Red decline

di Mushi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Salve! Sono 07 Kengo, e questa è la mia prima fic! Sono piuttosto emozionata – ma c’è qualcuno che sta insistendo particolarmente perché io la pubblichi, quindi eccomi qui!

Non ho molto da aggiungere, sarà divisa in due capitoli, durante i quali dovrebbero chiarirsi tutti i dubbi che potrebbero sorgere all’inizio. Il titolo sarebbe “Tramonto rosso” o “Declino rosso”, e trovo che entrambi i significati si adeguino perfettamente alla fic… Che altro dire, spero vi piaccia e sarò felice di rispondere ad eventuali recensioni!

 

Red decline

Capitolo 1

 

Aprì lentamente gli occhi e osservò intensamente le dita immobili che sfioravano le sue labbra. Il tepore delle coperte lo avvolgeva così delicatamente che sembrava l'abbracciassero. Un abbraccio, dal quale faceva molta fatica a separarsi.

Aspettò nel buio che il torpore scivolasse via dagli occhi; che la freschezza del giorno gli pungesse il viso per fargli venire voglia di alzarsi a sedere... aspettò il momento giusto. Beh... quel momento … ecco, quel momento non venne. Perché?

Ovvio, perché si ricordò che sarebbe arrivato Germania a farglielo arrivare a forza. Dunque poté concedersi ancora un po' di tempo per fingere di dormire. Sì, fingeva proprio perché sapeva che prima o poi Germania si sarebbe accorto che stava fingendo... beh, e allora che cos'è che poteva succedere?

Facile. Avvenivano le solite scenette di ogni giorno. Quelle in cui Germania diventava paonazzo e lo tirava per i piedi, mentre Giappone restava sullo stipite della porta a ridere.

Iniziavano tutte con Germania che urlava.

 

 

“Alzati idiota! Vai a lavorare invece di startene qui a ridacchiare come una iena maledetta!”

“Noooo! Germania-san! Non essere così duro, io sto solo facendo il mio dovere! Noi Italiani se ci alziamo troppo presto non riusciamo a lavorare poi!”

“Taci che sono le dodici e mezza! Hai dormito tutta la mattina, brutto imbroglione...!”

“Aaaah! Aiuto! Aiuto! Giappone, digli qualcosa! È impazzito!”

“No Giappone, dì qualcosa a lui piuttosto, e fallo scendere dal letto! Disgraziato che fai lavorare gli altri al posto tuo!”

“Germania-san invece di lamentarti e basta,  potevi anche venire a svegliarlo un po' prima.”

 

 

Ridacchiò e si coprì la faccia per non farsi scoprire. Erano sempre uguali le mattine in quella casa. Sempre uguali ma per nulla monotone.

“... pfffff!” … non ce la faceva più …. “gnnnn... ppppfff!” … stava letteralmente scoppiando. Sentiva le guance che gli pizzicavano per lo sforzo di tenere la bocca chiusa.

Basta!

Scoppiò a ridere e si conficcò in bocca il cuscino per attutire le risate.

Tirò un sospiro per riprendere fiato... soffocava.

Gettò le coperte in fondo al letto e camminò rasente al muro fino a trovare l'interruttore della luce. La stanza era incredibilmente vuota.

Certo, i mobili non erano stati spostati, ma era qualcos'altro a mancare... qualcun altro. Dov'erano finiti Giappone e Germania?

“Germania-san?”

… Nessuno gli rispose.

Com'era possibile... che non ci fosse nessuno in camera sua? Mmm...beh, sarà andato a far la spesa. Pensò. Giappone lo avrà convinto ad accompagnarlo per farsi aiutare a portare le borse...

Ma se oggi è il giorno della grande spesa... allora Giappone cucinerà sicuramente qualcosa di speciale!

Tendendo l'orecchio, riuscì a sentire un tenue gorgoglio che arrivava dal suo stomaco. Anche se in realtà, molto probabilmente, era stata solo la sua immaginazione che si era sforzata troppo finché non era riuscito a sentire ciò che voleva. Perché era legge, che a casa loro la fame fosse indice di troppo lavoro.

“Ahhh... che fame! Devo aver lavorato tantissimo stanotte!”

No, non credette neanche lui a ciò che aveva appena detto. Ora, a parte tutto, lavorare tanto e soprattutto di notte non erano cose che s'accompagnavano alla sua persona. E non era incredibile a dirsi.

Inciampò in una scatola per terra. Urca che disordine! Giappone non ha riordinato la stanza ieri. Dovrò farlo io... Sì, lo farò io, lo prometto... ma dopo.

Passati due minuti, Italia si era già dimenticato della promessa e stava pensando ad altro.

Andò verso le imposte della finestra e le aprì violentemente.

Stranamente, per essere mattina faceva davvero troppo caldo e... c'era davvero troppo, troppo silenzio. Già da questo poté capire che quel giorno non sarebbe stato come tutti gli altri. O meglio, pensò subito a qualche strana sorpresa che i suoi amici avrebbero potuto fargli. Conoscendo America, aveva di sicuro organizzato qualche mega party da college....

 

 

… “SORPRESAAA!”

Assieme alle urla che riecheggiarono in tutta la casa, partirono anche qualche coriandolo e strani spari da pistole giocattolo. Delle striscioline di carta gli volteggiarono allegre davanti agli occhi ed una trombetta di carta gli pizzicò il naso.

Germania sgranò gli occhi terrorizzato.

Aveva appena poggiato la valigetta 24ore all'ingresso... era stravolto... il suo unico, grande, desiderio era quello di trovare il divano sgombro ed un giornale sui cuscini. Magari con anche il caminetto acceso.... insomma, voleva ritrovare la sua casetta nelle esatte condizioni in cui l'aveva lasciata qualche  ora prima.

Ma no...no. Quel giorno i desideri non erano realizzabili...

“Germania-saaaan! Esprimi un desiderio!” urlò America saltandogli addosso “Questo è lo strepitoso giorno del tuo fantastico non-compleanno! Happy Birthday! … Forza, soffia sulla candelina and... esprimi il tuo desiderio!”

Germania fu costretto ad indietreggiare di qualche passo per non ritrovarsi con la faccia nella impasto della torta. Andò a sbattere contro la schiena di qualcun altro.

“Germania-san. Auguri!”

“Russia?! Ma io non...”

“Non essere imbarazzato, le torte di America non piacciono a nessuno. Se la rifiuti non si offende. Che ne dici di bere qualcosa invece? Ti faccio volentieri compagnia...”

Non fece in tempo a rispondergli che subito fu strattonato e spinto in un angolino della sala. Era... come dire... esausto. La giornata peggiore della sua vita.

“Neanche a me piace molto questo genere di feste. Hanno organizzato tutto loro. Però sono stati gentili ad invitarci, non trovi?” disse Cina raggiungendolo.

“Sinceramente non so cosa pensare” … già, perché pensava ad altro. A come buttar fuori tutta quella gente da casa sua... ed in seguito, a come “mettere rimedio” alle vite di Giappone ed Italia per aver permesso una cosa del genere.

“... Ecco, parlavamo del diavolo" aggiunse.

“Come?”

Germania fece cenno a Cina ed indicò la persona che li stava raggiungendo a fatica, combattendo contro la calca di persone.

“Germania! Hai visto che festone che ti ho organizzato? Buon Compleanno!” Veneziano tentò di fargli scoppiare addosso una scatoletta di coriandoli, fallendo.

“...Non è il mio vero compleanno.” gli spostò le mani dal viso. “Lascia perdere i coriandoli. È già tanto se sai parlare...”

Italia obbedì “... Allora, ti piace il party?”

“No.”

“Il cibo di Giappone?”

“No.”

“I giochi di prestigio di Francia?”

“No.”

“...” Italia riconcentrò l'attenzione sulla scatola di coriandoli “... eppure prima funzionava!” sbatté il fondo con il palmo della mano... nel mentre, tentò di continuare la conversazione,’aggiustando’ i coriandoli. Che secondo lui, come scherzo, non era ancora fallito... “Non ti piaccio neppure io?”

Germania divenne dello stesso colore della bandiera cinese “Che cazz...!”

“Oh... ha fatto ‘bum’! L'avevo detto io che funzionava!” esclamò Italia completamente soddisfatto e orgoglioso di sé. Sì, lo scherzo poteva dirsi finalmente riuscito. La faccia di Germania non era di un colore umano, men che meno coi pezzettini di carta incollati ai capelli.

 

 

“Sì....! Sarà sicuramente una mega festa…” si disse entusiasta.

Guardò fuori dalla finestra. La vista che aveva dalle finestre di casa non era per nulla male. Poteva vedere le montagne sullo sfondo, e il lago poco distante. Ma quel giorno in particolare, il paesaggio era stupendo.

“Waaa! Il tramonto di mattina!”

Questo è il genere di cose che piace tanto a Giappone! Devo farglielo vedere assolutamente!

L'amore di Giappone per i paesaggi era viscerale.

Veneziano, senza neanche ricordare che fosse in casa da solo, corse nelle altre stanze a cercarlo.

Giappone?... Giappone! In cucina!

Si fermò di colpo sulla soglia della cucina urlando a squarciagola “Giappone! Vieni a vedere, presto!”

Naturalmente, non ricevette alcuna risposta. Ovvio... era a far la spesa. Un vero peccato che si debba perdere il tramonto di mattina...

Giappone...” chiamò inconsciamente. 

“Veneziano?”

La voce era diversa. Non quella timida di Giappone né quella scontrosa di Germania. Dunque in casa c'era qualcun altro. Non era solo. Ma chi...?

Si sporse in avanti per dare una rapida scorsa all'intera stanza. Sussultò solo quando due occhi chiari incontrarono i suoi a qualche centimetro di distanza.

“Romano! Sei tu, mi hai fatto spaventare!”

Veneziano tornò a sorridere all'istante. Romano invece rimase torvo in volto, con le braccia conserte e due occhi che lo fissavano disturbati. Veneziano se ne accorse ma non disse nulla. Suo fratello aveva sempre avuto un carattere difficile. Non doveva preoccuparsene.

“... Cosa fai tu qui? Ti hanno mandato ad avvisarmi che sono usciti?... Oppure sono andati ad una festa?”

Romano ci mise un po' per rispondere. “Mi stai prendendo per il culo?”

Rimase sbigottito dalla domanda del fratello.  “... No, scusa. Chiedevo solo. Se ci fosse stata una festa avrei voluto partecipare anch'io. No?” non ebbe risposta.

“Comunque dove sono gli altri? Dovevo far vedere a Giappone il tramonto bellissimo che si vede dietro casa! È bellissimo, l'hai visto?” … ancora nessuna risposta da parte del fratello. Veneziano continuò a parlare da solo. “Beh... dato che lui non c'è, lo faccio vedere a te! Vieni, seguimi! Da camera mia è bellissimo.”

Prese la manica della camicia di Romano tra le dita e tentò di trasportarlo con sé. Per risposta ricevette uno strattone tanto forte da farlo tentennare

“Non voglio vedere quel cazzo di tramonto!”

“Ma sì, dai, vieni! Ti piacerà!” lo tirò a forza fino al balcone più vicino. “Dai... visto? Visto quant'è bello?”

Romano era così contrariato che la smorfia che gli apparve in volto sembrava stesse per annunciare un conato di vomito. Tentò di rientrare in casa ma il fratellino lo trattenne ancora,

“Senti, che ne dici di andare a vederlo da fuori? Così lo vedremo meglio!”

Continuava a tirargli le maniche con così tanta foga che Romano, anche se avesse voluto davvero seguirlo, si sarebbe arrabbiato ugualmente. “Col cazzo che ci vengo là fuori!”

Veneziano non si aspettava proprio una reazione tanto esagerata. Sgranò gli occhi ed indietreggiò involontariamente. “Va bene... va bene, ci vado solo io.” disse dispiaciuto.

A testa bassa, camminò velocemente fino alla porta d'ingresso. Girò le chiavi nella serratura e abbassò la maniglia. Ma questa volta, fu Romano a strattonarlo e buttarlo contro il muro.

Veneziano aggrottò le sopracciglia, assumendo un'espressione di totale incomprensione. Perché?

“Cosa ti prende? Stai male?”

Veneziano mosse qualche passo verso di lui, poi, indeciso, ne fece altrettanti indietro. Infine si avvicinò ancora alla porta.

“Non toccarla!”

Ritrasse la mano come se avesse subito una scottatura. Appoggiò l'altra sullo stipite.

“Cos'ha?”

“Nulla... non toccarla e basta.” disse Romano. Gli voltò le spalle e si mise a trafficare con qualche cappotto all'ingresso. Passarono degli attimi interminabili di profondo silenzio.

Veneziano guardava sconvolto le mosse del fratello, domandandosi se fossero casuali oppure avessero una precisa logica. Romano appoggiava tre giubbotti su una sedia. Poi ne riprendeva due e ne riappoggiava altri cinque. Infine li tolse tutti, ne prese un altro paio dall'armadio e sistemò un totale di otto giacche su uno sgabello minuscolo.

“Cosa... stai... cosa stai combinando?” disse Veneziano esitando.

“Metto ordine.”

Romano non fece neanche tempo a finire di dire quelle due parole che una sedia dietro alle sue spalle cadde rumorosamente. Si voltò di scatto verso Veneziano. Occhi sgranati e smorfia preoccupata in volto. Quando vide l'altro accasciato a terra che stava per morir dal ridere non seppe se provare odio, imbarazzo o frustrazione. Nell'indecisione, li accolse tutti e tre.

“Cazzo ridi idiota! Non vedi che mi concentro? … Scemo!”

“Ahahah... scusa... mmmpfff... scusa, scusa.... non ce la faccio! Muoio! Muoio! Tu che... rimetti in ordine? E per di più casa degli altri! Io te l'ho chiesto prima... stai forse male? Non è che hai la febbre?” Veneziano fece il gesto simbolico di avvicinarsi e provargli la temperatura.

“Non baciarmi in testa, razza di idiota!” urlò Romano, al colmo dell'imbarazzo, scansando il fratello.

“Ma io volevo sentire se...”

“Non sei una donna!”

“Ma Giappone dice che...”

“Giappone È una donna!”

“Eeeeeh? Davvero? Non lo sapevo! Non me l'ha mai detto! Allora perché si veste da uomo?”

Romano sgranò gli occhi inorridito da cotanta stupidità che gli si presentava davanti.

“...Spero che tutta l'intelligenza del nonno sia passata solo a me...” borbottò sottovoce. Poi, rivolto a Veneziano disse: “Vai a sederti sul divano. Ti cucino qualcosa.”

Lo spinse da dietro la schiena finche non arrivarono nel salone di ricevimento “Ecco, stai buono qui e non muoverti.”

“Cosa mi prepari di buono?”

“Scegli tu.”

“Mmm.... sushi, strüdel,...”

“No, non van bene. Non li so cucinare! … Decido io. Ti accontenti della pasta.”

Veneziano non obiettò.

Rimase in silenzio finchè non sentì che Romano si era messo ai fornelli. Ascoltò il rumore delle pentole e delle stoviglie che cadevano. Ora che ci penso... mio fratello non ha mai cucinato per me. Anzi, non ha mai cucinato affatto. Il suono sordo di un getto d'acqua seguì un imprecazione poco nobile da parte di Romano Chissà che cos'ha oggi... è così strano...

Stropicciò le mani. Passò i palmi sui pantaloni. Si grattò la testa... poi il collo... poi il mento...

No, non riusciva proprio ad aspettare. Doveva farglielo notare assolutamente. Doveva dirglielo a tutti i costi. Corse in cucina agitando le braccia

“Fratellone! Fratellone! Credo di aver capito una cosa..!”

Romano si limitò ad ignorarlo, continuando a lavorare.

“...Credo che comunque Giappone non può essere una donna, perché non ha le tette! Ci ho ragionato a lungo.... ed effettivamente tutto in lui ricorda una ragazza. Ma non lo può essere! Se no si sarebbe chiamato Giappona... oppure Giapponia o... com'è il femminile di Giappone?”

Romano si era fermato un attimo ad ascoltarlo, poi Veneziano credette di sentirgli dire qualcosa del tipo: “Perchè? Perchè? Voglio morire anch'io...!”, interrotto da qualche singhiozzo teatrale.

Poi però, sembrò rifletterci, e si girò. Guardando fisso negli occhi il fratello, che in quel momento sembrava un po' dispiaciuto. Sorrise ed annunciò “Sei stato bravissimo. Non ti si può proprio fregare...! Grazie!”

“Per cosa?”

“Ehm... beh...  per aver risolto l'enigma di Giappone. Sai, io proprio  non ci arrivavo.”

Aveva un tono talmente gentile e tenero, che Veneziano pensò subito che lo stesse prendendo in giro. No. Oltre che gentile, il suo tono era anche terribilmente serio.

“Romano, sei sicuro di star...”

“E’ pronto nei piatti! Ti va il sugo?”

 

 

«Prendila! Prendila!»

Spagna l'ignorò totalmente. Prese una bottiglietta d'acqua da bordo campo e la stappò, versandosela tutta in testa.

«Ehi, dai prendi questa!» Ancora una volta Spagna non diede segno d'ascoltarlo. Fece un gesto atletico per togliersi la maglietta sudata e buttarla sul prato.

«Spagna!»

«Che c'è?!»

«Dai cazzo, gioca ancora un po'! Non puoi abbandonare la partita così! Mi lasci da solo con la palla in mano!»

Spagna si voltò senza rispondere. Camminò tentennando di tanto in tanto fino a raggiungere gli spalti deserti. Si sedette all'ombra e continuò a fissarlo in silenzio con uno sguardo saccente.

Romano lo fissava a sua volta. In piedi sotto il sole cocente, con la palla da calcio in mano ed uno sguardo stanco e deluso dipinto in volto.

Infine, si decise a raggiungerlo e a sederglisi accanto.

«Ma perché? Io non sono ancora stanco!»

«Romano, perché non vai a giocare con tuo fratello? Io non ce la faccio più.»

«Guarda! Guarda che cosa fa! Risponde ad una domanda con un'altra domanda!

Quanto mi stai sul cazzo. Ti sei rinscemunito? Mio fratello è una mezza sega, io voglio giocare con te!»

«Grazie» disse Spagna ridendo. Gli passò affettuosamente una mano nei capelli. Romano parve non gradire, e si scostò ringhiando. Poi però, ritornò di nuovo al suo fianco.

«Ma sai che sei proprio fortunato ad avere un fratello come Veneziano?» disse Spagna. Fece una pausa poi continuò «Il legame che c'è tra due fratelli è qualcosa di davvero speciale. Potete capirvi senza difficoltà, avete un mondo di segreti e sottintesi che nessuno potrà mai scoprire. Senza fare alcuno sforzo, anche se siete tenuti lontani per tanto tempo, alla fine saprete sempre se l'altro è felice o triste soltanto guardandolo di sfuggita.

Potete contare sull'appoggio dell'altro. Davanti a voi i problemi si dimezzano. Tu hai sempre una spalla pronta a sorreggerti, mentre noi dobbiamo fare sempre tutto da soli. Non sai quanto ti invidio...»

All'ultima frase, la voce di Spagna prese un tono profondamente malinconico.

Romano sembrò pensare a lungo prima di rispondere. E si sforzò perfino, a trovare le parole.

«La luna è fatta di formaggio. Di grana, per la precisione. E il grana è il formaggio italiano più buono. È Il Formaggio per eccellenza... non so se mi spiego, ma è come assaggiare le stelle.»

Spagna gli scoccò uno sguardo basito «Come?... il grana?»

«Massì,» disse Romano alquanto infastidito.

«Questo era il momento filosofico delle frasi profonde. Tu hai detto la tua, allora ho voluto dirne una anch'io.»

La motivazione dell'amico fece tornare subito di buon umore Spagna «E quella del grana doveva essere una frase profonda? Tsè… Per di più temo che ti debba anche ringraziare per lo sforzo...!»

«Mi pare ovvio.»

 

 

Romano strofinò le mani nello panno appeso alla parete della cucina.

Tirò un respiro profondo per riprendere fiato. Non si era mai impegnato così tanto nel lavorare. Si chiese se per suo fratello valesse davvero la pena.

Lo raggiunse in sala, che stava ancora dormendo della grossa, sprofondato in un mare di cuscini. Si sorprese a guardarlo con dolcezza.

Tutto quello di cui gli aveva parlato Spagna, del suo invidiato “amore fraterno”... tutti quei discorsi a cui non aveva mai dato alcun peso... in fondo, non erano poi così assurdi in momenti del genere.

 

 

Capitolo 1 - Fine

 

 

See ya,

07 Kengo

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO II

 

Veneziano stropicciò gli occhi e si stiracchiò. Dal divano caddero una manciata di cuscini.

Di nuovo sveglio, balzò subito a sedere, volgendo alla stanza uno sguardo allarmato. Ebbe un attimo di smarrimento, poi, parve subito ricordare dove fosse.

«Germania? Giappone?» No, non sono ancora arrivati. Si alzò dondolando, e raggiunse ad ampie falcate la porta d'ingresso.

Romano aveva detto di... no, non importa.Germania e Giappone sono troppo in ritardo. Voglio andare a cercarli.

«Romano, io esco!» urlò, e nel medesimo istante abbassò la maniglia d'ottone.

Una folata di vento bollente l'investì in pieno non appena aprì la porta. I capelli gli si arruffarono in fronte, per poi finire tutti capovolti all'indietro, solcati da forti soffi.

Fu istintivo chiudere gli occhi e proteggersi il volto dall'abbaglio di luce. Non per questo però, esitò a compiere un passo verso l'esterno.

Dietro a sé, la porta sbatté rimbombando; davanti, spaziava ancora il nulla coperto dalle sue mani.

Riuscì a socchiudere le palpebre, ed un raggio di luce filtrò attraverso le dita.

«... il tramonto!» disse con una lentezza straziante. Il tramonto di Giappone. Il tramonto più grande e luminoso che avesse mai visto.

 

«che bello, Giappone che sorride.»

« Non deve aver visto la tua faccia per molto tempo, allora.»

Alla battuta di Germania, Giappone rispose con una risata cristallina. Veneziano, dal canto suo, non ci diede troppo peso. Si staccò dal fianco di Germania e raggiunse Giappone seduto in cima alla collina.

«IEEEE!» urlò, e si buttò rotolando giù per il pendio.

«l'abbiamo perso»

«Sì, ma è fuori di testa da quando è nato.» rispose Germania facendo un gesto di stizza.

«Beato lui.»

«è sempre solo un bambino.»

«Infatti.» Giappone osservò il cielo tinto d'amaranto. Puntò l'indice contro il sole morente «è come il tramonto. Anzi, come l'alba. No, come l'alba e il tramonto messi assieme. I loro colori vivaci, caldi e rilassanti. Ma anche perché loro non invecchiano mai.

Spariscono per delle ore. A volte, col brutto tempo, anche per giorni. Ma tu sai sempre che ci sono. Che rimarranno e non cambieranno mai.»

Germania ascoltava senza parlare. Sembrava che il silenzio bastasse a riempire l'atmosfera magica del momento.

«Ogni volta che li vedo non riesco ad essere di cattivo umore. Ecco perché mi piacciono. Mi ricordano tanto Italia. Lui ci sarà sempre per noi, qualsiasi cosa accada, non cambierà mai.»

Le parole di Giappone strapparono un sorriso a Germania. Entrambi provarono un senso d'oppressione commovente. Sapevano ciò a cui Giappone si riferiva, e più intensamente ci pensavano, più il desiderio rodente di attaccarsi saldamente a quel luogo, a quei sentimenti, si insinuava nei loro petti. Le dita di Germania s'ancorarono al terreno «A Giugno dovremo...»

«Buh! Parlavate di me, veroo?» Veneziano saltò in aria, atterrando con una seduta teatrale dietro alle loro spalle. Prese sotto i gomiti le teste dei suoi due amici ed iniziò a dondolare. Giappone e Germania iniziarono a ridere e lamentarsi assieme.

«E sta fermo, scimmia degenere! Vai a lavorare piuttosto.» disse Germania col sorriso in volto.

 

La luce del tramonto cominciò a diradarsi. I contorni degli oggetti si fecero più netti, le ombre più sottili. Veneziano iniziò ad identificare ciò che aveva davanti. Il suo cervello ragionò sulle immagini discordanti che gli apparvero. Cominciò a capire che quello che aveva sempre pensato essere solo un tramonto, non era in realtà ciò che sembrava.

Ma per lui questo era già troppo.

Il forte odore di bruciato gli graffiò la gola, lasciandolo senza fiato.

Sgranò gli occhi.

Sgranò gli occhi ancor di più quando realizzò definitivamente la scena che aveva di fronte. Quando capì che i suoi occhi non mentivano, perché ciò che vedeva era inconfutabile.

Tentò di camminare. Desiderò di poter correre e cancellare tutto, con un solo gesto della mano.

Ma la mano che aveva quel magico potere di detergere, si era arrestata a mezz'aria.

Protesa in avanti, cercava invano di raggiungere soltanto con la punta delle dita quel quadro.

E le sue gambe, che non desiderava altro che corressero – a raggiungere quella scena... o anche lontano, oltre i confini del mondo - tremarono convulsamente; e l'abbandonarono, facendolo cadere a terra in ginocchio.

Posò le mani sui capelli. Soltanto per verificare se esistevano ancora. Se in tutto questo, lui fosse ancora vivo... presente.

Passò una seconda raffica a smuovergli i vestiti. Con essa, un foglietto giallo si scontrò sul suo viso.

Italia lo prese tremando. Portandoselo sul grembo, lesse con la vista annebbiata.

14 Giugno XXXX,

Sotto comune accordo, ogni qualsivoglia gesto di pace verso le nazioni nemiche è ritenuto non valido e pressoché inutile. Dunque, azioni non belliche verso costoro saranno ritenute illegali ed inammissibili. Con questo io intendo dichiarare che una nuova WW3 ha oggi inizio. Non sarà escluso uso di armi particolari. Questa, prenderà il nome di guerra d'annientamento. Pertanto, che sopravviva il migliore.

Prussia”

 

Prussia? Che sta dicendo?

 

 

Toronto, Canada

Conferenza Mondiale 4 Giugno dell'anno XXXX,

 

Urla e pugni rimbombavano dalla porta della sala accanto. Si sentì la voce di Francia, poi quella di Grecia.. infine quella di Austria. Tutti che litigavano come mai prima d'allora. Una battaglia di parole acide, e di grida amare, si stava disputando da lunghe ore nella sala per le assemblee. E nessuno che osasse mettere un cucchiaino di zucchero in quella lite.

Anzi, la discordia aumentava drasticamente ogni secondo che passava.

«Ah... non ne posso più» disse Inghilterra esasperato. Pigiò il tasto per il caffè di una macchinetta delle bevande.

«Queste riunioni sono estenuanti. Mi fa malissimo la testa. Non vedo l'ora di tornarmene a casa» aggiunse Islanda. Inghilterra assentì, buttando giù tutto d'un sorso la bevanda bollente che aveva appena comprato.

Pochi istanti dopo, fecero il loro ingresso Giappone e Germania, seguiti a distanza da Cina.

Germania, coi capelli in disordine, chiuse la porta alle sue spalle con un gesto violento, sospirando energicamente. Quando il gruppetto raggiunse la macchinetta dove Inghilterra e Islanda stavano tranquillamente riposando, ci fu uno scambio di saluti forzati e sguardi ostili tra gli Stati orientali e quelli europei.

«Penso che quest'ultima volta, le cose si stiano mettendo male per tutti» disse Germania interponendosi tra Inghilterra e Giappone.

«Già,» disse Inghilterra, esibendo una smorfia intollerante «ma ormai è quasi tutto deciso. Impossibile che non scoppierà una guerra»

«Impossibile che non scoppierà una guerra che non coinvolga troppi paesi» specificò Cina.

Nessuno osò ribattere o aggiungere niente.

Passarono istanti di muto imbarazzo a guardarsi l'uno le cravatte dell'altro, senza che nessuno osasse alzare la testa.

Poco più tardi, anche America fece ingresso nel salotto. Il quale, seppur con profonde borse sotto gli occhi, tentò di mostrare il lato migliore di sé «Ciao a tutti! State bene?»

«Sì» rispose un coretto di voci poco sincere.

Vedendo che non era il momento giusto per i convenevoli, America non si sprecò troppo in frasi vane. Prese il braccio d'Inghilterra, tirandolo a sé «Scusate il disturbo, ora noi ce ne andiamo...».

Germania e Cina chinarono il capo in segno di saluto. Giappone esitò, poi imitò Cina in un'inchino formale. Quando ormai anche Islanda si era voltato di spalle, Giappone ci ripensò. Si diresse correndo verso America, tirandogli la manica della giacca «Che cosa succederà?» chiese preoccupato.

America lo fissò stupito, poi gli rispose dolcemente «Non lo so, ma non ti preoccupare.»

«... Se ci sarà una guerra come faremo a combattere?»

«Avrai degli alleati.»

«... E i paesi neutri? Chi li difenderà?»

«Se ci sarà una guerra, nessuno ne rimarrà fuori, stanne certo.» tagliò corto Inghilterra, voltando bruscamente America verso di sé e costringendolo ad accelerare il passo.

«...E.. aspetta... e Italia?» urlò Giappone «... Italia che fine farà?»

Non solo il cuore di America perse un battito, ma anche tutte le persone che erano presenti nella sala volsero l'attenzione sul caschetto nero di Giappone.

«Dov'è? Non è qui con voi?»

«No.» disse Germania «I gemelli sono rimasti entrambi a casa.»

«Come mai?»

« Loro non c'entrano in tutto questo... Non capirebbero neanche. Questa è una guerra tra persone... adulte. Insomma, capite anche voi che sarebbe meglio se ne stessero fuori.»

Per la prima volta in quel giorno, sei paesi contrastanti si trovarono di comune accordo.

«Vogliamo bene ad Italia. Lo proteggeremo noi.» disse Islanda col sorriso in volto.

« Sì. Tenterò di nascondere la cosa. » disse America con sincera speranza «Farò deviare i discorsi sulle altre nazioni. Vedrete che almeno loro ne resteranno fuori. Anche a me non va di inserirli in tutto questo.» aggiunse con un sorriso complice. Infine, assecondò la mano di Inghilterra che lo tirava fuori dal colloquio. Entrambi, sparirono dietro l'angolo del lungo corridoio.

«Vedrai che si salveranno» disse Cina, sorridendo a Giappone.

 

«WW3?»

Veneziano alzò nuovamente gli occhi sulla quercia che era cresciuta di fronte a casa. Alle sue radici giacevano migliaia e migliaia di corpi esamini, coperti dai brandelli dei vestiti della persona che riposava sopra di loro. Tutti velati a loro volta da una spessa patina rosso scuro.

Italia strinse i denti in una smorfia disperata. Questa volta ce la fece. Riuscì ad alzarsi e correre verso la massa di cadaveri. Tutti... tutti «Sono tutti morti?!»

Cercò di riconoscerne qualcuno. Anche se in fondo, già sapeva che il numero delle vittime corrispondeva alle persone che aveva sempre conosciuto. Si lasciò sfuggire un sussurro di dolore.

Arrivò ai piedi di due corpi voltati supini. Provò a scavalcarli, ma dall'agitazione inciampò su un terzo. Cadde.

Davanti ai suoi occhi, il volto semplice, puro e bellissimo di una ragazza. Io penso che non sei molto carino.. è più bello tuo fratello! Però devo ammettere che... i tuoi occhi sembrano fatti d'ambra. Sono stupendi.

«Ungheria... Ungheria!» prese la sua testa tra le mani, togliendole il sangue rappreso dal volto. Le accarezzò dolcemente i lunghi capelli nocciola, incrostati ed un po' bruciacchiati dalla battaglia.

Non può essere, non può assolutamente essere vero. L'attirò a sé, stringendola fra le braccia. Naturalmente, il corpo della ragazza rotolò di lato. Veneziano tentò ancora di riprendersela in braccio, ma era troppo pesante per riuscire a sollevarla. I suoi vestiti impregnati di sangue l'appesantivano. Allora, girando piano il volto, notò che accostata alle sue cosce, un'altra ragazza dormiva serena.

«Belgio, perché? Perché hai un fucile in mano?»

Veneziano, senza abbandonare Ungheria, spostò con una mano il fucile tra le braccia esili di Belgio. Lo buttò lontano, tra la massa informe di corpi. Delicatamente, scostò anche a lei i capelli dorati dal viso. Era dolce. Lei era sempre stata dolce. Amava i fiori, la campagna, l'aria aperta... la conosceva. Vieni con me.. dai! Andiamo a raccogliere un po' di fiori per la mamma. Io adoro i girasoli, e tu? Allora perché vestiva un uniforme, e tra le mani non era un fiore quello che aveva stretto fino a quel momento? Chiuse gli occhi infastidito.

Riaprendoli nella direzione in cui aveva lanciato il fucile, notò qualcosa che lo lasciò sgomento.

«Francia no!! No, no no no!» abbandonò i corpi che aveva appena trovato, per andare incontro a quello di Francia. Corse fino a raggiungerlo, appoggiato al tronco di un albero. Urlando, emise un singhiozzo. Si sfregò la guancia per non lasciarsi andare. Guardò gli occhi vitrei dell'amico. Era bello. Era sempre stato bello, quasi da paura.

Anche da morto non aveva perso quella caratteristica.

Oggi pranzi da me. Vedrai, ti cucinerò la migliore omelette che tu abbia mai assaggiato.

Veneziano iniziò a tirargli la camicia. Lo strattonò violentemente fino a quando il corpo di Francia non aveva deciso di seguire i suoi movimenti. Poi, disgustato da quello che stava facendo, si rannicchiò sul suo petto, lasciando sfuggire dalle sue labbra ancora qualche singhiozzo.

«Veneziano...»

Veneziano ripeteva convulsamente il nome di Francia Francia...

«Veneziano!»

Veneziano si era tappato le orecchie per non ascoltare altro che la propria voce. Il riflesso automatico che la sua mente aveva, di far riaffiorare i ricordi, gli faceva più male del resto.

«Veneziano, ascoltami» la mano di Romano si avvicinò alla sua spalla, appoggiandocisi dolcemente.

«Perchè, perché non si svegliano?»

«Perchè sono... Stai piangendo?»

«No. Veneziano non piange mai.» disse tra sé, con l'intenzione d'imporsi di non farlo.

Girò la testa verso sinistra. Poi verso destra. Cercò qualcosa con la frenesia di un pazzo.

«Non può essere vero.. fa che non ci sia... fa che non lo veda»

«Veneziano, calmati. È meglio che torniamo dentro casa...»

«Zitto!» disse l'altro, fermando la testa verso un'unica direzione.

Eccolo. L'aveva trovato.

Si alzò barcollando. Romano tentò di sorreggerlo, ma quello lo scansò in malo modo.

Esitò solo un'attimo, con la testa china e le braccia ciondoloni rivolte verso terra.

Poi s'alzò di scatto, ed iniziò a correre. Correre più che poteva,

«Bugiardo! Sei solo un bugiardo!» urlò pieno di rabbia.

Si fermò di colpo vicino ad un altro ammasso di corpi. «Bugiardo! Bugiardo! Bugiardo! Sei cattivo! Sei sempre stato un maledetto bugiardo!» disse gettandosi sul petto di uno dei cadaveri.

Ripetendo che quel corpo non fosse altro che un vile ipocrita, iniziò a picchiarlo.

Romano, distante sotto la quercia, guardava sconvolto il fratello che urlava.

«Bugiardo! Mi avevi promesso che saremmo stati per sempre insieme! Perché l'hai fatto? Perché?

Io te l'avevo detto, non dovevi promettere se poi dopo non riuscivi a mantenere il giuramento... ma tu hai giurato lo stesso! Stupido! Stupido! Stupido! E non guardarmi così! C'era anche Giappone con noi... lo hai giurato anche a lui...»

Veneziano si fermò un attimo a pensare. Poi riprese a piangere «.. ma a lui la promessa l'hai mantenuta. Lui non l'hai lasciato da solo. … perché? Valgo davvero così poco? ...»

Un paio di singhiozzi gli mozzarono le parole in gola.

«Senti, io non sono davvero cattivo. Non farò più i capricci te lo giuro, uscirò a lavorare alle dieci di mattina... e... e lavorerò sempre. Giorno e notte. Per tutti e tre. Sì, lavorerò per noi tre, farò tutto io... rimetterò anche in ordine la stanza, te lo giuro.»

Non riuscì più a parlare. Le lacrime cadevano calde sui vestiti cremisi di Germania.

Veneziano, appoggiato sul suo petto, aspettava solo di vederlo respirare; di sentire il suo cuore battere ancora una volta.

Piangeva a dirotto. Mai aveva pianto così tanto.

Si morse le labbra per cercare di trattenersi. Ma più tentava ti recuperare il controllo, più lo perdeva, piangendo sempre di più. «Torna, ti prego... torna... ghhh.. »

Chiuse gli occhi. Non aveva senso stare a guardare, si sarebbe solo fatto più male.

Ma il dolore, anche ad occhi chiusi, lo sentiva lo stesso. Anzi, avere soltanto il petto di Germania come àncora che lo legasse alla realtà, era ancora più doloroso. Non ve ne andate tutti.

 

Romano decise di raggiungerlo. Trattenendo la nausea, oltrepassò a grandi falcate ogni cadavere.

Anche quando per sbaglio s'imbattè nel corpo della persona che conosceva meglio di tutti Oggi fa caldo. Che ne dici di andare in piscina? Il calcio ce lo giochiamo un altra volta, dai!

Non si fermò. Lo seguì soltanto con la coda dell'occhio, per poi concedersi una lacrima alle sue spalle. Continuò imperterrito fino alla schiena del fratello, che si muoveva scossa da tremiti sopra al cadavere di due ragazzi, morti insieme nello scontro finale.

Veneziano teneva per mano Giappone, mentre non smetteva di sgridare e pregare Germania.

«Veneziano che ne...»

«Sì» gridò l'altro senza mostrargli il volto «Sto piangendo, va bene?! Lo so, lo so... ma non ci riesco...» si abbandonò ad un'altra scarica di singhiozzi.

«No, tranquillo. Ti capisco.»

«Ma perché? Perché l'han fatto?»

«Questo non lo so»

«Perchè ci hanno lasciati da soli? Perché?»

«Vedi... noi non siamo soli. Siamo fratelli. Abbiamo sempre una spalla su cui contar...»

«Ma perché?!» urlò più forte Veneziano.

Romano tentò di rispondere ma Veneziano l'interruppe nuovamente. Più che altro parlò a se stesso... « una festa. Loro dovevano organizzare una festa forse...»

Romano lo guardò tristemente.

«Torniamo a casa, forza. Hanno voluto proteggerci fino alla fine... direi che ci sono riusciti benissimo. Devi sapere che quando un'anima riesce ad esprimere il desiderio più grande che ha nel cuore, alla fine è libera.»

«... Questo l'ha detto il nonno» l'apostrofò il fratello.

«Lo so. E aveva ragione. Il loro più grande desiderio era quello di proteggerti: ora loro sono liberi, magari adesso ci stanno guardando»

«Se ci stanno guardando allora perché non vengono a prenderci? Sono solo egoisti, gli piace vederci soffrire così! Io volevo stare per sempre con loro... non saremmo stati bene così?»

Romano ignorò le parole di Veneziano. Lo sollevò per un braccio, e caricatoselo in spalla, si voltò verso casa.

Veneziano mosse una mano verso i corpi distesi per terra, ma non oppose più di tanta resistenza ad essere trascinato via.

Continuò a piangere in silenzio sulle spalle del fratello.

«... Vivi per loro,» continuò Romano «Ora l'ultima cosa che vorrebbero, è vederti così.»

«Ma... Germania e Giappone avevano detto...»

Quando capì ciò che Romano stava dicendo, cambiò espressione. Si voltò un'ultima volta indietro, verso quei corpi dormienti che si allontanavano. «Loro avevano detto che...» tentò ancora di dire.

Intanto sorrise. Io sono così. Sono come il tramonto di Giappone, devo sorridere. Sorridere per loro. Inutile. Servì solo a sentire altre gocce calde scottargli il mento. Ricominciò a piangere.

Romano non lo stava ascoltando. Si era fermato di fronte al corpo di Spagna per l'ultima volta.

«Loro avevano detto che... » continuò Veneziano, fingendo di non accorgersi che Romano desiderava più di ogni altra cosa poter restare da solo con Spagna.

«Smettila di frignare. Che cos'hai ora? Non piangere sempre quando ti rimprovero! Se tu ti svegliassi prima, questo non accadrebbe! Quante volte te lo dobbiamo ripetere...»

« Germania-san, non essere così duro, lo spaventi così. Italia, ascoltami, noi ti vorremo sempre bene! No?» disse Giappone

«Ma sì, ovvio!» rispose Germania «Chi ha mai detto il contrario?».

 

«..Vi voglio bene anch'io»

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