Amnesia

di Lykill_KeyHole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part 1 ***
Capitolo 2: *** Part 2 {Final} ***



Capitolo 1
*** Part 1 ***


-Titolo: Amnesia.
-Autore: BlingingLockette.
-Pairing: JongKey.
-Genere: Angst; Romance; Twoshot.
-Personaggi: Kim Jonghyun; Kim “Key” Kibum.
-Warnings: //
-Rating: Verde.
-Capitoli: 2
-Disclaimer: Io, in qualità di traduttrice, non possiedo nulla di questa fanfiction, e la vera autrice nulla riguardo i personaggi.
-Link della storia originale: http://www.asianfanfics.com/story/view/284011/amnesia-angst-jonghyun-jongkey-key-kibum-romance-twoshot

Amnesia








Aprii gli occhi. C’era questo profumo, che aleggiava nell’aria, qualche tipo di cologne. Non l’avevo mai annusato prima. Spostai il mio sguardo dal soffitto. La stanza era strana, non familiare. Il cuore cominciò a battere velocemente contro il mio petto. Non c’era niente di familiare. Non sapevo dove fossi.
Cosa avevo fatto la notte precedente? In che tipo di party ero stato?
 
Aspetta, avevo almeno i vestiti addosso? Febbrilmente gettai via la coperta. Indossavo i pantaloni di un pigiama ed una t-shirt sgualcita che non avevo mai visto in vita mia. Che diavolo era successo?
 
Proprio mentre cercavo di prendere respiri profondi, notai qualcosa che mi fece saltare dalla mia parte di letto. O meglio qualcuno. C’era un dannatissimo ragazzo nel mio letto. Non nel mio letto, ma probabilmente nel suo
C’era un bellimbusto, che non avevo mai visto in vita mia, nel letto con me. Cazzo, cazzo, cazzo. Questo non sta accadendo. Cosa diavolo ho fatto la scorsa notte?
 
Mi afferrai il capo solo per mugolare sorpreso quando trovai morbidi capelli. Corsi verso l’unica porta della stanza, cercando di essere il più veloce e silenzioso possibile, ed avanzai nel corridoio, aprendo un paio di porte finché non trovai il bagno.
 
Ci entrai ma mi bloccai per un attimo. Aprendo nuovamente i miei occhi e cercando di controllare il mio rapido cuore ed il respiro irregolare, feci lentamente qualche passo fino allo specchio. La vista che mi si presentò mi fece emettere un verso di orrore.
 
Nello specchio non c’era il diciassettenne con i capelli per metà rasati, ma un me più vecchio con capelli di un marrone scuro ed arricciati. Non credendo al terribile cambio, portai le mie dita sul mio viso, sfiorando la mia pelle, notando i primi segni di rughe attorno ai miei occhi.
 
Solo quando soppressi le lacrime di shock dal riempirmi gli occhi, notai le fotografie fissate sullo specchio. Con mani tremanti presi la prima per poterla osservare.
 
C’ero io come mi ricordavo, sebbene non ricordassi della foto scattata. Stavo mangiando un gelato. Io odiavo il gelato.
Nella successiva c’ero io con gli stessi abiti, ma con quel ragazzo, quello con cui mi ero svegliato accanto. Eravamo seduti sulla panchina di un parco e stava mantenendo la fotocamera il più lontano possibile, per far entrare entrambi nell’immagine. C’erano sorrisi sui nostri visi.
 
Presi la prossima foto nelle mie mani. Avevo un taglio differente di capelli. Era abbastanza normale se non per la frangia tagliata diagonalmente. Mostravo il dito medio, ma il sorriso senza pensieri sul mio volto era qualcosa che non ricordavo aver mai avuto.
 
Con un intorpidimento così non da me, afferrai l’ultima foto. La foto era stata presa da una terza persona ed eravamo di nuovo io e quel ragazzo, in una strada trafficata, mani unite in mezzo, e sorrisi sui volti.
 
Non sapevo più neanche cosa pensare. Fissai prima la fotografia, poi lo specchio, la testa che girava e nulla che avesse senso. Chiunque fosse quel ragazzo, io non ero gay. Piazzai le fotografie vicino al lavandino, voltando la schiena al mio riflesso ed incamminandomi nel corridoio.
 
Aprii qualche porta, silenziosamente cercando dei vestiti. In realtà qualsiasi vestito sarebbe stato utile. Senza notarlo ero già entrato nella stanza dove mi ero svegliato. Non avevo idea di cosa stava accadendo ma sapevo che dovevo andarmene da lì.
 
“ Oh, sei sveglio. “ La voce mi spaventò, facendomi girare di colpo. Il ragazzo era ancora sdraiato nel letto, ma i suoi occhi erano ben aperti. Lo fissai, pensando alla mia prossima mossa. Non era brutto, a dir la verità. Attualmente era molto attraente. Divertente, assomigliava un po’ ad un dinosauro.
“ So che sei confuso, e se aspetti un minuto, ti spiegherò tutto, Kibummie. “
 
I miei occhi si spalancarono a quel nomignolo. Ciò di cui ero sicuro era che nessuno, davvero nessuno, mi chiamava in quel modo. Il mio nome era Key. Tutti i miei amici sapevano che ero Key. In tutta la mia vita non avevo mai detto a nessuno il mio vero nome. Era l’unica certezza che avevo.
 
Sorridendo, si alzò dal letto. Mi girai quando notai il suo petto scoperto, muscoli ed addominali ben definiti. Ridacchiò leggermente ed io pretesi di ispezionare la zona circostante, camminando fino alla scrivania e guardando i fogli pieni di una terribile scrittura. Realizzai che erano per la scuola.
 
Quando mi girai, per chiedere al ragazzo a riguardo, lo scoprii a fissarmi con un sorriso triste. A quel punto scosse il capo e mi segnalò di seguirlo.
 
Andammo in una cucina. I miei occhi caddero sull’orologio, che segnalava che erano appena le nove passate. Il ragazzo si girò verso la macchinetta del caffè ed io mi sedetti al tavolo, guardandolo silenziosamente. Prese delle cose dal frigo e cominciò a preparare dei sandwich, tranquillamente canticchiando tra sé. Lo fissai soltanto, non avendo davvero qualcosa da dire. Solo quando realizzai che non sapevo neanche il suo nome aprii bocca.
 
“ Il mio nome è Jonghyun. “ Portò lo sguardo su di me e mi sorrise. Era carino, glielo concedevo. In realtà sembrava un cucciolo.
 
“ Ho ventisei anni e lo stesso tu. Lo spiegherò in un secondo. “ Finì i sandwiches, posò il piatto tra di noi e mi segnalò di prenderne uno. Quando lo feci, sistemò due tazze di caffè sul tavolo e si sedette.
 
“ Okay. So che non sai cosa ti sta succedendo, ma ho bisogno che tu ti fidi di me riguardo ciò che sto per dirti. “ Disse, sorseggiando il suo caffè e prendendo un sandwich. Per qualche ragione sembrava uno di cui potersi fidare. Il minimo che potevo fare era ascoltarlo. Poi avrei deciso se credergli o no.
 
“ Soffri di amnesia. Puoi ricordarti le cose solo per un giorno. Quando ti addormenti, dimentichi tutto. Di solito non ricordi molto dopo il tuo diciottesimo compleanno. So che non mi riconosci. E so che non è colpa tua. “ con le sue ultime parole potevo vedere quanto tentasse con difficoltà di mantenere il sorriso al suo posto.
 
Mi sorpreso come andò subito al dunque. Doveva essere ormai abituato a spiegarmi queste cose, sapeva che odiavo quando si girava attorno alle cose. Amnesia. In realtà spiegava tutto. Perché non apparivo più come un diciassettenne, perché non ero a casa, perché ero nello stesso letto con lui. Beh, non esattamente quello.
 
“ Non sono gay. “ Dissi senza pensare, sentendo il bisogno di difendere me stesso. Quando notai il suo cambiamento di espressione, me ne pentii immediatamente. Sembrava come se il suo cuore si fosse rotto. Ma fu veloce a coprirlo.
 
“ Lo so che è dura d’accettare, però… Ci siamo davvero amati. Ti amo ancora. Ti amerò, sempre. Non preoccuparti, non mi aspetto che tu mi ami di rimando. Capisco che tu mi hai praticamente incontrato oggi. Ma… Eravamo felici. Per favore, non dubitarlo. “
 
Le sue parole erano sincere, potevo dirlo. Mi sentii improvvisamente triste per lui. Se davvero avevo amnesia come aveva detto ( e non avevo ragioni per credergli né per non credergli ) doveva avere avuto una vita incasinata. Per amare qualcuno che non ti amerà mai di rimando, che non ti riconosce neanche, che non ha un futuro. Per amare qualcuno come me.
 
“ Non ho molto tempo. Devo andare a lezione. “ Disse, mentre posava la sua tazza nel lavandino “ Vieni con me. “ Mi portò in soggiorno. C’era una TV, un divano confortevole e nell’angolo su un tavolo potevo vedere pennelli e colori.
 
“ Puoi non saperlo, ma ti piace davvero dipingere. Solo prova, ed uscirà magnificamente, te lo assicuro. Hai talento. “ Ascoltai dubbioso le sue parole. Dipingere non sembrava adatto a me.
 
“ Tornerò verso le tre. Così possiamo andare a pranzo assieme. Se hai fame, c’è del cibo in cucina, basta guardare sugli scaffali o in frigo. Puoi uscire per una passeggiata se vuoi, ma per favore torna prima delle tre. Altrimenti dovrò chiamare di nuovo la polizia. “ Lo disse con tono leggero ed un sorriso, eppure per qualche ragione mi sembrò che non scherzasse.
 
Camminò verso la porta e si mise una giacca leggera. Prese una sacca che non avevo notato prima e mi salutò, il suo sorriso mi fece sentire un pochino meglio. Comunque, non appena la porta si chiuse dietro di lui, la sensazione sparì e venne rimpiazzata dall’ansia.
 
Passai da una stanza all’altra, osservando tutto, cercando di trovare qualcosa di familiare. Se avessi ricordato almeno qualcosa… ma non lo feci. Non ricordai nulla.
La depressione mi colpì mentre attraversavo camera dopo camera. Presi delle cose in mano, le tastai, occhi chiusi e provandoci duramente. Nulla. Non avevo assolutamente nulla.
 
Avrei desiderato che le lacrime si placassero. Piangere non avrebbe cambiato nulla. Lo facevo probabilmente ogni giorno. Camminavo probabilmente attorno allo stesso posto, facendo le stesse cose, piangendo sulla mia stessa sfortuna. Patetico. Ero assolutamente patetico.
 
Perché vivevo? Non era una vita questa. Era un incubo. Qualsiasi cosa avessi fatto, avessi sentito, sarebbe sparita il giorno successivo. Mi sarei svegliato e non avrei ricordato nulla.
 
Sarei andato in panico, trovando lui nel letto, di nuovo? Avrei pianto sui miei anni persi di nuovo? Lo avrei ascoltato dire le stesse cose, sentire le stesse confessioni? Era ogni giorno della mia vita lo stesso? Uguale fino alla fine? Per anni e anni? Per quanto? Per quanto potevo vivere in questo modo? Vivere senza passato e futuro.
 
Ero già morto. Non ero una persona. Ero solo qualcosa di rotto, che ripeteva le stesse cose giorno per giorno. Nessuna verità, nessuna menzogna, solo un ripetersi.
 
Mi avviai verso il soggiorno. Erano quasi le undici. Che cos’era un’altra ora persa in mezzo ad anni di totale oscurità? Non avevo nulla da fare e tutto il tempo del mondo da ammazzare. Potevo almeno provarci.
 
Trovai della carta e presi un pennello e dei colori acrilici. Chiudendo i miei occhi, visualizzai il risultato e mi misi all’opera. Per mia sorpresa, mi venne tutto naturale. Senza pensarci presi del colore ed il pennello cominciò a far lavorare la sua magia senza mie direzioni. Venne tutto dall’interno, non aveva nulla a che fare con me. La mia mano si muoveva di sua volontà, seguendo i comandi di qualcun altro. Ed i miei occhi registrarono tutto in meraviglia.
 
Mi bloccai e diedi un’occhiata al dipinto. Non avevo più nulla da sistemare. Con un soffice sospiro posai il pennello.
 
Lanciai uno sguardo all’orologio, notando solo in quel momento tutto il tempo che era passato. Eppure avevo ancora tre ore prima che quel ragazzo – Jonghyun, corressi me stesso – tornasse.
 
Non dissi a casa. Perché non era casa mia. Non era familiare, non mi sentivo sicuro. Era estranea e sconosciuta. E Jonghyun era solo un ragazzo. Non poteva essere niente di più. Forse prima, ma ora non più. Questa era e sarebbe sempre stata la mia vita, dove niente sarebbe stato mio. Nessuno sarebbe stato mio.

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Capitolo 2
*** Part 2 {Final} ***


Andai di sopra e frugai nell’armadio, prendendo un paio di jeans, una maglietta ed un pesante maglione di lana. Me li misi e mi guardai allo specchio. Anche se non avevo più diciassette anni, questo non significava che non potevo più essere alla moda. Mi sistemai i capelli con le dita e quando fu soddisfatto mi diressi alla porta d’ingresso.
 
Trovai numerosi stivali e presi il primo paio che catturò il mio sguardo. Comparve un sorriso sul mio volto quando notai che il cuoio scintillante mi calzava alla perfezione. Li sistemai e mi guardai attorno, controllando di non aver dimenticato nulla. Che ironia.
 
Presi le chiavi che erano nella serratura ed aprii la porta, dando il benvenuto al maleodorante corridoio. Chiusi la porta e feci scivolare le chiavi nella mia tasca, osservando la soglia per essere sicuro di ricordarmela.
 
Scesi per le scale, contando i piani finché non arrivai a quello terreno. Uscii nell’aria fredda e mi guardai attorno, ammirando tutti i colori dell’autunno. Guardai la casa e cercai per le finestre di Jonghyun, più confidente quando le trovai.
 
Lasciando uscire un piccolo sospiro cominciai a camminare. Non faceva molto caldo e quasi mi pentii di non essermi coperto di più. Feci scivolare le mie mani nelle tasche e con mia sorpresa ne estrassi dei soldi. Non erano molti, ma abbastanza per un caffè ed una torta.
 
Mi chiesi se tutte le tasche avevano la stessa quantità di soldi. Se Jonghyun controllasse i vestiti ogni sera, mettendo dei soldi dove li avevo usati. Perché non mi aveva detto dove teneva i soldi. In realtà, era abbastanza intelligente. Se l’avessi saputo sarei fuggito. Forse l’avevo fatto. Forse era per questo che aveva deciso di fare ciò. Ma non potevo saperlo. E non glielo avrei chiesto.
 
Mi scoprii a cercare delle insegne. Mi sarebbe davvero piaciuto andare ad un cafè. Avere una calda tazza di coffee e naturalmente almeno un pezzo di torta.
 
Ero sicuro che Jonghyun era a conoscenza di quanto amassi le torte. Avevano un profondo significato per me, ed era per questo che mi aveva lasciato quei soldi. Mi ricordava il mio amico d’infanzia. Andava pazzo per i dolci ed in particolar modo per le torte. Ogni volta che aveva voglia andavamo ad un bar e ne prendevamo una. Ne prendeva due, tre, una volta anche quattro pezzi, dipendeva dall’intensità della sua tristezza.
 
Le belle cose non durano per sempre, e non durano mai abbastanza. La vita è crudele ed un giorno senza preavviso ho dovuto dirgli addio. Ma non l’avrei mai dimenticato. Il mio Taemin. Il mio Taeminnie.
 
Finii per prendere due pezzi di torta – uno per me ed uno per Taemin. Mi sedetti al tavolo vicino alla finestra e mangiai entrambi i pezzi, uno dopo l’altro. Quando fui pronto per andarmene, guardai attorno e trovai un orologio che mi diceva che avevo meno di due ore per tornare indietro.
 
Lasciai il cafè e camminai più a lungo per la strada. Presto notai un parco ed in poco tempo mi ritrovai circondato da una confusione di colori.
Mi era sempre piaciuto l’autunno. Era colorato eppure freddo e scuro. Era pieno di contraddizioni e di ignoto. Non era uno né l’altro. Non c’era cosa che non possedesse. Era qualcosa nel mezzo, che aveva di tutto e di più.
 
Improvvisamente capii tutto. La logica, la bellezza in esso. Sentii lacrime riempire i miei occhi. Non le trattenni, ma le lasciai cadere. Finalmente avevo compreso tutto quanto.
 
Tracce di lacrime erano ancora visibili sulle mie guance quando arrivai nell’appartamento. Sbloccai la porta e mi tolsi gli stivali.
Mi diressi in soggiorno, gettandomi sul divano. Mi sentivo esausto, volevo solo dormire. Così chiusi i miei occhi.
 
 
* * *
 
 
Mi svegliai quando una mano mi scosse la spalla. Aprii gli occhi e mi ritrovai a fissarli in un altro paio, marrone e familiare. Jonghyun sorrise ed ebbi nuovamente l’impressione che assomigliasse ad un cucciolo. Espressi il mio pensiero ad alta voce ed il suo sorriso si ampliò, prima di rispondermi che se lo sentiva dire spesso.
 
Mi sedetti e guardai attorno, ma un pensiero mi bloccò e rimasi immobile, ripetendo le informazioni nella mia mente. Mi ero addormentato, come mai ricordavo ancora tutto? Chiesi a Jonghyun al riguardo.
 
“ Dimentichi quando cadi in un sonno profondo, come ogni notte. I sonni leggeri come un pisolino non fanno alcuna differenza. “ Spiegò, mentre gli permisi di aiutarmi ad alzarmi dal divano. Diedi un’occhiata all’orologio. Erano le quattro passate.
 
“ Stavo pensando che potremmo andare a pranzo da qualche parte. Niente di costoso, non ho poi così tanto. Ma sono sicuro che troveremo qualcosa di decente. “ Mi lasciai trascinare fino alla porta d’ingresso, dove frugò in un armadio vicino e mi porse una giacca.
 
“ Si sta facendo freddo ogni giorno di più. Sei andato fuori oggi? “ Annuii in risposta, mettendomi la giacca e rimanendo un momento di fronte allo specchio, incapace di evitare la scarica di shock dovuta alla visione della mia figura non familiare.
 
Almeno ero ancora bello. Jonghyun aveva stile, davvero. Tutti i vestiti che avevo visto oggi erano alla moda e piacevoli. La giacca che indossavo mi calzava alla perfezione, ed era proprio di mio gusto. Il riflesso del sorriso di Jonghyun apparve dietro di me e le sue parole furono tranquille.
 
“ Un giorno, quando ne avevo uno libero, siamo andati a fare shopping. Lo hai comprato da solo. Ti piace? “ Di nuovo annuii in risposta, ma in qualche modo sembrava che non fosse turbato dal mio silenzio. Mi chiesi se era così ogni giorno. Allora doveva esserci abituato.
 
Mi diedi una mossa a mettere gli stivali e li sistemai bene. Quando mi raddrizzai, era già alla porta, aspettandomi. Mi lasciò uscire per primo e chiuse e bloccò la porta.
 
Quando raggiungemmo la strada camminò nella parte opposta da quella per cui avevo camminato prima. Il cielo si stava già scurendo, spesse nuvole che lo rendevano grigio. Era stupendo.
 
“ Non hai freddo, vero? “ Gli dissi che non ne avevo.
 
“ In realtà ero a casa già da poco più tardi delle tre ma mi eri apparso così tranquillo che non volevo svegliarti. Ooh, c’è qualcosa di particolare che ti va di mangiare? Qualche desiderio speciale? “
 
Quando scossi le mie spalle, il suo sorriso si sollevo. “ In effetti lo sapevo già. Non mi rispondi mai quando te lo chiedo. “ Rimasi a contemplare se davvero non avevo mai alcuna preferenza o non osavo dirgliele.
 
La strada che stavamo percorrendo era abbastanza vuota se non per qualche persona qui e lì. Sentii gocce di pioggia cadere sulla mia pelle. Guardai in alto verso il cielo grigio senza fine e chiusi gli occhi per un momento, assaporando le goccioline che avevano cominciato a carezzarmi il volto.
 
Quando aprii gli occhi ritrovai Jonghyun a sorridermi. “ Andiamo, non vorrai prenderti un raffreddore, vero? “
 
Camminammo più velocemente ed in poco tempo si fermò di fronte ad un piccolo ristorante. Lo seguii all’interno e mi piacque immediatamente la calda atmosfera. Ordinammo il cibo, che era un po’ troppo economico, dovevo dire.
 
Il dubbio comunque sparì non appena presi il primo morso. Era buono. Non magnifico ma di certo apprezzabile.
 
“ Come già sai, il mio nome è Kim Jonghyun. Ho ventisei anni, ma sai già anche questo. Ho una sorella maggiore, il suo nome è Kim Songdam. Mi sto specializzando in musica e composizione. Per alcuni giorni a settimana lavoro come cameriere, ma visto che i miei genitori sono benestanti ho abbastanza soldi per mantenere quel tranquillo appartamento. “
 
Anche se non l’aveva detto, mi aggiunsi mentalmente alle spese. Era innegabile che tutto ciò che potevo portare erano problemi. Ma il pensiero che stava studiando musica portò un piccolo sorriso sulle mie labbra. Ora potevo comprendere cosa avevo visto in lui la prima volta.
 
“ Sono anche in una banda. Posso suonare la chitarra, ma al momento sono il cantante principale. Non siamo famosi ma c’è sempre un po’ di pubblico. Penso che alla gente piaccia la nostra musica. “
 
Volevo aggiungere che probabilmente alla gente piaceva anche lui, perché in tutta onestà, era davvero bello. Aveva muscoli, bei capelli, viso mascolino e stile. E se poteva davvero cantare allora era perfetto. Il pensiero mi irritò. Non ero nulla in confronto a lui. Perché stava sprecando tutto il suo tempo con me quando non potevo essere nulla di quello che meritava?
 
Notando il cambiamento in me, mi prese lentamente le mani, guardandomi negli occhi. “ Ti amo. Non c’è nulla che cambierà questo. So che non ti fidi davvero di me al momento ma credimi quando ti dico che sei la cosa più importante per me in questo mondo. Odio quando accade, ma non posso cambiarlo, nessuno può. Non devi fare nulla. So che non è giusto chiederti nulla. Ma almeno permettimi di amarti. “
 
Le sue parole erano sincere. Ma erano anche stanche. Erano ripetute continuamente, giorno dopo giorno. Quelli erano i suoi sentimenti ma l’emozione era sbiadita. Le parole restavano ma il sentimento era drenato. Era difficile sentirlo un giorno dopo l’altro per anni. Non c’era possibilità di prendere una pausa.
 
Finimmo il nostro cibo in silenzio e quando muovemmo dei passi nell’aria fredda, anche se la pioggia aveva smesso, l’odore di essa era ovunque. Era dominante, ombrando tutto il resto. Era davvero travolgente.
 
Sentii la sua mano prendere cautamente la mia. Le sue dita erano gentili, intrecciate alle mie, dandomi il tempo di poterla allontanare. Ma non lo feci. Lasciai la mia mano riposare nella sua, chiedendomi il motivo.
 
Non era qualcuno vicino a me, non poteva esserlo, per quanto forte tentassi. Mi dispiaceva sicuramente per lui, ma di nuovo era una sua scelta, vivere in questo modo. Non avrei visto la differenza se domani mi fossi svegliato e lui non fosse lì accanto. Era più o meno nessuno per me.
 
Mi sentivo ugualmente male per non poterlo amare di rimando. Guardai le nostre mani, che sembravano unirsi perfettamente, e mi chiesi come potesse sopportarlo. La decisione venne in un secondo. Non più calcoli o pensieri profondi. Era il minimo che potessi fare.
 
Questa notte avrei cercato di essere la persona di cui si era innamorato. Avrei agito come se fossi davvero innamorato di lui. Non gli avrei negato niente ed avrei tentato di tutto per renderlo felice, anche se solo per una notte. Avrei cercato di amarlo. Lo meritava.
 
Fummo di ritorno alle cinque e mezza. Disse che aveva del lavoro da fare e che ero libero di fare quello che volevo. Lo vidi entrare nella sua stanza e per prima cosa controllai in bagno, un piccolo piano che si formava nella mia mente.
 
Guardai dentro i vari cassetti e scaffali, un sorriso che si formò sul mio volto quando trovai quello che stavo cercando.
 
Bussai alla sua porta e diedi un’occhiata all’interno, chiedendogli se era okay uscire per una mezz’oretta. Il cipiglio confuso che comparve sul suo viso fu assolutamente adorabile. Mi rispose di sì e chiusi la porta il più velocemente possibile, evitando qualsiasi domanda.
 
Andai in stanza e frugai in qualche tasca, soddisfatto di trovare soldi in ognuna di esse. Presi tanto quanto ne avevo bisogno e mi diressi alla porta d’ingresso, mettendomi velocemente giacca e stivali.
 
Uscii dall’edificio e corsi nella stessa via che avevamo percorso assieme. Non dovetti camminare a lungo prima di vedere il piccolo market che avevo notato in precedenza. Entrai e camminai tra gli scaffali, prendendo tutto quello che pensavo mi sarebbe servito. Pagai e tornai all’appartamento.
 
Mi assicurai che Jonghyun fosse ancora nella sua stanza, ed a quel punto sistemai tutto sul tavolo da cucina. Aprii la sacca che conteneva il pasticcio congelato di torta al formaggio e lo misi su una teglia, che poi posai in frigo. Tagliai i diversi tipi di formaggio in piccoli cubetti e li sistemai in una ciotola.
 
Cercai negli armadi della cucina e presi due bicchieri da vino. Li piazzai assieme al formaggio sul tavolino del soggiorno, ed accesi una sola luce in penombra, dando alla stanza un’atmosfera calda e sensuale.
 
Con qualche difficoltà avevo trovato delle candele e le accesi, ombre danzanti che mi fecero sorridere soddisfatto. Era decisamente perfetto.
 
Tornai in cucina, controllando il tempo che rimaneva al pasticcio per essere pronto, e posai il vino rosso in frigo.
 
Dopo ciò andai in bagno, sorridendo a me stesso quando estrassi i trucchi che avevo cercato prima. Velocemente usai un po’ di eyeliner e ombretto, rendendo i miei occhi ancora più unici. Usai del fondotinta per coprire qualche punto particolare e quando finii non potei che fissare il mio riflesso per un momento. Ero cambiato. Ma ero ancora bello.
 
Contento per il mio aspetto, mi diressi verso la stanza di Jonghyun. Senza aprire la porta gli chiesi se avrebbe finito presto, e quando mi promise che sarebbe venuto in soggiorno in quindici minuti, andai a controllare il forno.
 
Dopo aver uscito il delizioso pasticcio e sistemato su un grosso piatto, mi spostai in soggiorno, dando un’occhiata più da vicino all’enorme collezione di CD. Giusto mentre stavo decidendo tra due di essi, incapace di scegliere, udii un quieto “ Wow! “ dietro di me.
 
Mi girai e non potei trattenere un sorriso davanti al viso sorpreso di Jonghyun. “ Hai fatto tutto questo? “ Annuii, felice della sua reazione. Il sorriso che comparve sul suo volto mi fece mancare un battito. Per un attimo mi venne il pensiero che la promessa che avevo fatto prima di amarlo non sarebbe stata così difficile.
 
Gli dissi di scegliere la musica mentre andavo in cucina, prendendo la bottiglia di vino rosso dal frigo e controllando per l’ultima volta il mio riflesso.
 
Mi sedetti sul divano e prese posto accanto a me, una dolce musica che gradualmente mi riempiva le orecchie. Aprì il vino e riempì i nostri bicchieri.
 
“ A cosa? “ Chiese, sollevandolo e guardandomi negli occhi. “ All’amore. “ Risposi, la mia voce che tremava appena.
 
Il vino aveva un gusto leggermente dolce, un po’ aspro, però non secco. Era perfetto.
 
“ Grazie, Kibummie, mi hai reso così felice. “ Le sue mani avvolte attorno a me, il capo posato sulla spalla in un abbraccio confortevole. Per mia sorpresa non sembrava affatto strano. Al contrario, mi sentii catturato nel momento, il suo abbraccio stranamente piacevole, l’aria piena della sua deliziosa colonia. Mi ritrovai perfino a desiderare che non si muovesse più.
 
Quando si allontanò, i miei occhi trovarono l’orologio. Erano quasi le sette. Si avvicinò a me sul divano e si chinò, posando nuovamente la testa sulla mia spalla. Bevemmo il vino e parlammo, le sue parole tranquille e sincere.
 
“ Sei davvero bellissimo. E ciò non si è sbiadito negli anni. Sei ancora mozzafiato. “ Le sue dita mi carezzarono la pelle e chiusi gli occhi per lasciargliele passare sulle mie palpebre.
 
Il suo tocco non era sgradevole. Non era fastidioso né repulsivo. Era piacevole e soffice, mi faceva avvertire delle cose che non avevo mai pensato prima. Mi sentivo amato e non volevo che smettesse.
 
Le sue braccia attorno a me, mi facevano sentire al sicuro. In tutta la mia vita, in cui non potevo essere sicuro neanche di una cosa, sentii finalmente di stare bene. Finché avevo Jonghyun, tutto era okay.
 
Non lo fermai quando le sue labbra si avvicinarono alle mie. Non lo allontanai, quando avvertii la loro morbidezza e si avvicinò ancora di più. Non sentii alcun disgusto, come avevo pensato di dover provare. In realtà lo volevo anche io. Il bacio era soffice e dolce e quasi inesistente. E non era abbastanza.
 
Fui io ad approfondire il bacio. Fui io a posare le braccia attorno al suo collo, avvicinandomelo. Fui io, a socchiudere le labbra e lasciandolo carezzarmi.
 
I miei occhi trovarono l’orologio. Erano le nove passate. La musica si era fermata, ma non me ne importò affatto al momento.
Ogni cosa era perfetta. Io mi sentivo perfetto.
 
 

Non siamo chi siamo. Non siamo chi saremo. Siamo qualcosa nel mezzo, che mantiene tutto e niente.
Siamo qualcosa senza passato. Senza passato non c’è futuro. Senza passato né futuro non c’è il presente.
L’amore è incondizionato. Senza amore non c’è felicità. Senza felicità non c’è persona.
I sogni non sono raggiungibili. Se lo fossero, non sarebbero sogni. Sarebbero realtà.
Non c’è realtà. Realtà è ciò che creiamo.
La vita è un’illusione.
La vita è abbastanza inutile.

 
 

Aprii gli occhi. C’era questo profumo, che aleggiava nell’aria, qualche tipo di cologne. Non l’avevo mai annusato prima. Spostai il mio sguardo dal soffitto. La stanza era strana, non familiare. Il cuore cominciò a battere velocemente contro il mio petto. Non c’era niente di familiare. Non sapevo dove fossi.

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