Immortal

di siemdrew
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

«Nome, prego»
Guardo la segretaria, ma lei mi ignora completamente e continua a scartabellare tra i suoi fogli. Ha un naso buffo, all’insù con le narici dilatate, e una pettinatura anni settanta. Sembra simpatica, però.
«Nome, prego», ripete portandosi più in su gli occhiali e, finalmente, guardandomi in faccia. Impallidisce non appena il suo sguardo incontra le mie guance.
«Nightly Ciara Mackintosh», rispondo subito.
«...Mackintosh», ripete lei scrivendo i miei dati su un foglio. «Età?»
In realtà quasi 587, penso sorridendo. Ma credo che la signora non mi prenderebbe mai sul serio.
«Diciannove, ma sono nata il 24 dicembre del…»
Non ricordo, se nel 2012 ho vent'anni quando dovrei essere nata, per gli umani?
«...del 1992», concludo.
«Sei nata la vigilia di Natale», ridacchia lei evitando di nuovo il mio sguardo. «È un buon segno»
«Non direi», mormoro.
La signora mi guarda preoccupata, poi continua ad annotare altri miei dati, compresa la cicatrice che mi squarcia la guancia destra, ossia ciò che la intimorisce.
«Perfetto, firmi l'iscrizione»
Frettolosamente mi mette in mano una penna, con cui scrivo NCM, le mie iniziali, su un foglio. È la prima volta che firmo, non ho mai avuto bisogno di documenti importanti. Inoltre pensavo che “i miei genitori” dovessero firmarmi l'iscrizione a scuola, ma è andata bene anche la mia. E meno male, perché non ho genitori da secoli. Mi sono esercitata una settimana intera, aspettandomi che mi chiedessero una firma, e ho appena scritto solo le iniziali. Sette giorni di fatica per nulla.
«Il tuo appartamento è il numero 48», mi spiega sistemando i miei documenti. «Si trova nella zona Nord, palazzina 6»
Non ho capito nulla, ma le sorrido cordialmente, prendo i miei documenti e mi volto per andarmene.
«Ehm, scusa...», mi dice imbarazzata. «Solo per curiosità, cosa ti ha causato quella spaventosa cicatrice?»
Mi sembra angosciata. Non la biasimo, anche io ogni tanto inorridisco guardando allo specchio il solco sulla mia guancia. Be', però questi non sono affari suoi. Mi sistemo gli occhiali da sole sul naso, continuando a tenere su di lei lo sguardo, e mi giro per andare via dalla segreteria, lasciando interdetta la signora.
In giro per il campus dell'università c'è una grande quantità di cartelli. Portano al fiume, al bosco, al laghetto artificiale, alle varie palazzine, alle aule… Subito trovo un cartello con una freccia che indica a Nord: sopra c'è scritto “zona Nord”. Ma certo, avrei dovuto capirlo che dicendo “zona Nord” la segretaria non si riferiva a un nome casuale. Intendeva proprio che il mio appartamento si trova esattamente nella zona Nord del campus. Rido da sola.
Cammino tranquillamente per il sentiero acciottolato che porta alle palazzine Nord. Il mio sguardo passa sui prati inglesi ben curati e sugli alberi. Dal momento che è sera, mi confondo tra le ombre. In spalla ho una borsa a tracolla beige, l'unica cosa di un colore diverso dal nero. Mentre percorro il sentiero penso alla signora in segreteria. Le faccio paura, l'ho capito subito dall'odore di zolfo che emanava. Probabilmente la inquietavano i miei occhiali da sole usati di sera e ovviamente la cicatrice. Non importa, adesso devo trovare la palazzina 6. Ci sono 15 palazzine, e lo so senza contarle. La mia vista potente mi offre non pochi vantaggi. Intravedo un 6 in lontananza e mi avvicino alla palazzina che riporta quel numero. Mi piacciono, sono poche e piccole e sembrano antiche. In giro sento odore di ciliegie, probabilmente crescono sugli alberi qui vicino. Mostro un pass a un uomo che sta di guardia dinanzi al portone della palazzina 6.
«Sei nuova, eh?», ridacchia guardando i miei documenti. «Ti troverai bene»
Mi apre il portone e mi fa passare. Salgo le scale e senza neanche guardare in su so che ci sono 4 piani, su ognuno dei quali si affacciano due appartamenti. Il 48 è all'ultimo piano, a sinistra. 
Domani andrò a comprarmi un portachiavi, penso infilando la chiave nella toppa. Non ho mai avuto bisogno di chiavi, di solito entro nelle case ipnotizzando gli abitanti e forzandoli a invitarmi a entrare. Quindi quelle del campus saranno le prime che terrò. Tutti questi cambiamenti, ora che ci penso, mi fanno provare un brivido di eccitazione. Non fosse per quel problema che mi assilla...
Apro la porta e la mia mano vaga su una parete alla ricerca di un interruttore. Accendo le luci, che illuminano un salottino verde. È moderno, e ci sono anche un tavolo da pranzo, uno stereo e una televisione. Prendo la prima porta a sinistra, dietro il divano, e mi ritrovo in una cucina piccolina fatta di mattonelle. Molto rustica, in contrasto con il salotto moderno.
Quando entro nella stanza da letto, noto le mie valigie: gli addetti ai trasporti devono avermele portate qui mentre mi trovavo in segreteria. Non mi stupisco della loro velocità, in fondo ho due trolley e un borsone. È poco, considerando che dovrò stare qui tutto l'anno e, probabilmente, anche gli anni a venire, ma è così che vivo. 
In pochi minuti le valigie sono vuote e si trovano in fondo all'armadio. I vestiti sono al loro posto, le scarpe nella scarpiera in salotto, le cose da bagno in bagno... Tutto è sistemato. Non ho neanche fame – non di cibo umano, almeno – quindi non dovrò  spendere il mio eterno tempo a cucinare.
«Per quanti hai pagato?», chiede una voce alle mie spalle.
La riconosco subito, sono 607 anni che la ascolto. Si tratta di Cameron, mio fratello maggiore. Lui è il problema che mi assilla.
«Solo per me», rispondo. «Figuriamoci se pago un appartamento anche a te»
«Non hai capito», sospira. 
Mi volto verso di lui e lo trovo accovacciato sul davanzale della finestra del salotto.
«Avevamo deciso che prendevi un appartamento singolo, in cui però avremmo dormito entrambi, così io sarei rimasto nascosto e tu avresti fatto la tua vita da studentessa per qualche anno», spiega saltando sul divano.
La sua agilità mi rammenta quanto siamo uguali. Abbiamo gli stessi capelli rossi, gli stessi occhi verde scuro, le stesse lentiggini color lava. Tratti tipici scozzesi.
«Senti, Cameron», dico secca togliendomi gli occhiali da sole. «Io ti avevo avvisato che ti saresti annoiato all'università, ma tu non mi hai dato retta»
«Io rispetto la tua decisione di studiare arti in un'università come persone normali, okay?», dice sincero mettendosi una mano sul cuore. «Io non voglio farlo, però sei mia sorella quindi ho voluto seguirti per controllarti. Non voglio stare da solo, poi. E dormirò sul divano, se non mi vuoi in camera tua»
«Certo che non ti voglio!», esclamo furiosa. «Questa era la mia possibilità di fare qualcosa da sola e tu me lo impedisci! Me lo impedisci sempre, mi stai sempre appresso!»
Lui sbuffa.
«Insomma, ho quasi seicento anni», continuo le mie lamentele. «Ho il diritto di autogestirmi, no?»
«No», risponde secco. Mi raggiunge in fretta e poggia le sue mani fresche sulle mie guance. «No, perché per me tu sei ancora la piccola di casa»
Lo guardo fisso negli occhi, controllando l’ira.
«Ti concederò il divano», sospiro.
Vado in camera in cerca di conforto nelle coperte calde.


Salve! eccomi tornata con una nuooova fanfiction tutta per voi! vi presento "Immortal", storia di un vampiro alla ricerca - vana, ahah :') - di un po' di pace. eeeh, poi Justin comparirà, non dubitate u.u tutto ciò che non capite qui, verrà spiegato nei capitoli a venire, tranquillizzatevi ;)
spero che il prologo vi interessi almeno un po' çç questa storia mi è venuta in mente la notte tra il 29 e il 30 dicembre. ero in treno, in ritorno a Milano dalla mia amatissima Puglia, e dato che non riuscivo a dormire mi sono messa a scrivere sul cellulare. questa storia mi ha preso subito. fatemi sapere che ve ne pare c: spero in bene ahah un bacio, vi voglio già bene.

siemdrew

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1    
i profumi delle emozioni  

Per la prima volta in seicento anni, sento una sveglia suonare per me. I suoi bip bip bip continui mi danno sui nervi già il primo giorno di università. Dei numeri sulla sveglia mi ricordano che è il 10 settembre e sono le 6:45 del mattino. Ho tutto il tempo di farmi una doccia e rendermi presentabile. 
Passo in salotto, dove Cameron dorme sul divano. Sono tentata di dargli un ceffone: la sua presenza ostinata mi ricorda in continuazione che ai suoi occhi sono una bambina. Odio questo sentimento d'inferiorità che mio fratello mi fa provare. In cucina apro il frigo.
Giusto, mi sono scordata che è vuoto, penso cominciando ad irritarmi sul serio. 
Sbatto con troppa forza l'anta del frigo, tanto da svegliare mio fratello.
«Mamma mia, devi fare tutto questo baccano?!», mi sgrida mettendosi seduto sul divano. 
Io lo ignoro completamente e vado in camera mia.
«Sto cercando di dormire, è da quando ci siamo messi in viaggio per questo maledetto posto che non dormo!»
La rabbia mi travolge. Come una furia irrompo in salotto e gli urlo contro.
«Cameron non rompere! Eravamo in Messico e ti ho proposto di prendere l'aereo ma tu hai cominciato a lamentarti delle altezze e dei voli! Ce la siamo fatta a piedi da Città del Messico fino a Salem e ora rompi che non hai dormito?! Ti ricordo che hai insistito tu sul venire qui a piedi, io avrei preferito il treno almeno!»
Lui sbuffa e si butta di nuovo sul divano, ben consapevole di essere nel torto. Ah, vada a farsi benedire: un po' d'acqua santa e di Cameron Hamish Mackintosh sarebbero rimasti solo i capelli. 
L'acqua gelida della doccia mi aiuta a ritrovare l'equilibrio, la calma. L'acqua fredda mi scivola come dita tra i capelli, mi fa rabbrividire la schiena e mi accarezza le gambe. Esco dal box che per il bagno aleggia il profumo del muschio fresco e cinnamomo. Indosso una felpa nera, un paio di jeans neri e delle scarpe nere. Ho tutto di marca, con la grande quantità di soldi che posseggo.
Arrivo in salotto e butto alla rinfusa due quaderni, un'agenda e un astuccio nella borsa beige. Sento mio fratello ridere.
«Sei la moglie dell'uomo nero?», sghignazza. «Vatti a cambiare, gli umani prediligono i colori accesi»
...Ah... Non lo sapevo. Quindi apparirei strana davanti a tutti solo perché vesto di nero? Corro alla finestra per verificare. Sono le 7:30 circa e già gli studenti escono dalle palazzine Nord. In effetti sono tutti più o meno colorati.
«Non ho vestiti di un colore che non sia nero», ammetto evitando di guardare Cameron.
Lui si fa un'altra grossa risata, quasi quasi cade dal divano. Si sta prendendo gioco di me quel cretino!
«Vedi che sei ancora una bambina?», dice asciugandosi una lacrima fuoriuscita per le risa. «Sei ingenua e ignorante nei confronti di questa società moderna. Non è più come un tempo»
«Smettila di farmi la predica», lo rimbecco. «e dimmi cosa devo fare»
«Vai a scuola così», dice tranquillo. «Poi oggi nel pomeriggio andiamo a fare compere»
«In effetti mi manca anche cibo»
«Chi se ne frega del cibo, noi non ne necessitiamo»
«Stupido, se devo sembrare umana il cibo in frigo devo tenerlo! Ma perché tu non capisci niente?», mormoro disperata aprendo la porta dell'appartamento.
«Ah, io?! Ma se tu non sai nemmeno come vestirti!»
Mi chiudo alle spalle la porta e percorro i sessantaquattro gradini – sedici per ogni rampa, e lo so senza contarli – delle scale. Saluto la guardia al portone e vado in cerca di un cartello che possa indicarmi un luogo per rifocillarmi. Nei pressi della segreteria trovo un cartello che punta a Sud. Dice: “Witch Cafè”, il bar della Strega. Prendo ridacchiando quel sentiero.
Il Witch Cafè è un locale caldo e accogliente. Visto da fuori sembra davvero una casa delle streghe, ma dentro è molto moderno. Pullula di persone che si agitano, parlano e fanno troppo baccano per le mie orecchie. Sbuffando mi siedo al primo tavolino vuoto che trovo. Aspetto un poco, e nessuno viene a prendere la mia ordinazione. Forse c’è troppo caos... A meno che non debba andare io a chiedere ciò che voglio e tornare a sedermi.
Questo posto già non mi piace. Mi alzo lasciando sulla sedia la mia borsa e vado alla cassa più vicina. Chiedo un caffè amaro e quando me lo servono cerco di tornare a sedermi.
«No, scusa», mi dice la ragazza a cui ho pagato il caffè. «Non puoi portarlo al tavolo»
La guardo in cagnesco, senza dire nulla, e sorseggio in fretta il mio caffè, lì in piedi dinanzi al bancone. Che posto strano, davvero. Non ho neanche il piacere di gustarmi un caffè con calma come si deve. Torno al tavolo per prendere la borsa, ma al mio arrivo è già occupato e la borsa è a terra sul pavimento.
«Oh, era tua?», sghignazzano i cinque ragazzi che affollano il tavolo.
«Sì», rispondo secca.
Mi chino a prendere la borsa, ma guardandoli male. Loro non si lasciano intimorire. Pulisco velocemente lo sporco lasciato dalle loro piedate sulla borsa.
«Oh, ci dispiace!», esclama sarcastico uno di loro.
«Quanto siete stupidi...», mormoro voltando loro le spalle e andandomene.
Segue una serie di bestemmie, insulti e minacce nei miei confronti, ma io li ignoro completamente ed esco dal Cafè. Perfetto, ancora non sono iniziate le lezioni e già questo giorno si sta trasformando in tragedia. Se vengo di nuovo maltrattata da quel gruppetto, ognuno di loro rischierà la vita stanotte. E non scherzo. La rabbia mi ribolle nelle viscere.
Alla segreteria batto le nocche della mano sul vetro, per attirare l’attenzione della signora di ieri sera. Lei si gira sorridendo, ma nel vedermi sussulta e le cade addosso il caffè appeno preso alla macchinetta. Mentre lei si agita per la segreteria in cerca di qualcosa per pulirsi, io mi guardo attorno. Una folla ampia ci sorpassa e qualcuno, vedendo la segreteria, si fa un paio di risate. In effetti è piuttosto buffa.
«Ha finito?», chiedo spazientita.
No, non mi faccio scrupoli a trattare male la gente. In fondo è quello che facciamo noi vampiri per divertirci. Quelli davvero sadici fanno di peggio, però. Tipo mio fratello Cameron. Lui non si fa problemi a essere scorbutico con le persone o a ucciderle crudelmente. A volte fa venire il mal di stomaco anche a me, dallo schifo. Meno male che non sono come lui, potrei fingere che siamo fratelli. Purtroppo il nostro aspetto simile ci tradisce.
«Mi scusi», risponde stizzita la segretaria. «Sa, mi è caduto il caffè addosso e mi sono bruciata»
Nell’aria si sente un vago odore di peperoncino, segno che la signora si sta arrabbiando. Gli umani, in base alle emozioni che provano, emanano un certo tipo di odore. Quando ieri sera la signora era impaurita, sapeva di zolfo.
La segretaria mi guarda, aspettandosi una risposta, ma io cerco una confezione di chicle e me ne infilo un paio in bacco. Guardo la signora masticando le gomme, tranquilla. Lei sbuffa e prende dei fogli.
«Lei è qui per gli orari, giusto?», sospira passandomi due fogli con delle tabelle.
«Esattamente», rispondo facendo scoppiare una bolla.
La sto innervosendo. «Come immaginavo. Allora, la mattina avrai lezioni orali, perché all’Università di Arti di Salem noi...»
Mi guardo intorno divertita, senza ascoltare la signora. Insomma, non mi importa delle sue spiegazioni. Mancano dieci minuti alla prima ora dell’anno, e vorrei trovare in fretta l’aula esatta. Di solito nei libri i protagonisti la sbagliano – ma sospetto lo facciano apposta.
«Tutto chiaro?», chiede la segretaria.
«Certo»
«Bene, vada»
Le prendo i fogli dalle mani e mi avvio per i corridoio, leggendo le tabelle degli orari. Oggi è lunedì, e le lezioni finiscono alle dodici. Poi ho due ore di laboratorio linguistico nel pomeriggio. Come se già non ne parlassi venti e passa...
Okay, vediamo. Prima ora del lunedì. Teatro. Teatro? Cosa si fa a teatro? Aiuto. Rifletti, Nightly. Nel teatro si recita, per mettere insieme uno spettacolo. Come faceva Shakespeare. O Goldsmith. O Dumas. Li conobbi tutti di persona, ovviamente. Quindi probabilmente nell’ora di teatro reciteremo. Non mi pare di aver mai recitato... Non ne ho bisogno. Perfetto, controlliamo l’aula. Teatro 2. Non ho ben capito. Faccio teatro nell’aula Teatro 2?
«Ehi», dico fermando la prima persona che mi passa davanti.
«Ah, la tizia del Cafè. Ben trovata»
Oh che fortuna, ho incontrato uno del gruppetto che mi ha cacciata dal tavolo e che ha pestato la mia amatissima borsa beige. Emana un delicato odore di limone. Oh, non ci posso credere! Di già? Chi emana limone prova desiderio.
«Sì, la tizia del Cafè», rispondo sospirando. «Potresti dirmi gentilmente dov’è l’aula di Teatro 2, evitando di fissarmi le tette?»
Sembra sconcertato dalla mia schiettezza e boccheggia un attimo, subito dopo distoglie lo sguardo dal mio petto. Poi fa un sorriso splendete. Diciamo che lui è splendente. Voglio dire, è un bel ragazzo. Ha gli occhi verdi, simili ai miei, e i capelli biondi. Sotto quella maglietta grigia immagino ci sia un bel corpo da sportivo.
«Io non ci sto andando, dovresti trovare qualcuno che ti accompagni»
Sospiro di nuovo e mi passo una mano fra i capelli – apposta. L’odore di limone aumenta notevolmente e quasi mi metto a ridere. Adoro provocare le persone.
«Va bene, grazie»
Faccio un sorriso raggiante e lo saluto con la mano. Dai che ci casca...
«Ehm, scusa!», esclama afferrandomi un polso.
Ci è cascato.
«Com’hai detto che ti chiami?»
Lo guardo brusca. «Non l’ho detto»
Il ragazzo rimane spiazzato. Si sfrega le mani sui lati dei jeans e poi si gratta la testa confuso. Santo cielo, è davvero stupido. Non ho detto niente di così difficile da elaborare.
«Oh. Ah... Io mi chiamo Dylan Katlies. E tu?»
«Sono nuova, mi chiamo Non Importunarmi», rispondo seccata.
Gli stringo la mano, lo saluto e gli volto le spalle per cercare qualcuno affinché mi accompagni nell’aula teatro 2. Decido il da farsi. Salgo le scale e a metà mi blocco.
«Scusate!», esclamo.
Tutte le persone nel corridoio si voltano a guardarmi, e si fermano.
«Chi sta andando all’aula di Teatro 2?»
Qualcuno, con un cipiglio interrogativo, alza la mano. C’è un misto di odori. Melograno, per la felicità; limone, per il desiderio; mele, per il timore. Una specie di macedonia, diciamocelo.
«Tu», dico scendendo le scale.
Vado dritta verso un ragazzo che sta sistemando dei libri nello zaino. Ha alzato la mano un attimo, ma intimorito l’ha tirata giù. Infatti sa di mele.
«Mi accompagneresti?»
«C-certo...», mormora.
Fa palesemente finta di rovistare nello zaino. Intanto attorno a noi le persone sono tornate alle loro solite attività e non badano più a me. Non mi dispiace essere al centro dell’attenzione. Credo che una persona normale – un umano, ad esempio – non urlerebbe così davanti a mezza scuola, ma dopo seicento anni di vita non c’è più nulla di cui puoi vergognarti. Farlo sarebbe stupido.
Il ragazzo alza lo sguardo su di me per la prima volta e cominciamo a camminare vicini. Nonostante abbia lo zaino in spalla, tiene dei libri in mano. Evita chiaramente il mio sguardo. È carino, decisamente sarà più simpatico di quel Dylan Katlies. Ha i capelli a spazzola, biondo scuro, e degli occhi favolosi. Sembrano miele, e io adoro il miele. Cammina timoroso, come se avesse paura che qualcosa possa colpirlo alle spalle.
«Sei del primo anno, immagino», riflette guardandomi.
Non avrei mai pensato che il primo a parlare sarebbe stato lui, insomma, sembra così perso nella sua mente. Subito dopo il suo sguardo si sposta dai miei occhi alla guancia squarciata. Arrossisce visibilmente e abbassa il capo. Sento il suo cuore battere forte, ed emana un cattivo odore di zolfo. Povero, gli faccio paura.
«Sì», rispondo. «Anche tu?»
«S-sì», balbetta. L’odore di zolfo aumenta. «Ma alcuni corsi li frequento da luglio, quindi mi so orientare per l’istituto»
«Non sembri di Salem», osservo sorridendogli. «Posso sapere da dove vieni?»
«No», risponde deciso alzando lo sguardo e incrociando il mio.
«Io vengo dalla Scozia, invece», dico incurante della sua risposta. «Ho affrontato un lungo viaggio, per arrivare fino a qui»
Praticamente sono arrivata a Salem a piedi dal Messico, ma credo sia meglio evitare questo dettaglio: potrebbe prendermi per pazza, e già alcuni studenti mi guardano storto per come sono vestita.
«Fammi pensare...», mormoro flebilmente, ma facendo in modo che il ragazzo mi senta. «Vieni dal Nord America, vero?»
Impallidisce e guarda altrove. Non ci vuole un genio per sapere da dove proviene. È uno dei sensi dei vampiri, è come se gli umani avessero scritto tutto sulla loro fronte. Solo alla vista di una persona so come si chiama, dove è nata, dove vive, quanti anni ha e quando morirà. Con “quando morirà” intendo senza l’intrusione di un vampiro nella sua vita.
«Canada, mi pare», lo stuzzico.
Ora il ragazzo sa di rose: imbarazzo.
Arriviamo davanti a una porta e il ragazzo la spalanca. Ci si presenta davanti un teatro, con tanto di sedili, palcoscenico e tende rosse ai lati. Attraversiamo il corridoio centrale per andare a sederci su dei sedili, in attesa di un insegnante.
«E posso sapere quanti anni hai?»
«No, lasciami in pace»
«Diciotto, vero?»
Gli sorrido incoraggiante e mi accomodo accanto a lui con un altro gruppo di persone della nostra età, circa. Sento il rumore delle porte che si aprono e poi si chiudono, a da lontano vedo un adulto che ci raggiunge. È un professore.
«Posso sapere almeno come ti chiami?»
«No», risponde il ragazzo, quasi ringhiandomi contro. Poi fa del sarcasmo: «Tanto lo sai già, no?»
Justin, il ragazzo, mi lancia un’ultima occhiata fulminante prima di volgere lo sguardo al docente.

Buon pomeriggio c: visto che ieri ho postato il prologo, oggi ho messo il primo capitolo. certo, mi aspettavo più visualizzazioni/recensioni, ma capisco che siamo solo al prologo ;) anche con "Pekaftet" successe così, e guardate ora com'è messa o:
ringrazio @lorenadrewsupra e @biebsrescuedme per le due recensioni, davvero, grazie mille <3
spero vi piaccia questo primo capitolo! abbiamo capito che Nightly è una persona speciale (?) e adora stuzzicar la gente. facesse così con me una persona, mi salterebbero i nervi così tanto che non sarei più padrona di me stessa ahah
:'D e a quanto pare è già spuntato Justin, che non è il solito figaccione della scuola, ma una persona praticamente invisibile agli altri e insicura.
ringrazio ancora per le recensioni (stasera se riesco risponderò ahah!) e per le visualizzazioni :3 i vostri commenti e la vostra presenza sono tutto! senza, non ci sarei.

siemdrew

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
recitazioni buffe

 

«Ci siete tutti?»
Il professore ci conta per verificare sul registro che siamo tutti presenti. Ho ancora lo sguardo divertito puntato sul ragazzo accanto a me, Justin, di cui so il nome senza averlo sentito. L’ho fatto arrabbiare, e ciò ha scatenato in lui qualcosa che lo ha portato a rispondermi male. Da una parte lo compatisco, sono stata una vera e propria rompiballe.
«Sì, siete in trentotto e tutti presenti», mormora il professore.
Chiude il pennarello con cui ha segnato la nostra presenza e sale sul palcoscenico. È una persona buffa – ma non lo sarà mai quanto la segretaria. È molto alto e magrolino, indossa dei jeans e una camicia a quadri. Ha i baffi alla Freddie Mercury, cantante che adoro, capelli a caschetto in stile Shakespeare e un sorriso sulle labbra.
«Benvenuti  alla prima lezione effettiva dell’anno!», ci saluta mettendo una mano sul cuore come se stesse per dire “ave, Cesare”. «Dico “effettiva” perché ci sono stati i corsi estivi, che però non fanno proprio parte del programma. Non importa! Benvenuti alla mia lezione! Mi presento, sono il professor Andrew Hive, fanatico dei Queen e amante delle opere di Shakespeare! Non si nota?»
C’è una risata generale quando il professore si indica i baffi e i capelli e imita Mercury cantando Don’t Stop Me Now.
«Insegno recitazione e canto», ci spiega sorridendo. «e mi ritengo abbastanza valido. Poi me lo direte voi. Dato che, a quanto dice il registro, trentatré di voi non hanno mai frequentato questo corso, inizieremo con qualcosa di semplice e improvviso... Aspettate un attimo»
Va dietro le quinte camminando goffamente e scatenando altre risatine divertite.
«Secondo te che ha in mente?», ridacchio voltandomi verso Justin...
      …Che non è più accanto a me. Si è sistemato qualche fila dietro. Non mi scappa, però. Sbuffo e mi siedo accanto a lui. Lo vedo irrigidirsi ed evitare il mio sguardo.
«Non fare l’antipatico», suggerisco sistemandomi la maglietta.
«Lasciami in pace», mormora. «Insomma, non ti conosco neanche. Cosa vuoi?»
Odora di rose – l’imbarazzo – e lievemente di peperoncino – la rabbia. Forse sono io che non mi so rapportare con le persone vere, e solo con i vampiri. D’altronde non è colpa mia se quasi 587 anni fa quel vampiro irruppe in casa mia e... Non ci devo pensare. Non posso. Devo trattenerlo nella parte del cervello in cui tengo tutti i ricordi che non vorrei ma più guardare.
«Pensavo di farmi un amico», bisbiglio.
Ci lanciamo a vicenda un’occhiata lunga, poi mi alzo e torno a sedermi dov’ero poco fa. Sono quasi sicura che adesso il ragazzo si alzerà e mi chiederà scusa. Cammino e raggiungo il mio posto. Dai che ora mi chiama…  Mi siedo. E quel Justin non mi trattiene. Avrei preferito un’altra battutina antipatica, anziché l’inconsiderazione.
«Eccomi!»
Il professor Hive torna sul palco con una boccia di vetro tra le mani. Dentro ci sono vari bigliettini piegati, che vedo perfettamente grazie alla mia vista.
«Vi spiego», ridacchia l’insegnante. «Ognuno di voi prenderà un bigliettino da questa boccia. Potrebbe esserci scritto sopra di tutto. Granchio, tavolo, befana, cabina telefonica... Dovrete recitarli»
«Quindi», riassume una ragazza alzando la mano. «Se per esempio esce granchio, come ha detto lei, dobbiamo fare finta di essere un granchio»
Il professore le punta un dito contro ed esclama: «Esattamente! Forza, vieni tu a estrarre per prima»
La ragazza sorride, un po’ spaventata, e si alza per raggiungere il professore sul palcoscenico. Lui le fa pescare uno dei bigliettini. Lei lo apre e, accigliata, lo fissa un attimo.
«Devo mimare una lattuga…?»
Hive scoppia a ridere, e quasi crolla dal palco, poi si calma e indica il backstage.
«Lì ci sono dei materiali, puoi usarli...»
Le sussurra qualcosa in privato, nell’orecchio. Lei lo guarda sorpresa e corre dietro le quinte. Spunta poco dopo con una vestaglia verde. La pelle della ragazza è verde, e così i suoi capelli e le scarpe. Oh poveri noi...
Alza le braccia al cielo e intreccia le dita delle mani. Tutta verde, si agita per il palcoscenico gridando cose come “aiuto, le lumache mi vogliono mangiare!”. Scoppiamo tutti a ridere e, voltandomi, noto che anche Justin sta ridendo di gusto.
«Bravissima, ehm... come ti chiami?»
«Rachel Fox», risponde la ragazza-lattuga.
«Rachel Fox, i miei complimenti! Per essere stata la prima ci hai proprio fatto ridere!»
In ordine per cognome ci tocca salire sul palco e inscenare qualcosa. Dopo le due ragazze il cui cognome comincia per A, viene chiamato sul palco Bieber. Ho già sentito questo nome...
«Justin Bieber», sorride il professore. «Vieni, coraggio!»
Mi volto, con un certo sospetto, e vedo Justin, rosso in volto, alzarsi dal sedile e raggiungere il palco. È così rigido, sembra paralizzato. La mia vista mi permette di notare che non respira, neanche lievemente. Sta trattenendo il respiro. Justin infila il braccio nella boccia e ci ravana dentro. Poi tira fuori un bigliettino, uno dei duecentoventisette presenti nella boccia.
«Devo interpretare...», mormora. Si lecca le labbra secche. «...la sirenetta?»
Altre risate, tra cui la mia. Non ci vedo quel ragazzo nelle vesti della rossa sirenetta del film.
«Oh, non vediamo l’ora di ridere un po’!», esclama il professore allontanandosi da Justin.
Lui si lecca di nuovo le labbra  e si posa istintivamente una mano sul torace. Ma perché respira così poco? Avrà qualche problema respiratorio, penso, ma non ne sono sicura. Poi, sorprendentemente, Justin ride e corre nel backstage. Ne esce subito dopo con una parrucca rosso fuoco addosso e una roccia di cartapesta che trascina in mezzo al palco. Ci si appoggia e incrocia le gambe. Poi canta, con la vocina di una ragazza.
«IN FONDO AL MAAAAAR! IN FONDO AL MAAAAAR! Nessuno ci frigge o ci cucina in fricassea! E non si rischia di abboccar, no, non c’è un amo in fondo al mar...»
Nessuno riesce a trattenersi, nel teatro si sentono solo risa. Justin è davvero bizzarro, in questo modo, ma lascia il palco con le guance rosse dall’imbarazzo. L’odore di rose che emana è così forte da dar il mal di stomaco. Mi lancia un’occhiata prima di sedersi e io gli mostro i pollici in su. La cosa sembra spaventarlo, ma non so spiegarmi perché. I cognomi corrono. E arrivano alla M. Sono la prima della lettera M.
«Oddio che nome strano», ridacchia il professore guardando il registro. «Nightly... Ciara... Mackintosh? Su, Sali!»
Alzo la mano e gli sorrido. Lascio la borsa sul sedile e raggiungo in fretta il palcoscenico. Anche io metto dentro una mano, ma anziché trafficare nella boccia prendo il primo del cumulo.
«Dai, dicci», mi esorta il docente.
Faccio di nuovo un altro sorriso e dai sedili si sparge un odore di limone, il desiderio. Che cosa ridicola, dai...
«Dovrei imitare...». Scoppio a ridere, non può essere una coincidenza! «…un vampiro?»
Sento qualcuno sghignazzare. Come interpreto un vampiro? Insomma, non posso davvero squarciare la gola delle persone! Faccio un sorriso d’incoraggiamento, più a me stessa che agli altri, poi corro nel backstage. È pieno di oggetti usati nella recitazione: parrucche, trucchi, abiti, macchinazioni, cose in cartapesta per imitare paesaggi, maschere... Si sente un vago odore di legno. Tra gli abiti cerco qualcosa di nero e lungo, e tiro fuori un mantello. Lo allaccio velocemente in modo che mi ricada alle spalle. Poi, dove ci sono i trucchi, mi sporco la bocca con il rossetto rosso per fare il sangue che cola. Ora mi servirebbero i canini... cerco tra vari oggetti, ma non mi sembra ci siano. Uso i miei, dunque? Sì, è meglio... Con le unghie mi ferisco un polpastrello e l’odore del sangue stimola i miei due canini, che sento abbassarsi. Prendo una crema giallastra e me la spalmo sulla dentatura, così magari sembra finta. Fatto ciò, salgo sul palco a testa bassa. Mi metto al centro e quando alzo il capo vedo letteralmente le persone rabbrividire. Vari odori invadono lo spazio. Zenzero, per l’invidia, dalle ragazze e limone, per il desiderio, dai ragazzi. Da qui sento che Justin emana un lievissimo odore di uova marce, per il ribrezzo, ma anche un po’ di limone. Sapere che prova ribrezzo verso di me mi fa arrabbiare.
Spalanco le braccia e faccio svolazzare il mantello.
«Sono il Conte Dracula!», esclamo. Qualcuno ride, e mi chiedo perché. «Mi sono appena alzato e sto morendo di fame»
Con lo sguardo vedo il professore rabbrividire, mentre mi passo la mano sulla pancia per far capire che ho fame. E ho davvero fame, è da quando sono arrivata a Salem che non mi nutro.
«Ognuno di voi potrebbe essere il mio pasto, stanotte», dico teatralmente muovendomi per il palco, ma pensandolo davvero.
Tutti si aspettano qualcosa di divertente, ma io non voglio divertire nessuno. Non lo sanno. Sono un vampiro, e so solo infliggere il terrore nell’anima delle persone.
Faccio uno scatto verso una ragazza, che urla sorpresa e poi si mette a ridere.
«Vi faccio ridere, milady?»
Lei si ricompone. Così mi muovo con passo felpato tra le persone e mi fermo davanti a un ragazzo molto carino. Com’è che in questo istituto sono tutti più o meno belli?
Sto per fare una battuta divertente che mi è appena arrivata in mente, ma le porte si spalancano ed entra un uomo. Tutti si alzano, così li imito. Il professore abbandona il palcoscenico e raggiunge l’uomo appena entrato. Confabulano un poco e noi tutti li guardiamo.
«Sembri un vero vampiro da come ti comporti», ridacchia il ragazzo a cui mi sono avvicinata.
Gli sorrido cortese e poi volgo lo sguardo all’uomo, che sale sul palco.
«Buon inizio!», esclama. «Per chi eventualmente non lo sapesse, sono il Preside Paul Henderson. Vi auguro un buon inizio dell’anno»
Lancia un’occhiata di traverso a coloro, compresa me, che sono vestiti strani o si sono colorati per inscenare il proprio oggetto o persona. Poi lascia perdere e si mette a parlare delle lezioni, della scuola, di ciò che ci offre come sbocco lavorativo. Per me è tutto inutile, visto che dopo aver frequentato questo istituto andrò a vagabondare altrove. Magari passo per il Giappone e mi fermo lì un po’. Mi piace il Giappone, in effetti.
«...Grazie per essere qui, quindi»
Il Preside ci fa un sorriso da duecentocinquanta kilowatt e abbandona il teatro. Subito dopo suona la prima campanella e tutti ci affrettiamo ad andare via.
Mi tolgo il mantello e il rossetto sul mento e poi vado a prendere la borsa.
«Come hai fatto?», mormora Justin. Di nuovo emana odore di mele. Ma che palle, questo, perché gli faccio paura?!
«Stavo solo imitando Dracula alla bell’e meglio», rido.
«No, dico... A raggiungere James così in fretta»
James deve essere il ragazzo a cui mi sono avvicinata per fare la mia battuta. Un momento. “A raggiungere James così in fretta”, ha detto? Ho usato la mia velocità? Oh cavoli, non me ne sono accorta! Mi conviene negare tutto... o mentire su qualcos’altro.
«Alle medie e alle superiori ero la prima in velocità», dico.
«Mackintosh?», mi sento chiamare.
Mi volto verso il professore, che mi mostra i pollici in su. «Eri un perfetto Conte Dracula! Davvero impressionante»
Grazie, ho aiutato Stoker a scrivere il romanzo! Ci credo che sono perfetta!
«La ringrazio», dico sorridente.
Mi affretto a seguire Justin che si sta allontanando.
«Visto che non hai il coraggio di chiedermelo, vorresti sapere perché ti seguo?», gli domando tranquillamente.
«Sentiamo»
«Perché mi sembri solo al mondo»
In realtà questa motivazione è vera solo in parte. La verità è che i vampiri si fissano con le vittime che li incuriosiscono. Non ritengo questo ragazzo una mia prossima vittima, perché in questo istituto non ho intenzione di uccidere nessuno, ma è una persona strana e difficile da comprendere e questo mi incuriosisce non poco. Ed essendo un vampiro, ora ne sono fissata. La mia coscienza da immortale continua a suggerirmi di ucciderlo per assaporare il suo sangue. Mi immagino mentre i miei denti affondano nella sua gola, mi immagino che sapore abbia ciò che gli riempie le vene.
Basta, Nightly! Smettila di distrarti!
«N-non sono solo al mondo», sussurra.
«Io credo di sì»
Odore di rose – l’imbarazzo. Lo osservo sospirare. Gli serve dopo aver trattenuto in quel modo il fiato, durante l’interpretazione della sirenetta.
«E tu vuoi sapere perché mi spaventi?»
PERFETTO! Un buon passo avanti, il fatto che si confida. Bene, bene, mi fa piacere. Bravo Justin.
Annuisco, e lui parte con la spiegazione.
«Perché sei strana», dice. «Diversa. E quindi mi metti un po’ di inquietudine»
Annuisco di nuovo e gli sorrido raggiante. Per la prima volta, mi rivolge un sorriso anche lui.

Quando entro nel mio appartamento, Cameron sta giocando alla playstation. È un patito di videogiochi e nel nostro nascondiglio in Scozia ne possiede tantissimi. Io, in compenso, lì ho un’enorme biblioteca piena di libri, la cui età va dal Medioevo fino a oggi.
«Ciao sorellina!», mi saluta Cameron senza staccare gli occhi dalla televisione.
«Ehilà», rispondo.
«Com’è andato il primo giorno? E perché sei tornata a quest’ora?»
Santo cielo, sono solamente le sette di sera.
«Perché dalle cinque alla sette ho avuto laboratorio di lingue e sono stata a pranzo fuori», spiego ricordando le ore passate in compagnia di Justin, che però è ancora chiuso in se stesso. «Comunque è andato una meraviglia! Dici che i negozi a quest’ora sono chiusi?»
«Non saprei, pensavo tornassi prima», risponde spegnendo il gioco e venendomi incontro. «Mi pare che in centro ci sia qualcosa di aperto. Hai detto che devi fare la spesa, anche, vero?»
Faccio di sì con la testa, poi lui mi prende per mano e usciamo da casa insieme. Chiudo a chiave, ricordandomi di comprare un portachiavi. Ma non passiamo dalle scale, bensì dalla finestra. Ci arrampichiamo fino al tetto, il che è semplice, anche perché siamo all’ultimo piano. Saltiamo da una palazzina all’altra, fino a raggiungere i confini dell’Università. Con un balzo superiamo i cancelli e ci troviamo in Indipendence Highway. È dall’altro lato dell’istituto quindi dobbiamo percorrerla e poi attraversare il fiume Willamette. Tra il fiume e la città di Salem c’è un enorme foresta, in cui mio fratello ed io possiamo correre liberamente, protetti dalla notte e dalle ombre. Raggiungiamo la periferia della città e scaliamo un palazzo.
«Facciamo a chi arriva prima? La meta sarà il municipio», propone Cameron.
«Sì!»
Saltiamo da un tetto di un palazzo all’altro. Non ho idea di dove si trovi il municipio, ma corro verso il centro. Cameron ed io cozziamo insieme ogni tanto, ma poi lo supero. Vedo che prende un’altra strada, ma non ci bado molto. Finisce che raggiungiamo allo stesso tempo la torre del municipio.
«Ho vinto io!», esclamiamo insieme.
«Ma che dici, io! Io ho vinto», ribatte lui.
«Non dire cavolate, sono stata più veloce io»
Inizia una litigata, finché poi non mi butto dal municipio atterrando in piedi. Lui mi segue, continuando a protestare, ma io non lo ascolto più.
«Sono quasi le otto, ho voglia di cibo umano», lo avviso.
Entriamo nel DaVinci Ristorante e ordiniamo da mangiare. Io prendo un’insalata a base di pomodori, basilico, aceto balsamico e burrata. Cameron invece prende gli spaghetti. Comincio a mangiare allegramente, ricordando i sapori italiani. La burrata è davvero squisita, merita tanto. Alzo lo sguardo su Cameron, che si sta abbuffando sporcandosi tutta la bocca di sugo. Che idiota, santo cielo.
«Scusi», dico chiamando un cameriere. «Ci riempie di nuovo i bicchieri di vino?»
«Certamente»
Il cameriere va a prendere il vino che abbiamo scelto prima e riempie i nostri calici.
«Signori», dice congedandosi.
Gli sorrido, mentre mio fratello lo ignora, e mi volto verso il mio piatto. Un momento... Mi guardo intorno e osservo le persone sedute ai tavoli a mangiare. C’è una persona che mi sta guardando. Alzo la mano e saluto. Justin arrossisce, come suo solito, e quasi si strozza con il cibo. Poi mi sorride sbrigativo e saluta anche lui.


shaaalve c: ecco a voi il capitolo number two! che ve ne pare? oddio AHAHAHAHAAHAHAH io nell'immaginare il nostro amato Bieber travestito da Ariel non la smettevo di ridere :') spero di aver fatto ridere anche voi!
siamo arrivati a quattro recensioni totali, yeah ahahah potreste fare di più eh u.u ma ringrazio di cuore chi ha recensito e anche chi ha solo letto. 
in questo chaaapter, Justin è un poco pooooco più aperto anche se ha una fifa nera della povera Nightly che non gli ha fatto nulla çç che stupido ewe be' e avete anche capito che Nightly e suo fratello Cameron sono due bambini, praticamente .-. sembrano me e mio fratello, che tenerezza :') (?)
dato che venerdì ho studiato più o meno 45564524945688146 pagine di biologia per farmi interrogare sabato - che poi la prof non ha neanche voluto e mi sono fatta un culo così per nulla qwq - non ho molti compiti per domani, visto che so già tutto ahah! quiiiindi ora raggiungerò l'undicesima pagina del mio file Word e comincerò il capitolo tre. spero che questo vi sia piaciuto, comunque.
un bacio e grazie di tutto fnvrtj <3

siemdrew

#6years
KIDRAUHL

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
l'aula numero 84

Sono tentata di alzarmi per andare a salutarlo, ma mi trattengo. Per due motivi.
Il primo è che Cameron si insospettirebbe: più volte ho cercato di avere una relazione seria – anche solo di amicizia – con un ragazzo, ma non ci sono mai riuscita perché lui ha fatto fuori tutti. Nessun superstite nel corso dei secoli.
Il secondo motivo è che non sono amica di Justin: siamo compagni di corsi, questo sì, e abbiamo passato la giornata insieme, ma lui è chiuso dentro il suo mondo e io non ho ancora preso abbastanza confidenza per tirarlo fuori.
Quindi lo saluto con la mano e ritorno al mio piatto. Cameron per fortuna sta finendo i suoi spaghetti quindi non si è accorto di nulla. Inoltre Justin non è così coraggioso da venire al nostro tavolo. In sintesi, posso stare tranquilla.
Mio fratello ed io terminiamo la cena, paghiamo il conto – che è anche un po’ alto, ma siamo ricchi, devo ammetterlo – e usciamo dal ristorante DaVinci. Non lancio nessun’occhiata a Justin, nell’attraversare la porta.
«Sono le nove e un quarto», mormora Cameron osservando il cielo.
«E diciassette», preciso.
«Non fa niente», sbotta. «Non credo siano aperti i negozi»
«Allora facciamo insurrezione», propongo puntando verso un negozio di vestiti eleganti.
«Come vuoi, adoro queste cose!»
Io no. Trovo ingiusto entrare di soppiatto nei negozi e rubare, che è quello che stiamo per fare. Ci avviamo verso l’Emporio Armani e ci guardiamo intorno. Apparentemente nessuno ci osserva, così appoggio la mano sulla maniglia della porta del negozio. Faccio un po’ di forza, ma non troppa, e la porta si apre. Siamo letteralmente così veloci che le telecamere di sorveglianza non ci vedono. Neanche il tempo di entrare che siamo già fuori dall’Emporio. Tra le mani ho un sacchetto dorato con dentro vari abiti da sera – non neri. Puntiamo verso un negozio, e poi un altro ancora e poi un altro subito dopo. Ho buste con vestiti di tutte le marche: Zara, Benetton, H&M, Macy’s, Valentino, Versace... Ovviamente lascio i soldi nelle casse. Devo dire di aver speso un bel patrimonio, ma ne vale la pena.
«Perché tu non hai preso nulla?», chiedo a Cameron mentre camminiamo verso l’Università.
Lui fa spallucce, sorreggendo le buste dalla spesa. «Io vesto con vari colori, non ho bisogno di cose nuove. E poi non voglio integrarmi davvero nella società odierna»
Annuisco. Quando passiamo davanti al ristorante DaVinci controllo se c’è Justin ed è ancora lì chino su un tavolo, mentre scrive. Mi affretto a guardare altrove quando lui si volta verso di me di scatto.
 
Vado a letto poco prima di mezzanotte. Ho dovuto prendere alcuni dei miei vestiti neri e portarli nella foresta tra il fiume e la città, dove li ho bruciati. Ora posseggo solo abiti colorati e spero di sembrare più umana con questi. Certo, preferivo i vestiti neri che indossavo prima, ma devo abituarmi alla società moderna. Non è come il vecchio e triste Medioevo, in cui nacqui io.
Per la seconda volta nella mia esistenza, una sveglia suona per me. È solo il secondo giorno di università e già la odio, ora capisco perché nei cartoni animati la buttano a terra e la rompono nei modi più assurdi.
Mi alzo dal letto grattandomi la testa, ancora un po’ nel mondo dei sogni. Stavo sognando la mia casa in Scozia. Mi manca non poco. Mi dirigo verso il bagno e mi faccio una doccia fredda, per svegliarmi. Come sempre quando mi lavo, la stanza prende il sapore del muschio e del cinnamomo. Scelgo dei jeans azzurri e una maglietta a righe bianche e blu. Santo cielo, sto vestendo di azzurro e blu! Mi guardo allo specchio agitata, non sembro io senza il nero addosso. Ho dovuto persino cambiare gli occhiali da sole, ora le lenti sono a specchio e le stecche sono d’oro. Cameron ha davvero una brutta influenza.
Al posto delle mie solite Lacoste Canvas, ovviamente nere, Cameron ha voluto che mi comprassi delle scarpe per persone narcisiste, chiamate Converse. Le ho già viste addosso alle persone e mi sembrano tanto un tipo di scarpe che si indossa per far vedere quanto si è ricchi, alla moda e bla bla bla.
Appena entro in salotto, Cameron mi sorride soddisfatto.
«Sei sexy», mi dice spegnendo la sigaretta nel suo solito posacenere con dentro una donna nuda. «Sembri una liceale normale e socievole, e non una ragazza solitaria e problematica»
«Perché, ieri sembravo una ragazza solitaria e problematica?», chiedo offesa.
«Ah sì», conferma annuendo. «Ma oggi, con questi jeans azzurri, questa t-shirt a righe e queste Converse leopardate sei uno schianto. Se ieri ti cadevano ai piedi, oggi portati un ombrello per ripararti dal triplo delle cadute!»
«Quello che dici non ha senso», sospiro. «E queste Converse leopardate sono davvero scomode»
«Oh, piccola Nightly», dice mettendosi una mano sul cuore e ricordandomi il professore di teatro. «Nella società odierna vige la regola secondo cui l’apparenza  è tutto»
Serro le labbra e vado in cucina ad aprire il frigo. Al contrario di ieri, oggi è pieno di prelibatezze. Scelgo una confezione di fragole, che lavo, taglio e metto in un piattino. Ci aggiungo lo zucchero e faccio colazione. Alle otto meno un quarto metto le cose nella borsa beige, saluto – e, a malincuore, ringrazio – Cameron ed esco dall’appartamento. Mi sento nuova, ma a disagio. Non sono fatta per questo mondo così... così... così tecnologico. Anni fa si viveva bene con un campo, una famiglia e la semplicità. Oggi tutto gira intorno alla bellezza esteriore. Non che un tempo non era così. Ma dilagava la povertà e la povertà causa l’umiltà.
Con questi pensieri profondi, entro nell’università. Tra le tante teste delle persone, riconosco quella di Justin. Appena penso a lui sento il suo familiare odore alla lavanda. Scelgo di ignorarlo appositamente e apro la scheda degli orari scolastici.
«Come mai ieri eri al ristorante?», mi chiede una voce, che mi fa sorridere di riflesso.
«Buongiorno anche a te, Justin. Sì, oggi sto bene. Tu che mi dici?», lo prendo in giro.
Quando mi volto verso di lui, chiudendo la scheda degli orari, lo vedo sussultare.
«Scusa», mormora flebilmente avvampando.
Mamma mia, non cambierà mai.
«Va bene, riproviamo», sospiro. «Stavi uscendo dalla segreteria, giusto? Rifacciamo la scena»
Lui si mette a ridere e cammina fino alla segreteria. Io sorrido e mi metto di nuovo a contemplare la scheda con gli orari. Poco dopo sento l’odore della lavanda, e la voce di Justin.
«Buongiorno, Nightly!», esclama teatralmente. «Come stai oggi?»
 Con fare teatrale rispondo: «Ma ciao, Justin! Io sto bene, tu?»
Ridiamo un poco, cominciando a camminare per i corridoi.
«Non c’è male», mi dice. «Come mai ieri eri al ristorante?»
Faccio spallucce. «Cena con mio fratello»
«Ah, e io che pensavo che il ragazzo che s’ingozzava di spaghetti fosse il tuo fidanzato!»
«Scherzi, Cameron? Morirei, piuttosto»
Come se potessi, penso tra me e me ridacchiando.
«Perché, è così terribile?»
«Non ne parliamo... Che lezioni hai oggi?»
Lui controlla la sua scheda e me la mostra. Devo dire che rispetto a ieri è un poco più aperto. La cosa mi fa piacere, anche se arrossisce per qualsiasi cosa, come se avesse paura di ficcare il naso ovunque nei miei fatti.
«Ah, io alla prima ora ho Danza», gli dico. «Che cosa si fa in Arte Digitale?»
 Nei suoi orari c’è scritto esattamente che alle prime due ore farà Arte Digitale. Magari si disegna, visto che si chiama “arte” ma digitale cosa significa? Sto davvero cominciando a odiare queste modernità.
«Oh, praticamente si elabora al computer le forme d’arte»
Eh?!
«...Non so di cosa tu stia parlando», sorrido. «Credo che andrò nell’aula di danza»
«V-va bene», dice incerto. «Ciao»
«Ti vengo a cercare a pranzo», lo avviso.
Mi volto e vado in avanscoperta dell’aula di danza. Da quel che ho capito dalle spiegazioni fornitemi da uno studente, si trova “nei sotterranei”, o almeno lui li ha chiamati così. In realtà devo raggiungere la zona Est dell’Università, ossia quella più vicina alla foresta, scendere le scale vicino a un bar e aprire la porta dell’aula di danza. Il ragazzo a cui ho chiesto informazioni aveva ragione nel dire che si trova nei sotterranei, perché è davvero sotto il pianoterra. Le luci sono fioche e nelle classi con le porte aperte noto che non ci sono finestre. Apro l’aula numero 141 e mi ritrovo in una stanza a specchi, barre orizzontali di legno e parquet scivoloso. Ci sono una serie di persone – sono ventidue ragazze e otto ragazzi – vestiti con gonnelline e magliette aderenti.
«Oh, benvenuta», mi saluta una donna sorridente.
Ha una maglietta superaderente nera, una gonnellina frufrù rosa, delle scarpette a punta rosa e uno chignon ben elaborato. Noto che è l’unica ad avere quel tipo di scarpette, gli altri sono scalzi.
«Tu sei... Nightly Ciara Mackitosh, esatto?», mi sorride parlando con quella sua voce melliflua che sto cominciando a detestare.
«Sì», rispondo.
«Bene! Io sono la professoressa di Danza, mi chiamo Naomie Dubois», esclama. «Manca Katlies e poi ci siamo tutti. Intanto, Nightly Ciara, va’ pure a cambiarti»
«Non ho i, ehm... vostri tipi di vestiti», mormoro.
Perché questa donna mi mette in soggezione? E perché sorride in quel modo così finto? Se non la smette a fine giornata le faranno malissimo le guance.
«Quasi nessuno li ha, il primo giorno», ride. «Esci dall’aula e prendi la prima porta a sinistra: è uno spogliatoio. Lì ci sono i tutù, scegli la tua taglia»
Lì ci sono i tu-cosa?
Sorrido cortese e metto la scheda degli orari nella borsa beige. Poi mi volto per uscire dall’aula ed entrare nello spogliatoio. Ma appena apro la porta un ragazzo viene a sbattere contro di me. La professoressa Dubois lo riconosce subito, infatti gli dice di seguirmi negli spogliatoi.
«Ah, sei Miss Non Importunarmi», mi dice il ragazzo una volta chiusa la porta alle nostre spalle.
Sento suonare la campanella delle otto e incuriosita dal ragazzo, lo guardo. Oh, lui è quello di ieri mattina! Com’è che si chiama...?
«Sì, e tu saresti? Dustin? Darren?»
«Dylan», mi corregge ridendo. «Dylan Katlies. E tu ti chiami...?»
«Mi chiamo Non Importunarmi, te l’ho detto. È un nome bengalese»
Dylan Katlies scoppia a ridere, quando io non volevo divertirlo. Insomma, volevo divertire me stessa prendendolo in giro. Ma è buono che sappia ridere di se stesso, alcune persone sono davvero suscettibili. Basta che le prendi un po’ per i fondelli e si arrabbiano. Un po’ come Cameron, ecco.
Apre la porta dello spogliatoio e si dirige a passo sicuro verso degli armadietti. Ne tira fuori i vestiti frufrù di cui parlava la Dubois, i tu-cosa.
Cerco la mia taglia e mi chiudo in una cabina per cambiarmi. Mi guardo nello specchio e trattengo il fiato. Non so se definirmi decente o ridicola. Se fosse un vestito direi decente. Ma sono una maglietta nera e una gonna a veli ballonzolanti, quindi opto per il ridicolo. Esco dalla cabina e trovo Dylan a petto nudo che fruga in un armadietto.
«Miss Non Importunarmi, non vorrai mica andare a fare danza a gambe nude», ride lui.
«E tu non vorrai mica andare a fare danza senza maglietta aderente», ribatto.
«Ne ho sto cercando una più larga, l’altra mi soffocava»
Certo, lui non ha mai conosciuto i corpetti. Meglio evitare l’argomento, però questo lo rivelo: nel Medioevo non esistevano i corpetti, ma indossavamo dei vestiti così stretti che una volta, al matrimonio di un nobile a cui fui invitata, svenni. Davvero! Stavo ballando con Cameron alla festa di nozze, quando a un certo punto non riuscivo più a respirare. Risultato? Caddi a terra svenuta davanti a tutti.
«Capisco»
Dylan tira fuori dall’armadietto un paio di calze trasparenti e le provo. Sono comode. Lui indugia con la testa nell’armadietto – non ci credo che una maglietta lo soffocava, è tutta scena per mettere in mostra il suo bel corpo. Si volta con la maglietta in mano e se la infila. Mamma mia, che bello. Mi trattengo dallo sbavare e lo guardo in tralice. Prendo la mia borsa, appendo i miei vestiti in un armadietto e seguita da Dylan Katlies torno all’aula 141.
 
È pazzesco quanto sia buono il cibo che servono nella mensa. Nei film i liceali ripudiano letteralmente il cibo offerto dalla scuola e ora non capisco il motivo. Alla Chic Arts University of Salem invece sembra di stare in una reggia. I tavoli sono di legno pregiato e ci sono enormi finestroni alle pareti, che rendono tutto luminoso. Se la leggenda secondo la quale i vampiri bruciano al sole fosse vera, a quest’ora sarei morta. Ma per mia fortuna ho convinto Stoker ad aggiungere il dettaglio nel suo libro, per proteggermi: se gli umani credono che al sole siamo vulnerabili, al sole non mi cercheranno mai.
«Questa Caesar Salad è davvero buona», sorrido a Justin.
«In effetti è sospetto che ci servano cibo di qualità»
Lo guardo stranita. «E grazie, con tutti i soldi che paghiamo»
Lui mastica lentamente e si guarda intorno, poi mi fissa perplesso prima di ingoiare.
«Non intendevo quello. Nightly, hai presente i tempi del liceo in cui nelle mense si fanno lotte con il cibo e si mangiano hamburger riciclati e patatine fritte nell’olio bruciato?»
Poche volte mi chiama per nome e questo mi diverte, perché si imbarazza.
«...Ehm, sì, giusto», mormoro poco convinta continuando a mangiare. In realtà non capisco, perché non sono mai stata al liceo. «Nel pomeriggio che lezioni hai?»
«Canto, aula numero 84», risponde prontamente reprimendo un sorriso.
«Anche io», sorrido. «Forza, mancano dieci minuti. Avviamoci»
Buttiamo i piatti di carta biodegradabile nei cestini appositi e ci dirigiamo verso l’area Nord dell’istituto, più o meno dove si trova la mia palazzina. Camminiamo per i prati, sotto il sole cocente dei primi di settembre.
«Certo che potrebbero mettere dei trenini che ti portano in giro per il campus», ridacchia Justin.
«Almeno smaltiamo un po’ camminando», dico.
«E ci abbronziamo»
Ah be’, figuriamoci se posso abbronzarmi.
Come l’aula di danza 141, anche quella di canto si trova “nei sotterranei”. È un’aula insonorizzata, con vari strumenti musicali – chitarre, flauti, flauti traversi, violini, nacchere – appesi alle pareti, come trofei. In effetti ci sono dei trofei, brillanti e puliti, che ci fissano dall’alto di un armadio con le ante a vetri oscurati. C’è un enorme stereo incastonato in una parete e dei microfoni professionali. Mi piace.
Justin ed io siamo tra i primi ad entrare nell’aula 84, ci sono solo altre tre persone compresa una professoressa, che si presenta come Katja Rice. È molto giovane e solo guardandola so che ha venticinque anni compiuti da qualche giorno. È per questo che ci prega di chiamarla Katja.
«Chi di voi ha conosciuto il professor Hive?», domanda quando siamo tutti presenti.
Justin e io alziamo la mano e così anche altri studenti.
«Bene, perché anche noi alla prima lezione dell’anno faremo un’estrazione!», esclama entusiasta porgendomi un sacchetto di velluto rosso scuro, che subito mi ricorda il sangue.
«Di’ il tuo nome e pesca»
«Nightly Ciara Mackintosh», rispondo infilando una mano nel sacchetto.
Pesco un biglietto arancione e lo apro. C’è scritto “Halo di Beyoncé”. E cosa sarebbe…?
«Oh, Beyoncé!», ride Katja. «La adoro, che fortuna che hai! Oh, Justin ciao», dice poi guardando il ragazzo accanto a me.
«Salve, Katja»
Justin mette la mano nel sacchetto e dopo un po’ apre un bigliettino lilla. Mi sporgo sulle sue spalle per leggere. Dice: “I Can Be a Freak di Estelle”. Justin fa un cenno d’apprezzamento e Katja fa pescare a tutti gli altri.
«Ehi», mi sibila una ragazza, molto carina. «Io ho preso Climax di Usher, facciamo a cambio? Non so fare gli acuti...»
Cos’ha preso questa…?, mi chiedo porgendole il mio biglietto. Ma Justin interviene e prende il biglietto della ragazza, che lo guarda truce.
«Usher lo canto io», dice fiero, per poi arrossire e abbassare la testa.
Non ho capito niente. Quindi stringo nella mano il mio bigliettino arancione e lo infilo in tasca. Do un’occhiata a Justin, domandandomi quale sia il problema. Ma lui mi fissa a labbra serrate.
«Cosa non va?», domando aggrottando la fronte.
«Sono indeciso», risponde mordendosi un labbro. «Usher è il mio cantante preferito, ma lo è anche Beyoncé. Quindi non so se chiederti di fare a cambio»
Faccio spallucce e mi volto, senza rispondergli. Non darò a nessuno il mio biglietto. Non so chi sia questa Beyoncé, ma ho intenzione di cantare qualsiasi canzone sia sua. Anche Halo, che non ho mai sentito. Forse Cameron ha ragione quando dice che sarebbe meglio se mi integrassi al cento per cento nella società moderna, per stare con gli umani. Dovrei comprarmi un iCorp o un iPom o come si chiama. Forse iPod, però…
Come è successo con il professore di teatro, andiamo in ordine alfabetico. Justin è il secondo, visto che il suo cognome inizia con la B.
Si mette al centro della stanza, dietro a un microfono, e si mette le cuffie sulle orecchie. È abbastanza agitato, davanti a tutti noi, infatti emana un pungente aroma di rose e zolfo. Però devo ammettere che sembra fatto per stare lì, microfono alla bocca e cuffie sulle orecchie.
Una melodia mesta parte e subito Justin comincia a cantare. Ho letteralmente la pelle d’oca, ha una voce bellissima. Non sbaglia gli acuti di cui parlava la ragazza e piano piano si lascia andare. Ora profuma di amarena, che è l’amore, e di melograno, che è la felicità. E sebbene ci siano quasi trenta persone di fronte a lui, ho l’impressione che si senta da solo, magari in camera sua al sicuro, mentre canta sulle note del suo cantante preferito.

Gutentag, Freunden! ahah sì, faccio tedesco al liceo** allora, eccoci al terzo capitolo, woah! che ne dite, eeeh? vi dico, è casuale la scelta dei cantanti: l'altro ieri in bus stavo pensando a come continuare la storia e intanto ascoltavo l'mp3. quando è partita Halo, mi sono immaginata Nightly che cantava e quindi le ho fatto pescare Beyoncé. a Justin ho dato I Can Be a Freak perché mi piace ahah e invece ho scelto Usher perché ho chiesto a mio fratello che lettera dell'alfabeto preferisce, mi ha detto la U e Climax era la prima canzone di un artista il cui nome inizia con U, nella mia playlist. e un'altra cosa, la Chic Arts University of Salem è inventata da me. ahahah non so perché "chic", ma mi sapeva di qualcosa di elegante, come questo istituto.
dunque, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo c: come personaggi vi piacciono Nightly e Cameron? ditemi i vostri pensieri u.u 
ringrazio @bieberismyhope per la recensione :D
siemdrew

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
il fantasma dell'opera
 

Teatro San Carlo di Napoli, 26 settembre 1835
Osservavo  Messer Donizetti, direttore del teatro, mentre batteva le mani dal palco reale. Nessuno si era trattenuto: persino Cameron si era alzato per applaudire all’attrice di Lucia Ashton prima che iniziasse il suo assolo. Dal palco, la ragazza sorrise e cominciò a cantare Il Dolce Suono Mi Colpì di Sua Voce. Avevo i brividi e probabilmente gli occhi lucidi.
«Fanny Tacchinardi è davvero una cantante eccezionale», mi sussurrò Cameron riferendosi all’attrice.
Tornò a sedersi e a osservare la cantante nella sua scena.
«Già», dissi flebilmente.
Non staccai gli occhi dal palco, da Lucia Ashton e il suo vestito, dalle tende di raso bordeaux. Mi faceva sentire così viva ascoltare opera lirica in un teatro tanto speciale. Notai sull’arco scenico lo stemma delle Due Sicilie. Intorno a me tutto era oro e bordeaux. Mi trovavo nella platea e da lì potevo scorgere tutto il teatro. Alzando la testa, vedevo la tela sul soffitto rappresentante Apollo che indica ad Atena le arti, come Dante con Beatrice e Virgilio. Rabbrividii e posai lo sguardo sul mio Gilbert, che interpretava l’amante segreto di Lucia. Lo osservai dolcemente mentre guardava attentamente Lucia cantare.  
«Stai bene?», mormorò Cameron.
Mi irrigidii e abbassai lo sguardo sulla mia crinolina nera.«Certamente»
Cameron mi lanciò uno sguardo sospetto e tornò ad ammirare le curve dolci di Fanny Tacchinardi. Stavo per farmi scoprire. Se Cameron avesse saputo della mia relazione con Gilbert, questi non sarebbe sopravvissuto. Mi morsi il labbro immaginando il corpo senza vita di Gilbert. No... Scossi lievemente la testa e mi concentrai sull’opera di Lucia di Lammermoor.
«Gilbert Duprez», disse tutto a un tratto Cameron, guardando il palcoscenico e mordendosi un unghia con fare iracondo. «Il nobile che interpreta Edgardo. È lui. Lui»
«Cosa intendi dire?»
«Silenzio, vi prego», ci zittì un uomo seduto dietro di noi.
«Scusatemi», risposi.
«Rispondimi, Nightly», insistette Cameron. «Messer Duprez è l’uomo che ha in mano il tuo cuore»
«No», risposi stringendo i pugni.
«Messer Mackintosh, ve ne prego», l’uomo riprese Cameron.
«Sto parlando con mia moglie, Messer Antonini, lasciatemi in pace», sibilò Cameron in risposta.
Ci definivamo sempre marito e moglie perché essendo, in realtà, fratello e sorella stavamo sempre insieme e mostravamo tra di noi più affetto rispetto alle coppie normali dell’Ottocento. In realtà era affetto fraterno, ma veniva scambiato per amore.
«Giuro che te la faccio pagare», riprese Cameron furioso guardandomi negli occhi. «Oh, vedrai quanto mi divertirò con lui»
«Ti stai irritando per un nonnulla, Cam, tra me e quel brav’uomo non esistono scintille», dissi guardando Gilbert per distrarmi.
«Allora a te andrebbe ugualmente bene se gli facessi del male», mi ricattò furbamente. «Non c’è nessun legame, tra voi, o sbaglio?»
Strinsi i pugni e chiusi gli occhi per evitare di piangere.
«Cosa succede qui?»
Messer Gaetano Donizetti, padrone del teatro, accompagnato da Messer Antonini, ci guardò male e si mise a braccia conserte.
«Messer Antonini e consorte vorrebbero un po’ di silenzio, coniugi Mackintosh», ci disse. «Lo otterranno o sarò costretto a cacciarvi da questo balconcino di platea?»
«Me ne dispiaccio, Messer Donizetti», mormorai usando un po’ del mio fascino per abbindolarlo. «Ma mio marito non vuole capire che a teatro il silenzio è impo...»
Cameron non mi lasciò il tempo di terminare la frase, perché mi diede una spinta per zittirmi e si avventò su Messer Donizetti spaventandolo. Fui impotente, mentre Cameron aggrediva Donizetti e gli squarciava la gola.
«No, stupido!», gridai sconvolta.
Mio fratello poi sbatté al muro Messer Antonini, che lanciò un grido.
«Dovevi proprio darmi fastidio!», gli sibilò contro mio fratello, la sua bocca su quella di Antonini. «Te la sei cercata, Biagio»
Mentre Cameron affondava i denti nella gola di Antonini, gli saltai addosso per allontanarlo. Ma lui mi scansò e caddi addosso a Madama Antonini, che intanto piangeva disperata nascondendo i suoi due figli dietro la sua crinolina. Sentii Fanny Tacchinardi interrompersi e quando mi rimisi in piedi tutti gli spettatori si erano alzati dai sedili e si guardavano intorno smarriti. Vidi Cameron gettarsi dalla platea e raggiungere a passi pesanti il palcoscenico.
«Messere, non potete stare...!»
Passando accanto al direttore d’orchestra, Cameron gli spezzò il collo con una mano e senza degnarlo di uno sguardo. Dal pubblico si levò un boato di terrore e sorpresa. Mio fratello raggiunse la Tacchinardi e i due si guardarono un poco. Lui le diede un leggere bacio sporco di sangue, poi guardò Gilbert. Velocissima, mi buttai anche io dal balconcino della platea e corsi verso mio fratello. Non fui abbastanza veloce. Mentre uccideva il mio amato Gilbert, Cameron si voltò a lanciarmi un sorriso malefico.
 
Torno alla realtà con un sussulto e pochi secondi dopo Justin si toglie le cuffie, sorridente. Ho le lacrime agli occhi, un po’ perché ha una voce mozzafiato e un po’ perché ho ripensato a quella notte del 1835.
«Sei stato fantastico», mi complimento con un sorriso.
«Grazie», risponde Justin.
Uhm, odore di zolfo. Faccio un sospiro esasperato e lui mi guarda accigliato. Ma perché ha paura di me?!
Quando viene il mio turno, infilo le cuffie e mi metto al microfono. Non conoscendo la canzone, Justin me l’ha fatta ascoltare dal suo cellulare quando cantavano gli altri, quindi conosco il ritmo. Per fortuna Katja accende uno schermo su cui appaiono le parole. Sicura di me stessa, comincio a cantare. Ma poco dopo il ritornello, mi tolgo le cuffie.
«No, no, non ci riesco», mi lamento.
«Ma sei bravissima, non devi abbatterti!», insiste Katja avvicinandomisi.
«Non è questo il punto», sospiro. «Non mi piace il genere»
Justin tossicchia e mi guarda burbero. Non è colpa mia se non mi piace il genere di musica moderno!
«Preferisco qualcosa di più, ehm... all’antica»
Katja mi guarda pensosa. «Cosa preferiresti?»
Non mi faccio scappare l’opportunità. Le dico di cercare Il Dolce Suono Mi Colpì di Sua Voce. Mentre lei inserisce la base, con una smorfia, penso a Fanny Tacchinardi. In realtà mi è venuto in mente quel ricordo perché mi ha colpito la voce di Justin, che è indescrivibile.
Comincio a cantare ricordando le mosse e i gesti della Tacchinardi e un po’ la imito. Katja spalanca la bocca e blocca il pezzo.
«Vieni con me»
Mi prende per un polso e mi trascina fuori dall’aula 84. Uscendo, afferro Justin e lo costringo a starci dietro, sebbene non voglia e cerchi di liberarsi. Ci dirigiamo verso l’aula di Teatro 2 e quando Katja spalanca le porte fa prendere un colpo a tutta la classe. Il professor Hive la guarda truce.
«L’ho trovata!», esclama Katja.«L’ho trovata, Andrew!»
«Chi?», chiede lui basito.
Katja alza il mio braccio, come in segno di vittoria, e poi esclama: «La tua Christine!»
«L’ho già trovata “la mia Christine”, Katja», risponde scorbutico. «Non mi serve un Conte Dracula»
La professoressa di canto mi guarda accigliata, ma io mi stringo nelle spalle.
«Ci serve una donna aggraziata», continua Hive. «Dalla voce morbida ma potente»
«Lei. Nightly Ciara Mackintosh»
«No, lei non è aggraziata – senza offesa, Nightly»
«Nessun’offesa», mormoro.
Ma che stanno combinando? Hive e Katja cominciano a blaterare su qualcosa che non capisco. Justin li guarda attentamente, sono quasi certa che ha capito di cosa stiano parlando.
«Non voglio cambiare l’attrice», ribadisce Hive per la millesima volta.
«Lasciala almeno provare!», insiste Katja arrabbiata. «Ha cantato un pezzo di un assolo della Lucia di Lammermoor e credo sia adatta alla parte»
Hive sbuffa esasperato, le mani sui fianchi, e mi guarda serio e accuratamente. Ha in mano dei fogli, pare un copione.
«Vieni, Drac», mi dice ridacchiando.
«Drac, professore?», chiedo basita.
«Sì, me lo concedi? Hai interpretato Dracula divinamente»
In realtà ho interpretato me stessa parlando al maschile, quindi non capisco quel “divinamente”. Sono divina? Non mi sento d-i-v-i-n-a. Non lo sono. Sono solo una ragazza sfortunata a cui è capitato di non incontrare la morte il giorno dovuto. Il mio destino non era essere qui, l’11 settembre 2012, ma restare in Scozia e terminare l’anno 1425, insieme alla mia famiglia. Invece sono bloccata in questo secolo, nella speranza che finisca presto, con solo mio fratello, che fa tabula rasa degli uomini di cui mi innamoro nel corso dei secoli.
La classe di Hive, formata da studenti più “grandi” di me, mi guarda male, in particolare una ragazza mora vestita con un abito a veli bianco.
«E così conosci il Lucia di Lammermoor», mi sorride il professore. «Vuoi cantare qualcosa di quell’opera?»
«Non particolarmente», rispondo guardando male la ragazza, che emana un odore di peperoncino. È arrabbiata con me. «Mi vanno bene anche Verdi, Puccini...»
«Puccini, eh? Conosci il Madama Butterfly?», mi chiede curioso.
«Certamente»
Sorrido e canto le prime strofe di O a Me Sceso dal Trono. Hive sembra impressionato e ne sono compiaciuta. Katja sta lottando per me – anche se non so per cosa... – e ho tutta l’intenzione di farla vincere. Darò il massimo di me stessa.
Il professor Hive mi fa cantare Un Bel Dì Vedremo e la classe, Katja e Justin mi guardano a bocca aperta. Mentre canto, assaporo i loro profumi. Limone, il desiderio, dai ragazzi e una ragazza. Hive sa di melograno, per la felicità, e di cipolla, che è il dubbio. Con mia sorpresa, anche Justin profuma leggermente di limone, ma soprattutto di mele. I suoi profumi sono sempre lo zolfo o le mele: vuol dire che lo intimorisco, ma perché? È perché sono un po’ diversa dalle persone normali? Ho almeno il quintuplo degli anni di tutte le persone nel teatro sommate insieme.
«Fantastico, Drac, è davvero eccezionale», mormora Hive. «Ti darò la parte»
«Eh?»
«Professore!», esclama indignata la ragazza vestita di bianco che mi guardava male. «Sono IO Christine, non può sostituirmi!»
«Lo so, ma la voce di Drac è molto più utile per questa parte», sospira Hive. «Tu potresti interpretare Alexis Jordan»
«Alexis Jordan non fa parte di un musical!», grida la ragazza. «È una cantante, per dio!»
«Oh, basta lamentarsi Corinne», la liquida lui. Poi si rivolge a me. «Ti spiego meglio, Drac. Stiamo inscenando un musical, tratto da un film del registra Joel Schumacher. Il Fantasma dell’Opera, conosci?»
Scuoto la testa, serrando le labbra.
«Oh, è un musical tratto da un libro famoso», spiega semplicemente Hive. «E tu ne sarai la protagonista, Christine Daaé. Inizialmente ho dato la parte a Corinne, perché lei è quella che assomiglia di più a Christine in questo corso. Però potremmo fare che tu abbandoni il corso di canto e passi a quello più alto di lirico. Opera lirica»
«Insomma è un musical tratto da un musical tratto da un libro? Non credo io voglia interpret...»
«Ma certo che vuoi!»
Hive mi poggia un braccio sulle spalle e scuote i suoi capelli shakespeariani, facendomi ridere. Corinne invece, guardandomi, profuma di uova marce – il ribrezzo.
«Non voglio rubare la parte a Corinne», spiego.
«Oh, ma a lei non dispiace!», ride Hive.
Mentre lui mi parla del musical, osservo Katja e Justin andarsene soddisfatti. Il Fantasma dell’Opera ha come protagonista una ragazza orfana di un padre violinista. Le viene insegnata l’arte del canto da un individuo sconosciuto, di cui non sa il nome, e lavora come ballerina nell’Opera Populaire di Parigi. Nel teatro, però, si trova un uomo mascherato che viene chiamato il Fantasma dell’Opera e che rapisce Christine, per farla sua. Lei però è combattuta tra l’amore per il Fantasma e per un suo vecchio amico, Raul, che è anche padrone dell’Opera Populaire. Christine, infine, scoprirà che il Fantasma, il cui vero nome è Eric, le ha fatto da maestro di canto e che vive nei sotterranei del teatro per una deformità al viso. Hive non vuole rivelarmi come si conclude il musical. Mi mette tra le mani il mio copione, con tanto di note musicali, e mi spedisce al mio appartamento per studiarlo.
 
Quando entro in casa, sento un odore familiare, quello del cinnamomo. Non so perché, ma i componenti della famiglia Mackintosh odorano di cinnamomo. È una fragranza che, fino a stamattina, non c’era, perché ancora non abbiamo  fatto nostra la casa. Quindi, o Cameron ha usato uno spray al cinnamomo, oppure...
«Sono arrivati i mobili!», grida Cameron dalla cucina.
Mi guardo intorno ed eccomi a casa. Sul pavimento, davanti al divano, c’è il tappeto persiano che comprammo a Costantinopoli nel 1486; sul tavolo c’è il mio candelabro tedesco in ottone trovato a Monaco nel 1511; attaccata al muro c’è una spada con l’elsa a forma di Giglio bottonato, lo stemma di Firenze, che mi fu regalata da un alchimista toscano nel 1527; in uno scatolone trovo le prime foto in bianco e nero, rappresentanti mio fratello e me, e altri oggetti come portagioie, penne stilografiche, libri e dischi per giradischi. Corro in camera mia, dove c’è il mio baule del Novecento. Lo apro e guardo i miei beni. Cose semplici, ma a cui tengo molto. Gioielli, abiti antichi, un paio di scarpe che comprai a Boston nel 1903, il mio libro preferito, un blocco di disegni – il cui primo è datato 23 aprile 1431 – e altre cose. Sotto a un vestito di taffetà e pizzo neri, al sicuro, trovo una scatoletta in bronzo rovinata e un po’ ammaccata. Mordendomi il labbro, la apro. Prendo in mano le due fedi nuziali in ferro dei miei genitori. Sono bellissime, come sempre, e le ricordo agli anulari dei miei. Sul ferro sono incise le onde del mare e i loro nomi: Iona, mia madre, e Donnchadh, mio padre. Da dentro le scarpe invece tiro fuori un’altra scatoletta, in legno oramai graffiato. All’interno ci sono semplici averi di persone che ho amato. Appoggio per terra un orecchino, appartenuto a un mio amante, un ciondolo a forma di rosa, della mia migliore amica – morta nel 1942 nei campi di concentramento –, un ditale d’oro, di una mia discendente con cui avevo stretto amicizia, e poi un’altra fede. Mia. Voleva donarmela Gilbert, ma non ce l’ha mai fatta. La sera del Lucia di Lammermoor, era così agitato che gli infilai la fede nel taschino sul cuore del suo completo e ricordo che mentre Cameron lo uccideva lui la teneva stretta in una mano. Così l’avevo presa e ancora oggi, dopo quasi 117 anni, la conservo.
Metto tutto a posto e mi siedo sul letto. È così confortante l’odore del cinnamomo. Deglutisco e prendo il copione de Il Fantasma dell’Opera. Porca miseria, solo ad Hive poteva venire in mente di creare un musical tratto da un musical tratto da un libro! Inoltre nel copione ci sono tantissime canzoni e io non so leggere le noti musicali, men che meno a sentire il loro ritmo leggendole.
«CAAAAAAAAM!», lo chiamo alzandomi in piedi.
In un battibaleno, eccolo in camera mia.
«Tu che te ne intendi, mi aiuteresti a leggere queste note musicali?»
Cameron mi guarda con un cipiglio interrogativo e mi prende dalle mani il copione.
«Ah, sì, ho visto questo musical», mormoro. «Fantastico, Christine Daaé... Che culo, che hai, Nightly! Andiamo su internet e studiale da lì»
«Andiamo dove?»
Mio fratello sbuffa e mi conduce in cucina. Qui è acceso uno di quegli aggeggi diabolici chiamati computer portatili. Ora sbuffo io. Non dico che preferivo il Medioevo in Scozia, ma non mi piace neanche l’epoca moderna. Molto probabilmente il periodo perfetto, a mio parere, era il Novecento. O il Rinascimento.
Cameron mi costringe a usare la tastiera per cercare i brani del musical e ne sentiamo qualcuno su un programma chiamato youtube.
«Odio questo coso», brontolo dando una botta al lato del portatile.
«Ehi, attenta!», esclama Cameron rabbioso. «Non li vendono gratis!»
«Con tutti i soldi che abbiamo, tanto», ribatto.
«Questo pc è importante, per me, non ti ha fatto nulla!»
«Esiste, ecco cosa mi ha fatto!», esclamo. «Così come questo schifo di posto!»
«Te lo sei scelto tu, Nightly!»
Sento un campanello suonare e, continuando a litigare con Cameron, mi dirigo alla porta.
«Non intendo quello, Cam! Questa società così complicata!»
Apro la porta e guardo Dylan e Justin sorpresa.
«Non è complicata!», continua Cameron senza accorgersi di Justin e Dylan.
Mi giro e gli faccio segno di stare zitto, ma lui mi dà le spalle e non può vedermi.
«Semplicemente è fatta così, non si torna al passato! Bah, guarda che hai combinato, mi hai portato un virus! Ma perché fai casini e sei antica? Era meglio se ti avessi lasciato in Scozia nel millequat...»
«MA CIAO RAGAZZI!», esclamo ad alta voce per sovrastare le troppe chiacchere di Cameron. «Ditemi!»
Justin mi fa ciao con la mano e Dylan ridacchia.
«Volevo chiederti», inizia. «se ti va di venire con noi al lago»
«Eh? Chi è?»
Cameron si gira e dalla cucina guarda male Dylan e Justin, imbarazzati. Merda... Mio fratello mi lancia una delle sue occhiate superfulminanti che mi fanno trasalire e raggiunge i miei compagni a passi pesanti. Dylan odora di cipolla, il dubbio, e Justin di mele e rose.
«Cameron Hamish Mackintosh», si presenta seccamente tendendo la mano ai due umani.
«Dylan Jack Katlies», risponde sorridente Dylan.
«Justin Bieber... Drew Bieber», si corregge lui notando che gli altri due hanno usato i secondi nomi.
«Sono miei compagni, fanno parte del musical», invento sorridendo a mio fratello.
Dylan e Justin si guardano straniti e io sorrido imbarazzata.
«Vuoi venire al lago con noi?»
Mi lancia uno sguardo da “sei proprio stupida” e mi ricordo che lui non fa parte dell’università e che se lo vedessero sarebbero guai.
«Ah, giusto, devi tornare in città...», mento davanti a Justin e Dylan.
Prendo la borsa beige togliendoci i libri ed esco dall’appartamento. Sorrido a mio fratello, nel chiudere la porta, ma quel che ricevo è uno sguardo truce puntato su Justin.

ma salve c: scusate il ritardo ahah ma sto avendo dei problemi a casa çç 
alloooora, sappiamo qualcosa del passato di Nightly o: povera cara, suo fratello le uccide tutti i pretendenti çç io non ci vivrei più, ma lei ha le sue motivazioni: nei prossimi chapters saprete u.u
vi piace questo capitolo (:? a me sììì perché Nightly sarà la protagonista de Il Fantasma dell'Opera. è il mio musical preferito dfjrefnvgj le canzoni sono bellissime, soprattutto "un ponte fra noi due" che è una delle mie preferite c: ve lo consiglio, è davvero un musical fantastico, merita tanto!
ringrazio per tutte le visualizzazioni e per la recensione lasciatami da @biebsrescuedme grazie agente ;)! spero di ottenerne di più, perché tengo davvero molto a questa storia! ooora mi dileguo u.u un bacio e grazie per tutto <3
siemdrew

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