COME UNA PIETRA

di biancarosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la fetsa di compleanno ***
Capitolo 4: *** UNA DIVISA ***



Capitolo 1
*** la fetsa di compleanno ***


COME UNA PIETRA


 

Tutte le volte che passava davanti a uno specchio si stupiva di vedere la propria immagine riflessa. Per un momento si sentiva degna di essere guardata, di meritare l'attenzione, se non di qualcuno, almeno di qualcosa. Con il tempo aveva preso l'abitudine di avvicinarsi a una superficie riflettente ogni volta che si sentiva sola. Non che la solitudine le dispiecesse, in realtà. Aveva iniziato anche a parlare con se stessa mentre si specchiava, spesso lo faceva per ore. Suo padre si infuriaava sempre quando la sorprendeva nel farlo, come si infuriava quando la sorprendeva a parlare con le piante, con i fiori o con l'acqua del lago vicino alla loro tenuta in campagna. Le ripeteva che era pazza. Non capiva che si senitva bene. O forse non gli interessava...del resto, a nessuno importava di lei. Nemmeno a sua madre, per la quale era assolutamente insignificante, specialmente se paragonata alle altre due figlie. Beh, in fin dei conti Altea non era aprticolarmente apprezzata: contestava apertamente le idee del padre, e ciò, in una famiglia come la loro, era considerato a dir poco inaccettabile. Tuttavia, venina ascoltata. Sebbene fosse costantemente criticata, rimproverata, tormentata e schiaffeggiata, veniva comunque ascoltata, ciò che diceva veniva preso in considerazione...probabilmente perchè era stata la prima delle tre a nascere. Aida...Aida era la loro figlia prediletta. Bellissima, proprio come la madre, la quale non faceva che ripetere che una volta cresciuta avrebbe avuto schiere di uomini pronti a sposarla. Una creatura da vetrina, insomma, d'esposizione. L'ideale per un matrimonio combinato. Le posizioni erano chiare. Altea, la figlia ribelle. Aida, la filgia perfetta. Mentre lei, Amber, era soltanto la filgia ivisibile.

 

CAPITOLO 1 – LA FESTA DI COMPLEANNO

 

Sentì qualcuno bussare alla porta di camera sua. << Sei pronta? >> chiese la voce fredda e asciutta della madre << Ti volgio giù in salotto tra meno di cinque minuti >>.
Amber scese di malavoglia dal letto e afferrò il vestito che doveva indossare. Aveva l'aria di essere molto costoso. Era color verde smeraldo, di seta, lungo fino alla caviglie e con l'allacciatura dietro al collo. Non gliel'avevano comprato certo per compiacerla, questo era sicuro, ma se il compleanno di Aida doveva essere perfetto, anche lei sarebbe dovuta essere perfetta. Sua madre aveva davvero fatto le cose in grande: sarebbero stati presenti molti tra i più importanti membri della nazione, tra cui senatori, presidenti e, soprattutto, nobili. Qualcoa di decisamente esagerato per una bambina di soli cinque anni. Amber tipensò al poprio compleanno: si erano limitati ad una cena con i parenti più stretti in un lussuoso ristorante. Tanto per rimanrcare la loro posizione sociale, avevano optato per le ordinazioni più ricercate e raffinate, ed era dinita lì. Ovviamnete avevano ignorato il aftto che lei odiasse mangire nei ristoranti o in altri poati affollati. Soprattutto odiava mangiare cose dal nome impronunciabile: più avevano un nome strano, più si sarebbero rivelate disgustose, di questo era sicura. Uscì di malumore dalla propria camera e raggiunse gli altri in salotto.
<< Sei in ritardo >> le fece notare bruscamente suo padre, mentre si sistemava il nodo della cravatta. Amber, che non capiva perchè una persona dovesse portare la cravatta d'estate, non rispose, e prese a giocherellare nervosamente con i propri capelli. Gli altri non diedero segno di averla notata. Altea, seduta sulla poltrona, guardava il vuoto davanti a se, con espressione annoiata. Sua madre stava rileggendo un'ultima volta la lista degli invitati.
<< Bene >> disse in tono soddisfatto << Dovrebbero essere qui a momenti. La festa sarà in giardino, è meglio se cominciamo a uscire >>
. Altea si alzò e si diresse velocemente fuori, e il padre la seguì. Sua madre prese in barccio Aida. Prima di uscire si era voltata verso Amber e l'aveva guardata.
<< Cerca di sorridere >> le disse. Quando fu sola, Amber fece come le aveva detto, e sentì i muscoli del viso irrigidirsi. Uscendo cercò di ripensare all'ultima volta che aveva sorriso. Non ci riuscì. Non lo ricordava.

Un'ora dopo, con in mano una fragola, Amber si stava facendo largo tra le persone, diretta alla fontana di cioccolato. Passando vide suo padre intento a parlare con un uomo che doveva essere un Marchese o qualcosa di simile. Erano nel ventunesimo secolo, ma chi pensava che l'aristocrazia fosse morta si sbagliava. Lei stessa era figlia di un Barone. Erano in molti , e pronti a tutto pur di riavere i propri titoli e privilegi. Organizzavano riunioni su riunioni, avevano infiltrati ovunque. Erano molto più potenti e pericolosi di qualsiasi organizzazione mafiosa, o almeno, erano convinti di esserlo. Si ritenevano di gran lunga superiori rispetto a quella che chiamavano "la gente comune" e, per quanto le era concesso sapere, speravano e lottavano per un ritorno alla monarchia. Se qualcuno della "gente comune" li avesse visti, avrebbe pensato che fossero un gruppo di pazzi in un totale delirio di onnipotenza, ma tutto ciò, ovviamente, avveniva in gran segreto. Tuttavia, i loro nomi erano sempre accompagnati da un certo timore: la scia di sangue che si lasciavano alle spalle nel tentativo di realizzare i loro ambiziosi piani non era indifferente. Amber restò immersa nei propri pensieri, finchè non si accorse che un suo vecchio prozio la stava guardando.
<< Certo che le prendono sempre più giovani le inservienti >> disse a sua moglie, una signora altezzosa con guanti di seta nera lunghi fino al gomito.
<< Non è un'inserviente, Arturo >> gli sussurrò << E' Ambra, la seconda figlia di Stefano e Eleonore >>. Amber si allontanò, lasciando cadere a terra la fragola. Era da anni che si era ormai abituata a quel tipo di trattamento, non era certo una novità. Eppure in quel momento le era sembrato più ingiusto delle altre volte. Ebbe l'impulso di tornare indietro e strangolalo con un guanto della moglie, ma poi vide suo cugino Salvatore che le sorrideva, seduto solo a un tavolo lì vicino. Gli sorrise anche lei, questa volta con un sorriso sincero: Salvatore era l'unico membro della sua famiglia con il qiale era riuscita a stabilire un legame. Non che fosse diverso da tutti gli altri, al contrario, seguiva gli stessi principi e aveva le stesse convinzioni. Però era sempre stato gentile con lei. Beh, non proprio sempre. Ma era pur sempre meglio di niente. Lo raggiunse velocemente e si sedette di fronte a lui.
<< Tua madre si che sa organizzare le feste, Ambra >> dichiarò soddisfatto, mentre ingoiava un bignè alla crema.
<< Amber >> lo corresse lei, in tono seccato.
Era stata chiamata Amber in onore delle origini inglesi della madre, ma lì in Italia la chiamavano immancabilmente Ambra.
<< Si, fa lo stesso >> replicò lui con noncuranza.
Passarono qualche istante in silenzio, poi lei chiese: << Ti sembro una cameriera? >>.
Salvatore si voltò verso di lei e la guardò con aria interrogativa, alzando un soppracciglio.
<< Lo zio Arturo mi ha scambiata per un'inserviente >> spiegò.
<< Il prozio Arturo ha quasi cento anni. Cento, Ambra. E, nel caso non te ne sia accorta, le cameriere di casa tua sono vestite di verde stasera. E' normale che si sia confuso >>. Amber restò spiazata. Cercò con lo sguardo tutte le cameriere. Erano vestite di un verde molto simile al suo. Sua madre l'aveva vestita quasi come una cameriera. Con centinaia di euro di differenza, ma come una cameriera.
Capì subito perchè l'avesse fatto: voleva che passasse inosservata. Temeva che la sua stranezza avrebbe rovinato la festa.
<< Hai mai bevuto spumante? >> le chiese Salvatore, gli occhi puntati su un vassoio di calici di vino, non molto distante dal loro tavolo.
<< No >>.
<< Nemmeno io >> sussurrò lui, e, dopo essersi guardato attorno, si alzò.
<< Ma cosa vuoi fare?! >> esclamò Amber, guardandosi attorno a sua volta.
<< Tranquilla. Non se ne accorgerà nessuno >>.
Detto questo si diresse con disinvoltura verso i calici di spumante e, dopo averne presi due, tornò al tavolo. Salvatore cominciò a sorseggiare subito il suo, mentre Amber restò ferma a guardare le bollicine salire, esitante.
"Tanto sei solo un'inserviente " pensò " come se potesse importare a qualcuno...". Avvicinò il bicchiere alle labbra e bevve anche lei. Non seppe dire se il sapore le piacesse o meno. Sapeva solo che le piaceva berlo. Lo finì in pochi secondi e, dopo uno sguardo d'intesa con il cugino, fu lei ad andare a prenderne altri due. Noncuranti del fatto di avere dieci e undici anni, bevvero ancora. Amber scoppiò a ridere, e la risata le parve estranea, come se non provenisse veramente da lei. Si ritrovò in mano un altro calice, e bevve anche quello, e sentì la testa girarle. Cominciò a vedere le sagome delle persone in modo sfocato, e allo stesso tempo tutte perdevano importanza. Le sembrarono tutti uguali, quegli esseri umani, dettagli insignificanti rispetto alla grandezza della vita. E lei non si era mai sentita così viva. Sentì Salvatore dirle qualcosa, ma non capì cosa. Si limitò a ridere. Poi a cun certo punto anche lui scomparve, e lei continuò a ridere. Poco dopo, senza sapere come ci fosse arrivata, Amber si ritrovò davanti alla piscina sul retro, senza ricordare come ci fosse arrivata. Senza nemmeno togliersi il vestito si immerse nell'acqua scura. Le era sempre pisciuto nuotare...era un po' come volare, del resto: restare lì fluttuanti, sospesi a metà...ecco come si era sempre sentita. Sospesa. Sospesa in attesa di capire chi fosse, sospesa in attesa di non sentirsi più vuota. Restò sdraiata sulla superficie, facendosi cullare dall'acqua mentre guardava le stelle.
<< Sei così bella >> disse a Orione, la sua costellazione preferita << Vorrei poter brillare come te >>. Quando tornò in casa, tutti gli ospiti se n'erano andati. Doveva essre notte inoltrata. Passando davanti al soggiorno, vide la sua famiglia. Erano tutti lì, seduti sul divano o sulle poltrone, intenti a scartare i regali di Aida. Sembravano tutti felici, compresa Altea. No si accorsero che era sulla soglia ad osservarli. Erano i suoi genitori e le sue sorelle, eppure le sembravano estranei. Non seppe per quanto tempo restò lì ad osservarli, ma per la prim avolta si sentì totalmente indifferente alla loro indifferenza. Andò nella prorpia camera e si infilò nel letto ancora bagnata. Non dormì, quella notte, restò lì a pensare al perchè le cose avessero preso quella piega. Ma in quel momento, seppur senza motivo, senza sapere quando, sentiva che qualcosa sarebbe cambiato.

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Capitolo 4
*** UNA DIVISA ***


CAPITOLO 2

Quattro anni dopo...

 

<< Ambra, non hai fame? >>.
"E da quando te ne importa qualcosa?" pensò Amber guardando la madre, seduta al lato opposto del tavolo. Ma una risposta simile le sarebbe costata una sfuriata sel padre per la sua maleducazione, che sarebe poi sconfinata in un' interminabile digressione sulla sua mancanza di eleganza nel parlare, classe e raffinatezza. E quella sera, con il mal di testa lancinante che aveva, e con quello che avrebbe dovuto affrontare il giorno dopo, non aveva la minima voglia di sottoporsi ad un 'ulteriore tortura.
<< No, non ho molta fame >> rispose.
<< Lo sai che i bambini i Africa muoiono di fame? >> disse Aida con aria da saputella, mentre infilzava un Gambero con la propria forchetta. << Loro muoiono di fame, e tu sprechi cibo >>.
Sia Eleonore che Stefano guardarono la figlia con gli occhi pieni d'orgoglio e ammirazione.
<< Ma tu senti quanto è brava >> commentò sarcastica Altea << E tu lo sai che con gli orecchini che porti potresti sfamare centinaia di bambini? I bambini in Africa muoiono di fame, e tu hai gli orecchini di diamanti o solo Dio sa cosa! >>.
Aida per qualche secondo parve riflettere sulle parole della sorella, poi gli occhi le si riempirono di lacrime. Lasciò cadere la forchetta e corse fuori dalla stanza.
<< Guarda cos'hai combinato! Per una volta, non riesci proprio a tenere la bocca chiusa?! >>.
Altea alzò le spalle, indiffernte alla rabbia del padre.
<< TI HO DETTO CHE NON DEVI MAI ALZARE LE SPALLE DAVANTI A ME! >>.
<< Scusate >> disse Amber << Potreste abbassare la voce, ho mal di te...>>.
<< CRISTO SANTO, NON VOLEVO FARLA PIANGERE, MA SE L'E' CERCATA! >>.
<< Scusate, davvero, ho mal di testa...>>.
<< VAI SUBITO A CHIEDERLE SCUSA!>>.
Sentì una fitta lacerarle le tempia.
<< NON CI PENSO NEMME...>>.
<< DANNAZIONE, ABBASSATE LA VOCE!!! >> urlò, con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Il silenzio calò all'istante. Amber vide riflesso il proprio stupore negli occhi del padre, della madre e di Altea, che la guardavano come se fosse la prima volta che la vedevano veramente.
<< Tu osi dirmi di...>> cominciò il padre.
<< Scusate, ma ho mal di testa. Io...io vado a dormire...>> disse flebilmente.
Si era alzata a metà dalla sedia quando sua madre disse: << Per favore, aspetta ancora un momento>>.
Amber si lasciò ricadere sulla sedia, con la testa che le pulsava.
<< Sembri dimagrita >> osservò sua madre.
Dimagrita...a Amber venne voglia di ridere. Dimagrita. Aveva perso undici chili nel giro di tre mesi, da quando le avevano comunicato che avrebbe frequentato il liceo a Milano, alla Sant' Elena, un prestigioso istituto privato, lo stesso che frequentavanoAltea e Salvatore. Avrebbe dovuto aspettarselo, del resto tutta la sua famiglia aveva studiato in quella scuola...soltanto i loro cani non ci erano andati, ed Eleonore, perchè era nata in Inghilterra. Ma lei, abituata a camminare a piedi nudi, a fare il bagno nel lago, a prendere il sole sdraiata nel prato, in una città come Milano? Ma, ovviamente, il suo parere non era stato tenuto in considerazione.
<< Si, forse ho perso un po' di peso >> dichiarò infine.
<< Le tue divise sono nelle valigie, te ne ho fatta lasciare una da Andora sulla scrivania da indossare domani...nel caso siano troppo larghe, fammelo sapere che te ne ordino delle nuove >>.
<< Non capisco perchè dovremmo indossare quella stupida divisa >> si lamentò Altea, chiaramente intenzionata a provocare il padre, il quale non tardò a ribattere.
<< Stupida? Hai idea di quanto costi quella divisa? Non so se hai mai visto le divise dell'Annunziata? Ti garantisco che ringrazieresti il cielo di indossare quella che hai...>>.
<< Posso andare, madre? >> chiese, prima che Altea potesse replicare. Eleonore annunì, mentre si versava del vino nel proprio bicchiere.
<< Padre >> salutò brevemente, e se ne andò finalmente in camera sua. Si fiondò nel bagno annesso alla sua stanza e mise la testa sotto il getto dell'acqua fredda del lavandino, provando un sollievo immediato.
Per cercare di rilassarsi si infilò nella doccia, nonostante l'avesse fatta un paio d'ore prima. Appoggiò la fronte contro le piastrelle della parete, mentre i rivoli d'acqua le scendevano lungo il corpo. Tentò i tutti i modi di non pensare al giorno seguente, ma non ci riuscì. Nelle ultime settimane aveva tartassato Salvatore di domande sulla Sant' Elena, ma non era riuscita a farsi un' idea molto chiara. Di certo era frequenata da gente ricca e altezzosa...probabilmente ci sarebbe stato anche qualche nobile. Forse ne conosceva pure qualcuno, tra loro si conoscevano tutti...il pensiero l'atterrì. In quel modo la sua reputazione sarebbe crollata ancor prima di di cominciare. Beh, poteva sempre sperare che non la riconoscessero...per quanto riguardava Altea, non sarebbe stata un problema. L'avrebbe palesemente ignorata, cosa che faceva tranquillamente anche a casa, e a Amber non dava nessun fastidio essere ignorata, ci aveva ormai fatto l' abitudine. Non credeva che avrebbe fatto amicizia con qualcuno, e non era nemmeno intenzionata a farlo. La cosa che la faceva sentire a disagio era che lei non era mai stata in una scuola, aveva sempre avuto un precettore che la seguiva a casa, quindi non sapeva bene cosa aspettarsi.
Uscì abbastanza in fretta dalla doccia, intenzionata a provarsi la divisa prima di andare a dormire. Quando l'ebbe indossata guardò la propria immagine allo specchio. La gonna blu scuro le sembrava troppo corta e la camicia troppo bianca, ma non avendo mai capito niente di moda, preferì astenersi dal dare un giudizio istantaneo. Ma le calze erano davvero troppo sottili...venti denari, ad occhio e croce. Avrebbe sicuramente avuto sempre paura di smagliarle. Le ballerine erano scomodissime, ma grzie a Dio in inverno avrebbe potuto sostituirle con gli stivali. Le scarpe col tacco erano permesse soltanto alle ragazze di quarta e quinta, ma non era un problema: probabilmente non le avrebbe comunque mai indossate.
Si soffermò un istante sul proprio volto, cercando di fare un' autovalutazione. I suoi capelli le erano sempre piaciuti ( color cioccolato, lunghi fin sotto il seno ) ma per quanto riguardava il resto non sapeva cosa dire. Aveva gli occhi grigi ( non tendenti all'azzurro, come la maggior parte delle persone con gli occhi grigi ) che aveva indubbiamente ereditato dal nonno. La carnagione non era rosata, come quella di Aida, e nemmeno dorata come quella di Altea...era bianca, ma non di un bianco eccessivamente chiaro. Molto simile alla porcellana, e priva di imperfezioni. Tuttavia le conferiva l' aria di una totalmente priva di sangue nelle vene. Le labbra erano sufficietemente carnose, ma erano troppo monocromatiche con la sua pelle. Forse le avrebbe preferite più scure...
Abbandonò quel patetico tentativo di decidere se fosse bella o meno. Non l'aveva mai capito, non ci sarebbe mai arrivata. Poteva solo dedurre che non lo era, dato che nessuno gliel' aveva mai detto. A sua sorella Aida lo dicevano in continuazione, ad Altea...beh, ad Altea non lo dicevano, ma lo si capiva da come la guardavano. Ma del resto, a lei non le importava di essere bella. Come le ripeteva suo padre, non aveva ambizioni, non aveva un futuro. Non aveva il desiderio di contrarre matrimonio, quindi a che diamine le sarebbe servito essere bella?
Si spogliò e si infilò a letto, pensando a quanto lei e la sue sorelle non si somigliassero affatto nemmeno nell' aspetto fisico. Erano tutte e tre completamente diverse, soprattutto gli occhi erano diversi...quelli di Aida azzurri, come il cielo. Quelli di Altea verdi, come foglie. I suoi grigi, come....come cosa? Grigi come il fumo...grigi come la cenere...grigi...come una pietra.

 

Passò l'ennesima notte insonne. Non dormiva più bene da quattro anni.

 

Amber non capiva suo padre. Non aveva voluto mandarli a Milano in aereo perchè temeva un attentato, un rapimento o qualcosa di simile. Diceva che sarebbe stato troppo rischioso viaggiare in aereo quel giorno, quando tutti sapevano che avrebbero raggiunto la scuola. Tutti chi, dannazione? E infine, cosa aveva fatto per farli passare inosservati? Li aveva spediti a Milano in limousine. La corenza fatta a persona. Amber appoggiò la testa al finestrino. Era l'unica sveglia, Altea e Salvatore dormivano.
Guardò fuori dal finestrino la pioggia che cadeva. Faceva particolarmente freddo per essere solo a settembre, ma a lei non dispiaceva. Perlomeno aveva potuto mettere anche il maglioncino blu di cachemire, l' unica cosa che le piacesse della divisa. Non aveva mai indossato niente di più morbido...
Vide Altea spalancare le palpebre. Evidentemente non stava dormendo. Con lo sguardo del falco che punta la preda, inchiodò i suoi occhi verdi sul suo...seno.
<< Cosa c'è? >> chiese Amber, un po' sulla difensiva.
<< Ah, hai scelto la camicia bianca? >> chiese con voce incolore.
<< Sì, perchè? >>.
Altea richiuse gli occhi e non rispose.
<< Perchè? >> ripetè Amber impaziente.
Fu Salvatore a rispondere: << Perchè chi la sceglie azzurra è considerato uno sfigato >>. Evidentemente nemmeno lui stava dormendo.
<< E cosa aspettavate a dirmelo?! >>. Non sapeva se crederci o meno. Quella divisa costava un patrimonio...possibile che avrebbe potuto essere considerata una sfigata soltanto per aver indossato una camcia azzurra?
Passarono il resto del viaggio in un silenzio innaturale, interrotto soltanto dal rumore acustico del cellulare di Altea, che mandava sms in continuazione. Quando Salvatore le chiese irritato se non potesse inserire il sistema silenzioso, anche quello cessò.
Dopo qualche ora, l'autista annunciò loro che erano arrivati. Si fermarono davanti all'entrata principale della scuola e scesero dall'auto.
Amber rimase stupita. Quando erano entrati a Milano, se n'era accorta subito. Tutto il verde era sparito, e il poco che era rimasto sapeva di finzione, di proggrammato. La gente camminava freneticamente lungo le strade, sovrastata da un infinità di cartelloni e insegne pubblicitarie. Era una città in perenne movimento, questo l'aveva capito, eppure le sembrava morta. Le era parsa New York, ma senza il fascino di New York.
Dalle fessure dell'imponente cancello, invece, riusciva a vedere soltanto erba e piante. Altro non riusciva a vedere, perchè il resto della scuola era circondata da mura in pietra, sulla quale di tanto in tanto si diramava un'edera rampicante selvatica ( che tuttavia dubitava fosse cresiuta spontaneamente ).
<< Ho avvisato la scuola che siete arrivati >> disse loro l'autista << Dovrebbe arrivare il custode ad aprirvi. Devo andre ad un'altra entrata per via dell' auto, i vostri bagagli vi sarann...>>.
<< Saranno sistemati direttamente nelle nostre stanze, lo sappiamo, grazie >> lo interruppe Altea in tono tagliente. L'autista la guardò come se non chiedesse niente di meglio che prenderla a sberle.
Non appena il cancello si aprì mise in moto la Limousine, e se ne andò dopo averli salutati con un cenno del capo.
Davanti a loro avanzava un uomo, con passo lento e fare esageratamente teatrale. Altea e Salvatore si scambiarono uno sguardo stupito...Amber intuì che si aspettavano un' altra persona ad accoglierli. Era totalmente vestito di nero, lo stesso colore dei suoi occhi e dei suoi capelli, mentre la pelle era bianchissima, in perfetto contrasto con tutto il resto.
<< Buona giornata a voi >> disse con voce volutamente troppo bassa << Altea, Salvatore e Amber Mancini della Fonte, giusto? Io sono Christian...Salvieri Christian...siete pregati di seguirmi >>.
Si voltò di scatto e cominciò a ripercorrere la strada che portava alla scuola, e i tre ragazzi lo seguirono. Nel momento in cui oltrepassò la soglia del cancello, Amber sentì una sensazione strana e qualcosa premerle sullo stomaco...ma probabilmente era dovuto al fatto che non aveva mangiato nulla la sera precedente, ne la mattina stessa.
Stavano camminando su un largo viale alberato, ai lati del quale c'era un giardino immenso del quale non si riuscivano a scorgere i confini. C'erano piante di ogni genere, in particolare quercie e ciliegi, e anche parecchie fontane e statue di personaggi mitologici. Davanti a loro, la scuola. A parere di Amber, non reggeva nemmeno lontanamente il confronto con il giardino. Risaliva a circa due secoli prima, ed era massiccia e lugubre. Aveva l'aria di essere una prigione, più che una scuola. La precedeva una breve scalinata, simile a quella dei templi greci, alla fine della quale c'era un vasto spiazzo di forma rettangolare.
<< Scusi, ma non c'è Mario? >> chiese Salvatore esitante mentre avanzavano verso la Sant' Elena, e Amber capì che si stava riferendo al custode precedente.
<< No, non più >> rispose Christian << E' morto durante l'estate >>.
<< E' morto? >> disse Salvatore, con maracta incredulità nella voce, come se fosse impossibile che una persona potesse morire senza prima avvisarlo << E come è morto? >>.
Altea emise un suono sarcastico, e quando Salvatore la gaurdò disse << Di vecchiaia, magari? >>.
Salirono la scalinata in silenzio, ciascuno apparentemente immerso nei suoi pensieri. Quando giunsero alla fine, Amber alzò lo sguardo verso l'alto e l'altezza della struttura le diede le vertigini. Riabbasando lo sguardo, vide Altea e Salvatore dirigersi verso il centro dello spiazzo, dove si ergeva la statua di una donna. Era molto bella, ma gli occhi vitrei che guardavano davanti a se avevano le parvero inquietanti. Aveva un sorriso beffardo, provocatorio, quasi di sfida nei confronti di chi la guardava.
I due, a turno, sfiorarono la sua mano marmorea con la propria. Amber capi che si trattava di un rito di passaggio. Ad un certo punto si accorse che tutti e tre si erano voltati verso di lei e la fissavano. Si avvicinò con passi incerti alla statua, capendo che doveva trattarsi di sant' Elena. Le iscrizioni alla base glielo confermarono. Avvicinò la sua mano a quella della donna. Diede l'impressione di toccarla, ma non la toccò.

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