without you there's no me

di ChiaraTommo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I hate you! ***
Capitolo 2: *** I want to be normal ***
Capitolo 3: *** who i am? ***
Capitolo 4: *** a woman in a baby ***
Capitolo 5: *** i'm in love with you? ***
Capitolo 6: *** what do you want to do? get away ***
Capitolo 7: *** your lip...... so kissable ***
Capitolo 8: *** a trip. where? america ***
Capitolo 9: *** you? ***
Capitolo 10: *** the real me ***
Capitolo 11: *** a new friend ***
Capitolo 12: *** remember ***
Capitolo 13: *** AVVISO: CAMBIAMENTO VOCE NARRANTE ***
Capitolo 14: *** goodbye ***
Capitolo 15: *** i love you mum forever ***
Capitolo 16: *** mum ***
Capitolo 17: *** you love me, not him ***
Capitolo 18: *** life ***
Capitolo 19: *** miss you ***
Capitolo 20: *** Goodbye ***
Capitolo 21: *** His Eyes ***



Capitolo 1
*** I hate you! ***


Sentivo le sue parole rimbombarmi nella testa. " E' stato un errore, uno sfogo, mi dispiace, ma non ti ho mai amata ". Delle coltellate nel cuore non sarebbero state nulla in confronto al dolore che provavo in quel momento. Sentivo il cuore squarciarsi nel mio petto. Provavo un peso nello stomaco assurdo, le lacrime incominciavano a farsi strada prepotentemente sulle mie guance pallide, le gambe mi tremavano, gli occhi bruciavano. Stavo soffrendo. Avevo già provato quel tipo di sensazione molti anni prima, esattamente dodici anni fa, quando persi entrambi i miei genitori e mia sorella maggiore Abbie in un incidente stradale. Al telegiornale fui nota come la "bambina miracolata" ,se per miracolata si può intendere una bambina di sei anni che ha perso tutta la sua famiglia.
Le gambe mi cedettero e crollai a terra in lacrime, nessuno poteva sentirmi, ero sola, lo ero sempre stata, ma in quel momento l'unica cosa di cui avevo bisogno era un abbraccio di conforto da mia madre, ma quello lo potevo avere solo nei miei sogni. Lo vidi andarsene e scomparire lungo la via. Lo seguii con lo sguardo e quando non riuscii più a percepirlo mi alzai e mi asciugai le lacrime con la manica del maglione. Tirai su col naso e con gli occhi ancora arrossati e desiderosi di sfogarsi entrai in casa mia. O meglio casa dei miei nonni. Furono gli unici a volersi prendere cura di me, gli altri mi rifiutavano, dicevano che portavo sfortuna, che se probabilmente io non fossi nata, quella sera non saremmo stati di ritorno dalla pizzeria per festeggiare il mio compleanno e la mia famiglia non sarebbe stata travolta da un ubriaco mezzo drogato di ritorno da un rave party. I miei nonni invece mi accettarono, mi fecero diventare una ragazza forte, sana e indipendente. Volevano che quando un domani li avrei persi fossi stata in grado di cavarmela da sola e così è stato. Circa due anni fa è morta mia nonna di tumore alle ovaie, le avevamo provate tutte, ma dopo un calvario durato circa cinque mesi, è morta. Mio nonno ha provato a superare la perdita, ma non ce l'ha fatta, il suo cuore già debole aveva retto la perdita della figlia, del genero e di una delle due nipoti, ma non poteva reggere anche quello della moglie. Così pochi mesi dopo la scomparsa di mia nonna è morto anche lui lasciandomi da sola ad affrontare la vita con tutte le sue sofferenze.
Adesso ho diciotto anni, sono forte e sana, tutti questi lutti hanno rafforzato il mio spirito e mi hanno resa più diffidente, ma evidentemente ho commesso un grave errore, quello di fidarmi di un ragazzo. Già, si chiama Harry, Harry Styles per la precisione. Esatto le parole che mi hanno trafitto erano le sue. Siamo stati insieme per cinque mesi e lui mi ha sempre ingannata facendomi sentire importante e bella, quando invece non sono nulla di tutto ciò. Una cosa che ho imparato nella mia vita è che non bisogna mai arrendersi e che se si cade ci si rialza. Avrei fatto ancora così, mi sarei rialzata e sarei andata avanti a camminare a testa alta.
Chiusi la porta alle mie spalle tirando un sospiro profondo andai sul divano. La televisione era la migliore distrazione che in quel momento potessi avere. Un'ora delle trasmissioni che venivano mandate in onda e il tuo cervello era fritto e non capivi assolutamente più nulla di quello che ti accadeva intorno. In fondo era quello l'effetto che desideravo. Per tutto il pomeriggio non feci altro che girare da un canale all'altro, finché delusa non spensi la tele. Piegai le gambe, infilai la testa fra di esse per poi emettere un grido di liberazione. Quando qualcosa non andava l'unico mio modo di sfogarmi era quello di urlare, non so perché, ma avevo un effetto  tranquillizzante. Dopo l'urlo, che probabilmente sentì tutto il vicinato, mi alzai e mi diressi verso il frigorifero in cucina nella vana speranza che ci fosse ancora qualcosa di commestibile. Come volevasi dimostrare esso era vuoto, vi era solo un po' di latte. Poco male. Lo presi e con avidità ne bevvi la metà. Il mio corpo necessitava di solidi, però, non solo di liquidi. Sarei andata a fare la spesa l'indomani e quella sera avrei ordinato una pizza e una birra per passare l'intera serata sul letto di camera mia ad ascoltare musica e a guardare il pc. Quelli sarebbero stati i miei futuri programmi serali se non avessi ricevuto una chiamata. Poco prima che io salissi le scale vidi lo schermo del mio cellulare illuminarsi. Mi stava chiamando Faith, la mia migliore amica. Non so perché lei voglia essermi amica. Insomma tutti sapevano della mia storia, sapevano che prendevo anti-depressivi perché senza di essi sarei probabilmente morta in un tentativo di suicidio, ma lei fin dal primo momento mi era stata accanto. Ci siamo conosciute in prima elementare. Avevo da poco perso i miei genitori, ma allora non me ne accorgevo e quando mi chiedevano di loro dicevo che erano a casa che mi aspettavano e che passavo le giornate con loro. Sono stata per tanti anni presa di mira e schernita per questo avvenimento, mi mandarono da molti psicologi perché mi ritenevano matta, ma tutti capirono che il mio era un modo particolare per affrontare un lutto così enorme. Lei fu l'unica ad accorgersi che dietro i miei occhi grigio/chiari si nascondeva un animo ferito a morte che stava provando a rialzarsi in tutti i modi. Mi tese il suo particolare salvagente d'aiuto e io lo accettai. Da quel momento abbiamo frequentato le stesse scuole medie e lo stesso liceo, ma poi io a sedici anni avevo dovuto lasciare lo studio per cercarmi un lavoro per poter pagarmi da vivere. Faith non ha una famiglia alle spalle, o almeno è come se non esistesse. Suo padre e sua madre sono sempre via per lavoro, gestiscono molti alberghi sparsi qua e là per il mondo, quindi la loro presenza in casa è uguale al nulla. Ha solo suo fratello, Dane. Vivono loro due insieme, lui ha quasi vent'anni, fa' il meccanico e riesce a pagarsi da vivere, al resto pensano i genitori. Guardai lo schermo illuminarsi per un po' e finalmente decisi di rispondere.
" Hope "
Adoravo quanto pronunciava quel nome con tutta quella felicità e allegria, mi faceva pensare che il mio nome fosse importante.
" Ciao Faith, senti sono in un momento di crisi quindi....."
" Hope prendi le pillole "
" Adesso le prendo tranquilla "
" Comunque stasera Malik dà una festa a casa sua, ci andiamo? "
" Veramente non sono dell'umore "
" Dai Hope! Andiamoci! Magari incontri qualche bel ragazzo e va' a finire che te lo porti a letto "
" Ok Faith, però ora corri qua "
" Subito amore "
Una festa a casa di uno dei quattro amici di Harry. Fantastico pensai sarcastica. Probabilmente ci sarebbe stato anche lui alla festa. Ah! Dovevo imparare a dire di no a Faith, ma semplicemente non ce la facevo. Corsi in bagno e cercai fra le varie medicine finché non le trovai, la ragione per cui ero ancora viva, le mie pillole. Ne presi una e nello stesso momento in cui deglutii sentii suonare il campanello. Scesi le scale lentamente e aprii la porta. Vidi il sorriso enorme di Faith e subito dopo il suo corpo caldo che mi abbracciava. Disse qualcosa relativo a quella sera, probabilmente dovevo essere super bella così tutti sarebbero morti ai miei piedi e avrei riso alla faccia di Harry. La cosa straordinaria era che lei riusciva a intuire cosa pensavo guardandomi semplicemente negli occhi. Più volte le avevo chiesto se aveva qualche potere di veggenza, ma lei mi aveva semplicemente risposto dicendo: " La bocca dice una cosa, ma i tuoi occhi non sanno mentire"
Dopo ore, che mi sembrarono interminabil,i fummo pronte. Lei con un vestito straordinariamente sexy, nero, che poteva sembrare innocente da un lato, ma anche infinitamente provocante; io invece con un vestito bianco di tulle assolutamente innocente. Fece ad entrambe un trucco che mi pareva eccessivo e come al solito usò la scusa del " così i maschi ti notano meglio". Lasciando perdere le sue credenze sulla moda, che non condivido nel modo più assoluto, scendemmo le scale e ci avviammo alla festa camminando su due paia di tacchi vertiginosi. Fin da lontano si poteva udire la musica, odiavo quel genere, si prospettava una serata terribile. Faith mi guardò e intuendo il mio stato d'animo mi prese per mano stringendomela  facendomi capire che quella sera ci saremmo divertite. Le feci un sorriso forzato. Incominciai a scorgere della gente nel cortile della casa, le porte aperte e la musica assordante. Entrammo, la festa era appena iniziata, ma c'era già gente ubriaca, mezza drogata, che si limonavano su un tavolo, puzza di canne ovunque, insomma uno vero e proprio schifo. Ci venne incontro Zayn e dopo aver fatto i suoi apprezzamenti sul seno di Faith ci condusse al bancone per offrirci da bere. Presi una birra, non volevo ubriacarmi, al contrario di Faith che si scolò tre vodka. Stava per bere la quarta, ma io la fermai e lei annuì. Zayn voleva evidentemente portarsi a letto la mia amica, così decisi di togliere il disturbo e di andare in giardino. Mi sedetti sull'altalena e incominciai a dondolarmi bevendo quel poco di birra che rimaneva nella bottiglia. Sentii dei passi avvicinarsi e delle risatine, un ragazzo e una ragazza, lui la zittiva, le diceva che l'amava e lei rideva, evidentemente ubriaca. Quando uscirono dal buio li riconobbi, erano Harry e Kate, la cheerleder della scuola che frequentavo. Sentii una fitta al cuore, le lacrime stavano per rincominciare a scendere, ma decisi di rientrare, quella sera mi sarei dovuta divertire.

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Capitolo 2
*** I want to be normal ***


Sinceramente i ricordi di quella sera sono molto sfuocati. Esatto. Dopo aver visto Harry baciare Kate sono entrata in casa e ho incominciato a bere molti, forse troppi alcolici. Mi ricordo di essere stata portata a casa da qualcuno, ma certamente essa non era Faith. Guardai che ore fossero. Mezzogiorno. Prima o poi sarei dovuta andare a fare la spesa no? Tanto valeva andarci adesso. Scesi le scale con cura saltando i gradini rotti, che quando mia nonna era morta avevo spaccato per la troppa rabbia, e mi guardai un attimo allo specchio. Facevo schifo. Ero magra, troppo per i miei gusti, i miei capelli sembravano bruciati, stopposi, sporchi, non avevo più quella bella chioma castano scuro mossa di un tempo, i miei occhi grigi era contornati da un rossore, segno evidente di una notte piena di alcool, avevo la pelle molto pallida e la bocca rossa risaltava violentemente. Volevo piangere, sfogarmi, dire a qualcuno quanto il mio cuore fosse devastato, quanto soffrissi e chiedergli quante prove avrei dovuto affrontare ancora. Deglutii amaramente la saliva alla vista dello spettacolo raccapricciante che mi si presentava davanti agli occhi nello specchio e risalii le scale. Entrai in bagno e mi fiondai sotto la doccia. La cosa bella è che quando l'acqua ti bagna il viso tu puoi piangere quanto vuoi che tanto le sue lacrime si confonderanno con essa. Non so quanto piansi quel giorno sotto la doccia, ma so che quando ne uscii non sentii il minimo bisogno di prendere le mie pillole mattutine, era come se l'acqua avesse lavato il mio corpo dai brutti ricordi. Avete presente la sensazione strana che si prova quando si è convinti che qualcosa o qualcuno cambierà la vostra vita da un momento all'altro? Ecco io provavo esattamente quello. Legai i capelli, ancora bagnati, in uno chignon, presi una canottiera, la felpa larga che indossava sempre mio papà e un paio di short. Scesi frettolosamente le scale e saltellando qua e là infilai anche le mie adorate all-star bianche basse. Sbattei la porta. Improvvisamente sentivo come la voglia di rinascere, di azzerare la mia vita per renderla migliore. Respirai a pieno l'aria pura e il vento che mi accarezzava le gambe scoperte. Sentii l'odore dei fiori di pesco dell'albero del vicino, i visi dei bambini gioiosi che salutavano le loro mamme per dirigersi finalmente in piscina, vidi due innamorati che si scambiavano tenerezze e tutto ciò scaturì una voglia in me di gridare. Ma non volevo gridare di disperazione, volevo gridare di gioia perché mi sentivo rinata. Camminai allegramente verso il supermercato e incominciai a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, erano troppi giorni che non mangiavano niente di niente. Stavo svoltando tra una corsia e l'altra quando sbattei contro un altro carrello. Alzai lo sguardo e vidi due occhi azzurrissimi, vispi e felici, un ragazzo moro, bello, alto e muscoloso mi stava sorridendo. Balbettai uno scusa, ma lui mi fermò prendendomi per il braccio. Lo guardai arrossendo. Non mi era capitato prima di arrossire davanti a un ragazzo, sono sempre stata molto sfacciata e scontrosa.
Louis:- Ieri sera hai bevuto un bel po' vero?-
Hope:- E tu come fai....-
L:- Ti ho portato a casa io-
H:- Tu devi essere.....-
L:- Il migliore amico di Harry-
H:- Ti diverti a finire le frasi altrui?-
L:- Molto-
H:- Bene! Vuoi fermarti a pranzo da me? Devo sdebitarmi in qualche modo per quello che hai fatto stanotte portandomi a casa, altri mi avrebbero lasciata sola-
L:- Scusa, ma non posso-
H:- Oh certo, tutti non potete mai quando si tratta di avere a che fare con la ragazza che ha perso tutta la sua famiglia e che prende anti-depressivi, lo capisco-
Non mi resi conto che avevo dato voce ai miei pensieri. Lui mi guardò stralunato. Come se non sapesse la mia storia.
L:- Come? Io non ne sapevo nulla-
H:- Scusa, non dovevo dare voce ai miei pensieri-
L:- Io non ne sapevo nulla, Harry non mi aveva nemmeno detto che ti frequentava fino a ieri sera-
H:- Senti non fa niente ok?-
L:- Il tuo invito è ancora valido-
H:-.....................-
L:- Perfetto allora andiamo a casa tua, a giudicare dal maglione largo che porti sei molto magra e non mangi tanto-
H:- Non ho molto tempo per mangiare, i miei pensieri occupano la maggior parte del mio tempo
L:- Secondo me dovresti prenderti cura di te stessa-
H:- Anche se morissi non cambierebbe nulla a nessuno-
Non mi rispose. Deglutì amaramente e mi prese per mano stringendomela forte. Arrossii quando fece quel gesto e subito levai la mano, come se la sua mi avesse scottato. Abbassò il capo in segno di scusa e ci avviammo verso la cassa per pagare. Lo osservavo in tutte le sue movenze e più lo guardavo più mi accorgevo di quanto fosse perfetto. Il ragazzo che tutte sognano, un ragazzo dolce, premuroso e comprensivo. Perché perdeva tempo con una come me che neanche mi conosceva? Non dovevo affezionarmi a lui, questo era certo. Di delusioni ne ho fin sopra ai capelli. E lui non doveva nemmeno avere come amica una ragazza che prende anti-depressivi. Uscimmo dal supermercato carichi di borse della spesa pesantissime. Mi vide in evidente difficoltà e fece per togliermele dalle mani, ma io gli diedi uno strattone e ripresi le mie borse. Arrivammo a casa senza fiatare, incominciai a credere che se ne sarebbe andato subito dopo pranzo e invece rimase lì. La prima cosa che fece fu quella di aprire tutte le persiane e le finestre che erano rimaste sigillate da ben due anni. Quando la luce ebbe inondato completamente tutte le stanze della casa si voltò verso di me sorridendo. Gli accennai un sorriso tirato e corsi in bagno per prendere le pillole. Non ne sentivo il bisogno, ma non volevo avere una crisi proprio davanti a lui, quindi la mia era più una forma di prevenzione. Scesi le scale e lo vidi che girogava per la casa come un bambino piccolo curioso alla ricerca di qualcosa. Mi schiarii la voce e lui si voltò subito facendo una faccia buffissima. Scoppiai in una fragorosa risata. Effettivamente quella era la prima volta che sentivo il suono della mia risata. Non ricordo quand'è stata l'ultima volta che ho riso. Probabilmente verso i miei primi sei anni di vita. Mangiammo in silenzio, passammo la maggior parte del pomeriggio in perenne silenzio e imbarazzo, finché non mi squillò il cellulare. Chi poteva essere se non Faith?
" Hopeeeeee "
" Ciao Faith "
" Malik è un vero e proprio asso "
" Wow, dopo quanto? "
" Poco "
" Grande, quindi adesso "
" No, ma va' "
" Ah ok "
" Beh ora vado Hope! Domani andiamo al mare? "
" Va bene Faith a domani "
Chiusi la chiamata e subito il mio sguardo si soffermò su Louis che mi stava guardando incuriosito. Gli sorrisi e lui incominciò a parlare, come se gli avessi chiesto qualcosa, della sua vita, di sua sorella Ashley e sinceramente lo ascoltai ben poco. Ero troppo intenta a ripetermi di non affezionarmi a lui, anche se una parte di me continuava a ripetere che sarebbe stato inevitabile. Quando arrivò il mio turno lo guardai negli occhi e gli consigliai, visto l'orario, di tornare a casa, ma lui fece tutt'altro. Incominciò a baciarmi con una foga mai vista prima. Mai nessuno dei pochi ragazzi che avevo avuto mi aveva baciato così bene. Mi ripetevo di staccarmi, ma lui mi legò le mie gambe attorno alla sua vita e mi portò di sopra. Non so come, ma individuò subito la camera da letto. Mi ci appoggiò sopra e ancora con le labbra incollate alle mie incominciò a slacciare i pantaloni. Dovevo staccarmi, ma non ce la facevo. Lui non doveva legarsi a me. Sarei stata la su rovina. Da tutti i punti di vista. Quello che successe quella sera, però, rimarrà nei ricordi di entrambi. Insomma mi era già successo di farlo, anche con gente sconosciuta nei bagni della discoteca, ma non era mai stato così tanto magico. Era come se ci conoscessimo da una vita, quando in realtà erano poche ore. I nostri corpi si cercavano. Instancabilmente. Era una cosa assurda. Sapevo di sbagliare, ma volevo sbagliare. Per una volta volevo far finta che i miei problemi non esistessero. Volevo sentirmi normale. E quel desiderio lui lo realizzò. Peccato che fosse durato così poco. Quando sfiniti ci addormentammo l'uno abbracciato all'altro, con il cuore che andava a mille e il respiro affannato, io ero certa che per lui non avrebbe avuto nessun significato. Era stata solo una semplice scopata.

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Capitolo 3
*** who i am? ***


Una luce fastidiosa e insistente incominciò ad illuminarmi il viso. Aprii gli occhi e vidi Louis dormire con la testa appoggiata sul mio petto e le braccia che circondavano il mio corpo. Lo guardai scioccata e lentamente lo scostai. Non potevo crederci. Lui doveva andarsene. Immediatamente. Ero stata la rovina per troppe persone. Lui non doveva essere aggiunto alla lista. Accesi la luce in corridoio e sentii un mugolio provenire dalla camera. Vidi Louis stropicciarsi gli occhi e cercarmi con lo sguardo senza sosta. Quando mi ebbe trovato sorrise e si alzò dal letto. Volevo scappare, ma  era come se i miei piedi fossero piantati a terra. Non mi muovevo. Lui si avvicinava a me e io ero lì. Ferma. Immobile. Impassibile. Come una statua.
L:- Ehi piccola-
H:- Louis è meglio che te ne vada-
L:- Cosa?-
H:- Fa' come ti dico, vestiti ed esci dalla mia vita-
L:- Ma stanotte-
H:- Solo una semplice scopata-
L:- Io...-
H:- Scusa, il mio era uno sfogo-
Sapevo perfettamente che le parole che gli stavo sussurrando con cattiveria non erano vere. Quella notte era stata veramente magica. Se fossi stata un'altra avrebbe anche potuto significare qualcosa, ma in quel contesto, assolutamente no. Se ne tornò in camera e poco prima di uscire sbattendo la porta mi disse: " Credevo fossi diversa. Diversa dalle altre. Evidentemente mi sbagliavo ". Quelle parole mi fecero male. Più male del previsto. In fondo non ci conoscevamo tanto bene. Perché starci male? Scesi la scale di corsa e misi la felpa che la sera prima mi aveva tolto. Infilai le scarpe e senza neanche pensarci incominciai a correre a perdifiato. Lo stavo cercando. Volevo spiegargli il perché della mia reazione. Volevo dirgli che........... Non sapevo nemmeno io cosa volevo. La verità era che ero strana. Strana e in uno stato confusionale pazzesco. Di colpo mi fermai e incominciai a camminare per tornare indietro. Sentivo i miei occhi gonfiarsi, bruciavano, erano lucidi. Lentamente una lacrima scivolò lungo il mio viso. Una, due, tre, diedi sfogo a tutte le mie sofferenze. Avevo freddo, non mi reggevo molto bene in piedi. La mia vista si stava facendo sempre più appannata. La testa mi girava. Sentivo le gambe pesanti e non riuscivo a camminare, era come se le stessi trascinando. Iniziai a non capire più dove fossi. Non vedevo nessuno che potesse essere d'aiuto. Ero sola. Stavo ancora cercando di arrivare a casa mia quando sentii un rumore. Era forte e fastidioso. Come se qualcosa stesse stridendo. Subito dopo una luce accecante colpì i miei occhi. Da quel momento non sentii più nulla solo un tonfo sordo e un corpo che cadeva a terra.
C'era del buio attorno a me. Lo spettacolo che mi si presentava davanti era delizioso. Ero in una macchina. Con delle persone vicino a me. Sono felici. Loro sono felici. Io li sto osservando terrorizzata. Una ragazza sta cantando. Ha una voce meravigliosa e la bimba vicino a lei non fa altro che applaudirle. Seduti davanti c'erano un uomo e una donna. Stanno ridendo per qualcosa detto dalla piccola. Sento e vedo i loro dialoghi, ma per loro non esisto. Grido a loro disperata, ma risponde solo il mio eco. Piango. Non mi sentono. Faccio gesti. Non mi vedono. E' una situazione angosciante. Il mio respiro incomincia a farsi affannoso. Poi una luce intensa, familiare. Subito dopo uno scontro. Si sentono i suoni dell'ambulanza e le voci di persone che dicono che la più grande è già morta. Pronunciano il suo nome. Abbie. Mi suona familiare, ma non riesco a ricordare. Dicono che anche per l'uomo e la donna non c'è più niente da fare. Sento dire loro " solo la piccola ce la farà ". Chi è quella povera bambina? Perché è costretta a perdere la sua famiglia in così tenera età e soprattutto perché queste scene mi sono così familiari? Si chiama Hope. Speranza. Vedo un poliziotto prenderla in braccio. E' confusa. Non capisce. Non sa più nulla. Non sa dove la porteranno o cosa l'attenderà. Abbraccia il poliziotto e incomincia a piangere. Salgono in macchina e li vedo partire e andarsene via. Grido disperatamente. Non mi sentono. Nessuno mi sente. Voglio capire chi era quella bambina e perché le fosse capitata una cosa così ingiusta. Di nuovo il buio. Sento pianti disperati succedersi velocemente. Una macchina nera e lunga arrivare. Tutti sono vestiti di nero. Li osservo. Hanno gli occhi arrossati. Devono aver pianto per molto tempo. Quando si apre il corteo funebre sento una morsa nello stomaco, come se quel funerale mi interessasse direttamente. Cerco con lo sguardo la piccola e la vedo avvinghiata a un uomo abbastanza anziano e a un'altra donna. Devo essere sicuramente dei parenti. Probabilmente i suoi nonni.
Dopo il funerale vedo l'uomo e la donna avvicinarsi ai parenti e conoscenti. Discutono di qualcosa. Li sento gridare. Dicono di non voler tenere qualcuno perché non dovrebbe nemmeno esistere. Perché? Perché dicono questo? Chi é questo qualcuno? L'uomo e la donna tornano dalla piccola che sta fissando la bara. La prendono per mano e le dicono di stare calma. Loro sarebbero stata la sua nuova famiglia.
Voglio prendere quella bimba. Dirle che non deve portare un peso così grosso tutto da sola. Voglio aiutarla, ma non ci riesco. Posso solo vedere il susseguirsi degli avvenimenti. Mi passano davanti agli occhi immagini della bimba che viene derisa da tutti, viene considerata matta. Lei soffre. In silenzio. Nessuno se ne accorge. Una sola nota cosa si nascondeva dietro a quegli occhi. Faith. Diventano amiche. Sono inseparabili. Crescono. Hope diventa forte. Il suo cuore è forte e duro come una roccia. Ora è un'adolescente. Bella. Sempre insieme a Faith. Penso siano amiche del cuore. Hanno si e no quattordici anni. Sono con un ragazzo. Assomiglia molto a Faith, ma più grande. Scherza con loro. Le due ridono alle sue battute e quando sbaglia lo rimproverano con un sonoro " Daneee". Lui osserva la piccola Hope con sguardo innamorato, ma lei non sembra accorgersene. A volte si rinchiudeva in camera e piangeva. Altre bestemmiava. Altre ancora tentava il suicidio.
Sento gli stessi pianti uditi al funerale della famiglia della piccola Hope. Chi può essere morto ancora? Vicino a lei c'è un uomo, invecchiato, ma si riconosce. La donna non c'è. E' il suo funerale. Dopo nemmeno trenta secondi vi è un altro funerale. Vicino a lei ora non vi è più nessuno. Dane l'abbraccia, lei cerca conforto nei suoi abbracci. Incominciano ad uscire insieme. Lui la rende spensierata. Non le fa' pesare la sua situazione. Trova il coraggio e si dichiara. Si baciano. Passano i mesi, forse gli anni. Dane non è più al suo fianco. No al suo fianco c'è un ragazzo riccio con occhi verdi. Lui sembra amarla. Lei ne è innamorata pazza.
Per un attimo c'è buio totale. Vado in panico. Voglio sapere come finirà la storia di quella ragazza. Voglio andarle vicino e dirle di tenere duro.
Dopo poco vedo una porta sbattere, è in lacrime. Dalla finestra si riesce a capire quale sia la figura che se ne sta andando lentamente con il capo chino. Lei piange. Voglio abbracciarla. Faccio un passo verso di lei e cado. Entra Faith in casa. E' cresciuta, ma riconoscibile. La trascina a una festa. Hope incontra il ragazzo riccio. Lui è già con un'altra. Lei beve. Troppo. La riportano a casa. Le immagini scorsero sempre più velocemente. Incontra un ragazzo. Lui la guarda con occhi diversi. Lui la vuole. Lei lo vuole. Fanno l'amore, anche se lei l'indomani con lui lo definirà come un errore, uno sfogo. Lui è ferito. Scappa. Lei lo rincorre.
Le immagini sono sempre più sfuocate. Lei cammina. Di nuovo una luce accecante un tonfo, come se un corpo fosse caduto a terra.
La luce fu l'ultima cosa che vidi di quella ragazza. Non potevo credere che fosse morta. Non aveva senso. Improvvisamente mi trovai a vagare in una stanza buia. Tutte le immagini che ho visto fino ad adesso ruotano attorno a me. Girano. Velocemente. Troppo. Ho una confusione in testa. Voglio urlare, ma le parole mi si fermano in gola. Non capisco più niente. Mi è difficile persino pensare in questo momento. Mi sento debole, le mie gambe cedono e rimango inginocchia a terra. Le lacrime incominciano a rigarmi il volto. Mi accascio a terra e chiudo gli occhi nella speranza che la mia morte sia indolore e veloce. Ancora una volta una luce accecante. Incomincio a sentire un odore nauseabondo, di malato, di morte. Riesco a muovere le mani. Lentamente apro le palpebre, ma bruciano. Le chiudo velocemente. Riprovo ad aprirle lentamente. Bruciano ancora, ma il dolore si sta facendo sopportabile. E' una stanza bianca. Sono in un letto. Provo a muovermi, ma non ci riesco. Le mie gambe non rispondono ai comandi. Solo le braccia sono in grado di muovere. Noto un ago conficcato nella mia pelle, alzo lo sguardo e vedo tanti fili attaccati a me e al mio corpo. Ho un respiratore sulla faccia. Sono in un ospedale? Cosa ci faccio in un ospedale? Provo a gridare aiuto, ma la voce non esce. Mi sento così impotente. Vedo un ragazzo. Mi sta guardando dal vetro esterno della stanza. E' familiare, ma non ricordo chi sia. Sorride. Corre e scompare dalla mia vista. Dopo poco entra un uomo. Un dottore a giudicare dal camice bianco. Incomincia a borbottare
Dottore:- Sai pensavamo che non ti saresti più risvegliata, è da già un mese che sei in coma-
Io in coma? Com'era possibile?
Dottore:- Ma dimmi, ti ricordi come ti chiami?-
Il mio nome. Qual'era il mio nome? Com'era possibile non ricordarsi il proprio nome? Lo guardai disperata in cerca di un aiuto.
Dottore:- Hope, il tuo nome è Hope.-
Perché quel nome mi era così familiare? Perché non riuscivo a muovere le gambe? Perché non mi ricordavo chi fossi? Perché ero lì?

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Capitolo 4
*** a woman in a baby ***


Ero terrorizzata. Mille domande mi ronzavano in testa. Mi davano fastidio. Mi impedivano di pensare normalmente. Cercai aiuto nello sguardo del dottore.
Dottore:- Hai una leggera paralisi alle gambe e una forte amnesia che, però è solo temporanea-
Cercai di emettere un suono, ma tutto quello che uscì dalla mia bocca fu solo un suono strozzato.
Dottore:- Dimenticavo per un po' non sarai in grado di parlare-
Cosa? Ero paralitica alle gambe, non ricordavo nemmeno chi fossi e adesso non sarei più riuscita a parlare? Datemi una pistola che mi sparo immediatamente.
Do:- Devi stare tranquilla. E' tutto solo temporaneo. Hai dormito per un mese, gli arti delle gambe, a differenza di quelli delle braccia, devono essere sollecitati, così come i muscoli della bocca. Tranquilla iniziamo già da oggi dei corsi riabilitativi e non verrai dimessa finché non avrai recuperato tutte le forze e la memoria-
Annui leggermente con il capo. Sapevo che mi chiamavo Hope, che ero stata in coma e che per adesso non potevo fare niente. Era già qualcosa. Mi toccai il viso con le mani. Volevo capire che forma avesse e il tatto mi sembrava il modo migliore. Com'era possibile non ricordarsi nemmeno che faccia avessi? Mi sentivo stupida. Una bambina. Stupida e insofferente. In più c'erano quelle immagini che mi tormentavano e a cui non sapevo dare un significato. Passai dei secondi, forse minuti e forse anche ore, a farmi domande. Domande su come fossi finita in quel letto d'ospedale, domande su chi fossi, su quali fossero le mie origini, quali erano le cose che avevo fatto poco prima di entrare in coma per un mese, se avevo una famiglia. un'amica, un ragazzo. Poi sentii la porta aprirsi leggermente e un viso femminile entrare. Incominciò a urlare come una matta il mio nome. Mi strinse forte. Quasi mi fece soffocare. Chi era? Perché ara così legata a me? La guardai con aria interrogativa e quando lei capì che non avevo la più pallida idea di chi fosse scoppiò in lacrime. Diceva cose senza senso. Diceva che non potevo essermi dimenticata tutto. Che non potevo rimuovere una vita passata insieme. Che per colpa di un incidente non potevo rimuovere il bene che ci legava. Urlava. Piangeva. Stava avendo una crisi isterica. Io la guardavo terrorizzata. Incominciai a non capirci più niente. Mi continuava a urlare cose sulla mia famiglia. Diceva se mi ricordavo di una certa Abbie. No non mi ricordavo. Non sapevo nemmeno chi fossi io. Diceva che Abbie era morta, diceva che tutta la mia famiglia era morta. Diceva che mi rimaneva solo lei. Ma la mia famiglia non poteva essere morta sul serio. Quanti anni avevo? Diciotto? A diciotto anni non si può perdere la propria famiglia. Incominciai a piangere. Lei non la smetteva di urlarmi contro la mia storia. Io non potevo fermarla. Non ce la facevo. Le parole mi si fermavano in gola e non uscivano. Fortunatamente arrivò un dottore e la portò via. Mi si avvicinò un'infermiera. Diceva che dovevo stare calma. Per la mia salute. Ma io non ce la facevo a stare calma dopo tutto quello che era successo. La guardai. Affogai nei suoi occhi che mi infondevano una straordinaria sicurezza. Mi alzò la schiena con le braccia e mi sollevò. Mi fece sedere su una carrozzina a rotelle. Tutti mi guardavano nei corridoi. Mi sentivo impotente. Una bambina impotente. Guardavo e toccavo tutto come se fosse la prima volta che le vedevo. La gente mi sorrideva. Mi diceva di non mollare. Che presto sarei guarita. Ma io semplicemente non vedevo l'orizzonte di un futuro roseo.
Sentivo l'infermiera borbottare qualcosa. Io la osservavo. Parlava con un dottore. Non capivo cosa si dicessero.
Infermiera:- Ora piccola Hope ti porto un po' in palestra che iniziamo a sollecitare i muscoli delle gambe-
Provai a sorriderle ma sentii come mille aghi che pungevano e tiravano la mia faccia.
I:- No tesoro, non sforzarti. Poco alla volta tornerai te stessa-
Le feci capire con lo sguardo che andava tutto bene. Lei riprese a spingermi la carrozzina.
Arrivammo in una palestra. Era immensa. Piena di colori. Tutti vivaci. Per terra c'era un bambino piccolo che giocava con una macchina. Indicai all'infermiera di farmi andare vicino a lui. Giocava. Era felice. Mentre lo guardavo sentii il respiro mancarmi. Vidi l'immagine di due macchine che si sfracellavano l'una contro l'altra. Il cuore iniziò a galoppare velocemente. Il respiro si fece sempre più affannoso. Gli occhi si sbarrarono. Stavo avendo una crisi di panico.
I:- Calma. Tesoro calma. Probabilmente i ricordi iniziano a riaffiorare. Belli o brutti che siano li devi accettare ok?-
Cercai di rallentare il respiro e il battito cardiaco. Ma nella mia testa vedevo ancora quell'immagine. E quel sogno. Dovevo scavare nella mia vita.
Per tutto il pomeriggio cercai di non pensare a tutti gli avvenimenti che si erano successi uno dopo l'altro così velocemente. Feci molta ginnastica. Sentivo i muscoli. Le mie gambe. Non le muovevo ancora, ma già sentirsele un po' era un gran passo avanti. L'infermiera Jane mi portò anche dalla logopedista dell'ospedale. Dicevano che se anche sentivo dolore dovevo sforzarmi a muovere tutte le parti della mia faccia, ma soprattutto della mia bocca. Verso sera mi riaccompagnarono verso la mia stanza. Mi rimisi nel letto e incominciai a pensare. Stavo facendo il resoconto della mia giornata, quando bussarono alla porta. Entro un ragazzo stupendo accompagnato da un altro ancora più bello. Mi fecero alcune domande. Mi chiedevano se li riconoscevo. Scossi la testa. Sospirarono amaramente. il primo disse di chiamarsi Harry, l'altro Louis. Ebbi una nuova crisi di panico. Sentii nella mia testa rimbombarmi una frase " E' stato un errore, uno sfogo, mi dispiace, ma non ti ho mai amata ". Louis mi si avvicinò e mi abbracciò. Mi sussurrava che andava tutto bene. Che presto avrei capito chi fossero. Che mi avrebbe aspettata. Non capivo il senso di quelle parole, ma soprattutto di quelle che mi rimbombavano in testa.
Rimasero lì tutta la sera con me. Mi raccontavano un po' di loro e di me. Io li ascoltavo interessata, ma sfortunatamente il sonno prevalse su di me e lentamente mi lasciai cullare dalle braccia di Morfeo.
Sogni tormentati. Immagini. Suoni. Rumori. Sapori. Luci accecanti. Mi svegliai di soprassalto. Osservai la stanza attorno e me. Mi tranquillizzai. Cercai di capire che ore fossero. C'era già la luce. Presto sarebbero venuti a prendermi per la solita ginnastica riabilitativa.
Quel giorno non ricevetti di visite. Non ne ricevetti per un bel po'. Gli attacchi di panico andavano e venivano. Era come se l'ambiente che mi circondava stimolasse i miei ricordi. Non riesco ancora a parlare, ne a muovermi. Sono già passate due settimane e mi sento sempre di più un'imbecille. Quando Jane tutte le mattine mi accompagna in palestra e mi fa' fare degli esercizi non mi riescono. E mi dispero. La cosa positiva è che lentamente sto ricostruendo la mia identità. Sono supportata da psicologi. Dicono che non devo sollecitare troppo la mia mente. Lentamente i ricordi torneranno a galla.
Oggi è un'altra giornata come le altre. Sto aspettando che Jane arrivi e mi porti in palestra. Poi inizierà l'agonia. L'agonia di sbagliare e rimanere così per sempre. Mi sento come un'adulta intrappolata del corpo di una bambina. Voglio tornare normale come prima. Un altro giorno così e mi uccido. Tutti mi dicono che devo tenere duro e che solo con la mia tenacia e forza di volontà posso farcela. Dicono che i miglioramenti ci sono. Ma io mi sento uguale a prima. Impotente e stupida. Voglio vedere il mondo esterno, ma dicono che non sarebbe salutare per me. Che prima devo riacquistare le mie forze. Ma io penso che dell'aria fresca mi farebbe bene. Lo penso. Non posso dirlo. Fa' ancora troppo male muovere la bocca. Fa' ancora troppo male fare qualsiasi cosa. Fa' ancora troppo male vedermi. Sono una giovane donna nel corpo di una bambina che non sa' muoversi. Devo accettarlo. Se rimarrò così, lo accetterò.
La porta che si chiude mi fa' sobbalzare dai miei pensieri. E' Jane. Sorride. Stavolta è diversa. Mi appoggia sulla carrozzina e vi mette una coperta. La guardo. Non so più nemmeno che stagione sia. Dice che è settembre, ma che fuori fa già un po' freddo. Quindi hanno intenzione di portarmi fuori?
Una luce brilla nei miei occhi. Finalmente avrei visto il mio mondo.

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Capitolo 5
*** i'm in love with you? ***


Jane incominciò a spingere la carrozzina per poi arrivare alla porta che mi separava dal mondo esterno. Dal mio mondo. Come una bambina tutta felice incominciai a guardarla e a dimenarmi. Mi sorrise. Aprì la porta e finalmente vidi ciò da cui mi ero allontanata durante questi mesi.
Non c'era molto da vedere. C'erano delle macchine che sfrecciavano alla velocità della luce. Si sentiva un odore di smog e gas nell'aria. Un odore di morte. Tutto attorno a me incominciò ad apparire più scuro. La mia vista si offuscò e le lacrime incominciarono a scendere lungo il mio viso. Poco a poco incominciai a ricordare chi fossi. Cosa facessi poco prima di cadere in coma. Tutti i miei dolori. Girai lo sguardo verso Jane.
H:- Io.....ric....o....rdo....-
J:- Hai parlato! Mio dio! Hai parlato!-
H:- Portami.....i....n.....questa via-
Le indicai la via della mia casa. Mi ci portò. Durante il tragitto sentivo il cuore pompare a mille. Gli occhi si ingrandivano e rimanevano attenti a qualsiasi cosa vedessero. Quando arrivammo sentii il sangue gelarsi nelle vene. Mi feci condurre fino alla porta. Entrammo. Nella mia testa passarono mille immagini. Mille emozioni. Mille pianti. Mille urla. Ora mi era tutto più chiaro. Ero Hope Brown. Figlia di Melissa e John. Sorella di Abbie. Migliore amica di Faith. Ex fidanzata di Dane e Harry. Dio mio. Quell'infame era anche venuto a trovarmi. Ed ecco che il significato del sogno fatto poco prima di risvegliarmi dal coma. Non era un sogno. Erano i miei ricordi. I ricordi di una vita infernale e piena di sofferenze.
J:- Ricordi un po'?-
H:- Ricordo tutto-
J:- C'è un altro posto dove vorresti andare?-
Le indicai sulla mappa un via. Dovevo scusarmi. Pensavo. Pensavo a come sarebbe potuto essere il mio discorso. Alla sua reazione. Alla mia. Jane suonò il campanello e mi lasciò sola. Si sedette sul marciapiede della strada ad aspettarmi. Feci un respiro profondo. Sentii la serratura scattare. Vidi due occhi vispi e azzurri rimanere sorpresi dalla mia presenza. Mi sorrise.
L:- Vuoi...entrare?-
Mi girai verso Jane cercando il suo consenso. Annuì debolmente con la testa. Louis mi venne dietro e spinse la mia carrozzina dentro. Non avevo mai visto casa sua. Era stupenda. Piena di vita e colori. La mia invece sapeva di morte e depressione. Lo guardai estasiata. Mi sorrise.
X:- Lou era per me?-
L:- No Ash è una mia amica-
Rimasi delusa dalla sua affermazione. Solo sua amica? Non aveva tutti i torti. Dopo quello che gli avevo detto avrebbe potuto benissimo mandarmi a quel paese. Vidi una ragazza bionda con gli occhi uguali a Louis scendere le scale di fretta.
A:- Ma allora tu devi essere Hope! Louis non fa' altro che parlare di te da almeno tre anni-
Sorrisi debolmente.
L:- Bene ora Ashley vattene-
A:- Calmino eh-
Se ne tornò di sopra. Lui mi si avvicinò e si chinò vicino a me.
L:- Allora a cosa devo la tua visita? Stai meglio? Oh già non puoi ancora parlare. Sai venivo tutti i giorni a trovarti, ma poi non avevo il coraggio di vedere il tuo sguardo sofferente e chiedevo tue notizie ai medici-
H:- Scusa-
L:- Parli? E poi scusa di cosa?-
H:- Ricordo tutto-
L:- Tutto tutto-
H:- Anche le cose successe quella notte-
L:- Ah-
H:- Io quella mattina non volevo dirti quelle cose. Io porto sfortuna e non voglio che nessuno sia affezioni a me. Sarei solo una rovina per te. Mi dispiace se ti ho fatto stare male. Io non volevo. Cercavo solo un modo per non farti entrare nella mia vita-
L:- Io ormai ci sono entrato e non ho intenzione di uscirne così facilmente-
H:- Louis capiscimi. Ho visto tutte le persone a cui tenevo di più morire. Non sono semplici casi-
L:- Morirò se serve per rimanerti accanto-
H:- Louis-
L:- Permettimi di starti vicino. Come amico-
Una lacrima si fece strada sul mio volto. Prontamente lui la raccolse con un gesto dolcissimo. Come potevo allontanarlo da me se neanche io lo volevo veramente? Mi abbracciò. Come poteva un abbraccio mettermi così tanta sicurezza? Come poteva tranquillizzarmi così tanto? Come poteva farmi sentire normale?
Passai tutto la mattinata lì con lui. Mi invitò a pranzo, ma io dovevo tornare in ospedale per le mie cure, così si offrì di portarmi . Prese la strada più lunga per arrivare in ospedale. Mi fece attraversare il parco. Poi a un certo punto si fermò. Mi guardò. E mi fece scendere dalla carrozzina. Avevo paura. Io non sapevo stare in piedi e lui mi ci metteva? Provai a fidarmi. Mi prese da dietro le braccia e le appoggiò sulle manopole che si usano per spingere la carrozzina. Mi disse di provare a spingerla. Ci provai. Spingevo la carrozzina, ma rimanevo con i piedi piantati a terra. Capii che dovevo muoverli per non cadere faccia a terra. Feci un enorme sforzo, ma riuscii a trascinare il piede. Poco alla volta arrivammo in ospedale. Lui dietro di me, in caso di necessità, e io davanti che spingevo la carrozzina. I medici all'entrata incominciarono a correre verso di noi e a dirci che eravamo dei pazzi, ma Louis spiegò loro la sua teoria. Secondo lui era inutile che facessi della palestra e poi rimanessi sempre stesa in un letto o seduta su una carrozzina. Non avrei più recuperato le mie capacità motorie. I dottori all'iniziò contestarono, poi, però accettarono la sua idea. Lui tutte le mattina sarebbe venuto a prendermi. Mi avrebbe fatto camminare a piedi per andare a fare colazione in un bar, poi avremmo fatto una passeggiata nel parco, saremmo tornati dalla logopedista in ospedale, per poi andare a mangiare fuori, rifare un'altra passeggiata, andare a casa sua e per l'ora di cena sarei tornata sana e salva con lui in ospedale che sarebbe stato in stanza con me per farmi fare un altro po' di movimento prima di andare a dormire. Ero scioccata dalla sua teoria. Speravo vivamente che i dottori non approvassero l'idea. Stare troppo tempo con lui mi avrebbe fatto solo del male perché mi ci sarei affezionata. E invece accettarono. Dissero che era un'idea brillante. Che in quel modo avrei fatto dei progressi da leone. Lui mi sorrise raggiante. Feci un sorriso tirato a mia volta. A partire da oggi iniziava la nuova terapia. E purtroppo fu così. Non feci nemmeno in tempo ad uscire dalla stanza della logopedista che lui era già lì raggiante e pronto ad accudirmi come se fossi una bambina. Mi portò a mangiare in un ristorante. Sorrideva raggiante e diceva che presto sarei tornata a camminare normalmente utilizzando la sua cura. Le sue parole mi rincuoravano. Desideravo con tutta me stessa poter camminare di nuovo. Era esasperante non riuscire a fare niente se si era da soli. Però non potevo stare troppo tempo con lui. Ci facevamo del male entrambi. Lui si affezionava a me e io a lui. Avevo intenzione di impegnarmi a fondo, in quel modo sarei guarita in fretta e non lo avrei più rivisto. Mai più. Doveva uscire dalla mia vita il più velocemente possibile. Con o senza il suo consenso. Passammo tutto il pomeriggio a camminare nel parco. Parlavamo. O meglio parlava lui. Mi raccontava della prima volta che mi aveva visto. Andavo ancora a scuola. Avevo quindici anni. Mi disse che Harry incominciò a fare degli apprezzamenti su di me durante l'ora di educazione fisica. Lui annuiva ai commenti maliziosi dell'amico, ma non diceva niente. Disse anche che lo avevano colpito i miei occhi. I miei stupidi e insulsi occhi avevano catturato la sua attenzione. Proprio quegli occhi che continuano a versare lacrime e trasmettono solo tristezza a chi mi sta attorno. Com'era possibile? Diceva quelle cose per strapparmi un sorriso?  Di certo la sua compagnia mi faceva bene. Mi rendeva felice. Mi completava. Non mi faceva pesare niente. Non toccava mai l'argomento famiglia. Nemmeno quello fidanzati. Parlavamo del più e del meno. Di tutto. Mi faceva ridere. Non so come, ma ci riusciva.
Quando quella sera mi salutò con un bacio sulla guancia e se ne andò dicendomi che sarebbe tornato la mattina successiva, sentii un vuoto nello stomaco. Mi stavo forse innamorando di lui?
 

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Capitolo 6
*** what do you want to do? get away ***


Louis continua a venire qui in ospedale. Ho bisogno della sua presenza più di quanto un tossicodipendente possa avere bisogno dell'eroina. Non vedo l'ora che arrivi. Sono seduta sul letto e batto i piedi a tempo di musica. Musica inventata. Musica felice. Pur sempre musica. Sento il cellulare squillare. Dane.
D:- Ricordi?-
H:- Dane! Vienimi a trovare in ospedale! Mi sento così sola!-
D:- Vengo stasera Hope, ora devo scappare a lavoro, lo sai-
H:- Ok Dane-
D:- Ok a dopo-
H:- Un attimo Dane-
D:- Si?-
H:- Mi manchi-
D:- Anche tu piccola Hope-
Non sapevo nemmeno io perché avevo detto a Dane quelle cose. Volevo cercare di dargli un volto. Anche se ricordavo tutto nella mia mente, i volti erano ancora così confusi. Più nitidi erano i ricordi dolorosi. I miei genitori. Mia sorella. Harry.
Sentii la voce squillante del mio salvatore chiedere se ero sveglia. Dopo poco la sua faccia fece capolino dalla porta. Aveva un sorriso mozza fiato. Sapeva rendere sopportabile quel posto infernale da cui aveva progettato molte volte di scappare. Mi sollevò dal mio scomodo letto candido e mi poggiò sulla carrozzina. Mi porse dei vestiti. Profumavano di lavanda. Avevano il suo stesso profumo. Quei panni erano suoi. Lo guardai ridendo.
L:- Ti ho dato i miei perché non ti ho mai vista con un vestito addosso e mia sorella ha solo quelli. Fortunatamente aveva un paio di jeans nell'armadio-
Annuii ancora ridendo e scossi la testa divertita da quanto fosse, evidentemente, imbarazzo. Mi cambiai velocemente e fui pronta per una giornata piena di movimento. Salutammo i dottori e finalmente ci dirigemmo fuori da quel posto orribile. Non sopportavo di dover stare lì dentro per tutto il giorno. Le giornate non passano mai. Senti i medici andare avanti e indietro. Correre da un reparto all'altro. Dover annunciare una morte. Cercare, in un tentativo del tutto disperato, di salvare una vita. Passeggiammo per tutta la mattina. Mi raccontava un po' cosa faceva. Avevo scoperto che sua mamma aveva abbandonato lei e sua sorella Ashley e che il papà era morto a causa della droga. Lo sentivo parlare con odio e disprezzo. Il suo sguardo si era fatto cattivo mentre ricordava quelle persone. Le chiamava persone perché non aveva il coraggio di chiamarli genitori. Diceva che genitori è un nome da dare a due persone che ti hanno accudito e allevata finché la morte non glielo ha impedito. E sinceramente non aveva tutti i torti. Cercai in tutti i modi possibili di sviare l'argomento. Se era triste lui, io non potevo che essere di un umore peggiore. Mi accennò un sorriso alla vista del mio tentativo.
L:- Bene. Ora che abbiamo mangiato che ti va di fare?-
H:- Scappare-
L:- Si certo si potrebbe fare, ma prima dobbiamo passare a prendere un po' dei tuoi vestiti-
H:- Louis la mia era una cosa detta involontariamente-
L:- E noi la faremo comunque. Scappiamo in Italia. Andiamo in montagna. Quel'aria pura ti fa' di certo meglio che l'aria piena di smog di Londra-
H:- Louis non ti faranno più venire in ospedale se-
L:- Così mi leverò dai piedi prima-
H:- Louis-
L:- Hope lo so che non vuoi che io mi affezioni a te, ma ormai è inevitabile. E' già successo.-
H:- Io sono un danno vivente-
L:- Dai andiamo a casa-
Mi prese per mano. Ammiccai un sorriso. Era una sensazione paradisiaca. Stavo stringendo tra le mie mani una delle poche persone che aveva dimostrato interesse per me. Un vero interesse.
Credevo che l'ipotesi della fuga in Italia fosse stata archiviata come battuta. E invece no. Mi fece salire in macchina e alla velocità della luce ci dirigemmo verso l'aereo porto. Continuavo a urlargli che stavamo facendo una cazzata. L'unica sua risposta era una risata fragorosa. Stavo veramente pensando che quel ragazzo prendesse allucinogeni.
Salimmo sull'aereo. Non ne avevo mai preso uno in vita mia. Era enorme e tutto bianco. I sedili rivestiti in pelle. Bianca. le tendine beje attaccate a un finestrino vicino ai sedili. Era semplicemente stupendo. Louis sorrideva guardandomi con dolcezza mentre io analizzavo ogni minimo dettaglio. Mi girai verso di lui e lo abbracciai stringendolo forte a me. Rimase sorpreso dalla mia reazione.
H:- Sei uno dei pochi che ha dimostrato un minimo di interesse per me-
Mi prese il volto e incominciò a baciarmi. Non era come il primo bacio che ci eravamo dati. Questo era dolce, lento, pieno di sentimento. L'altro era stato un bacio veloce e passionale. Mi staccai violentemente. Avevo sbagliato un'altra volta con lui. Si tirò indietro in segno di scusa. Mi sorrise. Come riusciva quel ragazzo a sorridere sempre? Mi ero appena staccata da un suo bacio e lui sorrideva. Aveva una forza incredibile dentro di se. Una forza di chi ha lottato duramente nella propria vita. Anche io l'ho fatto. Solo che i dolori hanno avuto la meglio.
Mi addormentai. Stanca. Ero stanca. Stanca di tutto. Stanca della mia vita. Stanca dei dottori. Stanca delle cure. Stanca dell'ospedale. Di una cosa non potevo essere stanca. Di lui.
 
Sentii un profumo di lavanda e un respiro dolce sulla mia pelle. Aprii gli occhi. Davanti a me il suo viso. Sorridente. Chiusi gli occhi e me li strofinai. Gli borbottai qualche bestemmia contro sotto voce per aver interrotto il mio sonno.
L:- Piccola Hope ha chiamato un certo Dane-
H:- Dane?-
L:- Ha detto di dirti che si scusa ma non riesce a venire a trovarti in ospedale-
H:- Ok non fa niente-
L:- Ma chi è?-
H:- Chi è chi?-
L:- Dane-
H:- Ah.........un mio.......amico-
Aveva notato la mia incertezza nel pronunciare la parola amico, ma non disse niente.
Una voce metallica annunciò che stavamo per arrivare in Italia. Presto avrei visto la montagna e respirato aria pura. Quando scendemmo dall'aereo sentii un braccio appoggiarsi attorno alla mia spalla. Mi girai. Louis. Mi avvinghiai a lui come una cozza. Rise.  Quella risata trasmise allegria anche a me. Era tutto come sì semplice quando ero con lui. Era tutto così fantastico. Tutto così magico. Tutto così unico. Lui mi accettava per come ero. Non mi chiedeva di cambiare. Lui era l'uomo perfetto. E proprio per questo dovevo staccarmi. Non dovevo affezionarmi. Non dovevo dargli sempre retta. Non volevo che anche lui cadesse in basso. Non volevo vedere la sua vita rovinata. Perché io sarei stata la sua rovina se solo ci avessimo provato. Io sono stata la rovina di tutti. Sarei stata anche la sua. Non mi importava se diceva che della vita non gliene importava niente se io non ero con lui. Più passano i giorni, però, e più capisco che la sua presenza nella mia vita è diventata essenziale. Forse lo amo.

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Capitolo 7
*** your lip...... so kissable ***


Esattamente non so cosa provai quel giorno. Ansia. Panico. Confusione. Felicità. Ero un mix di emozioni pronte a scoppiare da un momento all'altro. Provavo panico perché avevo paura che ci scoprissero. Ansia perché non lo volevo accanto a me. Confusione perché non capivo i miei sentimenti nei suoi confronti. Felicità perché la sua presenza mi faceva stare bene.
Era inutile. Io. Hope. La ragazza che ha tenuto i denti stretti e, nonostante tutto, è andata avanti a camminare a testa alta. Quella ragazza che più volte è andata in ospedale a causa del coma etilico. Che ritrovava rifugio nel fumo e nell'alcool. Che diceva che non si sarebbe mai innamorata. Era diventata un'altra ragazza. Ero cambiata. Semplicemente perché ora il mio rifugio non erano i cocktail o le sigarette. Il mio rifugio era lui. Il suo sorriso scaturiva il mio. Illuminava le mie giornate. Sarei stata persa senza di lui. Sarei in quell'ospedale se non ci fosse lui al mio fianco.
 
Passai una giornata in allegria. L'aria pura della montagna mi faceva bene. In più avevamo trovato un posticino dove fermarci per la notte. Una coppia di anziani signori ci aveva visto, per caso, mentre camminavamo e ci avevano chiesto se potevano ospitarci. Ringraziando della generosità accettammo l'invito.
L:- Allora cosa pensi di fare quando torneremo?-
Quella domanda mi spiazzò. Si capiva benissimo che aveva un secondo fine. Come potevo rispondergli se non lo sapevo nemmeno io? Volevo averlo al mio fianco e allo stesso tempo vederlo sparire dalla mia vita. Come poteva chiedermi questo? Feci un sospiro.
H:- Penso di andarmene-
Rimase scioccato dalla mai risposta. Vedevo una leggere punta di terrore nei suoi occhi. Come biasimarlo? Se ci teneva a me così tanto come diceva il minimo che avrebbe potuto fare era urlare. E invece mi sorprese un'altra volta. Era calmo e composto. Non dava segni di follia.
L:- Andartene? Beh se è la tua scelta-
Non so perché, ma ci rimasi male.
H:- Già-
L:- Ma dove pensi di andartene?-
H:- America-
L:- L' America è lontana-
H:- Più è lontana meglio è-
L:- Già-
Sospirai. Odiavo essere così fredda. Specialmente con lui. Era vero. Sarei partita per l'America. In cerca di un futuro migliore. Probabilmente da sola. Oppure con Faith. Era da quando mi ero svegliata che non la vedevo più. Anche se ricordavo poco della nostra amicizia sentivo che una parte di me mancava se non c'era lei. Decisi di chiamarla. Una voce rotta rispose al telefono. Probabilmente aveva pianto.
F:- Pronto?-
H:- E' questo il modo di rispondere al telefono?-
F:- Se la tua migliore amica non si ricordasse nemmeno il tuo nome, la risposta è si-
H:- Oh Faith sei sempre stata una tragica, ma mai fino a questo punto-
F:- E tu come?-
H:- Mhhhh indovina-
F:- Oddio ti ricordi! Vengo subito a trovarti in ospedale-
H:- Faith no-
F:-...............-
H:- Sono scappata-
F:- Con chi?-
H:- Tomlinson-
F:- Uhh lo sapevo che c'era del tenero-
H: Aspetta. Domani torniamo. Preparo le valigie e me ne vado definitivamente-
F:- Dove vuoi andare?-
H:- America. New York-
F:- Ma come farai?-
H:- Ho dei risparmi. Appena arrivata cercherò lavoro e una casa-
F:- Ok, sapevo che le cose non mi sarebbero mai andata bene-
H:- Non trarre conclusioni affrettate-
F:- Spiegati Hope-
H:- Farò questo viaggio solo se tu mi accompagnerai-
F:- E Dane?-
H:- Da quello che ricordo è come un fratello per me. Può venire anche lui-
F:- E non hai paura di un possibile ritorno di fiamma?-
H:- No-
F:- Oh giusto nel tuo cuore c'è Tomlinson ormai-
H:- Faith piantala-
F:- Ok. Ora vado a preparare le valigie. Cerco io i biglietti per il volo. A domani-
H:- Buonanotte Faith-
Mi buttai su letto matrimoniale che ci avevano dato quella tenera coppia e iniziai a battere il piede a ritmo di musica. Louis mi guardava divertito.
L:- Hai proprio questo vizio?-
H:- Ne ho tanti-
Gli feci cenno di aprire la mia borsetta e di tirare fuori tutto quello che trovava. Un pacchetto di sigarette. Qualche canna già pronta per essere fumata. Una piccolissima boccettina di rum e una di vodka. Si girò verso di me scuotendo la testa.
L:- Fa male questa roba sai?-
C:- Più fa male meglio sto-
L:- Perché?-
C:- Perché la mia vita non è mai stata rose e fiori-
L:- Non è una buona scusa per buttare via così la propria vita-
C:- E tu che ne sai?-
Lo avevo detto così. Senza pensarci. Senza ricordarmi che anche lui non aveva avuto un passato felice. Abbassai lo sguardo e sussurrai un leggero "  scusa ". Sorrise.
L:- Non preoccuparti-
H:- Mi passi una sigaretta?-
L:- Ah no! Queste finiscono tutte nel bidone-
H:- Beh le ricomprerò domani-
Sospirò. Si sdraiò vicino a me sul letto. Sentii il suo braccio avvicinarsi al mio corpo. Mi abbracciò. Mi girò verso di lui. Mi persi nei suoi occhi. Erano veramente meravigliosi. Lo osservai nei minimi particolari. Mi baciò. Eccolo il mio rifugio. Così bello e pieno di vita. Domani lo avrei perso. Per sempre. Era quello che volevo. E allora perché sapevo che avrei sofferto la sua mancanza? Mi staccai dal bacio. Chiusi gli occhi e feci finta di dormire. In realtà volevo pensare a lui. Alle sue labbra. Ai suoi occhi. Alle sue mani. Al suo fisico. Al suo sorriso. Al suo modo di parlare. Non volevo dimenticarmi nulla di lui e allo stesso tempo volevo cancellarlo dai miei ricordi. Da domani non avrei più avuto il suo corpo accanto al mio. Dovevo essere felice. Invece avevo un groppo in gola. Un nodo nello stomaco. Un peso sul cuore. Perché?

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Capitolo 8
*** a trip. where? america ***


La luce inondò la stanza. Era assai fastidiosa, ma fortunatamente mi riportò alla realtà. Quel giorno sarei partita. Con Faith e Dane. Louis non era vicino a me. Non c'era proprio. Scesi di corsa le scale.
X:- Il tuo amico se ne è andato stanotte-
H:- Ma...-
X:- Ha lasciato questa per te-
Era una lettera. Breve. Scritta in evidente velocità.
" Ciao Hope! E' stato bello conoscerti. Visto che non mi volevi nella tua vita ho pensato di andarmene. Vederti partire mi avrebbe distrutto. Soffro. Mi manchi già al solo pensiero di non vedere più quel sorriso meraviglioso che mi facevi quando ridevi. Sai che hai una risata bellissima? Ah, prima che me ne dimentichi, ti ho buttato via tutte le cose nocive per la tua salute che erano contenute nella tua borsetta. So che non serve questo gesto, ma spero che smetterai di comprarle. Beh che dirti. Buon viaggio. Non ti dimenticherò mai. In fondo hai preso una parte del mio cuore. Ti prego fanne buon uso.
Louis "
Guardai l'anziana signora che mi fissava sorridendo. Mi avvicinai alla prima sedia che vidi e crollai su di essa. Non era possibile. Se ne era andato. Senza salutarmi. Senza dirmi addio. Mi aveva abbandonato. Come avevano fatto tutti.
X:- Tutto bene?-
H:- Si certo. Faccio le valigie e tolgo il disturbo-
X:- Ti devo accompagnare in aereo porto?-
H:- Se non le sono di troppo disturbo-
X:- Dai vatti a cambiare che partiamo.
Mi diedi una leggera sciacquata. Era ora di tagliarmi quei maledetti capelli. Sarebbe stata la prima cosa da fare appena arrivata a casa prima di partire per New York con Faith e Dane. Feci un lungo sospiro e scesi le scale. Quell'adorabile signora mi stava già aspettando giù da basso pronta per partire.
Del viaggio non ricordo molto. Ho dormito. Per tutto il tempo. L'ho sognato. Mi mancava terribilmente. Mi mancava averlo vicino a me. Sentire le sue battute. Vedere il suo sorriso. Era quasi ora di pranzo quando atterrai.
Pioveva. C'era freddo. Nebbia. Sembrava che il tempo sapesse il mio umore. Presi il cellulare. Scorsi la rubrica. " Louis: Chiama-Messaggio ". Feci un sospiro profondo. " elimina contatto ". Bene. In quel modo era completamente fuori dalla mia vita. Quando uscii dall'aereo porto mi diressi verso il primo parrucchiere che trovai. Entrai con dei lunghi boccoli scuri e ne uscii con un taglio da maschio completamente rasato ai lati e il ciuffo morbido in alto con la punta colorata di fucsia. Sembravo decisamente un'altra, però, mi piacevo moltissimo. Dovevo cambiare. E per farlo avevo bisogno di un paio di vestiti nuovi, così incominciai a fare shopping per negozi. Ogni cosa che facevo mi faceva pensare a Louis. Era inevitabile. Lo vedevo ovunque. Lo sentivo parlare. Ridere. Presi un paio di vestiti. Gonne, canottiere, maglioni, jeans e maglie di tutti i tipi. Presi anche della biancheria pulita. Comprai anche del sapone, dentifricio, insomma prodotti per l'igiene e infine qualche oggetto per pulire la casa. Mentre stavo tornando a casa per finire i preparativi della partenza ricevetti una telefonata.
-         Pronto?-
-         Hope-
-         Oh Ciao Dane-
-         Tra due ore siamo da te che partiamo-
-         Ok, io ho appena finito di comperare delle ultime cose, sto andando a casa che faccio le valigie e mi do una sciacquata-
-         Perfetto a dopo-
Chiusi la telefonata. Per la prima volta nella mia vita avevo paura. Paura di sbagliare. Non mi riconoscevo più. Quel dannato ragazzo mi aveva cambiato. Dovevo ritornare me stessa o comunque cambiare e diventare una ragazza meno insicura e più fiduciosa di me stessa.
Appena varcai la soglia di casa mia mille scosse elettriche invasero il mio corpo. I ricordi di tutta la mia vita si fecero sempre più nitidi. ora davo ai volti un nome, un carattere, un atteggiamento certo. Mi buttai sul divano e incominciai a guardare la sala. Aprii la grande valigia e vi infilai sia tutti i miei vestiti vecchi che quelli nuovi. Poi presi uno scatolone e vi infilai tutte le foto presenti nella casa e qualche piccolo ricordo, come ad esempio le mie coperte.
Mi accasciai a terra. Urlai. Subito dopo mi sentii decisamente meglio. Ci voleva uno sfogo dopo tutto quello che mi era successo. Ora dovevo solamente prepararmi alla partenza.
Feci una doccia molto velocemente e misi una gonna bianca a vita alta con una canottiera rosa. Un paio di ballerine nere con dei bordi ai lati bianchi e una borsa molto grande in pelle rosa. Mi truccai leggermente gli occhi con un po' di eyeliner e mascara, un filo di rossetto, fondo tinta e profumo e fui pronta. Non ero mai stata così carina. Mi vestivo sempre molto da maschio. Se non quando andavo in discoteca. In quel caso Faith si sbizzarriva. Presi la valigia e gli scatoloni e mi diressi fuori dalla porta di casa chiudendola a chiave. Mi sarebbe mancato terribilmente quel posto. Ci avevo sofferto, ma li ero cresciuta. Li avevo conosciuto Faith, mi ero innamorata e sempre li avevo fatto per la prima volta l'amore con una persona. Louis. Dio solo sa quanto mi mancherà. Soffro già ora. Decido di scrivergli un messaggio.
" La consapevolezza di provare una fitta al cuore perchè non ho ancora cancellato il tuo ricordo. E' durata poco, neanche il tempo di poter contare i giorni, ma ero felice, leggera... Poco dopo c'è stata la delusione, una delusione causata dalla tua troppa sincerità e dalla mia troppa voglia di giudicare. Sei entrato nella mia vita velocemente e allo stesso ne sei uscito. Ora sono qua a cercare di trovare un modo per ritornare quelli di un tempo, ma non ci riesco. Forse non era destino o forse semplicemente non ci abbiamo provato abbastanza "
Dopo poco lo cancellai. Non avevo il coraggio di inviarglielo. Era troppo per me. Spensi il cellulare. Nello stesso momento arrivarono Faith e suo fratello. Li vidi corrermi incontro. Loro erano felici. Anche io dovevo esserlo, ma semplicemente non lo ero. Mi erano mancati. Specialmente Faith, ma ora i miei pensieri erano occupati da un'altra persona. Chissà cosa avrebbe fatto in mia assenza. Che sciocca che ero. Si sarebbe sicuramente fatto una vita. Con una ragazza normale. Che lo possa amare. In fondo sono felice per lui. Se ami una persona devi lasciarla andare. Non so se lo amo, ma i miei sentimenti nei suoi confronti sono puri e sinceri.
Faith straripava di felicità e durante tutto il viaggio non fece che parlare, ridere e scherzare finché finalmente non si addormentò distrutta. Tra me e Dane c'era l'imbarazzo più totale.
D:- Emh allora-
H:- Allora-
D:- Come mai questo cambiamento?-
H:- Mi sentivo soffocare a Londra-
D:- Ah ok. Ma i dottori...-
H:- Non sanno nulla-
D:- Ah ok.-
Era agitato. Rosso in viso. Balbettava. Dov'era finito il Dane dei miei ricordi? Bah! Guardai fuori dal finestrino dell'aereo. Un'immensa coltre bianca di nuvole si stendeva sotto di noi. Era così bello. Mi veniva voglia si saltarci sopra. Chissà se il paradiso era così bello. Chissà come stava tutta la mia famiglia. Avevo un desiderio immenso di abbracciarli tutti uno a uno e poter stare con loro anche un minuto, per dire quanto mi mancano e quanto vorrei essere cresciuta con loro al mio fianco.
Chiusi gli occhi. Il primo volto che vidi fu il suo. Feci un sorriso. Sentii una lacrime scivolare sul mio viso. Stavo andando in America. Lo avrei dimenticato presto.

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Capitolo 9
*** you? ***


Scendemmo dall'aereo che era ormai tarda notte. New York era bellissima. Tutta illuminata. Sembrava fosse sempre in festa. Avevo un certo languorino e la prima cosa che notai fuori dall'aereo porto fu un chioschetto degli hot-dog. Come una bambina piccola incominciai a saltellare di qua e di là tutta felice. Faith rideva e Dane mi guardava con lo sguardo perso nel vuoto. Mangiai tutto in fretta sbranando letteralmente i miei due panini. Poi rivolsi il mio sguardo a Faith che stava parlando con un ragazzo. Mi avvicinai a lei.
F:- Hope! Lui è Niall. E' venuto a fare una vacanza qua-
H:- Ciao Niall! Sei solo?-
N:- No tra un po' dovrebbe arrivare l'organizzatore di questa vacanza-
H:- Oh ok-
Rimanemmo a chiacchierare lì per un po' di tempo. Poi Niall si alzò in piedi. Ed ecco l'accompagnatore. Lui. Cosa ci faceva li? Come era possibile?
Ha:- Ehi bambolina anche tu qui?-
H:- Ciao Harry. Io incomincerò a viverci qui-
Ha:- Ecco perché era così piagnucolone Louis quando oggi l'ho salutato prima di partire. La sua ragazza si è trasferita-
H:- Styles ti conviene tacere-
F:- Hope per un po' vivremo con loro-
H:- Cosa? Io in caso con questo sciupa femmine?-
F:- Hope non sappiamo dove andare e loro sono stati così gentili-
Ha:- Dai Hope, magari ci divertiamo un pochino come io e te sappiamo fare-
H:- Oh certamente. A prenderti a pugni?-
Ha:- Spirito bollente come sempre eh? Mi piace-
H:- Non cambierai mai-
N:- Quindi è deciso, verrete da noi-
F:- Esatto-
Vidi Faith sorridere a Niall. Non aveva mai fatto un sorriso così bello a un ragazzo. Forse si era innamorata. E forse è proprio questo il motivo per cui insisteva tanto per rimanere da loro. Ero felice per lei, ma non per me.
Dovevo condividere la casa con i miei due ex. Uno mi guardava come se avesse voluto stuprarmi sul momento, l'altro invece sembrava in perenne imbarazzo.
Arrivammo nella loro casa. Era normale. Molto spaziosa. Io scelsi una stanza con le pareti color acqua marina. Vi erano due letti divisi da un comodino blu. Una scrivania azzurrina di legno era da una parte della stanza, l'altra dall'altro capo. Vi era anche un enorme armadio.
Ha:- Bene piccola quale letto scegli?-
H:- Vai nella tua stanza-
Ha:- Oh ma io ci sono già-
H:- Bene! Niall ( urlai )-
Lo sentii arrivare correndo.
N:- Dimmi Hope-
H:- C'è un'altra stanza libera?-
N:- No mi dispiace-
H:- Posso dormire sul divano?-
N:- Emh no-
H:- Sono obbligata a stare in stanza con lui?-
N:- Emh si-
Sbuffai. Già dovevamo stare sotto lo stesso tetto, in più anche nella stessa stanza. Era veramente troppo Vidi Niall uscire. Poggiai lo sguardo su Harry. Rividi tutte le belle giornata passate con lui. Già. Pura illusione. Non potevo dimenticare quanto erano state dure le parole che mi aveva detto quel giorno. Io lo amavo. Già. Da quando ho conosciuto Louis mi pareva di averlo dimenticato, ma ora penso che i miei sentimenti nei suoi confronti siano più vivi che mai. Avevo una tale confusione in testa. Senza Louis mi sentivo vuota. Ma rivedere Harry mi aveva sconvolto del tutto.
Non volevo pensarci. Presto avrei trovato un lavoro, me ne sarei andata da quella casa e avrei dimenticato sia Louis che Harry.
Mi lanciai sul letto e incominciai a scattare foto. Erano veramente ridicole, ma dato che era notte fonda e non avevo niente di meglio da fare, ne feci un bel po'. Sentii un corpo vicino al mio. Nella macchina fotografica comparve il suo volto. Lo guardai. Nello stesso momento in cui io scattai la foto lui prese il mio volto e mi baciò. Quanto desideravo quel bacio. No cosa dicevo. Non potevo desiderarlo dopo quello che mi aveva detto. Non potevo.
Mi staccai. Mi sorrise divertito. Indicò la foto.
Ha:- Guarda piccola Hope che teneri che siamo-
Piccola Hope. Quanto mi ricordava Louis. Mi alzai di scatto dal letto.
H:- Se provi a toccarmi di nuovo io....ti-
Ha:- Io ti-
H:- Esci-
Ha:- E' anche camera mia-
H:- Esci cazzo-
Ha:- Se non lo faccio? Mi picchi?-
H:- Harry Styles lo dico per la tua e la mia salute, esci da questa cazzo di stanza-
Si alzò dal letto e con sguardo dispiaciuto uscì. Sapevo benissimo che in realtà era seduto per terra con la schiena appoggiata sulla porta, ma mi sfogai lo stesso. Urlai. Urlai di dolore. Subito dopo una lacrima si fece strada sul mio viso. Era calda. Calda e piena di sofferenze. Sentii Niall salire le scale, ma la voce di Faith lo fermò e lo tranquillizzò dicendogli che era il mio modo per stare meglio.
Ero accasciata a terra. Il trucco mi colava sul viso. Tremavo tutta. Avevo bisogno di un suo abbraccio. Di sentire il suo calore sulla mia pelle. Di sentire la sua risata contagiosa. Di vedere il suo sorriso così seducente e bello. Avevo bisogno di lui. Dell'unica persona che mi ha accettato così per come sono. Ma non potevo. Non potevo, non dovevo e non volevo sentirlo o vederlo. Era fuori dalla mia vita. Era per quello che ero lì. Io per lui non dovevo esistere più. Avremmo sofferto. Forse avrei sofferto solo io, ma solo all'inizio.
Mi alzai da terra ed andai ad aprire la porta. Trovai Harry seduto li per terra.
H:- Puoi entrare-
Con uno scatto felino si alzò in piedi e immerse i suoi occhi nei miei. Il suo sguardo mi trasmettevano dolcezza e sicurezza. Aveva gli occhi più belli che io avessi mai visto sulla faccia della Terra. E le sue fossette. Dio mio erano sempre state il mio punto debole. Mi fece un sorriso. Dolce e sincero. Diverso da quelli che mi faceva quando stavamo insieme, che erano tutti falsi.
Ha:- Andiamo a fare un giro?-
H:- Ma è notte fonda-
Ha:- Fidati-
Fidarmi di lui? Dovevo farlo? Dopo le ultime cose che ci eravamo detti? tentennai un attimo sulla risposta. Mi prese per mano e senza aspettarsi una reazione mi condusse fuori dalla nostra stanza e dalla casa.
Perché il contatto aveva generato in me come una scossa elettrica? Provavo ancora qualcosa per lui? E per Louis cosa provavo? Semplice amicizia o amore?

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Capitolo 10
*** the real me ***


Non sapevo quello che facevo. Cosa provavo. Se lo amavo. Ma una cosa sapevo. Quella notte fu la più bella di tutta la mia vita.
 
Ha:- Allora Hope adesso ti bendo gli occhi-
H:- Harry io non....-
Ha:- Zitta e lasciami fare-
H:- Harry-
Ha:- So che è chiederti tanto dopo quello che ti ho detto-
H:- Benda pure-
Mi legò una fascia attorno agli occhi. Avevo paura. Insomma lui era sempre Harry. Era logicamente irrazionale che lui fosse cambiato. Era il solito Harry che ci prova con tutte le ragazze e poi le illude. Lo aveva fatto anche con me.
Camminammo per un tempo che mi sembrò infinito, forse perché non riuscivo a capire niente di quello che mi stava attorno. Non un suono che mi aiutasse. Sentivo solo il rumore dei nostri passi. I nostri respiri affannati andare insieme. E i battiti dei nostri cuori accelerati. Feci un sospiro profondo. Subito un dito mi si poggiò sulla bocca.
Ha:- Zitta vuoi che ci scoprano-
H:- Harry scoprire di che?-
Ha:- Shhhh-
Mi zittii. Ma la domanda era ancora valida. Di cosa dovevano scoprirci. Non eravamo mica dei ladri. Eppure ci comportavamo come essi.
Camminammo ancora per qualche minuto. Qualche secondo. Non so quanto tempo passò dalla nostra ultima conversazione.
Ha:- Ora ferma che ti tolgo la benda-
Sentii le sue mani tremanti avvicinarsi al mio corpo. Il suo corpo incredibilmente bollente affiancarsi al mio. Con un gesto veloce fece scivolare la benda sulla mia spalla. Avevo ancora gli occhi chiusi.
Ha:- Puoi aprirli-
Avevo paura, ma feci come diceva. Lo spettacolo che si estendeva davanti a me era indescrivibile.
Ha:- Ti piace?-
Lo guardai con occhi estasiati. Era tutto perfetto. C'ero io. C'era lui. C'eravamo noi. Su una collina ricoperta di fiori da cui si poteva vedere tutta la città illuminata. E sopra di noi un cielo blu ricoperto di tante stelle. Mi sedetti  con delicatezza. Harry mi seguì velocemente. Si sdraiò e incominciò a parlare. Ascoltai con molta attenzione le sue parole.
Ha:- Io non sono Harry. Cioè lo sono, ma non quello che credi tu e credono di conoscere tutti gli altri. In pochi sanno chi sono veramente, voglio che anche tu faccia parte di questo ristretto gruppo.-
Le sue stesse parole incominciarono a strozzarsi nella sua gola, come se non volesse farle uscire veramente.
Ha:- Ecco......so che ti sembrerà difficile.....molto difficile crederlo, ma io sono diverso. Sono un ragazzo calmo, introverso e timido-
Ok. Se voleva farmi ridere ci stava riuscendo. Insomma era semplicemente impossibile crederlo diverso da come l'ho sempre visto.
H:- Se sei così perché non ti mostri per come sei realmente?-
Ha:- Non è così semplice-
H:- Con l'aiuto di qualcuno che ti vuole bene ce la potresti fare. Tua mamma ti potrebbe aiutare-
Ha:- Io....è come se non avessi una madre-
H:- Non voglio essere invadente, ma...-
Ha:- Ecco io voglio molto bene a mia mamma, darei la vita per lei, ma vedi lei......è......malata. Soffre di bipolarismo. E' una malattia grave dove un attimo prima puoi essere felice e raggiante e diventare subito triste e depressa. Si può tenere sotto controllo con i farmaci, ma non so fino a quanto potrà durare. Insomma è difficile aiutarla sempre. Io alcune volte le urlo contro dalla rabbia, non perché io non le voglio bene, ma sono stufo di vederla stare male. E ora che sta aspettando un bambino è ancora più inevitabile che lei abbia sbalzi d'umore. Fortunatamente non sono solo a combattere contro questa sua malattia. Con me c'è anche il fidanzato di mamma. Josh. Ecco perché io sono definito da tutti un "Puttaniere". La mia non è una vita facile e sto provando in tutti i modi a mascherarmi. Quando sono in mezzo alla gente indosso una maschera e divento un altro-
Le sue parole mi erano rimaste impresse nella mente. Insomma io ho un passato difficile e il presente non è uno dei migliori, ma anche lui aveva dei problemi. Non lo avevo mai visto parlare più seriamente e aveva un tono triste e di disprezzo come se si disprezzasse da solo per i suoi atteggiamenti.
D'istinto lo abbracciai. Sentii qualcosa di umido bagnare la mia maglia. Le sue lacrime. Stava piangendo. Su di me. Lo strinsi ancora più forte.
Ha:- Scusa. Non volevo-
H:- Harry non devi vergognarti delle tue emozioni-
Ha:- Lo so, ma quando per anni hai faticato per costruirti un'immagine non vuoi che essa vada in fumo-
H:- E vuoi essere considerato così ancora da tutti?-
Ha:- A me basta che le persone a cui tengo di più sappiano come sono-
H:- Io penso che....-
Ha:- Shhh, sento dei passi-
H:- Harry cosa...-
Sentii la sua mano tapparmi la bocca. Con un balzo scattò in piedi e si nascose dietro un cespuglio facendomi cenno di seguirlo.
Rimanemmo lì per una ventina di minuti. Lo guardavo in cerca di spiegazioni e lui mi diceva di non fiatare finché non mi avrebbe fatto cenno.
Dei passi si avvicinavano a noi. Poi li sentii allontanarsi. Il suo sordo delle scarpe che calpestavano il terreno si fece sempre più lontano. Harry alzò lo sguardo e mi tirò su per un braccio.
Ha:- Non possiamo stare qui. E' notte fonda e non si potrebbe entrare qui.
H:- Ma perché?-
Ha:- Perché è proprietà privata-
H:- Harry dove siamo-
Ha:- Hai presente Kate?-
H:- Si-
Ha:- Ecco siamo nel parco della sua villa a New York. Se scoprono che siamo qua siamo fritti-
H:- Ma tu e Kate non vi amavate mica?-
Ha:- Certo! Specialmente se a dire quelle parole era l'acool-
H:- Capisco-
Ha:- Vuoi stare ancora un po' qua?-
H:- Meglio se torniamo-
Ha:- Io non ho sonno, sono appena le cinque. Andiamo a vedere se è aperto qualche bar e facciamo colazione?-
H:- E' un po' presto, ma nemmeno io ho sonno, quindi accetto-
Mi prese per mano. Di nuovo mille scosse. Lo osservavo. Era difficile pensare che lui portasse tutto quel peso nel suo cuore guardando i suoi atteggiamenti.
I bar erano quasi tutti aperti. Entrammo da Starbucks. Notai un cartello. " cercasi cameriera ". Feci cenno ad Harry di ordinare lui qualcosa per me. Mi avvicinai al bancone.
H:- Mi scusi ho letto che cercate una cameriera-
X:- Si. Vuoi provare?-
H:- Molto volentieri-
X:- Come ti chiami?-
H:- Hope Brown. 18 anni-
X:- Molto piacere. Il mio nome è Marc-
H:- Posso iniziare anche subito?-
M:- Presentati tra due ore qua. Ora vai che il tuo ragazzo ti sta aspettando-
H:- Grazie mille per il lavoro, ma quello non è il mio ragazzo-
Mi allontanai dal bancone e tornai raggiante al mio posto.
Ha:- Trovato lavoro?-
H:- Si-
Ha:- Tu sei brava a nuotare?-
H:- Si sono veloce-
Ha:- Facevi le gare?-
H:- Si certo-
Ha:- Bene tieni-
Mi porse un foglietto.
" Iscrizioni squadra femminile nuoto. Aperte dalle ore 14.00 fino alle ore 20.00. Provino ed eventuale convocazione nella squadra"
Sorrisi. Quanto mi sarebbe piaciuto tornare a nuotare. Mi rendeva libera e mi sentivo me stessa. Gli ridiedi il foglio.
H:- Non posso-
Ha:- Perché?-
H:- Sono anni che non mi alleno più, non ne sono all'altezza-
Ha:- Ti ci accompagno io-
H:- Harry-
Ha:- Non accetto un no-
H: ma-
Ha:- Adesso vieni che abbiamo due ore per comprarti tutto l'occorrente-
 
 

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Capitolo 11
*** a new friend ***


Uscimmo da Starbucks e ci dirigemmo verso il centro di New York. Mentre camminavamo mi parlava del suo sogno di cantare. Voleva partecipare ad X-Factor, ma il coraggio di compilare il modulo gli era sempre mancato. Più lo osservavo più mi convincevo che presto qualcosa sarebbe accaduto. Non so spiegare cosa provavo in quel momento. La mancanza di Louis si faceva sentire meno del previsto. Insomma era come se per me non esistesse. La presenza di Harry eliminava qualsiasi altro pensiero e io mi concentravo solo su di lui. Ha:- Hope!- Sollevai lo sguardo di scatto. Ha:- Siamo arrivati. Questo negozio mi sembra adatto- Entrammo e subito si fiondò a comprare tutto l'occorrente. Cuffia, occhialini, costume, ciabatte, accappatoio e salvietta. Ero eccitata all'idea di rientrare in vasca, ma ne ero anche un po' spaventata. Era anni che non entravo in vasca e avevo paura di aver perso la mia velocità. Lo vidi pagare e avvicinarsi a me con sguardo trionfante. Mi porse l'occorrente e vi appoggiò sopra una borsa molto spaziosa nera che gli avevano dato in omaggio. H:- Grazie Harry- Ha:- Bene! Ora ti riporto al bar. Quando smonti va' a fare il provino- Improvvisamente era diventato freddo e distaccato. Era tornato quell'Harry di cui mi ero innamorata. Gli risposi in modo sgarbato. H:- Faccio da sola Styles. Avvisa Faith che cerco una casa- Mi scostai da lui e me ne andai a passo svelto. Lo sentii fischiare per attirare la mia attenzione. Fu lì che sbottai. H:- Caro il mio Styles, non sono una cane, non devi fischiare per chiamarmi.- Ci rimase. Chiuse la bocca, la riaprì boccheggiando. Si vedeva che aveva una voglia matta di ribattere, ma non trovava le parole. Ci misi un po' ad arrivare al bar. Pensavo al comportamento di Harry e non ve ne trovavo una spiegazione logica. Insomma prima fa tutto il dolce e poi ritorna freddo e distaccato come prima. Magari gli avevo fatto pena. Magari si era inventato una bugia anche sulla sua famiglia. L'unica cosa che sapevo era che era un ragazzo problematico. Ancora immersa nei miei pensieri sentii il cellulare squillare. Numero sconosciuto. Non era così sconosciuto. Avevo solo cancellato il suo numero dalla rubrica, ma quelle cifre erano impresse nella mia mente. H:- Pronto?- L:- Senti lo so che non vuoi più vedermi, però io non ce la faccio ad andare avanti senza di te, cioè capiscimi sei entrata nella mia vita e nel mio cuore e poi ne sei uscita come se niente fosse- H:- Senta mi dispiace ha sbagliato numero- L:- Sei Hope Brown?- H:- .....................- L:- Se sei lei ti prego torna qua, io ho bisogno di te- H:- Mi dispiace, ma non poteva funzionare, per me è stato uno sbaglio entrare nella tua vita. Ho sbagliato e ora mi dispiace, ma addio- Gli chiusi la chiamata in faccia. Io non potevo andare avanti così. Non sapevo cosa provassi per Louis, se amavo Harry e avevo un desiderio costante di tornare a Londra. Passai tutto il resto della mattinata con questi pensieri fissi a servire ai tavoli. Non era un lavoro particolarmente impegnativo. Guardavo costantemente l'orario e notavo che l'orario del provino si avvicinava sempre di più. M:- Hope!- H:- Si Marc?- M:- Stacca pure, oggi pomeriggio non c'è molto lavoro- H:- Grazie Marc- Erano quasi le 14 quando uscii dal bar per incamminarmi verso la piscina. Le gambe mi tremavano dall'emozione. Sentii una scossa elettrica percorrermi le mani. Sapevo cosa mi attendeva. Ero piccolina. Si e no circa cinque anni. Tenevo per mano una signora molto bella che mi assomigliava parecchio. Mi tremavano le gambe e continuavo a strattonare quella che presumibilmente era mia madre. Le chiedevo se mi avrebbero accettata al corso. Se nuotare mi sarebbe piaciuto. Lei mi sorrise e mi prese in braccio. Mi sussurrò alle orecchie una frase di incoraggiamento. Il mio volto si illuminò subito e incominciai ad essere più tranquilla. Le immagini finirono e io tornai alla realtà con un grosso sospiro. Vidi un gruppetto di ragazze attendere fuori da un'uscita. Mi avvicinai a loro per chiedere informazioni. H:- Scusatemi sapete dove fanno i provini per entrare nella squadra di nuoto?- X:- Vieni con me. Li devo fare anche io, loro sono solo un po' di amiche che mi hanno accompagnato- H:- Oh grazie- X:- Come ti chiami?- H:- Hope, tu?- X:- Che nome stupendo che hai. Oh io mi chiamo Summer. Ma chiamami Sum- H:- Ok Sum tu chiamami Hope- S:- Sei simpatica, ma non ti ho mai vista da queste parti- H:- Sono arrivata oggi- S:- Ahhh capito. Beh dai andiamoci a cambiare- Mentre ci spogliavamo vidi lo schermo del cellulare illuminarsi. Un messaggio. Un suo messaggio. Anche Summer se ne accorse. Proprio quando stavo per eliminarlo lei mi fermò e mi disse almeno di guardarlo. Lo aprii. " Forse hai ragione tu, forse tutto è stato uno sbaglio, forse noi siamo uno sbaglio, ma ti giuro se potessi tornare indietro li rifarei tutti perché mi hanno condotto all'unica cosa sensata della mia vita : TE " Mi commossi leggendolo. Nessuno aveva mai scritto delle cose così carine per me. S:- Il tuo ragazzo?- H:- Magari lo fosse- S:- Se ti ha scritto una cosa così carina lo vorrebbe essere- H:- Ma io non voglio che lui lo voglia- S:- Sei strana sai? Però mi piaci- H:- Se conoscessi tutta la mia storia capiresti- S:- Ti va dopo i provini di uscire insieme così mi spieghi?- H:- Ma tu devi stare con le tue amiche- S:- Ci sto sempre insieme- H:- Allora ok accetto l'invito- Scendemmo le scale a chiocciola che separavano gli spogliatoi dalla vasca. Eravamo le uniche due femmine. Tutti gli altri erano ragazzi della mia età se non poco più grandi che ci guardavano con sufficienza. Le prime a gareggiare fummo noi. Io contro Summer e altri due ragazzi. Erano bellissimi. Il primo scoprii che si chiamava John, era alto, muscoloso con i capelli rossi, gli occhi verdi e qualche lentiggine che gli macchiava il viso. Il secondo invece si chiamava Mat ed era poco più basso di John, in compenso aveva molti più muscoli, era moro e con gli occhi scuri come la pece. I primi due che vincevano passavano nella squadra direttamente, gli altri due avrebbero dovuto scontrarsi tra di loro. Ero sul blocco della pedana quando lo vidi. Harry. Era venuto a vedermi. Mi sorrideva e con lo sguardo si scusava per il comportamento avuto prima. Abbassai il capo. Mi piega. Braccia appoggiate al blocco di partenza. Una gamba tirata indietro. Occhialini abbassati. Adrenalina nel corpo e infine la parola più bella che avessi mai sentito. " VIA". Non so quanto potenza diedi in quelle quattro vasche a stile libero, ma quando toccai il muro per l'ultima volta e tolsi la cuffia vidi tutti guardarmi con la bocca spalancata. Ero arrivata prima, dietro di me Mat, poi Summer e infine John. Io e Mat passavamo nella squadra. Summer e John avrebbero gareggiato per vedere chi dei due far rimanere nella squadra. Mi si avvicinò l'allenatore per farmi i complimenti.

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Capitolo 12
*** remember ***


N:- Molto brava. Piacere sono l'allenatore, mi chiamo Nicholas-
H:- Piacere Hope-
N:- Da quanto gareggi?-
H:- La mia prima gara l'ho fatta a cinque anni, ma poi per motivi familiari ho dovuto smettere-
N:- Beh ora sei qui e vedrai che la tua velocità ti porterà lontano. Ora vediamo chi tra questa ragazza e il nostro John passa-
H:- Conosce John?-
N:- Figlio di un amico-
H:- Oh ok, spero vinca Summer -
N:- Questo lo decideranno loro, ricorda sei tu l'artefice de tuo destino, non aspettare che siano gli altri a spianarti la strada, combatti per ciò che ami e piangi per ciò che perdi, ma non aspettarti un aiuto dagli altri. Sii ambiziosa-
" combatti per ciò che ami ". Cosa amavo io? Chi amavo? Harry? Louis? Avevo una tale confusione in testa, però le parole di Nicholas avevano un fondo di verità. Dovevo essere ambiziosa. Dovevo imparare a non aspettarmi un aiuto dagli altri. Dovevo contare solo sulle mie forze.
Mentre riflettevo sulle parole di Nicholas non mi accorsi che Summer mi si era parata davanti con un volto tristissimo.
S:- Hope non ce l'ho fatta-
H:- Mi dispiace Sum-
S:- Fa niente-
Le porsi la mano e ci incamminammo verso lo spogliatoio. Era giù di morale. Si vedeva che ci teneva e ancora una volta mi sentii in colpa. Se non avessi fatto il provino probabilmente lei ora sarebbe nella squadra e invece ci sono io al posto suo. Provavo  una tale rabbia nei miei confronti. Riuscivo a rovinare sempre tutto. Con amarezza ci preparammo e uscimmo dallo spogliatoio. Eravamo quasi fuori dalla società quando sentimmo chiamarci. Mi girai e vidi Nicholas che correva come un pazzo. Ci fermammo di colpo. Lui riprese fiato e parlò.
N:- Senti Summer ci ho pensato. Sei veloce. Molto. Volevo poter creare una squadra femminile, ma voi siete le uniche che si sono presentate. So bene che è contro il regolamento, ma una velocità come la tua non la voglio perdere.-
S:- Mi sta dicendo che sono nella squadra?-
N:- Si tu e Hope siete nella squadra-
Summer incominciò a saltare da una parte all'altra. Si fiondò tra le mie braccia e subito corse dalla sue amiche. Era così eccitata. Non volli disturbarla, così me ne andai facendo finta di aver dimenticato dell'uscita che dovevamo avere quella sera.
Mi incamminai verso casa. Poi sentii una presa al braccio. Mi girai di scatto. Harry.
Ha:- Piccola Hope-
H:- Harry-
Ha:- Credevi che mi sarei perso la mia piccola che gareggiava dopo così tanto tempo?-
H:- Lasciami in pace-
Ha:- Oh andiamo Hope, cosa c'è che non va?-
Dopo quella frase sbottai.
H:- Cosa c'è che non va Harry? Hai una minima idea di quanto io stia soffrendo? Ne hai una minima idea?-
Ha:- Dovrei?-
H:- Harry, cristo, non ti rendi nemmeno conto di quanto tu mi faccia soffrire-
Ha:- Io non-
H:- Vedi? Vedi come sei? Non ti rendi nemmeno conto che quando quel giorno mi hai detto che non mi avevi mai amata mi hai provocato uno squarcio nel cuore-
Ha:- L'ho detto perché tu non mi meriti-
H:- Io non devo meritare proprio un bel niente. Ti chiedo solo di essere sincero nei miei confronti-
Ha:- Allora è meglio se la smettiamo con questa farsa-
H:- Che farsa?-
Ha:- Quella dei finti innamorati-
H:- Io non ti amo Harry Styles. Io ti odio-
Ha:- Anche io Hope Brown. Ti odio-
H:- Vorrei non averti mai incontrato quel giorno quando la mia palla cadde nel tuo giardino-
Ha:- E io vorrei non essermi innamorato di te dal primo istante che ti ho vista-
H:- Stronzo-
Riuscii a sibilare quella parola. Come poteva dire di non amarmi, poi essere dolce e gentile, poi sgarbato, poi dire di odiarmi e ancora di amarmi? Non provavo odio nei suoi confronti. Non l'ho mai provato. Il ricordo del nostro incontro è un po' sfocato, ma le emozioni provate sono più vive che mai.
Avevo all'incirca sette anni. Era primavera. Il sole splendeva alto nel cielo e io avevo deciso di passare il mio pomeriggio in giardino a giocare con il pallone. Mio nonno mi filmava seduto sull'amaca e io correvo spensierata. Tirai un po' troppo forte e la palla finì nel cortile accanto al mio. Senza pensarci due volte corsi verso la porta di casa e suonai il campanello per chiedere se potevo prenderla.
Tieni, deve essere tua questa palla-. Avevo appena sentito la voce più soave di tutte. Mi girai di scatto e vidi un bambino piccolo di statura, moro, ricciolo con gli occhi verdi e delle meravigliose fossette agli angoli della bocca che erano ben tirati per dare vita a un sorriso meraviglioso. - Grazie mille- - Tu sei Hope giusto?- - Si come fai a saperlo?- - Sento tua nonna tutte le mattine urlarti di svegliarti- - Oh, tu sei- - Harry-. Finì così la nostra conversazione. Lo salutai ringraziandolo ancora e, in cuor mio, speravo di rincontrarlo il giorno successivo. E così fu. Per tutta la primavera al pomeriggio il mio pallone rotolava nel suo cortile e io potevo vederlo, anche se solo per pochi minuti. Poi lui partì. Partì e ritornò quando ormai entrambi avevamo passato l'infanzia senza l'altro. Ricordo ancora il giorno della sua partenza. Buttai per l'ultima volta il pallone nel suo cortile. Lui me lo ridiede, ma senza il suo solito sorriso. Gli chiesi il motivo e lui mi disse che sua mamma era stata trasferita per otto anni a vivere a Manchester per lavoro. Quella notizia mi spiazzò. Ma ero orgogliosa. Così davanti a lui feci finta di niente. Lui notò che qualcosa non andava. Mi prese per il braccio e mi legò un braccialetto. Vi era un cuore con inciso le nostre iniziali " H&H", sotto di esse un'incisione un po' più piccola con scritto "I'll love you forever". Lo guardai per un'ultima volta e poi scappai lasciandogli un leggero bacio sulla guancia. Poi corsi in casa e scoppiai in lacrime. La mia vita senza di lui non sarebbe stata più la stessa.
Dopo pochi anni il suo ricordo era quasi del tutto nullo e la speranza che tornasse è rimasta vivida fino a quando non ho iniziato a vedere Dane sotto un'ottica diversa e ciò è successo intorno ai quattordici anni. Dane mi faceva sentire viva quasi quanto Harry, forse lo amavo, ma non glielo avevo mai detto, al contrario suo che continuava a ripetermelo non curante del fatto che io sviassi sempre il discorso quando me lo diceva. Ci frequentammo per quasi un anno. Poi un pomeriggio di fine estate, mentre mi incamminavo verso la piazza per incontrarmi con lui, mi scontrai con un ragazzo. Era bello. All'inizio non lo riconobbi subito, ma in cuor mio sapevo che possedeva qualcosa di familiare. - Scusami- Quella voce. Rimasi spiazzata. Era proprio lui. Era cambiato. Era diventato un ragazzo. I muscoli iniziavano a farsi spazio sul quel corpicino che credevo fosse immutabile. I capelli erano cresciuti ed erano folti. Qualcosa, però, era cambiato. Non aveva più il suo sorriso. Era spento, diverso, era cambiato. In quel momento non riuscii a balbettare niente, toccai d'istinto, però, il bracciale cercando disperatamente di farmi riconoscere. Attirai la sua attenzione. Mi sollevò il polso e disse: - Sai avevo regalato a una bimba un bracciale simile, ma avevo solo sette anni, sapevo poco delle donne, voi volete ben altro- Anche il suo modo di parlare era diverso. Inutile negarlo. Era cambiato. Era cresciuto. E io non potevo fare niente per riportarlo ad essere quello di un tempo.
Passai il resto del pomeriggio con Dane, ma i miei pensieri erano rivolti a lui. Quel giorno diedi fine alla mia storia sentimentale. Il suo ritorno aveva generato in me un turbine incessante di emozioni. A scuola lo osservavo nella speranza di essere notata, ma non lo fece fino a qualche mese fa. Ero in gelateria con Faith quando lo vidi entrare con un ragazzo, Louis. In quel periodo Faith usciva con Louis e quel giorno ci saremmo dovuti incontrare. Parlai con Harry e lui mi invitò ad uscire. Riuscì anche a venire a letto con me quella sera. E mentre lo facevamo mi disse una cosa che riempì il mio cuore di gioia: " Non ti ho mai dimenticata Hope, ho sempre portato con me il ricordo di una bambina che lanciava la palla nel mio cortile per vedermi solo cinque minuti. Ti ho riconosciuta anche il giorno del nostro scontro, ma le parole alla vista del bracciale mi si sono strozzate in gola. Ti amo". E il mio più grosso errore è stato credere a quella menzogna.
 
 

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Capitolo 13
*** AVVISO: CAMBIAMENTO VOCE NARRANTE ***


Da ora in avanti per un po' non sarà più Hope a parlare, ma Harry

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Capitolo 14
*** goodbye ***


Quelle parole sibilate con tanto coraggio. Stronzo. Me lo meritavo. In fondo sono così, ma non so perché lo faccio. E' che quando ci sto insieme ho degli sbalzi d'umore incredibili. Sono bene quanto lei stia soffrendo a causa mia e questo non fa altro che aumentare il mio dolore. Il giorno che l'ho conosciuta ho subito capito che lei sarebbe stata un parte fondamentale di me e quando mamma mi ha detto che ci saremmo trasferiti e che per otto anni non saremmo più ritornati ho provato un tuffo al cuore. La mia vita è andata avanti. E' proseguita con cuori infranti, alcool, giri pericolosi e sesso. Già a quattordici anni ero il più richiesto ed era facilissimo abbindolarle tutte. Bastavano qualche complimento, una frase ad affetto, una cena galante e poi cadevano ai miei piedi e la mattina mi risvegliavo in un letto diverso da quello di casa mia. E' stato così fino a quando non ho rincontrato lei. Ero appena tornato a Londra. La riconobbi subito. Anche lei lo fece, ma non disse nulla. Sperava che facessi qualcosa io. Povera illusa. Ero cambiato. Ero cresciuto. Non ero più quel bambino di sette anni che non ci sapeva fare con le ragazze. Nonostante tutto ci rimasi male quando vidi che corse tra le braccia di un altro. Mi sentii pervadere dalla rabbia e rimasi accecato di gelosia. Ma non sarebbe stata una ragazza come lei a farmi abbassare la guardia. La studiai per tre anni. Poi arrivò l'occasione buona per riallacciare i rapporti. Louis usciva con la sua migliore amica. Faith. Mi presentai anche io all'appuntamento e notai con molta gioia che anche lei era presente. La feci crollare e la notte fu mia. Lei voleva la relazione seria. E ciò non mi stava bene. Però tutti i mesi le feci regali, la riempivo di complimenti, uscivamo spesso insieme e facevamo cose da giovani innamorati. Fino a quando quella sera, in discoteca, Kate ci provò con me. Era così sensuale ed, effettivamente, era un peccato dirle di no, così me la feci nel bagno. Anche Kate voleva una relazione seria. E lì nacque il problema. Scegliere. Scelsi Kate. Insomma non era al livello di Hope. Hope era più bella, più intelligente, più dolce, più tutto, avrebbe trovato di meglio, non meritava uno stronzo come me. Kate invece sapeva solo scopare, ammettendolo lo faceva divinamente, ed era come me, quindi anche in vista di un possibile tradimento non mi sarei preoccupato più di tanto.
Quando andai a bussare alla porta di Hope e lei mi aprì raggiante saltandomi al collo, sentii un groppo in gola. Ormai, però, la decisione era presa e così feci la cosa più difficile della mia vita, mollarla. Vidi il suo volto distrutto e finsi non me ne importasse niente. In realtà il mio cuore si era fermato. La sera lei bevve molto, ma io ormai ero impegnato a rimorchiare Kate. Conobbe Louis. A lui piaceva da un sacco di tempo e aveva usato Faith per avvicinarla. Il mio "amico" se l'è fatta e adesso vuole portarmela via. Non posso permetterlo. Non dopo aver visto che ha rischiato la pelle. Non dopo averle confessato chi sono realmente. Non dopo averla resa partecipe della mia vita. Non dopo essermi innamorato di lei.
La vedo correre lontana. Mi metto ad inseguirla. E' troppo veloce. La vedo correre lontana. Mi metto ad inseguirla. E' troppo veloce.
Ormai è da due ore che la cerco e mi sembra sempre di più volatilizzata. Ha incominciato a piovere e io non ho un ombrello. Meglio tornare a casa. Se la sa cavare benissimo da sola. ( parte la suoneria )
Ha:-Pronto?-
X:- Buongiorno, parliamo con il signorino Harry Styles?-
Ha:- Si mi dica-
X:- Chiamo dall'ospedale di Londra. Sua mamma ha appena tentato ti togliersi la vita-
Un groppo in gola. Un tuffo al cuore. Chiusi la chiamata. Mi sedetti sulla prima panchina che trovai e incominciai a cercare qualcuno da poter chiamare. Qualcuno da rendere partecipe. Lessi il suo nome. Si lei era quella giusta.
H:- Cosa vuoi?-
Ha:- Fammi parlare-
H:- Muoviti-
Ha:- Accompagnami a Londra-
H: E perché dovrei?-
Ha:- Mia madre ha provato a togliersi la vita-
H:- Chiama Louis non me-
Ha:- Hope-
H:- Basta Harry. Finiamola con questa farsa-
Ha:- E' un addio?-
H:- Si-
Tirai un sospiro profondo e mi incamminai verso l'aereo-porto. Mi sarei fatto spedire la valigia da Niall. Ora dovevo pensare a mia mamma. Solo a lei. Ma durante il viaggio i miei pensieri erano rivolti a lei e alla mia stupidità. Sorridevo ricordando il suo sorriso, i suoi occhi, il suo tocco delicato, il suo nasino, i suoi lunghi capelli che ora non esistono più, il suo corpo perfetto e la sua voce mozza-fiato. Scacciai quei pensieri dalla mia testa. Non potevo innamorarmi veramente di lei. Non potevo, non dovevo e non volevo. Sarei stato la sua rovina.

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Capitolo 15
*** i love you mum forever ***


 Durante il viaggio un solo pensiero fisso è rimasto nel mio cervello. E non era mia mamma.
Molte, forse troppe volte, mi avevano chiamato dicendo che aveva tentato il suicidio. All'inizio era difficile da accettare. Quando abitavo a Holmes Chapel tutti mi prendevano in giro. E' per questo che ci siamo trasferiti a Londra. Qui non ho detto con nessuno della malattia di mia madre, Louis era l'unico a conoscenza. Avevo paura che la storia potesse ripetersi un'altra volta.
Tutti i giorni quando lascio casa mia mi allontano con il timore che possa riprovarci e la cosa strana è che per un anno non vi erano più stati tentativi. Credevamo che stesse migliorando e che le cure incominciassero a fare più effetto. E invece no. Eccomi qua, ancora una volta su questo stramaledettissimo aereo, a correre in suo aiuto. I suoi tentativi sono banali e l'hanno sempre salvata, non mi preoccupo più di tanto. Ora la mia preoccupazione va a Hope. Chissà dove si è cacciata quella testona. Perché non vuole capire cosa entrambi proviamo? Perché non accetta la fine della nostra storia? Perché non vuole avermi come amico? Ho fatto un errore lasciandola, mi stavo affezionando a lei. Un errore che, però, ha evitato molte sofferenze ad entrambi. Siamo due ragazzi problematici. Abbiamo entrambi bisogno di qualcuno che ci dia quel senso di stabilità, ma io la trovo solo quando sono con lei.
Esco dall'aereo-porto e inizio a correre come un pazzo nella vana speranza di riuscire a prendere un taxi. Dopo poco mi rendo conto che non arriverà nessun taxi. Ormai siamo a fine ottobre e l'aria gelida incomincia a farsi sentire. Mi stringo nella mia felpa e inizio a correre. Corro sentendomi libero. Corro con la consapevolezza di non sapere dove stessi andando. Corro non pensando che mia mamma poterebbe essere sul punto di morte. Corro non pensando alla mia vita. Corro sentendomi normale. Corro e dopo poco mi ritrovo davanti a un ospedale. Senza neanche pensarci due volte capisco che è questo. Non so come, ma sono cose che si sentono. Prendo un bel respiro e entro. Pronto a vedere mia mamma in un letto con dei fili che le circondano il corpo attaccato alle macchine. Entro già sapendo che appena riaprirà gli occhi mi guarderà e con il suo solito tono da bimba dispiaciuta mi chiederà scusa e mi prometterà che non lo farà più. Entro già sentendo le parole del dottore poco prima del rilascio e del ritorno a casa. Non voglio questa vita. Non voglio dover sempre correre da un ospedale all'altro per colpa sua. Non voglio fare da genitore a mia madre. Non voglio essere più grande di quanto non sia. Voglio godermi la mia vita. La mia gioventù.
Entro già pregustandomi le facce delle infermiere giovani che ci proveranno con me. Entro già pensando a come poter soddisfarle tutte.
Mi accompagnano verso una porticina azzurrino chiaro. Dalla vetrata riesco a scorgerla. Ma stavolta c'è qualcosa di differente. Perché non riesco a scorgere il suo viso? Perché è totalmente ricoperta da un panno? La risposta è già arrivata nel mio cervello, ma non voglio accettarla. Vedo un dottore che mi si avvicina. Deglutisco amaramente e bastano pochi sguardi per capire qual'é la risposta. Non può essere. Mi consegna una lettera. E' tutta stropicciata. C'è del sangue ai bordi. Anche le prime due parole sono scritte con il sangue.
" Caro Harry,
prima di tutto voglio ringraziarti di tutto quello che hai fatto fino ad adesso per me. Hai subito molte prese in giro. Abbiamo dovuto cambiare città più volte per le mie cure e tu fingevi. Fingevi quando gli altri ti chiedevano il motivo di un tuo improvviso trasferimento. Fingevi e mentivi. Mentivi dicendo che cambiavi città per lavoro. Mentivi quando ti chiedevano se stavi bene e tu rispondevi di si. Mentivi quando mi sorridevi ogni volta che finivo in un lettino d'ospedale e mi dicevi che tutto andava bene. Mentivi quando ti chiedevo se fossi felice e tu annuivi con il capo sfoggiandomi uno dei tuoi più meravigliosi sorrisi. Mentivi quando ti chiedevo se quella bimba che avevi conosciuto ti sarebbe mancata e tu dicevi di no. Mentivi quando tutte le ragazze che hai avuto appena mi conoscevano ti scaricavano e tu ci ridevi sopra dicendo che erano solo un gioco. Hai sempre mentito. E sempre per proteggermi. Già da quando eri piccolo sei diventato più grande e più forte dei bambini della tua età. Ti sei addossato numerose colpe. Quando, presa da uno dei miei soliti sbalzi, rompevo qualcosa tu ti addossavi la colpa, in qualunque negozio ci fossimo trovati e mi costringevi a tirarti uno schiaffo e a metterti in punizione davanti a tutti. E quando io ti ringraziavo fuori tu mi dicevi che mi avresti sempre protetto. Harry non è vero. Questa volta non ce l'hai fatta. Non sei arrivato in tempo. Oggi pomeriggio stavo guardando la televisione. Josh era uscito un attimo ed era andato dai vicini per vedere la partita di football. Stavo guardando la mia pancia che cresce a vista d'occhio. I dottori hanno detto che è una femmina, ma ciò avrà poca importanza. Avevo già scelto il nome. Volevo chiamarla Hope. Come quella bambina tanto dolce e carina che avevi conosciuto quando eri piccolo. Poi ho pensato al futuro che avrebbe avuto. E ho rivissuto tutta la tua infanzia. Mi sono lasciata prendere dallo sconforto e ho deciso che lei non si meritava una vita del genere. Lei, almeno lei, doveva essere felice. Non sono riuscita a rendere felice te, ma lo dovevo fare. Per lei, per te e per Josh. Credimi Harry stavolta quando finirai di leggere questa lettera non potrai più dirmi che andrà tutto bene e che non succederà più. Non dovrai più sentirti ripetere le solite prediche dai dottori. Non dovrai più entrare in un ospedale. Io non ci sarò più. Me lo sento. Stavolta ce l'ho fatta. Sento il sangue fluire fuori dai miei polsi mentre ti scrivo. Mi dispiace che la lettera si sporchi. La testa sta iniziando a girarmi e penso che tra poco perderò i sensi per poi lasciarmi morire sul pavimento. Sento la porta aprirsi. Josh è tornato. Non voglio che mi salvi. Ho aumentato la profondità del taglio. Tutto sta iniziando a farsi più scuro. Harry, amore mio, grazie di tutto. Sei stato la mia salvezza per diciotto anni, ma non puoi non goderti la vita. Hai portato un grosso peso sulle tue spalle, ora è mio compito levartelo. Un'ultima cosa prima che le forze mi abbandonino completamente. Combatti per i tuoi sogni, per ciò che ami e per quello in cui credi. Tu ami Hope. La ami da quando hai sette anni. E lei ama te. E' l'unica che non è scappata dopo che mi ha conosciuta. E' speciale. Ti prego pensaci. Spero che di me ti rimarrà un bel ricordo e non quello della mamma peso. Sento Josh urlare. Probabilmente mi ha visto. Non mi importa. Sento che la mia ora è giunta.
Ti amo
Mamma."
Per un attimo il mondo si ferma. Abbasso il foglio. La vedo. Distesa in quel letto candido. Coperta da un lenzuolo macchiato nella zona dei polsi. Il mondo rincomincia a girare. Molto più velocemente di prima. Mi sedo sulla prima cosa che trovo vicino a me e inizio a piangere. Piango come un bambino. Poi la vedo arrivare. Con i capelli tutti da una parte. Il suo passo svelto ed elegante. Il suo minuscolo corpicino raccolto in un jeans stretto e una felpa larga. Troppo per lei. Deve avergliela prestata Dane.
Ha:- Cosa ci fai qui?-
H:- Ho preso il tuo stesso volo solo su un aereo diverso-
Ha:- Perché sei qui?-
H:- Nonostante l'orgoglio non posso lasciarti qua da solo, non dopo che mi hai raccontato tutto-
H:- Grazie, significa molto per me-
Mi abbracciò. E mi concentrai solo su quello. Per un attimo dimenticai tutto. Dimenticai la morte di mia madre. Dimenticai il litigio che c'era stato fra Hope e me. E mi lasciai cullare dal movimento delle sue braccia. Come se fossero la mia ancora di salvezza. Come se fossero state l'unica cosa a cui aggrapparmi. L'unica cosa che potesse capirmi. Inspirai il suo profumo e mi lasciai andare. Piansi. E le bagnai il maglione.

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Capitolo 16
*** mum ***


Non avrei mai pensato di perdere mia mamma così giovane. Certo, ero consapevole della sua malattia, ma non mi aspettavo che il degenero totale arrivasse così presto.
Ogni mattina mi alzavo con il timore di non vederla respirare. Ogni volta che mi incamminavo verso la scuola l'angoscia cresceva e i miei pensieri erano sempre collegati a lei. Ero peggio di una madre che vede il proprio bambino crescere, diventare adulto e ha mille preoccupazioni in testa. Esatto. Mi sentivo così. Mi sentivo più grande di quanto non fossi. Mi sentivo madre e figlio in contemporanea. Non potevo uscire con i miei coetanei perché la paura di lasciarla un attimo da sola era troppa. Lei mi rassicurava, ma come potevo essere tranquillo se almeno una volta al mese eravamo in ospedale? E le situazioni erano sempre le stesse. Mi chiamavano. Mi chiamavano quando ero a scuola. Mi chiamavano quando ero per la prima volta fuori con un piccolo gruppetto di amici. Mi chiamavano durante gli allenamenti. Mi chiamavano perfino mentre mangiavo in mensa. Ero sempre dietro a correre. Tutte le volte che il mio schermo del cellulare si illuminava avevo paura a rispondere. Avevo paura di scoprire che dall'altro capo ci fosse un medico. E puntualmente la situazione si ripresentava. Un nodo allo stomaco. Un groppo in gola. La gola secca. Il battito del cuore che si fa sempre più prepotente e sembra voglia squarciarmi il petto. Le gambe che iniziano a muoversi da sole. Le mani sudano. La vista si offusca. E improvvisamente il messaggio arriva al cervello che sembrava essere andato in stand-by. E da lì inizio a correre. Corro finché non mi manca il fiato. Corro non sentendomi le gambe. Sembra che voli. Corro, corro e ancora corro.
Gli ospedali mi hanno sempre dato fastidio come ambiente. Sono vecchi. Sono tristi. Sono brutti. Insomma, so benissimo che questo ragionamento lo fanno tutti, però per me esso era come una seconda casa. Forse la prima. Tutti mi conoscevano. A partire dai malati. Nei corridoi non c'era una persona che non mi rivolgesse un saluto o anche solo un piccolo cenno di capo. Sapevo già che le avrei riviste tutte molto presto perché nonostante mia mamma promettesse di smetterla, lei non poteva controllare il suo corpo e tantomeno i suoi pensieri.
Ci sono stati dei momenti in cui lei si era sfogata con me. Diceva di sentirsi come impotente. Provava rabbia verso se stessa perché non riusciva a fare quello che voleva. Ma la cosa più triste fu quando mi disse che non riusciva pensare quello che voleva. Fondamentalmente io credo più nella religione che nella medicina. Ormai ho smesso di credere ai medici. Ti riempiono solo di frottole. Frottole, su frottole. Me ne hanno riempito la testa. Me ne dicevano quando affermavano che le cure stavano funzionando. Quando facevano gli stessi raccomandamenti a mia madre al momento della dimissione. Loro non capivano. Non capivano che lei non poteva promettere nulla. I medici non capiscono mai niente. A volte penso che non siano umani. La chiesa invece mi è stata molto vicina in questo periodo della mia vita. Non c'è mai stata una sola domenica in cui io non sia andato a messa. La parola di Dio, in un qualche modo, portava la speranza nel mio cuore e mi tranquillizzava. Mia madre era da sempre atea. Sono riuscito a convertirla. Avevo un motivo ben preciso. Volevo che lei credesse quello in cui credo io. Volevo che lei sapesse che dopo la morte sarebbe stata meglio. Che avrebbe trovato un posto migliore vicino a Dio. Che non avrebbe più sofferto. Che sarebbe stata libera di pensare e controllare il proprio corpo. Volevo portare un po' di felicità dentro di lei. Ho visto poche volte la gioia dipinta sul suo volto. Tutte le volte che mi immergevo nei suoi occhi naufragavo in una tristezza assoluta. Quando era in chiesa, però, era serena. Un po' di pace appariva sul suo volto e per un'ora eravamo entrambi tranquilli. E poi c'è stato il nuovo amore di mamma. Josh. Già. Lui non è il mio vero papà, ma è come se lo fosse. Era veramente innamorato di mamma. Non oso immaginare come stia ora. Devo stargli vicino, ma ho paura di essere un peso. Ho deciso di andarmene da quella casa. Ci sono troppi ricordi di lei. Ricordi che fanno male. Ricordi che ne fanno affiorare altri. Ricordi da dimenticare. Voglio ricordarla solo quando eravamo in chiesa. Quando potevo vedere affiorare la serenità sul suo volto. Voglio cancellare tutte le sue crisi isteriche. Voglio cancellare l'ospedale. Voglio cancellare le chiamate. Voglio cancellare le mie paure. Voglio cancellare le mie angosce. Voglio cancellare tutto.
Oggi ci sarà il funerale.
Non voglio esserci.
Fa troppo male.
Però devo esserci.
Lei lo avrebbe fatto.
Penso solo a lei.
Non voglio vivere nel suo ricordo. Non voglio che ogni mia scelta sia condizionata dal suo pensiero. Voglio sentirmi libero. Per la prima volta. Voglio uscire di casa senza poi guardare il cellulare ogni due secondi. Voglio poter non entrare più in un ospedale. Voglio non vedere più un medico. E voglio vivere la mia vita. Perché nonostante il dolore mi sento liberato da un peso. No mia mamma non era un peso. Mia mamma era mia mamma. Le volevo un bene infinito. Avrei dato la vita per lei, ma stava diventando una situazione insostenibile.
Fa freddo.
Stringo sempre di più la vita di Hope.
Eccolo il filo che mi tiene ancora collegato alla vita terrena.
Sono caduto in uno stato di incoscienza mentale. Penso. Continuo a pensare. Ma non faccio niente per modificare gli eventi. E poi appena il suo della sua voce arriva flebile al mio orecchio ritorno sulla Terra.
Si penso che sia la mia ancora.
Senza di lei sarei perso.
E ora mi tocca andare al funerale.
Ci teneva.
Ho paura di piangere.
Ho paura di mostrare le mie vere emozioni.
Ho paura di crollare e non rialzarmi più.
Ho paura di lottare con la vita.
Ho paura di lasciare che i ricordi riaffiorino lentamente.
Ho paura di tutto.
Mi sento così piccolo.
Mi sento così fragile.
La vedo arrivare. Passo svelto. Elegante. Capelli arruffati. Vestito nero. Cappellino nero. Si infila le scarpe con il tacco. Nere. Che brutto colore. Ce l'ho addosso anche io. Tutti quelli che saranno al funerale saranno di quel colore. Tutti tranne mamma. No lei non sarà vestita di nero. Lei sarà bellissima. Lei avrà un vestito azzurro cielo a metà manica con i ricami di pizzo. Era il suo preferito. Se lo metteva ogni domenica mattina. Lei oggi sarà splendente. E so già che vedrò un piccolo accenno di sorriso sul suo volto perché per la prima volta sarà serena. E stavolta è per sempre.
 
" Harry, dobbiamo andare, alzati da lì ci stanno aspettando tutti "

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Capitolo 17
*** you love me, not him ***


Alcool. Fumo. Droga. Musica. Discoteche. Sesso. Sei parole. La mia nuova vita. Non ne vado per niente fiero, ma è lì che posso cancellare per un attimo tutto e divertirmi. Mi proietto in un mondo parallelo dove tutto gira vorticosamente. Le persone non si fermano per pensare. Le persone non ti giudicano per il tuo passato. Le persone non fanno domande. E' questo il bello della mia nuova vita. Nessuno che si interessi a me. Nessuno che mi chieda come sto. Sto bene? Sto male? A loro cosa interessa? L'importante è che quando le vedo io rida. L'importante è che quando sono con loro io prenda qualche sostanza che mi faccia uscire fuori di testa. L'importante è che quando sono con loro io non sia io.
E poi c'è lei. Sempre così solare. Così pronta ad aiutarmi. E io la tratto male. Se ne è andata. E' tornata in America. Credo. Mi ha lasciato qui. Solo. In fondo era questo che volevo no? Volevo lasciarmi andare. Volevo affogare il mio dolore dentro qualche superalcolico e qualche pasticca. E allora perché sento di aver sbagliato tutto? Perché vorrei che fosse qua con me? Perché i suoi sorrisi mi mancano così tanto? Perché sento di aver bisogno di lei come il mio cuore ha bisogno dei suoi battiti? Perché?
Stasera. Una serata come tante altre. Entro nel locale. Luci stroboscopiche. Musica a palla. Cameriere sexy. Intera squadra delle cheerleder. Cosa potrei chiedere di più? Lei. In questo momento voglio solo lei. In tutti i momenti voglio lei. Voglio lei e il suo sorriso. Voglio lei e il suo modo di parlare. Voglio lei e i suoi modi buffi di acconciarsi un taglio decisamente troppo corto. Voglio lei che sbuffa quando ha addosso un vestito. Voglio lei che mi lancia la palla nel cortile. Voglio lei che picchia tutti. Voglio lei che mi insulta. Voglio lei che mi bacia. Voglio lei, l'unica ragazza con cui ho fatto l'amore. Voglio lei. Voglio sentirla mia. Voglio provocarle dei brividi con il solo tocco delle mani. Voglio baciarla finché le nostre labbra non saranno fuse. La voglio. La desidero. Ma non posso più averla. Quando mi ha lasciato era distrutta. E' avvenuto circa due settimane fa. Fuori pioveva, come sempre. Mi ero appena svegliato e i postumi della sbornia si facevano sentire tutti. Vomito. Mal di testa. Vista sfocata. Tutto normale. Per me. Scendo le scale lentamente. Un profumo di pancake giunge al mio naso. La sento canticchiare serenamente una dolce sinfonia. Strano. La mattina di solito era di pessimo umore. Mi affaccio alla porta della cucina. Canta. Cucina. Sorride. Non l'ho mai vista così felice. E' un attimo. E capisco tutto. Eccolo. Appoggiato al bancone. Faceva qualche battuta. Lei rideva di gusto. Non si sono ancora accorti di me. Non importa. Lui non deve essere qui. Non dopo quello che c'è stato tra me e Hope. Ma di preciso cosa c'è tra me e lei? Un bacio rubato. Una corsa a perdi fiato. Un aiuto. Un litigio. Un'amicizia. Un amore. Tutte ipotesi. Quello che vorrei io non c'è però. Io vorrei vivere con lei. Vorrei che lei sapesse quanto la amo. Vorrei che lei mi amasse. Vorrei che lei si fidasse di me. Vorrei starle accanto. Vorrei che la sera ci mettessimo sul divano, con una coperta addosso a parlare riscaldati dal calore del fuoco. Vorrei farla sorridere come ci sta riuscendo lui ora. Vorrei cucinare con lei. Vorrei farla sentire speciale. Si girano. Mi vedono. Si zittiscono. Perché lo hanno fatto? Non sono mica un mostro no? O lo sono? Lui le si avvicina e con una carezza la tranquillizza. Quello non doveva farlo. Sono una furia. Non doveva toccarla. Non doveva sfiorarla. Non doveva nemmeno essere qui. Lei è mia. Solo mia. Mia per sempre. Di nessun altro. Lo stacco da lei. Mi guarda con occhi pieni di terrore. Incomincio a pestarlo. Lei prova a fermarmi, ma con tutta l'adrenalina che ho in corpo sono infermabile. La sento urlare disperata. Mi implora. E alla fine scoppia in un pianto. Sentendo quel pianto mi blocco. Ma cosa sto facendo? Guardo allibito il povero Louis che geme a terra dolorante. Sono un mostro. Sono diventato un mostro. Stavo picchiando il mio migliore amico. Gli offro una mano in segno d'aiuto. La rifiuta. Si fa aiutare da lei. Lo capisco. Lo avrei fatto anche io. Ho le lacrime che stanno per uscire. Sono già uscite. Mi vergogno di quello che ho fatto. Scappo di sopra. Mi rifugio nel mio mondo, mentre lei lo medica. La sento che lo rassicura. Gli dice che presto se ne andrà. Lui la incita. Le dice di andarsene con lui. Lei dice che non può. Che io ho bisogno di lei. Ma io non ho bisogno di nessuno. Lei deve capirlo. Ora con me ci sono i miei nuovi amici. L'alcool e le pasticche. Loro mi aiutano. Non lei. Loro mi mandano fuori di testa. Non lei. Loro mi fanno dimenticare tutto. Non lei. Entro nel mio rifugio che loro stanno ancora discutendo. Di fianco al letto c'è una bottiglia di vodka. Ne scolo una buona parte. Sento il calore dell'alcool pervadermi le vene. Il cuore inizia a fare dei battiti più accelerati. Tutto gira. La sento salire le scale. Bussa alla mia porta. Mi dice che se ne va. Che non riesce più a sopportare questa situazione. Che LUI starà con lei. Che lei con LUI ha trovato il suo rifugio. Che lei gli vuole bene. Che pensa potrà stare un attimo in pace. No. Lei non se ne andrà. La raggiungo. Incomincio a scuoterla. Lei mi grida di lasciarla. Urla. Mi implora. No. Lei deve capire che mi appartiene. Che è mia. Mia. Mi ha tirato un pungo nello stomaco. Le mie mani mollano la presa. Riesce a fuggire nella sua stanza. Si chiude dentro. La sento aprire cassetti. Valige. Sento la fretta nei suoi movimenti. Vuole scappare da me. Ma io la amo. La vedo aprire la porta. Mi guarda. Nei suoi occhi leggo il terrore. Lei mi vede come un mostro. Scende le scale. LUI la sta già aspettando in macchina. La raggiungo. La prendo per i polsi. Le grido di non andarsene. La imploro. Lei non mi ascolta. Si divincola. Ha le lacrime agli occhi. Piange. Piango anche io. Carica la valigia. Sale in macchina. Sento il rombo del motore. Passano pochi secondi in cui tutto si ferma. Pochi secondi nei quali spero lei cambi idea. Pochi secondi nei quali lei si gira. Pochi secondi nei quali lei mi guarda. Sposta lo sguardo su di LUI. Gli fa un cenno. E partono. Vedo la macchina allontanarsi sempre di più. Diventa un pallino quasi impercettibile ai miei occhi. Crollo sugli scalini. Le lacrime scendono copiose sul mio volto. Ma io non posso stare male. Non per una ragazza. Ma lei non è una ragazza qualsiasi. Lei è Hope. Lo diceva la mamma " quella ragazza ti farà perdere la testa ". Forse aveva ragione. O forse no. Entro in casa. E' così vuota ora che non c'è più. E' così grigia. Mi sforzo a non pensarci. A non pensarla.
Sono due settimane che lei se n'è andata. Tutti i giorni spero di rivederla. Tutti i giorni spero che suoni al mio campanello dicendomi che mi ama. E invece non è così. Tutti i giorni butto giù qualcosa di nuovo. Ormai tutto per me ruota vorticosamente. E anche stasera sarà così. Vedo una delle tante cheerleder che mi si avvicina. Incomincia a baciarmi con foga. Ho già capito le sue intenzioni. Perché non soddisfarle? La porto in bagno. Lei soddisfa me, io soddisfo lei. E' così che va la vita. Stavolta è diverso. Provo disgusto per quello che sto facendo. Mi stacco da lei. Esco dal bagno. La lascio lì. Eccitata e desiderosa. Ritorno in pista. Non credo ai miei occhi. La vedo. Avvinghiata a LUI. Ballano. Sembrano felici. Non può essere. No la mia Hope non può avermi tradito così. Si girano. Mi vedono. Ancora terrore nei loro occhi. Mi avvicino. Si allontanano. Ormai le sono appresso. Sto per dirle qualcosa quando tutto si fa più scuro. La testa scoppia. Le mie gambe tremano. Cado per terra. Batto le testa. Chiudo gli occhi. E l'ultima cosa che vedo è il suo viso.

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Capitolo 18
*** life ***


Lo avevo visto avvicinarsi. Mi aveva visto. Aveva visto Louis. Indietreggiavamo spaventati. Un attimo. E' a terra. Mi precipito su di lui. Sussurra il mio nome e poi chiude gli occhi con un leggero sorriso sulle labbra. Non so cosa fare. Ha bisogno di aiuto. Ma mi ero ripromessa di non darglielo più. Guardo Louis. Mi tranquillizza con lo sguardo. Lo risposto su Harry. Non da segni di vita. Tutta la gente ci si avvicina. Guarda. Parla. Devono smetterla. Devono smetterla di giudicare. Sollevo Harry per le spalle e arrancando lo trascino fino all'uscita. Con le mani che ancora tremano cerco di schiacciare i tasti del cellulare per chiamare l'ambulanza. Il cuore va a mille. La fronte suda. Le mani tremano. La voce mi si strozza in gola.
X:- Pronto 118 cos'è successo?-
C:- Ecco....è-è-è-è sv-v-v-enu-u-u-to-
X:- Faccia un respiro profondo, si calmi e riparta-
C:- Il mio ragazzo è svenuto a terra e adesso non da più segni di vita-
X:- Dove si trova esattamente?-
C:- In una discoteca al centro di Londra-
X:- Riesce a dirmi la via?-
C:- "Glands Street 12"-
X:- Arriviamo, lei stia calma e gli stia molto vicino-
Sento l'ambulanza arrivare. Suona. La situazione di Harry è grave. La vedo avvicinarsi e sterzare proprio di fianco a noi. Mi riempiono di domande. Non so cosa rispondere. Non so cosa fare. Sono così confusa. Louis mi chiama. Mi dice di andare via. Se la caverà. No. Io rimango qua con lui. Rimango con Harry. Salgo sull'ambulanza.  E' pallido. Ha una strana espressione beata su viso. Gli prendo la mano. Sento il polso. I battiti ci sono ancora. Lenti, ma ci sono. A tutta velocità arriviamo in ospedale. C'è un movimento frenetico. Corrono di qua di là. A destra e a sinistra. Veniamo sballottati da una stanza all'altra. Non capiscono cosa abbia Harry. Ed ecco che pronunciano il fatidico verdetto. Ha un'emorragia cerebrale dovuta alle troppe pasticche mischiate con l'alcool. Bisogna intervenire al più presto, se no rischia la morte. Ha ancora pochi minuti di vita. Si fiondano nella sala operatoria e io rimango lì. A terra. Con la testa contro al muro. A piangere. Se muore sono finita. Io lo amo. E' dura da ammettere, ma passando del tempo con Louis sono riuscita a chiarire i miei sentimenti. Non ho mai amato una persona come amo Harry. E' tutta la mia vita. Il suo sorriso mozzafiato mi trasmette una sicurezza immensa. I suoi occhi verde smeraldo ti fanno venire i brividi. E il suo tocco. La sua risata così contagiosa. La sua testardaggine. La sua forza di volontà. Amo tutto di lui. Tutto. Anche i difetti. E' indispensabile come l'acqua nel deserto. E' la mia medicina preferita. Appena si risveglierà glielo dirò. Se si risveglierà. No non posso pensare che morirà. Però le probabilità sono alte. Devo correre da lui. Subito. Mi alzo in piedi e mi fiondo nella prima stanza a caso. E' appena uscito dalla sala operatoria. Dicono che se tutto è andato bene si risveglierà. Non posso aspettare che si svegli glielo devo dire subito quello che provo per lui. Mi inginocchio al suo letto e inizio a parlare. La voce trema, come tutto il mio corpo del resto.
"Ciao Harry,
bene tu sei disteso in un letto e non so se mi senti, sai stai dormendo. Ok sto iniziando a dire cretinate, ma le dico sempre quando tu sei vicino a me. Ecco non vorrei farci la figura della innamorata pazza adesso. O neanche di quella indecisa. Bene direi di ripartire da capo. Oh. Un bel respiro. Ciao Harry, mi sento stupida perché tu sei li e io qui. Perché tu stai per morire e io non posso fare niente per aiutarti. Mi sento stupida per tante cose, ma principalmente per una sola. Da quando ci siamo lascati ho provato a negare l'esistenza di un sentimento per te, ma non ce l'ho fatta. Mi ricordo ancora quando ci siamo conosciuti. Eravamo così piccoli e innocenti. Io tiravo la palla nel tuo giardino e tu me la ridavi sempre. Poi mi dicesti che avresti dovuto trasferirti. E quella si che è stata una bella botta al cuore. Non ti ho più rivisto. Ma si sa eravamo bambini e presto mi è passata, anche se la promessa di un tuo ritorno me la portavo nel cuore. E poi come un fulmine a ciel sereno ecco che riappari. In tutto il tuo splendore. E via mi travolge un turbine di emozioni. Incessante movimento di farfalle ogni volta che ti vedo. Ogni volta che i nostri sguardi si incrociano. E poi ti accorgi di me. Ti ricordi di me. Ti innamori di me. Mi fai vivere le più belle esperienze della mia vita che presto distruggerai con una frase. Ti ho odiato e amato allo stesso tempo. E ora sono qua. A piangere come una disperata perché tu dannazione stai per morire. Harry ti prego svegliati. Possiamo recuperare il tempo perso. Perché io ci credo in un noi. Perché anche se tutti ci venissero contro io andrei contro tutti. Perché sei unico. Perché Harry...io ti amo."
Vidi un leggero accenno di sorriso sul suo viso come per dire "ti amo anche io". I suoi occhi si aprono. Leggermente. Inizio a non capire più niente. Sono colma di gioia. Lo travolgo in un abbraccio. Mi accarezza dolcemente i capelli e mi sussurra nell'orecchio una frase che non  scorderò mai: "Piccola Hope ti amo così tanto, ma ora devi trovare la forza di lasciarmi andare". Lo guardo sconcertata. Non capisco. Si è svegliato. E' stato operato. E mi dice questo? Una frazione di secondo. Chiude gli occhi con un'espressione beata sul viso. Un rumore assordante pervade la stanza. La sua dolce carezza svanisce. No. No. No. Inizio a piangere. No è solo un brutto incubo. Non può essere successo questo al mio Harry. Sento i dottori entrare di corsa. Non capiscono cosa sia potuto andare storto, finchè tra di loro non si fa strada una voce. Harry era malato. Gli avevano diagnosticato un tumore al cervello. Esattamente il giorno in cui mi aveva lasciato. Non voleva farmi soffrire. Le pillole e l'acool avevano accelerato i tempi. Lui lo sapeva. Glielo avevano detto che sarebbe morto in pochi mesi. Lui sapeva. E non mi aveva detto niente. Lo guardo disteso nel letto. E' così bello. Sembra un angelo. Il mio angelo custode. Non so se avrò la forza di rincominciare da capo. Ho perso troppe persone a me care. Sento una mano che si poggia sulla mia spalla. E' Louis. Mi fiondo tra le sue braccia. E piango. Piango come non ho mai fatto prima. Harry era la mia vita e ora mi è stata tolta, che senso ha soffrire ancora?

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Capitolo 19
*** miss you ***


Da quando è morto io non esisto più. E' come se la mia vita fosse attaccata a un filo. Un lungo e immenso filo colmo di ricordi. Ricordi belli. Ricordi brutti. Vivo nei ricordi. Nei suoi ricordi. Vivo in ricordi di gioia. Vivo in ricordi di tristezza. Vivo in ricordi di lunghe notti passati al suo fianco. In ricordi di lunghi pianti. Vivo ancora di lui. Vivo di lui e di tutti i suoi mille difetti. Vivo di lui e di quei suoi pochi pregi. Vivo di lui e dei suoi sorrisi. Vivo di lui e dei suoi occhi. Vivo della sua essenza. Della sua presenza che non svanirà mai. Non svanirà mai perché è parte di me. Non svanirà mai perché lo amo troppo per lasciarlo andare via. Non svanirà mai perché ho bisogno di lui. Non svanirà mai perché sono troppo debole e non troverò mai la forza di staccarmi da lui e rincominciare. Avevo pensato di dare un taglio alla mia vita. In quel modo sarei stata sempre al suo fianco. Nulla mi avrebbe più separato dalla felicità eterna. Sarei stata completa. Sarei tornata viva. Qualcosa mi blocca però. Tutte le volte. E' che ho paura. Ho paura di non ritrovarlo una volta compiuto quel gesto. Ho paura che al di là ci sia il nulla. Ho paura di quel nulla. Perché vi ci si possono nascondere mille insidie. Mi ha sempre fatto paura la morte, anche se è sempre stata a un passo da me. E ora mi ha portato via anche lo cosa più importante. Lui. Louis si sta prendendo cura di me. Con lui mi trovo bene. In questo ultimo periodo c'è sempre stato. Lui c'era sempre. Anche quando non lo potevo vedere lui c'era. Prova in tutti i modi a farmi sorridere. Canta. Scherza. Mi porta sempre in giro. Ma io sento, vedo sempre ed esclusivamente lui. E' sempre con me. Lo sogno tutte le notti. Almeno lì posso stare con lui. Poi mi sveglio e tutto finisce. La magia finisce. Ora Louis si appena svegliato e sta già programmando la giornata di oggi. Non stiamo mai fermi. Sempre fuori casa. A vedere cose nuove. A visitare posti nuovi. Ha un'allegria contagiosa. Mi ricorda Harry. Sono molto simili. Glielo dicevo sempre, anche se non lo volevano ammettere. Erano sempre insieme. Due fratelli. Si vede che soffre. Ma riesce a mascherare il dolore molto meglio di me.
L:- Hope, sei pronta?-
Ed eccolo. Il mio principe azzurro che, come ogni giorno, mi lancia il suo piccolo salvagente.
H:- Si certo un attimo solo-
Mentivo. Non ero mai pronta. Non ero pronta di lasciarlo andare. Non ero pronta a soffrire. Non ero pronta ad accettare la realtà e questo lui lo sapeva benissimo.
L:- So che ti manca, sto male anche io tutti i giorni, ma prova a non pensarci-
Non pensarci. La fa facile lui. Come posso non pensare all'amore della mia vita. Alla persona che mi ha fatto battere il cuore così velocemente che temevo mi esplodesse nel petto. Alla persona che mi faceva tremare ogni volta che mi sfiorava con il corpo. Alla persona per la quale provavo le farfalle nello stomaco ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano. Come posso non pensare a lui.
H:- Ci sto provando con tutta me stessa, credimi-
L:- Menti! Pensi a lui ogni giorno-
H:- Cristo Louis lo vuoi capire che lo amavo? Anzi lo amo ancora-
L:- Cristo Hope quando ti renderai conto di quello che io provo per te da quasi cinque anni?-
Così. Come un fulmine a ciel sereno mi dice che è innamorato di me. Questo già lo sapevo, ma proprio non me lo aspettavo. Cioè è appena morto Harry e lui cosa fa? Si dichiara? Ma è un comportamento da persone normali?
H:- Louis.....-
L:- Non devi dire niente, lascia che mi prenda cura di te-
H:- Louis il punto è che penso che non potrò mai ricambiare i tuoi sentimenti-
L:- Possiamo provarci?-
H:- Louis ti rendi conto che io lo amo ancora e chissà per quanto tempo lo farò ancora-
L:- Hope amavi me-
H:- Louis ero così confusa-
L:- Hope ti prego-
H:- Prenditi cura di me, ma non pretendere che io ti ami come amo lui-
L:- Ti amo-
Rimasi in silenzio. Pietrificata da quelle parole. Facevano così paura. Così piccole, ma anche così profonde. L'ultimo ti amo me lo aveva sussurrato Harry. E ora Louis. Non lo amerò mai così tanto. Gli vorrò solo un gran bene. Ho il terrore di perdere anche lui. Forse è per questo che ho accettato che si prenda cura di me.
H:- Louis andiamo fuori-
Salimmo in macchina e per tutto il viaggio ci fu il silenzio totale, fino a quando non frenò.
L:- Piccola Hope devi scendere-
H:- Siamo al mare?-
L:- So che ami il mare,  che ti fa sentire libera, così ho pensato di affittare quella casetta per un po' e rimarremo qua. Lontani da tutto e da tutti.-
H:- Sono senza parole Louis-
L: Resta con me-
Perché deve sempre complicare tutto? Perché deve fare queste uscite a cui non so mai come rispondere? Perché?
Mi prende la mano. Il mio cuore inizia ad accelerare. Cosa mi sta accadendo? Me lo sto facendo piacere per dimenticare Harry o sto iniziando a provare qualcosa di serio? Mi sorride. Abbasso il capo arrossendo come una bambina. Sono in braccio a lui. Siamo in casa. Sale nella camera da letto. E lì facciamo quello che mai avremmo dovuto fare. E' stato come la prima volta. Speciale. Indescrivibile.

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Capitolo 20
*** Goodbye ***


Una dolce brezza mi sveglia. Guardo la stanza. Le immagini di quella notte riaffiorano una ad una. Mi alzo di scatto dal letto. Ho commesso un altro errore. Il più grande di tutti. Ho rifatto l'amore con Louis. E la cosa tremenda è che è stato bellissimo. Lo guardo. Piano piano apre gli occhi. Com'è bello. Con quei occhietti azzurri come se tutto il mare navigasse dentro di essi. Quelle labbra carnose e rosse come il fuoco. I suoi capelli tutti arruffati. Ho paura di iniziare a provare dei sentimenti per lui. Ho paura di perdere anche lui. Deve staccarsi da me, ma allo stesso tempo starmi vicino. Si è svegliato. Mi sta sorridendo.
L:- Hope....-
H:- Louis...abbiamo sbagliato tutto-
No, non abbiamo sbagliato niente. E' stato perfetto. Io. Lui. I nostri corpi che si univano in una cosa sola. Eravamo noi. Per un attimo normali. Speciali. So che quella di stanotte è una forma di amore, ma non sarà mai lui. O forse si. Ma di una cosa sono sicura. Non lo supererà mai. Perché lui era lui. Un testone, anaffettivo, per niente socievole, che voleva avere sempre ragione, che mi amava come pochi e allo stesso tempo mi odiava. I miei pensieri vennero interrotti dalla sua voce così adorabilmente squillante.
L:- A cosa pensi?-
H:- A niente Lou....andiamo a fare colazione?-
Lo avevo detto per cambiare discorso. In realtà non avevo fame. Non ne avevo più, però forse mangiare mi avrebbe fatto bene.
L:- Pensi veramente che il nostro amore sia un errore?-
H:- Louis...io vorrei così tanto amarti, ma proprio non ce la faccio-
L:- Hope vuoi che me ne vada?-
H:-...............-
L:- Hope Brown è pregata di rispondermi-
H:- Non voglio essere anche la tua rovina-
L:- Non potresti mai essere la mia rovina Hope, io ti amo e mi farai felice solo se potrò rimanerti accanto-
H:- Lou-
L:- Ho capito, me ne vado oggi dopo colazione-
H:- Portami a casa-
L:- E' questo quello che vuoi? Dopo tutto quello che c'è stato tra noi?-
H:- Lou io non ti amo-
L:- Non fai altro che ripeterlo come se volessi auto convincerti -
H:- Ho ancora il suo fantasma nei miei occhi, non lo vedi?-
L:- Cazzo Hope...se continui a fare così non lo scorderai mai-
H:- Era l'amore della mia vita lo capisci questo?-
L:- Capisco che non mi vuoi-
Ecco. Perso anche lui. Almeno era vivo. Lui non capiva. Era come se non accettasse che io non possa provare qualcosa per lui. Che poi qualcosa provo. Però non voglio che muoia. Quindi meglio fermare subito un possibile sentimento irrefrenabile.
H:- Vado a prendere la borsa e mi accompagni a casa-
Non aspettai una sua risposta. Avrebbe provato a convincermi a non andarmene. Avrei ceduto. E lo avrei rovinato. Mi girai per vedere il suo viso. Distrutto. Arreso. Malinconico. Incredulo.
L:- Ammettilo che stia provando qualcosa per me-
Non so come,  e dove trovai la forza, ma quando sentii quelle parole, corsi a prendere la borsa per poi uscire in fretta da quelle casa sbattendo la porta. Non deve dirle certe cose. Non deve provocarmi. Presto lo capirà che è meglio per tutti e due se stiamo lontani. E' giusto così.
Guardai il cielo. Nuvoloni scuri che preannunciavano una grande tempesta e grandi onde. Adoravo andare a guardarle da piccola, così mi vestii e corsi velocemente in spiaggia. Il mare era nero come la pece. Un po' come il mio umore quando pensavo a Harry. Dio solo sa quanto mi possa mancare quel ragazzo. Qualsiasi cosa faccia io la collego direttamente a lui. Bevo una coca-cola. Subito penso quanto lui la odiasse. Mi pettino e penso a quanto lui amasse i miei capelli lunghi. Ho le nostre foto ancora attaccate al muro. Il suo profumo nel mio armadio. Il suo sorriso nella mia testa. I suoi occhi nei miei.
 
X:- Se non vai a casa rischi di bagnarti tutta-
 
Quella voce mi fece sobbalzare.
 
H:- Non sei nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare, quindi sei pregato di non rompere-
X:- Acida di carattere?-
H:- Con te soprattuto-
X:- Comunque piacere Liam-
H:- Non è un piacere comunque io sono Hope-
Li:- Come mai sei qui così triste? Ti è forse morto il gatto?-
H:- No, solo il mio moroso e tutta la mia famiglia, una cosa da nulla non credi?-
Li:- Mi spiace, io non volevo-
H:- Fa niente, piuttosto, scusami se sono stata sgarbata prima-
Li:- Avevi tutte le ragioni del mondo per esserlo-
H:- Senti avrei bisogno di un passaggio-
Li:- Devi andare anche tu a Londra?-
H:- Si-
Li:- Sei fortunata, io abito lì, in Summer street-
H:- Anche io abito in quella via, aspetta ma tu sei Liam...-
Li:- Payne, Liam Payne-
H:- Non ci posso credere-

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Capitolo 21
*** His Eyes ***


Li:- Ci conosciamo già?-
H:- Tu sei un amico di Louis e Harry giusto?-
Li:- Non mi dire che tu sei la piccola Hope di cui parlavano sempre-
H:- Parlavano?-
Li:- Si, ma quanto sei cambiata, dimmi Harry come sta?-
H:- Non hai saputo niente?-
Li:- Cos'ha combinato ancora quel disastro?-
H:- Quel disastro, che io amo, è morto-
Lo vidi senza parole. Non riusciva più a emettere un suono. In fondo era la reazione più contenuta che io avessi mai visto.
Li:- A cosa pensi?-
H:- Hai mai desiderato così tanto di morire, ma alla fine muore chi sta vicino e mai tu?-
Li:- Hope non devi dire certe cose, ti fai del male e basta-
Hope:- Tu non capisci cosa mi porto dentro. E' come quando mi sveglio una mattina, e la prima cosa che faccio è guardarmi allo specchio. Mi trascino a forza verso l’armadio, scelgo la mia solita felpa, quella che mi rassicura, quasi come un abbraccio. Torno davanti quello specchio, mi guardo a lungo, pensando cosa c’è che non va in me, trovando ogni difetto. Inizio a truccarmi, a nascondermi dietro quella roba. Esco di casa, le cuffie nelle orecchie e la solita canzone in replay. Cammino sotto la pioggia, distratta e persa nei miei pensieri. Cammino sola, incapace di dire al mondo cosa realmente ho dentro, per paura che non possa capire. E la pioggia e quel vento freddo e quell’aria di malinconia, sembra quasi che mi capiscano. Forse perché rappresentano una parte di me .E allora cammino con la pioggia che mi bagna il viso. Dopotutto, sono abituata a sentire le mie guance rigate da piccole gocce. Come quando la sera vado a letto, ma puntualmente le mie insonnie non mi fanno chiudere occhio. E di botto, è come se tutto ciò che ho affrontato fino a quel giorno, mi crollasse addosso come un’immensa, devastante, valanga. E i miei occhi iniziano a pizzicare, e le mie guance iniziano a bagnarsi, di nuovo. E l’unica cosa che vorrei fare, è uscire in strada e gridare fino a perdere la voce. Ma la realtà è che io grido ogni giorno, in silenzio. Ma nessuno riesce a sentirmi. E i miei occhi anche, gridano disperatamente ‘aiuto’, ma nessuno riesce ad andare oltre il loro colore-
Mi ero sfogata con lui. Con lui che per me non era nessuno, ma in quel momento era qualcuno. Quel qualcuno che mi aveva scrutato in silenzio senza proferire parola e ora mi stava fissando in modo particolare, come pochi prima d'ora avevano fatto. Non era uno sguardo di compassione. No quello non era uno di quelli che odiavo tanto. Era speciale. Era dolce e armonioso, con una punta di malinconia. Era uno di quelli in cui  ci sarei sciolta e annegata dentro. Quelli da cui non ti vorresti mai staccare perché ti tengono attaccata al filo della tua vita. Quelli che ti mettono sicurezza solo guardandoli di sfuggita. Quelli che ogni ragazza vorrebbe guardare. Quelli dove vedi il tuo riflesso. Quelli dove vedi una possibilità di futuro. I suoi occhi vispi lasciarono per un breve istante i miei e mi sentii persa. Sapete quando tutto è buio e voi state vagando senza una meta? Mi sono sentita così. Come se io dipendessi da lui. Da un perfetto sconosciuto. Ritrovai i suoi occhi. Erano cambiati. Aveva visto qualcosa che lo avevano intimorito. Aveva visto i miei. I miei insignificanti occhi pieni di insicurezza. I miei che sono alla ricerca costante di un'ancora di salvezza. I miei che dipendevano dai suoi. I miei nei quali non puoi vedere speranza, ma solo dolore. I miei che lo stavano allontanando. Era uno sconosciuto per me, ma non volevo che si allontanasse. Erano gli unici occhi, oltre a quelli di Harry e Louis, ad avermi trasmesso quel senso di sicurezza. Louis. Già. Lo avevo perso. Per la mia stupidità lo avevo perso per sempre. Perché non ho voluto ammettere che qualcosa stavo iniziando a provare. Così per la paura di perderlo lo avevo perso davvero. Ritornai con lo sguardo su Liam che, nel frattempo, si era perso a guardare l'oceano. Diressi il mio sguardo verso il suo. Notai una lacrima rigare il suo volto. Si girò verso di me. Ora era lui a cercare aiuto.
Li:- Hai presente quando sai che stai facendo una cazzata e la fai lo stesso? Ecco, io ho abbandonato mia sorella qua in spiaggia. Avevo otto anni, lei era autistica, e per gentilezza ci avevano invitato entrambi a una festa in piscina da un mio amico che abitava qua vicino. Io lei non la volevo. Mi aveva sempre fatto fare delle brutte figure e sarei stato costretto a curare lei invece che divertirmi. Così mentre passeggiavamo qua, su questa spiaggia, la fermai, la feci sedere e le dissi che sarei tornata a riprenderla dopo poco tempo. Le raccomandai di non muoversi da li, mentre io mi dirigevo verso la festa.
Al ritorno c'era buio, la chiamai, ma lei non c'era più, era scomparsa. Ogni anno vengo qua sperando di ritrovarla seduta ad aspettarmi, ma non c'è mai. Ho perso ogni speranza di trovarla viva di nuovo. Sono dieci anni che non c'è più, ma mi sembrano passati solo pochi minuti dall'accaduto-
Tutta quella sicurezza svanita. Gli presi il volto asciugandogli le lacrime che si stavano facendo largo sul suo viso prepotentemente. Lui mi sorrise. Mi ci persi. In quel sorriso così fragile, così bisognoso d'aiuto. Era come se avessimo bisogno l'uno dell'altro senza conoscerci, come se le nostre vite fossero collegate. Annullò la distanza che esisteva tra di noi. Fece combaciare le sue labbra con le mie. E lì il mio cervello si annullò. Volai. Si. Sentii il dolce movimento delle sue labbra sulle mie. La sicurezza che ci stavamo dando a vicenda. Non mi sarei mai staccata da quelle labbra, ma sentii un rumore alle mie spalle. Ci voltammo. Louis. In piedi. Davanti a noi. Era un misto di delusione, malinconia e disprezzo.
L:- Hope...Liam-
H:- Lou io-
L:- Non dire niente, ho capito tutto, potevi dirlo prima di venire a letto con me però-
H:- Lou lascia che..-
L:- Non ho bisogno di spiegazioni, piuttosto ne devi dare giusto un paio a lui-
Mi girai verso Liam. I nostri occhi si incontrarono.
Li:- Lo ami?-
H:- No.. io...io-
Mi si tapparono le orecchie, si annebbiò la vista e la testa iniziò a girare vorticosamente, caddi tra le sue braccia. Sentii il profumo della sua pelle, così inebriante e svenni con la speranza che il paradiso avesse il suo odore.
 
 
 

 

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