Questione di frizione

di miseichan
(/viewuser.php?uid=87678)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prima guida ***
Capitolo 3: *** Seconda guida ***
Capitolo 4: *** Terza guida ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Frizione 1 nvu

 

 

Questione di  frizione

 

 

“Buongiorno.”

“Buongiorno a lei.”

“Cerco la signora Tarantino.”

Carlo arricciò le labbra, lo sguardo fisso sul computer che aveva davanti:

“La signora Tarantino non è qui.” rispose, facendo doppio clic sul mouse a forma di macchinina. 

“Non è possibile.” ribatté Aurora, stringendosi con sicurezza nelle spalle. 

“Lo dico io. Sì che è possibile.” 

“E io le assicuro che non è possibile.”

“Se non è qui, non è qui, signorina.” sospirò Carlo, spostando il nove di picche sotto il dieci di cuori. 

“Deve essere qui, però.”

“Per quale motivo, se mi è permesso chiedere?”

“Avevamo concordato un incontro.”

“Ah, sì?”

“Sì.” cominciò a inalberarsi la ragazza “Oggi dovevamo fare la mia prima lezione di guida.”

“Oh, capisco.” 

Carlo si aggiustò gli occhiali sul naso e posizionò l’asso di fiori nella casella vuota, soddisfatto. 

“Mi scusi.” si schiarì la voce Aurora, irritata.

“Dica.”

“Dov’è, allora, la signora Tarantino?”

“In ospedale.” mormorò l’uomo, arricciando di nuovo le labbra con aria pensierosa. 

“Oh signore!” esclamò lei, sgranando gli occhi “E’ grave?”

Carlo aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa:

“Cosa?” borbottò “No, no, che grave e grave... è entrata in travaglio.”

“In trava... sta partorendo! E’ una bellissima notizia!”

“Sì, sì, come vuole.” annuì lui “Resta il fatto che ho perso la partita.”

Aurora si sporse sulla scrivania per osservare lo schermo:

“Può spostare il sette.” disse, indicando la carta con il dito. 

“Oh.” s’illuminò Carlo “E’ vero. Grazie!”

“Nulla.” si strinse nelle spalle lei “Ora. Come la mettiamo?”

“Con la partita? Potrei ancora vincerla.”

“Con la guida che dovevo fare.”

“Oh. Capisco. La guida.”

“Per cortesia. Vorrei davvero cominciare oggi.”

Carlo sospirò e, con un po’ di sforzo, portò lo sguardo sulla ragazza:

“Vuole cominciare oggi?” chiese, arricciando le labbra.

“Ci terrei davvero tanto.”

“La signora Tarantino non c’è, però.”

“L’ho capito.”

“Quindi le va bene anche un altro istruttore?”

“Certo.”

“E sa che con l’istruttore con cui guida oggi dovrà poi fare tutte le esercitazioni?”

“Io... sì, non credo sia un problema.”

Carlo aggrottò le sopracciglia e si grattò il mento, aprendo un quadernetto grigio:

“Lei è...?

“Aurora Molinari.”

“Molinari, Molinari... è un tipo ansioso, lei?”

Aurora assottigliò lo sguardo, gli occhi verdi che rimpicciolivano:

“Che domande sono?”

“Sì o no, signorina Molinari?”

“Ma non lo so! Le pare giusto cercare di etichettare così una persona?!

“Diciamo di sì, quindi.”

“Senta...

“E’ una domanda sensata, signorina, mi creda. In questo modo posso decidere a quale insegnante assegnarla.” spiegò Carlo, intrecciando le dita “E’ per il suo bene.”

“La scelta è così ampia, perciò?”

“Oh, assolutamente no.” ridacchiò lui “In sede al momento ce ne sono solo due.”

“Mi ascolti bene, non credo sia il caso di...

“Sono sicuro che lei e Artù andrete d’accordissimo.”

“Artù?” balbettò Aurora, giocherellando nervosa con l’orecchino “Mi prende per il culo?”

“Non mi permetterei mai, signorina.”

“Si sta divertendo a mie spese, non è vero?” pigolò la ragazza, esasperata. 

“Artù!” chiamò Carlo, togliendosi gli occhiali “Artù, vieni!”

“Senta, se è uno scherzo...

“Eccolo lì.” 

Aurora si voltò appena, cercando con lo sguardo ciò che l’uomo le indicava.

Intravide una figura muoversi nell’altra stanza e la prima cosa che notò fu che apparentemente quasi sfiorava il soffitto; non era possibile, si disse, doveva essere uno scherzo prospettico. 

Man mano che si avvicinava registrò altri piccoli particolari: gli orecchini colorati, il ciuffo rosso, gli occhiali scuri, un tatuaggio sul collo e, sempre con maggiore sconcerto, l’altezza. 

La miseriaccia nera, ma quanto caspita era alto?!

“Si sta divertendo con me, non è vero?” bisbigliò di nuovo Aurora, piegandosi verso Carlo “Cos’è, le ho interrotto la partita e adesso si vendica mandandomi con il mastino alto due metri?”

Carlo ridacchiò, dandole una pacca affettuosa sulla spalla ossuta:

“Raggiunge appena il metro e novanta e le assicuro che è buono come il pane.” rispose l’uomo.

“Oh, immagino!” esclamò sarcastica lei “Un tesorino della mamma, sicuramente!”

“E’ un bravissimo guidatore, mi creda. Ed è il migliore nel gestire le crisi di panico.

Aurora sgranò gli occhi, un indice accusatorio puntato in direzione di Carlo:

“Tutto questo perché si è convinto del fatto che sono una persona ansiosa? Le assicuro che non è così! Non c’è alcun bisogno di...

“Arturo,” la interruppe Carlo, sorridendo placidamente “Questa adorabile signorina è Aurora.”

Aurora pietrificò, voltandosi cautamente: sollevò il capo per incontrare gli occhiali scuri del ragazzo e, mai come in quel momento, si sentì un puffo. 

“E’ un piacere.” fece lui, porgendole la mano.

“Altrettanto.” sussurrò Aurora, stringendogliela. 

“Artù, te la affido.” concluse Carlo, rimettendosi gli occhiali e tornando a fissare lo schermo. 

Arturo annuì una sola volta e si girò, facendole segno di seguirlo fuori. 

Aurore sospirò, si strinse nella giacca e s’incamminò.

Diamine, non l’avrebbe mai presa quella fottutissima patente. 

 

§

 

 

Aurora e Arturo.
Non chiedetemi da dove sono usciti perché non saprei dirvelo.
Diciamo che fra ansia pre-esame e lezioni di guida loro sono ciò che il mio neurone malato ha partorito.

Mi sono decisa a proporveli solo e unicamente perché le lezioni, alla fin fine, non dovranno essere troppe.

Se vi hanno colpito anche solo un pochino battete un colpo e fatemelo sapere :)

    Perché in fondo, a chi non è capitato di avere problemi di frizione?

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prima guida ***


2 nvu

 

 

Questione di  frizione

 

 

 

“Sei pronta?”

“Io... ho chiuso la portiera.”

Arturo si voltò verso di lei e si sfilò gli occhiali scuri:

“Sei nervosa?”

“No.” biascicò Aurora, torturandosi le mani. 

“Sei nervosa.” decise Arturo, infilando gli occhiali in una tasca della giacca nera “Perché?”

“Non lo sono, quindi non deve esserci un motivo.”

“Ti innervosisco?”

“No!”

“Va bene, va bene.” fece lui, alzando le mani “Prendi un bel respiro, su.”

“Sto bene.” sibilò lei, inspirando profondamente “Sto bene.”

“Va bene.”

“Ora allaccio la cintura.”

“Ottimo.”

“E metto la prima.”

“Eccellente.”

“Mi prendi in giro?”

“Assolutamente no.” 

“Va bene.”

“Va bene.”

“E ora?”

“Sicura di essere calma?”

“Calmissima.”

“Allora premi freno e frizione e poi accendi la macchina.”

“Va bene, però...

“Però?”

“Allaccia la cintura anche tu.”

“Non devo farlo per forza, io. Secondo la legge...

“Non mi frega niente della legge.” borbottò lei “Non voglio averti sulla coscienza.”

“Hai già deciso che mi ucciderai?”

“Non ne sono sicura, ma le probabilità non giocano a tuo favore.”

Arturo si allacciò la cintura e inarcò un sopracciglio nero:

“Più tranquilla?”
“Giusto un pochino.”

“Ora accendi la macchina?”

“Solo perché insisti tanto.”

Aurora girò la chiave e ascoltò il rombo del motore che prendeva vita:

“E adesso?”

“Metti la freccia a sinistra.”
“Perché?”

“Perché così ci immettiamo nel traffico.”

“Non possiamo aspettare che siano passate tutte le altre macchine?”

“Perché dovremmo?”

“Sarebbe una mossa furba, davvero.”

“Metti la freccia.”

“Non sei saggio.” borbottò lei, obbedendo.

“Ora gira il volante verso sinistra, così, piano.”

“Non hai alcuno spirito di autoconservazione, davvero.”

“Adesso premi leggermente sull’acceleratore.”

La macchina partì di colpo, spostandosi prepotentemente. 

“Leggermente, leggermente!” guaì Arturo, affrettandosi a frenare. 

“Cos’è successo?” tremò lei, guardandolo con la coda dell’occhio.

“Hai accelerato troppo.”

“E com’è che siamo ancora vivi?”

“Ho i pedali anch’io, sai?”

“Ah, già.” sospirò, le nocche pallide serrate attorno al manubrio “Ottimi riflessi, complimenti.”

“Riproviamo.”

“Davvero?”

“Con calma.” fece lui, tranquillo “Accelera leggermente.”

“Cosa intendi per leggermente, tu?”

“Prova.”

“Leggermente.” ripeté Aurora, premendo al minimo il pedale.

“Ecco, così.” approvò il ragazzo.

“Ci stiamo muovendo.”

“Eh, già.”

“No, davvero!” ribadì lei “Ci stiamo muovendo!”

“Prosegui diritto.”

“Va bene. Posso accelerare?”

“Perché?”

“Quella signora ci ha appena superati.”

“E allora?”

“Era a piedi.” fece Aurora “E ha l’età di mia nonna.”

“E’ la tua prima guida, questa velocità va benissimo.”

Eddai, giusto un pochino.”

“No.”

Aurora si morse il labbro, contrariata. 

Guardò fuori dal finestrino e un ragazzino in skateboard le fece la linguaccia, sorpassandola. 

“Lo hai visto?!” sbottò, incredula.

“Ah, Signore.” sospirò Arturo, massaggiandosi le tempie “Va bene, accelera.”

“Davvero?”

“Solo un pochino.” sillabò lui, avvertendola.

La macchina fece un balzo in avanti.

“Ho come l’impressione che tu ancora non abbia imparato a dosare la forza.”

“Scusa, scusa, scusa!”

“Rallenta.”

“E’ la macchina che non mi ascolta, non è colpa mia!”

“Rallenta.”

“Ho premuto pochissimo, è lei che fa di testa sua!”

“Rallenta e guarda la strada.”

“Non essere così monocorde, sembri arrabbiato.”

“Non sono arrabbiato.”

“Non è colpa mia!”

“Aurora.”

“Cosa?”
“Non hai ancora rallentato.”

“Oh. Scusa.”

Arturo sospirò, aprendo il finestrino.

“Hai caldo?”

“Solo un po’.”

“Ti sto facendo sudare freddo, nevvero?”

“Sono abituato, tranquilla.”

“Non hai negato.” gemette lei, portandosi una ciocca castana dietro l’orecchio.

“Freccia a destra.”

“Perché?”

“Così possiamo girare a destra.”

“Per andare dove?”

“Facciamo solo un giro dell’isolato, Aurora.”

“Oh.”

“E’ la prima guida, serve solo a farti prendere confidenza con l’auto.”

“Ho capito.”

“Hai messo la freccia?”

“Sì.”

“Adesso,” mormorò lui, placido “cerca di non emozionarti.”
“In che senso?”

“C’è uno stop, fra poco. Devi fermarti e dare la precedenza.”

“Va bene.”

Aurora avanzò ancora per qualche metro e poi non resistette più:

“Perché mi hai detto di non emozionarmi?”

“Fai finta che non l’abbia fatto, ti prego.” sospirò lui, supplicandola con gli occhi.

“Ma lo hai fatto.”

“Rallenta, adesso.”

“Io rallento ma tu lo hai fatto.”

“Rallenta ancora, premi la frizione e frena.”

“Fatto.”

“Lo vedo.”

“Siamo fermi.”

“Com’è giusto che sia dato che siamo ad uno stop.”

“E adesso?”

“Aspetta che non passi più alcuna macchina.”

“Dopo quella verde la strada è libera.” mormorò Aurora.

“Metti la prima.”

“La prima cosa?”

“Marcia, Aurora, marcia.” sussurrò Arturo “Ti stai emozionando.”

“Non mi sto emozionando.” balbettò lei, mettendo la prima “Abbiamo una fila di auto dietro, però, lo sai?”

“La cosa non ti deve interessare.”

“C’è, però.”

“Sterza a destra e comincia ad accelerare, lentamente.”

Aurora obbedì, premendo sull’acceleratore. E la macchina sussultò.

“Che ha avuto? Cos’era, uno spasmo? E’ morta?”

“Si è spenta.”

“Perché? Perché si è spenta?”

“Aurora.” la richiamò lui “Tranquilla. Riproviamo. Accendi la macchina.”

“Abbiamo sempre la fila di auto dietro.” ribadì lei, eseguendo.

“Ignorale.”

“Non sono piccole, sai?”

“Sanno che sei una principiante, non daranno problemi.”

“Le stiamo infastidendo, però.”

“Premi la frizione. Dai gas.” mormorò placido Arturo “Piano.”

“Lo sto facendo. Lo sto facen...” 

La macchina sussultò. 

Aurora imprecò.

“Si è spenta di nuovo!” sbottò, gli occhi lucidi “E’ difettosa, Artù!”

“Non è difettosa.” 

“Sì che lo è: si è spenta!”

“E’ un gioco, okay? Un gioco di frizione e acceleratore.”

“Al diavolo.”

“Riprova.”

“Io accendo la macchina, ma la fai partire tu.”

“Con calma, ci puoi riuscire.”

“Non mi interessa, va bene? Posso vedere l’espressione di quello dietro nello specchietto.

“E allora?”

“E allora è compassionevole! Ho paura che fra un po’ scenda per aiutarmi.

“Aurora...

“L’ho accesa, falla partire.”

“Prova ancora.”

“No.”

Arturo si massaggiò le tempie, quindi aprì il finestrino e fece segno alle altre macchine di superarli. 

Quando rimasero soli si voltò verso la ragazza:

“Prova di nuovo.”

“Sono negata.”

“Prova.”

“Oh, per l’amor del cielo!” sbottò lei, esasperata “Certo che sei di coccio! Duro da morire, ragazzo mio! Com’è che sei così testardo?”

La macchina partì docile, svoltando a destra. 

Aurora si zittì.

“Visto che ce l’hai fatta?” sorrise Arturo, indicandole di proseguire diritto “E’ tutta una questione di frizione, credimi. Una volta imparato il giochino non avrai più problemi.

“Sei stato tu, ammettilo.” sussurrò lei, lanciando un’occhiata ai piedi del ragazzo.
“Guarda la strada.”

“L’hai fatta partire tu.”
“Eri talmente distratta da non accorgerti di quel che facevi: sei stata tu.”

“Non è vero.”

“E’ vero. Come è vero che ti sei emozionata.”

“Colpa tua.”

“Dici?”

“Mi avevi detto di non emozionarmi e io mi sono emozionata per reazione.”

“Capisco.”

“Accondiscendi come si fa con i pazzi?”

“Gira a destra.”

“Non sono pazza.”

“Non l’ho mai detto.”

“Lo stai pensando.”

Arturo sorrise, lanciandole un’occhiata veloce:

“Che c’è?” saltò su lei “Che sto sbagliando?”

“Niente. Metti la seconda.”

“Devo premerla la frizione?”

“Sempre, quando cambi marcia.”

“Perché mi guardavi?”

“Nessun motivo.”

“Ho i capelli sconvolti?”

“Rallenta.”

“Perché?”

“Siamo arrivati.”

Aurora si guardò attorno e con sconcerto riconobbe la scuola guida.

“Oh.”

“Freccia a destra e accosta.”

Obbedì, il piede che premeva a fondo sul freno. 
La macchina si fermò di colpo, come singhiozzando.

“E ora?”

“Alza il freno a mano, metti in folle e spegni la macchina.”

Una volta zittito il rombo del motore Aurora sospirò, reclinando il capo all’indietro.

“E’ stato faticoso.”

“Sei troppo tesa.”

“Rischiavo la vita di entrambi, è una consapevolezza non indifferente.”

Arturo scosse la testa, roteando gli occhi:

“Devi semplicemente fidarti di me.” mormorò, scendendo dall’auto.

Aurora lo imitò, restituendogli le chiavi:

“Quando ci vediamo di nuovo?” chiese con un filo di voce.

“Quando vuoi tu.”

“Domani?”

“Domani va bene.”

Aurora annuì, mordendosi il labbro e accennando un sorriso:

“Potresti metterti una qualche protezione, la prossima volta.”

“Devo coglierci un doppio senso?” ghignò Arturo, incamminandosi verso la scuola.

“Cosa? No! Io... intendevo qualcosa come un giubbotto antiproiettile o...

“A domani.” la interruppe lui, facendole ciao con la mano.
Aurora ricambiò e infilò le mani gelate nelle tasche della giacca.

Porca, pensò, avrebbe finito per ucciderlo davvero.

 

§

 

 

 

Devo dire: la scelta era fra il continuare a studiare e il pubblicare il nuovo capitolo.
Non so come mai, ma l’idea di postare questa sciocchezzuola mi sembrava improvvisamente molto più allettante. ^^
C’è da dire che la linguistica generale è davvero molto noiosa.
Oltre ciò, speravo che qualcuno di voi, dopo averlo letto (o averci almeno tentato) si sarebbe mosso a compassione e quindi deciso a prendermi a sprangate pur di farmi tornare a studiare. Dite che lo fareste per me?
Sproloqui a parte, un grazie a chiunque sia arrivato fin qui,

alla prossima,

Sara

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Seconda guida ***


3

 

 

Questione di  frizione

 

 

 

“Ciao.”

“Ciao. Scusa il ritardo.”

“Non sei in ritardo.”

“E allora perché sei già seduto in auto?”

“Ti anticipo.” sorrise Arturo, facendole segno di prendere posto.

“Hai allacciato la cintura?” chiese lei, chiudendo la portiera e aggiustando lo specchietto.

Arturo sospirò e obbedì, l’espressione esasperata:

“Devo dedurne che ancora non ti fidi di me?”

“Il problema sono io, non tu.” negò Aurora, accendendo la macchina.

“Mi stai forse lasciando?”

“Non oserei mai, c’è il rischio che tu poi mi schiacci.”

Arturo aggrottò la fronte, fulminandola:

“E questa è un velato riferimento a cosa, di grazia?”

“Alla tua spropositata altezza.” annuì lei, convinta “Ora. Cominciamo o restiamo fermi, oggi?”

“Non sono così alto.” borbottò il ragazzo, indicandole di immettersi nel traffico.

“Non ci pensare.” gli sorrise Aurora “Dove andiamo?”

“Autostrada.”

“Quindi vado a destra?”

“Sì.”

“Qualcosa non va?”

“Stai correndo troppo.”

Aurora decelerò e inarcò un sopracciglio castano:

“Non ti sarai offeso, spero.”

Un grugnito indefinito le giunse in risposta.

“Oh, ma dai, Artù! Non è un male essere alti! Stavo scherzando!”

“Guarda la strada.”

“Sei permaloso, sai? Non è un bene, ragazzo mio.”

“Come mai sei così tranquilla, oggi?”

“Mi è finito il ciclo.” gioì lei, prendendosi anche il lusso di accendere la radio.

“Che... ma che dici?!” scattò Arturo, irrigidendosi.

“Cosa? Ho solo detto che mi è passato il ciclo, non sei contento?

“Oh, Signore! Non sono cose da dire con tanta leggerezza!

“Ma...

“L’autostrada, Aurora, l’autostrada!”

“Dove?”

“Destra! Svolta a destra!”

“Sì, sì, non mi diventare ansioso!” sbottò la ragazza, girando il manubrio.

Un clacson li raggiunse da lontano, la macchina che si immetteva di gran carriera nella corsia. 

“Ti scandalizzi per così poco, Artù?” domandò Aurora non appena la situazione divenne più calma.

“Io non mi scandalizzo.”

“Il ciclo è una cosa normalissima di cui parlare.”

“Non mi trovi d’accordo. E smettila, per cortesia.” piagnucolò lui, reclinando il capo contro il sedile.

“Cos’è che ti impressiona tanto? L’idea del sangue?”

“Dio! Basta! Cos’è, un nuovo tipo di tortura?”

“Se ti chiedessi di comprarmi gli assorbenti me li compreresti?”

“Aurora...

“No, davvero. E’ una domanda seria.”

“Non lo so!”

“Metti che io sia bloccata in casa, okay? Ci andresti?”

“Certo che sì, ma non mi sembra comunque il caso di continuare a...

“Quanti orecchini hai?”

Arturo sbatté le palpebre, l’espressione persa:

“Come?”

“Orecchini. Li ho notati ieri: sull’orecchio destro, no? Quanti sono?”

“Fatti più a destra, così se vogliono gli altri possono superarti.”

“Non posso accelerare, invece?”

“L’obiettivo è riuscire a proseguire ad una velocità costante: non devi né accelerare né decelerare. Non puoi distrarti. E’ fondamentale.”

“E la mia velocità costante non può essere superiore a questa attuale.”

“Non alla tua seconda guida.”

“Alla terza?”

“Nemmeno fra un mese.”

“Perché?” si lamentò lei, mordicchiandosi il labbro.

“Perché sei agli inizi e non devi correre rischi inutili.”

“E va bene, ma così è noioso!”

“Stai aumentando la velocità.”

“Oh.”

“Stai più attenta.”

“Va bene, va bene, e tu rispondi.”

“Sette.”

“Sette? Ma dai, non sembravano tanti! Fai vedere!” fece lei, sporgendosi verso il ragazzo.

“Che... che diavolo fai?! Non ti spostare!”

“Da qua non riesco a vederli, però!”

“Li vedrai quando ci fermiamo!”

“Mi fermo ora, allora?”

“Non ti azzardare.”

“Oh. Va bene.” brontolò lei “Come mai sette?”

“Perché otto non c’entravano?”

“Prendi in giro?”

Arturo ridacchiò, dicendole di cambiare marcia. 

“E il tatuaggio?”

“Excalibur.”

E Aurora si girò di nuovo, la macchina che sbandava di diversi centimetri:

“Non devi perdere di vista la strada.” scandì con tono duro il ragazzo, fulminandola.

“Perché ti sei tatuato Excalibur?” fece lei, ignorandolo.

“Sai almeno cos’è?”

“La spada di Artù.” 

“E allora perché lo domandi?”

“Non vedo il nesso.” scosse il capo Aurora “Sei forse convinto di essere la sua reincarnazione?”

“Stai straparlando.”

“Il film a cartoni l’ho sempre adorato, sai?”

“Attenta alla moto.”

“Quale moto?”

Arturo si sporse verso di lei e afferrò il manubrio, girandolo verso di sé.

“Oh. Non l’avevo vista.” fece spallucce Aurora “Che dicevo?”

“Ti stai distraendo troppo.”

“Anacleto era il mio preferito.”

“Chi?”

“Il gufetto, hai presente? O era una civetta?”

“Prendi la prossima uscita.”

“Perché?”

“Da lì possiamo cominciare a tornare.”

“Di già?”

“Sei troppo a sinistra.”

“Non mi hai ancora spiegato il perché della spada.”

“Non lo farò.”

Aurora sospirò e mise la freccia a destra.

“Quanti anni hai, Artù?”

“Venticinque.”

“Come fai a essere un istruttore?”

“Non potrei.”

“E quindi come fai?”

“Papà è il proprietario della scuola.”

“Oh. Non lo sapevo.”

“Conosci la strada?”

“Sì. Alla prossima rotonda a sinistra, no?”

“Sì.”

“E insegni solo o hai qualche altro lavoro?”

“Devi scalare di marcia, Aurora.”

“Lo so.”

“C’è uno stop.”

“L’ho visto.”

“Rallenta.”

“Sto rallentando.”

“Aurora, rallenta!”

La macchina si fermò dolcemente, il sopracciglio di lei che s’inarcava al tempo stesso:

“Mi sono fermata.” sibilò, punta sul vivo “Chi è che non si fida, adesso?”

“Io... non mi sembrava che stessi rallentando e...”

“Lo so che ci si deve fermare agli stop.”

“Scusa, non volevo. Ora con calma riparti, su.”

“Stai per dirmi di nuovo di non emozionarmi?” brontolò lei, mettendo la prima.

“No. Mi fido di te.”

“Paraculo.” soffiò la ragazza, premendo l’acceleratore.

E la macchina si spense. 

“Tranquilla,” fece Arturo, girando la chiave “riprova.”

Aurora mise in moto, prese un bel respiro e ritentò. Con calma.

E la macchina si spense.

“Al diavolo!” sbottò “E’ colpa tua!”

“Come fa a essere colpa mia?”

“Mi hai abbattuto l’autostima, ecco come!”

“Riprova.”

“Non ci penso proprio. Abbiamo di nuovo la fila dietro.”

“Riprova.”

“E se uno di quelli scende e vuole picchiarmi?”

“Riprova.”

“Perché non lo fai tu e ci togliamo il pensiero, invece?”

“Aurora, riprova.”

“E va bene! Sei insopportabile, lo sai? Ne sei consapevole, almeno? Come fai a...

“Siamo partiti.”

Aurora guardò davanti a sé e vide la macchina camminare tranquilla.

“Oh.”

“Basta farti arrabbiare per riuscirci, a quanto pare.”

“Non scherzare.” sussurrò lei con un filo di voce “Sono incapace.”

“Non è vero.”

“Siamo quasi arrivati, contento?”

“Non sei incapace, Aurora. Anzi. Sei migliorata tanto in un solo giorno, sul serio.

“Hai rischiato l’infarto due volte.”

“Quest’ultima curva l’hai fatta da Dio.”

Aurora sorrise, gli occhi che si illuminavano divertiti:

“Ruffiano.”

“Parcheggia, da brava.”

“Ecco fatto. Soddisfatto?”

“Tanto.” annuì lui, slacciando la cintura con un sospiro rilassato.

“Ci vediamo domani?”

“Certo. E giriamo per la città.”

“Uh. Livello successivo, eh?”

“Riusciremo ad espugnare il castello alla fine, non temere.”

Scesero insieme e lei gli restituì le chiavi, aggiustandosi la sciarpa azzurra:

“Dì la verità.” disse poi Aurora, a mo’ di saluto, cominciando ad allontanarsi.

“Su cosa?” 

“Excalibur.” ghignò lei “E’ un’allusione al tuo attrezzo?”

“No comment.”

“E se imparo a usare la frizione come si deve?”

“Anche gli asini ogni tanto volano.” si strinse nelle spalle il ragazzo.

“Oh. Colpo basso. Cattivo.” soffiò lei “Questa me la segno.”

Arturo le diede le spalle, salutandola con la mano:

“Ricorda: è tutta una questione di frizione.”

 

§

 

 

Mmm.
Piove. Tira vento. Il cielo è di un triste che non vi dico.
L’unica soluzione sembrerebbe una cioccolata calda davanti al camino e qualcosa di bello in tv.
Qualche bono che si spoglia anche, se proprio volessimo raggiungere l’apice u.u
Da voi che si dice? Com’è il tempo?
… divagazioni (o si dice divagamenti?) inutili a parte, devo ancora rispondere alle recensioni; ma non temete, lo farò appena posso.
Anche perché siete state tutte dolcissime <3
Spero continuiate a seguire con piacere,

un bacio
    Sara

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Terza guida ***




Questione di  frizione



“Sei fradicia.”

“Non mi dire.”

“Perché?”
Aurora si girò appena, le sopracciglia inarcate:

“Perché?” ripeté, sfilandosi la giacca e gettandola sul sedile posteriore “Perché?”

Accese la macchina e attivò il riscaldamento al massimo; quindi, con calma, si immise nel traffico senza degnarlo di uno sguardo:

“Sono fradicia perché sta diluviando, ecco perché.” sibilò, scalando di marcia “Perché il pullman non è passato e io non avevo l’ombrello. Perché nessuno mi poteva dare un passaggio e io non avevo l’ombrello. Perché ho dovuto prendere il motorino, quel fottutissimo mezzo, il tutto sempre senza che io avessi un dannatissimo ombrello. Ecco perché sono fradicia, okay? Ecco perché sto perdendo acqua sul sedile. Tutto perché non avevo uno straccio di...”

“Ombrello.” concluse per lei Arturo, indirizzando meglio il getto di aria calda verso la ragazza.

“Esatto.” approvò Aurora, dirigendosi verso il centro cittadino.
“Sembri arrabbiata.” mormorò lui, tentennante “Davvero tanto.”

“Sono seccata.”

“Seccata.”

“E infastidita.”

“Infastidita.”

“E oltremodo bagnata.”

“Potevi non venire.” si strinse nelle spalle Arturo “Bastava una chiamata.”

Capì di aver fatto un passo falso non appena gli occhi della ragazza incrociarono furibondi i suoi. 

“Ho provato.” soffiò lei, le mani che stringevano con maggiore forza il volante.

“Hai...”

“Provato, Arturo. Provato.”

“Io...”

“Il signor Carlo mi aveva dato il tuo numero e io ci ho provato. Ti ho chiamato. Due, tre, quattro volte. Cinque, forse. E sai cosa succedeva ogni volta?”

Arturo rimpicciolì nel sedile, gli occhi improvvisamente totalmente interessati ai lacci delle scarpe. 

“La tua maledettissima segreteria telefonica.”

“Mi dispiace.”

“Ti dispiace?”

“Metto sempre in modalità silenziosa e il più delle volte mi dimentico di toglierla, scusami.”

“A te dispiace.” ripeté Aurora, fermandosi a un semaforo rosso.

“Senti, non potevo certo immaginare che...”

“Ho l’acqua persino nelle mutande, Artù.”

“Stai cercando di sedurmi?” tentò un sorriso lui, le dita che tamburellavano nervose sul vetro.

Aurora aprì bocca per rispondere, ma il suono di un clacson la interruppe:

“E’ verde.” mormorò Arturo con un filo di voce. 

“Sto andando.”

Un piede sull’acceleratore e l’altro sulla frizione; ce la poteva fare.
Alternò come lui le aveva detto di fare, il respiro che usciva lento dalla bocca, ma niente.
Con un patetico e inopportuno singulto la macchina si spense di colpo, lasciandola basita. 

“Non è possibile.”

Il clacson si fece sentire di nuovo. Insopportabile.

“Non è niente, non ti preoccupare.” mormorò Arturo, raddrizzandosi svelto sul sedile e facendo per muovere i piedi.

“Non ti azzardare.” sibilò Aurora, accendendo la macchina “Devo riuscirci io a far partire questa bastarda.”

Il clacson suonò ancora, estenuante. 

Arturo si guardò ansioso alle spalle e biascicò qualcosa, completamente ignorato da lei e, non appena la macchina si spense sotto gli occhi increduli di Aurora, la situazione degenerò. 

“Si può sapere cosa cazzo hai da suonare?!” sbottò la ragazza, scendendo come una furia dall’auto.

“Perché diavolo non mi superi e basta, eh?! Si può sapere? La vedi la P, sì o no?!” sbraitò Aurora, le mani che gesticolavano forsennatamente in direzione dello sconosciuto dietro di lei.

Incurante della pioggia continuò a inveire, picchiettando con le nocche pallide contro il vetro dell’altra macchina; quando la portiera della sconosciuto si schiuse, lasciando intravedere un omaccione sulla cinquantina, Aurora arretrò di colpo, la voce che le moriva in gola.
Arretrò, le palpebre che sbattevano veloci, e sbatté contro qualcuno. 

“Le chiedo scusa, signore.” disse Arturo, il tono deferente, mettendole una mano dietro la schiena.

E con quella stessa mano la sospinse, gentilmente, verso la loro auto. 

Aurora si lasciò guidare, il respiro affannoso, e prese velocemente posto: 

“Riprovo?” balbettò, accendendo il motore con dita tremanti. 

Arturo si limitò ad annuire, i piedi ben lontani dai pedali secondari. 

Poi, accompagnata dal sospiro che entrambi si lasciarono sfuggire, la macchina partì dolcemente. 

Aurora proseguì diritto, le dita ancorate al volante, finché non colse un cenno del capo da parte del ragazzo:

“Accosta qui, c’è tanto spazio.” lo sentì mormorare. 

Mise la freccia e, con tutta la calma possibile, si appoggiò al limitare della strada:

“Qui va bene?”

“Ottimo.”

Tolse la marcia, mise il freno a mano e spense tutto, reclinando il capo contro il sedile. 

“Stai bene?”

“Certo.” accennò un sorriso lei “Solo un po’ più bagnata di prima.”

“Ti sei emozionata.” sussurrò ancora lui, sfilandosi la giacca bagnata. 

“No! No, che non mi sono emozionata.” borbottò Aurora “E’ questa macchina, okay? Sono certa che mi odi profondamente, per qualche motivo oscuro che ancora mi sfugge. Sei d’accordo?”

“Sicuro. Non ci sono altre spiegazioni.”

Aurora sorrise e si mordicchiò il labbro inferiore:

“Non escludo che anche il clacson di quel cafone abbia avuto un qualche effetto.”

“Non è stato educato, bisogna ammetterlo.”

“Meritava un calcio nei gioielli.”

“Ho temuto che scendesse e...”

“Non avrebbe avuto il tempo di far nulla.”

“Ah, no?”

“Sono velocissima nel tirare calci e ho un’ottima mira.”

“Era grande e grosso.”

“Tu, comunque, lo hai spaventato.”

“Era il doppio di me.”

“Sì, ma tu lo hai ad ogni modo spaventato.”

“Gli ho solo chiesto scusa.” scosse il capo Arturo “E io non spavento la gente.”

“Al primo acchito sì, lo fai.”

“Non è vero.”

“Sei altro.”

“Un metro e novantadue non è essere alti.”

“Sì, che lo è. E sei pieno di piercing.”

“Gli orecchini non...”

“Gli orecchini contano. E hai un tatuaggio.”

“Chi non ce l’ha, andiamo?”

“Io non ce l’ho.” inarcò un sopracciglio lei, continuando “E quel ciuffo rosso, poi.”

Arturo si passò le dita fra i capelli neri, indugiando sui pochi rossi:

“Che ha il mio ciuffo che non va?”

“Non è il ciuffo, ma l’insieme.”

“Che ha il mio insieme che non va?”

“Niente, per quanto mi riguarda.” si strinse nelle spalle Aurora “E’ un insieme molto affascinante, anzi, a mio parere. In generale, però, tende a risultare minaccioso.”

“Non sono minaccioso, io.”

“Oh, signore. Mi ascolti quando parlo o cogli solo una parola ogni due?”

“Parli molto, in effetti. Non è facile starti dietro.”

“Non sto dicendo che sei minaccioso, sto dicendo che lo sembri.”

“Ah.”

Arturo si massaggiò le tempie con due dita e la guardò di sbieco, inclinando il capo:

“E’ difficile.”
“Cosa?”

“Tenere il tuo passo.”

Aurora inarcò le sopracciglia e fece per parlare, prontamente preceduta dal ragazzo:

“Cambi idea continuamente, dici cose senza senso in continuazione, e poi... sei imprevedibile, ecco. Non riesco mai a capire cosa tu voglia, cosa tu stia per fare, il diavolo di modo in cui pensi. Niente. Senza contare le malsane idee che ti vengono saltuariamente e...”

“E’ la tua vendetta, vero?”

“Come?”

“Ti stai vendicando per il minaccioso. Lo capisco, eh?”

“Non mi sto vendicando!”

“Me lo dici il perché della spada, allora?”

“Sei impossibile. Vedi? Cosa c’entra ora la spada?”

“Niente. Sono curiosa, però. Voglio saperlo.”

“Siamo in ritardo.”

“Svicoli sempre, non è giusto.”

“Io non ti faccio domande inappropriate.”

“Potresti.”

“Dobbiamo ripartire, forza.”

Aurora accese la macchina e, senza problemi, si portò al centro della corsia.

“Fammene una.”

“No.”

“Fammi una domanda inappropriata, Artù.”

“No.”

“Non te ne viene in mente nemmeno una? Non ci credo.”

Arturo sospirò, roteando gli occhi. Poi, con un filo di voce sussurrò:

“Come te la sei fatta?”

“Che cosa?” si stupì lei, agitandosi sul sedile.

“Questa.” rispose il ragazzo, sfiorando con un dito la sottile cicatrice bianca sulla guancia di lei.

“Oh. Sono cinque punti.” sorrise Aurora “Strano che tu l’abbia notata, di solito nessuno ci fa caso.”

“Come te la sei fatta?”

“Volando fuori da una finestra.”

“Sei seria?” mormorò Arturo, aggrottando la fronte.
“Oh, sì.” ridacchiò lei “Un bel volo. Per fortuna eravamo al pian terreno; il problema restava, però,  visto che la finestra era chiusa.”

“Hai... hai sfondato il vetro?” 

“Non è che mi ci sono buttata contro da sola, eh? Non fare quell’espressione scioccata.”

“Come...?”

“Mi ci ha lanciata mio fratello.” si strinse nelle spalle lei “Non che fosse una cosa intenzionale, per carità. Stavamo solo litigando... un po’ più violentemente del solito, forse.”

“Perché...?”

“Aveva preso l’ultimo Mon Chéri.”

“Prego?”

“Il cioccolatino della Ferrero, hai presente?”

“E per questo avete cominciato a litigare?”

“Sì. Mi piacciono molto i Mon Chéri.”

“E sei volata fuori dalla finestra.”

“Sì.”

“Io non...”

“E’ degenerata un po’ la lotta, ecco tutto. Niente di grave.”

“Sei volata fuori da una finestra.”
“Sì.”

“Oh, mio Dio.”

Aurora ridacchiò, sfiorandosi la cicatrice che lui aveva indicato:

“Non è l’unica, sai? Ne ho una anche qui...” fece, togliendo la mano destra dal volante “sulla spalla, appena sotto...”

“Non lasciare mai il volante!” sbottò lui, afferrandolo di scatto. 

“Ma guarda che con una mano lo tengo ancora, eh.”

“Per l’amor del cielo, Aurora!”

“Voglio solo farti vedere l’altra cicatrice.” sorrise lei, lasciando andare completamente il volante e scoprendosi la spalla destra. 

“Riprendilo. Riprendilo subito.” sibilò Arturo, lo sguardo fisso sulla strada. 

Lei obbedì e gli occhi di lui si spostarono istintivamente sulla spalla denudata:

“Quasi non si vede.” sussurrò il ragazzo, poggiandovi sopra un dito.

“Sono pallida di carnagione.”

“Questa come te la sei fatta?”

“Do ut des?”

“Tu saresti Hannibal o Clarice?”

“C’è da chiedere?” sorrise lei “Hannibal, ovviamente.”

“E io cosa dovrei dirti?”

“Domanda stupida, caro il mio Artù.”

“Lo so.” sospirò lui, carezzandosi il mento con la mano “La lingua è più veloce del cervello.”

“Voglio sapere il perché della spada.”

“Ho detto no.”

“E io non ti racconto della cicatrice sulla spalla.” borbottò Aurora, ricoprendosi.

“Posso sopravvivere.”

“Bugiardo.”

Arturo sorrise, aprendo lievemente il finestrino:

“Guarda.”

“Cosa?”

“Ha smesso di piovere.”

“Grazie al c...”

“Tendi a essere sboccata, ci hai mai fatto caso?” la interruppe lui, arricciando le labbra.

“No, davvero, e io che credevo di...”

“Torna indietro, dai.”

“Come? Ma... guarda che mi hai interrotto sul più bello.”

“Adesso non sta piovendo, no? Ti conviene prendere adesso il motorino e tornare a casa.”

“Non è neanche passata un’ora!”

“Preferisci la prospettiva di un ritorno bagnato?”

“Ti stai preoccupando per la mia salute, Artù?”

“Sono un bravo ragazzo, io.” borbottò lui, sulla difensiva “Nonostante alcuni tratti minacciosi di cui non ero a conoscenza.”

“Oh, che carino.”

“Vuoi farla questa dannata inversione?”

“E poi dai a me della sboccata.” lo rimbeccò lei, affrettandosi a tornare vero l’autoscuola.

“Io non sono sboccato, bensì...”

“Arturo” lo interruppe subito lei “Se dovesse capitare nuovamente una situazione come questa di oggi, ecco, io...”

“Se è una minaccia di morte, preferirei non sentirla. Mi piace dormire tranquillo la notte.”

“Dicevo... se, e dico se dovesse ricapitare, me la offriresti una cioccolata calda?”

“Oh, non ce ne sarà bisogno.”

“No?”

“No. Non succederà ancora, tranquilla.” confermò lui, giocherellando con il cellulare “Ecco! Ora hai una suoneria tutta tua! Contenta?”

Aurora parcheggiò l’auto e sganciò la cintura di sicurezza mentre le prime note cominciavano a farsi sentire:

“E’... è la colonna sonora di Psyco?!” ringhiò, fulminandolo con lo sguardo.

“Oh, dai.” nicchiò lui, l’aria divertita “Dov’è finito il tuo senso dell’umorismo?”

“Alle Bahamas con il tuo ultimo neurone, a quanto pare!” sbottò lei, scendendo dalla macchina.

“Aurora” 

“Ci vediamo domani.”

“Aurora, dai, non mi hai lasciato finire.”

“Cosa?”

Arturo le passò il casco e sorrise, inclinando la testa:

“Per la cioccolata calda possiamo accordarci anche senza la pioggia, sai?”

 

§

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1537999