Karma Rules

di potters_continuous
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III. ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV. ***
Capitolo 5: *** Capitolo V. ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII. ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII. ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX. ***
Capitolo 10: *** Capitolo X. ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI. ***
Capitolo 12: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


“Non puoi comportarti così!" lo rimproverò Kurt, sull'orlo dell'esasperazione:"Sono pazienti e tu sei un dottore." Sebastian ringraziò con un cenno del capo la signora della mensa, rigirò la mela tra le mani, poi l'addentò: "Dimmi qualcosa che non so, Hummel. " L'altro lo fulminò con lo sguardo.

"Siamo in sindrome premestruale, miss Elizabeth?" gli sorrise Sebastian, alzando le sopracciglia.

"Tu trapeli simpatia da tutti i pori, invece." ribattè stizzito il più basso. Ignorò il suo "Sì, infatti." e alzò la voce: "Vuoi la verità, Bas? Stamattina ho dovuto dire alla madre di un bambino di sei anni che suo figlio ha il cancro, lei continuava a piangere e-

 "Fa parte del nostro lavoro, Porcellana. Credi che io sia felice quando un intervento va male? Così mi focalizzo su quanta sofferenza provoco se sbaglio, e miglioro." lo interruppe bruscamente il neurochirurgo.

"Fantastico, peccato che esistano le malattie terminali e che la mia 'bravura' non possa farci niente!" sibilò Kurt, stringendo i pugni per la rabbia.

"Potresti evitare di farti venire una crisi ogni volta, ad esempio! E’ il tuo lavoro da 4 anni!”                                                                    

 Kurt aveva iniziato a lavorare come pediatra all’Allen Pavillon subito dopo la fine dei suoi studi e dell’apprendistato all’età di 25 anni. Aveva deciso di iscriversi alla facoltà di medicina poco dopo il suo trasferimento a New York, più o meno quando suo padre si era ammalato, forse era stato proprio  quello il motivo della sua decisione.

“Questa non è né la prima né l’ultima mamma che viene a sapere una cosa del genere…Andiamo, il mondo non è tutto rose e fiori." disse il francesino, mentre scribacchiava qualcosa su un block notes.

"Rose e fiori?! E quando lo è stato per me?! Mia madre è morta quando avevo 8 anni, sono stato vittima di bullismo per tutti gli anni del liceo, papà se n'è andato prima di vedermi con il camice e-" il rumore del cercapersone di Sebastian lo frenò, lasciandolo con gli occhi umidi, un lieve affanno e una fitta dolorosa al centro del petto.

"Devo andare. A quanto pare qualcuno se la passa peggio di te."  disse dopo aver controllato velocemente il piccolo schermo. Si fermò dopo pochi passi: "Dimenticavo!" esclamò, sorridendo nel più stronzo dei modi e lasciando scivolare il piccolo foglio sul tavolo della mensa ospedaliera. Kurt lo prese e lesse: "Cyclodynon, per dolori mestruali, due volte al giorno." Appallottolò il foglio e lo tirò cercando di colpire Smythe.Aveva conosciuto Sebastian proprio in quell’ospedale. Kurt era rimasto immediatamente colpito dal suo fascino e dal fatto che fosse sopravvissuto anche lui all’Ohio, forse un po’ meno dal suo narcisismo e dalla sua capacità di parlare sempre e solo di sé, incredibilmente lievitati da quando era stato promosso caporeparto, uno dei più giovani caporeparto che quell’ospedale avesse mai avuto, ma, ciò nonostante, era ugualmente caduto nella sua trappola. Uscivano insieme da ben quattro mesi.

***

Kurt tentava di infilare la chiave nella serratura da un paio di minuti. Aveva la mente altrove e la sua coordinazione oculo-manuale non era efficiente. Condivideva, sin da quando era arrivato nella Grande Mela, l’appartamento (se così potevano definirsi  alcuni dei posti dove avevano vissuto) con Rachel Berry; si sentiva un eroe  per essere riuscito a non ucciderla durante i nove e lunghi anni di convivenza. Fortunatamente la ragazza venne in suo soccorso, ma non gli diede il tempo di entrare, saltandogli subito addosso. “Rachel…?” rantolò Kurt, ancora stretto nell’abbraccio: “Ci tengo alla mia cassa toracica, sai…!” Lo lasciò respirare, cominciando a saltellare euforica per la stanza e a battere le mani come una bambina.

“L’ultima volta che ho visto una scena simile è stato stamattina all’ospedale, quando ho dato un lecca-lecca a Claire” rise il ragazzo “E lei ha cinque anni, Rach!”

“Ce l’ho fatta, Kurt!” trillò, quasi sbattendogli in faccia una lettera. Lui sgranò gli occhi, ma si impose di restare calmo mentre apriva il foglio. Tentativo Fallito: “OH SANTISSIMO CIELO, SEI MARIA! …West Side Story! A Brodway!” Rachel scoppiò a piangere e si gettò nuovamente addosso al poveretto, che non era neppure riuscito a togliersi la giacca. Il fatto che fosse riuscita ad ottenere quel ruolo era qualcosa di formidabile, ci provava ormai da anni, dal suo diploma alla NYADA, per essere precisi. Finita l’accademia, Rachel aveva trascorso un anno infernale per lei, ma soprattutto per quel pover’uomo che aveva dovuto subire i suoi infiniti pianti ogni volta che le dicevano “ Le faremo sapere” e poi nessuno chiamava. Poi c’era stata quella che Kurt aveva definito “La svolta”: Cassandra July, durante una delle sue crisi isteriche con più liquore in corpo che sangue, aveva lanciato una sedia contro una povera ragazza, che l’aveva prontamente denunciata, facendole perdere la cattedra. Da quel giorno Rachel era diventata una specie di martello pneumatico nelle orecchie della Tibideaux, o meglio, nelle sue svariate segreterie telefoniche. Finché la povera donna, conscia del fatto che neppure eliminare fisicamente la Berry l’avrebbe fatta desistere, le aveva dato il posto.

“Un telefono! Un telefono! Ora!” urlò la bruna, staccandosi dall’amico e cominciando ad agitare le braccia in maniera del tutto inconsulta.

 “Rach, non farti prendere dalla fama… Il telefono è su quel mobile e non ti salterà in mano!” la prese in giro Kurt, togliendosi la giacca.

“ Devo chiamare i miei papà! Se non lo faccio subito non riusciranno ad essere qui per la prima!” e corse a recuperare il cordless.

“A proposito, quand’è?” chiese lui, cominciando a cercare qualcosa di vagamente commestibile nel loro frigorifero.                                   

“Il 10 Gennaio. Ci sarai, vero Kurtie?” domandò, avvicinandosi al ragazzo con un’aria leggermente preoccupata. Non avrebbe mai retto una giornata simile senza il suo miglior amico. Kurt ci pensò su, fingendosi particolarmente interessato alla data di scadenza delle uova.

“Non so… 10 Gennaio hai detto?  Pensavo che... Forse ho…” La ragazza non lo fece neanche finire, prese semplicemente un uovo dalla confezione e lo usò per minacciarlo.

“Tu ci sarai, anche a costo di lasciar morire i bambini!”

 “ Certo che ci sarò, nana.” rise, poi si chinò per baciarle la fronte. “Davvero uccideresti….” Iniziò, poi si rese conto che Rachel stava già componendo il numero, probabilmente scegliendo la maniera più scenica per comunicare la notizia.

***

Kurt guardò per l’ennesima volta l’orologio, Rachel l’avrebbe scuoiato vivo se avesse fatto anche un solo minuto di ritardo. E, per la prima volta nella sua vita, lui non era intenzionato a farlo. Era colpa di Sebastian, in quei due mesi Kurt era quasi arrivato alla conclusione che qualunque cosa accadesse nella sua esistenza fosse colpa di Sebastian. Prese il telefono e decise di chiamarlo.                                                                      “Pronto?” rispose con tutta tranquillità il neurochirurgo.                                

“DOVE DIAVOLO SEI?!” sbraitò, tutt’altro che calmo, il più piccolo.             

“Calma. In ospedale, dove altro dovrei essere?”                                              

“QUI! Sai che giorno è oggi? Il 10 Gennaio! Di cosa ti parlo da mesi?!”

“Di qualcosa che non mi interessa e che quindi non mi sforzo neppure di capire?”

“Ciao, Seb. Ciao. Fammi solo una cortesia: vai a fanculo!” e attaccò il telefono. Poi combattè contro se stesso per non farsi venire una crisi di nervi, prese il mazzo di fiori che aveva comprato per Rachel e uscì di casa sbattendo la porta. 

 

 

 

*Revisione autrici*

Questo è più un prologo che un capitolo vero e proprio: è davvero corto! Abbiamo aggiustato l’html ^-^

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Capitolo 2
*** Capitolo II. ***


La ragazza sorrise e strappò il biglietto, Kurt la ringraziò ed entrò nella sala. Fortunatamente, anche quella volta, Brodway ebbe il suo solito effetto calmante su di lui. Pensando al fatto che quella sera, su quel palco ci sarebbe stata la stessa ragazza che, poco più di dieci anni prima, l’aveva trascinato lì per cantare insieme, commettendo uno o due reati, riuscì a stento a trattenere una lacrima.
Lacrima che, inevitabilmente, scese quando notò che nella busta in cui Rachel gli aveva consegnato i biglietti, oltre quello di Sebastian -non voleva neppure pensare al suo nome- la ragazza aveva messo qualcos’altro: la foto che si erano fatti scattare da un turista giapponese  accanto all’ingresso del celeberrimo “Tiffany&Co.” durante il loro primo viaggio a New York.
  La voce metallica, che invitava il pubblico a prendere posto, lo riportò al presente, così cominciò a cercare la propria poltrona. Rachel gli aveva detto, un centinaio di volte, per essere precisi, che le avevano riservato tre file e che lei aveva regalato i posti, oltre che ai suoi genitori ed amici, ad alcuni dei suoi alunni, per puro narcisismo, secondo il modesto parere di Kurt. Salutò, abbracciandoli, LeRoy e Hiram che, uno più agitato e preoccupato dell’altro, continuavano a battibeccare  accusandosi vicendevolmente di aver dimenticato il bouquet da consegnare alla figlia. Brody, invece, che fissava esasperato i suoceri, gli diede un’allegra pacca sulla spalla che, come al solito, per quanto amichevole, avrebbe potuto comunque stenderlo facilmente. Continuò ad avanzare, cercando il suo posto e, dopo essere incappatto in altri amici e aver scambiato pochi convenevoli, riuscì finalmente a sedersi, poggiando i fiori alla sua destra, nel posto che avrebbe dovuto occupare Sebastian, tra sé e due studenti di Rachel. Nonostante fosse orgoglioso e felicissimo del successo della sua migliore amica e non volesse rovinare la serata a tutti a causa del suo cattivo umore, non riusciva a fingere di non essere arrabbiato e deluso dal comportamento di quello che poteva definire, forse, il suo ragazzo. Erano ormai ai ferri corti e all’altro non sembrava importare minimamente, forse era stato solo un illuso a credere che il francese lo amasse. Kurt era un bell’uomo e Sebastian passava moltissimo tempo in ospedale, quindi non avendo modo di trovarsi qualcun altro, aveva probabilmente optato per lui. Non sapeva per quanto ancora avrebbe retto quella situazione…
“Oh mio Dio, è uno dei Lanvin blu di Prussia che hanno sfilato pochi giorni fa alla settimana della moda di Parigi!”
L’urlo ammirato del ragazzo seduto al di là del mazzo di fiori distrasse Kurt dai suoi pensieri e lo portò a guardarlo:
era un ragazzo non molto alto ma dalle spalle abbastanza larghe e con i capelli incollati al cranio da un quintale di ciò che a un primo sguardo sembrava cemento armato al lampone. Non poté continuare la sua analisi, dato che il moro gli dava le spalle, e proprio per questo e per quella frase che indicava quanto fosse un appassionato della moda, Kurt decise che anche solo ascoltare lui e l’altro ragazzo sarebbe stato più interessante che rimuginare a vuoto e quindi spostò il bouquet  e si sistemò al posto di quest’ultimo. Quella serie di movimenti attirarono l’attenzione de due studenti che si voltarono incuriositi. Sotto gli strati di marmo spiccavano due strane e un po’ ridicole sopracciglia triangolari, ma ciò che colpì davvero il controtenore furono due enormi occhi di un colore non definito tra verde, nocciola e dorato o una fusione dei tre in cui stava annegando. Fu riportato a galla dalla domanda del possessore delle suddette meraviglie.
“Ma stai tenendo quel posto per qualcuno?” la curiosità, per quanto innocente, gli diede sui nervi e non riuscì a trattenere una risposta brusca:
“No, doveva esserci quello stronzo del mio ragazzo, ma mi ha dato buca quindi…” accorgendosi del suo scatto, aggiunse “comunque, io sono Kurt Hummel…”
“Io sono Blaine Anderson e lui è Kevin Pike, siamo due studenti di Rachel Berry… beh, è un’eccellente cantante e ballerina, ma è un’insegnante così insopportabile… Ma chissà quanto avrai speso per quel posto, sei un appassionato di musical?”
“Sì, anche, ma in realtà non mi è costato nulla, sono il coinquilino di Rachel…” Kurt sorrise mentre quel gran fig-Blaine arrossiva e balbettava delle scuse imbarazzate.
“Non preoccuparti, anche io spesso ho voglia di ucciderla! E’ una nanerottola saccente e egocentrica, ma impari a volerle bene…”
“ Lei da quanto la conosce?” domandò a quel punto il più giovane insultandosi mezzo secondo dopo per la sua totale mancanza di discrezione.
“ Lei…? Hai scoperto che sono amico di Rach e passi al lei di cortesia? Non ce n’è assolutamente bisogno.” Commentò il dottore, divertendosi da morire quando constatò che l’altro stava arrossendo. “ Comunque, da tanto tempo. Troppo tempo. Quindici, lunghi, lunghissimi anni. ”
“Quindici anni? Quindici? ”chiese Kevin, affacciandosi con aria sconvolta oltre Blaine.
“Esattamente. Dopo il liceo, sono stato talmente masochista da decidere di trasferirmi qui a NY con lei…” spiegò Kurt, guardando l’improbabile papillon lilla.  Curioso, ma carino; pensò Kurt,  dopotutto lui stesso era un fautore delle scelte azzardate nel campo del vestiario. Fu interrotto dalla voce metallica che annunciava l’inizio dello spettacolo, mentre le luci si spegnevano e i pochi ritardatari correvano alle poltroncine. Poi il sipario si aprì Su Rachel e Kurt si chiese come avrebbe fatto per tutto lo spettacolo si stava già commuovendo.
***
Kurt si era preso un giorno di pausa dopo il debutto della sua migliore amica. Era andato tutto a meraviglia: si era perfino dimenticato di Sebastian. Avevano fatto tardi, avevano brindato a un miliardo e mezzo di cose e lui aveva dovuto anche cavallerescamente cedere il suo comodissimo letto ai Sig. Berry e dormire sul divano; più che altro non aveva avuto il tempo, la forza e la lucidità mentale necessari per dar peso all’orrida azione commessa dal suo ragazzo. Ma ora che aveva avuto un giorno intero per pensare, la sua rabbia era solo montata di più e sapeva che a breve avrebbe alzato la voce col francesino. Si stiracchiò lentamente, tolse i tappi dall’orecchie (Brody e Rachel erano usciti anche la sera prima ed erano rincasati insieme, e lui non aveva nessuna intenzione di sentirli fare certe cose) e si alzò. Aveva passato una nottataccia: lo specchio rifletteva un uomo stanco, distrutto. Tornò in cucina, dove aveva dormito, e mise a fare il caffè.
“Buongiorno” lo salutò Hiram Berry, uscendo dalla camera da letto avvolto nella sua vestaglia viola.
“’Giorno…Caffè?” chiese Kurt, continuando a litigare con la cialda.
“ Tisana, ma faccio io. Non ti preoccupare… Ancora grazie per la stanza, hai delle occhiaie spaventose, senza offesa. Mi sento in colpa….”
“ Non dipende assolutamente da lei…”
“ Com’è che si chiama il ragazzo con cui stai uscendo? Il medico?... Ma questa è demenza senile!” disse l’uomo colpendosi ripetutamente la fronte in un gesto teatrale.
“…Sebastian….” lo aiutò il più giovane, le cui budella si contorsero al solo pronunciare quel nome.
“Esattamente… Non c’era l’altro ieri a teatro, o sbaglio?”
“No. Non c’era. Ed è esattamente quello il problema, se n’è completamente dimenticato.”
“Uhm… Vabbè, una volta LeRoy si è dimenticato del mio compleanno, poco dopo la nascita di Rachel… poi mi ha portato a cena fuori, però.” Raccontò Hiram sperando di riuscire a tirarlo su.
“Neanche un messaggio…”
“Aspetta che ti chieda scusa.” consigliò l’uomo con un tono paterno, che Kurt gradì.
“Non lo farà. Ne sono certo. Grazie comunque per il consiglio… Ora vado a prepararmi…” e si alzò. Aveva davvero apprezzato l’interesse del sig.Berry,   ma aveva un piano: oggi sarebbe stato solo il Dottor Kurt Hummel, pediatra, ufficio al secondo piano dell’Allen Pavilion Hospital, Broadway.


*


“Buongiorno, Clare” sorrise dolcemente Kurt, controllando la cartella clinica vicina al letto della bambina. “Buongiorno porcellana!” gli rispose lei ridendo. Il castano la guardò interrogativo: “Hey!” la rimproverò “Chi ti ha insegnato questa parola?” ma la piccola continuò a ridere, coprendosi la bocca con le mani. Ahi. Aveva bisogno di Sebastian: fra meno di un mese Clare avrebbe potuto aver bisogno di un intervento, e gli serviva il parere di qualcuno che ne capisse  di neurologia.
“ La tua amica è stata brava?” chiese curiosa la piccola, alzandosi leggermente dai cuscini. Kurt la adorava, era attenta ad ogni particolare, incredibilmente matura per la sua età. Aveva 6 anni e non l’aveva mai vista piangere, neppure quando le avevano fatto alcuni cicli di siringhe.
“ Bravissima.” Sorrise, salutò la bimba con una carezza, poi andò a passo spedito fino all’ufficio del chirurgo. Chiuse gli occhi e prese un bel respiro ed entrò. Ignorando lo sguardo dell’uomo seduto dietro la scrivania, gli posò con una certa noncuranza la cartella davanti e fece per ritornare sui suoi passo: “Oh, andiamo!” esclamò Smythe alzando gli occhi al cielo: “Non sarai ancora arrabbiato, dopo una giornata intera!” disse. Kurt si voltò, lasciando aperta la porta e facendo qualche passo avanti: “E tu come fai ad essere così stupido dalla nascita?!” urlò quasi il più basso, sentendo la rabbia che aveva cercato di seppellire tornare su con violenza. Qualcuno dietro il pediatra si schiarì la voce timidamente.

“Dr, Smythe c'è bisogno di lei. Blaine Anderson. 24 anni. Giù in pronto-soccorso, ipotizzano aneurisma celebrale." disse tutto d’un fiato l’infermiera.

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Capitolo 3
*** Capitolo III. ***


Kurt svoltò l’angolo ed entrò nella sala d’attesa. Nonostante fosse la notte tra venerdì e sabato, era  praticamente vuota eccetto per Rachel che, seduta su una sedia di plastica verde, si torturava le mani e fissava le porte in fondo al corridoio come se volesse vederci attraverso. Aveva ancora i vestiti della lezione interrotta quel pomeriggio, i capelli legati in uno chignon ormai quasi del tutto sfatto, gli occhi stanchi cerchiati da due occhiaie violacee ed era circondata da una serie di bicchieri di caffè vuoti. Era talmente concentrata che si accorse dell’amico solo quando quest’ultimo le toccò la spalla dolcemente, facendola comunque sobbalzare dalla sorpresa. Dopo un attimo di smarrimento scattò in piedi e allacciandogli le braccia al collo, esclamò:

“Quanto ci hai messo? Sono qui da una vita e…” fu interrotta dall’altro.

“Rachel! Siamo in un ospedale non a Broadway, abbassa la voce! E sono arrivato solo ora perché la mamma di un paziente era preoccupata per la broncopolmonite del figlio, e ho dovuto visitarlo.”  diede una nuova occhiata alla stanza, ancora irrimediabilmente vuota e aggiunse:

“Ma… non c’è nessuno per Blaine?”

“No, è anche per questo che sono qui… ma la tensione mi sta uccidendo, era la mia lezione e…” sussurrò la ragazza abbassando gli occhi.

“Rach, guardami!” le ordinò, portandole due dita sotto al mento e sollevandole il viso. 

      “Non devi sentirti colpevole, anzi stai facendo anche più di quello che dovresti, piuttosto i suoi familiari...”

Il medico non terminò la frase, poiché  un uomo era appena entrato di corsa. La sua prima impressione fu di averlo già visto da qualche parte: alto, decisamente bello, dalle mani affusolate che si passava nervosamente trai capelli, scosso dall’affanno. “Cerca qualcuno?” gli chiese. “Cerco mio fratello... mi hanno detto che è in sala operatoria.” rispose l’altro, respirando profondamente per riprendersi. “Cooper Anderson” aggiunse poi, “Sono Cooper Anderson” . “Oh, io sono Kurt Hummel, lavoro qui come pediatra, e lei è Rachel Berry, insegnante di Blaine alla Nyada. Siamo tutti qui per suo fratello!” disse parlando per entrambi. “Mi sono appena precipitato qui da Los Angeles... cosa è successo, dov’è, fra quanto potrò rivederlo e-“ la sequela di domande fu interrotta dal castano. “Non ne so molto, ma il miglior chirurgo dell’ospedale sta operando Blaine per un  aneurisma, lo scoppio di-“ “Una vena nel cervello, sì, guardo CSI, so cos’è.” lo fermò Cooper, togliendosi la giacca e sedendosi sulle tristi sedie blu della sala d’attesa. Continuava a torturarsi a ritmi alterni mani e capelli, ma sembrava che ostentare la propria cultura lo aiutasse a sentirsi padrone della situazione. Rachel, con gli occhi lucidi e il volto rigato da un paio di grosse lacrime, si girò per guardare meglio l’uomo. Le sembrava di provare un deja-vu. “Dr. House, il paziente col Lupus, quello che canta anziché parlare, per via delle allucinazioni.” disse l’uomo, senza che  nessuno gliel’avesse chiesto. Kurt lo guardò, chiedendosi se stesse parlando a vanvera per via dell’ansia, poi vide la donna annuire e accennare un sorriso: “Ah, ecco dove l’avevo già vista!” gli disse, poi tornò scura in volto, torturata dall’ansia.

*

 Il tempo scorreva lento, lentissimo. Rachel era appoggiata sulla spalla di Kurt: faceva finta di dormire, ma l’amico sapeva che era solo una grande attrice, e che si comportava così per non dar voce alle sue ansie... e per evitare di parlare col fratello del suo alunno. Anche l’uomo accanto a lei fingeva: reggeva quello che sembrava un copione e sillabava qualcosa; a primo impatto il pediatra aveva pensato che stesse studiando qualche parte per distrarsi, ma si era accorto che gli occhi rileggevano sempre la stessa riga, e che la bocca sembrava mimare: “Fa che sopravviva, fa che sopravviva.” come un lungo ed estenuante mantra. L’uomo interruppe un attimo quella litania appena sussurrata, chiuse gli occhi e  strinse la mascella, poi si rivolse al dottore: “Da quanto è in sala operatoria?” chiese atono. Il più basso si alzò la manica del camice per controllare l’orologio, ma Rachel lo precedette: “Tre ore e mezza, Kurt.” disse piano. “Avevi detto tre ore!” disse afferrandolo per la spalla: “Tre ore, non tre ore e mezza!” urlò quasi. Cooper lasciò calare la sua maschera di leader, abbracciando la disperazione e tutte le ansie che questa porta: “Oh mio dio, mio fratello sta morendo!” gemette, poggiando i gomiti sulle cosce e reggendosi la testa con le mani tra i capelli. Il medico stava per lanciarsi in un altra serie di rassicurazioni, quando le porte della sala operatoria si spalancarono. Sebastian camminava lento, il camice ancora sporco di sangue, misurando i passi. Ma a testa alta. “L’intervento è riuscito, ma il paziente è ancora sotto anestesia. La presenza o meno di conseguenze potrà essere assicurata solo tra qualche giorno, quando uscirà da Terapia Intensiva.” disse soddisfatto, poi se ne andò, lasciando Rachel che, sollevata, abbracciava stretto il suo migliore amico e Cooper che, puntando il dito e mostrando un sorriso a trentadue denti, gli urlava dietro: “Grazie, amico!”

***

 

“Come sta? Kurtie, ti prego, fammi sapere. E portagli i miei saluti.”

Kurt guardò distrattamente lo schermo, mentre salutava con un sorriso affabile l’ultimo paziente della giornata e la sua mamma fortunatamente non ipocondriaca. Ringraziò che Rachel non avesse deciso di chiamare, dal giorno dell’operazione di Blaine Anderson era diventata particolarmente isterica: voleva notizie sulla salute del ragazzo praticamente ogni dieci minuti, portava cibo decente tutti i giorni e, soprattutto, tartassava Kurt di domande. Il pediatra sospirò, era costretto ad andare nell’ufficio di Sebastian e non voleva, assolutamente. Dalla sera dello spettacolo stava cercando di evitarlo e , con suo sommo stupore, ci era riuscito.

“Buongiorno, Dr. Hummel!” lo salutò Alex, una delle infermiere. Alex era un donna strana. Molto strana. Passava le sue giornate andando in giro per l’ospedale, inutilmente nella maggior parte dei casi; non aveva nessun interesse nella medicina, ma aveva optato per quella professione perchè, come andava spesso dicendo, “ad incontrare tanta gente stramba si sentiva meno sola”. Quando proprio non poteva andare avanti e indietro, si fermava negli angoli più nascosti dell’intera struttura per parlare con le persone più assurde. Kurt non avrebbe mai dimenticato che, poco dopo essere stata assunta, l’aveva trovata seduta in sala d’aspetto a chiacchierare amabilmente con una vecchietta, o meglio con la vecchietta. La vecchietta era una donna incomprensibile, che rimasta sola, sperperava la sua pensione in visite mediche. Non aveva mai nemmeno un raffreddore, ma, in un insolito atto di magnanimità, una volta Sebastian le aveva diagnosticato un cancro benigno al cervello, da allora suo grande vanto.

“ Buongiorno, Alex. Tutto bene?”

“ Oh, benissimo. La settimana prossima compio 24 anni! Torno a casa.” Alex era originaria del Massachussets, espatriata a New York subito dopo la fine del liceo.

“ Auguri!” le disse Kurt uscendo dall’ascensore.

“ Sta andando dal Dr. Smythe?” chiese, o meglio urlò, lei. Quella ragazza monitorava tutto: era gli occhi e le orecchie dell’Allen Pavillion.  Sì voltò senza fermarsi e le annuì, poi bussò alla fatidica porta.
“Chi vuole fare sesso con me?” sentì dire da dentro l’ufficio. Entrò, controllò che Sebastian fosse davvero solo, odiò il suo sorriso beffardo, ignorò la domanda e lo guardò scandalizzato: “Poteva essere chiunque!” “Forse ho capito che sei tu, no?” gli chiese retoricamente il chirurgo: “Sai, quando sei così incazzato ti strafoghi con enormi quantità di torta, prendi cinque chili, e io sento arrivare il tuo passo pesante.” gli sorrise sarcastico. Kurt rimase impassibile, interiormente disgustato ed incapace di trovare divertente la cosa, poi diede un senso a quella visita: “Come sta Blaine Anderson?” gli chiese. Il chirurgo sbuffò: “L’operazione è andata bene. Io sono stato bravo. L’aneurisma ha colpito vicino la corteccia motoria primaria  , quindi a livello cognitivo dovrebbe riprendersi piuttosto in fretta, ma le gambe sono paralizzate.”
“Grazie.” disse secco Kurt, apprestandosi ad aprire la porta. Sebastian si alzò, costringendolo a fermarsi: “Non crederai che ti permetta di venire semplicemente qui, palesemente sotto ordine di Frodo Baggins versione canta&balla tra l’altro, per poi andartene così.” gli disse suadente. “Ma è quello che sto facendo” rispose Kurt atono. “Brr, Hummel, sei così freddo.” gli sussurrò il francese:Lascia che ti riscaldi...” Il pediatra strinse i denti, gli lanciò uno sguardo di fuoco con quell’esplosione di stelle che si ritrovava al posto degli occhi, e fece ancora una volta per andarsene. Ma di nuovo quella voce lo fermò:“Ok, è assurdo, ma a quanto pare sei ancora arrabbiato.” “Complimenti per la perspicacia, Dr. Smythe!” alzò gli occhi al cielo il pediatra. “E non fingere di averlo realizzato ora! La battutina di prima?!” gli urlò contro. “Calma i nervi, Hummel: ho sentito Alex chiedere a qualcuno se stesse venendo da me, chi poteva essere?” gli rispose. “Non è quello il punto! Sapevi che ero arrabbiato. Sapevi che ero arrabbiato con te. E non hai fatto nulla!” inveì il pediatra. “Per uno stupido spettacolo, Kurt?! Non vorrai farmi credere che-” cominciò, ma il più basso l’interruppe: “Innanzitutto non era uno stupido spettacolo. Era il debutto a Broadway della mia migliore amica e potrà pure starti antipatica, di certo non ti obbligherei mai ad apprezzare a fondo Rachel Berry, ma io ti volevo lì.” esordì, con una certa calma addirittura, come se avesse scelto in precedenza cosa dire. “Non ho deciso di non venire, non me ne ricordavo assolutamente.” replicò l’altro. “Non puoi dimenticare una cosa del genere. Non puoi dimenticare qualcosa che ti ho ripetuto centinaia di volte, non puoi dimenticare l’argomento centrale delle nostre discussioni!” si alterò “Ma forse dovrei chiamarli monologhi!” aggiunse irritato. “Sai perché all’università saltavo i capitoli sull’epidemiologia? Perchè non solo non mi interessavano minimamente, sapevo anche che non mi sarebbero mai tornati utili.” gli spiegò l’altro. “Non devo tornarti utile, Sebastian! Per te sono solo un corpo. La mia personalità, i miei sentimenti... nulla di tutto questo ti interessa minimamente!” gli sputò addosso, realizzando tutto ciò nel momento stesso in cui lo diceva. “Io non sono un capitolo da saltare, Sebastian.” aggiunse calmandosi lentamente: “Sono carta bianca: voglio scrivere la mia vita con qualcuno, e quel qualcuno non sei di certo tu.” concluse. “Lascia che mi faccia perdonare...” sussurrò il francesino afferrandolo per il fianchi, facendo scontrare i loro bacini e chinandosi per mordergli il collo.                                   “Levami.Le.Zampe.Di.Dosso.” sbottò Kurt, poggiandogli le mani sul petto per allontanarlo. Sebastian provò ad avvicinarsi di nuovo, sussurrando con tono stascicato:” Non dicevi questo l’altra notte…”                                              “Spostati prima che io mi metta ad urlare!”. Il chirurgo obbedì sbuffando. “Possibile che pensi solo a questo?” lo rimproverò il più piccolo arrabbiato.

“ Ma come siamo permalosi! Era solo per allentare la tensione…” rispose non curante.                           “Io non ne posso più! Hai trentacinque anni, non diciassette! Quando ti deciderai a crescere! Ora volta pagina. Io lo sto già facendo.” e, finalmente, uscì.

 

ANGOLO DELLE AUTRICI

Prima di tutto vogliamo ringraziare chi ci segue :3

Poi volevamo sapere... che ve ne pare di questo capitolo e della fanfiction in generale? Vi appassiona o la trovate noiosa? Fateci sapere!
Ah, volevamo scusarci perchè le nostre conoscenze in campo medico sono pari a quelle di Cooper (perchè ci siamo cimentate in questa cosa?!
Perchè tu sei pazza e mandi messaggi intriganti la notte di Natale! <- risponde Cloud) e quindi forse sbagliamo un po’ di cosette!
Beijos :))

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Capitolo 4
*** Capitolo IV. ***


Non sapeva perché fosse là. Certo, al suo conscio poteva dire che voleva solo rassicurare Rachel, controllando che il suo studente stesse bene, ma questa tesi non lo convinceva.
Il 10 gennaio Sebastian Smythe aveva deciso di non andare a vedere con lui “West Side Story”, dove debuttava la sua migliore amica: l’assenza del suo (ora ex) fidanzato aveva comportato una breve chiacchierata con un dolce ragazzo dai riccioli mori, gli occhi color nocciola ed una non trascurabile conoscenza dei musical, di nome Blaine Anderson. Due giorni dopo l’aveva colpito un aneurisma, proprio mentre prendeva parte ad una lezione di Rachel Berry, e l’ambulanza che la donna aveva prontamente chiamato l’aveva portato all’ospedale più vicino: l’Allen Pavilion Hospital. Tutta questa serie di coincidenze stordivano Kurt e avevano messo in combutta, per la gioia di Freud e quant’altri, le parti più recondite della sua anima: il suo subconscio, in qualche modo, lo portava da ore sempre nello stesso posto, di fronte alla stanza 713. Per andare dai suoi giovani pazienti non aveva bisogno di passare lì di fronte, anzi, questo allungava solo il tragitto, eppure l’aveva fatto. E quando prima aveva avuto bisogno di un caffè, foss’anche quella triste acquiccia mista a polvere che le aziende propinano per vero espresso, era andato alla macchinetta del secondo piano, e non a quella del piano sul quale si trovava. Così si arrese, abbassò piano la maniglia e spinse lentamente la porta. Blaine tentava di arrivare alla bottiglietta sul piccolo mobile vicino al letto, ma senza successo. Guardò per un attimo Kurt alzando le buffe sopracciglia triangolari e piegando la testa verso destra, come fanno i cuccioli, poi disse: “Buongiorno, Dr. Hummel.” Kurt gli sorrise: “Non ti avevo già detto di non darmi del Lei?”
Il moro camuffò l’imbarazzo con un debole sorriso, sembrò per un attimo tuffarsi nei suoi pensieri, poi rivolse di nuovo l’attenzione all’acqua.
“A-aspetta.” balbettò il pediatra, sperando di ricordarsi bene quale fosse il cassetto giusto: 
primo cassetto medicine, guanti, ovatta, cannucce; secondo cassetto effetti personali. Aprì il primo, ma a meno che il papillon potesse essere usato come laccio emostatico, quello non era il cassetto delle cose utili, così lo richiuse in fretta e passò al secondo.
“Ecco” sospirò  “così dovrebbe essere più facile.”  disse passandogli la bottiglietta con la cannuccia dentro. Aspettò che ne prendesse un sorso, poi chiese: “E’ già passato?”
“No, mi fa un male cane e non sento assolutament-“
“Non il dolore!” si affrettò a chiarire l’equivoco Kurt: “Il tuo... insomma, Smythe.”
“Oh, l’uomo che mi ha aperto la testa e salvato la vita?” chiese retorico Blaine corrugando la fronte “Sì, prima. Perché?”  domandò innocentemente, prendendo un altro sorso d’acqua.
“Sei davvero interessato alla vita di uno sconosciuto?” gli chiese di rimando il castano. Blaine annuì, senza sapere che il pediatra si era rivolto anche a se stesso.
“Diciamo che...” mormorò “Ci siamo conosciuti e siamo entrambi rimasti colpiti dal fatto che l’altro fosse sopravvissuto all’Ohio... Siamo stati insieme qualche mese, ma ho realizzato che per lui era solo...” si interruppe, fissando la faccia del ricoverato. Ad un certo punto della frase gli era caduta la mascella, aveva le sopracciglia lievemente alzate e un espressione non proprio sveglia. Kurt si chiese se avesse detto qualcosa di sbagliato, si aggiustò i capelli, fece per ripassargli la bottiglia, ma Blaine la reggeva ancora.
“O-Ohio?” balbettò il moro “Vengo anche io da lì!”
“Non è possibile...!” mormorò incredulo il medico. Un altra coincidenza da aggiungere alla lista. E temeva che presto avrebbe dovuto aggiungere molte altre voci.
“ Westerville”confessò il più piccolo.
“Lima” rispose l’altro. Rimasero imbambolati per un altro secondo. Kurt stava ancora guardando fuori dalla finestra, tentando di calcolare quanto fossero basse le probabilità che fra i 52 Stati D’America venissero entrambi dallo stesso inutile quadratino di terra.
“Kurt..? Mi stavi raccontando qualcosa!” lo richiamò Blaine.
“…sesso.” Rispose Kurt, perseverando nella sua contemplazione del vuoto cosmico.

“ …Cosa?!”
“No… Intendevo: poi mi sono reso conto che per Sebastian era solo sesso…” spiegò imbarazzato il medico.
“ Ah, così ha senso…” lo interruppe il più piccolo, poggiando di nuovo la testa sui cuscini.
“ Ho ventinove anni, cerco una relazione seria, non una scopamicizia. Quindi l’ho gentilmente mandato a fanculo.” concluse.
“ Quindi era lui quello stronzo del tuo ragazzo? Bene, è divertente saper che l’uomo che mi ha aperto e ricucito la testa è uno stronzo.” Commentò, facendo ridere l’altro. “ E nessun rimorso?”
“Nessuno.” Sorrise Kurt.
 
                                   ***
 
Kurt si tolse il camice, lo piegò e lo posò nel piccolo armadietto del suo studio. Doveva solo consegnare una cartella clinica al terzo piano, nel reparto maternità, e poi sarebbe potuto tornare a casa, finalmente. Era reduce da sei ore di visite, senza pause. Kurt non aveva mai odiato nulla quanto l’influenza stagionale: centinaia di bambini. Centinaia di mamme esaurite. Uscì dalla stanza, guardò la sala d’attesa gremita di persone e poi, con un po’ di pietà, Sally, la povera donna che stava iniziando il suo turno in quel momento. Trovò l’ascensore occupato e decise di salire a piedi, dopotutto erano solo tre piani e un po’ di attività fisica non gli avrebbe di certo fatto male. Pochi minuti dopo si ritrovò al secondo piano e volse istintivamente lo sguardo verso la camera 713. Camera 713: Blaine Anderson. Tentò di ignorare l’impulso che lo spingeva, per chissà quale motivo, ad andare a salutarlo e continuò a camminare per il corridoi, tenendo lo sguardo fisso sulle tristi mattonelle di finto marmo che ricoprivano il pavimento. Quando passò davanti alla 713 sentì una leggera risata riecheggiare dalla porta semiaperta e non riuscì a resistere alla sensazione di spiare: una borsa da lavoro di pelle nera era poggiata sulla scrivania insieme ad una giacca da uomo del medesimo colore. Blaine riceveva pochissime visite, soprattutto da quando Cooper era stato costretto a tornare a Los Angeles, e sempre dalle stesse persone: Rachel, che continuava a portargli cibo da asporto; Kevin, che andava lì un po’ per fargli compagnia e un po’ per ringraziarlo dato che l’avere una stanza tutta per sé aveva decisamente scombussolato, in meglio, la sua vita sessuale; e, molto raramente, qualche altro ragazzo o professore dalla NYADA. Per questo motivo, Kurt trovò strano che ci fosse qualcuno in quella camera alle otto di sera.
“ Thad! Smettila di ridere!” sentì dire dall’interno della stanza. Thad? Il pediatra era convinto di non aver mai sentito quel nome. Bussò, poi si insultò da solo.
“ Prego!” urlò Blaine con una voce nettamente più allegra del solito.
“ Buonasera…” salutò il più grande entrando titubante. Il ragazzo seduto a piedi del letto, presumibilmente Thad, si voltò per guardarlo, poi allungò la mano destra per presentarsi “ Thad Harwood.” “ Kurt Hummel”. Ricambiò la stretta, poi si voltò verso Blaine, che li guardava sorridente dal suo letto.Sorridente. Bisogna essere davvero fenomenali per sorridere con le gambe paralizzate e una carriera di ballerino a metà. “ Stai meglio?” chiese. “ Un po’…” rispose il più piccolo ottimista, il medico si avvicinò al suo comodino e prese in mano la cartella clinica. “ Posso?” domandò, indicando il plico di fogli. “ Certo che sì, per me sono solo numeri senza senso…”. Non era cambiato nulla, tutti i valori erano praticamente identici a quelli dei due giorni precedenti. Kurt notò che l’amico di Blaine lo guardava preoccupato e gli sorrise, rimettendo a posto i fogli. Si guardò intorno e notò che qualcosa all’interno della stanza era cambiato: un mazzo di fiori freschi era stato poggiato sulla scrivania e un oggetto non ben identificabile era stato legato alle sbarre che formavano la testiera del letto. “ Cos’è?” chiese il più grande, indicando quest’ultimo. “ La cravatta della Dalton Accademy…” iniziò Blaine “ la scuola dove io e Thad…”
“ So cos’è la Dalton, Blaine. Ohio. Lima. Ricordi?” lo interruppe Kurt, poggiandosi contro l’anta dell’armadio alle sue spalle.
“Vieni anche tu dall’Ohio?” disse Thad, guardandolo.
“ Purtroppo. Anche Sebastian ha frequentato la Dalton.”
“Davvero?” intervenne Anderson incuriosito.
“Sebastian? Chi è?” domandò l’altro Usignolo tentando di dare un senso a quel nome nel suo cervello.
“Sebastian Smythe, il chirurgo che mi ha operato.” Spiegò il più piccolo.
“Smythe? Sul serio?” rise Harwood.
“Si, perché ridi?” chiese confuso Blaine. Kurt già subodorava il motivo di tale ilarità.
“ Quando io ero al primo anno, prima che tu arrivassi alla Dalton… Ho sentito parlare di lui…Aveva la fama di…” cominciò a raccontare Thad.
“E’ inutile che tu finisca la frase.” Lo interruppe Kurt, poi entrambi iniziarono a sghignazzare.
“ Perché?” chiese Blaine confuso con aria molto più innocente di quella che aveva il bambino di sei anni che Kurt aveva finito di visitare poco più di mezz’ora prima.
“ Si sarà portato a letto anche i professori…” dissero con tono esplicativo Kurt e Thad, in perfetta sincronia. Blaine rise.
“Comunque… Perché quella cravatta è lì?”
“ Sostengono che porti fortuna… E’ la mia. L’avevo portata per me, mi sto trasferendo ora a lavorare a New York, da Chicago…” iniziò Harwood.
“…Ma serve più a me e me l’ha ceduta… Kurt, sai dove può trovare un alloggio?” si intromise Blaine, non aveva assolutamente voglia di parlare di qualcosa di triste.
“Uhm… Ho cambiato talmente tante case da quando sono a New York… Credo di conoscere il quaranta percento di coloro che le affittano… Quante stanze?”
“Non cerco nulla di lussuoso…Ma preferirei avere due camere da letto: ho la famiglia più invadente del mondo, siamo messicani, non mi stupirei affatto se mi mandassero un fratello o un cugino in visita…” spiegò.
“Chiederò a Rachel… Ha moltissimi contatti…Beh io e lei abbiamo vissuto praticamente ovunque… Il primo posto in cui siamo stati non aveva le pareti. O meglio non le ha avute finché mio fratello Finn non le ha costruite…” Un fastidioso rumorino lo interruppe, Thad cominciò a scavare nelle tasche della giacca appoggiata sulla scrivania, quando riuscì finalmente a trovare il suo telefono. Guardò per un paio di secondi lo schermo, poi i suoi occhi si spostarono su Blaine. “ Chi è?” domandò curioso quest’ultimo.
“E’ Jeff. Lui e Nick mi chiedono se sono arrivato e se sono venuto a trovarti, sai, li avevo chiamati prima di partire. Anche per ricordare a Nick che deve andare ad annaffiare le mie piante finché non affittano il mio appartamento.” Sorrise di risposta Harwood, sedendosi nuovamente a piedi del letto.
“ Non li sento da tantissimo tempo! Continuano a litigare ogni mezz’ora?” ridacchiò il più piccolo.
“Ovvio. La settimana scorsa Nick è venuto a dormire sul mio divano visto che Jeff l’aveva cacciato di casa, con la fondatissima accusa di averci provato con un tizio in metro.” Rispose Thad, scuotendo la testa rassegnato.
“ Ancora! Ma stanno assieme da quasi…otto anni? Ho perso il conto!” commentò divertito Blaine.
“Jeff avrà sedici anni per sempre!”
“ Scusate, ma chi sono?” domandò Kurt confuso e divertito dalla piccola conversazione. Si sentì anche un po’ a disagio: Thad e Blaine erano due amici di vecchia data, non si vedevano da tanto e avevano sicuramente tanto da dirsi. Lui era enormemente fuori luogo.
“Solo due ragazzi che stavano con noi alla Dalton. Stanno insieme dal secondo anno, credo. Si amano, tanto…” raccontò Anderson con naturalezza, facendo improvvisamente passare la spiacevole sensazione che si stava facendo strada dentro il più grande.
“Ma litigano continuamente!” intervenne l’altro. Kurt scoppiò a ridere.
“Perché ridi?” chiese Blaine.
“Nulla…”
“Ti prego dimmelo! Fai ridere anche me, ne ho bisogno…” Il moro lo guardò per un solo istante negli occhi e Kurt non seppe dirgli di no. Anche se quello cui stava pensando era qualcosa di irrimediabilmente stupido, voleva vederlo sorridere. Così rispose: ” Solo che sono anni che dico che alla Dalton… Sono tutti gay!”
I due ex-usignoli furono travolti da un attacco di risate.
“Non tutti! C’è qualche eccezione che conferma la regola! Per esempio…” iniziò Thad.
“Wes, David…”
“… Andrew! Per il resto credo che tu abbia ragione…” disse il ragazzo, voltandosi verso il pediatra che continuava a sghignazzare.
In quell’istante un’orecchiabile musichetta risuonò dal cellulare che Thad aveva poggiato sui piedi di Blaine.
“Sono Nick e Jeff, posso rispondere o rischio di far esplodere qualche macchinario?” Chiese il proprietario del telefono, guardando prima Kurt, poi gli apparecchi che circondavano il letto del suo amico. Il medico controllò cosa fosse collegato al paziente e, constatato che non ci fosse nulla che potesse essere danneggiato dalle onde elettromagnetiche del cellulare, incitò il ragazzo a rispondere. Si eclissò quando Thad passò il telefono a Blaine, salutandoli silenziosamente con la mano.
Mentre saliva nel reparto di maternità, dopo quell’inaspettata, ma, non poteva negarlo, piacevole, interruzione, non riuscì a proibire a se stesso di gioire per l’aver scoperto che Blaine giocava nella sua stessa squadra.
 
                                            ***
 
-Allora, due gocce di queste mattina e sera per una settimana…- concluse Kurt, scrivendo con la sua grafia illeggibile ciò che stava dicendo. – Poi se la tosse non dovesse…- ma fu interrotto da urla femminili provenienti dal corridoio, urla che non avevano intenzione di interrompersi. – Mi scusi un attimo, credo stia accadendo qualche stranezza lì fuori…Come sempre…- e si alzò. Affacciatosi oltre la porta, identificò immediatamente la causa dei suoi problemi: una signora piccola e tondeggiante, appena sotto i sessant’anni, oltre modo ingioiellata, con un enorme, orrendo, cappello pesca che le copriva i capelli bruni, che inveiva contro un pover uomo, presumibilmente il marito. Quest’ultimo, alto e distinto, si guardava intorno imbarazzato, allentandosi l’elegante cravatta nera coordinata al suo costosissimo completo. –Sono in piedi da sei ore! Ho fame e sonno! E tu non sei in grado di trovare una stanza!- Kurt decise di intervenire, anche perché gli strepiti della signora avevano fatto scoppiare in lacrime tutta la sua sala d’attesa.
- Come posso aiutarvi?-
- Stiamo cercando la 713 da mezz’ora! Ma questo deficiente ha ben pensato di guardare le tette dell’infermiera anziché memorizzare le indicazioni!- sbraitò, indicando teatralmente il consorte.
- Capisco…No, in realtà, no… Comunque, potrebbe cortesemente abbassare il tono di voce? Sa, siamo in un ospedale.- la riprese il medico, la donna arrossì e mormorò un imbarazzatissimo “Scusi”. – Bene, ora può ripetermi quale stanza state cercando?-
- La 713.- intervenne l’uomo. 713? La 713 era la camera di Blaine Anderson. Quindi quelli dovevano essere i suoi genitori… Quelli che non gli avevano ancora fatto visita dopo due settimane di degenza? Quelli contro i quali aveva sentito Cooper lanciare un’indeterminata serie di insulti? Si, dovevano essere loro.
- La 713 è al secondo piano. Corridoio C.- rispose, chiedendosi se Blaine avrebbe apprezzato quell’incontro.
-Oh, grazie mille!- lo salutò la donna, prima di spingere il marito su per le scale.
 
 
 
Angoletto autrici:
Scusateci! Chiediamo umilmente venia. Siamo in un ritardo schifoso, ma abbiamo avuto diversi impedimenti: tra scuola, malattie nostre e di congiunti vari, viaggio d’istruzione a Roma dalle amabili suore carmelitane… 
Scusate! 
Però dai, il capitolo è più lungi: i Klaine si parlano, arriva quell’orsetto di Thad, i genitori di Blaine…
Ci siamo fatte perdonare almeno un pochino?^-^
 
Piccolo spoiler: Preparatevi all’arrivo dei Niff! 
 
 
Beijos, Potters ^-^ 

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Capitolo 5
*** Capitolo V. ***


Kurt camminava per il corridoio del secondo piano, attento a non pestare le fughe tra le mattonelle, come faceva quando era piccolo. Gli balenò in mente un ricordo dell’infanzia: lui che strattonava la gonna della madre per attirare la sua attenzione e convincerla, con gli occhi umidi, a comprare i piselli dolci al supermercato.

Era tornato al presente grazie alla macabra visione di Alex che trasportava una quantità di provette decisamente eccessiva in relazione alla sua imbranataggine e, per il bene dei pazienti, degli inservienti e dell’ospedale stesso, aveva deciso di aiutarla.
In quei tre giorni aveva cercato di evitare il secondo piano, e si sarebbe risparmiato quel viaggio anche ora, ma oramai era lì. L’unica cosa che poteva fare era pensare a tutt’altro, a qualunque cosa che non fosse minimamente collegata alla 713, o meglio, al suo contenuto. Percorse quel tragitto senza mai alzare gli occhi da terra, ripassando mentalmente il testo di Come what may, quando un rumore metallico interruppe il contorto filo dei suoi pensieri: possibile che venisse proprio da..? Non era pazzo, anche l’infermiera si era voltata di scatto verso la camera occupata da Anderson. Esitò un attimo, poi si avvicinò alla porta e l’aprì.  La scena che gli si presentò era piuttosto impressionante: un tristissimo vaso di ferro, evidentemente l’oggetto che aveva causato quel frastuono, giaceva sul pavimento accompagnato dagli iberidi che conteneva prima della rovinosa caduta. Alzò titubante gli occhi verso il letto, chiudendosi la porta alle spalle. “ Mi hanno portato dei fottutissimi iberidi! Sai cosa vogliono dire gli iberidi? Indifferenza. Ti rendi conto?!” imprecò, scostandosi le coperte di dosso. Si afferrò una gamba tentando di spostarla verso il bordo del letto, ma nel fare ciò si impigliò nel tubicino della flebo, bestemmiò di nuovo e provò a staccarlo, in preda ad una crisi di nervi. “Hey! Hey! Hey, con calma!” si fiondò verso di lui, riuscendo a non scivolare sull’acqua dei fiori, per tentare di fermarlo. Gli bloccò il braccio che tentava di staccarsi la flebo, inducendolo a fissarlo: “Calma” disse in modo sia dolce che autoritario. Il riccio fissò intensamente quegli occhi, quel cielo stellato, quell’esplosione, quello tsunami che erano e volò, esplose e nuotò dentro di loro: sentì i muscoli tesi allentarsi, una singola goccia di sudore scendergli dalla fronte, il cuore che non accennava a rallentare. “Inspira ed espira, Blaine” gli disse piano il più grande, accarezzandogli la mano gonfia per calmarlo. Aspettò che facesse quello che gli aveva detto, poi disse: “Non credo conoscano il significato dei fiori: il fioraio qui sotto vendeva mazzi di iberidi a meno di cinque dollari.” Si accorse che questo non migliorava molto la situazione, così si affrettò ad aggiungere: “Sono bei fiori! E chi prova indifferenza non ne regala!”
L’usignolo scosse la testa: “Non li conosci: si comportano così perché lo impone la società, o il galateo, o la televisione…”
Kurt prese una sedia e la avvinò al letto: “Parlarne è sempre meglio che danneggiare te e… l’ambiente che ti circonda.” disse sedendosi. Blaine sospirò, accarezzandosi la radice del naso con pollice ed indice, e tentando di risistemarsi le coperte cadute nell’impeto dello sfogo precedente. Il medico gli diede una mano, rimboccandogliele,  poi tornò dov’era prima.

“ Sono venuti qui dopo due settimane, Kurt. Due settimane. E solo perché costretti dalla decenza e da Cooper, credo. Non ne avevano la benché minima intenzione. Sono convinto che non abbiamo neppure ben capito cos’ho avuto, probabilmente neppure gli interessa sapere quando e soprattutto se tornerò a camminare. Tanto non hanno mai voluto che ballassi, non mi hanno mai visto ballare in realtà… Sai cosa mi ha detto mio padre ieri?” si fermò un secondo, come se davvero volesse una risposta, ma Kurt era totalmente senza parole. “ Mi ha detto: se avessi studiato giurisprudenza, come volevo io, tutto ciò non avrebbe minimamente influito con la tua carriera. Ti rendi conto?”

Il medico era completamente allibito e provò a dire l’unica cosa che, per lo meno, non avrebbe peggiorato la situazione: “ E t-tua madre?”

“ Mia madre è una donna totalmente priva di un’opinione personale. Da sempre, ha sposato papà soltanto perché era un dipendente di mio nonno materno e da quel momento è sempre stata d’accordo con lui, da quando ho memoria non l’ha mai contradetto.  E così è stato anche in questo caso, ovviamente. Si è limitata ad annuire o a lamentarsi per l’aver dormito poco o perché il viaggio dall’Ohio è troppo lungo…” Blaine poggiò la testa sul cuscino, chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli, maledicendoli in un sussurro.

“ Sono andati via? Sono stati qui tre giorni… o sbaglio? E’ per questo che non sono passato, insomma non volevo…” provò a dire Kurt, ancora scosso da quelle dichiarazioni.

“Sì, finalmente sì. E, fidati, una tua visita non avrebbe interrotto proprio nulla, anzi…” tacque per un secondo, poi cominciò a parlare di nuovo, però con un altro tono, il medico non avrebbe saputo definirlo: era come se Blaine stesse pensando ad alta voce, ma allo stesso tempo volesse essere ascoltato. “Mia madre potrebbe essere paragonata a Narcissa Malfoy, è completamente schiacciata dalla società, morbosamente legata alle apparenze, del tutto succube di… mio padre, del giudizio altrui, di tutto. Quand’ero piccolo era diverso: quando tornava a casa la sera, mi chiedeva com’era andata a scuola, se avevo conosciuto qualcuno, se mi ero divertito… soprattutto le interessava la mia risposta. Ha sempre lavorato molto, sempre fuori casa, passavo i miei pomeriggi con Cooper. Mio fratello quando aveva ventitré anni lasciò l’università, non gli piaceva quello che stava studiando- giurisprudenza, tanto per essere originali- e non riusciva ad andare avanti con gli esami, mio padre si infuriò, ma fortunatamente non gli negò i fondi per partire per Los Angeles… Avevo poco più di dieci anni quando questo successe e da quel giorno, per i quattro anni che seguirono, i miei riposero tutte le loro aspettative su di me. Tutte. A quanto pare, a quattordici anni, quando ho fatto coming-out le ho deluse…” Kurt aveva immaginato che potesse essere quello il motivo, ma fino a quel momento aveva sperato di essersi sbagliato. “... E’ la seconda volta in vita mia che finisco in un letto d’ospedale e in entrambi i casi mio padre non si è risparmiato un amorevole te l’avevo detto.” Il medico gli rivolse uno sguardo a metà tra l’interrogativo e il compassionevole, non sicuro di voler sapere in che circostanze si fosse verificata la prima occasione. Blaine riaprì lentamente le palpebre, guardando l’altro con gli occhi lucidi di un cucciolo bastonato, poi fissò il soffitto. “Durante il mio secondo anno, organizzarono il Sadie Hawkins… Era giusto un paio di mesi dopo il mio disastroso coming-out e, sai, le voci girano davvero in fretta al liceo. In realtà mi ero illuso che almeno a scuola non l’avessero presa tanto male: mi spingevano contro gli armadietti, mi additavano, mi chiamavano checca, ma… su internet leggevo di peggio, e poi le stesse cose succedevano all’unico altro gay dichiarato della scuola. Andai al ballo con lui, o meglio, mi presentai con lui, ma prima ancora che potessi entrare nella palestra della scuola alcuni ragazzi ci si avvicinarono. Lui riuscì a scappare: io non correvo ancora decentemente per la storta alla caviglia che mi avevano procurato pochi giorni prima buttandomi violentemente contro un armadietto. Li fissai e basta, impotente, senza il coraggio di dirgli quanto fossero stupidi ed ignoranti, senza sprecare la voce per chiedere aiuto: il primo pugno mi colpì allo zigomo destro. Il dolore atroce non era quasi nulla in confronto all’umiliazione. Uno dei tre mi diede un calcio in mezzo alle gambe, sogghignando che le palle non mi sarebbero mai servite. Poi mi colpirono alle costole, credo. Non ricordo bene: troppo dolore, troppa mortificazione… Mi sono svegliato in ospedale: tre costole incrinate, un dente scheggiato, lividi più o meno ovunque… Ah, tagli su una spalla, dove pare mi avessero colpito con una bottiglia di birra vuota. Quando mi sono svegliato la mattina dopo non c’era nessuno, Coop arrivò dopo un paio d’ore, LA non è così vicina all’Ohio; i miei si presentarono verso l’ora di pranzo, mi dissero che era ovvio che fosse finita così, che non riuscivano a capire cosa mi aspettassi… Per poco non usarono l’aggettivo giusto… Decisero che nessuno avrebbe dovuto conoscere quella storia…” si bloccò per un istante, fermato dalle lacrime che ormai rigavano silenziose le sue guance.

“N-non l-li denunciasti?” balbettò Kurt che continuava a guardare il pavimento, combattendo contro i suoi ricordi. Il rumore di una persona spinta contro un armadietto lo conosceva fin troppo bene.

“Non me l’hanno permesso. Te l’ho detto: non volevano che si sapesse in giro, una denuncia avrebbe sicuramente diffuso il tutto a macchia d’olio. In più uno degli aggressori era il figlio di un cliente di mio padre…” Il medico era totalmente sconvolto, quell’uomo non aveva voluto che il suo stesso figlio avesse la giustizia che meritava? “Da quel giorno ho fatto ciò che mi hanno detto: sono andato alla Dalton Accademy, ho perfino finto di essere interessato alla figlia di un amico di famiglia, ho rimontato un auto, mio padre credeva che questa noiosissima attività mi avrebbe reso più etero…”

“Cosa?! Io so vivisezionare un motore!” lo interruppe per un secondo, ma Blaine continuò a raccontare: “Odiavo casa mia, la Dalton è stata una vera e propria benedizione. Lì dentro ho conosciuto persone spettacolari: Thad, Nick, Jeff, Wes, David… Hanno completamente rivoluzionato la mia concezione della vita. Quando arrivai alla Dalton ero terrorizzato… semplicemente terrorizzato da tutti e da qualunque cosa. Non potevo sentire un armadietto sbattere senza andare in panico, consideravo chiunque si avvicinasse un potenziale pericolo e proprio per questo non parlavo con nessuno. Il primo ragazzo che ho conosciuto è stato Thad, era il mio compagno di stanza. È sempre stato gentile con me, nonostante fossi schivo e scorbutico. Mi ha salvato quando, i primi giorni di lezione, mi sono perso. La Dalton è un labirinto e il mio praticamente inesistente senso dell’orientamento non aiutava di certo… mi ha anche soccorso in mensa, giusto prima che facessi rovinosamente cadere il mio pranzo a causa dei tagli sulla spalla e mi ha fatto sedere con lui e i suoi amici: Nick e Jeff.

Beh, quei due sono stati molto importanti per il mio processo di integrazione, vedere come stessero assieme senza preoccuparsi di cosa pensassero gli altri, non che gli altri pensassero qualcosa di diverso da siete così adorabili che potrei aver bisogno di un dentista, mi è enormemente servito. Fu sempre Thad a consigliarmi di iniziare con la boxe… devo dire che è molto utile: scarica i nervi, libera dalle preoccupazioni e se dovesse ricapitare un episodio del genere, saprei difendermi. Verso la fine dell’anno mi sentì cantare sotto la doccia e mi portò di peso a fare l’audizione per entrare negli Usignoli… beh, sono diventato il loro leader…”

Kurt notò che da quando aveva iniziato a parlare della Dalton la sua espressione era cambiata, un piccolo malinconico sorriso era apparso sul suo volto e il medico sperava che sarebbe rimasto lì fino alla fine.

“Ma la cosa realmente incisiva è stata un’altra. L’estate prima del quarto anno io e Thad siamo andati a casa di sua nonna in Messico e… lì ho capito davvero, per la prima volta, cos’è una famiglia.

E’ stata la vacanza più serena della mia vita, la mia unica preoccupazione fu quella di dover far capire all’adorabile vecchietta che io e suo nipote non stavamo uscendo, nonostante lei pensasse che fossimo perfetti assieme.”

Il pediatra ridacchiò, sollevato da quella parte di storia.

“ Così, una volta tornato negli USA, ho deciso che avrei smesso di assecondare i miei genitori, di cercare di compiacerli inutilmente... Infatti ho fatto domanda alla NYADA, ho avuto un ragazzo, niente di importante, ma… Ho fatto il provino, sono passato e appena due settimane dopo il diploma mi sono trasferito qui… La mia vita New Yorkese non è male. Beh, decisamente questo non me l’aspettavo…” concluse.

“Da quanto non vedevi i tuoi?” domandò Kurt.

“Da Natale, sono tornato in Ohio, non per loro. Quest’anno erano tutti lì: Nick, Jeff, Thad, Coop… Sono stato pochissimo in casa…E, sinceramente, mi è bastato…” rispose, poi si guardò il braccio dove era infilato l’ago della flebo con un’espressione un po’ sofferente.

“Hey? Tutto bene?” chiese Kurt, inclinando leggermente la testa verso sinistra e fissando anche lui quello stesso punto.

“Uhm… credo che quest’affare si sia spostato un po’? E’ possibile?”

“ Certo che è possibile… Hai provato a staccartelo!” sussurrò il medico, capendo che non era esattamente la cosa giusta da dire. “Posso controllare?” disse ad un tono di voce udibile.

“Certo…”

Il pediatra si avvicinò, constato che l’ago si era visibilmente spostato, lo sfilò, prese un po’ di disinfettante dal secondo cassetto e lo ripulì. Blaine lo fissò con un aria terrorizzata non appena tentò di rinfilare l’ago al suo posto, la scenetta fece ridere Kurt.

“Quanti anni hai? Oggi ho fatto una vaccinazione ad una bimba di 22 mesi ed era meno spaventata di te!” lo prese in giro.

“N-non ho paura! Mi fa solo un po’ impressione…!” tentò di difendersi il più piccolo arrossendo.

“Davvero? Allora guarda dall’altra parte… Se ti fa ancora paura, posso darti una caramella…” e mentre lo diceva, a tradimento, punse Blaine.

“Stronzo!”

“Uhm… forse i bambini sono meglio, scoppiano a piangere ma per lo meno non mi insultano…” Iniziarono entrambi a ridere, una risata finalmente leggera e spensierata.

“Come mai sai smontare un motore?” chiese Blaine inaspettatamente.

“Come mai ti interessa?”

“Non si risponde ad una domanda con un’altra richiesta, sai? Comunque, ti ho raccontato praticamente tutta la mia vita… Mi sembra ovvio che voglia sapere qualcosa anche io!” disse, alzando le spalle. 

“Touché.” Sorrise “Mio padre a Lima aveva un’officina e le paghette crescevano esponenzialmente se scendevo a dargli una mano.”

“Uhm… I tuoi genitori?” Kurt esitò un secondo, odiava rispondere a quella domanda. Sapeva già che l’espressione di chi si trovava davanti sarebbe cambiata, che quel qualcuno avrebbe assunto immediatamente un tono compassionevole e lo odiava.

“Sono morti” Blaine sbarrò per un secondo gli occhi poi chiese senza pensare minimamente: “Quando? Ti mancano?” Kurt sorrise, sorrise perché era una risposta originale e soprattutto spontanea, tanto innocente da sembrare pronunciata da un bambino.

“S-scusa.. Non sono fatti miei…” balbettò, abbassando gli occhi.

“Non è un problema… Per lo meno non mi hai detto mi dispiace… Mia madre è morta ormai venti anni fa, ero piccolo e la adoravo. Semplicemente la adoravo, era una donna meravigliosa e sì, mi manca ancora tantissimo. Tra me e mio padre c’era un rapporto... finto: capivo quanto bene mi volesse, ma non mi sentivo accettato, mi sentivo fuoriposto, perfino a casa mia. È cambiato tutto il giorno del mio coming out-” Kurt si arrestò, indeciso se continuare o meno, poi proseguì: “È troppo imbarazzante da raccontare!”

“Ti ha trovato a letto con qualcuno?” gli chiese Blaine con uno sguardo eloquente.

“N-non così imbarazzante!” arrossì il medico. “Mi ha visto provare Single Ladies con due mie amiche. In una tutina aderente, gilet e guanto abbinato in paillettes. Mi ha chiesto se una di quelle due fosse la mia ragazza...” disse ridendo.
“È stato allora che..?” gli chiese  Blaine, senza concludere la frase. “No, ho finto che la tutina estremamente attillata che avevo addosso fosse obbligatoria per chi giocasse a football ed ho convinto una squadra intera a ballare Beyoncè sul campo, per incitarmi a segnare. Una delle soddisfazioni più grandi della mia vita!” esclamò imbarazzato ma felice. Il riccio cercò di non pensare troppo all’eccitante scena del medico che si trovava davanti in body ed intento a ballare sensualmente, ma era un immagine davvero troppo invitante e rise distogliendo lo sguardo per potersela figurare. “In ogni caso” riprese Kurt “Non ne potevo più di tutta quella falsità e dissi a mio padre la verità.”
“Come l’ha presa?” domandò Blaine in apprensione.

“Mi ha detto che lo sapeva da quando avevo tre anni: chiedere tacchi al compleanno deve essere sembrato poco virile.” rispose con un sorriso sghembo.

 “ Poco dopo mio padre ha conosciuto Carole. O meglio, sono stato io a farli incontrare, av-“ si bloccò un secondo. “Altro pezzo imbarazzante di questa storia…”

“Dimmelo.” decretò Blaine categorico.

“No, non lo farò…”

“Lo farai!”

“Dimmi qualcosa di imbarazzante sul tuo conto… Poi valuterò la possibilità di parlare!” rispose il medico, sfoggiando un sorrisetto malizioso.

“Credo che, vista dall’esterno, tutta la mia vita sia considerata tale, in ogni caso… A diciassette anni ho cantato una serenata ad un commesso di GAP. Dentro il negozio, il giorno di S. Valentino. Avanti, parla!” 

“Davvero?” rise Kurt.

“Si, l’hanno anche licenziato per questo!” rispose il più piccolo, il medico continuò sghignazzare per un paio di minuti, poi riprese a raccontare: “ Okay, okay… Ti sei meritato il continuo… Ho presentato Carole a papà perché avevo una cotta per suo figlio Finn, etero, ex ragazzo di Rachel…”

“Tu avevi una cotta per il ragazzo della Berry?!”

“Tecnicamente, all’epoca, non erano ancora fidanzati…” precisò il pediatra, poi continuò: “Comunque, mio padre e Carole cominciarono a frequentarsi ed io ero geloso del rapporto tra il ragazzo per cui avevo una cotta colossale e l’uomo che mi aveva cresciuto: parlare di sport, ragazze, auto… Il virile rapporto padre-figlio che per me non sarebbe mai esistito. Così mi sono finto etero fidanzandomi con l’attuale ragazza della mia migliore amica lesbica!” concluse con una smorfia disagiata, realizzando nel momento stesso in cui pronunciava quella frase quanto strana fosse per certi aspetti la sua vita. Il moro non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
“Siete ancora amici?” gli chiese quand’ebbe finito di sghignazzare.

“Credo di doverle la vita, sono talmente indebitato con Santana che anche se smettessimo di frequentarci mi scoverebbe ovunque fossi, pretendendo i più disparati favori.”

“Cosa ha fatto di tanto impagabile?”

“Per spiegartelo devi conoscere gli antefatti… Sicuro di non annoiarti?” gli sorrise lievemente preoccupato Kurt.

“Scherzi?! Dai, continua…” lo incitò Blaine.

“Il mio liceo. Sono stato chiuso lì dentro per quattro anni, quattro anni di puro incubo. Non c’era un giorno in cui non mi tartassassero: buttato per terra, nei cassonetti, spinto contro gli armadietti, bersaglio preferito dei bulli e delle loro granite, che puntualmente mi lanciavano contro. Non so se fosse più freddo il ghiaccio che si scioglieva su di me o i loro sguardi di disgusto, se fosse più forte il dolore fisico o quello morale. E il preside lo sapeva: sapeva quello che passavo tutti i giorni, sentiva darmi del frocio davanti al suo ufficio, ma non fece nulla. Delegò il tutto con bravate da ragazzi e disse che non disponeva di abbastanza prove per espellere Karofsky.”

“Chi…?” domandò Blaine, corrugando la fronte.

“David Karofsky. Proprio a lui dovevo arrivare. Il peggiore, sicuramente il peggiore tra quelli che mi perseguitavano. Un giorno mi insultò e io, ancora non so perché, lo seguii negli spogliatoi per dirgli di lasciarmi in pace, o qualcosa di simile, e lui mi baciò.” Kurt si fermò, guardando l’espressione di puro stupore comparsa sul viso del moro. “ Già. Mi baciò, poi passò le successive due settimane a minacciarmi. Diceva che mi avrebbe ucciso se l’avessi raccontato a qualcuno e io ci credetti. Ero terrorizzato, non potevo parlare con nessuno: mio padre avrebbe fatto qualche stronzata e aveva avuto un infarto meno di un anno prima, non volevo che si agitasse; chiunque altro, sarebbe stato troppo pericoloso… Santana un giorno mi trovò mentre leggevo piangendo uno dei tanti foglietti minatori che Karofsky lasciava nel mio armadietto… Insistette talmente tanto che non riuscii a mentirle: le confessai tutto, fu più che altro un crollo nervoso. Mi rispose: sono una lesbica velata – all’epoca era innamorata di Britt, ma non stavano ancora insieme- e una sparasentenze dichiarata, il mio gayradar è infallibile! Lo sapevo!, poi andò da Karofsky e si offrì come sua ragazza di copertura, a patto che mi lasciasse stare… Lui accettò e andò meglio, per un po’…” il medico si bloccò e alzò gli occhi dal pavimento per  poi rivolgerli verso Blaine.“Poi…?” chiese quest’ultimo.

“Neanche io ho una bella esperienza con i balli scolastici… Durante il ballo del terzo anno fui eletto Reginetta- aveva ragione mio padre, indossare un kilt fu un po’ troppo provocatorio - la più grande umiliazione della mia esistenza, il mio preside non fece nulla per risparmiarmela, mi proclamò Reginetta, con tanto di corona e mi disse che dovevo ballare con il Re: Karofsky.” Gli occhi del più piccolo lo fissavano preoccupati. “ Lui scappò e io rimasi solo al centro di quella pista. Ma Santana mi salvò la vita per la seconda volta: salì sul palco, doveva cantare Dancing Queen quindi nessuno ci fece caso, all’inizio, poi urlò Gente, si accertò di avere l’attenzione di tutti e baciò Brittany. Subito dopo cominciò a sbraitare: Avete qualcos’altro di cui parlare? Contenti?! Si, mi ringrazierete dopo. Ora sono impegnata, io e Britt dobbiamo esibirci. Musica, grazie! . Devo dire che ha funzionato, hanno tutti spettegolato sul fatto che le due cheerleader stessero insieme e nessuno ha pensato a me. Ammetto che avere una migliore amica egocentrica, isterica e assai irascibile abbia una sua utilità… E io sono così fortunato da averne due: Santana e Rachel.”

“Questa ragazza è amabile…” commentò Blaine, estasiato per la dolcezza di quel racconto.

  No, non lo è affatto. Proprio no. Le devo molto, ma fa paura…” spiegò Kurt, facendo ridere il più piccolo.

“ E dopo? Hanno smesso di torturarti?”

“Uhm… Non proprio, ma l’ultimo anno è decisamente andato meglio… Ho avuto un ragazzo, Chandler, non era esattamente l’uomo dei miei sogni, ma mi riempiva di complimenti e regali… Poi ho fatto l’audizione per la NYADA e non sono stato preso, ma ho deciso di partire lo stesso per New York… Arrivato qui ho iniziato a lavorare per Vogue.com, ho lasciato Chandler, era anche lui a NY, troppo geloso… Stavo per riprovare ad entrare alla tua scuola, ma a Natale mio padre mi disse di avere un cancro alla postata, tornai in Ohio, nonostante lui non volesse… Sono rimasto lì per due anni, provando a tenere in vita la sua officina con l’aiuto di Finn, mentre lui tentava di curarsi… Non è servito a molto …” il medico guardò il soffitto, come per ricacciare indietro le lacrime che prepotenti tentavano di uscire, Blaine avrebbe tanto voluto alzarsi e abbracciarlo. “E’ stata di nuovo Santana a riportarmi a galla, tre settimane dopo la morte di papà. Venne a Lima, fece irruzione in camera mia e cominciò a prepararmi una valigia, quando le chiesi cosa stesse facendo mi ripose: Lady Hummel, questo posto è troppo piccolo per noi due: tu non resterai qui a riverniciare vecchie auto e io non resterò qui a guardare Britt e Sam-in quel periodo si erano lasciate da un po’ e l’ex di Tana stava frequentando un ragazzo- e ad agitare stupidi pon-pon. La Berry ci ha preparato un divano a New York, partiamo tra tre giorni. Inutile dire che replicare non servì a nulla…”

“Come sei finito a fare il medico?” domandò il riccio.

“Uhm… Quando sono  tornato qui, ho deciso di iscrivermi a medicina: sai, quando hai diciannove anni e la vita ti sta andando stranamente bene, ti sembra semplice riuscire a diventare un cantante o uno stilista di successo, anche in una metropoli piena zeppa di persone con gli stessi obiettivi; quando ci torni a ventuno e dopo uno dei periodi più bui della tua esistenza, non la pensi più così… Ero stanco di dover essere aiutato, volevo aiutare…” rispose.

“E perché pediatria?”

“Semplicemente mi piacciono i bambini!” spiegò il medico. Il medico si zittì un attimo, fissando un punto indefinito: aveva ascoltato storie tristi e ne aveva raccontato altrettante, ma rievocare la sua deprimente vita non lo aveva per nulla depresso. Blaine Anderson era come un bambino e lo ascoltava seriamente interessato, partecipando senza essere falso e sorridendogli quando gli occhi gli si inumidivano. Aveva cominciato a parlare perchè quel ragazzo si era confessato con lui e voleva dimostrargli di non essere solo, ma aveva continuato perchè con quegli occhi vivi e quei sorrisetti sinceri lo faceva sentire bene. E non avrebbe neanche smesso se Alex non avesse fatto irruzione nella stanza con il carrello della cena. Guardò Kurt dubbiosa: “Dr. Hummel, non mi ha salutato tre ore fa dicendo che andava nella 713? E’ ancora qui..?” Il medico guardò un attimo l’orologio, come se non credesse di aver passato davvero così tanto in quella camera, poi le rispose: “Alex, se proprio devi farti i fatti miei, e so che te li fai, proprio come per tutte le altre persone di questo beneamato ospedale, fammi almeno il piacere di chiamarmi Kurt!”
“Come preferisci... Kurt.” gli sorrise mentre poggiava sul comodino della stanza il vassoio, poi squadrò il pavimento. “Chi dei due voleva tentare di uccidere chiunque entrasse in questa stanza?!” esclamò fissando l’acqua, i fiori e il vaso ancora a terra.
Il pediatra si alzò, avvicinandosi all’apposita leva per inclinare la metà superiore del materasso e consentire al paziente di mangiare senza il rischio di affogarsi. “Ciao Blaine” mormorò quando ebbe completato l’operazione “Scusami, ma avevo promesso a Rachel che sarei tornato a casa per cena!” disse accarezzandogli distrattamente una gamba da sopra le coperte e facendogli un largo sorriso che l’altro ricambiò. Quando si richiuse la porta dietro, il moro realizzò di sentirsi più leggero: si era confidato con un estraneo che ora non lo era più, dimenticandosi per quelle ore perfino del suo mal di testa lancinante che lo ossessionava di continuo, e la voce rilassante di quel pediatra aveva funzionato meglio delle medicine che gli prescrivevano. Solo una cosa fece vacillare la sua espressione felice: avrebbe voluto davvero sentire quella carezza.

Pochi secondi dopo si riaffacciò Kurt alla porta: “Blaine, volevo solo ricordarti che alla fine Narcissa Malfoy ha mentito a chi l’aveva tenuta in pugno per tutta la vita per salvare suo figlio!” esclamò. L’infermiera fissò il paziente come se si trovasse in un manicomio e non in un ospedale: “Non so assolutamente cosa c’entri, ma se stiamo parlando di Harry Potter sono una Corvonero!”

Blaine invece sapeva benissimo a cosa si riferisse e ancora una volta non potè fare a meno di sorridere scuotendo la testa: aveva davvero trovato un amico. 

 

Angolo Autrici:

Buonasera, chiediamo venia per il ritardo, ma su! Potere perdonarci! Sono 4.400 parole di amore Klaine!

Allora sappiamo che tutto questo è un po’ triste, ma l’avvertimento ANGST serve proprio a questo!(anche io odio Rella per questo, non potevano essere semplicemente felici?). Mi sono sentita male per scriverlo, pensate che, per puro masochismo, l’ho fatto ascoltando Cough Syrup ( che per me è la tristezza che cammina: ho visto On My Way il giorno del coming-out di un mio amico :’( )

Bene, dopo questa serie di inutili informazioni vi dirò l’unica cosa sensata (nonché scopo di queste note): abbiamo tagliato i Niff\Thadastian, il capitolo sarebbe stato TROPPO lungo. Vi giuro che li troverete nel prossimo!

Ultima cosa: ringraziamo di cuore tutti coloro che recensiscono, mettono tra le seguite o preferite o semplicemente ci leggono (anche se sapere il vostro parere non ci fa mai male!)... vi vogliamo bene! :)

‘Notte, Potters.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI. ***


“… e comunque, quel bambino mi ha morso un braccio, è fuggito verso la porta e la madre è rimasta lì a guardarmi senza fare nulla…” Kurt fu interrotto dalla porta che si apriva e dalla conseguente entrata di due ragazzi: il primo alto, biondo e magro, che sembrava la versione maschile e più entusiasta di Barbie, era a braccetto con il secondo più basso, bruno e con un naso notevole.
“Blaine! Thad!” urlò il biondino, prima salutando il messicano che gli era venuto incontro, poi lanciandosi sull’altro, quasi trascinando con sé una sedia nel percorso.
“Jeff… anch’io sono felice di vederti, ma non vorrei dover tornare in sala operatoria…” sussurrò Blaine senza però che il suo sorriso a trentadue denti si affievolisse, poi aggiunse:
“Nick, dai, vieni qui e liberami dal tuo ragazzo...”
“ Futuro marito, vorrai dire…” Thad e Blaine spalancarono gli occhi, poi cominciarono a sommergere i due poverini di domande.
“Futuro marito, oddio, vi sposate! Vi sposate? Tu lo sapevi Thad? Perché non me lo hai detto?”
“No, non lo sapevo, ma… dove? Qui? Chi l’ha chiesto e quando?
Perché non l’avete detto prima? E gli anelli? Raccontate!”
Il primo a tornare in sé fu il riccio che, resosi conto che tutti stavano ignorando il pediatra e dalle sue occhiate confuse, decise di presentarlo.
“Allora, voi ci direte ogni singolo dettaglio, ma prima… Questo è Kurt, lavora qui e…” si fermò non sapendo esattamente come definire il medico.
“Ti ha operato lui, quindi?” chiese Nick vedendo l’amico in difficoltà.
“No… in realtà, è un pediatra…” rispose l’altro guardandosi attorno imbarazzato.
“Allora che ci fa qui? Chi è?” si intromise Jeff con tutto il suo tatto, mentre il suo fidanzato scuoteva la testa rassegnato:
“Capisco che l’altezza e il comportamento corrispondano, ma metterlo addirittura nel reparto bambini… comunque, non volete più conoscere tutti i dettagli dell’imminente matrimonio?” tutti quanti tirarono un sospiro di sollievo a quel cambio d’argomento e si prepararono ad ascoltare.
“Bene, sapete che pochi giorni fa è stato legalizzato il matrimonio gay in Illinois, io e Jeff eravamo a casa, sul divano, e stavamo guardando il telegiornale. Quando la notizia è stata trasmessa ci siamo voltati l’uno verso l’altro, fissandoci intensamente negli occhi e…” fu interrotto bruscamente dal suo ragazzo:
“Non raccontarla come se fosse un romanzetto rosa, mi hai chiesto se stessimo pensando la stessa cosa e io ho risposto che sì, probabilmente avremmo dovuto controllare i pop-corn o sarebbero esplosi.”
“Sei un’idiota, perché ti ho chiesto di sposarmi?”
“Perché sono meraviglioso e mi ami?”
“Già che sciagura…” Nick si avvicinò e stampò all’altro un lieve bacio.
“Kurt, ti prego, potresti trovarmi una siringa di insulina, questi due non li reggevo sin da adolescenti, ma speravo che prima o poi avrebbero smesso.” supplicò Thad tra le risate di tutti.
“Comunque, Blaine vorresti essere il mio testimone?” Chiese il moro sorridendo all’amico che annuì felice, poi si voltò verso l’ispanico che si stava dirigendo di tutta fretta verso la porta, probabilmente con l’intento di fuggire. Quando la spalancò però, rischiò di atterrare il medico che stava entrando.
“Chi è e perché sta tentando di uccidermi?!” mugugnò Sebastian massaggiandosi il naso e controllando che fosse ancora integro.
 “Quei due…” rispose l’altro indicando Nick e Jeff ancora abbracciati “...vogliono chiedermi di fare da testimone alle loro nozze…” il francesino si guardò intorno lievemente confuso, poi esclamò:
“Perché questa camera è diventata la sede di un gay pride?”
“Peccato che l’unico che potrebbe essere interessante sembra avere altri gusti…” aggiunse squadrando Thad con uno sguardo malizioso e lascivo del tutto fuori luogo in una stanza d’ospedale.
“Beh… in realtà nessuno è etero qui dentro.”  si affrettò a precisare l’altro. Il dottore ghignò facendo un passo avanti:
“ Ok, dovete uscire, perché io al contrario di qualcun altro devo lavorare.” mentre tutti si stavano dirigendo fuori, si voltò verso l’ispanico e sussurrò ammiccante:
“ Comunque questa è la mia ultima visita, poi sarò nel mio ufficio...da solo.”
Thad sorrise annuendo, poi seguì i due sposini e il pediatra in corridoio.

*****
 
Kurt guardò l’orologio per l’ennesima volta, sperando mancasse poco alla fine del suo turno. Sally, la sua collega, era costretta a casa da una brutta influenza e lui aveva dovuto sostituirla, rimanendo in quella gabbia di matti per quasi dodici ore. Strinse i denti: ancora due visite e sarebbe tornato a casa. Beh, non proprio a casa. Ancora un bambino con la tonsillite, una piccolina con la varicella e sarebbe stato un uomo libero. Aprì la borsa e verificò di non aver dimenticato nulla: il dvd di Chicago e una copia di Vanity Fair.  Le sue scuse erano lì, pronte per essere usate. Disse alla bambina di soffiare forte, come se volesse spegnere le candeline al suo compleanno, e approfittò della situazione per sospirare. Congedò madre e figlia con una ricetta illeggibile che qualche malcapitato farmacista avrebbe dovuto decifrare e si avviò verso le scale. Poteva far finta che il motivo per cui continuasse a visitare Blaine Anderson fosse aiutare chi era diventato un amico, per rendere meno noiosi i lunghi giorni di degenza, ma in fondo sapeva che non era così. Aveva pensato per un po’ che a riportarlo in quella camera fosse la voglia di rivedere vecchi musical e commentare romanzi, ma dentro di sé, negli angoli più remoti del suo subconscio conosceva la verità: quell’uomo dai capelli incorreggibilmente arruffati e gli occhi da cucciolo lo faceva stare bene. Il sorriso che il più piccolo  gli rivolgeva ogni volta che andava a trovarlo era più innocente di quello dei bambini e sembrava illuminare la stanza. No, non erano i musical dell’epoca d’oro di Broadway, né le storie d’amore di femministe tormentate a portarlo tutti i giorni nella camera 713 dell’Allen Pavilion Hospital. Era quel sorriso.
Arrivò alla porta della suddetta pochi minuti prima delle sette e bussò. “ Prego!” esclamò Blaine.
Kurt entrò, si girò verso il letto giusto in tempo per intravedere il suo sorriso, che bastò a spazzargli via di dosso tutta la stanchezza accumulata in quell’interminabile giornata di lavoro.
 “Buonasera” lo salutò, sorridendo a sua volta.
“Guarda lì!” gli ordinò il moro, indicando un punto alle spalle del medico, con la stessa espressione soddisfatta che hanno i bimbi in età prescolare quando riescono a disegnare qualcosa da regalare ai genitori. Il pediatra si voltò, fino a che una sedia a rotelle piegata ed appoggiata accanto alla porta non entrò nel suo campo visivo. “Wow! … Questo significa che…”
“Che presto comincerò la fisioterapia e che potrò uscire da questa stanza… Anche se dubito seriamente di riuscirmi a spostare da solo con quell’oggetto. Non ci vuole una patente?” lo interruppe.
“Non è così difficile come sembra!” gli rispose Kurt, sedendosi accanto al letto. Qualcuno, molto probabilmente Alex, aveva sostituito la scomoda sedia di plastica con una ben più confortevole poltroncina verde, probabilmente per salvare l’osso sacro del pediatra.
“ E tu come fai a saperlo?” chiese Blaine, sollevando appena un sopracciglio.
“Uhm… Il professore che seguiva il Glee al McKingley aveva idee piuttosto particolari per farci comprendere i nostri errori: eravamo al secondo anno e Artie, un mio amico del liceo, che ha perso l’uso delle gambe in un incidente d’auto, non sapeva come venire alle regionali e noi ragazzi non volevamo spendere di più per il pullman con il posto per disabili… Così ha costretto tutti noi a stare sulla sedia a rotelle per una settimana. Ho anche ballato con quell’affare!” raccontò, facendo ridacchiare il riccio.
Rimasero un secondo in silenzio, semplicemente sorridendosi a vicenda, poi Blaine parlò: “ Faresti una cosa per me? Anche se è stupida?”
“Certo…” rispose leggermente esitante. Il più piccolo si sporse verso il comodino e frugò nel primo cassetto, tirando fuori un plico di fogli. “ E’ l’iscrizione alla NYADA  per l’anno prossimo… lo so, lo so che è stupido… non riuscirò mai a camminare entro settembre, lì dovrei ballare. E’ impossibile! Però, iscrivermi mi dà un minimo di speranza… Potresti portarla alla Berry?”
“C-certo… Io non ne capisco molto di neurologia, ma sei giovane… Credo che non ci vorrà…” provò a balbettare il medico.
“E’ Marzo, Kurt. E’ Marzo e devo ancora iniziare la fisioterapia! E’ impossibile che io riesca ad uscire di qui prima di settembre… Sono realista.” Rispose l’altro, esibendo un sorrisetto rassegnato che intristì il più grande.
“Va bene, porterò questi a Rachel. Ora non pensiamoci più, okay?” disse, aprendo la borsa e tirando fuori il DVD. “ Ho portato questo, ti va?”
“Kurt, si vede lontano un miglio che sei distrutto! Torna a casa, non c’è assolutamente bisogno che tu rimanga qui…” provò Blaine, guardando le occhiaie del più grande.
“Non ti preoccupare. A casa passerei la serata da solo.” Sorrise, prendendo il computer. Mentiva, mentiva spudoratamente: Rachel era a casa e non sarebbe uscita. Anzi, molto probabilmente si sarebbe trasformata in un’Erinni per quel ritardo, ma ormai era abituato alle urla della ragazza, qualcosa di mistico in grado di ignorarle del tutto era nato nel suo cervello.
“… Se ti dico quello a cui sto pensando mi farai del male fisico…” disse Blaine.
“Dimmelo!”
“Ho visto la versione cinematografica di Chicago… Però non ho assistito allo spettacolo di Broadway! Scusa!” dichiarò il più piccolo, Kurt si girò con un’aria fintamente assassina:“Cosa?! Anche i cinesi che visitano New York in tre giorni vanno a teatro per Chicago! Non è normale che tu l’abbia fatto!”
“Fai partire il film!” ridacchiò. Stettero per un po’ in silenzio a fissare il piccolo schermo, poggiato più o meno ai piedi del letto di Blaine.
“Questa è Renéé Zellweger?!” chiese Blaine, non appena la biondina fu inquadrata per bene.
“Certo!”
“Ma è irriconoscibile! Cosa le è successo?”
“È invecchiata male... molto male!” rispose Kurt storcendo il naso.
“Beh, è ancora fidanzata con quel cantante country?” domandò il più piccolo senza distogliere gli occhi dal portatile, dove Velma Kelly si esibiva in All That Jazz.

“Chi, quello che portava il cappello da cowboy anche sotto la doccia? Ti prego, era un matrimonio di copertura!” esclamò il medico, con l’aria di chi la sa lunga.
Smisero di commentare il film continuando a mimare i testi delle canzoni. Dopo un po’, Kurt si accorse che l’altro non stava canticchiando con lui il pezzo più famoso del musical, così si girò un attimo per guardarlo: dormiva sereno con la testa sul cuscino e la bocca lievemente spalancata. Il medico sorrise intenerito, soffermandosi con lo sguardo sui lineamenti decisi della mascella, le labbra socchiuse, le lunghe ciglia, i capelli scompigliati. Pensò che sarebbe potuto restare lì per ancora qualche minuto, qualche ora, l’intera nottata, per vederlo dormire così pacificamente. Distolse un attimo lo sguardo, fissando un punto imprecisato per immaginare la scena dall’esterno: doveva sembrare un maniaco così. Si morse l’interno del labbro, vergognandosi di se stesso senza conoscerne bene il motivo, poi chiuse il portatile e si alzò. Sfiorò i riccioli di Blaine, attento a non svegliarlo, e gli lasciò un piccolo bacio sulla fronte, così delicato che si chiese se le sue labbra l’avessero davvero toccato. Poi uscì. 

*****

 
Kurt infilò la chiave nella serratura, bramando il suo morbido  letto e sperando di non incombere nelle urla della sua coinquilina. “Hummel!”. Come non detto.
“Ciao Rach... ti ho preso il gelat-”
“Non mi comprerai con del cibo!” lo interruppe la donna urlando ed assumendo la tipica faccia alla Berry da non sperare di uscire intatto da questa discussione.
“Peccato che le ultime volte abbia funzionato: stai mettendo su qualche chilo, cara.” disse il castano, alzando le sopracciglia e squadrandola.
“Carino, non spostare la conversazione sulla mia perfetta pancia piatta, non girerai la frittata, non ci sperare.” esclamò lei, incrociando le braccia sotto il petto ed indicandogli con un cenno la sedia. Kurt arricciò il naso e sbuffò, poi si sedette.
“Fatto, mammina. Allora?”
“Devi dirmi qualcosa?”
“Non fumo, non bevo, non mi drogo.” le sorrise strafottente lui.
“E il fidanzatino?” gli chiese con falsa aria innocente.
Il medico tacque per un secondo, corrugando le sopracciglia a bocca aperta.
“Ma che hai, attraversi la crisi di mezz’età, Rachel?! Chiamo Brody e gli dico che vuoi un bambino, perchè io così non posso camp-”
“Ah-ah!” esclamò Rachel puntandogli contro l’indice, come se avesse scoperto chi rubava la marmellata. “Hai esitato!” sorrise soddisfatta.
“Ricordami di farti prescrivere qualcosa, nana. Vado a letto.” mormorò lui alzandosi.
“Non ceni perchè non hai fame, eh? Troppe farfalle nello stomaco?”
Kurt la ignorò, dirigendosi verso il bagno per il suo rituale notturno. “Potresti almeno chiedere scusa, Kurt: sono giorni, macché, settimane che salti la cena! Arrivi a casa per le dieci, si può sapere cosa fai dalle sette in poi?!” disse esasperata, seguendolo come un cagnolino.
“Te l’ho detto: cerco soluzioni a casi che mi danno da pensare, come quello di Malcom che-”
“Non tentare neanche di commuovermi con storie del genere: Malcom è stato dimesso una settimana fa!” rispose pronta Rachel, facendo sbuffare l’altro, intento a cospargersi di crema iper-nutriente la pelle pallida.
“E va bene Kurt, ti esporrò una serie di fatti: da quando Blaine Anderson è stato ricoverato nell’ospedale dove lavori torni tardi, spariscono da casa oggetti come dvd e libri, ti svegli mezz’ora prima per riuscire ad infilare pantaloni incredibilmente stretti ed hai raddoppiato i tuoi rituali di bellezza! A parte il depredare quest’abitazione, sono tutte cose che facevo anche io quando ho conosciuto Brody... Ammettilo che ti piace!”
“...Non è così!” esitò Kurt.
“E perché passeresti così tante ore in una camera d’ospedale, allora?!”
“Forse perché non ha nessuno?! Non so se ti rendi conto di cosa significhi: nessuno, Rach!” esclamò il medico dopo essersi sciacquato la faccia.
“Vuoi farmi credere che sia l’unica persona sola dell’Allen Pavilion?! Andiamo, smettila di prendermi e prenderti in giro!” ribatté lei.
Il castano soffocò un’imprecazione nell’asciugamano, poi rispose: “Ok, non lo è, ma... insomma, parlo per due minuti con un ragazzo sconosciuto e due giorni dopo viene ricoverato... non è normale!”
“Che c’è di male ad ammettere che ti interessa? Capisco che la questione di James ti abbia lasciato con l’amaro in bocca e che la storia con Sebastian non abbia aiutato, ma... se non vuoi essere sincero con me, devi almeno esserlo con te stesso.” James e Kurt si erano conosciuti all’università, frequentavano lo stesso corso, dopo poco avevano iniziato ad uscire insieme. Per tre anni erano stati una coppia perfetta, Kurt lo amava, James sosteneva di ricambiarlo. Il medico stava anche pensando di proporgli di convivere, perfino Rachel, solitamente molto gelosa del sua migliore amico, era entusiasta tanto da pensare di offrire alla giovane ed amabile coppietta il suo utero per proliferazioni future, peccato che James avesse un altro modo per ovviare il problema. Infatti, un giorno il pediatra si era recato a casa del suo fidanzato per assisterlo, dato che quest’ultimo era stato colpito da una brutta influenza, frugando nel mobile delle medicine aveva trovato un piccolo pacchetto rosa: pillole anticoncezionali. Kurt era tornato nella camera da letto con espressione confuse e, mostrando la sua scoperta, aveva scherzosamente chiesto a James se sapesse a cosa servissero; fortuna –o sfortuna- volle che, nell’istante in cui l’altro aveva esitato prima di rispondere, suonasse il telefono fisso, che Kurt istintivamente prendesse la cornetta e che la tenesse accanto all’orecchio il tempo necessario per sentire una voce femminile chiedere notizie sul malato, appellandolo con il dolce nomignolo amore. In quell’istante la situazione fu immensamente più chiara: James sapeva benissimo perché quelle pillole fossero sul mercato e dall’altra parte del telefono c’era la ragione della loro presenza in quella casa. Il tutto sconvolse il medico, che però riuscì, stranamente, a mantenere il sangue freddo; dopo aver lasciato cadere sul letto cordless e scatolino, uscì velocemente dall’appartamento, commentando con un secco:Lasciati dire che non è così che funziona la bisessualità. Rachel ricordava perfino meglio del suo migliore amico tutti i pianti che erano seguiti e di nascosto aveva versato anche lei qualche lacrima di rabbia, fino a quando, per fortuna, Brody aveva consigliato a Kurt di studiare per distrarsi e questo aveva fatto in modo che si laureasse a pieni voti e smettesse di pensarci su. La questione aveva però scavato un vuoto nel petto del ragazzo, una fitta dolorosa che ogni tanto continuava a colpirlo: non si sentiva mai... abbastanza. Anche se lo nascondeva a se stesso, si sentiva il pezzo rotto di quel grande puzzle che è la vita: il caso, o come dicono i credenti Dio, continuava a sputargli addosso, dritto negli occhi. Scosse la testa, come per liberarsi di tutti quei pensieri, poi mormorò un “Ah!” e si diresse in soggiorno, dove aveva lasciato la borsa.
“Ecco!” esclamò, consegnano a Rachel il modulo d’iscrizione alla NYADA. La coinquilina lesse fino a Blaine Anderson , poi sorrise beffarda: “Già, ecco. Appunto!” strepitò indicando quel nome con l’indice. Sospirò di fronte al broncio del ragazzo e, preso il gelato che prima aveva sdegnato, si sedette sul divano con un aria soddisfatta ed un gran cucchiaio in mano per poterselo gustare.
“I tuoi figli ti ammazzeranno, Berry, sappilo, non reggeranno più di quindici anni!” la prese in giro il medico, poi fissò la vaschetta e disse sorridendo: “Lo finiamo insieme, vero?”

*****

“Allora, posso avere il tuo numero di telefono?” chiese Thad, guardando il neurochirurgo seduto di fronte a lui, poggiando i gomiti sulla scrivania che li separava per avvicinarsi.
“Uhm… non avevamo deciso di saltare i convenevoli?” rispose Sebastian, alludendo chiaramente agli interessanti avvenimenti della sera precedente.
“Non sono convenevoli, è praticità” ribattè l’altro, poggiandosi di nuovo allo schienale della sedia ed incrociando le braccia sul petto, coperto da un leggera maglietta verde che, a parere di Sebastian, gli stava maledettamente bene.
“E cosa ci sarebbe di pratico?” domandò il medico, tamburellando con le dita sul legno del tavolo.
“Dimmi un po’ Smythe… A cosa servono i telefoni?” ribattè prontamente l’altro, fissando il più alto negli occhi. “Non ho nessuna intenzione di diventare una fidanzatina gelosa, vorrei solamente…”
“… Sesso telefonico?” propose il più grande, sfoggiando un sorrisetto malizioso.
Prima che Thad potesse rispondere, qualcuno spalancò la porta entrando prepotentemente- e goffamente- nella stanza.
“Dottore!” esordì Alex, rivolgendo a Sebastian uno sguardo preoccupato.
“Problemi?” le domandò il caporeparto infastidito da quell’interruzione: la conversazione che stava avendo fino a quel momento lo divertiva, Thad era perfettamente in grado di tenergli testa,in diversi ambiti. 
“Abbiamo perso Anderson. 713.” Confessò, abbassando gli occhi.
 
Angolo Autrici!
Yuppi! Per una volta sono da sola a pubblicare! E posso scrivere infinite cazzate nelle note senza che le mie colleghe mi urlino “Non interessa a nessuno!”
Bene, innanzitutto mi scuso per il ritardo. Compliti in classe (tipo 5 in 6 giorni), Rella e Nori hanno avuto la febbre… 
E’ un capitolo un po’ diverso dagli altri, dato che “riassume” un periodo di tempo di circa un mese, riportando solo qualche avvenimento saliente. Perciò (come sempre) ci farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
 

Ringraziamo tutte le splendide 59 persone che ci hanno inserito tra le seguite (erano 60 e sì, amiamo anche colui\colei che ci ha abbandonate ç.ç), le 5 che ci preferiscono, le tre che ci ricordano! GRAZIE! 
Oh, si. Amo anche te che stai leggendo punta il dito come Cooper Anderson*
Fateci sapere cosa ve ne pare!
Io vado, tento di contattare la mia collega per capire se domani mattina si presenterà qui alle 7.45 o avrà di meglio da fare ;)
Baci e buonanotte, Potters. 


 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII. ***


“ Cosa?!” urlò Thad, voltandosi di scatto verso l’infermiera.
“Se fai la checca isterica non riesco a ragionare!” lo zittì Sebastian alzandosi. “ Ha avuto una crisi respiratoria?”
“No! Ma cos’avete capito?! Non è morto! Semplicemente non è lì!” chiarì velocemente la ragazza. L’ispanico ricadde pesantemente sulla sedia, col cuore che non accennava a rallentare ed una goccia di sudore freddo che gli scendeva lungo la spina dorsale; poi realizzò che non aveva motivo di rilassarsi: “ …Cosa?!”
Il medico lo rimproverò nuovamente con lo sguardo, quindi si rivolse alla biondina: “ Alex, tesoro, non puoi averlo perso. Quell’uomo non cammina!”
“ Lo so! Ma non è lì! Lo giuro! La stanza è… vuota! Non so come sia possibile! Sarà successo qualcosa di strano… Come si chiamava il tipo della Bibbia? Lazzaro? Sì, lui. Sarà sceso il Messia sulla terra per dirgli Alzati e cammina!” Thad la guardò come se avesse di fronte un cavallo in giacca e cravatta intento a recitare Critica della ragion pura di Kant, tradotto in sanscrito, dall’ultima alla prima parola; poi parlò: “ Non possiamo andare a cercarlo invece di star qui a dire cazzate?!”
“Intelligente osservazione…” disse Sebastian avviandosi verso la porta. “Alex, scendi al primo piano… Thad, qui al secondo, io salirò al terzo…”
“Sai? Sei eccitante quando dai ordini…”commentò Harwood.
“ Lo terrò presente…” sussurrò lascivo all’orecchio del moro che si era avvicinato.
“Smythe! Come faccio a chiamarti, se dovessi trovare Blaine, senza il tuo numero?” il neurochirurgo gli afferrò una mano e ci scrisse sopra le dieci cifre. Thad sorrise ammiccante e Alex lasciò velocemente la stanza, terrorizzata all’ idea che quei due decidessero di usare la scrivania in maniera non esattamente canonica.
                                      ***
“C’è Kurt!!” strepitò allegro Fred tirando per la manica un suo amico.
“Kurtie!!!” esclamò Claire correndogli incontro ed allacciandogli le braccia al collo.
“E lui chi è?” disse storcendo il naso e fissando per un attimo l’uomo che lo affiancava su una sedia a rotelle. “Sembra un orsacchiotto spelacchiato!”.
“Hey!” la rimproverò il pediatra, poi aggiunse: “Si chiama Blaine ed è voluto venire qui per cantare con voi, quindi trattatelo bene!” un bambino di nome Harry gli strinse la mano, presentandosi, mentre qualcun’altro li fissava in soggezione.
“Dovrai conquistarli...” gli sussurrò Kurt all’orecchio, mentre spostava la sedia a rotelle al centro della stanza.
“Posso farcela: conosco a memoria tutte le canzoni della Disney.” gli rispose di rimando lui. I bambini li circondarono: chi seduto a terra a gambe incrociate, chi su piccole sedie, chi steso a letto perché incapace di alzarsi.
“Allora...”  esordì il pediatra, ma i più piccoli lo precedettero urlando “La Bella e la Bestia!”
“Mulan!”
“Gli Avengers!”
 e i più grandi li seguirono a ruota, nel caos generale, suggerendo “Aladdin! Aladdin!!”
“La sirenetta!”
e qualcuno mormorando verso Fred che negli Avengers nessuno cantasse.
“Fred, Harry, voi avete scelto le ultime volte e prima ancora è toccato a Lily, quindi... Claire, cosa vuoi ascoltare?” disse il castano, calmando tutti tranne la piccola biondina interpellata, che saltellando rispose: “Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego: A whole new world!”
I due uomini si scambiarono un veloce sguardo e un piccolo sorriso si dipinse sui loro volti. Per un attimo il medico si figurò una piccola coreografia che avrebbe potuto eseguire per divertire i bambini, ma poi si ricordò che aveva affianco un uomo che chissà per quanto tempo non avrebbe potuto ballare. Per fortuna che aveva ancora una calda, magnifica, piena voce.
 
I can show you the world
Shining, shimmering, splendid
Tell me, prince, now when did
You last let your heart decide?

 
Con pochi versi li aveva catturati. Non si accorsero neanche del piccolo cambiamento da princess a prince, poco importava che Jasmine fosse diventata improvvisamente maschio, l’importante era che il moro continuasse a cantare.
 
I can open your eyes
Take you wonder by wonder
Over, sideways and under
On a magic carpet ride
 
Uno dei piccoli allettati fece ondeggiare le proprie lenzuola, come per rievocare il movimento del tappeto magico, e Kurt lo prese da sotto le ascelle per sollevarlo e far finta che volasse sopra le teste stupite di tutti.
 
A whole new world
A new fantastic point of view
No one to tell us no
Or where to go
Or say we're only dreaming
 
Kurt guardò come Blaine interagiva coi bimbi nella stanza. Era fermo, su una sedia a rotelle, senza nulla se non la sua voce che portava le menti lontano, che li portava a credere di volare tutti nel cielo notturno, con i loro occhi come stelle luccicanti: aveva conquistato il pubblico. E anche lui, che si schiarì la gola.
 
A whole new world
A dazzling place I never knew
But when I'm way up here
It's crystal clear
That now I'm in a whole new world with you
Now I'm in a whole new world with you

 
Cantando scambiava occhiate amorevoli a chi lo ascoltava. Rivolse il più tenero dei sorrisi al piccolo Fred che si appollaiò sulle gambe di Blaine, trattenendo il fiato per paura di fargli male, forse ignorando il peso del suo piccolo corpicino scheletrico.
 
Unbelievable sights
Indescribable feeling
Soaring, tumbling, freewheeling
Through an endless diamond sky

 
Per un attimo pensò di aver commosso il moro, che aveva gli occhi umidi ed un sorriso tranquillo, ma poi questi distolse lo sguardo pizzicando piano la guancia del piccolo che aveva sulle gambe.
 
A whole new world
Don't you dare close your eyes
A hundred thousand things to see
Hold your breath - it gets better
I'm like a shooting star
I've come so far
I can't go back to where I used to be



Claire e gli altri avevano cominciato a cantare con loro. Non si aspettava le loro voci si fondessero così bene insieme. Era un contrasto perfetto, da far venire i brividi. L’ultima volta che aveva avuto il batticuore cantando era stato alle sue ultime nazionali, ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Era come se cantasse non solo col diaframma, ma con tutti i suoi sentimenti, quelli più reconditi, che non avrebbe saputo descrivere né in quel momento né in nessun’altro.
 
A whole new world
Every turn a surprise
With new horizons to pursue
Every moment red-letter
I'll chase them anywhere
There's time to spare
Let me share this whole new world with you
 
Claire colse una figura fuori dalla porta e le sorrise dolcemente. L’infermiera dapprima ricambiò com’era solita fare il sorriso, poi controllò meglio chi ci fosse nella stanza e sgranò così tanto gli occhi che la bambina si impressionò e temette potessero cadere. Alex aspettò che la canzone finisse: non voleva perdersi una cosa del genere.
 
A whole new world
That's where we'll be
A thrilling chase
A wondrous place
For you and me

Il pediatra e il riccio cantarono l’ultima nota in un perfetto accordo, fissandosi intensamente negli occhi. Per un attimo sembrò esistessero solo loro due. Per un attimo stabilirono un legame più profondo, un tacito accordo, un intesa comune. Poi il più grande distaccò lo sguardo, distratto dalla vocina di Claire: “Kurt! Dimmi la verità! Lui è il tuo fidanzato?” disse con l’aria di chi la sa lunga. I due arrossirono imbarazzati, balbettando una serie di N-no scomposti.
“Secondo me dovreste mettervi insieme.” decretò la bambina, poggiandosi le mani sui fianchi.
“Anche secondo me!” commentò Alex, affacciandosi oltre lo stipite della porta.
Sebastian le si affiancò dopo pochi secondi, col fiatone: “Dov’è?!” ansimò, guardandola interrogativo. Lei volse lo sguardo all’interno della stanza, dove una decina o più bambini ridacchiavano eccitati. Il chirurgo aguzzò la vista, scorgendo, oltre a Kurt, una figura seduta ed attorniata dai piccoli che gli passavano le mani tra i capelli e sulla faccia, sogghigando.
“Hummel!” lo richiamò perentorio il francesino.
“Hai rapito Anderson!”
                                    ***
 
Erano appena le sette e mezza di mattina. Kurt si alzò dal tavolo della cucina non appena vide Rachel e Brody avvicinarsi ai fornelli per prepararsi il caffè, li salutò e, dopo essersi arrotolato una sciarpa azzurrina attorno al collo, uscì di casa. Casa. Il giovane uomo non aveva mai percepito quella come casa sua, era certamente il posto in cui abitava, ma non sarebbe riuscito a definirla casa. Avrebbe conservato quest’appellativo per Broadway o per Tiffany&Co., ma non per quell’appartamento. Lì dentro si sentiva a disagio, forse il tutto era anche legato al fatto che conviveva con una felice coppietta, cosa che, ovviamente, lo portava a sentirsi di troppo in numerose situazioni. Forse quell’appartamento era troppo legato alla fine della sua storia con James; forse non c’era bisogno di pensarci così tanto; forse semplicemente, dopo un anno di assenza, sentiva la mancanza dell’Ohio, quando arrivò a questo punto, Kurt capì. Capì che a mancargli non era la sua casa di Lima, non erano neppure i suoi genitori, Carol o i suoi amici: aveva nostalgia di se stesso.
Il piccolo Kurt dell’Ohio, con le sue camicie improbabili ed i suoi stivali lucidi, non aveva mai smesso di sognare, e, soprattutto, non si sarebbe mai permesso di smettere.
 Il piccolo Kurt dell’Ohio, con i suoi numeri di Vogue e le sue spille zoomorfe, aveva degli obbiettivi e, tutto sommato, non si stancava mai di perseguirli.
Il piccolo Kurt dell’Ohio, con la sua strana pettinatura e le sue mani troppo curate, aveva, sotto sotto, una forza spaventosa.
Il piccolo Kurt dell’Ohio,con le sue canzoni femminili sempre in testa e il suo imbarazzo perenne, si nutriva dei sui sogni e non lasciava che nessuna delusione li erodesse. 
Il piccolo Kurt dell’Ohio, nonostante tutto, amava, amava davvero ogni sua fantasia, ogni suo progetto, ogni sua speranza; confidava nel suo futuro, lo vedeva chiaramente dipinto nel suo cervello, combatteva ogni giorno perché quel meraviglioso quadro prendesse vita.
Il Kurt di New York era cambiato.
Il Kurt di New York, con le sue battutine pungenti e la sua professionalità in ospedale, si sentiva incatramato nella sua routine.
Il Kurt di New York,con i suoi turni infiniti e i suoi mille caffè, viveva alla giornata, pensando raramente a quello che sarebbe divenuto l’anno successivo.
Il Kurt di New York, con i suoi capelli zeppi di lacca e le sue cravatte semi-serie, sentiva quasi di essere giunto al capolinea, di non poter aspirare più a nulla.
Il piccolo Kurt dell’Ohio avrebbe odiato il Kurt di New York, l’avrebbe definito un uomo che stava sprecando ogni possibilità che un posto meraviglioso come la Grande Mela avrebbe potuto offrirgli.
Il Kurt di New York invidiava il piccolo Kurt dell’Ohio con i suoi occhi sognanti che speravano di poter fare la differenza.
E si sa che i problemi nascono quando i sentimenti tra due persone non sono reciproci.
In rari momenti Kurt si ritrovava in se stesso, specialmente in quel periodo: quando una sua diagnosi migliorava la vita di un bambino e quando era con Blaine. Nel primo caso sentiva di star facendo la differenza, nel secondo sentiva di poter sognare.
Fu con questi pensieri che il medico comprò a Carol un biglietto di andata e ritorno per New York, in occasione del compleanno della donna. Carol era una delle pochissime persone che vedeva ancora in lui il piccolo Kurt dell’Ohio.
     
                                       ***
“Dottore, si può?” chiese qualcuno al di là della porta, Kurt non smise neppure di scrivere gli ordini per la casa farmaceutica e rispose: “ Sì, sì… prego!”
Quando alzò gli occhi rimase abbastanza stupito nel vedere Carol dall’altra parte della scrivania: “ Cosa ci fai qui?” chiese alzandosi e superando il tavolo che li separava per abbracciarla.
“Mi hai comprato tu il biglietto! Cosa vuoi che ci faccia qui?” disse lei, ricambiando affettuosamente la stretta del ragazzo.
“ Intendevo… cosa ci fai qui in ospedale?”
“ Non so dov’è la tua nuova casa, caro. Non ci sono mai stata… Quindi sono venuta qui, ancora molto da fare?”
Kurt guardò il suo orologio da polso: “ Tra mezz’ora sono ufficialmente in ferie per sette giorni!” sorrise. “ Se non c’è nessuno in sala d’attesa chiudo tutto  e… ti andrebbe di conoscere una persona?”
Carol annuì gioiosa e aspettò che il figliastro spegnesse il computer e mettesse tutto in ordine.I due avevano sempre avuto un ottimo rapporto. Carol c’era sempre stata, in qualunque occasione, dalle tinte sbagliate alla dolorosa perdita di Burt, senza però mai provare a sostituirsi al ricordo di Elisabeth.
“Come sta Finn?” chiese il medico, mentre entravano in ascensore.
“Come al solito. Passa le sue giornate all’officina, come faceva tuo padre…”  Finn, dopo essere stato lasciato da Rachel, aveva conosciuto una ragazza, Molly; si erano sposati dopo appena tre anni dall’inizio della loro storia e avevano avuto una bambina, Lindsay. Kurt aveva sempre avuto l’impressione che quella relazione continuasse ormai da anni solo perché dava sicurezza ad entrambi.
“Lindsay?”
“Oh, è un amore… Mi adora! Dovresti vedere com’è cresciuta!... E tu? Tu come stai?” disse Carol, mentre lui pigiava il tasto del secondo piano.
“Bene, davvero.” nel pronunciare queste parole la guardò intensamente negli occhi, sapendo benissimo che lei avrebbe colto la sua sincerità.
“Chi devi presentarmi? Quel chirurgo con cui uscivi?” domandò curiosa e un po’ ammiccante.
“No! Con lui… Beh, è finita da un bel po’”
“Oh, tesoro, mi dispiace! Non mi hai detto nulla!” esclamò poggiandogli una mano sul braccio per confortarlo.
“Non c’era nulla d’importante tra noi, davvero. A me non dispiace affatto…” spiegò.
“Allora, chi devo conoscere?” 
“ Un amico.” Rispose semplicemente l’altro, aprendo la porta della 713, dimenticandosi di bussare.
“Kurt!” lo salutò Blaine, sollevando la testa dal cuscino.
“Hey! Ti ho portato una persona…” spiegò, poggiando una mano dietro la schiena della donna per incitarla ad entrare nella stanza.
“Piacere, Carol…son-” esordì lei, allungando un braccio per presentarsi, dopo essersi avvicinata al letto.
“Lo so, lo so… Kurt mi ha parlato di lei… Piacere, io sono Blaine!” la interruppe il ragazzo, stringendole la mano.
“Puoi tranquillamente darmi del tu!” sorrise lei.
“Hummel!” urlò qualcuno dal corridoio, l’interpellato uscì dalla stanza e cercò con lo sguardo il proprietario di quella voce. Ricky, un infermiere, cominciò a sbracciarsi per farsi notare e il pediatra gli andò in contro.
“Cosa c’è?” chiese.
“Il dottor Powell vuole parlare con lei, si tratta del caso di Emily Bennett”
“Ma le mie ferie iniziano tra…” controllò l’orologio “Sette minuti!”
“Lo sa e si scusa con lei, ma mi ha detto di dirle che ha davvero bisogno di un suo parere…”
“Va bene, va bene… Sarò da lui tra cinque minuti!” sbuffò Kurt, poi tornò nella stanza e informò Carol di aver avuto un contrattempo, lei gli disse che sarebbe rimasta a chiacchierare con Blaine.
Il povero pediatra discusse per quasi un’ora sulla possibilità di operare il pancreas di una bambina di otto anni per arrivare all’ovvia soluzione che, per decidere, era necessaria un’altra ecografia. Quando tornò nella 713 trovò Blaine e la sua matrigna intenti a sproloquiare sulla città di New York e su quanto fosse magnifica, non riuscì a reprimere un sorriso.
“Carol, andiamo?”
“Oh, sì. Certo. Ciao, tesoro… E’ stato un piacere conoscerti!” disse recuperando la borsa e la giacca. Kurt si avvicinò al riccio e gli baciò una guancia ruvida, dopo avergli sussurrato all’orecchio: “ Ci vediamo la settimana prossima…”
Non appena uscirono dalla stanza, si voltò verso il figliastro e disse una sola frase: “ Burt l’avrebbe adorato”.
Kurt non aveva mai amato tanto quattro semplici parole.
 
Angolo autrici *.*
Buonasera… Stiamo pubblicando in anticipo! * clap clap *
Bene, bene…
La meravigliosa espressione: “Come se avesse difronte ad un cavallo in giacca e cravatta intento a recitare La ragion pura di Kant, tradotto in sanscrito, dalla prima all’ultima parola.” E’ tutta della mia collega che mi ha chiamata e mi ha detto che una signora aveva visto lei e la sua ragazza baciarsi e le aveva guardate come se(…)
Il cambio in A whole new world tra prince e princess lo fece un mio amico e lo ringraziamo per l’idea *.*
Ringraziamo quelle 65 splendide persone che ci seguono, le 8 che ci preferiscono e tutte quelle che ci recensiscono!
Fateci sapere cosa ne pensate!
Alla prossima, Potter.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII. ***


Drin…Dridrin…
 
Kurt mugugnò girandosi dall’altro lato del letto, più addormentato che sveglio.
 
Drin…Drindrin…
 
Si coprì le orecchie con il cuscino e si trincerò sotto le coperte dopo averle recuperate dal pavimento sul quale erano cadute.
 
Drin…Drindrin…
 
Ormai rassegnato all’evidenza che neanche dopo essere tornato tardi e proprio prima di un doppio turno gli sarebbe stato permesso di dormire e che il telefono non avrebbe smesso di suonare a meno di fracassarlo contro il muro o gettarlo dalla finestra, accettò la chiamata.
“Ehi, Kurt!”
“Finn, perché cazzo hai chiamato a quest’ora?” sbottò il pediatra con la voce ancora roca per il sonno, strofinandosi stancamente gli occhi gonfi.
“Ma sono le dieci…” l’entusiasmo del meccanico scemò alla tagliente domanda del fratello.
“Ieri sono arrivato alle tre di notte a casa, ma comunque…cosa è successo?”
“Ahah! Io lo sapevo! Stai con qualcuno, vero? Perché non me l’hai detto?” lo accusò.
“Che? Ma sei impazzito?”
“Fingiamo che tu non stia vedendo nessuno… dove sei stato fino alle tre?”
“In ospedale…”
“Sì, Kurt, certo. I pediatri non hanno i turni di notte!” gli fece notare.
“Colpa della metro…” provò il più piccolo.
“Cinque o sei ore in metro? Non sarò l’immagine della perspicacia, ma so che non è possibile!” incalzò.
Kurt si alzò dal letto sbuffando e andò in cucina con l’intento di prepararsi un caffè.
“ E vuoi dirmi che tutto ciò non ha nessun collegamento con il fatto che ieri a pranzo mia madre abbia iniziato a piangere ripetendo come un mantra Burt l’avrebbe adorato non appena ho chiesto notizie su New York?” disse Finn tutto d’un fiato per non dare al fratellastro il tempo di ribattere.
“Uhm… non ho un ragazzo, fine. E’ semplice, tesoro. Anche il tuo cervello con il suo banalissimo sistema binario può capirlo!” rispose Kurt per chiudere il discorso.
“Non ti credo! E sono offeso! Siamo fratelli!” urlò come un bimbo capriccioso il bietolone, il medico allontanò il telefono dall’orecchio nel vano tentativo di non diventare sordo.
Quel gesto fece sì che la malefica Berry, pericolosamente armata di ferro da stiro, dopo aver riconosciuto la voce che gracchiante usciva dal cellulare, gli strappasse il suddetto dalle mani.
Kurt fuggì dalla cucina, non avendo la minima intenzione di sentire quei due spettegolare come vecchiette dal parrucchiere.
Scene come quella non potevano che mettergli tristezza: sapeva che il suo fratellastro non l’aveva mai davvero dimenticata, anche dopo aver messo su famiglia. C’era un periodo in cui si era lasciato logorare dal dolore, non volendo accettare la realtà, illudendosi che prima o poi le cose sarebbero tornati come prima: lo spilungone imbranato e la piccola insicura ebrea. Non era successo: lui era rimasto lo stesso, solo con qualche chilo in più e tanta sofferenza, lei era cresciuta e ad aveva imparato a credere in se stessa. Molly l’aveva raccolto come un gatto, una sera che sull’uscio di un bar fissava la birra senza voglia di bere e fuori cadeva la pioggia.
Poi, gli aveva raccontato anni fa Finn, avevano parlato a lungo e dopo una settimana di conversazioni si erano messi insieme, trovando l’uno nell’altro chi riempisse il vuoto che la vita aveva loro lasciato nel petto. Ma se foste andati a casa Hudson avreste trovato una foto incorniciata, sull’economico comò preso all’IKEA, che raffigurava il proprietario di casa e la sua attuale migliore amica ai tempi del liceo, quando erano ancora una coppia. Finn la fissava sempre amareggiato prima di andare a dormire, aspettando la moglie a letto con un mezzo sorriso stanco in volto.
Kurt non voleva credere che lui avesse amato solo Rachel, anzi, sapeva quanto bene volesse a Molly, sapeva che per lei avrebbe sacrificato la propria vita e sapeva con quanto amore avessero entrambi voluto creare una piccola vita dagli occhioni profondi e marroni come quelli del padre, ma sapeva anche che le cicatrici di un legame così intenso bruciavano ancora.
Ne avevano parlato una volta per una notte intera, poco dopo aver rotto con James, e quando la mattina dopo Finn l’aveva chiamato imbarazzato per chiedergli se ricordasse tutto, Kurt aveva finto di essere talmente stanco e distrutto che le sue sinapsi faticavano a collegarsi e gli mancavano i ricordi più recenti: avrebbe preferito fosse così.
 “A volte vorrei rincasare e trovare mia moglie a letto con un altro, solo per poter dirle che è una stronza, per starci male, per andare a piangere da Rachel, per cercare un po’ di consolazione. Ma la amo troppo e so che non farebbe mai una cosa del genere, che non mi tradirebbe mai dopo avermi salvato. A volte questo mi distrugge.” 
Kurt si spogliò e si infilò sotto la doccia, sperando che l’acqua portasse via il ricordo di quelle parole struggenti: ancora una volta, non funzionò.
 
                                     ***
 
“ Non si preoccupi, è solo un innocuo raffreddore! È Aprile, sta cambiando il tempo!”
“Sì, dottore, ma…” Kurt smise di ascoltarla. Quella donna lo stava trattenendo lì da quasi mezz’ora nonostante suo figlio non avesse assolutamente nulla e lui voleva solo liberarsi di lei e tornare a casa.
“Signora, se continua così può fargli dei massaggi con il vapo-rub, lo trova in farmacia…” anche se non ce n’è assolutamente bisogno pensò il pediatra sbuffando mentalmente.
“Va bene!” la mamma trascinò il suo bambino fuori, senza neanche salutare e sbattendo violentemente la porta.
“Buona serata…” sussurrò ironicamente il medico scuotendo la testa. Si alzò dalla sedia, prese la sua giacca e uscì in corridoio. Prima di svoltare l’angolo sentì qualcuno urlare. Era una trentenne latinoamericana che portava in braccio quello che a prima vista poteva sembrare un fagotto di stracci. Quando la donna lo raggiunse e gli afferrò un braccio, Kurt poté invece scorgere un faccino smunto e sofferente sul quale spiccavano due enormi occhioni neri lucidi per la febbre sicuramente alta.
“ Señor, por favor, mi niño està mal, aiutame!” continuò l’ispanica, parlando così velocemente e tanto ad alta voce che il pediatra , anche a causa dello spagnolo, capì poco o niente.
“Signora, si calmi! Allora… come vi chiamate?”
“Yo Maria, el Pablo…”
“Bene, non avete un’assicurazione sanitaria, vero?”
“No, pero debe aiutarme, el està mal, por favor, por favor, por favor!” Kurt poggiò le mani sulle spalle della donna, per rassicurarla.
“Maria, mi ascolti, troveremo una soluzione…Stia tranquilla, allora io…” Le parole gli morirono in gola quando alzò lo sguardo e vide chi si stava dirigendo a passo di marcia verso di loro: il dottor Richardson, il caporeparto di pediatria e l’incubo di Kurt. Lo aveva preso di mira da quando era uno specializzando, perché era gay e perché voleva aiutare le persone. Nessuno probabilmente aveva mai comunicato al suo superiore che era esattamente quello lo scopo dei medici.
“Signora, deve smettere di infastidire il dottor Hummel. Non solo ha già finito il suo turno, dubito anche che lei abbia un’assicurazione sanitaria!” esclamò freddo Richardson squadrando con disgusto Maria, che era ancorata all’altro come se fosse la sua ultima speranza.
“Daniel…” tentò Kurt a disagio.
“Hummel, non vorrà che questo rovini per sempre la sua carriera o peggio che venga denunciato, suppongo…” accompagnò la frase con un’occhiata soddisfatta, poi aggiunse: “Lei se ne vada, prima che chiami la sicurezza.”  La donna sibilò un ormai rassegnato “Filio de puta…” e si diresse lentamente verso l’uscita. Kurt non poté fare altro se non alternare occhiate colpevoli e impotenti verso i due che si allontanavano ad altre irate e nauseate verso il caporeparto ed urlare verso la donna: “Gli dia un antipiretico!”
“Hummel, lei deve imparare a stare al suo posto…” lo rimproverò il vecchio.
“Che è esattamente lontano da lei, visto che il mio turno è finito!” rispose innervosito il pediatra, voltandosi e dirigendosi velocemente verso le scale. Salì i gradini il più velocemente possibile e fece tutto il corridoio di corsa, due volte, siccome per la fretta non aveva svoltato a desta, fino a trovarsi di fronte alla porta della stanza 713. Non si fermò neanche lì, entrando senza bussare e quasi travolgendo una sedia. Sapeva che quello era l’unico posto dove si sarebbe potuto sfogare e calmare, che lì c’era l’unico ragazzo felicemente disposto ad ascoltarlo e che avrebbe potuto comprenderlo ed aiutarlo. Lanciò il camice e la giacca sulla scrivania alla quale si appoggiò ansimante.
“Kurtie..? Cosa c’è?” chiese confuso il moro, guardandolo in apprensione.
“Cosa c’è?! C’è che l’America fa schifo! Lei e il suo fottuto sistema sanitario per cui se non ti escono dollari dalle orecchie, non puoi essere curato…” esplose il medico, dando un calcio alla poltrona e poi buttandocisi sopra.
“Calmati! Calmati e spiegami cos’è successo…” gli consigliò Blaine, che non desiderava altro se non alzarsi da quel letto ed andare ad abbracciarlo.
“Ho passato tutta la santissima giornata a curare malattie inesistenti! Ho dovuto convincere due ereditiere spocchiose che i loro bambini non avevano assolutamentenulla! Poi arriva un piccino, avrà avuto al massimo un anno, con una febbre spaventosa e chissà quale infezione e non ho potuto fare niente! Ti rendi conto!? Che colpa ne ha se sua madre non ha lavoro?” sbraitò, poi poggiò i gomiti sulle ginocchia e si passò le mani tra i capelli sbuffando. Respirò pesantemente per qualche minuto sotto lo sguardo preoccupato del più piccolo, quindi ricominciò a parlare, ma stavolta talmente piano che il moro dovette sforzarsi per sentirlo.
“Altre volte sono riuscito a far qualcosa… Ma oggi è arrivato Richardson e li ha mandati via…”Kurt si tolse la cravatta che lo stava soffocando “ Avrei potuto…”
“No, Kurtie, non avresti potuto…” disse Blaine, che durante la sfuriata del più grande era riuscito a spostarsi sul lato del letto, aiutandosi con le sbarre laterali.
“Vieni qui!” lo interruppe il riccio spalancando le braccia per invitarlo a stendersi accanto a lui. Voleva abbracciarlo e aveva deciso che, come si suol dire, se non è Maometto ad andare verso la montagna, la montagna andrà da Maometto. Il pediatra si avvicinò, ma esitò un attimo e Anderson batté la mano sul materasso per incitarlo. Il medico si sfilò le scarpe e si distese, Blaine gli circondò le spalle con un braccio, facendogli poggiare la testa sul suo petto. Kurt fu scosso da un singhiozzo e si arpionò alla maglietta dell’altro. Il riccio lo strinse più forte, iniziando ad accarezzargli lentamente la schiena; sciolse la presa della mano del più grande e gli sfiorò delicatamente le dita, prima di intrecciarle con le sue. Il castano pensò che l’altro odorava di buono: aveva sempre avuto un olfatto piuttosto sviluppato e dopo aver passato pochi giorni all’ospedale si era accorto che la maggior parte delle persone ricoverate lì, com’era ovvio, sapevano dell’acre aroma della malattia e di quello salato e al tempo stesso dolce della nostalgia. La cosa lo aveva infastidito all’inizio e, mentre Rachel l’aveva preso per pazzo (“Da che pulpito!” le aveva risposto lui), Santana gli aveva detto che provava la stessa nausea quando qualcuno emanava un’aurea troppo scura e accecava il suo terzo occhio messicano.
Blaine, invece, aveva un vago sentore di cioccolata, sale e almeno una componente del profumo che usava sua madre. Inspirò forte, stringendo forte gli occhi e facendo colare due grosse lacrime: cercò di imprimere quell’odore nel suo cervello, per cercarlo quando ne avesse avuto bisogno.
“…Non è colpa tua.” gli sussurrò il moro prima di baciargli la testa. Il dottore si tranquillizzò lentamente, ascoltando il battito regolare del cuore di Blaine e godendosi le carezze leggere con cui gli stava coccolando i capelli.
Kurt pensò che gli sarebbe piaciuto addormentarsi così tutte le sere.
                                               ***
“Buongiorno! Scusami per il ritardo, ma avevo perso le cartelle della dottoressa Williams…” Alex si bloccò improvvisamente, interrompendo appena all’inizio un aneddoto che altrimenti sarebbe durato ore. Inclinò la testa verso destra, sbatté più volte gli occhi e, dopo essersi assicurata di non avere allucinazioni visive dovute ai farmaci scaduti, esclamò con un tono più alto del precedente:
“Buongiorno!”
Kurt aprì gli occhi e si guardò intorno disorientato. Al suo fianco, giaceva intontito un uomo dai capelli ricci e scuri, i cui occhi in quel momento non potevano fare alcun effetto su di lui, essendo chiusi.
Di fronte, invece, lo fissava un infermiera dai capelli biondo cenere, i cui occhi sbalorditi non potevano che inquietarlo. Per fortuna, il suo sguardo fu abbastanza pudico da non spingersi oltre la cintura, sotto la quale la stoffa del pantalone si tendeva in maniera innaturale per motivi… del tutto naturali.
“Dottor Hummel, non volevo disturbarvi, né ti chiederò per quale motivo tu sia qui, nonostante la curiosità mi stia logorando. Volevo solo comunicarti che sono le sette e mezza e che alle otto inizia il tuo turno.”
In quel momento tutto gli fu chiaro: dopo una crisi nervosa dovuta all’increscioso sistema sanitario americano, aveva trovato consolazione solo fra le braccia di quello che era diventato il suo migliore amico, e si era addormentato al ritmo del suo respiro calmo; molto meno calmi erano stati i sogni che confusi avevano agitato quella notte e la sua stessa persona. Si alzò di scatto, diretto alla porta, dove Alex, appoggiata allo stipite, lo squadrò da capo a piedi, alzando le sopracciglia e poi guardando Blaine. Il pediatra la fulminò con lo sguardo e lei si dileguò.
Merda. I suoi capelli erano più scompigliati che mai, ritti da un lato e abbassati da un altro; aveva la camicia stropicciata, come se l’avesse fatta masticare ad un lama e poi l’avesse riasciugata prima di indossarla; la sua pelle risentiva della mancata cura di bellezza e il bisogno di una doccia gelida era impellente. Sentì che il pavimento era freddo e tornò indietro per mettersi le scarpe, abbandonate vicino al letto. Guardò Blaine, ormai sveglio, e notato dove si fossero posati i suoi occhi e il sorrisetto sulla sua faccia,  infilò velocemente il camice e si catapultò fuori. Lo scontro improvviso ed inaspettato con una persona gli procurò dolore e scariche di piacere allo stesso tempo.
“Hummel, sei solo felice di vedermi o...?” iniziò divertito Sebastian, ma si interruppe per controllare con un rapido sguardo quale fosse la stanza più vicina a loro, poi si soffermò sull’uomo che aveva davanti. Sul suo volto si dipinse per pochi secondi un’espressione sbalordita, poi ritornò il suo sorrisetto, a metà tra il rimprovero e l’ammirazione. “Tu... Oh mio Dio.” mormorò, divertito e sconvolto.
 Kurt cercò subito di farsi capire, per evitare fraintendimenti, gesticolando e balbettando una serie di “Non è come sembra!”, del tutto invano.
“Rubi i pazienti e poi ci fai sesso, Hummel, sei da ricovero!”
Kurt lo tirò a se per la cravatta, intimandogli di abbassare la voce, poi gli parlò all’orecchio: “Ci ho solo dormito. Invece quello che fate tu e Thad si sente per tutto l’ospedale, Smythe, con che coraggio mi rimproveri? E prestami la tua camicia.”
Il francesino si riaggiustò il colletto, poi disse: “Hai un camice, ninfomane: chiudilo e nessuno si accorgerà delle pieghe.”
Lo sguardo di Kurt si soffermò sulla mano affusolata del chirurgo, che si stava stringendo la cravatta, poi lo implorò con uno sguardo supplichevole.: “Perlomeno quella!”
Il dottor Richardson è richiesto urgentemente nell’ufficio della dottoressa Camelgracchiò l’altoparlante.
“E va bene.” sbuffò Sebastian, sfilandosela: “Tieni.”
Il pediatra gli sorrise grato, mettendola in tutta fretta. Si ravvivò i capelli con una mano, allacciò tutti i bottoni del camice, alzò gli occhi al cielo nell’infruttuoso tentativo di distrarsi dall’erezione dolorante e sorrise nel più falso dei modi al primario che stava passando, dopo aver allacciato le mani all’altezza dell’inguine, come i calciatori che difendono la porta prima di un rigore. Sospirò sollevato e si voltò verso il chirurgo, che se n’era andato, diretto verso il proprio ufficio: probabilmente sentirsi ringraziare doveva essere troppo umiliante per lui.
“Per miracolo oggi funzionano le docce al piano terra, ma ti avviso: non c’è acqua calda.” gli bisbigliò Alex passandogli affianco. Se casca ghiaccio è ancora megliopensò il pediatra, guardando di striscio il cavallo dei suoi pantaloni, poi guardò l’orologio: 7.40. Un quarto d’ora da solo sotto l’acqua fredda e sarebbe tornato come nuovo, pronto a prescrivere ricette e auscultare bambini.
***
 
Bene, è deciso. Pensò Kurt svoltando a destra e guardando la stanza 713, appena visibile dall’inizio del corridoio.
Ormai sei qui, entrerai, lo saluterai e… 
Cazzo, non ci riuscirò mai,  non posso…
Il pediatra scosse la testa e si voltò, pronto per uscire dall’ospedale, ficcarsi in macchina ed espatriare in Messico.
No, Kurt, sono più di tre giorni che non vai a far visita a Blaine e soprattutto non sei un bambino, tira fuori le palle e parlagli come se nulla fosse successo!
Convito dalla sua rude ma giusta coscienza, riprese a camminare a passo spedito e testa alta. Almeno fino a quando un manipolo di anziane signore non prese a bisbigliare e sussurrare al suo passaggio.
Oddio, mi stanno indicando…
Ignorale, ignorale!
Come faccio ad ignorarle? Stanno ridendo e mi sta fissando l’intero reparto!
Prepara i vestiti estivi e la crema solare, tanta crema solare; con quella carnagione delicata in America Latina ne avrai seriamente bisogno…
Dopo essere stato abbandonato anche dal piccolo se stesso della sua testa, scelse l’unica soluzione che, secondo lui, avrebbe potuto salvare ciò che rimaneva della sua reputazione: fuggire a gambe levate, senza guardarsi indietro e senza fermarsi, catapultandosi nella camera del riccio.
“Ehi, Kurt, che bello vederti, mancavi da un po’…” esclamò Blaine sorridendo e facendogli cenno di avvicinarsi, siccome, dopo aver chiuso di scatto la porta ed essercisi appoggiato contro, il più grande era rimasto lì impalato come una statua di ghiaccio. Il dottore rimase fermo e in silenzio come se non avesse sentito una singola parola, poi improvvisamente si raddrizzò e dichiarò:
“ Qui fuori ci sono delle vecchiette che mi additano e sembrano anche divertirsi molto…”
 “ E perché lo starebbero facendo?” chiese innocente e confuso, scatenando però una serie di istinti omicidi all’interno del pediatra, che nuovamente rimase zitto, cercando di pensare a qualcosa di non imbarazzante da dire, ma non ci riuscì:
“ Ehm… invece Sebastian mi dà il tormento da quando…”
Si interruppe sorpreso dalle sue stesse parole e desiderando di aver taciuto a causa dell’inquietante sorrisetto che era apparso sul volto del moro, dovuto alla sua improvvisa realizzazione:“ Ah, perché ti hanno visto uscire da qui in quelle condizioni?” domandò, assumendo poi un’espressione soddisfatta quando il rossore apparso sulle guance di Kurt confermò i suoi sospetti.
 “ Ti prego, non è stato bello…”
Questa volta non fu interrotto dal suo ritardatario buon senso, ma dalla voce del più piccolo:
“ In realtà non sembrava ti fosse dispiaciuto, anzi…”
Il dottore avrebbe potuto controbattere in almeno un migliaio di modi, tutti più o meno discutibili, ma decisamente superiori al sussurrato “Stronzo.” che invece emise.
“E comunque passi troppo tempo con Thad!” commentò ancora, facendo ridacchiare l’altro, prima di zittirsi.
 Nei seguenti minuti di teso silenzio il pediatra tentò disperatamente sia di non guardare Blaine e il suo sorrisetto, sia di pensare a qualcosa di intelligente per far deviare il discorso verso argomenti meno spinosi, mentre nel proprio cervello risuonavano una sequela di MessicoMessicoMessico.
“ Freddino oggi, vero?” Prima di potersi anche solo rendere conto di quanto quegli attimi di ragionamento fossero stati inutili, l’altro sussurrò tra le risa:
“ Kurt, non considerando il fatto che chiaramente non posso sapere se fuori fa freddo, stai davvero parlando del tempo?”
“Beh, io… non so che dire, va bene, scusa!”
Il medico pensò che probabilmente quella era la conversazione più imbarazzante che avesse fatto dall’inizio dell’università. Il moro, invece, forse per rompere il silenzio o forse per parlare del fatto con qualcuno, chiese:
“ Dove abita Sebastian?” all’espressione stranita e confusa dell’altro continuò: “ Dimmelo e basta, non mi sembri nella posizione adatta per fare domande!”
“ Soho.”
“ Ahah, lo sapevo, ma ancora non posso crederci…”
“ Ok, ora che lo sai, puoi mettermi al corrente della tua scoperta, Sherlock?” La parte sarcastica di Kurt stava rientrando in funzione e Blaine, il cui intento era esattamente quello, decise di spiegargli tutto.
“ Stamattina Thad mi ha chiamato per avvisare che avrebbe fatto tardi, poiché la metro a Soho aveva dei problemi, inoltre mentre parlavamo una voce maschile gli ha chiesto come volesse il caffè. A meno che non sia andato in quel quartiere solo per fare colazione spendendo tutto il suo patrimonio, ha dormito da Sebastian.” Siccome il pediatra aveva una faccia ancora più perplessa e sconvolta di prima, aggiunse:
“ Quando hai eliminato l’impossibile, quello che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità, mio caro Watson!”
Si sorrisero e cominciarono a discutere di quei due e della loro situazione, archiviando, almeno per il momento, la loro. Furono interrotti dal telefono di Kurt che squillava.
“ Pronto Rach, cosa c’è?”
“ Torna a casa!”
“ Stai bene, che c’è?”
“ Tutto a posto, tu torna! Ciao.” Detto questo, attaccò il telefono.
“ Io devo andarmene, mi dispiace, ma tornerò domani.”
Esclamò Kurt, poi si bloccò e il cervello gli andò in black out di nuovo.
Adesso come lo saluto?
Su, tesoro, sai ancora salutare le persone!
Dio, non è quello il problema, è imbarazzante…
No, è imbarazzante quello che pensi di fargli di solito, non un innocente bacio sulla guancia…
Zitto!
Sconfitto ancora una volta dal piccolo sé, diede a Blaine un bacio sulla guancia, poi si lanciò in corridoio.
Dopo una corsa in metro seduto tra un barbone ubriaco che imprecava e una mamma con tre gemellini piangenti, una quasi caduta sulle scale mobili e un quasi incidente mentre attraversava la strada, bussò finalmente alla porta di casa. Quando questa si aprì, disse tutto d’un fiato:
“Cosa diavolo volevi Berry?” si fermò e quando vide chi era in realtà la persona ferma sulla soglia urlò:
“ Tana! Sei qui!”

 

*Angolo autrici*

Hey, per una volta le scrivo io le note *.*

Allora... questo viaggio sta per concludersi, mancano davvero pochi capitoli! Quindi ora come più che mai abbiamo bisogno di sapere il vostro parere, anche per motivarci ad andare avanti. Per quel che riguarda il finale: all’inizio San non era proprio considerata in questa fanfic, ma lei ci ha chiamate e ci ha detto che voleva venire a prendere per il culo Lady Hummel (testuali parole), così eccola qui!

Ringraziamo i 72 che seguono, i 5 che ricordano (?), i 9 che ci preferiscono (??) e quelli che leggono! Davvero, vi vogliamo bene.
Ah, tra Pasqua e i compiti da fare non assicuriamo che il prossimo capitolo esca in tempo!
Al prossimo aggiornamento ^-^

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX. ***


 
 
Kurt bevve un altro sorso di caffè, godendosi quei dieci minuti di pausa che la sala d’aspetto assurdamente vuota gli aveva concesso. Era distrutto ed era tutta colpa di Santana. Il pediatra l’aveva sempre paragonata ad un uragano, specialmente durante le sue saltuarie visite a New York: arrivava all’improvviso, sconvolgendo e gestendo la vita di chiunque la circondasse, e non c’era modo di sfuggirle.
Ovviamente, anche quella volta, ne era certo, avrebbe avuto modo di riconfermare la validità del suo paragone.
Ma tutto sommato, fino a quel momento, si era comportata bene.
Avevano cenato insieme, chiacchierato fino a mezzanotte passata, poi Kurt, da vero gentiluomo, le aveva preparato il divano-letto e, nonostante quest’ultimo si trovasse al centro del salone, quella mattina era magicamente riuscito a non svegliare la latina, risparmiandosi così il suo classico sproloquio su quanto fossero femminili i suoi rituali d’idratazione.
L’esperienza, però, gli suggeriva di non riporre eccessiva fiducia su questi rosei inizi e già tremava all’idea che quella notte avrebbe dovuto dormire con Santana: era martedì, Brody sarebbe rimasto da loro e la mora aveva già dichiarato dinon avere nessuna intenzione di sentire i rumori prodotti da Ken e la nana e l’unico posto della casa dal quale era possibile risparmiarsi tale spettacolo era la camera di Kurt.
Il pediatra sobbalzò, rischiando di versarsi addosso ciò che stava bevendo, quando la porta si spalancò, aperta dalla stessa Santana.
“Lady Hummel” esordì, sedendosi con poca grazia di fronte all’interpellato.
“Satana!” rispose lui, notando il vestito rosso che s’intravedeva da sotto la giacca di pelle nera.
“Hai un altro, vero?!” chiese all’improvviso, facendo si che un’espressione confusa si dipingesse sul volto del medico.
“Cosa?!”
“ Hai un altro? Ho incontrato il tipo francese che ti scopavi…”
“Che finezza…”
“…e mi ha detto che è finita. Se hai rinunciato ad uno così, è ovvio che tu abbia trovato di meglio!” proseguì, ignorando completamente il commento e gli sbuffi del suo migliore amico.
“Sei lesbica! Cosa pretendi di capire?” ribatté.
“Ricorda che sono stata a letto con più uomini di te.”
“Touché.”
“Quindi? Chi ti ha convinto, con chissà quali maniere, a lasciar perdere il francesino?” continuò con fare accusatorio, aprendosi la giacca e poggiando i gomiti sul tavolo per avvicinarsi.
“Questo tono e questi mezzucci…” disse Kurt, alludendo alla profonda scollatura del suo vestito. “… li conservi per quando è in aula, avvocato Lopez. Anche perché con me non attaccano…”
Subito dopo la rottura con Brittany e il conseguente trasferimento a New York, Santana aveva iniziato a studiare legge, sostenendo che la sua perspicacia e la sua capacità di imporre la propria volontà su quella altrui le avrebbero assicurato uno strepitoso successo in tribunale.
Effettivamente le sue previsioni non si rivelarono così infondate. Era stata un brillante studentessa, tant’è vero che, quasi un anno dopo l’inizio del college, le era stata offerta una borsa di studio per Harvard, alla quale, ovviamente, non aveva saputo rinunciare. Fortuna volle che, nello stesso periodo, Brittany decidesse di entrare a far parte del corpo di ballo dell’Orpheum.La bionda aveva lasciato Sam poco prima della sua partenza, non voleva mantenere una relazione a distanza,e le due decisero, inizialmente, di condividere il piccolo appartamento di Boston, come semplici amiche. Nessuno aveva davvero creduto che sarebbero rimaste soltanto amiche per più di tre mesi, probabilmente neppure le due dirette interessate, e così era stato. Kurt era andato a trovarle, due mesi dopo il trasloco, le aveva viste baciarsi in cucina e non era rimasto affatto stupito, aveva soltanto fatto una foto e l’aveva mandata a metà della sua rubrica.
Avevano trovato un loro equilibrio, lì nel Massachusetts, nonostante vivessero lontane dai loro amici e dalle loro famiglie: Santana era uno degli avvocati più richiesti della città- l’avvocato donna più richiesto della città- e la carriera di Brittany procedeva senza intoppi.
Sapevano che non si sarebbero sposate, non era nel loro stile, ma sapevano anche che non sarebbe più finita.
“Quindi? Cosa mi nascondi?” domandò, tamburellando sul vetro della scrivania con le unghie laccate.
“Nulla, Tana, davvero nulla.”
La loro conversazione fu interrotta da un uomo brizzolato che bussò alla porta, trascinando per la mano una spaventata bambina di circa sei anni. Kurt cacciò Santana e invitò i due ad entrare, sorridendo alla piccola nel tentativo di tranquillizzarla.
                                     ***  
Due ore e tredici visite dopo, durante una delle quali aveva tentato di convincere due anziani signori che il loro nipotino di dieci anni non aveva nessun problema di nanismo, ma era solo un po’ bassino, Kurt stava uscendo dal suo studio.
“Lady Hummel, mi ha chiamato Britt, siamo state invitate ad un matrimonio, tra due settimane. Tu ora mi accompagnerai a trovare un vestito.” ordinò Santana, alzandosi dalla poltroncina sulla quale lo aveva aspettato.  Il pediatra annuì, sotto sotto adorava il fatto che Santana chiedesse aiuto solo ed esclusivamente sotto forma di comando. 
“Va bene… Devo soltanto salire un attimo al secondo piano…” rispose Kurt, alzando gli occhi al cielo.
Aveva davvero voglia di salutare Blaine, ma non l’avrebbe presentato a Santana. Poteva mentire a se stesso, a Rachel, perfino a Carole, ma con Tana sarebbe stato diverso, lei non avrebbe domandato, l’avrebbe capito.
“Perfetto, ti accompagno su e poi andiamo.”
Arrivati nel famigerato corridoio C, Kurt chiese alla mora di aspettarlo accanto all’ascensore e, sperando di non destare troppi sospetti, s’intrufolò nella 713.
“Kurtie!”
“Buongiorno, Blaine. Come stai?” sorrise.
“Uhm… La fisioterapia è più stancante di otto ore di lezione con la Berry, e si, le ho fatte…” Il pediatra ridacchiò. “Ma non mi lamento. Credo di, in un modo o nell’altro, star facendo qualche progresso. Tu cosa mi racconti?”
“C’è Santana a New York.” annunciò Kurt.
“Davvero? Per questo la Berry ti ha chiesto di tornare a casa ieri sera?” chiese il più piccolo interessatissimo, fin dal primo momento in cui aveva sentito parlare di lei, l’aveva adorata, senza neppure sapere il perché.
“Esatto. Ho un appuntamento con lei tra dieci minuti… Sono passato solo a salutarti…” mentì, sperando con tutto se stesso che la donna non andasse a cercarlo.
“Oh, capisco… Divertitevi!” commentò Blaine, non riuscendo a nascondere la sua delusione.
“Ci vediamo domani, magari…” rispose il medico, uscendo dalla stanza.
Tornato in corridoio, scosse la testa per combattere il suo tremendo desiderio di rientrare nella 713 e iniziò a cercare Santana con lo sguardo. La trovò nello posto in cui l’aveva lasciata, appoggiata al muro ed intenta a controllare qualcosa sul suo telefono, poi notò qualcosa che gli fece gelare il sangue nelle vene: Richardson, a circa tre metri dalla sua migliore amica, la fissava con aria famelica.
Schifato da quella visione, Kurt si avvicinò velocemente alla sua migliore amica, tentando di trascinarla nel minor tempo possibile nell’ascensore.
“Hummel, quanta grazia!” si lamentò lei, opponendo resistenza.
Questo le fu fatale, l’orrido vecchio fu in meno di un minuto accanto a loro.
 “Kurt, non mi presenti la tua amica?” chiese, con voce schifosamente melliflua.
“ Posso farlo da sola. Avvocato Santana Lopez.” rispose la latina, voltandosi e allungando la destra per presentarsi.
“Dottor Daniel Richardson” disse, stingendo la mano della ragazza e indugiando decisamente più del necessario prima di lasciare la presa. Non appena sentì quel nome, Santana ricordò i racconti del suo miglior amico, quindi assunse un’ espressione maliziosa e sorrise a Kurt, sperando che quest’ultimo avrebbe intuito cosa aveva intenzione di fare: vendicarsi.
“ Per quale ufficio lavora? Sa… Io conosco alcuni avvocati, per via della medicina legale...” continuò il più vecchio, tentando penosamente di attaccare bottone.
“Abito a Boston. Non credo che lei conosca qualcuno dei miei colleghi…” rispose, aprendosi, come suo solito, la giacca.
“Come mai è qui a New York? Un viaggio di lavoro o di piacere?” domandò, fissando in maniera fin troppo palese la scollatura della donna con la quale stava parlando.
“Piacere. Sono tornata a trovare vecchi amici…” disse, spostando lo sguardo su Kurt, che la fissava, tentando inutilmente di prevedere le sue mosse.
“E quanto si tratterrà qui?”
“Tre giorni.”
“ E qui da sola o accompagnata?”
“ Sola.”
“Viene raramente a New York? Perché c’è un posto dove deve assolutamente cenare…”
“Se sta tentando di invitarmi ad uscire, mi sento in dovere di dirle che sono felicemente impegnata da più di otto anni…” commentò e, in quel momento, Kurt capì le sue intenzioni, quindi si appoggiò al muro alle sue spalle e si preparò per assistere a quello spettacolino organizzato dalla Zia Snix.
“ E il suo uomo lascia che lei faccia un viaggio così lungo senza di lui?” chiese con un’espressione a metà tra la delusione e lo stupore, probabilmente nel suo cervellino maschilista una donna doveva ricevere un consenso scritto dal padre o dal marito anche per limarsi le unghie.
“Donna. Lei.” lo corresse.
“Come?!”
“Intendo dire che alla mia compagna non da assolutamente fastidio che io viaggi da sola.” Spiegò. La mascella di Richardson arrivò più o meno a sfiorare il pavimento e Kurt fece tutto ciò che era in suo potere per non scoppiare a ridere.
“Non è possibile…” commentò, fissando Santana con aria sconvolta.
“ Si fidi…” fu interrotta dalla suoneria del suo cellulare. “ … Mi scusi…”
Lo schermo del cellulare s’illuminò, mostrando una foto delle due ragazze, vestite da Wilma e Betty Flintstone, ad una festa di Carnevale alla quale Brittany aveva assolutamente voluto partecipare, mentre Santana avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di renderla contenta.
 “Parli del diavolo…” sussurrò, poi si allontanò ancheggiando “Hey, Britt-Britt… Tutto bene?”
“Hummel!” tuonò Richardson voltandosi verso il collega.
“Si?”
“E’ soltanto un modo per prendermi in giro, vero?”
“Ehm… No, direi di no. Decisamente no. Stanno davvero insieme da otto anni…” commentò Kurt, alzando le spalle.
“ E perché tu non me l’hai detto prima?!”
“Cosa avrei dovuto dirle esattamente? La smetta di provarci con la mia migliore amica? E’ lesbica e fidanzata non verrà a cena con lei?” ribattè Kurt, il più vecchio arrossì di rabbia e imbarazzo, facendo sì che la sua testa pelata si accendesse come una lampadina, poi riprese a fissare il suo sottoposto con aria truce.
“Kurt, andiamo… Brittany mi ha chiesto di comprare un vestito anche per lei…” li interruppe  “Dottore, mi dispiace che lei ci sia rimasto male… Se posso darle un consiglio per il futuro: forse le donne della sua età apprezzeranno le sue avances…” e detto ciò, afferrò il suo migliore amico per un braccio e lo catapultò nell’ascensore.
“Grazie.” mormorò Kurt, non appena le porte si furono chiuse.
“E’ stato un piacere, tesoro.” gli sorrise. “Sai quanto amo bistrattare orridi sessantenni…”

 
                                               ***
 
Kurt aprì piano la porta della stanza, col timore che il paziente dormisse. La visione che per pochi istanti gli si parò innanzi gli fece richiudere di scatto la porta: Santana Lopez sedeva a gambe incrociate sul bordo del letto, conversando allegramente con Blaine. Ecco, è finita pensò allontanandosi preoccupato e furioso a passi veloci. Troppi aneddoti imbarazzanti erano legati a quella donna, e la sua lingua biforcuta era in grado di distruggere la mediocre reputazione da pediatra qualificato e brava persona qual’era che si era costruito col moro. Non avrebbe mai più trovato il coraggio di rivederlo, non dopo che l’ex-cheerio ci aveva parlato. Si fermò un secondo, sospirando: per sua sfortuna si era davvero affezionato a quel riccio più bambino che uomo, e la prospettiva di non doverlo più vedere gli sembrava terribile. E poi, pensò, se era ritornato lì dopo essere fuggito in tutta fretta con un’imbarazzante erezione, poteva farlo sempre. Finché Blaine non sarebbe stato dimesso, avrebbe potuto parlargli tutto il tempo che voleva e non c’era nulla di male in questo. Quello che era davvero sbagliato era sperare che rimanesse ricoverato all’Allen Pavilion più tempo possibile.
Sono una persona orribile, a volere il mio bene e non il suo.
Kurt Hummel sei un egoista in piena regola, non c’è niente da fare.
Sei un mostro.
Quand’era successo che il ragazzo dalle sopracciglia a triangolo era diventato il suo bene? Non lo sapeva, ma era così.
“Kurt, sono 5 minuti interi che fissi un punto indefinito alternando espressioni tormentate ad altre malinconiche e sì, meriteresti un oscar, ma intralci il passaggio mio e della signora Shweinski.”
disse Alex riportandolo sul mondo terrestre. Non colse l’occhiata di rimprovero che gli rivolse la vecchietta al braccio dell’infermiera e tornò di corsa da dov’era scappato, additando il dito verso Santana ed esclamando: “Tutto quello che ti ha detto è falso!”. La ragazza lo guardò corrugando la fronte e scuotendo la testa: “Per questa tua infondata accusa, ti denuncerò per diffamazione.” rispose con calma.
“Questo dovrei dirlo io!!” sbraitò il pediatra, avvicinandosi a loro e fissando per un attimo allarmato il moro. Forse stava solo aggravando la sua situazione.
“Quindi non è vero che hai ballato Bad Romance su dei tacchi da 10 centimetri?” chiese innocentemente Blaine, che poco prima aveva mimato il gesto di tapparsi con le mani le orecchie, come un bambino che non voleva sentire i suoi litigare e se ne usciva con una domanda ingenua per distrarli. Kurt titubò, fissando di sbieco Santanae poi risoffermandosi su quei grandi occhi nocciola e oro: “Ok, questo è vero... Erano più di dieci anni che mi allenavo, del resto.”
Santana sollevò gli occhi al cielo: “Dio, sei l’essenza dell’omosessualità.”  Stettero in silenzio per qualche secondo, poi Blaine commentò: “Credo che questa sia la stanza più gay dell’universo. Non sono sicuro sia mai entrato qualcuno di etero qui, da quando sono ricoverato.”  Scoppiarono tutti e tre a ridere, constatando che sì, in effetti la camera 713 dell’Allen Pavilion Hospital sembrava continuamente macchiarsi di una sorta di razzismo eterofobo. “Ti stavo dicendo...” riprese l’avvocato verso il riccio: “A quel punto il castano qui presente si finse etero presentando la mia non ancora compagna di vita come fidanzata a suo padre. Hanno limonato. LORO!” continuò gesticolando esasperata: “E se ci penso quando mi struscio su Britt, mi blocco e resto traumatizzata pensando di star baciando Porcellana e mi blocco e non riesco a-”
“OH MIO DIO NIENTE PARTICOLARI SCABROSI!” si intromise improvvisamente il pediatra.
 “Pardon, Lady Hummel, devo aver indirettamente nominato il mostro vagina, d’ora in poi eviterò!” replicò falsamente mortificata la donna. Blaine, che era rimasto colpito da alcune parole usate prima dall’ispanicae stava fissando il vuoto, li guardò incrociando le sopracciglia, sentendosi vagamente escluso da quello scambio di battutine geniali. “Senti un po’, Pride, stasera pensavo di andare al Barracuda, visto che sono nella grande Mela e non voglio perdere l’occasione di completare il mio giro dei locali gay più famosi del mondo. Che ne dici?” disse la mora alzandosi e lisciandosi il vestito attillato. Kurt fissò l’uomo dietro di lei, che lo guardava con grossi occhi da cucciolo solitario, e si curò di evitare quelli neri e profondi dell’avvocato mentre le rispondeva: “I-io... sono davvero distrutto, devo ragionare su un paio di casi e non ho il tempo...”.
Da come la donna si girò per un attimo indietro e poi ancora verso di lui, alzando le sopracciglia e sorridendo sadicamente divertita, capì di aver miseramente fallito. “Beh, hai bisogno di distrarti e… sciogliere la tensione. Certo se hai di meglio da fare… ” gli sussurrò maliziosa, facendogli pulsare la vena sul collo candido per la rabbia e costringendolo ad una risposta troppo avventata:“ No, no… ci andremo!” detto questo, si lanciò fuori dalla camera. Non notò lo sguardo di Blaine, ferito, deluso e, come Santana ben sospettava, colmo di gelosia.
                                     ***
“Su con la vita Hummel !” urlò Santana tentando di sovrastare la musica assordante del locale e di raggiungere l’altro sgusciando tra i corpi sudati e poco vestiti della massa di gente che ballava.
“Ti odio!” mimò il pediatra con le labbra, sprofondando su uno degli sgabelli melanzana posizionati davanti al bancone del bar, mentre l’amica lo imitava ghignando soddisfatta.
“ Un Martini e un Appletini, grazie.” Sorrise affascinante alla barista, poi riprese: “ Dai, c’è un tizio discretamente figo che ti sta mangiando con gli occhi da quando siamo arrivati…”
Kurt si voltò nella direzione verso cui puntava lo sguardo dell’ispanica, ma fu distratto dall’arrivo dei loro drink.
Stava per afferrare il Martini e trangugiarlo nella speranza di sciogliersi un po’, ma fu bloccato dall’altra:
“Ahah, cuccia, il tuo è questo!”
Dopo uno sguardo sospettoso al colore verdognolo dell’alcolico e all’ombrellino fucsia che galleggiava sul bordo, si alzò di scatto sibilando un “Quel cocktail è troppo gay anche per me…” che fece ridacchiare la latina. Si rigirò verso il ragazzo indicatogli da Santana e, per quanto lo permettessero le luci accecanti, lo osservò meglio:
Non era brutto, per niente. Alto e muscoloso, i capelli corti e chiari, un sorriso ammiccante e ricolmo di promesse di piacevoli attività future. In un'altra occasione, probabilmente, non avrebbe esitato un solo istante prima di trascinarlo nei bagni del locale. In quel momento, però, quando l’altro gli fece l’occhiolino, la sensazione che provò fu del tutto agli antipodi dall’eccitazione:
Un lieve fastidio, come se qualcuno gli stesse stringendo lo stomaco con del fil di ferro, e un pensiero vago che stava gradualmente diventando sempre più insistente e che doveva riaffondare nei meandri del suo subconscio. Esattamente a questo scopo bevve tutto d’un fiato l’Appletini, la propria vodka e anche quella dell’amica che si era alzata, lanciandogli un’occhiata allusiva e sussurrando:
“ Non lasciartelo scappare, anche se assomiglia a Blaine…”
“ Eh?!”
“ Il nuovo tipo che se la fa con Barbie…” detto questo, sparì tra la folla con un sorrisetto maligno per l’espressione confusa e amareggiata di Kurt.
“ Sono Josh, era una tua amica quella che mi fissava come se mi avesse potuto uccidermi, se non fossi venuto qui?”
“ Già, ma non prenderla sul personale, non è molto delicata, né socievole…”
“ Uh, che bella canzone, vuoi ballare?”
Il medico tentò di non essere infastidito da quel sorriso a mezza bocca e no a trentadue denti, da quei capelli lisci e non boccolosi, da quegli occhi neri e non ambrati, dorati, verdi, nocciola e chi più ne ha più ne metta. Davvero, ci provò e, per un po’, ci riuscì, fino a quando Josh gli poggiò le mani sui fianchi e si avvicinò; e poteva ancora sopportarlo, non era invasivo, di solito ne sarebbe stato felice. Quando lo baciò, però, non ce la fece:
si staccò di colpo e scappò, calpestando piedi e urtando persone, fino ad atterrare poco  dolcemente sul marciapiede, preso dall’emicrania e dai conati di vomito. Non si accorse di quello che diceva Santana, si lasciò trascinare in macchina e poi a casa.
 
                                           ***
 
“ Avanti! Cosa c’è?” sbottò Kurt alzando di scatto la testa verso Santana impegnata a fissarlo e tamburellare insistentemente le unghie laccate di rosso sul tavolo. Se ne pentì subito dopo, per il capogiro che l’aveva colpito, e riaffondò la testa tra le braccia.
“ Nulla, sto aspettando che tu lo noti…” rispose l’altra, rimanendo indifferente al tono di voce stizzito del pediatra.
“ Cosa?”
“ Il grande elefante rosa nella stanza, e questa volta non si tratta della tua sessualità…”  allo sguardo ancora più perplesso e infastidito dell’amico, spiegò:
 “ quello che provi per Anderson.”
“ Io…io non provo niente per Blaine, è solo un amico…”
“ Certo, come lo eravamo io e Brittany…”
“ No, è diverso, lui…” fu interrotto dall’ispanica:
“ Da quanto non fai sesso?”
Il medico rimase impietrito, cercando inutilmente di formulare una risposta per lo meno sensata.
“ Il tuo silenzio è più che eloquente, scommetto che non esci con nessuno da quando tu e il francesino vi siete lasciati… perché?”
“Perché… non avevo tempo…”
La bruna si lasciò sfuggire una risatina ed esclamò:
“ Già, tutto quelle ore extra in ospedale per stare con Anderson…
Beh, supponiamo anche che io creda a questa scusa patetica, perché non l’hai fatto con quel ragazzo?” rendendosi conto che così non avrebbe ottenuto molto, Santana decise di fare domande più dirette e semplici, per cui sarebbe stato sufficiente anche solo muovere la testa.
“ Era un bel ragazzo, vero?”
“ Sì.”
“ Sembrava gentile e normale?”
“ Sì.”
“ Fino a qualche mese fa, ci avresti fatto sesso?”
“ Sì.”
“ Il vero problema, quello che sto cercando di farti ammettere e risolvere, è che volevi che al suo posto ci fosse Blaine, vero?”
“ Sì. No, no… intendevo, mi hai confuso, sono anni che ti conosco, dovevo aspettarmi questa stupida tattica…”
“ Sarà stupida, ma funziona, anche se mi ha solo confermato quello che già sapevo. Non rifilarmi la storiella della sbronza e sii sincero, cosa c’è che non va?”
Il medico prese un profondo respiro e si stropicciò gli occhi. Tana aveva ragione, non aveva senso sfuggire all’ovvio e parlarne non avrebbe fatto male; nonostante, però, fosse assolutamente certo di potersi fidare dell’amica, dirlo ad alta voce, l’avrebbe reso più reale e, in qualche modo, più spaventoso.
“ Se pure a me piacesse… insomma, hai capito,…”
La donna sorrise, ma non fece alcun commento.
“ Lui non… mi vede solo come un amico…”
“ Io non credo.” Il sorriso dell’avvocato si estese maggiormente alla luce di speranza e felicità sul fondo degli occhi dell’altro; era da tanto che non lo vedeva così.
“ Tu non l’hai osservato bene, perché eri troppo impegnato a scappare, ma dopo che hai detto che venire con me in un gaybar era meglio che passare la serata con lui, non era solo un po’ triste, era ferito. E no, non è perché non può ancora uscire, ma perché credeva che ti saresti scopato qualcuno e ne è geloso!”
Il pediatra sembrò ragionare su quelle parole e l’altra pensò che sarebbe tornato in sé, avrebbe capito di essere stato un’idiota fin’ora e sarebbe corso da Blaine per dichiarargli i suoi sentimenti come nelle scadenti commedie romantiche che amava tanto, ma no fu così:
“ Fingiamo che tutto ciò che hai detto sia vero, okay? Blaine ha comunque solo 23 anni, va ancora al college, non credo desideri una relazione seria e stabile…” fu interrotto dall’amica:
“ Solo 23 anni?! Kurt, non è un bambino, io avevo una relazione seria a quell’età e Blaine non mi sembra il tipo da una notte e via!”
“ Va bene, ma con tutti i problemi che ha avuto, non voglio aggiungermi alla lista…”
“ Tu non sei un problema…”
“ Sì, allora perché tutte le storie che ho avuto sono finite male?!”
Santana squadrò preoccupata l’altro; sul serio Kurt si riteneva un problema? Dov’era finito quel ragazzo orgoglioso e sicuro di sé tanto da cadere nel teatrale? Quel ragazzo che l’aveva incuriosita tenendole testa e ricambiando sempre il fuoco con il fuoco?
Davvero non riusciva più a vedere quanto fosse fantastico?
“ Non è colpa tua se hai incontrato una sequela di stronzi, ma lo diventerà se ti farai scappare l’unico papabile e palpabile!”
“ Santana!” esclamò cercando di farlo sembrare un rimprovero, ma l’amica scoppiò a ridere ugualmente. Il medico si prese la testa tra le mani e sussurò:
“ Non dovresti farmi urlare, mi scoppia il cranio. Sarebbe meglio andare a letto.”
Detto questo si alzò e si avviò nella sua stanza, seguito dall’ispanica.
“ Non ti libererai così facilmente di me…”
Kurt afferrò rassegnato il suo pigiama e sbuffò un retorico:
“ Posso almeno andare in bagno?”
Quando ritornò, Santana era sdraiata sul suo letto, dal suo lato e con la sua maglietta addosso.
“ Non ha nemmeno senso!” sbottò indicando la t-shirt con su stampato LIKES BOYS che stava indossando la ragazza.
“ Eh, già! Vieni qui!”
Si sistemarono meglio sotto le coperte e l’ultima cosa che Kurt sentì, fu la bruna che, poggiata sul suo petto, affermava che le persone con le tette fossero nettamente più comode.
 
                                           ***
 
“Stupro di gruppo.”
“Difesa o accusa?”
“Accusa, fortunatamente… Non dovrebbe essere complicato… Lei è minorenne, uno dei tre aggressori ha dei precedenti…” Erano in fila per il check-in e stavano parlando del processo che Santana avrebbe dovuto affrontare la mattina successiva.
“Come fai a parlare con tanta tranquillità di queste cose?!” chiese sconvolto Kurt, fissando negli occhi la propria miglior amica.
“È l’abitudine, anche tu parli così di trapianti e tumori…” gli fece notare la mora, afferrando poi il trolley e avvicinandosi all’hostess.
“ Britt viene a prenderti all’aeroporto?” domandò, cambiando argomento, perché, come Sebastian amava ripetergli, non sarebbe mai stato capace di rimanere freddo e distaccato difronte a certi argomenti.
“Torniamo quasi in contemporanea. Il suo volo da Chicago parte un’ora prima del mio…” spiegò la mora, riponendo la sua carta d’imbarco nella borsa.
 “Io vado, devo fare i controlli di sicurezza” lo abbracciò, poi salì sulla scala mobile.
“Ah, Lady Hummel!” lo richiamò pochi secondi dopo “Ricorda che quando sposerai Anderson io e Brittany vogliamo essere le damigelle!”  
 

Buonasera! 
Scusate l'enorme ritardo! 
Ringraziamo le meravigliose 77 persone che ci seguono, le 7 che ci ricordano e le 10 che preferisco... *.* Noi vi amiamo! 
Bene, in questi nostri giorni di assenza abbiamo pubblicato qualcosina:
Una OS sulla 4x18 della nostra Rella. 
L'inizio di mio progetto tutto Daddies!Klaine. 

Mancano 3 capitoli alla fine, ma non vi libererete di noi!

Baci, Potters. 


 

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Capitolo 10
*** Capitolo X. ***







“ Cos’ha Claire?” chiese Blaine, sistemandosi le lenzuola sulle gambe.
“ Un cancro maligno al cervello. Sebastian stanotte dovrà asportarglielo e, nonostante l’operazione non sia assai rischiosa, la madre mi ha chiesto di aspettare in ospedale. Non che mi dispiaccia, sono davvero affezionato a quella bambina…” sospirò Kurt, strofinandosi gli occhi stanchi.
“Anch’io se avessi un figlio in sala operatoria sarei preoccupato… tu vorresti averne? In un futuro più o meno prossimo…” domandò il moro, allontanandosi completamente dall’argomento precedente.
“ Certo, mi piacerebbe molto. Ho scelto pediatria proprio perché mi piacciono i bambini, ma devo ancora trovare l’uomo giusto…” disse il medico, dando alla parte conclusiva della frase un’intonazione interrogativa, come se si aspettasse che Blaine gli rispondesse.
“ Pensavo non volessi proprio per la tua professione, insomma… non ti sembrerebbe di portare il lavoro a casa?” scherzò.
“ Beh… sai qualche volta ci ho effettivamente pensato.” Continuò l’altro, stando al gioco, ma confondendo solamente il più piccolo.
“ Che?!”
“ Talora alcuni dei miei pazienti sono così adorabili che vorrei rapirli e tenerli con me: Claire è tra questi!” spiegò, cercando di non passare per un vero psicopatico.
“ Nick ed Io tempo fa cercammo di rubare un cane e portarlo alla Dalton… era bellissimo…” raccontò il riccio, come se fosse la cosa più comune del mondo.
“ E tu…invece? Certo… sei più giovane, ma…”
Il pediatra decise di terminare lì quella sequela d’imbarazzanti balbettii.
“ Assolutamente sì! Ecco, magari dovrei prima finire l’università, trovare un lavoro… anche riprendere a camminare tornerebbe utile…” sorrise “ Tanti figli. Può sembrare infantile, ma, come ti ho già detto, quand’ero piccolo, ero molto solo, specialmente a casa…
Inoltre il mio modello di famiglia ideale è quello di Thad; lui ha sette fratelli e sorelle.”.
Anche Kurt sorrise mentre si perdeva tra le sue fantasie, dove un Blaine che passeggiava a Central Park con un piccolo esercito di bambini – alcuni con boccoli neri, occhi dorati e più bassini degli altri con la carnagione chiara e gli occhi azzurri- era mano nella mano con lui.
Si riscosse da quel volo pindarico e affondò la faccia tra le lenzuola.
“ Stanco?” chiese il bruno, allungando un braccio per accarezzargli i capelli.
“ Già, sto correndo a destra e sinistra da questa mattina, e più va avanti la mia carriera, più le malattie da cui i miei pazienti dovrebbero essere affetti diventano assurde. Tra poco mi diranno che ci sono bambini con la malaria…” straparlò il dottore, cercando di essere assorbito dal materasso per non manifestare il proprio imbarazzo. Lentamente, cullato dai movimenti della mano di Blaine e dalle immagini, non ancora del tutto sopite, propinategli dal suo cervello, cedette al sonno.
Il riccio smise di coccolarlo, credendo di infastidirlo, ma, al contrario, il suo gesto fu accompagnato da un verso di disapprovazione che non poté non farlo sorridere.
Ricominciò, fino a quando non notò quanto dovesse essere scomoda la posizione nella quale il più grande stava riposando; quindi decise di svegliarlo per incitarlo a stendersi sul letto.
“ Kurt?” lo chiamò piano.
“ Mpf… che c’è?” borbottò il pediatra più addormentato che sveglio
“ Ha chiamato Cassey?”
“ Non so neppure chi sia, volevo solo dirti che è ridicolo che tu dorma così. Vieni qui!” spiegò il moro, battendo la mano sul materasso.
“ La mamma di Claire e no, non voglio darti fastidio…” tentò l’altro.
“Non morirò per trenta centimetri.”
“ Ma…”
“ Nessun ma! Non ti reggi in piedi, senza offesa, ma hai delle occhiaie spaventose… sembri un panda. Quindi adesso ti alzerai da quella sedia e verrai a riposare come si deve!” sentenziò Blaine.
Kurt acconsentì sconfitto e si lanciò sul letto con malagrazia, sempre tenendo la testa bassa e posizionandosi il più lontano possibile dall’altro, girato sul fianco sinistro e dandogli le spalle.
Dopo qualche minuto di assoluto silenzio, il più piccolo sbuffò, roteando gli occhi:
“ Sul serio, vuoi spostarti ancora un po’? E, ti prego, puoi guardarmi?”
Il pediatra esitò un attimo, poi si voltò sulla schiena, le braccia incrociate sul petto, le gambe unite e stese. Il riccio si rassegnò al fatto che, per il momento, non avrebbe potuto ottenere nulla di più, per quanto ci provasse o lo volesse.
“ Sembra di dormire in un obitorio…” commentò.
“ Se continui con questi riferimenti al mio pallore, inizierò ad offendermi…” rispose l’altro; scoppiarono a ridere, allentando leggermente la tensione.
“ No… Mi è sempre piaciuta la carnagione chiara…” sussurrò Blaine con un tono di voce improvvisamente più soffice e basso, come se stesse confessando un segreto. Kurt arrossì e girò la faccia dal lato opposto, borbottando un lieve “ Buonanotte”. Chiuse gli occhi e cercò d regolarizzare il suo respiro affannato per rendere almeno minimamente credibile il suo fingere di dormire. Il moro credette a quella farsa o, più probabilmente, volle crederci; quindi spense le luci e tentò di riposare.
Furono svegliati dopo quelli che sembrarono pochi minuti dall’insistente squillo del cercapersone del medico. Quest’ultimo, dopo qualche attimo di smarrimento iniziale, resosi conto della posizione in cui si trovava e in cui era certo di non essersi addormentato –abbarbicato all’altro come un koala con la testa sul suo petto, il braccio attorno alla sua vita e la gamba sinistra sulle sue- urlò in modo molto poco virile, seguito subito anche da Blaine, e si alzò di scatto dal letto. Il pediatra si passò le mani tra i capelli, controllò l’aggeggio infernale che aveva causato quel pandemonio e, dopo aver esclamato: “ E’ Claire”, si avviò verso la porta senza nemmeno salutare. Fu, però, fermato dal più piccolo:
“ Posso… posso venire con te?”
Il medico pensò per qualche secondo di dirgli che non poteva continuare a rapire i pazienti e portarli con sé in giro per l’ospedale, ma non riuscì a resistere allo sguardo implorante dell’altro; infatti, lo aiutò a poggiarsi sulla sedia a rotelle ed uscirono dalla stanza assieme. Un solo pensiero fisso nella mente di Kurt:
Cosa mi hai fatto, Blaine?
 
 ***
 
“Ciao…” sussurrò Kurt, aprendo lentamente la porta della 245, la stanza in cui era ricoverata Claire. L’operazione era andata bene, a detta di Sebastian, e c’erano buone possibilità che la bambina potesse essere dimessa entro quattro o cinque mesi.
“Kurt!” lo chiamò, alzando lentamente la testolina fasciata dal cuscino.
“Hey! Come ti senti?” le chiese, sedendosi su bordo del letto.
“Mi fa un po’ male la testa e i punti sono fastidiosi, ma mamma ha detto che era necessario…” rispose, sorprendendo ancora una volta il pediatra con la sua maturità.
“La tua mamma ha ragione, era necessario…”
“Kurt, posso chiederti una cosa? Nessuno vuole dirmi quando uscirò da qui. Puoi?” chiese, spalancando gli occhietti chiari speranzosa.
“Ehm… Precisamente non lo so… Ma credo che per fine Agosto sarai a casa…” sorrise, poi Clare aprì le manine ed iniziò a contare i mesi sulla punta delle dita, concentratissima.
“Sono solo quattro mesi! Significa che a Settembre potrò tornare a scuola?”
“Se vorrai, credo di sì… Certo, ogni tanto dovrai fare qualche controllo…”
“Certo che voglio! Ci sono tutti i miei amichetti lì! Poi papà ha detto che quando esco da qui posso andare a trovare la nonna, mi manca tantissimo, lei non può venire qui, neppure negli orari di visita… è troppo vecchia…” iniziò a staparlare, felicissima per le notizie appena ricevute.
“Devi solamente continuare a fare la brava come hai fatto l’altro ieri… A proposito, sei stata meravigliosa! Davvero Blaine ha fatto più storie di te!”
“Blaine? Ha dovuto fare la mia stessa operazione?” chiese, pronunciando la z in modo tenerissimo, come solo una bambina di otto anni può fare.
“Più o meno…” disse, non ritenendosi in grado di spiegarle quale fosse la differenza tra un’ aneurisma e un tumore.
“E a lui sono già ricresciuti i capelli?” domandò, preoccupata dal fatto che per operarla erano stati costretti a raderglieli.
“Quasi…” sorrise, pensando inevitabilmente ai meravigliosi boccoli del ragazzo.
“Blaine è il tuo fidanzato, vero?” ritentò lei.
“No, Claire, e te l’ho già detto una decina di volte, credo…” mormorò, arrossendo leggermente.
“E perché?”
“Tesoro, le cose tra i grandi sono un po’ più complicate…” provò a dire poco convinto.
“Ha una fidanzata?” incalzò la piccola, credendo di aver capito quale fosse il problema.
“No!” rise.
“Un fidanzato?”
“… no.”
“ E allora? Assomiglia al principe Eric! Sai, quello della Sirenetta!” Kurt non poté far a meno di scoppiare a ridere, perché quel paragone era dannatamente veritiero.
“Poi è simpatico, sa cantare, ha giocato con noi…” continuò elencando tutti i pregi del brunetto, determinata a concludere in bellezza quell’opera di convincimento.
“Basta! Allora, quando uscirai da qui ti prometto che ti porterò a vedere Mary Poppins a Broadway… Sai, la mia migliore amica sta facendo un provino per entrare nel cast..!” disse, tentando disperatamente di distrarla. Le parole pronunciate da Santana la settimana precedente risuonavano ancora nella sua testa e Claire stava soltanto buttando benzina sul fuoco.
“Davvero lo farai? Davvero?!” Il pediatra annuì, poi esultò mentalmente, credendo di essere riuscito nel suo intento.
“Però verrà anche Blaine con noi!” dichiarò in quell’istante.
“Smettila!”
In quel momento la porta si aprì, spinta da un ragazzo di circa vent’anni tremendamente simile a Claire.
“Peter!” esclamò la piccina, allargando le braccia.
“Scricciolo!” la salutò lui, correndo ad abbracciarla, poi notò la presenza di Kurt e si voltò per presentarsi: “Sono suo fratello, Peter.”
“Kurt, il suo pediatra…”
“Ah, lei la stava visitando? Posso tornare dopo… Non è un problema per me aspettare qualche minuto…” si scusò.
“No, non la stavo visitando, resta pure…” disse alzandosi.
“Kurt, sai lui va a scuola lontanissimo, per questo non l’hai mai visto!” raccontò Claire entusiasta.
“Io vado. Divertitevi!” li salutò uscendo dalla stanza.
“Vai dal tuo principe Eric?!” urlò la bambina.
“Smettila!” le rispose lui, facendola scoppiare a ridere, sotto lo sguardo confuso di Peter.
Uscito da quella stanza il medico non riuscì a non pensare che i bambini sono, come si suol dire, la voce della verità e che, di conseguenza, avrebbe anche potuto ascoltare la sua piccola paziente.
 
***
Kurt fissò la porta, la mano salda sulla maniglia, con un’insana voglia di ingoiare insetticida per liberarsi delle farfalle che gli svolazzavano nello stomaco.
Rimise la mano in tasca e si appoggiò alla parete, dove un piccolo cartello indicava il numero della stanza.
 
Forza, mostra il tuo elegante cavallo e sfodera il più audace degli sguardi, è così che i principi conquistano le giovani fanciulle!
 
Il pediatra assunse un espressione confusa, girando su se stesso nel vano tentativo di rispondere a Rachel. Da dove diavolo aveva parlato la Berry?!

Nana, hai ragione solo se con "cavallo" intendi quello dei pantaloni e con "giovani fanciulle" uomini affascinanti!

replicò Sebastian. Controllò che dietro i carrelli del pranzo non si nascondessero la sua migliore amica e il suo ex-fidanzato, poi mormorò: "D-dove siete?"
"Infermiera!" imprecò un nonnino sui divanetti lì vicini: "Perché io devo prendere queste pillole e non il dottore che parla da solo?!"
Kurt scorse forte la testa per liberarsi delle moleste voci che avevano preso le parti della sua coscienza. Il suo udito di nuovo funzionante gli fece notare la voce di Blaine.
"Ryan, quanto tempo…" stava dicendo il moro con voce nostalgica. Il castano scandagliò i proprio ricordi, cercando quel nome in vecchi discorsi.
"Sì, ma sto facendo passi da gigante… Beh, non proprio passi, non in quel senso…" stava raccontando il paziente della 713.
Uno degli ex di Blaine! Ecco chi era Ryan. Gliel'aveva descritto come un barista dagli occhi neri, poi partito per il Canada alla ricerca delle sue origini, che aveva piantato in asso il riccio da un giorno all'altro, dopo una relazione di due anni.
"Davvero, sei nel Massachussets?"
Kurt si diede dell'idiota, più un'altra sfilza di insulti da bordello: l'aveva lasciato da solo per una serata e subito lui era corso tra le braccia dei vecchi amanti.
"Sì, a Broadway…" sentì dire da dentro.
Vecchi amanti?! Aveva sul serio usato quell'espressione?!
"Ah… va bene, non ti preoccupare." Il tono gentile di Blaine lo distolse dai suoi pensieri.
Era un pediatra di un certo livello, in un ospedale di un certo livello, situato in un quartiere di un certo livello: origliare le telefonate di un paziente, per quanto questi di un certo livello, non gli si addiceva.
Si accorse che il suddetto paziente non stava più parlando e pensò fosse il momento perfetto per la sua entrata in scena.
“Kurt!” esclamò Blaine vedendolo e ricordando al pediatra di quando i piccoli gli correvano incontro.
Peccato che lui non potesse camminare, figuriamoci correre.
“Hey…” gli sorrise di rimando.
“Parlavo con Ryan, mi pare di averti accennato chi sia.” mormorò, guardando lo schermo del cellulare ritornare nero. Certo che gliene aveva parlato: aveva passato gli ultimi minuti a spremersi le meningi per poi farsi quasi venire un’infondata crisi di gelosia.
“…Quell’idiota.” sbuffò il moro roteando gli occhi.
Il più grande dovette ricorrere a tutta la sua forza per conservare la sua espressione intatta, al contrario dei fuochi d’artificio che gli esplodevano dentro. Deglutì, nell’immenso sforzo di non mostrarsi entusiasta, poi alzò un sopracciglio con aria interrogativa: “Idiota..?”
“Sono certo che sapesse da mesi che sono ricoverato qui, perché sente Kevin tutti i santi giorni… e mi chiama solo ora?! Cazzo, siamo stati insieme due anni!”
Kurt scosse la testa, immaginando che Blaine avrebbe inteso quel gesto come un segno di sincero disappunto: in realtà stava scacciando dalla sua testa le voci di Sebastian e Rachel.
Ops, direi che Bilbo Anderson Baggins risente della mancanza di ca- sentenziò l’immaginario francesino.
-ri amici che lo sostengano!lo interruppe l’altrettanto irreale Berry.
Nana, direi che la parte del caro amico l’abbiamo recitata fin troppo a lungo!
Forse a Blaine interessa ancora questo Ry-
“Non che mi interessi, non in quel senso!” chiarì il moro, come se avesse letto nei pensieri di Kurt, che mormorò:
“Sai come si dice, è in questi momenti che capisci chi devi tenerti stretto…” incrociando le braccia al petto.
Il più piccolo guardò di sfuggita l’orologio appeso alla parete, poi lo ricontrollò allarmato e dovette mordersi il labbro per reprimere un imprecazione: “Fisioterapia..! Ho fatto tardi!”
“L’ascensore dei dipendenti è più vicino, ti accompagno io.” propose calmo il pediatra. Avvicinò la sedia a rotelle al letto, abbassò la sbarra per facilitargli la salita e finse di non vedere il disagio dipinto sul suo volto, quel fastidio che si prova nel perdere l’autonomia conquistata anni e anni prima. Quando completarono l’operazione, Kurt spinse la sedia a rotelle finché non arrivarono all’ascensore che li portò in sala terapia.
“Direi che Frank ha fatto più ritardo di me…” mormorò il riccio.
“Chi, il biondino con gli occhiali? Credo si sia fermato per aiutare Alex a rimettersi in piedi dopo una scivolata assurda… Pover’uomo, le va maledettamente appresso.”
“Ma…” bisbigliò Blaine, guardando con i suoi occhioni da cucciolo il materiale per la fisioterapia.
No, non poteva resistergli.
“P-posso aiutarti io..!” esclamò, tentando di rasserenarlo e riuscendo anche nel suo intento.
Seguì le istruzioni del più piccolo e prese a ruotargli piano la caviglia.
"Adesso arriva la parte difficile…" mormorò il riccio, fissando le sbarre parallele al centro della stanza.
"In genere devo solo restare in piedi sorreggendomi, ma…" incastonò i suoi occhi nocciola e oro in quelli dalle mille sfumature del dottore, accennando un piccolo sorriso che l'altro ricambiò, ma scuotendo la testa. Fece risiedere il paziente e lo portò dove si trovava il materiale per l'esercizio. Gli prese le mani poggiando i propri palmi sui dorsi di lui, guidandogliele fino alle sbarre, poi lasciò che si alzasse da solo. Il castano andò dalla parte opposta, aspettandolo a braccia aperte come quando si invogliano i bambini a raggiungerci muovendo i primi passi. Si avvicinò al moro a distanza di sessanta centimetri stentati, per evitare che strafacesse peggiorando la propria situazione: non solo si sarebbe sentito in colpa per tutta la vita, probabilmente sarebbe stato anche licenziato. Blaine chiuse gli occhi, inspirando a fondo. Doveva far sì che il suo cervello capisse cosa fare: effettuare un passo in avanti assicurando l'atterraggio sul tallone del piede.
Ruotare in avanti la pianta del piede.
Sollevare il tallone e spingere con l'alluce.
Kurt sentì gli occhi farsi lucidi: era una delle cose più commoventi che avesse mai visto.
Blaine ce l'aveva fatta, aveva mosso il suo primo passo da mesi e mesi, e l'aveva fatta di fronte a lui.
Effettuare un passo in avanti assicurando l'atterraggio sul tallone del piede.
Ruotare in avanti la pianta del piede.
Spingere col tallone e sollevare l'alluc- no, non era questo che doveva fare, ma era troppo tardi.
Perse l'appoggiò e scivolò in avanti, gemendo spaventato.
Kurt era lì, davanti a lui, e l’afferrò prima che potesse toccare il suolo. Era a pochi centimetri da lui.
Blaine aveva il viso imperlato di sudore, le pupille allargate per il terrore, il fiato ancora trattenuto.
Il più grande annullò la distanza che li separava poggiando le labbra sulla bocca dell'altro, sentendolo finalmente rilassarsi e riacquisire la calma.
Furono solo pochi secondi, ma bastarono a Kurt per realizzare un sacco di cose. Desiderava baciarlo da un sacco di tempo, ma non aveva mai avuto il coraggio di ammettere a se stesso quanto gli piacesse quell'uomo. Lo conosceva da così poco eppure era la persona con cui aveva il legame più profondo di tutti e non poteva accettarlo. Non poteva credere a quella serie di coincidenze che lo avevano portato da lui, seppur nel peggiore dei modi, quasi a voler confermare la legge dell'attrazione. E quando il suo subconscio gli aveva suggerito che doveva essere così, che l'universo lo aveva finalmente preso a cuore, si era sentito un mostro: fosse anche stato l'amore della sua vita, o la sua anima gemella, il mondo aveva voluto che quell'uomo soffrisse forse le peggiori pene della sua vita, e non di certo dopo una vita felice.
"Scusa il ritardo, Blaine…" mormorò Frank, entrando nello stesso preciso istante in cui le loro bocche si erano scontrate e subito dopo staccate. Il fisioterapista alzò lo sguardo, notando il dottore di troppo:
"Dr. Hummel, non lavora in pediatria, lei..?" chiese dubbioso. Kurt annuì piano, lo sguardo fisso sull'uomo che aveva davanti, troppo inebetito per parlare.
"Mi ascolti bene: questo paziente mi è stato affidato per seguirne e permetterne la terapia. Lei non può compromettere così il mio lavoro!" esclamò in un crescendo di rabbia, inforcando gli occhiali che gli scivolavano sul naso. "Mi scusi…" mormorò imbarazzato e intontito Kurt, quasi fuggendo dalla stanza, appena in tempo per sentire Frank urlare: "Io la denuncio! Chiamerò Richardson!!!". Corse fuori, quasi alla cieca, imbattendosi infatti in un uomo in camice, alto più di lui: "Kurt, perché diavolo corri come un pazzo?!" lo rimproverò il neurochirurgo. "Seb, Seb ti prego: il fisioterapista vuole denunciarmi perché ho fatto fare gli esercizi a Blaine e-"
"Oh Cristo, la vuoi finire?!" disse Sebastian interrompendolo. Il pediatra lo fissò implorante, con le mani congiunte. "E va bene, prendi l'uscita di emergenza e vai a casa, ti copro io..!" cedette il francesino. "Ma se continui così, sarò io a denunciarti!" gli disse mentre l'altro imboccava di tutta fretta il corridoio per l'uscita d'emergenza.

Buonanotte!
Chiediamo venia per il ritardo… Non è imperdonabile, vero?
Bene… Comunicazioni di servizio:
Le sottoscritte Cloud Potters, Rella Potters e Nori Potters informano i gentili lettori che KR sta per finire: questo è il penultimo capitolo, poi ci sarà l’epilogo.
Grazie, la Direzione.
Bene, ora dopo aver pianto per questa triste notizia, ascoltatemi… Non abbiamo intenzione di abbandonare così i nostri piccini, per questo motivo scriveremo:
- Una long  Thadastian di otto capitoli( + epilogo) che sarà cronologicamente ambientata tra l’ultimo capitolo e l’epilogo di Karma Rules.
Il rating sarà rosso (so che ne siete felici!) e chiediamo un vostro aiuto per scriverla: proponetici qualche situazione nella quale vi piacerebbe vedere questi Thadastian (vestiti, grazie) e noi la valuteremo.
Il sequel di KR sarà composto da diciotto OS, ispirate a le 18 regole del Karma (non in ordine cronologico)
 
Baci, Potters. 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI. ***


Kurt guardò la radiosveglia, fissando intensamente la data: 1 Giugno. Si voltò e affondò il viso nel cuscino, iniziando il suo quasi giornaliero rituale di autocommiserazione.

Un mese. Quattro settimane, trenta giorni e un numero sicuramente considerevole di ore che il suo cervello era troppo stanco per calcolare. Era passato un mese da quando lui e Blaine si erano baciati in quella sala fisioterapia. O meglio, da quando lui l’aveva baciato, senza poi potersi fermare a studiare le sue reazioni, ed era proprio quello il problema. Erano giorni che si logorava nel dubbio, ma, nonostante ciò, non era ancora riuscito a dirgli una sola parola sull’argomento.

Certo, si erano visti un po’ meno, dato che Rachel, con il suo tempismo perfetto, aveva deciso di sposare Brody e Kurt era stato inevitabilmente coinvolto nell’organizzazione di quella cerimonia, rivelatasi una delle esperienze più esasperanti della sua vita.

Il ricordo di quell’istante l’aveva accompagnato in quei giorni in ogni suo gesto, anche nelle giornate più piene, quelle in cui, dopo il lavoro, era stato costretto ad assaggiare ventitré gusti di gelato, tutti fondamentalmente uguali; e il pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere se quel Frank non li avesse interrotti l’aveva tenuto impegnato durante tutte le sue notti insonni. Proprio per non abbandonarsi a quella fantasia, si scostò le coperte di dosso, si alzò di scatto dal materasso e si fiondò sotto l’acqua bollente della doccia, sperando che un’ustione di secondo grado estesa su tutto il corpo l’avrebbe distratto. Si guardò allo specchio, mentre si infilava l’accappatoio, venti minuti più tardi, e prese un importante decisione: avrebbe risolto quella situazione. Non sapeva come, ma promise a sé stesso, con i flaconi di shampoo e lo spazzolino di Rachel come testimoni, che l’avrebbe fatto, entro mezzanotte, come Cenerentola.

Si vestì e uscì di corsa, rifiutandosi di fermarsi a pensare per più di quindici secondi, terrorizzato all’idea che quella scarica di coraggio sparisse tanto velocemente quanto era arrivata.

Passò le successive sei ora a visitare bambini, provando a concentrarsi solo su quell’attività, ma quando si trovò a fissare la triste targhetta blu con su inciso quel 713, che sembrava fissarlo con aria di scherno, fu assalito dal panico. Avvicinò due volte la mano alla maniglia della porta, ritirandola immediatamente, prima di riuscire realmente ad afferrarla ed abbassarla.

“Kurt!” lo salutò non appena lo vide, togliendosi le cuffiette dalle orecchie e avvolgendole intorno all’iPod.

“Uhm… scusami, avrei dovuto bussare…” mormorò Kurt, andando a sedersi sulla sua sedia.

“Nessun problema. Allora, come va con l’evento dell’anno?” domandò, sorridendo. Maledetto sorriso assassino, pensò Kurt, mentre apriva la sua tracolla.

“Ecco qui!” esclamò, passandogli l’invito. Era un semplice cartoncino color avorio, un po’ spesso, con una stampa oro (anche se Kurt e Rachel avevano discusso sul colore di quelle poche parole per circa tre giorni):

 

Rachel Berry e Brody Weston sono lieti di invitarLa al loro matrimonio che si terrà il giorno 13 Marzo allo Shakespear Garden.

Si prega di confermare la propria partecipazione.

                                                                            Con affetto, gli sposi.

 

 

Blaine alzò gli occhi e il suo sorriso si allargò ancora un po’, per quanto fosse umanamente possibile, poi mormorò: “Sono invitato?”

“Certo!” rispose il più grande, rendendosi poi conto di aver sempre immaginato che a quel matrimonio ci sarebbero andati insieme.

“ Ma…”

“Per il prossimo Marzo sarai sicuramente uscito da qui dentro!” lo rimproverò, intuendo quale fosse il problema.

Kurt sospirò, prendendo seriamente in considerazione l’idea di parlargli in quel preciso istante, ma il suono del suo cellulare lo distrasse.

 

Da: Santana.

 Lady Hummel, voi siete ancora convinti del fatto che Obama abbia compreso nel Marriage Act anche i matrimoni tra fastidiosi nani e inquietanti uomini di plastica? Se dovesse avere ragione, inizia a cercare un vestito rosso per me!

 

Kurt ridacchiò, poi mostrò il telefono all’altro, dicendo: “Credo che questa sia la sua interpretazione di si prega di confermare la propria partecipazione…

“Santana è geniale.” commentò Blaine, il pediatra s’incantò un secondo a guardarlo, soffermandosi prima sul leggero strato di barba che gli copriva le guance, poi spostando, incautamente, gli occhi su quelle labbra piene e ancora sorridenti.

“Hey? Tutto bene?” chiese confuso il moro.

“S-si… Stato soltanto pensando che… Insomma, è un po’… che non andiamo a cantare per i bambini! Dovremmo farlo!” finì con troppo entusiasmo, insultandosi un secondo dopo per la sua infinita mancanza di coraggio.

“È vero!”

“Blaine, dov’è la sedia?” chiese Kurt, guardandosi attorno.

“Non c’è. Non ti ho ancora presentato il mio nuovo amico?

Bene, Kurt lui è il deambulatore!” disse, indicando il suddetto. Il medico si alzò e avvicinò l’attrezzo al letto. Il paziente gli sorrise, emozionato come un bimbo che mostra alla mamma di saper fare le capriole, poi si aggrappò all’asticella apposita e riuscì ad alzarsi.
“Prendiamo l’ascensore per i dipendenti, è più vicino!” esclamò il più grande mostrando all’altro la piccola chiave che conservava sempre nella tasca del camice. Quando poco dopo raggiunsero il montacarichi, Kurt infilò la chiave nella serratura e le porte si spalancarono. Ripeté l’azione per poter pigiare il numero 3, dopo aver lasciato a Blaine il tempo di entrare. Il pediatra approfittò di quel momento per poterlo esaminare: qualche ricciolo dei capelli scuri ricadeva quasi sulle sopracciglia triangolari, lievemente corrugate, come se fosse sovrappensiero. I suoi occhi, un misto tra il nocciola e il verde, che sotto la dubbia luce dell’ascensore avevano assunto una sfumatura dorata, fissavano un punto imprecisato. La presenza della lieve barba delineava la sua mascella, perfetta cornice di quel volto, salendo poi a sfiorare il suo labbro superiore, da cui Kurt si sentì improvvisamente attratto. Attratto non solo dalla sua bocca, dai suoi occhi o dai suoi capelli; Kurt Hummel capì di sentirsi attratto da Blaine Anderson in tutta la sua persona, attratto dai suoi pensieri, dalle sue parole, perfino dalle sue paure. Senza curarsi del deambulatore che impediva ai loro toraci di toccarsi, si avvicinò al moro e poggiò le proprie labbra sulle sue, lasciando correre la mano destra trai ricci dell’altro. Blaine ricambiò quasi subito, stringendo la mano sinistra del medico, lasciando che le loro lingue si conoscessero e danzassero insieme. Non sapeva da quanto stesse bramando quel contatto: forse da quando l’aveva visto a Broadway,tutto in tiro; forse da quando era entrato per la prima volta nella stanza 713 dell’Allen Pavilion e, nonostante la situazione, erano riusciti a scambiarsi un sorriso; forse da quando avevano dormito insieme, o da quando si erano sfogati e consolati l’uno con l’altro per la prima volta. Minuto dopo minuto, giorno dopo giorno, mese dopo mese, per Kurt il centro di gravità era diventato un uomo dagli occhi di un cucciolo, l’innocenza di un bambino, il fisico da ballerino e una strana passione per i farfallini da ottantenne eccentrico.
“Finalmente.” sospirò Blaine tra le labbra del castano, poi aggiunse: “Non ci speravo più.” Kurt ridacchiò piano, staccandosi un attimo da lui per poi riavventarsi sulle sue labbra.
Di entrambi, non si poteva dire che avessero avuto una vita fortunata: l’apoteosi del dolore per il castano era stata la perdita del padre, mentre per il moro l’esplosione di una vena troppo sottile nel proprio cervello. Nel passato, erano stati vittima di bullismo a causa del loro orientamento sessuale e nessuna delle loro relazioni si era conclusa bene. Per un momento, nella loro vita, avevano pensato fosse quello il loro destino: la valvola di sfogo di una qualche entità soprannaturale che, non appena le loro vite sembravano migliorare, riteneva giusto cacciare dalla propria borsa morte, odio e paura per abbattere queste calamità su di loro. Né Kurt né Blaine si erano lasciati abbattere da questo pensiero: avevano trovato la forza di sorridere, di continuare ad essere gli amici che erano sempre stati per coloro che amavano, di ridere e far ridere. Ma qualcosa nella loro anima era rimasto incrinato: musicalmente, erano come una favolosa melodia suonata con uno strumento scordato.
Poi, era arrivato il giorno il cui il Karma aveva deciso di fregarsene di Dio, Buddha, Vishnu e quant’altri, e aveva deciso di fare un dono a chi aveva sofferto così tanto. Aveva regalato a due uomini un anima gemella.

Le porte si aprirono mostrando un infermiera che reggeva ancora la chiave dei dipendenti: “Santo cielo!” esclamò Alex fingendosi indignata, poi aggiunse, alzando eloquentemente le sopracciglia: “Se volete prendo le scale..!”
“No, i bambini...” rispose il pediatra, uscendo dall’ascensore.
“Vogliamo cantare per loro!” spiegò il più piccolo.
“Non posso perdermi questa scena, vi seguo!” esclamò emozionata la biondina, avviandosi verso la stanza giusta. “E quelle?” chiese dubbioso Kurt, guardando le due piccole scatole di pillole che l’infermiera stringeva in una mano. “Andiamo, sono solo medicine, non morirà nessuno per non averle prese!” si lamentò lei. Blaine trattenne a stento una risata, mentre invece l’altro si impegnò a mantenere uno sguardo serio.
“E va bene, ma poi torno!” si arrese Alex, quasi correndo verso le scale per poterle salire il più velocemente possibile. I due si sorrisero complici, avviandosi dove i piccoli erano ricoverati.
Questa volta i bambini corsero verso di loro urlando allegri i nomi di entrambi.
“Shh, sveglierete tutto l’ospedale così!” li ammonì il pediatra.
“Ma se state per cantare!” ribatté una delle bambine, facendo ridere i due.
“C-chi siete?” balbettò una bambina con un caschetto castano, che Kurt non aveva mai visto.
“Oh, ciao! Mi chiamo Blaine!” si presentò l’altro, rivolgendole un sorriso a trentadue denti.
“E io sono Kurt. Sei stata trasferita da un altro ospedale, vero?” le chiese apprensivo. Lei annuì, poi aggiunse:
“Lì non cantavano!”
“Qual’è la tua canzone preferita, piccola...”
“...Katie, mi chiamo Katie. Quella... quella dell’Eleone!”

Il pediatra corrugò le sopracciglia, temendo di non conoscere nessun film che si chiamasse così.

“Oh, il due vero??” suggerì Blaine, con gli occhi che luccicavano. Sembrava così felice che, se solo ne fosse stato in grado, avrebbe fatto i salti di gioia: evidentemente la sua mente da fanciullo gli permetteva di decifrare il linguaggio talvolta incomprensibile dei più piccoli.
“Quello con Kovu...” aggiunse la piccola castana “...e Kiara!” concluse il moro, voltandosi pieno d’aspettative verso Kurt, che finalmente capì di cosa stessero parlando.
“La cantate, velo?” mormorò Katie.

In tutta risposta, il pediatra intonò il primo verso, con la sua voce da soprano.

 

In a perfect world

One we've never known

We would never need to face the world alone

 

They can have the world

We'll create our own

I may not be brave or strong or smart

But some where in my secret heart

 

I bambini avevano cominciato a canticchiare anche loro, dondolando la testa secondo il ritmo della canzone, mentre Blaine, che aveva preso posto ai piedi del lettino di Katie, guardava Kurt con un sorriso che sembrava pieno d’amore.

 

I know

Love will find a way

Any where we go

I'm home

If you are there beside me

 

Like dark turning into day

Some how we'll come through

Now that I've found you

Love will find a way

 

Mentre cantava, il più grande accarezzò la testa di quasi tutti i piccoli, poi andò a sedersi per terra, accanto allo stesso letto dove era seduto Blaine e dove la piccola bimba dai capelli a caschetto lo fissava a bocca aperta per lo stupore.
Il riccio sorrise a Kurt guardandolo dritto negli occhi, poi prese a cantare, mentre l’altro rideva con Claire, che aveva fatto il giro della sala per raggiungerli.

 

I was so afraid

Now I realize

Love is never wrong

And so it never dies

 

There's a perfect world

Shining in your eyes

 

“Te l’avevo detto che sembra proprio il principe Eric!” sussurrò la piccola bionda ad una sua amichetta, che annuì di rimando.

 

And if only they could feel it too

The happiness I feel with you

 

They'd know

Love will find a way

Any where we go

we're home

If we are there together

 

Ancora una volta le loro voci si fusero, il timbro caldo di Blaine e quello più alto di Kurt, come un violoncello ed un violino che se suonati insieme suonano come una melodiosa viola.
Kurt avrebbe dovuto capirlo quella volta, quando avevano cantato A whole new world: il modo in cui inevitabilmente si guardavano mentre cantavano era sempre lo stesso. Non potevano evitare di sorridersi, di affogare l’uno negli occhi dell’altro, e quell’aurea sembrava permeare tutti coloro che avevano intorno.

 

Like dark turning into day

Some how we'll come through

Now that I've found you

Love will find a way

I know love will find a way.

 

Nell’istante in cui i due tacquero, la stanza si riempì di applausi, battuti da piccole manine.
“Che dici, posso chiederglielo?” sussurrò Claire alla sua amica, che ancora una volta rispose annuendo.

“Ehm...” mormorò la biondina: “Ma siete fidanzati?”
I due si guardarono per un istante, come se si stessero vicendevolmente scrutando l’anima, poi risposero contemporaneamente:
“Sì.”.

 

 

Note delle potters!

 

Ecco, questo è il finale della nostra storia.
Certo, in realtà manca l’epilogo, quindi non è che io possa scrivere proprio Fine... però ormai è conclamato che i nostri Klaine si amano tanto (finora lo sapevano tutti tranne loro :3) !

Nell’epilogo ci saranno delle note chilometriche: per il momento mi limito a ringraziare i 12 che hanno messo la storia nelle preferite, i 10 che se la ricordano (?) e gli 89 (wow!) che la seguono!
Un bacione bacionissimo dalle potters, vi vogliamo tanto bene!
*sending virtual hug*

 

Also: la nostra pagine facebook si chiama:  Potters_continuous EFP .

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Capitolo 12
*** Epilogo. ***


“…Appena usciamo da lì, ti chiamo…” concluse Kurt, prendendo per mano la bambina.
“Divertitevi!” li salutò Cassey, poi aggiunse: “Grazie ancora!”
“Una promessa è una promessa!” disse il medico, alzando le spalle, poi si voltò e si avviò con Clare verso la propria macchina.
“Dov’è Blaine?” chiese la piccola, quando notò che il sedile del passeggero era vuoto.
“Ancora alla NYADA, passiamo a prenderlo adesso…” rispose, alzando gli occhi al cielo ed aprendole la portiera. “Se continui a parlare soltanto di lui, penserò che vuoi rubarmi il fidanzato!” scherzò, facendola ridere.
“Ti piace il mio vestito?” domandò, saltando su.
“Molto carino. Il blu ti sta bene.” Commentò, facendo partire l’auto.
Clare tacque per un po’, fissando le luci della città che sfrecciavano al di là del finestrino, poi raccontò:” La settimana prossima torno a scuola!”
“Davvero?”
“Si. Sono contenta, anche perché i capelli ora sono abbastanza lunghi, mi piacciono…” spiegò, afferrando una ciocca bionda tra le dita per portarsela davanti agli occhi, sorridendo soddisfatta quando riuscì a vederla.
“Tesoro, potresti farmi una cortesia?” disse, cercando qualcosa nella tasca del suo elegantissimo completo grigio. “Potresti telefonare a Blaine?”
“Cosa devo dirgli?” domandò, afferrando il telefono che il medico le stava passando.
“Che stiamo arrivando.”
Clare litigò un po’ con il touch screen del cellulare, poi esultò quando riuscì a trovare il numero in rubrica e fece partire la chiamata.
“Pronto Kurtie?”
“Sono Clare.” chiarì.
“Oh, ciao.”
“Noi stiamo arrivando! Fai prestissimissimo!” trillò emozionata, rendendo parzialmente sordo il moro.
“Corro! Cioè…Faccio il più presto possibile! Ciao.”
“Ciao.” mormorò “Come si posa?”
“Il tasto rosso.” le sorrise.
“Vuoi sapere una cosa su me e Blaine?” le propose Kurt, presupponendo che avrebbe accettato. Era una bambina estremamente curiosa, nel bene e nel male.
“Certo!”
“Stiamo andando nel teatro dove io e lui ci siamo conosciuti, quasi un anno fa!” raccontò, ripensando a quella serata e all’assurdo papillon che il suo ragazzo indossava quel giorno.
“Davvero?!”
“Giuro.”
Kurt si concentrò sulla strada, tentando di raggiungere la scuola commettendo il minor numero di inflazioni al codice della strada possibili, mentre Clare sulle pieghe che voleva far sparire dalla gonna del suo vestitino.
Riuscito nel suo intento parcheggiò, voltando il capo verso il portone decorato. Un paio di minuti dopo la testolina parzialmente ricoperta di gel spuntò dal suddetto e il pediatra sorrise nel vederlo scendere con difficoltà quei gradini che lo separavano dal marciapiede, aiutandosi con il suo bastone di legno scuro. L’avevano comprato insieme, quasi due mesi prima, poco dopo il ritorno di Blaine alla NYADA: la sua salute stava decisamente migliorando, non era ancora in grado di ballare, ma l’anno accademico era appena iniziato e c’erano buone possibilità che riuscisse a diplomarsi alla fine di Giugno.
Kurt aprì la portiera e il più piccolo salì in macchina, tentando di non colpire il fidanzato né i bocchettoni dell’aria condizionata con quel fastidioso affare che era costretto a portarsi dietro. Il medico soffocò una risata, pensando al modo in cui Sebastian aveva iniziato a chiamare Blaine:Lo gnomo armato d’ascia; in ricordo di un brutto episodio di un insensato talkshow, dove le persone sostenevano di vedere gli alieni e viaggiare a bordo di carrozze trainate da svariati unicorni, che avevano visto insieme.
“Ciao!” esclamò Blaine, voltandosi verso in sedile posteriore per salutare Clare, poi si sporse verso sinistra per baciare la guancia di Kurt. La bambina applaudì, facendo scoppiare a ridere i due uomini.
“Papillon fucsia? Davvero?” commentò il pediatra, notando questo dettaglio nel riflesso dello specchietto retrovisore, mentre faceva ripartire l’auto.
“Certo! Stiamo andando a vedere
 Mary Poppins, ci saranno moltissimi bimbi in sala e ai bimbi i colori allegri piacciono! Vero, Clare?” ribattè, fintamente offeso.
“Verissimo!” confermò con enfasi.
“E, come tocco di classe, ho anche i calzini abbinati…”
“Potevo tranquillamente vivere senza quest’inquietante informazione. Poi tra papillon e bastone sembri un ottantenne!” continuò a prenderlo in giro il più alto.
“ Un ottantenne carino?” chiese Blaine, mettendo su una smorfia adorabile; Kurt parcheggiò a pochi metri dal teatro, chiedendosi come avesse fatto a trovare un posto del genere ancora libero e uscì dalla macchina, sussurrando: “Idiota.”
Clare saltò giù dall’auto in meno di tre secondi e Blaine fece lo stesso in meno di tre minuti, il che era sicuramente da considerare un progresso. Si avviarono verso l’ingresso, il riccio guardò lievemente preoccupato i gradini che li separavano dal fouyer, Kurt se ne accorse e cercò distrattamente un ascensore.
“Vuoi che chieda se c’è un montacarichi da qualche parte? Dovrebbe esserci!” balbettò, riacciuffando la piccolina che stava già fuggendo in sala; Blaine valutò l’ipotesi inclinando la testa.
“Grazie per avermi definito
 carico, tesoro. Non credo ce ne sia bisogno. Solo, puoi darmi la mano?” sorrise l’hobbit, afferrando la destra del fidanzato.
La signorina sorrise e disse: “ Fila K!”.
Durante il percorso che li separava dalle loro comode poltroncine rosse, reso quasi titanico dal bastone che continuava ad impigliarsi nel vestiti delle signore che li circondavano, furono intercettati dal signor Berry.
“Kurtie!” trillò Hiram, avvicinandosi, poi si fermò un secondo a scrutare Blaine con aria curiosa, prima di abbassare lo sguardo su Clare e sbarrare gli occhi.
“Buonasera!”
“Piacere…” mormorò il riccio, tentando di allungare il braccio per stringere la mano dell’uomo senza rotolare a terra in maniera poco dignitosa.
“Piacere, Hiram Berry… Scusate la schiettezza, ma lei chi è?” chiese, indicando la bambina.
“Sono Clare!” esclamò lei, ammirando la camicia turchese dell’uomo.
“Non è mia figlia…” chiarì il medico sorridendo.
“Ah, ecco… Insomma da quando… Com’è che la tipa latinoamericana chiama Brody?” s’interruppe.
“Ken…”
“ Ecco da quando Ken ha deciso di strapparci con cotanta cattiveria la nostra bambina… Rachel è diventata un filino monotematica, ma mi sembrava una cosa troppo importante per poter essere dimenticata… Quanto meno mi avrebbe mandato per New York, o forse peril
 New York, a cercare un vestito da damigella…” commentò, facendo ridere i tre.
“ LeRoy e Brody?”
“In camerino. Mi sono rifiutato… Ma domani sarò costretto a partecipare alla folle ricerca delle scarpe!”
Si pregano i gentili spettatori di accomodarsi, lo spettacolo sta per iniziare. Grazie.
 gracchiò la voce metallica.
“A dopo!... Ah, Kurt? Io e LeRoy abbiamo una stanza in albergo, sai, pensavamo il tuo letto fosse occupato!” urlò, facendo l’occhiolino a Blaine, che arrossì e si lanciò sulla prima poltroncina libera.
“Tesoro, siediti…” mormorò Kurt, toccando la spalla della biondina.
“Tu devi sederti lì! Siete fidanzati! ” si lamentò lei, indicando il posto accanto all’altro ragazzo; il pediatra alzò gli occhi al cielo e obbedì.
Le luci si spensero e lo spazzacamino corse fuori dalle quinte, agitando il suo ombrellino nero. Un coro di
 Ohhh sorpresi si alzò quando i colleghi dell’uomo vennero calati giù con cavi d’acciaio.
“Oh… Volano!” mormorò anche Blaine, facendo ridere il fidanzato.
“B, hai ventiquattro anni e auspicabilmente l’anno prossimo lavorerai qui!” lo prese in giro, prima di accarezzargli la guancia con la punta del naso.  

    
***
                              
Kurt infilò la chiave nella toppa, la girò, prese la mano del moro e lo guidò dentro il proprio appartamento.

Chiuse la porta spingendoci il corpo di Blaine contro, che non oppose alcuna resistenza. Il più piccolo si avventò sulle labbra dell’altro, lasciando che le loro lingue s’intrecciassero. Avevano bisogno di quel contatto fisico, in quel momento più che mai, ma non c’era timidezza nei loro gesti: sentivano fosse esattamente la cosa giusta da fare. Il riccio lasciò una scia umida di baci dalla mascella al bianchissimo collo dell’altro, tempestandolo di segni rossi. Kurt gemette piano, poi gli prese il mento sollevandogli la testa, posando un bacio a stampo sulla bocca dell’altro e risalendo poi fino all’orecchio: “Spostiamoci.” gli sussurrò.
Blaine si lasciò trasportare fino alla camera da letto, fece cadere la giacca dell’altro a terra e prese a sbottonargli la camicia, tralasciando la cravatta. Il pediatra gli concesse il tempo necessario per compiere quell’operazione, perché sapeva che il moro aveva bisogno di scoprire il corpo dell’altro senza essere aiutato, e aspettò pazientemente finché la sua camicia non fu a terra. L’indice di Blaine percorse la linea accennata dei suoi addominali, facendo scaturire una serie di brividi lungo la schiena di Kurt, che a quel contatto non seppe più trattenersi. Gli sfilò il papillon fucsia e gli sbottonò velocemente la camicia, buttandola con mala grazia in un angolo della stanza. Si sentì in astinenza da quelle labbra come se gli mancasse l’aria e le stuzzicò coi denti per poi leccarle quasi avidamente. Poi portò sulla propria vita le mani di lui, che corsero a slacciargli la cintura. Quando i pantaloni calarono, Kurt se ne liberò definitivamente e fece sedere il moro sul letto, per sfilargli anche a lui. Nessuno dei due voleva essere malizioso: sapevano di appartenersi nel cuore e nello spirito, ma volevano di più, volevano essere il più vicino possibile all’altro. Il castano si mise in ginocchio tra le gambe dell’altro, poi si protese su di lui per baciarlo. Si staccò dopo qualche minuto, respirando forte sul suo viso e incastonando i propri occhi scuriti dalla passione nei suoi. Si permise un breve secondo di lucidità per constatare la situazione: sotto di lui, la sua anima gemella; nessun’ansia, nessun’imbarazzo per quella situazione; nessuna paura di pentirsi mai di quegli istanti; nessun groppo in gola per quanto stava per dire.
“Ti amo.” gli sospirò sulle labbra, conscio che fossero le uniche parole adatte ad esprimere quello che sentiva.
“Anche io.” rispose Blaine, annullando la minima distanza tra i loro volti. Le loro erezioni si strusciarono, evidenziando quanto i loro boxer stessero diventando ogni minuto più stretti e… inutili.
Kurt strinse tra indice e pollice l’elastico della biancheria di Blaine, dopo avergli rivolto un breve sguardo per assicurarsi che anche per lui quella situazione non creasse alcun disagio.
In tutta risposta, il riccio lo incitò a continuare, annuendo con la testa e accarezzandogli la schiena con una mano.
 

                                    ***                                       
 I loro corpi nudi erano stretti in un abbraccio, coperti dalle lenzuola ancora umide dei loro umori.
Le dita di Blaine continuavano ad esplorare quel corpo pallido e perfetto, sfiorandone la parte più intima che solo pochi minuti prima era stata dentro di lui, appagandolo ad ogni spinta, prima con dolcezza, poi con desiderio sempre crescente, fino a che entrambi avevano raggiunto il culmine del piacere.
“Sei stanco..?” sussurrò Kurt, mentre col proprio indice disegnava una serie immaginaria di piccoli cerchi sulla schiena dell’altro.
“Non proprio.” gli sorrise dolcemente il moro, accarezzandogli una guancia. Soffocarono quei mormorii in un nuovo bacio, lento e dolce come miele che cola.
“Sto per proporti qualcosa di molto intimo.” disse il pediatra senza riaprire gli occhi.
“Mh…” rispose l’altro, incapace di formulare una frase elaborata come Cosa c’è di più intimo di quello che abbiamo appena fatto?
“Vediamo Moulin Rouge cantando tutte le canzoni?”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, Kurt timoroso di aver rovinato l’atmosfera, Blaine con un’espressione indecifrabile stampata in volto.
"L'ho già detto che ti amo?"

 

 

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La long spin-off Thadastian la trovate qui ->
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1868522&i=1

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