In the shadow of your heart di Deademia (/viewuser.php?uid=84486)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Libro delle Discendenze ***
Capitolo 2: *** Affogando nell'eternità ***
Capitolo 3: *** Indifferenza che uccide ***
Capitolo 4: *** Quando l'amore diventa odio ***
Capitolo 5: *** Visite Inaspettate ***
Capitolo 6: *** Il Dolce Suono Della Morte ***
Capitolo 1 *** Il Libro delle Discendenze ***
1
1. IL
LIBRO DELLE DISCENDENZE
“L'amore
può condurci all'Inferno o al Paradiso, comunque ci porta sempre in qualche
luogo. È necessario accettarlo, perché esso è ciò che alimenta la nostra
esistenza.”
(Paulo
Coelho)
Ero a Mystic Falls da due
ore scarse, già sistemata nella mia “nuova dimora” che mi avrebbe ospitata per
il tempo necessario, una piccola camera di un fatiscente Bad&Breakfast per
nulla pretenzioso trovata all’ultimo istante e già sobbarcata dalle mie
numerose valigie aperte e semi sfatte, e già la voglia di prendere il primo
volo per Parigi e fuggire come la peggiore delle codarde si faceva largo in me,
tentatrice e soffocante.
A trattenermi, oltre
all’amicizia e alla promessa stretta con Stefan, c’era quel malsano desiderio
masochistico di rivederlo, incurante del fatto che piombandogli gli tra capo e
collo senza preavviso, e soprattutto sfruttando il fatto che tecnicamente lui
mi credeva morta da quasi due secoli, forse con gioia pensai tristemente, avrebbe accresciuto le
probabilità di farmi strappare il cuore senza tante pretese in maniera
esponenziale.
Sospirai. Non era stata
una buona idea mettere piede in quella cittadina dimenticata da Dio che
sembrava fungere da punto di sfogo a tutte le peggiori catastrofi
soprannaturali di questo mondo e oltre. Per nulla.
Poi però ripensai alla
chiamata di Stefan, non lo risentivo dal lontano 1963 e francamente rimasi
stupita del fatto che mi avesse scovata con tanta facilità, ma mi diede poco
tempo per pensare a quello. Ciò che infatti mi raccontò in seguito bastò a
mettermi in allarme e precipitarmi lì esattamente due giorni dopo, con quello
che sembrava essere la risoluzione ad almeno una parte degli enormi problemi
che affliggevano i fratelli Salvatore, gli Originali e con loro praticamente
tutta la popolazione vampiresca del pianeta. Alla fine non avevo avuto poi
molta scelta.
Rabbrividii pensando a
tutta quella storia, e non tanto per l’enorme pericolo in cui tutti quelli
della mia razza stavano incorrendo, quanto più per chi l’aveva scatenato. Troppi anni erano passati da quando avevo
sentito parlare di loro per l’ultima volta, troppi decenni da quando avevo
potuto vederli, toccarli, parlarci. Ed ora eccoli lì, rispuntati nella mia vita
come un uragano a sconquassare la precaria pace appena ritrovata. Avevo forse
chiesto troppo, fuggendo e allontanandomi? Ero forse stata troppo codarda, nel
mio infinito tentativo di evitarli, o meglio evitarlo, incapace di affrontare nuovamente quegli occhi scuri,
collerici, e quel senso di colpa dettato da un tradimento puramente scaturito
dalla mera ingenuità? A quanto pare si,
perché adesso Dio, o il Fato o qualunque altra forza maggiore incombente sulle
nostre teste aveva deciso di riportarmi su quella via tortuosa e insormontabile
che anni addietro avevo abbandonato a forza, più per costrizione che per
volontà mia, deciso a farmi impazzire dai dubbi, dalle paure e dal lancinante
terrore di ciò che ne sarebbe conseguito.
Si, io, Nina Levefre,
vampiro dal 1824, tremavo come una foglia di fronte all’idea di ritrovarmi
faccia a faccia con l’amore della mia vita, che con ogni probabilità mi odiava
dal profondo di quel cuore che non batteva più da secoli.
Mi passai stanca una mano
sul volto, passando poi le dita tra le lunghe ciocche bionde tentando di
strappare a forza quei ricordi dalla mente. Era inutile rimuginarci tanto
sopra, oramai mi trovavo lì, la mia scelta l’avevo fatta e per una volta nella
vita non sarei fuggita, ma l’avrei affrontato, a costo di rimetterci
l’esistenza.
Il cellulare che vibrò sul
comodino mi fece sobbalzare, mentre mi allungavo ad afferrarlo.
-Pronto?-
-Nina? Sei arrivata?-
-Oh, Stefan- sorrisi,
sedendomi su di una poltrona accanto alla finestra –Si, da un paio d’ore. Ho
già trovato una sistemazione, basta che mi dici quando posso venire e sarò lì
da te-
-Anche subito, prima
vediamo di risolvere questa situazione e meglio è-
-Allora arrivo. E,
Stefan?-
-Si?-
-Cerca di procurarti una
strega, ci sarà utile- lo informai, gettando un’occhiata distratta alla
valigetta in cuoio che sbucava da sotto il letto.
-D’accordo, a dopo Nina-
-A dopo- e riattaccai,
abbassandomi a prenderla e mettendomi il cellulare nella tasca posteriore dei
jeans, prima di dirigermi verso la porta, lasciando tutto com’era e uscendo dal
B&B a passo svelto. Per quanto sapevo che pur essendo la cittadina un
piccolo centro in cui le voci si spargevano in ogni dove più dell’aria stessa,
avevo sperato che la notizia del mio arrivo giungesse alle orecchie degli Originali
con un ritardo tale da permettermi di muovermi almeno per quel momento con una
certa libertà, eppure il terrore che lui, o quel pazzo di suo fratello, mi
sbucassero davanti da un momento all’altro era capace di bloccarmi il respiro
nel petto. Ecco perché quasi corsi verso l’auto presa a noleggio appena
sbarcata in America, una Mercedes SLK rossa che mio malgrado sapevo avrebbe
attirato parecchi sguardi, ma alla quale non avevo saputo resistere in nessun
modo. Avrei sorriso per quel piccolo capriccio, per gli interni in pelle beige
confortevoli e lussuosi e per la grinta delle linee, se solo la serietà di
tutta quella faccenda non mi avesse gravato costantemente sulla spalle in modo
soffocante, tanto che quando aprii lo sportello e lanciai con poca grazia la
valigetta sul sedile del passeggero non pensai a nulla di quelle cose, ma solo
alla via più veloce per raggiungere casa Salvatore indenne e senza spiacevoli
incontri a sorpresa.
Viaggiai a tavoletta,
impiegando cinque minuti scarsi a raggiungere la villa dall’aria rustica e
antiquata, cambiando le marce con gesti secchi e affondando i tacchi sui pedali
, e quando finalmente parcheggiai tirai un sospiro di sollievo chiudendo per un
attimo gli occhi. Avevo realmente avuto il terrore che mi si parasse davanti
alla macchina in corsa, che mi vedesse di sfuggita e mi seguisse o qualsivoglia
altro terribile incontro che avrebbe preceduto la mia morte, conoscendolo e sapendolo
quanto il suo odio nei miei confronti sarebbe stato incontenibile. D’altronde
era così, per lui un tradimento era il peggiore dei crimini, e la condanna era
la morte. Me l’aveva fatta scampare secoli prima, forse ancora assuefatto
dall’amore che aveva provato per me, ma certamente ora, senza più la traccia di
quei sentimenti a placargli lo spirito, non c’avrebbe pensato due volte a
strapparmi il cuore sena tanti preamboli. Mi morsi un labbro scuotendo la
testa, quei pensieri non facevano altro che ferirmi, ed ora quello era l’ultimo
dei miei pensiero, ben altro mi aspettava.
Scesi portando con me la
valigetta e bussai alla porta del mio vecchio amico con una certa impazienza.
Questa si aprì proprio mentre mi guardavo attorno circospetta, ed un ragazzo
dai capelli neri e un sorrisetto ironico e malizioso sulle labbra mi squadrò da
capo a piedi.
-Tu devi essere Nina
Lefevre. L’ho sempre detto che le francesi hanno quel tocco in più che le
rende…uniche- constatò, guardandomi lascivo con un braccio appoggiato allo
stipite della porta e nessuna intenzione di smetterla di fissarmi.
Alzai gli occhi al cielo.
-E tu devi essere Damon
Salvatore. Tuo fratello mi ha parlato molto di te, e devo dire che tutto ciò
che mi ha detto è perfettamente veritiero- sorrisi ironica, prendendomi gioco
di lui e buttando un’occhiata alle sue spalle, nella speranza di veder
comparire il minore dei Salvatore.
-Ah quindi sono già
famoso. La cosa mi piace ma certo bisogna compensare, io non so nulla di te- il
suo sguardo malizioso non lasciò spazio ai dubbi, e mi ritrovai a trattenere le
risate davanti a quel suo tentativo di abbordarmi da sciupa femmine incallito.
-Che ne dici col
cominciare a farmi entrare, sai non vorrei che occhi o orecchie indiscrete
scoprissero il nostro piccolo segreto- mi adeguai al suo tono seducente,
sfottendolo, perché in qualche modo mi pareva di conoscerlo tanto Stefan mi
aveva parlato di lui anche l’ultima volta che ci eravamo sentiti, e allusi con
un’occhiata alla valigetta, buttando sul ridere quella che effettivamente era
una questione serissima.
-Ma certo, entra pure Nina- calcò sul mio nome facendo un
ampio gesto col braccio, seguito da un semi inchino in perfetto stile
ottocentesco, mentre io varcavo la soglia trattenendo una risata. Prima che il
nostro teatrino potesse continuare una voce alle mie spalle mi fece voltare di
scatto, il sorriso sulle labbra e lo sguardo puntato negli occhi verdi del mio
vecchio amico.
-Sefan!- lo abbracciai di
slancio, felice di rivederlo dopo tanti anni, e lui ricambiò.
-Nina, che piacere
rivederti-
-Anche per me lo è. Hai
quasi cinque decenni senza tue notizie da farti perdonare, sai?- lo minacciai, staccandomi
e puntandogli un dito accusatorio contro con un mezzo sorriso.
-Mi spiace, ma neanche tu
ti sei fatta viva in questi anni se non sbaglio- si passò una mano tra i
capelli, scompigliandoseli con uno sguardo che sembrava chiedermi scusa per
quel colpo basso.
-Touchè- inchinai appena
il capo sorridendoli, prima di sospirare guardandolo attentamente. Come era
giusto che fosse, in quegli anni non era cambiato di una virgola, il dolce
effetto dell’eternità, ma vedevo in quegli occhi verdi la sofferenza di una
realtà che non lo lasciava in pace. Erano diversi dagli anni in cui lo avevo
conosciuto, giovane vampiro americano i n viaggio verso mete sconosciute, più
malinconici, segnati da lotte continue e tormenti che glieli avevano sconvolti dal
profondo, rendendoli stanchi, consapevoli e addolorati. Mi rattristai per lui.
-Ragazzi, ragazzi! Abbiamo
tutti capito quanto la felicità di rivedervi sia grande e tutte queste
grandissime ed affettuosissime cose qua, ma a questo punto direi che potete
rimandare i tuffi nel passato a dopo, perché in questo momento abbiamo bel
altre cose a cui pensare, ad esempio capire chi è il nostro dannato capostipite
tra l’allegra famigliola originale così da evitare di condannarci tutti nel
tentativo di uccidere Klaus, che ne dite?- esclamò con sarcasmo, allargando le
braccia in maniera plateale e venendoci incontro. Vidi Stefan alzare gli occhi
al cielo, dandogli comunque ragione.
-Vieni, Nina. Gli altri ci
stanno aspettando-
Lo seguii attraverso
l’ingresso, fino ad arrivare nell’ampio salone dove altre due ragazze ci
attendevano. Quando vidi il volto di quella seduta sul divano, per poco non mi
bloccai in mezzo alla stanza, scioccata. Stefan mi aveva avvertita che Elena,
essendo la doppelganger, era la copia esatta di Katherine, ma rivedere comunque
quei lineamenti a pochi metri da me, gli
stessi che quasi duecento anni prima avevo visto, avevo compatito in preda ad
un moto caritatevole che mi aveva segnato l’esistenza per sempre, in modo
radicale e doloroso, fu comunque come ricevere un pugno allo stomaco. Dovetti
annaspare per riprendere aria e al tempo stesso evitare che la mia reazione,
esagerata che chi non sapeva, potesse attrarre i dubbi dei più curiosi.
-Nina, lei è Elena- il mio
amico fece un cenno verso la doppelganger, che si alzò salutandomi gentilmente
–E lei è Bonnie, una nostra amica, e una strega- anche lei mi salutò, più
fredda e scostante, dalla sua postazione vicino al caminetto acceso.
-Ora che le presentazioni
sono state fatte, passiamo al dunque. Il libro-
Alle parole di Damon
annuii, avvicinandomi ad un tavolo e poggiandovi sopra la valigetta che per
tutto il tempo avevo tenuto tra le mani. Sentii tutti avvicinarsi a me,
mettendosi alle mie spalle in un silenzio che sapeva d’attesa, mentre facevo
scattare le serrature e svelavo il vecchio volume ingiallito al suo interno.
Era voluminoso, antico, e soprattutto stregato.
-E’ una mia impressione o
si è…ingrandito dall’ultima volta che l’ho visto?- disse Stefan stranito,
fissandolo attentamente senza capacitarsi della cosa. Sorrisi.
-Non sbagli. Alla nascita
di ogni nuovo vampiro il suo nome, oltre a quello di chi l’ha generato, viene
inciso sulle pagine. Negli ultimi cinquant’anni ne sono stati creati a
sufficienza da costringerlo ad aggiungere nuove pagine. Ecco perché si chiama
“Il Libro delle Dinastie”- spiegai a tutti, tirandolo fuori e poggiandolo sul
tavolo, alla portata di tutti.
-Ma come…- Elena aggottò
la fronte, sfiorando incerta la pelle scura e macchiata della copertina rigida
–…come può essere?- domandò confusa.
-E’ stregato. Qualche
mago, o strega, nel passato vi ha lanciato un incantesimo. Diciamo che ha un
aggiornamento costante e perenne- sorrisi, nel tentativo di far loro capire
come funzionasse quel cimelio prezioso –E qui c’è un problema- sospirai.
-Quale?- si informò subito
Stefan, preoccupato.
Senza dir niente mi
allungai ad aprirlo, svelando l’intoppo di quell’intricato meccanismo di
incantesimi.
-Ma che diavolo…?!- Sbottò
Damon, aggrottando la fronte ed avvicinandosi maggiormente.
Mi strinsi nelle spalle,
sospirando, e guadai come loro quelle pagine completamente piene di lettere
messe l’una di seguito all’altra in un ordine sconclusionato e senza senso.
-Questo è il problema: chi
ha gettato l’incantesimo per far sì che il libro funzionasse nei secoli, si è
anche premurato di proteggerne il prezioso contenuto. Solo un incantesimo può
sbloccare questo scudo, e non so né quale sia né quanto sia potente. Per questo
vi ho detto che vi sarebbe servita una strega-
-Bene. Fantastico-
proruppe Damon seccato, mettendosi le mani in tasca e sbuffando palesemente
irritato –Streghetta ho la netta sensazione che tu abbia una bella bega da
risolvere, ed al più presto- la diretta interessata gli lanciò un’occhiata di
fuoco, probabilmente non amava ricevere ordini da lui, ma quest’ultimo la
guardo ghignando –So quanto l’idea che noi vampiri brutti e cattivi sparissimo
dalla terra ti attrae in maniera sublime, ma vedi se non sbagli alcuni tuoi amichetti sono esattamente
come e…ops! Pure la tua dolce mammina
ora che mi ricordo bene- sgranai gli occhi nel vedere Elena trattenere la
ragazza, infuriata, mentre scalpitava per lanciarsi addosso a Damon, il quale
dal canto suo rimase impassibile, se non divertito, persino sotto i richiami
seccati del fratello.
-Damon finiscila!- gli
sibilò all’orecchio.
-Su fratello, stavo
scherzando-
-Piantala- Elena lo guardò
male, frustrata ed arrabbiata, prima di voltarsi verso l’amica per dirle
qualcosa all’orecchio che volli evitare di ascoltare.
-Quindi…- mi intromisi
esitante –Ve lo lascio?- chiesi, riferendomi al libro che giaceva sul tavolo
scuro.
Bonnie, se non ricordavo
male era questo il nome della strega, si voltò ora più calma verso di me, senza
però accennare un sorriso.
-Si, devo studiarlo e
provare vari incantesimi. Appena ho novità vi avverto-
-Aspetta- Stefan la fermò
–Preferirei che tu facessi gli incantesimi qui, è più sicuro- alla faccia tra
lo scocciato ed il diffidente della ragazza continuò –Quel libro è importante, se
finisse in mani sbagliate…non è che non mi fido di te, ma abbiamo tutti capito
quanto a volte le cose non vadano come previsto, e non ho intenzione di
rischiare anche questa volta. Per favore Bonnie, è per non correre ulteriori
pericoli. Starai con Elena- aggiunse, guardando un attimo quest’ultima, che
annuì convinta.
Bonnie scosse la testa,
alzando gli occhi al cielo in maniera arrendevole e afferrando il libro.
-E va bene, mi metto
subito all’opera- e con queste ultime parole si diresse al piano superiore,
senza salutare nessuno. Rimasi un po’ stupita da quel suo modo seccato di
trattarci, ma avevo capito che non provava molta simpatia verso i vampiri,
quindi lasciai stare.
-Io vado con lei, ci
vediamo dopo- Elena salutò i due fratelli, prima di voltarsi verso di me –E’
stato un piacere conoscerti, e grazie per tutto quello che fai per noi. Grazie
per essere venuta- mi sorrise sincera, e non potei fare altro che ricambiarla,
ancora un po’ a disagio per quella sconcertante somiglianza, mentre la guardavo
sparire su per le scale.
-Fratellino, io devo
sbrigare degli affari, ci si vede- fece un gesto di saluto, poi mi sfilò
accanto, fermandosi ad un passo da me e facendomi rimanere interdetta. Mi prese
con delicatezza da sotto il palmo, imitando un baciamano perfetto, prima di
sorridermi suadente –Mademoiselle, a presto- soffio con le labbra ancora vicine
al dorso della mano, guardandomi dal basso verso l’alto e facendomi più che
altro sorridere divertita e un po’ scombussolata da quella sua personalità così
carica di sbalzi d’umore. Poi sparì in un lampo, fischiettando, lasciando
dietro di sé solo l’eco della porta che sbatteva. Mi voltai verso Stefan.
-Scusalo, è fatto così…-
Risi.
-Ma no, alla fine non è
tanto male. Ha una personalità molto…eccentrica ecco-
-Di pure egocentrica, è la
pura verità- risi nuovamente di fronte a tutta quella critica esasperata.
-Comunque grazie davvero
Nina, per essere venuta fin qui, per non averci abbandonato, per…-
-Stefan- lo bloccai
scuotendo la testa –Anche se non fossimo stati amici, anche se non ti avessi
mai conosciuto e tu fossi stato un completo estraneo, ti avrei aiutato lo
stesso, perché è un mio dovere innanzitutto, non un favore che ti faccio in
quanto amica. In questa situazione stiamo rischiando tutti, non solo voi,
perché se quello che mi hai detto è vero, e non dubito lo sia, allora ogni
vampiro su questa terra è a rischio. E a tal proposito volevo informarti che
non me ne starò certo in disparte, aspettando che una pazza strega originaria
cerchi di rimediare ai suoi errori sterminando la razza che lei stessa ha
creato più di un millennio fa, o che tu ti faccia ammazzare nel tentativo di
salvarci tutti-
-E con questo cosa
vorresti dire?-
-Sono qui, e resto qui.
Combatterò con voi se sarà necessario, e vi darò una mano. Un vampiro in più fa
sempre comodo, no?- sorrisi –E poi sono anni che non faccio qualcosa di
eccitante e diverso dal solito, l’eternità comincia ad annoiarmi, almeno mi
tengo in allenamento- risi, più che altro per mascherare la piccola omissione
che mi ero permessa di fare: non gli avrei mai rivelato che un altro grosso
motivo per il quale ero reticente a lasciare quella cittadina era lui, l’amore
folle della mia vita, il fratello del
suo peggior nemico. Stefan non sapeva la mia storia, e semmai gliel’avessi
voluta raccontare, non l’avrei fatto in quel momento, né in quel contesto. E poi non avrei voluto che provasse
compassione per me, me che come una folle mi stavo sacrificando per rivederlo
un’ultima volta, sapendo che l’odio che avrei letto nel suo sguardo mi avrebbe
uccisa molto più di uno stiletto nel cuore.
-Sei sicura? Non devi
farlo per forza, hai già fatto tanto venendo qui e portandoci il libro, non
voglio chiederti di restare a combattere, è pericoloso-
-Stefan, non me lo stai
chiedendo tu, è una mia scelta. E poi sono più vecchia di te e del tuo
fratellino, credi non sappia badare a me stessa?- inclinai la testa di lato, sfidandolo a
contraddirmi e facendolo ridere.
-E va bene, se è questo
che vuoi…-
Annuii convinta –E’ questo
che voglio. Voglio dare una mano- ed ero convinta delle mie parole.
-Allora d’accordo,
benvenuta in famiglia e congratulazioni, hai appena firmato il contratto per la
tua condanna a morte- scherzò lugubre, e Dio quanto aveva ragione non lo sapeva
neanche lui!
Mi morsi un labbro
–Mh…promette bene-
-Già ti tiri indietro?-
-Mai detto questo-
affermai convinta, sorridendo, poi gettai un’occhiata all’orologio a pendola
che segnava le sei del pomeriggio –Sarà bene che vada, ci sentiamo domani
perché ora che mi sono messa in gioco, voglio sapere tutto delle regole-
-Certamente. Vieni domani
mattina, verso le dieci, così ti faccio conoscere anche gli altri-
-D’accordo- sorrisi,
avviandomi verso l’ingresso, poi arrivata sulla porta mi voltai a salutarlo –A
domani-
-A domani Nina, e grazie
ancora- mi sorrise riconoscente, mentre mi chiudevo la porta alle spalle e mi avviavo
a passo lento verso la macchina, sentendo i tacchi affondare nel terriccio
umido del giardino. Se una parte di me
si sentiva più leggera per aver preso quella scelta, per essermi messa in gioco
non fuggendo più come una vigliacca, l’altra tremava di fronte alla pazzia che
avevo deciso di compiere. Un conto era arrivare lì, consegnare un libro ed
andarmene, l’altro era decidere di rimanere, schierandomi da un lato del campo
e segnando il mio futuro. Ero folle, folle e sciocca. Avevo deciso di aiutarlo
perché era la cosa giusta da fare, perché lui avrebbe fatto lo stesso con me e
perché diciamocelo, nella barca c’eravamo tutti, ma proprio tutti, ed era inutile
mettersi in un angolo ad aspettare la fine, pregando di non affondare, mentre
altri sudavano nel tentativo di farla rimanere a galla. Ma facendo così, mi ero
condannata ad incontrarlo. 188 anni a sfuggirgli, timorosa alla sola idea di
incrociare la sua ombra, ed ora eccomi lì, a fermarmi a tempo indeterminato
nella stessa piccola cittadina dove si era stabilito lui, per di più
combattendo a fianco dei suoi stessi nemici. Avevo davvero firmato la mia
condanna a morte.
Scrollai la testa, salendo
al posto del guidatore e mettendo in moto. Quel che era fatto era fatto. Niente
più ripensamenti, dissi a me stessa.
Partii sgommando, avvolta
dalla luce calda del sole al tramonto, e mi abbassai ad accendere la radio,
cambiando stazione fin quando una canzone, Come Home degli OneRepublic, non
attirò la mia attenzione. Sorrisi, distraendomi, quando una figura in
controluce non si stagliò a una ventina di metri dalla macchina, posizionata a
gambe larghe e braccia teste lungo i fianchi nel mezzo della strada. Sgranai gli
occhi, affondando il piede sul pedale del freno ed inchiodai raggelata prima di
investirlo. Se avessi avuto un cuore
funzionante, ero certa che mi sarebbe esploso nel petto. Fissai quella figura
dal volto oscurato avvicinarsi lentamente, e Dio solo sa quanto desiderai che
non fosse lui. Non era così che avrei
voluto trovarmi davanti a lui, non senza prepararmi, non senza un preavviso, un
segno, qualsiasi cosa che mi permettesse di rimanere calma e lucida, l’esatto
opposto di come mi sentivo in quel momento.
Quando era ormai ad un
metro dal muso della macchina, la mia memoria scavò nel passato confrontando i
miei ricordi con quella figura, e constatando che no, non era lui, non erano le
sue spalle, i suoi capelli, le sue braccia…quell’uomo non era Elijah. Il
sollievo che ne derivò fu tale che quasi sorrisi, nonostante la situazione non
fosse certo delle più normali e rassicuranti.
Poi però, al suo ultimo
passo, quel sorriso mi morì sulle labbra ancor prima di nascere. Raggelai,
immobilizzandomi ancora di più se questo era possibile, e trattenni il fiato
sgranando gli occhi. Le mani si strinsero sul volante in una presa spasmodica,
mentre l’uomo si chinava in avanti, poggiando le sue sul cruscotto e
guardandomi dritta negli occhi, il viso contorto in una smorfia inquietante.
-Chi non muore si rivede,
vero piccola traditrice?- quel sibilo, quella voce all’apparenza dolce e
casuale, ma traboccante di rabbia repressa, mi scivolò addosso quasi fosse
un’impalpabile carezza gelida, facendomi rabbrividire fin nelle ossa.
Ingoiai a vuoto, alzando
il mento e ostentando una sicurezza che non mi apparteneva, prima di schiudere
le labbra.
-Ciao Klaus-
- - -
Angolino dell’autrice - - -
Ok, devo
davvero essere pazza per aver cominciato questa storia ma ormai è fatta, e non
si torna più indietro :)
Allora, tanto per cominciare questa follia è nata dal mio assurdo amore per
Elijah, perché sì gente, sono follemente innamorata di lui! Ehm…scusate,
momento di sclero…Ritorniamo a noi :) So che è il primo capitolo e so che non ci avete
praticamente capito una ceppa, ma vi prometto che col tempo si spiegheranno
molte cose, tipo la reazione strana di Nina di fronte alla somiglianza di Elena
con Katherine, cosa diamine è successo tra lei ed Elijah e cosa c’entra
Klaus….si ok vi sto già svelando troppo
eccheccavoli.
Riguardo
all’ambientazione temporale, possiamo dire che si svolge dopo la 3x18, quando
cioè il legame tra i fratelli Originali viene spezzato ma si scopre che
uccidendone uno, muore tutta la sua stirpe. Da lì in poi quindi non tiene
assolutamente conto dei fatti della serie, se non per brevi spunti magari, e
anche prima se trovate delle incoerenze beh ci stanno, perché x ragioni di
trama potrei aver modificato qualcosa, mi scuso da subito se questo è un problema.
Come coppie…la
mia coppia principale in assoluto è ovviamente Elijah e Nina, ma amando alla follia
anche Klaus/Caroline potrebbero esserci degli accenni, però non garantisco, lo stesso
vale per Damon/Elena, anche se in caso lì sarà del tutto casuale, è il mio inconscio
che mi spinge a metterli vicini vicini :P
Ora, mi sembra
di aver detto tutto quindi….lapidatemi, insultatemi, criticatemi, denigratemi oppure
che so, se vi va magari fate qualche apprezzamento, anche piccolo piccolo mi accontento
di poco, ma vi supplico recensite! Perché sì, sono una di quelle che soffre di autostima
bassa o chiamatela come vi pare, fatto sta che il mio morale crolla a picco se non
vedo nulla di nulla (nooooo questo non è un modo per prendervi per i sensi di colpa,
assolutamente, che vi salta mai in mente?!)
Bene, ho finito
di dire pazzie per oggi, vi capisco se vi ho spaventate, giuro, spavento già me
stessa quindi….
A presto (spero) :)
Deademia
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Capitolo 2 *** Affogando nell'eternità ***
2
2. AFFOGANDO
NELL’ETERNITA’
“Vi sono suicidi invisibili. Si
rimane in vita per pura diplomazia, si beve, si mangia, si cammina. Gli altri
ci cascano sempre, ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano, che
siamo morti.”
(Gesualdo Bufalino)
-Ciao Klaus-
La mia voce, un soffio
tremante che aveva la pretesa assurda di risultare sfrontato, riempì il
silenzio che si era creato. Era una concezione irreale quella, perché la radio
continuava a trasmettere la canzone ed in lontananza, là dove le strade erano
trafficate, il rombo dei motori riempiva l’aria di suoni dissonanti e
fastidiosi, ma io non sentivo nulla. Nulla che non fosse silenzio. Si dice che
anche questo, in effetti, sia un suono, sia percepibile e mai vuoto. In quel
momento capii che era vero. Era pressante, opprimente, fastidioso, soffocante.
Un silenzio che sapeva di paura. La mia. E lui la percepiva, fin troppo bene a
giudicare dal ghigno che aveva assunto mentre mi fissava al di là del
parabrezza.
-Sai dolcezza, mi chiedo
cosa diamine tu ci faccia qua, visto che a ragion veduta le tue ossa dovrebbero
trovarsi in Francia, consumate da più di un secolo e mezzo di tempo-
La visione macabra che mi
aveva appena dato, mischiata al terrore che provavo, mi mozzò il respiro.
Dentro di me sapevo che
quel giorno sarebbe arrivato, una parte remota del mio cuore, accuratamente
accatastata lontano dalla mente, era consapevole che prima o poi avrei dovuto
fare i conti con i fantasmi del passato, ma quei fantasmi erano troppo letali,
troppo dolorosi perché non provassi a fuggirne.
-Sapevo che eri una
ragazza piena di risorse, l’avevo sempre pensato e ora ne ho la conferma. Ma questo. Devo dire che mi sorprendi
sempre, Nina-
Mentre continuava a
parlare, immobile nella sua posizione da predatore pronto all’attacco, calcolai
quante possibilità avevo prima che mi riacciuffasse, nel caso in cui fossi
schizzata via dall’abitacolo prendendolo di sorpresa.
Molto poche, dovetti
ammettere.
In primo luogo perché un
originario lo si coglie raramente di sorpresa, Klaus in particolar modo, ma
soprattutto perché era infinitamente più vecchio, ergo più forte ed anche più
veloce. Non avrei potuto fare che pochi chilometri, prima di essere raggiunta.
-Sei stata particolarmente
brava a non farti scovare in questi anni, vero? Sono certo che hai
accuratamente evitato di incontrarci per…come dire…evitare che il compito a cui
la natura non è stata in grado di adempiere, passasse nelle nostre mani. Con
sommo piacere, aggiungerei- ghignò maligno, rialzando il busto ed inclinando la
testa di lato, osservandomi come se dalle parole non dette che testardamente mi
ostinavo ad ingoiare riuscisse a trarre un punto debole. Perché questo faceva
Klaus. Analizzava, cercava il tallone d’Achille, un appiglio dove potersi
ancorare per trascinare affondo , e poi annientava. Ma no glielo avrei dato.
Avevo lentamente portato
una mano alla leva della portiera, continuando a fissarlo, senza che notasse
quel millimetrico movimento, ed aspettavo solo che continuasse a parlare per
uscire da lì, sfuggire. Perché anche se le probabilità erano basse, quasi
nulle, dovevo tentare. Rimanere significava morire, era inutile girarci
attorno. Quelli erano tutti preliminari, entro pochi attimi avrebbe distrutto
la fiancata dell’auto e mi avrebbe trascinata fuori per poi strapparmi il
cuore, gioendo come solo lui sapeva fare nella realizzazione delle vendette.
Soprattutto se queste avevano aspettato secoli per essere gustate.
-Sai, piccola traditrice,
vorrei davvero sapere come reagirà Elijah quando scoprirà che sei viva- avevo
ancora i muscoli irrigiditi dall’attimo che precedeva lo scatto, quando la
buttò lì. Ed era consapevole, maledettamente consapevole che quello era il modo
per azzerare ogni mia possibile mossa, per rendermi inerme, spiazzata solamente
dal suono del suo nome. Per questo mi
immobilizzai, un riflesso involontario dettato da quello sciocco muscolo
voltagabbana e morto, ormai privo di battiti, fissandolo ad occhi sbarrati
–Non credo ne sarà felice-
Serrai le mascelle e lo
fissai gelida. Se il mio piano era stato quello di non pronunciar parola per
evitare di dargli stupidi spunti ai quali aggrapparsi, e fargli perdere tempo
nei suoi egocentrici monologhi prima di darmela a gambe levate, beh era appena
fallito miseramente.
-Che vorresti dire, con
questo?-
-Oh dolcezza, non avrai
per caso creduto che ti potesse accogliere a braccia aperte, come l’amore
creduto perduto e poi miracolosamente ritrovato? Non avrai pensato che ti
avesse perdonata?-
No, certo che no. Non ero sciocca,
e soprattutto conoscevo Elijah. Sapevo le conseguenze di un tradimento nei suoi
confronti, conoscevo con perfezione chirurgica quanto il perdono non fosse
contemplato nel suo infinito vocabolario millenario. Non mi ero mai aspettata
teatrini romantici o rosee rimpatriate.
A ben vedere, non mi ero
aspettata proprio nulla.
Ero consapevole di aver
sempre dedotto, con macabra ironia, che al primo incontro mi avrebbe tolta di
mezzo, ma non lo credevo davvero possibile, c’era quella piccola parte di me,
quella composta di soffici speranze e buone previsioni future, che aveva sempre
testardamente negato l’opzione.
Eppure avevo la certezza
che anche l’opposto sarebbe stato impossibile. Per questo motivo non sapevo
realmente che diamine sarebbe potuto accadere. E sempre per questo motivo
temevo quel momento, perché il non sapere, dannazione, era la peggiore tra le
ipotesi.
-Certo che no, Klaus, non
sono la sciocca bambolina dalle frivole idee che mi reputi. Ma so anche che non
accadrebbe ciò in cui tu speri, non è forse così?- oddio, dovevo essere pazza,
perché sfidare così apertamente quell’ibrido dal volubile autocontrollo, per
giunta con quel tono saccente ed un filino arrogante, era un vero suicidio –Non
mi ha uccisa secoli fa, perché dovrebbe farlo adesso, dimmi-
Con sgomento, vidi i suoi
tratti rigidi e severi distendersi in un espressione estremamente più ilare,
derisoria quasi. A sottolineare la teoria, una scoppio di risa mi fece
sussultare.
-Tesoro, è questo che
pensi? Che ciò che l’ha bloccato decenni fa, lo bloccherebbe anche ora? Quanta
illusione c’è in te…-scosse la testa fintamente amareggiato, e prima che parole
taglienti mi uscissero di bocca riprese –Il braccio che ha bloccato la mia mano
nel lontano 1824 prima che ti strappassi quel giovane cuore canterino che avevi
nel petto era mosso da futili sentimenti umani. Elijah lo era. Assuefatto da
debolezze di cui tu eri l’unica, principale causa. Dio solo sa come l’avevi
ammaliato, stordito, o come diresti tu, fatto innamorare- aggiunse con un rapido
e disgustato gesto della mano, facendomi quasi sbriciolare il volante tra le
dita –Ma sono passati lunghi decenni dolcezza, decenni in cui ti ha giustamente
creduta morta, in cui è andato avanti, dimenticandosi lentamente di te. Ora,
hai la presunzione di conoscere bene mio fratello, quindi ti chiedo una cosa:
quale credi che sarà il primo sentimento ad investirlo, la volta in cui ti
vedrà? Quel flebile amore sfibrato durante i secoli, uno dei tanti nella sua
lunga esistenza, o l’odio verso il tradimento subito, in un uomo come Elijah,
dove un tradimento pesa più di mille altre parole e gesti?-
Aveva ragione. Aveva schifosamente ragione ed io, purtroppo,
ne percepivo la consapevolezza in ogni cellula del mio corpo. Ma volevo
ignorarlo perché faceva troppo male,
stillava dolore attimo dopo attimo come una ferita sanguinante che non
smette di colare.
Guardai quel ghigno,
tipico di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico e ben conficcato
nel corpo ormai distrutto dell’avversario, e trovai la forza, la rabbia, con
cui rispondergli.
-Il mio tradimento non è
mai stato tale! Ho agito nel bene, ho fatto ciò che credevo giusto e le mie
azione, se a qualcuno dovevano recar torto, avrebbero dovuto farlo solamente
con te. A te ho voltato le spalle, è stato il tuo nemico che ho aiutato Klaus,
era la tua guerra! Elijah non c’entrava
niente, ma ti ha sempre ciecamente seguito, addossandosi i tuoi doveri,
i tuoi ideali e le tue battaglie. Non è giusto che il mio atto venga
considerato un’offesa nei suoi confronti,
non lo è mai stato, eppure nessuno l’ha capito. Se avessi mai voluto
bene a tuo fratello, se non fossi l’ipocrita egoista privo d’amore che nulla sa
fare se non pensare al proprio bene, glielo avresti fatto notare, ma eri troppo
preso dai tuoi capricci per pensare al bene di tuo fratello, troppo preso dalla
collera nei mie confronti per preoccuparti di placare la sua, immotivata, che
l’ha reso cieco d’odio verso l’unica donna che l’abbia mai reso felice. E sì,
ho la presunzione di affermare questo perché ho visto il suo sguardo, il
cambiamento nei suoi occhi dal giorno in cui mi ha incontrata, e non lo puoi
negare nemmeno tu, Niklaus- avevo il respiro affannato e gli occhi sgranati,
collerici, mentre le unghie conficcate nei palmi tracciavano dolorose mezzelune
vermiglie che tangibili dimostravano quanto mie ero sforzata di rimanere
ancorata al mio posto, invece di scendere e prenderlo per il collo, mossa
alquanto stupida.
Certamente comunque, il
mio bel discorsetto non era stato da meno, e l’uso scellerato del suo vero nome
era stato un tocco di follia che avrebbe mandato la sua furia alle stelle.
-Tu! Stupida vampira,
lurida traditrice come osi?! Non permetterti mai più di insinuare simili
idiozie, non sai nulla su di me e su mio fratello! Quando l’hai aiutata, non
hai solamente tradito me, ma anche lui, perché siamo una famiglia, ed un’offesa
nei mie confronti lo è anche nei suoi. Ti reputi la sua felicità, la sua
salvezza, credi di conoscerlo tanto bene ma se non sai nemmeno che per lui
l’amore familiare è al primo posto nella scala delle sue priorità, allora non
sai un bel niente- mi guardò con odio, e seppi che in quel momento avrebbe
davvero voluto uccidermi. Poi sorrise mefistofelico e aggirò la macchina. I
suoi sbalzi d’umore erano disarmanti.
–Comunque dolcezza,
ritornando al punto della questione, non devi preoccuparti di come potrebbe
reagire nel vederti viva, non credo ne
avrà mai l’occasione- le ultime parole uscirono come un ringhio mentre gli
occhi gli si iniettavano di sangue e i muscoli si contraevano pronti allo
scatto.
Fu un riflesso
incondizionato quello di premere il pedale dell’acceleratore, non avendo più
l’originario e sbarrarmi la strada, e partire a tavoletta. A ben vedere, non
sarebbe servito a nulla, perché un’auto come quella,anche spinta al massimo, se
paragonata alla velocità vampiresca risulterebbe puerilmente lenta.
Eppure lo seminai. O per
meglio dire, non mi seguì.
Guidai in preda all’ansia,
gettando frenetiche occhiate in ogni dove certa di vederlo rispuntare da un momento
all’altro, per tutto il tragitto, e solo quando raggiunsi la camera del B&B
e mi ci sbarrai dentro riuscii a tirare un vero respiro di sollievo,
accasciandomi contro la porta e scivolando lentamente al suolo.
Dire che ero provata era
un eufemismo. E non perché avevo rischiato di morire, mi era capitato altre
volte e non avevo mai avuto reazioni
simili, quanto più per chi mi ero trovata di fronte.
Klaus.
Solo un’altra persona
sarebbe stata in grado di farmi sentire a quel modo, se non peggio, e dopo
quell’amabile chiacchierata sul diretto interessato non ero poi tanto convinta
di volerlo incontrare per il prossimo….millennio.
Troppi ricordi erano
tornati a galla, troppi rancori repressi e dolori soffocati, flash di una vita
passata e ormai dissolta nel nulla che avrebbero dovuto rimanere sepolti nella
memoria, inaccessibili e lontani.
Mi alzai e andai al
lavello del bagno, sciacquandomi la faccia per poi appoggiarmi al marmo freddo
del piano.
Non sarei mai dovuto
andare là, ora più che mai ne ero certa. L’illusione di poter affrontare Elijah
era stata sciocca ed impulsiva. Dannazione, non riuscivo ad avere un incontro
col suo amabile fratello senza essere
assalita dal surrogato di un attacco di panico, come avrei mai potuto
affrontare lui senza soccomberne?!
Ma ormai avevo dato la mia
parola a Stefan, e non avrei certo fatto la figura della codarda scarica grane
per il mio sciocco lato umano e debole, attecchito a ricordi che mi rodevano
l’anima e sconquassavano l’esistenza.
Alzai la testa, fissando
il mio riflesso allo specchio con l’intento di dar maggior peso alla mia
decisione: ero lì e lì sarei rimasta, basta fughe, basta paure, la follia
l’avevo fatta, ma non si trattava più soltanto di me, quindi, come già mi ero
ripetuta mille volte da quando ero atterrata, l’avrei affrontato.
E avrei fatto rimangiare a
Klaus tutte le sue stronzate, sillaba dopo sillaba.
Francia, La Rochelle , 1824
C’era il mare sotto di me,
una distesa infinita di onde che si andavano a frantumare ciclicamente sugli
scogli appuntiti a metri e metri di distanza da dove mi trovavo.
La schiuma bianca era
l’unico sprazzo di luce in quella notte nera, anche la luna e le stelle erano
velate da una nebulosa coltre di nubi dall’aria bellicosa.
Il mare, in tutta
quell’oscurità, metteva i brividi.
Feci un passo avanti,
attenta a non scivolare su quei sassi umidi di salsedine, e sentii i piedi nudi
ferirsi con qualche pietra spigolosa, ma non me ne curai. Il vento, lassù,
sibilava gelido gonfiando la leggera camicia da notte bianca che indossavo e
smuovendomi con le sue repentine sferzate il capelli tutt’intorno. Sentivo
lacrime silenziose colarmi lungo le guance e seccarsi poco prima di cadere nel
vuoto.
Lì dov’ero, potevo udire
il rumore di quella distesa d’acqua immensa. Era rilassante, ma allo stesso
tempo minaccioso. Ammaliante.
Sembrava chiamarmi, una musa tentatrice che lentamente mi sospingeva tra le sue
braccia, avvinghiandomi con tentacoli mortali.
Aprii le braccia e guardai
l’orizzonte nero.
Nero come i suoi occhi.
Volevo urlare. Ogni
singola fibra del mio corpo voleva gridare il mio dolore, ma avevo la gola
secca e tutto quel che riuscivo a produrre era un flebile sussurro innocuo,
nulla se paragonato alla mia sofferenza. Era insoddisfacente.
Mossi un altro passo e
raggiunsi il limite, là dove le rocce cadeva a strapiombo nel vuoto.
Anche il mio cuore, era al
limite. Al limite dell’amore, della sopportazione, del dolore. E forse quel
limite l’aveva superato, forse per questo faceva così male, perché era andato
troppo oltre, ed ora la caduta era inevitabile, e mortale.
Chiusi gli occhi. Era
tutto troppo nero. Troppo lui. Faceva male, male dentro.
Perché mi ha abbandonata?
Perché?
Volevo smetterla di
soffrire.
Volevo stare bene, essere
felice. Liberarmi di quel peso, di quella tristezza soffocante, e respirare.
Perché non respiro? Aria. Dov’è la mia aria? Dov’è lui?
Un altro passo, piccolo.
In cerca di quell’aria che mi mancava, di quella felicità che non c’era più.
Volevo smetterla si
soffrire.
E poi accadde.
Lo sentii, il momento
preciso in cui sotto di me non vi fu altro che il vuoto. E cadevo, cadevo, e
più cadevo più mi sembrava di perdere la cognizione di tutto, del tempo, dello
spazio, del mio corpo, di me stessa.
Più cadevo e meno vivevo.
E meno vivevo e più ero felice.
Perché quella vita era
diventata sofferenza, e io non la volevo più.
Quando mi scontrai con
l’acqua, fu come se mille lamine di ghiaccio mi avessero attraversato la pelle.
Mi si bloccò il respiro in
gola. Sorrisi.
Sentii freddo, così freddo
che fui tentata di raggomitolarmi, ma non trovavo le braccia, né le gambe. Il
mio corpo era un ammasso di lame ghiacciate che non rispondevano più al mio
controllo.
Era libero, finalmente,
libero di non provare più nulla, libero di staccarsi da me.
Sentii l’acqua scivolare
lungo la gola e annidarsi là dove l’aria le lasciava spazio.
La frenesia dei primi
attimi era stata rimpiazzata da una calma sovrumana, mentre scivolavo sempre
più giù, sempre più in basso.
In un ultimo atto di
lucidità spalancai gli occhi, ma era ancora tutto troppo nero. Troppo lui.
Con quest’ultimo pensiero
scivolai nell’incoscienza, là dove la vita cede il passo alla morte.
Sentivo voci in
lontananza, grida di uomini e passi affrettati. Sentivo anche il suono
strisciante del mare e qualcosa bagnarmi ritmicamente una mano. Avevo freddo.
Mi ricordai del salto, del
vuoto sotto di me e poi di quel buio, così profondo, così asfissiante.
Ero morta.
Ma allora perché provavo
sensazioni così…vive? Perché sentivo
la veste bagnata incollata al mio corpo, i sassi appuntiti sotto di me e quel
forte odore di salsedine? Perché udivo quegli uomini sempre più nitidamente?
Perché avevo…sete?
Non ero forse
morta?Cos’era quello, una sorta di purgatorio, o forse l’inferno? D’altronde mi
ero macchiata di suicidio, il mio destino sarebbe stato bruciare nelle fiamme
eterne. Ma l’unico bruciore che sentivo proveniva da me, dalla mia gola riarsa,
tanto che lentamente portai una mano al collo stringendolo come a voler placare
quelle fitte mai provate prima.
Le voci si avvicinavano,
ora le distinguevo bene. C’erano due uomini, forse tre. Avevano lanterne in
mano e correvano verso il punto in cui mi trovavo io. Quando mi raggiunsero si
chinarono al mio fianco, voltandomi per potermi guardare in volto.
Sentivo le palpebre pesanti,
provai a muovere le braccia ma non rispondevano al mio comando. Rimasi immobile
in balia del volere di quella gente.
Udivo le domande che si
ponevano, si stavano chiedendo chi fossi, cosa avrebbero dovuto fare.
Il calore della torcia,
così vicina al mio volto, mi dava fastidio. Provai a spostarmi con un mugolio,
e questo attirò la loro attenzione.
-Ehi, mi sentite? Come vi
chiamate? Riuscite a rispondermi?-
-N-Nina…- non so come, ma
dalle mia labbra secche un flebile sussurrò riuscì ad uscire –Nina…Lefevre-
L’uomo dovette chinare il capo per capire
meglio, tanto che i suoi capelli mi solleticarono il volto. Aprii piano gli
occhi, incuriosita da un rumore ritmico e…invitante.
La prima cosa che vidi fu il suo collo, a pochi centimetri dalle mie labbra. Era
pallido, liscio, eppure guardando meglio potei notare un piccolo movimento, là
dove avrebbe dovuto esserci la giugulare. Un alzarsi e abbassarsi veloce,
costante, che ebbe la capacità di incantarmi. Più lo fissavo, più il bruciore
alla gola aumentava.
Persino quando si
allontanò, rialzando il busto per fissare i sui compagni, non riuscii a
distogliere lo sguardo.
-E’ la figlia del Conte!-
Sentii quell’esclamazione
sorpresa come un lontano sussurro privo di spessore.
Non mi importava più di
capire dov’ero, con chi ero o se ero ancora viva.
L’unica cosa di cui mi
importava in quel momento era il suono di quell’uomo, il suono della sua vita,
del suo sangue.
Troppo presi dalla loro
discussione, non si accorsero neanche del mio movimento, fin quando non fui completamente
seduta, all’altezza di quell’uomo.
Ci fu un secondo di totale
silenzio, ma io sentii…i loro cuori,
li potevo sentire come canti che osannavano l’arsura della mia gola. Erano
invitanti come la più dolce delle medicine, sembravano chiamarmi…ed io risposi.
Quando mi avventai sul
primo uomo, un pizzico di consapevolezza mi attraversò come uno squarcio, ma fu
infinitamente breve che non ebbi il tempo di fermarmi. Non potevo. Gli altri li
uccisi sena più un barlume di percezione della realtà negli occhi.
Durò tutto un attimo, o
forse un secolo, non lo seppi con esattezza, l’unica cosa che percepii fu il
sangue, tanto sangue, e le urla di uomini che lottarono per rimanere attaccati
alla vita, il resto fu una macchia confusa a cui non diedi importanza.
Solo alla fine,
completamente imbrattata, ferma immobile in mezzo a quei corpi ancora caldi e
inermi, morti, la consapevolezza mi investì come una doccia gelata.
Capii.
Capii cos’ero diventata, cosa avevo appena fatto, che razza di mostro ero
stata.
Capii e desiderai morire,
di nuovo.
Rimasi immobile in quella
posizione per ore, gli occhi sbarrati, la bocca rossa di sangue e le vesti
strappate e umide, fin quando un raggio di sole, il primo di quella nuova
giornata, non mi colpì il braccio. E bruciò.
Fu un riflesso
incondizionato raggiungere l’ombra, terrorizzata, fissando il punto in cui
l’ustiona stava lentamente svanendo. Un miracolo. O forse la più demoniaca
delle stregonerie.
Quello che feci dopo fu
meccanico e atroce: seppellii i cadaveri, uno dopo l’altro, gettandoli senza
sforzo in fosse scavate a mani nude. Mi sembrava ridicolo dire una preghiera,
io che li avevo uccisi, io che ormai ero diventata un abominio davanti agli
occhi di Dio, per questo girai le spalle senza più guardarmi indietro, fuggendo
per sempre da quell’Inferno, dalla mia casa, dalla mia famiglia, e dalla mia
vita.
- - -
Angolino dell’autrice - - -
Salve gente!
Passato bene Halloween?? :)
Allora,
intanto scusate l’enorme ritardo, il mio intento sarebbe stato quello di
pubblicare con una cadenza settimanale, ma è evidente che così non è stato…spero di riuscire ad essere più
puntuale la prossima volta, pregando che i miei impegni, prettamente
scolastici, non mi rubino così tanto tempo :) Che dire? In questo capitolo c’è
stato l’incontro/scontro con Klaus, e tra le righe si è potuto capire
qualcosina del passato di Nina e dei fratelli Originali – momento di silenzio…-
no? Beh abbiate pazienza, col tempo ogni nodo verrà al pettine :) C’è poi stato
quel flashback abbastanza lunghetto, dove, beh è piuttosto chiaro cos’è
successo direi, anche se lo so, mancano un po’ di fattori, del tipo chi l’ha
(accidentalmente) trasformata eccetera, MA non disperate, capirete capirete… A
voler essere sincera avrei voluto mettere anche la parte in cui la nostra
protagonista incontra la banda alleata ai Salvatore, e magari persino Elijah (e
qui un coro di sospiri innamorati XD), ma poi avevo paura venisse fuori un
papiro infinito che nessuno si sarebbe sognato di leggere (avendo tutta la mia
più totale comprensione ù.ù), quindi ho preferito finirla qui, e mettere il
resto nel prossimo capitolo.
Bene, dopo
aver detto tutto quel che c’era da dire sul capitolo, non mi resta che passare
alla parte più importante del mio monologo: i ringraziamenti. Vorrei ringraziare
davvero di cuore tutte quelle che si sono prese la briga di scrivere una recensione,
cioè taisha e jess chan, un grazie anche a chi ha aggiunto questa storia tra le
seguite, ricordate e preferite, quindi debby_88, bluesea, Bonnie98, taisha,
jess chan e Lux Nox, e alle lettrici silenziose.
Poi vorrei
ringrazia la mia amica/beta, che per il momento non può leggere questa storia
perché è un po’ indietro con gli episodi di TVD e rischia spoiler, ma che si è
impegnata nel realizzare il meraviglioso banner, Elizha, grazie davvero (e
muoviti a guardarti la terza serie che devi leggerla! XD).
Ooook gente,
ora ho concluso sul serio, quindi alla prossima, e mi raccomando recensite,
sono curiosa di sapere cosa ne pensate :)
Deademia
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Capitolo 3 *** Indifferenza che uccide ***
3
3.
INDIFFERENZA CHE UCCIDE
“Il
peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio ma l'indifferenza: questa è
l'essenza dell'inumanità”
(George
Bernard Shaw)
Francia, La Rochelle, 1824
Sdraiata tra le lenzuola
candide mi rigiravo tra le dita in trepidante attesa una delle lunghe ciocche
bionde, fissando il soffitto rosa antico del letto a baldacchino con sguardo
perso.
Quello era il gran giorno.
Sarebbero finalmente
arrivati i due misteriosi ospiti di cui tanto se ne era parlato tra le mura del
castello nelle ultime settimane, con bisbigli ciarlieri di serve maliziose o
semplicemente curiose ed ordini impartiti da mio padre perché tutto fosse
perfetto. Tante volte avevo provato a chiedere qualcosa di più a riguardo, ma
avevo ottenuto solamente risposte vaghe che non mi svelarono nulla più di
quello di cui ero già a conoscenza: due fratelli nobili conosciuti anni prima
in cerca di un luogo dove sostare nel loro viaggio in quella terra a loro
straniera. Una patina superficiale che certamente non ebbe la pretesa di
soddisfarmi i miei molteplici dubbi. Chi erano? Che aspetto avevano? Cosa ci
facevano in Francia?
Avevo tanto fantasticato
su di loro, immaginandoli prima in modo poi nell’altro, sbizzarrendomi a
modificare i loro aspetti, rendendoli ogni volta dissimili in maniera ridicola,
ma finalmente era arrivato il momento di conoscerli. Sorrisi, piena di
aspettative, quando un bussare leggero alla porta mi fece voltare.
-Avanti-
-Buongiorno Contessina,
avete riposato bene?-
Sophie, la mia balia dai
tempi in cui mossi i primi passi, entrò sorridente, tenendo tra le mani una
brocca con dell’acqua calda e teli puliti.
-Buongiorno Sophie,
benissimo come sempre. Dimmi, sono per caso già arrivati?- chiesi con una punta
d’ansia nella voce, temendo di essermi persa il loro arrivo. Eppure non avevo
sentito rumore di carri da che ero sveglia.
-Vi riferite ai nostri
ospiti? No, ma tra breve dovrebbero arrivare, vostro padre mi ha appunto
mandata a prepararvi, vuole che siate presente-
Sorrisi entusiasta,
scalciando le coperte e correndo verso di lei senza badare alla lunga camicia
da notte che mi intralciava il passo.
-Forza allora! Non voglio
tardare!- mi diressi spedita verso il bagno, sotto il suo sguardo divertito
–Muoviti Sophie!- le urlai, accorgendomi che era rimasta nella stessa
posizione.
-Arrivo, arrivo, ma
calmatevi per l’amor del cielo!- alzò gli occhi al cielo raggiungendomi, io non
le badai minimamente mentre mi sfilavo le vesti leggere.
L’avere ospiti, in quel
periodo, era cosa rara, una novità che spezzava la monotonia dei giorni e
rallegrava il clima pressoché sedentario che albergava a palazzo, era ovvio che
un’adrenalina profumata di gioiose speranze mi accarezzasse da capo a piedi.
Quando terminai di lavarmi
ed infilarmi la biancheria pulita, mi avvicinai al letto, appoggiandomi ad una
colonna del baldacchino e voltando la schiena alla balia, affinché potesse
stringere liberamente i lacci del corsetto. Trattenni il fiato, infastidita da
quella compressione asfissiane ma doverosa, mentre Sophie tirava ed annodava
velocemente e con movenze esperte, socchiudendo gli occhi ad ogni strattone
senza però proferire parola, erano ormai lontani i tempi in cui mi ero
lamentata di tutta quella tortura poco più che inutile.
Stretto anche l’ultimo
nodo con un sospiro pesante di soddisfazione si avvicinò all’ampio armadio,
aprendone le massicce ante in legno scuro intarsiato per rivelare i numerosi
abiti che facevano mostra di sé al suo interno. Ce ne erano di tutti i tipi e
colori, dai più eleganti, prettamente da ricevimenti ufficiali e balli, ai più
semplici, adatti solamente a giorni trascorsi in casa. Sophie ispezionò con
puntigliosa attenzione i vari vestiti, scartandone velocemente una buona metà,
poi ne afferrò uno verde con un’ampia gonna in raso, ma prima che potesse
tirarlo fuori cambiò idea adocchiandone un altro, blu scuro, in preziosa seta
drappeggiata ad arte e ricamata da un intricato disegno sul corpetto. Mi si
illuminarono gli occhi, era il mio preferito.
-Che ve ne pare?- sorrise
prendendolo tra le braccia e porgendomelo per cercare la mia approvazione.
-E’ perfetto Sophie!
Mettimelo, non voglio perdere altro tempo- non feci in tempo a finire di dire
quelle parole che il rumore dello scalpiccio degli zoccoli dei cavalli sul
ghiaino e delle ruote cigolanti di una carrozza arrivò in lontananza dalla
finestra aperta che dava sul cortile del palazzo.
-Oh no! Sono già
arrivati!- mi fiondai verso l’abito, infilandomelo con malagrazia e tirandolo
su con gesti bruschi e sbrigativi.
-Per l’amor di Dio Nina, datevi
una calmata o strapperete l’abito!- mi rimproverò la balia, sostituendo le mie
dita frenetiche con le sue, più esperte, che fecero scivolare la stoffa liscia
lungo il mio corpo per poi chiuderlo velocemente senza intoppi.
-Ecco fatto, fatemi dare
una spazzolata a questa chioma ora, su- mi fece accomodare davanti ad uno
specchio, afferrando la preziosa spazzola d’argento e affondandola tra le
onde dei miei capelli, mentre mi contorcevo
con ansia le mani in grembo attenta ad ogni più piccolo rumore proveniente
dall’esterno. Avevo sentito la carrozza arrestarsi, segno che erano ormai
davanti al portone, poi uno schiocco come di uno sportello aperto di scatto.
Fremetti, mordendomi il labbro inferiore
mentre i miei occhi cadevano sulla mia immagine riflessa. Non stava facendo
niente di particolare, nulla di sfarzoso o complicato, li stava semplicemente
districando per poi appuntarne due ciocche sulla nuca con un fermaglio
appartenuto a mia nonna, in argento, rivestito di pietre preziose.
Un bussare alla porta mi
fece scattare la testa, tanto che Sophie mi strattonò per sbaglio un ciuffo,
facendomi fare una smorfia.
-Avanti-
Un servo entrò, chinando
il capo in segno di rispetto.
-Contessina, vostro padre
desidera che lo raggiungiate nella sala dei ricevimenti-
-Riferiscigli che sarò
subito da lui- lo vidi annuire chinando nuovamente il capo prima di uscire
dalla stanza in silenzio.
-Ecco fatto, adesso siete
proprio un incanto- mi sorrise Sophie, fissandomi attraverso lo specchio –Non
so chi siano questi misteriosi ospiti, né come siano, ma certamente non
potranno che rimanere incantati davanti a questo bel volto-
Risi, voltandomi verso di
lei.
-Oh Sophie, tu sei sempre
stata troppo buona. Comunque ti ringrazio- mi alzai, rassettando le pieghe
dell’abito e portando le mani al corpetto –Ci vediamo dopo- la salutai,
avviandomi lungo il corridoi fuori dalla stanza.
Dovetti percorrere due
rampe di scale e svoltare almeno cinque volte per raggiungere la sala designata
all’incontro, ma quando vi entrai i miei piedi non poterono che bloccarsi,
riflesso incondizionato di ciò che i miei occhi videro.
Due giovani uomini se ne
stavano in piedi, voltati di profilo, a conversare amabilmente con mio padre,
mostrando in tal modo solamente una piccola parte dei loro volti indubbiamente
marcati e attraenti.
-Oh, Nina, eccoti
finalmente. Vieni, ti presento i nostri ospiti- mio padre allungò una mano in
mia direzione, invitandomi ad avvicinarmi. Sorrisi incamminandomi mentre i due
si voltarono a guardarmi, gli occhi scintillanti di pura curiosità. Quando fui
davanti ad entrambi mi inchinai, abbassando lo sguardo lievemente imbarazzata
da quelle attenzioni, per poi rialzare la testa e fissarli con titubanza negli
occhi.
Occhi così diversi.
Erano l’opposto, gli uni
azzurri, cristallini come il mare illuminato dal sole d’estate, quasi ironici
nella loro espressione gioviale, gli altri neri come la notte, profondi tanto
da sembrare irraggiungibili, misteriosi come misterioso era lo sguardo che
irradiavano.
Ne rimasi incantata.
-E’ un piacere fare la
vostra conoscenza-
-Il piacere è nostro,
Contessina- il ragazzo dagli occhi celesti si avvicinò, afferrandomi
delicatamente la mano per poi baciarla con un sorriso che a posteriori
definirei unicamente malizioso –Permettetemi di presentarmi, il mio nome è
Klaus. Lui invece è mio fratello, Elijah- il ragazzo in questione mosse un
passo, inclinando l’angolo delle labbra in un sorriso prima di posarle sul
dorso della mia mano, esattamente come aveva fatto il fratello pochi attimi
prima.
-E’ un onore- sussurrò
galante, ritraendosi e lasciandomi lì, inebetita, a fissare quegli occhi pece
che non accennavano a staccarsi dalla mia figura.
Non seppi se fu solamente
una fantasticheria sciocca, dovuta alla soggezione creata dal momento o da
quell’infatuazione nascente, scoccata come un fulmine a ciel sereno, ma quasi
lo sentii nella pelle, nelle cellule che vibranti mi scatenarono brividi lungo
tutta la schiena, il cambiamento radicale che da quel momento avrebbe portato
ad un lento, dolce declino della mia vita. A ben vedere, quello spirito di
autoconservazione praticamente inconsistente radicato in qualche anfratto della
mia mente forse aveva voluto avvertirmi del rischio di quella situazione di cui
avevo iniziato ad essere preda; e quelle scosse flebili probabilmente non erano
altro che segnali del pericolo che si era insinuato strisciando in casa mia,
entrando dalla porta d’ingresso con tutti gli onori possibili per giunta, ma io
le registrai come puro piacere, rimanendone assuefatta tanto da decretarle come
riflesso del tutto normale a quello sguardo ammaliatore che con insistenza mi
sospingeva a perdermi nelle sue profondità, a sprofondare nel suo abisso di
oscurità.
Fu in quell’esatto
istante, contro ogni logica possibile ed impersonando le più frivole
protagoniste di romanzetti rosa che oggi spopolano tra le pagine degli Harmony
e di altri libri di dubbia consistenza letteraria, che me ne innamorai.
Proprio così, me ne
innamorai lì, con la mano ancora a mezz’aria e il risuono delle sua voce
galante nelle orecchie, con gli occhi sgranati fissi nei suoi e la gola secca,
col cuore che senza una ragione valida batteva furioso e quel sorriso ebete che
mi spiegava le labbra.
Me ne innamorai ancor
prima di conoscerlo, ancor prima di capire chi era, cosa era, ancor prima di sapere la sua storia, quella vera, di
accettare le sue proposte di passeggiare per il giardino antistante il palazzo,
rendendomi conto di quanto la sua pazienza fosse sconfinata il giorno in cui mi
ascoltò senza proferir parola per ore, o di imparare ad apprezzare quella sua
tipica usanza tutta inglese di bere il tè sul tardo pomeriggio.
Me ne innamorai senza una
ragione, senza nemmeno rendermene conto, attribuendo al battito sordo e
frenetico del mio giovane cuore un significato puramente superficiale, legato
all’eccitazione di avere due ospiti tanto ammalianti per un tempo indefinito a
palazzo, e non ciò che invece voleva davvero essere, l’inizio di un amore
dannato, dannato come l’uomo di cui mi ero infatuata, dannato come l’esistenza
che con un tale sentimento mi ero immancabilmente costretta a vivere.
Mi ero innamorata del
diavolo, un diavolo che beveva il tè delle cinque e trasudava galanteria da
ogni gesto, e non me ne ero neanche accorta.
Mystic Falls, oggi
Bussai alla massiccia porta
di casa Salvatore gettando una rapida occhiata indietro, l’immagine di un pazzo
Klaus che mi compariva alle spalle senza preavviso mi aveva tormentata per
tutto il tempo che avevo passato fuori dalla stanza del B&B, e per quanto
ero consapevole che come vampiro sarei stata in grado di percepire la sua
presenza o meno, l’idea era tanto terribile da eclissare anche un dato di fatto
irremovibile come quello.
Sentii suoni in lontananza
provenire dall’interno, una voce femminile che bisticciava animatamente, rimbeccando
senza tregua le affilate battute di un ragazzo.
-Oh per l’amor del cielo Matt, basta! Cos’è tutta
questa diffidenza, sei peggio di…peggio di Bonnie Santo Dio, e te lo dico con
tutto l’affetto possibile, perché lei è una mia amica e tutto quanto, ma
piantala!-
-Caroline sei assurda. Ti sei forse dimenticata i
casini in cui siamo incappati praticamente secondo dopo secondo negli ultimi
tempi? Eppure hai la memoria di un vampiro ormai, certi dettagli dovrebbero
risultarti chiari mi pare-
-E lo sono, sono cristallini! Cosa credi, che mi
sia dimenticata che un pazzo ibrido originario sta cercando di usare la mia
migliore amica come banca del sangue? Pensi che mi sia dimenticata che il mio
ragazzo ora si trova chissà dove tra una montagna dal nome impronunciabile e
l’altra a combattere contro uno stupido asservimento che mi ha quasi uccisa?
Che ora non stia maledicendo in tutte le lingue che conosco ogni singolo passo
falso che ci ha portati sempre più vicini a questa…catastrofe? Sono
consapevole, dannatamente consapevole del casino in cui ci troviamo, e il mio
bellissimo fondoschiena è in pericolo quanto quello degli altri per colpa della
mammina originaria da premio nobel che sembra volerci estirpare come erbacce
secche, ma stare qui a lagnarmi su quanto potrebbe essere rischioso fare questo
e fare quello non mi sembra una buona idea Matt, abbiamo toccato il fondo, ci
siamo sprofondati praticamente e, beh, sai che ti dico? Ogni aiuto lo
accoglierò a braccia aperte, certamente non gli sputerò in faccia come sembri
intenzionato a fare tu-
Sentii distintamente uno
sbuffo seccato e quello che doveva essere un piede sbattuto con forza a terra,
gesto molto maturo, pensai con un sorriso, prima di udire dei passi affrettati
raggiungere l’ingresso. La porta si spalancò, palesando uno Stefan decisamente
a corto di pazienza, il che era tutto dire.
-Ciao Nina- sorrise
appena, invitandomi ad entrare con un gesto del braccio, ed io non mi feci
attendere, sfilandomi contemporaneamente il giacchetto dalle spalle.
-Buongiorno, disturbo?-
-Cosa? Oh no, anzi
scusali, siamo tutti un po’ nervosi ultimamente…- si grattò la nuca, sorridendo
imbarazzato.
-Tranquillo- gli
accarezzai una spalla sorridendo comprensiva, d’altronde potevo capire la loro
diffidenza in un momento simile, probabilmente io stessa avrei reagito a quel
modo vedendo una vampira comparire dal nulla in un momento critico come quello
che stavano vivendo; prima di gettare un’occhiata incuriosita verso il salotto
–Allora, mi presenti questi…compagni di squadra?- tentennai, non sapendo bene
come definirli, il che lo fece ridere.
-Certo, seguimi-
Mi fece
strada, anche se ormai avevo capito come orientarmi tra quelle mura trasudanti
antichità da ogni anfratto, e sbucammo nell’ampio salone dove ad aspettarci
vidi una ragazza bionda dal sorriso effervescente che se ne stava accoccolata
sul bracciolo del divano, accanto sedeva un ragazzo abbastanza imbronciato che
mi gettò una rapida occhiata prima di piantare lo sguardo sul tappeto con
insistenza, mentre in piedi dietro di loro ritrovai lo sguardo amichevole di
Elena. Non potei trattenere un brivido, non di fronte a quel viso così identico
al suo, tanto che potei risultare
quasi sgarbata nel rapido saluto che le rivolsi prima di voltare lo sguardo
altrove. D’altronde era più forte di me, più il passato ritornava nella mia vita
e più cercavo di fuggirgli. Solo dopo un
istante notali l’assenza dell’ironico rampollo di casa Salvatore e della strega
a cui avevamo affidato il libro.
-Tu devi essere Nina, sono
così felice di conoscerti, ho sempre adorato la Francia sai? Comunque sono
Caroline- la ragazza bionda balzò su con espressione letteralmente
elettrizzata, materializzandosi davanti a me in un battito di ciglia e
porgendomi amichevolmente una mano, che non rifiutai certamente di stringere,
sorridendole grata per quell’accoglienza calorosa.
Erano anni, o forse decenni,
che non mi si palesava davanti tanta vitalità e voglia di fare conoscenza. A
pensarci, forse ero sempre stata io a porre mura tra me ed il resto del mondo,
evitando di legarmi con la
consapevolezza che tutto sarebbe svanito, dissolto lungo i secoli. Non per
questo non avevo amici sparsi per il mondo, ma erano come me vampiri troppo
abituati alla sregolata vita che tale esistenza permetteva, troppo distaccati dalla
mentalità di “amicizia umana” per poter creare qualcosa di solido, qualcosa di
stabile e vissuto. Erano parentesi più o meno importanti della mia vita che
ricordavo con affetto, ma che rimanevano là, nel passato, e qualche volta
ricomparivano, si facevano sentire per un breve periodo, per poi scomparire di
nuovo nella nebbia della lontananza.
Quella
ragazza invece, quella vampira, sembrava così…umana. Forse era solamente
passato poco tempo dalla sua trasformazione, o forse era semplicemente lei che
riusciva in qualche modo a restare attecchita a quello spirito umano che col
tempo scompariva pian piano in ogni immortale. Provai un pizzico d’invidia nei
suoi confronti perché rividi in lei me stessa, la me di un tempo lontano,
quella che era realmente affogata tra le onde del mare nel 1824, lasciando il
posto all’essere che ero divenuta,
poi scossi la testa con amarezza, simili pensieri pensavo di averli accantonati
molti decenni prima.
-E’
un piacere conoscerti Caroline- le sorrisi, stringendole la mano –E sono
contenta ti piaccia la Francia,
chissà un giorno magari farò da guida turistica anche a te- risi e la ragazza
mi guardò aggrottando le sopracciglia.
-Come
mai “anche”?-
Gettai
un’occhiata ironica a Stefan, che al mio fianco alzò gli occhi al cielo prima
di dirigersi verso Elena ed abbracciarla da dietro, posandole il mento sulla
spalla.
-E’
una storia lunga, ma ti basti sapere che Stefan non aveva un grande spirito di
orientamento all’epoca e che ci fu bisogno di un intervento immediato per
fargli conoscere ogni bellezza di Parigi- sorrisi riportando alla mente vecchi
ricordi di quando incontrai per la prima volta quel vampiro vegetariano dagli
occhi verdi.
-Ah
è cosi? Complimenti signor Salvatore, credo sia l’unico vampiro al mondo a non
sapersi orientare in una città come Parigi- Elena lo prese in giro, voltando la
testa per guardarlo in tralice con aria furbescamente derisoria.
-Io
credo che Nina abbia un po’ ingigantito la cosa, le avevo solamente chiesto
un’indicazione stradale, e lei si è gentilmente offerta di farmi da guida
vedendo che ero straniero- si difese lui, sbuffando divertito.
-Solamente?
Mi hai chiesto come potevi raggiungere Notre Dame, Stefan, mi sei sembrato un
caso decisamente disperato –
Caroline
ed Elena scoppiarono a ridere, il ragazzo che per tutto il tempo era rimasto ai
margini del nostro quadretto ilare sorrise a mezza bocca e Stefan si affettò a
chiudere il discorso.
-Bene,
che ne dite di darci un taglio con i vecchi ricordi e passare a qualcosa di più
serio?- al che io mi avvicinai, accomodandomi su di una poltrona di fronte al
divano, accavallando le gambe ed intrecciando le mani sopra al ginocchio, in
aspettativa.
Stefan
si chiarì la voce.
-Nina,
cosa sai degli Originari?-
Tutto.
-Poco
e niente, voci sparse durante i secoli, qualche leggenda e pochi documenti con
lievi accenni- mi strinsi nelle spalle cercando di risultare il più credibile
possibile, non volevo che scoprissero il mio passato, non in quel momento,
quando ancora dovevo far chiarezza io stessa sulla questione, né in quel
frangente, dove esso era a tutti gli effetti il nemico –So che sono i nostri
“Adamo ed Eva”, ma sinceramente la mia cultura in merito si ferma qua-
Stefan
annuì pensieroso, e per un attimo mi si strinse lo stomaco in una spiacevole
morsa, non mi piaceva mentire, per quanto ironico fosse visto che la mia
esistenza stessa doveva essere una costante bugia agli occhi degli altri, ma
odiavo ancora di più farlo con quelli che consideravo amici. Eppure non avevo
altra scelta, non ancora.
-D’accordo…allora
dobbiamo partire dall’inizio. Mille anni fa una strega di nome Esther, la Strega Originaria, trasformò
suo marito Mikael ed i suoi figli, Niklaus, Elijah, Rebekah, Kol e Finn, in
vampiri prendendo potere dal sole e dalla Quercia Bianca ed usandosangue nel
rituale, affinché riuscissero a proteggersi dai licantropi che minacciavano
sempre più il villaggio e che erano arrivati ad uccidere uno dei suoi figli.
Questi tre elementi, però, diedero sì loro la vita, ma allo stesso tempo li
condannarono: il sole, come ben sai, era in grado di ustionarli ed ucciderli,
il legno della Quercia Bianca era l’unico in grado di togliere loro la vita e
il sangue era ciò da cui erano dipendenti, unica sostanza in grado di nutrirli.
Quando lo scoprirono bruciarono la quercia, ma la sua polvere se cosparsa su di
un pugnale ottiene gli stessi risultati. Niklaus però non era figlio di Mikael,
ma di un licantropo, per questo fu il primo ibrido nella storia, l’essere più
forte che possa esistere. Circa un anno fa è venuto qui a Mystic Falls per
spezzare la Maledizione
del Sole e della Luna, poiché gli serviva Elena, o meglio il suo sangue di
doppelganger, per il rituale, ma questa storia la conosci già, come sei a
conoscenza che uccidendone uno uccidi tutta la sua discendenza, è il motivo per
cui sei qui d’altronde-
Annuii
tesa, ero a conoscenza della storia di Elijah, ma certo non si era dilungato
nei dettagli della sua trasformazione, o nel piccolo segreto di Klaus e della
sua mezza licantropia, a quel tempo.
-Per
cui Klaus adesso è un ibrido a tutti gli effetti, giusto?-
-Già…con
tanto di scodinzolanti cagnolini mezzi vampiri appresso- ringhiò Caroline,
facendomi inarcare un sopracciglio. Stefan si premurò di spiegarmi.
-Non
si è limitato a spezzare la maledizione, ha anche iniziato a creare ibridi come
lui, vampirizzando dei licantropi e instaurando così un legame di asservimento. E…beh anche Tyler,
il suo ragazzo, è stato trasformato. Ora si trova sugli Appalachi, a cercare di
spezzare l’asservimento in qualche modo-
Prima
che potessi ribattere, palesando il mio stupore per questa assurdità egoistica
ed ingiusta, il ragazzo che fino a quell’istante non aveva aperto bocca scattò
come una molla.
-Ma
certo, adesso sveliamole anche questo! Come se non bastasse metterla a
conoscenza di ogni nostra intenzione- scosse la testa, sorridendo per nulla
divertito –Chi ce lo dice che non faccia il doppio gioco, eh? Sappiamo quanto
Klaus sia subdolo, ce lo ha dimostrato svariate volte mi sembra, e noi siamo
qui a svelare ad una perfetta estranea sbucata dal nulla praticamente ogni
cosa!-
Stefan
lo guardò compassionevole ma severo, prendendo in mano la situazione, mentre
Caroline sbuffò seccata.
-Matt,
è una mia amica non un’estranea, la conosco e so bene da che parte sta-
-Potrebbe
essere stata soggiogata- buttò lì allargando le braccia, quasi fosse una cosa
ovvia, sfidandoli a contraddirlo –O potrebbe mentirci e conoscere Klaus da
molto più tempo di te, che ne sai. Io non mi fido. Probabilmente il libro è
solo una scusa per farci perdere tempo, così intanto lei può fare i suoi comodi
sporchi per quel pazzo-
A
quel punto non potei trattenermi e scoppiai a ridere sotto lo sguardo
sbigottito di tutti.
-Scusatemi-
dissi, non appena mi fui ripresa –Ma è davvero ridicolo. I miei comodi sporchi?
Pensi che un tipo come Klaus perda tempo ad infiltrare una sottospecie di spia
nelle file nemiche?-
-Sembri
conoscerlo bene, mi pare- insinuò, assottigliando lo sguardo.
Oh, non hai idea di quanto tu abbia
ragione.
-D’accordo,
chiariamo questa situazione ambigua una volta per tutte. Se davvero lavorassi
per Klaus, a quest’ora ti ritroveresti con il collo spezzato senza neanche
essertene accorto, avrei già strappato il cuore sia a Stefan che a Caroline,
perché sono più vecchia di loro, e quindi più forte, e gli avrei portato Elena,
come deduco desideri da ciò che mi state dicendo. Quindi, pensi davvero che se
facessi il doppio gioco per Klaus, starei ancora qui a parlare?-
Stefan
sorrise, intuendo che le mie parole avevano sortito l’effetto desiderato, così
come Elena e Caroline, che, notai, mi guardò con una punta d’ammirazione.
Il
ragazzo che intuii chiamarsi Matt, borbottò qualcosa prima di rinunciare,
alzandosi con un sospiro.
-Va
bene, fate come volete, ma io me ne vado- e detto questo imboccò la porta e se
la sbatté alle spalle con violenza, lasciando che calasse un pesante silenzio
tra di noi.
-Scusalo,
è fatto così…è un cretino, ma non è cattivo. Gli passerà- sussurrò imbarazzata
Caroline, sedendosi al mio fianco.
-Lo
so, penso abbia solo molta paura. Ma chi non ne avrebbe? Anzi, è da lodare,
pochi altri avrebbero avuto il coraggio di parlarmi così, un qualsiasi altro
vampiro più orgoglioso e iracondo gli avrebbe staccato di netto la testa-
sorrisi.
Caroline
rise –Avrei in mente un soggetto simile…magari millenario e con un problemino
con la luna-
-Ma
quanta ilarità ragazzi, su fate ridere anche me, anzi…noi- quando mi voltai
verso Damon fui sicura di sbiancare, mentre il sorriso mi si gelava sulle
labbra esangui.
Appoggiato
allo stipite della porta, una mano nella tasca del completo nero dal taglio
costoso e l’altra placidamente abbandonata lungo il fianco, c’era Elijah.
Una
statua sarebbe stata meno immobile di me, ne ero sicura. Se fossi stata umana,
il cuore avrebbe cominciato a battermi furioso nel petto, il respiro sarebbe divenuto
un affanno discontinuo ed irregolare e la fronte si sarebbe imperlata di
goccioline gelate, ma ero un vampiro, per cui l’unico cambiamento fu quella mia
immobilità assoluta, l’irrigidimento di ogni muscolo del mio corpo, l’annebbiamento
totale della mente e quel peso sullo stomaco, molto simile ad un pungo, che mi
creava un senso di nausea sempre più pressante.
In
altre parole, terrore puro.
Deglutii
la poca saliva che avevo in bocca mentre lo fissavo come un drogato fissa la migliore
droga presente sul mercato.
I
capelli erano più corti, le vesti moderne, ma per il resto era sempre lui,
l’Elijah che avevo conosciuto quasi due secoli prima, quello di cui mi ero
perdutamente innamorata. Aveva lo stesso portamento sfrontato e sicuro di sé,
gli stessi illeggibili occhi scuri e la stessa espressione misteriosa che gli
avevo visto la prima volta che l’avevo incontrato. Solo il sorriso era sparito,
sostituito da una linea dura e severa, non trasudante nulla più che
indifferenza.
Quando
i suoi occhi si posarono su di me e la sua mascella ebbe un impercettibile
guizzo, fui sicura di morire. Mille emozioni si mescolarono dentro di me, mille
sentimenti, mille sfumature diverse: paura, amore, nostalgia, dolore, rabbia.
Non riuscivo a sintonizzarmi su qualcosa di stabile, ero una trottola impazzita
che ogni istante provava qualcosa di diverso e destabilizzante.
Quando
poi, con una noncuranza che fu pari ad una stilettata dritta al cuore, voltò il
capo verso gli altri, distogliendo come nulla fosse lo sguardo dal mio, per
poco non caddi dalla sedia.
Com’era
possibile? Come diavolo aveva potuto essere così…indifferente?
Sgranai
gli occhi, trattenendomi dal non boccheggiare per puro buon gusto, prima di
espirare lentamente un tremolante respiro, continuando a fissarlo scioccata .
-Che
diamine ci fa lui qua?- Caroline assottigliò lo sguardo insospettita, fissando
l’originario con circospezione mentre si faceva più vicina ad Elena, quasi a
volerla proteggere.
-Non
c’è bisogno che tu sia così guardinga, giovane Forbes, non ho intenzione di
torcere un solo capello ad Elena-
Sentire
quella voce, la sua voce, dopo
duecento anni fu un colpo al cuore, a quel povero muscolo morto che era ancora
in grado di sanguinare per lui.
-Non
sta mentendo Barbie, ritira gli artigli, il nostro pezzo da museo è venuto a
portarci liete notizie- scherzò Damon, per poi schiarirsi la voce ad una sua
occhiata per niente amichevole.
–Volevo dire che girando l’ho incontrato, e a quanto pare ha delle
novità da raccontarci- poi vagò con lo sguardo per la sala, fermandosi con un
ampio sorriso su di me –Ma non pensavo avremmo avuto ospiti. Che piacere rivederti
Nina, vieni a conoscere per la prima volta un Originario, su, sarà emozionante-
ironizzò, allungando un braccio nella mia direzione con fare plateale.
In
qualsiasi altra situazione avrei trovato la scenetta divertente, ma non quella
volta.
Deglutii
a vuoto, artigliando senza farmi notare la stoffa della poltrona, mentre Elijah
rimaneva impassibile nella sua posa elegante, in piedi a pochi passi da me. Mi
fissò, e nel suo sguardo vi lessi solamente il vuoto. Sembrava privo di emozioni, totalmente indifferente a tutto
ciò che lo circondava, totalmente indifferente a me. Odiai quel suo sguardo freddo, gelido, lo sguardo di un uomo
per cui nulla e nessuno ha valore, e per un attimo desiderai che mi sbattesse
al muro, che mi urlasse addosso la sua rabbia, quella che, ero certa, fosse
nascosta sotto quella scorza di noncuranza e passività, per un attimo
desiderai che mi artigliasse il petto e
mi strappasse il cuore, tutto purché reagisse. Ma rimase immobile, guardando me
o un punto imprecisato sopra la mia spalla, trasmettendomi null’altro che il
gelo.
Possibile
che questi due secoli fossero bastati per dimenticarsi di me? Per dimenticare
l’amore che provava, ed anche l’odio scaturito dal mio tradimento? Possibile
che avesse cancellato proprio tutto?
Alla
fine mi alzai, credendo di traballare sui tacchi, ma percorsi incolume la
distanza che ci separava fissando ostinatamente il pavimento in legno. Solo quando me lo trovai di fronte osai
alzare la testa, ritrovando quello sguardo illeggibile a perforarmi
intensamente.
Fui
davvero tentata di urlargli contro che diavolo avesse, se mi avesse
dimenticata, e con me avesse dimenticato anche l’amore e l’odio che ci avevano
legati, ma mi limitai ad alzare la mano tremante per farmela stringere, così da
non destare alcun sospetto negli altri.
-Nina-
dissi solamente, e già quell’unica parola mi costò uno sforzo immane che
prosciugò la scarsa riserva d’aria accumulata faticosamente nei polmoni da
quando era entrato nella stanza.
Poi
accadde l’inaspettato.
Invece
di stringerla la voltò e si chinò a sfiorarne il dorso con le labbra, in un
deja vù dolorosamente vivido che mi procurò un’acuta fitta alla bocca dello
stomaco.
Non può essere…
Quando
si rialzò, le labbra erano piegate in un sorriso in cui vi lessi solo macabra
ironia amara incapace di contagiare gli occhi, duri, severi, spietati.
La
tentazione di tirare via la mano con forza fu acuta, irresistibile. Ma rimasi
immobile, gelata in quella posizione, gli occhi appena sgranati e la mascella
contratta.
-E’
un onore- sussurrò apparentemente galante, ed io sprofondai in quelle tre
parole cariche di significati nascosti, affondai senza via d’uscita soffocata
dalla consapevolezza di ciò che realmente significavano.
Elijah
era lì, ad un passo da me, teneva gentilmente una mia mano nella sua e mi
guardava in un modo così devastante che
ebbi voglia di urlare, o di piangere.
Elijah
era lì, e mi odiava.
- - - Angolo dell’autrice - - -
Tadaaaaa! Eccomi qua, con…beh diciamo un po’ di giorni di ritardo (sempre meno della scorsa volta faccio
notare :P) a presentarvi questo tormentato capitolo. Tormentato perché avevo
mille idee per scrivere l’apparizione di Elijah, ma alla fine dovevo sceglierne
una ed eccola qua. Sinceramente non lo so, dato che l’ho scritto ieri sera, un
quarto d’ora prima di andare a dormire, quanto le mie facoltà mentali abbiano
reso l’idea di come mi immagino il mio bell’Originario, non so se vi soddisfa,
se vi aspettavate questo (ok beh, ammettetelo, proprio questo no eh? Nina vi
aveva fatto una testa così tra cuori strappati e teste mozzate, il baciamano
non lo pensavate proprio su XD) o se preferivate altro. Insomma, ho paura di come
potete vederlo voi.
Intanto partendo dall’inizio, il flash sul primo incontro spero
non vi abbia deluse, quel suo “cadergli ai piedi” l’ho ritenuto normale, era
umana, giovane, era un’altra epoca, e lui era intrigante, molto. Inoltre non so
se si è capito, ma non è che l’ha visto e ha detto “oddio mi sono innamorata”,
semplicemente ne è rimasta affascinata, e a distanza di anni sostiene che è da
quel momento che ha iniziato ad amarlo, perché erano fatti l’una per l’altra, e
anche senza conoscerlo già era completamente “cotta” di lui alla prima
occhiata.
Poi poi poi….ah si! Matt. Premetto che quel ragazzo non l’ho mai
particolarmente sopportato, ma pareri personali a parte, mi serviva un bastian
contrario che scaldasse un po’ l’atmosfera e permettesse di far uscire il
caratterino della nostra protagonista, quindi diciamo solo che la scelta non è
stata così ardua XD
E duclis in fundo…Elijah! Eccolo qua, in tutta la sua freddezza,
imponenza e classe. Ma sinceramente, credevate davvero che l’avrebbe appesa alla
parete non appena l’avesse vista? Certi scatti impulsivi ed iracondi lasciamoli
a Klaus, per il momento, stiamo parlando di Elijah, la compostezza fatta
persona, l’autocontrollo puro, non avrebbe mai
fatto una scenata davanti ai Salvatore&Co., o almeno così la penso io
:) Sinceramente non vorrei essere nei panni di Nina, perché col caratterino che
si ritrova una scenata l’avrebbe saputa affrontare (abbiamo visto con Klaus) ma
questo…brutta bestia l’indifferenza
totale ù.ù
Mmmm ok penso di aver detto tutto, ora passiamo ai
ringraziamenti, perché caspiterina mi
sono accorta che le recensioni aumentano! :D Credo di essere la persona più
felice di questa terra :D Quindi ringrazio tutte coloro che hanno continuato a
recensire, le nuove recensitrici, le lettrici silenziose che mi hanno aggiunta
tra seguite/preferite/ ricordate e tutte quelle che perdono un po’ di tempo nel
leggere i miei deliri.
Spero di vedere ancora tante recensioni, anche per sapere cosa
ne pensate, qualche vostra idea…accetto pure i pomodori eh:)
Un bacio, alla prossima
Deademia
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Capitolo 4 *** Quando l'amore diventa odio ***
4
4. QUANDO L’AMORE DIVENTA
ODIO
“L'odio sembra capace più dell'amore
di serbare memoria”
(Sergio
Quinzio)
Che fossero passati
minuti, secondi, o ore intere poco mi importava, stare seduta con la schiena
rigida e le unghie conficcate nei palmi delle mani su di una poltrona che aveva
le sembianze di un enorme macigno magnetico che mi impediva qualunque tentativo
di districarmi da quell’inconveniente situazione,
faceva comunque apparire il tempo un’interminabile condanna dalla fine
imprecisata e dalla consistenza decisamente opprimente.
Essere lì, ad un metro da
un calmo e pacatissimo Elijah, era opprimente.
Dopo quella
“presentazione” innocente ad occhi estranei Damon l’aveva interrotto chiarendo
a tutti che le famigerate novità richiedevano l’immediata attenzione, tanto che
senza neanche accorgermene mi ritrovai nuovamente seduta compostamente sulla
poltrona, in apparente aspettativa come tutti gli altri.
Elena, alquanto allarmata
riuscii a constatare dopo che un barlume di senno si rimpossessò della sua
parte designata nella mia mente, chiese cosa stava accadendo e Stefan gli si
avvicinò scuro in volto, certamente preoccupato di un possibile subdolo piano
di Klaus o altro.
Io mi chiesi invece come mai Elijah fosse proprio lì, in casa del nemico, soprattutto dopo
il tiro mancino che la doppelganger gli aveva rifilato tradendo la sua fiducia,
a spifferare i possibili piani di Klaus.
Impossibile.
Sicuramente c’era ben
altro per abbassarsi a rivolgere loro la parola, calpestando il suo orgoglio
che certamente non gli avrebbe permesso di rapportarsi così amichevolmente con chi l’aveva
spudoratamente fregato senza tanti rimorsi e rimpianti, e addirittura
aiutandoli, sfavorendo così la propria fazione.
Le sue parole confermarono
i miei sospetti.
-Non sono certamente qui
per aiutare voi, questo spero almeno
che siate stati in grado di intuirlo, ma perché tra di voi c’è la chiave del
nuovo piano che temo stia tramando mia madre-
-Puoi parlare meno per enigmi?-
lo interruppe subito Damon con aria strafottente. Pessima mossa.
-Se me ne dai il tempo,
forse riuscirò a spiegarti come stanno le cose Damon. Dubito che interrompendomi
trarrai conclusioni logiche- sorrisi appena, mentre Elijah schioccava
seccatamente la lingua sul palato, gettandogli un’occhiata di sufficienza. Dopo
tanti anni ero ancora in grado di prevederlo, di capirlo, ero orgogliosa di me
stessa. E del legame che ci univa.
-Stavo dicendo…temo che
mia madre stia nuovamente tramando qualcosa a discapito nostro, non ne sono
certo, questo lo ammetto, ma dopo il fallimento del suo precedente piano ho
buone ragioni di credere che farà un nuovo tentativo per sterminarci, e con noi
ogni vampiro- sorrideva misterioso mentre parlava, ma non mi fregò. La
conoscevo quell’espressione, la stessa di quando mi raccontò della sua
famiglia, era tristezza, delusione, era tormento malcelato da un’ironia sottile
e superficiale, inappropriata e per nulla convincente. Soffriva Elijah, lo
sapevo dalla sua mascella contratta e da quella ruga sulla fronte pallida, ma
lo nascondeva con una maestria dettata dall’esperienza di mille anni. Era bravo
ad ingannare la gente, glielo avevo sempre detto.
-E noi in tutto questo
cosa c’entriamo? Perché sei qui Elijah?- fu Elena a parlare, avvicinandosi di
un passo e posizionandosi al fianco di Stefan, che le cinse un fianco con
possessione e protezione.
Una fitta d’invidia mi trafisse il petto,
piccola ma percepibile. Li invidiavo, sì, in quel momento più che mai, perché
anche noi eravamo così un tempo,
anche noi non riuscivamo a stare lontani, a non cercarci con lo sguardo, a non
bramare quei casti contatti quotidiani. Ora invece, dopo secoli di lontananza,
sembravamo due perfetti estranei, era inutile tentare di affermare il
contrario. Certo, forse riuscivo ancora a leggere tra le righe le sue emozioni,
per quanto quel suo essere enigmatico me lo permettesse, ma nulla più. Temevo
costantemente di incrociare il suo sguardo e leggervi nuovamente null’altro che
il gelo e l’indifferenza più nera, temevo di vedere quegli occhi spenti posarsi
su di me con la stessa intensità con cui si posavano sulle sue vittime, e temevo
il contatto con la sua pelle, perché ero certa che, vampiro o meno, le mie
gambe avrebbero ceduto e lui non avrebbe mosso un muscolo per aiutarmi. Ma ero
salva, salva da ognuna di queste situazioni, perché mi ignorava. Parlava leggermente voltato verso Stefan, guardava tutti,
persino Caroline e quell’incosciente di Damon, ma non aveva mai posato gli
occhi nella poltrona sulla quale sedevo, si muoveva, ma tenendosi sempre,
costantemente a debita distanza da dove mi trovavo io. Sembrava non vedermi, o
non volermi vedere. Probabilmente
l’odio, il disprezzo nei miei confronti era tale da non potermi neanche degnare
di un briciolo di attenzione, fosse poi questa spesa con urla e sfoghi
rabbiosi, ma quella situazione se da una parte mi feriva a livelli
inimmaginabili, dall’altra stava facendo accrescere una punta di collera, lieve
ma fastidiosa.
Quel suo essere così
composto, così impeccabile e gelido, quel suo essere nobile persino
nell’irradiare il peggiore dei sentimenti, mi innervosiva come poche cose,
tanto che ero immensamente tentata di alzarmi per posizionarmi ad un palmo dal
suo naso, giusto per vedere se anche in quel caso non avrebbe fatto una piega,
se solo il gesto non fosse stato tanto puerile.
Mentre facevo queste
considerazioni, non riuscii a staccare lo sguardo la suo volto, così potei
notare l’espressione a metà tra lo sdegnoso e l’irrisorio che assunse nel
rivolgersi ad Elena. Decisamente non aveva preso bene il suo scherzetto assieme ad Esther.
-Odio ripetermi, ma mi
sembrava di essere stato chiaro quando ho detto che voi con ogni probabilità
avete la chiave del suo nuovo piano- soffiò con aria apparentemente stanca.
-Sarebbe?- chiese Caroline
seccata. Una parte di me poteva capirla, Elijah quando decideva di comportarsi
a quel modo risultava veramente odioso, o dannatamente e esasperante a seconda
dei casi.
-Sarebbe, giovane Forbes,
la vostra amica strega. Bonnie, giusto?-
-Cosa diavolo c’entra lei
con Esther adesso?-
-Probabilmente nulla, o
forse tutto. Ribadisco, non conosco i piani di mia madre, non so cosa potrebbe
mai avere in mente, ma so che ha
intenzione di fare qualcosa, e penso abbia bisogno dell’aiuto di un’altra
strega. Bonnie è la candidata migliore-
-Se parli così, qualcosa devi sapere per forza- lo
accusò Stefan con tranquillità, ma tenendosi comunque in guardia. Capibile.
Elijah era noto per la sua poca sopportazione delle accuse rivolte nei suoi
confronti, ed ancor più per la sua immensa differenza dal fratello: se Klaus
nei suoi scatti d’ira con conseguenze pari alle distruzioni di massa risultava
prevedibile, Elijah no, la sua immutabile calma era uno scudo che lo rendeva
imprevedibile ed egualmente temibile, se non di più, al fratello.
-Forse- ammise con una
lieve increspatura arrogante delle labbra –Ma per ora non vedo il motivo di
informarvi di nulla. Vi basti sapere che Bonnie potrebbe essere una candidata
per il compimento della distruzione della nostra razza, confido nelle vostre
azioni d’ora in poi, sperando che la terrete d’occhio ed eviterete ogni
avvicinamento da parte di mia madre, sotto qualsiasi forma esso possa avvenire-
Vidi Stefan tentennare,
prima di parlare nuovamente.
-D’accordo, faremo come
dici tu, terremo d’occhio Bonnie e chi le graviterà attorno d’ora in poi, ma
dacci la tua parola che per qualsiasi sviluppo ci terrai informati-
Elijah alzò prepotente un
sopracciglio.
-Perché dovrei? Non vi
devo nulla, tutt’altro, siete già stati
graziati dal fatto che sono venuto qui ad informarvi di questo. Inoltre sono
affari di famiglia-
-Non sono affari di
famiglia, c’entriamo tutti in questa faccenda, non puoi pretendere che
rimarremo in disparte in caso di un nuovo accatto da parte della tua pazza
mammina fan di Van Helsing. Se uno di voi tira le cuoia, c’è il rischio che
moriamo anche noi, ed è un rischio che, spiacente, non ho nessuna intenzione di
correre. Ci tengo alla mia eternità- sbuffò Damon acido.
Elijah lo fissò per un mo
mento in silenzio, probabilmente valutando la veridicità delle sue parole. Ero
sicura che se davvero Esther stava tramando qualcosa, certamente un aiuto in
più non avrebbe scomodato, e lo sapeva bene persino lui anche se li aveva
definiti affari di famiglia, inoltre
era vero, c’eravamo dentro tutti quanti fino al collo quando si trattava di
attentati agli Originari.
Alla fine sospirò appena,
lievemente scocciato giudicai.
-Va bene, se lo riterrò necessario, vi metterò al
corrente dei piani di mia madre. Per ora limitatevi ad adempiere al compito che
vi ho affidato e non tirare fuori altre pretese-
Vidi Stefan annuire e
capii che la questione si era chiusa così.
Rimasi abbastanza basita
dal fatto che in tutto quel tempo ero rimasta silenziosamente in disparte,
immobile e muta di fronte a quello scambio di battute nel quale non avevo
neanche tentato di inoltrarmi. Probabilmente fu meglio così, non osavo
immaginare cosa avrebbe potuto ribattere Elijah ad un mio possibile intervento.
Il suono di un cellulare
mi distrasse.
-Dimmi Alaric-
-Stefan, qui sembra ci siano novità. Puoi parlare?-
Stefan gettò una veloce
occhiata ad Elijah, che ricambiò con pacata curiosità.
-Arriviamo- disse solo,
senza realmente rispondere, per poi riattaccare.
-Spero per voi che non
stiate tramando nulla contro la mia famiglia. Sapete bene che non avete alcuna
speranza di vittoria, i precedenti parlano chiaro- Elijah assottigliò lo
sguardo arrogante, sputando quelle parole velate di un’inconsistente minaccia
con eleganza e tranquillità. Poi sospirò, gettando un’occhiata all’orologio e
parlando prima ancora di ricevere risposta –Ora si è fatto tardi, e anche voi
mi sembrate parecchio impegnati-
-D’accordo. Elena, vieni?-
Stefan aveva già raggiunto la porta, seguito da Damon, prima di voltarsi nella
nostra direzione.
-Si, intanto voi andate,
vi raggiungo dopo. Prima devo fare una cosa-
Stefan la fissò dubbioso,
nello sguardo la muta domanda riguardo alle sue intenzioni, ma fu liquidato da
un’occhiata seria e determinata che fu accolta con piccolo cenno del capo.
-Ok. Nina, noi ci vediamo
oggi pomeriggio se non hai altri impegni, anche perché volevo discutere con te
di una cosa, ma non ce ne è stato il tempo-
-D’accordo, ci vediamo
dopo- sorrisi a Stefan, che ricambiò prima di uscire.
Caroline mi si avvicinò,
radiosa.
-E’ stato davvero un
piacere conoscerti, Nina, mi dispiace solo che siamo stati interrotti- gettò
una veloce occhiataccia ad Elijah, che notai con la coda dell’occhio era stato
fermato da Elena –Comunque spero di poter passare del tempo assieme, hai già
fatto un giro?-
-Veramente no, non ne ho
avuto ancora il tempo…-ammisi con un sorriso imbarazzato.
-Oh fantastico! Allora
quando oggi finisci con Stefan fammi uno squillo, ti passo a prendere e ti
faccio conoscere un po’ la città. Sai i locali carini, i negozi più belli…certo
non è Parigi, ma ti dovrai pur ambientare prima o poi- sorrise euforica,
sicuramente nella sua testa già progettava tutto il tour che avrebbe messo in
atto -Tieni, questo è il mio numero- lo scrisse velocemente su di un foglietto recuperato
da un mobiletto lì accanto e me lo passò –Se hai anche bisogno di qualcosa, qualsiasi
cosa, non esitare a chiamarmi, d’accordo?-
Sorrisi, era così
contagiosa la sua euforia che per un attimo mi scordai di tutta la tristezza
provata fino a quell’istante, di Elijah che era ancora in quella stessa stanza,
e del fatto che non mi aveva ancora realmente rivolto la parola, o lo sguardo.
-Ok, grazie Caroline. Sei
davvero una ragazza fantastica-
-Cerco solo di non farti
sentire sperduta, d’altronde non conosci nessuno se non Stefan- si strinse
nelle spalle, come a minimizzare la questione -Beh ora scappo, mi raccomando
oggi chiamami-
-Certo, buona giornata-
Quando anche lei se ne fu
andata decisi che era arrivato il momento di tornare al B&B. Mi voltai e
vidi che Elena stava ancora parlando con Elijah, voltato di spalle e sempre più
intenzionato ad ignorarmi. La stretta allo stomaco si acuì e fui tentata di
andarmene senza dire nulla. Stavo per uscire quando uno scambio di battute mi
bloccò sul posto, allarmandomi.
-Elijah, devi dirmelo! Io
devo saperlo se le persone che amo sono in pericolo!-
-Devo, Elena? Non mi pare che io devo nulla nei tuoi confronti,
ringrazia piuttosto che sia venuto fin qui ad avvisarvi, invece di risolvere la
questione uccidendo la tua amica ed evitando così futuri pericoli. Non mi pare
tu sia nella condizione di dettare pretese, o sbaglio?- sgranai gli occhi nel
sentire quel tono gelido e accusatorio, leggermente collerico, mentre le si
avvicinava d’un passo, minaccioso, gelandola sul posto.
Mossa da non so quale
forza superiore decisamente incosciente
tornai indietro.
-Ehi, cercate di darvi una
calmata- dissi, quasi frapponendomi fra i due e sospingendo indietro un Elena
reticente.
Ero stata una sciocca, in
primo luogo perché effettivamente Elijah non le avrebbe torto un solo capello,
la sua era tutta una tattica per intimorirla ma non si sarebbe mai azzardato ad
alzare una mano su di una ragazza, per di più umana, non era nel suo stile; e
in secondo luogo perché se anche non fosse stato così non avrebbe certamente
dato retta a me, e men che meno io avrei avuto la forza fisica per fermarlo.
Peccato che tutti questi ragionamenti li avessi fatti solamente dopo.
Era calato il silenzio.
Sentivo Elena trattenere il fiato, probabilmente ancora intimorita dalla
reazione del vampiro (una parte di me registrò che con ogni probabilità quella
era la prima volta che lo vedeva rivolgersi in maniera tanto sgarbata a lei)
mentre io abbassavo le mani che istintivamente avevo alzato nella mia
spettacolare entrata in scena.
Non guardavo esattamente
il suo volto, bensì un punto imprecisato tra il nodo della cravatta e il mento,
ma lo potei sentire lo sguardo che mi riservò non appena entrai nel suo campo
visivo. Anche senza alzare la testa, percepii quegli occhi neri trapassarmi da
parte a parte. Deglutii a vuoto e mi ostinai a non fissarlo apertamente, non
sarei mai riuscita a reggere quegli occhi gelidi. Ma al suono della sua voce,
amaramente divertita e velata d’ironia, non potei che alzare la testa di
scatto, fissandolo confusa.
-Che coincidenza- soffiò
con un angolo delle labbra piegato verso l’alto. Non c’era felicità in
quell’espressione né divertimento, solo tanta amarezza e disprezzo, mischiate alla consueta nota di noncuranza.
Aggrottai la fronte
specchiandomi in quegli occhi neri ora fissi sul mio volto, e cercai di capirne
il significato, ma era così difficile
ragionare a meno di un palmo dal suo viso, quando potevo chiaramente percepire il suo respiro freddo
infrangersi sulla mia pelle, respiro che aveva lo stesso profumo ammaliante di
due secoli prima: gelsomino. Sbattei le palpebre, annebbiata dai ricordi e da
lui, e misi nuovamente a fuoco la sua espressione apparentemente indifferente
fissa su di me.
E’ questo l’effetto che ti faccio Elijah? Mi odi a
tal punto da credere che la violenza fisica non basti? Che serva questo per
distruggermi?
Lo pensai solamente, ma un
guizzò nei suoi occhi scuri mi fece capire che aveva intuito i mille dubbi muti
e nascosti che tormentavano la mia mente dal moment in cui lo avevo rivisto. Ma
era stato troppo veloce, troppo sfuggevole per non credere che fosse solamente il
frutto della mia fervida e suggestionabile immaginazione.
-Che vuoi dire?- le parole
uscirono dalla mia bocca prima che ne prendessi realmente il controllo. Ero
sempre stata impulsiva, dote che se molte volte poteva giocarmi a favore,
altrettante risultava un’arma a doppio taglio. Ricordo che un tempo anche lui
me lo disse, in un giorno soleggiato di metà settembre.
Eravamo in giardino, nella vasta tenuta di mio
padre, il sole cominciava a calare all’orizzonte tingendo ogni cosa di mille
sfumature diverse dalle tonalità più calde. Per essere già settembre l’aria era
ancora tiepida e mi permetteva di aggirarmi tra i fiori ormai al termine della
loro breve vita con solamente una leggera mantellina a coprirmi le spalle.
Elijah camminava silenzioso al mio fianco, tenendo con pazienza il mio passo
lento mentre affascinata mi soffermavo su ogni cosa che mi circondava: fiori di
cui non conoscevo il nome, insetti dai colori più strani, cervi in lontananza
che sgambettavano tra le secolari querce della foresta ai limiti del giardino.
-Guardate! Guardate questo! Chissà come si chiama...è
così bello, non trovate?- mi chinai sul fiore dalle tonalità violacee,
accarezzandone i petali setosi con la punta delle dita prima di alzare lo
sguardo sull’uomo che si era fermato vicino a me, sorridendogli.
Il sole alle
suo spalle creava un’aurea di luce tutt’attorno alla sua figura tale da farlo
sembrare una creatura divina. Mi persi a metà strada tra il suo sorriso gentile
che mi rivolse e quegli occhi scuri che mi fissavano quasi inteneriti,
desiderando solamente bloccare il tempo in quell’istante perfetto e magico.
Con un sospiro inudibile ringraziai Dio di avermelo
fatto incontrare.
-E’ un’orchidea macchiata, abbastanza rara in
effetti. Annusatela, dicono che sappia di vaniglia- sotto il suo sguardo
intenso chinai il volto sul fiore e socchiusi gli occhi, sorridendo
imbarazzata. Un profumo dolciastro mi invase le narici, facendomi spalancare
gli occhi.
-E’ vero…Elijah, avete la capacità di stupirmi
sempre- constatai rialzandomi e scrollandomi i fili d’erba dalla gonna
dell’abito –Come fate a sapere tutte queste cose?-
-Nina, forse voi siete solamente troppo ingenua.
Avete mai pensato che potrei semplicemente imbrogliarvi?-
Lo fissai per un attimo seria, concentrandomi sul
suo volto, su quell’espressione divertita e su quei magnetici occhi neri, prima
di aprirmi in un sorriso.
-No, non credo siate un uomo che deve ricorrere a
simili trucchetti puerili per incantare la gente. Forse avete i vostri segreti,
come tutti d’altronde, ma sento che dite il vero quando mi parlate-
Rimase in silenzio a guardarmi, le mani in tasca e un’espressione illeggibile, lontana da
quella scanzonata di poco prima, dipinta in volto, prima di staccare gli occhi
dai miei e fissarli lontano, là dove il sole iniziava a calare.
-Vi affidate troppo al vostro animo buono, sapete?
Cercate di vedere il meglio in tutto ciò che vi circonda-
-Può darsi, ma non sempre è un male-
Sorrise appena.
-Ribadisco, voi siete davvero ingenua-
Invece di arrabbiarmi risi, cercando di alleggerire
quella strana atmosfera che si era creata.
-E voi estremamente modesto-
Rise anche lui, tendendomi il braccio per invitarmi
a proseguire la camminata.
-Siete la prima che afferma una cosa simile-
-Forse sono la prima che tenta di capirvi davvero
allora- subito dopo aver detto quelle parole arrossii visibilmente, fissando imbarazzata
le punte delle scarpe che sbucavano dal vestito ad ogni passo.
Quando capii che
non avrebbe commentato mi azzardai a gettargli una breve occhiata, notando con
stupore ed altro imbarazzo il suo sorriso mentre fissava d’innanzi a sé.
Rimanemmo in silenzio per un bel pezzo, io
gettandogli di tanto in tanto occhiate incuriosite e lui fissando il cielo
all’orizzonte, con sguardo pensieroso.
Ogni tanto il pensiero del motivo per cui era lì
assieme a suo fratello sbucava nella mia mente, e con esso il dubbio di quando
sarebbero partiti. D’altronde erano lì per una visita di piacere, una sosta nel
loro lungo viaggio, non si erano certamente trasferiti né avevano l’intenzione
di farlo, e ciò era in grado di farmi cadere nel baratro della disperazione più
nera. Possibile che ero diventata in poco tempo così dipendente da lui?
Possibile che una persona tanto estranea era diventata una simile costante
indispensabile della mia vita?
Avvolta da quei tristi pensieri non mi accorsi che ci eravamo fermai
fin quando non mi sentii strattonare delicatamente per il braccio.
-Qualcosa vi turba?-
Sbattei ripetutamente le palpebre, sobbalzando per
quell’improvviso e brusco ritorno alla realtà, e mi soffermai sulla sua
espressione crucciata e preoccupata.
Sorrisi timidamente, scuotendo la testa.
-Nulla di importante- alla sua occhiata scettica mi
aprii in un sorriso sincero –Dico davvero!- risi per distrarlo e mi guardai
attorno, adocchiando ai margini di un pendio che dava su un piccolo ruscello a
qualche metro di profondità un altro fiore dai colori sgargianti che faceva
bella mostra di sé in tutto quel verde. Senza pensarci mi staccai dal braccio
di Elijah, che mi fissò confuso, e corsi in quella direzione, decisa a
raccoglierlo, o quantomeno osservarlo da vicino.
Nel mio scatto non avevo però messo in
considerazione né le mie scarpette, decisamente poco adatte a quel terreno
umido e scivoloso, né il suddetto
terreno, che là dove cadeva a picco verso il piccolo corso d’acqua era parecchio
franabile e poco resistente.
Per questo quando arrestai la mia corsa, il piede
scivolò su di una zolla traballante, che cadde giù nel vuoto facendomi
pericolosamente perdere l’equilibrio. Non riuscii a cacciare nemmeno un urlo
che un braccio mi circondò la vita, attirandomi verso un corpo solido e
impedendo così la mia rovinosa caduta.
Sentii le guance andare a fuoco mentre realizzavo
che il corpo non era altro che quello di Elijah, miracolosamente comparso alle
mie spalle al momento giusto.
Provai ad articolare qualcosa,ancora stretta dal
suo braccio, ma le mie facoltà di parola
erano state arrestate da quella vicinanza troppo…vicina, così rimasi immobile,
rossa come il tramonto che stava giungendo al termine, a boccheggiare con lo
sguardo che fissava tutto fuorché lui.
-Sapete, credo di dover riformulare…non siete
solamente ingenua, ma anche straordinariamente impulsiva- soffiò lui divertito
al mio orecchio, ignorando il mio imbarazzo –E vi posso garantire che questa è
una dote a doppio taglio-
Quando capì che i miei balbettii e respiri mozzati
non avrebbero portato a nulla, si decise a mollare la presa, lasciando
lentamente la mia vita e allontanandosi di un passo, sempre con quel sorriso
enigmatico e leggermente divertito ad illuminargli il volto.
Prendendo un bel respiro, mi azzardai ad incrociare
il suo sguardo.
-G-Grazie…- sussurrai, avvampando nuovamente come
una ragazzina e fissando un punto imprecisato sopra la sua spalla.
-Dovere- sorrise, porgendomi poi il braccio, che
afferrai riluttante –Credo che sia ora di tornare dentro, che ne dite?-
-Si…io…penso sia una buona idea- commentai,
aggrottando la fronte e abbassando lo sguardo, mentre il ricordo del suo
profumo intenso, di gelsomino, mi ritornava alla mente.
Il suono della sua voce mi
riscosse, facendomi tornare bruscamente al presente mentre i ricordi si
affievolivano sino a scomparire come impalpabile nebbiolina.
-Nulla…mi ricordi
solamente una persona che tanto tempo fa fece una cosa simile-
-Che cos…oh- mi bloccai
sgranando appena gli occhi, mentre il senso della sua enigmatica constatazione
si faceva largo in me. L’avevo rifatto di nuovo, non propriamente con la stessa
persona ma con la sua copia spudorata, e senza neanche accorgermene. L’aveva
nuovamente “protetta” da lui, e proprio sotto i suoi occhi. Che razza di sciocca…
Sorrise appena, un sorriso
freddo e amaro, quasi deluso, un sorriso cattivo che mi pugnalò al cuore,
bloccandomi lì dov’ero. Possibile che qualunque cosa facessi, qualunque cosa
dicessi con lui mi si ritorceva sempre contro? Era passata poco più di un’ora
da quando l’avevo rivisto e già avevo fatto la prima mossa falsa, una tra le
più stupide e dementi che potessi fare.
Una vocina mi disse che
erano solo idiozie, che era lui quello che non capiva, che non aveva mai
capito, che non potevo farmi condizionare tanto da lui e da ciò che era
accaduto, perché era ingiusto e insensato, ma il senso di colpa era troppo
grande per starlo a sentire, per questo abbassai lo sguardo sconfitta,
vergognandomi nuovamente e accatastando quel barlume collerico di sensatezza che
mi diceva di ribellarmi e di urlargli in faccia ciò che pensavo, tutto il
dolore che avevo provato, tutta la sofferenza e la disperazione nella quale mi
aveva gettato andandosene e condannandomi. D’altronde quando si ama si tende a
compiere un errore dietro l’altro, no?
-Elijah...- provai a dire,
ma fui bruscamente interrotta da lui, che a quel punto aveva spostato lo
sguardo da me ad un punto alle mie spalle, cambiando leggermente espressione,
levandosi quella maschera di indifferenza e amarezza, delusione e quel
qualcos’altro che la rendeva insopportabile e mettendone una di una pacata
calma.
Mi ricordai in
quell’istante che alle mie spalle c’era ancora Elena, rimasta in silenzio per
tutto quel tempo.
-Elena, non abbiamo altro
da dirci. Ho già detto che vi terrò informati se lo riterrò necessario, ma non
insistere mettendo a dura prova la mia pazienza, non è infinita-
-Io…d’accordo, come vuoi
Elijah-
Lo vidi annuire con la
coda dell’occhio, mentre mi spostavo per non intralciarli, ma soprattutto per non
restargli ancora così vicina, non dopo quel nuovo scontro appena finito.
-Buona giornata- disse
prima di sparire, senza guardarsi indietro, senza più rivolgermi neanche
l’ombra di uno sguardo e lasciandomi lì, a crogiolare nel mio dolore nuovamente
attizzato da lui.
Odiavo quella sua
indifferenza, quella sua freddezza e cattiveria nei mie confronti. Odiavo non
sapermi più rapportare con lui, non riuscire più a tenergli testa come un
tempo, soffocata da sensi di colpa che a ben vedere non avrei dovuto provare ma
che con lui sorgevano spontanei.
Odiavo quella situazione.
-Nina?- Elena mi chiamo,
un’espressione dubbiosa dipinta in volto mentre fissava me e poi il punto da
dove Elijah era scomparso. Capii cosa voleva chiedermi all’istante, e mi diedi
della stupida per essere stata così incosciente da avergli mostrato quello
spettacolino senza neanche accorgermene.
-Si?-
-Sicura di non conoscere
Elijah?-
Risi, più che altro per
mascherare il nervosismo, e la guardai negli occhi.
-Credo che e me
ricorderei, se davvero conoscessi un Originario-
-Si ma…non so per come
parlavate…- aggrottò la fronte, cercando di capire.
-L’ha detto anche lui, che
gli ho ricordato una persona che conosceva- mi strinsi nelle spalle, cercando
di chiudere il discorso senza destarle troppi sospetti.
Elena sorrise,
imbarazzata.
-Già scusami…è che mi
sembrava…vabbè non farci caso, sono tempi in cui tutto mi rende paranoica- rise
come per scusarsi.
-Tranquilla, posso
capirlo- sorrisi rassicurandola –Allora vado, ci vediamo in giro-
-D’accordo, a presto- mi
salutò con un gesto della mano, ma prima che potessi chiudermi la porta alle
spalle mi richiamò.
-Ah Nina!-
-Dimmi-
-Grazie per avere cercato
di proteggermi, prima-
-Non c’è di che, anche se
ammetto che è stata una mossa un po’ azzardata. Non avrei potuto fare granché
contro un Originario-
-E’ stato comunque gentile
il tentativo- sorrise, ed io con lei, prima di salutarla ed uscire.
Quando raggiunsi la
macchina appoggiai la testa al seggiolino, chiudendo gli occhi e respirando
piano. Tutta l’agitazione, il tormento, il dolore, la rabbia e la tristezza
trattenute fino a quell’istante sfociarono in un'unica lacrima silenziosa che
mi rigò la guancia prima di cadere nel vuoto.
Vedere Elijah, dopo
duecento anni era stato un vero colpo,quello indubbiamente, ma vederlo così
freddo e schivo nei miei confronti, così indifferente e spietato era stato
anche peggio. Forse avevo sbagliato ad accettare di venire lì, forse rimanere
nel dubbio di come avrebbe mai potuto reagire sarebbe stato meglio, meno doloroso,
meno soffocante.
Percepire tutto quell’odio
e capire che me lo stava riversando addosso stillandolo sotto forma della più
completa indifferenza era stato atroce, ingestibile. Io lo amavo, dopo tutto
quello che avevo passato, dopo i secoli passati a maledire il giorno in cui lo
avevo incontrato, in cui mi ero innamorata di lui, lo amavo ancora, ma la
convinzione che per lui ormai non ero altro che una traditrice da punire si
concretizzò di colpo.
Klaus aveva ragione, non
mi avrebbe mai perdonata.
- - -
Angolino dell’autrice - - -
Ehm
ehm….questa è tuuuutta un’illusione, il mio non è assolutamente un ritardo,
adesso conterete a ritroso da 10 e allo 0 capirete che non sono realmente
passate più di due settimane dalla mia ultima pubblicazione…
Ok ok bando
agli scherzi, cercate di placare i vostri istinti omicidi almeno per i prossimi
5 minuti, giusto il tempo di finire di leggere le note, e dopo mi offrirò a voi
così potrete fare di me ciò che volete (la melodrammaticità è il mio forte non
so se si è capito XD)
Allora…questo
capitoletto non ha una vera sostanza poderosa, insomma è un po’…di passaggio
diciamo. Non succedono chissà che fatti né si risolve nulla, viene solo
presentato meglio Elijah, c’è quel flash su di un momento tra lui e Nina, un
ricordo praticamente, e si capiscono
meglio le intenzione del bell’Originario con la nostra povera protagonista. Eh
già, la linea del “ti ignoro così ti faccio soffrire” continuerà per un bel
po’, sapete Elijah è un tipetto piuttosto testardo ed orgoglioso quando ci si
mette. Per quanto riguarda Nina…ora non vorrei che la inquadraste come una
piagnucolona priva di spina dorsale che non sa far altro che piangersi addosso,
perché non è assolutamente così…solo che mi sembra normale che reagisca così,
dopo 200 anni che non vede l’uomo che ama e se lo ritrova davanti in tutto il
suo splendore e la sua stronzaggine, intento ad ignorarla bellamente…Con i
prossimi capitoli diciamo che anche lei tirerà fuori il suo caratterino, una
volta ripresa dallo shock.
Uhm…poi poi
poi…ah si, Esther. Ovviamente la mammina da premio dell’anno non poteva
starsene con le mani in mano ancora per molto vero? Si lo so sono sadica, però
ci vuole qualcuno che smuova le acque. Certo ancora sono solo sospetti, ma già
dai prossimi capitoli si capirà cosa la sua subdola mente sta tramando (dico
solo che mi sono mooooooolto ispirata alla quarta stagione).
Ora, so che
diciamo metà storia è ancora un incognita, tipo il passato di Nina, questo
benedetto tradimento e altri fattori vari, ma keep calm XD tutto verrà spiegato
a suo tempo, per adesso vi lascio navigare nelle vostre congetture che ormai
ammettetelo si stanno decisamente avvicinando alla realtà, non è più così
difficile da capire su :)
Bene,
aggiungo che penso che questo capitolo faccia un po’…beh schifino ecco. Non mi
convince per nulla, mi sembra superficiale e privo di spessore ma vabbè, ormai
è scritto quindi a voi il supplizio di leggerlo…
Grazie
infinite per i commenti dello scorso capitolo, sono stata così felice di vedere
che continua a piacere (con questo ovviamente tutto crollerà a picco, già me lo
sento…), e un grazie speciale ad Elyforgotten che mi ha citata nelle note del
suo ultimo capitolo:)
Un bacio a
tutte, spero di sentirvi nelle recensioni :)
Deademia
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Capitolo 5 *** Visite Inaspettate ***
5
5. VISITE INASPETTATE
“La medesima persuasione che ci
incoraggiò a credere che nessun male è eterno o lungamente duraturo ci fa anche
ritenere che la sicurezza più grande che si attui nelle cose finite è quella
dell'amicizia.”
(Epicuro)
La Rochelle, 1824
Erano giorni che vagavo
senza meta, nascondendomi ai raggi del sole di giorno che sembravano volermi
ustionare come braci ardenti o fiamme vive, e correndo più in fretta che
potevo di notte, la mia unica amica, compagna silenziosa di quell’inaspettata
avventura.
Tutta quella nuova
condizione per me era così estranea e al tempo stesso familiare, che mi
confondeva e inebriava simultaneamente. C’era qualcosa di nuovo in ciò che i
miei occhi scorgevano: nel familiare scoprivo lo sconosciuto, lo sconosciuto lo
percepivo in maniera più potente. I miei occhi finalmente vedevano, le mie orecchie udivano.
Mi sembrava di possedere mille terminazioni nervose più di prima, mille
percezioni nuove e sorprendenti.
Tutto in me era cambiato,
migliorato.
Ma c’era una cosa, una
sola cosa tanto singola quanto potente, che schiacciava la bellezza di quella
nuova esistenza, la sbriciolava sotto la sua disgustosità senza eccezione
alcuna.
La sete.
Bramavo il sangue come un
drogato brama la sua eroina, o un alcolizzato la sua vodka. Pareva una malattia
che dalla gola mi infiammava ed indolenziva ogni arto, ogni singola molecola
del mio corpo.
Ma non mi ero più nutrita.
Ogni qual volta sentivo il bisogno di quel liquido vermiglio, mi venivano alla
mente gli occhi terrorizzati di quegli uomini che avevo ucciso, e le macchie
scarlatte che macchiavano la mia veste erano moniti crudeli che ogni secondo mi
ricordavano la mostruosità che ero diventata.
Ma dopo cinque giorni
passati a rinnegare l’evidente bisogno di sangue, il mio corpo era stremato.
Fu in una notte qualunque,
quando la fronte mi si era imperlata di sudore freddo e la vista offuscata si
era persa su di un paesino di cui potevo scorgere lontani i bagliori, che la
incontrai.
Era giovane, almeno
apparentemente, e mentre mi si avvicinava con sguardo duro e consapevole capii che non avrei
resistito. In un barlume di lucidità indietreggiai, sgranando gli occhi e
appiattendomi alla superficie ruvida di un tronco alle mie spalle.
-Non ti avvicinare, se lo
farai morirai! Scappa finché sei in tempo, fuggi!- la mia voce fu poco più che
un rantolo rauco e strozzato, ma bastò per farle capire la gravità della
situazione in cui si stava cacciando.
Ma lei non fuggì, non
gridò né si mosse.
Dai miei occhi appannati
sgorgarono lacrime di disperazione e frustrazione mentre le mie dita
affondavano nella corteccia, sbriciolandola come crosta di pane.
Perché sentivo.
Lo sentivo quel rumore
ritmico e calmo, il suono della vita, il battito del cuore che pulsava sangue
in ogni più piccola vena.
Quasi mi chiamava, quel rimbombo infinito che
come un rullo di tamburi lento e costante innalzava la mia sete, osannandola
attraverso una litania inibitrice.
-Da quando ti sei
trasformata?- chiese lei dura, tenendosi a debita distanza senza però apparire
spaventata.
La fissai con sgomento,
capendo che lei sapeva, e mentre
cercavo la voce per risponderle mi imposi almeno di non respirare, così da non
sentire il suo odore, un misto di arance e cannella.
-Da..da cinque giorni
quasi-
Lei annuì impercettibilmente,
continuando a rimanere immobile di fronte a me.
-E da quando non ti
nutri?-
Grossi lacrimoni mi
rigarono le guance al ricordo dei tre poveri uomini che avevo dissanguato senza
neanche rendermene conto. Sapevo che il senso di colpa mi avrebbe tormentata
sino alla fine dei miei giorni.
-Sempre da cinque giorni-
Lei aggrottò la fronte,
socchiudendo gli occhi con sospetto.
-E dopo non ti sei più
nutrita?-
Scossi la testa
velocemente, tanto che il paesaggio e la sua figura ritta e impettita traballarono
per un secondo davanti ai miei occhi stanchi.
-Come hai fatto ha
resistere per tutto questo tempo?-
Ora nella sua voce si
leggeva una lieve nota di genuina curiosità, mentre faceva un passo avanti,
portandomi così ad appiattirmi maggiormente all’albero. Il terrore che avevo di
non rispondere più delle mie azioni ed attaccarla era lancinante, distruttivo.
-Non…non voglio
uccidere…non più-
-Morirai se non ti nutri,
questo lo sai? O per lo meno ti indebolirai fino alla pazzia-
-Io sono già morta…- soffia
tra le labbra screpolate, fissandola in quegli occhi chiari e diffidenti che si
spalancarono appena, sorpresi da quella risposta cruda.
La vidi guardarsi un
attimo attorno, quasi con circospezione come avesse paura che qualcuno ci
vedesse o ci attaccasse, e quindi fare dei passi veloci verso la mia direzione,
afferrandomi malamente un braccio e strattonandomi verso di lei. Poi, notando
il terrore nel mio sguardo e intuendone il motivo, sorrise misteriosa e
vagamente sadica.
-Tranquilla, se per caso mi
attaccherai saprò difendermi senza problemi, l’unica che si farà male sarai tu,
casomai, quindi vedi di pensarci due volte prima di attaccarmi alla gola,
qual’ora te ne venisse il desiderio-
Arcuai le sopracciglia,
guardano confusa quella strana ragazza dal carattere deciso e lo sguardo
determinato.
-Ma cosa…?-
-Sono una strega- disse
solo, voltandosi per incamminarsi verso il villaggio che avevo intravisto poco
prima, non senza prima però avermi gettato una rapida occhiata attenta da capo
a piedi –E a tal proposito, ti servirà una protezione dal sole dato che non ne
possiedi. E magari anche delle vesti puliti, se non vogliamo che ti mettano al
rogo prima ancora che tu riesca ad
attraversare le porte del villaggio…-
-Io…grazie. Ma perché fai
questo per me?-
Lei si voltò un attimo,
regalandomi un sorriso lieve –Perché a differenza di come molti credono, non
tutto ciò che è definito mostro si rivela tale-
Rimasi spiazzata da quelle
parole, così gentili per essere scaturite da una sconosciuta che mi aveva vista
ricoperta di sangue, pallida come un lenzuolo e per giunta bramosa di sangue e
null’altro, e la mia risposta la poté solamente leggere in quel sorriso che le
regalai, il primo da che ero “rinata”.
-Non mi hai ancora detto
come ti chiami-
-Nina Lefevre…e tu sei?-
-Selena. Selena Vasilyeva-
Mystic Falls, oggi
Sullo sfondo, un tenue
bagliore rossastro tingeva il cielo laddove il sole scompariva oltre dei
cucuzzoli lontani ma apparentemente prossimi a dove mi trovavo, e l’aria
iniziava a rinfrescarsi tingendosi di quelle note fresche tipiche della
stagione.
Poco male, giacché io non
potevo percepire nulla di questi cambiamenti termici.
Se fossi stata umana, dopo
quella giornata mi sarei tranquillamente potuta definire esausta sia a livello
emotivo che fisico, ma non lo ero, per cui le tre ore e mezza passate in giro
con Caroline in quella che da gita turistica si era ben presto trasformata in
un tour a chi svaligia per primo ogni singolo negozio di Mystic Falls non mi
aveva sfiancata minimamente, tutt’altro, si era rivelata una splendida
occasione per parlare, conoscerci meglio e stringere amicizia.
A fine pomeriggio, prima
di salutarci, lei ridendo mi aveva definita la sua gemella mancata, e per
quanto sciocca ed ingenua fosse un’affermazione simile mi aveva totalmente
inebriata di una felicità che non provavo da anni, quella genuina e pura che
scaturisce direttamente dal sentirsi amati.
Certo, se poi parliamo di
quella mattina…beh sono un altro paio di maniche.
Al solo pensiero, sentivo
il cuore schizzarmi in un non ben definito punto a metà strada tra la gola e lo
stomaco, mentre quest’ultimo mi si contraeva spasmodicamente.
Ecco, forse un tantino
spossata a livello emotivo lo ero….
Dopo averlo visto, averci
scambiato poche parole, dopo aver sentito nuovamente quella voce profonda che
bramavo da secoli, ancora non avevo ben chiaro cosa effettivamente provassi
mentre camminavo oziosamente verso casa, le mani in tasca, lo sguardo perso nel
vuoto ed infinite buste appese ai polsi che mi sbatacchiavano sulle cosce ad
ogni passo, prova tangibile di quanto fosse dimagrito il mio portafogli nel giro
di qualche ora.
Dire che era stato strano,
quell’incontro, sarebbe stato l’eufemismo del secolo.
Insomma, sapevo che era
Klaus il pazzo da atti sclerotici e potenzialmente distruttivi in pubblico,
sapevo che era lui quello dalle emozioni lasciate a briglie terribilmente sciolte e non Elijah, il
pacato, democratico, impassibile e illeggibile Elijah.
Ma, diamine, ero io. Io.
Nina Lefevre, quella che secoli prima aveva detto di amare come mai aveva fatto
prima, quella che poi si era ripromesso di odiare.
Eppure non avevo visto né
l’uno né l’altro sentimento.
Per la verità di
sentimenti io non ne avevo viste neanche le ombre.
Sospirai scuotendo la
testa, sapendo bene, invece, cosa vi era nascosto dietro quel nulla.
C’era Elijah, l’Elijah
uomo, che era stato tradito e ferito dalla donna che amava. C’era l’Elijah
vendicativo e rancoroso, che detesta con
tutto sé stesso mostrarsi debole. C’era l’Elijah al quale mille anni di esperienza
avevano fatto ben intendere quale fosse la strategia migliore, la più subdola e
atroce, per infierire su di una persona in casi simili, e che lui si era
premurato senza remore di mettere in atto.
Indifferenza.
Brutta, bruttissima bestia
da contrastare.
Perché insomma, delle urla
le avrei sapute trattare, placare, o per lo meno sovrastare con le mie in
quella tipica guerra primordiale e un po’ infantile dove vince chi riesce ad
intontire meglio l’altro spaccandogli i timpani e azzittendolo con l’utilizzo
di decibel ben più altisonanti. Ma la sostanziale e monocorde placidità dettata
da un disinteressamento ben studiato e per nulla invalicabile, come si spezza?
Quella era la domanda che
mi ponevo con sempre più crescente angoscia, perché anche se sapevo che sarebbe
stato difficile, che le mie sarebbero state illusioni e speranze vane che
avrebbero alimentato infiniti e devastanti sforzi, ero rimasta lì anche per rimediare.
Non mi aspettavo che mi
avrebbe perdonata non appena mi avesse vista, né che delle scuse avrebbero
sortito qualche effetto, ma come primo impatto, quello, era bastato a farmi
capire che probabilmente niente sarebbe
mai bastato.
Forse la mia morte. O
forse neanche quella.
Un saluto formale alla mia
destra mi fece sussultare, mentre il portiere del B&B, un uomo di mezza età
piuttosto tarchiato e stretto in una divisa blu scuro di una taglia
visibilmente inferiore alla sua, mi apriva gentilmente la porta.
Persa com’ero nelle mie
riflessioni, neanche avevo fatto caso di essermi trovata di fronte a “casa”.
Lo ringrazia con un
sorriso, entrando a passo svelto in direzione della reception per ritirare le
chiavi della camera.
Chiavi che, notai appena
mi avvicinai, non c’erano.
Uno strano senso di
disagio mi si diffuse in tutto il corpo, mentre frenetica controllavo tutte le
altre per vedere se quella mattina avevo erroneamente sbagliato collocazione,
ma pareva proprio che fossero scomparse.
-Mi scusi, ha bisogno di
aiuto?-
La ragazza dietro al
banco, vedendo probabilmente la mia espressione smarrita e vagamente
terrorizzata, si avvicinò curiosa.
-Si io…non trovo la chiave
della mia camera, eppure sono sicura di averla lasciata qui questa mattina-
-Che numero?-
-La 102-
-Mmmm…la 102 dice? Se non
sbaglio è passata poco fa una ragazza, ha detto di essere sua sorella e che le
avrebbe fatto una sorpresa salendo in camera. Credo sia ancora su-
Alzai le sopracciglia
scettica.
-Mia sorella? Le ha per
caso detto come si chiama?-
-No, mi spiace. Però posso
dirle com’era: giovane, alta, mora con qualche ciocca rossa, capelli lunghi e
occhi chiari. Parlava molto bene l’inglese, ma avrei giurato…non so, aveva un
accento straniero, russo direi, o comunque di quei paesi là. Questo infatti mi
pareva un po’ strano, perché lei dal nome è francese…ma ci sono problemi?-
Ciocche rosse…sbiancai, poi cercai di darmi un certo contegno.
-Nessuno, non si
preoccupi. Grazie- tirai un sorriso asettico, mentre la salutavo e salivo le
scale, ignorando lo sguardo dubbioso che mi rivolse fin quando non mi vide
sparire. D’altronde la mia testa era da tutt’altra parte.
Accento russo, ciocche
rosse.
Dio, non poteva essere…
Quando raggiunsi la
camera, notai la porta accostata ma non chiusa, segno che chi vi era dentro mi
stava senza ombra di dubbio aspettando.
Ci misi davvero poco a riconoscere
quell’odore, un misto di arance e cannella che pervase l’aria in maniera
familiare.
-Selena, qual buon vento-
Quando entrai con un
sorriso sarcastico sulle labbra, la trovai comodamente allungata sul letto, gli
occhi verde acqua fissi sulla porta ed un espressione dura a distorcere i suoi
lineamenti fini ma decisi.
-Che diavolo stai
combinando Nina?-
-Scusa?-
-Oh non fare
quell’espressione da santarellina ingenua con me, che non attacca. Dove è?-
-Dove è cosa?-
-Sai benissimo cosa,
stupida vampira traditrice! Cosa credi, che non me ne sarei accorta che era
sparito? Che non sarei stata in grado di rintracciarti poi?-
-Selena sei ridicola…io
non-
-Piantala! Dammi il libro
e torniamocene in Francia, questo giochetto è durato anche troppo per i miei gusti-
Smisi all’istante di
sorridere, indurendo lo sguardo e stirando le labbra in un espressione
determinata.
-Non posso-
-Come sarebbe a dire che
non puoi? Certo che puoi, e lo farai anche subito- si alzò col busto, rimanendo
seduta a gambe incrociate, mentre gli occhi le si sgranarono dallo stupore e
dall’orrore al tempo stesso –Non dirmi che l’hai perso o cose simili, perché ti
giuro che non risponderò delle mie azioni in tal caso-
Sospirai, buttandomi sulla
poltrona accanto alla mia, esasperata da quella giornata che sembrava non voler
finire di spacchettare nuove sorprese.
-No, certo che no. Solo
che in questo momento non ce l’ho io-
Chiuse un attimo gli
occhi, forse per evitare di assalirmi e staccarmi la testa, prima di riaprirli
ed espirare rumorosamente.
-Non ce l’hai tu- ripeté
annuendo con calma, troppa calma –E sentiamo, se non è qui con te, dov’è?-
-Stefan Salvatore. O
meglio, da una strega sua amica che sta cercando di decifrare tutti quegli
incantesimi che i tuoi antenati hanno lanciato affinché fosse protetto-
-E c’è una ragione se ci
sono, sciocca! Quel libro è pericoloso, perché non lo capisci? Non racchiude
solo un albero genealogico lungo un millennio con ogni singolo nome di ogni
vampiro esistito o ancora esistente su questa terra, ma racchiude segreti,
storie e vite che non andrebbero mai svelate, e che se finissero nelle mani
sbagliate causerebbero disastri inimmaginabili!-
-Mio Dio Selena, credi
forse che non lo sappia? Che sia così sprovveduta? In primo luogo mi fido
ciecamente di Stefan, e dovresti farlo anche tu, e in secondo luogo non
gliel’ho certo dato perché cercava una lettura distensiva con cui rilassarsi
prima di andare a dormire, qua siamo in pericolo tutti, tutti Selena! Lui, tu,
io…ogni singolo vampiro di questa terra. Se tu fossi stata ancora una strega,
avrei capito questo tua assurda e testarda reticenza, ma sei una vampira da più
di un secolo ormai, ti dovrebbe interessare la fine della tua specie-
-Ci sono altri modi per
sconfiggere Klaus, se quello che mi hai raccontato è vero, non c’era bisogno di
tirare in ballo il Libro-
-Forse. Ma questa è una
strada, la più sicura e logica al momento. Perché non tentare? Ti ripeto,
stiamo parlando di Stefan e forse tu non lo conoscerai, ma io si, e so che ci
si può fidare di lui. Metterei la mia vita nelle sue mani, anzi, lo sto già
facendo, lo stiamo facendo tutti quanti-
Sospirò scuotendo la
testa, probabilmente a corto di argomentazioni adatte a ribattere, poi
assottigliò lo sguardo, puntandomelo addosso con fare vagamente cinico.
-E immagino che il fatto
che qui ci sia anche Elijah non ti abbia minimamente influenzata, giusto?-
Se fossi stata umana,
sarei arrossita fino alla punta dei capelli dall’imbarazzo.
Gesticolai animatamente,
facendo tintinnare i vari braccialetti al polso mentre un sorrisetto di scherno
si dipingeva sulle labbra di lei.
-E questo che c’entra?
Sono venuta qui per portare il libro a Stefan, così che la mia eternità non
sfumi entro qualche tempo, non per altro-
-E perché sei restata
allora?-
-Santo cielo, cos’è questo
terzo grado? Sono rimasta per aiutarlo, mi sembra ovvio. Non si può dire abbia
un esercito dalla sua parte, e poi in Francia non avrei avuto molto altro da
fare-
-Quindi Elijah non c’entra
proprio nulla?- continuò lei imperterrita, curvando un sopracciglio scuro in un
espressione per nulla convinta.
Sbuffai.
-Anche fosse?- sbottai
esasperata.
-Nina…-
-Che c’è? Tanto non
cambierebbe niente…lui mi odia, mi disprezza e mi ignora, e tutte le mie
illusioni sul rimediare in qualche modo, sul farmi perdonare o perlomeno farlo
ragionare possono benissimo andare a farsi benedire, vista l’aria che tira-
sorrisi amara, abbassando lo sguardo sulla moquette logora.
-Quindi lo hai già
incontrato-
La sua non era
un’affermazione, ma annuii lo stesso.
-E non è andata per nulla
bene, a quanto vedo-
-Già…Non che mi aspettassi
questa grande accoglienza, sinceramente i giorni prima avevo fantasticato sui
vari modi con cui mi avrebbe uccisa una volta vista ma…ci speravo, ecco,
speravo che dopo due secoli l’odio si fosse attenuato, che se non mi avesse
perdonata, ci avrebbe almeno provato. Ma è Elijah. Speravo che se questo fosse
stato chiedere troppo, almeno che mi urlasse addosso la sua collera, si
sfogasse, perché le urla le so gestire. Povera sciocca, vero? Insomma, io
speravo in una reazione, ma lui non ne ha avute, e questo mi ha dimostrato
quanto le mie siano state illusioni, quanto lo abbia ferito irrimediabilmente-
-Che stronzata- alla mia
occhiata confusa e vagamente scioccata, si premurò di continuare –Ha mille anni
ma si comporta come un bambino, uno sciocco bambino viziato a cui piace fare i
capricci. Insomma, anche ammettendo che tu possa averlo tradito e che sia stata
una cosa non proprio leggera, sono passati secoli. Letteralmente. E ora se ne
esce col giochetto dell’ignorare al solo scopo di ferire? Queste cose le fanno
i bambini alle elementari, o i ragazzini alle prime cotte. E so che c’è tutta
quella cosa dell’onore e compagnia bella, perché quando uno nasce mille anni fa
nasce con il senso dell’onore radicato nel sangue quasi fosse una malattia
genetica, ma pensavo che in tutti questi anni fosse maturato, avesse capito
quando è ora di mettere da parte l’onore e l’orgoglio e ragionare con maggior
razionalità e concretezza. E un pizzico di sana modernità-
-Si ma…-
-Non ci sono ma che
tengano, Nina. E’ uno sciocco presuntuoso che non dà il giusto valore alle cose
ed alle persone. E tu dovresti smetterla di struggerti tanto dietro al suo
pensiero. E magari anche di venire fino in America a rischiare il fondoschiena
solamente per vederlo-
-Forse hai ragione, anzi,
con ogni probabilità hai ragione. Ma io lo amo- mi strinsi nelle spalle,
sorridendo appena –Lo amo, capisci Selena? E se non sono bastati duecento anni
per farmelo dimenticare, non ci riuscirai tu, ora, elencando i suoi difetti.
Perché sono difetti che io per prima ho scoperto in lui, e che ho accettato. E
so che mi farò male, so che non ricaverò niente se non altro dolore, ma non ce
la faccio a tornare in Francia, non ora che l’ho ritrovato. Mi odia, mi detesta
e mi ignora, ma è qui, qui accanto a me, nella mia stessa cittadina. Ho la
possibilità di vederlo, si sentire la sua voce, e Dio, Dio Selena, tu non puoi
capire quanto mi sia sentita felice in quel brevissimo istante in cui è
comparso nella mia visuale, prima di tutti gli insulti, prima della realtà, c’è
stato quel piccolo attimo di incoscienza in cui tutto è scomparso, e sono
tornata felice come un tempo- presi fiato dopo quello sfogo che, francamente,
mi liberò di un bel peso, poi scossi la testa come a riordinare le idee -E
comunque, Elijah o non Elijah, l’ho promesso a Stefan, gli ho giurato che
l’avrei aiutato e così farò-
Selena alzò gli occhi al
cielo esasperata, poi li abbassò su di me, sospirando pesantemente.
-E va bene, resta pure qui
a farti ammazzare e tieniti il libro, ma se pensi che io me ne torni in Francia
lasciandoti qui a fare follie ti sbagli di grosso. E poi vi servirà una mano
per poter sciogliere tutti quegli incantesimi, non sarò più una strega ma sono
magie della mia famiglia, ricordo ancora la teoria-
Sorrisi felice, saltando
su ed avvicinandomi a lei per abbracciarla. Era testarda, burbera e parecchio
scontrosa quando ci si metteva, ma rimaneva pur sempre la mia più grande amica.
-Grazie, grazie-
-Si si, vedrai come ti ringrazierò
io quando mi ficcheranno un bel paletto nel cuore…- rise con macabra ironia
facendomi sbuffare esasperata, ma ricambiò comunque la stretta.
La Rochelle, 1824
Ci trovavamo in una specie
di capanno abbandonato ai confini del villaggio, laddove l’erba iniziava ad
infittirsi per poi sfociare in un tripudio incolto che sfumava verso il bosco.
Il terriccio secco,
all’interno, era ormai ricoperto di fieno ed erba secca, che raggrumati in un
punto ben lontano dalle piccole finestrelle formavano un giaciglio soffice,
ricoperto da un vecchio telo bianco così da dargli almeno la parvenza di poter
essere un letto.
Io ero raggomitolata
proprio lì, avvolta in un semplice vestito che Selena era riuscito a
rimediarmi, nulla a che vedere con gli sfarzosi abiti cui ero avvezza indossare
ma che ormai mi parevano unicamente ricordi lontani e persi, le gambe strette
al petto ed il terrore che quegli infidi raggi scottanti, un tempo tanto amati,
potessero sfiorarmi la pelle, ora pulita e di nuovo nivea.
Selena mi aveva raccolto i
lunghi capelli un una treccia laterale che mi arrivava alla vita, treccia con
la quale stavo nervosamente giocherellando da un buon quarto d’ora, osservando
la strega di fronte a me pronunciare parole incomprensibili ad occhi chiusi, le
mani strette attorno a quello che avevo notato essere un piccolo ciondolo dalle
fattezze semplici ma graziose, un'unica pietra blu, probabilmente lapislazzulo,
incastonata in una corolla argentata dai temi astratti e floreali che vi si
intricavano attorno.
Mi aveva spiegato che quel
ciondolo mi avrebbe permesso di muovermi indisturbata sotto la luce solare
senza più il timore di poter bruciare viva, e quella probabilmente era stata la
notizia più bella che avessi ricevuto da quando mi ero trasformata assieme alla
possibilità di potermi nutrite senza uccidere, proprio come mi aveva insegnato
lei.
-Ecco fatto, prova- la sua
voce squillante mi fece sussultare, ma non ci misi molto ad afferrare la
collana che mi stava porgendo, infilarmela e posizionarmi con non poche remore
esattamente al centro del quadrato di luce al mio fianco.
Strizzai gli occhi, la
mente già proiettata verso il dolore che altre volte mi era capitato di
sentire, i muscoli tesi pronti al balzo che eventualmente avrei fatto per
sottrarmi a quella condanna che la natura aveva imposto a chi non era degno di
esser definito suo figlio, ma ciò che sentii, con sommo stupore, su solamente
calore, un piacevole calore che mi si propagò in tutto il corpo sotto
l’influsso dei raggi solari. Quasi mi ero scordata come fosse bello poter
percepire quella luce naturale sulla pelle.
Sorrisi, voltandomi verso
una Selena dall’aria vagamente orgogliosa e compiaciuta.
-Grazie Selena, questo è
il miglior regalo che potessi farmi, ti sono debitrice per l’eternità-
Lei sorrise e scosse la
testa, scrollando le spalle come a sminuire le mie parole.
-Sciocchezze, ho solo
fatto un incantesimo banale. E poi mi sono decisa di aiutarti, questo era il
minimo per cominciare- poi corrugò la fronte, sovrappensiero –Sai, ancora non
mi spiego perché il tuo creatore ti abbia abbandonata così, che io sappia
solitamente si impegnano per lo meno a spiegare il necessario affinché questi
nuovi vampiri sopravvivano ma tu, tu eri ignara di ogni cosa o quasi-
Io abbassai lo sguardo
rabbuiandomi leggermente, e me ne tornai sul giaciglio, sedendomi accanto a lei
che non aspettava altro che delucidazioni da quando mi aveva incontrata.
-Lei, la vampira che mi ha
creata intendo, non sapeva minimamente di averlo fatto. Era già andata via
quando sono…morta e poi rinata. Mi aveva solo dato del sangue per guarire da
una ferita, null’altro-
Selena arcuò le
sopracciglia fin quasi all’attaccatura dei capelli, un’aria di puro stupore
negli occhi sgranati e nelle labbra pronte a da sfogo al suo dubbio.
-Mi stai dicendo che un
vampiro ti ha dato il suo sangue per guarire?!-
Sorrisi amara, guardandola
si sbieco, le mani strette in grembo.
-E’ così difficile da
credere? Eppure sei stata tu a dirmi che ciò che viene definito mostro non
sempre si rivela tale, o mi sbaglio?- la citai con una vaga vena canzonatoria
nella voce bassa, prima di sospirare con aria stanca –E comunque, è una lunga
storia. Un giorno te la racconterò, te lo prometto, ma ora…ora è ancora presto,
fa troppo male…-
I suoi tratti si distesero
in un espressione dolce, quasi materna con quel luccichio zuccheroso che le
brillava negli occhi chiari, mentre annuiva accondiscendente, sorridendo
gentile.
-Tranquilla, nessuno ti
impone niente, avrai tutto il tempo che vorrai per affrontare il tuo passato e
metterlo a nudo anche di fronte agli altri, oltre che a te stessa. Ora pensa
solamente ad imparare a vivere di nuovo, mh?-
Le sorrisi grata,
allungandomi per abbracciarla mentre affondavo la faccia nei suoi capelli
scuri. Quando mi accorsi del gesto incauto e per nulla ragionevole che avevo
appena compiuto, mi scostai di scatto, guardandola con rincrescimento e vago
terrore negli occhi, temendo di averla spaventata, per quanto fosse questo
possibile dato il soggetto di cui stavo parlando, o perlomeno fatta arrabbiare.
Lei però, comprendendo la
ragione del mio brusco gesto e capendo ciò che mi tormentava lo sguardo,
scoppiò a ridere spensierata.
-Che sciocca che sei,
credi forse che abbia paura di te? Eppure pensavo fosse chiaro il mio gesto: ho
aspettato tanto a crearti quel ciondolo perché aspettavo tu fossi realmente pronta, e nel frattempo ti ho insegnato
a controllarti e ad essere più umana possibile, entro i limiti consentiti dalla
tua natura si intende. Ora lo sei, basti vedere come i tuoi gesti sono mutati
nel corso di queste settimane: sei più spigliata, sicura di te e dei tuoi
istinti, ora sei libera. Quindi
smettila di farti tante paranoie e abbracciami pure, stupida vampira-
Rise, ed io con lei, nello stesso istante in cui mi avverrò per un
braccio e mi attirò a sé, circondandomi le spalle con le sua mani e invogliando
me a fare lo stesso.
Forse avevo sbagliato a
decretare la mia morte, settimane prima, forse quella era la seconda
possibilità che qualcuno da lassù mi aveva concesso per riconsiderare la
bellezza della vita, per apprezzarla nuovamente come un tempo e chissà, forse
anche per rimediare agli sbagli che mi avevano portato a gettarmi nelle
profondità del mare in quella notte terribile.
Fatto sta che lì, tra le
braccia di quella che sapevo sarebbe stata la mia prima e vera amica in quella
mia seconda possibilità, mi sentii nuovamente felice.
Mystic Falls, oggi
-Ora, non vorrei sembrarti
particolarmente materialista, ma quando sono venuta qui attraversando l’oceano
avevo ben chiaro in mente di riacciuffare il libro e te, e riportare entrambi
con me in Francia il giorno stesso. Non certo di rimanere a tempo indeterminato
in questa landa desolata. Indi per cui non ho portato nient’altro che me
medesima in questa follia di viaggio, questo implica una notevole scarsezza di
vestiti e quant’altro, per intenderci-
Risi, guidandola per le
vie di quel piccolo paese con are ormai quasi esperto, attirando così lo
sguardo di non pochi passanti che si chiesero senza ombra di dubbio chi mai
fossero quelle due straniere. L’aspetto si Selena poi, vagamente eccentrico,
non aiutava per nulla.
-Per questo, cara
brontolona, ti sto portando a fare shopping. E nel frattempo potremmo anche
vedere di trovare un appartamento. A Stefan e agli altri ti presenterò oggi
pomeriggio, metà giornata non credo cambierà di molto le cose-
Non le dissi che avevo bisogno io di qualche oretta di
normalità e distrazioni, senza confabulazioni sugli Originari che mi avrebbero
portato alla mente solamente lui,
senza inchieste sul mio passato, senza incontri spiacevoli o altri particolari
che mi avrebbero nuovamente fatta ricadere nel mio stato depressivo angoscioso.
Il giorno prima era stato abbastanza intenso da bastarmi anche per tutto quello,
inoltre ero ben consapevole che ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo per
ritornare su simili argomenti, da ora in poi; bearmi quindi di quegli istanti
con l’unica persona lì che sapeva abbastanza da non farmi domande e non
sfiorare quindi pessimi tasti scottanti mi sembrava il minimo da concedere alla
mia sanità mentale messa di già a dura prova.
Passammo quindi la mattina
tra un negozio e l’altro con l’intenzione di ricrearle un guardaroba decente, e
nel mentre ci preoccupammo anche di osservare qualche annuncio appeso nella
vetrina dell’agenzia immobiliare, nella speranza di trovare qualcosa di adatto. La piccola camera del B&B infatti non sarebbe più bastata, inoltre Selena mi aveva giustamente fatto notare quanto poco sicura fosse una collocazione simile in una situazione come quella. E poichè che alla proposta di Stefan di quella mattia di trasferirmi da lui avevo gentilmente rifiutato, trovandola sconveniente e un filino approfittatrice vista la possibilità di trovarmi un appartamento mio, quello era il momento per cercarlo.
Fu proprio su quel dannato
vetro riflettente, mentre Selena commentava l’ennesimo appartamento leggendo a
voce alta i vaghi dettagli scritti sotto l’immagine sgranata di cui si poteva
capire poco e niente, che li vidi.
Mi girai di scatto, non
prestando più attenzione a Selena che indisturbata continuava il suo
sproloquio, e fissando piuttosto lo sguardo su due figure maschili aldilà della
strada, intente a parlare civilmente.
Mi sentii sbiancare visibilmente
e la tentazione di darmela a gambe come una ladra fu estremamente allettante,
quando notai uno dei due uomini, Damon per la precisione, ruotarsi nella mia
direzione e sorridermi smagliante, alzando una mano in segno di saluto prima di
farmi un cenno per raggiungerlo.
Al che anche l’altra
figura si voltò, probabilmente incuriosita, incrociando il mio sguardo per una
frazione di secondo prima di ritornare a posare nuovamente l’attenzione su
Damon con fare disinteressato, quasi non mi avesse neanche vista.
Fui certa che il mio cuore
collassò, mentre me ne rimanevo fissa come un ebete nella stessa posizione,
quasi aspettandomi una rettificazione di quel comportamento distaccato mentre
l’immagine di quegli occhi duri e neri più delle ombre mi rimbombava in testa.
Sciocca speranza vana.
-Ora, ci sono due
possibili spiegazione al fatto che mi stai deliberatamente ignorando e alla tua
faccia che, se tu fossi ancora umana, si direbbe l’anticipazione di un conato
di vomito. O hai visto direttamente Satana, o uno di quei due fascinosi uomini
laggiù è l’Innominabile, in tal caso
non avrei dubbi su chi cascherebbe la mia scelta. In quanto non sono
propriamente credente, scarterei la prima ipotesi e volerei direttamente alla
seconda, anche perché Mr. Occhioni Blu ti sta evidentemente invitando ad unirci
alla conversazione-
Deglutii piuttosto
sonoramente, ringraziando il cielo che avesse parlato abbastanza piano da
risultare udibile unicamente a me, prima di voltarmi con una chiara espressione
eloquente dipinta in volto.
-Non credo sia una buona
idea Selena…-
-Non eri tu quella che
ieri, con cotanta determinazione, mi palesava tutte le sue buone ragioni per
rimanere nella stessa cittadina dove risiedeva anche lui? Ed ora ti tiri indietro tanto facilmente? Tanto vale
tornarsene a Parigi, se le cose stanno così-
La guardai con rinnovata
irritazione, lei non sapeva minimamente cosa stavo provando in quell’istante, a
pochi metri di distanza da Elijah, metri dalle sembianze di una voragine
invalicabile.
-E non eri tu quella che
ieri lo criticava tanto, e con lui la mia morbosa determinazione?-
Si strinse nelle spalle,
sorridendo maliziosa –Forse, ma questo non mi impedisce affatto di essere
curiosa di incontrarlo di persona. Sono duecento anni che aspetto il momento di
fargli il cu…-
-Selena!-
-Stavo scherzando. Senti,
sai quanto sia contraria a tutta questa faccenda, ma ti conosco abbastanza bene
da sapere cosa è meglio per te, questo mi da quindi il diritto di dirti che la
fuga non è contemplabile tra le varie opzioni-
-E queste perle di
saggezza le dovevi tirare fuori proprio ora?-
-Meglio tardi che mai-
sorrise, e solo quando alzai lo sguardo per sbuffare seccata, mi accorsi che
nel mentre avevamo attraversato la strada e di trovavamo quindi a pochi passi
dai due, che voltati ci fissavano in silenzio.
Se Damon appariva
sinceramente curioso, Elijah mantenne quell’impassibilità nello sguardo freddo
piantato quasi più sulla mia amica che su di me, che mi procurò un sordo vuoto
all’altezza dello stomaco.
Ringraziai mentalmente
Damon quando si decise a rompere il ghiaccio, mettendo un freno a quello che si
prospettava un lungo silenzio imbarazzante.
-Nina, qual buon vento.
Hai qualcuno da presentarci a quanto vedo- esclamò, regalando un’occhiata interessata
alla mia sinistra.
-Piacere, sono Selena
Vasilyeva, una sua amica. Tu sei…?-
-Damon Salvatore, ed il
piacere è tutto mio-
-Salvatore? Sei per caso
fratello di Stefan?-
-Esattamente. Vedo che sei
informata- sorrise, squadrandola con rinnovata curiosità.
-Ho solamente fatto i compiti
a casa-
In quel breve scambio di
battute, io non avevo fatto altro che gettare continue occhiate verso Elijah,
con la speranza che passassero inosservate, ed ogni volta lo avevo trovato con
la stessa espressione disinteressata, fredda, ad irrigidirgli i tratti mentre
fissava un punto non ben definito tra Damon e Selena.
Sentivo l’irrefrenabile
desiderio di parlargli, toccarlo, di attirare la sua attenzione in qualche modo
anche solo per farmi guardare per un istante, perché quella staticità, quella
monocorde indifferenza mi stava dilaniando il cuore, ma proprio in
quell’istante una frase pronunciata da Selena mi gelò il sangue nelle vene.
-Tu invece devi essere il
famoso Elijah, non è vero?- soffiò falsamente cordiale la mia amica, voltandosi
vero di lui, che sentendosi chiamato in causa le rivolse un’occhiata curiosa ed
inquisitoria al tempo stesso, una mano infilata nella tasca dei pantaloni e
l’altra abbandonata lungo il fianco.
Sbiancai.
-Non pensavo di poter
essere considerato addirittura famoso- disse lui, l’ombra di un sorriso sulle
labbra appena piegate.
Per un attimo contemplai
l’idea di afferrarla e trascinarla via da lì prima che potesse dire qualcosa di
terribilmente sconveniente, ma lei parlò prima che potessi fare alcunché per
evitare la catastrofe, per cui mi limitai ad affondare le unghie nel suo
braccio con indiscrezione, evitando che gli altri ci notassero e sperando che
quel gesto bastasse ad intimarle di tacere.
Se però il mio gesto passò
inosservato agli occhi di Damon, troppo preso ad osservare Selena, Elijah
sembrò invece notarlo bene, perché per la prima volta da quando avevamo
iniziato a parlare mi gettò un’occhiata di traverso. Avvampai, metaforicamente
parlando, e lasciai subito la presa, iniziando a torturami il labbro inferiore coi
denti in sempre più crescente imbarazzo.
-Beh, quando si è un
Originario non ci si può aspettare di non essere conosciuto, non trovi?-
Quasi sospirai di sollievo
a quella risposta, ringraziando il cielo che a Selena fosse rimasto ancora un
barlume di ragione e che lo stesse egregiamente sfruttando proprio in quel
frangente delicato.
-Presumo sia così, si-
rispose per nulla convinto, forse più che consapevole che la sua non era una
conoscenza scaturita da voci comuni o libri particolari, ma dalla storia di
un’amica. D’altronde, sarebbe stato più che normale.
Prima che altro potesse
essere aggiunto, decisi di intervenire.
-Come mai siete qui? Ci
sono novità su Esther per caso?-
Elijah stavolta fissò la
sua attenzione direttamente su di me, regalandomi uno sguardo di sufficienza
che mi fece sprofondare il cuore parecchie decine di metri sotto terra. Mi
chiesi come facesse a comportarsi a quel modo, come riuscisse a controllare i
suoi respiri, i movimenti del suo corpo, i suoi sguardi. Come potesse risultare
pacato e tranquillo, immobile a pochi metri da me, quasi dimentico di cosa
avevamo vissuto due secoli prima, neanche fossi
stata realmente un’estranea conosciuta il giorno prima.
Forse perché ha realmente dimenticato, forse perché
l’odio è davvero capace di cancellare ogni altra cosa.
Quel bisbiglio
impertinente nella mia mente mi fece spuntare lacrime amare agli angoli degli
occhi, ma scacciai malamente l’idea con un groppo in gola, inghiottendo quel
pianto isterico che tanto avrei voluto versare.
Io che non potevo non
fremere per quella vicinanza, io che non potevo non bramare il desiderio di
sfiorarlo, fissarlo senza indiscrezione, parlargli liberamente come un tempo,
trovavo tutto quel distacco inconcepibile ed impossibile.
-Io e Damon stavamo solamente
parlando dell’imminente festa che il sindaco Lockwood ha deciso di dare questo
finesettimana- chiarì lui con tono monocorde, evitando di guardarmi dopo quella
prima occhiata, quasi stesse cercando di zittire la fastidiosa curiosità di una
bambina capricciosa.
-Pensate che possa
accadere qualcosa?- continuai imperterrita, ignorando con una punta di fastidio
e molta delusione il tono vagamente sgarbato col quale aveva parlato.
Se gli scocciava così
tanto, poteva anche evitare di rispondere…
Lo vidi ridire, una risata
per nulla divertita e spontanea, mentre non fissava me ma bensì un punto
imprecisato sopra la mia spalla, quasi non fossi nemmeno degna della sua
attenzione.
-Le feste qui a Mystic
Falls sono sempre fonte di grande attrazione per disastri sovrannaturali, è
bene prevenire piuttosto che curare- liquidò così la faccenda, facendo un vago
gesto con la mano come a minimizzare la questione.
-E come pensate di
prevenire, se posso saperlo?-
-Intendiamo presiedere
tutti quanti e tenere d’occhio la situazione per captare eventuali nuovi
pericoli, così da spegnere la miccia prima che la bomba esploda. E per quanto
l’idea di una collaborazione con le loro maestà originarie non mi alletti più
di tanto, penso sia la cosa migliore in questo caso-
Annuii, gettando
nuovamente un’occhiata ad Elijah, il quale stavolta però pareva preso da ben
atro, mentre avvicinava il telefono che non avevo neanche sentito squillare
all’orecchio e si allontanava di qualche passo, dandoci così le spalle.
-Io vorrei essere presente,
potrei darvi una mano- annunciai con tono ostinato, fissando un Damon
sorridente negli occhi.
-Non sarò certo io ad
impedire che questa festa venga privata di una bella ragazza, e a tal proposito
potresti venire anche tu, Selena-
-Non ho ben capito il
fulcro della questione, ma accetto volentieri-
-Tranquilla, ti spiegherò
tutto oggi. Ah Damon- guardai un attimo Elijah, che sembrava però ancora
occupato a parlare al telefono, ma per precauzione mi avvicinai al vampiro di
un passo, poggiandogli una mano sul braccio per parlargli all’orecchio così da
non essere sentita –Selena ci darà una mano col Libro, sarei venuta a dirvelo
oggi ma ora che ti ho incontrato non ce n’è più bisogno. Il Libro è appartenuto
alla sua famiglia da sempre, e lei conosce il modo di spezzare gli incantesimi
che lo proteggono, insegnerà a Bonnie come farlo-
Lui mi guardò ed annuì –Non
confido particolarmente in un vecchio libro polveroso e ammuffito, ma grazie lo
stesso-
Mi scostai di poco e vidi
Elijah ritornare verso di noi. Non capii dove stesse guardando con tanta
insistenza fin quando non notai il suo sguardo basso indirizzato proprio nel
punto in cui la mia mano poggiava ancora sul braccio di Damon. Con un movimento
veloce la ritirai, gettandogli una fuggevole occhiata imbarazzata, eppure dallo
sguardo impassibile che ci rivolse sembrò non esser stato per nulla colpito dal
gesto. Ne rimasi quasi delusa.
-Sono spiacente, ma ho
degli affari da sbrigare e non posso restare. E’ stato comunque un piacere fare
la tua conoscenza, Selena. Damon, noi ci vedremo alla festa-
-Penso allora che anche
per noi valga lo stesso- annunciò tubante Selena, gongolando dell’espressione
per una frazione di secondo stupida che vide dipinta sul suo volto.
Fui tentata di tirarle una
gomitata ma mi trattenni per amor della mia dignità, osservando piuttosto i
tratti di Elijah assumere la solita maschera di pacato disinteresse, mentre
annuiva con impassibilità. Sapevo che percepiva il mio sguardo addosso, eppure
sembrava ignorarlo egregiamente come del resto ignorava anche me.
Lo sentvidi i salutare e
andarsene, e quando ormai era a qualche metro di distanza, diretto al suv nero
che intuii fosse suo, l’assurdo desiderio di bloccarlo e parlargli, ma
parlargli davvero, non come due
estranei che fanno finta di non conoscersi ma come gli amanti che eravamo
stati, fece si che i miei muscoli si muovessero di volontà propria, portandomi
ad inseguirlo col cuore in gola ed il respiro traballante di chi sa di stare
per fare un grosso errore.
Selena, forse intuendo le mie
intenzioni, cominciò a parlare con Damon al fine di distrarlo.
Mi fermai, mordendomi il
labbro e chiudendo gli occhi per un secondo, espirando per prendere coraggio,
certa che nulla di ciò che avrei detto avrebbe migliorato la situazione.
-Elijah…- quasi mi
maledissi per quel sussurro strozzato che avevo soffiato a fatica dalle labbra
schiuse, ma non ne ebbi il tempo perché lo vidi bloccarsi là, a pochi metri da
me, e voltarsi di poco, fissando gli occhi neri, profondi e invalicabili su di
me.
Percepii un brivido gelido
scivolarmi lento lungo tutta la spina dorsale, mentre ricambiavo lo sguardo,
pregando silenziosamente una qualche divinità di poter vedere qualcos’altro
oltre che freddezza sul suo viso marmoreo.
Non parlò, rimanendo
immobile in quella sua posa noncurante, una mano in tasca e l’altra mollemente
abbandonata lungo il fianco, aspettando forse di sentire cosa avevo da dire o
più semplicemente pensando che il silenzio pesante che aveva fatto calare
bastasse per farmi desistere dall’aggiungere altro.
Non seppi dove trovai il
coraggio per aggiungere quel qualcos’altro, ma lo feci.
-Noi dobbiamo parlare-
Inghiottii a vuoto
vedendolo sbattere le ciglia con disinteressata calma, mentre inarcava appena
le sopracciglia in un espressione di dubbio scetticismo.
-No, non credo-
-Ma noi…Elijah, ho bisogno
di spiegarti, di…-
-Non ho tempo Nina, e tu
non devi spiegarmi nulla. E’ un po’ tardi per le spiegazioni, non trovi? Forse invece
sarebbe ora che anche tu dimenticassi-
Non ho tempo…sarebbe ora che anche tu dimenticassi…
A quelle parole lo potei
udire nitido e cristallino il netto rumore dello squarcio che mi dilaniò il
petto, lasciando laddove c’era il mio piccolo cuore martoriato una voragine
stillante sangue.
Eppure trovai lo stesso la
forza di rispondere, di attaccare per non essere attaccata.
-Non mi sembra che tu
abbia dimenticato molto, se nei tuoi occhi emerge tanto odio-
Piegò lievemente le labbra
con amarezza, con cattiveria, ed il suo fu uno di quei sorrisi che invece di
scaldare, gelano nel profondo.
-Ho dimenticato ciò che
era da dimenticare-
E se ne andò così, con
quella frase carica di significati nascosti e talmente dolorosi che non potei
impedirmi di trattenere oltre le mute lacrime silenziose che fino a quel
momenro avevano lottato per rigarmi le guance, mentre da lontano lo vedevo
salire in macchina, metterla in moto e sparire lungo la via.
Ho dimenticato ciò che era da dimenticare.
Quindi è così, Elijah? Hai dimenticato me e l’amore
che ci aveva uniti, hai dimenticato tutto il superfluo e ti sei tenuto solo
l’odio di quel mio gesto?
- - -
Angolino dell’autrice (che rischia la decapitazione) - -
In primo
luogo: CHIEDO UMILMENTE SCUSA. E’ passato troppo, ma troppo tempo dall’ultima
pubblicazione e me ne rendo tristemente conto…non ho scusanti per avervi fatto
aspettare tanto, posso solamente dire di avere avuto un blocco ed infinite pare
mentali che non mi hanno permesso di scrivere qualcosa che non venisse quasi
subito cancellato per…beh per tutti questi lunghissimi giorni che non ho neanche
il coraggio di contare.
Sono
tutt’ora convinta che questo capitolo (da notare: quasi il doppio degli altri
per farmi perdonare :D) sia un emerita schifezza, sia a livello di contenuto,
che di sintassi, che di…tutto ecco. Ma mi sono imposta di finirlo, per cui non
dico più nulla e mi cucio la bocca per amore della vostra pazienza.
Allora…date
il benvenuto a Selena:) E’ un personaggio che avevo pensato già da tempo ma che
mi ero prefissata di far spuntare più tardi, però non ho resistito per cui
eccola qui:) la sua storia verrà svelata lungo il corso dei capitoli, per
adesso avete capito che era una strega che poi è stata trasformata in vampiro e
che è colei che ha aiutato Nina all’inizio della sua nuova vita. Ora, non so se
si è capito ma stavano entrambe a Parigi prima che Nina venisse a Mystic Falls,
con questo non dico che hanno vissuto 200 anni appiccicate come cozze, ma hanno
sempre mantenuto i rapporti nonostante i viaggi e gli anni di separazione e che
ogni tanto si sono ritrovate per periodi più o meno brevi. Lei, comunque, è
sicuramente la migliore amica che ha, tant’è che è l’unica a conoscere tutta,
ma tutta la sua storia (a proposito: c’è stata una rivelazione velata in un
flashback da cui si può intuire ciò che già molte di voi hanno capito di come
Nina è stata trasformata e da chi).
Non sono
successe grandi cose in questo capitolo, se si esclude appunto Selena e il
secondo incontro di Nina ed Elijah (che poi, che ne pensate?? A me non ha molto
convinto, però possono sempre essere le mie pare in agguato XD –lo spero- ) ma
già dal prossimo le acque si smuoveranno…eheheh la festa…no vabbè non vi dico
nulla.
Vi prego
ditemi che ne pensate (so che non ho il diritto di chiedere recensioni, ma dato
che l’ultima volta erano solamente due ahimè – sigh sigh- spero che stavolta
non siano proprio 0…) Vi chiedo ancora umilmente perdono, e ringrazio chiunque
continui a seguire e a recensire la mia storia, penso proprio di adorarvi :)
Un bacio e a
presto,
Deademia
PS: questa è
Selena
|
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Capitolo 6 *** Il Dolce Suono Della Morte ***
6
6. IL DOLCE SUONO DELLA
MORTE
“La cattiveria nasce da sentimenti
negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia. Viene da un vuoto dentro
di te che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato
quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via.”
(Ryū Murakami)
Fu la musica ad
accoglierci ancor prima che mettessimo piede all’interno dell’enorme villa
Lockwood, una soffice melodia dalle dolci note di sottofondo che conciliava il
rilassamento di chi la ascoltava, sovrastata però dall’immenso chiacchiericcio
di chi già presenziava ,nei loro smoking costosi o nei lunghi abiti dai mille
colori, a quella che si sarebbe rivelata una lunga serata di balli e
pettegolezzi. E molti drink.
Io, Selena, e Damon e
Matt, i nostri rispettivi accompagnatori, stavamo in quel momento salendo i
gradini antistanti l’imperiosa entrata, noi fasciate nei nostri abiti vagamente
principeschi, e loro ai nostri fianchi, a porgerci il braccio come buona
tradizione impone.
Quando entrammo non avemmo
neanche il tempo di sfilarci i soprabiti che una Carol sorridente ci venne
incontro, le mani congiunte davanti al petto e gli occhi lucidi di
soddisfazione per quella che pensai considerasse un’ottima riuscita già prima
che la festa iniziasse realmente.
-Buonasera Damon, Matt-
-Signora Lokwood-
risposero entrambi facendo un piccolo cenno col capo.
-Oh ma guarda, le nostre
nuove arrivate! Sono estremamente felice di vedervi qui , e sono sicura che
questo sarà un ottimo modo per fraternizzare con il resto della cittadina-
-La ringrazio signora
Lockwood, e complimenti per la casa, è magnifica- le dissi, adulandola con un
sorriso accompagnato da uno sguardo vagante per tutto l’ampio ingresso
illuminato.
-Grazie cara. Ma prego
venite, non rimanete qui nell’ingresso- qualche voce poco più in la le fece
voltare la testa frettolosamente -Ora scusatemi, ma devo proprio andare, vi
auguro comunque una buona serata-
-Anche a lei-
-Ecco, dammi la giacca
così possiamo andare di là- Damon allungò le mani, aiutandomi a sfilare il
cappotto bianco così da svelare il lungo abito blu senza spalline che vi era
sotto.
-Non so perché ma ho il
vago sospetto sarò uno degli uomini più invidiati di questa sala- soffiò
serafico lui, lanciandomi un’occhiata lusinghiera che mi fece ridere.
-Oh non scherzare!-
-Ehi amico, mi sa che
saremo in competizione allora- rise Matt, svelando l’abito rosso dall’ampia
gonna di Selena, che sorrise divertita.
-Ma senti quanti
complimenti, ehi ragazzi non è che vi starete già innamorando eh?- li canzonò
lei.
I due risero, porgendoci
le braccia e incamminandosi verso la sala già sgombra e pronta per fungere da
pista da ballo. Per un attimo ricordai i balli di un tempo, quelli veri, ormai diventati unicamente modello
di ispirazione ad eventi come questo, e sorrisi pensando che a quei tempi mai mi sarei immaginata di
vivere simili esperienze.
-Chi lo sa mie care- disse
Damon in un tono fintamente serio, gettando nel frattempo un’occhiata
tutt’attorno per individuare gli altri. Li vedemmo in un angolo, Stefan accanto
ad Elena, Caroline e Tyler, che avevo avuto il piacere di incontrare giorni
prima, quando avevo portato Selena a conoscere gli altri.
-Buonasera- proruppe
Damon, fermandosi accanto al gruppetto.
-Ehi ragazzi, eccovi
finalmente. Wow Nina, sei un incanto, e anche tu Selena! Avete degli abiti
fantastici, complimenti- Caroline sorrise, stringendosi al fianco del suo
ragazzo, non nascondendo tutta la contentezza di poterlo riabbracciare, e
squadrandoci con occhio esperto.
-Anche voi siete
bellissime, ma non c’è neanche bisogno che ve lo dica- sorrisi, poi mi guardai
attorno –Ma Bonnie non c’è?-
-No, è rimasta a casa a
lavorare sul libro. Da quando Selena le ha spiegato come spezzare gli
incantesimi non esce più dalla sua camera- disse Stefan, una mano sul fianco di
Elena e l’altra avvolta attorno ad un flute colmo di champagne.
Caroline sbuffò, ruotando
gli occhi con eloquente sdegno.
-Non so come possa esserle
anche solo vagamente passata per la testa l’idea di preferire rimanere
rintanata in casa in compagnia di un vecchio libro ammuffito, senza offesa
Selena, invece di venire a godersi questa meraviglia di festa. Sono così pochi
i momenti in cui possiamo svagarci ormai-
-Ma sai com’è fatta lei,
quando si impunta su qualcosa è impossibile farle cambiare idea, soprattutto se
questo qualcosa riguarda la magia- spiegò accondiscendente Elena.
-Certo, ma è stato anche
un po’ sciocco questo suo comportamento. Sai cos’ha detto Elijah no? Qui con
noi sarebbe stata molto più al sicuro-
Al suono del suo nome
sussultai appena, ricordandomi che quella sera ci sarebbe stato anche lui,e che
forse, in mezzo a tutta quella folla, la sua figura faceva già mostra di sé da
qualche parte. Dopo l’ultimo scontro avuto qualche giorno prima non l’avevo più
rivisto nè avevo avuto desiderio che accadesse. Le sue parole erano state
abbastanza chiare ed esaurienti da farmi scoraggiare del tutto, e l’idea di
doverlo affrontare nuovamente per sentirmi rivolgere le medesime dure parole o
per percepire addosso il suo sguardo che, ormai ne avevo la certezza
matematica, avrebbe riversato solo odio non mi allettava per nulla, al
contrario mi chiudeva la gola con un doloroso nodo d’angoscia.
-Se è questo a
preoccuparti, con lei che Rick, non c’è da preoccuparsi Caroline-
Lei guardò Stefan
scettica, poi scrollò le spalle e appoggiò la testa sulla spalla di Tyler, che
sorrise per la testardaggine della compagna, alzando gli occhi al cielo e
facendo così ridere tutti gli altri.
-Se lo dite voi…- borbottò
sconsolata.
Poi una presenza alle
nostre spalle ci fece voltare. Una ragazza bionda, fasciata in un lungo abito
nero impreziosito da alcuni punti luce sul corpetto, sorrise melliflua ed
altezzosa, lasciando vagare su tutti noi uno sguardo dal retrogusto disgustato.
Alle sue spalle un giovane ragazzo dall’aria sbarazzina sorrideva sghembo.
-Buonasera, mi è giunta
voce che collaboreremo tutti quanti per questa volta. Beh vi do un consiglio,
in caso vedeste qualcosa di sospetto, lasciate perdere e fate fare il lavoro a
chi è più vecchio ed esperto di voi, d’accordo pivelli? Non vorrei che mandaste
all’aria tutto quanto con le vostre paranoie e i vostri spiriti caritatevoli…-
Prima che qualcuno potesse
ribattere niente, il ragazzo alle sue spalle scoppiò in una fragorosa risata.
-Perdonate mia sorella, a
volte è un po’ troppo diretta. Quel che voleva dire è che sarebbe meglio
lasciar fare a noi, anche perché, sapete com’è, sono affari di famiglia…- il
tono canzonatorio e vagamente divertito che usò fece irritare non poco Damon,
che avanzò di un passo con sguardo bellicoso.
-Senti un po’ ragazzino,
già avevamo parlato di questo con il tuo grande fratello ma mi sembra che con
voi bisogna sempre essere prolissi…Noi vorremmo tanto che fossero affari di
famiglia ma se la vostra cara mammina sclerata decide di fare un figlicidio ci
rimettiamo la pelle tutti quanti, per cui evitate di essere logorroici con
questa storia degli “affari di famiglia” e godetevi in santa pace la festa, un
modo carino per dirvi di levarvi dalle palle in caso non lo aveste compreso.
Ah, inoltre non so quanto farebbe piacere ad Elijah sapere che siete venuti
nuovamente a discutere su una questione che già lui aveva chiuso e risolto
giorni fa- Damon annuì convinto delle sue parole trattenendosi dal ghignare
alle espressioni seccate dei due fratelli.
-Matt, non mi offri un
drink?- soffiò poi la bionda, guardandolo con un sorriso smagliante dai
riflessi maliziosi.
Caroline, al mio fianco,
borbotto infastidita qualcosa che somigliava molto a un “ma che gran faccia
tosta…”, mentre io nel frattempo cercavo di capire chi mai fossero quei due
vampiri, anche se, a ben vedere, dopo quella conversazione mi erano rimasti
pochi dubbi a riguardo.
-Car, ma chi sono?- le
sussurrai all’orecchio per avere una conferma, mentre lei sembrava occupata a
trucidare con la sola forza del pensiero la ragazza di fronte a noi, ora
intenta a conversare suadente con Matt.
-Rebekah e Kol Mikaelson-
sputò tra i denti con sdegno, le braccia incrociate al petto e la mascella dura
– I due stupidi fratelli di Klaus, i più piccoli credo. No ma guardala! Ti
rendi conto? Ci manca solo che inizi a strusciarglisi addosso e li invito a prendersi una camera,
per la miseria! E pure Matt, sant’Iddio, si è forse dimenticato di Selena?-
-Oh tranquilla, non mi
importa più di tanto. Mi ha accompagnata solo per questioni di galateo-
aggiunse lei con un sorriso, forse cercando di placare il suo nervosismo sempre
più crescente ma finendo per farla irritare ancora di più.
-Non importa, è un
cretino! Una volta che hai una dama, non flirti con un’altra. Specie se si
chiama Rebekah Mikaelson ed è una grandissima troia-
Tyler al suo fianco rise,
dandole uno scossone per rabbonirla e farla tacere al tempo stesso, altrimenti
di quel passo il soggetto delle sue maledizioni l’avrebbe ben udita. E pur non
conoscendola, ero abbastanza certa che non fosse una che passa sopra a certi
insulti.
Prima che però potesse
aggiungere altro di altamente sconveniente, Rebekah si voltò vero di noi con
sguardo furbo, avvicinandosi accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi appena
visibili sotto la lunga gonna.
-Ma guarda, due visini
nuovi che si sono aggiunti alla compagnia dei martiri. Scommetto che sei Nina,
vero? Ho sentito molto parlare di te-
ghignò sadica, facendomi ben comprendere quali voci le fossero giunte alle
orecchie.
In risposta, piegai le
labbra e strizzai appena gli occhi infastidita, arcuando le sopracciglia con
finto stupore. Quella ragazza era realmente insopportabile.
-Ma davvero? Peccato non
possa dire la stessa cosa di te allora-
Udii distintamente lo
sghignazzare poco controllato di Selena alle mie spalle, mentre Caroline bisbigliava
un entusiasta “ben le sta a quella
vipera”, e dovetti mordermi la guancia per non ridere nel vedere il sorriso
aspro che mi rivolse la vipera in questione.
-Non ti preoccupare di
questo, avrai modo di conoscermi puoi starne certa. E ora scusateci, Elijah ci
attende- e con questa frase se ne andò, gettandomi un’occhiata di sfida mentre
pronunciava il nome di suo fratello e afferrando Kol per un braccio, che nel
frattempo non aveva staccato gli occhi di dosso a Selena e anzi aveva iniziato
a parlarle, per trascinarselo dietro con fare spazientito, ignorando
teatralmente le sue lamentele melodrammatiche.
Quindi Elijah c’era già…
Con uno scrollo della
testa che fece ondeggiare i boccoli unicamente appuntati in due ciocche sulla
nuca e lasciati sciolti lungo la schiena, mi imposi di non pensarci almeno per
quella sera, e di concentrarmi piuttosto sui miei nuovi amici. D’altronde aveva
detto lui stesso che era ora che dimenticassi, no? Ebbene, l’avrei fatto.
-Sai Nina, credo che tu ti
sia appena fatta una nuova nemica- rise Elena, facendo un cenno col capo nella
direzione in cui i due fratelli erano stati fagocitati dal resto della folla.
Di tutta risposta scrollai
le spalle con fare noncurante, sorridendole.
-Per quel che mi può
importare…-
Ed era vero. In quella
famiglia avevo più nemici che amici, se consideravo l’odio di Klaus nei miei
confronti, reciproco preciserei, e
quello di Elijah, l’unico che mi procurava reale sofferenza fisica. Se si
aggiungeva anche la sua amorevole sorellina alla lista nera le cose non
sarebbero poi cambiate di molto, ci sarebbero semplicemente state più persone
che in caso di mia morte avrebbero stappato una bottiglia di spumante, nulla di
più.
-Comunque, simpatica la
ragazza. Ma è sempre così, o oggi si è premurata di dare il meglio di sé?-
domandò Selena, allungando nel mentre un braccio per afferrare uno dei flute
che un cameriere poco distante faceva volteggiare tra gli invitati su di un
vassoio d’argento.
-Oh credimi, penso
piuttosto che si sia trattenuta per buon gusto e per evitare scenate pubbliche,
ma solitamente è peggio. Molto peggio. Oserei dire che Crudelia Demon a suo
confronto impallidirebbe come una principiante- sottolineò sarcasticamente
Caroline, facendo ridere un po’ tutti.
-Perdonala, lei e Rebekah
non si può dire vadano d’accordo…anche se sarebbe difficile smentire ciò che ha
affermato- precisò Stefan più diplomaticamente, gettando
un’occhiata esasperata alla bionda che ricambiò con una linguaccia
impertinente.
-Vedi? Lo ammette anche
lui! E considerando che anni fa sono stati assieme, è tutto dire! Dovevi essere
proprio disperato amico, fattelo dire-
-Caroline!-
Tyler le strinse le spalle
per farla tacere, mentre Elena faceva una smorfia contrariata sotto lo sguardo
imbarazzato del suo ragazzo, e Damon se la rideva di gusto. Io rimasi
semplicemente a bocca aperta, fissando Stefan con sgomento e ricevendo in
risposta un’alzata di spalle e un “è una storia lunga” che non me la contava
giusta.
-Beh che c’è? E’ vero! E
tu smettila di sghignazzare, idiota, che se non erro non si è risparmiata
nemmeno di rotolare tra le tue lenzuola tempo fa-
-Che ci posso fare se a
far sesso è brava- commentò questo vagamente crudo, facendo calare un silenzio
rotto solamente dalla risata di Selena.
-Oh mio Dio, voi siete
pazzi lo sapete?-
Lo scoppio di risa decretò
un’altra serie di battute più o meno velate capeggiate principalmente da un
Damon senza remore e una Caroline dalla parlantina sciolta, frenata a tratti da
Tyler, scherzosamente esasperato o Elena, principalmente imbarazzata.
Quando ormai mancava poco
più di un quarto d’ora all’apertura delle danze, decisi che ero rimasta astemia
abbastanza a lungo per quella serata da potermi dirigere al piano bar, dove un
giovane cameriere affittato appositamente per la serata si destreggiava in
schakeraggi acrobatici, senza sensi di colpa.
Per tutto il tragitto
avevo pregato silenziosamente di non incappare accidentalmente in Elijah, la
sola idea bastava a farmi correre brividi gelidi lungo la schiena. Dopo la
chiacchierata che avevamo avuto non avrei saputo come comportarmi: se da una
parte la voglia di non dargliela vinta bruciava viva, dall’altra la
consapevolezza che avrei ricevuto le solite occhiate indifferenti pari a
dolorose stilettate mi faceva desistere dal fare alcunché.
Eppure avrei voluto fare
quel qualcosa in più, avrei voluto parlagli, spiegare le ragioni che mi avevano
portato a fare quel gesto tanti e tanti anni prima con la maturità e la
chiarezza che tutti quei secoli vissuti mi avevano consentito di accumulare.
Gli avrei fatto capire che il torto non era tutto mio e che mai, mai avrei
voluto ferirlo.
Ma lui non aveva tempo.
E allora a quale scopo
incontrarlo, se le sue orecchie sarebbero state sorde a ciò che gli avrei
detto? A quale scopo dannarmi e rincorrerlo, se lui mi aveva consigliato, imposto, di dimenticarlo?
Forse aveva ragione, forse
avrei dovuto scordarmi tutto, cancellare l’amore e sostituirlo col nulla
proprio come aveva fatto lui, anche se nel suo caso quel nulla era odio. Forse,
così facendo, non avrei più sofferto e me ne sarei infischiata di tutto ciò che
mi avrebbe riversato addosso, considerandolo alla stregua di Klaus.
Ma lui non era Klaus, era
Elijah, il mio Elijah, ed io non ero più
la fragile ragazza di un tempo che alla prima situazione di disagio gettava la
spugna.
Avevo raggiunto il bancone
e me ne stavo in piedi, i gomiti appoggiati al marmo freddo e le dita a
tamburellare freneticamente sul piano in attesa che il barman finisse con l’ordinazione precedente, quando
sentii una mano posarsi alla base della mia schiena.
Sbiancai, sentendo un
soffio gelido sfiorarmi la pelle nuda poco sotto il lobo dell’orecchio in un
sussurro appena udibile, ma mi imposi di rimanere calma, la mascella contratta
e il respiro secco uscente a sbuffi dal naso.
-Buonsera Nina-
-Klaus- dissi solo a mo’
di saluto, evitando di voltarmi quando lo vidi posizionarsi di fianco a me, le
spalle rivolte al bancone, le braccia appoggiate su di esse e lo sguardo vagante
sulla sala gremita di gente, puntando piuttosto lo sguardo con ostinazione
sulla serie di bottiglie per metà vuote che mi si paravano davanti agli occhi.
-Splendida serata, non
trovi?-
-Fino ad un attimo fa
sarei stata d’accordo, si- sputai velenosa, sentendolo ridere, e facendo nel
mentre un cenno al ragazzo –Un Martini, grazie-
-Fai due- aggiunse il
vampiro alla mia destra, ricevendo in risposta un assenso col capo.
Cadde un silenzio teso,
rotto entro poco da un mio sospiro seccato.
-Se sei venuto qui per
bella presenza sappi che un accompagnatore atto a farmi compagnia ce l’ho già,
e che se in questo momento sono sola è unicamente perché la solitudine ora come
ora sarebbe stata ben gradita. Non so se hai compreso l’antifona…-
-Ma quanto siamo sgarbate,
Contessina…Ho saputo che l’hai rivisto, andata come speravi?- cantilenò lui,
guardandomi di traverso ed afferrando il Martini che nel mentre era arrivato
-Non penso proprio siano
affari tuoi- conclusi secca, facendo forza su me stessa per trattenermi dal
desiderio di tirargli uno schiaffo.
Lui si strinse nelle
spalle.
-Forse- rise -Mia sorella
ha detto di averti conosciuta…non credo tu le abbia suscitato grande simpatia-
Ringrazia interiormente il
cielo che avesse spostato la conversazioni su piani ben meno sensibili, senza
però perdere quell’aria seccata e vagamente annoiata di poco prima.
-La cosa è reciproca, non
preoccuparti- presi un sorso dal mio bicchiere e poi iniziai a giocherellare
con le due olive al suo interno, sbuffando alla sua ennesima risata divertita.
Non era certo questa la reazione che speravo di ricevere.
-Sai, non ti ricordavo
così divertente. Peccato…- lasciò la frase teatralmente incompiuta, ma non ci
volle molto per capire cosa stesse per dire.
Sorrisi amara, voltandomi
e avvicinando le labbra all’orecchio di lui in un gesto che ad occhio esterno
sarebbe sembrato null’altro che seducente, poi alitai ciò che aveva evitato di
dire più per sadico divertimento che per vero tatto. Che tatto ci potrebbe mai
essere in una minaccia di morte?
-Peccato cosa, Klaus?
Peccato che tu debba uccidermi?-
Anche lui si voltò,
lentamente, senza spostarsi di un millimetro, tanto che i nostri visi erano
così vicini da mescolare i respiri e fonderli in un tutt’uno. Lo fissai negli
occhi e mai come in quel momento desiderai avere un paletto di quercia bianca
tra le mani.
-Sai, oltre che bella e
divertente, sei pure intelligente. Mi chiedo come tu abbia fatto a commettere
un errore simile tanti anni fa-
-Tu lo chiami errore, io
atto giusto. Quanto possono essere differenti le opinioni su di una stessa
cosa, vero?-
Lui sorrise, continuando a
fissarmi da quella distanza limitata che in fondo al cuore mi terrorizzava.
-Ripeto: peccato-
-Suvvia Klaus, parli
parli, ma siamo ancora qui. Io sono ancora qui. Eppure ci vorrebbe così
poco…guarda, nessuno ci vedrebbe. Mi strapperesti il cuore e mi trascineresti
là, in quella stanzetta vuota alle tue spalle. Facile vero? E allora perché non
lo fai?-
-L’hai detto tu stessa,
mia piccola traditrice. Facile. Troppo facile. E tu lo sai, a me piacciono i
giochi-
Sorrise mefistofelico ed
io strinsi gli occhi, stizzita, tirandomi finalmente indietro e concedendomi un
respiro liberatorio.
In quel mentre Carol
Lockwood annunciò l’inizio delle danze.
-Mi concederai un ballo?-
chiese ironico Klaus, staccandosi dal bancone e facendo un paio di passi verso
la pista.
Sorrisi falsa piegando la
testa di lato, facendo così scivolare i capelli su di una spalla, e schioccai
la lingua.
-Piuttosto la morte-
Lui rise, scuotendo la
testa.
-Come desideri-
Quando raggiunsi gli
altri, Elena era stata già trascinata da Stefan in pista, e lo stesso valeva
per Selena, che in quel momento rideva appoggiata alla spalla di Matt.
Caroline e Tyler
sembravano invece spariti nel nulla.
Una mano sbucata dal nulla
mi circondò il fianco, mentre l’altra comparve nella mia visuale tesa in una
muta richiesta che fu accompagnata dalle parole del suo proprietario.
-Mademoiselle, potrei
avere l’onore di questo ballo?-
Mi voltai sorridendo, già
certa di chi mi sarei trovata di fronte, ed alla vista di un Damon prostrato in
un perfetto inchino vecchio stampo non potei trattenere una risata, imitandolo
come tradizione diceva.
-E’ un piacere-
Poggiai la mano sulla sua
e mi lasciai guidare in mezzo alla calca roteante, dove gonne si alzavano in
tripudi di volant e sete, strusciando tra di loro e creando incredibili giochi
di colori.
Trovammo il ritmo
all’istante, abituati entrambi a simili situazioni, ed iniziammo a danzare come
tutti gli altri, senza malizia né passione, ma guidati piuttosto dal puro
divertimento.
-Prima ti ho vista parlare
con Klaus, che voleva?- chiese Damon innocente, nascondendo dietro il suo
sorriso noncurante una profonda curiosità.
Merda.
L’idea di svelargli tutto
mi sfiorò velocemente ed altrettanto in fretta sparì: quello non era il momento
né il luogo adatto, e semmai lo fosse stato non sarebbe stato lui il primo a
venirne a conoscenza, non era giusto nei confronti di Stefan.
Per cui misi su la miglior
faccia da poker che mi riusciva ed alzai le spalle nude come a sminuire la
cosa.
-La sua bionda sorellina
deve avergli parlato di me, e lui ha pensato bene di andare a perlustrare la
nuova zona nemica-
-Dall’aria seccata e
determinata che avevi, devi avergli tenuto testa- continuò lui, probabilmente
non del tutto convinto da quel mio veloce liquidare la faccenda.
-Me la so cavare bene,
modestamente-
Lui rise.
-Ho notato. Rebekah
sembrava avere un diavolo per capello quando se n’è andata. Non che normalmente
sia messa tanto meglio…-
-Disse quello che se la
portò a letto…- lo canzonai divertita, mentre lui allungava il braccio per
farmi fare una giravolta.
-Mi sono già espresso in
merito, non farmi essere volgare per la seconda volta, non vorrei che le tue
innocenti orecchie prendessero fuoco-
-Senti un po’ ragazzetto,
devo ripeterti la differenza d’età che mi porta ad essere più vecchia di te?-
Lui avvicinò le labbra al
mio orecchio, facendo così scontrare i nostri petti fasciati dagli abiti
eleganti, e sussurrò con non molta velata malizia e un tono basso e seducente.
-Se vuoi puoi anche
dimostrarmelo-
Rimasi per un secondo
spiazzata, poi scoppiai a ridere dandogli una botta scherzosa sul braccio.
-Provaci con quelle della
tua età, non tutte sono come Rebekah Mikaelson-
Lui sbuffò, poi scoppiò a
ridere, scostandosi per guardarsi attorno. Al che un campanellino mi risuonò in
testa.
-Avete poi notato qualcosa
di sospetto?-
-Niente di niente, le
acque sono tranquille, fino troppo oserei dire, ma chissà, forse questa sarà la
sera in cui il famoso mito sulle feste di Mystic Falls verrà sfatato-
-Non posso credere sul
serio che ad ogni festa succeda qualcosa di tanto disastroso- scossi la testa
scioccata, sembrava una sciocca credenza ridicola, una superstizione.
-Ma come, una creatura
come te che incarna realmente un mito, poi non ci crede?- sfottè lui –Ti direi
“vedrai” ma forse sarebbe meglio che così non fosse- si guardò ancora attorno,
poi aggiunse –Oh, cambio di coppia-
Fui sospinta in una
giravolta e nell’istante in cui le braccia di Damon mi abbandonarono altre,
molto più familiari, presero il loro posto.
Bastò un quarto di secondo per capire chi avevo di
fronte.
Sbiancai, sentendo una
mano dal tocco conosciuto scivolarmi piano attorno alla vita per poi posarsi
alla base della schiena, punto che divenne il centro più sensibile del mio
intero corpo, mentre l’altra afferrava la mia con movenze esperte, e mi ci
volle una forza di volontà spropositata per riuscire ad eseguire i medesimi
movimenti, portando la mia in alto sulla spalla e piegando appena quella che
era stata afferrata.
Quel profumo, il suo profumo, mi inebriò totalmente
quando quasi cozzai sul suo ampio petto, riprendendo per un pelo l’equilibrio
dopo la giravolta ma inciampando miseramente nei miei stessi piedi, il tutto
nel giro di pochi attimi.
Quando poi mi decisi ad
alzare lo sguardo, un respiro strozzato mi fuoriuscì dalle labbra semischiuse
nel vedere i suoi occhi neri e profondi fissi sul mio volto.
Indossava uno smoking
impeccabile ed appariva perfetto in ogni risvolto, in ogni piega, in ogni
ciuffo che gli ricadeva con studiata cura sulla fronte nivea.
In quel quadro idilliaco
l’unica pecca, l’unica nota che stonava visibilmente col resto era
l’espressione cupa ed impassibile, gelida, mentre faceva vagare lo sguardo
lungo tutta la mia figura. Ridicolmente, data l’impossibilità della cosa, potei
quasi sentire le mie gote andare a fuoco sotto quello sguardo inquisitore che
sfilava i centimetri di stoffa blu che avevo indosso. Quando poi portò
nuovamente gli occhi ad inchiodare i miei, tutti i buoni propositi di
dimenticare, di fare il suo stesso gioco e di risultare forte andarono a farsi
malamente benedire.
Dovetti ingoiare tre volte
la saliva prima di poter riuscire a parlare.
-Elijah…-
-Buonasera Nina- e la sua
voce monocorde ed incolore non pronunciò nient’altro che quello.
Un solo se semplice saluto
dai risuoni formali che decretò l’inizio di un teso silenzio.
Io, troppo codarda per
aggiungere altro e memore del nostro primo e ultimo battibecco, presi un lungo
respiro, perdendomi ancora nel nero dei suoi occhi che sembravano trapassarmi
senza realmente vedermi, prima di abbassare lo sguardo e fissarlo sul nodo ben
fatto della cravatta che portava al collo.
Non so quanto tempo
passammo in quel modo, fisicamente vicini, tanto che ad ogni respiro i nostri
petti cozzavano inevitabilmente, ma così lontani da non vederci neppure, io
troppo impaurita da quel che avrei osservato per farlo e lui troppo rancoroso
per potermi realmente mettere a fuoco.
Eppure danzavamo,
meccanicamente certo, ma stavamo lì, con le mani rispettivamente sui corpi
dell’atro, a guidarci vicendevolmente in quei passi immutati nei secoli.
Quando però il silenzio
divenne troppo e la tensione ingestibile sospirai stanca, socchiudendo gli
occhi per racimolare il giusto coraggio necessario a pronunciar parola.
-Mi dispiace- fu poco più
di un sussurro, ma dalla mascella che si contrasse sul suo volto potei intuire che
fu udito.
-Non parlare- sibilò tra i
denti, stringendo appena la presa sulla mia schiena e facendomi così alzare lo
sguardo sorpresa . I suoi occhi, non più così impassibili, mi fissarono, questa
volta vedendomi davvero e non seppi se fu meglio o peggio così.
-Scusa?- chiesi scioccata,
corrugando la fronte e riacquistando sempre più sicurezza. Già il fatto che mi
avesse risposto in qualche modo infatti era un passo avanti…
-Ho detto, non parlare-
ripeté duro, facendo schioccare la lingua con fare seccato.
Da spaurita che ero,
iniziai lentamente a infervorarmi.
-Come sarebbe a dire non
parlare? Non puoi certo impedirmi di dire ciò che penso-
-Hai perso il diritto di
dire ciò che pensi parecchie decine di anni fa, Nina-
-Questo è ingiusto. Tu te
ne sei andato, parecchie decine di anni fa, ed io ho avuto ben poco tempo per
esprimermi allora-
-Forse perché qualsiasi
cosa tu avessi potuto dire, non sarebbe valso niente. D’altronde dimmi, Nina,
che valore può avere la parola di una traditrice?- sussurrò sarcastico,
piegando le labbra in un ghigno per nulla divertito, facendomi rabbrividire da
capo a piedi.
-Più valore di quella di
un assassino indubbiamente- nel vedere l’ombra di gelo passare nei suoi occhi
mi morsi la lingua, pentendomene all’istante.
-Attenta a quel che dici,
non siamo più nel 1824, non sarai più graziata per i tuoi errori- minacciò duro,
allungando il braccio per allontanarmi e poi tirandolo bruscamente indietro così
da riavvicinarmi con una mezza piroetta. Dovetti tenermi alle sue spalle per
non sbattergli addosso.
–Inoltre non credo che nei tuoi 200 anni tu ti
sia comportata meglio di me- insinuò con pacata e raggelante calma.
-Sicuramente non ho mai
ucciso volontariamente persone innocenti, né
voluto farlo-
-Lei non lo era, non lo è
mai stata-
-Agli occhi di chi,
Elijah? Ai tuoi, o a quelli di Klaus?- pronunciai con sfida, facendolo
irrigidire maggiormente.
Finalmente una reazione, pensai con un briciolo di speranza in più.
-Ho avuto fin troppa
pazienza con te questa sera, ti consiglio di tacere- mi rivolse uno sguardo serio, gli occhi luccicanti di un bagliore
molto simile alla morte.
-Smettila di minacciarmi,
non sono più la fragile umana di un tempo, non mi fai paura- sussurrai con
orgoglio.
-Ne sei sicura?- insinuò
con un mezzo sorriso raggelante –Potrei ucciderti qui, ora, potrei toglierti la
vita senza che nessuno se ne accorga, strapparti quell’aria compiaciuta dal
volto assieme al tuo cuore e non udire neanche l’ombra di un tuo fiato- quasi
più terribile, più asfissiante delle sue parole fu la calma con cui le disse,
la stessa espressione neutra ed impassibile nel descrivere la mia morte che si
userebbe per parlare del tempo.
Mi ci volle un secondo
prima di riuscire a parlare, e quando lo feci fui certa che la mia voce tremò.
-E allora perché non lo
fai?- era la seconda volta che pronunciavo una frase simile in quella serata,
sembrava quasi che me la stessi appositamente andando a cercare.
Poi lo vidi sorridere, un
sorriso duro e spietato che trasmise agli occhi null’altro che maggiore
freddezza e pacatezza, mentre si chinava fin quasi a sfiorare con le labbra
fresche il lobo del mio orecchio.
-Non sarà così semplice
per te. Sarebbe troppo comodo morire, mettere la parola fine al ricordo dei
peccati e degli errori commessi, a quel senso di inquietudine che so che provi
ogni vola che mi vedi. Non scaccerai il dolore con così tanta facilità né ti libererai
della sofferenza che ti farò scorrere nelle vene come puro veleno. Rimpiangerai
i giorni lontana da me, rimpiangerai la morte e mi supplicherai di dartela,
rinnegherai il nostro amore, maledicendolo istante dopo istante come feci io e
la tua voce si consumerà lenta mentre lo farai. E ricorda, Nina, questa è una
promessa-
Persi il respiro mentre
quelle parole appena sussurrate con una dolcezza macabra incarnante un ossimoro
letale, il suono stesso della morte, mi scivolavano addosso come lame affilate,
graffiandomi la pelle ad ogni suono, ad ogni lettere pronunciata. Persi la
cognizione dello spazio e del tempo, persi la vista mentre tutto attorno a me
divenne nient’altro che ombra, e dovetti aggrapparmi alle sue spalle per non
cadere già, tradita dalle mie stesse gambe tremanti, arti rimasti feriti come
ogni singolo altro pezzo del mio corpo martoriato internamente.
Eppure, la parte più
orgogliosa di me mi diede la forza di non dargli la soddisfazioni di vedermi
versare neanche una singola lacrima, mentre serravo la mascella e mi scostavo da lui.
Ringraziai che la musica
fosse finita, ringrazia che quella casa fosse abbastanza grande da darmi la
possibilità di fuggire al suo sguardo distaccato, ora fisso sulla mia figura
che tremante gli dava le spalle e senza più proferir parola si allontanava, e
ringraziai Selena, la quale non appena
mi vide e soprattutto notò chi avevo appena lasciato addolcì l’espressione e mi
tirò con sè, lontana dagli sguardi curiosi della folla, abbracciandomi e
cullandomi piano, lasciandomi sfogare sulla sua spalla mentre tutto il dolore
che quelle parole mi avevano procurato fuoriuscì sottoforma di copiose lacrime.
Perché, Dio, perché amare la persona sbagliata deve
fare così male?
Fu proprio nell’istante in
cui alzai la testa, mormorando un grazie accompagnato da un piccolo sorriso
stentato, che mi accorsi dell’arrivo di tre uomini in smoking nella sala
accanto.
Tre uomini mai visti
prima.
Tre uomini accompagnati da
Esther.
Continua…
- - -
Angolino dell’autrice (sorpresa!) - - -
Ok, non
credete, sono scioccata anch’io. Oggi avevo un’ispirazione così grande che mi
sono messa a scrivere con l’idea di buttar giù solo qualche riga…poi una cosa
tira l’altra ed eccomi qui:) Allora, questo capitolo inizialmente doveva venire
unico, ma vista la lunghezza ho preferito dividerlo in due, quindi per l’altra
parte (ancora incompleta) dovrete aspettare un po’ più di meno di 24 h xD
Ora, dato
che l’ho scritto praticamente in stile maratona, ho il terrore della riuscita,
in più non so…voi che ne dite? E’ risultato ridicolo Elijah? E Klaus? E tutto
il resto? ahahah ok, ha colazione ho mangiato pane e paranoia lo ammetto :P
Comunque
davvero, ditemi che ne pensate, sono molto curiosa:) nella prossima parte
vedremo lo scompiglio (arrivano i cattivi!) e altre scene Elijah/Nina. Anche se
dopo questa….ehhhh lo so, è stato cattivello, ma che ci posso fare, lui mica
perdona dall’oggi al domani:)
Aspetto con
ansia vostre notizie, e nel frattempo ringrazio elyforgotten, taisha e salvatore
per le recensioni:)
Un bacione e
a presto,
Deademia
PS: questi
sono gli abiti di Nina (blu) e Selena (rosso), io ci ho sbavato sopra per un
buon quarto d’ora XD
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