Zoya.

di Aiyana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Festa inaspettata ***
Capitolo 2: *** Lavoro ***
Capitolo 3: *** First Day ***
Capitolo 4: *** Pulizie ***
Capitolo 5: *** Il conte ***
Capitolo 6: *** Lezioni di vita ***
Capitolo 7: *** Il ballo ***
Capitolo 8: *** La sera del ballo ***



Capitolo 1
*** Festa inaspettata ***


Avevo già scritto questa storia, ma non mi piaceva per niente,
e i capitoli erano troppo corti per questo la storia resterà la stessa ma prenderà una piega diversa.
Scusate questo piccolo disguido.

 

 

 

 

- Festa inaspettata.

 

 -Peterhof,1917

 

Il viale della villa era tutto illuminato, piccole lanterne erano sparse per il viale e il grande giardino che circondava il palazzo, quella sera si sarebbe svolta una festa in onore della primogenita del consigliere e amico dello Zar di Russia, che era anche uno degli invitati. 

 

Zoya Nikolaevna Romanova, si trovava in cima alle scale con le gambe a penzoloni che pendevano dalle piccole colonnine poste sotto il parapetto.

La ragazza alzò lo sguardo verso il cielo, il tetto della villa era tutto di vetro il che permetteva a Zoya di rimanere alzata fino a tardi a guardare le stelle.

 

Una voce squillante la fece sobbalzare, mancava un'ora alla festa e Zoya non si era ancora vestita, tragedia.

 

"Lyubovʹ, cosa fai ancora qui?"

"No mama" Cercò di protestare Zoya ma fu tutto inutile, venne portata di peso in bagno, e messa nella vasca da bagno dove sotto il rigido controllo di sua mamma le vennero lavati i capelli e spazzolati per bene, una volta, vestita Zoya era irriconoscibile, il lungo vestito era spettacolare, era stato importato da Parigi, Il colore ricordava quello dell'oro che risplendeva in contrasto con il verde dei suoi occhi.

 

Il primo ballo lo concesse a suo padre, subito dopo fu il turno dei cugino Petja.

 

"Zoyuska, ti godi la serata"

"Petja, lo sai che odio queste feste"

"Preferiresti cavalcare vero?"

"Si Petja, me lo prometti, domani andiamo a cavallo vero?"

"Tutto quello che vuoi angelo mio"

 

Ma le cose belle non erano destinate a durare in eterno e Zoya questo lo sapeva.

 

Zoya sentì il rumore di sedie e bicchieri rompersi, prima di vedere delle guardie che entravano in casa, nella sua casa e rovinavano la festa, suo padre prese lei, suo fratello e la loro madre, per mano conducendole nei sotteranei del palazzo.

 

"папа, che succede?"

"I soldati, è scoppiata la guerra dovete fuggire, ho mandato le domestiche a recuperare dei soldi e vestiti per voi, io vi raggiungerò dall'altra parte del tunnel"

"È una promessa?"

"Si, stellina. È una promessa."

 

 

(…)

 

Alcune domestiche non si erano presentate nel luogo dell'appuntamento, avevano atteso tre giorni anche Nicola, il padre di Zoya non era tornato, le notizie che trapelavano erano che tutti i presenti alla festa erano morti, secondo alcune fonti pure la contessa e i suoi figli lo erano.

 

Zoya era molto legata al padre e durante tutti il tragitto verso l'Inghilterra non proferì parola, Pinny la domestica personale di Zoya con origini inglesi era l'unica che si era presentata, la valigia che portava con se conteneva alcuni vestiti, gioielli e molti soldi. 

Ma per Zoya niente poteva ricomprare suo padre, lo amava troppo, lui la capiva, capiva che odiava il protocollo e le regole da rispettare, e se la scopriva fare qualcosa che non avrebbe dovuto le strizzava l'occhio e si voltava dall'altra parte.

 

"Zoya, siamo arrivati"

"Ancora 5 minuti Pinny"

 

Zoya aprì gli occhi di scatto rendendosi conto di non essere più nel suo palazzo in Russia ma bensì in Inghilterra, e lei qui contava pari a zero mentre nei palazzi di San Pietroburgo veniva sussurrato il suo nome con riverenza. 

 

Mentre ora veniva scansata in malo modo alla stazione, le veniva da piangere. Se qualcuno avesse saputo chi fosse, si sarebbero scansati e piegato la testa fino a quasi sfiorare il pavimento.

 

Pinny viveva in una casetta appena fuori Londra, il giardino era estremamente piccolo e l'orto era tutto appassito. Zoya doveva dividere la camera con Andrew suo fratello. Mentre Alexandra, loro madre, aveva una camera tutta sua, dopo la morte del conte la sua salute era diventata molto cagionevole e rimaneva in camera a riposare.

 

"Pinny, devo fare qualcosa per migliorare la nostra situazione"

" E cosa vorresti fare Zoya?"

"Lavorare."

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Capitolo 2
*** Lavoro ***


Io sarò tuo, o ti sarà permesso di ferirmi così profondamente, 
di ferirmi nel più intimo... così che, 
benché da te separato, tuttavia sarò tuo.

 


 

- Lavoro

 
 
"Non se ne parla neanche, tua madre ne morirebbe, e Andrew non lo permetterebbe mai, lascerebbe la scuola piuttosto, e gli verrebbe in mente di fare il fattorino o altro"
 
"Pinny non posso restare a guardare mentre la mia famiglia si spezza, dobbiamo recuperare un po' di dignità"
 
"Non è di certo lavorando che la recupererai, Zoya ascoltami"
 
"Pinny sei stata l'unica che è restata con noi, tutte le altre domestiche sono fuggite con i soldi, dobbiamo ripagarti in un qualche modo"
 
"Va bene Zoya, ma la domestica non la farai mai, ci siamo capite"
 
"Va bene, domani andrò all'ufficio di collocamento"
 
(…)
 
L'ufficio era stranamente pieno c'erano un mucchio di ragazzette di 15-18 anni che aspettavano il loro turno, molte di loro erano straniere, di certo sarebbero finite a fare le domestiche o le badanti. 
Zoya come figlia di un nobile russo aveva avuto diritto ad apprendere dalle persone più colte di tutta russia, parlava scorrevolmente moltissime lingue, tra cui il francese, il tedesco e l'inglese.
 
 
"Zoya Pendleton"
"Arrivo"
 
Zoya si accomodò nell'ufficio di quella signora grassa, che le sembrava una delle baronesse di Krakovia, Pinny le aveva proposto di cambiare cognome per il colloquio, temeva che qualcuno potesse riconoscerla e rispedirla in Russia.
 
"Allora signorina, come si chiama?"
 
"Zoya, Zoya Pendleton"
 
"Vive qui da molto?"
 
"Un paio d'anni"
 
"Parla lingue straniere?"
 
"Solo il francese"
 
"Non abbiamo molti posti disponibili l'ultimo da insegnante è appena stato preso, restano i lavori il fabbrica o come domestica".
 
"Domestica.."
 
"Nulla di che, è in una villa qui vicino, a quanto si dice la vogliono mettere in vendita entro l'estate e vogliono che sia perfetta"
 
"Mi dia l'indirizzo"
 
 
(…)
 
 
Zoya stava distesa sul letto si rigirava il bigliettino con l'indirizzo di quella villa.

 
 
 
Villa Dupont
Westminster, Hyde Park Road 7
London
 
 

 
Se Pinny avesse scoperto che avrebbe fatto la domestica non le avrebbe permesso di andare a lavorare, così pensò ad una scusa e decise di andare a piedi fino alla villa, per capire quali sarebbero stati i suoi compiti, se avesse dovuto accettare il lavoro.
 
La villa si trovava vicino ad un parco molto famoso a Londra, anche se era in città era come se fosse in campagna aveva un'immenso giardino, con un piccolo laghetto al centro, mano a mano che Zoya si avvicinava attraverso la siepe riusciva a scorgere alcune parti della villa, l'unica cosa che riusciva a pensare era che era davvero bella, amava lo stile londinese delle case e delle ville. Una volta di fronte al grande cancello lo spinse e si aprì cigolando, una volta di fronte all'enorme porta di legno bussò.
 
Un'uomo sulla cinquantina le aprì la porta, squadrandola come se non capisse da dove era uscita quella ragazza.
 
"Desidera signorina?"
 
"Sono qui per il lavoro di domestica"
 
"Oh, prego mi segua, i compiti non sono molto difficili, dovrà solo pulire e arieggiare le stanze che sono rimaste chiuse, si dipingeranno le pareti e verrano eseguiti altri lavori di manutenzione"
 
"Va bene, accetto"
 
"Subito, non vuole sapere nulla?"
 
"No, accetto"
 
"Perfetto, ci vediamo lunedì alle 8.00, puntuale mi raccomando".

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Capitolo 3
*** First Day ***


Credo che il profondo sentimento
che sempre mi accompagna di incongruenza
rispetto agli altri, sia dovuto al fatto che
di norma le persone pensano attraverso la sensibilità,
mentre io sento attraverso l'intelletto.

 




- First Day.

 

 

Tre giorni dopo, con in mano una valigia di cartone che si era fatta prestare da Pinny, Zoya camminava a testa alta lungo il viale che portava alla villa, ancora nascosta dagli alti alberi del giardino.

La giornata era calda e la valigia pesante, dato che conteneva non solo lo scarso guardaroba di Zoya, ma anche tutte le duemila e tre pagine del Manuale della servitù domestica. L'opera in tre volume della signorina Strickland, con i suoi tre chili e mezzo, rappresentava per Zoya ciò ce la Torah rappresentava per i nostalgici ebrei della diaspora e il Corano per i seguaci di Maometto, sanciva l'inizio della nuova carriera come dipendente.

 

" Il nero per le grate può essere preparato mischiando asfalto con olio di lino e acquaragia' " citò guardando con piacere i giardini ondulati. Anche la leggera aria di trascuratezza, i fiori di carota che coprivano come una schiuma di cigli erbosi, un tempo ben tenuti, e l'edera che cadeva lungo i muri della casetta del custode non facevano altro che rendere ancora più belli i dintorni della villa.

 

" Devo fare un'inchino al maggiordomo, e sicuramente anche alla governante! "

Appoggiò per un attimo la valigia a terra e restò a guardare passare un pavone che le mostrava altezzosamente la coda. Non c'era alcun dubbio, stava diventando molto nervosa, ogni minuto di più.

 

" Una domestica non deve mai portare scarpe che scricchiolano e …" Si interruppe di colpo. 

"Cërt!"

Da un po' il viale stava curvando a destra. Zoya si era trovata la casa davanti all'improvviso, proprio come aveva voluto William Kent, il genio che ne aveva disegnato i giardini.

 

La villa aveva il colore delicato del miele, aggraziata, leggera. C'era un blocco centrale, con colonne e portici, come un tempio dorato preso da un qualche paesaggio.

Ampie scalinate salivano da entrami i lati verso la grande porta principale, con le balaustre fiancheggiate da vasi e da fenici dall'espressione calma. Da quel centro, due basse ali raffinate e identiche si allungavano a nord e a sud, con lunghe finestre che si affacciavano su una terrazza con fontane e giochi d'acqua. Zoya, che aveva osservato impassibile i giganteschi e ornati palazzi di Rastrelli, quando vi posò sopra lo sguardo si meravigliò e sorrise.

 

Ad attendere di vedere che cosa l'agenzia di Londra avesse mandato loro c'erano la signora Bassenthwaite e il signor Proom, rispettivamente capogovernante e maggiordomo.

Non si aspettavano granché. Dalla stessa agenzia avevano ricevuto altri "aspiranti lavoratori" che avevano avuti scarsi risultati, il sottogiardiniere il primo giorno era caduto di peso, ubriaco, sui supporti dei cetrioli. 

 

Zoya si era inchinata, e anche profondamente, e ora se ne stava in piedi davanti a loro, le mani intrecciate, in attesa di conoscere il proprio destino. Mentre la studiavano, il maggiordomo e la capogovernante sospirarono.

Nessuno dei due avrebbe trovato facile descrivere le caratteristiche di una domestica, ma capirono istintivamente che, pur con la giacca e la gonna blu, la camicetta abbottonata fino al collo e il cappello di paglia chiara, quella ragazza non ne possedeva alcuna.

 

" Lei si chiama Zoya Pendleton? " chiese Proom consultando le carte dell'agenzia. Stava soltanto cercando di prendere tempo, lo sapeva bene. " Leggo qui che non ha alcuna esperienza in questo campo "

" No, signore ma lavorerò sodo e imparerò, davvero "

" Temo che lei non possa capire quanto duramente le sarà richiesto di lavorare" disse Proom, che in qualche modo cercava ancora di evitare il proprio fato.

" Stiamo assumendo personale provvisorio per un periodo di pulizie e ristrutturazioni intense, prima del ritorno del conte. In tale periodo non ci sarà tempo per alcun addestramento formale e ci si aspetterà che lei si renda utile ovunque. Nelle cucine, nel retrocucina, perfino all'esterno ".

" Come le servette? " chiese Zoya, fissandolo con occhi rapiti, del colore del tè.

Le servette avevano imperversato nei romanzi inglesi della sua infanzia: figure romantiche e oppresse, seconde soltanto ai piccoli spazzacamini di Charles Kingsley nella loro capacità di evocare lacrime e compassione.

" Io penso sinceramente che lei signorina .. che lei farebbe meglio a cercare un altro tipo di impiego. Come istitutrice, magari ".

Zoya rimase davanti a loro, in silenzio. Non era però un silenzio passivo e a Proom ricordo ineluttabilmente un cucciolo che aveva avuto da ragazzo, quando non voleva essere portato fuori per una passeggiata.

" Ma prometto che lavorerò " disse infine " Molto sinceramente, lo prometto "

Il maggiordomo e la capogovernante non cedevano.

Se c'era una cosa che tutta la servitù con esperienza temeva era la presenza nel seminterrato, in mezzo a loro, di una donna di nobile lignaggio.

E poi Zoya Pendleton pronunciò due sole parole:

" Vi prego ".

La signora Bassenthwaite guardò Proom. Dopotutto l'avrebbero assunta solo provvisoriamente. Annuì e Proom disse: " Molto bene. Rimarrà in prova per un mese. Il suo salario sarà di dodici scellini e sei pence a settimana… e non c'è bisogno che continui a fare l'inchino! ".

 

 

 

Zoya aveva temuto un dormitorio da dividere con altre domestiche che l'avrebbero odiata, ma le assegnarono invece una piccola mansarda incuneata sotto le cupole, i vasi e i camini che adornavano il tetto della villa. Sapeva di chiuso, con l a sua unica finestrella, ma era scrupolosamente pulita e conteneva un letto di ferro, una sedia, una cassettiera di abete e un tappetino di pezza. Sul letto, pronti per lei, c'erano un abito di tela stampata marrone e due grembiuli inamidati, con un berretto di tela bianca. Un'altra divisa, di alpaca nera con cuffietta e grembiule di mussola a balze, era appesa dietro la porta, come 'l'abito da festa'.

Disfece la valigia alla svelta, mettendo il tomo di Selina Strickland sulla sedia acanto al letto. C'era molto caldo nelle soffitte, ma anche nolo silenzio e improvvisamente , in quella minuscola stanzetta, isolata dal resto della casa e dal mondo che aveva conosciuto, Zoya si sentì talmente disperata e nostalgica che le vennero le lacrime agli occhi. 

A salvarla arrivò la voce del padre, che ricordava benissimo "Quando sei triste, stellina mia, prova a uscire. All'aria aperta tutto sembra subito andare meglio"

Allora si avvicinò alla finestra e la aprì. Tirandosi su, sarebbe riuscita addirittura ad arrampicarsi sul cornicione che correa dietro la balaustra. 

Un'attimo dopo era proprio lì, un braccio attorno a un guerriero di pietra. E tutto andava davvero meglio. Andava bene. Il tetto della villa,  che luccicava al sole, era un mondo a sé, llegro e spensierato, con le sue cupole di rame, le sue banderuole e i suoi guerrieri in armatura scolpiti. La vista toglieva il fiato. Zoya aveva di fronte il lungo viale  la casa del custode, il grande giardino ed in lontananza si scorgeva la strada.

' Qui si potrebbe essere felici ' pensò Zoya. Lì, sul tetto della casa che gli apparteneva, guardando le pietra dalle sfumature di miele cambiare colore con l'ombra delle nuvole che correvano per il cielo alto e luminoso.

Poi ridiscese in camera e prese l'abito marrone. Era troppo grande, ma con il grembiule lo teneva a posto e per il momento sarebbe andato bene. Il berretto però era un problema. A qualunque algoso lo mettesse, continuava a scivolare sulle orecchie come se fosse stato ubriaco, anche se un po' le donava.

 

 

Quando Zoya scese, molti più servitori del solito si erano radunati in cucina per una veloce tazza di tè, perché naturalmente le voci sul suo strano accento si erano propagate come un incendio. La cucina della villa era un locale enorme, alto e con le volte, con una stufa che sembrava una corazzata, una credenza gigantesca piena di peltro lucidato e un tavolo di legno grande abbastanza per poterci pattinare sopra. A quel tavolo, in piedi, a sbriciolare pasta frolla con pioggerellina fra le dita abili e grassocce, stava la signora Park, l'affabile e garbata contadina che aveva sostituito il signor Manotti come chef. Accanto alla signora Park sedeva il primo valletto, James, uno dei pochi a essere tornato dalla guerra. Sotto la guida del signor Proom, che venerava, aveva fatto carriera, da addetto alle lampade fino alla sua posizione attuale. Vicino a James sedeva Louise, la capodemestica e poi c'erano le due sottodomestiche ai suoi ordini, la prosperosa e ridanciana Peggy el sorella Pearl. Sid, il secondo valletto, sedeva di fronte a James; Florence, l'anziana sguattera, stava riempiendo un secchio alla caldaia; Win, la cuciniera era appollaiata umilmente su uno sgabello verso il fondo del tavolo.

Si sentirono dei passi leggeri scendere per il corridoio di pietra e Zoya apparve sulla porta. Louise, che era insolente e brusca, fu la prima a vederla.

" Ecco la servita! " disse.

" Insomma, Louise! " l'ammonì gentilmente la signora Park. 

Zoya sorrise con piacere e si infilò in un posticino accanto a Win, al fondo del tavolo. Tutta la servitù si scambiò occhiate perplesse. Se c'era qualcosa che poteva non andare nella nuova domestica, dovettero ammettere che non era lo snobismo né la presunzione.

 

 

 

Salve a tutti, ho unito due capitoli visto che i precedenti due erano leggermente corti, ho chiesto aiuto a mia mamma che oltre a essere un'ottima lettrice scrive estremamente bene, e devo dire che mi è stata utile questo capitolo mi piace decisamente di più e spero che lo apprezzerete anche voi. Vi chiedo comunque di lasciare un segno della vostra presenza anche solo una recensione, per farmi sapere cosa ne pensate.

 

- Ale 

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Capitolo 4
*** Pulizie ***


Vivi ogni attimo fino in fondo perchè molte cose capitano

una volta sola nella vita.

 

-Anonimo

 


-Pulizie

 

 

***

 

Il giorno dopo Zoya cominciò a lavorare. Era un tipo di lavoro che non aveva mai immaginato esistesse, non come essere inserviente all'ospedale a San Pietroburgo e nemmeno cameriera nel campo di transito a Costantinopoli. Fra le soffitte dall'aria viziata dove abita la servitù, sotto le balaustrate e le sculture, e le cucine, le dispense e le cantine che correvano come catacombe sotto la struttura della casa, c'era un mondo che non conosceva né un piano né l'altro. Lì c'erano le grandi sale di rappresentanza: Il salone dell'oro, la famosa biblioteca e la sala da musica. Proom assegnò Zoya alle pulizie primaverili di quelle sale, sbarrate e oscurate durante la guerra.

" Non durerà due giorni " profetizzò Louise, la rossa e acida capodomestica.

" Vedrete, se ne tornerà a casa sua con la coda tra le gambe prima della fine della settimana ".

Peggy e la sorella Pearl, invece, non ne erano poi tanto sicure. La ragazza russa negli occhi aveva un qualcosa.

Il primo giorno Zoya si alzò alle cinque e mezzo, ferrò un pezzo di pane con la marmellata nella sala comune e per le sei, tenendo stretta la sua sacca da domestica, aveva già seguito Louise, Peggy e James, carichi di secchi, scale, bidelli e spazzoloni, fino alla biblioteca. 

Quella di Villa Dupont era famosa in tutto il mondo. Gli scaffali di legno citronnier, il tavolo a piede centrale e le scrivanie erano state fatte da un'ottimo artigiano ed erano considerate le sue opere migliori.

" Che bellissima sala! " esclamò Zoya, solo per ricevere un'occhiataccia da Louise, che stava versando di buona lena della soda in un secchio.

La giornata fu estremamente lunga, per l'ora di pranzo le faceva male ovunque, nel tardo pomeriggio, spostando al sicuro un portaritratti d'argento, si ritrovò a fissare per la prima volta quel conte che tutti aspettavano da tempo.

 

 

Al suo terzo giorno a Villa Dupont, Zoya scoprì che il maggiordomo, tanto regale e autorevole nella sala comune, pativa accanto a una madre costretta a letto e profondamente eccentrica, con cui divideva un cottage nella zona delle scuderie.

 

 

Zoya passo a Villa Dupont una settimana prima di incontrare un membro della famiglia. Oltre a Lady Mary Westerholme, la contessa madre, da molti anni la tenuta dava rifugio al nobiluomo Sebastien Frayne, prozio dell'attuale conte. Essendo il giorno libero di Louise, le istruzioni su come portargli il tè vennero date a Zoya.

" È meglio se ascolti fuori dalla porta " le disse Peggy. 

" Ci sarà della musica che viene dal grammofono. Se è quella roba forte, con tutti i lamenti e le donne che gridano, allora devi fare attenzione. Specialmente se ce n'è una che si chiama L'Ibbestò o qualcosa cosÌ. Se suona quello, devi tenere il vassoio fra te e lui, posarlo e poi scappare via. Ma se invece è quella roba da chiesa, allora puoi fare due chiacchiere. Non va mai più il là di un pizzicotto o un a palpata, ma con fatto che non c'hai l'abitudine… "

A Zoya caddero le braccia quando, fermandosi fuori dalla porta sentì le note dell'inconfondibile aria del Liebestod.

Il nobiluomo Sebastien era allungato su un grosso divano Chesterfield, gli occhi chiusi per l'estasi, le mani giunte sulla grande pancia. Era sull'ottantina e raramente usciva dalla sua stanza, che ricordava la tanta di un tasso appassionato di musica.

" Le ho portato il tè, signore " disse Zoya sopra la potente voce della soprano

" Appoggia il vassoio qui " disse scaltro il signor Sebastien, spostandosi verso il  bordo del sofà e dado delle leggere pacche sul tavolino basso accanto a sè.

Zoya stava in piedi al centro della stanza, i grandi occhi verdi luccicanti, ad un tratto ruppe il silenzio. " Oh… dice quello che vuole, ma è un movimento bellissimo ".

" Vieni qui " disse il signor Sebastien, il cui sguardo, sotto le folte sopracciglia bianche, era tagliente come un rasoio.

" Fermati un'attimo ad ascoltare " disse lui senza toccarla

" È quasi finita. Siediti ". 

" Non devo sedermi " disse Zoya " Sono la domestica ".

Alla fine del pezzo sospirò profondamente e guardò il signor Sebastien con riflessa in viso l'espressione acquosa di qualcuno che è appena tornato da un altro mondo. " È gentile da parte sua permettermi di stare ad ascoltare "

" Lei è stato un musicista professionista? " chiese.

" Avrei voluto. Suonavo il piano e il violoncello e componevo anche un po'. Credo che il giovane Mark abbia preso da me l'amore per la musica. Ma non me lo permisero. A quei tempi l'aristocrazia on permetteva ai proprio figli di fare cose sensate e io ero troppo debole per ribellarmi.

" Oh, lo so, è mostruoso! " disse Zoya. " Anch'io ho sofferto così. Volevo tanto essere una ballerina, ma non me l'hanno permesso.

" Ho anche dei balletti.. Lo schiaccianoci.. la bella addormentata.. "

 

 

(…)

 

Tornando di sotto mezz'ora dopo, Zoya fu accolta da un capannello di facce interessate. " Allora ti ha palpata, eh? " disse Peggy. " Be', io ti avevo avvista ".

" No, no. Non mi ha nemmeno toccato " disse lei assente " È perché non sono bella! " esclamò tragica. La signora Park la interruppe e con dolcezza le disse:

" Non dire stupidaggini, cara, e bevi il tuo tè ".

 

 

E così, giorno dopo giorno, Villa Dupont cedette all'energia e all'assalto del suo personale e divenne sempre più bella. Le persiane venereo aperte per fare entrare la luce, Ted portò in casa grandi fioriere di  poinsettie e gigli le posate d'argento, lucidate da James fino a un'incredibile perfezione, furono riportate nella sala d aprano ufficiale e i lampadari, lavati di fresco, scintillavano alla luce del sole. Gli uomini tolsero le livree dalla canfora e nuovi grembiuli vennero assegnati alle domestiche.

Tutto ciò fino a un accalda sera di metà giugno in cui Zoya, che quel giorno aveva pulito le centotrentasette colonnine della balaustra dello scalone, aveva percorso in ginocchio tutta l'interminabile galleria lunga con una latta di cera d'api e acquaragia e aveva sbattuto quindici tappeti persiani, aprì la finestra della sua mansarda, appoggiò la stanca testa sule braccia e rivolgendosi al conte lontano disse: " Ora è tutto pronto. Può tornare ".

E l'indomani lui tornò.

 

 

Questo è un piccolo capitolo per introdurre il ritorno del conte che prenderà decisamente più spazio, ringrazio tutti quelli che leggono la storia, la seguono, la commentano. 

Allora da come si è notato non è decisamente la più amata tra le domestiche, ma lei sopporta anche la lontananza dalla sua famiglia. Spero recensiate anche questo capitolo ;'D

 

- Ale

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Capitolo 5
*** Il conte ***


Credo che il profondo sentimento che sempre

mi accompagna di incongruenza rispetto agli altri,

 sia dovuto al fatto che di norma le persone

pensano attraverso la sensibilità, mentre

io sento attraverso l'intelletto.

 

 


 

-Il conte.


 

Zoya si rese conto troppo tardi del rumore di un motore che proveniva al di fuori della villa, si affacciò dalla sua piccola finestrella, appena in tempo per scorgere una macchina che svoltava l'angolo e posteggiava proprio di fronte al grande scalone in pietra davanti alla villa. Il conte era tornato da Oxford recentemente, essendo l'unico figlio della contessa e ancora troppo giovane per la guerra aveva terminato tranquillamente gli studi, ed ora era tornato, non che fosse tornato per restare. Le finanze del conte erano drammatiche, la villa era un debito ambulante, l'unica scelta saggia era venderla e incassare la somma e trovare un cottage in campagna per lui e la contessa madre.

 

 

 

Nel frattempo Zoya era corsa di sotto, dove tutta il resto della servitù aspettava il conte all'entrata dove, tutti in fila aspettavano che lui entrasse, per inchinarsi e sapere le ultime novità. Sarebbe presto arrivata una contessa? magari qualcuno che potesse risollevare le finanze. 

 

 

Scese dall'auto e si mise in testa gli occhiali da sole, guardandosi attorno, si mise una mano in tasca e iniziò a camminare in direzione della porta dove vi trovò il suo caro amico e maggiordomo.

 

 

" Eccellenza, Ben tornato "

" James.. " Mark si avvicinò e si abbracciarono brevemente.

" Spero la villa sia di suo gradimento, abbiamo dovuto assumere personale in più "

 

James sapeva della natura di sciupafemmine del conte, e sperava vivamente che la nuova ragazzetta con l'accento russo non attirasse la sua attenzione. Tutti si erano affezionati a Zoya e di certo non era una "ragazzetta facile".

 

 

 

Mark stava salutando ognuno dei suoi dipendenti che aveva lasciato, prima di recarsi a Oxford, quando ad un tratto incontrò gli occhi verdi della nuova domestica, i capelli rossi le uscivano dalla cuffia e le lentiggini che le coprivano il viso le davano un'aria d'innocenza. Mark credette per un'attimo di essere morto e che quella ragazza fosse un'angelo, ma non poteva permettersi di corteggiarla davanti a tutti, doveva farlo in modo discreto.

 

 

" Conte questa è Zoya, la nuova domestica "

" Zoya.. " ripete il conte quasi non avesse capito che cosa gli era stato detto.

Ma non poteva indugiare tanto così fece un'altro passo e passo alla cuoca. 

 

 

" Spero che stasera troverò la cena di mio gradimento. "

" Ma certo conte, ho preparato il suo piatto preferito. "

" Oh signora Park, lei sa come prendermi per la gola. "

 

 

 

(…)

 

 

 

Mark era disteso a testa in su nel suo grande letto a baldacchino, l'unica cosa che non riusciva a togliersi dalla mente era il viso di quella ragazza doveva sapere di più, voleva conoscerla e magari approfondire quella conoscenza, dopo tutto lui era fatto così.

 

 

 

A Zoya era stato detto di pulire le scale dell'ultimo piano così aveva preso un secchiello e lo strofinaccio e si era diretta in cima alle scale e scendendo all'indietro aveva iniziato a pulire, mentre canticchiava una filastrocca russa.

 

 

 

" Loshadi rabotayut v polyakh, ne ostanavlivaysya.

Perelet v vashem pincipessa , dovesti svoyego printsa k ney. "

 

 

 

"Horse run in the fields, do not stop.

Fly to your pincipessa, bring your prince to her."

 

 

 

Il conte si fermò sentendo una voce che cantava, era russo, ed era un suono melodioso, chiuse gli occhi brevemente prima di iniziare a salire la scala e trovarsela li davanti mentre reggeva il secchio dell'acqua. Non appena la vide alzarsi e prendere il secchio dell'acqua e scendere le scale capì che quella ragazza nascondeva qualcosa. Poteva dire a tutti di essere una semplice domestica. Ma il portamento perfetto e le mani curate dicevano l'esatto opposto. Restò un'attimo in silenzio, doveva decidere sul da farsi, ad un tratto si schiarì la voce per attirare l'attenzione della ragazza che si spaventò e lasciò cadere il secchio che scivolò fino in fondo alle scale, ai piedi del conte.

 

 

"… Mi scusi.. io.. io " Le goti della ragazza presero colore e il conte non poté dire nient'altro la ragazza era splendida perfino con quel velo di imbarazzo.

" Scusami tu non avrei dovuto spaventarti, un tè per farmi perdonare? "

" Io non dovrei.. non è consono "

" Be io sono il suo capo, quindi.."

 

 

Mezz'ora dopo Zoya era nello studio del conte, si era levata il cappellino e l'elastico che le tenevano "imprigionati i capelli ed ora le ricadevano sulle spalle, lui la guardava, l'unica cosa che gli separava era la scrivania, Mark pensò malignamente che se fosse stata ricca e non fosse stata la domestica l'avrebbe spostata per rimettere in sesto le finanze della sua villa. 

 

Ma questo non era possibile, non era consono, come Zoya era solita ripetere, ma Mark aveva perso da tempo l'abilità di dividere cosa fosse consono e cosa non lo fosse.

Aveva scoperto che veniva dalla russia, anche se non gli aveva detto perché portava un cognome inglese, per un'attimo pensò che fosse sposata, ma lei lo smentì subito, l'aveva fatto per trovare meglio lavoro, non poteva dargli torto gli stranieri erano visti male anche a Londra.

Sapeva cavalcare, parlava il francese e amava l'opera, ma le domestiche in russia erano così colte?

 

Quella ragazzetta era una sorpresa ogni attimo di più, Zoya guardò l'orologio alle spalle del conte e non poté evitare di sussultare, erano rimasti a parlare fino quasi all'orario di cena. Scatto in piedi e guardando il conte gli fece un leggero inchino prima di correre di sotto verso la cucina dove l'attendeva, James, e dio solo sa in che guai era.

 

 

Salve, un paio di capitoli fa mi è stato fatto notare che la mia storia era simile ad un libro, se qualcun'altro dovesse notare questo particolare potrebbe farmelo notare, la mia voleva essere una FF sulla vita di Anastasia, anche se Zoya non è la principessa, ma solo una contessa.

Vorrei solo che commentaste anche solo per dirmi: "Fa schifo, non scrivere più, fatti rinchiudere in un manicomio" LOL
Detto questo spero la storia vi appassioni come stà appassionando me. ;'D

-Ale

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Capitolo 6
*** Lezioni di vita ***


Le nostre impronte
non sbiadiscono 
sulle vite che 
tocchiamo.

-Gandhi


-Lezioni di vita
 

 

 

 

 

Un grande uomo una volta mi ha detto che il destino per quanto impossibile da controllare e prevedere o sta dalla tua parte o ti rema contro.

Quell'uomo era mio padre.

 

Ho sempre ammirato le persone che avevano una capacità innata. Io al contrario di loro ho dovuto imparare, non che odiassi tutto quello che dovevo imparare, ma alcune cose mi riuscivano meglio di altre.

 

Cavalcare era una di quelle.

 

L'aria tra i capelli, il vento sul viso, le goti arrossate per il freddo pungente di San Pietroburgo, le gare con Petja. Tutto questo mi era stato insegnato, ma io l'amavo come se non avessi mai fatto altro in tutta la vita.

 

-Zoya's Diary

 

Zoya appoggiò il suo "diario provvisorio" sotto il materasso, solo lei poteva entrare in quella camera, in realtà era inutile nasconderlo, ma lei preferiva così, la faceva sentire protetta.

 

Aveva scoperto da poco, che il conte aveva appena acquistato un nuovo stallone, era un arabo, con il suo manto candido, poteva essere confuso con un unicorno.

 

Zoya era rimasta troppo tempo senza cavalcare così in comune accordo con lo stalliere Tom, ogni mattina attorno alle 5 portava fuori il cavallo del conte, i giardini della villa erano immensi e permettevano anche escursioni a cavallo.

 

Quella mattina di primavera, la rugiada scivolava come lacrime lungo le foglie e i fiori del parco. Gli uccellini non avevano ancora cominciato a cantare e il sole quella mattina tardava ad arrivare. Zoya amava quell'istante della giornata dove ancora tutto taceva.

 

Una volta arrivata di fronte alla porta della stalla spostò il grosso vaso di gerani in terracotta dove sotto c'era la copia della chiave che Tom le lasciava per poter entrare mentre lui ancora dormiva.

 

Tempest, era il nome di quel cavallo così selvaggio, nessuno poteva avvicinarsi, figuriamoci sellarlo, nessuno, nessuno tranne Zoya.

 

Lo aveva scoperto una volta che aveva portato il tè alla mamma di James, il maggiordomo, lo aveva visto nel maneggio mentre Tom ed il conte provavano a domarlo, tutto lavoro inutile.

 

Zoya quella stessa notte aveva rubato una carota dalla cucina e era andata da quello strano cavallo matto come molti lo avevano definito.

 

E così quello era diventato un'appuntamento quotidiano, che anche oggi aveva convinto Zoya ad alzarsi presto per portare fuori Tempest.

 

Una volta di fronte al suo box, aveva preso la cavezza e la sella e si era diretta di fuori, una volta montata, si era lasciata guidare lungo le vie del parco, attorno alla quercia secolare, nei paraggi del cottage, lungo le rive del piccolo laghetto.

 

Ad un tratto qualcuno urlò qualcosa, Zoya si girò appena in tempo per vedere il conte che si dirigeva di corsa verso di lei e Tempest, che nel frattempo si era messo a brucare l'erba ancora umida per la rugiada mattutina.

 

" Zoya, sei matta quello è un cavallo selvaggio. "

" Oh, mi scusi non sapevo che i cavalli selvaggi fossero così disponibili per una cavalcata "

" Non fare la spiritosa, guardalo "

 

Zoya si girò appena e vide Tempest che continuava tranquillamente a mangiare l'erba del prato.

 

" Si, si direbbe proprio un cavallo selvaggio "

 

 

 

(…)

 

 

 

 

Dopo aver riportato Tempest, nelle stalle, Zoya si era ritrovata di fronte al conte. Si sentiva sotto processo, Tom dal canto suo cercava di spiegare di come coraggiosamente Zoya si era avvicinata al cavallo e lo aveva domato, non che il conte non stupito, ma odiava dover ammettere che una donna era riuscita dove lui aveva fallito miseramente.

 

" Non è colpa sua.. lei ha dato al cavallo una carota e lui si sarà affezionato "

" Affezionato? "

" Si conte "

 

Zoya interruppe quella diatriba che si era creata.

 

" Basta così. Non cavalcherò più, mi dispiace " e così facendo uscì dallo studio del conte in lacrime, ora le era stato tolto l'ultima cosa che la rendeva davvero felice, si ritrovò in camera e in un attimo fu sul tetto abbracciata a quel gargoyle che anche se di pietra trasmetteva più amore che tutti gli altri umani in quella villa.

 

Era vero l'Inghilterra era un popolo di ipocrisia e freddezza, e Zoya ora ne era ancora più convinta, appoggiò la testa contro la spalla della statua lasciando che le lacrime scendessero senza controllo.

 

 

Tom e Mark erano rimasti di stucco quando Zoya era uscita dallo studio, Tom non aveva potuto fare altro che dispiacersi tantissimo, quella ragazza era riuscita a domare un cavallo, figuriamoci quali altre doti nascoste aveva, mentre Mark non si era pentito delle sue parole, era troppo orgoglioso per ammettere che aveva sbagliato, dopo tutto ora un cavallo così gli avrebbe reso il doppio.

 

 

Lei.

Lei.

Lei.

Zoya.

 

 

Era il suo pensiero fisso, la sua croce, avrebbe fatto di tutto per capire davvero chi era, qualcosa sul suo passato ma per come si era comportato, non aveva scusanti, se voleva conoscerla e parlare con lei doveva chiederle scusa.

 

Non lo aveva mai fatto, nemmeno con sua madre, era troppo orgoglioso. Figlio unico, si era sempre sentito uno scalino sopra gli altri.

 

Ora doveva davvero scendere e provare a capire quella ragazza. Busso alla porta della piccola soffitta sperando che ci fosse, ma non rispose nessuno così indugiò un po' e poi aprì la porta. La finestra era aperta e le tende svolazzavano, si sporse in avanti e guardò il altro verso il tetto, quando vide Zoya appoggiata a quella statua di pietra, in un attimo le fu accanto, lei lo guardò titubante e poi si appoggiò alla sua spalla e pianse, pianse tutte le lacrime che aveva.

 

Lui aspettò che si sfogasse prima di pruonunciare le parole tanto difficili per lui, prese fiato e le disse dolcemente.

 

" Scusa non volevo, puoi cavalcare Tempest tutte le volte che vuoi ".



Piccola nota dall'autrice, non chiedo molto ma vorrei che voi che leggete silenziosamente lasciate almeno una traccia del vostro passaggio, anche solo una recenzione, dato che la mia storia è seguita da un tot di persone non pubblicherò il prossimo capitolo fino a quando questo capitolo non sarà recensito da almeno 5 persone.

Grazie dell'attenzione ;'D

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Capitolo 7
*** Il ballo ***


 

 

 

- Il ballo

 


 

" ...Siete tutti cordialmente invitati

 al regale ballo annuale indetto dalla

 regina a Buckingham palace ...".

 


 

Semplice, Lineare, Diretto.

Nulla nella vita di Mark era mai stato lasciato al caso, ne la scelta dei vestiti per la scuola, ne il nome del primo orsetto, l'apparenza prima di tutto. Forse quella piccola domestica aveva visto giusto, dopo tutto l'Inghilterra era un paese di freddezza e ipocrisia, consono o non consono, protocollato da una serie di regole, che Mark avrebbe evitato, ma nascere conte era anche questo.

 

 

Zoya aveva saputo del ballo una mattina mentre era in cucina, quella mattina c'era un gran trambusto, e vista l'ora le sembrava strano che fossero tutti già svegli. 

 

 

"Che succede, chiese entrando timidamente in cucina"

"Il conte è stato invitato ad un ballo, ma non ha una dama"

"Ah.. e non può andarci da solo?"

"No Zoya, non sarebbe consono"

 

Mark dal canto suo sapeva chi voleva portare: Occhi verdi come il mare più cristallino, capelli rossi come le fiamme e lentiggini attorno al suo naso perfetto.

 

Ma che gli stava succedendo, non pensava ad una ragazza da quando… no era troppo doloroso ricordare, era meglio non pensarci, passarci sopra, quella parte della sua vita non esisteva, ne era mai esistita.

Era diventato freddo per colpa sua, Lei lo aveva rovinato. Jenna.

 

Aveva invitato un suo caro amico, conosciuto ai tempi di Oxford, a trascorrere un periodo alla villa, lo aveva fatto anche per distrarsi, per evitare di svegliarsi la mattina e correre da Zoya, come un ragazzetto innamorato, l'invito della regina era esteso a tutta la famiglia e amici quindi vi avrebbe portato anche Benjamin.

 

 

 

 

Mark aveva chiesto a James di andare a prendere alla stazione Ben, che sarebbe arrivato con il treno delle 10.35 a King's Cross.

Arrivò puntualmente 15 minuti dopo. Mark lo accolse con una stretta di mano calorosa e lo accompagnò nelle sue camere, un'oretta più tardi uscirono a fare shopping, riuscì a distrarsi completamente.

 

 

Non parlò e non vide Zoya per una settimana e non chiese di lei, poi un giorno ci cascò e per caso chiese a James dove fosse Zoya.

 

 

"È andata a casa."

"Senza il mio permesso?"

"Sua madre non stava bene."

"Come stà ora?"

"Non lo so"

 

 

Stava praticamente distruggendo quella matita, non aveva mai avuto tic nervosi ma in quel momento non sapeva quale fosse la cosa più giusta, dopo tutto non erano amici, ma era preoccupato, preoccupato per quello che aveva provato in precedenza, fuggire dalla guerra non doveva essere facile per nessuno.

 

 

 

(…)

 

 

 

A Mark quella casa pareva una casa per le bambole, era fermo davanti alla porta da un tempo che a lui parava poco ma aveva visto i bambini tornare da scuola per il pranzo e tornare per le lezioni del pomeriggio, e avevano iniziato a  ridacchiare. Stupidi ragazzini.

 

 

Busso trattenendo il fiato, quando la porta si aprì vi trovò davanti una donna sulla quarantina, non poteva essere la madre di Zoya, o a meno che non gli avesse mentito, ma era impossibile.

 

 

"Cercavo Zoya"

"Si certo si accomodi, la chiamo subito" la donna sparì dietro ad una porta e poco dopo comparve Zoya, Mark non aveva avuto l'occasione di ammirarla con un vestito che non fosse la divisa da domestica, era un vestito rosa pallido, con una fascia in vita e un grande fiocco sul retro i capelli erano raccolti in una treccia lunga quasi fino al fondoschiena.

 

 

Restò un attimo spiazzato dalla sua bellezza, una cosa la colpì non sorrideva e i suoi occhi erano tristi, molto probabilmente aveva pianto.

Lui non sapeva che cosa dire o fare, così fece un passo verso di lei, che lo guardò preoccupata, lui annullò la distanza tra di loro stringendola tra le sue braccia, e poco dopo sentì lei piangere.

 

"Sta bene, il dottore ha detto che era stress, ma deve restare in casa, sai potrebbe anche prendere un raffreddore e morire"

"Sono contento, tornerai vero?"

"Certo" e dopo parecchi giorni un sorriso comparve sul viso di Zoya ed era tutto merito di Mark, era il suo angelo, come lei lo era per lui.

 

 

 

(…)

 

 

 

Mark aveva pensato parecchie volte su chi fosse la più indicata da invitare al ballo della regina, secondo sua madre doveva essere un mostro di ragazza, almeno questo era quello che diceva Mark, secondo lui doveva solo essere bella e simpatica e ovviamente avere una passione comune alla sua, come l'equitazione, e l'unico nome che vagava nella sua mente era il suo.

 

Zoya.

 

Tre giorni dopo lei tornò, era tornata la vecchia Zoya, sorridente e non era un sorriso forzato, le sorridevano anche gli occhi, e da lì si aveva l'accesso all'anima di una persona.

 

Mark la guardava camminare lungo il viale e poco dopo si accorse che anche Ben la stava guardando, conosceva quello sguardo, la gelosia gli montò dentro come un tizzone. Lei era sua.

 

Sua?

Sua?

Si, Sua.

 

Corse di sotto mentre lei poggiava la valigia a terra e mentre si voltava per chiudere la porta.

 

Lei non lo vide nemmeno arrivare, si voltò e lui era lì, di fronte a lei.

Lui che era venuto fino a casa sua per verificare che stesse bene, cosa strana che il proprio capo si scomodasse per la sua domestica.

 

"Volevo chiederti una cosa"

"Si?"

"Vieni con me al ballo" lui la guardò con autentica preoccupazione nello sguardo, che cosa avrebbe fatto se lei gli avesse detto di no?

Se gli avesse semplicemente detto: "Non mi interessa, non è consono". Come lei era solita rispondere.

 

"Non ho niente da mettere, ma mi piacerebbe molto" disse sorridendo mentre guardava il conte.

 

Una volta che si furono lasciati e le aveva promesso che per la sera del ballo avrebbe trovato tutto in camera sua, lui si era diretto in camera sua, passando di fronte alla camera di Ben, aveva visto come guardava Zoya, forse invitare Ben alla festa non era stata una grande idea.

 

E tra poco ne avrebbe pagato le conseguenze.




Piccolo angolo autrice, lo scorso capitolo per ora ha ricevuto 35 visite e 5 recenzioni, per questo alzerò il numero di recenzioni a 7 per ora. Vorrei davvero che commentaste in tanti perchè lo so' che leggete e ci siete.

Grazie mille a tutti :'D

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Capitolo 8
*** La sera del ballo ***


Non è vero, come dicono molti,
che si può seppellire il passato.
Il passato si aggrappa con
i suoi artigli al presente.
Sono ventisei anni che sbircio
in quel vicolo deserto.
Oggi me ne rendo conto.

 
-La sera del ballo

 

La sera del ballo a Zoya fu dato il pomeriggio libero, in modo che potesse andare dalla sarta per prendere le misure per eventuali modifiche al vestito.
Il conte aveva imposto che le si prendessero solo le misure non che provasse direttamente il vestito, voleva che fosse una sorpresa.

Zoya era decisamente troppo nervosa, aveva partecipato a centinaia di balli, la maggior parte in suo onore ma mai era stata così nervosa.

La giornata trascorse tranquilla, Zoya si trovava nelle stalle con Tempest da un tempo che le parve relativamente poco, il realtà aveva saltato persino il pranzo.

Mark aveva sentito dire da James che Zoya non si era presentata a pranzo, e lui dalla natura ansiosa, si era precipitato a cercarla in giardino. Ma qualcuno era stato più veloce di lui.

Benjamin stava tranquillamente passeggiando nei dintorni delle scuderie quando sentì una voce provenire dall’interno dell’edificio, non conoscendo la voce, e dalla natura curiosa Ben decise di curiosare.
Aprì la porta scorrevole che era restata socchiusa e guardando all’interno notò che c’era una ragazza che accarezzava il muso di un cavallo dal manto candido come la neve.

La prima cosa che notò Zoya furono le orecchie di Tempest che si drizzavano, segno che aveva sentito un rumore, così si voltò anche lei e vide con la coda dell’occhio una figura che si avvicinava, credendo fosse Mark si rivoltò a fissare Tempest.

“Ti piace proprio quel cavallo, vero?”
“Mh?” girò lievemente il viso, prima di trovarsi di fronte l’amico di Mark, intravisto durante le pulizie nelle camere.

“Posso fare qualcosa per lei?” chiese cordialmente, dopo tutto lei era la domestica, invitata al ballo dal conte, ma pur sempre la domestica e la cortesia prima di tutto.

Mark aveva uno strano presentimento come se Zoya fosse in pericolo, non che potesse farsi male in quel giardino, ma il suo istinto gli diceva di correre a cercarla, e l’unico luogo dove poteva essere era la scuderia.

Ben si stava avvicinando pericolosamente e Zoya non poté che indietreggiare, si sentiva in trappola, non si fidava quasi di nessuno, Mark era uno dei pochi.

Mark arrivò pochi minuti dopo e vide che Ben si stava avvicinando a Zoya, mentre lei lo guardava con evidente terrore dipinto in volto.

“Ben che ci fai qui, credevo fossi nella tua camera!”
“Si ci stavo giusto andando.. scusa il disturbo, dolcezza”


Non appena Ben uscì dalla porta e Mark controllò che non ci fosse nessuno si precipitò verso Zoya che annullò le distanze tra di loro e appoggiò la testa contro il suo petto.


(…)

Un paio d’ore dopo di fronte a Buckingham palace.

“Zoya sei bellissima, smettila di torturare l’orlo del tuo abito”.
“Ma..”
“Shh” Mark le posò un dito sulle labbra e le porse il braccio che lei strinse prima di incamminarsi verso l’entrata del palazzo.
L’abito non era troppo ricercato, almeno per una domestica, ma lei era abituata a altri lussi, ma l’abito era magnifico anche nella sua “semplicità”.
Era stato disegnato, da una sarta di Londra, molto famosa tra la nobiltà.
Aveva un piccolo scollo a cuore, con dei ricami in pizzo, era di un bianco panna mentre la gonna aveva uno strato di un rosa pallido coperto con delle tulle bianche.

Mark si guardava attorno e tutto quello che riusciva a vedere erano gli sguardi d’ammirazione per la sua dama, era sua come si permettevano di fissarla in quel modo.

Zoya era tornata a sentirsi la Contessa Romanova, era così felice in quel momento nulla avrebbe potuto rovinare la sua felicità, tutto tranne in continuo mormorare della folla.

“Ma quella non è..”
“Si è lei, riconosco la foto”
“Dicono che abbia perso tutto”
“Si lavora come domestica in una villa, qui a Londra”
“Povera ragazza”
“Ragazza? Ma quella è una contessa!”

Mark si fermò di scatto guardando Zoya che lo fissava dispiaciuta, evidentemente aveva sentito quello che tutti mormoravano.

“Mi devi dire qualcosa Zoya?”
“Io.. ehm.. veramente..” disse imbarazzata, quando un urlo fece voltare tutti.
“Duska”
“Nene” disse Zoya non riuscendo a contenere le lacrime e si precipitò verso quel ragazzo.

Mark era rimasto in disparte, finalmente sapeva la verità, ma lei aveva un altro. E decise di lasciare loro spazio, mentre si allontanava lanciava occhiate a Zoya che piangeva mentre tastava il ragazzo quasi non riuscisse a credere che fosse veramente li.


“Petja, credevo fossi morto”
“Mi avevano preso, ma io sono riuscito a fuggire”

Avevano parlato per ore seduti in disparte nella grande sala da ballo. Quando Petja però era stato reclamato per un ballo dalla principessa Zoya si era fatta da parte ed era andata a cercare il suo cavaliere.

“Finito si sbaciucchiare il tuo fidanzato?”
“Io e Petja.. non siamo.. fidanzati” disse in un sussurro, come aveva fatto anche solo a crederlo.
“Si e io saluto le mie amiche così calorosamente”
Petja è mio cugino. Credevo fosse morto, loro l’avevano preso, come mio padre eh..” Zoya non riuscì a contenere le lacrime, pensare a suo padre le faceva male e pensare alle sue ultime parole ancora di più.
Mark non capiva lui era solo un borioso, egoista, pieno di se.
Lo odiava, lo odiava proprio.

“Voi sotto specie di inglesotto, con chi credete di parlare, io non sono una poco di buono, nel mio paese il mio nome veniva sussurrato con riverenza, siete solo un egoista pieno di voi.
Vi auguro di passare la vostra vita da solo” disse prima di correre via piangendo.

Forse aveva esagerato, non avrebbe dovuto avere quella reazione, dopo tutto lei e Petja erano molto intimi, ma non per questo era per forza il suo fidanzato.

Mark dal canto suo aveva gli stessi pensieri, ma era troppo, come diceva lei “pieno di se” per potersi scusare, oh si avrebbe preteso delle scuse, ma non quella sera, domani sarebbe stato perfetto.
Non è vero, come dicono molti,
che si può seppellire il passato.
Il passato si aggrappa con
i suoi artigli al presente.
Sono ventisei anni che sbircio
in quel vicolo deserto.
Oggi me ne rendo conto.
 
-La sera del ballo
La sera del ballo a Zoya fu dato il pomeriggio libero, in modo che potesse andare dalla sarta per prendere le misure per eventuali modifiche al vestito.
Il conte aveva imposto che le si prendessero solo le misure non che provasse direttamente il vestito, voleva che fosse una sorpresa.

Zoya era decisamente troppo nervosa, aveva partecipato a centinaia di balli, la maggior parte in suo onore ma mai era stata così nervosa.

La giornata trascorse tranquilla, Zoya si trovava nelle stalle con Tempest da un tempo che le parve relativamente poco, il realtà aveva saltato persino il pranzo.

Mark aveva sentito dire da James che Zoya non si era presentata a pranzo, e lui dalla natura ansiosa, si era precipitato a cercarla in giardino. Ma qualcuno era stato più veloce di lui.

Benjamin stava tranquillamente passeggiando nei dintorni delle scuderie quando sentì una voce provenire dall’interno dell’edificio, non conoscendo la voce, e dalla natura curiosa Ben decise di curiosare.
Aprì la porta scorrevole che era restata socchiusa e guardando all’interno notò che c’era una ragazza che accarezzava il muso di un cavallo dal manto candido come la neve.

La prima cosa che notò Zoya furono le orecchie di Tempest che si drizzavano, segno che aveva sentito un rumore, così si voltò anche lei e vide con la coda dell’occhio una figura che si avvicinava, credendo fosse Mark si rivoltò a fissare Tempest.

“Ti piace proprio quel cavallo, vero?”
“Mh?” girò lievemente il viso, prima di trovarsi di fronte l’amico di Mark, intravisto durante le pulizie nelle camere.

“Posso fare qualcosa per lei?” chiese cordialmente, dopo tutto lei era la domestica, invitata al ballo dal conte, ma pur sempre la domestica e la cortesia prima di tutto.

Mark aveva uno strano presentimento come se Zoya fosse in pericolo, non che potesse farsi male in quel giardino, ma il suo istinto gli diceva di correre a cercarla, e l’unico luogo dove poteva essere era la scuderia.

Ben si stava avvicinando pericolosamente e Zoya non poté che indietreggiare, si sentiva in trappola, non si fidava quasi di nessuno, Mark era uno dei pochi.

Mark arrivò pochi minuti dopo e vide che Ben si stava avvicinando a Zoya, mentre lei lo guardava con evidente terrore dipinto in volto.

“Ben che ci fai qui, credevo fossi nella tua camera!”
“Si ci stavo giusto andando.. scusa il disturbo, dolcezza”


Non appena Ben uscì dalla porta e Mark controllò che non ci fosse nessuno si precipitò verso Zoya che annullò le distanze tra di loro e appoggiò la testa contro il suo petto.


(…)


Un paio d’ore dopo di fronte a Buckingham palace.

“Zoya sei bellissima, smettila di torturare l’orlo del tuo abito”.
“Ma..”
“Shh” Mark le posò un dito sulle labbra e le porse il braccio che lei strinse prima di incamminarsi verso l’entrata del palazzo.
L’abito non era troppo ricercato, almeno per una domestica, ma lei era abituata a altri lussi, ma l’abito era magnifico anche nella sua “semplicità”.
Era stato disegnato, da una sarta di Londra, molto famosa tra la nobiltà.
Aveva un piccolo scollo a cuore, con dei ricami in pizzo, era di un bianco panna mentre la gonna aveva uno strato di un rosa pallido coperto con delle tulle bianche.

Mark si guardava attorno e tutto quello che riusciva a vedere erano gli sguardi d’ammirazione per la sua dama, era sua come si permettevano di fissarla in quel modo.

Zoya era tornata a sentirsi la Contessa Romanova, era così felice in quel momento nulla avrebbe potuto rovinare la sua felicità, tutto tranne in continuo mormorare della folla.

“Ma quella non è..”
“Si è lei, riconosco la foto”
“Dicono che abbia perso tutto”
“Si lavora come domestica in una villa, qui a Londra”
“Povera ragazza”
“Ragazza? Ma quella è una contessa!”

Mark si fermò di scatto guardando Zoya che lo fissava dispiaciuta, evidentemente aveva sentito quello che tutti mormoravano.

“Mi devi dire qualcosa Zoya?”
“Io.. ehm.. veramente..” disse imbarazzata, quando un urlo fece voltare tutti.
“Duska”
“Nene” disse Zoya non riuscendo a contenere le lacrime e si precipitò verso quel ragazzo.

Mark era rimasto in disparte, finalmente sapeva la verità, ma lei aveva un altro. E decise di lasciare loro spazio, mentre si allontanava lanciava occhiate a Zoya che piangeva mentre tastava il ragazzo quasi non riuscisse a credere che fosse veramente li.


“Petja, credevo fossi morto”
“Mi avevano preso, ma io sono riuscito a fuggire”

Avevano parlato per ore seduti in disparte nella grande sala da ballo. Quando Petja però era stato reclamato per un ballo dalla principessa Zoya si era fatta da parte ed era andata a cercare il suo cavaliere.

“Finito si sbaciucchiare il tuo fidanzato?”
“Io e Petja.. non siamo.. fidanzati” disse in un sussurro, come aveva fatto anche solo a crederlo.
“Si e io saluto le mie amiche così calorosamente”
Petja è mio cugino. Credevo fosse morto, loro l’avevano preso, come mio padre eh..” Zoya non riuscì a contenere le lacrime, pensare a suo padre le faceva male e pensare alle sue ultime parole ancora di più.
Mark non capiva lui era solo un borioso, egoista, pieno di se.
Lo odiava, lo odiava proprio.

“Voi sotto specie di inglesotto, con chi credete di parlare, io non sono una poco di buono, nel mio paese il mio nome veniva sussurrato con riverenza, siete solo un egoista pieno di voi.
Vi auguro di passare la vostra vita da solo” disse prima di correre via piangendo.

Forse aveva esagerato, non avrebbe dovuto avere quella reazione, dopo tutto lei e Petja erano molto intimi, ma non per questo era per forza il suo fidanzato.

Mark dal canto suo aveva gli stessi pensieri, ma era troppo, come diceva lei “pieno di se” per potersi scusare, oh si avrebbe preteso delle scuse, ma non quella sera, domani sarebbe stato perfetto
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