Sangue di Luna

di Talulah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La bestia bianca ***
Capitolo 2: *** Sangue che scorre ***
Capitolo 3: *** Dolore e Desiderio ***



Capitolo 1
*** La bestia bianca ***


Prologo

La bestia bianca

 
 












                                                                            Tanto tempo fa, nel Regno della Luna…





<< Andiamo, sbrigatevi ragazzi! >> mormorò con enfasi il giovane Augustin.
<< Dovremmo essere a letto… >> borbottò contrariata Dulcinea.
Il piccolo gruppetto di ragazzi sospirò, stanchi per il solito discorso che si ripeteva ormai da diverse decine di minuti.
<< Ci faremo ammazzare! E se non succederà per mano dei Signori, sarà certamente sotto le pesanti mani dei nostri genitori… >> sbottò contrariata la giovane ragazza.
<< Ne abbiamo già discusso, Dulcinea.. Saremo a casa entro al massimo due ore, nessuno si accorgerà della nostra assenza… >> rispose il giovane Augustin, il più grande della piccola combriccola.
<< Anche l’ultima volta hai detto così… Ed io ho ancora i lividi! >> si lagnò la fanciulla.
Augustin sospirò, e questa volta si preoccupò il piccolo Emil, fratello di Dulcinea, di provare a zittire l’impetuosa sorella, << zitta Dulcinea! Zitta e cammina! Non sopporterò la tua vocetta per un secondo di più! Qualche livido non ha mai fatto male a nessuno, e dovresti smetterla di essere così vanitosa! >> sbottò il ragazzo.
Dulcinea, la sorella minore di Emil, s’indispettì subito. Cosa diavolo andava farneticando suo fratello? I lividi facevano male eccome!
<< Il dovere di ogni signorina, fratello caro, è di essere carina e ben educata! E non posso esserlo scorrazzando nei boschi piena di lividi! >> gli rispose lanciandogli un occhiataccia.
Emil sospirò alzando gli occhi al cielo, << sei tu che hai insistito per venire >> le ricordò corrucciato.
<< E cosa avrei dovuto fare altrimenti, Emil? Annoiarmi a casa? >> rispose arrossendo vistosamente.
In realtà quasi tutti nel gruppetto si erano accorti del particolare affetto che Dulcinea nutriva nei confronti di Augustin. La piccola ragazza era disposta anche a sporcarsi le mani più del solito per passare un po’ di tempo con il ragazzino e di questo, Emil, ne era consapevole.
Il fratello decise di rispondere con una smorfia e rimanere in silenzio mentre il gruppo procedeva capeggiato da Augustin che portava una piccola torcia ad illuminare il buio tetro della foresta.
Erano in cinque, quella sera, tutti riuniti per un importante missione: arrivare al castello dei Nobili e cercare di intrufolarsi quel tanto che bastava a capire che fine avessero fatto i loro fratelli e sorelle maggiori.
Le famiglie avevano spedito numerose lettere, ma nessuna di queste aveva avuto una risposta. Nessuno di loro era tornato in paese per salutare la famiglia, o per fare spese per i Nobili. Nessuno di loro.
I ragazzi parevano semplicemente scomparsi, ormai da mesi.
Erano partiti da semplici famiglie, con pochi mezzi e bisognose di denaro e pane per le bocche, e così all’annuale proposta dei Nobili di ospitare i giovani nel castello, tutti acconsentivano con gioia a quella promessa di denaro e un istruzione superiore per quei pochi fortunati.
Ma nessuno di quei ragazzi era mai tornato a casa, così Augustin qualche settimana prima aveva organizzato la prima spedizione verso il castello.
Non era andata bene, quella prima volta; il padre di Cornel li aveva beccati tutti e ognuno di loro ricordava bene la faccia paonazza dalla rabbia del robusto uomo dalle mani callose. Così quella notte ognuno di loro aveva ricevuto una massiccia dose di lividi, alcuni dei quali più duraturi di altri e motivo di lamento della giovane e vanitosa Dulcinea.
Da quella volta avevano cercato di memorizzare alla perfezione gli orari dei loro genitori, e dei Nobili che, con grande costernazione dei piccoli ragazzi, parevano allontanarsi di rado dal castello e ancor più raramente in gruppo, lasciando l’imponente castello nelle mani di possibili – quanto invisibili – servi.
Avevano assistito poche volte alla comparsa dei Nobili, quasi sempre incappucciati ed avvolti in mantelle scure e pesanti. Parevano grandi ombre nella notte, alcune alte e snelle, altre enormi e tenebrose, ma tutte incredibilmente aggraziate.
Ancora adesso, Dulcinea rammentava con una punta d’invidia e timore il momento in cui per la prima volta aveva visto un lembo di pelle scoperto, proprio sotto un argenteo raggio di luna. Dulcinea non avrebbe mai potuto dimenticare la pelle lattea e splendente, il polso sottile ed elegante, le dita lunghe e affusolate, quella mano dall’aspetto così elegante, raffinato e morbido, così splendente.
Ricordava con incredibile precisione il momento in cui, la giovane donna si era voltata lentamente verso di lei, come se sapesse nonostante il buio pesto, che lei era esattamente lì, a guardarla. Aveva guardato proprio nella sua direzione la giovane, con un viso impassibile, e poi, lentamente, aveva fatto sì che il raggio di luna le illuminasse il bellissimo viso.
Ripensandoci, Dulcinea fu attraversata da un intenso e freddo brivido lungo la schiena. Ricordava quel viso perfetto, angelico, etereo, mai aveva visto fanciulla più bella. I lunghi capelli neri come la notte le sfioravano la vita, il petto formoso, ed il viso splendido, dalle labbra piene e rosse, e grandi occhi… Rossi. Dulcinea non sapeva come spiegarselo, ricordava tutto alla perfezione e poi, quell’importante difetto nel suo ricordo… Nessuno aveva gli occhi rossi, ma quel fugace sguardo cremisi era bastato a Dulcinea, per far crescere in lei timori, e lunghi incubi durante la notte.
Non aveva parlato con nessuno di quella Nobile. Non ci sarebbe stato poi molto da dire in fondo, e lei era abbastanza vanitosa da non voler ammettere ad alta voce l’esistenza di una donna così perfetta.
Non sapeva in realtà cosa gli altri avessero visto nelle varie spedizioni, sapeva solo che qualcuno di loro aveva visto quelle enormi presenze incappucciate, che spesso si dirigevano semplicemente verso la grande ed elegante carrozza d’oro e nera.
Adesso ognuno di loro provava un brivido nel sentire lo scalpitio di quei potenti cavalli scuri.
La giovane Eliza ormai accortasi dell’imponente castello scuro e tenebroso che incombeva sempre più spaventosamente su di loro, prese nervosamente la mano di Dulcinea.
<< Non so proprio come mia sorella abbia trovato il coraggio di abitare in quel posto… >> mormorò con voce sottile e tremante la dolce Eliza.
Dulcinea si limitò a sospirare osservando l’enorme castello che incombeva sul bosco e su di loro e che si stagliava alto e scuro contro il cielo notturno e la luna, grande, bianca e luminosa.
Il gruppo aumentò il passo per seguire la torcia infuocata di Augustin.
Ormai erano vicini all’imponente cancellata che precedeva il bosco ed i giardini privati del castello. Cornel aveva rivelato a Dulcinea di aver visto spaziosi e bellissimi laghetti, piscine decorate nel più splendido dei modi e perfino una cascata! Dulcinea ovviamente, non aveva creduto al suo amico, ritenendo le sue parole esagerate e autentiche fantasticherie da ragazzino. Cornel offeso, non le aveva raccontato più nulla, facendo ridere Augustin per quella quotidiana situazione.
<< Dove è finito Emil? >> borbottò Cornel guardandosi intorno.
<< Cercate di tenere bassa la voce, vi prego.. >> mormorò impaurita e tremante Eliza.
<< Mio fratello! Dove è finito mio fratello? >> domandò a nessuno in particolare Dulcinea, improvvisamente affannata.
Con lo stomaco stretto in una morsa d’ansia s’augurò che nessun mostro dagli occhi rossi lo avesse rapito.
<< Cerchiamolo, sarà corso in direzione della cancellata forse… >> ordinò Augustin corrucciato.
Dulcinea annuì e prese a correre veloce verso il grande cancello, che si faceva sempre più grande.
Improvvisamente l’ansia allo stomaco l’attanagliò spingendola a bloccarsi e a respirare affannosamente.
Doveva calmarsi, nessuno doveva avvertire la sua presenza o avrebbe avuto solo guai. Si chinò a guardare la sottana fradicia e sporca di terra e quando alzò lo sguardo il respirò le si mozzò in gola, terrorizzata ed affascinata allo stesso tempo. Poco lontano da lei, sotto la Lunaa bianca e luminosa, vi era una figura alta, snella, aggraziata ed incappucciata che, con una splendida mano femminile carezzava il volto incantato di suo fratello Emil. Ad occhi sbarrati Dulcinea si nascose tremante dietro alcuni cespugli cercando di avvicinarsi senza far notare la sua presenza.
Guardava sbalordita la Nobile che, diversamente dagli altri Signori era vestita del colore della Luna. Dulcinea si fermò abbastanza vicino da riuscire a capire qualcosa.
<< Non sei qui da solo, vero piccolo uomo? >> chiese la bianca figura incappucciata. Dulcinea rabbrividì al suono di quella voce incredibilmente piacevole e melodiosa.
<< Avanti, rispondimi bambino >> disse la figura con voce dolce, facendo brillare nuovamente la splendida mano candida sotto i raggi della Luna, carezzando il volto di Emil.
<< No, mia Signora… >> mormorò con le orecchie rosse il giovane Emil.
La Nobile fece una risatina dolce, << ma certo, lo immaginavo, come potrebbe un bambino bello e intelligente come te, vagare nel bosco tutto solo? >> mormorò ridacchiando con una nota affettuosa nella voce.
Le orecchie di Emil parvero diventare ancora più rosse. La donna vestita di bianco si inginocchiò e avvicinò il viso a quello del giovane fratello, mormorando qualcosa che Dulcinea non riuscì a capire.
Emil voltò di scatto il viso verso di lei, improvvisamente terreo e con gli occhi sbarrati. Gli occhi della Nobile talmente chiari da sembrare bianchi la fissavano freddi. La donna si rimise in piedi con grazia, abbassando poi il candido cappuccio e lasciando che la luce della Luna le illuminasse il volto, un volto meraviglioso dalle labbra carnose di un rosa pallido, gli occhi enormi di quella tonalità che Dulcinea non aveva mai visto, il naso piccolo e aggraziato. Lunghi capelli bianchi come la Luna le ricadevano fino ai fianchi ed oltre. La Nobile la fissò dritto negli occhi, con sguardo altero.
Dulcinea divorata dal panico, si inginocchiò immediatamente in un inchino tremante.
La risata cristallina della splendida donna eterea ruppe la tranquillità della notte e diversi animali notturni lasciarono le loro tane sugli alberi al suono di quella risata squillante.
<< Alza il tuo viso, bella bimba >> le mormorò improvvisamente la donna, i suoi piedi nudi e lattei vicinissimi al viso di Dulcinea che istantaneamente avvampò per l’impudenza di quella donna, e per il terrore. Non l’aveva neanche vista o sentita avvicinarsi.
Obbedì tremante all’ordine della donna, incontrando nuovamente quel viso dall’abbagliante bellezza.
La splendida bocca le si contorse in una smorfia mortificata, << no amor mio, perché piangi? Non avete fatto nulla di male, in fondo… >> mormorò dolcemente con una carezza della gelida mano.
Un singhiozzo sfuggì dalle labbra di Dulcinea e la Nobile inarcò di scatto un sopracciglio facendo schioccare la lingua sul palato.
<< Non dovete avere timore, bambini miei >> disse la donna prendendo Dulcinea per il viso e imponendole così di alzarsi, << ditemi i vostri nomi >> mormorò guardando la Luna e riavvicinandosi al fratello Emil.
<< Mi chiamo Dulcinea mia Signora, e quello è mio fratello Emil… >> mormorò ad occhi bassi la fanciulla.
<< Fratelli >> mormorò deliziata, << il mio nome è Elysse >> disse inarcando le labbra carnose in un meraviglioso sorriso candido.
<< Come siete belli, amori miei… Ma non siete soli, nevvero? >> disse guardando negli occhi i bambini.
<< No mia Signora >> mormorò Emil.
Elysse ridacchiò soddisfatta, << bene bambini, molto bene. In realtà m’avete fatto un piacere venendo qui, sapete? Mi sento così sola questa sera, la Luna è meravigliosa ma non ho nessuno con cui ammirarla, nel caldo del mio castello… >> mormorò afflitta la bellissima donna, con labbra tremanti.
I bambini la guardavano incantati, senza aprire bocca.
<< Ma perché siete qui, voi, fanciulli? >> sospirò triste la donna.
<< Eravamo preoccupati per i nostri fratelli e le nostre sorelle, mia Signora >> mormorò Dulcinea, sputando le parole prima di riuscire a fermarsi e subito sbiancò per quella verità uscitale chissà in quale modo dalla piccola bocca.
Elysse la guardò negli occhi con un sorriso triste, << e vorreste vederli? Potreste, sapete? Così passeremmo del tempo insieme, al caldo, mangiando qualcosa, sì? Mi sembrate così spaventati e infreddoliti… >> borbottò contrariata ma continuando a sorridere dolcemente.
Improvvisamente l’idea di seguire nel caldo castello quella splendida e giovane donna fece illuminare il volto di Dulcinea. Forse sarebbero potute diventare amiche, le avrebbe svelato il segreto della sua bellezza, le avrebbe fatto doni speciali, avrebbe potuto conoscere i Signori Nobili, e rivedere la sua amata sorella! Guardando Emil in viso, anche lui pareva felice dell’idea e la donna annuì decisa.
<< Bene tesori miei, andate dai vostri amici bambini, prendeteli per mano, invitateli come io ho invitato voi >> mormorò carezzando i visi dei bambini e puntando lo sguardo dietro di loro, leccandosi le labbra.
Augustin, Eliza e Cornel emersero dal fitto bosco, incantati come lo erano Emil e Dulcinea. Un sorriso invitante di quella bella bocca carnosa della Nobile li convinse ad avvicinarsi.
<< Bambini miei, sarà una notte che non dimenticherete mai fino al giorno della vostra morte, ve lo prometto >> mormorò dolcemente.
Il cancello dietro di lei s’aprì e la donna nuovamente incappucciata varcò la soglia del grande giardino, seguita dai bambini che ormai, si fidavano ciecamente di quella splendida donna dall’aspetto angelico.
Il grosso cancello scuro si richiuse con fragore nella notte, dietro di loro. La donna procedeva passando attraverso incantevoli giardini che parevano d’argento sotto quella Luna splendente, fiancheggiati da laghetti cristallini, piscine decorate ad arte e grandi e piccole fontane.
I giovani bambini erano stupefatti da cotanta bellezza, ma una statua in particolare da cui intorno zampillava acqua fresca e lucente, aveva attratto l’attenzione di Augustin e Dulcinea che, inconsapevolmente, si tenevano le piccole mani stringendosele di tanto in tanto.
Dulcinea con il cuore colmo di gioia e amore osservava la statua che rappresentava due angeli, un uomo ed una donna, nudi, che s’abbracciavano con in viso espressioni estatiche. Dulcinea si vergognò di ammirare tale bellezza, ma non poteva farne a meno… Tutto lì era così bello. Sorrise ad Augustin che ricambiò senza esitare stringendole la mano.
Dopo quelli che potevano essere secondi, oppure ore passati nell’incanto più assoluto, camminando, arrivarono all’imponente portone in marmo bianco, uno dei rari punti lucenti del castello. Le porte di spalancarono rivelando un grande salone d’entrata con al centro una grande fontana, alta, con edere che s’attorcigliavano sul marmo. Grandi tappeti ricchi stesi sul pavimento in pietra e marmo facevano da accoglienza, insieme a pochi, anonimi servi.
Elysse oltrepassò di qualche passo l’entrata, fermandosi a guardare la fontana che zampillava acqua fresca, mentre silenziosi i servi si inchinavano e mantenevano la testa bassa.
Elysse sospirò, prima di lanciare un’occhiata indifferente ai bambini, mentre un sorriso malsano le incurvava le splendide labbra, su cui si passò un dito, pensosamente, mentre la sensazione di calma e l’incanto che avevano provato i bambini poco prima, svaniva lentamente.
Elysse fece qualche passo verso i servi, << Padrone Raven è rientrato? >> domandò sospirando.
<< No mia Signora >> rispose un vecchio servo.
Una smorfia furente le deformò il volto perfetto mentre gli splendidi occhi fiammeggiavano d’ira. La Nobile emise un basso sibilo.
<< Prendete i bambini, sgozzateli e dissanguateli, mi servirà sangue stanotte >> sibilò Elysse furente.
Dulcinea che terrorizzata aveva sentito le parole di quella che era diventata una splendida bestia bianca, mosse velocemente alcuni passi incerti verso l’enorme portone, lacrimando.
<< Tranne lei! >> ringhiò Elysse afferrandola violentemente per i capelli e sollevandola da terra, scoprendo i lunghi e lucidi canini affilati, << con te mi divertirò, bella bambina >> mormorò sfregando i denti appuntiti sulla tenera guancia paffuta di Dulcinea, che subito si squarciò cominciando a sanguinare, mentre la Nobile ridacchiava soddisfatta, leccandole la guancia.
Le grandi porte del castello si chiusero mentre le grida e i lamenti dei giovani bambini, intrappolati fino alla morte, riempivano il silenzio della cupa notte.




















Ed ecco qui, una nuova storia originale :) è la prima volta che mi cimento seriamente in storie che parlano di vampiri, ma spero sempre per il meglio. Ringrazio chi deciderà di seguire la storia, o chi ha avuto il coraggio di arrivare fin qui. Grazie. :)

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Capitolo 2
*** Sangue che scorre ***


Capitolo I

Sangue che scorre

 

















Il vassoio della serva tremava violentemente. Doveva calmarsi, altrimenti i padroni avrebbero avuto una scusa per punirla. I suoi bei padroni disumani. Innumerevoli serve venivano mandate ogni inizio stagione nel castello dei Signori. Nessuna faceva ritorno.
Arabela era stata mandata al castello ventotto giorni prima. Molte delle sue compagne avevano cominciato a sparire già dalla seconda settimana di permanenza lì. Nessuna di loro sapeva che fine facevano, o che fine avrebbero fatto loro. Era una lotta per la sopravvivenza.
Come s’era sbagliata! La sua famiglia ormai in rovina, appena saputo di un così ben pagato lavoro al castello aveva pianto di gioia.
Ora le lacrime fluivano per ragioni ben lontane, dalla gioia.
Aveva visto raramente i Padroni uscire dal castello, le erano sembrati subito così splendidi ed eterei… Forse troppo, per essere umani.
Vivendo lì, ogni singolo minuto a contatto con loro, aveva cominciato a comprendere cose che mai avrebbe voluto conoscere.
Un’altra serva ormai sua amica, Silviana, le fece un tremule sorriso d’incoraggiamento. Respirando profondamente Arabela ricambiò e, con i delicati calici di cristallo che tintinnavano sul vassoio, s’inoltrò nei corridoi, velocemente. Non voleva attirare su di se ire indesiderate e fatali. Anche se i Padroni, quasi tutti, erano sempre stati così gentili con lei…
Arrivò in uno dei giganteschi saloni. L’immensa vetrata decorata con colori cupi, sgargianti, dava dei riflessi sinistri all’ambiente. Si affrettò a raggiungere l’immensa balconata rotonda, sopra la quale torreggiava la luna, giallognola.
<< Miei Signori, mia Signora >> s’inchinò tremando pietosamente, rimanendo piegata, con gli occhi appannati dalle lacrime che fissavano il pavimento di marmo nero.
<< Alzati >> un ordine dato da una voce melodiosa, divertita. << Non trovi molto più appagante guardare me, invece del pavimento? >> la voce si era fatta di colpo vicinissima. Su Arabela incombeva un imponente ombra.
La serva cominciò a tremare violentemente, ma cercò di calmarsi. Aveva imparato in quei difficili giorni che, molti dei suoi Padroni erano vanitosi fino allo stremo e che, sottomettendosi e assecondando ogni loro desiderio, avrebbe potuto ottenere più tempo.
Si alzò, continuando a tenere lo sguardo basso, << si mio Signore >> rispose semplicemente.
<< E allora perché non mi guardi? >> chiese sottovoce, stizzito, il Padrone.
Arabela alzò lo sguardo, << mi perdoni, mio Signore >> disse con voce tremante come le sue mani.
Mai avrebbe potuto abituarsi alla sublime bellezza di quegli esseri. Padrone Raven, tanto alto e imponente da incutere timore, con occhi color ghiaccio, così chiari da fare spavento, e capelli perennemente lisci e spettinati di un colore che Arabela non aveva mai avuto il piacere di guardare nella sua giovane vita: un castano scuro, dai forti riflessi color melanzana. In presenza dei Padroni, le serve, compresa Arabela, erano agnellini spauriti, tremanti non solo per il terrore ma per una morbosa ossessione ed eccitazione rivolta a così tanta bellezza. La sua mente ormai era soggiogata da quei lineamenti, persa in quella perfezione. Quale estasi avrebbero potuto donare quelle labbra soffici e carnose?
Un sorriso malizioso, << era poi così difficile, mia bella serva? >> disse il Padrone, inclinando il capo facendo luccicare l’orecchino a goccia nera che portava al lobo sinistro.
<< No, mio Padrone >> rispose Arabela, sconvolta da quella visione.
Guardò dietro il suo Signore cercando con timidezza gli altri due Padroni che, disinteressati, si accarezzavano persi nei loro pensieri, nel loro momento. Padrone Aramis e Padrona Sybilla. Erano magnifici insieme. La giovane era appoggiata lascivamente contro il petto di quello che doveva essere il suo compagno, e con l’indice incredibilmente fine e sottile, dalla lunga unghia curata, solleticava l’uomo dall’orecchio alla clavicola, in un lento su e giù.
La donna era fasciata in un magnifico vestito verde che le aderiva come un guanto, dalla pronunciata scollatura, e un vistoso spacco sulla gonna, che lasciava intravedere una lunga coscia, tornita, carnosa e lattea. Lunghi e setosi boccoli di un rosso fiammeggiante le carezzavano le cosce e solleticavano il petto dell’uomo che la guardava apparentemente impassibile, mentre con il pollice percorreva distrattamente la candida coscia della splendida amante.
Padrone Aramis, spostò svogliatamente lo sguardo su Raven e, Arabela, ebbe l’occasione di guardarlo in volto.
Magnifico. Capelli neri come la notte dai riflessi bluastri, ciocche scomposte gli solleticavano la nuca e aveva occhi incredibilmente azzurri. Occhi spettrali, splendenti, su una pelle d’alabastro. Arabela trattenne il fiato.
<< Cosa stai guardando? Posa quel vassoio e sparisci >> le intimò con dolcezza nella voce e furia negli occhi la Padrona, tornando subito dopo ad ammirare con i suoi splendenti occhi verde acqua il suo amato.
Sybilla spostò amorevolmente le ciocche scomposte dalla fronte del suo compagno, cinguettando << non avreste dovuto portarla qui, Raven, è proibito >> continuò toccando con i polpastrelli il corpo immobile di Aramis che continuava a guardare lei, lei soltanto.
Avvinghiati l’uno all’altra, sotto i raggi argentei di quella strana luna, parevano due statue, entrambe candide ed eteree.
<< Ma la frenesia comincia a logorarmi, è insopportabile >> si lagnò Padrone Raven.
<< Perché non richiedi i servigi di Elysse? >> domandò con sguardo vacuo Aramis.
Il Nobile Raven si imbronciò appena, per poi assumere un espressione corrucciata, evidentemente intenzionato a non rispondere.
<< Portala altrove Raven >> mormorò con voce gelida, profonda e melodiosa Padrone Aramis, << qui non è ancora il luogo adatto  >> sospirò distratto, con aria stanca.
<< Giusto, andatevene Raven, e portate la sguattera con voi! >> strillò contenta la splendida giovane, staccando finalmente lo sguardo dal suo amato per puntarlo dritto su Arabela che, inerme, sprofondò in quegli occhi enormi. Sybilla rivolse una fugace strizzatina d’occhio al Nobile Raven.
<< D’accordo, Signori miei >> sospirò annoiato Raven che, facendo un cenno col capo, s’apprestò a rientrare nell’enorme salone, giocherellando con il suo orecchino ma non prima di essersi riempito il bicchiere di cristallo, di quello che, suppose Arabela, doveva essere vino.
Usciti dal sontuoso salone, Arabela a passo svelto s’apprestava a seguire Padrone Raven lungo gli immensi corridoi del castello mantenendo qualche metro di distanza da quell’imponente corpo, come imponevano le regole. La serva guardava il Padrone con occhi incantati e lussuriosi, percorrendo quelle larghe spalle con occhi rapiti. Quando furono in prossimità della camera del suo Signore, la giovane s’apprestò ad aprire la pesante porta e a fare passare il suo Padrone. Arabela si fermò incerta sulla porta, il cuore che batteva a mille per il terrore. Era sola, sarebbe potuto accaderle qualsiasi cosa. Il cuore prese a pompare sangue furiosamente e a sbattere con violenza contro la cassa toracica. Era assordante.
Raven fece una risatina, poi improvvisamente serio le si rivolse brusco, << cosa stai aspettando? Credi forse che i miei vestiti si tolgano da soli? >> ringhiò.
Arabela sobbalzò e, tremante con le budella che le si attorcigliavano sempre più per l’ansia, cercò di concentrarsi sul suo lavoro ben sapendo che, mai il Padrone le aveva chiesto simili servigi.
Tolse delicatamente il bicchiere dalla mano del suo padrone che la osservava malizioso. La serva era ormai oppressa dalla sensazione di pericolo che non le dava pace. Prima di iniziare a spogliarlo, intinse le dita – l’unica parte del corpo che aveva il permesso di sfiorarlo – in oli essenziali dal profumo inebriante.
Cominciò a sbottonare la camicia del suo Signore, scoprendo lentamente il petto marmoreo, gelido e scolpito, senza la minima imperfezione. La serva ormai cominciava ad avere la testa dolorante, era confusa. Adesso il cuore le batteva forte, come un tamburo, ma non per la paura: per il desiderio, la frenesia, l’incanto.
Con occhi torbidi alzò timidamente lo sguardò. Gli occhi del suo Signore erano incredibilmente scuri, non v’era traccia di chiaro in quei begli occhi. Arabela arretrò spaventata. Desiderava qualcosa che non conosceva, ma la parte razionale di lei le gridava di scappare.
<< Come batte forte, questo tuo cuoricino >> sussurrò con una risatina, ed una voce diversa, profonda.. Ultraterrena, << così debolucce, siete voi umane >> schioccò la lingua sul palato, << non mi date neanche il tempo di divertirmi, che cominciate ad avvizzire >> sospirò fintamente dispiaciuto.
Arabela tremava violentemente contro la parete di pietra fredda e scura, lacrime cominciarono a sgorgare, infinite mentre il terrore l’attanagliava.
<< Oh, no, non piangere amor mio >> disse Raven, gli angoli della splendida bocca piegati verso il basso in un sorriso dispiaciuto, mentre i suoi occhi assumevano uno scintillante e torbido colore cremisi, con pupille sottili come spilli, << ti prometto che non soffrirai >> disse con un sorriso convincente.
Ridacchiò.
Cosa era quella bestia? Quegli occhi? Una creatura del diavolo, solo loro avrebbero potuto avere occhi così spaventosi.
Arabela chiuse gli occhi tremando. Non voleva, non era possibile, non ora, non poteva morire, non voleva, i suoi genitori, l’amore che mai avrebbe conosciuto… I suoi pensieri furono scacciati via dal rumore inquietante di uno schiocco violento, come di ossa rotte, che la lasciò in balia del suo terrore, senza speranza di fuggire, neppure nei suoi pensieri. Con le lacrime che sgorgavano, aprì gli occhi, pronta ad implorare pietà. Ciò che vide le fece fermare il cuore.
Il suo Padrone aveva la pelle pallida, livida, quasi grigiastra, vividi occhi cremisi la fissavano e dalla sua bocca uscì un ringhiò spaventoso. Grosse e lunghe zanne acuminate fecero capolino da quella bella bocca, senza alcuna pietà. Con un verso gutturale, spaventoso, una mano dagli artigli acuminati le artigliò la gola. La serva cominciò a strillare e a scalciare nel vuoto, nella vana speranza di poter rimandare l’inevitabile. Il padrone ridacchiò mentre con uno scatto secco affondava gli artigli nella gola di lei. Arabela sbarrò gli occhi, dapprima spaventati e stupiti, poi sempre più vuoti, mentre annaspava tossendo grumi di sangue. Denso liquido cremisi colava per il braccio di Raven. Con un ringhiò avvicinò il corpo della serva alla sua bocca, alla sue spaventose zanne lunghe e acuminate, che in pochi attimi spezzarono il collo di Arabela, mentre con frenesia e ingordigia affondava il viso nel collo squarciato e ormai penzolante del cadavere della serva.
Nel cupo silenzio della stanza, risuonavano i potenti ringhi, i versi raccapriccianti della carne che si lacerava.
Pochi minuti ed il capo del bel Padrone si staccò dal corpo martoriato della serva, con una smorfia.
<< Accidenti, credevo di avere più fame, tesoro >> disse, inginocchio in quella pozza di sangue, carezzando tranquillamente il capo ormai quasi staccato dal resto del corpo di quella che un tempo era Arabela.
Lo splendido corpo, ricoperto di sangue denso e fresco, il viso imbrattato, come le mani, i capelli erano ancora incredibilmente perfettamente spettinati. Raven si leccò lentamente il braccio, poi, ridacchiando, << visto? Te l’avevo detto che non t’avrei fatta soffrire! >> .


















Ed ecco qui il primo capitolo :) avrete già notato la natura sanguinolenta di questi bei vampiri... I sentimenti sono molto contrastanti e complicati, proprio per questa loro natura così... Variabile, ma spero davvero di riuscire a dare il meglio e rendere l'idea di come io vivo la storia nella mia testa e nel mio cuore! Ringrazio chi legge, chi recensisce... E' sempre bello sapere che la propria opera serve a fare fantasticare qualcuno e perchè no, anche a far provare sentimenti nuovi e forti! Un enorme grazie a tutti! Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 3
*** Dolore e Desiderio ***


Capitolo II

Dolore e Desiderio

 


















L’odore di sangue fresco le arrivò violentemente alle narici, intense ondate di puro piacere e libidine dei sensi. Inspirò profondamente, sentendo le gengive gonfiarsi lievemente e premere per liberare le zanne.
Elysse aveva sentito anche il suo odore.
Raven, il suo amato, l’aveva nuovamente respinta per nutrirsi di una stupida serva, una inutile umana che mai avrebbe potuto reggere il confronto con la sua abbagliante bellezza. Non l’aveva lasciata viva, altrimenti avrebbe dovuto occuparsi Elysse di trucidarla violentemente ed immediatamente. La gelosia, il dolore e la disperazione la logoravano ormai da mesi. Lei l’amava, con tutto il suo splendido corpo bianco, con tutta la sua anima nera, lei l’amava, ma lui aveva cominciato a respingerla, ad allontanarla, a servirsi sempre meno di lei, dei suoi servigi, del suo corpo, del suo sangue.
Raven adesso preferiva dissanguare gli umani, o avere violenti rapporti sessuali con loro che sfociavano sempre in una dolorosa morte.
Il cuore ormai straziato chiedeva risposte, chiedeva amore che lui non era più intenzionato a darle.
La loro natura di creature della notte, era bizzarra, variabile, proprio come il tempo anche i loro interessi.
Ma Raven era il Suo Signore, lei non avrebbe mai potuto legarsi a nessun altro, sarebbe stato estremamente difficile… Ma per Raven era ben diverso; i vampiri maschi potevano avere più compagne, era consentito e anche molto comune. Elysse non avrebbe mai potuto bere o far bere il proprio sangue a nessun altro vampiro, visto che gli esemplari maschi erano terribilmente territoriali con le proprie femmine.
E lei rimaneva ferma, in quella vita che non era più vita, privata dell’unica luce che adorava, dell’unica oscurità che bramava… Raven era il suo meeladh e niente avrebbe potuto cambiare tutto ciò.
Con il cuore in fiamme e l’odore di sangue sempre più intenso Elysse mise una mano sulla sua gola, proprio dove si sentiva… Soffocare. Lasciò il lago argenteo e freddo e con una dilagante sensazione di stanchezza e disperazione decise di avviarsi verso l’entrata del castello.
Le vesti bianche e trasparenti le fluttuavano sulle lunghe gambe voluttuose e candide.
Mentre una sensazione di vergogna e umiliazione le si allargava nelle viscere sentiva i canini premere per uscire, pensando che anche questa notte aveva rifiutato lei e accolto un’umana nelle sue camere private. Un feroce ringhio le risalì alle labbra, rimbombando sulle pareti di pietra scura illuminate da torce dalle fiamme rosse come il sangue. Avvertì l’odore di una sua Nobile sorella e subito con occhi fiammeggianti, fece irruzione in uno dei grandi saloni.
L’enorme balconata su cui si riversavano i raggi argentei della Luna, l’accolse insieme alle grandi vetrate. Individuò subito in piedi di fronte a lei, fasciata in un luccicante ed aderentissimo vestito rosso scuro, Amalthea.
Lunghi boccoli neri come la notte le ricadevano sulla schiena mentre giocherellava con le dita con il lungo stelo di cristallo del bicchiere mezzo vuoto che portava in una pallida mano.
<< Non avere quell’espressione addolorata, tesoro mio, lei è morta >> sospirò Amalthea girandosi per guardare negli occhi la bianca Elysse.
<< Questo lo so già! >> strillò ferita e umiliata, tutti sapevano di ciò che stava patendo e il suo orgoglio strepitava sanguinante, << ma lui è mio! >> ringhiò rabbiosa, facendo fremere le narici e portandosi una mano alla gola.
Le pareva di stare soffocando. Davvero.
<< Forse lui non la pensa più come te… Adesso dovremmo andare tutti a riposarci… >> mormorò guardando il bel tappeto sotto i suoi piedi e lanciando ad Elysse uno sguardo distratto, << ho bisogno di nutrirmi, e anche tu tesoro mio… >> disse inarcando un sopracciglio.
<< E da chi? Lui non mi vuole! Mi nutro di sgradevoli bambini ormai da mesi >> soffiò Elysse improvvisamente esausta, << mi sento così debole e affaticata… >> mormorò portandosi una mano bianca al petto.
Amalthea le si avvicinò donandole un fugace bacio sulle belle labbra e sorridendole dolcemente.
Elysse la guardò, << credo che andrò nelle mie camere ora, a riposare… Spero riposerai bene mia cara… >> mormorò la Nobile bianca dandole le spalle e cominciando ad avviarsi verso le sue camere.
<< Oh, lo farò di certo. Il mio tesoro quest’oggi rimarrà al castello >> sospirò ridacchiando Amalthea, pensando al suo compagno.
Il cuore di Elysse riprese a bruciare mentre a testa alta e passo deciso si apprestava a raggiungere le sue camere. Non v’era nessuno ad accompagnarla: per il momento aveva sbranato le sue serve in preda ad un attacco di rabbia e aveva ceduto la sua ultima sguattera al suo meeladh. La rabbia le divorava le viscere, mentre la sensazione di intorpidimento delle membra aumentava man mano che si avvicinava alle camere del suo Raven. Si sentiva debole ormai anche solo a percepire l’odore del Suo Signore, il profumo della sua pelle e del suo sangue, da cui era ormai divenuta dipendente. Le bastava sentire il suo aroma per avere le gengive doloranti per la voglia di liberare le zanne e di bere il suo sangue, mentre lui la possedeva.
Il cuore le si strinse in una morsa dolorosa, al ricordo di quei momenti sublimi e di quel sapore così meraviglioso. Inspirò socchiudendo gli occhi.
Raven era la sua tortura, la sua ossessione.
Superando le porte del suo seeladh sentì un innaturale silenzio, mentre il cuore le si spezzava ancora una volta. Proseguì senza mai rallentare o guardarsi indietro mentre l’angoscia le divorava le viscere. Solo un amore eterno e passionale come quello di Elysse poteva scatenare così tante emozioni sconvolgenti negli immortali.
<< Sheelan >> mormorò una voce roca e profonda.
Elysse si fermò, i piedi rigidi ed incollati al pavimento. Sentire la sua voce le causava intensi tremori e turbamenti. Aveva un disperato bisogno di lui, del suo sangue. Guardarlo in viso era diventato estenuante e difficoltoso. Sentì la sua imponente presenza raggiungerla, insieme all’odore del sangue fresco che la colpì come uno schiaffo. Sentì il suo petto freddo, marmoreo, nudo e viscido di sangue premere contro la sua schiena, mentre il suo bel capo dai capelli quasi violetti si chinava per baciarle la gola, graffiandola lievemente con i canini appuntiti, e facendo le fusa come un gatto in un seducente ronron.
Era la più soffice delle carezze ed il più violento schiaffo, toccarla mentre portava addosso l’odore ed il sangue di altre donne.
Ma Elysse non poteva resistere alla sua vicinanza.
<< Rohlell… >> mormorò girandosi nel suo abbraccio per incontrare i suoi occhi di ghiaccio, brillanti come solo i suoi sapevano essere.
Raven le rivolse un sorriso pigro e seducente, malizioso come quello di un gatto.
<< Mi sei mancata amor mio >> sospirò triste, << dove sei stata? >> le domandò carezzandole i fianchi ed il volto, guardandole l’invitante scollatura.
<< Passeggiavo nel nostro giardino, Raven… >> mormorò Elysse guardandolo negli occhi, sospirando per quanto era bello ed imponente il suo amore.
E per il rancore che la divorava ed il dolore che sentiva.
Lo sguardo di Raven si fece più attento, mentre assottigliava le labbra carezzandole con un polpastrello la bocca soffice e carnosa.
Non apprezzava che la sua femmina lo chiamasse per nome, non provava piacere quando accadeva.
Raven inarcò un sopracciglio, << sola, ovviamente >> mormorò guardandola dritta negli occhi, cercando una conferma di ciò che per lui era legge.
Gli occhi del vampiro cominciavano a farsi più scuri. Era arrabbiato? E perché mai avrebbe dovuto esserlo? Elysse se lo chiese provando una sorta di timore. In fondo, a lui cosa importava di lei se non gli era più di alcuna importanza.
<< Sola, Mio Signore >> sospirò Elysse fissando le sue labbra, la gola stretta in una morsa.
Sentiva il suo odore, le zanne premevano per uscire, il suo grosso collo bianco, candido e perfetto era una tentazione atroce a cui resistere. Elysse sentì gli occhi cominciare ad assumere il colore di ciò di cui aveva tanto bisogno, sangue, sangue di Raven. Sentì le mani cominciare a formicolare per la voglia di toccarlo. La debolezza la colpì facendola vergognosamente barcollare.
Per l’umiliazione non riuscì a guardarlo negli occhi, ma vide le sue labbra piegarsi in un sorriso trionfante e malizioso. Due dita fredde e decise le presero il mento, sollevandolo.
<< Guardami negli occhi quando ti parlo, amor mio >> ordinò dolcemente.
<< Si mio Raven >> mormorò Elysse.
Le narici del vampiro fremettero per l’irritazione ed Elysse barcollò nuovamente. Il desiderio era troppo violento.
Raven fece una risatina, << da quanto è che non ti nutri, tesoro mio? Avrei condiviso la mia preda con te se lo avessi saputo, ma ormai non è rimasto poi molto di lei… A meno che non hai intenzione di leccare ciò che è rimasto del corpo dal pavimento… >> sospirò divertito.
Fu come ricevere un altro schiaffo, ed Elysse lo sentì bene, barcollando nuovamente, per il desiderio ed il dolore. La fame l’attanagliava sempre di più.
Il vampiro smise di ridacchiare, improvvisamente in viso aveva un espressione addolorata e preoccupata, come se il solo pensarla sofferente gli procurasse un dolore indicibile, << Sheelan non ti senti bene? Quando è stata l’ultima volta che ti sei nutrita? >> sbottò alzandole nuovamente il viso con una presa ferrea sul mento.
Elysse espirò esausta socchiudendo gli occhi, << giorni fa, Mio Signore… >> soffiò debolmente.
Le iridi del vampiro si fecero immediatamente di un rosso cupo ed intenso, << da chi, amore mio? >> sibilò stringendo la presa sul candido mento.
<< Bambini, Raven, erano dei bambini… >> rispose stanca.
Le doleva il ventre, terribilmente.
Il vampiro si rilassò impercettibilmente prendendole il viso fra le grandi mani, avvicinando Elysse contro il suo corpo e strusciandosi su di lei. Un gemito sfuggì dalle labbra della vampira.
<< Vieni nelle mie stanze stanotte anima mia, sento la tua mancanza >> ordinò sfiorandole le labbra in una delicata carezza, mentre le mani le artigliavano i fianchi ed il bacio si trasformava in un assalto alla tenera corolla.
Le grandi mano del vampiro salirono ad accarezzare il viso della bianca vampira, e ad aprire di più la sua bocca, mentre il caratteristico ronron del vampiro riprendeva.
Con le gengive doloranti per la voglia ed il corpo indurito dal desiderio, Raven la stuzzicò con la lingua, esplorandola fino in fondo e mordicchiando la bella bocca pallida.
Elysse sentì il corpo incendiarsi e subito l’aria si saturò dell’odore dell’eccitazione della vampira, mischiato a quel tipico aroma dei vampiri desiderosi della propria femmina. Raven lo sentì e sorrise dolcemente, sentendo le unghie della sua thameel artigliarli la schiena nuda e possente.
<< Dormirai con me questa notta, lilah >> mormorò baciandole la bocca con le grandi e soffici labbra, prima di allontanarsi, incredibilmente silenzioso.
Elysse ammirava le sue movenze feline, da predatore, in forte contrasto con quel corpo così grosso e massiccio. Lasciò andare l’aria in un sibilo mentre con le gambe tremanti si avviava verso le sue camere.
L’aprì con la grossa chiave. Il suo compagno aveva preteso assolutamente l’altra chiave, così terribilmente possessivo, rivendicando il suo ruolo di suo meeladh, e subito lei aveva acconsentito, incapace di negarli qualsiasi cosa.
Il dolore e la speranza non le davano pace mentre scioglieva delicatamente i lacci del corpetto.
Raven continuava a pretendere di nutrirla, ma non con il suo sangue, ma con semplice cibo. Era normale per un vampiro maschio avere l’intenso desiderio di prendersi cura e di proteggere la propria femmina, ma lui ormai passava così poco tempo con lei ed Elysse era a conoscenza delle altre vampire da cui si nutriva e con cui passava le notti. Nessun maschio si sarebbe mantenuto forte e vigoroso come lui con semplice e debole sangue umano.
Intinse le mani in oli profumati, spalmandoseli bene sul corpo pallido, sapendo bene quanto Raven adorasse sentire quel profumo sul proprio corpo dopo essersi strusciato su di lei. Indossò della biancheria intima in pizzo bordeaux, con uno stretto e trasparente corpetto che risaltava ogni sua curva candida. Per coprire i lembi di pelle scoperta, ben sapendo che il suo meeladh avrebbe ringhiato ferocemente se qualche altro vampiro maschio l’avesse vista così scoperta, indossò una semplice vestaglia in raso e velluto nero.
Ricordando il dolore che ogni giorno il suo Raven le faceva patire, con un ringhio rabbioso si raccolse i bianchi capelli in una semplice acconciatura alta da cui sfuggivano varie ciocche: Raven adorava i capelli sciolti, ma lei non era disposta a rendergli tutto così facile.
Sorridendo diabolicamente, si avviò verso la stanza del suo meeladh; il suo amore la stava aspettando. 



















Ed ecco qui il nuovo capitolo :) come sempre sto buttando le basi della storia man mano che scrivo, aggiungendo e togliendo, modificando e ricontrollando.... Che faticaccia gente! Ma il risultato spero sia abbastanza soddisfacente! Ancora di questi vampiri non si sa nulla se non la parte sanguinaria ed indifferente... Spero di riuscire a mantenere la vostra attenzione per mostrarvi di più di questi personaggi :) In ogni caso, immagino abbiate notato alcune parole un po' strane... Inventate, assolutamente, quindi DI MIA PROPRIETA' (lo specifico per i furbetti che cominciano a strabordare), parole nell'Antica Lingua, o meglio la Prima Lingua (lingua dei vampiri), che ora andrò a tradurre :)


Meeladh.
Promesso compagno. Solitamente il promesso compagno è colui che nutre per la prima volta una femmina subito dopo la transizione. Spesso le famiglie più nobili e facoltose sceglievano per le fanciulle i più degni vampiri, in modo da assicurare non solo la salvezza della neovampira, ma anche nella speranza che il sangue dei due vampiri decidesse la natura del loro futuro rapporto (più avanti le cose si capiranno meglio).


Thameel.
Promessa compagna. Solitamente è il maschio che sceglie la compagna, in quanto considerato a tutti gli effetti l'elemento dominante della coppia. Anche in questo caso però, ogni vampiro maschio ha bisogno di una femmina per superare il cambiamento, per cui le famiglie hanno il piacere (o a volte solo dovere, che viene a mancare) di scegliere una degna compagna per quell'aiuto così fatidico. 



Nomignoli affettuosi, usati solo ed esclusivamente quando nella coppia vi è un profondo legame, MAI per le compagne di una notte.

Sheelan.
"Mia anima/Mia vita/Mia eterna o mia eterna gioia".


Rohlell.
"Mia anima/Mia vita/ Mio eterno o mia eterna gioia".


Lilah.
"Amore/Cara/Tesoro".


Leeloh.
"Amore/Caro/Tesoro".




Ovviamente man mano che la storia andrà avanti i termini aumenteranno ma tranquilli, ci sarà sempre il piccolo angolo dizionario xD E con questo vi lascio, e al prossimo capitolo! Grazie a tutti :)

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