Lo Scudo del Vento

di Wolt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I ***
Capitolo 2: *** Chapter II ***
Capitolo 3: *** Chapter III ***



Capitolo 1
*** Chapter I ***


May correva, come al solito, in vantaggio sulla sua amica del cuore, Dot

May correva, come al solito, in vantaggio sulla sua amica del cuore, Dot. Le strade cittadine erano da sempre percorse da quelle due, sin da quando erano bambine. La loro era un’amicizia speciale, un legame fortissimo. Nonostante le strade affollate, facevano sempre gare di corsa in quei luoghi, e i cittadini si erano ormai abituati ai loro giochi. Dot stava guadagnando terreno, e quando il macellaio la chiamò non ci fece neanche caso. May prese una stradina laterale. Rideva. « Su, forza, scattare! » intimò, voltando il capo. Era un viottolo desolato e vuoto, non c’era il rischio di imbattersi in altra gente. Dot urlò all’amica di fare attenzione; quella si voltò, ma non fece in tempo a fermarsi: il palo che si trovava davanti era incredibilmente vicino. Chiuse gli occhi e lanciò un urlo. « No! » Dot si interruppe. Nessun fragore, e, da parte dell’altra, nessun dolore. La ragazza era allibita; May non capiva cosa fosse successo. Sul suo volto, solo un’espressione perplessa. Dot apriva e richiudeva la bocca, sgranando gli occhi, incredula. Aveva appena visto l’amica passare attraverso quel grosso palo.        Vi si avvicinò, per constatare se fosse solo un miraggio, o un’illusione, o una proiezione tridimensionale. Portò avanti la mancina. Freddo. Il palo era duro e ruvido, perfettamente concreto. « Come diamine hai fatto? » balbettò. « Non… non lo so… » replicò l’altra. Rimasero imbambolate per lunghi minuti, interminabili, senza comprendere, fino a quando May non decise di riavvicinarsi al palo. Allungò il braccio destro, la mano piatta in verticale. Sfiorò il concreto, poi il suo arto si perse nel cemento. I suoi occhi si spalancarono, ma prima ancora, per riflesso incondizionato, ritrasse il braccio. « Non è possibile! » strillò istericamente. Dot si teneva lontana, spaventata.  Passi. Poi apparve il volto del signor Keegan, suo padre. « Dot… Vieni… » appariva molto preoccupato. « Dobbiamo parlare. È successa una cosa… » deglutì. La sedicenne scambiò uno sguardo allarmato con la coetanea, completamente ignorata dall’uomo, poi entrambe si misero al seguito di quello, verso casa Keegan. L’abitazione si trovava vicino, in un condominio senza ascensore, fortunatamente solo al secondo piano. I tre salirono con passo funebre, senza scambiarsi una parola. Dunque entrarono.

In cucina, al tavolo quadrato, era già seduta Roselyn, la signora Keegan. Reuben fece accomodare la figlia, prima di sedersi anch’egli. « Posso…? » azzardò May, ma fu completamente ignorata, di nuovo. Dot guardava curiosa il padre. « Dai, dimmi. » lo esortò, per poi lanciare un’occhiata anche alla madre. Reuben fece un profondo sospiro, poi chiuse gli occhi. « May è morta. »

 

La risata di Dot apparve come una risatina isterica. « Stai scherzando, vero? » chiese al padre. « Purtroppo… no. » rispose Roselyn. « Voi siete pazzi! » sbottò la ragazza. « E lei allora chi sarebbe? » continuò, alzandosi e affiancando la povera, sconcertata May. « Lei chi? » replicò Reuben, aggrottando le sopracciglia. « Lei lei! » strillò Dot, indicando l’amica. « Sta già delirando. » sussurrò la madre, cominciando a singhiozzare. « Andiamo! » urlò Dot, prima di uscire corsa dal suo appartamento, seguita a ruota dalla sua amica del cuore. Le due ragazze corsero ancora, fino a raggiungere il vicolo dove si trovavano prima. Si sedettero a terra. « Sono un fantasma? » disse May. La verità colpì entrambe come un fulmine a ciel sereno. L’unica spiegazione possibile era che la ragazza fosse uno spettro, l’unica spiegazione al fatto che non fosse totalmente concreta, al fatto che non fosse vista da tutti, al fatto che venisse reputata morta. Eppure, non poteva essere reale, andava contro ogni logica. Le due ragazze scoppiarono in singhiozzi, ma solo Dot vide scendere delle lacrime sulle proprie guance: l’amica non ne possedeva.

 

May era sempre stata una ragazza brillante. Magari un po’ distratta, ma con un’intelligenza spiccata. Aveva appena compiuto sedici anni della sua vita, ed era assai carina, bassa, con dei capelli neri che le giungevano fino alle spalle o poco più in giù e una carnagione abbronzata assolutamente unica. Ciò che meno le piaceva del proprio aspetto fisico erano gli occhi, poiché non gradiva quel nero penetrante e oscuro, dunque approfittava dei lievi problemi di vista per portare lenti colorate. Prediligeva il color acquamarina, che le concedeva un aspetto inquietante. Ovviamente, con i ragazzi aveva un successo enorme, ma non vi era granché interessata. Aveva avuto solo un paio di storie, ma nessuna importante. Non era mai stata davvero innamorata. Frequentava una scuola statale ad indirizzo umanistico, era al secondo anno.

La sua compagna di banco era Dot, una ragazza ancora più bassa, ingenua e un po’ volgare, con le efelidi e dei capelli lunghissimi di un castano ramato, appassionata di danza classica e con pessimi voti a scuola. Si erano conosciute all’inizio delle elementari, non c’era un preciso ‘inizio’ del loro legame. Era successo, semplicemente. Erano inseparabili. Una volta, in terza media, un bulletto ripetente stava importunando May perché voleva uscire con lei, quando era arrivata Dot e gliene aveva dette così tante da lasciarlo in lacrime. Aveva una gran parlantina, e nonostante un lessico talvolta inappropriato, riusciva a colpire nel segno. Ogni tanto, alle due si aggiungeva un terzo elemento, ma si trattava di un avvenimento raro. Non che non andassero d’accordo con le compagne di classe, solo che non riuscivano a legare davvero. Il terzo elemento era April. Aveva dodici anni ed era più alta di sua sorella Dot. Non sapeva che scuola avrebbe frequentato in futuro e praticava la pallamano; secondo la maggiore, era semplicemente una palla al piede. Ma in realtà si volevano un bene immenso. Solo che non potevano fare a meno di litigare; d’altronde, non si sono mai visti fratelli che non abbiano screzi.

 

Era una giornata di fine giugno, e faceva molto caldo. La giovane Keegan si asciugò le ultime lacrime con il fazzoletto di stoffa e guardò la sua amica del cuore. Prima non ci aveva fatto caso, ma i suoi occhi erano come non li vedeva da anni. Neri. Scuri e penetranti, ma di una bellezza incommensurabile, suadenti, rapitori. Tentarono di scambiarsi un abbraccio, ma non riuscirono. May passava attraverso alla compagna. Non era una brutta sensazione, per Dot. Sentiva solo come un brivido, dentro di sé, ma nulla di più. « Dimmi che sei davvero tu. » disse dunque. « Dimmi che non sto delirando, che non sto solo avendo delle visioni. » May sorrise tristemente. « Qui quella che vorrebbe sognare sono io. »

Seguirono altri minuti di silenzio. « Com’è successo? » chiese a un tratto Dot. May si sforzò di ricordare, ma non riusciva. Non rammentava dove si trovasse prima di raggiungere Dot, assolutamente. Scosse il capo, facendo spallucce. Nessuna delle due aveva idea di come comportarsi. Era una situazione così assurda!           Si incamminarono per il vicolo, nel tentativo di schiarirsi le idee. Ne raggiunsero la fine, poi tornarono indietro. Solo allora Dot si accorse di quel negozietto: “Da Howard – Pozioni e Incantesimi di Ogni Tipo”. Era un’unica vetrinetta, apparentemente un luogo abbandonato, non si riusciva a vedere bene l’interno per la polvere accumulatasi, ma in vetrina si riuscivano a notare gioielli di vario genere. « Proviamo qui dentro. » esclamò Dot, prima di entrare. Aprì il portone, e nonostante l’inutilità del gesto lo tenne aperto per l’amica, che la seguì all’interno. Era effettivamente un luogo semi-abbandonato, polveroso e buio, ma non appena il portone si chiuse si sentì uno scampanellio che annunciò la loro presenza. Dietro il bancone, sulla sinistra –proprio alla stessa altezza dell’uscio- si trovava una tendina che nascondeva un corridoio. Le quattro pareti erano coperte di scaffali. I gioielli in vetrina si rivelarono Amuleti per Sfortunati. La ragazza-fantasma fu particolarmente attirata da quelli, mentre l’altra si fiondò ad osservare, sulla destra, gli Elementi per Pozioni, racchiusi in barattoli quasi pieni di liquidi colorati, le cui etichette recitavano parole come: Polvere di guscio di Peltocephalus dumeriliana, Coda di Moloch horridus, Scaglie di Tatzelwurm (forse). Quando le tendine si scostarono perché arrivasse un figuro coperto da testa a piedi, le due ragazze sobbalzarono. « Benvenute. » accolse con un lieve inchino. « S-salve. » sbiascicarono entrambe; poi Dot domandò se fosse lui Howard. Per tutta risposta, quello si piegò in due dal ridere. Il cappello a punta marrone e zeppo di toppe che portava gli cadde, stessa cosa per la sciarpa, il che lasciò scoperto il suo volto. Era solo un ragazzino, probabilmente più piccolo delle due. « Seguitemi. » disse, soffocando le risa e raccogliendo i propri abiti da terra. « Mastro Howard vi aspetta. »

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Capitolo 2
*** Chapter II ***


Oltre la tendina si trovava un corridoio piuttosto breve, anonimo, in fondo al quale si stagliava una porta in legno colorata

Oltre la tendina si trovava un corridoio piuttosto breve, anonimo, in fondo al quale si stagliava una porta in legno colorata di viola. Il ragazzetto la aprì. Una luce intensissima invase il corridoio, le due ragazze si portarono le braccia davanti agli occhi. Furono invitate a proseguire; lo fecero.          « Finalmente, Horatio! » chiamò una voce burbera, in tono tuttavia simpatico. Ci volle qualche istante prima che gli occhi di Dot si adeguassero, dopo quella luce. Horatio e May ci vedevano chiaramente, invece. Si trovavano in un campo circolare, un prato, di dimensioni piuttosto ridotte. Un albero di pino era affiancato da un paio di piccoli cespugli, per il resto solo erba e violette. Ai margini, pareva di vedere l’universo: le pareti erano solide, ma lasciavano vedere immagini in movimento di stelle e pianeti. Dot rimase estasiata dalla visione di Giove, così vicino, così come dal riconoscere la costellazione del Drago e l’Orsa Maggiore da angolazioni diverse da quelle a cui era abituata; l’amica, da parte sua, vi diede solo una rapida occhiata, disinteressata. La sua attenzione era fissa sull’origine della voce. Un uomo robusto vestito di nero, con una mantellina e scarpe lustre, il cui volto era per gran parte coperto da una folta barba del medesimo colore, se non per qualche sprazzo biancastro, segno dell’avanzare degli anni. Gli occhi apparivano di un vivace color azzurro; i capelli, per quanto folti, similarmente alla barba, non potevano certo dirsi lunghi. Quando Horatio affiancò l’uomo, fu palese la somiglianza tra i due, nel sorriso come nello sguardo. Horatio era poco più che un bambino, minuto e snello, agile. Ci volle qualche momento prima che Dot si accorgesse di quella presenza. « Buon pomeriggio » salutò l’uomo, ricambiato dalla timida risposta della ragazza e dall’educata replica del fantasma. « Scusatemi davvero tanto la sfacciataggine, ma » continuò Howard « devo permettermi di affidarvi un compito. Chiedo perdono, mia cara » si rivolse ora in particolare a May « per averti trattenuta in questo mondo. »     Trattenuta? La ragazza chiese ulteriori spiegazioni. « Ho lanciato un Sortilegio all’intera città, ecco come stanno le cose. Volevo che alla sua morte, la persona più meritevole rimanesse ancora qui sotto forma di spettro affinché recuperasse una Reliquia di cui ho bisogno. A mio guadagno, insomma. » May lo guardò fisso negli occhi.

 « Dopodiché, potrei tornare in vita? »

 « Mi spiace, ma temo che questo non sia possibile… Sei pur sempre morta, non a causa mia, dunque… Dopodiché, sarai libera di raggiungere l’Altro Mondo. »

May ci rifletté un momento.  « E potrei capire le ragioni della mia morte? »

 « Una volta recuperata la Reliquia, certamente. »

                « Accetto. Mi dica quello che devo fare. »

 

L’apertura del Portale aveva comportato qualche attimo di attesa, occupata da tante luci colorate, stavolta diverse dalle prime, non abbaglianti come quelle, ma sensazionali, un vero spettacolo per gli occhi. May avrebbe dovuto attraversare il Portale, accessibile solo alle persone che non erano più in vita, per recuperare un semplice scudo. Che in realtà forse semplice non era – Scudo del Vento, così era chiamato, - ma ciò per Dot non aveva importanza. Anche perché avrebbe dovuto aspettare l’amica in compagnia di quel vecchio e di quel bambino, che non gli piacevano per niente, in particolar modo il secondo. Osservò la ragazza entrare nella luce e il portone socchiudersi dietro di lei, quindi si buttò a sedere sull’erba, con qualche lacrima che nuovamente affiorava sul di lei volto. Abbassò lo sguardo, coprì il volto nascondendolo fra le gambe. Non riusciva a comprendere come diamine si fosse cacciata in una situazione simile. Ripensò ai suoi genitori, e a sua sorella: chissà se sarebbero stati in pensiero. Ma in fondo, poco gliene importava. May, la sua inseparabile amica, era morta, non sapeva come né perché, ed ora aveva accettato di aiutare uno stregone strampalato, o qualcosa del genere. Sarebbe stata una missione semplice, aveva detto, e poi avrebbe potuto trovare la pace eterna. Cioè, non si sarebbero mai più riviste. Non poteva andare davvero così, era semplicemente impossibile, innaturale. Inconcepibile. La sua migliore amica… La sua unica, vera amica… Non sarebbe sparita così facilmente. Non poteva aver perso la vita, non era da lei. Perché si era lasciata ammazzare? Non aveva pensato a come si sarebbe sentita lei? Perché era stata così insensibile? Era un’ingiustizia bella e buona. E lasciarsi abbindolare così da uno sconosciuto, poi! Non era da lei. Non… E invece lo era. Che sciocca, sciocca Dot, a rammaricarsi così e andare contro la propria cara amica in maniera tanto egoistica. Ma non poteva farci niente. La rabbia, il dolore, erano inimmaginabili. E non poteva capire cosa provasse la sua amica, perché era una situazione troppo assurda. Anche volendolo con tutta se stessa non ci sarebbe riuscita. Però non poteva sopportarla, quella situazione. Non avrebbe più rivisto May. Non poteva, non voleva, non era in grado di sopportarlo. Voleva avere May accanto per tutta la vita. Si erano promesse così tante cose! May non poteva andarsene, perché in futuro avrebbe dovuto diventare testimone di nozze per Dot, mentre lei avrebbe dovuto fare da madrina alla figlia che tanto voleva May. Dovevano concedersi una lunga vacanza dopo aver raggiunto il successo nel lavoro, loro due sole, in qualche magnifica località marina, o ancora fare il giro del mondo e visitare la Torre Eiffel, il Colosseo, la Grande Muraglia. Non potevano separarsi proprio ora… Così presto… Non poteva finire prematuramente la vita di una. Inconcepibile.

                Quando una mano le si posò sulla spalla destra, non poté che sussultare. Si voltò, il viso rigato dal pianto, per scoprire così l’espressione bonaria del proprietario del negozio. « Su, su, ragazza, non ti abbattere » le sussurrò l’uomo. Del ragazzino, pareva non esserci più nemmeno l’ombra. « Cosa ti preoccupa?  » domandò, quindi.            « Cosa mi preoccupa! » Sbottò in tutta risposta la sedicenne, la voce rotta solo appena dal pianto. « La mia più cara amica è morta e non la vedrò mai più! Ma è diventata uno spettro, così ora i miei mi credono pazza perché per qualche strano motivo solo io riesco a vederla, e poi ci troviamo in questo posto assurdo, con un prato e un albero dentro un negozio, e queste pareti dai disegni in movimento, e… » Aveva parlato, fino ad ora, senza neanche riprendere fiato; ansimò per un istante. « …Ed è morta! » Ripeté; per quanto potesse voler dare a vedere di essere sconvolta da tutto, in realtà la toccava in primis la morte di May. Con l’uomo che la carezzava dolcemente, riprese un pianto addolorato.

 

                Il tunnel di luce era durato ben poco; nuovamente, delle figure cominciavano a prendere forma. Si trovava, così pareva, in una grotta completamente deserta, dove grazie alla sua condizione certo l’aria non le mancava, per quanto il luogo apparisse opprimente, il terrore di ogni claustrofobico. Basso – non raggiungeva l’altezza di un uomo normale, ma per la sedicenne era sufficiente – e stretto, cominciava ad essere percorso ad andatura rapida dalla giovane. Se fosse stata una persona normale, certamente il rumore provocato dai passi sarebbe stato assordante. Quando si accorse di non provare fatica, cominciò a correre al meglio delle sue possibilità, e vi riuscì senza sentire segni di sorta, non una goccia di sudore, non un ansimo.                Per forza.               Il percorso davanti a lei non cambiava di una virgola nonostante avesse percorso ormai parecchie centinaia di metri, e cominciava a chiedersi quando avrebbe trovato il fantomatico scudo quando udì un rumore. Rallentò, pronta a cogliere ogni minima vibrazione nell’aria. Non sentì nulla. Azzardò qualche nuovo passo in avanti, quando ecco di nuovo un rumore. Era terrificante. Come un potente ruggito che fece tremare tutto. In un primo istante, ebbe la forte sensazione di tornare indietro, ebbe paura.              Cosa stai facendo, May? Sciocca! In queste condizioni neanche il macellaio pazzo con la sua ascia migliore potrebbe farti un graffio! Avanti!      La grotta lasciò gradualmente posto a una foresta, in una maniera tale che sulla Terra non avrebbe mai potuto vedere, in nessun luogo, neanche il più sperduto. Talvolta, il ruggito tornava a farsi sentire. E la ragazza percorreva un percorso prestabilito, perlopiù diritto. La foresta aveva cominciato a sfumare per lasciare il posto a chissà che cosa, quando si udì il boato a una potenza incredibile.                Mi sto avvicinando. Qualsiasi cosa sia, mi ci sto avvicinando.           Ormai non si fermava più, e continuava ad elevata velocità sulla sua strada. Gli alberi lasciarono il posto a una tetra pianura, piatta, e lei proseguì, sempre avanti, sempre avanti, senza fermarsi mai. A un tratto, vide in lontananza qualcosa. Era enorme e mostruoso. Alto almeno tre metri e adeguatamente largo, si trattava di un bipede ricoperto da folta peluria nera come la pece, con un muso appena allungato e canini sporgenti, vagamente rassomigliante a un lupo. Man mano che vi si avvicinava – ora più cautamente – ne notava i dettagli: due possenti e muscolose gambe; quattro zampe dotate di altrettante dita, con artigli affilati; due occhi dalle pupille biancastre e inquietanti. Davanti alla Bestia, e ai lati, sbarre che gli impedivano di uscire da una ‘gabbia’ ma che apparentemente avrebbe potuto distruggere in maniera facile e veloce. Davanti a tutto ciò, si ergeva una roccia, a mo’ di altare. Sulla roccia, era adagiato uno scudo.           Eccolo.    Finalmente si trovava davanti all’oggetto tanto agognato. L’odore, forte e fastidioso, della creatura, le colpiva le narici, e in tutto questo ciò che più la colpì fu il fatto di odorare qualcosa, mentre ormai lo pensava impossibile. Tuttavia, non se ne curò, e mise subito le mani sullo Scudo. Non molto grande, interamente composto di Smeraldo, aveva una forma che poteva ricordare un ventaglio. May diede le spalle alla roccia e riprese a correre.

                Aveva finalmente messo piede nella foresta quando un terremoto percorse tutto quel mondo da sogno e delle crepe cominciarono a formarsi nel terreno, concludendosi all’incirca nel luogo dove si trovava lei. Fu sufficiente un attimo perché capisse cosa fosse accaduto. Correndo come una forsennata, continuava a voltarsi, e in breve tempo la vide. La Bestia, guardiano dello Scudo, la stava inseguendo.

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Capitolo 3
*** Chapter III ***


                Dot si era quasi tranquillizzata, oramai. Era passata forse una mezz’oretta da quando la sua amica era entrata nel Portale, e qualche minuto da quando Howard l’aveva lasciata da sola nello spiazzo erboso. Quando l’uomo tornò da lei, le lacrime sul suo viso erano completamente scomparse. Fece ritorno con una particolare compagnia: a poca distanza alla sua sinistra, all’altezza del suo capo, levitava una sfera di vetro. « Ti va di dare un’occhiata a come se la sta cavando la tua compagna? » propose egli con una strizzata d’occhio. La sedicenne annuì piano, deglutendo, in silenzio. L’uomo si sedette vicino alla ragazza, mentre la sfera si poneva davanti a loro, cominciando a trasmettere delle immagini. Pochi istanti, ed eccola sintonizzata sulla giusta frequenza. May stava correndo, con lo scudo sotto il braccio.            Ce l’ha fatta!          Ciononostante, trovò strano il fatto che continuasse a voltarsi. E che apparisse così preoccupata, se non addirittura spaventata.           Cosa    « Sta scappando, è in fuga. » Spiegò Howard con eccezionale tranquillità. Dot si volse immediatamente a guardarlo. « Che cosa?! » Sbottò, prima di correggersi. « …Da cosa?! » Fu la sfera a risponderle, modificando l’immagine con un allargamento della visuale, in maniera tale da mostrare la ragazza da un punto di vista posto più in alto. Dot rimase a bocca aperta. Un enorme ammasso nero, una bestia terrificante, correva poco dietro rispetto a May, guadagnando terreno sempre più rapidamente. Infine spiccò un balzo. Dot non poté guardare. Pregò con tutto il cuore che non fosse successo davvero. Che la sfera fosse difettosa, o qualcosa del genere. Non anche questo, no…

                Una delle sue grosse zampe anteriori l’aveva afferrata, e ora la stringeva, ora la schiacciava contro il terreno, ora la stringeva di nuovo, in alto. Dalla bocca dell’essere, oltre un odore fetido, si potevano sentire orribili lamenti.      Perché mi sta succedendo questo? Porca puttana, sono morta! Non dovrebbe riuscire a… AAARRGH!        Fu trafitta, in quel momento, da una fitta acuta, e fu convinta di sentire il suo braccio spezzarsi, per quanto fosse surreale. Lo scudo cadde sul terreno, rivolto verso l’alto. E la salvò. Non seppe come, ma fu così. Lo Scudo del Vento, dotato di poteri magici, reagì al pericolo illuminandosi dapprima, richiamando il suo elemento poi. May si trovò a terra, mentre un forte vento gelido colpiva la Bestia sferzandole il viso senza pietà; e a quella seguì l’improvvisa apparizione di un piccolo tornado, che riuscì nell’apparentemente impossibile intento di sollevare da terra quel colosso. Fu una battaglia rapida, dopo pochi attimi il mostro si trovò a terra privo di sensi. L’atmosfera era tornata respirabile, lo Scudo del Vento si era disattivato, non tirava più un filo d’aria; e la Bestia più non correva, né ruggiva, o alitava. Era finita. May si rialzò cautamente. Lo sguardo si posò sul suo braccio, dove non sentiva più dolore, e che appariva ora sano; non una goccia di sangue su tutto il corpo. Dopo qualche istante, si chinò per prendere la Reliquia tra le sue braccia. Sospirò.     Grazie.

                Dopo minuti di ansietà e preoccupazione, Dot si era finalmente tranquillizzata nel vedere la sua amica sana e salva. « Bene. » Aveva mormorato il suo vicino, tra sé e sé. « Solo bene?! Magnifico! È tutta intera! » Esclamò la ragazza di rimando, quasi dimentica delle condizioni effettive di May e di tutto quello che era accaduto e che stava accadendo. Poté dunque rilassarsi. Ci volle del tempo prima che la ragazza spettro tornasse, poiché dopo ciò che aveva passato se la prese comoda. Ma finalmente, ecco che il Portale si riaprì. « Bene… Dot, puoi lasciarci soli? » Domandò cordialmente Howard, l’espressione calma, lo sguardo fisso su May. « Er… Certamente, signore. » Rispose, prima di tornare nel corridoio precedentemente percorso e raggiungere Horatio nel negozio. Lì, questi la accolse con i suoi modi gioviali e allegri.

 « Ehilà! Allora, la tua amichetta ce l’ha fatta? È tornata tutta intera? »

 « Certo! …Ne dubitavi? »

 « Chi, io? Naaa. Con lo Scudo dalla sua, non poteva fallire… E, diciamocela, non ce l’avrebbe fatta altrimenti. »

Dot fu costretta ad ammettere la veridicità di quelle parole.

 « Senti, però… Come mai il tuo, ehm, il tuo… Come mai Howard voleva quello Scudo? »

 « Perché è una delle magiche Reliquie, no? Non ci vuole un genio! »

 « Chiedo scusa, ma… Non ti seguo. »

 « Uff… Giusto, semplice umana. È la solita battaglia tra bene e male, no? Quella di cui parlano un po’ tutte le vostre fialette. Peccato che non sia solo una storiella… Insomma, capisci, le Reliquie in mano alla persona sbagliata potrebbero creare danni inimmaginabili! Hai visto il loro potere, no? Sarebbe terribile… Mi vengono i brividi solo a pensarci! Purtroppo quest’unica Reliquia – e per fortuna, solo questa! – era recuperabile solo in questo modo, da uno spettro… Capisci, no? Mastro Howard è stato costretto a sfruttare un umano! A quanto pare però il suo Sortilegio non è stato preciso preciso, penso per dimensioni e durata, e così tu puoi vedere la tua amica… »

A questo punto, si soffermò per qualche istante, lasciando Dot con le sopracciglia inarcate e la bocca semiaperta. Perché ebbe un lampo di genio, ecco perché.

 « Ma certo! Ecco perché tu puoi vederla! Per il vostro legame! È la tua migliore amica, no? Tu non dovresti percepirla nemmeno… E invece lo fai… La vedi con il Cuore, ecco come! »

                « Complimenti, ragazza, hai recuperato lo Scudo del Vento… Te ne sono riconoscente. »

 « Dovere. » Rispose, spiccia, May all’uomo da cui attendeva risposte. « Piuttosto… Non mi interessa sapere il perché ti servisse, o cose del genere, né voglio più immischiarmi in affari che non mi riguardano, se possibile. Dunque, posso tornare nel mondo reale? »

 « Purtroppo, ritengo ciò impossibile. Mi dispiace. »

 « Capisco. » Forte determinazione senza cui non avrebbe mai avuto luogo questa rassegnazione. « Come è successo? »

 « Utilizzando il vostro gergo, azzarderei a dire che è stata una vera cazzata. Una banda di sciocchi ladruncoli in fuga è uscita di strada con un furgoncino rubato, travolgendo te e i tuoi genitori. Sono sopravvissuti, non riporteranno danni permanenti. »

 « Mi fa piacere. » Disse, abbozzando un sorriso. « Mamma… Papà… Non potrò nemmeno salutarli, vero? »

 « Esattamente. »

 « Quando dovrò andarmene? »

 « Secondo le mie stime… » Lanciò un’occhiata all’orologio da taschino che aveva appena estratto e che teneva nella mano sinistra. « …Ti rimangono quattro minuti e ventisei secondi. Ritengo che sia l’ora dei saluti, in particolar modo con la tua amica. La farò venire qui, e vi lascerò questo tempo di intimità. » Sorrise dolcemente. « Addio, May Oswood. »

 

                La signorina Keegan e la signorina Oswood erano sedute sull’erba, fianco a fianco, a godersi gli ultimi minuti insieme. Dot piangeva a dirotto, e l’avrebbe fatto anche May, se solo avesse potuto. Fu lei stessa a prendere la parola.

 « Devi promettermi che non farai pazzie, e che porterai a termine tutte le nostre promesse. »

 « Lo farò. »

 « E ti troverai un ragazzo, dolce e che ti sia sempre vicino, come lo volevamo noi. »

 « Sicuro. »

 « Se avrai una figlia, si chiamerà May, allora. »

 « Già… »

 « Ho paura che il mio tempo sia giunto al limite… Dobbiamo dirci addio… »

 « Ti voglio bene, May. » Singhiozzò Dot.

 « Ti voglio bene anch’io Dot. Sii felice, e non abbatterti. Ricorda i nostri momenti felici, non questo addio. A quanto pare, sto andando all’Altro Mondo, quindi potrò vegliare sempre su di te… Se trascurerai anche uno solo dei nostri impegni, la pagherai, fidati. »

Dot non riuscì a rispondere. Se anche avesse voluto ridere, non ci sarebbe riuscita. La vista era offuscata dalle lacrime, così non vide sparire nel nulla, gradualmente, la sua amica. Si limitò a sentirne la voce, a sentire il suo ultimo addio. E nell’aria avvertì la sua presenza, sempre, così come la loro canzone, quella bella canzone d’amicizia, che in realtà si trovava solo nella sua testa. Perché il loro non era un addio, ma solo un arrivederci. Dot avrebbe vissuto, e non avrebbe mai dimenticato l’affetto che la legava a May.

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