The Majestic Tale

di Blackmoody
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. And at the end of all your knees fall down to me ***
Capitolo 2: *** 2. The descendant ***
Capitolo 3: *** 3. I ain't never seen nothing like a Galway girl ***
Capitolo 4: *** 4. Mr. Mischief and me (tell each other fairy tales) ***
Capitolo 5: *** 5. Wrapped up in chemicals ***
Capitolo 6: *** 6. Thousand Fahrenheit hot metal lights behind your eyes ***
Capitolo 7: *** 7. I put a spell on you ***
Capitolo 8: *** 8. When they finally come to destroy the Earth they'll have to go through you first ***
Capitolo 9: *** 9. Baby, we were born to rule ***
Capitolo 10: *** 10. Not a destination – it's a creation I desire ***
Capitolo 11: *** 11. A bunch of lonesome heroes ***
Capitolo 12: *** 12. Won't you let me know? ***
Capitolo 13: *** 13. Burn it to the ground ***
Capitolo 14: *** 14. We will stand tall at skyfall ***
Capitolo 15: *** 15. Dying is the day worth living for ***
Capitolo 16: *** 16. Beloved freak, the world is at your feet ***
Capitolo 17: *** 17. The wolf is getting married ***



Capitolo 1
*** 1. And at the end of all your knees fall down to me ***


1

1.

And at the end of all your knees fall down to me

 

 

 

 

 

 

Erin Anwar sorrise al proprio ghigno annoiato nello specchio della toilette.

Quando una violinista di sua conoscenza aveva invitato lei e Sylvia Neu alla serata di gala organizzata alla Galleria Schäfer, rinomata sede di scintillanti iniziative in Köningstrasse numero ventotto, entrambe avevano pensato che trovarsi a Stoccarda proprio in quel periodo per una serie di concerti fosse una gran bella fortuna: partecipare a feste come quella significava indossare abiti eleganti e pavoneggiarsi e fare incontri che potevano tornare utili, anche nell’ambiente musicale.

Ma, trascorse le prime due ore tra champagne da migliaia di dollari e tartine microscopiche ricoperte di pregiatissimo caviale, Erin aveva cessato di ritenere la situazione interessante. Parlava a stento tedesco – e comunque con chi avrebbe dovuto conversare, dal momento che gli invitati erano tutti ricchi snob privi di argomenti che esulassero dal confronto di quella festa con feste passate esattamente identiche? Inoltre lei e Sylvia erano le uniche musiciste presenti, escludendo i loro amici del quartetto d’archi che allietava gli astanti, e la mostra d’arte allestita al piano superiore del palazzo si era rivelata di una banalità eclatante.

«Ne hai ancora per molto?» chiese in tono spazientito nella toilette deserta: «Credo che faremmo meglio a scappare di qui. Io non ne posso più.»

La testa rossiccia di Sylvia fece capolino da uno dei bagni: «A me non sembra tanto male.»

«Ah, no? L’unica cosa decente di stasera è lo champagne. Per quel che mi riguarda il resto è prevedibile e noioso, e la gente peggio che mai.» la freddò Erin.

«Anwar, possibile che tu debba essere sempre così intollerante?»

«E perché non dovrei, Neu?»

L’altra scrollò il capo ridendo: «Dai, una mezz’ora e ce ne andiamo. Vorrei salutare Hilde.»

Hilde era la violinista che le aveva invitate, ed Erin assentì con un grugnito. Poi si sistemò i capelli raccolti con rapidi gesti e recuperò la piccola borsa che aveva lasciato sul lavabo.

Le due donne uscirono dalla toilette prendendosi a gomitate scherzose, tornando tra la folla che occupava il salone centrale. Era, questo, un vastissimo spazio di marmo bianco screziato dall’oro dei grandi lampadari che lo illuminavano; colonne in stile ellenico ne delimitavano il perimetro, e sul fondo una maestosa scalinata conduceva sinuosamente al primo piano. Al centro spiccava una sorta di antico altare, anch’esso in marmo e oro, decorato da due minacciose teste di bove che parevano controllare ogni cosa: probabilmente faceva parte della famosa collezione di Heinrich Schäfer, il proprietario della galleria, ma Erin non condivideva la scelta di averlo piazzato lì, proprio in mezzo alla sala, poiché era troppo sfacciato, di dubbio gusto. Il medesimo dubbio gusto di molte signore presenti, sogghignò tra sé.

Afferrò al volo un calice colmo dal vassoio di un cameriere che transitava nei paraggi, mentre Sylvia si eclissava stacchettando in direzione dei quattro musicisti, e con uno sbuffo sonoro si appoggiò contro una colonna. Portò il bicchiere alle labbra e prese a bere lentamente il liquido fresco e frizzante, gli occhi che vagavano indolenti sugli affreschi che ornavano la balconata del piano superiore, indugiando sulla figura che in quel preciso istante vi stava transitando senza fretta. Il quartetto d’archi attaccò il primo movimento del Rosamunde di Schubert ed Erin aguzzò la vista, incuriosita: era un uomo alto ed elegante, vestito di scuro, e si avviava verso le scale con passi misurati e fluidi, un bastone dorato nella mano destra e una sottile sciarpa verde al collo. Appariva sicuro di sé e diverso da chiunque altro in quel salone, e lei si avvicinò alla base della gradinata per osservarlo meglio, dimentica del calice ormai vuoto che reggeva tra le dita; con un certo, immotivato stupore constatò che l’uomo era assai attraente, dal viso pallido e magro e occhi chiari e capelli nerissimi pettinati all’indietro, e che emanava uno strano carisma. Erin trattenne per un attimo il respiro, mentre questi le passava accanto, e l’attimo successivo ebbe l’impulso di rivolgergli la parola.

Ma l’uomo si diresse con decisione verso uno degli addetti alla sicurezza e fece roteare in aria il proprio bastone, impugnandolo a mo’ di arma: prima che qualcuno capisse cosa stava accadendo egli colpì la guardia con violenza e subito dopo planò rapidissimo su Heinrich Schäfer in persona, e sollevandolo come un fuscello lo scaraventò sull’antico altare.

 

 

Con un accordo stridente il Rosamunde s’interruppe bruscamente. Erin lasciò cadere a terra il bicchiere e tutti s’immobilizzarono, fissando lo sconosciuto che estraeva da una tasca della giacca un marchingegno bizzarro e lo calava, con un lieve sorriso compiaciuto, sull’occhio destro di Herr Schäfer. E giacché non accennò a spostarlo e il corpo dell’altro divenne presto preda di tremendi spasmi, grida si levarono dai quattro angoli della sala e gli invitati iniziarono a correre freneticamente verso l’uscita travolgendosi a vicenda.

«Erin! Erin! Cosa fai lì impalata?» urlò Sylvia scuotendo l’amica per una spalla.

Lei la guardò in tralice: «Vorrei capire che accidenti sta facendo quello.» spiegò con calma.

«Ti sei fottuta il cervello? Gli sta cavando un occhio, Erin!»

«Me ne sono accorta, Sylvia, e mi piacerebbe sapere perché.»

La rossa scalpitò e la trascinò via con forza: «La cosa non ci riguarda. Vieni via!»

Erin si arrese, roteando le pupille con fare scocciato, ma la seguì camminando all’indietro per non perdere di vista la scena, e per una manciata di secondi l’uomo dai capelli neri la fissò di rimando, forse sorpreso e forse divertito. Erin non era né un’incosciente né un’amante del macabro, eppure aveva uno spirito pratico e disincantato che la portava a lasciarsi suggestionare assai di rado e a valutare ogni situazione con logica lucidità, a non farsi prendere dal panico come invece capitava alla maggioranza dei suoi simili. Per questo indugiò sulla soglia della Galleria, ignorando gli strilli di Sylvia: per questo e perché lo straniero, che adesso avanzava verso di loro, si stava come trasformando, avvolto da stralci di luce.

La giovane donna distolse finalmente lo sguardo, scossa, e con l’amica si perse tra la folla rumoreggiante e tremebonda. Con la mente confusa dall’eccessivo rimuginare sull’assurdità di quella faccenda udì lo stridìo delle sirene della polizia, il botto di un’esplosione e il suono incomprensibile delle frasi sconnesse che la gente attorno a loro si scambiava, ondeggiando da una parte all’altra della piazza antistante il palazzo su cui si erano riversati tutti.

Poi una voce chiara e potente si levò: «In ginocchio. In ginocchio, ora!» intimò.

Erin si voltò, e lo vide. L’uomo troneggiava sui presenti, bellissimo e terribile, e non indossava più il completo nero che aveva alla festa: era avvolto in abiti scuri di foggia antica e da un’armatura leggera, e un ampio manto verde gli ondeggiava dietro le spalle facendolo sembrare ancor più alto e possente. Il bastone era divenuto una lancia sulla cui punta elaborata brillava qualcosa d’azzurro, e in testa portava un lucente elmo dalle corna ricurve.

Lo stomaco di Erin si strinse in una morsa enigmatica e il cuore le balzò in gola, mentre egli ripeteva l’ordine, e non cessò di fissarlo nemmeno nell’obbedire a quell’anacronistico comando. Si chiese chi fosse e quali propositi avesse, e vaghe rimembranze di vecchi racconti del Nord le suggerirono che non appartenesse al genere umano, che venisse da lontano.

Una volta che tutti si furono inginocchiati sul lastricato dello spiazzo l’uomo sorrise con condiscendenza e allargando le braccia si fece strada tra la folla:

«Non è più semplice così? Non è questa la vostra naturale condizione?» disse; «È la verità taciuta dell’umanità che bramate l’asservimento. L’illusione della libertà riduce le gioie delle vostre piccole vite ad una folle lotta per il potere, per un’identità.»

S’interruppe per osservare la moltitudine prostrata ai suoi piedi, ed Erin non seppe reprimere un sorriso fremente. Quel folle diceva il vero e sfoggiava un’opinione sulla natura umana fin troppo simile a quella che aveva lei, un ragionevole disprezzo:

«Cazzo se ha ragione.» sibilò infatti tra i denti.

Sylvia emise un lamento strozzato e l’implorò di tacere; «Tu sei pazza.» soggiunse.

«Voi siete nati per essere governati.» riprese l’uomo: «Alla fine v’inginocchierete sempre.»

A Erin ribollì il sangue nelle vene – non perché discordasse, bensì perché si riteneva sufficientemente superiore al resto degli umani da poter stare in piedi e dimostrare a gran voce il proprio appoggio alla causa del misterioso guerriero dall’elmo cornuto.

Allora si sollevò da terra con espressione fiera ed egli posò su di lei gli occhi chiari e ardenti, attendendo una sua mossa, e per un attimo a Erin parve che nella piazza fossero rimasti soltanto loro due. Aprì la bocca per parlare e Sylvia, dal basso, soffocò un singulto, ma in quella una seconda persona si alzò in piedi, frapponendosi tra la donna e lo sconosciuto.

Era un vecchio canuto e gracile, e tuttavia non mostrava alcun timore di fronte al lucore minaccioso della lunga lancia dell’altro:

«Se c’inginocchieremo non sarà davanti a uomini come te.» asserì con veemenza.

Lo sguardo verde dello straniero si spostò da Erin a lui:

«Non esistono uomini come me.» ghignò con garbo, e di nuovo era forse nel giusto.

Il vecchio scosse tristemente il capo: «Esistono sempre uomini come te.»

Erin si agitò a disagio sul posto, infastidita dal paragone sottinteso tra quell’uomo incredibile e le cupe, prevedibili e meschine figure di dittatori terrestri del passato ai quali l’anziano coraggioso lo aveva scioccamente associato. Era l’unica a vedere in lui qualcosa che lo faceva rassomigliare a un re dimenticato?, si domandò. I despoti erano per lo più sciocchi, limitati e brutali, non certo intelligenti, raffinati ed elegantemente crudeli come costui appariva.

L’uomo inclinò la lancia, puntandola contro l’esile vecchio, e annuì sarcastico:

«La voce saggia del popolo! Sarai dunque d’esempio per gli altri.» annunciò.

Il cerchio azzurro sulla punta dell’arma si fece più luminoso e il tempo parve fermarsi su quella scena implacabile; il vecchio chiuse le palpebre, rassegnato e la giovane donna avvertì una fitta di pietà per lui e per la sua imminente fine, e quasi scattò in avanti per aiutarlo.

Ma il raggio sprigionatosi dalla lancia dello sconosciuto non colpì mai il bersaglio designato: dal cielo scese il rombo di un aereo e una sagoma guizzante bluvestita riparò l’anziano tedesco col proprio corpo e con una sorta di barriera metallica, quindi fronteggiò il guerriero.

«Capitan America! È Capitan America!» esclamò Sylvia alzandosi di scatto.

La folla mandò un grido di unanime sorpresa e la imitò, fissando con meraviglia il nuovo arrivato: anche Erin lo riconobbe, identico a come lo raffiguravano da decenni e a come suo fratello lo disegnava sin da quando era bambino, e strinse i pugni per l’eccitazione.

Al Capitano l’uomo dall’elmo cornuto non doveva essere estraneo, poiché lo interpellò senza mezzi termini e gli ingiunse di restituire un oggetto dal nome incomprensibile – e di arrendersi. L’altro rise con scherno e, sotto gli occhi avidi di Erin, gli si lanciò addosso a lancia spianata. La gente urlò e prese a disperdersi alla cieca, lontano dai duellanti, e per la seconda volta di fila Sylvia strattonò l’amica pregandola di non rimanere lì incantata.

Ma Erin era su di giri e la afferrò per entrambe le spalle:

«Io devo vedere come va a finire, Sylvia! Come puoi non essere curiosa? Magie, re e supereroi in una notte sola! Come puoi resistere?»

La rossa si divincolò: «Comunque stiano le cose non è un gioco, Anwar, e io non voglio rimetterci la pelle per scoprire cosa cazzo c’è dietro!» rispose, furente e spaventata; «Voglio tornare in albergo e dimenticarmi di tutto questo, e pensare alla replica di domani. Tu no?»

Erin sospirò, lo sguardo che non abbandonava le figure scattanti dei due uomini:

«Sì e no, Neu. Ti direi di avviarti e lasciarmi qui, ma so che non me lo permetteresti.»

Sylvia si ammorbidì, pur seguitando a stringerle un braccio e a muovere verso il lato opposto della piazza: «Esatto. Perciò mettiti l’animo in pace, domani saprai dai giornali com’è andata.» disse; «Avremo una storia interessante da raccontare a Francis e gli altri.»

Il nome di Francis convinse Erin definitivamente. Le due donne corsero così a fermare un taxi, miracolosamente disponibile nonostante la confusione generale, e Sylvia comunicò in fretta al conducente l’indirizzo dell’hotel in cui alloggiavano, bramosa di togliersi d’impaccio.

Ma Erin guardò ancora verso la piazza: distinse con chiarezza la forma delle corna arcuate dell’ignoto guerriero e il ricordo dei suoi occhi piantati nei suoi, assieme alla delusione della fuga, le accelerarono il battito cardiaco e tinsero il viso di rosso.

L’ultima cosa che colse prima che il taxi svoltasse l’angolo fu il ritornello di una nota canzone degli AC/DC che sembrava provenire dal cielo come il rombo d’aereo e Capitan America.

Poi la Köningstrasse scomparve oltre i palazzi e quella bizzarra notte rimase alle loro spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Premetto che erano anni che non mi dedicavo così intensamente alla stesura di una fan fiction, e amo follemente ciò che vado a presentarvi dopo sei mesi di lavoro. Tutto ha avuto inizio dopo aver visto The Avengers per la prima volta, film che con mia grande sorpresa mi ha riportata a livelli di fannerdaggine che non manifestavo da tempo immemore – fannerdaggine non soltanto per il film nel suo complesso ma anche e soprattutto per un certo Dio degli Inganni. Adoro quel dannato bastardo di Loki (e il fatto che sia il signor Tom Hiddleston a interpretarlo è di sicuro un incentivo) e questa mia storia è, in sostanza, un tributo a lui.

Nozioni tecniche su di essa:

– nella presentazione ho scritto che si svolge dopo gli avvenimenti del film e così è, sebbene questo primo capitolo ricalchi fedelmente la scena di Stoccarda; era necessario in vista di ciò che seguirà.

– Erin Anwar: personaggio originale creato per l’occasione di cui vado molto orgogliosa; presto scoprirete altro su di lei, ma vi dico intanto che il suo cognome è preso da quello dell’attrice Gabrielle Anwar e che è di origine araba, sebbene lei con l’Oriente non c’entri nulla; mi piacevano il suono che ha e il fatto che se attribuito a una donna significa “collezione di luci”. Sylvia porta il cognome di una mia cara amica di Boston (si pronuncia nòi).

Rosamunde è il titolo dato popolarmente al Quartetto n° 13 in La Minore D.804 Op. 29 di Schubert, il cui primo movimento è la musica che accompagna mirabilmente le azioni di Loki alla Galleria Schäfer.

– Il titolo del capitolo è un verso della canzone Need your love dei Temper Trap, assai adatto al dio asgardiano in questione; in realtà tutta la canzone ben si adatta alle vicende che seguiranno.

The Majestic Tale è tratto dal titolo del brano di chiusura della colonna sonora della VI stagione di Doctor Who, intitolato appunto The Majestic Tale (of a Madman in a Box).

– La storia si basa quasi interamente sulla versione cinematografica, sia per background dei personaggi che per loro caratteristiche fisiche e mentali, e tuttavia troverete qua e là alcuni riferimenti alle mitologie originali.

– I capitoli sono 17 in totale e in media piuttosto lunghi, se si escludono i primi quattro, ed avendoli già tutti pronti aggiornerò regolarmente (di domenica, salvo imprevisti, visto che oggi è domenica).

Augurando a tutti buon anno nuovo e buone feste spero che leggerete, apprezzerete e seguirete – perché, ve lo garantisco, non ve ne pentirete. Ossequi asgardiani e a presto!

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Capitolo 2
*** 2. The descendant ***


2

2.

The descendant

 

 

 

 

 

 

«Altezza, vostro padre vi attende.»

Il Dio degli Inganni si voltò appena in direzione della grande porta aurea, ora spalancata, che delimitava l’ingresso alle sue stanze: sulla soglia v’era il Sommo Cerimoniere di Odino, circondato da un drappello di guardie in alta uniforme, e l’espressione pacata e quasi rispettosa con cui lo stava osservando gli procurò uno spasmo d’insofferenza.

Loki non riusciva a comprendere per quale motivo quella gente si ostinasse a considerarlo come uno di famiglia, come una persona cara. Tornando ad Asgard da prigioniero assieme a Thor – Thor che ancora lo chiamava fratello – si era aspettato parole d’odio e una punizione esemplare e lo scherno del popolo; eppure Frigga aveva pianto stringendolo a sé e il Padre degli Dei lo aveva mirato con occhio dolente e commosso, e invece di comandare la sua disfatta lo aveva fatto rinchiudere nei suoi vecchi alloggi ponendo soldati a controllare ogni suo movimento e blocchi magici a impedirgli l’uso di incanti.

Loki avrebbe preferito una pena capitale alla quale sfuggire con abili trucchi, piuttosto che quella prigione dorata e le visite inconcludenti dei suoi sciocchi parenti: l’amore che questi seguitavano a dimostrargli lo soffocava, infastidiva e confondeva, giacché per lui sarebbe stato più logico rispondere all’odio con l’odio. Invece costoro apparivano semplicemente delusi ma al contempo felici per averlo ritrovato vivo, come se mai l’avessero perduto. La loro debolezza lo rendeva debole a sua volta, e questo non poteva tollerarlo.

Per giorni e giorni si era dunque sentito una bestia in gabbia e aveva camminato da una parte all’altra della stanza, talvolta con passi violenti e talaltra con maggior lentezza, soffermandosi a guardare il cielo oltre le alte finestre e studiando opzioni per un’eventuale fuga; e aveva ripensato con rabbia al proprio fallimento su Midgard, all’occasione che aveva sprecato con tanta leggerezza e al modo in cui avrebbe potuto, magari, tentare ancora la conquista senza armate di alieni indisciplinati al seguito e, soprattutto, senza promesse fatte a folli titani.

Ma le ore erano trascorse e niente era cambiato e Loki era rimasto dov’era, intuendo che presto o tardi Odino avrebbe fatto la sua mossa. Del resto era sempre stato paziente – di certo più paziente di quello sciocco di Thor – e agire d’impulso non lo aveva mai aiutato troppo.

Rifletteva su questo, i verdi occhi puntati sulle lucenti acque e torri di Asgard illuminate dal sole del meriggio, quando la voce ossequiosa del Cerimoniere lo aveva d’un tratto raggiunto: Odino aveva infine scelto la mossa da fare.

«A cosa devo tale novità?» domandò con freddo sarcasmo.

«Vostro padre vi ha convocato nella sala del trono.» rispose l’altro inchinandosi: «Di più non mi è dato sapere, principe.»

Loki fu nuovamente attraversato da un brivido di fastidio nell’udire quell’appellativo:

«Mi adeguerò a ciò che Odino comanda. Fai strada.» si limitò però a dire, imperioso, e si affiancò al dignitario sulla soglia tenendo le mani intrecciate dietro la schiena.

Subito i guerrieri della scorta li circondarono, disponendosi in due file ordinate, e il Sommo Cerimoniere lo precedette lungo i vasti corridoi della reggia; traversarono le molte lame di luce solare che penetravano dai colonnati, infrangendosi in danzanti scintillii sulle armature delle guardie, e incrociarono pochi cortigiani e dame che si fecero da parte per lasciarli passare. Loki catturò i loro sguardi e si compiacque nel cogliervi timore e disprezzo, e sogghignò. Quelle erano le reazioni che lo facevano sentire a proprio agio, che gli miglioravano l’umore e gli ricordavano chi era realmente: l’affetto degli sciocchi non faceva più per lui.

 

 

La sala del trono era immersa nella penombra e solo tre figure vi si distinguevano con chiarezza. Una era quella di Odino, assiso sul suo grande seggio d’oro e con lo scettro in mano; poi la sua sposa, in piedi accanto a lui, e naturalmente Thor, alla base della gradinata. V’erano anche diversi soldati disposti lungo il perimetro del salone, immobili, mentre l’assenza di Lady Sif e dei Tre Guerrieri fece assai piacere a Loki. Qualunque decisione avesse preso Odino, e se l’aveva presa, era ovvio che sarebbe rimasta segreta ai più.

«Puoi ritirarti adesso, Cerimoniere.» annunciò l’anziano re con un gesto vago.

Il dignitario s’inchinò e abbandonò la sala in fretta, seguito dalla scorta, lasciando il Dio degli Inganni solo al centro di quel vasto spazio, le spalle dritte e le gambe ben piantate a terra.

Per una manciata di secondi nessuno parlò, ma Frigga aveva gli occhi lucidi e Thor si muoveva nervoso sul posto, incerto sul da farsi. Loki restò immobile a fissarli.

Poi Odino disse gravemente: «È giunto il momento, figlio mio.»

«Perché?» scattò il giovane dio, la voce aspra: «Perché ti incaponisci nel volermi chiamare così? Per prenderti gioco di me? O magari per negare la verità?»

Il sovrano scosse il capo canuto:

«E tu perché ti ostini nel rifiuto? Sei mio figlio, Loki. Lo sei sempre stato e sempre lo sarai, questa è la sola verità che conta.»

Loki avanzò di un passo e nell’ombra le guardie si spostarono appena, pronte ad agire qualora le cose fossero degenerate. Frigga tese le mani verso di lui:

«Amarti significa forse prenderci gioco di te?» domandò tristemente.

«Il vostro amore si basa su una menzogna.» sibilò Loki sprezzante; «Il vostro amore è una menzogna, è pietà, e io non ne ho bisogno.»

«L’affetto non è compassione, fratello.» intervenne Thor.

L’altro gli si rivolse con espressione febbrile, le braccia spalancate: «Allora è follia. Voi siete incapaci di detestarmi, e dunque siete folli. Non sarebbe più semplice rispondere all’odio con l’odio?» interloquì. Le sue parole suonavano convinte, eppure dentro di sé Loki sapeva perfettamente di non essere in grado, nemmeno lui, di detestare fino in fondo coloro che aveva creduto per un tempo lunghissimo la propria famiglia.

Odino si alzò dal trono con un profondo sospiro e disse:

«Hai ragione, figlio, e lo stesso vale per te. Tuttavia, nonostante l’amore che ti portiamo, non posso lasciarti impunito per le malefatte che hai commesso. Ho rimandato questo momento più che ho potuto e adesso non posso più permettermi di attendere.»

Loki fece un mezzo sorriso, inarcando le sopracciglia: «Finalmente. E dimmi, Padre degli Dei, quale destino hai pensato per me? Come ripagherai il male che ho seminato?» lo provocò.

Il re non rispose, non subito. Raggiunse invece la sommità della gradinata del trono e vi si pose proprio al centro, tenendo lo scettro con entrambe le mani; la regina e il Dio del Tuono distolsero lo sguardo e il sorriso di Loki svanì, mentre una cappa d’oscurità sembrava calare su Odino e concentrarsi in lui. Poi questi alzò il bastone d’oro dei sovrani di Asgard e con grande forza lo battè a terra per tre volte: una sottilissima crepa di luce parve disegnarsi sugli scalini e sul lucido pavimento, e serpeggiando raggiunse i piedi di Loki.

Quivi si fermò e gli si dipanò attorno in un alone luminescente, e il Dio degli Inganni avvertì una fitta al petto e con un grido si piegò in avanti serrando i pugni.

«Io ti bandisco da Asgard, Loki figlio di Odino, e sottraggo i poteri dal tuo corpo immortale.» tuonò il Padre degli Dei: «Sarai esiliato su Midgard, tra gli umani che tanto disprezzi, e come tuo fratello prima di te dovrai apprendere umiltà e onore per poter fare ritorno.»

Il giovane dio crollò su un ginocchio, sentendosi debole e colmo al contempo di una furia cieca per l’onta che quel vecchio pazzo lo stava costringendo a subire. Urlò di nuovo, provando a rimettersi in piedi e a contrastare la forza che lo asserragliava, ma Odino parlò ancora:

«Impara, figlio, o la tua condanna sarà di vivere e morire da mortale tra i mortali.»

Picchiò lo scettro a terra per la quarta volta e per un istante la luce si fece così intensa da cancellare le forme della stanza e le sagome degli astanti. Thor e Frigga chiusero gli occhi.

Lentamente il fulgore scemò, e così il drappo tenebroso che gravava sul sovrano. Madre e figlio riaprirono le palpebre e il Padre degli Dei voltò le spalle al salone.

Loki era scomparso nel nulla.

 

 

Il Dio degli Inganni precipitò nel vuoto per attimi lunghi quanto una vita terrestre.

Attorno a lui vorticavano il cosmo e aurore boreali, e stelle pulsanti e altre morenti, e pianeti e galassie che riusciva soltanto a intravedere. Con mente confusa rimembrava le proprie passate cadute attraverso gli universi, i viaggi che aveva compiuto: ricordava quando si era lasciato andare sotto gli sguardi disperati di Thor e Odino, ricordava i mondi che aveva scoperto e i popoli in cui si era imbattuto – i titani, i chitauri. Gli umani.

Era stato vinto per l’ennesima volta, e vilipeso, abbandonato a una sorte ridicola e beffarda che lo allontanava sempre di più dai suoi obiettivi, dai riconoscimenti che bramava.

Precipitò nel vuoto ancora e ancora, fin quando i suoi occhi non furono colpiti da un bagliore accecante e il suo corpo oltrepassò qualcosa di vaporoso e umido che rassomigliava a una cortina di nuvole. Loki distinse, dall’alto, campi e strade e piccoli punti luminosi immersi nella penombra violetta che segue il tramonto, e seppe che Midgard era sotto di lui, in attesa.

L’impatto col suolo fu meno violento del previsto, o quantomeno tale gli risultò. Per un po’ rimase sdraiato a faccia in giù, le dita conficcate nella terra odorosa e fresca, il cuore che gli martellava furiosamente e le membra fastidiosamente doloranti: quella era la sua rovina, e non ci sarebbero state stupide lezioni da apprendere in grado di restituirgli ciò che aveva perduto, poiché lui non era Thor e non possedeva il suo debole animo.

Mille volte meglio una pena capitale cui sottrarsi, si ripeté, mille volte meglio la morte di quel ridicolo atto di clemenza! Si sollevò a fatica, maledicendo la stanchezza terrena che lo pervadeva, e rovesciando indietro la testa gridò al cielo tutta la sua rabbia e la sua frustrazione, e bestemmiò contro ognuno e ogni cosa e vagò come ebbro tra i verdi campi.

Arrivò così nei pressi del ciglio di una strada e si accorse di non essere solo: un veicolo di medie dimensioni si era fermato a poca distanza da dove si trovava lui, i fari accesi che illuminavano un’ampia zona tutt’intorno, e un’ombra esile ne era scesa.

Loki aguzzò la vista. Era una donna giovane, con indosso una maglia e dei calzoni stretti tipicamente midgardiani che ne mettevano in risalto le forme snelle, e lunghi capelli che nel chiarore morente del crepuscolo sembravano del color dell’oro brunito. Avanzava cauta ma sicura e l'accenno di un sorriso incredulo si andava dipingendo sul suo volto.

Quando fu a meno di un metro da lui la donna si fermò, lo squadrò da capo a piedi e infine sorrise apertamente: «Non posso crederci. Sei tu!» esclamò, e la sua voce tradiva emozione.

Il dio caduto si lasciò sfuggire una risata di scherno: «Dunque tu sai chi sono, mortale? Ho forse accidentalmente ucciso qualche tuo congiunto nella grande città che ho invaso?»

Con sua enorme sorpresa lei scoppiò a ridere di rimando, affatto sconvolta:

«Per fortuna io vivo a Boston! E no, non so chi sei, ma ti ho già incontrato e ho sperato di poterti ritrovare, un giorno.» rispose tranquillamente.

Loki corrugò la fronte: «Non riesco a comprenderti.»

«Stoccarda.» disse la giovane; «“Voi siete nati per essere governati”.»

Quel riportare sorridendo le parole ch’egli aveva pronunciato e l’assenza di paura che ostentava fecero pensare a Loki che la donna non lo ritenesse né una minaccia né un nemico; inoltre la sua postura decisa e la luce fiera che le brillava negli occhi non gli erano del tutto sconosciute, e con rinnovato stupore la riconobbe: era la mortale che si era alzata subito prima del vecchio sciocco, nella piazza in cui gli umani si erano inginocchiati a lui. Quella sera portava un abito blu come la notte trapunto di scaglie d’argento e delicate calzature azzurre e aveva i capelli raccolti, ma i lineamenti gradevoli e gli occhi intelligenti erano gli stessi.

«Tu. Tu non sei fuggita come i tuoi simili, quella notte, e mi guardavi.»

«Ti guardavo, sì, perché ero curiosa e perché hai detto cose interessanti.»

Loki le si avvicinò, sovrastandola con la sua statura e ghignando cortesemente:

«Io sono Loki, assurda mortale, e vengo da Asgard. Qual è il tuo nome?» le domandò.

Non che gl’importasse davvero, dal momento che aveva ben altri pensieri a cui far fronte, eppure qualcosa in lei lo incuriosiva a sua volta e gli suggeriva che avrebbe potuto tornargli utile: era solo e senza poteri, e un’alleata volontaria avrebbe costituito una piacevole novità.

La donna gli rivolse l’ennesimo, incredibile, arrogante sorriso:

«Io sono Erin Anwar e vengo dall’Irlanda.» lo parafrasò; «Il piacere è tutto mio.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

E qui si comincia a entrare nel vivo: gli Avengers hanno vinto, Loki è tornato ad Asgard insieme a Thor e al Tesseract ed Erin lo ha ritrovato. Cosa sia successo a lei dopo la notte di Stoccarda, quanto tempo sia passato da allora e come sia capitata vicino al luogo in cui è caduto sono questioni che rientreranno nel prossimo capitolo.

Qui inizio anche a delineare la mia visione del Dio degli Inganni e dell’intera famigghia reale asgardiana, ed è una parte assai delicata. So che molti immaginano crudeli prigionie e labbra cucite e chissà cos’altro, terribili punizioni inflittegli come fio da pagare per le malefatte commesse, ma è pur vero che non ritengo Odino capace di fare realmente del male al figlio adottivo – non adesso, almeno, sebbene nelle storie originali lo diventi in seguito all’assassinio di Baldr (quando incatena Loki alla roccia col simpatico rettile che gli sputa veleno in volto); inoltre secondo me esiliarlo sul mondo che ha tentato di soggiogare, rendendolo oltretutto debole come un mortale qualsiasi, è di per sé una condanna sufficientemente pesante per un dio che paragona Midgard e i midgardiani a formiche e che è nato per essere re, molto più pesante di quanto lo fu per Thor.

Soliti aneddoti tecnici:

– la “cappa di oscurità” che sembra calare su Odino fa riferimento a una cosa che Loki dice a Thor nel film, quando gli domanda “quanto potere oscuro” abbia dovuto raggranellare il Padre degli Dei per permettere al figlio maggiore di tornare sulla Terra in assenza del Bifröst;

– il titolo del capitolo è ripreso da quello del film The descendants (per noi italici Paradiso amaro) con George Clooney, e sta a indicare tanto la “discendenza” quanto la “discesa”, la  “caduta”, la “rovina” (da descent);

– una canzone che si abbina perfettamente a questo capitolo e ai personaggi in generale è Fine line di sir Paul McCartney, poiché oltre ad essere bella ha un testo che sembra scritto apposta per i due divini fratelli;

– no, Erin non è del tutto sana di mente, no :D

Ringrazio chi finora ha recensito, messo la storia tra le seguite e letto soltanto: continuate a dirmi cosa ne pensate, mi raccomando. Ossequi asgardiani e alla prossima settimana!

 

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Capitolo 3
*** 3. I ain't never seen nothing like a Galway girl ***


3

3.

I ain’t never seen nothing like a Galway girl

 

 

 

 

 

 

Il giorno successivo agli strani avvenimenti della Galleria Schäfer la vita di Erin e Sylvia tornò placidamente alla normalità, come se niente fosse accaduto. A colazione tennero banco coi colleghi e amici d’orchestra per raccontare loro le cose incredibili che avevano visto, ed Erin definì il tutto Paura e delirio a Stoccarda, premurandosi di sottolineare che la paura era stata soltanto dell’amica, non certo sua: lei anzi tessé le lodi del misterioso guerriero dall’elmo cornuto, ricevendo parole scandalizzate da parte delle altre donne e un notevole interesse da parte maschile. Ma gli uomini vollero sapere soprattutto di Capitan America, della lotta e dell’occhio cavato e il resto rimase miseramente in secondo piano.

Tuttavia Francis Bright domandò a Erin cosa avesse detto lo straniero magico, e pur non trovandosi d’accordo con lei nel dargli ragione la ascoltò con attenzione, discutendone.

Erin aveva una cotta per Francis sin da quando, tre anni prima, era entrata a far parte della Boston Philharmonic Orchestra; lui suonava la tromba e per un po’ erano persino usciti insieme, senza eccessivo impegno. La cosa però non era andata avanti e Francis aveva posato gli occhi su Sylvia e sui suoi capelli fulvi, Sylvia che ancora non se n’era resa conto.

Nonostante ciò tra le due donne non c’era rivalità, né Erin ne aveva mai fatto una tragedia.

Così il soggiorno tedesco si concluse senza ulteriori incidenti, per gli orchestrali, e al momento di partire Erin prese un volo diverso da quello dei colleghi: avendo una settimana vuota di lì all’inizio delle nuove prove ne approfittò per fare visita alla sua famiglia, in Irlanda.

Erin era una “ragazza di Galway” e ne andava fiera. Non aveva i capelli neri e gli occhi blu come narrava l’omonima canzone, ma la sua bellezza e il suo carattere non passavano comunque inosservati, specialmente in America dove viveva.

Era dunque a cena nella sua casa natale, appena giunta dall’aeroporto e desiderosa soltanto di dormire, quando il telegiornale internazionale divulgò l’incredibile notizia di un attacco alieno ai danni di New York e di un manipolo di eroi che lo avevano debellato. Nel vedere le immagini di quel che stava succedendo al di là dell’Oceano il fratello minore di Erin saltò su come una molla, sua madre si fece pallida come un cencio e suo padre e suo nonno finirono misteriosamente col disquisire di politica. Lei tenne gli occhi incollati allo schermo, riconoscendo il Capitano a stelle e strisce e pensando che i fatti di Stoccarda e di Manhattan non potevano che essere collegati tra loro, forse proprio dalla presenza del “suo” guerriero. Nei giorni seguenti setacciò giornali e notiziari in cerca di qualcosa che parlasse di lui, invano, e al termine della settimana trascorsa a Galway si convinse a malincuore che l’uomo dai capelli neri doveva essere svanito o fuggito, magari per sempre.

Allora rientrò a Boston, dove abitava, tranquillizzando i genitori e il nonno e promettendo al fratello che se mai avesse incontrato Capitan America per strada gli avrebbe chiesto una foto con autografo da mandargli. Li salutò con affetto e abbracciò con sguardo amorevole le verdi campagne e la pioggia leggera della sua infanzia, e fece ritorno allo scintillìo del nuovo mondo.

Un altro mese passò snocciolandosi senza fretta. L’orchestra cominciò le prove per il concerto che avrebbe avuto luogo in città a breve ed Erin riprese la sua solita routine: dormì fino a tardi ogni volta che poté, uscì con Sylvia, fece nottata con colleghi e vecchi amici e in un paio di occasioni dette buca a tutti per rimanere in casa a guardare telefilm o per filarsela fuori da Boston a scattare fotografie che non comprendessero figure umane nell’inquadratura.

Non cessò mai di pensare allo sconosciuto dall’elmo lucente, ma poiché a Sylvia scoppiava un embolo al solo sentirlo nominare e agli altri non interessava troppo Erin tenne quei pensieri per sé: si sentiva come Amy Pond di Doctor Who, “la ragazza che aveva atteso” un tizio stropicciato piovuto dal cielo una notte, un uomo che nemmeno conosceva – e questo le dava l’impressione di essere una sciocca bamboccia fantasiosa malgrado i suoi ventisei anni.

Poi, in una giornata particolarmente tiepida e limpida, dopo una prova intensa e sfiancante, Erin decise di andare di nuovo in campagna armata di reflex e cavalletto; fece rombare il motore della sua gloriosa Alfa Romeo Duetto 1600, splendido esemplare arrivato direttamente dagli anni settanta italiani, e sfrecciò lungo le strade di periferia nella luce gonfia del pomeriggio. Fare foto la rilassava e appagava il suo senso estetico, e lei non aveva pretese di spacciarsi per una vera fotografa come invece molti facevano: quel voler sempre apparire dannatamente intelligenti e artistici e intellettuali pur non essendolo era uno dei molti aspetti dei suoi simili che mal tollerava. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma la sua mente era come scevra dagli schemi e dalle etichette tipiche della società che la circondava, ed era semplicemente più logica e lineare. Erin veniva spesso definita "cinica", anche da chi ben la conosceva, eppure l’aggettivo era abbastanza riduttivo. Le era difficile trovare persone con cui sentisse di potersi confrontare alla pari, persone che avessero opinioni vicine alle sue, e probabilmente era per questo che il ricordo dello straniero di Stoccarda la ossessionava.

Rimuginò sull’argomento per l’intero pomeriggio, mentre metteva a fuoco spighe e fiori e distese di campi rigogliosi, il sole che piano piano si abbassava sull’orizzonte.

Al tramonto la batteria della macchina fotografica era andata a farsi benedire e lo stomaco di Erin protestava per l’assenza di cibo. La giovane reimpacchettò l’attrezzatura e saltò sul Duetto per rientrare in città. Ma non aveva percorso che un quarto del tragitto quando i suoi occhi acuti colsero, mescolato al chiarore morente del giorno, un bagliore che squarciava il cielo a ovest: rassomigliava al lampeggiare di un temporale, e tuttavia non si vedeva alcuna nuvola; e d’un tratto una lieve scia luminescente se ne dipartì, disegnando una linea nell’aria tersa e svanendo in un istante. Erin rallentò e col cuore in subbuglio osservò le campagne attorno a lei, chiedendosi se non stessero piovendo altri alieni e se non avesse scelto un perfetto momento di merda per allontanarsi in solitaria dalle sicure vie di Boston.

Mandando l’auto a passo d’uomo abbassò il finestrino e tese le orecchie. Per un po’ udì solo canti d’uccelli e il ronzìo del proprio motore, e dato che il cielo era tornato alla normalità Erin mandò giù un bel sospiro di sollievo: forse era un pezzo di satellite, si disse.

Ed ecco che, d’improvviso, una voce scaturì dal nulla. Non era troppo distante da lei e suonava rabbiosa, la voce di qualcuno che urlava come un matto – e tra i campi alla sua sinistra, Erin si accorse con un sussulto, si muoveva una sagoma alta e vacillante, una sagoma umana.

«Porca puttana!» imprecò la ragazza, e inchiodando accostò al ciglio della strada.

Scese di macchina e si avviò tra le spighe e l’erba, squadrando con cautela la figura che effettivamente barcollava e gridava furiosamente qualche metro più in là, rivolta al cielo. Nella debole luce violacea del crepuscolo Erin distinse un uomo con indosso una tunica verde scuro e pantaloni e stivali neri, e capelli corvini pettinati all’indietro; gli andò incontro con maggior decisione e l’altro la notò e si fermò, tacendo, e volse il viso verso di lei.

Non portava né elmo cornuto, né bastone dorato, né armatura, ma Erin lo avrebbe riconosciuto in mezzo a mille altri. Un sorriso trionfante le fece brillare gli occhi: il guerriero misterioso era tornato.

 

 

«Io sono Erin Anwar e vengo dall’Irlanda.» lo parafrasò; «Il piacere è tutto mio.»

Loki emise un piccolo sbuffo e prese a camminarle intorno in cerchio:

«Com’è possibile che tu non dia l’impressione di temermi, donna?» disse.

Lei fece spallucce: «Boh. Dammi una buona ragione e avrò paura di te. Ma adesso non sei armato e possente come a Stoccarda, e io non so cosa pensare.»

Il Dio degli Inganni fremette di rabbia, conscio della propria ridicola condizione terrena, e a pugni serrati si allontanò di pochi passi. Trovava surreale conversare con quell’umana, eppure l’idea di poter volgere quell’imprevista situazione a proprio vantaggio tornò a tentarlo.

«Non vi sono buone ragioni, al momento.» ammise senza guardarla: «Sono stato bandito dalla mia casa e sono l’ombra di ciò che ero, di come tu mi hai veduto laggiù. Perciò va’ pure per la tua strada, donna d’Irlanda, e non aver tema di me. A meno che...»

S’interruppe e la fissò con un’ombra di sospetto. Erin aggrottò la fronte:

«A meno che?» incalzò con una certa strafottenza.

«A meno che tu non sia affiliata allo S.H.I.E.L.D. In tal caso le cose si farebbero più complicate. Non ho intenzione di avere a che fare di nuovo con quegli inetti.» rispose Loki.

La giovane incrociò le braccia e ricambiò l’occhiataccia: «Cacchio sarebbe lo Shield? Io sono musicista, e l’unica affiliazione che ho è quella con la Boston Philharmonic Orchestra.»

Lui sogghignò al suo tono carico d’orgoglio e si rilassò, l’espressione conciliante:

«Allora non abbiamo spinose questioni da risolvere. Puoi andartene.» concesse.

Ma Erin non mosse un muscolo: «E tu cos’avresti intenzione di fare?»

«Niente che possa riguardarti, assurda mortale! O magari vorresti aiutarmi?» la schernì Loki.

«Perché no? Avrei voluto esprimerti il mio appoggio a Stoccarda, quindi perché non rimediare ora?» disse lei; «Puoi raccontarmi come sei finito qui e cosa cerchi, e se eri tu la scia luminosa piovuta dal cielo poco fa. Puoi spiegarmi cosa facevi alla Galleria Schäfer e che diavolo è successo a New York un mese fa, e io vedrò cosa posso fare per te.»

L’asgardiano esultò in silenzio a quelle parole, all’implicito aiuto che la mortale gli stava offrendo e in cui lui aveva sperato sin dal principio della loro conversazione.

Tuttavia si mostrò ancora dubbioso e domandò: «Perché lo faresti?»

«Perché tu mi piaci, Loki, e perché non andrai lontano senza denaro in tasca.»

«E perché ritieni che avrei bisogno di denaro o di una mano, come se fossi un mortale tuo pari?» seguitò a provocarla lui. Voleva capire se ne valeva la pena – se lei valeva la pena.

Erin sorrise di nuovo: «Prima hai detto di essere l’ombra di te stesso. Credo che se tu potessi agire come a Stoccarda lo avresti già fatto, e magari mi avresti uccisa o costretta con la forza a fare qualcosa per te. Ma ti ho trovato solo e infuriato in mezzo alla campagna, e quali che siano i tuoi piani ti serve qualcuno che ti dia una mano a muoverti tra gli umani come un uomo normale.»

Al Dio degli Inganni piacque quel ragionamento, tanto più che, suo malgrado, non faceva una piega. Dimostrava che la donna che gli stava di fronte era più intelligente della media e che il suo pensiero si avvicinava probabilmente al suo, in una qualche enigmatica maniera. Perciò decretò tra sé che ne valeva la pena, e annuì:

«Mi hai convinto, assurda mortale.»

«Ti fa così schifo chiamarmi Erin? L’accezione “mortale” ha un che di offensivo.» replicò la ragazza mentre si avviava verso l’auto facendo tintinnare un paio di chiavi.

Loki non si curò di risponderle ma la seguì fino al Duetto parcheggiato sul limitare del campo, osservandola aprire lo sportello e prendere posto all’interno, e la imitò dopo un attimo di principesca esitazione: in fondo, l’ultima volta che si era servito di un veicolo midgardiano aveva controllato la situazione dal tetto, non certo dal sedile del passeggero.

Erin riavviò il motore e riportò l’auto in carreggiata, acquistando presto velocità. Guidò nella notte ormai calata con un piccolo sorriso segreto dipinto sulle labbra e guardando l’uomo che le sedeva accanto con la coda dell’occhio: si sentiva euforica, l’adrenalina che le scorreva come un fiume rovente nelle vene e il cuore in gola per l’eccitazione e il trionfo. La sua speranza non si era rivelata vana, e come se non bastasse adesso era lei a tenere le redini della situazione, ad avere un vantaggio sul guerriero piovuto dal cielo; avrebbe potuto saperne di più sul suo conto e sui suoi propositi, e magari con un po’ d’astuzia questo l’avrebbe portata a realizzare un paio di folli, grandiosi desideri che aveva in animo da sempre. E poi, non riusciva a negarlo, quel Loki era maledettamente attraente.

Erin scosse il capo per tornare a concentrarsi sugli aspetti seri della faccenda:

«Mi hai detto che vieni da Asgard. Il nome non mi è nuovo, ma dimmi di più, ti prego.» lo interpellò dopo diversi minuti di silenzio. In lontananza si scorgevano le luci di Boston.

«E il mio nome non ti dice niente, invece?» chiese lui, la voce maliziosa.

«Entrambi mi dicono qualcosa.» confermò l’irlandese, pur non sapendo cosa.

Loki la fissò: «Asgard è il mondo in cui sono stato allevato. Gli umani lo chiamano anche Valhalla, la Dimora degli Dei. E io sono Loki, Signore dell’Inganno e della Menzogna, legittimo erede a un trono che mi è stato sottratto con stoltezza e stupidità.» disse, e le sue iridi fiammeggiarono di fiera collera nel buio abitacolo del Duetto.

La giovane donna sobbalzò e la macchina sterzò pericolosamente verso destra:

«Cazzo!» esclamò riprendendo a stento il controllo del volante; «Sospettavo che tu fossi un re poco terreno, ma addirittura un dio, quel dio...»

Loki parve divertito e lusingato dalla sua reazione: «Questo cambia qualcosa?»

«Non credo. Comunque sia al momento non sei molto divino, o sbaglio?» mormorò Erin; lui fece uno stizzito gesto d’assenso e lei proseguì: «Dunque cos’è successo lassù? Chi ti ha spedito qua come un pacco postale prendendosi i tuoi poteri?»

«Odino.» rivelò Loki in un ringhio. Quel dialogo iniziava a stancarlo.

«E Odino non è tuo padre?» indagò lei, che aveva le idee confuse al riguardo.

«Va’ a rileggerti la mia storia su qualche sciocco libro midgardiano.» fu la secca replica del dio caduto, e la ragazza di Galway comprese che per quella sera l’argomento era da considerarsi chiuso.

Percorsero l’ultimo tratto di strada senza parlare, entrambi a disagio, mentre l’auto s’immetteva nel raccordo d’ingresso occidentale di Boston e sfrecciava sotto le luci sempre più fitte e intense della grande città. Loki osservò la frenesia di quel luogo con infastidito distacco e i suoi alti palazzi ricoperti di specchi gli ricordarono New York e la sconfitta subìta, e il sangue gli ribollì nuovamente all’idea del ridicolo destino che lo aveva condotto da misero esiliato in un’altra città umana, scarrozzato da una folle mortale su uno strano veicolo.

Il Duetto svoltò in un groviglio di vie centrali meno trafficate e imboccò una discesa lastricata che conduceva a un parcheggio seminterrato, sotto una robusta casa di mattoni a più piani. Erin tirò nervosamente il freno a mano, spegnendo il motore.

«Merda, domani devo fare benzina.» borbottò nell’aprire la portiera; raccolse la borsa e la macchina fotografica dal sedile posteriore e guardò Loki, in attesa.

«Dove mi hai portato?» questi volle sapere scendendo finalmente dall’auto.

«A casa mia. Ti ospiterò per questa notte, poi vedremo che fare.»

Chiuse la macchina e lo condusse nell’ascensore, e salirono fino al penultimo piano del palazzo: qui, in un corridoio dipinto di bianco e rosso, Erin puntò con decisione su una portone di legno scuro e lo aprì, una mano posata sul pomello d’ottone che lo ornava. Loki indugiò, mirando le forme in penombra che si distinguevano all'interno e la sagoma esile dell’irlandese stagliata contro il chiarore che filtrava dalle finestre dell’appartamento.

Erin accese la luce dell’ingresso e gli dedicò un sorriso storto:

«Allora?» disse in tono più morbido, ignorando di proposito l’ambiguità della situazione e il calore che suo malgrado le era salito alle guance e alla punta delle orecchie.

Il Dio degli Inganni varcò infine la soglia ed Erin richiuse la porta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Ed ecco che comincio con le Citazioni Colte Da Veri Intenditori: il riferimento a Doctor Who e a Amy Pond, “the Girl who Waited”, e l’Alfa Romeo Duetto, che oltre a essere un’auto strepitosa è anche quella che si vede ne Il laureato, se avete presente di che film si tratta. In origine la macchina di Erin era una Giulietta, sempre Alfa e sempre degli anni ’70, quella della polizia nei poliziotteschi nostrani, ma poiché negli USA non è mai stata omologata ho dovuto scegliere il Duetto. Non che sia una perdita, sono belle entrambe e molto badass.

Così avete scoperto nuovi elementi sulla nostra mortale fuori di cucuzza, la quale si è appena portata a casa un asgardiano pluriomicida come se niente fosse. Sta giocando col fuoco ed è probabile che abbia un paio di idee malsane in testa, e credo che l’asgardiano pluriomicida in questione sia piuttosto intrigato dalla cosa.

Ammetto di non essere sicura che intorno a Boston vi siano campi e campagne come quelli in cui la donna d’Irlanda cazzeggia con la reflex prima d’incappare nel suo dio stropicciato, perché ho semplicemente occhieggiato le foto satellitari e letto qualcosa qua e là – voglio dire, ci saranno, ma di certo non nelle immediate vicinanze della metropoli. Chiudete un occhio, per favore.

Il titolo del capitolo è l’ultimo verso della canzone tradizionale irlandese Galway girl cui faccio riferimento nel descrivere Erin. Adoro l’Irlanda, sapevatelo ascoltatela nella versione di Sharon Shannon e Steve Earle, merita.

Di nuovo grazie mille a chi legge, a chi segue la storia e a chi l’ha messa tra preferite e ricordate. Però andiamo, scrivetemi le vostre impressioni: continuerò a pubblicare comunque, poiché la adoro e vado fiera di ciò che ho creato, ma sapere cosa ne pensate non potrà che farmi un immenso piacere.

Ossequi asgardiani e a presto! :)

 

 

 

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Capitolo 4
*** 4. Mr. Mischief and me (tell each other fairy tales) ***


4

4.

Mr. Mischief and me (tell each other fairy tales)

 

 

 

 

 

 

Erin non riuscì a chiudere occhio, quella notte. Si rigirò per ore come una biscia tra le lenzuola fresche di bucato, alzandosi tre volte per tre differenti motivi: il primo fu la fame nervosa che la assalì, dal momento che prima di coricarsi aveva lo stomaco chiuso e non aveva mangiato; il secondo fu la voglia impellente di un thé caldo e della puntuale tappa in bagno che ne seguì, e il terzo fu Loki – o per meglio dire fu il bisogno di controllarlo.

Il Dio degli Inganni giaceva, profondamente addormentato, sul letto che occupava la piccola stanza degli ospiti. Indossava ancora gli abiti impolverati coi quali era giunto, sebbene si fosse premurato di lasciare gli stivali fuori dalla porta, e dormiva supino come se si fosse gettato sul materasso a peso morto piombando subito nel sonno. Erin ne fu sollevata e ripensò con notevole divertimento alla smorfia di superiorità che l’asgardiano aveva sfoggiato mentre gli mostrava la casa e dove avrebbe alloggiato, non ritenendolo un ambiente a lui consono.

La giovane se ne tornò quindi in punta di piedi nella propria camera, annaspando nel goffo tentativo di fare silenzio, e si tuffò di nuovo sotto le coperte, sveglia come un grillo.

Dalle veneziane abbassate filtrava la luce dei lampioni, disegnando strisce aranciate sul muro, e lei le fissò cercando di fare mente locale: avere un ingannatore divino nel proprio appartamento non era esattamente ciò che si sarebbe immaginata, nemmeno nei suoi sogni più estremi, e l’incognita che quella situazione rappresentava andava crescendo di minuto in minuto. Erin voleva che il dio nordico piovuto dal cielo rimanesse, senza ombra di dubbio, ma non aveva la più pallida idea di come agire o come comportarsi. Gli aveva offerto d’impulso un aiuto e adesso non riusciva a concepire un piano sensato né una strategia di conoscenza. Si spremeva le meningi per ricordare almeno un paio di leggende sul Valhalla e al contempo si chiedeva, confondendosi da sola, cosa avrebbe inventato per tenere quei ficcanaso dei suoi amici fuori dalla faccenda. Inoltre l’adrenalina le scorreva ancora a fiotti nelle vene e, complice l’orario antimeridiano, le era assai difficile concentrarsi.

Quando il cielo sopra Boston iniziò a rischiararsi e i primi rumori della città si risvegliarono, Erin guardò speranzosa l’orologio: mancava poco alle sette e finalmente poteva cominciare a fare qualcosa di costruttivo. Con calma scelse degli indumenti puliti, afferrò della biancheria a caso da un cassetto e si barricò in bagno per un’ora buona, concedendosi una lunghissima doccia calda che la aiutò a rilassarsi. Poi sgattaiolò in cucina in accappatoio e coi capelli bagnati avvolti in un asciugamano, e controllando l’agenda si preparò un abbondante caffellatte; le prove quel giorno erano fissate per le tre del pomeriggio, pertanto aveva una mattinata intera per sbrogliare almeno un po’ la matassa legata a Loki.

Questi non si svegliò neppure al suono del phon e delle imprecazioni che Erin sbraitò nello scivolare sul tappetino della toeletta, e lei se ne stupì al punto di arrischiarsi a verificare che non gli fosse successo qualcosa o che non fosse magicamente scomparso, magari.

Ma il dio nordico era lì dove lo aveva lasciato quella notte, placido e immoto, e aveva soltanto cambiato posizione nel sonno. Erin ridacchiò della propria stupidità e ancor più stupidamente s’incantò a guardarlo: nella luce tenue del mattino che rischiarava la stanza appariva simile a una figura dipinta, e pur essendo un essere antico e immune al tempo in quel momento aveva l’aspetto di uomo nel pieno della propria giovinezza. Osservandone il volto disteso Erin pensò che era bello in maniera inconsueta, con quei lineamenti marcati e regali, le labbra sottili e la fronte alta, e la pelle quasi diafana che contrastava coi capelli color del buio; ed era magro e forte assieme, e il suo carisma era rimasto immutato nonostante tutto.

L’irlandese si piantò una manata in fronte per darci un taglio e battè rapidamente in ritirata dalla camera degli ospiti per finire di truccarsi e vestirsi. Poi s’infilò nelle orecchie le cuffie dell’iPod, prese la borsa e si mise gli stivali saltellando verso la porta, e quando fu in strada si diresse verso il centro commerciale più vicino ascoltando i Tower of Power.

 

 

Loki aprì lentamente le palpebre, sollevandosi a sedere sul letto. La pesante stanchezza della sera precedente era scomparsa dalle sue membra, e la lunga dormita gli aveva giovato. La stanza in cui si trovava era piccola ma confortevole, immersa nella luce soffusa del giorno che ormai brillava sfacciato oltre la finestra oscurata dalla bizzarra tenda rigida a listelli. Loki si alzò e recuperò i propri stivali sulla soglia, continuando a guardarsi intorno: la dimora era silenziosa, segno che l’assurda mortale non era presente, e lui ne approfittò per studiare quel luogo con mente finalmente lucida. Era una casa abbastanza spaziosa e arredata con una certa classe, se comparata con lo stile generale di quel misero pianeta; le molte finestre e la posizione elevata ne facevano un ottimo punto d’osservazione, fatto utile qualora si fosse presentata l’occasione di sfruttare l’appartamento come base strategica. Il Dio degli Inganni sogghignò apertamente, per un attimo dimentico di quel che era accaduto e concentrato sulle prospettive ancora ignote che gli si stendevano dinnanzi, come se non fosse cambiato niente da quando aveva tentato di conquistare Midgard, come se quella conquista fosse ancora a portata di mano.

Il sorriso svanì dal suo viso come fumo nell’aria: prima di ritentare l’impresa doveva riappropriarsi dei poteri perduti, e se ben conosceva Odino non sarebbe bastato abbassarsi a vivere come un mortale per due o tre dì per convincerlo che era degno di tornare. Forse restare con la donna d’Irlanda gli avrebbe indicato la via per risolvere la questione o almeno accelerarla, oppure lei stessa si sarebbe rivelata una soluzione. Troppi erano gli interrogativi, pensò Loki, e d’altronde in quella situazione poteva permettersi di non avere fretta.

Avrebbe sondato minuziosamente l’animo e le intenzioni di Erin Anwar e si sarebbe accertato di non avere alle costole ridicole organizzazioni di sedicenti supereroi midgardiani, pianificò, e soddisfatto del ragionamento prese a camminare per il soggiorno. Notò che vi si trovavano molti libri e alcuni apparecchi tecnologici di fattura più semplice di quelli visti sulla grande nave volante dello S.H.I.E.L.D. e riconobbe che certi orpelli tipicamente femminili erano identici in ogni angolo del cosmo, da Asgard a Midgard. Ma ciò che catturò la sua attenzione furono degli spartiti musicali fitti di note, sistemati su un leggìo nero e sottile, e un astuccio anch’esso nero poggiato sul tavolo lì di fianco: Loki ricordò vagamente che l’irlandese si era definita “musicista”, la sera precedente, e nell’aprire l’astuccio vide che conteneva uno strumento lucente diviso in tre pezzi di diversa lunghezza. Sembrava fatto d’argento, e nonostante i complicati meccanismi che lo componevano doveva essere un flauto.

In quella la porta dell’appartamento si spalancò ed Erin entrò in casa canticchiando una canzone ritmata, le mani cariche di sacchetti colorati. Loki richiuse l’astuccio.

«Ehilà, dio nordico, ben ritrovato.» lo apostrofò la giovane: «Come ti senti?»

Lui ignorò la domanda e ne fece una a sua volta: «Che genere di flauto è questo?», e indicò la custodia sul tavolo; Erin inarcò le sopracciglia, stupita, e mise a terra le sporte.

«Un flauto traverso in argento. Non è artigianale e non è il migliore che possiedo, ma per studiare è un ottimo strumento.» disse con tranquillità. «Comunque vedo che stai bene.»

Poi, mentre l’asgardiano si passava una mano tra i capelli scompigliati e la studiava senza avvicinarsi, tirò fuori dai sacchi una pila di indumenti e una scatola di cartone, che depose sul divano che si trovava in mezzo a loro, e un paio di grossi libri dalla copertina elaborata.

«Ti ho preso qualcosa da indossare per confonderti tra noi tristi esseri umani, e anche per avere vestiti puliti da mettere nel caso tu volessi fare una doccia.» gli spiegò, sorniona.

«Doccia? Non possiedi una vasca per le abluzioni?»

«Il mio bagno è troppo piccolo per contenere una vasca, per quanto io ne desideri una.»

Loki le dedicò un’occhiata di regale e sprezzante pietà:

«Mi abbasserò a fare uso della doccia, allora, e di questi poveri stracci terreni.»

Erin scoppiò in una sincera risata: «Credimi, il mio mortale tenore di vita è abbastanza elevato da permettermi quasi sempre il meglio! Ma non sono sicura che questi abiti ti vadano bene addosso e ho preferito spendere poco nell’ipotesi di doverli cambiare. Inoltre c’è da sperare che questa tua condizione sia passeggera, perciò vedi di sopportare.»

Il Dio degli Inganni ridacchiò, apprezzando lo spirito pratico dell’irlandese, e afferrò il mucchietto di indumenti dirigendosi verso il bagno, l’espressione appena contrariata.

«Nella scatola invece c’è un paio di scarpe.» disse ancora Erin; «Io intanto cucino qualcosa che anche il tuo nobile stomaco possa approvare. Buone abluzioni!»

Ma Loki era già scomparso nell’altra stanza, chiudendo sonoramente a chiave la porta.

 

 

La ragazza di Galway, colta da culinaria ispirazione, preparò una sostanziosa zuppa di cipolle tipica delle sue parti e due braciole di carne di maiale che passò sulla gratella, lasciandole mediamente al sangue come voleva la tradizione. Nel frattempo tolse dal frigorifero due bottiglie di Guinness e ne sorseggiò una nell’attesa che il cibo cuocesse, il naso immerso tra le pagine di uno dei libri che aveva preso in prestito alla biblioteca del quartiere: una raccolta di fiabe e leggende vichinghe e un saggio sulla complessa mitologia del Nord Europa di cui l’uomo che al momento si trovava nella sua cabina doccia sembrava far parte a tutti gli effetti. Le storie legate al Valhalla e ai suoi potenti abitanti erano molte e lunghe, epopee a tinte forti che avevano condizionato l’immaginario di quasi un intero continente, e leggendo qua e là Erin prese finalmente a ricordare ciò che le era stato raccontato da bambina, sebbene avesse sempre preferito elfi, uomini e druidi ai roboanti dèi norreni.

Con sguardo febbrile corse ai capitoli dedicati a Loki l’Ingannatore, e il modo in cui questi veniva descritto le strappò una risata nervosa: forse, si disse tracannando un robusto sorso di birra, stava giocando col fuoco, se doveva dar retta al mito, e forse la cosa peggiore era che non gliene importava granché.

«Dall’odore si direbbe che tu sappia cucinare, donna d’Irlanda.»

L’Ingannatore in questione fece il suo ingresso in cucina coi capelli umidi e una delle maglie di cotone che lei aveva comprato indossata sopra i soliti calzoni e stivali neri asgardiani, ed Erin sobbalzò sputando metà Guinness e inghiottendo a fatica il resto.

«Ovvio che so. Le abluzioni sono state di tuo gradimento?» chiese tossendo.

Di nuovo, Loki rispose con un’altra domanda: «Cosa leggevi su quei tomi?»

«Leggevo di te.» disse la giovane guardandolo di sotto in su: «I miei simili non ti hanno mai dipinto in toni eccessivamente lusinghieri, eppure li trovo un po’ esagerati.»

«I mortali hanno sempre avuto una fervida fantasia.» commentò il dio caduto, e qualcosa nel suo tono indusse Erin a non ritenerlo un complimento.

Lui sedette al tavolo, e l’irlandese si affrettò a servire la zuppa calda e densa:

«In effetti preferirei sentire direttamente da te la storia di come sei giunto qui per ben due volte, di cosa cercavi e perché, e dei fatti del tuo mondo. Non amo molto l’umanità, sebbene ne faccia parte mio malgrado, e poiché ritengo la gente mediamente stupida tendo a non fidarmi molto di quel che dice.» asserì con cautela, iniziando a mangiare.

Loki dovette riconoscere che quella donna aveva la straordinaria capacità di rapportarglisi da pari a pari, o almeno dava l’impressione di non ritenersi inferiore a chicchessia, nemmeno a lui. Sceglieva con cura le parole e sapeva far leva sui tasti giusti, segni di una forza di persuasione non indifferente. Il Dio degli Inganni decise di premiarla per questo e di dirle ciò le interessava: così avrebbe guadagnato una buona fetta della sua preziosa fiducia, e più tardi si sarebbe occupato di far parlare lei. Cominciò allora a raccontare e cominciò dall’inizio, da Asgard e Jotunheim, da Odino e Laufey e Frigga e da suo fratello Thor; narrò della sua prima caduta attraverso il cosmo e del Tesseract, del piano per divenire sovrano di Midgard dopo che il trono degli Æsir gli era stato sottratto, dei Vendicatori, dell’iridio nei laboratori di Heinrich Schäfer e della battaglia di New York; rimembrò ad alta voce la bruciante sconfitta, la prigionia tra mura dorate che non si era aspettato e infine l’umiliante punizione che Odino gli aveva inflitto, ma non accennò minimamente al ricatto del titano rosso.

Erin non interruppe mai, fece solo qualche domanda e si alzò dal tavolo con l’unico scopo di mettere le braciole nei piatti. Ascoltò avidamente ogni parola, con una fascinazione genuina dipinta nei grandi occhi color nocciola e sorridendo a tratti.

Quando infine l’asgardiano concluse il proprio racconto l’irlandese lo guardò:

«Proverai di nuovo a conquistare la Terra per esserne il re?» chiese.

Lui annuì e indagò di rimando: «E tu? Cos’è che ti ha condotta fin qui, fino a me?»

«Vedi, vengo da un paese che crede ancora in cose antiche, e sin dall’infanzia ho udito storie su mondi dimenticati in cui regni e sovrani erano sempre descritti come aspetti positivi, come qualcosa di cui avere nostalgia. E poiché l’epoca in cui vivo non è migliore di epoche passate in cui queste cose esistevano ancora, mi sono fatta l’idea che le democrazie e simili sistemi di governo siano fallimentari e ipocriti, non troppo diversi da monarchie e dittature e tuttavia privi di figure forti e trascinanti che i popoli possano amare o anche temere.» rispose Erin, le mani che si muovevano nell’aria come se stesse cercando di riunire i propri pensieri per dar loro una forma. «È l’illusione di essere liberi di cui parlavi tu a Stoccarda: la gente è convinta che la libertà sia questa, far parte di una società che si professa democratica in modo che qualunque idiota possa diventare qualcuno, spesso a discapito di chi lo meriterebbe sul serio. Ecco perché da anni spero che prima o poi salti fuori una figura diversa da tutte le altre, come un personaggio di quelle storie dimenticate, e che riesca a cambiare le cose. Quando ti ho visto e sentito parlare, quella sera, ho capito che tu avresti potuto esserlo, e ti ho ammirato con tutta me stessa. E comunque...»

S’interruppe e rise rovesciando indietro la testa, a metà tra l’imbarazzo e il compiacimento:

«E comunque ammetto di aver sempre pensato che la soluzione migliore sarebbe che io stessa divenissi sovrana di questo mondo. Credo che saprei come governarlo.»

Loki avvertì il sangue rombargli nelle vene, eccitato e colpito dalla folle intelligenza di quella donna geniale, dalle sue idee e dalla sicurezza che ostentava e finanche dal suo bel sembiante illuminato dalla risata e dalla fierezza del suo discorso. Allora le sorrise a sua volta, poiché non avrebbe potuto desiderare alleata più confacente di lei: Midgard spettava a lui, questo era fuori discussione, ma su certi dettagli si sarebbe concentrato molto più avanti.

E rimasero così, seduti ai due capi del tavolo, a sorridersi e guardarsi dritti negli occhi con le labbra ancora fresche di birra scura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Bene, con questo capitolo si chiude la parte introduttiva della storia: di Erin ormai si sa quel che c’è da sapere – chi è, da dove viene, che lavoro fa, che strumento suona e persino come la pensa sul mondo in cui vive – e lei sa altrettanto del suo ingannevole ospite. Compreso il fatto che è dannatamente gnocco con una maglia di cotone e i capelli bagnati, diciamocelo.

Riguardo alle idee “politiche” della nostra folle irlandese vorrei chiarire un paio di punti: il suo NON è un pensiero simil fascista/nazista o che, è più un modo idealizzato e romantico di intendere la “monarchia”; è una cresciuta a pane e storie, e ha pure delle notevoli manie di grandezza. È estrema prima che estremista, ma del resto non credo che Loki si sarebbe mai lasciato incuriosire da una persona (tanto più se umana e donna) che fosse meno assurda e attratta dal potere.

Dal prossimo capitolo si aprono le danze, e da danzare ci sarà.

Il titolo di questo è tratto da un verso della canzone Mr. Jones dei Counting Crows che dice “Mr. Jones and me / tell each other fairy tales”; il pezzo in sé non rientrerebbe nella colonna sonora della storia, però la frase calzava a pennello. Un brano che invece ci rientra eccome e che mi fa pensare a Loki è Man of simple pleasures dei Kasabian.

In tutto questo se c’è qualcuno in ascolto batta un colpo, per favore, ché qui mi par d’essere dispersa nel vuoto siderale tra i Nove Regni peggio del Mr. Mischief di cui sopra… Ossequi asgardiani a tutti e a presto!

 

 

 

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Capitolo 5
*** 5. Wrapped up in chemicals ***


5

5.

Wrapped up in chemicals

 

 

 

 

 

 

Nick Fury contemplò con fare inquieto lo schermo del computer che aveva di fronte: i grafici indicavano un inequivocabile picco di energia elettromagnetica rilevato qualche giorno prima nei dintorni di Boston, sebbene dopo quell’episodio gli strumenti dello S.H.I.E.L.D. non avessero registrato altre attività che potessero collegarvisi, e ciò lo innervosiva.

«Hill, sai meglio di me che questi dati non sono rassicuranti.» disse a voce bassa.

L’interpellata si voltò a guardarlo, la fronte corrugata: «Lo so bene, direttore, eppure non abbiamo altri segnali che possano ricondurre a questo fenomeno. Ho già mandato alcuni agenti a controllare la zona, e nessuno di loro ha trovato elementi anomali.» ribatté.

L’uomo incrociò le braccia al petto e prese a camminare avanti e indietro:

«Probabilmente non è niente di cui dobbiamo preoccuparci, ma preferisco prendere precauzioni. Fa’ tenere d’occhio l’intero distretto bostoniano, Maria, e manda un messaggio urgente a Selvig e al suo team. Li voglio qui tra meno di una settimana.»

«Crede che lui e Jane Foster potranno vederci più chiaro, signore?» chiese la donna.

Fury assentì: «Più chiaro di noi sicuramente. E metti sul chi vive anche Stark.»

La bella Hill sorrise appena: «Non ne sarà molto felice. In fondo è passato poco più di un mese dall’ultima volta.» commentò ironica, considerando l’indole di Iron Man.

«Quel che pensa lui non ha grande importanza.» tagliò corto l’altro scrollando le spalle.

 

 

In una decina di giorni di convivenza forzata Loki aveva finito con l’abituarsi alla presenza di Erin Anwar e alla modestia della sua dimora. Non aveva ancora messo piede fuori da quelle quattro mura, e ciononostante il solo osservare lei, i suoi comportamenti e i suoi gusti gli aveva fornito un soddisfacente quadro della natura midgardiana che mai prima aveva considerato.

Non che l’irlandese potesse definirsi un esempio attendibile di essere umano, ma tramite lei aveva per contrasto scoperto molte cose: i mortali erano facilmente plagiabili, per prima cosa. Governi e potenze economiche plasmavano il loro già labile pensiero attraverso l’apparecchio chiamato televisione, proponendo immagini convincenti e falsi miti e seguendo quelle che Erin medesima aveva definito “regole di mercato”. Era una rete di finzioni e di vuote promesse sì ben congegnata che persino il Dio degli Inganni dovette riconoscerne l’efficacia.

Erin colse la palla al balzo e gli illustrò un paio di tattiche di marketing facendo riferimento all’esperienza dell’asgardiano, in una tiepida serata in cui se ne stavano sul tetto del palazzo a guardare, dopo cena, le luci abbacinanti della città che si stendeva ai loro piedi. Gli disse che se avesse dato corda agli amici di Thor e se non avesse mentito a quest’ultimo, se non gli avesse mandato contro il Distruttore, avrebbe mantenuto la propria posizione di reggente per molto tempo, e forse Odino lo avrebbe preferito al figlio maggiore persino quando questi fosse tornato dall’esilio. Lo stesso valeva per i fatti di Stoccarda: minacciare di morte un vecchio innocente e disarmato non era esattamente la strategia più funzionale per farsi amare dalle masse, spiegò la ragazza di Galway. Il popolo andava conquistato blandendolo e quindi guidandolo con polso e saggezza, e a tal proposito gli consigliò di leggere un libro antico intitolato Il Principe, scritto da un tal Machiavelli nella lontana Italia. Loki non ebbe mai modo di leggerlo, forse suo malgrado, e tuttavia le dritte della giovane gli rimasero in mente.

La smisurata ambizione di costei seguitava a piacergli e a sconcertarlo, ribaltando qualunque convinzione che sino a quel momento aveva avuto sui terrestri – se terrestre nel senso comune del termine Erin Anwar si poteva definire. Era al contempo allegra e rumorosa, incline a perdere facilmente la pazienza, ottimista e appassionata malgrado l’animo disincantato e arrogante che possedeva, e tali contraddizioni attraevano la curiosità del dio caduto come una calamita fa col ferro. Egli si sorprese dunque spesso a studiarla, in quei giorni, specialmente mentre suonava il suo flauto d’argento producendo intriganti melodie del tutto sconosciute alle orecchie di lui. Loki non aveva mai apprezzato molto il genere femminile, per quanto lo conoscesse, ma per l’irlandese dovette fare un’eccezione.

Erin lo osservava di rimando, confrontando ciò che vedeva coi propri occhi con ciò che i libri della biblioteca narravano. Prese così l’abitudine di leggere al suo divino ospite passi dei miti che lo riguardavano, chiedendogli conferma, e Loki trovò la cosa piuttosto divertente: non le dette mai una risposta che non fosse ambigua o maliziosa, e lei stette al gioco più a lungo del previsto. Talvolta le parve di cogliere barlumi di tristezza negli occhi ardenti dell’asgardiano, ben celati dietro i suoi affascinanti sogghigni, nel parlare del suo presunto e reale passato, e fu tentata di indossare la maschera dell’amica comprensiva per indurlo ad aprirsi e rivelare qualche debolezza. Scacciò però presto l’idea, intuendo che non avrebbe funzionato.

Entrambi erano convinti di avere un vantaggio l’uno sull’altra, di avere in mano le redini della situazione a vicendevole insaputa: se Erin guardava e pazientava, ritenendo opportuno pianificare una cosa alla volta a seconda degli avvenimenti, Loki si muoveva in sordina, ben calibrando atti e parole conscio dell’occhio vigile di Odino puntato su di lui, sperando che questi notasse che stava vivendo come un midgardiano e che da una midgardiana si lasciava incantare. Del resto con quello sciocco di Thor aveva più o meno funzionato.

C’era però un aspetto che nessuno dei due aveva considerato, nel fare i propri calcoli: l’intimità. Non certo intimità a livello fisico, giacché non si erano mai sfiorati nemmeno per sbaglio, da quando si erano incontrati nelle campagne – no, era l’intimità del vivere assieme. Era intimo, per Erin, farsi trovare in pigiama in cucina a preparare la colazione o incrociarsi sulla porta del bagno, o trovarlo seduto a leggere nel rientrare dalle prove o studiare i brani per il concerto imminente sapendo che lui si trovava poche stanze più in là. Era intimo mangiare allo stesso tavolo e persino conversare, dato che si conoscevano appena e che tra loro c’era un abisso di tempi e universi opposti.

Per Loki era intimo e bizzarro il fatto in sé di condividere una dimora così piccola con una fanciulla, e lo era perciò tutto quello che la situazione comportava. In quella prima decina di giorni vi fu un singolo episodio che più di qualunque altro gli parve intimo e bizzarro: fu quando decise di indossare da capo a piedi alcuni degli indumenti comprati dall’irlandese – una blusa abbottonata, delle braghe strette di pesante cotone azzurro, delle calzature in cuoio basse e chiuse da lacci – e nel comparirle di fronte così abbigliato la vide fissarlo basita e sorridente, le guance appena colorite, e ne fu colpito perché ben poche dame di Asgard lo avevano mirato in quel modo in vita sua, con le iridi velate da un incoscio desiderio.

Quell'intimità comunque non impedì loro di mantenersi ragionevoli e distaccati, concentrati sui rispettivi piani e propositi, e nel frattempo si depositò in silenzio tra i due iniziando lentamente a colmare l’abisso profondo che li separava.

 

 

Due lunedì dopo la caduta di Loki su Midgard, Erin andò alle prove di buon’ora.

Mancavano poco più di quindici giorni al concerto fissato in un importante teatro cittadino, e il direttore aveva premura di esercitarsi con l’intera orchestra sulla Karelia Suite di Sibelius.

Sylvia, Francis e il resto del gruppetto di amici più stretti dell’irlandese stavano già accordando gli strumenti quando lei arrivò, e dai loro sguardi ammiccanti capì che non avrebbe potuto rifiutarsi oltre di uscire con loro: dall’arrivo dell’asgardiano aveva sempre trovato qualche scusa per non uscire la sera o per non farseli piombare in casa, e ormai il suo atteggiamento rischiava di risultare sospetto ai suoi pettegoli compari.

«Anwar, oggi niente storie. Stasera vieni con noi a ubriacarti.» la apostrofò infatti la rossa saltandole praticamente al collo: «Si può sapere cos’hai combinato in queste settimane?»

Erin fece un gesto vago con le mani: «Ero in fase pantofola selvaggia e l’altro giorno mi sono sentita poco bene.» tentò alla cieca.

«Ma davvero? Due settimane in pantofole? Tutto qui?» rise Francis, e Sylvia inarcò un sopracciglio con aria scettica.

Erin si mise a montare il flauto eludendo i loro sguardi: «Ho anche avuto problemi col bagno. Mi si è intasato lo scarico e il cesso è praticamente eruttato.» si affrettò ad aggiungere.

Owen Wilde, altro amico e contrabbassista, si unì alla conversazione puntando scherzosamente contro la flautista di Galway il proprio archetto: «Erinni, tu non me la racconti giusta. Di solito se una donna si comporta così ha qualcosa da nascondere.» disse.

«Io non sono una donna normale.» si vantò Erin.

«Effettivamente no.» concessero Sylvia e Francis all'unisono.

«Secondo me c’è un uomo di mezzo.» continuò Owen col tono di chi ci ha preso in pieno.

L’irlandese scattò in piedi come se un mazzo di carciofi le si fosse appena materializzato sulla sedia e senza dire una parola corse a prendere un accordatore elettronico su uno scaffale. Avvertiva sulla nuca le occhiate divertite degli amici, e imprecando tra sé pensò che per certe cose avrebbe avuto molto da imparare dal Dio degli Inganni.

«Non c’è nessun uomo.» rispose con assoluta calma nel tornare al proprio posto, e a voler essere pignoli non era una bugia. «Ve lo giuro.» insistette, e involontariamente si ritrovò a fissare Francis dritto negli occhi come per giustificarsi con lui soltanto.

Il trombettista ricambiò lo sguardo e rise di nuovo:

«Erin, non è mica una colpa! Anzi, se tu avessi una storia saremmo tutti felicissimi per te.»

Lo disse con affetto e senza malignità, e tuttavia il cuore di Erin mancò di un battito. Con le eccitanti novità degli ultimi giorni si era quasi dimenticata della propria storica cotta per lui, e il sentirsi rammentare proprio dal diretto interessato che tra loro non c’era più niente non la rese felice. Le insinuazioni di Owen le avevano d’altro canto ricordato quanto equivocabile fosse, seppur immotivatamente, la sua convivenza con l’asgardiano, e il battito cardiaco le fece strani scherzi per un istante in più.

«Allora stasera uscita alcolica collettiva?» domandò il contrabbassista.

Gli altri confermarono e Francis annunciò che lo avrebbe riferito al resto della ghenga; Sylvia propose invece a Erin di passarla a prendere a casa con un po’ d’anticipo per chiacchierare in pace tra loro, ma l’altra ululò un deciso “no!” e si offrì di passare lei dalla rossa con il Duetto a capote abbassata, perché con quella macchina facevano sempre una figura migliore. L’amica accettò con una punta di dubbio nella voce e lasciò correre.

Poi il direttore salì sul podio reclamando l’attenzione degli orchestrali e tutti presero posizione rumoreggiando. Erin aprì il cartolare degli spartiti e accordando il proprio La a 442 hertz si gettò alle spalle gli strani pensieri di poco prima.

La prova fu lunga e produttiva e terminò che il sole era già calato a occidente, tra i grattacieli scintillanti della metropoli. Il gruppetto di amici si dette appuntamento in un noto locale del centro per il dopocena e si separò lanciando ancora battute all’indirizzo dell’irlandese che rispose a tono mentre correva per prendere l’autobus. Era convinta che sarebbe stato problematico spiegare al dio nordico la ragione per cui quella sera si sarebbe assentata, ma non aveva fatto i conti col proverbiale disinteresse di costui per le sciocchezze umane: gli annunciò la novità in cucina e lui a malapena la guardò, ed Erin finì col trovare stupido l’aver ritenuto importante parlargliene, dal momento che la casa era sua e che tra loro non esisteva alcun tipo di relazione che prevedesse il giustificarsi per ogni singola uscita.

Allora scelse di disinteressarsi a sua volta, mangiò in fretta e altrettanto frettolosamente uscì, notando con la coda dell’occhio quanto familiare e surreale assieme fosse l’immagine della nobile figura di Loki, ancora seduto al tavolo, stagliata nella luce soffusa della stanza.

 

 

Rimasto solo, il Dio degli Inganni contemplò in silenzio la tranquillità della dimora e di quella serata midgardiana la cui aria tiepida filtrava dalle finestre che l’irlandese aveva lasciato aperte, non sapeva se per volere o per più probabile distrazione. Terminò con calma il proprio pasto, sorseggiando il vino rosso di buona qualità che Erin aveva servito e considerando che in un certo senso si stava abituando ai sapori del cibo terreno: non era troppo diverso da quello che veniva preparato ad Asgard, sebbene la qualità lasciasse spesso a desiderare; e il vino era più secco e pungente ma gli piaceva più della birra scura d’Irlanda. La birra era una bevanda che meglio si adattava agli animi grezzi e semplici come quello di Thor, giudicò tra sé.

Quindi si alzò e si spostò nel salotto, dove nessuna lampada era stata accesa, e ne trovò gradevole il buio morbido che solo gli aloni dell’illuminazione esterna intaccavano. Si accomodò su una poltrona – la cosa più simile a un trono che avesse trovato in quella casa – e fissò il mondo oltre i vetri spalancati senza realmente vederlo.

Per quanto il suo corpo fosse al momento paragonabile a una mera forma umana, la mente di Loki poteva ancora perdersi in riflessioni insondabili, giungendo in luoghi e dimensioni che pochi avrebbero potuto anche solo scorgere. Vagò così nuovamente col pensiero attraverso ciò che aveva visto, vissuto e appreso, finché non scattò in piedi come colpito da una frusta: un nome gli era balenato in testa, un nome non desiderato, e un’idea allarmante si era fatta strada tra le altre. L’asgardiano andò alla finestra, le mani dietro la schiena.

Thanos, questo era il nome. Il titano rosso gli aveva promesso il dominio su Midgard e i mezzi per ottenerlo in cambio del Tesseract, promettendo dolore e distruzione nel caso in cui lui non fosse riuscito nell’impresa, e Loki aveva a tutti gli effetti fallito. Non era dunque strano, si disse, che quell’essere temibile avesse lasciato correre, che non gli avesse dato la caccia?

Forse la prigionia su Asgard glielo aveva tenuto a distanza per qualche tempo, e forse l’esilio tra i mortali lo aveva sinora celato agli occhi acuti del titano, ma era questione di tempo: presto Thanos avrebbe ripreso a cercarlo, se già non lo stava facendo, e infine lo avrebbe trovato, e Loki si augurava che per allora avrebbe riavuto i propri poteri.

Lo avrebbe cercato e avrebbe cercato pure di impadronirsi in maniera diversa del Cubo Cosmico, e poiché il Cubo si trovava adesso ad Asgard, ben controllato da Odino, quel demone ossessionato dalla Morte non avrebbe esitato a scatenare una guerra contro il Padre degli Dei per averlo. Come avrebbe fatto lui stesso, pensò quasi con sorpresa il dio caduto.

In quell’istante la porta dell’appartamento si aprì ed Erin entrò con impeto in casa incespicando e schiavicciando, e lui si rese conto che dovevano essere passate almeno tre ore da quando era uscita. L’irlandese chiuse l’uscio poggiandovisi contro e sorrise:

«Eeeeeeeehi, Loki!» lo salutò con voce eccessivamente amichevole.

L’asgardiano le si avvicinò cauto: «Sei ubriaca, donna d’Irlanda?»

«Sono allegra, il che è piuttosto diverso.» rispose Erin andandogli incontro.

«Puzzi di birra come quel decerebrato di Thor nei suoi momenti migliori.» commentò l’altro, e subito dopo trovò strano aver parlato del Dio del Tuono in tono così leggero.

La ragazza di Galway scoppiò a ridere di gusto e rimase incastrata con la borsa all’angolo di un mobile. Sempre ridendo cadde in avanti, e prima che uno dei due potesse evitare o capire cosa stava facendo Loki tese d’istinto le mani ed Erin gli si aggrappò per non rovinare a terra.

Era la prima volta che si toccavano, e il contatto fu per entrambi scottante e piacevole – per lui la pelle tiepida di lei sotto la propria, per lei le braccia solide dell’asgardiano che la sostenevano, e il trovarsi vicini come mai prima erano stati.

E se Erin notò a malapena il brivido che la percorse, intenta com’era a metabolizzare l’ormai netta verità che Francis Bright non la desiderava più, Loki non riuscì a ignorare l’inconsueta sensazione che provava. Guardò l’irlandese, il suo volto colorito a poca distanza dal proprio, e ne vide la bellezza pura e semplice e non condizionata, adesso, da alcun tipo di follia, genialità o ambizione, perché in quel momento Erin Anwar era umana e vulnerabile.

E questo, paradossalmente, gli piacque. Lei gli piacque, così calda e viva e diversa dalle splendide, ieratiche dame di Asgard e tuttavia di non inferiore beltà, e pensò che gli sarebbe piaciuto possederla almeno per una notte per sentire di nuovo e di più il suo calore.

Erin colse qualcosa di differente e intrigante nell’uomo che la stava praticamente abbracciando, e ne fu turbata. Nonostante questo cedette al sonno che i fumi dell’alcol le provocavano e si sciolse dalla stretta gentile del dio dopo un attimo di esitazione, e l’episodio rimase nei meandri della sua mente come una luce che si scorge con la coda dell’occhio.

«Grazie.» disse sorridendo e socchiudendo le palpebre, e scivolò verso la propria camera.

Loki fu tentato di seguirla per soddisfare il desiderio che gli infiammava il sangue, e si sforzò di mantenersi lucido: non poteva rischiare – non adesso – di gettare al vento un’alleanza e una vantaggiosa sistemazione solo per placare un bisogno futile come quello.

Ma quella notte l’abisso di tempi e universi opposti che li divideva si colmò ancora un po’.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Ed ecco entrare in scena i primi comprimari e un paio di idee allarmanti. Erin sta praticamente tenendo corsi lampo di abbindolamento à la Midgard per il suo divino ospite e quest’ultimo sta considerando l’opzione di mostrarsi “ammaliato” dalla sua padrona di casa perché “con Thor ha più o meno funzionato”. O magari ne è ammaliato davvero e sta iniziando a rendersene conto… Ecco a voi anche il resto della Boston Philharmonic Orchestra, ora che il concerto è alle porte: per precisare un paio di cose al riguardo, il La a 442 Hz è la nota sulla quale ci si accorda in orchestra, la cui frequenza è solitamente tarata sul La del primo violino o del primo oboe (nelle orchestre di fiati). Se non si fosse capito, sono musicista anch’io :)

L’appellativo di Owen per Erin, “Erinni”, non è un errore di battitura bensì un nomignolo riferito al suo essere un po’ fuori di cucuzza – le Erinni sono le Furie nella mitologia greca e romana. Nella mia testa i fatti degli Avengers si sono svolti ad aprile, più o meno, perciò adesso nella storia siamo a maggio molto inoltrato.

Il titolo del capitolo è tratto da un verso di Wonderful di Gary Go: we are miracles / wrapped up in chemicals.

Il prossimo atto è l’ultimo della quiete prima della tempesta – ma CHE quiete sarà…!

C’mon ladies, sotto con queste recensioni! Grazie di cuore a tutti coloro che seguono, leggono e apprezzano.

Ossequi asgardiani e a presto!

 

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Capitolo 6
*** 6. Thousand Fahrenheit hot metal lights behind your eyes ***


6

6.

Thousand Fahrenheit hot metal lights

behind your eyes

 

 

 

 

 

 

Passò dunque un mese dalla caduta di Loki su Midgard, e due abbondanti da quando i Vendicatori avevano fermato l’attacco dei chitauri a New York.

Non vi furono grandi cambiamenti, ma alcune cose presero a muoversi. Erik Selvig e Jane Foster risposero alla chiamata di Nick Fury, recandosi alla nuova base che lo S.H.I.E.L.D. aveva costituito dopo la distruzione della precedente a causa del Tesseract, e aiutarono gli agenti a indagare sui recenti fenomeni. L’idea originaria era quella di scoprire se il picco di elettromagnetismo registrato nelle campagne di Boston nascondesse qualcosa di più, e questo fecero finché non scoprirono che i macchinari stavano rilevando altre lievi e anomale attività nell’atmosfera terrestre: non riuscirono a individuare precisi punti d’origine e fu loro difficile anche solo ipotizzare di cosa potesse trattarsi. I valori erano in media simili a quelli di Boston e, per l’accelerazione del battito cardiaco di Jane, a quelli raccolti durante la prima venuta del potente Thor – eppure questo non li aiutò minimamente.

Anthony Stark ricevette l’allerta del direttore di notte, e poiché era intento ad amoreggiare con l’adorata Pepper la faccenda lo annoiò non poco. Ma aveva un impegno da mantenere nei confronti di Fury e della sua organizzazione e si dichiarò a disposizione.

Nel frattempo, a molte miglia di distanza il Dio degli Inganni e la flautista di Galway seguitavano nella loro assurda convivenza, abituandosi sempre di più alla reciproca presenza. Più che abituarsi, anzi, si può dire che iniziavano a trarne un certo piacere, sebbene Loki ritenesse che da troppo ormai si trovava in quella situazione senza che una virgola fosse mutata. Odino rimaneva silente e Asgard lontana anni luce, così come i suoi divini poteri, e da umano era assai improbabile riuscire a sottomettere altri umani. Lo aveva imparato osservando e ascoltando dall’interno, in quei giorni, e facendo parlare l’irlandese: quando i midgardiani intendevano conquistare i propri simili mettevano in piedi eserciti, colpi di stato, rivoluzioni, e nessuno era mai arrivato a governare il pianeta per intero. Alcuni ci erano andati vicino, a sentire Erin, come gli imperatori di Roma, ma neppure loro avevano ottenuto quel che lui voleva ottenere. Perciò gli serviva la sua originaria natura per compiere l’impresa, per quanto avesse per un breve periodo sperato di iniziarla in condizione mortale.

A tale impazienza si aggiungevano le sensazioni fisiche che la vicinanza di lei continuava a provocargli: non gli dispiacevano affatto, e tuttavia le riteneva un ulteriore sintomo di terrena debolezza. Era convinto che col tornare in sé anche quelle sarebbero passate.

Da parte sua Erin sembrava non essersi accorta degli sguardi che l’asgardiano aveva preso a lanciarle, ma il calore del loro primo contatto le era rimasto in circolo nel sangue come una droga e faceva sì che tra i due spesso fluisse una sorta di morbida elettricità.

Morbida era pure la stagione, che piano piano scivolava verso l’estate, e presto giunse il giorno del concerto che la Boston Philharmonic Orchestra avrebbe tenuto alla Boston Symphony Hall. Era un concerto non troppo impegnativo ma di grande effetto, ed Erin arrivò al mattino del giorno fatidico con addosso una notevole fibrillazione: Loki la vide ballettare per tutto l’appartamento canticchiando una delle melodie che suonava col flauto d’argento quando studiava, un sorriso ebete dipinto sulle belle labbra, e pensò che da ebbra e da felice si mostrava in tutta la sua sciocca e attraente umanità.

Dopo un pranzo veloce l’irlandese si recò al teatro per un’ultima prova in vista della serata, e quando tornò aveva in mano un sacchetto di carta e una busta bianca e le brillavano gli occhi.

«Posso farti una proposta?» esordì Erin all’indirizzo del dio caduto.

Questi, che si trovava alla finestra e osservava la strada sottostante, la guardò scettico:

«Che genere di proposta, donna d’Irlanda?»

Lei gli porse la busta bianca e sorrise: «Per il concerto di stasera hanno dato un invito a ciascun orchestrale. Questo è il mio, e vorrei che lo usassi tu.» disse.

Loki le si avvicinò: «Vuoi che assista al tuo concerto? Perché?»

Erin arrossì appena: «Primo, non ho altri a cui dare l’invito, visto che tutti i miei amici sono con me in orchestra e che la mia famiglia vive a Galway. Secondo, puoi uscire di casa e studiare noi mortali da vicino. Terzo, credo che la nostra musica ti piacerebbe, e a me piacerebbe che tu venissi.»

Lui sogghignò a quell’ultima affermazione: «Parli sul serio, Erin Anwar?» la provocò.

«Io parlo sempre sul serio!» esclamò la musicista, contenta che l’avesse chiamata per nome.

«Allora accetto la tua gentile offerta.» decretò il dio prendendo la busta con l’invito.

«Basta che tu presenti il cartoncino alla biglietteria e ti faranno entrare con tutti gli onori.» spiegò Erin: «Non avrai bisogno di bastoni magici o minacce, ma in compenso mi sono presa la libertà di pensare che ti servirà questo.», e tirò fuori dal sacchetto un completo maschile verde scuro e una camicia bianca, ben piegati e sistemati su un paio di grucce.

Il ghigno garbato di Loki si allargò: «Somigliano agli abiti umani che ho sfoggiato a Stoccarda. Hai dunque apprezzato così tanto il mio sembiante di allora, donna d’Irlanda?»

Il rossore sulle guance di lei s’intensificò: «Sì, l’ho apprezzato da morire.» ammise.

Poi batté in rapida ritirata verso camera propria e lasciò l’asgardiano di fronte alle finestre infuocate dal tramonto imminente, a riflettere su quanto gli piaceva la sua schiettezza. Forse era strano, per il Dio degli Inganni, apprezzare in qualcuno la sincerità al posto della furbizia e della capacità di persuasione, ma in Erin Anwar cominciava ad apprezzare qualunque cosa, specialmente se diretta a lui. Forse avrebbe dovuto preoccuparsene, ma non lo fece e non se ne pentì, e soppesando la notevole qualità dei nuovi indumenti andò nella stanza degli ospiti a prepararsi a sua volta.

 

 

Erin si rimirò soddisfatta nello specchio verticale che campeggiava vicino al suo letto: la stoffa nera e frusciante dell’abito da sera la avvolgeva alla perfezione, e la parure d’oro bianco le sottolineava la linea del collo e dei polsi, brillando al di sotto dei capelli sapientemente raccolti. Si passò l’ultima mano di eye-liner sugli occhi e prese la borsa contenente il suo flauto più prezioso dall’armadio, muovendosi a proprio agio sulle elegantissime scarpe dal tacco alto e sottile. Era bella oltre ogni dire e sapeva di esserlo, e spense la luce uscendo dalla stanza con un’aggraziata giravolta. Non era però preparata a ciò che la attendeva nel soggiorno: il Dio degli Inganni era già pronto e se ne stava in piedi vicino alla libreria con espressione distaccata, alto e splendido nel completo di velluto leggero verde scuro che lei aveva scelto. Il taglio sartoriale della giacca metteva in risalto le sue spalle ampie e dritte, e così faceva la cravatta allentata col suo collo magro. L’irlandese deglutì a vuoto e azzardò un sorriso.

Loki stesso non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, poiché il vestito le sottolineava la scollatura e le belle gambe e l’intera sua figura riluceva come bagnata da miriadi di stelle, e la sua postura era quella di una regina.

«Possiamo andare?» le domandò con voce arrochita dalla sorpresa.

«Possiamo andare.» gli fece eco lei senza smettere di sorridere.

«Questa notte sarai la mia guida, Erin Anwar.» disse l’asgardiano, e le offrì il braccio.

Uscirono così dal condominio, regali e fieri, e la giovane chiamò un taxi con un gesto imperioso. Arrivarono alla Boston Symphony Hall in perfetto orario: Erin guidò il dio alla biglietteria e quivi lo salutò, promettendo che sarebbe passata a salutarlo durante l’intervallo. Quando fu scomparsa nei corridoi che conducevano ai camerini degli artisti, Loki si godette le occhiate ammirate e stupite che i midgardiani presenti nel salone d’ingresso del teatro gli lanciavano e il fatto di svettare su gran parte di essi nonostante l’assenza di poteri e di propositi crudeli. La donna che controllò il suo invito lo squadrò con malcelato interesse e gli sfiorò di proposito le dita nel porgergli il programma del concerto, ma lui ritenne che non meritasse neppure metà dell’attenzione che invece serbava per l’irlandese.

Si accomodò allora nella sala principale del teatro, su una delle piccole poltrone color sangue che la riempivano: sul fondo campeggiava un palco sopraelevato fatto di legno chiaro e stucchi, colmo di sedie disposte a semicerchio e di alcuni grandi strumenti musicali già pronti per essere suonati. L’aria era leggera e profumata nonostante l’ambiente chiuso, e gli umani che sedettero intorno a lui indossavano indumenti eleganti e piacevoli alla vista, come alla serata di gala di Stoccarda. Ciò lo mise a proprio agio, giacché quell’estetica non si distaccava troppo dalle feste scintillanti e misurate che si tenevano nel palazzo di Odino.

Mentre le molte luci del teatro lampeggiavano a intervalli regolari, annunciando l’imminente inizio dello spettacolo, Loki lesse rapidamente il foglio che la bigliettaia gli aveva consegnato: era un elenco non troppo lungo di nomi a lui sconosciuti, tra cui parole in lingue bizzare come il Dies Irae di Giuseppe Verdi e l’Intermezzo di Pietro Mascagni, la Sicilienne di Gabriel Fauré e una certa Karelia Suite di Jean Sibelius.

Poi tutto fu buio, in sala, e nella pozza luminosa dei riflettori puntati sul proscenio i musicisti della Boston Philharmonic Orchestra presero posto tra gli applausi del pubblico; l’asgardiano non faticò a riconoscere l’irlandese, che coi capelli color oro brunito e la figura flessuosa spiccava tra le altre donne come un sole in una galassia, il flauto argenteo tra le mani. Lo teneva come avrebbe forse tenuto una spada, e lui trovò la cosa fin troppo seducente.

Il concerto cominciò e la potenza della musica colpì Loki dritto al petto con la stessa forza di un’arma: il suono prodotto da quel vasto insieme di fiati, corde e percussioni non rassomigliava a niente che avesse udito prima d’allora, ed era corposo e violento e meraviglioso e trovò che gli si addicesse. Gli orchestrali seguivano il ritmo e ondeggiavano con i rispettivi strumenti come un esercito in marcia, Erin pareva danzare da seduta e il Dio degli Inganni ne fu irrimediabilmente ammaliato – non da lei soltanto ma da lei soprattutto, e non perché voleva riconquistare così il favore del Padre degli Dei bensì perché davvero la ammirava.

Il Dies Irae fu possente e trascinante, l’Intermezzo si rivelò un brano di estrema e struggente bellezza e la Sicilienne, il cui solo di flauto fu eseguito da Erin medesima, placò gli animi infuocati degli spettatori prima che l’orchestra si ritirasse per una breve pausa in vista del lungo pezzo conclusivo.

La ragazza di Galway mantenne la parola e comparve in platea subito dopo, ridente e seguita a distanza da Sylvia. Volle sapere se Loki era soddisfatto della capacità mortale di musicare e la sua risposta affermativa la rese felice. Ebbe il suo bel daffare per convincere l’amica che l’uomo con cui conversava non era lo stesso della Galleria Schäfer, però si divertì a lasciare che gli altri compari e colleghi spettegolassero sul suo conto, per quella sera. E il cuore le batteva forte e il respiro le si mozzava in gola, e sapeva perfettamente che quella gioia e quell’eccitazione non erano dovute unicamente all’ottima riuscita del concerto.

Il secondo tempo fu dedicato alla Suite di Sibelius, e fu un successo clamoroso: il pubblico ne salutò la conclusione alzandosi in piedi e gridando ovazioni entusiaste all’indirizzo dei musicisti e del direttore della BPO, e la sala si riempì di lampi di flash e scrosci di applausi simili a pioggia battente. Erin rideva felice dietro il proprio leggìo, e il suo sorriso incredibile era tutto per il dio nordico seduto al centro della platea.

«Erinni, noi andiamo a cena tutti insieme da qualche parte. Sei dei nostri?» la apostrofò Owen quando furono finalmente dietro le quinte e poterono riporre gli strumenti.

La flautista nicchiò, incerta sul da farsi:

«Mi piacerebbe, Owen, ma avrei un altro programma.»

«Il cosiddetto “altro programma” sarebbe il bel tenebroso da cui sei corsa durante l’intervallo?» indagò la collega che suonava l’ottavino, ammiccando, e Sylvia si fece attenta.

«Maledetti impiccioni!» rise Erin: «Da me non saprete un bel niente.»

«Ah no? Vorrà dire che lo chiederò direttamente a lui, così magari scoprirò anche se è il tipo di Stoccarda.» disse la rossa Neu di rimando.

«Il tipo di Stoccarda? Il supereroe con l’elmo cornuto?» s’intromise Francis con un certo entusiasmo, e l’irlandese ci tenne a sottolineare che non era affatto uno stupido supereroe.

«Allora è lui veramente!» insistette Sylvia puntandole un dito contro.

«Ho forse detto questo?» sogghignò Erin, e chiuse l’astuccio del flauto. «Andate, abbuffatevi e sbronzatevi, amici miei, e divertitevi tanto quanto me!»

Gli altri le fischiarono dietro mentre usciva dal camerino e le augurarono cose innominabili e fantastiche da realizzare prima che giungesse l’alba, e lei volò leggiadra fino al salone d’ingresso della Symphony Hall con la mente concentrata solo sull’immagine di Loki che di nuovo la aspettava sulla soglia. Gli annunciò che sarebbero andati a mangiare da qualche parte, loro due da soli, e volle sapere cosa gli era parso sinora degli umani e del loro comportamento; lui rispose che i terrestri erano scialbi e prevedibili come li rammentava ma che quella sera non gl’interessava più di tanto studiare la loro sciocca essenza. Il significato sottinteso di quella frase gonfiò enormemente il cuore già entusiasta di Erin.

Si recarono a piedi fino a un locale rinomato e piuttosto antico di Boston, celebre per l’ottima carne e per i gruppi musicali che sovente vi si esibivano. Camminarono senza fretta per le strade affollate della città, e il loro incedere nobile e sicuro fece sì che coloro che incrociavano lungo i marciapiedi si scostassero per lasciarli passare, osservandoli con meraviglia e stupore, uomini o donne che fossero. Loki colse il proprio riflesso e quello d’irlandese in una vetrina oscurata e trovò che i loro sembianti fossero perfetti l’uno accanto all’altro: assieme erano splendidi come due sovrani di divini natali su cui mai occhio terreno si fosse posato, ed era bizzarro, dato che Erin Anwar di natali divini certo non era.

Il ristorante scelto dalla ragazza di Galway era un trionfo di legno lucido e rossiccio e lumi soffusi ben distribuiti al suo interno, con vetrate che si affacciavano sulla via e pochi fronzoli. Un cameriere li accolse con garbo e li fece accomodare a un tavolo rotondo lasciando loro due menu e una carta dei vini disponibili. Ordinarono una bistecca al sangue ciascuno e una bottiglia di buon vino rosso, e nell’attesa che il cibo fosse loro servito riempirono i propri bicchieri e presero a conversare senza impegno, guardandosi negli occhi.

«Talvolta non è così male essere umani.» commentò Erin d’un tratto.

«Talvolta.» precisò l’asgardiano, eppure il suo tono era leggero e più caldo del normale.

Aveva pensato di sfruttare quella cena improvvisata per concretizzare i propri obiettivi, ma via via che il nettare d’uva gli bagnava la bocca e la carne tenera gli riempiva lo stomaco Loki finì col dimenticarsi di quei piani e di quei propositi d’inganno. L’irlandese parlava e lui non si tirava indietro, le dava corda, godeva della sua bellezza così come del vino e se ne inebriava; lei non si stancava di ammirarlo e di assorbire ogni singolo particolare delle sue espressioni e dei suoi gesti, di quelle sue iridi di ghiaccio ardente e della sua voce profonda. Le sembrava di essere immersa in una bolla dorata e tiepida, e quando la band ospite della serata prese posto sul palco del locale, lanciandosi in un moderato swing, quella sensazione sognante si fece incredibilmente forte.

Chiese con malizia al dio nordico di raccontarle delle dame che fino a quel momento aveva conosciuto – non era forse definito una divinità lasciva, nelle leggende? – e Loki si prese bonariamente gioco di lei senza mai risponderle davvero, senza negare né confermare come già aveva fatto nei giorni precedenti. Terminarono il cibo e vuotarono la bottiglia di vino, e ordinandone un’altra si spostarono sui bassi divani che arredavano la zona riservata al palco e alla piccola pista da ballo, nella sala posteriore del ristorante. I musicisti proposero pezzi via via più rapidi e coinvolgenti, e quando la cantante intonò il ritornello di un noto brano rockabilly Erin non seppe resistere e posando il bicchiere si alzò per ballare.

L’asgardiano trovava strano quel genere di musica, specie se confrontato con quella che aveva ascoltato al concerto della Boston Philharmonic, con quei suoni più stridenti e il ritmo più serrato, più irregolare, e nonostante tutto non gli dispiaceva. Inoltre l’irlandese si muoveva dinanzi a lui in maniera quasi conturbante e si divertiva, e sorridendo irriducibilmente lo invitava a seguirla in pista. Loki bevve ancora il buon vino scuro e ancora la guardò, e infine si decise: balzò in piedi e le afferrò una mano, assecondandone i movimenti senza dimenarsi troppo a sua volta, ma Erin era trascinante e così la musica e ben presto si ritrovarono pressoché abbracciati a danzare all’unisono. Ogni idea o strategia di conquista, ogni tattica per avere il controllo sulla situazione e sull’altro scomparvero dalle loro menti e il ricordo del primo contatto fisico che avevano avuto vi si sostituì, e il desiderio dirompente che il Dio degli Inganni reprimeva da giorni tornò alla ribalta con prepotenza.

Eppure anche Erin lo provò, mentre la stretta di Loki intorno ai suoi fianchi si rafforzava, e lo accolse come qualcosa di conosciuto e a lungo bramato. Magari non sarebbe stato niente, e magari sarebbe stato tutto.

Le mani dell’asgardiano le carezzarono lentamente la schiena, in su e in giù, e le dita sottili della donna d’Irlanda gli scivolarono tra i capelli folti più e più volte.

Loki la strinse a sé e portandole una mano sulla nuca avvicinò il suo viso al proprio, e per un attimo si fissarono attraverso le palpebre abbassate. Erin inghiottì un grosso respiro, sentendosi affogare con gratitudine, e il dio caduto la baciò.

La baciò a lungo e intensamente e l’irlandese ricambiò quel bacio con gioia, e unirono labbra e sospiri per un tempo che parve loro infinito.

 

 

Continuarono a baciarsi uscendo dal locale e sul taxi che Erin fermò per tornare a casa.

Nelle pause tra un bacio e l’altro si guardavano e sorridevano, maliziosi e affatto turbati dal repentino cambiamento del loro rapporto fuori dal normale, e poi riprendevano a baciarsi con foga, le mani che ormai vagavano libere chiedendo qualcosa di più.

Entrarono nell’appartamento avvinghiati, e mentre la ragazza di Galway lasciava cadere a terra la borsa del flauto e calciava via le proprie scarpe, sfilando al contempo la giacca dalle spalle del Dio degli Inganni, questi la spinse sull’ampio divano del salotto e le fu sopra, e il resto dei loro abiti presto raggiunse la borsa, la giacca e le scarpe sul pavimento.

Con tocchi abili Loki blandì il corpo di Erin, sentendolo caldo e fremente sotto di sé, ed Erin rispose con baci che bruciavano sulla pelle come scintille.

E quando finalmente fu dentro di lei l’irlandese gli s’inarcò contro aggrappandosi alla sua schiena e lo chiamò per nome, e di nuovo danzarono insieme seguendo un ritmo noto a loro due soltanto e che trascendeva l’abisso di universi opposti che sino ad allora li aveva separati. Quel ritmo crebbe e crebbe e simile a un’onda raggiunse i loro lombi in fiamme, e nell’istante in cui toccarono l’apice Loki catturò la bocca di Erin in un bacio più profondo di tutti gli altri.

A miglia di distanza i tecnici dello S.H.I.E.L.D. osservarono nervosi i grafici sugli schermi dei computer, certi che qualcosa di brutto stava accadendo nel buio del cosmo – e nel buio del cosmo Thanos il Rosso scoppiò in una risata di pura e maligna soddisfazione.

Ma il dio caduto e la donna d’Irlanda nulla sospettarono e rimasero avvinti l’uno all’altra su quel divano, consci solo del piacere immenso che si erano appena procurati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Aggiornare con un po’ di ritardo e a orari improbabili: pardon, è da due settimane che son sempre a suonare!

Questo capitolo è piuttosto importante, perciò volevo ricontrollarlo con calma. È veramente l’ultimo “introduttivo” e mediamente calmo, e come avrete notato rappresenta un punto di svolta (o di non ritorno) per la relazione tra Erin e Loki: perché, lasciatemelo dire, questi due fanno quello che vogliono – e anch’io – ed essendo adulti e consenzienti e desiderandosi a vicenda non aveva senso girarci attorno, né tenerli altri dieci capitoli a punzecchiarsi e mordersi le mani. Inoltre il loro rapporto è sì fondamentale, ma altrettanto lo è la storia che va dipanandosi e in cui tale rapporto andrà a inserirsi. Spero di aver creato un’atmosfera sufficientemente intrigante intorno al suddetto punto di svolta :)

Il Dies Irae è il secondo movimento del Requiem di Giuseppe Verdi, la Sicilienne è il quarto della suite sinfonica Pelléas et Mélisande di Gabriel Fauré e l’Intermezzo fa parte della Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni ed è uno dei brani più belli che mai siano stati scritti; anche la Karelia Suite di Jean Sibelius, composta da tre ‘tempi’, è strepitosa.

Rimanendo in tema musicale, il titolo del capitolo è tratto da Invincible degli Ok Go, una delle canzoni portanti della storia; per la scena alla Boston Symphony Hall (teoricamente la “sede” della Boston Symphony Orchestra, benché spesso vi si esibisca pure la Boston Philharmonic Orchestra) trovo perfetto il dittico Instrumental I e Love of an orchestra dei Noah And The Whale, mentre il brano rockabilly su cui Erin balla al ristorante potrebbe essere Da doo ron ron delle Crystals. E dal bacio in poi, Trembling hands dei Temper Trap.

Io li amo, questi due. E voi? Ossequi asgardiani e alla prossima!

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Capitolo 7
*** 7. I put a spell on you ***


7

7.

I put a spell on you

 

 

 

 

 

 

«La cosa più strana,» disse Erin rivolta al soffitto, «è che da tre giorni faccio regolarmente sesso con un ingannatore divino piombato dritto dal Valhalla.»

Pronunciare quelle parole a voce alta la fece ridere, e con compiaciuto imbarazzo si rotolò tra le lenzuola sfatte e ancora tiepide del proprio letto. Affondando la faccia nel cuscino rifletté sulla piega folle che quella situazione folle di per sé aveva preso dalla sera del concerto alla Symphony Hall: il coinvolgimento fisico non era previsto e lei non ci aveva pensato fino a che non aveva guardato Loki con gli occhi di una donna che rimira un uomo, e non come un’irlandese dai gloriosi propositi che osserva un potenziale, potente alleato. Non aveva idea di come la vedesse l’asgardiano, sebbene fosse evidente che anche lui apprezzava quella nuova intimità. Aveva il dubbio che avesse orchestrato tutto per conquistare la sua fiducia e per confonderle la mente, ma essendo lei furba abbastanza da aspettarselo il problema non si poneva. Erin poteva godersi la situazione finché non fosse mutata ancora.

E chissà come sarebbe mutata, si domandò: il dio caduto e reso mortale sarebbe rimasto tale? Oppure finalmente i suoi poteri sarebbero ricomparsi – e lei, a quel punto, che ruolo avrebbe avuto? Come sarebbe stato l’uomo che aveva imparato a conoscere, una volta tornato nei suoi reali e regali panni? Che cosa sarebbe successo? Quella che era iniziata come un’eccitante avventura si stava trasformando in un’incognita, e un lievissimo presentimento pungente la fece balzare a sedere sul letto. Non capiva di cosa si trattasse, ma le suscitò un sussulto che rassomigliava alla preoccupazione.

Con la fronte aggrottata scese dal materasso, s’infilò distrattamente una maglia larga e un paio di slip e rimuginando andò nel soggiorno: Loki era in piedi davanti alla finestra, come suo solito e con indosso una delle camicie che lei gli aveva comprato, e scrutava il cielo con un’espressione distante e concentrata che Erin non ricordava di aver mai visto in quel lungo mese di convivenza. Allora seguì il suo sguardo, incuriosita, e notò che grosse nuvole opache avevano coperto il sole che sino a poco prima aveva brillato e che un leggero vento si era levato dando un’aria autunnale a quella giornata di giugno.

Il presentimento senza nome si fece più acuto e la flautista di Galway sfiorò con le dita il polso sinistro dell’asgardiano, affiancandoglisi.

«Ti vedo pensieroso.» gli disse.

Lui annuì: «Sta accadendo qualcosa sopra i cieli di Midgard.»

«Qualcosa di poco piacevole?» chiese Erin, e d’istinto gli si strinse contro.

«Non lo so.» ammise Loki in tono asciutto; «Non mi piace ciò che vedo, ma da qui e con occhi mortali ben poco posso capire. Andrò sul tetto per cercare una prospettiva migliore.»

Poi abbassò lo sguardo su di lei e trovandola corrucciata si chinò a baciarla, e assaporò il momento in cui la sentì ammorbidirsi tra le sue braccia come una piuma. Sapeva che certe sensazioni prima o poi avrebbero rischiato di renderlo debole, similmente allo stolto amore della sua famiglia, eppure lui stesso le cercava e non intendeva ancora privarsene: era pur sempre Loki di Asgard, pensò, e faceva quel che desiderava fare.

Si sciolsero dall’abbraccio e l’irlandese gli sorrise, il volto di nuovo disteso e convinto:

«Io ne approfitto per studiare un po’. Se hai bisogno di me sai dove trovarmi.» ammiccò.

Il Dio degli Inganni andò quindi a mettersi un paio di calzoni e gli stivali e uscì dall’appartamento per imboccare le scale che conducevano alla sommità del palazzo; Erin si sistemò al leggìo con il suo flauto d’argento.

Trascorsero un paio d’ore, durante le quali l’unico cambiamento sostanziale fu un progressivo e ulteriore oscuramento del cielo a opera di nuvole più dense e basse. Anche il vento s’intensificò, e sembrò che tutto si stesse preparando per una tempesta o un temporale.

All’improvviso squillò il telefono ed Erin prese la comunicazione sbuffando, scocciata per l’interruzione: «Casa Anwar. Chi parla?» borbottò con voce strascicata.

«Dannata irlandese che non sei altro! Sono io!» proruppe Sylvia all’altro capo del filo.

«Neu, accidenti a te, com’è che mi telefoni sul fisso?» rispose lei scherzosamente.

«Hai il cellulare staccato e sono tre giorni che non ti fai viva. Avevo paura che il maniaco di Stoccarda ti avesse rapita dopo il concerto.»

Erin scoppiò in una grassa risata: «Diciamo che il rapimento è stato reciproco.» le sfuggì, e subito si pentì di quelle parole. Non era sicura di voler rivelare la verità all’amica.

«Prova a negare l’evidenza adesso, Anwar! Sapevo che era lui, lo avevo riconosciuto.» la rimbrottò infatti questa, grave: «Mi spieghi chi diavolo è e dove lo hai ripescato? E se gli hai dato l’invito per la Symphony Hall cosa significa, che ci stai uscendo?»

«Non credo di volertene parlare attraverso una cornetta.» nicchiò Erin prendendo tempo, e contemporaneamente guardò fuori dalla finestra: le era parso di vedere un lampo.

«Allora andiamo a bere qualcosa stasera, ti prego. Voglio sapere ogni cosa, e anche io devo raccontarti... Ehi, Francis, lo hai visto pure tu?» s’interruppe di botto Sylvia.

«Francis è lì con te?» domandò l’irlandese a metà tra l’incredulo e il piccato.

«Ti ho appena detto che anche io devo raccontarti alcune novità, Erin, e...»

Ma la rossa non terminò nemmeno quella frase ed Erin udì in lontananza il trombettista gridare qualcosa d’incomprensibile all’indirizzo di Sylvia, la quale a sua volta urlò con voce strozzata: «Che cos’è quello? Erin! Erin, ci sei? Francis, vieni qui!»

La flautista scostò l’orecchio dal telefono, turbata, e fece per parlare, ma in quel preciso istante una deflagrazione esterna coprì ogni altro suono e un bagliore rossastro la accecò.

 

 

«Signore, emergenza generale! Signore!» annunciò Maria Hill nel proprio auricolare.

La sala comandi della base era come impazzita, tra agenti e specialisti che vociavano all’unisono, suoni d’allarme e luci lampeggianti; Jane Foster fissava agghiacciata e immobile il grande schermo olografico del computer principale ed Erik Selvig armeggiava con una tastiera come se una giusta sequenza di comandi avesse potuto risolvere la situazione.

Nick Fury arrivò di corsa: «Mi aggiorni, agente Hill.» ordinò con fermezza.

La donna non si curò neppure di mettersi sull’attenti: «Emergenza generale, direttore. Oggetti non identificati sono comparsi nell’atmosfera terrestre e stiamo registrando attacchi mirati alle principali città degli Stati Uniti. Una di queste è Boston, signore.» riferì in fretta.

«Attacchi di che genere, agente Hill? L’ultima anomalia rilevata stamane non era più intensa delle precedenti! Com’è possibile che nessuno si sia accorto di niente sino a ora?» incalzò Fury, e il suo sguardo furibondo si posò sui due scienziati del New Mexico.

«Direttore, è avvenuto tutto in pochissimi minuti, compreso un innalzamento abnorme dei valori elettromagnetici.» spiegò Selvig: «Non potevamo prevederlo.»

«Attacchi di che genere, agente Hill?» ripetè l’uomo duramente.

«Aerei, signore, compiuti da velivoli simili a quelli dell’assedio di New York. L’esercito e la guardia nazionale sono già stati avvisati.»

Fury fece una smorfia di sdegno: «Me ne fotto di quegli incapaci. Stark?»

«È già in viaggio col suo jet privato. Anzi, per la precisione sta scortando il suo jet privato.» rispose Maria; «Immagino che lungo il tragitto Iron Man avrà del lavoro da fare.»

«Bene. Qualcuno sa dirmi se abbiamo registrato tracce del Tesseract?» chiese il direttore.

Selvig scosse il capo: «Nessuna traccia del Tesseract né di Loki, se è questo che vuole sapere. A quanto ci risulta sono entrambi al sicuro su Asgard.»

«E allora come possono essere giunti qui dei nuovi invasori alieni, professore?»

L’altro esitò e scambiò un’occhiata allarmata con la sua giovane collega: «Non ne ho idea, signore. Ma chiunque vi sia dietro questi attacchi è potente abbastanza da non aver bisogno di portali artificiali per arrivare fino a noi.»

Le due donne impallidirono e Nick Fury incrociò le braccia al petto:

«Agente Hill, chiami a raccolta gli altri Vendicatori. È il momento.» disse.

 

 

Erin riaprì le palpebre serrate giusto in tempo per udire la porta dell’appartamento spalancarsi e i passi di Loki che rientrava correndo:

«Sei ferita?» la apostrofò aiutandola a rialzarsi da terra, ed era affannato.

L’irlandese lo fissò con sospetto: «Cosa cazzo hai combinato sul tetto? Ti sono tornati i poteri e hai deciso di far saltare in aria cose a caso per rimetterti in forma?» lo aggredì.

«Folle mortale, credi che tutto questo sia opera mia?» ribatté l’asgardiano punto sul vivo, ma senza lasciarle le mani: «Se lo fosse, come spiegheresti il fatto che le esplosioni di cui parli non accennano a fermarsi?», e a confermare ciò una nuova deflagrazione si schiantò contro i vetri delle finestre del soggiorno, mandandole in pezzi e costringendo i due a ripararsi dietro la poltrona preferita del dio caduto. Dalla strada salivano grida e rumori stridenti.

Erin bestemmiò e chiese: «E quindi? È colpa di quelle nuvole?»

«Le nuvole erano soltanto un preavviso, Erin, e l’ho capito troppo tardi. Lui mi ha trovato e ha messo in atto il suo piano e, che sia maledetto, non si limiterà a questo.»

«Lui chi, Loki?» urlò rabbiosa la ragazza di Galway.

Ma il Dio degli Inganni non riuscì a rispondere. Dalle finestre rovinate giunsero in volo due bizzarri veicoli simili a quelli che i telegiornali avevano mostrato durante la battaglia di Manhattan e una mezza dozzina di esseri dalle fattezze umanoidi piombarono nella stanza: brandivano lunghe lance e strane armi da fuoco che puntarono contro Erin e Loki, e quello che aveva l’aria del capo si abbassò su quest’ultimo sogghignando.

«Ecco dunque dove ti nascondevi, asgardiano.» lo apostrofò con voce innaturale, fredda e terribile: «Thanos mi ha mandato a cercarti con l’espresso ordine di rammentarti una sua antica promessa. E tu sai bene di quale promessa parlo, non è vero?»

Lo afferrò per il collo con lunghe dita artigliate e lo forzò ad alzarsi in piedi, godendo nel vederlo annaspare e impallidire appena sotto la propria stretta; l’irlandese sentì il sudore ghiacciarlesi fastidiosamente addosso e allungò una mano tremante verso il flauto che ora giaceva a terra poco lontano da loro, cercando di non farsi notare dagli intrusi. Con mente annebbiata collegò il nome di Thanos a quel “lui” cui Loki si era riferito poco prima, ma non aveva idea di quale fosse la promessa tirata in ballo dal comandante alieno né del motivo per cui il dio caduto fosse la loro preda.

«Lo so benissimo, infido skrull.» rispose Loki in un sibilo: «Tuttavia solo Thanos ha il potere e il diritto di metterla in pratica, non certo un suo orrido sottoposto.»

L’altro emise un suono orribile che sembrava una risata e con violenza mandò il Dio degli Inganni a sbattere contro una parete.

«Ma guardati, asgardiano! Nelle ridicole condizioni in cui versi chiunque potrebbe procurarti quel dolore, persino l’umana che è con te!» esclamò trionfante. «Credimi, vorrei assistere allo spettacolo, eppure Thanos mi ha detto di condurti finalmente al suo cospetto e non ho intenzione di deluderlo.»

«Oh, temo che dovrai.» azzardò Loki, tossendo nel tentativo di sollevarsi.

Non sopportava più quell’impotenza e tra sé implorò il Padre degli Dei affinché lo aiutasse: quanto ancora voleva attendere, Odino? Avrebbe lasciato che quegli esseri inferiori lo trascinassero via come uno schiavo, come un mortale qualsiasi? Lo avrebbe lasciato morire, assistendo alla scena e piangendo senza muovere un dito? Di quale dimostrazione ancora aveva bisogno da parte sua per decidersi a intervenire? Il dio caduto strinse i denti e guardò con odio il nemico avanzare verso di lui a lancia spianata, un ghigno soddisfatto dipinto sul muso squamato.

«Non un passo di più, stronzo.» intimò però una voce chiara e decisa.

Erin Anwar stava fronteggiando lo skrull a gambe divaricate, il flauto d’argento impugnato a mo’ di spada e l’espressione feroce nonostante la maglia larga, gli slip gialli e i piedi nudi.

«Togliti di lì, donna d’Irlanda! Sei forse impazzita?» le urlò Loki.

«Non lo sono forse sempre stata?» fu l’arrogante replica.

Ma il capo alieno non aveva tempo di giocare alla guerra con una midgardiana armata di uno strumento musicale, e con un colpo ben assestato la scaraventò all’altro capo della stanza. Erin si afflosciò a terra con un breve grido, il Dio degli Inganni scattò in avanti per raggiungerla e il comandante lo bloccò puntandogli la lancia al petto:

«Tu hai fallito, asgardiano, e questo è il prezzo da pagare. Thanos ti aveva avvertito.»

 

 

Thor misurava a grandi e nervosi passi la sala del trono, Mjölnir in pugno.

«Padre, come puoi restare immobile a guardare?» disse a Odino che lo mirava dall’alto, combattuto. «Loki è in pericolo e tu hai permesso che questo avvenisse! Lascia ch’io torni su Midgard per aiutare gli eroi umani e per soccorrere mio fratello! Oppure...»

Il Dio del Tuono s’interruppe e s’inginocchiò davanti al sovrano, fremente:

«Oppure restituiscigli i suoi poteri, padre. Merita di riaverli, ormai! Se non gli concederai quest’occasione Loki morirà, e con lui la donna che sta proteggendo.»

Odino sospirò pesantemente: «Temo ciò che tuo fratello potrebbe fare una volta tornato se stesso. Non intendevo renderlo nuovamente divino così presto, Thor.»

«E non temi ciò che potrebbe accadergli se non mi dai ascolto?» gridò il figlio.

Allora il Padre degli Dei si levò dal seggio d’oro, brandì lo scettro con entrambe le mani come aveva fatto nel giorno dell’esilio di Loki e guardò gravemente il suo rampollo maggiore:

«Farò come suggerisci. Ma per tuo fratello sarà un’ulteriore prova, e se si dimostrerà ancora indegno lo priverò per sempre dei suoi poteri e della sua natura immortale.» decretò. «Ora va’, figlio, e fa’ in modo che entrambi mi rendiate fiero di voi.»

Il biondo guerriero balzò in piedi sorridendo:

«Ti ringrazio, padre mio.» si congedò con gratitudine, e attese.

Odino sollevò il bastone reale e con esso percosse il lucido pavimento una volta soltanto, e l’intero salone fu avvolto da una luce accecante nella quale Thor si dissolse. E mentre questi viaggiava a tutta velocità verso Midgard, verso i Vendicatori, nell’appartamento di Erin una bolla luminosa s’innalzò attorno al corpo del Dio degli Inganni e come un’esplosione scagliò lontano da lui gli assalitori. L’irlandese fissò quel bagliore, meravigliata e dolorante, e con un tuffo al cuore ricordò gli stralci lucenti che avevano avvolto l’asgardiano a Stoccarda, quando i suoi abiti umani si erano trasformati sotto gli occhi di tutti.

E anche adesso Loki parve crescere in possanza e statura, e nell’aria colma di luce presero forma le grandi corna ricurve del suo elmo, l’ampio manto verde, l’armatura leggera e la lunga tunica di cuoio nero che lo avvolgeva sino ai polpacci. Erin seppe allora che i suoi poteri e la sua vera natura erano rientrati in lui, e ne fu felice e spaventata insieme.

Egli sentì nuova vita e forza circolargli infine nelle vene e arroventargli il sangue, il cuore che gli martellava in gola dal trionfo e dalla gioia: lanciò un’esclamazione vittoriosa verso il cielo, grato al Padre degli Dei per quel dono e a se medesimo per averlo ottenuto indietro.

I nemici lo fissarono tremebondi e confusi, stupiti da quell’imprevisto, e prima che potessero studiare una contromossa Loki agitò rapido le mani nel fulgore che scemava e uno a uno li colpì con armi invisibili e incantesimi silenziosi. Nel giro di pochi minuti due skrull almeno giacquero morti a terra e gli altri vennero scaraventati giù in strada con i loro velivoli.

Il Dio degli Inganni proruppe in una risata d’esultanza e allargando le braccia si voltò verso l’irlandese ancora riversa sul pavimento. Erin d’impulso si ritrasse e sollevò il flauto, stupidamente, colta da un irrazionale timore per colui che le torreggiava sopra. Si detestò per questo, e tuttavia non potè fare a meno di pensare che Loki era ormai libero di sbarazzarsi di lei: non gli serviva più, se mai gli era servita a qualcosa, e non c’era che un po’ di buon sesso e di un mese di convivenza surreale a legarli l'uno all'altra.

Ma Loki le tese una mano e la guardò serio. Aveva creduto che tornando in possesso di ciò che gli spettava per nascita avrebbe cessato di trovare attraente l’assurda mortale, di desiderarla, e in un lampo di comprensione si rese invece conto che così non era: era ancora bella, ai suoi occhi, e ancora gli s’incendiavano le viscere al pensiero di averla tra le braccia.

Si era aspettato di disinteressarsi al suo destino, una volta passata quella triste fase umana, eppure ora che il momento era giunto un’idea completamente diversa gli balenò in mente. Voleva che Erin Anwar rimanesse al suo fianco, nella guerra che gli si prospettava dinnanzi, la voleva come complice e alleata, perché gli piacevano la sua intelligenza e il suo corpo e il suo modo così poco umano di vedere il mondo.

Tenne la mano tesa fin quando lei non si rilassò e gli porse la propria, accettando l’aiuto per rimettersi in piedi e convincendosi che poteva fidarsi. Loki la tirò su senza sforzo e afferrandola per la vita la strinse a sé: e al centro della stanza in subbuglio, col mantello che avvolgeva entrambi tra fruscii di stoffa, il Dio degli Inganni tornò a baciare ardentemente la donna d’Irlanda, e mentre la baciava pose la mano libera sul flauto che lei ancora brandiva.

Erin lo abbracciò, e oltre al piacere dirompente che quel nuovo bacio le procurò avvertì qualcos’altro, un’energia densa e tangibile che la colmò da capo a piedi: era il potere di Loki, era la sua innata magia, e fluiva tra loro come energia elettrica.

«Adesso va meglio.» asserì l’asgardiano coi uno dei suoi ghigni eleganti a bacio terminato.

«Oh, immagino.» commentò lei: «Di’, mi hai appena fatto qualcosa di strano?»

Loki indicò il flauto: «Farai bene a portatelo sempre appresso, d’ora in poi.»

«Riformulo la domanda: cos’hai fatto al mio flauto?» si corresse Erin osservando l’oggetto.

«Lo hai impugnato come un’arma, prima, nel nobile tentativo di difendermi dagli skrull. Ho ritenuto opportuno renderlo davvero tale.» spiegò lui seguitando a sogghignare.

L’irlandese azzardò un paio di fendenti a vuoto: «Posso usarlo a mo’ di spada? Che razza di incantesimo ci hai messo sopra?»

«L’ho reso indistruttibile. Ma penso che potrai ancora suonarlo, se vorrai.»

Erin lo squadrò con espressione accesa: «Qual è la prossima mossa?» indagò.

In strada vi furono altre deflagrazioni e urla, e il cielo che s’incupiva fu squarciato da bagliori rossastri. L’asgardiano guardò le finestre dai vetri spaccati, l’elmo cornuto stagliato nettamente contro di esse, e parlò con voce profonda:

«Dobbiamo lasciare questa dimora. Thanos sa dove trovarmi, e se resto qui i suoi sciocchi soldati ci faranno visita ogni giorno. Midgard è nuovamente sotto attacco e non per merito mio, e non permetterò che colui che mi ha incastrato la conquisti impunemente.»

«O tu o lui, quindi.» puntualizzò la ragazza di Galway. «Devi raccontarmi questa faccenda di Thanos come si deve.»

«Ti accontenterò strada facendo. Prendi le tue cose e andiamo, Erin Anwar.»

L’irlandese volò a vestirsi e riempì due grosse borse con indumenti, libri, generi di prima necessità femminile, alcune provviste e coi suoi averi più preziosi – il flauto migliore che aveva, carte di credito, risparmi, computer portatile e macchina fotografica. Dubitava che avrebbe utilizzato anche solo metà di quelle cose, nei giorni a venire, ma non poteva separarsene. Indossò un paio di jeans, una maglia di cotone, un cardigan e i suoi stivali di cuoio preferiti e si passò a tracolla la custodia contenente il flauto magico.

Mentre il Dio degli Inganni stava di guardia Erin abbassò le veneziane e chiuse i vetri e le porte, controllò il rubinetto del gas e quelli del bagno e con una lievissima stretta al cuore spense tutte le luci: non volle chiedersi in quali condizioni avrebbe ritrovato la sua piccola casa, se mai vi avesse fatto ritorno, e sapeva che andarsene era la scelta giusta.

Caricò le borse in spalla e fece tintinnare le chiavi del Duetto tra le dita:

«Sono pronta.» annunciò decisa.

Loki la precedette verso la porta dell’appartamento e insieme ne uscirono, camminando affiancati e sicuri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Da qui in poi i capitoli saranno sempre (più) lunghi, sapevatelo. Spero non vi dispiaccia :)

Gli skrull, che hanno appena fatto la loro comparsa, sono una razza di alieni che nei fumetti Marvel spesso si scontrano con gli Avengers stessi; il loro aspetto fisico è un misto tra umanoide e rettile, e per quanto non mi risulti che si siano mai alleati con messer Thanos ce li vedevo troppo bene. E non loro soltanto – ma questo lo appurerete poi.

Thor aveva bisogno di un suo primo, piccolo momento di gloria: sarà pure una biga vichinga più avvezza a tirar martellate che a riflettere, però ci sono troppo affezionata e ritengo che non sia quello soltanto. Mentre per la faccenda del flauto… beh, mi auguro che non risulti un’idea troppo imbecille :D

I put a spell on you è una celeberrima canzone di Nina Simone che ai due si addice, anche se ancor di più si addice loro la già citata Invincible degli Ok Go: sulla scena dello scontro e della “trasformazione” di Loki sta da dieci. E a tal proposito – a proposito di Loki che è tornato “Loki”, della decisione che ha preso, di Erin e della nuova minaccia – state pronte, signore, perché d’ora innanzi tutto sarà badassery allo stato puro.

Ringrazio tantissimo le donzelle che hanno recensito lo scorso capitolo! Adoro conoscere le vostre impressioni e ipotesi, perciò non tiratevi indietro ;)

Ossequi asgardiani e a presto!

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Capitolo 8
*** 8. When they finally come to destroy the Earth they'll have to go through you first ***


8

8.

When they finally come to destroy the Earth

they’ll have to go through you first

 

 

 

 

 

 

Uno dopo l’altro gli eccezionali individui membri del Progetto Avengers fecero la loro comparsa nella base dello S.H.I.E.L.D.: i primi furono Thor e Tony Stark, il cui jet privato con a bordo Pepper Potts e un paio di suoi stretti collaboratori cozzò contro il Dio del Tuono che calava dal cielo proprio sulla pista d’atterraggio della struttura. Giunsero quindi Natasha Romanoff e Clint Barton, insieme, e un’ora più tardi da un elicottero scese Bruce Banner. L’ultimo ad arrivare fu Steve Rogers, in sella alla sua moto.

Jane Foster volò letteralmente tra le braccia di Thor non appena lo vide, e i due si abbracciarono e baciarono davanti a tutti finché Nick Fury non segnalò la propria presenza con un secco colpo di tosse e pregò i Vendicatori di seguirlo in sala riunioni, dove li attendevano Erik Selvig e Maria Hill. La tensione era palpabile, e una volta che i sei si furono accomodati attorno al tavolo il direttore prese la parola:

«Vi ringrazio per aver risposto al nostro appello celermente e senza troppe rimostranze.» esordì in tono asciutto e pratico, gettando un’occhiata significativa a Stark; «Quest’oggi un cospicuo numero di esseri provenienti da altri mondi ha lanciato un attacco combinato contro le maggiori città statunitensi, e ci stanno pervenendo notizie di fatti simili dal Canada. Sembra si tratti di avamposti di un esercito ben più grande, a giudicare dalle loro azioni, e a differenza del precedente scenario in cui ci siamo trovati ad agire stanno conducendo un’invasione su scala più vasta. Per ora essa è tuttavia limitata all’America del Nord.»

«Che generi di alieni sono, signore?» interloquì il Capitano.

«Forse gli stessi in cui ci siamo già imbattuti, più altri tizi simili a loro e ugualmente brutti.» gli rispose Iron Man: «Ne ho incrociati un paio venendo qui.»

Fury annuì: «Sì, la razza potrebbe essere la medesima. Eppure non si sono aperti varchi dimensionali nel cielo, questa volta, e qualunque sia il modo in cui hanno raggiunto la Terra ci risulta ancora sconosciuto. In breve, niente Tesseract.»

«Il che dovrebbe essere un bene o un male?» domandò la spia russa.

«Un male, più probabilmente.» mormorò Selvig: «Come dicevo al direttore Fury, il fatto che non abbiamo rilevato portali del genere implica che chi o cosa ha organizzato l’invasione sia potente abbastanza da utilizzare altre vie per arrivare a noi. Molto potente.»

Nel frattempo l’agente Hill si era spostata in un angolo, la fronte corrugata e due dita premute sul proprio auricolare come se stesse ascoltando qualcosa con estrema attenzione:

«Signori, devo interrompervi. Ho appena appreso novità importanti da Boston.» annunciò infatti, e i suoi occhi grigi saettarono nervosamente da Fury a Thor.

«Si sbrighi a riferircele, agente Hill. Il tempo stringe.» la sollecitò il primo.

Maria esitò un istante: «Diversi invasori sono stati uccisi prima che la nostra squadra di ricognizione giungesse in città, e non a opera dell’esercito o dei civili. Molti testimoni hanno confermato di aver visto un’auto decappottabile di marca italiana color verde oliva sfrecciare per le strade con a bordo due persone armate che hanno attaccato i nemici in almeno due differenti occasioni per poi scomparire verso le campagne. Una di esse portava in testa un elmo cornuto.»

Il Dio del Tuono balzò in piedi senza riuscire a trattenere un sorriso di sollievo e il resto dei presenti s’irrigidì sul posto; il direttore serrò pugni e mascella:

«Loki è qui?» disse in un ringhio sordo.

«Nessuno ha parlato esplicitamente di lui, signore.» nicchiò l’agente Hill.

«Questo però spiegherebbe la nuova ondata di invasori alieni.» intervenne Barton.

«Ma perché ucciderli, se fosse ancora in combutta con loro?» fece notare Banner.

«Se ben ricordo le azioni del nostro comune amico non sempre sono sensate.» fu il leggiadro e veritiero commento del genio miliardario playboy filantropo.

«Silenzio!» gridò Fury battendo una mano sul tavolo per ristabilire l’ordine, quindi si rivolse al guerriero biondo con rabbia malcelata: «Tuo fratello non dovrebbe trovarsi ad Asgard, dove tu stesso lo hai ricondotto più di due mesi fa? Oppure c’è qualcosa che dovremmo sapere e che ci hai taciuto, figlio di Odino?»

Thor rimase alzato e sostenne lo sguardo dell’uomo: «Come avrei potuto dirvi alcunché, dal momento che sono appena tornato su Midgard? Loki è stato bandito dal nostro regno e privato dei suoi poteri divini, poiché così nostro padre ha comandato per punirlo per le sue malefatte. Lo ha esiliato tra gli umani, come già aveva fatto con me, e per trenta giorni terreni mio fratello ha vissuto da mortale nella città che avete appena nominato.»

«Questo giustificherebbe il lieve picco di valori elettromagnetici che avevate registrato nei pressi di Boston il mese scorso.» s’intromise Jane.

«Eppure ce lo siamo fatti sfuggire.» constatò aspramente il direttore: «Poteri divini o meno, avremmo dovuto indagare più a fondo e tenerlo d’occhio.»

La Vedova Nera si sporse verso il semidio: «Come li ha recuperati?»

«Quando ci è giunta voce dell’attacco ai danni di Midgard ho pregato mio padre di fare due cose. La prima era permettermi nuovamente di raggiungervi, la seconda era restituire i poteri a Loki.» disse Thor. «Era circondato da nemici e rischiava di soccombere. Non potevo lasciarlo morire, anche se immagino che non condividerete la decisione.»

Sei paia di sopracciglia si sollevarono all’unisono e i due scienziati e Maria si schiarirono vistosamente la gola, confermando il dubbio sollevato da Dio del Tuono.

«Dunque tuo padre ha acconsentito, tuo fratello è rientrato nei suoi cenci e adesso scorrazza per Boston a bordo di una spider italiana verde uccidendo i propri ex alleati.» riassunse Stark, sarcastico; «Forse dovremmo ringraziarti.»

«Non potevo lasciarlo morire.» ripetè Thor con maggior durezza.

L’agente Hill richiamò l’attenzione degli astanti: «Non è detto che Loki si trovi ancora a Boston. Potrebbe aver lasciato la città, come i testimoni ci hanno raccontato.»

«Allora metta un paio di nostre squadre sulle tracce di quell’autovettura, agente. Per ora ci limiteremo a monitorare le sue azioni per capire cos’ha in mente.» comandò Fury.

«Ammesso e non concesso che ci sia possibile capire cos’ha davvero in mente.» disse cupo Hawkeye, e il dottor Banner concordò con lui.

Rogers si agitò sulla propria sedia, forse a disagio e forse ansioso di passare all’azione:

«Ci dica come dobbiamo muoverci, signore.»

Nick Fury li guardò uno a uno. Sui loro volti lesse un misto d’insofferenza e determinazione, e intuì che nonostante la sorpresa e il ristretto lasso di tempo trascorso dalla precedente e prima missione tutti loro erano pronti ad agire, senza riserve e senza paura.

Non sarebbero mai stati un gruppo semplice da gestire e avrebbero sempre presentato dei punti deboli per carattere e legami, ma erano e rimanevano una straordinaria mezza dozzina.

«Dovremo spostarci di città in città per arginare ogni singolo attacco, Capitano. Avremo aiuti e coperture dal Governo e dall’Esercito, e per quanto io li ritenga degli inetti in questa situazione non potranno che farci comodo. Inizieremo stanotte, da Washington.»

Natasha Romanoff si alzò e scosse i capelli rossi: «Andiamo a prepararci.» disse.

Gli altri la imitarono e abbandonarono la stanza a passi decisi; solo Thor si attardò una manciata di attimi per scambiare un’ultima occhiata col direttore. Infine baciò Jane in fronte e seguì i colleghi midgardiani verso la battaglia imminente.

 

 

Erin e Loki non si allontanarono da Boston alla chetichella.

L’irlandese fece rombare il motore del Duetto e s’immise sgommando in strada, evitando cassonetti infuocati e passanti in fuga, e attraversarono la città in piena vista per sgominare il più alto numero di skrull e compagni che fosse loro consentito. Il Dio degli Inganni lanciò magie ferali e lame create dal nulla ed Erin mise in mostra le proprie incredibili capacità di pilota. Non ebbe il coraggio di servirsi del flauto reso arma, avendo ancora qualche remora al riguardo, ma non ce ne fu bisogno: l’asgardiano era inarrestabile e la sua mira infallibile, e godeva enormemente dei propri rinnovati poteri.

Quando ebbero superato la periferia occidentale della metropoli e si furono inoltrati a sufficienza nella zona rurale, la ragazza di Galway fermò la macchina nei pressi di una stazione di servizio e prese a trafficare con alcuni oggetti che teneva nel cruscotto. L’elmo, l’armatura e il manto di Loki si dissolsero nell’aria, lasciandolo con indosso il resto degli abiti da guerra.

«Potresti parlarmi di Thanos mentre sistemo l’autoradio?» lo pregò lei.

Lui la accontentò. La mise al corrente, senza perdersi in dettagli, del patto che aveva stretto col titano a proposito del Cubo Cosmico e del dominio della Terra e di come questi gli avesse garantito grandi sofferenze qualora non avesse rispettato l’accordo. I piani di entrambi erano falliti, quelli di Thanos per colpa della sconfitta di Loki, e i nuovi attacchi erano l’inevitabile conseguenza di tutto ciò: il titano voleva punirlo e riuscire laddove lui non aveva avuto successo per dimostrare la propria forza, disse con astio il Dio degli Inganni.

Erin sollevò lo sguardo dall’apparecchio: «E il Cubo? Non gli interessa più?»

«Gli interessano entrambe le cose, ed entrambe vorrà prendersi.» rispose Loki: «Manderà qui i suoi soldati e nel frattempo penserà a come impossessarsi del Tesseract.»

«E il Tesseract dove si trova, adesso?» chiese l’irlandese cercando di avere un quadro generale della situazione. Con un clic inserì la radio nel vano apposito.

L’asgardiano fissò il vuoto: «Ad Asgard. Odino lo ha in custodia da quando io e Thor siamo tornati con esso. Ma Asgard non è facilmente espugnabile né assediabile, e immagino che Thanos studierà con cura una strategia vincente.»

«E intanto i suoi conquisteranno la Terra per lui.» concluse Erin.

«Dal tuo tono si evince che forse agiresti nel medesimo modo.» ghignò Loki, soddisfatto che la donna d’Irlanda si confermasse sì affine al suo animo e pensiero.

Lei fece spallucce: «Perché no? È un buon piano. Peccato che ci si ritorca contro, cazzo!» esclamò, e in quella girò la manopola d’accensione della Kenwood che aveva fatto installare a caro prezzo sull’impianto originario del Duetto. Le note di una canzone dei Rolling Stones riempirono l’abitacolo, ed Erin battè le mani a tempo sul volante; il Dio degli Inganni emise un suono di leggero disprezzo e poggiò il capo contro lo schienale del sedile.

«Questo aggeggio dovrebbe tornarci utile?» s’informò.

«Per contrastare l’invasione dovremo sapere quali città sono sotto attacco e come si evolvono le cose, e la radio è un ottimo mezzo per ottenere informazioni in tempo reale.» spiegò la flautista. «Inoltre abbiamo il mio computer, il mio iPhone e le tue cazzutissime capacità divine. Dovrebbero bastarci.»

L’asgardiano rise compiaciuto e lei abbassò il volume della musica, facendosi seria.

«Loki.» lo chiamò poi, e nella sua voce vi fu un tremito appena accennato che indusse l’interpellato a voltarsi nella sua direzione: «Perché vuoi restare qui? Perché non tornare subito ad Asgard e bloccare Thanos? Potresti avere il Cubo per te soltanto, se lo volessi.»

Si guardarono negli occhi, e il Dio degli Inganni ebbe la netta impressione che nella mente di Erin Anwar – e finanche nel suo cuore – si agitassero due idee differenti, una che le suggeriva di proporgli scenari allettanti e l’altra che la turbava con l’ipotesi di perderlo.

Optò allora per la risposta più semplice e vicina alla verità:

«Midgard doveva essere mia e mia sarà, e non lascerò che Thanos si prenda gioco di me. Asgard e il Cubo possono attendere.»

Ma non le disse che probabilmente non avrebbe potuto farvi ritorno neppure volendo, poiché niente lasciava intendere che Odino avesse revocato la sua messa al bando, nonostante gli avesse restituito i poteri. Per sfuggire all’esilio avrebbe dovuto compiere qualcosa che fosse grandioso e degno del Padre degli Dei, qualcosa che lo facesse apparire cambiato in meglio.

«Se la conquisterai col mio aiuto mi concederai di governarla assieme a te?» lo provocò Erin con uno dei suoi sorrisi arroganti dipinto sul bel viso.

Loki le catturò le labbra con le proprie in un bacio veloce e sogghignò di nuovo:

«Non lo escludo.»

L’irlandese scoppiò a ridere e afferrandolo per il risvolto del pastrano lo tirò a sé per baciarlo a sua volta, intensamente. Quindi riaccese i motori e rientrò in carreggiata.

 

 

Nella settimana che seguì tanto i Vendicatori quanto il duo diedero del filo da torcere agli avamposti di Thanos, da una parte all’altra dell’America del Nord, e se lo S.H.I.E.L.D. seguì a distanza gli spostamenti di Loki ed Erin senza intervenire, dato che non intralciavano le azioni degli Avengers, i due prestarono orecchio alle notizie diffuse dai media per conoscere i movimenti degli altri. Stettero bene attenti a non incrociarsi, o magari fu soltanto una coincidenza se in quei sette giorni scelsero sempre città diverse in cui combattere gli invasori.

Nick Fury avrebbe voluto scoprire perché diavolo il fratello del Dio del Tuono pareva stare dalla loro parte, se realmente ci stava e chi era la persona che gli si accompagnava, ma in quel frangente mettere in sicurezza i civili era la priorità assoluta. Thor invece avrebbe voluto raggiungere Loki direttamente per parlargli, e com’era ovvio non gli fu permesso.

Intanto gli attacchi proliferavano, e presto il raggio d’azione dei soldati alieni si estese all’intero continente americano, dall’Alaska all’Argentina, e il numero di nemici che giungeva sulla Terra aumentò: erano skrull, chitauri e kree, tre razze appartenenti allo stesso ceppo genetico, e Tony Stark definì i secondi “gli avanzi dell’altra volta”, riferendosi al magistrale colpo di testata nucleare che aveva personalmente lanciato contro la loro nave madre.

Sembrava che lo scopo di quegli assedi mirati fosse fiaccare le difese terrestri in vista di un attacco più vasto e definitivo, e sia lo S.H.I.E.L.D. che la N.A.S.A. controllarono il cosmo attorno al pianeta con satelliti e sonde spaziali per capire quale fosse il punto d’origine dell’invasione e se vi fossero flotte in attesa oltre l’atmosfera: non trovarono niente, e d’altronde il temuto attacco definitivo non aveva ancora avuto luogo. Il punto d’origine e le sedicenti flotte, se ve n’erano, rimanevano ben celati anche alle sofisticate apparecchiature S.H.I.E.L.D.

Nel frattempo Erin e Loki macinavano miglia di strada a bordo del Duetto verde e badavano di non incappare in interviste o telecamere che avrebbero attratto troppo l’attenzione dei ridicoli combattenti midgardiani, come il Dio degli Inganni soleva chiamare i Vendicatori. L’irlandese era di opposto avviso e fece presente al compagno che farsi un po’ di pubblicità era un ottimo metodo per conquistare le folle che avrebbero seguito con passione le loro gesta. Lui però non volle sentir ragioni ed Erin lasciò correre.

In fondo l’adrenalina della lotta e del viaggiare sulle highways americane col vento tra i capelli insieme a un ingannatore divino di cui era l’amante e la complice era sufficiente, pensava sempre mentre guidava, occhiali da sole inforcati sul naso, finestrini e capote abbassati e cursore della Kenwood puntato su Virgin Radio nonostante le sprezzanti proteste di Loki. Ed era fantastico non doversi crucciare circa i soldi per carburante, cibo e pernottamenti, poiché le arti magiche dell’asgardiano permettevano la moltiplicazione di banconote di qualunque taglio.

Lui si affidava alle capacità diplomatiche della donna d’Irlanda e alla sua natura umana che tanto tornava utile nell’interazione con altri mortali, specialmente adesso che erano spaventati e all’erta per colpa degli stolti invasori.

Come Fury, anche Loki si domandava quando Thanos si sarebbe mostrato, scatenando un attacco degno di questo nome, e di notte si spingeva sovente nei meandri degli universi con la mente per cercarlo e raccogliere indizi sui suoi oscuri disegni. Ma come per lo S.H.I.E.L.D. e la N.A.S.A. egli restava celato alla sua vista, per quanto questa fosse acuta.

 

 

Attrversando il paese più o meno da costa a costa, l’asgardiano e l’irlandese giunsero alle porte di San Francisco. La metropoli californiana non era ancora stata liberata, e alte colonne di fumo s’innalzavano nel cielo abbacinante sotto il caldo sole di mezzogiorno; la maggior parte degli abitanti doveva essere già fuggita nelle campagne, a giudicare dall’assenza di auto in uscita dalla città, e le sirene e gli spari che si udivano in lontananza indicavano che v’erano scontri in atto. Erin e Loki ne seguirono il suono, spingendosi fino alla zona più elevata di San Francisco per avere una visuale completa, e qui scesero di macchina per osservare la distesa di palazzi e strade che si stendeva ai loro piedi sino all’oceano. La guerriglia pareva concentrarsi nei pressi della costa, nel centro della città.

L’elmo, il manto e l’armatura fecero la loro comparsa sulla figura eretta del Dio degli Inganni, e la ragazza di Galway tirò fuori dalla custodia il flauto magico.

«Mezzogiorno di fuoco.» citò lei. «Andiamo in auto?»

«Almeno fino al campo di battaglia. Pare che arrivare a bordo di un veicolo ordinario sortisca sempre un vantaggioso effetto sorpresa.» rispose lui: «Metti in moto, donna d’Irlanda.»

Saltarono di nuovo a bordo del Duetto ed Erin lo mandò a rotta di collo giù per le ripide discese di San Francisco, passando accanto a case distrutte e sbaragliando postazioni di guardia nemiche atte a sorvegliare i civili rimasti bloccati nella metropoli – civili che allora uscirono allo scoperto e seguirono correndo la vettura verde, gridando frasi d’incoraggiamento all’indirizzo dei due. Erin ammiccò e Loki scrollò le spalle.

In un baleno furono nella zona dello scontro e arrivarono proprio dietro alle linee che i soldati di Thanos avevano schierato per fronteggiare poliziotti e marines. Uscirono di nuovo dall’auto e l’irlandese diede un paio di secchi colpi di clacson che riecheggiarono tra i grattacieli come squilli di tromba. Skrull e chitauri presenti si voltarono e nel vedere i due indietreggiarono d’istinto, più per lo stupore che per lo spavento, e il Dio degli Inganni lanciò il primo incantesimo sogghignando. Mentre questo esplodeva tra le file nemiche, uccidendo una decina di invasori, Erin scattò in avanti e col flauto disegnò un arco argenteo nell’aria, colpendo con violenza gli alieni più vicini; poi incrociò una delle loro lunghe lance e prese a combattere corpo a corpo col proprietario di essa, e Loki avanzò, possente e temibile, seguitando a lanciare magie ferali.

Nell’accorgersi della venuta di alleati insperati i militari midgardiani riacquistarono convinzione e caricarono gli avversari a fucili spianati, facendo sì che questi si trovassero stretti in una morsa cui non poterono sottrarsi: da una parte avevano le pallottole degli umani, dall’altra l’arma indistruttibile dell’irlandese e l’incantatore asgardiano.

Lo scontro si risolse in fretta e i soldati di Thanos ne uscirono sconfitti, e i loro superstiti fuggirono verso il mare. Loki afferrò per un braccio il comandante dei poliziotti:

«Altri dei vostri stanno ancora combattendo, mortale?» lo interpellò imperiosamente.

«Sissignore, abbiamo squadre impegnate sul Golden Gate.» rispose l’uomo fissando con occhi sgranati le lucenti corna ricurve dell’elmo del Dio degli Inganni.

«E immagino che il Golden Gate di cui parli si trovi nella direzione in cui sono scappati gli skrull sopravvissuti.»

L’altro annuì, desideroso di scappare a sua volta: «È il ponte sull’oceano. Avete ancora bisogno di noi, signore?» balbettò scioccamente.

Loki lo guardò con condiscendenza e lo lasciò andare: «Non abbiamo mai avuto bisogno di voi, ma i tuoi colleghi avranno sicuramente bisogno di noi.» sentenziò.

Quindi tornò da Erin, che si era messa a chiacchierare amichevolmente con un drappello di marines, e platealmente le cinse i fianchi per tirarla via di lì; gli uomini li guardarono andare verso il Duetto con una punta di delusione, e lei volle sapere cosa aveva detto il poliziotto. L’asgardiano la mise al corrente sulla battaglia in corso al Golden Gate e subito la ragazza di Galway fece sgommare gli pneumatici sui detriti che ricoprivano l’asfalto per raggiungere il ponte. Durante il tragitto notò che nel cielo sopra la città erano comparsi un paio di grossi velivoli dall’aspetto governativo, e pensò che fossero arrivati dei rinforzi.

La gigantesca struttura metallica del viadotto era presidiata da ambo i lati d’accesso da due nutriti squadroni di kree, impegnati a respingere i corpi speciali dell’esercito, e i rumori della lotta aleggiavano sullo scintillìo delle acque sottostanti.

Di nuovo, la comparsa di Loki ed Erin ebbe il potere di distrarre i soldati di Thanos e di procurare un leggero vantaggio d’azione ai militari americani. Quando i due si lanciarono nella mischia lo scontro si fece infuocato, e molti tra invasori e difensori caddero morti o finirono in mare. Tuttavia con l’aiuto del Dio degli Inganni e dell’irlandese gli umani riuscirono a conquistare metà del ponte, ed esultando volarono a dare manforte ai compagni che ancora combattevano per la metà rimanente. L’aria era satura di grida e fumo.

Ma mentre Erin seguiva i midgardiani, Loki si bloccò: aveva udito suoni e voci familiari, e nella foschia creata dagli spari e dalle esplosioni riconobbe, oltre le linee nemiche, la forma di un grande martello e una corpulenta sagoma verdastra. Stringendo i pugni con malcelato fastidio attese che la battaglia si placasse, sebbene già sapesse cosa avrebbe visto, e per non perdere prematuramente la pazienza si concentrò sulla figura sinuosa della donna d’Irlanda che come una furia maldestra colpiva gli avversari, dipingendo scie lucenti intorno a sé.

Infine gli umani ebbero la meglio ed Erin corse da Loki ammaccata e sorridente, e soldati e poliziotti si prodigarono in lodi e ringraziamenti diretti tanto ai due quanto all’altro gruppo di persone presente sul Golden Gate, quello che aveva liberato l’altra metà.

E come il fumo si diradò il Dio degli Inganni si ritrovò a fissare l’inconfondibile e colorita mezza dozzina dei Vendicatori, e Iron Man, l’Hulk, Capitan America, Hawkeye e la Vedova Nera fissarono lui a bocca aperta. Thor lasciò cadere a terra Mjölnir e gli si fece incontro sorridente tuonando: «Finalmente, fratello!», e Loki non mosse un muscolo.

Erin scoppiò in una risata incredula: «Non è possibile.» esclamò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Se c’è una cosa che ho sempre trovato improbabile nei film d’azione/fantascienza sono gli attacchi nemici concentrati in una sola città americana a scelta tra NY, Los Angeles e al massimo Washington: così mi son voluta togliere lo sfizio di dipingere uno scenario post-apocalittico con attacchi ben distribuiti in tutti gli Stati Uniti e con resistenze civili e militari asserragliate tra case e bidoni come nei migliori film del genere. Erin e Loki intanto sono on the road come due novelli Bonnie & Clyde, e com’era inevitabile che fosse si sono imbattuti nei sei casi umani (?) più straordinari dei Nove Regni…

Il luuuuunghissimo titolo del capitolo è nuovamente tratto da Invincible degli Ok Go, che se non si fosse ancora capito mi garba da morire. Come musica d’accompagnamento suggerisco invece caldamente Too old to die young di Brother Dege, tratta direttamente dalla CLAMOROSA colonna sonora di Django Unchained.

Ah, in questi mesi ho prodotto (e produco tuttora) una quantità non indifferente di disegni e grafiche sulla pericolosa accoppiata Erin-Loki. Se vi incuriosiscono ditemelo e troverò il modo di mostrarveli :)

Ossequi asgardiani e alla prossima!

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** 9. Baby, we were born to rule ***


9

9.

Baby, we were born to rule

 

 

 

 

 

 

Thor afferrò Loki per le spalle e lo scosse fraternamente:

«Sono così felice di trovarti in salute, fratello! Non vedevo l’ora di parlarti di persona.»

Il Dio degli Inganni roteò gli occhi con insofferenza e si scostò bruscamente:

«Non condivido il tuo sentire.» sentenziò in tono glaciale.

Il biondo parve non farci caso e cavallerescamente prese una mano di Erin, che osservava i due asgardiani con un sorrisetto di scherno e un sopracciglio inarcato.

«E costei deve essere…» iniziò a dire il Dio del Tuono.

«Ottima domanda, fustacchione.» s’intromise Tony Stark facendo un passo avanti e togliendosi la maschera di Iron Man: «Chi è la bella signorina? È lei che hanno visto con te a Boston a bordo della decappottabile, Camoscio d’Oro?»

Loki si voltò verso di lui come una biscia e lo fulminò con lo sguardo, e automaticamente gli altri quattro Vendicatori assunsero una posizione di guardia: Barton gli puntò contro l’arco e Natasha una delle proprie pistole, Rogers sollevò lo scudo e Banner si limitò a ringhiare per rammentare al dio cosa gli era accaduto l’ultima volta che si erano trovati a meno di un metro di distanza; Stark si strinse nelle spalle ed Erin sfilò la mano da quella di Thor.

«Non cominciamo con le idiozie, signori.» intimò Nick Fury facendosi largo tra gli astanti, vestito di nero da capo a piedi come al solito nonostante la calura: «Cerchiamo di fare chiarezza in fretta e senza venire alle mani. E voi,» disse ai poliziotti e ai soldati che si trovavano ancora sul ponte e che fissavano ammaliati la scena, «filate immediatamente a fare qualcosa di utile in città.»

Quelli obbedirono, e al centro del Golden Gate rimasero solo i diretti interessati:

«Dunque, signorina, potrei sapere il suo nome e perché si accompagna al qui presente individuo?» chiese Fury interpellando l’irlandese direttamente. Si era aspettato un uomo, quando i testimoni avevano riferito di una seconda persona, di sicuro non una giovane donna attraente armata di uno strumento musicale. Adesso che l’aveva vista era convinto che la ragazza fosse manipolata dall’asgardiano, e intendeva appurarlo.

Ma Erin mantenne il sorrisetto e utilizzò una delle tattiche di conversazione preferite di Loki: «Allora siete voi i famosi Vendicatori? E fate parte di quello S.H.I.E.L.D. di cui ho sentito parlare? È un onore incontrarvi.» ammiccò in risposta.

«Se ti consideri onorata di conoscerci come mai lavori per lui?» interloquì l’arciere indicando il Dio degli Inganni, che ora osservava la ragazza di Galway per scoprire come si sarebbe relazionata ai ridicoli supereroi umani.

Il sorriso scaltro di Erin si trasformò in una squillante risata: «Io non lavoro per lui, io sto con lui! E niente mi vieta di provare simpatia per voi, dato che a quanto mi risulta non siamo in guerra tra noi. Comunque, per accontentare il signore con la benda sull’occhio,» e s’inchinò scherzosamente in direzione di Fury, provocando in lui una contrazione irosa della mascella e in Stark un ghigno divertito, «il mio nome è Erin Anwar, sono irlandese e suono da tre anni nella Boston Philharmonic Orchestra. C’è altro che volete sapere?»

«Con “sto con lui” intendi che sei sua complice o che c’è qualcosa di più?» indagò la russa.

L’irlandese sogghignò e Loki la affiancò, ponendole una mano sulla spalla:

«Non avete niente di più importante a cui pensare del domandarvi quale relazione vi sia tra me e la donna d’Irlanda? Me ne compiaccio.» li schernì.

«Piccolo cervo, devo ammettere che hai buon gusto.» approvò Iron Man.

«Piantala di provocarlo, Stark.» suggerì Steve Rogers in tono grave.

«Fate silenzio!» urlò il direttore dello S.H.I.E.L.D. prima di tornare a rivolgersi alla bizzarra coppia: «Perché siete qui, asgardiano? Qual è il tuo piano, stavolta?»

Il Dio degli Inganni allargò teatralmente le braccia: «Mi sembra evidente. Non stiamo forse contrastando la stessa invasione aliena ai danni del vostro piccolo pianeta? Oppure ho frainteso le vostre intenzioni?»

«Le nostre intenzioni sono sempre limpide, al contrario delle tue.» replicò secco Fury.

«Eppure sembra proprio che stavolta combacino.» chiosò Loki, la voce blanda.

Thor lo guardò speranzoso: «Allora unitevi a noi, fratello! Combatteremo fianco a fianco questi nemici e salveremo Midgard insieme. Nostro padre sarà fiero di noi.»

L’espressione dell’altro s’indurì: «Ho detto che combaciano le nostre intenzioni, non i nostri scopi finali. Bloccare gli attacchi non prevede necessariamente una mia alleanza con voi.»

«Se non t’interessa proteggere la Terra, cosa che in effetti è più logica da parte tua, perché stai prendendo a mazzate il tuo ex esercito?» intervenne Stark.

«Per non farla cadere nelle mani sbagliate.» ghignò Loki con eleganza.

Il significato sottinteso nelle sue parole indusse i membri del Progetto Avengers ad assumere nuovamente posizioni di guardia, pronti all’attacco o alla difesa, e per riflesso anche Erin impugnò il flauto con entrambe le mani, frapponendosi tra i sette e il suo compagno.

Ma il Dio del Tuono sollevò Mjölnir e si mise tra l’irlandese e i propri colleghi:

«No! Lottare tra noi adesso non servirebbe a nulla. Prima dobbiamo fermare i nostri comuni nemici, o Midgard sarà perduta.» gridò con fermezza.

«Tu non parli con obiettività, Thor.» lo freddò il capo dello S.H.I.E.L.D.

Il biondo guerriero lo squadrò: «Sarò il primo a combattere Loki se la situazione lo richiederà, direttore Fury. Voglio bene a mio fratello, ma ciò non mi rende stolto.» affermò orgogliosamente, e i suoi fieri occhi color del cielo cercarono quelli del Dio degli Inganni.

«Oh, ciò ti ha sempre reso stolto.» lo corresse questi in un sibilo, e nel dirlo cinse la vita della flautista di Galway e la tirò a sé. Erin dedicò un arrogante cenno di saluto ai loro interlocutori, intuendo che la conversazione era terminata, e in un attimo lei e l’asgardiano scomparvero dal ponte, dissolvendosi nell’aria infuocata di quel pomeriggio di giugno.

 

 

«Ci siamo teletrasportati!» trillò deliziata l’irlandese nel ritrovarsi di punto in bianco accanto al Duetto, ancora abbracciata a Loki.

«Voi midgardiani avete modi singolari di definire le cose.» commentò lui, pallido e lievemente stanco; muoversi nello spazio con qualcuno a carico non era semplice.

Montarono in macchina ed Erin accese la radio domandandogli: «Credi che ci seguiranno?»

«Non adesso. Ci controlleranno a distanza, ma non sprecheranno energie preziose per noi, non ancora. Thor sa essere persuasivo.» rispose il Dio degli Inganni.

Lei sorrise: «Tuo fratello non è stupido come appare.»

Loki scrollò il capo e tacque. Le ultime parole del Dio del Tuono gli riecheggiavano in testa e non poteva negare di aver avvertito una tiepida morsa al cuore nell’udirle, quella debolezza che lo coglieva ogni volta che un membro della sua sciocca, adottiva famiglia gli dimostrava il proprio incondizionato affetto. Al contempo il riferimento al Padre degli Dei gli aveva suggerito un’idea per riconquistarne il totale favore: gli sarebbe bastato dichiararsi amico e alleato degli eroi umani, di Thor medesimo, e lottare al loro fianco per un’unica battaglia. Questo, unito al legame che aveva stretto con la donna d’Irlanda, avrebbe dimostrato a Odino che era degno di tornare, che era degno di fiducia. Ma il legame che ormai esisteva tra lui ed Erin Anwar non era stato in alcuna maniera programmato, e per unirsi alla causa dei Vendicatori aveva bisogno di un proprio tornaconto, di un concreto vantaggio per sé.

«Sembra che Baltimora sia in grave difficoltà. Ci facciamo un salto?»

La voce dell’irlandese lo strappò a quelle riflessioni, e Loki la guardò: il suo profilo elegante si stagliava come disegnato contro il chiarore estivo che li circondava e i capelli raccolti in una coda alta mettevano in risalto il suo bel collo e la scollatura della maglia che indossava. Col passare dei giorni l’attrazione che esercitava su di lui non accennava a diminuire, ed egli si rendeva conto che per la prima volta nel corso della sua lunga vita non provava il desiderio di tessere inganni e trame per far sì che quell’assurda mortale restasse con lui – magari perché poco gl’importava, magari perché trame e inganni non servivano: Erin Anwar sarebbe rimasta comunque al suo fianco, e quella consapevolezza lo colpì d’improvviso come un pugno in pieno petto. Tuttavia era un pugno piacevole, e un po’ ne fu turbato.

«Una meta vale l’altra, donna d’Irlanda.» replicò infine, tornando a sogghignare.

La ragazza di Galway ruggì per l’eccitazione e accelerò, abbandonando le strade semideserte di San Francisco, la musica che fluiva dalle casse dell’auto a tutto volume.

Trascorsero così altri giorni e vi furono altri scontri. Il Duetto verde oliva continuò a viaggiare attraverso i molti Stati dell’America del Nord e diverse città ricevettero il prezioso aiuto sia del Duo degli Inganni, come Stark ribattezzò la musicista e l’asgardiano, sia dei Vendicatori.

Le due fazioni riuscirono a incrociarsi una volta soltanto, a Miami, e con gran dispiacere di Thor ed esasperazione di Nick Fury finirono con l’iniziare una schermaglia poco amichevole tra loro dopo aver sgominato uno squadrone di soldati di Thanos su una delle splendide spiagge della metropoli: Loki ebbe la meglio su Hawkeye, ancora bramoso di rivalsa nei suoi confronti, per poi trovarsi faccia a faccia con l’Incredibile Hulk e battere di conseguenza in abile ritirata; Erin ingaggiò suo malgrado un fallimentare duello contro l’agente Romanoff, al quale Iron Man assistette con evidente interesse, e soltanto il perentorio intervento di Capitan America evitò il peggio. L'ordine era di dare la massima priorità alla messa in sicurezza dei civili, non di lottare per questioni futili.

Ma per quanto efficacemente agissero, per quanto liberassero le città dagli invasori, skrull, chitauri e kree non si fermavano, e sempre di nuovi e più numerosi ne arrivavano, e sempre più capitali e paesi subivano i loro attacchi. Giunsero notizie allarmanti dall’Europa e ben presto anche dagli altri continenti, e forze d’ogni tipo si mobilitarono per contrastare quell’invasione su scala mondiale: eserciti regolari, squadre speciali, polizia, persino improvvisati giustizieri spesso più coraggiosi che pericolosi. Proliferarono incredibili atti d’eroismo ai quattro angoli del globo e tantissime persone ne seguirono l’esempio dando nel loro piccolo filo da torcere agli spietati nemici. In molti persero la vita e i Vendicatori combatterono con maggior ardore, spingendosi oltre i confini americani.

La gente parlava nuovamente di loro e delle loro gesta, e al tempo stesso presero a circolare voci sulle rapide e infallibili apparizioni di una giovane donna armata di un flauto magico e di un guerriero dall’elmo cornuto, sebbene mai i media li avessero immortalati ufficialmente.

Eppure niente di sostanziale cambiava e del titano rosso non v’era segno in alcun dove, e l’impressione generale era che quelle scene e quelle battaglie si sarebbero ripetute all’infinito.

 

 

Un pomeriggio il telefono di Erin squillò senza preavviso.

Lei e Loki si trovavano in un anonimo tratto di campagna, e per sfuggire al caldo torrido si erano riparati sotto un grande albero frondoso attorniato da campi di grano maturo: il Dio degli Inganni riposava con la schiena poggiata al tronco, la mente persa in chissà quali pensieri, e l’irlandese se ne stava distesa tra l’erba e le spighe mandando messaggi agli amici di Boston per assicurarsi che fossero vivi e interi; il Duetto era parcheggiato poco più in là, sportelli spalancati e capote abbassata per rinfrescarlo, e dall’autoradio uscivano discrete le note delle canzoni del primo album degli Ok Go.

D’un tratto il cellulare prese a vibrare tra le dita di Erin: sullo schermo apparvero il numero e il volto sorridente di suo fratello Seamus, e lei si alzò di scatto. Aveva sentito la sua famiglia di recente, chiamando a casa per sapere com’era la situazione, e suo nonno le aveva detto di non preoccuparsi, che loro stavano bene e che a Galway era tutto tranquillo.

Il fatto che suo fratello le stesse telefonando ora la rese dunque inquieta:

«Mus! Mus, che succede?» gridò convulsamente nell’apparecchio.

Loki aprì un occhio per capire cosa stesse accadendo e la fissò.

«Erin, dove sei?» rispose Seamus dall’altra parte, e la sua voce concitata sembrava provenire da molto lontano. In sottofondo si udiva un gran rumore.

«In America, dove vuoi che sia? Cosa succede?»

«Erin, devi aiutarci! Devi venire qui, e subito!» la pregò il fratello.

L’irlandese emise un verso d’impazienza: «Seamus, porca puttana, dimmi cosa cazzo sta succedendo e dove cazzo è “qui”! Non ho tutta la giornata!»

Loki aprì anche l’altro occhio e si tirò su in piedi, e dal telefono il ragazzo spiegò:

«Siamo tutti a Dublino e quegli affari ci hanno attaccati. Cioè, hanno attaccato Dublino e non possiamo andarcene via. Siamo in trappola, e non credo che questi vogliano razziare la fabbrica della Guinness. Vieni qui e fai qualcosa, ti prego!»

«Aspetta, aspetta.» lo frenò la sorella: «Dublino è stata invasa dai soldati di Thanos? Dagli alieni? Voi che accidenti fate a Dublino, Mus? E perché pensi che potrei aiutarvi?»

All’altro capo dell’apparecchio ci fu una deflagrazione, la comunicazione gracchiò e Seamus lanciò una sonora bestemmia: «Sì, gli alieni, chi altri? Io, mamma, papà e il nonno eravamo venuti qui a fare un giro, visto che è domenica, e ho pensato di chiamarti perché non sono stupido, Erin, e su internet non si parla d’altro che di te e del tuo amico con le corna in testa.»

«Chi ti dice che quella di cui parlano sia io?» ridacchiò Erin per sviarlo.

«“Una tizia belloccia che usa un flauto traverso come arma e impreca con forte accento irlandese”.» citò suo fratello in fretta: «Descrizione calzante.»

«D’accordo, mi hai beccata. Ma sono in America e voi in Irlanda, Mus, e dubito che troverò un aereo che possa portarmi lì in dieci minuti.» concesse lei.

«Inventati un modo! Sennò qui...» incalzò Seamus, ma la linea cadde di colpo ed Erin rimase immobile con l'iPhone muto in mano e il cuore che le picchiava violentemente nel petto. La sua famiglia era in pericolo, riusciva a pensare soltanto, e non sapeva cosa fare.

«Che accade?» domandò il Dio degli Inganni avvicinandolesi.

La flautista deglutì a vuoto e lo guardò: «Dublino è tenuta in scacco dai nemici. I miei si trovano lì, adesso, e mio fratello mi ha chiamata per chiedermi aiuto. Non ci voleva, cazzo, non ci voleva proprio.» mormorò. Le sudavano odiosamente le mani.

«Immagino che suggerirai di recarci laggiù.» ipotizzò l’asgardiano in tono piatto.

«Che altro dovrei suggerire? Stiamo parlando della mia famiglia, del mio paese e della fabbrica di birra migliore del mondo.» ringhiò lei camminando nervosa sul posto.

In silenzio entrambi considerarono i pro e i contro per prendere una decisione e darsi una risposta: l’Irlanda era distante un oceano intero e solo usando i suoi poteri avrebbero potuto raggiungerla, calcolò Loki, e la presenza dei parenti avrebbe rischiato di indebolire e distrarre la ragazza di Galway, poiché legami del genere creavano sempre problemi. Però era pur vero che si trattava di combattere gli stolti esseri mandati dal titano e che Dublino era un’altra città da riconquistare, come le precedenti. Il Dio degli Inganni rammentò una cosa che la musicista gli aveva spiegato a proposito del farsi pubblicità e del farsi amare dalle folle, e ritenne che probabilmente quella era un’occasione d’oro per sperimentare quel metodo midgardiano di raccogliere consensi e farsi temere e rispettare. Metterlo in pratica nella terra natìa di Erin Anwar sarebbe stato un bene.

«Chiudi il veicolo e reggiti a me.» le disse allora.

Erin sgranò gli occhi e ubbidì: «Lo rifacciamo? Ci teletrasportiamo a Dublino?»

«Che termine dannatamente sciocco.» fu il laconico commento di Loki, e senza aggiungere altro la abbracciò e si concentrò a fondo.

Di nuovo i loro corpi parvero divenire parte integrante dell’aria e l’irlandese serrò le palpebre e si strinse all’ampio torace del compagno, il flauto già pronto tra le dita. Avvertì prima caldo e poi freddo, sentendosi come sbalzata in alto con un ascensore fuori controllo; non ebbe l’impressione di volare, ma la vertigine fu simile.

Quando capì di essere tornata coi piedi per terra e il senso di squilibrio scemò, si gettò un’occhiata intorno: riconobbe le basse case di mattoni e pietra e le strade lastricate del centro di Dublino e il profumo inconfondibile della pioggia d’Irlanda, e con un sorriso nervoso si scostò appena da Loki per muovere qualche passo. Come in America, la città risuonava di una babele di rumori assordanti, di grida ed esplosioni e spari, e la gente correva senza meta per le vie in rovina nel tentativo di sfuggire alla prigionia e alle picche degli skrull.

Nel vedere i due nuovi venuti materializzarsi dal nulla coloro che si trovavano lì smisero di correre e li mirarono con meraviglia e speranza.

«Dublinesi! Qual è la situazione?» li interpellò Erin a gran voce levando le braccia in alto.

«Ci sono scontri ovunque e l’esercito non riesce a fermare quei tizi.» rispose un uomo indicando un punto indefinito alla fine della strada, oltre il fumo.

«Stanno riunendo molte persone vicino al porto per tenerle sotto tiro, e uccidono chiunque si ribelli.» aggiunse una signora dal volto fuligginoso rigato di lacrime e sudore: «E non sono pochi quelli che ci hanno provato.»

L’elmo di Loki baluginò d'improvviso nella luce velata del sole e una sorta di lungo e sottile bastone dorato prese forma tra le sue mani, sotto gli sguardi incantati dei presenti.

«Renderemo onore a questa umana ribellione.» decretò con il suo innato carisma, e la ragazza di Galway sorrise ben sapendo che quel comportamento avrebbe catturato il cuore della folla. Infatti i dublinesi li acclamarono e li pregarono di fare giustizia, e il Duo degli Inganni avanzò a grandi passi sul lastricato umido.

La gente li seguì formando un corteo e lungo il tragitto ognuno raccolse da terra oggetti di ogni tipo e dimensione da usare come armi, e altri si unirono a loro tenendo dietro alle figure erette di Erin e Loki. Incontrarono un drappello di kree che inseguivano uno sparuto gruppo di civili e militari in fuga, e con un ruggito la musicista si lanciò all’attacco, subito seguita dall’asgardiano: il flauto d’argento e il bastone aureo brillarono assieme mentre calavano e colpivano i nemici, e la folla ruggì a sua volta dando loro manforte.

Avanzarono ancora, e sempre più persone uscirono dalle case e dai nascondigli per accodarsi a quella marcia inaspettata.

E quando raggiunsero la piazza affacciata sul mare in cui gli invasori tenevano in ostaggio metà dei cittadini e combattevano contro i soldati irlandesi – quando quel piccolo esercito di gente comune guidato da un dio nordico e da una donna di Galway fece la sua roboante comparsa in scena – i guerrieri di Thanos si ritrovarono come travolti da un’ondata di piena, e fu battaglia. Loki ed Erin parvero danzare nell’aria, il verde manto del Dio degli Inganni che fluttuava come un glorioso vessillo e i capelli sciolti dell’irlandese che ondeggiavano come una cometa d’oro brunito. Le sembrava di avere una palla di fuoco nel petto fatta d’eccitazione, paura e trionfo che la faceva sentire viva più che mai: si stava battendo per la terra che l’aveva vista nascere, e per quanto quel pensiero avesse un sapore antiquato in quel momento non avrebbe potuto esserci emozione più grande.

Erin cercò Loki con lo sguardo e per una manciata di istanti ammirò la forza e la bellezza della sua sagoma intenta nella lotta, avvertendo la palla di fuoco nel proprio petto bruciare di più.

Lo scontro ebbe fine dopo un indefinito lasso di tempo. Morti e feriti giacevano in tutta la piazza e sulle banchine più prossime del porto, e l’esercito d’Irlanda teneva sotto il tiro dei propri fucili gli invasori sconfitti e sopravvissuti; c’era chi cercava qualcuno, chi si abbracciava e chi piangeva, e nessuno riusciva a distogliere gli occhi dalla strana coppia giunta come un miracolo a liberare Dublino e la sua gente.

Loki ed Erin stavano al centro della folla, fieri come un re e una regina nonostante i tagli e le ecchimosi sulla pelle e i respiri affannosi, e si sorridevano vittoriosi. Per la prima volta la flautista di Galway provò qualcosa di più profondo e articolato del semplice desiderio fisico per colui che aveva al proprio fianco, qualcosa che le procurò un groppo in gola e una ridicola voglia di piangere. Tuttavia non cessò di sorridere né di guardarlo con gioia.

Poi voci festose si levarono, coprendo i lamenti, e la gente di Dublino e i militari presero ad acclamare con ardore crescente coloro che li avevano aiutati; c’erano persino giornalisti armati di telecamere e macchine fotografiche che immortalarono finalmente il Duo degli Inganni in tutta la sua gloria, portando così a compimento i pronostici di Erin.

E d’un tratto accadde: un uomo di mezza età si avvicinò, prese le mani dell’asgardiano e dell’irlandese, li ringraziò con impeto e s’inginocchiò. Uno dopo l’altro il resto degli astanti lo imitò, e ben presto i due si trovarono circondati da una folla prostrata e riconoscente. Loki seppe allora che la sua compagna aveva ragione e che lo scopo della loro venuta a Dublino poteva dirsi raggiunto.

Il timore da solo non era sufficiente a guadagnare il rispetto, la fiducia e la deferenza di un popolo: questa era la lezione di Erin Anwar.

«Se mai dovessi un giorno regnare su questo mondo,» asserì il Dio degli Inganni in tono forte e chiaro, «avete la mia parola che sempre vi proteggerò come ho fatto quest’oggi.»

Forse i midgardiani non capirono esattamente cosa intendeva, o forse smisurato era il loro sollievo per lo scampato pericolo, eppure fatto sta che tutti esultarono a quella frase, applaudirono e inneggiarono a Loki ed Erin, e l’intera piazza fu in festa. I due ne furono immensamente sorpresi e compiaciuti, e il sangue rombò loro grato nelle vene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Conflitto d’interessi in atto tra la nostra mezza dozzina di eroi prediletti e il DUO degli Inganni – perché Stark è Stark e i soprannomi migliori li deve trovare lui. I miei “proto-lettori” (ovvero il mio consorte e alcune fidate compari) hanno trovato strana la presenza di Fury sul campo di battaglia, dal momento che è il direttore operativo e che la leadership degli interventi spetta di solito al Capitano; tuttavia il vecchio Nick è troppo cazzuto per starsene sempre alla base a monitorare i suoi scavezzacollo. Insomma, pensate alla scena in cui tenta di fermare il velivolo con la testata nucleare armato di lanciarazzi! Spero perciò che mi perdonerete questa piccola licenza narrativa.

Per i novelli Bonnie & Clyde dei Nove Regni non poteva mancare una parentesi irlandese, tanto più se per prendere gli invasori a legnate. Inoltre Loki sta iniziando a recepire lo stile midgardiano di Erin per abbindolare la gente…

Il titolo del capitolo è una variazione su quello della celeberrima Born to run del Boss, al secolo Bruce Springsteen. Come musiche d’accompagnamento suggerisco Shake the ground delle Cherri Bomb (già parte dell’album dedicato a The Avengers), Kill your heroes degli Awolnation o Nicaragua di Jerry Goldsmith, di nuovo dalla colonna sonora di Django Unchained.

Siamo esattamente a metà dell’opera :)

Ossequi asgardiani e alla prossima!

 

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Capitolo 10
*** 10. Not a destination – it's a creation I desire ***


10

10.

Not a destination – it’s a creation I desire

 

 

 

 

 

 

La famiglia di Erin si rivelò essere salva e in buona salute.

Non appena l’euforia che aveva contagiato la piazza si placò la gente prese a disperdersi – chi per aiutare qualcuno, chi per tornare a casa propria, chi per approntare dei doverosi, irlandesi festeggiamenti – e da una via laterale sbucarono gli Anwar al completo: erano malconci, Seamus zoppicava e il padre aveva una ferita sul braccio destro, però erano vivi e chiamarono la giovane a gran voce, correndole incontro. Erin li abbracciò contenta, momentaneamente dimentica del suo asgardiano compagno e della loro freschissima consacrazione a eroi nazionali della verde Eire, e loro le domandarono come aveva fatto a trasformarsi in una sorta di paladina della giustizia, cosa stava accadendo nel mondo, cosa volevano gli invasori e soprattutto chi era l’uomo incredibile insieme a lei.

La flautista glissò abilmente sull’argomento e promise ai trepidanti familiari che un giorno, quando la situazione fosse tornata alla normalità, avrebbe raccontato loro ogni cosa fino all’ultimo particolare. Eppure nel dirlo ci fu una microscopica parte della sua mente che in un soffio le suggerì che la sua situazione non sarebbe mai tornata alla normalità, e più che spaventarsene Erin pensò distrattamente che fosse un’ipotesi più plausibile: tornare alla vecchia vita, ai vecchi amici, ai telefilm e alle sbronze del venerdì sera non sarebbe stato logico, non dopo aver vissuto ciò che stava vivendo. Non dopo Loki.

Ma se e una volta che lui se ne fosse andato, cos’altro avrebbe potuto fare? Non aveva mai contemplato quella possibilità, prima, e per un attimo ne fu angosciata. Per fortuna suo fratello le chiese dei Vendicatori, e quell’ombra le svanì dal petto.

Nel mentre il Dio degli Inganni si era recato sul molo dove i militari avevano riunito i prigionieri. Dalla sera del primo attacco a Boston, quando aveva recuperato i propri poteri, non c’erano stati altri segnali di minaccia o tentativi di catturarlo ordinati da Thanos, e lo trovava assai strano: forse la riconquista della sua natura divina aveva indotto il titano ad agire con maggior prudenza, o forse si stava concentrando su qualcosa di diverso. E poiché questo qualcosa poteva essere l’assedio della Dimora degli Dei, Loki voleva essere sicuro di non sbagliarsi per poter eventualmente ideare la giusta contromossa.

Puntò con decisione verso il kree che aveva l’aria del capo squadrone, ignorando l’ammirazione che i soldati irlandesi gli dimostravano, e si chinò su di lui per guardarlo in faccia; l’umanoide lo fissò con odio e i suoi occhi violacei saettarono.

«Thanos non sarà molto contento di voi.» lo schernì il dio.

«Taci, asgardiano. Dovresti essergli grato per averci ordinato di lasciarti perdere.» sibilò l’altro, e precisò: «Per adesso.»

Loki non si lasciò impressionare: «Un gesto magnanimo, invero, ma privo di senso. O mi stai dicendo che non sono io il suo principale cruccio?»

«Non lo sei mai stato, figlio di Odino. Non sei che una piccola macchia, nei suoi disegni, e tali risultano le tue azioni. Non avrai questo misero mondo per te.» gli sputò contro il kree. «Siamo troppi sia per te che per gli umani, e presto Thanos il Grande diventerà invincibile e non avrà più bisogno di noi per conquistare ogni cosa.»

Il Dio degli Inganni lo afferrò repentinamente per il collo:

«Calibra bene le tue parole quando ti rivolgi a me, kree. E dimmi, se il tuo signore ha tale grandiosa opportunità, perché sprecare energie preziose e tempo mandando voi stolte creature a tenere in scacco un misero mondo come Midgard?» incalzò, e un’ipotesi ben precisa circa i piani del titano prese forma nella sua mente.

Il guerriero alieno gli rivolse un sorriso orribile:

«Non avrai nessuno dei Nove Regni per te, asgardiano.»

Quella precisazione all’apparenza inutile soddisfece Loki, ed egli si alzò decidendo che l’irritante dialogo non sarebbe proseguito oltre. Ringraziò il sottoposto di Thanos con fare ironico e tornò verso la piazza, dalla quale ora si levavano voci più allegre e persino della musica: i dublinesi si apprestavano a celebrare la vittoria di quel giorno, e soltanto l’indomani avrebbero pianto i loro morti. Un piccolo drappello di musicanti si era raccolto in mezzo alla folla, e tra un violino, un mandolino, una chitarra e un tamburo di legno nero il dio non fu sorpreso di riconoscere Erin, che con sguardo acceso suonava il suo flauto magico. Le melodie e i ritmi che producevano avevano un sapore arcaico che piacque a Loki, ricordandogli ciò che spesso aveva udito da cantori e menestrelli durante i banchetti e le feste di corte.

Qualcuno portò della birra e qualcun altro si mise a danzare e battere le mani, e la ragazza di Galway sorrise al Dio degli Inganni senza smettere di suonare; lui intuì che se le avesse lasciato fare baldoria con la sua gente ne sarebbe stata felice, perciò scrollò le spalle e annuì. Fece scomparire dalla propria figura l’elmo, l’armatura, il manto e il bastone, e mirò il cielo ormai terso e il sole che abbacinante si rifletteva sulle acque calme del mare: entro il tramonto avrebbero dovuto far ritorno nel continente americano, ma per il momento potevano ancora godersi la devozione dei mortali d’Irlanda nella brezza salmastra del meriggio.

 

 

La notizia della battaglia di Dublino e delle eroiche gesta di Erin e Loki fece il giro del mondo, e le immagini dei due divennero popolari tanto quanto quelle dei Vendicatori e degli altri paladini terrestri. I più li definirono “supereroi”, chiamandoli coi nomi più fantasiosi e disparati, e coloro che avevano avuto la sfortuna d’imbattersi nell’asgardiano a Stoccarda rimasero sorpresi da quelle novità; gli orchestrali della Boston Philarmonic Orchestra furono orgogliosi di proclamarsi amici della donna col flauto d’argento, sebbene Sylvia seguitasse a nutrire qualche remora sull’uomo dall’elmo cornuto.

Naturalmente lo S.H.I.E.L.D. fu tra i primi a venire a conoscenza dell’accaduto, e le reazioni all’interno della squadra del Progetto Avengers furono assai contrastanti.

Thor, com’era ovvio, ribadì che le azioni di suo fratello avevano un fondo di bontà che presto sarebbe venuta a galla e finì per convincerne anche quell’animo limpido di Jane; Fury, Barton e Rogers protestarono vivamente, ribadendogli che il suo parere non era imparziale, mentre Banner, Natasha, Maria e Selvig si mantenevano neutrali, curiosi di sapere quale sarebbe stata la mossa successiva del loro vecchio nemico e della sua alleata. Stark espresse invece apprezzamento per la capacità dimostrata dal Duo degli Inganni nel farsi amare dalla folla: vi si riconobbe, da bravo genio miliardario playboy filantropo qual era, e si chiese chi tra i due pericolosi amanti avesse quello spiccato senso per gli affari.

Anche la ragazza di Galway e il dio ebbero modo di ammirarsi immortalati in uno dei molti servizi televisivi che furono mandati in onda sui fatti di Dublino. Da due giorni erano tornati dall’Irlanda, e dopo aver recuperato il Duetto si erano diretti verso New Orleans per scacciare un esiguo avamposto di chitauri che tentava di mantenere una postazione in città in attesa di rinforzi. Complice la recente popolarità acquisita erano riusciti nell’impresa senza grande sforzo, ed Erin aveva proposto di fermarsi nella storica capitale della musica nera americana finché non si fosse presentato un nuovo attacco da contrastare.

Trovarono alloggio in un antico albergo, nel quale furono accolti con tutti gli onori e di cui venne loro assegnata la camera migliore: Loki non si era ancora abituato a quella riverenza non indotta da minacce, eppure iniziava a ritenerla piuttosto gradevole.

«Il soprannome che preferisco è Flauto Magico.» se ne uscì allegra la musicista, che guardava la televisione stesa a pancia in giù sul grande letto a due piazze della stanza.

«Non è più bello Furia Irlandese? Trovo ti si addica di più.» la schernì l’asgardiano.

«Mio fratello ti chiama Quello Con Le Corna In Testa, quindi non sfottere.» tagliò corto lei con un ghigno. Vedere se stessa combattere su uno schermo era strano, rimuginava, e le metteva chiaramente sotto gli occhi ciò che era diventata in grado di fare col flauto e col proprio corpo. Benché non fosse mai stata una tipa molto sportiva sfoggiava forza e agilità sorprendenti durante le lotte, compensando così la propria inesperienza.

Loki le restituì il ghigno in uno scambio d’espressioni che ormai era diventato loro familiare e sedette sulla bassa poltrona imbottita sistemata in un angolo; l’irlandese lo guardò, e trovandolo più attraente che mai nel lucore soffuso che permeava la camera avvertì uno spasmo rovente scuoterle i lombi ed ebbe voglia di lui. Ma non era sicura che il compagno condividesse il suo sentire, al momento, perciò rotolò sul materasso fino alla porta del bagno, afferrò un mucchietto d’indumenti e annunciò che si sarebbe fatta una doccia.

Quando la porta della toeletta si fu chiusa alle sue spalle, il Dio degli Inganni allungò le gambe e schioccò le dita per spegnere l’apparecchio televisivo e per rimanere con indosso la casacca, i calzoni e gli stivali che portava sotto gli abiti da guerra. Era stanco, e le parole che il kree gli aveva rivolto a Dublino gli martellavano in testa: Thanos lo considerava un mero ostacolo cui dare poca importanza e al contempo non gli avrebbe permesso di avere nessuno dei Nove Regni per sé, riassunse in silenzio. Ciò implicava che il titano si stava effettivamente dedicando alla realizzazione del suo vero piano – il piano che gli avrebbe procurato quel che gli serviva per diventare invincibile – e che gli attacchi contro le città midgardiane altro non erano che uno specchietto per le allodole. Loki sapeva che il Tesseract avrebbe fornito al malvagio figlio di Mentore un potere illimitato e sufficiente a soggiogare gli universi senza l’ausilio di stolte truppe, e sapeva che il suo unico, vero obiettivo era Asgard: l’invasione di Midgard aveva il solo scopo di tenere impegnati Thor e lui medesimo, l’uno in quanto eterno protettore degli umani e il secondo in quanto esiliato e reietto. L’asgardiano fremette di collera, e tuttavia si ripeté che la soluzione più semplice era quella di unirsi alla causa dei Vendicatori. Così avrebbe probabilmente fatto credere a Odino di essersi redento e a Thanos di essere interessato soltanto alla salvezza dei mortali; Thanos lo avrebbe sottovalutato, il Padre degli Dei gli avrebbe permesso di tornare giusto in tempo per fermare il folle titano e Asgard tutta lo avrebbe acclamato.

Perché in verità erano il trono perduto e l’ammirazione della gente tra cui aveva sempre vissuto che bramava al di sopra d’ogni altra cosa: la conquista di Midgard poteva aspettare, e una volta riavuto il proprio posto nella casa di Odino sarebbe stata finanche più attuabile. Da Midgard, pensò, adesso voleva solo Erin Anwar.

La udì canticchiare nella stanza attigua e lentamente si sfilò gli stivali, godendo della frescura del pavimento sotto i piedi nudi. Si alzò dalla poltrona e attraverso i vetri smerigliati della porta del bagno scorse la sagoma esile dell’irlandese, e il desiderio gli entrò in circolo nel sangue accelerandogli cuore e respiro. L’intensità di quelle sensazioni e l’appurare come non lo indebolissero affatto erano per lui una fonte di continuo stupore.

Poi Erin uscì dalla toeletta avvolta in una corta veste da notte dalle spalline sottili, i capelli sciolti, e notò come Loki la guardava e capì che aveva voglia di lei esattamente come lei ne aveva di lui.

La donna d’Irlanda si avvicinò all’asgardiano e allungò le braccia per accarezzargli i folti capelli neri come aveva fatto la sera del concerto alla Symphony Hall, ed egli slacciò senza fretta i lacci della propria casacca lasciando che cadesse a terra. Le dita tiepide di Erin scesero dapprima sul suo viso, seguendone delicatamente i lineamenti e soffermandosi sulle sue labbra, e tosto presero a seguire la linea delle sue ampie spalle, a disegnargli fugaci percorsi sul petto e sulla schiena. Loki fremette al suo tocco e tolse anche i calzoni, mentre le tende frusciavano intorno a loro mosse dalla brezza notturna che filtrava dalle finestre aperte, e nella morbida luce delle lampade le cinse la vita e la spinse sul letto. Erin vi si distese con un sorriso da cui trapelava un’emozione che finora nessuno dei due aveva creduto di conoscere, e lui le si adagiò sopra cercandole la bocca in un lungo e lento bacio.

Con entrambe le mani il Dio degli Inganni lambì le cosce dell’irlandese e piano salì verso l’alto, sollevandole la veste senza mai interrompere il contatto, fino a che non raggiunse la base del suo collo: allora lei si liberò definitivamente della leggera stoffa che aveva indossato e le mani di lui tornarono indietro, verso il basso, sfiorandole i seni e la pancia con voluta lentezza, ed Erin gemette sospirando e chiuse gli occhi. Sentì il compagno sfilarle gli slip e il suo respiro farsi più rapido, e sorridendo allargò le gambe e rovesciò indietro la testa, felice. Riaprì le palpebre e vide l’asgardiano sovrastarla, le verdi iridi illanguidite e ardenti, e di nuovo il sentimento senza nome di poco prima rischiò di soffocarla, tanto era intenso.

Ma Loki la afferrò per i fianchi e con fermezza la prese, e la ragazza di Galway gridò appena premendo il proprio bacino contro il suo e stringendo i pugni sulle lenzuola. Il dio tuffò le dita tra le sue chiome sparse sui cuscini e si mosse dentro e su di lei come forse mai aveva fatto, impetuosamente, e altrettanto impetuosamente Erin Anwar si abbandonò a lui: lui amò vederla e sentirla così, perdutamente sua, sua fino all’ultimo respiro – non per brama di possesso, bensì per il profondo e folle desiderio che aveva di lei.

L’irlandese ripeté il suo nome con voce sempre più acuta e affannosa, abbracciandolo, e il fuoco che li divorava crebbe inesorabile, e un attimo prima che il piacere li colmasse l’asgardiano la chiamò per nome a sua volta.

 

 

Più tardi, quella notte, mentre giacevano vicini e nudi a lumi spenti, Erin ripensò alle proprie movenze immortalate durante la battaglia di Dublino: cominciava a trovare strano anche il fatto che un flauto, per quanto reso indistruttibile, riuscisse a contrastare vere armi e avversari temibili, e che lei uscisse sempre più o meno illesa dagli scontri. Era come se lo strumento, carico della magia che il Dio degli Inganni vi aveva impresso, la contagiasse col suo potere ogni qualvolta lo impugnava e le fornisse una sorta di protezione che la preservava da gravi ferite.

Erin si girò su un fianco e guardò Loki, poggiando il mento su una mano:

«L’incantesimo che hai fatto al flauto,» esordì a bassa voce, «vale solo per l’oggetto o c’è la possibilità che si stia spostando su di me?»

«Quale serietà, donna d’Irlanda. Ero convinto che al momento la tua mente fosse impegnata in ben altri pensieri.» rispose lui con malizia, un lieve ghigno che s’indovinava nel buio.

L’irlandese arrossì: «La mia mente ha una logica tutta sua.» grugnì.

«È probabile che tu stia assorbendo parte di ciò che su Midgard chiamate “magia”, se è questo che chiedi. Ti giunge dal flauto e probabilmente da me, poiché quando ho posto l’incanto sullo strumento ti avevo tra le braccia.» disse il dio.

«Il che accade piuttosto spesso, mi pare.» lo interruppe lei restituendogli la malizia di poco prima, ma Loki non si lasciò distrarre e proseguì:

«Esso non può essere scalfito e può invece scalfire molte altre cose, e tu sei diventata meno vulnerabile di quanto dovresti essere per tua natura. Il tuo corpo mortale si è rafforzato, sebbene io ritenga che a lungo andare tale esposizione a un potere estraneo potrebbe finire col danneggiarlo. Gli umani hanno un fisico assai debole.»

Erin ignorò l’ennesima, delicata offesa contro la razza alla quale apparteneva e ripeté: «A lungo andare?», e nel suo tono vibrò una punta di speranza di cui nemmeno lei si accorse.

«Non so per quanto ancora andrà avanti tutto questo.» ammise l’asgardiano parlando quasi tra sé; «Forse è giunta l’ora di cambiare strategia.»

La ragazza di Galway gli si fece più vicina: «Come la cambieresti?» indagò, pragmatica.

«Accontentando quello sciocco di Thor. Se ci dichiareremo intenzionati a unire le nostre forze a quelle dei ridicoli eroi suoi compari essi ci daranno fiducia, e Thanos mi riterrà abbastanza indebolito e incline a proteggere Midgard accelerando la messa in atto del suo piano.» spiegò Loki; «E se la medesima fiducia mi verrà finalmente dimostrata da Asgard, se Odino mi crederà redento, mi verrà concesso di tornare, e sarò lì quando quel folle scatenerà il suo attacco per ottenere il Cubo Cosmico. Sarò io a fermarlo e tutti mi acclameranno.»

Nella penombra i suoi occhi brillarono all’idea del trionfo che avrebbe potuto ottenere nel luogo che lo aveva cresciuto e poi rifiutato, all’idea del rispetto che chi mai gli aveva creduto gli avrebbe infine portato. Aveva già tentato di conquistarlo attirando Laufey nelle stanze del Padre degli Dei con l’inganno per ucciderlo al momento opportuno di fronte a Frigga, ma all’epoca era giovane e inesperto e aveva giocato male le carte a sua disposizione: questa volta aveva meno da perdere e maggior convinzione, e non avrebbe fallito.

Per una manciata di secondi la sua mente si soffermò sul re dei Giganti di Ghiaccio, su colui che era il suo vero padre e che lui avrebbe dovuto considerare tale. Eppure Laufey era stato il primo ad abbandonarlo e l’ultimo che avrebbe dovuto farlo, e coloro che Loki si sforzava di disprezzare erano, suo malgrado, la sola, reale famiglia che aveva, e Asgard la sola sua patria. Le folle di Midgard ormai lo amavano e voleva che gli asgardiani facessero altrettanto, riconoscendo il suo valore: sarebbe stato il premio più alto, una luminosa vendetta.

«Approvo la strategia. Come ci metteremo in contatto con quei pazzoidi?» domandò ancora Erin distogliendolo dalle sue profonde riflessioni.

«Da quando abbiamo lasciato Boston c’è almeno una squadra di uomini in nero dello S.H.I.E.L.D. che controlla a distanza i nostri movimenti.» disse il Dio degli Inganni voltando la testa verso di lei: «Saranno loro a dirci in quale città trovare i Vendicatori, e noi li raggiungeremo.»

L’irlandese annuì sorridendo appena e d’istinto posò una mano sul petto del compagno. L’ombra che le aveva offuscato cuore e pensiero già a Dublino era di nuovo lì, e le sibilava all’orecchio con voce fredda che presto il suo ingannatore divino piombato dritto dal Valhalla se ne sarebbe andato: allora lei avrebbe cessato di avere un ruolo nei suoi propositi e, sopra ogni cosa, nella sua vita, e con tristezza avrebbe mirato il cielo ogni notte sperando di vederlo aprirsi e lasciar cadere sulla Terra il guerriero dall’elmo cornuto ancora una volta.

Era inevitabile che andasse così, e inevitabile fu la stretta che le serrò la gola.

«Non t’importa più della conquista di questo pianeta?» mormorò Erin, e si dette dell’idiota nel rendersi conto che quella frase avrebbe tranquillamente potuto suonare come “non t’importa più di me?”. Si sentiva una frignante, inutile donnicciola qualsiasi.

Loki colse il sottinteso e ne fu colpito: a quello non aveva davvero pensato. Il destino di Erin Anwar era per lui un’incognita, e non sapeva cosa avrebbe desiderato nell’abbandonare Midgard. L’avrebbe voluta sempre al suo fianco, oppure avrebbe compreso che il loro bizzarro rapporto poteva terminare lì? Non riusciva a prevederlo, ed era strano.

Con un’unica, fluida mossa fece sì che la donna d’Irlanda tornasse a stendersi sulla schiena e nuovamente le si adagiò sopra prendendole le mani:

«Midgard sarà mia. Ma prima intendo riappropriarmi del posto che ad Asgard mi spetta di diritto.» disse per mettere a tacere le sue angosce. Ebbe la fugace idea di prometterle o di farle credere, quando fosse giunta l'ora di andarsene, che sarebbe tornato per conquistare gli umani assieme a lei.

Poi la baciò con voluttà e i crucci di entrambi svanirono come nebbia al sole.

 

 

Rintracciare gli agenti che li seguivano fu facile.

Il giorno dopo uscirono dall’albergo di buon’ora e trovarono l’auto blindata parcheggiata non lontano dal Duetto, con a bordo gli uomini dello S.H.I.E.L.D. già svegli e intenti a trafficare con le proprie sofisticate apparecchiature.

L’asgardiano progettava di farsi avanti ed estorcere loro le informazioni necessarie senza mezzi termini, ma Erin suggerì di fare tutto alla chetichella sfruttando quelle che amava definire “le cazzutissime capacità divine” del compagno.

Loki sogghignò compiaciuto e decise di darle retta: si rese invisibile a occhio umano, come la notte in cui si era introdotto nella base provvisoria in New Mexico per mentire a Thor e per tentare di prendere Mjölnir, e mentre l’irlandese attendeva si avvicinò al veicolo.

Uno degli agenti stava facendo rapporto a Nick Fury circa la situazione e un altro parlava nell’auricolare con la collega Hill chiedendo aggiornamenti sulle azioni dei Vendicatori: voleva sapere quale fosse il loro prossimo obiettivo da liberare e se avessero bisogno di uomini in più, dato che in seguito ai fatti di Dublino il monitoraggio degli spostamenti del Duo degli Inganni era divenuto leggermente obsoleto. La risposta del braccio destro del direttore fu chiara e precisa, e il dio la udì distintamente attraverso l’apparecchio.

Gli agenti avrebbero continuato a stare loro alle calcagna, ma adesso sapeva in quale città andare incontro agli sciocchi supereroi. Gli uomini in nero sarebbero rimasti assai sorpresi nel capire quale direzione avrebbe preso la vettura di Erin quel giorno.

Quindi tornò da lei, si spogliò dell’invisibilità e pronunciò una parola soltanto:

«Seattle.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Se penso che ho scritto questi capitoli tra giugno e luglio mi prende una voglia d’estate da star male – sigh.

Erin e Loki continuano a fare quello che vogliono dandomi delle gioie non indifferenti, ma al contempo vanno delineandosi lo scenario venturo e le strategie sia del dio che di Thanos; parlando di quest’ultimo, l’epiteto “figlio di Mentore” non è attribuito a caso, visto che nei fumetti Mentore l’Eterno è effetivamente il padre del titano.

Parlando di Loki, invece, spero che la sua personale digressione sul passato e su ciò che intende ottenere sia in linea col personaggio, oltre a chiarire come io lo vedo e come credo che lui stesso si veda *giri di parole, oh yeah*

Erin inizia a domandarsi cosa (le) accadrà, dal canto suo, perché in fondo è giovane e umana e non può farne a meno…

Not a destination, it’s a creation I desire è un verso di Save your best bits dei Parlotones, mentre per i momenti d’intimità tra i nostri due amanti intergalattici consiglio vivamente Think twice dei Groove Armada.

Ossequi asgardiani e alla prossima!

 

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Capitolo 11
*** 11. A bunch of lonesome heroes ***


11

11.

A bunch of lonesome heroes

 

 

 

 

 

 

I soldati di Thanos che avevano occupato Seattle erano più cocciuti, numerosi e coriacei del normale: da circa due ore l’eccezionale mezza dozzina del Progetto Avengers stava dando loro battaglia nelle vie centrali della città e i nemici sembravano non finire mai. Attaccavano a piccoli gruppi, di continuo, e nemmeno quelli feriti o mutilati davano l’impressione di volersi arrendere. Dall’alto del velivolo di supporto Fury imprecava sparando sporadici colpi ben assestati con il lanciarazzi e incitava la squadra a spingere gli invasori verso il porto, dove avrebbero potuto crivellarli di pallottole senza temere per la vita dei civili o per l’integrità degli edifici, cosa che risultava difficile nel ristretto spazio disegnato dalle strade. La lotta era però troppo serrata per consentire ai Vendicatori grande libertà di manovra, persino per Banner.

D’un tratto potenti squilli di clacson risuonarono tra i palazzi e lungo la via principale arrivò sgommando un Duetto 1600 Alfa Romeo dipinto di verde che travolse molti guerrieri alieni per poi fermarsi di botto a pochi passi dai sei eroi. Tutti si bloccarono per un istante, giusto in tempo per vedere Loki di Asgard ed Erin di Galway scendere dalla macchina con sguardo temibile e già pronti allo scontro.

«Aspettate il vostro turno, signori.» intimò Clint Barton puntando l’arco su di loro, convinto, come i propri colleghi, che i due fossero lì per contrastarli.

Ma questi neppure li considerarono e si lanciarono come furie contro gli invasori, e fu chiaro che per qualche oscuro motivo erano lì per aiutare lo S.H.I.E.L.D.

«Sono dalla nostra parte! Continuate a combattere!» incitò Steve Rogers.

«Hulk, costringi i nostri nemici a ripiegare verso l’oceano. Noi ti copriremo le spalle!» tuonò Thor, rallegrato dalla provvidenziale comparsa di suo fratello.

Il gigante non se lo fece ripetere e con un poderoso ruggito si scagliò sugli avversari menando pugni a più non posso; i suoi compagni e il Duo degli Inganni si disposero dietro di lui per impedire al resto dei soldati di Thanos di superare la linea da loro formata: in tal modo Banner portò a compimento la mossa suggerita dal direttore, il quale lo seguì con l’elicottero per dargli manforte, e la battaglia si distribuì equamente su due fronti differenti.

Grazie a questo e alla venuta dell’asgardiano e dell’irlandese lo scontro si risolse in fretta e fu spettacolare a vedersi, per la gioia dei temerari giornalisti rimasti per documentarlo e per la meraviglia dei cittadini di Seattle che non erano riusciti a fuggire in tempo.

Quando infine gli invasori accettarono la propria pesante sconfitta e batterono in ritirata, l’attenzione dei Vendicatori si spostò puntualmente su Loki ed Erin. Tra l’esultanza generale della folla, mentre Fury e Banner facevano ritorno dal porto, il Capitano parlò a nome della squadra e interpellò la coppia con malcelata diffidenza:

«Siate così cortesi da dirci la vera ragione per cui siete qui, adesso. Dubito che fosse solo quella di offrirci supporto, per quanto esso ci sia risultato gradito.»

«Gli uomini incaricati di seguirvi ci avevano già riferito che vi stavate dirigendo qui. Non eravamo del tutto ignari del vostro arrivo.» interloquì Natasha Romanoff.

La ragazza di Galway scambiò un’occhiata divertita col dio:

«Sono bravi nel loro lavoro. Io nemmeno mi ero accorta di averli sulle nostre tracce, finché non me lo hai detto tu.»

«Devo riconoscere che alcuni mortali si distinguono dalla massa.» rincarò l’asgardiano con ironia; quindi dedicò un cenno del capo a Rogers e gli rispose direttamente:

«Ho riflettuto, Capitano, e sono giunto alla conclusione che unire le forze in via ufficiale sia vantaggioso per noi e per voi. In due è arduo uscire sempre vittoriosi dalle battaglie, ma in compenso conosco particolari sul nostro comune avversario che voi non immaginereste mai. Ci saremo utili a vicenda e assieme solleveremo le sorti di questo vostro piccolo mondo. Le discussioni sul suo destino possono aspettare.»

«Siamo qui per proporvi un armistizio.» riassunse Erin.

Il Dio del Tuono sorrise con un fremito di gioia e i Vendicatori fissarono la coppia inarcando le sopracciglia come un sol uomo, in preda a un evidente dilemma. Fu poi Stark a dar voce ai pensieri dei suoi colleghi:

«Perché dovremmo fidarci di voi? Vorrei ricordare che il nostro Camoscio d’Oro è noto ai più come Dio dell’Inganno e della Menzogna.»

«E non avete considerato che potreste essere voialtri a fregarci, magari rinchiudendoci in qualche stanza speciale governativa per il resto dei nostri giorni?» ribatté l’irlandese, seria; «Noi ci stiamo fidando di voi e credo che dovreste fare lo stesso, per una volta.»

Iron Man rise: «Io considero che tu, essendo umana e comportandoti così, sei ancora più inquietante del tuo psicotico sposino, mia bella flautista.»

«Nessuna stanza speciale governativa vi aspetta, se non ci state imbrogliando.» affermò una voce alle spalle del gruppo.

Nick Fury era lì, in compagnia di Banner di nuovo nei panni del dimesso Bruce e di un nutrito drappello di agenti, e senza indugio si piantò davanti a Loki sostenendone lo sguardo fermamente: «Ci seguirete alla base, e lì parleremo come si deve. L’armistizio è stipulato.»

«Sei sempre il più ragionevole, direttore Fury.» commentò l’asgardiano con un ghigno soave; Erin non aprì bocca, impegnata com’era a cancellarsi dalla testa il termine “psicotico sposino” con relativo e imbarazzante aggettivo possessivo. Il dio proseguì:

«Accettiamo l’offerta. E ditemi, avete ancora la lancia che mi avete sottratto?»

 

 

Il quartier generale dello S.H.I.E.L.D. si trovava in una non ben identificata zona centrale degli States, lontana da case e città e in mezzo a brulle colline senza nome. Il gruppo vi si recò a bordo di due dei neri velivoli dell’organizzazione, ed Erin si vide costretta ad affidare il prezioso Duetto alle cure degli agenti rimasti a terra, a Seattle: non ne fu entusiasta, ma quelli le garantirono che avrebbero riportato l’auto a Boston in tutta sicurezza.

Sulla pista d’atterraggio Maria Hill, Selvig, Jane e Pepper Potts attendevano il rientro della squadra, una mano sulla fronte per proteggersi gli occhi dal sole calante, e non indifferente fu la loro perplessità quando si accorsero dei due ospiti inattesi. La scienziata e la manager non avevano mai avuto occasione di vedere di persona quel Dio degli Inganni fratello di Thor di cui gli altri tanto parlavano e ne rimasero affascinate e intimorite al tempo stesso, mentre l’aspetto grazioso e familiare della ragazza di Galway fu una sorpresa anche per il braccio destro di Fury e per il fisico europeo. Jane le sorrise d’impulso, avvertendo una certa affinità con l’irlandese: erano le due donne midgardiane che avevano intrecciato il proprio cammino a quello dei due principi asgardiani, pensò, e ciò le accomunava profondamente.

Erin colse l’espressione della giovane dai capelli castani e non ne capì il motivo, dato che nulla sapeva di lei e del Dio del Tuono. Tuttavia le restituì il sorriso, e nello sfilare davanti ai quattro per raggiungere l’ingresso della base li salutò con un divertito cenno del capo. Camminare tra quella gente fuori dall’ordinario, tra supereroi e agenti speciali, diretta alla sede operativa di un ente governativo altamente qualificato in compagnia del dio nordico suo compagno, era epico e ridicolo assieme, e le metteva voglia di ridere dal nervoso.

Le porte blindate si richiusero frusciando alle loro spalle, lasciando fuori il sole e la calura, e attraverso lunghi e dritti corridoi rivestiti di metallo e marmo grigio il direttore Fury fece loro strada fino all’ampia sala riunioni dove i suoi sei eroi si erano riuniti subito dopo la seconda chiamata alle armi. Le tre donne e Selvig li seguivano a pochi passi di distanza, e dietro di loro si radunò un contenuto drappello di agenti armati col preciso ordine di intervenire al minimo accenno di attacco da parte di Loki – ma lui appariva perfettamente tranquillo, come Erin, e aveva dipinto sulle labbra uno dei suoi lievi, eleganti e indecifrabili ghigni.

Quando tutti furono nella stanza, guardie comprese, Thor si precipitò dal Dio degli Inganni ansioso di parlargli.

«Sono felice che tu mi abbia infine dato ascolto, fratello mio. Non avrei mai tollerato di dover combattere di nuovo contro di te, o di perderti ancora. Ma adesso sei qui, e insieme andremo in battaglia e insieme ne usciremo vittoriosi.» esclamò cingendogli le spalle con un braccio, le iridi blu ardenti e lucide; «Abbiamo così tante cose di cui conversare!»

«Converserò io per primo con lui, se non ti dispiace.» s’intromise Nick Fury perentorio, facendo segno al biondo di farsi da parte, e Loki fu grato all’uomo per avergli evitato la seccatura di scrollarsi di dosso il suo sciocco congiunto:

«A me non dispiace, direttore. D’altronde siamo qui per questo.» affermò infatti.

Il Dio del Tuono annuì, lasciando la presa, e Fury fronteggiò l’altro dio a braccia conserte:

«Ci hai promesso informazioni di grande importanza sul nostro nemico comune, asgardiano, e prima ce ne metterai al corrente prima tutto questo avrà fine.» disse.

«Inizierò dal principio, da prima che il Tesseract aprisse un varco per me all’interno dei vostri laboratori.» esordì il Dio degli Inganni senza scomporsi, e tutti lo guardarono e sedettero attorno al tavolo. Il riferimento ai fatti di New York e la prospettiva di scoprire quali oscure trame si celassero dietro alle sue passate azioni avevano catturato l’interesse dei guerrieri midgardiani, ed era proprio ciò cui Loki puntava. Contemporaneamente rifletté in fretta su cosa e quanto rivelare ai Vendicatori: parlare delle mire che Thanos aveva sul Cubo avrebbe messo in luce che il reale obiettivo del titano rosso era Asgard e avrebbe insospettito il suo rutilante fratello circa la sincerità dei suoi piani – e, cosa di gran lunga peggiore, lo avrebbe spinto a precipitarsi a casa per sventare la minaccia di un assedio, così che ancora una volta sarebbe stato il figlio prediletto a prendersi glorie e onori che spettavano al figlio bandito e dimenticato.

«Non nego di aver avuto in animo la totale conquista e sottomissione di Midgard per divenirne il sovrano.» prese allora a raccontare: «Tuttavia non fu mia l’idea di assoldare un crudele esercito e di seminare morte e distruzione contro umani inermi. La lancia e l’armata dei chitauri mi furono offerti da qualcuno che in cambio richiese il mio appoggio per assoggettare altri mondi e che mi garantì che l’egemonia sul vostro pianeta sarebbe stata mia soltanto. Egli si sarebbe servito unicamente delle vostre risorse e tecnologie per proseguire nella sua folle corsa al potere, questo mi promise. Io gli credetti e fui uno stolto. Avrei dovuto capire che si stava prendendo gioco di me e che la mia sola utilità era quella di mandarmi in avanscoperta per mettere le mani sul Tesseract, creare scompiglio e aprire il varco tra gli universi. Non pensò neppure per un istante di lasciare Midgard a me, come gli accadimenti di questi strani giorni stanno dimostrando. E se io non fui abbastanza saggio da rendermene conto, lui seppe comprendere la mia rabbia e il mio desiderio di rivalsa e li sfruttò a suo favore.»

Il tono di Loki era amareggiato e infastidito, e nessuno dei presenti dubitò che stesse dicendo la verità.

«Chi è stato in grado di ingannare il Dio degli Inganni?» saltò su la Vedova Nera, l’espressione impassibile e la voce fredda come di consueto. Sembrava la meno convinta, tra i suoi colleghi, ma l’asgardiano conosceva ormai il suo gioco e non si lasciò impressionare:

«Un essere dalla mente geniale e terribile, padrone di così profonde e fondamentali nozioni sul cosmo da aver trovato altre vie per far giungere qui i suoi soldati. Egli è un Eterno del pianeta Titano, e Thanos è il suo nome.» rispose.

«Il figlio di Mentore!» esalò Thor facendosi pallido in viso.

Fury si voltò verso di lui: «Pare che sia un individuo ben noto a entrambi voi.»

«Si narra che abbia sventrato la propria madre e che sia devoto a colei che chiamano Morte.» disse piano Loki. «I titani discendono in parte da coloro che un tempo abitarono sulle cime del Monte Olimpo e sono belli, saggi e forti. Ma Thanos venne alla luce brutto e deforme, più simile a un rampollo degli skrull che a un Eterno, e l’invidia per coloro che lo circondavano corrose il suo spirito ed elevò il suo pensiero. Questo si narra.»

Nel pronunciare quelle parole serrò le palpebre per una frazione di secondo, d’improvviso conscio di avere fin troppi punti in comune con la propria nemesi. Altrettante erano però le differenze, e un’empatia del genere poteva rivelarsi vantaggiosa.

«Ti credevo il megalomane con tendenze omicide più intrattabile del creato, ma da come lo dipingi questo tizio ti batte senza sforzo, piccolo cervo.» se ne uscì Stark, la fronte aggrottata a indicare che la sua non era, stranamente, una battuta: «Perché vuole la Terra e gli altri mondi? Vuole esserne il re, come te, oppure il suo è un delirio d’onnipotenza?»

«Thanos farebbe qualunque cosa pur di compiacere la Morte. Immagino che vorrà offrirle le vite dei midgardiani e il sangue di un altro milione di galassie come pegno del proprio sconsiderato amore. Sì, il suo è un delirio d’onnipotenza.» suppose il dio annuendo in direzione del miliardario.

L’asgardiano dai capelli biondi si alzò e prese a camminare nervosamente intorno al tavolo, carezzandosi sovrappensiero la corta barba, per fermarsi infine accanto al fratello:

«Come pensi che potremmo sconfiggerlo? Se gli attacchi dei suoi soldati seguiteranno ad avere luogo su così vasta scala la nostra sarà una corsa impossibile. E se Thanos non si mostrerà di persona come lo raggiungeremo, nella vastità del cosmo?»

La domanda era intelligente e quasi insidiosa, e fu il turno di Loki di stupirsi:

«Non lo so. La mia speranza è che essendoci riuniti decida finalmente di affrontarci qui, su Midgard, magari sferrando il colpo finale dell’assedio, o non avremo modo di stabilire una strategia di contrattacco.» ammise guardando Thor dritto negli occhi. «L’aver unito le nostre forze potrebbe finanche rivelarsi inutile, fratello.»

L’udire quell’appellativo dalle sue labbra provocò l’esatto effetto che il Dio degli Inganni era andato cercando nell’utilizzarlo, e le reticenze che i Vendicatori ancora nutrivano nei suoi confronti sbiadirono come colori al sole: non avrebbero certo smesso di controllare che tenesse fede alla parola data, ma il radioso sorriso che il Dio del Tuono gli dedicò fu sufficiente perché si rilassassero e credessero a ciò che aveva loro detto.

«Un’unione simile non potrà mai essere priva di senso, fratello mio.» disse il biondo.

«Me lo auguro proprio.» convenne Nick Fury levandosi in piedi: «Ci daremo due giorni di tempo per attendere una mossa risolutiva da parte del nemico, signori. Se al terzo giorno non avremo visto niente di nuovo riprenderemo a contrastare gli invasori di città in città, cominciando ad agire anche oltreoceano. Voglio che il dottor Selvig e la dottoressa Foster non si allontanino dai monitor e che ci avvertano di qualunque fenomeno anomalo, terrestre o celeste che sia. Agente Hill, lei si occupi di chiamare a raccolta ogni uomo e corpo speciale che non si trovi alla base in questo momento, nessuno escluso. Quanto a voi,» si rivolse sbrigativo all’asgardiano dai capelli neri e alla ragazza di Galway, «sarete accompagnati al vostro alloggio seduta stante. Non prendete iniziative di testa vostra, nemmeno per arrampicarvi sul tetto a scolarvi una birra, o ve la vedrete con me.»

«Io non bevo birra.» fu la laconica precisazione di Loki.

«Alloggio? Uno solo?» s’informò invece Erin con interesse.

«Sapete, cominciamo a essere in molti qui, e le camere scarseggiano. Ma immagino che a voi due non dispiaccia troppo, così come non dispiace a me e alla mia incantevole signora.» rispose Stark con estrema nonchalance mentre Pepper alzava gli occhi al cielo.

L’irlandese scoppiò in una risata argentina: «Perspicace, mastro Iron Man!»

«La riunione è terminata, signori.» decretò seccamente il direttore dello S.H.I.E.L.D.

 

 

Erin sistemò le due grosse borse che costituivano il suo bagaglio nello stretto armadio della stanza che Nick Fury aveva loro assegnato, tirando fuori gli indumenti di ricambio e oggetti per la toeletta, e volle sapere dall’asgardiano cosa avrebbero fatto se il titano rosso non si fosse mosso in quelle quarantotto ore di tempo che avevano.

Il Dio degli Inganni, seduto su una delle due brande che occupavano l’alloggio, fissò il vuoto con espressione concentrata: «Thanos dovrà mostrarsi. Stark non ha torto nel definirlo un megalomane. Non resisterà alla tentazione di sfidarmi e prendersi gioco di me adesso che ho accettato di collaborare con i paladini midgardiani e con Thor. Ci ha entrambi qui, ai suoi occhi deboli e sciocchi e lontani da Asgard, e vorrà ostentare tutta la sua potenza prima di attuare il suo piano conclusivo. Io così farei, almeno.»

E il figlio di Mentore non era troppo dissimile da lui, si ripeté mentalmente.

«Ne sei talmente sicuro che mi fiderò di te.» sorrise l’irlandese.

Loki la guardò e per un attimo sul suo volto si dipinse qualcosa di innocente e genuino che mai aveva lasciato trapelare, qualcosa che stava a metà tra l’incredulità e la commozione e per cui Erin fu attraversata da un sussulto che le mandò il cuore dritto in gola.

«Dunque ti fidi di me, donna d’Irlanda?» egli chiese con voce roca e calda.

«Certo che mi fido. Lo capisci solo ora?» mormorò la musicista in risposta.

L’asgardiano la prese per un polso e la tirò a sé per baciarla, e fu un bacio diverso dai precedenti, quasi dolce e grato e tuttavia non meno intenso. L’ombra dell’imminente separazione tornò a gravare su di loro, ma vi fu anche una scintilla completamente nuova, una luce che andava prendendo forma già da qualche tempo e che avvertivano entrambi.

Poi il dio si alzò e annunciò che sarebbe andato a cercare Fury per convincerlo a rendergli l’arma che aveva utilizzato per conto di Thanos, facendogli presente che essendo stata creata da quest’ultimo potevano sfruttarne il potere contro di lui.

«Allora avverti il signor direttore che io me ne vado sul tetto a scolarmi una birra. Naturalmente con qualcuno alle calcagna.» sogghignò la ragazza di Galway, e nell’uscire dalla camera Loki annuì. Erin indossò un paio di corti calzoni di jeans, sostituì gli stivali impolverati con scarpe sportive di tela e infilò iPod e cuffie in una tasca, uscendo a sua volta; si diresse dagli uomini che stavano di guardia nel corridoio e li pregò di procurarle una buona birra fredda e di accompagnarla sul tetto della base, poiché desiderava respirare aria fresca e godersi la sera che avanzava. Gli agenti considerarono che potevano permetterglielo e la accontentarono, e l’irlandese si premurò di invitarli a farle compagnia, se lo ritenevano un buon modo per tenerla d’occhio. Quelli però sorrisero e le dissero che aspettarla nei pressi della botola che conduceva al tetto sarebbe stato sufficiente.

Erin ne fu soddisfatta e si accomodò sulla superficie liscia e piatta che ricopriva il quartier generale dello S.H.I.E.L.D., una bottiglia di Red Stripe ghiacciata tra le dita e gli occhi puntati sulla vastità di alture e terra brunita che si stendeva sotto di lei. Il sole era da poco scomparso a occidente, lasciando nel cielo un nitido alone d’oro rosato, e il vento leggero del crepuscolo aveva spazzato via la calura diurna; dalla pista d’atterraggio giungevano fiochi rumori e sommesse erano le voci degli uomini di Fury che chiacchieravano alle sue spalle.

La ragazza di Galway incrociò le gambe e accese l’iPod, gli auricolari ben calcati nelle orecchie, scegliendo di ascoltare della buona musica classica: le mancavano le prove e i concerti con l’orchestra, si disse nel mirare le prime stelle che si accendevano sopra la sua testa.

Poi dalle cuffie fluirono le note d’inizio della Sicilienne di Fauré, la stessa che avevano proposto alla Symphony Hall, e subito i ricordi di quella serata la travolsero – dapprima complici e splendidi, quindi colmandosi rapidamente d’un significato ben più profondo, di quella luce che Erin tentava invano di afferrare tra le malinconiche prospettive che da troppi giorni la attanagliavano. E quando la Sicilienne cedette il passo all’Intermezzo di Mascagni, l’irlandese seppe con certezza di non aver mai provato niente del genere in vita sua e di provarlo adesso e paradossalmente per una creatura straordinaria, insidiosa, antica e lontana che mai avrebbe potuto avere davvero, per un folle sogno: e per quanto non riuscisse a dargli un nome, o per quanto non volesse farlo, quel sentimento era tanto forte da pungerle gli occhi con lacrime non richieste.

Erin strizzò le palpebre per scacciarle e scrollò il capo con violenza, interrompendo la musica, e in quella udì un discreto colpetto di tosse a pochi passi da lei. Si guardò intorno e scoprì che gli agenti non erano più gli unici suoi compagni di tetto: la giovane donna dai capelli castani che aveva notato scendendo dall’elicottero e che Nick Fury aveva chiamato “dottoressa Foster” era lì e le stava di nuovo sorridendo, osservandola con aperta simpatia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Ecco i Magnifici Sei tornare in scena in grande spolvero, mentre Loki affina il proprio piano ed Erin si lascia distrarre, suo malgrado, da sentimenti non richiesti. Ancora un capitolo di pensieri e parole e poi avranno inizio almeno un paio di grandiose battaglie definitive: perché i capitoli sono 17 in tutto, lo rammento, e non manca molto alla fine.

La base “a terra” dello S.H.I.E.L.D. me la sono immaginata in una zona che potrebbe essere il deserto dello Utah – quello che fa da sfondo alle prime due puntate della sesta stagione di Doctor Who; e sempre parlando di DW, ho inserito una piccola citazione dalla quinta stagione nel discorso che Loki fa su Thanos. Non è niente di che, ma se la riconoscete ditemelo :)

La Red Stripe è una buonissima birra prodotta in Jamaica. Se vi capita assaggiatela, merita!

Il titolo del capitolo è quello dell’omonima canzone di Leonard Cohen (a bunch of lonesome and very quarrelsome heroes / were smoking out along the open road / the night was very dark and thick between them / each man beneath his ordinary load).

Cominciano a sentirsi in sottofondo le note di Burn it to the ground dei Nickelback e di Everybody is on the run di Noel Gallagher e i suoi High Flying Birds, pezzi che la faranno da padrone tra un paio di capitoli; qui il brano portante è Mad about you degli Hooverphonic, perché è perfetta, veramente, per descrivere ciò che esiste tra Erin e Loki.

O, dovrei forse dire, per descrivere ciò che Erin prova per lui…

Ossequi asgardiani primaverili e alla prossima!

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** 12. Won't you let me know? ***


12

12.

Won’t you let me know?

 

 

 

 

 

 

Loki afferrò con entrambe le mani e con una sorta di fremito reverenziale il bastone dorato dalla punta azzurra e luminosa che Thanos gli aveva donato a suo tempo: i tecnici dello S.H.I.E.L.D. lo avevano tenuto al sicuro in uno dei molti arsenali della base, non senza averlo studiato a fondo per comprenderne il funzionamento, e Nick Fury glielo aveva porto con cautela prendendolo dalla teca in cui era stato racchiuso per quasi tre mesi.

Il Dio degli Inganni piegò le labbra in un mezzo sorriso soddisfatto, stringendo le dita attorno al liscio metallo dell’arma e assaporando in silenzio la sensazione di averlo nuovamente con sé, il potere che gli comunicava nonostante fosse un artefatto plasmato dal folle titano.

Il direttore colse la sua espressione e gli si rivolse in tono asciutto:

«Perché Thanos ti ha consegnato quell’oggetto? Non soltanto per combattere, immagino.»

«Dovresti dirmelo tu, direttore. Non è forse con questa mia lancia che l’agente Romanoff ha interrotto il contatto tra il Cubo e il varco dimensionale, a New York? Io me ne sono servito per scopi ben più banali e non ho mai avuto modo di scoprire se Thanos lo avesse progettato con ulteriori e più precisi propositi.» replicò pacatamente l’asgardiano.

Fury lo squadrò con occhio sospettoso: «Neppure noi siamo giunti a conclusioni più approfondite. È innegabile che vi sia un qualche legame tra il Tesseract e il tuo bastone, ma quale esso sia non saprei proprio. Nessuno lo sa.» rispose misurando bene le parole; «Se però affermi che ci sarà utile in battaglia, per il momento mi basta.»

«Combattere il nemico con le sue stesse armi o con armi da lui create è sempre utile.» si limitò a dire Loki mentre ancora soppesava il manufatto. In verità ciò che gl’importava realmente era l’averlo recuperato, sebbene fosse un peccato che l’uomo dalla pelle scura non potesse dirgli alcunché di interessante e che già lui stesso non sapesse. L’idea di domandare la lancia indietro gli era balenata in mente a Seattle, all’improvviso, e non aveva pensato al come e al perché gli sarebbe di nuovo servita; per quanto avrebbe potuto ricrearne una identica dal nulla, qualcosa gli aveva suggerito che avere l’originale avrebbe aumentato le possibilità di un confronto alla pari col titano rosso – e forse la chiave era il nesso con il Cubo.

«Confido che non te ne avrai a male se terrò il bastone con me, direttore.» soggiunse quindi, e senza aspettare risposte fece danzare le dita nell’aria e l’oggetto scomparve.

L’altro lo fulminò con lo sguardo: «Confido che non lo userai per commettere idiozie qui dentro. Dov’è la tua dama irlandese?»

«Mi ha pregato di riferirti che si sarebbe fatta scortare sul tetto per gustare una birra. Perdonami se ho dimenticato di avvertirti.» sogghignò l’asgardiano andando verso la porta. Gli agenti la aprirono per lasciarlo passare e lo seguirono fuori dal laboratorio per accompagnarlo nuovamente al suo alloggio, ma nel corridoio trovarono il Dio del Tuono ad attenderli, le gambe divaricate e l’espressione un po’ incerta:

«Anche Jane si è recata sul tetto. Suppongo che voglia parlare con Erin.» disse a Loki, e d’istinto gli uomini dello S.H.I.E.L.D. si allontanarono di un passo dai due.

«E tu vuoi parlare con me, non è così?»

Thor annuì: «È quello che ti chiedo da quando siamo partiti da Seattle, fratello.»

«Se convincerai il qui presente signor Fury a lasciarci da soli per qualche minuto sarò felice di accontentarti. Del resto dovrebbe permettercelo, se si fida di te.» suggerì il Dio degli Inganni.

Il direttore, che nel frattempo li aveva raggiunti, incrociò le braccia e scrollò le spalle:

«Posso concedervi una stanza fuori dalla quale metterò questi agenti, pronti a intervenire. Di un asgardiano in media mi fido e dell’altro non mi fido affatto, se non vi fosse chiaro.»

«Cristallino, oserei dire.» ribatté Loki alzando gli occhi al cielo con fare annoiato: «Eppure, direttore, se avessi voluto nuocervi lo avrei già fatto, e per esperienza sai che persino un centinaio di tuoi uomini avrebbe difficoltà nel contrastarmi. E se volessi approfittare di una conversazione privata per colpire mio fratello a tradimento sarei un perfetto sciocco, poiché ciò non mi recherebbe alcun vantaggio.»

Fury rilassò appena i muscoli facciali e piegò impercettibilmente la testa, e il dio dai capelli neri intuì che il proprio logico ragionamento, peraltro sincero, lo aveva convinto:

«Una stanza, due soli agenti di guardia e tutto il tempo che volete.» concesse infatti l’uomo, indicando una porta scorrevole a pochi metri da loro che venne prontamente aperta.

Thor ringraziò il direttore, Loki sorrise con sufficienza e insieme varcarono la soglia.

 

 

Nella luce tenue del crepuscolo e dei fari accesi sul tetto Erin osservò Jane di rimando, incuriosita, e sollevandosi da terra le porse d’istinto la bottiglia di Red Stripe:

«La dottoressa Foster, giusto? Gradisci un sorso di birra?» la apostrofò.

Non riusciva a capire per quale motivo la giovane fisica si mostrasse tanto cordiale e quasi empatica nei suoi confronti, come nessuna delle altre donne presenti alla riunione e sulla pista d’atteraggio; forse perché doveva avere circa la sua stessa età, ipotizzò l’irlandese.

«Jane Foster. “Dottoressa” mi fa sentire vecchia.» sorrise la ragazza accettando l’offerta, quindi le restituì la bottiglia e le si fece più vicina. «Spero di non averti disturbata, Erin. Vorrei scambiare quattro chiacchiere con te, ora che sei qui.»

«Figurati, stavo solo...» iniziò a tranquillizzarla la musicista agitando l’iPod che ancora aveva in mano, ma si bloccò e la fissò corrugando le sopracciglia: «Aspetta un attimo. Ho la sensazione che mi sia sfuggito qualcosa che dovrei sapere e che tu invece sai benissimo.»

Jane sgranò i grandi occhi castani, stupita: «Non hai la più pallida idea di chi io sia?»

«Sei un’astrofisica e collabori con lo S.H.I.E.L.D.» rispose Erin con ovvietà.

La sua interlocutrice scoppiò a ridere, le guance tinte lievemente di rosso: «Oh, accidenti, credo di aver appena fatto una gaffe clamorosa! Perdonami, ero assolutamente convinta che tu fossi al corrente del mio legame con Thor e del mio ruolo nelle sue vicende, visto che in parte riguardano anche suo fratello. Ora ammetto che fosse un pensiero un po’ presuntuoso.»

La ragazza di Galway aprì la bocca per parlare, la richiuse subito e ridacchiò a sua volta rimettendosi a sedere, stupita e divertita dalla rivelazione di Jane Foster. Erano entrambe umane, entrambe giovani ed entrambe legate in qualche modo ai due fratelli piovuti dal Valhalla, ed era ovvio che la dottoressa, essendo a conoscenza della sua esistenza e del suo rapporto con Loki, si sentisse a lei affine e depositaria di un fato simile al suo.

«Scusami tu, non ne sapevo nulla.» disse guardandola dal basso: «Che genere di legame?»

Jane le si sedette accanto, il bel viso più colorito di prima: «Non è semplice da definire. Ci incontrammo più di un anno fa in New Mexico, durante il suo esilio sulla Terra, e fino al mese scorso siamo stati lontani. Ma per quanto possa sembrare stupido e infantile io amo lui e lui ama me, e davvero non so a cosa questo potrà condurre.» raccontò.

«Odino aveva cacciato anche Thor di casa privandolo dei suoi poteri? Dev’essere una prassi educativa molto gettonata, in quella famiglia.» commentò Erin cercando di suonare sorniona, eppure la voce le uscì più debole di quanto avrebbe voluto.

Era turbata, e il verbo “amare” utilizzato dall’altra nel parlare di ciò che provava per il biondo le suonò fin troppo familiare, fin troppo adatto per dare un nome a quel che lei sentiva ormai per il Dio degli Inganni, a quel groppo che le infuocava il petto.

«Perché non è tornato da te per più di un anno?» domandò allora alla fisica per distrarsi, mandando giù l’ultimo dito di birra rimasto.

«Esisteva una sorta di ponte tra Asgard e la Terra, una via tra i mondi che Thor chiama Bifröst e che mi ha descritto come un infinito arcobaleno. Nell’andarsene dal New Mexico mi promise che avrebbe fatto ritorno subito dopo aver fermato suo fratello, ma il loro scontro provocò grossi danni al Bifröst e i contatti diretti col nostro pianeta furono irrimediabilmente compromessi.» spiegò Jane: «Thor dice che adesso soltanto suo padre può permettere a qualcuno di superare le barriere dimensionali tra i Nove Regni, e che finora lo ha fatto unicamente per aiutare i Vendicatori e nel bandire Loki da Asgard.»

Erin alzò il capo verso il cielo che andava tingendosi di blu notte sopra di loro:

«E se il Bifröst tornasse a funzionare?» mormorò quasi tra sé.

«Penso che sarebbe tutto molto più facile. Per loro, per i Vendicatori e naturalmente anche per te e per me.» sospirò l’altra con un sorriso malinconico.

Era buffo e sciocco disquisire di affetti e sogni con la guerra alle porte, e per un po’ nessuna delle due parlò. Tutto era sereno e immoto intorno a loro, al punto che quando l’irlandese spezzò il silenzio lo fece con cautela per non intaccare quella pace:

«Ci ritieni così simili l’una all’altra, Jane?»

«Non ti conosco, Erin, e non conosco il tuo carattere, ma come potremmo non rassomigliarci? Siamo legate a due fratelli di un mondo lontanissimo dal nostro, siamo mortali e ignoriamo quel che ci accadrà. Eppure li amiamo, Erin, e questa è la cosa più bella e strana di tutte.» replicò l’astrofisica con fervido slancio, protesa verso la ragazza di Galway.

Questa la fissò senza realmente vederla, incapace di formulare una frase sensata: si trattava di questo? Era questo che Jane pensava della relazione tra lei e il Dio degli Inganni? Li paragonava a sé e a Thor e nulla sapeva di loro, e pronunciava con eccessiva facilità la parola “amore”.

Dalle labbra le sgorgò una risata altezzosa che sorprese entrambe:

«Non esagerare con le affinità, dottoressa! Cosa ti fa credere che il mio sentimento per Loki sia uguale a quello che tu provi per suo fratello? Cosa ti fa credere che io senta qualcosa del genere per lui?» se ne uscì in tono così convincente e beffardo che per pochi istanti credette a ciò che stava dicendo. Ma la scienziata tornò a sorridere con la piacevole malinconia di poco prima, gli occhi accesi e l’espressione incredibilmente limpida:

«Che cosa senti, allora?» le chiese con tranquillità.

Erin esitò, colpita suo malgrado dalla pacatezza della sua interlocutrice, e con il cuore più pulsante che mai prese a mettere in fila tutto quel che si portava dentro per sbrogliare la matassa delle proprie sensazioni.

«Lo desidero, lo ammiro, mi piace il suo modo di vedere il mondo. Lo sento a me vicino più di chiunque altro e mi affascina terribilmente, anche se ne ho un po’ paura. All’inizio era come aver trovato un inestimabile tesoro da sfruttare a mio esclusivo beneficio, un’eccitante novità e un’occasione per mettere in mostra la mia misantropia. Ma ora la sola idea di vederlo andare via e di dirgli addio mi rende triste, e immaginare di tornare alla normalità senza di lui mi sembra di uno squallore eclatante.» confessò tutto d’un fiato, e man mano che parlava ogni cosa pareva farsi chiara e lampante e acquistare un senso. Poi un singulto la colse, e vinta dall’emozione l’irlandese aggiunse in un soffio:

«Non voglio perderlo, cazzo.»

Jane le strinse amichevolmente una mano: «Lo so. E come chiameresti tutto questo?»

«Che sono un’imbecille, ecco come lo chiamerei.» borbottò la musicista con una smorfia.

«Amare qualcuno non ci rende mai molto più furbi, Erin.»

E lei, finalmente, si arrese. Sotto la volta celeste ormai ammantata di buio e di stelle, su quel tetto in penombra e tra i suoni ovattati della notte, la donna d’Irlanda seppe di amare profondamente il Dio degli Inganni: e benché il solo pensarlo fosse folle, benché lo avesse compreso troppo tardi, Erin Anwar fu felice di ammetterlo e capì, come quando si erano baciati per la prima volta a ritmo di swing, che non avrebbe potuto essere altrimenti e che era giusto così. Ridendo si godette quel momento e pensò che di fronte a una verità tanto assurda e splendida persino la tristezza poteva aspettare, e ricambiando la stretta di mano di Jane Foster la guardò e disse: «Qui urge un brindisi. Ti va un’altra birra?»

 

 

Thor si era ripromesso di raccontare al fratello cos’era accaduto ad Asgard durante il primo attacco bostoniano dei guerrieri di Thanos e di come avesse pregato il padre di restituire i poteri al secondogenito, ma adesso che poteva avere con questi un confronto che non prevedesse l’avere armi in pugno, dopo tanto tempo, il biondo tentennò: una simile rivelazione avrebbe soltanto avuto l’effetto di scatenare la collera di Loki e il proverbiale rancore che gli serbava, e certo lui non cercava lo scontro. Per una volta poteva permettersi di essere quello che taceva una verità all’altro, convenne tra sé il Dio del Tuono, e lo faceva a fin di bene.

«Come fai a essere certo che il figlio di Mentore ci attaccherà a breve, fratello?» esordì quindi nella stanza vuota che Fury aveva loro messo a disposizione; non era proprio l’argomento di conversazione che aveva in mente, eppure i dubbi che la riunione aveva sollevato in lui continuavano a renderlo inquieto.

Loki, che misurava a passi lenti il perimetro della saletta, si fermò e appoggiando pigramente le spalle al muro lo guardò: «Non lo sono. Diciamo che lo ritengo assai plausibile.» rispose.

«Non si è mai mostrato e non ha mai dato segno di voler cambiare strategia. Perché dovrebbe farlo proprio ora, proprio nel momento in cui coloro che possono contrastarlo hanno unito le forze?» proseguì Thor in tono grave, avvicinandosi.

Il Dio degli Inganni pensò che se il suo roboante congiunto fosse stato lievemente più intelligente e sospettoso il quesito che aveva appena posto avrebbe potuto essere interpretato come un avvertimento, come il segnale che il figlio prediletto di Odino aveva colto un barlume d’imbroglio nelle sue intenzioni, giacché il suo collaborare coi Vendicatori puntava effettivamente a provocare il titano rosso. Tuttavia niente nell’atteggiamento di Thor lasciava supporre che lo stesse velatamente accusando di qualcosa, e l’asgardiano dai capelli neri decise che poteva arrischiarsi a non negare del tutto:

«Se fossi al posto di Thanos è proprio adesso che attaccherei, con i miei nemici riuniti sotto il medesimo tetto. È ciò su cui ho ponderato nel venire da te e dai tuoi midgardiani compari, ritenendola un’ottima occasione per indurlo a uscire allo scoperto.» disse.

«E non hai considerato il pericolo cui andiamo incontro?» gli ribatté il fratello; «Non fraintendermi, l’averti qui mi riempie di gioia. Eppure mi chiedo se non stiamo giocando col fuoco, fornendo addirittura un vantaggio al nostro avversario.»

Loki scosse il capo: «Valeva la pena tentare, e la vale tuttora. Inoltre,» asserì mentre i suoi occhi si spostavano ad arte verso la porta della stanza, «combattere in due soltanto stava divenendo altrettanto pericoloso.»

Thor sorrise, cogliendo il voluto riferimento dell’altro alla ragazza di Galway:

«Erin è forte e straordinaria. In tutta Midgard non avresti potuto incontrare donna più degna di te, così come Jane lo è per me.»

Le sue parole, oneste come sempre, produssero un inatteso sussulto nel Dio degli Inganni, che si rese conto di aver appena scoperto il più inusuale dei punti in comune che mai si sarebbe sognato di avere col Dio del Tuono: non nel pensiero, non nelle armi e non nell’ambizione, bensì nella rovina e negli affetti. Entrambi avevano subìto l’umiliante punizione dell’esilio per aver deluso il Padre degli Dei ed entrambi in quella sconfitta avevano trovato, senza volerlo, qualcosa di piccolo e inestimabile che li aveva in qualche modo mutati: un’astrofisica del New Mexico per il primo e una flautista di Galway per il secondo.

E se l’incontro con Jane Foster aveva reso Thor miracolosamente saggio e umile, l’avere Erin Anwar al proprio fianco non aveva cambiato molto l’animo di Loki, se non nei confronti dell’irlandese stessa. Era divenuta parte integrante del suo modo d’essere, d’agire e di sentire, e nel pensarlo egli ne fu irrimediabilmente felice.

«Forse hai ragione.» concesse quindi con un mezzo sorriso.

«Quando tutto questo sarà finito e torneremo ad Asgard pregherò Jane di venire con me. Implorerò nostro padre affinché escogiti una soluzione per ricreare il Ponte che la nostra follia ha distrutto, e molte cose miglioreranno per molti.» proclamò il biondo con ardore. «E tu cosa farai, fratello? Porterai Erin ad Asgard quando verrà il momento?»

«Se verrà il momento, per me.» lo freddò Loki con voce tagliente. Non aveva intenzione di rispondere, nulla aveva deciso al riguardo e d’altronde la riuscita del suo piano non era affatto scontata. Così ritenne opportuno concludere la conversazione prima che suo fratello toccasse altri argomenti delicati con quella sua spontaneità che spesso si dimostrava più insidiosa di abili menzogne e persuasive favelle.

«Si è fatto tardi. Io torno da lei.» annunciò avviandosi verso la porta.

Thor indugiò un istante e gli strinse una mano: «Ti ringrazio per aver parlato con me, Loki.»

Il Dio degli Inganni gli volse le spalle e si allontanò per avvisare gli uomini dello S.H.I.E.L.D. che lì avevano finito. Abbandonarono la stanza in silenzio, scambiandosi soltanto un ultimo sguardo, e i due agenti rimasti di guardia scortarono l’asgardiano al suo alloggio.

La camera era illuminata solo dai bassi neon sopra i letti e tutto vi appariva più morbido e confortevole. Erin era già rientrata e se ne stava in piedi, appoggiata alla scrivania metallica posta accanto all’armadio, e sollevò il capo quando Loki rientrò. Lui notò il suo volto colorito e i suoi occhi lucidi nonostante la poca luce e le si avvicinò lentamente, cogliendo qualcosa di completamente nuovo nella sua espressione e nella sua postura: era morbido e confortevole come l’atmosfera che permeava la stanza, e vibrante e acceso come soltanto l’irlandese sapeva essere. Lei sorrise e parve quasi trattenere il respiro:

«Com’è andata col caro direttore? Hai riavuto la lancia?» s’informò.

Il dio sogghignò e fece ricomparire il bastone in forma di scettro, la bolla blu che vivida brillava sulla sua punta: «È stato meno arduo del previsto. La tua conversazione con la donna di scienza si è rivelata interessante?» chiese di rimando.

«E tu ne hai avuta una con Thor, a quanto pare.» chiosò Erin sforzandosi di risultare arrogante. Il cuore le rimbombò nelle orecchie, battendo con orgoglio nel suo petto, e nello sfiorare con attenzione il metallo dell’arma che il compagno le stava mostrando pensò che avrebbe dovuto confessargli i propri sentimenti fintanto che ne aveva la possibilità. Le emozioni che provava premevano per uscire allo scoperto con l’irruenza di un’onda, ma rivelarle avrebbe comportato venire a conoscenza di ciò che Loki sentiva e non era sicura di volerlo sapere. Tutto sarebbe finito a breve, in un modo o nell’altro, e che il Dio degli Inganni la ricambiasse o meno aveva ormai poca importanza: l’aver compreso l’amore che gli portava era sufficiente.

«Cosa ti turba, donna d’Irlanda?» domandò l’asgardiano a bassa voce.

«Il futuro.» sussurrò Erin, e involontariamente ritrasse la mano destra dal bastone dorato per carezzargli il viso. Egli intuì con chiarezza che il turbamento dell’irlandese era dovuto a lui, più che alle incognite sul destino di Midgard, e facendo svanire nuovamente la lancia nell’aria premette il proprio corpo contro quello di lei e la baciò.

Erin gli si aggrappò con impeto, beandosi del suo sapore, e Loki fece scivolare le dita lungo il suo busto sino a raggiungere l’orlo dei corti calzoni di jeans che indossava: senza fretta glieli sbottonò, e con la mano cercò la carne calda e tenera tra le sue gambe.

Lei annaspò e con un gemito nascose il volto nell’incavo del collo del compagno, mordendoglielo appena e chiudendo gli occhi per assaporare ogni singola goccia del piacere che il movimento delle dita del Dio degli Inganni le procurava. Sentì i di lui abiti da guerra dissolverlesi tra i polpastrelli e con gesti febbrili gli aprì la tunica che portava al di sotto per stringersi alla pelle nuda e tiepida del suo torace. Quindi gli slacciò i pantaloni e lasciò che i propri cadessero a terra assieme agli slip, e Loki la fece sedere sul freddo ripiano metallico della scrivania cui si appoggiavano e la guardò negli occhi – e per un attimo si chiese se l’emozione che vi leggeva altro non fosse che un riflesso di ciò che aveva nei propri.

Tenendola saldamente per i fianchi entrò in lei, affondando con gratitudine nel suo calore, ed Erin gli allacciò le gambe intorno alla vita e rispose con tutto il fuoco e la forza che aveva: si convinse che quella sarebbe stata l’ultima volta che univa cuore, pelle e respiro col suo ingannatore divino piombato dritto dal Valhalla, e desiderò che quella notte non avesse mai fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Ricordo a tutti che ho scritto questa storia l’anno scorso, perciò non è collegata in alcun modo a quella che probabilmente sarà la trama di The Dark World.

Doveroso era il confronto incrociato tra i due fratelli asgardiani e le loro signore, per chiarire e definire quali sono i pensieri e il sentire di Erin e Loki. È ricomparso lo scettro che quest’ultimo usa in Avengers e che come arma apprezzo un sacco: non vedevo l’ora che tornasse a utilizzarla, anche se si tratta pur sempre di un oggetto creato da Thanos e i suoi.

Il titolo del capitolo è una frase di Violet Hill dei Coldplay (if you love me / won’t you let me know?), canzone che potete tranquillamente ascoltarvi durante la lettura – insieme, eventualmente, a What if? (sempre dei Coldplay).

Prima di salutarvi volevo lanciare un piccolo appello: recensite, o miei lettori. Vedo che leggete, vedo che seguite, eppure conosco il parere di pochissimi tra voi (che colgo l’occasione per ringraziare direttamente – Maura77, Smith of Lies, Artemis Black, Tony Stark e Dama Galadriel) e questo mi dispiace. Se entro la fine della storia mi faceste tutti sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuta, se vi ha coinvolto e incuriosito, ne sarei oltremodo contenta :)

Ossequi asgardiani e alla prossima!

 

 

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Capitolo 13
*** 13. Burn it to the ground ***


13

 

13.

Burn it to the ground

 

 

 

 

 

 

L’allarme generale fu lanciato l’indomani mattina di buon’ora.

Alle prime luci dell’alba l’intera base dello S.H.I.E.L.D. risuonò di passi e voci concitate, e tra i corridoii e le sale di monitoraggio vi fu un un gran viavai di agenti e specialisti dalle espressioni ansiose e ancora annebbiate dal sonno.

Erin e Loki, che si erano addormentati assai tardi allacciati l’uno all’altra su uno dei piccoli letti dell’alloggio, si svegliarono di soprassalto nell’udire quel trambusto, e subito l’asgardiano intuì che Thanos era vicino e che tutto si avviava a compimento.

L’irlandese indossò in fretta e furia un paio di jeans scuri, una canotta bianca e i suoi soliti stivali di cuoio chiaro e corse a sciacquarsi la faccia mentre alcune guardie bussavano alla porta pregando lei e il dio di seguirli al centro di controllo del quartier generale; prima di uscire si ricordò distrattamente di prendere la custodia del flauto magico, e seguendo il compagno e gli uomini in nero scrollò il capo per darsi una svegliata. Le avrebbe fatto bene un caffè, pensò scioccamente, ma certo quello non era il momento adatto per chiederne uno.

Nick Fury e Maria Hill erano già sul posto ad attendere i Vendicatori e il Duo degli Inganni, assieme a Thor, Jane Foster ed Erik Selvig, e nessuno di loro aveva l’aria di aver chiuso occhio. Erin gettò uno sguardo agli schermi sottili che baluginavano come impazziti tutt’intorno e riconobbe una ripresa satellitare della base e della zona circostante: vi si muovevano una miriade di piccoli punti luminosi che aumentavano di minuto in minuto e che andavano cingendo il complesso dello S.H.I.E.L.D. in un ampio cerchio.

« Cosa diamine significa questo? » chiese la musicista indicando l’immagine.

« Che siamo sotto assedio, temo, signorina Anwar. » rispose Bruce Banner, appena entrato nella stanza; dietro di lui venivano Tony Stark, sfacciatamente in pigiama di raso, e Pepper Potts avvolta in una vestaglia leggera. Il direttore annuì:

« Sembra un esercito. Un grosso esercito. Hanno fatto prima del previsto. »

« E a nessuno viene il dubbio che lui c’entri qualcosa? »

Clint Barton, giunto in quell’istante e pronto all’azione nella sua tenuta da combattimento, puntò un dito contro Loki con fare accusatorio, Natasha Romanoff a spalleggiarlo; l’asgardiano aprì la bocca per ridere di loro e sviarne i fondati sospetti, e inaspettatamente Stark lo prevenne: « Oh, ma lui c’entra qualcosa, in effetti. Abbiamo monitorato la toccante conversazione tra voi fratellini, ieri sera, e il fatto che tu abbia deciso di unirti a noi anche per attirare qui il nemico è piaciuto sia a me che al direttore. Ottima mossa, piccolo cervo. »

« Questa me l’avevi già detta. Stai diventando prevedibile. » lo schernì il dio.

La russa pose d’istinto una mano sul calcio della pistola che recava al fianco:

« Dovrebbe essere una buona notizia? Magari la trappola è a nostro sfavore, visto che siamo circondati come topi in una gabbia. » disse in tono lugubre.

« E secondo te io e Loki ce ne staremmo qui con voi, assediati da un branco di alieni incazzati, se il giochetto mirasse a fregarvi? Dacci un taglio, ti prego. » sbottò Erin sorprendendo tutti. Cominciava a sentirsi nervosa e ne aveva abbastanza di illazioni inutili e perdite di tempo che non giovavano a nessuno: « Siamo asserragliati e inferiori di numero come i Rohirrim al Fosso di Helm, non lo nego, ma d’altro canto abbiamo gli avversari riuniti in un unico punto e armi d’ogni tipo a disposizione. Potremmo persino arrivare a Thanos, e a me questo sembra molto meglio che continuare a scorrazzare come dei cretini di città in città per chissà quanti mesi ancora. Si tratta di semplice buon senso, non di darci fiducia. » aggiunse.

Per un po’ nessuno fiatò, e la Vedova tolse le dita dall’arma; il Dio degli Inganni lanciò un sorriso d’intesa alla donna d’Irlanda, soddisfatto e inorgoglito dalla sua sfrontatezza e dalla sua naturale capacità di persuasione. Gli aveva risparmiato un noioso discorso.

« Adoro le citazioni colte. » fece allegro il playboy filantropo.

Il Capitano Rogers, comparso per ultimo nella sala, levò alta una mano per ottenere l’attenzione degli altri: « La signorina Anwar ha ragione. Ci troviamo in una posizione di apparente svantaggio che indurrà i nemici ad abbassare la guardia e a ritenerci già spacciati, permettendoci di conseguenza di studiarne l’assetto e organizzare un’adeguata strategia. »

« Ho già alcuni agenti impegnati a osservare le immagini che ci forniscono i satelliti. Presto faranno rapporto circa la disposizione e gli armamenti dei soldati di Thanos. » confermò Fury.

« Inoltre ho provveduto io stessa a inoltrare una richiesta d’intervento all’esercito degli Stati Uniti e mi auguro che un contingente armato sarà qui tra meno di un’ora. » interloquì Hill.

Il Dio del Tuono mirò cupamente i monitor che mostravano la struttura del quartier generale ormai stretta nella morsa di un compatto anello di truppe avversarie: « E se non avessimo un’intera ora a nostra disposizione? » mormorò, e in quel preciso momento una potente esplosione esterna fece tremare ogni cosa, costringendo molti degli astanti a ripararsi la testa con le braccia per il timore che cadesse loro qualcosa addosso. Thor e Tony abbracciarono d’istinto le rispettive compagne per proteggerle, il dottor Selvig imprecò, Banner strinse i pugni in uno spasmo di tensione e gli altri scattarono in posizioni di difesa; Erin sussultò e si morse un labbro, le dita serrate sulla custodia del flauto, e Loki le si avvicinò. Quel fin troppo celere assalto aveva colto di sorpresa anche lui, e questo non gli piaceva affatto: gli dava l’impressione di essersi lasciato sfuggire un dettaglio importante dei piani di Thanos, se non addirittura di non averli per niente compresi. Era come essere caduto in un sottile tranello proprio mentre era convinto di averne teso uno ai danni del titano.

In quella la porta si aprì con gran fracasso e un agente sulla trentina entrò di corsa nella stanza, senza fiato: « Direttore, siamo sotto attacco! » annunciò; « Hanno agito con tale rapidità che noi... »

« Lo sospettavo, agente Gregg. » lo interruppe freddamente Nick Fury: « Cerchiamo di recuperare in fretta il tempo perso finora. Quanti sono, all’incirca? Muovono soltanto da terra o hanno una sorta di contraerea? E da quel che ha potuto vedere il loro scopo è costringerci a uscire allo scoperto, agente, o piuttosto fare irruzione nella base? »

L’uomo tentò di mettersi sull’attenti: « Credo siano non meno di duemila soldati, signore, e hanno alcuni di quei velivoli di cui fecero uso a New York. Sembra che abbiano mandato avanti un primo plotone per debellare le nostre difese e conquistare almeno il nostro perimetro più esterno, signore, ma non ho potuto vedere granché. » rispose ansimando.

Seguì un gelido silenzio costellato di netti rumori provenienti da fuori – spari e nuove detonazioni e grida concitate e passi frenetici nei corridoi – e l’irlandese pensò “ci siamo” e provò una strana paura infiammata dall’eccitazione: quel giorno tutto sarebbe giunto a conclusione, e poco le importava di come ciò sarebbe avvenuto fintanto che non fosse finito definitivamente; aveva la mente lucida e vigile e il sangue le ruggiva nelle vene.

« Per adesso tali informazioni sono sufficienti. » sentenziò infine il capo in carica dello S.H.I.E.L.D.: « Hill e Gregg, voglio che tutti i nostri uomini si armino e si rechino alle postazioni di combattimento. Abbattete la minaccia aerea, per prima cosa, e mettete agenti di guardia sul tetto; la nostra priorità è quella di impedire che i nemici entrino qui, perciò assicuratevi che non vadano subito sprecate vite o munizioni. Dottoressa Foster e dottor Selvig, voglio che voi rimaniate in questa sala e che controlliate la situazione dall’interno insieme alla signorina Potts: sarete mediamente al sicuro per un po’ e ci riferirete le eventuali novità che giungeranno dalle città americane e dal resto del mondo. Se Thanos ci ha attaccati direttamente e con un simile dispiegamento di forze immagino che i suoi stiano sferrando ovunque il colpo finale dell’assedio, ed è nostro dovere tenerci informati. » disse col suo miglior tono pragmatico indicando uno ad uno gli interpellati. I due agenti se ne andarono immediatamente a eseguire gli ordini ricevuti e Jane, Erik e Pepper si precipitarono a tre diversi computer; poi Fury fronteggiò la sua straordinaria mezza dozzina e il Duo degli Inganni, le gambe divaricate e ben piantate a terra:

« Signori, vi prego di andare a prepararvi per la battaglia. Vi aspetto in sala riunioni per fornirvi attrezzature di comunicazione e direttive. »

Tutti assentirono con un cenno e abbandonarono la stanza, i Vendicatori in una direzione e l’asgardiano e l’irlandese in quella opposta. Nick Fury li imitò subito dopo.

 

 

Non avendo armi né armature da recuperare altrove, Erin e Loki ebbero modo di osservare la situazione all’interno della base frattanto che si recavano al luogo convenuto. Gli uomini e le donne che lavoravano e combattevano per lo S.H.I.E.L.D. si muovevano rapidi e concentrati intorno a loro, urlandosi istruzioni e comandi e sfrecciando tra le pareti metalliche dei lunghi corridoi dell’edificio. Sembrava che nessuno skrull, kree o chitauro fosse ancora riuscito a eludere le difese esterne, e tuttavia il fragore degli scontri in atto si faceva sempre più vicino e i muri tremavano più frequentemente di prima. Il pensiero del dio era però concentrato sul senso di disagio che l’imprevista piega presa dai propri piani gli procurava: per quanto si rendesse conto alla perfezione del vantaggio che Thanos aveva su di lui, un punto del suo operato gli rimaneva oscuro e lo turbava, e soltanto vedere il folle titano coi propri occhi sul campo di battaglia avrebbe acquietato il suo animo e dissipato i suoi dubbi. Temeva che se da un lato lo stratagemma di riunirsi aveva funzionato, spingendo il figlio di Mentore ad attaccare come aveva immaginato, dall’altro era altrettanto probabile che questi lo avesse fatto per tenerli impegnati e distratti mentre si dedicava a qualcosa di diverso. C’era quel dettaglio che continuava a sfuggirgli, e il Dio degli Inganni detestava quella sensazione.

Si girò verso la flautista, convinto che gli avrebbe rivolto qualche domanda sull’argomento come suo solito. Erin però taceva e camminava al suo fianco con lo sguardo puntato innanzi a sé, il portamento regale: teneva la borsa dello strumento a tracolla e le spalle dritte, e sulle labbra aveva dipinta un’espressione severa. La morbidezza vulnerabile della notte appena trascorsa era scomparsa e lei appariva quasi distante, più dura – e se ciò fosse un bene o un male Loki non era in grado di giudicarlo.

A pochi metri dalla porta della sala riunioni si fermò all’improvviso e la afferrò per entrambi i polsi, facendola voltare così da trovarsi faccia a faccia con lei; non disse una parola e strinse delicatamente la presa, e la ragazza di Galway sentì del metallo tiepido e liscio sostituirsi via via alle dita del compagno sulla propria pelle, nascendo dal nulla: quando il calore scemò e l’asgardiano tolse le mani, Erin scoprì di avere un robusto bracciale d’argento lavorato su ciascun avambraccio che scintillava nella fredda luce dei neon.

« Un piccolo dono. » disse piano Loki; « Ti saranno utili in battaglia. »

« E spariranno magicamente una volta compiuto il loro scopo? » domandò l’irlandese. La voce le uscì aspra e non le piacque, e tuttavia non seppe controllarla. Non le piacque neppure la velata allusione a Loki medesimo e nemmeno quella seppe controllare.

« Non scompariranno affatto. Sono un mio dono per te. » egli ripetè, e anche nelle sue parole vi fu un sottinteso. Ma fu un sottinteso rassicurante ed Erin alzò il capo e lo guardò, e per un istante fu di nuovo morbida e vibrante come la sera prima, il viso acceso.

Poi scrollò le spalle e sogghignò, tornando la sfrontata donna d’Irlanda di sempre:

« Mi piacciono molto, s’intonano al flauto. Sei davvero il dio nordico dotato di maggior gusto che io conosca. » se ne uscì; « Ti ringrazio. » aggiunse.

Il Dio degli Inganni annuì e le dedicò un sorriso scaltro: « Onorato di averti soddisfatta, Erin Anwar. Ora andiamo a sentire cos’ha da dirci il nostro guercio direttore. »

Varcarono la soglia della stanza e trovarono l’uomo in questione ad attenderli, una valigetta metallica posata sul tavolo davanti a lui. I Vendicatori giunsero uno dopo l’altro nel giro di cinque minuti, e nel frattempo l’irlandese si premurò di estrarre il flauto dalla custodia e di montarlo; Loki decise invece che avrebbe sfoggiato armamenti e lancia solo all’ultimo momento, esattamente come Banner che si manteneva ancora in forma umana e per il quale l’idea di tramutarsi in Hulk all’interno della base non doveva essere troppo allettante.

Una volta che il gruppo fu nuovamente al completo e riunito, Nick Fury aprì la valigia mostrandone agli otto il contenuto: dentro vi erano oggetti neri e rotondi di assai ristrette dimensioni, simili a bottoni, uno per ciascuno dei presenti.

« Gradirei che ognuno di voi indossasse il proprio auricolare, signori. I membri del Progetto Avengers hanno già avuto modo di testarli durante gli scontri di New York, benché questi siano un prototipo più evoluto, ma ne illustrerò comunque in breve il funzionamento a beneficio esclusivo di coloro che non sono avvezzi a questo genere di attrezzatura. » li interpellò il direttore lanciando un’occhiata di sfida al Duo degli Inganni.

Erin sbuffò con una scrollata di spalle e il dio dai capelli neri ghignò soavemente, chinandosi sulla valigetta per prendere uno dei minuscoli apparecchi tra le dita:

« Credo di aver intuito come funzionano, direttore. Non sarò forse avvezzo alla vostra tecnologia, eppure sovente mi dimostro più intelligente di essa. » ribatté, e senza indugiare oltre sistemò l’auricolare nell’orecchio sinistro suscitando in Stark un cenno d’apprezzamento. Subito la musicista e gli altri lo imitarono e Fury chiuse la valigia, ordinando attraverso il proprio dispositivo che quelli della sua squadra venissero attivati.

Quindi si rivolse al Capitano a stelle e strisce: « Poco fa parlavi di strategie e vantaggi, Rogers. Come suggeriresti di agire? Stiamo contenendo la minaccia aerea ma rimaniamo scoperti sui lati dell’edificio, e finché non arriveranno i rinforzi militari dubito che i miei agenti, per quanto preparati e numerosi, possano bastare a bloccare i nemici. »

« Allora daremo loro manforte su ciascuno dei lati esterni. » affermò Steve, le mani guantate che carezzavano distrattamente la superficie lucente del suo scudo: « E ritengo che il modo migliore per farlo sarebbe attaccando dall’alto. Il tetto è ancora raggiungibile, signore? »

« Pensi davvero che attaccare dal tetto sia una buona idea? Ci vedranno appena ci metteremo piede e non ci permetteranno alcuna mossa a sorpresa. » s’intromise Barton.

Capitan America puntò un indice sul tavolo, come su un’immaginaria mappa:

« Sono impegnati a combattere e il loro obiettivo primario è penetrare in questa base. Qualcuno potrà notarci, senza dubbio, e noi dovremo muoverci il più rapidamente possibile. Il rischio maggiore che corriamo è quello che abbiano sentinelle lontane dal perimetro dello scontro e dunque con una visuale più ampia, e tuttavia anche in quel caso avremmo il tempo di portare a compimento l’azione. » rispose all’arciere; « Vi ripeto che a parer mio attaccarli dall’alto lanciandoci dal tetto è l’unica soluzione efficace che abbiamo adesso. Se avete altre proposte o se il direttore è contrario, ditemelo e non insisterò oltre. »

« Quando fai così sembri quasi vero, Stewie. » commentò Stark, beffardo, ma tosto si fece serio e incrociò le braccia corazzate: « E quando fai così, non posso che darti ragione. »

Nick Fury li fissò: « Non abbiamo molta scelta, Capitano, e io non ho niente in contrario. Andate sul tetto e fate quel che dovete fare. Io raggiungerò Hill e Gregg e dividerò con loro le ali dell’edificio da difendere. Ci terremo in contatto attraverso gli auricolari. » convenne.

« Non sono sicura di essere in grado di lanciarmi da un tetto e rimanere intera. » borbottò l’irlandese picchiettandosi una spalla con lo strumento con malcelato nervosismo.

« Ci sarò io. Non hai di che temere, donna d’Irlanda. » disse Loki, e lo disse a voce alta e tutti lo udirono e lo osservarono con una certa meraviglia, poiché il suo tono era caldo e così il suo sguardo, ed Erin lo ricambiò con un lieve, vibrante sorriso e a nessuno di coloro che li circondava sfuggì l’intensità che fluiva tra i due, sincera e disarmante.

Thor strinse il pugno intorno all’impugnatura del martello e i suoi occhi sfavillarono:

« Che motivo abbiamo per indugiare ancora? Andiamo! » esclamò con ardore.

 

 

Il miliardario nell’armatura rossa, il soldato leggendario, la coppia di provetti assassini, il dottore dalla forza sovrumana e il Dio del Tuono avanzarono ancora una volta uniti e sicuri, marciando per i corridoi a grandi passi decisi. Ma adesso a loro si accompagnavano il Dio degli Inganni e un’arrogante ragazza di Galway armata di un flauto magico, e gli agenti che ne incrociarono il cammino esultarono e si scoprirono più forti, poiché l’immagine fulgida di quegli otto straordinari esseri che assieme si recavano in battaglia era ciò di cui tutti avevano bisogno per riacquistare coraggio e fiducia.

Erin sentiva l’eco del battito del proprio cuore fin dentro le orecchie e pensò che quel suono rassomigliava al fragore dei tamburi di guerra, dandole il ritmo per avanzare.

Giunsero sotto la botola che conduceva al tetto e uno per uno s’inerpicarono su per la stretta scala – e uno ad uno guadagnarono la piatta sommità del quartier generale dello S.H.I.E.L.D., e quando furono tutti lassù l’irlandese rise perché avrebbe voluto avere con sé la macchina fotografica e il cavalletto per immortalare quell’incredibile istante: eccomi qua, si disse, in mezzo a dei ed eroi e in procinto di piombare su nemici provenienti da ignoti universi per prenderli a badilate nei denti. Rise ancora, e con la coda nell’occhio vide le corna arcuate e la lancia acuminata di Loki prendere forma nell’aria satura di rumori e Banner tramutarsi in un sol colpo nel verde Hulk, e con piglio feroce inforcò i propri Ray-Ban a specchio per schermare il chiarore del sole ormai alto e per sembrare uscita da un violento film poliziesco italiano degli anni Settanta. L’eccitazione aveva sostituito il timore, e il flauto era rovente tra le sue dita.

Fecero per avanzare verso il bordo del tetto, ma in quella l’asgardiano dai capelli neri si bloccò e impallidì appena, scrutando con espressione indecifrabile e terribile un punto indefinito del paesaggio brullo che avevano intorno. I Vendicatori ed Erin seguirono il suo sguardo e videro, tremolante nella calura del giorno che avanzava, una figura corpulenta e minacciosa che torreggiava sulla cima spoglia di un’altura poco distante dall’area dello scontro: portava un elmo e una corazza di metallo scuro, e rossastro era il suo volto ghignante.

Un brivido serpeggiò lungo la spina dorsale della musicista; Thor emise una sorta di rauco ringhio e Stark chiese, da dietro la maschera di Iron Man, se fosse “lui”.

Le sottili labbra di Loki s’incresparono lievemente all’insù:

« Sì, è lui. Quello è Thanos il Rosso. » egli confermò con voce strozzata.

Natasha si portò una mano all’orecchio destro e piegò la testa di lato:

« Signore, abbiamo individuato il comandante nemico. Si trova su una collina a sud e pare che stia soltanto osservando la situazione. Procediamo comunque come convenuto? » riferì.

Il responso di Fury fu udito da tutti, grazie agli auricolari: « Buono a sapersi, agente Romanoff. Del capo però ci occuperemo più tardi. Adesso vedete di sbrigarvi a fare fuori i suoi sottoposti, signori, prima che Thanos li avverta della vostra presenza sul tetto. »

« Potrebbe averlo già fatto. » interloquì seccamente il Dio degli Inganni.

« Una ragione in più per darvi una mossa. » concluse asciutto il direttore prima di troncare il contatto in una babele di spari e urla rabbiose.

La donna d’Irlanda mosse un passo in avanti e la luce del mattino s’infranse, abbagliante, sull’argento dei bracciali e dello strumento e sulle lenti degli occhiali da sole:

« Concordo. Diamogliene secche, a questi bastardi. » sentenziò.

Allora gli otto si disposero a ventaglio, il Duo al centro, e corsero ad armi spianate fino al limitare del tetto e con un grido unanime lo superarono d’un balzo e saltarono giù, Loki che con un braccio cingeva la vita di Erin per sorreggerla durante il volo.

Il sole colpì le loro sagome scattanti, delineandole con chiarezza contro il cielo terso, ed essi piombarono inesorabili sui nemici ignari che proprio lì sotto cercavano di irrompere nel perimetro della base. Li travolsero come furie e fu subito battaglia.

Nei ricordi e nei racconti dell’irlandese due sarebbero stati i dettagli fondamentali di quei minuti interminabili e feroci: il clangore assordante prodotto dal flauto e dai bracciali nel cozzare contro le picche e le armature dei soldati di Thanos e il sapore metallico del sangue in bocca quando venne colpita in faccia per la prima volta. Le membra e il viso le dolevano ma non vi badava, e tale era la sua concentrazione che nemmeno tentò di osservare le azioni degli altri, per spettacolari che fossero. Per un tempo impossibile da calcolare il mondo di Erin fu composto unicamente dalla violenza dello scontro, dallo schivare colpi e menarne di rimando, e nel frattempo intorno a lei lo scettro del Dio degli Inganni brillò della sua luce azzurra, e Mjölnir calò inesorabile, e Iron Man volteggiò come una fiamma sgominando intere truppe di avversari con l’aiuto possente di Hulk, e né Hawkeye né la Vedova Nera né Capitan America mancarono un solo bersaglio, e tra i nemici s’insinuò il panico.

D’improvviso gli auricolari gracchiarono e una voce concitata disse:

« Direttore? Signori? C’è qualcosa che dovreste sapere. »

« Jane, sei tu? » chiamò Erin con affanno senza smettere di combattere.

Al capo opposto dell’apparecchio vi fu una breve interferenza, quindi l’astrofisica rispose:

« Abbiamo ricevuto notizie da tutto il mondo, e credo dobbiate sapere subito di cosa si tratta. Le città assediate non lo sono più da questa notte. »

La voce di Nick Fury s’intromise nella conversazione, altrettanto agitata:

« Questo cosa dovrebbe significare, dottoressa Foster? »

« I soldati di Thanos le hanno abbandonate prima dell’alba. E adesso, direttore, sono tutti qui, ogni singola truppa. » spiegò Selvig: « Si sono riuniti qui, solo e soltanto qui. »

Loki s’immobilizzò, colto da un presentimento, e mirando le alture gli parve di scorgere il titano rivolgergli un ironico inchino. Poi questi sogghignò apertamente e l’aria si colmò della sua tremenda e trionfante risata, e l’asgardiano capì quale errore aveva commesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Non sono ancora del tutto sicura che quella di prendere i nemici dall’alto, lanciandosi da un tetto piatto, sia una strategia militarmente valida, ma a livello estetico mi piaceva talmente tanto che mi son fatta prendere la mano. Pardon.

Il cognome dell’agente Gregg è un piccolo tributo a Clark Gregg, l’attore che interpreta Coulson; le citazioni di quella dannata nerd di Erin penso siano abbastanza cristalline, compresa quella dei Ray-Ban a specchio.

Ed ecco il Folle Titano che finalmente si mostra di persona…

Come avevo annunciato un paio di capitoli fa – e come s’intuisce dal titolo – qui come musica la fa da padrone Burn it to the ground dei Nickelback: è una delle canzoni più badass che io conosca e ormai tendo ad associarla automaticamente agli Avengers, da quando ho trovato su Youtube un paio di ottimi fan-video sul film basati su questo brano.

Posso lanciare la domanda di rito “secondo voi cosa succederà, adesso”?

E per la serie let’s do a head count, vorrei ringraziare i 27 che seguono la storia, i 5 che la preferiscono e i 3 che la ricordano, e naturalmente tutti coloro che leggono; e grazie ad Alkimia e Destiel Doped che si sono unite ai recensori :)

Ossequi asgardiani e alla prossima!

 

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Capitolo 14
*** 14. We will stand tall at skyfall ***


14

14.

We will stand tall at skyfall

 

 

 

 

 

 

« Avrei dovuto sospettarlo sin dal principio. » sibilò Loki tenendo gli occhi fissi sulla figura inquietante del folle titano e trafiggendo al contempo uno skrull con la lancia.

« Di che stai parlando, Camoscio d’Oro? » s’informò la voce di Stark attraverso gli auricolari.

« Non capite, sciocchi? Ero convinto di essere riuscito ad attirarlo qui a mio e vostro vantaggio, e invece nell’arco di una sola notte Thanos ha ritirato i propri squadroni d’assedio dalle città per concentrarli su questa base, come se non avesse aspettato altro. » proruppe il dio, e con lo sguardo cercò i suoi interlocutori tra il fumo e la frenesia dello scontro.

« E quale sarebbe dunque il suo piano? » chiese gridando Thor alle sue spalle.

Loki si girò verso il fratello, intercettando per un soffio l’affondo di un kree che lo avrebbe altrimenti colpito al collo e duplicando la propria immagine per un attimo così da distrarre l’avversario e passare oltre: « Bloccarci, annientarci, più probabilmente sviarci. Penso che voglia tenerci occupati mentre si dedica alla realizzazione di un diverso obiettivo. Eppure si trova ancora qui, su Midgard, e questo non ha senso. » rispose; pronunciò l’ultima frase quasi tra sé, sforzandosi di decifrare l’incognita che lo turbava da quella mattina. Era accaduto tutto troppo in fretta e Thanos tuttavia era lì e sembrava aver pianificato ogni cosa a prescindere dall’improvvisa alleanza tra il Dio degli Inganni e i Vendicatori, e non muoveva un dito.

« Perché, a parer tuo dove dovrebbe trovarsi, fratello? » incalzò il Dio del Tuono.

Steve Rogers raggiunse correndo gli asgardiani, deviando un raggio nemico con lo scudo, e affiancandosi a loro indicò la collina sulla cui cima il titano svettava:

« Ovunque debba andare e qualunque sia la sua strategia, dubito che il nostro ospite resterà con noi ancora per molto, signori. » esclamò, e i due videro un velivolo alieno planare rapido accanto a Thanos, un comandante chitauro a guidarlo. Il titano vi balzò sopra e il mezzo riprese velocità sfrecciando alto nel cielo, e nel passare sopra le teste dei combattenti il rampollo reietto di Mentore si premurò di dedicare un beffardo saluto ai due semidei.

Allora Loki ebbe tutto chiaro e urlò, furioso, sparando colpi in aria con lo scettro nel vano tentativo di fermare il rivale; Iron Man, intuendo che qualcosa non andava, provò a seguirlo in volo ma non riuscì a raggiungerlo in tempo, e il velivolo coi suoi due occupanti scomparve scintillando nell’atmosfera. Erin si fece largo tra avversari e alleati e si precipitò dal compagno, che terreo in viso fissava con occhi fiammeggianti l’abbacinante volta celeste:

« Non è un buon segno che Thanos abbia tagliato la corda, eh? » domandò l’irlandese col fiato corto. Aveva tagli ed ecchimosi sulle braccia e sangue secco all’angolo della bocca.

Il dio dai capelli neri guardò prima lei e poi Thor, quindi afferrò quest’ultimo per una spalla:

« Dobbiamo tornare ad Asgard. Subito. » disse.

L’altro aggrottò le sopracciglia: « Cosa c’entra Asgard, fratello? Non è forse Midgard a trovarsi in pericolo? O il figlio di Mentore mira ad avere anche il nostro reame? »

« Entrambe si trovano in pericolo ed entrambe proprio adesso. La mia stoltezza è stata quella di credere di avere tempo a sufficienza per impedire a Thanos di attaccare Asgard, sconfiggendolo qui, ed egli mi ha nuovamente ingannato. Questo assedio, l’intera invasione di Midgard altro non erano che uno specchietto per le allodole, un modo per tenerci lontani e impegnati mentre lui si organizzava per colpire la Dimora degli Dei. E adesso si è recato là per compiere il suo proposito, e noi dobbiamo fare ritorno per fermarlo. » fu la replica di Loki, e mentre parlava la sua mente lavorava frenetica: non poteva certo rivelare di aver sempre saputo quale fosse il vero proposito del titano, eppure aveva commesso un fatale errore di valutazione e aveva bisogno dell’aiuto del fratello per porvi rimedio.

Il biondo serrò la mascella: « Perché Asgard? Sfidare Odino è pura follia! »

In quella Erin si avventò contro uno skrull comparso d’improvviso dietro di loro, incrociando il flauto con la sua picca un istante prima che li colpisse a tradimento e respingendolo a fatica; il Dio degli Inganni si mosse d’impulso per darle manforte, vedendola esile e stanca e ferita, ma la donna d’Irlanda gli ruggì di non badare a lei e di finire il discorso, e prese a lottare come un’indemoniata contro l’avversario. Combattere sudata, dolorante e coperta di polvere la liberava da tristi pensieri di addio, e la sensazione era paradossalmente piacevole.

Loki la lasciò fare e tornò a rivolgersi a Thor:

« Non vuole sfidare Odino. Vuole il Tesseract, e credo che puntasse ad esso fin dall’inizio, sin da quando strinse il patto con me e mi mandò dai midgardiani per trafugarlo. A Dublino un guerriero kree mi disse che presto Thanos sarebbe divenuto invincibile e che avrebbe conquistato ogni cosa senza l’ausilio di soldati o armi. Solo ora mi rendo conto che si riferiva al Cubo e al suo potere, e sto pagando cara la mia ingenuità. » ammise, pur mantenendo intatta la menzogna raccontata ai Vendicatori. Spinto da un’inattesa ondata di sincera angoscia per le sorti del Valhalla strinse la presa sulla spalla del fratello e ripeté:

« Torniamo ad Asgard. Insieme potremo avere la meglio su di lui. »

Fare ritorno a casa in compagnia del Dio del Tuono gli avrebbe comunque permesso di riconquistare gloria e rispetto, convenne tra sé, e certo la presenza del primogenito avrebbe fatto sì che il Padre degli Dei spalancasse i cieli per loro senza indugiare – eppure genuina fu la sua gioia nel leggere commozione e orgoglio nelle iridi blu di Thor.

Questi sorrise e gli pose a sua volta una mano sulla spalla, scuotendola appena:

« E insieme la avremo, fratello, ma affido Asgard a te. Ho giurato di proteggere Midgard e ho intenzione di onorare la parola data, e rimarrò qui fintanto che ciò sarà necessario. »

Loki ritrasse il braccio, perplesso: « Non dirai sul serio. Preferiresti davvero e di nuovo questa terra mortale a quella che tu stesso chiami “casa” e che ami come tale? » chiese.

« Sia Asgard che Midgard hanno bisogno di un dio che le salvi. » rispose il biondo.

Il Dio degli Inganni rimase in silenzio. In mezzo al fragore della battaglia, al pulviscolo illuminato dal sole e alle roventi esplosioni, egli capì di aver ottenuto più di quel che aveva progettato di ottenere e di averlo ottenuto quasi senza mentire: sarebbe tornato ad Asgard da solo e con la possibilità di compiere atti eroici che mettessero in risalto le sue sempre ignorate qualità, e assieme aveva guadagnato la fiducia incondizionata del suo onesto e leale congiunto. Gli stava offrendo la Dimora degli Dei su un piatto d’argento, gli stava donando la gloria e un regno con ignara stima, e ciò lo rendeva felice per più di una ragione.

Così annuì e ricambiò il sorriso: « Copritemi le spalle. » disse semplicemente, e strappandosi l’auricolare dall’orecchio corse da Erin e la prese per la vita trascinandola via con sé, verso la corta scala metallica che da una delle pareti esterne della base riconduceva al tetto; la musicista ebbe cura di assestare un ultimo fendente allo skrull che aveva affrontato per proteggere i due asgardiani, e Thor avvertì Fury e il resto dei membri del Progetto Avengers del cambio di programma. Chissà che reazione avrebbe avuto il direttore nell’apprendere le novità, s’immaginò Loki con un ghigno intanto che s’inerpicava su per i gradini a pioli seguito dall’irlandese: di sicuro avrebbe pensato che stesse scappando per imbrogliarli o per togliersi d’impiccio, e assai poco gli importava. Fermare Thanos era la sua unica prorità.

« Cosa stiamo facendo? O cosa stai facendo tu, dovrei dire. » volle sapere Erin quando furono in cima. Le sembrava di non avere più respiro nei polmoni e non comprendeva per quale oscuro motivo il suo divino compagno la volesse al proprio fianco in quel momento – poiché era ovvio che stava per tornare a casa, e lei d’un tratto si accorse che avrebbe preferito trovarsi altrove piuttosto che assistere alla loro separazione.

Gettò lontano l’auricolare e col cuore in gola e le gambe indolenzite raggiunse il centro del tetto: il dio dall’elmo cornuto quivi se ne stava, il volto rivolto al cielo e la lancia e le gambe saldamente piantate sul cemento liscio della copertura dell’edificio. Teneva le braccia aperte e gridava parole nell’aria con espressione ardente, il chiarore del giorno che si rifletteva sull’oro della sua armatura in una miriade di scaglie abbaglianti, e appariva bellissimo e terribile come quella notte nella grande piazza di Stoccarda. Erin gli si avvicinò, grata di avere i Ray-Ban a specchio ancora inforcati sul naso a nasconderle gli occhi lucidi, e guardò a sua volta in alto:

« Stai aspettando un segno da parte di Odino? » lo interpellò.

« Aspetto che spalanchi i cieli tra i mondi per lasciarmi passare, e prego con tutto me stesso affinché mi dia ascolto. » ribatté Loki, la voce che sovrastava il fragore circostante.

« Ovvio che ti darà ascolto. Se non lo facesse sarebbe veramente un idiota, con rispetto parlando. » ghignò lei ostentando arroganza: « E so che arriverai lassù e che farai ciò che devi, e tutti ti acclameranno per le tue gesta. Credo di averti insegnato qualcosa su come farsi amare dalla gente, non è così? E ricorda sempre che quando vorrai nuovamente lanciarti alla conquista del mio stupido pianeta ti basterà fare un fischio e io ci sarò. »

Lui abbassò il capo per mirare il suo viso e con fermezza le tolse gli occhiali da sole:

« Erin... » mormorò nel notare le lacrime che quella straordinaria, folle mortale tratteneva fieramente. Cosa doveva fare ora con lei?, s’interrogò. Cosa voleva fare?

« Loki. » lo interruppe la ragazza di Galway sorridendo: « Sono felice di averti incontrato. Sono felice di aver vissuto, viaggiato e combattuto con te e di esserti stata vicina. Sei la cosa più assurda e meravigliosa che mi sia mai capitata. »

Con le dita gli sfiorò una guancia e gli si accostò, conscia del fatto che non avrebbe avuto un’altra occasione e parole più adatte di quelle per confessargli quel che provava:

« Forse sei la cosa migliore che mi sia mai capitata. » si corresse in un soffio, e l’asgardiano avvertì una piccola, tiepida fitta al petto e prese l’irlandese tra le braccia.

E mentre si baciavano con foga il cielo parve esplodere sopra di loro, e una cascata di luce iridiscente da esso si riversò e s’infranse sul tetto a pochi passi dai due, e per un istante tutti cessarono di combattere e fissarono stupiti quell’arcobaleno piovuto dal niente.

E si udì la voce possente di Thor esclamare: « Il Bifröst! Il Bifröst è aperto! », e il Dio degli Inganni separò a malincuore le proprie labbra da quelle della donna d’Irlanda e voltandosi vide che suo fratello aveva ragione, e il sangue gli rombò trionfante nelle vene; ed Erin non credette ai propri occhi, perché quello era il ponte tra i mondi di cui Jane le aveva narrato.

E Loki comprese ancora una volta di non avere alcuna intenzione di privarsi della sua midgardiana compagna, e dacché il Bifröst era tornato a funzionare decise che c’era una sola cosa da fare: « Vieni con me, Erin Anwar. » le disse, solenne.

La flautista scosse il capo con una risata incredula e indietreggiò di un passo: « Mi prendi in giro? Se salgo su quella specie di ascensore cosmico ci saranno atomi della sottoscritta sparpagliati per tutti i Nove Regni. Non sono immortale, cazzo, e lo sai bene. »

« Il Bifröst fu creato per consentire scambi e contatti tra i reami, in special modo tra Asgard e Midgard. » replicò il dio; « Nessuno ha mai detto che fosse utilizzabile soltanto da un lato e soltanto dagli Æsir, e che io sappia nessun mortale ha mai tentato l’impresa. »

« E dovrei essere io la prima a rimetterci le penne? » fece presente lei in tono strozzato.

Che il suo ingannatore divino le stesse chiedendo di seguirlo ad Asgard andava oltre le sue speranze più ardite e la voglia di accettare era enorme, ma al contempo aveva paura delle conseguenze. In fondo era una semplice umana, per quanto le costasse ammetterlo.

« Non ritieni che valga la pena provare? Nulla di male ti accadrà, finché ci sarò io. » incalzò Loki tornando a cingerle i fianchi col braccio libero dallo scettro.

« Come fai a esserne certo? »

Lui la guardò negli occhi: « Non lo sono. Ma dimmi, Erin Anwar, tu mi ami? »

L’irlandese annaspò, gli zigomi in fiamme: « Cos... che c’entra questo col resto? »

« Tu mi ami, Erin di Galway? » ripeté l’asgardiano, ed era serio.

Lei sentì il volto aprirlesi in un sorriso e il cuore farlesi finalmente leggero, e scacciando ogni dubbio nel vento e nel bagliore creati dal Ponte Arcobaleno rispose senza indugio:

« Sì che ti amo, maledizione. »

Loki sorrise di rimando: « Allora continua a fidarti di me. »

Erin gli si strinse contro, la lancia e il flauto che brillavano al sole, e così uniti saltarono nel cerchio formato dal Bifröst e assieme ad esso scomparvero in uno spasmo luminoso.

 

 

Vorticare in quella luce iridescente non rassomigliò a niente che la musicista di Galway avesse sperimentato sino a quel momento. Il corpo sembrava non appartenerle più e la mente, per quanto si mantenesse attenta, era come preda di un’ebbrezza feroce e quasi alcolica. La sola cosa tangibile in quei lunghi istanti – o minuti, o giorni, o addirittura ere intere – fu il Dio degli Inganni che fermamente la sorreggeva, come d’altronde mai aveva cessato di fare.

Salirono verso il cielo a tutta velocità, o forse viaggiarono in una direzione che non aveva nome nelle lingue conosciute da Erin, e quando l’arcobaleno che li avvolgeva sbiadì fu chiaro che erano giunti a destinazione: sotto i loro piedi si stendeva una strana superficie nera e lucida, simile all’ossidiana, che rifletteva le loro immagini barcollanti, e sopra le loro teste campeggiava una bassa cupola decorata con grandi ruote d’oro intrecciate.

« Somewhere over the Rainbow. » mormorò l’irlandese scostandosi appena dal compagno e strizzando le palpebre; aveva lo stomaco annodato e la vista annebbiata.

« Sii il bentornato, principe. » disse poi una voce profonda e vibrante.

Gli occhi ancora affaticati di Erin si posarono sulla figura di un uomo alto, possente e ricoperto da una lucente armatura che immobile li osservava dall’alto con strane iridi ambrate; si ergeva ben saldo sul piedistallo che campeggiava al centro dell’ambiente circolare in cui si trovavano e teneva tra le mani una grande spada, la punta rivolta verso il basso.

Loki avanzò di un passo: « Felice di ritrovarti, Heimdall, ora più che mai. » lo salutò.

L’altro dovette cogliere l’assenza d’ironia nelle parole del dio, poiché chinò il capo con una certa deferenza e rispose: « Lo stesso vale per me nei tuoi confronti, principe. Che anche la dama midgardiana sia la benvenuta, naturalmente. Mi auguro che sia in buona salute. »

« Lo sono, grazie mille. » grugnì l’interpellata azzardando una goffa riverenza. Stava cercando di metabolizzare il fatto di essere a tutti gli effetti finita nel Valhalla.

Heimdall annuì e scese rapido dal basamento, affiancandosi a Loki:

« La situazione è alquanto grave, principe. Da alcune ore forze ostili cingono Asgard d’assedio e hanno ormai raggiunto le porte del palazzo reale. L’arrivo del figlio di Mentore ha dato una svolta per noi negativa all’assalto. Ha condotto lui medesimo l’attacco contro la reggia e temo per la sorte di coloro che incroceranno il suo cammino. Cosa va cercando? » gli chiese.

« Ho ragione di supporre che voglia il Cubo Cosmico. La prospettiva è disastrosa e proprio per evitarla sono tornato. Ma dimmi, Heimdall, » replicò il Dio degli Inganni guardandolo di sottecchi, « come può il Bifröst essere nuovamente integro e funzionante? »

Il guardiano del Ponte gettò un’occhiata nervosa verso quella che doveva essere l’entrata della cupola d’oro, e nel breve silenzio che seguì Erin colse rumori di battaglia non troppo distanti e uno scalpiccìo concitato oltre la soglia; « Il Padre degli Dei è riuscito a ricrearne un tratto ampio abbastanza da permettere contatti diretti con Midgard, subito prima che giungessero i nemici. » rispose quindi Heimdall: « Probabilmente immaginava che a te o a Thor sarebbero presto serviti aiuti, principe, e lui da solo non avrebbe potuto provvedervi. Adesso un drappello di soldati difende l’Osservatorio per evitare che gl’invasori se ne servano per richiamare le truppe lasciate su Midgard e di cui i vostri alleati umani si stanno occupando. »

Loki sogghignò appena, compiaciuto che l’altro non si fosse riferito a Odino come “suo padre” né a Thor come “suo fratello”. Tosto però la sua espressione tornò grave e le sue dita si strinsero attorno allo scettro sino a sbiancargli le nocche:

« Dunque Thanos è già dentro il palazzo. » constatò con sguardo fosco.

« Suppongo di sì, principe, e i suoi stanno seminando distruzione e morte sulle belle terrazze di Asgard come non accadeva da tempo immemore. » annuì il gigantesco custode.

Il dio dall’elmo cornuto si voltò a cercare gli occhi accesi e vigili dell’irlandese in un tacito scambio, e lei fece un cenno d’assenso per fargli capire che era pronta ad agire. Senza aggiungere una parola i due superarono il piedistallo aureo e Heimdall e corsero all’ingresso, e ciò che videro una volta usciti dall’Osservatorio mozzò loro il fiato nei polmoni: il cielo sopra la Dimora degli Dei era adombrato dai velivoli e dalle navi da guerra di skrull, kree e chitauri e vomitava fuoco e soldati; dalla città si udivano suoni divenuti ormai terribilmente familiari perfino per la ragazza di Galway – urla e sibili di lame e forti esplosioni – e il piano iridato del Bifröst era teatro di scontri tra invasori e guerrieri asgardiani da lì ai cancelli della reggia.

Ma Erin notò anche la maestosità di ciò che le si dispiegava dinanzi, seppur distorta dal conflitto, e per un istante un’eccitazione incredula ebbe di nuovo la meglio sulla tensione.

Gli armigeri a cavallo che presidiavano l’ultimo tratto del Ponte Arcobaleno si bloccarono alla comparsa di Loki e dell’irlandese, e non sapendo come comportarsi nei confronti del principe esiliato non fecero in tempo neppure a mettersi sull’attenti, indugiando con sguardi dubbiosi e inquieti. Egli però non vi badò e afferrò le briglie del destriero che gli era più vicino:

« Ho bisogno di una cavalcatura per raggiungere il palazzo. » annunciò perentorio.

L’uomo sulla sella smontò in fretta e d’istinto s’inchinò per lasciar passare il dio mentre questi si issava sull’animale e aiutava Erin a fare altrettanto di modo che gli si sedesse davanti.

« Difendete l’Osservatorio a costo della vostra vita. » disse ancora Loki, quindi fece schioccare le redini e lanciò il cavallo al galoppo verso le alte torri d’oro del palazzo reale, da cui si levavano sporadiche ma alte colonne di fumo scuro. La sua mente era avvolta da un bizzarro senso d’allerta e d’ignoto che non gli piaceva affatto, come se Thanos continuasse a trovarsi in vantaggio senza che lui riuscisse a capire in che modo; e se da una parte era convinto di essere giunto in tempo e di avere il controllo, dall’altra sentiva che era tutto inutile. Le sole cose certe in quel momento erano il peso rassicurante dello scettro nella sua mano destra e il calore della schiena della donna d’Irlanda premuta contro il suo petto.

Lei strizzava le palpebre per riparare i propri occhi brucianti dall’aria che smuovevano cavalcando, le dita saldamente ancorate ai finimenti della bestia, e più la mole della reggia si faceva vicina e i combattimenti lungo il Bifröst serrati, più una stilla gelida di paura la pungolava alla base della schiena e le spingeva lo stomaco in gola. Poi un soldato dall’armatura aurea cadde morto dinanzi a loro, costringendo il Dio degli Inganni ad un brusco scarto: l’irlandese si rese conto con sciocca sorpresa che persino coloro che abitavano il Valhalla potevano perdere la vita, nonostante gli umani li considerassero dèi, e a tal pensiero la lama d’angoscia si fece più acuta e il cuore le mancò di un paio di battiti.

Il grande spiazzo di marmo chiaro che si apriva all’ingresso della dimora di Odino era gremito di duellanti, un’irta foresta di spade e picche che Loki traversò senza rallentare e travolgendo alcuni nemici; qualcuno gridò “il principe è tornato!” ed egli riconobbe fugacemente la figura di Sif in quella babele di corpi agitati. Erin colpì due o tre kree col flauto, nella corsa, e il cavallo li portò oltre i cancelli principali fino al primo cortile interno del palazzo: le bianche pietre liscie del selciato erano macchiate di sangue e su di esse giacevano molti caduti e armi spezzate, e tuttavia gli scontri interni sembravano essersi spostati ai piani superiori.

Loki fermò il destriero e rapido ne scese, subito imitato dalla compagna:

« Tu resta qui, mentre io vado a cercare Thanos. » le ordinò; « Lanciati in battaglia solo se necessario e aspettami, o quantomeno aspetta di capire cosa mi sarà accaduto. »

La musicista ignorò di proposito le infauste ipotesi che quella frase recava tra le righe:

« Allora mi nascondo e basta come una donzella qualsiasi? » domandò con sussiego.

« Fa’ quel che ritieni più saggio, Erin Anwar, ma non farti né catturare né uccidere. » rispose il dio. Sogghignava, eppure il suo sguardo era grave.

L’irlandese protese il viso verso quello di lui con espressione altrettanto seria:

« E tu fai secco quello stronzo. » si raccomandò, dura, sfiorandogli le labbra con le proprie.

Di rimando l’asgardiano la baciò, e per una manciata di attimi rimasero l’una nelle braccia dell’altro. Quindi si separarono senza pronunciare ulteriori parole, Loki si diresse all’imponente porticato che coronava il patio e nella sua penombra scomparve, lasciando Erin ad agitarsi nervosamente sul posto con adrenalinica indecisione.

Il Dio degli Inganni risalì molte rampe di scale e superò in fretta balconi, corridoi e sale che ben conosceva, scivolando sui lucidi pavimenti ora insozzati dalla guerra; s’imbatté in alcuni nemici e li uccise continuando ad avanzare, e al contempo studiò con attenzione tutto quel che gli accadeva intorno: udiva rumori di battaglia sopra la sua testa, e il palazzo fino a lì era pressoché deserto – non v’erano vivi, né tra gli asgardiani né tra gli invasori, e non v’era traccia del folle titano. D’un tratto ogni cosa fu come percorsa da uno spasmo della durata di un istante, una vibrazione appena distinguibile che parve alterare brevemente lo spazio e la percezione che Loki aveva di esso. Tuttavia non se ne curò troppo e giunse nell’immenso salone delle cerimonie con il pensiero concentrato soltanto sulla vittoria che giocando bene le proprie carte avrebbe conquistato. Le uniche luci che brillavano nei pressi del trono vuoto di Odino erano quelle dei bracieri che non giacevano riversi a terra, e in quell’oscurità il dio distinse, al centro del camminamento d’onore, due imponenti sagome perfettamente immobili: la prima era distesa e all’apparenza esanime, la seconda le si ergeva di fronte a gambe divaricate, avvolta in un ampio mantello, e dava le spalle a Loki.

Questi si arrestò a poca distanza da essa e abbassò il bastone con una corta risata:

« Dunque in un modo o nell’altro mi sono affrettato inutilmente a tornare qui. » azzardò.

La figura in piedi si voltò lentamente, un lieve bagliore freddo e azzurro crebbe nell’aria e Thanos il Rosso rise a sua volta, il Tesseract ben saldo tra le sue enormi dita:

« Ti sei sempre affrettato inutilmente, asgardiano, e oggi più che mai. » lo schernì con terribile soddisfazione e con ghigno ferale, e il Dio degli Inganni realizzò in un lampo che il corpo inanimato sul pavimento doveva appartenere al Padre degli Dei.

Ma prima che potesse controllare, prima che potesse anche solo immaginare una mossa astuta da mettere in pratica, il titano rise di nuovo e allungò una mano, e un’ondata di caldo accecante scaturita dal suo palmo aperto travolse Loki in pieno.

Il colpo lo scagliò lontano con violenza ed egli non vide più niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Banner creato da Blue_Moon in onore della storia

(leggete la sua Crepe, ultima parte della trilogia Similitudini – merita davvero!)

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Chiedo venia per il ritardo; tra prove, concerti, feste e università son di rado a casa tranquilla.

Sarei curiosissima di sapere se vi aspettavate il risvolto asgardiano ;) anche se con Thanos e Tessie in ballo penso fosse quasi scontato, per quanto speri di no. In ogni caso ci siamo, e sapetelo: con me o benebene o malemale, il finale. In origine la storia finiva più o meno qui, senza altri colpi di scena, ma il mio consorte mi ha suggerito una virata di trama moooolto più interessante che io ho rielaborato. Non vi dirò qual era l’idea originale, poiché credo che la presente sia assai migliore :D

AVVISO: il prossimo capitolo sarà lunghissimo, circa dieci pagine word. Non potevo spezzarlo e vedrete perché.

Già che ho messo il bel banner creato da Blue, vi lascio il link al tumblr che ho aperto apposta come portfolio per tutte le grafiche e i disegni che faccio sulla Majestic: the majestic tale. Ho scelto Emma Watson per rappresentare Erin perché è il volto cinematografico che più si avvicina, esteticamente ed espressivamente, all’idea che ho della mia irlandese.

Il titolo del capitolo è preso da Skyfall di Adele, che è anche uno dei brani portanti di questo e del prossimo atto; l’altro, che calza a pennello soprattutto con la scena sul tetto, è Everybody is on the run di Noel Gallagher & His High Flying Birds.

E sì, io e gli sceneggiatori di The Dark World siamo telespastici, visto che a quanto pare il Bifröst è davvero tornato a funzionare e che è possibile portarsi la ragazza su ad Asgard ;D

Siete saliti a 41, o voi che seguite, perciò grazie mille a tutti! Sotto con le ipotesi su quel che accadrà…

Ossequi asgardiani e alla prossima!

 

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Capitolo 15
*** 15. Dying is the day worth living for ***


15

15.

Dying is the day worth living for

 

 

 

 

 

 

Le pareti della cella andavano a stringersi man mano che salivano, fino a congiungersi nel loro punto più alto, e la nera roccia di cui erano fatte baluginava cupamente al lume dell’unica e debole fiaccola che rischiarava l’angusto ambiente.

Il Dio degli Inganni le percorse con lo sguardo per l’ennesima volta, infastidito dalla mancanza di vie di fuga da quel luogo che mal gli si addiceva: si trovava nelle segrete di quello che fino a tre giorni prima era stato il palazzo di Odino, rinchiuso tra gli impenetrabili strati di pietra e terra che si dipanavano nelle sue fondamenta e con la sola compagnia delle proprie tremende riflessioni. Avrebbe dovuto trovarsi nelle dorate sale che lo sovrastavano, adesso, acclamato e rispettato, ma Thanos il Rosso si era preso tutto ciò che aveva sperato e progettato di ottenere – Thanos che lo aveva battuto ancora, Thanos che aveva preso per sé entrambi i mondi che gli spettavano e che aveva ucciso coloro che lui soltanto avrebbe avuto il diritto di uccidere.

In verità non aveva visto niente coi propri occhi, dacché dopo il terribile colpo ricevuto si era ridestato nelle prigioni: era stato il titano in persona a riferirgli quell’infausto ammontare di notizie, godendo del suo livore e della sua inutile rabbia, descrivendogli la morte dei sovrani di Asgard e di decine tra dame, guerrieri e dignitari, e lo sbaragliamento del possente esercito del Valhalla e la conquista dell’Osservatorio che gli aveva permesso di riservare la medesima sorte ai Vendicatori e al Dio del Tuono. Così adesso Asgard e Midgard erano completamente soggiogati e suo il Tesseract, e il cosmo intero potenzialmente alla sua mercé.

Loki era l’ultimo rimasto capace di contrastare Thanos e dunque per ultimo questi lo avrebbe ammazzato, durante la cerimonia di trionfo che il figlio di Mentore si sarebbe concesso l’indomani per consacrare la propria indiscussa vittoria di fronte agli ormai inermi sudditi di Odino, gli stessi che assistendo alla morte del principe esiliato avrebbero provato compassione e tristezza, ritenendo troppo tardi preferibile la sua malignità al giogo del titano.

Il dio serrò i denti, furente, e nonostante il blocco magico che gravava sui sotterranei tentò di riflettere a mente lucida: era plausibile che Thanos gli stesse mentendo per confonderlo e piegare la sua volontà, e tuttavia non v’erano segni che indicassero che Thor e gli altri fossero ancora vivi o in grado di tirarlo fuori di lì; se fosse riuscito a liberarsi mentre lo trasferivano all’esterno per l’esecuzione avrebbe potuto appropriarsi del Cubo e scoprire come stavano invero le cose, magari addirittura ribaltandole a svantaggio del nemico, ma si rendeva conto alla perfezione che da solo e senza un valido aiuto sarebbe andato poco lontano.

I suoi pensieri si ancorarono d’improvviso sulla donna d’Irlanda, stringendogli la gola in una lieve morsa d’apprensione. Si domandò di nuovo se era riuscita a mettersi in salvo, se aveva trovato il modo di nascondersi o fuggire o se aveva piuttosto commesso una qualche idiozia impulsiva. Non tollerava l’idea che fosse perita ed era certo che Thanos non l’avesse mai menzionata, che nemmeno si rammentasse della sua esistenza, il che era positivo. Eppure, si disse subito dopo, quanto mai a lungo sarebbe sopravvissuta, umana e sola in un mondo sconosciuto e col proprio assediato e distante anni luce? Forse Erin Anwar non era straordinaria abbastanza, né lui pretendeva o si aspettava che lo fosse.

Poi immaginò un altro modo in cui i suoi sciocchi congiunti potevano aver perso la vita, e provando sconforto e invidia assieme capì cos’era la pena che il folle titano gli aveva promesso e infine inflitto: non dolore fisico o mentale, bensì lo sgomento e l’ira del vedersi sottrarre qualunque cosa, la gloria e la vendetta, il potere e la rivalsa, e finanche gli affetti e l’odio che per lui erano da sempre quasi indistinguibili. Gli aveva tolto persino l’opportunità di uccidere suo padre e suo fratello con le proprie mani, qualora il desiderio di farlo fosse divenuto impellente al punto di non potersi trattenere, e questo era l’affronto più grande.

In quella rumori confusi giunsero alle orecchie di Loki, grida soffocate e colpi metallici che sembravano provenire dai corridoi che serpeggiavano tra le celle, ed egli balzò in piedi con un accenno di sorriso sulle labbra secche. Il tumulto si avvicinò rapidamente alla porta di legno massiccio e ferro battuto che lo divideva dalle opportunità di rappresaglia che ancora aveva e il ghigno gli si allargò sul volto: gli era parso di riconoscere la voce di Sif, là fuori.

Ma quando il legno e il ferro si spaccarono, liberando la soglia, e le sagome della dama guerriera e di Hogun il Taciturno emersero dalla polvere provocata dall’impatto, lo stupore gli mozzò il respiro nei polmoni per un istante – poiché in mezzo a loro stava l’irlandese, scarmigliata e smagrita e non per questo priva della sua consueta arroganza, le iridi fiammeggianti. Brandiva fieramente il flauto e lo scettro che il dio credeva d’aver smarrito, e la sua espressione tradiva un sollievo troppo profondo per essere descritto a parole.

Tuttavia sorrise sfrontata e gli si avvicinò porgendogli la lancia:

« Ciao, dolcezza. » esordì in un’arguta e midgardiana citazione.

 

 

Erin fissò gravemente l’ombra del colonnato sotto il quale era scomparso Loki, stordita dal contrasto tra la quiete innaturale che regnava nel cortile e il clamore degli scontri che all’esterno del palazzo non accennavano a diminuire. Aveva un fastidioso bisogno di arrendersi alla tentazione di seguirlo dentro la reggia, ignorando la sua richiesta di tenersi al sicuro, e fu solo la paura informe che aveva del titano a far sì che rinunciasse all’idea.

Scelse quindi di spostarsi con cautela verso il campo di battaglia, dato che paradossalmente la prospettiva di starsene rannicchiata in un angolo a fantasticare sul come e il quando i nemici l’avrebbero scovata e catturata le risultava più insopportabile di qualunque altro rischio. Contrasse le dita, misteriosamente fredde, sul metallo del flauto, che tintinnò contro quello dei parabracci facendola sussultare: si disse che il suo divino compagno avrebbe portato a termine la sua missione in tutta fretta e che l’avrebbe presto recuperata, e poi si sarebbero goduti il trionfo che spettava loro sin dall’inizio; si trattava di resistere una manciata di minuti, una mezz’ora al massimo, e magari di guadagnarsi una parte di gloria personale battendosi come la Furia Irlandese che era in mezzo ad alieni e asgardiani.

Rincuorata appena da quel pensiero, Erin imprecò per darsi coraggio e corse verso i cancelli con un ruggito, lo strumento alzato sopra la testa e sfavillante come una fiamma bianca. Giunse alle spalle di un manipolo di kree, cogliendoli alla sprovvista, e si fece strada in quell’intrico di corpi e armi menando colpi a più non posso – tanto che in molti la notarono, tra i difensori, figura esile e chiara comparsa dal niente. Resistette più a lungo che potè, muovendosi quasi alla cieca, eppure lo scontro sembrava non evolvere in alcun modo e non era facile capire quale delle due fazioni avesse avuto la meglio sino ad allora, mentre il cielo andava oscurandosi progressivamente di crepuscolo e navi ostili.

D’improvviso una forte deflagrazione proveniente dal palazzo sovrastò ogni altro suono e tutti si bloccarono; Erin sollevò il capo di scatto verso le torri dorate ben sapendo che qualcosa, là dentro, era per forza accaduto, e fu certa che Loki si sarebbe mostrato a momenti.

Ma colui che avanzò ghignante e temibile fino al parapetto di una delle balconate d’onore non fu il Dio degli Inganni: fu invece Thanos il Rosso, l’armatura annerita da sangue altrui e il Tesseract che baluginava gelido tra le sue mani, e al vederlo i suoi soldati lanciarono un boato trionfante e gli asgardiani proruppero in grida sgomente e rabbiose, e nella testa della ragazza di Galway esplose una bolla di vuoto. Vacillò, e come attraverso una massa d’acqua udì il titano annunciare la propria vittoria e la caduta dei sovrani del Valhalla e intimare la resa dell’esercito avversario. I guerrieri fedeli al Padre degli Dei però urlarono in risposta e tentarono un ultimo e ormai vano contrattacco, e l’irlandese annaspò in cerca di una via d’uscita dalla calca; incespicò fortunosamente verso il cortile da cui era venuta e lo attraversò correndo, attonita e dolorante, e senza sapere cosa stesse facendo né dove stesse andando imboccò un cancello minore che si apriva sul lato opposto a quello dell’entrata principale.

Scese una scala, cadde e si rialzò, e continuando a correre si ritrovò nei giardini reali, desolati e con tracce di battaglia a rovinarne lo sfarzo e le mille fontane. Riusciva a pensare soltanto alle tremende parole di Thanos e al loro significato, e all’esplosione di poco prima: Loki era stato sconfitto e probabilmente ucciso, e lei era sola e inerme in un posto sconosciuto e ostile e in una situazione di merda da cui non sarebbe mai uscita indenne.

I suoi piedi incapparono in un ostacolo ed Erin rovinò a terra per la seconda volta:

« Vaffanculo! » sbraitò con voce rotta e con la faccia affondata nell’erba, gli occhi brucianti per la polvere e le lacrime trattenute. Non lo rivedrò più, si ripetè, non lo rivedrò davvero più.

Tastò il terreno per rimettersi in piedi e le sue dita toccarono qualcosa di freddo e liscio e di forma oblunga, e con notevole sorpresa riconobbe lo scettro del dio nella sua forma corta; doveva essere caduto da uno dei terrazzi, scagliato all’esterno dall’onda d’urto dello scoppio, e sebbene ciò confermasse la peggiore delle ipotesi ch’ella aveva preso in considerazione l’avere quell’oggetto tra le mani le diede coraggio. Si sarebbe nascosta, decise l’irlandese, e avrebbe atteso qualche giorno per scoprire cos’era successo realmente e se aveva o avevano qualche speranza di sottrarsi alla sorte che Thanos sembrava aver tracciato per loro – oppure sarebbe tornata sulla Terra, si disse, ma non senza aver prima fatto il possibile e finanche l’impossibile per ricongiungersi col suo divino compagno.

Con entrambe le armi in pugno si addentrò ulteriormente nel parco della reggia, i muscoli tesi per il timore d’incontrare squadroni di ricognizione o ulteriori schermaglie e riflettendo su dove potersi rifugiare: restare dentro il perimetro della dimora di Odino le avrebbe garantito maggiore vicinanza a Loki e contemporaneamente al nemico, ed era troppo rischioso.

Allora seguitò a camminare furtiva, tra alberi e prati e bacini d’acqua e cadaveri di soldati e cortigiani che giacevano grottescamente tra l’erba calpestata, e si trovò infine davanti ad un alto muro aureo e ad un portale secondario che si affacciava sulle guglie e cupole della città; un ponte sottile collegava le due parti, ed Erin concluse tra sé che mimetizzarsi tra la gente di Asgard le sarebbe tornato utile per più d’un motivo. Guardandosi attorno vide altri caduti, e vincendo la lieve repulsione che provava trafugò in fretta dai corpi esanimi un paio di manti, una cinta e un pugnale, il cuore pulsante in gola e la testa che le girava. Gettò un’ultima occhiata alla mole d’oro che la sovrastava e rapida corse via lungo il ponte, sagoma silenziosa e minuta sotto la cappa scura della notte in arrivo e dell’infausta guerra.

 

 

Trascorsero così due giorni, lenti ed estenuanti nella loro angoscia. La resa degli asgardiani fu invece celere e pressoché indolore, poiché l’apprendere l’uccisione dei sovrani e la disfatta dell’esercito tolse agli abitanti del Valhalla ogni intento di reagire.

Erin indossò uno dei mantelli presi nei giardini e nell’altro avvolse lo scettro per celarlo agli sguardi delle pattuglie del titano, mentre con la cintura si assicurò il flauto e lo stiletto alla vita. La gente dovette scambiarla per una guerriera o una dama in fuga e riuscì pertanto a procurarsi cibo e qualche aiuto senza dare nell’occhio; sembrava inoltre che nessun invasore badasse a lei o le desse la caccia come facevano con i soldati di Odino scampati al massacro, forse perché non sapevano della sua esistenza o non se ne curavano, dacché era umana. Non avevano tutti i torti, borbottava la musicista di Galway: era furiosa e spaventata e sapeva per certo che non avrebbe resistito a lungo mangiando e dormendo a malapena, senza lavarsi e coi nervi sempre in allerta. In quello stato non avrebbe nuociuto a nessuno.

Le voci che giravano per le strade e le isole della capitale erano vaghe e allarmanti. Si parlava della conquista dell’Osservatorio e di conseguenza di Midgard, della morte di Thor e di altri tra gli eroi terrestri e del trionfo che Thanos il Rosso stava organizzando per celebrare la propria schiacciante vittoria di fronte a coloro che aveva soggiogato. C’era chi diceva che il principe dall’elmo cornuto fosse perito come il resto della famiglia reale, chi era convinto che fosse alleato del titano e chi affermava che era tenuto prigioniero nelle fondamenta della reggia; qualcuno fece riferimento al Cubo ed Erin si chiese quali fossero gli effettivi poteri di esso, se non fosse la chiave per sbrogliare quella matassa da incubo in cui si trovava. Non dava eccessivo peso alle congetture degli asgardiani e desiderava fonti attendibili dalle quali apprendere la verità, e tremava per amici e parenti e per la propria casa, oltre che per Loki.

Vagò tra le vie e gli alti palazzi anneriti senza una meta precisa, aspettando di nuovo un segnale o un indizio che forse non avrebbe neppure riconosciuto, e al sorgere del sole del terzo dì si azzardò a spingersi su un’altura isolata per osservare meglio quello che la circondava: si acquattò presso un folto d’alberi, le orecchie pronte a cogliere suoni di cui preoccuparsi, e vide Asgard scintillare debolmente innanzi a sé, una distesa di edifici maestosi, acque e colline che si perdeva all’orizzonte sino a confondersi coi monti lontani nella caligine del mattino; qua e là si levavano ancora scie di fumo, sintomi di scontri notturni, e al centro di quel panorama si ergeva la massa dorata della reggia, austera e all’apparenza incrollabile. Il cuore dell’irlandese vibrò di eccitazione non richiesta di fronte allo spettacolo che le colmava gli occhi, così simile a ciò che da sempre si era immaginata leggendo le storie che amava, così solenne e antico e ignoto – e di colpo il cuore le piombò nello stomaco al pensiero del Dio degli Inganni di cui più niente sapeva e che troppo le mancava.

Alle sue spalle vi fu un un sommesso scricchiolìo che la fece sobbalzare, tesa come una corda del violino di Sylvia, e di scatto si voltò rimanendo accucciata a terra: qualcuno si era mosso tra la vegetazione a pochi passi da lei e ora tratteneva il respiro, celato dal verde e dall’ombra. Se si fosse trattato di uno scagnozzo di Thanos non si sarebbe certo premurato di tenderle un agguato prima di balzarle addosso per sgozzarla, ma la prudenza non era mai troppa ed Erin impugnò con entrambe le mani lo scettro di Loki senza sfilarlo dalla stoffa che l’avvolgeva.

Tornò quindi in posizione eretta e si addentrò nel boschetto seguendo l’eco dello scricchiolare di poco prima, e non appena avvertì frusciare le fronde dietro di sé piroettò rapida su un piede fendendo l’aria con l’arma infagottata; l’oggetto cozzò contro un ostacolo metallico e la flautista si ritrovò a fissare con stupore un paio di scure iridi fiammeggianti e il bellissimo viso di una donna in abiti da guerra che brandiva una corta spada. A lei si accompagnava un uomo dai tratti che su Midgard si sarebbero detti asiatici, ed erano entrambi impolverati e malmessi al pari di Erin. Quest’ultima rilassò i muscoli delle braccia:

« Asgardiani! » esclamò sollevata abbassando il bastone.

« Come te, suppongo. » ribatté la donna imitandola e studiandola con attenzione.

L’irlandese fece spallucce: « Non proprio, ma non ha importanza. »

« Sif, è lei, è la Dama del Flauto. » s’intromise l’altro guerriero: « È la donna mortale giunta con Loki durante la battaglia a palazzo, la fanciulla che viaggia con lui. »

Erin inarcò un sopracciglio, divertita da quella lista di epiteti altisonanti, e colei che rispondeva al nome di Sif parve gradire la notizia tanto da abbozzare un sorriso:

« Allora è il fato che ha voluto che finalmente t’incontrassimo. » decretò.

« O più semplicemente il fatto che ci stiamo tutti e tre nascondendo come fottuti topi. » disse la musicista con sprezzante amarezza; « Comunque mi chiamo Erin Anwar. »

L’uomo chinò il capo in segno di rispetto: « Io sono Hogun e questa è Lady Sif, guerrieri della casa di Odino e amici d’infanzia dei suoi figli. Avevamo due fidati compagni, Fandral e Volstagg, ma abbiamo perduto ogni loro traccia dopo la disfatta dell’esercito. »

« Sì, Loki mi ha raccontato di voi. » borbottò Erin con una vena di sarcasmo.

« Siamo riusciti a fuggire prima di essere catturati e adesso siamo braccati come gli altri fuggiaschi scampati alla furia dei soldati del titano. Abbiamo tentato di restare in città per trovare compagni d’arme e punti deboli del nemico, ma ci hanno scoperti e da due giorni ce ne stiamo rifugiati qui inutilmente. » proseguì Sif. « A te cos’è accaduto, Erin Anwar? »

« Sono scappata attraverso i giardini della reggia, mi sono camuffata e ho vagato per le strade raccogliendo informazioni che non mi sono servite a niente. Credo che nessuno mi stia braccando e credo che a nessuno skrull importi di un’umana dispersa in un mondo di dèi. Sono salita quassù soltanto per dare un’occhiata in giro. » rispose lei. Il sole si stava facendo più alto nel cielo e i suoi raggi iniziavano a penetrare attraverso il fogliame.

« Sei una creatura valorosa, Dama del Flauto. » mormorò Hogun.

Erin lo guardò e gli sorrise: « Valorosa non saprei. Ma ditemi, cosa c’è di vero in ciò che si dice in giro? Ho udito versioni estremamente discordanti circa l’attuale stato delle cose. »

La guerriera rinfoderò la propria arma e prese a camminare sul posto, corrucciata:

« Il Padre degli Dei e la sua sposa sono morti per mano di Thanos medesimo, e Thor è caduto combattendo su Midgard. I nostri eserciti sono stati decimati e così quelli della tua gente, e Loki è stato rinchiuso nei sotterranei della reggia. Anche il Bifröst è stato conquistato. »

« Dunque Loki è vivo. » quasi gridò l’irlandese col battito cardiaco conficcato in gola.

« Non lo sarà ancora per molto, temo. » interloquì gravemente Hogun.

Erin lo ignorò: « Siete proprio certi che Odino, la regina, Thor e i Vendicatori siano morti? Avete forse visto i loro corpi? Non potrebbero essere stati imprigionati come Loki? »

« Non abbiamo visto alcun corpo, all’infuori di quelli dei nostri soldati. » rispose Sif; « Eppure, potrebbe essere altrimenti? Se fossero ancora vivi sarebbero ricomparsi per incitare gli animi e scacciare il nemico, e se fossero prigionieri perché Thanos avrebbe annunciato il solo supplizio di Loki per domani? No, Erin Anwar, sono periti e non v’è speme per noi. »

La musicista sussultò come se una frusta le avesse sferzato la schiena:

« Supplizio? Che supplizio? Sapevo del trionfo che quello stronzo si è organizzato, non di una qualche cazzo di esecuzione. » proruppe in tono strozzato, la fronte imperlata di sudore.

Sif parve esitare un istante, probabilmente disorientata dai turpiloqui della ragazza di Galway: « Thanos lo farà giustiziare sulla pubblica piazza durante la cerimonia di domani. Sarà la sua consacrazione, e sarà definitiva. Loki è l’unico che potrebbe ancora contrastarlo. » disse.

Gli occhi di Erin dardeggiarono inquieti nella penombra verde screziata d’oro in cui i tre erano immersi e per un po’ nessuno parlò. Non è ancora morto, ripetè tra sé l’irlandese per mantenersi calma, e non lo sarà fino a domani. Un giorno soltanto la divideva dall’inevitabile e un giorno soltanto le era concesso per renderlo vano, e il solo modo per farlo o quantomeno tentare era talmente folle da risultare allettante. Erin riprese perciò la parola:

« Bene. Dobbiamo liberarlo. » affermò con ovvietà.

« Vorresti irrompere tra le file di guardie armate mentre lo conducono al patibolo? » scattò Sif serrando i pugni: « Finiremmo in catene e moriremmo assieme a lui! »

L’altra piegò la testa di lato con un ghigno leggero: « Non nego che mi piacerebbe un sacco riuscire in un’impresa del genere, ma non era a questo che pensavo. Vorrei piuttosto organizzare un’evasione in grande stile prima che il sole sorga di nuovo. »

« Anche questo è troppo rischioso. » commentò lugubremente Hogun.

L’irlandese non seppe reprimere un moto di stizza e alzò la voce: « C’è qualcosa che non sia rischioso nella situazione di merda in cui siamo? Io non ho intenzione di lasciarlo morire e non me ne andrò senza di lui, dovessi infilarmi da sola in quelle prigioni. »

« Dunque tu lo ami. » constatò la guerriera, meravigliata e colpita dalla sua fierezza.

« Sì. Sì, è così. » rispose semplicemente Erin fissandola; « Però c’è dell’altro, perché come tu stessa hai detto Loki è l’unico rimasto in grado di contrastare Thanos e le sue macchinazioni. Sono convinta che il dannato Tesseract sia la chiave di tutto, e se Loki ci metterà le mani saprà cosa fare. Potrei provarci io se sapessi come utilizzare questa. », e nel dirlo liberò la punta dello scettro dalla stoffa del manto che lo celava. Il metallo e la bolla blu scintillarono freddi tra gli alberi e i due asgardiani trattennero il respiro:

« Loki ti ha affidato la sua arma? » si stupì Hogun, e al contempo Sif le chiese per quale motivo era tanto sicura che il bastone avrebbe funzionato contro il potere del Cubo.

« So che durante la battaglia di New York è stato lo scettro a provocare la chiusura del varco tra i mondi aperto dal Tesseract e attraverso cui le truppe di Thanos si riversavano sulla città. Se anche adesso il Cubo è in azione credo che la lancia potrebbe fermarlo di nuovo. » spiegò la flautista, tralasciando il dettaglio che non era stato il dio a compiere quell’eroico gesto; ignorava quanto e cosa i due sapessero circa le azioni di Loki su e contro Midgard, e non sarebbe stata lei a sollevare spinose questioni riguardanti i suoi trascorsi.

Sif si accigliò: « Il Cubo non può riportare in vita i morti. » disse.

« Forse no, eppure continuo a sospettare che resettarlo servirà a qualcosa. » concluse Erin; poi notò le espressioni scettiche che adombravano i lineamenti dei suoi interlocutori e ricoprendo la punta della lancia aggiunse: « Ascoltate, tra noi non c’è alcun tipo di legame e so bene che tra voi e Loki non corre esattamente buon sangue. Perciò se non ve la sentite di esporvi per lui, se avete un altro piano o se non ve ne importa nulla non mi metterò certo in ginocchio per implorarvi di aiutarmi. Ho una paura fottuta ma non mi tirerò indietro, quindi ditemi dov’è l’entrata dei sotterranei e per il resto mi arrangerò da sola, e buona fortuna a voi. »

« Ti prego di non offenderci, Dama del Flauto. » interloquì Hogun fermamente: « Sebbene Loki si sia macchiato di tremende colpe è pur sempre il fratello di Thor, un principe e figlio di re, e noi siamo leali alla casa del Padre degli Dei. Siamo guerrieri d’onore, e così come Loki è tornato per salvare Asgard noi ti appoggeremo per salvare lui. »

L’irlandese sorrise baldanzosa, contenta di averli convinti, e Sif annuì: « Dovremo però studiare un piano perfetto, dacché saremo in tre contro un intero esercito. » precisò.

« Se mi è permesso contraddirvi, nobili signori, saremo almeno in quattro. » fece una voce profonda e rassicurante alle loro spalle, e nel girarsi in fretta con le armi in pugno i tre si trovarono faccia a faccia con l’armatura aurea e gli occhi d’ambra di Heimdall.

 

 

Il Guardiano, che li aveva trovati dopo giorni di furtive e minuziose ricerche, riferì loro molte cose interessanti e terribili. Narrò la caduta dell’Osservatorio e di come fosse fuggito appena in tempo per non cadere a sua volta; descrisse gli orrori cui le sue iridi che tutto vedevano avevano assistito e il senso d’impotenza che lo aveva pervaso quando si era reso conto che nulla avrebbe potuto fare per evitarli.

Aveva scorto i corpi privi di vita dei sovrani e degli eroi, e tuttavia il modo in cui erano periti non gli era chiaro, non era riuscito a scorgerlo: sembrava che una sorta di velo impercettibile cingesse ogni cosa, disse, e neppure lui era in grado di oltrepassarlo.

Discussero poi della strategia da adottare per liberare Loki, e Heimdall rivelò di essere in contatto con un numeroso gruppo di soldati fuggiaschi che si nascondevano all’altro capo della città e che sarebbero stati utili per organizzare un diversivo che distraesse le guardie di Thanos. Sif, che lo ascoltava con grande attenzione, raccolse un ramo e tratteggiò rapidi segni su una porzione di terreno in cui non cresceva l’erba:

« Le segrete della reggia hanno due ingressi esterni, uno principale e uno secondario. Se tu e i tuoi uomini attaccherete il primo, Heimdall, dando l’impressione di voler penetrare nei sotterranei, i nemici ivi si concentreranno e si cureranno meno dell’entrata minore. » illustrò in tono esperto; « Io, Hogun ed Erin Anwar ci introdurremo all’interno da lì e voi li terrete impegnati quanto più potrete per darci il tempo di trovare il principe e farlo uscire. Una volta fuori ci ricongiungeremo e decideremo sul da farsi. Pensi che ti sarà possibile radunare i nostri compagni d’arme entro questa notte? »

Heimdall assentì: « Al tramonto saremo pronti a muoverci, Lady Sif. »

« Riuscirai però a convincerli a mettere a repentaglio le loro vite per preservare quella di Loki? Sai meglio di me come in molti ancora lo vedano, nel regno. » interloquì Hogun.

L’irlandese sentì il sangue ribollirle nelle vene e fece per contestare l’insinuazione del guerriero, per sensata che fosse, ma inaspettatamente il gigantesco custode la prevenne:

« Chi ancora ritiene Loki una minaccia è stolto o cieco, considerato ciò che ha fatto dopo e durante l’esilio, e chi non si fida di lui si fiderà comunque della mia parola e lealtà. »

I due asgardiani parvero soddisfatti di tale risposta ed Erin sogghignò tra sé con diversa ed egual soddisfazione. Vennero presi gli ultimi accordi e l’inizio della sortita venne fissato per il calar del sole; fino ad allora nessuno dei quattro avrebbe dovuto esporsi inutilmente.

« Siamo un po’ i partigiani di Asgard, noialtri. » se ne uscì la musicista con un certo orgoglio mentre prendevano congedo da Heimdall.

« Chi sono i partigiani, Erin Anwar? » questi le domandò.

« Persone comuni che agendo di nascosto e contrastando un esercito hanno contribuito a fermare una terribile guerra su Midgard, tempo fa. » disse lei spiccia.

« Un giorno dovrai narrarci le molte gesta del tuo popolo. » la pregò la guerriera.

Erin scrollò le spalle e sorrise: « Un giorno. » ripeté con una punta di maliconia nella voce.

Così si separarono, e le ore trascorsero lente verso la sera portando con sé un’ansia crescente. Sif e Hogun curarono le proprie armi e conversarono piano di cose che l’irlandese non riuscì a comprendere del tutto; lei dal canto suo fremette e scalpitò, come al solito divisa tra adrenalina e paura, e scambiò coi suoi improvvisati alleati poche, ulteriori parole.

Quando il cielo iniziò a tingersi di fuoco all’orizzonte e il sole si fece basso nella volta celeste, i tre abbandonarono cautamente il sicuro rifugio della vegetazione e scesero verso la città evitando le strade principali: le piazze centrali erano già state approntate per il trionfo dell’indomani e pullulavano di soldati del titano col preciso ordine di controllare che niente e nessuno sabotasse la cerimonia. Col favore del crepuscolo in arrivo e dell’ombra che i manti e i cappucci gettavano sui loro volti, e avvantaggiati dal fatto che la maggior parte delle guardie si concentrava nel centro della capitale e nei pressi del palazzo, la musicista e i due asgardiani riuscirono a passare inosservati e ad avvicinarsi alla reggia quanto bastava per scorgere entrambi gli ingressi alle prigioni, che si aprivano nel fianco dell’altura. Si acquattarono presso alcune macerie abbandonate vicino a uno dei ponti che conducevano al regio colle e quivi attesero l’arrivo di Heimdall e dei suoi uomini trattenendo il respiro: nessuno dei tre era sicuro che sarebbero arrivati, che il Guardiano li avesse convinti, e non lo furono finché le sagome possenti di un centinaio di guerrieri non comparvero sul ponte parallelo a quello che avevano di fronte. Volstagg e Fandral non erano tra loro, notò Hogun a denti stretti, ma erano tutti armati e agguerriti, e nella luce rossastra del tramonto l’alta figura di Heimdall levò in aria la propria picca e il suo grido d’attacco riecheggiò sulle acque placide di Asgard, e coloro che lo seguivano lo imitarono e il giorno morente vibrò delle loro voci possenti. Erin non seppe trattenere un sogghigno battagliero e i chitauri e i kree che presidiavano le porte dei sotterranei urlarono di rimando dando l’allerta.

Gli asgardiani si lanciarono verso l’entrata maggiore e le armature delle due fazioni cozzarono le une contro le altre con grande fragore; l’allarme si diffuse in fretta in tutti i livelli più bassi delle mura del palazzo e presto all’ingresso secondario rimasero soltanto tre chitauri.

« Uno per ciascuno di noi. Andiamo! » ruggì Sif sguainando la spada e alzando lo scudo.

L’irlandese strappò la stoffa che ricopriva lo scettro di Loki e sfilò il flauto dalla cintura, e Hogun fece roteare con gusto la propria mazza chiodata. In silenzio e piegati in avanti, protetti dalla balaustra del ponte, i tre ne raggiunsero l’estremità opposta: Erin avrebbe voluto agire per ultima osservando l’esempio dei suoi ben più esperti compagni, ma la dama guerriera fu categorica nell’affermare che muovendosi come un sol uomo i nemici non avrebbero potuto fermarli. Allora il trio balzò sulle sentinelle prendendole alle spalle e le colpì rapidamente e con successo – e nel vedere il proprio chitauro rovinare a terra in una pozza di sangue, trapassato dalla lama acuminata del bastone, Erin si rese vagamente conto di aver dato con certezza la morte a qualcuno per la prima volta in vita sua e di aver trovato quasi gradevole la sensazione dell’acciaio che squarciava la carne dell’avversario, e non se ne curò.

Sif tolse un pesante mazzo di chiavi dalla bandoliera di uno dei caduti, più per precauzione che per reale utilità, quindi Hogun spalancò il portone con un calcio ben assestato e i tre si lanciarono a rotta di collo giù per le scale che penetravano nei meandri delle segrete: percorsero corridoi alti e stretti scavati nella nuda roccia e ancora uccisero i nemici che tentarono di sbarrare loro la strada nel guizzante baluginare delle torce; avrebbero voluto liberare altri detenuti durante quella folle corsa, ma i minuti correvano più inesorabili di loro e non ci sarebbe voluto molto prima che i soldati di Thanos che contrastavano Heimdall e i suoi si accorgessero del diversivo. La ragazza di Galway aveva i polmoni in fiamme e lo stomaco stretto in una morsa alla prospettiva di poter finalmente rivedere il viso e gli occhi ardenti e il sorriso scaltro del Dio degli Inganni, e di udire la sua voce. Era un pensiero idiota e bello, e per non distrarsi si piantò una manata in testa come aveva fatto quella mattina di un distante e luminoso mese di maggio, quando si era incantata a guardarlo dormiente e sereno nella sua piccola camera degli ospiti. Le sembrava che fosse accaduto secoli addietro.

Capire in quale cella tenevano prigioniero il principe non fu difficile: era la più interna e la più sorvegliata, e raggiungerne la soglia richiese un serrato combattimento da cui nessuno dei tre uscì completamente indenne. Tuttavia ci riuscirono e abbatterono la porta mandandone in mille pezzi il legno massiccio e il ferro battuto, e una risata di sollievo solleticò la gola di Erin nel riconoscere la sagoma fiera di Loki oltre il pulviscolo. Godette della sua espressione di totale sorpresa e una sciocca citazione che lei sola avrebbe colto le salì alle labbra mentre gli sorrideva: « Ciao, dolcezza. » disse.

 

 

« Non possiamo tornare da dove siete venuti. » sentenziò il dio non appena furono usciti dalla stanza di pietra; « Gli scagnozzi di Thanos avranno capito il trucco e ci attenderanno al varco. Dobbiamo utilizzare i passaggi interni. »

« Entrare nella reggia adesso significherebbe consegnarci spontaneamente a lui! » proruppe Hogun sgranando gli occhi, e Sif assentì per dargli manforte.

Loki li fissò di sbieco: « Conosco i rischi cui andiamo incontro. Avete forse un piano migliore di questo per non farci catturare mandando in fumo l’impresa che avete compiuto? »

Era un velato complimento e un ringraziarli per ciò che avevano fatto per lui, o tale voleva suonare, e i due guerrieri ne furono colpiti e si arresero; Erin immaginò che vi fosse un qualche altro motivo per il quale il suo ritrovato compagno intendeva penetrare nel palazzo, ma nulla chiese e si limitò a indicare il corridoio da cui erano giunti e che ora riecheggiava di passi e tintinii metallici e versi rabbiosi che si avvicinavano a loro:

« Arrivano. » annunciò con voce gutturale.

Il Dio degli Inganni la prese per un braccio e imboccò un’apertura ad arco che si spalancava buia nella parete alla loro destra, e Sif e Hogun tennero loro dietro. Risalirono veloci verso la superficie seguendo erti cunicoli e rampe di scale che si facevano via via più larghe, uccidendo chi si frapponeva tra loro e la loro meta. La notte intanto calava su Asgard e gli invasori parevano preda di un’agitazione senza precedenti dovuta alle azioni combinate del trio e dell’impavida truppa capeggiata da Heimdall.

Poi i quattro fuggitivi sbucarono in un cortile interno ben più piccolo di quello in cui il principe e la flautista si erano separati il giorno della battaglia, e poiché al momento non v’erano presenze ostili si concessero una pausa e sedettero sul candido lastricato per calmare i propri respiri congestionati; il cielo era nero sopra di loro e cupo l’oro delle torri del palazzo.

« Dobbiamo andarcene da qui e ricongiungerci con Heimdall. » ansimò la guerriera.

« Per poi andare dove, di grazia? » se ne uscì Loki, tagliente.

Lei sembrò rifletterci su: « Ancora non so, ma dobbiamo lasciare la Dimora degli Dei. Potremmo provare a riconquistare l’Osservatorio e mantenere la posizione il tempo necessario per utilizzare il Bifröst. Oppure potresti guidarci attraverso quei passaggi oscuri tra i mondi che tu solo conosci, e aspettare lontano da qui che i tempi siano maturi per riprenderci il regno. »

« Non essere ridicola. » la freddò il dio: « Se anche fossimo in grado di scacciare i nemici dall’Osservatorio il prode Heimdall sarebbe costretto a sacrificarsi per permetterci di fuggire, e dubito che vogliate avere la sua vita sulla coscienza. Come se ciò non bastasse, il Ponte potrebbe condurci unicamente su Midgard, adesso, e poiché Midgard è bottino di Thanos al pari di Asgard la nostra condizione non cambierebbe molto. Potrei condurvi in un altro reame, questo è vero, eppure niente ci assicura che un dì potremo fare ritorno né che i tempi saranno mai maturi per liberare il Valhalla dal giogo del titano. Inoltre, » aggiunse guardando gravemente Erin, « un simile viaggio non equivale a percorrere il Bifröst, e dubito che la donna d’Irlanda sopravviverebbe ad esso. »

Aveva ragione, e cadde il silenzio. Distanti si udivano suoni di scontri, segno che il custode e i suoi uomini non erano ancora stati sconfitti, e infine Hogun mormorò:

« Cosa suggerisci di fare, dunque? »

« Thanos va affrontato qui e ora. Se il Cubo è la chiave di tutto so come annientarne il potere. Se così non fosse tenterò almeno di avere la mia vendetta. » rispose Loki.

« È quello che sostengo io da giorni. » puntualizzò l’irlandese compiaciuta.

« E se fallissi? Cosa mai ci accadrebbe? » tentennò la dama guerriera.

« E se invece vincessi? La mia famiglia è stata annientata, il mio regno è caduto e noi siamo braccati come bestie dai cacciatori. Comunque vadano le cose, io non ho niente da perdere. » egli ribattè con fermezza, e alzandosi in piedi attese di apprendere la loro decisione.

Senza esitare, Erin subito lo imitò e disse: « Nemmeno io ho più una casa sicura a cui tornare. E dato che l’unica cosa che temo di perdere sei tu ti seguirò fino alla fine. Ma questo credo tu lo sapessi già. » sorrise, e lui le sorrise di rimando dacché lo sapeva eccome.

Fu quindi il turno dei due guerrieri: « Siamo con te, principe. » asserì Hogun per entrambi.

« È il giorno della morte che dà alla vita il suo valore. » decretò la musicista in tono vibrante.

Voleva essere l’ennesimo riferimento colto che lei soltanto poteva apprezzare e fu invece inteso come un incitamento dal sapore epico che fece brillare gli occhi dei due asgardiani e che li convinse definitivamente a non abbandonare la causa del dio e della donna di Midgard.

Allora i quattro impugnarono di nuovo e più saldamente di prima le rispettive armi e scivolarono in un passaggio laterale che conduceva all’interno del palazzo, incuranti del trambusto che s’approssimava al cortile annunciando decine di guardie intente a cercarli.

Raggiunsero i piani centrali dell’immenso edificio senza che nessuno riuscisse a bloccare la loro avanzata, nonostante fossero in così pochi contro miriadi di nemici, ed entrarono nella sala del trono a grandi falcate risolute, marciando gli uni accanto alle altre con piglio feroce e intrepido: un sacro fuoco di rivalsa si era impadronito dei loro già forti animi, e gli skrull e i kree che sbarrarono loro la strada nel vasto salone lo percepirono ed esitarono, e furono i quattro ad attaccare per primi. Il clamore della battaglia saturò in fretta l’aria e tosto il gruppetto si ritrovò circondato su ogni lato:

« Loki, tu e la Dama del Flauto dovete andarvene! Io e Hogun vi apriremo un varco e rimarremo qui a contenere questi stolti esseri. » gridò Sif.

« Da soli non li conterrete a lungo, sciocca. » replicò il principe col fiato corto.

« Forse non siamo soli. Guardate! » esclamò Hogun puntando un dito verso l’ingresso della grande sala: un compatto drappello di soldati di Asgard, probabilmente inviato da Heimdall, vi aveva appena fatto irruzione e stava caricando una falange di avversari.

Il Dio degli Inganni non indugiò oltre. Con un cenno sussiegoso del capo congedò i due compagni d’arme, quindi moltiplicò il proprio sembiante per confondere i nemici e trascinando Erin con sé abbandonò il salone delle cerimonie; correndo e menando fendenti col flauto e lo scettro i due giunsero sino alle stanze del tesoro di Odino, le più elevate e protette, e sulla soglia dell’anticamera circolare che precedeva il locale in cui il Tesseract era custodito si fermarono e vi scrutarono dentro: sei sentinelle kree dalle grosse alabarde ne difendevano il perimetro, ma del folle titano non v’era traccia.

Loki sogghignò appena e il bastone svanì tra le sue dita mentre sibilava:

« Lo farò ricomparire al momento opportuno. Andiamo, Erin. »

La ragazza di Galway scosse però la testa scompigliata e si morse un labbro: « Temo che dovrò restare qui fuori. Ne stanno arrivando altri. » puntualizzò in un soffio, e dai corridoi circostanti si levarono suoni inequivocabili che confermarono le sue parole; « Vai a finire il lavoro. Io li tratterrò finché potrò o finché tu non sarai tornato. La porta dell’anticamera è alta e stretta ed è impossibile che passino in più di uno alla volta, perciò non dovrebbe essere troppo difficile tenerli impegnati. A patto che tu faccia alla svelta, s’intende. »

Era pallida ma risoluta, e lui le strinse una mano fissandola con malcelata apprensione:

« Sei una creatura incredibile, donna d’Irlanda. Non osare soccombere prima che io esca da lì. » le disse.

« Stai scherzando? Un’inutile morte da eroina sarebbe la cosa meno incredibile che potrebbe capitarmi a questo punto. » ridacchiò Erin per sdrammatizzare, e davvero lo pensava.

L’asgardiano sorrise e le diede un bacio veloce, lasciandola ad affrontare i nemici in arrivo, e penetrando nel vestibolo si scagliò contro le possenti sentinelle. Con incantesimi e illusioni e lame create dal nulla le abbatté una per una, e guadagnò l’ingresso della stanza che celava il Cubo e con foga ne spalancò i battenti, e lo vide: il Tesseract scintillava più che mai nella penombra e tingeva di gelido blu le pozze di buio create dalle rade torce fissate ai muri, e sembrava palpitare, immoto sul suo piedistallo, come una cosa vivente.

Loki avanzò, le dita contratte pronte a richiamare lo scettro, e quando fu vicino all’oggetto avvertì la scia di un movimento dietro di sé – e l’attimo successivo un dolore lancinante e freddo in pieno petto lo costrinse ad arrestarsi e ad inarcare la schiena con un sussulto: Thanos il Rosso torreggiava su di lui e lo aveva colpito alle spalle, trafiggendolo con una picca.

« Non sospettavi che io ti stessi aspettando, principe rinnegato? La tua spavalderia non conosce logica né limiti. » lo apostrofò con scherno il titano; « Tuttavia ammetto di averti sottovalutato. Ti consideravo debole e meschino, e guardati! Hai resistito alla vergogna della sconfitta, sei evaso e invece di scappare come l’animale braccato che sei hai deciso di sfidarmi un’ultima volta. Non lo ritenevo possibile, asgardiano, ma ti sei dimostrato un degno rivale. »

Con una torsione del polso spinse la punta acuminata della lancia ancor più in profondità e il Dio degli Inganni cadde in ginocchio, gli occhi febbrili puntati sul Cubo che aveva d’innanzi.

In lontananza egli udì l’irlandese urlare qualcosa e altre voci e rumori, e con la bocca impastata di sangue scoppiò in una rauca e breve risata:

« Ah, figlio di Mentore, mai finirò di stupirti! » lo rimbeccò trionfante, e prima che Thanos potesse impedirglielo lo scettro brillò nella sua mano destra e toccò il Cubo vibrando e lampeggiando. Uno spasmo parve nuovamente percorrere ogni cosa e per una frazione di secondo un’esplosione di luce azzurra li accecò infrangendosi sulle lisce pareti della camera.

Il titano emise un ruggito rabbioso, ma era troppo tardi. E come il bagliore si spense, riassorbito dal Tesseract ormai assopito, Loki rovinò a terra senza un lamento, con l’asta lugubremente conficcata nella schiena, le palpebre serrate e una lieve smorfia orgogliosa dipinta sul volto esangue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Io AMO questo capitolo in una maniera indegna, tanto che ogni volta che lo rileggo mi piglia il batticuore.

So che è anche indegnamente lungo, lo so, ma come vedete ha una struttura “circolare” e suddividerlo in due parti mi avrebbe costretta a cambiare diverse cose – e non avrebbe fatto lo stesso effetto, credo.

La chiusura è da cliffhanger definitivo, non ammazzatemi. Ve l’ho detto: o benebene o malemale, con me…

Il titolo è una frase topica pronunciata dal mitico Hector Barbossa nel terzo episodio di Pirati dei Caraibi, quando la Perla e l’Olandese si fronteggiano sull’orlo del maelstrom creato da Calypso. Adoro quel film e quella scena. Il “ciao, dolcezza” di Erin è invece lo slogan preferito di River Song, il personaggio che più mi piace in tutto Doctor Who.

Come musiche consiglio Skyfall, di nuovo, e Un monumento di Morricone (soprattutto da quando compare Heimdall a quando arrivano nelle prigioni a liberare Loki); ovviamente vanno benissimo anche i pezzi più epici e guerreschi della colonna sonora del Signore degli Anelli o di altri film del genere. Quando scrivo di Asgard e di grandi battaglie mi prende sempre la vena tolkieniana *^*

Ricordo il mio piccolo tumblr-portfolio dedicato alle grafiche & disegni ispirati alla storia: the majestic tale

E se non recensite adesso non so più da che parte battere i’ccapo, per dirla alla toscanaccia.

Ossequi asgardiani e alla prossima – per il penultimo capitolo! :)

 

 

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Capitolo 16
*** 16. Beloved freak, the world is at your feet ***


16

16.

Beloved freak, the world is at your feet

 

 

 

 

 

 

Thanos rimase immobile, fissando alternativamente il Cubo offuscato e il corpo inerte del principe asgardiano ai suoi piedi. Gli fu immediatamente chiaro che aveva commesso due colossali errori, da quando aveva messo le mani sul manufatto cosmico che tanto bramava: il primo era stato non uccidere subito Loki, il secondo lasciare che fossero i propri stupidi sottoposti a occuparsi delle ricerche dello scettro andato perduto – o forse la responsabilità era sua, poiché si era preoccupato soltanto dei soldati del Valhalla in fuga e non aveva considerato l’ipotesi che fosse stato un civile, o addirittura una dama, a rinvenire l’arma; in realtà non avendone notizia si era convinto che fosse andata distrutta nell’impatto, nella caduta, e difficilmente si sarebbe perdonato una simile leggerezza. Gli sovvenne ciò che i suoi soldati gli avevano riferito durante l’assedio di Midgard circa una giovane umana che si accompagnava al Dio degli Inganni e di cui non si era affatto curato, ritenendola troppo debole per affrontare un viaggio tra i mondi e troppo mortale per nuocergli in alcun modo. Adesso si rendeva invece conto che poteva esserci lei dietro all’evasione tempestiva dell’asgardiano e al fatto che questi brandiva di nuovo il bastone che lui stesso gli aveva donato, e con cieca ira per ciò che si era lasciato sfuggire serrò denti e pugni. Era stato vanesio e disattento, reso stolto dalla foga della vittoria e dal dolce pensiero delle vite che aveva e avrebbe offerto al bel sembiante di Morte che lo avrebbe per questo amato. Aveva concepito un piano perfetto e due insignificanti dettagli glielo avevano pressoché rovinato, e doveva porvi rimedio.

Respirando a fondo per placarsi si disse che dopotutto Loki era infine caduto e che gli sarebbe bastato riattivare il Tesseract per tornare ad avere il controllo su ogni cosa; voci tonanti e rumori di battaglia si approssimavano all’anticamera, notò, e doveva sbrigarsi.

Così allungò una mano verso il piedistallo, superando con cautela il dio esanime disteso innanzi a lui, ma prima che potesse toccare la superficie appena illuminata del Cubo la punta dorata di un altro scettro che ben conosceva gli trapassò il palmo strappandogli un sordo ringhio e una possente figura gli sbarrò la strada: il Padre degli Dei era comparso alla sua sinistra, pallido e fiero e temibile, Gungnir ben saldo tra le sue dita e l’occhio che sembrava saettare nella semioscurità come un presagio di tempesta.

« Tu. » lo apostrofò Thanos con feroce disprezzo.

« Io. E con me, figlio di Mentore, vengono molti altri. » rispose Odino.

E la luce crebbe nella stanza e molte nuove fiaccole si accesero, e sulla soglia spalancata si stagliarono le sagome di decine di guerrieri asgardiani accorsi sul posto, e grida e clangori li seguivano annunciando al cielo che ovunque si era tornati a combattere, poiché il velo che adombrava gli occhi e le menti degli Æsir – e finanche dei midgardiani – si era dissolto come nebbia al sole, e la paura e lo sconforto non attanagliavano più i loro cuori.

Il titano allora rise di sé stesso, riconoscendo il sapore inequivocabile della sconfitta, e il sovrano del Valhalla estrasse la lancia dei re dalla sua mano e gliela puntò alla gola e disse:

« Il tuo vile inganno dal Dio degli Inganni è stato annientato. Ora rinuncia al Cubo e arrenditi, Thanos, e avrai forse salva la vita. »

La risata dell’altro si fece più aspra e sfrontata: « Credi che la mia vita sia in tuo potere, o re? Lascio la vittoria al tuo freddo figlio, per questa volta, dacché se l’è meritata ed io in cambio gli ho inflitto ciò che gli avevo promesso, e perché so quando è il momento di abbandonare un campo divenuto ingestibile. Ma non rinuncerò al Tesseract e non mi arrenderò, e tieni bene a mente, Padre degli Dei, che un giorno ti pentirai di non avermi qui ucciso. » rispose.

Ridendo ancora si avvolse nel proprio mantello, giganteggiando per un istante sull’avversario, e con un guizzo la sua immagine svanì; Odino tentò un affondo e non colpì altro che aria, e le ultime parole del folle titano gli si piantarono in testa come un funesto stornello.

« Thanos ha scelto la fuga e il suo esercito è allo sbando. » esclamò tuttavia rivolgendosi ai soldati che avevano assistito alla scena e che attendevano ordini: « Andate e riconquistate quel che avevamo perduto, e non abbiate pietà di loro. »

Non levò però alto Gungnir, e mentre la maggior parte degli uomini sciamavano fuori dal vestibolo con rinnovato ardore egli s’inginocchiò accanto al corpo di Loki e posò lo scettro a terra: con delicatezza tolse la picca dalla schiena del figlio e piano lo mise supino, osservandone tristemente il volto cereo e l’armatura insanguinata. I guerrieri rimasti abbassarono le armi e alcuni di loro addirittura si scoprirono il capo dall’elmo in segno di rispetto, e Odino sfiorò la fronte del principe e fece per chinarsi su di lui.

« Ce l’abbiamo fatta, dolcezza, cazzo se ce l’abbiamo fatta! » esultò una voce squillante appena oltre la porta, e l’irlandese fece il suo impetuoso ingresso nella sala, il flauto e lo stiletto in pugno, esausta e ferita e con un gran sorriso ignaro a illuminarle lo sguardo.

Il sovrano la fissò e la chiamò gravemente per nome, intuendone l’identità, ed Erin sentì il sorriso morirle sulle labbra e un cupo rombo salirle alle orecchie, e vacillò lasciando cadere le armi: incespicando sulle gambe malferme si precipitò dal compagno silente e quasi gli si buttò addosso, e con gli occhi sbarrati e le dita tremanti prese a scuoterlo violentemente, incurante della presenza del Padre degli Dei e delle sue mani e parole che tentavano di calmarla.

« Non era questo il piano. Non doveva andare così, razza di stupido coglione! » ripetè la ragazza di Galway con voce stridente. Aveva la vista offuscata ed era madida di sudore.

« Non c’è niente che possiamo fare adesso, Erin d’Irlanda. » mormorò Odino con fermezza, o almeno questo le parve di udire nella bolgia di sensazioni che andava stordendola.

Il rombo nelle sue orecchie divenne un urlo indistinto e il buio calò intorno a lei e perse la percezione di ogni cosa: fu come cadere in un cupo sonno improvviso, e fu silenzio.

 

 

Ciò che Erin vide nel riaprire le palpebre la stupì e le piacque non poco.

Sopra di lei ondeggiavano lievi stoffe chiare e impalpabili, e più in su campeggiavano alti soffitti d’oro illuminati morbidamente dal sole. Allungando con cautela le braccia la musicista si accorse di essere distesa in un grande letto dalle soffici coltri e dai molti cuscini, e senza volerlo la sua mente illanguidita associò il tutto a una delle storie che tanto amava:

« Dove sono gli indolenti rami di betulla? » se ne uscì infatti scioccamente; sentirsi parlare dopo l’indefinito lasso di tempo che aveva trascorso nell’incoscienza le suonò strano.

« Avresti dunque gradito riposare all’aria aperta, Erin di Galway? » domandò con gentilezza qualcuno vicino al giaciglio, e l’irlandese si sollevò di scatto sui gomiti, completamente sveglia: colei che aveva appena parlato era una donna bella e dall’aspetto materno che sedeva al suo capezzale e che le stava sorridendo; « Mi rallegro nel notare che stai bene. Hai dormito per due interi dì, dalla notte della liberazione di Asgard. » questa soggiunse.

« Sono ancora ad Asgard. » constatò l’irlandese rizzando la schiena, e in quella il ricordo di ciò che era accaduto la travolse impietoso: la serrata lotta che aveva sostenuto contro gli skrull che tentavano di irrompere nell’anticamera circolare, il dolore fisico per i colpi ricevuti, l’aver esultato all’arrivo dei soldati di Odino, la certezza che l’incanto del Cubo era stato spezzato – e poi Loki, immobile e pallido e coperto di sangue sul pavimento lucido della stanza.

Un singhiozzo le spezzò il respiro nei polmoni e gli occhi le bruciarono di un urgente bisogno di piangere sino a consumare le lacrime che da giorni si teneva in corpo. Le ferite si erano rimarginate, i muscoli finalmente riposati, ed era pulita e profumata e indossava una fresca tunica di seta, ma lui era rimasto rigido e muto ed Erin non provò nemmeno per un attimo a illudersi che da un minuto all’altro il dio avrebbe fatto il suo ingresso nella bella stanza in cui lei si trovava. Era una consapevolezza così desolante da schiacciarle il petto come un macigno, e quando la donna seduta accanto al letto le toccò cortesemente un polso la flautista sussultò e scrollò la testa per concentrarsi su quel che le succedeva intorno.

« I guaritori e le mie ancelle si sono presi cura di te, giovane Erin. Ora che ti sei ridestata il peggio è passato, e tuttavia sarei più serena se il tuo ristoro e la tua convalescenza proseguissero per due ulteriori giornate. » disse la dama; « In tal modo ti rimetterai in forze in vista della cerimonia e di qualunque cammino deciderai poscia d’intraprendere. »

« Di quale cerimonia parlate, signora? Che accade là fuori? » indagò l’irlandese, confusa.

« Molte cose stanno tornando al proprio posto. L’esercito invasore è stato battuto e disperso e celeri aiuti sono stati inviati su Midgard per dare manforte a mio figlio, ai suoi compagni e alla tua valorosa gente. Il re mio sposo ha indetto una grande celebrazione pubblica per rendere omaggio a coloro che hanno liberato Asgard dal nemico e tu, Erin Anwar, sei tra questi. Forse non ti ringrazieremo mai abbastanza per ciò che hai fatto e per ciò cui hai contribuito. » fu la risposta, ed Erin intuì che la sua interlocutrice non si riferiva soltanto alla battaglia.

« Quindi voi siete la regina. » quasi esclamò; osservandola meglio scoprì che aveva le iridi arrossate di chi ha pianto e il viso stanco delle notti insonni, e credette di saperne il motivo.

Frigga le rivolse un sorriso stiracchiato: « Lo sono. Mando a chiamare i medici affinché controllino il tuo stato di salute. Entro il tramonto alcune dame del mio seguito verranno a prendere le misure per confezionare l’abito che indosserai alla cerimonia. » si congedò con garbo. Si alzò e fece per andare verso la porta, ma la musicista la fermò:

« Maestà, per caso ci sono state altre cerimonie mentre dormivo? » chiese nervosamente.

« Nessuna cerimonia ha ancora avuto luogo, Erin d’Irlanda. » replicò la sovrana, e nel tono di entrambe vi fu di nuovo un sottinteso che nessuna delle due volle affrontare.

La dea se ne andò e al suo posto entrarono cinque tra cerusici e guaritrici che con premura visitarono la giovane, applicarono unguenti sulle sue ferite e ne cambiarono i bendaggi; infine la fecero scendere dall’alcova ed Erin scoprì di essere in grado di stare in piedi senza appoggiarsi ad alcunché, nonostante si sentisse ancora debole. Le raccomandarono di non fare sforzi e di bere l’infuso che le avevano portato e garantirono che l’indomani avrebbe potuto finanche passeggiare un po’. Venne poi il turno delle ancelle annunciate dalla regina: l’irlandese s’informò circa la celebrazione tanto attesa, frattanto che le dame le misuravano il corpo con nastri simili ai terreni metri da sarta, ed esse risposero che si sarebbe svolta due giorni dopo e che l’intera popolazione di Asgard era stata invitata per omaggiare gli eroi. Nessuno accennò a Loki o alla sua sorte, né Erin osò chiedere niente; si convinse che non ci fosse niente di più da sapere oltre a quello che aveva visto coi propri occhi e che la cerimonia fosse stata organizzata soprattutto per dare l’estremo saluto al principe non più rinnegato e gloriosamente perito: se il suo intento era quello di farsi amare dalle folle asgardiane così come lei gli aveva insegnato tra gli umani, v’era riuscito fin troppo bene, pensò amaramente la ragazza di Galway.

Quando finalmente fu sola esalò un’imprecazione e si rimboccò le maniche della tunica uscendo di gran carriera sul balcone che ornava la sua stanza. Il sole s’avviava ormai all’orizzonte e tutto scintillava spudoratamente, e nei giardini rimessi a nuovo molti membri della corte camminavano, conversavano o si occupavano di altri urgenti affari. Erin si riempì i polmoni d’aria pulita e rovesciò il capo all’indietro fissando il cielo terso, le mani sulla balaustra cesellata della terrazza: era triste come mai lo era stata, di una tristezza vuota, disarmante e nebulosa, e tuttavia non riuscì a piangere – per quanto nessuno la osservasse, per quanto nessuno l’avrebbe giudicata male per questo, non fu capace di versare alcuna lacrima. E nonostante temesse per ciò che poteva essere accaduto ai suoi genitori, a Mus, a suo nonno, a Sylvia e a tutti gli altri, era solo il Dio degli Inganni a mancarle come il respiro.

Al crepuscolo le venne servito un pasto caldo che consumò distrattamente e non assaporandone l’effettiva bontà, quindi si avvolse in una sontuosa veste da camera bordata di pelliccia e si rannicchiò sul letto fissando il confortante bagliore dei bracieri e dei lumi accesi nella stanza e sotto il porticato attraverso le ciglia abbassate. Si concentrò su di esso finché ciò che vedeva non si annacquò e divenne indistinto, e senza accorgersene si addormentò.

 

 

Il mattino seguente Erin venne svegliata dai guaritori per rinnovate cure e la conferma che si era quasi completamente rimessa in sesto; le consegnarono anche un piccolo fagotto d’indumenti che l’irlandese riconobbe immediatamente: erano i vestiti e le calzature che aveva indossato durante la battaglia alla base dello S.H.I.E.L.D. e che l’avevano accompagnata in quei rocamboleschi giorni asgardiani. Erano stati rammendati, lavati e spazzolati e lei sostituì con soddisfazione la canotta bianca, i jeans e gli stivali di cuoio chiaro alla setosa veste da notte.

Fuori, per le vie e i ponti della città e nei corridoi e sale e parchi della reggia, c’era un gran fermento, dovuto ai preparativi per le celebrazioni e al ritorno di Thor da Midgard. Eppure la ragazza di Galway preferì non uscire ancora, se non sul balcone, e fu grata per la solitudine in cui medici e ancelle la mantennero in seguito a una sua velata richiesta.

Giunse così il meriggio, limpido e grondante di luce come il precedente, e mentre Erin se ne stava scompostamente appollaiata sul parapetto del loggiato esterno scrutando il panorama con espressione crucciata, due guardie bussarono discretamente alla porta e s’inchinarono:

« Dama Erin, il principe desidera vedervi. » annunciarono solenni.

La musicista fu attraversata da una scossa, tentò invano di ricomporsi e si affrettò a rientrare col cuore in subbuglio, e fu soltanto nello scorgere la corpulenta sagoma del Dio del Tuono sulla soglia che si rammentò che il principe in questione non poteva essere che lui.

« Oh. Sei tu. Ovvio che sei tu. » borbottò con un groppo in gola.

Per tutta risposta il biondo mandò via i soldati e si precipitò ad abbracciarla fraternamente; Erin rimase spiazzata da quella dimostrazione d’affetto, pur accettandone la ragione, e ricambiò con un paio di maldestri colpetti sulle ampie spalle del figlio di Odino.

« Mi riempie di gioia trovarti sana e salva, Erin. Ti porto buone nuove e oggetti per te importanti. » esordì Thor sciogliendo l’abbraccio e tenendole le mani: « I tuoi familiari sono sopravvissuti, e il direttore Fury mi manda a dirti che la tua casa e la tua vettura sono intatti. Ho recuperato i tuoi averi, una volta conclusosi il conflitto, e ho disposto che ti siano riconsegnati a breve. Il tuo flauto è stato affidato alle sapienti cure dei nostri armaioli. »

L’irlandese annuì: « Come stanno gli altri? » nicchiò.

« I Vendicatori miei compagni hanno condiviso con me il destino intessuto da Thanos per noi e con me sono risorti, perciò non temere per loro. E non temere per Jane, che non si è data per vinta pur disperandosi per me. Sif, Hogun e Heimdall sono vivi e come te riposano, e parlano del tuo grande coraggio. Volstagg e Fandral sono stati liberati dalle segrete insieme a molti altri e si lamentano per non aver partecipato alle vostre gesta. »

« Mi fa piacere. » disse lei ridendo piano, quindi si fece seria e attenta e chiese: « Cos’è successo esattamente col Cubo, con Thanos e con tutti voi dati per morti? »

Il dio le lasciò le mani e si accomodò su uno scranno imbottito presso le arcate che davano sulla terrazza: « So che avevi intuito che il Tesseract fosse la chiave della terribile situazione in cui ci siamo trovati, e non avevi torto. Quando Thanos è giunto qui a palazzo ha combattuto contro mio padre e si è impossessato del manufatto, e non appena lo ha toccato ha creato un abile incanto alterando la realtà. » raccontò; « Ad Asgard e su Midgard, entrambe sotto assedio, guerrieri e civili si sono convinti come un sol uomo che sovrani ed eroi fossero caduti e sono piombati nell’angoscia cessando di lottare. Noi stessi – io, mio padre, mia madre, i Vendicatori – siamo stati preda di una morte apparente e abbiamo come abbandonato i nostri corpi, e Thanos ci ha intrappolati in una dimensione senza nome tra i mondi ove tutto era buio e dubbio e non esistevano vie d’uscita. Un velo ci divideva da voi e non potevamo stracciarlo. »

« Heimdall ha fatto riferimento a un velo calato su ogni cosa, in effetti. Di certo anche lui aveva capito l’inghippo. » interloquì Erin.

Thor sorrise: « La vista di Heimdall di rado può essere ingannata. Per questo ha appoggiato il tuo piano senza esitare e ha rischiato volentieri la vita per permettervi di penetrare nelle prigioni e liberare mio fratello. Sapeva che restituendo lo scettro a Loki e aiutandolo ad arrivare al Cubo avremmo avuto una possibilità di vittoria, e così è stato. »

Il nome del Dio degli Inganni aleggiò nell’aria e colpì la flautista dritto al petto costringendola a distogliere lo sguardo per non scoppiare miseramente in lacrime; poggiò la fronte contro una colonna e nascose il viso tra i tendaggi che pigri fluttuavano nella brezza diurna, e senza voltarsi emise un bizzarro sbuffo diviso tra ironia e sconforto:

« Ci ha salvati a sue spese. Vi ha salvati. » asserì.

« Lo so. Lo sanno tutti, credimi. » garantì lui con voce gonfia di commozione.

L’irlandese lo osservò di sottecchi: « Che fine ha fatto quello stronzo di un titano? »

« Si è visto sconfitto ed è fuggito. Adesso si starà nascondendo in un angolo remoto del cosmo, magari implorando il perdono di Morte ed escogitando future diavolerie. »

« E a te non viene voglia di andarlo a cercare per dargli quello che si merita? » esclamò lei con rabbia improvvisa spalancando le braccia e voltandosi di scatto: « Io ne avrei, e tanta. »

Il biondo scosse la testa, gli occhi lucidi: « Lo farei, se potessi. Ma dubito che potrei mai sconfiggere il figlio di Mentore da solo, e d’altronde la vendetta a niente mi servirebbe. »

« Certe frasi retoriche vanno di moda pure tra gli dèi, vedo. » fu il caustico commento di Erin.

« Parlo sul serio. La vendetta non serve. » ripetè il Dio del Tuono con un sorriso incerto.

« Come no. » grugnì l’altra, eppure ebbe l’impressione che i sottintesi celati nelle parole di Thor e di Frigga prima di lui non corrispondessero a quelli che lei coglieva, e l’ombra di un buon presentimento le stuzzicò la mente e la riscaldò. Lo giudicò però troppo stupido e illusorio e si sforzò di accantonarlo, e mantenendosi mordace nei toni aggiunse:

« A proposito di cose inutili, Thor. È proprio necessario che io partecipi alla cerimonia di domani? Non ho più nulla che mi leghi ad Asgard e comincia a mancarmi casa mia. »

« Le genti del Valhalla aspettano di vedere da vicino la donna di Midgard che così tanto ha fatto per loro, guadagnandosi un posto tra le leggende e i paladini immortali, e vogliono renderle omaggio. Trattieniti ancora un giorno, e se dopo il trionfo sarai sempre dell’idea che per te non è più tempo di restare ci diremo addio. » rispose il figlio di Odino.

Erin inclinò il capo, pensosa: « Mi sembra un compromesso ragionevole. » mormorò.

« Ti ringrazio, Erin Anwar. Sei forte e straordinaria, hai l’animo di una regina e il cuore di un leone, » le disse il principe, « e per questo mio fratello ti ha scelta. »

« Mi aveva scelta. » lo corresse l’irlandese con una punta di stizza.

Ma Thor sorrise di nuovo, le diede un bacio tra i capelli e se ne andò, ed Erin rotolò sul letto a peso morto e quivi se ne stette fino a sera cercando di decifrare l’ondata di infondate sensazioni positive riguardo a Loki che la conversazione col biondo dio aveva suscitato in lei.

 

 

Cadde e trascorse la notte, strana e lenta, e l’irlandese si coricò molto tardi con un disco dei Beatles in cuffia: aveva ricevuto le due borse promesse e tutte le sue cose, e ascoltare musica per calmarsi era stato il suo primo e unico pensiero. Fece sogni agitati e incomprensibili che le lasciarono un senso di piacevole aspettativa addosso, acuito dagli interrogativi sul comportamento della famiglia reale e dal fatto che nessuno di coloro con cui aveva interagito appariva particolarmente in lutto; era come se tutti, lei compresa, stessero dando per scontato qualcosa di assai importante, e non capiva né cosa né come.

« Dacci un taglio, Anwar. » si rimbeccò nell’alzarsi: « O questi stanno cercando di tenermi nella bambagia per non farmi stare peggio, oppure sono una manica di stronzi ingrati. »

Entrambe le ipotesi le suonarono plausibili, per quanto deprimenti, ed erano comunque migliori dell’aggrapparsi a un miraggio improbabile con le unghie e con i denti.

Aveva giusto terminato di vestirsi quando una dama di compagnia della regina venne a chiamarla: l’abito cerimoniale era pronto, disse, e la attendevano per prepararla.

Erin le tenne dietro attraverso stanze e corridoi d’incomparabile splendore, incuriosita suo malgrado, fino in una saletta dalle alte finestre gremita di ancelle che al suo arrivo si profusero in garbati inchini. Le fecero togliere gli indumenti midgardiani e infilare una sorta di sottoveste di lino che le sfiorava le ginocchia, e sopra di essa misero altri strati di stoffe incantevoli al tatto di cui la musicista non riuscì a cogliere le forme, e al contempo le acconciarono le chiome e imbellettarono il volto usando soffici pennelli; qualcuno le sistemò sui polsi i parabracci che Loki aveva creato per lei, ora lucidati sino a farli risplendere, e una volta terminata la vestizione un alto dignitario entrò nel locale prostrandosi di fronte all’irlandese con deferenza e porgendole il flauto magico. Lei lo afferrò e sentì il proprio battito cardiaco accelerare fieramente, e strinse lo strumento con notevole orgoglio.

« Desiderate mirarvi, giovane signora? » le domandò un’ancella.

Due delle altre donne liberarono un grande specchio dalla tenda che lo ricopriva, ed Erin fissò la propria immagine riflessa e sorrise inebetita, senza fiato: indossava una corta tunica priva di maniche di broccato blu ricamato d’argento e un pastrano di morbida nappa del color della notte dal lungo strascico e dalle spalle decorate da leggere placche metalliche i cui motivi riprendevano quelli dei bracciali; la schiena e la coda della giacca erano impreziosite da un tripudio di minuscole scaglie argentee simili a una cascata di stelle, come se la Via Lattea l’avesse avvolta, e ai piedi portava un paio di stivali di pelle di camoscio azzurra come il cielo dal gambale alto e stretto. I capelli erano raccolti sulla nuca in molte trecce, le palpebre sapientemente bistrate e le guance appena rosee, e il flauto fiammeggiava come non mai.

Era bellissima e regale, ma ciò che più le saltò agli occhi fu la somiglianza di quegli abiti e quei colori con quelli che aveva sfoggiato alla serata di gala che si era tenuta nella Galleria Schäfer, a Stoccarda, la prima volta che la sua strada aveva incrociato il cammino del Dio degli Inganni – e per quanto fosse solo una coincidenza il sangue le ruggì nelle vene gridandole che doveva fidarsi dei suoi buoni presentimenti e che una coincidenza non era.

« È tempo di andare, dama Erin. » disse il dignitario che le aveva consegnato lo strumento, riportandola alla realtà, e con un gesto fluido la invitò a seguirlo.

Così si avviarono per altri corridoi ancora, scortati da una mezza dozzina di guardie, e man mano che procedevano il distante brusìo che udivano si faceva più chiaro e intenso e vi si distinguevano voci e squilli di tromba. Il passaggio si aprì su un colonnato ampissimo e soleggiato e l’irlandese, il cerimoniere e i soldati si arrestarono in cima alla gradinata che si affacciava sull’immenso salone riservato alle celebrazioni e ai riti ufficiali, e lei amò lo spettacolo che aveva davanti: una folla sconfinata riempiva l’ambiente, ondeggiando scalpitante ai due lati del camminamento d’onore che conduceva alla piattaforma del trono, e ogni singolo sguardo era puntato verso la scalinata, verso Thor, Sif, Hogun ed Heimdall che già si trovavano lì e che accolsero Erin con luminosi sorrisi.

Le chiarine suonarono e Odino annunciò il primo degli eroi, e uno ad uno gli improvvisati compagni d’arme della ragazza di Galway sfilarono tra la gente in festa, e il Dio del Tuono fu il quarto ed Erin si apprestò al proprio ingresso trionfale. Essere oggetto di quel genere di attenzione era ciò che aveva sempre sognato e le disegnò un lieve sogghigno compiaciuto sulle labbra, eppure non avrebbe voluto goderselo da sola, mai.

Ed ecco che i cortigiani e le dame che aveva d’intorno presero a mormorare qualcosa con malcelata eccitazione e indicarono un punto alle sue spalle, e lei istintivamente si girò a guardare per scoprire di chi o cosa si trattava. E nella luce che filtrava tra colonna e colonna si stagliò una figura slanciata e maestosa che camminando senza fretta le si fece incontro: indossava un elmo cornuto e abiti scuri e un’armatura leggera e un manto verde, e nella mano destra stringeva un’alabarda la cui punta elaborata brillava di vivido blu.

Nel petto di Erin un fuoco divampò, selvaggio e meraviglioso, colmandola da capo a piedi, e quando Loki le sorrise tutto acquistò un senso e i dubbi svanirono, e lei scoppiò dapprima a ridere, matta di felicità, e poi si sciolse finalmente in lacrime belle come una pioggia d’estate. Rise e pianse mentre lui annullava la distanza che li separava, quindi con dita frementi gli sfiorò gli zigomi, il naso e la bocca e seppe che era vivo e fatto di carne e non di sogno.

« Hai pianto per me, donna d’Irlanda? » la salutò il dio, ammiccante.

« Mi duole ammetterlo ma temo di sì. » rispose la musicista, soffocata dall’emozione, e Loki le cinse i fianchi e con estremo ardore la baciò.

E l’avere le sue labbra e la sua bocca sulle proprie, dopo un tempo che le era parso infinito, fu per l’irlandese qualcosa d’indescrivibile, fu una bomba di schegge ardenti che s’irradiarono fino alle sue più recondite terminazioni nervose; si strinse a lui e godette di ogni singola sensazione, di ogni minimo dettaglio, persino delle ovazioni che gli asgardiani più vicini a loro lanciarono nel vederli così avvinghiati e splendidi in quel bacio.

In quella le trombe squillarono e il Padre degli Dei parlò a gran voce, e i due si allontanarono l’uno dall’altra quel poco che bastava per volgersi verso il salone e il trono:

« E adesso, brave genti di Asgard la splendente, accogliete coloro senza i quali quest’oggi non potremmo essere qui. Accogliete Erin d’Irlanda, Dama del Flauto, la valorosa fanciulla di Midgard che per prima tra gli umani ha traversato il Ponte Arcobaleno e che ha spronato immortali guerrieri all’azione dimostrando una tempra degna di una dea, colei che a lungo ha viaggiato e lottato al fianco di mio figlio. E accogliete soprattutto quest’ultimo, poiché è a lui che dobbiamo ogni cosa. » Odino disse; « Loki, Dio degli Inganni e principe ritrovato, gloriosamente tornato dall’esilio con nobili propositi. Due volte abbiamo temuto di averlo perso quando perso non era, e due mondi lo hanno ritenuto una minaccia prima di essere da lui salvati a costo quasi della sua stessa vita. Ha spezzato il terribile incanto creato dal Cubo e ha sconfitto Thanos il Rosso, e per questo non gli saremo mai grati abbastanza. Accogliete dunque Erin Anwar e Loki figlio di Odino, genti di Asgard, e onorateli con grandi onori! »

La folla esplose in un boato gioioso e unanime, e l’asgardiano porse il braccio alla flautista e con lei discese solennemente i gradini sino al camminamento d’onore: avanzarono insieme tra le due ali festanti di sudditi, cortigiani, dame e soldati, lentamente, sorridendo compiaciuti, ed erano regali e fieri come due sovrani al proprio trionfo. E del loro trionfo si trattava, e se lo meritavano, ed era ciò a cui il Dio degli Inganni aveva puntato sin dal principio; il suo intento si era compiuto nonostante gli impensati ostacoli e la pura ammirazione degli abitanti del Valhalla era l’inebriante vendetta alla quale aveva mirato, egli constatò tra sé. E sebbene mille domande tempestassero la sua mente Erin decise che se ne sarebbe occupata più avanti, dopo essersi beata senza crucci e distrazioni del senso di potenza che quel camminare tra persone che la acclamavano le stava comunicando. Era una fiamma, e bruciava con orgoglio.

Giunsero alla piattaforma centrale del salone, di fronte al seggio aureo del re, e si fermarono ai piedi della scalinata: Odino, Frigga, Thor, Heimdall, Sif e Hogun li guardarono raggianti, e nel chiarore abbacinante che pioveva dalla gigantesca apertura rotonda che si apriva nel soffitto – e dalla quale centinaia di altre persone si affacciavano – l’irlandese sollevò il flauto sopra la testa e Loki fece altrettanto col proprio scettro, e i presenti ruggirono.

Non appena il ruggito si fu dissolto nell’aria i due s’inchinarono con velata ironia al Padre degli Dei e questi spalancò le braccia:

« Siamo noi che dovremmo inchinarci a voi. Non ci saranno parole adeguate per esprimere la gratitudine che vi portiamo, né lo stupore o il sollievo, né il rispetto che vi siete guadagnati. Ed io, figlio mio, temo che non riuscirò mai a saldare il debito che ho nei tuoi confronti o a farmi perdonare in maniera sufficiente, dopo ciò che hai fatto. »

Il Dio degli Inganni dovette reprimere un ghigno vittorioso, e tuttavia al contempo fu felice di sapere che Odino aspirava al suo perdono per le proprie passate colpe. Così il ghigno fu invece un contenuto sorriso ed egli scosse il capo con aria volutamente dimessa:

« Non credi che avermi evitato la morte sia sufficiente, padre? » gli chiese.

Il sovrano sembrò rifletterci su, quindi apostrofò Erin ponendole a sua volta una domanda:

« E tu, giovane dama d’Irlanda? Come posso ripagarti per le gesta che hai compiuto? C’è qualcosa che desideri e ch’io potrei offrirti? »

Lei inarcò le sopracciglia e tentennò sul posto, un po’ in imbarazzo e assai lusingata:

« Io non so ancora come sono andate esattamente le cose, ma il fatto che Loki sia vivo è per me la ricompensa migliore. » rispose, e la folla esalò un brusìo commosso; « Diciamo che la sola altra cosa che potrei volere è la possibilità di restare con lui. » aggiunse a precipizio fissando il compagno. Il cuore le rimbombava nelle orecchie e aveva le guance roventi.

« Forse ho un desiderio che potresti esaudire, Padre degli Dei. » interloquì lentamente il dio dall’elmo cornuto senza distogliere gli occhi da Erin: « Però non è il tuo consenso che per primo mi servirà perché il desìo che ho in animo si compia. »

E sotto gli sguardi di tutti, di Odino e di Frigga e di Thor che sorrideva trepidante e dell’intero popolo di Asgard, Loki si tolse l’elmo, fece svanire lo scettro e con calma s’inginocchiò davanti alla ragazza di Galway prendendole una mano. Erin soffocò un’esclamazione attonita e un turpiloquio di gioia, e con solennità estrema il Dio degli Inganni così parlò:

« Erin Anwar, il mio unico desìo sei tu. Accetterai dunque di divenire mia sposa? »

Un attimo di limpido silenzio coronò tali parole, e in quell’attimo l’irlandese si sentì come se l’universo le fosse imploso magnificamente nel cervello. Il cuore si sostituì al respiro e il mondo fu luce e fuoco, e lei boccheggiò ed emise una piccola risata incredula simile a un singhiozzo. Mai aveva osato immaginare ciò che il suo ingannatore divino le aveva appena detto, e tuttavia lui era lì e sorrideva con quelle sue verdi iridi ardenti e tutto era reale.

Allora la musicista gli sorrise di rimando e gli s’inginocchiò d’innanzi, e con voce decisa e vibrante pronunciò tre semplici, sfrontate sillabe: « Cazzo sì. »

« E che così sia. » affermò Odino con evidente emozione, e la folla lanciò un grido di gaudio che percorse l’immenso salone come un’onda, e tutti inneggiarono ancora a Erin e Loki.

E il Duo degli Inganni rimase in ginocchio ai piedi del trono come se nient’altro contasse all’infuori di loro, ridenti, gli occhi negli occhi e le dita intrecciate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

… AEHM. *corre a lanciarsi elegantemente dal Bifröst frignando di gioia e gridando GNAHRGH!*

Aggiorno con un po’ di ritardo nel glorioso giorno del Solstizio d’Estate per lanciarvi questa sottospecie di bomba atomica che è il penultimo capitolo della mia storia – il capitolo per il quale o m’inseguirete con un esercito di Estranei incazzati oppure mi adorerete come una Daenerys Targaryen de’ noartri. A mia “discolpa” vi dico che la mia intenzione è sempre stata quella di scrivere un’epica, maestosa favola (il titolo la dice lunga) e di rendere felice il mio asgardiano prediletto. E poi suvvia, non crederete davvero che il succitato asgardiano lo abbia fatto per puro et semplice ammmmòre

Il capitolo è stracolmo di citazioni e riferimenti tolkieniani, uno su tutti il parallelismo Erin-Èowyn in convalescenza che osservano dai balconi delle loro stanze la ritrovata pace della capitale dopo la vittoria; gli altri due sono il richiamo al risveglio di Samvise sotto gli indolenti rami di betulla presso il Campo di Cormallen e la frase di Odino “onorateli con grandi onori!”, citazione fedelissima. Per quanto riguarda il Tesseract, nei fumetti il suo principale potere è quello di alterare la realtà e la sua percezione secondo il volere di chi lo possiede e comanda, e qui è così che Thanos lo ha usato.

Il titolo è il verso portante del ritornello di Beloved freak dei Garbage (so here you stand, beloved freak / the world is at your feet). E per la colonna sonora, in sequenza, ecco i brani che vi consiglio per godere al meglio della lettura:

1. Love, love, love degli Of Monsters And Men (risveglio e convalescenza di Erin);

2. Shakespeare in love (tema principale) di Stephen Warbeck (vestizione e arrivo alla sala del trono)

3. PM’s theme (da Love Actually) di Craig Armstrong (Erin e Loki che finalmente si ritrovano)

4. Karelia Suite (I movimento) di Jean Sibelius (marcia trionfale del Duo degli Inganni)

5. Destiny in Space (tema principale) di Erbe & Solomon (dialogo con Odino e La Proposta)

Come sempre trovate le mie grafiche e i miei disegni a tema QUI – e a proposito, grazie mille a Dama Greenleaf che mi segue lì su Tumblr :) e GRAZIE a tutti voi che leggete, seguite e commentate, sperando di avervi fatto sognare un po’ ;)

Sono indietro con recensioni e letture, a proposito, perciò abbiate pazienza che prima o poi recupero.

Vi aspetto al prossimo e conclusivo capitolo. Ossequi asgardiani e buon Solstizio!

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Capitolo 17
*** 17. The wolf is getting married ***


17

17.

The wolf is getting married

 

 

 

 

 

 

Quella sera a corte si tenne un grandioso banchetto che completò degnamente le celebrazioni. Birra e vino scorsero a fiumi, e il cibo servito fu buono oltre ogni dire; nella grande sala dei ricevimenti cantori e musicanti si esibirono alla calda luce di torce e lampade a olio allietando gli animi, e dopo un paio di boccali Erin si unì a loro col suo flauto migliore. Suonarono e cantarono e tutti ne furono felici, e presto molti presero a danzare e battere le mani.

C’era molto per cui festeggiare, quel giorno, tra la liberazione del regno dai nemici invasori, il trionfo dedicato agli eroi e il fidanzamento del Dio degli Inganni con la ragazza di Galway, e sino a notte fonda difatti si festeggiò. Thor, Sif, Heimdall e Hogun ricevettero grandi e ammirate attenzioni da parte degli altri invitati, com’era giusto che fosse, ma niente in confronto a quelle che ricevette Loki: fu lui la stella, il sole attorno al quale tutto ruotò, e negli innumerevoli sguardi che scambiò con Erin lei lesse la più scaltra e pura delle soddisfazioni.

Quando infine ospiti e musicisti cominciarono ad abbandonare il salone e i lumi diminuirono, anche il principe e l’irlandese presero congedo facendo ritorno assieme all’ala riservata agli alloggi reali; tuttavia dovettero separarsi sulla soglia della camera del dio, poiché la tradizione non prevedeva che due promessi sposi dividessero il letto prima dei voti nuziali. Erin sbuffò apertamente nell’apprendere tale dettaglio dalle ancelle che li accompagnavano, e Loki le lanciò un sorriso d’intesa mentre scivolava oltre la porta.

La flautista si lasciò scortare dalle dame fino alle proprie stanze, le stesse in cui aveva trascorso i giorni di convalescenza e che si trovavano al capo opposto del corridoio su cui davano quelle del compagno – e mentalmente prese nota del tragitto, dal momento che non aveva alcuna intenzione di osservare le buone maniere dell’alta società del Valhalla, non dopo i sofferti e incredibili accadimenti di cui era stata protagonista. Aveva ancora mille domande da porre al Dio degli Inganni, e più che mai le sue labbra e i suoi lombi ardevano dalla voglia di perdersi il più a lungo possibile tra le braccia dell’asgardiano.

Le ancelle la aiutarono a sfilarsi gli abiti da cerimonia e finalmente se ne andarono, augurandole di trascorrere una buona notte, ed Erin sogghignò tra sé e trepidò al pensiero della notte che prometteva di essere. Allora si sciolse i capelli intrecciati e tolse la tunica di lino chiaro per indossare una delle maglie troppo ampie che usava per dormire, e ai piedi mise un paio di ballerine di morbido cuoio; quindi uscì di nuovo controllando che nessuno fosse nei paraggi per porle quesiti inopportuni e tornò indietro a passi felpati con un insistente sfarfallìo alla bocca dello stomaco, così piacevole rispetto alle fitte di paura e rabbia che aveva sperimentato sino a una manciata di ore prima. Camminando sempre più in fretta rifletté su tutte le volte in cui il suo ingannatore divino l’aveva colta completamente di sorpresa e pensò che cinque erano state tali occasioni: la prima era stata cadere dal cielo proprio mentre lei si trovava nei paraggi, dopo Stoccarda, la seconda rendere il suo flauto un’arma affinché potesse combattere assieme a lui invece di ucciderla o scacciarla; la terza pregarla di seguirlo nella Dimora degli Dei, la quarta essere vivo quando lei lo credeva morto.

E la quinta – la quinta – erano le parole che aveva pronunciato quel pomeriggio davanti agli immortali abitanti del Valhalla e al cospetto dei loro sovrani, le parole che mai Erin aveva immaginato di sentirsi rivolgere e di sicuro non dal Dio degli Inganni.

L’irlandese ridacchiò piano nel corridoio fortunatamente deserto e con un singulto si accorse di essere giunta a destinazione: allora picchiò tre colpetti sul legno intarsiato d’oro della porta degli alloggi di Loki e subito questi la aprì, accogliendola col solito sorriso astuto con cui si erano salutati. Sapeva perfettamente che non sarebbe rimasta nella propria camera e la stava ovviamente aspettando, finalmente spoglio dell’armatura e degli orpelli cerimoniali e avvolto in una semplice casacca da camera di squisita fattura.

« Non è buona creanza che una fanciulla faccia visita al proprio promesso sposo nel cuore della notte. Siamo un po’ all’antica, ad Asgard. » la apostrofò il dio, ammiccante, mentre si scostava per lasciarla entrare per poi chiudere a chiave l’uscio.

« Io non sono esattamente di qui. » replicò Erin con espressione deliziata.

« Per mia fortuna. » disse lui avvicinandolesi senza sfiorarla.

La musicista fremette di desiderio ma s’impose di dare la precedenza ai dubbi che le punzecchiavano la mente: « Spiegami immediatamente com’è possibile che tu sia vivo e vegeto. Ti ho visto morto in quella cazzo di stanza, ti ho chiamato e scrollato invano e nessuno mi ha riferito il contrario, da quando mi sono risvegliata. Ed ecco che oggi spunti fuori, in salute e fottutamente bello come sempre, e per poco non ci resto secca io. Cos’è successo, Loki? Eri morto davvero o non lo eri affatto? » se ne uscì infatti tutto d’un fiato.

« Tu hai chiesto mie notizie, in questi due dì? »

« Cos’avrei dovuto chiedere? Sei morto sotto i miei occhi, in pratica, e né tua madre né Thor sembravano sprizzare gioia nel parlarmi. Perché fare domande inutili? »

L’asgardiano scosse il capo: « Non sarebbero state inutili. Nessuno ti ha riferito alcunché di diverso da ciò che credevi di sapere perché non v’era niente di certo, non fino alle prime luci di quest’alba. » rispose; « Ero invero morto e tuttora lo sarei se non fosse stato per Odino. Mi ha riportato in vita, Erin, e un simile processo richiede tempo e silenzio. »

Lei inarcò le sopracciglia, interdetta: « Aspetta. Odino? Odino può... »

« Odino può ogni cosa. » terminò Loki al posto suo: « Illimitato è il suo potere e tutto può compiersi, se lui lo desidera. Così ha prima guarito il mio corpo e poi richiamato il mio spirito dal luogo ignoto in cui se n’era fuggito, utilizzando arti e parole arcane nella più remota e segreta tra le stanze di guarigione di questo palazzo, da solo. Il terzo giorno ha vegliato su di me in attesa ch’io riaprissi gli occhi e stamane mi sono infine alzato dal mio giaciglio. »

« Conosco un altro tizio divino che ci ha messo tre giorni per risogere. » commentò l’irlandese senza riuscire a trattenersi; « E il luogo in cui se n’era andato il tuo spirito, com’era? »

« Ha importanza? Sono qui, Erin, e credo che ciò sia sufficiente. » asserì il principe.

« “Sufficiente” è un termine riduttivo. » disse la flautista con voce arrochita, e di slancio si protese verso il compagno per baciarlo. Una seconda domanda premeva per essere posta, ma il languore che pervadeva il suo corpo si stava facendo assai più impellente.

Tuttavia il Dio degli Inganni intuì quell’interrogativo latente e con un ghigno divertito indietreggiò di un paio di passi in direzione dell’alcova, lasciando la ragazza di Galway a bocca asciutta: « Tutto qui? Non vi sono altri dubbi che vuoi ch’io dissipi? » la stuzzicò.

Erin emise un mugolìo frustrato: « Ce ne sarebbe uno solo, in realtà. » bofonchiò.

« Parla, dunque. Non abbiamo alcuna fretta. »

« Appunto, il dubbio può aspettare. Non scappa mica, dalla mia testa. »

« Non abbiamo alcuna fretta. » ripetè lui con una diversa sfumatura nel tono, e sempre muovendosi lentamente all’indietro evitò il letto e si appoggiò con la schiena a una parete.

L’irlandese arrossì, sbuffò, distolse lo sguardo, si grattò pensosamente il naso, dondolò sul posto e sbuffò di nuovo, quindi si arrese e gli si avvicinò con le mani sui fianchi:

« Perché mi hai chiesto di sposarti? » domandò. Aveva le guance tinte di porpora e le iridi che brillavano, e un lieve sorriso compiaciuto le piegava le labbra all’insù.

« E tu perché hai accettato? » ribatté ridendo il dio, intrigato.

« Non chiedermi cose di cui sai già la risposta, asgardiano. È imbarazzante. » lo rimbeccò Erin diventando paonazza fino alla punta delle orecchie.

« Se tu fossi me ed io fossi te, donna d’Irlanda, per quale motivo avresti chiesto la mia mano? Parla pure liberamente e ti dirò se il tuo pensiero combacia col mio. » suggerì Loki.

Lei trovò interessante quel ribaltamento di ruoli e prese a deambulare per la stanza gesticolando e provando a immedesimarsi in lui: « Innanzitutto uscirsene con una proposta del genere avendo come pubblico i propri sudditi adoranti è un ottimo modo per accrescere la propria riguadagnata popolarità, e del resto ti ho dimostrato ampiamente come conquistare i favori della gente. I due eroi del giorno coronano il loro amore dopo tante peripezie! Quale miglior lieto fine per mandare la folla in brodo di giuggiole? » cominciò, e poiché l’altro taceva e la fissava sorridendo proseguì nel suo monologo; « La seconda ragione per me sarebbe il matrimonio in sé. Quassù siete all’antica, mi hai detto, e sposarci risolve in partenza il problema della mia presenza e del rapporto che ho con te. Se fossi rimasta senza ufficializzare alcunché forse alla lunga qualcuno avrebbe storto il naso, visto che in fondo sono umana e deperibile e non molto aristocratica. Invece hai saggiamente approfittato dell’entusiasmo generale e nessuno ha avuto da obiettare, e dubito che più avanti qualcuno oserà contrastare l’unione tra il principe che ha salvato il culo a tutti e la sua valorosa sposa. Infine, credo tu l’abbia fatto pensando a Midgard. Insomma, non so che piani tu abbia al riguardo, però avere per moglie una mortale giustificherà ogni qualsivoglia viaggetto vorrai farti giù sulla Terra, a patto che tu ci vada sempre in mia compagnia. Diremo che ci rechiamo in visita dalla mia famiglia o dai miei amici o da Thor che sarà dalla sua astrofisica o che io devo starmene a Boston per un po’ causa lavoro, e magari tu nel frattempo ti dedicherai a organizzare la conquista del mio stupido pianeta o qualcosa del genere. Sarebbe geniale. »

Non appena Erin ebbe finito di esporre la propria visione circa le azioni del compagno questi assentì, il sorriso che s’allargava e l’espressione quasi raggiante:

« Nonostante ti conosca ormai alla perfezione, l’affinità tra il tuo intelletto e il mio mi colma sempre di stupore. Eppure, Erin, hai dimenticato il motivo più importante, o forse nemmeno lo hai contemplato. » disse il Dio degli Inganni scegliendo con cura le parole.

« Cosa? Quale motivo? » volle sapere la musicista, smettendo di passeggiare.

Loki si fece serio e andò verso di lei: « Te lo avrei chiesto comunque. Anche senza il popolo adorante e sottili strategie, io avrei ugualmente chiesto la tua mano. » rispose.

L’irlandese avvertì il proprio sangue ruggire di emozione e l’ennesima sciocca citazione salirle impunemente alle labbra: « Parli sul serio? Vorresti dunque che la gente di qui dicesse “Il principe Loki ha saputo domare una selvaggia fanciulla di Midgard! Non v’era una dama asgardiana ch’egli potesse scegliere?” » parafrasò con una tintinnante risata.

« Lo vorrei. » affermò il dio chinandosi sulla compagna, e calda era la sua voce e tiepido il suo respiro: « Mi hai stregato anima e corpo, Erin Anwar, e voglio i tuoi per me soltanto. »

Allora la ragazza di Galway gli volò addosso, e mentre una luce sconfinata le si incastrava felicemente nel petto, accanto al cuore che tambureggiava, gli prese il volto tra le mani e lo baciò con tutto il fuoco che le bruciava dentro, e tale fu il suo impeto che Loki dovette appoggiarsi di nuovo al muro per non barcollare. Vincendo l’iniziale sorpresa la strinse a sé e fece scivolare le dita al di sotto della sua larga maglia: e non incontrando altro che nuda pelle la voglia che aveva di lei lo travolse, e senza lasciarla andare si spostò sino ad uno scranno imbottito privo di braccioli sul quale sedette con Erin sulle gambe.

A vicenda e bevendo sospiri l’uno dalla bocca dell’altra si sfilarono gli indumenti, e lui fece risalire entrambe le mani lungo i fianchi dell’irlandese fino al torace e coi pollici prese a carezzarle i seni – ed Erin lanciò un lievissimo grido e si protese verso l’asgardiano, le dita serrate sulle sue ginocchia e le cosce premute sulle sue. Ed egli la mirò, mirò i capelli color dell’oro antico che sciolti catturavano i guizzi dei braceri, mirò le palpebre abbassate e la bocca dischiusa, il collo delicato e teso e la linea morbida del ventre che sfiorava il suo, e la desiderò con tale voluttà da provare quasi dolore.

D’un tratto la flautista riaprì gli occhi e gli cinse le ampie spalle, e lo baciò lentamente e si sollevò appena, e sempre baciandolo scivolò su di lui: cominciò così a muoversi, a ondeggiare ritmandosi con piccoli, meravigliosi gemiti, e ancora una volta fu Loki ad annaspare per l’iniziativa e la veemenza della donna d’Irlanda; inebriato dal calore che finalmente lo avvolgeva e cui spesso aveva agognato nei giorni bui che avevano vissuto, la tenne stretta e ne assecondò il movimento, e gemette in risposta e fu grato per il fiume rovente che gli scorreva nelle vene sin da quando l’aveva incontrata.

E poiché amava riprendere il controllo in ogni situazione all’improvviso si sollevò dal seggio, e tenendola saldamente e senza sforzo alcuno per le natiche raggiunse l’alcova. Sulle coltri soffici e ricamate di essa la fece distendere per poi inginocchiarlesi sopra e abbassarsi fino a perdersi nelle pozze illanguidite delle sue profonde iridi castane, ed Erin sentì il proprio petto scoppiare in una miriade di schegge scintillanti, tanta e pura era la gioia che provava.

Gli sorrise e il Dio degli Inganni le sorrise di rimando, e piano scese a baciarle le labbra e il mento e la gola fremente e l’ombelico e l’inguine. E infine fu tra le sue gambe aperte e anche lì la baciò, e senza fretta la assaporò portandola sull’orlo di un piacere smisurato e folle e godendo nell’udirla ansimare ripetutamente il suo nome nel chiarore dorato della stanza.

E un attimo prima che l’irlandese si arrendesse a quel piacere Loki si allontanò e tornò a sovrastarla, e lei lo afferrò per la nuca, le mani affondate tra i suoi capelli color del buio, e lo tirò giù verso la propria bocca – e lui la prese per i fianchi in un gesto ormai familiare per entrambi e nuovamente le fu dentro: e nuovamente il mondo fu luce e fiamme, e pelle su pelle e labbra su labbra e lombi che ardevano e si scioglievano come magma incandescente.

E quelle fiamme salirono, fiere e ruggenti, e salirono anche le loro voci intessute come un unico canto fin nei cieli di Asgard, e nel loro velluto trapunto di stelle esplosero assieme.

 

 

Le settimane che seguirono furono le più deliranti e belle che la ragazza di Galway avesse mai vissuto: se nella Dimora degli Dei i preparativi per le nozze vennero affrontati con notevole tranquillità, nonostante il doversi conciliare con le usanze mortali in tale frangente, recarsi su Midgard per mettere al corrente parenti e amici delle incredibili novità non fu cosa da poco.

Partendo dall’Osservatorio con Thor, il quale approfittò dell’occasione per correre da Jane, il Duo degli Inganni andò tosto a far visita alla famiglia Anwar nella verde Irlanda; quivi tutti li riconobbero come gli eroi che avevano liberato Dublino e molte altre città e li tempestarono di domande e ovazioni e foto, e raggiungere la soglia della casa natale di Erin richiese non poco tempo e un cospicuo elargimento di sorrisi condiscendenti. Midgardiani e asgardiani non erano poi tanto dissimili nel lasciarsi conquistare da nobili gesta, constatò il dio con soddisfatto disprezzo mentre lei suonava il campanello gongolando apertamente.

Grande fu la gioia di Seamus, dei genitori e del nonno nell’accogliere la congiunta e nell’appurare che era viva e stava bene, e certo la presenza di Loki contribuì a stupirli e metterli lievemente in soggezione: da quando i soldati di Odino avevano raggiunto Thor e i Vendicatori sulla Terra per aiutarli a sconfiggere gli invasori tutti avevano scoperto – o quantomento sospettato – che le leggende solo leggende non erano, e dunque anche gli Anwar non faticarono a credere che l’uomo che torreggiava nel loro salotto fosse davvero il Dio degli Inganni delle vecchie storie del Nord. Ed Erin raccontò loro le incredibili avventure che aveva affrontato assieme al compagno e agli altri divini guerrieri, narrò di Thanos e dei sovrani del Valhalla e del sacrificio di Loki e del meraviglioso trionfo, descrisse il loro viaggio attraverso gli States e le eccentriche personalità degli eroi dello S.H.I.E.L.D. e rivelò quanto profondo fosse divenuto il legame che c’era tra lei e il dio asgardiano.

E a quel punto dovette fare l’annuncio che le premeva sulla punta della lingua e che le mandava a mille il battito cardiaco. Così lanciò un’occhiata significativa a Loki, rise per smaltire l’imbarazzo e con le guance arroventate prese le mani di sua madre:

« Spero che potrete prendere un mesetto di ferie, dalla prossima settimana, per venire con noi ad Asgard. Tranquilli, nessuna spesa, sarete ospiti serviti e riveriti. » esordì goffamente.

« Io e Mus possiamo venire comunque. Sarebbe per una sorta di vacanza? » s’informò suo nonno, Enoch McNulty, osservando di sottecchi il Dio degli Inganni.

La musicista se ne uscì con un buffo verso: « Più o meno. Diciamo che in questo modo vedrete i luoghi che ho visto io e conoscerete di persona gli dèi che io ho conosciuto. » rispose, e quelle parole suonarono talmente folli da farla scoppiare ancora a ridere.

« Perché la stai prendendo sì alla larga, Erin? » interloquì Loki, divertito.

« Prendendo alla larga cosa? » domandò Maeve, la madre, con un mezzo sorriso perplesso; Seamus e Patrick, il padre, scrollarono le spalle e inarcarono le sopracciglia, incuriositi.

« Perché dire alla mia famiglia che tra un mese mi sposo e che lo sposo è un principe asgardiano ingannatore non è proprio semplice, dolcezza. » esclamò lei con estrema naturalezza, e contemporaneamente si rese conto di averlo appena fatto e si bloccò.

Allora nel soggiorno di casa Anwar si scatenò un allegro finimondo, e Maeve squittì e stritolò le dita della figlia, Enoch si rifugiò in bagno a fumare per la troppa emozione, Seamus chiese al dio se aveva una sorella con cui lui potesse maritarsi, Loki sogghignò perfettamente a proprio agio ed Erin attaccò a parlare a raffica per cercare di spiegare la situazione.

Patrick Anwar fu l’unico a mantenere la calma. Ammiccando raggiunse il telefono e sollevò la cornetta con un’espressione strafottente pressoché identica a quelle che la sua rampolla maggiore sovente sfoggiava: « Per il matrimonio della mia primogenita con un principe asgardiano ingannatore nessuno mi rifiuterà un abbondante mese di ferie. » affermò.

 

 

Trascorsero a Galway un paio di giorni e prima di ripartire fissarono un appuntamento per la settimana successiva: sarebbero tornati da loro e li avrebbero portati ad Asgard.

Venne quindi il turno di Boston e degli amici e colleghi della Boston Philharmonic Orchestra, e tra loro la notizia del matrimonio e l’invito a parteciparvi generò una deflagrazione assai esagerata di entusiasmo e incredulità che sfociò in una concitata baldoria. E per basita che fosse persino Sylvia fu felice per l’amica, e garantì che avrebbe reso quell’assurdo matrimonio umano e scriteriato abbastanza perché fosse indimenticabile per tutti i fottuti dèi nordici.

Infine il Duo degli Inganni si ricongiunse col Dio del Tuono e con la giovane astrofisica per fare rientro nel Valhalla, e quest’ultima loro riferì i saluti e l’eterna riconoscenza dello S.H.I.E.L.D. e dei Vendicatori: sapevano che grazie alle imprese della strana coppia ogni cosa era andata a buon fine e garantivano che in futuro, qualora ce ne fosse stato bisogno, si sarebbero sdebitati in qualunque modo e a qualunque costo; Loki si concesse un sogghigno d’esultanza e tenne la cosa bene a mente, consapevole che ciò gli sarebbe sicuramente tornato utile.

Così i giorni passarono, i preparativi entrarono nel vivo e gli Anwar-McNulty al completo sperimentarono l’iridescente vortice del Bifröst, e pieni di meraviglia videro e conobbero quello di cui Erin aveva tanto parlato e tremarono emozionati al cospetto di Odino e Frigga.

E le ancelle tesserono nuvole d’impalpabili e splendide stoffe e v’intrecciarono fili d’oro e piccole gemme per creare l’abito che l’irlandese aveva descritto loro, e i sarti di corte fecero altrettanto con le vesti che il principe avrebbe indossato, e musici, cantori, nobili di altre provincie, dame e ambasciatori giunsero via via al palazzo del Padre degli Dei recando doni per i due fidanzati e le loro famiglie. La flautista apprese molte nozioni sulla cultura degli Æsir e si divertì quando le venne spiegato come si sarebbero svolte le celebrazioni, premurandosi di rammentare cortesemente agli asgardiani che alcuni passaggi avrebbero dovuto svolgersi alla maniera terrestre: riuscì così a evitare inutili faccende come quella della dote della sposa, spiegando che su Midgard la cosa non andava più di moda da decenni, e favorì scambi di opinioni e gentilezze estremamente informali tra i propri congiunti e i nuovi, regali parenti.

Poiché era costume che i promessi sposi non eccedessero nella reciproca compagnia, prima delle nozze, Erin ebbe inoltre molte occasioni per conversare sia con Jane che con Sif e i suoi tre compagni d’arme, e persino con Heimdall; talvolta riuscirono a trovarsi tutti insieme nelle sale private dei principi o nei giardini – lei, Loki, Thor e gli altri, e finanche Seamus che aveva messo gli occhi sulla bella guerriera – e quelli furono invero momenti piacevoli.

La sera del quarto dì che precedeva la cerimonia arrivarono gli orchestrali della BPO al gran completo e alcuni musicisti irlandesi, carichi di strumenti, leggii, spartiti, abiti eleganti e macchine fotografiche, e sino all’alba si fece festa nelle stanze dell’irlandese. Attratti dalla presenza di un sì cospicuo numero di colleghi midgardiani i musici di corte accorsero in massa, e per ore la reggia risuonò di note e canti e voci allegre.

I tre giorni seguenti furono assai importanti: tradizione voleva infatti che i fidanzati compissero ciascuno il proprio percorso, in vista del rito nuziale, e pertanto per la ragazza di Galway fu impossibile vedere il Dio degli Inganni. Sua madre, Frigga, Sylvia, Jane, Sif e poche ancelle le stettero intorno per prepararla al passo che la attendeva, ognuna a modo suo, e così fecero gli uomini con Loki, il quale godette di quel buffo e luminoso periodo di pace e a lungo disquisì con padre e fratello gettando oculate basi per venture opportunità. Eppure soltanto la donna d’Irlanda occupava realmente i suoi pensieri e dovette infine prenderne atto.

Alla vigilia del matrimonio i futuri coniugi si recarono separatamente nei bagni reali per i lavaggi propiziatori e purificatori previsti dal rituale – e mentre le dame del seguito la spogliavano e la facevano entrare nell’acqua fumante, illustrandole i suoi ormai imminenti doveri di moglie e madre e la perdita della sua supposta condizione virginale, Erin fu a stento capace di mantenersi seria e di non attaccare a cantare a squarciagola Like a virgin, nuda com’era e avvolta dai vapori che aleggiavano sulle vasche. E dacché il cuore le batteva come un tamburo di guerra e nello stomaco le rotolava una palla di fuoco, quella notte dormì poco e con splendida agitazione e rifletté su tutto ciò che era successo, sull’incredibile serie di eventi che l’aveva condotta sin lì. E così fece il dio, constatando che senza di lei niente di quel che voleva si sarebbe realizzato e che lei medesima era quel che voleva, ed entrambi furono riconoscenti ai moti del cosmo e del fato che li avevano fatti incontrare.

 

 

Venne il mattino della giornata fatidica, gonfia di sole e tepore sotto la volta serena del cielo, e senza fretta tutti a palazzo terminarono di approntare ogni cosa per celebrare l’unione tra il principe ritrovato e l’impavida fanciulla mortale. Alla famiglia Anwar e all’astrofisica del New Mexico vennero donate vesti asgardiane da indossare alla cerimonia, gli orchestrali si fecero belli e per le vie della capitale la gente prese a festeggiare aspettando trepidante la comparsa degli sposi novelli sulla balconata d’onore.

Sul calare del meriggio le ancelle portarono a Erin il suo vestito e con loro giunse anche Maeve McNulty: tra le mani reggeva un leggero cerchio d’argento ornato di foglie di trifoglio e nastri blu, e al termine della vestizione lo pose sul capo della figlia con gli occhi lucidi per poi abbracciarla stretta. La musicista la abbracciò di rimando, quindi uscirono dalla camera e si unirono al corteo della sposa, alla cui testa stava un orgogliosissimo Seamus; suo era il compito di recare il flauto magico della sorella in vista dello scambio simbolico delle armi di famiglia, e dal momento che gli Anwar non possedevano spade antiche e che il Dio degli Inganni non aveva bisogno d’altri cimeli che i propri si era deciso che le armi in questione sarebbero state lo strumento e lo scettro.

Il tramonto infiammava il soffitto celeste quando l’irlandese e coloro che la accompagnavano si fermarono nel portico che si affacciava sul luogo designato per le nozze: era, questo, una radura che si apriva sul bastione più alto dei giardini della reggia, circondata da quieti ruscelli e rigogliosi alberi dal fogliame scuro. L’erba era folta e morbida e mille lanterne brillavano tutt’intorno al vasto prato, e decine di invitati fremevano già sul posto; tra essi spiccavano i musicisti della BPO, in assetto da gran concerto e disposti a emiciclo sulle prime file, e al centro del verde spiazzo Odino, Frigga, gli Anwar e il Sommo Cerimoniere attendevano compunti. Poi di colpo il brusìo dei presenti s’interruppe e dal capo opposto del colonnato un secondo breve corteo s’avanzò, composto da Thor, Hogun, Fandral, Volstagg e un’altra mezza dozzina di guerrieri di nobile aspetto: in mezzo a loro si levava la sagoma forte e slanciata di Loki, magnifico e trionfante oltre ogni dire, lo sguardo ardente e le labbra appena increspate da un sorriso segreto. Era avvolto in un regale pastrano dorato finemente ricamato, la fida lancia tra le dita, e sotto aveva una lunga tunica chiara impreziosita da una cinta verde.

Col portamento elegante che gli era proprio sfilò tra le due ali di invitati e si accomodò al fianco del Padre degli Dei, voltandosi verso il punto ove Erin scalpitava; Thor e compagni si posizionarono poco più in là, visibilmente emozionati.

Toccò allora alla ragazza di Galway abbandonare l’ombra del porticato, e nel bagliore dei mille lumi che si mescolava a quello morente del crepuscolo di quella soffice e calda sera d’estate tutti la mirarono e rimasero a bocca aperta: bianca come le stelle era la sua veste e adorna di minuscole pietre blu come la notte, e sopra indossava un soprabito color oro dalla forma simile a quella di un fiore in boccio; sui capelli sciolti e sulla fronte le brillava il sottile cerchietto d’argento, trifogli e nastri, e il suo viso era meravigliosamente acceso.

E come mise piede nel corridoio d’erba tra la folla le tre note d’inizio dell’Intermezzo di Mascagni colmarono l’aria vibrando, seguendo i suoi lenti passi, e Loki le sorrise e a lei parve di morire di gioia e di un groviglio irripetibile di molte altre cose: dentro c’erano felicità e adrenalina e desiderio e amore e soddisfazione, ed era un misto d’incredulità e piacevole terrore per l’ignoto che le si spalancava dinnanzi. Ma non avrebbe cambiato una singola virgola di ciò che era stato, e le venne voglia d’esultare e correre tra le braccia del suo ingannatore divino infischiandosene dell’etichetta. Invece si limitò a sorridergli in risposta, e la musica crebbe e i due furono finalmente faccia a faccia e si presero per mano; Seamus consegnò il flauto alla sorella, il brano sfumò e la cerimonia potè incominciare.

Molte parole antiche furono pronunciate, accompagnate da gesti altrettanto arcaici, e il rito si srotolò alla perfezione nella radura sulla cima dei bastioni. La donna d’Irlanda prese lo scettro e l’asgardiano il flauto, e Odino invocò i cieli di tutti i Nove Regni affinché li proteggessero e Frigga benedisse la loro unione tanto come sovrana e dea quanto come madre. E Loki ed Erin recitarono i voti nuziali a conclusione del cerimoniale e furono infine marito e moglie, e lei non si trattenne più e scoppiò nella risata più bella che il Valhalla avesse mai udito ed esultando gli saltò al collo e lo baciò, e fratelli e amici si profusero in ovazioni di ogni genere, alcune delle quali persino imbarazzanti; Maeve pianse a dirotto e baciò a sua volta Patrick, nonno Enoch si accese d’impulso una sigaretta, Seamus dedicò un occhiolino a Sif e Thor ruggì con entusiasmo sollevando Jane e facendola ruotare come una piuma.

Ebbero quindi inizio il banchetto nuziale e i festeggiamenti che, secondo le nordiche usanze, sarebbero proseguiti per un’abbondante settimana: e tutti mangiarono, bevvero e cantarono, e si suonò e danzò e a malapena si dormì, mentre anche nelle strade intorno al palazzo le genti di Asgard godevano del periodo di festa; i guerrieri della casa di Odino rimasero ammaliati dalle grazie sapientemente mostrate delle giovani donne di Midgard amiche di Erin, e quest’ultima sfidò molti degli uomini presenti in serrate gare d’insulti, spesso vincendo a mani basse, e Seamus riuscì a ottenere le attenzioni di Sif, suo malgrado intrigata.

E quella sera, dopo i brindisi di rito e prima di venire accompagnati nelle loro nuove stanze, il Dio degli Inganni e la ragazza di Galway si recarono sul balcone d’onore della reggia per salutare il popolo che fremeva più in basso, desideroso di omaggiare gli sposi.

« Sai, quando tuo padre ha invocato per noi la protezione dei Nove Regni ho pensato che forse i Nove Regni dovrebbero proteggersi da noi. » disse l’irlandese a bassa voce intanto che col novello consorte si avviava al terrazzo in solenne processione.

Loki la guardò in tralice, sogghignando: « L’ho pensato anch’io. Ecco perché mi piaci a tal punto, assurda mortale. » replicò.

« Mi auguro non sia soltanto per questo. E a proposito di noi e degli altri mondi, cos’hai in mente? Ce ne staremo qui belli tranquilli a giocare al principe e alla principessa fintanto che mi manterrò sufficientemente giovane e piacente? Non che mi dispiaccia, sia chiaro, ma come prospettiva mi risulta poco plausibile. » proseguì lei quasi sibilando.

« Troveremo il modo di ovviare alla tua condizione “deperibile”, come tu stessa l’hai definita. Hai già il potere assorbito dal flauto dalla tua, non dimenticarlo. Quanto al resto, » rispose il dio, « non sono certo di volermi accontentare di ciò che abbiamo appena ottenuto. È tuttora valido il tuo desiderio di conquistare e governare Midgard insieme a me? »

« Di nuovo una domanda di cui conosci già la risposta, marito. » ammiccò Erin.

« Ne sono felice, moglie. » concluse lui con un sorriso al contempo gioioso e astuto.

Allora tacquero e sorridendo entrambi si affacciarono al parapetto della balconata, le mani alzate in segno di saluto: la folla sottostante li accolse con ardore ancora una volta e i due rimasero lì, beati e fieri e splendenti di bianco e d’oro come le stelle che eterne pulsavano sopra di loro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

So di aver atteso la bellezza di due settimane circa prima di pubblicare l’ultimo capitolo, ma proprio perché siamo al Gran Finale l’idea di mettere la parola ‘fine’ all’avventura mi emoziona un po’ – non come mi ha emozionata finirla fisicamente di scrivere, naturalmente. E poi sono impegnatiZZima, come sempre, e anche questo ha influenzato il ritardo.

Nozioncine tecniche prima dei saluti e dei ringraziamenti: il matrimonio vichingo si svolge effettivamente come l’ho descritto, con tanto di scambio simbolico delle armi di famiglia (che nel nostro caso non sono esattamente due spade) e diadema d’argento con foglie di trifoglio e nastri – ed è una fortunata coincidenza il fatto che Erin sia irlandese e che dunque i trifogli la rappresentino in pieno ;) era anche tradizione che i festeggiamenti durassero una settimana abbondante.

So che è tutto molto felice-delirante, ma io amo i lieti fini che si risolvono in una splendida baldoria!

Durante la conversazione tra i due pericolosi piccioncini ho inserito una citazione parafrasata dal Signore degli Anelli e una da Orgoglio e Pregiudizio (dal film del 2005, per la precisione).

Il titolo del capitolo è quello dell’omonima canzone di Sinead O’Connor; come musiche portanti segnalo Birds of a feather dei Civil Wars per il dialogo iniziale tra Erin e Loki e Twisted logic dei Coldplay per la scena d’ammmmmòre, I will wait dei Mumford & Sons per il festino musicale con gli amici della BPO e i musici di corte, October sky di Mark Isham per la preparazione e l’arrivo degli sposi e ovviamente l’Intermezzo di Mascagni. E poi At last di Etta James e infine King and lionheart degli Of Monsters And Men, perché sono perfette.

Spero di essere riuscita a rendere chiaro il fatto che il nostro Dio degli Inganni non fa mai niente per niente – mai niente che non gli torni vantaggioso – e che tuttavia tiene all’irlandese molto più di quanto entrambi avessero immaginato.

E spero con tutto il cuore di avervi “dato” qualcosa, qualcosa di bello :)

E sappiate che non finisce qui. O meglio, questa storia finisce qui, ma non le vicende dei Coniugi Bindolo, come mi piace chiamarli: HABEMUS SEGUITUM, sapevatelo, e ne ho già scritti cinque capitoli su quindici totali. Yessssss.

 

> Ringraziamenti

Al mio principe consorte (che mi sopporta nella mia Loki-centrite e mi prende amorevolmente in giro) e ad Annalisa, Rin, Marika e Rachele che prima di chiunque altro hanno letto, apprezzato, commentato e fornito validi consigli.

Alla Marvel e Joss Whedon che cotanta ispirazione hanno procurato e, soprattutto, al signor Tom Hiddleston cui va l’immenso merito di aver dato vita a un personaggio mirabile, fascinoso e carismatico nella sua complessa villainy.

E grazie A VOI – voi che avete letto, apprezzato e commentato e a voi che lo farete, forse, anche a storia completata. Ve la dedico tutta, questa avventura, augurandomi che ne abbiate goduto quanto ne ho goduto io.

GRAZIE MILLE! E a presto, se mi aspetterete sino alla pubblicazione del seguito *^*

 

> Colonna sonora completa

Galway girl (Shannon & Earle) | Fine line (Paul McCartney) | Need your love (Temper Trap) | Man of simple pleasures (Kasabian) | Like a dancer (The Enemy) | Instrumental I + Love of an orchestra (Noah And The Whale) | Da doo ron ron (The Crystals) | Trembling hands (Temper Trap) | Invincible (Ok Go) | Too old to die young (Brother Dege) | Shake the ground (Cherri Bomb) | Nicaragua (Jerry Goldsmith) | Kill your heroes (Awolnation) | Think twice (Groove Armada) | Mad about you (Hooverphonic) | I won’t say i’m in love (Alan Menken) | What if? (Coldplay) | You and whose army? (Radiohead) | Burn it to the ground (Nickelback) | Everybody is on the run (Noel Gallagher & His High Flying Birds) | Skyfall (Adele) | Un monumento (Ennio Morricone) | Love, love, love (Of Monsters And Men) | Shakespeare in love (Stephen Warbeck) | Pm’s theme (Craig Armstrong) | Karelia Suite – Ballad (Jean Sibelius) | Destiny in Space (Erbe & Solomon) | Bedroom eyes (Dum Dum Girls) | Birds of a feather (The Civil Wars) | Twisted logic (Coldplay) | I will wait (Mumford & Sons) | October sky (Mark Isham) | Cavalleria Rusticana – Intermezzo (Pietro Mascagni) | At last (Etta James) | King and lionheart (Of Monster And Men)

BONUS TRACKS: She’s a genius (Jet) + Can’t find my way home (Blind Faith)

 

> le grafiQe & i disegni

 

 

 

 

 

 

 

 

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