Il mare non cambia colore. di Walter_Larini (/viewuser.php?uid=299111)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - La gabbiano sveglia. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno - Beppe ***
Capitolo 3: *** Capitolo due - Tentazione ***
Capitolo 1 *** Prologo - La gabbiano sveglia. ***
Kalib si sveglia con l'urlo di un gabbiano nelle orecchie e la puzza di
pesce nell'aria. I vestiti sono umidi e il naso e la gola pieni di
catarro. Tira su col naso e sputa. Dormire all'aperto non è mai un
bene, soprattutto se dormi sugli scogli, ma quella era l'unica
alternativa che gli restava dopo aver fatto arrabbiare Erik, il barbone
tedesco che controllava, insieme ad altri 50 senzatetto, le spiaggie
della zona. Era arrivato a Lampedusa da circa una settimana, sopra ad
un battello a vapore, insieme ad altre 60 persone, per lo più famiglie.
Lui no. Lui aveva affrontato quel viaggio da solo, lasciando sua
moglie e suo figlio Mohamed a casa, in Libia. Da quando era arrivato
non aveva smesso un giorno di pensarli, e si chiedeva anche ora se
stessero bene e avessero fame. Non ha nulla, Kalib. Appena salito sulla
nave, i suoi bagagli erano stati presi come pagamento del viaggio dal
capitano e dai marinai della Libia Akbar, che sembravano usciti da
poco di prigione. Il capitano, un uomo brutto, sulla 60ina con la barba
bianca e un orecchino al naso, aveva dato loro il benvenuto
intimandoli, con un cenno alle guardie armate ai lati della nave, di
non creare problemi. E Kalib non ne aveva creati, aveva atteso per
tutta la durata del viaggio in un angolo, uno dei pochi all'asciutto
dalle perdite del tetto della stiva. Era riuscito a non ammalarsi e ad
avere abbastanza cibo da superare il viaggio di 3 giorni senza
indebolirsi. Era sceso dalla nave senza perdere la dignità. Ma quello
che lo aspettava era ben più duro di un viaggio in mare.
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Capitolo 2 *** Capitolo Uno - Beppe ***
Appena sveglio, Kalib pensò a come procurarsi da mangiare. I primi
giorni non erano stati difficili. Era riuscito a rubare un salame e un
pezzo di formaggio dalle cucine della nave, rischiando di
essere scoperto e di fare una brutta fine. Aveva trovato un vecchio
zaino nero dell'Invicta abbandonato sul molo, probabilmente da un
pescatore, e nei cassonetti di un hotel aveva trovato una bottiglia di
plastica vuota, da riempire alla fontana pubblica in piazza. Razionando
questi viveri erano passati 8 giorni, ma il salame era finito, cosi
come il formaggio, e il decimo giorno Kalib aveva fame. Cosi, alla
disperata ricerca di cibo, Kalib vagò per il molo 3, poco lontano dal
punto in cui era sceso dalla LIbia Akbar. Voltando lo sguardo verso il
mare, Kalib vide un uomo sulla 60ina, alto e a torso nudo. La sua pelle
era abbronzata e rovinata dal sole, tanto da sembrare cuoio. L'uomo
portava un paio di occhiali da sole sportivi, neri, e un cappello con
la visiera rosso. Kalib lo guardò lavorare, dimenticandosi del tempo
che passava e della fame che gli attanagliava lo stomaco. Prendi il
secchio, riempilo d'acqua con la canna, butta l'acqua sul ponte, lava
il ponte con il mocio. E via cosi, ripetendo i movimenti, senza
fermarsi, senza stancarsi. Era passata un ora e Kalib si era
seduto per terra, in mezzo alla banchina, con lo sguardo fisso. L'uomo
dapprima fece finta di niente, pensando che fosse un drogato o un
pazzo, o ancora più semplicemente un demente curioso. Ma dopo un ora,
cominciò a pensare che doveva avere caldo, li per terra con l'asfalto
rovente, e sete. Posò il mocio. E poi gli era sempre piaciuto fare
nuove conoscenze.
-Ehi tu, flippato!Ehi, dico a te!-
Kalib si rese conto che l'uomo chiamava nella sua direzione, si girò di
spalle per vedere chi chiamasse.
-No cretino, dico a te!Che ti giri a fare?Come ti chiami?-
Kalib aveva la gola secca, la testa calda per il sole e lo stomaco che
brontolava, ma aveva capito che l'uomo parlava con lui. Si inumidì le
labbra più che potè, e senza sapere cosa dicesse, diede fiato alla
bocca in quel misero italiano che sapeva.
-Kalib. Sono Kalib e ho moglie e un figlio.-
L'uomo lo guardò senza dire nulla per un po'. Le sue labbra secche e
rosse vennero strette in mezzo ai denti un paio di volte, la barba sul
mento venne toccata dalla mano callosa come solo i filosofi greci di un
tempo sapevano fare. Si tolse gli occhiali.
-Beh, Kebab o come diavolo si pronuncia, se prometti di non rubare
nulla ne di farti esplodere da un momento all'altro, ti faccio salire
per un po' d'acqua. La vuoi, un po' d'acqua figliolo?-
Kalib aveva capito Acqua e Figliolo. Non capiva bene cosa "esplodere"
potesse significare all'interno della frase ma non gli importava,
quell'uomo lo aveva visto in difficoltà e gli stava tendendo una mano
in aiuto. Forse l'Italia era stata una buona scelta.
Cosi naque il rapporto tra L'uomo, che in realtà si chiamava Beppe, e
Kalib. Beppe era un pescatore. La sua nave, la Beddamadre, catturava
qualche tonnellata di tonno al mese, giusto il necessario per far
sopravvivere il povero Beppe, rimasto vedovo e senza figli. Non aveva
aiutanti e il lavoro era comunque pesante per un uomo della sua età,
anche se reso forte dagli anni passati in mare. Kalib aveva bevuto e
aveva accettato un po' di pane e qualche acciuga salata da Beppe.
Mentre mangiavano, a Beppe venne un idea.
-Di un po' lo vuoi un lavoro?
Kalib aveva capito lavoro. I suoi occhi si illuminarono.
-Grazie, grazie molto!A me servono monete per riuscire a rivedere mia
moglie e mio figlio, se io posso lavorare per te, tu rendi me molto
felice!
Beppe non aveva mai visto nessuno più contento per un posto da mozzo.
Tutta quella felicità gli fece bene al cuore, secco e arido come la sua
pelle da quando la moglie era morta.
-Beh Taleban, mi sembri un bravo ragazzo in fin dei conti, e se non ti
dessi di che vivere probabilmente moriresti di fame in pochi giorni,
dico bene?Non ti voglio sulla coscienza. Ce l'hai un posto per la
notte?
-Notte?No adesso giorno, posso lavorare di giorno?Io lavoro anche di
notte se tu vuole..!
-Ma no!- il vecchio pescatore si mise a ridere di gusto- non ti
preoccupare, lavorerai di giorno, come tutti, ma ti chiedevo se avessi
un posto dove dormire!?-
-AAH okay ho capito!Io dormo su quello scoglio là in fondo da quando
brutto bastardo Erik mi ha tolto cumulo di sabbia!Un po' di pietra lo
scoglio ma non dormo brutto, mi accontenta, ho addirittura gabbiano
sveglia.
-AHAHAHAH ragazzo, tu mi fai ridere come non ridevo da anni. E mi fai
anche commuovere, chissa quale razza di storia ti porti dietro. Bene,
da oggi in poi non dormirai più sugli scogli, ma nella stiva, dove
tengo il pesce, sulla brandina che uso nelle notti di pesca. E vedi di
non fregarmi qualcosa, che anche se mi sembri un bravo ragazzo, sei
sempre un marocchino.-
Kalib capisce Marocco.
-Nonono io no marocco, io sono di Libia, io arrivato settimana fa da
Libia con nave mezza rotta.
-Massì, massì, Libia, Marocco, Tunesia, Egitto, Iraq, tutti caffelatte
siete, tutti con la mania per i fuochi d'artificio. Però tu non sembri
avere nulla sotto la camicia, per cui puoi restare.
-Grazie, Bepem, grazie molto.
-Ora devo tornare a casa, a cucinarmi da mangiare. In quel mobile ci
sono bottiglie di birra e altro pane e acciughe.. Sveglia alle 4!
Beppe si avviò verso la porta, poi si voltò indietro e prese le chiavi
della nave dal quadro di comando.
-Queste le prendo io.
-Dormi bene Beppe!Io no ruba giuro.
Da dietro la porta si sentì Beppe brontolare:
-Se ora non vado in paradiso non so più che devo fare, porcod...nono
scusa Gesù, scusa, brutte abitudini...ma porcaputt...
......
Angolo dell'autore, precisazioni. *Read this man*
Beppe non è un razzista, ma vuole rappresentare l'indifferenza italiana
nei confronti degli stranieri. Fortunatamente è anche un brav'uomo.
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Capitolo 3 *** Capitolo due - Tentazione ***
La vita sulla barca impegnò Kalib. Percepiva uno stipendio adeguato
alle sue esigenze tutti i mesi, e aveva fatto amicizia con Beppe, tanto
da considerarlo il suo unico amico in quel Belpaese. La mattina Kalib
lavava il ponte della nave con mocio e secchio, mentre Beppe fumava il
sigaro e organizzava le reti per la pesca del pomeriggio. Pranzavano
insieme sulla barca con pesce fresco, vino e formaggio. La domenica
Beppe lo portava in rosticeria per festeggiare il guadagno della
settimana. Prima però lo portava a messa.
-Ma tu di che religione sei? - chiedeva Beppe ogni volta.
Kalib intanto aveva imparato un po' meglio l'italiano, e riusciva a
capire quasi tutto quello che gli si chiedeva.
-Io sono mussulmano Bepem, te l'ho sempre detto, anche settimana scorsa
non ricordi?!
-Si ma non ho ancora capito se credi in Dio o meno!?
-Si che credo in Dio, solo che io lo chiamo Allah!Ora capisci?
-Quindi se credi in Dio puoi venire in chiesa con me, no?
-No!Non voglio entrare in chiesa con te, non è mia chiesa, non credo in
tuo Dio.
-Ma non hai detto che credi in Dio?
-Si ma mio Dio!
-Ok non c'ho capito un cazzo come al solito, vatti a prendere da bere e
comprami le sigarette. Ci vediamo dopo.
-Ciao Bepem, ti aspetto qui.
E questo era il rituale di ogni domenica mattina. So che può sembrare
offensivo da parte di Beppe, ma non si era mai confrontato con qualcuno
che non fosse cristiano, e trovava strano che qualcuno non potesse
andare a messa. E comunque non smetteva di volere bene a Kalib.
Il bar dove andava a prendersi da bere Kalib era davanti alla chiesa,
giusto il tempo di attraversare la strada. Si era fatto degli amici in
quel bar, Kalib. Tutte persone semplici e senza pregiudizi, che
vedevano solo l'onesto lavoratore e non l'immigrato clandestino.
Aspettava li dentro, chiaccherando di cose comuni e di poca importanza,
e divertendosi.
La sera pulivano la barca e cenavano insieme a casa di Beppe. Dopo un
sigaro e qualche bicchiere, andavano a dormire presto, perchè la
mattina si ricominciava.
Andava tutto bene per Kalib, era riuscito a racimolare abbastanza soldi
da cercare una stanza in affitto poco lontano dal condominio di Beppe,
cosi non era più obbligato a dormire in barca. Pensava che nel giro di
qualche mese avrebbe potuto scrivere alla sua famiglia in Libia, e
annunciargli che potevano raggiungerlo, che aveva un lavoro e presto si
sarebbero potuti riabbracciare. Uno dei pochi immigrati che ce l'aveva
fatta con le sue forze, senza dover mettere le mani in faccende
illegali ne chiedere prestiti a persone poco raccomandabili. Si sentiva
orgoglioso di se stesso, e pensava che anche suo figlio sarebbe stato
orgoglioso di lui. Nel frattempo l'unica cosa che doveva fare era
aspettare, lavorare e mettere da parte quanti più soldi potesse, senza
cedere a tentazioni.
E le tentazioni c'erano, per Kalib.
Erik, il barbone che controllava la spiaggia, non era propriamente un
barbone. In quella spiaggia, nascosto in un vecchio stabilimento
balneare inutilizzato, aveva trovato il modo di produrre e spacciare
cocaina, riusciendo a guadagnare talmente tanto da diventare uno dei
maggiori boss della droga di Lampedusa e di tutta la Sicilia.
In quei giorni aveva acquistato un grosso carico di Pura proveniente
dalla Grecia, ma l'affare rischiava di saltare dopo che il battello del
suo contatto greco era stato ritirato dalla polizia in quanto sostava
abusivamente in una baia. Erik stava per perdere una quantità esagerata
di soldi, quando si ricordò del povero immigrato libanese che aveva
cacciato dal suo territorio quella notte ormai lontana. Gli era giunta
voce che ora bazzicasse con il vecchio Beppe, proprietario della
Beddamadre, e che avesse le chiavi. Cosi decise di recuperare i
rapporti con Kalib. Lo aspettò una domenica fuori dal bar, senza
entrare, poichè non era ben visto da nessuno e non voleva attirare
l'attenzione.
-Ehi, ehi tu, libanese.-
Kalib, che già puntava il bancone, si fermò e lo guardò confuso, poi
ricordò chi fosse.
-Che cazzo vuoi da me ancora?Non ti è bastato rompermi le palle una
volta?-
-Calmo calmo amico, siamo partiti col piede sbagliato, non volevo
offenderti.- sfoderò il suo sorriso più falso -vengo in pace.-
Erik lo convinse a predere una birra insieme e parlare un minuto.
-Ecco, il punto è questo, so che ti servono soldi. Io posso fartene
guadagnare tanti e in poco tempo, e riuscirai a rivedere la tua
famiglia prima di quanto pensi.-
-Sai Erik, non sono sicuro, cosa dovrei fare per avere cosi tanti soldi
cosi facile?-
Erik bevve un sorso. I tatuaggi che aveva sul collo si mossero col suo
pomo di adamo quando deglutì. Il serpente con in bocca un pugnale
sembrò venire in avanti, quasi per attaccare.
-Devi portarmi una cosa da un posto, e poi basta, finito, ti do i
soldi.-
-Cosa?-
-Non te lo posso dire, mio caro.-
-Ok, e che posto?-
-Te lo dirò quando avrò la certezza che avrai accettato.-
Kalib sentì puzza di bruciato. Non sapeva cosa lo spingesse a
rifiutare, ma Erik non gli era piaciuto fin dal primo istante, gli
sembrava viscido, poco affidabile.
-Mi spiace Erik, ma non ho intenzione di accettare la tua offerta, non
ho così tanto bisogno di soldi, e ora guadagno onestamente uno
stipendio, posso aspettare. Alla fine, anche se avrò dovuto aspettare
molto, mi sentirò un uomo migliore.-
Erik tirò sul col naso, finì la birra, e si alzò. Fissò Kalib
negl'occhi, con aria arrabbiata e delusa. Kalib pensò che da un momento
all'altro avrebbe anche potuto tirargli un pugno e si mise in guardi.
Muscoli tesi. Ma Erik se ne andò, rovesciando la sedia.
In quel momento entrò Beppe:
-Chi cazzo era?-
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