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May correva, come al solito, in vantaggio sulla sua amica del cuore, Dot
May
correva, come al solito, in vantaggio sulla sua amica del cuore, Dot. Le strade
cittadine erano da sempre percorse da quelle due, sin da quando erano bambine.
La loro era un’amicizia speciale, un legame fortissimo. Nonostante le strade
affollate, facevano sempre gare di corsa in quei luoghi, e i cittadini si erano
ormai abituati ai loro giochi. Dot stava guadagnando terreno, e quando il
macellaio la chiamò non ci fece neanche caso. May prese una stradina laterale.
Rideva. « Su, forza, scattare! » intimò, voltando il capo. Era un viottolo
desolato e vuoto, non c’era il rischio di imbattersi in altra gente. Dot urlò
all’amica di fare attenzione; quella si voltò, ma non fece in tempo a fermarsi:
il palo che si trovava davanti era incredibilmente vicino. Chiuse gli occhi e
lanciò un urlo. « No! » Dot si interruppe. Nessun fragore, e, da parte
dell’altra, nessun dolore. La ragazza era allibita; May non capiva cosa fosse
successo. Sul suo volto, solo un’espressione perplessa. Dot apriva e richiudeva
la bocca, sgranando gli occhi, incredula. Aveva appena visto l’amica passare
attraverso quel grosso palo.Vi si
avvicinò, per constatare se fosse solo un miraggio, o un’illusione, o una
proiezione tridimensionale. Portò avanti la mancina. Freddo. Il palo era duro e
ruvido, perfettamente concreto. « Come diamine hai fatto? » balbettò. « Non…
non lo so… » replicò l’altra. Rimasero imbambolate per lunghi minuti,
interminabili, senza comprendere, fino a quando May non decise di riavvicinarsi
al palo. Allungò il braccio destro, la mano piatta in verticale. Sfiorò il
concreto, poi il suo arto si perse nel cemento. I suoi occhi si spalancarono,
ma prima ancora, per riflesso incondizionato, ritrasse il braccio. « Non è
possibile! » strillò istericamente. Dot si teneva lontana, spaventata.Passi. Poi apparve il volto del signor Keegan,
suo padre. « Dot… Vieni… » appariva molto preoccupato. « Dobbiamo parlare. È
successa una cosa… » deglutì. La sedicenne scambiò uno sguardo allarmato con la
coetanea, completamente ignorata dall’uomo, poi entrambe si misero al seguito
di quello, verso casa Keegan. L’abitazione si trovava vicino, in un condominio
senza ascensore, fortunatamente solo al secondo piano. I tre salirono con passo
funebre, senza scambiarsi una parola. Dunque entrarono.
In
cucina, al tavolo quadrato, era già seduta Roselyn, la signora Keegan. Reuben
fece accomodare la figlia, prima di sedersi anch’egli. « Posso…? » azzardò May,
ma fu completamente ignorata, di nuovo. Dot guardava curiosa il padre. « Dai,
dimmi. » lo esortò, per poi lanciare un’occhiata anche alla madre. Reuben fece
un profondo sospiro, poi chiuse gli occhi. « May è morta. »
La
risata di Dot apparve come una risatina isterica. « Stai scherzando, vero? »
chiese al padre. « Purtroppo… no. » rispose Roselyn. « Voi siete pazzi! »
sbottò la ragazza. « E lei allora chi sarebbe? » continuò, alzandosi e
affiancando la povera, sconcertata May. « Lei chi? » replicò Reuben,
aggrottando le sopracciglia. « Lei lei! » strillò Dot, indicando l’amica. « Sta
già delirando. » sussurrò la madre, cominciando a singhiozzare. « Andiamo! »
urlò Dot, prima di uscire corsa dal suo appartamento, seguita a ruota dalla sua
amica del cuore. Le due ragazze corsero ancora, fino a raggiungere il vicolo
dove si trovavano prima. Si sedettero a terra. « Sono un fantasma? » disse May.
La verità colpì entrambe come un fulmine a ciel sereno. L’unica spiegazione
possibile era che la ragazza fosse uno spettro, l’unica spiegazione al fatto
che non fosse totalmente concreta, al fatto che non fosse vista da tutti, al
fatto che venisse reputata morta. Eppure, non poteva essere reale, andava
contro ogni logica. Le due ragazze scoppiarono in singhiozzi, ma solo Dot vide
scendere delle lacrime sulle proprie guance: l’amica non ne possedeva.
May
era sempre stata una ragazza brillante. Magari un po’ distratta, ma con
un’intelligenza spiccata. Aveva appena compiuto sedici anni della sua vita, ed
era assai carina, bassa, con dei capelli neri che le giungevano fino alle
spalle o poco più in giù e una carnagione abbronzata assolutamente unica. Ciò
che meno le piaceva del proprio aspetto fisico erano gli occhi, poiché non
gradiva quel nero penetrante e oscuro, dunque approfittava dei lievi problemi
di vista per portare lenti colorate. Prediligeva il color acquamarina, che le
concedeva un aspetto inquietante. Ovviamente, con i ragazzi aveva un successo
enorme, ma non vi era granché interessata. Aveva avuto solo un paio di storie,
ma nessuna importante. Non era mai stata davvero innamorata. Frequentava una
scuola statale ad indirizzo umanistico, era al secondo anno.
La
sua compagna di banco era Dot, una ragazza ancora più bassa, ingenua e un po’
volgare, con le efelidi e dei capelli lunghissimi di un castano ramato,
appassionata di danza classica e con pessimi voti a scuola. Si erano conosciute
all’inizio delle elementari, non c’era un preciso ‘inizio’ del loro legame.
Era successo, semplicemente. Erano inseparabili. Una volta, in terza media, un
bulletto ripetente stava importunando May perché voleva uscire con lei, quando
era arrivata Dot e gliene aveva dette così tante da lasciarlo in lacrime. Aveva
una gran parlantina, e nonostante un lessico talvolta inappropriato, riusciva a
colpire nel segno. Ogni tanto, alle due si aggiungeva un terzo elemento, ma si
trattava di un avvenimento raro. Non che non andassero d’accordo con le
compagne di classe, solo che non riuscivano a legare davvero. Il terzo elemento
era April. Aveva dodici anni ed era più alta di sua sorella Dot. Non sapeva che
scuola avrebbe frequentato in futuro e praticava la pallamano; secondo la
maggiore, era semplicemente una palla al piede. Ma in realtà si volevano un
bene immenso. Solo che non potevano fare a meno di litigare; d’altronde, non si
sono mai visti fratelli che non abbiano screzi.
Era
una giornata di fine giugno, e faceva molto caldo. La giovane Keegan si asciugò
le ultime lacrime con il fazzoletto di stoffa e guardò la sua amica del cuore.
Prima non ci aveva fatto caso, ma i suoi occhi erano come non li vedeva da
anni. Neri. Scuri e penetranti, ma di una bellezza incommensurabile, suadenti,
rapitori. Tentarono di scambiarsi un abbraccio, ma non riuscirono. May passava
attraverso alla compagna. Non era una brutta sensazione, per Dot. Sentiva solo
come un brivido, dentro di sé, ma nulla di più. « Dimmi che sei davvero tu. »
disse dunque. « Dimmi che non sto delirando, che non sto solo avendo delle
visioni. » May sorrise tristemente. « Qui quella che vorrebbe sognare sono io.
»
Seguirono
altri minuti di silenzio. « Com’è successo? » chiese a un tratto Dot. May si
sforzò di ricordare, ma non riusciva. Non rammentava dove si trovasse prima di
raggiungere Dot, assolutamente. Scosse il capo, facendo spallucce. Nessuna
delle due aveva idea di come comportarsi. Era una situazione così assurda!Si incamminarono per il vicolo, nel
tentativo di schiarirsi le idee. Ne raggiunsero la fine, poi tornarono
indietro. Solo allora Dot si accorse di quel negozietto: “Da Howard – Pozioni e
Incantesimi di Ogni Tipo”. Era un’unica vetrinetta, apparentemente un luogo abbandonato,
non si riusciva a vedere bene l’interno per la polvere accumulatasi, ma in
vetrina si riuscivano a notare gioielli di vario genere. « Proviamo qui dentro.
» esclamò Dot, prima di entrare. Aprì il portone, e nonostante l’inutilità del
gesto lo tenne aperto per l’amica, che la seguì all’interno. Era effettivamente
un luogo semi-abbandonato, polveroso e buio, ma non appena il portone si chiuse
si sentì uno scampanellio che annunciò la loro presenza. Dietro il bancone,
sulla sinistra –proprio alla stessa altezza dell’uscio- si trovava una tendina
che nascondeva un corridoio. Le quattro pareti erano coperte di scaffali. I
gioielli in vetrina si rivelarono Amuleti
per Sfortunati. La ragazza-fantasma fu particolarmente attirata da quelli,
mentre l’altra si fiondò ad osservare, sulla destra, gli Elementi per Pozioni, racchiusi in barattoli quasi pieni di liquidi
colorati, le cui etichette recitavano parole come: Polvere di guscio di Peltocephalus dumeriliana, Coda di Moloch horridus, Scaglie di Tatzelwurm (forse). Quando le
tendine si scostarono perché arrivasse un figuro coperto da testa a piedi, le
due ragazze sobbalzarono. « Benvenute. » accolse con un lieve inchino. «
S-salve. » sbiascicarono entrambe; poi Dot domandò se fosse lui Howard. Per
tutta risposta, quello si piegò in due dal ridere. Il cappello a punta marrone
e zeppo di toppe che portava gli cadde, stessa cosa per la sciarpa, il che
lasciò scoperto il suo volto. Era solo un ragazzino, probabilmente più piccolo
delle due. « Seguitemi. » disse, soffocando le risa e raccogliendo i propri
abiti da terra. « Mastro Howard vi aspetta. »
Oltre la tendina si trovava un corridoio piuttosto breve, anonimo, in
fondo al quale si stagliava una porta in legno colorata
Oltre la tendina si trovava un corridoio piuttosto
breve, anonimo, in fondo al quale si stagliava una porta in
legno colorata di viola. Il ragazzetto la aprì. Una luce intensissima invase il corridoio, le due ragazze si portarono le braccia
davanti agli occhi. Furono invitate a proseguire; lo
fecero.« Finalmente,
Horatio! » chiamò una voce burbera, in tono tuttavia simpatico. Ci volle qualche istante prima che gli occhi di Dot si adeguassero,
dopo quella luce. Horatio e May ci vedevano chiaramente, invece. Si trovavano
in un campo circolare, un prato, di dimensioni piuttosto ridotte. Un albero di
pino era affiancato da un paio di piccoli cespugli, per il resto solo erba e
violette. Ai margini, pareva di vedere l’universo: le pareti erano solide, ma
lasciavano vedere immagini in movimento di stelle e pianeti. Dot rimase
estasiata dalla visione di Giove, così vicino, così come dal riconoscere la
costellazione del Drago e l’Orsa Maggiore da angolazioni
diverse da quelle a cui era abituata; l’amica, da parte sua, vi diede solo una
rapida occhiata, disinteressata. La sua attenzione era fissa sull’origine della
voce. Un uomo robusto vestito di nero, con una mantellina e
scarpe lustre, il cui volto era per gran parte coperto da una folta barba del
medesimo colore, se non per qualche sprazzo biancastro, segno dell’avanzare
degli anni. Gli occhi apparivano di un vivace color azzurro; i capelli,
per quanto folti, similarmente alla barba, non potevano certo dirsi lunghi. Quando Horatio affiancò l’uomo, fu palese la somiglianza tra
i due, nel sorriso come nello sguardo. Horatio era poco più che un bambino,
minuto e snello, agile. Ci volle qualche momento prima
che Dot si accorgesse di quella presenza. « Buon pomeriggio » salutò l’uomo,
ricambiato dalla timida risposta della ragazza e dall’educata replica del
fantasma. « Scusatemi davvero tanto la sfacciataggine, ma » continuò Howard «
devo permettermi di affidarvi un compito. Chiedo perdono, mia cara » si rivolse
ora in particolare a May « per averti trattenuta in questo mondo. »Trattenuta? La ragazza chiese ulteriori spiegazioni. « Ho lanciato un Sortilegio
all’intera città, ecco come stanno le cose. Volevo che alla sua morte, la
persona più meritevole rimanesse ancora qui sotto forma di spettro affinché
recuperasse una Reliquia di cui ho bisogno. A mio guadagno, insomma. » May lo
guardò fisso negli occhi.
« Dopodiché, potrei tornare in vita? »
« Mi spiace, ma temo che questo non sia
possibile… Sei pur sempre morta, non a causa mia, dunque… Dopodiché, sarai
libera di raggiungere l’Altro Mondo. »
May
ci rifletté un momento.« E potrei capire
le ragioni della mia morte? »
« Una volta recuperata la Reliquia,
certamente. »
«
Accetto. Mi dica quello che devo fare. »
L’apertura del Portale aveva comportato qualche attimo di attesa, occupata da tante luci colorate, stavolta diverse
dalle prime, non abbaglianti come quelle, ma sensazionali, un vero spettacolo
per gli occhi. May avrebbe dovuto attraversare il Portale, accessibile solo
alle persone che non erano più in vita, per recuperare un semplice scudo. Che in realtà forse semplice non era – Scudo del Vento, così era chiamato, - ma ciò per Dot non aveva
importanza. Anche perché avrebbe dovuto aspettare l’amica in compagnia di quel
vecchio e di quel bambino, che non gli piacevano per
niente, in particolar modo il secondo. Osservò la ragazza entrare nella luce e
il portone socchiudersi dietro di lei, quindi si buttò a sedere sull’erba, con
qualche lacrima che nuovamente affiorava sul di lei volto. Abbassò
lo sguardo, coprì il volto nascondendolo fra le gambe. Non riusciva a comprendere come diamine si fosse cacciata in una
situazione simile. Ripensò ai suoi genitori, e a sua sorella: chissà se
sarebbero stati in pensiero. Ma in fondo, poco gliene
importava. May, la sua inseparabile amica, era morta, non sapeva come né
perché, ed ora aveva accettato di aiutare uno stregone strampalato, o qualcosa
del genere. Sarebbe stata una missione semplice, aveva detto, e poi avrebbe
potuto trovare la pace eterna. Cioè, non si sarebbero
mai più riviste. Non poteva andare davvero così, era
semplicemente impossibile, innaturale. Inconcepibile. La sua migliore amica… La
sua unica, vera amica… Non sarebbe sparita così facilmente. Non poteva aver perso la vita, non era da lei. Perché si era lasciata ammazzare? Non aveva pensato a come
si sarebbe sentita lei? Perché era stata così insensibile? Era un’ingiustizia bella
e buona. E lasciarsi abbindolare così da uno
sconosciuto, poi! Non era da lei. Non… E invece lo era. Che sciocca,
sciocca Dot, a rammaricarsi così e andare contro la propria cara amica in
maniera tanto egoistica. Ma non poteva farci niente.
La rabbia, il dolore, erano inimmaginabili. E non
poteva capire cosa provasse la sua amica, perché era una situazione troppo
assurda. Anche volendolo con tutta se stessa non ci sarebbe
riuscita. Però non poteva sopportarla, quella
situazione. Non avrebbe più rivisto May. Non poteva, non voleva, non era in
grado di sopportarlo. Voleva avere May accanto per tutta la vita. Si erano
promesse così tante cose! May non poteva andarsene, perché in futuro avrebbe dovuto diventare testimone di nozze per Dot, mentre
lei avrebbe dovuto fare da madrina alla figlia che tanto voleva May. Dovevano
concedersi una lunga vacanza dopo aver raggiunto il successo nel lavoro, loro
due sole, in qualche magnifica località marina, o ancora fare il giro del mondo
e visitare la Torre Eiffel, il Colosseo, la Grande Muraglia. Non potevano
separarsi proprio ora… Così presto… Non poteva finire prematuramente la vita di una.Inconcepibile.
Quando una mano le si posò sulla spalla destra, non poté che sussultare. Si
voltò, il viso rigato dal pianto, per scoprire così l’espressione bonaria del
proprietario del negozio. « Su, su, ragazza, non ti abbattere » le sussurrò
l’uomo. Del ragazzino, pareva non esserci più nemmeno l’ombra. « Cosa ti preoccupa?»
domandò, quindi.« Cosa mi
preoccupa! » Sbottò in tutta risposta la sedicenne, la voce rotta solo appena
dal pianto. « La mia più cara amica è morta e non la vedrò mai più! Ma è diventata uno spettro, così ora i miei mi credono pazza
perché per qualche strano motivo solo io riesco a vederla, e poi ci troviamo in
questo posto assurdo, con un prato e un albero dentro un negozio, e queste
pareti dai disegni in movimento, e… » Aveva parlato, fino ad ora, senza neanche
riprendere fiato; ansimò per un istante. « …Ed è
morta! » Ripeté; per quanto potesse voler dare a vedere di essere sconvolta da
tutto, in realtà la toccava in primis la morte di May. Con l’uomo che la
carezzava dolcemente, riprese un pianto addolorato.
Il tunnel di luce era durato ben
poco; nuovamente, delle figure cominciavano a prendere forma. Si trovava, così
pareva, in una grotta completamente deserta, dove grazie alla sua condizione
certo l’aria non le mancava, per quanto il luogo apparisse
opprimente, il terrore di ogni claustrofobico. Basso – non raggiungeva
l’altezza di un uomo normale, ma per la sedicenne era sufficiente – e stretto,
cominciava ad essere percorso ad andatura rapida dalla giovane. Se fosse stata una persona normale, certamente il rumore
provocato dai passi sarebbe stato assordante. Quando
si accorse di non provare fatica, cominciò a correre al meglio delle sue
possibilità, e vi riuscì senza sentire segni di sorta, non una goccia di
sudore, non un ansimo.Per forza.Il percorso davanti a lei non cambiava di una virgola
nonostante avesse percorso ormai parecchie centinaia di metri, e cominciava a
chiedersi quando avrebbe trovato il fantomatico scudo quando udì un rumore.
Rallentò, pronta a cogliere ogni minima vibrazione nell’aria. Non sentì nulla.
Azzardò qualche nuovo passo in avanti, quando ecco di nuovo un rumore. Era
terrificante. Come un potente ruggito che fece tremare tutto.
In un primo istante, ebbe la forte sensazione di tornare indietro, ebbe paura.Cosa stai facendo, May? Sciocca! In queste condizioni neanche il macellaio
pazzo con la sua ascia migliore potrebbe farti un graffio! Avanti!La grotta lasciò gradualmente posto a una foresta, in una maniera tale che sulla Terra non
avrebbe mai potuto vedere, in nessun luogo, neanche il più sperduto. Talvolta,
il ruggito tornava a farsi sentire. E la ragazza
percorreva un percorso prestabilito, perlopiù diritto. La foresta aveva
cominciato a sfumare per lasciare il posto a chissà che cosa, quando si udì il boato a una potenza incredibile.Mi sto avvicinando. Qualsiasi cosa sia, mi ci
sto avvicinando.Ormai non
si fermava più, e continuava ad elevata velocità sulla sua strada. Gli alberi
lasciarono il posto a una tetra pianura, piatta, e lei
proseguì, sempre avanti, sempre avanti, senza fermarsi mai. A
un tratto, vide in lontananza qualcosa. Era enorme e mostruoso. Alto almeno tre metri e adeguatamente largo, si trattava di
un bipede ricoperto da folta peluria nera come la pece, con un muso appena
allungato e canini sporgenti, vagamente rassomigliante a un lupo. Man mano che
vi si avvicinava – ora più cautamente – ne notava i dettagli: due possenti e
muscolose gambe; quattro zampe dotate di altrettante
dita, con artigli affilati; due occhi dalle pupille biancastre e inquietanti. Davanti alla Bestia, e ai lati, sbarre che gli impedivano di uscire
da una ‘gabbia’ ma che apparentemente avrebbe potuto distruggere in maniera
facile e veloce. Davanti a tutto ciò, si ergeva una roccia, a mo’ di altare. Sulla roccia, era adagiato uno
scudo.Eccolo.Finalmente si
trovava davanti all’oggetto tanto agognato. L’odore, forte e fastidioso,
della creatura, le colpiva le narici, e in tutto questo ciò che più la colpì fu
il fatto di odorare qualcosa, mentre ormai lo pensava impossibile. Tuttavia, non se ne curò, e mise subito le mani sullo Scudo.
Non molto grande, interamente composto di Smeraldo, aveva una forma che poteva
ricordare un ventaglio. May diede le spalle alla roccia e riprese a correre.
Aveva finalmente messo piede nella
foresta quando un terremoto percorse tutto quel mondo
da sogno e delle crepe cominciarono a formarsi nel terreno, concludendosi
all’incirca nel luogo dove si trovava lei. Fu sufficiente un attimo perché
capisse cosa fosse accaduto. Correndo come una forsennata, continuava a
voltarsi, e in breve tempo la vide. La Bestia, guardiano dello Scudo, la stava
inseguendo.
Dot si era quasi
tranquillizzata, oramai. Era passata forse una mezz’oretta da quando la sua
amica era entrata nel Portale, e qualche minuto da quando Howard l’aveva
lasciata da sola nello spiazzo erboso. Quando l’uomo tornò
da lei, le lacrime sul suo viso erano completamente scomparse. Fece ritorno con
una particolare compagnia: a poca distanza alla sua sinistra, all’altezza del
suo capo, levitava una sfera di vetro. « Ti va di dare
un’occhiata a come se la sta cavando la tua compagna? » propose egli con
una strizzata d’occhio. La sedicenne annuì piano, deglutendo, in silenzio.
L’uomo si sedette vicino alla ragazza, mentre la sfera si poneva davanti a
loro, cominciando a trasmettere delle immagini. Pochi
istanti, ed eccola sintonizzata sulla giusta frequenza. May stava
correndo, con lo scudo sotto il braccio.Ce l’ha fatta!Ciononostante,
trovò strano il fatto che continuasse a voltarsi. E che
apparisse così preoccupata, se non addirittura spaventata.Cosa…« Sta scappando, è in
fuga. » Spiegò Howard con eccezionale tranquillità. Dot si volse immediatamente
a guardarlo. « Che cosa?! » Sbottò, prima di
correggersi. « …Da cosa?! » Fu la sfera a risponderle, modificando l’immagine
con un allargamento della visuale, in maniera tale da mostrare la ragazza da un
punto di vista posto più in alto. Dot rimase a bocca aperta. Un enorme ammasso
nero, una bestia terrificante, correva poco dietro rispetto a May, guadagnando
terreno sempre più rapidamente. Infine spiccò un balzo. Dot non poté guardare.
Pregò con tutto il cuore che non fosse successo
davvero. Che la sfera fosse difettosa, o qualcosa del genere.
Non anche questo, no…
Una delle sue grosse zampe anteriori l’aveva afferrata,
e ora la stringeva, ora la schiacciava contro il terreno, ora la stringeva di
nuovo, in alto. Dalla bocca dell’essere, oltre un odore fetido, si potevano
sentire orribili lamenti.Perché mi sta
succedendo questo? Porca puttana, sono morta! Non dovrebbe riuscire a… AAARRGH!Fu trafitta,
in quel momento, da una fitta acuta, e fu convinta di sentire il suo braccio
spezzarsi, per quanto fosse surreale. Lo scudo cadde sul terreno, rivolto verso
l’alto. E la salvò. Non seppe come, ma fu così. Lo
Scudo del Vento, dotato di poteri magici, reagì al pericolo illuminandosi
dapprima, richiamando il suo elemento poi. May si trovò a terra, mentre un
forte vento gelido colpiva la Bestia sferzandole il viso senza pietà; e a
quella seguì l’improvvisa apparizione di un piccolo tornado, che riuscì
nell’apparentemente impossibile intento di sollevare da terra quel colosso. Fu una battaglia rapida, dopo pochi attimi il mostro si trovò
a terra privo di sensi. L’atmosfera era tornata respirabile, lo Scudo del Vento
si era disattivato, non tirava più un filo d’aria; e la Bestia più non correva,
né ruggiva, o alitava. Era finita. May si rialzò cautamente. Lo sguardo si posò
sul suo braccio, dove non sentiva più dolore, e che appariva ora sano; non una
goccia di sangue su tutto il corpo. Dopo qualche istante, si chinò per prendere
la Reliquia tra le sue braccia. Sospirò.Grazie.
Dopo minuti di
ansietà e preoccupazione, Dot si era finalmente tranquillizzata nel
vedere la sua amica sana e salva. « Bene. » Aveva mormorato il suo vicino, tra
sé e sé. « Solo bene?! Magnifico! È tutta intera! » Esclamò la ragazza di
rimando, quasi dimentica delle condizioni effettive di May e di tutto quello
che era accaduto e che stava accadendo. Poté dunque rilassarsi. Ci volle del tempo prima che la ragazza spettro tornasse, poiché dopo
ciò che aveva passato se la prese comoda. Ma finalmente, ecco
che il Portale si riaprì. « Bene… Dot, puoi lasciarci soli? » Domandò
cordialmente Howard, l’espressione calma, lo sguardo fisso su May. « Er… Certamente, signore. » Rispose, prima di tornare nel
corridoio precedentemente percorso e raggiungere
Horatio nel negozio. Lì, questi la accolse con i suoi
modi gioviali e allegri.
« Ehilà! Allora, la tua amichetta ce l’ha fatta? È tornata tutta intera? »
« Certo! …Ne dubitavi? »
« Chi, io? Naaa. Con
lo Scudo dalla sua, non poteva fallire… E, diciamocela, non ce
l’avrebbe fatta altrimenti. »
Dot
fu costretta ad ammettere la veridicità di quelle parole.
« Senti, però… Come mai il tuo, ehm, il tuo…
Come mai Howard voleva quello Scudo? »
« Perché è una delle
magiche Reliquie, no? Non ci vuole un genio! »
« Chiedo scusa, ma… Non ti seguo. »
« Uff… Giusto, semplice umana. È la solita battaglia tra bene e male, no? Quella di cui parlano un po’ tutte le vostre fialette.
Peccato che non sia solo una storiella… Insomma, capisci, le Reliquie in mano
alla persona sbagliata potrebbero creare danni
inimmaginabili! Hai visto il loro potere, no? Sarebbe
terribile… Mi vengono i brividi solo a pensarci! Purtroppo quest’unica
Reliquia – e per fortuna, solo questa! – era recuperabile
solo in questo modo, da uno spettro… Capisci, no? Mastro Howard è stato costretto a sfruttare un umano! A quanto pare però il suo Sortilegio non è stato preciso preciso, penso per dimensioni e durata, e così tu puoi
vedere la tua amica… »
A
questo punto, si soffermò per qualche istante, lasciando Dot con le
sopracciglia inarcate e la bocca semiaperta. Perché ebbe un
lampo di genio, ecco perché.
« Ma certo!Ecco perché tu puoi vederla!Per il vostro
legame! È la tua migliore amica, no? Tu non dovresti percepirla nemmeno…
E invece lo fai… La vedi con il Cuore, ecco come! »
« Complimenti, ragazza, hai recuperato lo Scudo del Vento… Te ne sono riconoscente.
»
« Dovere. » Rispose, spiccia, May all’uomo da
cui attendeva risposte. « Piuttosto… Non mi interessa
sapere il perché ti servisse, o cose del genere, né voglio più immischiarmi in
affari che non mi riguardano, se possibile. Dunque,
posso tornare nel mondo reale? »
« Purtroppo, ritengo ciò impossibile. Mi dispiace.
»
« Capisco. » Forte determinazione senza cui non avrebbe mai avuto luogo questa rassegnazione. « Come è successo? »
« Utilizzando il vostro gergo, azzarderei a
dire che è stata una vera cazzata.
Una banda di sciocchi ladruncoli in fuga è uscita di strada con un furgoncino
rubato, travolgendo te e i tuoi genitori. Sono sopravvissuti,
non riporteranno danni permanenti. »
« Mi fa piacere. » Disse, abbozzando un
sorriso. « Mamma… Papà… Non potrò nemmeno salutarli, vero? »
« Esattamente. »
« Quando dovrò
andarmene? »
« Secondo le mie stime… » Lanciò un’occhiata
all’orologio da taschino che aveva appena estratto e che teneva nella mano
sinistra. « …Ti rimangono quattro minuti e ventisei secondi. Ritengo che sia
l’ora dei saluti, in particolar modo con la tua amica. La farò venire qui, e vi lascerò questo tempo di intimità. » Sorrise
dolcemente. « Addio, May Oswood. »
La signorina Keegan e la
signorina Oswood erano sedute sull’erba, fianco a
fianco, a godersi gli ultimi minuti insieme. Dot piangeva a dirotto, e
l’avrebbe fatto anche May, se solo avesse potuto. Fu
lei stessa a prendere la parola.
« Devi promettermi che non farai pazzie, e che
porterai a termine tutte le nostre promesse. »
« Lo farò. »
« E ti troverai un ragazzo, dolce e che ti sia
sempre vicino, come lo volevamo noi. »
« Sicuro. »
« Se avrai una
figlia, si chiamerà May, allora. »
« Già… »
« Ho paura che il mio tempo sia giunto al
limite… Dobbiamo dirci addio… »
« Ti voglio bene, May. » Singhiozzò Dot.
« Ti voglio bene anch’io Dot. Sii felice, e
non abbatterti. Ricorda i nostri momenti felici, non questo addio.
A quanto pare, sto andando all’Altro Mondo, quindi
potrò vegliare sempre su di te… Se trascurerai anche uno solo dei nostri
impegni, la pagherai, fidati. »
Dot
non riuscì a rispondere. Se anche avesse voluto
ridere, non ci sarebbe riuscita. La vista era offuscata dalle
lacrime, così non vide sparire nel nulla, gradualmente, la sua amica. Si
limitò a sentirne la voce, a sentire il suo ultimo addio. E
nell’aria avvertì la sua presenza, sempre, così come la loro canzone, quella
bella canzone d’amicizia, che in realtà si trovava solo nella sua testa. Perché
il loro non era un addio, ma solo un arrivederci. Dot
avrebbe vissuto, e non avrebbe mai dimenticato l’affetto che la legava a May.