Run, so we'd both be free

di darkneko_angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Break a life ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Le Mietiture ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Quando tornerò ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: L'abito non fa il tributo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Everybody stands up and keeps score ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: I'll prove you that I'm strong ***



Capitolo 1
*** Prologo- Break a life ***


Run, so we'd both be free




È così facile, in fondo, spezzare una vita. Basta non pensare che il ragazzo sullo schermo potrebbe essere tuo figlio, o quello del tuo vicino di casa. Non pensare, quello che Capitol sa fare meglio. Mietiture, sfilata, addestramento, interviste, arena, morte. Dimenticare.
È così da sessantanove anni, perché dovrebbe cambiare?
Basta non pensare che c’è qualcuno che non dimenticherà mai.
Perché nel cuore di chi li ha amati tutti sono importanti, tutti sono speciali.
Tutti sono umani.
Chissà, forse un giorno qualcuno riuscirà a porre fine a questi giochi della morte. Forse, un giorno.
Ma adesso… beh, adesso, che i 69esimi Hunger Games abbiano inizio!








Angolino Autrici


Ciao! Siamo darkangel98 e Keily_Neko (da qui il nick unito LOL) e come avrete già capito, questa è un'altra storia interattiva! Ma specifichiamo che non è assolutamente stata scritta con lo scopo di raccogliere recensioni, non siamo così arriviste uWu Dopotutto scrivere deve essere un divertimento prima di tutto, o no? Detto ciò, speriamo che la nostra storia vi piaccia: 24 nuovi ragazzi saranno mandati a morire, e ne sopravviverà solo uno. Chi non si può dire: il più forte? Il più scaltro? Il più fortunato? Continuate a leggere e lo saprete!
Un bacione a tutti <3
 le Strateghe


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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Le Mietiture ***


Distretto 1: Lusso


Il Distretto 1 si distingueva immediatamente dagli altri, oltre che per l'eleganza e la ricchezza della piazza, per la calma dei suoi ragazzi. Nessuno era smanioso di correre sul palco e vincere, nessuno era timoroso di venir estratto. I volontari erano già scelti da mesi, se non anni: non c'erano sorprese nel Distretto 1.
Jamilla quell'anno aveva cercato di rendere più sobrio il proprio look, dopo essere stata tanto ridicolizzata nel corso della sua lunga carriera, purtroppo senza successo, dato che la mise era ridicolamente corta per una donna della sua età e il giallo brillante in netto contrasto con il rosso fluo dei voluminosi riccioli la faceva sembrare un semaforo, anche senza le tonnellate di pizzi e gingilli di cui si copriva solitamente.
- Prima le signore! - trillò la donna-semaforo nel microfono, ridendo come se avesse fatto una battuta. Trascinò a lungo la mano nella boccia, cercando di creare un po' di suspance.
- Strass Levinne! Strass Livenne sul pal...-
- Mi offro volontaria!
Jamilla sospirò, chiedendosi se avrebbe mai avuto il piacere di accompagnare un bel dodicenne terrorizzato. Le colleghe dicevano che era così gratificante!
- Vieni avanti cara! Nome?
Una diciottenne dai tratti orientali salì tranquillamente sul palco, accompagnata dallo sguardo fiero e affettuoso allo stesso tempo di sua madre, una rarità in quel distretto di genitori oppressivi e duri.
 - Het-Heru Zhao – la ragazza sorrise alla folla, senza tradire troppa eccitazione. Era evidente che non era stata una decisione d'impulso, la sua. Non aveva aspettato i diciotto anni per niente: si era offerta perché aveva la certezza di poter vincere.
- Oh, e potresti dirmi come mai?-
- Sono pronta per vincere, Jamilla. E' una cosa che voglio provare, è da così tanto che aspetto! Combattere davvero deve essere molto più divertente che infilzare manichini – la ragazza condì le parole con un sorriso quasi dolce che stonava decisamente con esse.
La capitolina annuì senza commenti, in fondo era abituata a questo genere di atteggiamenti spietati.
- Passiamo al giovane uomo! - cinguettò frugando nella boccia – Chissà, magari questa volta mi lascerete vedere chi ho estrat... -
_ Mi offro volontario! Marvel Reiden – Un sedicenne attraente, dai meravigliosi occhi verdi salì sul palco con espressione cupa, fredda.
Incrociò le braccia con un ghigno indifferente stampato sul volto. Notò che sul viso del suo patrigno si era formato un mezzo sorrisetto compiaciuto. Evidentemente l'aveva soddisfatto.
Beh, non poté fare a meno di pensare, l'avrei soddisfatto già da molto tempo se per una volta mi avesse lasciato fare come mi pareva.
- Che bello! - disse Jamilla cercando di mostrare un po' di entusiasmo – Famiglia Reiden, famiglia di vincitori! Prima tuo padre, poi quella deliziosa Layla e ora tu! -
- Il mio patrigno – corresse automaticamente Marvel – Non direi che a mio padre sia mai importato molto di me. E non nominare quella troia – continuò in tono indifferente, lanciando un'occhiata assassina alla capitolina.
I due ragazzi si strinsero la mano, mentre Het non poteva fare a meno di ridere, dentro di sé. Credeva di convincere gli sponsor comportandosi così? Che idiota. Quanto a Marvel, già non la sopportava. Chi credeva di ingannare con quella falsa dolcezza?
Quando le mani dei due ragazzi si strinsero, dagli sguardi che si rivolgevano era evidente che non avevano pietà, erano pronti. Erano cattivi.
- Ecco a voi Marvel Reiden e Het-Heru Zhao, i nostri coraggiosi giovani dei 69esimi Hunger Games!




Distretto 2: Lavorazione Minerali


Al pari dell'1 – e forse anche superiore -  il Distretto 2 era quello che contava più volontari che estratti alle Mietiture; anch'essi venivano scelti con largo anticipo, tra i giovani più promettenti e capaci, in modo da prepararli al meglio a qualsiasi tipo di arena in cui avrebbero potuto finire. Anche qui quindi le sorprese erano molto rare, non c'era quasi il tempo di leggere i nomi estratti dalle due bocce che subito un ragazzo o una ragazza alzavano la mano, ansiosi di dimostrare il proprio valore nell'arena e portare a casa ricchezza e gloria.
Ophelia quindi salì sul palco quasi annoiata: erano almeno dieci anni che faceva l'accompagnatrice dei tributi del Distretto 2, e probabilmente rivestiva quel ruolo da così tanto tempo perché su dieci, sei Vincitori appartenevano a quel Distretto. Quasi non c'era stato gusto. Per l'occasione indossava un vestito arancione con motivi bordò, abbinato a delle scarpe e un cappellino rossi; il tutto veniva completato dai capelli lisci della donna che per l'occasione aveva tinto di rosso – Ophelia odiava le parrucche.
All'ora stabilita i ragazzi si erano ritrovati in piazza e si erano divisi nelle rispettive ordinate file: i volontari ovviamente c'erano già, quindi anche  i rari ragazzi ai quali gli Hunger Games non interessavano, vivevano nella tranquillità di non venire estratti. Ophelia si stampò in faccia il sorriso d'occasione e salutò tutti, dando il benvenuto ai 69esimi Hunger Games; partì quindi il filmato dei Giorni Bui, che dopo 69 edizioni aveva annoiato anche i più fedeli a Capitol City, e venne finalmente la volta delle estrazioni.
Ophelia si avvicinò alla boccia delle ragazze: - Prima le...
- Mi offro volontaria!
Ophelia bloccò la mano sgranando gli occhi: di solito la lasciavano almeno avere l'onore di estrarre il biglietto! Chi era la ragazza che aveva osato toglierle anche questa piccola soddisfazione?
Alzò gli occhi in cerca della giovane e notò che non era l'unica rimasta allibita: tutta la piazza osservò mormorando la figlia dell'astronomo muoversi dalla fila delle diciassettenni e avanzare verso il palco nel suo vestito azzurro chiaro, con i capelli castani come sempre sciolti, ma per una volta abbastanza curati.
Nirvana sentiva intorno a sé i mormorii degli altri ragazzi: incredulità, disprezzo, scherno, tutti commenti negativi; adocchiò per caso la ragazza che avrebbe dovuto offrirsi volontaria quell'anno, che la guardava con un odio nudo e crudo: aveva 18 anni, non avrebbe più potuto offrirsi.
- Mi offro volontaria... - mormorò a se stessa per darsi nuova forza, o forse solo per rendersi pienamente conto di quello che aveva fatto.
Ophelia le andò incontro con il microfono; anche lei conosceva la figlia dell'astronomo per sentito dire, e sapeva che non ci stava molto con la testa, quindi era incredula come il resto della piazza: - Come ti chiami ragazza?
- Nirvana. Nirvana Kross – rispose lei, cercando in ogni modo di apparire forte.
- E perché ti sei offerta volontaria?
Quella domanda era stata formulata dall'accompagnatrice, ma era nelle menti di tutti.
Nirvana ebbe un attimo di esitazione: cosa rispondere?
Poi vide suo padre: Kurt era in piedi, nella fila dei genitori, con fresche lacrime a solcargli il viso nel vedere la sua amata figlia andare incontro alla morte.
E Nirvana seppe cosa rispondere: - L'ho fatto per mio padre: voglio vincere e tornare da lui.
In fondo era vero, si era offerta per salvargli la vita, anche se forse lo stava privando definitivamente della sua presenza.
- Un gesto nobile – bofonchiò Ophelia, e si avvicinò senza ulteriori indugi alla boccia dei ragazzi.
- Ed ora il giovane...
- Mi offro volontario!
E due. Due in un solo anno che non la lasciano estrarre il biglietto. Ma quando Ophelia alzò la testa, rimase allibita nel vedere il giovane: anche il ragazzo era già stato scelto mesi prima, e non era quello che si stava avvicinando al palco.
Elia arrivò, con il suo solito ghigno di superiorità sulle labbra, in tutto il suo splendore; passando, sentì i pianti delle ragazze che aveva soddisfatto e di quelle che l'avrebbero tanto voluto. Salì sul palco e prese posto alla solita distanza dal tributo femmina, con gli splendidi lunghi capelli biondi mossi dal leggero vento che si era alzato. Sapeva che ce l'avrebbe potuta fare, era allenato anche lui, quindi sfoggiava la sua solita disinvoltura e sfrontatezza verso il mondo.
Ma il ghigno gli morì sulle labbra.
Un bambino, di circa cinque anni, sgusciato dalla presa di Amanda, corse e salì i gradini del palco, andando ad abbracciare forte il suo fratellone, piangendo.
- Gabriel tranquillo, andrò tutto bene – disse Elia, ma in cuor suo era terrorizzato. Non per gli Hunger Games.
Un Pacificatore si avvicinò ai due ed Elia temette il peggio: la storia di pochi anni prima non doveva ripetersi, non con suo fratello, non con Gabriel. Il Pacificatore si accucciò per prendere il bambino in braccio, ma vide che Elia lo tratteneva con la forza a sé: - Stai tranquillo – gli disse l'uomo – sono stato un amico di tuo padre, a tuo fratello non accadrà niente.
E sentendo la sincerità della sua voce, Elia si rilassò, permettendo all'altro di portare Gabriel ancora piangente giù dal palco. Suo padre, il suo eroe, era stato un noto e importante Pacificatore ma tuttavia era stato fucilato  in diretta nazionale per aver difeso con il proprio corpo un bambino dalla lingua troppo lunga.
- Come ti chiami caro? - chiese Ophelia.
- Elia Klein – rispose lui, tornando in possesso delle sue facoltà e sorridendo di nuovo.
- E perché ti sei offerto?
- Mi pare ovvio, per vincere! - rispose Elia. Ma il vero motivo era un altro, e si chiamava atto di ribellione.
- Bene signore e signori! - esclamò Ophelia – ecco a voi Nirvana Kross ed Elia Klein, tributi del Distretto 2!



Distretto 3: Tecnologia


Era un po' un controsenso che dopo i distretti favoriti dovesse venire il 3, quel posto grigio e triste, dove l'unico vantaggio dei potenziali tributi era saper usare l'elettricità. C'erano solo facce tristi e spaventare che fissavano Kureè, la magrissima capitolina quarantenne, dipinta di nero e avvolta in un kimono giallo fluo, mentre chiacchierava patetica, tentando in modo per niente nascosto di fare colpo sul giocane e attraente neo-mentore del distretto. Quando si decise finalmente a passare all'estrazione, trascinò la mano nella boccia per un tempo esagerato e, dopo una pausa teatrale, lesse il nome.
- Bella Sanford!
La ragazza era bruna, con gli occhi azzurri e le lentiggini che la facevano sembrare più piccola dei suoi sedici anni. Non si prese il disturbo di sorridere. Salì con aria triste, lo sguardo abbassato sulle proprie vecchie scarpe mezze distrutte.
- Che bella bambina! - trillò Kureè – Che bello, scommetto che ci darai un fantastico spettacolo!
Bella avrebbe voluto dire che la bambina aveva perso i genitori e aveva un'intera famiglia sulle spalle. Avrebbe voluto dire che non aveva la minima intenzione di dare spettacolo, che il pensiero di tutta Panem che la guardava le faceva venire i brividi, che fosse tornata sarebbe stato solo perché on poteva abbandonare i nonni e Matisse.
Ma Bella non era stupida, e sapeva benissimo che questo non l'avrebbe aiutata con gli sponsor. Così si costrinse ad alzare gli occhi e sorridere, ringraziando mentalmente che Matisse fosse troppo piccolo per capire cosa le sarebbe accaduto, poi puntò lo sguardo verso la boccia dei ragazzi, ansiosa di sapere che genere di minaccia sarebbe stata il suo compagno di distretto.
- Ares... ehm, solo Ares! Chissà perché, magari non ha i genitori! Oooh, che cosa triste... -
Un diciottenne alto e bruno dalla pelle candida per un attimo sembrò sorpreso, poi si riscosse e salì con passo calmo e lento sul palco.
Concesse appena uno sguardo di superiorità a Kureè e Bella, per classificarle rispettivamente come un'incorreggibile idiota e una minaccia trascurabile, poi rivolse un'espressione misteriosa e cupa alle telecamere.
- Non la definirei triste – obiettò – Ci si abitua, dopo tanto tempo. Concordo con lei comunque. Un ottimo spettacolo. Fantastica idea, questi giochi – continuò freddo, indifferente, guardando l'altra ragazzina come un obiettivo da distruggere o da sfruttare. Come guardava sempre le persone, del resto.
Bella dal canto suo lo conosceva e, sinceramente, la preoccupava. Aveva sentito storie di persone uccise dai Pacificatori per ordine suo, e le sue compagne di classe pettegole non facevano altro che parlare di com'era bello e di quanto avrebbero voluto essere al posto delle ragazze scelte che lui si portava in casa per una notte. Non era il tipo da ascoltare i pettegolezzi, ma in quel momento ogni cosa era da tenere presente, visto che sarebbe stato suo avversario.
- Ma vi vedete? Siete a-do-ra-bi-li! Oh, che spettacolo, che gran vello spettacolo! Okay, Ares senzacognome e Bella Sanfors, tributi ai 69 Hunger Games!




Distretto 4: Pesca


Nel Distretto 4 stranamente quell'anno l'atmosfera non era la solita. Era evidente dall'ansia e dalla preoccupazione dei ragazzi che nessun volontario era stato selezionato e che, per quell'anno, non sarebbero stati un distretto favorito. Ma Sonnie, ovviamente, non si accorgeva di nulla. Grassoccia e prosperosa, avviluppata in una nuvola di piume, perle e pizzi bianchi intonati ai suoi capelli, era evidente che non potesse capire cosa passava nella testa dei comuni, inutili cittadini dei distretti.
- Buooooooon gioooooooooorno ragazzi miei! E possa la fortuna sempre essere a vostro favore! - strillò a un tono di voce ai limiti del sopportabile – Ora estraggo la ragazza... volontarie? Avanti, so che ci sono volontarie... Forza care, non siate timide! - La donna strizzò gli occhi e rise come se avesse fatto una battuta, ma le rispose solo il silenzio. Quindi, con aria falsamente dispiaciuta, estrasse il bigliettino femminile: - Adele McMair!
Una graziosa quindicenne dai capelli ramati sbiancò, portandosi una mano sul ventre. No, non poteva essere vero. Non poteva essere! Non che avesse paura per sé, in fondo ormai era una macchina da guerra, ma non c'era solo la sua vita in gioco.
- Adele! Hai sentito? Devi venire su cara. Corri!
La ragazza si decise a salire sul palco, afflitta.
- Oh, qualcuno ha esagerato con i dolci qui, eh? - trillò Sonnie dando una pacca sul fianco largo e morbido di Adele – Ma cara, potevi pensarci! Ora come accidenti farà il tuo stilista?
- Senti chi parla, idiota – bofonchiò Adele sottovoce, per non farsi sentir. Non si era mai fatta problemi a rispondere male, ma non poteva permettersi di incattivirsi Capitol City. Non ora, con la sua piccola Littze da proteggere.
- Ora il giovanotto! Manuel Sonne!
Un ragazzo dalla fila dei diciottenni salì sul palco, lanciando occhiate disperare a una ragazza in lacrime fuori dal recinto che stringeva un bimbo piccolo in braccio.
- Oh che scena tris... - sospirò Sonnie con falsa dolcezza, ma non riuscì a finire la frase perché in quel momento si accavallarono due “Mi offro volontario! Quasi contemporanei.
- Oh bene, avete deciso di fare i coraggiosi allora! Tu, con i capelli lunghi, sei quello che ha alzato la mano per primo mi sembra, vieni su. Tu, non preoccuparti caro, puoi sempre offrirti l'anno prossimo.
L'altro lanciò uno sguardo afflitto ad Adele e abbassò la mano cercando di soffocare le lacrime. Era evidente che qualcosa legava quei quattro ragazzi, ma nessuno fece domande. Il volontario salì sul palco e abbracciò Manuel: - Non preoccuparti, se non torno sarà per un buon motivo. E tu sii un buon papà per Radius, non come il mio, okay? - gli sussurrò all'orecchio. E anche tu Seth, sarai un buon padre. Anche se non lo sai, pensò, guardando l'altro volontario.
- Ehm ehm! - la capitolina reclamò l'attenzione – Mi diresti come ti chiami?
- Dilan Hedlund.
Il nome non era nuovo a Capitol. Del resto come dimenticare Zibilla Hedlund, la volontaria dodicenne che aveva sbalordito tutti con la sua vittoria? Ma Zibilla, sulla sedia riservata ai mentori, non sembrava troppo felice che suo nipote avesse deciso di seguire le sue orme: sapeva fin troppo bene che Dilan non era uno di quei ragazzi che non vedevano la differenza tra un tributo e un manichino da allenamento.
- Oh che caro! Scommetto che era tuo fratello, no? - Dilan non era il tipo che lancia insulti. Si limitò a guardarla, pensando che non sarebbe stato male poterla incenerire con lo sguardo. Idiota.
Si posizionò accanto ad Adele e le strinse la mano. Non poteva parlarle, non con quella cretina di Sonnie che li fissava, ma del resto Dilan preferiva parlare con lo sguardo che con le parole. E il suo sguardo diceva Tornerai, non preoccuparti. Tutti e due, tornerete.
- Ehi, non c'è bisogno di essere così scostanti, basta dirlo se mi sono sbagliata! Uff, i giovani d'oggi. Beh, ecco a voi Adele McMair e Dilan Hedlund, i vostri campioni ai 69esimi Hunger Games!




Distretto 5: Energia



Il Distretto 5 non era dei più poveri, ma il clima era comunque cupo e teso, e questo per Audrey era quasi un'offesa personale. Raggiungeva a stento i venticinque anni ed era splendida, nel suo tubino attillato blu notte intonato ai tacchi alti e alle meches che contrastavano in modo piacevole con i capelli dorati.
A Capitol City non era una delle più amate, anzi, era spesso criticata per il suo stile un po' troppo semplice per gli standard della capitale, ma il distretto era sinceramente affezionato a quella ragazza un po' sciocchina, ma dolce e seriamente interessata ai suoi ragazzi.
- Buongiorno cari! - cinguettò la ragazza al microfono – Ora estrarrò il tributo femminile. Buona fortuna ragazze! - strizzò l'occhio ed estrasse un bigliettino.
- Rebecca Runner!
Una bella ragazza dai lunghi capelli castani raccolti in uno chignon disordinato venne avanti dalla fila delle diciassettenni, sorridendo con aria sprezzante.
Salì sul palco con la massima tranquillità, come se non aspettasse altro, ed era vero. L'avrebbe dovuto fare prima o poi. Iniziava a sentire sempre più forte il desiderio di uccidere e la sua famiglia meritava una vita migliore,per quanto quell' ochetta Abby le facesse venire non poco i nervi.
Audrey la abbracciò con fare materno, come era solita fare con tutti i tributi.
- Oh cara! Credimi, mi dispiace così tanto! Spero che la fortuna sia sempre a tuo favore.
La ragazza la scansò con un gesto brusco: - E levati! Tanto mi dovevo offrire – disse stringendosi nelle spalle.
- Oh beh, abbiamo una ragazza coraggiosa – esclamò Audrey, sebbene un po' offesa dall'asprezza della ragazza. Senza altri commenti infilò la mano nella boccia dei ragazzi.
- Peter Beetles!
Un ragazzo dalla fila dei sedicenni salì sul palco, cercando di sorridere nonostante il terrore. Audrey gli rivolse un sorriso rassicurante, ma non poteva prevedere cosa sarebbe accaduto subito dopo...
- Eh no bello, scordatelo! Mi offro volontario! - gridò un ragazzo praticamente uguale a Peter, saltando sul palco.
- Ma... ma Jake... - ribatté l'altro.
- Niente storie Pete! - urlò Jake e colpì il gemello facendolo cadere dal palco. Non poteva accettare che Peter morisse. Sarebbe stato come perdere metà del suo cuore.
- Oh... oh beh, abbiamo un volontario a quanto pare! - farfugliò Audrey per rompere il silenzio sconvolto che seguì – Jake Beetles, presumo. Che gesto... coraggioso! E dimmi, t-ti senti vincente?
Il ragazzo scosse la testa, come per togliersi l'espressione triste e preoccupata dal viso, e sorrise, strizzando gli occhi verdi da serpente che stonavano con il suo visto aperto e simpatico: - Eh, mi sono sentito meglio, ma ci proverò! - disse, saltellando da un piede all'altro come una tarantola – Ah, e vorrei dire a tutti che tornerò, oh sì che tornerò a casa! Posso salutare qualcuno? Beh, allora voglio salutare la mia mamma, coraggio mamma, non preoccuparti, ci rivedremo, e anche mio padre e tutti i miei amici, ciao John, ciao Sam, ciao Kurt, ciao Finchel, ciao...
- Sì caro, ma adesso... - cercò di interromperlo Audrey
- ciao Bob, ciao Widden, ciao Jemis...
- Okay, okay, basta adesso! - strillò Audrey – E tu cara, hai qualcosa da dirci?
- Io mi sento molto vincente – dichiarò Rebecca, con un sorriso malizioso e accattivante stampato in faccia.
- Ma bravi ragazzi, questo è lo spirito giusto! Di questo passo diventeremo un distretto favorito! Ecco a voi Rebecca Runner e Jake Beetles, i giovani eroi dei 69esimi Hunger Games!




Distretto 6: Trasporti



Nel Distretto 6 l'atmosfera solenne era distrutta dai fumi puzzolenti e dal ronzo perenne delle officine e Radennia doveva sforzarsi non poco per sovrastarlo. Sulla trentina, era il suo primo anno nel Distretto 6, ma era stata l'accompagnatrice del 7 e sembrava parecchio nostalgica. Infatti si ostinava ancora a portare lo stesso vecchio vestito verde di foglie e fiocchetti rossi, con tanto di cappello-ghirlanda posato sulla parrucca riccia rosata. Aggiungendo la delicata sfumatura di bordeaux della sua pelle era semplicemente ridicola. In effetti, sembrava che andasse alla mietitura solo per sfoggiare la sua improbabile mise.
- Felici Hunger Games cari! - esclamò, facendo smorfie con le labbra tinte di viola. Sculettando, si diresse verso la boccia ed estrasse il bigliettino: – Nina Devine! - strillò con un accento particolarmente marcato.
La diciassettenne, pallida e dai capelli castani, venne avanti ghignando, le labbra striate in un sorrisetto cinico. Video suo padre nel gruppo dei Pacificatori e non si stupì della sua aria indifferente, sollevata persino, come quella di tutti gli abitanti del distretto. In fondo l'aveva guardata trasformarsi nella creatura infernale che era senza fare niente, quando mai le era importato qualcosa di lei? O di sua madre, se era per questo. Si posizionò a braccia incrociate accanto a Radennia, guardandola con aria di scherno.
- Ehi, bel cappellino – commentò.
Radennia non notò il sarcasmo in quelle parole: - Oh cara! Grazie mille, anche tu non saresti male se ti pettinassi un po' quei capelli e non fossi così terribilmente magra! Ma dimmi cara, vuoi dirci qualcosa?
La ragazza scoppiò in una risata priva di allegria: - Io? Qualcosa? Nah, volevo solo ringraziare, ovvio! Che bello essere estratta, era da tanto che lo aspettavo! - ghignò sarcastica – Ma fottiti, fottetevi tutti. C'è... c'è da avere paura di me, sappiatelo! - E scoppiò di nuovo a ridere, ancora più inquietante, demoniaca quasi.
Radennia, troppo sconcertata per reagire con qualcosa di più che un balbettio sulle buone maniere, proseguì con la mietitura.
- Blade Stoner!
Si fece avanti un diciassettenne dall'aria inquietante, i capelli scuri come gli occhi e un piercing sul sopracciglio aggrottato in un'espressione cupa.
Squadrò la gente con aria truce e rivolse un'occhiata assassina alla sua compagna di distretto, un'occhiata che significava: nessuna pietà. E come Nina, Blade non aveva nessuno.
Perché un padre perennemente ubriaco, che preferiva a lui il fantasma di quella stronza di Beatriz, si poteva tranquillamente definire “nessuno”.
- Che bel giovane! E vuoi dire qualcosa? Che ne pensi della tua estrazione?
Il ragazzo si limitò a guardarla torvo, stringendo i pugni.
- Caro ti prego! Dicci, ti spiace essere stato estratto? - esclamò angosciata Radennia, sperando di rimediare almeno un po' la pessima figura fatta con il tributo femminile.
- No! E perché dovrebbe dispiacermi? Sono nato per questo no? Ammazzare qualcuno per far ridere una manica di deficienti! E alla fine se muoio chi se ne frega! - ringhiò tra i denti il ragazzo.
Tutti lo guardarono stupiti, di certo non era un atteggiamento comune nel distretto.
Mentre Radennia annunciava gli adorabili tributi dei 69esimi Hunger Games, le loro mani si strinsero e quasi sembrava che volessero rompersi a vicenda. Ma nei loro sguardi c'era qualcosa, qualcosa che sembrava stupore, l'uno per la cattiveria, per la sfacciataggine dell'altro. Ammirazione, quasi. Del resto, loro erano maledettamente uguali.




Distretto 7: Legname



Il paesaggio del Distretto 7 era, in un certo senso, rilassante, dopo tanti distretti industriali. La piazza era contornata di alberi e il profumo dei pini si poteva sentire fin sul palco.
Purtroppo l'umore dei ragazzi invece era tutto tranne che rilassato e nei loro volti si potevano distinguere tutte le sfumature dello sconforto e del terrore.
Laxelyy, pur essendo una diciottenne al primo anno di lavoro, lo notava benissimo, ma cercava comunque di portare un po' d'allegria, a cominciare dalla mise: le calze a rete bianche a cuoricini, il vestito a palloncino rosa confetto e i due codini castani ridicolamente alti; sembrava una bambinetta dispettosa che medita la sua prossima marachella.
E poi parlava, parlava, parlava. Aveva impiegato una buona mezz'ora solo a salutare la folla e aveva dedicato grande attenzione al momento solenne del discorso di apertura, condendo il tutto con penosi tentativi di far ridere il suo pubblico. Ma non riuscendo a risollevare gli animi, era finalmente passata al momento dell'estrazione.
- Hope Dianna Andersone! - gridò la ragazza – Oh, sono così eccitata! Chissà com'è? Sicuramente sarà carina, le ragazze sono così carine qui! Spero solo che non sia una dodicenne, mi fanno sempre tristezza...
La ragazza che salì sul palco era minuta ed esile, con lunghi capelli castano chiaro e splendidi occhi color del cielo che fissavano inespressivi il vuoto. Hope cercava di sorridere, ma era terrorizzata. Avrebbe solo voluto che fosse tutto un sogno, che il giorno dopo sarebbe di nuovo uscita con Hector e Robb e sarebbe andata al matrimonio di suo fratello Simèon. Ma purtroppo non era così.
Cercò lo sguardo di Esme tra la folla, temendo di vederla con la mano alzata che strillava come una pazza “Mi offro volontaria!”, ma grazie al cielo la sua amica era meno avventata di quanto pensasse e si limitava ad incoraggiarla con lo sguardo.
- Oh che cara! Dicci qualcosa di te, su! Quanti anni hai? Pensi di vincere?- trillò Laxelyy eccitata.
- Sedici e... lo spero – sussurrò la ragazza, abbassando lo sguardo.
- Mi pare giusto che tu speri, ti chiami anche Hope! - gridò la capitolina ridacchiando e diede una vigorosa pacca sulla spalla di Hope, con l'unico risultato di farle sgranare ancora di più gli occhi dal terrore.
- Oh, passiamo al ragazzo – fece firare la mano nella boccia – Donald Penguin!
La prima reazione a quelle parole fu il grido di dolore e la caduta di un uomo anziano fuori dal recinto, e una sedicenne dai capelli scuri che corse subito fuori ad aiutarlo ad alzarsi. Donald, dalla fila dei diciottenni, salì sul palco senza piangere, senza mostrare altro che la preoccupazione per il nonno, sebbene allietata da una debole speranza. Sapeva che quel caro vecchietto aveva una forza incredibile, e sapeva che poteva continuare ad andare avanti: doveva, per il bene di Wendy. E lui doveva tornare a riabbracciarli.
Ma Laxelyy notò solo la straordinaria bellezza del ragazzo, il fisico scolpito, gli occhi color del cioccolato e i capelli scompigliati che gli davano un'aria spontanea e genuina, come lui veramente era, del resto.
- Ohh – balbettò la giovane donna – che... che bel ragazzo – Donald la guardò, nascondendo una scintilla di disprezzo nel suo sguardo altrimenti gentile – Ehi, grazie – disse in un forzato tono scherzoso – Sarà carino stare in treno insieme.
Laxelyy arrossì e farfugliò qualcosa, mentre Donnie pregava che Wendy capisse che, se avesse dovuto tradire il suo amore, lo avrebbe fatto solo per tornare da lei. Strinse la mano a Hope con un sorriso tenero e rassicurante stampato in faccia, mentre una Laxelyy ancora su di giri annunciava i nomi dei due tributi.





Distretto 8: Tessuti



A partire dal Distretto 8, i tributi che si offrivano come volontari erano sempre meno, a causa del fatto che i ragazzi passavano la maggior parte della vita sul posto dei lavori, già dalla più tenera età. Il Distretto 8 era caratterizzato da decine e decine di fabbriche adibite alla tessitura, da quelle meno importanti i cui prodotti erano destinati alla popolazione, a quelle più importanti dove si producevano le divise perfette dei Pacificatori, e guai se una dovesse avere un filo fuori posto!
Anche quell'anno quindi Genevieve avrebbe dovuto mandare letteralmente a morire due poveri ragazzi, forse addirittura poco più che bambini; era il quinto anno che estraeva tributi e già al secondo aveva iniziato a provare un senso di quasi disgusto per quello che faceva: era stata così euforica quando l'avevano assegnata a un distretto – sì, non uno dei più favoriti, ma contava di fare carriera – che non si sarebbe mai aspettata di odiare il suo lavoro. L'anno prima aveva estratto una dodicenne: si ricordava ancora il suo sguardo terrorizzato e la sua fine, quando venne massacrata al bagno di sangue iniziale. Quella scena la portava nel cuore, e sperava non si ripetesse mai più; si consolava solo con il fatto che nei Distretti ancora più inferiori al suo andava molto peggio: nel 12 avevano avuto solo due vincitori in 69 edizioni! Lei sarebbe morta di crepacuore di sicuro.
Arrivò sul palco vestita sobriamente, giacca e gonna di un bel marroncino, con scarpe col tacco abbinate e i capelli raccolti in uno chignon: era una delle rare accompagnatrici che dimostrava la sua effettiva giovane età, neanche trent'anni. I ragazzi intanto si stavano riunendo nella piazza, assumendo espressioni molto serie, e i genitori dietro serravano le fila, probabilmente pregando ognuno per il proprio figlio; per Genevieve quello era uno strazio e le faceva venire il nodo alla gola. Alla fine si decise a mostrarsi sorridente almeno per le telecamere e diede a tutti il benvenuto agli Hunger Games.
Dopo il filmato dei Giorni Bui, venne la volta delle famigerate estrazioni: Genevieve si avvicinò con il cuore in gola alla boccia delle ragazze, sperando con tutto il cuore di non estrarre una dodicenne...
- Joanne Wilson – lesse.
Se la paura potesse uccidere, Joanne sarebbe morta sul colpo. Ma non fece in tempo ad uscire dalla fila delle quattordicenni.
- Mi offro volontaria!
Gli occhi di tutti cercarono la proprietaria della voce fino a riconoscerla in una figura dalla corporatura esile, i capelli castani lunghi fino ai fianchi e la pelle candida come la neve.
Le guance di Jennifer si tinsero di rosso a causa dell'attenzione probabilmente mondiale che aveva attirato, ma ormai l'aveva fatto: la sua migliore amica non sarebbe mai sopravvissuta, forse nemmeno al primo giorno; Joanne non si era mai allenata in vista dei giochi. Lei sì. Lei aveva qualche possibilità di farcela, poteva tornare a casa.
Salì sul palco con determinazione e Genevieve le andò incontro con il microfono: - Come ti chiami tesoro?
- Jennifer Grey.
- E' una tua amica quella per cui ti sei offerta?
Jennifer annuì decisa: - Ce la farò, tornerò a casa.
Genevieve era commossa da quel gesto – non le era ancora capitata una cosa del genere – però non si lasciò sopraffare e si diresse alla boccia dei ragazzi.
- Lysandre Laxfer
Metà popolazione trattenne il respiro: praticamente tutti conoscevano Lysandre, e altrettanti lo adoravano, soprattutto le donne, di cui lui era grande amico; perché anche Genevieve sapeva che il ragazzo era omosessuale dichiarato. Ma omosessuale dichiarato e fiero, cosa che gli permise di avviarsi con disinvoltura sul palco, dopo essersi sistemato la sua fedele sciarpa al collo, e salire i gradini fieramente, ma con il viso mezzo nascosto dall'indumento per farsi coraggio. Perché anche il più coraggioso può provare timore dentro di sé.
Genevieve gli si avvicinò: - Lysandre vuoi dire qualcosa?
- Certo – e si spostò la sciarpa dal viso per poter parlare – Beh, mi ci vorrà una grande botta di culo per tornare indietro, lo so, ma ehi!, magari accade il miracolo no? Sappiate che comunque avrò sempre stile, anche da mezzo morto! - e concluse il tutto con una strizzatina d'occhio e un segno di vittoria verso le sue amiche, che lo guardavano disperate per aver perso un compagno così particolare e unico.
Dal palco, Lysandre scorse l'ombra di qualcuno osservare la scena senza un minimo di espressione facciale: suo padre, anzi no, il suo genitore biologico, aveva seguito tutto e non aveva provato una sola emozione, ma a Lysandre questo non turbava più di molto, aveva smesso di considerarlo suo padre anni prima.
Genevieve si avvicinò a lui sorridendo dolcemente: - La positività è sempre ben accetta, quindi signori, ecco qui i tributi del Distretto 8!




Distretto 9: Grano



Nel Distretto del grano quello era il periodo più rilassante per gli abitanti, poiché il cereale era stato seminato ad ottobre, sarebbe stato raccolto a giugno, e in quegli attimi ogni singola piantina iniziava a crescere vistosamente, dando alle persone solo il compito di controllarle e proteggerle da intemperie e parassiti. Probabilmente non era un caso se la Mietitura avveniva proprio in quel periodo dell'anno: evidentemente Capitol City aveva organizzato tutto in modo che ogni singolo abitante assistesse, senza campare la scusa del lavoro che loro stessi avevano affibbiato.
Phelywell era scesa dal treno respirando a pieni polmoni quell'aria genuina: per fortuna le numerose fabbriche per la lavorazione dei prodotti erano situate abbastanza al di fuori del contesto cittadino, che quindi veniva inondato del dolce profumo del grano in crescita. O almeno questo pensava l'accompagnatrice che da oltre 10 anni si occupava del Distretto 9. Quell'aria così naturale e così diversa da quella della capitale, aveva il potere di rigenerarla ogni anno, forse anche ringiovanendola, per cui per lei la Mietitura era uno dei momenti dell'anno che preferiva. Sarebbe stato perfetto se non fosse per il compito che svolgeva: mandare a morte due ragazzi ogni volta non era proprio la sua più grande ambizione, ma ormai si era quasi abituata ed esso era diventato un comune lavoro; e poi contava sul fatto che il Distretto 9 avesse comunque un buon gruppo di Vincitori.
Phelywell era già pronta sul palco quando i potenziali tributi si stavano ammassando in piazza, tutti tirati a lucido e coprendo quasi del tutto i segni del lavoro massacrante che già svolgevano nei campi. L'accompagnatrice diede il suo spumeggiante benvenuto a tutti e presentò con entusiasmo il filmato dei Giorni Bui: non poteva farci niente, l'aria che respirava la faceva sentire splendidamente.
E venne la volta delle estrazioni: - Prima le signorine! - esclamò trillando Phelywell, avvicinandosi quasi saltellando alla boccia delle ragazze: - Karmilla Loshad - e le venne un nodo alla gola mentre lesse.
Infatti tutti gli abitanti del distretto conoscevano la stramba – se vogliamo usare un termine leggero – ragazza che abitava nell'unico maniero dei paraggi. Karmilla uscì dalla fila delle sedicenni, indossando la fedele divisa da cameriera che ormai era il suo marchio, i bellissimi capelli ramati illuminati dalla luce solare e gli occhi cerulei che scrutavano con sufficienza ciò che la circondava; salì sul palco quasi stizzita e si mise nella sua postazione.
-Ehm... - iniziò Phelywell, non sapendo come comportarsi – vuoi dire qualcosa?
Ma Karmilla non la stava ascoltando, anzi, sembrava parlare con qualcun altro (forse da sola?), al che Phelywell si indispettì: detestava essere ignorata: - Insomma signorina! Sei stata scelta per gli Hunger Games e non hai niente da dire??
Karmilla la ignorò ancora, annuendo un'ultima volta, poi si girò e si rivolse direttamente all'accompagnatrice: - Sai che è maleducazione interrompere qualcuno mentre parla? E comunque sì, ho qualcosa da riportare: Gertrude dice che il tuo abbigliamento fa veramente schifo. E lei era una stilista, se ne intende – disse, alludendo all'accostamento di rosso e blu di Phelywell che si arrossò in viso, ma cercò di trattenersi per non mettersi a sbraitare in diretta. Non aveva neanche fatto caso alla persona che la giovane aveva nominato, e che non era presente sul palco.
Molti degli uomini del distretto, compagni di bevute di Karmilla, abbozzarono un sorriso: loro infatti sapevano bene che la ragazza parlava da sola o con ipotetici spiriti; d'altronde era matta. Però sarebbe mancata, per il fatto che offriva sempre lei da bere ovviamente.
Cercando di trattenersi, Phelywell si avvicinò alla boccia dei ragazzi: - Ed ora il giovane uomo... - disse, l'entusiasmo ormai minato da Karmilla.
- Mi offro volontario!
Phelywell alzò lo sguardo speranzosa: raramente erano capitati volontari in quel distretto; a lei solo una volta, anni prima.
Dalla fila dei diciassettenni si fece avanti un ragazzo minuto, dall'aria molto fragile che non dimostrava assolutamente la sua età e sembrava sul punto di cedere; il suo aspetto era abbastanza trasandato, ma lui non sembrava tenerne conto.
Benjamin avanzò verso il palco, sfiorando con la mano destra il ciondolo a forma di foglia appeso al collo, regalo della sua migliore amica.
Phelywell era abbastanza perplessa da quel volontario, come forse molti del distretto: il ragazzo non sembrava avere qualche possibilità di vittoria: - Come ti chiami caro? - gli chiese gentile; in fondo le ispirava fiducia. E poi tutto pur di non tornare vicino a Karmilla.
- Mi chiamo Benjamin McLein.
- E perché ti sei offerto volontario?
Bella domanda. In realtà Benjamin non lo sapeva con precisione; la possibilità di per sé di essere estratto per gli Hunger Games gli era sempre scivolata addosso come un alito di vento. E poi il suo penultimo anno aveva deciso di offrirsi. Optò di rispondere con la classica formula: - Perché ho le possibilità di vincere.
Benjamin alla fine puntava sul passare inosservato, cosa che gli sarebbe stata facile nell'arena se avesse iniziato fin da subito ad attuare questa strategia.
- Bene! Signori, vi presento i tributi del Distretto 9! - esclamò Phelywell, tornando al suo tono allegro.




Distretto 10: Bestiame



I cavalli pascolavano tranquilli nei campi, le mandrie di bovini erano rilassate sotto il sole di mezzogiorno di primavera, di una primavera come tante purtroppo. Di lì a poco un giovane uomo e una giovane donna sarebbero stati estratti per andare a morire, proprio come carne da macello, ironico paragone per i tributi del Distretto dedito all'allevamento del bestiame. Ed era praticamente così che li considerava Hawness, l'accompagnatrice di quegli anni; si era talmente infuriata tre anni prima quando l'avevano assegnata al Distretto 10 che probabilmente a Capitol ancora si ricordavano di lei e tremavano quando la vedevano; tuttavia non era servita a niente ed era rimasta nel terzo distretto in ordine di scarsità di tutta Panem. Per lei era la Mietitura rappresentava una seccatura, più volte infatti aveva visto i futuri tributi salire sul palco tremanti e terrorizzati, sul soglio delle lacrime; detestava quelli come loro, insomma! Visto che erano ormai in ballo, dovevano ballare! Che poi morivano quasi sempre, uno dopo l'altro, soprattutto nel bagno di sangue iniziale. I rari vincitori erano coloro che si facevano furbi prima e si guadagnavano gli sponsor già dalla Mietitura; erano questi che piacevano ad Hawness.
La piazza si gremì di gente, ragazzi e genitori, che dopo la solita registrazione con il sangue, si sorbirono il video sui Giorni Bui; Hawness sbuffò: in fondo non era colpa sua se i Distretti si erano ribellati, peggio per loro, ora ne pagavano le conseguenze.
Hawness si avvicinò alla boccia delle ragazze: - Prima le signore, ovviamente!
Estrasse un bigliettino dalla potenziale mortalità: - Frida Burton!
La ragazza si irrigidì: mai avrebbe pensato di poter essere estratta per gli Hunger Games, insomma, era la figlia del sindaco! E ora? Lei non si era allenata per niente, avrebbe dovuto morire!
- Mi offro volontaria!
Dalla fila delle dodicenni una voce dolce ma allo stesso tempo determinata si levò nel silenzio della piazza.
- No Victoria... - sussurrò Frida, ma senza poter fare niente.
La bambina si avviò verso il palco con fare aggraziato, sorridendo in maniera spontanea: in cuor suo però sapeva quanto era importante quella scelta; si era offerta volontaria e ora doveva andare nell'arena a combattere. Ma aveva le carte in regola per farcela.
Salì sul palco e Hawness rimase meravigliata da quello scricciolo volontario, cosa rarissima in quel Distretto, che emanava una così grande forza e sicurezza attorno a sé: decise che quella ragazzina le stava stranamente simpatica: - Come ti chiami?
- Mi chiamo Victoria Burton e mi sono offerta al posto di mia sorella perché posso vincere.
E nessuno mise in dubbio le sue parole dopo aver guardato nei suoi fieri occhi argento-azzurri.
Hawness si avvicinò quindi alla boccia dei ragazzi: - Dennis Nicholas Moore!
Nessun volontario si fece avanti per offrirsi al posto di Dennis. Il ragazzo avanzò dalla fila dei diciassettenni e salì sul palco; perfino l'accompagnatrice non poté rimanergli indifferente: Dennis era uno dei ragazzi più sexy che avesse mai visto, e quasi a sottolineare quell'aspetto, continuava a mordersi il labbro inferiore molto lentamente, facendo sciogliere almeno metà delle donne che guardavano la Mietitura in quel momento.
- Ehm... - iniziò Hawness; nonostante avesse almeno una quarantina d'anni, non poteva non provare imbarazzo – Vuoi dire qualcosa?
Dennis guardò i suoi compagni di scorribande: - Semplicemente che vincerò, e che non vi dimenticherete facilmente di me – e si passò la mano tra i capelli biondi in modo provocante, ammiccando a chissà chi con i suoi ipnotici occhi turchese.
Hawness andò in mezzo ai due tributi, approfittandone per respirare, e li presentò come... - I tributi del Distretto 10!




Distretto 11: Agricoltura


I campi verdeggiavano nel Distretto 11 e gli alberi da frutta stavano per dare le prime gemme di stagione; tutto era pacifico, la vegetazione riusciva a donare un senso di tranquillità impossibile da ottenere da altre parti. Il silenzio regnava sovrano quel giorno, anche se si sarebbero dovute sentire le voci dei lavoratori all'opera, come sempre; non era un silenzio di tranquillità, non era un silenzio rilassato: era il silenzio che precedeva la Mietitura, quando tutti gli abitanti si riunivano in piazza e pregavano per i loro figli.
Cassandra quell'anno si era equipaggiata a dovere: stivali alti, gonna resistente, giacca impermeabile e cappellino in testa, tutto delle tonalità del verde. Non si era dimenticata l'anno prima: era stata la sua prima Mietitura ed era andata vestita come le colleghe dei distretti superiori, ma era capitato che il giorno prima avesse piovuto a dirotto; lei si era sporcata di fango le pregiatissime scarpe di pelle di coccodrillo, strappata la costosissima gonna su un paio di cespugli di rovi e un uccello aveva avuto la bella idea di lasciarle un ricordino sui capelli, per cui quell'anno aveva deciso che premunire era meglio che curare.
Cassandra amava la natura, quindi era stata felice quando l'avevano assegnata al Distretto più “naturale” di tutti ma si era ricreduta l'anno prima, quando aveva visto morire i suoi due protetti: aveva capito che purtroppo la bellezza del paesaggio non sempre rispecchiava l'animo dei suoi abitanti, ormai rassegnati a veder morire ogni anno due dei loro ragazzi. Per cui decise che la Mietitura di quell'anno sarebbe stata veloce e indolore, almeno per lei.
Dopo il filmato dei Giorni Bui, Cassandra si avvicinò alla boccia delle ragazze, e senza dire niente estrasse un nome: - Shila Evans!
Probabilmente la ragazza in questione avrebbe preferito sprofondare sotto terra piuttosto che salire su quel palco; fece un timido passo in avanti quando una voce si alzò sopra i mormorii: - Mi offro volontaria!
Esmeralda uscì dalle file delle sedicenni e si avviò verso il palco, sorridendo a Shila quando le passò davanti: Shila non doveva morire in quell'arena, era la sua unica amica; se ci avesse rimesso la vita, anche lei avrebbe perso un pezzo della sua. Salì quindi sul palco, i capelli corvini, di cui andava tanto fiera, mossi dal vento di primavera; quando fu su, riuscì a vedere in lontananza il suo amato pesco, dove trascorreva gran parte delle giornate a leggere e scrivere poesie, dove andava a piangere silenziosamente  dopo ogni Mietitura: quell'anno non avrebbe potuto permettersi quel lusso, avrebbe dovuto mostrarsi forte, per cui sorrise alle telecamere.
- Come ti chiami cara? - chiese Cassandra tesa; non pensava che potesse mai vedere un volontario in quel distretto.
- Mi chiamo Esmeralda Dickens, e tornerò a casa – e dicendolo vide il suo piccolo cuginetto in braccio ai suoi genitori, che la guardava forse non capendo ancora cosa stesse succedendo. Sarebbe tornata per lui.
- Bene, e ora il giovane uomo – e Cassandra si avvicinò alla boccia – Marcus Ayani!
Un giovane muscoloso e di bell'aspetto iniziò a camminare verso le scale del palco, senza tradire alcuna emozione sul viso. Marcus un po' se l'aspettava, ma in fondo era preparato: anni e anni di allenamenti, in vista delle gare di pugilato non proprio legali, l'avevano temprato nel corpo e nello spirito. E poi ci aveva pensato, e aveva visto negli Hunger Games la possibilità, l'opportunità di aiutare la sua famiglia a sistemarsi per sempre, di aiutare sua sorella a guarire in modo definitivo, o per lo meno di farle avere sempre le medicine a portata di mano.
Per cui salì deciso i gradini del palco e quando parlò alla nazione lo fece con forza: - Tornerò vincitore – e quelle due semplici parole riuscirono a convincere quasi tutta la piazza. Marcus notò fra le file Leonora e si ripromise di vincere anche per lei.
- Popolo di Panem – disse Cassandra – vi presento i tributi del Distretto 11!




Distretto 12: Carbone



Distretto 12. Il più povero di Panem, quello che ogni anno offriva i ragazzi come veri e propri tributi, di nome e di fatto, in quanto quasi sempre morivano nei primi giorni di arena. In 69 edizioni c'erano stati solo due vincitori, di cui solo uno ancora in vita: dalla 50esima edizione, Haymitch Abernathy era stato l'unico mentore dei due tributi del distretto dei minatori, ma non era mai riuscito a portarne a casa uno vivo.
Ma in fondo non era neanche colpa dei tributi: nel distretto, i ragazzi scendevano nelle miniere una volta compiuti i 18 anni, per cui imparavano ad utilizzare picconi ed esplosivi solo dopo aver finito gli anni delle Mietiture, per cui se venivano estratti, partivano svantaggiati in quanto non avevano una particolare dote: o eri stato così previdente da imparare ad utilizzare qualche arma – cosa assai difficile in quanto la maggior parte dei ragazzi riusciva solo ad andare a scuola e tentare di sopravvivere – o imparavi velocemente durante l'Addestramento, o eri spacciato.
Perciò Effie Trinket, l'accompagnatrice addetta da quell'anno, era molto irritata che il suo primo incarico fosse in un distretto così misero e povero di Vincitori e possibili tributi di un certo interesse. La donna era alla sua prima Mietitura e sapeva già cosa aspettarsi: ragazzi mogi e disperati che andavano al patibolo come dei condannati a morte; ma in fondo perché negarglielo, lo erano.
Effie si presentò in un vestito rosa, abbinato a delle scarpe di una tonalità più scura e ad una parrucca dello stesso colore delle calzature; dopo il filmato dei Giorni Bui, Effie prese il microfono in mano: - Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!
Si diresse verso la boccia delle ragazze: - Prima le sign...
- Prima le signore un paio di balle!
Da un angolo del palco sbucò un ragazzo, di circa 18 anni, muscoloso e dalla mascella squadrata, i capelli neri ribelli che venivano ulteriormente scompigliati dal vento; nessuno si era accorto della sua presenza sul palco, né il sindaco, né i Pacificatori, né tanto meno Effie, a cui era preso un colpo e che ora guardava allibita il giovane: detestava il linguaggio scurrile e quel ragazzo ancora innominato si era presentato quasi uccidendo le buone maniere. Effie gli si avvicinò allibita: - Scusa chi...
Ma il ragazzo non le diede quasi il tempo di aprire bocca: - Cazzo, ti pare questa l'ora di arrivare?!E' da sta mattina che aspetto sul palco!  Uno non si può neanche offrire come tributo in pace... Mah! Non ci sono più le accompagnatrici di una volta...
Inutile dire che Effie era rimasta traumatizzata: la sua prima Mietitura e già la più problematica!
- Quindi tu sei...
- Io sono Wayne Tiger, ma per tutti Tiger, e sono il maschio volontario del Distretto 12, mi pare ovvio! - si annunciò da solo, dopo aver strappato di mano il microfono ad Effie, che stava probabilmente per svenire.
Tiger guardò verso la folla e con soddisfazione vide che Fred era rimasto a bocca aperta: mai più si sarebbe aspettato che suo fratello onorasse la scommessa di farsi trovare sul palco come tributo, ma doveva ricredersi: Tiger era lì, tributo maschile del distretto dei minatori.
Effie riuscì a riavere indietro il microfono e si avvicinò alla boccia delle ragazze, bofonchiando qualcosa sulla mancanza di educazione, di galanteria, di tatto e di buone maniere del giovane.
- Talia Coulter
Una ragazza bionda  uscì dalla fila delle quindicenni e avanzò, apparentemente molto rilassata; in fondo se l'aspettava, il suo sesto senso gliel'aveva già rivelato tempo prima, lasciandole tutto il tempo per organizzarsi al meglio in vista dei giochi. Talia salì sul palco e da lì riuscì a vedere la sua migliore amica Dawn che la guardava sgomenta e disperata; la ragazza mimò con le labbra un “visto? Te l'avevo detto” in direzione della sua amica e poi le sorrise rassicurante. Dawn aveva avuto paura di essere estratta e non aveva voluto credere alle rassicurazioni di Talia, premonizione che si era avverata.
- Vuoi dire qualcosa? - Effie le si era avvicinata con il microfono.
- Solo che farò di tutto per vincere – rispose Talia, continuando a sorridere.
Effie si portò in mezzo ai due tributi e tentò di far tornare quella Mietitura alla quasi normalità, annunciando: - I tributi del Distretto 12!












Angolino Autrici

Ed ecco finalmente le Mietiture! Allora, intanto ci scusiamo per il ritardo e per l'impaginazione non perfetta, ma al momento della pubblicazione abbiamo avuto seri problemi con l'HTML >.> provvederemo a risolvere al più presto (avvalendoci di qualche aiuto esterno LOL) e magari cercheremo anche di mettere le foto dei 24 tributi **
Che dire, sono tutti bellissimi <3 ah, a proposito, se aveste qualche precisazione da fare (cioè, se non abbiamo azzeccato il tributo LOL), sappiate che ci siamo attenute alla lettera alla scheda che avete mandato u.u però se c'è qualcosa che possiamo limare, ditecelo pure <3
A tal proposito, ecco come sono stati realizzati i Distretti
darkangel98 Distretti: 1, 3, 4, 5, 6 e 7
Keily_Neko Distretti: 2, 8, 9, 10, 11 e 12

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Quando tornerò ***


Guardami negli occhi, guardali bene, perché quando li rivedrai avranno visto la morte.
Stringi le mie mani, stringile forte perché quando lo farai di nuovo saranno state sporche di sangue.
Ascolta la mia voce ora che è sincera, perché quando la risentirai avrà mentito tanto.
Abbracciami forte, ora che sono tuo, perché quando tornerò sarò proprietà di Capitol City.
 

 

Distretto 1: Het e Marvel

 
Het si lasciò sfuggire un risolino eccitato torturandosi una ciocca di capelli corvini. Non ci poteva credere! Ce l’aveva fatta, era un tributo.
Anzi, era una vincitrice. Vincitrice in partenza. Si allenava da quando aveva sei anni e finalemente il momento era arrivato. Si concesse di fantasticare sull’arena, chissà che genere di sfide ci sarebbero state?
Il solo pensiero la riempiva di entusiasmo. Marvel, poi, le sembrava un avversario davvero intrigante. Certo, non molto intelligente all’apparenza, ma era alto, più di lei nonostante i due anni in meno, spietato e l’aveva visto spesso allenarsi, era forte. Iniziò a chiedersi come sarebbe stato un combattimento con lui, cercando di intuire i suoi punti deboli.
Lo spalancarsi della porta interruppe i suoi pensieri. –Het!- Sua madre entrò nella stanza con un gran sorriso. La donna corse dalla figlia e la abbracciò. –Wow, piccola mia, sei stata adorabile. Credimi, se non ti conoscessi bene non potrei credere che dietro questo faccino dolce si nasconda una furia assassina.-
- Impareranno a temermi, mamma. Tra meno di due settimane tornerò, vedrai.- rispose la ragazza, convinta. – Non ho dubbi di questo, tesoro. Oh! –la donna rise – Sono così fiera di te! Mi raccomando, sii forte. Fatti valere. Io ti seguirò in TV, ma sono sicura che sarai fantastica. Oh, ho incontrato i tuoi amici dell’accademia. Ti salutano, faranno tutti il tifo per te. Pensa, Amber mi ha detto che è più sicura di offrirsi l’hanno prossimo se sa che avrà te come mentore.-
La figlia si sentì lusingata da quelle parole. Adorava i suoi amici, non sarebbe stata la stessa cosa allenarsi, senza di loro. – Oh, si, dille che anche io sarò contentissima di farle da mentore. Direi che di strategie me ne intendo, io.- aggiunse, sicura delle sue capacità. La donna continuò – Insomma, siamo tutti felicissimi per te, non vediamo l’ora di vederti tornare vincitrice. E anche quel ragazzo… Diam ? Ho il presentimento che non gli dispiacerebbe tornare con te.- le strizzò l’occhio. Het arrossì –Mamma, non mi interessano i ragazzi, ora. Sono tutti dei tali stupidi… Quando vincerò avrò tutto il tempo per pensarci.-
- Meglio tesoro, meglio. Quando si tratta di uomini, più tardi è meglio è. Oh, e a proposito…-
-Sì, lo so. Se a Capitol City incontro papà lo “saluto” da parte tua.- disse con un sorriso complice.
Certo, “salutalo”. E magari “invitalo in quel bel paese” , anche. Così impara a fare il padre sul serio, anziché farsi i cavoli suoi e mandarti ogni tanto qualche vestito!-
- E fossero almeno bei vestiti! Guarda- aggiunse, sollevando la gonna bianca e rosa a fiorellini che portava per la mietitura.
- Ti sembra un vestito da guerriera questo? - madre e figlia scoppiarono a ridere. In quel momento il Pacificatore aprì la porta: -Tempo scaduto- La donna diede un bacio sulla guancia ad Het e si alzò: -Cara, un’ultima domanda: io sono felice che tu abbia deciso di offrirti, ma non ti avrò mica fatto troppa pressione? Lo fai per tua scelta, vero?-
La ragazza annuì, serena :- Certo! Sinceramente non so nemmeno come ho fatto ad aspettare fin adesso. -
Bene, allora sono più tranquilla con me stessa. Buona fortuna, tigre. -
- Grazie, ma non ne avrò bisogno-
 
 
 
Marvel si liberò con una gomitata dalla stretta del Pacificatore e si lasciò cadere con uno sbuffo sulla poltrona. Sicuramente nessuno dei suoi cosiddetti amici lo sarebbe venuto a trovare, quindi restava solo il suo patrigno, del quale avrebbe volentieri fatto a meno. L’uomo entrò quasi subito, squadrandolo da capo a piedi. – Bene, bene, era ora. Ti sei offerto finalmente.-
Il ragazzo lo guardò malissimo, trattenendosi per non prenderlo a parolacce.
Guarda che sei tu che mi hai obbligato a aspettare fino adesso. Io volevo andarci a dodici anni, ma tu devi sempre…- si fermò per non aggiungere “rompere le palle”
- Avanti Marvel, è inutile che ti credi il più forte del mondo. È ovvio che non hai le capacità per vincere a sì e no quindici anni come ha fatto Layla. Ora ce la potresti pure fare, comunque.- aggiunse, squadrando il figliastro come uno scommettitore che deve scegliere il cavallo vincente.
Trattieniti. Potrebbe essere il tuo mentore, ti serve, trattieniti.Sono nato per questo, vincerò.- disse il ragazzo, sicuro. – Bravo, bravo, l’importante è crederci.-
Marvel non capì se cercasse di prenderlo in giro o parlasse sul serio, ma decise di ignorarlo, semplicemente. Faceva sempre così, dal giorno in cui avevano cominciato a prenderlo in giro per la… diciamo, moralità sessuale di sua madre.
Uhm, okay. Hai qualcosa da dirmi? Sai, tipo consigli da vincitore?- disse, tanto per cambiare discorso. Non gliene poteva fregare di meno dei suoi consigli.
Beh… te l’ho sempre detto, sei un favorito, sappi di esserlo. Cerca di essere il capo del gruppo, conviene sempre. E naturalmente, non farti mai degli amici…-
-Perché poi dovrò sempre ucciderli- completò Marvel, annoiato. Glielo ripeteva da quand’era nella culla. Praticamente erano state le sue prime parole.
Non preoccuparti, lo so. Non ne ho la minima intenzione, non sono bravo a farmi degli amici. Semmai sono loro che vengono da me.- aggiunse, increspando le labbra in un sorrisetto sprezzante.
Mah, sarà. La tua compagna sembra una tosta. Direi che devi subito far capire agli altri chi comanda e eliminarla prima possibile, poi vedi di ottenere almeno 10 in addestramento, o non vale nemmeno la pena di… Marvel! Marvel, mi stai ascoltando?-
Il ragazzo- che effettivamente lo stava bellamente ignorando, pensando già all’euforia del bagno di sangue- rispose frettolosamente –Si si, capito tutto- pur non avendo la minima idea di cosa stesse parlando. Non aveva bisogno di lui per vincere.
Bene, visto che sei così convinto io andrei…-
E meno male! Pensavo che mi sarebbe rimasto appiccicato fino al bagno di sangue!, pensò Marvel.
- Buona fortuna, non vedo l’ora di avere un altro figlio vincitore.- disse l’uomo, e uscì sbattendo la porta.
Wow, allora sì che mi dai una ragione in più per vincere- ghignò sarcastico e indifferente il ragazzo, nella stanza vuota.
 


 
Distretto 2: Nirvana ed Elia

 
Nirvana sedeva sul comodo divanetto in pelle nera di una delle tante sale del Palazzo di Giustizia, continuando a guardarsi le mani che tormentavano l'orlo del povero vestito azzurro che ancora indossava; continuava a chiedersi se avesse fatto la cosa giusta, se veramente fosse stato necessario offrirsi volontaria. Magari le cose si sarebbero aggiustate da sole anche senza il suo intervento... No, aveva fatto la cosa giusta e lo sapeva, ma il senso di angoscia ancora non la voleva lasciar in pace.
La porta si aprì di colpo e Kurt irruppe come un uragano nella stanza; si catapultò sulla figlia senza darle neanche il tempo di alzarsi o spiccicare una parola: - Nirvana! Nirvana! - la chiamò abbracciandola.
- Papà...
- Figlia mia, perché, perché l'hai fatto! - continuò l'uomo, sciogliendo l'abbraccio ma tenendo ancora la ragazza per le spalle; aveva gli occhi lucidi dalle lacrime che tentava di trattenere con tutta la sua forza.
Nirvana non riusciva a guardarlo negli occhi: la tentazione di dirgli il vero motivo era tanta, ma così facendo avrebbe probabilmente messo in pericolo la sua vita allo stesso modo che se non si fosse offerta. Quel Pacificatore era stato molto chiaro: Se questa volta non ti offrirai, tuo padre farà una brutta fine.
Kurt aveva di sicuro pestato i piedi alla gente sbagliata e lei si era trovata a dover scegliere se dare la morte a suo padre in modo emotivo, con la sua stessa morte nell'arena, o in modo fisico, con la fucilazione del genitore nella piazza del Distretto.
- L'ho fatto... l'ho fatto per dimostrare a tutti quanto valgo! - disse ferma guardandolo.
C'era infatti una speranza, una possibilità, un lume di candela ben visibile: vincere. Sì, avrebbe vinto e sarebbe tornata a casa, portando gloria e onore a lei e suo padre; se il destino aveva voluto che si offrisse volontaria, una ragione doveva esserci, e Nirvana si stava auto-convincendo: quella ragione doveva essere la sua vittoria, doveva per forza.
- Tornerò a casa papà, e finalmente potremo vivere tranquilli: nessuno ci disturberà più, nessuno ci denigrerà più – continuò, gli occhi accesi della scintilla della speranza.
Kurt la guardò nelle iridi verde/nocciola e sorrise, lasciando che una delle lacrime sfuggisse al suo controllo: la speranza nello sguardo della figlia era riuscita ad entrare anche in lui: - A me non interessa del resto – iniziò – a me basta che ritorni a casa. Nirvana promettimelo, promettimi che ritornerai.
- Te lo prometto papà.
E avrebbe onorato ad ogni costo quella promessa.
 

 
In un'altra stanza non molto lontana, Elia guardava fuori dalla finestra che dava sulla piazza: al contrario degli anni precedenti, quando la Mietitura avveniva in modo ordinato e la gente tornava a casa serena, in quel momento c'era un putiferio al centro dello spiazzo; tutto perché i volontari designati non erano riusciti ad offrirsi, scatenando proteste post-Mietitura, dividendo gli abitanti in due fazioni, una contro l'altra. Elia ghignò sarcastico: lui e Nirvana erano riusciti a creare un gran disastro con un piccolo e semplice gesto ciascuno.
La porta si aprì e un piccolo bolide volò all'interno, andando a circondare con le braccia la vita del fratellone, in quanto la differenza di altezza fra i due era molto importante; in fondo Gabriel aveva solo 5 anni, ma nonostante questo, capiva perfettamente cosa stava succedendo ad Elia e piangeva tutte le lacrime di disperazione che possedeva, per la possibile fine che il fratello avrebbe potuto fare.
Elia sorrise dolcemente, cosa veramente rara per lui, e si abbassò prendendo Gabriel per le spalle: - Ascoltami Gabriel, non devi essere triste, non vuoi mica farmi credere che pensi che non riuscirò a vincere?
Gabriel fece di no con la testa.
- Allora non piangere, perché io tornerò sicuramente vincitore – continuò – E poi devi essere forte: devi proteggere Amanda in mia assenza – e gli arruffò i capelli con la mano.
- Quindi... quindi tornerai? - chiese il bambino, cercando di trattenere i singhiozzi.
- Certo Gabriel, lo prometto – gli rispose teneramente Elia.
Gabriel fu soddisfatto dal tono sicuro che Elia aveva usato e gli rivolse un timido sorriso, per poi andare a sedersi sul divano e lasciare il fratello all'altra visita.
Già, perché oltre a Gabriel, a salutare Elia era venuta anche Amanda: era una bella ragazza, dai capelli neri e gli occhi dorati, espressivi e vivaci, ed Elia l'aveva scelta come tata di Gabriel.
Amanda si avvicinò a lui, gli occhi colmi di tristezza e sull'orlo delle lacrime che si era ripromessa di non far scendere: - Lo prometti anche a me? Tornerai?
Elia annuì deciso.
- Guarda che ci conto, sai?
La distanza tra i due diminuì pericolosamente e in Amanda iniziarono a lottare l'enorme desiderio di baciarlo e la consapevolezza che lui non volesse: perché anche Elia aveva intuito che la ragazza provava dei sentimenti verso di lui, e doveva ammettere che anche lui non era indifferente; ma per il lavoro che faceva, non poteva permettersi di cadere in “trappole” simili, per cui si era sempre rifiutato di innamorarsi di lei. Ciononostante, non si sottrasse quando Amanda lo abbracciò e lo tenne stretto, anzi, ricambiò il gesto e cercò di trasmetterle tutta la sicurezza che poteva.
- Ripetimelo, ti prego – sussurrò Amanda, il viso contro la sua spalla.
- Tornerò da voi, non devi preoccuparti.
In quel momento Elia sentì qualcosa tirargli la maglia: Gabriel si era di nuovo avvicinato e lo guardava con un'espressione che solo un bambino poteva fare: alzò la piccola mano porgendogli qualcosa che Elia afferrò.
- Ma Gabriel, questo è il tuo preferito!
- Tienilo, porterà fortuna – rispose il piccolo mentre le lacrime riprendevano a scorrere sulle sue guance, e lo abbracciò di nuovo.
Elia osservò il piccolo peluches a forma di panda: quel pezzo di stoffa e Gabriel erano inseparabili e il fratellino lo portava sempre con sé, in ogni occasione; il ragazzo sapeva bene quanto ci tenesse, per cui rimase doppiamente colpito e commosso da quel gesto.
- Tempo scaduto – disse il Pacificatore aprendo la porta – andate fuori.
Per Gabriel fu quasi impossibile staccarsi dal fratello e se non ci fosse stata Amanda, probabilmente non l'avrebbe mai fatto.
Elia li osservò uscire e giurò a se stesso che avrebbe vinto. Per Gabriel. Per Amanda. Per suo padre.

 


Distretto 3: Bella e Ares


 
Il Pacificatore afferrò bruscamente il braccio di Bella e la trascinò verso la saletta delle visite, ma lei riuscì appena ad accorgersi del suo comportamento intrattabile.
In quel momento tutte le sue energie erano rivolte a mantenere un minimo di dignità e non scoppiare in lacrime come una parte di lei avrebbe voluto. In fondo, se voleva vincere doveva essere determinata. Si sedette con la poltrona, accennando un sorrisetto tranquillo, ma quando il Pacificatore uscì si prese il viso tra le mani e iniziò a piangere sommessamente, cercando di non farsi sentire. Non voleva uccidere. E non avrebbe saputo nemmeno farlo! Potevo solo sperare di vincere scappando.
E doveva farlo. La nonna ormai non doveva avere più molti anni da passare con loro, e Matisse non poteva andare in orfanatrofio. Era troppo piccolo, troppo dolce. Avrebbe vinto per loro.
Bella, tesoro.- sua nonna entrò nella stanza con Matisse per mano e la abbracciò con dolcezza. – Mi dispiace piccola, mi dispiace… avevo giurato a tua madre che ti avrei protetta da ogni cosa. – gli occhi dell’anziana signora si inumidirono. – Nonna… non preoccuparti. Non puoi farci niente. Io.. vi prometto che proverò a tornare.- abbozzò un sorriso. - Cara, io so che puoi farlo. Ma devi sapere subito che sarà difficile. Non sei una che uccide, ma sappi che non devi darti per spacciata. Non attirare l’attenzione degli altri tributi, non conviene mai. Evita gli scontri diretti. Sei intelligente e veloce, ricorda che queste qualità possono essere molto più utili della forza bruta. E se dovrai uccidere… - il tono della donna si fece più triste, come se fosse colpita da un ricordo doloroso –non sarà bello, per niente, ma ricordati che non sarà colpa tua, e non ti biasimerò per questo.-
La ragazza la guardò intensamente: -Sembra che ci sia stata, da come lo racconti.-
La nonna sospirò :- Immagino che sia ora di dirtelo. Si, ci sono stata-
Bella sgranò i grandi occhi azzurri: -Cosa? Tu, una vincitrice? E allora perchè non viviamo…-
-Nel villaggio dei vincitori? Credimi, quando vincerai capirai che non meriti nessun premio per aver accoltellato un’alleato che si fidava di te, o… aver fulminato una bambina di dodici anni… –per un’attimo rischiò di mettersi a piangere.- Non te l’ho mai detto perché temevo che mi avresti disprezzato per questo.-
Non potrei mai farlo- bisbigliò la ragazza.
Lo immagino, avrei dovuto avere più fiducia in te. Non sarò la tua mentore, Wiress è una brava donna, di sicuro è più giovane e lucida di me, ma spero di averti dato dei buoni consigli. A proposito, prendi questo.- prese un braccialetto con un ciondolo dalla tasca e lo porse alla nipote incredula.
Un’ingranaggio-
- Sì, cara. È il simbolo della tecnologia e dell’intelligenza, quella con cui ho vinto e con cui anche tu vincerai. E ora, anche Matisse ha qualcosa da darti.- A quelle parole il bimbo sorrise e salì sulle ginocchia della sorella. – Bel! Vai nell’alena?-
Bella ci restò di stucco: - No Matt, nessun’alena. Faccio solo… un viaggetto.- si sforzò di sembrare ottimista.
Un bimbo di quattro anni non dovrebbe sapere parole come arena.- sussurrò alla nonna, in tono triste.
Ma non potevano farci niente. A Matisse non fuggiva niente, proprio come alla sorella. – Non piangele, Bel- disse il piccolo, asciugando la guancia della sorella maggiore – Guarda!-
Le porse un altro ciondolo, a forma di cuore. La ragazza lo aprì e dentro c’erano le foto del fratellino e della nonna. –Grazie.- sussurrò, asciugandosi una lacrima. –Vi prometto che tornerò. Tornerò per voi.-
 

 
Ares si avviò verso la stanza del palazzo di giustizia con portamento fiero ed eretto, senza degnare di uno sguardo la giovanissima e terrorizzata Pacificatore che lo scortava (la conosceva, faceva parte del gruppo di Pacificatori che comandava a bacchetta). Conosceva il palazzo di giustizia come le sue tasche, non per niente la sua madre adottiva (o meglio, la sua fornitrice di denaro) era stata l’amante del sindaco.
B-buona fortuna signore- balbettò la ragazza aprendo la porta.
Grace!- chiamò in tono tono autoritario Ares, prima che si allontanasse.- Prendi questa. Compra un regalo ai tuoi fratellini.- le lanciò una monetina.
G-grazie signore.- la ragazza eseguì un’inchino esagerato e si allontanò in fretta.
Ad Ares venne in mente una frase di un qualche grande uomo del passato: “Se vuoi che il popolo ti ami, fingi di voler esserne amato”. Quello sconosciuto sarebbe stato indubbiamente fiero di come Ares esercitava il suo potere. Calmo e imperturbabile, si sedette sulla poltrona e si sistemò comodamente, in attesa che l’ora destinata alle visite finisse e lui potesse smetterla di perdere il suo tempo ad attendere nessuno.
Contrariamente alle sue aspettative, la porta si aprì, lasciando entrare il capitano Pillory, il fidato comandante del suo piccolo esercito privato. –Signore- l’uomo si inchinò cerimoniosamente davanti al giovanissimo principale.
Il ragazzo nascose alla perfezione la sorpresa che provava. – Salve, Pillory. Come mai qui?-
- Oh, sono solo venuto a salutarvi da parte di tutto il corpo dei Pacificatori.-
Ares sogghignò: - Grazie del pensiero, ma non lo vedo poi così necessario. Non dovrei impiegare molto tempo a vincere.-
Il Pacificatore per un istante apparve dubbioso, poi riprese la sua aria servile. –Certo, certo, non ho dubbi. Oh, abbiamo indagato nel passato della vostra compagna di distretto. Vive con la nonna ed il fratello più giovane, genitori morti in fabbrica. Dobbiamo… eliminarli e farlo strategicamente sapere alla ragazza, in modo da renderla emotivamente provata e quindi una minaccia minore?-
Ares considerò per un attimo l’ipotesi. Era indubbiamente una mossa nel suo stile, ma pensò che non valeva la pena di scomodarsi tanto per una ragazzina. – No, non lo trovo necessario. Non credo sia una grande minaccia.-
Un sorriso beffardo si delineò per un attimo sul viso dell’uomo. –Come ordinate, signore. Volevo solo farvi presente che non credo che vincere sia così facile e forse dovre…-
Ares colse immediatamente il tono insunuante delle sue parole e lo interrupe bruscamente: - Occupati del tuo lavoro, Pillory. I miei piani sono esclusivamente affar mio.-
L’uomo fece una smorfia. –Fate come volete, ma io non sarei così sicuro della vostra vittoria.-
Il ragazzo, indispettito da tanta sfrontatezza, si alzò in piedi e si avvicinò pericolosamente al sottoposto: -Dimmi, non ti ho forse sempre ricordato che il comando è una posizione fragile?- sibilò, con il preciso intento di inquietarlo- anzi terrorizzarlo. Il Pacificatore perse immediatamente la sua espressione beffarda: -Io… si signore, certo.-
- Allora vedi di comportarti da sottoposto, se non vuoi assistere da sotto terra alla mia incoronazione di vincitore.- disse il ragazzo, crudele, afferrandolo con uno scatto repentino alla gola.
L’uomo annuì farfugliando e quando il ragazzo lo lasciò andare si allontanò balbettando un cerimonioso saluto. Ares sorrise soddisfatto. La morte era parte della sua vita da sempre. La vittoria era praticamente già sua.
 



Distretto 4: Adele e Dilan
 

Adele si rannicchiò sulla poltrona delle visite, soffocando le lacrime. Stentava ancora a crederci. La mano andò istintivamente sull’ Ankh che si era fatta tatuare dietro il collo quando aveva scoperto di essere incinta. Simbolo di vita, le avevano detto. Si, vita un corno! Andare nell’arena. Morire. Uccidere, magari un dodicenne come Chuck. Chi prendeva in giro quando si era iscritta in accademia? Poteva saper combattere, ma non avrebbe mai saputo uccidere. Quando diceva che il suo sogno era divantare mamma non intendeva così! Lo sguardo le cadde sull’altro tatuaggio, la nota sul polso. La musica che aveva nel cuore. Buon notte al pescatore, buona notte alla barchetta
buona notte anche a te, o mia dolce sirenetta. Adele cominciò a cantare senza neanche accorgersene. Era solo una ninnananna, dolce e semplice, ma era comunqueuna delle preferite di suo fratello Chuck, ricordava bene il sorriso che si dipingeva sul suo volto serio quando cantava con lui sulla spiaggia. Prima che fosse estratto e morisse alla Cornucopia.

Il mare è la tua culla, l’onda azzurra è il tuo lettino

ora il sole scende, ninna nanna pesciolino
non aver paura, lo squalo non ti prenderà
quando riaprirai gli occhi la tua mamma ci sarà
buona notte al pescatore, buona notte alla barchetta
buona notte anche a te, o mia dolce sirenetta.

Aveva dimenticato quanto la facesse sentire bene cantare. E in quel momento la porta si aprì, lasciando entrare Seth, il ragazzo che l’aveva salvata, come indicava l’ancora tatuata sulla clavicola. Nonché padre di sua figlia, anche se lui non lo sapeva. Il ragazzo corse verso di lei e la baciò bagnandole il viso di lacrime. – Adele- il ragazzo singhiozzò- Adele, non puoi andartene, ti prego! Devi tornare.- il ragazzo scoppiò in singhiozzi- Non puoi nemmeno immaginare quanto mi mancherai. -
Il viso della ragazza si addolcì e si lasciò andare tra le forti braccia del diciottenne.
Non piangere Seth- mormorò pur essendo anche lei in lacrime.- Ci rivedremo, te lo prometto. Io… farò qualunque cosa per tornare da te.-
Il ragazzo si sforzò di sorriderle e la abbracciò, legandole qualcosa dietro il collo: una collana di perle.. – Ti ricorderà sempre il mare. Io ti aspetterò.-
- Oh, non vedo l’ora di rivederti.- sospirò la ragazza, ritraendosi. - E dimmi… non è che per caso i miei genitori…-
Seth scosse la testa. –No, mi dispiace.-
Adele sospirò, sapeva che sua madre non sarebbe venuta, ma almeno suo padre avrebbe dovuto essere felice che lei fosse agli Hunger Games a seguire le sue orme… ma in fondo doveva aspettarselo. Non era più loro figlia da molto tempo. Eppure, per quanto fosse (anche lei lo riconosceva) stupido e insensato, quel pensiero fece crollare l’ultima traccia della sua maschera di forza e la fece crollare di nuovo tra le braccia del fidanzato.
T..ti prego- singhiozzò- promettimi che se tornerò, qualunque cosa accada nell’arena, almeno tu non mi abbandonerai. Io…-
Un Pacificatore entrò in quel momento e subito abbassò lo sguardo, dispiaciuto di dover interrompere quel momento, ma la legge era la legge, per quanto assurda Adele la trovasse: Seth si allontanò,baciandola l’ultima volta.
Io aspetto la tua bambina, Seth. La nostra bambina- sussurrò, come per accettare quella verità felice, ma che era piombata su di lei troppo, troppo presto.
 


-Mi alleno da quando avevo cinque anni- ripetè mentalmente Dilan– Non devo avere paura.-
Benchè il ragionamento non facesse una piega, Dilan non poteva fare a meno di essere un po’ nervoso. Certo, si era offerto anche per proteggere Adele, la fidanzata (incinta, tra l’altro) di uno dei suoi migliori amici e vincere non rientrava nei suoi programmi,eppure il pensiero della morte lo spaventava. Lo spaventava l’idea di non rivedere più il mare, né i suoi amici e gli zii, che avrebbe fatto meglio in realtà a chiamare genitori. Si sforzò di dominare il nervosismo e si sedette calmo, seppur ansioso di salutare, probabilmente per l’ultima volta, le persone a cui voleva più bene.
Hey, Silver!-
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, nervoso, trattenendosi per non insultare Vidal, che era entrato (senza essere invitato, come al suo solito) nella stanza con tanto di sorellina di nove anni al seguito. Silver era un soprannome che gli davano gli amici, per il colore dei suoi occhi. I nemici non lo chiamavano così. – Johnson.- disse il ragazzo, incupendosi- Da quando in qua noi siamo amici?-
Vidal gli rispose con un sorriso da ragazzino – Ma che domande fai, fratello? Da sempre!-
Dilan strinse con entrambe le mani il bracciolo della poltrona, sforzandosi di non far apparire tutta la cattiveria sviluppata in anni di bastonate da parte dei genitori e repressa con tanta fatica.
Gli amici si aiutano a vicenda, non si mettono nei guai, Johnson.-
- Ma che cavolate stai sparando, Silver? Avanti, lo so che forse, ma dico forse non avrei dovuto tirarti una spada, e so anche che tu padre se l’è presa con te, ma avanti, eravamo ragazzini di dodici anni! A quell’età tutti sono stupidi.-
Il ragazzo strinse i pugni, guardandolo male, senza rispondere.
Vidal si scaldò. – Ma cavolo! Può essere che tu ce l’abbia ancora con me, dopo tanti anni? Io sono tuo amico, Dilan!- il rosso si avvicinò bruscamente all’amico, con uno sguardo arrabbiato negli occhi.
E finitela!- esclamò la piccola Carline con voce squillante. –Vidal, sei un grandissimo scemo.-
Si mise in mezzo ai due ragazzi e spinse via il fratello, poi con un saltello si piazzò sulle ginocchia di Dilan, stuzzicandogli la barba bionda con un dito. – Dil ! Che stavo dicendo? Ah, ah si: mio frarello è un grandissimo scemo, però non è cattivo. Cioè, di solito no. Vabbè… comunque lui mi dice sempre che ha fatto una cavolata, perché ti vuole bene e non pensava che ti avrebbe messo così tanto dei guai. E poi dice anche che era geloso perché tu-
- Carline!- la interruppe il fratello, arrossendo.
...perché pensava che tu fossi una schiappa con le armi e invece sei moooolto più bravo di lui-
- Carline! Io non ho mai detto queste cos…-
-Si si, Vidal, come no. E allora dice sempre che ti vuole chiedere scusa, ma siccome lui è troppo scemo per farlo, scusalo!-
Un luccichio divertito passò nei grandi occhi del ragazzo. – Seriamente?-
Vidal era rosso come un aragosta. –Avrei voluto tenerlo per me, ma a quanto pare…-
Il neo tributo si alzò e diede una pacca sulla spalla all’amico. –Beh, se volevi chiedere scusa, non devi mica vergognartene. Sono sempre bene accette.- Anche l’altro sorrise. –Beh, amici come prima?-
-Più o meno-
-Allora vinci ragazzo. E sei un favorito: comportati da duro. Da me, insomma-
-Molto modesto-
-Come sempre.- ridacchiò il diciannovenne. –Beh, buona fortuna.-
-Grazie-
Vidal prese per mano la sorellina (faticando un po’ a staccarla da Dilan) e uscì dalla stanza, sorridendo. Subito dopo entrò Alessa. –Era ora! – disse a Vidal con aria arrabbiata, ma era impossibile prenderla sul serio con quel viso dolce. Corse a sedersi davanti a Dilan e gli prese la mano, con gli occhi umidi.
Silver, non ho molto tempo per parlarti, ma sappi che non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me e Manuel. Se il nostro Radius potrà avere un padre… sarà solo grazie a te. E…grazie!- le lacrime fuoriscirono dagli occhi blu della ragazza, che se li asciugò con il dorso della mano.
Ma no, non devi…- stava dicendo Dilan, ma la ragazza lo bloccò con un bacio, lasciandolo di stucco.
Oh, beh- disse la ragazza a mò di spiegazione- so che era da un sacco che volevi farlo. Buona fortuna, Silver, fai vedere a tutto il mondo quanto sei forte.-
 



Distretto 5: Rebecca e Jack


-Beck! Come sta la mia assistente preferita?- il bel pacificatore dagli occhi blu e dai capelli ramati che aveva l’incarico di accompagnare la ragazza alla saletta delle visite le posò un braccio sulla spalla con aria noncurante.
- Riffle, ci stai provando con una ragazza appena estratta. Oddio, ma allora sei proprio un caso disperato!- la ragazza scoppiò a ridere. Puramente in teoria lei era davvero la sua assistente, ma in realtà… beh, in realtà quello che lui voleva era tutt’altro che professionale. Non che ciò non le piacesse. Decise di godersi il momento, in fondo c’erano delle -piccole, minuscole- possibilità che fosse l’ ultima volta che si divertiva con un ragazzo.
Perché? In questi anni di lavoro ho accompagnato tante di quelle ragazze sexy... Ma tu sei la migliore! È un peccato non potersi dire addio come si deve- disse il ragazzo ammiccando.
Rebecca considerò per un attimo l’opzione, ma decise di lasciar perdere. Avrebbe avuto tutto il tempo di divertirsi una volta vinto, e ora ci teneva a salutare la sua famiglia.
Quando vinco, quando vinco facciamo tutto quel che ci pare. Ora però togliti dalle scatole e vai a lavorare, Pacificatore sfaticato che non sei altro! Sciò!- rise ed entrò nella saletta, spingendolo via.
Come previsto, non fece in tempo neanche a sedersi e sospirare che sua mamma entrò di corsa nella stanza abbracciandola. Mentre usciva come era venuta, senza parlare, Rebecca restò a bocca aperta.
Certo non se l’aspettava, ma era contenta di vedere che era fiduciosa nella sua capacità di tornare. Si era preoccupata che reagisse come il padre di Steph quando suo padre era morto, ma aveva visto la sua forza di volontà e non poteva che essere fiera di essere sua figlia.La porta si aprì di nuovo, lasciando entrare Tom e Ruby, terrorizzati.
Cavolo. –Ehy, il resto dell’esercito dove l’avete lasciato?- chiese, cercando di dare un po’ di allegria alla situazione.
Beck!- Ruby si getto tra le braccia della sorella, scoppiando a piangere.
Beck, scusa! Io sono la più grande, avrei dovuto offrirmi volontaria al tuo posto!-
Rebecca sgranò gli occhi. –Ruby, questa è… la cosa più stupida che abbia mai sentito! Quale parte della frase “Tanto mi dovevo offrire” non ti è chiara?-
- Ehm… parecchie parti! Perché volevi farlo, scusa? Non siamo messi così male.- si intromise Tom, spaventato. Beck suppose che “ogni volta che guardo gli Hunger Games mi viene voglia di uccidere” non fosse una risposta rassicurante per un ragazzino di quattordici anni, quindi ignorò la domanda.
- Su, su, non preoccupatevi, io vincerò, lo sapete. Tom, tu devi essere l’ometto di casa adesso che Kyle si è sposato, okay?- disse addolcendo il tono. I tre fratelli si abbracciarono. – Ehy, a proposito, date un bacio a Kyle e alle ragazze da parte mia. Pensa, mi mancherà anche Abby , è proprio vero che i giochi ti cambiano dentro.- Tom e Ruby piegarono la bocca in un sorrisetto forzato.
Oh, aspetta!- Esclamò Ruby, frugando in tasca. –Ecco qua!- tirò fuori un piccolo libricino consumato e lo porse alla sorella. – Sono proverbi, Beck, tutta la saggezza del nostro distretto. Ti ricorderà casa. Ti vogliamo bene Beck, devi tornare! Ciao!-
Non riuscendo più a trattenere le lacrime, baciò la sorella sulla guancia, prese la mano di Tom e scappò via, facendo entrare Stephanie, la migliore amica di Rebecca.
Ehy, Beck! Alla fine ci sei finita sul serio nell’arena, eh?- la ragazza abbozzò un sorriso e si sedette di fronte all’amica –Non preoccuparti, nessuno ci sa fare con le armi come te. E poi non voglio passare il prossimi tre anni anni a consolare quel branco di morti di figa che ti viene dietro! Vinci, okay?-
Rebecca rise e tirò un sospiro di sollievo. – Meno male, almeno tu un po’ di allegria! Non potevo più di lacrime! Credo che non ci sarà più bisogno di dare lo straccio in questa stanza per i prossimi dieci anni… però almeno tu niente lacrime, vero Steph? Steph?- l’altra ragazza lasciò perdere l’orgoglio e scoppiò a piangere, abbracciandola.
Cavolo. Anche lei. –Oddio! Chi sei tu, che ne hai fatto di Steph Donovan?- Beck prese le mani dell’amica e la guardò negli occhi. –Senti, ti conosco da undici anni e non hai pianto una volta, una! Nè quando tua madre se ne è andata, nè quando tuo padre è diventato.. quello che è. E allora non piangere neanche adesso, accidenti! Io tornerò, sono sicurissima. E, nel remoto, impossibile, assurdo caso non dovessi tornare.. mi prometti che chiamerai la tua prima figlia come me?-
Steph annuì, trattenendo le lacrime.- Si, la chiamerò Rebecca, ma non ce ne sarà bisogno, perché tu tornerai.-
Rebecca sorrise. -Bene, ma non Rebecca, Beck, chiamala Beck. Mi piace di più. E ora sgombera, ci si rivede tra tre settimane, e salutami il tuo vecchio e il nostro caro branco di morti di figa!-
 


Jake si alzò dalla poltrona e cominciò a a camminare saltellando per la stanza, torcendosi nervosamente le mani. Aveva paura, tanta paura, ma non doveva crollare.
Doveva tornare dai suoi genitori, dai suoi amici e da Peter, soprattutto, Peter che era come parte della sua anima. Mentre saltellava da un piede all’altro per cercare di allontanre i cattivi pensieri il fratello entrò e, prima di dire una sola parola, gli diede un sonoro ceffone.
Peter, ma cosa cavolo…- il ragazzo si fermò, perché quello che stava dicendo sembrava un tantino ipocrita, visto che aveva appena fatto un occhio nero al fratello sul palco della mietitura.
Jake, cosa cavolo avevi in mente!- strillò il gemello, facendosi sentire anche persino dalla compagna di distretto nella stanza vicina.
Ma volevo solo salvarti! Non potrei mai perdonarmi se morissi.- disse Jake con una serietà più unica che rara in lui.
Jake, la mamma non potrà sopportarlo. Di perdere un altro figlio.Di tutte le volte che è rimasta incinta le restiamo solo noi, e credi che questa volta andrà meglio? I nostri genitori non sarebbero mai più gli stessi, e neanche io. Devi mettercela tutta per tornare.-
Il tributo abbozzò un sorriso, anche per distogliere l’attenzione da quel triste discorso –Ma è ovvio! Preparate i fuochi d’artificio per quanto tornerò.- Disse, ammiccando per sdrammatizzare la situazione.
Il gemello sorrise incerto, più per confortare il fratello che per vera allegria. –I miei fuochi d’artificio non saranno mai belli quanto i tuoi, lo sai.-
Jake sospirò e abbracciò il fratello. –Su, su coraggio, non cascarmi nel sentimentale! Non comportarti come se fosse l’ultima volta che ci vediamo- Jake odiava vedere la gente soffrire, persino i perfetti sconosciuti, figurarsi la sua famiglia. –Piuttosto, stai vicino a mamma e papà, per favore. Nessuno sa tirare su il morale alla gente quanto te e se… non dovessi tornare non voglio che ci stiano troppo male. Sai, mamma…-
Entrambi lasciarono cadere il silenzio. Ormai tutto il Distretto sapeva delle innumerevoli gravidanze finite male di Grace e della disperazione – la follia- che si stava impossessando di lei.
Poi Peter riprese il discorso. –Beh, certo. E poi sono io quello che cade nel sentimentale, eh?-
Jake ridacchiò. –Dai, fratello, lasciamo perdere e fatti abbracciare. Promettimi che qualunque cosa accada tu rimarrai sempre il mio fratellino pazzoide, vero?-
Anche l’altro rise. – Parli tu, che hai quasi fatto saltare in aria la scuola con i fuochi d’artificio?-
- Ehy, quello è stato un incidente e non è per niente carino da parte tua nominarlo!-
- Avanti, non fare l’offeso adesso. Beh, io ora vado. Fatti valere fratellino, voglio vederti tornare, e anche tutto intero!- Peter diede una pacca sulla spalla del fratello e uscì dalla stanza. Dopo pochi secondi entrò di nuovo, fermandosi con sulla soglia. –Oh, Jake, dimenticavo. Buona fortuna.-
Gli lanciò qualcosa e uscì, stavolta definitivamente.
Il tributo guardò l’oggetto che aveva in mano: il braccialetto di suo fratello. Si, gli avrebbe portato fortuna.
 



Distretto 6: Nina e Blade


Nina aveva incosciamente sperato che fosse suo padre ad accompagnarla alla saletta, ma non fu così. Ovviamente, l’aveva abbandonato una volta, perché non avrebbe dovuto farlo di nuovo? Era solo un disturbo, per lui, un ostacolo alla sua carriera. A volte era stata persino tentata di farsi scoprire nei suoi crimini, solo per costringerlo a ricordarsi di lei, ma lui non se ne era mai accorto. Ad accompagnarla fu un normalissimo pacificatore di mezza età, che si teneva a debita distanza da lei come se fosse spaventato. Reazione naturalissima e che le fece piacere, del resto tutti sapevano quanto persone aveva ucciso per non farsi scoprire, mentre entrava nelle case a rubare. Ma scusa, pensava Nina, che c’era di male? Tutte le persone sono cattive. Suo padre aveva ucciso sua madre lasciandola morire di tubercolosi senza fare niente per lei. Le donne dell’orfanatrofio lasciavano morire di tristezza e solitudine i bambini senza nemmeno accorgersene. Si, tutte le persone sono cattive, ed era per questo che Nina ne stava lontana. E poi, che ci poteva fare? Non era colpa sua se nell’orfanatrofio le avevano rubato ogni traccia di bontà. La porta si spalancò improvvisamente e Nina corresse i suoi pensieri. Tutte le persone erano cattive, tranne Alec. –Oh Nina, povera Nina! Mi dispiace!- il ragazzo corse da lei e la abbracciò.
Basta scassare le balle, Alec.- lo spinse via facendolo cadere sul pavimento. Detestava la bontà di quel ragazzo. Gli ricordava troppo la bambina-angelo che anche lei era stata.
Ma Nina!- gli occhi azzurri di Alec si fecero tristi. –Io.. Nina, io lo so che non sei come credi, c’è del buono in te… mi dispiace vederti cosi!-
La ragazza si strinse nelle spalle. –Oh, ma chissene! Parliamo di qualcosa di serio, non viene Claire?- disse con una particolare scintilla di cattiveria nei suoi occhi azzurri e penetranti.
Claire è morta, Nina, non verrà.- sussurrò Alec, con gli occhi pieni di dolore.
Lo so, lo so. Uffa, mi andava, di farmici una fumatina. Tu sei proprio una rottura di balle, Claire è stata un’ idiota, ma almeno era simpatica.- sbuffò.- Ma tu che fai servizio all’orfanatrofio, non te ne potevi accorgere che si stava cannando troppo? Certo che sei proprio inutile.-
Il ragazzo abbassò gli occhi. –Perdonami- mormorò, quasi tra sè e sè. Aveva voluto bene a Claire, ma del resto a chi non voleva bene, lui?
-Può darsi.- la ragazza stirò le labbra in un sorrisetto cinico- Ora sgombera, però, che mi sono stufata di parlare con te. -
Alec ci restò di stucco: -Ma.. io credevo.. voglio dire, potremmo non rivederci più, vorrei almeno abbracciarti… Non hai paura di morire?-
- No, perché? Tanto qui è una schifezza, una vita così meglio perderla che trovarla.- sbuffò, annoiata, come se stesse facendo un discorso di poca importanza.
A me dispiacerebbe, però!- sbottò il ragazzo prendendole una mano –Non sei sola, io ti voglio bene e secondo me anche tuo pad… -
-Alec, non me ne frega un cacchio di rivederti, ti ci sta in testa o no? E ora leva il disturbo, ho detto, sciò!- Mentre il ragazzo si allontanava, trattenendo le lacrime, Nina sorrise. Adorava ferirlo, era eccitante. Ed era ancora più eccitante vedere come ogni volta tornasse comunque da lei.
 

 
Gli occhi nerissimi di Blade si fissarono cupi sulla porta chiusa.
Per un attimo si concesse una specie di sorriso. Bene, era agli Hunger Games. Sentì uno strano senso di rilassamento al pensiero che presto tutta la rabbia repressa da troppo tempo sarebbe fluita libera alle spese di qualche povero disgraziato. E poi magari suo padre se fosse riuscito nell’ obiettivo di procurare un vincitore alla sua famiglia si sarebbe deciso a comportarsi da genitore in modo accettabile.
In quel momento la porta si aprì.
Blade, caro!-
Un groviglio di emozioni si agitò nel cuore di quel ragazzo tanto addestrato a reprimerle.
Dolore. Rancore.
Furia.
Che ci fai qui?- urlò il ragazzo scattando in piedi e stringendo i pugni.
La madre gli rivolse un sorriso traboccante falsità. –Ma come, tesoro, sono venuta a salutarti!-
Blade ebbe quasi la nausea a sentire quelle parole falsamente dolci. – Adesso? Solo adesso che sono appena stato estratto te ne frega qualcosa di me? Io non esisto per te, o non te ne saresti mai andata!-
Il ragazzo colpì il bracciolo della poltrona con un pugno, rischiando di romperlo. –Vattene!-
-Caro, ma…-
-Vattene!- la donna si decise a dargli retta e Blade per un attimo credette di essere stato lasciato in pace, finchè dalla porta non entrò suo padre. Che palle. Suo padre veniva dal Distretto 1 e in gioventù era stato uno di quei ragazzi che aspirano alla vittoria, ma da quando la figlia era morta nella finale dei giochi due anni prima più che a uno spietato vincitore Favorito somigliava quello del 12: assente, scorbutico e alcolizzato perso.
Tuttavia in quell’occasione gli sembrava abbastanza in sé. Doveva essere molto fiero di essere riuscito a gettare nell’arena entrambi i figli. - Uhm, uhm, bene. Sei agli Hunger Games, ragazzo!- barcollando leggermente si sedette davanti al figlio e gli assestò una virile pacca sulla spalla. – Avrei preferito che ti offrissi, ma va bene così, non pretendevo che avessi il coraggio di offrirti a quindici anni come Beatriz. Cavolo, lei sì che era una ragazza con le palle! Ce l’aveva quasi fatta… Nah, pazienza, mi accontento di te.-
Il ragazzo sentì una pericolosa scarica di rabbia percorrerlo da capo a piedi, ma si sforzò per restare fermo. – Beatriz era solo una stupida. Mamma se ne è andata per colpa sua vero ?- disse, strofinandosi la cicatrice sul sopracciglio fattagli dalla gemella.
Il padre fece un gesto vago con la mano. –Mah, chi le capisce le donne? Sono sempre un’errore, Blade. Non voglio vederti nemmeno parlare a una ragazza, nè nell’arena nè fuori. Sono solo femminucce piagnucolose che hanno paura anche della loro ombra, e l‘ultima cosa di cui hai bisogno è di affezionarti a qualcuno.- Blade annuì freddamente, malgrado non si trovasse del tutto d’accordo. Quella ragazza, la sua compagna Tina, o come si chiamava, Blade non poteva fare a meno di ammirare il suo coraggio. Quanto avrebbe voluto avere anche lui la forza di sfidare davvero suo padre! Non ne aveva mai avuto il coraggio, però ricordava ancora troppo bene quando la madre se ne era andata, spinta dal costante atteggiamento di sfida di sua sorella, e non voleva perdere anche lui. Per quanto come padre lasciasse a desiderare, come allenatore gli serviva.
Bene. Cos’altro?- chiese brusco.
Fatti vedere forte. Non importa se non sei simpatico o interessante, se sei spietato ti ameranno lo stesso. Corri alla Cornucopia, ma vedi di non morire, non voglio vergognarmi di te per tutta la vita. Ricorda di non fare cavolate, non accendere un fuoco di notte e non abbassare mai la guardia. Ora vado, tu vinci, e non azzardarti a farti ammazzare, non mi restano più altri figli che possano vincere. – gli occhi si fecero lucidi al ricordo della sua adorata Beatriz, riempiendo l’animo del figlio di un confuso turbine di odio e gelosia – Forse mi renderai fiero di te, figliolo.- L’uomo bevette qualcosa dalla fiaschetta che portava al collo e si allontanò, con seri problemi a restare in piedi .
Ma chi se ne frega, pensò Blade, guardando annoiato il soffitto.
 



Distretto 7: Hope e Donald


Hope riuscì di vincere la timidezza e sorridere al Pacificatore che la accompagnava e si sedette composta sulla poltrona, sebbene tremando di paura. Se voleva avere qualche possibilità doveva abbandonare la sua abituale riervatezza e trovare un modo per farsi amare anche dagli estranei ed era meglio cominciare subito: persino il pensiero dell’intervista la terrorizzava, anche senza parlare dell’arena vera e propria. Nessuno avrebbe puntato su una silenziosa ragazza che non aveva la minima abilità, ma in cuor suo sperava lo stesso che qualche miracolo potesse permetterle di tornare. La ragazza chiuse gli occhi e canticchiò tra se e se la melodia che amava suonare al pianoforte, cercando di calmarsi.
Hope!-
Nella stanza entrarono Robb, Lorence e Simeòn, insieme alla sua amica Esme. – Ciao- mormorò timidamente la ragazza, cercando di apparire sicura di sè.
La prima a rompere il silenzio carico di tensione fu l’esuberante Esme.
Hope! Hey non pensare nemmeno per un momento che tu non possa tornare. Se riesci a farmi passare un’intero giorno di di scuola senza finire in punizione allora puoi fare qualunque cosa!- L’altra si sforzò di sorridere.
- È vero… non preoccupatevi, io… io ci proverò. -
Esatto! Non temere, Hope, sai arrampicarti, non sei male come mira e poi sei dolcissima, tutti ti adoreranno. Fortuna che non hai preso da me, che sono un’imbranato fatto e finito!- aggiunse Lorence, il secondogenito della famiglia Anderson, che aveva appena passato l’età da mietitura.
Finiscila, Lorence, se le ricordi come sei messo tu la deprimi e basta. – si intromise il maggiore, Simeòn, ridendo. – Piccola, tu sei la sorellina che sognato per tanto tempo, mi manchi tanto da quando sono andato a vivere con Sybille e di certo non ti perderò ora. Sono sicuro che puoi vincere, e vedrai che una volta vinto delle sciocchezze come reggere lo strascico al mio matrimonio non ti preoccuperanno più!-
Hope arrossì, era da quando Sybille e Simeòn si erano dati il primo bacio che cercavano inutilmente di costringerla ad accettare il ruolo di damigella, fregandosene immensamente della sua repulsione per lo stare al centro dell’attenzione. -Ma non sono brava a stare in pubblico, lo sai. Come farò davanti a tutta Panem?-
Fu l’altro fratello, Robb, quasi suo gemello per quanto erano legati, a rispondere per lui. –Tu? Ma se tutti ti adorano! Lorence sarà uno scemo e un grandissimo sfaticato- fu interrotto per un attimo da uno sguardo assassino da parte del fratello, ma proseguì come niente fosse. – ma ha ragione. Sei, gentile, buona, adorabile. Se potessi sponsorizzare qualcuno sponsorizzerei sicuramente te. E anche Hector. Il pacificatore non l’ha fatto entrare, perché siamo troppi, ma dice che non vede l’ora di vederti tornare.- Hope sorrise al pensiero dell’allegro cugino più grande, l’unico a parte Esme e Robb a cui apriva davvero se stessa.
Proprio in quel momento il Pacificatore entrò, annunciando la fine del tempo.
Add… arrivederci- disse Hope, con un dolce sorriso sulle labbra.
 

 
Donnie rabbrividì, quando il Pacificatore lo scortò nella saletta al palazzo di giustizia. Non odiava nessuno e di certo non senza conoscerlo, ma non poteva proprio dimenticare il giorno in cui i suoi genitori avevano dato la vita per proteggere un orfanella innocente dalla loro crudeltà.Come si poteva essere così cattivi? L’unico lato positivo di quella triste vicenda era che la povera orfanella accusata di furto sarebbe poi diventata la sua amata, Wendy.La ragazza entrò nella stanza quasi contemporaneamente a lui, quasi spingendo via il Pacificatore e buttandosi tra le sue braccia. Donnie le gettò le braccia al collo e le sfiorò dolcemente le labbra carnose, prima di allontarsi quanto bastava per riuscire a sussurrarle un – Tornerò, non preoccuparti per me.-
La ragazza mora annuì, con le lacrime agli occhi.- Donnie, so che ce la puoi fare, ma ho paura per il nonno. Ha avuto un infarto, ora è in ospedale, ma non so se ce la farà.-
Il fidanzato la abbracciò con dolcezza, cercando di nascondere la sua paura per fare coraggio a Wendy. –Su, non avere paura. E chi lo ammazza quello? Sai com’è il nonno.-
Quella frase riuscì a strappare un sorriso alla ragazza. – Lo spero. Oh, dimenticavo.-
La sedicenne infilò una mano in tasca e tirò fuori un sassolino. Abbozzò un sorrisetto stirato. –Beh, non è un diamante, ma è la prima cosa che ho trovato, ci tenevo a darti qualcosa.-
Donnie le sorrise e se lo infilò in tasca. –Oh, grazie mille. Mi porterà sicuramente fortuna, se me l’hai dato tu.- disse, prima di baciarla di nuovo, più intensamente. Sarebbe stato sicuramente bello avere qualcosa che gli ricordasse casa, la pace dei suoi boschi e le risate dei suoi amici.
Oh- disse dopo essersi staccato.- Io… avevo sempre sperato che avrei avuto un anello per questa occasione, e anche che fossimo in una situazione più felice, ma…- dopo aver detto quelle parole si inginocchiò sul pavimento, tenendo il sassolino in mano a mò di anello di fidanzamento –Wendy Penguin, vuoi diventare mia moglie?-
Gli occhi della ragazza si inumidirono, nonostante fosse molto tempo che nessuno dei due piangeva.
-Oh si Donnie, lo voglio. Ma senza pensarci un attimo, proprio! Voglio restare con te per sempre, quindi devi promettermelo, che tornerai. Fai qualunque cosa! Non importa se devi portarti a letto mezza Capitol City, tu sei solo mio e non ti perderò così presto!- quasi urlò, praticamente stritolandogli la mano.
Ehy, ehy, calma. Puoi scommetterci che tornerò- ridacchiò il diciottenne, giocando con le ciocche more della ragazza. Il Pacificatore entrò dichiarando –Tempo scaduto- proprio mentre si chinava per baciarla di nuovo.
Donnie pensò che non avrebbe mai, mai sopportato i Pacificatori.
 



Distretto 8 : Jennifer e Lysandre



Jennifer girava nervosamente per la grande stanza del Palazzo di Giustizia, frugando da tutte le parti: un foglio e una penna, chiedeva solo questo. Aveva anche domandato al Pacificatore di guardia se avesse potuto procurarglieli, ma lui aveva risposto con un'alzata di spalle e un “arrangiati” a cui la ragazza non aveva potuto ribattere. Il bisogno spasmodico di scrivere l'aveva accompagnata da quando aveva alzato automaticamente la mano per offrirsi come volontaria, e non l'aveva ancora abbandonata: era il suo modo per sfogarsi; quanto avrebbe voluto scrivere cosa pensava in quel momento!
La porta si aprì ed entrarono i suoi genitori: il padre, Arthur, corse subito ad abbracciarla: - La mia piccola Jennifer! Non dovevi, non dovevi offrirti!
Jennifer ricambiò l'abbraccio: - Non cambierei idea, anche se potessi tornare indietro: ho salvato una vita, e di questo sono fiera – concluse, gli occhi lucidi.
- Arthur, non darla ancora per spacciata – Eileen si intromise nel discorso; lei e la figlia avevano sempre avuto un rapporto di leggera freddezza, ma erano pur sempre sangue dello stesso sangue – Ha preso da te la sua intelligenza, ed è furba.
Jennifer sorrise a quei complimenti, molto rari da sentire dalla bocca della madre: - Sì, ce la posso fare.
- Spero però che tu abbia ereditato da me il buon senso – riprese Eileen – ti servirà, nell'arena.
- Hai anche una buona mira – continuò Arthur, staccandosi da lei – sfrutta bene il periodo di addestramento che avrai a Capitol per capire qual è l'arma migliore per te.
Già, l'arma. Jennifer aveva sempre pensato che se fosse stata sorteggiata per gli Hunger Games sarebbe morta, in quanto non sarebbe riuscita ad uccidere nessuno. Ma ora, una consapevolezza ed una convinzione si stavano facendo largo in lei: voleva tornare a casa, voleva vivere, ma per farlo avrebbe dovuto macchiarsi le mani di chissà quanti omicidi. E l'avrebbe fatto, ora ne era certa.
I suoi genitori vennero richiamati dal Pacificatore che li fece uscire dalla stanza in modo poco gentile, lasciandola temporaneamente sola con i suoi pensieri. Ma dopo pochi minuti la porta si aprì di nuovo e Joanne entrò disperata.
- E' colpa mia! E' colpa mia! - esclamò, gettandole le braccia al collo e iniziando a piangere – Se mi fossi allenata tu non avresti dovuto offrirti al mio posto! Perché sono così debole!?!
Jennifer lasciò che l'amica si sfogasse, e quando sentì che i singhiozzi si stavano affievolendo, iniziò a parlare: - Ascoltami: non essere stupida, io mi sono offerta perché non voglio che tu muoia, e l'avrei fatto in ogni caso, credimi.
Forse non era vero: se Joanne si fosse allenata almeno un minimo, forse Jennifer non si sarebbe offerta al suo posto. Ma con i se e con i ma la storia non si fa.
- Per cui – riprese Jennifer – non voglio che tu ti senta in colpa, hai capito?
Joanne la guardò, pronta a ribattere.
- Ehi! Ti ho detto niente sensi di colpa! - le sorrise Jennifer, anticipando la frase dell'amica – Io tornerò a casa, per cui non avrai neanche tempo di sentirti male, te lo prometto.
- Stai attenta – sussurrò solamente l'altra, abbracciandola di nuovo e sperando con tutto il cuore che quel gesto non diventasse un addio.
 


Lysandre si sistemò meglio al collo la sua sciarpa color turchese intenso e la strinse forte con la mano: doveva ammetterlo, era nervoso e Sciarpi era l'unica che potesse dargli conforto. Sì, Sciarpi, la sua fedele sciarpa, quella che aveva tessuto da solo anni prima, la sua prima creazione; ci era così affezionato ed era così orgoglioso di lei che le aveva dato anche un nome, Sciarpi appunto.
Il ragazzo sospirò e si sedette sul comodo divano, aspettando che il tempo delle visite trascorresse: non si aspettava che nessuno lo andasse a trovare; di amici ne aveva pochi, o nessuno, e quasi tutti suoi amanti occasionali; di amiche invece ne aveva, ma sospettava che fossero attirate dalla sua compagnia più per consigli che per altro: in fondo era il loro amico gay. Non aveva famiglia. Perché Lysandre aveva smesso di considerare suo padre come tale anni addietro, quando dopo molte vicissitudini e litigi, gli aveva rivelato di non essere come lui voleva e per premio era stato cacciato di casa. Lysandre ricordava ancora il suo sguardo traboccante di odio e disgusto, mentre gli urlava di non farsi più vedere...
La porta si aprì e al ragazzo venne un mezzo infarto, immerso com'era nei suoi pensieri; senza che avesse modo di capire chi o come, delle braccia lo circondarono e la sua maglietta iniziò ad inumidirsi.
- Ehi Franny occhio alla maglia! Deve durarmi anche per il viaggio in treno! - esclamò lui sorridendo, avendo riconosciuto la donna.
E poi riuscì a capire chi era venuto a trovarlo. Erano addirittura in quattro: quella che gli si era buttata addosso era Franny, una donna trentenne, che Lysandre riteneva un po' matta e con il ciclo perenne, in quanto aveva costanti sbalzi d'umore, comportamento che gliel'aveva subito fatta piacere; la seconda era Syria, anch'ella sulla trentina, che ospitava spesso Lysandre per la notte e lo considerava quasi come un figlio; la terza si chiamava Haleandra, sua coetanea, ed era una delle poche che lo apprezzasse per tutti i lati del suo carattere – buoni o cattivi – e che lo tenesse in riga quando strafaceva. E poi c'era lei.
- Alzati da lì, sembri un depresso dopo una sbornia.
Jennyfer andò a grandi passi verso la finestra, la aprì e si accese una sigaretta – ovviamente non era permessa, ma dettagli.
- Sì, anche tu mi mancherai Jen – ghignò Lysandre; Jennyfer era quella che preferiva senz'altro: insomma, la prostituta e il gay. Senza dubbio erano una bella accoppiata – A proposito, hai notato la coincidenza? Ti chiami come la mia compagna per gli Hunger Games. Ti giuro che quando l'hanno chiamata mi sono cagato sotto per paura di vedere te! - rise lui – Ma poi ho ricordato che sei troppo vecchia per partecipare...
- Sta' zitto – tagliò lei, fumando nervosamente – Primo, non sono vecchia, sei tu che sei ancora in fasce; secondo, togliti dalla testa di morire in quella fottuta arena, te lo vieto: devi tornare, alla faccia di quella Capitol City del...!
- Sì, ok, abbiamo capito – la interruppe Haleandra, cercando di frenare la marea di ingiurie che stava per inondare la stanza – Lys, mi raccomando, non fare stupidaggini.
- Non le farà – disse Syria, avvicinandosi affettuosamente a Lysandre e accarezzandogli i capelli – sei intelligente e sveglio...
- E soprattutto figo – continuò Franny asciugandosi il viso con una manica del vestito – li conquisterai tutti.
Lysandre sorrise a quegli incoraggiamenti: non pensava che ci potessero essere persone che tenessero così tanto a lui.
- Sì, sì, sì, ha le carte in regola per farcela e bla bla bla – si intromise Jennyfer, buttando il mozzicone di sigaretta fuori dalla finestra – ma di 24 che hanno il potenziale per farcela, ne torna vivo solo uno e giuro su Dio, se non sarai tu ti verrò a menare anche all'inferno!
- Non giurare su Dio se devi venirmi a cercare all'inferno – disse sorridendo Lysandre alzandosi – potrebbe essere una cosa blasfema.
- E' una cosa blasfema – commentò Jennyfer – ma quando mai sono stata una brava cristiana? - e rise.
Lysandre si lasciò contagiare da quella risata, e con lui anche le altre tre. Mai un saluto per gli Hunger Games era stato così ilare, ma Lysandre non poteva che esserne felice: non aveva bisogno di una famiglia quando aveva quattro amiche così, e vincere i Giochi della Fame gli sembrava un'impresa tutt'altro che impossibile in quel momento.
 



Distretto 9: Karmilla e Benjamin


Karmilla prese la piccola fiaschetta che teneva sempre al collo legata ad un cordino e bevve un generoso sorso di vodka. Sì, andava decisamente meglio.
- L'ho sempre detto, l'alcool è il rimedio migliore ai guai della vita.
Priska apparve all'improvviso dietro a Karmilla con un boccale di birra in mano, e imitò la ragazza trangugiandone metà.
- E io ti ho sempre dato retta – rispose l'altra – Ma pensi che nell'arena mi lasceranno bere?
Priska rise: - Non penso, in caso ti offrirò qualcosa io al momento giusto.
- La mia era un'affermazione ironica e una domanda indiretta per chiederti se avevi qualche consiglio da darmi.
- I-io ho q-qualcosa da d-dirti... ma probabilmente n-non ti servirà...
La voce di Anthony raggiunse flebile le orecchie di Karmilla che si girò: il diplomatico era apparso sulla poltrona e come al solito si stringeva le ginocchia con le braccia, dondolandosi sul posto.
- Avanti, sputa il rospo – gli disse lei.
Anthony alzò lo sguardo da cane bastonato: - A parer mio, n-non dovresti dar a v-vedere questo t-tuo comportamento... R-rischi di spaventare gli s-sponsor – balbettò lui.
- Oh andiamo Tony! - esclamò Priska – Fatti un goccio, offro io, ma togliti quell'espressione da pesce lesso dalla faccia!
- Aspetta Priska – iniziò Karmilla, bloccandola con un cenno della mano – stava dicendo qualcosa di interessante.
Anthony finì di traballare e il suo viso si illuminò: - D-davvero pensi che siano c-cose u-utili? - chiese. Se fosse stato un cane starebbe scodinzolando.
- Ma certo che lei pensa che siano cose utili! - Ermengarda apparve, nel suo pomposo vestito settecentesco, brutalmente strappato in due parti all'altezza dell'addome – Caro, non dovresti minimizzarti sempre così tanto!
- Stai parlando con un suicida depresso, dovresti ricordartelo, genio – commentò sarcastica Priska, bevendo un sorso di birra – Non mi pare molto intelligente nel dare consigli.
- Ha parlato quella che è annegata in un abbeveratoio per animali dopo essere svenuta per il troppo bere – le rispose a tono e irritata Ermengarda.
- Almeno io non sono una sfigata che si è fatta tranciare in due da una carrozza – sorrise ironica Priska.
- E piantatela! - Karmilla si era stufata di quei battibecchi, ma non poté fare a meno di nascondere un sorriso dietro all'irritazione; le piaceva troppo vedere quelle due che si sbranavano ad insulti – Se avete qualcosa da dirmi bene, se no potete anche sparire!
- E rilassati Karm! - Cola comparve sull'enorme lampadario della stanza.
- Già, in fondo stai solo andando a morire! - sghignazzò Coca, vicino al gemello, iniziando a dondolarsi appeso al lampadario.
- Ehi, voi due! È un lampadario costoso! - li rimproverò Ermengarda.
- Già, molto costoso – Karmilla assunse un'aria più attenta – e... e assolutamente sporco!
La ragazza prese dalla tasca della divisa da cameriera uno straccio, agguantò una sedia, vi salì sopra e iniziò a spolverare meticolosamente il lampadario imprecando: - Guarda te... Sporco, sporco! Sporcizia dappertutto! - esclamò iniziando a guardarsi intorno – Esseri immondi che pensano sia tutto un porcile! Appena tornerò li metterò in riga!
- Se tornerai! - dissero in coro ridendo Coca e Cola, appollaiati sopra ad un mobile – Chi lo sa, potresti anche venire a farci compagnia!
- Ma certo che tornerà! - esclamò fiduciosa Ermengarda.
- Io h-ho i miei d-dubbi... - commentò a bassa voce Anthony – S-seguirà il mio c-consiglio e si farà a-ammazzare s-subito... - e riprese a dondolare.
- Una cosa è certa – iniziò Priska – Ora non si fermerà fin quando non avrà pulito ogni traccia di polvere in questa stanza... Chiamatemi quando avrà terminato – e si stravaccò sul divano.
Dopo un'ora buona un Pacificatore andò ad avvertire Karmilla che era arrivato il momento di salire sul treno. Appena entrò nella stanza sgranò gli occhi nel vedere la lucentezza degli oggetti presenti: mai erano stati così puliti.
Riavutosi dalla sorpresa, notò Karmilla seduta sul divano con una mano alzata, intenta a dare colpetti... al niente??
- Nessuno è venuto a salutarti – le disse ghignando – devi essere veramente sola.
- ...Quindi stai tranquillo Anthony, e non deprimerti ancora, che non puoi morire una seconda volta.
- Ehi ragazzina! Parlo con te!
Karmilla alzò la testa stizzita: - Quanta maleducazione c'è in questo distretto! - si alzò in piedi – E comunque sei un'idiota, mi sono venute a trovare più essenze di quante credi – e scomparve oltre la porta, lasciando il Pacificatore interdetto.
L'uomo era nuovo del distretto e non sapeva che Karmilla sosteneva di vedere spiriti e fantasmi, e di parlarci pure!
- Che dite, ce la farà? - chiese preoccupata Ermengarda.
- E' Karmilla Loshad – iniziò Priska, mezza ubriaca – E' un'imprevedibile garanzia.
 


Benjamin si passò una mano sul braccio sinistro, accarezzando le innumerevoli cicatrici che si era fatto lavorando nei campi, e sospirò guardando fuori dalla finestra: oramai era in gioco, e doveva giocare, facendo vedere a tutti quello che valeva. E il perché si fosse cacciato da solo in quel “guaio”, gli trapassò la testa come una scossa; Benjamin aveva sempre saputo di essere un ragazzo complicato e spesso privo di buon senso, e l'istinto che alla Mietitura gli aveva fatto alzare la mano ne era un esempio. Ma probabilmente molti avrebbero pensato che avesse l'animo da Favorito, perché lui si era accorto di essersi offerto per una cosa soltanto: la gloria. Nei Distretti 1, 2 e 4, questa motivazione era apprezzatissima da tutti, anzi, diciamo che era la normalità; nei distretti inferiori invece era considerata il biglietto di sola andata per il non-ritorno. E infatti le domande che i suoi genitori gli rivolsero dopo essere entrati nella stanza, furono riguardo a questo.
- Benjamin, perché? Perché?! - gli chiese il padre, non capacitandosi ancora dell'azione del figlio.
- Voglio mettermi alla prova – rispose semplicemente il ragazzo. Un lato del suo carattere ben definito era che diceva sempre la pura e semplice verità – Voglio scendere nell'arena e dimostrare il mio valore.
- Ma morirai! - gli rispose l'uomo.
- No. - la voce della madre arrivò sicura; era sempre stata una donna forte, anche se in quell'occasione aveva molta più difficoltà a mantenere il proprio autocontrollo – Lui potrebbe morire, ma non succederà, vero?
Benjamin scosse la testa: - Assolutamente no.
E dal suo sguardo, la madre capì che poteva fidarsi di lui.
Quando i genitori se ne furono andati, entrò la sua migliore amica, Alicia: - Ti rendi conto di quello che hai fatto? - gli chiese seria. La ragazza lo conosceva bene, ed era abituata al suo carattere, ma non avrebbe mai pensato che potesse arrivare a tanto.
- Mi pare ovvio – rispose lui.
Alicia scosse la testa: no, non poteva sperare di concludere qualcosa con quel discorso, anche perché ormai il danno era fatto.
- Tieni – e gli lanciò qualcosa.
Benjamin, dopo averlo preso al volo, osservò l'oggetto: era una catenina d'argento con un ciondolo a forma di foglia, che risplendeva alla luce.
- Ti porterà fortuna – spiegò Alicia – perché ti rappresenta: una foglia che sembra debole, ma nello stesso tempo ha la forza di sopravvivere alle tempeste, saldamente ancorata al suo albero – gli andò vicino e lo abbracciò – Ricordati sempre da dove vieni, e il tuo albero ti sosterrà anche da lontano.
 



Distretto 10: Victoria e Dennis


Victoria osservava i pascoli che si estendevano nel suo Distretto: per loro non era cambiato niente da quella mattina, semplicemente stava passando un'altra giornata. Ma per lei tutto era diverso. Si era offerta volontaria. Era uno dei tributi degli Hunger Games di quell'anno. Ma non si era pentita: si era offerta per salvare sua sorella da una certa orribile fine; consapevole del peso del suo gesto, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, l'avrebbe rifatto, è sicuro.
La porta si aprì e si richiuse di botto e Frida quasi si gettò sulla sorellina, stringendola in una salda presa: - Perché cazzo l'hai fatto?! - disse, la voce rotta dai singhiozzi che continuavano a salirle alla gola.
Victoria ricambiò l'abbraccio senza far trapelare emozioni negative: le si stringeva il cuore nel vedere la sua amata sorella il quello stato, ma aveva deciso di far vedere che era forte, e doveva iniziare da subito; e poi sperava che il vederla tranquilla avrebbe giovato anche a Frida.
- Tieni.
Frida si era allontanata quel tanto che bastava per appuntare qualcosa al vestito di Victoria. La bambina la osservò: era una spilla a forma di margherita.
- Sei tu – spiegò Frida, asciugandosi le lacrime con la mano – semplice, ma forte e bellissima, la margherita non può che rappresentarti – e la abbracciò di nuovo.
- Frida, sai che ce la posso fare – iniziò Victoria dopo un attimo di silenzio, controllando le alterazioni nella voce – mi sono allenata, mi sono preparata, tornerò a casa.
- Tempo – avvertì un pacificatore.
Prima di vederla sparire oltre la soglia, Victoria strinse forte la sorella e una singola e luminosa lacrima accompagnò quel gesto, andando a bagnare la spalla di Frida, che se avesse potuto, non l'avrebbe mai lasciata andare: - Arrivederci, sorellina – le sussurrò prima di uscire.
Dopo Frida, entrarono Edgar e Grace, i loro genitori.
- Oh Victoria! - disse la madre abbracciandola. Non era mai stata molto presente per le figlie, e ora che una di loro stava per lasciarle – forse per sempre – le aveva fatto pentire di non aver passato più tempo con loro.
Il sindaco si unì all'abbraccio famigliare, commosso. Entrambi i suoi genitori le fecero piovere addosso una caterva di domande, ovviamente retoriche, perché le risposte erano conosciute da tutti, e poi iniziarono ad abbracciarla e baciarla, augurandole buona fortuna e facendole promettere di tornare. Victoria li rassicurò sorridendo, dicendo loro che non li avrebbe delusi e sarebbe tornata viva, ma questa volta fu ben attenta a controllare le lacrime.
- C'è qualcun altro per te – disse Edgar alla figlia – guarda fuori dalla finestra.
Victoria si avvicinò alla finestra e scrutò oltre.
- Ehi Victoria! - un suo compagno di scuola, assieme ad altri suoi amici, stava aspettando fuori dal Palazzo di Giustizia – Saremmo venuti dentro, ma non ci lasciano entrare con lei!
Da dietro un angolo, un ragazzo suo compagno avanzò tenendo una corda dietro di sé...
- Shira! - esclamò Victoria stupefatta.
La sua stupenda cavalla bianca a chiazze nere, come avesse sentito il richiamo della padrona, alzò la testa e nitrì nella sua direzione.
- Anche lei ti augura buona fortuna! - esclamò un suo amico – E vedi di tornare, intesi?
Victoria per poco non si commosse.
Frida. I suoi genitori. I suoi amici. Shira. Tutti facevano il tifo per lei, e lei non li avrebbe delusi.
 


Dennis si passò la mano fra i biondi capelli, tic che aveva sempre avuto; iniziava a realizzare quello che voleva dire “essere un tributo” agli Hunger Games: era un po' come essere la carne da macello che loro stessi producevano e mandavano a Capitol. Almeno, gli altri del Distretto lo facevano, lui non aveva mai dovuto lavorare poiché i suoi genitori erano farmacisti e avevano accumulato una certa ricchezza che gli aveva permesso di vivere - per non dire lusso - nell'agiatezza.
E come evocati dai suoi pensieri, Geraldine e Alfred entrarono nella sala e si tuffarono letteralmente addosso al loro unico figlio.
- Dennis! Ce la farai, io so che ce la farai! – esclamò piangendo sua madre abbracciandolo.
Il padre si contenne di più, ma si poteva vedere lontano un miglio che era sull'orlo delle lacrime: - Siamo sempre stati orgogliosi di te, Dennis.
- E continuerete ad esserlo – sorrise rassicurante il ragazzo – Non preoccupatevi, tornerò sicuramente.
Il resto del tempo i genitori continuarono ad inondarlo di frasi, parole, speranze e preoccupazioni che probabilmente quella stanza era stufa di sentire; ogni anno la stessa cosa.
I due coniugi uscirono, e Dennis rimase da solo, fino a quando non sentì una voce che ben conosceva: - Ehi stronzo!
Il ragazzo si stampò in faccia un ghigno soddisfatto, avendo riconosciuto la voce del suo migliore amico, nonché vicecapo della sua banda, Walter. Insieme a lui, alcuni membri della gang.
- Vedi di tornare intero eh! - disse andandogli vicino e salutandolo colpendogli il pugno chiuso con il suo – Se no per fare la tua bara dovranno abbattere un povero albero, e noi essendo naturalisti non vogliamo questo, vero?
Dennis rise sarcastico: - No di certo! Ma vedi di non fare casini adesso che sono via! Quando tornerò, voglio trovare ancora tutti i membri della banda, cerca di non ammazzarne nessuno.
- Sarà difficile, ma farò uno sforzo – rispose l'altro con lo stesso tono.
- Io invece scommetto che non riuscirà ad arrivare fra gli ultimi dodici – disse uno degli altri ragazzi.
- No, io ribatto, arriverà fra i primi dieci, sicuro – replicò un altro.
E partì un giro di scommesse macabre sulla posizione in cui si sarebbe piazzato Dennis.
- Bastardi, perderete tutti dato che vincerò – replicò lui – ma potete scommettere sul numero di ragazze che mi farò – continuò ghignando.
- Su questo sono sicuro – iniziò Walter – te le farai tutte e dodici, a meno che non ci sia proprio qualche cesso inguardabile...
Dennis si lasciò andare in una risata quasi genuina; era con quei ragazzi, la sua banda, che aveva trascorso le sue giornate: agli occhi del Distretto, tutti loro erano violenti, criminali, sempre pronti a buttarsi in risse, ma per lui erano tutto, una seconda famiglia.
Dennis si convinse ancora di più a tornare e pregustò il momento in cui tutti avrebbero perso la loro scommessa e lui sarebbe diventato ancora più ricco.
 



Distretto 11: Esmeralda e Marcus


Il Palazzo di Giustizia si trovava dietro al palco adibito alle Mietiture, per cui il suo amato pesco era visibile anche dalla finestra della stanza in cui si trovava. Esmeralda continuava a guardarlo, per imprimerlo bene nella sua mente: aveva paura che appena fosse entrata nell'arena, avrebbe perso tutto quello che di più caro aveva, non solo materialmente, ma anche mentalmente; aveva paura che i ricordi sfumassero fino a scomparire. Perché era risaputo: l'arena trasformava le persone ed eliminava tutto ciò che di buono c'era in esse. E se così non succedeva, eri morto. Non c'erano alternative a quest'ipotesi, perché vincere gli Hunger Games mantenendo se stessi era qualcosa che nel profondo tutti ritenevano impossibile.
I primi a farle visita furono ovviamente i suoi genitori e accanto a loro, il suo amato cuginetto. I quattro si strinsero in un tenero ma forte abbraccio e sua madre iniziò a piangere dicendole che era stata un'incosciente, che non lo doveva fare.
- Io ti capisco – disse suo padre dopo che la madre si fu un momento calmata – so quanto tieni a Shila e ti conosco troppo bene per aver dubitato che ti saresti offerta al posto suo.
- Non odiate Shila, vi prego – supplicò Esmeralda, terrorizzata da quell'idea.
Suo padre scosse la testa e fece un breve sorriso, gli occhi lucidi a causa delle lacrime: - Stai tranquilla, sarà sempre la benvenuta, e saremo tutti insieme quando tornerai da questi crudeli giochi.
- Sì, perché tornerai, vero? - chiese retoricamente sua madre, prima di lasciarsi sfuggire un altro singhiozzo.
Esmeralda annuì, cercando di sembrare convinta.
Intanto Patrik le si era avvinghiato alle gambe e non la voleva lasciar andare: era troppo piccolo per capire appieno quello che stava succedendo, ma aveva già vissuto esperienze tali da intuire che ciò che stava accadendo alla cugina era qualcosa di brutto.
- Torna – disse semplicemente.
Esmeralda gli accarezzò la testa; Patrik aveva già perso i genitori a causa delle frustate mortali dei Pacificatori: non avrebbe permesso che un altro membro della famiglia gli fosse portato via.
Quasi subito dopo che i suoi genitori e il cuginetto ebbero lasciato la stanza, entrò Shila.
Le due si guardarono in silenzio per lunghi secondi, forse minuti, e poi lentamente Shila si avvicinò all'amica e la abbracciò, trasmettendole tutto l'affetto che poteva: - Grazie – le sussurrò all'orecchio.
Sapeva che Esmeralda non voleva sentirsi dire frasi del tipo “Non avresti dovuto farlo”, “Per colpa mia morirai!” e altre d'occasione, perché sicuramente, avesse potuto tornare indietro l'avrebbe rifatto. Per cui fece quello che era meglio per entrambe, cioè stare in silenzio e piangere mute lacrime sulla sua spalla.
Esmeralda ricambiò l'abbraccio: - Non serve che tu me lo chieda: tornerò sicuramente. Ti affido il compito di non far abbattere il mio pesco – concluse, abbozzando un sorriso.
Shila si asciugò velocemente le lacrime e annuì convinta, cercando a sua volta di far comparire un sorriso sul volto: - Le promesse sei solita mantenerle.
- E questa volta non sarò da meno – finì la frase Esmeralda.
E mai fu più convinta nella sua vita.
 


Marcus stava pensando al cantiere abbandonato: sì, in quel momento sfogarsi contro qualcuno in un incontro di pugilato sarebbe stato veramente l'ideale per scaricare tutta la tensione che aveva accumulato dentro. Anche combattere contro un novellino sarebbe stato stimolante in quel frangente.
La porta si aprì e sua madre e suoi dure fratelli minori fecero il loro ingresso nella stanza; Alicia gli andò in contro e lo abbracciò: - Marcus... - non aveva neanche il fiato per concludere la frase, perché rumorosi singhiozzi le impegnarono i polmoni.
- Mamma devi essere forte – le disse Marcus con un tono caldo e rassicurante, prendendola per le spalle e obbligandola a guardarlo in faccia – non ci sarò più a difendervi, non potrò proteggervi – e il suo tono assunse una nota d'angoscia – per cui dovrai farcela con le tue forze... Ma non preoccuparti, ci sarà Ryan.
E Marcus si piegò sulle ginocchia per raggiungere l'altezza del suo fratellino di dieci anni: - Ehi, non piangere – gli disse con finta aria di rimprovero ma sorridendogli – oramai sei un ometto, devi essere forte per tutta la famiglia e sostenere la mamma e Layla finché non tornerò, va bene?
Ryan tirò su con il naso per eliminare la sofferenza dal suo volto e far capire al fratello che era pronto: - Va bene... perché tu tornerai, vero?
Marcus annuì: - Mi sembra ovvio – rispose sicuro di sé – lo sai che sono forte, ce la farò senz'altro.
Layla, di appena sei anni, si avvinghiò al suo collo: - Non andartene fratellone! - esclamò con le lacrime agli occhi.
Il ragazzo la strinse assieme a Ryan: - Tornerò presto, ve lo prometto.
- Tempo scaduto – comunicò un Pacificatore, invitando poco gentilmente la famiglia ad uscire.
Marcus osservò i suoi famigliare andare via, e non ebbe quasi il tempo di pensare ad altro che sulla soglia comparve lui; il suo viso si indurì di colpo.
Evan era sulla soglia, incerto su cosa fare o dire.
- Sei venuto ad augurarmi buona fortuna? O forse... buona sfortuna? - chiese ironico.
Suo padre si mise una mano dietro la nuca e guardò un punto fisso sul pavimento; Marcus lo odiava: era sempre stato un uomo violento e manesco, picchiava spesso e volentieri la moglie ed era stato lui a procurargli quella cicatrice che aveva in fronte.
- Adesso avrai campo libero – riprese Marcus – ma se oserai fare qualsiasi cosa a uno di loro... Ti verrò a uccidere anche dalla tomba – ringhiò.
- Ti domando scusa.
Marcus rimase interdetto a quelle parole: - … Come?
- Sono stato un pessimo padre... e marito... Me ne accorgo solo ora – Evan parlava a voce tanto bassa da essere quasi impercettibile – E so che è tardi per dirti che sei sempre stato importante per me, e che sono fiero di te... Non mi perdonerai, lo so, ma spero ci riuscirai una volta che sarai tornato – e fece una pausa – Perché tu tornerai, me lo sento nel sangue. Buona fortuna Marcus.
Ed Evan uscì dalla stanza, senza dare la possibilità al figlio di dire niente.
Marcus non ebbe il tempo di realizzare appieno quel discorso che il suo cuore prese a battere ad un ritmo più veloce del normale: Leonora entrò nella stanza e gli si avvicinò sorridendo: - Ehi, falli secchi tutti nell'arena, d'accordo?
- Certo, e quando avrò finito, non riusciranno neanche a riconoscerli!
Nessuno dei due fece caso alla frase macabra che era uscita fuori involontaria dalla bocca di Marcus, perché entrambi sapevano che forse quello sarebbe stato il loro ultimo incontro, ma nessuno dei due ci credeva veramente: erano sempre stati abituati a sostenersi a vicenda e l'avrebbero continuato a fare nonostante la lontananza. O per lo meno, lo avrebbe fatto sicuramente Leonora.
- Tempo! - chiamò l'odioso Pacificatore.
Leonora sospirò: - Allora ci vediamo presto?
Marcus annuì convinto e la vide voltare le spalle e fare per uscire...
… Ma la ragazza si bloccò e si voltò di scatto, per poi tornare vicino al giovane e premere le proprie labbra sulle sue. Il cuore di Marcus perse un colpo, per poi iniziare a battere all'impazzata, mentre i due si scambiavano un primo, passionale bacio.
- Questo – disse Leonora, leggermente rossa in viso, dopo essersi staccata – ti farà sempre ricordare di me.
E prima di andarsene, gli lasciò un altro breve bacio a stampo.
Josh e Liam, i due amici di infanzia del ragazzo, si accorsero subito dello strano atteggiamento che aveva Marcus, quando entrarono per salutarlo: - Ehi, sei con noi? - disse Josh, passandogli una mano davanti agli occhi.
Marcus si riprese: - Eh? Sì, sì, ci sono!
Liam soffocò una risata: - L'effetto-Leonora è sempre presente vedo.
Il giovane si arrabbiò imbarazzato e replicò alle battute maliziose dei suoi due amici.
- Quindi... - iniziò Josh, dopo un attimo di silenzio – Sei un tributo, eh?
- Parrebbe di sì.
- Ma questo non ti permette di tirartela – riprese Liam – mi raccomando, ti vogliamo qui di nuovo come ti abbiamo lasciato.
- Su questo potete esserne sicuri! - esclamò lui sorridendo rassicurante – E io invece voglio ancora trovare il Distretto al mio ritorno, vi prego di non bruciarlo!
Liam e Josh risero e cercarono di nascondere la tristezza che li stava assalendo dentro. D'altra parte, anche Marcus in tutto quel tempo aveva cercato di dimostrare la sua forza e la sua certezza riguardo al suo ritorno da vivo, e aveva finito per auto-convincersi.
 



Distretto 12: Talia e Wayne

 
Talia osservava alcuni piccoli uccellini volare liberi nell'aria: in fondo era primavera e ognuno di loro stava andando in cerca del compagno o della compagna con la quale condividere il nido; anche lei avrebbe voluto essere come quei volatili e scappare via da lì. Ad un tratto dei grossi corvi neri piombarono sui graziosi uccellini, gracchiando, con gli artigli affilati pronti a ghermire le prede: alcuni dei piccoli volatili vennero presi e uccisi all'istante e gli altri si dispersero velocemente, inseguiti dai loro aguzzini.
Talia venne scossa da quella visione: non era stato assolutamente un buon presagio.
La porta si aprì ed entrarono i suoi genitori con la piccola sorellina di cinque anni, che andò subito ad abbracciarla; Daisy piangeva molto forte e continuava a pregare la sorella di non andare: i suoi genitori avevano ritenuto giusto dirle che forse Talia non sarebbe più tornata, che forse quella era l'ultima volta in cui si sarebbero viste.
- Sssssh, non piangere – le disse dolcemente Talia accarezzandole la testa – vedrai che tornerò presto.
La madre prese Daisy in braccio e con la mano libera accarezzò la guancia della figlia, mentre grosse lacrime le scendevano sulle guance: - Io ho fiducia in te; tu puoi vincere, perché sei speciale.
E quella non era una parola detta per l'occasione, e Talia ne colse la sfumatura. Avrebbe utilizzato il suo formidabile intuito e sesto senso, lo stesso che le aveva permesso di trovare suo padre che si era perso nella miniera, anni addietro.
Il padre annuì alle parole della moglie, gli occhi lucidi dalla tristezza: - Sì, Talia tu tornerai, anch'io ne sono certo. Stai attenta all'arena, non lasciare che ti cambi.
E la famiglia si strinse in un lungo e commosso abbraccio, prima che il Pacificatore di turno annunciasse loro che il tempo era scaduto.
Dopo i suoi parenti, nella stanza entrò la sua migliore amica; Dawn le andò incontro e la abbracciò forte: - Era questo – disse fra le lacrime – era questo che intendevi quando mi hai detto di non preoccuparmi! Oh Talia! Se l'avessi saputo prima...
- Se l'avessi saputo prima, ti saresti lasciata andare alla disperazione troppo presto – le rispose sorridendo Talia, accarezzandole i capelli neri – ti conosco, non avresti vissuto normalmente il periodo che ci separava dalla Mietitura.
Dawn si scostò dall'abbraccio per guardare la sua amica negli occhi: - Ma tu... tu tornerai, vero? - le chiese, pregando per una risposta affermativa che le trasmettesse sicurezza.
Talia però non poteva dirlo con certezza, non dopo che quei corvi avevano brutalmente interrotto il volo libero degli uccellini: - … Sì, tornerò, stanne certa.
E guardando fuori dalla finestra, vide poggiati sul davanzale due dei piccoli piumati animali che si stringevano l'uno all'altro, trasmettendo un senso di tenerezza a chiunque li guardasse: era quello il segno che lei aspettava, un segno di speranza, perché anche dopo una battaglia senza esclusione di colpi, c'era sempre spazio per nuova vita.
Sarebbe partita, sarebbe sopravvissuta all'aggressione dei grandi corvi e sarebbe ritornata al nido illesa.
 


Tiger aveva già percorso l'intera lunghezza della stanza almeno una decina di volte – non era un tipo paziente, no – in attesa che quei perditempo dei Pacificatori permettessero alle visite di incominciare. Il ragazzo imprecò mentalmente contro quei guardiani così idioti, per poi ricordarsi che anche suo padre era uno di loro... ma per il genitore, lui probabilmente non era nessuno. Anzi, togliamo il probabilmente. Larrie Tiger aveva sempre straveduto per suo fratello Fred, considerandolo il suo unico erede, o comunque dedicava molte più attenzioni al membro più piccolo, Valentine. Sembrava che di Wayne non gli importasse proprio niente e il ragazzo si era sempre chiesto il perché di questo atteggiamento.
Perso nei suoi pensieri, Tiger non si era accorto della marea di gente che era entrata tutta insieme nella stanza, e che ora lo attorniava quasi soffocandolo.
- Ehi, non respiro! - esclamò, cercando di spostare di forza la sua famiglia da lui e creare uno spazio vivibile.
- Se è per questo fra pochi giorni non respirerai proprio più – commentò Charlotte acida. Lei e Tiger non erano mai andati d'accordo, anzi, si può dire pure che si detestassero – Ma ti rendi conto di cos'hai fatto? Sei idiota in testa allora!
- Avrò preso da te allora – ghignò lui di rimando – dato che il tuo quoziente intellettivo è inferiore alla media.
- Così non andrai proprio da nessuna parte, lo sai vero? Ci penseranno gli sponsor a segarti, non mandandoti niente – quasi sputò lei.
- Charlotte ha quasi ragione – si intromise Fred cercando di sedare la lite – dovrai essere più amichevole e meno volgare quando sarai a Capitol... Comunque – e alzò una mano verso di lui sorridendo – complimenti per il fegato, anche se non so se sia più coraggio o incoscienza.
Tiger gli batté il cinque e sorrise soddisfatto: con Fred al contrario era sempre andato molto d'accordo; il loro era un rapporto di sfida continua, basato poi sul rispetto per il vincitore delle scommesse più assurde e strane. Ed era proprio una scommessa con lui ad averlo portato a proporsi come tributo, per cui Fred non poteva che ammirarlo.
- Fratello, vedi di darti da fare nell'arena, eh! - riprese Fred – Non vogliamo fare brutte figure.
- Concordo – si intromise Larrie, che fino a quel momento era rimasto in silenzio – se vincerai, almeno renderai la tua esistenza utile a qualcosa.
Tiger incassò l'ennesimo colpo che il padre gli aveva inferto, ma iniziò a considerare gli Hunger Games anche come una possibilità di farsi vedere sotto una nuova luce agli occhi del padre.
- Papà, non dire così – iniziò Valentine, il quindicenne – Wayne è sempre stato utile a tutti noi...
- Tsè! Utile come un arco senza frecce – commentò Charlotte aspra.
Valentine fece finta di non sentirla e abbracciò il fratello: - La mamma non è riuscita a venire, ma sia io che lei crediamo in te e sappiamo che ce la puoi fare!
Tiger si lasciò abbracciare: Valentine era l'unico, oltre alla madre, a volergli veramente bene in famiglia, e nei suoi confronti il ragazzo aveva sempre dimostrato un atteggiamento molto protettivo; inoltre, aveva anche riflettuto sul fatto che offrendosi aveva eliminato una possibilità a Valentine di essere estratto, perché era sicuro che il fratellino non sarebbe durato nell'arena.
- Ehi Tigre, hai finito con le smancerie da femminuccia?!
Tiger sorrise alzando lo sguardo; sulla porta era comparso River, il suo migliore amico. Ma parlare semplicemente di amico era riduttivo: River era un compagno, un fratello, un alleato, un rivale; insieme comandavano una gang di teppisti. Erano il Leone e la Tigre del distretto, e tutti li rispettavano e li temevano.
- Sto semplicemente cercando di entrare nello spirito dell'arena, razza di coglione – gli rispose Tiger per le rime, ma senza togliersi dalla faccia il suo sfrontato sorriso – Mi dicono che dovrò rinunciare alle volgarità.
- Balle – replicò l'altro avvicinandosi – dovrai sempre essere te stesso in quel posto, gli spettatori lo apprezzeranno fidati... E comunque il più coglione fra noi due sei tu, razza di idiota, che ti offri per gli Hunger Games senza dirmi niente!
- Era tutto per l'effetto sorpresa, volevo vedere la tua faccia da fesso nel momento topico.
- Sei soddisfatto ora? - chiese River ghignando.
- Direi di sì – rispose l'altro con la stessa espressione – Ah, vedi di non farti ammazzare in mia assenza.
- Lo stesso vale per te.
- Tempo – chiamò il Pacificatore.
Tiger guardò uno ad uno i volti di coloro che erano venuti a trovarlo. L'arena non gli faceva paura, ma molte cose gli sarebbero mancate. La continua sfida con Fred. La dolcezza di Valentine. L'amore di sua madre Krista, a casa perché troppo sofferente per salutarlo. La strafottenza di River. Persino quell'oca di sua sorella Charlotte gli sarebbe mancata, almeno un pochino, giusto perché si divertiva a cercare sempre nuovi soprannomi offensivi per lei. Per ultimo si soffermò sul padre: non poteva dire di odiarlo, ma forse era giunto il momento di guadagnarsi il suo rispetto, e quale modo migliore se non di vincere i Giochi della Fame?









NDA di darky e Keily:
NON UCCIDETECI! Ci siamo impegnate, e avete bisogno di scrittrici in salute per continuare, no?
*schiva pomodori* okay, se qualcosa non andasse bene, avvertiteci senza problemi^^ Speriamo che il capitolo vi piaccia!
Scusate il ritardo e l’eventuale schifosità della scrittura.
Ciao! <3

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: L'abito non fa il tributo ***



- Leu! - strillò Imke correndo ad abbracciare la cugina, incurante della gente a cui passò sopra nel percorso.
Leucònoe salutò con entusiasmo la ragazzina e insieme corsero verso i posti che, come discendenti di una famiglia di strateghi, erano loro riservati.
- Sai la novità, Imke? Questo è il mio terzo anno come apprendista stratega, ricordi? -
- Sì, sì - sospirò la quattordicenne. Quella era la regola: primo lavoro a quindici anni, poi si fa carriera. Quindi lei era ancora tagliata fuori.
- E... ho vinto il premio per la migliore apprendista dell'anno e quindi, conoscendo una ragazza molto intelligente e portata per il lavoro eccetera eccetera quale sei tu... potrei aver suggerito di farti fare una prova fin da quest'anno - la ragazza mora rivolse un sorriso furbo alla cuginetta, aspettando la reazione.
- Ma Leu, è fantastico! - la diciottenne dovette bloccare Imke per impedirle di saltarle al collo.
- Ehy, ehy. Ne parliamo dopo. Ora concentriamoci sulla sfilata, e se mi fai perdere il Distretto 1 chiacchierando anche quest'anno giuro che ti picchio! -
- Non è molto carino continuare a rinfacciarmi quello che ho fatto a dieci anni...- iniziò a replicare l'altra, ma vedendo arrivare il carro dell'1 si interruppe.





Il carro d’oro era tirato da cavalli anch’essi dorati e coperti di gemme preziose che, come quasi sempre per quel distretto, davano un effetto più pacchiano che elegante e fiabesco.
Ma la stessa cosa non poteva dirsi dei tributi, specialmente della ragazza.
Il vestito già avrebbe reso splendida ogni ragazza, aggiungendo i suoi tratti aggraziati ed esotici Het sembrava una creatura ultraterrena, una principessa.
Portava un abito di seta color avorio, sul corpetto un intricato gioco di veli e ciondoli dorati esaltava le sue curve e nascondeva il fatto che fosse un po’ troppo magra per la media del suo distretto, mentre la gonna corta e sensuale davanti e lunghissima dietro le attirava molti sguardi osceni dai suoi potenziali sponsor.
Nulla faceva intendere quanto fosse seccata dal fatto di essere guardata come una bambola e non come la guerriera che era: la leggera polvere cremisi e dorata spruzzata sul viso e sui capelli nascondeva perfettamente il rossore e la ragazza non aveva lasciato che nulla intaccasse il sorriso splendente che offriva al popolo di Capitol City.
Marvel non era altrettanto gradevole nell’atteggiamento, sebbene fosse un bellissimo ragazzo e altrettanto ben vestito. Sfoggiava uno splendido gilet blu notte aperto sul petto scolpito e dei calzoni a sbuffo, il tutto ricamato con motivi di foglie d’oro. A differenza della sua compagna il viso era lasciato al naturale nella sua bellezza angelica, per niente appropriata al suo carattere.
Ma quello che più si notava del ragazzo era lo sguardo, indifferente e crudele, come so odiasse tutta quella gente pronta a giudicarlo per il suo aspetto, per chi erano i suoi genitori o qualunque altro sciocco motivo, senza neppure averlo visto combattere.
- Come sono romantici quei vestiti- sospirò Leucònoe - E poi lei è così dolce! -
- E' vero - convenne Imke. - Ma sembra proprio una vincitrice, una vincitrice nata. Lui è un guerriero, sono due Favoriti meravigliosi. E sembrano degli sposi così - sospirò, da inguaribile romantica qual era.
- Oh, secondo me l'hanno notato e non gli è piaciuto molto - convenne l'altra ridacchiando, notando che l'unica interazione tra i due ragazzi era una gran quantità di sguardi ostili.
- Sbaglio o lui è parente di Layla Reiden? La ragazzina dei sessantaduesimi. -
Lo sguardo di entrambe le ragazze si posò sulla ragazza dai capelli castani seduta qualche fila più in là, accanto ad un anziano stratega che doveva sicuramente aver pagato per la sua compagnia. La Vincitrice fissava il fratello minore con le lacrime agli occhi e sulle sue labbra si leggeva qualcosa di simile a un “Mi dispiace”, ma il ragazzo la ignorava.
- Oh. - sospirò Imke.- Sì, mi sembra sia il fratello. Chissà che storia triste che ci sarà dietro.-
- Dai, la scopriremo all'intervista - aggiunse la cugina, ma nemmeno lei era felice all'idea di aspettare così tanto.
- Si, è vero. Guarda Leu, il carro del 2! -
        


Gli stilisti del Distretto 2 quell'anno avevano cambiato tattica con i loro tributi: se nelle edizioni precedenti si era sempre voluto mettere in risalto la letalità e la forza dei due ragazzi, nella 69esima edizione i due Capitolini avevano deciso di creare qualcosa di paradossale.
Due bianchi e lucenti cavalli trainavano il carro seguendo quello del Distretto 1: i due animali erano stati cosparsi con una polvere che rifletteva la luce diffusa nel teatro, e apparivano luminosi e splendidi, infrangendo i fasci che li colpivano e facendoli brillare.
Nirvana stringeva il bordo del carro con le dita, reggendosi il meglio possibile, mentre i suoi grandi occhi verde-nocciola scrutavano tesi l'enorme folla che aveva preso posto sugli spalti; i suoi capelli castani erano stati infine domati, e ora ricadevano sciolti e morbidi sulle spalle. Il vestito che indossava era completamente bianco ed era formato da un semplice top con una scollatura a V, che copriva il busto della ragazza fin poco sotto il seno; sul fianco sinistro, il top era allacciato alla gonna, anch'essa bianca, che poi scendeva con una curva nel fare il giro della vita della ragazza; la cucitura sul fianco era stata sapientemente nascosta da un grande fermaglio a forma di giglio giallo, simbolo di nobiltà e purezza. La gonna terminava con degli strappi che partivano sotto il ginocchio e tutto il vestito era ricoperto della stessa polvere del manto dei cavalli. In parole povere, Nirvana trasmetteva un senso di regalità ma al tempo stesso di tranquillità, a chiunque la guardasse. Ed era bella, molto bella nella sua semplicità.
E il suo compagno non era da meno: Elia indossava una semplice camicia bianca, completamente aperta sul davanti, che lasciava intravedere tutta la muscolatura perfetta del suo torace – su questo gli stilisti erano stati categorici -; i lunghi capelli biondi erano stati adeguatamente trattati ma lasciati liberi sulla schiena, proprio come la compagna, e ora danzavano e si arruffavano a causa dell'aria, dando la possibilità ai Capitolini di paragonare Elia ad uno di quei testimonial stupendi e sempre perfetti delle loro pubblicità. Anche i suoi pantaloni erano bianchi e tutto sommato normali, ricoperti e abbelliti dalla polvere riflettente; il giglio che Nirvana aveva sul fianco, Elia lo portava all'altezza del cuore, ben visibile nonostante la camicia aperta e svolazzante. Al contrario della giovane però, Elia appariva determinato e fiero, quasi arrogante mentre rivolgeva il suo sorriso di soddisfazione alle centinaia – migliaia – di ragazzine urlanti che già si stavano sbranando per lui.
- Degni successori del Distretto 1 – commentò Leucònoe battendo le mani, gli occhi che brillavano.
- Stupendi veramente – concordò Imke – non sembrano neanche assassini. -
- Infatti! Tutto quel bianco e quel brillare li rende così puri e nobili – continuò l'altra beandosi di quella vista.
E in effetti era stato quello lo scopo degli stilisti di quell'edizione: il Distretto 2 era sempre stato visto come quello che sformava più assassini e Vincitori assieme all'1, quindi perché non puntare su un'apparente purezza d'animo per poi lasciare che i due ragazzi dimostrassero tutta la loro spietata brama di sangue?
-Bene, ho già la mia prima coppia – disse Leucònoe, lasciandosi andare in un gridolino eccitato – Guarda! Arriva il carro del 3! -


I ragazzi del Distretto 3 non erano mai stati considerati all’altezza dei primi due Distretti, ma comunque non sfiguravano. Gli stilisti per loro avevano scelto delle tute attillate color grigio antracite, con un delicato disegno blu che ricordava le trame di un microchip e delle stelle iridescenti sparse sul corpo, dello stesso materiale con cui nelle loro fabbriche producevano i CD.
Bella aveva i capelli tirati in una coda alta così da lasciare scoperto il viso in modo quasi crudele, considerando che le guance le erano diventate rosse come il fuoco non appena era salita sul carro. Lei non era abituata a cose del genere, non le piaceva stare al centro dell'attenzione.
Nella sua vita non aveva mai avuto tempo per molto che non fosse andare a scuola o lavorare in fabbrica e tutto quello la faceva sentire a disagio. Tentò comunque di stamparsi un sorriso sul volto e non abbassare lo sguardo troppo spesso, ma la cosa che la faceva arrabbiare (una cosa davvero rara per lei, così paziente e gentile) era che Ares avrebbe comunque monopolizzato l'attenzione su di sé. Il ragazzo sembrava essere nato per le telecamere, con gli occhi neri dall'aria seducente e il fisico perfetto. Sembrava totalmente rilassato e a suo agio, mentre lanciava sguardi ammiccanti alle donne senza tuttavia mostrarsi troppo espansivo.
Non si notava nemmeno che tutto quell'atteggiamento era nato da lunghe riflessioni e strategie: in fondo per Ares non c'erano deviazioni dai piani che decideva. Tutta la sua vita era una strategia.
- C-che figo. - sospirò Leucònoe con gli occhi sgranati.
- Leu, è ammirevole come consideri i tributi femminili di questa sfilata - ridacchiò la più piccola. - Preferisco i Favoriti, ma anche questi non sono affatto male. Mi piacciono i CD.-
Poi le due si voltarono verso il carro successivo.


Gli stilisti del Distretto 4 erano rinomati per la loro bravura e anche quell’anno non si erano smentiti. I tributi arrivarono su un carro trainato da cavalli bianchi come la spuma marina: Adele era la personificazione della barriera corallina e le sue curve generose erano pienamente sfruttate dall’abito. Portava solo un pareo rosso e aveva il seno nudo: in tutto il corpo aveva intarsi di corallo che formavano un grazioso disegno di un rosso intenso, in netto contrasto con la carnagione di porcellana così anomala per il suo Distretto. I capelli erano arricciati e lasciati sciolti sulle spalle, fermati solo da una tiara di corallo ornata con grandi conchiglie bianche. La regina del mare.
Dilan guardava dritto davanti a sé, determinato e potente, ma la mano posata sul fianco di Adele addolciva quell’atteggiamento da Favorito che non gli apparteneva. Indossava un paio di calzoni di alghe verde scuro, decorati con conchiglie nere. Era a torso nudo, ma il petto scolpito era coperto di tatuaggi di ancore, sirene e vari soggetti di mare. Aggiungendo i capelli biondo scuro con qualche ciocca nera, raccolti in una coda disordinata e cosparsi di salsedine, sembrava un giovane e fiero pirata, abbracciato alla sua dolce sirena.
La ragazza guardava avanti senza timore, ma a differenza del compagno il suo sguardo era spento e quasi ostile, ma molti interpretarono la sua introversione come spietatezza, esplodendo in applausi concitati che ebbero l'unico risultato di far lievemente alzare al cielo i suoi occhi cangianti.
- Oh mio Dio, è così bello! I ragazzi del 4 sono sempre così... così...aaaaaaaah!- sospirò Leucònoe senza trovare le parole.
- Già - cinguettò la cugina. - Secondo me loro due stanno insieme, comunque. Guarda come la abbraccia, sono davvero adorabili! -
-Non dire sciocchezze Imke, perché si sarebbe offerto se no? Questi sono gli Hunger Games! -
- Ehy - ribatté la ragazzina piccata - Non rovinarmi le coppie! Lo sai che adoro le love story tormentate! -
Leucònoe avrebbe voluto replicare, ma il carro del Distretto 5 le distrasse subito.



Il Distretto 5 doveva rappresentare l’energia: mai due tributi furono più appropriati al loro Distretto, tanto nell’aspetto quanto nel carattere. Sia Rebecca che Jake erano quasi totalmente nudi, l’unica cosa che li copriva era un intrico di fili e fasce di rame, scosse da scintille e incandescenze che davano originalità e movimento ai due ragazzi, oltre a intonarsi perfettamente con il colore rossiccio dei capelli di Jake.
Beck era radiosa, sorrideva con aria seducente e ammiccava alla folla, soddisfatta di come l'abito metteva in risalto il fisico slanciato e invidiabile. I capelli scuri raccolti a torre con fili elettrici che sembravano sul punto di andare in corto circuito, le davano un aria un po' pazza che, ammise con se stessa, la rispecchiava e le piaceva. Il ragazzo era ancora più euforico di lei, saltellava come un pazzo salutando la gente con un gran sorriso stampato in faccia.
- Tutti i tributi dovrebbero essere così allegri e simpatici - sospirò Imke lanciando un bacio al tributo maschile che con grande eccitazione della ragazzina ricambiò il saluto, ammiccando con aria allegra e scanzonata nella sua direzione.
- Se hai finito di provarci, guarda la ragazza. È anche troppo sicura di sé per una del 5, tienila a mente. Devi iniziare a ragionare da stratega. - la ammonì con scarsa convinzione Leucònoe, sentendosi un po' ipocrita quando ricordò che la sua reazione al ragazzo del 4 era stata più o meno la stessa.
Ma Imke non la ascoltava e si voltò, a malincuore, solo quando apparve il carro di Nina e Blade.



Trainato da due cavalli dal manto corvino, anche il carro del 6 fece la sua comparsa. I due diciassettenni portavano delle tute aderenti nere come il manto dei loro cavalli, con un motivo di lucenti ingranaggi argentei che si muovevano ritmicamente.
Un piccolo ingranaggio, posto in corrispondenza dell’ombelico di Nina, spiccava perché era di un colore indefinibile ed iridescente, che cambiava in ogni secondo.
Quando furono all’attenzione dei Capitolini, l’ingranaggio iniziò a girare vorticosamente e ad assumere colori sempre più brillanti, finché si staccò dalla sua posizione per iniziare a scorrere freneticamente sul corpo della ragazza, per poi trasferirsi a quello di Blade e fare continuamente la spola tra i due tributi, illuminando i loro corpi di riflessi colorati.
Imke e Leucònoe si unirono ai gridolini isterici degli altri capitolini, incapaci di comprendere come potesse essere possibile un tale miracolo tecnologico. In realtà l’effetto sarebbe stato migliore se si fossero tenuti per mano, come dettogli dai loro stilisti, ma Nina non ne aveva la minima intenzione. Trovava il suo compagno di Distretto tollerabile, ma tra tollerarlo e avvicinarglisi tanto da tenergli la mano c’era una bella differenza.
Blade era immobile e freddo, con gli occhi neri che fissavano spenti di fronte a sé, prestando il minimo indispensabile dell'attenzione alla folla colorata che gli era intorno.
A Nina andava benissimo che si facesse i cavoli suoi, mentre stava appoggiata con aria noncurante e braccia incrociate alla sponda del carro.
Quando qualcuno le lanciò una rosa la afferrò e iniziò a strappare svogliatamente i petali.
- Blade m'ama, Blade non m'ama - canticchiò con voce da bambina, lanciando occhiate furtive al compagno per vedere se l'avesse turbato.
Il ragazzo non sembrò nemmeno averla sentita e lei buttò via la rosa, frustrata.
Ma un brivido era corso comunque sul braccio muscoloso e abbronzato di Blade.
- Oh mio Dio, ce l'hanno praticamente scritto in faccia! - strillò la ragazzina bionda con aria traumatizzata.
- Cosa? - le chiede preoccupata Leucònoe.
- “Siamo due figoni crudeli e siamo innamorati”- cinguettò. - Sono perfetti insieme! Potrebbero essere i miei preferiti! -
- Hai detto lo stesso di tutti gli altri carri, cara.- cercò di farle notare la cugina, ma Imke aveva già smesso di ascoltarla.
- Guarda, il 7! -



Gli abiti di Hope e Donnie non sembravano abiti. Sembrava più che fossero appena usciti dal bosco. Erano nudi e i loro corpi erano cosparsi di foglioline verdi e grandi foglie secche, che si intrecciavano a collanine di liane ornate da ciondoli di legno.
Donnie sembrava incredibilmente sereno e a suo agio, considerando che era praticamente un condannato a morte, ma in fondo lui era un ragazzo ottimista e le foglie che nascondevano appena il petto asciutto e muscoloso lo facevano sentire a casa, mentre spaccava la legna accanto a Wendy, lanciandole ogni tanto un occhiata maliziosa. Ma in quel momento non poteva permettersi di pensare a lei, non considerando che buona parte delle donne lì presenti erano ipnotizzate dalla sua bellezza. Il pensiero di tradire Wendy lo distruggeva e lo ossessionava, così distolse lo sguardo da quelle donne per sfiorare la mano di Hope.
- Avanti, è solo una sfilata. - sussurrò alla sedicenne, che nonostante avesse un aspetto bellissimo e dolce in quell'abito continuava a guardarsi intorno confusa, arrossendo e abbassando continuamente lo sguardo.
Hope alzò lo sguardo verso il ragazzo, decisamente più alto di lei, e arrossì ancora, ma alzò gli occhi grigio-azzurri e raccolse tutto il suo coraggio per guardarsi intorno e sorridere. In fondo, sorridere era quel che sapeva fare meglio.
- Sono così dolci - commentò Leucònoe dispiaciuta. - Moriranno subito se sono dolci. -
- Ehy, non è detto! - la riprese Imke. - E comunque meglio così, è carino avere dei tributi dolci ogni tanto. Peccato che quella ragazza sia così timida, è così carina! E lui... beh...-
-Lui è un po' troppo grande per te, tesorino.- commentò ridacchiando l'altra, felice per una volta di essere la maggiore. - E non vorrai tradire il tuo bel ragazzo del 5, vero? -
Imke arrossì fino alla punta dei capelli e ammutolì, limitandosi a voltarsi verso il carro dell'8.



Il carro del Distretto 8 fece il suo ingresso nell'arena; purtroppo da questo momento in avanti, di solito i Distretti venivano sempre accolti con meno meraviglia e stupore: in fondo gli Stilisti erano meno competenti e i tributi erano già stati eclissati dalle stelle splendenti dei loro compagni più avvantaggiati. Ma quell'anno ci sarebbero state diverse sorprese provenienti dai “bassifondi” di Panem, a cominciare dal Distretto 8.
I due stalloni che trainavano il carro avevano il manto originariamente bianco latte, ma erano stati dipinti con lingue di fuoco color turchese e argento, che partivano dal ventre per espandersi lungo i fianchi e la schiena; criniere e code erano state abilmente intrecciate con nastri del medesimo colore delle fiamme.
Lysandre sorrideva alla folla, compiaciuto di aver attirato l'attenzione nonostante appartenesse ad un Distretto basso, e consapevole di aver fatto un eccellente lavoro. Eh sì, perché il ragazzo era stato uno dei tributi più problematici degli ultimi tempi per il suo staff: aveva preteso infatti di creare lui stesso i vestiti per entrambi; al contrario, sarebbe uscito completamente nudo (idea che non gli dispiaceva affatto, ma si sarebbe messo nei guai prima di cominciare). Per cui stilisti e staff avevano dovuto assecondarlo, dopo varie lotte per cercare di fargli cambiare idea.
Il giovane infine aveva deciso per una giacca turchese, che una volta aperta davanti lasciava intravedere una camicia bianca con decorazioni e fiammate turchesi e argentate, create con uno speciale tessuto che colpito dalla luce la assorbiva per poi sprigionarla, rendendo la parte luminosa; i pantaloni erano stati realizzati con le stesse caratteristiche della camicia, ma le parti colorati richiamavano più motivi floreali che vampate vere e proprie; in testa Lysandre aveva optato per un cappello di feltro soffice – chiamato borsalino – color turchese, adornato da una striscia argentata che percorreva tutta la sua circonferenza. La descrizione di Lysandre però non può dirsi completa senza l'elemento sul quale il ragazzo aveva creato il tutto: Sciarpi circondava elegantemente il collo del ragazzo e sembrava il fulcro dal quale si doveva partire per apprezzare tutto l'abbigliamento.
Per Jennifer, Lysandre aveva inventato qualcosa di simile: i lunghi e lisci capelli castani erano stati trattati in modo che risultassero mossi, arrivando poco sotto le spalle, ed erano tenuti a bada da un cerchietto argentato che rifletteva la luce; Jennifer indossava un vestito di raso argentato con lo stesso motivo a fiamme turchesi della camicia del compagno; l'ampia scollatura serviva quasi ad indicare un disegno di pieghe sul vestito posto poco sotto il seno: più che un significato particolare, il disegno aveva il compito di far apprezzare il tessuto in sé e per sé. Lysandre poi aveva scelto sapientemente l'abbinamento, perché era stato deciso a risaltare la carnagione pallida di lei facendola brillare, ma soprattutto voleva mettere in evidenza i suoi occhi azzurri, quasi dello stesso colore dei motivi a fiamme – e di Sciarpi ovviamente.
- W-o-w! - scandì Leucònoe all'arrivo del carro – Si vede che sono proprio il distretto dei tessuti!
- E' vero! - confermò Imke, gli occhi che brillavano al vedere quell'accuratissima scelta di colori – Non pensavo che gli stilisti dell'8 potessero fare una cosa del genere -
- E poi loro sono proprio belli! Guarda, lui non sta zitto un attimo però si concentra anche sulla folla, già mi piace – si esaltò Leucònoe. In effetti Lysandre stava dando consigli spassionati – e non richiesti – alla compagna su come comportarsi con il pubblico.
- Tira il freno Leu – la fermò la cugina – come future Strateghe, dobbiamo essere il più possibile imparziali e... Oh, arriva il Distretto 9! - si interruppe all'improvviso Imke, rivolgendo l'attenzione al nuovo carro e dimenticandosi di quello che avrebbe voluto dire.



Il Distretto 9 fece la sua comparsa in un'atmosfera diversa dallo scintillio di quella precedente, in un contrasto molto forte: cavalli dal manto nero come la pece trainavano il carro, anch'esso completamente nero, già così caricando l'aria di una strana e lugubre atmosfera, piena di mistero e aspettativa. Gli unici due punti di luce venivano dal baricentro dei due tributi.
Karmilla sorrideva soddisfatta di aver vinto la guerra contro il suo Stilista: il fesso avrebbe voluto farle indossare un abito da contadina per richiamare il lavoro nei campi, che assurda follia. La ragazza si era opposta con fermezza – e violenza – a quell'oscenità, e da quel momento aveva iniziato a bocciare qualsiasi idea le fosse proposta, minacciando di uscire con il suo amato vestito da cameriera – su quel punto in effetti Lysandre e Karmilla potevano considerarsi simili. Alla fine la giovane aveva avuto la meglio e l'ultimo abito proposto le era piaciuto, così in tutta fretta perché assolutamente tardi, gli stilisti erano riusciti – imprecando – ad accontentarla, evitando così uno scontro probabilmente mortale.
Karmilla indossava un vestito nero a maniche corte che ricadeva morbido sul suo corpo; degli sbuffi all'altezza delle spalle e della fine della gonna avevano il compito di rendere l'idea di qualcosa di delicato e dolce, ma già il pizzo nero sugli orli conduceva a ben altre associazioni; alla vita era stata allacciata una cintura con una fibbia circolare in oro, unica fonte di luce in tutto quel nero. Vista la cortezza del vestito, le gambe di Karmilla erano state coperte con una calzamaglia spessa a righe orizzontali nere e rosse, che richiamavano il colore dei capelli, raccolti in due code ai lati della testa. In sostanza, Karmilla assomigliava in tutto e per tutto ad una bambolina tanto era graziosa, nonostante tutto quel nero; ma l'aggiunta di un altro accessorio faceva sì che la sedicenne somigliasse più ad un'assassina: Karmilla infatti nella mano destra reggeva una lunga falce dal manico nero e dalla lama scura che sì, voleva richiamare il Distretto 9 e la mietitura del grano, ma soprattutto contribuiva a gettare un'ombra di inquietudine sulla bella ragazza. Una bambola assassina, ecco cos'era.
Dal canto suo, a fianco a lei, anche Benjamin dava quest'impressione: la prima parte che saltava subito all'occhio era la cintura, uguale a quella della compagna e che rappresentava un tunnel di luce nelle tenebre, perché successivamente lo sguardo si allargava e coglieva il vero modello sul quale era stato realizzato il vestito. Il ragazzo indossava un lungo mantello nero aperto sul davanti, con degli strappi evidenti sulla coda, che svolazzava all'aria creata dalla velocità del carro; all'altezza delle spalle, c'era un cappuccio che Benjamin avrebbe tanto voluto tirare sulla testa per scomparire – o per lo meno per non farsi riconoscere – ma che gli era categoricamente stato vietato dal suo Stilista e dal Mentore; in mano il ragazzo reggeva anch'egli una falce, più alta ed elaborata di quella della compagna, più imponente e mortale. Il ragazzo suo malgrado doveva stare al centro dell'attenzione, ma non come si aspettava lui: in quel momento incuteva timore nei Capitolini, poiché era la personificazione della Morte stessa, il Cupo Mietitore che si era incarnato tra i mortali. Altro che mietere il grano.
Leucònoe rabbrividì: - Ok, questi due mi hanno veramente inquietata... -
- Sul serio – concordò Imke – però mi piacciono, sono varianti sul classico tema “contadini del 9” -
- Già, guardiamola da questo punto di vista... - annuì la cugina – Oh, il carro del 10!



Il Distretto 10 fece la sua entrata trionfale nell'arena su un carro trainato da due splendidi cavalli pezzati bianchi e marroni, che sembravano i più irrequieti delle dodici coppie; se i Capitolini si fossero interessati alla storia della Nazione, avrebbero sicuramente saputo che nelle vene dei due equini scorreva sangue dei loro avi ribelli, che correvano liberi nelle praterie dell'America. Nella criniera infatti erano intrecciate delle penne bianche con la punta nera, quasi a simulare le cavalcature degli ormai estinti e semi-sconosciuti pellirossa.
E proprio dai cavalli poteva partire l'analisi dei due costumi scelti per quell'anno.
Gli stilisti avevano lasciato perdere il look da cowboy e cowgirl per concentrarsi su qualcosa che rendesse l'idea di libertà e forza, accennando soltanto la sensazione di ribellione e potenza che poteva creare problemi a loro e ai due tributi.
Dennis sorrideva maliziosamente mentre il carro proseguiva nella sua sfilata; si sentiva particolarmente a suo agio in quel vestito: sfruttando il suo fisico muscoloso e sensuale, il suo Stilista aveva optato per una tuta di pelle di animali che aderiva perfettamente al corpo nella parte dalla vita in giù, mentre nella zona sotto la cintura, assumeva le caratteristiche dei jeans,  che cadevano perfetti e seducenti nei punti giusti; qua è là inoltre vi erano dei buchi da cui pendevano dei fili di tessuto sfilacciati, per ottenere l'effetto trasandato che andava tanto di moda quell'anno. I capelli color del grano erano stati lasciati ribelli come li portava di solito il ragazzo, ma si vedeva che una mano esperta li aveva modellati in modo tale che richiamassero alle criniere dei due cavalli; ultimo ma non ultimo, una penna appartenente allo stesso volatile di quelle sui due equini, era stata incastrata rivolta verso il basso nella parte destra della nuca. Dennis sfoggiava un sorriso mozzafiato, lanciando sguardi maliziosi e finti baci al pubblico, infrangendo già molti cuori delle più svariate età; il giovane pensava già ad accaparrarsi gli sponsor migliori, e il favore che gli avevano fatto gli stilisti gli aveva già quasi spianato la via della vittoria.
Victoria al suo fianco sarebbe dovuta scomparire, eclissata dal successo che il suo compagno stava ottenendo. Invece anche la dodicenne pretendeva la sua fetta di notorietà.
Per la poco più che bambina, la sua Stilista sapeva bene che non poteva puntare sulla sensualità come per il compagno, per cui si era leggermente distaccata dal progetto originale. Victoria indossava una giacca di pelle marrone, aperta sul davanti, con le maniche leggermente lunghe a coprire una parte del dorso della mano; sotto si poteva scorgere una semplice camicia del candido bianco che si abbinava benissimo all'innocenza e alla grazia della ragazzina; invece dei pantaloni, Victoria indossava una gonna di jeans, della stessa fattura dell'indumento del compagno, e a concludere il tutto, ai piedi portava degli stivaletti con poco tacco, dello stesso colore della giacca, che richiamavano un po' quel senso di ribellione trapelante dal carro. I capelli castani erano stati raccolti in una treccia, e al suo interno, sempre con la punta verso il basso, era stata sistemata la famosa penna.
La dodicenne sorrideva solare e innocente alla folla: era piccola sì, e non poteva competere con altre bellezze mature di quell'anno, ma Victoria era intelligente, e sapeva che sfruttando la sua grazia e delicatezza da bambina avrebbe allo stesso tempo ingannato molti sulle sue reali doti da tributa, e si sarebbe anche fatta degli sponsor che non potevano assolutamente lasciare sola quella povera e indifesa creature...
- Ok, amo i cavalli – disse Lucònoe con gli occhi che brillavano.
Imke alzò gli occhi al cielo: a volte la passione della cugina per gli animali la faceva veramente esasperare: - Leu, guarda i tributi ora – la ammonì – che stranamente quest'anno sono veramente ben vestiti. -
- Sì ma quei due animali sono veramente stupendi! - continuò Leucònoe.
Imke scosse la testa e si rassegnò, prendendo nota intanto delle caratteristiche dei due ragazzi del Distretto 10: - Lasciamo perdere... Comunque ecco l'11! -



Il secondo Distretto più povero di Panem fece il suo ingresso nell'arena trainato da degli strani cavalli originariamente bianchi. Originariamente, perché il loro candido manto era deturpato da macchie di colori in parti casuali di tutto il corpo, che si ripetevano quasi in una girandola di tonalità; si potevano contare quattro colori: azzurro, verde, rosso chiaro e marroncino, che facevano sembrare la pelle dei due equini come due tele su cui dipingere.
Era successo che gli stilisti dell'11 si erano trovati a corto di fondi all'improvviso, dato che i capi che avevano originariamente preparato erano stati vittime di un incidente di cavi elettrici, facendo la fine della carne allo spiedo; per cui i due malcapitati Capitolini avevano dovuto arrangiarsi con poco a disposizione, fra soldi e materiale, cercando qualcosa che sostituisse gli abiti da alberi comuni per quel Distretto. E il risultato era stato sorprendente.
Esmeralda si sistemò una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio, mentre il vento creato dalla velocità le sferzava il viso: la ragazza avrebbe indossato un semplice abito verde chiaro se al suo Stilista non fosse venuto un colpo di genio a sentirla parlare con i suoi preparatori; il periodo poi era anche quello giusto, quindi perché no? Sopra la stoffa verde erano stati applicati a centinaia dei fiori rosa, già completamente sbocciati: erano fiori di pesco, che fortunatamente fiorivano proprio ad aprile. Esmeralda non avrebbe potuto essere più felice di quel vestito: indossando quell'abito sentiva la vicinanza del suo amato pesco dove aveva trascorso ore della sua vita, per cui si trovava veramente a suo agio, e salutare la folla con disinvoltura e quasi senza imbarazzo o paura, si erano rivelati compiti meno impegnativi del solito. Alcuni fiori inoltre, erano stati intrecciati ai capelli corvini, creando un magnifico contrasto di colori.
Ma se per Esmeralda questa combinazione poteva andare bene, sicuramente gli stilista avrebbero dovuto pensare ad altro per il ragazzo al suo fianco, tutt'altro che “grazioso” come la sua compagna; però senza discostarsi molto dal tema “quattro stagioni”, il suo Stilista aveva optato per una cosa analoga – e poco costosa.
Marcus indossava dei vestiti di fondo marrone scuro, però completamente ricoperti da foglie autunnali provenienti dai più svariati alberi, e delle tonalità calde del rosso, del marrone e dell'arancione; le foglie ovviamente erano finte, trovate nei magazzini e risalenti a chissà che anni, ma con la giusta sistemata avevano quasi ripreso vigore, e nessuno avrebbe messo in dubbio la loro autenticità. Il ragazzo d'altro canto non aveva messo in discussione quella scelta – anche perché non sarebbe servito a niente – e tutto sommato non gli dispiaceva impersonare l'autunno. Manteneva comunque lo sguardo fisso davanti a sé, non lasciando trapelare alcuna emozione e facendosi passare per un tributo misterioso e concentrato sul proprio obiettivo; ciononostante, ad un tratto sovrappensiero, iniziò ad accarezzare la collana che ricadeva sul torace e da cui non aveva assolutamente voluto separarsi: era un regalo di Leonora, e il suo pensiero correva a lei in quel momento e al fatto che dal Distretto 11 stava facendo il tifo per lui.
- Belli! - applaudì Leucònoe – Le stagioni mi sembrano il tema ideale per il Distretto 11. -
- Concordo, poi lei sembra veramente un albero in fiore – disse Imke, riflettendo nei propri occhi il rosa dei petali di pesco.
- Quest'anno ci hanno sorpresi veramente tutti – considerò la cugina – Quasi quasi mi viene il sospetto che anche il 12 avrà due tributi-capolavoro... -
- Ci toglieremo subito il dubbio, sta arrivando il carro del 12. -



L'ultimo carro a chiudere la Sfilata inaugurale era quello del poverissimo Distretto 12: nessuno degli spettatori si aspettava mai granché dall'ultimo fra gli ultimi di Panem; anche se quell'anno c'erano state innumerevoli sorprese fra i distretti periferici in quanto a vestiti, non si poteva trovare un Capitolino che fosse uno che avrebbe scommesso un soldo sui due tributi delle miniere. Sicuramente sarebbero usciti o vestiti da minatori con un piccone in mano, o dentro sacchi per il carbone, in egual modo obbrobriosi.
E invece anche il Distretto 12 fece la sua figura quell'anno, rimanendo per molto tempo nella mente degli abitanti della capitale – se positivamente o negativamente non ci è dato saperlo.
Il carro uscì trainato da animali grigio scuro e gli occhi degli spettatori si posarono senza troppe aspettative sui due tributi. Ma sempre più sguardi si strinsero per realizzare meglio quale strano costume potevano indossare i giovani. O non indossare.
Imke e Lucònoe si sporsero dalle loro posizioni per accertarsi di quello che tutti iniziavano a presupporre.
- Ma sono...! - iniziò Leucònoe allibita.
- … nudi! - concluse la cugina.
Non tutti se ne erano ancora accorti, perché il nero pece che ricopriva i corpi dei due giovani era così scuro e denso da sembrare un vestito effettivo; ma in conclusione, si poteva dire che entrambi non indossavano un vestito che fosse uno, eccezion fatta per l'elmetto arancione da minatore sulla testa.
La folla esplose a quest'audacia degli stilisti: neanche il Distretto 4 era mai arrivato a tanto, coprendo sempre come minimo le parti intime dei suoi tributi; invece Tiger e Talia erano lì, al naturale, e stavano ricevendo le urla e le grida di ragazzi e ragazze che già si scannavano per loro.
Tiger sorrise sfacciato, esibendo meglio che poteva quello che aveva da offrire; l'idea degli stilisti all'inizio l'aveva lasciato interdetto – come chiunque del resto – ma poi aveva ritenuto di dover sfruttare l'occasione per iniziare a farsi amare. E le sorprese della loro sfilata non erano ancora finite lì...
A metà percorso infatti le luci dei due caschetti si accesero all'improvviso, e il colore prese a sciogliersi in punti calcolati dei due corpi, ma in modo irregolare; quando la tonalità nera fu colata del tutto, creando delle piccole pozze sul carro, si scoprì il vero intento degli stilisti: sotto allo strato di pece, erano ora ben visibili dei filoni dalle sfumature rossastre, dal rosso intenso all'arancione chiaro, che riuscivano a far sembrare i ragazzi due veri tizzoni ardenti.
Talia era più o meno pietrificata sul carro; i suoi lunghi capelli biondi per necessità erano stati tinti di nero, uniformando il senso del “costume”, ma la ragazza al contrario del compagno non riusciva a trovare la forza di sorridere e atteggiarsi. Non senza vestiti addosso. In quel momento si sentiva vulnerabile e inerme agli occhi della Capitale che la voleva sicuramente morta, nonostante in quel momento la acclamasse così tanto; Talia era decisa a tornare però, quindi si sforzò di sorridere alla folla in maniera timida, riscontrando comunque il favore di giovani allupati fra gli spettatori.
- … Ehi! Chiudi la bocca! - disse Imke alla cugina, trovandola ancora con la bocca spalancata.
Leucònoe si riprese: - E tu asciugati il rigoletto di bava, eh!
Imke tossicchiò mentre l'ultimo carro andava a posizionarsi al suo posto, alla fine del percorso: - Certo che ci hanno sorprese in tutti i modi quest'anno. -
- Già, si vede che hanno tutti voglia di vivere -



Le due ragazze non fecero in tempo a scambiarsi ulteriori commenti perversi riguardo a Wayne perché il presidente Snow iniziò il suo solenne discorso. Era un momento importante, ma le due che erano troppo giovani per apprezzare la politica si limitarono a sbuffare.
– Benvenuti, tributi, benvenuti.- scandì con voce impostata, come tutti gli anni. – Noi rendiamo onore al vostro coraggio e al vostro sacrificio. Speriamo siate onorati dello spettacolo che avrete la possibilità di offrire a tutta Panem e vi auguriamo che la fortuna sia sempre, sempre a vostro favore. - le labbra del presidente si incresparono in un lieve ghigno – E un consiglio sempre valido: ricordate che qualunque cosa sia successa questa sera, l’abito non fa il tributo. - si interruppe per una pausa teatrale.
– Dovrebbe essere una battuta?- sillabò Imke a Leuconoe, che soffocò le risate a stento.
– Perché voi, voi e non i vostri stilisti, siete le future stelle di Panem. Voi siete gli artefici del vostro destino.-
La voce del presidente fu come sempre sommersa dagli applausi. Le due ragazzine si limitarono a uscire dall’anfiteatro scuotendo la testa con disapprovazione. Odiavano i discorsi del presidente. Ma mai quanto li odiavano i ventiquattro sfortunati e, più lontano, le loro famiglie e tutto il resto dei loro distretti che mai avrebbero saputo che significasse essere artefici del proprio destino.









NDA di darky e Keily
No, non siamo morte, ma se dovete incolpare qualcuno, prendetevela con la Keily che è una tartaruga <3 (e che ha di nuovo litigato con l'HTML ma questi sono dettagli u.u)
E anche la Sfilata è andata :3 Ora a questi poveri tributi spetta l'Addestramento sotto lo sguardo attento degli Strateghi.
Per lamentele, domande, precisazioni, pescispada da lanciare (?) sapete a chi rivolgervi.
Ah, IMPORTANTE:  per le allenaze, se non l'avete ancora fatto, avvisateci tramite messaggio privato qui, messaggio su fb, piccioni viaggiatori o telegrafo, in modo che ci mettiamo all'opera più o meno subito! L'arena si avvicina sempre più, meglio non rimanere soli, no?
A presto <3


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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Everybody stands up and keeps score ***


Pervertiti, coppiette e Fiocchi di Fuoco


-Leu, Imke! Che bello vedervi!- 
Il giovane Stratega dai capelli neri corse verso le due ragazze e abbracciò calorosamente Leucònoe, facendole il baciamano, e accennò un saluto distratto verso Imke, la quale immediatamente mormorò qualcosa come "e io chi sono, la vicina della porta accanto?" 
- Oh, Seneca, non ci vediamo da secoli! - la maggiore delle due sorrise allegramente all'amico, tormentandosi la treccia castana screziata di rosso fuoco.
- Okay, voi flirtate pure mentre affogo la depressione nel succo di mela.- sospirò la quattordicenne sedendosi rumorosamente al tavolo degli Strateghi. 
Ma quando Ozai Heru-Zhao, Primo Stratega e rinomato pervertito, tubò un - Ciao, carina- nella sua direzione, la bionda punk si rassegnò a sedersi accanto alla cugina e a quel ragazzo dalle basette inquietanti che ci provava in un modo così palese che solo a Leu poteva sfuggire. 
- Non c'è abbastanza succo di mela per tutta la tua depressione? - domandò sarcastico Seneca, scatenando una risata travolgente nella diciottenne seduta accanto a lui. 
-Macchè. Ho solo beccato Pedo-Ozai.- si lamentò con una smorfia. 
- Oddio, quel pervertito? - chiese Leucònoe, pensando con un brivido a tutte le occhiate approfondite che le lanciava alle cene del gruppo degli Strateghi -Pensavo si fosse dato una calmata, visto che c'è una delle sue ventimila o giù di lì figlie illegittime nell'arena. Ma no, probabilmente sarebbe capace di provarci anche con lei.- 
Imke ridacchiò: - Ma no, non ci proverebbe mai con sua figlia. Non ha diciotto anni, quella? E' troppo grande, non lo eccita...- si interruppe all'occhiata di Seneca, un'occhiata che diceva indubbiamente "sgombera, ragazzina rompiballe, che forse entro la fine dell'addestramento riesco a farmi tua cugina".
- D'accordo - bofonchiò in risposta a quella richiesta non pronunciata (facendo inarcare le sopracciglia arcobaleno alla povera ignara Leu). 
Sbuffò in modo particolarmente sonoro e si lasciò cadere sul tavolo, ben lontana da Pedo-Ozai. - 
Ti chiedo scusa per mio padre.- mormorò una voce maschile alle sue spalle. 
La ragazza si voltò svogliatamente. Vide un ragazzo sui sedici anni, con i capelli neri spettinati e tatuaggi di fiammelle blu e rosse che gli coprivano tutta la parte destra del viso. E, particolare da non sottovalutare, un enorme busta di qualcosa simile a patatine in mano. 
- Scuse accettate.- 
Il ragazzo sorride. - Bene, ne vuoi un po'? - le chiese indicando la busta non identificata - Sono Fiocchi di Fuoco.- 
- Per i comuni mortali? - 
Il moro ridacchiò. - Nachos piccanti.- 
- D'accordo. Oh, io sono Imke.- 
-Zuko.-



Imbarazzo, coltelli e ancora imbarazzo


Bella correva nella pista intorno al Centro d’Addestramento, senza nemmeno sentire la stanchezza. Le era stato subito evidente che, pur avendo avuto un discreto risultato con la cerbottana, non poteva raggiungere la preparazione dei Favoriti e che la fuga e l’astuzia erano le sue migliori armi.
- Wow, ti servirà moltissimo scappare, quando sarai lì - sogghignò la ragazza del 6, guardandola di sottecchi, ma Bella la ignorò e continuò a correre.
Intanto, iniziò a pensare a un'eventuale alleanza. Non era brava a rapportarsi con le persone, ma era ovvio che due teste fossero meglio di una.
Scorse velocemente la propria lista mentale di possibili alleati e si soffermò sul ragazzo del 9, che al momento si stava esercitando nell’uso dei pugnali.
- Ciao - disse, cercando di sembrare decisa - Tu sei Benjamin del 9, no? -
 Il ragazzo spostò lo sguardo sulla giovane, trasalì e arrossì, mettendosi una mano nei capelli. Non sapeva se essere più sorpreso o deluso dal fatto che quella ragazzina ricordasse il suo nome, considerando che la sua strategia era passare inosservato.
- Io, ehm , sì. E tu dovresti essere… Beth, Distretto 5, no? -
La ragazza ridacchiò, socchiudendo gli occhioni azzurri - Oh, no. Sono Bella, vengo dal 3. -
Lui si grattò imbarazzato un braccio: - Oh- scusa, mi dispiace.-
- Non fa niente. Volevo chiederti di essere alleati.-
- Oh.-
Il ragazzo abbassò lo sguardo, continuando a lanciare i coltelli. Non era esattamente nei suoi programmi. A parte la sua fondamentale incapacità nel parlare con qualcuno che non fosse un amico stretto, la sua non tanta sicurezza di arrivare abbastanza avanti per allearsi e l'essere una totale frana nel lavoro di squadra, non era sicuro di volersi affezionare a qualcuno che avrebbe dovuto uccidere.
O beh, che avrebbe ucciso lui. Eppure, completamente d'impulso, disse: -Va bene.-
Poi, ancora più di impulso, aggiunse: -Vuoi che ti insegni a lanciare coltelli? -
Bella a dire il vero aveva già tentato, per poi tornare alla cerbottana leggermente terrorizzata dalle sue pessime abilità nel campo. Ma comunque annuì, con il suo sorriso più dolce e bello.



Ragazze di zucchero e ragazzi di roccia


Non l'aveva fatto apposta a mettersi a tirar pugni ad un manichino vicino alla postazione di lancio dei coltelli (che, dall'epoca dei primi Hunger Games, attirava più tributi femminili di qualunque altra).
Di sicuro non era in vena di provarci con qualcuno, a un passo dalla morte e con il bacio di Leonora che vibrava ancora sulle labbra.
Eppure il ragazzo del Distretto 11 trattenne una risatina quando le due quindicenni, la bruna dell'8 e la bionda del 12, si appostarono chiacchierando accanto a lui e iniziarono a lanciare lame, la prima abbastanza bene e la seconda in modo decisamente disastroso. 
- Eppure dovrebbe riuscirmi, no? Se ho mira con la cerbottana dovrei averla anche con tutto il resto...- sospirò a un tratto la ragazza del carbone in tono rassegnato. - 
- Su, su.- la confortò l'alleata - Probabilmente è solo perché è un movimento diverso e non ci sei abituata. Scommetto che alla fine di questa giornata sapremmo usare più o meno tutto.- 
Jennifer esclamò questa frase con un ottimismo che non era sicura di avere e un tono troppo forzatamente allegro per essere rassicurante, ma Talia ebbe la delicatezza di ricambiare comunque con un sorriso di ringraziamento. 
Marcus scosse la testa divertito, quelle due ragazzine sembravano così gentili e fragili. Non riusciva proprio a trovarci la minima somiglianza con le sue amiche del ring clandestino, con le loro risate sguaiate, da ragazzo, e le date delle loro vittorie tatuate artigianalmente sulle braccia muscolose.
- E comunque.- riprese la bionda - Per te è tutto così facile, ti ameranno tutti, dopo quel che hai fatto. Come vorrei essere coraggiosa come te...- 
- Macchè.- ribatté l'altra - Sono sicura che avresti fatto lo stesso, per quella tua amica, Dawn, no? - 
Il ragazzo ebbe una stretta al cuore, pensando a come sarebbe stato bello avere qualcuno su cui contare per tutta la durata dei giochi, come quelle due ragazzine facevano l'una con l'altra. 
- Siete fortunate, bamboline. Avete appena trovato un alleato estremamente figo.- esordì sorridendo.



Amore incondizionato tra compagni di Distretto


Irritato dalla mancanza di spirito d’iniziativa dei suoi compagni, Marvel gettò bruscamente la lancia a terra e si avvicinò a lei, afferrandola per una spalla e costringendola a girarsi. 
- Ehy- sbottò - sono l'unico ad avere un cervello per prendere decisioni in questo posto? Io dico che...- 
- Aspetta un attimo.- ribatté Het, piccata - quand'è successo che sei stato nominato capo? Perché temo di essermelo perso, sai.- 
- Ma come...? Io sono il più forte, è ovvio! - 
- E questo chi l'ha deciso? - replicò la mora. 
- ...io!- quasi urlò il ragazzo, irritato dal fatto che la sua alleata mettesse in discussione la sua abilità. 
- Credi di potermi battere? Vuoi una dimostrazione? - aggiunse, beffardo, passandosi un dito sulla gola con aria minacciosa. 
- Razza di idiota, pensa un po' quel che ti pare, di certo io non ho bisogno di una qualifica per sentirmi migliore. Volevo solo farti notare che scegliere un capo non servirà a molto, se non esiste nemmeno un gruppo! - sibilò a bassa voce, per non far capire agli altri tributi e agli Strateghi che i Favoriti erano in crisi ancora prima dell'inizio dell'arena.
- Ma come, quelli del 2 e del 4... - iniziò a dire Marvel, ma Het lo interruppe. - Quelli del 2 e del 4 non mi sembrano molto intenzionati a fare gruppo con noi, se non l'avessi notato.-
Marvel voleva ribattere qualcosa, ma a malincuore dovette ammettere che la sua compagna aveva ragione . - Okay, okay. Quindi ? -
La ragazza lo guardò come se dubitasse della sua sanità mentale, il che tra l'altro era abbastanza vero: - Mi sembra evidente, scegliamo qualcuno dei Distretti periferici che non faccia totalmente pena e lo aggiungiamo al gruppo. Poi decidiamo se liberarcene alla prima occasione o tenercelo.-
- Aspetta... dei Distretti periferici? Ma non possiamo! Voglio dire, noi siamo i Favoriti, gli assassini per eccellenza, non possiamo allearci con il primo sfigato che passa!-
Het valutò la possibilità di prendere il più vicino oggetto contundente e calarlo con tutta la sua forza sulla testa del suo cosiddetto alleato, poi fece un respiro profondo, sorrise e beneficio degli Strateghi che iniziavano a guardarli insistentemente e disse a voce bassa: - Senti, a me non importa cosa diamine tu pensi di quest'alleanza e purtroppo non posso minacciarti di morte per convincerti ad ascoltarmi, perché non ho voglia di passare per malata mentale davanti agli Strateghi. Sappi solo che tre o quattro ragazzi sembrano un gruppo di assassini. Un ragazzo e una ragazza (specialmente un ragazzo e una ragazza che sono appena sfilati su un carro vestiti da principe e principessa delle fiabe) sembrano una coppietta in luna di miele. È questo che vuoi? -
Il ragazzo spalancò gli occhi, per niente attirato dalla prospettiva: - Okay, mi hai convinto.- 
- Bene. Hai qualche idea? -
Marvel prese tempo, deciso a non ammettere che era stato talmente impegnato a trafiggere manichini e duellare con gli addestratori che non aveva osservato molto gli altri tributi. - Uhm... mi sembra che sia bravo... il ragazzo del... ehm...- 
- Va bene, ho capito, ci penso io. - disse la diciottenne alzando gli occhi al cielo - Vado dalla tipa del 5, tu cerca qualcuno che sia bravo con le piante, visto che noi facciamo pena. Prova con quelli dell'11, di solito sono bravi, se no anche la bambina del 10. Ci risentiamo a pranzo -



Tanti tipi di corpo a corpo


La ragazza cinese scagliò rabbiosamente due o tre shuriken contro il manichino, giusto per evitare di sfogarsi in modo più distruttivo, poi si diresse verso la ragazza del 5, che aveva etichettato fin dall'estrazione come un alleata utile. - Ciao! - la salutò sorridendo, cercando di nascondere il suo assurdo cattivo umore per il contrasto con quel depravato mentale del suo compagno - Tu devi essere Rebecca, no? Io sono Het, vengo dal Distretto 1. - 
La diciassettenne appoggiò l'arco a terra e si voltò verso l'altra: - Oh, ciao Het.- 
Si stava voltando per ricominciare a scagliare frecce quando l'altra ragazza le chiese: - Ehi, ti andrebbe di fare parte dei Favoriti? Ci serve un po' di gente competente visto che quella che ho ora in gruppo è un po'... uh...- si trattenne dal lanciare un'ennesima occhiata assassina al suo compagno. 
Rebecca scoppiò a ridere: - E fu così che tutti i consigli del mio mentore sul "lavorare da soli e non fidarsi di nessuno" se ne andarono bellamente a puttane. Comunque sì, perché no? Direi che è un bel modo per non farsi uccidere. Ci sono anche quelli del 2 e del 4, no? - 
Het fece una smorfia: - Veramente, quelli del 2 e del 4 quest'anno ci hanno dato buca.- 
La diciassettenne inarcò il sopracciglio. - Oh, capisco. Beh, scusa se te lo dico, ma come numero mi sembra che il vostro gruppo faccia, ehm, un tantino schifo.-
- Lo so. è per questo che stiamo cercando qualcun altro. Ehi, ti va di parlare con il ragazzo del 10? Mi sembra che sia forte.-
La ragazza del 5 lanciò un'occhiata al biondo e la vista le piacque parecchio: - D'accordo. Batti il cinque, futura compagna di uccisioni! - 
Het la guardò male e Beck abbassò la mano, controvoglia: - Okay, okay. Dicevo giusto per fare spirito di gruppo. Ciao!- 
E si allontanò verso Dennis, il bellissimo diciassettenne del 10. 
- Ehilà, cowboy, ti sei convertito alla pesca? - lo apostrofò con un sorriso sarcastico, appena arrivò davanti al ragazzo, che stava cercando di creare un amo da un pezzo di conchiglia. 
Il ragazzo sollevò gli occhi azzurri, scostandosi il ciuffo: - Ciao, Rebecca. Sono onorato dal fatto che mi consideri più interessante di quella bella gnocca dell'1. Credevo fosse questo il tuo genere.- 
La ragazza avvampò, sbalordita da tutta quella sfacciataggine (in effetti, non era cosa da poco che superasse la sua): - Molto divertente, cowboy, o pescatore, o cosa cavolo sei. Tienilo a mente, è Beck. Chiamami Beck e potrei pensare di lasciar perdere la tua stupidità. Chiamami Rebecca e gli ami te li trovi in... -
- Okay, lo intuisco.- la interruppe Dennis - Come mai sei venuta a cercarmi ? Non che non sia abituato alle ragazze che mi cercano... - continuò sorridendo malizioso. 
- Piantala, devo chiederti di entrare nei Favoriti.- 
- Favoriti? Ma io non voglio una banda di fissati con le armi a darci fastidio quando ci divertiamo, Becky. - protestò il ragazzo, mettendo il broncio come un bambino. Beck alzò gli occhi al cielo e si stava allontanando arrabbiata quando sentì uno strappo e un freddo improvviso dietro le cosce.
- Ma che cazzo... - si girò e diventò nera di rabbia quando vide Dennis che sghignazzava, facendo dondolare una lenza a cui era appeso un pezzo dei suoi leggins e, beh, anche gran parte delle sue mutande. - Ma come ti viene? - strillò afferrando il ragazzo per il colletto della t-shirt - Capisco che sei un morto di figa che non ha mai visto un culo in vita sua, ma devi cominciare proprio da me? - 
Il biondo rise: - Come mai sei così arrabbiata, Becky? Devo dire che ne è valsa la pena, veramente uno dei migliori culi della mia luminosa carriera.- 
- Piantala! Magari un po' di corpo a corpo, senza trucchetti da bimbi dell'asilo, ti fa cambiare idea.- urlò la ragazza.
- Oh oh! - Dennis saltò in piedi improvvisamente elettrizzato - Pensavo volessi aspettare di essere in camera, ma sei vuoi divertiti proprio qui io non ho scrupoli! - esclamò, iniziando a sbottonarsi la camicia.
- Io intendo l'altro corpo a corpo, idiota.- E senza aspettare che le rispondesse lo trascinò alla postazione della lotta: - Ehy, tu, con i capelli da donna! - chiamò, mentre l'allenatore dai riccioli color confetto si girava offeso, - Devo fare a botte con questo tizio, non c' problema, vero? -
- Ma veramente... - tentò di ribattere l'"uomo", ma poi, curiosamente, ebbe un'improvvisa voglia di dare il cambio al suo collega della postazione di arrampicata. 
Dieci minuti dopo un trionfante Dennis e una furibonda Beck con un occhio nero uscirono dallo spazio recintato per i combattimenti. 
La ragazza lanciò un'occhiata al suo più o meno alleato e, del tutto calma, sollevò una lancia e la calò con decisione tra le gambe del diciassettenne, scoppiando poi a ridere mentre lui crollava in ginocchio urlando parolacce di cui lei ignorava persino l'esistenza. 
- Io lo sapevo, Moore - sentenziò con aria di superiorità - che tu e le armi lunghe non andate proprio d'accordo.-



Assassini e (quasi) innocenti


Marvel si fermò a qualche passo dalla ragazzina del 10, che canticchiava trafficando con delle erbe che agli occhi del ragazzo erano solo roba non meglio identificata. 
- Ehy, scricciolo. -
Victoria alzò i grandi occhi chiari e sorrise al Favorito: - Ciao! - disse, semplicemente.
Il ragazzo dell’1 alzò il sopracciglio, leggermente interdetto dal fatto che non sembrasse spaventata da lui, poi riprese a parlare come se ogni parola gli fosse estorta sotto tortura: - La ragazza del mio Distretto, Het, ha detto che devi stare con noi nei Favoriti. - 
- Questo è molto carino da parte sua. Sono felice di essere vostra alleata. Grazie di avermelo detto, Marvel.- disse Victoria con un sorriso candido, pronunciando il nome del ragazzo come se fossero amici da una vita. 
- Beh, se lo dici tu.- rispose Marvel con una smorfia. Non poteva negare di aver sperato di non doversi alleare con l’ennesimo peso morto - Ci vediamo a pranzo per parlare di strategie. Sicura che non ti traumatizzi stare con gli assassini, piccoletta? - non riuscì a trattenersi dall’aggiungere, in tono sarcastico. 
- Ho meno paura di uccidere di quel che la gente pensa. Non mi sono offerta per morire, Marvel.- La sua voce era così dolce e tranquilla che nessuno le avrebbe mai potuto credere, e infatti Marvel si limitò ad alzare gli occhi al cielo e tornarsene quasi di corsa dalle sue lance. 
Gli occhi di Victoria scintillarono e si lasciò sfuggire un'esultanza a bassa voce. I Favoriti! Nemmeno nei suoi più rosei sogni ad occhi aperti aveva pensato di arrivare tanto in alto. Vincere non le era mai sembrato più possibile. Si diresse con un sorriso in volto verso il bastone e iniziò a rotearlo; era la sua arma preferita, le ricordava i giorni trascorsi al pascolo cantando all’ombra degli alberi e giocando con le pecore. Iniziò a canticchiare senza nemmeno accorgersene, era una canzoncina che parlava della primavera e della nascita dei piccoli di tutti gli animali, uno dei momenti più gioiosi per il suo Distretto. Se qualcuno si fosse fermato a pensare, forse avrebbe trovato inquietante la canzone della vita come colonna sonora di una ragazzina che imparava a portare la morte. Ma aveva il potere di renderla serena persino all’inferno, e tanto bastava.

                                                        

Amore incondizionato tra compagni di Distretto parte 2:  La Vendetta del Distretto 6


- Sei sicura di voler rimanere lì a guardarmi per tutto l'allenamento? - 
Blade alzò un sopracciglio scuro, lanciando uno sguardo eloquente alla sua compagna che, da prima che Atala finisse il suo discorso, si era appesa a testa in giù alla sbarra della postazione di arrampicata e sembrava averci fatto il nido come una rondinella nella stagione degli amori, con un'agilità consolidata in dieci anni e più di fughe dall'orfanotrofio.
- Ti sembra che abbia intenzione di scendere? - protestò la ragazza in tono vagamente annoiato, dondolandosi avanti e indietro .
- Voglio dire, non potresti pensare ad allenarti, anziché rompere le scatole agli altri? -
- Veramente sei tu che stai dando fastidio a me, Stoner. - 
Il ragazzo sbuffò rumorosamente e alzò gli occhi verso Nina: - Io, veramente, sto cercando di imparare a non farmi ammazzare. Tu sai già come fare? - 
La diciassettenne si sollevò e si mise a sedere sulla sbarra: - Mi sottovaluti, Stoner? Grosso errore.- ridacchiò - E effettivamente fai molto meglio a parlare con me che a lanciare coltelli, sai? Fai veramente pena.-
Blade sentì il viso andargli a fuoco e scagliò il pugnale che aveva in mano verso di lei, quasi alla cieca: - Sai fare meglio di così? - sbottò. 
Nina alzò appena una mano, prendendo al volo la lama tra due dita come avrebbe fatto con una penna o una matita: - Come dicevo, non hai uno straccio di mira.- 
E lo rilanciò facendolo conficcare alla perfezione tra gli occhi del bersaglio accanto a Blade, a pochi centimetri dalla sua testa. 
- Non avevo veramente intenzione di prenderti. Non vali nemmeno la pena di prendersi una sgridata da Atala per ucciderti.- sbuffò Blade, soffocando la sua frustrazione per non essere riuscito nemmeno a sfiorarle i riccioli con la lama. 
- Qualcuno qui non sa perdere.- fischiettò la ragazza con un'aria innocente che a Blade fece venire i brividi. Aveva lo stesso tono dolce e falso di Beatriz da bambina, quando rubava dal portafoglio della mamma e poi incolpava lui. Una cosa veramente da puttana, ma fottutamente efficace. 
Leggermente inquietato da quella strana tizia, il diciassettenne buttò i coltelli in un angolo e si diresse a passo veloce verso la postazione dell'arco. Qualcosa che, per lo meno, sapeva fare. Stava tendendo l'arco quando sentì due mani sottili sulle spalle, dei lunghi capelli mossi che gli solleticavano il viso e la voce fintamente soave di Nina che gli sussurrava nelle orecchie: - E comunque, per l'alleanza, credo che ti sopporterò.-
Blade avrebbe voluto ricordarle che non le aveva chiesto nessuna alleanza, ma la voce gli si fermò in gola e decise che andava bene così. 
Se c'era qualcosa che aveva imparato dagli Hunger Games era che sono i bastardi ad andare avanti nel gioco, e Nina lo era.



Piccoli animali si alleano


Wayne Tiger non aveva nessunissima voglia di addestrarsi. O meglio, sapeva che avrebbe dovuto provare qualcosa, ma si fidava ciecamente della sua abilità nell'utilizzo dei picconi e quindi non era motivato a provare altro. Gironzolava per il Centro Addestramento, guardando gli altri tributi allenarsi e prendendo nota di chi poteva essere realmente pericoloso: se alcuni ragazzi cadevano come pere dopo neanche un metro di arrampicata, altri centravano un bersaglio minuscolo a decine di metri di distanza con un coltello o un arco. Ed ecco un punto fondamentale delle sue riflessioni pre-Arena: come già detto, grazie al fatto che straordinariamente aveva avuto la previdente idea di andare a lavorare in miniera, aveva avuto tempo di imparare a destreggiarsi al meglio con il piccone, che ormai maneggiava – modestamente - molto bene; inoltre aveva visto come i minatori preparavano l'esplosivo, senza contare poi che grazie alla madre aveva buone conoscenze mediche. Il problema principale di ciò era che nella Cornucopia erano ben poche le volte in cui un piccone era stato fra le armi disponibili; Tiger avrebbe quindi dovuto far vedere che era capace di usarlo bene, che con quello in mano gli altri tributi avrebbero dovuto temerlo, ed era deciso a farlo durante la sessione privata. Nel frattempo passava l'Addestramento fra una postazione e l'altra, senza risparmiarsi occhiate eloquenti e occhiolini a una delle assistenti del Capo Addestratore, che arrossiva e distoglieva lo sguardo ogni volta con aria seccata.
Tiger però pensò che non avrebbe potuto passare tutto quel tempo a fare niente, e che qualcosa avrebbe pur dovuto ficcarsi in testa – non si è mai troppo previdenti – tanto più che non aveva ancora idea se cercare alleati o meno. Decise quindi di dirigersi verso la postazione di sopravvivenza, così da imparare ad accendere un fuoco come si deve; oltretutto in quella postazione, c'era uno spettacolo veramente curioso ed esilarante.
Jake Beetles era alle prese con il suo primo intoppo nella strada verso la salvezza: l'istruttore gli aveva spiegato almeno una trentina di volte che per accendere un fuoco l'importante era avere pazienza nello sfregare le pietre giuste, almeno la prima volta; e Jake ci aveva messo del suo per ascoltarlo, per fare tutto con calma... Ma la parola “calma” associata a lui era pura utopia, e il ragazzo aveva finito con lo sbattere fra loro alcuni sassi con foga, facendo partire scintille dappertutto tranne che sui legnetti secchi che aveva di fronte; la cosa comica era guardare il suo viso: i lineamenti tondeggianti apparivano più spigolosi a causa della concentrazione e gli occhi ridotti a due fessure fissavano intensamente il lavoro che le mani stavano facendo con troppo entusiasmo. Tuttavia Jake non demordeva: doveva imparare ad accendere un dannato fuoco da solo.
- Accenditi... accenditi... Andiamo, accenditi... – mormorava sottovoce.
- Stai cercando di sbriciolare due poveri massi innocenti? No perché ci stai riuscendo benissimo -
Tiger gli andò vicino squadrandolo dall'alto, un sorriso canzonatorio sul volto.
- Se sai fare di meglio accomodati pure – gli rispose Jake senza staccare gli occhi dal mucchietto di legno che non ne voleva proprio sapere di accendersi.
- Meglio di così? Anche se cercassi di accendere un fuoco sotto acqua farei meglio di così – sbuffò Tiger, e visto che le parole che diceva non cadevano mai nel vuoto, si fece dare due pietre buone dall'istruttore e, senza ascoltare nessuna spiegazione, si mise accanto a Jake convinto di saper fare di meglio.
Inutile dire che passato un quarto d'ora non era scoccata neanche una scintilla.
- Vedo come ti riesce bene accendere un fuoco, eh, signore delle fiamme? - lo derise Jake.
- I sassi sono difettosi! - si difese Tiger.
- Oh certo, non avevo il minimo dubbio – rise l'altro.
Tiger, furioso per la figuraccia, diede una violenta sfregata, e finalmente una scintilla parecchio grande scoccò. Il guaio è che scoccò nella direzione sbagliata. Destino volle che un cavo scoperto uscisse dal tronco di un albero finto lì vicino – cosa ci facesse un cavo dentro un albero non ci è dato saperlo – e che la scintilla finisse proprio sopra quel cavo. Il disastro si può prevedere: una parte dell'albero prese fuoco, e un ramo incandescente cadde molto vicino a Jake; il ragazzo balzò in piedi spaventato urlando, per poi accorgersi che un lembo della sua divisa era andato a fuoco. Iniziò a correre come un matto cercando di spegnerla, mentre Tiger lo inseguiva per bloccarlo e gli addetti all'addestramento spegnevano con degli estintori l'attrezzatura in fiamme.
- Vado a fuoco aiuto! - urlava Jake saltellando in giro e cercando di spegnersi la divisa.
Ovviamente non guardando davanti a sé, era inevitabile che finisse contro qualcun altro.
Jake e un tributo particolarmente alto e intento ad esercitarsi con una spada, caddero a terra; l'urto spense finalmente le poche fiamme sugli abiti del povero Beetles.
- Ma che diavolo ti prende?!? -
Donald Penguin si stava concentrando per imparare ad utilizzare qualche altra arma oltre all'ascia, e quell'interruzione violenta lo aveva in un primo momento spaventato e successivamente irritato da morire.
- Scusa tanto se stavo per diventare un tributo arrosto, eh! - rispose a tono Jake, un po' più rilassato avendo smesso di bruciare.
- Potevi farlo da un'altra parte – commentò Donnie – e comunque... che aspetti ad alzarti? -
- No vi prego, restate così – interruppe Tiger trattenendosi dal ridere sguaiatamente – abbiamo la nuova coppia dell'Arena di quest'anno – disse sghignazzando.
In effetti Jake era finito completamente addosso a Donnie, in una posizione abbastanza ambigua; accortisi della situazione, i due si scansarono velocemente, allontanandosi come fossero stati punti da degli Aghi Inseguitori, inveendo l'uno contro l'altro.
- Gli sponsor vi ameranno! - esclamò Tiger quasi con le lacrime agli occhi.
Donnie si alzò in piedi in tutto il suo metro e ottantotto, che avrebbe dovuto incutere almeno un po' di timore; Tiger invece resse bene il suo sguardo: - Problemi? - chiese sfrontato.
- Potresti averli tu i problemi – sibilò Donnie a bassa voce.
Di norma era un ragazzo tranquillo, ma la tensione derivata dall'imminente ingresso nell'Arena, gli faceva avere i nervi a fior di pelle; si trattenne dall'uccidere Tiger solo perché gli addetti alla sicurezza erano particolarmente vicini, intenti a spegnere le fiamme e a riprendere Jake come probabile incendiario.
- Avresti dovuto sentirtele tu! - esclamò Jake a Tiger, quando il Capo Addestratore finalmente lo lasciò andare – Sei stato tu a fare 'sto casino! -
Tiger alzò le spalle e sospirò: - Che vuoi che ti dica, hanno beccato te , ci sarà una ragione, no? -
Jake si scambiò con Donnie un'occhiata che avrebbe decretato la possibile fine di Tiger; al ragazzo quel gesto non sfuggì: - Vi conviene avermi come alleato, non come nemico – commentò ghignando.
Quello scambio di battute non era passato inosservato; fra i tributi che avevano assistito al piccolo incendio e poi erano tornati a farsi i fatti loro, ce n'era una che continuava a fissare i tre: Karmilla Loshad aveva già focalizzato il trio durante le repliche delle Mietiture che aveva già visto sul treno, e ora quel piccolo incendio era stato la scintilla che l'aveva convinta. Chiamiamolo pure destino.
La ragazza abbandonò la postazione delle lance e si diresse a grandi falcate verso i tre; si fermò di fronte a loro e parlò senza curarsi degli sguardi perplessi che le vennero rivolti: - Noi quattro saremo alleati -
Tre paia di occhi strabuzzarono.
- Scusa? - fece Donnie allibito.
- E perché mai dovremmo? - chiese Jake, riprendendosi almeno un po'.
- Oh andiamo, possibile che non ci siate ancora arrivati? - sbuffò Karmilla, per poi riprendere a parlare come si stesse rivolgendo ad un branco di ritardati – Pinguino, Scarafaggio, Tigre. Direi che non ci sono dubbi sul motivo -
- Cioè perché siamo tre animali dovremmo allearci? - cercò di capire Tiger.
- Mi pare ovvio – rispose Karmilla – E secondariamente ho pure visto che le nostre abilità si completano a vicenda -
La giovane aveva infatti osservato che tanto Donnie era forte ma poco agile, tanto Jake era veloce , con poca forza  ma con molto ingegno. Quanto a Tiger, lo vedeva piuttosto sicuro di sé tanto da credere che sapesse realmente fare qualcosa.
Wayne rise: - E' talmente assurdo che ci sto – poi si rivolse agli altri due – Cosa dicono Pinguino e Scarafaggio? - chiese divertito. In confronto alla sua Tigre, gli altri due animali erano niente.
Jake e Donnie fecero lo stesso ragionamento: non avevano ancora alleati, avevano bisogno di qualcuno che coprisse loro le spalle, la strana ragazza aveva probabilmente già deciso per loro ed entrambi avrebbero potuto tenere d'occhio Tiger. Perciò annuirono più o meno convinti.
- Anche se non era una domanda – iniziò Karmilla, togliendo dei residui di cenere dalla divisa di Jake – Mi fa piacere che vi siate convinti -
- Scusa un attimo – iniziò Donnie – ma tu cosa c'entreresti con... gli animalisti? -
Karmilla sorrise in una maniera inquietante: - Io sono il Cavallo. Attenti, perché scalcio -



Sognare casa vivendo un incubo


Esmeralda Dickens aveva dovuto abbandonare la postazione di sopravvivenza per cause di forza maggiore dovute all'improvvisa piromania di alcuni soggetti, e si era trasferita nella sezione dei coltelli; la ragazza dell'11 non aveva mai veramente padroneggiato alcuna arma, visto che il suo Distretto non era esattamente uno fra i più violenti di Panem. Esmeralda sapeva riconoscere erbe di tutti i tipi – ne aveva imparati molti altri durante quei giorni di Addestramento -, sapeva realizzare piccole trappole per animali, sapeva accendere un fuoco. Ma non avrebbe saputo come uccidere un altro essere umano e, sinceramente, non sapeva se ci sarebbe mai riuscita.
L'istinto di sopravvivenza però trasforma le persone, e visto che prevenire è meglio che curare, Esmeralda aveva deciso di imparare a maneggiare più o meno decentemente almeno un'arma; escluse spade e lance – troppo difficili da usare in pochi giorni – si era buttata su coltelli e cerbottane, scoprendo di avere una mira discreta. Soprattutto queste ultime potevano rivelarsi una buona soluzione: era più probabile trovarle in uno zainetto lontano dalla Cornucopia, o comunque avrebbe potuto fabbricarsene una, e realizzare dardi avvelenati con piante trovate in giro sembrava fattibile come idea. Comunque sia, anche i coltelli non erano male, e provare non costava nulla.
Esmeralda colpì con uno di essi un manichino sulla gamba, posto a poca distanza da lei; non era il suo massimo, ma si era distratta guardandosi intorno: osservando la vasta gamma di tributi, sperava di farsi venire un'illuminazione su cosa avrebbe fatto nell'Arena, o meglio, chi avrebbe potuto avere come alleati. Vide i due ragazzi del 6 deridere gli altri tributi, quattro di vari Distretti intenti a confabulare; vide lo strano ragazzo dell'8 inseguire la tizia del 7 saltellando e parlando continuamente, e vide quelli del 4 chiacchierare animatamente.
No, non avrebbe avuto alleati. Non perché non ne volesse, ma perché aveva capito che affezionarsi troppo a qualcuno le avrebbe impedito di ucciderlo, e quindi le avrebbe garantito il ritorno a casa. In una bara.
Esmeralda tornò a concentrarsi sul lancio del coltelli: sapeva che sarebbe stata durissima sopravvivere da sola nell'Arena, ma contava sul fatto di potersi nascondere e di sfruttare ogni situazione a suo vantaggio; si sa che da soli ci si muove meglio. Doveva dare il massimo, o non avrebbe mai più rivisto il proprio Distretto.



Esasperanti stilisti mancati


Hope Dianna Anderson avrebbe tanto voluto allenarsi indisturbata e in tranquillità da sola, magari cercando anche di non dare troppo nell'occhio – anche se non era una cosa così impossibile; ma qualcuno aveva già deciso che così non avrebbe potuto andare.
- Smettila di seguirmi! - esclamò per l'ennesima Hope esasperata, girandosi di scatto verso un ragazzo che si bloccò di colpo per non venirle addosso.
- Non posso! La mia mente e il mio corpo si rifiutano di concepire e assistere ancora ad uno scempio del genere! -
Lysandre Laxfer assunse toni esageratamente melodrammatici, mentre scrutava Hope intensamente.
- Non capisco ancora quale sia il problema! - continuò lei.
- Questi sono un problema – Lysandre le toccò i capelli castani spettinati – Queste sono il problema – le sfiorò poco sotto gli occhi dove erano bene in vista due profonde occhiaie – Questo è il problema! - e indicò tutta la figura della giovane -
- Che cos'ho che non va? -
- Ma niente, proprio niente! Anzi, la materia prima è pregiata – si lisciò il mento lui – Il problema è come la tratti! Durante la sfilata eri un gioiello, come dovrebbe essere, e ora... Ora ti trovo così poco curata... Per niente valorizzata insomma! -
Hope era allibita: come pretendeva quel tizio di venire a farle la predica sull'aspetto quando erano lì per imparare qualcosa di utile al massacro che sarebbe avvenuto di lì a poco? Era suonato, senza dubbio. Oltretutto era troppo esuberante, troppo entusiasta e troppo diretto
- L'aspetto non è una delle mie priorità in questo momento... -
Lei doveva allenarsi, era troppo imbranata con le armi, doveva migliorare nel poco tempo che le rimaneva... E invece si trovava incastrata con quello stilista mancato.
Lysandre si spiaccicò una mano sulla faccia: - Ah! Sei tale e quale ad una mia amica al Distretto! Siete entrambe belle ma non vi valorizzate, e in questo modo mi obbligate ad intervenire – riprese serio, fin troppo; la prese per le spalle e la guardò dritta negli occhi – Ascoltami bene: dovrai far colpo sul pubblico per sperare di cavartela, e per farlo dovrai risplendere, non chiuderti a riccio! -
- Da quando sei diventato il mio mentore? - chiese ironica lei.
- Da adesso, ma chiamami pure Maestro, mia piccola Allieva – trillò Lysandre battendole affettuosamente la mano sulla testa – Da questo momento seguirai alla lettera i miei fantastici consigli -
- Ma chi ti ha chiesto niente! -
- In alcuni casi non serve chiedere – sorrise il ragazzo – Se diventerai abbastanza brava, potrei anche decidere di farti toccare Sciarpi – sentenziò, accarezzando la fedele sciarpa intorno al collo.
- Non vedo l'ora... - sospirò Hope. Aveva purtroppo capito che non ci sarebbe stato niente da fare con quel Lysandre.



Fare alleanze è un po' come fare affari, ci vuole astuzia


Adele MacMair finalmente era riuscita ad occupare la postazione di tiro con l'arco, e in quel momento aveva centrato dritto nel cuore il suo nono manichino; sospirò guardando la freccia a qualche decina di metri di distanza: l'arco era la sua arma preferita, lo padroneggiava alla grande e sarebbe stata letale con lui... Ma di archi ce n'era solo uno, dentro la Cornucopia che sarebbe stata presa d'assalto dai Favoriti; lei aveva rifiutato di unirsi a loro, un po' perché non glielo avevano chiesto – ritenendola una palla al piede probabilmente –, un po' perché avrebbe preferito dormire con qualcuno che le guardasse veramente le spalle, e che non l'avrebbe pugnalata nel sonno. In fondo non c'era solo la sua vita in gioco. Ma si fidava ciecamente del suo compagno, anche se a intermittenza la assaliva il pensiero che non potevano tornare entrambi a casa, almeno, non vivi.
Dilan Hedlund non si era separato da lei nemmeno per un secondo; in quel momento le stava passando le frecce facendo qualche commento sui suoi ottimi tiri, ma con la testa era altrove: pensava al Distretto, al suo incontro con Vidal che finalmente gli aveva chiesto scusa – beh, più o meno -, pensava al bacio con Alessa, arrivato troppo tardi, pensava a Manuel che aveva salvato e a Seth che probabilmente stava salvando adesso. Sì perché proteggendo Adele avrebbe evitato al suo compagno un dolore peggiore della morte; anche se in quel momento le persone che stava aiutando erano due: la ragazza, e il bambino che portava in grembo.
Dilan sospirò: Adele gli aveva confessato di non aver detto ancora niente a Seth, e arrivati a quel punto dubitava che potesse farglielo sapere per vie che non fossero traverse... O la Capitale l'avrebbe scoperto da sé a causa dei cambiamenti nel corpo della ragazza, oppure avrebbe dovuto essere lei stessa a rivelarlo.
- Sto bene – rispose la giovane ad un'occhiata eloquente di Dilan, scagliando l'ennesima freccia; in realtà dei dolori che ormai conosceva bene, avevano ricominciato a darle delle noie, ma ormai era abituata a sopportare; in più non poteva farsi vedere debole, - Quando sarò stanca riposerò -
Dilan non era sicuro che la compagna avrebbe sul serio ascoltato il suo stesso consiglio, ma sospirò, sapendo che era praticamente impossibile farle ammettere di avere qualcosa che non andava.
Quanto a lui, aveva deciso di non pensare a quello che avrebbe potuto accadergli una volta entrato nell'arena: in circostanze simili, quando il proprio futuro e la propria vita dipendono da altri, meglio vivere secondo per secondo, senza programmare un ipotetico futuro remoto. E poi doveva ammetterlo: nonostante si fosse assunto spontaneamente il ruolo di "difensore di fanciulle incinte", aveva paura di morire. Ma sarebbe andato avanti lo stesso, anche perché era la sola scelta possibile che gli si presentava dinnanzi. Meglio pensare una cosa per volta quindi, a cominciare dall'intervista in cui farsi benvolere, ma soprattutto dalla Cornucopia e dal Bagno di Sangue iniziale: sarebbe riuscito a portare lui, Adele e il bambino in salvo con le loro sole forze?
Poco lontano dai due tributi del Distretto 4, qualcun altro stava facendo le stesse considerazioni.
Ares aveva osservato a lungo i vari tributi presenti in quell'edizione, e durante il viaggio in treno e in camera ne aveva studiato le Mietiture, cercando dei possibili alleati da utilizzare. Scartati i Favoriti – che comunque quell'anno provenivano dai Distretti più vari e assurdi – si era concentrato sugli altri, rimanendo assolutamente affascinato da Karmilla Loshad, la ragazza del Distretto 9; ma lei purtroppo aveva già trovato "compagnia", e lui non ci teneva proprio a fare parte di quel branco di animali. Esclusi anche i due del 6 – troppo strani e imprevedibili -, i due del 2 – anormali è dir poco -, e comunque quasi tutti i Distretti bassi, Ares aveva adocchiato infine i tributi del 4.
Con la sola osservazione e deduzione, Ares aveva potuto cogliere diversi aspetti dei due ragazzi: lei era incinta, questo era poco ma sicuro, probabilmente di quattro mesi o meno dato che la pancia non era ancora cresciuta troppo; il giovane calcolatore aveva potuto intuirlo dai fianchi della ragazza, dai gesti durante la Mietitura e dai suoi movimenti molto cauti in allenamento. Ciononostante, si vedeva benissimo che era stata addestrata per essere una macchina da guerra, lo si notava da come impugnava l'arco e dal suo atteggiamento determinato, per cui poteva rivelarsi una valida alleata – o meglio, un valido scudo.
Per quanto riguardava il ragazzo, Dilan non aveva dubbi sulla sua preparazione: era nipote di una Vincitrice, aveva il fisico forgiato dall'addestramento; in più aveva notato il modo in cui si era destreggiato poco prima nel lancio dei coltelli: non aveva mancato un punto vitale del manichino, ma il suo sguardo era assente, quasi stesse pensando ad altro... Se tirava così quando non era concentrato, figuriamoci quando lo era.
Ares ghignò: aveva trovato i suoi alleati. Si avvicinò, assumendo l'aria più disponibile e innocente che poteva: - Distretto 4 – salutò educatamente, lasciando però trapelare una nota di superiorità.
Adele interruppe il suo allenamento e guardò il nuovo arrivato alzando un sopracciglio; Dilan invece si fece cupo e subito sulla difensiva, e questo non sfuggì ad Ares: - Cosa vuoi Distretto 3? - gli rispose a tono Adele.
- Proporvi un affare – andò subito al sodo l'altro; in fondo allearsi era un po' come occuparsi di trattative – un'alleanza nello specifico -
Adele guardò basita Dilan: - Perché dovremmo accettare? -
- Perché vi farebbe comodo avere un'alleato in più che vi guardi le spalle nell'arena -
- E scommetto che la stessa cosa vale per te – disse Dilan, parlando per la prima volta; non si fidava di Ares, proprio no.
- Naturalmente – annuì l'altro – Pertanto sarebbe controproducente se vi tradissi uccidendovi subito, se è quello che state pensando; andrebbe contro il mio tornaconto, non trovate? -
Adele rifletté: in fondo non aveva tutti i torti, una persona in più non poteva che far comodo, e per Ares, essendo solo, sarebbe stato controproducente ammazzare subito i suoi alleati e proseguire l'arena da solo.
- Tu sai quello che sappiamo fare noi – iniziò Dilan all'improvviso – ma tu... cosa ci offri? -
Ares sorrise serafico, e si indicò la testa con l'indice della mano sinistra: - Vi offro la mia intelligenza, e prima che me lo chiediate, ve ne darò una dimostrazione: solo osservando, sono sicuro che tu sia incinta di circa quattro mesi, e che lui si sia offerto volontario sia per salvare il suo amico, probabilmente legato alla ragazza che lui stesso ama, sia per proteggere la ragazza e il figlio di un altro suo compagno -
Adele sbatté più volte le palpebre, assumendo un'aria molto sorpresa: - ... D'accordo, sei intelligente, ma cos'altro? -
In tutta risposta Ares le prese l'arco dalle mani, incoccò una freccia e colpì la testa di un manichino abbastanza lontano; se la cavava meglio con la balestra, ma gli era andata bene lo stesso.
- Vi conviene avermi come alleato – sorrise ancora lui.
Adele guardò il compagno: - ... Va bene, alleati – disse lui, stringendo la mano di Ares.
Dilan aveva calcolato che anche se l'altro avesse giocato sporco, si sarebbe ritrovato in una lotta due contro uno, e data la sua apparente genialità, avrebbe dovuto capire di essere in pericolosa inferiorità numerica.
Ares ricambiò la stretta: - Non ve ne pentirete – disse, sul volto l'ombra di un malvagio sorriso. Il piano aveva funzionato.



Consigli, alleanze e doppie punte


Elia Klein gironzolava ormai da molto per il Centro Addestramento senza aver ancora fatto niente di concreto, limitandosi ad osservare gli altri tributi e a commentare il loro operato, abbastanza forte da essere sentito; come quando passando vicino a Marvel che aveva appena mancato per la prima e unica volta il bersaglio, aveva commentato con un “E adesso quel tributo ti avrebbe staccato la testa. Complimenti Favorito”, sottolineando l'ultima parola e beccandosi ingiurie e insulti da parte del ragazzo dell'1.
Non aveva molte intenzioni di allenarsi: contava sulle sue abilità apprese all'Accademia, e voleva crearsi un vantaggio con gli altri tributi, anche se era difficile credere che qualcuno proveniente dal secondo distretto fosse privo di allenamento... In realtà quell'anno, quest'affermazione era più che credibile se si osservava solamente il tributo femmina del Distretto 2.
Elia osservò Nirvana Kross dall'altra parte della sala prendere una cerbottana e iniziare a colpire un manichino in faccia con dei semplici sassi; si deve dire che non sbagliava un colpo, ma quell'arma era veramente ridicola rispetto alle letali balestre e archi.
Senza sapere il perché, il ragazzo iniziò ad attraversare la stanza, puntando Nirvana, se non che ad un tratto si fermò: aveva notato che gli Strateghi che osservavano l'allenamento, l'avevano indicato sghignazzando, o scuotendo la testa; evidentemente erano sia sorpresi che delusi da lui, perché probabilmente, vedendo Nirvana, avevano praticamente decretato che anche lui non sapesse fare niente.
Elia inarcò un sopracciglio e, cambiando direzione, si avviò verso la postazione dove si trovavano lance e spade; prese una di queste ultime e la lanciò un paio di volte in aria, come fosse leggerissima, soppesandola e annotandosi mentalmente le caratteristiche. Si voltò quindi verso un manichino poco distante e iniziò ad avvicinarglisi roteando la spada e fendendo l'aria; infine a poca distanza dal povero manichino, con uno scatto felino tranciò in un solo colpo la testa, che rotolò a terra inerte. Con la coda dell'occhio notò quei beoni degli Strateghi alcuni con la bocca spalancata, altri che annuivano soddisfatti, e ghignò, per poi dirigersi verso Nirvana.
La ragazza intanto aveva cambiato arma e si stava dedicando alla cerbottana, riscontrando lo stesso successo che con la fionda; aveva una buonissima mira e intendeva sfruttarla.
- Almeno quello... - sussurrò fra sé e sé Nirvana.
Sapeva di non avere le potenzialità necessarie per farcela: non voleva uccidere altri esseri umani, e già questo le procurava un biglietto di sola andata per la tomba; ma non era intenzionata ad arrendersi senza lottare, pertanto era decisa a sfruttare ogni appiglio che le si presentava. Si era già allenata nell'arrampicata, confermando di essere molto agile, e in quel momento aveva segnato anche la mira nella lista dei suoi punti di forza.
Per quanto riguardava gli alleati, Nirvana non sarebbe riuscita a farsene a causa del suo carattere timidissimo, ed era sicura che nessuno l'avrebbe avvicinata...
- Con quelle non ucciderai proprio nessuno -
Nirvana praticamente sobbalzò trattenendo il respiro per poi girarsi: Elia, il suo compagno di Distretto con cui aveva scambiato sì e no qualche parola, era di fronte a lei e la squadrava con sguardo calcolatore e freddo; avvampò, come tutte le volte che qualcuno le rivolgeva la parola.
- Cosa vuole da me? - sussurrò Nirvana per poi tapparsi subito la bocca, accortasi di aver espresso quello che avrebbe dovuto solo pensare.
Elia la guardò perplesso: - Ti ho solo dato un consiglio – disse – Con quelle e basta non ucciderai nessuno. A meno che non utilizzi dei dardi avvelenati, il che potrebbe essere un'idea -
Nirvana abbassò lo sguardo imbarazzata: - Non voglio uccidere... - mormorò.
- Dovrai farlo – rispose semplicemente Elia; non le aveva neanche domandato perché si fosse offerta, se non era capace di porre fine ad una vita.
- Perché mi parli? - chiese lei sempre a bassa voce.
- Perché penso che tu sia migliore di quegli altri laggiù – disse Elia indicando alle sue spalle Favoriti e Favoriti abusivi che si allenavano e deridevano i tributi più imbranati.
Nirvana sorrise imbarazzata: - Beh... Ma gli Hunger Games non si vincono in qualità di “tributo più simpatico”... -
- Allora, per iniziare, sarà meglio che ti trovi dei validi alleati, giusto? - commentò Elia indifferente, girando attorno a Nirvana e prendendo una delle cerbottane – Sì, i dardi velenosi dovrebbero andare bene -
Non sapeva il motivo per il quale aveva praticamente chiesto a Nirvana un'alleanza; certo era che non si sarebbe mai messo con i Favoriti, ma perché proprio con lei? Forse perché sentiva il bisogno e desiderio di proteggerla, vedendola così indifesa, altrimenti non riusciva a spiegarsi come...
- OmioDioun'altraoscenità! -
I pensieri di Elia vennero interrotti da un'esclamazione improvvisa; il ragazzo si girò per ritrovarsi faccia a faccia con il tributo del Distretto 8 e la sua espressione semi sconvolta.
- Sul serio ragazze, volete uccidermi prima dell'arena per caso? - chiese retoricamente Lysandre, avvicinandosi a Nirvana che arretrò d'istinto – No perché ci state riuscendo benissimo! Ma guarda questi poveri capelli! - continuò, prendendo fra le dita i capelli scompigliati di Nirvana, ottenendo l'effetto di allontanare ancora di più la ragazza.
Dietro a Lysandre, Hope sospirò alzando gli occhi al cielo: il ragazzo aveva trovato un'altra vittima da torturare.
Elia intanto lo guardò tagliente: - Hai qualche problema? - chiese freddo.
 - Il mio problema sono questi! - disse Lysandre indicando sia i capelli di Hope che quelli di Nirvana – Non sono per niente curati, e io soffro nel vedere una cosa del genere – poi si avvicinò sorridendo a Elia – I tuoi invece sono perfetti! Ragazze, prendete esempio dal carino qui  - e fece per toccare i capelli dorati raccolti in una coda di Elia.
Il ragazzo si schivò in fretta: - Ehi ehi, chi ti ha dato il permesso di toccarli? - chiese alterato; i suoi capelli erano sacri – E poi chi sarebbe il “carino”? -
Lysandre sorrise serafico: - Finalmente qualcuno che tiene al suo aspetto ed è curato quasi quanto me. Quasi –
Il tributo del Distretto 8 iniziò a girargli attorno scrutandolo con aria da intenditore: - Il “carino” saresti tu, carino, anche se cambierei un paio di cosette... Per esempio il portamento... Inoltre devi eliminare quelle brutte doppie punte... -
- Non osare, a meno che tu non voglia trovarti con una mano in meno. E poi io non ho le doppie punte! - se c'era una cosa a cui Elia era particolarmente attento, quelli erano i suoi capelli.
- Tanto ne ho due – rispose Lysandre, senza far sparire il sorriso dal viso – E sì che le hai, guarda che roba! Mi dispiace dirtelo, raggio di sole, ma qui ci vuole una bella spuntatina... Te la faccio io gratuitamente - e non era una domanda.
Hope si avvicinò a Nirvana: - Non dargli retta, è fissato con l'aspetto e la “valorizzazione” -
La ragazza annuì e non parlò, ma non si allontanò da lei; forse perché non le faceva così paura, o forse perché sentiva che pure Hope era timida quanto lei... Fatto sta che le due giovani osservarono per dieci minuti buoni Elia e Lysandre battibeccare sul “perché Elia avrebbe dovuto fidarsi e farsi tagliare i capelli da Lysandre”.
- Ehi – gli disse Elia ad un certo punto e sottovoce – Guarda che ci sono quelli che ti guardano e ti  sfottono – continuò, alludendo a Dennis e Marvel dietro alle spalle di Lys, che lo guardavano e ridevano.
Lysandre sorrise, si girò e guardando i due, mandò un bacio volante verso di loro; i due tributi sbiancarono e si allontanarono con la faccia schifata.
Il ragazzo dell'8 si girò verso i compagni – che lo guardavano allibiti – e si rivolse a loro tranquillamente: - Favoriti: 0, Lysandre e Sciarpi: 1 -
Nirvana sorrise rilassata: in fondo le cose potevano andare meglio di quanto si era aspettata.







NDA di darky e Keily

Zumpappà zumpappà zumpappappà, questo è il valzer del moooooscerinooooo! *la Keily che sclera dopo aver perso le solite ore a impostare il capitolo e a causa della verifica di fisica di domani*
LOL No, ok, siamo serie uWu Ci scusiamo per il ritardo abnorme nella pubblicazione dell'Addestramento, ma come si suol dire, "meglio tardi che mai", no? *schiva una cassetta intera di pomodori*
Ah-ehm, dunque! Speriamo di aver scritto al meglio tutto, e non preoccupatevi se alcune alleanze non si sono completamente formate: c'è stato un problema organizzativo, ma nell'arena si metterà tutto a posto (sì certo, più o meno XD)
Il prossimo capitolo dovrebbe essere quello delle interviste, nel quale verranno incorporati commenti sulle sezioni private; abbiate fede che entro il prossimo secolo lo vedrete <3
La prima metà del capitolo è gentilmente offerta da darky, mentre la seconda da Keily.
A presto (si spera XD) <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: I'll prove you that I'm strong ***


Lo Staff finì di dare gli ultimi ritocchi al pesantissimo trucco di Caesar Flickermann; quell'anno il conduttore sfoggiava – ovviamente – il colore che andava più di moda: l'arancione fluo, visibile anche a chilometri di distanza, rendeva i suoi capelli stracolmi di gel e le sopracciglia come delle lampade al neon. Tutto sommato metteva allegria, ma era completamente all'opposto del reale stato d'animo del conduttore.
Caesar era stanco. Stanco di apparire sorridente ad ogni edizione, stanco di conoscere 24 ragazzi ogni anno, stanco di dover dire addio a 23 di loro, il tutto simulando l'emozione più appropriata. Ma la verità era che lui si portava ben impresso nella memoria ognuno dei tributi che intervistava: quei tre minuti erano più che sufficienti a fargli capire cosa quei ragazzi provavano, quali erano le loro speranze e i loro sogni, la maggior parte dei quali sarebbero stati repressi nel sangue. Eppure continuava a fare quel lavoro; ma era per loro: si ripeteva che se non ci fosse stato lui, il suo posto sarebbe stato preso magari da un Capitolino ad hoc, che di cosa sognavano i fanciulli non se ne importava neanche un po'. Questo era quello che mandava avanti Caesar, la convinzione di riuscire a mettere in luce tutti quei ragazzi, così da poter dare ad ognuno una possibilità.
Caesar si stampò in faccia il suo sorriso d'occasione dopo essersi seduto alla sua postazione, un secondo prima che le telecamere si accendessero: la prima parte erano i punteggi, e lui sperava ogni anno che nessuno prendesse l'insufficienza. Fu con questa - sempre presente quanto vana - speranza che il conduttore iniziò ad elencare i vari ragazzi e i rispettivi punteggi.




Dal Distretto 1...


Marvel Reiden, con un punteggio di... 11! 
    

                                                                                                                                    
Gli occhi verdi del ragazzo si illuminarono e il primo sorriso sincero dall'inizio dei giochi gli si formò sulle labbra. Come Het, aveva scelto di non focalizzarsi su una sola arma e mostrare tutte le sue abilità, e aveva fatto bene. Undici.
Sia Layla che il suo patrigno avevano avuto un dieci. Lui si era dimostrato migliore di entrambi, poteva dire di avere già vinto. Non i giochi in sè per sè, ma la sua battaglia personale contro la sua famiglia, che forse era persino più importante. E quando Caesar Flickerman annunciò:                                                                                                                

Het Heru- Zhao, con un punteggio di... 10!                                                                                                               

La sua gioia fu totale, al pensiero di aver battuto quella sgualdrinella frivola e falsa. Het, al contrario, arrossì di gioia ed esultò moderatamente alzando il pugno in aria, fiera del suo risultato. Non era il punteggio di Marvel, ma le importava poco di questo.
- Gloss, ricorda al ragazzino qui che esistono altre cose nell'Arena oltre alla forza bruta, prima che salti in aria per la troppa felicità.- commentò con aria innocente, alludendo all'espressione trionfante del sedicenne.
-Esistono altre cose oltre alla forza bruta?- ripetè Gloss con un aria così stupidamente sprezzante che Het scoppiò in una risata di scherno, che trasformò all'istante in una risatina esultante. Nata per vincere.    


Dal Distretto 2...

Elia Klein, con un punteggio di... 10!

Elia ghignò, seduto a braccia incrociate sul divano del piano assegnato al Distretto 2, mentre Mentore, Staff, Stilisti e Accompagnatrice applaudivano facendogli i complimenti; aveva fatto bene a non mettersi in mostra nei giorni di Addestramento: ora gli altri tributi non avrebbero potuto sapere in cosa fosse così forte. E in effetti sarebbe stato difficile indovinare l'arma che aveva usato, dato che aveva semplicemente smembrato un manichino a mani nude. Il ragazzo era soddisfatto: anche se avrebbe voluto avere il massimo, era un punto di partenza niente male; ora doveva solo stare attento che quel branco di Favoriti non lo mettesse con le spalle al muro fin da subito. Ma il problema non era quello.
Il suo sorriso si spense all'arrivo del voto di Nirvana.


Nirvana Kross, con un punteggio di... 4!

Nella stanza calò il silenzio. Nirvana sprofondò nel divano, stringendo un cuscino e arrossendo per l'imbarazzo; no, evidentemente agli Strateghi non era piaciuto il suo numero di mimetizzazione, ma in fondo se l'aspettava: probabilmente era la prima volta che un tributo proveniente dal Distretto 2 otteneva un così scarso risultato. Era anche altrettanto probabile che gli Strateghi fossero rimasti delusi da lei e l'avessero voluta penalizzare; chissà cos'avevano pensato quando l'avevano vista camuffata da albero, lei, tributo volontario femminile del Distretto 2.
Elia, dopo aver esitato un attimo, le diede una pacca sulla spalla: - Non preoccuparti – le disse semplicemente, lasciando che i suoi occhi azzurri parlassero per lui e magari esprimessero più di quello che riusciva a dire.


Dal Distretto 3...

Ares, con un punteggio di... 8!        
                                                                                                                         
Il diciottenne soffocò la lieve delusione nella sua consueta espressione neutra.
Si aspettava di più per aver quasi carbonizzato un manichino stritolandolo in una trappola elettrica, una cosa decisamente originale a suo parere, ma non poteva permettersi di mostrare che gli dispiaceva.
Certo, se una prova avesse potuto rivelare l'astuzia e la strategia allo stato puro che lo caratterizzavano, il dodici non sarebbe stato sufficente a rappresentarlo, ma in fondo tutto questo era una banale faccenda che non meritava la sua preoccupazione. Fu questo quello che decise.                                                                                                                                                          

Bella Sanford, con un punteggio di... 5!                                                                                                                  

Bella emise un sospiro rassegnato. Sapeva che sarebbe andata così. Aveva osservato Ares e sapeva che avrebbe scelto una trappola elettrica, che era anche la sua specialità, obbligandola a cambiare genere di sessione per non restare nella sua ombra. Aveva osservato gli altri tributi e aveva capito di essere superiore a pochissimi di loro.
A nessuno Stratega importava di una semplice ragazzina che tirava con la cerbottana, eppure quella ragazzina aveva una ragione per cui tornare, quanto e più degli altri.

Sperava che almeno a Benjamin andasse meglio.                


Dal Distretto 4...

Dilan Hedlund, con un punteggio di... 9!                                                                                                             

- Ottimo!- Zibilla abbracciò il nipote, che sorrideva incredulo. - Arco o frusta?-                                                     
- Io... arco.- rispose il ragazzo, pienamente soddisfatto - Bendato.-
Non gli sfuggì lo sguardo nervoso di Adele, che sembrava in preda all'ansia e ogni tanto sussultava, ma non era il momento di parlarle, sarebbe stato sospetto e non l'avrebbe aiutata.
Così sospirò ed esclamò, rivolto al  mentore - Ehi, Finn! Zolletta della vittoria? -
Zibilla alzò gli occhi al cielo e scoppiò a ridere alla vista dei due diciottenni che brindavano con il succo di frutta e si strafogavano di quadratini di zucchero, pensando a quanto ai suoi tempi, a dodici anni, gli Hunger Games erano stati più duri e difficili.                                                   


Adele MacMair, con un punteggio di... 8!                                                                                                        

Adele piegò appena in un sorriso l'angolo della bocca, nervosa.                                                                                  
Otto diceva tutto e non diceva niente, era il classico punteggio che si dava a una Favorita quando non la si sapeva definire brava o pessima, quello per cui suo padre l'avrebbe schernita senza pietà, non diceva niente sulle opinioni di Strateghi e sponsor e soprattutto non diceva niente sulle sue possibilità di tornare a casa.
Abbassò gli occhi di un nero più cupo che mai e aprì le labbra per formulare un qualsiasi commento, ma invece si strinse il grembo tra le braccia e corse in bagno.
- Che ha quella?- domandò Sonnie con voce più stupida che mai, ma il resto del team, che aveva capito tutto, la ignorò e presto fu dimenticato, per fortuna di Adele..



Dal Distretto 5...

Jake Beetles, con un punteggio di... 6!                                                                                                             

- Oh, beh, direi che è il meglio che potessi fare con i miei fuochi d'artificio, no? Funziona come a scuola, 6 è la sufficenza, vero? - domandò ridacchiando il ragazzo, per poi ammutolire imbarazzato. Certo, non era all'altezza della sua compagna, probabilmente non sarebbe stato nemmeno all'altezza dei suoi alleati e mai come in quel momento era stato consapevole di essere giunto al capolinea della sua breve vita.
Ma proprio per quello non aveva intenzione di passare gli ultimi giorni deprimendosi, doveva tenere duro, pensando che aveva salvato la vita a suo fratello.
- Beh, vediamo te, Becky!- esclamò tanto per spezzare il silenzio, iniziando a tamburellare furiosamente con le dita senza nemmeno accorgersene.



Rebecca Runner, con un punteggio di... 9!                                                                                                             

- Yu-uh!- esultò la ragazza, scambiandosi un cinque con Jake che non sembrava affatto nervoso per la prova eccellente della compagna.
Era allegra e soddisfatta, ma in fondo se l'aspettava: erano i frutti della sua adolescenza rubata, passata a inseguire e sparare ai delinquenti di giorno e scoparsi i colleghi la sera, ci sarebbe anche mancato che avesse preso un votaccio.
Era per questo che aveva scelto di stare con i Favoriti e non con Jake, come avevano proposto i mentori, ma probabilmente avrebbe fatto come se quel ragazzo non esistesse, nell'arena: il pensiero di uccidere qualcuno del suo Distretto le faceva comunque schifo.    


Dal Distretto 6...

Blade Stoner, con un punteggio di... 8!                                                                                                                       

Il ragazzo ghignò, soddisfatto per aver messo subito in chiaro davanti a tutti gli sponsor chi era il tributo su cui puntare, nell'alleanza del 6.
Forse ora anche i Favoriti l'avrebbero voluto, ma a lui non piaceva il lavoro in branco.
Avrebbe voluto abbandonarsi alla soddisfazione, ma due figure nella sua mente gli distrussero la gioia. Sua madre che, con un sorriso dolce e la voce falsa come il seno di Radennia sibilava "Ma che bravo il mio bambino!"  e suo padre dallo sguardo vitreo e una bottiglia in mano, che sussurrava "Beatriz aveva dieci... Beatriz aveva dieci..."


Nina Devine, con un punteggio di... 7!                                                                                                                

- Mi aspettavo 8.- commentò la ragazza con voce indifferente. - Forse è perchè ho mancato quel coltello che è andato da tutt'altra parte -
- Dov'è andato il coltello?- le domandò Radennia, appena preoccupata dal modo in cui aveva evidenziato le ultime parole. La ragazza sgranò gli occhi celesti come se non aspettasse altra domanda. - Direttamente nel pancione del Primo Stratega! -
La diciassettenne scoppiò in una risata maniacale mentre la capitolina inorridiva.                                                      
- E' una balla. E' una disperata che vuole attirare l'attenzione.- spiegò Blade, duro.                               
Nina alzò gli occhi al cielo e andò in camera sua, sbattendosi la porta dietro, ma non prima di avergli tirato un ceffone.  


Dal Distretto 7...

Donald Penguin, con un punteggio di... 7!


Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo, dato che con il suo lancio di asce più che mai banale dato il Distretto da cui veniva pensava di aver meritato molto meno.
- Sei stato bravissimo, davvero! Oh, non ci credo, un 7!- strillò Laxelyy, chinandosi per baciarlo sulla guancia, e il ragazzo era così contento che non fece neppure caso al sospiro voglioso di quelle labbra di caramello.
Lei e i mentori cominciarono a blaterare di sponsor e statistiche, ma per quanto si impegnasse non riusciva ad afferrare tutti quei calcoli.
Riusciva solo a pensare che era sempre più vicino a casa, al nonno e al cuore di Wendy.  


Hope Dianna Anderson, con un punteggio di... 5!                                                                                          

La sedicenne abbozzò un sorriso che non le arrivò agli occhi e poi affondò il viso tra le mani, asciugandosi velocemente una lacrima.
Cosa pretendeva? Era nata per aiutare gli altri, per sorridere e chiacchierare con i suoi pochi amici, per aiutare la mamma in negozio e suonare il pianoforte: non per combattere e non per uccidere.
Aveva pensato, sperato che la poca abilità raggiunta con la fionda e qualche arrampicata le avrebbero portato la sufficenza, ma a quanto pare era stata ingenua.
- Beh, a te è andata bene.- sussurrò a mezza voce al suo compagno, con un sorriso sincero: sperava che i mentori e la capitolina si concentrassero su di lui, distogliendo l'attenzione dalla sua pessima figura.
                                                                              


Dal Distretto 8...

Lysandre Laxfer, con un punteggio di... 7!

Lysandre sbuffò leggermente: era vero, 7 non era un voto malvagio, e tutto sommato non poteva aspettarsi granché da quello che aveva mostrato; sicuramente i Favoriti e altri avevano avuto più inventiva. Aveva mostrato la sua mira colpendo un manichino al petto con due coltelli – il terzo purtroppo era andato a vuoto – e poi agilmente gli era arrivato alle spalle, aveva estratto una delle armi e aveva squartato il povero manichino; purtroppo con oggetti così statici non si poteva dimostrare nessuna agilità o mossa particolare. Ma non era quello il punto: a Lysandre era stato vietato di indossare la sua fedele Sciarpi durante la sessione privata; con lei avrebbe sicuramente centrato con tutti i colpi il bersaglio, non c'erano dubbi.


Jennifer Grey, con un punteggio di... 6!

Jennifer sospirò un po' più tranquilla e si rilassò sul divano; il voto era mediocre, ma la ragazza cercò il lato positivo: non sarebbe stata bersaglio dei Favoriti all'inizio... Anche se in effetti avrebbero potuto proprio iniziare ad eliminare i più deboli...
Scacciò quel pensiero dalla testa e cercò di rallegrarsi del fatto che, pur avendo imparato ad usare l'arco solo nell'Addestramento, era riuscita ad ottenere 6 lo stesso nella sessione privata; aveva poi completato velocemente un percorso ad ostacoli, forse quello le aveva tirato su il punteggio. Comunque fosse andata, il voto era quello ormai, perché lamentarsene? Jennifer poi dubitava che un numero potesse essere il vero specchio del carattere di ciascun tributo: bisognava aspettare l'arena.


Dal Distretto 9...

Benjamin McLein, con un punteggio di... 7!

Benjamin storse il naso a quel voto mediocre: sì, forse il 10 che si aspettava avrebbe un tantino messo a rischio la sua strategia di passare inosservato, però sentiva che se lo sarebbe meritato; durante la sessione privata infatti si era lasciato prendere un po' la mano, e aveva dato sfogo a tutta la sua energia, massacrando dei poveri manichini a suon di coltellate. O almeno, a lui sembrava fosse andata così. Agli Strateghi forse non era piaciuto quel che aveva fatto, o lo ritenevano una prova inferiore a quella di altri tributi.
Benjamin si passò una mano fra i capelli sospirando: pazienza, almeno sarebbe rimasto un tributo anonimo; si sarebbe mosso nell'ombra e avrebbe fatto vedere a tutti di cosa era capace.


Karmilla Loshad, con un punteggio di... 8!

Karmilla diede un colpo con il piede alla colonna alla quale era appoggiata: solo un 8? Andiamo, gli Strateghi avevano il braccino corto? Come potevano darle solo un misero 8?!
- Mancavi di classe -
Gerome apparve al suo fianco, nella sua scintillante armatura tirata a lucido, parlando come sempre con una voce metallica a causa dell'elmo che non toglieva mai; Karmilla non l'aveva ancora mai visto in faccia: - Ti avevo detto come dovevi muoverti – continuò.
- Se ti togliessi da quella scatoletta per una volta e parlassi chiaramente, forse riuscirei a capire i tuoi consigli – replicò stizzita Karmilla; ma dov'era la sua fiaschetta di vodka quando serviva?
In effetti però, non era stata il massimo dell'eleganza quando aveva massacrato il manichino con una mazza chiodata; forse gli Strateghi si aspettavano un po' più di charme da una ragazza vestita da cameriera.
- Almeno hai una buona indole omicida – disse Gerome, come se non l'avesse già vista in azione – vedi di non deludermi -
- Sarà impossibile – rispose semplicemente la ragazza. La cosa che più le importava in quel momento era solo una: Tiger non doveva prendere più di lei.


Dal Distretto 10...

Dennis Nicholas Moore, con un punteggio di... 8!

Dennis digrignò i denti pensando a Rebecca: la ragazza probabilmente se la stava ridendo di gusto confrontando il suo gran 9 con il misero 8 di Dennis; come aveva fatto lei a prendere un voto in più? Che cosa aveva mostrato agli Strateghi? Probabilmente quella parte di lei che gli aveva rifiutato, brutta...
Il ragazzo si riscosse all'improvviso: alla Sessione Privata aveva mostrato le sue doti di corpo a corpo mandando al tappeto uno degli istruttori; ma come aveva già anticipato alla cara Becky durante l'Addestramento, a lei avrebbe riservato un corpo a corpo diverso e molto più piacevole – almeno per lui. Dennis si alzò dal divano: era arrivato il momento di agire.


Victoria Burton, con un punteggio di... 8!


Victoria regalò un candido sorriso al suo Staff, mentre tutte le loro attenzioni erano rivolte a lei: Dennis se n'era andato chissà dove appena aveva visto il suo voto, e ora la ragazzina era al centro dell'attenzione. E a ragione in effetti: insomma, chi si sarebbe mai aspettato che a una poco più che bambina come lei, gli Strateghi riservassero non solo un voto superiore al 6, ma addirittura un 8!
Ma Victoria non era una come le altre: lei, dodicenne proveniente dal Distretto 10, era stata chiamata nei Favoriti; lei, che non aveva solo una grande conoscenza delle piante, ma nel lancio dei coltelli e con il suo fidato bastone aveva anche grandi doti – che aveva dimostrato egregiamente agli Strateghi; lei, che sarebbe tornata a casa, la più giovane Vincitrice del suo Distretto; lei, germoglio di margherita destinato a sbocciare nel caos.


Dal Distretto 11...

Marcus Ayani, con un punteggio di... 9!

Marcus per poco non balzò in piedi dal divano urlando; mentre riceveva i complimenti dall'intero Staff era ancora incredulo: non aveva quasi dubitato di aver ricevuto un buon voto, poiché il manichino che aveva preso brutalmente a pugni era uscito dalla lotta irriconoscibile; ma non si sarebbe mai aspettato che gli Strateghi gli dessero un voto simile anche se proveniva dal secondo distretto più povero. Forse quell'anno erano particolarmente generosi – teoria quasi impossibile -, forse erano rimasti seriamente impressionati dalla sua forza. O forse, molto più probabilmente, volevano solo divertirsi con lui, disegnandogli una bella X rossa addosso e mandandolo in pasto ai Favoriti.


Esmeralda Dickens, con un punteggio di... 6!


Dopo l'inaspettato 9 di Marcus, il 6 di Esmeralda sfigurava, facendo ritornare il Distretto nella sua solita media. Tuttavia la ragazza non si scoraggiò; avrebbe potuto andare molto peggio, perché in fondo non aveva combinato niente di eccezionale: aveva preso e compresso insieme determinate erbe velenose, in modo da creare un cocktail mortale, e aveva cosparso i dardi di una cerbottana con un sottile strato di poltiglia ottenuta; infine aveva centrato un manichino tre volte, perché secondo i suoi calcoli, in quel modo il potenziale tributo avrebbe dovuto morire nel giro di poche decine di secondi. Ma ovviamente con un manichino era tutta un'altra storia. In effetti ripensandoci, Esmeralda ritenne anche troppo generoso il voto che gli Strateghi le avevano dato... Che fossero ben predisposti? Ma non valeva la pena scervellarsi per ciò che era già stato.


Dal Distretto 12...

Wayne Tiger, con un punteggio di... 8!

Tiger sorrise soddisfatto. Non tanto per il voto – avrebbe voluto avere di più ovviamente – quanto per il fatto che aveva preso il punteggio più alto fra gli “animalisti”: contro il 6 di Jake e il 7 di Donnie, il suo voto brillava luminoso; in fondo Tiger non credeva proprio che gli Strateghi avessero mai visto un tributo del 12 utilizzare i picconi, poiché i ragazzi scendevano in miniera ai 18 anni già compiuti. Quell'8 faceva di lui il leader del suo gruppo.
… Tiger storse il naso mettendo da parte la sua arroganza, sgonfiata dal fatto che anche Karmilla aveva preso lo stesso punteggio; la ragazza era stramba, sì, ma non per questo debole, inutile o sprovveduta. O forse sprovveduta lo era anche troppo.


Talia Coulter, con un punteggio di... 5!

La ragazza se lo aspettava: tanto per cominciare non aveva deciso cosa fare fino a quando gli Strateghi non avevano chiamato il suo nome; in fondo quello in cui era portata – agire d'istinto seguendo l'intuito – si poteva dimostrare solo in situazioni reali, non contro un manichino inanimato. Pertanto si era limitata a lanciare mediocremente qualche coltello, mandando alcuni tiri a vuoto, come aveva cercato di imparare con Jennifer; in più si era anche mimetizzata discretamente, e questo forse le aveva evitato un voto peggiore. Comunque nessuno si aspettava mai niente dal Distretto 12, anche se il suo compagno aveva dimostrato il contrario; ma questo poteva rivelarsi un bene.










NDA di darky e Keily
E siamo tornate a tempo record *miracolo di Natale* Sì, c'è da dire che il capitolo è più corto degli altri, ma perché non ritenevamo di dover ampliare questa parte, quindi per non rendere le interviste ancora più lunghe, abbiamo spezzato le due cose. Non preoccupatevi, le abilità dei tributi verranno fuori al completo nell'Arena <3
A proposito di questa, si sta avvicinando pericolosamente B] Iniziate a tremare: i 24 carini (?) qua sopra ne vedranno delle belle mwahahahahah *risata malvagia* ... Non convinco nessuno di essere malvagia, vero? ç^ç
Anyway, al prossimo capitolo <3

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