A not very Christmas Carol, ovvero Come riuscire a far arrabbiare un Guardiano

di Violet 95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un prologo che non è un prologo ***
Capitolo 2: *** Canzoni inopportune e l'annuncio di un ghiacciolo ***
Capitolo 3: *** Prima visita: Babbo Natale e il grande colpo all'Unieuro ***



Capitolo 1
*** Un prologo che non è un prologo ***


“Ehi, Violet, lo sai fra poco che film esce?”

 

“Cosa? La seconda parte del vampiro sbrilluccicoso e della morta che cammina?”

 

“No! Esce Le 5 Leggende, addirittura in 3D!”

 

“Odio il 3D… Aspetta, ma non è quel film per cui mi rompi l’anima da agosto? Quella cosa delle festività che sembra presa da un episodio de I Fantagenitori?”

 

“Esatto, è quello con Babbo Natale, il Coniglio Pasquale, la Fatina dei Denti…”

 

“Ok, no, basta, dopo aver sentito Coniglio Pasquale mi sono già cadute le braccia, per non essere più volgari: è un’americanata commerciale, di sicuro.”

 

“Lo sai che a dare la voce all’Uomo Nero, il cattivo di turno, c’è il nostro caro Watson?”

 

“… Hai detto che è in 3D e che posso sentire la voce del doppiatore di Watson in 3D?”

 

“Sì”

 

“Quando hai detto che esce, mia cara Elena?”

 

 

 

Una settimana più tardi, il 9 dicembre 2012.

 

*Poco prima di entrare nel cinema*

 

“Ma non c’è nessuno!” gridò sorpresa una ragazza vestita completamente di nero, con una sciarpa viola, come unico accenno di colore, che le copriva completamente la bocca.

 

“Beh, è uscito nove giorni fa, e di mezzo c’era anche il sabato che era festa: chiunque ne ha approfittato in questi giorni, siamo solo noi le uniche due furbe che hanno deciso di andarci di domenica, alle cinque!” fece notare alzando gli occhi al cielo l’altra ragazza vestita di grigio, evidentemente amica della prima che aveva parlato.

 

“Mi perdoni, signorina, se mi hanno caricato di compiti e interrogazioni già nella prima settimana di dicembre” ribatté la prima, usando con scherno un tono regale e accennando una riverenza.

 

“Non in pubblico, Violet, risparmia le tue movenze da maggiordomo mancato” rise l’altra, dandole un amichevole colpo violento dietro la nuca.

 

Violet fece uscire dalla sua bocca un leggero “Ahi”, massaggiandosi la testa e guardando l’amica di sbieco.

 

“La solita fine, eh, Elena?”

 

“Ringrazia che ti conosco, altrimenti ti avrei già rovesciato in mezzo alla strada, quando il semaforo per i pedoni era rosso”

 

Violet preferì non ribattere e con un cenno della mano la invitò ad avanzare ed entrare per prima nel caldo cinema. Sebbene non avesse ancora nevicato, ma tutti i meteo preannunciassero con una ripetitività quasi snervante che di lì a poco ci sarebbe stata una grande nevicata peggiore perfino dell’era glaciale che avrebbe sommerso intere città sotto la sua coltre bianca – il tutto accompagnato da incessanti accenni apocalittici che si riferivano all’imminente giorno della fine del mondo –, fuori, nell’aria, nelle case, faceva freddo, un gelo quasi doloroso che penetrava le carni e rendeva freddi i cuori più caldi.

Ancora le due ragazze non sapevano che la soluzione di quel gelo così mortale l’avrebbero trovata nel film che stavano per andare a vedere.

Ma tornando alla narrazione, quando le due entrarono nel cinema, fecero un enorme sforzo di volontà per non tornare indietro e prendere il primo autobus per tornare a casa. Perché lo spettacolo che avevano davanti fece loro accapponare la pelle.

Bambini.

Bambini ovunque.

Bambini sulle scale, sulle porte, attaccati alle gambe dei genitori, sul bancone dei pop-corn e delle bibite, sui muri e sul soffitto in una perfetta imitazione di Spiderman.

E, cosa peggiore, genitori in fila che si guardavano in giro spaesati come se si fossero d’improvviso dimenticati che quella creatura strillante a penzoloni sul muro era loro figlio.

Infine, loro due, due ragazze adulte – secondo il Radar dell’Età brevettato dall’Acme per i bambini – rispettivamente di diciassette e sedici anni, guardate male da tutti i presenti, Uomo dei Pop-corn incluso.

 

“È un reato punibile con l’ergastolo se ci piacciono ancora i film della Disney?” gridò esasperata Elena in mezzo al frastuono, mentre Violet, dietro di lei, si portava una mano sul volto, rassegnata.

 

“Meno male che non doveva esserci nessuno, eh?”

 

 

 

*Finito il film e uscite dal cinema*

C’era ancora parecchia gente davanti alle porte del cinema e l’eccitazione, per alcuni, – anche se non dovuta direttamente al film – era palpabile. E in mezzo alla piccola folla che si era creata, le due ragazze stavano lì immobili, a guardare un punto fisso nella spazio, stordite dal 3D, mentre alcune immagini del film passavano loro ancora davanti agli occhi.

Per un po’, nessuna delle due parlò.

 

“Wow…” soffiò Violet.

 

“Già, wow… E non è solo per il 3D”

 

“Mi aspettavo una boiata americana, invece è stato… Bello”

 

“Vero”

 

“Ho capito anche una cosa grazie al film”

 

“Cioè?”

 

Violet la guardò con un sorriso serafico.

 

“Adesso so a chi scaricare la colpa se fa così freddo…”

 

L’amica la guardò per un momento, interrogativa, poi annuì, avendo capito quello che l’altra intendeva. Perché oramai le loro menti era quasi del tutto collegate, in certi frangenti. Soprattutto quando si trattava di sparare due cavolate.

 

“Giusto, hai ragione...”

 

Così entrambe, come spinte da una forza comune, alzando gli occhi al cielo nero come l’oscurità più profonda, gridarono a una sola voce:

 

“È colpa di Jack Frost!”

 

Una folata di vento, improvvisa e inaspettata, si insinuò nei loro cappotti e le fece rabbrividire, distogliendole dalla magia del film che le aveva stregate e facendo ricordare loro che era tardi, era dicembre e domani avevano scuola.

Un’altra folata le colpì in pieno viso, scompigliando del tutto quei pochi capelli che le rendevano così simili a un uomo, e scomparì così come era venuta. Le due ragazze si guardarono vicendevolmente, entrambe con un enorme punto interrogativo sopra la testa, e lessero nei loro occhi una gioia inaspettata che le allontanava di nuovo dalla fredda realtà, portandole in qualche luogo lontano.

Poi, senza più dire nulla, si avviarono quasi saltellando alla fermata dell’autobus.

Nessuna delle due, tuttavia, aveva avvertito in quel soffio improvviso, insieme alla spensieratezza, un ammonimento: entrambe erano state avvertite di non usare a sproposito parole e nomi che potevano far adirare qualche spirito in agguato dietro le case, dietro i tetti, appostato fuori dalle finestre e trascinato dal vento, mosso da una perenne letizia che contagiava chiunque.

La gioia poteva tramutarsi in vendetta.

Ma in una vendetta alleviata dall’ironia.

E quella notte, a dispetto di qualsiasi previsione di metereologici che ormai avevano smesso di credere e cittadini scettici, nevicò su tutto il territorio italiano.

Ma questa fu solo una delle tante stranezze che colpirono la vita delle due ragazze.

 

 

 

 

SPAZIO DELL’AUTRICE:

Mmmh, sì, sono andata a vederlo solo per sentire la voce del doppiatore di Jude Law XD…

Comunque, questa idea malsana è nata davvero, come è detto nel prologo, dalla riflessione che ho fatto, ovvero che se faceva freddo e nevicava la colpa era sicuramente di Jack Frost (tecnica dello “Scaricabarile”). E la mia amica, altra protagonista della storia, mi ha dovuto sopportare fino a casa. Dopo tutte le volte che abbiamo dato la colpa a Jack Frost per qualsiasi soffio di vento gelato, non mi sorprenderei di ritrovarmi la mattina dopo sommersa dalla neve XP!

Questa è la storia, semplice, carina (credo…), uno sfogo personale, niente di che… Spero che piaccia anche a voi! Al prossimo capitolo!

See you again!

 

 

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Capitolo 2
*** Canzoni inopportune e l'annuncio di un ghiacciolo ***


24 dicembre

A Natale puoi,

fare quello che non puoi fare mai…

 

 

Violet guardò in cagnesco la pubblicità che erano soliti dare ogni anno alla televisione, come parte integrante di quel magico momento che rendeva unite tutte le famiglie del mondo davanti a un camino – per chi ce lo aveva –, a una tavola imbandita di ogni genere di pietanze o semplicemente davanti a un televisore che ritrasmetteva ogni santo anno gli stessi film: “Santa Claus è nei guai”, “Babbo Natale si sposa”, “Il figlio di Babbo Natale”, “Babbo Natale e la solitudine delle renne”, “Babbo Natale e gli elfi alcolizzati”, “Il Grinch”, “Babbo Natale e Aveterottoimaroni”…

Quel momento era altrimenti conosciuto come Natale.

Un’ottima occasione per i centri commerciali di attirare i compratori nei suoi negozi carichi di sconti del 20-30% e far dimenticare loro che c’era la crisi.

Pensando a tutto questo durante la pubblicità, osservò con più intensità i volti sorridenti dei bambini che si stringevano le manine, che cantavano all’unisono – cosa che nessun moccioso delle elementari era in grado di fare –, e infine guardò quasi con disprezzo bambini e genitori che addentavano voraci il pandoro della Bauli come se si trattasse di ambrosia divina.

 

 

A Natale puoi…

 

 

Lei non odiava il Natale, e neppure il pandoro, che poi era uno dei suoi dolci preferiti.

Non odiava neppure i bambini o i genitori ebeti.

Odiava però la falsità delle pubblicità che infarcivano le menti di buoni ideali e propositi, quando, alla fin fine, non c’era niente di vero neppure in quelle frasi di circostanza.

 

“Che amarezza…” sussurrò, rivolta allo schermo che aveva cambiato subito le immagini.

 

“Che hai detto?” le gridò suo fratello, impegnato nell’ultimare un cartoncino nero ricoperto di cotone, polverina oro e chiazze rosse e bianche che dovevano rappresentare – con un enorme sforzo di immaginazione – la figura tondeggiante di Babbo Natale.

 

“Niente, pensa a finire quel… Coso!” disse lei, distogliendo lo sguardo disgustato dalla televisione.

 

“È il regale per Babbo Natale!” protestò suo fratello, alzando gli occhi marroni e puntandoli sulla sorella.

 

“Ma non dovrebbe portarteli lui i regali? Lo fa ogni anno!”

 

“Ma così lo ringrazio…”

 

Violet sospirò e alzò gli occhi al cielo, sconfitta in prima linea dalle giustificazioni di suo fratello; gli andò vicino e osservò meglio il cartoncino, facendo un enorme sforzo per vederci una figura umana.

 

Vabbé, devo ammettere che è… Carino”

 

“Bugia”

 

“No, dico sul serio: a Babbo Natale piacerà di sicuro!” mentì.

 

Se saprà riconoscersi…

 

“Tu non hai mandato la letterina?”

 

“Edoardo, sono ormai sette anni che non scrivo più a Babbo Natale”

 

“Ma così non ti porterà nulla…”

 

L’innocenza di suo fratello, sebbene le costasse molto ammetterlo, la disarmava ogni volta. Per lui, la sorella non si trovava nella fase adolescenziale – ovvero abbastanza lontani dall’infanzia, non troppo vicini alla fase adulta –, ma in una fase senza tempo, nella quale i bambini sono soliti inserire i “giovani adulti” per non sbagliarsi: una fase in cui si può ancora credere in Babbo Natale, ma fare cose proibite per i bambini.

Per loro, questa è la fase migliore di tutte.

Con una scrollata di spalle, Violet si allontanò e alzò gli occhi alla parete in alto, per poi voltarsi immediatamente.

 

“Ehi, sono le dieci e mezza, perché sei ancora qui, sveglio e con le mani occupate? Vai a dormire!”

 

“Ma non ho sonno!” si lamentò il fratello, tornando al suo lavoretto.

 

Violet si massaggiò le tempie e, facendo ricorso al suo miglior tono cattivo e intimidatorio, si apprestò a usare l’eventuale minaccia che era solita rivolgergli ogni anno.

 

“Se non vai a dormire, Babbo Natale non passa, quindi niente regali”

 

L’effetto delle parole fu immediato.

Suo fratello abbandonò la sedia e, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere, si rifugiò nella sua camera, chiuse la porta, si infilò sotto il letto e spense la luce, sicuro che non avrebbe chiuso occhio per la prima parte della notte.

Con un’espressione soddisfatta, Violet rivolse un’occhiata fugace all’albero di Natale addobbato con ogni genere di palline, ninnoli e altro. Ricordava che una volta da piccola tentò senza successo di nascondersi dietro l’albero, sveglia, in attesa di vedere Babbo Natale e scoprire finalmente come riuscisse a entrare nella sua casa, che non aveva un camino.

Ma non lo scoprì mai.

Stiracchiandosi, spense la luce del salotto e si diresse nella sua camera, con l’unica compagnia di un libro e del silenzio.

E con l’opprimente sensazione che quella notte sarebbe successo qualcosa di inspiegabile.

Forse proprio per questo non riuscì a chiudere occhio, eccitata, in attesa di quel qualcosa, e forse proprio grazie a questo sentì, nel cuore della notte, picchiettare alla sua finestra.

 

*

 

Re del blu, re del mai, non ho più dentro me quella voglia di terrore e di guai…” canticchiò Elena in giro per la casa, in preda ad un evidente attacco di sonnambulismo cronico.

 

Aveva l’inspiegabile e irrefrenabile voglia di cantare quella canzone di Jack sotto la luna, fuori al freddo e al gelo, con la neve, che in quegli ultimi tempi non smetteva più di cadere, alta un metro e mezzo sotto casa. E tutto questo, come tentava lei stessa di autoconvincersi, non era dovuto al fatto che in quella settimana aveva visto sei o sette volte di seguito “Nightmare Before Christmas”.

Né al fatto che aveva ingerito una quantità esorbitante di zuccheri che le avevano fatto salire il sangue al cervello.

Era talmente euforica ed eccitata – e non era solo colpa dello zucchero – che in quel momento avrebbe creduto a qualsiasi cosa e avrebbe dato per reale perfino l’impossibile. Quasi si aspettava di vedersi comparire sui tetti delle case lo scheletrino con la voce di Renato Zero che tanto amava – Jack, non Renato – e con cui avrebbe fatto uno splendido duetto.

Solo che, quella notte, avrebbe ricevuto un altro tipo di visita…

Con gli occhi sbarrati, il volto stravolto e le movenze di una spiritata, si avviò letteralmente saltellando alla finestra che portava sul terrazzo e l’aprì, sempre cantando.

 

E tutto va via, è la mia routine e mi sento stanco di quest’aria qui…

 

E come se la Natura stessa l’avesse presa in parola, l’aria gelida della sera la colpì in pieno volto. E non solo quella.

Anche le tendine di perline che sua madre aveva tanto insistito di mettere, delle foglie secche che le finirono in bocca e infine, sospinto da un buon vento, un Jack Frost che, invece di atterrare con agilità e grazia sul muretto del terrazzo come aveva lui stesso pianificato, finì addosso, per il volere sadico della scrittrice, alla povera Elena, risospingendola dentro casa.

Entrambi rotolarono per un buon tratto fino a sbattere contro il frigorifero, visto che la finestra si trovava nella sala da pranzo, direttamente collegata alla cucina.

E nessuno, nella casa, si accorse di niente.

Jack Frost, resosi conto dell’enorme figura del menga che aveva fatto, si rialzò subito in piedi con un salto agile e, tentando di recuperare quel poco di contegno rimastogli, la guardò dall’alto con superiorità e sbatté a terra il bastone per richiamare l’attenzione della ragazza.

Elena, al contrario, rintronata prima per i dolci e poi per la botta, ci mise qualche secondo per capire che quello che le era finito addosso non era lo scheletrino, né un enorme uccello. E con un’espressione alquanto vacua, lo osservò attentamente, chiedendosi mentalmente se nei dolci ci fosse stato anche qualcos’altro.

Era esattamente come lo aveva visto nel film: un ragazzo alto, pallido, con i capelli bianchi e gli occhi azzurri come il cielo, con indosso una felpa del medesimo colore e in mano il mitico bastone che ghiacciava tutto.

Un’altra ragazza, al suo posto, lo avrebbe guardato con aria sognante e cominciato a tessere elogi sulla sua bellezza. Elena, invece, lo guardò come si poteva guardare un professore che tentava di fare una battuta spiritosa per strappare una risata agli alunni. Senza risultati.

E la domanda che gli rivolse, fece cadere quell’ultimo brandello di sicurezza che Jack conservava nonostante il rovinoso atterraggio.

 

“Dov’è il Coniglio Pasquale?”

 

“Oh, ma cosa vuoi che t’importi di quel coniglio?! Adesso ci sono io!” sbottò Jack, sbattendo più forte il bastone.

 

Elena lo guardò delusa e, tenendo d’occhio il bastone che temeva glielo avrebbe dato sulla testa se avesse di nuovo nominato il Coniglio, si rialzò sorreggendosi al frigorifero.

Con sua enorme sorpresa, era calma, come se tutto ciò fosse nella norma: infatti, avveniva ogni notte che si catapultasse un ragazzo che ricordava vagamente l’Omino Bianco nelle camere di giovani pulzelle e le minacciasse con un bastone simile a quello di Gandalf.

Come non poteva far parte della routine?

Questa sua tranquillità sorprese molto il guardiano.

 

“Non sei spaventata?”

 

“No, solo delusa”

 

“Perché?”

 

“Perché volevo il Coni…” la bastonata in testa arrivò subito, impedendogli di finire la frase.

 

“Intendevo, perché non sei spaventata? Insomma, uno sconosciuto ti è appena entrato in casa e pensavo che avresti cominciato a urlare terrorizzata…”

 

“Ma spaventare non è compito di Pitch?” fece notare lei.

 

“Sì, è vero… Ma non è normale il tuo comportamento! Stai parlando tranquillamente qui con me, quando chiunque si sarebbe spaventato!” disse Jack, dandole le spalle e cominciando a guardarsi intorno, curioso.

 

Elena lo lasciò fare per un po’, come si farebbe con un bambino piccolo, fino a che quel bambino non cominciasse a mettere le mani dove non doveva.

 

“Se tocchi il microonde di mio padre, la tua carriera di Guardiano è finita” gli fece osservare Elena, pensando all’incredibile potere di suo padre: se qualcuno toccava la sua roba, non importava dove si trovava in quel momento, lui lo percepiva e la sua furia era temibile.

 

Jack si voltò di nuovo verso lei, dimenticatosi per tutto quel tempo della presenza di Elena nella stanza.

 

“Conosci la mia storia…”

 

“Chi non la conosce?”

 

“E mi vedi… Nonostante tu sia un’adulta”

 

“Non sono così vecchia!” si lamentò Elena.

 

“Sei proprio la persona che cercavo” sorrise soddisfatto, avvicinandosi con un balzo leggero alla ragazza.

 

La stanza divenne ancora più fredda.

 

“La persona che cercavi per cosa?” biascicò Elena, battendo i denti.

 

“Ascolta!” la zittì il Guardiano, assumendo un contegno serio che mal si addiceva alla sua natura, “Nelle notti che verranno riceverai la visita di alcuni Guardiani”

 

“Anche del Coniglio?” chiese lei eccitata.

 

“Sì, forse anche di lui…” disse a denti stretti Jack.

 

“Ma non potrei riceverli tutti insieme?”

 

“No, così è più interessante” ghignò Jack, sinceramente divertito.

 

“Ma perché?”

 

“Perché così imparerete la lezione… Il motivo, se non lo avete capito ora, dovrete scoprirlo da sole…” sussurrò da ultimo il Guardiano, rivolgendole uno sguardo di sfida.

 

Jack Frost si stava prendendo gioco di lei, questo lo sapeva.

Ma voleva stare al gioco, fino a che quel sogno non si fosse dissolto come tutti gli altri. Anzitutto, perché si stava divertendo anche lei e poi perché la visita delle cinque Leggende la faceva gongolare di gioia, soprattutto se si fosse trattato del Calmoniglio.

Senza più dire nulla, e impedendo a Elena di chiedergli altro, Jack indietreggiò fino alla finestra e, aggrappandosi a una corrente gelida, si lasciò trasportare fuori, per poi ricadere giù dal muretto con il perenne sorriso da mascalzone dipinto sul volto. Elena, spaventata, corse sul terrazzo e guardò in basso per controllare che non ci fosse il corpo rotto del ghiacciolino; lo vide invece su uno dei tetti di fronte a lei, che si spostava di camino in camino sospinto dal vento, libero come lo era sempre stato, con la luce della luna che rendeva splendente la sua pelle.

Non lo vide voltarsi indietro.

Aveva un’altra meta in mente.

 

*

 

“… Ed è per questo che sono venuto: per avvertirti” concluse Jack Frost, appollaiato con un volatile in fondo al letto di Violet, con la finestra dietro le spalle aperta e il gelo che entrava nella stanza, facendole perdere quel poco di calore che aveva.

 

Violet, invece, stava in cima al letto, a debita distanza da quell’apparizione che all’inizio aveva scambiato per un ladro e a cui aveva dato in testa un vocabolario di greco. Con la coperta che le arrivava fino al collo, meditava sulle parole del Guardiano, chiedendosi se fosse tutto l’effetto di un’allucinazione dovuta agli spinaci mangiati o se semplicemente stesse impazzendo.

Dovette ammettere che era più propensa per la seconda.

Jack, invece, sembrava a suo agio. Nonostante il vocabolario evitato per un soffio, era riuscito a fare un’entrata decente rispetto alla prima, di modo da sorprendere l’altra prescelta e instillarle il rispetto. Avevano avuto una conversazione abbastanza tranquilla e normale – ad eccezione di qualche riferimento al Coniglio Pasquale da parte della ragazza – e lui si sentiva soddisfatto per il lavoro riuscito.

Ora, poteva anche andarsene.

 

“Non ho altro da dirti”

 

“Io invece avrei molto da chiederti…”

 

“Ma il tempo è breve, e io ho da fare”

 

“Perché riesco a vederti?”

 

“Perché forse, in fondo al tuo cuore, credi in me” le fece notare Jack, sinceramente lieto di quell’affermazione.

 

“Ma se fino all’uscita del film non sapevo nemmeno della tua esistenza!” gridò quasi esasperata Violet.

 

Non riusciva a credere a tutto questo, non poteva: qualcosa glielo impediva.

 

La razionalità? Non ne ho mai avuta!

 

“Comunque, io devo andare. Medita su quello che ho detto e… Ah, un’ultima cosa: non affronterai questo viaggio da sola” disse infine serafico, prima di gettarsi all’indietro fuori dalla finestra e scomparire nell’oscurità.

 

Violet non si alzò per controllare, infreddolita com’era. Sapeva bene che si era lasciato trasportare da qualche corrente, non era così idiota da sfracellarsi al suolo: era semplicemente un vanitoso.

Facendo un enorme sforzo di volontà, si alzò dal letto e, in punta di piedi, si avvicinò alla finestra per chiuderla, osservando un’ultima volta la neve sopra i tetti e infine la luna. Bella, splendente, mutevole.

L’incontro avuto con Jack Frost e la situazione in cui si trovava – molto simile al “Canto di Natale” di Dickens – andavano contro ogni logica. Era tutto così irreale, così improvviso…

Esattamente come i racconti che scriveva.

E, come scriveva lei stessa, nulla avveniva per caso. Se Jack Frost si era disturbato per andare a cercarla, il motivo non doveva essere una sciocchezza.

Così, cominciando già a farsi viaggi mentali sulla possibilità di diventare una nuova Guardiana, una domanda sorse improvvisa.

 

“Cosa vorrebbe dire che non affronterò il viaggio da sola?!”

 

 

 

SPAZIO DELL’AUTRICE:

Odio la canzoncina della pubblicità della Bauli, mi ha fatto venire il palletico!

Ehm, comunque, la storia comincia a prendere una direzione precisa (più o meno) e questa cosa alla “Canto di Natale” mi fa quasi sorridere!

JACK: Cos’è “Canto di Natale”? Un musical di Nord?

No, mio caro ghiacciolino, è solo una delle più belle storie di Natale mai scritte… Fatti una cultura!

JACK: Preferisco dipingere le uova per il Canguro, piuttosto che mettermi a studiare.

CALMONIGLIO: Non sono un canguro, sono un coniglio!

ELENA/VIOLET: Aaaaah, il Calmoniglio! *Gli saltano addosso per coccolarlo come un peluche*

Tutti amano il Coniglio Pasquale! XD

Bene, dopo questo piccolo intermezzo, vi aspetto al prossimo capitolo!

See you again! *Torna a strapazzare il Coniglio, che tenta di fuggire*

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Capitolo 3
*** Prima visita: Babbo Natale e il grande colpo all'Unieuro ***


Violet non fece neppure in tempo a rimettersi sotto le coperte che un altro rumore attirò la sua attenzione. E, cosa che la inquietò alquanto, non proveniva da fuori, ma da dentro casa sua.

Con estrema lentezza, come se si fosse trovata all’improvviso in uno “Psycho” completamente rifatto, si voltò, gli occhi sbarrati, le mani aggrappate quasi con disperazione allo stipite della finestra appena chiusa.

Nessuno. Dentro la sua stanza non c’era nessuno.

Tirò un sospiro di sollievo e imputò quel rumore alla sua mente ormai esausta che prendeva per buono qualsiasi pretesto per farla sobbalzare, soprattutto dopo l’incontro con Jack Frost.

Il cuore le andò però direttamente in gola quando lo sentì di nuovo, più forte di prima, accompagnato da un’imprecazione in una lingua sconosciuta e da un tonfo sordo. Ringoiando il suo cuore, fece una cosa che non credeva di poter fare mai: prese sottobraccio il suo fedele vocabolario di greco, che non l’aveva quasi mai abbandonata durante le versioni, afferrò la pila sul comodino e, con il suo temibile e morbidissimo pigiama con il disegno di un gatto obeso sopra, si preparò a lasciare la sua sicura stanza ed affrontare qualsiasi cosa fosse entrata in casa.

Con un profondo respiro rassegnato, spense la luce e, in punta di piedi nello stile della Pantera Rosa, si immerse nel corridoio buio che di giorno conosceva così bene.

Pensando fosse strano che nessuno avesse sentito quel rumore nel mezzo della notte e che nessuno sentisse lei sbattere da una parete all’altra, facendo addirittura più casino dell’ospite indesiderato, perché non ci vedeva niente, arrivò alla fine del corridoio e accostò l’orecchio alla porta che conduceva in salotto. Sentì qualcosa strisciare e, di tanto in tanto, dei passi pesanti.

Sebbene nessuno la potesse vedere, sbiancò più del dovuto, provocando l’invidia di Edward Cullen, e mille pensieri le passarono a velocità indescrivibile nella testa.

 

Oddio, ci sono ladri, fantasmi, vampiri sbrilluccicosi, Dissennatori, Justin Bieber, ragni giganti, Uomo Nero, dentisti, macellai e chi più ne ha, più ne metta… Tutti in casa mia!

 

Sebbene avesse paura, si ricordò poi, con una punta di soddisfazione, che dalla sua parte aveva la gravità: ovvero, se avesse dato in testa il vocabolario a qualunque cosa si trovasse dall’altra parte della porta, avrebbe inflitto un trauma cranico perenne.

Sentendo la scarica adrenalinica tipica delle situazioni pericolose che, come le aveva insegnato “Mission Impossible”, poteva portare a una scena epica o alla morte, e riscoprendo un coraggio mai avuto prima, spalancò la porta abbozzando un urlo di sfida ed entrò, vocabolario alto in una mano e pila puntata alla cieca nell’altra.

Senza sapere dove stesse andando, inciampò in qualcosa di grosso e, con infinita grazia, cadde rovinosamente a terra, rompendosi il setto nasale e provocandosi un livido violaceo in fronte.

 

Che figura di merda…

 

La scena dovette essere abbastanza comica per l’ospite inopportuno, perché provocò la sua sonora e incontrollabile risata che fece tremare le pareti di casa.

E di nuovo nessuno, nella casa, si accorse di nulla.

Violet si alzò facendo leva sulle braccia tremanti e cercò a tentoni la pila per terra, fino a che una luce accecante la colpì negli occhi e la costrinse a ritirarsi nell’ombra, emettendo dalla gola quello che doveva essere un ringhio di minaccia e fastidio, ma somigliava molto di più al rantolo di un non-morto appena svegliatosi.

 

“Cercavi questa?” domandò una voce con uno strano accento russo.

 

La voce squillante, appartenente a un uomo, lanciò un breve grido spaventato, dopo aver visto in che stato si ritrovava Violet. Infatti aveva il volto completamente sporco di sangue e polvere, con il naso piegato in un modo alquanto anormale – e che, stranamente, non le faceva più male – e alcuni pezzetti della Lego – lasciati gentilmente da suo fratello – incastrati in profondità nella carne. E un livido violaceo che stava aumentando di grandezza in fronte.

Il tutto, in quella luce molto soffusa e con l’oscurità e il silenzio che regnavano sovrani, dovette sembrare abbastanza inquietante.

Violet si tolse alcuni pezzi di Lego dalla faccia e strappò dalle mani dell’intruso la pila, puntandogliela a sua volta. La paura, d’improvviso, era svanita, sostituita dalla vergogna per la rovinosa caduta e dal dolore ora attutito del naso rotto.

 

“E tu chi diavolo sei?” domandò con voce nasale.

 

Il destinatario della domanda era un omone robusto, non tanto grasso, nonostante la pancia nascosta da un paio di larghi pantaloni neri tenuti da un cinturone di dieci centimetri, incredibilmente alto e coperto da una spessa casacca rossa, rifinita sul cappuccio e in fondo alle maniche da pelliccia scura. Ciò che catturò subito l’attenzione di Violet fu la folta barba bianca e un cappello da cosacco nero.

Due occhi azzurri la osservavano, perplessi.

 

“Chi sono io?” l’omone in rosso parve riprendere un po’ di contegno, raddrizzando le spalle e incrociando le braccia sul petto con un’espressione fiera, “Io sono Babbo Natale!”

 

E, battendosi i pugni sul petto, rise di nuovo, facendo tremare anche il pavimento. Violet alzò gli occhi al cielo, pregando che i vicini del piano di sotto dell’appartamento in cui viveva non si fossero accorti di nulla.

Tornò a riconcentrarsi sull’uomo davanti. Poi sospirò, alzandosi in piedi e facendo scrocchiare la schiena che si era abituata alla posizione a gattoni di prima. Infine guardò storto il “Babbo Natale”, toccandosi il naso che aveva smesso di far colare sangue.

 

“Senti, hai sbagliato casa, qui non c’è nulla da rubare. Se vuoi, prova a bussare a quelli del piano di sotto, lì troverai di sicuro qualcosa…”

 

“No, no, tu non hai capito… Io non rubo, io porto regali a bambini: questo è mio compito!” disse lui, fiero.

 

“Non mi sembra molto stile Babbo Natale infiltrarsi nelle case altrui in questo mo…” cominciò a dire Violet, per poi fermarsi e sbattersi una mano sulla faccia, colpendosi il naso ora insensibile.

 

“Già, c’è mio fratello…” sussurrò.

 

“Esatto! Porto doni per lui, ma anche per te…” aggiunse Babbo Natale, gettandole uno sguardo divertito e avvicinandosi a un’enorme cosa nera per terra.

 

Violet lo seguì con gli occhi e capì che l’enorme cosa su cui era inciampata non era altro che il sacco di Babbo Natale, da cui estrasse almeno cinque pacchetti, con colori sgargianti che andavano dall’oro al rosso, e li pose sotto l’albero lì accanto, tenendone però in mano uno.

Babbo Natale sembrò accorgersi dell’enorme punto interrogativo sopra la testa della ragazza e, ridacchiando fra sé, le porse il regalo lasciato da ultimo. Violet lo prese, sorpresa ed eccitata allo stesso tempo – era pur sempre un regalo, no?

 

“Buon Natale, Violet!”

 

“Ma cos’è? Io non ti ho chiesto nulla e… Non so nemmeno se sei Babbo Natale!” disse velocemente Violet, cominciando a scartare in modo convulso il regalo.

 

“Tuo fratello ha pensato anche a te, e poi è ovvio che io sia Babbo Natale!”

 

La commozione iniziale di Violet per la gentilezza inconsueta di suo fratello svanì non appena tolse la lucente carta da regalo e rivelò il contenuto del pacchetto: un bambolotto di “Cicciobello bua”, con inclusa l’enorme siringa da somministrargli se la febbre si fosse alzata.

La faccia che fece Violet in quel momento dovette sorprendere molto Babbo Natale che, nella sua lunga carriera, non aveva mai visto una faccia così delusa e schifata come la sua. Forse perché non le aveva MAI viste le facce dei bambini DOPO aver ricevuto i regali.

 

“Non ti piace?”

 

“Non è esattamente il mio genere… Al primo e ultimo Cicciobello che avevo ho staccato la testa e dipinto la faccia peggio del Joker di Batman. Ed è stato nove anni fa” disse Violet con voce atona, guardando di sbieco Babbo Natale.

 

Odiò a morte il suo adorato fratello.

 

“Ho fatto solo quello che aveva scritto nella lettera…” borbottò Babbo Natale, rimettendosi in spalla il sacco e guardando il pavimento.

 

Violet lo osservò meglio: era davvero uguale a quello del film, non c’era niente di imperfetto. Si costrinse a pensare alla possibilità che la previsione di Jack potesse realizzarsi e che tutto ciò che le stesse accadendo fosse reale.

 

Dunque, se lui è reale…

 

“Come fai a portare a tutti bambini del mondo i regali in una sola notte? Le renne cavalcano i cieli con la polvere magica di Peter Pan? Ti nutri solo di biscotti e latte? Sei sposato con la Befana? Per te lavorano gli Yeti o gli elfi? Sei amico del Coniglio di Pasqua? Quello che vedo è grasso o muscoli?”

 

La sfilza di domande sarebbe continuata all’infinito se Babbo Natale non l’avesse intimata al silenzio con una parola in russo gridatale in faccia. La guardò con severità e le mise le enormi mani sul naso, con l’intenzione o di peggiorare o di migliorare la situazione.

 

“Ah, fermo… Che fai?”

 

“Sistemo tuo naso” sussurrò e, con un colpo secco che la fece pentire di essersi alzata dal letto, le raddrizzò il naso come le aveva promesso.

 

Violet, con le lacrime agli occhi, se lo massaggiò dolorante e intanto gettava sguardi veloci all’uomo, che si stava schiarendo la voce per fare un discorso.

 

“Allora, Jack Frost è venuto a trovarti, giusto? Non c’è bisogno di rispondere, so già tutto. Io sono il primo Guardiano a farti visita e ho acconsentito al capriccio di quel ragazzo solo perché speravo che tu potessi darmi una mano con un piccolo problema incorso… Anche se devo ammettere che avrei voglia di stringere le mani attorno al collo di Jack, dato che mi ha avvertito di questo compito il giorno prima della Vigilia di Natale!”

 

Seguirono poi una serie di imprecazioni in russo e un paio di giri in tondo per il piccolo salotto, durante i quali Violet approfittò per pulirsi del sangue rimasto e recuperare il vocabolario di greco, osservando incuriosita quella strana figura che non la smetteva più di lamentarsi.

 

“… E poi devo sempre venire qui come prima tappa perché è una delle poche case senza camino, e io come entro senza camino?!”

 

“Ehi, scusa tanto se noi poveri mortali non abbiamo un camino!” gli disse di rimando Violet, puntandogli la pila in volto.

 

Babbo Natale, come improvvisamente ricordatosi di averla lì davanti, tossicchiò un paio di volte e si avvicinò a lei, con occhi preganti.

Violet ebbe paura. Non dell’Uomo Nero, o dell’assassino mascherato di “Scream”, ma di Babbo Natale.

 

“Ho bisogno del tuo aiuto”

 

“Sento la fregatura…”

 

“Molti bambini hanno smesso di chiedere giocattoli che io posso costruire e ogni anno richiedono sempre quegli strani apparecchi con luci e suoni assordanti, che vibrano e parlano da soli, o mostrano immagini…”

 

La prima cosa a cui Violet pensò fu che Babbo Natale si fosse drogato. O avesse bevuto latte scaduto. Poi sorrise con tenerezza quando si rese conto che stava parlando dei cellulari e di altri apparecchi elettronici: oggetti troppo all’avanguardia per un uomo come lui, abituato ai giocattoli fatti a mano.

 

“Benvenuto nel XXI secolo”

 

“Ogni anno porto loro altri regali, ma non credo che siano contenti. A nessuno piacciono più i giocattoli di una volta…” ammise rabbuiandosi.

 

Oh,  Babbo Natale depresso mi mancava…

 

“Mi dispiace, ma preferiscono giocare al Nintendo 3DS, piuttosto che ai soldatini di piombo…”

 

Babbo Natale mi guardò con aria interrogativa.

 

Nin… Tendo trediesse?”

 

“È una console che… Lascia stare, dovresti vederla per capire”

 

“Allora mostramela, così io posso capire e fare felici molti bambini, come sempre! Il mio sacco è quasi vuoto, purtroppo… Tutti vogliono questo Nitedo trediesse!”

 

“Anzitutto si dice Nintendo, e comunque… Cosa vorresti dire che hai il sacco vuoto?!” domandò sorpresa Violet.

 

Babbo Natale guardò altrove, fissando con insistenza l’albero di Natale.

 

“Ecco, tutti vogliono cose strane e… Tecnologiche, si dice? Io non ne ho!” esclamò esasperato.

 

“Allora procuratele, io non posso fabbricarle o produrle, non sono la Nintendo o l’Apple…”

 

Violet si bloccò, colpita da un’illuminazione improvvisa e, a suo parere, geniale. Un sorriso alla Grinch si dipinse sul suo volto, mentre univa le dita delle mani in una perfetta imitazione del signor Burns, cosa che sembrò preoccuare molto Babbo Natale.

Ciò che stava proporre forse l’avrebbe fatta finire in guai seri, ma la visione di un uomo grande e grosso depresso e incapace di adattarsi ai nuovi tempi le faceva provare un’immensa pietà.

Dopotutto, era Natale, e se non si era buoni in quel momento, quando lo si poteva essere?

Le tornò alla mente la fastidiosa pubblicità della Bauli.

 

“Caro Nord, ho in mente un piano che risolleverà questo Natale in crisi e ho intenzione di attuarlo subito. Ma necessito della tua slitta…”

 

“Ah, brava ragazza coraggiosa!” ululò Babbo Natale, completamente risollevatosi di morale come se gli avessero appena annunciato di aver vinto il milione al Supernalotto, dandole una pacca sulla spalla che la fece cadere a terra, boccheggiante.

 

Dopo averla aiutata a rialzarsi, Violet lo guardò con occhi furbi e, sorridendo soddisfatta, continuò a esporre il piano.

 

“Ti aiuterò, Babbo Natale, proprio perché sei tu e perché voglio godermi fino in fondo l’avventura predetta da Jack. Ma ciò che staremo per fare andrà contro ogni tuo valore: ti senti pronto?”

 

“Qualsiasi cosa per bambini”

 

“Bene, allora metti in moto la slitta e dammi un cappotto pesante, perché a causa di Jack Frost fa un freddo cane. Stasera faremo il colpaccio all’Unieuro…”

 

 

 

Due nere figure, differenti soprattutto per la corporatura, sgattaiolarono fuori da un edificio di cemento grigio, con enormi insegne colorate che portavano stampati sconti di computer portatili o di nuovi Iphone, trascinandosi dietro quelli che sembravano sacchi stracolmi di oggetti. La fortuita luce di un lampione rivelò le identità non tanto misteriose delle due ombre: Babbo Natale e Violet erano appena usciti da un’entrata di servizio appena creata nell’Unieuro con un sacco ciascuno pieno di ogni “cianfrusaglia vivente”, come le aveva chiamate Babbo Natale.

Violet sembrava leggermente euforica e più a suo agio di Nord, che si guardava di tanto in tanto intorno, temendo che potesse uscire da un momento all’altro qualcuno a fermarli.

 

Violet, sei sicura che questo vada bene?” le domandò di nuovo, titubante.

 

“Beh, dal punto di vista legale è abbastanza scorretto e io potrei finire direttamente in riformatorio, ma dal punto di vista sentimentale questa è un’azione molto altruista di cui dobbiamo andare fieri” asserì Violet, trascinando un sacco più grosso di lei verso la slitta parcheggiata vicino a una serie di alberelli.

 

Babbo Natale non rispose nulla. La superò con poche falcate e caricò sulla slitta il suo sacco, per poi aiutare la ragazza con l’altro. Le renne scalciavano a terra nervose.

 

“Sembra che per te sia la prima volta…” gli fece notare Violet.

 

“No, non lo è. Ma è da molto che non facevo una cosa del genere, pensavo di aver finalmente smesso…”

 

“C’è sempre una prima volta per ricominciare!”

 

Poi Violet si voltò, stringendosi nel cappotto bianco di orso polare che aveva accettato e messo con riluttanza, e osservò i vetri delle porte scorrevoli frantumate da un potente impatto.

Quello non sarebbe passato inosservato il giorno dopo.

 

In effetti, forse non è stata una buona idea entrare nell’Unieuro spaccando i vetri dell’edificio… E forse non è stata una buona idea nemmeno prendere in mano le redini della slitta durante la fase di atterraggio…

 

“Bene, abbiamo preso tutto! Le telecamere non ci hanno ripreso perché il tempo si è stranamente fermato, probabilmente ci sono le mie impronti digitali sui pochi oggetti rimasti e posso finalmente dire che sono stata sulla slitta di Babbo Natale!” elencò soddisfatta Violet.

 

“Cos’è quello?” domandò Babbo Natale, indicando la confezione di “Assassin’s Creed 3” per il computer fra le braccia di Violet.

 

“Un auto-regalo” rispose semplicemente la ragazza, scrollando le spalle.

 

“Ma non era in lista…”

 

“Neanche quel microonde era in lista, Nord”

 

Babbo Natale la osservò per un po’, con un’espressione severa negli occhi. Poi proruppe in una fragorosa risata che fece innervosire ancora di più le renne e diede un’amichevole pacca sulle spalle di Violet, facendola cadere in ginocchio con i polmoni in mano.

 

“Sarà nostro piccolo segreto, ragazza mia. Al Polo Nord fa molto freddo e non sempre riesco a mantenere caldi tutti miei dolci… Ma ora basta chiacchere, sali su slitta che dobbiamo consegnare nuovi regali a tutti i bambini!”

 

“Sì, va bene, ma stavolta… Vai piano, che prima ho rimesso tutta la cena” lo pregò Violet, salendo leggermente impaurita sul veicolo.

 

“A tutti piace slitta!” gridò senza un apparente motivo Nord, per poi dare una frustata alle renne e far alzare finalmente in volo la slitta.

 

 

 

25 dicembre

Al telegiornale del mattino annunciarono come notizia speciale la scomparsa di gran parte degli oggetti presenti all’Unieuro di Roma avvenuta a opera di una banda molto attrezzata di ladri che erano riusciti a portare via tutto senza lasciare traccia nelle telecamere di sicurezza o nell’edificio interno. Unica prova della loro venuta è la distruzione di tre lastre di vetro spesse cinque centimetri.

Questa fu una notizia che Violet apprese solo più tardi, perché era troppo stanca e rincoglionita per alzarsi alle sette come suo fratello e andare a controllare sotto l’albero se Babbo Natale fosse passato. I ricordi della notte passata a consegnare regali ai bambini di tutto il mondo in una folle corsa sulla slitta che avrebbe fatto impallidire perfino le gare clandestine di macchine in “Fast and Furious” erano sfocati e frammentati, eppure, come un bel sogno, non volevano abbandonare la mente di Violet.

Quando finalmente si decise ad alzarsi dal letto, spinta dai gridi eccitati di suo fratello che si potevano sentire fino al Polo Nord, ciò che trovò sotto l’albero non fu solo il suo vocabolario di greco lasciato lì la scorsa notta o il Cicciobello chiesto per lei dal fratello. Trovò anche un pacchetto più piccolo, sfuggito alle grinfie di Edoardo, con un biglietto con sopra il suo nome. Perplessa, Violet scartò con precauzione il regalo, temendo in un altro scherzo di cattivo gusto di Nord.

Una sfera di vetro scivolò sul palmo della sua mano, fredda al tatto e incredibilmente leggera. Il paesaggio rappresentato era un palazzo enorme, nascosto dalle montagne e dalla neve che cadeva a fiocchi enormi, senza che lei muovesse la sfera.

Dentro il pacchetto, un altro biglietto, scritto in una calligrafia precisa ed elegante su quella che doveva essere pergamena.

 

Un piccolo ringraziamento.

Vieni a trovarmi, così mi insegnerai a usare questa cianfrusaglia vivente che riscalda il cibo.

Buon Natale

N.

 

 

 

 

SPAZIO DELL’AUTRICE:

Ecco qua: la prima visita. Chi mai poteva essere in quel periodo se non quel gran simpaticone di Babbo Natale? Non sono sicura di averlo rappresentato al meglio, ma se l’ho fatto, è in chiave parodica, non temete ^^”… L’idea del furto all’Unieuro mi è venuta in mente dopo aver letto la storia di Nicholas Nord, ovvero di Babbo Natale, dove dice che il nostro caro Nord era un bandito in cerca di tesori per il mondo. Alla faccia del Santo! XD

Se vedete che in alcuni punti Nord parla in modo strano, è per il semplice motivo che ho cercato di rendere anche nello scrivere il suo accento russo. Spero non vi abbia dato fastidio…

Con questo, sarà meglio concludere, altrimenti mi dilungo davvero troppo.

Ringrazio per la recensione: Lily Juvenile, Sachi Mitsuki, bilo99

See you again!

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