Karma Rules di potters_continuous (/viewuser.php?uid=170985)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III. ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV. ***
Capitolo 5: *** Capitolo V. ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII. ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII. ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX. ***
Capitolo 10: *** Capitolo X. ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI. ***
Capitolo 12: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
“Non
puoi comportarti così!" lo rimproverò
Kurt, sull'orlo dell'esasperazione:"Sono pazienti e tu sei un
dottore." Sebastian ringraziò con un cenno del capo la
signora della
mensa, rigirò la mela tra le mani, poi l'addentò:
"Dimmi qualcosa che non
so, Hummel. " L'altro lo fulminò con lo sguardo.
"Siamo
in sindrome premestruale, miss
Elizabeth?" gli sorrise Sebastian, alzando le sopracciglia.
"Tu
trapeli simpatia da tutti i pori,
invece." ribattè stizzito il più basso.
Ignorò il suo "Sì, infatti."
e alzò la voce: "Vuoi la verità, Bas? Stamattina
ho dovuto dire alla madre
di un bambino di sei anni che suo figlio ha il cancro, lei continuava a
piangere e-
"Fa
parte del nostro lavoro,
Porcellana. Credi che io sia felice quando un intervento va male?
Così mi
focalizzo su quanta sofferenza provoco se sbaglio, e miglioro." lo
interruppe bruscamente il neurochirurgo.
"Fantastico,
peccato che esistano le
malattie terminali e che la mia 'bravura' non possa farci niente!"
sibilò
Kurt, stringendo i pugni per la rabbia.
"Potresti
evitare di farti venire una crisi
ogni volta, ad esempio! E’ il tuo lavoro da 4
anni!”
Kurt
aveva iniziato a lavorare come
pediatra all’Allen Pavillon subito dopo la fine dei suoi
studi e
dell’apprendistato all’età di 25 anni.
Aveva deciso di iscriversi alla facoltà
di medicina poco dopo il suo trasferimento a New York, più o
meno quando suo
padre si era ammalato, forse era stato proprio quello il
motivo della sua
decisione.
“Questa
non è né la prima né
l’ultima mamma che
viene a sapere una cosa del genere…Andiamo, il mondo non
è tutto rose e
fiori." disse il francesino, mentre scribacchiava qualcosa su un block
notes.
"Rose
e fiori?! E quando lo è stato per me?!
Mia madre è morta quando avevo 8 anni, sono stato vittima di
bullismo per tutti
gli anni del liceo, papà se n'è andato prima di
vedermi con il camice e-"
il rumore del cercapersone di Sebastian lo frenò,
lasciandolo con gli occhi
umidi, un lieve affanno e una fitta dolorosa al centro del petto.
"Devo
andare. A quanto pare qualcuno se la
passa peggio di te." disse dopo aver controllato velocemente
il
piccolo schermo. Si fermò dopo pochi passi: "Dimenticavo!"
esclamò,
sorridendo nel più stronzo dei modi e lasciando scivolare il
piccolo foglio sul
tavolo della mensa ospedaliera. Kurt lo prese e lesse: "Cyclodynon, per
dolori mestruali, due volte al giorno." Appallottolò il
foglio e lo tirò
cercando di colpire Smythe.Aveva conosciuto Sebastian proprio in
quell’ospedale.
Kurt era rimasto immediatamente colpito dal suo fascino e dal fatto che
fosse
sopravvissuto anche lui all’Ohio, forse un po’ meno
dal suo narcisismo e dalla
sua capacità di parlare sempre e solo di sé,
incredibilmente lievitati da
quando era stato promosso caporeparto, uno dei più
giovani caporeparto che
quell’ospedale avesse mai avuto, ma,
ciò nonostante, era ugualmente
caduto nella sua trappola. Uscivano insieme da ben quattro mesi.
***
Kurt
tentava di infilare la chiave nella
serratura da un paio di minuti. Aveva la mente altrove e la sua
coordinazione
oculo-manuale non era efficiente. Condivideva, sin da quando era
arrivato nella
Grande Mela, l’appartamento (se così potevano
definirsi alcuni dei posti
dove avevano vissuto) con Rachel Berry; si sentiva un eroe
per essere
riuscito a non ucciderla durante i nove e lunghi anni di convivenza.
Fortunatamente la ragazza venne in suo soccorso, ma non gli diede il
tempo di
entrare, saltandogli subito addosso.
“Rachel…?” rantolò Kurt,
ancora stretto
nell’abbraccio: “Ci tengo alla mia cassa toracica,
sai…!” Lo lasciò respirare,
cominciando a saltellare euforica per la stanza e a battere le mani
come una
bambina.
“L’ultima
volta che ho visto una scena simile è
stato stamattina all’ospedale, quando ho dato un lecca-lecca
a Claire” rise il
ragazzo “E lei ha cinque anni, Rach!”
“Ce
l’ho fatta, Kurt!” trillò, quasi
sbattendogli
in faccia una lettera. Lui sgranò gli occhi, ma si impose di
restare calmo
mentre apriva il foglio. Tentativo Fallito: “OH SANTISSIMO
CIELO, SEI MARIA! …West
Side Story! A Brodway!” Rachel
scoppiò a piangere e si gettò
nuovamente addosso al poveretto, che non era neppure riuscito a
togliersi la
giacca. Il fatto che fosse riuscita ad ottenere quel ruolo era qualcosa di formidabile, ci provava ormai
da anni, dal suo diploma
alla NYADA, per essere precisi. Finita l’accademia, Rachel
aveva trascorso un
anno infernale per lei, ma soprattutto per quel pover’uomo
che aveva dovuto
subire i suoi infiniti pianti ogni volta che le dicevano “ Le
faremo sapere” e
poi nessuno chiamava. Poi c’era stata quella che Kurt aveva
definito “La
svolta”: Cassandra July, durante una delle sue crisi
isteriche con più liquore
in corpo che sangue, aveva lanciato una sedia contro una povera
ragazza, che
l’aveva prontamente denunciata, facendole perdere la
cattedra. Da quel giorno
Rachel era diventata una specie di martello pneumatico nelle orecchie
della
Tibideaux, o meglio, nelle sue svariate segreterie telefoniche.
Finché la
povera donna, conscia del fatto che neppure eliminare fisicamente la
Berry
l’avrebbe fatta desistere, le aveva dato il posto.
“Un
telefono! Un telefono! Ora!” urlò la bruna,
staccandosi dall’amico e cominciando ad agitare le braccia in
maniera del tutto
inconsulta.
“Rach, non
farti prendere dalla fama… Il telefono è su quel
mobile e non ti salterà in
mano!” la prese in giro Kurt, togliendosi la giacca.
“
Devo chiamare i miei papà! Se non lo faccio
subito non riusciranno ad essere qui per la prima!” e corse a
recuperare il cordless.
“A
proposito, quand’è?” chiese lui,
cominciando a
cercare qualcosa di vagamente commestibile nel loro
frigorifero.
“Il
10 Gennaio. Ci sarai, vero Kurtie?” domandò,
avvicinandosi al ragazzo con un’aria leggermente preoccupata.
Non avrebbe mai
retto una giornata simile senza il suo miglior amico. Kurt ci
pensò su,
fingendosi particolarmente interessato alla data di scadenza delle
uova.
“Non
so… 10 Gennaio hai detto? Pensavo
che... Forse ho…” La ragazza non lo fece neanche
finire, prese semplicemente un
uovo dalla confezione e lo usò per minacciarlo.
“Tu
ci sarai, anche a costo di lasciar
morire i bambini!”
“
Certo che ci sarò, nana.” rise, poi si
chinò per baciarle la fronte. “Davvero
uccideresti….” Iniziò, poi si rese
conto
che Rachel stava già componendo il numero, probabilmente
scegliendo la maniera
più scenica per comunicare la notizia.
***
Kurt
guardò per l’ennesima volta l’orologio,
Rachel l’avrebbe scuoiato vivo se avesse fatto anche un solo
minuto di ritardo.
E, per la prima volta nella sua vita, lui non era intenzionato a farlo.
Era
colpa di Sebastian, in quei due mesi Kurt era quasi arrivato alla
conclusione
che qualunque cosa accadesse nella sua esistenza fosse colpa
di Sebastian.
Prese il telefono e decise di chiamarlo.
“Pronto?”
rispose con tutta tranquillità il
neurochirurgo.
“DOVE
DIAVOLO SEI?!” sbraitò, tutt’altro che
calmo, il più
piccolo.
“Calma.
In ospedale, dove altro dovrei
essere?”
“QUI!
Sai che giorno è oggi? Il 10 Gennaio! Di
cosa ti parlo da mesi?!”
“Di
qualcosa che non mi interessa e che quindi
non mi sforzo neppure di capire?”
“Ciao,
Seb. Ciao. Fammi solo una cortesia: vai a
fanculo!” e attaccò il telefono. Poi
combattè contro se stesso per non farsi
venire una crisi di nervi, prese il mazzo di fiori che aveva comprato
per
Rachel e uscì di casa sbattendo la porta.
*Revisione
autrici*
Questo
è più un
prologo che un capitolo vero e proprio: è davvero corto!
Abbiamo aggiustato l’html
^-^
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Capitolo 2 *** Capitolo II. ***
La
ragazza sorrise e strappò il biglietto, Kurt la
ringraziò ed entrò nella sala.
Fortunatamente, anche quella volta, Brodway ebbe il suo solito effetto
calmante
su di lui. Pensando al fatto che quella sera, su quel palco ci sarebbe
stata la
stessa ragazza che, poco più di dieci anni prima,
l’aveva trascinato lì per
cantare insieme, commettendo uno o due reati, riuscì a
stento a trattenere una
lacrima.
Lacrima che,
inevitabilmente, scese quando notò che nella
busta in cui Rachel gli aveva consegnato i biglietti, oltre quello di
Sebastian
-non voleva neppure pensare al suo nome- la ragazza aveva messo
qualcos’altro:
la foto che si erano fatti scattare da un turista giapponese
accanto
all’ingresso del celeberrimo
“Tiffany&Co.” durante il loro primo viaggio
a
New York.
La voce
metallica, che invitava il pubblico a prendere
posto, lo riportò al presente, così
cominciò a cercare la propria poltrona.
Rachel gli aveva detto, un centinaio di volte, per essere precisi, che
le
avevano riservato tre file e che lei aveva regalato i posti, oltre che
ai suoi
genitori ed amici, ad alcuni dei suoi alunni, per puro narcisismo,
secondo il
modesto parere di Kurt. Salutò, abbracciandoli, LeRoy e
Hiram che, uno più
agitato e preoccupato dell’altro, continuavano a battibeccare
accusandosi
vicendevolmente di aver dimenticato il bouquet da consegnare alla
figlia.
Brody, invece, che fissava esasperato i suoceri, gli diede
un’allegra pacca
sulla spalla che, come al solito, per quanto amichevole, avrebbe potuto
comunque stenderlo facilmente. Continuò ad avanzare,
cercando il suo posto e,
dopo essere incappatto in altri amici e aver scambiato pochi
convenevoli,
riuscì finalmente a sedersi, poggiando i fiori alla sua
destra, nel posto che
avrebbe dovuto occupare Sebastian, tra sé e due studenti di
Rachel. Nonostante
fosse orgoglioso e felicissimo del successo della sua migliore amica e
non
volesse rovinare la serata a tutti a causa del suo cattivo umore, non
riusciva
a fingere di non essere arrabbiato e deluso dal comportamento di quello
che
poteva definire, forse, il suo ragazzo. Erano ormai ai ferri corti e
all’altro
non sembrava importare minimamente, forse era stato solo un illuso a
credere
che il francese lo amasse. Kurt era un bell’uomo e Sebastian
passava moltissimo
tempo in ospedale, quindi non avendo modo di trovarsi qualcun altro,
aveva
probabilmente optato per lui. Non sapeva per quanto ancora avrebbe
retto quella
situazione…
“Oh mio
Dio, è uno dei Lanvin blu di Prussia che hanno
sfilato pochi giorni fa alla settimana della moda di Parigi!”
L’urlo
ammirato del ragazzo seduto al di là del mazzo di
fiori distrasse Kurt dai suoi pensieri e lo portò a
guardarlo:
era un ragazzo non
molto alto ma dalle spalle abbastanza
larghe e con i capelli incollati al cranio da un quintale di
ciò che a un primo
sguardo sembrava cemento armato al lampone. Non poté
continuare la sua analisi,
dato che il moro gli dava le spalle, e proprio per questo e per quella
frase
che indicava quanto fosse un appassionato della moda, Kurt decise che
anche
solo ascoltare lui e l’altro ragazzo sarebbe stato
più interessante che
rimuginare a vuoto e quindi spostò il bouquet e si
sistemò al posto di
quest’ultimo. Quella serie di movimenti attirarono
l’attenzione de due studenti
che si voltarono incuriositi. Sotto gli strati di marmo spiccavano due
strane e
un po’ ridicole sopracciglia triangolari, ma ciò
che colpì davvero il
controtenore furono due enormi occhi di un colore non definito tra
verde,
nocciola e dorato o una fusione dei tre in cui stava annegando. Fu
riportato a
galla dalla domanda del possessore delle suddette meraviglie.
“Ma stai
tenendo quel posto per qualcuno?” la curiosità,
per
quanto innocente, gli diede sui nervi e non riuscì a
trattenere una risposta
brusca:
“No,
doveva esserci quello stronzo del mio ragazzo, ma mi ha
dato buca quindi…” accorgendosi del suo scatto,
aggiunse “comunque, io sono
Kurt Hummel…”
“Io sono
Blaine Anderson e lui è Kevin Pike, siamo due
studenti di Rachel Berry… beh, è
un’eccellente cantante e ballerina, ma è
un’insegnante così insopportabile… Ma
chissà quanto avrai speso per quel posto,
sei un appassionato di musical?”
“Sì,
anche, ma in realtà non mi è costato nulla, sono
il
coinquilino di Rachel…” Kurt sorrise mentre quel
gran fig-Blaine arrossiva e
balbettava delle scuse imbarazzate.
“Non
preoccuparti, anche io spesso ho voglia di ucciderla! E’
una nanerottola saccente e egocentrica, ma impari a volerle
bene…”
“ Lei da
quanto la conosce?” domandò a quel punto il
più
giovane insultandosi mezzo secondo dopo per la sua totale mancanza di
discrezione.
“
Lei…? Hai scoperto che sono amico di Rach e passi al lei di
cortesia? Non ce n’è assolutamente
bisogno.” Commentò il dottore, divertendosi
da morire quando constatò che l’altro stava
arrossendo. “ Comunque, da tanto
tempo. Troppo tempo. Quindici, lunghi, lunghissimi anni. ”
“Quindici
anni? Quindici? ”chiese Kevin, affacciandosi con
aria sconvolta oltre Blaine.
“Esattamente.
Dopo il liceo, sono stato talmente masochista
da decidere di trasferirmi qui a NY con lei…”
spiegò Kurt, guardando
l’improbabile papillon lilla. Curioso, ma carino;
pensò Kurt,
dopotutto lui stesso era un fautore delle scelte azzardate nel campo
del
vestiario. Fu interrotto dalla voce metallica che annunciava
l’inizio dello
spettacolo, mentre le luci si spegnevano e i pochi ritardatari
correvano alle
poltroncine. Poi il sipario si aprì Su Rachel e Kurt si
chiese come avrebbe
fatto per tutto lo spettacolo si stava già commuovendo.
***
Kurt si era preso un
giorno di pausa dopo il debutto della
sua migliore amica. Era andato tutto a meraviglia: si era perfino
dimenticato
di Sebastian. Avevano fatto tardi, avevano brindato a un miliardo e
mezzo di
cose e lui aveva dovuto anche cavallerescamente cedere il suo
comodissimo letto
ai Sig. Berry e dormire sul divano; più che altro non aveva
avuto il tempo, la
forza e la lucidità mentale necessari per dar peso
all’orrida azione commessa
dal suo ragazzo. Ma ora che aveva avuto un giorno intero per pensare,
la sua
rabbia era solo montata di più e sapeva che a breve avrebbe
alzato la voce col
francesino. Si stiracchiò lentamente, tolse i tappi
dall’orecchie (Brody e
Rachel erano usciti anche la sera prima ed erano rincasati insieme, e
lui non
aveva nessuna intenzione di sentirli fare certe cose) e si
alzò. Aveva passato
una nottataccia: lo specchio rifletteva un uomo stanco, distrutto.
Tornò in
cucina, dove aveva dormito, e mise a fare il caffè.
“Buongiorno”
lo salutò Hiram Berry, uscendo dalla camera da
letto avvolto nella sua vestaglia viola.
“’Giorno…Caffè?”
chiese Kurt, continuando a litigare con la
cialda.
“ Tisana,
ma faccio io. Non ti preoccupare… Ancora grazie per
la stanza, hai delle occhiaie spaventose, senza offesa. Mi sento in
colpa….”
“ Non
dipende assolutamente da lei…”
“
Com’è che si chiama il ragazzo con cui stai
uscendo? Il
medico?... Ma questa è demenza senile!” disse
l’uomo colpendosi ripetutamente
la fronte in un gesto teatrale.
“…Sebastian….”
lo aiutò il più giovane, le cui budella si
contorsero al solo pronunciare quel nome.
“Esattamente…
Non c’era l’altro ieri a teatro, o
sbaglio?”
“No. Non
c’era. Ed è esattamente quello il problema, se
n’è
completamente dimenticato.”
“Uhm…
Vabbè, una volta LeRoy si è dimenticato del mio
compleanno, poco dopo la nascita di Rachel… poi mi ha
portato a cena fuori,
però.” Raccontò Hiram sperando di
riuscire a tirarlo su.
“Neanche
un messaggio…”
“Aspetta
che ti chieda scusa.” consigliò l’uomo
con un tono
paterno, che Kurt gradì.
“Non lo
farà. Ne sono certo. Grazie comunque per il
consiglio… Ora vado a prepararmi…” e si
alzò. Aveva davvero apprezzato
l’interesse del sig.Berry, ma aveva un
piano: oggi sarebbe stato
solo il Dottor Kurt Hummel, pediatra, ufficio al secondo piano
dell’Allen
Pavilion Hospital, Broadway.
*
“Buongiorno,
Clare” sorrise dolcemente Kurt, controllando la
cartella clinica vicina al letto della bambina. “Buongiorno
porcellana!” gli
rispose lei ridendo. Il castano la guardò interrogativo:
“Hey!” la rimproverò “Chi
ti ha insegnato questa parola?” ma la piccola
continuò a ridere, coprendosi la
bocca con le mani. Ahi. Aveva bisogno di
Sebastian: fra meno di un mese Clare avrebbe potuto aver bisogno di un
intervento, e gli serviva il parere di qualcuno che ne capisse
di
neurologia.
“ La tua
amica è stata brava?” chiese curiosa la piccola,
alzandosi leggermente dai cuscini. Kurt la adorava, era attenta ad ogni
particolare, incredibilmente matura per la sua età. Aveva 6
anni e non l’aveva
mai vista piangere, neppure quando le avevano fatto alcuni cicli di
siringhe.
“
Bravissima.” Sorrise, salutò la bimba con una
carezza, poi
andò a passo spedito fino all’ufficio del
chirurgo. Chiuse gli occhi e prese un
bel respiro ed entrò. Ignorando lo sguardo
dell’uomo seduto dietro la
scrivania, gli posò con una certa noncuranza la cartella
davanti e fece per
ritornare sui suoi passo: “Oh, andiamo!”
esclamò Smythe alzando gli occhi al
cielo: “Non sarai ancora arrabbiato, dopo una giornata
intera!” disse. Kurt si
voltò, lasciando aperta la porta e facendo qualche passo
avanti: “E tu come fai
ad essere così stupido dalla nascita?!”
urlò quasi il più basso, sentendo la
rabbia che aveva cercato di seppellire tornare su con violenza.
Qualcuno dietro
il pediatra si schiarì la voce timidamente.
“Dr,
Smythe c'è bisogno di lei. Blaine Anderson. 24 anni.
Giù in pronto-soccorso,
ipotizzano aneurisma celebrale." disse tutto d’un fiato
l’infermiera.
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Capitolo 3 *** Capitolo III. ***
Kurt
svoltò
l’angolo ed entrò nella sala d’attesa.
Nonostante fosse la notte tra venerdì e
sabato, era praticamente
vuota eccetto
per Rachel che, seduta su una sedia di plastica verde, si torturava le
mani e
fissava le porte in fondo al corridoio come se volesse vederci
attraverso.
Aveva ancora i vestiti della lezione interrotta quel pomeriggio, i
capelli
legati in uno chignon ormai quasi del tutto sfatto, gli occhi stanchi
cerchiati
da due occhiaie violacee ed era circondata da una serie di bicchieri di
caffè
vuoti. Era talmente concentrata che si accorse dell’amico
solo quando
quest’ultimo le toccò la spalla dolcemente,
facendola comunque sobbalzare dalla
sorpresa. Dopo un attimo di smarrimento scattò in piedi e
allacciandogli le
braccia al collo, esclamò:
“Quanto
ci hai messo? Sono qui da una vita e…” fu
interrotta dall’altro.
“Rachel!
Siamo in un ospedale non a Broadway, abbassa la voce! E sono arrivato
solo ora
perché la mamma di un paziente era preoccupata per la
broncopolmonite del
figlio, e ho dovuto visitarlo.” diede
una nuova occhiata alla stanza, ancora irrimediabilmente vuota e
aggiunse:
“Ma…
non c’è nessuno per Blaine?”
“No,
è anche per questo che sono qui… ma la tensione
mi sta uccidendo, era la mia
lezione e…” sussurrò la ragazza
abbassando gli occhi.
“Rach,
guardami!” le ordinò, portandole due dita sotto al
mento e sollevandole il
viso.
“Non
devi
sentirti colpevole, anzi stai facendo anche più di quello
che dovresti,
piuttosto i suoi familiari...”
Il
medico non terminò la frase, poiché un
uomo era appena entrato di corsa. La sua prima impressione fu di averlo
già
visto da qualche parte: alto, decisamente bello, dalle mani affusolate
che si
passava nervosamente trai capelli, scosso dall’affanno.
“Cerca qualcuno?” gli
chiese. “Cerco mio fratello... mi hanno detto che
è in sala operatoria.”
rispose l’altro, respirando profondamente per riprendersi.
“Cooper Anderson”
aggiunse poi, “Sono Cooper Anderson” .
“Oh, io sono Kurt Hummel, lavoro qui
come pediatra, e lei è Rachel Berry, insegnante di Blaine
alla Nyada. Siamo
tutti qui per suo fratello!” disse parlando per entrambi.
“Mi sono appena
precipitato qui da Los Angeles... cosa è successo,
dov’è, fra quanto potrò
rivederlo e-“ la sequela di domande fu interrotta dal
castano. “Non ne so
molto, ma il miglior chirurgo dell’ospedale sta operando
Blaine per un aneurisma,
lo scoppio di-“ “Una vena nel
cervello, sì, guardo CSI, so
cos’è.” lo fermò Cooper,
togliendosi la giacca e
sedendosi sulle tristi sedie blu della sala d’attesa.
Continuava a torturarsi a
ritmi alterni mani e capelli, ma sembrava che ostentare la propria
cultura lo
aiutasse a sentirsi padrone della situazione. Rachel, con gli occhi
lucidi e il
volto rigato da un paio di grosse lacrime, si girò per
guardare meglio l’uomo.
Le sembrava di provare un deja-vu. “Dr. House, il paziente
col Lupus, quello
che canta anziché parlare, per via delle
allucinazioni.” disse l’uomo, senza
che nessuno
gliel’avesse chiesto. Kurt
lo guardò, chiedendosi se stesse parlando a vanvera per via
dell’ansia, poi
vide la donna annuire e accennare un sorriso: “Ah, ecco dove
l’avevo già
vista!” gli disse, poi tornò scura in volto,
torturata dall’ansia.
*
Il tempo scorreva lento,
lentissimo. Rachel
era appoggiata sulla spalla di Kurt: faceva finta di dormire, ma
l’amico sapeva
che era solo una grande attrice, e che si comportava così
per non dar voce alle
sue ansie... e per evitare di parlare col fratello del suo alunno.
Anche l’uomo
accanto a lei fingeva: reggeva quello che sembrava un copione e
sillabava
qualcosa; a primo impatto il pediatra aveva pensato che stesse
studiando
qualche parte per distrarsi, ma si era accorto che gli occhi
rileggevano sempre
la stessa riga, e che la bocca sembrava mimare: “Fa che
sopravviva, fa che
sopravviva.” come un lungo ed estenuante mantra.
L’uomo interruppe un attimo
quella litania appena sussurrata, chiuse gli occhi e
strinse la mascella, poi si rivolse al
dottore: “Da quanto è in sala
operatoria?” chiese atono. Il più basso si
alzò
la manica del camice per controllare l’orologio, ma Rachel lo
precedette: “Tre
ore e mezza, Kurt.” disse piano. “Avevi detto tre
ore!” disse afferrandolo per
la spalla: “Tre ore, non tre ore e mezza!”
urlò quasi. Cooper lasciò calare la
sua maschera di leader, abbracciando la disperazione e tutte le ansie
che
questa porta: “Oh mio dio, mio fratello sta
morendo!” gemette, poggiando i
gomiti sulle cosce e reggendosi la testa con le mani tra i capelli. Il
medico
stava per lanciarsi in un altra serie di rassicurazioni, quando le
porte della
sala operatoria si spalancarono. Sebastian camminava lento, il camice
ancora
sporco di sangue, misurando i passi. Ma a testa alta.
“L’intervento è riuscito,
ma il paziente è ancora sotto anestesia. La presenza o meno
di conseguenze
potrà essere assicurata solo tra qualche giorno, quando
uscirà da Terapia
Intensiva.” disse soddisfatto, poi se ne andò,
lasciando Rachel che, sollevata,
abbracciava stretto il suo migliore amico e Cooper che, puntando il
dito e
mostrando un sorriso a trentadue denti, gli urlava dietro:
“Grazie, amico!”
***
“Come
sta? Kurtie, ti prego, fammi sapere.
E portagli i miei saluti.”
Kurt
guardò distrattamente lo
schermo, mentre salutava con un sorriso affabile l’ultimo
paziente della
giornata e la sua mamma fortunatamente non ipocondriaca.
Ringraziò che Rachel
non avesse deciso di chiamare, dal giorno dell’operazione di
Blaine Anderson
era diventata particolarmente isterica: voleva notizie sulla salute del
ragazzo
praticamente ogni dieci minuti, portava cibo decente tutti i giorni e,
soprattutto, tartassava Kurt di domande. Il pediatra
sospirò, era costretto ad
andare nell’ufficio di Sebastian e non voleva, assolutamente.
Dalla sera dello
spettacolo stava cercando di evitarlo e , con suo sommo stupore, ci era
riuscito.
“Buongiorno,
Dr. Hummel!” lo salutò
Alex, una delle infermiere. Alex era un donna strana. Molto
strana. Passava le sue giornate andando in giro per
l’ospedale, inutilmente nella maggior parte dei casi; non
aveva nessun
interesse nella medicina, ma aveva optato per quella professione
perchè, come
andava spesso dicendo, “ad
incontrare
tanta gente stramba si sentiva meno sola”. Quando
proprio non poteva andare
avanti e indietro, si fermava negli angoli più nascosti
dell’intera struttura
per parlare con le persone più assurde. Kurt non avrebbe mai
dimenticato che,
poco dopo essere stata assunta, l’aveva trovata seduta in
sala d’aspetto a
chiacchierare amabilmente con una vecchietta, o meglio con la vecchietta. La vecchietta era una
donna incomprensibile, che
rimasta sola, sperperava la sua pensione in visite mediche. Non aveva
mai
nemmeno un raffreddore, ma, in un insolito atto di
magnanimità, una volta
Sebastian le aveva diagnosticato un cancro benigno al cervello, da
allora suo
grande vanto.
“
Buongiorno, Alex. Tutto bene?”
“
Oh, benissimo. La settimana
prossima compio 24 anni! Torno a casa.” Alex era originaria
del Massachussets,
espatriata a New York subito dopo la fine del liceo.
“
Auguri!” le disse Kurt uscendo
dall’ascensore.
“
Sta andando dal Dr. Smythe?”
chiese, o meglio urlò, lei. Quella ragazza monitorava tutto: era gli occhi e le orecchie
dell’Allen Pavillion. Sì
voltò senza fermarsi e le annuì, poi
bussò
alla fatidica porta.
“Chi vuole fare sesso con me?” sentì
dire da dentro l’ufficio. Entrò,
controllò
che Sebastian fosse davvero solo, odiò il suo sorriso
beffardo, ignorò la
domanda e lo guardò scandalizzato: “Poteva essere chiunque!” “Forse ho
capito che sei tu, no?” gli chiese
retoricamente il chirurgo: “Sai, quando sei così
incazzato ti strafoghi con
enormi quantità di torta, prendi cinque chili, e io sento
arrivare il tuo passo
pesante.” gli sorrise sarcastico. Kurt rimase impassibile,
interiormente
disgustato ed incapace di trovare divertente la cosa, poi diede un
senso a
quella visita: “Come sta Blaine Anderson?” gli
chiese. Il chirurgo sbuffò:
“L’operazione
è andata bene. Io sono
stato bravo.
L’aneurisma ha colpito vicino la corteccia motoria primaria , quindi a livello cognitivo
dovrebbe
riprendersi piuttosto in fretta, ma le gambe sono
paralizzate.”
“Grazie.” disse secco Kurt, apprestandosi ad aprire
la porta. Sebastian si
alzò, costringendolo a fermarsi: “Non crederai che
ti permetta di venire
semplicemente qui, palesemente sotto ordine di Frodo
Baggins versione canta&balla tra l’altro,
per poi
andartene così.” gli disse suadente. “Ma
è quello che sto facendo” rispose Kurt
atono. “Brr, Hummel, sei così freddo.”
gli
sussurrò il francese: “Lascia
che ti
riscaldi...” Il pediatra strinse i denti, gli
lanciò uno sguardo di fuoco con
quell’esplosione di stelle che si ritrovava al posto degli
occhi, e fece ancora
una volta per andarsene. Ma di nuovo quella voce lo
fermò:“Ok, è assurdo, ma a
quanto pare sei ancora arrabbiato.”
“Complimenti per la perspicacia, Dr. Smythe!”
alzò gli occhi al cielo il
pediatra. “E non fingere di averlo realizzato ora! La
battutina di prima?!” gli
urlò contro. “Calma i nervi, Hummel: ho sentito
Alex chiedere a qualcuno se
stesse venendo da me, chi poteva essere?” gli rispose.
“Non è quello il punto!
Sapevi che ero arrabbiato. Sapevi che ero arrabbiato con
te. E non hai fatto nulla!” inveì il
pediatra. “Per uno stupido
spettacolo, Kurt?! Non vorrai farmi credere che-”
cominciò, ma il più basso
l’interruppe: “Innanzitutto non era uno
stupido spettacolo. Era il debutto a Broadway della mia
migliore amica e
potrà pure starti antipatica, di certo non ti obbligherei
mai ad apprezzare a
fondo Rachel Berry, ma io ti
volevo
lì.” esordì, con una certa calma
addirittura, come se avesse scelto in
precedenza cosa dire. “Non ho deciso di non venire, non me ne
ricordavo
assolutamente.” replicò l’altro.
“Non puoi dimenticare una cosa del genere. Non
puoi dimenticare qualcosa che ti ho ripetuto centinaia di volte, non
puoi
dimenticare l’argomento centrale delle nostre
discussioni!” si alterò “Ma forse
dovrei chiamarli monologhi!” aggiunse irritato.
“Sai perché all’università
saltavo i capitoli sull’epidemiologia? Perchè non
solo non mi interessavano
minimamente, sapevo anche che non mi sarebbero mai tornati
utili.” gli spiegò
l’altro. “Non devo tornarti utile, Sebastian! Per
te sono solo un corpo. La mia
personalità, i miei sentimenti... nulla di tutto questo ti
interessa
minimamente!” gli sputò addosso, realizzando tutto
ciò nel momento stesso in
cui lo diceva. “Io non sono un capitolo da saltare,
Sebastian.” aggiunse
calmandosi lentamente: “Sono carta bianca: voglio scrivere la
mia vita con
qualcuno, e quel qualcuno non sei di certo tu.” concluse.
“Lascia che mi faccia
perdonare...” sussurrò il francesino afferrandolo
per il fianchi, facendo scontrare
i loro bacini e chinandosi per mordergli il collo.
“Levami.Le.Zampe.Di.Dosso.”
sbottò
Kurt, poggiandogli le mani sul petto per allontanarlo. Sebastian
provò ad
avvicinarsi di nuovo, sussurrando con tono stascicato:” Non
dicevi questo
l’altra notte…”
“Spostati prima che io mi metta ad
urlare!”. Il chirurgo obbedì
sbuffando. “Possibile che pensi solo a questo?” lo
rimproverò il più piccolo arrabbiato.
“
Ma come siamo permalosi! Era solo
per allentare la tensione…” rispose non curante.
“Io non ne posso
più! Hai trentacinque anni, non diciassette! Quando ti
deciderai a crescere! Ora
volta pagina. Io lo sto già facendo.” e,
finalmente, uscì.
ANGOLO
DELLE AUTRICI
Prima
di tutto vogliamo ringraziare chi ci segue :3
Poi volevamo sapere... che ve ne pare di questo capitolo e della
fanfiction in
generale? Vi appassiona o la trovate noiosa? Fateci sapere!
Ah, volevamo scusarci perchè le nostre conoscenze in campo
medico sono pari a
quelle di Cooper (perchè ci siamo cimentate in questa cosa?!
Perchè
tu sei pazza e
mandi messaggi intriganti la notte di Natale!
<- risponde Cloud) e quindi forse sbagliamo un po’ di
cosette!
Beijos :))
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Capitolo 4 *** Capitolo IV. ***
Non sapeva perché fosse là. Certo, al suo conscio poteva dire che voleva solo rassicurare Rachel, controllando che il suo studente stesse bene, ma questa tesi non lo convinceva.
Il 10 gennaio Sebastian Smythe aveva deciso di non andare a vedere con lui “West Side Story”, dove debuttava la sua migliore amica: l’assenza del suo (ora ex) fidanzato aveva comportato una breve chiacchierata con un dolce ragazzo dai riccioli mori, gli occhi color nocciola ed una non trascurabile conoscenza dei musical, di nome Blaine Anderson. Due giorni dopo l’aveva colpito un aneurisma, proprio mentre prendeva parte ad una lezione di Rachel Berry, e l’ambulanza che la donna aveva prontamente chiamato l’aveva portato all’ospedale più vicino: l’Allen Pavilion Hospital. Tutta questa serie di coincidenze stordivano Kurt e avevano messo in combutta, per la gioia di Freud e quant’altri, le parti più recondite della sua anima: il suo subconscio, in qualche modo, lo portava da ore sempre nello stesso posto, di fronte alla stanza 713. Per andare dai suoi giovani pazienti non aveva bisogno di passare lì di fronte, anzi, questo allungava solo il tragitto, eppure l’aveva fatto. E quando prima aveva avuto bisogno di un caffè, foss’anche quella triste acquiccia mista a polvere che le aziende propinano per vero espresso, era andato alla macchinetta del secondo piano, e non a quella del piano sul quale si trovava. Così si arrese, abbassò piano la maniglia e spinse lentamente la porta. Blaine tentava di arrivare alla bottiglietta sul piccolo mobile vicino al letto, ma senza successo. Guardò per un attimo Kurt alzando le buffe sopracciglia triangolari e piegando la testa verso destra, come fanno i cuccioli, poi disse: “Buongiorno, Dr. Hummel.” Kurt gli sorrise: “Non ti avevo già detto di non darmi del Lei?”
Il moro camuffò l’imbarazzo con un debole sorriso, sembrò per un attimo tuffarsi nei suoi pensieri, poi rivolse di nuovo l’attenzione all’acqua.
“A-aspetta.” balbettò il pediatra, sperando di ricordarsi bene quale fosse il cassetto giusto: primo cassetto medicine, guanti, ovatta, cannucce; secondo cassetto effetti personali. Aprì il primo, ma a meno che il papillon potesse essere usato come laccio emostatico, quello non era il cassetto delle cose utili, così lo richiuse in fretta e passò al secondo.
“Ecco” sospirò “così dovrebbe essere più facile.” disse passandogli la bottiglietta con la cannuccia dentro. Aspettò che ne prendesse un sorso, poi chiese: “E’ già passato?”
“No, mi fa un male cane e non sento assolutament-“
“Non il dolore!” si affrettò a chiarire l’equivoco Kurt: “Il tuo... insomma, Smythe.”
“Oh, l’uomo che mi ha aperto la testa e salvato la vita?” chiese retorico Blaine corrugando la fronte “Sì, prima. Perché?” domandò innocentemente, prendendo un altro sorso d’acqua.
“Sei davvero interessato alla vita di uno sconosciuto?” gli chiese di rimando il castano. Blaine annuì, senza sapere che il pediatra si era rivolto anche a se stesso.
“Diciamo che...” mormorò “Ci siamo conosciuti e siamo entrambi rimasti colpiti dal fatto che l’altro fosse sopravvissuto all’Ohio... Siamo stati insieme qualche mese, ma ho realizzato che per lui era solo...” si interruppe, fissando la faccia del ricoverato. Ad un certo punto della frase gli era caduta la mascella, aveva le sopracciglia lievemente alzate e un espressione non proprio sveglia. Kurt si chiese se avesse detto qualcosa di sbagliato, si aggiustò i capelli, fece per ripassargli la bottiglia, ma Blaine la reggeva ancora.
“O-Ohio?” balbettò il moro “Vengo anche io da lì!”
“Non è possibile...!” mormorò incredulo il medico. Un altra coincidenza da aggiungere alla lista. E temeva che presto avrebbe dovuto aggiungere molte altre voci.
“ Westerville”confessò il più piccolo.
“Lima” rispose l’altro. Rimasero imbambolati per un altro secondo. Kurt stava ancora guardando fuori dalla finestra, tentando di calcolare quanto fossero basse le probabilità che fra i 52 Stati D’America venissero entrambi dallo stesso inutile quadratino di terra.
“Kurt..? Mi stavi raccontando qualcosa!” lo richiamò Blaine.
“…sesso.” Rispose Kurt, perseverando nella sua contemplazione del vuoto cosmico.
“ …Cosa?!”
“No… Intendevo: poi mi sono reso conto che per Sebastian era solo sesso…” spiegò imbarazzato il medico.
“ Ah, così ha senso…” lo interruppe il più piccolo, poggiando di nuovo la testa sui cuscini.
“ Ho ventinove anni, cerco una relazione seria, non una scopamicizia. Quindi l’ho gentilmente mandato a fanculo.” concluse.
“ Quindi era lui quello stronzo del tuo ragazzo? Bene, è divertente saper che l’uomo che mi ha aperto e ricucito la testa è uno stronzo.” Commentò, facendo ridere l’altro. “ E nessun rimorso?”
“Nessuno.” Sorrise Kurt.
***
Kurt si tolse il camice, lo piegò e lo posò nel piccolo armadietto del suo studio. Doveva solo consegnare una cartella clinica al terzo piano, nel reparto maternità, e poi sarebbe potuto tornare a casa, finalmente. Era reduce da sei ore di visite, senza pause. Kurt non aveva mai odiato nulla quanto l’influenza stagionale: centinaia di bambini. Centinaia di mamme esaurite. Uscì dalla stanza, guardò la sala d’attesa gremita di persone e poi, con un po’ di pietà, Sally, la povera donna che stava iniziando il suo turno in quel momento. Trovò l’ascensore occupato e decise di salire a piedi, dopotutto erano solo tre piani e un po’ di attività fisica non gli avrebbe di certo fatto male. Pochi minuti dopo si ritrovò al secondo piano e volse istintivamente lo sguardo verso la camera 713. Camera 713: Blaine Anderson. Tentò di ignorare l’impulso che lo spingeva, per chissà quale motivo, ad andare a salutarlo e continuò a camminare per il corridoi, tenendo lo sguardo fisso sulle tristi mattonelle di finto marmo che ricoprivano il pavimento. Quando passò davanti alla 713 sentì una leggera risata riecheggiare dalla porta semiaperta e non riuscì a resistere alla sensazione di spiare: una borsa da lavoro di pelle nera era poggiata sulla scrivania insieme ad una giacca da uomo del medesimo colore. Blaine riceveva pochissime visite, soprattutto da quando Cooper era stato costretto a tornare a Los Angeles, e sempre dalle stesse persone: Rachel, che continuava a portargli cibo da asporto; Kevin, che andava lì un po’ per fargli compagnia e un po’ per ringraziarlo dato che l’avere una stanza tutta per sé aveva decisamente scombussolato, in meglio, la sua vita sessuale; e, molto raramente, qualche altro ragazzo o professore dalla NYADA. Per questo motivo, Kurt trovò strano che ci fosse qualcuno in quella camera alle otto di sera.
“ Thad! Smettila di ridere!” sentì dire dall’interno della stanza. Thad? Il pediatra era convinto di non aver mai sentito quel nome. Bussò, poi si insultò da solo.
“ Prego!” urlò Blaine con una voce nettamente più allegra del solito.
“ Buonasera…” salutò il più grande entrando titubante. Il ragazzo seduto a piedi del letto, presumibilmente Thad, si voltò per guardarlo, poi allungò la mano destra per presentarsi “ Thad Harwood.” “ Kurt Hummel”. Ricambiò la stretta, poi si voltò verso Blaine, che li guardava sorridente dal suo letto.Sorridente. Bisogna essere davvero fenomenali per sorridere con le gambe paralizzate e una carriera di ballerino a metà. “ Stai meglio?” chiese. “ Un po’…” rispose il più piccolo ottimista, il medico si avvicinò al suo comodino e prese in mano la cartella clinica. “ Posso?” domandò, indicando il plico di fogli. “ Certo che sì, per me sono solo numeri senza senso…”. Non era cambiato nulla, tutti i valori erano praticamente identici a quelli dei due giorni precedenti. Kurt notò che l’amico di Blaine lo guardava preoccupato e gli sorrise, rimettendo a posto i fogli. Si guardò intorno e notò che qualcosa all’interno della stanza era cambiato: un mazzo di fiori freschi era stato poggiato sulla scrivania e un oggetto non ben identificabile era stato legato alle sbarre che formavano la testiera del letto. “ Cos’è?” chiese il più grande, indicando quest’ultimo. “ La cravatta della Dalton Accademy…” iniziò Blaine “ la scuola dove io e Thad…”
“ So cos’è la Dalton, Blaine. Ohio. Lima. Ricordi?” lo interruppe Kurt, poggiandosi contro l’anta dell’armadio alle sue spalle.
“Vieni anche tu dall’Ohio?” disse Thad, guardandolo.
“ Purtroppo. Anche Sebastian ha frequentato la Dalton.”
“Davvero?” intervenne Anderson incuriosito.
“Sebastian? Chi è?” domandò l’altro Usignolo tentando di dare un senso a quel nome nel suo cervello.
“Sebastian Smythe, il chirurgo che mi ha operato.” Spiegò il più piccolo.
“Smythe? Sul serio?” rise Harwood.
“Si, perché ridi?” chiese confuso Blaine. Kurt già subodorava il motivo di tale ilarità.
“ Quando io ero al primo anno, prima che tu arrivassi alla Dalton… Ho sentito parlare di lui…Aveva la fama di…” cominciò a raccontare Thad.
“E’ inutile che tu finisca la frase.” Lo interruppe Kurt, poi entrambi iniziarono a sghignazzare.
“ Perché?” chiese Blaine confuso con aria molto più innocente di quella che aveva il bambino di sei anni che Kurt aveva finito di visitare poco più di mezz’ora prima.
“ Si sarà portato a letto anche i professori…” dissero con tono esplicativo Kurt e Thad, in perfetta sincronia. Blaine rise.
“Comunque… Perché quella cravatta è lì?”
“ Sostengono che porti fortuna… E’ la mia. L’avevo portata per me, mi sto trasferendo ora a lavorare a New York, da Chicago…” iniziò Harwood.
“…Ma serve più a me e me l’ha ceduta… Kurt, sai dove può trovare un alloggio?” si intromise Blaine, non aveva assolutamente voglia di parlare di qualcosa di triste.
“Uhm… Ho cambiato talmente tante case da quando sono a New York… Credo di conoscere il quaranta percento di coloro che le affittano… Quante stanze?”
“Non cerco nulla di lussuoso…Ma preferirei avere due camere da letto: ho la famiglia più invadente del mondo, siamo messicani, non mi stupirei affatto se mi mandassero un fratello o un cugino in visita…” spiegò.
“Chiederò a Rachel… Ha moltissimi contatti…Beh io e lei abbiamo vissuto praticamente ovunque… Il primo posto in cui siamo stati non aveva le pareti. O meglio non le ha avute finché mio fratello Finn non le ha costruite…” Un fastidioso rumorino lo interruppe, Thad cominciò a scavare nelle tasche della giacca appoggiata sulla scrivania, quando riuscì finalmente a trovare il suo telefono. Guardò per un paio di secondi lo schermo, poi i suoi occhi si spostarono su Blaine. “ Chi è?” domandò curioso quest’ultimo.
“E’ Jeff. Lui e Nick mi chiedono se sono arrivato e se sono venuto a trovarti, sai, li avevo chiamati prima di partire. Anche per ricordare a Nick che deve andare ad annaffiare le mie piante finché non affittano il mio appartamento.” Sorrise di risposta Harwood, sedendosi nuovamente a piedi del letto.
“ Non li sento da tantissimo tempo! Continuano a litigare ogni mezz’ora?” ridacchiò il più piccolo.
“Ovvio. La settimana scorsa Nick è venuto a dormire sul mio divano visto che Jeff l’aveva cacciato di casa, con la fondatissima accusa di averci provato con un tizio in metro.” Rispose Thad, scuotendo la testa rassegnato.
“ Ancora! Ma stanno assieme da quasi…otto anni? Ho perso il conto!” commentò divertito Blaine.
“Jeff avrà sedici anni per sempre!”
“ Scusate, ma chi sono?” domandò Kurt confuso e divertito dalla piccola conversazione. Si sentì anche un po’ a disagio: Thad e Blaine erano due amici di vecchia data, non si vedevano da tanto e avevano sicuramente tanto da dirsi. Lui era enormemente fuori luogo.
“Solo due ragazzi che stavano con noi alla Dalton. Stanno insieme dal secondo anno, credo. Si amano, tanto…” raccontò Anderson con naturalezza, facendo improvvisamente passare la spiacevole sensazione che si stava facendo strada dentro il più grande.
“Ma litigano continuamente!” intervenne l’altro. Kurt scoppiò a ridere.
“Perché ridi?” chiese Blaine.
“Nulla…”
“Ti prego dimmelo! Fai ridere anche me, ne ho bisogno…” Il moro lo guardò per un solo istante negli occhi e Kurt non seppe dirgli di no. Anche se quello cui stava pensando era qualcosa di irrimediabilmente stupido, voleva vederlo sorridere. Così rispose: ” Solo che sono anni che dico che alla Dalton… Sono tutti gay!”
I due ex-usignoli furono travolti da un attacco di risate.
“Non tutti! C’è qualche eccezione che conferma la regola! Per esempio…” iniziò Thad.
“Wes, David…”
“… Andrew! Per il resto credo che tu abbia ragione…” disse il ragazzo, voltandosi verso il pediatra che continuava a sghignazzare.
In quell’istante un’orecchiabile musichetta risuonò dal cellulare che Thad aveva poggiato sui piedi di Blaine.
“Sono Nick e Jeff, posso rispondere o rischio di far esplodere qualche macchinario?” Chiese il proprietario del telefono, guardando prima Kurt, poi gli apparecchi che circondavano il letto del suo amico. Il medico controllò cosa fosse collegato al paziente e, constatato che non ci fosse nulla che potesse essere danneggiato dalle onde elettromagnetiche del cellulare, incitò il ragazzo a rispondere. Si eclissò quando Thad passò il telefono a Blaine, salutandoli silenziosamente con la mano.
Mentre saliva nel reparto di maternità, dopo quell’inaspettata, ma, non poteva negarlo, piacevole, interruzione, non riuscì a proibire a se stesso di gioire per l’aver scoperto che Blaine giocava nella sua stessa squadra.
***
-Allora, due gocce di queste mattina e sera per una settimana…- concluse Kurt, scrivendo con la sua grafia illeggibile ciò che stava dicendo. – Poi se la tosse non dovesse…- ma fu interrotto da urla femminili provenienti dal corridoio, urla che non avevano intenzione di interrompersi. – Mi scusi un attimo, credo stia accadendo qualche stranezza lì fuori…Come sempre…- e si alzò. Affacciatosi oltre la porta, identificò immediatamente la causa dei suoi problemi: una signora piccola e tondeggiante, appena sotto i sessant’anni, oltre modo ingioiellata, con un enorme, orrendo, cappello pesca che le copriva i capelli bruni, che inveiva contro un pover uomo, presumibilmente il marito. Quest’ultimo, alto e distinto, si guardava intorno imbarazzato, allentandosi l’elegante cravatta nera coordinata al suo costosissimo completo. –Sono in piedi da sei ore! Ho fame e sonno! E tu non sei in grado di trovare una stanza!- Kurt decise di intervenire, anche perché gli strepiti della signora avevano fatto scoppiare in lacrime tutta la sua sala d’attesa.
- Come posso aiutarvi?-
- Stiamo cercando la 713 da mezz’ora! Ma questo deficiente ha ben pensato di guardare le tette dell’infermiera anziché memorizzare le indicazioni!- sbraitò, indicando teatralmente il consorte.
- Capisco…No, in realtà, no… Comunque, potrebbe cortesemente abbassare il tono di voce? Sa, siamo in un ospedale.- la riprese il medico, la donna arrossì e mormorò un imbarazzatissimo “Scusi”. – Bene, ora può ripetermi quale stanza state cercando?-
- La 713.- intervenne l’uomo. 713? La 713 era la camera di Blaine Anderson. Quindi quelli dovevano essere i suoi genitori… Quelli che non gli avevano ancora fatto visita dopo due settimane di degenza? Quelli contro i quali aveva sentito Cooper lanciare un’indeterminata serie di insulti? Si, dovevano essere loro.
- La 713 è al secondo piano. Corridoio C.- rispose, chiedendosi se Blaine avrebbe apprezzato quell’incontro.
-Oh, grazie mille!- lo salutò la donna, prima di spingere il marito su per le scale.
Angoletto autrici:
Scusateci! Chiediamo umilmente venia. Siamo in un ritardo schifoso, ma abbiamo avuto diversi impedimenti: tra scuola, malattie nostre e di congiunti vari, viaggio d’istruzione a Roma dalle amabili suore carmelitane…
Scusate!
Però dai, il capitolo è più lungi: i Klaine si parlano, arriva quell’orsetto di Thad, i genitori di Blaine…
Ci siamo fatte perdonare almeno un pochino?^-^
Piccolo spoiler: Preparatevi all’arrivo dei Niff!
Beijos, Potters ^-^ |
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Capitolo 5 *** Capitolo V. ***
Kurt
camminava per il corridoio del secondo
piano, attento a non pestare le fughe tra le mattonelle, come faceva
quando era
piccolo. Gli balenò in mente un ricordo
dell’infanzia: lui che strattonava la
gonna della madre per attirare la sua attenzione e convincerla, con gli
occhi
umidi, a comprare i piselli dolci al supermercato.
Era
tornato al presente grazie alla macabra
visione di Alex che trasportava una quantità di provette
decisamente eccessiva
in relazione alla sua imbranataggine e, per il bene dei pazienti, degli
inservienti e dell’ospedale stesso, aveva deciso di aiutarla.
In quei tre giorni aveva cercato di evitare il secondo piano, e si
sarebbe
risparmiato quel viaggio anche ora, ma oramai era lì.
L’unica cosa che poteva
fare era pensare a tutt’altro, a qualunque cosa che non fosse
minimamente
collegata alla 713, o meglio, al suo contenuto. Percorse quel tragitto
senza
mai alzare gli occhi da terra, ripassando mentalmente il testo di Come what may, quando un rumore
metallico interruppe il contorto filo dei suoi pensieri: possibile che
venisse
proprio da..? Non era pazzo, anche l’infermiera si era
voltata di scatto verso la
camera occupata da Anderson. Esitò un attimo, poi si
avvicinò alla porta e
l’aprì. La
scena che gli si presentò era
piuttosto impressionante: un tristissimo vaso di ferro, evidentemente
l’oggetto
che aveva causato quel frastuono, giaceva sul pavimento accompagnato
dagli
iberidi che conteneva prima della rovinosa caduta. Alzò
titubante gli occhi
verso il letto, chiudendosi la porta alle spalle. “ Mi hanno
portato dei
fottutissimi iberidi! Sai cosa vogliono dire gli iberidi? Indifferenza.
Ti
rendi conto?!” imprecò, scostandosi le coperte di
dosso. Si afferrò una gamba
tentando di spostarla verso il bordo del letto, ma nel fare
ciò si impigliò nel
tubicino della flebo, bestemmiò di nuovo e provò
a staccarlo, in preda ad una
crisi di nervi. “Hey! Hey! Hey, con calma!” si
fiondò verso di lui, riuscendo a
non scivolare sull’acqua dei fiori, per tentare di fermarlo.
Gli bloccò il
braccio che tentava di staccarsi la flebo, inducendolo a fissarlo:
“Calma”
disse in modo sia dolce che autoritario. Il riccio fissò
intensamente quegli
occhi, quel cielo stellato, quell’esplosione, quello tsunami
che erano e volò,
esplose e nuotò dentro di loro: sentì i muscoli
tesi allentarsi, una singola
goccia di sudore scendergli dalla fronte, il cuore che non accennava a
rallentare. “Inspira ed espira, Blaine” gli disse
piano il più grande,
accarezzandogli la mano gonfia per calmarlo. Aspettò che
facesse quello che gli
aveva detto, poi disse: “Non credo conoscano il significato
dei fiori: il
fioraio qui sotto vendeva mazzi di iberidi a meno di cinque
dollari.” Si
accorse che questo non migliorava molto la situazione, così
si affrettò ad
aggiungere: “Sono bei fiori! E chi prova indifferenza non ne
regala!”
L’usignolo scosse la testa: “Non li conosci: si
comportano così perché lo
impone la società, o il galateo, o la
televisione…”
Kurt prese una sedia e la avvinò al letto:
“Parlarne è sempre meglio che danneggiare
te e… l’ambiente che ti circonda.” disse
sedendosi. Blaine sospirò,
accarezzandosi la radice del naso con pollice ed indice, e tentando di
risistemarsi le coperte cadute nell’impeto dello sfogo
precedente. Il medico
gli diede una mano, rimboccandogliele, poi
tornò dov’era prima.
“
Sono venuti qui dopo due settimane, Kurt.
Due settimane. E solo perché costretti dalla decenza e da
Cooper, credo. Non ne
avevano la benché minima intenzione. Sono convinto che non
abbiamo neppure ben
capito cos’ho avuto, probabilmente neppure gli interessa
sapere quando e
soprattutto se tornerò a camminare. Tanto non hanno mai
voluto che ballassi,
non mi hanno mai visto ballare in realtà… Sai
cosa mi ha detto mio padre ieri?”
si fermò un secondo, come se davvero volesse una risposta,
ma Kurt era
totalmente senza parole. “ Mi ha detto: se
avessi studiato giurisprudenza, come volevo io, tutto ciò
non avrebbe
minimamente influito con la tua carriera. Ti rendi
conto?”
Il
medico era completamente allibito e
provò a dire l’unica cosa che, per lo meno, non
avrebbe peggiorato la
situazione: “ E t-tua madre?”
“
Mia madre è una donna totalmente priva di
un’opinione personale. Da sempre, ha sposato papà
soltanto perché era un
dipendente di mio nonno materno e da quel momento è sempre
stata d’accordo con
lui, da quando ho memoria non l’ha mai contradetto. E così
è stato anche in questo caso,
ovviamente. Si è limitata ad annuire o a lamentarsi per
l’aver dormito poco o
perché il viaggio dall’Ohio è troppo
lungo…” Blaine poggiò la testa sul
cuscino, chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli,
maledicendoli in
un sussurro.
“
Sono andati via? Sono stati qui tre
giorni… o sbaglio? E’ per questo che non sono
passato, insomma non volevo…”
provò a dire Kurt, ancora scosso da quelle dichiarazioni.
“Sì,
finalmente sì. E, fidati, una tua
visita non avrebbe interrotto proprio nulla,
anzi…” tacque per un secondo, poi
cominciò a parlare di nuovo, però con un altro
tono, il medico non avrebbe
saputo definirlo: era come se Blaine stesse pensando ad alta voce, ma
allo
stesso tempo volesse essere ascoltato. “Mia madre potrebbe
essere paragonata a
Narcissa Malfoy, è completamente schiacciata dalla
società, morbosamente legata
alle apparenze, del tutto succube di… mio padre, del
giudizio altrui, di tutto.
Quand’ero piccolo era diverso: quando tornava a casa la sera,
mi chiedeva
com’era andata a scuola, se avevo conosciuto qualcuno, se mi
ero divertito…
soprattutto le interessava la mia risposta. Ha sempre lavorato molto,
sempre
fuori casa, passavo i miei pomeriggi con Cooper. Mio fratello quando
aveva
ventitré anni lasciò
l’università, non gli piaceva quello che stava
studiando-
giurisprudenza, tanto per essere originali- e non riusciva ad andare
avanti con
gli esami, mio padre si infuriò, ma fortunatamente non gli
negò i fondi per
partire per Los Angeles… Avevo poco più di dieci
anni quando questo successe e
da quel giorno, per i quattro anni che seguirono, i miei riposero tutte
le loro
aspettative su di me. Tutte. A quanto pare, a quattordici anni, quando
ho fatto
coming-out le ho deluse…” Kurt aveva immaginato
che potesse essere quello il
motivo, ma fino a quel momento aveva sperato di essersi sbagliato.
“... E’ la
seconda volta in vita mia che finisco in un letto d’ospedale
e in entrambi i
casi mio padre non si è risparmiato un amorevole te l’avevo detto.” Il
medico gli rivolse uno sguardo a metà tra
l’interrogativo e il compassionevole, non sicuro di voler
sapere in che
circostanze si fosse verificata la prima occasione. Blaine
riaprì lentamente le
palpebre, guardando l’altro con gli occhi lucidi di un
cucciolo bastonato, poi
fissò il soffitto. “Durante il mio secondo anno,
organizzarono il Sadie
Hawkins… Era giusto un paio di mesi dopo il mio disastroso
coming-out e, sai,
le voci girano davvero in fretta al liceo. In realtà mi ero
illuso che almeno a
scuola non l’avessero presa tanto male: mi spingevano contro
gli armadietti, mi
additavano, mi chiamavano checca, ma… su internet leggevo di
peggio, e poi le
stesse cose succedevano all’unico altro gay dichiarato della
scuola. Andai al
ballo con lui, o meglio, mi presentai con lui, ma prima ancora che
potessi
entrare nella palestra della scuola alcuni ragazzi ci si avvicinarono.
Lui
riuscì a scappare: io non correvo ancora decentemente per la
storta alla
caviglia che mi avevano procurato pochi giorni prima buttandomi
violentemente
contro un armadietto. Li fissai e basta, impotente, senza il coraggio
di dirgli
quanto fossero stupidi ed ignoranti, senza sprecare la voce per
chiedere aiuto:
il primo pugno mi colpì allo zigomo destro. Il dolore atroce
non era quasi
nulla in confronto all’umiliazione. Uno dei tre mi diede un
calcio in mezzo
alle gambe, sogghignando che le palle non
mi sarebbero mai servite. Poi mi colpirono alle costole,
credo. Non ricordo
bene: troppo dolore, troppa mortificazione… Mi sono
svegliato in ospedale: tre
costole incrinate, un dente scheggiato, lividi più o meno
ovunque… Ah, tagli su
una spalla, dove pare mi avessero colpito con una bottiglia di birra
vuota.
Quando mi sono svegliato la mattina dopo non c’era nessuno,
Coop arrivò dopo un
paio d’ore, LA non è così vicina
all’Ohio; i miei si presentarono verso l’ora
di pranzo, mi dissero che era ovvio che fosse finita così,
che non riuscivano a
capire cosa mi aspettassi… Per poco non usarono
l’aggettivo giusto…
Decisero che nessuno avrebbe
dovuto conoscere quella storia…” si
bloccò per un istante, fermato dalle
lacrime che ormai rigavano silenziose le sue guance.
“N-non
l-li denunciasti?” balbettò Kurt che
continuava a guardare il pavimento, combattendo contro i suoi ricordi.
Il
rumore di una persona spinta contro un armadietto lo conosceva fin
troppo bene.
“Non
me l’hanno permesso. Te l’ho detto:
non volevano che si sapesse in giro, una denuncia avrebbe sicuramente
diffuso
il tutto a macchia d’olio. In più uno degli
aggressori era il figlio di un
cliente di mio padre…” Il medico era totalmente
sconvolto, quell’uomo non aveva
voluto che il suo stesso figlio
avesse la giustizia che meritava? “Da quel giorno ho fatto
ciò che mi hanno
detto: sono andato alla Dalton Accademy, ho perfino finto di essere
interessato
alla figlia di un amico di famiglia, ho rimontato un auto, mio padre
credeva
che questa noiosissima attività mi avrebbe reso
più etero…”
“Cosa?!
Io so vivisezionare un motore!” lo interruppe per un secondo,
ma Blaine
continuò a raccontare: “Odiavo casa mia, la Dalton
è stata una vera e propria
benedizione. Lì dentro ho conosciuto persone spettacolari:
Thad, Nick, Jeff,
Wes, David… Hanno completamente rivoluzionato la mia
concezione della vita.
Quando arrivai alla Dalton ero terrorizzato… semplicemente
terrorizzato da
tutti e da qualunque cosa. Non potevo sentire un armadietto sbattere
senza
andare in panico, consideravo chiunque si avvicinasse un potenziale
pericolo e
proprio per questo non parlavo con nessuno. Il primo ragazzo che ho
conosciuto
è stato Thad, era il mio compagno di stanza. È
sempre stato gentile con me,
nonostante fossi schivo e scorbutico. Mi ha salvato quando, i primi
giorni di
lezione, mi sono perso. La Dalton è un labirinto e il mio
praticamente
inesistente senso dell’orientamento non aiutava di
certo… mi ha anche soccorso
in mensa, giusto prima che facessi rovinosamente cadere il mio pranzo a
causa
dei tagli sulla spalla e mi ha fatto sedere con lui e i suoi amici:
Nick e
Jeff.
Beh,
quei due sono stati molto importanti per il mio processo di
integrazione,
vedere come stessero assieme senza preoccuparsi di cosa pensassero gli
altri,
non che gli altri pensassero qualcosa di diverso da siete
così adorabili che potrei aver bisogno di un dentista,
mi è
enormemente servito. Fu sempre Thad a consigliarmi di iniziare con la
boxe…
devo dire che è molto utile: scarica i nervi, libera dalle
preoccupazioni e se
dovesse ricapitare un episodio del genere, saprei difendermi. Verso la
fine
dell’anno mi sentì cantare sotto la doccia e mi
portò di peso a fare
l’audizione per entrare negli Usignoli… beh, sono
diventato il loro leader…”
Kurt
notò che da quando aveva iniziato a parlare della Dalton la
sua espressione era
cambiata, un piccolo malinconico sorriso era apparso sul suo volto e il
medico
sperava che sarebbe rimasto lì fino alla fine.
“Ma
la cosa realmente incisiva è stata un’altra.
L’estate prima del quarto anno io
e Thad siamo andati a casa di sua nonna in Messico e…
lì ho capito davvero, per
la prima volta, cos’è una famiglia.
E’
stata la vacanza più serena della mia vita, la mia unica
preoccupazione fu
quella di dover far capire all’adorabile vecchietta che io e
suo nipote non
stavamo uscendo, nonostante lei pensasse che fossimo perfetti
assieme.”
Il
pediatra ridacchiò, sollevato da quella parte di storia.
“
Così, una volta tornato negli USA, ho deciso che avrei
smesso di assecondare i
miei genitori, di cercare di compiacerli inutilmente... Infatti ho
fatto
domanda alla NYADA, ho avuto un ragazzo, niente di importante,
ma… Ho fatto il
provino, sono passato e appena due settimane dopo il diploma mi sono
trasferito
qui… La mia vita New Yorkese non è male. Beh,
decisamente questo non me
l’aspettavo…” concluse.
“Da
quanto non vedevi i tuoi?” domandò Kurt.
“Da
Natale, sono tornato in Ohio, non per loro. Quest’anno erano
tutti lì: Nick,
Jeff, Thad, Coop… Sono stato pochissimo in
casa…E, sinceramente, mi è
bastato…”
rispose, poi si guardò il braccio dove era infilato
l’ago della flebo con
un’espressione un po’ sofferente.
“Hey?
Tutto bene?” chiese Kurt, inclinando leggermente la testa
verso sinistra e
fissando anche lui quello stesso punto.
“Uhm…
credo che quest’affare si sia spostato un po’?
E’ possibile?”
“
Certo che è possibile… Hai provato a
staccartelo!” sussurrò il medico, capendo
che non era esattamente la cosa giusta da dire. “Posso
controllare?” disse ad
un tono di voce udibile.
“Certo…”
Il
pediatra si avvicinò, constato che l’ago si era
visibilmente spostato, lo sfilò,
prese un po’ di disinfettante dal secondo cassetto e lo
ripulì. Blaine lo fissò
con un aria terrorizzata non appena tentò di rinfilare
l’ago al suo posto, la
scenetta fece ridere Kurt.
“Quanti
anni hai? Oggi ho fatto una vaccinazione ad una bimba di 22 mesi ed era
meno
spaventata di te!” lo prese in giro.
“N-non
ho paura! Mi fa solo un po’
impressione…!” tentò di difendersi il
più piccolo
arrossendo.
“Davvero?
Allora guarda dall’altra parte… Se ti fa ancora
paura, posso darti una
caramella…” e mentre lo diceva, a tradimento,
punse Blaine.
“Stronzo!”
“Uhm…
forse i bambini sono meglio, scoppiano a piangere ma per lo meno non mi
insultano…” Iniziarono entrambi a ridere, una
risata finalmente leggera e
spensierata.
“Come
mai sai smontare un motore?” chiese Blaine inaspettatamente.
“Come
mai ti interessa?”
“Non
si risponde ad una domanda con un’altra richiesta, sai?
Comunque, ti ho
raccontato praticamente tutta la mia vita… Mi sembra ovvio
che voglia sapere
qualcosa anche io!” disse, alzando le spalle.
“Touché.”
Sorrise “Mio padre a Lima aveva un’officina e le
paghette crescevano
esponenzialmente se scendevo a dargli una mano.”
“Uhm…
I tuoi genitori?” Kurt esitò un secondo, odiava
rispondere a quella domanda.
Sapeva già che l’espressione di chi si trovava
davanti sarebbe cambiata, che
quel qualcuno avrebbe assunto immediatamente un tono compassionevole e
lo
odiava.
“Sono
morti” Blaine sbarrò per un secondo gli occhi poi
chiese senza pensare
minimamente: “Quando? Ti mancano?” Kurt sorrise,
sorrise perché era una
risposta originale e soprattutto spontanea, tanto innocente da sembrare
pronunciata da un bambino.
“S-scusa..
Non sono fatti miei…” balbettò,
abbassando gli occhi.
“Non
è un problema… Per lo meno non mi hai detto mi
dispiace… Mia madre è morta ormai venti
anni fa, ero piccolo e la adoravo.
Semplicemente la adoravo, era una donna meravigliosa e sì,
mi manca ancora
tantissimo.
Tra
me
e mio padre c’era un rapporto... finto: capivo quanto bene mi
volesse, ma non
mi sentivo accettato, mi sentivo fuoriposto, perfino a casa mia.
È cambiato
tutto il giorno del mio coming out-” Kurt si
arrestò, indeciso se continuare o
meno, poi proseguì: “È troppo
imbarazzante da raccontare!”
“Ti
ha trovato a letto con qualcuno?” gli chiese Blaine con uno
sguardo eloquente.
“N-non
così imbarazzante!”
arrossì il
medico. “Mi ha visto provare Single
Ladies con due mie amiche. In una tutina aderente, gilet e
guanto abbinato
in paillettes. Mi ha chiesto se una
di quelle due fosse la mia ragazza...” disse ridendo.
“È stato allora che..?” gli chiese
Blaine, senza concludere la frase. “No, ho finto
che la tutina
estremamente attillata che avevo addosso fosse obbligatoria per chi
giocasse a
football ed ho convinto una squadra intera a ballare Beyoncè
sul campo, per
incitarmi a segnare. Una delle soddisfazioni più grandi
della mia vita!”
esclamò imbarazzato ma felice. Il riccio cercò di
non pensare troppo
all’eccitante scena del medico che si trovava davanti in body
ed intento a
ballare sensualmente, ma era un immagine davvero troppo invitante e
rise
distogliendo lo sguardo per potersela figurare. “In ogni
caso” riprese Kurt
“Non ne potevo più di tutta quella
falsità e dissi a mio padre la verità.”
“Come l’ha presa?” domandò
Blaine in apprensione.
“Mi
ha detto che lo sapeva da quando avevo tre anni: chiedere tacchi al
compleanno
deve essere sembrato poco virile.” rispose con un sorriso
sghembo.
“ Poco dopo mio
padre ha conosciuto Carole. O
meglio, sono stato io a farli incontrare, av-“ si
bloccò un secondo. “Altro
pezzo imbarazzante di questa storia…”
“Dimmelo.”
decretò Blaine categorico.
“No,
non lo farò…”
“Lo
farai!”
“Dimmi
qualcosa di imbarazzante sul tuo conto… Poi
valuterò la possibilità di
parlare!” rispose il medico, sfoggiando un sorrisetto
malizioso.
“Credo
che, vista dall’esterno, tutta la mia vita sia considerata
tale, in ogni caso…
A diciassette anni ho cantato una serenata ad un commesso di GAP.
Dentro il
negozio, il giorno di S. Valentino. Avanti, parla!”
“Davvero?”
rise Kurt.
“Si,
l’hanno anche licenziato per questo!” rispose il
più piccolo, il medico
continuò sghignazzare per un paio di minuti, poi riprese a
raccontare: “ Okay,
okay… Ti sei meritato il continuo… Ho presentato
Carole a papà perché avevo una
cotta per suo figlio Finn, etero, ex ragazzo di
Rachel…”
“Tu
avevi una cotta per il ragazzo della Berry?!”
“Tecnicamente,
all’epoca, non erano ancora fidanzati…”
precisò il pediatra, poi continuò:
“Comunque, mio padre e Carole cominciarono a frequentarsi ed
io ero geloso del
rapporto tra il ragazzo per cui avevo una cotta colossale e
l’uomo che mi aveva
cresciuto: parlare di sport, ragazze, auto… Il virile
rapporto padre-figlio che
per me non sarebbe mai esistito. Così mi sono finto etero
fidanzandomi con
l’attuale ragazza della mia migliore amica
lesbica!” concluse con una smorfia disagiata,
realizzando nel momento stesso in cui pronunciava quella frase quanto
strana
fosse per certi aspetti la sua vita. Il moro non poté fare a
meno di scoppiare
a ridere.
“Siete ancora amici?” gli chiese
quand’ebbe finito di sghignazzare.
“Credo
di doverle la vita, sono talmente indebitato con Santana che anche se
smettessimo di frequentarci mi scoverebbe ovunque fossi, pretendendo i
più
disparati favori.”
“Cosa
ha fatto di tanto impagabile?”
“Per
spiegartelo devi conoscere gli antefatti… Sicuro di non
annoiarti?” gli sorrise
lievemente preoccupato Kurt.
“Scherzi?!
Dai, continua…” lo incitò Blaine.
“Il
mio liceo. Sono stato chiuso lì dentro per quattro anni,
quattro anni di puro
incubo. Non c’era un giorno in cui non mi tartassassero:
buttato per terra, nei
cassonetti, spinto contro gli armadietti, bersaglio preferito dei bulli
e delle
loro granite, che puntualmente mi lanciavano contro. Non so se fosse
più freddo
il ghiaccio che si scioglieva su di me o i loro sguardi di disgusto, se
fosse
più forte il dolore fisico o quello morale. E il preside lo
sapeva: sapeva
quello che passavo tutti i giorni, sentiva darmi del frocio
davanti al suo ufficio, ma non fece nulla. Delegò
il tutto
con bravate da ragazzi e disse che
non disponeva di abbastanza prove per espellere Karofsky.”
“Chi…?”
domandò Blaine, corrugando la fronte.
“David
Karofsky. Proprio a lui dovevo arrivare. Il peggiore, sicuramente il
peggiore
tra quelli che mi perseguitavano. Un giorno mi insultò e io,
ancora non so
perché, lo seguii negli spogliatoi per dirgli di lasciarmi
in pace, o qualcosa
di simile, e lui mi baciò.” Kurt si
fermò, guardando l’espressione di puro
stupore comparsa sul viso del moro. “ Già. Mi
baciò, poi passò le successive
due settimane a minacciarmi. Diceva che mi avrebbe ucciso se
l’avessi raccontato
a qualcuno e io ci credetti. Ero terrorizzato, non potevo parlare con
nessuno:
mio padre avrebbe fatto qualche stronzata e aveva avuto un infarto meno
di un
anno prima, non volevo che si agitasse; chiunque altro, sarebbe stato
troppo
pericoloso… Santana un giorno mi trovò mentre
leggevo piangendo uno dei tanti
foglietti minatori che Karofsky lasciava nel mio armadietto…
Insistette
talmente tanto che non riuscii a mentirle: le confessai tutto, fu
più che altro
un crollo nervoso. Mi rispose: sono una
lesbica velata – all’epoca era
innamorata di Britt, ma non stavano ancora
insieme- e una sparasentenze dichiarata,
il mio gayradar è infallibile! Lo sapevo!, poi
andò da Karofsky e si offrì
come sua ragazza di copertura, a patto che mi lasciasse
stare… Lui accettò e
andò meglio, per un po’…” il
medico si bloccò e alzò gli occhi dal pavimento
per poi rivolgerli
verso Blaine.“Poi…?”
chiese quest’ultimo.
“Neanche
io ho una bella esperienza con i balli scolastici… Durante
il ballo del terzo
anno fui eletto Reginetta- aveva ragione mio padre, indossare un kilt
fu un po’
troppo provocatorio - la più grande umiliazione della mia
esistenza, il mio
preside non fece nulla per risparmiarmela, mi proclamò
Reginetta, con tanto di
corona e mi disse che dovevo ballare con il Re: Karofsky.”
Gli occhi del più
piccolo lo fissavano preoccupati. “ Lui scappò e
io rimasi solo al centro di
quella pista. Ma Santana mi salvò la vita per la seconda
volta: salì sul palco,
doveva cantare Dancing Queen quindi
nessuno ci fece caso, all’inizio, poi urlò Gente,
si accertò di avere l’attenzione di tutti e
baciò Brittany. Subito dopo cominciò
a sbraitare: Avete qualcos’altro di
cui
parlare? Contenti?! Si, mi ringrazierete dopo. Ora sono impegnata, io e
Britt
dobbiamo esibirci. Musica, grazie! . Devo dire che ha
funzionato, hanno
tutti spettegolato sul fatto che le due cheerleader stessero insieme e
nessuno
ha pensato a me. Ammetto che avere una migliore amica egocentrica,
isterica e
assai irascibile abbia una sua utilità… E io sono
così fortunato da averne due:
Santana e Rachel.”
“Questa
ragazza è amabile…” commentò
Blaine, estasiato per la dolcezza di quel
racconto.
“
No, non lo è affatto. Proprio no. Le devo molto, ma fa
paura…” spiegò Kurt,
facendo ridere il più piccolo.
“
E dopo? Hanno smesso di torturarti?”
“Uhm…
Non proprio, ma l’ultimo anno è decisamente andato
meglio… Ho avuto un ragazzo,
Chandler, non era esattamente l’uomo dei miei sogni, ma mi
riempiva di
complimenti e regali… Poi ho fatto l’audizione per
la NYADA e non sono stato
preso, ma ho deciso di partire lo stesso per New York…
Arrivato qui ho iniziato
a lavorare per Vogue.com, ho lasciato Chandler, era anche lui a NY,
troppo
geloso… Stavo per riprovare ad entrare alla tua scuola, ma a
Natale mio padre
mi disse di avere un cancro alla postata, tornai in Ohio, nonostante
lui non
volesse… Sono rimasto lì per due anni, provando a
tenere in vita la sua
officina con l’aiuto di Finn, mentre lui tentava di
curarsi… Non è servito a
molto …” il medico guardò il soffitto,
come per ricacciare indietro le lacrime
che prepotenti tentavano di uscire, Blaine avrebbe tanto voluto alzarsi
e
abbracciarlo. “E’ stata di nuovo Santana a
riportarmi a galla, tre settimane
dopo la morte di papà. Venne a Lima, fece irruzione in
camera mia e cominciò a
prepararmi una valigia, quando le chiesi cosa stesse facendo mi ripose:
Lady Hummel, questo posto è troppo
piccolo
per noi due: tu non resterai qui a riverniciare vecchie auto e io non
resterò
qui a guardare Britt e Sam-in quel periodo si erano lasciate
da un po’ e l’ex
di Tana stava frequentando un ragazzo- e
ad agitare stupidi pon-pon. La Berry ci ha preparato un divano a New
York,
partiamo tra tre giorni. Inutile dire che replicare non
servì a nulla…”
“Come
sei finito a fare il medico?” domandò il riccio.
“Uhm…
Quando sono tornato
qui, ho deciso di
iscrivermi a medicina: sai, quando hai diciannove anni e la vita ti sta
andando
stranamente bene, ti sembra semplice riuscire a diventare un cantante o
uno
stilista di successo, anche in una metropoli piena zeppa di persone con
gli
stessi obiettivi; quando ci torni a ventuno e dopo uno dei periodi
più bui
della tua esistenza, non la pensi più
così… Ero stanco di dover essere aiutato,
volevo aiutare…” rispose.
“E
perché pediatria?”
“Semplicemente
mi piacciono i bambini!” spiegò il medico. Il
medico si zittì un attimo,
fissando un punto indefinito: aveva ascoltato storie tristi e ne aveva
raccontato altrettante, ma rievocare la sua deprimente vita non lo
aveva per
nulla depresso. Blaine Anderson era come un bambino e lo ascoltava
seriamente
interessato, partecipando senza essere falso e sorridendogli quando gli
occhi
gli si inumidivano. Aveva cominciato a parlare perchè quel
ragazzo si era
confessato con lui e voleva dimostrargli di non essere solo, ma aveva
continuato perchè con quegli occhi vivi e quei sorrisetti
sinceri lo faceva
sentire bene. E non avrebbe neanche smesso se Alex non avesse fatto
irruzione
nella stanza con il carrello della cena. Guardò Kurt
dubbiosa: “Dr. Hummel, non
mi ha salutato tre ore fa dicendo che andava nella 713? E’
ancora qui..?” Il
medico guardò un attimo l’orologio, come se non
credesse di aver passato
davvero così tanto in quella camera, poi le rispose:
“Alex, se proprio devi
farti i fatti miei, e so che te li fai, proprio come per tutte le altre
persone
di questo beneamato ospedale, fammi almeno il piacere di chiamarmi
Kurt!”
“Come preferisci... Kurt.”
gli
sorrise mentre poggiava sul comodino della stanza il vassoio, poi
squadrò il
pavimento. “Chi dei due voleva tentare di uccidere chiunque
entrasse in questa
stanza?!” esclamò fissando l’acqua, i
fiori e il vaso ancora a terra.
Il pediatra si alzò, avvicinandosi all’apposita
leva per inclinare la metà
superiore del materasso e consentire al paziente di mangiare senza il
rischio
di affogarsi. “Ciao Blaine” mormorò
quando ebbe completato l’operazione
“Scusami, ma avevo promesso a Rachel che sarei tornato a casa
per cena!” disse
accarezzandogli distrattamente una gamba da sopra le coperte e
facendogli un
largo sorriso che l’altro ricambiò. Quando si
richiuse la porta dietro, il moro
realizzò di sentirsi più leggero: si era
confidato con un estraneo che ora non
lo era più, dimenticandosi per quelle ore perfino del suo
mal di testa
lancinante che lo ossessionava di continuo, e la voce rilassante di
quel
pediatra aveva funzionato meglio delle medicine che gli prescrivevano.
Solo una
cosa fece vacillare la sua espressione felice: avrebbe voluto davvero
sentire
quella carezza.
Pochi
secondi dopo si riaffacciò Kurt alla porta:
“Blaine, volevo solo ricordarti che
alla fine Narcissa Malfoy ha mentito a chi l’aveva tenuta in
pugno per tutta la
vita per salvare suo figlio!” esclamò.
L’infermiera fissò il paziente come se
si trovasse in un manicomio e non in un ospedale: “Non so
assolutamente cosa
c’entri, ma se stiamo parlando di Harry Potter sono una
Corvonero!”
Blaine
invece sapeva benissimo a cosa si riferisse e ancora una volta non
potè fare a
meno di sorridere scuotendo la testa: aveva davvero trovato un amico.
Angolo
Autrici:
Buonasera,
chiediamo venia per il ritardo, ma su! Potere perdonarci! Sono 4.400
parole di
amore Klaine!
Allora
sappiamo che
tutto questo è un po’ triste, ma
l’avvertimento ANGST serve proprio a
questo!(anche io odio Rella per questo, non potevano essere
semplicemente
felici?). Mi sono sentita male per scriverlo, pensate che, per puro
masochismo,
l’ho fatto ascoltando Cough Syrup ( che per me è
la tristezza che cammina: ho
visto On My Way il giorno del coming-out di un mio amico :’(
)
Bene,
dopo questa
serie di inutili informazioni vi dirò l’unica cosa
sensata (nonché scopo di
queste note): abbiamo tagliato i Niff\Thadastian, il capitolo sarebbe
stato
TROPPO lungo. Vi giuro che li troverete nel prossimo!
Ultima
cosa:
ringraziamo di cuore tutti coloro che recensiscono, mettono tra le
seguite o
preferite o semplicemente ci leggono (anche se sapere il vostro parere
non ci
fa mai male!)... vi vogliamo bene! :)
‘Notte,
Potters.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo VI. ***
“…
e comunque, quel
bambino mi ha morso un braccio, è fuggito verso la porta e
la madre è rimasta
lì a guardarmi senza fare nulla…” Kurt
fu interrotto dalla porta che si apriva
e dalla conseguente entrata di due ragazzi: il primo alto, biondo e
magro, che sembrava
la versione maschile e più entusiasta di Barbie, era a
braccetto con il secondo
più basso, bruno e con un naso notevole.
“Blaine!
Thad!” urlò il biondino, prima
salutando il messicano che gli era venuto incontro, poi lanciandosi
sull’altro,
quasi trascinando con sé una sedia nel percorso.
“Jeff…
anch’io sono felice di vederti, ma non
vorrei dover tornare in sala operatoria…”
sussurrò Blaine senza però che il suo
sorriso a trentadue denti si affievolisse, poi aggiunse:
“Nick,
dai, vieni qui e liberami dal tuo
ragazzo...”
“
Futuro marito, vorrai dire…” Thad e Blaine
spalancarono gli occhi, poi cominciarono a sommergere i due poverini di
domande.
“Futuro
marito, oddio, vi sposate! Vi sposate?
Tu lo sapevi Thad? Perché non me lo hai detto?”
“No,
non lo sapevo, ma… dove? Qui? Chi l’ha
chiesto e quando?
Perché
non l’avete detto prima? E gli anelli?
Raccontate!”
Il
primo a tornare in sé fu il riccio che,
resosi conto che tutti stavano ignorando il pediatra e dalle sue
occhiate
confuse, decise di presentarlo.
“Allora,
voi ci direte ogni singolo dettaglio,
ma prima… Questo è Kurt, lavora qui
e…” si fermò non sapendo esattamente
come
definire il medico.
“Ti
ha operato lui, quindi?” chiese Nick vedendo
l’amico in difficoltà.
“No…
in realtà, è un pediatra…”
rispose l’altro
guardandosi attorno imbarazzato.
“Allora
che ci fa qui? Chi è?” si intromise Jeff
con tutto il suo tatto, mentre il suo fidanzato scuoteva la testa
rassegnato:
“Capisco
che l’altezza e il comportamento
corrispondano, ma metterlo addirittura nel reparto bambini…
comunque, non
volete più conoscere tutti i dettagli
dell’imminente matrimonio?” tutti quanti
tirarono un sospiro di sollievo a quel cambio d’argomento e
si prepararono ad
ascoltare.
“Bene,
sapete che pochi giorni fa è stato
legalizzato il matrimonio gay in Illinois, io e Jeff eravamo a casa,
sul
divano, e stavamo guardando il telegiornale. Quando la notizia
è stata
trasmessa ci siamo voltati l’uno verso l’altro,
fissandoci intensamente negli
occhi e…” fu interrotto bruscamente dal suo
ragazzo:
“Non
raccontarla come se fosse un romanzetto
rosa, mi hai chiesto se stessimo pensando la stessa cosa e io ho
risposto che
sì, probabilmente avremmo dovuto controllare i pop-corn o
sarebbero esplosi.”
“Sei
un’idiota, perché ti ho chiesto di
sposarmi?”
“Perché
sono meraviglioso e mi ami?”
“Già
che sciagura…” Nick si avvicinò e
stampò
all’altro un lieve bacio.
“Kurt,
ti prego, potresti trovarmi una siringa
di insulina, questi due non li reggevo sin da adolescenti, ma speravo
che prima
o poi avrebbero smesso.” supplicò Thad tra le
risate di tutti.
“Comunque,
Blaine vorresti essere il mio
testimone?” Chiese il moro sorridendo all’amico che
annuì felice, poi si voltò
verso l’ispanico che si stava dirigendo di tutta fretta verso
la porta,
probabilmente con l’intento di fuggire. Quando la
spalancò però, rischiò di
atterrare il medico che stava entrando.
“Chi
è e perché sta tentando di uccidermi?!”
mugugnò Sebastian massaggiandosi il naso e controllando che
fosse ancora
integro.
“Quei
due…” rispose l’altro indicando Nick
e Jeff ancora abbracciati “...vogliono chiedermi di fare da
testimone alle loro
nozze…” il francesino si guardò intorno
lievemente confuso, poi esclamò:
“Perché
questa camera è diventata la sede di un
gay pride?”
“Peccato
che l’unico che potrebbe essere
interessante sembra avere altri gusti…” aggiunse
squadrando Thad con uno
sguardo malizioso e lascivo del tutto fuori luogo in una stanza
d’ospedale.
“Beh…
in realtà nessuno è etero qui dentro.”
si affrettò a precisare l’altro. Il
dottore ghignò facendo un passo
avanti:
“
Ok, dovete uscire, perché io al contrario di
qualcun altro devo lavorare.” mentre tutti si stavano
dirigendo fuori, si voltò
verso l’ispanico e sussurrò ammiccante:
“
Comunque questa è la mia ultima visita, poi
sarò nel mio ufficio...da solo.”
Thad
sorrise annuendo, poi seguì i due sposini e
il pediatra in corridoio.
*****
Kurt
guardò l’orologio per l’ennesima volta,
sperando mancasse poco alla fine del suo turno. Sally, la sua collega,
era
costretta a casa da una brutta influenza e lui aveva dovuto
sostituirla,
rimanendo in quella gabbia di matti per quasi dodici ore. Strinse i
denti:
ancora due visite e sarebbe tornato a casa. Beh, non proprio a casa.
Ancora un
bambino con la tonsillite, una piccolina con la varicella e sarebbe
stato un
uomo libero. Aprì la borsa e verificò di non aver
dimenticato nulla: il dvd di Chicago e
una copia di Vanity Fair. Le sue scuse erano lì,
pronte per essere usate.
Disse alla bambina di soffiare forte, come se volesse spegnere le
candeline al
suo compleanno, e approfittò della situazione per sospirare.
Congedò madre e
figlia con una ricetta illeggibile che qualche malcapitato farmacista
avrebbe
dovuto decifrare e si avviò verso le scale. Poteva far finta
che il motivo per
cui continuasse a visitare Blaine Anderson fosse aiutare chi era
diventato un
amico, per rendere meno noiosi i lunghi giorni di degenza, ma in fondo
sapeva
che non era così. Aveva pensato per un po’ che a
riportarlo in quella camera
fosse la voglia di rivedere vecchi musical e commentare romanzi, ma
dentro di
sé, negli angoli più remoti del suo subconscio
conosceva la verità: quell’uomo
dai capelli incorreggibilmente arruffati e gli occhi da cucciolo lo
faceva
stare bene. Il sorriso che il più piccolo gli
rivolgeva ogni volta che
andava a trovarlo era più innocente di quello dei bambini e
sembrava illuminare
la stanza. No, non erano i musical dell’epoca d’oro
di Broadway, né le storie
d’amore di femministe tormentate a portarlo tutti i giorni
nella camera 713
dell’Allen Pavilion Hospital. Era quel sorriso.
Arrivò
alla porta della suddetta pochi minuti
prima delle sette e bussò. “ Prego!”
esclamò Blaine.
Kurt
entrò, si girò verso il letto giusto in
tempo per intravedere il suo
sorriso,
che bastò a spazzargli via
di dosso tutta la stanchezza accumulata in
quell’interminabile giornata di
lavoro.
“Buonasera”
lo salutò, sorridendo a sua
volta.
“Guarda
lì!” gli ordinò il moro, indicando un
punto alle spalle del medico, con la stessa espressione soddisfatta che
hanno i
bimbi in età prescolare quando riescono a disegnare qualcosa
da regalare ai
genitori. Il pediatra si voltò, fino a che una sedia a
rotelle piegata ed
appoggiata accanto alla porta non entrò nel suo campo
visivo. “Wow! … Questo
significa che…”
“Che
presto comincerò la fisioterapia e che
potrò uscire da questa stanza… Anche se dubito
seriamente di riuscirmi a
spostare da solo con quell’oggetto. Non ci vuole una
patente?” lo interruppe.
“Non
è così difficile come sembra!” gli
rispose
Kurt, sedendosi accanto al letto. Qualcuno, molto probabilmente Alex,
aveva
sostituito la scomoda sedia di plastica con una ben più
confortevole
poltroncina verde, probabilmente per salvare l’osso sacro del
pediatra.
“
E tu come fai a saperlo?” chiese Blaine,
sollevando appena un sopracciglio.
“Uhm…
Il professore che seguiva il Glee al
McKingley aveva idee piuttosto particolari per farci comprendere i
nostri
errori: eravamo al secondo anno e Artie, un mio amico del liceo, che ha
perso
l’uso delle gambe in un incidente d’auto, non
sapeva come venire alle regionali
e noi ragazzi non volevamo spendere di più per il pullman
con il posto per
disabili… Così ha costretto tutti noi a stare
sulla sedia a rotelle per una settimana.
Ho anche ballato con quell’affare!”
raccontò, facendo ridacchiare il riccio.
Rimasero
un secondo in silenzio, semplicemente
sorridendosi a vicenda, poi Blaine parlò: “
Faresti una cosa per me? Anche se è
stupida?”
“Certo…”
rispose leggermente esitante. Il più
piccolo si sporse verso il comodino e frugò nel primo
cassetto, tirando fuori
un plico di fogli. “ E’ l’iscrizione alla
NYADA per l’anno prossimo… lo
so, lo so che è stupido… non riuscirò
mai a camminare entro settembre, lì
dovrei ballare. E’
impossibile! Però, iscrivermi mi dà un minimo di
speranza… Potresti portarla alla Berry?”
“C-certo…
Io non ne capisco molto di neurologia,
ma sei giovane… Credo che non ci
vorrà…” provò a balbettare
il medico.
“E’
Marzo, Kurt. E’ Marzo e devo ancora iniziare
la fisioterapia! E’ impossibile che io riesca ad uscire di
qui prima di
settembre… Sono realista.” Rispose
l’altro, esibendo un sorrisetto rassegnato
che intristì il più grande.
“Va
bene, porterò questi a Rachel. Ora non
pensiamoci più, okay?” disse, aprendo la borsa e
tirando fuori il DVD. “ Ho
portato questo, ti va?”
“Kurt,
si vede lontano un miglio che sei
distrutto! Torna a casa, non c’è assolutamente
bisogno che tu rimanga qui…”
provò Blaine, guardando le occhiaie del più
grande.
“Non
ti preoccupare. A casa passerei la serata
da solo.” Sorrise, prendendo il computer. Mentiva, mentiva
spudoratamente:
Rachel era a casa e non sarebbe uscita. Anzi, molto probabilmente si
sarebbe
trasformata in un’Erinni per quel ritardo, ma ormai era
abituato alle urla della
ragazza, qualcosa di mistico in grado di ignorarle del tutto era nato
nel suo
cervello.
“…
Se ti dico quello a cui sto pensando mi farai
del male fisico…” disse Blaine.
“Dimmelo!”
“Ho
visto la versione cinematografica di
Chicago… Però non ho assistito allo spettacolo di
Broadway! Scusa!” dichiarò il
più piccolo, Kurt si girò con un’aria
fintamente assassina:“Cosa?! Anche i
cinesi che visitano New York in tre giorni vanno a teatro per Chicago!
Non è
normale che tu l’abbia fatto!”
“Fai
partire il film!” ridacchiò. Stettero per
un po’ in silenzio a fissare il piccolo schermo, poggiato
più o meno ai piedi
del letto di Blaine.
“Questa
è Renéé Zellweger?!” chiese
Blaine, non
appena la biondina fu inquadrata per bene.
“Certo!”
“Ma
è irriconoscibile! Cosa le è successo?”
“È
invecchiata male... molto male!” rispose Kurt
storcendo il naso.
“Beh,
è ancora fidanzata con quel cantante
country?” domandò il più piccolo senza
distogliere gli occhi dal portatile,
dove Velma Kelly si esibiva in
All That Jazz.
“Chi,
quello che portava
il cappello da cowboy anche sotto la doccia? Ti prego, era un
matrimonio di
copertura!” esclamò il medico, con
l’aria di chi la sa lunga.
Smisero di commentare il film continuando a mimare i testi delle
canzoni. Dopo
un po’, Kurt si accorse che l’altro non stava
canticchiando con lui il pezzo
più famoso del musical, così si girò
un attimo per guardarlo: dormiva sereno
con la testa sul cuscino e la bocca lievemente spalancata. Il medico
sorrise
intenerito, soffermandosi con lo sguardo sui lineamenti decisi della
mascella,
le labbra socchiuse, le lunghe ciglia, i capelli scompigliati.
Pensò che
sarebbe potuto restare lì per ancora qualche minuto, qualche
ora, l’intera
nottata, per vederlo dormire così pacificamente. Distolse un
attimo lo sguardo,
fissando un punto imprecisato per immaginare la scena
dall’esterno: doveva
sembrare un maniaco così. Si morse l’interno del
labbro, vergognandosi di se
stesso senza conoscerne bene il motivo, poi chiuse il portatile e si
alzò.
Sfiorò i riccioli di Blaine, attento a non svegliarlo, e gli
lasciò un piccolo
bacio sulla fronte, così delicato che si chiese se le sue
labbra l’avessero
davvero toccato. Poi uscì.
*****
Kurt
infilò la chiave nella serratura, bramando
il suo morbido letto e sperando di non incombere nelle urla
della sua
coinquilina. “Hummel!”. Come non
detto.
“Ciao
Rach... ti ho preso il gelat-”
“Non
mi comprerai con del cibo!” lo interruppe
la donna urlando ed assumendo la tipica faccia alla Berry da non
sperare di uscire intatto da questa discussione.
“Peccato
che le ultime volte abbia funzionato:
stai mettendo su qualche chilo, cara.” disse il castano,
alzando le
sopracciglia e squadrandola.
“Carino,
non spostare la conversazione sulla mia
perfetta pancia piatta, non girerai la frittata, non ci
sperare.” esclamò lei,
incrociando le braccia sotto il petto ed indicandogli con un cenno la
sedia.
Kurt arricciò il naso e sbuffò, poi si sedette.
“Fatto,
mammina. Allora?”
“Devi
dirmi qualcosa?”
“Non
fumo, non bevo, non mi drogo.” le sorrise
strafottente lui.
“E
il fidanzatino?” gli chiese con falsa aria
innocente.
Il
medico tacque per un secondo, corrugando le
sopracciglia a bocca aperta.
“Ma
che hai, attraversi la crisi di mezz’età,
Rachel?! Chiamo Brody e gli dico che vuoi un bambino, perchè
io così non posso
camp-”
“Ah-ah!”
esclamò Rachel puntandogli contro
l’indice, come se avesse scoperto chi rubava la marmellata.
“Hai esitato!”
sorrise soddisfatta.
“Ricordami
di farti prescrivere qualcosa, nana.
Vado a letto.” mormorò lui alzandosi.
“Non
ceni perchè non hai fame, eh? Troppe
farfalle nello stomaco?”
Kurt
la ignorò, dirigendosi verso il bagno per
il suo rituale notturno. “Potresti almeno chiedere scusa,
Kurt: sono giorni,
macché, settimane che salti la cena! Arrivi a casa per le
dieci, si può sapere
cosa fai dalle sette in poi?!” disse esasperata, seguendolo
come un cagnolino.
“Te
l’ho detto: cerco soluzioni a casi che mi
danno da pensare, come quello di Malcom che-”
“Non
tentare neanche di commuovermi con storie
del genere: Malcom è stato dimesso una settimana
fa!” rispose pronta Rachel,
facendo sbuffare l’altro, intento a cospargersi di crema
iper-nutriente la
pelle pallida.
“E
va bene Kurt, ti esporrò una serie di fatti:
da quando Blaine Anderson è stato ricoverato
nell’ospedale dove lavori torni
tardi, spariscono da casa oggetti come dvd e libri, ti svegli
mezz’ora prima
per riuscire ad infilare pantaloni incredibilmente stretti ed hai
raddoppiato i
tuoi rituali di bellezza! A parte il depredare
quest’abitazione, sono tutte
cose che facevo anche io quando ho conosciuto Brody... Ammettilo che ti
piace!”
“...Non
è così!” esitò Kurt.
“E
perché passeresti così tante ore in una
camera d’ospedale, allora?!”
“Forse
perché non ha nessuno?! Non so se ti
rendi conto di cosa significhi: nessuno, Rach!”
esclamò il medico dopo essersi sciacquato la
faccia.
“Vuoi
farmi credere che sia l’unica persona sola
dell’Allen Pavilion?! Andiamo, smettila di prendermi e
prenderti in giro!”
ribatté lei.
Il
castano soffocò un’imprecazione
nell’asciugamano, poi rispose: “Ok, non lo
è, ma... insomma, parlo per due
minuti con un ragazzo sconosciuto e due giorni dopo viene ricoverato...
non è
normale!”
“Che
c’è di male ad ammettere che ti interessa?
Capisco che la questione di James ti abbia lasciato con
l’amaro in bocca e che
la storia con Sebastian non abbia aiutato, ma... se non vuoi essere
sincero con
me, devi almeno esserlo con te stesso.” James e Kurt si erano
conosciuti
all’università, frequentavano lo stesso corso,
dopo poco avevano iniziato ad
uscire insieme. Per tre anni erano stati una coppia perfetta, Kurt lo
amava,
James sosteneva di ricambiarlo. Il medico stava anche pensando di
proporgli di
convivere, perfino Rachel, solitamente molto gelosa del sua migliore
amico, era
entusiasta tanto da pensare di offrire alla giovane ed amabile
coppietta il suo
utero per proliferazioni future, peccato che James avesse un altro modo
per
ovviare il problema. Infatti, un giorno il pediatra si era recato a
casa del suo
fidanzato per assisterlo, dato che quest’ultimo era stato
colpito da una brutta
influenza, frugando nel mobile delle medicine aveva trovato un piccolo
pacchetto rosa: pillole anticoncezionali. Kurt era tornato nella camera
da
letto con espressione confuse e, mostrando la sua scoperta, aveva
scherzosamente chiesto a James se sapesse a cosa servissero; fortuna
–o
sfortuna- volle che, nell’istante in cui l’altro
aveva esitato prima di
rispondere, suonasse il telefono fisso, che Kurt istintivamente
prendesse la
cornetta e che la tenesse accanto all’orecchio il tempo
necessario per sentire
una voce femminile chiedere notizie sul malato, appellandolo con il
dolce
nomignolo amore. In
quell’istante la situazione fu immensamente più
chiara: James sapeva benissimo perché quelle pillole fossero
sul mercato e
dall’altra parte del telefono c’era la ragione
della loro presenza in quella
casa. Il tutto sconvolse il medico, che però
riuscì, stranamente, a mantenere
il sangue freddo; dopo aver lasciato cadere sul letto cordless e
scatolino,
uscì velocemente dall’appartamento, commentando
con un secco:Lasciati dire
che non è così che funziona la
bisessualità. Rachel
ricordava perfino meglio del suo migliore amico
tutti i pianti che erano seguiti e di nascosto aveva versato anche lei
qualche
lacrima di rabbia, fino a quando, per fortuna, Brody aveva consigliato
a Kurt
di studiare per distrarsi e questo aveva fatto in modo che si laureasse
a pieni
voti e smettesse di pensarci su. La questione aveva però
scavato un vuoto nel
petto del ragazzo, una fitta dolorosa che ogni tanto continuava a
colpirlo: non
si sentiva mai... abbastanza. Anche se lo nascondeva a se stesso, si
sentiva il
pezzo rotto di quel grande puzzle che è la vita: il caso, o
come dicono i
credenti Dio, continuava
a sputargli addosso, dritto negli occhi.
Scosse la testa, come per liberarsi di tutti quei pensieri, poi
mormorò un
“Ah!” e si diresse in soggiorno, dove aveva
lasciato la borsa.
“Ecco!”
esclamò, consegnano a Rachel il modulo
d’iscrizione alla NYADA. La coinquilina lesse fino a Blaine
Anderson ,
poi sorrise beffarda: “Già, ecco.
Appunto!” strepitò
indicando quel nome con l’indice. Sospirò di
fronte al broncio del ragazzo e,
preso il gelato che prima aveva sdegnato, si sedette sul divano con un
aria
soddisfatta ed un gran cucchiaio in mano per poterselo gustare.
“I
tuoi figli ti ammazzeranno, Berry, sappilo,
non reggeranno più di quindici anni!” la prese in
giro il medico, poi fissò la
vaschetta e disse sorridendo: “Lo finiamo insieme,
vero?”
*****
“Allora,
posso avere il tuo numero di telefono?”
chiese Thad, guardando il neurochirurgo seduto di fronte a lui,
poggiando i
gomiti sulla scrivania che li separava per avvicinarsi.
“Uhm…
non avevamo deciso di saltare i
convenevoli?” rispose Sebastian, alludendo chiaramente agli interessanti avvenimenti
della sera precedente.
“Non
sono convenevoli, è praticità”
ribattè
l’altro, poggiandosi di nuovo allo schienale della sedia ed
incrociando le
braccia sul petto, coperto da un leggera maglietta verde che, a parere
di Sebastian,
gli stava maledettamente bene.
“E
cosa ci sarebbe di pratico?” domandò il
medico, tamburellando con le dita sul legno del tavolo.
“Dimmi
un po’ Smythe… A cosa servono i
telefoni?” ribattè prontamente l’altro,
fissando il più alto negli occhi. “Non
ho nessuna intenzione di diventare una fidanzatina gelosa, vorrei
solamente…”
“…
Sesso telefonico?” propose il più grande,
sfoggiando un sorrisetto malizioso.
Prima
che Thad potesse rispondere, qualcuno
spalancò la porta entrando prepotentemente- e goffamente-
nella stanza.
“Dottore!”
esordì Alex, rivolgendo a Sebastian
uno sguardo preoccupato.
“Problemi?”
le domandò il caporeparto
infastidito da quell’interruzione: la conversazione che stava
avendo fino a
quel momento lo divertiva, Thad era perfettamente in grado di tenergli
testa,in
diversi ambiti.
“Abbiamo
perso Anderson. 713.” Confessò,
abbassando gli occhi.
Angolo
Autrici!
Yuppi!
Per una volta sono da sola a
pubblicare! E posso scrivere infinite cazzate nelle note senza che le
mie
colleghe mi urlino “Non interessa a nessuno!”
Bene,
innanzitutto mi scuso per il ritardo.
Compliti in classe (tipo 5 in 6 giorni), Rella e Nori hanno avuto la
febbre…
E’ un capitolo un po’ diverso dagli altri, dato che
“riassume” un periodo di
tempo di circa un mese, riportando solo qualche avvenimento saliente.
Perciò
(come sempre) ci farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
Ringraziamo
tutte le splendide 59 persone che
ci hanno inserito tra le seguite (erano 60 e sì, amiamo
anche colui\colei che
ci ha abbandonate ç.ç), le 5 che ci preferiscono,
le tre che ci ricordano!
GRAZIE!
Oh,
si. Amo anche te che stai leggendo punta
il dito come Cooper Anderson*
Fateci
sapere cosa ve ne pare!
Io
vado, tento di contattare la mia collega
per capire se domani mattina si presenterà qui alle 7.45 o
avrà di meglio da
fare ;)
Baci
e buonanotte, Potters.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo VII. ***
“ Cosa?!” urlò Thad, voltandosi di scatto verso l’infermiera.
“Se fai la checca isterica non riesco a ragionare!” lo zittì Sebastian alzandosi. “ Ha avuto una crisi respiratoria?”
“No! Ma cos’avete capito?! Non è morto! Semplicemente non è lì!” chiarì velocemente la ragazza. L’ispanico ricadde pesantemente sulla sedia, col cuore che non accennava a rallentare ed una goccia di sudore freddo che gli scendeva lungo la spina dorsale; poi realizzò che non aveva motivo di rilassarsi: “ …Cosa?!”
Il medico lo rimproverò nuovamente con lo sguardo, quindi si rivolse alla biondina: “ Alex, tesoro, non puoi averlo perso. Quell’uomo non cammina!”
“ Lo so! Ma non è lì! Lo giuro! La stanza è… vuota! Non so come sia possibile! Sarà successo qualcosa di strano… Come si chiamava il tipo della Bibbia? Lazzaro? Sì, lui. Sarà sceso il Messia sulla terra per dirgli Alzati e cammina!” Thad la guardò come se avesse di fronte un cavallo in giacca e cravatta intento a recitare Critica della ragion pura di Kant, tradotto in sanscrito, dall’ultima alla prima parola; poi parlò: “ Non possiamo andare a cercarlo invece di star qui a dire cazzate?!”
“Intelligente osservazione…” disse Sebastian avviandosi verso la porta. “Alex, scendi al primo piano… Thad, qui al secondo, io salirò al terzo…”
“Sai? Sei eccitante quando dai ordini…”commentò Harwood.
“ Lo terrò presente…” sussurrò lascivo all’orecchio del moro che si era avvicinato.
“Smythe! Come faccio a chiamarti, se dovessi trovare Blaine, senza il tuo numero?” il neurochirurgo gli afferrò una mano e ci scrisse sopra le dieci cifre. Thad sorrise ammiccante e Alex lasciò velocemente la stanza, terrorizzata all’ idea che quei due decidessero di usare la scrivania in maniera non esattamente canonica.
***
“C’è Kurt!!” strepitò allegro Fred tirando per la manica un suo amico.
“Kurtie!!!” esclamò Claire correndogli incontro ed allacciandogli le braccia al collo.
“E lui chi è?” disse storcendo il naso e fissando per un attimo l’uomo che lo affiancava su una sedia a rotelle. “Sembra un orsacchiotto spelacchiato!”.
“Hey!” la rimproverò il pediatra, poi aggiunse: “Si chiama Blaine ed è voluto venire qui per cantare con voi, quindi trattatelo bene!” un bambino di nome Harry gli strinse la mano, presentandosi, mentre qualcun’altro li fissava in soggezione.
“Dovrai conquistarli...” gli sussurrò Kurt all’orecchio, mentre spostava la sedia a rotelle al centro della stanza.
“Posso farcela: conosco a memoria tutte le canzoni della Disney.” gli rispose di rimando lui. I bambini li circondarono: chi seduto a terra a gambe incrociate, chi su piccole sedie, chi steso a letto perché incapace di alzarsi.
“Allora...” esordì il pediatra, ma i più piccoli lo precedettero urlando “La Bella e la Bestia!”
“Mulan!”
“Gli Avengers!” e i più grandi li seguirono a ruota, nel caos generale, suggerendo “Aladdin! Aladdin!!”
“La sirenetta!” e qualcuno mormorando verso Fred che negli Avengers nessuno cantasse.
“Fred, Harry, voi avete scelto le ultime volte e prima ancora è toccato a Lily, quindi... Claire, cosa vuoi ascoltare?” disse il castano, calmando tutti tranne la piccola biondina interpellata, che saltellando rispose: “Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego: A whole new world!”
I due uomini si scambiarono un veloce sguardo e un piccolo sorriso si dipinse sui loro volti. Per un attimo il medico si figurò una piccola coreografia che avrebbe potuto eseguire per divertire i bambini, ma poi si ricordò che aveva affianco un uomo che chissà per quanto tempo non avrebbe potuto ballare. Per fortuna che aveva ancora una calda, magnifica, piena voce.
I can show you the world
Shining, shimmering, splendid
Tell me, prince, now when did
You last let your heart decide?
Con pochi versi li aveva catturati. Non si accorsero neanche del piccolo cambiamento da princess a prince, poco importava che Jasmine fosse diventata improvvisamente maschio, l’importante era che il moro continuasse a cantare.
I can open your eyes
Take you wonder by wonder
Over, sideways and under
On a magic carpet ride
Uno dei piccoli allettati fece ondeggiare le proprie lenzuola, come per rievocare il movimento del tappeto magico, e Kurt lo prese da sotto le ascelle per sollevarlo e far finta che volasse sopra le teste stupite di tutti.
A whole new world
A new fantastic point of view
No one to tell us no
Or where to go
Or say we're only dreaming
Kurt guardò come Blaine interagiva coi bimbi nella stanza. Era fermo, su una sedia a rotelle, senza nulla se non la sua voce che portava le menti lontano, che li portava a credere di volare tutti nel cielo notturno, con i loro occhi come stelle luccicanti: aveva conquistato il pubblico. E anche lui, che si schiarì la gola.
A whole new world
A dazzling place I never knew
But when I'm way up here
It's crystal clear
That now I'm in a whole new world with you
Now I'm in a whole new world with you
Cantando scambiava occhiate amorevoli a chi lo ascoltava. Rivolse il più tenero dei sorrisi al piccolo Fred che si appollaiò sulle gambe di Blaine, trattenendo il fiato per paura di fargli male, forse ignorando il peso del suo piccolo corpicino scheletrico.
Unbelievable sights
Indescribable feeling
Soaring, tumbling, freewheeling
Through an endless diamond sky
Per un attimo pensò di aver commosso il moro, che aveva gli occhi umidi ed un sorriso tranquillo, ma poi questi distolse lo sguardo pizzicando piano la guancia del piccolo che aveva sulle gambe.
A whole new world
Don't you dare close your eyes
A hundred thousand things to see
Hold your breath - it gets better
I'm like a shooting star
I've come so far
I can't go back to where I used to be
Claire e gli altri avevano cominciato a cantare con loro. Non si aspettava le loro voci si fondessero così bene insieme. Era un contrasto perfetto, da far venire i brividi. L’ultima volta che aveva avuto il batticuore cantando era stato alle sue ultime nazionali, ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Era come se cantasse non solo col diaframma, ma con tutti i suoi sentimenti, quelli più reconditi, che non avrebbe saputo descrivere né in quel momento né in nessun’altro.
A whole new world
Every turn a surprise
With new horizons to pursue
Every moment red-letter
I'll chase them anywhere
There's time to spare
Let me share this whole new world with you
Claire colse una figura fuori dalla porta e le sorrise dolcemente. L’infermiera dapprima ricambiò com’era solita fare il sorriso, poi controllò meglio chi ci fosse nella stanza e sgranò così tanto gli occhi che la bambina si impressionò e temette potessero cadere. Alex aspettò che la canzone finisse: non voleva perdersi una cosa del genere.
A whole new world
That's where we'll be
A thrilling chase
A wondrous place
For you and me
Il pediatra e il riccio cantarono l’ultima nota in un perfetto accordo, fissandosi intensamente negli occhi. Per un attimo sembrò esistessero solo loro due. Per un attimo stabilirono un legame più profondo, un tacito accordo, un intesa comune. Poi il più grande distaccò lo sguardo, distratto dalla vocina di Claire: “Kurt! Dimmi la verità! Lui è il tuo fidanzato?” disse con l’aria di chi la sa lunga. I due arrossirono imbarazzati, balbettando una serie di N-no scomposti.
“Secondo me dovreste mettervi insieme.” decretò la bambina, poggiandosi le mani sui fianchi.
“Anche secondo me!” commentò Alex, affacciandosi oltre lo stipite della porta.
Sebastian le si affiancò dopo pochi secondi, col fiatone: “Dov’è?!” ansimò, guardandola interrogativo. Lei volse lo sguardo all’interno della stanza, dove una decina o più bambini ridacchiavano eccitati. Il chirurgo aguzzò la vista, scorgendo, oltre a Kurt, una figura seduta ed attorniata dai piccoli che gli passavano le mani tra i capelli e sulla faccia, sogghigando.
“Hummel!” lo richiamò perentorio il francesino.
“Hai rapito Anderson!”
***
Erano appena le sette e mezza di mattina. Kurt si alzò dal tavolo della cucina non appena vide Rachel e Brody avvicinarsi ai fornelli per prepararsi il caffè, li salutò e, dopo essersi arrotolato una sciarpa azzurrina attorno al collo, uscì di casa. Casa. Il giovane uomo non aveva mai percepito quella come casa sua, era certamente il posto in cui abitava, ma non sarebbe riuscito a definirla casa. Avrebbe conservato quest’appellativo per Broadway o per Tiffany&Co., ma non per quell’appartamento. Lì dentro si sentiva a disagio, forse il tutto era anche legato al fatto che conviveva con una felice coppietta, cosa che, ovviamente, lo portava a sentirsi di troppo in numerose situazioni. Forse quell’appartamento era troppo legato alla fine della sua storia con James; forse non c’era bisogno di pensarci così tanto; forse semplicemente, dopo un anno di assenza, sentiva la mancanza dell’Ohio, quando arrivò a questo punto, Kurt capì. Capì che a mancargli non era la sua casa di Lima, non erano neppure i suoi genitori, Carol o i suoi amici: aveva nostalgia di se stesso.
Il piccolo Kurt dell’Ohio, con le sue camicie improbabili ed i suoi stivali lucidi, non aveva mai smesso di sognare, e, soprattutto, non si sarebbe mai permesso di smettere.
Il piccolo Kurt dell’Ohio, con i suoi numeri di Vogue e le sue spille zoomorfe, aveva degli obbiettivi e, tutto sommato, non si stancava mai di perseguirli.
Il piccolo Kurt dell’Ohio, con la sua strana pettinatura e le sue mani troppo curate, aveva, sotto sotto, una forza spaventosa.
Il piccolo Kurt dell’Ohio,con le sue canzoni femminili sempre in testa e il suo imbarazzo perenne, si nutriva dei sui sogni e non lasciava che nessuna delusione li erodesse.
Il piccolo Kurt dell’Ohio, nonostante tutto, amava, amava davvero ogni sua fantasia, ogni suo progetto, ogni sua speranza; confidava nel suo futuro, lo vedeva chiaramente dipinto nel suo cervello, combatteva ogni giorno perché quel meraviglioso quadro prendesse vita.
Il Kurt di New York era cambiato.
Il Kurt di New York, con le sue battutine pungenti e la sua professionalità in ospedale, si sentiva incatramato nella sua routine.
Il Kurt di New York,con i suoi turni infiniti e i suoi mille caffè, viveva alla giornata, pensando raramente a quello che sarebbe divenuto l’anno successivo.
Il Kurt di New York, con i suoi capelli zeppi di lacca e le sue cravatte semi-serie, sentiva quasi di essere giunto al capolinea, di non poter aspirare più a nulla.
Il piccolo Kurt dell’Ohio avrebbe odiato il Kurt di New York, l’avrebbe definito un uomo che stava sprecando ogni possibilità che un posto meraviglioso come la Grande Mela avrebbe potuto offrirgli.
Il Kurt di New York invidiava il piccolo Kurt dell’Ohio con i suoi occhi sognanti che speravano di poter fare la differenza.
E si sa che i problemi nascono quando i sentimenti tra due persone non sono reciproci.
In rari momenti Kurt si ritrovava in se stesso, specialmente in quel periodo: quando una sua diagnosi migliorava la vita di un bambino e quando era con Blaine. Nel primo caso sentiva di star facendo la differenza, nel secondo sentiva di poter sognare.
Fu con questi pensieri che il medico comprò a Carol un biglietto di andata e ritorno per New York, in occasione del compleanno della donna. Carol era una delle pochissime persone che vedeva ancora in lui il piccolo Kurt dell’Ohio.
***
“Dottore, si può?” chiese qualcuno al di là della porta, Kurt non smise neppure di scrivere gli ordini per la casa farmaceutica e rispose: “ Sì, sì… prego!”
Quando alzò gli occhi rimase abbastanza stupito nel vedere Carol dall’altra parte della scrivania: “ Cosa ci fai qui?” chiese alzandosi e superando il tavolo che li separava per abbracciarla.
“Mi hai comprato tu il biglietto! Cosa vuoi che ci faccia qui?” disse lei, ricambiando affettuosamente la stretta del ragazzo.
“ Intendevo… cosa ci fai qui in ospedale?”
“ Non so dov’è la tua nuova casa, caro. Non ci sono mai stata… Quindi sono venuta qui, ancora molto da fare?”
Kurt guardò il suo orologio da polso: “ Tra mezz’ora sono ufficialmente in ferie per sette giorni!” sorrise. “ Se non c’è nessuno in sala d’attesa chiudo tutto e… ti andrebbe di conoscere una persona?”
Carol annuì gioiosa e aspettò che il figliastro spegnesse il computer e mettesse tutto in ordine.I due avevano sempre avuto un ottimo rapporto. Carol c’era sempre stata, in qualunque occasione, dalle tinte sbagliate alla dolorosa perdita di Burt, senza però mai provare a sostituirsi al ricordo di Elisabeth.
“Come sta Finn?” chiese il medico, mentre entravano in ascensore.
“Come al solito. Passa le sue giornate all’officina, come faceva tuo padre…” Finn, dopo essere stato lasciato da Rachel, aveva conosciuto una ragazza, Molly; si erano sposati dopo appena tre anni dall’inizio della loro storia e avevano avuto una bambina, Lindsay. Kurt aveva sempre avuto l’impressione che quella relazione continuasse ormai da anni solo perché dava sicurezza ad entrambi.
“Lindsay?”
“Oh, è un amore… Mi adora! Dovresti vedere com’è cresciuta!... E tu? Tu come stai?” disse Carol, mentre lui pigiava il tasto del secondo piano.
“Bene, davvero.” nel pronunciare queste parole la guardò intensamente negli occhi, sapendo benissimo che lei avrebbe colto la sua sincerità.
“Chi devi presentarmi? Quel chirurgo con cui uscivi?” domandò curiosa e un po’ ammiccante.
“No! Con lui… Beh, è finita da un bel po’”
“Oh, tesoro, mi dispiace! Non mi hai detto nulla!” esclamò poggiandogli una mano sul braccio per confortarlo.
“Non c’era nulla d’importante tra noi, davvero. A me non dispiace affatto…” spiegò.
“Allora, chi devo conoscere?”
“ Un amico.” Rispose semplicemente l’altro, aprendo la porta della 713, dimenticandosi di bussare.
“Kurt!” lo salutò Blaine, sollevando la testa dal cuscino.
“Hey! Ti ho portato una persona…” spiegò, poggiando una mano dietro la schiena della donna per incitarla ad entrare nella stanza.
“Piacere, Carol…son-” esordì lei, allungando un braccio per presentarsi, dopo essersi avvicinata al letto.
“Lo so, lo so… Kurt mi ha parlato di lei… Piacere, io sono Blaine!” la interruppe il ragazzo, stringendole la mano.
“Puoi tranquillamente darmi del tu!” sorrise lei.
“Hummel!” urlò qualcuno dal corridoio, l’interpellato uscì dalla stanza e cercò con lo sguardo il proprietario di quella voce. Ricky, un infermiere, cominciò a sbracciarsi per farsi notare e il pediatra gli andò in contro.
“Cosa c’è?” chiese.
“Il dottor Powell vuole parlare con lei, si tratta del caso di Emily Bennett”
“Ma le mie ferie iniziano tra…” controllò l’orologio “Sette minuti!”
“Lo sa e si scusa con lei, ma mi ha detto di dirle che ha davvero bisogno di un suo parere…”
“Va bene, va bene… Sarò da lui tra cinque minuti!” sbuffò Kurt, poi tornò nella stanza e informò Carol di aver avuto un contrattempo, lei gli disse che sarebbe rimasta a chiacchierare con Blaine.
Il povero pediatra discusse per quasi un’ora sulla possibilità di operare il pancreas di una bambina di otto anni per arrivare all’ovvia soluzione che, per decidere, era necessaria un’altra ecografia. Quando tornò nella 713 trovò Blaine e la sua matrigna intenti a sproloquiare sulla città di New York e su quanto fosse magnifica, non riuscì a reprimere un sorriso.
“Carol, andiamo?”
“Oh, sì. Certo. Ciao, tesoro… E’ stato un piacere conoscerti!” disse recuperando la borsa e la giacca. Kurt si avvicinò al riccio e gli baciò una guancia ruvida, dopo avergli sussurrato all’orecchio: “ Ci vediamo la settimana prossima…”
Non appena uscirono dalla stanza, si voltò verso il figliastro e disse una sola frase: “ Burt l’avrebbe adorato”.
Kurt non aveva mai amato tanto quattro semplici parole.
Angolo autrici *.*
Buonasera… Stiamo pubblicando in anticipo! * clap clap *
Bene, bene…
La meravigliosa espressione: “Come se avesse difronte ad un cavallo in giacca e cravatta intento a recitare La ragion pura di Kant, tradotto in sanscrito, dalla prima all’ultima parola.” E’ tutta della mia collega che mi ha chiamata e mi ha detto che una signora aveva visto lei e la sua ragazza baciarsi e le aveva guardate come se(…)
Il cambio in A whole new world tra prince e princess lo fece un mio amico e lo ringraziamo per l’idea *.*
Ringraziamo quelle 65 splendide persone che ci seguono, le 8 che ci preferiscono e tutte quelle che ci recensiscono!
Fateci sapere cosa ne pensate!
Alla prossima, Potter.
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII. ***
Drin…Dridrin…
Kurt
mugugnò girandosi dall’altro lato del
letto, più addormentato che sveglio.
Drin…Drindrin…
Si
coprì le orecchie con il cuscino e si
trincerò sotto le coperte dopo averle recuperate dal
pavimento sul quale erano
cadute.
Drin…Drindrin…
Ormai
rassegnato all’evidenza che neanche dopo
essere tornato tardi e proprio prima di un doppio turno gli sarebbe
stato
permesso di dormire e che il telefono non avrebbe smesso di suonare a
meno di
fracassarlo contro il muro o gettarlo dalla finestra,
accettò la chiamata.
“Ehi,
Kurt!”
“Finn,
perché cazzo hai chiamato a quest’ora?”
sbottò il pediatra con la voce ancora roca per il sonno,
strofinandosi
stancamente gli occhi gonfi.
“Ma
sono le dieci…” l’entusiasmo del
meccanico
scemò alla tagliente domanda del fratello.
“Ieri
sono arrivato alle tre di notte a casa, ma
comunque…cosa è successo?”
“Ahah!
Io lo sapevo! Stai con qualcuno, vero?
Perché non me l’hai detto?” lo
accusò.
“Che?
Ma sei impazzito?”
“Fingiamo
che tu non stia vedendo nessuno… dove
sei stato fino alle tre?”
“In
ospedale…”
“Sì,
Kurt, certo. I pediatri non hanno i turni
di notte!” gli fece notare.
“Colpa
della metro…” provò il più
piccolo.
“Cinque
o sei ore in metro? Non sarò l’immagine
della perspicacia, ma so che non è possibile!”
incalzò.
Kurt
si alzò dal letto sbuffando e andò in
cucina con l’intento di prepararsi un caffè.
“
E vuoi dirmi che tutto ciò non ha nessun
collegamento con il fatto che ieri a pranzo mia madre abbia iniziato a
piangere
ripetendo come un mantra Burt
l’avrebbe adorato non
appena
ho chiesto notizie su New York?” disse Finn tutto
d’un fiato per non dare al
fratellastro il tempo di ribattere.
“Uhm…
non ho un ragazzo, fine. E’ semplice,
tesoro. Anche il tuo cervello con il suo banalissimo sistema binario
può
capirlo!” rispose Kurt per chiudere il discorso.
“Non
ti credo! E sono offeso! Siamo fratelli!”
urlò come un bimbo capriccioso il bietolone, il medico
allontanò il telefono
dall’orecchio nel vano tentativo di non diventare sordo.
Quel
gesto fece sì che la malefica Berry,
pericolosamente armata di ferro da stiro, dopo aver riconosciuto la
voce che
gracchiante usciva dal cellulare, gli strappasse il suddetto dalle mani.
Kurt
fuggì dalla cucina, non avendo la minima
intenzione di sentire quei due spettegolare come vecchiette dal
parrucchiere.
Scene
come quella non potevano che mettergli
tristezza: sapeva che il suo fratellastro non l’aveva mai
davvero dimenticata,
anche dopo aver messo su famiglia. C’era un periodo in cui si
era lasciato
logorare dal dolore, non volendo accettare la realtà,
illudendosi che prima o
poi le cose sarebbero tornati come prima: lo spilungone imbranato e la
piccola
insicura ebrea. Non era successo: lui era rimasto lo stesso, solo con
qualche
chilo in più e tanta sofferenza, lei era cresciuta e ad
aveva imparato a
credere in se stessa. Molly l’aveva raccolto come un gatto,
una sera che
sull’uscio di un bar fissava la birra senza voglia di bere e
fuori cadeva la
pioggia.
Poi,
gli aveva raccontato anni fa Finn, avevano
parlato a lungo e dopo una settimana di conversazioni si erano messi
insieme,
trovando l’uno nell’altro chi riempisse il vuoto
che la vita aveva loro
lasciato nel petto. Ma se foste andati a casa Hudson avreste trovato
una foto
incorniciata, sull’economico comò preso
all’IKEA, che raffigurava il
proprietario di casa e la sua attuale migliore amica ai tempi del
liceo, quando
erano ancora una coppia. Finn la fissava sempre amareggiato prima di
andare a
dormire, aspettando la moglie a letto con un mezzo sorriso stanco in
volto.
Kurt
non voleva credere che lui avesse amato
solo Rachel, anzi, sapeva quanto bene volesse a Molly, sapeva che per
lei
avrebbe sacrificato la propria vita e sapeva con quanto amore avessero
entrambi
voluto creare una piccola vita dagli occhioni profondi e marroni come
quelli
del padre, ma sapeva anche che le cicatrici di un legame
così intenso
bruciavano ancora.
Ne
avevano parlato una volta per una notte
intera, poco dopo aver rotto con James, e quando la mattina dopo Finn
l’aveva
chiamato imbarazzato per chiedergli se ricordasse tutto, Kurt aveva
finto di
essere talmente stanco e distrutto che le sue sinapsi faticavano a
collegarsi e
gli mancavano i ricordi più recenti: avrebbe preferito fosse
così.
“A
volte vorrei rincasare e trovare mia
moglie a letto con un altro, solo per poter dirle che è una
stronza, per starci
male, per andare a piangere da Rachel, per cercare un po’ di
consolazione. Ma
la amo troppo e so che non farebbe mai una cosa del genere, che non mi
tradirebbe mai dopo avermi salvato. A volte questo mi
distrugge.”
Kurt
si spogliò e si infilò sotto la doccia,
sperando che l’acqua portasse via il ricordo di quelle parole
struggenti:
ancora una volta, non funzionò.
***
“
Non si preoccupi, è solo un innocuo raffreddore!
È Aprile, sta cambiando il tempo!”
“Sì,
dottore, ma…” Kurt smise di ascoltarla.
Quella donna lo stava trattenendo lì da quasi
mezz’ora nonostante suo figlio
non avesse assolutamente nulla e lui voleva solo liberarsi di lei e
tornare a
casa.
“Signora,
se continua così può fargli dei
massaggi con il vapo-rub, lo trova in farmacia…” anche
se non ce n’è assolutamente
bisogno pensò
il pediatra
sbuffando mentalmente.
“Va
bene!” la mamma trascinò il suo bambino
fuori, senza neanche salutare e sbattendo violentemente la porta.
“Buona
serata…” sussurrò ironicamente il
medico
scuotendo la testa. Si alzò dalla sedia, prese la sua giacca
e uscì in
corridoio. Prima di svoltare l’angolo sentì
qualcuno urlare. Era una trentenne
latinoamericana che portava in braccio quello che a prima vista poteva
sembrare
un fagotto di stracci. Quando la donna lo raggiunse e gli
afferrò un braccio,
Kurt poté invece scorgere un faccino smunto e sofferente sul
quale spiccavano
due enormi occhioni neri lucidi per la febbre sicuramente alta.
“
Señor, por favor, mi niño està mal,
aiutame!”
continuò l’ispanica, parlando così
velocemente e tanto ad alta voce che il
pediatra , anche a causa dello spagnolo, capì poco o niente.
“Signora,
si calmi! Allora… come vi chiamate?”
“Yo
Maria, el Pablo…”
“Bene,
non avete un’assicurazione sanitaria,
vero?”
“No,
pero debe aiutarme, el està mal, por favor,
por favor, por favor!” Kurt poggiò le mani sulle
spalle della donna, per
rassicurarla.
“Maria,
mi ascolti, troveremo una soluzione…Stia
tranquilla, allora io…” Le parole gli morirono in
gola quando alzò lo sguardo e
vide chi si stava dirigendo a passo di marcia verso di loro: il dottor
Richardson, il caporeparto di pediatria e l’incubo di Kurt.
Lo aveva preso di
mira da quando era uno specializzando, perché era gay e
perché voleva aiutare
le persone. Nessuno probabilmente aveva mai comunicato al suo superiore
che era
esattamente quello lo scopo dei medici.
“Signora,
deve smettere di infastidire il dottor
Hummel. Non solo ha già finito il suo turno, dubito anche
che lei abbia
un’assicurazione sanitaria!” esclamò
freddo Richardson squadrando con disgusto
Maria, che era ancorata all’altro come se fosse la sua ultima
speranza.
“Daniel…”
tentò Kurt a disagio.
“Hummel,
non vorrà che questo rovini per sempre
la sua carriera o peggio che venga denunciato,
suppongo…” accompagnò la frase
con un’occhiata soddisfatta, poi aggiunse: “Lei se
ne vada, prima che chiami la
sicurezza.” La donna sibilò un ormai
rassegnato “Filio de puta…” e si
diresse lentamente verso l’uscita. Kurt non poté
fare altro se non alternare
occhiate colpevoli e impotenti verso i due che si allontanavano ad
altre irate
e nauseate verso il caporeparto ed urlare verso la donna:
“Gli dia un
antipiretico!”
“Hummel,
lei deve imparare a stare al suo
posto…” lo rimproverò il vecchio.
“Che
è esattamente lontano da lei, visto che il
mio turno è finito!” rispose
innervosito il pediatra,
voltandosi e dirigendosi velocemente verso le scale. Salì i
gradini il più
velocemente possibile e fece tutto il corridoio di corsa, due volte,
siccome
per la fretta non aveva svoltato a desta, fino a trovarsi di fronte
alla porta
della stanza 713. Non si fermò neanche lì,
entrando senza bussare e quasi
travolgendo una sedia. Sapeva che quello era l’unico posto
dove si sarebbe potuto
sfogare e calmare, che lì c’era l’unico
ragazzo felicemente disposto ad
ascoltarlo e che avrebbe potuto comprenderlo ed aiutarlo.
Lanciò il camice e la
giacca sulla scrivania alla quale si appoggiò ansimante.
“Kurtie..?
Cosa c’è?” chiese confuso il moro,
guardandolo in apprensione.
“Cosa
c’è?! C’è che
l’America fa schifo! Lei e
il suo fottuto sistema sanitario per cui se non ti escono dollari dalle
orecchie, non puoi essere curato…” esplose il
medico, dando un calcio alla
poltrona e poi buttandocisi sopra.
“Calmati!
Calmati e spiegami cos’è
successo…”
gli consigliò Blaine, che non desiderava altro se non
alzarsi da quel letto ed
andare ad abbracciarlo.
“Ho
passato tutta la santissima giornata a
curare malattie inesistenti! Ho dovuto convincere due ereditiere
spocchiose che
i loro bambini non avevano assolutamentenulla! Poi
arriva un piccino,
avrà avuto al massimo un anno, con una febbre spaventosa e
chissà quale
infezione e non ho potuto fare niente! Ti rendi conto!? Che colpa ne ha
se sua
madre non ha lavoro?” sbraitò, poi
poggiò i gomiti sulle ginocchia e si passò
le mani tra i capelli sbuffando. Respirò pesantemente per
qualche minuto sotto
lo sguardo preoccupato del più piccolo, quindi
ricominciò a parlare, ma
stavolta talmente piano che il moro dovette sforzarsi per sentirlo.
“Altre
volte sono riuscito a far qualcosa… Ma
oggi è arrivato Richardson e li ha mandati
via…”Kurt si tolse la cravatta che
lo stava soffocando “ Avrei potuto…”
“No,
Kurtie, non avresti potuto…” disse Blaine,
che durante la sfuriata del più grande era riuscito a
spostarsi sul lato del
letto, aiutandosi con le sbarre laterali.
“Vieni
qui!” lo interruppe il riccio spalancando
le braccia per invitarlo a stendersi accanto a lui. Voleva abbracciarlo
e aveva
deciso che, come si suol dire, se non è Maometto ad andare
verso la montagna,
la montagna andrà da Maometto. Il pediatra si
avvicinò, ma esitò un attimo e
Anderson batté la mano sul materasso per incitarlo. Il
medico si sfilò le
scarpe e si distese, Blaine gli circondò le spalle con un
braccio, facendogli
poggiare la testa sul suo petto. Kurt fu scosso da un singhiozzo e si
arpionò
alla maglietta dell’altro. Il riccio lo strinse
più forte, iniziando ad
accarezzargli lentamente la schiena; sciolse la presa della mano del
più grande
e gli sfiorò delicatamente le dita, prima di intrecciarle
con le sue. Il
castano pensò che l’altro odorava di buono: aveva
sempre avuto un olfatto
piuttosto sviluppato e dopo aver passato pochi giorni
all’ospedale si era
accorto che la maggior parte delle persone ricoverate lì,
com’era ovvio,
sapevano dell’acre aroma della malattia e di quello salato e
al tempo stesso
dolce della nostalgia. La cosa lo aveva infastidito
all’inizio e, mentre Rachel
l’aveva preso per pazzo (“Da che
pulpito!” le aveva risposto lui), Santana gli
aveva detto che provava la stessa nausea quando qualcuno emanava
un’aurea
troppo scura e accecava il suo terzo occhio messicano.
Blaine,
invece, aveva un vago sentore di
cioccolata, sale e almeno una componente del profumo che usava sua
madre.
Inspirò forte, stringendo forte gli occhi e facendo colare
due grosse lacrime:
cercò di imprimere quell’odore nel suo cervello,
per cercarlo quando ne avesse
avuto bisogno.
“…Non
è colpa tua.” gli sussurrò il moro
prima
di baciargli la testa. Il dottore si tranquillizzò
lentamente, ascoltando il
battito regolare del cuore di Blaine e godendosi le carezze leggere con
cui gli
stava coccolando i capelli.
Kurt
pensò che gli sarebbe piaciuto
addormentarsi così tutte le sere.
***
“Buongiorno!
Scusami per il ritardo, ma avevo
perso le cartelle della dottoressa Williams…” Alex
si bloccò improvvisamente,
interrompendo appena all’inizio un aneddoto che altrimenti
sarebbe durato ore.
Inclinò la testa verso destra, sbatté
più volte gli occhi e, dopo essersi
assicurata di non avere allucinazioni visive dovute ai farmaci scaduti,
esclamò
con un tono più alto del precedente:
“Buongiorno!”
Kurt
aprì gli occhi e si guardò intorno
disorientato. Al suo fianco, giaceva intontito un uomo dai capelli
ricci e
scuri, i cui occhi in quel momento non potevano fare alcun effetto su
di lui,
essendo chiusi.
Di
fronte, invece, lo fissava un infermiera dai
capelli biondo cenere, i cui occhi sbalorditi non potevano che
inquietarlo. Per
fortuna, il suo sguardo fu abbastanza pudico da non spingersi oltre la
cintura,
sotto la quale la stoffa del pantalone si tendeva in maniera innaturale
per
motivi… del tutto naturali.
“Dottor
Hummel, non volevo disturbarvi, né ti
chiederò per quale motivo tu sia qui, nonostante la
curiosità mi stia
logorando. Volevo solo comunicarti che sono le sette e mezza e che alle
otto
inizia il tuo turno.”
In
quel momento tutto gli fu chiaro: dopo una
crisi nervosa dovuta all’increscioso sistema sanitario
americano, aveva trovato
consolazione solo fra le braccia di quello che era diventato il suo
migliore
amico, e si era addormentato al ritmo del suo respiro calmo; molto meno
calmi
erano stati i sogni che confusi avevano agitato quella notte e la sua
stessa
persona. Si alzò di scatto, diretto alla porta, dove Alex,
appoggiata allo
stipite, lo squadrò da capo a piedi, alzando le sopracciglia
e poi guardando
Blaine. Il pediatra la fulminò con lo sguardo e lei si
dileguò.
Merda. I
suoi capelli erano più scompigliati che mai, ritti
da un lato e abbassati da un altro; aveva la camicia stropicciata, come
se
l’avesse fatta masticare ad un lama e poi l’avesse
riasciugata prima di
indossarla; la sua pelle risentiva della mancata cura di bellezza e il
bisogno
di una doccia gelida era
impellente. Sentì che il
pavimento era freddo e tornò indietro per mettersi le
scarpe, abbandonate
vicino al letto. Guardò Blaine, ormai sveglio, e notato dove
si fossero posati
i suoi occhi e il sorrisetto sulla sua faccia,
infilò velocemente il
camice e si catapultò fuori. Lo scontro improvviso ed
inaspettato con una
persona gli procurò dolore e scariche di piacere allo stesso
tempo.
“Hummel,
sei solo felice di vedermi o...?”
iniziò divertito Sebastian, ma si interruppe per controllare
con un rapido
sguardo quale fosse la stanza più vicina a loro, poi si
soffermò sull’uomo che
aveva davanti. Sul suo volto si dipinse per pochi secondi
un’espressione
sbalordita, poi ritornò il suo sorrisetto, a metà
tra il rimprovero e
l’ammirazione. “Tu... Oh mio Dio.”
mormorò, divertito e sconvolto.
Kurt
cercò subito di farsi capire, per
evitare fraintendimenti, gesticolando e balbettando una serie di
“Non è come
sembra!”, del tutto invano.
“Rubi
i pazienti e poi ci fai sesso, Hummel, sei
da ricovero!”
Kurt
lo tirò a se per la cravatta, intimandogli
di abbassare la voce, poi gli parlò all’orecchio:
“Ci ho solo dormito. Invece
quello che fate tu e Thad si sente per tutto l’ospedale,
Smythe, con che
coraggio mi rimproveri? E prestami la tua camicia.”
Il
francesino si riaggiustò il colletto, poi
disse: “Hai un camice, ninfomane: chiudilo e nessuno si
accorgerà delle
pieghe.”
Lo
sguardo di Kurt si soffermò sulla mano
affusolata del chirurgo, che si stava stringendo la cravatta, poi lo
implorò
con uno sguardo supplichevole.: “Perlomeno quella!”
Il
dottor Richardson è richiesto urgentemente
nell’ufficio della dottoressa Camelgracchiò
l’altoparlante.
“E
va bene.” sbuffò Sebastian, sfilandosela:
“Tieni.”
Il
pediatra gli sorrise grato, mettendola in
tutta fretta. Si ravvivò i capelli con una mano,
allacciò tutti i bottoni del
camice, alzò gli occhi al cielo nell’infruttuoso
tentativo di distrarsi
dall’erezione dolorante e sorrise nel più falso
dei modi al primario che stava
passando, dopo aver allacciato le mani all’altezza
dell’inguine, come i
calciatori che difendono la porta prima di un rigore.
Sospirò sollevato e si
voltò verso il chirurgo, che se n’era andato,
diretto verso il proprio ufficio:
probabilmente sentirsi ringraziare doveva essere troppo umiliante per
lui.
“Per
miracolo oggi funzionano le docce al piano
terra, ma ti avviso: non c’è acqua
calda.” gli bisbigliò Alex passandogli
affianco. Se
casca ghiaccio è
ancora megliopensò il pediatra, guardando di
striscio il cavallo dei suoi
pantaloni, poi guardò l’orologio: 7.40. Un quarto
d’ora da solo sotto l’acqua
fredda e sarebbe tornato come nuovo, pronto a prescrivere ricette e
auscultare
bambini.
***
Bene,
è deciso. Pensò
Kurt svoltando a destra e guardando la stanza 713, appena visibile
dall’inizio del corridoio.
Ormai
sei qui, entrerai, lo saluterai e…
Cazzo,
non ci riuscirò mai, non posso…
Il
pediatra scosse la testa e si voltò, pronto
per uscire dall’ospedale, ficcarsi in macchina ed espatriare
in Messico.
No,
Kurt, sono più di tre giorni che non vai
a far visita a Blaine e soprattutto non sei un bambino, tira fuori le
palle e
parlagli come se nulla fosse successo!
Convito
dalla sua rude ma giusta coscienza,
riprese a camminare a passo spedito e testa alta. Almeno fino a quando
un
manipolo di anziane signore non prese a bisbigliare e sussurrare al suo
passaggio.
Oddio,
mi stanno indicando…
Ignorale,
ignorale!
Come
faccio ad ignorarle? Stanno ridendo e mi
sta fissando l’intero reparto!
Prepara
i vestiti estivi e la crema solare,
tanta crema solare; con quella carnagione delicata in America Latina ne
avrai
seriamente bisogno…
Dopo
essere stato abbandonato anche dal piccolo
se stesso della sua testa, scelse l’unica soluzione che,
secondo lui, avrebbe
potuto salvare ciò che rimaneva della sua reputazione:
fuggire a gambe levate,
senza guardarsi indietro e senza fermarsi, catapultandosi nella camera
del
riccio.
“Ehi,
Kurt, che bello vederti, mancavi da un
po’…” esclamò Blaine
sorridendo e facendogli cenno di avvicinarsi, siccome,
dopo aver chiuso di scatto la porta ed essercisi appoggiato contro, il
più
grande era rimasto lì impalato come una statua di ghiaccio.
Il dottore rimase
fermo e in silenzio come se non avesse sentito una singola parola, poi
improvvisamente si raddrizzò e dichiarò:
“
Qui fuori ci sono delle vecchiette che mi additano
e sembrano anche divertirsi molto…”
“
E perché lo starebbero facendo?” chiese
innocente e confuso, scatenando però una serie di istinti
omicidi all’interno
del pediatra, che nuovamente rimase zitto, cercando di pensare a
qualcosa di
non imbarazzante da dire, ma non ci riuscì:
“
Ehm… invece Sebastian mi dà il tormento da
quando…”
Si
interruppe sorpreso dalle sue stesse parole e
desiderando di aver taciuto a causa dell’inquietante
sorrisetto che era apparso
sul volto del moro, dovuto alla sua improvvisa
realizzazione:“ Ah, perché ti
hanno visto uscire da qui in quelle condizioni?”
domandò, assumendo poi
un’espressione soddisfatta quando il rossore apparso sulle
guance di Kurt
confermò i suoi sospetti.
“
Ti prego, non è stato bello…”
Questa
volta non fu interrotto dal suo
ritardatario buon senso, ma dalla voce del più piccolo:
“
In realtà non sembrava ti fosse dispiaciuto,
anzi…”
Il
dottore avrebbe potuto controbattere in
almeno un migliaio di modi, tutti più o meno discutibili, ma
decisamente
superiori al sussurrato “Stronzo.” che invece emise.
“E
comunque passi troppo tempo con Thad!”
commentò ancora, facendo ridacchiare l’altro,
prima di zittirsi.
Nei
seguenti minuti di teso silenzio il
pediatra tentò disperatamente sia di non guardare Blaine e
il suo sorrisetto,
sia di pensare a qualcosa di intelligente per far deviare il discorso
verso
argomenti meno spinosi, mentre nel proprio cervello risuonavano una
sequela di MessicoMessicoMessico.
“
Freddino oggi, vero?” Prima di potersi anche
solo rendere conto di quanto quegli attimi di ragionamento fossero
stati
inutili, l’altro sussurrò tra le risa:
“
Kurt, non considerando il fatto che
chiaramente non posso sapere se fuori fa freddo, stai davvero parlando
del
tempo?”
“Beh,
io… non so che dire, va bene, scusa!”
Il
medico pensò che probabilmente quella era la
conversazione più imbarazzante che avesse fatto
dall’inizio dell’università. Il
moro, invece, forse per rompere il silenzio o forse per parlare del
fatto con
qualcuno, chiese:
“
Dove abita Sebastian?” all’espressione
stranita e confusa dell’altro continuò:
“ Dimmelo e basta, non mi sembri nella
posizione adatta per fare domande!”
“
Soho.”
“
Ahah, lo sapevo, ma ancora non posso
crederci…”
“
Ok, ora che lo sai, puoi mettermi al corrente
della tua scoperta, Sherlock?” La parte sarcastica di Kurt
stava rientrando in
funzione e Blaine, il cui intento era esattamente quello, decise di
spiegargli
tutto.
“
Stamattina Thad mi ha chiamato per avvisare
che avrebbe fatto tardi, poiché la metro a Soho aveva dei
problemi, inoltre
mentre parlavamo una voce maschile gli ha chiesto come volesse il
caffè. A meno
che non sia andato in quel quartiere solo per fare colazione spendendo
tutto il
suo patrimonio, ha dormito da Sebastian.” Siccome il pediatra
aveva una faccia
ancora più perplessa e sconvolta di prima, aggiunse:
“
Quando hai eliminato l’impossibile, quello che
resta, per quanto improbabile, deve essere la verità, mio
caro Watson!”
Si
sorrisero e cominciarono a discutere di quei
due e della loro situazione, archiviando, almeno per il momento, la
loro.
Furono interrotti dal telefono di Kurt che squillava.
“
Pronto Rach, cosa c’è?”
“
Torna a casa!”
“
Stai bene, che c’è?”
“
Tutto a posto, tu torna! Ciao.” Detto questo,
attaccò il telefono.
“
Io devo andarmene, mi dispiace, ma tornerò
domani.”
Esclamò
Kurt, poi si bloccò e il cervello gli
andò in black out di nuovo.
Adesso
come lo saluto?
Su,
tesoro, sai ancora salutare le persone!
Dio,
non è quello il problema, è
imbarazzante…
No,
è imbarazzante quello che pensi di fargli
di solito, non un innocente bacio sulla guancia…
Zitto!
Sconfitto
ancora una volta dal piccolo sé, diede
a Blaine un bacio sulla guancia, poi si lanciò in corridoio.
Dopo
una corsa in metro seduto tra un barbone
ubriaco che imprecava e una mamma con tre gemellini piangenti, una
quasi caduta
sulle scale mobili e un quasi incidente mentre attraversava la strada,
bussò
finalmente alla porta di casa. Quando questa si aprì, disse
tutto d’un fiato:
“Cosa
diavolo volevi Berry?” si fermò e quando
vide chi era in realtà la persona ferma sulla soglia
urlò:
“
Tana! Sei qui!”
*Angolo autrici*
Hey,
per una volta le scrivo io le note *.*
Allora...
questo viaggio sta per concludersi, mancano davvero
pochi capitoli! Quindi ora come più che mai abbiamo bisogno
di sapere il vostro
parere, anche per motivarci ad andare avanti. Per quel che riguarda il
finale:
all’inizio San non era proprio considerata in questa fanfic,
ma lei ci ha
chiamate e ci ha detto che voleva venire
a prendere per il culo Lady Hummel (testuali parole),
così eccola qui!
Ringraziamo
i 72 che seguono, i 5 che ricordano (?), i 9 che ci
preferiscono (??) e quelli che leggono! Davvero, vi vogliamo bene.
Ah, tra Pasqua e i compiti da fare non assicuriamo che il prossimo
capitolo
esca in tempo!
Al prossimo aggiornamento ^-^
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Capitolo 9 *** Capitolo IX. ***
Kurt bevve un altro sorso di caffè, godendosi quei dieci minuti di pausa che la sala d’aspetto assurdamente vuota gli aveva concesso. Era distrutto ed era tutta colpa di Santana. Il pediatra l’aveva sempre paragonata ad un uragano, specialmente durante le sue saltuarie visite a New York: arrivava all’improvviso, sconvolgendo e gestendo la vita di chiunque la circondasse, e non c’era modo di sfuggirle.
Ovviamente, anche quella volta, ne era certo, avrebbe avuto modo di riconfermare la validità del suo paragone.
Ma tutto sommato, fino a quel momento, si era comportata bene.
Avevano cenato insieme, chiacchierato fino a mezzanotte passata, poi Kurt, da vero gentiluomo, le aveva preparato il divano-letto e, nonostante quest’ultimo si trovasse al centro del salone, quella mattina era magicamente riuscito a non svegliare la latina, risparmiandosi così il suo classico sproloquio su quanto fossero femminili i suoi rituali d’idratazione.
L’esperienza, però, gli suggeriva di non riporre eccessiva fiducia su questi rosei inizi e già tremava all’idea che quella notte avrebbe dovuto dormire con Santana: era martedì, Brody sarebbe rimasto da loro e la mora aveva già dichiarato dinon avere nessuna intenzione di sentire i rumori prodotti da Ken e la nana e l’unico posto della casa dal quale era possibile risparmiarsi tale spettacolo era la camera di Kurt.
Il pediatra sobbalzò, rischiando di versarsi addosso ciò che stava bevendo, quando la porta si spalancò, aperta dalla stessa Santana.
“Lady Hummel” esordì, sedendosi con poca grazia di fronte all’interpellato.
“Satana!” rispose lui, notando il vestito rosso che s’intravedeva da sotto la giacca di pelle nera.
“Hai un altro, vero?!” chiese all’improvviso, facendo si che un’espressione confusa si dipingesse sul volto del medico.
“Cosa?!”
“ Hai un altro? Ho incontrato il tipo francese che ti scopavi…”
“Che finezza…”
“…e mi ha detto che è finita. Se hai rinunciato ad uno così, è ovvio che tu abbia trovato di meglio!” proseguì, ignorando completamente il commento e gli sbuffi del suo migliore amico.
“Sei lesbica! Cosa pretendi di capire?” ribatté.
“Ricorda che sono stata a letto con più uomini di te.”
“Touché.”
“Quindi? Chi ti ha convinto, con chissà quali maniere, a lasciar perdere il francesino?” continuò con fare accusatorio, aprendosi la giacca e poggiando i gomiti sul tavolo per avvicinarsi.
“Questo tono e questi mezzucci…” disse Kurt, alludendo alla profonda scollatura del suo vestito. “… li conservi per quando è in aula, avvocato Lopez. Anche perché con me non attaccano…”
Subito dopo la rottura con Brittany e il conseguente trasferimento a New York, Santana aveva iniziato a studiare legge, sostenendo che la sua perspicacia e la sua capacità di imporre la propria volontà su quella altrui le avrebbero assicurato uno strepitoso successo in tribunale.
Effettivamente le sue previsioni non si rivelarono così infondate. Era stata un brillante studentessa, tant’è vero che, quasi un anno dopo l’inizio del college, le era stata offerta una borsa di studio per Harvard, alla quale, ovviamente, non aveva saputo rinunciare. Fortuna volle che, nello stesso periodo, Brittany decidesse di entrare a far parte del corpo di ballo dell’Orpheum.La bionda aveva lasciato Sam poco prima della sua partenza, non voleva mantenere una relazione a distanza,e le due decisero, inizialmente, di condividere il piccolo appartamento di Boston, come semplici amiche. Nessuno aveva davvero creduto che sarebbero rimaste soltanto amiche per più di tre mesi, probabilmente neppure le due dirette interessate, e così era stato. Kurt era andato a trovarle, due mesi dopo il trasloco, le aveva viste baciarsi in cucina e non era rimasto affatto stupito, aveva soltanto fatto una foto e l’aveva mandata a metà della sua rubrica.
Avevano trovato un loro equilibrio, lì nel Massachusetts, nonostante vivessero lontane dai loro amici e dalle loro famiglie: Santana era uno degli avvocati più richiesti della città- l’avvocato donna più richiesto della città- e la carriera di Brittany procedeva senza intoppi.
Sapevano che non si sarebbero sposate, non era nel loro stile, ma sapevano anche che non sarebbe più finita.
“Quindi? Cosa mi nascondi?” domandò, tamburellando sul vetro della scrivania con le unghie laccate.
“Nulla, Tana, davvero nulla.”
La loro conversazione fu interrotta da un uomo brizzolato che bussò alla porta, trascinando per la mano una spaventata bambina di circa sei anni. Kurt cacciò Santana e invitò i due ad entrare, sorridendo alla piccola nel tentativo di tranquillizzarla.
***
Due ore e tredici visite dopo, durante una delle quali aveva tentato di convincere due anziani signori che il loro nipotino di dieci anni non aveva nessun problema di nanismo, ma era solo un po’ bassino, Kurt stava uscendo dal suo studio.
“Lady Hummel, mi ha chiamato Britt, siamo state invitate ad un matrimonio, tra due settimane. Tu ora mi accompagnerai a trovare un vestito.” ordinò Santana, alzandosi dalla poltroncina sulla quale lo aveva aspettato. Il pediatra annuì, sotto sotto adorava il fatto che Santana chiedesse aiuto solo ed esclusivamente sotto forma di comando.
“Va bene… Devo soltanto salire un attimo al secondo piano…” rispose Kurt, alzando gli occhi al cielo.
Aveva davvero voglia di salutare Blaine, ma non l’avrebbe presentato a Santana. Poteva mentire a se stesso, a Rachel, perfino a Carole, ma con Tana sarebbe stato diverso, lei non avrebbe domandato, l’avrebbe capito.
“Perfetto, ti accompagno su e poi andiamo.”
Arrivati nel famigerato corridoio C, Kurt chiese alla mora di aspettarlo accanto all’ascensore e, sperando di non destare troppi sospetti, s’intrufolò nella 713.
“Kurtie!”
“Buongiorno, Blaine. Come stai?” sorrise.
“Uhm… La fisioterapia è più stancante di otto ore di lezione con la Berry, e si, le ho fatte…” Il pediatra ridacchiò. “Ma non mi lamento. Credo di, in un modo o nell’altro, star facendo qualche progresso. Tu cosa mi racconti?”
“C’è Santana a New York.” annunciò Kurt.
“Davvero? Per questo la Berry ti ha chiesto di tornare a casa ieri sera?” chiese il più piccolo interessatissimo, fin dal primo momento in cui aveva sentito parlare di lei, l’aveva adorata, senza neppure sapere il perché.
“Esatto. Ho un appuntamento con lei tra dieci minuti… Sono passato solo a salutarti…” mentì, sperando con tutto se stesso che la donna non andasse a cercarlo.
“Oh, capisco… Divertitevi!” commentò Blaine, non riuscendo a nascondere la sua delusione.
“Ci vediamo domani, magari…” rispose il medico, uscendo dalla stanza.
Tornato in corridoio, scosse la testa per combattere il suo tremendo desiderio di rientrare nella 713 e iniziò a cercare Santana con lo sguardo. La trovò nello posto in cui l’aveva lasciata, appoggiata al muro ed intenta a controllare qualcosa sul suo telefono, poi notò qualcosa che gli fece gelare il sangue nelle vene: Richardson, a circa tre metri dalla sua migliore amica, la fissava con aria famelica.
Schifato da quella visione, Kurt si avvicinò velocemente alla sua migliore amica, tentando di trascinarla nel minor tempo possibile nell’ascensore.
“Hummel, quanta grazia!” si lamentò lei, opponendo resistenza.
Questo le fu fatale, l’orrido vecchio fu in meno di un minuto accanto a loro.
“Kurt, non mi presenti la tua amica?” chiese, con voce schifosamente melliflua.
“ Posso farlo da sola. Avvocato Santana Lopez.” rispose la latina, voltandosi e allungando la destra per presentarsi.
“Dottor Daniel Richardson” disse, stingendo la mano della ragazza e indugiando decisamente più del necessario prima di lasciare la presa. Non appena sentì quel nome, Santana ricordò i racconti del suo miglior amico, quindi assunse un’ espressione maliziosa e sorrise a Kurt, sperando che quest’ultimo avrebbe intuito cosa aveva intenzione di fare: vendicarsi.
“ Per quale ufficio lavora? Sa… Io conosco alcuni avvocati, per via della medicina legale...” continuò il più vecchio, tentando penosamente di attaccare bottone.
“Abito a Boston. Non credo che lei conosca qualcuno dei miei colleghi…” rispose, aprendosi, come suo solito, la giacca.
“Come mai è qui a New York? Un viaggio di lavoro o di piacere?” domandò, fissando in maniera fin troppo palese la scollatura della donna con la quale stava parlando.
“Piacere. Sono tornata a trovare vecchi amici…” disse, spostando lo sguardo su Kurt, che la fissava, tentando inutilmente di prevedere le sue mosse.
“E quanto si tratterrà qui?”
“Tre giorni.”
“ E qui da sola o accompagnata?”
“ Sola.”
“Viene raramente a New York? Perché c’è un posto dove deve assolutamente cenare…”
“Se sta tentando di invitarmi ad uscire, mi sento in dovere di dirle che sono felicemente impegnata da più di otto anni…” commentò e, in quel momento, Kurt capì le sue intenzioni, quindi si appoggiò al muro alle sue spalle e si preparò per assistere a quello spettacolino organizzato dalla Zia Snix.
“ E il suo uomo lascia che lei faccia un viaggio così lungo senza di lui?” chiese con un’espressione a metà tra la delusione e lo stupore, probabilmente nel suo cervellino maschilista una donna doveva ricevere un consenso scritto dal padre o dal marito anche per limarsi le unghie.
“Donna. Lei.” lo corresse.
“Come?!”
“Intendo dire che alla mia compagna non da assolutamente fastidio che io viaggi da sola.” Spiegò. La mascella di Richardson arrivò più o meno a sfiorare il pavimento e Kurt fece tutto ciò che era in suo potere per non scoppiare a ridere.
“Non è possibile…” commentò, fissando Santana con aria sconvolta.
“ Si fidi…” fu interrotta dalla suoneria del suo cellulare. “ … Mi scusi…”
Lo schermo del cellulare s’illuminò, mostrando una foto delle due ragazze, vestite da Wilma e Betty Flintstone, ad una festa di Carnevale alla quale Brittany aveva assolutamente voluto partecipare, mentre Santana avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di renderla contenta.
“Parli del diavolo…” sussurrò, poi si allontanò ancheggiando “Hey, Britt-Britt… Tutto bene?”
“Hummel!” tuonò Richardson voltandosi verso il collega.
“Si?”
“E’ soltanto un modo per prendermi in giro, vero?”
“Ehm… No, direi di no. Decisamente no. Stanno davvero insieme da otto anni…” commentò Kurt, alzando le spalle.
“ E perché tu non me l’hai detto prima?!”
“Cosa avrei dovuto dirle esattamente? La smetta di provarci con la mia migliore amica? E’ lesbica e fidanzata non verrà a cena con lei?” ribattè Kurt, il più vecchio arrossì di rabbia e imbarazzo, facendo sì che la sua testa pelata si accendesse come una lampadina, poi riprese a fissare il suo sottoposto con aria truce.
“Kurt, andiamo… Brittany mi ha chiesto di comprare un vestito anche per lei…” li interruppe “Dottore, mi dispiace che lei ci sia rimasto male… Se posso darle un consiglio per il futuro: forse le donne della sua età apprezzeranno le sue avances…” e detto ciò, afferrò il suo migliore amico per un braccio e lo catapultò nell’ascensore.
“Grazie.” mormorò Kurt, non appena le porte si furono chiuse.
“E’ stato un piacere, tesoro.” gli sorrise. “Sai quanto amo bistrattare orridi sessantenni…”
***
Kurt aprì piano la porta della stanza, col timore che il paziente dormisse. La visione che per pochi istanti gli si parò innanzi gli fece richiudere di scatto la porta: Santana Lopez sedeva a gambe incrociate sul bordo del letto, conversando allegramente con Blaine. Ecco, è finita pensò allontanandosi preoccupato e furioso a passi veloci. Troppi aneddoti imbarazzanti erano legati a quella donna, e la sua lingua biforcuta era in grado di distruggere la mediocre reputazione da pediatra qualificato e brava persona qual’era che si era costruito col moro. Non avrebbe mai più trovato il coraggio di rivederlo, non dopo che l’ex-cheerio ci aveva parlato. Si fermò un secondo, sospirando: per sua sfortuna si era davvero affezionato a quel riccio più bambino che uomo, e la prospettiva di non doverlo più vedere gli sembrava terribile. E poi, pensò, se era ritornato lì dopo essere fuggito in tutta fretta con un’imbarazzante erezione, poteva farlo sempre. Finché Blaine non sarebbe stato dimesso, avrebbe potuto parlargli tutto il tempo che voleva e non c’era nulla di male in questo. Quello che era davvero sbagliato era sperare che rimanesse ricoverato all’Allen Pavilion più tempo possibile.
Sono una persona orribile, a volere il mio bene e non il suo.
Kurt Hummel sei un egoista in piena regola, non c’è niente da fare.
Sei un mostro.
Quand’era successo che il ragazzo dalle sopracciglia a triangolo era diventato il suo bene? Non lo sapeva, ma era così.
“Kurt, sono 5 minuti interi che fissi un punto indefinito alternando espressioni tormentate ad altre malinconiche e sì, meriteresti un oscar, ma intralci il passaggio mio e della signora Shweinski.”
disse Alex riportandolo sul mondo terrestre. Non colse l’occhiata di rimprovero che gli rivolse la vecchietta al braccio dell’infermiera e tornò di corsa da dov’era scappato, additando il dito verso Santana ed esclamando: “Tutto quello che ti ha detto è falso!”. La ragazza lo guardò corrugando la fronte e scuotendo la testa: “Per questa tua infondata accusa, ti denuncerò per diffamazione.” rispose con calma.
“Questo dovrei dirlo io!!” sbraitò il pediatra, avvicinandosi a loro e fissando per un attimo allarmato il moro. Forse stava solo aggravando la sua situazione.
“Quindi non è vero che hai ballato Bad Romance su dei tacchi da 10 centimetri?” chiese innocentemente Blaine, che poco prima aveva mimato il gesto di tapparsi con le mani le orecchie, come un bambino che non voleva sentire i suoi litigare e se ne usciva con una domanda ingenua per distrarli. Kurt titubò, fissando di sbieco Santanae poi risoffermandosi su quei grandi occhi nocciola e oro: “Ok, questo è vero... Erano più di dieci anni che mi allenavo, del resto.”
Santana sollevò gli occhi al cielo: “Dio, sei l’essenza dell’omosessualità.” Stettero in silenzio per qualche secondo, poi Blaine commentò: “Credo che questa sia la stanza più gay dell’universo. Non sono sicuro sia mai entrato qualcuno di etero qui, da quando sono ricoverato.” Scoppiarono tutti e tre a ridere, constatando che sì, in effetti la camera 713 dell’Allen Pavilion Hospital sembrava continuamente macchiarsi di una sorta di razzismo eterofobo. “Ti stavo dicendo...” riprese l’avvocato verso il riccio: “A quel punto il castano qui presente si finse etero presentando la mia non ancora compagna di vita come fidanzata a suo padre. Hanno limonato. LORO!” continuò gesticolando esasperata: “E se ci penso quando mi struscio su Britt, mi blocco e resto traumatizzata pensando di star baciando Porcellana e mi blocco e non riesco a-”
“OH MIO DIO NIENTE PARTICOLARI SCABROSI!” si intromise improvvisamente il pediatra.
“Pardon, Lady Hummel, devo aver indirettamente nominato il mostro vagina, d’ora in poi eviterò!” replicò falsamente mortificata la donna. Blaine, che era rimasto colpito da alcune parole usate prima dall’ispanicae stava fissando il vuoto, li guardò incrociando le sopracciglia, sentendosi vagamente escluso da quello scambio di battutine geniali. “Senti un po’, Pride, stasera pensavo di andare al Barracuda, visto che sono nella grande Mela e non voglio perdere l’occasione di completare il mio giro dei locali gay più famosi del mondo. Che ne dici?” disse la mora alzandosi e lisciandosi il vestito attillato. Kurt fissò l’uomo dietro di lei, che lo guardava con grossi occhi da cucciolo solitario, e si curò di evitare quelli neri e profondi dell’avvocato mentre le rispondeva: “I-io... sono davvero distrutto, devo ragionare su un paio di casi e non ho il tempo...”.
Da come la donna si girò per un attimo indietro e poi ancora verso di lui, alzando le sopracciglia e sorridendo sadicamente divertita, capì di aver miseramente fallito. “Beh, hai bisogno di distrarti e… sciogliere la tensione. Certo se hai di meglio da fare… ” gli sussurrò maliziosa, facendogli pulsare la vena sul collo candido per la rabbia e costringendolo ad una risposta troppo avventata:“ No, no… ci andremo!” detto questo, si lanciò fuori dalla camera. Non notò lo sguardo di Blaine, ferito, deluso e, come Santana ben sospettava, colmo di gelosia.
***
“Su con la vita Hummel !” urlò Santana tentando di sovrastare la musica assordante del locale e di raggiungere l’altro sgusciando tra i corpi sudati e poco vestiti della massa di gente che ballava.
“Ti odio!” mimò il pediatra con le labbra, sprofondando su uno degli sgabelli melanzana posizionati davanti al bancone del bar, mentre l’amica lo imitava ghignando soddisfatta.
“ Un Martini e un Appletini, grazie.” Sorrise affascinante alla barista, poi riprese: “ Dai, c’è un tizio discretamente figo che ti sta mangiando con gli occhi da quando siamo arrivati…”
Kurt si voltò nella direzione verso cui puntava lo sguardo dell’ispanica, ma fu distratto dall’arrivo dei loro drink.
Stava per afferrare il Martini e trangugiarlo nella speranza di sciogliersi un po’, ma fu bloccato dall’altra:
“Ahah, cuccia, il tuo è questo!”
Dopo uno sguardo sospettoso al colore verdognolo dell’alcolico e all’ombrellino fucsia che galleggiava sul bordo, si alzò di scatto sibilando un “Quel cocktail è troppo gay anche per me…” che fece ridacchiare la latina. Si rigirò verso il ragazzo indicatogli da Santana e, per quanto lo permettessero le luci accecanti, lo osservò meglio:
Non era brutto, per niente. Alto e muscoloso, i capelli corti e chiari, un sorriso ammiccante e ricolmo di promesse di piacevoli attività future. In un'altra occasione, probabilmente, non avrebbe esitato un solo istante prima di trascinarlo nei bagni del locale. In quel momento, però, quando l’altro gli fece l’occhiolino, la sensazione che provò fu del tutto agli antipodi dall’eccitazione:
Un lieve fastidio, come se qualcuno gli stesse stringendo lo stomaco con del fil di ferro, e un pensiero vago che stava gradualmente diventando sempre più insistente e che doveva riaffondare nei meandri del suo subconscio. Esattamente a questo scopo bevve tutto d’un fiato l’Appletini, la propria vodka e anche quella dell’amica che si era alzata, lanciandogli un’occhiata allusiva e sussurrando:
“ Non lasciartelo scappare, anche se assomiglia a Blaine…”
“ Eh?!”
“ Il nuovo tipo che se la fa con Barbie…” detto questo, sparì tra la folla con un sorrisetto maligno per l’espressione confusa e amareggiata di Kurt.
“ Sono Josh, era una tua amica quella che mi fissava come se mi avesse potuto uccidermi, se non fossi venuto qui?”
“ Già, ma non prenderla sul personale, non è molto delicata, né socievole…”
“ Uh, che bella canzone, vuoi ballare?”
Il medico tentò di non essere infastidito da quel sorriso a mezza bocca e no a trentadue denti, da quei capelli lisci e non boccolosi, da quegli occhi neri e non ambrati, dorati, verdi, nocciola e chi più ne ha più ne metta. Davvero, ci provò e, per un po’, ci riuscì, fino a quando Josh gli poggiò le mani sui fianchi e si avvicinò; e poteva ancora sopportarlo, non era invasivo, di solito ne sarebbe stato felice. Quando lo baciò, però, non ce la fece:
si staccò di colpo e scappò, calpestando piedi e urtando persone, fino ad atterrare poco dolcemente sul marciapiede, preso dall’emicrania e dai conati di vomito. Non si accorse di quello che diceva Santana, si lasciò trascinare in macchina e poi a casa.
***
“ Avanti! Cosa c’è?” sbottò Kurt alzando di scatto la testa verso Santana impegnata a fissarlo e tamburellare insistentemente le unghie laccate di rosso sul tavolo. Se ne pentì subito dopo, per il capogiro che l’aveva colpito, e riaffondò la testa tra le braccia.
“ Nulla, sto aspettando che tu lo noti…” rispose l’altra, rimanendo indifferente al tono di voce stizzito del pediatra.
“ Cosa?”
“ Il grande elefante rosa nella stanza, e questa volta non si tratta della tua sessualità…” allo sguardo ancora più perplesso e infastidito dell’amico, spiegò:
“ quello che provi per Anderson.”
“ Io…io non provo niente per Blaine, è solo un amico…”
“ Certo, come lo eravamo io e Brittany…”
“ No, è diverso, lui…” fu interrotto dall’ispanica:
“ Da quanto non fai sesso?”
Il medico rimase impietrito, cercando inutilmente di formulare una risposta per lo meno sensata.
“ Il tuo silenzio è più che eloquente, scommetto che non esci con nessuno da quando tu e il francesino vi siete lasciati… perché?”
“Perché… non avevo tempo…”
La bruna si lasciò sfuggire una risatina ed esclamò:
“ Già, tutto quelle ore extra in ospedale per stare con Anderson…
Beh, supponiamo anche che io creda a questa scusa patetica, perché non l’hai fatto con quel ragazzo?” rendendosi conto che così non avrebbe ottenuto molto, Santana decise di fare domande più dirette e semplici, per cui sarebbe stato sufficiente anche solo muovere la testa.
“ Era un bel ragazzo, vero?”
“ Sì.”
“ Sembrava gentile e normale?”
“ Sì.”
“ Fino a qualche mese fa, ci avresti fatto sesso?”
“ Sì.”
“ Il vero problema, quello che sto cercando di farti ammettere e risolvere, è che volevi che al suo posto ci fosse Blaine, vero?”
“ Sì. No, no… intendevo, mi hai confuso, sono anni che ti conosco, dovevo aspettarmi questa stupida tattica…”
“ Sarà stupida, ma funziona, anche se mi ha solo confermato quello che già sapevo. Non rifilarmi la storiella della sbronza e sii sincero, cosa c’è che non va?”
Il medico prese un profondo respiro e si stropicciò gli occhi. Tana aveva ragione, non aveva senso sfuggire all’ovvio e parlarne non avrebbe fatto male; nonostante, però, fosse assolutamente certo di potersi fidare dell’amica, dirlo ad alta voce, l’avrebbe reso più reale e, in qualche modo, più spaventoso.
“ Se pure a me piacesse… insomma, hai capito,…”
La donna sorrise, ma non fece alcun commento.
“ Lui non… mi vede solo come un amico…”
“ Io non credo.” Il sorriso dell’avvocato si estese maggiormente alla luce di speranza e felicità sul fondo degli occhi dell’altro; era da tanto che non lo vedeva così.
“ Tu non l’hai osservato bene, perché eri troppo impegnato a scappare, ma dopo che hai detto che venire con me in un gaybar era meglio che passare la serata con lui, non era solo un po’ triste, era ferito. E no, non è perché non può ancora uscire, ma perché credeva che ti saresti scopato qualcuno e ne è geloso!”
Il pediatra sembrò ragionare su quelle parole e l’altra pensò che sarebbe tornato in sé, avrebbe capito di essere stato un’idiota fin’ora e sarebbe corso da Blaine per dichiarargli i suoi sentimenti come nelle scadenti commedie romantiche che amava tanto, ma no fu così:
“ Fingiamo che tutto ciò che hai detto sia vero, okay? Blaine ha comunque solo 23 anni, va ancora al college, non credo desideri una relazione seria e stabile…” fu interrotto dall’amica:
“ Solo 23 anni?! Kurt, non è un bambino, io avevo una relazione seria a quell’età e Blaine non mi sembra il tipo da una notte e via!”
“ Va bene, ma con tutti i problemi che ha avuto, non voglio aggiungermi alla lista…”
“ Tu non sei un problema…”
“ Sì, allora perché tutte le storie che ho avuto sono finite male?!”
Santana squadrò preoccupata l’altro; sul serio Kurt si riteneva un problema? Dov’era finito quel ragazzo orgoglioso e sicuro di sé tanto da cadere nel teatrale? Quel ragazzo che l’aveva incuriosita tenendole testa e ricambiando sempre il fuoco con il fuoco?
Davvero non riusciva più a vedere quanto fosse fantastico?
“ Non è colpa tua se hai incontrato una sequela di stronzi, ma lo diventerà se ti farai scappare l’unico papabile e palpabile!”
“ Santana!” esclamò cercando di farlo sembrare un rimprovero, ma l’amica scoppiò a ridere ugualmente. Il medico si prese la testa tra le mani e sussurò:
“ Non dovresti farmi urlare, mi scoppia il cranio. Sarebbe meglio andare a letto.”
Detto questo si alzò e si avviò nella sua stanza, seguito dall’ispanica.
“ Non ti libererai così facilmente di me…”
Kurt afferrò rassegnato il suo pigiama e sbuffò un retorico:
“ Posso almeno andare in bagno?”
Quando ritornò, Santana era sdraiata sul suo letto, dal suo lato e con la sua maglietta addosso.
“ Non ha nemmeno senso!” sbottò indicando la t-shirt con su stampato LIKES BOYS che stava indossando la ragazza.
“ Eh, già! Vieni qui!”
Si sistemarono meglio sotto le coperte e l’ultima cosa che Kurt sentì, fu la bruna che, poggiata sul suo petto, affermava che le persone con le tette fossero nettamente più comode.
***
“Stupro di gruppo.”
“Difesa o accusa?”
“Accusa, fortunatamente… Non dovrebbe essere complicato… Lei è minorenne, uno dei tre aggressori ha dei precedenti…” Erano in fila per il check-in e stavano parlando del processo che Santana avrebbe dovuto affrontare la mattina successiva.
“Come fai a parlare con tanta tranquillità di queste cose?!” chiese sconvolto Kurt, fissando negli occhi la propria miglior amica.
“È l’abitudine, anche tu parli così di trapianti e tumori…” gli fece notare la mora, afferrando poi il trolley e avvicinandosi all’hostess.
“ Britt viene a prenderti all’aeroporto?” domandò, cambiando argomento, perché, come Sebastian amava ripetergli, non sarebbe mai stato capace di rimanere freddo e distaccato difronte a certi argomenti.
“Torniamo quasi in contemporanea. Il suo volo da Chicago parte un’ora prima del mio…” spiegò la mora, riponendo la sua carta d’imbarco nella borsa.
“Io vado, devo fare i controlli di sicurezza” lo abbracciò, poi salì sulla scala mobile.
“Ah, Lady Hummel!” lo richiamò pochi secondi dopo “Ricorda che quando sposerai Anderson io e Brittany vogliamo essere le damigelle!”
Buonasera!
Scusate l'enorme ritardo!
Ringraziamo le meravigliose 77 persone che ci seguono, le 7 che ci ricordano e le 10 che preferisco... *.* Noi vi amiamo!
Bene, in questi nostri giorni di assenza abbiamo pubblicato qualcosina:
Una OS sulla 4x18 della nostra Rella.
L'inizio di mio progetto tutto Daddies!Klaine.
Mancano 3 capitoli alla fine, ma non vi libererete di noi!
Baci, Potters.
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Capitolo 10 *** Capitolo X. ***
“ Cos’ha Claire?” chiese Blaine, sistemandosi le lenzuola sulle gambe.
“ Un cancro maligno al cervello. Sebastian stanotte dovrà asportarglielo e, nonostante l’operazione non sia assai rischiosa, la madre mi ha chiesto di aspettare in ospedale. Non che mi dispiaccia, sono davvero affezionato a quella bambina…” sospirò Kurt, strofinandosi gli occhi stanchi.
“Anch’io se avessi un figlio in sala operatoria sarei preoccupato… tu vorresti averne? In un futuro più o meno prossimo…” domandò il moro, allontanandosi completamente dall’argomento precedente.
“ Certo, mi piacerebbe molto. Ho scelto pediatria proprio perché mi piacciono i bambini, ma devo ancora trovare l’uomo giusto…” disse il medico, dando alla parte conclusiva della frase un’intonazione interrogativa, come se si aspettasse che Blaine gli rispondesse.
“ Pensavo non volessi proprio per la tua professione, insomma… non ti sembrerebbe di portare il lavoro a casa?” scherzò.
“ Beh… sai qualche volta ci ho effettivamente pensato.” Continuò l’altro, stando al gioco, ma confondendo solamente il più piccolo.
“ Che?!”
“ Talora alcuni dei miei pazienti sono così adorabili che vorrei rapirli e tenerli con me: Claire è tra questi!” spiegò, cercando di non passare per un vero psicopatico.
“ Nick ed Io tempo fa cercammo di rubare un cane e portarlo alla Dalton… era bellissimo…” raccontò il riccio, come se fosse la cosa più comune del mondo.
“ E tu…invece? Certo… sei più giovane, ma…”
Il pediatra decise di terminare lì quella sequela d’imbarazzanti balbettii.
“ Assolutamente sì! Ecco, magari dovrei prima finire l’università, trovare un lavoro… anche riprendere a camminare tornerebbe utile…” sorrise “ Tanti figli. Può sembrare infantile, ma, come ti ho già detto, quand’ero piccolo, ero molto solo, specialmente a casa…
Inoltre il mio modello di famiglia ideale è quello di Thad; lui ha sette fratelli e sorelle.”.
Anche Kurt sorrise mentre si perdeva tra le sue fantasie, dove un Blaine che passeggiava a Central Park con un piccolo esercito di bambini – alcuni con boccoli neri, occhi dorati e più bassini degli altri con la carnagione chiara e gli occhi azzurri- era mano nella mano con lui.
Si riscosse da quel volo pindarico e affondò la faccia tra le lenzuola.
“ Stanco?” chiese il bruno, allungando un braccio per accarezzargli i capelli.
“ Già, sto correndo a destra e sinistra da questa mattina, e più va avanti la mia carriera, più le malattie da cui i miei pazienti dovrebbero essere affetti diventano assurde. Tra poco mi diranno che ci sono bambini con la malaria…” straparlò il dottore, cercando di essere assorbito dal materasso per non manifestare il proprio imbarazzo. Lentamente, cullato dai movimenti della mano di Blaine e dalle immagini, non ancora del tutto sopite, propinategli dal suo cervello, cedette al sonno.
Il riccio smise di coccolarlo, credendo di infastidirlo, ma, al contrario, il suo gesto fu accompagnato da un verso di disapprovazione che non poté non farlo sorridere.
Ricominciò, fino a quando non notò quanto dovesse essere scomoda la posizione nella quale il più grande stava riposando; quindi decise di svegliarlo per incitarlo a stendersi sul letto.
“ Kurt?” lo chiamò piano.
“ Mpf… che c’è?” borbottò il pediatra più addormentato che sveglio
“ Ha chiamato Cassey?”
“ Non so neppure chi sia, volevo solo dirti che è ridicolo che tu dorma così. Vieni qui!” spiegò il moro, battendo la mano sul materasso.
“ La mamma di Claire e no, non voglio darti fastidio…” tentò l’altro.
“Non morirò per trenta centimetri.”
“ Ma…”
“ Nessun ma! Non ti reggi in piedi, senza offesa, ma hai delle occhiaie spaventose… sembri un panda. Quindi adesso ti alzerai da quella sedia e verrai a riposare come si deve!” sentenziò Blaine.
Kurt acconsentì sconfitto e si lanciò sul letto con malagrazia, sempre tenendo la testa bassa e posizionandosi il più lontano possibile dall’altro, girato sul fianco sinistro e dandogli le spalle.
Dopo qualche minuto di assoluto silenzio, il più piccolo sbuffò, roteando gli occhi:
“ Sul serio, vuoi spostarti ancora un po’? E, ti prego, puoi guardarmi?”
Il pediatra esitò un attimo, poi si voltò sulla schiena, le braccia incrociate sul petto, le gambe unite e stese. Il riccio si rassegnò al fatto che, per il momento, non avrebbe potuto ottenere nulla di più, per quanto ci provasse o lo volesse.
“ Sembra di dormire in un obitorio…” commentò.
“ Se continui con questi riferimenti al mio pallore, inizierò ad offendermi…” rispose l’altro; scoppiarono a ridere, allentando leggermente la tensione.
“ No… Mi è sempre piaciuta la carnagione chiara…” sussurrò Blaine con un tono di voce improvvisamente più soffice e basso, come se stesse confessando un segreto. Kurt arrossì e girò la faccia dal lato opposto, borbottando un lieve “ Buonanotte”. Chiuse gli occhi e cercò d regolarizzare il suo respiro affannato per rendere almeno minimamente credibile il suo fingere di dormire. Il moro credette a quella farsa o, più probabilmente, volle crederci; quindi spense le luci e tentò di riposare.
Furono svegliati dopo quelli che sembrarono pochi minuti dall’insistente squillo del cercapersone del medico. Quest’ultimo, dopo qualche attimo di smarrimento iniziale, resosi conto della posizione in cui si trovava e in cui era certo di non essersi addormentato –abbarbicato all’altro come un koala con la testa sul suo petto, il braccio attorno alla sua vita e la gamba sinistra sulle sue- urlò in modo molto poco virile, seguito subito anche da Blaine, e si alzò di scatto dal letto. Il pediatra si passò le mani tra i capelli, controllò l’aggeggio infernale che aveva causato quel pandemonio e, dopo aver esclamato: “ E’ Claire”, si avviò verso la porta senza nemmeno salutare. Fu, però, fermato dal più piccolo:
“ Posso… posso venire con te?”
Il medico pensò per qualche secondo di dirgli che non poteva continuare a rapire i pazienti e portarli con sé in giro per l’ospedale, ma non riuscì a resistere allo sguardo implorante dell’altro; infatti, lo aiutò a poggiarsi sulla sedia a rotelle ed uscirono dalla stanza assieme. Un solo pensiero fisso nella mente di Kurt:
Cosa mi hai fatto, Blaine?
***
“Ciao…” sussurrò Kurt, aprendo lentamente la porta della 245, la stanza in cui era ricoverata Claire. L’operazione era andata bene, a detta di Sebastian, e c’erano buone possibilità che la bambina potesse essere dimessa entro quattro o cinque mesi.
“Kurt!” lo chiamò, alzando lentamente la testolina fasciata dal cuscino.
“Hey! Come ti senti?” le chiese, sedendosi su bordo del letto.
“Mi fa un po’ male la testa e i punti sono fastidiosi, ma mamma ha detto che era necessario…” rispose, sorprendendo ancora una volta il pediatra con la sua maturità.
“La tua mamma ha ragione, era necessario…”
“Kurt, posso chiederti una cosa? Nessuno vuole dirmi quando uscirò da qui. Puoi?” chiese, spalancando gli occhietti chiari speranzosa.
“Ehm… Precisamente non lo so… Ma credo che per fine Agosto sarai a casa…” sorrise, poi Clare aprì le manine ed iniziò a contare i mesi sulla punta delle dita, concentratissima.
“Sono solo quattro mesi! Significa che a Settembre potrò tornare a scuola?”
“Se vorrai, credo di sì… Certo, ogni tanto dovrai fare qualche controllo…”
“Certo che voglio! Ci sono tutti i miei amichetti lì! Poi papà ha detto che quando esco da qui posso andare a trovare la nonna, mi manca tantissimo, lei non può venire qui, neppure negli orari di visita… è troppo vecchia…” iniziò a staparlare, felicissima per le notizie appena ricevute.
“Devi solamente continuare a fare la brava come hai fatto l’altro ieri… A proposito, sei stata meravigliosa! Davvero Blaine ha fatto più storie di te!”
“Blaine? Ha dovuto fare la mia stessa operazione?” chiese, pronunciando la z in modo tenerissimo, come solo una bambina di otto anni può fare.
“Più o meno…” disse, non ritenendosi in grado di spiegarle quale fosse la differenza tra un’ aneurisma e un tumore.
“E a lui sono già ricresciuti i capelli?” domandò, preoccupata dal fatto che per operarla erano stati costretti a raderglieli.
“Quasi…” sorrise, pensando inevitabilmente ai meravigliosi boccoli del ragazzo.
“Blaine è il tuo fidanzato, vero?” ritentò lei.
“No, Claire, e te l’ho già detto una decina di volte, credo…” mormorò, arrossendo leggermente.
“E perché?”
“Tesoro, le cose tra i grandi sono un po’ più complicate…” provò a dire poco convinto.
“Ha una fidanzata?” incalzò la piccola, credendo di aver capito quale fosse il problema.
“No!” rise.
“Un fidanzato?”
“… no.”
“ E allora? Assomiglia al principe Eric! Sai, quello della Sirenetta!” Kurt non poté far a meno di scoppiare a ridere, perché quel paragone era dannatamente veritiero.
“Poi è simpatico, sa cantare, ha giocato con noi…” continuò elencando tutti i pregi del brunetto, determinata a concludere in bellezza quell’opera di convincimento.
“Basta! Allora, quando uscirai da qui ti prometto che ti porterò a vedere Mary Poppins a Broadway… Sai, la mia migliore amica sta facendo un provino per entrare nel cast..!” disse, tentando disperatamente di distrarla. Le parole pronunciate da Santana la settimana precedente risuonavano ancora nella sua testa e Claire stava soltanto buttando benzina sul fuoco.
“Davvero lo farai? Davvero?!” Il pediatra annuì, poi esultò mentalmente, credendo di essere riuscito nel suo intento.
“Però verrà anche Blaine con noi!” dichiarò in quell’istante.
“Smettila!”
In quel momento la porta si aprì, spinta da un ragazzo di circa vent’anni tremendamente simile a Claire.
“Peter!” esclamò la piccina, allargando le braccia.
“Scricciolo!” la salutò lui, correndo ad abbracciarla, poi notò la presenza di Kurt e si voltò per presentarsi: “Sono suo fratello, Peter.”
“Kurt, il suo pediatra…”
“Ah, lei la stava visitando? Posso tornare dopo… Non è un problema per me aspettare qualche minuto…” si scusò.
“No, non la stavo visitando, resta pure…” disse alzandosi.
“Kurt, sai lui va a scuola lontanissimo, per questo non l’hai mai visto!” raccontò Claire entusiasta.
“Io vado. Divertitevi!” li salutò uscendo dalla stanza.
“Vai dal tuo principe Eric?!” urlò la bambina.
“Smettila!” le rispose lui, facendola scoppiare a ridere, sotto lo sguardo confuso di Peter.
Uscito da quella stanza il medico non riuscì a non pensare che i bambini sono, come si suol dire, la voce della verità e che, di conseguenza, avrebbe anche potuto ascoltare la sua piccola paziente.
***
Kurt fissò la porta, la mano salda sulla maniglia, con un’insana voglia di ingoiare insetticida per liberarsi delle farfalle che gli svolazzavano nello stomaco.
Rimise la mano in tasca e si appoggiò alla parete, dove un piccolo cartello indicava il numero della stanza.
Forza, mostra il tuo elegante cavallo e sfodera il più audace degli sguardi, è così che i principi conquistano le giovani fanciulle!
Il pediatra assunse un espressione confusa, girando su se stesso nel vano tentativo di rispondere a Rachel. Da dove diavolo aveva parlato la Berry?!
Nana, hai ragione solo se con "cavallo" intendi quello dei pantaloni e con "giovani fanciulle" uomini affascinanti!
replicò Sebastian. Controllò che dietro i carrelli del pranzo non si nascondessero la sua migliore amica e il suo ex-fidanzato, poi mormorò: "D-dove siete?"
"Infermiera!" imprecò un nonnino sui divanetti lì vicini: "Perché io devo prendere queste pillole e non il dottore che parla da solo?!"
Kurt scorse forte la testa per liberarsi delle moleste voci che avevano preso le parti della sua coscienza. Il suo udito di nuovo funzionante gli fece notare la voce di Blaine.
"Ryan, quanto tempo…" stava dicendo il moro con voce nostalgica. Il castano scandagliò i proprio ricordi, cercando quel nome in vecchi discorsi.
"Sì, ma sto facendo passi da gigante… Beh, non proprio passi, non in quel senso…" stava raccontando il paziente della 713.
Uno degli ex di Blaine! Ecco chi era Ryan. Gliel'aveva descritto come un barista dagli occhi neri, poi partito per il Canada alla ricerca delle sue origini, che aveva piantato in asso il riccio da un giorno all'altro, dopo una relazione di due anni.
"Davvero, sei nel Massachussets?"
Kurt si diede dell'idiota, più un'altra sfilza di insulti da bordello: l'aveva lasciato da solo per una serata e subito lui era corso tra le braccia dei vecchi amanti.
"Sì, a Broadway…" sentì dire da dentro.
Vecchi amanti?! Aveva sul serio usato quell'espressione?!
"Ah… va bene, non ti preoccupare." Il tono gentile di Blaine lo distolse dai suoi pensieri.
Era un pediatra di un certo livello, in un ospedale di un certo livello, situato in un quartiere di un certo livello: origliare le telefonate di un paziente, per quanto questi di un certo livello, non gli si addiceva.
Si accorse che il suddetto paziente non stava più parlando e pensò fosse il momento perfetto per la sua entrata in scena.
“Kurt!” esclamò Blaine vedendolo e ricordando al pediatra di quando i piccoli gli correvano incontro.
Peccato che lui non potesse camminare, figuriamoci correre.
“Hey…” gli sorrise di rimando.
“Parlavo con Ryan, mi pare di averti accennato chi sia.” mormorò, guardando lo schermo del cellulare ritornare nero. Certo che gliene aveva parlato: aveva passato gli ultimi minuti a spremersi le meningi per poi farsi quasi venire un’infondata crisi di gelosia.
“…Quell’idiota.” sbuffò il moro roteando gli occhi.
Il più grande dovette ricorrere a tutta la sua forza per conservare la sua espressione intatta, al contrario dei fuochi d’artificio che gli esplodevano dentro. Deglutì, nell’immenso sforzo di non mostrarsi entusiasta, poi alzò un sopracciglio con aria interrogativa: “Idiota..?”
“Sono certo che sapesse da mesi che sono ricoverato qui, perché sente Kevin tutti i santi giorni… e mi chiama solo ora?! Cazzo, siamo stati insieme due anni!”
Kurt scosse la testa, immaginando che Blaine avrebbe inteso quel gesto come un segno di sincero disappunto: in realtà stava scacciando dalla sua testa le voci di Sebastian e Rachel.
Ops, direi che Bilbo Anderson Baggins risente della mancanza di ca- sentenziò l’immaginario francesino.
-ri amici che lo sostengano!lo interruppe l’altrettanto irreale Berry.
Nana, direi che la parte del caro amico l’abbiamo recitata fin troppo a lungo!
Forse a Blaine interessa ancora questo Ry-
“Non che mi interessi, non in quel senso!” chiarì il moro, come se avesse letto nei pensieri di Kurt, che mormorò:
“Sai come si dice, è in questi momenti che capisci chi devi tenerti stretto…” incrociando le braccia al petto.
Il più piccolo guardò di sfuggita l’orologio appeso alla parete, poi lo ricontrollò allarmato e dovette mordersi il labbro per reprimere un imprecazione: “Fisioterapia..! Ho fatto tardi!”
“L’ascensore dei dipendenti è più vicino, ti accompagno io.” propose calmo il pediatra. Avvicinò la sedia a rotelle al letto, abbassò la sbarra per facilitargli la salita e finse di non vedere il disagio dipinto sul suo volto, quel fastidio che si prova nel perdere l’autonomia conquistata anni e anni prima. Quando completarono l’operazione, Kurt spinse la sedia a rotelle finché non arrivarono all’ascensore che li portò in sala terapia.
“Direi che Frank ha fatto più ritardo di me…” mormorò il riccio.
“Chi, il biondino con gli occhiali? Credo si sia fermato per aiutare Alex a rimettersi in piedi dopo una scivolata assurda… Pover’uomo, le va maledettamente appresso.”
“Ma…” bisbigliò Blaine, guardando con i suoi occhioni da cucciolo il materiale per la fisioterapia.
No, non poteva resistergli.
“P-posso aiutarti io..!” esclamò, tentando di rasserenarlo e riuscendo anche nel suo intento.
Seguì le istruzioni del più piccolo e prese a ruotargli piano la caviglia.
"Adesso arriva la parte difficile…" mormorò il riccio, fissando le sbarre parallele al centro della stanza.
"In genere devo solo restare in piedi sorreggendomi, ma…" incastonò i suoi occhi nocciola e oro in quelli dalle mille sfumature del dottore, accennando un piccolo sorriso che l'altro ricambiò, ma scuotendo la testa. Fece risiedere il paziente e lo portò dove si trovava il materiale per l'esercizio. Gli prese le mani poggiando i propri palmi sui dorsi di lui, guidandogliele fino alle sbarre, poi lasciò che si alzasse da solo. Il castano andò dalla parte opposta, aspettandolo a braccia aperte come quando si invogliano i bambini a raggiungerci muovendo i primi passi. Si avvicinò al moro a distanza di sessanta centimetri stentati, per evitare che strafacesse peggiorando la propria situazione: non solo si sarebbe sentito in colpa per tutta la vita, probabilmente sarebbe stato anche licenziato. Blaine chiuse gli occhi, inspirando a fondo. Doveva far sì che il suo cervello capisse cosa fare: effettuare un passo in avanti assicurando l'atterraggio sul tallone del piede.
Ruotare in avanti la pianta del piede.
Sollevare il tallone e spingere con l'alluce.
Kurt sentì gli occhi farsi lucidi: era una delle cose più commoventi che avesse mai visto.
Blaine ce l'aveva fatta, aveva mosso il suo primo passo da mesi e mesi, e l'aveva fatta di fronte a lui.
Effettuare un passo in avanti assicurando l'atterraggio sul tallone del piede.
Ruotare in avanti la pianta del piede.
Spingere col tallone e sollevare l'alluc- no, non era questo che doveva fare, ma era troppo tardi.
Perse l'appoggiò e scivolò in avanti, gemendo spaventato.
Kurt era lì, davanti a lui, e l’afferrò prima che potesse toccare il suolo. Era a pochi centimetri da lui.
Blaine aveva il viso imperlato di sudore, le pupille allargate per il terrore, il fiato ancora trattenuto.
Il più grande annullò la distanza che li separava poggiando le labbra sulla bocca dell'altro, sentendolo finalmente rilassarsi e riacquisire la calma.
Furono solo pochi secondi, ma bastarono a Kurt per realizzare un sacco di cose. Desiderava baciarlo da un sacco di tempo, ma non aveva mai avuto il coraggio di ammettere a se stesso quanto gli piacesse quell'uomo. Lo conosceva da così poco eppure era la persona con cui aveva il legame più profondo di tutti e non poteva accettarlo. Non poteva credere a quella serie di coincidenze che lo avevano portato da lui, seppur nel peggiore dei modi, quasi a voler confermare la legge dell'attrazione. E quando il suo subconscio gli aveva suggerito che doveva essere così, che l'universo lo aveva finalmente preso a cuore, si era sentito un mostro: fosse anche stato l'amore della sua vita, o la sua anima gemella, il mondo aveva voluto che quell'uomo soffrisse forse le peggiori pene della sua vita, e non di certo dopo una vita felice.
"Scusa il ritardo, Blaine…" mormorò Frank, entrando nello stesso preciso istante in cui le loro bocche si erano scontrate e subito dopo staccate. Il fisioterapista alzò lo sguardo, notando il dottore di troppo:
"Dr. Hummel, non lavora in pediatria, lei..?" chiese dubbioso. Kurt annuì piano, lo sguardo fisso sull'uomo che aveva davanti, troppo inebetito per parlare.
"Mi ascolti bene: questo paziente mi è stato affidato per seguirne e permetterne la terapia. Lei non può compromettere così il mio lavoro!" esclamò in un crescendo di rabbia, inforcando gli occhiali che gli scivolavano sul naso. "Mi scusi…" mormorò imbarazzato e intontito Kurt, quasi fuggendo dalla stanza, appena in tempo per sentire Frank urlare: "Io la denuncio! Chiamerò Richardson!!!". Corse fuori, quasi alla cieca, imbattendosi infatti in un uomo in camice, alto più di lui: "Kurt, perché diavolo corri come un pazzo?!" lo rimproverò il neurochirurgo. "Seb, Seb ti prego: il fisioterapista vuole denunciarmi perché ho fatto fare gli esercizi a Blaine e-"
"Oh Cristo, la vuoi finire?!" disse Sebastian interrompendolo. Il pediatra lo fissò implorante, con le mani congiunte. "E va bene, prendi l'uscita di emergenza e vai a casa, ti copro io..!" cedette il francesino. "Ma se continui così, sarò io a denunciarti!" gli disse mentre l'altro imboccava di tutta fretta il corridoio per l'uscita d'emergenza.
Buonanotte!
Chiediamo venia per il ritardo… Non è imperdonabile, vero?
Bene… Comunicazioni di servizio:
Le sottoscritte Cloud Potters, Rella Potters e Nori Potters informano i gentili lettori che KR sta per finire: questo è il penultimo capitolo, poi ci sarà l’epilogo.
Grazie, la Direzione.
Bene, ora dopo aver pianto per questa triste notizia, ascoltatemi… Non abbiamo intenzione di abbandonare così i nostri piccini, per questo motivo scriveremo:
- Una long Thadastian di otto capitoli( + epilogo) che sarà cronologicamente ambientata tra l’ultimo capitolo e l’epilogo di Karma Rules.
Il rating sarà rosso (so che ne siete felici!) e chiediamo un vostro aiuto per scriverla: proponetici qualche situazione nella quale vi piacerebbe vedere questi Thadastian (vestiti, grazie) e noi la valuteremo.
- Il sequel di KR sarà composto da diciotto OS, ispirate a le 18 regole del Karma (non in ordine cronologico)
Baci, Potters. |
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Capitolo 11 *** Capitolo XI. ***
Kurt
guardò la radiosveglia, fissando intensamente la data: 1
Giugno. Si voltò e
affondò il viso nel cuscino, iniziando il suo quasi
giornaliero rituale di
autocommiserazione.
Un
mese. Quattro settimane, trenta giorni e un numero sicuramente
considerevole di
ore che il suo cervello era troppo stanco per calcolare. Era passato un
mese da
quando lui e Blaine si erano baciati in quella sala fisioterapia. O
meglio, da
quando lui l’aveva baciato, senza poi potersi fermare a
studiare le sue
reazioni, ed era proprio quello il problema. Erano giorni che si
logorava nel
dubbio, ma, nonostante ciò, non era ancora riuscito a dirgli
una sola parola
sull’argomento.
Certo,
si erano visti un po’ meno, dato che Rachel, con il suo
tempismo perfetto,
aveva deciso di sposare Brody e Kurt era stato inevitabilmente
coinvolto
nell’organizzazione di quella cerimonia, rivelatasi una delle
esperienze più
esasperanti della sua vita.
Il
ricordo di quell’istante l’aveva accompagnato in
quei giorni in ogni suo gesto,
anche nelle giornate più piene, quelle in cui, dopo il
lavoro, era stato
costretto ad assaggiare ventitré gusti di gelato, tutti
fondamentalmente
uguali; e il pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere se
quel Frank non li
avesse interrotti l’aveva tenuto impegnato durante tutte le
sue notti insonni.
Proprio per non abbandonarsi a quella fantasia, si scostò le
coperte di dosso, si
alzò di scatto dal materasso e si fiondò sotto
l’acqua bollente della doccia,
sperando che un’ustione di secondo grado estesa su tutto il
corpo l’avrebbe
distratto. Si guardò allo specchio, mentre si infilava
l’accappatoio, venti
minuti più tardi, e prese un importante decisione: avrebbe
risolto quella
situazione. Non sapeva come, ma promise a sé stesso, con i
flaconi di shampoo e
lo spazzolino di Rachel come testimoni, che l’avrebbe fatto,
entro mezzanotte, come Cenerentola.
Si
vestì e uscì di corsa, rifiutandosi di fermarsi a
pensare per più di quindici
secondi, terrorizzato all’idea che quella scarica di coraggio
sparisse tanto velocemente
quanto era arrivata.
Passò
le successive sei ora a visitare bambini, provando a concentrarsi solo
su
quell’attività, ma quando si trovò a
fissare la triste targhetta blu con su inciso
quel 713, che sembrava fissarlo con aria di scherno, fu assalito dal
panico.
Avvicinò due volte la mano alla maniglia della porta,
ritirandola
immediatamente, prima di riuscire realmente ad afferrarla ed
abbassarla.
“Kurt!”
lo salutò non appena lo vide, togliendosi le cuffiette dalle
orecchie e
avvolgendole intorno all’iPod.
“Uhm…
scusami, avrei dovuto bussare…” mormorò
Kurt, andando a sedersi sulla sua
sedia.
“Nessun
problema. Allora, come va con l’evento
dell’anno?” domandò, sorridendo. Maledetto sorriso assassino, pensò
Kurt,
mentre apriva la sua tracolla.
“Ecco
qui!” esclamò, passandogli l’invito. Era
un semplice cartoncino color avorio,
un po’ spesso, con una stampa oro (anche se Kurt e Rachel
avevano discusso sul
colore di quelle poche parole per circa tre giorni):
Rachel
Berry e Brody Weston sono lieti di invitarLa al loro matrimonio che si
terrà il
giorno 13 Marzo allo Shakespear
Garden.
Si
prega di confermare la propria partecipazione.
Con affetto, gli sposi.
Blaine
alzò gli occhi e il suo sorriso si allargò ancora
un po’, per quanto fosse
umanamente possibile, poi mormorò: “Sono
invitato?”
“Certo!”
rispose il più grande, rendendosi poi conto di aver sempre
immaginato che a
quel matrimonio ci sarebbero andati insieme.
“
Ma…”
“Per
il prossimo Marzo sarai sicuramente uscito da qui dentro!” lo
rimproverò,
intuendo quale fosse il problema.
Kurt
sospirò, prendendo seriamente in considerazione
l’idea di parlargli in quel
preciso istante, ma il suono del suo cellulare lo distrasse.
Da:
Santana.
Lady
Hummel, voi siete ancora convinti del fatto che
Obama abbia compreso nel Marriage Act anche i matrimoni tra fastidiosi
nani e
inquietanti uomini di plastica? Se dovesse avere ragione, inizia a
cercare un
vestito rosso per me!
Kurt
ridacchiò, poi mostrò il telefono
all’altro, dicendo: “Credo che questa sia la
sua interpretazione di si prega di
confermare la propria partecipazione…”
“Santana
è geniale.” commentò Blaine, il
pediatra s’incantò un secondo a guardarlo,
soffermandosi prima sul leggero strato di barba che gli copriva le
guance, poi
spostando, incautamente, gli occhi su quelle labbra piene e ancora
sorridenti.
“Hey?
Tutto bene?” chiese confuso il moro.
“S-si…
Stato soltanto pensando che… Insomma, è un
po’… che non andiamo a cantare per i
bambini! Dovremmo farlo!” finì con troppo
entusiasmo, insultandosi un secondo
dopo per la sua infinita mancanza di coraggio.
“È
vero!”
“Blaine,
dov’è la sedia?” chiese Kurt,
guardandosi attorno.
“Non
c’è. Non ti ho ancora presentato il mio nuovo
amico?
Bene,
Kurt lui è il deambulatore!” disse, indicando il suddetto.
Il medico si alzò e avvicinò l’attrezzo
al letto. Il paziente gli sorrise, emozionato
come un bimbo che mostra alla mamma di saper fare le capriole, poi si
aggrappò
all’asticella apposita e riuscì ad alzarsi.
“Prendiamo l’ascensore per i dipendenti,
è più vicino!” esclamò il
più grande
mostrando all’altro la piccola chiave che conservava sempre
nella tasca del
camice. Quando poco dopo raggiunsero il montacarichi, Kurt
infilò la chiave
nella serratura e le porte si spalancarono. Ripeté
l’azione per poter pigiare
il numero 3, dopo aver lasciato a Blaine il tempo di entrare. Il
pediatra
approfittò di quel momento per poterlo esaminare: qualche
ricciolo dei capelli
scuri ricadeva quasi sulle sopracciglia triangolari, lievemente
corrugate, come
se fosse sovrappensiero. I suoi occhi, un misto tra il nocciola e il
verde, che
sotto la dubbia luce dell’ascensore avevano assunto una
sfumatura dorata,
fissavano un punto imprecisato. La presenza della lieve barba delineava
la sua
mascella, perfetta cornice di quel volto, salendo poi a sfiorare il suo
labbro
superiore, da cui Kurt si sentì improvvisamente attratto.
Attratto non solo dalla
sua bocca, dai suoi occhi o dai suoi capelli; Kurt Hummel
capì di sentirsi attratto
da Blaine Anderson in tutta la sua persona, attratto dai suoi pensieri,
dalle
sue parole, perfino dalle sue paure. Senza curarsi del deambulatore che
impediva ai loro toraci di toccarsi, si avvicinò al moro e
poggiò le proprie
labbra sulle sue, lasciando correre la mano destra trai ricci
dell’altro.
Blaine ricambiò quasi subito, stringendo la mano sinistra
del medico, lasciando
che le loro lingue si conoscessero e danzassero insieme. Non sapeva da
quanto stesse
bramando quel contatto: forse da quando l’aveva visto a
Broadway,tutto in tiro;
forse da quando era entrato per la prima volta nella stanza 713
dell’Allen
Pavilion e, nonostante la situazione, erano riusciti a scambiarsi un
sorriso;
forse da quando avevano dormito insieme, o da quando si erano sfogati e
consolati l’uno con l’altro per la prima volta.
Minuto dopo minuto, giorno dopo
giorno, mese dopo mese, per Kurt il centro di gravità era
diventato un uomo
dagli occhi di un cucciolo, l’innocenza di un bambino, il
fisico da ballerino e
una strana passione per i farfallini da ottantenne eccentrico.
“Finalmente.” sospirò Blaine tra le
labbra del castano, poi aggiunse: “Non ci
speravo più.” Kurt ridacchiò piano,
staccandosi un attimo da lui per poi
riavventarsi sulle sue labbra.
Di entrambi, non si poteva dire che avessero avuto una vita fortunata:
l’apoteosi
del dolore per il castano era stata la perdita del padre, mentre per il
moro l’esplosione
di una vena troppo sottile nel proprio cervello. Nel passato, erano
stati vittima
di bullismo a causa del loro orientamento sessuale e nessuna delle loro
relazioni si era conclusa bene. Per un momento, nella loro vita,
avevano
pensato fosse quello il loro destino: la valvola di sfogo di una
qualche entità
soprannaturale che, non appena le loro vite sembravano migliorare,
riteneva
giusto cacciare dalla propria borsa morte, odio e paura per abbattere
queste
calamità su di loro. Né Kurt né Blaine
si erano lasciati abbattere da questo
pensiero: avevano trovato la forza di sorridere, di continuare ad
essere gli
amici che erano sempre stati per coloro che amavano, di ridere e far
ridere. Ma
qualcosa nella loro anima era rimasto incrinato: musicalmente, erano
come una
favolosa melodia suonata con uno strumento scordato.
Poi, era arrivato il giorno il cui il Karma aveva deciso di fregarsene
di Dio,
Buddha, Vishnu e quant’altri, e aveva deciso di fare un dono
a chi aveva
sofferto così tanto. Aveva regalato a due uomini un anima
gemella.
Le
porte si aprirono mostrando un infermiera che reggeva ancora la chiave
dei
dipendenti: “Santo cielo!” esclamò Alex
fingendosi indignata, poi aggiunse, alzando
eloquentemente le sopracciglia: “Se volete prendo le
scale..!”
“No, i bambini...” rispose il pediatra, uscendo
dall’ascensore.
“Vogliamo cantare per loro!” spiegò il
più piccolo.
“Non posso perdermi questa scena, vi seguo!”
esclamò emozionata la biondina,
avviandosi verso la stanza giusta. “E quelle?”
chiese dubbioso Kurt, guardando
le due piccole scatole di pillole che l’infermiera stringeva
in una mano.
“Andiamo, sono solo medicine, non morirà nessuno
per non averle prese!” si
lamentò lei. Blaine trattenne a stento una risata, mentre
invece l’altro si
impegnò a mantenere uno sguardo serio.
“E va bene, ma poi torno!” si arrese Alex, quasi
correndo verso le scale per
poterle salire il più velocemente possibile. I due si
sorrisero complici,
avviandosi dove i piccoli erano ricoverati.
Questa volta i bambini corsero verso di loro urlando allegri i nomi di
entrambi.
“Shh, sveglierete tutto l’ospedale
così!” li ammonì il pediatra.
“Ma se state per cantare!” ribatté una
delle bambine, facendo ridere i due.
“C-chi siete?” balbettò una bambina con
un caschetto castano, che Kurt non
aveva mai visto.
“Oh, ciao! Mi chiamo Blaine!” si
presentò l’altro, rivolgendole un sorriso a
trentadue denti.
“E io sono Kurt. Sei stata trasferita da un altro ospedale,
vero?” le chiese
apprensivo. Lei annuì, poi aggiunse:
“Lì non cantavano!”
“Qual’è la tua canzone preferita,
piccola...”
“...Katie, mi chiamo Katie. Quella... quella
dell’Eleone!”
Il
pediatra corrugò le sopracciglia, temendo di non conoscere
nessun film che si chiamasse
così.
“Oh,
il due vero??” suggerì Blaine, con gli occhi che
luccicavano. Sembrava così
felice che, se solo ne fosse stato in grado, avrebbe fatto i salti di
gioia: evidentemente
la sua mente da fanciullo gli permetteva di decifrare il linguaggio
talvolta
incomprensibile dei più piccoli.
“Quello con Kovu...” aggiunse la piccola castana
“...e Kiara!” concluse il
moro, voltandosi pieno d’aspettative verso Kurt, che
finalmente capì di cosa stessero
parlando.
“La cantate, velo?” mormorò Katie.
In
tutta risposta, il pediatra intonò il primo verso, con la
sua voce da soprano.
In a perfect world
One we've never known
We would never need to face the world alone
They can have the world
We'll create our own
I may not be brave or strong or smart
But some where in my secret heart
I
bambini avevano cominciato a canticchiare anche loro, dondolando la
testa
secondo il ritmo della canzone, mentre Blaine, che aveva preso posto ai
piedi
del lettino di Katie, guardava Kurt con un sorriso che sembrava pieno
d’amore.
I know
Love will find a way
Any where we go
I'm home
If you are there beside me
Like dark turning into day
Some how we'll come through
Now that I've found you
Love will find a way
Mentre
cantava, il più grande accarezzò la testa di
quasi tutti i piccoli, poi andò a
sedersi per terra, accanto allo stesso letto dove era seduto Blaine e
dove la
piccola bimba dai capelli a caschetto lo fissava a bocca aperta per lo
stupore.
Il riccio sorrise a Kurt guardandolo dritto negli occhi, poi prese a
cantare,
mentre l’altro rideva con Claire, che aveva fatto il giro
della sala per
raggiungerli.
I was so afraid
Now I realize
Love is never wrong
And so it never dies
There's a perfect world
Shining in your eyes
“Te
l’avevo detto che sembra proprio il principe Eric!”
sussurrò la piccola bionda
ad una sua amichetta, che annuì di rimando.
And if only they could feel it too
The happiness I feel with you
They'd know
Love will find a way
Any where we go
we're home
If
we are there
together
Ancora
una volta le loro voci si fusero, il timbro caldo di Blaine e quello
più alto
di Kurt, come un violoncello ed un violino che se suonati insieme
suonano come
una melodiosa viola.
Kurt avrebbe dovuto capirlo quella volta, quando avevano cantato A whole new world: il modo in cui
inevitabilmente
si guardavano mentre cantavano era sempre lo stesso. Non potevano
evitare di
sorridersi, di affogare l’uno negli occhi
dell’altro, e quell’aurea sembrava
permeare tutti coloro che avevano intorno.
Like dark turning into day
Some how we'll come through
Now that I've found you
Love will find a way
I know love will find a way.
Nell’istante
in cui i due tacquero, la stanza si riempì di applausi,
battuti da piccole manine.
“Che dici, posso chiederglielo?”
sussurrò Claire alla sua amica, che ancora una
volta rispose annuendo.
“Ehm...”
mormorò la biondina: “Ma siete
fidanzati?”
I due si guardarono per un istante, come se si stessero vicendevolmente
scrutando l’anima, poi risposero contemporaneamente:
“Sì.”.
Note
delle potters!
Ecco,
questo è il finale della nostra storia.
Certo, in realtà manca l’epilogo, quindi non
è che io possa scrivere proprio Fine...
però ormai è conclamato che i
nostri Klaine si amano tanto (finora lo sapevano tutti tranne loro :3) !
Nell’epilogo
ci saranno delle note chilometriche: per
il momento mi limito a ringraziare i 12 che hanno messo la storia nelle
preferite, i 10 che se la ricordano (?) e gli 89 (wow!) che la seguono!
Un bacione bacionissimo dalle potters, vi vogliamo tanto bene!
*sending virtual hug*
Also:
la nostra pagine facebook si chiama: Potters_continuous
EFP .
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Capitolo 12 *** Epilogo. ***
“…Appena
usciamo da lì, ti chiamo…” concluse
Kurt,
prendendo per mano la bambina.
“Divertitevi!” li salutò Cassey, poi
aggiunse: “Grazie ancora!”
“Una promessa è una promessa!” disse il
medico, alzando le spalle, poi si voltò
e si avviò con Clare verso la propria macchina.
“Dov’è Blaine?” chiese la
piccola, quando notò che il sedile del passeggero era
vuoto.
“Ancora alla NYADA, passiamo a prenderlo
adesso…” rispose, alzando gli occhi al
cielo ed aprendole la portiera. “Se continui a parlare
soltanto di lui, penserò
che vuoi rubarmi il fidanzato!” scherzò, facendola
ridere.
“Ti piace il mio vestito?” domandò,
saltando su.
“Molto carino. Il blu ti sta bene.”
Commentò, facendo partire l’auto.
Clare tacque per un po’, fissando le luci della
città che sfrecciavano al di là
del finestrino, poi raccontò:” La settimana
prossima torno a scuola!”
“Davvero?”
“Si. Sono contenta, anche perché i capelli ora
sono abbastanza lunghi, mi
piacciono…” spiegò, afferrando una
ciocca bionda tra le dita per portarsela
davanti agli occhi, sorridendo soddisfatta quando riuscì a
vederla.
“Tesoro, potresti farmi una cortesia?” disse,
cercando qualcosa nella tasca del
suo elegantissimo completo grigio. “Potresti telefonare a
Blaine?”
“Cosa devo dirgli?” domandò, afferrando
il telefono che il medico le stava
passando.
“Che stiamo arrivando.”
Clare litigò un po’ con il touch screen del
cellulare, poi esultò quando riuscì
a trovare il numero in rubrica e fece partire la chiamata.
“Pronto Kurtie?”
“Sono Clare.” chiarì.
“Oh, ciao.”
“Noi stiamo arrivando! Fai prestissimissimo!”
trillò emozionata, rendendo
parzialmente sordo il moro.
“Corro! Cioè…Faccio il più
presto possibile! Ciao.”
“Ciao.” mormorò “Come si
posa?”
“Il tasto rosso.” le sorrise.
“Vuoi sapere una cosa su me e Blaine?” le propose
Kurt, presupponendo che
avrebbe accettato. Era una bambina estremamente curiosa, nel bene e nel
male.
“Certo!”
“Stiamo andando nel teatro dove io e lui ci siamo conosciuti,
quasi un anno
fa!” raccontò, ripensando a quella serata e
all’assurdo papillon che il suo
ragazzo indossava quel giorno.
“Davvero?!”
“Giuro.”
Kurt si concentrò sulla strada, tentando di raggiungere la
scuola commettendo
il minor numero di inflazioni al codice della strada possibili, mentre
Clare
sulle pieghe che voleva far sparire dalla gonna del suo vestitino.
Riuscito nel suo intento parcheggiò, voltando il capo verso
il portone
decorato. Un paio di minuti dopo la testolina parzialmente ricoperta di
gel
spuntò dal suddetto e il pediatra sorrise nel vederlo
scendere con difficoltà
quei gradini che lo separavano dal marciapiede, aiutandosi con il suo
bastone
di legno scuro. L’avevano comprato insieme, quasi due mesi
prima, poco dopo il
ritorno di Blaine alla NYADA: la sua salute stava decisamente
migliorando, non
era ancora in grado di ballare, ma l’anno accademico era
appena iniziato e
c’erano buone possibilità che riuscisse a
diplomarsi alla fine di Giugno.
Kurt aprì la portiera e il più piccolo
salì in macchina, tentando di non
colpire il fidanzato né i bocchettoni dell’aria
condizionata con quel
fastidioso affare che era costretto a portarsi dietro. Il medico
soffocò una
risata, pensando al modo in cui Sebastian aveva iniziato a chiamare
Blaine:Lo
gnomo armato d’ascia; in ricordo di un brutto
episodio di un insensato
talkshow, dove le persone sostenevano di vedere gli alieni e viaggiare
a bordo
di carrozze trainate da svariati unicorni, che avevano visto insieme.
“Ciao!” esclamò Blaine, voltandosi verso
in sedile posteriore per salutare
Clare, poi si sporse verso sinistra per baciare la guancia di Kurt. La
bambina
applaudì, facendo scoppiare a ridere i due uomini.
“Papillon fucsia? Davvero?” commentò il
pediatra, notando questo dettaglio nel
riflesso dello specchietto retrovisore, mentre faceva ripartire
l’auto.
“Certo! Stiamo andando a vedere Mary
Poppins, ci
saranno moltissimi
bimbi in sala e ai bimbi i colori allegri piacciono! Vero,
Clare?” ribattè,
fintamente offeso.
“Verissimo!” confermò con enfasi.
“E, come tocco di classe, ho anche i calzini
abbinati…”
“Potevo tranquillamente vivere senza
quest’inquietante informazione. Poi tra
papillon e bastone sembri un ottantenne!” continuò
a prenderlo in giro il più
alto.
“ Un ottantenne carino?” chiese Blaine, mettendo su
una smorfia adorabile; Kurt
parcheggiò a pochi metri dal teatro, chiedendosi come avesse
fatto a trovare un
posto del genere ancora libero e uscì dalla macchina,
sussurrando: “Idiota.”
Clare saltò giù dall’auto in meno di
tre secondi e Blaine fece lo stesso in
meno di tre minuti, il che era sicuramente da considerare un progresso.
Si
avviarono verso l’ingresso, il riccio guardò
lievemente preoccupato i gradini
che li separavano dal fouyer, Kurt se ne accorse e cercò
distrattamente un
ascensore.
“Vuoi che chieda se c’è un montacarichi
da qualche parte? Dovrebbe esserci!”
balbettò, riacciuffando la piccolina che stava
già fuggendo in sala; Blaine
valutò l’ipotesi inclinando la testa.
“Grazie per avermi definito carico, tesoro.
Non credo ce ne sia bisogno. Solo, puoi darmi
la mano?” sorrise l’hobbit, afferrando la destra
del fidanzato.
La signorina sorrise e disse: “ Fila K!”.
Durante il percorso che li separava dalle loro comode poltroncine
rosse, reso
quasi titanico dal bastone che continuava ad impigliarsi nel vestiti
delle
signore che li circondavano, furono intercettati dal signor Berry.
“Kurtie!” trillò Hiram, avvicinandosi,
poi si fermò un secondo a scrutare
Blaine con aria curiosa, prima di abbassare lo sguardo su Clare e
sbarrare gli
occhi.
“Buonasera!”
“Piacere…” mormorò il riccio,
tentando di allungare il braccio per stringere la
mano dell’uomo senza rotolare a terra in maniera poco
dignitosa.
“Piacere, Hiram Berry… Scusate la schiettezza, ma
lei chi è?” chiese, indicando
la bambina.
“Sono Clare!” esclamò lei, ammirando la
camicia turchese dell’uomo.
“Non è mia figlia…”
chiarì il medico sorridendo.
“Ah, ecco… Insomma da quando…
Com’è che la tipa latinoamericana chiama
Brody?”
s’interruppe.
“Ken…”
“ Ecco da quando Ken ha deciso di strapparci con cotanta
cattiveria la nostra
bambina… Rachel è diventata un filino
monotematica, ma mi sembrava una cosa
troppo importante per poter essere dimenticata… Quanto meno
mi avrebbe mandato
per New York, o forse peril New
York, a cercare un vestito da damigella…”
commentò, facendo ridere i tre.
“ LeRoy e Brody?”
“In camerino. Mi sono rifiutato… Ma domani
sarò costretto a partecipare alla
folle ricerca delle scarpe!”
Si pregano i gentili spettatori di accomodarsi, lo spettacolo
sta per
iniziare. Grazie. gracchiò
la voce metallica.
“A dopo!... Ah, Kurt? Io e LeRoy abbiamo una stanza in
albergo, sai, pensavamo
il tuo letto fosse occupato!” urlò, facendo
l’occhiolino a Blaine, che arrossì
e si lanciò sulla prima poltroncina libera.
“Tesoro, siediti…” mormorò
Kurt, toccando la spalla della biondina.
“Tu devi sederti lì! Siete fidanzati! ”
si lamentò lei, indicando il posto
accanto all’altro ragazzo; il pediatra alzò gli
occhi al cielo e obbedì.
Le luci si spensero e lo spazzacamino corse fuori dalle quinte,
agitando il suo
ombrellino nero. Un coro di Ohhh sorpresi
si alzò quando i colleghi dell’uomo vennero
calati giù con cavi d’acciaio.
“Oh… Volano!” mormorò anche
Blaine, facendo ridere il fidanzato.
“B, hai ventiquattro anni e auspicabilmente l’anno
prossimo lavorerai qui!” lo
prese in giro, prima di accarezzargli la guancia con la punta del naso.
***
Kurt infilò la chiave nella toppa, la girò, prese
la mano del moro e lo guidò
dentro il proprio appartamento.
Chiuse
la porta spingendoci il corpo di Blaine contro,
che non oppose alcuna resistenza. Il più piccolo si
avventò sulle labbra
dell’altro, lasciando che le loro lingue
s’intrecciassero. Avevano bisogno di
quel contatto fisico, in quel momento più che mai, ma non
c’era timidezza nei
loro gesti: sentivano fosse esattamente la cosa giusta da fare. Il
riccio
lasciò una scia umida di baci dalla mascella al bianchissimo
collo dell’altro,
tempestandolo di segni rossi. Kurt gemette piano, poi gli prese il
mento sollevandogli
la testa, posando un bacio a stampo sulla bocca dell’altro e
risalendo poi fino
all’orecchio: “Spostiamoci.” gli
sussurrò.
Blaine si lasciò trasportare fino alla camera da letto, fece
cadere la giacca
dell’altro a terra e prese a sbottonargli la camicia,
tralasciando la cravatta.
Il pediatra gli concesse il tempo necessario per compiere
quell’operazione,
perché sapeva che il moro aveva bisogno di scoprire il corpo
dell’altro senza
essere aiutato, e aspettò pazientemente finché la
sua camicia non fu a terra.
L’indice di Blaine percorse la linea accennata dei suoi
addominali, facendo
scaturire una serie di brividi lungo la schiena di Kurt, che a quel
contatto
non seppe più trattenersi. Gli sfilò il papillon
fucsia e gli sbottonò
velocemente la camicia, buttandola con mala grazia in un angolo della
stanza.
Si sentì in astinenza da quelle labbra come se gli mancasse
l’aria e le
stuzzicò coi denti per poi leccarle quasi avidamente. Poi
portò sulla propria
vita le mani di lui, che corsero a slacciargli la cintura. Quando i
pantaloni
calarono, Kurt se ne liberò definitivamente e fece sedere il
moro sul letto,
per sfilargli anche a lui. Nessuno dei due voleva essere malizioso:
sapevano di
appartenersi nel cuore e nello spirito, ma volevano di più,
volevano essere il
più vicino possibile all’altro. Il castano si mise
in ginocchio tra le gambe
dell’altro, poi si protese su di lui per baciarlo. Si
staccò dopo qualche
minuto, respirando forte sul suo viso e incastonando i propri occhi
scuriti
dalla passione nei suoi. Si permise un breve secondo di
lucidità per constatare
la situazione: sotto di lui, la sua anima gemella;
nessun’ansia,
nessun’imbarazzo per quella situazione; nessuna paura di
pentirsi mai di quegli
istanti; nessun groppo in gola per quanto stava per dire.
“Ti amo.” gli sospirò sulle labbra,
conscio che fossero le uniche parole adatte
ad esprimere quello che sentiva.
“Anche io.” rispose Blaine, annullando la minima
distanza tra i loro volti. Le
loro erezioni si strusciarono, evidenziando quanto i loro boxer
stessero
diventando ogni minuto più stretti e… inutili.
Kurt strinse tra indice e pollice l’elastico della biancheria
di Blaine, dopo
avergli rivolto un breve sguardo per assicurarsi che anche per lui
quella
situazione non creasse alcun disagio.
In tutta risposta, il riccio lo incitò a continuare,
annuendo con la testa e
accarezzandogli la schiena con una mano.
***
I loro corpi nudi erano stretti in un abbraccio,
coperti dalle
lenzuola ancora umide dei loro umori.
Le dita di Blaine continuavano ad esplorare quel corpo
pallido e
perfetto, sfiorandone la parte più intima che solo pochi
minuti prima era stata
dentro di lui, appagandolo ad ogni spinta, prima con dolcezza, poi con
desiderio sempre crescente, fino a che entrambi avevano raggiunto il
culmine
del piacere.
“Sei stanco..?” sussurrò
Kurt, mentre col proprio indice disegnava una
serie immaginaria di piccoli cerchi sulla schiena dell’altro.
“Non proprio.” gli sorrise dolcemente
il moro, accarezzandogli una
guancia. Soffocarono quei mormorii in un nuovo bacio, lento e dolce
come miele
che cola.
“Sto per proporti qualcosa di molto
intimo.” disse il pediatra senza riaprire
gli occhi.
“Mh…” rispose
l’altro, incapace di formulare una frase elaborata
come Cosa
c’è di più intimo di quello che abbiamo
appena
fatto?
“Vediamo Moulin Rouge cantando tutte
le canzoni?”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, Kurt timoroso di
aver rovinato
l’atmosfera, Blaine con un’espressione
indecifrabile stampata in volto.
"L'ho
già detto che ti amo?"
Se
cliccate sul link, si aprirò la
nostra pagina, dove trovate un VIDEO pieno di aneddoti, ringraziamenti,
progetti futuri e scleri vari. Se dunque volete sapere dove, come,
quando e
perchè rivedremo i personaggi di KR, andate qui -> https://www.facebook.com/PottersContinuousEfp?ref=ts&fref=ts
La long spin-off Thadastian la trovate qui -> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1868522&i=1
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