobbiate sapere subito di cosa si
tratta. Le città assediate non lo sono più da questa notte. »
La voce
di Nick Fury s’intromise nella conversazione, altrettanto agitata:
« Questo
cosa dovrebbe significare, dottoressa Foster? »
« I
soldati di Thanos le hanno abbandonate prima dell’alba. E adesso, direttore,
sono tutti qui, ogni singola truppa. » spiegò Selvig: « Si sono riuniti qui,
solo e soltanto qui. »
Loki
s’immobilizzò, colto da un presentimento, e mirando le alture gli parve di
scorgere il titano rivolgergli un ironico inchino. Poi questi sogghignò
apertamente e l’aria si colmò della sua tremenda e trionfante risata, e l’asgardiano
capì quale errore aveva commesso.
> Note a piè di
pagina
Non sono ancora del tutto sicura che quella di prendere i nemici dall’alto,
lanciandosi da un tetto piatto, sia una strategia militarmente valida, ma a
livello estetico mi piaceva talmente tanto che mi son fatta prendere la mano.
Pardon.
Il cognome dell’agente Gregg è un piccolo tributo a Clark Gregg, l’attore
che interpreta Coulson; le citazioni di quella dannata nerd di Erin penso siano
abbastanza cristalline, compresa quella dei Ray-Ban a specchio.
Ed ecco il Folle Titano che finalmente si mostra di persona…
Come avevo annunciato un paio di capitoli fa – e come s’intuisce dal
titolo – qui come musica la fa da padrone Burn
it to the ground dei Nickelback: è una delle canzoni più badass che io conosca e ormai tendo ad
associarla automaticamente agli Avengers, da quando ho trovato su Youtube un
paio di ottimi fan-video sul film basati su questo brano.
Posso lanciare la domanda di rito “secondo voi cosa succederà, adesso”?
E per la serie let’s do a head count,
vorrei ringraziare i 27 che seguono la storia, i 5 che la preferiscono e i 3
che la ricordano, e naturalmente tutti coloro che leggono; e grazie ad Alkimia e Destiel Doped che si sono unite ai recensori :)
Capitolo 14 *** 14. We will stand tall at skyfall ***
14
14.
We
will stand tall at skyfall
« Avrei
dovuto sospettarlo sin dal principio. » sibilò Loki tenendo gli occhi fissi
sulla figura inquietante del folle titano e trafiggendo al contempo uno skrull
con la lancia.
« Di che
stai parlando, Camoscio d’Oro? » s’informò la voce di Stark attraverso gli
auricolari.
« Non
capite, sciocchi? Ero convinto di essere riuscito ad attirarlo qui a mio e
vostro vantaggio, e invece nell’arco di una sola notte Thanos ha ritirato i
propri squadroni d’assedio dalle città per concentrarli su questa base, come se
non avesse aspettato altro. » proruppe il dio, e con lo sguardo cercò i suoi
interlocutori tra il fumo e la frenesia dello scontro.
« E quale
sarebbe dunque il suo piano? » chiese gridando Thor alle sue spalle.
Loki si
girò verso il fratello, intercettando per un soffio l’affondo di un kree che lo
avrebbe altrimenti colpito al collo e duplicando la propria immagine per un
attimo così da distrarre l’avversario e passare oltre: « Bloccarci,
annientarci, più probabilmente sviarci. Penso che voglia tenerci occupati
mentre si dedica alla realizzazione di un diverso obiettivo. Eppure si trova
ancora qui, su Midgard, e questo non ha senso. » rispose; pronunciò l’ultima
frase quasi tra sé, sforzandosi di decifrare l’incognita che lo turbava da
quella mattina. Era accaduto tutto troppo in fretta e Thanos tuttavia era lì e
sembrava aver pianificato ogni cosa a prescindere dall’improvvisa alleanza tra
il Dio degli Inganni e i Vendicatori, e non muoveva un dito.
« Perché,
a parer tuo dove dovrebbe trovarsi, fratello? » incalzò il Dio del Tuono.
Steve
Rogers raggiunse correndo gli asgardiani, deviando un raggio nemico con lo
scudo, e affiancandosi a loro indicò la collina sulla cui cima il titano
svettava:
« Ovunque
debba andare e qualunque sia la sua strategia, dubito che il nostro ospite
resterà con noi ancora per molto, signori. » esclamò, e i due videro un
velivolo alieno planare rapido accanto a Thanos, un comandante chitauro a
guidarlo. Il titano vi balzò sopra e il mezzo riprese velocità sfrecciando alto
nel cielo, e nel passare sopra le teste dei combattenti il rampollo reietto di
Mentore si premurò di dedicare un beffardo saluto ai due semidei.
Allora
Loki ebbe tutto chiaro e urlò, furioso, sparando colpi in aria con lo scettro
nel vano tentativo di fermare il rivale; Iron Man, intuendo che qualcosa non
andava, provò a seguirlo in volo ma non riuscì a raggiungerlo in tempo, e il
velivolo coi suoi due occupanti scomparve scintillando nell’atmosfera. Erin si
fece largo tra avversari e alleati e si precipitò dal compagno, che terreo in
viso fissava con occhi fiammeggianti l’abbacinante volta celeste:
« Non è
un buon segno che Thanos abbia tagliato la corda, eh? » domandò l’irlandese col
fiato corto. Aveva tagli ed ecchimosi sulle braccia e sangue secco all’angolo
della bocca.
Il dio
dai capelli neri guardò prima lei e poi Thor, quindi afferrò quest’ultimo per
una spalla:
«
Dobbiamo tornare ad Asgard. Subito. » disse.
L’altro
aggrottò le sopracciglia: « Cosa c’entra Asgard, fratello? Non è forse Midgard
a trovarsi in pericolo? O il figlio di Mentore mira ad avere anche il nostro
reame? »
«
Entrambe si trovano in pericolo ed entrambe proprio adesso. La mia stoltezza è
stata quella di credere di avere tempo a sufficienza per impedire a Thanos di
attaccare Asgard, sconfiggendolo qui, ed egli mi ha nuovamente ingannato.
Questo assedio, l’intera invasione di Midgard altro non erano che uno
specchietto per le allodole, un modo per tenerci lontani e impegnati mentre lui
si organizzava per colpire la Dimora degli Dei. E adesso si è recato là per
compiere il suo proposito, e noi dobbiamo fare ritorno per fermarlo. » fu la
replica di Loki, e mentre parlava la sua mente lavorava frenetica: non poteva
certo rivelare di aver sempre saputo quale fosse il vero proposito del titano,
eppure aveva commesso un fatale errore di valutazione e aveva bisogno
dell’aiuto del fratello per porvi rimedio.
Il biondo
serrò la mascella: « Perché Asgard?
Sfidare Odino è pura follia! »
In quella
Erin si avventò contro uno skrull comparso d’improvviso dietro di loro,
incrociando il flauto con la sua picca un istante prima che li colpisse a
tradimento e respingendolo a fatica; il Dio degli Inganni si mosse d’impulso
per darle manforte, vedendola esile e stanca e ferita, ma la donna d’Irlanda
gli ruggì di non badare a lei e di finire il discorso, e prese a lottare come
un’indemoniata contro l’avversario. Combattere sudata, dolorante e coperta di
polvere la liberava da tristi pensieri di addio, e la sensazione era paradossalmente
piacevole.
Loki la
lasciò fare e tornò a rivolgersi a Thor:
« Non
vuole sfidare Odino. Vuole il Tesseract, e credo che puntasse ad esso fin
dall’inizio, sin da quando strinse il patto con me e mi mandò dai midgardiani
per trafugarlo. A Dublino un guerriero kree mi disse che presto Thanos sarebbe
divenuto invincibile e che avrebbe conquistato ogni cosa senza l’ausilio di
soldati o armi. Solo ora mi rendo conto che si riferiva al Cubo e al suo
potere, e sto pagando cara la mia ingenuità. » ammise, pur mantenendo intatta
la menzogna raccontata ai Vendicatori. Spinto da un’inattesa ondata di sincera
angoscia per le sorti del Valhalla strinse la presa sulla spalla del fratello e
ripeté:
«
Torniamo ad Asgard. Insieme potremo avere la meglio su di lui. »
Fare ritorno
a casa in compagnia del Dio del Tuono gli avrebbe comunque permesso di
riconquistare gloria e rispetto, convenne tra sé, e certo la presenza del
primogenito avrebbe fatto sì che il Padre degli Dei spalancasse i cieli per
loro senza indugiare – eppure genuina fu la sua gioia nel leggere commozione e
orgoglio nelle iridi blu di Thor.
Questi
sorrise e gli pose a sua volta una mano sulla spalla, scuotendola appena:
« E
insieme la avremo, fratello, ma affido Asgard a te. Ho giurato di proteggere
Midgard e ho intenzione di onorare la parola data, e rimarrò qui fintanto che
ciò sarà necessario. »
Loki
ritrasse il braccio, perplesso: « Non dirai sul serio. Preferiresti davvero e
di nuovo questa terra mortale a quella che tu stesso chiami “casa” e che ami
come tale? » chiese.
« Sia
Asgard che Midgard hanno bisogno di un dio che le salvi. » rispose il biondo.
Il Dio
degli Inganni rimase in silenzio. In mezzo al fragore della battaglia, al
pulviscolo illuminato dal sole e alle roventi esplosioni, egli capì di aver
ottenuto più di quel che aveva progettato di ottenere e di averlo ottenuto quasi
senza mentire: sarebbe tornato ad Asgard da solo e con la possibilità di
compiere atti eroici che mettessero in risalto le sue sempre ignorate qualità,
e assieme aveva guadagnato la fiducia incondizionata del suo onesto e leale
congiunto. Gli stava offrendo la Dimora degli Dei su un piatto d’argento, gli
stava donando la gloria e un regno con ignara stima, e ciò lo rendeva felice
per più di una ragione.
Così
annuì e ricambiò il sorriso: « Copritemi le spalle. » disse semplicemente, e
strappandosi l’auricolare dall’orecchio corse da Erin e la prese per la vita
trascinandola via con sé, verso la corta scala metallica che da una delle
pareti esterne della base riconduceva al tetto; la musicista ebbe cura di
assestare un ultimo fendente allo skrull che aveva affrontato per proteggere i
due asgardiani, e Thor avvertì Fury e il resto dei membri del Progetto Avengers
del cambio di programma. Chissà che reazione avrebbe avuto il direttore
nell’apprendere le novità, s’immaginò Loki con un ghigno intanto che
s’inerpicava su per i gradini a pioli seguito dall’irlandese: di sicuro avrebbe
pensato che stesse scappando per imbrogliarli o per togliersi d’impiccio, e
assai poco gli importava. Fermare Thanos era la sua unica prorità.
« Cosa
stiamo facendo? O cosa stai facendo tu, dovrei dire. » volle sapere Erin quando
furono in cima. Le sembrava di non avere più respiro nei polmoni e non
comprendeva per quale oscuro motivo il suo divino compagno la volesse al
proprio fianco in quel momento – poiché era ovvio che stava per tornare a casa,
e lei d’un tratto si accorse che avrebbe preferito trovarsi altrove piuttosto
che assistere alla loro separazione.
Gettò
lontano l’auricolare e col cuore in gola e le gambe indolenzite raggiunse il
centro del tetto: il dio dall’elmo cornuto quivi se ne stava, il volto rivolto
al cielo e la lancia e le gambe saldamente piantate sul cemento liscio della
copertura dell’edificio. Teneva le braccia aperte e gridava parole nell’aria
con espressione ardente, il chiarore del giorno che si rifletteva sull’oro
della sua armatura in una miriade di scaglie abbaglianti, e appariva bellissimo
e terribile come quella notte nella grande piazza di Stoccarda. Erin gli si
avvicinò, grata di avere i Ray-Ban a specchio ancora inforcati sul naso a
nasconderle gli occhi lucidi, e guardò a sua volta in alto:
« Stai
aspettando un segno da parte di Odino? » lo interpellò.
« Aspetto
che spalanchi i cieli tra i mondi per lasciarmi passare, e prego con tutto me
stesso affinché mi dia ascolto. » ribatté Loki, la voce che sovrastava il
fragore circostante.
« Ovvio
che ti darà ascolto. Se non lo facesse sarebbe veramente un idiota, con
rispetto parlando. » ghignò lei ostentando arroganza: « E so che arriverai
lassù e che farai ciò che devi, e tutti ti acclameranno per le tue gesta. Credo
di averti insegnato qualcosa su come farsi amare dalla gente, non è così? E
ricorda sempre che quando vorrai nuovamente lanciarti alla conquista del mio
stupido pianeta ti basterà fare un fischio e io ci sarò. »
Lui
abbassò il capo per mirare il suo viso e con fermezza le tolse gli occhiali da
sole:
« Erin...
» mormorò nel notare le lacrime che quella straordinaria, folle mortale
tratteneva fieramente. Cosa doveva fare ora con lei?, s’interrogò. Cosa voleva fare?
« Loki. »
lo interruppe la ragazza di Galway sorridendo: « Sono felice di averti
incontrato. Sono felice di aver vissuto, viaggiato e combattuto con te e di
esserti stata vicina. Sei la cosa più assurda e meravigliosa che mi sia mai capitata.
»
Con le
dita gli sfiorò una guancia e gli si accostò, conscia del fatto che non avrebbe
avuto un’altra occasione e parole più adatte di quelle per confessargli quel
che provava:
« Forse
sei la cosa migliore che mi sia mai capitata. » si corresse in un soffio, e
l’asgardiano avvertì una piccola, tiepida fitta al petto e prese l’irlandese
tra le braccia.
E mentre
si baciavano con foga il cielo parve esplodere sopra di loro, e una cascata di
luce iridiscente da esso si riversò e s’infranse sul tetto a pochi passi dai
due, e per un istante tutti cessarono di combattere e fissarono stupiti
quell’arcobaleno piovuto dal niente.
E si udì
la voce possente di Thor esclamare: « Il Bifröst! Il Bifröst è aperto! », e il
Dio degli Inganni separò a malincuore le proprie labbra da quelle della donna
d’Irlanda e voltandosi vide che suo fratello aveva ragione, e il sangue gli
rombò trionfante nelle vene; ed Erin non credette ai propri occhi, perché
quello era il ponte tra i mondi di cui Jane le aveva narrato.
E Loki comprese
ancora una volta di non avere alcuna intenzione di privarsi della sua midgardiana
compagna, e dacché il Bifröst era tornato a funzionare decise che c’era una
sola cosa da fare: « Vieni con me, Erin Anwar. » le disse, solenne.
La
flautista scosse il capo con una risata incredula e indietreggiò di un passo: «
Mi prendi in giro? Se salgo su quella specie di ascensore cosmico ci saranno
atomi della sottoscritta sparpagliati per tutti i Nove Regni. Non sono
immortale, cazzo, e lo sai bene. »
« Il
Bifröst fu creato per consentire scambi e contatti tra i reami, in special modo
tra Asgard e Midgard. » replicò il dio; « Nessuno ha mai detto che fosse
utilizzabile soltanto da un lato e soltanto dagli Æsir, e che io sappia nessun
mortale ha mai tentato l’impresa. »
« E
dovrei essere io la prima a rimetterci le penne? » fece presente lei in tono
strozzato.
Che il
suo ingannatore divino le stesse chiedendo di seguirlo ad Asgard andava oltre
le sue speranze più ardite e la voglia di accettare era enorme, ma al contempo
aveva paura delle conseguenze. In fondo era una semplice umana, per quanto le
costasse ammetterlo.
« Non
ritieni che valga la pena provare? Nulla di male ti accadrà, finché ci sarò io.
» incalzò Loki tornando a cingerle i fianchi col braccio libero dallo scettro.
« Come
fai a esserne certo? »
Lui la
guardò negli occhi: « Non lo sono. Ma dimmi, Erin Anwar, tu mi ami? »
L’irlandese
annaspò, gli zigomi in fiamme: « Cos... che c’entra questo col resto? »
« Tu mi
ami, Erin di Galway? » ripeté l’asgardiano, ed era serio.
Lei sentì
il volto aprirlesi in un sorriso e il cuore farlesi finalmente leggero, e
scacciando ogni dubbio nel vento e nel bagliore creati dal Ponte Arcobaleno
rispose senza indugio:
« Sì che
ti amo, maledizione. »
Loki
sorrise di rimando: « Allora continua a fidarti di me. »
Erin gli
si strinse contro, la lancia e il flauto che brillavano al sole, e così uniti
saltarono nel cerchio formato dal Bifröst e assieme ad esso scomparvero in uno
spasmo luminoso.
Vorticare
in quella luce iridescente non rassomigliò a niente che la musicista di Galway
avesse sperimentato sino a quel momento. Il corpo sembrava non appartenerle più
e la mente, per quanto si mantenesse attenta, era come preda di un’ebbrezza
feroce e quasi alcolica. La sola cosa tangibile in quei lunghi istanti – o
minuti, o giorni, o addirittura ere intere – fu il Dio degli Inganni che
fermamente la sorreggeva, come d’altronde mai aveva cessato di fare.
Salirono
verso il cielo a tutta velocità, o forse viaggiarono in una direzione che non
aveva nome nelle lingue conosciute da Erin, e quando l’arcobaleno che li
avvolgeva sbiadì fu chiaro che erano giunti a destinazione: sotto i loro piedi
si stendeva una strana superficie nera e lucida, simile all’ossidiana, che rifletteva
le loro immagini barcollanti, e sopra le loro teste campeggiava una bassa
cupola decorata con grandi ruote d’oro intrecciate.
« Somewhere over the Rainbow. » mormorò
l’irlandese scostandosi appena dal compagno e strizzando le palpebre; aveva lo
stomaco annodato e la vista annebbiata.
« Sii il
bentornato, principe. » disse poi una voce profonda e vibrante.
Gli occhi
ancora affaticati di Erin si posarono sulla figura di un uomo alto, possente e
ricoperto da una lucente armatura che immobile li osservava dall’alto con
strane iridi ambrate; si ergeva ben saldo sul piedistallo che campeggiava al
centro dell’ambiente circolare in cui si trovavano e teneva tra le mani una
grande spada, la punta rivolta verso il basso.
Loki
avanzò di un passo: « Felice di ritrovarti, Heimdall, ora più che mai. » lo
salutò.
L’altro
dovette cogliere l’assenza d’ironia nelle parole del dio, poiché chinò il capo
con una certa deferenza e rispose: « Lo stesso vale per me nei tuoi confronti,
principe. Che anche la dama midgardiana sia la benvenuta, naturalmente. Mi
auguro che sia in buona salute. »
« Lo
sono, grazie mille. » grugnì l’interpellata azzardando una goffa riverenza.
Stava cercando di metabolizzare il fatto di essere a tutti gli effetti finita
nel Valhalla.
Heimdall
annuì e scese rapido dal basamento, affiancandosi a Loki:
« La
situazione è alquanto grave, principe. Da alcune ore forze ostili cingono
Asgard d’assedio e hanno ormai raggiunto le porte del palazzo reale. L’arrivo
del figlio di Mentore ha dato una svolta per noi negativa all’assalto. Ha
condotto lui medesimo l’attacco contro la reggia e temo per la sorte di coloro
che incroceranno il suo cammino. Cosa va cercando? » gli chiese.
« Ho
ragione di supporre che voglia il Cubo Cosmico. La prospettiva è disastrosa e
proprio per evitarla sono tornato. Ma dimmi, Heimdall, » replicò il Dio degli
Inganni guardandolo di sottecchi, « come può il Bifröst essere nuovamente
integro e funzionante? »
Il
guardiano del Ponte gettò un’occhiata nervosa verso quella che doveva essere
l’entrata della cupola d’oro, e nel breve silenzio che seguì Erin colse rumori
di battaglia non troppo distanti e uno scalpiccìo concitato oltre la soglia; «
Il Padre degli Dei è riuscito a ricrearne un tratto ampio abbastanza da
permettere contatti diretti con Midgard, subito prima che giungessero i nemici.
» rispose quindi Heimdall: « Probabilmente immaginava che a te o a Thor
sarebbero presto serviti aiuti, principe, e lui da solo non avrebbe potuto
provvedervi. Adesso un drappello di soldati difende l’Osservatorio per evitare
che gl’invasori se ne servano per richiamare le truppe lasciate su Midgard e di
cui i vostri alleati umani si stanno occupando. »
Loki
sogghignò appena, compiaciuto che l’altro non si fosse riferito a Odino come
“suo padre” né a Thor come “suo fratello”. Tosto però la sua espressione tornò
grave e le sue dita si strinsero attorno allo scettro sino a sbiancargli le
nocche:
« Dunque
Thanos è già dentro il palazzo. » constatò con sguardo fosco.
«
Suppongo di sì, principe, e i suoi stanno seminando distruzione e morte sulle
belle terrazze di Asgard come non accadeva da tempo immemore. » annuì il
gigantesco custode.
Il dio
dall’elmo cornuto si voltò a cercare gli occhi accesi e vigili dell’irlandese
in un tacito scambio, e lei fece un cenno d’assenso per fargli capire che era
pronta ad agire. Senza aggiungere una parola i due superarono il piedistallo
aureo e Heimdall e corsero all’ingresso, e ciò che videro una volta usciti
dall’Osservatorio mozzò loro il fiato nei polmoni: il cielo sopra la Dimora
degli Dei era adombrato dai velivoli e dalle navi da guerra di skrull, kree e
chitauri e vomitava fuoco e soldati; dalla città si udivano suoni divenuti
ormai terribilmente familiari perfino per la ragazza di Galway – urla e sibili
di lame e forti esplosioni – e il piano iridato del Bifröst era teatro di
scontri tra invasori e guerrieri asgardiani da lì ai cancelli della reggia.
Ma Erin
notò anche la maestosità di ciò che le si dispiegava dinanzi, seppur distorta
dal conflitto, e per un istante un’eccitazione incredula ebbe di nuovo la
meglio sulla tensione.
Gli
armigeri a cavallo che presidiavano l’ultimo tratto del Ponte Arcobaleno si
bloccarono alla comparsa di Loki e dell’irlandese, e non sapendo come
comportarsi nei confronti del principe esiliato non fecero in tempo neppure a
mettersi sull’attenti, indugiando con sguardi dubbiosi e inquieti. Egli però
non vi badò e afferrò le briglie del destriero che gli era più vicino:
« Ho
bisogno di una cavalcatura per raggiungere il palazzo. » annunciò perentorio.
L’uomo
sulla sella smontò in fretta e d’istinto s’inchinò per lasciar passare il dio
mentre questi si issava sull’animale e aiutava Erin a fare altrettanto di modo
che gli si sedesse davanti.
«
Difendete l’Osservatorio a costo della vostra vita. » disse ancora Loki, quindi
fece schioccare le redini e lanciò il cavallo al galoppo verso le alte torri
d’oro del palazzo reale, da cui si levavano sporadiche ma alte colonne di fumo
scuro. La sua mente era avvolta da un bizzarro senso d’allerta e d’ignoto che
non gli piaceva affatto, come se Thanos continuasse a trovarsi in vantaggio
senza che lui riuscisse a capire in che modo; e se da una parte era convinto di
essere giunto in tempo e di avere il controllo, dall’altra sentiva che era
tutto inutile. Le sole cose certe in quel momento erano il peso rassicurante
dello scettro nella sua mano destra e il calore della schiena della donna
d’Irlanda premuta contro il suo petto.
Lei
strizzava le palpebre per riparare i propri occhi brucianti dall’aria che smuovevano
cavalcando, le dita saldamente ancorate ai finimenti della bestia, e più la
mole della reggia si faceva vicina e i combattimenti lungo il Bifröst serrati,
più una stilla gelida di paura la pungolava alla base della schiena e le
spingeva lo stomaco in gola. Poi un soldato dall’armatura aurea cadde morto
dinanzi a loro, costringendo il Dio degli Inganni ad un brusco scarto:
l’irlandese si rese conto con sciocca sorpresa che persino coloro che abitavano
il Valhalla potevano perdere la vita, nonostante gli umani li considerassero
dèi, e a tal pensiero la lama d’angoscia si fece più acuta e il cuore le mancò
di un paio di battiti.
Il grande
spiazzo di marmo chiaro che si apriva all’ingresso della dimora di Odino era
gremito di duellanti, un’irta foresta di spade e picche che Loki traversò senza
rallentare e travolgendo alcuni nemici; qualcuno gridò “il principe è tornato!”
ed egli riconobbe fugacemente la figura di Sif in quella babele di corpi
agitati. Erin colpì due o tre kree col flauto, nella corsa, e il cavallo li
portò oltre i cancelli principali fino al primo cortile interno del palazzo: le
bianche pietre liscie del selciato erano macchiate di sangue e su di esse
giacevano molti caduti e armi spezzate, e tuttavia gli scontri interni
sembravano essersi spostati ai piani superiori.
Loki
fermò il destriero e rapido ne scese, subito imitato dalla compagna:
« Tu
resta qui, mentre io vado a cercare Thanos. » le ordinò; « Lanciati in
battaglia solo se necessario e aspettami, o quantomeno aspetta di capire cosa
mi sarà accaduto. »
La
musicista ignorò di proposito le infauste ipotesi che quella frase recava tra
le righe:
« Allora
mi nascondo e basta come una donzella qualsiasi? » domandò con sussiego.
« Fa’
quel che ritieni più saggio, Erin Anwar, ma non farti né catturare né uccidere.
» rispose il dio. Sogghignava, eppure il suo sguardo era grave.
L’irlandese
protese il viso verso quello di lui con espressione altrettanto seria:
« E tu
fai secco quello stronzo. » si raccomandò, dura, sfiorandogli le labbra con le
proprie.
Di
rimando l’asgardiano la baciò, e per una manciata di attimi rimasero l’una
nelle braccia dell’altro. Quindi si separarono senza pronunciare ulteriori
parole, Loki si diresse all’imponente porticato che coronava il patio e nella
sua penombra scomparve, lasciando Erin ad agitarsi nervosamente sul posto con
adrenalinica indecisione.
Il Dio
degli Inganni risalì molte rampe di scale e superò in fretta balconi, corridoi
e sale che ben conosceva, scivolando sui lucidi pavimenti ora insozzati dalla
guerra; s’imbatté in alcuni nemici e li uccise continuando ad avanzare, e al
contempo studiò con attenzione tutto quel che gli accadeva intorno: udiva rumori
di battaglia sopra la sua testa, e il palazzo fino a lì era pressoché deserto –
non v’erano vivi, né tra gli asgardiani né tra gli invasori, e non v’era
traccia del folle titano. D’un tratto ogni cosa fu come percorsa da uno spasmo
della durata di un istante, una vibrazione appena distinguibile che parve
alterare brevemente lo spazio e la percezione che Loki aveva di esso. Tuttavia non
se ne curò troppo e giunse nell’immenso salone delle cerimonie con il pensiero
concentrato soltanto sulla vittoria che giocando bene le proprie carte avrebbe
conquistato. Le uniche luci che brillavano nei pressi del trono vuoto di Odino
erano quelle dei bracieri che non giacevano riversi a terra, e in quell’oscurità
il dio distinse, al centro del camminamento d’onore, due imponenti sagome perfettamente
immobili: la prima era distesa e all’apparenza esanime, la seconda le si ergeva
di fronte a gambe divaricate, avvolta in un ampio mantello, e dava le spalle a
Loki.
Questi si
arrestò a poca distanza da essa e abbassò il bastone con una corta risata:
« Dunque in
un modo o nell’altro mi sono affrettato inutilmente a tornare qui. » azzardò.
La figura
in piedi si voltò lentamente, un lieve bagliore freddo e azzurro crebbe
nell’aria e Thanos il Rosso rise a sua volta, il Tesseract ben saldo tra le sue
enormi dita:
« Ti sei sempre affrettato inutilmente,
asgardiano, e oggi più che mai. » lo schernì con terribile soddisfazione e con
ghigno ferale, e il Dio degli Inganni realizzò in un lampo che il corpo
inanimato sul pavimento doveva appartenere al Padre degli Dei.
Ma prima
che potesse controllare, prima che potesse anche solo immaginare una mossa astuta
da mettere in pratica, il titano rise di nuovo e allungò una mano, e un’ondata
di caldo accecante scaturita dal suo palmo aperto travolse Loki in pieno.
Il colpo
lo scagliò lontano con violenza ed egli non vide più niente.
Banner
creato da Blue_Moon in onore della storia
(leggete la sua Crepe, ultima parte della
trilogia Similitudini – merita davvero!)
> Note a piè di
pagina
Chiedo venia per il ritardo; tra prove, concerti, feste e università son
di rado a casa tranquilla.
Sarei curiosissima di sapere se vi aspettavate il risvolto asgardiano ;)
anche se con Thanos e Tessie in ballo penso fosse quasi scontato, per quanto
speri di no. In ogni caso ci siamo, e sapetelo:
con me o benebene o malemale, il finale. In origine la storia finiva più o meno
qui, senza altri colpi di scena, ma il mio consorte mi ha suggerito una virata
di trama moooolto più interessante che io ho rielaborato. Non vi dirò qual era
l’idea originale, poiché credo che la presente sia assai migliore :D
AVVISO: il prossimo capitolo sarà lunghissimo, circa dieci pagine word.
Non potevo spezzarlo e vedrete perché.
Già che ho messo il bel banner creato da Blue, vi lascio il link al tumblr che ho aperto apposta come
portfolio per tutte le grafiche e i disegni che faccio sulla Majestic: the
majestic tale. Ho scelto Emma Watson per rappresentare
Erin perché è il volto cinematografico che più si avvicina, esteticamente ed
espressivamente, all’idea che ho della mia irlandese.
Il titolo del capitolo è preso da Skyfall
di Adele, che è anche uno dei brani portanti di questo e del prossimo atto; l’altro,
che calza a pennello soprattutto con la scena sul tetto, è Everybody is on the run di Noel Gallagher & His High Flying
Birds.
E sì, io e gli sceneggiatori di The
Dark World siamo telespastici, visto che a quanto pare il Bifröst è davvero
tornato a funzionare e che è possibile portarsi la ragazza su ad Asgard ;D
Siete saliti a 41, o voi che seguite, perciò grazie mille a tutti! Sotto
con le ipotesi su quel che accadrà…
Capitolo 15 *** 15. Dying is the day worth living for ***
15
15.
Dying
is the day worth living for
Le pareti
della cella andavano a stringersi man mano che salivano, fino a congiungersi
nel loro punto più alto, e la nera roccia di cui erano fatte baluginava
cupamente al lume dell’unica e debole fiaccola che rischiarava l’angusto
ambiente.
Il Dio
degli Inganni le percorse con lo sguardo per l’ennesima volta, infastidito dalla
mancanza di vie di fuga da quel luogo che mal gli si addiceva: si trovava nelle
segrete di quello che fino a tre giorni prima era stato il palazzo di Odino,
rinchiuso tra gli impenetrabili strati di pietra e terra che si dipanavano
nelle sue fondamenta e con la sola compagnia delle proprie tremende
riflessioni. Avrebbe dovuto trovarsi nelle dorate sale che lo sovrastavano,
adesso, acclamato e rispettato, ma Thanos il Rosso si era preso tutto ciò che
aveva sperato e progettato di ottenere – Thanos che lo aveva battuto ancora,
Thanos che aveva preso per sé entrambi i mondi che gli spettavano e che aveva
ucciso coloro che lui soltanto avrebbe avuto il diritto di uccidere.
In verità
non aveva visto niente coi propri occhi, dacché dopo il terribile colpo
ricevuto si era ridestato nelle prigioni: era stato il titano in persona a
riferirgli quell’infausto ammontare di notizie, godendo del suo livore e della
sua inutile rabbia, descrivendogli la morte dei sovrani di Asgard e di decine
tra dame, guerrieri e dignitari, e lo sbaragliamento del possente esercito del
Valhalla e la conquista dell’Osservatorio che gli aveva permesso di riservare
la medesima sorte ai Vendicatori e al Dio del Tuono. Così adesso Asgard e
Midgard erano completamente soggiogati e suo il Tesseract, e il cosmo intero
potenzialmente alla sua mercé.
Loki era
l’ultimo rimasto capace di contrastare Thanos e dunque per ultimo questi lo avrebbe
ammazzato, durante la cerimonia di trionfo che il figlio di Mentore si sarebbe
concesso l’indomani per consacrare la propria indiscussa vittoria di fronte
agli ormai inermi sudditi di Odino, gli stessi che assistendo alla morte del
principe esiliato avrebbero provato compassione e tristezza, ritenendo troppo
tardi preferibile la sua malignità al giogo del titano.
Il dio
serrò i denti, furente, e nonostante il blocco magico che gravava sui
sotterranei tentò di riflettere a mente lucida: era plausibile che Thanos gli
stesse mentendo per confonderlo e piegare la sua volontà, e tuttavia non
v’erano segni che indicassero che Thor e gli altri fossero ancora vivi o in
grado di tirarlo fuori di lì; se fosse riuscito a liberarsi mentre lo
trasferivano all’esterno per l’esecuzione avrebbe potuto appropriarsi del Cubo
e scoprire come stavano invero le cose, magari addirittura ribaltandole a
svantaggio del nemico, ma si rendeva conto alla perfezione che da solo e senza
un valido aiuto sarebbe andato poco lontano.
I suoi
pensieri si ancorarono d’improvviso sulla donna d’Irlanda, stringendogli la
gola in una lieve morsa d’apprensione. Si domandò di nuovo se era riuscita a
mettersi in salvo, se aveva trovato il modo di nascondersi o fuggire o se aveva
piuttosto commesso una qualche idiozia impulsiva. Non tollerava l’idea che
fosse perita ed era certo che Thanos non l’avesse mai menzionata, che nemmeno
si rammentasse della sua esistenza, il che era positivo. Eppure, si disse
subito dopo, quanto mai a lungo sarebbe sopravvissuta, umana e sola in un mondo
sconosciuto e col proprio assediato e distante anni luce? Forse Erin Anwar non
era straordinaria abbastanza, né lui pretendeva o si aspettava che lo fosse.
Poi
immaginò un altro modo in cui i suoi sciocchi congiunti potevano aver perso la
vita, e provando sconforto e invidia assieme capì cos’era la pena che il folle
titano gli aveva promesso e infine inflitto: non dolore fisico o mentale, bensì
lo sgomento e l’ira del vedersi sottrarre qualunque cosa, la gloria e la
vendetta, il potere e la rivalsa, e finanche gli affetti e l’odio che per lui
erano da sempre quasi indistinguibili. Gli aveva tolto persino l’opportunità di
uccidere suo padre e suo fratello con le proprie mani, qualora il desiderio di
farlo fosse divenuto impellente al punto di non potersi trattenere, e questo
era l’affronto più grande.
In quella
rumori confusi giunsero alle orecchie di Loki, grida soffocate e colpi
metallici che sembravano provenire dai corridoi che serpeggiavano tra le celle,
ed egli balzò in piedi con un accenno di sorriso sulle labbra secche. Il tumulto
si avvicinò rapidamente alla porta di legno massiccio e ferro battuto che lo
divideva dalle opportunità di rappresaglia che ancora aveva e il ghigno gli si
allargò sul volto: gli era parso di riconoscere la voce di Sif, là fuori.
Ma quando
il legno e il ferro si spaccarono, liberando la soglia, e le sagome della dama
guerriera e di Hogun il Taciturno emersero dalla polvere provocata
dall’impatto, lo stupore gli mozzò il respiro nei polmoni per un istante –
poiché in mezzo a loro stava l’irlandese, scarmigliata e smagrita e non per
questo priva della sua consueta arroganza, le iridi fiammeggianti. Brandiva
fieramente il flauto e lo scettro che il dio credeva d’aver smarrito, e la sua
espressione tradiva un sollievo troppo profondo per essere descritto a parole.
Tuttavia sorrise
sfrontata e gli si avvicinò porgendogli la lancia:
« Ciao,
dolcezza. » esordì in un’arguta e midgardiana citazione.
Erin
fissò gravemente l’ombra del colonnato sotto il quale era scomparso Loki,
stordita dal contrasto tra la quiete innaturale che regnava nel cortile e il
clamore degli scontri che all’esterno del palazzo non accennavano a diminuire. Aveva
un fastidioso bisogno di arrendersi alla tentazione di seguirlo dentro la
reggia, ignorando la sua richiesta di tenersi al sicuro, e fu solo la paura
informe che aveva del titano a far sì che rinunciasse all’idea.
Scelse quindi
di spostarsi con cautela verso il campo di battaglia, dato che paradossalmente la
prospettiva di starsene rannicchiata in un angolo a fantasticare sul come e il
quando i nemici l’avrebbero scovata e catturata le risultava più insopportabile
di qualunque altro rischio. Contrasse le dita, misteriosamente fredde, sul
metallo del flauto, che tintinnò contro quello dei parabracci facendola
sussultare: si disse che il suo divino compagno avrebbe portato a termine la
sua missione in tutta fretta e che l’avrebbe presto recuperata, e poi si
sarebbero goduti il trionfo che spettava loro sin dall’inizio; si trattava di
resistere una manciata di minuti, una mezz’ora al massimo, e magari di
guadagnarsi una parte di gloria personale battendosi come la Furia Irlandese
che era in mezzo ad alieni e asgardiani.
Rincuorata
appena da quel pensiero, Erin imprecò per darsi coraggio e corse verso i
cancelli con un ruggito, lo strumento alzato sopra la testa e sfavillante come
una fiamma bianca. Giunse alle spalle di un manipolo di kree, cogliendoli alla
sprovvista, e si fece strada in quell’intrico di corpi e armi menando colpi a
più non posso – tanto che in molti la notarono, tra i difensori, figura esile e
chiara comparsa dal niente. Resistette più a lungo che potè, muovendosi quasi
alla cieca, eppure lo scontro sembrava non evolvere in alcun modo e non era
facile capire quale delle due fazioni avesse avuto la meglio sino ad allora,
mentre il cielo andava oscurandosi progressivamente di crepuscolo e navi
ostili.
D’improvviso
una forte deflagrazione proveniente dal palazzo sovrastò ogni altro suono e
tutti si bloccarono; Erin sollevò il capo di scatto verso le torri dorate ben
sapendo che qualcosa, là dentro, era per forza accaduto, e fu certa che Loki si
sarebbe mostrato a momenti.
Ma colui
che avanzò ghignante e temibile fino al parapetto di una delle balconate
d’onore non fu il Dio degli Inganni: fu invece Thanos il Rosso, l’armatura
annerita da sangue altrui e il Tesseract che baluginava gelido tra le sue mani,
e al vederlo i suoi soldati lanciarono un boato trionfante e gli asgardiani
proruppero in grida sgomente e rabbiose, e nella testa della ragazza di Galway
esplose una bolla di vuoto. Vacillò, e come attraverso una massa d’acqua udì il
titano annunciare la propria vittoria e la caduta dei sovrani del Valhalla e
intimare la resa dell’esercito avversario. I guerrieri fedeli al Padre degli
Dei però urlarono in risposta e tentarono un ultimo e ormai vano contrattacco,
e l’irlandese annaspò in cerca di una via d’uscita dalla calca; incespicò
fortunosamente verso il cortile da cui era venuta e lo attraversò correndo, attonita
e dolorante, e senza sapere cosa stesse facendo né dove stesse andando imboccò
un cancello minore che si apriva sul lato opposto a quello dell’entrata
principale.
Scese una
scala, cadde e si rialzò, e continuando a correre si ritrovò nei giardini
reali, desolati e con tracce di battaglia a rovinarne lo sfarzo e le mille
fontane. Riusciva a pensare soltanto alle tremende parole di Thanos e al loro
significato, e all’esplosione di poco prima: Loki era stato sconfitto e
probabilmente ucciso, e lei era sola e inerme in un posto sconosciuto e ostile
e in una situazione di merda da cui non sarebbe mai uscita indenne.
I suoi
piedi incapparono in un ostacolo ed Erin rovinò a terra per la seconda volta:
«
Vaffanculo! » sbraitò con voce rotta e con la faccia affondata nell’erba, gli
occhi brucianti per la polvere e le lacrime trattenute. Non lo rivedrò più, si
ripetè, non lo rivedrò davvero più.
Tastò il
terreno per rimettersi in piedi e le sue dita toccarono qualcosa di freddo e
liscio e di forma oblunga, e con notevole sorpresa riconobbe lo scettro del dio
nella sua forma corta; doveva essere caduto da uno dei terrazzi, scagliato
all’esterno dall’onda d’urto dello scoppio, e sebbene ciò confermasse la
peggiore delle ipotesi ch’ella aveva preso in considerazione l’avere
quell’oggetto tra le mani le diede coraggio. Si sarebbe nascosta, decise
l’irlandese, e avrebbe atteso qualche giorno per scoprire cos’era successo
realmente e se aveva o avevano qualche speranza di sottrarsi alla sorte che
Thanos sembrava aver tracciato per loro – oppure sarebbe tornata sulla Terra,
si disse, ma non senza aver prima fatto il possibile e finanche l’impossibile
per ricongiungersi col suo divino compagno.
Con
entrambe le armi in pugno si addentrò ulteriormente nel parco della reggia, i muscoli
tesi per il timore d’incontrare squadroni di ricognizione o ulteriori
schermaglie e riflettendo su dove potersi rifugiare: restare dentro il
perimetro della dimora di Odino le avrebbe garantito maggiore vicinanza a Loki
e contemporaneamente al nemico, ed era troppo rischioso.
Allora
seguitò a camminare furtiva, tra alberi e prati e bacini d’acqua e cadaveri di
soldati e cortigiani che giacevano grottescamente tra l’erba calpestata, e si
trovò infine davanti ad un alto muro aureo e ad un portale secondario che si
affacciava sulle guglie e cupole della città; un ponte sottile collegava le due
parti, ed Erin concluse tra sé che mimetizzarsi tra la gente di Asgard le
sarebbe tornato utile per più d’un motivo. Guardandosi attorno vide altri
caduti, e vincendo la lieve repulsione che provava trafugò in fretta dai corpi
esanimi un paio di manti, una cinta e un pugnale, il cuore pulsante in gola e
la testa che le girava. Gettò un’ultima occhiata alla mole d’oro che la
sovrastava e rapida corse via lungo il ponte, sagoma silenziosa e minuta sotto
la cappa scura della notte in arrivo e dell’infausta guerra.
Trascorsero
così due giorni, lenti ed estenuanti nella loro angoscia. La resa degli
asgardiani fu invece celere e pressoché indolore, poiché l’apprendere l’uccisione
dei sovrani e la disfatta dell’esercito tolse agli abitanti del Valhalla ogni
intento di reagire.
Erin
indossò uno dei mantelli presi nei giardini e nell’altro avvolse lo scettro per
celarlo agli sguardi delle pattuglie del titano, mentre con la cintura si
assicurò il flauto e lo stiletto alla vita. La gente dovette scambiarla per una
guerriera o una dama in fuga e riuscì pertanto a procurarsi cibo e qualche
aiuto senza dare nell’occhio; sembrava inoltre che nessun invasore badasse a
lei o le desse la caccia come facevano con i soldati di Odino scampati al
massacro, forse perché non sapevano della sua esistenza o non se ne curavano,
dacché era umana. Non avevano tutti i torti, borbottava la musicista di Galway:
era furiosa e spaventata e sapeva per certo che non avrebbe resistito a lungo
mangiando e dormendo a malapena, senza lavarsi e coi nervi sempre in allerta.
In quello stato non avrebbe nuociuto a nessuno.
Le voci
che giravano per le strade e le isole della capitale erano vaghe e allarmanti.
Si parlava della conquista dell’Osservatorio e di conseguenza di Midgard, della
morte di Thor e di altri tra gli eroi terrestri e del trionfo che Thanos il
Rosso stava organizzando per celebrare la propria schiacciante vittoria di
fronte a coloro che aveva soggiogato. C’era chi diceva che il principe
dall’elmo cornuto fosse perito come il resto della famiglia reale, chi era
convinto che fosse alleato del titano e chi affermava che era tenuto
prigioniero nelle fondamenta della reggia; qualcuno fece riferimento al Cubo ed
Erin si chiese quali fossero gli effettivi poteri di esso, se non fosse la
chiave per sbrogliare quella matassa da incubo in cui si trovava. Non dava
eccessivo peso alle congetture degli asgardiani e desiderava fonti attendibili
dalle quali apprendere la verità, e tremava per amici e parenti e per la
propria casa, oltre che per Loki.
Vagò tra
le vie e gli alti palazzi anneriti senza una meta precisa, aspettando di nuovo
un segnale o un indizio che forse non avrebbe neppure riconosciuto, e al
sorgere del sole del terzo dì si azzardò a spingersi su un’altura isolata per
osservare meglio quello che la circondava: si acquattò presso un folto
d’alberi, le orecchie pronte a cogliere suoni di cui preoccuparsi, e vide Asgard
scintillare debolmente innanzi a sé, una distesa di edifici maestosi, acque e
colline che si perdeva all’orizzonte sino a confondersi coi monti lontani nella
caligine del mattino; qua e là si levavano ancora scie di fumo, sintomi di
scontri notturni, e al centro di quel panorama si ergeva la massa dorata della
reggia, austera e all’apparenza incrollabile. Il cuore dell’irlandese vibrò di
eccitazione non richiesta di fronte allo spettacolo che le colmava gli occhi,
così simile a ciò che da sempre si era immaginata leggendo le storie che amava,
così solenne e antico e ignoto – e di colpo il cuore le piombò nello stomaco al
pensiero del Dio degli Inganni di cui più niente sapeva e che troppo le
mancava.
Alle sue
spalle vi fu un un sommesso scricchiolìo che la fece sobbalzare, tesa come una
corda del violino di Sylvia, e di scatto si voltò rimanendo accucciata a terra:
qualcuno si era mosso tra la vegetazione a pochi passi da lei e ora tratteneva
il respiro, celato dal verde e dall’ombra. Se si fosse trattato di uno
scagnozzo di Thanos non si sarebbe certo premurato di tenderle un agguato prima
di balzarle addosso per sgozzarla, ma la prudenza non era mai troppa ed Erin
impugnò con entrambe le mani lo scettro di Loki senza sfilarlo dalla stoffa che
l’avvolgeva.
Tornò
quindi in posizione eretta e si addentrò nel boschetto seguendo l’eco dello
scricchiolare di poco prima, e non appena avvertì frusciare le fronde dietro di
sé piroettò rapida su un piede fendendo l’aria con l’arma infagottata;
l’oggetto cozzò contro un ostacolo metallico e la flautista si ritrovò a
fissare con stupore un paio di scure iridi fiammeggianti e il bellissimo viso
di una donna in abiti da guerra che brandiva una corta spada. A lei si
accompagnava un uomo dai tratti che su Midgard si sarebbero detti asiatici, ed
erano entrambi impolverati e malmessi al pari di Erin. Quest’ultima rilassò i
muscoli delle braccia:
«
Asgardiani! » esclamò sollevata abbassando il bastone.
« Come
te, suppongo. » ribatté la donna imitandola e studiandola con attenzione.
L’irlandese
fece spallucce: « Non proprio, ma non ha importanza. »
« Sif, è
lei, è la Dama del Flauto. » s’intromise l’altro guerriero: « È la donna
mortale giunta con Loki durante la battaglia a palazzo, la fanciulla che
viaggia con lui. »
Erin
inarcò un sopracciglio, divertita da quella lista di epiteti altisonanti, e
colei che rispondeva al nome di Sif parve gradire la notizia tanto da abbozzare
un sorriso:
« Allora
è il fato che ha voluto che finalmente t’incontrassimo. » decretò.
« O più
semplicemente il fatto che ci stiamo tutti e tre nascondendo come fottuti topi.
» disse la musicista con sprezzante amarezza; « Comunque mi chiamo Erin Anwar.
»
L’uomo
chinò il capo in segno di rispetto: « Io sono Hogun e questa è Lady Sif,
guerrieri della casa di Odino e amici d’infanzia dei suoi figli. Avevamo due
fidati compagni, Fandral e Volstagg, ma abbiamo perduto ogni loro traccia dopo
la disfatta dell’esercito. »
« Sì,
Loki mi ha raccontato di voi. » borbottò Erin con una vena di sarcasmo.
« Siamo
riusciti a fuggire prima di essere catturati e adesso siamo braccati come gli
altri fuggiaschi scampati alla furia dei soldati del titano. Abbiamo tentato di
restare in città per trovare compagni d’arme e punti deboli del nemico, ma ci
hanno scoperti e da due giorni ce ne stiamo rifugiati qui inutilmente. »
proseguì Sif. « A te cos’è accaduto, Erin Anwar? »
« Sono
scappata attraverso i giardini della reggia, mi sono camuffata e ho vagato per
le strade raccogliendo informazioni che non mi sono servite a niente. Credo che
nessuno mi stia braccando e credo che a nessuno skrull importi di un’umana
dispersa in un mondo di dèi. Sono salita quassù soltanto per dare un’occhiata
in giro. » rispose lei. Il sole si stava facendo più alto nel cielo e i suoi
raggi iniziavano a penetrare attraverso il fogliame.
« Sei una
creatura valorosa, Dama del Flauto. » mormorò Hogun.
Erin lo
guardò e gli sorrise: « Valorosa non saprei. Ma ditemi, cosa c’è di vero in ciò
che si dice in giro? Ho udito versioni estremamente discordanti circa l’attuale
stato delle cose. »
La guerriera
rinfoderò la propria arma e prese a camminare sul posto, corrucciata:
« Il
Padre degli Dei e la sua sposa sono morti per mano di Thanos medesimo, e Thor è
caduto combattendo su Midgard. I nostri eserciti sono stati decimati e così
quelli della tua gente, e Loki è stato rinchiuso nei sotterranei della reggia.
Anche il Bifröst è stato conquistato. »
« Dunque
Loki è vivo. » quasi gridò l’irlandese col battito cardiaco conficcato in gola.
« Non lo
sarà ancora per molto, temo. » interloquì gravemente Hogun.
Erin lo
ignorò: « Siete proprio certi che Odino, la regina, Thor e i Vendicatori siano morti?
Avete forse visto i loro corpi? Non potrebbero essere stati imprigionati come
Loki? »
« Non
abbiamo visto alcun corpo, all’infuori di quelli dei nostri soldati. » rispose
Sif; « Eppure, potrebbe essere altrimenti? Se fossero ancora vivi sarebbero
ricomparsi per incitare gli animi e scacciare il nemico, e se fossero
prigionieri perché Thanos avrebbe annunciato il solo supplizio di Loki per
domani? No, Erin Anwar, sono periti e non v’è speme per noi. »
La
musicista sussultò come se una frusta le avesse sferzato la schiena:
«
Supplizio? Che supplizio? Sapevo del trionfo che quello stronzo si è
organizzato, non di una qualche cazzo di esecuzione. » proruppe in tono strozzato,
la fronte imperlata di sudore.
Sif parve
esitare un istante, probabilmente disorientata dai turpiloqui della ragazza di
Galway: « Thanos lo farà giustiziare sulla pubblica piazza durante la cerimonia
di domani. Sarà la sua consacrazione, e sarà definitiva. Loki è l’unico che
potrebbe ancora contrastarlo. » disse.
Gli occhi
di Erin dardeggiarono inquieti nella penombra verde screziata d’oro in cui i
tre erano immersi e per un po’ nessuno parlò. Non è ancora morto, ripetè tra sé
l’irlandese per mantenersi calma, e non lo sarà fino a domani. Un giorno
soltanto la divideva dall’inevitabile e un giorno soltanto le era concesso per
renderlo vano, e il solo modo per farlo o quantomeno tentare era talmente folle
da risultare allettante. Erin riprese perciò la parola:
« Bene.
Dobbiamo liberarlo. » affermò con ovvietà.
«
Vorresti irrompere tra le file di guardie armate mentre lo conducono al
patibolo? » scattò Sif serrando i pugni: « Finiremmo in catene e moriremmo
assieme a lui! »
L’altra
piegò la testa di lato con un ghigno leggero: « Non nego che mi piacerebbe un
sacco riuscire in un’impresa del genere, ma non era a questo che pensavo.
Vorrei piuttosto organizzare un’evasione in grande stile prima che il sole
sorga di nuovo. »
« Anche
questo è troppo rischioso. » commentò lugubremente Hogun.
L’irlandese
non seppe reprimere un moto di stizza e alzò la voce: « C’è qualcosa che non sia rischioso nella situazione di
merda in cui siamo? Io non ho intenzione di lasciarlo morire e non me ne andrò
senza di lui, dovessi infilarmi da sola in quelle prigioni. »
« Dunque
tu lo ami. » constatò la guerriera, meravigliata e colpita dalla sua fierezza.
« Sì. Sì,
è così. » rispose semplicemente Erin fissandola; « Però c’è dell’altro, perché
come tu stessa hai detto Loki è l’unico rimasto in grado di contrastare Thanos
e le sue macchinazioni. Sono convinta che il dannato Tesseract sia la chiave di
tutto, e se Loki ci metterà le mani saprà cosa fare. Potrei provarci io se
sapessi come utilizzare questa. », e nel dirlo liberò la punta dello scettro
dalla stoffa del manto che lo celava. Il metallo e la bolla blu scintillarono
freddi tra gli alberi e i due asgardiani trattennero il respiro:
« Loki ti
ha affidato la sua arma? » si stupì Hogun, e al contempo Sif le chiese per
quale motivo era tanto sicura che il bastone avrebbe funzionato contro il
potere del Cubo.
« So che
durante la battaglia di New York è stato lo scettro a provocare la chiusura del
varco tra i mondi aperto dal Tesseract e attraverso cui le truppe di Thanos si
riversavano sulla città. Se anche adesso il Cubo è in azione credo che la
lancia potrebbe fermarlo di nuovo. » spiegò la flautista, tralasciando il
dettaglio che non era stato il dio a compiere quell’eroico gesto; ignorava
quanto e cosa i due sapessero circa le azioni di Loki su e contro Midgard, e
non sarebbe stata lei a sollevare spinose questioni riguardanti i suoi
trascorsi.
Sif si
accigliò: « Il Cubo non può riportare in vita i morti. » disse.
« Forse
no, eppure continuo a sospettare che resettarlo servirà a qualcosa. » concluse
Erin; poi notò le espressioni scettiche che adombravano i lineamenti dei suoi
interlocutori e ricoprendo la punta della lancia aggiunse: « Ascoltate, tra noi
non c’è alcun tipo di legame e so bene che tra voi e Loki non corre esattamente
buon sangue. Perciò se non ve la sentite di esporvi per lui, se avete un altro
piano o se non ve ne importa nulla non mi metterò certo in ginocchio per
implorarvi di aiutarmi. Ho una paura fottuta ma non mi tirerò indietro, quindi
ditemi dov’è l’entrata dei sotterranei e per il resto mi arrangerò da sola, e
buona fortuna a voi. »
« Ti
prego di non offenderci, Dama del Flauto. » interloquì Hogun fermamente: « Sebbene
Loki si sia macchiato di tremende colpe è pur sempre il fratello di Thor, un
principe e figlio di re, e noi siamo leali alla casa del Padre degli Dei. Siamo
guerrieri d’onore, e così come Loki è tornato per salvare Asgard noi ti
appoggeremo per salvare lui. »
L’irlandese
sorrise baldanzosa, contenta di averli convinti, e Sif annuì: « Dovremo però
studiare un piano perfetto, dacché saremo in tre contro un intero esercito. »
precisò.
« Se mi è
permesso contraddirvi, nobili signori, saremo almeno in quattro. » fece una
voce profonda e rassicurante alle loro spalle, e nel girarsi in fretta con le armi
in pugno i tre si trovarono faccia a faccia con l’armatura aurea e gli occhi
d’ambra di Heimdall.
Il
Guardiano, che li aveva trovati dopo giorni di furtive e minuziose ricerche,
riferì loro molte cose interessanti e terribili. Narrò la caduta dell’Osservatorio
e di come fosse fuggito appena in tempo per non cadere a sua volta; descrisse
gli orrori cui le sue iridi che tutto vedevano avevano assistito e il senso
d’impotenza che lo aveva pervaso quando si era reso conto che nulla avrebbe
potuto fare per evitarli.
Aveva
scorto i corpi privi di vita dei sovrani e degli eroi, e tuttavia il modo in
cui erano periti non gli era chiaro, non era riuscito a scorgerlo: sembrava che
una sorta di velo impercettibile cingesse ogni cosa, disse, e neppure lui era
in grado di oltrepassarlo.
Discussero
poi della strategia da adottare per liberare Loki, e Heimdall rivelò di essere
in contatto con un numeroso gruppo di soldati fuggiaschi che si nascondevano
all’altro capo della città e che sarebbero stati utili per organizzare un
diversivo che distraesse le guardie di Thanos. Sif, che lo ascoltava con grande
attenzione, raccolse un ramo e tratteggiò rapidi segni su una porzione di
terreno in cui non cresceva l’erba:
« Le
segrete della reggia hanno due ingressi esterni, uno principale e uno
secondario. Se tu e i tuoi uomini attaccherete il primo, Heimdall, dando
l’impressione di voler penetrare nei sotterranei, i nemici ivi si
concentreranno e si cureranno meno dell’entrata minore. » illustrò in tono
esperto; « Io, Hogun ed Erin Anwar ci introdurremo all’interno da lì e voi li
terrete impegnati quanto più potrete per darci il tempo di trovare il principe
e farlo uscire. Una volta fuori ci ricongiungeremo e decideremo sul da farsi.
Pensi che ti sarà possibile radunare i nostri compagni d’arme entro questa
notte? »
Heimdall
assentì: « Al tramonto saremo pronti a muoverci, Lady Sif. »
«
Riuscirai però a convincerli a mettere a repentaglio le loro vite per
preservare quella di Loki? Sai meglio di me come in molti ancora lo vedano, nel
regno. » interloquì Hogun.
L’irlandese
sentì il sangue ribollirle nelle vene e fece per contestare l’insinuazione del
guerriero, per sensata che fosse, ma inaspettatamente il gigantesco custode la
prevenne:
« Chi
ancora ritiene Loki una minaccia è stolto o cieco, considerato ciò che ha fatto
dopo e durante l’esilio, e chi non si fida di lui si fiderà comunque della mia
parola e lealtà. »
I due
asgardiani parvero soddisfatti di tale risposta ed Erin sogghignò tra sé con
diversa ed egual soddisfazione. Vennero presi gli ultimi accordi e l’inizio
della sortita venne fissato per il calar del sole; fino ad allora nessuno dei
quattro avrebbe dovuto esporsi inutilmente.
« Siamo
un po’ i partigiani di Asgard, noialtri. » se ne uscì la musicista con un certo
orgoglio mentre prendevano congedo da Heimdall.
« Chi
sono i partigiani, Erin Anwar? » questi le domandò.
« Persone
comuni che agendo di nascosto e contrastando un esercito hanno contribuito a
fermare una terribile guerra su Midgard, tempo fa. » disse lei spiccia.
« Un
giorno dovrai narrarci le molte gesta del tuo popolo. » la pregò la guerriera.
Erin
scrollò le spalle e sorrise: « Un giorno. » ripeté con una punta di maliconia
nella voce.
Così si
separarono, e le ore trascorsero lente verso la sera portando con sé un’ansia
crescente. Sif e Hogun curarono le proprie armi e conversarono piano di cose
che l’irlandese non riuscì a comprendere del tutto; lei dal canto suo fremette
e scalpitò, come al solito divisa tra adrenalina e paura, e scambiò coi suoi
improvvisati alleati poche, ulteriori parole.
Quando il
cielo iniziò a tingersi di fuoco all’orizzonte e il sole si fece basso nella
volta celeste, i tre abbandonarono cautamente il sicuro rifugio della
vegetazione e scesero verso la città evitando le strade principali: le piazze
centrali erano già state approntate per il trionfo dell’indomani e pullulavano
di soldati del titano col preciso ordine di controllare che niente e nessuno
sabotasse la cerimonia. Col favore del crepuscolo in arrivo e dell’ombra che i
manti e i cappucci gettavano sui loro volti, e avvantaggiati dal fatto che la
maggior parte delle guardie si concentrava nel centro della capitale e nei
pressi del palazzo, la musicista e i due asgardiani riuscirono a passare
inosservati e ad avvicinarsi alla reggia quanto bastava per scorgere entrambi
gli ingressi alle prigioni, che si aprivano nel fianco dell’altura. Si
acquattarono presso alcune macerie abbandonate vicino a uno dei ponti che
conducevano al regio colle e quivi attesero l’arrivo di Heimdall e dei suoi
uomini trattenendo il respiro: nessuno dei tre era sicuro che sarebbero
arrivati, che il Guardiano li avesse convinti, e non lo furono finché le sagome
possenti di un centinaio di guerrieri non comparvero sul ponte parallelo a
quello che avevano di fronte. Volstagg e Fandral non erano tra loro, notò Hogun
a denti stretti, ma erano tutti armati e agguerriti, e nella luce rossastra del
tramonto l’alta figura di Heimdall levò in aria la propria picca e il suo grido
d’attacco riecheggiò sulle acque placide di Asgard, e coloro che lo seguivano
lo imitarono e il giorno morente vibrò delle loro voci possenti. Erin non seppe
trattenere un sogghigno battagliero e i chitauri e i kree che presidiavano le
porte dei sotterranei urlarono di rimando dando l’allerta.
Gli
asgardiani si lanciarono verso l’entrata maggiore e le armature delle due
fazioni cozzarono le une contro le altre con grande fragore; l’allarme si
diffuse in fretta in tutti i livelli più bassi delle mura del palazzo e presto
all’ingresso secondario rimasero soltanto tre chitauri.
« Uno per
ciascuno di noi. Andiamo! » ruggì Sif sguainando la spada e alzando lo scudo.
L’irlandese
strappò la stoffa che ricopriva lo scettro di Loki e sfilò il flauto dalla
cintura, e Hogun fece roteare con gusto la propria mazza chiodata. In silenzio
e piegati in avanti, protetti dalla balaustra del ponte, i tre ne raggiunsero
l’estremità opposta: Erin avrebbe voluto agire per ultima osservando l’esempio
dei suoi ben più esperti compagni, ma la dama guerriera fu categorica
nell’affermare che muovendosi come un sol uomo i nemici non avrebbero potuto
fermarli. Allora il trio balzò sulle sentinelle prendendole alle spalle e le
colpì rapidamente e con successo – e nel vedere il proprio chitauro rovinare a
terra in una pozza di sangue, trapassato dalla lama acuminata del bastone, Erin
si rese vagamente conto di aver dato con certezza la morte a qualcuno per la
prima volta in vita sua e di aver trovato quasi gradevole la sensazione
dell’acciaio che squarciava la carne dell’avversario, e non se ne curò.
Sif tolse
un pesante mazzo di chiavi dalla bandoliera di uno dei caduti, più per
precauzione che per reale utilità, quindi Hogun spalancò il portone con un
calcio ben assestato e i tre si lanciarono a rotta di collo giù per le scale
che penetravano nei meandri delle segrete: percorsero corridoi alti e stretti
scavati nella nuda roccia e ancora uccisero i nemici che tentarono di sbarrare
loro la strada nel guizzante baluginare delle torce; avrebbero voluto liberare
altri detenuti durante quella folle corsa, ma i minuti correvano più
inesorabili di loro e non ci sarebbe voluto molto prima che i soldati di Thanos
che contrastavano Heimdall e i suoi si accorgessero del diversivo. La ragazza
di Galway aveva i polmoni in fiamme e lo stomaco stretto in una morsa alla
prospettiva di poter finalmente rivedere il viso e gli occhi ardenti e il
sorriso scaltro del Dio degli Inganni, e di udire la sua voce. Era un pensiero
idiota e bello, e per non distrarsi si piantò una manata in testa come aveva
fatto quella mattina di un distante e luminoso mese di maggio, quando si era
incantata a guardarlo dormiente e sereno nella sua piccola camera degli ospiti.
Le sembrava che fosse accaduto secoli addietro.
Capire in
quale cella tenevano prigioniero il principe non fu difficile: era la più
interna e la più sorvegliata, e raggiungerne la soglia richiese un serrato
combattimento da cui nessuno dei tre uscì completamente indenne. Tuttavia ci
riuscirono e abbatterono la porta mandandone in mille pezzi il legno massiccio
e il ferro battuto, e una risata di sollievo solleticò la gola di Erin nel
riconoscere la sagoma fiera di Loki oltre il pulviscolo. Godette della sua
espressione di totale sorpresa e una sciocca citazione che lei sola avrebbe
colto le salì alle labbra mentre gli sorrideva: « Ciao, dolcezza. » disse.
« Non
possiamo tornare da dove siete venuti. » sentenziò il dio non appena furono
usciti dalla stanza di pietra; « Gli scagnozzi di Thanos avranno capito il
trucco e ci attenderanno al varco. Dobbiamo utilizzare i passaggi interni. »
« Entrare
nella reggia adesso significherebbe consegnarci spontaneamente a lui! »
proruppe Hogun sgranando gli occhi, e Sif assentì per dargli manforte.
Loki li
fissò di sbieco: « Conosco i rischi cui andiamo incontro. Avete forse un piano
migliore di questo per non farci catturare mandando in fumo l’impresa che avete
compiuto? »
Era un
velato complimento e un ringraziarli per ciò che avevano fatto per lui, o tale
voleva suonare, e i due guerrieri ne furono colpiti e si arresero; Erin
immaginò che vi fosse un qualche altro motivo per il quale il suo ritrovato
compagno intendeva penetrare nel palazzo, ma nulla chiese e si limitò a
indicare il corridoio da cui erano giunti e che ora riecheggiava di passi e
tintinii metallici e versi rabbiosi che si avvicinavano a loro:
«
Arrivano. » annunciò con voce gutturale.
Il Dio
degli Inganni la prese per un braccio e imboccò un’apertura ad arco che si
spalancava buia nella parete alla loro destra, e Sif e Hogun tennero loro
dietro. Risalirono veloci verso la superficie seguendo erti cunicoli e rampe di
scale che si facevano via via più larghe, uccidendo chi si frapponeva tra loro
e la loro meta. La notte intanto calava su Asgard e gli invasori parevano preda
di un’agitazione senza precedenti dovuta alle azioni combinate del trio e
dell’impavida truppa capeggiata da Heimdall.
Poi i
quattro fuggitivi sbucarono in un cortile interno ben più piccolo di quello in
cui il principe e la flautista si erano separati il giorno della battaglia, e
poiché al momento non v’erano presenze ostili si concessero una pausa e
sedettero sul candido lastricato per calmare i propri respiri congestionati; il
cielo era nero sopra di loro e cupo l’oro delle torri del palazzo.
«
Dobbiamo andarcene da qui e ricongiungerci con Heimdall. » ansimò la guerriera.
« Per poi
andare dove, di grazia? » se ne uscì
Loki, tagliente.
Lei sembrò
rifletterci su: « Ancora non so, ma dobbiamo lasciare la Dimora degli Dei.
Potremmo provare a riconquistare l’Osservatorio e mantenere la posizione il
tempo necessario per utilizzare il Bifröst. Oppure potresti guidarci attraverso
quei passaggi oscuri tra i mondi che tu solo conosci, e aspettare lontano da
qui che i tempi siano maturi per riprenderci il regno. »
« Non
essere ridicola. » la freddò il dio: « Se anche fossimo in grado di scacciare i
nemici dall’Osservatorio il prode Heimdall sarebbe costretto a sacrificarsi per
permetterci di fuggire, e dubito che vogliate avere la sua vita sulla
coscienza. Come se ciò non bastasse, il Ponte potrebbe condurci unicamente su
Midgard, adesso, e poiché Midgard è bottino di Thanos al pari di Asgard la
nostra condizione non cambierebbe molto. Potrei condurvi in un altro reame,
questo è vero, eppure niente ci assicura che un dì potremo fare ritorno né che
i tempi saranno mai maturi per liberare il Valhalla dal giogo del titano.
Inoltre, » aggiunse guardando gravemente Erin, « un simile viaggio non equivale
a percorrere il Bifröst, e dubito che la donna d’Irlanda sopravviverebbe ad
esso. »
Aveva
ragione, e cadde il silenzio. Distanti si udivano suoni di scontri, segno che
il custode e i suoi uomini non erano ancora stati sconfitti, e infine Hogun
mormorò:
« Cosa
suggerisci di fare, dunque? »
« Thanos
va affrontato qui e ora. Se il Cubo è la chiave di tutto so come annientarne il
potere. Se così non fosse tenterò almeno di avere la mia vendetta. » rispose
Loki.
« È
quello che sostengo io da giorni. » puntualizzò l’irlandese compiaciuta.
« E se
fallissi? Cosa mai ci accadrebbe? » tentennò la dama guerriera.
« E se
invece vincessi? La mia famiglia è stata annientata, il mio regno è caduto e
noi siamo braccati come bestie dai cacciatori. Comunque vadano le cose, io non
ho niente da perdere. » egli ribattè con fermezza, e alzandosi in piedi attese
di apprendere la loro decisione.
Senza
esitare, Erin subito lo imitò e disse: « Nemmeno io ho più una casa sicura a
cui tornare. E dato che l’unica cosa che temo di perdere sei tu ti seguirò fino
alla fine. Ma questo credo tu lo sapessi già. » sorrise, e lui le sorrise di rimando
dacché lo sapeva eccome.
Fu quindi
il turno dei due guerrieri: « Siamo con te, principe. » asserì Hogun per
entrambi.
« È il
giorno della morte che dà alla vita il suo valore. » decretò la musicista in
tono vibrante.
Voleva
essere l’ennesimo riferimento colto che lei soltanto poteva apprezzare e fu
invece inteso come un incitamento dal sapore epico che fece brillare gli occhi
dei due asgardiani e che li convinse definitivamente a non abbandonare la causa
del dio e della donna di Midgard.
Allora i
quattro impugnarono di nuovo e più saldamente di prima le rispettive armi e
scivolarono in un passaggio laterale che conduceva all’interno del palazzo,
incuranti del trambusto che s’approssimava al cortile annunciando decine di
guardie intente a cercarli.
Raggiunsero
i piani centrali dell’immenso edificio senza che nessuno riuscisse a bloccare
la loro avanzata, nonostante fossero in così pochi contro miriadi di nemici, ed
entrarono nella sala del trono a grandi falcate risolute, marciando gli uni
accanto alle altre con piglio feroce e intrepido: un sacro fuoco di rivalsa si
era impadronito dei loro già forti animi, e gli skrull e i kree che sbarrarono
loro la strada nel vasto salone lo percepirono ed esitarono, e furono i quattro
ad attaccare per primi. Il clamore della battaglia saturò in fretta l’aria e
tosto il gruppetto si ritrovò circondato su ogni lato:
« Loki,
tu e la Dama del Flauto dovete andarvene! Io e Hogun vi apriremo un varco e
rimarremo qui a contenere questi stolti esseri. » gridò Sif.
« Da soli
non li conterrete a lungo, sciocca. » replicò il principe col fiato corto.
« Forse
non siamo soli. Guardate! » esclamò Hogun puntando un dito verso l’ingresso
della grande sala: un compatto drappello di soldati di Asgard, probabilmente
inviato da Heimdall, vi aveva appena fatto irruzione e stava caricando una
falange di avversari.
Il Dio
degli Inganni non indugiò oltre. Con un cenno sussiegoso del capo congedò i due
compagni d’arme, quindi moltiplicò il proprio sembiante per confondere i nemici
e trascinando Erin con sé abbandonò il salone delle cerimonie; correndo e
menando fendenti col flauto e lo scettro i due giunsero sino alle stanze del
tesoro di Odino, le più elevate e protette, e sulla soglia dell’anticamera
circolare che precedeva il locale in cui il Tesseract era custodito si
fermarono e vi scrutarono dentro: sei sentinelle kree dalle grosse alabarde ne
difendevano il perimetro, ma del folle titano non v’era traccia.
Loki
sogghignò appena e il bastone svanì tra le sue dita mentre sibilava:
« Lo farò
ricomparire al momento opportuno. Andiamo, Erin. »
La
ragazza di Galway scosse però la testa scompigliata e si morse un labbro: «
Temo che dovrò restare qui fuori. Ne stanno arrivando altri. » puntualizzò in
un soffio, e dai corridoi circostanti si levarono suoni inequivocabili che
confermarono le sue parole; « Vai a finire il lavoro. Io li tratterrò finché
potrò o finché tu non sarai tornato. La porta dell’anticamera è alta e stretta
ed è impossibile che passino in più di uno alla volta, perciò non dovrebbe
essere troppo difficile tenerli impegnati. A patto che tu faccia alla svelta,
s’intende. »
Era
pallida ma risoluta, e lui le strinse una mano fissandola con malcelata
apprensione:
« Sei una
creatura incredibile, donna d’Irlanda. Non osare soccombere prima che io esca
da lì. » le disse.
« Stai
scherzando? Un’inutile morte da eroina sarebbe la cosa meno incredibile che
potrebbe capitarmi a questo punto. » ridacchiò Erin per sdrammatizzare, e
davvero lo pensava.
L’asgardiano
sorrise e le diede un bacio veloce, lasciandola ad affrontare i nemici in
arrivo, e penetrando nel vestibolo si scagliò contro le possenti sentinelle.
Con incantesimi e illusioni e lame create dal nulla le abbatté una per una, e
guadagnò l’ingresso della stanza che celava il Cubo e con foga ne spalancò i
battenti, e lo vide: il Tesseract scintillava più che mai nella penombra e
tingeva di gelido blu le pozze di buio create dalle rade torce fissate ai muri,
e sembrava palpitare, immoto sul suo piedistallo, come una cosa vivente.
Loki
avanzò, le dita contratte pronte a richiamare lo scettro, e quando fu vicino
all’oggetto avvertì la scia di un movimento dietro di sé – e l’attimo
successivo un dolore lancinante e freddo in pieno petto lo costrinse ad
arrestarsi e ad inarcare la schiena con un sussulto: Thanos il Rosso
torreggiava su di lui e lo aveva colpito alle spalle, trafiggendolo con una
picca.
« Non
sospettavi che io ti stessi aspettando, principe rinnegato? La tua spavalderia
non conosce logica né limiti. » lo apostrofò con scherno il titano; « Tuttavia
ammetto di averti sottovalutato. Ti consideravo debole e meschino, e guardati!
Hai resistito alla vergogna della sconfitta, sei evaso e invece di scappare
come l’animale braccato che sei hai deciso di sfidarmi un’ultima volta. Non lo
ritenevo possibile, asgardiano, ma ti sei dimostrato un degno rivale. »
Con una
torsione del polso spinse la punta acuminata della lancia ancor più in
profondità e il Dio degli Inganni cadde in ginocchio, gli occhi febbrili
puntati sul Cubo che aveva d’innanzi.
In
lontananza egli udì l’irlandese urlare qualcosa e altre voci e rumori, e con la
bocca impastata di sangue scoppiò in una rauca e breve risata:
« Ah,
figlio di Mentore, mai finirò di stupirti! » lo rimbeccò trionfante, e prima
che Thanos potesse impedirglielo lo scettro brillò nella sua mano destra e
toccò il Cubo vibrando e lampeggiando. Uno spasmo parve nuovamente percorrere
ogni cosa e per una frazione di secondo un’esplosione di luce azzurra li accecò
infrangendosi sulle lisce pareti della camera.
Il titano
emise un ruggito rabbioso, ma era troppo tardi. E come il bagliore si spense,
riassorbito dal Tesseract ormai assopito, Loki rovinò a terra senza un lamento,
con l’asta lugubremente conficcata nella schiena, le palpebre serrate e una lieve
smorfia orgogliosa dipinta sul volto esangue.
> Note a piè di
pagina
Io AMO questo capitolo in una maniera indegna, tanto che ogni volta che lo
rileggo mi piglia il batticuore.
So che è anche indegnamente lungo, lo
so, ma come vedete ha una struttura “circolare” e suddividerlo in due parti
mi avrebbe costretta a cambiare diverse cose – e non avrebbe fatto lo stesso
effetto, credo.
La chiusura è da cliffhanger
definitivo, non ammazzatemi. Ve l’ho detto: o benebene o malemale, con me…
Il titolo è una frase topica pronunciata dal mitico Hector Barbossa nel
terzo episodio di Pirati dei Caraibi,
quando la Perla e l’Olandese si fronteggiano sull’orlo del maelstrom creato da
Calypso. Adoro quel film e quella scena. Il “ciao, dolcezza” di Erin è invece
lo slogan preferito di River Song, il personaggio che più mi piace in tutto Doctor Who.
Come musiche consiglio Skyfall,
di nuovo, e Un monumento di Morricone
(soprattutto da quando compare Heimdall a quando arrivano nelle prigioni a
liberare Loki); ovviamente vanno benissimo anche i pezzi più epici e guerreschi
della colonna sonora del Signore degli
Anelli o di altri film del genere. Quando scrivo di Asgard e di grandi
battaglie mi prende sempre la vena tolkieniana *^*
Ricordo il mio piccolo tumblr-portfolio dedicato alle grafiche &
disegni ispirati alla storia: the majestic tale
E se non recensite adesso non so più da che parte battere i’ccapo, per
dirla alla toscanaccia.
Ossequi asgardiani e alla prossima – per il penultimo capitolo! :)
Capitolo 16 *** 16. Beloved freak, the world is at your feet ***
16
16.
Beloved
freak, the world is at your feet
Thanos
rimase immobile, fissando alternativamente il Cubo offuscato e il corpo inerte
del principe asgardiano ai suoi piedi. Gli fu immediatamente chiaro che aveva
commesso due colossali errori, da quando aveva messo le mani sul manufatto
cosmico che tanto bramava: il primo era stato non uccidere subito Loki, il
secondo lasciare che fossero i propri stupidi sottoposti a occuparsi delle
ricerche dello scettro andato perduto – o forse la responsabilità era sua,
poiché si era preoccupato soltanto dei soldati del Valhalla in fuga e non aveva
considerato l’ipotesi che fosse stato un civile, o addirittura una dama, a
rinvenire l’arma; in realtà non avendone notizia si era convinto che fosse
andata distrutta nell’impatto, nella caduta, e difficilmente si sarebbe
perdonato una simile leggerezza. Gli sovvenne ciò che i suoi soldati gli
avevano riferito durante l’assedio di Midgard circa una giovane umana che si
accompagnava al Dio degli Inganni e di cui non si era affatto curato,
ritenendola troppo debole per affrontare un viaggio tra i mondi e troppo
mortale per nuocergli in alcun modo. Adesso si rendeva invece conto che poteva
esserci lei dietro all’evasione tempestiva dell’asgardiano e al fatto che
questi brandiva di nuovo il bastone che lui stesso gli aveva donato, e con
cieca ira per ciò che si era lasciato sfuggire serrò denti e pugni. Era stato
vanesio e disattento, reso stolto dalla foga della vittoria e dal dolce
pensiero delle vite che aveva e avrebbe offerto al bel sembiante di Morte che
lo avrebbe per questo amato. Aveva concepito un piano perfetto e due
insignificanti dettagli glielo avevano pressoché rovinato, e doveva porvi
rimedio.
Respirando
a fondo per placarsi si disse che dopotutto Loki era infine caduto e che gli
sarebbe bastato riattivare il Tesseract per tornare ad avere il controllo su
ogni cosa; voci tonanti e rumori di battaglia si approssimavano all’anticamera,
notò, e doveva sbrigarsi.
Così
allungò una mano verso il piedistallo, superando con cautela il dio esanime
disteso innanzi a lui, ma prima che potesse toccare la superficie appena
illuminata del Cubo la punta dorata di un altro scettro che ben conosceva gli
trapassò il palmo strappandogli un sordo ringhio e una possente figura gli
sbarrò la strada: il Padre degli Dei era comparso alla sua sinistra, pallido e
fiero e temibile, Gungnir ben saldo tra le sue dita e l’occhio che sembrava saettare
nella semioscurità come un presagio di tempesta.
« Tu. »
lo apostrofò Thanos con feroce disprezzo.
« Io. E
con me, figlio di Mentore, vengono molti altri. » rispose Odino.
E la luce
crebbe nella stanza e molte nuove fiaccole si accesero, e sulla soglia
spalancata si stagliarono le sagome di decine di guerrieri asgardiani accorsi
sul posto, e grida e clangori li seguivano annunciando al cielo che ovunque si
era tornati a combattere, poiché il velo che adombrava gli occhi e le menti
degli Æsir – e finanche dei midgardiani – si era dissolto come nebbia al sole,
e la paura e lo sconforto non attanagliavano più i loro cuori.
Il titano
allora rise di sé stesso, riconoscendo il sapore inequivocabile della
sconfitta, e il sovrano del Valhalla estrasse la lancia dei re dalla sua mano e
gliela puntò alla gola e disse:
« Il tuo
vile inganno dal Dio degli Inganni è stato annientato. Ora rinuncia al Cubo e
arrenditi, Thanos, e avrai forse salva la vita. »
La risata
dell’altro si fece più aspra e sfrontata: « Credi che la mia vita sia in tuo
potere, o re? Lascio la vittoria al tuo freddo figlio, per questa volta, dacché
se l’è meritata ed io in cambio gli ho inflitto ciò che gli avevo promesso, e
perché so quando è il momento di abbandonare un campo divenuto ingestibile. Ma
non rinuncerò al Tesseract e non mi arrenderò, e tieni bene a mente, Padre
degli Dei, che un giorno ti pentirai di non avermi qui ucciso. » rispose.
Ridendo
ancora si avvolse nel proprio mantello, giganteggiando per un istante
sull’avversario, e con un guizzo la sua immagine svanì; Odino tentò un affondo
e non colpì altro che aria, e le ultime parole del folle titano gli si
piantarono in testa come un funesto stornello.
« Thanos
ha scelto la fuga e il suo esercito è allo sbando. » esclamò tuttavia
rivolgendosi ai soldati che avevano assistito alla scena e che attendevano
ordini: « Andate e riconquistate quel che avevamo perduto, e non abbiate pietà
di loro. »
Non levò
però alto Gungnir, e mentre la maggior parte degli uomini sciamavano fuori dal
vestibolo con rinnovato ardore egli s’inginocchiò accanto al corpo di Loki e
posò lo scettro a terra: con delicatezza tolse la picca dalla schiena del
figlio e piano lo mise supino, osservandone tristemente il volto cereo e
l’armatura insanguinata. I guerrieri rimasti abbassarono le armi e alcuni di
loro addirittura si scoprirono il capo dall’elmo in segno di rispetto, e Odino
sfiorò la fronte del principe e fece per chinarsi su di lui.
« Ce
l’abbiamo fatta, dolcezza, cazzo se ce l’abbiamo fatta! » esultò una voce
squillante appena oltre la porta, e l’irlandese fece il suo impetuoso ingresso
nella sala, il flauto e lo stiletto in pugno, esausta e ferita e con un gran
sorriso ignaro a illuminarle lo sguardo.
Il
sovrano la fissò e la chiamò gravemente per nome, intuendone l’identità, ed
Erin sentì il sorriso morirle sulle labbra e un cupo rombo salirle alle
orecchie, e vacillò lasciando cadere le armi: incespicando sulle gambe malferme
si precipitò dal compagno silente e quasi gli si buttò addosso, e con gli occhi
sbarrati e le dita tremanti prese a scuoterlo violentemente, incurante della
presenza del Padre degli Dei e delle sue mani e parole che tentavano di
calmarla.
« Non era
questo il piano. Non doveva andare così, razza di stupido coglione! » ripetè la
ragazza di Galway con voce stridente. Aveva la vista offuscata ed era madida di
sudore.
« Non c’è
niente che possiamo fare adesso, Erin d’Irlanda. » mormorò Odino con fermezza,
o almeno questo le parve di udire nella bolgia di sensazioni che andava
stordendola.
Il rombo
nelle sue orecchie divenne un urlo indistinto e il buio calò intorno a lei e
perse la percezione di ogni cosa: fu come cadere in un cupo sonno improvviso, e
fu silenzio.
Ciò che
Erin vide nel riaprire le palpebre la stupì e le piacque non poco.
Sopra di
lei ondeggiavano lievi stoffe chiare e impalpabili, e più in su campeggiavano
alti soffitti d’oro illuminati morbidamente dal sole. Allungando con cautela le
braccia la musicista si accorse di essere distesa in un grande letto dalle
soffici coltri e dai molti cuscini, e senza volerlo la sua mente illanguidita
associò il tutto a una delle storie che tanto amava:
« Dove
sono gli indolenti rami di betulla? » se ne uscì infatti scioccamente; sentirsi
parlare dopo l’indefinito lasso di tempo che aveva trascorso nell’incoscienza
le suonò strano.
« Avresti
dunque gradito riposare all’aria aperta, Erin di Galway? » domandò con
gentilezza qualcuno vicino al giaciglio, e l’irlandese si sollevò di scatto sui
gomiti, completamente sveglia: colei che aveva appena parlato era una donna
bella e dall’aspetto materno che sedeva al suo capezzale e che le stava
sorridendo; « Mi rallegro nel notare che stai bene. Hai dormito per due interi
dì, dalla notte della liberazione di Asgard. » questa soggiunse.
« Sono
ancora ad Asgard. » constatò l’irlandese rizzando la schiena, e in quella il
ricordo di ciò che era accaduto la travolse impietoso: la serrata lotta che
aveva sostenuto contro gli skrull che tentavano di irrompere nell’anticamera
circolare, il dolore fisico per i colpi ricevuti, l’aver esultato all’arrivo
dei soldati di Odino, la certezza che l’incanto del Cubo era stato spezzato – e
poi Loki, immobile e pallido e coperto di sangue sul pavimento lucido della
stanza.
Un
singhiozzo le spezzò il respiro nei polmoni e gli occhi le bruciarono di un
urgente bisogno di piangere sino a consumare le lacrime che da giorni si teneva
in corpo. Le ferite si erano rimarginate, i muscoli finalmente riposati, ed era
pulita e profumata e indossava una fresca tunica di seta, ma lui era rimasto
rigido e muto ed Erin non provò nemmeno per un attimo a illudersi che da un
minuto all’altro il dio avrebbe fatto il suo ingresso nella bella stanza in cui
lei si trovava. Era una consapevolezza così desolante da schiacciarle il petto
come un macigno, e quando la donna seduta accanto al letto le toccò
cortesemente un polso la flautista sussultò e scrollò la testa per concentrarsi
su quel che le succedeva intorno.
« I
guaritori e le mie ancelle si sono presi cura di te, giovane Erin. Ora che ti
sei ridestata il peggio è passato, e tuttavia sarei più serena se il tuo
ristoro e la tua convalescenza proseguissero per due ulteriori giornate. »
disse la dama; « In tal modo ti rimetterai in forze in vista della cerimonia e
di qualunque cammino deciderai poscia d’intraprendere. »
« Di
quale cerimonia parlate, signora? Che accade là fuori? » indagò l’irlandese, confusa.
« Molte
cose stanno tornando al proprio posto. L’esercito invasore è stato battuto e
disperso e celeri aiuti sono stati inviati su Midgard per dare manforte a mio
figlio, ai suoi compagni e alla tua valorosa gente. Il re mio sposo ha indetto
una grande celebrazione pubblica per rendere omaggio a coloro che hanno
liberato Asgard dal nemico e tu, Erin Anwar, sei tra questi. Forse non ti
ringrazieremo mai abbastanza per ciò che hai fatto e per ciò cui hai
contribuito. » fu la risposta, ed Erin intuì che la sua interlocutrice non si
riferiva soltanto alla battaglia.
« Quindi
voi siete la regina. » quasi esclamò; osservandola meglio scoprì che aveva le
iridi arrossate di chi ha pianto e il viso stanco delle notti insonni, e
credette di saperne il motivo.
Frigga le
rivolse un sorriso stiracchiato: « Lo sono. Mando a chiamare i medici affinché
controllino il tuo stato di salute. Entro il tramonto alcune dame del mio
seguito verranno a prendere le misure per confezionare l’abito che indosserai
alla cerimonia. » si congedò con garbo. Si alzò e fece per andare verso la
porta, ma la musicista la fermò:
« Maestà,
per caso ci sono state altre cerimonie mentre dormivo? » chiese nervosamente.
« Nessuna
cerimonia ha ancora avuto luogo, Erin d’Irlanda. » replicò la sovrana, e nel
tono di entrambe vi fu di nuovo un sottinteso che nessuna delle due volle
affrontare.
La dea se
ne andò e al suo posto entrarono cinque tra cerusici e guaritrici che con
premura visitarono la giovane, applicarono unguenti sulle sue ferite e ne cambiarono
i bendaggi; infine la fecero scendere dall’alcova ed Erin scoprì di essere in
grado di stare in piedi senza appoggiarsi ad alcunché, nonostante si sentisse
ancora debole. Le raccomandarono di non fare sforzi e di bere l’infuso che le
avevano portato e garantirono che l’indomani avrebbe potuto finanche
passeggiare un po’. Venne poi il turno delle ancelle annunciate dalla regina:
l’irlandese s’informò circa la celebrazione tanto attesa, frattanto che le dame
le misuravano il corpo con nastri simili ai terreni metri da sarta, ed esse
risposero che si sarebbe svolta due giorni dopo e che l’intera popolazione di
Asgard era stata invitata per omaggiare gli eroi. Nessuno accennò a Loki o alla
sua sorte, né Erin osò chiedere niente; si convinse che non ci fosse niente di
più da sapere oltre a quello che aveva visto coi propri occhi e che la
cerimonia fosse stata organizzata soprattutto per dare l’estremo saluto al
principe non più rinnegato e gloriosamente perito: se il suo intento era quello
di farsi amare dalle folle asgardiane così come lei gli aveva insegnato tra gli
umani, v’era riuscito fin troppo bene, pensò amaramente la ragazza di Galway.
Quando
finalmente fu sola esalò un’imprecazione e si rimboccò le maniche della tunica
uscendo di gran carriera sul balcone che ornava la sua stanza. Il sole
s’avviava ormai all’orizzonte e tutto scintillava spudoratamente, e nei
giardini rimessi a nuovo molti membri della corte camminavano, conversavano o
si occupavano di altri urgenti affari. Erin si riempì i polmoni d’aria pulita e
rovesciò il capo all’indietro fissando il cielo terso, le mani sulla balaustra
cesellata della terrazza: era triste come mai lo era stata, di una tristezza
vuota, disarmante e nebulosa, e tuttavia non riuscì a piangere – per quanto
nessuno la osservasse, per quanto nessuno l’avrebbe giudicata male per questo,
non fu capace di versare alcuna lacrima. E nonostante temesse per ciò che
poteva essere accaduto ai suoi genitori, a Mus, a suo nonno, a Sylvia e a tutti
gli altri, era solo il Dio degli Inganni a mancarle come il respiro.
Al
crepuscolo le venne servito un pasto caldo che consumò distrattamente e non
assaporandone l’effettiva bontà, quindi si avvolse in una sontuosa veste da
camera bordata di pelliccia e si rannicchiò sul letto fissando il confortante
bagliore dei bracieri e dei lumi accesi nella stanza e sotto il porticato
attraverso le ciglia abbassate. Si concentrò su di esso finché ciò che vedeva
non si annacquò e divenne indistinto, e senza accorgersene si addormentò.
Il mattino
seguente Erin venne svegliata dai guaritori per rinnovate cure e la conferma
che si era quasi completamente rimessa in sesto; le consegnarono anche un
piccolo fagotto d’indumenti che l’irlandese riconobbe immediatamente: erano i
vestiti e le calzature che aveva indossato durante la battaglia alla base dello
S.H.I.E.L.D. e che l’avevano accompagnata in quei rocamboleschi giorni
asgardiani. Erano stati rammendati, lavati e spazzolati e lei sostituì con
soddisfazione la canotta bianca, i jeans e gli stivali di cuoio chiaro alla
setosa veste da notte.
Fuori,
per le vie e i ponti della città e nei corridoi e sale e parchi della reggia,
c’era un gran fermento, dovuto ai preparativi per le celebrazioni e al ritorno
di Thor da Midgard. Eppure la ragazza di Galway preferì non uscire ancora, se
non sul balcone, e fu grata per la solitudine in cui medici e ancelle la
mantennero in seguito a una sua velata richiesta.
Giunse
così il meriggio, limpido e grondante di luce come il precedente, e mentre Erin
se ne stava scompostamente appollaiata sul parapetto del loggiato esterno
scrutando il panorama con espressione crucciata, due guardie bussarono
discretamente alla porta e s’inchinarono:
« Dama
Erin, il principe desidera vedervi. » annunciarono solenni.
La
musicista fu attraversata da una scossa, tentò invano di ricomporsi e si
affrettò a rientrare col cuore in subbuglio, e fu soltanto nello scorgere la
corpulenta sagoma del Dio del Tuono sulla soglia che si rammentò che il
principe in questione non poteva essere che lui.
« Oh. Sei
tu. Ovvio che sei tu. » borbottò con un groppo in gola.
Per tutta
risposta il biondo mandò via i soldati e si precipitò ad abbracciarla
fraternamente; Erin rimase spiazzata da quella dimostrazione d’affetto, pur
accettandone la ragione, e ricambiò con un paio di maldestri colpetti sulle
ampie spalle del figlio di Odino.
« Mi
riempie di gioia trovarti sana e salva, Erin. Ti porto buone nuove e oggetti
per te importanti. » esordì Thor sciogliendo l’abbraccio e tenendole le mani: «
I tuoi familiari sono sopravvissuti, e il direttore Fury mi manda a dirti che
la tua casa e la tua vettura sono intatti. Ho recuperato i tuoi averi, una
volta conclusosi il conflitto, e ho disposto che ti siano riconsegnati a breve.
Il tuo flauto è stato affidato alle sapienti cure dei nostri armaioli. »
L’irlandese
annuì: « Come stanno gli altri? » nicchiò.
« I
Vendicatori miei compagni hanno condiviso con me il destino intessuto da Thanos
per noi e con me sono risorti, perciò non temere per loro. E non temere per
Jane, che non si è data per vinta pur disperandosi per me. Sif, Hogun e Heimdall
sono vivi e come te riposano, e parlano del tuo grande coraggio. Volstagg e
Fandral sono stati liberati dalle segrete insieme a molti altri e si lamentano
per non aver partecipato alle vostre gesta. »
« Mi fa
piacere. » disse lei ridendo piano, quindi si fece seria e attenta e chiese: «
Cos’è successo esattamente col Cubo, con Thanos e con tutti voi dati per morti?
»
Il dio le
lasciò le mani e si accomodò su uno scranno imbottito presso le arcate che
davano sulla terrazza: « So che avevi intuito che il Tesseract fosse la chiave
della terribile situazione in cui ci siamo trovati, e non avevi torto. Quando
Thanos è giunto qui a palazzo ha combattuto contro mio padre e si è
impossessato del manufatto, e non appena lo ha toccato ha creato un abile
incanto alterando la realtà. » raccontò; « Ad Asgard e su Midgard, entrambe
sotto assedio, guerrieri e civili si sono convinti come un sol uomo che sovrani
ed eroi fossero caduti e sono piombati nell’angoscia cessando di lottare. Noi
stessi – io, mio padre, mia madre, i Vendicatori – siamo stati preda di una
morte apparente e abbiamo come abbandonato i nostri corpi, e Thanos ci ha
intrappolati in una dimensione senza nome tra i mondi ove tutto era buio e
dubbio e non esistevano vie d’uscita. Un velo ci divideva da voi e non potevamo
stracciarlo. »
«
Heimdall ha fatto riferimento a un velo calato su ogni cosa, in effetti. Di
certo anche lui aveva capito l’inghippo. » interloquì Erin.
Thor
sorrise: « La vista di Heimdall di rado può essere ingannata. Per questo ha
appoggiato il tuo piano senza esitare e ha rischiato volentieri la vita per
permettervi di penetrare nelle prigioni e liberare mio fratello. Sapeva che
restituendo lo scettro a Loki e aiutandolo ad arrivare al Cubo avremmo avuto
una possibilità di vittoria, e così è stato. »
Il nome
del Dio degli Inganni aleggiò nell’aria e colpì la flautista dritto al petto
costringendola a distogliere lo sguardo per non scoppiare miseramente in
lacrime; poggiò la fronte contro una colonna e nascose il viso tra i tendaggi
che pigri fluttuavano nella brezza diurna, e senza voltarsi emise un bizzarro
sbuffo diviso tra ironia e sconforto:
« Ci ha
salvati a sue spese. Vi ha salvati. »
asserì.
« Lo so.
Lo sanno tutti, credimi. » garantì lui con voce gonfia di commozione.
L’irlandese
lo osservò di sottecchi: « Che fine ha fatto quello stronzo di un titano? »
« Si è
visto sconfitto ed è fuggito. Adesso si starà nascondendo in un angolo remoto
del cosmo, magari implorando il perdono di Morte ed escogitando future
diavolerie. »
« E a te
non viene voglia di andarlo a cercare per dargli quello che si merita? »
esclamò lei con rabbia improvvisa spalancando le braccia e voltandosi di
scatto: « Io ne avrei, e tanta. »
Il biondo
scosse la testa, gli occhi lucidi: « Lo farei, se potessi. Ma dubito che potrei
mai sconfiggere il figlio di Mentore da solo, e d’altronde la vendetta a niente
mi servirebbe. »
« Certe
frasi retoriche vanno di moda pure tra gli dèi, vedo. » fu il caustico commento
di Erin.
« Parlo
sul serio. La vendetta non serve. » ripetè il Dio del Tuono con un sorriso
incerto.
« Come
no. » grugnì l’altra, eppure ebbe l’impressione che i sottintesi celati nelle
parole di Thor e di Frigga prima di lui non corrispondessero a quelli che lei
coglieva, e l’ombra di un buon presentimento le stuzzicò la mente e la
riscaldò. Lo giudicò però troppo stupido e illusorio e si sforzò di
accantonarlo, e mantenendosi mordace nei toni aggiunse:
« A
proposito di cose inutili, Thor. È proprio necessario che io partecipi alla
cerimonia di domani? Non ho più nulla che mi leghi ad Asgard e comincia a
mancarmi casa mia. »
« Le
genti del Valhalla aspettano di vedere da vicino la donna di Midgard che così
tanto ha fatto per loro, guadagnandosi un posto tra le leggende e i paladini
immortali, e vogliono renderle omaggio. Trattieniti ancora un giorno, e se dopo
il trionfo sarai sempre dell’idea che per te non è più tempo di restare ci
diremo addio. » rispose il figlio di Odino.
Erin
inclinò il capo, pensosa: « Mi sembra un compromesso ragionevole. » mormorò.
« Ti
ringrazio, Erin Anwar. Sei forte e straordinaria, hai l’animo di una regina e
il cuore di un leone, » le disse il principe, « e per questo mio fratello ti ha
scelta. »
« Mi
aveva scelta. » lo corresse l’irlandese con una punta di stizza.
Ma Thor sorrise
di nuovo, le diede un bacio tra i capelli e se ne andò, ed Erin rotolò sul
letto a peso morto e quivi se ne stette fino a sera cercando di decifrare
l’ondata di infondate sensazioni positive riguardo a Loki che la conversazione
col biondo dio aveva suscitato in lei.
Cadde e
trascorse la notte, strana e lenta, e l’irlandese si coricò molto tardi con un
disco dei Beatles in cuffia: aveva ricevuto le due borse promesse e tutte le
sue cose, e ascoltare musica per calmarsi era stato il suo primo e unico
pensiero. Fece sogni agitati e incomprensibili che le lasciarono un senso di
piacevole aspettativa addosso, acuito dagli interrogativi sul comportamento
della famiglia reale e dal fatto che nessuno di coloro con cui aveva interagito
appariva particolarmente in lutto; era come se tutti, lei compresa, stessero
dando per scontato qualcosa di assai importante, e non capiva né cosa né come.
« Dacci
un taglio, Anwar. » si rimbeccò nell’alzarsi: « O questi stanno cercando di
tenermi nella bambagia per non farmi stare peggio, oppure sono una manica di
stronzi ingrati. »
Entrambe
le ipotesi le suonarono plausibili, per quanto deprimenti, ed erano comunque
migliori dell’aggrapparsi a un miraggio improbabile con le unghie e con i
denti.
Aveva
giusto terminato di vestirsi quando una dama di compagnia della regina venne a
chiamarla: l’abito cerimoniale era pronto, disse, e la attendevano per
prepararla.
Erin le
tenne dietro attraverso stanze e corridoi d’incomparabile splendore,
incuriosita suo malgrado, fino in una saletta dalle alte finestre gremita di
ancelle che al suo arrivo si profusero in garbati inchini. Le fecero togliere
gli indumenti midgardiani e infilare una sorta di sottoveste di lino che le
sfiorava le ginocchia, e sopra di essa misero altri strati di stoffe incantevoli
al tatto di cui la musicista non riuscì a cogliere le forme, e al contempo le
acconciarono le chiome e imbellettarono il volto usando soffici pennelli;
qualcuno le sistemò sui polsi i parabracci che Loki aveva creato per lei, ora
lucidati sino a farli risplendere, e una volta terminata la vestizione un alto
dignitario entrò nel locale prostrandosi di fronte all’irlandese con deferenza
e porgendole il flauto magico. Lei lo afferrò e sentì il proprio battito
cardiaco accelerare fieramente, e strinse lo strumento con notevole orgoglio.
«
Desiderate mirarvi, giovane signora? » le domandò un’ancella.
Due delle
altre donne liberarono un grande specchio dalla tenda che lo ricopriva, ed Erin
fissò la propria immagine riflessa e sorrise inebetita, senza fiato: indossava
una corta tunica priva di maniche di broccato blu ricamato d’argento e un
pastrano di morbida nappa del color della notte dal lungo strascico e dalle
spalle decorate da leggere placche metalliche i cui motivi riprendevano quelli
dei bracciali; la schiena e la coda della giacca erano impreziosite da un
tripudio di minuscole scaglie argentee simili a una cascata di stelle, come se
la Via Lattea l’avesse avvolta, e ai piedi portava un paio di stivali di pelle
di camoscio azzurra come il cielo dal gambale alto e stretto. I capelli erano
raccolti sulla nuca in molte trecce, le palpebre sapientemente bistrate e le
guance appena rosee, e il flauto fiammeggiava come non mai.
Era
bellissima e regale, ma ciò che più le saltò agli occhi fu la somiglianza di
quegli abiti e quei colori con quelli che aveva sfoggiato alla serata di gala
che si era tenuta nella Galleria Schäfer, a Stoccarda, la prima volta che la
sua strada aveva incrociato il cammino del Dio degli Inganni – e per quanto
fosse solo una coincidenza il sangue le ruggì nelle vene gridandole che doveva
fidarsi dei suoi buoni presentimenti e che una coincidenza non era.
« È tempo
di andare, dama Erin. » disse il dignitario che le aveva consegnato lo
strumento, riportandola alla realtà, e con un gesto fluido la invitò a seguirlo.
Così si
avviarono per altri corridoi ancora, scortati da una mezza dozzina di guardie,
e man mano che procedevano il distante brusìo che udivano si faceva più chiaro
e intenso e vi si distinguevano voci e squilli di tromba. Il passaggio si aprì
su un colonnato ampissimo e soleggiato e l’irlandese, il cerimoniere e i
soldati si arrestarono in cima alla gradinata che si affacciava sull’immenso
salone riservato alle celebrazioni e ai riti ufficiali, e lei amò lo spettacolo
che aveva davanti: una folla sconfinata riempiva l’ambiente, ondeggiando scalpitante
ai due lati del camminamento d’onore che conduceva alla piattaforma del trono,
e ogni singolo sguardo era puntato verso la scalinata, verso Thor, Sif, Hogun
ed Heimdall che già si trovavano lì e che accolsero Erin con luminosi sorrisi.
Le
chiarine suonarono e Odino annunciò il primo degli eroi, e uno ad uno gli improvvisati
compagni d’arme della ragazza di Galway sfilarono tra la gente in festa, e il
Dio del Tuono fu il quarto ed Erin si apprestò al proprio ingresso trionfale.
Essere oggetto di quel genere di attenzione era ciò che aveva sempre sognato e
le disegnò un lieve sogghigno compiaciuto sulle labbra, eppure non avrebbe
voluto goderselo da sola, mai.
Ed ecco
che i cortigiani e le dame che aveva d’intorno presero a mormorare qualcosa con
malcelata eccitazione e indicarono un punto alle sue spalle, e lei
istintivamente si girò a guardare per scoprire di chi o cosa si trattava. E
nella luce che filtrava tra colonna e colonna si stagliò una figura slanciata e
maestosa che camminando senza fretta le si fece incontro: indossava un elmo
cornuto e abiti scuri e un’armatura leggera e un manto verde, e nella mano
destra stringeva un’alabarda la cui punta elaborata brillava di vivido blu.
Nel petto
di Erin un fuoco divampò, selvaggio e meraviglioso, colmandola da capo a piedi,
e quando Loki le sorrise tutto acquistò un senso e i dubbi svanirono, e lei
scoppiò dapprima a ridere, matta di felicità, e poi si sciolse finalmente in
lacrime belle come una pioggia d’estate. Rise e pianse mentre lui annullava la
distanza che li separava, quindi con dita frementi gli sfiorò gli zigomi, il
naso e la bocca e seppe che era vivo e fatto di carne e non di sogno.
« Hai
pianto per me, donna d’Irlanda? » la salutò il dio, ammiccante.
« Mi
duole ammetterlo ma temo di sì. » rispose la musicista, soffocata
dall’emozione, e Loki le cinse i fianchi e con estremo ardore la baciò.
E l’avere
le sue labbra e la sua bocca sulle proprie, dopo un tempo che le era parso
infinito, fu per l’irlandese qualcosa d’indescrivibile, fu una bomba di schegge
ardenti che s’irradiarono fino alle sue più recondite terminazioni nervose; si
strinse a lui e godette di ogni singola sensazione, di ogni minimo dettaglio,
persino delle ovazioni che gli asgardiani più vicini a loro lanciarono nel
vederli così avvinghiati e splendidi in quel bacio.
In quella
le trombe squillarono e il Padre degli Dei parlò a gran voce, e i due si allontanarono
l’uno dall’altra quel poco che bastava per volgersi verso il salone e il trono:
« E
adesso, brave genti di Asgard la splendente, accogliete coloro senza i quali
quest’oggi non potremmo essere qui. Accogliete Erin d’Irlanda, Dama del Flauto,
la valorosa fanciulla di Midgard che per prima tra gli umani ha traversato il
Ponte Arcobaleno e che ha spronato immortali guerrieri all’azione dimostrando
una tempra degna di una dea, colei che a lungo ha viaggiato e lottato al fianco
di mio figlio. E accogliete soprattutto quest’ultimo, poiché è a lui che
dobbiamo ogni cosa. » Odino disse; « Loki, Dio degli Inganni e principe
ritrovato, gloriosamente tornato dall’esilio con nobili propositi. Due volte
abbiamo temuto di averlo perso quando perso non era, e due mondi lo hanno
ritenuto una minaccia prima di essere da lui salvati a costo quasi della sua
stessa vita. Ha spezzato il terribile incanto creato dal Cubo e ha sconfitto
Thanos il Rosso, e per questo non gli saremo mai grati abbastanza. Accogliete
dunque Erin Anwar e Loki figlio di Odino, genti di Asgard, e onorateli con
grandi onori! »
La folla
esplose in un boato gioioso e unanime, e l’asgardiano porse il braccio alla
flautista e con lei discese solennemente i gradini sino al camminamento
d’onore: avanzarono insieme tra le due ali festanti di sudditi, cortigiani,
dame e soldati, lentamente, sorridendo compiaciuti, ed erano regali e fieri
come due sovrani al proprio trionfo. E del loro trionfo si trattava, e se lo
meritavano, ed era ciò a cui il Dio degli Inganni aveva puntato sin dal
principio; il suo intento si era compiuto nonostante gli impensati ostacoli e
la pura ammirazione degli abitanti del Valhalla era l’inebriante vendetta alla
quale aveva mirato, egli constatò tra sé. E sebbene mille domande tempestassero
la sua mente Erin decise che se ne sarebbe occupata più avanti, dopo essersi
beata senza crucci e distrazioni del senso di potenza che quel camminare tra
persone che la acclamavano le stava comunicando. Era una fiamma, e bruciava con
orgoglio.
Giunsero
alla piattaforma centrale del salone, di fronte al seggio aureo del re, e si
fermarono ai piedi della scalinata: Odino, Frigga, Thor, Heimdall, Sif e Hogun
li guardarono raggianti, e nel chiarore abbacinante che pioveva dalla
gigantesca apertura rotonda che si apriva nel soffitto – e dalla quale
centinaia di altre persone si affacciavano – l’irlandese sollevò il flauto
sopra la testa e Loki fece altrettanto col proprio scettro, e i presenti ruggirono.
Non
appena il ruggito si fu dissolto nell’aria i due s’inchinarono con velata
ironia al Padre degli Dei e questi spalancò le braccia:
« Siamo
noi che dovremmo inchinarci a voi. Non ci saranno parole adeguate per esprimere
la gratitudine che vi portiamo, né lo stupore o il sollievo, né il rispetto che
vi siete guadagnati. Ed io, figlio mio, temo che non riuscirò mai a saldare il
debito che ho nei tuoi confronti o a farmi perdonare in maniera sufficiente,
dopo ciò che hai fatto. »
Il Dio
degli Inganni dovette reprimere un ghigno vittorioso, e tuttavia al contempo fu
felice di sapere che Odino aspirava al suo perdono per le proprie passate
colpe. Così il ghigno fu invece un contenuto sorriso ed egli scosse il capo con
aria volutamente dimessa:
« Non
credi che avermi evitato la morte sia sufficiente, padre? » gli chiese.
Il
sovrano sembrò rifletterci su, quindi apostrofò Erin ponendole a sua volta una
domanda:
« E tu,
giovane dama d’Irlanda? Come posso ripagarti per le gesta che hai compiuto? C’è
qualcosa che desideri e ch’io potrei offrirti? »
Lei
inarcò le sopracciglia e tentennò sul posto, un po’ in imbarazzo e assai
lusingata:
« Io non
so ancora come sono andate esattamente le cose, ma il fatto che Loki sia vivo è
per me la ricompensa migliore. » rispose, e la folla esalò un brusìo commosso;
« Diciamo che la sola altra cosa che potrei volere è la possibilità di restare
con lui. » aggiunse a precipizio fissando il compagno. Il cuore le rimbombava
nelle orecchie e aveva le guance roventi.
« Forse
ho un desiderio che potresti esaudire, Padre degli Dei. » interloquì lentamente
il dio dall’elmo cornuto senza distogliere gli occhi da Erin: « Però non è il
tuo consenso che per primo mi servirà perché il desìo che ho in animo si
compia. »
E sotto
gli sguardi di tutti, di Odino e di Frigga e di Thor che sorrideva trepidante e
dell’intero popolo di Asgard, Loki si tolse l’elmo, fece svanire lo scettro e con
calma s’inginocchiò davanti alla ragazza di Galway prendendole una mano. Erin
soffocò un’esclamazione attonita e un turpiloquio di gioia, e con solennità
estrema il Dio degli Inganni così parlò:
« Erin
Anwar, il mio unico desìo sei tu. Accetterai dunque di divenire mia sposa? »
Un attimo
di limpido silenzio coronò tali parole, e in quell’attimo l’irlandese si sentì
come se l’universo le fosse imploso magnificamente nel cervello. Il cuore si
sostituì al respiro e il mondo fu luce e fuoco, e lei boccheggiò ed emise una
piccola risata incredula simile a un singhiozzo. Mai aveva osato immaginare ciò
che il suo ingannatore divino le aveva appena detto, e tuttavia lui era lì e
sorrideva con quelle sue verdi iridi ardenti e tutto era reale.
Allora la
musicista gli sorrise di rimando e gli s’inginocchiò d’innanzi, e con voce
decisa e vibrante pronunciò tre semplici, sfrontate sillabe: « Cazzo sì. »
« E che
così sia. » affermò Odino con evidente emozione, e la folla lanciò un grido di
gaudio che percorse l’immenso salone come un’onda, e tutti inneggiarono ancora
a Erin e Loki.
E il Duo
degli Inganni rimase in ginocchio ai piedi del trono come se nient’altro
contasse all’infuori di loro, ridenti, gli occhi negli occhi e le dita
intrecciate.
> Note a piè di
pagina
… AEHM. *corre a lanciarsi elegantemente dal Bifröst frignando di gioia e
gridando GNAHRGH!*
Aggiorno con un po’ di ritardo nel glorioso giorno del Solstizio d’Estate
per lanciarvi questa sottospecie di bomba atomica che è il penultimo capitolo
della mia storia – il capitolo per il quale o m’inseguirete con un esercito di
Estranei incazzati oppure mi adorerete come una Daenerys Targaryen de’ noartri.
A mia “discolpa” vi dico che la mia intenzione è sempre stata quella di
scrivere un’epica, maestosa favola (il titolo la dice lunga) e di rendere
felice il mio asgardiano prediletto. E poi suvvia, non crederete davvero che il
succitato asgardiano lo abbia fatto per puro et semplice ammmmòre…
Il capitolo è stracolmo di citazioni e riferimenti tolkieniani, uno su
tutti il parallelismo Erin-Èowyn in convalescenza che osservano dai balconi
delle loro stanze la ritrovata pace della capitale dopo la vittoria; gli altri
due sono il richiamo al risveglio di Samvise sotto gli indolenti rami di betulla presso il Campo di Cormallen e la
frase di Odino “onorateli con grandi
onori!”, citazione fedelissima. Per quanto riguarda il Tesseract, nei
fumetti il suo principale potere è quello di alterare la realtà e la sua
percezione secondo il volere di chi lo possiede e comanda, e qui è così che
Thanos lo ha usato.
Il titolo è il verso portante del ritornello di Beloved freak dei Garbage (so
here you stand, beloved freak / the world is at your feet). E per la
colonna sonora, in sequenza, ecco i brani che vi consiglio per godere al meglio
della lettura:
1. Love, love, love degli Of
Monsters And Men (risveglio e convalescenza di Erin);
2. Shakespeare in love (tema
principale) di Stephen Warbeck (vestizione e arrivo alla sala del trono)
3. PM’s theme (da Love Actually) di Craig Armstrong (Erin
e Loki che finalmente si ritrovano)
4. Karelia Suite (I movimento)
di Jean Sibelius (marcia trionfale del Duo degli Inganni)
5. Destiny in Space (tema
principale) di Erbe & Solomon (dialogo con Odino e La Proposta)
Come sempre trovate le mie grafiche e i miei disegni a tema QUI– e a proposito, grazie mille a Dama Greenleafche mi segue lì su
Tumblr :) e GRAZIE a tutti voi che leggete, seguite e commentate, sperando di
avervi fatto sognare un po’ ;)
Sono indietro con recensioni e letture, a proposito, perciò abbiate
pazienza che prima o poi recupero.
Vi aspetto al prossimo e conclusivo capitolo. Ossequi asgardiani e buon
Solstizio!
Capitolo 17 *** 17. The wolf is getting married ***
17
17.
The
wolf is getting married
Quella
sera a corte si tenne un grandioso banchetto che completò degnamente le
celebrazioni. Birra e vino scorsero a fiumi, e il cibo servito fu buono oltre
ogni dire; nella grande sala dei ricevimenti cantori e musicanti si esibirono
alla calda luce di torce e lampade a olio allietando gli animi, e dopo un paio
di boccali Erin si unì a loro col suo flauto migliore. Suonarono e cantarono e
tutti ne furono felici, e presto molti presero a danzare e battere le mani.
C’era
molto per cui festeggiare, quel giorno, tra la liberazione del regno dai nemici
invasori, il trionfo dedicato agli eroi e il fidanzamento del Dio degli Inganni
con la ragazza di Galway, e sino a notte fonda difatti si festeggiò. Thor, Sif,
Heimdall e Hogun ricevettero grandi e ammirate attenzioni da parte degli altri
invitati, com’era giusto che fosse, ma niente in confronto a quelle che
ricevette Loki: fu lui la stella, il sole attorno al quale tutto ruotò, e negli
innumerevoli sguardi che scambiò con Erin lei lesse la più scaltra e pura delle
soddisfazioni.
Quando
infine ospiti e musicisti cominciarono ad abbandonare il salone e i lumi
diminuirono, anche il principe e l’irlandese presero congedo facendo ritorno
assieme all’ala riservata agli alloggi reali; tuttavia dovettero separarsi
sulla soglia della camera del dio, poiché la tradizione non prevedeva che due
promessi sposi dividessero il letto prima dei voti nuziali. Erin sbuffò
apertamente nell’apprendere tale dettaglio dalle ancelle che li accompagnavano,
e Loki le lanciò un sorriso d’intesa mentre scivolava oltre la porta.
La
flautista si lasciò scortare dalle dame fino alle proprie stanze, le stesse in
cui aveva trascorso i giorni di convalescenza e che si trovavano al capo
opposto del corridoio su cui davano quelle del compagno – e mentalmente prese
nota del tragitto, dal momento che non aveva alcuna intenzione di osservare le
buone maniere dell’alta società del Valhalla, non dopo i sofferti e incredibili
accadimenti di cui era stata protagonista. Aveva ancora mille domande da porre
al Dio degli Inganni, e più che mai le sue labbra e i suoi lombi ardevano dalla
voglia di perdersi il più a lungo possibile tra le braccia dell’asgardiano.
Le
ancelle la aiutarono a sfilarsi gli abiti da cerimonia e finalmente se ne
andarono, augurandole di trascorrere una buona notte, ed Erin sogghignò tra sé
e trepidò al pensiero della notte che prometteva di essere. Allora si sciolse i
capelli intrecciati e tolse la tunica di lino chiaro per indossare una delle
maglie troppo ampie che usava per dormire, e ai piedi mise un paio di ballerine
di morbido cuoio; quindi uscì di nuovo controllando che nessuno fosse nei
paraggi per porle quesiti inopportuni e tornò indietro a passi felpati con un
insistente sfarfallìo alla bocca dello stomaco, così piacevole rispetto alle
fitte di paura e rabbia che aveva sperimentato sino a una manciata di ore
prima. Camminando sempre più in fretta rifletté su tutte le volte in cui il suo
ingannatore divino l’aveva colta completamente di sorpresa e pensò che cinque
erano state tali occasioni: la prima era stata cadere dal cielo proprio mentre
lei si trovava nei paraggi, dopo Stoccarda, la seconda rendere il suo flauto
un’arma affinché potesse combattere assieme a lui invece di ucciderla o
scacciarla; la terza pregarla di seguirlo nella Dimora degli Dei, la quarta
essere vivo quando lei lo credeva morto.
E la
quinta – la quinta – erano le parole che aveva pronunciato quel pomeriggio
davanti agli immortali abitanti del Valhalla e al cospetto dei loro sovrani, le
parole che mai Erin aveva immaginato di sentirsi rivolgere e di sicuro non dal
Dio degli Inganni.
L’irlandese
ridacchiò piano nel corridoio fortunatamente deserto e con un singulto si
accorse di essere giunta a destinazione: allora picchiò tre colpetti sul legno
intarsiato d’oro della porta degli alloggi di Loki e subito questi la aprì,
accogliendola col solito sorriso astuto con cui si erano salutati. Sapeva
perfettamente che non sarebbe rimasta nella propria camera e la stava
ovviamente aspettando, finalmente spoglio dell’armatura e degli orpelli
cerimoniali e avvolto in una semplice casacca da camera di squisita fattura.
« Non è
buona creanza che una fanciulla faccia visita al proprio promesso sposo nel
cuore della notte. Siamo un po’ all’antica, ad Asgard. » la apostrofò il dio,
ammiccante, mentre si scostava per lasciarla entrare per poi chiudere a chiave
l’uscio.
« Io non
sono esattamente di qui. » replicò Erin con espressione deliziata.
« Per mia
fortuna. » disse lui avvicinandolesi senza sfiorarla.
La
musicista fremette di desiderio ma s’impose di dare la precedenza ai dubbi che
le punzecchiavano la mente: « Spiegami immediatamente com’è possibile che tu
sia vivo e vegeto. Ti ho visto morto in quella cazzo di stanza, ti ho chiamato
e scrollato invano e nessuno mi ha riferito il contrario, da quando mi sono
risvegliata. Ed ecco che oggi spunti fuori, in salute e fottutamente bello come
sempre, e per poco non ci resto secca io. Cos’è successo, Loki? Eri morto
davvero o non lo eri affatto? » se ne uscì infatti tutto d’un fiato.
« Tu hai
chiesto mie notizie, in questi due dì? »
« Cos’avrei
dovuto chiedere? Sei morto sotto i miei occhi, in pratica, e né tua madre né
Thor sembravano sprizzare gioia nel parlarmi. Perché fare domande inutili? »
L’asgardiano
scosse il capo: « Non sarebbero state inutili. Nessuno ti ha riferito alcunché
di diverso da ciò che credevi di sapere perché non v’era niente di certo, non
fino alle prime luci di quest’alba. » rispose; « Ero invero morto e tuttora lo
sarei se non fosse stato per Odino. Mi ha riportato in vita, Erin, e un simile
processo richiede tempo e silenzio. »
Lei inarcò
le sopracciglia, interdetta: « Aspetta. Odino? Odino può... »
« Odino
può ogni cosa. » terminò Loki al posto suo: « Illimitato è il suo potere e
tutto può compiersi, se lui lo desidera. Così ha prima guarito il mio corpo e
poi richiamato il mio spirito dal luogo ignoto in cui se n’era fuggito, utilizzando
arti e parole arcane nella più remota e segreta tra le stanze di guarigione di
questo palazzo, da solo. Il terzo giorno ha vegliato su di me in attesa ch’io
riaprissi gli occhi e stamane mi sono infine alzato dal mio giaciglio. »
« Conosco
un altro tizio divino che ci ha messo tre giorni per risogere. » commentò
l’irlandese senza riuscire a trattenersi; « E il luogo in cui se n’era andato
il tuo spirito, com’era? »
« Ha
importanza? Sono qui, Erin, e credo che ciò sia sufficiente. » asserì il
principe.
«
“Sufficiente” è un termine riduttivo. » disse la flautista con voce arrochita,
e di slancio si protese verso il compagno per baciarlo. Una seconda domanda
premeva per essere posta, ma il languore che pervadeva il suo corpo si stava
facendo assai più impellente.
Tuttavia
il Dio degli Inganni intuì quell’interrogativo latente e con un ghigno divertito
indietreggiò di un paio di passi in direzione dell’alcova, lasciando la ragazza
di Galway a bocca asciutta: « Tutto qui? Non vi sono altri dubbi che vuoi ch’io
dissipi? » la stuzzicò.
Erin
emise un mugolìo frustrato: « Ce ne sarebbe uno solo, in realtà. » bofonchiò.
« Parla,
dunque. Non abbiamo alcuna fretta. »
«
Appunto, il dubbio può aspettare. Non scappa mica, dalla mia testa. »
« Non
abbiamo alcuna fretta. » ripetè lui con una diversa sfumatura nel tono, e
sempre muovendosi lentamente all’indietro evitò il letto e si appoggiò con la
schiena a una parete.
L’irlandese
arrossì, sbuffò, distolse lo sguardo, si grattò pensosamente il naso, dondolò
sul posto e sbuffò di nuovo, quindi si arrese e gli si avvicinò con le mani sui
fianchi:
« Perché
mi hai chiesto di sposarti? » domandò. Aveva le guance tinte di porpora e le
iridi che brillavano, e un lieve sorriso compiaciuto le piegava le labbra
all’insù.
« E tu
perché hai accettato? » ribatté ridendo il dio, intrigato.
« Non
chiedermi cose di cui sai già la risposta, asgardiano. È imbarazzante. » lo
rimbeccò Erin diventando paonazza fino alla punta delle orecchie.
« Se tu
fossi me ed io fossi te, donna d’Irlanda, per quale motivo avresti chiesto la
mia mano? Parla pure liberamente e ti dirò se il tuo pensiero combacia col mio.
» suggerì Loki.
Lei trovò
interessante quel ribaltamento di ruoli e prese a deambulare per la stanza
gesticolando e provando a immedesimarsi in lui: « Innanzitutto uscirsene con
una proposta del genere avendo come pubblico i propri sudditi adoranti è un
ottimo modo per accrescere la propria riguadagnata popolarità, e del resto ti
ho dimostrato ampiamente come conquistare i favori della gente. I due eroi del
giorno coronano il loro amore dopo tante peripezie! Quale miglior lieto fine
per mandare la folla in brodo di giuggiole? » cominciò, e poiché l’altro taceva
e la fissava sorridendo proseguì nel suo monologo; « La seconda ragione per me
sarebbe il matrimonio in sé. Quassù siete all’antica, mi hai detto, e sposarci
risolve in partenza il problema della mia presenza e del rapporto che ho con
te. Se fossi rimasta senza ufficializzare alcunché forse alla lunga qualcuno
avrebbe storto il naso, visto che in fondo sono umana e deperibile e non molto
aristocratica. Invece hai saggiamente approfittato dell’entusiasmo generale e
nessuno ha avuto da obiettare, e dubito che più avanti qualcuno oserà
contrastare l’unione tra il principe che ha salvato il culo a tutti e la sua
valorosa sposa. Infine, credo tu l’abbia fatto pensando a Midgard. Insomma, non
so che piani tu abbia al riguardo, però avere per moglie una mortale
giustificherà ogni qualsivoglia viaggetto vorrai farti giù sulla Terra, a patto
che tu ci vada sempre in mia compagnia. Diremo che ci rechiamo in visita dalla
mia famiglia o dai miei amici o da Thor che sarà dalla sua astrofisica o che io
devo starmene a Boston per un po’ causa lavoro, e magari tu nel frattempo ti
dedicherai a organizzare la conquista del mio stupido pianeta o qualcosa del
genere. Sarebbe geniale. »
Non
appena Erin ebbe finito di esporre la propria visione circa le azioni del
compagno questi assentì, il sorriso che s’allargava e l’espressione quasi
raggiante:
«
Nonostante ti conosca ormai alla perfezione, l’affinità tra il tuo intelletto e
il mio mi colma sempre di stupore. Eppure, Erin, hai dimenticato il motivo più
importante, o forse nemmeno lo hai contemplato. » disse il Dio degli Inganni
scegliendo con cura le parole.
« Cosa?
Quale motivo? » volle sapere la musicista, smettendo di passeggiare.
Loki si
fece serio e andò verso di lei: « Te lo avrei chiesto comunque. Anche senza il
popolo adorante e sottili strategie, io avrei ugualmente chiesto la tua mano. »
rispose.
L’irlandese
avvertì il proprio sangue ruggire di emozione e l’ennesima sciocca citazione salirle
impunemente alle labbra: « Parli sul serio? Vorresti dunque che la gente di qui
dicesse “Il principe Loki ha saputo domare una selvaggia fanciulla di Midgard!
Non v’era una dama asgardiana ch’egli potesse scegliere?” » parafrasò con una
tintinnante risata.
« Lo vorrei.
» affermò il dio chinandosi sulla compagna, e calda era la sua voce e tiepido
il suo respiro: « Mi hai stregato anima e corpo, Erin Anwar, e voglio i tuoi
per me soltanto. »
Allora la
ragazza di Galway gli volò addosso, e mentre una luce sconfinata le si
incastrava felicemente nel petto, accanto al cuore che tambureggiava, gli prese
il volto tra le mani e lo baciò con tutto il fuoco che le bruciava dentro, e
tale fu il suo impeto che Loki dovette appoggiarsi di nuovo al muro per non
barcollare. Vincendo l’iniziale sorpresa la strinse a sé e fece scivolare le
dita al di sotto della sua larga maglia: e non incontrando altro che nuda pelle
la voglia che aveva di lei lo travolse, e senza lasciarla andare si spostò sino
ad uno scranno imbottito privo di braccioli sul quale sedette con Erin sulle
gambe.
A vicenda
e bevendo sospiri l’uno dalla bocca dell’altra si sfilarono gli indumenti, e
lui fece risalire entrambe le mani lungo i fianchi dell’irlandese fino al
torace e coi pollici prese a carezzarle i seni – ed Erin lanciò un lievissimo
grido e si protese verso l’asgardiano, le dita serrate sulle sue ginocchia e le
cosce premute sulle sue. Ed egli la mirò, mirò i capelli color dell’oro antico
che sciolti catturavano i guizzi dei braceri, mirò le palpebre abbassate e la
bocca dischiusa, il collo delicato e teso e la linea morbida del ventre che
sfiorava il suo, e la desiderò con tale voluttà da provare quasi dolore.
D’un
tratto la flautista riaprì gli occhi e gli cinse le ampie spalle, e lo baciò
lentamente e si sollevò appena, e sempre baciandolo scivolò su di lui: cominciò
così a muoversi, a ondeggiare ritmandosi con piccoli, meravigliosi gemiti, e
ancora una volta fu Loki ad annaspare per l’iniziativa e la veemenza della
donna d’Irlanda; inebriato dal calore che finalmente lo avvolgeva e cui spesso
aveva agognato nei giorni bui che avevano vissuto, la tenne stretta e ne
assecondò il movimento, e gemette in risposta e fu grato per il fiume rovente
che gli scorreva nelle vene sin da quando l’aveva incontrata.
E poiché
amava riprendere il controllo in ogni situazione all’improvviso si sollevò dal
seggio, e tenendola saldamente e senza sforzo alcuno per le natiche raggiunse
l’alcova. Sulle coltri soffici e ricamate di essa la fece distendere per poi
inginocchiarlesi sopra e abbassarsi fino a perdersi nelle pozze illanguidite
delle sue profonde iridi castane, ed Erin sentì il proprio petto scoppiare in
una miriade di schegge scintillanti, tanta e pura era la gioia che provava.
Gli
sorrise e il Dio degli Inganni le sorrise di rimando, e piano scese a baciarle
le labbra e il mento e la gola fremente e l’ombelico e l’inguine. E infine fu
tra le sue gambe aperte e anche lì la baciò, e senza fretta la assaporò
portandola sull’orlo di un piacere smisurato e folle e godendo nell’udirla
ansimare ripetutamente il suo nome nel chiarore dorato della stanza.
E un
attimo prima che l’irlandese si arrendesse a quel piacere Loki si allontanò e
tornò a sovrastarla, e lei lo afferrò per la nuca, le mani affondate tra i suoi
capelli color del buio, e lo tirò giù verso la propria bocca – e lui la prese
per i fianchi in un gesto ormai familiare per entrambi e nuovamente le fu
dentro: e nuovamente il mondo fu luce e fiamme, e pelle su pelle e labbra su
labbra e lombi che ardevano e si scioglievano come magma incandescente.
E quelle
fiamme salirono, fiere e ruggenti, e salirono anche le loro voci intessute come
un unico canto fin nei cieli di Asgard, e nel loro velluto trapunto di stelle
esplosero assieme.
Le
settimane che seguirono furono le più deliranti e belle che la ragazza di
Galway avesse mai vissuto: se nella Dimora degli Dei i preparativi per le nozze
vennero affrontati con notevole tranquillità, nonostante il doversi conciliare
con le usanze mortali in tale frangente, recarsi su Midgard per mettere al
corrente parenti e amici delle incredibili novità non fu cosa da poco.
Partendo
dall’Osservatorio con Thor, il quale approfittò dell’occasione per correre da
Jane, il Duo degli Inganni andò tosto a far visita alla famiglia Anwar nella
verde Irlanda; quivi tutti li riconobbero come gli eroi che avevano liberato
Dublino e molte altre città e li tempestarono di domande e ovazioni e foto, e
raggiungere la soglia della casa natale di Erin richiese non poco tempo e un
cospicuo elargimento di sorrisi condiscendenti. Midgardiani e asgardiani non
erano poi tanto dissimili nel lasciarsi conquistare da nobili gesta, constatò
il dio con soddisfatto disprezzo mentre lei suonava il campanello gongolando
apertamente.
Grande fu
la gioia di Seamus, dei genitori e del nonno nell’accogliere la congiunta e
nell’appurare che era viva e stava bene, e certo la presenza di Loki contribuì
a stupirli e metterli lievemente in soggezione: da quando i soldati di Odino
avevano raggiunto Thor e i Vendicatori sulla Terra per aiutarli a sconfiggere
gli invasori tutti avevano scoperto – o quantomento sospettato – che le
leggende solo leggende non erano, e dunque anche gli Anwar non faticarono a
credere che l’uomo che torreggiava nel loro salotto fosse davvero il Dio degli
Inganni delle vecchie storie del Nord. Ed Erin raccontò loro le incredibili
avventure che aveva affrontato assieme al compagno e agli altri divini
guerrieri, narrò di Thanos e dei sovrani del Valhalla e del sacrificio di Loki
e del meraviglioso trionfo, descrisse il loro viaggio attraverso gli States e
le eccentriche personalità degli eroi dello S.H.I.E.L.D. e rivelò quanto
profondo fosse divenuto il legame che c’era tra lei e il dio asgardiano.
E a quel
punto dovette fare l’annuncio che le premeva sulla punta della lingua e che le
mandava a mille il battito cardiaco. Così lanciò un’occhiata significativa a
Loki, rise per smaltire l’imbarazzo e con le guance arroventate prese le mani
di sua madre:
« Spero
che potrete prendere un mesetto di ferie, dalla prossima settimana, per venire
con noi ad Asgard. Tranquilli, nessuna spesa, sarete ospiti serviti e riveriti.
» esordì goffamente.
« Io e
Mus possiamo venire comunque. Sarebbe per una sorta di vacanza? » s’informò suo
nonno, Enoch McNulty, osservando di sottecchi il Dio degli Inganni.
La
musicista se ne uscì con un buffo verso: « Più o meno. Diciamo che in questo
modo vedrete i luoghi che ho visto io e conoscerete di persona gli dèi che io
ho conosciuto. » rispose, e quelle parole suonarono talmente folli da farla
scoppiare ancora a ridere.
« Perché
la stai prendendo sì alla larga, Erin? » interloquì Loki, divertito.
«
Prendendo alla larga cosa? » domandò
Maeve, la madre, con un mezzo sorriso perplesso; Seamus e Patrick, il padre,
scrollarono le spalle e inarcarono le sopracciglia, incuriositi.
« Perché
dire alla mia famiglia che tra un mese mi sposo e che lo sposo è un principe
asgardiano ingannatore non è proprio semplice, dolcezza. » esclamò lei con
estrema naturalezza, e contemporaneamente si rese conto di averlo appena fatto
e si bloccò.
Allora
nel soggiorno di casa Anwar si scatenò un allegro finimondo, e Maeve squittì e
stritolò le dita della figlia, Enoch si rifugiò in bagno a fumare per la troppa
emozione, Seamus chiese al dio se aveva una sorella con cui lui potesse
maritarsi, Loki sogghignò perfettamente a proprio agio ed Erin attaccò a
parlare a raffica per cercare di spiegare la situazione.
Patrick
Anwar fu l’unico a mantenere la calma. Ammiccando raggiunse il telefono e
sollevò la cornetta con un’espressione strafottente pressoché identica a quelle
che la sua rampolla maggiore sovente sfoggiava: « Per il matrimonio della mia
primogenita con un principe asgardiano ingannatore nessuno mi rifiuterà un
abbondante mese di ferie. » affermò.
Trascorsero
a Galway un paio di giorni e prima di ripartire fissarono un appuntamento per
la settimana successiva: sarebbero tornati da loro e li avrebbero portati ad
Asgard.
Venne
quindi il turno di Boston e degli amici e colleghi della Boston Philharmonic
Orchestra, e tra loro la notizia del matrimonio e l’invito a parteciparvi
generò una deflagrazione assai esagerata di entusiasmo e incredulità che sfociò
in una concitata baldoria. E per basita che fosse persino Sylvia fu felice per
l’amica, e garantì che avrebbe reso quell’assurdo matrimonio umano e
scriteriato abbastanza perché fosse indimenticabile per tutti i fottuti dèi
nordici.
Infine il
Duo degli Inganni si ricongiunse col Dio del Tuono e con la giovane astrofisica
per fare rientro nel Valhalla, e quest’ultima loro riferì i saluti e l’eterna
riconoscenza dello S.H.I.E.L.D. e dei Vendicatori: sapevano che grazie alle
imprese della strana coppia ogni cosa era andata a buon fine e garantivano che
in futuro, qualora ce ne fosse stato bisogno, si sarebbero sdebitati in
qualunque modo e a qualunque costo; Loki si concesse un sogghigno d’esultanza e
tenne la cosa bene a mente, consapevole che ciò gli sarebbe sicuramente tornato
utile.
Così i
giorni passarono, i preparativi entrarono nel vivo e gli Anwar-McNulty al
completo sperimentarono l’iridescente vortice del Bifröst, e pieni di
meraviglia videro e conobbero quello di cui Erin aveva tanto parlato e
tremarono emozionati al cospetto di Odino e Frigga.
E le
ancelle tesserono nuvole d’impalpabili e splendide stoffe e v’intrecciarono
fili d’oro e piccole gemme per creare l’abito che l’irlandese aveva descritto
loro, e i sarti di corte fecero altrettanto con le vesti che il principe
avrebbe indossato, e musici, cantori, nobili di altre provincie, dame e
ambasciatori giunsero via via al palazzo del Padre degli Dei recando doni per i
due fidanzati e le loro famiglie. La flautista apprese molte nozioni sulla
cultura degli Æsir e si divertì quando le venne spiegato come si sarebbero
svolte le celebrazioni, premurandosi di rammentare cortesemente agli asgardiani
che alcuni passaggi avrebbero dovuto svolgersi alla maniera terrestre: riuscì
così a evitare inutili faccende come quella della dote della sposa, spiegando
che su Midgard la cosa non andava più di moda da decenni, e favorì scambi di
opinioni e gentilezze estremamente informali tra i propri congiunti e i nuovi,
regali parenti.
Poiché
era costume che i promessi sposi non eccedessero nella reciproca compagnia,
prima delle nozze, Erin ebbe inoltre molte occasioni per conversare sia con
Jane che con Sif e i suoi tre compagni d’arme, e persino con Heimdall; talvolta
riuscirono a trovarsi tutti insieme nelle sale private dei principi o nei
giardini – lei, Loki, Thor e gli altri, e finanche Seamus che aveva messo gli
occhi sulla bella guerriera – e quelli furono invero momenti piacevoli.
La sera
del quarto dì che precedeva la cerimonia arrivarono gli orchestrali della BPO
al gran completo e alcuni musicisti irlandesi, carichi di strumenti, leggii,
spartiti, abiti eleganti e macchine fotografiche, e sino all’alba si fece festa
nelle stanze dell’irlandese. Attratti dalla presenza di un sì cospicuo numero
di colleghi midgardiani i musici di corte accorsero in massa, e per ore la
reggia risuonò di note e canti e voci allegre.
I tre
giorni seguenti furono assai importanti: tradizione voleva infatti che i
fidanzati compissero ciascuno il proprio percorso, in vista del rito nuziale, e
pertanto per la ragazza di Galway fu impossibile vedere il Dio degli Inganni.
Sua madre, Frigga, Sylvia, Jane, Sif e poche ancelle le stettero intorno per
prepararla al passo che la attendeva, ognuna a modo suo, e così fecero gli
uomini con Loki, il quale godette di quel buffo e luminoso periodo di pace e a
lungo disquisì con padre e fratello gettando oculate basi per venture
opportunità. Eppure soltanto la donna d’Irlanda occupava realmente i suoi
pensieri e dovette infine prenderne atto.
Alla
vigilia del matrimonio i futuri coniugi si recarono separatamente nei bagni
reali per i lavaggi propiziatori e purificatori previsti dal rituale – e mentre
le dame del seguito la spogliavano e la facevano entrare nell’acqua fumante,
illustrandole i suoi ormai imminenti doveri di moglie e madre e la perdita
della sua supposta condizione virginale, Erin fu a stento capace di mantenersi
seria e di non attaccare a cantare a squarciagola Like a virgin, nuda com’era e avvolta dai vapori che aleggiavano
sulle vasche. E dacché il cuore le batteva come un tamburo di guerra e nello
stomaco le rotolava una palla di fuoco, quella notte dormì poco e con splendida
agitazione e rifletté su tutto ciò che era successo, sull’incredibile serie di
eventi che l’aveva condotta sin lì. E così fece il dio, constatando che senza
di lei niente di quel che voleva si sarebbe realizzato e che lei medesima era
quel che voleva, ed entrambi furono riconoscenti ai moti del cosmo e del fato
che li avevano fatti incontrare.
Venne il
mattino della giornata fatidica, gonfia di sole e tepore sotto la volta serena
del cielo, e senza fretta tutti a palazzo terminarono di approntare ogni cosa
per celebrare l’unione tra il principe ritrovato e l’impavida fanciulla
mortale. Alla famiglia Anwar e all’astrofisica del New Mexico vennero donate
vesti asgardiane da indossare alla cerimonia, gli orchestrali si fecero belli e
per le vie della capitale la gente prese a festeggiare aspettando trepidante la
comparsa degli sposi novelli sulla balconata d’onore.
Sul
calare del meriggio le ancelle portarono a Erin il suo vestito e con loro
giunse anche Maeve McNulty: tra le mani reggeva un leggero cerchio d’argento
ornato di foglie di trifoglio e nastri blu, e al termine della vestizione lo
pose sul capo della figlia con gli occhi lucidi per poi abbracciarla stretta.
La musicista la abbracciò di rimando, quindi uscirono dalla camera e si unirono
al corteo della sposa, alla cui testa stava un orgogliosissimo Seamus; suo era
il compito di recare il flauto magico della sorella in vista dello scambio
simbolico delle armi di famiglia, e dal momento che gli Anwar non possedevano
spade antiche e che il Dio degli Inganni non aveva bisogno d’altri cimeli che i
propri si era deciso che le armi in questione sarebbero state lo strumento e lo
scettro.
Il
tramonto infiammava il soffitto celeste quando l’irlandese e coloro che la
accompagnavano si fermarono nel portico che si affacciava sul luogo designato
per le nozze: era, questo, una radura che si apriva sul bastione più alto dei
giardini della reggia, circondata da quieti ruscelli e rigogliosi alberi dal
fogliame scuro. L’erba era folta e morbida e mille lanterne brillavano
tutt’intorno al vasto prato, e decine di invitati fremevano già sul posto; tra
essi spiccavano i musicisti della BPO, in assetto da gran concerto e disposti a
emiciclo sulle prime file, e al centro del verde spiazzo Odino, Frigga, gli
Anwar e il Sommo Cerimoniere attendevano compunti. Poi di colpo il brusìo dei
presenti s’interruppe e dal capo opposto del colonnato un secondo breve corteo
s’avanzò, composto da Thor, Hogun, Fandral, Volstagg e un’altra mezza dozzina
di guerrieri di nobile aspetto: in mezzo a loro si levava la sagoma forte e
slanciata di Loki, magnifico e trionfante oltre ogni dire, lo sguardo ardente e
le labbra appena increspate da un sorriso segreto. Era avvolto in un regale
pastrano dorato finemente ricamato, la fida lancia tra le dita, e sotto aveva
una lunga tunica chiara impreziosita da una cinta verde.
Col
portamento elegante che gli era proprio sfilò tra le due ali di invitati e si
accomodò al fianco del Padre degli Dei, voltandosi verso il punto ove Erin scalpitava;
Thor e compagni si posizionarono poco più in là, visibilmente emozionati.
Toccò
allora alla ragazza di Galway abbandonare l’ombra del porticato, e nel bagliore
dei mille lumi che si mescolava a quello morente del crepuscolo di quella
soffice e calda sera d’estate tutti la mirarono e rimasero a bocca aperta:
bianca come le stelle era la sua veste e adorna di minuscole pietre blu come la
notte, e sopra indossava un soprabito color oro dalla forma simile a quella di
un fiore in boccio; sui capelli sciolti e sulla fronte le brillava il sottile
cerchietto d’argento, trifogli e nastri, e il suo viso era meravigliosamente
acceso.
E come
mise piede nel corridoio d’erba tra la folla le tre note d’inizio dell’Intermezzo di Mascagni colmarono l’aria
vibrando, seguendo i suoi lenti passi, e Loki le sorrise e a lei parve di
morire di gioia e di un groviglio irripetibile di molte altre cose: dentro
c’erano felicità e adrenalina e desiderio e amore e soddisfazione, ed era un
misto d’incredulità e piacevole terrore per l’ignoto che le si spalancava
dinnanzi. Ma non avrebbe cambiato una singola virgola di ciò che era stato, e
le venne voglia d’esultare e correre tra le braccia del suo ingannatore divino
infischiandosene dell’etichetta. Invece si limitò a sorridergli in risposta, e
la musica crebbe e i due furono finalmente faccia a faccia e si presero per
mano; Seamus consegnò il flauto alla sorella, il brano sfumò e la cerimonia
potè incominciare.
Molte
parole antiche furono pronunciate, accompagnate da gesti altrettanto arcaici, e
il rito si srotolò alla perfezione nella radura sulla cima dei bastioni. La
donna d’Irlanda prese lo scettro e l’asgardiano il flauto, e Odino invocò i
cieli di tutti i Nove Regni affinché li proteggessero e Frigga benedisse la
loro unione tanto come sovrana e dea quanto come madre. E Loki ed Erin
recitarono i voti nuziali a conclusione del cerimoniale e furono infine marito
e moglie, e lei non si trattenne più e scoppiò nella risata più bella che il
Valhalla avesse mai udito ed esultando gli saltò al collo e lo baciò, e
fratelli e amici si profusero in ovazioni di ogni genere, alcune delle quali
persino imbarazzanti; Maeve pianse a dirotto e baciò a sua volta Patrick, nonno
Enoch si accese d’impulso una sigaretta, Seamus dedicò un occhiolino a Sif e
Thor ruggì con entusiasmo sollevando Jane e facendola ruotare come una piuma.
Ebbero
quindi inizio il banchetto nuziale e i festeggiamenti che, secondo le nordiche
usanze, sarebbero proseguiti per un’abbondante settimana: e tutti mangiarono,
bevvero e cantarono, e si suonò e danzò e a malapena si dormì, mentre anche
nelle strade intorno al palazzo le genti di Asgard godevano del periodo di
festa; i guerrieri della casa di Odino rimasero ammaliati dalle grazie
sapientemente mostrate delle giovani donne di Midgard amiche di Erin, e
quest’ultima sfidò molti degli uomini presenti in serrate gare d’insulti,
spesso vincendo a mani basse, e Seamus riuscì a ottenere le attenzioni di Sif,
suo malgrado intrigata.
E quella
sera, dopo i brindisi di rito e prima di venire accompagnati nelle loro nuove
stanze, il Dio degli Inganni e la ragazza di Galway si recarono sul balcone
d’onore della reggia per salutare il popolo che fremeva più in basso, desideroso
di omaggiare gli sposi.
« Sai,
quando tuo padre ha invocato per noi la protezione dei Nove Regni ho pensato
che forse i Nove Regni dovrebbero proteggersi da noi. » disse l’irlandese a bassa voce intanto che col novello
consorte si avviava al terrazzo in solenne processione.
Loki la
guardò in tralice, sogghignando: « L’ho pensato anch’io. Ecco perché mi piaci a
tal punto, assurda mortale. » replicò.
« Mi
auguro non sia soltanto per questo. E a proposito di noi e degli altri mondi,
cos’hai in mente? Ce ne staremo qui belli tranquilli a giocare al principe e
alla principessa fintanto che mi manterrò sufficientemente giovane e piacente?
Non che mi dispiaccia, sia chiaro, ma come prospettiva mi risulta poco
plausibile. » proseguì lei quasi sibilando.
«
Troveremo il modo di ovviare alla tua condizione “deperibile”, come tu stessa
l’hai definita. Hai già il potere assorbito dal flauto dalla tua, non
dimenticarlo. Quanto al resto, » rispose il dio, « non sono certo di volermi
accontentare di ciò che abbiamo appena ottenuto. È tuttora valido il tuo
desiderio di conquistare e governare Midgard insieme a me? »
« Di
nuovo una domanda di cui conosci già la risposta, marito. » ammiccò Erin.
« Ne sono
felice, moglie. » concluse lui con un sorriso al contempo gioioso e astuto.
Allora tacquero
e sorridendo entrambi si affacciarono al parapetto della balconata, le mani
alzate in segno di saluto: la folla sottostante li accolse con ardore ancora
una volta e i due rimasero lì, beati e fieri e splendenti di bianco e d’oro
come le stelle che eterne pulsavano sopra di loro.
> Note
a piè di pagina
So di aver atteso la bellezza
di due settimane circa prima di pubblicare l’ultimo capitolo, ma proprio perché siamo al Gran Finale l’idea di mettere la
parola ‘fine’ all’avventura mi emoziona un po’ – non come mi ha emozionata
finirla fisicamente di scrivere, naturalmente. E poi sono impegnatiZZima, come
sempre, e anche questo ha influenzato il ritardo.
Nozioncine
tecniche prima dei saluti e dei ringraziamenti: il matrimonio vichingo si
svolge effettivamente come l’ho descritto, con tanto di scambio simbolico delle
armi di famiglia (che nel nostro caso non sono esattamente due spade) e diadema
d’argento con foglie di trifoglio e nastri – ed è una fortunata coincidenza il
fatto che Erin sia irlandese e che dunque i trifogli la rappresentino in pieno
;) era anche tradizione che i festeggiamenti durassero una settimana
abbondante.
So che è
tutto molto felice-delirante, ma io amo i lieti fini che si risolvono in una
splendida baldoria!
Durante la
conversazione tra i due pericolosi piccioncini ho inserito una citazione
parafrasata dal Signore degli Anelli
e una da Orgoglio e Pregiudizio (dal
film del 2005, per la precisione).
Il titolo del
capitolo è quello dell’omonima canzone di Sinead O’Connor; come musiche
portanti segnalo Birds of a feather
dei Civil Wars per il dialogo iniziale tra Erin e Loki e Twisted logic dei Coldplay per la scena d’ammmmmòre, I will wait dei Mumford & Sons per
il festino musicale con gli amici della BPO e i musici di corte, October sky di Mark Isham per la
preparazione e l’arrivo degli sposi e ovviamente l’Intermezzo di Mascagni. E poi At
last di Etta James e infine King and
lionheart degli Of Monsters And Men, perché sono perfette.
Spero di
essere riuscita a rendere chiaro il fatto che il nostro Dio degli Inganni non
fa mai niente per niente – mai niente che non gli torni vantaggioso – e che
tuttavia tiene all’irlandese molto più di quanto entrambi avessero immaginato.
E spero con
tutto il cuore di avervi “dato” qualcosa, qualcosa di bello :)
E sappiate
che non finisce qui. O meglio, questa
storia finisce qui, ma non le vicende dei Coniugi Bindolo, come mi piace
chiamarli: HABEMUS SEGUITUM, sapevatelo, e ne ho già scritti cinque capitoli su
quindici totali. Yessssss.
> Ringraziamenti
Al mio
principe consorte (che mi sopporta nella mia Loki-centrite e mi prende amorevolmente in giro) e ad Annalisa, Rin,
Marika e Rachele che prima di chiunque altro hanno letto, apprezzato,
commentato e fornito validi consigli.
Alla Marvel e
Joss Whedon che cotanta ispirazione hanno procurato e, soprattutto, al signor
Tom Hiddleston cui va l’immenso merito di aver dato vita a un personaggio
mirabile, fascinoso e carismatico nella sua complessa villainy.
E grazie A
VOI – voi che avete letto, apprezzato e commentato e a voi che lo farete,
forse, anche a storia completata. Ve la dedico tutta, questa avventura,
augurandomi che ne abbiate goduto quanto ne ho goduto io.
GRAZIE MILLE! E a presto, se mi aspetterete sino alla pubblicazione del
seguito *^*
> Colonna sonora
completa
Galway girl (Shannon & Earle) | Fine line (Paul McCartney) | Need your love (Temper Trap) | Man of simple pleasures (Kasabian) | Like a dancer (The Enemy) | Instrumental I + Love of an orchestra (Noah And The Whale) | Da doo ron ron (The Crystals) | Trembling
hands (Temper Trap) | Invincible
(Ok Go) | Too old to die young
(Brother Dege) | Shake the ground
(Cherri Bomb) | Nicaragua (Jerry
Goldsmith) | Kill your heroes (Awolnation)
| Think twice (Groove Armada) | Mad about you (Hooverphonic) | I won’t say i’m in love (Alan Menken) | What if? (Coldplay) | You and whose army? (Radiohead) | Burn it to the ground (Nickelback) | Everybody is on the run (Noel Gallagher
& His High Flying Birds) | Skyfall
(Adele) | Un monumento (Ennio
Morricone) | Love, love, love (Of
Monsters And Men) | Shakespeare in love
(Stephen Warbeck) | Pm’s theme (Craig
Armstrong) | Karelia Suite – Ballad (Jean
Sibelius) | Destiny in Space (Erbe
& Solomon) | Bedroom eyes (Dum
Dum Girls) | Birds of a feather (The
Civil Wars) | Twisted logic
(Coldplay) | I will wait (Mumford
& Sons) | October sky (Mark
Isham) | Cavalleria Rusticana –
Intermezzo (Pietro Mascagni) | At
last (Etta James) | King and lionheart
(Of Monster And Men)
BONUS TRACKS:
She’s a genius (Jet) + Can’t find my way home (Blind Faith)