Il salvatore del mondo

di Jane41258
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Salto nel tempo ***
Capitolo 2: *** Un giorno normale nel 2454 ***
Capitolo 3: *** Brave New World ***



Capitolo 1
*** Salto nel tempo ***


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Autore/autrice: Mente Libera

Sezione:Sezione 7 | on the road 

               Tema: il viaggio

               Avvertimento obbligatorio: AU

               bonus: e se viaggiassimo... nel tempo? Sì

Titolo:   Il salvatore del mondo

Tipologia: Mini longfic

Rating: arancione

Personaggi principali: Uchiha Obito, Uchiha Madara

Pairing: Obito/Rin, accenni lievissimi Obito/Deidara

Genere: Fantascienza, distopia,ucronia, romantico

Avvertimenti: SPOILERdal cap 599 in poi!AUaccenni di splatter, tematiche delicate.

 

Note dell’autrice:

 

Salve!

La seguente fanfiction ha partecipato al Matrioska Multicontest di Deidaradanna93 con il titolo 2454, che ho cambiato perché l’ho messo di fretta ed è repellente, preferisco “Il salvatore del mondo”.

Sia chiaro che è un titolo ironico, niente Gary Stu nelle mie storie.

Si è piazzata 4° classificata, non un granché come risultato LOL, ma ha vinto:

-Premio Trama

-Premio Filo di Pensieri (dovrebbe trattarsi di un premio ai temi e al modo in cui vengono affrontati)

Se v’interessa questo è il giudizio https://docs.google.com/document/d/1Ff6IiZ4M316zuu9SBU7umUTnD4X3av_2GX0gwN4RRA4/edit, ma riassumendo ho avuto volti altissimi su IC e originalità e voti a terra su stile e grammatica, la qual cosa mi stupisce ben poco avendo scritto al volo 25 pag. nell’arco di una giornata per poi inviare per errore la versione non corretta dal Prof. Word. Questa comunque è la versione corretta, quindi non ci troverete mostri.

Il mio stile è quello che è, non eccelso, ormai lo conoscete.

Ora passiamo alla storia stessa, che in fondo è ciò he a voi interessa:

la storia non ha schieramento politico o almeno non c’è alcun intento politico da parte mia. Le idee politiche che aleggiano nella storia appartengono interamente al protagonista Obito, che nella mia storia è un ragazzo giapponese nato il 1932 e che risente della società in cui è cresciuto.

Anche il linguaggio e lo stile sono filtrati da Obito, che è punto di vista assoluto.

Io narratrice ho combinato qualcosa che si chiama mimesi del narratore e si può dire che il narratore effettivo dia Obito stesso, anche se è in terza persona.

La mancanza di un narratore onnisciente rende oscuri alcuni punti che vi spiegherò qui nelle note:

-Il paesaggio da incubo che Obito vede dopo l’esplosione è la superficie terrestre nell’anno 2454 ed è reale.

- Mendel Neumann in realtà è il nostro Minato, l’ho fatto tedesco perché ci sta un amore

-Shiro vuol dire Bianco e Kuro vuol dire Nero.

-Yahiko e Konan vengono completamente eliminati a un certo punto dal Governo perché infrangono la legge con pensieri sovversivi.

-Madara è un immenso gnocco :Q_ Questo non si evince attraverso gli occhi di Obikun ma fidatevi che è così <3

 

Ringrazio Deidaradanna per aver indetto il contest e giudicato per bene, a voi auguro buona lettura.

 

Capitolo uno

Salto nel tempo

 

Il vento soffiava leggero il sei agosto 1945 e alle otto del mattino il sole era già alto nel cielo celeste e limpido come uno zaffiro chiaro.
Il mazzo di fiori che il ragazzo stringeva nella mano destra, dietro la sua schiena oscillava leggermente, silenziosamente.
“Sai, ” la ragazza si avvicinò un poco sorridendo “Kakashi-kun alla fine del mese deve andare a combattere, che ne dici di fargli una festa di arrivederci e dei regali?”
Obito serrò nervosamente la mano sui gambi dei fiori e si pentì di averli portati. Per una volta aveva creduto che lei volesse uscire con lui per un appuntamento o qualcosa del genere, era persino uscito da casa con la febbre e il mal di gola per comprare i fiori e vedere Rin, invece lei voleva solo parlare di Kakashi, come al solito.
Kakashi era così diverso da lui, pensò Obito, e piaceva tanto a Rin, era così bello e misterioso e forte, lui al confronto sembrava un aborto, Rin non l’avrebbe mai guardato.
“Cos’hai dietro la schiena?” chiese la ragazzina curiosa. Obito indietreggiò, a disagio.
“Niente” disse velocemente.
“Non me la dai a bere” ribatté lei sorridendo, gli afferrò una spalla e si sporse per guardare dietro la sua schiena.
“Dei fiori!” costatò lei esaltata, afferrò il mazzo e ne annusò il profumo.
“Sono bellissimi e hanno un profumo fantastico” valutò raggiante “Oh Obito-kun ti sei trovato la ragazza? Come si chiama? Com’è? Ce la presenti?”
Il ragazzo si rabbuiò un po’, Rin in amore era persino più ingenua di lui; però se una piccola parte di lui si arrabbiava quando Rin davanti all’evidenza continuava a non capire, tutto il resto, gran parte di lui, s’innamorava sempre di più davanti al candore e all’ingenuità della fanciulla.
“Non ho una ragazza” rispose, avrebbe voluto continuare “Sono per te, ti amo da sempre.” invece grattandosi una guancia concluse mentendo “Sono per mia madre.”
Lei lo guardò con una dolcezza indefinita. “Sei davvero…” mormorò senza sapere come continuare. Gli restituì cortesemente i fiori, sorrise intenerita, gli accarezzò una ciocca di capelli portandogliela dietro l’orecchio e lo guardò intensamente negli occhi per un paio di secondi, sorrise ancora e poi all’improvviso si arrabbiò, in un istante la dolcezza sul volto scomparve e fu rimpiazzata da un’espressione preoccupata e contrariata.
“Non stai bene” affermò scontenta, gli schiaffò una mano sulla fronte “Hai la febbre, perché ti sei azzardato a uscire da casa?”
Obito cercò di sdrammatizzare e al contempo atteggiarsi a duro:
“Ahah bastasse un po’ di febbricola a buttarmi giù!”
Rin non sembrò positivamente colpita.
“Hai detto pure Ahah bastasse questo a buttarmi giù quando hai voluto dormire per forza con un cuscino pieno di ghiaccio e ora ti sei ammalato” sottolineò lei avvicinandosi un poco.
“Sto benissimo, lo giuro” insistette lui gonfiando il petto come un pavone.
“Non fare il figo e non nascondere che stai male” lo ammonì lei, seria “Tanto ti tengo d’occhio e me ne accorgo”.
Il ragazzo le sorrise, amava quel lato di lei.
Veramente amava tutti i lati di lei.
Rin gli afferrò la mano, “Vieni, ti accompagno a casa” gli disse sospirando.
“Resti con me poi?” chiese lui facendo dondolare il braccio.
“Certo Obito-kun” rispose la fanciulla dolcemente, poi all’improvviso gli conficcò le unghia nella mano e si accovacciò a terra di colpo, tirando il ragazzo giù con lei.
Un fischio acutissimo e assordante fendette l’aria per un attimo, poi Obito non sentì più nulla, vide Rin spalancare la bocca e muovere freneticamente le labbra, la ragazza si aggrappò a lui cercando protezione e nello stesso tempo tentando di fargli scudo. Lui la abbracciò, mentre l’intero campo visivo diventava una sola luce abbagliante, poi sopraggiunse devastante l’oscurità dell’incoscienza.
Era buio, era tutto buio, un buio nero e opprimente squarciato solo da brevissimi lampi rossi.
Obito chiuse gli occhi e strizzandoli li riaprì, finalmente riusciva a vedere qualcosa. L’occhio destro continuava a fissare l’oscurità lampeggiante di rosso, l’occhio sinistro cominciò a distinguere delle forme nel buio. Un albero nero, altissimo, incombeva su di lui, senza foglie, né fiori: sembrava la materializzazione della morte.
Faceva freddo, tanto freddo.
Alzò lo sguardo al cielo e scorse quella che doveva essere la luna, non bianca e luminosa come ricordava che naturalmente fosse, ma opaca e scura, grigia quasi nera.
Attorno a lui era pieno di cadaveri talmente sfigurati che era difficile definirli umani; a quella vista il ragazzino urlò e scoppiò a piangere, poi lui stesso si sentì morire, soffocare.
Con il sapore del sangue in bocca, perse di nuovo i sensi.
Quando riaprì gli occhi vide tanta luce bianca e sentì distintamente un forte odore di alcool.
Sbatté un po’ la palpebra, guardandosi attorno.
Stranamente non gli faceva male nulla, si sentiva solo stordito e affamato.
Era in un ambiente strano, che non avrebbe mai immaginato di vedere se non in uno dei libri di fantascienza che piacevano tanto a quell’usuratonkachi di Kakashi. Le pareti e il soffitto erano azzurre e opache, avevano un’apparenza tra la gomma e il vetro, la monotonia dell’azzurro era spezzata da corone circolari di marmo bianco e verde in disposizione casuale e una serie di filamenti neri tesi e lisci collegavano il soffitto al letto dove giaceva. Obito guardo se stesso, sconvolto e si accorse che non indossava i suoi vestiti ma una tuta stretta di una stoffa simile a un velluto grigiastro che gli avvolgeva tutto il corpo, compresa la testa. Solo la metà destra del volto era scoperta, ma la bocca e il naso erano invasi da grossi tubi trasparenti e l’occhio libero era minacciato da un filamento nero che penzolava liberamente a pochi centimetri dalla sua cornea.
“Wowu”
Cercò di parlare, ma il tubo in bocca lo ostacolava “O’è newuno?”
Il cerchio sul pavimento si accese di una luce rosea, Obito fece ruotare il bulbo osculare e la guardò incuriosito. Un istante dopo ci fu una piccola esplosione di luce che accecò momentaneamente il ragazzo e quando ebbe recuperato la vista si trovò a fissare un uomo alto e ben piazzato con una lunga e folta chioma di capelli neri.
Era vestito in maniera troppo informale per essere un medico, indossava un pantalone nero aderente in un tessuto dall’aspetto pseudo metallico e una maglia a maniche lunghe dello stesso materiale, di colore bianco. Il ragazzo notò con una punta di sorpresa che le maniche della maglia gli coprivano anche le mani, adattandosi alle dita come guanti.
L’uomo si avvicinò e a Obito parve che più si avvicinava, più sembrava imponente.
“Salute a te, giovanotto”
Parlava con un fortissimo accento straniero, tra il cinese e il russo.
“Sono morto?” chiese il ragazzo d’impulso.
“No, sei stato scagliato qui da un punto ignoto dello spazio-tempo. Quali sono le tue coordinate di partenza, giovanotto?” chiese l’uomo, sedendosi.
Obito notò che non che non c’erano sedie, ma non fece nemmeno in tempo ad avvisare l’incauto uomo che il pavimento mutò e una porzione si elevò plasticamente in modo da formare un comodo e informe seggio.
L’uomo riformulò la domanda.
“Da dove vieni?”
“Da Hiroshima, signore” rispose Obito.
Rin.
Il pensiero di Rin lo travolse come una devastante onda d’urto. Fu preso da un’improvvisa smania di vederla, smania venata dal sottile terrore che lei non fosse lì.
Ansioso, si premurò subito di chiedere di lei.
“Con me c’era anche una ragazza, dodici anni, undici mesi e otto giorni, castana e occhi marrone. È bellissima, indossa…”
“Non c’era alcuna ragazza.” lo stroncò l’uomo “Ti abbiamo trovato da solo in superficie privo di sensi, ti abbiamo salvato per miracolo, il tuo corpo aveva superato di molto la soglia della radioattività tollerata.”
Obito deglutì, gli mancò il respiro e l’occhio scoperto si riempì di lacrime. Un pensiero drammatico aleggiò sul limite della sua coscienza, ma non poteva accettarlo.
“Lei… lei dov-dove potrebbe essere?”
L’uomo ignorò la sua domanda e gliene pose una a sua volta.
“Qual è il tuo anno di partenza?”
“Eh?”
L’uomo sospirò e provò con un'altra domanda.
“Cosa stavi facendo prima di venire qua?”
“Io… stavo parlando con Rin, eravamo nel parco vicino al porto ed io… lei…”
Obito si fermò e ingoiò le lacrime.
“Poi sentimmo un fischio, poi il silenzio una luce abbagliante e poi mi sono ritrovato in un posto buio e freddo con tanti morti… oddio… e poi…”
L’uomo con i capelli lunghi accavallò le gambe.
“Che anno?”
“Eh?”
“Che anno era?”
Il ragazzo sospirò seccato nel tubo di gomma “È il 1945”
“La bomba atomica di Hiroshima, seconda guerra mondiale suppongo”
Obito socchiuse l’occhio perplesso, senza capire.
“Il 6 agosto 1945 l’aeronautica militare degli Stati Uniti sganciò su Hiroshima un ordigno atomico chiamato Little Boy, provocando la distruzione di gran parte della città e almeno centomila vittime dirette” raccontò l’uomo.
“Rin è… io…” balbettò il ragazzino.
“Manipolare la materia nelle sue componenti base può provocare conseguenze insolite. Nel ventesimo secolo non ne eravate ancora consapevoli, ma giocare in quel modo con gli atomi può provocare spaccature nello spazio tempo. La possibilità che un essere umano venga trasportato interamente, illeso in un altro punto dello spazio-tempo durante un’esplosione nucleare disordinata è dell’ordine di un milionesimo. Le statistiche indicano che solitamente queste spaccature sono dell’ordine di 10-35esimo di millimetro e non viene trasportato nulla, nel 1-2% dei casi si ha il trasporto di parti del corpo, nello 0.001% del corpo senza vita del soggetto coinvolto. Non era mai capitato che qualcuno sopravvivesse a un trasporto durante un’esplosione nucleare incontrollata.”
L’uomo terminò la spiegazione con una sfumatura nella voce decisamente affascinata.
“Sono nel futuro?”
“Siamo nell’anno 2454, ragazzo” rispose l’uomo.
Obito spalancò l’occhio, sconvolto e stregato a un tempo da quella rivelazione, poi in un istante recuperò le sue priorità.
“Devo tornare indietro” affermò subito “Devo salvare Rin… e” spalancò l’occhio ancora di più “Kakashi. Kakashi si trovava in città. Si potrebbe provare a ricreare tutto?”
L’uomo lo fissò con uno sguardo indulgente.
“Temo di no”
“NO!” Obito iniziò ad agitarsi nella tuta, divincolò le gambe e morse il tubo di plastica, ringhiò e urlò come una bestia ferita “IO SONO SOPRAVVISSUTO! DEVO SALVARE… RIN! KAKASHI! RIN!”
“È ora di porre termine a quest’incontro, mi dispiace averti fatto agitare. Tornerò.”
L’uomo raggiunse il punto in cui era apparso e scomparve in un lampo candido.
Obito si sentì all’improvviso molto stanco e chiuse gli occhi.
“Rin” sospirò prima di riaddormentarsi ancora.
****************
“Chissà come si chiama, che ne dici se glielo chiediamo, eh eh?”
“Taci”
“Assomiglia a Madara-sama, non trovi Kuro-kun?”
“Con tutte queste chiacchiere lo sveglierai”
“Certo che è stato proprio fortunato, eh?”
“Fossi nei suoi panni, avrei preferito essere morto”
“Ma secondo te potrebbe riiniziare una seconda vita qui? Insomma mi piacerebbe che si ambientasse, mi fa tanta pena povero ragazzo”
“Non ti ci affezionare troppo, probabilmente verrà fatto fuori. Figurati non è nemmeno educato…”
Obito spalancò gli occhi, sconvolto.
“Perché volete uccidermi?” chiese quasi urlando.
“Non vogliamo ucciderti” rispose uno di loro.
Obito si girò a guardarlo e quasi rimase senza fiato. Le due figure che conversavano erano antropomorfe ma erano ben lontane dall’essere umane. Quello che aveva tentato di rassicurarlo aveva la pelle bianchissima come il latte, aveva i capelli e gli occhi verde acido e non indossava alcun indumento. Senza volerlo, il ragazzo cercò i genitali ma la strana figura sembrava non averne.
L’altro era identico al primo, soltanto che aveva la pelle nera come la pece e gli occhi erano gialli e tondi.
“Cosa siete?” chiese spontaneamente il ragazzo, spaventato e curioso contemporaneamente.
“Siamo androidi” rispose quello bianco “Siamo intelligenti e forti, proviamo emozioni ma non mangiamo e non facciamo la cacca”
“Tappati la bocca” lo zittì l’altro.
“Androidi… nel senso robot?” domandò Obito.
Quei tipi non assomigliavano per nulla a dei robot e il ragazzo si premurò di dirlo ad alta voce.
“L’umanità ha fatto dei passi avanti rispetto agli ammassi di ferraglia che definivate robot” rispose il bianco, sembrava quasi risentito “Noi siamo come gli umani, solo più perfetti. Lo sai che parli nel sonno, bambino? Ripetevi continuamente “Kakashi-usuratonkachi” e “Rinrinrinrin”, sono i tuoi genitori?”
L’Androide nero parlò al vuoto davanti a sé. “Madara-sama, il soggetto Little Boy si è svegliato, i suoi parametri vitali sono perfetti e sembra essere lucido”
“Con chi sta parlando?” chiese il ragazzino disteso nel letto.
La risposta apparve in un fascio roseo, con un esplosione bianca.
“Wow”
“Avrai modo di stupirti di molto altro, ragazzo” rispose l’uomo con un vago sogghigno.
“Sei Madara-sama? Come ha fatto l’Uomo Nero a parlare con te?”
“Comunicazione a distanza, ragazzo” spiegò brevemente Madara, non aveva voglia di perdersi in dettagli tecnici con un ragazzo proveniente dal Paleolitico “Io sono il dottor Uchiha Madara”
“Uch-Uchiha…”
Obito annaspò, sembrava soffocare con la sua stessa saliva.
Madara lo ignorò, estrasse un cilindro di plastica verde e lo poggiò sulla gola del ragazzo. Questi sentì un leggero bruciore, il dottore dopo un istante ritirò il cilindro e lo porse all’androide bianco.
Sembrò un attimo incantarsi, fissando il vuoto, poi sentenziò: “Sei in perfetta salute e la tua chimica celebrale è buona.”
Il ragazzo annuì mentre pensava che la priorità fosse Rin, concentrando tutto se stesso su di lei tanto che non si rese nemmeno conto di cosa accadde.
“Uccidilo” ordinò Uchiha Madara rivolto all’androide bianco. Obito, ancora assicurato al suo letto, agitò le gambe e sbiancò, ingoiando saliva più amara del fiele. L’Uomo Bianco cammino verso il letto del ragazzo con un’espressione indifferente, forse vagamente sorridente, e ficcò due dita nella gola del Nero, che spalancò gli occhi. In un instante le sue pupille divennero bianche e il suo corpo crollò a terra in maniera sgraziata, piegandosi su se stesso come un sacco di spazzatura.
“Shiro, reset” borbottò il dottore con noncuranza, poi Obito sentì i vincoli ritirarsi lasciandolo libero con un suono molto simile a un soffio.
Saltò subito giù dal letto mettendosi in piedi. Sentiva la parte destra del corpo un po’ strana, come se fosse addormentata. Piegò e distese la gamba, ma la sensazione non scomparve.
“Abbiamo dovuto sostituirti la gamba, il braccio, parte del viso e il fianco destro, erano danneggiati” spiegò Madara indifferente “Seguimi, giovane Uchiha. Tu, Shiro, elimina e sostituisci Kuro, poi reset”
Obito fece un passo avanti, immediatamente si rese conto di aver assistito a qualcosa di illegale.
“No che non ti seguo Madara Uchiha” ribatté aggrappandosi al bordo metallico del letto “La situazione non mi piace!”
“Ti fidi di me o muori.” Madara glielo disse a un palmo della faccia, facendolo tremare “Inoltre è l’unica speranza per salvare la ragazza di cui mi hai parlato.”
“Non mi fido di te, hai ucciso il robot!” rispose Obito impaurito, aggrottò le sopracciglia e storse la bocca in una smorfia infantile di rifiuto.
“A comportamenti da selvaggi si risponde da selvaggi”.
Madara estrasse una bomboletta nera e lucida da una tasca sul petto e vaporizzò una nuvola gassosa sul viso del ragazzo perse i sensi per l’ennesima volta, accasciandosi sgraziatamente al suolo, con la smorfia di diffidenza ancora dipinta sul suo volto.
Obito si risvegliò di nuovo in un letto che non era il suo, quel suo continuare a perdere i sensi e risvegliarsi in letti estranei stava diventando irritante.
Stavolta il suo giaciglio assomigliava a una bara bianca e lucida, su una base morbida di un materiale simile a gomma. Non era legato in alcun modo, così si mise seduto. Non era più in un ospedale, o almeno credeva di non esserlo più: quell’ambiente era così strano che metteva in dubbio le sue certezze di base.
Il pavimento sembrava della stessa sostanza di plastica vitrea che aveva visto nell’ospedale, solo che era più nera della pece. Era una stanza immensa e spoglia, con pareti verde smeraldo e quei cerchi di marmo erano piazzati dappertutto. L’arredamento era essenziale, un enorme parallelepipedo nero e altissimo era piazzato nell’angolo di una stanza ed era affiancato da un altro parallelepipedo di circa un metro di altezza, ma lungo quattro metri e profondo due.
Alla parete opposta era addossata una lunga scrivania sulla quale erano poggiati una tavoletta sottilissima lucida e quelli che sembravano un paio di occhiali arancioni da sub. Ammassi morbidi e compatti di materia indefinita erano sparsi a caso per la stanza.
Sul soffitto era incassato uno schermo enorme, almeno quattro metri per cinque, come se fosse un cinema; una finestra occupava quasi l’intera parete.
Obito si avvicinò alla finestra per cercare di guardare fuori e quello che lo vide lo lasciò senza fiato. C’erano palazzi altissimi avvolti da giardini pensili verdissimi e rigogliosi, la strada era appena visibile e la gente sembrava un mucchio di formiche. Strani cilindri di metallo sfrecciavano nell’aria come uccelli e diverse scritte che Obito non capiva erano proiettate in cielo.
Il ragazzo toccò il vetro della finestra, non sembravano esserci shoji o elementi del genere, era solo una nuda lastra di vetro che lo separava dal mondo esterno.
“Impossibile stabilire una connessione, specificare vocalmente il paesaggio che si desidera vedere o procedere con lo strumento di diagnostica”
“Chi è? Chi c’è?”
Obito si guardò intorno, ma non vide nessuno. Con lui forse c’era una donna invisibile? Sì, era stata una donna a parlare, una fredda voce dall’accento straniero.
“Vieni fuori!”
“È l’intelligenza artificiale della dimora di Uchiha Madara a parlare, lei si qualifichi.”
La donna parlò ancora. Obito pensò per un attimo e gli venne il folle pensiero che la stanza parlasse come fosse una persona.
“Ha tre secondi per qualificarsi, altrimenti verrà attivato il protocollo di difesa contro intrusi indesiderati. Ha due secondi per qualificarsi altrimenti verrà attivato il protocollo di difesa contro intrusi indesiderati. Ha un…”
“Basta, Li-chan, il ragazzo è un mio amico.”
Obito si voltò e non fu per niente sorpreso di trovarsi Madara alle spalle, apparso dal nulla.
Ormai aveva capito che in quell’epoca la gente poteva apparire e scomparire a piacimento, un po’ come i demoni del folklore della propria terra.
“Chi era quella donna?”
“Quella donna è il sovrano assoluto della Repubblica Nazionalcomunista Asiatica, o almeno la sua voce lo è. Sì, in realtà hai intuito bene, è la casa a parlare, è dotata di un’intelligenza artificiale e quindi sa parlare e ascoltare. Mi diverte particolarmente avere la voce di quella meretrice a mio servizio” spiegò Madara.
“La casa parla?” bisbigliò Obito spalancando la bocca al massimo poi iniziò a tremare, incapace di controllarsi: “Siamo sotto i comunisti?”
“Sì, giovane Uchiha”.
L’uomo si stravaccò su uno degli ammassi di materia informe.
“In effetti dovrebbe telecomunicare direttamente con il chip integrato nel cervello, ma tu non sei nato qui e non ti è stato impiantato nulla, per questo ti ho scelto”
“Per fare cosa? No, aspetta, prima di tutto devo salvare Rin…” rispose il ragazzo. Improvvisamente sentì una profonda nostalgia di lei e del proprio paese, del cielo, delle case di cemento, della voce della ragazza che amava e del suo tocco gentile. Lì nessuno era gentile con lui.
“Vedremo anche di salvare questa Rin ma, ragazzo, ti rendi conto che è morta da centinaia di anni?”
“No, non è morta, io non lo accetterò mai! Posso salvarla io, io sono vivo!”
Il ragazzo non si era accorto di aver urlato ma non si scusò, anzi guardò Madara negli occhi, sfidandolo, e l’uomo ghignò divertito.
“Siediti, giovane Uchiha; hai sete, hai fame forse?”
“Uhm non lo so, forse sì…” rispose il giovane sentendosi a disagio improvvisamente. Quell’uomo gli metteva i brividi: averlo visto ordinare un omicidio a sangue freddo lo inquietava molto profondamente.
“Zetsu!”
Un uomo bianco come il latte, identico all’androide nell’ospedale, apparve davanti a loro.
“Nutri l’ospite.”
L’uomo annuì sorridendo, si diresse verso il parallelepipedo alto, toccò diversi punto sulla facciata e una piccola serranda si aprì all’altezza di un metro e mezzo.
Il Bianco prese una bottiglia d’acqua di vetro e una specie di biscotto rosso come il sangue, dopodiché li porse a Obito con un sorriso mellifluo e falsissimo.
“Non sarà mica avvelenato?”
Madara sospirò, trattenendo un’esclamazione impaziente, si alzò e sfilò velocemente la bottiglia e il biscotto dalla mani del ragazzo. Addentò il biscotto e bevve due sorsi d’acqua.
“Soddisfatto?”
“Sì…” rispose il ragazzo annuendo, vergognandosi un poco.
Incollò le labbra alla bocca della bottiglia e, fregandosene dell’etichetta e dell’igiene, ingurgitò mezzo litro d’acqua poi ficcò il biscotto il bocca senza esitare.
“Questo perché non avevi fame.”
Obito non lo ascoltò, il sapore del biscotto lo aveva terribilmente stregato. Era ciò che di più buono potesse esserci al mondo, una miscela perfetta di ogni sapore, inoltre si sentì immediatamente ristorato come se avesse mangiato tre piatti stracolmi di tempura di pesce.
“Grazie mille!” Esalò il ragazzo sorridendo, poi abbassò un po’ a testa e aggiunse contrito “Anche per avermi salvato la vita.”
“Vedo che te ne sei accorto.”
Obito si sedette su uno degli ammassi informi: erano più comodi di quello che si aspettava, si adattarono perfettamente alla forma del suo corpo; guardò Madara che lo teneva d’occhio con un’espressione paziente e infine guardò fuori dalla finestra… o quello che era.
“Quella non è una finestra vero?”
“No, infatti. Quello è uno schermo che serve per illuminare l’ambiente e nel frattempo mostra un paesaggio a scelta dell’ospite della stanza. Ti faccio vedere: Li-chan mostrami un paesaggio subacqueo con barriera corallina e fauna tropicale”
“Sì, padrone”, rispose la casa, quasi assumendo un tono languido, e con un brevissimo lampo il paesaggio cambiò.
“Wow!” Obito si alzò e corse alla finta finestra, premendo le mani sul vetro: era un paesaggio meraviglioso, l’acqua limpida e celeste era attraversata da tanti pesci coloratissimi, uno squalo puntò a tutta velocità il vetro e il ragazzo urlò indietreggiando, ma la bestia virò all’improvviso sfilando con la pancia rivolta verso il vetro.
“Wow…” ripeté il ragazzo abbassando la voce, con il respiro pesante.
“È un’illusione.” Puntualizzò Madara.
“È una bella illusione”, lo corresse il più giovane, ancora guardando rapito lo schermo. Non sapeva se era più affascinato dal paesaggio o dalla resa tanto realistica creata in quel vetro.
“Ti devo parlare di una cosa importante, ragazzo. Mettiti seduto.”
Obito non gradì il tono di comando, ma era troppo curioso, così decise di fare il bravo per una volta e tornò a sedersi al posto che aveva scelto precedentemente.
“Lascia che ti parli di questo mondo,” iniziò Madara “anzi, non ne ho voglia, lo farò fare a Zetsu. Zetsu! Vieni a spiegare la situazione geopolitica attuale al nostro ospite, affinché capisca l’importanza del suo aiuto.”
L’androide bianco si avvicinò e iniziò a parlare con voce stentorea, così diversa dal tono gioviale che Obito gli aveva sentito usare fino a quel momento. Sembrava stesse leggendo un libro invisibile.
“La superficie di questo mondo è diventata inabitabile durante la quarta mondiale che vide l’uso massiccio di armi atomiche, come quella che ha ucciso questa Rin di cui chiesto con una fastidiosa insistenza. Lo sapevamo quali conseguenze ci sarebbero state ma abbiamo deciso di ricorrervi lo stesso, perché entrambe le coalizioni in guerra avevano già profondi insediamenti sotterranei. Noi siamo circa duecento metri sottoterra, come tutti gli esseri umani che ancora vivono in questo mondo e viviamo come topi. Il pianeta è ormai diviso in due grandi nazioni, la Repubblica Nazionalcomunista asiatica, in cui sono incluse l’intera Asia più la vecchia Unione Sovietica, l’Antartide e l’ex America del Sud; l’altra grande nazione sono gli Stati Uniti d’Occidente che includono America settentrionale, la maggior parte dell’ex Europa, ex Israele e Turchia, quello che resta dell’Africa e l’intera Oceania. Le due nazioni ancora sono in guerra e, se ormai la superficie è inabitabile, la guerra si continua qui sotto. Le armi convenzionali non sono più utilizzabili ma la guerra non è meno cruenta. È operata, da entrambi i lati, tramite androidi simili in tutto e per tutto a esseri umani di razza nemica; essi vengono teletrasportati nel territorio nemico e una volta lì si dirigono verso punti di massimo interesse politico o di massima densità di popolazione e causano epidemie o esplosioni atomiche. Gli Stati Uniti d’Occidente sono devastati dalla povertà, ogni cinque secondi muore una persona di fame o di sete, la legge è debole e ha un tasso di fallimento del 63%; malattie, anarchia, corruzione sono penetrate fino ai piani più alti, il loro presidente, eletto in maniera formalmente democratica, in realtà è un burattino del più ricco colosso bancario degli Stati Uniti d’Occidente, le HSBC Holdings.
Nella Repubblica Nazionalcomunista c’è legge e ordine. Lo stato vigila come un genitore sui suoi cittadini e il benessere è alla portata di ogni cittadino. A ogni cittadino è assegnato un lavoro alla nascita, un lavoro che se il cittadino vorrà potrà cambiare con un altro lavoro. Per il bene della comunità è permesso un solo cambio, comunque nessuno sfrutta questa possibilità perché lo Stato decide sempre in maniera più appropriata. Percepiscono tutti lo stesso compenso, hanno tutti la stessa casa assegnata dallo Stato, tutti i cittadini sono uguali per la legge. Non ci sono forti o deboli, ci sono solo cittadini che per il proprio e altrui bene devono rispettare le regole imposte dallo stato. Il sistema di regole si è rivelato un successo al cento per cento, è dal 2292 che nessuna regola è infranta. Non esistono pene perché le regole non vengono infrante.
La Nazione è Dio nello stato Nazionalcomunista, si vive e si serve la Nazione. Non si muore per la Nazione perché la Nazione non reca danno a nessuno dei suoi figli. La Nazione presto dominerà l’intero pianeta portando legge e benessere in ogni continente. L’imparzialità del potere a governo della Nazione è assicurata da Li Hu, garante assoluto. Li Hu è una donna privata dei circuiti celebrali che spingono l’uomo verso i suoi interessi personali e la menzogna ed è integrata con circuiti sintetici e sicuri al cento per cento.
Lo Stato nazionalcomunista devolve il sette per cento del suo prodotto interno lordo alla ricerca scientifica. Nel 2220 tutti i cittadini sono stati dotati di un chip integrato nella corteccia celebrale, chiamato Angelo Custode, che permette comunicazione senza fili con ogni computer della nazione, androide o con ogni altra persona dotata di Angelo Custode; l’Angelo Custode inoltre permette al cittadino accesso completo all’enciclopedia universale della Repubblica e comunica al database centrale della Repubblica posizione e mosse del cittadino, in modo da intervenire tempestivamente nel caso in cui il cittadino si trovi in pericolo e/o difficoltà…”
Obito non era il tipo di ragazzo che stava ad ascoltare un lungo e noioso discorso del genere, era il tipo che si distraeva, che trovava sempre meglio da fare o da pensare e questo qualcosa di meglio era solitamente Rin.
Quella volta invece era stato attento per tutto il tempo, atterrito da quel discorso che avverava tutte le sue peggiori paure: Stalin aveva vinto e conquistato mezzo mondo imponendo una dittatura sul Giappone.
“La Repubblica Nazionalcomunista Asiatica investe anche nello sviluppo di nuove tecnologie. Se il mondo è rimasto scioccato nel 2405 davanti alle navette atomiche in grado di viaggiare nel tempo, morirà d’asfissia per lo stupore davanti al progetto Byakugan: il centro di Ricerca Libera di Nuova Pechino sta studiando un modo per riprendere in video la dimensione temporale come si fa da secoli con le tre spaziali. Se il progetto va in porto avremmo una telecamera puntata sul futuro e...”
“Basta Zetsu, questa propaganda mi sta irritando a morte, puoi andare.”
“Si Maddy-kun” rispose l’androide con un sorriso folle, poi andandosene fece un occhiolino a Obito “Madara è un bravo ragazzo” e scomparve come tutti sembravano saper fare in quell’epoca.
“Siete nei guai…” intuì subito il ragazzo schiaffandosi una mano sul volto.
Madara annuì, serio, ma il suo guardo s’accese, forse di sollievo, forse di speranza.
“Hai detto bene. Quello che ha detto Shiro Zetsu è vero, c’è benessere per ognuno in questa Repubblica ma abbiamo dimenticato cosa vuol dire “libertà”. Lo Stato l’ha messa al bando la parola “libertà”, perché dicono che sia un alibi per fare i propri comodi calpestando i più deboli. Nessuno infrange più una regola da più di centocinquant’anni, non c’è più nemmeno la volontà di infrangere le regole, è diventato un tabù culturale. Tuttavia ogni tanto qualche pazzo c’è, qualche folle su un milione… e l’esistenza di quell’individuo viene semplicemente cancellata. Quando qualcuno concepisce un figlio deve fan analizzare l’embrione da Centro Medico di Stato di Mosca, per controllare che sia sano e accettabile. Quando qualcuno infrange delle regole il Servizio di Ordine Pubblico manda un agente indietro nel tempo a ordinare di negare l’autorizzazione per quell’embrione.
Persino suicidarsi è vietato.
È vietato pensare qualsiasi cosa che vada contro la Nazione, perché la Nazione viene prima di tutto. È vietato non far installare l’Angelo Custode su ogni figlio della Nazione, è vietato attingere informazione da qualsiasi altra fonte che non sia l’enciclopedia universale della Repubblica, è stato detto a tutti che il Giappone è una regione della Cina da cinquemila anni e che il giapponese è un dialetto cinese e tutti noi abbiamo dovuto crederci. È vietato non solo enunciare qualsiasi indizio che indichi che il Giappone era uno stato indipendente prima del 2150, anche venirne a conoscenza. Basta sapere per essere cancellati dalla faccia della Terra. La nostra cultura è stata distrutta, sostituita dalla Nazione Asiatica, che non è in realtà è un’unione volontaria tra Cina ed ex Unione Sovietica… il resto degli stati sono stati assoggettati con la forza. Attualmente il Giappone o meglio regione insulare cinese, è governato da un clan fantoccio, i Senju.
Non ne vogliono sapere di porre fine alla guerra, anche se ci sono migliaia di morti al giorno da entrambe le fazioni. Obito-kun tu sei il nostro salvatore.”
Obito annuì, rapito, chiuse gli occhi e si spinse le dita sulle tempie. Troppe informazioni in troppo poco tempo avevano invaso la sua mente e lui aveva capito tutto quello che aveva detto Madara, o meglio quasi tutto… parecchie parole non sapeva nemmeno cosa significavano.
Insomma aveva capito che erano in guai seri, ma non ne aveva preso piena consapevolezza di nessuna parola che aveva sentito.
Poi c’era Rin che continuava a sbucare nella sua testa nei momenti più inaspettati mozzandogli il fiato con la rimembranza del suo sorriso. Si sentì caricato di troppe responsabilità e c’erano troppe cose che non sapeva, annaspò: voleva sinceramente aiutare Madara, gli era grato, ma non voleva dimenticarsi di Rin.
“Perché...”
Non sapeva da dove iniziare a chiedere, troppe domande gli affollavano la testa e lui non era mai stato un genio. Era Kakashi quello intelligente del gruppo, chissà se Kakashi si era salvato o meno.
Kakashi era un arrogante e uno stronzo che spezzava continuamente il cuore di Rin, ma in quel momento avrebbe voluto averlo con sé a dargli un supporto intellettuale. E avrebbe voluto anche stringere la mano di Rin, tanto che si sentì prudere il palmo destro.
Cercò di riportare la testa al presente -no, non al presente, al futuro, il suo presente erano Rin e Kakashi - e chiese la prima cosa che gli venne in mente.
“Perché tu puoi infrangere le regole? Immagino che tu avresti dovuto uccidermi”
“Sei più intelligente di quello che credi, giovane Uchiha” gli rispose Madara con un sorrisetto “Qualcuno mi ha modificato l’Angelo Custode in maniera da interfacciarmi con esso e controllare le informazioni in uscita”
“Eh?”
“Posso bloccare alcune informazioni in modo che lo Stato non venga a saperlo.”
Obito annuì stringendo le mani a pugno sopra le ginocchia. Gli sembrava tutto così incredibile, era un futuro così simile a quello teorizzato dai catastrofisti della sua nazione che gli sembrava irreale.
Cosa poteva fare lui, un misero ragazzino davanti a una situazione tanto più grande di lui che nemmeno ne vedeva i confini? Lui voleva solo tornare a casa.
Lo disse ad alta voce e Madara lo guardò con un’indulgenza tanto marcata che ad Obito sembrò derisoria.
“Ti prometto che se collaborerai, ti aiuterò a tornare a casa.”
Il ragazzo si alzò, impaziente, e spalancò gli occhi, avvicinandosi bruscamente a Madara; fece per mettergli le mani sulle spalle, poi gli sembrò troppo sfacciato quindi cambiò idea e premendosi i palmi sui fianchi urlò:
“Davvero? E come?”
“Come ha detto Zetsu -se tu l’avessi veramente ascoltato- ci sono navette che attraverso campi generati da reazioni nucleari possono viaggiare nel tempo. Potrai usare una di quelle navette per andare in qualunque tempo tu voglia, dopo aver fatto una cosa per me.”
“Cosa vuoi che faccia?”
Il ragazzo era diventato davvero collaborativo, guardava l’uomo appena chinato, le mani strette a pugno dall’impazienza, la testa sbilanciata in avanti e la bocca socchiusa.
Madara sorrise compiaciuto, notando come quel ragazzino ormai pendesse dalle sue labbra.
“Allora purtroppo dovrai stare qui per un po’. Frequenterai l’Accademia per diventare membro del Servizio di Ordine Pubblico e prenderai la patente per le navette a reazione atomica...”
“Ma...” Obito si alzò di nuovo e diede le spalle all’uomo, fece quattro cinque passi impazienti e poi si voltò di nuovo “Quando tempo dovrò stare qui?”
“Almeno sei anni” rispose l’altro impassibile.
“Ma intanto Rin... ”
“Non importa quanto tempo passa se devi tornare indietro a salvarla. Quando l’avrai salvata di questo tempo rimarrà solo un tuo vago ricordo.”
“No!”
Obito iniziò a smaniare, sbuffando e mordendosi la carne della mano destra.
“Non possiamo rubare una navetta e...”
“Rubare?”
Dalla reazione di Madara, che sussultò e spalancò leggermente gli occhi, Obito capì che non era immune dal tabù dell’infrazione delle regole, ma durò solo un attimo perché l’uomo sorrise beffardo e spiegò “Non ti lasceranno mai avvicinare vivo a una di quelle navette, inoltre la navetta non accetta la guida da parte di un ragazzino senza il diploma dell’Accademia.”
“Ma...”
“Aspetta, te lo rispiego di nuovo... Quando si parla di viaggi temporali non conta quanto tempo si spreca perché questo non sarà mai accaduto.”
Il ragazzo storse la bocca in un’espressione rassegnata ma scontenta: sei anni, doveva sopravvivere sei anni in quel tempo ostile, dove non conosceva nessuno. Doveva sopravvivere sei anni senza Rin, senza la propria famiglia, senza Kakashi e senza il cielo, senza il sole, senza... gli venne voglia di piangere e chiuse gli occhi, non riusciva a trattenere gli spasmi di disperazione che gli faceva tremare il respiro. Si rese conto di essere finito in una prigione e quell’uomo era il suo carceriere, intanto non poteva chiedere aiuto all’esterno, perché non poteva fidarsi di nessun altro. A Obito non piaceva diffidare delle persone, solitamente vedeva sempre il buono negli altri.
Cercò di calmare il respiro, ma ottenne solo di scoppiare a piangere, per tutto. Si strofinò gli occhi e balbettò “M-mi è solo finito qualcosa nell’occhio”, cercando di giustificarsi.
Madara non commentò e attese, guardò col cipiglio indifferente e vagamente sprezzante di chi ha disgusto del pianto quel ragazzino che si accasciava su uno di quei pouf cercare di mandare via le lacrime strofinandosi le guance.
“Hai finito?” chiese quando i singhiozzi di Obito divennero più quieti.
“S-sì, come ho detto era solo bruciore, mi è finito qualcosa nell’occhio…” rispose il ragazzo con il viso scottante di vergogna.
“Bene, stavo dicendo che devi diventare un membro del Servizio d’Ordine per avere accesso a una navetta, poi tornerai indietro nel tempo nel 2049 e ucciderai Vladimir Kutnetsov, un bambino che quarant’anni dopo stringerà il Patto di Porpora con la Repubblica Popolare Cinese, dando inizio a ciò che è quest’Inferno. T’insegnerò come uccidere un uomo”
“E Rin?” chiese d’impulso il ragazzo.
“Poi avrai ancora la navetta a tua disposizione, potrai andare a salvarla e tornare a casa se lo desideri” concluse conciliante Madara.
Obito decise immediatamente che avrebbe salvato prima la ragazza che amava, poi avrebbe salvato il mondo: aveva la possibilità di cambiare quel futuro, di renderlo un posto migliore e l’avrebbe fatto perché era un ragazzo buono e generoso, pensò. Inoltre si sentiva un supereroe e la sensazione gli piaceva: aveva passato la vita intera ad essere impotente e insignificante, ora poter salvare i mondo lo inebriava, distraendolo solo un po’ dalla disperazione. Ringraziò gli dei che non aveva ancora quel cazzo nella testa che sbandierava i suoi pensieri.
Come se gli avesse comunque letto nel pensiero, Madara sentenziò “Diremo a tutti che sei mio figlio, dovrai essere dotato di un Angelo Custode, te ne installerò uno modificato che non comunica in uscita”
Il ragazzo annuì, ma sul viso si leggevano chiarissime rabbia e contrarietà.
“Ecco, ora ti farò vedere la tua stanza, alzati e seguimi”
Il ragazzo sbuffò e obbedì, raggiungendo l’uomo in un cerchio.
“Stanza A2” sentenziò e in attimo dopo Obito sentì solo un veloce ma intenso senso di nausea che gli mozzò il fiato. I suoi occhi vennero oscurati per un attimo e poi si ritrovò in una stanza equivalente a quella precedente con la sola differenza che aveva il pavimento arancione.
Obito si sedette su uno degli ammassi informi e si guardò intorno.
“Qualsiasi cosa ti serva chiama Zetsu, verrà a servirti.”
“Quello,” disse indicando il parallelepipedo alto “contiene i tuoi vestiti, per avere accesso dovresti comunicare attraverso l’Angelo Custode ma giacché non te metterò mai uno realmente funzionante, puoi ordinare vocalmente che ti siano serviti gli abiti che desideri. Puoi anche desiderare di vederli tutti, sullo schermo del soffitto o su quello della finestra. Quello invece è un refrigeratore, contiene cibarie e bevande. Quella è la scrivania e quello è un computer portatile, potrai chiedere aiuto a Zetsu o a Li-chan di farti insegnare come si usa. Con quegli occhialetti potrai godere della realtà aumentata e imparare tutto ciò che t’interessa, quando li indosserai te ne renderai conto.”
Obito annuì, personalmente si era fermato con la mente alla parola “cibarie”.
“Ah non ti chiamerai più Obito, ci vuole un nome che non sia registrato nel computer di Stato, il tuo purtroppo è stato registrato quando l’hai pronunciato ad alta voce nell’ospedale.”
“Come?”
“Scegli un altro nome”
“Va... va bene Tobi?”
Madara sogghignò.
“Che fantasia…” commentò con sarcasmo poco velato “va bene basta che non coincida con Obito.”

 

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Capitolo 2
*** Un giorno normale nel 2454 ***


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So, vi avverto che ciò che state per leggere è un capitolo di transizione, molto corto e semplice.
Sì, visto com'era lungo il precedente e come sarà il prossimo, è legittimo chiedersi perchè diavolo non mi sia impegnata in una divisione più equa, ma nella fretta della stesura ho pensato a dividere per fascia temporale e fase psicologica, non per lunghezza. Siccome difficilmente mi escono capitoli tanto autonomi e completi, ho deciso di lasciare così, nonostante lo squilibrio di lunghezza.
Praticamente qui mostro in itinere il cambiamento di personalità di Obito e cosa diamine combina in questo 2454.
Si narra di un giorno come tutti gli altri, ambientato due anni dopo il suo arrivo nel futuro in cui, ricordatevelo, è costretto a stare sei anni.
L'ho riletto minimo quattro volte trovando ogni volta errori e storture stilistiche da correggere e ho smesso per sfinimento-"Sticazzi" ho pensato "Ora pubblico e basta" quindi credo ce ne siano ancora un bel po'.
Devo aver fatto proprio un disastro nella stesura affrettatissimacrying
Ringrazio Hikari e Fellina per aver recensito il capitolo precedente e vi invito a recensire numerosi questo anche se non è tutto questo granché, affinché possa comprendere punti di forza, errori e difetti.
In ogni casobuona lettura a tutti!!!

 

 

 

“Come padron Tobi ha richiesto, Li-chan la sveglierà. Sono le sette, Tobi-sama, si svegli”
Partì una canzone orrenda che Obito giudicò come una serie di strilli acuti e di gemiti senza significato e il ragazzo si mise seduto di malavoglia.
“Che cosa desidera per colazione?”
Il ragazzo si mise seduto di malavoglia, “il solito” rispose con la bocca impastata e gli occhi annebbiati.
Pochi attimi dopo si ritrovò con uno Zetsu al suo fianco che gli porgeva biscotti energetici e succo artificiale di arancia.
“Buongiorno moccioso, come va?” chiese l’androide bianco facendogli un occhiolino.
“Sei un servitore molto strano tu… e poi io sono molto più vecchio di te” rimbrottò il ragazzo.
“Non sei più vecchio di me sul piano biologico, né intellettuale, mio ospite. Sappi che sono qui solo perché Maddy-sama mi ha ordinato di farti da balia. Ahah!”
Il ragazzo lo ignorò e si alzò
“Devo andare in bagno, B2”
“Vai a fare la cacca?” commentò lo Zetsu affascinato come sempre “Mi fai guardare stavolta? O almeno poi mi racconti?”
“Ma che razza di idiota maniaco!” strillò il ragazzo seccato.
“Ma cosa si prova... sono curioso!”
“Hai rotto le palle!”
“Scusa... ”
L’androide bianco abbassò la testa, un po’ sconsolato.
“No, scusami tu, è solo che... mi sento soffocare, capisci?”
“Sì” rispose lo Zetsu inaspettatamente serio, poi parve riprendersi ed emise uno strano sibilo contento.
Obito si diresse in uno dei cerchi verdi e “Stanza B2” farfugliò. Ripassò mentalmente le coordinate dell’Accademia, 34° 24' 37.465''-N, 132° 27' 18.174''- E, -150.52 m, e di casa sua, o meglio di quella di Madara, 34° 24' 38.100''-N, 132° 27' 2.027''- E, -180.13 m, erano quelle che avrebbe dovuto pronunciare ad alta voce quando entrava nei cerchi per farsi teletrasportare.
Espletò i suoi brevi bisogni corporali, si sciacquò la faccia e si guardò nello specchio. I capelli gli erano cresciuti fino alla spalla e Obito doveva ammettere che sembrava veramente il figlio di Madara: stava anche assumendo alcuni suoi atteggiamenti e portamenti. Si pettinò e si passò la mano sul viso, ora intatto. Erano solo due anni che frequentava l’Accademia, ma già si era guadagnato diverse punizioni corporali per la propria incompetenza, fortunatamente la medicina di quell’epoca era avanzata e cancellava gli squarci che Yagura-sensei lasciava sul suo viso.
Il ricordo del dolore restava.
Uscì dal bagno e rimirò per un attimo la parete. Zetsu gli aveva insegnato che col computer si potevano disegnare e stampare disegni in carta o creare ologrammi 3D così lui aveva riempito la stanza di ritratti di Rin e ora sullo schermo finestra giganteggiava il volto sorridente della ragazza. Aveva creato anche un’immagine che comprendeva Kakashi, poi cambiando idea gli aveva cancellato la faccia.
Indossò la divisa scolastica, un’assurda tunica nera a nuvolette rosse, e si teletrasportò davanti all’Accademia.
“Ciao Tobi” lo salutò di malavoglia Deidara, un ragazzo bellissimo e dal carattere intemperante quindi assai divertente da tormentare.
“ ‘giorno senpai! Oggi sei tutto spettinato! Deidara-senpai lo sai che sei più sessualmente appetibile così?”
Non era reale la spensieratezza che Obito mostrava al mondo ma se doveva recitare, come Madara gli aveva imposto, almeno ci avrebbe messo il suo marchio personale.
Provava inoltre un sadico divertimento nel mostrarsi così candido e allegro, così simile a quello che era solo poco tempo prima, quando in realtà riteneva i suoi interlocutori plebaglia da deridere e disprezzare soltanto. L’unico uomo che rispettava veramente era Madara, il resto del mondo gli era completamente indifferente, se proprio voleva sforzarsi di provare qualcosa, allora era disgusto per la mancanza di senso critico che notava in tutti.
“Piantala, Tobi.”
“Ma tu non capisci appieno il mio amore per te!” strillò con un sorrisone, gli prese la mano e “Deidara, senpai vuoi sposarmi?” gli chiese.
“No, smettila di sfracellarmi i coglioni.”
Ben presto arrivò anche un gruppetto di tre ragazzi formato da un tipo allegro che sapeva il fatto suo di nome Yahiko, una ragazza mediamente gnocca di nome Konan e infine un tipo smilzo e sfigatissimo di nome Nagato.
“Di nuovo a litigare come cane e gatto, voi due?” commentò Yahiko.
“Non è che stiamo litigando, è che Tobi rompe il cazzo”
“No!” si lamentò Obito fingendo di piagnucolare “Tobi is a good boy!”
“Non parlare la lingua degli anarchici occidentali, lo sai che mi da fastidio”
Infatti, pensò Obito con una punta di divertimento molto più sadica di quanto desse a vedere.
“Scusami Deidara-senpai! Mi perdoni?”
Un ragazzone di nome Kisame, con evidenti mutazioni genetiche, camminò placidamente verso di loro.
“Buongiorno Tobi! Ciao gente.”
A quanto pareva Obito gli stava più simpatico degli altri.
“Cosa fate ancora qui? Entriamo in classe.”
Le lezioni si svolgevano in ambienti completamente virtuali. Studiavano la lingua della Repubblica in maniera approfondita, matematica e fisica per avere le basi per diventare piloti di navette spazio-temporali, legge per imparare a farla rispettare, informatica e hacking, telecomunicazioni, lotta e uso delle armi, storia: una storia stravolta che Obito doveva accettare in silenzio, fingendo di credere che il Giappone prima del 2100 fosse l’isola più povera della Cina.
Una volta a settimana si teneva un’ora recitazione; ancora non facevano simulazioni di volo spaziale e/o salti temporali, avrebbero iniziato dal sesto anno. Soprattutto c’era una gran propaganda: il giovane Uchiha aveva notato che più che insegnar loro qualcosa, i sensei miravano ad accendere i loro cuori d’amore per la Repubblica Nazionalcomunista e spegnere le loro teste, sopprimendo ogni barlume di libero pensiero.
Obito non andava benissimo e fingeva di essere incompetente anche nelle materie dove era molto più avanti degli altri come matematica e fisica- perché le studiava per conto suo- per non destare sospetti o attirare l’attenzione.
“Bene, oggi abbiamo lezione pratica di tiro alla bestia occidentale...” esordì Anko-sensei leccandosi le labbra.
Degli Zetsu bianchi portarono un gruppo di una ventina di persone nude e sporche che si divincolavano debolmente.
“Deidara, vai tu.”
Lezioni del genere si ripetevano due volte a settimana.
“Yatta!” Deidara eccelleva nell’uso degli esplosivi ritenendo l’esplosione un Arte a cui essere devoti per la vita, ma amava molto anche il tiro al bersaglio ritenendolo un mezzo per fare esplodere cose o persone.
Indossò l’anello di precisione e lo puntò contro la testa di un vecchio basso e visibilmente debilitato. Senza che si sentisse alcun rumore o si vedesse qualcosa la testa del vecchio scoppiò spargendo carne e sangue dappertutto.
“Tocca a te, Tobi-kun”
Davanti Tobi fu piazzata una donna dai lunghi capelli rossi e gli occhi neri, gravida di almeno sette mesi.
Obito indossò l’anello e si disse che lo stava facendo per salvare il mondo intero, poi sparò alla testa della donna e sorrise quando schizzi di carne e sangue gli macchiarono il viso.
Era sempre uno spettacolo forte ma per niente sgradevole, quasi eccitante.
Probabilmente quella società, Madara, l’Accademia stavano trasformando anche lui in un perfetto ingranaggio senza cuore. Il cervello stava sopravvivendo perché serviva a Madara, la sua anima se la stavano mangiando tanto velocemente che Obito non se ne rendeva conto. Solo per un attimo si chiese quanto fosse cambiato e se in fondo non avesse sempre avuto dentro di sé qualcosa di marcio.
“Anche la pancia” ordinò Anko.
“Sì, sensei”

Dopo la scuola, Obito e il suo gruppo di finti amici andarono a mangiare al parco. Era incredibile come fosse considerato il più sfigato del gruppo, ancora più sfigato di Nagato, ma che alla fine si facesse sempre, sempre e solo quello che voleva lui.
Strade e piazze erano molto diverse da quelle di Hiroshima, erano molto più larghe e quasi completamente deserte.
Il ragazzo aveva ipotizzato che scavare ambienti tanto ampi poteva essere una sorta di compensazione alla sgradevole sensazione claustrofobica causata dal vivere sotto terra.
Il pavimento stradale non era d’asfalto, ma sempre della solita sostanza plastica che ormai a Obito faceva venire la nausea e i cerchi del teletrasporto erano piazzati un po’ ovunque. Gli edifici erano incassati nella crosta terrestre e si distinguevano l’uno dall’altro solo per i diversi colori di cui brillava la parete rivolta verso la strada.
Anche l’ambiente esterno era superiormente chiuso con uno schermo che illuminava tutta la città mostrando un cielo limpido e soleggiato di giorno, buio e stellato di notte.
Il parco era l’unico luogo della città dove la plastica non dominava, anzi terra e vegetazioni la facevano da padrone.
Si estendeva per una decina di ettari ed era completamente ricoperto di terra e erba con zone di fitta vegetazione arborea, cespugli e arbusti fioriti; al centro era stato costruito un finto laghetto naturale, alimentato da quattro piccoli fiumi artificiali, originate da altrettante fontane agli angoli del parco.
Quest’ultimo era deturpato da una miriade di panchine di cristallo che Obito riteneva necessarie per quanto sgradevoli.
Si stravaccò su una di queste guardando le altre persone che stavano passeggiando o chiacchierando. Quel parco era l’unico luogo in tutta la città a non essere completamente deserto, come se gli uomini volessero in uno slancio istintivo riunirsi in un luogo che ricordava loro le origini.
Konan tirò fuori un pacco di biscotti e iniziò a distribuirli.
“Io non ho fame” sentenziò Nagato.
“Che ti manca ora?” chiese Obito un po’ stancamente, lo annoiava quel modo di fare perennemente disperato del ragazzo.
Yahiko rispose per lui.
“Quelle lezioni gli danno fastidio e come biasimarlo?”
“Shh” bisbigliò Konan posando due dita sulla bocca dell’amico.
Obito li guardò con la coda dell’occhio, interessato. Non poteva coinvolgerli perché avevano l’Angelo Custode attivo al 100% e l’avrebbero fatto scoprire, ma lo rassicurò un po’ che ci fosse qualcuno con un minimo di ragione, ragione che ormai anche lui stesso aveva soppresso per cercare di salvare il mondo, Rin, se stesso.
Kisame si sedette, incrociò le braccia ed espresse la sua opinione:
“Alcune specie di pesci si muovono in un banco di migliaia di individui. Tutti concorrono alla salvezza del banco e il banco protegge i singoli. Ma se non collaborano tutti, sincronizzando i loro comportamenti il banco fallisce. È così anche per gli umani, dobbiamo lavorare per lo Stato, è per il nostro bene.”
Nagato lo guardò triste e un po’ scettico, senza muovere un muscolo e senza parlare.
La situazione si stava facendo pericolosa per tutti, quindi Uchiha decise di sviare l’attenzione: “Ehi raga’ che ne dite di cercare qualche animale? Secondo voi ci sono uccelli?”
“Idiota” urlò Deidara dandogli un pugno sull’orecchio “Lo sanno tutti che gli animali stanno solo agli zoo, ti aspetti di trovarli qui?”
“Ma perché mi tratti male?” piagnucolò Tobi tuffandosi dietro la panchina poi facendo sporgere solo la testa scosse le spalle in una goffa imitazione di una fangirl e squittì “Sono una scolaretta innamorata del suo senpai!”
Kisame ridacchiò divertito e quelle insulse scenette si ripeterono decine di volte, fino a quando lo schermo che fungeva da cielo si tinse dei colori del tramonto e li avvertì ch’era sera.
“Cazzo, io ho i compiti di ieri da fare” sbottò Deidara sbiancando e le mani iniziarono a tremargli.
Obito capì il motivo del suo viso sconvolto, andare a scuola senza aver fatto i compiti era infrangere una regola e in quel mondo non esisteva nessuno che avesse mai infranto una regola.
Guardò il biondo correre via verso il più vicino cerchio di teletrasporto, poi andò via anche lui e salutò gli altri saltellando e battendo pacche calorose sulle spalle di tutti.
Non appena riapparve nel salotto di casa buttò via la maschera colorata di allegria, non salutò nemmeno Madara tanto l’avrebbe visto il giorno dopo per l’addestramento  -come se all’Accademia non gli avessero insegnato abbastanza come ammazzare la gente- e andò di filato in camera sua.
Senza perdere tempo si nutrì poi “Li-chan, stasera le equazioni di Maxwell” disse e si sdraiò nel suo letto.
Sullo schermo del soggetto apparve una superficie bianca con formule, immagini e parole che pareva si scrivevano da sole mentre una voce femminile freddamente le sviscerava, le spiegava e le commentava.
Obito aveva deciso di imparare lentamente a memoria, seguendo un ritmo adatto alla sua media intelligenza, la fisica e l’ingegneria della bomba atomica del 1945 e della bomba H del 1952.
Ci aveva pensato fino a svenire per la deprivazione da sonno e non aveva trovato altro modo per impedire lo sgancio dell’atomica su Hiroshima che fornire con anni di anticipo ogni informazione possibile sulla bomba al governo giapponese e ai suoi alleati nazisti.
Avrebbero potuto così sabotare i progetti avversari o forse anche costruire una bomba propria con cui vincere la guerra. In ogni caso la sua città e Rin sarebbero state salve e per buona misura il ragazzo avrebbe portato via Rin da Hiroshima un paio di giorni prima quel maledetto sei agosto, soltanto in seguito sarebbe andato a uccidere quel Vladimir nel 2049 per salvare il mondo. Aveva mentito per ottenere informazioni, dicendo a Madara che prima cosa sarebbe andato nel 2049 e chiedendogli se dopo aver cambiato il tempo avrebbe avuto ancora con sé la navetta : Madara gli aveva risposto sì e gli aveva sorriso.
Aveva anche pianificato come raggiungere il proprio governo per consegnare le informazioni sulla bomba atomica mettendo a punto una strategia semplice ma di sicura efficacia: diffondere voce e dettagli delle proprie conoscenze così sicuramente sarebbero andati loro da lui.
All’inizio del proprio percorso autodidattico era stato deluso che dovesse iniziare ad imparare da molto prima della bomba: era partito da Galileo, aveva studiato Newton e tutta la sua fisica, dopo un anno stava ancora su Maxwell… mancava tantissimo e sapeva che non avrebbe dovuto memorizzare solo l’ingegneria della bomba ma anche i dettagli della sua storia.
“Stop, Li-chan”
La voce si arrestò, Obito prese il computer e scrisse riassunto tutto quello che aveva sentito.
“Per favore mi approfondisci questi “limiti infinitesimi” ?” chiese dopo aver finito, confuso da una divisione con denominatore “delta t” tendente a zero.
“Sì, padron Tobi.”
Obito sospirò stanco e chiuse gli occhi. Aveva davanti ancora molti anni d’inferno e non sapeva se sarebbe sopravvissuto.
Pensò che Rin e il destino del mondo fossero nelle sue mani e riaprì gli occhi, neri e spenti.

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Capitolo 3
*** Brave New World ***


Allora vi chiederete perchè, se la fic era già pronta, vi ho fatto aspettare tutto questo tempo.

Primo, non mi rendo conto del tempo che passa; due, ero bloccata dal giudizio negativissimo nella grammatica ed ero convinta di dover compiere un lavoro di revisione totale che non avevo mai voglia di fare. Poi ieri notte ho dovuto passare la notte in ospedale per assistere mia cugina (ora è a casa e sta relativamente bene) e avevo davvero tanto tempo così mi sono messa davanti a questo benedetto capitolo. Alla fine l'ho riletto e basta :rotfl: quindi non solo è in ritardo ma è ancora pieno di errori :asd:
Perdonatemi XD e se potete segnalatemeli, voglio sbattere a calci in culo errori grammaticali fuori da questa storia.
Ah se lo avessi scritto recentemente lo avrei imbottito di MadaHashi ♥ .
Il titolo del cap è ispirato a Brave New World di  Huxley, ma non c'entra nulla direttamente con quel romanzo, lo scopo è fare disincantata ironia sul mondo nel finale.
Mi hanno detto che dovrebbe essere ispirato da 1984 e mi fa molto onore questo fatto, ma in realtà non lo è perchè non ho ancora letto il libro. E' soltanto dello stesso genere, la distopia, che considero interessantissima in quanto antimodello.  

Anyway già soitamente sento la scrittura come forma di comunicazione, ma su questa storia sento un legame coi lettori più intenso (come è successo per Vivi per i Vivi), quindi vi auguro proprio sinceramente

            BUONA LETTURA!!

e ringrazio sentitamente chiunque abbia recensito o seguito o letto (a pari merito *_*, mi piacerebbe ricevere opinioni in merito ma già mi sento lusingata molto che la storia venga letta). Grazie a tutti quindi.



Brave New World



“E così gli ho detto “Ehi bella fai nuotare il mio pesce nella tua piscina?”, allora questa stronzetta fa “Oh come ti permetti, sei così lontano stai lontano da me!” e io ecco che mi calo i pantaloni e lei fa “Oh scusa potevi subito dire che era uno squalo e non un pesce normale!” E subito cambia idea e me la da ahahah! Ce l’aveva larghissima, chissà quanti pesci c’avevano nuotato lì dentro!”
Kisame alzò la bottiglia piena d’acqua e diede una pacca sulla spalla di Obito, cercando la sua complicità. Obito si rese conto che Tobi avrebbe dovuto spanciarsi dalle risate, ma se ne fregò e lanciò a Kisame una lunga occhiata fredda: trovava il racconto estremamente sgradevole, se qualcuno avesse osato fare qualcosa del genere con Rin lo avrebbe castrato e impiccato. La sfrontatezza sessuale, la mercificazione di sentimenti erano tra le cose che lo atterrivano maggiormente di quegli anni privi di luce in cui era capitato.
Obito ormai aveva diciannove anni, un corpo vigoroso e i capelli lunghi fino alla base del sedere ma non ancora avuto alcuna relazione né sentimentale, né sessuale, né fissa, né occasionale: in tutti quegli anni si era mantenuto senza sforzo fedele a Rin. L’unico accenno di ambiguità l’aveva avuto con Deidara, morto in un esplosione accidentale l’anno prima, durante una prova di volo spaziale.
Ma Obito non c’aveva mai creduto all’incidente, poiché Deidara prima di salire sulla navetta che sarebbe esplosa gli aveva detto: “Questo mondo è così poco artistico, bisogna proprio che qualcuno dia una dimostrazione imponente di sia la vera Arte e sono onorato di farlo io stesso. Meglio un attimo di infinita vita che una vita intera di morte. Scusa Tobi.” poi l’aveva baciato sulle labbra ed era corso raggiante di aspettativa alla navetta che pochi istanti dopo sarebbe esplosa in un’indimenticabile palla di fuoco.
Obito non aveva saputo come sentirsi, non gli importava niente di quel mondo perché tanto l’avrebbe cambiato completamente. Infatti non aveva versato una lacrima, ma aveva sentito le labbra di Deidara sulle proprie per settimane, per mesi aveva sentito una fitta alla gola a causa delle lacrime trattenute e aveva ragginto riguardo il mondo esterno un tale livello di apatia da fregarsene anche della maschera stessa e buttarla via con gran sollievo. Da quando Deidara si era suicidato -perché si era suicidato, ma siccome in quella cazzo di Repubblica non era manco permesso morire in santa pace, aveva dovuto inscenare un incidente- Obito aveva iniziato a comportarsi in maniera fredda e arrogante, così come gli veniva ormai naturale.
Kisame aveva interpretato quel cambiamento come una reazione emotiva alla morte del loro amico e non gli aveva dato troppa importanza.
Erano sempre stati sempre e solo loro tre, lui, Kisame e Deidara e ora erano solo lui e Kisame.
E a breve sarebbe stato solo Kisame, perché lui stava finalmente per sloggiare. Tra due giorni ci sarebbe stata un’esercitazione pratica di viaggio nel tempo, la prima senza la destinazione già programmata sul sistema operativo della navetta, e Obito avrebbe provato a tornare indietro.
Salutò Kisame come niente fosse e tornò per l’ultima volta a casa sua, anzi di Madara.
“Buonasera Obito” Madara lo salutò senza staccare gli occhi dal suo computer portatile “Stasera ceniamo insieme”
Obito trovò divertente l’idea che Madara si fosse affezionato un po’ a lui e volesse salutarlo, ma poco dopo l’uomo aggiunse “Devo ragguagliarti sugli ultimi dettagli e verificare che tu sia pronto”
“Va bene” farfugliò il ragazzo seguendolo in salone.
Madara l’aveva già informato nel dettaglio su come trovare Vladimir Kutnetsov, avrebbe dovuto sparargli alla testa mentre da bambino cantava per una manifestazione di Natale. gli aveva comunicato con precisione coordinate spazio-temporali e l’aveva allenato a uccidere senza pietà.
“Ripetimi la tua meta” disse ancora l’uomo senza alzare lo sguardo
“55° 45' 3.484''-N 37° 34' 17.200''-E, 5 gennaio 2049 ore 10.30 locali.”
Madara lo fissò per qualche secondo, indecifrabile mentre Obito si aspettava che succedesse qualcosa, una simulazione improvvisa, una domanda a trabocchetto, un richiamo. Non successe nulla. Gli androidi Zetsu portarono la cena a tavola sorridendo come al solito: a quanto pareva l’ultima cena non era composta da niente di più dei soliti biscotti energetici, acqua e sintetico succo d’arancia.
 Madara cenò senza degnarlo di uno sguardo, nel silenzio più assoluto.
Quando ebbe finito, il ragazzo si alzò da tavola senza permesso e si diresse verso uno degli cerchi per il teletrasporto, guardando con la coda dell’occhio cosa stesse facendo l’altro. Vide che l’uomo si era alzato e lo stava fissando, in piedi, con le braccia incrociate e il volto impassibile.
Obito si fermò e senza voltarsi chiese: “Perché hai aspettato che arrivassi io per mettere in atto il tuo piano?”
“Mi serviva qualcuno che non avesse subito condizionamento mentale, né che avesse un Angelo Custode” spiegò Madara tranquillo.
“E non avresti potuto prendere un bambino a caso e modificare l’Angelo Custode?”
“Mi avrebbero beccato non appena avessi messo una mano su questo potenziale bambino”
“E se non fossi arrivato io che avresti fatto?” Obito si voltò a guardarlo negli occhi.
“Ci avrei provato io stesso prima o poi”
“No, non ci avresti provato, anche tu sei troppo succube della cultura di quest’epoca” affermò il più giovane dei due, serio.
Madara non rispose e continuò a guardarlo con ostentata indifferenza.
L’altro tranquillamente si rigirò e raggiunse il cerchio.
“Ah un ultima cosa... chi ti ha modificato l’Angelo Custode?”
Madara ghignò beffardo.
“Cos’è hai voglia di chiacchierare stasera?”
Obito sussultò impercettibilmente, come se fosse stato punto da qualcosa. Era vero che stava parlando troppo; bastò un istante di riflessione per rendersi conto che stava temporeggiando senza nessuna giustificazione. Perché lo stava facendo? Non lo sapeva anzi forse sì, ma non poteva assolutamente permettersi di vacillare. Il silenzio caduto improvvisamente tra loro divenne troppo pesante così il giovane riprese a parlare con un volume appena più alto e una venatura di frustrazione.
“Stai evadendo una domanda con un’altra domanda, sei un ragazzino”
“Tu sei un ragazzino, Obito, un ragazzino che si sta perdendo in chiacchiere”
“No, è solo che prima di andarmene per sempre voglio togliermi ogni curiosità”
Madara sospirò e il ragazzo notò forse per la prima volta una profonda stanchezza sul suo viso.
“E’ stato mio fratello Izuna, ha modificato il suo e il mio Angelo Custode… prima che capissero cosa stesse succedendo si auto-infettò con l’ebola per distrarli e morire in maniera accidentale, insomma. La colpa fu data all’attacco chimico che fu scagliato dagli Stati Uniti d’Occidente in quel periodo. Sei soddisfatto?”
Raramente Obito aveva visto Madara con un’espressione tanto dura, non trasmetteva alcuna emozione particolare, solo gelo.
Restò a fissarlo per qualche secondo e Madara si sciolse nell’ennesimo sogghigno beffardo “Addio Obito-kun”
“Addio” Obito rivolse un’ultima occhiata torbida a Madara, poi ad alta voce enunciò “Stanza A2”
Preparò il solito zaino e scelse la tenuta più futuristica che aveva, doveva colpire forte l’attenzione dei giapponesi nel 1942 per farsi rintracciare dai piani alti, poi si mise a letto. Non riuscì a dormire per molto, si alzò alle cinque del mattino e restò a fissare il buio fino alle otto, dopodiché indossò la divisa scolastica, legandosi all’interno coscia la divisa e qualche arma e riempendo le tasche di biscotti energetici.
Si guardò intorno per l’ultima volta, strinse l’avambraccio di Zetsu pronunciando un insicuro “Ciao”, accarezzò la scrivania e se ne andò.
Mentre aspettava la fila per l’esercitazione guardò i suoi compagni di corso e si sentì come tra lori ci fosse un vetro. Li contò uno per uno ed ebbe la sensazione che ci mancasse qualcuno, qualcuno a parte Deidara, ma non riuscì a scavare oltre nel proprio presentimento. Appena prima di salire sulla navetta si girò verso Kisame, gli strinse una spalla “Questo è un mondo di bugie” disse e…
“Uchiha-kun, cosa sono tutti quei biscotti?” chiese severa Anko-sensei.
“Sa, nel caso rimango bloccato eheh e mi viene fame?” rispose Obito grattandosi la nuca indossando per l’ultima volta la maschera di Tobi “lo sa che per come sono io può succedere ehehe, ah e...”
“Sbrigati” tagliò corto l’insegnante con un sospiro esasperato.
Obito salì sulla navetta.
Si guardò brevemente intorno per orientarsi, indossò gli occhiali per schermare gli occhi e, aveva le mani sudate, scrisse velocemente sul touchscreen la sua meta.
Sentì il solito rumore di accensione, come di un secchio d’acqua che versato a terra, gli mancò il respiro e ebbe un senso acutissimo di nausea, tanto che se non fosse stato assicurato allo schienale si sarebbe piegato in avanti e avrebbe vomitato l’anima. Chiuse gli occhi, come da procedura e quando li riaprì si trovava in un campo agricolo, sotto un cielo vero.
Obito aprì il tetto della navetta e respirò aria vera, guardando il celeste intenso del cielo di Hiroshima.
Non provò niente di particolare, era stato rigidamente addestrato a scacciare ogni distrazione quando aveva una missione da svolgere. Iniziò a camminare verso la città con l’intenzione di dirigersi alla stazione treni e raggiungere Tokyo, dove avrebbe diffuso tutto ciò che aveva.
Guardando il mondo attorno a sé non si sentì a casa ma provò un forte senso di estraneità, come se non avesse mai visto la città in cui era cresciuto. Incrociò la sua maestra delle elementari che lo guardò come fosse un alieno e doveva sembrarlo con quella strana divisa scolastica. Transitò l’incrocio che conduceva alla casa di Kakashi e fu quasi tentavo di imboccare quella via, fu quasi tentato di andare da Kakashi e abbracciarlo, poi andare da Rin e baciarla dieci, cento volte sulla bocca. Il cuore iniziò a battergli forte, ma distolse lo sguardo e affrettò il passo, ingoiando un boccone che sentì amarissimo sul fondo della bocca.
Raggiunse la stazione: era affollatissima, caotica, l’aria quasi mancava tante erano le bocche che l’aspiravano. Il rumore del treno, il puzzo della sporcizia, il fumo, le voci aggredirono Obito e lo lasciarono stordito, camminava tra la folla cercando di non riconoscere nessuno, di non farsi riconoscere, camminò come se fosse intangibile e invisibile. Riuscì a comprare il biglietto e notò che l’operatore lo guardava come fosse un fenomeno da baraccone, d’altra parte Obito trovò il suo accento sgradevole. Salì, quasi a spallate su un vagone di un treno per Tokyo, un vagone dove non c’erano sedili, solo un marcio pavimento il legno e pareti che secondo Obito avrebbero potuto trasmettere il vaiolo.
Il viaggio durò cinque ore e quando Obito scese da treno, sotto il cielo plumbeo di Tokyo si sentì anche peggio.
Quel cielo così scuro era reale ma non altrettanto bello e perfetto di quello illusorio che aveva fissato negli ultimi sei anni.
Aveva progettato di rivelare tutto a tutti, ma non riusciva a trovare nessuno adatto, nessuno degno, per accogliere quelle informazioni, gli sembravano come formiche, stupidi e anonimi. Infine dopo quasi un’ora di vagabondaggio, notò una caserma della polizia imperiale: ottimo! In caso estremo avrebbe vuotato il sacco con loro.
Non era più abituato a camminare così tanto, gli facevano male le gambe e l’aria gli sembrava sporca, inquinata.
Camminò ancora un po’ fino a una locanda ma non vi entrò bensì s’infilò nello spazio angusto e maleodorante che divideva con un alto palazzo che scoppiava di famiglie e lì si cambiò indossando la tenuta, ultima moda 2454.
Infilò anche un paio di anelli bellici e uscì allo scoperto, urlando e allargando le braccia come per attirare l’attenzione.
“L’AMERICA STA SVILUPPANDO UNA BOMBA ATOMICA CON CUI DISTRUGGERA’ IL GIAPPONE!” scelse parole ad effetto per attirare l’attenzione e cavolo se non ci riuscì “SIAMO IN PERICOLO! SIAMO IN PERICOLO!”
La gente gli si strinse intorno, correndo da lontano, mantenendo al contempo una certa distanza da quel ragazzo che quasi non sembrava umano.
“Lei come fa a saperlo?” chiese un signore basso e tarchiato, uno dei pochi che non era impallidito, anzi appariva tanto calmo da sembrare quasi scettico.
“Signore, io vengo dal futuro”
A quell’affermazione assurda si scatenò un vociare assordante, quasi copriva le urla di Obito.
“Non ho tempo da perdere” sbottò un domestico con le braccia stracolme di borse di carne e frutta, andandosene. Però oltre lui ben pochi se ne andarono, alcuni iniziarono a fare le domande più disparate, urlando tutti contemporaneamente tanto che Obito non ne colse nemmeno una; la maggior parte prese a gridare insulti come “Pazzo!” o “Idiota!” senza tuttavia muoversi da lì, come in attesa di altre informazioni su quell’argomento che, non volevano ammetterlo, terrorizzava le loro notti semi-insonni.
Qualcuno fendette la folla.
“Mi dispiace ragazzo, ma devi venire con noi”
Obito si lasciò portare via, a fatica perché la sua platea non voleva lasciarlo andare, verso la caserma che aveva adocchiato a una ventina di metri. Quei poliziotti premevano le loro dita rozze sulle braccia del ragazzo trascinandolo tanto bruscamente che nemmeno riusciva a camminare normalmente. Avrebbe potuto ucciderli in un attimo spargendo le loro membra per tutta la piazza ma si trattenne perché quei bifolchi sarebbero potuti essere la via per i piani alti. Facendogli sbattere i talloni contro le scalette lo portarono dentro l’ufficio del sovrintendente, lo spinsero con violenza su una sedia di ferro e gli ammanettarono i polsi dietro la schiena e le caviglie alle gambe della sedia stessa, al ragazzo bastò un’occhiata per confermare che la sedia era imbullonata al pavimento.
“Questo teppista stava creando disordini tra la folla affermando insensatezze” disse uno degli agenti profondendosi intanto in un adulante inchino.
“Qual è il tuo problema, ragazzo?” chiese il sovrintendente poggiando il suo mento grasso sulle mani.
“Vengo dal futuro...”
I poliziotti iniziarono a ridere e persino il loro capo dietro la scrivania si tradì con un sorrisetto ironico.
“Il 6 agosto 1945 un aereo statunitense sgancerà una bomba atomica su Hiroshima e la raderà al suolo”
I poliziotti smisero immediatamente di ridere e l’uomo che lo stava interrogando si alzò, ora seccato.
“Cos’è questa bomba atomica?” chiese, torturandosi nervosamente i baffi, Obito lo guardò negli occhi tradendo l’impazienza con un sospiro e rispose “Una nuova arma che al momento già stanno costruendo, la cui energia distruttiva è scatenata dalla reazione a catena incontrollata di una fissione nucleare. Quando cadrà su Hiroshima ucciderà sul colpo almeno settantamila persone”
“E tu come fai a saperlo?” chiese uno degli agenti palesando una vena isterica nella sua voce.
“Perché vengo dal futuro” rispose semplicemente Uchiha.
Un altro degli uomini nella stanza estrasse una pistola Nambu 8mm premendo forte la bocca di fuoco sulla tempia del ragazzo “Basta giochetti! Chi cazzo sei tu?”
Obito lo guardò impassibile e rispose: “Non è importante chi io sia, anzi in questo momento tutto ciò che sono è Nessuno, chiamatemi così se volete perché adesso io non dovrei esistere”
“Smettila di prenderci per il culo” sbottò un altro e con il calcio della pistola gli colpì la testa.
“Va bene, potete chiamarmi...” Obito sputò il primo nome che gli era venuto in mente “Uchiha Madara”
“Allora Madara, riiniziamo daccapo”
“L’11 ottobre 1929 Albert Einstein scrisse una lettera al presidente Roosevelt sollecitandolo a sviluppare un armamento atomico per prevenire un potenziale uso del arma di distruzione di massa che Hit1er stava mettendo a punto. Pochi mesi dopo negli Stati Uniti nasce i progetto Manhattan, nel 1941 quando voi genii avete attaccato Pearl Harbour già diversi progetti erano in corso sulla fissione dell’uranio 238 e sulla produzione di pile e esplosioni nucleari. La direzione scientifica è stata appena affidata a Robert Oppenheimer e quella militare al generale Leslie Groves e quest’estate in California ci sarà un meeting con i più grandi...”
“Fermatelo, fermatelo” farfugiò il sovrintendente baffuto agitando una mano “Senti, Uchiha Madara, non so ci tu sia o come faccia a sapere queste cose ma se quello che dici non è vero ti impiccherò nella piazza centrale di Tokyo e andrò a cercare la tua famiglia per far fare loro la stessa fine. Portatelo via”
Gli agenti liberarono le sue caviglie e lo trascinarono attraverso una porticina in un corridoio quasi del tutto privo di luce e poi in una cella, lo gettarono sul pavimento senza alcun riguardo e sbatterono a porta, stizziti. Là dentro non c’era nulla, nemmeno un tavolaccio di legno o una finestra, pavimento e pareti erano dello stesso colore, un grigio tanto scuro da tendere al nero: probabilmente lì dentro c’era più sporcizia che in tutta la Repubblica Nazionalcomunista Asiatica. Obito restò in piedi con le braccia incrociate per ore, aspettando pazientemente che lo venissero a prendere e infatti, com’era ampiamente prevedibile, qualcuno, verso sera, ficcò una chiave di ferro nella serratura piena di ruggine e aprì la porta. In meno di un istante Obito fu afferrato, gli furono avvolte catene attorno al corpo e un sacco nero fu infilato violentemente sulla sua testa.
“Qualcuno ha creduto alle tue malate fantasie” gli sussurrò uno nell’orecchio e venne trascinato ancora, per l’ennesima volta, per una cinquantina di metri. Percorsero tutto il corridoio, girarono a destra, poi a sinistra e poi di nuovo a destra, entrarono in una stanza e nuovamente il ragazzo fu spinto a sedere e incatenato su una sedia fissata al pavimento. Il cappuccio gli fu tolto e si ritrovò davanti, seduto dal’altra parte del tavolo di ferro, un uomo biondo, dagli occhi azzurri e il viso dolce.  Dalla divisa e dal ciondolo a forma di croce celtica Obito dedusse che quell’uomo era tedesco.
Il ragazzo esitò, davanti alla natura occidentale del suo interlocutore, ma in un attimo realizzò che avrebbe parlato anche con il diavolo in persona se il diavolo avesse avuto interesse nel distruggere gli Stati Uniti.
“Sono il colonnello Mendel Neomann” si presentò sorridendo, “lei è Margareta Braun e prenderà un po’ di appunti.           Ti dispiace? Mi hanno detto che hai qualcosa di interessante da dire. Come e ti chiami?”
“Mi chiamo Uchiha Madara e vengo dal futuro”
“Interessante.’’
Neomann non mostrò reazioni particolari alla rivelazione, appariva tranquillo e rassicurante.
 E in questo futuro hai scoperto qualcosa che vorresti dirci?”
“Hitler sta mettendo a appunto un’arma di distruzione di massa, vero?”
Il colonnello non si scompose, si limitò a non rispondere, scrutando il ragazzo con i suoi occhi di ghiaccio e dopo qualche secondo sorrise.
“Bene, lo stesso stanno facendo gli americani e stanno molto più avanti di voi. Posso dirvi come procedono, posso dirvi esattamente come questa bomba sia costruita e come farla funzionare prima che lo facciano loro e… posso anche rivelarvi tutto quello che so sui viaggi nel tempo”
“Bene... voi, voi lì, portateci da mangiare qualcosa di decente e slegatelo, bene, Madara-kun, veniamo a noi, sono tutto orecchie.”
                                                                                ***
“Obito-kun? Obito-kun, per favore cerca di aprire gli occhi.”
Confuso, Obito sbatté le palpebre e una luce forte lo accecò e sentì una voce femminile, dolcissima in sottofondo. Mise a fuoco la realtà intorno a lui. Era sdraiato a terra, con la testa su qualcosa di morbido... erano le gambe di Rin, sì erano le gambe di Rin. La ragazza era china su di lui, con l’espressione preoccupata, gli occhi spalancati e la lingua stretta tra i denti.
“Rin...”
Pronunciò il nome di lei senza rendersi veramente conto di ciò che stava succedendo.
“Che cosa...?”
Guardò di lato, un mazzo di fiori era abbandonato a terra, a circa un metro da lui... doveva essere a Hiroshima...
All’improvviso ricordò ogni cosa, la bomba maledetta, il 2454, tutti quegli anni senza di lei, Madara e la sua missione, il ritorno nel 1942, Mendel Neomann e i suoi occhi di ghiaccio…
Quando Rin preoccupata gli tastò le guance, Obito sentì esplodere qualcosa dentro: la consapevolezza che finalmente era a casa sua, che Rin era viva e nuovo con lui lo travolse come una cascata e allagò la sua mente.
Gli era mancata tanto che ora non gli sembrava vero poter sentire di nuovo il tocco delle sue mani e quel sorriso su cui era rimasto a tormentarsi per anni.
Si mise seduto di scatto, posandole una mano sul viso per sentire concretamente la sua presenza.
Ed era a casa, era a casa, nella sua Hiroshima, nel 1945, sotto il suo cielo e sotto la mano sinistra aveva la sua terra, la sua vera terra.
Si lasciò andare ad un urlo liberatorio, puntando gli occhi sul sole caldo e benevolo, ma spaventò Rin che gli si avvicinò con un enfatico “Stai bene?”
“Che ore sono?” chiese, il suo cuore batteva tanto forte da assordarlo mentre il timore di rivivere la bomba lo assalì.
Sentì la sua voce suonare infantile, era in tutto e per tutto l’Obito tredicenne che il sei agosto stava chiacchierando con la sua amata Rin, in tutto e per tutto tranne sei anni di ricordi nella sua testa che tecnicamente non aveva mai vissuto. Era riuscito a cambiare...?
“Non lo so... saranno le otto e mezzo” rispose lei “Senti Obito-kun, hai la febbre altissima, dobbiamo subito andare a casa, la mia è più vicina e...”
Obito non la lasciò terminare e le scoccò un bacio sulle labbra, premendo forte. Per troppo tempo aveva aspettavo il momento di rivederla e troppo aveva sofferto la sua morte per avere paura di ciò che sarebbe potuto succedere, aveva imparato che rimandare solo di secondo qualcosa di importante poteva significare perdere l’occasione per sempre.
Fece schioccare le labbra due tre volte su quella di lei, prima che la ragazza si allontanasse di pochissimo, mantenendo la propria fronte su quella del ragazzo.
“La febbre deve averti confuso” bisbigliò, ma erano entrambi ad avere le guance rossissime e lei aggiunse “Hai la fronte caldissima, andiamo...”
“Ti amo” la interruppe lui senza la minima esitazione, la baciò di nuovo e sentì Rin trattenere il respiro, giustamente sconvolta.
Obito spezzò il bacio e le chiese “Come stai Rin? Sconvolta?”
“Un po’, ma sto bene, sto benissimo, tu come stai Obito-kun?”
“Mai stato meglio” rispose lui e la baciò ancora.
                                                                       ***
Obito sorrise radioso, prima guardando Kakashi e poi Rin, strinse una mano della moglie tra le sue  e la portò alle labbra per baciare dolcemente la pelle del dorso.
“Di quanti mesi è?” chiese Kakashi sorridendo da dietro il suo inseparabile libro porno.
“Due” rispose Rin radiosa, guardando Obito negli occhi, sembrava quasi senza fiato per quanto era felice.
“Kakashi-ji, oji!” una bambina dai capelli castani e gli occhi neri raggiunse i tre adulti e si caracollò sul divano, arrampicandosi sulle gambe di Kakashi.
Obito e Rin erano sposati da dieci anni e vivevano in un attico lussuosissimo al centro di Kyoto, avevano una bellissima bambina di nome Tsukiyoko Uchiha e Rin aspettava un altro bambino, il cui sesso era ignoto, ma maschio o femmina che fosse la creatura, Obito e Rin erano comunque al settimo cielo.
Certo, Obito doveva prendere tutte le mattine alle sei un aereo privato per la regione dell’Hokkaido dove si trovava il centro di ricerca del progetto Kamui. Stava lavorando sulla fusione di atomo di elio, sulla costruzione di una nuova bomba studiandone le eventuali deformazioni sullo spazio-tempo.
“Kakashi-ji, Kakashi-ji, Sakura-neechan mi ha detto che Sasuke-niichan è stato arrestato dalla Tokko, è vero?”
La Tokko, la Polizia Superiore Speciale, si occupava di eliminare tutti quelle disarmonie che potevano turbare la società, come dissidenti politici, comunisti, socialisti, occidentali, gay e lesbiche, handicappati e tutte quelle persone indicate come anormali dagli dei: pazzi, vagabondi e gruppi religiosi che in qualche modo minacciavano l’autorità dell’Imperatore.
Obito guardò Kakashi appena interessato, Sasuke non gli era mai stato davvero simpatico, l’aveva sempre giudicato un poppante privo di intelligenza costantemente appeso alle caviglie del fratello maggiore Itachi e in fondo era solo un cugino di secondo grado. Ma Rin posò la mano sull’avambraccio di Hatake e si fece più avanti. Si era presa a cuore ogni membro della famiglia del marito.
Kakashi era un ufficiale della Tokko, quindi se c’era qualcuno che fosse informato, quello era lui.
“Si mi dispiace tanto per Sasuke, ma perfino io non posso fare niente per lui, l’ha fatta troppo grossa stavolta. Abbiamo scoperto che stava nascondendo in soffitta un ragazzo ibrido di nome Naruto Uzumaki. Uzumaki è di madre giapponese ma suo padre è occidentale, Sasuke si è messo in guai grossi proteggendolo, può essere accusato di fraternizzare con quelle bestie. Inoltre, quello che è più grave è Sasuke intratteneva con questo Naruto... avete capito, no? Non voglio scendere nei dettagli davanti a Tsukiyoko.”
Rin si portò le mani alla bocca scandalizzata.
“Sembrava un ragazzo così sano...”
“Quell’Uzumaki verrà deportato in Vietnam dove la Tokko gestisce dei recinti appositi per gli ibridi come lui, mentre Sasuke temo dovrà passare per tempo nel Centro per la Cura dei Disturbi della Condotta Sessuale a Osaka” continuò Kakashi, nascondendo un forte dispiacere dietro una maschera di freddezza.
Obito sapeva che nessuno passava “del tempo” nei centri di cura per l’omosessualità e ne usciva eterosessuale, anzi nessuno ne usciva vivo.
Se tutti sapevano e approvavano che i lager in Indonesia erano costruiti apposta per sopprimere gli occidentali in massa, per i Centri per la Cura dei Disturbi della Condotta Sessuale la faccenda era più complicata, perché in fondo si trattava sempre di giapponesi, sudditi dell’Imperatore, quindi era spiacevole pensare che lì dentro gli esseri umani venivano usati da cavie di laboratorio, uccisi o portati alla pazzia per i puro divertimento delle guardie; quindi s’era preferito credere che lì dentro i gay venissero curati e, una volta guariti, fossero liberi di uscire. Nessuno aveva osato porre domande sul perché i propri cari non tornavano più, bastava che ogni tanto apparisse in TV qualche attore a raccontare le meraviglie della guarigione dall’omosessualità.
Obito non aveva più trovato la navetta, Madara gli aveva mentito quando gli aveva detto che la navetta sarebbe rimasta a sua disposizione dopo aver cambiato il temo. Beh, pensò Uchiha stringendosi nelle spalle mentre perdeva il filo del discorso pro-lager in cui erano impegnati Rin e Kakashi, Madara gli aveva mentito e lui lo aveva tradito, erano pari.
Sicuramente non solo aveva salvato Rin, aveva ribaltato veramente le sorti del mondo. Germania e Giappone avevano sviluppato l’atomica prima della fine del ‘43 e avevano bombardato New York, Washington e Londra, vincendo la seconda guerra mondiale.
Le Potenze dell’Asse avevano espanso i loro confini a dismisura, la Germania aveva preso la Russia e l’intera Europa, eccezion fatta per la Spagna e l’Italia, quest’ultima aveva conquistato tutta l’Africa, arricchendosi a dismisura con le risorse del sottosuolo africano e rifondando ufficialmente l’Impero Romano e il Giappone aveva annesso Cina e aveva colonizzato sud est asiatico, Hawaii e Australia.
Con il mondo in mano, il patto d’acciaio si sciolse, perché i progetti nazisti di imporre la razza superiore ariana come unica razza umana sulla Terra si erano duramente scontrati con i progetti dell’Imperatore nipponico di imporre la razza superiore asiatica come unica razza sulla Terra.
Gran parte del mondo era tiranneggiato da regimi autocratici di estrema destra, che sopprimevano chiunque fosse diverso in qualsiasi cosa, razza, religione, orientamento sessuale o politico e a nessuno era permesso provare a salire la scala della vita, le classi sociali erano divise da muri invalicabili.
In Giappone, dopo che la Germania e l’Italia avevano stretto un nuovo Patto e dichiarato guerra all’impero nipponico, si era scatenata la caccia all’occidentale e di occidentali ce n’erano parecchi dall’inizio della seconda guerra mondiale.
Obito non pensava che questo mondo era molto meglio di quello che aveva lasciato nel 2454, anzi pensava che fosse esattamente lo stesso, le dittature di estrema destra e di estrema sinistra si somigliavano in maniera sorprendente, tanto che l’uomo non riusciva a coglierne le differenze. L’unica cosa che Obito riteneva di aver combinato era affrettare i tempi della fine del libero pensiero.
Si chiese se dovesse fare qualcosa per tentare di nuovo di salvare il mondo, magari azzardare una reazione nucleare in laboratorio e tentando di infilarsi in uno strappo spaziotemporale magari tornare indietro a cambiare ancora le cose, ma si rispose che no, non doveva fare nulla. Rin era viva, felice e al suo fianco e di tutto il resto a Obito non gli importava nulla.
Forse non aveva mai voluto veramente salvare il mondo.

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