Light of an hawk.

di SunnyRoronoa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cambiamenti. ***
Capitolo 2: *** Tempo di decisioni. ***
Capitolo 3: *** Prove. ***
Capitolo 4: *** Lavorare insieme?! ***
Capitolo 5: *** Dovere. ***
Capitolo 6: *** Fiducia. ***
Capitolo 7: *** Aria. ***
Capitolo 8: *** Paura. ***
Capitolo 9: *** In trappola. ***
Capitolo 10: *** Amiche? ***
Capitolo 11: *** Missione. ***
Capitolo 12: *** Corsa contro il tempo. ***
Capitolo 13: *** Una vita salvata ed un sacrificio. ***
Capitolo 14: *** Il momento della verità. ***
Capitolo 15: *** L’amore che diventa odio, l’odio che diventa pazzia. ***
Capitolo 16: *** Incubo o realtà? ***
Capitolo 17: *** Dimmi, uccideresti per salvare una vita? ***



Capitolo 1
*** Cambiamenti. ***


Questa è la prima FF che scrivo sugli Avengers.
Ho voluto inserire un personaggio nuovo anche se l'idea di partenza era di creare una Clintasha, poi ho deciso di cambiare...
La storia si incentra maggiormente su questo nuovo personaggio e Occhio di falco, ma durante il corso degli eventi presenterò anche nuovi personaggi da me inventati ed appariranno anche tutti gli altri vendicatori con accenni alle svariate coppie che ci sono :)
Scusate per gli eventuali errori grammaticali e lessicali ma non sempre mi accorgo di tutto :/
Spero vi piacerà e grazie per aver letto! 








1. Cambiamenti.




"Non ti aspetterò, lo sai…Non sarò li per te quando avrai bisogno. Mi hai fatto più male di quanto tu creda e meriti di soffrire…Meriti di…"
BIPBIPBIP.
Il suono della sveglia riempì la stanza cosi come la mia testa, interrompendo quella specie di incubo che stavo facendo.
Ormai era più di un anno che quasi ogni notte lui tornava a trovarmi, con quegli occhi che tanto mi piacevano ma che odiavo con tutta me stessa.
Con quel sorriso da bambino che mi avrebbe fatta sciogliere ma che mi aveva uccisa.
Sospirai pesantemente e spensi quell’oggetto infernale che continuava a suonare e rimbombare nelle mie orecchie.
Goffamente presi in mano il cellulare e lo accesi.
Erano le cinque del mattino ed effettivamente il sole ancora non era comparso nel cielo. 
Mi alzai senza pensare a nulla e mi infilai subito nel bagno per farmi una doccia fredda.
L’appello era alle cinque e mezza e io ero ancora in uno stato pietoso, più che pietoso forse.
Tolsi quel poco di vestiti che avevo addosso e mi infilai sotto il getto d’acqua gelata che scendeva lungo tutto il mio corpo, risvegliando e distendendo i muscoli.
Finii presto di lavarmi e in poco meno di venti minuti asciugai capelli e mi vestii.
Misi la divisa pulita e nascosi le piastrine sotto la canottiera.
Legai i capelli in una lunga treccia e uscii subito dalla stanza, iniziando a camminare lungo il corridoio quasi totalmente deserto.
“Light, già sveglia a quest’ora?”
Mi fermai quasi subito e girai gli occhi verso l’unico vero amico che avevo, l’unico che usava quel soprannome per chiamarmi.
“Buongiorno anche a te Ferro…”
Lui mi sorrise, evidentemente aveva un incarico speciale da svolgere o cose simili, altrimenti non si sarebbe mai alzato cosi presto.
“Come va stamattina?”
Lo guardai e accennai un sorriso.
“Come sempre…”
“Lo hai sognato di nuovo vero?”
Scossi la testa.
“No..”
Sospirò.
“Se vuoi parlarne sai dove sono..”
“Non c’è nulla da dire, sai già tutto..”
Sorrisi per fargli capire che doveva stare tranquillo.
“Ora devo andare, il Generale mi aspetta…”
Vedendomi sorridere, mi imitò.
“Va bene Light, stai attenta…”
Fece una smorfia e si incamminò verso la parte opposta dei dormitori.
Lo guardai mentre si allontanava e subito ripresi a camminare fino ad arrivare all’ufficio del generale.
Presi un attimo fiato e gonfiai il petto per sembrare il più professionale possibile, poi bussai con forza.
Dopo qualche secondo sentii una voce dentro la stanza.
“Avanti…”
Aprìì la porta e portai subito la mano lungo la fronte e mi misi in attenti.
“Agente Francis Light al rapporto, generale.”
Lui mi fece segno con la mano di sciogliere la mia posizione e di rilassarmi.
Rimase seduto sulla sua sedia mentre teneva in mano una tazza di caffè fumante.
“Riposo soldato…”
Mi sorrise come un padre sorriderebbe a sua figlia.
Scrutò il mio viso stanco per qualche secondo e poggiò sulla scrivania di legno la tazza.
“Mi dispiace se ti ho fatta chiamare cosi presto, ma sai benissimo che durante la giornata non ho tempo per ricevere nessuno…”
Feci un cenno di assenso.
“Signore..”
“Si?”
“C’è un motivo preciso per il quale sono stata convocata?”
Chiesi senza pensare.
Sperai vivamente si essere stata assegnata ad una nuova missione, magari più pericolosa della precedente, anche se in quest’ultima avevo quasi perso la vita.
Ma d’altronde è il mio lavoro, sono il comandante di una delle squadre speciali più forti che l’esercito possa avere.
Ho 10 uomini ai miei comandi e tutti sono stati scelti appositamente da me.
Sono una delle donne più forti che l'esercito possa schierare in campo in caso di aiuto e una delle più lodate dai suoi superiori.
Il soldato.
Ecco cosa sono.
“A dire il vero si..” Disse il generale guardandomi.
“Sei un soldato perfetto Francis…” Continuò “ Una soldatessa, mi correggo..” Sorrise.
“Ed è proprio per questo che quello che ti sto per dire lo faccio non solo con estremo orgoglio, ma anche con una venatura di profondo dispiacere…”
Lo fissai senza capire, sentivo che quello che mi stava per dire mi avrebbe sconvolta.
“Di cosa si tratta signore?”
Chiesi curiosamente, anche se il tono della mia voce era meno sicuro di quello usato poco prima.
“Ti abbiamo trasferita…Le tue abilità sono richieste altrove…”
Sbarrai gli occhi incredula.
“Co…come?”
“Si, la tua capacità in battaglia è stata notata da qualcuno molto più in alto di me e questo qualcuno ha deciso che dovrai far parte della sua…Associazione se cosi si può chiamare.”
Deglutì a fatica, mi stavano forse scaricando?
Buttando via?
“Io non capisco…Non farò più parte dell’esercito? Non servirò più gli il mio paese?”
Lui mi sorrise, noncurante del mio tono quasi alterato.
“Non servirai più solo il tuo paese, servirai il mondo.”
Il mondo?
Ma cosa stava dicendo?
Per un attimo credetti che mi stesse sul serio prendendo in giro, ma dopo tutti quegli anni passati insieme a lui, capi che era serio e sincero.
“Io non capisco signore..”
“Non posso dirti altro, prepara le tue cose…
Partirai subito dopo l’alzabandiera…”
“Ma..”
“Nessun ma…”
Sorrise.
“Fidati di me come hai sempre fatto durante questi ultimi 10 anni…E’ questa la tua strada…capirai tutto a tempo debito.”
Nella mia testa una vocina continuava a ripetermi di replicare, di chiedere spiegazioni, ma capii che non potevo sapere altro, avrei dovuto scoprirlo vivendolo direttamente.
Sospirai e mi rimisi subito sull’attenti.
“Grazie generale…”
“Mancherai a tutti Francis…”
Lo guardai e feci per uscire.
“Dirà lei ai miei uomini che mi mancheranno…vero?”
“Lo farò..”
Aspettai la risposta e usci dalla stanza chiudendo la porta dietro le mie spalle.
In cosa ero andata ad incappare?
Cosa stava succedendo?
Guardai il corridoio ancora deserto davanti a me e fui presa da un’irrefrenabile voglia di andare via da quel posto, sola.
Presi fiato e buttai fuori tutta l’aria che avevo in corpo fino a sentire i polmoni completamente vuoti.
Chiusi gli occhi e quando li riaprì mi diressi in camera mia, senza fermarmi un secondo.
Ero un soldato e dovevo eseguire gli ordini anche se questi andavano contro la mia volontà.
Entrai nella stanza e presi fuori dall’armadio il borsone che ricevetti durante il mio primo giorno d’accademia.
Lo riempì con le cose che sapevo mi erano indispensabili : La mia pistola, il mio coltello, tutto il mio armamentario e lei, la mia fedelissima spada, colei che mi aveva accompagnata in ogni missione che avevo svolto fino a quel momento.
Una spada con la lama nera, fatta di un materiale quasi introvabile al mondo.
Una katana giapponese per la precisione, con rifiniture rosse sull’elsa e un drago stilizzato intagliato sulla lama.
Vi misi dentro anche qualche maglietta e paio di pantaloni, anche se sapevo mi sarebbero stati inutili dato che in qualsiasi posto stavo andando, mi avrebbero procurato tutte cose nuove e differenti dalle mie.
Preparai il tutto e annullando qualsiasi pensiero, usci dalla stanza e mi diressi fuori dai dormitori.
Non sapevo dove dovevo andare ma, seguendo il mio intuito mi diressi verso la piazza principale.
Non mi voltai nemmeno una volta, ero consapevole che se avessi titubato anche solo un secondo non sarei riuscita ad eseguire l’ultima missione che il generale mi aveva affidato, cioè andare via dalla mia casa.
Si, perché quel campo, quella gente era la mia casa.
Tutto quello mi apparteneva e lo stavo lasciando senza nemmeno sapere per cosa.
Sospirai pesantemente, non era l'essere trasferiti che mi infastidiva tanto, si non volevo andare via, ma quello che più odiano era non sapere.
Non feci in tempo a girare l’angolo dell’armeria che subito sentì il rumore che somigliava a quello di un elicottero, un elicottero molto grande.
Mi affaccia appena sul piazzale e vidi una specie di aereo, strano e quasi irreale.
Sembrava la fusione di diversi veicoli.
Lo osservai mentre atterrava verticalmente alla superfice e iniziai a passare gli occhi sulla sua superfice per cercare di trovare un qualsiasi segno di riconoscimento.
Riconoscimento di agenzie governative intendo.
Ma nulla, c’era solo un’aquila stilizzata disegnata sul portellone, grigio metallizzato.
Aspettai qualche secondo poi, facendomi coraggio, usci da dietro l’angolo e camminai verso il veicolo, dal quale uscirono subito due soldati in uniforme e un uomo, sulla quarantina vestito in giacca e cravatta.
-Un segretario?- pensai tra me e me.
Questo mi guardò, mi sorrise e si avvicinò a me tranquillamente.
“Francis Light?”
Lo guardai e annui debolmente.
“Mi chiamo Phil Coulson.”

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Capitolo 2
*** Tempo di decisioni. ***


Ed ecco il secondo capitolo!
Eravamo rimasti all'incontro tra Francis e Coulson, poco prima della sua partenza....
Come leggerete poi, entrerà in scena Fury ma anche il nostra caro amico Occhio di Falco che in questo capitolo non ha un ruolo importante poichè diciamo ho trovato un modo carino per presentarlo al nostro personaggio principale, che ho iniziato a descrivere un pò...
Noterete subito che è una ragazza particolare e anche molto forte caratterialmente, ma un pò combattuta sul da farsi...
Spero vi attiri almeno un pò! :)
Scusate sempre per eventuali errori grammaticali ecc.. ma ho avuto poco tempo per ricnontrollare il tutto!
Grazie e alla prossima! 






2. Tempo di decisioni.



Mi porse la mano che io osservai per qualche secondo, come stordita…non sapevo proprio come comportarmi!
La strinsi imbarazzata dopo poco e lo guardai.
“Chi siete?”
Mi guardò e sorrise.
“Ti spiegherò tutto nel jet, prego…Salga pure.”
“Ma come?”
Posò gli occhi sui miei quasi a chiedermi cosa volessi.
“Non dobbiamo parlare con nessuno? Insomma, il Generale?”
Scosse la testa.
“No, tutte le procedure del suo trasferimento sono ormai completate da tempo, dovevamo solo venirla a prendere e cosi abbiamo fatto…Salga, per favore” Disse con tono delicato e cortese mentre con una mano mi invitava a salire sul veicolo.
“Ma…”
Provai a replicare ma il suo sguardo non mi lasciava altra scelta che obbedire.
Sospirai e seguii il suo ordine Salendo su quello strano veicolo e posando il mio borsone a terra.
Una volta che fummo tutti a bordo partimmo a una velocità quasi impressionante.
Guardai i volti degli uomini che erano li con me e nessuno di loro sembrava sorpreso da tutto questo, Coulson dovette accorgersi del mio disagio e si sedette vicino a me.
“Stia tranquilla…Capirà tutto…”
“Io voglio sapere adesso..”
“Io non ho il permesso di dirle nulla purtroppo.”
“Ma come!” Dissi quasi indignata “ Avevate detto che avrei saputo tutto appena salita su questo affare!”
Sorrise, come aveva fatto sempre fino a quel momento.
“Lo so, mi dispiace…Ma era l’unico modo per farla salire a bordo. Avrà le sue risposte molto prima d quanto crede…”
Mi arresi, capi che continuando a lamentarmi non avrei comunque ottenuto nulla, quindi mi appoggiai allo schienale del sedile sul quale ero seduta e provai a rilassarmi il più possibile.
Dopo un po’ di tempo sentì il Jet perdere quota e atterrare su una superficie solida.
Eravamo arrivati, finalmente.
Coulson si alzò pochi secondi prima di me e mi guardò con la stessa aria spensierata di sempre.
“Siamo arrivati…La prego di seguirmi…”
Il portellone del velivolo si aprì e, seguendo il suo consiglio gli andai dietro, fin quando non entrammo in un enorme edificio.
Questo era circondato da molti altri edifici simili, ma leggermente più piccoli e la sorveglianza era attiva e credo anche molto preparata.
Passai gli occhi su tutto quello che mi trovavo davanti, mentre continuavo a seguire il mio “ rapitore”, fin quando non arrivammo davanti ad un enorme portone nero, sigillato con qualche strano congegno elettrico che non avevo mai visto.
Coulson vi poggio sopra la mano e dopo qualche secondo il portone si aprì, svelando una stanza enorme, illuminata dalla luce del giorno che filtrava attraverso una vetrata grande come una parete.
Al centro di essa vi era un grande tavolo rotondo, intorno al quale erano posizionate diverse sedie, tutte perfettamente allineate.
“ Wow…” Dissi ammaliata, dopotutto se quello era, come pensavo, il loro centro operativo e forse ero capitata in qualcosa di davvero impensabile.
“Bella è!” Disse Coulson girandosi verso di me “ E questa è solo una facciata del tutto…deve vedere quando siamo in missione cosa diventa…”
Feci per rispondere, incuriosita da quella affermazione, quando una voce profonda e autoritaria mi precedette.
“Ogni cosa a suo tempo, agente Coulson.”
Mi girai e quando lo vidi capì subito che era lui il capo li dentro.
Un uomo di colore, alto e robusto, con un occhio coperte da una benda nera messa sicuramente li per nascondere una ferita di guerra.
Vestito con un giaccone di pelle nero e un completo militare dello stesso colore.
A guardarlo non sembrava avere più di 50anni, ma non ero totalmente sicura.
“Ha ragione signore…” Disse Coulson in tutta risposta, poi mi indicò.
“Questa è l’ultima recluta che mi avevate chiesto di prelevare…”
L’uomo bendato mi guardo con aria severa, capìì che avrei dovuto fare qualcosa, quindi mi misi sull’attenti.
“Soldato Francis Light a rapporto, signore.”
Il suo sguardo si addolci subito e mi invitò a sedermi.
“Benvenuta allo S.H.I.E.L.D signorina light.”
S.H.I.E.L.D?
Cosa era?
Che strana agenzia mi aveva reclutata?
Non l’avevo mai sentita nominare nonostante i miei anni di esperienza e i miei gradi abbastanza alti.
Lo fissai, accennai un sorriso che aveva un non so cosa di sarcastico e risposi.
“Signor…?”
“Fury, il mio nome è Nick Fury.”
“Ecco signor Fury…Io non so davvero dove mi trovo e di cosa dovrei far parte…”
Ridacchiò e si affacciò alla vetrata.
“Lo S.H.I.E.L.D è l’acronimo di Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division, l’agenzia più importante e segreta che il nostro paese conosca.
Combattiamo criminali di grande calibro e pericolosità, abbiamo i soldati migliori e collaboriamo con quelli che voi comunemente chiamate “ Supereroi”
E lei signorina, lei ha tutte le caratteristiche che deve avere un soldato dello S.H.I.E.L.D, è per questo che è qui.”
Si girò e mi guardò.
“E’ qui perché io l’ho scelta.”
Rimasi qualche secondo in silenzio.
L’idea di appartenere ad una organizzazione del genere mi entusiasmava, adoravo mettere alla prova me stessa e quella era una bella occasione per dimostrare quanto valevo e quanto ancora potevo valere.
“Io…”
“Non deve rispondermi, avrà bisogno di riflettere…Mi rendo conto che essere trasferiti è sempre un problema ed è per questo che le ho fatto preparare una stanza per riposarsi e rimettere in ordine le idee.
Li troverà tutto, documenti e ricerche varie…
Cosi inizierà a capire chi siamo e come potrà servirci.”
Sorrise e mi invitò ad alzarmi.
“Oggi pomeriggio la rivoglio qui, ora è libera di andare.” Guardò Coulson “ La accompagni ai suoi alloggi, grazie.”
Lui annui.
Guardai Fury, mi misi sull’attenti e solo dopo aver fatto il saluto, uscì e accompagnata da Coulson mi incamminai verso quella che doveva essere la mia stanza.
Uscimmo dall’edificio più grande ed entrammo dentro uno di stazza minore.
Coulson mi spiegò che i dormitori erano come quelli dell’esercito, nessun cambiamento, uomini da una parte e donne da un’altra.
Mi spiegò che avrei trovato tutto quello che mi occorreva nella mia camera, persino il mio borsone che avevo affidato ad un soldato prima di scendere dal Jet.
Arrivati davanti alla mia stanza, lo ringraziai e mi congedai, varcando subito la porta e chiudendola dietro di me.
Osservai l’interno del mio alloggio e sorrisi sorpresa.
Era poco più grande di quello che avevo precedentemente, ma era anche molto più bello.
C’era un piccolo corridoio che portava subito al letto, coperto da un lenzuolo bianco, alla sua destra un comodino con di fianco, poggiato a terra, un tappeto nero che evidentemente serviva per poggiare stivali e scarpe.
Le pareti erano bianche e c’era un’unica finestra dalla quale entrava poca luce a causa della tenda grigia che la copriva.
Una piccola scrivania era posizionata sulla parete destra, mentre il bagno era su quella sinistra.
Sopra il letto erano poggiate le uniformi, due in pelle aderenti, nere e una divisa dello stesso colore, ma di stoffa con delle magliette bianche accanto.
Sulla scrivania avevano messo, come promesso, tutti i documenti e i fogli che avrei dovuto leggere durante il tempo che mi era stato concesso.
Feci un respiro profondo, presi tutte quelle scartoffie e dopo essermi messa seduta comoda sul letto con la schiena appoggiata alla parete, iniziai a leggere come Fury mi aveva ordinato.
Più leggevo più iniziavo a capire, e più capivo, più realizzavo che non sarebbe stato facile, ma sarebbe stato dannatamente fantastico.
Praticamente, se avessi accettato di entrare a far parte dello S.H.I.E.L.D inizialmente avrebbero valutato le mie capacità con diverse prove fisiche, psicologiche ed intellettive.
Subito dopo sarei stata affidata ad un agente di rango più alto del mio che mi avrebbe insegnato tutto quello che c’era da sapere sull’agenzia e tutto quello che avrei dovuto fare una volta scesa in campo, il loro modo di combattere, le loro strategie, i loro punti di forza e le loro debolezze.
Poi, completato tutto l’addestramento, avrei dovuto dare un esame, svolgendo una missione decisa dal Generale Fury e controllata dal mio “ Maestro “.
Se fossi riuscita a superare  l’esame in questione sarei entrata a far parte dello S.H.I.E.L.D e sarei diventata a tutti gli effetti, un’arma al servizio del mio paese.
Lessi tutto, non saltai una parola.
Divorai quei fogli uno ad uno fino a quando non arrivai all’ultimo.
Poggiai tutto sul comodino e mi fermai a riflettere.
Dentro di me c’erano due emozioni contrastanti: La prima era quella che era nata non appena avevo saputo di essere stata trasferita, cioè il rifiuto per tutto questo e la nostalgia di casa.
La seconda invece era diversa, la curiosità l’aveva fatta nascere e la mia solita voglia di voler provare tutto:
Ero curiosa, avevo voglia di scoprire cose nuove e superare i miei limiti e sapevo che entrando in quell’agenzia sarei riuscita a fare tutto questo.
Praticamente sarei dovuta diventare una assassina alle volte, un soldato, una guerriera pronta a tutto per difendere la sua gente.
E tutto questo mi entusiasmava non poco, ma era anche vero che già sentivo la mancanza dei miei compagni, del mio vecchio plotone.
Avrei dovuto chiudere qualsiasi rapporto con loro perché, se fossi diventata un agente dello S.H.I.E.L.D, avrei smesso di esistere per il resto del mondo.
Tutto quel pensare non mi faceva bene, cosi forse in preda a qualche Lapsus temporaneo decisi di provare, di accettare il cambiamento e di accantonare per un momento la nostalgia di casa.
Lo feci per me, per il mio futuro, o almeno questo continuavo a ripetermi.
Scossi la testa cercando di allontanare qualsiasi altro pensiero, e siccome da li a poco sarei dovuta tornare da Fury per comunicargli la mia scelta, iniziai a spogliarmi per indossare i miei nuovi indumenti, quando sentì qualcuno bussare alla porta.
“Un momento, arrivo!” Dissi infilando i pantaloni e rimanendo in reggiseno.
Allacciai il bottone e andai velocemente alla porta, aprendola di scatto.
Bhe, che dire, davanti ai miei occhi pensavo comparisse Coulson, invece mi ritrovai un uomo sulla trentina, alto e robusto.
Due braccia enormi e pettorali scolpiti, fisico asciutto ma non troppo.
Capelli castani e occhi verde acqua.
Sguardo freddo e tenebroso.
Indossava i miei stessi pantaloni ma sopra aveva una maglietta nera a maniche corte.
Mi guardò senza parlare per qualche secondo, poi distolse lo sguardo forse infastidito dal mio.
“Il Generale Fury mi ha mandato per portarti da lui.”
La sua voce era roca e calda, una cosa che mai avevo sentito prima, ma il suo tono era freddo e distaccato.
“Arrivo subito…”
Dissi lasciandolo davanti alla porta e rientrando in camera per mettere la maglietta.
Finì di vestirmi in pochi secondi e usci di nuovo, chiudendo tutto e mettendo le chiavi in tasca.
Lui mi guardò e senza proferire parola iniziò a camminare spedito verso l’uscita dei dormitori.
Lo segui in silenzio, non ne capivo il motivo ma mi sentivo in imbarazzo.
Si, era un bell’uomo, ma forse per colpa del suo atteggiamento freddo non riuscì a relazionarmi nemmeno un po’ con lui.
Arrivammo davanti alla stanza del generale, mi guardò con la coda dell’occhio per vedere se ero ancora dietro di lui e bussò sicuro.
“Avanti.”
Sentì Fury rispondere da dentro la stanza.
L’uomo entrò e lasciò la porta aperta per far entrare anche me.
“Signore, ordine eseguito signore”
Fury lo guardò e fece un segno di assenso.
“Puoi andare, grazia agente Barton.”
Barton, era quello il suo cognome quindi.
L’uomo annui e uscì dalla stanza lanciandomi uno sguardo non diverso da quelli che avevo ricevuto prima.
Rimasi qualche secondo in silenzio e poi guardai Fury.
“Signore, posso farle una domanda?”
Lui annuì e si mise seduto in maniera molto comoda.
“Ma, quel Barton…Fa cosi con tutti oppure mi odia?”
Fury non appena udì le mie parole scoppiò a ridere e mi invitò a sedermi.
“Clint Barton è uno degli agenti più bravi che lo S.H.I.E.L.D abbia mai avuto… forse il più bravo.
Ma oltre ad essere famoso per le sue abilità, è famoso per il suo caratteraccio.”
Disse guardandomi.
“Ah bhe…meglio cosi allora, pensavo di essermi creata subito delle antipatie e siccome dovrò stare qui per molto tempo…non sarebbe stato un buon affare..”
Ridacchiai.
Fury sorrise.
“Quindi ha deciso di accettare la mia proposta?”
Mi limitai ad annuire.
“Ha letto tutto quello che le ho fatto lasciare nel suo alloggio?”
“Si signore…Non c’è bisogno che lei aggiunga altro, ho capito quello che dovevo capire e…Mi interessa fare questa esperienza.
Lei non mi conosce ma io adoro mettermi alla prova e questa è una buona occasione per farlo…”
Mi guardò sorridendo e senza aggiungere altro mi porse la mano.
“Benvenuta nel corpo speciale dello S.H.I.E.L.D allora signorina Light.”
Io la strinsi con forza.
“Grazie signore.”
“Da domani inizieremo a sottoporti a tutti i test che le abbiamo descritto sui documenti che ha letto, poi ci sarà l’esame finale e spero per lei che riuscirà a superarlo.”
“Non la deluderò signore.”
“Bene soldato, ora..”
Lasciò la mia mano e mi guardò.
“Può tornare nei suoi alloggi, domani mattina verrà chiamata non appena saremo pronti per iniziare a valutarla”
“Grazie signore.”
Feci il solito saluto ed uscì dalla stanza.
Quando fui fuori sorrisi e mi guardai intorno.
Non c’era nessuno cosi iniziai a camminare tranquilla per poi uscire dall’edificio e tornare nei dormitori.
Tutto quello che volevo era spogliarmi e fare un rilassante bagno caldo per distendere i nervi e buttare via i pensieri superflui, così, non appena entrata in camera mi gettai a capofitto sotto il getto della doccia e ne uscì fuori solo dopo mezz’ora.
Misi una delle magliette che avevo dentro il borsone e mi infilai sotto le coperte.
Passai i primi minuti a fissare il soffitto, ma poi, presa dalla stanchezza della giornata appena passata, crollai in un sonno profondo.

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Capitolo 3
*** Prove. ***


So di averaggiornato poco fa ma volevo inserire questo capitolo di transizione, tanto per fare :)
Diciamo che si inizia a conoscere sempre qualcosa di più riguardo alla protagonista e si capisce, più o meno, quali siano le sue capacità e come mai Fury la abbia scelta per far parte dello S.H.I.E.L.D.
E' corto come capitolo, ma fatemi sapere come vi sembra! :)
Grazie e buona lettura!




3.Prove.

Le giornate che seguirono furono sempre pieni di impegni.
Il primo giorno iniziarono con il valutare la mia prestanza fisica, le mie doti di soldato e la mia forza.
Non mi fecero usare nessun’arma, dovevo cavarmela solo con il mio corpo.
Davanti al mio stile di combattimento molti dei soldati che avevo davanti rimanevano sbalorditi, forza a causa della sua stranezza.
Nella mia vecchia caserma ero famosa per il modo in cui mi muovevo, molti miei compagni mi paragonavano ad una tigre quando attaccavo, ma al vento quando mi spostavo o evitavo i loro attacchi.
Ero veloce e agile, quasi troppo per gli standard di un soldato comune.
Abbattevo qualsiasi cosa mi trovassi davanti, anche se si trattava di uomini due o tre volte più grandi di me.
A mani nude, durante una missione, ero riuscita a stendere una dozzina di soldati del KGB, tutti completamente armati senza troppi problemi.
La mia bravura era dovuta al lavoro di una vita.
Sin da bambina praticavo arti marziali e crescendo ero diventata maestro in molte discipline.
Una volta entrata nell’esercito, unii le mie conoscenze precedenti con quelle che acquisivo ogni giorno sul campo di battaglia, fino a diventare una macchina da guerra.
Ero forte, molto, e tutti all’interno di quella palestra parvero accorgersene.
Anche lui, quel Barton.
Mi fissava da sopra una specie di carichino elettronico.
Rimaneva li fermo a guardare i movimenti di tutti gli uomini presenti nell’edificio, ma qualche volta, notai il suo sguardo fisso sulle mie azioni.
Non credo che fosse attirato dalla mia bellezza, anche se ne facevo spesso un punto di forza durante le missioni in incognito, dato che, a sentire molti uomini che avevo conosciuto, ero una bella donna.
Alta, con un fisico asciutto, capelli lunghi e più scuri della pece, spalle larghe ma non troppo, curve ben delineate, occhi verdi e labbra sempre accese di un rosso naturale.
Ma quell’uomo, appollaiato come un Falco sopra il suo piedistallo, non stava guardando niente di tutto quello.
Osservava il mio modo di combattere, le mie mosse particolari e il mio stile.
Forse si chiedeva se mai lo avrei battuto, se mai sarei diventata più forte di lui, ma il suo orgoglio maschile avrebbe comunque risposto sempre con un sonoro e deciso NO.
Sorrisi a quell’idea e continuai a combattere fin quando l’esame non arrivò al termine.
Ero esausta, sfinita cosi quando tornai nella mia stanza, feci una doccia e mi misi subito a dormire, provando a recuperare forze per il giorno seguente.
La seconda giornata venne dedicata alla mia esperienza con le armi.
Spiegai ai miei esaminatori che la mia specialità era l’uso della spada e che eccellevo anche nel tiro con l’arco e in tutte le pratiche con le armi bianche.
L’arte del combattimento non era conosciuta da tutti, ma era quello il mio stile di vita.
Essere un tutt’uno con l’aria che ci circonda, un tutt’uno con le proprie armi, un tutt’uno con la propria mente, tutto questo faceva parte di me.
Il terzo giorno, come il quarto, vennero usati per valutare il mio intelletto, il mio stato psicologico e tutte cose inerenti alla mia testa.
Mi dissero che spesso sarei dovuta stare in situazioni particolari, pericolose, nelle quali avrei dovuto scegliere in pochi secondi se vivere o morire, ma io tutte queste cose gia le conoscevo.
Molte, se non troppe volte durante i miei 28 anni di età ero stata costretta a scegliere se vivere o morire, a combattere per sopravvivere.
Quando arrivammo al quinto giorno sottoposero il mio corpo a diverse prove effettuate sotto stress per testarne i riflessi incondizionati, la prestanza e la forza.
Il giorno successivo fù il più strano di tutti.
Mi alzai alla stessa ora, come avevo fatto durante quelle prime mattine passate allo SHIELD, mi stiracchiai e non appena i miei sensi si accesero presi in mano la pistola che avevo sotto il cuscino e la puntai dritta di fronte a me.
Rimasi quasi scioccata da quello che vidi, ma dopo qualche istante ripresi il controllo delle mie facoltà mentali.
Cosa ci faceva li dentro lui?
“Era ora.” Disse con tono freddo mentre mi guardava con quegli occhi di ghiaccio. “ Sono qui da più di un’ora e credimi se ti dico che mi ero anche stufato di aspettare.”

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Capitolo 4
*** Lavorare insieme?! ***


Ciao a tutti! :D
Eccomi di nuovo!
Sono veloce ad aggiornare perchè ultimamente scrivo sempre...Anche quando non dovrei!
Per farmi perdonare del capitolo corto di ieri sera, ne aggiungo uno un pò più lungo e con molte novità!
Finalmente la storia inizia a movimentarsi un pò...
Scusate sempre per i soliti errori che credo di aver fatto e buona lettura! :)





4. Lavorare insieme?!


Lo guardai con sospetto e non abbassai la pistola.
“Puoi metterla via sai? Se avessi voluto ucciderti lo avrei fatto mentre dormivi.”
Continuai a fissarlo senza abbassare l’arma.
“Cosa diavolo ci fai dentro la mia stanza, Barton?”
“Sai anche come mi chiamo ora?”
“Me lo ha detto Fury.”
“Ahh, capisco.” Disse staccandosi dal muro e venendo verso di me.
“Ripeto la domanda, cosa ci fai nella mia stanza?!”
Rise sarcastico, una risata che appena solleticò il mio orecchio mi fece venir voglia di strangolarlo.
“Non credere che sono qui perché voglio.”
“Non lo credo infatti, hai la coda di paglia?”
Rise di nuovo, irritando il mio sistema nervoso mattutino e si avvicinò al letto.
“Sono qui perché me lo ha ordinato Fury, fine della discussione. Ora alzati e vestiti che ti sta aspettando.”
Rimasi in silenzio qualche secondo poi abbassai la pistola e la poggia sul comodino.
“Come hai fatto ad entrare?”
“Sono cavoli miei” rispose appoggiandosi di nuovo al muro.
Lo squadrai per qualche secondo e spostai le coperte da sopra di me, anche ero in intimo la sua presenza non cambiava nulla.
Non appena mi tirai su, notando che ero quasi nuda,  spostò lo sguardo quasi come fosse in imbarazzo.
Lo guardai divertita.
“Non hai mai visto una donna in mutande e reggiseno agente Barton?!”
Lui mi guardò.
“Perché, te sei una donna?!”
Sbuffai, non sapeva nemmeno scherzare.
“Pensavo fossi una persona più simpatica, sai?”
Mi alzai e andai verso il bagno per lavarmi.
Sciacquai la faccia con dell’acqua gelata e presi un asciugamano.
“Sembri sempre cosi serio quando stai appollaiato come una gallina sopra qualsiasi cosa si trovi a qualche metro da terra.”
Dissi mentre mi asciugavo il viso.
Sentì Clint venire verso di me ma non lo fermai, così prese il mio viso con una mano e lo strinse.
“Non sono una gallina, io sono un falco.” Sibilò sicuramente irritato per il soprannome che avevo usato.
Lo guardai divertita, sapevo non mi avrebbe fatto del male, quindi lo lasciai fare,
“Togli queste mani dalla mia faccia, pollo.”
In tutta risposta lui strinse leggermente di più.
“Lasciami se non vuoi farti male.”
Dissi guardandolo negli occhi senza dar segno di voler continuare a scherzare.
Lui tolse la mano e andò verso la porta, lasciandomi li.
“Aspetto fuori.”
Senza nemmeno rispondergli continuai a sistemarmi mentre lo sentì uscire.
Fini di lavarmi e poi andai a vestirmi, questa volta indossai una delle tute aderenti nere che avevo ricevuto il primo giorno.
Infilai gli scarponi e sciolsi i capelli lasciandoli cadere morbidi e perfettamente lisci lungo le spalle.
Misi il cinturone e presi la mia pistola, poi uscì dalla camera senza nemmeno guardare l’uomo che stava appoggiato sulla ringhiera delle scale.
Gli passai davanti e prosegui per la mia strada, diretta verso l’ufficio di Fury.
Clint, sicuramente contento del fatto di non dovermi stare vicino, mi segui senza avvicinarsi più di tanto.
Quando arrivammo davanti all’ufficio di fury, bussai con decisione ed aspettai il permesso del generale per entrare.
“Soldato Light a rapporto signore.”
Fury mi guardò.
“E Barton dov’è?”
Da dietro la porta sbucò fuori quest’ultimo mettendosi subito di fianco a me.
“Eccomi signore, ho fatto quello che mi avevate chiesto…ora posso andare?”
L’uomo lo guardò e sorrise.
“No agente, perché quello che sto per dire all’agente Light riguarda anche lei.”
Sentendo quelle parole mi feci più attenta.
“Cosa vuol dire signore?”
“Si signore, cosa vuol dire?” Disse Barton con tono confuso.
“Vuol dire che ho intenzione di far seguire l’agente Light da qualcuno di esperto per farle conoscere tuto quello che c’è da conoscere sullo S.H.I.E.L.D.
Insegnare tattiche, strategie, curiosità e segreti sulla nostra agenzia…
E chi meglio di lei, agente Barton, potrebbe farlo?”
Sgranai gli occhi e guardai Fury a bocca aperta.
“Come?” Chiesi quasi alterata.
“Io? Con questa qui?! Ma scherziamo?!” Disse Clint subito dopo di me.
Il generale lo guardò con tono severo,  capìì che aveva esagerato cosi abbassò lo sguardo quasi fosse pentito.
“Mi scusi signore, non volevo.”
“Questo è un ordine Barton, non voglio discussioni. Avete tecniche molto simili nonostante siate caratterizzati da forze differenti, quindi ho pensato che l’unico che poteva seguire questa donna come merita siete voi.”
Clint annuì per inerzia.
“Ma signore..” Pronuncia quelle parole con un filo di voce.
“Non mi interessa, qualsiasi divergenza possa esserci fra voi due, dovrete appianarla.
D’ora in poi lui sarà il tuo mentore agente Light” Mi guardò con l’unico occhio buono che aveva per poi passare lo sguardo su Clint. “ E lei sarà la tua allieva agente Barton.”
In quel momenti ci guardammo e abbassammo subito lo sguardo, entrambi.
“Si signore.”
Esclamammo insieme.
Fury ci guardò e sorrise soddisfatto.
“Bene…Inizierete l’addestramento oggi, subito.
Avete a disposizione le stanze speciali dell’edificio 4, quindi agente Barton non mi deluda.”
“No signore.”
Rimasi in silenzio mentre Fury elencava al mio nuovo mentore quello che avrebbe dovuto insegnarmi.
Ogni tanto lo guardavo e capivo che ne io ne lui eravamo contenti di quell’incarico.
Non che lo odiassi ovvio, ma non mi era particolarmente simpatico.
Durante quei giorni passati ad allenarmi non si era mai avvicinato a me, ma si limitava ad osservarmi dalla sua postazione con quello sguardo troppo freddo che mi infastidiva.
Non ne capivo il motivo ma di certo non era di mio gradimento stare con lui.
Forse perché credeva di essere il più forte e con quel suo atteggiamento da “ Nemmeno ti guardo perché per me non sei che un moscerino “ non attirava la mia simpatia.
Sospirai piano e aspettai che i due uomini ebbero finito di parlare, poi solo dopo essermi congedata con Fury, uscì dalla stanza.
Mi appoggia il muro portando una mano sul viso e iniziai a massaggiare le tempie, come se avessi mal di testa.
Clint uscì dopo di me chiudendo la porta dietro di lui.
Si girò a guardarmi, rimanendo in silenzio qualche secondo.
“Ti avverto, lavoreremo insieme perché me lo ha ordinato Fury, ma non pensare che io ne sia felice.” Disse poi con tono secco.
“Lo stesso vale per me, non dubitarne.” Risposi usando il suo stesso tono di voce.
Gli lanciai uno sguardo affilato, che parve colpirlo tanto da far abbassare il suo.
“Bene, vai a prendere le tue cose…io ti aspetto nell’edificio 4.”
“E io come ci arrivo all’edificio 4 se non so nemmeno dove si trova?”
“Non mi interessa, chiedi informazioni.”
Lo guardai ringhiando e iniziai a camminare verso la mia camera con passo deciso ed arrabbiato.
Possibile che dovesse essere sempre cosi arrogante?
Cosa gli avevo fatto?
Mi trovavo dentro quel posto da nemmeno una settimana e già gli stavo sulle scatole.
Si lo ammetto, magari avevo esagerato con il prenderlo in giro ma come riuscire a resistere?! Si vede che è un tipo abbastanza orgoglioso e dannatamente permaloso…e io adoro giocare con gli uomini cosi convinti di essere invincibili.
Sbuffai mentre cercavo il mio equipaggiamento sparso per la stanza, recuperai i coltelli da dentro la custodia e infilai la spada nella fodera dietro la mia schiena.
Uscì da li quasi subito e mi diressi all’esterno dell’edificio, andando verso il piazzale principale.
Mi guardai un attimo intorno alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarmi, siccome il mio nuovo mentore non si era preso nemmeno la briga di spiegarmi dove dovessi andare.
Quando vidi un uomo uscire da quella che sembrava essere l’armeria, lo fermai poco prima che salisse su una motocicletta parcheggiata proprio li davanti.
“Scusami…”
Il tipo in questione si girò e mi guardò.
Un uomo sulla trentina, capelli biondo cenere e occhi chiari, sembrava avere la stessa età di Barton solo che a differenza sua aveva era leggermente più alto.
Lineamenti del viso marcati e sguardo da bambino.
Di uomini come lui ne conoscevo parecchi, cosi gli sorrisi e lui, solo dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi con un sorriso quasi ammiccante, si decise a rispondermi.
“Oh ciao…”
“Ho bisogno di una mano, potresti aiutarmi?” Dissi sorridendo in modo cordiale.
“Certo…”Si avvicinò a me “ Dimmi pure…”
“Il mio istruttore mi ha lasciato nel bel mezzo del nulla…” Accennai una risata e lui mi imitò.
“In che senso?”
“Nel senso che non so dove andare…Mi ha detto di raggiungere l’edificio 4 ma non so dove si trovi e non si e degnato nemmeno di spiegarmi come raggiungerlo.” Le mie parole trasudavano rabbia repressa.
L’uomo davanti a me ridacchiò.
“Chi è il tuo istruttore?”
“Barton…”
Ridacchiò di nuovo e scosse la testa lentamente.
“Ora capisco…” Sorrise e mi porse il casco che aveva in mano “ Ti accompagno io, vieni..”
“Come?” Risposi confusa “ Non si trova qui?”
“No, ma non è molto distante…potrei portarti a piedi ma faremo prima in modo, non credi?”
Sorrise e io lo imitai.
“Hai ragione...Grazie.”
“E di cosa..” Salì sulla moto invitandomi a fare lo stesso, cosi misi seduta sulla sella e indossai il casco.
Partimmo velocemente e dopo una manciata di minuti arrivammo davanti ad un edificio molto grande, situato dietro una specie di montagna.
L’uomo si fermò davanti alla porta d’entrata e io scesi ridandogli il casco.
“Ti ringrazio…”
“Ti ricordi la strada per tornare si?” Chiese mentre indossava il casco.
Io annui e lui mi sorrise.
“Comunque piacere, io mi chiamo Steve Rogers.” Porse la mano e io la strinsi.
“Francis Light ed il piacere è mio…”
Sorrise di nuovo e lasciò la presa dalla mia mano.
“Scommetto che Clint ti sta aspettando comunque, forse dovresti entrare prima che si arrabbi…”
“Oh bhe, può arrabbiarsi quanto vuole io ci metto il tempo che voglio”
Lui rise.
“Meglio che tu non lo veda davvero arrabbiato, fidati..”
Mi fece l’occhiolino e accese il motore della motocicletta.
“Ci vediamo Francis” Senza aggiungere altro partì velocemente.
I miei occhi lo seguirono fin quando non scomparì dietro la montagna poi mi girai verso l’edificio e sospirai iniziando a camminare verso di esso.
D’un tratto qualcosa mi accarezzò l’orecchio, come il rumore del carrello di una pistola o…
“Merda!”
Imprecai non appena capì cosa stava per succedere e feci uno scatto laterale, schivando per un pelo la freccia che Clint mi aveva appena tirato.
“MA SEI PAZZO!?” Dissi infine alzando lo sguardo verso il tetto dell’edificio.
“POTEVI UCCIDERMI SAI?!”
Lui rise sarcastico. “ Era una prova! Sono il tuo maestro? Devo metterti alla prova! E’ questo quello che mi ha detto di fare Fury.”
Camminai a passi decisi fino a sotto di lui e lo guardai con aria truce.
“Fury non ti ha detto di uccidermi.”
“Non ti ho uccisa.”
“Ma ci sei andato vicino! Per fortuna che ti ho sentito mentre incoccavi la freccia, stupido pollo!”
Dissi in preda all’ira.
Lui mi guardò e con un balzo scese giù dal tetto, piegando le ginocchia non appena toccarono terra e rialzandosi subito.
“Sono il tuo istruttore ora, non osare parlarmi in questo modo.”
“Non credere che perché sei il mio istruttore io ti leccherò il culo, amico.” Mi avvicinai a lui e gli diedi una spinta sulla spalla con un dito.
“Quindi vedi di calmarti, perché più continuerai a stuzzicarmi, più io ti renderò la vita impossibile.”
Mi guardò come se tutto quello che avessi detto fosse un emerita cazzata e ridendo sotto i baffi, mi passò di fianco andando verso la porta.
“Sarò io che ti renderò la vita impossibile mia cara.”

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Capitolo 5
*** Dovere. ***


Eccoci arrivati al quinto capitolo!
Aggiorno leggermente prima poichè oggi non sarò a casa e non volevo lasciare un capitolo indietro!
Diciamo che leggendolo, non vorrei penste che Clint è davvero cosi cattivo e scorbutico con Francis senza un motivo.
Sappiamo tutti che Occhio di Falco non è famoso per la sua dolcezza, ma nelle righe che leggerete qui sotto, esagera un pochino.
Ma tranquilli, presto scoprirete la verità e presto lui cambierà rivelando molte cose che teneva nascoste...
Promesso :)
Comunque buona lettura e grazie :)
Ps: Perdonatemi per i vari errori sparsi qua e la ma non ho avuto tempo di rileggere.



5. Dovere.





Si girò a guardarmi con la bocca inarcata in una specie di strano sorriso, quasi cattivo.

“Adesso smettila di lagnarti ed entra, altrimenti sarò costretto a farti entrare con la forza.”
Senza spostare gli occhi dai suoi e senza fiatare entrai come mi aveva ordinato e aspettai che mi conducesse nel luogo destinato al mio addestramento.
Mentre camminavamo per un corridoio si prese la briga di spiegarmi cosa stavamo andando a fare e dove ci trovavamo.
“Siamo qui perché Fury crede che non serva a nulla allenarti con tutti gli altri componendi dello S.H.I.E.L.D, dato che il tuo livello di preparazione supera quello di più della metà di tutti i nostri agenti…
Quindi…” Mi guardò con la coda dell’occhio dato che camminavo al suo fianco.
“Ha deciso di mandarti in uno dei posti dove solitamente si allenano gli agenti scelti, come me.”
“E scommetto che di agenti come te ce ne sono pochi, giusto?” Usai un tono che aveva un non so cosa di sarcastico, cosi per dargli fastidio.
“Smettila di stuzzicarmi.”
“Non lo farò finché non ti degnerai di essere un po’ più umano e meno “Pollo morto congelato da settordici anni.”
Non feci quasi in tempo a reagire che Clint mi prese e mi sbatté al muro con forza, facendomi chiudere gli occhi dal dolore lancinante che mi aveva percorso la schiena non appena questa aveva toccato la parete.
Un rantolo uscì dalla mia bocca, aprì gli occhi ritrovando l’uomo davanti a me intento a stringermi il viso con una mano, come aveva fatto la mattina nella mia stanza.
“Mettiamo in chiaro le cose, io non amo lavorare con nessuno, tanto meno con una ragazzina che mi prende per il culo ogni volta che apre bocca.
Ho accettato questo incarico solo perché è stato Fury a chiedermi di eseguirlo, quindi vedi di tenere la lingua in bocca se non vuoi che te la stacchi, tutto chiaro?” Parlò senza prendere fiato un secondo, sibilando quelle parole con gli occhi puntati sui miei.
Io ripresi fiato un secondo e ringhiai, nessuno poteva permettersi di toccarmi in quel modo, tanto meno un asociale, stronzo maschio come lui.
“No.” Dissi sorreggendo il suo sguardo minaccioso.
Lo vidi aprire bocca per parlare, ma non riuscì a farlo, dato che mentre era preso  dal suo monologo rabbioso, io avevo passato la mano dietro la mia schiena e avevo preso uno dei miei coltelli, puntandolo subito alla sua gola.
“Lasciami.” Spinsi il coltello leggermente sulla sua carotide e lui continuò a fissarmi.
“Lasciami oppure Fury perderà uno dei suoi agenti migliori.”
Lentamente sentì la presa dalla sua mano allentarsi e credetti che aveva iniziato a ragionare, invece con una mossa diretta al mio polso fece cadere il coltello dalla mia mano e mi riprese per le guance, stringendo più forte di prima.
“Hai ancora molto da imparare prima di poter minacciare uno come me.
Mettiti bene in testa che da oggi in poi sei la mia allieva e dovrai ubbidirmi. Se ti dico di smetterla di prendermi per il culo, tu smetti.
Se ti dico di stare zitta, tu stai zitta.”
Ormai era evidente che la rabbia lo stava facendo diventare fin troppo aggressivo, cosi per accontentarlo mi limitai ad annuire nonostante il mio orgoglio non fosse d’accordo.
“Va bene, ma lasciami.”
Dopo aver pronunciato quelle parole, liberò subito la su presa e si staccò.
Mi ripresi, massaggiando piano il polso e recuperando il coltello che aveva fatto cadere.
“E’ evidente che ne io ne te siamo contenti di lavorare insieme, ignoro il motivo per il quale tu mi tratti in questo modo, ma dovremo abituarci.
Quindi io accetterò i tuoi difetti e tu i miei.”
Fece per parlare quando lo bloccai con un gesto della mano.
“Fammi finire, poi potrai trattarmi come un insulto allievo, ma adesso mi ascolti.”
Lui chiuse la bocca, non sapevo come ma avevo la sua attenzione.
“Ammetto di non essere una persona dolce e cordiale, ma nessun essere umano lo è dopo aver visto la morte in faccia più e più volte… tu lo sai bene quanto me.”
Mi guardò rimanendo in silenzio.
“Quindi non pretendo di starti simpatica, non mi importa…Se te smetterai di fare lo stronzo io smetterò di prenderti in giro.”
Staccai il mio corpo dal muro e sgranchì leggermente la schiena.
“ Aggiungerei che scenate del genere sono ridicole quindi evitiamole, per favore.
Facendo la voce grossa e provando a farmi del male non ti guadagni il mio rispetto, ne la mia simpatia.”
Lui abbassò lo sguardo e annuì quasi sorpreso dal mio discorso, ma poi rialzandolo capì che nulla era cambiato.
“D’accordo.” Disse per poi riprendere a camminare come se nulla fosse.
Era davvero assurdo quell’uomo, sembrava sensibile solo quando il suo orgoglio veniva ferito.
Lo guardai scocciata ma ripresi a seguirlo fin quando non arrivammo davanti ad un porta magnetica.
“Qui è dove ci alleneremo ogni giorno, dalla mattina alla sera.
Sarai ai miei comandi sempre.”
Io annuì, provando ad essere il più professionale possibile.
“Bene.”
Poggiò la mano su un sensore piazzato sul muro e solo dopo averlo riconosciuto, questo ci diede il permesso di varcare la soglia.
“Questa stanza non è come le altre.” Disse mentre stavamo per entrare.
“Qui le proiezioni prendono vita..”
Lo guardai senza capire, cosi lui continuò. “Abbiamo diverse mappe a disposizione e il computer centrale, una volta selezionata quella su cui vogliamo esercitarci, la creerà in modo totalmente realistico.
Questo significa che se dovessi cadere da un palazzo, potrai farti male sul serio.
Lo stesso vale se sarai colpita da un proiettile.
Questo non ti ferirà ma farà male come fosse vero.
Tutto chiaro?”
Mi limitai ad annuire, un po’ turbata da quello che mi aveva appena rilevato.
Che diavoleria era mai quella? Potevo accettare tutto, ma quello era davvero fuori dal mio immaginario.
Clint fece un passo in avanti e la porta si aprì automaticamente, rivelando un enorme stanza vuota.
“Cosa significa? Non avevi detto che c’erano delle mappe?”
“Esatto, ma non l’ho ancora selezionata…”
Andò verso un altro sensore attaccato all’interno della stanza e iniziò a premere cose a caso mentre io lo osservavo a qualche metro di distanza.
“Fatto” Esclamò.
Tutto d’un tratto una luce Blu comparve da un riflettore sopra di noi e proprio davanti ai miei occhi, iniziò a costruire un bosco, albero per albero, cespuglio per cespuglio.
In pochi minuti mi ritrovai in mezzo ad una foresta, con piante che sembravano vere e un sole cocente sopra la mia testa.
“Questa è in assoluto la cosa più strana che io abbia mai visto.” Esclamai mentre mi guardavo intorno.
Clint ridacchiò, sembrava che la rabbia di prima fosse scomparsa.
“E’ impressionante come tu possa passare da essere più spaventosa e tignosa di una iena, all’essere innocente come una bambina.”
Lo fulminai con lo sguardo.
“Dovrei prenderlo come un complimento?”
Lui annuì e mi guardò.
“Oggi voglio vedere come ti muovi in un ambiente ostile…Ho posizionato diversi uomini all’interno della mappa quindi fa attenzione, perché se ti vedranno non esiteranno a spararti.”
“ E tu?”
“Io ti seguirò e osserverò come ti comporti…devo conoscerti prima di poterti imparare quello che mi è stato ordinato.”
“Mi hai già guardata muovermi, ti ho visto!”
Lui fece uno sguardo alla “ Oh cazzo mi ha beccato “ ma si riprese subito dopo.
“Muoverti è un conto, voglio vedere come ti mimetizzi e come sfuggi agli occhi dei nemici…Un assassino deve saper fare anche questo.”
Effettivamente aveva ragione, quella prova non doveva essere poi cosi difficile date le mie capacità…
Ma mi sbagliavo.
Non appena iniziò l’addestramento mi avventurai dentro il bosco.
Riuscì ad evitare diverse ronde di nemici, ma quando stavo per raggiungere il primo Check point stabilito da Clint, uno di loro nascosto evidentemente dietro qualche cespuglio, mi sparò un colpo dritto allo stomaco, colpendomi in pieno.
Quel falco aveva ragione, sentì lo stesso dolore che si prova quando un proiettile buca la carne, ma la mia carne non era bucata.
Caddi all’indietro dolorante e quando vidi l’uomo venire verso di me intento a spararmi di nuovo, mi rialzai e tirai fuori dal fodero la mia spada.
“Cazzi tuoi amico.” Dissi con un filo di voce mentre mi mettevo in posizione.
Chiusi gli occhi e calmai il cuore, che sembrava correre come una mandria di cavalli impazziti.
Sentì la pistola del mio assalitore portare il colpo in canna, cosi senza esitare aprì gli occhi e lo attaccai, abbassandomi quando il colpo partì e passando la lama da una parte all’altra del suo corpo.
Questo cadde all’indietro, tagliato a metà e scomparì non appena toccò terra.
Computer 0-Francis 1.
Non feci in tempo ad esultare che sentì i compagni della mia vittima avvicinarsi, ero ferita o almeno cosi sembrava e non potevo affrontarli tutti dato che erano circa una ventina.
Mi guardai intorno e solo dopo aver rinfoderato la spada, mi arrampicai su di un albero li vicino.
Appoggia il busto al tronco e guardai il punto in cui ero stata colpita.
Niente sangue, niente di niente, solo tanto dolore.
“Dovevi stare più attenta…”
Ridacchiai non appena sentì la voce di Clint dietro di me.
Era comparso dal nulla e io non me ne ero nemmeno accorta.
“Almeno l’ho fatto fuori…” Risposi tenendo la mano sullo stomaco.
“Si, ma ti ha colpita.
Se fosse stata una vera missione a quest’ora saresti morta.” Sussurrò per non farsi sentire dagli uomini a pochi metri da noi.
“Non morirei per un colpo cosi.”
“Ah davvero?”
“Si…Poi ho i miei uomini con me che…” Mi fermai riflettendo su quello che stavo per dire.
“Come?” Chiese lui confuso.
“Niente, lascia perdere..” Risposi cercando di non pensare ai miei amici, compagni e soldati.
A lui.
“Sarai sola nelle missioni, la maggior parte del tempo…Non siamo più in esercito e prima o poi dovrai fare i conti con te stessa.” Girai la testa verso di lui quasi sconvolta, senza saperne il motivo poi.
Lui mi guardò e cambiò subito discorso.
“Ti fa male?”
Indicò il punto dove mi avevano sparato.
Io rimasi bloccata per qualche manciata di secondi, poi mi ripresi sbattendo le palpebre ripetutamente e guardai il mio corpo.
“No…”
“Bene, continuiamo allora…Devi raggiungere l’altro capo della foresta senza farti scoprire…
Ho aumentato il livello di sorveglianza, quindi sarà più difficile.”
Annuì senza parlare e lo vidi scomparire tra i rami degli alberi.
Era dannatamente agile, quasi più di me che ero una donna.
Sembrava uno di quei tipi che lavorano nei circhi, uno di quelli che saltano da una parte all’altra di palazzi senza la minima difficoltà.
Fissai per un momento il fitto della foresta, poi premetti la mano contro lo stomaco e gemetti leggermente.
Mi tirai su e scesi dall’albero dato che i miei inseguitori erano scomparsi.
Alla fine della giornata riuscì a non essere più scoperta e quando ormai stavamo dentro quella stanza da ormai 7 ore, il mio istruttore decise di interrompere l’allenamento.
“Per oggi può bastare…”
La foresta intorno a noi scomparve e ci trovammo al centro della stanza.
“Domani faremo qualcosa di più difficile.” Disse mentre smanettava con il sensore appeso al muro per sistemare le ultime cose.
“Non è un problema per me…”
Si girò e mi guardò.
“Ti consiglio di riposarti bene stanotte.”
Risi.
“Cosa pensi che vada a fare sennò?”
Lui non rispose e guardò l’orologio.
“E’ quasi ora di cena, puoi andare a cambiarti e per le 7 devi essere in mensa con tutti gli altri agenti.”
Lo guardai e annuì.
“Te non vieni?”
“Ancora no, ho da fare…”
“Va bene” Alzai le mani in segno di sconfitta, mi girai ed uscì dalla stanza, raggiungendo poi a piedi i dormitori.
“La prossima volta prendo anche io una moto per andare la, risparmio una fatica inutile…” Disse ripensando a Steve ed alla camminata che aveva fatto per poter stendere la schiena sul suo letto.
Rilassai i muscoli del busto e slacciai la tuta per osservare il punto dove mi avevano colpita.
C’era una mora enorme, ma niente buco di proiettile.
Sospirai e andai nel bagno per farmi una doccia.
Dopo essermi lavata e sistemata decentemente, uscì dalla stanza con addosso una semplice uniforme.
Arrivai alla mensa seguendo altri agenti che stavano andando a cena.
Alcuni di loro mi invitarono a sedermi al loro tavolo e io accettai.
Mentre mangiavo il mio pasto, composto da una bistecca e degli spinaci, vidi entrare dalla porta Clint, insieme ad una donna non troppo alta e magra.
Aveva i capelli di un rosso acceso e le labbra dello stesso colore.
Risi leggermente e distolsi lo sguardo.
Sembrava odiasse le donne, invece aveva anche una ragazza…o cosi credevo.
Mentre stava camminando diretto al tavolo dove era seduto anche Coulson, mi guardò per una frazione di secondo e senza fare altro, tornò a guardare davanti a lui.
Lui e la donna si sedettero vicino e rimasero li anche dopo che io ebbi finito di mangiare.
Uscì dalla mensa e mi diressi da sola verso i dormitori.
Ero stanca e avevo bisogno di riposare mente e corpo, soprattutto la prima.
Infatti, non appena poggiai la testa sul cuscino, i miei occhi si chiusero e la mia testa andò in una specie di stand-by, spegnendosi totalmente, tanta era la sua stanchezza.





“Perché non vieni con me? Riusciremo a cavarcela! Non ci troveranno mai, te lo prometto”
Mi scansai da lui e lo guardai delusa.
“Non ho intenzione di tradire il mio paese.”
“Io non sto tradendo nessuno.”
“Stai tradendo te stesso.”
Mi guardò e scosse la testa.
“Tu non capisci…”
“Oh si che capisco.” Tirai fuori la spada dal fodero insanguinato dietro la mia schiena e la puntai verso di lui.
“Cosa vuoi farmi, uccidermi?”
“Hai fatto fuori i miei compagni, I TUOI COMPAGNI…Pretendi che ti lasci vivere?”
“Si..” Rispose seccamente.
“E per quale motivo?”
“Perché io sono innamorato di te.”

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Capitolo 6
*** Fiducia. ***



Sesto capitolo!
Diciamo che da qui in poi si capiranno molte cose...
E inizierò ad introdurre anche gli altri vendicatori...Piano piano!
Spero vi piacierà almeno un pò...Perchè, sinceramente non sono molto soddisfatta :/
Grazie per ver letto e grazie a chi recensirà!
Ps: se avete qualche consiglio, non esitate a darmelo perchè a me farebbe molto piacere! :)




6 .Fiducia.



Mi svegliai di soprassalto, sbattendo la testa sopra la mensola del letto.
Imprecai un po’ per tutto, per il dolore e per l’incubo che avevo appena fatto.
Era tornato a trovarmi di nuovo…
Sembrava come una maledizione, ogni volta che provavo a non pensare a lui, questo tornava dentro la mia testa e prepotentemente la occupava senza chiedere il permesso.
Sospirai.
Era da un anno che lo avevo affrontato, ma il rimorso non mi aveva ancora abbandonata.
Guardai l’orologio e mi accorsi che avevo dormito solo 3 ore, dato che era scoccata da poco la mezzanotte.
Sospirai di nuovo e mi tirai su, sedendomi sul bordo del letto.
In quel momento capii che non avrei più chiuso occhio per paura di rincontrarlo e affrontarlo di nuovo.

Rimasi in quello stato per qualche minuto, ferma a fissare il vuoto senza fare nemmeno un piccolo movimento, poi, sperando di dimenticare quell’incubo,decisi di fare qualcosa e inizia a leggere delle pratiche che Fury aveva fatto lasciare sopra la mia scrivania.
Dopo un’ora, ormai stufa di stare li dentro, misi la giacca e uscì dalla stanza...avevo bisogno d’aria fresca ma maggiormente, di uscire da li.
Andai all’esterno e un agente mi fermò non appena mi vide uscire dal dormitorio.
Dovetti spiegargli che non mi sentivo bene e che sarei andata in infermeria, naturalmente mentii, infatti non appena si distrasse, mi infilai dietro il primo edificio che trovai, cercai le scale esterne e le salì fino ad arrivare al tetto.
Fissai un momento il cielo: era limpido e blu, con una tempesta di stelle sparsa per tutto il mio campo visivo.
Sorrisi e mi sdraiai ad osservare la notte.
Quel posto era meraviglioso in quanto a panorama, d’altronde ci trovavamo in mezzo ad una sorta di montagna e non poteva essere diversamente.
Nonostante il mio intento era quello di distrarmi, non ci riuscì.
Passai tutta la notte a rimuginare su cose che ormai erano chiuse da tempo, su cose che mi facevano solo male.
Sapevo che avrei dovuto dormire, ero già stremata dall’allenamento del giorno prima e se non avessi chiuso occhio, forse non avrei retto quello del giorno dopo.
Quando arrivò l’alba, scesi da li e tornai nel mio alloggio stando attenta a non farmi beccare da nessuno.
Avevo gli occhi pesanti, cosi mi gettai subito sotto la doccia per svegliarmi un po’ e mi preparai per l’addestramento.
Indossai la stessa tuta del giorno prima e uscì da li quando ormai il sole era alto in cielo.
Il mio stomaco era cosi chiuso che, se anche avessi voluto non sarei riuscita a mangiare, quindi decisi di andare subito all'edificio n°4 e di aspettare li Barton.
La sera prima mi ero detta che avrei preso la moto come aveva fatto Steve, ma siccome avevo bisogno di camminare, decisi di fare il tragitto a piedi.
Quando finalmente, dopo mezz’ora, arrivai a destinazione entrai e mi sedetti a terra, accanto alla porta della stanza dove ero stata il giorno prima.
Poggia la testa sul muro e chiusi gli occhi per qualche secondo.
Non avevo dormito e nemmeno fatto colazione, quindi mi sentivo debole e stanca…forse troppo per poter affrontare un addestramento pesante come quello che mi aspettava quel giorno.
Sospirai pensando che avrei resistito fin quando il mio corpo e la mia mente avrebbero retto, e pregai che il mio istruttore non si sarebbe accorto di nulla.
Rimasi in quello stato per un po’, fin quando non sentì dei passi avvicinarsi verso la mia direzione.
Mi alzai subito appena vidi Clint sbucare fuori da dietro l’angolo.
“Buongiorno…” Dissi sorridendo.
Lui mi guardò con fare interrogativo “ Cosa ci fai qui a quest’ora?”
“ Avevo voglia di allenarmi…” Mentii io.
Mi guardò per qualche secondo e poi fece spallucce.
“Meglio cosi, abbiamo più tempo per l’addestramento.”
Mi passò di fianco e aprì la porta.
Io lo seguì subito e come il giorno prima, attivò il computer centrale, che iniziò a creare la mappa dove avrei dovuto addestrarmi.
Questa volta non mi ritrovai in mezzo ad un bosco, bensì dentro al centro di una città distrutta ed in fiamme.
“Allora…” Disse Clint venendomi incontro “Oggi ho deciso che dovrai vedertela con me…”
Posò gli occhi sui miei e tolse l’arco da dietro la sua schiena, poggiandolo accanto alla porta.
“Niente armi, devi riuscire a sfuggirmi…Se ti troverò non esitare ad attaccarmi altrimenti sarò io il primo a farlo…Tutto chiaro?”
Io annui poggiando la mia spada vicino al suo arco.
“Ti lascerò un paio di minuti per scappare, poi inizierò a cercarti.”
Annuii di nuovo e quando stavo ormai per partire e nascondermi, lui mi fermò.
“La ferita di ieri…sta meglio?”
Rimasi stupita dal suo interessamento, ma annui sorridendo.
“Si grazie…”
Stranamente ricambiò il sorriso, facendomi subito segno di scappare.
Mentre correvo in mezzo alle macerie, non potei non pensare a quanto quell’uomo fosse strano e incomprensibile...Un attimo pareva odiarmi, l’attimo dopo provava anche a fare il carino con me.
Non ne capivo il motivo, ma sentivo che mi stava nascondendo qualcosa, perchè il suo comportamento era davvero troppo strano.
Scansai quei pensieri e mi concentrai solo su me stessa ed il mio obbiettivo.
Mi nascosi e scappai da lui per quasi due ore, le due ore più lunghe della mia vita; Ogni qualvolta che lo sentivo vicino, dovevo scappare, arrampicarmi o saltare senza fare il minimo rumore, senza farmi sentire.
E per quanto amassi tutto quello, il mio corpo non la pensava allo stesso modo...era stanco, terribilmente stanco.
Sentivo le gambe pesanti come macigni e gli occhi bruciare dalla stanchezza.
Dopo un’altra ora, passata a fuggire, mi ritrovai dentro un edificio ormai quasi completamente distrutto.
Salii quattro rampe di scale fino ad arrivare al tetto della casa.
Non appena superai l’ultimo gradino, mi sentì mancare.
Avevo il fiatone, cosi prontamente, mi appoggiai ad uno scorrimano di ferro attaccato al muro accanto a me.
Ripresi fiato un secondo e, con le ultime forze che avevo in corpo,  mi avvicinai al bordo del palazzo, arrampicandomi sul muricciolo per osservare meglio la situazione e magari localizzare Barton.
Posai la mia vista sul panorama intorno a me e, senza pensare che quello che stavo per fare fosse davvero controproducente, mi alzai di scatto per saltare giù e tornare con i piedi sul tetto.
Quando le mie gambe furono di nuovo distese, la mia testa iniziò a girare e per qualche secondo la vista mi si appannò.
Sentii il mondo intorno a me muoversi come una trottola, le gambe tremare e il fiato mancarmi, cosi senza nemmeno accorgermene, ersi l’equilibrio e caddi dal tetto, toccando terra dopo una manciata di secondi.
Un dolore lancinante mi percorse tutto il corpo, risalendo le gambe e fermandosi sulla spina dorsale.
Non appena riuscì ad aprire la bocca, gemetti e mi contorsi su me stessa.
Quando invece aprì gli occhi, ritrovai Clint sopra di me.
Mi guardva preoccupato ed aveva il fiatone.
Evidentemente mi aveva vista cadere e si era precipitato da me senza nemmeno pensarci.
“Stai bene?” Mi chiese con tono preoccupato.
Provai a rispondere ma l’unico suono che riuscì a riprodurre fu un orribile rantolo.
Lui, capendo che non stavo affatto bene, mi prese in braccio e da quel momento persi completamente conoscenza.




“Non mentire.”
“Perché dovrei?”
“Perché ha bisogno che io venga con te per non essere scoperto.”
“Non dire sciocchezze, se avessi voluto di avrei già uccisa non credi?”
“No e smettila, sono stufa di sentirti parlare!”
“Vieni con me.”
“Ti ho detto di no! Zitto!”
“Io ho bisogno di te, ho bisogno che tu sia con me!”



“Agente Light…Agente Light si svegli…”
Quando sentì quella voce, pur non sapendo chi fosse, lo ringraziai mentalmente perché aveva interrotto uno dei miei soliti incubi sul punto che odiavo di più.
Provai ad aprire gli occhi e quando lo feci una luce fortissima mi costrinse a richiuderli.
Lentamente abituai la mia vista a quella luce e quando li riaprì misi a fuoco la figura del mio capo, Fury, seduto proprio accanto ad un lettino di ospedale.
“Come si sente?”
Mi chiese non appena vide che mi ero svegliata.
“Io…Bene signore…” Provai ad alzarmi ma sentì il corpo ribellarsi.
“Non si muova…Ancora non può uscire da qui.”
Lo guardai confusa, non ricordavo assolutamente nulla di quello che era successo, ma sentivo ogni parte del corpo farmi male, quindi intuii che non era nulla di buono.
“Perché mi trovo qui signore?” 
“Sei caduta.” Rispose lui guardandomi con l’unico occhio che aveva.
“Caduta signore?”
“Si…Vi stavate allenando con l’agente Barton quando è caduta da un palazzo di quattro piani… Per sua fortuna non ha riportato alcun tipo di ferita grave, ma ha un leggero trauma cranico e qualche contusione.”
“Ah…” Esclamai con un filo di voce per poi abbassare lo sguardo.
“Come sono arrivata fino a qui signore?”
“L’agente Barton ti ha vista cadere e ti ha portata in infermeria subito..”
Barton…
In quel momento ricordai il viso preoccupato di Clint, poco dopo la mia caduta.
Sorrisi e mi chiesi perchè lo stessi facendo, ma evitai di cercare una risposta.
“Quando posso uscire..?” Chiesi guardando Fury.
“Credo che entro domani potrà andare via di qui, ma per ora deve rimanere ferma e buona…siamo intesi?”
Annui debolmente e lui si alzò.
“Vado ad informare l’infermiera che si è svegliata…non si muova.”
Senza darmi il tempo di rispondere, uscì dalla stanza e chiuse la porta dietro di lui.
Ero stata davvero un’idiota…arrampicarmi su un palazzo nonostante fossi conscia del mio stato fisico non era davvero da me.
Sospirai e poggiai la testa sul cuscino.
Sorrisi come prima quando ripensai al mio istruttore che mi portava in infermeria, correndo per tutto lo S.H.I.E.L.D.
Ok, forse era esagerto, ma comunque mi aveva aiutata e si era preoccuato per me...dopotutto non era cosi male.
I miei pensieri furono interroti da Fury, che entrò nella stanza seguito da un'infermiera ed un dottore.
Questi mi fecero qualche domanda ed iniziarono a visitarmi, per accertarsi che non avessi riportato dann al mio risveglio.
L’infermiera iniziò a toccarmi il costato e nonostante sentissi molto dolore, mi trattenei e diedi a vedere che si, stavo bene.
Solo dopo aver osservato per qualche secondo i miei occhi mi dissero, ringraziando il cielo, che il giorno dopo sarei potuta tornare nei miei alloggi.
Sorrisi sentendo quelle parole e passai la notte li, non riuscendo a mangiare nulla.
Dormii poco e quando il giorno seguente arrivò l’ora di uscire dall’infermeria, mi alzai dal lettino anche se con un po’ di fatica e mi vestì.
Con l’aiuto di un giovane infermiere raggiunsi la mia stanza e non appena fui dentro, mi stesi sul letto e rilassai i muscoli ancora provati dalla caduta.
Non appena chiusi gli occhi crollai in un sonno leggero, ma ristoratore.
Li riaprì solo quando sentì qualcuno bussare alla porta.
Imprecai mentalmente perché alzarmi mi costava davvero molta fatica.
Ormai sveglia, mi rigirai nel letto e allungai la mano verso il comodino, prendendo il cellulare e controllando l’ora.
Erano appena passate le 10 di sera.
Sbuffai pesantemente e mi alzai dal letto, camminai zoppicando fino alla porta e quando la aprì rimasi un attimo spiazzata.
“Clint?”
Lui mi porse un vassoio con sopra una minestra e del pane.
“Pensavo avessi fame…Il tuo stomaco non vede nulla dall’altra sera.”
Lo guardai confusa, ma poi sorrisi…d’altronde era stato gentile ed io avevo davvero fame.
“Grazie..” Presi in pano il vassoio ed entrai poggiandolo sul comodino.
Mi rigirai a guardare Clint e sorrisi.
“Puoi entrare se ti va…”
-Cosa diavolo mi prende?- Pensai non appena ebbi finito di parlare.
Lui si guardò un momento intorno quasi spaesato.
“Sei entrato qui senza il mio permesso ed ora che ti invito non vuoi farlo?”
Ridacchiò e varcò la soglia, chiudendo la porta e sedendosi sulla sedia di fronte alla scrivania.
“Come ti senti?” Mi chiese non appena io mi sedetti sul letto.
Lo guardai e presi in mano il vassoio, iniziando a mangiare.
“Abbastanza bene…” Risposi dopo aver assaggiato la minestra.
Lui rimase in silenzio fin quando non la finì, mi guardava e basta, senza pronunciare una parola.
Nonostante la sua presenza mi mettesse alquanto a disagio, finì di mangiare e poggiai il vassoio a terra.
“Grazie per avermi portato la cena…Avevo bisogno di mettere qualcosa nello stomaco…” Sorrisi posando gli occhi sui suoi.
“Cosa ti è successo?”  Chiese non appena lo guardai.
Io non risposi.
 “Ti ho fatto una domanda...Cosa ti è successo? Perché sei caduta?”
“Io…” Abbassai lo sguardo “ Ho perso l’equilibrio…può succedere no?”
Clint scosse la testa.
“So che non è questo il problema, eri stanca, te lo si leggeva negli occhi…”
“Non è vero.”
“Si che lo è! Mi ero pure raccomandato che avresti dovuto riposarti e invece non lo hai fatto.”
“Ti ho detto che non è vero!” Alzai leggermente la voce, irritata dalla sua curiosità.
“Non mentire! Sono una spia, so riconoscere quando una persona mente.”
Lo guardai e quando posò gli occhi sui miei sentì lo stomaco contorcersi.
Aveva ragione, stavo mentendo.
“Non mi va di parlarne, ok?”
Continuò a guardarmi, rimanendo in silenzio qualche secondo.
“Tutti abbiamo dei segreti…io ho i miei e tu hai i tuoi, ma siccome io sono il tuo istruttore, voglio sapere cosa ti ha fatto cadere da un palazzo di quattro piani e cosa ti ha tenuta sveglia tutta la notte, facendoti arrivare stremata all’addestramento.”
“No, mi dispiace…”
“Sto provando ad essere un po’ più umano, come volevi te…Ma facendo cosi non mi aiuti….lo sai questo?”
Lo guardai, dopotutto ero stata io a chiedergli di essere più sensibile e lui ci stava provando per non so quale motivo.
Sembrava sincero…Nei suoi occhi non leggevo più quella freddezza che li caratterizzava prima.
Il problema era però che non riuscivo davvero a digli la verità, come non ero riuscita mai riuscita a dirla a nessuno.
“Non capiresti…” Quelle parole mi uscirono con un filo di voce, che però lui percepì.
“Mettimi alla prova, no?”
Scossi la testa.
“Non mi fido di te…” Esclamai. “ Non capisco cosa ti prenda ora… perché tu sia qui, perché tu mi abbia portato la cena, perché tu mi chieda queste cose quando due giorni fa mi hai sbattuta al muro dicendomi di stare zitta… non lo capisco! Come pretendi che io possa fidarmi di te e dirti la verità se sei il primo a nascondere le cose?”
Mi fissò per una manciata di secondi.
“Hai ragione.” Rispose con tono secco dopo aver ascoltato il mio discorso.
“Perfettamente ragione.” Si alzò in piedi e andò verso la porta, uscendo di li senza dire altro.
Rimasi qualche secondo in silenzio, poi sospirai e mi buttai sul letto.
“Quell’uomo mi farà uscire di testa prima o poi.” Dissi tra me e me.

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Capitolo 7
*** Aria. ***


Settimo capitolo!
Diciamo che è corto rispetto agli altri, ma è come dire...Un capitolo di passaggio!
Il titolo è di per se importante, quindi è un indizio...
Non sono molto soddisfatta ma in questi ultimi giorni sono cosi occupata che scrivere per me è un problema.
Comunque come anticipato prima, vediamo comparire la nostra Nat e questa sarà solo una delle sue tante apparizioni ;)
Poi, ho voluto un pò far parlare anche Clint, quindi leggerete anche un pò i suoi pensieri...
Il capitolo finisce in un modo un pò strano ( di per se, è tutto un pò strano lol) , o almeno è quello che vorrei pensaste leggendo le ultime righe...
Chiedo perdono per i vari e soliti errori sparsi in giro e spero che vi piaccia almeno un pò!
Grazie e a domani ;)






7. Aria.





*Clint POV*



Uscì dalla stanza di Francis senza darle il tempo di rispondermi, o anche solo di provare a fermarmi.
Le sue parole, per quando forti e difficili da accettare, erano vere.
Come poteva fidarsi di me se io per primo non mi fidavo di lei?
E come poteva dirmi la verità se non lo facevo nemmeno io?
Lei stava nascondendo un suo segreto, personale, ma io nascondevo qualcosa che riguardava entrambi.
Sospirai e uscì dal dormitorio camminando a passo veloce.
Feci quasi in tempo ad entrare nella palestra quando sentì qualcuno dietro di me gridare il mio nome, era una voce troppo famigliare per confonderla.
Mi girai di scatto e sorrisi non appena  vidi una folta chioma rosso fuoco venirmi incontro.
“Ciao Nat” Esclamai contento.
Era Natasha Romanoff, conosciuta anche come la Vedova Nera.
L’unica li dentro che sapesse tutto sul mio passato e l’unica che, in un combattimento corpo a corpo, riuscisse a tenermi testa.
L’unica in molte cose, fino a qualche tempo fa…
“Ciao Clint!” Mi sorrise e si avvicinò a me. “Che ci fai in giro a quest’ora?”
Feci spallucce.
“Nulla di che…”
“ Come stai?” Chiese scompigliandomi i capelli.
“Io bene, e tu?”
“Sono appena rientrata da una missione, quindi un po’ stanca ma bene…” Rispose sorridendo con uno dei suoi soliti sorrisi.
La guardai senza parlare e non potei non pensare a quante cose fossero cambiate.
Non per colpa sua, ovviamente, ma da li a cinque mesi io ero diverso e me ne accorgevo ogni giorno di più.
Vedendo che non accennavo a rispondere, Nat mi guardò confusa.
“Clint…tutto ok?”
Mi ripresi un attimo e provai a sorriderle per non dare troppo nell’occhio.
“Si certo…stavo andando a fare quattro tiri...ti va di accompagnarmi?”
Evitai di riprendere il discorso di prima e parve funzionare.
“Certo! E’ da molto che non passo al poligono…Anche se essenzialmente non ne ho molto bisogno, ho finito di sparare nemmeno tre ore fa.” Ridacchiò e io la imitai.
Forse, se avessi passato di nuovo un po’ di tempo con lei sarei riuscito a togliermi i dubbi che assillavano la mia testa.
Così entrammo insieme nel poligono e dato che era completamente vuoto, ci mettemmo sugli ultimi due posti della fila, i nostri preferiti.
Io presi il mio arco da dentro il mio armadietto e lo montai, facendolo scattare.
Mentre tiravamo Natasha parve capire che qualcosa in me non andava, infatti si fermò e iniziò a guardarmi.
Sentendomi osservato abbassai l’arco e ricambiai lo sguardo, non capendo cosa volesse da me.
“Che succede?” Chiesi confuso.
“Forse dovrei chiedertelo io Clint, che hai?”
“Niente!” Risposi con tono neutrale.
“Non mentire, te sei una spia ma lo sono anche io…E ti conosco molto bene, hai qualcosa in testa e non vuoi dirmi di cosa si tratta.”
Scossi la testa.
“Ti sbagli, io sto bene, te l’ho detto!” Accennai un sorriso che però non la convinse.
“Barton, smettila o giuro che mi arrabbio.”
“Ma smettila di fare cosa Nat?”
“Smettila di mentirmi! Anche l’altra sera eri strano, ma credevo fossi solo stanco…” Si fermò un momento “ A dirla tutta è un po’ di tempo che ti vedo diverso…” Mi guardò con fare indagatore.
“E’ successo qualcosa con Fury?”
Scossi la testa di nuovo e ripresi a tirare.
“Nat, io sto bene e non è successo nulla…sono quello di sempre…” Trattenni il respiro e posai gli occhi sul mirino.
“Il Clint di prima mi avrebbe salutata in modo diverso e, il Clint di prima non sarebbe stato cosi silenzioso con me.”
Tirai la freccia che avevo ormai incoccato e poi la guardai.
“Nat, ti prego…Te lo giuro sto bene!”
Lei sospirò.
“Va bene…” Si avvicinò a me e mi prese per la cintura, mi tirò verso di lei e mi diede un bacio.
Inizialmente rimasi spiazzato, ma poi mi feci coinvolgere dalla sua foga e iniziai anche io a baciarla, cercando il più possibile di vivere quel momento fino in fondo.
Più andavo avanti però, più capivo che anche quello non era come prima, che tenere le mie labbra sulle sue non era più così essenziale.
Quando io e lei avevamo questi attimi, che potrei definire intimi, ero davvero l’uomo più felice del mondo, ed averla tra le mie braccia era uno dei miei sogni più nascosti.
Era…
Cosi, ancora più confuso di prima, mi staccai lentamente da lei e sospirai.
“Mi dispiace Nat…Ho bisogno di stare da solo…”
Il suo sguardo parve inizialmente chiedersi come mai io non volessi stare con lei, poi, dopo poco mi fulminò.
“Barton, ti odio quando fai cosi.”
Mise la pistola nella fondina e solo dopo avermi fulminato di nuovo con quei suoi occhi verdi, uscì di li lasciandomi solo.
Sospirai e mi sedetti su una panca proprio dietro di me.
“Ma tu guarda…” Poggia l’arco a terra e fissai il vuoto per un paio di secondi “ Cosa diavolo hai in testa Barton?!” Esclamai dandomi una botta in fronte con la mano.
“Sei un idiota.”








Passarono due giorni da quando ormai ero uscita dall’infermeria, e due giorni dall’ultimo volta che vidi Clint.
Forse ero stata troppo dura con lui, ma mi aveva messa alle strette e rispondere in quel modo sembrava essere la cosa più giusta da fare.
Certo, era vero che un po’ mi dispiaceva non averlo visto ed averlo stuzzicato come facevo spesso durante il tempo che trascorrevamo insieme, ma evitavo semplicemente di pensarci.
Mi stavo rendendo conto che, nonostante il suo caratteraccio iniziale, poteva anche essermi simpatico e questo non doveva assolutamente accadere.
L’ultima volta che provai a coltivare una semplice simpatia con un mio compagno, la storia non fini bene e continuo ad averne il rimorso.
Comunque, passai quelle 48 ore di recupero stesa sul letto, uscivo solo per mangiare o per fare qualche passo all’aria aperta, anche se tutte le volte venivo rimandata nella mia stanza perché camminare non mi era permesso. Fisicamente avevo recuperato tutte le forze, e mentalmente potevo ritenermi a posto.
Gli incubi erano scomparsi per due notti di seguito, quindi ero anche riuscita a dormire tranquillamente.
Quella sera, presa da un’irrefrenabile voglia di uscire e fare qualcosa, indossai la mia divisa e decisi di provare a tornare sopra l’edificio dove avevo passato la notte tre giorni prima.
L’unico problema era che questa volta la scusa del malessere non avrebbe retto, e mentire non sarebbe servito a nulla.
Così, convinta di poterci riuscire, uscì dal retro dei dormitori evitando la ronda al loro interno e mi nascosi dietro un furgone, posizionato proprio tra me e il mio obbiettivo.
Davanti ai miei occhi c’erano 5 soldati, ognuno percorreva il proprio percorso ma erano pur sempre in molti.
Trattenni il respiro per una manciata di secondi e superai i primi due uomini, poi, passando quasi dietro di loro, riuscì a superare anche gli ultimi tre e a salire le scale dell’edificio senza causare il minimo rumore.
Non appena fui sul tetto, alzai gli occhi al cielo e sorrisi.
Quella sera la luna era più grande e luminosa del solito e le stelle parevano brillare ancora di più.
Mi misi sdraiata e iniziai ad osservarle, noncurante del fatto che non fossi sola.
Tutto d’un tratto, mentre ero presa a fissare il cielo, sentì un rumore provenire da dietro la cabina dell’elettricità.
Mi alzai di scatto e osservai con attenzione la direzione dal quale questo proveniva.
Rimasi in ascolto per un paio di minuti, ma al mio orecchio non arrivò altro che il suono del vento e il rumore dei vari grilli sparsi in giro per il campo.
Feci spallucce e mi rimisi seduta, forse era stato solo qualche uccello.
Stavo per ripiantare gli occhi sul cielo quando avvertì un movimento vicino a me.
Senza riflettere, mi girai rimanendo quasi raso terra e con un calcio diretto alle caviglie, atterrai l’uomo che si trovava dietro di me.
Gli saltai addosso, portando la mia mano sulla sua bocca per non farlo ne parlare, ne urlare.
Quando lo guardai negli occhi capìì subito chi fosse.
“Non ti hanno mai insegnato ad avvertire, prima di arrivare alle spalle di una persona?”
Fece di no con la testa, così tolsi la mano dalla sua bocca per farlo parlare.
“No, non è mio solito farlo…” Rispose guardandomi dritto negli occhi.
“Bhe, dovresti imparare falco…”
Mi tolsi da sopra di lui e mi rimisi seduta.
“Cosa ci fai qui?” Chiesi senza guardarlo.
Lui si tirò su e si mise nella mia stessa posizione.
“Dovrei chiederlo io a te, veramente…”
“Io sono qui perché mi va.” Risposi girando il viso verso di lui. “ E questo posto l’ho scoperto io, quindi non so se ti ci voglio…”
Lui rise.
“Questo posto è il mio posto. Vengo qui tutte le volte che ho bisogno di riflettere…”
“Chi va a Roma perde la poltrona caro!”
“Certo…” Ridacchiò e mi guardò per poi posare gli occhi su qualcos’altro. “Come ti senti?”
“Oh, dopo due giorni ti sei degnato di chiedermelo…Sai no, sono la tua allieva e dovresti interessarti al mio stato di salute ogni tanto.”
“L’ultima volta che l’ho fatto non è andata molto bene.” Rispose alla mia frecciatina con tono secco.
“Se avessi evitato di fare troppe domande sarebbe andata diversamente.”
“Ho solo chiesto cosa avessi fatto, non ti ho chiesto di raccontarmi tutta la tua vita.”
“Certo…”
“Certo!” Mi guardò. “
“Si dia il caso che il mio problema riguarda una parte della mia vita, quindi ho ragione io.”
Lui sbuffò.
“Lasciamo perdere questo argomento…”
“Già…” Dissi senza guardarlo “Finche tu non sarai sincero con me io non ti dirò nulla…”
“Io non ho nulla da dirti…”
“Certo, come no! Mi devi spiegare il motivo dei tuoi vari comportamenti invece!”
Non rispose, cosi continuai “ Sei strano…Potrei anche essere tua amica, oltre che tua allieva…Ma non me lo permetti…”
“Anche io ho i miei problemi…”
“Ecco, quindi io ti dirò i miei quando tu mi dirai i tuoi…”
Dopo aver detto quelle parole, il silenzio cadde su di noi come un peso troppo grande da spostare.
“Da dopodomani Fury ha detto che potrai riprendere gli allenamenti, lo sai?”
“ Si, proprio questa mattina è venuto Coulson a dirmelo…” Risposi annuendo.
“Perfetto allora…”
Si alzò in piedi e io lo guardai perplessa.
“Dove vai?”
“A riposare, sai io domani ho da fare…Non sto a letto tutto il giorno.”
Percepì del leggero sarcasmo nella sua voce.
“Fosse per me non starei a letto, cosa credi?”
“ Si si, come no!” Rise e iniziò ad andare verso la scala per scendere, lo osservai ma non gli risposi, altrimenti avremmo ripreso a litigare e non ne avevo davvero voglia.
Quando andò via, mi rimisi sdraiata per terra e rimasi li fuori quasi per tutta la notte.





“Sei sicuro Barton?”
“Si signore, ne ho bisogno.”
“Bisogno?”
“Si signore, voglio cambiare aria per un po’…la prego.”

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Capitolo 8
*** Paura. ***


Eccomi anche oggi con un altro capitolo!
Non ho molto da anticiparvi, quindi vi consiglio di leggere e basta :)
Posso solo dire che gli eventi stanno davvero prendendo una brutta piega e che molte cose verranno svelate già dai prossimi capitoli....
Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto oppure lo trovare orrendo!
Sono ben accette le critiche :3
Grazie mille e alla prossima!
Ps: Domani non potrò aggiornare perchè non sarò a casa, quindi ci vediamo tra due giorni ;)






8. Paura.










Finalmente, dopo aver passato un altro giorno a riposo, arrivò per me il momento di riprendere gli allenamenti.
Non vedevo l’ora di tornare a correre e saltare tra gli alberi o per le vie di qualche città distrutta.
Come avevo fatto la mattina del mio infortunio, andai davanti l’edificio n°4 e attesi pazientemente il mio istruttore, sapevo che non avrebbe ritardato perché era sempre stato puntuale.
Aspettai e aspettai, ma non arrivò nessuno.
Già sentivo che quando Barton sarebbe comprarso da dietro l'angolo, me lo sarei mangiato per avermi fatta aspettare cosi a lungo.
Solo quando stavo per andare via, vidi venire verso di me una donna con una folta chioma rossa, la stessa donna con cui era a cena Clint qualche sera prima.
La guardai confusa, cosa voleva? E soprattutto, Clint che fine aveva fatto?
“Sei te Francis?” Mi chiese quando fu abbastanza vicina.
Io annui. “Ma...Barton?”
“Non è qui, è partito in missione ieri mattina.”
“Come?...Ma io e lui dobbiamo allenarci insieme…è il mio istruttore..” Risposi confusa.
Come poteva essere partito?
“Da oggi sarò il la tua istruttrice.” Mi porse la mano che strinsi per inerzia dopo qualche secondo.
“Natasha Romanoff.” Accennò un sorriso e io risposi, dicendole il mio nome anche se ero sicura che lo conoscesse già.
“Fury ha detto che hai delle abilità abbastanza particolari…Quindi oggi mi mostrerai cosa sai fare..”
Mi lasciò la mano e andò verso la porta della stanza dove mi ero allenata con Clint senza aspettare la mia risposta.
Quell’idiota…mi aveva lasciata li senza nemmeno avvertirmi.
Non mi aveva nemmeno salutata…Non che dovesse farlo per forza, ma sarebbe stato carino.
Carino..
CARINO?!
Mi diedi una botta in testa, stavo esagerando e dovevo smetterla di pensare a quel pollo.
Sbuffai e seguì Natasha.
CI allenammo per tutto il giorno, lei aveva un metodo diverso da quello di Clint ed era molto difficile riuscire a scambiarci qualche parola
Non sapevo perché, ma con lei non riuscivo a comportarmi come con il mio vecchio istruttore.
Ci esercitammo sul combattimento corpo a corpo e dovetti ammettere che era davvero forte, forse quasi come Barton.
Era veloce e letale.
Mi colpiva anche quando ero a terra, non aveva nemmeno un po’ di pietà.
Questo non mi disturbava affatto, perché mi divertivo anche io a fare la stessa cosa con lei, anche se raramente.
Ogni volta che provavo a colpirla lei mi bloccava e rigirava il mio colpo verso di me.
MI atterrava e io ero costretta a rialzarmi subito per non essere colpita nuovamente.
Quando finimmo l’allenamento, mi lasciò dicendo che ci saremmo riviste il giorno dopo per un’altra sessione.
Passò quasi un mese, e le mie giornate non furono diverse da quella.
Mi svegliavo, mi allenavo e tornavo nella mia stanza per riposarmi e riiniziavo tutto da capo il giorno seguente.
Un pomeriggio, durante una pausa, trovai il coraggio di chiedere a Natasha che fine avesse fatto Clint e come stava.
D’altronde non avevo notizie di lui da quando non era partito… e dovetti ammettere che un pò mi mancava.
Lei, non appena sentì uscire dalla mia bocca il suo nome, mi guardò e parve fulminarmi.
“Non credo siano affari tuoi.” Notai un leggero tono di gelosia nella sua voce.
“Io vorrei solo sapere se sta bene…E per quale motivo se ne è andato senza avvertire.”
“Ripeto, non credo siano affari tuoi.” Rispose quasi sputando veleno, come un ragno arrabbiato.
Capìì che forse non era la leva giusta su cui fare pressione, cosi lasciai perdere e attesi il momento giusto per poter chiedere tutto quello al mio capo.
Quel momento arrivò quando ormai il mio addestramento era terminato e avrei dovuto fare l’ultima prova, quasi un esame.
Mi presentai nell’ufficio di Fury non appena mi convocò.
Quando entrai lo vidi seduto al suo solito posto, con i gomiti poggiati sul tavolo di fronte a lui.
Mi guardò e accenno un sorriso cordiale.
Io mi misi sull’attenti e feci il solito saluto, che sciolsi non appena me lo permise.
“Bene agente Light…l’agente Romanoff mi ha detto che sei riuscita a completare l’addestramento in modo eccellente.”
Io annui.
“Non credo eccellente signore, ma abbastanza buono.” Sorrisi.
“Sono contento, sicuramente ora la tua preparazione è allo stesso livello dei nostri agenti migliori.”
“Grazie signore…Ma lo devo solo ai miei istruttori.”
Sorrise e si alzò in piedi, venendo verso di me.
“Non tutto, agente Light…”Sorrise” Comunque, tornando a noi…”Mi guardò “ Ti ho convocata qui perché ora arriva il momento più difficile…”
“Intende la prova signore?”
Lui annui.
“Si, ti affideremo una missione che dovrai portare a termine senza fare alcun tipo di errore.”
“Sono pronta signore, qualsiasi cosa per me sarà solo una nuova sfida da affrontare e superare.”
Sorrise di nuovo e mi diede una pacca sulla spalla.
“Tutti gli agenti dovrebbero pensarla come te, agente Light.”
“Ricambiai il sorriso e abbassai un momento lo sguardo.
-Ora o mai più- Pensai.
“Signore…”
“Si?” Mi guardò con aria confusa, sicuramente non si aspettava una domanda.
“So che forse non sono ancora qualificata per ricevere queste notizie ma…Per quale motivo Barton è partito cosi all’improvviso? E…sa per caso qualcosa sullo stato della sua missione?”
Lui si staccò da me ma non smise di guardarmi.
“Purtroppo ti sei risposta da sola…le notizie sulla missione di Barton sono riservate…”
Il suo sguardo parve incupirsi un po’ e capì che doveva essere successo qualcosa.
“Signore, almeno può dirmi se sta bene?”
Scosse la testa “ Non posso Agente Light.”
“La prego…” Chiesi con un filo di voce. “ Per me è…importante…”
Fury sospirò.
“Può andare ora agente Light, le farò avere i dettagli della sua missione non appena ne avrò scelta una adatta a lei.”
Dal suo tono capì che non avrei dovuto insistere, perché tanto non mi avrebbe rivelato nulla.
Cosi, annui e mi rimisi sull’attenti.
“Grazie signore…”
Uscì di li con un insolita paura che mi premeva il cuore.
-Che diavolo di fine hai fatto Barton…-







*Clint POV*





Dimitriy Ivanov Pavlon, era quello il nome dell’uomo che avrei dovuto uccidere per poter portare a termine la mia missione.
Si trovava a Berlino per una specie di compravendita illegale di armi da lui organizzata.
Non sarebbe stato facile farlo fuori, poiché era uno degli uomini più potenti dell’intera Russia e sicuramente aveva molte, troppe guardie del corpo che gli giravano intorno.
In più, come se non bastassero le guardie, era coperto da tutti gli altri criminali che partecipavano alla sua stessa “festa”, muniti anche loro di temibili scagnozzi.
Sospirai leggendo le ultime due righe dei documenti che Fury mi aveva dato poco prima che lasciassi la base.
A dirla tutta, non sarei nemmeno dovuto partire, ma non riuscivo più a sopportare tutta quella confusione, tutto quel pensare e ripensare.
Se fossi rimasto li, sicuramente sarei impazzito. Risi un momento, quasi volessi prendermi in giro da solo.
Io, Clint Barton, la spia perfetta, freddo e razionale nel mio lavoro…Messo alle strette da una ragazzina.
Posai i fogli sul comodino della mia stanza e rimasi seduto sul letto.
Continuavo a chiedermi se avessi fatto la cosa giusta, se scappare dalla verità fosse davvero servito a qualcosa.
L’unica risposta che riuscì a salirmi in mente fu un sonoro e deciso NO.
Scappare non avrebbe risolto nulla, quando sarei tornato avrei comunque dovuto affrontare la verità.
Dirle tutto.
Dirle che quel giorno, di circa un mese prima, quando Fury mi aveva mandato a prenderla durante il suo primo giorno alla base, non era la prima volta che posavo gli occhi su di lei.
Che conoscevo molte cose della sua vita e che le avevo nascosto altrettanto, mentendole dal primo momento che aveva posato lo sguardo su di me.
Chiusi gli occhi per allontanare quei pensieri, dopotutto, più la mia testa di soffermava su di loro, più questi tendevano a rimanere con me.
Sapevo che l’unico modo per non rimuginare su tutto quello, era concentrarmi sul mio lavoro.
I primi giorni a Berlino furono alquanto monotoni.
Dovevo rendermi conto di quello che avevo davanti e di come poterlo affrontare.
Seguì Dimitriy ovunque, appostandomi sui tetti e saltando di qua e di la per la città.
Portavo sempre con me il mio amato e fedelissimo arco, con una pistola legata alla caviglia ed il coltello nascosto dentro l’anfibio destro.
Il palmare attaccato alla cintura, nel caso Fury avesse qualche novità da darmi, e la faretra con le frecce, attaccate saldamente alla mia schiena.
Dimitriy non sembrava accorgersi che lo staessi seguendo da più di una settimana.
Alloggiava in uno dei più famosi alberghi del centro città Berlinese ed era sempre protetto da più di 5 guardie, armate fino ai denti.
Usciva la mattina presto ed andava a fare colazione in un bar molto conosciuto a Berlino, lAlpenstuek.
Li vi incontrava molti suoi amici, che scoprìì dopo diverse ricerche, essere anch’essi contrabbandieri d’armi russi e tedeschi.
Rimaneva li a pranzo e poi tornava in albergo per riposarsi.
Solo la sera usciva ed entrava sempre nello stesso locale.
Dopo quasi due settimane, decisi di controllare quel posto, per farmi un idea di quello che accadeva li dentro.
Mi vestii in modo elegante ma non troppo sfarzoso, con gli abiti che Fury mi aveva ordinato di indossare.
Sicuramente, preferivo la mia divisa oppure un semplice paio di Jeans con una maglietta sopra, ma se fossi andato vestito in quel modo, nel primo caso mi avrebbero sparato a vista, nel secondo non mi avrebbero fatto nemmeno vedere la carta da parati interna.
Nascosi il coltello e la pistola dentro la giacca e mi diressi al locale, uscendo dal mio hotel senza dare troppo nell’occhio.
Quando lo raggiunsi, entrai dando al buttafuori un nome falso che lo S.H.I.E.L.D aveva messo appositamente per me sulla lista degli invitati della serata.
Mi guardai subito intorno, alla ricerca del mio obbiettivo, e lo vidi seduto ad un tavolo con diverse donne e qualche uomo dai tratti slavati.
Stavano parlando e ridendo mentre le donne rimanevano in silenzio, accennando una risata palesemente finta di tanto in tanto.
Naturalmente, era circondato da uomini in giacca di pelle nera e pistole sempre pronte all'uso.
Mi sedetti su un tavolo a qualche metro da loro per non dare sospetti e ordinai un calice di birra, controllando sempre che le possibili vie di fuga fossero pronte per essere utilizzate in qualsiasi momento.
Passai la maggior parte della serata li, fermo e in silenzio.
Più di una volta qualche ragazza provò ad avvicinarsi a me, ma io le allontanaitutte, sempre con le dovute maniere.
Parlavano quasi tutti in tedesco o russo, e naturalmente io non riuscivo a capire nulla, nemmeno mezza parola.
Natasha aveva provato più volte adi insegnarmi qualcosa della sua lingua, ma era troppo noiosa e difficile.
-Quanto m servirebbe Rogers in questo momento…- Pensai tra me e me con un tocco di ironia. -Sarebbe felice di vedere tutti questi tedeschi insieme…-
Ridacchiai e continuai ad osservare Dimitiy, spostando gli occhi su ogni guardia che riuscivo a localizzare.
Erano quasi tutti uomini enormi, con le spalla larghe e fin troppo alti.
In confronto al mio metro e ottanta, quei tipi erano davvero dei giganti!
Risi leggermente, portando il calice sulla mia bocca.
Nonostante infatti fossero enormi, non mi spavenatavano affatto, poiche nei miei anni di servizio avevo sconfitto nemici molto più potenti di qualche semplice guardia russa o tedesca.
Sorseggiai la birra lentamente e quando l'orologio segnò la mezzanotte, mi alzai andando alla cassa per pagare il conto.
Dovevo assoluatamente andare via prima che il mio obiettivo si alzasse dal tavolo e prima che uscisse dal locale.
Mi avvicinai sorridendo alla donna che stava dietro al bancone, poi portai la mano in tasca per tirare fuori il portafoglio quando successe l'inevitabile.

In un solo secondo sentì il sangue nelle vene diventare ghiaccio ed il cuore fermarsi come fosse pietrificato.
Una pistola, avevo una pistola puntata alla schiena.
“Kak vy dumayete, vy idete, agent Barton? Yego kryshka predokhranitelʹ… Ty cherez”*





*Trad: “ Dove credi di andare agente Barton? La tua copertura è saltata, sei finito.”

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Capitolo 9
*** In trappola. ***


Scusate tanto se non ho più aggiornato, ma ho avuto molti impegni questi due ultimi giorni!
Comunque questo capitolo è dedicato molto a Clint e finalmente ho introdotto l'antagonista della storia.
Lo Presenterò piano piano, durante il corso del racconto perchè ancora voglio lasciare intorno a lui un pò di alone di mistero :3
Comunque spero vi piacerà, grazie a chiunque lo leggerà e lo recensirà. 
Al prossimo capitolo!






9. In trappola.









La mia testa iniziò ad elaborare più di mille possibili soluzioni per uscire da quel casino, ma nonostante tutto il mio impegno nel credere di potermi salvare anche quella volta, capii che se fossi riuscito ad uccidere l’uomo dietro di me, comunque non sarei uscito vivo da quel locale.
La mia vita ormai poteva considerarsi ufficialmente terminata.
Risi in modo malinconico, d’altronde non potevo far altro che giocare con la morte e strappargli dalle mani quei pochi istanti che mi rimanevano.
-Sono Clint Barton, uno degli agenti più preparati che lo S.H.I.E.L.D possiede, non posso di certo consegnarmi al nemico senza combattere.- 
Pensai tra me e me.
Comunque, sarei morto con la consapevolezza di aver ucciso un po’ di criminali.
Così, decisi di rischiare il tutto per tutto, tanto sarei finito dentro un sacco di plastica comunque.
Chiusi gli occhi, quasi a localizzare le uscite che avevo studiato per tutta la serata, e senza produrre il minimo rumore mi abbassai velocemente e diedi una gomitata sullo stomaco al tipo che stava dietro di me.
Sapendo che aveva il dito sul grilletto, mi spostai di lato e tolsi la pistola dalle sue mani, evitando il proiettile che si piantò invece sul bancone.
La rigirai e la puntai subito verso di lui, portando la canna proprio in mezzo ai suoi occhi.
Dopo qualche secondo spostai lo sguardo intorno a me e mi accorsi che tutto il locale si era girato a guardarmi, sicuramente allarmato per lo sparo.
Il mio obbiettivo, Dimitriy, mi guardava sogghignando.
Sicuramente quello era uno dei suoi scagnozzi ed era stato proprio lui ad ordinargli di venire ad uccidermi.
Non sapevo davvero come avevano fatto a scoprirmi, ero sempre stato perfettamente nascosto ed attento ad ogni mia singola mossa, ero sempre stato anonimo e nonostante tutto, erano pure venuti a conoscenza del mio nome.
Imprecai mentalmente, ero davvero finito.
Provai a parlare, giusto per far capire a quegli uomini che non avevo intenzione di arrendermi, ma non feci in tempo ad aprire bocca.
Improvvisamente sentì un dolore lancinante invadermi la testa e dei vetri cadermi sulle spalle come piccoli fiocchi di neve.
Mi voltai con le ultime forze che avevo in corpo, e con quel poco di lucidità che era rimasta all’interno della mia mente, vidi la donna dietro il bancone con in mano una bottiglia rotta.
Risi nello stesso modo di prima, fregato da una donna, di nuovo.
Crollai e l’ultima cosa che riuscì a distinguere fu il viso dell’uomo che stavo per uccidere, poi il nulla.








Quando riuscì a riaprire gli occhi, il mio sguardo non trovò nient’altro che oscurità.
La prima cosa che riuscì a pensare fu per quale strano ed assurdo motivo io fossi ancora li, nel mondo dei vivi e non nascosto in qualche cassonetto.
Perché non mi avevano fatto fuori? Eppure dai loro sguardi, sembrava che non vedessero davvero l’ora di farlo, di spararmi fino a che il mio viso non fosse diventato irriconoscibile…
Allontanai quei pensieri non appena iniziai a prendere coscienza del mio stato fisico: Avevo tutto il corpo dolorante e sentivo chiaramente di essere sollevato da terra.
Infatti, quei bastardi, mi avevano appeso per le braccia ad un gancio attaccato al soffitto e mi avevano lasciato li come un salame.
In più, come se quello non bastasse, mi avevano preso a botte, sicuramente per divertimento.
Avevo tutto il torace a pezzi, sicuramente qualche costola era rotta o forse frantumata.
Non appena provai a muovermi, dovetti fermarmi poiché i muscoli erano così indolenziti che anche un leggere movimento mi procurava dolori lancinanti.
Imprecai pesantemente a bassa voce.
Cosa diavolo potevo fare?!
E cosa diavolo volevano da me?!
“BASTARDI! SONO SVEGLIO! AZALTE IL VOSTRO FOTTUTO CULO E VENITE QUI!”
Urlai, capendo che l’unico modo per intuire quale fosse la mia situazione era proprio quello di richiamare la loro attenzione.
“Non c’è bisogno che urli cosi, agente Barton…”
Quella voce attirò la mia attenzione e spostai lo sguardo verso la parte destra del luogo in cui mi trovavo.
L’accento non era ne Russo, ne Tedesco.
Era il mio stesso accento, un accento Americano.
“Chi sei…?” Chiesi allora, sentendo crollare dentro di me le uniche certezze che avevo.
“Come chi sono? Non ricordi la mia voce?” Disse per poi ridacchiare in modo fastidioso.
“Sinceramente?!” Presi fiato “ Non ricordo le voci di tutti i testa di cazzo che incontro.”
Lui rise.
“Vacci piano con gli insulti uccellino…Si dia il caso che l’unico motivo per il quale tu sia ancora vivo sono proprio io.”
Quelle parole mi spiazzarono.
Cosa diavolo stava succedendo?
“Come..?”
“Hai capito bene, mi devi la vita….per ora si intende.”
“Chi sei?” Chiesi di nuovo facendo finta di non ascoltare le sue parole.
Lui ridacchiò.
“Mi deludi Clint…Davvero!”
Ringhiai, mi stava davvero facendo perdere la pazienza.
“Voglio vederti in faccia, non farmi incazzare!”
“Va bene” Rispose “ Stai calmo però…” Rise e accese la luce.
Non appena i miei occhi si posarono sul suo viso sentì il fiato mancarmi.
Capelli scuri, occhi dello stesso colore.
Fisico piazzato e bocca sottile.
“Come…” provai a parlare ma ero troppo scioccato per farlo.
Come poteva essere li?
Lo avevo ucciso, ne ero dannatamente sicuro.
Cinque mesi fa lo avevo fatto fuori ed era proprio per questo che erano iniziati i miei guai.
“Come…tu sei morto, non puoi essere qui!” Esclamai guardandolo. “Io ti ho ucciso!”
“Evidentemente non hai compiuto bene il tuo lavoro, Occhio di Falco!”
Si avvicinò a me e mi guardo con fare ironico.
“Quel giorno hai fatto un grave errore.” Prese il mio volto con una mano e lo strinse. “Non ti sei accertato che fossi morto davvero.”
Lo guardai con aria schifata.
“Mi hai lasciato vivere caro Barton, per andare a salvare la mia cara amichetta, hai lasciato che io tornassi per farti soffrire.”
Rise. “Bel lavoro agente, complimenti!”
Lasciai che finisse il suo piccolo monologo e non appena chiuse la bocca, gli sputai colpendolo dritto in un occhio.
Dopo qualche secondo ricevetti come risposta, un pugno dritto allo stomaco.
Il dolore mi pervase e iniziai a tossire compulsivamente, mentre il mio corpo girava su se stesso, seguendo la rotazione delle catene alle quali ero legato.
“Non giocare con me, ti ho lasciato in vita solo perché sei una grande fonte di informazioni e sai molte cose che mi interessano.” Mi fermò e mi costrinse a guardarlo. “ Ma non appena avrò preso quello che mi serve, sarò io stesso a strapparti il cuore dal petto, puoi starne certo.”
Rise con un tono quasi maligno e mi lasciò, facendo qualche passo indietro.
“Poi andrò a prendere anche il suo, non appena mi dirai dove la avete messa, perché so che lavora con voi ora.”
Quella poca preoccupazione che avevo in corpo, si trasformò subito in rabbia.
Lo guardai ringhiando, sentivo il sangue ribollire.
“Tu non la toccherai. Ti ho impedito già una volta di farle del male e lo farò anche una seconda.”
“E come potrai?” Il suo volto ormai era un ghigno tremendo. “Come potrai farlo se sarai già morto?!”
Si riavvicinò a me e mi diede un pugno in faccia, costringendomi a chiudere gli occhi.
“Lo sai benissimo che la troverò, tu mi aiuterai a farlo.”
“Mai.” Dissi sputando sangue.
“Lo farai invece, sarai cosi provato da quello che ti farò, che mi chiederai di risparmiarti quel dolore e mi rivelerai tutto. Ti piegherò Barton, piegherò la tua forza al mio volere.
E solo dopo che mi avrai raccontato tutto, ti regalerò la morte.
Ma prima soffrirai come un cane.”
Il suo tono da sarcastico era diventato cattivo, fin troppo.
“E nessuno, nessuno verrà a salvarti. Per il mondo, te sei già morto.” 
“Ti ucciderò, Gamble.” Dissi con un filo di voce.
“Te lo giuro.”
La cattiveria parve abbandonarlo, tornando nascosta dentro alle sue viscere.
“Non fare promesse che non puoi mantenere uccellino…”
Mi diede due colpetti leggeri su una guancia e continuò a guardarmi.
“Le racconterò di come hai venduto la tua libertà, per la sua, credendo che io ti avessi risparmiato la vita e sarò anche felice di spiegarle di come ti ho ucciso non appena mi hai rivelato quello che mi occorreva sapere. “
Lo guardai con uno sguardo misto tra odio, rabbia, dolore e paura.
Sapevo di non avere scampo, che mi avrebbe torturato fino a quando l’ultimo respiro non avesse abbandonato il mio corpo.
Ma sapevo anche che non avrei rivelato nulla, sarei morte piuttosto di dire a quel pazzo qualcosa su di lei.
“Non esserne cosi sicuro, non appena riuscirò a slegarmi ti ammazzerò di botte.”
“Ancora con questa storia? Siamo sotto delle vecchie prigioni tedesche, usate per nascondere i nazisti che si ribellavano ad Hitler e per ucciderli senza che nessuno lo venisse a sapere. Qui nessuno potrà ne tirarti fuori, ne tanto meno trovarti.”
“Questo lo dici te.”
Rise sentendo le mie parole.
“Se succederà, se qualcuno proverà a salvarti…beh…chiunque esso sia, verrà ucciso di fronte ai tuoi occhi.”
Rabbrividì all’idea di qualsiasi mio amico, compagno o sottoposto, brutalmente squarciato davanti al mio sguardo impotente.
Pensai a Nat, a Coulson, ai Vendicatori…a lei.
Nessuno di loro doveva morire per me, non dovevo permetterlo.
“Gamble..” Dissi con voce roca e crudele “ Ti ammazzerò, ti farò fuori e rimedierò al mio errore. Finirai sotto terra, proprio come dovrebbe essere.”

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Capitolo 10
*** Amiche? ***


Finalmente sono arrivata al primo traguardo, il decimo capitolo! :D
Non ho nulla da dire riguardo le righe che leggerete qui sotto...
Spero vi piacerà come la storia si sta evolvendo e spero continuerete a seguirmi! :D
Grazie mille e alla prossima
!


10. Amiche?





Non appena Fury mi congedò, uscì da quella specie di ufficio con un peso sul petto, poiché, involontariamente, mi fece capire che Barton non doveva godere di ottima salute.
Doveva essergli successo qualcosa durante la missione che stava svolgendo e sicuramente era finito in qualche guaio.
I miei però erano solo pensieri, erano solo congetture.
Non avevo nulla di veramente attendibile fra le mani, se non un’espressione preoccupata del mio capo.
Sbuffai e uscì dall’edificio centrale, diretta verso il centro d’addestramento.
Se quell’idiota stava rischiando la vita io volevo aiutarlo, o almeno provarci, ma nessuno li dentro pareva capirmi.
Cosa costava a Fury rivelarmi i contenuti della missione e lo stato di salute di Clint?
Anche sapere che era stato ferito mi avrebbe allievato un po’ la preoccupazione che avevo, perché sentivo che qualcosa non andava e non andava davvero per niente.
Non appena varcai la porta del poligono, iniziai a cercare l’unica persona che poteva davvero dirmi qualcosa e provare almeno ad aiutarmi a fare qualcosa.
Quando posai gli occhi sulla folta chioma rossa posizionata sull’ultimo bersaglio, corsi verso di lei senza perdere nemmeno un secondo.
“Nastaha…” Esclamai quando ormai ero accanto a lei.
Lei si girò di scatto, fulminandomi.
“Che succede?”
“Ho bisogno di te.”
“Non lo vedi che ho da fare?”
La guardai dritta negli occhi per qualche secondo e sorressi il suo sguardo fermo.
“Si tratta di Clint.”
Attirai sicuramente la sua attenzione, infatti rinfoderò la pistola e si fece più concentrata.
“Ti ho già detto che non ti è dato sapere nulla.”
“Possiamo uscire di qui?” Chiesi ignorando la sua affermazione.
Lei sbuffò.
“Non ne vedo il motivo.”
“Te lo sto chiedendo per favore, Natasha.”
Roteò gli occhi, scocciata dalla mia richiesta, e si diresse verso l’uscita.
La seguì e non appena ci trovammo fuori la fermai.
“Qui va bene…”
Mi guardò irritata e mi fece segno di parlare.
“Non ho tempo da perdere, quindi muoviti.”
Presi fiato.
“Non mi interessa se non sono ancora un’agente S.H.I.E.L.D in tutto e per tutto, e non mi interessa nemmeno se non ho l’accesso a queste informazioni.
Io voglio sapere cosa è successo a Clint, e lo voglio sapere adesso.”
“Non posso dirti nulla.”
“So che gli è successo qualcosa, Fury era preoccupato.”
Mi guardò ma non rispose, come a darmi conferma della mia ipotesi.
“Non sei l’unica che tiene a quella testa calda. Per quel poco tempo che sono stata con lui ho imparato ad apprezzare la sua presenza.
Ho bisogno di sapere se sta bene oppure no.
Se è morto devi dirmelo.”
Lei abbassò lo sguardo, era preoccupata tanto quanto me e lo capii subito.
“Non posso ti ho detto.”
La presi per un braccio e lo strinsi con forza, stavo davvero perdendo ogni inibizione.
“Dimmelo, io voglio aiutarlo.”
Sicuramente stava per picchiarmi, ma non appena sentì le mie ultime parole si fermò.
“Vuoi aiutarlo? Come pensi di fare?  Non sei nemmeno un agente e vuoi effettuare un recupero di uno dei migliori uomini che la nostra agenzia possiede?
Sei pazza.”
“Quindi non è morto?”
Sbuffò.
“Non posso rispondere direttamente alle tue domande, non qui.”
“Vuol dire che mi aiuterai a capire?”
“Non vuol dire nulla!” Rispose con tono quasi cattivo.
Parlare con me e rivelarmi quelle cose significava sicuramente tradire la fedeltà che Fury riponeva in lei.
Le lasciai il braccio e continuai a guardarla.
“Ho bisogno del tuo aiuto Natasha…”





“Dove si trova?!”
“Non te lo dirò mai.”
“A cosa vi serve?”
Non risposi.
“Perché è cosi difficile fare un discorso con te…” Sospirò, irritato dal mio comportamento.” Giuro che se non ti servisse per parlare, ti strapperei la lingua stupido falco.”
Risi.
“Cosa vuoi Gamble, io sono fedele e non tradisco ne le persone che amo, ne la mia agenzia”
Il mio tono aveva un non so che di sarcastico.
Lo guardai ridendo e lui, alterato dalla mia affermazione, posò la mano sulla levetta elettronica e di nuovo, una scarica elettrica mi percorse il corpo per qualche secondo.
Mi agitai sul lettino per poi fermarmi ancora in preda a diversi spasmi, non appena il la macchina si spense.
Mi stava davvero distruggendo.
Erano ormai due settimane che tutto quello andava avanti.
Torture su torture.
Mi lasciavano riposare solo qualche ora, per non uccidermi o ferirmi troppo pesantemente.
Avevano bisogno di me, questo era certo, ed io tutta la mia sopravvivenza proprio su quello.
Resistere fin quando non avrei trovato un modo per fuggire di li.
“Non fare ironia con me Barton, sai benissimo che non ho tradito nessuno.”
“Ah no? Raccontami di come hai ucciso tutti i tuoi compagni e hai lasciato vivere solo lei, e di come sei fuggito lasciandola in mezzo al nulla con i cadaveri dei suoi amici intorno.”
“Come fai a sapere queste cose?” Chiese sbarrando subito gli occhi.
“Ho studiato, coglione!” Risposi tirando su leggermente la testa.
“Tanto non uscirai vivo da qui, comunque le tue informazioni moriranno con te.” Ringhiò.
“Non importa, perché so che persona sei.”
Lo guardai con cattiveria. “Sei solo un traditore.”
Un’altra scarica elettrica mi attraversò il corpo e si fermò sulla mia testa.
Sentivo ogni muscolo bruciare e fremere, gli occhi impazzire ogni volta che aumentava il voltaggio di quella macchina infernale e la testa scoppiare quando l’elettricità la invadeva.
Si avvicinò velocemente al lettino e si abbassò verso di me.
“Io non l’ho tradita, è stata lei che non ha avuto le palle per stare con me e seguirmi.”
Presi fiato, riempendo i polmoni d’aria.
Nonostante si aspettasse una risposta, la mia lingua non voleva muoversi.
Mi sentivo quasi paralizzato.
Ero sfinito.
Mi guardò e capendo che non ero in grado nemmeno di aprire bocca, rise e si tirò su, andando verso la porta.
“Non puoi chiedere alla donna che ami di abbandonare la sua vita per la tua.”
Dissi, nonostante le mie parole non furono proprio chiare come volevo.
Lui non si girò, aprì la porta ed uscì lasciandomi solo.
Sapevo che ogni giorno passato dentro quel posto, le mie probabilità di sopravvivere diminuivano vertiginosamente.
-Devo resistere…- Pensai tra me e me prima di chiudere gli occhi e abbandonarmi al freddo di quella stanza.
-Devo…-
Deglutì a fatica e strinsi i denti in una morsa, per sfogare la rabbia che avevo nel cuore.







Natasha era seduta sulla sedia della mia scrivania e mi guardava come se stesse facendo chissà quale abominio.
“Quindi Clint non è morto?”
Scosse la testa.
“Per quanto mi riguarda è ancora vivo, anche se Fury non è dello stesso parere…”
“Hai detto che hanno ritrovato quasi tutta la sua attrezzatura nella camera del suo albergo…”Chiesi.
Lei Annuì.
“Quindi significa che non era uscito di li armato..”
“Portava con se solo una pistola ed un coltello, non indossava nemmeno la divisa, era in borgese credo.”
“Stava seguendo il suo obbiettivo in qualche luogo allora e non volendo dare nell’occhio, si era vestito come un uomo comune..”
“E’ quello che penso io.”
Appoggiò la schiena alla sedia e mi guardò.
“Non è morto, io ne sono sicura…Conosco Clint, è più forte di qualsiasi altro agente dentro questo posto.”
“E allora cosa diavolo sta facendo?”
Mi fissò per qualche secondo, con aria preoccupata.
“Secondo me lo hanno scoperto e lo tengono da qualche parte.”
“Pensi sia ancora a Berlino?”
Natasha annuì.
“Io credo di si…Ho chiesto a Fury di mandarmi li, ma non ha voluto.”
Sospirai.
“Non possiamo lasciarlo nelle mani del nemico…”
“Lo so, cosa credi? Sono giorni che non riesco a pensare ad altro.”
“Avresti dovuto dirmelo prima.” Esclamai fredda.
Provò a parlare ma la fermai con un gesto della mano.
“Avresti dovuto dirmelo prima perché cosi ci saremmo organizzate per andare ad aiutarlo.”
“Come pensi di fare? Ti ho già detto che è impossibile!”
“Lo credi te!”
Mi alzai e guardai fuori dalla finestra.
“Io devo partire per la mia missione, l’ultima prova…Giusto?”
“Si ma non vedo questo come possa aiutarci…”
“Te chiederai a Fury di venire con me, essendo la mia istruttrice…”
“E..?”
“E non appena saremmo arrivate nel luogo dove Fury deciderà di mandarci, scapperemo ed andremo a Berlino.”
Rimase in silenzio qualche secondo, guardando a terra come a chiedere una risposta al freddo pavimento.
Non ricevendo alcuna risposta, la guardai girandomi verso di lei.
“Io rinuncerò alla mia carriera nello S.H.I.E.L.D, perché non appena capiranno che siamo fuggite la mia prova sarà finita…
Ma tu, dovrai recuperare più informazioni possibili sulla missione di Clint, altrimenti non sapremmo nemmeno da dove iniziare.
Alzò subito gli occhi verso di me e mi guardò.
“Mi stai chiedendo davvero molto…”
“Ti sto chiedendo di aiutarmi a salvare una persona importante, sia per me che per te.”
Sospirò.
“Dovremmo scoprire chi era l’uomo che stava seguendo e cosa è successo veramente in quella città.”
“Non abbiamo molto tempo…” Esclamai senza staccare gli occhi da lei.
“Lo so” Mi squadrò con freddezza. “So cosa devo fare.” Disse infine.
“Io credo che già da domani Fury potrebbe mandarmi in missione, quindi dobbiamo muoverci.”
Ritornai davanti alla finestra posai lo sguardo sul panorama di fronte a me.
“Tu credi davvero possa funzionare?” Chiese alzandosi dalla sedia.
“Se lo faremo insieme, funzionerà.”

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Capitolo 11
*** Missione. ***


Eccoci all'undicesimo capitolo! 
Diciamo che è un capitolo di passaggio, incentrato solo sulla missione di Natasha e Francis.
Volevo spiegare un pò cosa avevano in mente e cosa intendono fare per salvare il nostro amatissimo Clint!
Non mi sono soffermata troppo a raccontare ogni particolare, altrimenti avrei dovuto scrivere come minimo 10 pagine!
Spero comunque che vi piacerà lo stesso, anche se non è davvero nulla di speciale e forse un pò troppo ristretto. :)
Fatemi sapere cosa pensate riguardo l'evolversi della storia e tutto il resto :3
Grazie e alla prossima!







11. In missione.





Natasha uscì dalla mia stanza, sicuramente diretta a cercare quello che ci occorreva, cioè informazioni.
Avevamo poco tempo e dovevamo usarlo bene, se non benissimo.
La sera andai a cena, con tutti gli altri agenti, ma questa volta mi misi seduta su un tavolo completamente vuoto.
Aspettai e aspettai, fin quando la rossa non mi raggiunse, varcando la soglia della mensa e localizzandomi subito.
Si mise seduta di fronte a me e mi guardò per qualche secondo, lasciandomi finire di bere l’acqua che avevo nel bicchiere.
“Ho fatto.”
 Disse senza aggiungere altro non appena staccai le labbra dal vetro.
Io annuì.
“Ho lasciato dei fogli nella tua stanza, li ho fatti passare sotto la porta.
Questa sera non appena torni in camera devi leggerli.”
“Va bene.” Poggiai il bicchiere sul tavolo e la guardai.
“Hai parlato con Fury?”
“Si, prima di venire qui…”
“E…?”
“Non credo sospetti nulla, penso di essere stata il più convincente possibile…”
“Ne sei sicura?”
“Certo, per chi mi hai preso?!” Ringhiò quasi irritata.
“Sta calma…Ho solo chiesto!”
Sbuffò e appoggiò i gomiti sul tavolo.
“Credo che domani partiremo, perché Fury mi ha detto che ha già scelto la tua missione.”
“Perfetto, no?” Esclamai soddisfatta, tutto stava procedendo secondo i piani.
Natasha sii limitò ad annuire senza aprire bocca.
La guardai e sorrisi.
“Mi dispiace…Insomma, so cosa ti costa fare tutto questo…”
Lei scosse la testa.
“Non lo faccio per te, lo faccio per Clint.”
Feci per rispondere ma lei mi fermò.
“Anzi, ci tengo a precisare che non voglio averti fra i piedi. Devi essere autosufficiente, non devi pensare che io sarò sempre li ad aiutarti.”
Continuai a guardarla senza cambiare espressione.
“Sono abituata a combattere da sola, poi mi hai vista, non ho bisogno d’aiuto, ne tanto meno del tuo. Ho solo bisogno di te perché da sola non potrei nemmeno uscire dallo S.H.I.E.L.D, ed ho bisogno che per quel poco tempo che staremo in missione, te sia mia amica, o anche solo compagna.”
“Proverò a farlo…”
Sorrisi quasi a volerla irritare apposta.
“Poi un giorno mi spiegherai perché non ti sono mai stata simpatica.”
“Non è difficile capirlo.”
“Se lo dici te..” Dissi alzandomi in piedi e prendendo in mano il vassoio che era sul tavolo di fronte a me.
“Ora vado nella mia stanza” Aggiunsi. “ Ci vediamo domani mattina…”
La guardai e la salutai facendo un gesto con la testa.
Posai il vassoio accanto a molti altri vassoi sporchi e andai nella mia camera.
Non appena entrai raccolsi da terra i fogli che Natasha aveva lasciato li per me, li osservai a lungo e solo dopo essermi seduta di fronte alla scrivania, iniziai a leggerli.
Scoprì che Clint si era offerto volontario per quella missione, che consisteva nel localizzare ed uccidere un potente uomo d’affari Russo, Dimitriy Ivanov Pavlon.
Era ricercato per molti reati, quali: Frode a discapito dello stato, omicidio plurimo e vendita illegale di armi.
“Non doveva poi essere cosi difficile come incarico..” Dissi fra me e me continuando a leggere.
Effettivamente durante le prime due settimane di lavoro, sembrava che tutto filasse tutto per il verso giusto.
Clint teneva sempre aggiornato il suo stato, ogni mattina informava lo S.H.I.E.L.D dei suoi progressi e di tutto quello che riguardava la sua salute.
Dopo due settimane, smise di farlo e Fury mandò subito degli uomini ad accertarsi che stesse bene, ma una volta arrivati a Berlino, questi non trovarono altro che il suo equipaggiamento nella stanza d’albergo dove alloggiava.
Di lui nessuna traccia.
Scoprirono che era uscito la sera prima e non era più tornato.
Sospirai e finii di leggere le ultime righe del foglio che avevo davanti.
Niente, non si sapeva niente.
Solo qualcosa sul suo obbiettivo, ma nulla di più.
-Sei uno stupido Barton.-
Pensai appoggiando la schiena sulla sedia per distendere i muscoli.
-Perché sei partito senza avvertire? E perché ti sei andato ad infilare in una cosa cosi pericolosa?-
Sospirai di nuovo, quello stupido falco mi faceva uscire fuori di testa.
Non sapevo spiegare l’insolito interesse che provavo per lui, e nemmeno il motivo per il quale io stessa stavo mettendo in gioco la mia carriera per aiutarlo.
Sapevo che il nostro rapporto non era iniziato bene, ma nonostante tutto, durante quel mese avevo sentito davvero la sua mancanza.
L’avevo sentita come si sente quella di una persona che hai nel cuore, come si sente quella di una persona che conosci da una vita.
Ogni volta che pensavo a lui mi davo della stupida.
“Non lo conosci nemmeno e già ti sei affezionata?” Mi dicevo.
“Non ti è bastata una volta? Gli uomini servono solo ad una cosa, che non è l’amore.”
Solo che, nonostante tutto quello non avesse senso, non potevo cambiarlo.
Sospirai per la terza volta, fissando il soffitto, candido e pulito.
-Ma sta tranquillo, verrò a cercarti e quando ti avrò trovato ti riempirò di botte.-
Sapevo benissimo che non sarei mai stata capace di fare una cosa del genere, ma dovevo provare a convincere me stessa.
Convincermi che lui fosse ancora vivo.








…..
“Non è una missione complicata agente Light, ha capito di cosa si tratta?”
“Si signore” Risposi annuendo. “ Devo recuperare delle informazioni perdute e rubate da un agenzia criminale Francese, senza farmi scoprire.
Esatto?”
Lui annui e mi guardò.
Mi aveva convocata di mattina presto, cosi da permettermi di partire dalla base il prima possibile.
La missione che mi aveva affidato era semplice, sarebbe stata anche una prova superabile, se il mio obbiettivo fosse quello di affrontarla.
Ma nella testa avevo solo l’immagine di Barton, ferito e in pericolo.
Fury parve accorgersi della preoccupazione che avevo negli occhi, cosi poco prima che potessi uscire da li, mi fermò.
“Questa prova è molto importante agente Light, io mi fido di lei.”
Il mio cuore perse un colpo.
Mi girai verso di lui, sfoggiando un sorriso più che sicuro.
Dovevo convincerlo che non lo avrei deluso.
“Lo so signore, non la deluderò.”
Dissi infine con tono fermo.
Lui ricambiò il sorriso e mi fece segno di uscire, forse convinto dalla mia sceneggiata.
I miei bagagli erano già pronti, caricati dentro l’elicottero che lo S.H.I.E.L.D aveva preparato per la partenza mia e di Natasha.
Corsi nella mia camera e recuperai la mia spada, per poi raggiungere il tetto dell’edificio centrale.
Ad aspettarmi trovai la rossa, che mi fissava da lontano con aria quasi scocciata.
“Sei in ritardo.” Disse non appena fui abbastanza vicino per sentire la sua voce.
“Lo so, mi dispiace..” Ammisi raggiungendola.
“Ha funzionato?” Chiese, sicuramente riferita alla messa in scena che avevo usato con Fury.
Mi limitai ad annuire e salii sul velivolo.
Non avevo voglia di parlare con nessuno.
Durante la mia vita non avevo mai disobbedito ad un ordine, ma quella volta la stavo davvero combinando grossa.
Il viaggio fu lungo e silenzioso.
Ne io ne Natasha avevamo voglia di conversare, quindi rimanemmo ferme e zitte per tutto il tragitto.
Una volta atterrate all’aeroporto di Parigi, ci fecero sbarcare come semplici turiste, mimetizzandoci in mezzo alla gente.
Tirammo fuori i passaporti falsi che vennero timbrati dalla polizia francese al Chek In dell’aeroporto.
Fecero passare i nostri bagagli, comprese armi e munizioni, senza controllarli.
Il governo Francese sapeva del nostro arrivo, quindi non indagò sul contenuto delle nostre valigie e ci lasciò passare senza troppi problemi.
Superate tutte le faccende legali, riuscimmo a raggiungere un bagno.
Entrammo e chiudemmo la porta a chiave.
Il piano, escogitato da Natasha, consisteva nel mascherarsi da Hostess e prendere il primo aereo diretto a Berlino.
Aveva pensato davvero a tutto.
Vestiti e documenti.
Avevamo tutto, eravamo pronte per far partire la nostra missione.
Ci guardammo un attimo, come a chiederci entrambe se tutto quello fosse giusto, ma capimmo che la vita di Clint era molto più importante di qualsiasi altra cosa.
Per noi, sia chiaro.
Così, ci preparammo velocemente e solo dopo qualche ora, riuscimmo a prendere un aereo diretto alla capitale Tedesca.
Una volta atterrate a Berlino, buttammo via tutto ciò che potesse renderci rintracciabili dallo S.H.I.E.L.D.
Tornammo vestite in modo semplice e uscimmo dall’aeroporto, confondendoci in mezzo a dei turisti Italiani.
“Non appena gireranno, dobbiamo cambiare direzione, ok?” Natasha mi guardò, ed io annuì.
“Dove dobbiamo andare?” Chiesi mentre seguivo dei bambini che litigavamo per un giocattolo.
“In un Hotel vicino a quello dove alloggiava Clint…Ho preso due stanze li cosi potremmo iniziare a cercare qualcosa.”
“ Sei sicura che non ci siano altri agenti S.H.I.E.L.D nei paraggi?”
“Non del tutto…E’ per questo che prima passeremo in albergo.”
“Non capisco..”
“Te non hai problemi, nessuno ti conosce, o per lo meno non tutti gli agenti ti hanno vista..”
Cominciai a capire il suo ragionamento.
“Io invece sono conosciuta anche dai miei nemici, quindi figuriamoci…”
La guardai per un secondo.
“Quindi cosa vuoi fare?”
“Devo cambiare il mio aspetto, ovviamente. I miei capelli non mi aiutano a passare inosservata…”
Ridacchiai involontariamente e lei parve fare lo stesso.
Quel giorno, riuscimmo solo a recuperare qualche informazione dai camerieri dell’albergo dove alloggiava Clint, ma nulla di più.
Ci dissero che lo avevano visto uscire una sera, vestito in modo abbastanza elegante, ma nessuno di loro sapeva dove realmente fosse diretto.
Quando arrivò la sera, ormai stufe di girare per tutta Berlino, ci sedemmo in un ristorante per riprendere un po’ di forze e mangiare qualcosa.
“E’ tutto inutile, non servirà a nulla tutto questo se non riusciamo ad avere qualche informazione in più!” Natasha sembrava leggermente arrabbiata, d’altronde non avevamo fatto alcun progresso da quando eravamo partite dalla base.
Sospirai.
“Lo so…Ma sembra essersi davvero volatilizzato.”
“Non può essere scomparso” Sussurrò con un filo di voce mentre sorseggiava la minestra che aveva nel piatto. “Deve aver lasciato qualche indizio…”
Feci per risponderle quando la mia attenzione fu attirata da un uomo, che era appena entrato nel ristorante, scortato da almeno 3 uomini.
“Quello lo conosco…” Dissi a bassa voce.
Natasha provò a girarsi incuriosita dalle mie parole, ma la fermai subito.
“Ferma…Quello è l’obbiettivo di Clint, è Dimitryi.”

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Capitolo 12
*** Corsa contro il tempo. ***


Finalmente eccoci al dodicesimo capitolo!
E finalmente iniziamo a vedere un pò d'azione in questa storia!
Ormai Natasha e Francis sono vicinissime a Clint e manca poco alla liberazione del nostro povero falco!
Le due stanno anche iniziando a trovare un certo feeling nel loro lavoro, forse sono più simili di quello che pensano ;)
Il captolo non è lunghissimo, ma spero vi piacerà comunque!
Alla prossima!
Ps: grazie per chi ha aggiunto la FF alle seguite, preferite o ricordate! 
E naturalemnete grazie a chi la legge e a chi recensisce, siete sempre fantastici!







12. Corsa contro il tempo.






Natasha spalancò gli occhi e incurvò la bocca in una specie di ghigno.
Avevamo trovato la nostra fonte di informazioni.
Sicuramente c’era lui dietro la sparizione di Clint, o per lo meno doveva sapere qualcosa a riguardo.
“Si è seduto ad un tavolo in fondo alla sala.” Sussurrai senza staccare gli occhi da lui.
“Quanti uomini ha dietro?”
“Tre…” Sorseggiai il vino che avevo nel bicchiere per non dare troppo nell’occhio.
“E credo tutti ben armati.” Dissi infine.
Lei non parve venire turbata dalle mie parole.
“Aspettiamo che esca da qui, poi faremo fuori gli uomini e lo tortureremo fin quando non parlerà.”
Disse senza staccare gli occhi dai miei.
Ricambiai il suo sguardo annuendo, non avevamo tempo per trattare con gentilezza nessuno, ne tanto meno quel tipo.
Aspettammo che finisse di consumare la sua cena, e solo dopo aver mangiato quello che normalmente mangiano due persone, uscì dal ristorante senza pagare il conto.
Io e Natasha lo seguimmo, tenendoci ad una distanza di sicurezza per non far capire ai tre uomini che lo proteggevano, di essere seguiti.
Camminarono per il centro di Berlino, attraversarono Alexander Platz noncuranti del fatto che ormai eravamo diventate la loro ombra.
Li seguimmo senza fiatare, fin quando finalmente non arrivammo su una zona più buia.
“Sono stufa..” Disse Natasha sicuramente pronta per attaccare.
“Ho un piano…dobbiamo prenderli tutti e tre insieme…E io so cosa fare.” Esclamai a bassa voce.
Lei mi guardò.
“Fidati di me…” Aggiunsi.
Rimase in silenzio e poi annuì.
“Io penso a Dimityi…”
Mi fece segno di andare avanti ed avvicinarmi.
Io sorrisi, scompigliai i capelli e slacciai la giacca, assunsi un espressione quasi da bambina impaurita e accelerai il passo per raggiungere il mio obiettivo.
Quando fui abbastanza vicino, uno degli scagnozzi si accorse di me e si girò a guardarmi.
“Mi scusi signore…”
Sussurrai con voce tremolante.
Lui mi guardò e notai un leggero bagliore di pietà nei suoi occhi.
“Può aiutarmi…per favore…? Mi hanno aggredito e ho paura…”
I suoi compagni si fermarono non appena videro che il loro amico stava parlando con me.
“Che succede Drake?” Dissero avvicinandosi e lasciando solo Dimitry.
Stupidi, troppo stupidi.
“Mi aiutereste per favore?” Risposi al posto dell’uomo che avevo di fronte, guardandoli con sguardo languido e impaurito.
“Dipende, cosa vuoi ragazzina?”
“Io…” Feci scendere una lacrima dal mio viso e subito dopo un’altra ancora.
“Ehi, non piangere…”
Disse uno di loro, forse commosso da quella scena.
“Cosa succede laggiù?” Esclamò Dimitry da lontano.
Loro di girarono all’unisono, dandomi così l’opportunità di agire.
Sfoderai il coltello che avevo nascosto sotto la giacca e con un semplice gesto taglia la gola all’uomo che avevo di fronte.
Gli altri due si girarono non appena sentirono il rantolo disumano dell’amico e sfoderarono subito la pistola.
Senza lasciargli l’opportunità di puntarmela contro, saltai sopra all’uomo che avevo alla mia sinistra e gli conficcai i coltello nel petto, l’altro mi guardò quasi inorridito e mi puntò l’arma contro.
Con un gesto, sfilai il coltello dal petto dell’uomo che avevo sotto di me e lo conficcai sul piede dell’ultimo rimasto in vita.
Questo urlò di dolore e fece cadere l’arma a terra, in mezzo alla pozza di sangue che si stava creando grazie ai due corpi senza vita che giacevano sull’asfalto, immobili e freddi.
Tolsi il coltello dal suo piede e alzandomi, gli taglia la gola, come avevo fatto con il primo.
Per qualche secondo assaporai il silenzio pesante che si era creato intorno a me, poi alzai gli occhi verso Dimitry e osservai come il suo sguardo era fisso su quell’orribile scenario.
Aveva paura, cosi paura da rimanere pietrificato.
Solo quando feci un passo verso di lui, parve rianimarsi.
Urlò e iniziò a scappare.
Ma, purtroppo per lui venne fermato dalla presa salda e letale di Natasha, che si era nascosta nell’ombra, aspettando proprio il momento della sua fuga.
Mi avvicinai con calma mentre la Romanoff lo teneva a terra, con la bocca tappata dalla sua mano.
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto signor Pavlon.” Disse Natasha senza lasciarlo.
“Circa due settimane fa è scomparso un nostro amico…”
Lui provò a dimenarsi ed iniziò a scalciare e a muoversi nei modi più assurdi possibili.
“Sta fermo.” Ringhiò lei sbattendogli la testa a terra.
Dimitryi seguì il suo ordine e si paralizzò.
“Era un nostro compagno, un’agente dello S.H.I.E.L.D…ed era venuto per prendere la tua testa.
Siccome è scomparso, saremo noi a finire il suo lavoro..”
I suoi occhi si riempirono di paura.
“Ma abbiamo uno scambio da offrirti…”
Continuò Natasha. “Se ci dirai cosa gli è successo, potremmo risparmiare la tua misera vita.”
Una piccola speranza parve inondare il viso all’uomo.
“Accetti?” Chiese infine senza allentare la presa.
Lui annui subito con foga, spostando gli occhi dalla donna che aveva sopra di lui a me.
La ROmanoff sorrise.
“E’ stato più facile del previsto. Vedi di essere sincero altrimenti ti infilo il coltello della mia amica nell’occhio.”
Dimitryi continuò ad annuire fin quando la rossa non tolse la mano dalla sua bocca.
“Io non so niente, non so niente!
Quella sera è venuto nel mio bar e ho ricevuto una soffiata da un tipo, Americano!”
Lo guardai confusa.
Un americano?!
“E per questo che lo abbiamo aggredito…Quell’Americano mi ha detto che era un vostro agente.
Lo stavamo per uccidere ma lui mi ha anche chiesto di risparmiarlo e di lasciarlo sotto la sua custodia.”
Io e Natasha ci guardammo, nessuna delle due sapeva cosa dire.
“Sapresti descrivere l’uomo di cui stai parlando?”
“Era alto, e portava gli occhiali con un cappello in testa…Non sono riuscito a vedere di più, mi dispiace…” Sussurrò con voce tremolante ed impaurita.
“Sai almeno dove si trova? Dove lo ha portato?”
Lui ci guardò terrorizzato.
“Io…Ho sentito dire dai miei uomini che lo hanno visto andare verso la periferia est…”
“E quindi?” Esclamai sempre più preoccupata.
Lui non rispose e Natasha lo scosse.
“Non sapete cosa c’è nella periferia est?” Chiese con tono titubante.
“No.” Esclamò la rossa. “Muoviti a parlare.”
Dimitryi ci guardò entrambe.
“C’è una vecchia prigione sotterranea, creata da Hitler durante la seconda guerra mondiale….
Si dice che nessuno sia uscito vivo da li e che vi sia una sola entrata ed una sola uscita…”
“Merda…” Sibilai.
“Sapresti condurci li?”
L’uomo annui con aria non molto sicura.
“Si, ma vi prego, lasciatemi vivere…”




“Perché non mi lasci semplicemente morire?” Sibilai con quella poca voce che mi era rimasta.
“Non credi che sarebbe tutto troppo facile cosi?” Si abbassò verso di me e mi prese per i capelli.
Ero distrutto, cosi distrutto da non riuscire a ribellarmi, cosi distrutto da rimanere li inerme sotto le sue continue torture.
“Lasciarti morire è proprio quello che vuoi che io faccia, ed io non voglio renderti felice…Dovrai continuare a soffrire.”
Strinse la presa sui capelli e io gemetti leggermente.
“Prima o poi crollerai, lo so. Tutti crollano e te non sei diverso dal resto del mondo.”
Lasciò la presa e mi fece sbattere la testa sul muro, dandomi una spinta verso di esso.
Capendo che la tortura con elettricità e  cose simili non funzionava con me, aveva deciso di lasciarmi li dentro, senza acqua e cibo, legato al muro con le catene strette si polsi.
Non potevo nemmeno sdraiarmi, poiché mi costringevano a stare in ginocchio o seduto, tenendo le catene il più tirate possibile.
Ed erano ormai quasi tre giorni che tutto quello andava avanti.
Avevo la bocca secca e lo stomaco che implorava pietà, il corpo ricoperto di more e lividi ovunque e forse avevo anche qualche costola incrinata.
Sollevai leggermente il viso da terra e lo guardai amareggiato, aveva ragione.
Ero arrivato ad un punto di non ritorno, sapevo di essere spacciato ormai e sapevo che nessuno sarebbe venuto li a prendermi, ed era proprio per questo che volevo finisse li quella tortura, quel continuo dolore che mi stava infliggendo.
Non avrei mai detto nulla a quel pazzo, ma stava iniziando davvero a far vacillare le mie convinzioni.
“Credi davvero che continuando cosi io decida di ucciderti?” Mi chiese camminando avanti ed indietro per la stanza.
Io non risposi, non sapevo cosa dire.
“Barton, Barton, Barton…”
Mi guardò e si avvicinò nuovamente a me.
“Perché lo fai? Perché la difendi cosi insistentemente?”
“Non sono affari tuoi.” Questa volta le parole uscirono dalla mia bocca senza che io potessi fermarle.
“Lo fai per lealtà?”
“Stai zitto.”
“Oppure lo fai perché lei ti piace?”
“Vattene.” Evitai di rispondere alle sue domande, non doveva sapere nulla.
“Quindi ti piace?! Lo so, ci sono passato anche io mio caro, non è facile resistere a quella donna!”
“TI HO DETTO DI ANDARE VIA!” Ringhiai, se avesse scoperto quello che avevo dentro, sarebbe riuscito a tirarmi fuori tutto.
“L’amore mio caro Barton, ti porterà nella tomba.” Rise ed uscì dalla stanza, lasciandomi solo.
Forse aveva ragione.
Anzi, aveva totalmente ragione.
Sarei morto, sarei morto pur di non condannare lei alla mia stessa fine.

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Capitolo 13
*** Una vita salvata ed un sacrificio. ***


Eccoci al tredicesimo capitolo!
Noterete subito che è molto più lungo rispetto ai precedenti, ma è uno dei capitoli più importanti! :)
Spero vi piacerà almeno un po’!
Fatemi sapere!
Grazie, come sempre.
Alla prossima! 






13. Una vita salvata ed un sacrificio.






“Natasha…” Sussurrai il suo nome poco prima di scendere dall’auto.
Lei si girò, teneva in mano una cartina datagli da Dimitryi la mattina stessa.
Ci aveva mostrato come arrivare alla prigione e noi in cambio gli avevamo risparmiato la vita.
“Dimmi…”
“Come facciamo a sapere dove si trova Clint?”
Avevamo la pianta dell’edificio, l’entrata, l’unica a sentire il russo, era una specie di casetta in cemento armato posizionata al centro di un campo arido, che si abbassava fino a scomparire sotto terra.
Era sorvegliata da diversi uomini, che giravano intorno al perimetro regolarmente, scambiandosi di turno solo la mattina.
“Non lo sappiamo…”
“Come?” Esclamai venendo quasi subito fulminata dalla donna per il tono troppo alto di voce.
“Vuoi che ci becchino subito?” Ringhiò con cattiveria.
“Scusami…”
Lei tornò a fissare la cartina.
“Non sappiamo dov’è, dovremo cercarlo.”
“Ma…”
“La prigione non è enorme come puoi vedere” disse mostrandomi la carta” e sicuramente è vuota…”
Osservai il foglio che aveva in mano e notai che aveva ragione.
Non era molto grande, erano tutti corridoi collegati fra loro, tutti sviluppati su un unico piano.
Era anche vero che forse avremmo dovuto studiare di più il posto, ma ne io ne lei avevamo voglia di aspettare altro tempo per andare a recuperare Barton.
“Quindi io credo che l’unica cella sorvegliata sia quella di Clint.”
“Capito…”
Staccai gli occhi dalla mappa e mi guardai intorno.
Era buio pesto e l’unica luce che c’era era quella della torcia che Natasha aveva in mano.
La luna era coperta da una fitta coltre di nubi scure, e le stelle non sembrava si fossero spente.
Sentivo le mani congelarsi a causa del freddo che ci circondava, lo stesso freddo che attraversava la pesante tuta di pelle che avevo addosso.
I guanti che indossavo lasciavano scoperta solo la punta delle dita, che stavano assumendo la consistenza di piccoli ghiaccioli.
La mia fedelissima spada era incastrata nella sua fodera nera attaccata alla mia schiena, ed aspettava solo di essere usata.
Ero pronta per l’azione, cosi come lo era Natasha.
“Non c’è molto da dire…” Concluse la rossa chiudendo il foglio che aveva fra le mani e nascondendolo in una tasca.
“Entriamo e cerchiamo Clint, quando lo troviamo usciamo dall’edificio il prima possibile. “ Si girò verso l’entrata della prigione” Nascoste tra i cespugli li…“ Indicò delle erbacce vicino alla casa “ Ci sono due moto, chiunque lo troverà per prima dovrà scappare senza aspettare l’altra, ci siamo capiti?”
La guardai confusa.
“Significa che se rimarrò li dentro te non mi aiuterai?”
Scosse la testa.
“Dovrai cavartela da sola.”
Feci spallucce e la guardai.
“Va bene, come vuoi..” Non avevo paura, sapevo di potermela cavare.
“Bene…” Poggiò le mani sull’auricolare che aveva all’orecchio e lo accese. “Da adesso parleremo attraverso questo.”
Presi anche io l’auricolare e lo accesi, mettendolo sull’orecchio destro.
“Appena avremo superato l’entrata, te andrai verso i corridoi di sinistra, io verso quelli di destra. Non farti scrupoli con nessuno, uccidi chiunque ti trovi davanti perché loro faranno lo stesso con te se non sarai più furba e veloce.”
Posò il suo sguardo su di me.
“Tutto chiaro?”
Mi limitai ad annuire con decisione, facendole capire che ero pronta per iniziare il salvataggio.
Aspettai che controllasse tutto il suo equipaggiamento e poi insieme, iniziammo a correre verso l’entrata della prigione.
Proprio davanti alla porta c’erano due uomini, e altri due erano appostati nei paraggi.
Evitammo quest’ultimi senza problemi, nascondendoci nell’ombra come due animali notturni, fino a che non arrivammo ad una ventina di metri dall’obbiettivo.
Ci sdraiammo a terra per osservare la situazione e sembrava davvero tutto tranquillo, forse troppo.
Improvvisamente, dalla porta uscirono altri due uomini, scambiarono qualche parola con quelli appostati davanti all’entrata e si incamminarono verso un’auto, parcheggiata di fianco alla casa.
Guardai con la coda dell’occhio Natasha per chiederle cosa avremmo dovuto fare e prima che potessi avvertirla, lei si alzò e sparò un colpo di pistola all'uomo che stava per aggredirla.
Si, ci avevano beccate.
Non appena il proiettile partì, tutti si girarono verso di noi e ci puntarono contro le  torce che avevano in mano.
“Merda.” Disse la rossa poco prima di iniziare a correre verso l’entrata.
La guardai senza muovermi per qualche secondo, e solo dopo che la vidi cadere a terra, coperta da un uomo che l’aveva praticamente placcata, mi alzai e iniziai a correre anche io per andare ad aiutarla.
Inutile dire che i colpi di pistola iniziarono a volare nell’aria non appena i nemici videro anche me.
Tirai fuori la spada e quando fui abbastanza vicino, feci per saltare e conficcarla nella schiena dell’uomo che sovrastava la mia compagna, quando la sua voce mi fermò.
“NON FARE L’IDIOTA, CORRI DENTRO E CERCALO! CI PENSO IO QUI!” Disse urlando mentre elettrificava l’uomo con una scarica elettrica, sicuramente creata dai suoi guanti.
La guardai e lei mi lanciò un’occhiata d’intesa, poco prima di spostare il corpo inerme del nemico che aveva appena paralizzato. Sorrisi, per farle capire che avevo colto il messaggio ed inizia a correre verso la porta, evitando i proiettili che mi venivano sparati contro.
Natasha colpì con un coltello l’uomo che si trovava davanti alla porta, cosi da darmi l’opportunità di entrare senza dover sfoderare la mia arma.
Questo cadde a terra senza vita e cosi entrai senza problemi.
Varcai la soglia e la chiusi dietro di me.
Sentivo il rumore degli spari provenire dall’esterno, e le urla degli uomini che venivano uccisi.
Scesi le scale e feci giusto in tempo a nascondermi sotto di esse che altri quattro uomini le salirono ed uscirono da dove io ero appena entrata, sicuramente diretti contro la povera Natasha.
Nonostante i nemici fossero in numero maggiore, sapevo che quella donna poteva farcela senza problemi anche senza il mio aiuto.
Così, convinta di questo, presi il corridoio sinistro come avevamo deciso con la Romanoff ed iniziai a camminare lungo di esso.
Girai un angolo e vidi due uomini venire verso di me.
Sicuramente avevano sentito il trambusto proveniente da fuori e stavano raggiungendo i loro compagni per aiutarli.
Non appena si resero conto che avevano di fronte una nemica, tirarono fuori le armi: due AK47, meglio noti come fucili automatici Kalašnikov.
“Russi..” Sibilai poco prima che iniziassero a sparare.
Mi abbassai, evitando i colpi e lanciai una granata fumogena verso di loro.
Questa scoppiò ed emanò una fitta nebbia di gas che gli impedì di sparare di nuovo.
Chiusi gli occhi e trattenni il fiato.
Tirai fuori la spada dal fodero e rimasi in ascolto per una manciata di secondi.
Individuai cosi il respiro affannato degli uomini che cercavano di localizzarmi in mezzo a quella cortina di fumo.
Con un balzo saltai addosso ad uno di loro e gli conficcai la spada nel petto, sfilandola subito e squarciando l’altro con un singolo colpo, obliquo al resto del corpo.
Questi caddero a terra insieme, senza vita.
Non appena sentì il rumore dei loro corpi toccare il pavimento, ripresi a correre uscendo fuori dal gas che avevo creato.
Girai l’altro angolo e questa volta non trovai nessuno.
Iniziai a pensare che forse Clint si trovasse nell’altro lato della prigione.
-Cazzo, significa che devo fare il giro se Natasha non ha ancora finito li fuori…-
Imprecai e continuai a correre a perdifiato, senza fermarmi un secondo.
Osservavo ogni singola cella che superavo ma tutte erano sempre completamente vuote.
Quando ormai ero quasi arrivata alla fine dell’ala sinistra, vidi qualcosa che attirò la mia attenzione.
Proprio accanto ad una cella vi era una porta in ferro, semi aperta.
La osservai, non sapevo per qualche assurdo motivo ma la mia testa mi diceva che dovevo controllare il suo contenuto.
Con la spada ancora in mano, posai il palmo sulla porta e la aprì lentamente.
Davanti a me comparvero delle scale.
Senza pensarci due volte iniziai a scenderle lentamente.
“James sei tu?” Sentì una voce provenire da sotto di me. “James non spaventarmi, sennò giuro che ti sparo.”
Guardia, era una guardia.
Nel mio cuore di accese una speranza, forse avevo trovato la stanza che cercavo.
Strinsi la mano sull’elsa della katana e scesi un altro paio di scalini.
“James giuro che mi incazzo! Ti lascio controllare questo farabutto da solo la prossima volta!”
Bingo.
Sorrisi felice, lo avevo trovato.
Presa da un’insolita frenesia, corsi giù per gli ultimi scalini e uccisi senza problemi anche l’ultimo uomo che mi divideva da Clint.
Arrivai cosi ad una porta, proprio come quella che avevo varcato poco prima.
Era chiusa stavolta, e dovetti prendere le chiavi dal corpo della mia ultima vittima per aprirla.
Feci scattare la serratura e non appena questa si aprì, spalancai la porta, trovando davanti a me solo oscurità.
La luce che avevo alle mie spalle illuminava solamente qualche paio di metri della stanza.
“Clint…” Sussurrai il suo nome come fosse una rischiesta d’aiuto, come se dovessi essere io quella in pericolo, quell ache doveva essere salvata.
Spostai gli occhi sul lato destro del muro e accesi l’interruttore che trovai.
Unaluce accecante mi pervase e dovetti abituarmi a quella luminosità.
Quando posai gli occhi su quello che avevo davanti, il mio cuore perse un colpo e parve fermarsi per qualche secondo.
“Oddio…”
Per un attimo pensai davvero che fosse morto.
Aveva la testa abbandonata quasi a se stessa, tenuta bassa e immobile, ed era legato al muro con due catene che gli stringevano i polsi.
La camicia che aveva addosso era squarciata e ricoperta di sangue, e il busto era completamente pieno di lividi.
Mi avvicinai subito a lui, abbassandomi e osservandolo, con il cuore stretto in una morsa.
“Cosa ti hanno fatto…”
Sussurrai mentre prendevo il suo viso e lo alzavo verso il mio.
Feci una panoramica del volto, aveva un occhio nero e qualche taglio, ma nonostante quello, rimaneva comunque bello come la prima volta che lo vidi.
“Clint…Rispondimi…”
Quando i suoi occhi furono colpiti dalla luce che illuminava la stanza, iniziarono a tremare e lentamente si aprirono.
“Clint..” Sussurrai nuovamente il suo nome, per fargli capire che ero li per portarlo via.
Che ormai era fuori pericolo.
Lui non appena posò gli occhi leggermente aperti sui miei, prese quasi paura.
Mentre io quando rividi i suoi, sorrisi involontariamente perché mi ero quasi dimenticata quanto il loro colore fosse particolarmente bello.
“No…” Disse con un rantolo di voce.“Non dovresti essere qui tu…” Continuò.
“Cosa dici? Sono venuta a prenderti!” Lo guardai e lui abbassò la testa nuovamente.
“Vattene, ti prego…”
“Sei impazzito?”
Cosa diavolo stava dicendo?
Non voleva essere salvato?
“Vai via prima che arrivi…” La sua era una supplica.
Preferiva morire piuttosto che essere salvato da me?
Mi alzai in piedi e tolsi le catene che aveva legate ai polsi con le chiavi che avevo rubato poco prima.
Quando il suo corpo non venne più sorretto da nulla, fece per cadere in avanti e io prontamente lo fermai, riaccucciandomi verso di lui e passandogli un braccio intorno alla vita.
“Non so cosa tu stia dicendo, non so se tu sia impazzito, ma non ho fatto tutta questa strada per lasciarti qui a morire.” Sussurrai con tono deciso vicino al suo orecchio.
Non gli diedi neanche il tempo di rispondere o di ribellarsi che mi alzai, sollevando da terra anche lui.
Era davvero pesante, nonostante sicuramente non mangiasse da giorni.
“Ora ti porto fuori di qui…”
Presi il suo braccio e me lo passai intorno al collo, per poi reggere la sua mano con la mia.
Riempì i polmoni d’aria ed iniziai a camminare verso l’uscita della stanza.
Lo portai fino a sopra le scale e quando fummo in cima dovetti riprendere fiato qualche secondo.
Mi guardai intorno e fortunatamente non vi era ombra di nessun nemico, forse Natasha li aveva uccisi tutti.
Pigiai il pulsante dell’auricolare.
“Natasha!” Esclamai.
Aspettai qualche secondo la sua risposta e non ricevendo nulla, ripetei il suo nome.
“Eccomi scusa, un bastardo mi stava dando problemi.”
“L’ho trovato Natasha…”
Silenzio.
“Come sta?”
“Va a prendere la macchina, dubito che riusciremmo a portarlo in moto, non riesce nemmeno a reggersi in piedi.”
Iniziai a camminare verso l’uscita della prigione mentre tenevo Clint stretto a me.
“Mi hai capito?” Dissi non ricevendo alcuna risposta dalla rossa.
“Si…Qui fuori il campo è libero, vengo a prendervi!”
Chiuse la chiamata e io guardai un momento Clint.
“C’è anche Natasha..?” Mi chiese lui non appena si accorse del mio sguardo.
Io annui leggermente.
“Si, siamo io e lei..”
Lui abbassò la testa di nuovo.
“Perché siete venute? Non avevo bisogno di nessu…”
“Stai zitto.” Lo interruppi, usando un tono freddo ed arrabbiato.
Lui mi guardò.
“Se sento di nuovo uscire dalla tua bocca quelle parole giuro che ti ammazzo.”
Sentì una leggera risata provenire dalla sua bocca e questo mi fece sentire meglio.
“Non sto scherzando.” Girammo un angolo e finalmente ci trovammo davanti all’uscita.
“Quando starai meglio ti riempirò di botte.”
Affermai iniziando a salire le scale.
Lui rimase in silenzio e provò a camminare per aiutarmi a trascinarlo, ma ogni volta che faceva un passo, ogni volta che provava a salire uno scalino, sentivo i muscoli del suo corpo irrigidirsi.
Doveva soffrire molto, se non troppo.
Con molta fatica arrivammo alla porta, che spalancai con un calcio.
Davanti a noi trovammo Natasha, che non appena ci vide si fiondò verso Clint e mi aiutò a sorreggerlo.
Si guardarono e si scambiarono un sorriso complice, senza pronunciare parola.
Per un attimo la gelosia parve impossessarsi di me, ma poi allontanai quei pensieri.
La salute di Clint era più importante di qualsiasi altra cosa.
Lo portammo fino alla macchina, che era parcheggiata a qualche metro dall’entrata e lo facemmo sdraiare sui sedili posteriori.
Salimmo anche noi, questa volta mi sedetti io dalla parte del guidatore e non appena tutti gli sportelli furono chiusi, accesi il motore e partii diretta verso la strada.
“Dove devo andare?” Chiesi alla Romanoff che nel mentre stava guardando Clint.
“Andiamo al suo albergo, dobbiamo riportarlo li cosi Fury penserà che sia tornato da solo, senza l’aiuto di nessuno.”
“Non dovremmo andare in un ospedale?”
Lei scosse la testa e mi guardò.
“Ho tutto quello che occorre per curarlo, te non ti preoccupare.”
La guardai con la coda dell’occhio e continuai a guidare, rimanendo in silenzio.
Clint non aprì bocca per tutto il tragitto e Natasha fece lo stesso.
Nessuna di noi aveva il coraggio di chiedere cosa fosse successo, o per lo meno, nessuna delle due voleva far parlare l’uomo che era sdraiato sui sedili posteriori.
Sapevamo entrambe che doveva riposare e riprendersi, prima di poter raccontare cosa gli era accaduto durante quell’ultimo mese.
Una volta arrivati davanti all’hotel, parcheggiai e scesi dall’auto.
Natasha fece scendere Clint e io posai sulle spalle dell’uomo una giacca lunga, presa apposta per coprire le sue ferite.
La Romanoff, prima di chiudere la portiera, prese in mano una valigetta, nascosta sotto il sedile.
La guardai curiosa, ma evitai di fare domande.
Passai un braccio lungo la vita dell’arciere e come prima, lo trascinammo insieme dentro l’albergo.
Quando varcammo la hall, la donna che stava dietro al bancone ci guardò.
“Signor Red, è tornato finalmente!”Sorrise, ma smise non appena non ricevette alcuna risposta dal povero Barton.
“Ha bevuto troppo” Disse Natasha guardando la donna e accennando un sorriso cordiale.
Questa posò gli occhi su di noi, notò le divise e le armi che avevamo addosso e parve pietrificarsi.
“Festa in maschera” Risposi prontamente prima che lei potesse fare qualche domanda.
Accennai un sorriso come aveva fatto la mia compagna e lei ci guardò preoccupata.
“Può darci le chiavi della sua stanza?” indicai con un cenno della testa Clint.
La donna annuì e senza parlare ci diede la tessera per aprire la stanza.
“Se Avete bisogno chiamate..” Disse con tono titubante mentre ci allontanavamo da lei e ci  avvicinavamo all’ascensore.
Aspettammo che questo scendesse e salimmo fino al quarantesimo piano, dove c’era la camera dell’arciere.
Quando varcammo la soglia della stanza, Natasha lasciò Clint e appoggiò la valigetta che aveva in mano, sul tavolo.
“Portalo a letto, muoviti!” Mi ordinò senza darmi spiegazioni.
Io eseguì il suo comando e portai Clint in camera da letto.
Lo feci sedere e poi sdraiare sul materasso.
Accesi la lampada del comodino e lo osservai.
-Forse non era stato contento di vedere me, arrivare a salvarlo, forse avrebbe preferito vedere Natasha.- Pensai involontariamente mentre passavo gli occhi sul suo viso teso.
Non riuscivo a capire per quale strano ed assurdo motivo mi avesse detto di andarmene, non appena mi aveva vista, e quella era forse l’unica risposta che sapevo darmi.
Sospirai e mi girai verso la porta che si affacciava sul salone quando vidi la rossa venire verso di noi con una siringa in mano.
Si avvicinò al bordo del letto e io la guardai, non capendo quale fosse il suo intento.
“Farà un po’ male Clint, lo sai…” Sussurrò sedendosi sul materasso.
Prese la siringa e la conficcò sul collo dell’uomo che inarcò solo un secondo le sopracciglia, per poi tornare come prima.
“Cosa gli hai fatto?” Chiesi.
“Gli ho iniettato una medicina che curerà i lividi e le fratture dall’interno.”
“Cosa?”
“Non esiste questa roba in commercio, l’hanno scoperta nel nostro laboratorio…Insieme al Dottor Banner, conosci?”
Scossi la testa.
“No, ma se funziona allora mi fido..”
“Funziona..” Disse lei “ Ma soffrirà parecchio…”
Posai gli occhi su Clint.
“Non credo soffrirà come ha sofferto in quest’ultimo mese…”
Esclamai con tono amareggiato.
“Già…”
Aggiunse la rossa mentre buttava la siringa nel cestino.
“Faremo due turni, lo controllerò un po’ io e te potrai risposare, poi quando avrò bisogno di chiudere gli occhi, prenderai il mio posto…” Disse infine sedendosi accanto all’uomo, che pareva addormentato.
Io annui poco convinta.
“Va bene…Vado sul divano allora…” Lanciai un ultimo sguardo a Clint e uscì dalla camera, andandomi a sdraiare sul divano.
Non volevo ammetterlo, ma ero dannatamente gelosa di quella donna, e la gelosia pareva essere forte quasi quanto la preoccupazione che avevo per lui.
Tolsi la spada da dietro la mia schiena e la poggia a terra.
Sospirai e provai ad annullare qualsiasi pensiero avessi in testa, dovevo riposare almeno qualche ora per poter essere sveglia dopo.
Chiusi gli occhi e mi addormentai seppur con difficoltà.



“Uccidimi, no?”
“Non posso…”
“E allora vieni con me!”
“NON POSSO TI HO DETTO!” Lacrime.
Lacrime fuoriuscivano dai miei occhi.
“Se non verrai con me sai benissimo che morirai!”
“Non verrò con te, non tradirò mai il mio popolo per unirmi a questa pazzia!” Ringhiai.
“Sei pazza.”
“VATTENE!” Buttai la spada a terra e mi accucciai in mezzo ai miei compagni morti.
“VATTENE
GAMBLE!” Ringhiai di nuovo, mentre piangevo come una bambina.
“NON VOGLIO PIU VEDERTI!”






Mi svegliai di soprassalto, completamente sudata.
Natasha mi guardò confusa.
“Ti senti bene?” Chiese non appena posai gli occhi sui suoi.
Io annui leggermente.
“Si tranquilla, era solo un incubo…”
Mi tirai su e la guardai.
“ Che ore sono?”
“Le cinque di notte, ho bisogno di riposare…”
Mi alzai e le lasciai il posto.
“Sta sudando molto, però la medicina sta già facendo effetto, quindi tienilo sotto controllo.”
“Ok…” Dissi andando verso la camera.
Entrai e mi sedetti sul bordo nel letto, dove poco prima doveva essersi seduta la mia compagna.
Lo guardai e notai che aveva il viso completamente bagnato ed era teso, dormiva sicuramente, ma stava soffrendo.
Strappai un pezzo di stoffa dal lenzuolo e iniziai a tamponare il sudore che gli gocciolava dalla fronte, lungo il collo.
“ Sei uno stupido Barton…” Sussurrai. “Guarda come ti sei ridotto…”
Passai il panno sul viso e mi alzai per andare a bagnarlo un po’.
Tornai dopo una manciata di secondi e non appena la stoffa fresca toccò la sua fronte, Clint parve rilassare i muscoli del volto.
“Come ti è saltato in quella testaccia di fare una cosa simile. Per di più sei partito e mi hai abbandonata. Eri il mio istruttore, mi dovevi almeno delle spiegazioni, o almeno potevi avvertirmi della tua partenza.”
Stavo rimproverando un uomo che non poteva nemmeno sentirmi.
Sorrisi amareggiata.
“Nonostante tutto sono contenta che tu sia ancora vivo...Non sai cosa ho combinato per venirti a riprendere…Mi devi un favore stupido pollo…”
Sorrisi di nuovo e rimasi li accanto a lui finche il sole non sorse sulla città.
Ogni tanto si lamentava nel sonno, faceva qualche verso e dei leggeri gemiti di dolore, ma tutto passava dopo qualche minuto.
Quando ormai era mattina inoltrata, Natasha si alzò e venne subito da me.
“Come sta?” Chiese subito.
“Si è lamentato un po’, ma per il resto credo meglio…”
Lei sorrise, era felice.
“Ascolta, devo passare al nostro albergo per prendere delle cose, non ci metterò più di 20 minuti. Se si sveglia, cosa molto improbabile, fallo rimanere sdraiato…Ok?”
“Ok…” Risposi senza aggiungere altro.
“Vado e torno…”
Lanciò un’ultima occhiata a Clint ed uscì dalla stanza, lasciandoci soli.
“ Le piaci molto sai..?” Sussurrai mentre ero intenta a sistemare i suoi capelli.
Naturalmente non ricevetti risposta da lui, infatti continuò a dormire come se nulla fosse.
Mi alzai e mi affacciai un attimo alla finestra che si trovava di fianco al letto, giusto per distrarmi un po’ da tutta quella confusione che avevo intorno.
Osservai il panorama della capitale tedesca, la strada era piena di macchine che sfrecciavano veloci sull’asfalto, mentre i marciapiedi pullulavano di persone indaffarate e frenetiche.
Li osservai e mi chiesi come potevano fare quello ogni giorno, senza provare noia per la propria vita.
Una vita semplice, normale.
Non era il mio ideale di vita perfetta.
Da anni ormai avevo dimenticato cosa significasse essere normali.
Un soldato non può permettersi la normalità, un soldato vive fuori dagli schemi.
Sospirai, troppi pensieri affollavano la mia mente.
Mi rigirai e andai nel salone per prendere una bottiglia d’acqua dal mini Bar, quando improvvisamente venni scaraventata contro il muro da un’enorme esplosione.
Sbattei la testa violentemente e caddi a terra stordita.
Le orecchie fischiavano come se avessi un uccello nella testa, seduto li a canticchiare la sua canzone preferita.
Quando riuscì ad aprire gli occhi, mi ritrovai legata in mezzo alle macerie della stanza.
Sentivo una voce lontana chiamarmi, ma non riuscivo a localizzarla.
Ero troppo confusa per farlo.
D’un tratto qualcuno mi tirò su, sollevandomi grazie alla corda che avevo intorno alle braccia.
Lentamente posai gli occhi sull’uomo che mi stava portando via e quando lo vidi, il mio corpo si riempì totalmente di paura, una paura cieca e incancellabile.
Senza nemmeno rendermene conto, iniziai ad urlare il nome di Clint fra le lacrime, e spostai gli occhi cercando di localizzarlo.
Sperando che fosse ancora vivo.
Lo vidi appoggiato allo stipite della porta, aveva in mano una pistola e stava sparando verso la mia direzione, provando a colpire l’uomo che mi stava portando via.
Il mio incubo.
Zoppicò avvicinandosi a noi, ma non fu abbastanza veloce perché Gamble mi gettò dentro l’elicottero, posizionato proprio di fronte all’enorme buco che aveva creato con l’esplosione, seguendomi subito dopo.
L’ultima cosa che riuscii a vedere fu Clint che zoppicava verso l’elicottero, urlando il mio nome.
Poi, venni colpita alla testa e da li i miei sensi si spensero definitivamente.

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Capitolo 14
*** Il momento della verità. ***


Come annuncia credo il titolo del capitolo, scoprirete molte cose leggendo le righe qui sotto! :D
Non anticipo nulla, fatemi sapere cosa ne pensate...
Ps: Ho voluto inserire un piccolo momento Clintasha siccome amo questa coppia...ma sappiate che la nostra bellissima Vedova Nera non si è affatto arresa ( quando leggerete capirete cosa intendo :P) infatti più in là combinerà qualche pasticcio!

Grazie come sempre a chi recensisce e segue la storia!
Un bacio ed alla prossima!









14. Il momento della verità.








*Clint POV*



Stavo dormendo.
Più che dormire, ero caduto in una specie di trans dovuto sicuramente alla medicina che Natasha mi aveva iniettato non appena mi avevano portato nella mia vecchia camera d’albergo.
Però ero tranquillo finalmente.
Ero uscito da quell’incubo, Gamble non mi avrebbe più torturato e cosi facendo, non avrebbe più avuto possibilità di avere informazioni su Francis.
Non le avrebbe più fatto del male, perché io la avrei protetta.
Eravamo salvi entrambi.
Lo credevo, continuai a crederlo per tutta la notte, nonostante i miei continui incubi, fin quando al mattino, la realtà non tornò prepotentemente nella mia vita e mi fece capire quanto realmente fossi idiota.
Un esplosione, fu questo a svegliarmi dal mio sonno comatoso.
Dal mio idillio insensato e impossibile.
Aprì gli occhi di scatto e mi tirai subito su, procurando alla mia schiena un dolore tremendo.
“Finalmente sei sveglio Barton!”
Quella voce.
No, non poteva essere lui.
Non poteva avermi trovato.
Posai gli occhi sullo scenario che avevo davanti, e non appena la mia testa realizzò cosa stava accadendo in quella stanza, sentì la rabbia fondersi con la paura che avevo nel petto.
Dovevo muovermi.
Mi alzai e quando provai a fare un passo sentì le gambe cedere sotto il mio peso.
Caddi in ginocchio e percepì la risata di Gamble prendersi gioco di me e della mia debolezza.
“Cosa vuoi fare falchetto!? L’hai portata da me, hai compiuto il tuo lavoro. Dopotutto sei un ottimo soldato!”
Il sangue che avevo nelle vene si trasformò in giaccio.
Alzai lo sguardo e la vidi.
L’aveva legata e il suo corpo giaceva immobile a pochi metri da lui.
“No…” Sussurrai col cuore in gola.
“Ti devo ringraziare! Se non fosse stato per te a quest’ora starei ancora in giro a cercarla!” Rise con cattiveria e si avvicinò a Francis.
Iniziai ad urlare il suo nome, come fosse l’unica parola che conoscessi.
Doveva sentirmi, doveva svegliarsi.
Il sorriso maligno di Gamble aumentava ogni volta che la distanza fra lui e lei diminuiva. “NON TOCCARLA!” Ringhiai per poi alzarmi con un balzo.
Zoppicai fino ad arrivare ad una pistola, abbandonata sul comò di fronte a me e mi affacciai verso il salone, puntando l’arma contro il mio nemico.
Li, i miei occhi videro l’inferno.
Gamble l’aveva sollevata da terra, lei si era svegliata, aveva realizzato cosa stava succedendo, lo aveva visto, lo aveva riconosciuto.
E forse era anche per quello che aveva iniziato a piangere.
Non aveva paura di essere portata via, aveva paura di quell’uomo.
Posò gli occhi pieni di lacrime sui miei e solo dopo qualche secondo iniziò ad urlare il mio nome.
Il mio cuore si annullò su se stesso.
Tutto quello che stava accadendo, era proprio quello che avrei voluto evitare.
Quello che pensavo non accadesse mai.
Puntai la pistola verso quel mostro ed iniziai a sparare, ma nessuno dei miei colpi andò a segno.
La tirò su di peso ed iniziò a correre verso il varco creato dall’esplosione, gettandola sull’elicottero che lo aveva condotto fin li, salendo subito dopo di lei.
Mi lanciò uno sguardo di sfida, mentre io continuai a chiamarla ed a sparare gli ultimi colpi che avevo in canna.
Gettai la pistola a terra una volta che i proiettili furono finiti e zoppicai verso di loro, fino a quando non li vidi scomparire nel cielo.
Ringhiai e urlai in modo quasi disumano.
Me l’aveva portata via sotto gli occhi ed io non avevo fatto nulla per fermarlo.
Portai una mano in mezzo ai capelli e li strinsi con rabbia.
Improvvisamente, il dolore fisico che avevo provato fino a quel momento, divenne nulla in confronto a quello che avevo dentro di me.
Mi sedetti a terra e appoggiai la schiena al muro.
Volevo continuare ad urlare fino a che la mia voce non fosse scomparsa.
Volevo fare tante cose, ma il mio corpo non mi aiutava.
D’un tratto, la voce di Natasha solleticò il mio orecchio, doveva aver assistito a tutto dalla strada e doveva essersi precipitata di nuovo nella mia stanza non appena aveva capito che eravamo stati scoperti.
“Clint?! Francis?!” Dal suo tono di voce intuii che ormai la paura si era impossessata anche di lei.
“Nat..” Sussurrai con quel poco di voce che mi era rimasta, rispondendo cosi alla sua chiamata.
Lei si fiondò subito verso di me e si accucciò, stando cosi alla mia stessa altezza.
“Cosa diavolo è successo Clint?!” Chiese mentre controllava sicuramente il mio stato di salute.
“Ho visto quell’elicottero distruggere la parete e mi sono subito fiondata qui…Chi era? Cosa voleva?”
Troppe domande, troppe domande per la mia povera testa.
Lei si guardò intorno.
“E Francis?! Dove diavolo è finita?!”
Sorrisi amareggiato, il solito sorriso causato da una sconfitta inevitabile.
“Voleva lei, è venuto qui per prendere lei.”
Sentii chiaramente il suo sguardo confuso posarsi su di me.
“Ma di cosa stai parlando Clint?!”
Sospirai pesantemente e la guardai.
“Sei sicura di voler sapere tutta la storia?”
Natasha rimase interdetta qualche secondo, poi annuì senza però trasudare sicurezza.
Io mi sistemai, appoggiando anche la testa contro la parete e iniziai a sistemare i ricordi e le idee che avevo in testa.
“Circa sei mesi fa partii per una missione, una missione affidatami da Fury in persona, una missione che richiedeva massima serietà ed esperienza.” Natasha si mise seduta per terra, senza staccare gli occhi da me.
Sospirai e continuai a raccontare senza però guardarla.
Non avevo le forze per farlo.
“Dovevo tenere d’occhio una persona, un traditore per la precisione…
Brian Gamble, era questo il suo nome.
Aveva una storia particolare, una storia di cui faceva parte anche una ragazza, una soldatessa, la migliore del suo plotone.
Bhè, Gamble e questa ragazza lavoravano insieme, lei era il suo comandante e lui uno dei suoi soldati…
Un giorno, lui decise di tradire il suo paese, passando dalla parte del nemico e durante una missione, uccise tutti i suoi compagni, tutti tranne lei.
Le chiese di abbandonare la sua vita per seguirlo, per andarsene via con lui e per creare qualcosa di nuovo insieme, ma lei non accettò.
Lo lasciò vivere e lui da quel momento le dichiarò odio eterno.
Lei raccontò tutto questo ai suoi superiori, ma mentii sulla sorte dell’uomo, dicendo che era rimasto ucciso in un’esplosione.
Quando cinque mesi fa iniziai ad indagare su di lui, scoprii tutto questo leggendo le pratiche del suo caso e rimasi un po’ interdetto sulla decisione della ragazza, perché io al contrario dei suoi superiori, sapevo che aveva risparmiato la vita a quel traditore.
Riuscii a localizzarlo e per puro caso, scoprii che stava interferendo con una missione di quella ragazza, voleva ucciderla perché sicuramente si sentiva tradito.
Decisi che per scovarlo, avrei seguito la donna, cosi sarei anche riuscito a proteggerla.
Arrivò il momento dei conti, Gamble raggiunse il luogo in cui ci trovavamo e provò a raggiungere anche lei, ma io lo fermai prima che lei potesse vederlo.
Lo fermai e provai a farlo ragionare, ma non volle ascoltarmi.
Provò ad uccidermi ma fui più veloce..
O almeno cosi pensavo.
Salvai la vita alla ragazza, che tornò a casa senza sapere nulla di lui, senza sapere che avrebbe potuto ucciderla, senza sapere che io lo avevo ucciso.
La mia missione era compiuta, così tornai allo S.H.I.E.L.D. e raccontai tutto a Fury.
Incuriosito credo dalle abilità della ragazza, mi mandò di nuovo in missione, mi affidò il compito di osservarla e di capire se avrebbe potuto servire la nostra agenzia.
Non fui dispiaciuti da quell’incarico ed inizia a passare del tempo con lei senza che lei se ne rendesse conto.
La osservavo mentre si allenava, durante le sue missioni, quando usciva con gli amici e quando si fermava da sola ad osservare le stelle.
La osservavo sempre e lentamente uno strano senso di colpa iniziava ad entrarmi in testa.
Ero sicuro che lei amasse quell’uomo, ed io glielo avevo portato via.
In più, la stavo praticamente seguendo senza che lei lo sapesse.”
Accennai un sorriso malinconico.
“Più la guardavo e più non capivo cosa mi stava succedendo…”
Mi interruppi quasi a voler riprendere fiato.
“Cosa vuoi dire?” Natasha sembrava sempre più confusa.
Sospirai e per la prima volta durante il nostro discorso, la guardai dritta negli occhi.
Sapevo che quello che stavo per dirle l’avrebbe distrutta, ma ormai non potevo continuare a nasconderle la verità.
“Vuol dire che mi stavo innamorando dei suoi modi di fare, della sua storia, della sua determinazione, dei suoi occhi rassegnati, dei suoi gesti…Natasha, mi stavo innamorando di lei.”
Mi guardò come se gli avessi appena infilato un coltello nel cuore.
Mi sentii un mostro, stavo giocando con i sentimenti di troppe persone e lei, più di tutti, non lo meritava.
Amavo quella donna, l’avevo sempre amata dal primo giorno in cui il mio sguardo si era posato su di lei.
I suoi capelli rossi per me erano perfetti, cosi come i suoi occhi.
La sua pelle era cosi chiara da poter essere considerata candida come la neve.
Era perfetta, e lo era ancora per me, solo che qualcun’altro era entrato nel mio cuore, nella mia vita e per qualche inspiegabile motivo aveva preso il suo posto senza lasciarmi possibilità di scegliere.
Senza lasciarmi possibilità di capire se tutto quello fosse giusto e sbagliato.
“Perché non me l’hai mai detto?” Sussurrò con tono ormai rassegnato.
“Perché non volevo ammetterlo nemmeno a me stesso…non volevo accettarlo…”
Abbassò lo sguardo e lo piantò a terra, come se volesse cercare una risposta incastonata nella moquette.
“Comunque…” Dovevo finire il mio racconto, cosi avrebbe capito tutto.
“Sembrava filare tutto liscio, fin quando, quella ragazza non arrivò allo S.H.I.E.L.D, e Fury non mi diede l’incarico di diventare suo insegnante.”
Alzò subito la testa ed in quel momento capii che doveva essere arrivata alla verità.
“Francis…”
Annuii leggermente.
“E’ per questo che sono partito in missione, per non dover fare i conti con lei.
La trattavo male, solo perché sapevo che stava cambiando troppe cose in me e non volevo accettarlo, solo perché non volevo capisse nulla…
Non volevo che scoprisse nulla.
Avevo bisogno d’aria, cosi ho chiesto a Fury di inviarmi in missione, lui ha esaudito il mio desiderio e mi ha mandato qui a Berlino.
Ho iniziato a seguire il mio obiettivo, ma mi hanno scoperto.
Pensavo mi avessero ucciso, invece mi sono risvegliato in quella cella dalla quale mi avete tirato fuori mezzo morto.”
Feci una pausa per riflettere un secondo. “A dirla tutta pensavo che l’incubo fosse finito…
Ma mi sbagliavo.”
Guardai Natasha, la presi per le spalle assumendo un’espressione più che seria.
“E’ venuto a prenderla, l’ha portata via ed io non sono riuscito a fermarlo.”
“Vuoi dire che il tuo rapitore è lo stesso uomo che hai detto di aver ucciso? Gamble?”
“Esatto, pensavo di averlo fatto fuori, ma è riuscito a sopravvivere in non so quale assurdo modo.
Mi ha catturato e tenuto dentro quella prigione perché sapeva che la nostra agenzia l’aveva reclutata, sapeva tutto.
E attraverso me voleva arrivare a lei.”
Mi guardò e rimase in silenzio, sicuramente non sapeva ne cosa dire, ne cosa pensare.
“Devo andare a prenderla, Natasha…Morirà se non la porto via da quell’uomo….”
Dopo aver sentito le mie parole, mi lanciò uno sguardo rassegnato.
“Quindi sei davvero innamorato di lei?”
Annui senza nemmeno accorgermene, ormai le avevo rivelato tutto e nascondere quello che provavo mi sembrava inutile.
Lei sospirò.
Non avevo mai visto Natasha in quelle condizioni…Si era arresa, era palese.
E lei non si era mai arresa, nemmeno una sola volta in tutta la sua vita.
“Ti prego Nat…io..” Volevo provare a chiederle scusa in qualche modo, dirle che l’avrei amata per sempre, ma non ci riuscì.
Posò un dito sulle mie labbra prima che potessi pronunciare qualche falsa promessa.
“Non voglio sentire altro, ti prego.” Sussurrò, attaccando i suoi occhi gelidi ai miei.
“Ti aiuterò a trovarla, ma non vuol dire che tutto quello che mi hai detto non mi abbia fatta soffrire.”
Chiuse la bocca per una manciata di battiti.
“E non vuol dire che tu non me la pagherai! Quando tutto questo sarà finito ti riempirò di botte.”
Non potei non sorridere a quell’affermazione, la solita Vedova nera era tornata a farmi compagnia.
Fece una veloce panoramica del mio viso, tolse il dito dalla mia bocca e mi accarezzò una guancia.
Per un attimo mi sembrò di essere di nuovo a Budapest.
Io e lei circondati da macerie, cosi vicini da poterci toccare l’un l’altra, cosi vicini da poter provare qualcosa di più di una semplice amicizia.
Mi sorrise, poi senza avvertire si avvicinò alle mie labbra e mi diede un bacio.
Leggero.
Quasi innocente.
Triste, con un leggero tocco di tono amaro.
Non mi staccai da lei, sapevo che cosi facendo, avrei potuto causarle più dolore di quanto non avessi già fatto.
Le andai dietro, assecondai quello che per me era un gesto pieno di ricordi.
Lentamente si staccò da me e io la abbraccia, per nascondere i miei occhi ai suoi.
Non avevo abbastanza coraggio per affrontare anche il suo dolore.
“Non smetterò mai di amarti Clint, imparerò solo a vivere senza di te.”






*Francis POV*






Aprii gli occhi in modo titubante, ma fui costretta a richiuderli a causa dell’immenso dolore che li raggiunse non appena questi videro la luce.
-Forse ho dormito male- Pensai fra me e me cercando di motivare quella strana reazione.
Avevo fatto un sogno orribile.
Un incubo.
Gamble era tornato a prendermi, aveva distrutto con un esplosione la camera di Clint, e mi aveva rapita.
Sospirai allontanando subito quei pensieri, fortunatamente nulla di quello che la mia testa aveva immaginato durante la notte era reale.
Presi un po’ di coraggio e lentamente provai ad aprire gli occhi.
La prima cosa che vidi fu il soffitto bianco della camera di Clint.
Sorrisi, forse mi ero addormentata mentre lo stavo controllando e magari lui era rimasto li accanto a me.
Natasha mi avrebbe sicuramente uccisa se avesse scoperto che mi ero appisolata quando avevo promesso che lo avrei tenuto sotto controllo.
Anzi, mi avrebbe uccisa credo solo perché stavo dormendo accanto a lui.
Spostai lo sguardo verso la mia destra e rimasi un attimo confusa.
Mi alzai di scatto ed iniziai ad osservarmi intorno.
Nulla di tutto quello che i miei occhi videro, sembrava familiare.
Ero sdraiata su un semplice lettino di ospedale, indossavo un camice bianco, avevo i capelli legati, ero scalza e tutto intorno a me era troppo candido per essere reale.
-Cosa siavolo sta succedendo?!- Pensai mentre i miei occhi vagavano spaesati e confusi in giro per la camera.
Prima che potessi pormi altre domande e prima che il mio cervello potesse elaborare una qualche risposta, sentii la porta aprirsi.
“Buongiorno dolcezza, vedo che finalmente ti sei svegliata!”
Lo vidi, ed in quel momento capii di non aver sognato.
Capii di essere stata scaraventata dentro uno dei miei incubi peggiori.

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Capitolo 15
*** L’amore che diventa odio, l’odio che diventa pazzia. ***


Capitolo cortissimo, ma essenziale!
Le cose si complicano sempre di più, spero apprezziate l'evoluzione della storia!
Fatemi sapere cosa ne pensate, accetto molto volentieri anche le critiche! :)
Scusate per gli evantuali essori, ma non ho avuto tempo di ricontrollare







15. L’amore che diventa odio, l’odio che diventa pazzia.







Lo fissai spaventata e spaesata.
Il mio corpo pareva essersi paralizzato quando i miei occhi si erano posati su di lui, e naturalmente le mie corde vocali avevano smesso di funzionare quando lo avevo sentito parlare.
Gamble sorrise e si avvicinò a me, spargendo per la stanza molta tranquillità, una tranquillità che sapeva di “ Quiete prima della tempesta”.
“E’ da tanto che non ci vediamo, è Francis?” Disse quando arrivò a pochi centimetri dal mio lettino.
Io continuai a non rispondere ed abbassai lo sguardo.
In quel momento se avessi aperto bocca credo sarei solo riuscita ad urlare.
“Cosa succede?” Mi guardò quasi a volermi prendere in giro. “Il gatto ti ha morso la lingua?” Ridacchiò in modo maligno ma,  di nuovo, non ricevette alcuna risposta da me.
Rimase in silenzio qualche secondo, poi inarcò la bocca in un sorriso cattivo.
“Oppure te l’ha portata via il falco?”
Quelle parole mi obbligarono a reagire.
Alzai lo sguardo verso di lui e ringhiai, senza sapere da dove tutta quella rabbia potesse venir fuori, considerando lo stato traumatico in cui ero pochi secondi prima.
“Cosa gli hai fatto?!”
Rise sicuramente divertito dal mio insolito cambio d’umore.
“Ti preoccupi più della sua vita che della tua?” Appoggiò le mani sul materassino di gomma piuma sul quale ero seduta e scosse lentamente la testa. “Non sei proprio cambiata!” Mise gli occhi sui miei e sorrise in modo sarcastico. “Daresti la vita per i tuoi compagni, non è vero?”
Lo guardai confusa.
Non capendo davvero dove volesse arrivare mi astenni dal rispondere.
Aspettò che parlassi, che rispondessi alla sua domanda, ma non ricevendo nient’altro che silenzio, vidi chiaramente un fulmine di rabbia attraversare i suoi occhi.
Senza che potessi rendermene conto, prese la mia testa e mi sbatte al muro accanto al letto con una forza quasi disumana mentre con una mano strinse il mio collo.
“RISPONDIMI STUPIDA RAGAZZINA.” Ringhiò con cattiveria continuando a stringere la le dita sulla mia pelle.
Rimasi stordita per qualche secondo, respirando velocemente per poter allontanare il dolore dalla mia testa.
Girai il corpo verso di lui, dovevo staccarlo da me o mi avrebbe sicuramente uccisa.
Con un gesto scattante riuscii a liberarmi da quella presa ed a tirargli un calcio dritto nello stomaco.
Gamble indietreggiò subito, rimanendo stordito dal mio atto di ribellione e dal dolore che questo doveva avergli provocato.
Mi alzai dal letto e lo buttai a terra, per poi gettarmi contro la porta dalla quale era entrato pochi attimi prima.
La aprii subito e mi ritrovai nel bel mezzo di un corridoio bianco, pieno di finestre e poco arieggiato.
Senza pensare alle conseguenze di quello che stavo per fare, iniziai a correre a perdifiato lungo di esso, fermamente convinta di poter scappare da quel posto, quando improvvisamente una scarica elettrica mi percorse il corpo da capo a piedi.
I miei occhi parvero ribaltarsi all’indietro e caddi involontariamente a terra, in preda a convulsioni e spasmi.
Ripresi fiato dopo un tempo che mi parve quasi interminabile e, davanti ai miei occhi, comparve Gamble con un ghigno tremendo stampato sul viso.
Mi guardò ed iniziò ad agitare lentamente la mano.
Puntai il mio sguardo su di essa e notai che teneva fra le dita una specie di piccolo telecomando con diversi bottoni attaccati sulla superfice.
“Non puoi andare da nessuna parte, ormai sei mia.”
Si abbassò verso di me e rise agitando quella piccola scatoletta proprio sopra la mia faccia.
“Ti ho in pugno, l’unico modo che hai per uscire da qui è dentro un sacco dell’immondizia…” Si interruppe senza staccare gli occhi da me” Oppure…”
Mi prese per i capelli e mi tirò su di peso, portandomi all’altezza del suo viso, costringendomi cosi a guardarlo.
“Mi divertirò a giocare con te e con il tuo amico, così capirà come mi sono sentito io quando mi hai abbandonato e mi hai voltato le spalle.”
La sua risata riempii improvvisamente le mie orecchie e purtroppo anche il mio cuore, portando via dal mio petto ogni speranza.
“Io non ti ho abbandonato, sei tu che hai tradito me e tutti i tuoi amici.”
Sussurrai con un rantolo di voce, quasi inesistente.
Gamble strinse di più la presa sui miei capelli e mi avvicinò con cattiveria alla sua faccia, che ormai era completamente trasformata in un ghigno terribile.
“Mi hai abbandonato, ti ho offerto un futuro insieme e te lo hai rifiutato. Ti ho offerto un nuovo inizio e te ci hai sputato sopra, lasciandomi solo. Hai preferito rimanere sotto il controllo di quei quattro omuncoli, invece di condividere con me la tua vita.”
“Non avrei mai condiviso la mia vita con un traditore.” Esclamai quasi senza riflettere, con lo stesso tono dolorante di prima.
“E non lo farei nemmeno ora.”
Ammisi nonostante il dolore continuasse ad attraversarmi il corpo e mi preparai a riceverne altro.
Lui infatti, ringhiò con cattiveria e mi buttò a terra, facendomi sbattere la testa sul muro che aveva di lato.
“Non mi interessa più ormai.”
Fece un passo verso di me e mi guardò, rimanendo in piedi.
Il suo sguardo emanava pazzia e rabbia, odio e dolore.
“Ti ucciderò, sta tranquilla! Non pensare che io voglia risparmiarti la vita in preda a qualche fantasma del passato, voglio farti fuori lentamente e dolorosamente…Farti provare tutto il male che ho sentito…”
“Sei pazzo…” Lo interruppi, facendo forza sulle braccia per provare ad alzarmi.
Lui parve non sentire le mie parole e continuò il suo monologo.
“Ma, prima di abbandonare questo mondo, vedrai morire il tuo amico, quello stupido falco.”
Quando sentii quelle parole, avvertii uno strano dolore allo stomaco, come se avessi appena ricevuto un pugno.
“No….” Sussurrai di nuovo, alzando gli occhi verso di lui.
“Lui non c’entra niente! Devi lasciarlo stare!”
Gamble in tutta risposta iniziò di nuovo a ridere divertito.
“Lui è importante tanto quanto me o te.” Lo guardai confusa, cosi confusa da fargli capire che non sapevo davvero di cosa stesse parlando.
Lo vidi sorridere “Non dovrai difenderlo da me, mia cara.”
Agitò di nuovo il telecomando che aveva in mano, con uno strano sorriso stampato in volto.
“Cosa intendi dire?” Chiesi con tono impaurito.
Lui si abbassò verso di me e mi toccò il collo, facendo pressione su di esso.
Quando il suo dito toccò la mia pelle, percepì chiaramente che stava passando il polpastrello su una piccola cicatrice.
Una cicatrice che fino a quel momento non avevo ne mai visto, ne mai saputo di avere.
“Davvero non ci sei ancora arrivata?”
Sbarrai gli occhi e per un momento smisi di respirare.
“Sarai tu ad ucciderlo, mia dolce Light.”



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Capitolo 16
*** Incubo o realtà? ***


Capitolo di passaggio!
Non aggiungo altro, fatemi sapere se vi va cosa ne pensate!:)
Grazie come sempre. <3

Ps: Scusate per i vari errori che ho lasciato in giro, ma non ho avuto molto tempo per controllare. 







16. Incubo o realtà?










“Phil..” Sussurrai il nome del mio compagno come se il resto del mondo non dovesse ascoltare la nostra conversazione.
“Phil sono io, Barton…” Continuai non ricevendo alcuna risposta.
“Clint?” Sembrava confuso, frastornato.
“Come è possibile…te sei…”
“Morto?” Risi leggermente “No Phil, non ho tempo per spiegarti nulla, ma sono vivo ed ho bisogno di te.”
“Cosa succede?” Coulson dovette capire che non avevo assolutamente tempo per le spiegazioni, quindi mi chiese subito di cosa avevo bisogno.
Era anche per questo che avevo cercato lui, sapevo che potevo fidarmi e che non mi avrebbe deluso.
“Prima di tutto questa conversazione non è mai avvenuta, ricordalo.” Dissi con tono serio.
“Significa che Fury non deve sapere che sei vivo?”
Annuì, nonostante lui non potesse vedermi.
“Esatto, per ora è meglio cosi.”
Percepì un leggero silenzio dall’altro capo del telefono.
Quella era una richiesta estremamente difficile, soprattutto perché lui odiava mentire al nostro capo.
Era sempre stato un compagno ed un soldato fedele, ma maggiormente aveva sempre obbedito agli ordini.
“Sei con me Phil?” Chiesi capendo la sua indecisione.
“Si scusami…Stavo pensando…” Sospirò. “Di cosa hai bisogno Clint?”
“Ho bisogno che rintracci due persone…Il prima possibile.”
“Due persone?”
“Si…” Sussurrai attaccando le labbra alla cornetta e osservandomi intorno” Brian Gamble e Francis Light.”
Il silenzio riempì nuovamente la cornetta.
Lo sentì esitare nuovamente.
“Ma Francis non è in missione con Natasha?” Chiese non capendo sicuramente in che situazione ero caduto.
“Niente domande Phil, non posso rispondere ora!”
Lui sospirò pesantemente.
“D’accordo, che area credi io debba controllare prima?”
“Tutta la città di Berlino e le varie periferie…Inizia da li, poi semmai spostati su tutta la Germania.”
“Va bene Clint…Spero tu non ti sia cacciato in qualche guaio perché altrimenti Fury ti ammazza questa volta.”
Risi in modo quasi malinconico.
“Grazie Phil, non appena sai qualcosa chiamami sul mio numero.”
Attaccai il telefono senza dare troppe spiegazioni, non ne avevo ne il tempo ne la voglia di farlo.
Ormai era passato quasi un giorno da quando Gamble me l’aveva portata via ed io non sapevo ne cosa fare, ne cosa pensare.
Mi incamminai verso l’albergo dove alloggiava Natasha che si trovava proprio a qualche centinaio di metri dal mio.
D’altronde dopo l’esplosione fummo costretti a scappare e rifugiarci li per non essere scoperti.
Salì nella stanza ed entrai grazie alla chiave che lei mi aveva dato poco prima.
Non appena chiusi la porta mi ritrovai la rossa davanti agli occhi.
“Come è andata?” Chiese senza aggiungere altro.
“Bene, non ha fatto domande ed ho specificato che dovrà chiamarmi sul mio palmare una volta che avrà scoperto la loro posizione.”
“Perfetto…” Disse distogliendo lo sguardo e dirigendosi verso il bagno.
“Io devo fare una doccia, te devi riposarti.”
“Ma io sto bene Nat…”
Si girò e mi lanciò uno sguardo infuocato.
“Va bene…” Risposi senza provare a ribellarmi di nuovo.
Mi girai lentamente ed andai verso la camera da letto prendendo in mano il mio fedele arco.
Mi sdraiai e distesi la schiena lungo il materasso, rilassando i muscoli che ancora mi facevano un male tremendo.
Poggiai l’arco di fianco a me e lo lasciai li, come se avessi dovuto usarlo da un momento all’altro.
Nonostante fossi dolorante, la medicina che Natasha mi aveva iniettato qualche ora prima, pareva stesse facendo effetto molto velocemente.
Riuscivo a camminare e a muovermi senza problemi, e stavo riacquistando lentamente le mie capacità motorie.
Sospirai e chiusi gli occhi, immergendomi completamente nei miei pensieri.
Stare li con le mani in mano mi distruggeva.
Volevo uscire da quel posto ed iniziare a cercarla.
Volevo trovare qualche indizio che mi dicesse  ‘Tranquillo Clint, sei ancora in tempo, lui non te l’ha portata via, puoi ancora salvarla.’
Sapevo che Gamble non l’avrebbe uccisa subito, lui voleva vendicarsi e strapparle il cuore dal petto sarebbe stato troppo veloce e cruento.
Voleva farla soffrire per farle capire cosa aveva provato lui quando lei l’aveva lasciato.
Ma quello era troppo.
L’avrebbe torturata, come aveva fatto con me, se non peggio.
Forse l’avrebbe colpita a livello emotivo, l’avrebbe fatta impazzire e poi l’avrebbe uccisa.
Mi girai d’un lato, provando ad allontanare quei pensieri che mi facevano solo star male.
Dovevo concentrarmi sul mio obbiettivo, allontanando le ipotesi che mi si paravano davanti ogni volta che il mio cervello si accendeva.
Dovevo solo aspettare la chiamata di Phil, sperando che questa arrivasse prima della fine della giornata.
Prima che fosse troppo tardi.



“Cosa mi hai fatto?” Chiesi con rabbia e paura.
“Cosa mi hai messo qui sotto?” Indicai il mio collo e la piccola cicatrice sulla sua superfice.
Gamble rise.
“Una cosa che mi aiuterà molto…”
“E’ una bomba?”
“Anche…” Rise di nuovo “ Ma molto meglio!”
“…Molto meglio?”
“Imparerai cosa significa soffrire, bambolina.” Rispose con tono tranquillo. Mi guardò come un bambino guarda il suo gioco preferito. "Imparerete, mi correggo." La sua risata riempì di nuovo la mia testa e si impadronì delle mie emozioni, costringendomi al terrore più totale.




Non mi resi conto di essere caduto fra le braccia di Morfeo, fin quando la suoneria del mio palmare non mi riportò nel mondo dei vivi.
Aprì gli occhi di scatto e mi tirai subito su, sollevando il busto del materasso e spostando gli occhi verso il panorama della città.
Osservai fuori dalla finestra e mi accorsi che ormai stava arrivando la sera, e le luci iniziavano a comparire nella penombra.
Mi alzai dal letto e corsi verso il telefono che stava vibrando proprio sopra al comò.
Lo presi in mano e quando lessi il nome della persona che mi stava chiamando, sentii in cuore riempirsi di speranza.
“Phil?” Risposi senza esitare.
“Clint, tutto bene?”
Sicuramente percepì il mio tono di voce leggermente addormentato.
“Si tranquillo…Piuttosto, sei riuscito a rintracciarli?”
Phil rimase in silenzio qualche secondo.
“Si…” Sospirò “ Clint cosa diavolo sta succedendo? Ho letto i file dell’uomo, Gamble…Per lo S.H.I.E.L.D era morto, te l’avevi ucciso…”Lo interruppi prima che potesse fare altre domande.
“Lo so, non ho tempo per spiegarti, te l’ho già detto!” Portai una mano sulle tempie ed iniziai a massaggiarle, leggermente innervosito.
“Per favore Phil, una volta che avrò recuperato Francis giuro che ti racconterò tutto.”
“Recuperato?”
“Si, devo portarla via.”
Di nuovo il silenzio cadde sulla nostra conversazione.
“Clint, a me non sembra che lei voglia essere recuperata…”
“Cosa intendi dire?” Chiesi in modo confuso, inarcando le sopracciglia e sedendomi sul bordo del letto.
“Aspetta…” Disse poco prima di premere un pulsante sul suo cellulare.
“Ti ho inviato le immagini che ho scattato poco fa dal nostro Server…”
Subito staccai il palmare dal mio orecchio ed aprii il file che era appena arrivato.
Quando posai gli occhi su quelle foto, non riuscì davvero a capire cosa stesse succedendo.
Se tutto quello fosse uno scherzo o una terribile verità.
“Ma cosa diavolo..”
“Sono al galà annuale che si svolge al centro di Berlino Est…”
La foto che Phil mi aveva mandato li ritraeva entrambi vestiti in modo elegante, mentre camminavano mano per mano verso l’edificio dove si stava svolgendo il galà.
Lei indossava un vestito nero con le spalle scoperte e lui uno smoking dello stesso colore.
Non era possibile, come poteva esserlo?
Gamble voleva ucciderla, che ci facevano insieme in quel posto?
Cosa le aveva fatto?
La stava forse ricattando?
“Clint?”
La voce di Coulson mi riportò alla realtà.
“Grazie Phil, ora devo andare.”
“Ma non h..”
Chiusi la chiamata e continuai a fissare quelle immagini, completamente impietrito.
Come era possibile tuto quello?
Respirai lentamente per qualche secondo, poi lancia con rabbia il palmare verso il muro.
Questo cadde a terra ma rimase acceso.
Strinsi i capelli con le mani, portandoli sopra la mia testa e iniziai a fissare il pavimento.
Natasha, sicuramente attirata dal rumore del cellulare caduto a terra, venne subito nella mia stanza e mi guardò.
“Clint, cosa succede?”
Non risposi, rimasi in silenzio assorto nella mia confusione.
Mi osservò per un po’, per poi portare gli occhi a terra, sul dispositivo che ancora si illuminava.
Lo raccolse e quando vide le foto ebbe la mia stessa reazione.
“Cosa diavolo significa?” Esclamò con tono confuso.
Le sfogliò tutte.
“Che ci fanno insieme?”
“Non lo so…” Ammisi continuando a fissare il pavimento. “Non riesco a capirlo.”
“Pensi che lei abbia mentito tutto questo tempo?”
Alzai gli occhi e la guardai con fare severo.
“No.”
Sospirò.
“Era solo una ipotesi…” Guardò di nuovo le foto “Sicuramente Gamble voleva essere rintracciato, altrimenti non si sarebbe esposto in questo modo.”
Quelle parole aprirono una porta nella mia mente, e forse capii cosa stava succedendo.
“Hai detto che per te lui voleva essere rintracciato?”
“Si, altrimenti non ha senso…insomma, presentarsi cosi allo scoperto ad una festa del genere!”
Mi alzai in piedi e presi l’arco dal mio letto.
Natasha mi guardò più confusa di prima.
“Dobbiamo andare a salvarla, lui sta aspettando solo me.”

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Capitolo 17
*** Dimmi, uccideresti per salvare una vita? ***


Vi chiedo scusa per il ritardo, ma ultimamente sono stata un pò impegnata!
Comunque, vi comunico che ho corretto i vari errori presenti sul capitolo precedente, che purtroppo non era un granchè!
Spero invece che quest'ultimo vi piaccia!
Fatemi sapere, bye.

Ps: Grazie, come sempre. 







17.Dimmi, uccideresti per salvare una vita?






Una dolorosa scarica al collo, fu questo che percepì prima di cadere nel buio più profondo.
Il mio cuore si fermò per qualche istante ed il respiro iniziò a farsi più lento e regolare.
La mia mente si stava svuotando da ogni pensieri, ricordo ed emozione.
Sembrava come se il mio cervello si stesse spegnendo lentamente, come se la mia vita stesse svanendo.
Mi guardai intorno sempre più frastornata e confusa.
Sempre più impaurita.
Posai lo sguardo su Gamble, aveva premuto il pulsante verde sul suo telecomando ed io ne stavo subendo gli effetti.
Rideva, e la sua risata arrivò alle mie orecchie come un leggero rumore ovattato.
La vista iniziò a farsi sempre più offuscata, lasciando cosi posto al dolore che mi spezzò quasi non appena arrivò.
Ormai era troppo tardi, tutto stava andando secondo i suoi piani, tutto stava finendo.
Provai a ricordare qualcosa, qualcosa dal mio passato, qualcosa delle persone che amavo, qualcosa di me stessa, qualsiasi cosa che mi tenesse legata a quel mondo, a quella vita, ma l’unica cosa che la mia testa riuscì a focalizzare, fu il nulla più assoluto.
Con le ultime forze che avevo in corpo, posai gli occhi sull’uomo che avevo di fronte e lo guardai con disprezzo ed odio.
Poi, improvvisamente la mia mente si spense e da quel momento non riuscì a vedere nient’altro che oscurità.
Il mio passato era stato cancellato ed il mio futuro distrutto.





Strinsi il mio arco in modo compulsivo, quasi a voler scaricare la rabbia e l’agitazione su di esso. Mi guardai intorno, osservando il cielo scuro che dominava Berlino quella notte.
Nessuna stella inondava quell’oscurità, solo una luna stranamente grande e luminosa appariva in quel enorme telone scuro.
Sbuffai scocciato e mi appoggiai alla cabina elettrica che si trovava sul tetto del palazzo, di fronte all’enorme edificio dove in quel momento si stava svolgendo il galà Berlinese.
Ormai erano più di dieci minuti che stavo li fermo ad aspettare il ritorno di Natasha.
Era partita per una ricognizione veloce del perimetro e ancora non era tornata.
Non doveva esserci molta sorveglianza ma, essendo comunque un evento importante, mi aspettavo almeno la presenza della polizia locale.
Non facevo altro che pensare al motivo per il quale Francis fosse con quell’uomo, in quella situazione.
L’unica risposta logica che ero riuscito a darmi da quando i miei occhi si erano posati su quelle foto, era che lui l’avesse ricattata o comunque minacciata.
Ma anche con quell’ipotesi, non riuscivo a spegnere i miei pensieri e le mie paure.
Era dannatamente strano tutto quello che stava accadendo, un momento prima aveva paura di lui, quello dopo lo teneva per mano mentre andavano insieme ad una festicciola.
Sospirai, se la mia testa fosse stata un computer a quest’ora sarebbe esplosa per l’accumulo di dati, credo.
Sapevo che c’era qualcosa che non andava, e il mio sesto senso mi diceva chiaramente che non era una cosa poi cosi semplice.
Avevo capito che lui l’aveva portata li per farmela vedere, perché voleva che io provassi a salvarla.
Voleva sfidarmi, sapeva che io sarei andato da lei.
Voleva farmi soffrire ed infine uccidermi.
Credeva quindi di potermi battere, forse ne era anche convinto.
Sospirai e appoggiai la testa sul freddo metallo che avevo di lato.
Nonostante tutto, il suo piano rimaneva oscuro e celato alla mia vista, potevo solo provare ad ipotizzare cosa la sua mente malata avesse escogitato.
“Il perimetro è sicuro.” La voce di Natasha mi fece uscire da quella mistura di pensieri.
Lo sguardo che prima era perso nel vuoto, si posò sulla mia compagna.
“Ci sono molte guardie?”
“No, qualche poliziotto…Ma niente di cui preoccuparsi.”
Mi staccai dalla cabina sulla quale ero appoggiato e la guardai.
“Sei pronta?”
Lei accennò un sorriso quasi sprezzante. “Come sempre Barton.” Esclamò con un leggero tono di sfida.
Accennai una leggera risata e subito impugnai il mio arco.
“Ci vediamo dentro Nat…”
Le feci l’occhiolino e corsi fino al cornicione del palazzo.
Guardai per qualche secondo verso il basso per poi tendere la corda del mio arco e lanciare una freccia verso il muro dell’edificio di fronte.
Questa si piantò nel cemento e tese un filo lungo tutta la distanza che aveva percorso.
Con una mano strinsi la presa sul riser e con l’altra staccai dalla mia cintura un paio di granate fumogene.
Grazie a quelle avrei creato un diversivo per far scappare tutti i civili presenti alla festa.
Presi fiato e calmai il battito del mio cuore, poi, espellendo l’ossigeno dai miei polmoni, mi lancia verso l’enorme finestra che avevo di fronte e tirai le granate prima che potessi atterrare sul pavimento.
Gli invitati non fecero in tempo ad accorgersi della mia presenza che subito iniziarono a scappare verso l’uscita del salone, impauriti dall’esplosione e dal fumo bianco che iniziava a circondare la zona.
Staccai l’arco dalla corda che avevo lanciato e incoccai subito una nuova freccia, questa volta senza nessun tipo di equipaggiamento speciale.
Aspettai che la stanza si fu vuotata ed iniziai a cercare il mio obbiettivo.
Sapevo che Gamble non sarebbe scappato come il resto delle persone, quindi ero sicuro di poterlo localizzare con facilità.
Non appena la nebbia artificiale che avevo creato si abbassò, percepì un rumore dietro le mie spalle.
Mi girai velocemente e ritrovai il mio arco puntato contro di lui.
Era seduto su una sedia quasi regale e mi stava guardando, con uno strano sorriso stampato in volto.
“Finalmente sei arrivato!” Disse sorseggiando del vino dal bicchiere che aveva in mano.
“Pensavo non saresti venuto…” Aggiunse mentre continuava a guardarmi con il solito ghigno malato.
La mia mano fremeva, volevo lasciare la presa sulla corda e conficcare quella dannata freccia sulla sua testa.
“Dov’è?” Chiesi con tono leggermente rabbioso senza però abbassare l’arco.
Lui rise.
“Vuoi davvero saperlo agente Barton?” Iniziò a roteare il liquido rosso all’interno del bicchiere mentre continuava a scrutarmi, in cerca forse di qualche mio punto debole.
“Dimmi dove l’hai messa.” Ringhiai e tirai di più i muscoli cosi come i flettenti.
Rise di nuovo.
Improvvisamente un brivido di rabbia mi percosse la schiena ed in tutta risposta alla sua provocazione, lasciai che la freccia che avevo incoccata nella mia corda,  partisse e centrasse in pieno il suo bicchiere, distruggendolo in tanti piccoli pezzi.
In un attimo tirai fuori dalla faretra un’altra freccia e la incoccai nuovamente, riportando il mirino sulla testa del mio obbiettivo.
“La prossima finisce dritta in mezzo ai tuoi occhi, bastardo.” Dissi con tono ormai alterato.
“Dimmi dov’è!” Urlai e la mia voce risuonò per tutto il salone.
Gamble mi guardò ed accavallò le gambe con fare molto tranquillo.
“ Non ti arrabbiare amico! Non ce n’è bisogno!” Rise e posò lo sguardo su qualcosa che sicuramente doveva stare dietro le mie spalle.
Non mi voltai, conoscendo la furbizia di quell’uomo, quello poteva solo essere un diversivo per attaccarmi.
Fece un leggero segno d’assenso e dopo qualche millesimo di secondo, la stanza fu riempita dal rumore che solitamente delle scarpe da donna provocano su di un pavimento.
Gamble tornò a guardarmi e mi fece segno di girarmi, sorridendo in modo perverso e divertito.
Purtroppo per me, seguii involontariamente il suo consiglio, girando subito gli occhi verso la fonte del rumore.
Quando la vidi non potei non rimanere fulminato.
Era bellissima, i capelli le cadevano morbidi lungo le spalle e coprivano leggermente il vestito nero che indossava.
Questo le arrivava poco più su del ginocchio e lasciava scoperte le braccia e una piccola parte delle spalle.
Labbra rosse e occhi verde smeraldo.
Scarpe vertiginosamente alte e gambe perfettamente dritte.
Nonostante la situazione non fosse delle migliori e sicuramente non fosse la più adatta, sentì comunque un leggero calore diffondersi lungo tutto il mio corpo.
La guardai, abbassando il mio arco ed aspettai un suo segno, uno sguardo, un sorriso magari.
Un gesto che mi avrebbe fatto capire che lei era pronta per essere salvata.
Ma, al contrario delle mie aspettative, non ricevetti nulla di tutto questo.
Mi passò di fianco senza degnarmi di un occhiata ed andò dritta verso Gamble, camminando con movimenti freddi e decisi.
Guardai tutta la scena come fossi rimasto pietrificato.
“Sei confuso immagino…” Esclamò l’uomo seduto sulla poltrona, non appena Francis lo raggiunse.
Lei si girò di scatto e rimase immobile di fianco a lui.
“Non ti ha salutato? Come mai Barton?”
Rise leggermente e mi guardò con fare ironico.
“Cosa le hai fatto…?” Sussurrai quelle parole con voce tremante, mentre un’insolita paura iniziò a farsi strada nel mio cuore.
Gamble ghignò in modo perfido.
“Cosa le ho fatto dici?” Ridacchio con cattiveria. “Lei è mia ora, mio caro Clint.” Posò gli occhi sui miei “E’ mia.” Esclamò sottolineando quelle due ultime parole.
“Non è più nessuno, ne la Francis che conoscevo io, ne la Francis che conoscevi te, è una persona nuova, senza sentimenti, senza ricordi, senza emozioni. Non ha più nulla, se non la sua forza.”
Ascoltai quelle parole senza fiatare, ma non riuscì comunque a capirne il significato.
Cosa stava succedendo? Era forse uno scherzo?
Mi stava prendendo in giro? Aveva organizzato tutto questo per prendersi gioco di me?
“Cosa vuoi dire?” Chiesi mentre tutte quelle domande continuavano a ronzarmi in testa.
“Voglio dire che lei non si ricorda di te, sei solo un’ombra per la sua mente.”
“Non è vero.”
Gamble scoppiò a ridere e si alzò in piedi.
“Forse non ti è chiaro il motivo per il quale tu sei qui questa sera.”
Mi guardò ed iniziò a camminare verso di lei.
Alzai subito l’arco e lo puntai verso l’uomo, che però continuò a muoversi tranquillamente.
La mia voglia di ucciderlo aumentava ad ogni suo passo, ma dovevo scoprire cosa stava succedendo e solo lui poteva spiegarmelo.
Quando la raggiunse le sfiorò una guancia con un dito e riportò gli occhi su di me, quasi a volermi far morire d’invidia.
“Credi che io ti abbia attirato qui per poterti dare l’opportunità di salvarla!? Oppure per gioco?!”
Ridacchiò e scosse la testa.
“Mi deludi di nuovo Barton, pensi davvero che io sia cosi buono?”
Si avvicinò al collo di Francis e con un respiro tirò via il profumo dalla sua pelle candida.
“Non vedevo l’ora che arrivasse questo momento!” Esclamò divertito.
“Ho programmato tutto nei minimi particolari, sai?! Sono riuscito perfino anche a farti credere che la tua fuga dalla prigione fosse stato un mio errore, quando invece era tutto programmato! Ogni cosa che ti è successa, ogni piccola cosa, aveva come unico scopo quello di condurti qui questa sera, come unico fine quello di porti davanti ad una scelta difficile, di farti vivere un incubo, di farti soffrire, di farti capire cosa significa vivere nella paura.” Lentamente, il suo piano parve crescere davanti ai miei occhi.
“Questa è la fine Barton.” Aggiunse, usando un tono pieno d’odio e rancore.
“Questa sera, uno di voi due morirà per mano dell’altro. Non ci sono vie di fuga, dovrai affrontare il tuo destino.”
Non appena le mie orecchie percepirono quell’orribile verità, sentì lo stomaco contorcersi su di esso, il cuore scoppiare e le gambe tremare.
“Ed io mi chiedo, sarai cosi coraggioso da lasciarti uccidere, sapendo che non appena lei avrà le mani ricoperte dal tuo sangue, io le ridarò la sua vita, i suoi ricordi, le sue emozioni ed i suoi sentimenti cosi che possa accorgersi di cosa ha fatto e soffrire nel realizzare di averti ucciso, oppure la ammazzerai prima che lei possa fare lo stesso con te?”

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