In the shadow of your heart

di Deademia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Libro delle Discendenze ***
Capitolo 2: *** Affogando nell'eternità ***
Capitolo 3: *** Indifferenza che uccide ***
Capitolo 4: *** Quando l'amore diventa odio ***
Capitolo 5: *** Visite Inaspettate ***
Capitolo 6: *** Il Dolce Suono Della Morte ***



Capitolo 1
*** Il Libro delle Discendenze ***


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1. IL LIBRO DELLE DISCENDENZE




“L'amore può condurci all'Inferno o al Paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo. È necessario accettarlo, perché esso è ciò che alimenta la nostra esistenza.”

(Paulo Coelho)

 



Ero a Mystic Falls da due ore scarse, già sistemata nella mia “nuova dimora” che mi avrebbe ospitata per il tempo necessario, una piccola camera di un fatiscente Bad&Breakfast per nulla pretenzioso trovata all’ultimo istante e già sobbarcata dalle mie numerose valigie aperte e semi sfatte, e già la voglia di prendere il primo volo per Parigi e fuggire come la peggiore delle codarde si faceva largo in me, tentatrice e soffocante.

A trattenermi, oltre all’amicizia e alla promessa stretta con Stefan, c’era quel malsano desiderio masochistico di rivederlo, incurante del fatto che piombandogli gli tra capo e collo senza preavviso, e soprattutto sfruttando il fatto che tecnicamente lui mi credeva morta da quasi due secoli, forse con gioia  pensai tristemente, avrebbe accresciuto le probabilità di farmi strappare il cuore senza tante pretese in maniera esponenziale.

Sospirai. Non era stata una buona idea mettere piede in quella cittadina dimenticata da Dio che sembrava fungere da punto di sfogo a tutte le peggiori catastrofi soprannaturali di questo mondo e oltre. Per nulla.

Poi però ripensai alla chiamata di Stefan, non lo risentivo dal lontano 1963 e francamente rimasi stupita del fatto che mi avesse scovata con tanta facilità, ma mi diede poco tempo per pensare a quello. Ciò che infatti mi raccontò in seguito bastò a mettermi in allarme e precipitarmi lì esattamente due giorni dopo, con quello che sembrava essere la risoluzione ad almeno una parte degli enormi problemi che affliggevano i fratelli Salvatore, gli Originali e con loro praticamente tutta la popolazione vampiresca del pianeta. Alla fine non avevo avuto poi molta scelta.

Rabbrividii pensando a tutta quella storia, e non tanto per l’enorme pericolo in cui tutti quelli della mia razza stavano incorrendo, quanto più per chi l’aveva scatenato. Troppi anni erano passati da quando avevo sentito parlare di loro per l’ultima volta, troppi decenni da quando avevo potuto vederli, toccarli, parlarci. Ed ora eccoli lì, rispuntati nella mia vita come un uragano a sconquassare la precaria pace appena ritrovata. Avevo forse chiesto troppo, fuggendo e allontanandomi? Ero forse stata troppo codarda, nel mio infinito tentativo di evitarli, o meglio evitarlo, incapace di affrontare nuovamente quegli occhi scuri, collerici, e quel senso di colpa dettato da un tradimento puramente scaturito dalla mera  ingenuità? A quanto pare si, perché adesso Dio, o il Fato o qualunque altra forza maggiore incombente sulle nostre teste aveva deciso di riportarmi su quella via tortuosa e insormontabile che anni addietro avevo abbandonato a forza, più per costrizione che per volontà mia, deciso a farmi impazzire dai dubbi, dalle paure e dal lancinante terrore di ciò che ne sarebbe conseguito.

Si, io, Nina Levefre, vampiro dal 1824, tremavo come una foglia di fronte all’idea di ritrovarmi faccia a faccia con l’amore della mia vita, che con ogni probabilità mi odiava dal profondo di quel cuore che non batteva più da secoli.

Mi passai stanca una mano sul volto, passando poi le dita tra le lunghe ciocche bionde tentando di strappare a forza quei ricordi dalla mente. Era inutile rimuginarci tanto sopra, oramai mi trovavo lì, la mia scelta l’avevo fatta e per una volta nella vita non sarei fuggita, ma l’avrei affrontato, a costo di rimetterci l’esistenza.

Il cellulare che vibrò sul comodino mi fece sobbalzare, mentre mi allungavo ad afferrarlo.

-Pronto?-

-Nina? Sei arrivata?-

-Oh, Stefan- sorrisi, sedendomi su di una poltrona accanto alla finestra –Si, da un paio d’ore. Ho già trovato una sistemazione, basta che mi dici quando posso venire e sarò lì da te-

-Anche subito, prima vediamo di risolvere questa situazione e meglio è-

-Allora arrivo. E, Stefan?-

-Si?-

-Cerca di procurarti una strega, ci sarà utile- lo informai, gettando un’occhiata distratta alla valigetta in cuoio che sbucava da sotto il letto.

-D’accordo, a dopo Nina-

-A dopo- e riattaccai, abbassandomi a prenderla e mettendomi il cellulare nella tasca posteriore dei jeans, prima di dirigermi verso la porta, lasciando tutto com’era e uscendo dal B&B a passo svelto. Per quanto sapevo che pur essendo la cittadina un piccolo centro in cui le voci si spargevano in ogni dove più dell’aria stessa, avevo sperato che la notizia del mio arrivo giungesse alle orecchie degli Originali con un ritardo tale da permettermi di muovermi almeno per quel momento con una certa libertà, eppure il terrore che lui, o quel pazzo di suo fratello, mi sbucassero davanti da un momento all’altro era capace di bloccarmi il respiro nel petto. Ecco perché quasi corsi verso l’auto presa a noleggio appena sbarcata in America, una Mercedes SLK rossa che mio malgrado sapevo avrebbe attirato parecchi sguardi, ma alla quale non avevo saputo resistere in nessun modo. Avrei sorriso per quel piccolo capriccio, per gli interni in pelle beige confortevoli e lussuosi e per la grinta delle linee, se solo la serietà di tutta quella faccenda non mi avesse gravato costantemente sulla spalle in modo soffocante, tanto che quando aprii lo sportello e lanciai con poca grazia la valigetta sul sedile del passeggero non pensai a nulla di quelle cose, ma solo alla via più veloce per raggiungere casa Salvatore indenne e senza spiacevoli incontri a sorpresa.

Viaggiai a tavoletta, impiegando cinque minuti scarsi a raggiungere la villa dall’aria rustica e antiquata, cambiando le marce con gesti secchi e affondando i tacchi sui pedali , e quando finalmente parcheggiai tirai un sospiro di sollievo chiudendo per un attimo gli occhi. Avevo realmente avuto il terrore che mi si parasse davanti alla macchina in corsa, che mi vedesse di sfuggita e mi seguisse o qualsivoglia altro terribile incontro che avrebbe preceduto la mia morte, conoscendolo e sapendolo quanto il suo odio nei miei confronti sarebbe stato incontenibile. D’altronde era così, per lui un tradimento era il peggiore dei crimini, e la condanna era la morte. Me l’aveva fatta scampare secoli prima, forse ancora assuefatto dall’amore che aveva provato per me, ma certamente ora, senza più la traccia di quei sentimenti a placargli lo spirito, non c’avrebbe pensato due volte a strapparmi il cuore sena tanti preamboli. Mi morsi un labbro scuotendo la testa, quei pensieri non facevano altro che ferirmi, ed ora quello era l’ultimo dei miei pensiero, ben altro mi aspettava.

Scesi portando con me la valigetta e bussai alla porta del mio vecchio amico con una certa impazienza. Questa si aprì proprio mentre mi guardavo attorno circospetta, ed un ragazzo dai capelli neri e un sorrisetto ironico e malizioso sulle labbra mi squadrò da capo a piedi.

-Tu devi essere Nina Lefevre. L’ho sempre detto che le francesi hanno quel tocco in più che le rende…uniche- constatò, guardandomi lascivo con un braccio appoggiato allo stipite della porta e nessuna intenzione di smetterla di fissarmi.

Alzai gli occhi al cielo.

-E tu devi essere Damon Salvatore. Tuo fratello mi ha parlato molto di te, e devo dire che tutto ciò che mi ha detto è perfettamente veritiero- sorrisi ironica, prendendomi gioco di lui e buttando un’occhiata alle sue spalle, nella speranza di veder comparire il minore dei Salvatore.

-Ah quindi sono già famoso. La cosa mi piace ma certo bisogna compensare, io non so nulla di te- il suo sguardo malizioso non lasciò spazio ai dubbi, e mi ritrovai a trattenere le risate davanti a quel suo tentativo di abbordarmi da sciupa femmine incallito.

-Che ne dici col cominciare a farmi entrare, sai non vorrei che occhi o orecchie indiscrete scoprissero il nostro piccolo segreto- mi adeguai al suo tono seducente, sfottendolo, perché in qualche modo mi pareva di conoscerlo tanto Stefan mi aveva parlato di lui anche l’ultima volta che ci eravamo sentiti, e allusi con un’occhiata alla valigetta, buttando sul ridere quella che effettivamente era una questione serissima.

-Ma certo, entra pure Nina- calcò sul mio nome facendo un ampio gesto col braccio, seguito da un semi inchino in perfetto stile ottocentesco, mentre io varcavo la soglia trattenendo una risata. Prima che il nostro teatrino potesse continuare una voce alle mie spalle mi fece voltare di scatto, il sorriso sulle labbra e lo sguardo puntato negli occhi verdi del mio vecchio amico.

-Sefan!- lo abbracciai di slancio, felice di rivederlo dopo tanti anni, e lui ricambiò.

-Nina, che piacere rivederti-

-Anche per me lo è. Hai quasi cinque decenni senza tue notizie da farti perdonare, sai?- lo minacciai, staccandomi e puntandogli un dito accusatorio contro con un mezzo sorriso.

-Mi spiace, ma neanche tu ti sei fatta viva in questi anni se non sbaglio- si passò una mano tra i capelli, scompigliandoseli con uno sguardo che sembrava chiedermi scusa per quel colpo basso.

-Touchè- inchinai appena il capo sorridendoli, prima di sospirare guardandolo attentamente. Come era giusto che fosse, in quegli anni non era cambiato di una virgola, il dolce effetto dell’eternità, ma vedevo in quegli occhi verdi la sofferenza di una realtà che non lo lasciava in pace. Erano diversi dagli anni in cui lo avevo conosciuto, giovane vampiro americano i n viaggio verso mete sconosciute, più malinconici, segnati da lotte continue e tormenti che glieli avevano sconvolti dal profondo, rendendoli stanchi, consapevoli e addolorati. Mi rattristai per lui.

-Ragazzi, ragazzi! Abbiamo tutti capito quanto la felicità di rivedervi sia grande e tutte queste grandissime ed affettuosissime cose qua, ma a questo punto direi che potete rimandare i tuffi nel passato a dopo, perché in questo momento abbiamo bel altre cose a cui pensare, ad esempio capire chi è il nostro dannato capostipite tra l’allegra famigliola originale così da evitare di condannarci tutti nel tentativo di uccidere Klaus, che ne dite?- esclamò con sarcasmo, allargando le braccia in maniera plateale e venendoci incontro. Vidi Stefan alzare gli occhi al cielo, dandogli comunque ragione.

-Vieni, Nina. Gli altri ci stanno aspettando-

Lo seguii attraverso l’ingresso, fino ad arrivare nell’ampio salone dove altre due ragazze ci attendevano. Quando vidi il volto di quella seduta sul divano, per poco non mi bloccai in mezzo alla stanza, scioccata. Stefan mi aveva avvertita che Elena, essendo la doppelganger, era la copia esatta di Katherine, ma rivedere comunque quei lineamenti a pochi metri  da me, gli stessi che quasi duecento anni prima avevo visto, avevo compatito in preda ad un moto caritatevole che mi aveva segnato l’esistenza per sempre, in modo radicale e doloroso, fu comunque come ricevere un pugno allo stomaco. Dovetti annaspare per riprendere aria e al tempo stesso evitare che la mia reazione, esagerata che chi non sapeva, potesse attrarre i dubbi dei più curiosi.

-Nina, lei è Elena- il mio amico fece un cenno verso la doppelganger, che si alzò salutandomi gentilmente –E lei è Bonnie, una nostra amica, e una strega- anche lei mi salutò, più fredda e scostante, dalla sua postazione vicino al caminetto acceso.

-Ora che le presentazioni sono state fatte, passiamo al dunque. Il libro-

Alle parole di Damon annuii, avvicinandomi ad un tavolo e poggiandovi sopra la valigetta che per tutto il tempo avevo tenuto tra le mani. Sentii tutti avvicinarsi a me, mettendosi alle mie spalle in un silenzio che sapeva d’attesa, mentre facevo scattare le serrature e svelavo il vecchio volume ingiallito al suo interno. Era voluminoso, antico, e soprattutto stregato.

-E’ una mia impressione o si è…ingrandito dall’ultima volta che l’ho visto?- disse Stefan stranito, fissandolo attentamente senza capacitarsi della cosa. Sorrisi.

-Non sbagli. Alla nascita di ogni nuovo vampiro il suo nome, oltre a quello di chi l’ha generato, viene inciso sulle pagine. Negli ultimi cinquant’anni ne sono stati creati a sufficienza da costringerlo ad aggiungere nuove pagine. Ecco perché si chiama “Il Libro delle Dinastie”- spiegai a tutti, tirandolo fuori e poggiandolo sul tavolo, alla portata di tutti.

-Ma come…- Elena aggottò la fronte, sfiorando incerta la pelle scura e macchiata della copertina rigida –…come può essere?- domandò confusa.

-E’ stregato. Qualche mago, o strega, nel passato vi ha lanciato un incantesimo. Diciamo che ha un aggiornamento costante e perenne- sorrisi, nel tentativo di far loro capire come funzionasse quel cimelio prezioso –E qui c’è un problema- sospirai.

-Quale?- si informò subito Stefan, preoccupato.

Senza dir niente mi allungai ad aprirlo, svelando l’intoppo di quell’intricato meccanismo di incantesimi.

-Ma che diavolo…?!- Sbottò Damon, aggrottando la fronte ed avvicinandosi maggiormente.

Mi strinsi nelle spalle, sospirando, e guadai come loro quelle pagine completamente piene di lettere messe l’una di seguito all’altra in un ordine sconclusionato e senza senso.

-Questo è il problema: chi ha gettato l’incantesimo per far sì che il libro funzionasse nei secoli, si è anche premurato di proteggerne il prezioso contenuto. Solo un incantesimo può sbloccare questo scudo, e non so né quale sia né quanto sia potente. Per questo vi ho detto che vi sarebbe servita una strega-

-Bene. Fantastico- proruppe Damon seccato, mettendosi le mani in tasca e sbuffando palesemente irritato –Streghetta ho la netta sensazione che tu abbia una bella bega da risolvere, ed al più presto- la diretta interessata gli lanciò un’occhiata di fuoco, probabilmente non amava ricevere ordini da lui, ma quest’ultimo la guardo ghignando –So quanto l’idea che noi vampiri brutti e cattivi sparissimo dalla terra ti attrae in maniera sublime, ma vedi se non  sbagli alcuni tuoi amichetti sono esattamente come  e…ops! Pure la tua dolce mammina ora che mi ricordo bene- sgranai gli occhi nel vedere Elena trattenere la ragazza, infuriata, mentre scalpitava per lanciarsi addosso a Damon, il quale dal canto suo rimase impassibile, se non divertito, persino sotto i richiami seccati del fratello.

-Damon finiscila!- gli sibilò all’orecchio.

-Su fratello, stavo scherzando-

-Piantala- Elena lo guardò male, frustrata ed arrabbiata, prima di voltarsi verso l’amica per dirle qualcosa all’orecchio che volli evitare di ascoltare.

-Quindi…- mi intromisi esitante –Ve lo lascio?- chiesi, riferendomi al libro che giaceva sul tavolo scuro.

Bonnie, se non ricordavo male era questo il nome della strega, si voltò ora più calma verso di me, senza però accennare un sorriso.

-Si, devo studiarlo e provare vari incantesimi. Appena ho novità vi avverto-

-Aspetta- Stefan la fermò –Preferirei che tu facessi gli incantesimi qui, è più sicuro- alla faccia tra lo scocciato ed il diffidente della ragazza continuò –Quel libro è importante, se finisse in mani sbagliate…non è che non mi fido di te, ma abbiamo tutti capito quanto a volte le cose non vadano come previsto, e non ho intenzione di rischiare anche questa volta. Per favore Bonnie, è per non correre ulteriori pericoli. Starai con Elena- aggiunse, guardando un attimo quest’ultima, che annuì convinta.

Bonnie scosse la testa, alzando gli occhi al cielo in maniera arrendevole e afferrando il libro.

-E va bene, mi metto subito all’opera- e con queste ultime parole si diresse al piano superiore, senza salutare nessuno. Rimasi un po’ stupita da quel suo modo seccato di trattarci, ma avevo capito che non provava molta simpatia verso i vampiri, quindi lasciai stare.

-Io vado con lei, ci vediamo dopo- Elena salutò i due fratelli, prima di voltarsi verso di me –E’ stato un piacere conoscerti, e grazie per tutto quello che fai per noi. Grazie per essere venuta- mi sorrise sincera, e non potei fare altro che ricambiarla, ancora un po’ a disagio per quella sconcertante somiglianza, mentre la guardavo sparire su per le scale.

-Fratellino, io devo sbrigare degli affari, ci si vede- fece un gesto di saluto, poi mi sfilò accanto, fermandosi ad un passo da me e facendomi rimanere interdetta. Mi prese con delicatezza da sotto il palmo, imitando un baciamano perfetto, prima di sorridermi suadente –Mademoiselle, a presto- soffio con le labbra ancora vicine al dorso della mano, guardandomi dal basso verso l’alto e facendomi più che altro sorridere divertita e un po’ scombussolata da quella sua personalità così carica di sbalzi d’umore. Poi sparì in un lampo, fischiettando, lasciando dietro di sé solo l’eco della porta che sbatteva. Mi voltai verso Stefan.

-Scusalo, è fatto così…-

Risi.

-Ma no, alla fine non è tanto male. Ha una personalità molto…eccentrica ecco-

-Di pure egocentrica, è la pura verità- risi nuovamente di fronte a tutta quella critica esasperata.

-Comunque grazie davvero Nina, per essere venuta fin qui, per non averci abbandonato, per…-

-Stefan- lo bloccai scuotendo la testa –Anche se non fossimo stati amici, anche se non ti avessi mai conosciuto e tu fossi stato un completo estraneo, ti avrei aiutato lo stesso, perché è un mio dovere innanzitutto, non un favore che ti faccio in quanto amica. In questa situazione stiamo rischiando tutti, non solo voi, perché se quello che mi hai detto è vero, e non dubito lo sia, allora ogni vampiro su questa terra è a rischio. E a tal proposito volevo informarti che non me ne starò certo in disparte, aspettando che una pazza strega originaria cerchi di rimediare ai suoi errori sterminando la razza che lei stessa ha creato più di un millennio fa, o che tu ti faccia ammazzare nel tentativo di salvarci tutti-

-E con questo cosa vorresti dire?-

-Sono qui, e resto qui. Combatterò con voi se sarà necessario, e vi darò una mano. Un vampiro in più fa sempre comodo, no?- sorrisi –E poi sono anni che non faccio qualcosa di eccitante e diverso dal solito, l’eternità comincia ad annoiarmi, almeno mi tengo in allenamento- risi, più che altro per mascherare la piccola omissione che mi ero permessa di fare: non gli avrei mai rivelato che un altro grosso motivo per il quale ero reticente a lasciare quella cittadina era lui, l’amore folle della mia vita,  il fratello del suo peggior nemico. Stefan non sapeva la mia storia, e semmai gliel’avessi voluta raccontare, non l’avrei fatto in quel momento, né in quel contesto.  E poi non avrei voluto che provasse compassione per me, me che come una folle mi stavo sacrificando per rivederlo un’ultima volta, sapendo che l’odio che avrei letto nel suo sguardo mi avrebbe uccisa molto più di uno stiletto nel cuore.

-Sei sicura? Non devi farlo per forza, hai già fatto tanto venendo qui e portandoci il libro, non voglio chiederti di restare a combattere, è pericoloso-

-Stefan, non me lo stai chiedendo tu, è una mia scelta. E poi sono più vecchia di te e del tuo fratellino, credi non sappia badare a me stessa?-  inclinai la testa di lato, sfidandolo a contraddirmi e facendolo ridere.

-E va bene, se è questo che vuoi…-

Annuii convinta –E’ questo che voglio. Voglio dare una mano- ed ero convinta delle mie parole.

-Allora d’accordo, benvenuta in famiglia e congratulazioni, hai appena firmato il contratto per la tua condanna a morte- scherzò lugubre, e Dio quanto aveva ragione non lo sapeva neanche lui!

Mi morsi un labbro –Mh…promette bene-

-Già ti tiri indietro?-

-Mai detto questo- affermai convinta, sorridendo, poi gettai un’occhiata all’orologio a pendola che segnava le sei del pomeriggio –Sarà bene che vada, ci sentiamo domani perché ora che mi sono messa in gioco, voglio sapere tutto delle regole-

-Certamente. Vieni domani mattina, verso le dieci, così ti faccio conoscere anche gli altri-

-D’accordo- sorrisi, avviandomi verso l’ingresso, poi arrivata sulla porta mi voltai a salutarlo –A domani-

-A domani Nina, e grazie ancora- mi sorrise riconoscente, mentre mi chiudevo la porta alle spalle e mi avviavo a passo lento verso la macchina, sentendo i tacchi affondare nel terriccio umido del giardino.  Se una parte di me si sentiva più leggera per aver preso quella scelta, per essermi messa in gioco non fuggendo più come una vigliacca, l’altra tremava di fronte alla pazzia che avevo deciso di compiere. Un conto era arrivare lì, consegnare un libro ed andarmene, l’altro era decidere di rimanere, schierandomi da un lato del campo e segnando il mio futuro. Ero folle, folle e sciocca. Avevo deciso di aiutarlo perché era la cosa giusta da fare, perché lui avrebbe fatto lo stesso con me e perché diciamocelo, nella barca c’eravamo tutti, ma proprio tutti, ed era inutile mettersi in un angolo ad aspettare la fine, pregando di non affondare, mentre altri sudavano nel tentativo di farla rimanere a galla. Ma facendo così, mi ero condannata ad incontrarlo. 188 anni a sfuggirgli, timorosa alla sola idea di incrociare la sua ombra, ed ora eccomi lì, a fermarmi a tempo indeterminato nella stessa piccola cittadina dove si era stabilito lui, per di più combattendo a fianco dei suoi stessi nemici. Avevo davvero firmato la mia condanna a morte.

Scrollai la testa, salendo al posto del guidatore e mettendo in moto. Quel che era fatto era fatto. Niente più ripensamenti, dissi a me stessa.

Partii sgommando, avvolta dalla luce calda del sole al tramonto, e mi abbassai ad accendere la radio, cambiando stazione fin quando una canzone, Come Home degli OneRepublic, non attirò la mia attenzione. Sorrisi, distraendomi, quando una figura in controluce non si stagliò a una ventina di metri dalla macchina, posizionata a gambe larghe e braccia teste lungo i fianchi nel mezzo della strada. Sgranai gli occhi, affondando il piede sul pedale del freno ed inchiodai raggelata prima di investirlo.  Se avessi avuto un cuore funzionante, ero certa che mi sarebbe esploso nel petto. Fissai quella figura dal volto oscurato avvicinarsi lentamente, e Dio solo sa quanto desiderai che non fosse lui. Non era così che avrei voluto trovarmi davanti a lui, non senza prepararmi, non senza un preavviso, un segno, qualsiasi cosa che mi permettesse di rimanere calma e lucida, l’esatto opposto di come mi sentivo in quel momento.

Quando era ormai ad un metro dal muso della macchina, la mia memoria scavò nel passato confrontando i miei ricordi con quella figura, e constatando che no, non era lui, non erano le sue spalle, i suoi capelli, le sue braccia…quell’uomo non era Elijah. Il sollievo che ne derivò fu tale che quasi sorrisi, nonostante la situazione non fosse certo delle più normali e rassicuranti.

Poi però, al suo ultimo passo, quel sorriso mi morì sulle labbra ancor prima di nascere. Raggelai, immobilizzandomi ancora di più se questo era possibile, e trattenni il fiato sgranando gli occhi. Le mani si strinsero sul volante in una presa spasmodica, mentre l’uomo si chinava in avanti, poggiando le sue sul cruscotto e guardandomi dritta negli occhi, il viso contorto in una smorfia inquietante.

-Chi non muore si rivede, vero piccola traditrice?- quel sibilo, quella voce all’apparenza dolce e casuale, ma traboccante di rabbia repressa, mi scivolò addosso quasi fosse un’impalpabile carezza gelida, facendomi rabbrividire fin nelle ossa.

Ingoiai a vuoto, alzando il mento e ostentando una sicurezza che non mi apparteneva, prima di schiudere le labbra.

-Ciao Klaus-

 

 

 

 

 

- - - Angolino dell’autrice - - -

Ok, devo davvero essere pazza per aver cominciato questa storia ma ormai è fatta, e non si torna più indietro :) Allora, tanto per cominciare questa follia è nata dal mio assurdo amore per Elijah, perché sì gente, sono follemente innamorata di lui! Ehm…scusate, momento di sclero…Ritorniamo a noi :) So che è il primo capitolo e so che non ci avete praticamente capito una ceppa, ma vi prometto che col tempo si spiegheranno molte cose, tipo la reazione strana di Nina di fronte alla somiglianza di Elena con Katherine, cosa diamine è successo tra lei ed Elijah e cosa c’entra Klaus….si ok vi sto già  svelando troppo eccheccavoli.
Riguardo all’ambientazione temporale, possiamo dire che si svolge dopo la 3x18, quando cioè il legame tra i fratelli Originali viene spezzato ma si scopre che uccidendone uno, muore tutta la sua stirpe. Da lì in poi quindi non tiene assolutamente conto dei fatti della serie, se non per brevi spunti magari, e anche prima se trovate delle incoerenze beh ci stanno, perché x ragioni di trama potrei aver modificato qualcosa, mi scuso da subito se questo è un problema.
Come coppie…la mia coppia principale in assoluto è ovviamente Elijah e Nina, ma amando alla follia anche Klaus/Caroline potrebbero esserci degli accenni, però non garantisco, lo stesso vale per Damon/Elena, anche se in caso lì sarà del tutto casuale, è il mio inconscio che mi spinge a metterli vicini vicini :P
Ora, mi sembra di aver detto tutto quindi….lapidatemi, insultatemi, criticatemi, denigratemi oppure che so, se vi va magari fate qualche apprezzamento, anche piccolo piccolo mi accontento di poco, ma vi supplico recensite! Perché sì, sono una di quelle che soffre di autostima bassa o chiamatela come vi pare, fatto sta che il mio morale crolla a picco se non vedo nulla di nulla (nooooo questo non è un modo per prendervi per i sensi di colpa, assolutamente, che vi salta mai in mente?!)
Bene, ho finito di dire pazzie per oggi, vi capisco se vi ho spaventate, giuro, spavento già me stessa quindi….
A presto (spero) :)

Deademia

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Capitolo 2
*** Affogando nell'eternità ***


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2. AFFOGANDO NELL’ETERNITA’

“Vi sono suicidi invisibili. Si rimane in vita per pura diplomazia, si beve, si mangia, si cammina. Gli altri ci cascano sempre, ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano, che siamo morti.”

(Gesualdo Bufalino)

 

 
-Ciao Klaus-
La mia voce, un soffio tremante che aveva la pretesa assurda di risultare sfrontato, riempì il silenzio che si era creato. Era una concezione irreale quella, perché la radio continuava a trasmettere la canzone ed in lontananza, là dove le strade erano trafficate, il rombo dei motori riempiva l’aria di suoni dissonanti e fastidiosi, ma io non sentivo nulla. Nulla che non fosse silenzio. Si dice che anche questo, in effetti, sia un suono, sia percepibile e mai vuoto. In quel momento capii che era vero. Era pressante, opprimente, fastidioso, soffocante. Un silenzio che sapeva di paura. La mia. E lui la percepiva, fin troppo bene a giudicare dal ghigno che aveva assunto mentre mi fissava al di là del parabrezza.

-Sai dolcezza, mi chiedo cosa diamine tu ci faccia qua, visto che a ragion veduta le tue ossa dovrebbero trovarsi in Francia, consumate da più di un secolo e mezzo di tempo-

La visione macabra che mi aveva appena dato, mischiata al terrore che provavo, mi mozzò il respiro.
Dentro di me sapevo che quel giorno sarebbe arrivato, una parte remota del mio cuore, accuratamente accatastata lontano dalla mente, era consapevole che prima o poi avrei dovuto fare i conti con i fantasmi del passato, ma quei fantasmi erano troppo letali, troppo dolorosi perché non provassi a fuggirne.

-Sapevo che eri una ragazza piena di risorse, l’avevo sempre pensato e ora ne ho la conferma. Ma questo. Devo dire che mi sorprendi sempre, Nina-
Mentre continuava a parlare, immobile nella sua posizione da predatore pronto all’attacco, calcolai quante possibilità avevo prima che mi riacciuffasse, nel caso in cui fossi schizzata via dall’abitacolo prendendolo di sorpresa.
Molto poche, dovetti ammettere.
In primo luogo perché un originario lo si coglie raramente di sorpresa, Klaus in particolar modo, ma soprattutto perché era infinitamente più vecchio, ergo più forte ed anche più veloce. Non avrei potuto fare che pochi chilometri, prima di essere raggiunta.

-Sei stata particolarmente brava a non farti scovare in questi anni, vero? Sono certo che hai accuratamente evitato di incontrarci per…come dire…evitare che il compito a cui la natura non è stata in grado di adempiere, passasse nelle nostre mani. Con sommo piacere, aggiungerei- ghignò maligno, rialzando il busto ed inclinando la testa di lato, osservandomi come se dalle parole non dette che testardamente mi ostinavo ad ingoiare riuscisse a trarre un punto debole. Perché questo faceva Klaus. Analizzava, cercava il tallone d’Achille, un appiglio dove potersi ancorare per trascinare affondo , e poi annientava. Ma no glielo avrei dato.

Avevo lentamente portato una mano alla leva della portiera, continuando a fissarlo, senza che notasse quel millimetrico movimento, ed aspettavo solo che continuasse a parlare per uscire da lì, sfuggire. Perché anche se le probabilità erano basse, quasi nulle, dovevo tentare. Rimanere significava morire, era inutile girarci attorno. Quelli erano tutti preliminari, entro pochi attimi avrebbe distrutto la fiancata dell’auto e mi avrebbe trascinata fuori per poi strapparmi il cuore, gioendo come solo lui sapeva fare nella realizzazione delle vendette. Soprattutto se queste avevano aspettato secoli per essere gustate.

-Sai, piccola traditrice, vorrei davvero sapere come reagirà Elijah quando scoprirà che sei viva- avevo ancora i muscoli irrigiditi dall’attimo che precedeva lo scatto, quando la buttò lì. Ed era consapevole, maledettamente consapevole che quello era il modo per azzerare ogni mia possibile mossa, per rendermi inerme, spiazzata solamente dal suono del suo nome.  Per questo mi immobilizzai, un riflesso involontario dettato da quello sciocco muscolo voltagabbana  e morto, ormai privo di battiti, fissandolo ad occhi sbarrati

 –Non credo ne sarà felice-

Serrai le mascelle e lo fissai gelida. Se il mio piano era stato quello di non pronunciar parola per evitare di dargli stupidi spunti ai quali aggrapparsi, e fargli perdere tempo nei suoi egocentrici monologhi prima di darmela a gambe levate, beh era appena fallito miseramente.

-Che vorresti dire, con questo?-

-Oh dolcezza, non avrai per caso creduto che ti potesse accogliere a braccia aperte, come l’amore creduto perduto e poi miracolosamente ritrovato? Non avrai pensato che ti avesse perdonata?-

No, certo che no. Non ero sciocca, e soprattutto conoscevo Elijah. Sapevo le conseguenze di un tradimento nei suoi confronti, conoscevo con perfezione chirurgica quanto il perdono non fosse contemplato nel suo infinito vocabolario millenario. Non mi ero mai aspettata teatrini romantici o rosee rimpatriate.
A ben vedere, non mi ero aspettata proprio nulla.
Ero consapevole di aver sempre dedotto, con macabra ironia, che al primo incontro mi avrebbe tolta di mezzo, ma non lo credevo davvero possibile, c’era quella piccola parte di me, quella composta di soffici speranze e buone previsioni future, che aveva sempre testardamente negato l’opzione.  
Eppure avevo la certezza che anche l’opposto sarebbe stato impossibile. Per questo motivo non sapevo realmente che diamine sarebbe potuto accadere. E sempre per questo motivo temevo quel momento, perché il non sapere, dannazione, era la peggiore tra le ipotesi.

-Certo che no, Klaus, non sono la sciocca bambolina dalle frivole idee che mi reputi. Ma so anche che non accadrebbe ciò in cui tu speri, non è forse così?- oddio, dovevo essere pazza, perché sfidare così apertamente quell’ibrido dal volubile autocontrollo, per giunta con quel tono saccente ed un filino arrogante, era un vero suicidio –Non mi ha uccisa secoli fa, perché dovrebbe farlo adesso, dimmi-

Con sgomento, vidi i suoi tratti rigidi e severi distendersi in un espressione estremamente più ilare, derisoria quasi. A sottolineare la teoria, una scoppio di risa mi fece sussultare.

-Tesoro, è questo che pensi? Che ciò che l’ha bloccato decenni fa, lo bloccherebbe anche ora? Quanta illusione c’è in te…-scosse la testa fintamente amareggiato, e prima che parole taglienti mi uscissero di bocca riprese –Il braccio che ha bloccato la mia mano nel lontano 1824 prima che ti strappassi quel giovane cuore canterino che avevi nel petto era mosso da futili sentimenti umani. Elijah lo era. Assuefatto da debolezze di cui tu eri l’unica, principale causa. Dio solo sa come l’avevi ammaliato, stordito, o come diresti tu, fatto innamorare- aggiunse con un rapido e disgustato gesto della mano, facendomi quasi sbriciolare il volante tra le dita –Ma sono passati lunghi decenni dolcezza, decenni in cui ti ha giustamente creduta morta, in cui è andato avanti, dimenticandosi lentamente di te. Ora, hai la presunzione di conoscere bene mio fratello, quindi ti chiedo una cosa: quale credi che sarà il primo sentimento ad investirlo, la volta in cui ti vedrà? Quel flebile amore sfibrato durante i secoli, uno dei tanti nella sua lunga esistenza, o l’odio verso il tradimento subito, in un uomo come Elijah, dove un tradimento pesa più di mille altre parole e gesti?-

Aveva ragione.  Aveva schifosamente ragione ed io, purtroppo, ne percepivo la consapevolezza in ogni cellula del mio corpo. Ma volevo ignorarlo perché faceva troppo male,  stillava dolore attimo dopo attimo come una ferita sanguinante che non smette di colare.
Guardai quel ghigno, tipico di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico e ben conficcato nel corpo ormai distrutto dell’avversario, e trovai la forza, la rabbia, con cui rispondergli.

-Il mio tradimento non è mai stato tale! Ho agito nel bene, ho fatto ciò che credevo giusto e le mie azione, se a qualcuno dovevano recar torto, avrebbero dovuto farlo solamente con te. A te ho voltato le spalle, è stato il tuo nemico che ho aiutato Klaus, era la tua guerra! Elijah non c’entrava  niente, ma ti ha sempre ciecamente seguito, addossandosi i tuoi doveri, i tuoi ideali e le tue battaglie. Non è giusto che il mio atto venga considerato un’offesa nei suoi confronti,  non lo è mai stato, eppure nessuno l’ha capito. Se avessi mai voluto bene a tuo fratello, se non fossi l’ipocrita egoista privo d’amore che nulla sa fare se non pensare al proprio bene, glielo avresti fatto notare, ma eri troppo preso dai tuoi capricci per pensare al bene di tuo fratello, troppo preso dalla collera nei mie confronti per preoccuparti di placare la sua, immotivata, che l’ha reso cieco d’odio verso l’unica donna che l’abbia mai reso felice. E sì, ho la presunzione di affermare questo perché ho visto il suo sguardo, il cambiamento nei suoi occhi dal giorno in cui mi ha incontrata, e non lo puoi negare nemmeno tu, Niklaus- avevo il respiro affannato e gli occhi sgranati, collerici, mentre le unghie conficcate nei palmi tracciavano dolorose mezzelune vermiglie che tangibili dimostravano quanto mie ero sforzata di rimanere ancorata al mio posto, invece di scendere e prenderlo per il collo, mossa alquanto stupida.
Certamente comunque, il mio bel discorsetto non era stato da meno, e l’uso scellerato del suo vero nome era stato un tocco di follia che avrebbe mandato la sua furia alle stelle.

-Tu! Stupida vampira, lurida traditrice come osi?! Non permetterti mai più di insinuare simili idiozie, non sai nulla su di me e su mio fratello! Quando l’hai aiutata, non hai solamente tradito me, ma anche lui, perché siamo una famiglia, ed un’offesa nei mie confronti lo è anche nei suoi. Ti reputi la sua felicità, la sua salvezza, credi di conoscerlo tanto bene ma se non sai nemmeno che per lui l’amore familiare è al primo posto nella scala delle sue priorità, allora non sai un bel niente- mi guardò con odio, e seppi che in quel momento avrebbe davvero voluto uccidermi. Poi sorrise mefistofelico e aggirò la macchina. I suoi sbalzi d’umore erano disarmanti.
–Comunque dolcezza, ritornando al punto della questione, non devi preoccuparti di come potrebbe reagire nel vederti viva,  non credo ne avrà mai l’occasione- le ultime parole uscirono come un ringhio mentre gli occhi gli si iniettavano di sangue e i muscoli si contraevano pronti allo scatto.

Fu un riflesso incondizionato quello di premere il pedale dell’acceleratore, non avendo più l’originario e sbarrarmi la strada, e partire a tavoletta. A ben vedere, non sarebbe servito a nulla, perché un’auto come quella,anche spinta al massimo, se paragonata alla velocità vampiresca risulterebbe puerilmente lenta.
Eppure lo seminai. O per meglio dire, non mi seguì.
Guidai in preda all’ansia, gettando frenetiche occhiate in ogni dove certa di vederlo rispuntare da un momento all’altro, per tutto il tragitto, e solo quando raggiunsi la camera del B&B e mi ci sbarrai dentro riuscii a tirare un vero respiro di sollievo, accasciandomi contro la porta e scivolando lentamente al suolo.
Dire che ero provata era un eufemismo. E non perché avevo rischiato di morire, mi era capitato altre volte e non  avevo mai avuto reazioni simili, quanto più per chi mi ero trovata di fronte.
Klaus.
Solo un’altra persona sarebbe stata in grado di farmi sentire a quel modo, se non peggio, e dopo quell’amabile chiacchierata sul diretto interessato non ero poi tanto convinta di volerlo incontrare per il prossimo….millennio.
Troppi ricordi erano tornati a galla, troppi rancori repressi e dolori soffocati, flash di una vita passata e ormai dissolta nel nulla che avrebbero dovuto rimanere sepolti nella memoria, inaccessibili e lontani.
Mi alzai e andai al lavello del bagno, sciacquandomi la faccia per poi appoggiarmi al marmo freddo del piano.
Non sarei mai dovuto andare là, ora più che mai ne ero certa. L’illusione di poter affrontare Elijah era stata sciocca ed impulsiva. Dannazione, non riuscivo ad avere un incontro col suo amabile fratello senza essere assalita dal surrogato di un attacco di panico, come avrei mai potuto affrontare lui senza soccomberne?!
Ma ormai avevo dato la mia parola a Stefan, e non avrei certo fatto la figura della codarda scarica grane per il mio sciocco lato umano e debole, attecchito a ricordi che mi rodevano l’anima e sconquassavano l’esistenza.
Alzai la testa, fissando il mio riflesso allo specchio con l’intento di dar maggior peso alla mia decisione: ero lì e lì sarei rimasta, basta fughe, basta paure, la follia l’avevo fatta, ma non si trattava più soltanto di me, quindi, come già mi ero ripetuta mille volte da quando ero atterrata, l’avrei affrontato.
E avrei fatto rimangiare a Klaus tutte le sue stronzate, sillaba dopo sillaba.

 

 
Francia, La Rochelle , 1824

 C’era il mare sotto di me, una distesa infinita di onde che si andavano a frantumare ciclicamente sugli scogli appuntiti a metri e metri di distanza da dove mi trovavo.
La schiuma bianca era l’unico sprazzo di luce in quella notte nera, anche la luna e le stelle erano velate da una nebulosa coltre di nubi dall’aria bellicosa.
Il mare, in tutta quell’oscurità, metteva i brividi.
Feci un passo avanti, attenta a non scivolare su quei sassi umidi di salsedine, e sentii i piedi nudi ferirsi con qualche pietra spigolosa, ma non me ne curai. Il vento, lassù, sibilava gelido gonfiando la leggera camicia da notte bianca che indossavo e smuovendomi con le sue repentine sferzate il capelli tutt’intorno. Sentivo lacrime silenziose colarmi lungo le guance e seccarsi poco prima di cadere nel vuoto.
Lì dov’ero, potevo udire il rumore di quella distesa d’acqua immensa. Era rilassante, ma allo stesso tempo minaccioso. Ammaliante. Sembrava chiamarmi, una musa tentatrice che lentamente mi sospingeva tra le sue braccia, avvinghiandomi con tentacoli mortali.
Aprii le braccia e guardai l’orizzonte nero.
Nero come i suoi occhi.
Volevo urlare. Ogni singola fibra del mio corpo voleva gridare il mio dolore, ma avevo la gola secca e tutto quel che riuscivo a produrre era un flebile sussurro innocuo, nulla se paragonato alla mia sofferenza. Era insoddisfacente.
Mossi un altro passo e raggiunsi il limite, là dove le rocce cadeva a strapiombo nel vuoto.
Anche il mio cuore, era al limite. Al limite dell’amore, della sopportazione, del dolore. E forse quel limite l’aveva superato, forse per questo faceva così male, perché era andato troppo oltre, ed ora la caduta era inevitabile, e mortale.
Chiusi gli occhi. Era tutto troppo nero. Troppo lui. Faceva male, male dentro.
Perché mi ha abbandonata? Perché?
Volevo smetterla di soffrire.
Volevo stare bene, essere felice. Liberarmi di quel peso, di quella tristezza soffocante, e respirare.
Perché non respiro? Aria.  Dov’è la mia aria? Dov’è lui?
Un altro passo, piccolo. In cerca di quell’aria che mi mancava, di quella felicità che non c’era più.
Volevo smetterla si soffrire.
E poi accadde.
Lo sentii, il momento preciso in cui sotto di me non vi fu altro che il vuoto. E cadevo, cadevo, e più cadevo più mi sembrava di perdere la cognizione di tutto, del tempo, dello spazio, del mio corpo, di me stessa.
Più cadevo e meno vivevo. E meno vivevo e più ero felice.
Perché quella vita era diventata sofferenza, e io non la volevo più.
Quando mi scontrai con l’acqua, fu come se mille lamine di ghiaccio mi avessero attraversato la pelle.
Mi si bloccò il respiro in gola. Sorrisi.
Sentii freddo, così freddo che fui tentata di raggomitolarmi, ma non trovavo le braccia, né le gambe. Il mio corpo era un ammasso di lame ghiacciate che non rispondevano più al mio controllo.
Era libero, finalmente, libero di non provare più nulla, libero di staccarsi da me.
Sentii l’acqua scivolare lungo la gola e annidarsi là dove l’aria le lasciava spazio.
La frenesia dei primi attimi era stata rimpiazzata da una calma sovrumana, mentre scivolavo sempre più giù, sempre più in basso.
In un ultimo atto di lucidità spalancai gli occhi, ma era ancora tutto troppo nero. Troppo lui.
Con quest’ultimo pensiero scivolai nell’incoscienza, là dove la vita cede il passo alla morte.

 

Sentivo voci in lontananza, grida di uomini e passi affrettati. Sentivo anche il suono strisciante del mare e qualcosa bagnarmi ritmicamente una mano. Avevo freddo.
Mi ricordai del salto, del vuoto sotto di me e poi di quel buio, così profondo, così asfissiante.
Ero morta.
Ma allora perché provavo sensazioni così…vive? Perché sentivo la veste bagnata incollata al mio corpo, i sassi appuntiti sotto di me e quel forte odore di salsedine? Perché udivo quegli uomini sempre più nitidamente?
Perché avevo…sete?
Non ero forse morta?Cos’era quello, una sorta di purgatorio, o forse l’inferno? D’altronde mi ero macchiata di suicidio, il mio destino sarebbe stato bruciare nelle fiamme eterne. Ma l’unico bruciore che sentivo proveniva da me, dalla mia gola riarsa, tanto che lentamente portai una mano al collo stringendolo come a voler placare quelle fitte mai provate prima.
Le voci si avvicinavano, ora le distinguevo bene. C’erano due uomini, forse tre. Avevano lanterne in mano e correvano verso il punto in cui mi trovavo io. Quando mi raggiunsero si chinarono al mio fianco, voltandomi per potermi guardare in volto.
Sentivo le palpebre pesanti, provai a muovere le braccia ma non rispondevano al mio comando. Rimasi immobile in balia del volere di quella gente.
Udivo le domande che si ponevano, si stavano chiedendo chi fossi, cosa avrebbero dovuto fare.
Il calore della torcia, così vicina al mio volto, mi dava fastidio. Provai a spostarmi con un mugolio, e questo attirò la loro attenzione.

-Ehi, mi sentite? Come vi chiamate? Riuscite a rispondermi?-

-N-Nina…- non so come, ma dalle mia labbra secche un flebile sussurrò riuscì ad uscire –Nina…Lefevre- 

L’uomo dovette chinare il capo per capire meglio, tanto che i suoi capelli mi solleticarono il volto. Aprii piano gli occhi, incuriosita da un rumore ritmico e…invitante. La prima cosa che vidi fu il suo collo, a pochi centimetri dalle mie labbra. Era pallido, liscio, eppure guardando meglio potei notare un piccolo movimento, là dove avrebbe dovuto esserci la giugulare. Un alzarsi e abbassarsi veloce, costante, che ebbe la capacità di incantarmi. Più lo fissavo, più il bruciore alla gola aumentava.
Persino quando si allontanò, rialzando il busto per fissare i sui compagni, non riuscii a distogliere lo sguardo.

-E’ la figlia del Conte!-

Sentii quell’esclamazione sorpresa come un lontano sussurro privo di spessore.
Non mi importava più di capire dov’ero, con chi ero o se ero ancora viva.
L’unica cosa di cui mi importava in quel momento era il suono di quell’uomo, il suono della sua vita, del suo sangue.
Troppo presi dalla loro discussione, non si accorsero neanche del mio movimento, fin quando non fui completamente seduta, all’altezza di quell’uomo.
Ci fu un secondo di totale silenzio, ma io sentii…i loro cuori, li potevo sentire come canti che osannavano l’arsura della mia gola. Erano invitanti come la più dolce delle medicine, sembravano chiamarmi…ed io risposi.
Quando mi avventai sul primo uomo, un pizzico di consapevolezza mi attraversò come uno squarcio, ma fu infinitamente breve che non ebbi il tempo di fermarmi. Non potevo. Gli altri li uccisi sena più un barlume di percezione della realtà negli occhi.
Durò tutto un attimo, o forse un secolo, non lo seppi con esattezza, l’unica cosa che percepii fu il sangue, tanto sangue, e le urla di uomini che lottarono per rimanere attaccati alla vita, il resto fu una macchia confusa a cui non diedi importanza.
Solo alla fine, completamente imbrattata, ferma immobile in mezzo a quei corpi ancora caldi e inermi, morti, la consapevolezza mi investì come una doccia gelata.
Capii. Capii cos’ero diventata, cosa avevo appena fatto, che razza di mostro ero stata.
Capii e desiderai morire, di nuovo.
Rimasi immobile in quella posizione per ore, gli occhi sbarrati, la bocca rossa di sangue e le vesti strappate e umide, fin quando un raggio di sole, il primo di quella nuova giornata, non mi colpì il braccio. E bruciò.
Fu un riflesso incondizionato raggiungere l’ombra, terrorizzata, fissando il punto in cui l’ustiona stava lentamente svanendo. Un miracolo. O forse la più demoniaca delle stregonerie.
Quello che feci dopo fu meccanico e atroce: seppellii i cadaveri, uno dopo l’altro, gettandoli senza sforzo in fosse scavate a mani nude. Mi sembrava ridicolo dire una preghiera, io che li avevo uccisi, io che ormai ero diventata un abominio davanti agli occhi di Dio, per questo girai le spalle senza più guardarmi indietro, fuggendo per sempre da quell’Inferno, dalla mia casa, dalla mia famiglia, e dalla mia vita.

 

 

 

- - - Angolino dell’autrice  - - -

Salve gente! Passato bene Halloween?? :)
Allora, intanto scusate l’enorme ritardo, il mio intento sarebbe stato quello di pubblicare con una cadenza settimanale, ma è evidente che così non è stato…spero di riuscire ad essere più puntuale la prossima volta, pregando che i miei impegni, prettamente scolastici, non mi rubino così tanto tempo :) Che dire? In questo capitolo c’è stato l’incontro/scontro con Klaus, e tra le righe si è potuto capire qualcosina del passato di Nina e dei fratelli Originali – momento di silenzio…- no? Beh abbiate pazienza, col tempo ogni nodo verrà al pettine :) C’è poi stato quel flashback abbastanza lunghetto, dove, beh è piuttosto chiaro cos’è successo direi, anche se lo so, mancano un po’ di fattori, del tipo chi l’ha (accidentalmente) trasformata eccetera, MA non disperate, capirete capirete… A voler essere sincera avrei voluto mettere anche la parte in cui la nostra protagonista incontra la banda alleata ai Salvatore, e magari persino Elijah (e qui un coro di sospiri innamorati XD), ma poi avevo paura venisse fuori un papiro infinito che nessuno si sarebbe sognato di leggere (avendo tutta la mia più totale comprensione ù.ù), quindi ho preferito finirla qui, e mettere il resto nel prossimo capitolo.
Bene, dopo aver detto tutto quel che c’era da dire sul capitolo, non mi resta che passare alla parte più importante del mio monologo: i ringraziamenti. Vorrei ringraziare davvero di cuore tutte quelle che si sono prese la briga di scrivere una recensione, cioè taisha e jess chan, un grazie anche a chi ha aggiunto questa storia tra le seguite, ricordate e preferite, quindi debby_88, bluesea, Bonnie98, taisha, jess chan e Lux Nox, e alle lettrici silenziose.
Poi vorrei ringrazia la mia amica/beta, che per il momento non può leggere questa storia perché è un po’ indietro con gli episodi di TVD e rischia spoiler, ma che si è impegnata nel realizzare il meraviglioso banner, Elizha, grazie davvero (e muoviti a guardarti la terza serie che devi leggerla! XD).
Ooook gente, ora ho concluso sul serio, quindi alla prossima, e mi raccomando recensite, sono curiosa di sapere cosa ne pensate :)
Deademia

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Capitolo 3
*** Indifferenza che uccide ***


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3. INDIFFERENZA CHE UCCIDE

 

 

Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio ma l'indifferenza: questa è l'essenza dell'inumanità”

(George Bernard Shaw)

 

 

 

Francia, La Rochelle, 1824

 Sdraiata tra le lenzuola candide mi rigiravo tra le dita in trepidante attesa una delle lunghe ciocche bionde, fissando il soffitto rosa antico del letto a baldacchino con sguardo perso.
Quello era il gran giorno.
Sarebbero finalmente arrivati i due misteriosi ospiti di cui tanto se ne era parlato tra le mura del castello nelle ultime settimane, con bisbigli ciarlieri di serve maliziose o semplicemente curiose ed ordini impartiti da mio padre perché tutto fosse perfetto. Tante volte avevo provato a chiedere qualcosa di più a riguardo, ma avevo ottenuto solamente risposte vaghe che non mi svelarono nulla più di quello di cui ero già a conoscenza: due fratelli nobili conosciuti anni prima in cerca di un luogo dove sostare nel loro viaggio in quella terra a loro straniera. Una patina superficiale che certamente non ebbe la pretesa di soddisfarmi i miei molteplici dubbi. Chi erano? Che aspetto avevano? Cosa ci facevano in Francia?
Avevo tanto fantasticato su di loro, immaginandoli prima in modo poi nell’altro, sbizzarrendomi a modificare i loro aspetti, rendendoli ogni volta dissimili in maniera ridicola, ma finalmente era arrivato il momento di conoscerli. Sorrisi, piena di aspettative, quando un bussare leggero alla porta mi fece voltare.

-Avanti-

-Buongiorno Contessina, avete riposato bene?-

Sophie, la mia balia dai tempi in cui mossi i primi passi, entrò sorridente, tenendo tra le mani una brocca con dell’acqua calda e teli puliti.

-Buongiorno Sophie, benissimo come sempre. Dimmi, sono per caso già arrivati?- chiesi con una punta d’ansia nella voce, temendo di essermi persa il loro arrivo. Eppure non avevo sentito rumore di carri da che ero sveglia.

-Vi riferite ai nostri ospiti? No, ma tra breve dovrebbero arrivare, vostro padre mi ha appunto mandata a prepararvi, vuole che siate presente-

Sorrisi entusiasta, scalciando le coperte e correndo verso di lei senza badare alla lunga camicia da notte che mi intralciava il passo.

-Forza allora! Non voglio tardare!- mi diressi spedita verso il bagno, sotto il suo sguardo divertito –Muoviti Sophie!- le urlai, accorgendomi che era rimasta nella stessa posizione.

-Arrivo, arrivo, ma calmatevi per l’amor del cielo!- alzò gli occhi al cielo raggiungendomi, io non le badai minimamente mentre mi sfilavo le vesti leggere.

L’avere ospiti, in quel periodo, era cosa rara, una novità che spezzava la monotonia dei giorni e rallegrava il clima pressoché sedentario che albergava a palazzo, era ovvio che un’adrenalina profumata di gioiose speranze mi accarezzasse da capo a piedi.
Quando terminai di lavarmi ed infilarmi la biancheria pulita, mi avvicinai al letto, appoggiandomi ad una colonna del baldacchino e voltando la schiena alla balia, affinché potesse stringere liberamente i lacci del corsetto. Trattenni il fiato, infastidita da quella compressione asfissiane ma doverosa, mentre Sophie tirava ed annodava velocemente e con movenze esperte, socchiudendo gli occhi ad ogni strattone senza però proferire parola, erano ormai lontani i tempi in cui mi ero lamentata di tutta quella tortura poco più che inutile.
Stretto anche l’ultimo nodo con un sospiro pesante di soddisfazione si avvicinò all’ampio armadio, aprendone le massicce ante in legno scuro intarsiato per rivelare i numerosi abiti che facevano mostra di sé al suo interno. Ce ne erano di tutti i tipi e colori, dai più eleganti, prettamente da ricevimenti ufficiali e balli, ai più semplici, adatti solamente a giorni trascorsi in casa. Sophie ispezionò con puntigliosa attenzione i vari vestiti, scartandone velocemente una buona metà, poi ne afferrò uno verde con un’ampia gonna in raso, ma prima che potesse tirarlo fuori cambiò idea adocchiandone un altro, blu scuro, in preziosa seta drappeggiata ad arte e ricamata da un intricato disegno sul corpetto. Mi si illuminarono gli occhi, era il mio preferito.

-Che ve ne pare?- sorrise prendendolo tra le braccia e porgendomelo per cercare la mia approvazione.

-E’ perfetto Sophie! Mettimelo, non voglio perdere altro tempo- non feci in tempo a finire di dire quelle parole che il rumore dello scalpiccio degli zoccoli dei cavalli sul ghiaino e delle ruote cigolanti di una carrozza arrivò in lontananza dalla finestra aperta che dava sul cortile del palazzo.

-Oh no! Sono già arrivati!- mi fiondai verso l’abito, infilandomelo con malagrazia e tirandolo su con gesti bruschi e sbrigativi.

-Per l’amor di Dio Nina, datevi una calmata o strapperete l’abito!- mi rimproverò la balia, sostituendo le mie dita frenetiche con le sue, più esperte, che fecero scivolare la stoffa liscia lungo il mio corpo per poi chiuderlo velocemente senza intoppi.

-Ecco fatto, fatemi dare una spazzolata a questa chioma ora, su- mi fece accomodare davanti ad uno specchio, afferrando la preziosa spazzola d’argento e affondandola tra le onde  dei miei capelli, mentre mi contorcevo con ansia le mani in grembo attenta ad ogni più piccolo rumore proveniente dall’esterno. Avevo sentito la carrozza arrestarsi, segno che erano ormai davanti al portone, poi uno schiocco come di uno sportello aperto di scatto. Fremetti,  mordendomi il labbro inferiore mentre i miei occhi cadevano sulla mia immagine riflessa. Non stava facendo niente di particolare, nulla di sfarzoso o complicato, li stava semplicemente districando per poi appuntarne due ciocche sulla nuca con un fermaglio appartenuto a mia nonna, in argento, rivestito di pietre preziose.

Un bussare alla porta mi fece scattare la testa, tanto che Sophie mi strattonò per sbaglio un ciuffo, facendomi fare una smorfia.

-Avanti-

Un servo entrò, chinando il capo in segno di rispetto.

-Contessina, vostro padre desidera che lo raggiungiate nella sala dei ricevimenti-

-Riferiscigli che sarò subito da lui- lo vidi annuire chinando nuovamente il capo prima di uscire dalla stanza in silenzio.

-Ecco fatto, adesso siete proprio un incanto- mi sorrise Sophie, fissandomi attraverso lo specchio –Non so chi siano questi misteriosi ospiti, né come siano, ma certamente non potranno che rimanere incantati davanti a questo bel volto-

Risi, voltandomi verso di lei.

-Oh Sophie, tu sei sempre stata troppo buona. Comunque ti ringrazio- mi alzai, rassettando le pieghe dell’abito e portando le mani al corpetto –Ci vediamo dopo- la salutai, avviandomi lungo il corridoi fuori dalla stanza.

Dovetti percorrere due rampe di scale e svoltare almeno cinque volte per raggiungere la sala designata all’incontro, ma quando vi entrai i miei piedi non poterono che bloccarsi, riflesso incondizionato di ciò che i miei occhi videro.
Due giovani uomini se ne stavano in piedi, voltati di profilo, a conversare amabilmente con mio padre, mostrando in tal modo solamente una piccola parte dei loro volti indubbiamente marcati e attraenti.

-Oh, Nina, eccoti finalmente. Vieni, ti presento i nostri ospiti- mio padre allungò una mano in mia direzione, invitandomi ad avvicinarmi. Sorrisi incamminandomi mentre i due si voltarono a guardarmi, gli occhi scintillanti di pura curiosità. Quando fui davanti ad entrambi mi inchinai, abbassando lo sguardo lievemente imbarazzata da quelle attenzioni, per poi rialzare la testa e fissarli con titubanza negli occhi.

Occhi così diversi.

Erano l’opposto, gli uni azzurri, cristallini come il mare illuminato dal sole d’estate, quasi ironici nella loro espressione gioviale, gli altri neri come la notte, profondi tanto da sembrare irraggiungibili, misteriosi come misterioso era lo sguardo che irradiavano.
Ne rimasi incantata.

-E’ un piacere fare la vostra conoscenza-

-Il piacere è nostro, Contessina- il ragazzo dagli occhi celesti si avvicinò, afferrandomi delicatamente la mano per poi baciarla con un sorriso che a posteriori definirei unicamente malizioso –Permettetemi di presentarmi, il mio nome è Klaus. Lui invece è mio fratello, Elijah- il ragazzo in questione mosse un passo, inclinando l’angolo delle labbra in un sorriso prima di posarle sul dorso della mia mano, esattamente come aveva fatto il fratello pochi attimi prima.

-E’ un onore- sussurrò galante, ritraendosi e lasciandomi lì, inebetita, a fissare quegli occhi pece che non accennavano a staccarsi dalla mia figura.

Non seppi se fu solamente una fantasticheria sciocca, dovuta alla soggezione creata dal momento o da quell’infatuazione nascente, scoccata come un fulmine a ciel sereno, ma quasi lo sentii nella pelle, nelle cellule che vibranti mi scatenarono brividi lungo tutta la schiena, il cambiamento radicale che da quel momento avrebbe portato ad un lento, dolce declino della mia vita. A ben vedere, quello spirito di autoconservazione praticamente inconsistente radicato in qualche anfratto della mia mente forse aveva voluto avvertirmi del rischio di quella situazione di cui avevo iniziato ad essere preda; e quelle scosse flebili probabilmente non erano altro che segnali del pericolo che si era insinuato strisciando in casa mia, entrando dalla porta d’ingresso con tutti gli onori possibili per giunta, ma io le registrai come puro piacere, rimanendone assuefatta tanto da decretarle come riflesso del tutto normale a quello sguardo ammaliatore che con insistenza mi sospingeva a perdermi nelle sue profondità, a sprofondare nel suo abisso di oscurità.
Fu in quell’esatto istante, contro ogni logica possibile ed impersonando le più frivole protagoniste di romanzetti rosa che oggi spopolano tra le pagine degli Harmony e di altri libri di dubbia consistenza letteraria, che me ne innamorai.
Proprio così, me ne innamorai lì, con la mano ancora a mezz’aria e il risuono delle sua voce galante nelle orecchie, con gli occhi sgranati fissi nei suoi e la gola secca, col cuore che senza una ragione valida batteva furioso e quel sorriso ebete che mi spiegava le labbra.
Me ne innamorai ancor prima di conoscerlo, ancor prima di capire chi era, cosa era, ancor prima di sapere la sua storia, quella vera, di accettare le sue proposte di passeggiare per il giardino antistante il palazzo, rendendomi conto di quanto la sua pazienza fosse sconfinata il giorno in cui mi ascoltò senza proferir parola per ore, o di imparare ad apprezzare quella sua tipica usanza tutta inglese di bere il tè sul tardo pomeriggio.
Me ne innamorai senza una ragione, senza nemmeno rendermene conto, attribuendo al battito sordo e frenetico del mio giovane cuore un significato puramente superficiale, legato all’eccitazione di avere due ospiti tanto ammalianti per un tempo indefinito a palazzo, e non ciò che invece voleva davvero essere, l’inizio di un amore dannato, dannato come l’uomo di cui mi ero infatuata, dannato come l’esistenza che con un tale sentimento mi ero immancabilmente costretta a vivere.
Mi ero innamorata del diavolo, un diavolo che beveva il tè delle cinque e trasudava galanteria da ogni gesto, e non me ne ero neanche accorta.

 

 

Mystic Falls, oggi

 Bussai alla massiccia porta di casa Salvatore gettando una rapida occhiata indietro, l’immagine di un pazzo Klaus che mi compariva alle spalle senza preavviso mi aveva tormentata per tutto il tempo che avevo passato fuori dalla stanza del B&B, e per quanto ero consapevole che come vampiro sarei stata in grado di percepire la sua presenza o meno, l’idea era tanto terribile da eclissare anche un dato di fatto irremovibile come quello.
Sentii suoni in lontananza provenire dall’interno, una voce femminile che bisticciava animatamente, rimbeccando senza tregua le affilate battute di un ragazzo.

-Oh per l’amor del cielo Matt, basta! Cos’è tutta questa diffidenza, sei peggio di…peggio di Bonnie Santo Dio, e te lo dico con tutto l’affetto possibile, perché lei è una mia amica e tutto quanto, ma piantala!-

-Caroline sei assurda. Ti sei forse dimenticata i casini in cui siamo incappati praticamente secondo dopo secondo negli ultimi tempi? Eppure hai la memoria di un vampiro ormai, certi dettagli dovrebbero risultarti chiari mi pare-

-E lo sono, sono cristallini! Cosa credi, che mi sia dimenticata che un pazzo ibrido originario sta cercando di usare la mia migliore amica come banca del sangue? Pensi che mi sia dimenticata che il mio ragazzo ora si trova chissà dove tra una montagna dal nome impronunciabile e l’altra a combattere contro uno stupido asservimento che mi ha quasi uccisa? Che ora non stia maledicendo in tutte le lingue che conosco ogni singolo passo falso che ci ha portati sempre più vicini a questa…catastrofe? Sono consapevole, dannatamente consapevole del casino in cui ci troviamo, e il mio bellissimo fondoschiena è in pericolo quanto quello degli altri per colpa della mammina originaria da premio nobel che sembra volerci estirpare come erbacce secche, ma stare qui a lagnarmi su quanto potrebbe essere rischioso fare questo e fare quello non mi sembra una buona idea Matt, abbiamo toccato il fondo, ci siamo sprofondati praticamente e, beh, sai che ti dico? Ogni aiuto lo accoglierò a braccia aperte, certamente non gli sputerò in faccia come sembri intenzionato a fare tu-

Sentii distintamente uno sbuffo seccato e quello che doveva essere un piede sbattuto con forza a terra, gesto molto maturo, pensai con un sorriso, prima di udire dei passi affrettati raggiungere l’ingresso. La porta si spalancò, palesando uno Stefan decisamente a corto di pazienza, il che era tutto dire.

-Ciao Nina- sorrise appena, invitandomi ad entrare con un gesto del braccio, ed io non mi feci attendere, sfilandomi contemporaneamente il giacchetto dalle spalle.

-Buongiorno, disturbo?-

-Cosa? Oh no, anzi scusali, siamo tutti un po’ nervosi ultimamente…- si grattò la nuca, sorridendo imbarazzato.

-Tranquillo- gli accarezzai una spalla sorridendo comprensiva, d’altronde potevo capire la loro diffidenza in un momento simile, probabilmente io stessa avrei reagito a quel modo vedendo una vampira comparire dal nulla in un momento critico come quello che stavano vivendo; prima di gettare un’occhiata incuriosita verso il salotto –Allora, mi presenti questi…compagni di squadra?- tentennai, non sapendo bene come definirli, il che lo fece ridere.

-Certo, seguimi- 

Mi fece strada, anche se ormai avevo capito come orientarmi tra quelle mura trasudanti antichità da ogni anfratto, e sbucammo nell’ampio salone dove ad aspettarci vidi una ragazza bionda dal sorriso effervescente che se ne stava accoccolata sul bracciolo del divano, accanto sedeva un ragazzo abbastanza imbronciato che mi gettò una rapida occhiata prima di piantare lo sguardo sul tappeto con insistenza, mentre in piedi dietro di loro ritrovai lo sguardo amichevole di Elena. Non potei trattenere un brivido, non di fronte a quel viso così identico al suo, tanto che potei risultare quasi sgarbata nel rapido saluto che le rivolsi prima di voltare lo sguardo altrove. D’altronde era più forte di me, più il passato ritornava nella mia vita e più cercavo di fuggirgli.  Solo dopo un istante notali l’assenza dell’ironico rampollo di casa Salvatore e della strega a cui avevamo affidato il libro.

-Tu devi essere Nina, sono così felice di conoscerti, ho sempre adorato la Francia sai? Comunque sono Caroline- la ragazza bionda balzò su con espressione letteralmente elettrizzata, materializzandosi davanti a me in un battito di ciglia e porgendomi amichevolmente una mano, che non rifiutai certamente di stringere, sorridendole grata per quell’accoglienza calorosa. 

Erano anni, o forse decenni, che non mi si palesava davanti tanta vitalità e voglia di fare conoscenza. A pensarci, forse ero sempre stata io a porre mura tra me ed il resto del mondo, evitando di legarmi  con la consapevolezza che tutto sarebbe svanito, dissolto lungo i secoli. Non per questo non avevo amici sparsi per il mondo, ma erano come me vampiri troppo abituati alla sregolata vita che tale esistenza permetteva, troppo distaccati dalla mentalità di “amicizia umana” per poter creare qualcosa di solido, qualcosa di stabile e vissuto. Erano parentesi più o meno importanti della mia vita che ricordavo con affetto, ma che rimanevano là, nel passato, e qualche volta ricomparivano, si facevano sentire per un breve periodo, per poi scomparire di nuovo nella nebbia della lontananza. 
Quella ragazza invece, quella vampira, sembrava così…umana. Forse era solamente passato poco tempo dalla sua trasformazione, o forse era semplicemente lei che riusciva in qualche modo a restare attecchita a quello spirito umano che col tempo scompariva pian piano in ogni immortale. Provai un pizzico d’invidia nei suoi confronti perché rividi in lei me stessa, la me di un tempo lontano, quella che era realmente affogata tra le onde del mare nel 1824, lasciando il posto all’essere che ero divenuta, poi scossi la testa con amarezza, simili pensieri pensavo di averli accantonati molti decenni prima.

-E’ un piacere conoscerti Caroline- le sorrisi, stringendole la mano –E sono contenta ti piaccia la Francia, chissà un giorno magari farò da guida turistica anche a te- risi e la ragazza mi guardò aggrottando le sopracciglia.

-Come mai “anche”?-

Gettai un’occhiata ironica a Stefan, che al mio fianco alzò gli occhi al cielo prima di dirigersi verso Elena ed abbracciarla da dietro, posandole il mento sulla spalla.

-E’ una storia lunga, ma ti basti sapere che Stefan non aveva un grande spirito di orientamento all’epoca e che ci fu bisogno di un intervento immediato per fargli conoscere ogni bellezza di Parigi- sorrisi riportando alla mente vecchi ricordi di quando incontrai per la prima volta quel vampiro vegetariano dagli occhi verdi.

-Ah è cosi? Complimenti signor Salvatore, credo sia l’unico vampiro al mondo a non sapersi orientare in una città come Parigi- Elena lo prese in giro, voltando la testa per guardarlo in tralice con aria furbescamente derisoria.

-Io credo che Nina abbia un po’ ingigantito la cosa, le avevo solamente chiesto un’indicazione stradale, e lei si è gentilmente offerta di farmi da guida vedendo che ero straniero- si difese lui, sbuffando divertito.

-Solamente? Mi hai chiesto come potevi raggiungere Notre Dame, Stefan, mi sei sembrato un caso decisamente disperato –

Caroline ed Elena scoppiarono a ridere, il ragazzo che per tutto il tempo era rimasto ai margini del nostro quadretto ilare sorrise a mezza bocca e Stefan si affettò a chiudere il discorso.

-Bene, che ne dite di darci un taglio con i vecchi ricordi e passare a qualcosa di più serio?- al che io mi avvicinai, accomodandomi su di una poltrona di fronte al divano, accavallando le gambe ed intrecciando le mani sopra al ginocchio, in aspettativa.

Stefan si chiarì la voce.

-Nina, cosa sai degli Originari?-

Tutto.

-Poco e niente, voci sparse durante i secoli, qualche leggenda e pochi documenti con lievi accenni- mi strinsi nelle spalle cercando di risultare il più credibile possibile, non volevo che scoprissero il mio passato, non in quel momento, quando ancora dovevo far chiarezza io stessa sulla questione, né in quel frangente, dove esso era a tutti gli effetti il nemico –So che sono i nostri “Adamo ed Eva”, ma sinceramente la mia cultura in merito si ferma qua-

Stefan annuì pensieroso, e per un attimo mi si strinse lo stomaco in una spiacevole morsa, non mi piaceva mentire, per quanto ironico fosse visto che la mia esistenza stessa doveva essere una costante bugia agli occhi degli altri, ma odiavo ancora di più farlo con quelli che consideravo amici. Eppure non avevo altra scelta, non ancora.

-D’accordo…allora dobbiamo partire dall’inizio. Mille anni fa una strega di nome Esther, la Strega Originaria, trasformò suo marito Mikael ed i suoi figli, Niklaus, Elijah, Rebekah, Kol e Finn, in vampiri prendendo potere dal sole e dalla Quercia Bianca ed usandosangue nel rituale, affinché riuscissero a proteggersi dai licantropi che minacciavano sempre più il villaggio e che erano arrivati ad uccidere uno dei suoi figli. Questi tre elementi, però, diedero sì loro la vita, ma allo stesso tempo li condannarono: il sole, come ben sai, era in grado di ustionarli ed ucciderli, il legno della Quercia Bianca era l’unico in grado di togliere loro la vita e il sangue era ciò da cui erano dipendenti, unica sostanza in grado di nutrirli. Quando lo scoprirono bruciarono la quercia, ma la sua polvere se cosparsa su di un pugnale ottiene gli stessi risultati. Niklaus però non era figlio di Mikael, ma di un licantropo, per questo fu il primo ibrido nella storia, l’essere più forte che possa esistere. Circa un anno fa è venuto qui a Mystic Falls per spezzare la Maledizione del Sole e della Luna, poiché gli serviva Elena, o meglio il suo sangue di doppelganger, per il rituale, ma questa storia la conosci già, come sei a conoscenza che uccidendone uno uccidi tutta la sua discendenza, è il motivo per cui sei qui d’altronde-

Annuii tesa, ero a conoscenza della storia di Elijah, ma certo non si era dilungato nei dettagli della sua trasformazione, o nel piccolo segreto di Klaus e della sua mezza licantropia, a quel tempo.

-Per cui Klaus adesso è un ibrido a tutti gli effetti, giusto?-

-Già…con tanto di scodinzolanti cagnolini mezzi vampiri appresso- ringhiò Caroline, facendomi inarcare un sopracciglio. Stefan si premurò di spiegarmi.

-Non si è limitato a spezzare la maledizione, ha anche iniziato a creare ibridi come lui, vampirizzando dei licantropi e instaurando così  un legame di asservimento. E…beh anche Tyler, il suo ragazzo, è stato trasformato. Ora si trova sugli Appalachi, a cercare di spezzare l’asservimento in qualche modo-

Prima che potessi ribattere, palesando il mio stupore per questa assurdità egoistica ed ingiusta, il ragazzo che fino a quell’istante non aveva aperto bocca scattò come una molla.

-Ma certo, adesso sveliamole anche questo! Come se non bastasse metterla a conoscenza di ogni nostra intenzione- scosse la testa, sorridendo per nulla divertito –Chi ce lo dice che non faccia il doppio gioco, eh? Sappiamo quanto Klaus sia subdolo, ce lo ha dimostrato svariate volte mi sembra, e noi siamo qui a svelare ad una perfetta estranea sbucata dal nulla praticamente ogni cosa!-

Stefan lo guardò compassionevole ma severo, prendendo in mano la situazione, mentre Caroline sbuffò seccata.

-Matt, è una mia amica non un’estranea, la conosco e so bene da che parte sta-

-Potrebbe essere stata soggiogata- buttò lì allargando le braccia, quasi fosse una cosa ovvia, sfidandoli a contraddirlo –O potrebbe mentirci e conoscere Klaus da molto più tempo di te, che ne sai. Io non mi fido. Probabilmente il libro è solo una scusa per farci perdere tempo, così intanto lei può fare i suoi comodi sporchi per quel pazzo-

A quel punto non potei trattenermi e scoppiai a ridere sotto lo sguardo sbigottito di tutti.

-Scusatemi- dissi, non appena mi fui ripresa –Ma è davvero ridicolo. I miei comodi sporchi? Pensi che un tipo come Klaus perda tempo ad infiltrare una sottospecie di spia nelle file nemiche?-

-Sembri conoscerlo bene, mi pare- insinuò, assottigliando lo sguardo.

Oh, non hai idea di quanto tu abbia ragione.

-D’accordo, chiariamo questa situazione ambigua una volta per tutte. Se davvero lavorassi per Klaus, a quest’ora ti ritroveresti con il collo spezzato senza neanche essertene accorto, avrei già strappato il cuore sia a Stefan che a Caroline, perché sono più vecchia di loro, e quindi più forte, e gli avrei portato Elena, come deduco desideri da ciò che mi state dicendo. Quindi, pensi davvero che se facessi il doppio gioco per Klaus, starei ancora qui a parlare?-

Stefan sorrise, intuendo che le mie parole avevano sortito l’effetto desiderato, così come Elena e Caroline, che, notai, mi guardò con una punta d’ammirazione.
Il ragazzo che intuii chiamarsi Matt, borbottò qualcosa prima di rinunciare, alzandosi con un sospiro.

-Va bene, fate come volete, ma io me ne vado- e detto questo imboccò la porta e se la sbatté alle spalle con violenza, lasciando che calasse un pesante silenzio tra di noi.

-Scusalo, è fatto così…è un cretino, ma non è cattivo. Gli passerà- sussurrò imbarazzata Caroline, sedendosi al mio fianco.

-Lo so, penso abbia solo molta paura. Ma chi non ne avrebbe? Anzi, è da lodare, pochi altri avrebbero avuto il coraggio di parlarmi così, un qualsiasi altro vampiro più orgoglioso e iracondo gli avrebbe staccato di netto la testa- sorrisi.

Caroline rise –Avrei in mente un soggetto simile…magari millenario e con un problemino con la luna-

-Ma quanta ilarità ragazzi, su fate ridere anche me, anzi…noi- quando mi voltai verso Damon fui sicura di sbiancare, mentre il sorriso mi si gelava sulle labbra esangui.

Appoggiato allo stipite della porta, una mano nella tasca del completo nero dal taglio costoso e l’altra placidamente abbandonata lungo il fianco, c’era Elijah.
Una statua sarebbe stata meno immobile di me, ne ero sicura. Se fossi stata umana, il cuore avrebbe cominciato a battermi furioso nel petto, il respiro sarebbe divenuto un affanno discontinuo ed irregolare e la fronte si sarebbe imperlata di goccioline gelate, ma ero un vampiro, per cui l’unico cambiamento fu quella mia immobilità assoluta, l’irrigidimento di ogni muscolo del mio corpo, l’annebbiamento totale della mente e quel peso sullo stomaco, molto simile ad un pungo, che mi creava un senso di nausea sempre più pressante.
In altre parole, terrore puro.
Deglutii la poca saliva che avevo in bocca mentre lo fissavo come un drogato fissa la migliore droga presente sul mercato.
I capelli erano più corti, le vesti moderne, ma per il resto era sempre lui, l’Elijah che avevo conosciuto quasi due secoli prima, quello di cui mi ero perdutamente innamorata. Aveva lo stesso portamento sfrontato e sicuro di sé, gli stessi illeggibili occhi scuri e la stessa espressione misteriosa che gli avevo visto la prima volta che l’avevo incontrato. Solo il sorriso era sparito, sostituito da una linea dura e severa, non trasudante nulla più che indifferenza.
Quando i suoi occhi si posarono su di me e la sua mascella ebbe un impercettibile guizzo, fui sicura di morire. Mille emozioni si mescolarono dentro di me, mille sentimenti, mille sfumature diverse: paura, amore, nostalgia, dolore, rabbia. Non riuscivo a sintonizzarmi su qualcosa di stabile, ero una trottola impazzita che ogni istante provava qualcosa di diverso e destabilizzante.
Quando poi, con una noncuranza che fu pari ad una stilettata dritta al cuore, voltò il capo verso gli altri, distogliendo come nulla fosse lo sguardo dal mio, per poco non caddi dalla sedia.
Com’era possibile? Come diavolo aveva potuto essere così…indifferente?
Sgranai gli occhi, trattenendomi dal non boccheggiare per puro buon gusto, prima di espirare lentamente un tremolante respiro, continuando a fissarlo scioccata .

-Che diamine ci fa lui qua?- Caroline assottigliò lo sguardo insospettita, fissando l’originario con circospezione mentre si faceva più vicina ad Elena, quasi a volerla proteggere.

-Non c’è bisogno che tu sia così guardinga, giovane Forbes, non ho intenzione di torcere un solo capello ad Elena-

Sentire quella voce, la sua voce, dopo duecento anni fu un colpo al cuore, a quel povero muscolo morto che era ancora in grado di sanguinare per lui.

-Non sta mentendo Barbie, ritira gli artigli, il nostro pezzo da museo è venuto a portarci liete notizie- scherzò Damon, per poi schiarirsi la voce ad una sua occhiata per niente amichevole.       –Volevo dire che girando l’ho incontrato, e a quanto pare ha delle novità da raccontarci- poi vagò con lo sguardo per la sala, fermandosi con un ampio sorriso su di me –Ma non pensavo avremmo avuto ospiti. Che piacere rivederti Nina, vieni a conoscere per la prima volta un Originario, su, sarà emozionante- ironizzò, allungando un braccio nella mia direzione con fare plateale.

In qualsiasi altra situazione avrei trovato la scenetta divertente, ma non quella volta.
Deglutii a vuoto, artigliando senza farmi notare la stoffa della poltrona, mentre Elijah rimaneva impassibile nella sua posa elegante, in piedi a pochi passi da me. Mi fissò, e nel suo sguardo vi lessi solamente il vuoto. Sembrava privo di emozioni, totalmente indifferente a tutto ciò che lo circondava, totalmente indifferente a me. Odiai quel suo sguardo freddo, gelido, lo sguardo di un uomo per cui nulla e nessuno ha valore, e per un attimo desiderai che mi sbattesse al muro, che mi urlasse addosso la sua rabbia, quella che, ero certa, fosse nascosta sotto quella scorza di noncuranza e passività, per un attimo desiderai  che mi artigliasse il petto e mi strappasse il cuore, tutto purché reagisse. Ma rimase immobile, guardando me o un punto imprecisato sopra la mia spalla, trasmettendomi null’altro che il gelo.
Possibile che questi due secoli fossero bastati per dimenticarsi di me? Per dimenticare l’amore che provava, ed anche l’odio scaturito dal mio tradimento? Possibile che avesse cancellato proprio tutto?
Alla fine mi alzai, credendo di traballare sui tacchi, ma percorsi incolume la distanza che ci separava fissando ostinatamente il pavimento in legno.  Solo quando me lo trovai di fronte osai alzare la testa, ritrovando quello sguardo illeggibile a perforarmi intensamente.
Fui davvero tentata di urlargli contro che diavolo avesse, se mi avesse dimenticata, e con me avesse dimenticato anche l’amore e l’odio che ci avevano legati, ma mi limitai ad alzare la mano tremante per farmela stringere, così da non destare alcun sospetto negli altri.

-Nina- dissi solamente, e già quell’unica parola mi costò uno sforzo immane che prosciugò la scarsa riserva d’aria accumulata faticosamente nei polmoni da quando era entrato nella stanza.

Poi accadde l’inaspettato.
Invece di stringerla la voltò e si chinò a sfiorarne il dorso con le labbra, in un deja vù dolorosamente vivido che mi procurò un’acuta fitta alla bocca dello stomaco.
Non può essere…
Quando si rialzò, le labbra erano piegate in un sorriso in cui vi lessi solo macabra ironia amara incapace di contagiare gli occhi, duri, severi, spietati.
La tentazione di tirare via la mano con forza fu acuta, irresistibile. Ma rimasi immobile, gelata in quella posizione, gli occhi appena sgranati e la mascella contratta.

-E’ un onore- sussurrò apparentemente galante, ed io sprofondai in quelle tre parole cariche di significati nascosti, affondai senza via d’uscita soffocata dalla consapevolezza di ciò che realmente significavano.

Elijah era lì, ad un passo da me, teneva gentilmente una mia mano nella sua e mi guardava in un modo così devastante che ebbi voglia di urlare, o di piangere.
Elijah era lì, e mi odiava.

 

 

 

- - - Angolo dell’autrice - - -

Tadaaaaa! Eccomi qua, con…beh diciamo un po’ di giorni di ritardo (sempre meno della scorsa volta faccio notare :P) a presentarvi questo tormentato capitolo. Tormentato perché avevo mille idee per scrivere l’apparizione di Elijah, ma alla fine dovevo sceglierne una ed eccola qua. Sinceramente non lo so, dato che l’ho scritto ieri sera, un quarto d’ora prima di andare a dormire, quanto le mie facoltà mentali abbiano reso l’idea di come mi immagino il mio bell’Originario, non so se vi soddisfa, se vi aspettavate questo (ok beh, ammettetelo, proprio questo no eh? Nina vi aveva fatto una testa così tra cuori strappati e teste mozzate, il baciamano non lo pensavate proprio su XD) o se preferivate altro. Insomma, ho paura di come potete vederlo voi.
Intanto partendo dall’inizio, il flash sul primo incontro spero non vi abbia deluse, quel suo “cadergli ai piedi” l’ho ritenuto normale, era umana, giovane, era un’altra epoca, e lui era intrigante, molto. Inoltre non so se si è capito, ma non è che l’ha visto e ha detto “oddio mi sono innamorata”, semplicemente ne è rimasta affascinata, e a distanza di anni sostiene che è da quel momento che ha iniziato ad amarlo, perché erano fatti l’una per l’altra, e anche senza conoscerlo già era completamente “cotta” di lui alla prima occhiata.
Poi poi poi….ah si! Matt. Premetto che quel ragazzo non l’ho mai particolarmente sopportato, ma pareri personali a parte, mi serviva un bastian contrario che scaldasse un po’ l’atmosfera e permettesse di far uscire il caratterino della nostra protagonista, quindi diciamo solo che la scelta non è stata così ardua XD
E duclis in fundo…Elijah! Eccolo qua, in tutta la sua freddezza, imponenza e classe. Ma sinceramente, credevate davvero che l’avrebbe appesa alla parete non appena l’avesse vista? Certi scatti impulsivi ed iracondi lasciamoli a Klaus, per il momento, stiamo parlando di Elijah, la compostezza fatta persona, l’autocontrollo puro, non avrebbe mai fatto una scenata davanti ai Salvatore&Co., o almeno così la penso io :) Sinceramente non vorrei essere nei panni di Nina, perché col caratterino che si ritrova una scenata l’avrebbe saputa affrontare (abbiamo visto con Klaus) ma questo…brutta bestia l’indifferenza totale ù.ù
Mmmm ok penso di aver detto tutto, ora passiamo ai ringraziamenti, perché caspiterina mi sono accorta che le recensioni aumentano! :D Credo di essere la persona più felice di questa terra :D Quindi ringrazio tutte coloro che hanno continuato a recensire, le nuove recensitrici, le lettrici silenziose che mi hanno aggiunta tra seguite/preferite/ ricordate e tutte quelle che perdono un po’ di tempo nel leggere i miei deliri.
Spero di vedere ancora tante recensioni, anche per sapere cosa ne pensate, qualche vostra idea…accetto pure i pomodori eh:)
Un bacio, alla prossima
Deademia

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Capitolo 4
*** Quando l'amore diventa odio ***


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4. QUANDO L’AMORE DIVENTA ODIO

 

“L'odio sembra capace più dell'amore di serbare memoria”

(Sergio Quinzio)

 

 

 

Che fossero passati minuti, secondi, o ore intere poco mi importava, stare seduta con la schiena rigida e le unghie conficcate nei palmi delle mani su di una poltrona che aveva le sembianze di un enorme macigno magnetico che mi impediva qualunque tentativo di districarmi da quell’inconveniente situazione, faceva comunque apparire il tempo un’interminabile condanna dalla fine imprecisata e dalla consistenza decisamente opprimente.
Essere lì, ad un metro da un calmo e pacatissimo Elijah, era opprimente.
Dopo quella “presentazione” innocente ad occhi estranei Damon l’aveva interrotto chiarendo a tutti che le famigerate novità richiedevano l’immediata attenzione, tanto che senza neanche accorgermene mi ritrovai nuovamente seduta compostamente sulla poltrona, in apparente aspettativa come tutti gli altri.
Elena, alquanto allarmata riuscii a constatare dopo che un barlume di senno si rimpossessò della sua parte designata nella mia mente, chiese cosa stava accadendo e Stefan gli si avvicinò scuro in volto, certamente preoccupato di un possibile subdolo piano di Klaus o altro.
Io mi chiesi invece come mai Elijah fosse proprio , in casa del nemico, soprattutto dopo il tiro mancino che la doppelganger gli aveva rifilato tradendo la sua fiducia, a spifferare i possibili piani di Klaus.
Impossibile.
Sicuramente c’era ben altro per abbassarsi a rivolgere loro la parola, calpestando il suo orgoglio che certamente non gli avrebbe permesso di rapportarsi così amichevolmente con chi l’aveva spudoratamente fregato senza tanti rimorsi e rimpianti, e addirittura aiutandoli, sfavorendo così la propria fazione.
Le sue parole confermarono i miei sospetti.

-Non sono certamente qui per aiutare voi, questo spero almeno che siate stati in grado di intuirlo, ma perché tra di voi c’è la chiave del nuovo piano che temo stia tramando mia madre-

-Puoi parlare meno per enigmi?- lo interruppe subito Damon con aria strafottente. Pessima mossa.

-Se me ne dai il tempo, forse riuscirò a spiegarti come stanno le cose Damon. Dubito che interrompendomi trarrai conclusioni logiche- sorrisi appena, mentre Elijah schioccava seccatamente la lingua sul palato, gettandogli un’occhiata di sufficienza. Dopo tanti anni ero ancora in grado di prevederlo, di capirlo, ero orgogliosa di me stessa. E del legame che ci univa.

-Stavo dicendo…temo che mia madre stia nuovamente tramando qualcosa a discapito nostro, non ne sono certo, questo lo ammetto, ma dopo il fallimento del suo precedente piano ho buone ragioni di credere che farà un nuovo tentativo per sterminarci, e con noi ogni vampiro- sorrideva misterioso mentre parlava, ma non mi fregò. La conoscevo quell’espressione, la stessa di quando mi raccontò della sua famiglia, era tristezza, delusione, era tormento malcelato da un’ironia sottile e superficiale, inappropriata e per nulla convincente. Soffriva Elijah, lo sapevo dalla sua mascella contratta e da quella ruga sulla fronte pallida, ma lo nascondeva con una maestria dettata dall’esperienza di mille anni. Era bravo ad ingannare la gente, glielo avevo sempre detto.

-E noi in tutto questo cosa c’entriamo? Perché sei qui Elijah?- fu Elena a parlare, avvicinandosi di un passo e posizionandosi al fianco di Stefan, che le cinse un fianco con possessione e protezione.

 Una fitta d’invidia mi trafisse il petto, piccola ma percepibile. Li invidiavo, sì, in quel momento più che mai, perché anche noi eravamo così un tempo, anche noi non riuscivamo a stare lontani, a non cercarci con lo sguardo, a non bramare quei casti contatti quotidiani. Ora invece, dopo secoli di lontananza, sembravamo due perfetti estranei, era inutile tentare di affermare il contrario. Certo, forse riuscivo ancora a leggere tra le righe le sue emozioni, per quanto quel suo essere enigmatico me lo permettesse, ma nulla più. Temevo costantemente di incrociare il suo sguardo e leggervi nuovamente null’altro che il gelo e l’indifferenza più nera, temevo di vedere quegli occhi spenti posarsi su di me con la stessa intensità con cui si posavano sulle sue vittime, e temevo il contatto con la sua pelle, perché ero certa che, vampiro o meno, le mie gambe avrebbero ceduto e lui non avrebbe mosso un muscolo per aiutarmi. Ma ero salva, salva da ognuna di queste situazioni, perché mi ignorava. Parlava leggermente voltato verso Stefan, guardava tutti, persino Caroline e quell’incosciente di Damon, ma non aveva mai posato gli occhi nella poltrona sulla quale sedevo, si muoveva, ma tenendosi sempre, costantemente a debita distanza da dove mi trovavo io. Sembrava non vedermi, o non volermi vedere. Probabilmente l’odio, il disprezzo nei miei confronti era tale da non potermi neanche degnare di un briciolo di attenzione, fosse poi questa spesa con urla e sfoghi rabbiosi, ma quella situazione se da una parte mi feriva a livelli inimmaginabili, dall’altra stava facendo accrescere una punta di collera, lieve ma fastidiosa.
Quel suo essere così composto, così impeccabile e gelido, quel suo essere nobile persino nell’irradiare il peggiore dei sentimenti, mi innervosiva come poche cose, tanto che ero immensamente tentata di alzarmi per posizionarmi ad un palmo dal suo naso, giusto per vedere se anche in quel caso non avrebbe fatto una piega, se solo il gesto non fosse stato tanto puerile.
Mentre facevo queste considerazioni, non riuscii a staccare lo sguardo la suo volto, così potei notare l’espressione a metà tra lo sdegnoso e l’irrisorio che assunse nel rivolgersi ad Elena. Decisamente non aveva preso bene il suo scherzetto assieme ad Esther.

-Odio ripetermi, ma mi sembrava di essere stato chiaro quando ho detto che voi con ogni probabilità avete la chiave del suo nuovo piano- soffiò con aria apparentemente stanca.

-Sarebbe?- chiese Caroline seccata. Una parte di me poteva capirla, Elijah quando decideva di comportarsi a quel modo risultava veramente odioso, o dannatamente e esasperante a seconda dei casi.

-Sarebbe, giovane Forbes, la vostra amica strega. Bonnie, giusto?-

-Cosa diavolo c’entra lei con Esther adesso?-

-Probabilmente nulla, o forse tutto. Ribadisco, non conosco i piani di mia madre, non so cosa potrebbe mai avere in mente, ma so che ha intenzione di fare qualcosa, e penso abbia bisogno dell’aiuto di un’altra strega. Bonnie è la candidata migliore-

-Se parli così, qualcosa devi sapere per forza- lo accusò Stefan con tranquillità, ma tenendosi comunque in guardia. Capibile. Elijah era noto per la sua poca sopportazione delle accuse rivolte nei suoi confronti, ed ancor più per la sua immensa differenza dal fratello: se Klaus nei suoi scatti d’ira con conseguenze pari alle distruzioni di massa risultava prevedibile, Elijah no, la sua immutabile calma era uno scudo che lo rendeva imprevedibile ed egualmente temibile, se non di più, al fratello.

-Forse- ammise con una lieve increspatura arrogante delle labbra –Ma per ora non vedo il motivo di informarvi di nulla. Vi basti sapere che Bonnie potrebbe essere una candidata per il compimento della distruzione della nostra razza, confido nelle vostre azioni d’ora in poi, sperando che la terrete d’occhio ed eviterete ogni avvicinamento da parte di mia madre, sotto qualsiasi forma esso possa avvenire-

Vidi Stefan tentennare, prima di parlare nuovamente.

-D’accordo, faremo come dici tu, terremo d’occhio Bonnie e chi le graviterà attorno d’ora in poi, ma dacci la tua parola che per qualsiasi sviluppo ci terrai informati-

Elijah alzò prepotente un sopracciglio.

-Perché dovrei? Non vi devo nulla, tutt’altro,  siete già stati graziati dal fatto che sono venuto qui ad informarvi di questo. Inoltre sono affari di famiglia-

-Non sono affari di famiglia, c’entriamo tutti in questa faccenda, non puoi pretendere che rimarremo in disparte in caso di un nuovo accatto da parte della tua pazza mammina fan di Van Helsing. Se uno di voi tira le cuoia, c’è il rischio che moriamo anche noi, ed è un rischio che, spiacente, non ho nessuna intenzione di correre. Ci tengo alla mia eternità- sbuffò Damon acido.

Elijah lo fissò per un mo mento in silenzio, probabilmente valutando la veridicità delle sue parole. Ero sicura che se davvero Esther stava tramando qualcosa, certamente un aiuto in più non avrebbe scomodato, e lo sapeva bene persino lui anche se li aveva definiti affari di famiglia, inoltre era vero, c’eravamo dentro tutti quanti fino al collo quando si trattava di attentati agli Originari.
Alla fine sospirò appena, lievemente scocciato giudicai.

-Va bene, se lo riterrò necessario, vi metterò al corrente dei piani di mia madre. Per ora limitatevi ad adempiere al compito che vi ho affidato e non tirare fuori altre pretese-

Vidi Stefan annuire e capii che la questione si era chiusa così.
Rimasi abbastanza basita dal fatto che in tutto quel tempo ero rimasta silenziosamente in disparte, immobile e muta di fronte a quello scambio di battute nel quale non avevo neanche tentato di inoltrarmi. Probabilmente fu meglio così, non osavo immaginare cosa avrebbe potuto ribattere Elijah ad un mio possibile intervento.
Il suono di un cellulare mi distrasse.

-Dimmi Alaric-

-Stefan, qui sembra ci siano novità. Puoi parlare?-

Stefan gettò una veloce occhiata ad Elijah, che ricambiò con pacata curiosità.

-Arriviamo- disse solo, senza realmente rispondere, per poi riattaccare.

-Spero per voi che non stiate tramando nulla contro la mia famiglia. Sapete bene che non avete alcuna speranza di vittoria, i precedenti parlano chiaro- Elijah assottigliò lo sguardo arrogante, sputando quelle parole velate di un’inconsistente minaccia con eleganza e tranquillità. Poi sospirò, gettando un’occhiata all’orologio e parlando prima ancora di ricevere risposta –Ora si è fatto tardi, e anche voi mi sembrate parecchio impegnati-

-D’accordo. Elena, vieni?- Stefan aveva già raggiunto la porta, seguito da Damon, prima di voltarsi nella nostra direzione.

-Si, intanto voi andate, vi raggiungo dopo. Prima devo fare una cosa-

Stefan la fissò dubbioso, nello sguardo la muta domanda riguardo alle sue intenzioni, ma fu liquidato da un’occhiata seria e determinata che fu accolta con piccolo cenno del capo.

-Ok. Nina, noi ci vediamo oggi pomeriggio se non hai altri impegni, anche perché volevo discutere con te di una cosa, ma non ce ne è stato il tempo-

-D’accordo, ci vediamo dopo- sorrisi a Stefan, che ricambiò prima di uscire.

Caroline mi si avvicinò, radiosa.

-E’ stato davvero un piacere conoscerti, Nina, mi dispiace solo che siamo stati interrotti- gettò una veloce occhiataccia ad Elijah, che notai con la coda dell’occhio era stato fermato da Elena –Comunque spero di poter passare del tempo assieme, hai già fatto un giro?-

-Veramente no, non ne ho avuto ancora il tempo…-ammisi con un sorriso imbarazzato.

-Oh fantastico! Allora quando oggi finisci con Stefan fammi uno squillo, ti passo a prendere e ti faccio conoscere un po’ la città. Sai i locali carini, i negozi più belli…certo non è Parigi, ma ti dovrai pur ambientare prima o poi- sorrise euforica, sicuramente nella sua testa già progettava tutto il tour che avrebbe messo in atto -Tieni, questo è il mio numero- lo scrisse velocemente su di un foglietto recuperato da un mobiletto lì accanto e me lo passò –Se hai anche bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi, d’accordo?-

Sorrisi, era così contagiosa la sua euforia che per un attimo mi scordai di tutta la tristezza provata fino a quell’istante, di Elijah che era ancora in quella stessa stanza, e del fatto che non mi aveva ancora realmente rivolto la parola, o lo sguardo.

-Ok, grazie Caroline. Sei davvero una ragazza fantastica-

-Cerco solo di non farti sentire sperduta, d’altronde non conosci nessuno se non Stefan- si strinse nelle spalle, come a minimizzare la questione -Beh ora scappo, mi raccomando oggi chiamami-

-Certo, buona giornata-

Quando anche lei se ne fu andata decisi che era arrivato il momento di tornare al B&B. Mi voltai e vidi che Elena stava ancora parlando con Elijah, voltato di spalle e sempre più intenzionato ad ignorarmi. La stretta allo stomaco si acuì e fui tentata di andarmene senza dire nulla. Stavo per uscire quando uno scambio di battute mi bloccò sul posto, allarmandomi.

-Elijah, devi dirmelo! Io devo saperlo se le persone che amo sono in pericolo!-

-Devo, Elena? Non mi pare che io devo nulla nei tuoi confronti, ringrazia piuttosto che sia venuto fin qui ad avvisarvi, invece di risolvere la questione uccidendo la tua amica ed evitando così futuri pericoli. Non mi pare tu sia nella condizione di dettare pretese, o sbaglio?- sgranai gli occhi nel sentire quel tono gelido e accusatorio, leggermente collerico, mentre le si avvicinava d’un passo, minaccioso, gelandola sul posto.

Mossa da non so quale forza superiore decisamente incosciente  tornai indietro.

-Ehi, cercate di darvi una calmata- dissi, quasi frapponendomi fra i due e sospingendo indietro un Elena reticente.

Ero stata una sciocca, in primo luogo perché effettivamente Elijah non le avrebbe torto un solo capello, la sua era tutta una tattica per intimorirla ma non si sarebbe mai azzardato ad alzare una mano su di una ragazza, per di più umana, non era nel suo stile; e in secondo luogo perché se anche non fosse stato così non avrebbe certamente dato retta a me, e men che meno io avrei avuto la forza fisica per fermarlo. Peccato che tutti questi ragionamenti li avessi fatti solamente dopo.
Era calato il silenzio. Sentivo Elena trattenere il fiato, probabilmente ancora intimorita dalla reazione del vampiro (una parte di me registrò che con ogni probabilità quella era la prima volta che lo vedeva rivolgersi in maniera tanto sgarbata a lei) mentre io abbassavo le mani che istintivamente avevo alzato nella mia spettacolare entrata in scena.
Non guardavo esattamente il suo volto, bensì un punto imprecisato tra il nodo della cravatta e il mento, ma lo potei sentire lo sguardo che mi riservò non appena entrai nel suo campo visivo. Anche senza alzare la testa, percepii quegli occhi neri trapassarmi da parte a parte. Deglutii a vuoto e mi ostinai a non fissarlo apertamente, non sarei mai riuscita a reggere quegli occhi gelidi. Ma al suono della sua voce, amaramente divertita e velata d’ironia, non potei che alzare la testa di scatto, fissandolo confusa.

-Che coincidenza- soffiò con un angolo delle labbra piegato verso l’alto. Non c’era felicità in quell’espressione né divertimento, solo tanta amarezza e disprezzo, mischiate alla consueta nota di noncuranza.

Aggrottai la fronte specchiandomi in quegli occhi neri ora fissi sul mio volto, e cercai di capirne il significato, ma era così difficile ragionare a meno di un palmo dal suo viso, quando potevo  chiaramente percepire il suo respiro freddo infrangersi sulla mia pelle, respiro che aveva lo stesso profumo ammaliante di due secoli prima: gelsomino. Sbattei le palpebre, annebbiata dai ricordi e da lui, e misi nuovamente a fuoco la sua espressione apparentemente indifferente fissa su di me.
E’ questo l’effetto che ti faccio Elijah? Mi odi a tal punto da credere che la violenza fisica non basti? Che serva questo per distruggermi?
Lo pensai solamente, ma un guizzò nei suoi occhi scuri mi fece capire che aveva intuito i mille dubbi muti e nascosti che tormentavano la mia mente dal moment in cui lo avevo rivisto. Ma era stato troppo veloce, troppo sfuggevole per non credere che fosse solamente il frutto della mia fervida e suggestionabile immaginazione.

-Che vuoi dire?- le parole uscirono dalla mia bocca prima che ne prendessi realmente il controllo. Ero sempre stata impulsiva, dote che se molte volte poteva giocarmi a favore, altrettante risultava un’arma a doppio taglio. Ricordo che un tempo anche lui me lo disse, in un giorno soleggiato di metà settembre.

 

Eravamo in giardino, nella vasta tenuta di mio padre, il sole cominciava a calare all’orizzonte tingendo ogni cosa di mille sfumature diverse dalle tonalità più calde. Per essere già settembre l’aria era ancora tiepida e mi permetteva di aggirarmi tra i fiori ormai al termine della loro breve vita con solamente una leggera mantellina a coprirmi le spalle. Elijah camminava silenzioso al mio fianco, tenendo con pazienza il mio passo lento mentre affascinata mi soffermavo su ogni cosa che mi circondava: fiori di cui non conoscevo il nome, insetti dai colori più strani, cervi in lontananza che sgambettavano tra le secolari querce della foresta ai limiti del giardino.

-Guardate! Guardate questo! Chissà come si chiama...è così bello, non trovate?- mi chinai sul fiore dalle tonalità violacee, accarezzandone i petali setosi con la punta delle dita prima di alzare lo sguardo sull’uomo che si era fermato vicino a me, sorridendogli.

 Il sole alle suo spalle creava un’aurea di luce tutt’attorno alla sua figura tale da farlo sembrare una creatura divina. Mi persi a metà strada tra il suo sorriso gentile che mi rivolse e quegli occhi scuri che mi fissavano quasi inteneriti, desiderando solamente bloccare il tempo in quell’istante perfetto e magico.
Con un sospiro inudibile ringraziai Dio di avermelo fatto incontrare.

-E’ un’orchidea macchiata, abbastanza rara in effetti. Annusatela, dicono che sappia di vaniglia- sotto il suo sguardo intenso chinai il volto sul fiore e socchiusi gli occhi, sorridendo imbarazzata. Un profumo dolciastro mi invase le narici, facendomi spalancare gli occhi.

-E’ vero…Elijah, avete la capacità di stupirmi sempre- constatai rialzandomi e scrollandomi i fili d’erba dalla gonna dell’abito –Come fate a sapere tutte queste cose?-

-Nina, forse voi siete solamente troppo ingenua. Avete mai pensato che potrei semplicemente imbrogliarvi?-

Lo fissai per un attimo seria, concentrandomi sul suo volto, su quell’espressione divertita e su quei magnetici occhi neri, prima di aprirmi in un sorriso.

-No, non credo siate un uomo che deve ricorrere a simili trucchetti puerili per incantare la gente. Forse avete i vostri segreti, come tutti d’altronde, ma sento che dite il vero quando mi parlate-

Rimase in silenzio a guardarmi, le mani in tasca  e un’espressione illeggibile, lontana da quella scanzonata di poco prima, dipinta in volto, prima di staccare gli occhi dai miei e fissarli lontano, là dove il sole iniziava a calare.

-Vi affidate troppo al vostro animo buono, sapete? Cercate di vedere il meglio in tutto ciò che vi circonda-

-Può darsi, ma non sempre è un male-

Sorrise appena.

-Ribadisco, voi siete davvero ingenua-

Invece di arrabbiarmi risi, cercando di alleggerire quella strana atmosfera che si era creata.

-E voi estremamente modesto-

Rise anche lui, tendendomi il braccio per invitarmi a proseguire la camminata.

-Siete la prima che afferma una cosa simile-

-Forse sono la prima che tenta di capirvi davvero allora- subito dopo aver detto quelle parole arrossii visibilmente, fissando imbarazzata le punte delle scarpe che sbucavano dal vestito ad ogni passo. 

Quando capii che non avrebbe commentato mi azzardai a gettargli una breve occhiata, notando con stupore ed altro imbarazzo il suo sorriso mentre fissava d’innanzi a sé.
Rimanemmo in silenzio per un bel pezzo, io gettandogli di tanto in tanto occhiate incuriosite e lui fissando il cielo all’orizzonte, con sguardo pensieroso.
Ogni tanto il pensiero del motivo per cui era lì assieme a suo fratello sbucava nella mia mente, e con esso il dubbio di quando sarebbero partiti. D’altronde erano lì per una visita di piacere, una sosta nel loro lungo viaggio, non si erano certamente trasferiti né avevano l’intenzione di farlo, e ciò era in grado di farmi cadere nel baratro della disperazione più nera. Possibile che ero diventata in poco tempo così dipendente da lui? Possibile che una persona tanto estranea era diventata una simile costante indispensabile della mia vita?
Avvolta da quei tristi  pensieri non mi accorsi che ci eravamo fermai fin quando non mi sentii strattonare delicatamente per il braccio.

-Qualcosa vi turba?-

Sbattei ripetutamente le palpebre, sobbalzando per quell’improvviso e brusco ritorno alla realtà, e mi soffermai sulla sua espressione crucciata e preoccupata.
Sorrisi timidamente, scuotendo la testa.

-Nulla di importante- alla sua occhiata scettica mi aprii in un sorriso sincero –Dico davvero!- risi per distrarlo e mi guardai attorno, adocchiando ai margini di un pendio che dava su un piccolo ruscello a qualche metro di profondità un altro fiore dai colori sgargianti che faceva bella mostra di sé in tutto quel verde. Senza pensarci mi staccai dal braccio di Elijah, che mi fissò confuso, e corsi in quella direzione, decisa a raccoglierlo, o quantomeno osservarlo da vicino.
Nel mio scatto non avevo però messo in considerazione né le mie scarpette, decisamente poco adatte a quel terreno umido e scivoloso, né il  suddetto terreno, che là dove cadeva a picco verso il piccolo corso d’acqua era parecchio franabile e poco resistente.
Per questo quando arrestai la mia corsa, il piede scivolò su di una zolla traballante, che cadde giù nel vuoto facendomi pericolosamente perdere l’equilibrio. Non riuscii a cacciare nemmeno un urlo che un braccio mi circondò la vita, attirandomi verso un corpo solido e impedendo così la mia rovinosa caduta.
Sentii le guance andare a fuoco mentre realizzavo che il corpo non era altro che quello di Elijah, miracolosamente comparso alle mie spalle al momento giusto.
Provai ad articolare qualcosa,ancora stretta dal suo braccio,  ma le mie facoltà di parola erano state arrestate da quella vicinanza troppo…vicina, così rimasi immobile, rossa come il tramonto che stava giungendo al termine, a boccheggiare con lo sguardo che fissava tutto fuorché lui.

-Sapete, credo di dover riformulare…non siete solamente ingenua, ma anche straordinariamente impulsiva- soffiò lui divertito al mio orecchio, ignorando il mio imbarazzo –E vi posso garantire che questa è una dote a doppio taglio-

Quando capì che i miei balbettii e respiri mozzati non avrebbero portato a nulla, si decise a mollare la presa, lasciando lentamente la mia vita e allontanandosi di un passo, sempre con quel sorriso enigmatico e leggermente divertito ad illuminargli il volto.
Prendendo un bel respiro, mi azzardai ad incrociare il suo sguardo.

-G-Grazie…- sussurrai, avvampando nuovamente come una ragazzina e fissando un punto imprecisato sopra la sua spalla.

-Dovere- sorrise, porgendomi poi il braccio, che afferrai riluttante –Credo che sia ora di tornare dentro, che ne dite?-

-Si…io…penso sia una buona idea- commentai, aggrottando la fronte e abbassando lo sguardo, mentre il ricordo del suo profumo intenso, di gelsomino, mi ritornava alla mente.

 

Il suono della sua voce mi riscosse, facendomi tornare bruscamente al presente mentre i ricordi si affievolivano sino a scomparire come impalpabile nebbiolina.

-Nulla…mi ricordi solamente una persona che tanto tempo fa fece una cosa simile-

-Che cos…oh- mi bloccai sgranando appena gli occhi, mentre il senso della sua enigmatica constatazione si faceva largo in me. L’avevo rifatto di nuovo, non propriamente con la stessa persona ma con la sua copia spudorata, e senza neanche accorgermene. L’aveva nuovamente “protetta” da lui, e proprio sotto i suoi occhi. Che razza di sciocca…

Sorrise appena, un sorriso freddo e amaro, quasi deluso, un sorriso cattivo che mi pugnalò al cuore, bloccandomi lì dov’ero. Possibile che qualunque cosa facessi, qualunque cosa dicessi con lui mi si ritorceva sempre contro? Era passata poco più di un’ora da quando l’avevo rivisto e già avevo fatto la prima mossa falsa, una tra le più stupide e dementi che potessi fare.
Una vocina mi disse che erano solo idiozie, che era lui quello che non capiva, che non aveva mai capito, che non potevo farmi condizionare tanto da lui e da ciò che era accaduto, perché era ingiusto e insensato, ma il senso di colpa era troppo grande per starlo a sentire, per questo abbassai lo sguardo sconfitta, vergognandomi nuovamente e accatastando quel barlume collerico di sensatezza che mi diceva di ribellarmi e di urlargli in faccia ciò che pensavo, tutto il dolore che avevo provato, tutta la sofferenza e la disperazione nella quale mi aveva gettato andandosene e condannandomi. D’altronde quando si ama si tende a compiere un errore dietro l’altro, no?

-Elijah...- provai a dire, ma fui bruscamente interrotta da lui, che a quel punto aveva spostato lo sguardo da me ad un punto alle mie spalle, cambiando leggermente espressione, levandosi quella maschera di indifferenza e amarezza, delusione e quel qualcos’altro che la rendeva insopportabile e mettendone una di una pacata calma.

Mi ricordai in quell’istante che alle mie spalle c’era ancora Elena, rimasta in silenzio per tutto quel tempo.

-Elena, non abbiamo altro da dirci. Ho già detto che vi terrò informati se lo riterrò necessario, ma non insistere mettendo a dura prova la mia pazienza, non è infinita-

-Io…d’accordo, come vuoi Elijah-

Lo vidi annuire con la coda dell’occhio, mentre mi spostavo per non intralciarli, ma soprattutto per non restargli ancora così vicina, non dopo quel nuovo scontro appena finito.

-Buona giornata- disse prima di sparire, senza guardarsi indietro, senza più rivolgermi neanche l’ombra di uno sguardo e lasciandomi lì, a crogiolare nel mio dolore nuovamente attizzato da lui.

Odiavo quella sua indifferenza, quella sua freddezza e cattiveria nei mie confronti. Odiavo non sapermi più rapportare con lui, non riuscire più a tenergli testa come un tempo, soffocata da sensi di colpa che a ben vedere non avrei dovuto provare ma che con lui sorgevano spontanei.
Odiavo quella situazione.

-Nina?- Elena mi chiamo, un’espressione dubbiosa dipinta in volto mentre fissava me e poi il punto da dove Elijah era scomparso. Capii cosa voleva chiedermi all’istante, e mi diedi della stupida per essere stata così incosciente da avergli mostrato quello spettacolino senza neanche accorgermene.

-Si?-

-Sicura di non conoscere Elijah?-

Risi, più che altro per mascherare il nervosismo, e la guardai negli occhi.

-Credo che e me ricorderei, se davvero conoscessi un Originario-

-Si ma…non so per come parlavate…- aggrottò la fronte, cercando di capire.

-L’ha detto anche lui, che gli ho ricordato una persona che conosceva- mi strinsi nelle spalle, cercando di chiudere il discorso senza destarle troppi sospetti.

Elena sorrise, imbarazzata.

-Già scusami…è che mi sembrava…vabbè non farci caso, sono tempi in cui tutto mi rende paranoica- rise come per scusarsi.

-Tranquilla, posso capirlo- sorrisi rassicurandola –Allora vado, ci vediamo in giro-

-D’accordo, a presto- mi salutò con un gesto della mano, ma prima che potessi chiudermi la porta alle spalle mi richiamò.

-Ah Nina!-

-Dimmi-

-Grazie per avere cercato di proteggermi, prima-

-Non c’è di che, anche se ammetto che è stata una mossa un po’ azzardata. Non avrei potuto fare granché contro un Originario-

-E’ stato comunque gentile il tentativo- sorrise, ed io con lei, prima di salutarla ed uscire.

Quando raggiunsi la macchina appoggiai la testa al seggiolino, chiudendo gli occhi e respirando piano. Tutta l’agitazione, il tormento, il dolore, la rabbia e la tristezza trattenute fino a quell’istante sfociarono in un'unica lacrima silenziosa che mi rigò la guancia prima di cadere nel vuoto.
Vedere Elijah, dopo duecento anni era stato un vero colpo,quello indubbiamente, ma vederlo così freddo e schivo nei miei confronti, così indifferente e spietato era stato anche peggio. Forse avevo sbagliato ad accettare di venire lì, forse rimanere nel dubbio di come avrebbe mai potuto reagire sarebbe stato meglio, meno doloroso, meno soffocante.
Percepire tutto quell’odio e capire che me lo stava riversando addosso stillandolo sotto forma della più completa indifferenza era stato atroce, ingestibile. Io lo amavo, dopo tutto quello che avevo passato, dopo i secoli passati a maledire il giorno in cui lo avevo incontrato, in cui mi ero innamorata di lui, lo amavo ancora, ma la convinzione che per lui ormai non ero altro che una traditrice da punire si concretizzò di colpo.
Klaus aveva ragione, non mi avrebbe mai perdonata.

 

 

- - - Angolino dell’autrice - - -

Ehm ehm….questa è tuuuutta un’illusione, il mio non è assolutamente un ritardo, adesso conterete a ritroso da 10 e allo 0 capirete che non sono realmente passate più di due settimane dalla mia ultima pubblicazione…
Ok ok bando agli scherzi, cercate di placare i vostri istinti omicidi almeno per i prossimi 5 minuti, giusto il tempo di finire di leggere le note, e dopo mi offrirò a voi così potrete fare di me ciò che volete (la melodrammaticità è il mio forte non so se si è capito XD)
Allora…questo capitoletto non ha una vera sostanza poderosa, insomma è un po’…di passaggio diciamo. Non succedono chissà che fatti né si risolve nulla, viene solo presentato meglio Elijah, c’è quel flash su di un momento tra lui e Nina, un ricordo praticamente, e  si capiscono meglio le intenzione del bell’Originario con la nostra povera protagonista. Eh già, la linea del “ti ignoro così ti faccio soffrire” continuerà per un bel po’, sapete Elijah è un tipetto piuttosto testardo ed orgoglioso quando ci si mette. Per quanto riguarda Nina…ora non vorrei che la inquadraste come una piagnucolona priva di spina dorsale che non sa far altro che piangersi addosso, perché non è assolutamente così…solo che mi sembra normale che reagisca così, dopo 200 anni che non vede l’uomo che ama e se lo ritrova davanti in tutto il suo splendore e la sua stronzaggine, intento ad ignorarla bellamente…Con i prossimi capitoli diciamo che anche lei tirerà fuori il suo caratterino, una volta ripresa dallo shock.
Uhm…poi poi poi…ah si, Esther. Ovviamente la mammina da premio dell’anno non poteva starsene con le mani in mano ancora per molto vero? Si lo so sono sadica, però ci vuole qualcuno che smuova le acque. Certo ancora sono solo sospetti, ma già dai prossimi capitoli si capirà cosa la sua subdola mente sta tramando (dico solo che mi sono mooooooolto ispirata alla quarta stagione).

Ora, so che diciamo metà storia è ancora un incognita, tipo il passato di Nina, questo benedetto tradimento e altri fattori vari, ma keep calm XD tutto verrà spiegato a suo tempo, per adesso vi lascio navigare nelle vostre congetture che ormai ammettetelo si stanno decisamente avvicinando alla realtà, non è più così difficile da capire su :)
Bene, aggiungo che penso che questo capitolo faccia un po’…beh schifino ecco. Non mi convince per nulla, mi sembra superficiale e privo di spessore ma vabbè, ormai è scritto quindi a voi il supplizio di leggerlo…
Grazie infinite per i commenti dello scorso capitolo, sono stata così felice di vedere che continua a piacere (con questo ovviamente tutto crollerà a picco, già me lo sento…), e un grazie speciale ad Elyforgotten che mi ha citata nelle note del suo ultimo capitolo:)
Un bacio a tutte, spero di sentirvi nelle recensioni :)

Deademia

 

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Capitolo 5
*** Visite Inaspettate ***


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5. VISITE INASPETTATE

 

 “La medesima persuasione che ci incoraggiò a credere che nessun male è eterno o lungamente duraturo ci fa anche ritenere che la sicurezza più grande che si attui nelle cose finite è quella dell'amicizia.”

(Epicuro)

 

La Rochelle, 1824

Erano giorni che vagavo senza meta, nascondendomi ai raggi del sole di giorno che sembravano volermi ustionare come braci ardenti o fiamme vive, e correndo più in fretta che potevo di notte, la mia unica amica, compagna silenziosa di quell’inaspettata avventura.
Tutta quella nuova condizione per me era così estranea e al tempo stesso familiare, che mi confondeva e inebriava simultaneamente. C’era qualcosa di nuovo in ciò che i miei occhi scorgevano: nel familiare scoprivo lo sconosciuto, lo sconosciuto lo percepivo in maniera più potente. I miei occhi finalmente vedevano, le mie orecchie udivano. Mi sembrava di possedere mille terminazioni nervose più di prima, mille percezioni nuove e sorprendenti.
Tutto in me era cambiato, migliorato.
Ma c’era una cosa, una sola cosa tanto singola quanto potente, che schiacciava la bellezza di quella nuova esistenza, la sbriciolava sotto la sua disgustosità senza eccezione alcuna.
La sete.
Bramavo il sangue come un drogato brama la sua eroina, o un alcolizzato la sua vodka. Pareva una malattia che dalla gola mi infiammava ed indolenziva ogni arto, ogni singola molecola del mio corpo.
Ma non mi ero più nutrita. Ogni qual volta sentivo il bisogno di quel liquido vermiglio, mi venivano alla mente gli occhi terrorizzati di quegli uomini che avevo ucciso, e le macchie scarlatte che macchiavano la mia veste erano moniti crudeli che ogni secondo mi ricordavano la mostruosità che ero diventata.
Ma dopo cinque giorni passati a rinnegare l’evidente bisogno di sangue, il mio corpo era stremato.
Fu in una notte qualunque, quando la fronte mi si era imperlata di sudore freddo e la vista offuscata si era persa su di un paesino di cui potevo scorgere lontani i bagliori, che la incontrai.
Era giovane, almeno apparentemente, e mentre mi si avvicinava con sguardo duro e consapevole capii che non avrei resistito. In un barlume di lucidità indietreggiai, sgranando gli occhi e appiattendomi alla superficie ruvida di un tronco alle mie spalle.
-Non ti avvicinare, se lo farai morirai! Scappa finché sei in tempo, fuggi!- la mia voce fu poco più che un rantolo rauco e strozzato, ma bastò per farle capire la gravità della situazione in cui si stava cacciando.
Ma lei non fuggì, non gridò né si mosse.
Dai miei occhi appannati sgorgarono lacrime di disperazione e frustrazione mentre le mie dita affondavano nella corteccia, sbriciolandola come crosta di pane.
Perché sentivo.
Lo sentivo quel rumore ritmico e calmo, il suono della vita, il battito del cuore che pulsava sangue in ogni più piccola vena.
Quasi mi chiamava, quel rimbombo infinito che come un rullo di tamburi lento e costante innalzava la mia sete, osannandola attraverso una litania inibitrice.
-Da quando ti sei trasformata?- chiese lei dura, tenendosi a debita distanza senza però apparire spaventata.
La fissai con sgomento, capendo che lei sapeva, e mentre cercavo la voce per risponderle mi imposi almeno di non respirare, così da non sentire il suo odore, un misto di arance e cannella.
-Da..da cinque giorni quasi-
Lei annuì impercettibilmente, continuando a rimanere immobile di fronte a me.
-E da quando non ti nutri?-
Grossi lacrimoni mi rigarono le guance al ricordo dei tre poveri uomini che avevo dissanguato senza neanche rendermene conto. Sapevo che il senso di colpa mi avrebbe tormentata sino alla fine dei miei giorni.
-Sempre da cinque giorni-
Lei aggrottò la fronte, socchiudendo gli occhi con sospetto.
-E dopo non ti sei più nutrita?-
Scossi la testa velocemente, tanto che il paesaggio e la sua figura ritta e impettita traballarono per un secondo davanti ai miei occhi stanchi.
-Come hai fatto ha resistere per tutto questo tempo?-
Ora nella sua voce si leggeva una lieve nota di genuina curiosità, mentre faceva un passo avanti, portandomi così ad appiattirmi maggiormente all’albero. Il terrore che avevo di non rispondere più delle mie azioni ed attaccarla era lancinante, distruttivo.
-Non…non voglio uccidere…non più-
-Morirai se non ti nutri, questo lo sai? O per lo meno ti indebolirai fino alla pazzia-
-Io sono già morta…- soffia tra le labbra screpolate, fissandola in quegli occhi chiari e diffidenti che si spalancarono appena, sorpresi da quella risposta cruda.
La vidi guardarsi un attimo attorno, quasi con circospezione come avesse paura che qualcuno ci vedesse o ci attaccasse, e quindi fare dei passi veloci verso la mia direzione, afferrandomi malamente un braccio e strattonandomi verso di lei. Poi, notando il terrore nel mio sguardo e intuendone il motivo, sorrise misteriosa e vagamente sadica.
-Tranquilla, se per caso mi attaccherai saprò difendermi senza problemi, l’unica che si farà male sarai tu, casomai, quindi vedi di pensarci due volte prima di attaccarmi alla gola, qual’ora te ne venisse il desiderio-
Arcuai le sopracciglia, guardano confusa quella strana ragazza dal carattere deciso e lo sguardo determinato.
-Ma cosa…?-
-Sono una strega- disse solo, voltandosi per incamminarsi verso il villaggio che avevo intravisto poco prima, non senza prima però avermi gettato una rapida occhiata attenta da capo a piedi –E a tal proposito, ti servirà una protezione dal sole dato che non ne possiedi. E magari anche delle vesti puliti, se non vogliamo che ti mettano al rogo prima ancora che  tu riesca ad attraversare le porte del villaggio…-
-Io…grazie. Ma perché fai questo per me?-
Lei si voltò un attimo, regalandomi un sorriso lieve –Perché a differenza di come molti credono, non tutto ciò che è definito mostro si rivela tale-
Rimasi spiazzata da quelle parole, così gentili per essere scaturite da una sconosciuta che mi aveva vista ricoperta di sangue, pallida come un lenzuolo e per giunta bramosa di sangue e null’altro, e la mia risposta la poté solamente leggere in quel sorriso che le regalai, il primo da che ero “rinata”.
-Non mi hai ancora detto come ti chiami-
-Nina Lefevre…e tu sei?-
-Selena. Selena Vasilyeva-


Mystic Falls, oggi

 Sullo sfondo, un tenue bagliore rossastro tingeva il cielo laddove il sole scompariva oltre dei cucuzzoli lontani ma apparentemente prossimi a dove mi trovavo, e l’aria iniziava a rinfrescarsi tingendosi di quelle note fresche tipiche della stagione.
Poco male, giacché io non potevo percepire nulla di questi cambiamenti termici.
Se fossi stata umana, dopo quella giornata mi sarei tranquillamente potuta definire esausta sia a livello emotivo che fisico, ma non lo ero, per cui le tre ore e mezza passate in giro con Caroline in quella che da gita turistica si era ben presto trasformata in un tour a chi svaligia per primo ogni singolo negozio di Mystic Falls non mi aveva sfiancata minimamente, tutt’altro, si era rivelata una splendida occasione per parlare, conoscerci meglio e stringere amicizia.
A fine pomeriggio, prima di salutarci, lei ridendo mi aveva definita la sua gemella mancata, e per quanto sciocca ed ingenua fosse un’affermazione simile mi aveva totalmente inebriata di una felicità che non provavo da anni, quella genuina e pura che scaturisce direttamente dal sentirsi amati.
Certo, se poi parliamo di quella mattina…beh sono un altro paio di maniche.
Al solo pensiero, sentivo il cuore schizzarmi in un non ben definito punto a metà strada tra la gola e lo stomaco, mentre quest’ultimo mi si contraeva spasmodicamente.
Ecco, forse un tantino spossata a livello emotivo lo ero….
Dopo averlo visto, averci scambiato poche parole, dopo aver sentito nuovamente quella voce profonda che bramavo da secoli, ancora non avevo ben chiaro cosa effettivamente provassi mentre camminavo oziosamente verso casa, le mani in tasca, lo sguardo perso nel vuoto ed infinite buste appese ai polsi che mi sbatacchiavano sulle cosce ad ogni passo, prova tangibile di quanto fosse dimagrito il mio portafogli nel giro di qualche ora.
Dire che era stato strano, quell’incontro, sarebbe stato l’eufemismo del secolo.
Insomma, sapevo che era Klaus il pazzo da atti sclerotici e potenzialmente distruttivi in pubblico, sapevo che era lui quello dalle emozioni lasciate a briglie terribilmente sciolte e non Elijah, il pacato, democratico, impassibile e illeggibile Elijah.
Ma, diamine, ero io. Io. Nina Lefevre, quella che secoli prima aveva detto di amare come mai aveva fatto prima, quella che poi si era ripromesso di odiare.
Eppure non avevo visto né l’uno né l’altro sentimento.
Per la verità di sentimenti io non ne avevo viste neanche le ombre.
Sospirai scuotendo la testa, sapendo bene, invece, cosa vi era nascosto dietro quel nulla.
C’era Elijah, l’Elijah uomo, che era stato tradito e ferito dalla donna che amava. C’era l’Elijah vendicativo e rancoroso, che detesta con tutto sé stesso mostrarsi debole. C’era l’Elijah al quale mille anni di esperienza avevano fatto ben intendere quale fosse la strategia migliore, la più subdola e atroce, per infierire su di una persona in casi simili, e che lui si era premurato senza remore di mettere in atto.
Indifferenza.
Brutta, bruttissima bestia da contrastare.
Perché insomma, delle urla le avrei sapute trattare, placare, o per lo meno sovrastare con le mie in quella tipica guerra primordiale e un po’ infantile dove vince chi riesce ad intontire meglio l’altro spaccandogli i timpani e azzittendolo con l’utilizzo di decibel ben più altisonanti. Ma la sostanziale e monocorde placidità dettata da un disinteressamento ben studiato e per nulla invalicabile, come si spezza?
Quella era la domanda che mi ponevo con sempre più crescente angoscia, perché anche se sapevo che sarebbe stato difficile, che le mie sarebbero state illusioni e speranze vane che avrebbero alimentato infiniti e devastanti sforzi, ero rimasta lì anche per rimediare.
Non mi aspettavo che mi avrebbe perdonata non appena mi avesse vista, né che delle scuse avrebbero sortito qualche effetto, ma come primo impatto, quello, era bastato a farmi capire che probabilmente niente sarebbe mai bastato.
Forse la mia morte. O forse neanche quella.
Un saluto formale alla mia destra mi fece sussultare, mentre il portiere del B&B, un uomo di mezza età piuttosto tarchiato e stretto in una divisa blu scuro di una taglia visibilmente inferiore alla sua, mi apriva gentilmente la porta.
Persa com’ero nelle mie riflessioni, neanche avevo fatto caso di essermi trovata di fronte a “casa”.
Lo ringrazia con un sorriso, entrando a passo svelto in direzione della reception per ritirare le chiavi della camera.
Chiavi che, notai appena mi avvicinai, non c’erano.
Uno strano senso di disagio mi si diffuse in tutto il corpo, mentre frenetica controllavo tutte le altre per vedere se quella mattina avevo erroneamente sbagliato collocazione, ma pareva proprio che fossero scomparse.
-Mi scusi, ha bisogno di aiuto?-
La ragazza dietro al banco, vedendo probabilmente la mia espressione smarrita e vagamente terrorizzata, si avvicinò curiosa.
-Si io…non trovo la chiave della mia camera, eppure sono sicura di averla lasciata qui questa mattina-
-Che numero?-
-La 102-
-Mmmm…la 102 dice? Se non sbaglio è passata poco fa una ragazza, ha detto di essere sua sorella e che le avrebbe fatto una sorpresa salendo in camera. Credo sia ancora su-
Alzai le sopracciglia scettica.
-Mia sorella? Le ha per caso detto come si chiama?-
-No, mi spiace. Però posso dirle com’era: giovane, alta, mora con qualche ciocca rossa, capelli lunghi e occhi chiari. Parlava molto bene l’inglese, ma avrei giurato…non so, aveva un accento straniero, russo direi, o comunque di quei paesi là. Questo infatti mi pareva un po’ strano, perché lei dal nome è francese…ma ci sono problemi?-
Ciocche rosse…sbiancai, poi cercai di darmi un certo contegno.
-Nessuno, non si preoccupi. Grazie- tirai un sorriso asettico, mentre la salutavo e salivo le scale, ignorando lo sguardo dubbioso che mi rivolse fin quando non mi vide sparire. D’altronde la mia testa era da tutt’altra parte.
Accento russo, ciocche rosse.
Dio, non poteva essere…
Quando raggiunsi la camera, notai la porta accostata ma non chiusa, segno che chi vi era dentro mi stava senza ombra di dubbio aspettando.
Ci misi davvero poco a riconoscere quell’odore, un misto di arance e cannella che pervase l’aria in maniera familiare.
-Selena, qual buon vento-
Quando entrai con un sorriso sarcastico sulle labbra, la trovai comodamente allungata sul letto, gli occhi verde acqua fissi sulla porta ed un espressione dura a distorcere i suoi lineamenti fini ma decisi.
-Che diavolo stai combinando Nina?-
-Scusa?-
-Oh non fare quell’espressione da santarellina ingenua con me, che non attacca. Dove è?-
-Dove è cosa?-
-Sai benissimo cosa, stupida vampira traditrice! Cosa credi, che non me ne sarei accorta che era sparito? Che non sarei stata in grado di rintracciarti poi?-
-Selena sei ridicola…io non-
-Piantala! Dammi il libro e torniamocene in Francia, questo giochetto è durato anche troppo per i miei gusti-
Smisi all’istante di sorridere, indurendo lo sguardo e stirando le labbra in un espressione determinata.
-Non posso-
-Come sarebbe a dire che non puoi? Certo che puoi, e lo farai anche subito- si alzò col busto, rimanendo seduta a gambe incrociate, mentre gli occhi le si sgranarono dallo stupore e dall’orrore al tempo stesso –Non dirmi che l’hai perso o cose simili, perché ti giuro che non risponderò delle mie azioni in tal caso-
Sospirai, buttandomi sulla poltrona accanto alla mia, esasperata da quella giornata che sembrava non voler finire di spacchettare nuove sorprese.
-No, certo che no. Solo che in questo momento non ce l’ho io-
Chiuse un attimo gli occhi, forse per evitare di assalirmi e staccarmi la testa, prima di riaprirli ed espirare rumorosamente.
-Non ce l’hai tu- ripeté annuendo con calma, troppa calma –E sentiamo, se non è qui con te, dov’è?-
-Stefan Salvatore. O meglio, da una strega sua amica che sta cercando di decifrare tutti quegli incantesimi che i tuoi antenati hanno lanciato affinché fosse protetto-
-E c’è una ragione se ci sono, sciocca! Quel libro è pericoloso, perché non lo capisci? Non racchiude solo un albero genealogico lungo un millennio con ogni singolo nome di ogni vampiro esistito o ancora esistente su questa terra, ma racchiude segreti, storie e vite che non andrebbero mai svelate, e che se finissero nelle mani sbagliate causerebbero disastri inimmaginabili!-
-Mio Dio Selena, credi forse che non lo sappia? Che sia così sprovveduta? In primo luogo mi fido ciecamente di Stefan, e dovresti farlo anche tu, e in secondo luogo non gliel’ho certo dato perché cercava una lettura distensiva con cui rilassarsi prima di andare a dormire, qua siamo in pericolo tutti, tutti Selena! Lui, tu, io…ogni singolo vampiro di questa terra. Se tu fossi stata ancora una strega, avrei capito questo tua assurda e testarda reticenza, ma sei una vampira da più di un secolo ormai, ti dovrebbe interessare la fine della tua specie-
-Ci sono altri modi per sconfiggere Klaus, se quello che mi hai raccontato è vero, non c’era bisogno di tirare in ballo il Libro-
-Forse. Ma questa è una strada, la più sicura e logica al momento. Perché non tentare? Ti ripeto, stiamo parlando di Stefan e forse tu non lo conoscerai, ma io si, e so che ci si può fidare di lui. Metterei la mia vita nelle sue mani, anzi, lo sto già facendo, lo stiamo facendo tutti quanti-
Sospirò scuotendo la testa, probabilmente a corto di argomentazioni adatte a ribattere, poi assottigliò lo sguardo, puntandomelo addosso con fare vagamente cinico.
-E immagino che il fatto che qui ci sia anche Elijah non ti abbia minimamente influenzata, giusto?-
Se fossi stata umana, sarei arrossita fino alla punta dei capelli dall’imbarazzo.
Gesticolai animatamente, facendo tintinnare i vari braccialetti al polso mentre un sorrisetto di scherno si dipingeva sulle labbra di lei.
-E questo che c’entra? Sono venuta qui per portare il libro a Stefan, così che la mia eternità non sfumi entro qualche tempo, non per altro-
-E perché sei restata allora?-
-Santo cielo, cos’è questo terzo grado? Sono rimasta per aiutarlo, mi sembra ovvio. Non si può dire abbia un esercito dalla sua parte, e poi in Francia non avrei avuto molto altro da fare-
-Quindi Elijah non c’entra proprio nulla?- continuò lei imperterrita, curvando un sopracciglio scuro in un espressione per nulla convinta.
Sbuffai.
-Anche fosse?- sbottai esasperata.
-Nina…-
-Che c’è? Tanto non cambierebbe niente…lui mi odia, mi disprezza e mi ignora, e tutte le mie illusioni sul rimediare in qualche modo, sul farmi perdonare o perlomeno farlo ragionare possono benissimo andare a farsi benedire, vista l’aria che tira- sorrisi amara, abbassando lo sguardo sulla moquette logora.
-Quindi lo hai già incontrato-
La sua non era un’affermazione, ma annuii lo stesso.
-E non è andata per nulla bene, a quanto vedo-
-Già…Non che mi aspettassi questa grande accoglienza, sinceramente i giorni prima avevo fantasticato sui vari modi con cui mi avrebbe uccisa una volta vista ma…ci speravo, ecco, speravo che dopo due secoli l’odio si fosse attenuato, che se non mi avesse perdonata, ci avrebbe almeno provato. Ma è Elijah. Speravo che se questo fosse stato chiedere troppo, almeno che mi urlasse addosso la sua collera, si sfogasse, perché le urla le so gestire. Povera sciocca, vero? Insomma, io speravo in una reazione, ma lui non ne ha avute, e questo mi ha dimostrato quanto le mie siano state illusioni, quanto lo abbia ferito irrimediabilmente-
-Che stronzata- alla mia occhiata confusa e vagamente scioccata, si premurò di continuare –Ha mille anni ma si comporta come un bambino, uno sciocco bambino viziato a cui piace fare i capricci. Insomma, anche ammettendo che tu possa averlo tradito e che sia stata una cosa non proprio leggera, sono passati secoli. Letteralmente. E ora se ne esce col giochetto dell’ignorare al solo scopo di ferire? Queste cose le fanno i bambini alle elementari, o i ragazzini alle prime cotte. E so che c’è tutta quella cosa dell’onore e compagnia bella, perché quando uno nasce mille anni fa nasce con il senso dell’onore radicato nel sangue quasi fosse una malattia genetica, ma pensavo che in tutti questi anni fosse maturato, avesse capito quando è ora di mettere da parte l’onore e l’orgoglio e ragionare con maggior razionalità e concretezza. E un pizzico di sana modernità-
-Si ma…-
-Non ci sono ma che tengano, Nina. E’ uno sciocco presuntuoso che non dà il giusto valore alle cose ed alle persone. E tu dovresti smetterla di struggerti tanto dietro al suo pensiero. E magari anche di venire fino in America a rischiare il fondoschiena solamente per vederlo-
-Forse hai ragione, anzi, con ogni probabilità hai ragione. Ma io lo amo- mi strinsi nelle spalle, sorridendo appena –Lo amo, capisci Selena? E se non sono bastati duecento anni per farmelo dimenticare, non ci riuscirai tu, ora, elencando i suoi difetti. Perché sono difetti che io per prima ho scoperto in lui, e che ho accettato. E so che mi farò male, so che non ricaverò niente se non altro dolore, ma non ce la faccio a tornare in Francia, non ora che l’ho ritrovato. Mi odia, mi detesta e mi ignora, ma è qui, qui accanto a me, nella mia stessa cittadina. Ho la possibilità di vederlo, si sentire la sua voce, e Dio, Dio Selena, tu non puoi capire quanto mi sia sentita felice in quel brevissimo istante in cui è comparso nella mia visuale, prima di tutti gli insulti, prima della realtà, c’è stato quel piccolo attimo di incoscienza in cui tutto è scomparso, e sono tornata felice come un tempo- presi fiato dopo quello sfogo che, francamente, mi liberò di un bel peso, poi scossi la testa come a riordinare le idee -E comunque, Elijah o non Elijah, l’ho promesso a Stefan, gli ho giurato che l’avrei aiutato e così farò-
Selena alzò gli occhi al cielo esasperata, poi li abbassò su di me, sospirando pesantemente.
-E va bene, resta pure qui a farti ammazzare e tieniti il libro, ma se pensi che io me ne torni in Francia lasciandoti qui a fare follie ti sbagli di grosso. E poi vi servirà una mano per poter sciogliere tutti quegli incantesimi, non sarò più una strega ma sono magie della mia famiglia, ricordo ancora la teoria-
Sorrisi felice, saltando su ed avvicinandomi a lei per abbracciarla. Era testarda, burbera e parecchio scontrosa quando ci si metteva, ma rimaneva pur sempre la mia più grande amica.
-Grazie, grazie-
-Si si, vedrai come ti ringrazierò io quando mi ficcheranno un bel paletto nel cuore…- rise con macabra ironia facendomi sbuffare esasperata, ma ricambiò comunque la stretta.


La Rochelle, 1824 

Ci trovavamo in una specie di capanno abbandonato ai confini del villaggio, laddove l’erba iniziava ad infittirsi per poi sfociare in un tripudio incolto che sfumava verso il bosco.
Il terriccio secco, all’interno, era ormai ricoperto di fieno ed erba secca, che raggrumati in un punto ben lontano dalle piccole finestrelle formavano un giaciglio soffice, ricoperto da un vecchio telo bianco così da dargli almeno la parvenza di poter essere un letto.
Io ero raggomitolata proprio lì, avvolta in un semplice vestito che Selena era riuscito a rimediarmi, nulla a che vedere con gli sfarzosi abiti cui ero avvezza indossare ma che ormai mi parevano unicamente ricordi lontani e persi, le gambe strette al petto ed il terrore che quegli infidi raggi scottanti, un tempo tanto amati, potessero sfiorarmi la pelle, ora pulita e di nuovo nivea.
Selena mi aveva raccolto i lunghi capelli un una treccia laterale che mi arrivava alla vita, treccia con la quale stavo nervosamente giocherellando da un buon quarto d’ora, osservando la strega di fronte a me pronunciare parole incomprensibili ad occhi chiusi, le mani strette attorno a quello che avevo notato essere un piccolo ciondolo dalle fattezze semplici ma graziose, un'unica pietra blu, probabilmente lapislazzulo, incastonata in una corolla argentata dai temi astratti e floreali che vi si intricavano attorno.
Mi aveva spiegato che quel ciondolo mi avrebbe permesso di muovermi indisturbata sotto la luce solare senza più il timore di poter bruciare viva, e quella probabilmente era stata la notizia più bella che avessi ricevuto da quando mi ero trasformata assieme alla possibilità di potermi nutrite senza uccidere, proprio come mi aveva insegnato lei.
-Ecco fatto, prova- la sua voce squillante mi fece sussultare, ma non ci misi molto ad afferrare la collana che mi stava porgendo, infilarmela e posizionarmi con non poche remore esattamente al centro del quadrato di luce al mio fianco.
Strizzai gli occhi, la mente già proiettata verso il dolore che altre volte mi era capitato di sentire, i muscoli tesi pronti al balzo che eventualmente avrei fatto per sottrarmi a quella condanna che la natura aveva imposto a chi non era degno di esser definito suo figlio, ma ciò che sentii, con sommo stupore, su solamente calore, un piacevole calore che mi si propagò in tutto il corpo sotto l’influsso dei raggi solari. Quasi mi ero scordata come fosse bello poter percepire quella luce naturale sulla pelle.
Sorrisi, voltandomi verso una Selena dall’aria vagamente orgogliosa e compiaciuta.
-Grazie Selena, questo è il miglior regalo che potessi farmi, ti sono debitrice per l’eternità-
Lei sorrise e scosse la testa, scrollando le spalle come a sminuire le mie parole.
-Sciocchezze, ho solo fatto un incantesimo banale. E poi mi sono decisa di aiutarti, questo era il minimo per cominciare- poi corrugò la fronte, sovrappensiero –Sai, ancora non mi spiego perché il tuo creatore ti abbia abbandonata così, che io sappia solitamente si impegnano per lo meno a spiegare il necessario affinché questi nuovi vampiri sopravvivano ma tu, tu eri ignara di ogni cosa o quasi-
Io abbassai lo sguardo rabbuiandomi leggermente, e me ne tornai sul giaciglio, sedendomi accanto a lei che non aspettava altro che delucidazioni da quando mi aveva incontrata.
-Lei, la vampira che mi ha creata intendo, non sapeva minimamente di averlo fatto. Era già andata via quando sono…morta e poi rinata. Mi aveva solo dato del sangue per guarire da una ferita, null’altro-
Selena arcuò le sopracciglia fin quasi all’attaccatura dei capelli, un’aria di puro stupore negli occhi sgranati e nelle labbra pronte a da sfogo al suo dubbio.
-Mi stai dicendo che un vampiro ti ha dato il suo sangue per guarire?!-
Sorrisi amara, guardandola si sbieco, le mani strette in grembo.
-E’ così difficile da credere? Eppure sei stata tu a dirmi che ciò che viene definito mostro non sempre si rivela tale, o mi sbaglio?- la citai con una vaga vena canzonatoria nella voce bassa, prima di sospirare con aria stanca –E comunque, è una lunga storia. Un giorno te la racconterò, te lo prometto, ma ora…ora è ancora presto, fa troppo male…-
I suoi tratti si distesero in un espressione dolce, quasi materna con quel luccichio zuccheroso che le brillava negli occhi chiari, mentre annuiva accondiscendente, sorridendo gentile.
-Tranquilla, nessuno ti impone niente, avrai tutto il tempo che vorrai per affrontare il tuo passato e metterlo a nudo anche di fronte agli altri, oltre che a te stessa. Ora pensa solamente ad imparare a vivere di nuovo, mh?-
Le sorrisi grata, allungandomi per abbracciarla mentre affondavo la faccia nei suoi capelli scuri. Quando mi accorsi del gesto incauto e per nulla ragionevole che avevo appena compiuto, mi scostai di scatto, guardandola con rincrescimento e vago terrore negli occhi, temendo di averla spaventata, per quanto fosse questo possibile dato il soggetto di cui stavo parlando, o perlomeno fatta arrabbiare.
Lei però, comprendendo la ragione del mio brusco gesto e capendo ciò che mi tormentava lo sguardo, scoppiò a ridere spensierata.
-Che sciocca che sei, credi forse che abbia paura di te? Eppure pensavo fosse chiaro il mio gesto: ho aspettato tanto a crearti quel ciondolo perché aspettavo tu fossi realmente pronta, e nel frattempo ti ho insegnato a controllarti e ad essere più umana possibile, entro i limiti consentiti dalla tua natura si intende. Ora lo sei, basti vedere come i tuoi gesti sono mutati nel corso di queste settimane: sei più spigliata, sicura di te e dei tuoi istinti, ora sei libera. Quindi smettila di farti tante paranoie e abbracciami pure, stupida vampira-
Rise, ed io con lei,  nello stesso istante in cui mi avverrò per un braccio e mi attirò a sé, circondandomi le spalle con le sua mani e invogliando me a fare lo stesso.
Forse avevo sbagliato a decretare la mia morte, settimane prima, forse quella era la seconda possibilità che qualcuno da lassù mi aveva concesso per riconsiderare la bellezza della vita, per apprezzarla nuovamente come un tempo e chissà, forse anche per rimediare agli sbagli che mi avevano portato a gettarmi nelle profondità del mare in quella notte terribile.
Fatto sta che lì, tra le braccia di quella che sapevo sarebbe stata la mia prima e vera amica in quella mia seconda possibilità, mi sentii nuovamente felice.

 

 

Mystic Falls, oggi

 -Ora, non vorrei sembrarti particolarmente materialista, ma quando sono venuta qui attraversando l’oceano avevo ben chiaro in mente di riacciuffare il libro e te, e riportare entrambi con me in Francia il giorno stesso. Non certo di rimanere a tempo indeterminato in questa landa desolata. Indi per cui non ho portato nient’altro che me medesima in questa follia di viaggio, questo implica una notevole scarsezza di vestiti e quant’altro, per intenderci-
Risi, guidandola per le vie di quel piccolo paese con are ormai quasi esperto, attirando così lo sguardo di non pochi passanti che si chiesero senza ombra di dubbio chi mai fossero quelle due straniere. L’aspetto si Selena poi, vagamente eccentrico, non aiutava per nulla.
-Per questo, cara brontolona, ti sto portando a fare shopping. E nel frattempo potremmo anche vedere di trovare un appartamento. A Stefan e agli altri ti presenterò oggi pomeriggio, metà giornata non credo cambierà di molto le cose-
Non le dissi che avevo bisogno io di qualche oretta di normalità e distrazioni, senza confabulazioni sugli Originari che mi avrebbero portato alla mente solamente lui, senza inchieste sul mio passato, senza incontri spiacevoli o altri particolari che mi avrebbero nuovamente fatta ricadere nel mio stato depressivo angoscioso. Il giorno prima era stato abbastanza intenso da bastarmi anche per tutto quello, inoltre ero ben consapevole che ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo per ritornare su simili argomenti, da ora in poi; bearmi quindi di quegli istanti con l’unica persona lì che sapeva abbastanza da non farmi domande e non sfiorare quindi pessimi tasti scottanti mi sembrava il minimo da concedere alla mia sanità mentale messa di già a dura prova.
Passammo quindi la mattina tra un negozio e l’altro con l’intenzione di ricrearle un guardaroba decente, e nel mentre ci preoccupammo anche di osservare qualche annuncio appeso nella vetrina dell’agenzia immobiliare, nella speranza di trovare qualcosa di adatto. La piccola camera del B&B infatti non sarebbe più bastata, inoltre Selena mi aveva giustamente fatto notare quanto poco sicura fosse una collocazione simile in una situazione come quella. E poichè che alla proposta di Stefan di quella mattia di trasferirmi da lui avevo gentilmente rifiutato, trovandola sconveniente e un filino approfittatrice vista la possibilità di trovarmi un appartamento mio, quello era il momento per cercarlo.
Fu proprio su quel dannato vetro riflettente, mentre Selena commentava l’ennesimo appartamento leggendo a voce alta i vaghi dettagli scritti sotto l’immagine sgranata di cui si poteva capire poco e niente, che li vidi.
Mi girai di scatto, non prestando più attenzione a Selena che indisturbata continuava il suo sproloquio, e fissando piuttosto lo sguardo su due figure maschili aldilà della strada, intente a parlare civilmente.
Mi sentii sbiancare visibilmente e la tentazione di darmela a gambe come una ladra fu estremamente allettante, quando notai uno dei due uomini, Damon per la precisione, ruotarsi nella mia direzione e sorridermi smagliante, alzando una mano in segno di saluto prima di farmi un cenno per raggiungerlo.
Al che anche l’altra figura si voltò, probabilmente incuriosita, incrociando il mio sguardo per una frazione di secondo prima di ritornare a posare nuovamente l’attenzione su Damon con fare disinteressato, quasi non mi avesse neanche vista.
Fui certa che il mio cuore collassò, mentre me ne rimanevo fissa come un ebete nella stessa posizione, quasi aspettandomi una rettificazione di quel comportamento distaccato mentre l’immagine di quegli occhi duri e neri più delle ombre mi rimbombava in testa.
Sciocca speranza vana.
-Ora, ci sono due possibili spiegazione al fatto che mi stai deliberatamente ignorando e alla tua faccia che, se tu fossi ancora umana, si direbbe l’anticipazione di un conato di vomito. O hai visto direttamente Satana, o uno di quei due fascinosi uomini laggiù è l’Innominabile, in tal caso non avrei dubbi su chi cascherebbe la mia scelta. In quanto non sono propriamente credente, scarterei la prima ipotesi e volerei direttamente alla seconda, anche perché Mr. Occhioni Blu ti sta evidentemente invitando ad unirci alla conversazione-
Deglutii piuttosto sonoramente, ringraziando il cielo che avesse parlato abbastanza piano da risultare udibile unicamente a me, prima di voltarmi con una chiara espressione eloquente dipinta in volto.
-Non credo sia una buona idea Selena…-
-Non eri tu quella che ieri, con cotanta determinazione, mi palesava tutte le sue buone ragioni per rimanere nella stessa cittadina dove risiedeva anche lui? Ed ora ti tiri indietro tanto facilmente? Tanto vale tornarsene a Parigi, se le cose stanno così-
La guardai con rinnovata irritazione, lei non sapeva minimamente cosa stavo provando in quell’istante, a pochi metri di distanza da Elijah, metri dalle sembianze di una voragine invalicabile.
-E non eri tu quella che ieri lo criticava tanto, e con lui la mia morbosa determinazione?-
Si strinse nelle spalle, sorridendo maliziosa –Forse, ma questo non mi impedisce affatto di essere curiosa di incontrarlo di persona. Sono duecento anni che aspetto il momento di fargli il cu…-
-Selena!-
-Stavo scherzando. Senti, sai quanto sia contraria a tutta questa faccenda, ma ti conosco abbastanza bene da sapere cosa è meglio per te, questo mi da quindi il diritto di dirti che la fuga non è contemplabile tra le varie opzioni-
-E queste perle di saggezza le dovevi tirare fuori proprio ora?-
-Meglio tardi che mai- sorrise, e solo quando alzai lo sguardo per sbuffare seccata, mi accorsi che nel mentre avevamo attraversato la strada e di trovavamo quindi a pochi passi dai due, che voltati ci fissavano in silenzio.
Se Damon appariva sinceramente curioso, Elijah mantenne quell’impassibilità nello sguardo freddo piantato quasi più sulla mia amica che su di me, che mi procurò un sordo vuoto all’altezza dello stomaco.
Ringraziai mentalmente Damon quando si decise a rompere il ghiaccio, mettendo un freno a quello che si prospettava un lungo silenzio imbarazzante.
-Nina, qual buon vento. Hai qualcuno da presentarci a quanto vedo- esclamò, regalando un’occhiata interessata alla mia sinistra.
-Piacere, sono Selena Vasilyeva, una sua amica. Tu sei…?-
-Damon Salvatore, ed il piacere è tutto mio-
-Salvatore? Sei per caso fratello di Stefan?-
-Esattamente. Vedo che sei informata- sorrise, squadrandola con rinnovata curiosità.
-Ho solamente fatto i compiti a casa-
In quel breve scambio di battute, io non avevo fatto altro che gettare continue occhiate verso Elijah, con la speranza che passassero inosservate, ed ogni volta lo avevo trovato con la stessa espressione disinteressata, fredda, ad irrigidirgli i tratti mentre fissava un punto non ben definito tra Damon e Selena.
Sentivo l’irrefrenabile desiderio di parlargli, toccarlo, di attirare la sua attenzione in qualche modo anche solo per farmi guardare per un istante, perché quella staticità, quella monocorde indifferenza mi stava dilaniando il cuore, ma proprio in quell’istante una frase pronunciata da Selena mi gelò il sangue nelle vene.
-Tu invece devi essere il famoso Elijah, non è vero?- soffiò falsamente cordiale la mia amica, voltandosi vero di lui, che sentendosi chiamato in causa le rivolse un’occhiata curiosa ed inquisitoria al tempo stesso, una mano infilata nella tasca dei pantaloni e l’altra abbandonata lungo il fianco.
Sbiancai.
-Non pensavo di poter essere considerato addirittura famoso- disse lui, l’ombra di un sorriso sulle labbra appena piegate.
Per un attimo contemplai l’idea di afferrarla e trascinarla via da lì prima che potesse dire qualcosa di terribilmente sconveniente, ma lei parlò prima che potessi fare alcunché per evitare la catastrofe, per cui mi limitai ad affondare le unghie nel suo braccio con indiscrezione, evitando che gli altri ci notassero e sperando che quel gesto bastasse ad intimarle di tacere.
Se però il mio gesto passò inosservato agli occhi di Damon, troppo preso ad osservare Selena, Elijah sembrò invece notarlo bene, perché per la prima volta da quando avevamo iniziato a parlare mi gettò un’occhiata di traverso. Avvampai, metaforicamente parlando, e lasciai subito la presa, iniziando a torturami il labbro inferiore coi denti in sempre più crescente imbarazzo.
-Beh, quando si è un Originario non ci si può aspettare di non essere conosciuto, non trovi?-
Quasi sospirai di sollievo a quella risposta, ringraziando il cielo che a Selena fosse rimasto ancora un barlume di ragione e che lo stesse egregiamente sfruttando proprio in quel frangente delicato.
-Presumo sia così, si- rispose per nulla convinto, forse più che consapevole che la sua non era una conoscenza scaturita da voci comuni o libri particolari, ma dalla storia di un’amica. D’altronde, sarebbe stato più che normale.
Prima che altro potesse essere aggiunto, decisi di intervenire.
-Come mai siete qui? Ci sono novità su Esther per caso?-
Elijah stavolta fissò la sua attenzione direttamente su di me, regalandomi uno sguardo di sufficienza che mi fece sprofondare il cuore parecchie decine di metri sotto terra. Mi chiesi come facesse a comportarsi a quel modo, come riuscisse a controllare i suoi respiri, i movimenti del suo corpo, i suoi sguardi. Come potesse risultare pacato e tranquillo, immobile a pochi metri da me, quasi dimentico di cosa avevamo vissuto due secoli prima, neanche fossi  stata realmente un’estranea conosciuta il giorno prima.
Forse perché ha realmente dimenticato, forse perché l’odio è davvero capace di cancellare ogni altra cosa.
Quel bisbiglio impertinente nella mia mente mi fece spuntare lacrime amare agli angoli degli occhi, ma scacciai malamente l’idea con un groppo in gola, inghiottendo quel pianto isterico che tanto avrei voluto versare.
Io che non potevo non fremere per quella vicinanza, io che non potevo non bramare il desiderio di sfiorarlo, fissarlo senza indiscrezione, parlargli liberamente come un tempo, trovavo tutto quel distacco inconcepibile ed impossibile.
-Io e Damon stavamo solamente parlando dell’imminente festa che il sindaco Lockwood ha deciso di dare questo finesettimana- chiarì lui con tono monocorde, evitando di guardarmi dopo quella prima occhiata, quasi stesse cercando di zittire la fastidiosa curiosità di una bambina capricciosa.
-Pensate che possa accadere qualcosa?- continuai imperterrita, ignorando con una punta di fastidio e molta delusione il tono vagamente sgarbato col quale aveva parlato.
Se gli scocciava così tanto, poteva anche evitare di rispondere…
Lo vidi ridire, una risata per nulla divertita e spontanea, mentre non fissava me ma bensì un punto imprecisato sopra la mia spalla, quasi non fossi nemmeno degna della sua attenzione.
-Le feste qui a Mystic Falls sono sempre fonte di grande attrazione per disastri sovrannaturali, è bene prevenire piuttosto che curare- liquidò così la faccenda, facendo un vago gesto con la mano come a minimizzare la questione.
-E come pensate di prevenire, se posso saperlo?-
-Intendiamo presiedere tutti quanti e tenere d’occhio la situazione per captare eventuali nuovi pericoli, così da spegnere la miccia prima che la bomba esploda. E per quanto l’idea di una collaborazione con le loro maestà originarie non mi alletti più di tanto, penso sia la cosa migliore in questo caso-
Annuii, gettando nuovamente un’occhiata ad Elijah, il quale stavolta però pareva preso da ben atro, mentre avvicinava il telefono che non avevo neanche sentito squillare all’orecchio e si allontanava di qualche passo, dandoci così le spalle.
-Io vorrei essere presente, potrei darvi una mano- annunciai con tono ostinato, fissando un Damon sorridente negli occhi.
-Non sarò certo io ad impedire che questa festa venga privata di una bella ragazza, e a tal proposito potresti venire anche tu, Selena-
-Non ho ben capito il fulcro della questione, ma accetto volentieri-
-Tranquilla, ti spiegherò tutto oggi. Ah Damon- guardai un attimo Elijah, che sembrava però ancora occupato a parlare al telefono, ma per precauzione mi avvicinai al vampiro di un passo, poggiandogli una mano sul braccio per parlargli all’orecchio così da non essere sentita –Selena ci darà una mano col Libro, sarei venuta a dirvelo oggi ma ora che ti ho incontrato non ce n’è più bisogno. Il Libro è appartenuto alla sua famiglia da sempre, e lei conosce il modo di spezzare gli incantesimi che lo proteggono, insegnerà a Bonnie come farlo-
Lui mi guardò ed annuì –Non confido particolarmente in un vecchio libro polveroso e ammuffito, ma grazie lo stesso-
Mi scostai di poco e vidi Elijah ritornare verso di noi. Non capii dove stesse guardando con tanta insistenza fin quando non notai il suo sguardo basso indirizzato proprio nel punto in cui la mia mano poggiava ancora sul braccio di Damon. Con un movimento veloce la ritirai, gettandogli una fuggevole occhiata imbarazzata, eppure dallo sguardo impassibile che ci rivolse sembrò non esser stato per nulla colpito dal gesto. Ne rimasi quasi delusa.
-Sono spiacente, ma ho degli affari da sbrigare e non posso restare. E’ stato comunque un piacere fare la tua conoscenza, Selena. Damon, noi ci vedremo alla festa-
-Penso allora che anche per noi valga lo stesso- annunciò tubante Selena, gongolando dell’espressione per una frazione di secondo stupida che vide dipinta sul suo volto.
Fui tentata di tirarle una gomitata ma mi trattenni per amor della mia dignità, osservando piuttosto i tratti di Elijah assumere la solita maschera di pacato disinteresse, mentre annuiva con impassibilità. Sapevo che percepiva il mio sguardo addosso, eppure sembrava ignorarlo egregiamente come del resto ignorava anche me.
Lo sentvidi i salutare e andarsene, e quando ormai era a qualche metro di distanza, diretto al suv nero che intuii fosse suo, l’assurdo desiderio di bloccarlo e parlargli, ma parlargli davvero, non come due estranei che fanno finta di non conoscersi ma come gli amanti che eravamo stati, fece si che i miei muscoli si muovessero di volontà propria, portandomi ad inseguirlo col cuore in gola ed il respiro traballante di chi sa di stare per fare un grosso errore.
Selena, forse intuendo le mie intenzioni, cominciò a parlare con Damon al fine di distrarlo.
Mi fermai, mordendomi il labbro e chiudendo gli occhi per un secondo, espirando per prendere coraggio, certa che nulla di ciò che avrei detto avrebbe migliorato la situazione.
-Elijah…- quasi mi maledissi per quel sussurro strozzato che avevo soffiato a fatica dalle labbra schiuse, ma non ne ebbi il tempo perché lo vidi bloccarsi là, a pochi metri da me, e voltarsi di poco, fissando gli occhi neri, profondi e invalicabili su di me.
Percepii un brivido gelido scivolarmi lento lungo tutta la spina dorsale, mentre ricambiavo lo sguardo, pregando silenziosamente una qualche divinità di poter vedere qualcos’altro oltre che freddezza sul suo viso marmoreo.
Non parlò, rimanendo immobile in quella sua posa noncurante, una mano in tasca e l’altra mollemente abbandonata lungo il fianco, aspettando forse di sentire cosa avevo da dire o più semplicemente pensando che il silenzio pesante che aveva fatto calare bastasse per farmi desistere dall’aggiungere altro.
Non seppi dove trovai il coraggio per aggiungere quel qualcos’altro, ma lo feci.
-Noi dobbiamo parlare-
Inghiottii a vuoto vedendolo sbattere le ciglia con disinteressata calma, mentre inarcava appena le sopracciglia in un espressione di dubbio scetticismo.
-No, non credo-
-Ma noi…Elijah, ho bisogno di spiegarti, di…-
-Non ho tempo Nina, e tu non devi spiegarmi nulla. E’ un po’ tardi per le spiegazioni, non trovi? Forse invece sarebbe ora che anche tu dimenticassi-
Non ho tempo…sarebbe ora che anche tu dimenticassi…
A quelle parole lo potei udire nitido e cristallino il netto rumore dello squarcio che mi dilaniò il petto, lasciando laddove c’era il mio piccolo cuore martoriato una voragine stillante sangue.
Eppure trovai lo stesso la forza di rispondere, di attaccare per non essere attaccata.
-Non mi sembra che tu abbia dimenticato molto, se nei tuoi occhi emerge tanto odio-
Piegò lievemente le labbra con amarezza, con cattiveria, ed il suo fu uno di quei sorrisi che invece di scaldare, gelano nel profondo.
-Ho dimenticato ciò che era da dimenticare-
E se ne andò così, con quella frase carica di significati nascosti e talmente dolorosi che non potei impedirmi di trattenere oltre le mute lacrime silenziose che fino a quel momenro avevano lottato per rigarmi le guance, mentre da lontano lo vedevo salire in macchina, metterla in moto e sparire lungo la via.
Ho dimenticato ciò che era da dimenticare.
Quindi è così, Elijah? Hai dimenticato me e l’amore che ci aveva uniti, hai dimenticato tutto il superfluo e ti sei tenuto solo l’odio di quel mio gesto?

 

- - - Angolino dell’autrice (che rischia la decapitazione) - -

In primo luogo: CHIEDO UMILMENTE SCUSA. E’ passato troppo, ma troppo tempo dall’ultima pubblicazione e me ne rendo tristemente conto…non ho scusanti per avervi fatto aspettare tanto, posso solamente dire di avere avuto un blocco ed infinite pare mentali che non mi hanno permesso di scrivere qualcosa che non venisse quasi subito cancellato per…beh per tutti questi lunghissimi giorni che non ho neanche il coraggio di contare.
Sono tutt’ora convinta che questo capitolo (da notare: quasi il doppio degli altri per farmi perdonare :D) sia un emerita schifezza, sia a livello di contenuto, che di sintassi, che di…tutto ecco. Ma mi sono imposta di finirlo, per cui non dico più nulla e mi cucio la bocca per amore della vostra pazienza.
Allora…date il benvenuto a Selena:) E’ un personaggio che avevo pensato già da tempo ma che mi ero prefissata di far spuntare più tardi, però non ho resistito per cui eccola qui:) la sua storia verrà svelata lungo il corso dei capitoli, per adesso avete capito che era una strega che poi è stata trasformata in vampiro e che è colei che ha aiutato Nina all’inizio della sua nuova vita. Ora, non so se si è capito ma stavano entrambe a Parigi prima che Nina venisse a Mystic Falls, con questo non dico che hanno vissuto 200 anni appiccicate come cozze, ma hanno sempre mantenuto i rapporti nonostante i viaggi e gli anni di separazione e che ogni tanto si sono ritrovate per periodi più o meno brevi. Lei, comunque, è sicuramente la migliore amica che ha, tant’è che è l’unica a conoscere tutta, ma tutta la sua storia (a proposito: c’è stata una rivelazione velata in un flashback da cui si può intuire ciò che già molte di voi hanno capito di come Nina è stata trasformata e da chi).
Non sono successe grandi cose in questo capitolo, se si esclude appunto Selena e il secondo incontro di Nina ed Elijah (che poi, che ne pensate?? A me non ha molto convinto, però possono sempre essere le mie pare in agguato XD –lo spero- ) ma già dal prossimo le acque si smuoveranno…eheheh la festa…no vabbè non vi dico nulla.
Vi prego ditemi che ne pensate (so che non ho il diritto di chiedere recensioni, ma dato che l’ultima volta erano solamente due ahimè – sigh sigh- spero che stavolta non siano proprio 0…) Vi chiedo ancora umilmente perdono, e ringrazio chiunque continui a seguire e a recensire la mia storia, penso proprio di adorarvi :)
Un bacio e a presto,
Deademia

 
PS: questa è Selena

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Capitolo 6
*** Il Dolce Suono Della Morte ***


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6. IL DOLCE SUONO DELLA MORTE

 

“La cattiveria nasce da sentimenti negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia. Viene da un vuoto dentro di te che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via.” 
(Ryū Murakami)

 

Fu la musica ad accoglierci ancor prima che mettessimo piede all’interno dell’enorme villa Lockwood, una soffice melodia dalle dolci note di sottofondo che conciliava il rilassamento di chi la ascoltava, sovrastata però dall’immenso chiacchiericcio di chi già presenziava ,nei loro smoking costosi o nei lunghi abiti dai mille colori, a quella che si sarebbe rivelata una lunga serata di balli e pettegolezzi. E molti drink.
Io, Selena, e Damon e Matt, i nostri rispettivi accompagnatori, stavamo in quel momento salendo i gradini antistanti l’imperiosa entrata, noi fasciate nei nostri abiti vagamente principeschi, e loro ai nostri fianchi, a porgerci il braccio come buona tradizione impone.
Quando entrammo non avemmo neanche il tempo di sfilarci i soprabiti che una Carol sorridente ci venne incontro, le mani congiunte davanti al petto e gli occhi lucidi di soddisfazione per quella che pensai considerasse un’ottima riuscita già prima che la festa iniziasse realmente.

-Buonasera Damon, Matt-

-Signora Lokwood- risposero entrambi facendo un piccolo cenno col capo.

-Oh ma guarda, le nostre nuove arrivate! Sono estremamente felice di vedervi qui , e sono sicura che questo sarà un ottimo modo per fraternizzare con il resto della cittadina-

-La ringrazio signora Lockwood, e complimenti per la casa, è magnifica- le dissi, adulandola con un sorriso accompagnato da uno sguardo vagante per tutto l’ampio ingresso illuminato.

-Grazie cara. Ma prego venite, non rimanete qui nell’ingresso- qualche voce poco più in la le fece voltare la testa frettolosamente -Ora scusatemi, ma devo proprio andare, vi auguro comunque una buona serata-

-Anche a lei-

-Ecco, dammi la giacca così possiamo andare di là- Damon allungò le mani, aiutandomi a sfilare il cappotto bianco così da svelare il lungo abito blu senza spalline che vi era sotto.

-Non so perché ma ho il vago sospetto sarò uno degli uomini più invidiati di questa sala- soffiò serafico lui, lanciandomi un’occhiata lusinghiera che mi fece ridere.

-Oh non scherzare!-

-Ehi amico, mi sa che saremo in competizione allora- rise Matt, svelando l’abito rosso dall’ampia gonna di Selena, che sorrise divertita.

-Ma senti quanti complimenti, ehi ragazzi non è che vi starete già innamorando eh?- li canzonò lei.

I due risero, porgendoci le braccia e incamminandosi verso la sala già sgombra e pronta per fungere da pista da ballo. Per un attimo ricordai i balli di un tempo, quelli veri, ormai diventati unicamente modello di ispirazione ad eventi come questo, e sorrisi pensando  che a quei tempi mai mi sarei immaginata di vivere simili esperienze.

-Chi lo sa mie care- disse Damon in un tono fintamente serio, gettando nel frattempo un’occhiata tutt’attorno per individuare gli altri. Li vedemmo in un angolo, Stefan accanto ad Elena, Caroline e Tyler, che avevo avuto il piacere di incontrare giorni prima, quando avevo portato Selena a conoscere gli altri.

-Buonasera- proruppe Damon, fermandosi accanto al gruppetto.

-Ehi ragazzi, eccovi finalmente. Wow Nina, sei un incanto, e anche tu Selena! Avete degli abiti fantastici, complimenti- Caroline sorrise, stringendosi al fianco del suo ragazzo, non nascondendo tutta la contentezza di poterlo riabbracciare, e squadrandoci con occhio esperto.

-Anche voi siete bellissime, ma non c’è neanche bisogno che ve lo dica- sorrisi, poi mi guardai attorno –Ma Bonnie non c’è?-

-No, è rimasta a casa a lavorare sul libro. Da quando Selena le ha spiegato come spezzare gli incantesimi non esce più dalla sua camera- disse Stefan, una mano sul fianco di Elena e l’altra avvolta attorno ad un flute colmo di champagne.

Caroline sbuffò, ruotando gli occhi con eloquente sdegno.

-Non so come possa esserle anche solo vagamente passata per la testa l’idea di preferire rimanere rintanata in casa in compagnia di un vecchio libro ammuffito, senza offesa Selena, invece di venire a godersi questa meraviglia di festa. Sono così pochi i momenti in cui possiamo svagarci ormai-

-Ma sai com’è fatta lei, quando si impunta su qualcosa è impossibile farle cambiare idea, soprattutto se questo qualcosa riguarda la magia- spiegò accondiscendente Elena.

-Certo, ma è stato anche un po’ sciocco questo suo comportamento. Sai cos’ha detto Elijah no? Qui con noi sarebbe stata molto più al sicuro-

Al suono del suo nome sussultai appena, ricordandomi che quella sera ci sarebbe stato anche lui,e che forse, in mezzo a tutta quella folla, la sua figura faceva già mostra di sé da qualche parte. Dopo l’ultimo scontro avuto qualche giorno prima non l’avevo più rivisto nè avevo avuto desiderio che accadesse. Le sue parole erano state abbastanza chiare ed esaurienti da farmi scoraggiare del tutto, e l’idea di doverlo affrontare nuovamente per sentirmi rivolgere le medesime dure parole o per percepire addosso il suo sguardo che, ormai ne avevo la certezza matematica, avrebbe riversato solo odio non mi allettava per nulla, al contrario mi chiudeva la gola con un doloroso nodo d’angoscia.

-Se è questo a preoccuparti, con lei che Rick, non c’è da preoccuparsi Caroline-

Lei guardò Stefan scettica, poi scrollò le spalle e appoggiò la testa sulla spalla di Tyler, che sorrise per la testardaggine della compagna, alzando gli occhi al cielo e facendo così ridere tutti gli altri.

-Se lo dite voi…- borbottò sconsolata.

Poi una presenza alle nostre spalle ci fece voltare. Una ragazza bionda, fasciata in un lungo abito nero impreziosito da alcuni punti luce sul corpetto, sorrise melliflua ed altezzosa, lasciando vagare su tutti noi uno sguardo dal retrogusto disgustato. Alle sue spalle un giovane ragazzo dall’aria sbarazzina sorrideva sghembo.

-Buonasera, mi è giunta voce che collaboreremo tutti quanti per questa volta. Beh vi do un consiglio, in caso vedeste qualcosa di sospetto, lasciate perdere e fate fare il lavoro a chi è più vecchio ed esperto di voi, d’accordo pivelli? Non vorrei che mandaste all’aria tutto quanto con le vostre paranoie e i vostri spiriti caritatevoli…-

Prima che qualcuno potesse ribattere niente, il ragazzo alle sue spalle scoppiò in una fragorosa risata.

-Perdonate mia sorella, a volte è un po’ troppo diretta. Quel che voleva dire è che sarebbe meglio lasciar fare a noi, anche perché, sapete com’è, sono affari di famiglia…- il tono canzonatorio e vagamente divertito che usò fece irritare non poco Damon, che avanzò di un passo con sguardo bellicoso.

-Senti un po’ ragazzino, già avevamo parlato di questo con il tuo grande fratello ma mi sembra che con voi bisogna sempre essere prolissi…Noi vorremmo tanto che fossero affari di famiglia ma se la vostra cara mammina sclerata decide di fare un figlicidio ci rimettiamo la pelle tutti quanti, per cui evitate di essere logorroici con questa storia degli “affari di famiglia” e godetevi in santa pace la festa, un modo carino per dirvi di levarvi dalle palle in caso non lo aveste compreso. Ah, inoltre non so quanto farebbe piacere ad Elijah sapere che siete venuti nuovamente a discutere su una questione che già lui aveva chiuso e risolto giorni fa- Damon annuì convinto delle sue parole trattenendosi dal ghignare alle espressioni seccate dei due fratelli.

-Matt, non mi offri un drink?- soffiò poi la bionda, guardandolo con un sorriso smagliante dai riflessi maliziosi.

Caroline, al mio fianco, borbotto infastidita qualcosa che somigliava molto a un “ma che gran faccia tosta…”, mentre io nel frattempo cercavo di capire chi mai fossero quei due vampiri, anche se, a ben vedere, dopo quella conversazione mi erano rimasti pochi dubbi a riguardo.

-Car, ma chi sono?- le sussurrai all’orecchio per avere una conferma, mentre lei sembrava occupata a trucidare con la sola forza del pensiero la ragazza di fronte a noi, ora intenta a conversare suadente con Matt.

-Rebekah e Kol Mikaelson- sputò tra i denti con sdegno, le braccia incrociate al petto e la mascella dura – I due stupidi fratelli di Klaus, i più piccoli credo. No ma guardala! Ti rendi conto? Ci manca solo che inizi a strusciarglisi  addosso e li invito a prendersi una camera, per la miseria! E pure Matt, sant’Iddio, si è forse dimenticato di Selena?-

-Oh tranquilla, non mi importa più di tanto. Mi ha accompagnata solo per questioni di galateo- aggiunse lei con un sorriso, forse cercando di placare il suo nervosismo sempre più crescente ma finendo per farla irritare ancora di più.

-Non importa, è un cretino! Una volta che hai una dama, non flirti con un’altra. Specie se si chiama Rebekah Mikaelson ed è una grandissima troia-

Tyler al suo fianco rise, dandole uno scossone per rabbonirla e farla tacere al tempo stesso, altrimenti di quel passo il soggetto delle sue maledizioni l’avrebbe ben udita. E pur non conoscendola, ero abbastanza certa che non fosse una che passa sopra a certi insulti.
Prima che però potesse aggiungere altro di altamente sconveniente, Rebekah si voltò vero di noi con sguardo furbo, avvicinandosi accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi appena visibili sotto la lunga gonna.

-Ma guarda, due visini nuovi che si sono aggiunti alla compagnia dei martiri. Scommetto che sei Nina, vero? Ho sentito molto parlare di te- ghignò sadica, facendomi ben comprendere quali voci le fossero giunte alle orecchie.

In risposta, piegai le labbra e strizzai appena gli occhi infastidita, arcuando le sopracciglia con finto stupore. Quella ragazza era realmente insopportabile.

-Ma davvero? Peccato non possa dire la stessa cosa di te allora-

Udii distintamente lo sghignazzare poco controllato di Selena alle mie spalle, mentre Caroline bisbigliava  un entusiasta “ben le sta a quella vipera”, e dovetti mordermi la guancia per non ridere nel vedere il sorriso aspro che mi rivolse la vipera in questione.

-Non ti preoccupare di questo, avrai modo di conoscermi puoi starne certa. E ora scusateci, Elijah ci attende- e con questa frase se ne andò, gettandomi un’occhiata di sfida mentre pronunciava il nome di suo fratello e afferrando Kol per un braccio, che nel frattempo non aveva staccato gli occhi di dosso a Selena e anzi aveva iniziato a parlarle, per trascinarselo dietro con fare spazientito, ignorando teatralmente le sue lamentele melodrammatiche.
Quindi Elijah c’era già…
Con uno scrollo della testa che fece ondeggiare i boccoli unicamente appuntati in due ciocche sulla nuca e lasciati sciolti lungo la schiena, mi imposi di non pensarci almeno per quella sera, e di concentrarmi piuttosto sui miei nuovi amici. D’altronde aveva detto lui stesso che era ora che dimenticassi, no? Ebbene, l’avrei fatto.

-Sai Nina, credo che tu ti sia appena fatta una nuova nemica- rise Elena, facendo un cenno col capo nella direzione in cui i due fratelli erano stati fagocitati dal resto della folla.

Di tutta risposta scrollai le spalle con fare noncurante, sorridendole.

-Per quel che mi può importare…-

Ed era vero. In quella famiglia avevo più nemici che amici, se consideravo l’odio di Klaus nei miei confronti, reciproco preciserei,  e quello di Elijah, l’unico che mi procurava reale sofferenza fisica. Se si aggiungeva anche la sua amorevole sorellina alla lista nera le cose non sarebbero poi cambiate di molto, ci sarebbero semplicemente state più persone che in caso di mia morte avrebbero stappato una bottiglia di spumante, nulla di più.

-Comunque, simpatica la ragazza. Ma è sempre così, o oggi si è premurata di dare il meglio di sé?- domandò Selena, allungando nel mentre un braccio per afferrare uno dei flute che un cameriere poco distante faceva volteggiare tra gli invitati su di un vassoio d’argento.

-Oh credimi, penso piuttosto che si sia trattenuta per buon gusto e per evitare scenate pubbliche, ma solitamente è peggio. Molto peggio. Oserei dire che Crudelia Demon a suo confronto impallidirebbe come una principiante- sottolineò sarcasticamente Caroline, facendo ridere un po’ tutti.

-Perdonala, lei e Rebekah non si può dire vadano d’accordo…anche se sarebbe difficile smentire ciò che ha affermato-  precisò  Stefan più diplomaticamente, gettando un’occhiata esasperata alla bionda che ricambiò con una linguaccia impertinente.

-Vedi? Lo ammette anche lui! E considerando che anni fa sono stati assieme, è tutto dire! Dovevi essere proprio disperato amico, fattelo dire-

-Caroline!-

Tyler le strinse le spalle per farla tacere, mentre Elena faceva una smorfia contrariata sotto lo sguardo imbarazzato del suo ragazzo, e Damon se la rideva di gusto. Io rimasi semplicemente a bocca aperta, fissando Stefan con sgomento e ricevendo in risposta un’alzata di spalle e un “è una storia lunga” che non me la contava giusta.

-Beh che c’è? E’ vero! E tu smettila di sghignazzare, idiota, che se non erro non si è risparmiata nemmeno di rotolare tra le tue lenzuola tempo fa-

-Che ci posso fare se a far sesso è brava- commentò questo vagamente crudo, facendo calare un silenzio rotto solamente dalla risata di Selena.

-Oh mio Dio, voi siete pazzi lo sapete?-

Lo scoppio di risa decretò un’altra serie di battute più o meno velate capeggiate principalmente da un Damon senza remore e una Caroline dalla parlantina sciolta, frenata a tratti da Tyler, scherzosamente esasperato o Elena, principalmente imbarazzata.
Quando ormai mancava poco più di un quarto d’ora all’apertura delle danze, decisi che ero rimasta astemia abbastanza a lungo per quella serata da potermi dirigere al piano bar, dove un giovane cameriere affittato appositamente per la serata si destreggiava in schakeraggi acrobatici, senza sensi di colpa.
Per tutto il tragitto avevo pregato silenziosamente di non incappare accidentalmente in Elijah, la sola idea bastava a farmi correre brividi gelidi lungo la schiena. Dopo la chiacchierata che avevamo avuto non avrei saputo come comportarmi: se da una parte la voglia di non dargliela vinta bruciava viva, dall’altra la consapevolezza che avrei ricevuto le solite occhiate indifferenti pari a dolorose stilettate mi faceva desistere dal fare alcunché.
Eppure avrei voluto fare quel qualcosa in più, avrei voluto parlagli, spiegare le ragioni che mi avevano portato a fare quel gesto tanti e tanti anni prima con la maturità e la chiarezza che tutti quei secoli vissuti mi avevano consentito di accumulare. Gli avrei fatto capire che il torto non era tutto mio e che mai, mai avrei voluto ferirlo.
Ma lui non aveva tempo.
E allora a quale scopo incontrarlo, se le sue orecchie sarebbero state sorde a ciò che gli avrei detto? A quale scopo dannarmi e rincorrerlo, se lui mi aveva consigliato, imposto, di dimenticarlo?
Forse aveva ragione, forse avrei dovuto scordarmi tutto, cancellare l’amore e sostituirlo col nulla proprio come aveva fatto lui, anche se nel suo caso quel nulla era odio. Forse, così facendo, non avrei più sofferto e me ne sarei infischiata di tutto ciò che mi avrebbe riversato addosso, considerandolo alla stregua di Klaus.
Ma lui non era Klaus, era Elijah, il mio Elijah, ed io non ero più la fragile ragazza di un tempo che alla prima situazione di disagio gettava la spugna.
Avevo raggiunto il bancone e me ne stavo in piedi, i gomiti appoggiati al marmo freddo e le dita a tamburellare freneticamente sul piano in attesa che il barman  finisse con l’ordinazione precedente, quando sentii una mano posarsi alla base della mia schiena.
Sbiancai, sentendo un soffio gelido sfiorarmi la pelle nuda poco sotto il lobo dell’orecchio in un sussurro appena udibile, ma mi imposi di rimanere calma, la mascella contratta e il respiro secco uscente a sbuffi dal naso.

-Buonsera Nina-

-Klaus- dissi solo a mo’ di saluto, evitando di voltarmi quando lo vidi posizionarsi di fianco a me, le spalle rivolte al bancone, le braccia appoggiate su di esse e lo sguardo vagante sulla sala gremita di gente, puntando piuttosto lo sguardo con ostinazione sulla serie di bottiglie per metà vuote che mi si paravano davanti agli occhi.

-Splendida serata, non trovi?-

-Fino ad un attimo fa sarei stata d’accordo, si- sputai velenosa, sentendolo ridere, e facendo nel mentre un cenno al ragazzo –Un Martini, grazie-

-Fai due- aggiunse il vampiro alla mia destra, ricevendo in risposta un assenso col capo.

Cadde un silenzio teso, rotto entro poco da un mio sospiro seccato.

-Se sei venuto qui per bella presenza sappi che un accompagnatore atto a farmi compagnia ce l’ho già, e che se in questo momento sono sola è unicamente perché la solitudine ora come ora sarebbe stata ben gradita. Non so se hai compreso l’antifona…-

-Ma quanto siamo sgarbate, Contessina…Ho saputo che l’hai rivisto, andata come speravi?- cantilenò lui, guardandomi di traverso ed afferrando il Martini che nel mentre era arrivato

-Non penso proprio siano affari tuoi- conclusi secca, facendo forza su me stessa per trattenermi dal desiderio di tirargli uno schiaffo.

Lui si strinse nelle spalle.

-Forse- rise -Mia sorella ha detto di averti conosciuta…non credo tu le abbia suscitato grande simpatia-

Ringrazia interiormente il cielo che avesse spostato la conversazioni su piani ben meno sensibili, senza però perdere quell’aria seccata e vagamente annoiata di poco prima.

-La cosa è reciproca, non preoccuparti- presi un sorso dal mio bicchiere e poi iniziai a giocherellare con le due olive al suo interno, sbuffando alla sua ennesima risata divertita. Non era certo questa la reazione che speravo di ricevere.

-Sai, non ti ricordavo così divertente. Peccato…- lasciò la frase teatralmente incompiuta, ma non ci volle molto per capire cosa stesse per dire.

Sorrisi amara, voltandomi e avvicinando le labbra all’orecchio di lui in un gesto che ad occhio esterno sarebbe sembrato null’altro che seducente, poi alitai ciò che aveva evitato di dire più per sadico divertimento che per vero tatto. Che tatto ci potrebbe mai essere in una minaccia di morte?

-Peccato cosa, Klaus? Peccato che tu debba uccidermi?-

Anche lui si voltò, lentamente, senza spostarsi di un millimetro, tanto che i nostri visi erano così vicini da mescolare i respiri e fonderli in un tutt’uno. Lo fissai negli occhi e mai come in quel momento desiderai avere un paletto di quercia bianca tra le mani.

-Sai, oltre che bella e divertente, sei pure intelligente. Mi chiedo come tu abbia fatto a commettere un errore simile tanti anni fa-

-Tu lo chiami errore, io atto giusto. Quanto possono essere differenti le opinioni su di una stessa cosa, vero?-

Lui sorrise, continuando a fissarmi da quella distanza limitata che in fondo al cuore mi terrorizzava.

-Ripeto: peccato-

-Suvvia Klaus, parli parli, ma siamo ancora qui. Io sono ancora qui. Eppure ci vorrebbe così poco…guarda, nessuno ci vedrebbe. Mi strapperesti il cuore e mi trascineresti là, in quella stanzetta vuota alle tue spalle. Facile vero? E allora perché non lo fai?-

-L’hai detto tu stessa, mia piccola traditrice. Facile. Troppo facile. E tu lo sai, a me piacciono i giochi-

Sorrise mefistofelico ed io strinsi gli occhi, stizzita, tirandomi finalmente indietro e concedendomi un respiro liberatorio.
In quel mentre Carol Lockwood annunciò l’inizio delle danze.

-Mi concederai un ballo?- chiese ironico Klaus, staccandosi dal bancone e facendo un paio di passi verso la pista.

Sorrisi falsa piegando la testa di lato, facendo così scivolare i capelli su di una spalla, e schioccai la lingua.

-Piuttosto la morte-

Lui rise, scuotendo la testa.

-Come desideri-

 
Quando raggiunsi gli altri, Elena era stata già trascinata da Stefan in pista, e lo stesso valeva per Selena, che in quel momento rideva appoggiata alla spalla di Matt.
Caroline e Tyler sembravano invece spariti nel nulla.
Una mano sbucata dal nulla mi circondò il fianco, mentre l’altra comparve nella mia visuale tesa in una muta richiesta che fu accompagnata dalle parole del suo proprietario.

-Mademoiselle, potrei avere l’onore di questo ballo?-

Mi voltai sorridendo, già certa di chi mi sarei trovata di fronte, ed alla vista di un Damon prostrato in un perfetto inchino vecchio stampo non potei trattenere una risata, imitandolo come tradizione diceva.

-E’ un piacere-

Poggiai la mano sulla sua e mi lasciai guidare in mezzo alla calca roteante, dove gonne si alzavano in tripudi di volant e sete, strusciando tra di loro e creando incredibili giochi di colori.
Trovammo il ritmo all’istante, abituati entrambi a simili situazioni, ed iniziammo a danzare come tutti gli altri, senza malizia né passione, ma guidati piuttosto dal puro divertimento.

-Prima ti ho vista parlare con Klaus, che voleva?- chiese Damon innocente, nascondendo dietro il suo sorriso noncurante una profonda curiosità.

Merda.
L’idea di svelargli tutto mi sfiorò velocemente ed altrettanto in fretta sparì: quello non era il momento né il luogo adatto, e semmai lo fosse stato non sarebbe stato lui il primo a venirne a conoscenza, non era giusto nei confronti di Stefan.
Per cui misi su la miglior faccia da poker che mi riusciva ed alzai le spalle nude come a sminuire la cosa.

-La sua bionda sorellina deve avergli parlato di me, e lui ha pensato bene di andare a perlustrare la nuova zona nemica-

-Dall’aria seccata e determinata che avevi, devi avergli tenuto testa- continuò lui, probabilmente non del tutto convinto da quel mio veloce liquidare la faccenda.

-Me la so cavare bene, modestamente-

Lui rise.

-Ho notato. Rebekah sembrava avere un diavolo per capello quando se n’è andata. Non che normalmente sia messa tanto meglio…-

-Disse quello che se la portò a letto…- lo canzonai divertita, mentre lui allungava il braccio per farmi fare una giravolta.

-Mi sono già espresso in merito, non farmi essere volgare per la seconda volta, non vorrei che le tue innocenti orecchie prendessero fuoco-

-Senti un po’ ragazzetto, devo ripeterti la differenza d’età che mi porta ad essere più vecchia di te?-

Lui avvicinò le labbra al mio orecchio, facendo così scontrare i nostri petti fasciati dagli abiti eleganti, e sussurrò con non molta velata malizia e un tono basso e seducente.

-Se vuoi puoi anche dimostrarmelo-

Rimasi per un secondo spiazzata, poi scoppiai a ridere dandogli una botta scherzosa sul braccio.

-Provaci con quelle della tua età, non tutte sono come Rebekah Mikaelson-

Lui sbuffò, poi scoppiò a ridere, scostandosi per guardarsi attorno. Al che un campanellino mi risuonò in testa.

-Avete poi notato qualcosa di sospetto?-

-Niente di niente, le acque sono tranquille, fino troppo oserei dire, ma chissà, forse questa sarà la sera in cui il famoso mito sulle feste di Mystic Falls verrà sfatato-

-Non posso credere sul serio che ad ogni festa succeda qualcosa di tanto disastroso- scossi la testa scioccata, sembrava una sciocca credenza ridicola, una superstizione.

-Ma come, una creatura come te che incarna realmente un mito, poi non ci crede?- sfottè lui –Ti direi “vedrai” ma forse sarebbe meglio che così non fosse- si guardò ancora attorno, poi aggiunse –Oh, cambio di coppia-

Fui sospinta in una giravolta e nell’istante in cui le braccia di Damon mi abbandonarono altre, molto più familiari, presero il loro posto.
Bastò un  quarto di secondo per capire chi avevo di fronte.
Sbiancai, sentendo una mano dal tocco conosciuto scivolarmi piano attorno alla vita per poi posarsi alla base della schiena, punto che divenne il centro più sensibile del mio intero corpo, mentre l’altra afferrava la mia con movenze esperte, e mi ci volle una forza di volontà spropositata per riuscire ad eseguire i medesimi movimenti, portando la mia in alto sulla spalla e piegando appena quella che era stata afferrata.
Quel profumo, il suo profumo, mi inebriò totalmente quando quasi cozzai sul suo ampio petto, riprendendo per un pelo l’equilibrio dopo la giravolta ma inciampando miseramente nei miei stessi piedi, il tutto nel giro di pochi attimi.
Quando poi mi decisi ad alzare lo sguardo, un respiro strozzato mi fuoriuscì dalle labbra semischiuse nel vedere i suoi occhi neri e profondi fissi sul mio volto.
Indossava uno smoking impeccabile ed appariva perfetto in ogni risvolto, in ogni piega, in ogni ciuffo che gli ricadeva con studiata cura sulla fronte nivea.
In quel quadro idilliaco l’unica pecca, l’unica nota che stonava visibilmente col resto era l’espressione cupa ed impassibile, gelida, mentre faceva vagare lo sguardo lungo tutta la mia figura. Ridicolmente, data l’impossibilità della cosa, potei quasi sentire le mie gote andare a fuoco sotto quello sguardo inquisitore che sfilava i centimetri di stoffa blu che avevo indosso. Quando poi portò nuovamente gli occhi ad inchiodare i miei, tutti i buoni propositi di dimenticare, di fare il suo stesso gioco e di risultare forte andarono a farsi malamente benedire.
Dovetti ingoiare tre volte la saliva prima di poter riuscire a parlare.

-Elijah…-

-Buonasera Nina- e la sua voce monocorde ed incolore non pronunciò nient’altro che quello.

Un solo se semplice saluto dai risuoni formali che decretò l’inizio di un teso silenzio.
Io, troppo codarda per aggiungere altro e memore del nostro primo e ultimo battibecco, presi un lungo respiro, perdendomi ancora nel nero dei suoi occhi che sembravano trapassarmi senza realmente vedermi, prima di abbassare lo sguardo e fissarlo sul nodo ben fatto della cravatta che portava al collo.
Non so quanto tempo passammo in quel modo, fisicamente vicini, tanto che ad ogni respiro i nostri petti cozzavano inevitabilmente, ma così lontani da non vederci neppure, io troppo impaurita da quel che avrei osservato per farlo e lui troppo rancoroso per potermi realmente mettere a fuoco.
Eppure danzavamo, meccanicamente certo, ma stavamo lì, con le mani rispettivamente sui corpi dell’atro, a guidarci vicendevolmente in quei passi immutati nei secoli.
Quando però il silenzio divenne troppo e la tensione ingestibile sospirai stanca, socchiudendo gli occhi per racimolare il giusto coraggio necessario a pronunciar parola.

-Mi dispiace- fu poco più di un sussurro, ma dalla mascella che si contrasse sul suo volto potei intuire che fu udito.

-Non parlare- sibilò tra i denti, stringendo appena la presa sulla mia schiena e facendomi così alzare lo sguardo sorpresa . I suoi occhi, non più così impassibili, mi fissarono, questa volta vedendomi davvero e non seppi se fu meglio o peggio così.

-Scusa?- chiesi scioccata, corrugando la fronte e riacquistando sempre più sicurezza. Già il fatto che mi avesse risposto in qualche modo infatti era un passo avanti…

-Ho detto, non parlare- ripeté duro, facendo schioccare la lingua con fare seccato.

Da spaurita che ero, iniziai lentamente a infervorarmi.

-Come sarebbe a dire non parlare? Non puoi certo impedirmi di dire ciò che penso-

-Hai perso il diritto di dire ciò che pensi parecchie decine di anni fa, Nina-

-Questo è ingiusto. Tu te ne sei andato, parecchie decine di anni fa, ed io ho avuto ben poco tempo per esprimermi allora-

-Forse perché qualsiasi cosa tu avessi potuto dire, non sarebbe valso niente. D’altronde dimmi, Nina, che valore può avere la parola di una traditrice?- sussurrò sarcastico, piegando le labbra in un ghigno per nulla divertito, facendomi rabbrividire da capo a piedi.

-Più valore di quella di un assassino indubbiamente- nel vedere l’ombra di gelo passare nei suoi occhi mi morsi la lingua, pentendomene all’istante.

-Attenta a quel che dici, non siamo più nel 1824, non sarai più graziata per i tuoi errori- minacciò duro, allungando il braccio per allontanarmi e poi tirandolo bruscamente indietro così da riavvicinarmi con una mezza piroetta. Dovetti tenermi alle sue spalle per non sbattergli addosso.
 –Inoltre non credo che nei tuoi 200 anni tu ti sia comportata meglio di me- insinuò con pacata e raggelante calma.

-Sicuramente non ho mai ucciso volontariamente persone innocenti, né  voluto farlo-

-Lei non lo era, non lo è mai stata-

-Agli occhi di chi, Elijah? Ai tuoi, o a quelli di Klaus?- pronunciai con sfida, facendolo irrigidire maggiormente.

Finalmente una reazione, pensai con un briciolo di speranza in più.

-Ho avuto fin troppa pazienza con te questa sera, ti consiglio di tacere- mi rivolse uno sguardo  serio, gli occhi luccicanti di un bagliore molto simile alla morte.

-Smettila di minacciarmi, non sono più la fragile umana di un tempo, non mi fai paura- sussurrai con orgoglio.

-Ne sei sicura?- insinuò con un mezzo sorriso raggelante –Potrei ucciderti qui, ora, potrei toglierti la vita senza che nessuno se ne accorga, strapparti quell’aria compiaciuta dal volto assieme al tuo cuore e non udire neanche l’ombra di un tuo fiato- quasi più terribile, più asfissiante delle sue parole fu la calma con cui le disse, la stessa espressione neutra ed impassibile nel descrivere la mia morte che si userebbe per parlare del tempo.
Mi ci volle un secondo prima di riuscire a parlare, e quando lo feci fui certa che la mia voce tremò.

-E allora perché non lo fai?- era la seconda volta che pronunciavo una frase simile in quella serata, sembrava quasi che me la stessi appositamente andando a cercare.

Poi lo vidi sorridere, un sorriso duro e spietato che trasmise agli occhi null’altro che maggiore freddezza e pacatezza, mentre si chinava fin quasi a sfiorare con le labbra fresche il lobo del mio orecchio.

-Non sarà così semplice per te. Sarebbe troppo comodo morire, mettere la parola fine al ricordo dei peccati e degli errori commessi, a quel senso di inquietudine che so che provi ogni vola che mi vedi. Non scaccerai il dolore con così tanta facilità né ti libererai della sofferenza che ti farò scorrere nelle vene come puro veleno. Rimpiangerai i giorni lontana da me, rimpiangerai la morte e mi supplicherai di dartela, rinnegherai il nostro amore, maledicendolo istante dopo istante come feci io e la tua voce si consumerà lenta mentre lo farai. E ricorda, Nina, questa è una promessa-

Persi il respiro mentre quelle parole appena sussurrate con una dolcezza macabra incarnante un ossimoro letale, il suono stesso della morte, mi scivolavano addosso come lame affilate, graffiandomi la pelle ad ogni suono, ad ogni lettere pronunciata. Persi la cognizione dello spazio e del tempo, persi la vista mentre tutto attorno a me divenne nient’altro che ombra, e dovetti aggrapparmi alle sue spalle per non cadere già, tradita dalle mie stesse gambe tremanti, arti rimasti feriti come ogni singolo altro pezzo del mio corpo martoriato internamente.
Eppure, la parte più orgogliosa di me mi diede la forza di non dargli la soddisfazioni di vedermi versare neanche una singola lacrima, mentre serravo la mascella  e mi scostavo da lui.
Ringraziai che la musica fosse finita, ringrazia che quella casa fosse abbastanza grande da darmi la possibilità di fuggire al suo sguardo distaccato, ora fisso sulla mia figura che tremante gli dava le spalle e senza più proferir parola si allontanava, e ringraziai Selena, la quale  non appena mi vide e soprattutto notò chi avevo appena lasciato addolcì l’espressione e mi tirò con sè, lontana dagli sguardi curiosi della folla, abbracciandomi e cullandomi piano, lasciandomi sfogare sulla sua spalla mentre tutto il dolore che quelle parole mi avevano procurato fuoriuscì sottoforma di copiose lacrime.

Perché, Dio, perché amare la persona sbagliata deve fare così male?

Fu proprio nell’istante in cui alzai la testa, mormorando un grazie accompagnato da un piccolo sorriso stentato, che mi accorsi dell’arrivo di tre uomini in smoking nella sala accanto.
Tre uomini mai visti prima.
Tre uomini accompagnati da Esther.

 

Continua…

 



- - - Angolino dell’autrice (sorpresa!) - - -

Ok, non credete, sono scioccata anch’io. Oggi avevo un’ispirazione così grande che mi sono messa a scrivere con l’idea di buttar giù solo qualche riga…poi una cosa tira l’altra ed eccomi qui:) Allora, questo capitolo inizialmente doveva venire unico, ma vista la lunghezza ho preferito dividerlo in due, quindi per l’altra parte (ancora incompleta) dovrete aspettare un po’ più di meno di 24 h  xD
Ora, dato che l’ho scritto praticamente in stile maratona, ho il terrore della riuscita, in più non so…voi che ne dite? E’ risultato ridicolo Elijah? E Klaus? E tutto il resto? ahahah ok, ha colazione ho mangiato pane e paranoia lo ammetto :P
Comunque davvero, ditemi che ne pensate, sono molto curiosa:) nella prossima parte vedremo lo scompiglio (arrivano i cattivi!) e altre scene Elijah/Nina. Anche se dopo questa….ehhhh lo so, è stato cattivello, ma che ci posso fare, lui mica perdona dall’oggi al domani:)
Aspetto con ansia vostre notizie, e nel frattempo ringrazio elyforgotten, taisha e salvatore per le recensioni:)
Un bacione e a presto,
Deademia

 

PS: questi sono gli abiti di Nina (blu) e Selena (rosso), io ci ho sbavato sopra per un buon quarto d’ora XD

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